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ÌVritten in the Catalogue of the Hoìy SefuLhre,
NEW HALL.
LA
CIVILTÀ CATTOLICA
ANNO VENTESIMOPRIMO
Beatus populus cuius Dominut Deus eius.
Psìlm. CXLIII,48.
VOL. XI.
DELLA SEME SETTIMA
ROMA
COI TIPI DELLA CIVILTÀ CATTOLICA
1870.
Proprietà letteraria secondo le Convenzioni dei variì Stati.
L' AGITAZIONE
RIGUARDO
ALL' INFALLIBILITÀ PONTIFICIA
I
n un secolo così poco teologico, anzi cosi generalmente alieno
da quanto sa di teologia, com' è il nostro, fa grande meraviglia
il commovimento eccitatosi in ogni paese civile ed in ogni ordine
di persone, a cagion del Concilio vaticano, o più tosto a cagion di
quell'unico punto dell'infallibilità pontifìcia, nella cui definizione il
mondo ha compendiata tutta la importanza dell'assemblea concilia-
re. È lecito asserire, fuori d'iperbole, che da otto mesi in qua tutto
ciò che poteva dirsi e scriversi prò e contro questo articolo di dot-
trina cattolica, si è detto e si è scritto con una tale varietà di for-
me, che la fecondità dell'umano ingegno pare esservisi esaurita.
È stato un bene questo commovimento degli animi, od un ma-
le? Altri lo ha predicato e lo predica un bene singolare ; altri un
male assai lamentabile. Ma forse dà meglio nel segno chi lo giu-
dica uno di quei fatti straordinarii, che risultano da cause in parte
buone ed in parte cattive, e si chiamano appunto provvidenziali,
perchè Dio mirabilmente li ordina a un grande utile del consor-
zio umano.
Or sotto questo rispetto piace anche a noi di considerare l'agi-
tazione destatasi a proposito dell'infallibilità pontificia; e speriamo
che non sarà del tutto superfluo il venire indicando le due specie
di cause, buone e cattive, che son concorse diversamente a muo-
verla e ad accrescerla, e l'hanno condotta, grazie agl'influssi della
Provvidenza, a produrre i lieti effetti che presentemente ammi-
riamo.
6 L AGITAZIONE RI Gt ARDO ALL IÌS FALLIBILITÀ PONTIFICIA
I.
— Chi ha mossa dapprima l'agitazione? Ecco il quesito che si è
fatto da assaissimo o spauriti del romore, o sdegnati per le conse-
guenze che ne deriverebbero. Gli avversarli della definizione ne
incolpano continuamente la nostra pochezza. — Se la Civiltà Catto-
lica, dicono essi, non fosse uscita nel Giugno 1867 a fare quella ma-
laugurata proposta del Voto a S. Pietro, per onorare la prerogativa
della infallibilità della sua Cattedra ; e se si fosse astenuta dal pub-
blicare quell'ancor più malaugurata corrispondenza francese , che
diede in luce nel Febbraio del 1869 , niuno avrebbe pensato a met-
tere in campo questa controversia, per occasion del Concilio; e così
la pace degli spiriti non sarebbe stata turbata nel cristianesimo.
A dir vero, l'onore che quest'accusa ci fa non può da noi essere
accettato, perchè non ha fondamento. Che la nostra proposta del
Volo, tuli' altro che malaugurata, sia stata giovevole a mantenere e
fomentare in molti cuori , massime di persone ecclesiastiche, la
pietà verso S. Pietro e le divine prerogative concedute da Cristo
alla sua Cattedra, ci è dolce sperarlo, e fino a un certo segno lo
crediamo probabile e ne benediciamo Iddio; ma che quella propo-
sta, venuta fuori un anno avanti l'indizione del Concilio, abbia de-
stato l'incendio dell'agitazione, non è da credersi; giacche l'agita-
zione si cominciò a muovere, in modo sensibile, solo nell'estate dello
scorso anno 1869. Or non è chiaro che se quella proposta fosse
stata cagione dell'incendio, non avrebbe tardalo tanto a produrlo,
contro tutte le leggi della combustibilità? Quanto poi alla corri-
spondenza francese, che ci è tanto rimproverata dagli avversarli,
amclteremo volentieri che sia loro servita di « pretesto » a crea-
re l'agitazione, che da lunga mano apparecchiavano in occulto, con-
tro l'infallibilità pontificia; ma negheremo sempre che l'abbia cau-
sata, pai riè ohe \Me\a intrinsecamente: molto più dopo le larghe
spiegazioni che demmo intorno ad essa; le quali gli stessi a\ versa-
ili Oper verità o per finzione, dichiararono di avere per buone
e sufficienti.
Adunque non essendo in noi il merito dell" opera, nemmeno pos-
iamo accettarne l'onore. Anzi, giacché siamo in questo argomen-
L AGITAZIONE RIGUARDO ALL INFALLIBILITÀ PONTIFICIA 7
to , confesseremo schiettamente che noi sentiamo invece qualche
rimorso di aver fatto troppo poco. Se nei due anni andati avessimo
potuto indovinare, che tanti contrasti si sarebbero levati contro
una verità così sacrosanta, così universalmente tenuta e così divi-
namente certa, qual è cotesta dell'infallibilità dottrinale del Papa;
non avremmo mancato di prevenirli, trattandone più di proposito,
giusta la tenuità delle nostre forze , addimostrando 1' opportunità
e chiarendo le congruenze sociali della sua definizione. Con che
avremmo procurato di meritarci, almeno un poco più, l'onore che sì
profusamente ci hanno largito gli oppositori di essa.
II.
— Ma chi dunque ha mossa l'agitazione? s'insiste interrogando.
E noi risponderemo che coloro l'hanno mossa, i quali più simulano
di dolersene : e sono quelli che hanno cominciato pei primi ad im-
pugnare la definizione, o la definibilità di questo capo di dottrina.
E di fatto, benché un tal capo di dottrina non fosse definito co-
me articolo di fede, la cattolicità però lo aveva per teologicamente
certissimo, tanto che niuno avrebbe ardito negarlo, o metterlo in
dubbio, senza incorrere sconcissima nota. La quale credenza era
stabilita e nell' interpretazione autorevole dei luoghi evangelici che
riguardano il Primato di Pietro, e nel consenso dei Padri, dei Dot-
tori e delle Scuole, e nella tradizione costante e pratica della Chie-
sa, e nelle dichiarazioni di molti Concilii nazionali e provinciali fino
all' ultimo di Baltimora. Ciò per la parte positiva. Per la parte ne-
gativa poi, questa credenza era stabilita nelle riprovazioni e con-
danne, fatte dalla Santa Sede, degli errori più o men direttamente
contrarii a tale dottrina, e in ispecie delle celebri proposizioni dette
gallicane. Ma in modo particolare era stabilita nella Bolla domma-
tica Auctorem (idei di Pio VI (accettata da tutto l'Episcopato ed
espressamente dai Vescovi sospetti di giansenismo) dalla quale non
solo si confermarono le condanne di Innocenzo XI e di Alessan-
dro VIII, contro le prenominate proposizioni gallicane, ma si riprovò
e condannò la dottrina che vi è contenuta, con qualificazioni più
gravi, essendovi dichiarata l'adozione che ne fece il Sinodo pistoiese
8 l'agitazione riguardo all' infallibilità pontificia
di temeraria, scandalosa ed ingiuriosa alla Santa Sede 1. Onde la
cattolicità era in pieno, legittimo e pacifico possesso di quesla cre-
denza; e il professarla e l' illustrarla e l'onorarla pubblicamente
da niuno era avuto in conto di atto perturbativi); ma più tosto era
riputalo alto pio e sommamente lodevole. Ed ecco perchè la no-
stra proposta del Voto a S. Pietro fu giudicala, dalla censura ec-
clesiastica di Roma, immune da qualsiasi neo contrario alla pietà o
alla fede.
Posto ciò, appena si ebbe seniore del disegno manifestato dal
Pontefice, di convocare un Concilio ecumenico, e maggiormente
quando si ebbe notizia della Bolla che lo convocava, fu lecitissimo
ad ogni cristiano cattolico esprimere a voce e in istampa il desiderio
che il Concilio definisse, come articolo di fede, quesla verità teolo-
gicamente certissima; ed ancora adoperarsi, affinchè le convenienze
dì tale definizione fossero studiale e riconosciute dai Pastori e dai
fedeli. Così facendo i cattolici compivano un' opera buona, come
suol dirsi, ex integra causa: buona in se, perocché la conferma-
zione della verità sopprannaturalc è di somma gloria al Verbo di
verità; buona nel fine, perocché questa confermazione mirava e mi-
ra al consolidamento ed alla propagazione del Regno del Verbo di
verilà nella terra, clic ha il suo trono visibile nella Cattedra di
S. Pietro; buona nel modo, perocché le definizioni conciliari sono
sempre accompagnale dall'assistenza suprema dello Spirilo di san-
tità e di verilà increata; buona nei molivi, perocché la definizione
Ola bramata unicamente per zelo della gloria di Gesù Cristo nel suo
rio, e della salute delle anime nella Chiesa; buona finalmente
1 Ecco il testo autentico della Bolla Auciorem Fidei. Quamobrem, quaè
> uttttftfKj Gallicani, mox ut prodierunt, praedecessor nosier
Ili innocentini XI per Utero* in forma Brevi* die 11 Aprilis uniti I
posto | der \Iil constitutione Inter ucltii
{postulici
derm ! irrita dcclorarunt; multo forlius exigit a noi ralis
miem horum /orioni In Si/nodo tal viliis off edam adoplto-
mdalosam oc (praeserlim post e il
■!■>, buie ipottolicae Sedi wnmopere ìniuriosom re-
probare ac dnmnare, prout cam praettnti Hoa mtilutiont n / / / /-
mui et ttamnamus, ac prò reprobata et damnala haberi I
L AGITAZIONE ^GUARDO ALL' INFALLIBILI?! ?oNTjfICIA 9
nel mezzi, perocché la esposizione candida e franca degli argomenti
dimostrativi della verità, è laudabile presso Dio e presso gli uo-
mini sapienti.
III.
— Qui appunto fu Terrore, o, se si vuol meglio, l'« imprudenza »
dei cattolici « intemperanti », soggiungono gli avversar»; nell' anti-
venire con manifestazioni inopportune la sentenza del Concilio. Que-
sto irritò i cattolici « moderati » e diede origine alla agitazione.
I cattolici, cui per isquisita gentilezza si dà il titolo d' « intempe-
ranti », non antivennero nessuna sentenza. Si contentarono di pren-
dere la cosa com'era; cioè dire, si contentarono di asserire che la
dottrina della infallibilità pontificia era verità certissima della Chie-
sa cattolica: e, premesso questo, mostrarono le congruenze che una
così fatta verità fosse definita domina di fede; e siccome le con-
gruenze erano evidentemente persuasive, ed appagavano non meno
f intelletto che il cuore; cosi mostrarono insieme la speranza che il
Concilio avrebbe fatta la definizione. Nel che i cattolici furono pre-
ceduti dall'esempio dell'illustre e dotto monsignore Enrico Eduar-
do Manning Arcivescovo di Wcstminster, il quale, 1' autunno del
1867, disse cose stupende, in una pastorale al suo clero, intorno
alle relazioni tra il prossimo Concilio e l'infallibilità pontificia K
Che era in questo procedimento che meritasse biasimo? Dove sta
scritto che sia proibito esporre pubblicamente tra i cattolici il de-
siderio, che la verità cattolica passi di splendore in splendore? Non
è stata invece riprovevole intemperanza di linguaggio, il dare perciò
a tali cattolici nota d' « intemperanti »? Non è stato errore grossis-
simo, il sorgere ad impugnare, con miserabili sofismi, il diritto che
tali cattolici avevano di palesare i santi loro desiderii e le loro pie
speranze? Non è un capovolgere l'ordine di giustizia, il venire a
gridale che Y agitazione è stata fatta, non da chi contrastava il pos-
sesso legittimo della verità, ma da chi usava legittimamente di que-
1 II Centenario di S. Pietro ed il Concilio ecwmenieo. Roma, tip. della
Civiltà Cattolica 1867.
10 L'AGITAZIONE MGIARDO ALL LNTALLIBILITA PONTIFICIA
sto possesso? I cattolici, che esprimevano i lor desideri*! e le loro
speranze, imponevano per sorte ai Vescovi la volontà propria, o li
minacciavano di scismi e del finimondo, se non l'eseguivano, come
baino poi latto gli avversarli « moderati », per impedire che i Pa-
dri Vaticani sentenziassero dommaticamente in favore dell'infal-
libilità:'
IV.
Del resto la Provvidenza di Dio, che voleva il trionfo di questa
verità, aveva lutto disposto in modo, che, dato il Concilio, la defi-
nizione era, come suol dirsi, nell' aria, ossia nella forza stessa del-
le cose.
Un Concilio ecumenico che si adunava dopo le famose dichiara-
zioni dell'assemblea del 1682, così attentatone all'integrità della
fede ed ai divini diritti del Seggio apostolico, e dopo gli scapestra-
menti del giansenismo, che in quelle dichiarazioni avea trovato il
più solido appoggio alla sua pervicacia, parca non potesse fare che
non rinforzasse il cardine vivente dell'unità cattolica, con più espli-
cite definizioni, e non riprovasse, con nuove e solenni condanna-
zioni, principii esiziali che covavano bensì semispenti sotto la cene-
re, ma non erano del tutto estinti; anzi si venivano pian piano rav-
uv.indo, per istigazione di quel liberalismo cattolico, il quale nei
delti principii accennava di cercare un'arma di resistenza alle mo-
encirl iche pontificie ed al Sillabo del 1864.
Un Concilio ecumenico che si adunava dopo le ammirabili mani-
coni di adesione al Capo visibile della Chiesa date dall' Epi-
fore del 1s:h. allorché intervenne alla definizio-
ne dominata;' fatta da Pio IX della Immacolata Concezione di Maria
ni 1859 e 1S00, allorché tulio unanime, con atti
contro il latrocinio degli Stati della Chiesa,
dtchfatrando a l il Dominio temporale del Vicario (li Ciislo,
'i/io libero del Mipronio suo ministero: nell' anno lSf>:>7
allorché In grande numero venne ad assistere il Santo Padre, per
lo cei li,: canonizzatone dèi Martiri giapponesi e ad i
: diritti civili della Santa Sède è il Primato di Pietro sopra tulio
L AGITAZIONE RIGUARDO ALL' INFALLIBILITÀ PONTIFICIA 11
l'ovile di Gesù Cristo; e nel Giugno del 1867, allorché tornò con
circa cinquecento suoi membri a solennizzare il diciottesimo anni-
versario secolare del martirio di S. Pietro, ed a protestare che « esso
credeva ed insegnava ciò che il Pontefice crede ed insegna, e ri-
gettava quegli errori che esso rigetta » ; un Concilio ecumenico
che si ragunava dopo queste meravigliose dimostrazioni, parea non
potesse fare che non coronasse l'opera, definendo esplicitamente
infallibile il magistero sovrano di quel Pietro, la cui infallibilità
l'Episcopato avca già meglio che implicitamente confessata, con
parecchi atti e singolari e collettivi , nel corso dei sedici anni pre-
cedenti.
Un Concilio ecumenico che si adunava in un tempo, nel quale una
guerra implacabile è rotta ad ogni rappresentazione dell' autorità di
Dio nel mondo; e il Pontificato romano è fatto più che mai segno
degli odii e delle macchinazioni delle sètte anticristiane ; ed ogni
legge soprannaturale del credere e dell' operare è proculcata dalla
sfrenatezza dell'orgoglio e dalla licenza della carne; e si pretende
cacciare Cristo e la sua Chiesa fuori della società civile ; e si ban-
disce per fondamento di una « novella civiltà » il diritto dell'errore
e la libertà del male ; parea non potesse fare che non raffermasse,
colle sue definizioni, la potestà somma e le prerogative tutte, delle
quali Cristo ha dotato il suo Vicario in terra; e fortificando così il
centro ed il capo, rassodasse viepiù l'intero edifizio dell'unità dom-
matica e tutto il corpo gerarchico, contro gli assalti dello spirito di
rivolta, che ne minaccia ab estrinseco la stabillà, la sanità e perfino
l'esistenza.
Finalmente un Concilio ecumenico che, per la prima volta da che
la Chiesa è, si adunava intorno al sepolcro del Principe degli Apo-
stoli, tra un risveglianiento di fede e d'amore incomparabile, per
parte dei cattolici di tutto l'orbe, verso il combattuto suo Seggio ;
e in un momento in cui, fra il decadimento di tante maestà e di tante
materiali potenze, il Papato, nella persona augusta di Pio IX, era
assorto a un grado di maestà e di potenza morale che aveva del pro-
digioso; parea non potesse fare che non si giovasse di congiunture
cosi propizie, per dommatizzare formalmente il più divino dei privi-
legi conceduti dal Salvatore a Pietro ; e per tal modo non concor-
1 1 L AGITAZIONE IUGl AUDO ALL' INFALLIBILITÀ PONTIFICIA
resse alla glorificazione sempre maggiore di questa sua Calledra di
verità, che dev'essere l' unica salute del mondo pericolante.
I Cattolici che aveano l' intendimento di questa condizione di co-
se ed il senso retto degl' interessi di Dio nella umana società, co-
noscevano e sentivano che lo Spirito del Signore avrebbe guidato
il Concilio verso questa definizione dell' infallibilità dottrinale del
sommo Pontefice; e senza previi accordi, senza maneggi, senza ar-
tilicii si trovarono unanimi di concelti, di desidera e di speranze.
Or questa uniformità di pensiero e, diremo cosi, d' istinto sopran-
naturale nella m'glior porzione della Chiesa, era uno di quei segni
sicuri che facevano esclamare: Digilus Bei csthic. E che il dito di
Dio vi fosse, lo abbiam veduto e lo stiamo vedendo agli effetti.
Concludiamo pertanto , che dal lato dei veri cristiani cattolici,
apostolici e romani nessun disordine occorse, che potesse originare
l'agitazione la quale poscia si è destata intorno al punto dell'infalli-
bilità pontificia ; che eglino usarono legittimamente del santo diritto
di rendere ossequio ad una verità della fede, di cui la Chiesa era in
possesso ; e che così adoperando secondarono le intenzioni e i dise-
gni della Provvidenza, la quale, a mille indizii, mostrava di volere
ciò che loro intimamente ispirava.
V.
L'agitazione invece sorse, quando i neogallicani e i neofebbronia-
ni, che la pretendono a cattolici « liberali » e « moderati », si arro-
garono d'impedire che i cattolici semplici esercitassero il loro di-
ritto di manifesta: si, per mezzo della stampa e di caldi indirizzi ai
Vescovi ed al Papa, de\oli zelatori della infallibilità; e per questo si
icreditarli e li tacciarono d* « intemperanti». Com'era
ualii; \iva polemica s'ingaggiò tra le due parti: lo zelo dei
nitori della verità si i le manifestazioni favorevoli si
moltiplicarono da per tutto : cleri e fedeli gareggiarono in raddop-
pimi protestazioni della loro credenza. E perciocché è più
■ difèndere il giusto ed il vero a sangue freddo, che non oppu-
ovenne che gli oppugnatori, per difetto di salde
ragioni, ri al romorf, agli scandali, alle invettive, agl'intri-
l/ AGITAZIONE RIGUARDO ALL' INFALLIBILITÀ PONTIFICIA 13
gin ; gittarono indegnamente nelle piazze la controversia; accettaro-
no i presidii del giornalismo irreligioso; e presto, aiutati da cotale
ausiliario , empirono la cristianità di schiamazzi , di spropositi e di
confusione.
Fino ad allora la Provvidenza aveva disposte e indirizzate le cau-
se buone al suo intento : appresso, permettendo che le cause cattive
dell' agitazione venissero ad urtarsi colle buone e guidando sempre
stupendamente le une e le altre al fine inteso , fece che dal contra-
sto si producesse quello che si è prodotto, e rallegra di pura gioia
tutta la Chiesa di Gesù Cristo.
Per lo che se i cattolici « liberali » e « moderati » avesser bada-
to ai fatti loro e lasciato che i cattolici semplici facessero i lor pro-
prii, sotto la cura di chi ha debito di governarne le coscienze e d'il-
luminarne la fede , possono essere certi che niuna agitazione sareb-
besi levata ad alterare la pace delle anime : la quale hanno intorbi-
data essi, facendo pur troppo davvero, quello che fintamente deplo-
rano aver fatto i « gesuiti », gli « oltramontani », gli « esaltati »
dell' Unità Cattolica e « i laici turbolenti » dell' Univers.
VI.
— Ma che si è fatto alla fin dei conti , che fosse contrario alla
pace delle anime? dimandano essi.
Davvero che hanno mal garbo a costringere chi pur amerebbe di
risparmiarli , a rifare sempre il processo della loro innocenza. Che
si è fatto ? Ebbene accenniamo così alla grossa una particella di
quel che hanno fatto.
Cominciarono collo scatenare il Giano bifronte di Germania ad-
dosso al « romanismo », cioè alla Santa Sede, contro cui vomitò uno
stillato di bile febbroniana la più amara: poi accattarono pubblica-
mente firme di laici ad indirizzi sediziosi e sovversivi della discipli-
na cattolica: poi si fecero forti del danno di apostasie, che non dan-
neggiavano se non chi se ne macchiava : poi si misero ad adorare
strepitosamente il loro vitello d' oro , ossia lo scheletro del gallica-
nismo, mal rincarnato in certi tisici volumi che facea pietà il vederli :
poi aizzarono tutto il giornalismo liberalesco e settario alle coste dei
li li' AGITAZIONE RIGUARDO ALL' INFALLIR1LITA PONTIFICIA
i
cattolici che propugnavano la verità loro esosa : poi pretesero di
tracciare essi modestamente il « programma » ai Padri del Concilio,
indicando loro i punti della divina costituzione della Chiesa da ri-
formare , ed offerendosi in certa guisa mediatori tra essa Chiesa e
la « società moderna », che voleano rappacificare insieme a spese
dell'autorità del Papa, divenuta « eccessiva » e bisognosa di tempe-
ramenti: poi scaraventarono trai popoli libelli insidiosi, per alienar-
li dalla definizione dell' infallibilità, dato che il Concilio commettes-
se 1' « imprudenza » di decretarla: poi, convocatasi la sacra assem-
blea in Roma, le sollevarono intorno coi loro giornali una tempesta
di noie, di menzogne, d'impertinenze, di spauracchi: poi diffusero
scritti riboccanti di errori, di sentenze scismatiche e d'infamie in
onta al Papato: poi applaudirono ai delirii di chi aveva insultato il
Vicario di Cristo qual « idolo del Vaticano » : poi comprarono tra-
ditori che divulgassero i documenti secreti del Concilio : poi in som-
ma scopersero tutte le fila di una vergognosa congiurazione, la
quale metteva capo in tentativi di violenza morale contro il Conci-
lio, da disgradarne le bassezze bizantine.
Questo è un cenno compendiosissimo di ciò che si è operato dal
loro « cattolicismo » e dalla loro « liberalità » contro la definizione,
e quindi contro la pace delle anime ; e noi sfidiamo chi che sia a
negare pur uno di questi fatti s
VII.
-— 0 che! ripigliano alcuni d'essi; trattandosi di un' «opinione li-
bera », se era lecito ai cattolici « intemperanti » promuoverne la de-
finizione , perchè non dovea esser lecito ai « moderati » lo studiarsi
d impedirla?
In primo taogt è l Uso che la dottrina dell' infallibilità fosse « un
opinione linei schè costituiva una verità appartenente alla l'e-
de, appoggiata alla Scrittura, alla tradizione, ai Padri, ai decreti
"ixilii: ed il cui contrario era stato, con formolo espresse,
damato dalla CMéfta. In secondo luogo, posto ancora che fosse sta-
non era mai lecito frastornarne la definizione
L AGITAZIONE RIGUARDO ALL' INFALLIBILITÀ PONTIFICIA 15
con mezzi per sé tristi : ora quale tristizia maggiore di quella che
appare nel processo tessuto dianzi sommariamente?
Ma giacché viene in taglio, sarà utile riferire qui, per ischiari-
mento migliore, un tratto dell' enciclica Quanta cura del Papa
Pio IX, che dà gran lume in questa materia. « Non possiamo pas-
sare sotto silenzio l'audacia di quelli, i quali, intolleranti della sana
dottrina, contendono che si possa senza peccato e iattura della pro-
fessione cattolica, negare Y assenso e Y obbedienza a quei decreti
e giudizii della Sede apostolica, 1' obbietto dei quali si dichiara che
riguarda il bene generale della Chiesa e i suoi diritti e la sua di-
sciplina; purché essi non tocchino i dommì della fede e de' costu-
mi. Il che quanto grandemente si opponga al domina cattolico della
piena potestà del romano Pontefice, divinamente conferitagli dallo
stesso Cristo Signore, in ordine a pascere, a reggere e governare
la Chiesa universale , non è chi apertamente e chiaramente non
vegga ed intenda l ».
Adunque se non può mai essere conceduto « senza peccato e
senza iattura della cattolica professione » il negare assenso ai
giudizii della Sede apostolica, ancorché non tocchino direttamente
il domma; quanto meno potrà essere conceduto il negarlo a quei
giudizii i quali riguardano la condanna di errori direttamente op-
posti a verità, che al domma appartengono e col domma si col-
legano? E quanto meno potrà essere conceduto il negarlo a quei
così fatti giudizii, che sono stati inoltre esplicitamente approvati da
tutta la Chiesa? Or tal è il giudizio col quale, siccome abbiam ve-
duto più sopra, Pio YI riprovò e condannò l'errore opposto alla dot-
trina dell' infallibilità pontificia, contenuto nelle dichiarazioni del
1 Atque silentio praeterire non possumus eorum audacìam, qui, sanarti
non sustinentes doctrinam, contendimi ììlis apostolicae Sedis ìudiciis et de-
creti*, quorum obiectud ad bonum generale Ecclesiae, eiusdemque tura ac
discipUnam spedare declaratur, dummodo fidei morumque dogmata non
attingant, posse assensum et obedientiam detrectari absque peccato, et
absque ulta cathollcae professionis iactura. Quod quidem quantopere adver-
setur catholico dogmatì plenae potestatìs romano Pontifici ab ipso divisto
Domino divinìtus collatae unìversalcm pascendi, regendi et gubernandi Ec-
clesiam, nemo est qui non dare aperteqae videat et intelligat.
16 l' AGITAZIONE RIGUARDO ALL' INFALLIBILITÀ PONTIFICIA
clero gallicano. Ciò posto, qual cattolico, sia pur « moderato » quan-
to piace, volendo cattolicamente sentire, potrà mai asseverare che
la dottrina dell'infallibilità, sebbene non definita di fede, costituisse
una semplice « libera opinione » ?
Osserviamo per giunta, che non correva parità alcuna tra le ra-
gioni dei cattolici promotori e le ragioni dei cattolici oppositori del-
la definizione ; perocché i promotori favorivano il trionfo di una im-
portantissima" verità cattolica, gli oppositori invece lo contrariavano.
Ed essi che hanno fatto tanto carico al Papa Onorio, perchè sacrificò
la definizione di una simile verità alle astuzie di Sergio, si sono mo-
strati ben poco logici con pretendere poi che il Concilio rinnovasse
il medesimo sacrificio alle astuzie dei novelli Sergi loro banderai.
Vili.
— Pure, si replica da molti, anche i cattolici « liberali », nel-
l'opporsi alla definizione dell'infallibilità, erano animati da ottime
intenzioni.
Delle intenzioni giudica Iddio: gli uomini guardano ai fatti, giu-
sta la regola suggerita ancora nel Vangelo: Ex frudibus eorum co-
gnoscctis cos. Noi non vogliamo dunque nò dobbiamo entrare in
questi meriti delle intenzioni. Le quali però, generalmente parlando,
ci sembra ben difficile che possano essere ottime ed accompagnarsi
con azioni evidentemente riprensibili. La naturale sinderesi e data
a ciascun uomo, appunto affinchè nel suo operare armonizzi gli at-
ti colle intenzioni.
Ma che che ne sia, siccome l'argomento ci lira a discorrerne, di-
remo clic i i!ioti\i impellenti a contrastare la definizione, sommini-
strano la bilancia da pesare (sempre generalmente parlando) il va-
lore delle intenzioni di tanti clic l'hanno contrastata.
: abbiamo letta una {.irraggine di libri, libelli, lettere e gior-
nali in v;n ic lingue, usciti dal campo degli oppositori: abbiamo con-
feriti, con persona praticissime degli uomini e delle cose del partito
c.iUolieolibcrale: e infine ci siamo pure abboccati con qualcuno
ini più .saputi ed operosi seguaci, Che ci ha aperto l'animo in-
genuamente. Siamo quindi al caso di poter giudicare, con bastevole
L'AGITAZIONE IUGIAKDO ALL' INFALLIBILITÀ PONTIFICIA 17
cognizione di causa, dei motivi impellenti i cattolici « liberali » a
guerreggiare si aspramente la definizione.
Questi vanno divisi in tre specie diverse : vi sono i motivi appa-
renti, vi sono i reali e vi sono gli accessorii.
I due apparenti più ricantati, perchè coprono meglio i reali che di-
spiace di divulgar troppo, si riducono 1.* Ad un fervido amore della
Chiesa, la quale si è voluto dar da credere alla gente dabbene che
pericolerebbe al sommo, ove si definisse l'infallibilità, odiosissima al
maggior numero dei cattolici, che si lascia supporre sia « liberale » ;
odiosissima alla « società moderna », che non vuol saperne di « nuo-
vi dommi » e con cui è pur necessario che la Chiesa, o tosto o tardi,
si riconcilii. 2.° Ad uno zelo non meno fervido della libertà gerar-
chica nella Chiesa; libertà minacciata dalle pretendenze della scuo-
la « esagerata », che si mostra più cattolica del Papa e mira a fa-
re del Vicario di Cristo in terra un « Cesare divino ». A dir vero
è bisognata una bella fronte ai cattolici « liberali » per metter fuo-
ri queste brutte ragioni, tult'altro che cattoliche, e seguitare a darsi
per cattolici di ventiquattro carati. Non monta: queste sono le due
ragioni che essi hanno ripetute a sazietà, per coonestare le loro con-
traddizioni al domina dell'inerranza pontificia.
I due motivi reali, nascosti sotto i predetti apparenti, sono invece:
1.* L'orrore a quella solenne affermazione del principio di autorità
nel mondo, che viene ad essere compresa nel decreto dommatico
dell'infallibilità papale; affermazione che finirà con atterrare il
principio massonico del liberalismo, a cui questi cattolici, o in buona
o in mala fede non fa, sono devoti quasi come a un principio celeste.
2.° Lo sgomento delle conseguenze di questo decreto dommatico,
riguardo alle condanne degli errori moderni, e in particolare a quel-
le del Sillabo, che preveggono di non poter accettare colle beni-
gne interpretazioni di certi loro dottori, se pur hanno da restare
cattolici. In sostanza questi motivi reali si ristringono all'impossi-
bilità di conciliare giuslificatamente l'essere di « cattolico » e l'es-
sere di « liberale », quando si sentiranno obbligati a rigore di sot-
tomettersi, con pieno assenso della mente e con pieno ossequio, a
tutte le definizioni e condannazioni del romano Pontefice. Qui è tul-
Serie VII, voi. XI, fase. 487. 2 20 Giugno 1870.
18 L AGITAZIONE RIGUARDO ALL INFALLIBILITÀ PONTIFICIA
to il nodo della difficoltà e il vero casus belli che li ha inalati a
combattere guerra sì disperala.
1 inolivi aocesaorii poi sono parecchi. Staremo paghi a toccare dei
seguenti. l.° LV ignoranza in materie religiose, molto più comune di
ciò che si pensa, anche in quell'ordine vastissimo di persone, che si
vantano istruite, colle e anche dotte. E questa speriamo che, din-
nanzi a Dio, abbia scusati assai; e specialmente abbia scusate le fem-
mine, che In questa campagna teologica si son fatte compatire tanto
col titolo di « matriarchc ». Dopo la grazia, si suol dire che l' igno-
ranza ù ministra la più fortunata di salute. 2.° Lo spirito di parte che
oscura la vista de'meglio intenzionati, massime allorché vi si aggiun-
gon le nebbie degli errori e dei pregiudizii che offuscano la presente
a atmosfera morale » e, per soprappiù, le tenebre dell' ignoranza.
Quanti in Francia, verbigrazia, si sono improvvisati gallicani, dac-
ché hanno inteso dire che il gallicanesimo è una gloria nazionale; ed
hanno ignorato che invece è una impostura la più antìfraneese che
figurare si possa, siccome ripugnantissima allo spirilo, al cuore, al
leale carattere di lor nazione? Quanti sono stali strumenti inconscii
di questa guerra alla Chiesa, unicamente perchè si trovavano a par-
teggiare per lo « spirito moderno » ; il quale capiscono che non è
il Santo , ma non finiscono di persuadersi che sia il satanico? 3.°
V interesse personale o di amor proprio offeso, o di troppa opi-
nione di sé da sgonfiare, o di aderenze che rincresceva di compro-
mettere, o di amicizie che premeva di non alterare e \ia via. Questo
motivo e slato di grande possanza sopra le anime deboli e sopra le
donni- ire, in certe materie, più toslo col capo altrui che
eoi loro. 11 dovere dar torlo a un Tizio, per esempio, clic era il loro
Meni un Caio clic stimavano un oracolo di saggezza, saper
mi loro toppo a-ro: e qucsii cervelli volatili non han badato che,
nelle cose di ; è infinitamente meglio pensare colla tesila
quella di un Tizio qualunque o di un qualun-
que Caio, ancoiclir steno arche di senno sopraffino. Lfl 11 malo
l'uomini che, per la loro condizioni, erano tenuti B darlo
buono ed ottimo. Chi .sa come il liberalismo sia per un lato il più
le e per l'altro il piti dispotico del Sistemi, Si renderà di leggie-
ri capace della somma facilità con cui molli si sono impegnali con-
L AGITAZIONE RIGUARDO ALL INFALLIBILITÀ PONTIFICIA 1 9
tro la definizione dell' infallibilità, per andar dietro alla solita « pub-
blica opinione », capitanata dai soliti portabandiera che la formano.
La considerazione di questi motivi che, con varii gradi e con dif-
ferente misura, hanno indotto la massa dei cattolici « liberali » a
guerreggiare tanto e poi tanto la proclamazione del domma dell' in-
fallibilità nel Concilio, farà sì che si possa non imprudentemente
giudicare la qualità delle intenzioni dei guerreggianti.
IX.
Se non che basti delle cause cattive, che hanno suscitata 1' agi-
tazione, cotanto ora deplorata da chi le ha poste. I cattolici schiet-
ti più veramente dei « liberali » ne deplorano i danni e deplorano
sopra lutto le offese gravissime che si sono recate a Dio, in que-
sti passati mesi di commovimento: ma in quella che si addolorano
del male, benedicono però la Provvidenza dello stesso Dio , che ha
saputo, con modi così ammirandi, far servire tutto questo male al
bene della Chiesa ed alla vittoria della verità. Conciossìachè, tolto
il fiero contrasto di tanti oppugnatori, i quali hanno renduta neces-
saria la definizione che sostenevano inopportuna, ignoriamo se i vo-
ti della cattolicità sarebbero stati coronati sì presto e sì appieno, co-
me son per essere in presente. Onde per questo verso i cattolici
debbono viva gratitudine ai loro avversarli : e la professeranno con
pregare il cielo, che faciliti ad essi quella docilità di mente alla di-
finizione del Concilio, senza cui non v' ha salute.
È piaciuto ai contraddittori del domma dell' infallibilità parago-
nare la sua definizione ad un convoglio di strada ferrata, che di tut-
ta corsa vola agli abissi. L' idea ha del poetico. Se si contentano,
ci approprieremo anche noi questa similitudine, e diremo che il
convoglio è opera dello Spirito Santo, ma la forza generante il ce-
lerissimo moto è benefizio loro. Perciò il convoglio, guidato dallo
Spirito di Dio, vola gloriosamente agli abissi dell' eterna miseri-
cordia impietosita del mondo e, per colmo di bellezza, vi vola por-
tato sull'ali del vapore liberalesco. Chi altri che Dio può scherzare
così ih orbe terrarum ?
I CROCIATI DI SAN PIETRO
SCENE STORICHE DEL 1867
XCVI.
Sbarco dei Francesi. Consigli di guerra degli Alleati.
Cinque lcgnelti da guerra francesi avevano preceduto di più giorni
l'arrivo della flotta: il maggiore fra essi, la corvetta Caton, non por-
lava che sei cannoni e centovenlinove uomini di equipaggio Fon-
deggiava pure in porlo il Mindello, bel vapore militare spedilo dal-
la cattolica Spagna con altri legni minori, cui sopraggiunse a dì
30 Ottobre la fregata Villa de Madrid, che per la gran mole fu
costretta di ormeggiarsi fuori. Sì tenui forze tenevansi in avviso di
contrastare alle corazzate italiane, dove queste si affacciassero a
Civitavecchia. A Tolone non fu mai naviglio in armamento o in par-
tenza, che più commovesse gli sludii appassionati di quella citta-
dinanza mariniera. Da circa dieci giorni la rada e il porto divenu-
ti erano punto di assembramento: e un mirabile vascello blindato,
il Solfai a bandiera ammiraglia, sotto gli ordini del vice-
ammiraglio conte Lligi di Gueydon. Intorno intorno si operava di
far \iiiovaglia, carbone, provvisioni; ufficiali giungevano precipi-
zio, traino, artiglieria ingombravano le calate
de' moli; la brigata l'olhès, della divisione Dumont, fu la prima a
pronte houli», con raposoldo di partenza, metà pagato al quartiere
di motta, metà da pagarsi in Civitavecchia.
XCVI. SBARCO DEI FRANCESI 21
La prima squadra era in acconcio di salpare a mezzo il gior-
no 18. Ma il generale conte di Failly aiutante di campo dell'Impe-
ratore, creato generalissimo dell'impresa, tenevasi tuttavia a terra.
Di qui rendeva un bando fermo e chiaro sullo scopo della spedizio-
ne, bando che colmò di giubilo l' armata e la Francia intera. Se
non che, trasferito a bordo della nave ammiraglia il quartier ge-
nerale, di là spediva un contram mandato che sospendeva la par-
lenza , ordinava sbarcare le truppe e acquartierarsi ne' dintorni.
Tolone e il porto quietavano in dolorosa dubitazione, finché non
balenò da Parigi un telegramma, a levare, si potrebbe dire, il se-
questro sulle speranze della cristianità. Ciò avvenne il dì 25 Otto-
bre, alle ore due dopo mezzodì. Allora il naviglio da battaglia e
da carico leva bandiera di partenza, i capitani di marina chiamati
in diligenza, saltano sugli schifi e vogano al loro posto, i cittadini
si esaltano al rullo concitato de' tamburi che battono la generale
per tutte le strade ; le masse dei quartieri lontani tornavano a mar-
cia forzata, file d'uomini e di carriaggi, come raggi al centro, con-
vergevano al porto, tutta notte fervea l'opera nell'arsenale; negli
opitìcii e ne'depositi, gli operai vigilavano sul lavoro, il prefetto ma-
rittimo e i capi di servizio non chiuser occhio : la voce correva che
la dimane si metterebbe al vapore. I vecchi di Tolone dissero che,
a memoria loro, non si era visto imbarco né più sollecito, né più
disciplinato. Basti, che in sedici ore la squadra prendeva mare,
con sei grandi corazzate da combattere e quattro onerarie, e quat-
tromila uomini da sbarco 1.
Già raccontammo, parlando de'negoziali tra il Governo francese
e il fiorentino, come in effetto la divisione navale non si spiccasse
dalla costiera tolonese, prima di altre undici ore di angoscia per
gli spettatori e per l'equipaggio 2 : tuttavia il lungo altalenare par-
ve compensarsi dalla vigoria dell'ultima consegna. Recava, tra gli
altri, quest'ordine: « Se la flotta italiana si parasse davanti, pas-
sarle sopra. » Così ci riferirono tali che il seppero di buon luogo,
t Lettere e telegr. da Tolone, nella pubblica stampa ; Uelaz. speciali.
2 Capo LXXI, Rottura delle trattative.
22 I CROCIATI DI SAN PIETRO
stando a bordo. Perciò venivano il vascello Solferino, e le cinque
fregate la Normandia, la Couronne, la Bevanehe, la Provence.
e YJììvincible. che rompeano il mare dinanzi al convoglio. E tale
mandato sentiva ciascuno de'marini e dc'soldati bollirsi nel sangue,
sì che al cenno di poggiare in alto, si accese a gara tutto lo sforzo
del vapore, per involarsi a nuove richiamate. Si discendeva lun-
ghesso le coste italiane con tutte le artiglierie cariche, cercando
l'orizzonte coi cannocchiali, per bramosia di scoprire legni di guer-
ra italiani. Un solo si mostrò in lontananza ne'paraggi dell'Elba, e,
inseguito, disparve a grandissimo vapore: la rimanente armata
della Spezia, al primo telegramma della squadra salpata da Tolo-
ne, scordò la passata baldanza, e le minacce contro le quasi iner-
mi marine pontificie , e si ridusse a suoi porti , quieta come in
disarmo.
Si lagnavano bensì i giornali di Firenze, nel giorno 28, dell'esser-
si scorto la bandiera francese sventolare tra V isola del Giglio e il
monte Argentaro. Il Monitore di Parigi in egual tempo l' annunziava
giunta dirimpetto a Civitavecchia ; e per placare il pubblico fremi-
to d'impazienza, aggiugneva, Roma dimorare tranquilla, ben custo-
dita, e le orde garibaldine tuttavia a distanza di più miglia dalle
mura. Per verità la squadra non era anche giunta, e se in Roma
prevaleva la fiducia, in Civitavecchia si pendeva allo sgomento. Sa-
pevano i Civilesi il ristringersi delle milizie pontificie sopra Roma,
il pressarsi delle regie al confine di Orbetello, navi nemiche fino a
ieri corseggiavano a loro vista. Ogni antenna che navigasse in fon-
do all' orizzonte veniva esaminata e studiata da cento occhiali : se
non era italiana, acchetava» il batticuore del bombardamento. Né in
minore travaglio si v< rsàva il colonnello d'Argy, comandante supe-
iìoiv dell perchè sebbene lenexasi all'ordine di resistere
per terra pure, pel non rodere la mattina del 28 una
squadra, che il telegrafo annunziava (falsamente) partita da Tolone
all' alba del 26, in suo cuore dubitaci. i Noi siamo alla vedetta,
al ministro Kanzler, siamo tutf occhi per vedere la
'a. e boi vediamo nulla... .Non penso ad altro che alla squa-
dra, e a lai tranelli del Piemonte, che può venirci a mo-
XCVI. SBARCO DEI FRANCESI 23
ìestare per mare e per terra. » Alle due e mezzo di giorno, ripiglia-
va: « Ancora nulla della squadra: fa un mare spaventoso, vento
forte, ondate immense contro terra %. »
Col passare delle ore pomeridiane !' ansietà del popolo civitese
toccava il parossismo. Era tutto sui moli, sulle altane, sui tetti: il
naviglio del porto fin dal mattino teneva i gabbieri sui più alti pen-
noni degli alberi. Noi vedemmo di presenza quello spettacolo, di
una città in affanno a studiare la marina deserta, e promettersi gli
orrori della guerra o la securilà della pace, secondo che spuntasse
una bandiera italiana o francese; e veramente attestiamo che, se tal
vista può entrare per gli occhi e sentirsi nell'animo, non si può
tuttavia con parole ritrarre. Al fine, verso le ore cinque, si cominciò
ad indovinare un fumo diffuso sulle acque occidentali; e questo cre-
scendo di momento in momento, si ebbe certezza d' un legno a va-
pore, e si riconobbe una fregata da guerra e lo stendardo di Fran-
cia. Prorompeva la gioia popolare sparsamente, secondo che cia-
scuno assicuratasi cogli occhi suoi del desiderato avvenimento ;
propagavasi ed aumentava coli' apparire di nuovi alberi al lembo
dell'orizzonte. Trattanlo il Caton dal porto già favellava, in linguag-
gio di mare, colla nave di vanguardia in vista, e questa tra gli
enormi cavalloni che le davano sul fianco, veniva a filo del porto :
beccheggiò un tratto, e sparò un colpo di cannone. Due avvisi le
mossero incontro, con un piloto: poco di poi la squadra tutta scor-
ge vasi ad occhio nudo. Ma per essere l'ora tarda, e i vascelli di
gran corpo, e l'onde cavalcate dal vento in traversia, riuscì im-
possibile l'approdare. Per maggior sicurezza l'armata si ritrasse in
pieno mare : ma i cittadini riposarono dal terrore di offese da que-
sto lato : un insulto, solo da terra, poco dava a temere 2.
Non è a dire se le novelle ne volassero a Roma col lampo ma-
gnetico, a confortare il Santo Padre e i suoi ministri : si batteano i
telegrammi, un sopra l'altro, per ogni novità di momento : il genera-
le dell' armi facea sgombrare cinque caserme, per accogliervi i bat-
1 Lettere, telegr. atti varii nei Doc. mss. degli Archivii, di questi giorni;
Relazioni speciali.
2 Ivi.
21 I CROCIATI DI SAN PIETRO
taglioni di soccorso, cui invitava a tener presidio in Roma, appena
sbarcati ; aflìne di potere spiccare incontanente le sue forze a ri-
scuotere le province dagli oppressori. Tra i molti avvisi, ond' egli
riseppe l'arrivo della flotta, uno ne vogliam riferire a verbo, per
rispetto del nome che vi è sottoscritto, nome che la storia dell'ono-
re pontificio e francese insieme alleati dovrà scrivere tra' suoi più
cavallereschi difensori. « Palazzo Colonna, Lunedi 9 ore. Ecco infine,
mio caro Generale, il termine delle vostre gloriose fatiche! Ricevo
da Civitavecchia l'annunzio che la nostra squadra, composta di sei
fregile corazzate e di cinque navi onerarie colle truppe, è a dieci
miglia io mare, e vi passerà la notte. Voi e i vostri valorosi soldati
potete una volta riposare di tanti travagli. La gloria vostra e del-
l'esercito pontificio è oggimai assicurata nella storia. Risogna coro-
narla con una vittoria comune col nostro esercito contro i 5000 ma-
scalzoni (coquins), che sono venuti a visitarci. Mille rallegramenti
e di lutto cuore. Armand 1. »
Intanto che il naviglio francese, sospinto dal controvento, s'allar-
gava dalla spiaggia, non cessava tuttavia di spiare ogni bastimento
di navigazione sospetta: due volte nella notte accese i fuochi di al-
l'armi, ed anche ne' dì seguenti spacciava a quando a quando un
legno corridore a dare una cercata e riconoscere le acque circo-
stanti. Alla dimane dell'arrivo, tanto aveva perduto della terra, che
a mala pena, frangendo i marosi pur sempre grossi, potè schierarsi
innanzi a Civitavecchia, alle ore quattro dopo mezzo giorno. Fu un
prospetto grande e delizioso. Le corazzate si anelavano in ordine
di ricevere il nemico; il Solferino surto in mezzo, e sopraeminen-
te, colla poppa rasa e stagliata, nero i fianchi e immobile al fiotto,
rcndea sembiante d' una rupe cresciuta improvviso in mezzo all'on-
de. Ad ora ni ora vedovasi una collana di drappelli dipinti ser-
peggiare sulle sue sarte sino alle cime altissime de' pappafichi ; e
controrispondere una o più navi del convoglio, collo svolazzare di
stmiglianli fiammelle ; e tosto spiccarsi, o muoversi, o altrimenti
obbedire al significato comando. Da lungi le coperte delle fregate
1 Doc. MB. degli Ardimi 28 e 29 ott.
XCVI. SBARCO DEI FRANCESI 25
e vascelli da trasporto parevate le antiche galere abbancate; ed era-
no le file de'soldati che ne stipavano le tolde ed i castelli. Così ave-
vano navigato.
Al cenno de capitani, si aprivano in più luoghi d'ima stessa nave
i portelli de' traponti, si svolgevano le scale di comando, un torrente
di armali ne discendeva ad ingorgarsi nelle lance calate da bordo, o
nei vaporetti pontificii accorsi allo sbarco. Intanto si erano pure git-
tati a galla i battelli di rimorchio; e questi scaldavano le vivacissime
loro macchinette ad elice, e come due o tre palischermi vedean
pieni, gittavan loro un capo di barbetta cui attenersi, e via filavano
sibilando allo sbarcatoio. Dal bacino del porto erasi ritirato il bar-
chereccio nella darsena, e ristretto ai moli il rimanente naviglio ;
ondechè entrandovi da due ingressi quegli agili burchielli fumanti,
con dietro a se più lance accodate, vi disegnavan curve e giri ve-
locissimi a tutti gli scali. E cosi cento barchette s' intrecciavano a
un tempo, gremite di assise variopinte, e rutilanti di acciaro, di
bandiere, di aquile, di spallini d'argento, e davano simigliala di
vasta carola, danzata su pavimento di cristallo.
Ma non faceano già da sollazzo : perchè da quelle capaci conche
di ferro (che tali erano gli scalini, e s'integrano di pezzi e si smon-
tano all'uopo) sgusciavano centinaia d'uomini in armi; e toccar ter-
ra, drappellare in compagnie, formarsi in battaglioni, e marciare
in tutto punto di fare campagna, era un punto solo. La letizia e il
plauso de* cittadini li accompagnava. Prima di notte la città riboc-
cava di ogni fatta milizie; e campeggiavasi sulle piazze, sotto le
alberate de'passeggi, nelle mezzelune a pie delle mura, nel campo
trincerato, sui poggi circostanti. Continuandosi ne' dì consecutivi lo
sbarco di questa e della seconda squadra, i bastimenti da carico en-
trarono in porto, a due o tre per volta; acculavan la poppa agli sca-
ricatoi, o si abbordavano alle banchine, e sin pel canale della darse-
na, ove posero i ponti sulla riva murata; e in poco d' ora sgombra-
vano quei gran fianchi, stivati sì che non vi pareva un dito di vuoto.
Nei quali difficili maneggi di enormi corpi di nave si parve non solo
la destrezza, ma l'ardimento del pontifìcio capitano del porto, Gio-
vanni Giacchetti, ora defunto: riuscì di stupore ai più esperti coman-
26 I CROCIATI DI SAX PIETRO
danti doli' armata, e all'Ammiraglio, che co' suoi pressanti ufficii gli
procacciò premio insigne nella Legione d'onore, e presso il Governo
pontificio. Quindi lo scarico procedette con celerità maravigliosa :
cavalli, palchi d'artiglieria, munizioni, viveri, salmerie, crescevano
a monti attorno agli scali: l'intero corpo di esercito era calato, e in
pieno fornimento di guerra, in meno d'una settimana.
Comprendeva l'armata navale ventotto bastimenti, tra i quali
sette grandi corazzate da battaglia, il rimanente da carico, o misti,
o legni minori. Tre contrammiragli, sotto il Gueydon, la comanda-
vano: lo sbarco fu diretto dal contrammiraglio Laffon de Ladébat,
che spiegava bandiera sull'avviso il Phènix. Portavano due giuste
divisioni di esercito, con a capo i generali Dumont e Balaille, vete-
rani di memorabili campagne. La terza divisione fu trattenuta per
le pratiche del Governo italiano, e più ancora pel pronto rinnegare
che fece Vittorio Emmanuele dei plebisciti garibaldeschi sul suolo
pontificio, e per la docilità mostrata in richiamare le truppe regie
mandate oltre il confine.
Prima a discendere in Civitavecchia fu la brigata sotto gli ordini
del generale di Polhès, la quale poi si battè a Mentana; e con esso il
Dumont generale della divisione, e il capitan generale di Failly. Toc-
calo terra, il Failly tenne consiglio di guerra col colonnello D'Argy7
comandante superiore della piazza, e già suo commilitone nella cam-
pagna di Lombardia nel 1866; poco stante sopraggiunse da Roma
il maggiore Ungarelli, di Stato maggior generale, e capo di gabi-
netto del ministro Kanzler. In questi consigli varie risoluzioni rile-
vanti si deliberarono : il d'Argy continuasse nel suo comando, le
vie ch<* mettono a Civita\ occhia si munissero validamente, e perciò
tre battaglioni francesi furono subitamente spediti, a Corneto. alla
Tolfa, a Palo: Koma si rafforzasse colla guarnigione pontificia di
Civita\ ecchia. a misura clic qui sottentravano le milizie francesi, e
collo genti del colonnello Azzanesi, giunte allora da Viterbo, e l'er-
mate\i dal Ministro dolio armi, con mezzo disegno di ripigliare la
guerra offensiva nel Viterbese; un grosso delle truppe sbarcate par-
tisse per Itoma, alla dimane, col brigadiere di Polhès, già sporto
di I terréno; prima di nulla muovere in avanti si attendesse finterò
XGM. SBARCO DEI FRANCESI 27
corpo di spedizione; in caso di combattimento si concedesse ai Pon-
tificii, come chiedevano, il posto di prima linea 1.
Ogni cosa riuscì a pieno gradimento de' comandanti pontifìcii. Al
popolo poi fu d' incredibile soddisfazione il bando imperiale, affisso
incontanente in Civitavecchia e in Roma, che diceva, in francese e
in italiano :
« Al popolo romano. Romani, l'imperatore Napoleone manda di
nuovo un corpo di spedizione a Roma, per proteggere contro gli at-
tacchi armati di bande rivoluzionarie il Santo Padre e il trono pon-
tificio. Voi ci conoscete da molto tempo. Come sempre, veniamo a
compiere una missione tutta morale e disinteressata. Noi vi aiute-
remo a stabilire la fiducia e la sicurezza. I nostri soldati continue-
ranno a rispettare le vostre persone, i vostri costumi, le vostre leg-
gi. Il passato lo garantisce. Civitavecchia, 29 Ottobre. 1867. Il ge-
nerale in capo del corpo di spedizione francese, De Failly. »
Collo entrare sulla piazza di Termini dei primi 1200 francesi,
capitanati dal generale di Polhès (e fu alle 4 pomeridiane del 30),
entrò incomparabile fiducia nella cittadinanza: si credette daddovero
all' intervento, si depose ogni apprensione delle armi garibaldine e
regiogaribaldine. Non narreremo qui gli applausi e i saluti di rico-
noscenza clamorosa, onde vennero accolti i Francesi: il bando pre-
corso, loro aveva apparecchiato un vero trionfo popolare. Uno splen-
dido ponce fu offerto nel casino militare, dagli ufficiali della piazza
ai novelli venuti, da questi poi ricambiato solennemente dopo Men-
tana. Il dì vegnente la piazza di Roma fu consegnata al generale
Polhès, compagnie francesi dettero la muta a qualche posto avanzato,
una batteria testé venuta fu parcata in Castello, e gli artiglieri ponti-
fìcii innalzarono sul maschio la bandiera dell' Imperatore a fianco di
quella del Papa. Allora finalmente splendette una prima ora di re-
spiro alle truppe di S. Pietro. Il generale Kanzler, che innanzi tutto
aveva Y animo a campeggiare il nemico nelle province, spiccò un
invoglio espresso, e fu a dare il benvenuto al generale della spedi-
1 Moltissimi telegr. e atti nei Doc. mss. di questi giorni; Relaz. speciali*
Mencacci, La mano dì Dio, IH, pp. 322 e segg.
28 I CROCIATI DI SAN PIETRO
zionc imperiale, e a deliberare con esso lui, in Civitavecchia. Era
il primo giorno di Novembre, alla sera 1.
Non meno del pontificio anelava a pronte e formale operazioni il
Generale francese. Tutlavia nel consigliare varie sentenze si ventila-
rono. Sorgeva naturalmente la ricordanza delle sciagure toccate re-
centemente dalle armi imperiali nel Messico, colpa il valore scompa-
gnato dalla prudenza: essere l'oste garibaldese rifatta di soldati di
ordinanza, e ingrossata sino al novero d' un giusto esercito, il legato
francese in Firenze attribuirle almeno 10,000 combattenti 2, e questi
asserragliati in munitissime posizioni; laddove le truppe del Papa,
con tutto il soccorso pervenuto in Roma, non potevano presentare
battaglia, fuorché in numero men possente, e in sito eletto dal nemi-
co. Doversi inoltre tener l'occhio alle milizie regie; perciocché, seb-
bene le istruzioni di Parigi portavano di non le molestare coli' armi,
finche durava la speranza di scacciarle colle minacce, e per parte
sua il Menabrea sacramentava di bramare concordia col comandan-
te dello sbarco, pure aversi a fare con un Governo misleale, il qua-
le troppo bene saprebbe romper fede, e col buon destro accorrere
alla riscossa del Garibaldi. E anche senza tradimento, chi potea
mallevare che la crescente marea repubblicana non soverchiasse le
dighe, e ne portasse d'un solo impeto il trono di Vittorio Emma-
miele a rifascio, e l'esercito contro Roma? In tali casi, ingaggiato
colle armi anche l' onore della Francia, sarebbe giocoforza mante-
nere r arringo ad ogni costo, e forse porgere il fianco in disuguale
conflitto. Sembrare pertanto più cauto consiglio 1' aspellare che
almeno un' intera divisione francese fosse in acconcio di sortire in
guerra, e una forte base di operazione costituita.
Non si può negare, cotali avvisamene movevano da gravi ragio-
ni. Sopra tutto il sospetto d' un moto repubblicano, prevalente a Fi-
renze, appariva fondato. Vedemmo pur dianzi quanto vi si adope-
rasse la setta mazziniana, e il zimbello di lei, Giuseppe Garibaldi:
i giornali prezzolati pareano sonare a slormo: noi stessi ricevemmo
1 Molti atti od Do*, bug. dfegU àrchly. 29, 30, 31 Ott.
2 Libro giallo, telejir. del 1 Nuv.
XCVI. SBARCO DEI FRANCESI 29
lettere in quei giorni dal cuore d' Italia, in cui si leggeva: « Opi-
nione generale di quanti incontro è, che si prepara la repubblica. »
E il ministro Kanzler tanto non n era nuovo, che prima di rendersi
a Civitavecchia aveva telegrafato al generale de Courten, partito pel
racquisto di Velletri: « Restano sospesi i rinforzi... fino a dopo di-
mani. Si dubita scoppio della repubblica a Firenze. Quindi guerra
grossa. Costituirei allora due brigate. La sua sarebbe reggimento
Zuavi, reggimento Linea, Gendarmi a piedi e a cavallo mobili, bat-
teria Poi ani 1. »
Cionondimeno anche il partito di commettere battaglia subita-
mente, aveva i suoi motivi: prevenirsi colla celerilà la congiunzione
del Nicotera e dell'Acerbi colle masnade del centro; il vantaggio
del numero e del sito superarsi coli' ardore del combattere, e i
Pontificii ornai se ne struggevano per impazienza. Non essere neces-
sario per battere i Garibaldini intaccare il suolo occupato dai regii;
il Menabrea, non provocato, sarebbe trattenuto o da un resto di
onestà, o dal terrore; la repubblica, se nascesse, si vedrebbe na-
scere; al peggio restava agli alleati aperta la ritirata su Roma, men~
treche Civitavecchia, ormai inespugnabile, riceverebbe le rimanenti
forze della spedizione. Somma e suprema ragione: una sollecita
marciata recava speranza di sorprendere il nemico tuttavia sul ter-
reno; un indugio davagli tempo di rinsavire e ritirarsi; e dove il
Garibaldi ne uscisse senza solenne e sanguinoso castigo, egli e i
suoi ne menerebbero vanto come di segnalata vittoria, e più age-
vole riuscirebbe ai masnadieri di rifar gente e ritentare l'impresa;
e intanto della fallita occasione tornerebbe poca riputazione e ram-
marico infinito all' esercito pontificio.
Non fu mai difficile persuadere a generali francesi una risoluzio-
ne arrischiata : col generale de Failly , fresco della guerra d' Italia,
e impaziente, com' esso diceva, di venire ai ferri, riuscì facilis-
simo. I due generali fermarono di fare fazione, senz'altro sopra-
stamento che il necessario a riunire le truppe e marciare. Forse
di qui trassero pretesto i diarii garibaldeschi di rappresentare co-
1 Doc. mss. degli Àrchiv. 31 Ott.
30 I CROCIATI DI SAN PIETRO
me /anatici, tutti in fascio i comandanti francesi venuti al soccorso
del Santo Padre. Con tale fanatico accordo adunque volò a Roma il
capitan generale pontificio a sera tarda , nella giornata susseguente
fece gli appresti, la notte mosse alla volta del campo garibaldino 1.
XCVII.
Disegni e forze del Garibaldi a Mentana. Si allestisce
la spedizione francopontificia.
Mirabile a dirsi! Giuseppe Garibaldi conobbe per filo e per se-
gno l'approdare della squadra francese, l'ingresso del soccorso in
Roma, gli apparecchi della marciata su Mentana ; e pure tanto bene
seppe fare, che né assalì, né si ritirò, né aspettò di piò fermo ; ma
piuttosto venne a punto a punto a farsi battere : parve Iddio accecarlo
appostatamele, sì ch'egli spontaneo si porgesse alla mazza. Da chi
si aggirò per le vie di Monte Rotondo il 2 Novembre, e parlò con Me-
notti, ci fu riferito che due messaggeri, romani alla parlata, a lui ne
vennero anelanti, e dissero alto: « Roma è piena di Francesi; » po-
scia accolti in disparte si trattennero in secreto abboccamento.
L' avviso ricevuto dell' attacco, apparecchiato per la dimane, lo at-
testa pure il Guerzoni 2. Che anzi se ne discorreva come di cosa
certa, non che a Monte Rotondo, ma insino a Firenze, in corte, nel
comitato garibaldino e altrove. Quivi un nostro amico ne udì la no-
vella, alle 11 della sera antecedente: solo si errava nell'ora dello
scontro , che assegnavasi al primo mattino , mentre era stabilito pel
mezzo giorno. Egli è da credere , che alcun telegramma in cifera
ne andasse da Roma o da Civitavecchia alle legazioni di Firenze, e
da quelle si divulgasse.
A colali avvisi quali risoluzioni tenessero dietro nel quartier ge-
nerale di Monte Rotondo, ò difficile affermare con certezza. Sembra
1 Rapp. gerì, del geu. Kanzlcr, p. 46; Rapp. del gen. Failly, nel Moni-
teur, 14 Nov. e nella Civ. Cali. ser. VI, voi. XII, p. 747, Doc. ma. degli
àrdi, in questi gleni; Helaz. speculi.
2 Guerzoni, :V. Antol. Apr. 1868, p. 774.
XCVII. DISEGNI E FORZE DEL GARIBALDI A MENTANA 31
che il Garibaldi opinasse di pressare la ritirala negli Abruzzi, e le-
vare il campo quella notte medesima. Cosi scrisse Pietro Del Vec-
chio , uno degli intimi in corte garibaldesca, e presente ; e aggiu-
gne : « Se si seguiva l' ispirazione del Generale , la catastrofe di
Mentana era evitata l. » Il Guerzoni, presente egli pure, conferma
questo disegno del suo eroe , e ne reca Y ordine del giorno, tutto
di pugno del Garibaldi, con cui si comandava a Menotti la marcia-
ta. Se costui non tergiversava, esclama dolente lo storico setta-
rio, « i Pontifìcii giugnendo in faccia a Mentana , V avrebbero tro-
vata vuota. Quale smacco per i generali francesi ! quale trionfo per
Garibaldi 2 ! » Il Bertani poi nel suo Diario , scritto non per uso
di mentire al pubblico, si bene per servigio del quartier generale,
ha queste precise parole: «3 Novembre. Si parte per Tivoli. »
E furono quasi le sole che potè scrivervi in questo giorno , poiché
le fucilate gli mutarono l'ufficio di segretario in quello di chirurgo
militare. Per quali cose tutte non si può in conto alcuno dubitare
del disegno garibaldesco di sloggiare da Monte Rotondo il giorno
3 Novembre, giorno della battaglia di Mentana 3.
Or come avvenne, che con tanta foga di ritirata o notturna o
mattutina, il Garibaldi si trovò tuttavia sul terreno a mezzo gior-
no? Rispondiamo, perchè attese il nemico e volle combattere. Po-
ca fede aggiustiamo ai rapporti garibaldeschi, i quali ascrivono la
indugiata partenza alla necessità di trasportare i feriti 4 ; alle ri-
mostranze del colonnello Menotti, che si ostinò a voler dispensare
prima le scarpe agli scalzi 3; alla necessaria distribuzione di for-
nimenti e cartucce 6; o molto meno a « cause invincibili 7. » Che
anzi il Menotti medesimo attesta di avere avuto ordine di muove-
1 P. Del Yecciho, La colonna Frigyesi ecc. p. 3G.
2 Guerzoni, 1. e. 776. L'ordine del giorno è riferito anche dal Fabrizi, Re-
lazione ecc., e da altri.
3 Lo asserisce pure l'autorevole Vitali, p. 219; e concordano le nostre
Relaz. speciali di persone presenti.
4 P. Del Vecchio, luogo cit.
5 Guerzoni, 1. e.
6 Menotti Garibaldi, nella Relazione del Fabrizi.
7 Fabrizi, Relazione.
32 I CUOCI ATI DI SAN PIETRO
re la sua genie « per le oro 111/, antimeridiane del giorno 3: » e
nella relazione sottoscritta il domani di Mentana da tutti i capora-
ni della garibalderia ò detto espressamente , che « il generale Ga-
ribaldi aveva preveduto l'eventualità d'incontrare il nemico in mar-
cia i. » E noi crediamo, che allora appunto proferisse quella pro-
messa famosa, cui seppe a tempo ritrattare : « 11 mio cadavere re-
sterà tra il Papato e l'Italia. » Tanto vero, ch'egli volle espcri-
menlare la fortuna dell'armi, che egli si recò il dì prima della bat-
taglia, col suo Stalo maggiore, ad esplorare il terreno sul quale
intendeva ricevere il nemico, e lo percorse largamente, e colla car-
ta topografica alla mano. Dopo desinato nel convento di S. Maria
degli Angeli presso Mentana, Menotti disse ai frati: « Forse dimani
ci rivedremo. » Al cominciar dell'azione l'esercito garibaldino « era
militarmente accampato, attendendo un attacco, » secondo che at-
testa il Rapporto pontifìcio, e apparirà dalla narrazione incontra-
stabilmente.
E in verità se il Garibaldi intendeva recarsi a Tivoli per licen-
ziare i volonlarii, come piacque mentire al Crispi 2, come mai, al
risapere la marciata dei Pontifìcii non elesse al licenziamento Co-
rese, luogo vicino, sicuro, servito dalle ferrovie? Se egli non altro
bramava fuorché guadagnare le montagne abruzzesi, perchè ve-
nire incontro al nemico sulla via di Mentana, mentre gli si apriva
un varco sgombro di pericoli per Castel Chiodato e Palombara ? li
perche a noi sembra manifesto, che il Garibaldi, o almeno chi gui-
dò le mosse, nutriva questo formato disegno : rigettare come che
sia un primo attacco dei Pontificii, e poscia cantando villoria"racco-
glierc la bandiera repubblicana sugli inaccessibili apennini del Re-
gno di Napoli, menlrechè i suoi messi sonassero l'armi del popolo-
in tutta Italia. La riputazione dell'immaginato trionfo, solennizzalo
dalle cento trombe della setta, avrebbe secondalo mirabilmente lo
sforzo dei bandi, elei ci unitali, dei mestatori .spedili nei giorni pas-
siccome pur dianzi narrammo.
1 (fella Jlìforma e in unii i giornali.
forese, \ Nov.
XCVII. DISEGNI E FORZE DEL GARIBALDI A MENTANA 33
Nel ripromettersi poi un felice successo militare, il Garibaldi
operava mente più pazzamente del consueto; anzi alcuna cosa meno.
Perciocché, oltre al restargli, in ogni evento, aperta la ritirata alle
spalle, egli godea vantaggio incomparabile di sito, e sapeva di
potere schierar in battaglia due o tre cotanti dell'esercito assalitore.
E qui ci pare il luogo proprio e necessario di mettere in sodo il no-
vero dei Garibaldini di Mentana, sul quale sì lungi dal vero farne-
licarono i rapportatori partigiani, e pur debbe dimorare fermo nel-
la storia. Il Fabrizi, il Bertani, il Guerzoni, e Menotti Garibaldi,
dopo la sconfitta minorarono nei referti le forze loro sino a cinque-
mila e meno ancora. Or ecco la smentita, che loro ne danno i
loro stessi amici. Francesco Ciispi, prima che pattovita fosse la
utile menzogna, aveva scritto ingenuamente di avere veduto l'ar-
rivo del Garibaldi, reduce da Mentana, « alla testa di cinquemila
uomini, gioventù scelta, la quale aveva ardente desiderio di torna-
re a battersi sotto Roma 1. » Altri, come i battaglioni del Salomo-
ne, si ritirarono verso l'Abruzzo, altri aveano passato il confine la
sera slessa del combattimento. Cionondimeno cinquemila e cinque
fucili furono, a vista di ognuno, contati sulla piazza di Monte Roton-
do, raccolti sul terreno della lotta, ai quali il Vitali ne aggiugne
altri duemila, trovati in appresso nelle vicinanze. È dunque manife-
sta conclusione, che almeno un dodicimila uomini avevano armeg-
giato a Mentana.
Altra via di rinvenire la verità. Quattordicimila Garibaldini furono
registrati nei giorni antecedenti al fatto di Mentana, nel passare per
Terni, come ci assicura il Fabrizi. È credibile, che prima di Menta-
na ne fuggissero novemila? Arrogi, che grosse colonne entrarono per
altre vie che di Terni. Certo è che da Firenze, due giorni prima della
battaglia il legato francese scrisse al suo Governo : « Garibaldi è
sempre a Monte Rotondo, con una forza che i più moderati slimano
di 10,000 2. » In conformità di che un gentiluomo francese, poco
dopo Mentana, ci scriveva: « Un alto ufficiale delle ferrovie, che
1 Leu. del Crispi, Fir. 5 Nov. È in tutti i giornali del partito.
2 Libro giallo^ 1 Nov.
Serie VII, voi. XI, fasciti. 3 22 Ghigno 1870.
3ì I CROCIATI DI SAN PIETRO
organizzò precisamente il ritorno dei volontarii, mi dichiarò, che
dai I al 7 Novembre erano passati a Corese 10,800 Garibaldini. »
Ora non vi furono, a saputa di tulti, almeno altri cinquemila uomi-
ni, o morti, o feriti, o prigioni, o fuggiti per altra via che di Co-
rese? Che se consultiamo le memorie unicamente di parie pontifi-
cia, che pure sono le più onorale, e quelle a cui dimanderassi la
Verità dai posteri, abbiamo il giornale di Roma, che alla sera del
3 Novembre diede il numero dei Garibaldini, sul giudizio formato
a occhio dagli ufficiali superiori, in 15,000. E noi ne interrogam-
mo un uomo di guerra, non romano, stato nel più vivo della balta-
glia, e pratico per lunga esperienza di noverare le masse nemiche ;
e ci rispose che, a sua estimazione, passavano di assai quel nume-
ro 1. Il perchè tanto dimoriamo sicuri del computo nostro, che
neppure ce ne distoglie l'autorità del Rapporto generale pontificio,
Il quale si attiene, così qui come altrove sempre, ai minimi termini
più incontrastabili, e si contenta di dire : « i Garibaldini ascende-
vano a circa novemila. »
Non è dunque da tacciare di temerità il Garibaldi, o chi che al-
tri si fosse 1' autore della deliberazione di saggiare il fuoco, prima
di gittarsi fuori del Pontificio. Con tali forze, riposate da due gior-
ni, sceverate dagli imbelli, composte per un largo terzo di militari
dell'esercito italiano 2, in posizioni eccellenti, sulle quali poco po-
teva il cannone, e nulla la cavalleria; ben poteva sperare di con-
trastare qualche ora con felice scontro ogni gran numero di assali-
tori, non che 11 picciolo esercito cui sapeva muoversi da Roma.
Ma Giuseppe Garibaldi non aveva estimato ne 1' armi, nò 1' ardore,
nò l' impeto dei mercenarìi di S. Pietro, nò, mollo meno, V ira di
Dio lungamente provocata.
In Rotola si teneva consiglio al ministero delle armi, nella matti-
nata 8 tò abbracciale determinazioni dispone vansi in poche
ore. Nulla ne trapelò di accertato, tra i borghesi, ma facile era indo-
vinare che si apprestava straordinaria fazione: i militari poi vi pre-
vede\ ano grande cominciamento di guerra assaltata. Si dimentieawi-
1 Vedi altri compiili sìmiglìanti, fatti colle notizie prese sul luogo dal Vi-
tali, Le >i'<vci giornate, p. 201.
2 Molti atti nei Doc. mss. di questi giorni: Relazioni speciali.
XCVII. DISEGNI E FORZE DEL GARIBALDI A MENTANA 35
no adunque i trascorsi disagi, e un fremito di contentezza balenava
di quartiere in quartiere, col giugnervi della consegna di apparec-
chiarsi per partire nella notte. Sappiamo che gli ufficiali della truppa
indigena si dolsero di non essere stali tutti a parte della spedizione.
Ma per loro conforto doveano porre mente, che già il loro bat-
taglione elei Cacciatori campeggiava in riscossa offensiva contro
l'ala sinistra del Garibaldi in sul Velletrano; e molti paesani mar-
ciarono a Mentana nella cavalleria, nell'artiglieria, tra i Gendarmi,
nel reggimento zuavo; e infine, se alcuna milizia dovea pure restare
in Roma, toccava alla Linea, che nel Viterbese aveva sostenuto le
prime fucilale, e ultima con faticoso viaggio era tornata in Roma.
Della vittoriosa guarnigione viterbese non si presero che alquante
compagnie di Zuavi, per complemento de' battaglioni. Del resto niun
corpo marciò con tulle le compagnie.
Ed ecco il registro esatto del modesto esercito alleato, uscito in
traccia del Garibaldi; eccolo, non quale il sognarono i mitologi par-
ziali, ma quale il vide il popolo romano, e il descrissero i genera-
li, nei loro referti fededegni. Si formarono due colonne: una di bat-
taglia, comandata dal generale Giuseppe di Courten, una di riserva
dal brigadiere Baldassarre di Polhès; capitan generale, il ministro
delle armi, Ermanno Kanzler. Contava lai prima due forti battaglio-
ni di Zuavi, ciascuno di circa 750 baionette, condotti dal coman-
dante del reggimento, colonnello Giuseppe Àllet ; un battaglione di
520 Carabinieri esteri, colonnello comandante Giuseppe Jeannerat;
un battaglione di 540 Legionarii francoromani, sotto il proprio colon-
nello Carlo d'Argy; una batteria di sei pezzi di campagna, capitano
Polani; uno squadrone di 106 cavalli, capitano Cremona; una com-
pagnia di Zappatori del Genio, capitano Fabri ; drappelli di Gendar-
meria al proprio servigio di campo, guidati dal tenente Rasori : in
tutto 2,913 combattenti. La seconda colonna, quasi interamente
francese, comprendeva un battaglione di Cacciatori a piedi, coman-
dante il maggiore Giambattista Comle ; quattro sottilissimi batta-
glioni di Linea, cioè il 1° del 1° reggimento, comandato dal colon-
nello Domenico Fiémont; il 1° del 29°, dal tenentecolonnello Felice
Saussier, due del 59°, dal colonnello Francesco Berger ; quattro
cannoni, sotto il tenente Ploix; due partite di cavalli, una francese
36 I CROCIATI DI SAN PIETRO
guidata dal caposquadrone Wederspach-Tor , e una pontifìcia dal
sottotenente Celli: comprensivamente, 2000 combattenti. Le truppe
francesi, tanto precipitose si erano avviate a Tolone, che non solo
non furono aumentate al ruolo di guerra, ma neppure ebbero tempo
di scambiare gì' infermi e gli assenti 1.
È diffìcile dire quale alacrità s'accendesse nelle caserme, nei ma-
gazzini, nel forte S. Angelo, durante le ore pomeridiane del 2 No-
vembre. Si voleva ogni cosa all'ordine prima dell'annottare, poi ci-
bo, riposo, partenza dopo la mezzanotte. Né solo accingeva» l'armi
i militari comandati, ma altri assai più volevano trovarsi, come si
direbbe, alla festa. Non parliamo dei colonnelli Caimi e Lepri, i
quali non lasciarono fuggirsi il destro di accompagnaro i distacca-
menti di artiglieria e cavalleria di cui sono comandanti; ma più e
più altri ufficiali o in riposo, o prosciolti quel dì dalle fazioni, o
semplici dilettanti della Crociala, forbivano la spada. Yi concorse-
ro il colonnello di Sonnenberg della guardia svizzera di palazzo, il
colonnello de Christen, il tenente colonnello Carpegna, il generale
Raffaele de Courlen, e il colonnello Vittore de Courten, il quale a
farla più spacciata, si levò uno schioppo in ispalla e si serrò tra i
carabinieri. Altri ufficiali partirono pure da volontarii, come il
de Saintenac, il Du Tilleul, il d'Ayguesvives, e parecchi, il cui no-
me non ci sovviene. Fu notalo sopra tutti il conte di Caserta, D. Al-
fonso di Borbone, seguito dai colonnelli Ussani e Afan di Rivera: il
real giovane si era offerto di prendere il fucile tra le file dei Crocia-
ti, fin dal muoversi della guerra; fu allora addetto allo Stato mag-
gior generale, e come tale partì per Mentana, e comballò nel più vi-
vo della battaglia.
Che si apprestassero gli ospedali ambulanti, ognuno ben può im-
maginarlo. Sessanta infermieri seguivano la colonna pontifìcia, e
gran numeri» di chirurghi militari, sotto la dire/ione generale del dot-
tor CeccarelK : il simile era della colonna francese. Nò i loro splen-
didi servigi diedero maraviglia, perchè consueti. Ciò che parve nuo-
\u si ò che più chirurghi, e romani e forestieri, vi posero la mano
coint \o!oiìlarii; e sopra ogni altro vi risplcndellc il comitato pon-
1 K )<>;>. del g«i K;m/icr. p. '.(',; Rapp. tH^ralico del seti. Failly, nel M •
mleur, 9 Noi . : Kclaz. speciali Uiullìciali sup.
XCVII. DISEGNI E FORZE DEL GARIBALDI A MENTANA 37
tificio francese, con nuovo esempio, memorabile tra le più pieto-
se scene dei Crociati di S. Pietro. Tre suore di S. Vincenzo erano
giunte quella mattina da Parigi, affidate alla cura del dottore Carlo
Ozanam. Le suore accorrevano ai soliti ufficii angelici; e l'Ozanam
con una eletta di signori francesi veniva a trattare di armi perfezio-
nate e di nuovi fornimenti da guerra, da provvedersi all'esercito
crociato colle larghezze de' comitati cattolici. Accolseli il ministra
Kanzler colla usata cortesia, gradì altamente il loro concorso; poi
soggiunse: « Signori, voglio rispondere alla devozione vostra con
un pegno di fiducia. In secreto, domattina a tre ore parliamo in
caccia del Garibaldi, che dev'essere a Monte Rotondo: le suore che
avete condotto, non ci saranno inutili ; veniteci tutti, e goderete una
bella battaglia. »
Non parea vero a quei cuori gentili di poter sì bene collocare
l'opera loro. Il visconte di Saint-Priest, segretario del Ministro,
avendo segnato loro il permesso di seguitar la colonna, volle esse-
re egli stesso della brigata : la superiora delle suore, comechè non
avesse giammai per l'addietro inviate le sue religiose tra i campi
di battaglia, pure, pei Crociati, accondiscese: le consorelle ebbero
tosto dalle medicherie dello spedale militare approntato da mil-
le bendature, un tesoro di faldelle, balsami, unguenti, medicine,
che si accumularono al corredo recato dall'Ozanam. Alle tre suore
se ne aggiunse una quarta di buona voglia, cioè la signora Caterina
Stone, per lunga pratica, divenuta esperta quanto qualsiasi suora
spedalinga ; il dottore Ozanam fu naturale direttore dell' inferme-
ria, due medici parigini gli si aggiunsero volontarii; i signori Be-
noist d'Azy, Keller, de Saint-Maur, de Luppé, Vrignault, il duca di
Lorges e altri pietosi si dichiararono infermieri; l'abbate Peigné e
il P. Ligiez domenicano si offersero cappellani: l'ambulanza, copio-
sa d'ogni suo necessario, fa a Mentana, vi sostenne fatiche estre-
me, vi rendette servigi incomparabili 1. 0 Francia! gli angioli di
Dio, che accompagnarono sul campo di terribile, sebben giusta,
vendetta quella schiera militanle solo alla carità celestiale, proteg-
gano sempre la patria dei cuori generosi !
1 Kapp. del gen. Kanzler, p. 25; Lettere nell'Union di Parigi, 5 Nov.; Re-
laz. nel Contemporain, 30 Nov. 1868.
38 I CROCIATI DI SAN PIETRO
A sera latti gli apparecchi erano pressoché ultimati; e ne' quar-
tieri sonavasi a silenzio. Ma a molli la speranza di bella giornata
non lasciava sentire la necessità del sonno. Si banchettava allegra-
mente, si passavan le ore alle serale presso gli amici ; nelle veglie
di alcuni saloni, ov'era annunziata la mossa d'armi le signore di-
stribuivano medaglie e scapolari benedetti, che i prodi poneano sul
petto piloso ad armadura nella pugna, o a conforto dell'agonia. Due
officiali, che in una conversazione operavansi ad apprestare sfilac-
ci, si andavan dicendo: Forse lavoriamo per noi! Furono profeti
entrambi. Ma la precipua sollecitudine delle milizie era stalo di ri-
temperare l'animo nella preghiera e nei sacramenti di Gesù Cristo.
In ciò non cadeva distinzione di gradi nò di nazioni. Si operava al-
la libera, in pubblico. Ne vigeva l'uso, l'uso continuato dalle cro-
ciale antiche sino a Castelfidardo, e che, in causa giusta, aguzza il
ferro dieci cotanto che non un bando di valor comandato.
Se non che, mentre bollivano le speranze e gli ardori del pro-
messo combattimento, ed ecco una voce si diffonde, la spedizione
forse indugiarsi a diman l'altro. Ma poco penò a dissiparsi. Nacque
da ciò che un Generale francese, informato delle soverchianti forze
nemiche, propoueva di raddoppiare la colonna di riserva, il che
non poteva effettuarsi prima che arrivassero altri battaglioni da Ci-
vitavecchia. La profferta passò per un incaglio nato repentemente.
Un cappellano militare, cenando in casa d'un ambasciatore, udì la
novella come certa. Corse al quartiere, e trovò nulla essere muta-
to. Fu provvidenza di Dio, e provvidenza al tutto memorabile. Il
capitan generale Kanzler aveva già ricevuto la benedizione di
Pio IX, per la divisata battaglia; fino ad ora non tfffeva rivocato
niun ordine di conseguenza, e pesavagli mutar verso sul line della
guerra; vedeva inoltre le milizie crociate sfavillanti di ardire, anzi
rapite da ferventfasim > entusiasmo ad asfaltare ;ì nemico: e pei- al-
tra parte | >pra ogfni altro pericolo, la fuga del Garibal-
di: persistette. Se . i\ \incerc alla lusinga di crescere d'un
terzo le sae forze, Mentana non era; e Giuseppe Garibaldi, ritirati-
Dipanilo, avrebbe intronato il mondo coi millanti de'suoi im-
maginarii trionfi.
UN CASO DI COSCIENZA
A PROPOSITO
DELL' INFALLIBILITÀ PONTIFICIA
^X^<^S^-
Fra i molti libelli anonimi, che come i funghi dopo la pioggia,
pullulano in gran copia, e vengono, non si sa d'onde, spediti ai Ve-
scovi raccolti in Roma, uno ne è sorto ultimamente assai più stra-
no e più frodolento, in quanto si dirige alla coscienza dei Padri, e
sotto colore di volerla preservare dal cadere in gravissima colpa si
sforza di persuaderli a dare negativo suffragio alla definizione del-
l'infallibilità pontificia. L' opuscolo è scritto in latino ; e muove tre
quistioni. Prima, se possa un Vescovo, senza incorrere in grave pec-
cato, dare il volo affermativo, se prima non ha conseguita vera e pie-
na certezza che la dottrina dell'infallibilità pontificia è rivelata, ed è
stata sempre nella Chiesa comunemente creduta ed insegnata come
tale. Al che risponde di no; soggiungendo che il peccato gravissimo
in cui, dando il voto affermativo, incorrerebbe il Vescovo sarebbe
quadruplice : 1.° Contro la veracità, perchè direbbe colla bocca ciò
che non sente coll'animo; 2.° contro la fede, perchè affermerebbe
contenersi nel deposito della fede, ciò che non sa se vi è contenuto;
3.° contro la giustizia, perchè fulminerebbe l'anatema contro chi non
lo merita ; i.° contro l'ufficio di provvedere alla pace e all'unità della
Chiesa, perchè esporrebbe questa a nuovi dissidi! e a nuove scis-
sure. La seconda quistione si è: come dove fue il Vescovo per con-
seguire l'anzidetta certezza; e dice che primieramente deve proce-
40 CN CASO DI COSCIENZA
dere per esame personale, senza baciare al giudizio degli alti i Ve-
scovi, e dello stesso sommo Pontefice; in secondo luogo deve pro-
cedere prudentemente, cioè deponendo i pregiudizi delle scuole, e
ponderando con diligenza tutte le ragioni del prò e del conila; ia
terzo luogo deve appoggiare il suo giudizio ad argomenti propria-
mente dominatici, cioè ad aperti testi della S. Scrittura e all' uni-
versale e costante tradizione. Ciò posto, viene alla terza quisliouc,
in cui chiede : come deve comportarsi il Vescovo, compiuto che ab-
bia un tale esame. Intorno a che dice tre poter esserne i risultati:
il dubbio, la probabilità, la certezza. Nel primo e secondo caso egli
stabilisce che il Vescovo è obbligato a dar voto negativo: In ulro~
que casti Episcopus respondere tenetur: non placet. Che se per
ventura si avverasse il terzo caso (il che egli dice esser mollo dilìi-
cile); allora il Vescovo deve volger l'animo a considerare se sia
espediente per la Chiesa venire a una definizione, che si prevede
dover suscitare gravi tempeste. E qui si fa a numerare tulli i mali
che una tal definizione si trarrebbe dietro : la guerra da parte degli
scismatici, degli eretici e degl' increduli; la gelosia dei governi, i
quali stringeranno la Chiesa con più duri lacci, e facilmente inva-
deranno i beni ecclesiastici, dove ancora non furono tocchi ; la ro-
vina di molli tra gli slessi cattolici; la separazione dello Stato dalla
Chiesa; la perdila forse dello stesso poter temporale della Santa Se-
de. Sicché (quantunque l'Anonimo noi dica esplicitamente) la con-
clusione evidente del suo discorso si è che per una ragione o per
un'altra, in ogni ipolesi il Vescovo deve dare il volo negativo.
Non può negarsi che l'Anonimo ha ordita bene la sua relè e con
molto artifizio. Egli impone ai Vescovi una meta arbitraria e falsa.
Li costituisce poscia nella quasi impossibilità di toccarla. E dove
qualcuno pei disgrazia \i fosse giunto, gli presenta paurosi l'anla-
lornare indietro. Senonchè una cos i
che il mio artifizio è troppo patente, e i Lic-
ei, onde ha tessuta la sua rete, son troppo facili a e
fremo agevolmente seguendolo passo pas>e b 1 suo ragio-
!ll0.
E d.i prima , d'onde ha cavalo l'Anonimo quel suo \7-
lul de fi ni ri posse, ut de /«le credendum. itisi prò certissimo habea-
A PROPOSITO BELL INFALLIBILITÀ PONTIFICIA il
tur ilhid revelatum esse semperque in Ecclesìa ut tale passim tra-
ditum et ereditimi? Che debba accertarsi esser da Dio rivelata
esplicitamente o implicitamente la verità, che si propose a definire;
sta bene: non potendo dichiararsi essere articolo di fede, se non
ciò che realmente si trova nel deposito della Fede. Ma che debba
inoltre pienamente accertarsi che quella verità fu sempre nella
Chiesa comunemente creduta ed insegnata come tale; ciò è falso:
potendo avvenire benissimo che siffatta verità, per non essere sta-
ta ancora dalla Chiesa definita con solenne giudizio, da molti e in
varii luoghi sia stata disconosciuta e negata. Acconciamente in
tal proposito Melchior Cano : Fidei quaestionem duabiis modis in-
terpretari possumus : et ex natura sua et quoad nos. Ex natura
sua illa Fidei quaestio est, quae est a Beo E cclesiae revelata ,
quamvis a plerisqne ignoretur. Ut Spiritum a Patre Filioque pro-
cedere , ipse Spiritns Apostolis revelavit. ltem animas Sanctorum
statini, ut a cor por e exierint , videre Deum. De quibus licuit olim
varie sentire, et sine Fidei discrimine ant a/firmare aut negare;
cum neutra res scilicet eroi piane ab Ecclesia definita. Ita quoad
nos non semper Fidei quaestiones illae snnt habitae; sed, salva Fi-
de, viri quidam dodi contrariam ventati sententiam tenneritnt 1.
E S. Tommaso nei Commenti sopra le epistole di S. Paolo dice :
Forum, quae sunt Fidei, quaedam snnt, quae non sunt per fede
per Ecclesiam manifestata. Sicut in primitiva Ecclesia noncium
erat perfecte declaratum apud homines quod UH qui etani ex Iu-
daeis conversi non tenerentnr legalia observare; et sicut tempore
Augustini nondum erat per Ecclesiam declaratum qnod anima non
esset ex traduce %.
Ciò notiamo non perchè ce ne sia bisogno nel caso nostro pre-
sente; giacche V infallibilità Pontifìcia gode di tanta luce, che da
ognuno può ravvisarsi non solo come verità rivelata, ma come tale
sempre e universalmente tenuta nella Chiesa. Difficilmente si tro-
verà altro domma, che, più di questo, abbia in suo favore la divina
Scrittura e l'ecclesiastica tradizione. Ma noi ci soffermiamo a mo-
1 De Locis theol. 1. 12, e. XIII.
2 In epist. ad Rom. e. lì, lect. III.
1 1 l N CASO DI COSCIENZA
strare la falsità della proposizione dell'Anonimo; acciocché distrut-
to il fondamento, a cui si appoggia, tutto il suo edilizio cada per
terra. Ripigliando dunque il filo del nostro discorso, ci basti osser-
vare che se la proposizione dell' Anonimo fosse vera, i Padri di
molti Concilii avrebbero operalo contro coscienza; avendo bene spes-
so definito esser donimi di fede dottrine non solo impugnate da mol-
ti, ma di cui tra gli stessi Vescovi era dissenso. Ci piace qui di tra-
durre un tratto della magnifica confutazione di questo libello, fatta
dai P. Antonio Ballerini. « Se le pretese condizioni, egli dice, son
necessarie acciocché il Vescovo non incorra il reato dì peccato gravis-
simo conti o la verità, la fede e la giustìzia, come potranno scusarsi
da sì gravissimo delitto i Vescovi, che nel Sinodo Niceno o Arelatc-
se definirono esser valido il battesimo amministralo dagli eretici, e
però non doversi battezzare di nuovo coloro che dall' eresia tornas-
sero al seno della Chiesa? Imperocché in che modo poterono per-
suadersi esser quella dottrina comunemente insegnala e creduta
nella Chiesa, quando apertamente constava che la contraria era in-
valsa e ridotta nella pratica non solamente in tulle le chiese del-
l'Africa e nei due Esarcati, del Ponto cioè e dell'Asia, e nell'Egitto
(secondochè attestano le lettere di Dionisio Alessandrino), ma oltre
a ciò era stata confermala in molli Concilii Africani e neH'Iconien-
se di Frigia e nel Sinadense di Asia? Che diremo poi dei Padri
del Concilio Tridentino? Come potranno esimersi dalla taccia di
violala veracità, fede e giustizia, quando nella Sessione IV, sotto
pena di anatema, stanziarono il seguente canone : Se alcuno non
riceverà come sacri e canonici gl'interi libri con tutte le loro parti
idraulica \ulgala edizione latina son contenuti : sia anatema?
Imperocché, diverso è l'elenco del sacri libri, che ci porgono Ori-
gene ed Atanasio dall'Egitto, Eusebio di Panfilo e Cirillo Geroso-
limitano dalla Palestina, Anfilochio dalla Panfilia, Melitene di
dall' Asia, il Laodiceno (i cui canoni furono approvali dai
Padri del Concilio Tulliano) dalla Frigia, Epifanio dall'isola di
Cipro, Nazianzeno dalla Cappadocia, Damasceno dalla Tracia, Iu-
nilio dall'Africa, Isidoro dalla Spagna, Ilario dalla Francia, Ruffi-
no dall'Italia, e finalmente Girolamo, il quale tolto inteso allo stu-
dio delle disine Scritture a\ca pefcofSO l'Oriente insieme e l'Oca-
A PROPOSITO DELL INFALLIBILITÀ PONTIFICIA 43
dente, in che guisa può dirsi che la dottrina qui definita dai Padri
Tridentini fu da essi ravvisata come sempre insegnata e creduta
comunemente qual dottrina rivelata 1? » Moltissimi altri esempii
di simil natura potremmo recare in mezzo, non escluso il recentis-
simo della definizione dell' Immacolato Concepimento di Maria, a
cui aderirono i Vescovi, senza formare certamente il giudizio che
una tale sentenza fosse stata per l'innanzi sempre insegnata e cre-
duta comunemente nella Chiesa, come dottrina rivelata.
È falsa dunque la proposizione dell'Anonimo, e contraddetta dal-
la ragione insieme e dal fatto. Secondo la sana dottrina e la pratica
costante della Chiesa, acciocché una verità possa definirsi come
doni ma di fede basta che sia ravvisala come appartenente al depo-
silo della Fede, quantunque in varii tempi e in varii luoghi sia slata
o sia tuttora disconosciuta o anche impugnata da pochi o anche da
molii. Anzi per questo appunto la Chiesa s'induce a solennemente
definirla, per assicurarla cioè da siffatta obblivione ed oppugnazione.
Ciò posto, il quadruplice peccato, sognalo dall'Anonimo, sfuma
appunto come sfumano i sogni; giacché il Vescovo, il quale con la
certezza testé spiegata, dà il suo voto affermativo, compie per con-
trario un quadruplice dovere : di veracità, esprimendo colla parola
ciò che pensa colla mente; di fedeltà, concorrendo ad assicurare
l'integrila della Fede dagli assalti dell'errore; di giustizia, punendo
coll'anatema i contumaci e ribelli alla verità rivelata; di provviden-
za per la pace ed unità della Chiesa, la qual pace ed unità ha fon-
data appunto nell'unità della Fede: Unus Deus, una Fides.
Dicemmo in secondo luogo che l' Anonimo, dopo aver proposto
ai Vescovi come fine una certezza esagerata e non necessaria ; li
pone neir impossibilità di conseguirla, imperocché solto le ambigue
parole di giudizio da formarsi per esame personale, con prudenza,
e sopra argomenti dommalici (le quali cose di per sé potrebbero
intendersi in buon senso) egli prescrive loro di separarsi dal senti-
mento sia dei Colleghi nell'Episcopato, sia dello slesso sommo
Pontefice; di obliare gì' insegnamenti delle scuole e la dottrina per
l'innanzi tenuta; sicché chiusisi nella propria individuale coscien-
1 JÌ(S et officium Episeopornm in ferendo suffragio, eie. Pag. 8.
44 IN CASO DI COSCIENZA
za applichino l'animo allo studio della Scrittura e della tradizione,
esaminando e ponderando accuratamente tutto ciò clic e stato dettò
in contrario. Ci sembra di veder qui un' applicazione del metodo
cartesiano. Anche Cartesio ingiungeva che ad acquistar la certezza
filosofica si dovesse in un dato tempo dubitare di tutto ciò che per
innanzi si era tenuto per vero, non esclusi i principii più evi-
denti della ragione. Senonchè egli dopo aver cacciato l'allieve in
tanto buio, si sforzava poi con pochi e brevi raziocinii di liberar-
nelo; laddove il Vescovo, che si lasciasse abbindolare da queste
ciance dell'Anonimo, avrebbe a faticale per ben molli anni prima
di veder lume. Per lui si tratterebbe non solo di rifar da capo gli
studii, ma di rifarli salendo ai fonti primi del sapere teologico,
non esclusi (s'intende) i necessairi presidii dell'ermeneutica, della
linguistica e della storia. Sarebbe affare da stillarvi attorno il cer-
vello e da appena venirne a capo dopo il corso di alcuni lustri. Ed
è questo appunto ciò che desidera Y Anonimo, a fine di scongiurare
almeno per ora la temuta definizione. Ma i suoi ridicoli suggerimenti
si confutano da s« medesimi per la patente loro sciocchezza.
E vaglia il vero, ci ha cosa più inetta, che in materia di fede, la
quale è tutta appoggiata alla testificazione de' suoi depositari!, voler
separato il Vescovo dal giudizio degli altri Vescovi? Se tutta la bi-
sogna qui si riduce a scernere ciò che è contenuto nel deposito del-
la fede, niente di più conducente a formare sopra ciò retto giudi-
zio, che il vedere ciò che ne pensino gli altri Vescovi, lesiimonii
autorevoli della tradizione delle singole loro chiese. Soprattutto è
di gran forza in questa materia il sentimento di quei Vesco\i, nelle
cui diocesi si è conservata più pura l'antica fede, senza mescolanza
di contrario errore. Ciò ha luogo massimamente in quelle contra-
de, in cui l'eresia non ha posto mai piede; sembrando assai verisi-
mile che in quei paesi, in cui i cattolici son frammisti ai protestan-
ti, l'influenza ereticale siasi a poco a poco talmente infiltrata nel-
l'animo di molli, che la sincerità della fede ne abbia sofferto non
leggici- detrimento.
Ma ciò che non sol d'inettezza ma di manifesta stoltizia dee ri-
prendersi nell' Anonimo, si è il dissuader che egli fa i Vescovi dal-
l'appoggiarsi nel loro giudizio all'autorità del romano Pontefice.
A PROPOSITO DELL' INFALLIBILITÀ PONTIFICIA 45
E non ricorda il valentuomo doversi la Chiesa romana, giusta Y in-
segnamento del Concilio di Trento, riconoscere da tutti qual madre
e maestra delle singole Chiese? 11 Concilio di Costanza nella sessio-
ne io colla Costituzione Inter cunctas definì doversi riputare eretici
coloro, che in materia di fede sentissero altrimenti da quello, che
insegna la sacrosanta Chiesa romana. Certamente, se la Chiesa ro-
mana è indefettibile, come gli stessi Gallicani non osano di negare,
se il deposito della fede presso di lei si conserva incontaminato;
non ci ha mezzo più conducente per conoscere ciò che sia o no verità
di fede, che consultare la dottrina della medesima. Onde S. Ireneo
prescriveva che posciachè era difficile discernere la tradizione delle
singole chiese, nelle quistioni di fede si guardasse a ciò che sente
e crede la Chiesa romana, colla quale, atteso l' eminente suo prin-
cipato, è uopo che consentano le altre chiese, cioè i fedeli dispersi
per tutto l'Orbe. Or la Chiesa romana da chi riceve la sua dottri-
na? Dal Pontefice, che la regge ed ammaestra. 11 magistero dell'una
non ò che l'eco del magistero dell'altro. E cosi veggiamo che S. Gi-
rolamo scrivendo a Damaso Papa dice aver egli giudicato di con-
sultare la cattedra di Pietro, per averne il cibo dell' anima, persua-
so che in essa si conserva incorrotta l'eredità dei padri; e conchiu-
de: Voi siete la luce del mondo, voi il sale della terra, voi i vasi
d'oro e d'argento.
Non meno strano è l'altro suggerimento dellMnonimo, di dovere
il Vescovo abbandonare i pregiudizii delle scuole. Se con questo
nome intendesse la così detta scuola gallicana, il suo consiglio sa-
rebbe giusto ; giacché la dottrina di quella scuola sopra cotesto punto
non solo è pregiudizio ma manifesto errore, essendo stala ripro-
vata da quattro Pontefici e tenuta universalmente nella Chiesa come
prossima all' eresia. Ma tutt' altro intende l'Anonimo sotto il nome
di scuole. Egli intende la dottrina teologica, comunemente ammessa
ed insegnata. Or che rappresenta cotesla dottrina? Rappresenta la
dottrina e la tradizion della Chiesa, essendo dedotta dalle divine
Scritture, dalle sentenze dei Padri, dalle definizioni de' Concilii e
costituendo il fondo, da cui si traggono gì' insegnamenti nelle cate-
chesi e predicazioni al popolo. Tanto dunque è lungi che a formare
prudente giudizio, debbasi rimuovere la mente da cotesta dottrina,
40 IN CASO DI COSCIENZA
che ossa anzi deve chiamarsi in aiuto ; e sarebbe imprudentissimo
consiglio il dissestarsene.
Per ciò che spella filialmente agli argomenti dominatici, a cui
vuole che si appoggi il giudizio, egli dice non essere altri che gli
aperti testi della santa Scrittura e l'antica e certamente costante
tradizione universale della Chiesa. Intorno a che, se badassimo al
solo caso presente potrebbe concedersi all'Anonimo la sua preten-
sione; giacche, come sopra notammo, son rari i dommi che abbia-
uo al pari dell'infallibilità pontificia in loro favore sì manifeste te-
stimonianze della divina Scrittura e della perpetua tradizion della
Chiesa. Nondimeno, guai data in sé stessa, la proposizione è molto
inesatta. Imperocché, secondo gl'insegnamenti della sana teologia,,
acciocché la Chiesa possa definire una verità come domina di fede,
non è mestieri che questa sia esplicitamente e con aperte parole ri-
velata, ma basta che sia rivelata implicitamente in altra verità, da
cui solio l'assistenza dello Spirito Santo, venga dedotta. E cosi an-
cora, essendo la Chiesa sempre indefettibile nella credenza, basta,
assolutamente parlando, guardare la tradizione di alcuni secoli, per
accertarsi che una verità è contenuta nel deposilo della fede, quan-
d' anche non si trovasse espressamente professata nei monumenti
che ci restano dei secoli anteriori. La Chiesa in niun tempo può ab-
bracciare T errore; non potendo in niun tempo prevalere contro di
lei le porte dell' inferno.
L'ultima conclusione dell'Anonimo è che il Vescovo in ogni caso
deve dare il voto negatho. Imperocché, egli dice, o il Vescovo do-
po 1' esame l'atto delle ragioni non è giunto a conseguire certezza, e
in (àie ipotesi non può imporre ai fedeli come domina una verità,
di cui egli slesso dubita; o è giunto a conseguire tale certezza il che
reputa molto difficile), e allora lo dissuaderanno dal dare il volo af-
ferra itivo li' igtooi d' inopportunità, attesi i pericoli sopra descritti.
.Ma il \< la contraria illazione dovea anzi dedursi. lin-
cilo egli eia da dire: O il Yescn\o é giunto a conseguir*1 cer-
6 allora é tenuto a dare il Mito affermativo, disprezzando i li-
mo! I dir Li predilla carnale gli rappresenta; owero non è giunto
a ed! il ilio pie mollo difficile , e allora può e
dee formine il giudizio pratico pel volo affannati vo in virtù di argo-
A PROPOSITO DELL' IX FALLIBILITÀ PONTIFICIA 47
meati estrinseci irrecusabili. Diciamo qualche parola d'amendue
le ipotesi.
Se il Vescovo è giunto a conseguire certezza (il che non può fal-
lire, stante la luce onde sfolgora l' infallibilità Pontificia) ; è evidente
che egli ò tenuto a dare il -voto affermativo, atieso l'obbligo che gli
corre di assicurare l' integrità della fede, in un punto sì essenziale
e tanto accanitamente oggidì assalito. IXè i pericoli, che enumera
l'Anonimo, debbono punto commuoverlo; stanicene essi o sono vani
spauracchi, o certo son tali che vengono superati dai pericoli che
sovrastanno dalia non definizione. È giudiziosissimo il parallelo,
che tra i pi irai e i secondi istituisce un altro Anonimo in un opusco-
lo da lui contrapposto al presente. « Se si paragonano, egli dice, i
pericoli e gl'incomodi, che proverrebbero dalla non definizione, coi
pericoli e gl'incomodi delia definizione, si parrà chiarissimamente:
« t.°Che i pericoli della prima sono del tutto certi e in gran par-
ie presenti, giacche vediamo e ci sta dinanzi l'insolenza dei nemi-
ci dell'autorità Pontificia, lo scandalo dei pii fedeli, le dissensioni
ira i Vescovi, e gli altri deplorabili mali, già sotti dal differimento
della definizione, i quali senza dubbio si aggraverebbero, se la de-
finizione fosso tralasciata.
« Per contrario i pericoli della definizione appartengono in gran
parte ai futuri contingenti; e sebbene alcuni di loro non mancano
di probabilità, tuttavia sembrano molto esagerati. Nò poteva spe-
rarsi che lo spirito di parte, il quale ha pervertito gii stessi fatti sto-
rici, non eccedesse la misura nel congetturarne dei possibili.
« E vaglia il vero, quanto sieno poco serii non pochi dei pretesi
pericoli, ben lo dimostra il modo di operare di quelli, che li pro-
pongono. Imperocché tra coloro, i quali sostengono che il dom-
ina dell' infallibilità pontificia e ignorato nei loro paesi e però non
può definirsi senza rischio di scandalo, altri affermarono cotesto
<lomma nei Concilii provinciali e vollero che fosse insegnalo nei ca-
techismi ai fanciulli ed ai rozzi come verità inconcussa; ed altri nu-
trirono gli stessi timori, quando si trattò del domma dell'immaco-
lata Concezione, e felicemente furono smentiti dall' esito. È lecito
pensare che essi per simili cagioni cadano ora in simile inganno.
48 CU CASO DI COSCIENZA
}la non lo stesso può dirsi dei pericoli, che seguirebbero dalla non
definizione; giacche questi non si presagiscono, ma già si toccano
con mano.
b 2.* I pericoli della non definizione sono intrinseci, e si atten-
gono alla stessa esistenza della Chiesa. Yale a dire, la sua tradizio-
ne si oscurerebbe, l'unità resterebbe turbata, l'autorità s'indeboli-
rebbe, il Pontificalo ne sarebbe avvilito, la Gerarchia disciolta. Per
contrario i pericoli della definizione per lo più sono estrinseci e
riguardano coloro, che son fuori della Chiesa. Or questi stessi, se
son sinceri, non possono venir dissuasi dall' abbracciare la verità,
per la proposta definizione. Quelli poi che massimamente si lamen-
tano di questo articolo, sono tali, che vorrebbero diventare cattolici
senza esser costretti a sottomettere il loro intelletto; in altri termi-
ni , mentre la forza degli argomenti li sospinge alla cattolica ve-
rità, lo spirito di eresia li distoglie dall'umile ossequio della fede.
Malamente la Chiesa, affin di guadagnare sì falli seguaci, abban-
donerebbe la sua tradizione ed autorità.
« 3.° I pericoli della non definizione sono gravissimi ed essen-
ziahnente contrarli all'istituzione di Cristo e alla tradizion de' mag-
giori. Imperocché non ci ha nulla più caldamente raccomandato da
Cristo, che l'unità della sua Chiesa e la sommissione di tutti i fe-
deli all'autorità, che li regge ; non ci ha nulla che nei secoli scorsi
i Pontefici e i Dottori non credettero doversi posporre alla purità
della dottrina cattolica.
« Pei* contrario i pericoli della definizione, in ciò che riguarda
gli stessi cattolici, sono meramente accidentali e originati da difello
di debita sommissione all'autorità della Chiesa. Certamente la Chie-
sa con materna pietà tratta i deboli nella fede ; ma per la loro in-
obbedienza non può astenersi dal confermare la propria autorità, e
dallo slesso Cristo ha appreso ad avere in conto di etnici e pubbli-
cani coloro che non vogliono ascoltarla.
« I.1 Inoltre i più principali di cotesti pericoli sono volontarii e
quasi unicamente nascono dai sofismi e dalle male arti dei nemici
dell'autorità pontificia. Imperocché se cattolici scrittori non avesse-
ro travisato alcuni fatti storici e non avessero soffiato negli all'etti
A PROPOSITO DELL' INFALLIBILITÀ PONTIFICIA 49
ostili olla Chiesa romana, non deploreremmo la turnazione di fede
in tante persone, nò l'animosità di alcuni Governi, né l'eccitamen-
to della pubblica opinione. Si domanda dunque con qual diritto si
possano opporre alla Chiesa queste inique arti dei nemici della ve-
rità, per impedire la manifestazione della medesima? A quelli, che
inventarono e propagarono menzogne, corre obbligo strettissimo di
ritrattarle ; essi soli daranno conto a Dio dei tristi frutti di semente
sì rea.
« o.# Finalmente i pericoli, che si obbiettano, sono tali, che non
dissuasero mai la Chiesa dall' affermare la sua tradizione. Imperoc-
ché né l'ostilità della pubblica opinione, né le minacce delle potestà
della terra, né il timore di scisma/nè il sospetto che i deboli nella
fede non venissero a partiti estremi, né in fine l'opposizione di Ve-
scovi, potenti per numero ed autorità, impedirono giammai i pre-
cedenti Concilii dall' affermare la verità negata e dal condannare gli
sparsi errori 1. » Ciò per la prima ipotesi.
Se poi si verifica la seconda ipotesi, cioè se il Vescovo non giun-
ge a conseguire certezza per l'esame intrinseco delle ragioni (il che
ripetiamo è quasi impossibile) ; allora egli può e deve volgersi agli
argomenti estrinseci dell'autorità, affin di appoggiare sopra di essi
il suo giudizio. Questo punto è stato sodamente trattato dall'egregio
P. Potton dell' Ordine domenicano, il quale nella graziosa confuta-
zione, che anch' egli ha fatto del presente opuscolo, finge appunto
il caso di un Vescovo, il quale impedito o dalla vecchiezza, o da
gravi occupazioni, o da mali consiglieri, o dai pregiudizii di una
cattiva istituzione, o da qualunque altra cagione, non vegga ciò che
chiaramente veggono tanti altri, intorno alla verità e alla opportu-
nità della desiderata definizione. È questo il caso del dubbio per-
sonale, supposto dall'Anonimo. Che dovrà fare il Vescovo in tale
stato ? Ciò domanda a sé stesso il P. Potton. E rispondendo, dap-
prima gli consiglia la fervente orazione (cosa dimenticala dall'Ano-
nimo nel suo opuscolo), acciocché il Padre de' lumi si degni ri-
1 Episcoporum conscientia in luto posita quoad gravissimam de Ponti-
ficìae infallibilitatis definiti one quaestionem. Pag. 11.
Serie TU, voi. XI, fase. 487. 4 22 Giugno 1870.
50 IN CASO DI COSCIENZA
schiarargli la mefite e condurlo al discernimento della velila. Dipoi
l'invita a considerare le ragioni estrinseche e patenti in favore dei
voto affermativo ; e sarà bene riferire questo tratto colle sue stesse
parole. « Guardi dunque e vegga, egli dice. Imperocché, lasciando
indietro i tempi andati, bastano i presenti. Coloro che gli persua-
dono il Placet, certamente formano un numero assai maggiore di
Prelati della Chiesa. Or chi potrà mai darsi a credere che lo Spi-
rilo di verità, il quale fu da Cristo promesso agli Apostoli, adesso,
in affare gravissimo, contro gli oracoli divini che chiamano la Chie-
sa Colonna e fermezza della verità, f abbia abbandonata per mo-
do, che la maggior parte dei suoi Pastori, almen cinque sesti, stu-
diosamente e ardentemente chiegga che si definisca una sentenza,
la cui definizione sia empia o calamitosa? Chi potrà mai persuadersi
un tanto assurdo?
« Altro è la scienza umana, la quale benché talvolta non ricusi la
via dell'autorità, nondimeno attribuisce più pregio alle forze dell'in-
gegno e alla considerazione delle interne ragioni; ed altro è la fe-
de divina, la quale superando la potenza della ragione (giacché ò
argoiiìento di cose non apparenti) si appoggia principalmente al-
l'autorità. Ben certamente nelle materie di fede è lecito dedurre il-
lazioni sillogizzando dalle Sacre Scritture, o dai Canoni de' Conci-
ni, come fecero e fanno i teologi d'ogni età e d'ogni nazione. Ma al
lutto e assai più da fidare nel comun senso della Chiesa, apparte-
nendo ad essa il giudicare con finale sentenza, per istinto divino,
del vero senso delle Scritture e della legittimila della tradizione.
Ninno ignora quanti e quali siano slati nei varii secoli i delirii degli
ereliei. D'onde l'origine di tanto male ? Da questo certamente, che
più ti Confidando essi nella propria sapienza imprudentemen-
te non curarono il eomun senso della Chiesa e non apprezzarono ba-
Stevol mente l'autorità nelle cose di Fede. Or noti, la Vostra Gran-
dezza, e ponderi ((santo debba valere nel caso presente l'autorità di
quasi tuli ópatòi equanlo grave fallo sarebbe i :i pe-
i itoli e contrario alla santa umiltà il separarsi in qualsiasi modo
dalla senien; desìfUO.
« Se tali 0086 non bas!,r.io. volga l'animo a eonsidoraie (juanti
errori gra\ issimi e perniciosissimi e intollerabili si lro\ino dalla
A PROPOSITO DELL INFALLIBILITÀ PONTIFICIA 51
parto di quelli che avversano l' infallibilità Pontifìcia ! Vegga a chi
prestino appoggio le autorità secolari, le quali sempre o quasi sem-
pre, secondo la profezia di Davidde, si sforzano di scuotere il giogo
di Cristo, ed abboniscono il bene della Chiesa! Vegga da qual par-
te stia, ed a cui suffraghi l'immonda turba degli empii, i quali vo-
gliono ad ogni costo rovesciare la Chiesa e stabilire il regno del
diavolo. Vegga da qual parte si trovino le passioni, le frodi, le mac-
chinazioni, l'irriverenza al Pontefice, la violenza, la pertinacia, la
superbia, l' audacia, e gli altri vizii, che vai meglio tacere.
« Se anche queste cose non bastano, ecco il sommo Pontefice.
Che egli sia il Vicario di Cristo e il fondamento della Chiesa, niuno
è che non tenga. Che abbia piena potestà di pascere e governare la
Chiesa universale, è creduto da tutti Or un tempo forse si potè da
alcuni dubitare da qual parte egli inclinasse intorno all' opportunità
della presente questione. Ma oggigiorno, ogni dubitazione è tolta di
mezzo. Il santissimo Signor nostro, Pio IX, e nelle innumerevoli
sue leltere, e nelle conversazioni private, e nei pubblici sermoni, e
ciò che più è colla proposta dello Schema al Concilio, apertamente
ha manifestato la mente sua, sicché è svanita ogni occasione d'ulte-
riore incertezza. Si ha dunque, in maniera cospicua, dinanzi agli
occhi l'immensa maggiorità de' Pastori di questa Chiesa, che è go-
vernata dallo Spinto Santo, con a capo il Vicario di Cristo, in fa-
vore della definizione dell' infallibilità, e sì risolutamente, che essa
sarebbe oggimai conchiusa, se innumerevoli, e non aspettati, e quasi
incredibili ostacoli da ogni parte non si fossero opposti 1. » Siffatte
considerazioni, il Potton giustamente conchiude, son validissimo ar-
gomento per rimuovere ogni esitanza dall'animo di quel Vescovo, il
quale per avventura ancor vacillasse intorno alla verità dell' infalli-
bilità Pontificia o all' opportunità della sua definizione. Il peso im-
menso d' un' autorità così grande è più che bastevole ad assodare
il suo giudizio.
1 Responsio ad opusculum quoddam cui tìtulus: Disquisitio moralis ctc.
concinnata a R. P. Fr. Maria-Ambrosio Potton Sac. Ord. Praed. Pag. fcJL
RIVISTA
DELLA
STAMPA ITALIANA
L
Degli istituti di carità per la sussistenza e l'educazione dei poveri
e de prigionieri in Roma, libri tre del Cardinale Carlo Luigi
Monchini, Vescovo di Iesi. Ediz. novissima — Roma, stabil.
tipografico camerale, 1870. Un voi. in 4.° di pag. 81 G.
Nel 1840 il cardinal Monchini, allora minor prelato, recitò nel-
l'Accademia di Religione Cattolica in Roma una dotta dissertazione,
data alla luce il medesimo anno nel voi. XI degli Annali dello
scienze religiose. Tolse a dimostrare in essa, che i Romani Ponte-
fici furono i primi a concepire ed eseguire il ben inteso migliora-
mento delle prigioni, e che questo ha per principalissimo elemento
la religione cattolica. Or sul medesimo tema si versa lutto il terzo
libro del recente volume che annunziamo. L' illustre Porporato
svolge qui compiutamente ciò che non potè se non accennare mila
menzionata dissertazione, e conferma di vantaggio la verità del suo
assunto con porre in mostra quel di più, che si ò operato a prò
delle prigioni di Roma negli ultimi trent'anni, quanti ne sono corsi
dal 1850 al 1870, de' quali la maggior parte spelta al glorioso
governo del regnante Pontefice.
RIVISTA DELLA STAMPA ITALIANA 53
Noi diamo nel presente quaderno un brevissimo cenno di que-
sta ultima parte del volume del Monchini, siccome già ne' due
quaderni precedenti abbiamo dato un somigliante cenno delle pri-
me due, nelle quali egli discorre delle istituzioni che fioriscono
in Roma di misericordia corporale, e di quelle altre di misericordia
spirituale.
A diffondere poi cotali notizie ci è stato di forte stimolo una con-
siderazione, che fa il eh. Autore nella prefazione della sua opera.
« Ogni persona, così egli dice, che si educa alle buone discipline,
studia fin dai primi anni nell'istoria di Roma pagana, dimodoché
le rimembranze dei fatti di questa famosa dominatrice dell' uni-
verso si legano colle più care della nostra prima giovinezza, e per
lunghezza di tempo non mai si dimenticano. Chi è poi che non sap-
pia dei monumenti dell'antica romana grandezza, che ancora ci re-
stano e dimostrano siccome classico questo suolo ? Chi mai ignora
l'anfiteatro Flavio, il palazzo de' Cesari, il Circo massimo, la Mole
Adriana, gli archi trionfali, gli obelischi, le terme, i templi, il Foro,
il Campidoglio ? E i capolavori in marmi ed in tela, di che Roma
è sopra ogni altra città ricchissima, non sono ad ognuno notissimi;
e non traggono tuttodì stranieri in gran numero d' oltremonti e d'ol-
tremari ad ammirarli ? Anche le splendide e devote cerimonie di
Roma cattolica, e le cristiane antichità, e le memorie e i sepolcri
dei martiri, e le chiese e le basiliche sono chiare ed illustri; ma
ben poco si conosce di Roma quanto alle istituzioni di carità , che
figlie della morale evangelica produssero gentilezza ed incivilimen-
to. Da questo sconoscere le nostre cose nacquero assai false idee
su Roma, che si tenne da alcuni come luogo di miseria e d' igno-
ranza, e si volle per vitupero chiamare la città delle rimembranze,
quasiché null'altro ci avesse di buono, che le glorie degli antichi.
Essa però seguitando la vera indole della carità cristiana, la quale
suole andarsene tacita e modesta, operò molto e non menò alcun
rumore. A questi dì per altro, che tutti parlano e scrivono di cari-
tà, parca disdiccvole che si tacesse di Roma, la quale può dirsene
maestra ; onde è che stimai cosa edificante per la Chiesa, e non
disutile e forse onorevole alla patria mia far di pubblico dritto quan-
I)i imi
to ci ha d' istituii, che proveggono alla sussistenza ed al migliora-
mento morale del povero 1 ».
Intanto colla divulgazione e colla celebrità, che tutte cotesto no-
tizie sugl'istituti della romana carità avranno certamente dallo stes-
so intrinseco merito del volume, in cui esse sono esposte per minu-
to, e dalla stessa chiara fama di colui che le ha riferite ; abbiamo
voluto aggiungere quella, qual che essa sia, la quale può provenire
dalla diffusione del nostro periodico.
Diamo principio a quest'ultimo cenno daHc carceri in via Giulia,
le quali si chiamano carceri nuove, come si cominciarono a chiama-
re dal tempo, in che le fece costruire il Papa Innocenzo X. L' Ho-
ward venuto a visitarle verso la metà dello scorso secolo, le anno-
verò fra le migliori, che avea viste in tutta 1' Europa. Questi è il
celebre Howard, nominato l'amico de' poveri, degl' iufelici ed in
ispecie de' carcerati ; poiché coi viaggi, coi consigli e coi libri che
mise a stampa contribuì a migliorare lo stato delle prigioni. Ma in
Roma cotesti miglioramenti erano già incominciati ad eseguirsi col
fatto, quando altrove non ancora si era principialo a stabilirne la
teorica. Leone XII ed il regnante Pontefice Pio IX migliorarono di
vantaggio questo carcere, che al presente ò carcere di prevenzione,
cioè destinalo pe' soli detenuti sotto processo; eccetto il caso, in cui
alcuno ò condannato ad una detenzione di breve durala. Giacche la
pena della semplice detenzione qui si applica in due soli gradi; da un
mese ad un anno, e da un anno a tre : e vi è regolamento che se il
processo duri oltre a tre mesi, il di più si metta a conto della pena;
anzi il tribunale ha potestà ancora di calcolare nella pena quei tre
mesi della processura. Se dunque dopo la sentenza resta poco tem-
po di pena, la Direzione generale delle carceri suol permettere, che
. esso si compia in questo medesimo e li pi e volizione. Le don-
ne sono ; dagli uomini, e su di esse invigilano le
ottime Suore della Provvidenza e della immacolata Conce/ione, le
quali hanno slan/a nel! l sfestia prigione. Una buona parte di questi
nuli è de' paesi circonvicini, che non hanno prigioni siane.
1 P*g,33e«
DELLA STAMPA ITALIANA 55
Non vi ha qui obbligazione di lavoro, essendo, come si è detto,
un carcere di prevenuti e non di condannati. Oltre a ciò l'espe-
rienza dimostra, che chi è sotto procedura ha l'animo agitato e non
inclinevole ad alcun' opera di mano; e nemmeno ne ha il tempo,
mentre questo in gran parte si passa negl'interrogatorii, nelle se-
dute e negli abboccamenti col procuratore. Pur nondimeno vi stan-
no officine per alcuni mestieri, come di calzolaio e di sarto; chi
vuole lavora, e il guadagno è tutto suo. Si permette di scrivere, e
di avere e ricevere libri, i quali però sono prima esaminati.
Il carcere di punizione è alle Terme di Diocleziano. Vi son cu-
stoditi gli uomini e le donne, condannate alla pena della semplice
detenzione, o a quella dell'opera pubblica, che si applica in due
gradi, da 1 anno a 3, e da 3 a 5. Questa differisce dalla galera, la
quale è da 5 a 20 anni o anche a vita, e si sconta non in Roma, ma
a Civitavecchia, a Porlo d'Anzio, aTerracina, a Paliano e a Civita-
castellana. Gli uomini sono al tutto separati dalle donne. Alcuni di
essi fanno nelle stesse carceri panni e scarpe per uso de' carcerati
di Roma ; circa (iO si conducono ogni dì a fabbricare nel Campo
Verano ; altri 50 stanziano il solo inverno ad Ostia per proseguirvi
gli scavi incominciati ; ed altri 40 anche nel solo inverno abita-
no alle Tre Fontane, e lavorano a fm di rendere salubre quel luo-
go, santificato dal martirio dell'apostolo S. Paolo, che il Pontefice
Pio IX ha dato da qualche anno in custodia ai religiosi Trappisti.
I profitti di queste opere si depositano nella Cassa di risparmio, e
si danno ai condannati quando escono dal luogo di pena. ì Fra-
telli della Misericordia in numero di 10 sopraintcndono siili' infer-
meria, sulle sale di lavoro, sulla dispensa e sulla guardaroba.
Le Suore testé nominate della Provvidenza e della Immacolata
Concezione, vennero nel 1854 a dirigere l'altra parte dello stesso
carcere, che è destinata alle donne. Esse hanno ivi introdotta l'arte
de' merletti al modo di Fiandra, e i ricami di ogni specie ; ed in
questi ed in altri lavori donneschi tengono occupale le detenute.
Questa casa di condanna è per le donne di lutto lo Stato.
Il carcere de' minorenni sotto Clemente XI era presso l'Ospizio
Apostolico di S. Michele ; Leone XlUnell'anno 1827 lo trasferì in
56 RIVISTA
una nuova fabbrica, che fece costruire vicino al carcere Innocen-
ziano in via Giulia; finalmente il regnante Pontefice Pio IX nel 1 8Z> 5
destinò a questo effetto il monastero di S. Balbina. Sono quivi rac-
colti i giovani prevenuti, i condannali, i catturati per misura di po-
lizia, e i discoli a richiesta de' loro parenti. Sono ricevuti dagli 8
anni sino ai 21. De' condannali che compiono l'anno ventunesimo
e non hanno ancora scontata tutta la pena, si dà avviso alla Dire-
zione generale delle carceri e case di condanna, con un rapporto
dei superiori locali intorno alla utilità di continuare o no la dimora
nel luogo, affinchè la podestà governativa disponga a proposito.
La prima opera di carità, confidata in Roma ai Fratelli della Mi-
sericordia, fu appunto questa di dirigere il carcere di S. Balbina.
Essi tengono i giovanetti divisi, per quanto si può, secondo le età
e le cause della cattura. Gli occupano nelle scuole d' istruzione, e
nelle officine delle arti. L istruzione che danno e il leggere, lo
scrivere, il catechismo, la storia sacra e della Chiesa, il disegno
lineare e il sistema metrico. Fanno imparare diversi mestieri sotto
probi e liberi capi d'arte ; e addestrano alcuni all'agricoltura nel
vicino fondo che appartiene alla prigione. 1 guadagni si tengono
in serbo; e si dà a ciascuno il suo quando parte. Si osserva il si-
lenzio tutto il dì, salvo ne' tempi di ricreazione. La notte sono tutti
rinchiusi in cellette separale.
Il carcere di Roma meglio costruito è presso l'Ospizio Apostolico
di S. Michele. Clemente XI, come testò abbiamo accennato, ne in-
nalzò per custodirvi i minorenni la più gran parte, col disegno di
Carlo Fontana. L'altra parte fu eretta dal Pontefice Clemente \ll
perle donne condannate alla detenzione; e ne fu architetto Alessan-
dro Fuga, che imitò il disegno del Fontana. L'americano Giorgio
William Smith, nell'opera che stampò in Filadelfia l'anno 1833,
parla di questo carcere ne' termini seguenti : « A Roma si deve la
prima grande riforma della disciplina penitenziaria. La prigione,
nella quale essa fu introdotta, ò restata pressoché un secolo esem-
pio unico della carità cattolica. Egli è vero che si erano stabilite in
altri paesi delle case di lavoro, dove travagliavano i detenuti ; ma
le comunicazioni corruttrici permesse notte e giorno, la mescolanza
DELLA STAMPA ITALIANA 57
di tutte le età, di tutte le classi, di tutt* i sessi, in una massa di
gente iniquissima, rendeva l' imprigionamento de' giovani delinquen-
ti una sentenza di morte spirituale. Quegli eh' entrava nella prigio-
ne, novizio nel delitto, vi compiva una educazione di scelleratezza,
e lasciando in quelle mura la riputazione, la vergogna, lo stimolo
all' industria e alla virtù, ne usciva depravato e quasi forzato ad
esercitare il brigantaggio come un mestiere. Tal era la condizione
delle prigioni, chiamate con verità scuole del delitto, quando fu in-
nalzato il bello stabilimento di S. Michele: i fondamenti furono po-
sti sopra la base della umanità e d'una sana filosofia. I gran mali
che ingenerava l'ozio furono prevenuti con un lavoro costante, du-
rante il giorno. Si stabilì il silenzio e la separazione notturna. Sen-
tenze morali furono scritte su tavolette, sempre esposte alla vista
dei prigionieri. Si diede T istruzione religiosa. La punizione era
esercitata sotto le regole di una disciplina dolce, costante, vigilante
ed inflessibile : la riforma e non il soffrire era il nobile scopo della
istituzione. » Così egli.
Al presente i minorenni son custoditi, come abbiam detto, a
S. Bulbina, e le donne alle Terme di Diocleziano. Gli uni e le altre
stanno a quella stessa savissima disciplina, che osservavasi nel car-
cere di S. Michele ; la quale anzi si è potuta in alcuni punti, colla
scorta della esperienza, condurre a novelli perfezionamenti.
Intanto il nominato carcere di S. Michele, vale a dire la mi-
glior fabbrica di tal genere che sia in Roma, è oggi tutta destinata
a quei che chiamano prigionieri politici, o siano prevenuti o con-
dannati alla detenzione. Dimorano ivi 4 Fratelli della Misericordia
ed attendono alla infermeria, alla cucina e alla guardaroba. I car-
cerati non sono costi etti al lavoro, ma se vogliono han tutto l'agio
di esercitare a proprio conto o alcune arti meccaniche o anche
quelle liberali del disegno e della pittura. Non si negano loro i li-
bri nò la carta per iscrivere.
Vi ha due altre carceri speciali, entrambe di prevenzione ; luna
pe' soli militari, l'altra pe' soli ecclesiastici. La prima ò in Castel
S. Angelo, ove i prigionieri, durante il processo, son trattati come
gli altri compagni d'arme. Dichiarati innocenti, tornano ai loro bat-
58 RIVISTA
taglioni: condannati alla galera o all'opera pubblica, sono scacciati
dalla soldatesca, e rinchiusi nelle prigioni comuni. La pena capitale
che è rarissima, si eseguirebbe, presenti le milizie, colla fucilazio-
ne nel Castello medesimo. Gli ecclesiastici prevenuti son custoditi,
nel tempo della processura, in una parte del Convento de' Padri
della Penitenza, a S. Maria delle Grazie, presso porta Angelica.
Vi son trattali alla maniera dei religiosi. Nel caso di condanna si
trasportano alla città di Cometo, nella prigione tutto speciale pei
rei dell'uno e dell'altro clero. Chiamasi Pia casa di penitenza o
Ergastolo; fu eretta da Urbano Vili e restaurata da Pio VI ; di-
pende dal Vescovo di Montefìascone e dal Decano dei Chierici di
Camera.
Le donne di malaffare, condannate alla detenzione, sono custo-
dite nella casa del Buon Pastore alla Longara, sotto la cura delle
piissime Suore di Àngers, dette di Nostra Donna della Carità del
Buon Pastore ; le quali attendono alla conversione delle donne che
menano una vita licenziosa, ed a preservare dalla caduta le donzel-
le pericolanti. La casa è divisa in quattro parti ; l'una è delle Suo-
re; e nelle tre rimanenti abitano tre diverse famiglie, ciascuna al
tutto separata dalle altre. La prima famiglia è di donne penitenti,
le quali dimorano ivi di lor volontà. Son mantenute o gratuitamente
o a spese di benefattori. Tutte lavorano, ed intanto si; come posson
restare nel pio luogo tinche non trovino un collocamento onesto,
così son libere di uscire ancorché non venisse fatto di collocarle. Se
qualcuna volesse farsi religiosa, si manderebbe in uno de' conventi
a ciò <!cstin;iti ; poiché qualunque sieno le qualità e i talenti d'una
convertita, non potrebbe mai esser ricevuta nella Congregazione del
Buon Pastore. La seconda famiglia è delle donne preservale. Final-
mente l'ultima è, come abbiamo dclto, delle donne di partito con-
dannai alta detenzione. Esse sono obbligate al lavoro, e si li!
loro dì perdi ima mela del guadagno. Tutta la pia casa ed in i
è st;i!;i sotlo il governo del regnante
Pontefice notabilmente migliorala ed ingrandita.
uria lnnoccn/iana a Monte Citorio vi ha alcune camere di
dopo*' nsito, ove son custoditi gli accusali per quel solo bre-
DELLA STAMPA ITALIANA 59
ve tempo, che è necessario ai primi esami ; dopo i quali o essi si
liberano o si mandano al cacere di prevenzione. . Quivi stesso è un
altra prigione adoperata a tempo brevissimo per misura, come di-
cono, di polizia.
Queste sono le carceri di Roma, le quali, come ottimamente os-r
serva il cardinal Monchini 1, si procura che non si aprano ad ac-
cogliere gran numero di delinquenti; il che ha effetto mercè di quei
due generi di istituzioni benefiche, le quali fioriscono tra queste
mura, e si vedono descritte nei primi due libri dell'egregia sua
opera. E per fermo le più funeste ed efficaci cagioni dei delitti sono
la miseria e l' ignoranza. La miseria è mitigata in questa città con
quelle istituzioni caritative, che provvedono alle infermità corpo-
rali, ed alle strettezze dei poveri; l'ignoranza è sbandita da quegli
altri istituti piissimi, che diffondono da per tutto t istruzione così
letteraria come religiosa.
Ma conferiscono anche più direttamente ad impedire e raffrenare
il mal costume quelle pie Case, ove si rinchiudono di propria ele-
zione o le donzelle pericolanti, o le donne di partito che si ravve-
dono. Abbiamo già accennato di sopra, che nel monastero del Buon
Pastore alla Longara si contano due famiglie, l'ima di donzelle pre-
servate e l'altra di donne penitenti. In via Felice vi è la chiesa ed
il convento di S. Francesca romana, ove, se vogliono, possono ri-
fugiarsi per tutto il resto di loro vita, quelle donne che escono dal-
lo spedale di S. Giacomo in Augusta. Però non si ammettono se
son maritate o vedove. Dal lavoro delle proprie mani e da qualche
piccola rendita esse ritraggono il povero lor mantenimento. È leci-
to a chi piace di partirsi ; ma, come narra il Monchini, quasi tutte
perseverano. « L'opera, egli soggiunge, è tale che merita altissima
commendazione, ed io ho sentito in cotesto luogo una certa com-
mozione che non saprei esprimere ; e un sentimento di tenera sod-
disfazione provai nel vedere tante infelici vittime della seduzione,
incamminate in quel silenzioso ritiro per le vie della più perfetta
virtù 2. » Per le zitelle e per le vedove e maritate, che escono dal
1 Pag. 675. - 2 Pag. 744.
(H) RIVISTA
carcere delle Terme, vi è la special Casa di Rifugio presso S. Ma-
ria in Trastevere. Se esse lo domandano vi si accolgono; ed accolte
si procura di persuaderle a restarvi, se pure non andassero in casa
de' loro mariti, o non avessero buoni parenti, che ne prendano cu-
ra. Un altro ospizio è sulla via che dal Colosseo conduce alla Basi-
lica Lateranense, e chiamasi di S. Maria Lauretana. Quivi le Suore
già nominate del Buon Pastore dirigono, come nel monastero alla
Longara, due comunità ; l'una di preservate e l'altra di penitenti.
Il rev. P. Antonio Bennicelli de' Ministri degl'infermi, parroco di
S. Maria Maddalena, apri nel 1865 una nuova Casa per le giovani
ravvedute che escono dall'ospedale di S. Giacomo. Il pio ospizio
in gran parte fabbricato di nuovo è nella via di S. Francesco di
Sales alla Longara, ed è sotto la direzione delle più volte lodate
Suore del Buon Pastore.
Siccome abbondano le varie opere di misericordia a fin di pre-
venire i delitti e le ricadute; cosi quando la giustizia incoglie i col-
pevoli, non solo non trasmoda mai da' proprii confini, ma lascia il
campo alla privata carità, ed alla sovrana clemenza, la quale, co-
me a lungo dimostra il eh. Autore, traspira dalle leggi, dalla pro-
cedura, e da tutto l'ordinamento della giurisdizione criminale. Di
qui segue che ne' luoghi di condanna, de' quali parli imo, si sta ad
un giusto mezzo, evitandosi que' trattamenti o d' inesorabile seve-
rità o di soverchia dolcezza, i quali applicati alle carceri di altri
paesi si vedono produrre effetti contrarli a quelli che si speravano di
ottenere. La carcere è qui stabilita, qual dev'essere, cioè qual casa
di pena : ed il carcerato vien riguardato come uomo guasto dal de-
litto, non però si fattamente che non possa correggersi col gastigo
e diventare migliore. Ogni cosa dunque si amministra in tal ma-
niera da raggiungere questo scopo di correzione e di miglioramen-
to; e però mentre il rigore tien lungi tutte quelle licenze, che val-
gono a maggiormente pervertire i costumi, la pietà adopera tutte
quelle industrie che giovano a ripiegarli verso il bene. Quindi, per
cagion d'esempio, la separazione degli uomini dalle donne, dei gio-
vanetti dagli adulti, dei prevenuti dai condann iti : l'ozio sbandilo ;
stabilita la segregazione notturna, ed il silenzio nel tempo dei la-
vori ; vietato ai custodi di accettare dai detenuti qualsiasi regalo,
DELLA STAMPA ITALIANA 61
benché minimo, sotto pena d'immediata destituzione; e, per venire
a qualche cosa più particolare, proibito l'uso dei liquori, ed oltre a
quella parca quantità di vino che ciascuno riceve quotidianamente
dall'amministrazione governativa, si permette che ne comprino a
loro spese, ma però non più di una foglietta, che è meno di mezzo
litro, al giorno. Finalmente tutte le azioni della giornata sono ri-
partite con ordine, e si fanno a suono di campana.
Si attende poi con somma diligenza a coltivare i poveri prigionie-
ri nelle cose religiose. Le carceri nuove dipendono in ciò dal par-
roco di S. Lucia al Gonfalone. Un cappellano abita nell'interno, ce-
lebra ogni mattina la messa, a cui assistono tult'i carcerati, eccetto
quelli rinchiusi nelle secreto, i quali l'ascoltano nelle sole feste di
obbligo, eVè per loro un altro sacerdote. Tutti ogni sera reci-
tano il santo Rosario, si dispongono a celebrare le principali so-
lennità che occorrono fra Tanno con divote novene ; circa la Pasqua
fanno gli esercizii spirituali por otto di ; e con opere convenienti
alla loro condizione partecipano ai giubbilei ed alle indulgenze, che
si concedono dal sommo Pontefice. I rev. Padri di S. Girolamo,
quelli della Compagnia di Gesù ed una Congregazione di ecclesiastici
secolari, frequentano queste prigioni per consolare i carcerati, per
far loro istruzioni, e per ascoltarne le confessioni. A un di presso
le stesse pratiche di religione si compiono nelle altre carceri. Ma
è degno di menzione quel che il cardinal Monchini riferisce della
prigione dei minorenni a S. Balbina. « Avviene, egli dice, che nei
giorni festivi, quelli che sono usciti di colà, perchè compilo il tem-
po della loro pena, vi ritornino a fin di praticare le opere di reli-
gione, e per ricevere i sacramenti da quegli stessi buoni Padri
Passionisti o dagli altri buoni Sacerdoti, che li diressero nelle cose
dell'anima 1. »
Ma acciocché si mettano in esecuzione il più perfettamente che si
può tulle le leggi intorno al buon andamento delle carceri ; ed ab-
biano i carcerati quel maggior sollievo, che nello stalo in cui si tro-
vano può loro concedersi, sì quanto al corpo come quanto allo spi-
rito; sono stabilite le visite delle prigioni, le quali si fanno in certi
1 Pag. 722.
62 RIVISTA
(empi determinati dalle persone a ciò delegate dal Governo. Così
almeno una volta al mese si conducono a visitare ogni luogo di cu-
stodia e di detenzione il Preside della provincia o il capo del tribu-
nale, il Vescovo o il Vicario generale o il capo del clero, il capo dei
magistrati, un deputato almeno della congregazione di Carità, ove
essa esiste, il Procuratore de' poveri, il cancelliere del tribunale e
il medico delle carceri. Vanno tutti insieme ad osservare e provve-
dere l'ordine religioso e morale, la nettezza delle carceri, e 1' uma-
nità del trattamento de prigionieri.
Nelle prigioni di Roma vi è di più la visita detta graziosa tre volte
l'anno, a Pasqua, alatale e nel mese d'Agosto. « È questa, dice il
Monchini, la visita graziosa, che si fondava da Eugenio IV, creato
Papa nel 1431, ne' primi anni del suo pontiticato, prendendone
l' idea da un antico uso della Chiesa, riferito da iNiceforo Calisto. 1
magistrati dell'ordine giudiziario ed i procuratori de' poveri si reca-
vano due volte il mese alle prigioni, ascoltavano ciascun detenuto,
esaminavano le cause, sminuivano la pena, componevano co' credi-
tori i prigioni per debiti, e mettevano anche in libeità, tranne i *ei
dei più gravi delitti ed i recidivi. Questa buona istituzione di papa
Eugenio dura tutt'ora fra noi, e si fa con molta solennità a vantag-
gio de' prigioni tre volte 1' anno. Ragunansi sotto la presidenza del
Vicecamerlengo e i prelati presidente e vicepresidente del tribunale
di Roma, i prelati della Carità e della Pietà, l'avvocato e i procu-
ratori e i sollecitatori de' poveri, il Procuratore generale del Fisco
co' suoi sostituti, il Luogotenente dell'Emo Vicario, il cancelliere
del tribunale criminale di Roma, il capo dell' ufficio della Direzio-
ne generale di polizia e un medico e un chirurgo. Come vedesi, uni-
ti per tal modo tutti quei che han relazione coi carcerali, sia perchè
giudici, sia perchè sostenitori della legge, sia perchè difensori de-
gl'imputati, sia perchè caritatevoli lor visitatori, sia finalmente
perchè aventi parte nell' istruttoria, nelle processile, ed udendosi
da loro singolarmente lutti i prigionieri, si ha un assieme di perso-
naggi specchiatissirai, che hanno potestà di occorrere a tuli' i biso-
gni di quegl' infelici, accoppiando insieme la carità e la giustizia 1 . »
1 Pag. 783, 784.
DELLA STAMPA ITALIANA €3
Fra le privale istituzioni di Roma, che prestano lo stesso pietoso
ufficio di visitare e di soccorrere i carcerati sono più celebri tre Ar-
eiconfraternite ; cioè quella di S. Girolamo della Carità, quella della
Pietà dei Carcerati e quella di S. Giovanni decollato.
I membri dell' Arciconfraternita della Carità esercitano la loro
misericordia a prò de' prevenuti, che sono rinchiusi nelle carceri
nuove. Li visitano di frequente, esaminano il loro vitto e comparti-
scono soccorsi a quei che ne han bisogno. Procurano che sieno pron-
tamente spedile le cause, ed a questo lino è deputato un di loro col
titolo di sollecitatore, il quale nello stesso tempo dà opera a toglie-
re gli odii, a rattemperare le ire, ad ottenere il perdono della par-
ie offesa, a conciliare e pacificare gli animi. Ma soprattutto pren-
dono cura dello spirito dei carcerati; e per tal effetto T Arciconfra-
ternita mantiene la comunità de' Sacerdoti, che vivono nella casa di
S. Girolamo della Cai Uà.
V Arciconfraternita della Pietà, a cui appartiene la chiesa di
S. Giovanni della Pigna, compie a un di presso le medesime opere
di carità anche nelle carceri nuove.
L' Arciconfraternita di S. Giovanni decollalo ha la chiesa dedica-
4a a questo santo. Si compone di toscani, o discendenti da toscani
sino alla terza generazione. 11 suo scopo è di assistere i condanna-
ti a morte ; i pii confratelli porgono ad essi ogni possibil conforto
sia corporale sia spirituale; gli accompagnano insino al palco, e indi
prendono cura de' loro cadaveri, a cui danno una decente sepoltura
nel cimitero, che è presso la loro chiesa.
Due altre Arciconfraternilc si occupano de' soli suffragi : Y una
è nella chiesa della Natività di Gesù Cristo, detta degli Agonizzanti
a piazza di Pasquino, e l'altra detta di Gesù e Maria nella chiesa di
S. Nicola in Arcione. Espongono il SSmo Sagramenlo nelle loro
chiese dalla pubblicazione della condanna fino alla esecuzione; ne
mandano avviso ai monasteri, perchè si facciano preghiere, e van-
no raccogliendo per la città le limosine delle messe, che fan cele-
brare per le anime dei giustiziati.
G4 rivista
IL
Bullarum diplomatimi et privileyiorum sanctorum romanorum Pon-
ti/icum editto, etc., quam SS. D. N. Pus Papa IX apostolica
benedictione erexit. Tomus XVIII: Clemens X ab an. MDCLXX
ad ao. MDGLXXVI. Un volume di pag. XXXil-";5-\
11 Bollarlo Romano e senza fallo il più ricco prontuario di quanto
ordinò nel corso dei secoli la sapienza dei romani Pontefici, per
l'amministrazione che Cristo nella persona del beato Apostolo Pie-
tro loro commise della Chiesa universale. Quivi stanno regislrati
gli Atti autentici di fondazione della maggior parte delle Chiese di
Europa e del nuovo mondo, le quali ebbero i natali in Roma, ma-
dre e maestra di tutte le Chiese. Quivi erezioni di Metropoli, novel-
le circoscrizioni di diocesi, limitazione ed accordi delle varie giu-
risdizioni. Quivi istituzioni e dotazioni delle più celebri università
di studii generali per opera dei Papi, stali sempre promotori e fau-
tori zelantissimi delle buone lettere, delle arti liberali e delle scien-
ze. Quivi fondazioni di collcgii, seminarli ed altri stabilimenti ec-
clesiastici, approvazioni di Ordini e Congregazioni regolari e seco-
lari, aprimcnti e direzione di sempre nuove missioni agli infedeli,
ed ottimi statuti per regolare le mutue relazioni dell'uno e dell'al-
tro clero. Quivi largizioni di grazie, indulgenze e privilegii, uso
sapiente delle censure ecclesiastiche, leggi di disciplina, ordina-
menti del divino culto, canonizzazione di Santi, risoluzioni di dub-
bii, definizioni irrefragabili e sempre immuni di errori in ogni con-
troversia concernente la fede ed i costumi. Quivi convocazioni di
Sinodi e sanzione data ai loro decreti. Quivi insomma il codice
vigente di tutta la Chiesa. Qual Chiesa adunque particolare od Isti-
tuto ecclesiastico un po' importante ne potrebbe fare a meno*? o
quale biblioteca di città, di vescovadi, di seminarli e di curie non
debbo averlo?
Ma nienti o non sarebbe anche al dì d'oggi molto difficile il pro-
usi la continuazione del Bollano Romano per quello spazio di
DELLA STAMPA ITALIANA 65
circa un secolo, eh' è da Benedetto XIV fino a Pio IX felicemente
regnante, quanto al corpo primo e fondamentale dello stesso Bol-
larlo Romano, per i tredici secoli che corrono da Leone Magno a
Benedetto XIV, ne tornava ornai da gran tempo impossibile a qual-
siasi prezzo l'acquisto, conciossiachè l'unica edizione che ne esi-
stesse, curata nel secolo scorso dal dotto giureconsulto Carlo Co-
quelines, ed eseguita a Roma dal 1733 al 1746 in 28 tomi in folio
coi tipi del Mainardi, fosse onninamente esausta da non potersene
più trovare, se non per incontro fortuito, verun esemplare.
Fu dunque provvido e sapiente consiglio quello di alcuni insigni
teologi e canonisti romani e torinesi, ben secondati da valenti tipo-
grafi, d'imprendere e proseguire coraggiosamente con la benedizione
apostolica del Santo Padre, e sotto gli auspìcii in prima dell'Emo
Cardinale Francesco Gaude, di felice memoria, poi dell' Emo si-
gnor Cardinale Luigi Bilio , protettore zelantissimo dell' impresa
colossale, una compiuta ristampa, d'assai migliorala per nitidezza
di caratteri, bontà della carta, comodità del formato e correttezza
dell'edizione, dell'amplissima collezione di Bolle pontificie Mainar-
di-Coqueliniana, la quale verrebbe poi continuata insino ai nostri
giorni, ed inoltre accresciuta di una copiosa Appendice di moltis-
simi Atti papali, rimasti finora od inediti od esclusi dal Bollano
Romano, da S. Leone il Grande sino a Pio IX. Ma dato per saggia
un primo volume dell'Appendice, da S. Leone Magno a Vigilio (e
dovrà essere condotto fino a S. Gregorio Magno), che ci mette in
molto desiderio di vederne la continuazione, i dotti editori si av-
visarono, con savio accorgimento, di dovere innanzi tutto sop-
perire al bisogno più urgente della cristianità, promuovendo, con
istraordinaria operosità la ristampa del primo e più sostanziale fon-
do del Bollano sino a Benedetto XiV, che al tutto mancava. Ed è
quella appunto della quale annunziammo poc'anzi nel primo nostro
quaderno di Gennaio il tomo XVIII, contenente tutte le Bolle fin qui
pubblicate di PP. Clemente X dal 1670 al 1676, e ci si dà come pros-
simo ad essere pubblicato il XIX, che conterrà V intero pontificato
di Innocenzo XI fino al 1689. Dopo di che non rimarranno più che
soli cinquant'anni di bolle pontifìcie da ristampare in cinque volumi
Serie VII, voi XI. fase. 487. 0 23 Giugno 1870.
66 RIVISTA DELLA STAMPA ITALIANA
a un di presso per raggiungere la prima meta avuta per ora in mira
dagli editori torinesi, e chiudere così la prima parte dell'opera uni-
versalmente desiderata, che farà un tutto da se, e si potrà anche
acquistare separatamente da quelli che già possedessero la conti-
nuazione del Bollano romano di qualche altra edizione.
Non ci stenderemo di più a rilevare i molti pregi di quest' Opera
grandiosa, poiché ne abbiamo già fatto più volte nei passati qua-
derni quell'onorata menzione che ben si meritava. D'altra parte
ognuno qui in Roma potè informarsene co' proprii occhi, avendo
essa figurato fra i più insigni prodotti dell'arte tipografica cattolica,
che adornavano la splendida Esposizione romana. Solo ci contente-
remo di notare che la celerità del lavoro non detrae punto alla di-
ligenza e accuratezza della lezione. Anche il presente volume XVIII
ci offre subito da principio l'elenco di ben ottocento correzioni, che
gli editori torinesi fecero al volume corrispondente dell'edizione ro-
mana. Quanto poi alla nitidezza della stampa, alla giusta distinzio-
ne delle linee, alla savia interpunzione, e a tutte le altre parti che
costituiscono ciò che chiamasi finezza d'occhio tipografico, basti
dire che le bolle pontificie, le quali d'ordinario riescono di grave
e faticosa lettura nei tomi del Mainardi, talché niuno vi ricorre se
non avendone più che stretto bisogno ; in questa edizione torinese
si percorrono tanto leggermente, da sembrare quasi un libro di
amena lettura.
Il volume che annunziamo porta in fronte una bella iscrizione di
dedica ai venerandi Padri del Concilio vaticano ; e noi desideriamo
che i generosi imprenditori di questa grande opera, tanto utile alla
Chiesa, possano finalmente ritrarre nella presente occasione le in-
genti spese, che certo dovettero anticipare, per condurla, senza il
sussidio di molle associazioni, a tal punto, che si può riguardarla
come finita.
BIBLIOGRAFIA
ADONE LUIGI — Elogio funebre di Luigi Monforte dei Conti di Campobasso, ca
nonico diacono della metropolitana di Napoli ; recitato da Luigi Adone,
prete napolitano. Napoli, tip. degli Accattoncelli, 1870. In 8.° di pag. 18.
ANONIMO — Alcuni cenni sulla vita della venerabile Maria Cristina di Savoia,
di Napoli ; ricavati dalla vita che di essa scrisse Y illustre Luigi Maria
Cafiero, sacerdote napolitano. Ferrara, tip. di D. Taddei, 1870. In 32.°
di pag. 51. Prezzo cent. 30.
— Brevi parole intorno all'educazione del popolo, clie servono d'introduzione
al catalogo della Biblioteca circolante fiorentina, aperta al pubblico il 26
Febbraio 1870. Firenze, tip. all'insegna di S. Antonino 1870. Unvolitr
metto in 16.° di pag. XXII-YòO.
Le Biblioteche circolanti, istituite da persone possono porvi mano, a istituirle per tutto. E per
sinceramente cattoliche, possono fare .un gran be- questo appunto annunziamo il presente libretto, il
ne nel popolo, e salvare non solo dai pericoli quale nell'ottima sua prefazione discorre della
dell'ozio molte persoae, ma eziandio dai pericoli necessità, della utilità e della organizzazione
più dannosi dell'errore chi per fuggir quell'ozio prattica di queste biblioteche; e nel catalogo che
gittasi a qualsivoglia lettura, senza verun avve- dà di quella formatasi in Firenze, offre una tal
dimento. Laonde ci gode l'animo vedendo come quale guida sicura per la scelta dei libri che
queste buone Biblioteche circolanti siensi molti- ponnosi impunemente ammettere in coteste rac-
plicate in Italia, e vivamente esortiamo quanti colte.
— Catalogo dei Santi, Beati e Venerabili del sagro Ordine dei Carmelitani cal-
zati, estratto dalle Memorie conservate nell'Archivio generalizio di S. Ma-
ria di Traspontina, e disposto in forma di calendario da un religioso dello
stesso Ordine. Viterbo, 1870, tip. di S. Pompei. In 16.° di pag. 47.
— Il contadino premunito contro gli errori della giornata, o ricordi di un pa-
dre a'suoi figliuoli. Milano, G. Agnelli 1870. In 32.° di pag. 22.
— Istruzioni sopra l'adorazione perpetua del santissimo Sacramento e triduo
a S. Leonardo da Porto Maurizio, propagatore di questa devozione. Firen-
ze, tip. di F. Bencini 1869. Un voi. in 16.° di pag. 174.
— La passione e morte del nostro Signore Gesù Cristo. Canto spirituale divi-
so in due parti. Fermo 1870, tip. di Cesare Ci ferri. In 32.° di pag. 43.
— La Pentecoste ; novena allo Spirito Santo, per nna religiosa. Sciacca, tip.
V Unione, 1870. In 32/ di pag. 68.
— La voce di Maria, madre del buon consiglio, al cuore della giovinetta, ad
uso de'conservatorii, delle case d'educazione e di tutte le famiglie cristia-
ne. Quarta ediz. di questa tipografia, riveduta e aumentata per cura di un
ecclesiastico. Bologna, per A. Mareggiani 1870. Un volumetto in 32.°
di pag. 112.
68 BIBLIOGRAFIA
ANONIMO — Preci ordinarie del cristiano. Napoli, direz. delle Letture cattoli-
che 18ò'8. In 16." di pag. 61, prezzo cent. 22 per posta.
— Triduo del SS. Corporale che si venera nella cattedrale di Orvieto, prece-
duto dalla memoria storica del miracolo. ViterbOj presso Sperandio
Pompei 1870. 7h2ì.° di pag. 39.
— Un fiore al cuore. Ricordo del mese di Maria. Torino, tip. G. Speirani e
figli 1870. In Sì.0 di pag. 31.
APICELLA STEFANO — Nelle esequie di Nicola Genovese; canonico della catte-
drale di Cava dei Tirreni, ecc. ecc. Elogio funebre letto dal sac. Stefano
Apicella. Salerno, stabilimento tip. Migliaccio 1869. In 8." di pag. 20.
BERSANI ANGELO — Il Catechismo spiegato al popolo per via di esempii e di si-
militudini, per mons. Angelo Bersani, prel. dom. di S. S. Seconda edizione
riveduta ed aumentata. Volume terzo dei precetti della Chiesa e dei Sacra-
menti. Lodi, tip. vescovile di C. Cagnola, 1870. Un voi. in 16.' di
pag. 276.
BIANCHI DOMENICO — Sulla tomba del poeta Pietro Giannone, fiori e lacrime,
per Domenico Bianchi da Pietrafitta. Cosenza, tip. dell' Indipendenza
1870. In 16.» di pag. 12.
È bene che la memoria de'valorosi ingegni che il signor Bianchi ha scritto in eommendazio-
sia raccomandata alla posterità, sì perchè si co- ne del bravo poeta calabrese Pietro Giannone, ul-
nosca in quale stima furono tenuti de' contem- timamente defunto, lodandone con molto affetto
poranei, sì perchè il loro esempio Taiga di con- i pregi, e proponendolo in esempio nella carrie
Torto e di sprone ad imitarne le geste. A que- ra letteraria alla calabra gioventù,
sto doppio scopo sono dirette le brevi parole,
BIBLIOTECA AMENA DEL MESSAGGERE - G. E. R. Laura l'emigrata. Bologna,
presso V uffìzio del Messaggiere, 1869. Un voi. in 12. 8 di pag. 182.
Le sciagure, che nella rivoluzione francese in- Contessa poi e la figliuola, rimaste senza nessun
colsero alla casa del Conte di Saint-Val, formano ricapilo, in terra straniera, e cosirette a procac-
ci soggetto del presente Racconto, originariamen- ciarsi il vitto coli* opera delle lor mani, si por-
te scritto in francese, e tradotto dalla benemerita gono in esempio delle più rare virtù, che in
"Biblioteca del Messaggiere di Bologna in buon mezzo alle pruove di ogni genere possano ali i—
italiano L' intreccio risulta di casi assai vani e gnare in anima cristiana. La madre andò pre-
inaspettati, i quali pel contrasto di grandi vizii sto a raccogliere il premio in seno a Dio, essendo
e di grandi virtù, e per la manifesta imerven- stata la debole natura sopraffatta dalla forza di
zione, onde la divina Provvidenza condusse a tanti mali ; ma la figliuola Lauretta ne riportò
salvamento la Conlessa e la sua giovine figlia, anche in questa vita il premio: poiché quindi a
destano un singolare interesse. Lo scopo dell'Ali- poco potè ritornare nella patria, do\o la rara fe-
tore, non tanto è stato di metlere in mostra i deità di un servo le fé trovare inaspettatamente
terribili effetti di quel flagello, benché anche a un ricco deposito, che il Conte nel tempo del
questo ha indirettamente la mira, quanto di far maggior pericolo gli avea ditto a custodire. Il
spiccare le virtù cristiano di quella nobile fami- Racconto sì pe' pregi dell'arte, come assai più
glia 11 Conte rimase vittima di una fedeltà al pe' piegi religiosi e morali, merita di esser con-
suo Re, la quale non ismarrì innanzi a nessun gigliato ad ogni classe di persone, come libro di
pericolo, an-he quandi i più duri sagrifizii non amena e insieme di utile lettura,
poteano promettere nessun buon risultato. La
BOCCACCIO GIOVANNI — Novelle scelle di Giovanni Boccaccio, purgate ed an-
notate dal sac. prof. Celestino Durando. Volume secondo, che contiene in
fine La vita di Dante del medesimo autore. Torino, tip. dell'Orai, di san
Fri n rrsro di Sales 1870. Un voi. in 32.° di pag. 262.
B0SSUET — La subordinazione alle autorità legittimamente costituite. Consi-
dera/ioni tratte dalle opere di Monsignor Bossuet. Firenze, tip. Calasan-
ziana, 1861. In 8.u di pag. 50.
BIBLIOGRAFIA 69
BRIGNARDELLO GIO. BATT. — Giuseppe Gaetano Descalzi, Campanino, e Parte
delle sedie in Chiavari, per Gio.Batt. Brignardello. Firenze, coi tipi di M.
Cellini, 1870. Un volumetto in 16.° dipay. 139.
Fra le curiosità storiche e letterarie può me- listi che più si segnalarono nel fabbricarle. Te-
ntar posto il libro del signor Brignardello. Es- nue argomento al certo: ma pure non privo di
so tratta dell'arte di far quelle famose sedie di diletto a leggerne lo svolgimento, e di vantag-
Chiavari, tanto pregiate dalla signoria d'ogni gio a vedere come si possa salire in fama anche
ritta in Europa, e del modo com' esse vennero con questi non vistosi lavori di mano,
perfezionandosi sempre più, e dei principali ar-
CARLONI GIROLAMO — Lezioni di grammatica latina, esposte a domanda e ri-
sposta dal prete Girolamo Cartoni. Sesta ediz. riveduta e corretta dall'Au-
tore. Firenze, tip. di V. Demi, 1870. Un voi. in 16.e dipag. A-298.
Buon corso per lo studio dei giovanetti è co- suoi principali sono buona scelta dei precetti più
testo del eh. Carloni: e lo dimostra l'essersi do- utili: buon metodo nello svolgimento delle re-
vuto in pochi anni sei volte ristampare, affin di gole: e buona disposizione delle varie sue parli,
corrispondere alle richieste dei compratori. I pregi
CARTESIO E IL DUBBIO METODICO — Riflessioni filosofiche di Giuseppe Patroni
dottore in filosofia e matematiche. Roma, 1870. Un voi. in 8.° di pag. 180.
Il giovine Autore prende in questo libro a di- differisce dal metodo usato dai più sani Qlosofl. La
fendere non già in tutta la sua estensione la filo- qual cosa, checché sia dell'esito della dimostra-
sofia di Cartesio, ma solamente il suo dubbio me- zione, egli procaccia di fare con molla acutezza
todico; studiandosi di dimostrare che esso non d'ingegno, e corredo di filosofica erudizione.
CELI ETTORE — L'Abbici dell'agricoltore : Principii dell' Arte agraria, esposti
dal prof. Ettore Celi, per uso segnatamente delle scuole rurali. Terzi edi-
zione riordinata in parte ed accresciuta dall'Autore. Modena, tip. di Car-
io Vincenzi, 1870. Un voi. in 16.° di pag. 636.
COSTITUZIONE DI PIO IX che limita le censure latae sententiae. Testo latino
colla versione italiana. Sciacca, tip. l'Unione 1870. In 3*2.° di pag. 38.
CUSMAN0 BERNARDINO — La guida sicura dei religiosi dispersi nei tempi pre-
senti, per P. Bernardino Cusmano, lettore e predicatore cappuccino, ediz.
quarta, riveduta e corretta dall'autore. Milano 1870. In di.0 di pag. 56.
DA CASALBORDINO GIUSTINO — Dodicina in ossequio di Maria Santissima Im-
macolata, del p. Giustino da Casalbordino, esdef. M. O. Roma, tip. dei
fratelli Monaldi, 1870. In 24.° dipag. 32.
DA CRECCHIO ALESSANDRO — Schizzo biografico di monsignor Bernardino Ma-
ria Frascolla, Vescovo di Foggia. Roma, tip. Salviucci, 1870. In 24.° di
pag. 12.
DURANDO CELESTINO — Vedi, Boccaccio Giovanni.
ERMENEGILDO DA CHITIGNANO (FRA) — Guida spirituale pei giovani francesca-
ni che aspirano all'Ordine sacro, per fra Ermenegildo da Chitignano M. R.
Missionario dell'Incontro. Prato, tipografia di Ranieri Guasti, 1870. Un
voi. in 8.° picc. di pag. Vili. 504.
Il eh. e rev. fra Ermenegildo da Chitignano veramente prezioso. Offre ai giovani chierici
è uno dei più corretti e dei più eleganti scrittori che si hanno a ordinare una direzione sicura
che. mantengano vivo ora in Italia l'onore del p^r riconoscere la vocazione celeste al celeste
hello stile. Il suo libro degli Ammaestramenti ministero del sacerdozio, una chiara spiegazio-
riseosse lodi non solo dagli ascetici, ma ezian- ne dei doveri che assumono insieme colla nuo-
dio dai letterati : e pari se non anco maggio- va dignità, ed un conforto efficace per m<mda-
ri ne riscoterà questa Guida Spirituale che re santamente ad effetto gli obblighi di quello
Tiene ora alla luce. Come libro morale esso è Stalo. E sebbene e^li scriva in modo speciale
70
BIBLIOGRAFIA
pei chierici francescani, e qaindi abbia sempre
in vista la professione religiosa propria di quei
santo Ordine, pur luitavia la più gran parte
degli avvedimenti che suggerisce, « dei consigli
che dà s'attagliano ugualmente ai chierici se-
colari , i quali hanno coi primi comune la più
gran parte delle obbligazioni. Sotto questo ri-
spetto la Guida Spirituale di fra Ermenegildo
è veramente esperta della via, alacre, sicuri, e
tutta piena dei più santi e soavi spiriti sacerdo-
tali, che danno ai suoi suggerimenti una sin-
golarissima efficacia. Come libro letterario poi
la sua bellezza incanta e rapisce. L'ordine na-
turale delle singole sue parti dà la miglior
forma al concello unico che esso svolge : e la
dignità del linguaggio, sempre correttamente
italiani, sempre appropriato ai vani argomenti,
Bell'ambra o di Mgttgauaa o di alienazione,
senza sopraccarico di frange a di sdolcinatura,
ma elegantemente semplice, spigliato, scorrevo-
le ; questa dignità diciamo, nobilita ancor di
più l'argomento per sé nobilissimo, come un
bel manto nobilita ancor di più l'augusta mae-
stà di un gran personaggio. Accolga il eh.
Autore di questo libro i nostri congratul» meati,
e insieme con essi la preghiera di continuare ad
arnechne la Chiesa e l'Italia di uguali lavori,
che l'una e l'altra avvantaggiano ed onorano.
FAA' FRANCESCO — Sunti di morale ad uso delle scuole magistrali maschili e
femminili, con sentenze morali di autori greci e latini ; pel cavaliere Fran-
cesco Faà di Bruno, dottore in iscienze presso le università di Parigi e To-
rino. Torino e Napoli, società l'unione tipografico-edilrice, 1870. In 16.*
dipag. 100. Prezzo lira una.
Abbiamo dovuto assai spesso lodare i libri
del cav. Faà di Bruno, siccome pregevoli per la
purità della dottrina cattolica, o per i pregi let-
terarii e scientifici, propri! delle materie trattate.
Queste due qualità rilucono egualmente in que-
sto libro, che può dirsi un breve e succoso com-
pendio del dritto naturale e sociale, ed è desti-
nalo per uso delle scuole magistrali dei due sessi.
È perche veggasi la sincerità di questa lode, ci
permettiamo di osservare che nel paragrafo intor-
no alla Monarchia, Rappresentativa si emette un
giudizio, il quale, se corrisponde alle promesse di
coloro, che se ne fanno in buona fede propugna-
tori, non corrisponde del tutto alla natura intima
di questa forma di governo, e molto meno quando
essa viene informata dai rei principii, onde tutte
le costituzioni rappresentative moderne sono im-
bevute.
FANUCCHI GIUSEPPE — Della vita di S. Angelo martire carmelitano, scritta no-
vellamente dal P. L. Giuseppe Fanucchi, dell'Ordine islesso, ridotta a ca-
pitoli, fornita di parecchi documenti dedotti da1 più antichi scrittori. Vi-
terbo, 1870, tip. di S. Pompei. Un volumetto in 16.° dipag. 148.
S. Angelo, apostolo insigne e martire dell'Or-
dine Carmelitico, Qorì nella Une del secolo deci-
mo secondo, e nel cominciamento del decimo ter-
zo: e predicò con zelo grande e con grande fruUo,
specialmente nella Sicilia. La sua vita, veramente
edificante, fu scritta fra gli altri dal P. Filippini,
Priore generale dei Carmelitani nel 10 il. Ora esce
alla luce migliorala d'assai e corretta, e quasi
rifatta per opera del eh. P. Fanucchi, religioso del
medesimo Ordine: il quale, con questa sua fa-
tica ha mirato a dar forme più pulite a quella
antica vita, per così procacciarle maggior numero
di lettori, persuaso che questa sua e opera vera-
mente utile alla edificazione ed alla conversione
delle anime.
FAZIO GI0. BARTOLOMEO — Della istruzione popolare, per Gio. Bartolomeo Fa-
zio, delegato scolastico mandamentale. Lettura. Edi/., di 107 esemplari. Ge-
nova. lì]> t IH. Anna Rocci ved. Faziola e figlio, 1870. in 8.° di pag. *22.
FERRANTI FELICIANO — Dell'art.' di scrivere, cavata dagli esempii dei Foraa-
ciari. Osservazioni del prof. Feliciano Ferranti. Firenze, co' tipi di M.
lini e C. 1869. Un volume in 12.° di pag. !)i.
Giustamente il eh. professore l'erranti intitola
le sue Osservazioni sopra l testi che prende ;i
commentare, dell'Ara dello scrivere. Perocché
tutte quelle avvenenze sono dirette a far notare
alcuni artilhii de' buoni autori, dall'una parti
efficacissimi a scolpire i concetti o a produrre i
particolari elTetti che s'intendono, ma «l.iir.tllni
si minuti, che facilmente sfuggono alla riti
E con questo, egli ambe propone ai mae-lri di
scuola un modo pratico di facile imitazione, per
poter dichiarare ai loro alunni, col maggior van-
taggio possibile, altri lesti de' Classici.
FERRERI SEVERINO — il mete di Maggio io esempli, del sacerdote Severino
Ferreri. Torino, tip. G. Speirani e figli 1870. In 32.° dipag. 11.
BIBLIOGRAFIA 71
FILOCARBIO — Il cuor addolorato di Maria. Contemplazione di Filocardio.
Torino, tip. di G. Speirani e figli 1869. Un voi. in 32.°
I dolori del Cuore di Maria SSma contemplali riflessioni, sodezza di ammaestramento e buona
in quindici meditazioni formano la materia di applicazione alla vita cristiana rendono queste
questo libro. Soavità di alleiti, dulicalezza di meditazioni -veramente utili.
F1NAZZI ANTONIO — Detti e fatti di politico reggimento, tratti dalla storia ali-
ti n e romana; per cura dell1 ab. Antonio Finazzi. Bergamo, tip. Crescini,
. 1867. In 16." dipag. 23, 83.
— Pensieri sul piano degli studii, per A. F. Genova, tip. di G. Schenone. In
8.° dipag. 64.
Ottimi veramente sono questi pensieri del eh. Finazzi, specialmente in ciò che ha attenenza
all'istruzione religiosa nelle scuole. ,
— Un villaggio italiano transalpino; Cenni del sacerdote professore D. Anto-
nio Finazzi. Milano, tip. di D. Salvi e Comp. In 8.° dì pag. 22.
A 2400 metri sopra il livello dell' Adriatico le, e i cui costumi sono buoni meglio che per
trovasi il comune di Livigno, gran parte del- tutto altrove. Di questo singoiar comune fa la
l'anno sepolto sotto le nevi, ghiacciale alla minuta descrizione il eh. D. Antonio Finazzi,
temperatura di 20 gradi R. sotto lo zero, con cir- che passò quivi alcuui mesi nel cuore del più
ca 800 abitanti, i cui figliuoli hanno sette scuo- rigido inverno.
FRANCESCHI PINOCCHI TEODOLINDA — La villa Ferniani presso Faenza ; Ode
di Teodolinda Franceschi Pignocehi ; Elegia del cav. Diego Vitrioli. Bolo-
gna, tipi Fava e Garagnani, 1869. In 8.° di pag. 10.
Questi due componimenti vanno bene appaiati, italiana della signora Franceschi, non è iudegna
non solo perchè sono entrambi diretti al nobile della venusta elegia Ialina del sì chiaro e giu-
conte Ferniani, la cui villa celebrano poeticamen- Blamente celebralo Vitrioli.
te; ma anche perchè la colla eleganza dell'ode
FRANC0Z F. PH. — Manuel des familles chrétiennes, offrant le moyen sur d'atti-
rer le ciel dans la famille et la famille au ciel, par la prióre du soir en com-
muti, devant l'image de la Sainte Famille, publié par le P. F. Pli. Fran-
coz, de la Compagnie de Jesus. Lyon et Paris, Ubrairie de F. Girard,
1870. Un voi. in 32.° di pag. XXIV-'m.
Importante è questo libro, e degno che ogni tico immenso. Aggiungiamo che il Manuale è
buon pastore di anime se lo procacci. Tratta di mirabilmente ben fatto, e può servire non solo
una nuova Opera pia da fondare nelle p:irroc- di guida alle fonda/ioni, ma altresì di tesoro
chie, raccomandata dal S. Padre, siccome op- d'istruzioni e di divote preghiere per le faini-
porlunisiima. Infatti è di agevole impianto, glie e per gl'individui,
senza carico di nuove pratiche, e di fruito pra-
GATT0LA DUCA DI R0SC1GN0 E SACCO — Maria desolata. Musica a tre voci
con accompagnamento di viole e basso, del Duca di Roscigno e Sacco, Gat-
tola. Boma, 1870, litografia Tiberina al Pozzetto N. 110. In 4.° di
pag. 71. Prezzo fr. 12.
I sette dolori di Maria Santissima esposti in canto religioso si addice, è nondimeno tenero
bei versi italiani sono siati posti soavemente in e affettuoso oltre ogni dire: al qual effetto coo-
musica dui nobile gentiluomo, Duca di Rosei- pera mirabilmente l'accompagnamento delle vio-
gno e Sacco , perche servano al pio esercizio le e del basso dato dall'Autore al canto, ac-
della contemplazione di Maria Desolata, solito compagnamenlo che dispone l'animo al racco-
farsi dai fedeli, specialmente nella settimana glimento ed alla mestizia.
Santa. Lo siile, pur essendo grave, quale a
72
BIBLIOGRAFIA
GELTRUDE (S.) Manuale ■ pietatis, ex operibus B. Gertrudis desumpUim,iu usum
sacerdotum. Taurini, Petrus ll.F. Marietti, pont. Ujp. 1870. Un voi. in
32.°rf<>a#.512.
Le preci composte da S. Gellrude sono state
sempre in pregio presso i fedeli, ancor più dot-
ti, pei semi di soda e sentita pietà che con-
tengono, e per la Tenta delle massime religio-
se che offrono a considerare. Esse sono siate
raccolta qui insieme, e distribuite metodica-
mente, così da offrire agli ee/lesiastici non
meno che ai laici un Manuale di eserozii de-
voti: aggiungendovi, a renderlo compiuto e in-
tiero, dei traiti non pochi tolti dalle opere di
S. Tommaso, di S. Bonaventura, e di altri so-
miglianti piissimi e dottissimi zcriiloii.
G. E. R. — Vedi, Biblioteca amena del Messaggiere.
G0UGEN0T DES MOUSSEAUX — Lejuif, le judaisme et la judaisation des peuples
chrétiens, par le èhevalier Gougenot des Mousseaux. Paris, Ploh 1869. Un
voi. in 8.° dipag. 568.
Molto noto è il nome del sig. cav. des Mous-
seaux, per le sue opere insigni Intorno al mondo
soprassensibite, di cui abbi uno fatto cenno nella
Serie V, voi. IV. Questa che annunziamo ha una
importanza speciale, perchè mostra quale sia lo
strumento precipuo che lo spinto satanico ado-
pera a scrisiianizzare il mondo. Questo strumento
è il giudaismo. L' Autore, con un corredo rie—
padroni occulti di una grande porzione d'Euro-
pa. 1 fatti e i documenti che il cav. des Mous-
seaux riporta e cita in buon numero, fanno gran-
de luce alla sua dimostrazione: ed e impossibile
correre questo suo libro, e non vedere chiaramente
che i motori primarii dello spirito moderno, vi-
vono nascosti nel fondo del giudaismo, sempre
uguale a sé stesso nel livore contro il nome df
chissimo di erudizione, tesse la storia delle cor- Gesù Cristo. Noi invitiamo gli studiosi di cosa
rullele giudaiche e dell'atroce ed implacabile
guerra, che la nazione deicida ha sempre fatta
alla religione di Gesù Cristo. Esamina ed espone
le immorali dottrine talmudiche, e poscia le di-
pinge nella pratica, delincando a vive botte di
pennello le ìnlluenze giù laiche nel mondo odier-
no. L'oro, di cui gli Ebrei lunno spogliato i
Cristiani in quasi lutti i paesi dell'Occidente, è
in mano di essi: il giornalismo è cosa in grande
parte loro o dipendente da loro: nelle fratellanze
secrete o massoniche che pertui b.uio tulio il vi-
vere sociale, hanoo mano potentissimi: in som-
ma quella che si chiama rivoluzione, e si di-
stingue da lutti i morbi sociali dei passati tempi,
per l'odio suo a quanto sa di cristiano, è animata
sopra tutto dai Giudei, divenuti per suo mezzo
sociali a leggere e a meditare quest'opera cu-
riosissima; la quale meriterebbe di venire com-
pendiata e sparsa ancora in lingua nostra nella
Penisola, che è ora sottoposta ai Giudei, e da
loro dominata mollo più che non apparisca.
VUniver» israelita di Parigi (X. dei lo Aprile
1870) si è furiosamente scatenalo contro il libro
del sig. des Mousseaux; ma non ha saputo con-
futarlo con altro che con insolenze. Il frullo più
bello che si ricava da esso libro è di toccare con
mano, che chi dà appoggio alla rivoluzione non
fa altro che spingere sempre più i popoli cri-
stiani a giltarsi nelle branche del giudaismo, che
succhia loro il sangue, li deprava, li avvilisce
e li assoggetta alla secreta sì, ma reale sua ti-
rannide.
HAMILTON CAVALLETTI GIACOMO — Forza, Materia e Ragione. Osservazioni sul
materialismo, per Giacomo Hamilton Cavalletti. Firenze, 1870. Un libro
in n.* dipag. 206.
Lo scopo di questo libro è la confutazione del spesso rendono noiosa ai più una trattazione: ma
materialismo del Bùchner e degli altri seguaci
di questa scuola. Esso è diviso in due parti:
nella prima si riguarda il materialismo ne' suoi
principi!, nella seconda si riguarda nelle sue
conseguenze.
Noi non abbiamo che lodi per questa operet-
ta. Essa è scritta con sodezza di ragioni , ro-
bustezza di logica, lucidità di esposizione, di-
sinvoltura di stile. L'Aulore pone ogni cura ad
ciò niente toglie alla forza degli argomenti che
arreca. Si astiene da citazioni di scritti altrui,
per dire soltanto ciò che la meditazione propria
gli suggerisce; e nondimeno si mostra eruditis-
simo nella storia, nelle scienze naturali, nelle fi-
losofiche discipline. In somma questo libro è pia-
cevole insieme ed utilissimo ; e noi desideriamo
grandemcnle che sia letto, in ispecie da giova-
ni laici; e da chiunque sia in qualche modo
assalilo da dubbii del moderno materialismo.
evitale le sottigliezze metafisiche, che bene
LANFRANCHI VINCENZO — Nelle nozze di Emilio Biliietti e Carolina Palmira Ba-
lcani, fiorellini del cognato Vincenzo Lanfranrhi. Torino, tip. ddl'Orat.di
S. Franceeco di Sale*, 1870. In 2ì.° di pag. 30.
L un'accoltina di brevi poesie, alcune scherzose ed argute, ed altre gravi; ma tulle morali,
e condotte con accuratezza ed eleganza.
BIBLIOGRAFIA 73
LISI SEBASTIANO — 11 prole nel secolo decimonono. Pensieri ai compagni del-
la mia ordinazione. Reggio-Calabria, tip. Siclari. In 24.° di pag. 8.
L0M0NAC0 GIOVANNI — Il duello, per Giovanni Lomonaco. Estratto dal perio-
dico Fiori cattolici. In 8.° di pag. 14.
MARASCA PIETRO — Ricordi del canonico Pietro Marasca di Vicenza it suoi an-
tichi scolari. Modena, tip. dell' Immac. Concezione, 1870. In 16.° di
par/. 17.
MARTORELLI IGINO — Roma e le sue Catacombe, visitate in occasione che si
inaugurava l'ecumenico Concilio Valicano T8 Decembre 18H9, pel canoni-
co Igino Martorelli. Vercelli, 1870. Un voi. in 12. n di pag. 166.
Non è queslo libro una disquisizione archeolo- luoghi, più a pascolo della divozione, che non ad
gica delle Catacombe, come il liiolo potrebbe far appagamento della curiosila. E però non soia-
credere. Esso invece espone con istile caldo, af- mente si legge con piacere, ma eziandio con so-
fettuoso e pieno di unzione i varii pensieri ed lido profitto spirituale,
affetti, eccitati nell'Autore visitando que' sacri
MAZZARELLA B. — Intorno al Cristianesimo, pensieri di B. Mazzarella. Firen-
ze, tip. Nazionale di V. Lodi, 1870. In 16.° di pag. 15.
MAZZOLI NI PIO — Sull'uso ed utilità del liquore di Pariglina, composto-prepa-
rato da Pio Mazzolini, residente in Gubbio, maestro approvato di chimica
e farmacia, ecc. Documenti. Foligno, 1868, stab. tip. e Ut. di P. Spari-
glia. In 8.° di pag. 46.
MAZZOLINI GIOVANNI — Sull'uso ed utilità delle pillole antifebbrili prive di chi-
na e suoi sali, di Giovanni Mazzolini, chimico farmacista residente in Ro-
ma ecc* Roma 1867, tip. Fratelli P allotta. In 8.° di pag. 38.
Vi sono rimetti annunziati su pei giornali co- conseguito non golo l'approvazione di molti me-
me farmachi infallibili: e pur non sono altro che dici, ma eziandio un premio speciale del Gover-
c ciarlatanerie, o inganni, se non peggio anco- no. In questi due libretti qui annunziati si re-
ra. Non così il liquore di Pariglina e le pillole gistrano nella loro integrità tutti i documenti,
antifebbrili dei due farmacisti signori Mazzolini che ciò dimostrano, e che danno una sicura gua-
padre e tìglio. Essi hanno sostenuto la pruova rentigia per l'uso dei due preparati farmaceutici
più certa qu*l è la sperienza, l'esame più co- di questi due eh. farmacisti,
scienzioso delle commissioni sanitarie, ed hanno
METTI P. GIULIO — Maria, Au-capitaine. Ricordo alle figlie cattoliche. Firen-
ze, tip. all'insegna dì S. Antonino 1870. In 16.° di pag. 31.
Maria Angelica Au-capilaine fu rapita dopo che ne fregiarono la breve vita, sonvi descritte
lenta e lunga infermità all'amore dei suoi pa- con molta opportuna semplicità, sicché questo
renti e all' esempio delle sue compagne nella Ricordo perpetuerà ancor dopo la morte il buono
fiorente età di soli ventitré anni. Le rare -virtù esempio che la Maria darà nel suo vivente.
MOCHI GIUSEPPE — Versi di Giuseppe Mochi, pubblicati per le nozze dei no-
bili Ernesto Mochi e Giulia Rramuti di Cagli. Fossombrone, tip. Monacel-
li 1870. In ci." di pag. ci.
M0R1CHINI CAROLI AL0IS1I Cardinalis Aesinatium Episcopi, Petreidos libri IH
Ad Pium IX P. M. Accedunt Carmen de Martyribus Sebastenis et Epistolae
tresadAucloris fratres. Romae, typis Aerarii pontifìcii MDCCCLXX. Un
elegante volume in 8.° grande, di pag. 126.
Mentre stiamo ammannendo la presente Biblio ta cosa assai bella. Ne diamo per ora il semplice
grafia ci giugne questo volume, la cui parte pre- annunzio ai lettori , riserbandoci di occuparcene
cipua è un poema Ialino in tre libri sopra san di proposito, come merita l'opera e 1' Eminentis-
Pielro, composto dall'Emo Card. Monchini. Ne ab- Simo Autore di essa, il più presto che ci sarà pos-
biamo letti varii tratti qua e colà, e ci è sembra- sibile.
74 BIBLIOGRAFIA
MONTUORI GIUSEPPE GAETANO — Elogio funebre di Luigi Monti rie, canonico
delia metropolitana di Napoli, letto dal sacerdote napolitano G.useppe ,
Gaetano Monluori, parroco della chiesa di S. Liborio, esaminatore prosi-
nodale ecc. ecc. Napoli, slab. tip. Vitale 1870. In 16. p di pag. 28.
PARLATi ALESSANDRO— I fiori a Maria nella primavera del 1870. Versi di Ales-
sandro Parlati, canonico della cattedrale di And ria. Milano, presto Gc-
rardo Lapenna 1870. In 16.° di pag. 22.
Queslo poesie sono veramente da assomi- un bel conserto di soavissime melodie in onore
gliare ad un mazzetto di eletti fiori: poiché della gran Madre di Dio, ed a diletto di quai che
ciascuna è per sé bellissima per isceltezza di si piacciono delle grazie di una casta poesia. Ce
pensieri, vaghezza d'immagini, e profumo di uè congratuliamo sinceramente colf ìllus.re Cano-
delicati e santi affetti; e tutte insieme formano nico che n'è l'Autore.
PARMEGG1ANI PIETRO — Al giovine organista ed anche iniziato trecento ses-
santasei versetti per organo, in tutti i tuoni della musica pn- T accom-
pagnamento di Messe cantate, corali, Vespri e Compiete, di Pietro Par-
meggiani, divisi in quattro libri. Milano, P. De Giorgi. Libri quattro in
fol. di pag. 41, 48, 37, 48. Prezzo dei quattro volumi ove contengonsi i
366 versetti, lire 45. Vendonsi in Milano presso Paolo De Giorgi, in Napoli
presso Del Monaco, in Palermo presso Salalia, in Lugano presso Yehdini,
in Genova presso Sivori.
Questi 366 versetti offrono un esercizio quo- alla pratica, istruzione di un organista, possono
lidiano all'organista, ora di facile ora di dif- applicarsi a tutti gli usi e i bisogni più ordi-
scile esecuzione, sicché egli possa ammaestrar- narii del servigio religioso nelle chiese. Il eh.
si per grado e su tutti i tuoni della musica. Autore ha meritato n Ila Esposi/ione romana, la
V'è gravità religiosa, v' è vivacità moderata, medaglia d'incoraggiamento: non piccola gua-
v'ò qualche volta anche slancio e novità non rentiagia del mento di questi sacri componimenti,
isconveniente a Chiesa. Questi esercizii, oltre
PASINATf STANISLAO LUIGI — Il duello per Stanislao Luigi Pasinati, prete na-
politano, professore di lettere ecc. (con appendice). Napoli tip. di
S. De Leila 1870. In 32.° di pag 24.
PAVISSICH LUIGI CESARE — Giuseppina di Wissiak nata Matas-Beluda y Buyz.
Cenno biografico-necrologico per Luigi Cesare Dr. Pavissich, protonotario
apostolico, canonico onorario di Macarsca, I.R. Ispettore scolastico pro-
vinciale ecc. ecc. Zara, tip. Fratelli Battara 1870. In 8.° di pag. 26.
PIMAZZ0NI ANTONIO AGOSTINO — Lo Sposo di Maria; poemetto di Antonio Ago-
stino Pimazzoni, sacerdote veronese. Verona tip. di A. Merlo 1870. In
16.° di pag. 59.
II di. Autore si protesta di non aver inleso lo rendono più caro. Questi sono in primo
di Ciré un poema pe' letterati, ma si di scrivere luogo la semplicità e la n aturale/za, le quali
alcuni canti in onore di S. QtaSSfpe a pascolo se piacciono in ogni poesia, piacciono anche
della sua e dell'altrui devozione. Ma se queslo più nella sacra. In secondo luogo, l'alletto, il
intendimento dà la ragione e Insieme porge la tji tiro più facilmente dove meno
scusa di quelle Ipejajlesst di lingua e di siile, si scorge l'artifizio. Onde noi lauto più m-dia-
che qua e colà |" iMMtrsso lungo il lavoro; mo degno di lode il pio Astore, quanto meno
gli aggiunge pero non pochi pregi che forse egli ha preteso al vanto di l
PINI VINCENZO — La madre cristiana : Ottave per le nozze iel ctTaliere Emi-
dio Costantini di Acquapendente, colla nobile donzella olimpia Raffi Paga-
ni d'Imola. Civitavecchia, tip. Strambi 1K70. In s. iip*$. 7.
tot» Razionale tra rn- itoti nltol ai, di geoii, di amorel-
stiani! Altro dm quelle .-npiie favole e inven- ti, di frecce, e mille altre corbellerie di cui so-
BIBLIOGRAFI A 75
gliono alcuni comporre cerli versi che chiamano non solo por l'argomento, ma eziandio per lo stile
poesie per queste occasioni. E la Madre rrìstin- e lo svolgimento, che ne formano il più neces-
na del eh. Can. Pini è pure una bella poesia sario pregio.
PIZZARDO GIUSEPPE — ì compagni cattivi, lettere ad un giovane del prevosto
Giuseppe Pizzardo da Savona. Bologna, tip. pont. Mareggiarli 1870. Un
volumetto in 32.° di pag. 112.
Quai danni temporali e spirituali cagionino tali sono i punti principali che tocca nelle
i cattivi compagni, per quai modi li produca- dieci lettere il eh. prev. Pizzardo. Pochi libri
no, come s a ob'.'l ^o rigoroso per ogni giovi- possono essere tanto utili alla gioventù quan-
ne il fuggirli, con quali pretesti soglias; eia- to questo; e tutti coloro che hanno giovani da
dere questa obbligazione, e infine a quali se- guidare al bene, non possono far loro miglior
gni si iliscemano ì rei dai buoni compagni: regalo.
PRJNETTI GIACOMO — Perchè Protestanti? Dialogo, perPrinetti Giacomo, sa-
cerdote. Voghera tipografia di Giuseppe Gatti 1869. Opuscolo in 16.° di
pag. 81.
— Un'Alleanza straniera e l'Onore d'Italia. Supplementi all'Opuscolo: Perchè
Protestanti ? per Prinetti Giacomo sacerdote. Voghera, tipografia di Giu-
seppe Gatti 1869. Opuscolo in 16.° di pag. 16.
— Lo Spettro dello zio Ugo, ossia gli ultimi giorni di un convertito. Leggen-
da meravigliosa vogherese, dissotterrata da un Vogherese. Voghera, tipo-'
grafia di Giuseppe Gatti 18C9. Opuscolo in 16.° di pag. 62.
Lo zelo di opporsi all'invasione che il Prole- spesso dalle confessioni medesime dei più celebri
stamismo, sotto l'egida del Governo ateo, va pur Protestanti, non lasciali nulla a desiderare per
troppo facendo in varie città d'Italia, e special- convincere gì' intelletti ancor più duri e ribelli,
mente in Voghera, e il desiderio di preservare Nel romanzo, ossia Leggenda, il Prinetti istruì—
dal veleno dell'eresia soprattutto la gioventù, sce dilettando e cattivandosi la fantasia e il cuo-
hanno ispirato all'egregio sacerdote Prinetti que- re del giovane lettore colle maravigliose insieme
sti cari Opuscoli. Essi riveh.no in lui un'atti- e pietose avventure del suo racconto ; e nel Dia-
tudine e maestria singolare a trattar popolar- logo diletta islruendo e calechizzando il medesi-
menle le materie di coniroversia religiosa. Som- mo lettore sopra gli errori e le obbiezioni più
ma chiarezza e fluidità di stile, gran nettezza volgari che dai Protestanti sogliono mettersi in
d'idee, congiunte a molta vivacilà e grazia ren- campo a pervertirei cattolici. E assai a deside-
dono il suo scrivere pianissimo insieme e dilet- rare che i libri di questa falla si vadano molti-
tevole ad ogni classe di persone; mentre d'altra plicando oggidì in Italia; e noi speriamo che la
parie la solidità della dottrina e la forza delle feconda e graziosa penna del Prinetti non tarde-
ragioni, (ratte dal senso comune e avvalorate rà a regalarcene altri somiglianti.
QUATRÌNI BERNARDINO - Vedi, Rossi Giuseppe.
RAFAELLI K1CC0LA — Un opuscolo con la coda. Sullo stato attuale della so-
cietà e sul compito de'giovani cattolici. Firenze, tip. all'insegna diS. An-
tonino 1870. Un voi. in 8.° di pag. AT-177.
11 titolo un po' strano di queslo libro è dal- analoghe al soggetto del suo primo lavoro glie
l'Autore giustificato col dichiarare che avendo ne porgevano il destro. L'argomento del libro
ammannite) l'opuscolo, ed essendosene ritardata può ridursi a questo: dimostrare i danni che i
per altrui colpa la stampa, nell' intervallo esso principii della rivoluzione han fatto o minaccia- *
è venuto aagiugnendovi nuovi articoli, a mano no di fare alla società, alla famiglia, agi' indi—
a muno che i nuovi fatti o le nuove quistioni vidui.
RANDAZZ1NI SAVATORE — Il cristianesimo in faccia alla civiltà italiana. Osser-
vazioni sopra un discorso di Maestro della quarta classe per la pre-
miazione delle pubbliche scuole elementari maschili in Caltagirone, di Sal-
vatore Randazzini. Milano, tip. e lib. arciv. G Agnelli 1869. In 16.° di
pagine 63.
Cn Maestro della quarta classe elementare prò- le propugnavansi errori perniciosissimi tanto al
nunzio in Caltagirone un suo discorso, nel qua- progresso della istruzione, quanto al buon avvia-
76
BIBLIOGRAFIA
mento della educazione. In confutazione di e.uel di provare la inseparabilità della religione dalla
discorso è scritto il presente opuscolo, in cui scuola; e finalmente di smascherare gì' iulendi-
l' Autore propouesi di in jstn re che h caituliosmo meati di quella parte che vorrebbe separare la
è stato la caus.i otlla presente civiltà in Italia; scuola dalla religione.
RENZONI GIUSEPPE MARIA — Il Maggio del 1870. Ragionamento del sacerdote
Giuseppe M. Ronzoni. Roma, tip. Sìnimberghi 1870. In l*ì.° di pag. 48.
RICHARD — Compendio della Beala Francesca (TAmboise, duchessa di Bretta-
gna e religiosa carmelitana, per l'abbate Richard, vicario generale della
diocesi di Nantes. Tradotto dal francese dal Padre Santi Mattei, carmelita-
no. Roma, coi tipi del Salvinoci 1869. Un volumetto in,l§.' di pa-
gine 112.
Benché trapassata or son ornai quattro secoli, la
memoria della B. Fiancesca d'Amboise, prima Du-
chessa di Brettagna e poi religiosa carmelitana,
conservasi sì viva e sì domestica presso quei po-
poli, che tutavia la chiamano col nome che go-
dea vivendo : la buona madre duchessa. Questa
vita scritta brevemente in francese ed ora traspor-
tata in italiano, edificherà molto le pie lettrici per
l'esempio che propone alla loro imitazione, esem-
pio delle più imitabili virtù dei varii slati della
donna; poicbè ella visse santamente da zitella, da
maritata, da vedova e da religiosa.
ROSSI GIUSEPPE — Elegia latina del cav. Giuseppe Rossi, voltata in terza ri-
ma dal canonico Bernardino Quatrini, g à prof, d'eloquenza nei collegi di
Sinigalia e Perugia. Savona, tip. di F. Bertolotti 1870. In 8.° di pag. 15.
— Achilli Mariae Riccio Antistiti etc. Iosephus Rossius, quod ipse condidit
Carmen de Cholera morbo, nuncupat, testem animi et obsequii sui. Un li-
brettiìio in 16/ di pag. 6.
Queste due poesie latine del chiarissimo ca-
valiere Rossi, la prima un'elegia sopra il Cou-
cilio Vaticano, e la seconda un Carme intorno
al Coltra, sonn, siccome le altre da noi Indile
del me<'es ino autore, di un merito veramente
singoiar* per castigatezza di frase e robustezza
di pensieri. E quanto all'elegia, essa può esser
gustata anche da coloro che non s'intendono di
latino; poicbè è stata tradotta così felicemente
iu terza rima dall'illustre Canonico e Professore
Bernardino Quauini , the rimanendo la stessa
nei pensieri, apparisce anche bella ed elegante
nella veste italiana.
SABATINI PIO — Un buon medico ; racconto popolare di Pio Sabbatini. Mode-
na, tip. di V. Moneti 1870. In 2i.° di pag. iì.
SECURI FORTUNATO — A Reggio mia patria. Versi del P. Fortunato Securi,
cappuccino. Reggio-Calabria, stamperia Siclan 1870. In 16.° di pag.%.
K una bellissima Ode in quinarii doppii.
Nella prma parte il Poeta compendia breve-
mente le lodi di Reggio per rispetto special-
mente al valor militare, dimostralo in aulico
contro le città emule , e modernamente nelle
guerre contro il Turco. Nella seconda manifesta
il suo dolore, pel suo presente decadimento;
e da ciò piglia occasione di rinfiammarla alla
religione, che no' tempi cristiani fu precipua
cagione d'ogni sua gloria.
SOCIETÀ' SAVONESE per la diffusione gratuita de' buoni libri nel popolo.
Anno II.* Dispensa l.a Sanità e lavoro. Savona, la società editrice, 1870.
Un fase, in 32.°
Questa associazione attcsta anch'essa, come
tante altre, la necessita dei tempi e lo zelo co-
stante de' buoni in Italia. Ila due particolarità
che la distinguono eia raccomandano ai fedeli:
1.° ■ specialmente diretta ad illuminare e pre-
munire le intime classi del popolo oggidì preso
di mira dalle sette, e gli fornisce i suoi libri
gratuilamenle; 2." Fa partecipare i laici alla pro-
pif MHHM1 e alla difesa della verità: il che gio-
va mirabilmente a saldare negli animi la fe-
de, e stringere tra fratelli i vincoli della carità.
Le opere della misericordia spirituale, istruire,
correggere, consigliare, ordinariamente poste in
non cale, sono con questo mezzo grandemente
facilitate.
Pei ciò godiamo sentire che questa benemerita
società è già mollo ditTusa in Italia, e facciamo
voli perchè gli sforzi de' benemeriti che la pro-
mossero siano coronali di felice riuscita. Chi de-
sideri più preiiM' informazioni sarà soddisfatto
scrivendo al segretario della Sonda, nella Can-
celleria vescovile di jjavona.
BIBLIOGRAFIA 77
STATUTO E REGOLAMENTO per il maniconio di S. Maria della pietà di Ro-
ma. Roma, tip. della S. C. de Prop. Fide 1870. In 8.°di pag. 26.
Nel paragrafo 23.° di questa egregia e vera- profezia cioè, con la quale spiegando il ben nolo
mente dona digei tazione se ne indica lo scopo sogno al monarca Caldeo Nabucodònosor, trae-
colle seguenti parole: « Noi oseremo qui di prò- ciò in anticipazione l'istoria futura delle grandi
porre agli uomini attaccati al cattolicismo.... se monarchie del mondo. »
oltre la ragione che fa conoscere l'utilità e la Per convincere i lettori intorno all'applicazione
necessità del poiere civile della Chiesa per l'è- della profezia di Daniele al Principato civile dei
senizio libero ed indipendente del potere spiri- Pupi il eh. Autore tien questa via molto sempli-
tuale di Lei, se oltre al fallo che dimostra il ce. Espore il testo biblico nelle singole sue parti,
fermo volere della Provvidenza di mantenerlo e poscia percorrendo i fatti più importanti della
saldo ed intangibile, non si possa andare più storia del mondo ne vien facendo a patte a par-
oltre, e sostenere che la Provvidenza stessa ab- te l'applicazione. Nulla vi òdi sforzato o di so—
bia espresso chiaramente questo suo volere per Ostico : tutto procede pianamente, e il lettore è
la bocca di uno dei profeti più grandi dell' an- siretto alla flne a consentire all'Autore tutte le
tichilà, voglio dire di Daniele; inquanlochè il conchiusioni, che esso da questa applicazione ha
regno temporale della Chiesa si rinvenga notato cosi naturalmente dedotte.
nella celebre profezia del medesimo, in quella
SVIDERSCOSKI-GRU GIUSEPPE — Imitazione di san Giuseppe, Sposo purissimo
di Maria. Operetta tradotta dal francese in lingua italiana dal sac. di Ve-
rona Don Giuseppe Svidercoski-Gru, Miss. Àp. della Congr. del presioso
Sangue. Bologna, tip. delle Picc. lett. catt. 1870. In 16.° picc. di pag. 80.
Siam lieti di annunziare la terza edizione di questa devota operetta, come segno della devozio-
ne sempre crescente verso il S. Patriarca.
YAGNOZZI GIUSEPPE — La visita a Maria Santissima da farsi nel sabbato e nel-
le sue feste, in riparazione degli oltraggi che ella riceve dagli empii,
proposta ai divoti della Vergine dal P. Giuseppe Vagnozzi d. C. d. G. Ro-
ma, coi tipi della Civiltà Cattolica 1870. In 32.° di pag. 91.
VALLAUR1 TOMMASO — Osservazioni critiche di Tommaso Vallami sul volga-
rizzamento di C. Crispo Sallustio, fatto da Vittorio Alfieri. Torino 1870,
presso T. Vaccarino. In 16.° piccolo di pag. 32.
In queste Osservazioni, novamente pubblicate, da Sallustio. Il nome dell' Autore, che è uno dei
sono chiamali a rassegna alcuni de' più gravi critici più stimati e forse il più valoroso latini-
errori, ne'quali e caduto l'Alfieri nella versione sia dell'età nostra, rendono superfluo ogni nostro
da lui fatta della Congiura di Catilina, narrata elogio.
VARII AUTORI — Serto di laudi rendute al SS. Nome di Gesù il 27 Gennaio
1870 nella Congregazione de1 Sacerdoti Missionarii eretta in S. Giorgio Mag-
giore. Napoli, stamperia del Fibreno, 1870. In 16.° di pag. V1/-48.
Le poesie le quali formano il presente Serto, sizioni riscossero, quando furono dinanzi a col-
altre sono latine ed altre italiane, composte da tissima udienza recitale nella prima tornata del-
varii Autori. Da ciò è chiaro, che non possono l'Accademia, istituita o piuttosto ristaurata in
aver tutte il medesimo merito. Nondimeno se vi Napoli, per onorare il Nome SS. di Gesù. Valga
ha di quelle, e non son poche, le quali toccano questo felice esito a riconfermare nel buon pro-
nn grado non comune di eccellenza, nessuna per posito que' pii sacerdoti, che si son messi nel
avventura vi s' incontra che non sia per sé slessa santo proposito di promuovere con ogni sorta
commendevole. Questo giudizio, che noi abbiam d' industria il culto al santissimo Nome, facen-
formalo colla semplice lettura, rende ragione di dogli servire anche le graziedella poesia,
quel plauso non ordinario, che le dette compo-
W0LYNSKI ARTURO — De Sibyllis, seu ethnicorum prò Christiana religione te-
stimonium ; auctore Arthuro Wolynski, sacrae theologiae doctore. Pari-
siis, E. Repos. Un voi. in 16.° di pag. 176.
Gli argomenti svolli in questa dotta ed erudi- sono allegali dai Padri. IV. La contenenza dei delti
ta dissertazione sono i seguenti: 1. Nozioni gè- carmi, e le profezie da essi fatte intorno a N. S.G.C,
ncrali intorno alle Sibille, ai loro scritti, ai loro V. La confutazione di coloro che oppugnano i va-
oppugnatori. II. L'esistenza e il numero delle ticinii sibillini, perchè non furono i carmi delle
Sibille, ili. La genuinità dei carmi sibilimi, quali Sibille posti nel canone delle SS. Scritture.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO
— •<ìSsé**2*rJ*S>*2s&* —
I.
RIVISTA BIBLIOGRAFICA
I. Lavori eruditi intorno air in fallibilità 'pontifìcia
1. di Mgr. Azarian — 2. del P. R. Bianchi — 3. del P. Fedele da Fanna —
4. di Mgr. Senestrey e di Mgr. Freppel.
1. Ecclesiae Armenae Traditio de Romani Pontifìcis Primatu iurisdi-
ctionis et inarabili magisterio, per presbyterum Armenum Stepiianoi
Azarian, Alumnum Yen. Coli. Urb. de Prop. Fide, et SS. D. N. honor.
cubicularinm. Roraae, typ. S. Congr. de Prop. Fide, MDCCCLXX. In
8.* gr. di pag. 175.
Le circostanze generali della Chiesa per L'aspettata definizione, e le cir-
costanze speciali della Chiesa armena danno attualmente un interesse
assai vivo a questo prezioso lavoro di mons. Azarian : ma esso, qual li-
bro monumentale della tradizione della Chiesa armena intorno al pri-
mato di giurisdizione e air infallibilità de' Romani Pontefici, resterà im-
perituro tra gli altri libri classici di simil genere nelle biblioteche eccle-
siastiche. In picciol volume il dotto Autore ha saputo raccogliere quan-
to basterebbe per un grosso volume: sì egli è sobrio nei documenti,
sì parco nelle osservazioni, sì conciso nelle notizie storiche. Dapprima
egli restringe in poche pagine la tradizione della Chiesa orientale in-
torno alla suprema autorità del Romano Pontefice nel reggere e nelf in-
segnare; e quindi venendo a parlare distintamente della tradizione del-
la Chiesa armena, che è parte sì nobile della Chiesa orientale, agli fa
sentire e quasi toccar con mano che presso gli Armeni Primato ed Infal-
libilità non sono due cose, ma una, considerandosi Y infallibilità come
parte essenziale dello stesso primato. A convincersene basta leggete gli
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 79
splendidi documenti eh' egli arreca della fede della Chiesa armena nel
primato giurisdizionale e dottrinale del Papa, 1.° dai suoi libri liturgi-
ci ; 2.° dal Nonio-canone, che è come il codice del dritto ecclesiastico ar-
meno; 3.° dai suoi Concilii plenari! x e parziali; 4.° dai suoi Padri e
scrittori, e persino da alcuni scrittori scismatici; 5.° dalle lettere dei
suoi Vescovi e Patriarchi, e da altre fonti. Non pochi di questi documen-
ti, tratti dagli archivi Vaticani e di Propaganda Fide e da altri pregiatis-
simi archivii e da libri assai rari, hanno il pregio della novità ; ma il pre-
gio migliore del libro non è tanto nella raccolta, quanto nell'ordine del-
la trattazione, e nella forza del raziocinio, onde la tradizione della Chie-
sa armena da primi secoli fino ai dì nostri si fa sentire come una voce,
sempre viva e parlante in testimonianza della cattolica verità. Il dubbio
intorno ali1 infallibilità del primato dottrinale per gli Armeni è cosa nuo-
va; e il solo sentire che si dubita dell1 infallibilità del Papa cagiona in
essi scandalo, come se si dubitasse dello stesso primato. Quindi non è
maraviglia che a cessar questo scandalo, Y Episcopato armeno, ora rac-
colto in Roma, facesse istanza (in dallo scorso Gennaio che presto si de-
finisse in Concilio questa dottrina, di cui dagli Armeni non si è mai du-
bitato; e con questo solo documento, che riassume la tradizione della
nobilissima Chiesa armena, noi darem fine a questo cenno bibliografico.
« Etiamsi in Ecclesia nostra Armena numquam dubita tum fuit de ir-
reformabilitate iudiciorum, quae a Romano Pontifice uti supremo Ec-
clesiae catholicae Magistro et Doctore pronunciantur in materia ildei et
inorimi, utpote plurima Patrum nostrorum vetusta testimonia, atque Ec-
clesiae nostrae historica documenta luculenter ostendunt, quodque sa-
cri et orthodoxi eiusdem Ecclesiae Antistites hucusque docuerunt; cimi
tamen audierimus quosdam liane ipsam infallibilitalem in dubium revo-
care; Nos timentes gravia damna, quae ex hac nova doctrina possent
oriri universae Ecclesiae, praesertim vero Orientalibus, quoniam num-
quam dubitatum fuit quia irreformabilitas praedicta supremo Romani
Ponti ficis primatui arctissime et inseparabiliter cohaereat; necessarium
exisiimamus ut eadem ab oecumenico Concilio definitive declaretur,
atque ideirco petimus ut de eiusmodi re in eodem Concilio quamprimum
agatur. Romae, in aedibus Piatti Montislaniculi, die 11 fanuarii 187D. »
(pag. 159). Dopo ciò s'intenderà facilmente con quanta ragione l'Autore
abbia conehiuso la prefazione al suo libro con queste parole: « Spero
etiam hunc qualemcumque meum laborem, documentorum quae profero
1 Noteremo qui di passaggio col eh. Autore (pag. 54) che nella versione armena del decreto d'U-
nione, fatta e letta nel smodo Fiorentino, la famosa clausula, quemadmodum etiam, suona come se
dicesse, prout in ipsis eliam gestis oecumenicorum Conciliorum , ossia come persino negli atti dei
Concilii viene insegnato; che tale èia forza dell'Armeno utili ^U-.U m^ncevs : il che vai quan-
to dire, i diritti del Romano Pontefice ivi dichiarati non esser nuovi, ma contenersi persino negli
atti antichi: ond' è manifesto che il senso di quelle paiole non è di restringere, ma di confermare
la potestà pontificia.
80 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
mictoritate urgente,. band inutilem futurum iis qui putant timendum esse
Orientalibus, qua catholicis, qua schismaticis, si Romani Pontificis pri-
matus et pracrogativae maiori semper in luce collocentur. » (pag. Vili.)
2. De Constitutionc monarchica Ecclesiae et de infallibilitate Romani
Pontificis iuxta D. Thomam Aquinatem eiusque scholam in Ord. Prae-
dicatorum, per Fr. Raymundum Bianchi Procuratorem gcneralem eius-
dem Ordinis et Professorem S. Theologiac in Romana studiorum Ini-
versitate. Romae, typis Salviucci 1870. In 8.° di pag. 174.
11 principio, che l'uomo sa cavar male dal bene, e che Dio invece sa
cavar bene anche dal male, viene illustrato a maraviglia dalla presente
quistione dell'infallibilità. Dal desiderio della definizione, manifestato
dapprima per singoiar devozione verso S. Pietro e i suoi successori, si
è levato un partito di opposizione tanto violenta quanto inaspettata ;
ma questa opposizione nell'ordine della divina Provvidenza ha servito
agli interessi della verità; sicché la definizione stessa, implorata dap-
prima come una grazia per devozione, sembra essere divenuta una ne-
cessità in forza appunto dell'opposizione. Così Iddio sa trarre bene dal
male! Parimente se non fosse stata la violenza dell1 opposizione non
avremmo avuti ne tanti indirizzi, né tanti opuscoli e libri per la defini-
zione, come si può raccogliere dai tanti scritti che abbiamo annunziati
nella nostra Rivista bibliografica del Concilio: ed uno di questi si è ap-
punto il libro che ora annunziamo.
Chi avrebbe pensato a scrivere della dottrina dell'Angelico Dottore e
della sua scuola in favore dell' infallibilità, se la Gazzetta d'Augusta, os-
sia Giano, e poi il P. Gratry e poi altri pappagalli non avessero ripetuto
che S. Tommaso, se credette all'infallibilità, fu tratto in errore da certi
testi apocrifi, e che la sua scuola fu tratta bonamente in errore da lui.
Ora lo scopo diretto del Rino P. Bianchi si è appunto di confutar que-
sto errore, e però dimostra che indipendentemente dai pretesi testi
apocrifi e S. Tommaso e tutta la sua scuola ha fondato la dottrina del-
l'infallibilità pontificia sopra chiare testimonianze del Vangelo, e sopra
indubie prove della tradizione, e sopra inconcusse ragioni teologielu\
Ma oltre questo vantaggio polemico, il libro ha un merito positivo
dottrinale; giacché non è già solo una catena di testimonianze, ma
piuttosto un trattato teologico della costituzione monarchica della Chiesa
e dell' infallibilità del Romano Pontefice composto armonicamente dalle
testimonianze di S. Tommaso e dei più insigni teologi della sua scuola,
che splendono quasi pianeti ed astri minori intorno a quel sole ì. Già il
1 Erro l'indico alfabetico degli autori citati qartl più qual meno nel corso del libro. S. Anioni-
nu$, B. Albertus M., De Araujo: Banlieu, Billuart, Bzowiux: Catetanus, Calerà, Cerboni, Chalvet, Cot-
fetleau, Conlensun: lì winicu» de S. Thoma, Durandun: Ferre, De Fiume: Galli, G<>nzalez, Gotti,
Gravina: loannes de XtapoH, l>»in>ifx a S. Thoma: Labat : Marchesi, Melchior Canus, Ioannes de
Montenigru : Miniai, Swjn-i Cabazudo : Orti: Patudanus, Prièras: Beali, Beginaldu», Bocnberli: Sal-
tano, S'j 'inorala, Serry, Solo Dominicus, Solo (de) Petrus: Turrecremata : Victoria.
COSE SPETTASTI AL CONCILIO 81
P. Reali avea fatto un breve cenno della dottrina della scuola Tomistica
intorno l'infallibilità, come il P. Ludovico da Castelplanio della scuola
Francescana, e il P. don Luigi Vaccari della scuola Benedettina, negli
opuscoli da noi altrove lodati, (voi. X, p. 443 e 724; e voi. IX, p. 343).
Ma il P. Bianchi di proposito ci fa sentire l'armonioso concerto delle
voci della scuola Tomistica, e produce i testi de' suoi più cospicui dotto-
ri, con abbondanza e insieme con iscelta e con sobrietà: e da tutti insie-
me i testi si ha un corpo armonico di dottrina, pieno e compiuto, spe-
cialmente quanto alla quistione principale del soggetto dell' infallibilità
e del suo oggetto primario. Alcuni punti poi meritano una menzione
speciale : tali sono a cagion d'esempio le ragioni teologiche per l'infal-
libilità proposte dal Cano e dal Gravina (pag. 106); le tesi sulla mo-
narchia nella Chiesa, e sui famosi testi di S. Matteo, di S. Luca e di
S. Giovanni, sì ben formolate dal P. Cerboni (pag. 13, 78, 93, 100),
il quale sebbene in un luogo (pag. 23) ristringa di troppo l'oggetto e le
condizioni dell'infallibilità, formola pure assai bene altre tesi sulle di-
ligenze umane richieste per una definizione (pag. 158); e finalmente
l'appendice tolta dal P. Gravina sopra la convenienza d'una definizione
dommatica in certe circostanze non ostante l'apparenza di gravi difìicol-
tà (pag. 161-67); la quale appendice è si bella e si opportuna ai tempi
presenti che pare scritta pur ora. e noi la vedremmo volentieri stampa-
ta anche a parte.
Noteremo pure specialmente che il P. Bianchi nel corso del suo li-
bro fa ima breve e compiuta confutazione d'un opuscolo uscito teste in
Napoli col titolo, L'infallibilità del Papa secondo S. Tommaso d'Aquino
per V. P. in cui si pretende che S. Tommaso abbia sì riconosciuta nel
Papa l' infallibilità, ma non già personale, sibbene sol collettiva, insie-
me coi Vescovi o in Concilio o dispersi : parimente il P. Bianchi difen-
de alcuni dell'Ordine di S. Domenico che si vorrebbero da taluni favo-
revoli alla sentenza gallicana : S. Antonino che si è voluto teste presen-
tare come un precursore e una colonna del Gallicanismo 1 ; poi l'illustre
contemporaneo di S. Antonino, Silvestro Prieras, che Natale Alessandro
(il quale certo in ciò non rappresenta la scuola Tomistica) vorrebbe pur
favorevole alla scuola Gallicana ; e quindi il Turrecremata, il Soto ed il
Contenson.
Ma per far conoscere il merito di questo dotto lavoro, non fa mestieri
di più minuta rivista: il Breve che il Santo Padre si è degnato di diri-
gere al eh. Autore, contiene insieme tutto il concetto e l'elogio del-
l' opera e della dottrina dell'Angelico e della sua scuola.
1 I! eh. Autore a pag. 58 accenna con lode al bel lavoro fatto a nostra istanza sui manoscritti di
S.Antonino dell'esimio paleografo, Marchese Palermo: il qual lavoro fu inserito nella Civiltà Cattoli-
<a, come parte integrale della nostra ampia difesa della dottrina di S. Antonino (Ser. VII, voi. IV, V e IX).
Serie YIJ, voi XI, fase. 487. 6 23 Giugno 1 870.
82 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
PìUS PP. IX. Dilecle Fili, Salutem et Apostolica™ Benecliclionem.
Perlibenter equidem, dilecte Fili, compressalo yideramus ab altero e
tui Ordinis Aluinnis audaciam epbemeridis, quae vulgaverat, neminem,
ante clarissiraum Ecclesiae lumen Thomara Aquinatem, apud vea asse-
ruisse nescium erroris romanum Pontificem ex cathedra docentem; ipsum
vero id tradidisse spuriis fretum Graecorum testimoniis, tolamque post-
ea eius scholam, pecudum more, Magistri vestigia secata m, eanidem pro-
pugnasse nutantem sententiamet fondamento carenlem.Libenlius tamen
videmus, le e rei corticc ad ipsam medullam progressum ex eodem An-
gelico Doctore iugique discipulorum eius serie deprompsisse argumenla
spectantia constitutionis Ecclesiae indolem romanique Pontificis praero-
gativas, illaque scite studioseque conquisila ea disposuisse et ordinasse
industria, quae in hoc themate absolutum velati doctrinae corpus et
adeo compaclum oculis subiiciat, ut dum quae Vir sanclissimus docuit
clarius et fusius explicata cernuntur a discipulorum commcnlariis, no-
vum vicissim robur istis additum conspiciatur a tanti praeceptoris aucto-
ritate. Quam sane eo maioris facimus, quod eximia et prorsus angelica
sanctissimi huius viri doctrina ab ipso Christo Domino commendala fe-
ratur; et facta testantur, Ecclesiam in Oecumenicis Conciliis po;>t illius
obitum habitis tantum detulisse scriptis eiusdem, ut sentenliis inde du-
ctis et saepe etiam verbis usa fuerit, sive ad elucidanda Catholica dog-
mala, sive ad erumpentes errores conterendos. Non uno autem nomine
collectionem islam tuam opportunam utilemque censemus. Praeter quam
enim quod omr.es subiectae materiae parles attingat ac illustre!., et quot-
quot in ea diflicultates excitantur diremptas exhibeat, ila ut, lucubra-
lione perlecta, liceat animadvertere cum Ecclesiaste, nihil sub sole no-
rum, ncc valet quisquam (licere: ecce hoc recens est: iam enim praecessit
in saeculis, quae fucrunt ante nos: expers praeterea sit omnis suspicionis
commotae mentis et abreptae a quaestionis aestu, cum tota ferme con-
stet ex scriptorum sententiis, qui iamdiu ex h umani 8 rebus excesserunt.
Gratulamur itaque tibi, quod ad tuendam vetuslatem, solidi latem et
conslantiam doctrinae angelici Magistri tal eiusque scholae i
lume laborem susceperis; siquidem dum te propositum luum assecutom
esse videmus, non parum lucis ab opere buiusmodi couferendum
arbitramur ;id discutiendas obieclionum nebulas mentibus oliti
llunc ideirco libi iaustum ominamur exitum; et grato excipienjaa ani-
mo volameli oblatam, divini favoris auspicem et paternae Nostrae bene-
volentiae pignilfi Apostolicam beaedictionem libi totique Praedicatorum
Ordini peramanler imperlimi!.-;.
Datimi Ilomae apud S. Petrum, die 0 fornii anno 1870.
Pontificala* Nostri anno vigesimoquarto.
3 PP. 1\.
Dilecto filio Rayrnundo Bianchi Procuratori generali Ordinis l'rac-
dicatorum.
COSE SPETTAMI AL CONCILIO 83
3. Seraphici Doctoris Dici Bonacenturae dottrina de Romani Ponti ficis
primatu et infallibilitate a P. Fideli a Fann\, Lect. theol. ref. prov.
Yenet., collecìa et adnotata. Taurini, apud P. Marietti MDCCGLXX. In
8.° gr. di pag. 45.
Alla presente polemica andiamo pur debitori di quest' aurea catena
di testi del Padre della scuola serafica, S. Bonaventura, sì bene scelti
e illustrati dal P. Fedele da Fauna. Egli raccoglie le sentenze del Santo
che riguardano non solo la infallibilità, ma anche il primato : sì perchè
dall'idea adequata che il santo Dottore dà del primato risplende vie-
maggiormente l'idea dell' infallibilità, che deriva dal primato, e in lui
si contiene, nò solea da quello separarsi nel medio evo, considerandosi
insieme il primato di governo e di magistero inchiuso nella formola :
plenitudo potestatis: sì perchè nella presente polemica non solo si oppu-
gna l'infallibilità, ma neppur si vorrebbe da taluni quella pienezza di
potesià ordinaria, immediata e assoluta sopra tutte le Chiese, che il
S. Dottore riconosce sì apertamente nel primato di giurisdizione insieme
e di magistero del romano Pontelice e della Sede apostolica. Pertanto il
dotto discepolo di S. Bonaventura distingue il suo lavoro in tre sezio-
ni e raccoglie ed ordina i testi in modo da illustrare nella prima più
direttamente il primato, nella seconda l'infallibilità, nella terza il prima-
to e T infallibilità tutto insieme: e fa vedere come il santo Dottore, chec-
ché sia di qualche apocrifa decretale da lui pure citata, fonda le sue
sentenze sopra le divine scritture, eie più inconcusse ragioni teologiche.
Osserveremo specialmente due cose, che hanno relazione colle qui-
stioni più vive al tempo presente. La prima riguarda la quistione del-
Y oggetto dell'infallibilità. Il S. Dottore non si ristringe già solo air og-
getto primario che sono i dogmi di fede, come gli si fa dire in un testo
che si suppose in buona fede essere di S. Bonaventura, ed è invece del
P. Pietro Trigosio; Papa non potest errare suppositis duobus : primum
quod detenni n et quaienus Papa ; altcrum, ut intendat facere dogma de
fide: che anzi il serafico dottore parla più volte direttamente dell1 infal-
libilità del Romano Pontefice, o ciò che per lui è lo stesso, della Santa
Sede, in cose anche soltanto connesse col domma e coi costumi, come è,
a cagion d'esempio, l'approvazione solenne degli Ordini religiosi di
S. Francesco e di S. Domenico, e l'approvazione fatta dalia S. Sede del-
la mendicità volontaria, e la condanna fatta da Alessandro IV del famo-
so libro di Guglielmo del santo Amore; cose tutte che il S. Dottore com-
prende espressamente nella formola generale dell'infallibilità in fide et
moribus. Che però nella sua Apologia pauperum, dando nota di ribel-
lione in fede a chi opponevasi alle suddette pontificie definizioni, sog-
giunge, che ora tempore veritalis et gratiae revelatae, quando Christi
Yicario plenitudo potestatis collata esse dignoscàur , malum esse
constai nullatenus iolerandum in fide vel mgmuis eius dep.nilioni do-
8Ì COSE SPETTANTI AL CONCILIO
gmalizare contrarium, approbando quod ipse reprobai, reaedi fìcando
quod ipso desiniti, defensando quod damnat (pag. 24). Quindi per di-
fesa della verità contro gli oppugnatori della mendicità volontaria,
approvata dai sommi Pontefici, ricorre con eloquenza piena di fede e
di i.ffetto alla sacrosanta Chiesa Romana, che chiama Malrem , re-
g inani alque magistrata ad defendendam, et docendam tam morvm
quam fidei veritatem. Exurge igilur sancta Mater et ludica causam
tuam; quia si paupcr hic orda minorimi recte profdetur veritatem Evan-
gelii, tv um est: si a ventate in professione a te sancita deviat, rtiVM
est: ac per hoc si professioni huiusmodi sanctae error impingilur, tu
quae Ulani sanxisli errasse assereris, et quae magistra yeritatis iiacte-
xus extitisti, nunc de approbatione erroris argueris, et a quibusdam
inodernis praesumptoribus, velut iuris divini et fiumani nescia deride-
ris (pag. 25).
L'altra cosa degnissima di osservazione per le controversie presenti
si è che al santo Dottore è affatto ignota la teorica dell'unanimità dei
suffragi per le definizioni dommatiche: anzi riconosce appunto la pie-
nezza della potestà e l'infallibilità del Romano Pontefice anche perchè
così si possano terminare le discordie. Secondo la nuova teoria dell' uha-
nimità morale, in caso di discordia tra i Vescovi, il Papa (ci si per-
metta la similitudine che abbiam sentita da altissimo personaggio) il
Papa sarebbe simile al famoso asino di Buridano, che dovrehbe restarsi
immobile; non potendo accostarsi nò alla maggioranza nò alla minoran-
za; ma dovendo aspettare pazientemente che i discordi si mettessero da
sé d'accordo, almeno con morale unanimità. Oh davvero il bel giu-
dice delle controversie! Ma non la sente già così il santo Dottore.
Petro Dominus dedit super alios Apostolos ordinariam potestalem dicens
(Lue. 22) Et tu aliquando conversus confirma fratres tuos. In huius
rei fìguram dicitur (in Lib. Sap. 18) quod in veste podèris, quam habe-
bat Aaron, totus erat orbis terrarum. Quod si unus non esset qui in omnes
exercere posset iurisdictioneni, ubi maneret status Ecclesiael Si pautirls
DISCORD AXT IRIS NON ESSET QUI POSSET M1TTERE MAXIM IX AMBÀSUS ,
fuisset synagoga felicior quam Ecclesia, quia illa habebat unum Sum-
mum Ponti ficem, qui omnes discordias poterat terminare (pag. W).
Conchiuderemo rallegrandoci col dotto teologo che non solamente ha
raccolta e annotala, com'egli dice, la dottrina del serafico Dottore, ma coi
titolelti marginali, e colle sue sugose e sapienti annotazioni l'ha anche il-
lustrata, raccogliendo, per così dire, come in un foco tanti raggi di luce.
\. Beati Alberti Magni Ecclesiorumque (ìermaniae doctrina de infal-
libili Romani Pontificii magisterio testimoniis aliquot illustrala lieve-
rendimmis Concila Vaticani Patribus ad manus. — Iunatii 9 Episcopi*
Halisboncn. Neapoli, typ. V. Manfredi. In 8/ di pag. 1 i.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 85
De primato Romani Ponti ficis eiusque infallibili magisterio iuxta
ultima Galliarum Concilia provincialia, scripsit Carolus Aemilius Frep-
pel, Episcopus Andegavensis. Taurini, apudP Marietti. In 8. 6 di pag. 47.
Ci basti un breve annunzio di questi due eruditi lavori del Vescovo di
Ratisbona, mons. Senestrey, e del Vescovo d1 Angers, mons. Freppel,
che tanto onorano la fede della Germania e della Francia.
Si è voluto dubitar da taluno se quel lume della Germania, il B. Al-
berto Magno, abbia tenuta l'infallibilità del romano Pontefice; e special-
mente si è voluto far credere che in questi ultimi secoli, dopo sorto il
protestantesimo, non sia più stata in vigore nella Germania quella dot-
trina. Ma l'illustre Vescovo di Ratisbona risponde trionfalmente colle
testimonianze del B. Alberto e dei Concilii della Germania cattolica. Egli
mette dapprima in luce in poche pagine la dottrina del Magno Alberto;
e poi per saggio allega per la infallibilità pontificia le testimonianze
dei sinodi d'Augusta, di Treveri, di Costanza, di Vienna, di Praga e di
Colonia, recando insieme per Colonia altre testimonianze, cioè quella
della facoltà teologica nel 1713 e dell'Arcivescovo nel 1719, in riguar-
do della Costituzione Unigenitus. Con brevi riflessioni fa sentire la forza
di queste testimonianze, e conclude che dunque la definizione non giun-
gerà nuova alla Germania cattolica, nella quale, anche in mezzo del do-
minante protestantesimo, si è pur conservata in vigore l'antica dottri-
na ; a qua etiam ratisbonensem Sedem nunquam recessisse, compertum
est. Lode a Ratisbona e al suo Vescovo !
L'infausto nome di Gallicanismo, dato alla dottrina contraria all'in-
fallibilità pontificia, mette presso molti in sospetto e in mala voce la
Francia più ancora della Germania. Ma si legga l'opuscolo di mgr. Frep-
pel, e si vedrà se la Francia sia Gallicana. L1 illustre Vescovo di Angers
reca per disteso quanto han professato gli ultimi Concilii provinciali,
Suessionense, Remense, Avenionense, Burdigalense, Albiense, Tolosanum,
Cleromontense, Lugdunense, Senonense, Aquense, Rhedonense, Auscita-
num e Parisiense; soggiungendo ai più dei testi alcune brevi avvertenze
con quella forza e limpidezza di concetto, tutta sua propria. Al leggere
tante splendide testimonianze ci veniva timore che al confronto potreb-
be poi sembrar pallida ogni più esplicita definizione del Concilio Vatica-
no, e quasi ci veniva più d' una volta al labbro, come or ci viene libera-
mente alla penna, un Viva alla Francia, e Morte al Gallicanismo. Ma ter-
mineremo piuttosto colle sublimi parole di Gregorio IX in elogio della
Chiesa di Francia, colle quali mgr. Freppel conchiude pure il suo opu-
scolo ; che cioè la Chiesa di Francia in fervore fidei ac devotione erga
apostolicam Sedem non sequitur alias, sed antecedit.
8G COSE SPETTAMI AL CONCILIO
li. Risposte alle lettere di Mgr. Dupanloup.
1. Di Mgr. Dechamps — 2. dei cau. Sauvé — 3. del P. Ramiòre — 4. del Bar.
Carboneili — 5. del Prev. Messina — 6. di Mgr. Nardi.
1. Deuxième reponse de Monséigneur Dechamps, Archevéque de Malines
a monséigneur Dupanloup, Eceque d'Orleans, suivie de divere docummts
relatifs a f infaillibilité. - Malines, II. Dessain 1870. Paris, V. Palme.
In 8.° di pag. 124.
Tra i tanti scritti intorno alla definizione della infallibilità pontificia,
forse niuno ha levato tanto grido quanto le due eloquenti lettere del Ve-
scovo d'Orleans, la prima sì famosa, diretta al suo clero, in data degli
11 Nov. 1860, e la seconda, men famosa, diretta a Mgr. Dechamps, in
data del 1 Marzo 1870. Ma noi che abbiamo scritto lunghi articoli sopra
opuscoli ancor men famosi, del Dollinger, del Gralry, e d'altri, per ri-
guardi speciali non abbiam mai parlato direttamente di quelle due let-
tere: che anzi dei tanti scritti in risposta ad esse non abbiam fatto co-
piose riviste, ma soltanto un cenno bibliografico, come faremo pur ora.
Annunziamo dapprima la bella edizione di Malines della seconda ri-
sposta di Mgr. Dechamps. Ella è già sì nota e celebrata per la sua
erudizione e dottrina, che non ha davvero mestieri di nostra rivista; ma
siam lieti di annunziare questa edizione, poiché oltre quella magnifica
risposta in 79 pagine, ella contiene una preziosa Appendice di presso a
SO pagine, in carattere minuto; ove si riportano per disteso, 1° La let-
tera dello stesso Mgr. Dechamps a un Magistrato sull1 opportunità della
definizione; II0 La sua prima risposta a Mgr. Dupanloup; 111° L' indi-
rizzo del Rettore magnifico e della facoltà teologica di Lovanio per la
definizione; IV.0 Una lettera di S. Vincenzo de' Paoli sull'opportunità
della condanna del Giansenismo; V.° Il Breve del Santo Padre a Doni
Guéranger; VI/ La lettera dell'Arcivescovo di Baltimora al Vescovo
(T Orleans.
2. Héfiexions sur la rèponse de monseignpur VE >rlcans a
monséigneur VArcheceque de Malines, par M. le chat ! in Svivi;
Théologien Pontificai. Deiuième édition, revue, corr'ujée, il cugmentée.
Lavai. M. Beauehéne 1870. In IO/ di pag. 59.
Vediamo con piacere questa graziosa edizioncella delle Riflessioni di
un teologo, da noi annunziate a pag. '22<> del voi. precedente, che ora
perfezionate ed accresciute vengono in luce col nome dell'Autore. Oltre il
pregio generale dell'opuscolo per le risposte alle singole diflicollà propo-
ste, es>o ha pur questo pregio singolare, che venuto in luce subito do-
po la lettera di mgr. Dupanloup, fu il primo, o certo tra primi, a fare
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 87
appunti sulla famosa lista dei teologi gallicani, communieata al Vesco-
vo d'Orleans da un teologo, e sulla più famosa teorica dell'unanimità
morale. Le due edizioni italiane furon tosto esaurite, e pel gran numero
delle nuove dimande si è fatta questa edizione francese.
3. Le Programma da Concile trace par Mons. VEcéque d'Orléans, par
le P. li. Ramièrs de la Compagnie de Jesus. Paris, Enault et Mas, rue
Cassette, 23-1870. In 8.° picc. di pag. 108.
Il eh. P. Ramière, assai ingegnoso nel volgere contro gli avversarli
le stesse loro armi, dalle lettere del P. Gratry ricavò La Missione del
Concilio, che sta appunto nel combattere le diverse forme dell'antipa-
pismo razionalistico, liberale e cesariano, come accennammo a pag. 81
del precedente volume. Ed ora similmente dalla lettera di Mgr. d'Or-
leans a Mgr. di Malines il P. Ramière ricava 77 programma del Conci-
lio, e fa derivare non solo la opportunità, ma anche la necessità della
definizione dal piano stesso, che il suo chiaro avversario tracciò del Con-
cilio nella citata risposta: « Facciamo, egli diceva, un grande Concilio :
sviluppiamo le vive e feconde forze della Chiesa... dissipiamo infine,
per mezzo di dichiarazioni limpide, precise, formali, questi spaventevo-
li malintesi che ci divorano. Ecco in qual modo noi ci attrarremo questo
secolo che ci fugge, e come potremo salvare la società che domanda soc-
corso con tutte le voci delle sue sofferenze e de1 suoi pericoli. » Sapien-
tissimo è questo scopo, che l'illustre Vescovo propone al Concilio: ma
per attuarlo, sogghigno il P. Ramière, non sopperisce al Concilio stesso
altro mezzo, che quello appunto che Monsignore si affanna di escludere,
vale a dire la definizione della infallibilità pontificia. Il mezzo termine a
provarlo, è una chiara ed esatta esposizione dello stato presente del mon-
do, eh' è come diviso in due grandi parti contraddittorie, il Cristianesimo
e V Anticristianesimo, fra mezzo le quali si è costituito quello ch'egli
chiama Antipapismo nel seno stesso della Chiesa, ed è la parte a cui
tengono i gallicani, ed i loro alleati i liberali-cattolici. Questa fazione
professa sudditanza ed obbedienza alla Chiesa, ma nello stesso tempo
vuole partecipare alle due qualità caratteristiche del moderno Anticri-
stianesimo, che sono la libertà del pensiero e la libertà dell'azione. È
chiaro che costoro debbono sommamente osteggiare la definizione della
pontificia infallibilità, siccome quella che tronca dalle radici queste due,
ad essi sì care, ma alla professione cattolica sì esiziali dottrine. Ma da
ciò stesso risulta che ninna cosa è tanto utile, ed anzi tanto necessaria
agli interessi della Chiesa ed alla salute delle anime, quanto proclamare
un dogma, che renderebbe impossibile o almeno assai difficile protrarre
più a lungo T illusione. Questo è il concetto cardinale della bellissima
operetta del eh. P. Ramière. Ma per poter debitamente apprezzare il
merito dello sviluppo logico sì del tutto e sì delle parti, conviene leg-
88 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
gerla per intero. Essa si trova non solo nel volumetto da noi annun-
ziato, ma anche nel Bullctin du Concile, dov'è uscita alla luce in cin-
que articoli separati. Il primo volume di questo BulUitino è già compilo
col numero del 9 Giugno, e contiene pag. 636. Noi raccomandiamo no-
vamente questo egregio Periodico settimanale ai nostri lettori.
4. V inopportunité de la Question d'opportunité; Lettre à monseirjneur
VEvèque d'Orléans par le Baron de Letino Carbonelli. In 8.* di pag. 72.
Questa lettera del chiarissimo barone napoletano Carbonelli è in ri-
sposta a quella, che l'illustre Vescovo d'Orleans diresse a mgr. De-
champs, per ribadire i suoi antichi argomenti contro Y opportunità della
definizione dommatica della infallibilità pontificia, confutati da quel dot-
tissimo Prelato. Da prima l'Autore, se riconosce nella presente polemi-
ca una inopportunità, la fa scorgere a chiarissimi segni dal lato di coloro
che si son messi nell1 impegno di combattere come inopportuna la detta
definizione. Egli pone in molta evidenza quella verità, diventata oggi-
mai proverbiale, che le opposizioni di costoro hanno tramutata la oppor-
tunità di essa in una vera necessità. Dopo di che si reca ad esaminare
con molta accuratezza gli argomenti addotti da Monsignore, e risponde
ad essi con tanta lucidità di esposizione, esattezza di dottrina, copia di
buon senso e valore di logica, che veramente ci ha fatta dolce meravi-
glia ritrovare accolte tutte queste qualità in uno scritto di un laico so-
pra un soggetto sostanzialmente teologico.
5. V infallibilità pontifìcia e la lettera dimons. Felice Dupanluup Ve-
scovo d'Orleans, sulla inopportunità d'una dommatica definizione: Esa-
me critico del Prevosto curato della CaUredale di Noto, Niccolò Missi-
na, Vicario Capitolare. Palermo, tipogr. di G. Tamburello, 1870. In 8*
di pag. 160.
Questa confutazione è scritta con molta tranquillità e con una cortesia
che qualche volta potrebbe sembrare troppo condiscendente: con tutto-
ciò procede con tanta forza di ragioni e vigore di argomentazione, che la
stessa cortesia e condiscendenza riesce in ultimo a dare maggior risalto
alla verità. Tutta l'opera si tiene a due punti, i quali corrispondono a'due
lati della questione proposta dall' illustre Vescovo nella lettera al suo
Clero: l'uno diretto, in cui si cerca se sia opportuna la definizione dom-
matica della infallibilità pontificia, e l'altro indiretto (consideralo dall'op-
positore in ordine $HY opportunità stessa), in cui si tratta il merito della
quistione, vale a dire la dottrina della infallibilità in se stessa. Il chiaro
Autore esamina molto minutamente tutti gli argomenti e le osservazio-
ni dell'illustre Vescovo; e per la prima quistione, dove risolvendo le
difficoltà in contrario o anche ritorcendole contro l'oppositore, e dove
argomentando da altre fonti, dimostra sino all'evidenza, che non solo è
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 89
opportuna, ma sotto un rispetto anche necessaria la definizione della
infallibil.là pontifìcia. Per la seconda questione poi, dissipati tuli1 i dub-
bii e gli equivoci, dedotti o sia dalla storia o sia dalle ragioni teologiche,
conchiude che la detta dottrina ha tutt1 i requisiti, ed anche assai più
del necessario, per poter essere definita.
Non vorremmo però che il lettore interpretasse malamente alcune
espressioni deli1 Autore, specialmente nel principio della sua discussione,
che sembrano alquanto vaghe, ma il cui senso è assai bene dichiarato
in altri luoghi. Di fatto nelle osservazioni preliminari, messe per deter-
minare lo stato della quistione, parrebbe ch'egli consideri Pobbietto del-
la infallibilità pontificia solo in quegli atti, co1 quali o si propone a cre-
dere una verità come domina di fede, o si condanna un errore, come
formale eresia. Ma che egli non intenda questa dottrina in modo esclu-
sivo, e invece includa neh" obbietto della infallibilità anche quelle dottri-
ne, che sono designate da1 teologi con qualificazioni inferiori, lo lascia
agevolmente capire, quando adotta la forinola di S. Alfonso la quale è
generalissima ed è la seguente : Cam Papa loquilur tamquam Doctor
nniversalis definiens ex cathedra, nempe ex potestate suprema tradita
Petro doccndi Ecclesiam, fune dicimus Ipsum in controversa fidei et mo-
rum deccrnendis omnino infallibilem esse (Th. m. 1. I, tract. II, de leg.
- Diss. de Infall.) [Parimente in altri luoghi potrebbe sembrare ch'egli
conceda essere libera nella Chiesa la dottrina della infallibilità, sicché si
possa negare non solo senza incorrere nella formale eresia (ilchetutti
concedono), ma senza niuna colpa, né incorrendo alcuna nota teologica
(come vorrebbero i gallicani). Ma a quanto ci pare, quando egli ciò
suppone, lo suppone mettendosi nella ipotesi degli avversarii. Poiché,
quanto a se, egli afferma più volte, che la delta dottrina si trova chiara-
mente rivelata nella Scrittura, ed insegnata e professata da tutta la tra-
dizione ; e che per conseguenza essa è una verità di fede divina, alla qua-
le per divenire di fede divina cattolica altro non manca che la formale
proclamazione della Chiesa. Donde si scorge, che egli, a prescindere dal-
le cause subbieliive che possono scusare dinanzi a Dio, tiene chela infal-
libilità pontificia non è per sé un punto di dottrina libera nella Chiesa.
6. Observations sur Ics lettres de Mgr. V Évèque cV Orleans, par Mgr.
Nardi Auditeur de Rote. Paris. V. Palme 1870. In'l2.e di pag. 66.
Alle due edizioni italiane da noi annunziate (voi. IX, pag. 341, voi.
X, pag. 83) tien dietro questa versione francese. Essa fu fatta in
Roma da un ecclesiastico francese sotto gli occhi e la direzione dell'Au-
tore; e però possiam credere che abbia la perfezione dell'originale, per
la forza dello stile, e perla vibratezza de'concetti, sì propria dell'illustre
scrittore italiano qual è Mgr. Nardi. Benché siano già uscite tante ri-
sposte alle lettere di Mgr. d1 Orleans, questa di Mgr. Nardi nulla ha
perduto del credito che si meritò quando uscì tra le prime.
00 COSE SPETTAMI AL CONCILIO
Avremmo qui da annunziare un gran numero d'altri opuscoli, intor-
no all'infallibilità, sì in generale, e sì specialmente in difesa d'Onorio,
oltre a tanti e tanti libri ed opuscoli relativi al Concilio: ma noi pos-
siamo fare che poco alla volta : e ciò ci serva di scusa e presso gli auto-
ri e presso i lettori : ma non possiamo differire l'annunzio di due opu-
scoli sulla questione dell1 unanimità morale, che ora può dirsi la que-
stion dujour.
III. Della unanimità morale
Opuscoli 1 di Mgr. Zinelli — 2 del P. Sleccanella.
1. Bella unanimità dei suffragi nei decreti dogmatici dei Conditi ecu-
menici per Monsignore Federico Maria Zinelli, Vescovo di Treviso. To-
rino, cav. P. Marietti, 1870. In 8° di pag. 76.
Vi sono di quelli, che si danno la briga non piccola di comporre e
stampare opuscoli avversi alla infallibilità pontificia e di spedirli gratis
ai Padri del Concilio, affine di sanare agl'intelletti lor non sani da pre-
giudizii beuti nelle scuole, che frequentarono. Ma che? conscii della ma-
la opera che fanno, e perciò tutti vergognosi di se, non esano di apporvi
il proprio nome: cosichè cotali sconciature escono tutte anonime. Mons.
Zinelli, confuta nell'opuscolo annunziato una di coteste cose anonime,
che si intitola: De Vl'nanimité morale nécessaire dans les Conciles pour
les défniitions dogmatiques ; Mémoire présente aux Per es du Concile du
Yatican. L'Autore anonimo vorrebbe far credere ai Vescovi, che stante
la minoranza, opposta alla definizione della infallibilità pontificia, non
si può venire a capo, essendo interdetto dalla storia, dalla autorità di
sommi uomini e dalla ragione teologica il definire di ragione dommatica
una dottrina, in cui non concorre V unanimità morale dei suffragi. La
confutazione di questo nuovo principio, è quale dovea uscire dalla pen-
na di chiarissimo scrittore, chiara, diritta, serrata. Mandata innanzi
una lezioncina ai signori anonimi, nella quale si fa loro intendere i
opera gittata e piuttosto dannosa alla loro causa gli opuscoli distribuiti,
siccome quelli che contengono assai vecchi arnesi di argomenti, spun-
tati le cento volte alle prove già fattene, il venerando Autore viene al
punto della confutazione. Nel brevissimo sunto, che ei fa dell'opuscolo,
riduce il lutto a certi capi di argomenti. Indi mostrato che, salva la ec-
cezione di un particolare Statuto, è sufficiente la maggiorana per le
deliberazioni di qualunque assemblea, conferma qui gra-
vi autorità teologiche, e la fa vedere ossi ■' Concilii ecumenici
specialmente in (niello di Trento e di Costanza ( §. I). Pttrto questo
principio, che vagliono i l'atti storici allegali dall'anonimo? Nulla. Essi
di per se non provano altro, che vi sono due vie per giungere al me-
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 91
desimo termine della definizione: la unanimità e la maggioranza. È egli
poi vero che nei Concilii siasi sempre deciso per unanimità? Dall'Ano-
nimo è affermato, ma non dimostrato, standogli contro ed il Concilio di
Sardica, giunta del Niceno, e quello di Efeso e tutti gli altri, in cui
v'ebbero dissidenti, fatto ammesso dal Tournely e dallo stesso Bossuet
(§. II). L'anonimo distingue nelle decisioni di fedele verità dommatiche,
sempre credute come tali, dalle verità dommatiche credute soltanto im-
plicite, ed il eh. confutatore dimostra quanto sia vana allo scopo cotesta
distinzione (§. III). L'anonimo arreca autorità antiche, moderne, re-
centi; ed il confutatore, spiegatene alcune, mostra nelle altre la mala fe-
de di chi le ha portate (§. IV), e messa così a nudo la falsità della nuo-
va teorica dàuna buona picchiata alla temerità dell'anonimo, che si pre-
se così malamente l'incarico di dar lezione ai Vescovi.
2. Adversus novam doclrinam de necessitate consensus Episcoporum
wanimis, theologìca disquisitio P. Valentini Steccanella S. I. Romae,
typis Civilitatis catholicae. In 8.° di pag. 66.
L'articolo della Civiltà Cattolica (voi. X, pag. 100) Delta Unanimità
dei Concilii nei decreti dominatici incontrò tanto favore, che ne venne
chiesta da molti Vescovi la versione in latino. Ma l'autore, invece d'una
semplice versione dell' articolo, credette meglio di ampliarlo in un opu-
scolo, per rispondere più pienamente ad altri scritti sopravvenuti
Questo opuscolo è diviso in due parti. Nella prima si confuta la nuo-
va dottrina, la quale vuole, che nelle decisioni dommatiche in Concilio
concorra la morale unanimità dei suffragi : nella seconda si stabilisce la
verità. Partito il tutto in otto capitoli, nel primo si annoverano gli argo-
menti adoperati in prò della nuova dottrina e si addita la trista origine
della medesima. Esaminato nel secondo il fondamento, su cui si appog-
gia, e nel terzo ciò che ella è in sé stessa, trovasi fondata su la contra-
dizione, su la falsità, e piena di gravissimi pericoli per la fede, dal che
si conchiude doversi rigettare del tutto. Statuito nel quarto, colla tradi-
zione alla mano, che il Pontefice ha il sommo diritto di sentenziare su le
controversie dommatiche, che nascono ne' Concili, si dimostra nel quin-
to non esser lui obbligato nella sua sentenza a seguire piuttosto l'una,
che l'altra parte, e per contrario tutti esser obbligati di aderire e sog-
gettarsi a quanto egli definisce. Cercato nel sesto, qual parte di regola
ordinaria prevalga ne' Concilii, si prova che è la maggioranza. Nel set-
timo si fa vedere, come i fautori della nuova dottrina della unanimità
siansi valsi dell'arme indegna della falsificazione o del troncamento dei
testi che arrecano. Nell'ottavo si conferma la dottrina propugnata coi
fatti dei Concilii.
92 COSE SPETTAMI AL CONCILIO
II.
NOTIZIE VARIE
1. Munificenza e pietà liliale elei Gallicani verso il Santo Padre — 2. Una
calunnia nel Francois contro la Civiltà Cattolica; minacce contro la San-
ta Sede — 3. Imputazioni ingiuriose contro un illustre Prelato francese —
4. Dichiarazioni del Vescovo di Magonza, per l'infallibilità del Papa —
5. Lettera del Vescovo di Angoulème contro un opuscolo gallicano sopra
Yunanimità dei voti per le definizioni dommatiche — 6. Indirizzi al Santo
Padre da Nizza e da Marsiglia — 7. Oblazioni del clero di Napoli, e sue
dichiarazioni per l'infallibilità pontificia— 8. Calunnie divulgate contro il
collegio dei Parrochi di Roma; indirizzo di questi al Santo Padre ; mentita
alla Nazione — 9. Ricevimento dei Vescovi di Strasburgo e di Montauban
reduci nelle loro diocesi.
1. Dacché la setta massonica ebbe facoltà di assaltare armata mano la
sovranità temporale del Papa, e la Febbroniana ripigliò la guerra con-
tro la sua sovranità spirituale, noi siamo colpiti da imo spettacolo assai
istruttivo, e che dovrebbe, anche senza il sussidio d'altri argomenti, di-
singannare certi illusi predicatori di conciliazione tra la Chiesa e codesti
campioni e direttori della società moderna.
Alla Santa Sede vennero rubati, e si sa per opera di cbi e con quali
mezzi, i quattro quinti degli Stati ; e solo per uno speciale concorso del-
la Provvidenza divina il Papa è ancora in possesso di un piccol brano
di territorio, dal quale può liberamente governare la Chiesa ed eserci-
tare il supremo suo ministero con quella indipendenza che gli è al tutto
indispensabile. Ma le condizioni in cui fu posta la Santa Sede per le
piraterie sacrileghe del 1859 e del 1860, aggravate dalle invasioni del
1867, sono tali, che la sollecitudine, l'aiuto e le spontanee offerte di tutti
quelli, che si pregiano di essere veri cattolici, appena basterebbero a far
cessare quel non so che di precario, che tutti deplorano, che tiene tutti
in ansietà, e che mentre impedisce beni sommi, fa paventare mali estre-
mi. Or che accade?
Lasciando da parte i Febbroniani, che appena sono cattolici di nome,
noi vediamo che si pregiano di questo titolo di cattolici non meno i Gal-
licani che i buoni e schietti fedeli d'ogni nazione, a cui da quelli è ap-
piccicato per ischerno il nome di Oltramontani ; che nel loro gergo ser-
Te a designare indiscreti e fanatici e perniciosi difensori deMa Santa
Sede e delle sue prerogative. Gli uni e gli altri si vantano di nutrire
sviscerato affetto alla Santa Sede ed al Papa; ma hanno diversissima
maniera di significarlo. Noi, che abbiamo un poco l'abitudine di valutare
le parole, ed anche le scritture, principalmente secondo l'espressione
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 93
che esse ricevono dai fatti , ci atteniamo, nel giudicarne, ali1 autorità di
quel detto antico e sapiente che, probatio amoris exhibitio est operis...
Amor, ubi est, magna operatur ; et ubi operavi renuit, amor non est.
È sentenza di S. Gregorio, pel quale speriamo che i Gallicani abbiano
qualche rispetto.
Laonde abbiamo accuratamente posto in nota i fatti degli uni e degli
altri; e dalla qualità dello scopo, dagli effetti, dalla molteplicità di co-
desti fatti tra loro posti a confronto, abbiamo inferito l' indole, la since-
rità, L'efficacia di quell'amore che i Gallicani tanto vantano a parole.
Or ecco in chiare parole il risultato delle nostre osservazioni, assai
facile a dimostrarsi evidente, poiché troppo sono manifesti i fatti, che
saltano agli occhi di tutti, massime da un paio d'anni in qua.
Da una parte vediamo i Gallicani, col plauso dei protestanti, dei vol-
teriani, dei frammassoni e settarii d'ogni genìa, dimenarsi con immenso
loro travaglio per attenuare e ridurre a niente, ove fosse possibile, le
prerogative della Sede apostolica e del Papa ; di cui vogliono fare una
specie di Re che regna nella Chiesa ma non governa, lasciandogli ben-
sì le lustre del primato di onore, ma togliendogli la suprema sua auto-
rità di giurisdizione; e per grazia somma contentandosi di farne come
un portavoce, per cui dee passare la voce della Chiesa cioè dell'Episco-
pato. Per ottenere questo intento, incili spicca mirabilmente l'amore
e la devozione dei Gallicani, essi hanno profuso, e profondono tuttavia
ingenti somme di pecunia in prezzolare giornalisti e libellisti d'ogni
risma, per divulgare, e mandare gratis per ogni parte ed a migliaia di
copie, libercoli pieni di cavilli, di falsità storiche, e di argomentazioni,
in cui la mala fede va di paro con una profonda ignoranza, ma che, sot-
to una vernice letteraria dai colori smaglianti, possono abbarbagliare gli
occhi delle moltitudini imperite.
Ne paghi di tanto, essi viaggiano e fanno viaggiare ; tengono adunan-
ze; di/fondono a voce e per iscritto minacce di scisma; si studiano di
chiudere la bocca a chi vuol parlare o scrivere in difesa delle preroga-
tive del Papa; adoperano per ciò le abbiettissime arti della menzogna e
della calunnia; s'arrogano di spiare e divulgare fin nei diarii protestan-
ti, come la Gazzetta d'Augsbourg, ciò che dovrebbe essere sepolto sotto
l'irrefragabile segreto pontificio; e mettono i difensori della Santa Sede
in aspetto di settarii, che per loro interesse traggono al più terribile ci-
mento l'unità della Chiesa e l'autorità stessa del Papa. Di che si hanno
prove lampanti e quotidiane in quella colluvie di scritture, che si divul-
gano da cotesloro nella Gaz-ette de France, nell'Amor catholique, nella
trance, nel Francais, nel Débats, ed anche nelle corrispondenze che
vanno in Germania, e per tutta Italia, sui diarii che apertamente profes-
sano di voler fare guerra a tutta oltranza contro il Papa e la Santa Sede,
come l' Opinione, la Nazione, la Perseveranza.
91 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
Abbiamo cercato, ma non ci venne fatto di scoprire, che codesti svi-
scerati amatori della Chiesa e del Papa siansi intanto disagiati a man-
dare al Papa un obolo in sussidio della sua povertà, od un soldato a
difesa del territorio che gli spetta. Anzi li vediamo piuttosto menar van-
to d'avere scatenato contro la Santa Sede le influenze ed anche le minac-
ce di certe Potenze, di cui essi si fecero araldi, trombando per tutto il
mondo la contenenza di certi dispacci diplomatici, che per ogni riguardo
di prudenza e di civiltà doveano restare nelle rispettive Cancellerie.
Tale è, alla prova dei fatti, la mimi licenza e la pietà filiale dei Galli-
cani verso il Papa : spendere in fargli guerra ciò che potrebbero e do-
vrebbero offerirgli come tributo giusto di devozione e d'amore; non ri-
fuggire da arte veruna per levargli d'attorno i difensori o costringerli
a cedere le armi e tacere; attirare contro lui i maneggi dei Gabinetti
e le minacce più o meno aperte di abbandonarlo alla mercè della rivo-
luzione ; intimare che la definizione dell1 infallibilità del Papa sarebbe
il segnale della distruzione compiuta della sua sovranità temporale; e
trarre alle porte di Roma la fantasima sanguinosa del Garibaldismo, la-
sciato in libertà di entrarvi a tiranneggiarla a posta sua, quando la plu-
ralità del Concilio, obbedendo al dettato della sua coscienza, promulgas-
se autorevolmente quella vera dottrina cattolica, a cui essi si oppongo-
no Ecco le prove della pietà filiale di codesti signori.
Per altra parte vediamo gli Oltramontani, cioè la sterminata pluralità
dei cattolici di Francia, del Belgio, d'Italia, della Spagna, e d'ogni altra
regione altamente dichiararsi pel Papa e per la Santa Sede, per via dì in-
dirizzi caldissimi di affetto e spiranti illimitata devozione e fede pienissima
nella infallibilità pontificia; e meglio ancora per via di generose offerte di
denaro, d'oggetti preziosi, d'armi, e fin delle persone, a difesa di Roma
e del Papa. Sono vituperati dai Gallicani come fanatici, più perniciosi
che qualsiasi più sfidato nemico, gli scrittori dell1 Univers, del Monde,
del Bien public di Gand, àé\Y Unità Cattolica di Torino, AeW Osservatore
Cattolico di Milano, del Veneto Cattolico di Venezia, e d'altrettali diarii.
Intanto questi scrittori, confortati dall'approvazione e benedizione del
Papa e dal plauso della massima parte dell1 Episcopato, godono la fidu-
cia d'un numero immenso di cattolici, che loro mandano le offerte de-
stinate al Papa. Il solo Univers raccolse già assai più d'un milione : quasi
un milione in breve tempo pel titolo di rifornire l'esercito pontificio, do-
po Mentana; ed ora, per aiutare il Papa alle spese pel Concilio, in pochi
mesi registrò, in 166 lunghissime liste, che valgono quanto una so-
lenne professione di fede nelf infallibilità del Papa, le offerte di qualche
centinaio di migliaia di fedeli, per la somma di franchi 234,41*. Ma non
abbiamo veduto mai nella France, nella Gazette de France, nel Franruis
registrato pure un soldo pel Papa !
In conclusione : i Gallicani mandano a Roma alteri consigli , pro-
grammi di riforma per la costituzione della Chiesa, minacce di abbando-
COSE SPETTAMI AL CONCILIO 95
nar Roma in preda ai furori della setta quando non si riducano a mere
apparenze le prerogative del Papa; ed in ciò spendono denari, ingegno
e maneggi d'ogni sorta. Gii Oltramontani mandano a Roma attestati
umilissimi e fervidi di obbedienza e di fede; mandano il frutto dei loro
«adori, «dei loro risparmii sottratti al sollievo della propria povertà;
mandano i proprii figliuoli a portar Tarmi ed a dare il sangue per la di-
iel Papa.
Ci pare che la conclusione, per chi ha un po' di senso comune, sia
quanto chiara altrettanto decisiva.
2. Quanto allo spaccio di false novelle, di sinistre interpretazioni e di
prette calunnie, in verità reputiamo inutile stenderci nel recare prove
di fatto, che si trovano in tutti i diarii delia setta. Rammentiamo solo
la nota ufficiale del Giornale di Roma da noi riferita nel volume X, a
pag. 237. Ed in particolare per le calunnie, ab angue ìeonem, eccone
una, e basta. Bisognava, allo scopo della setta, mettere in uggia dei
Francesi, e' specialmente del Governo imperiale, gli scrittori della Cz-
vilià Cattolica, ed attirare, se fosse possibile, contro di essi qualche
intervento, che li facesse tacere. Lo spediente fu subito trovato, e spe-
dito a Roma al Frmcais, n.° 150 del 1.° Giugno, in forma di corri-
spondenza scritta il 23 Ma rgio. Ne trascriviamo le precise parole.
« I corifei della Cimila Cattolica e dell1 Univers, di questo secondo
diario principalmente, volendo qui ad ogni costo far ricadere sul Gover-
no francese lo scisma degli Armeni, non si sentono punto impacciati ad
insinuare che il nostro ambasciadore, sig. Bourrée, si è fatto, in certo
modo, agente della Russia. Questa è una calunnia che vuoisi improntare
di quel marchio che essa si merita. Gli uomini che parlano cosi, sanno
troppo bene a chi si deve attribuire ciò che accadde pur testò a Roma
ed a Costantinopoli; e farebbero bene a tacere, se non vogliono vedere
un giorno svelati i loro disegni. » Così appunto il Gallicano corrispon-
dente del Francais.
Per quanto spetta a noi ecco la verità schietta. Non abbiamo scritta
pure una parola nostra, in verun nostro quaderno, intorno alla ribellio-
ne degli Armeni di Costantinopoli; non abbiamo trascritto pur una pa-
rola di quanto se ne leggeva nei giornali ; non abbiamo mai nò indicata
per nome, nò accennata in veruna guisa la persona del sig. Bourrée;
non abbiamo voluto valerci delle autorevoli e particolareggiate corris-
pondenze che sopra quello scisma degli Armeni ci erano pervenute di-
rett mente da Costantinopoli; e tutto quel tristo fatto abbiamo velato
d'un assoluto silenzio. Onde sfidiamo tutta la combriccola Gallicana, che
da Roma diffonde le sue bugie e calunnie, a trovare nei nostri quaderni
una sola parola che autorizzi V imputazione appiccataci graziosamente
nel Francais.
In un solo luogo fu da noi mentovato il fatto degli Armeni di Roma,
cioè a pag. 488-91 del precedente nostro volume X ; dove è trascritto
96 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
a verbo un articolo ufficiale del Giornale di Roma, n/ 105 del 10 Mag-
gio ; preceduto da due righe nostre con cui indicammo che tale articolo
versava « iutorno a certi fatti, pur troppo gravi e deplorabili, ma per-
fidamente esagerati e Falsificati dai nemici della Santa Sede ». Or come
imputare a noi calunniose insinuazioni, per causa di tale articolo, sen-
za offendere con sì brutta ingiuria la Santa Sede? Era forse ciò inteso
dal Francate? Sarebbe mai vero che, per poter impunemente colpire gli
atti della suprema autorità del Papa, si prendono come bersaglio YUni-
vers e la Civiltà Cattolica, che professano speciale devozione ai diritti
della Santa Sede? Ovvero con ciò si mirava ad incutere sgomento in
chi sa con quanta delicatezza di riguardi si debba procedere verso le
Potenze?
Fatto sta che da più mesi i diari della setta, simulando di biasimare
soltanto i giornali più devoti verso la Santa Sede, non cessano di cen-
surare gli atti sì dei Presidenti e della pluralità dei Padri del Concilio,
e sì del Papa stesso; mostrandosi irritati oltremodo pei Brevi, con cui
Sua Santità riconosce il merito, l'affetto, la sana dottrina di quanti pro-
pugnano od invocano la dommatica definizione delle prerogative ponti-
ficie. Con queste censure procaci essi avvicendano, mettendovi una stra-
na insistenza , le minacce dell1 abbandono di Roma alle sue proprie for-
ze contro gli assalti della rivoluzione.
Nello stesso numero 150 del 1.° Giugno, in cui il corrispondente del
Francois avventava contro « i corifei della Civiltà Cattolica » la riferita
calunnia , attribuiva pure ad un Vescovo francese certa conversazione
tenuta col sig. Emilio Ollivier in Parigi; e diceva che questo Ministro
« sarebbe disposto a lasciare alla Santa Sede ed al Concilio tutta la sua
libertà d° azione, ma sarebbe altresì risoluto di togliere in un prossimo
avvenire, al Governo pontificio Y appoggio materiale della Francia».
Ed il Francati aggiungeva che, rispetto a tali disposizioni del Governo
francese verso Roma, le sue particolari informazioni erano assolutamente
conformi a quelle del suo corrispondente. Era come dire: volete definire
T infallibilità del Papa a dispetto dei Gallicani? La Francia ve ne punirà
col richiamare le sue truppe, e seguane quel che può!
Dato così il tema, il coro dei giornali della setta uscì a cantarne leM-
riazioni.Sì giunse tino a divulgare V analisi d'un supposto dispaccio
dell1 Ollivier: che un'ultima volta ammoniva la Santa Sede di baciare a
quel che faceva, perchè, ove non desistesse delle sue pretensioni ripu-
gnanti al diritto pubblico della Francia, cioè dei Gallicani, la Francia si
laverebbe le mani della quistionc romana, richiamando le sue truppe.
Questo dispaccio fu poi smentito; ma fu ribadito il chiodo, che la defi-
nizione dell' infallibilità del Papa obbligherebbe il Governo imperiale ad
abbandonare In tutela efficace ed armata del territorio pontifìcio, od a
continuargli solo il suo appoggio morale. La Gazzette de Frante, la
France, il Francois si alternavano nel cantare questo ritornello; e per
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 97
farne più sentire la forza, il Francais, n.° 161 del 13 Giugno trascrive-
va da una sua corrispondenza romana queste parole: « Qui si illudono
rispetto al sig. Ollivier; benché questi abbia fatto capire al Vescovo di
Bayeux che la Divisione d'occupazione sarebbe richiamata dopo la defi-
nizione (dell' infallibilità del Papa). Malgrado di ciò si ha fiducia nel
sig. Ollivier, mentre non si aveva nel sig. Daru, che voleva far vedere
al Concilio il tranello (fiége) che si prepara dalla rivoluzione. » Non è
questo un dir chiaro: sarete abbandonati alla mercè della rivoluzione,
se definite Y infallibilità del Papa? Così i Gallicani rispettano la libertà
del Papa e del Concilio.
Il mentovato dispaccio minaccioso, attribuito air Ollivier, era stato
stampato dalla Gazzetta d'Augsboùrg, e riprodotto dal Francais del 6-7
Giugno e dagli altri diarii della consorteria gallicana; e conteneva le se-
guenti parole: « La Francia ha fatto il suo dovere, tentando di stornare
la Santa Sede dalla via funesta in cui è entrata. Non riuscì all' intento.
La Santa Sede pare risoluta a suicidarsi. La Francia si contenta della
parte di spettatrice; ma la sua posizione sarà necessariamente mutata
per la dichiarazione di guerra della Corte di Roma. Il giorno in cui la
infallibilità sarà promulgata, il concordato cesserà d' aver vigore, ed i
rapporti presenti fra la Chiesa e lo Stato saranno distrutti. Lo Stato si
separa dalla Chiesa, e le truppe francesi partono dal territorio pontifi-
cio. La separazione dello Stato dalla Chiesa significa in Francia, tra al-
tre cose, anche l'abolizione del budget dei culti, ond' è lasciato ai Fedeli
il carico di mantenere il Clero. »
3. Mentre si tenzonava sulla esistenza e l'autenticità di tal dispaccio,
e la Patrie lo dichiarava una pura invenzione, il cui merito va tutto ad
onore e gloria dei Feòbroniani tedeschi, si commentavano dai diarii dei
Gallicani certe parole che, malgrado del segreto conciliare, eransi spac-
ciate, non sappiamo da chi nò con quale intento, come proferite da un
illustre Prelato francese, nell'atto di concludere un suo discorso. Senza
verun rispetto pel sacro carattere di questo Prelato, che pure a notizia
di tutti è sì parco di parole, sì cauto, sì prudente, osarono affermare
come cosa indubitata, che egli : « ha dichiarato apertissimamente (très-
rondement) che la proclamazione del domina dell1 infallibilità significava
per suo avviso, la caduta inevitabile ed infallibile della sovranità tem-
porale del Papa. » (Un'vers 4 Giugno). Non ispetta a noi assumere le di-
fese di quel venerando Prelato. Ma chi è che non vegga che con ciò gli
si faceva un'atroce ingiuria? Qual vitupero maggiore per un Arcivesco-
vo, che il rappresentarlo in atto di inceppare la l.bertà del G ncilio con
minacce di tal natura? Qual più abbietta perfid a che questa, di attri-
buire ad un Arcivescovo l'impudenza di mercanteggiare la proclamazione
od il silenzio della verità cattolica, mettendovi il prezzo degli interessi
temporali? E ciò in p en Concilio, quando si tratta solo di discutere e
Serie VII, voi. XI, fase. 487. 7 £5 Giugno 1870.
98 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
decidere quistioni di domina, non già di promovere affari politici! E ciò
in guisa da sembrare che co^ì parlasse, non per proprio impulso, ma
per commissione ab alto!
Noi ci protestiamo altamente di non voler aggiustar fede alle dicerie
che corsero a lai proposito, così che certi corrispondenti romani , anche
di buona intenzione, come quello della Gazzelle du midi, credettero di
potarne dare contezza a varii giornali di Francia; né c'indurremo mai a
credete che, sotto forma di consiglio a procedere con prudenza, un per-
sonaggio insignito di alta dignità e di delicatissimi ufficii in Corte, fa-
cesse echeggiare nel Concilio le minacce, che la Gazetta d' Augsbourg
con bruttissima arte di calunnia imputava all'Ollivier, e che in bocca sua
avrebbero avuto troppo maggiore importanza, che non sotto la penna
d'un prezzolato giornalista. Laonde preferiamo di rilegare quel racconto
tra le favole; ma siamo pure in diritto di far rilevare altresì l'impegno,
con cui studiaronsi di usufruttuario, per isgomentare i Padri del Conci-
lio, i diarii della consorteria gallicana.
4. Fanno ingiuria al Concilio coloro che lo suppongono capace di
soggiacere, per isgomento e paura di pericolare i materiali interessi, alla
debolezza di tradire la verità, soffocandola quando tutti vedono che il
proclamarla è necessario. Ma col troppo ricalcare tali ingiurie, si espon-
gono appunto ad ottenere l'effetto contrario. Così accadde alla setta
Febbroniana tedesca ; la quale, per aver troppo forte e troppo spesso
insistito nel calunniare monsig. Ketteler, Vescovo di Magonza, riuscì a
fargli bandire una solenne dichiarazione in favore dell' infattibili tà del
Papa, mentre essi lo rappresentavano come « un avversario risoluto di
tal domina. » Di che vorremmo poter qui riferire distesamente tutta la
lettera scritta da monsig. Ketteler, e che i compilatori del Katholic di
Magonza mandarono subito al giornale parigino Le Monde, che la stam-
pò nel suo numero 102 del 16 Giugno. Ne reciteremo tuttavia i brani
più importanti.
« La Gazzetta d'Augsbourg, scrisse monsig. Ketteler, non pronunzia
quasi mai il mio nome senza aggiungervi una menzogna. Questo ancora
le accadde nella sua cinquantesima lettera romana, inserita nel suo nu-
mero del 4 Giugno. » Qui il Prelato trascrive l'analisi che il calunnia-
tore corrispondente si inventò d'un suo discorso; poi soggiunge: « Non
posso comunicare ciò che ho detto; ina, senza violare il segreto, posso
affermare che cosa non ho detto. Dichiaro pertanto quanto segue.
« 1." Io non ho mai dubitato dell'infallibilità del Papa; io sempre, in
Germania come qui in Roma, ho professato questa dottrina; io non ho
dato mai motivo ad alcuno di dubitare di questa mia opinione; io dun-
que non ho certo rinnegato in quest' ultimo discorso questa mia persua-
sione. È per ciò perfettamente falso che abbia avuto luogo un cambia-
mento nella mia persuasione; è perfettamente falso che io da inopporiu-
nista sia divenuto un avversario decho del domina medesimo. 11 mio en-
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 99
tusiasmo infuocato e la mia devozione decisa per il Papa è sempre stata
dappertutto la medesima. Il corrispondente adunque non potè certamen-
te indicare la gradazione per la .quale si è operato in me questo processo
di disinganno e di ravvedimento. Tutte queste asserzioni sono nude e
prette falsità. Se qualche cosa ho diritto di pretendere per me, si è che
in riguardo a questa dottrina ho sempre avuto la stessa persuasione, e
la ho ancora al presente.
« 2.° Per me, dacché venne messa in campo questa questione, ha esi-
stito solamente un duplice dubbio; 1.° Se questa dottrina, la quale io
tengo come la più degna di fede, e la quale io ho proposto alia mia
diocesi, risulti tale dalla sacra Scrittura e dalla tradizione, con quel
grado di chiarezza che è necessario ad una definizione dommatica. 2.° Se
esista nelle circostanze del tempo quella necessità, la quale si richiede
sempre per definire un domma. Quest' ultimo s'intende sotto la deno-
minazione di opportunità. Sotto quest'ultimo riguardo, se ha avuto luo-
go in me un cambiamento, questo è stato solamente in tanto, in quanto
io veramente, attesi gli assai veementi assalti che ha incontrato il Pri-
mato in questi ultimi tempi, nel che le lettere romane àeWAllgemeine
Zeitung tengono il primo posto, non sono rimasto saldo, colla medesima
certezza di prima, nell1 opinione che possa omettersi una decisione della
Chiesa sopra tale questione.
«3.° Benché io tenga la dottrina dell1 infallibilità pontificia come sal-
damente fondata sopra la santa Scrittura e la Tradizione a segno che non
solo io l'ho presa come guida della mia vita, ma ancora ne riguarderei
la negazione, se non come una defezione, certo come una colpa estrema-
mente grave; e che in tal senso risponderei ad un figliuolo fedele della
Chiesa, che a tal proposito mi chiedesse consiglio: tuttavia possono
darsi varie sentenze intorno ali1 oggetto della medesima, intorno all'am-
piezza, e intorno alle condizioni e presupposizioni, sotto le quali le sen-
tenze del Papa relative alla rivelazione soprannaturale (e solamente di
tali sentenze può qui parlarsi), per un'assistenza speciale divina, sono
infallibili. Sopra ciò esistono opinioni, le quali sono o più ampie o più
limitate. »
Sul chiudere della lettera mons. Ketteler dice, ad onore e gloria
della setta Febbroniana , di cui è portavoce la Gazzetta rf' Augsbourg:
« Sarebbe cosa facile per me di dimostrare in ogni lettera dell' Allgemei-
ne Zeitung sopra il Concilio grandi menzogne e travisamenti. Chi cono-
sce qui le cose, e legge queste lettere, non può dubitare che questi non
possano essere errori senza colpa, ma che qui esista un sistema d'in-
durre in errore il pubblico ».
5. La setta Febbroniana fu così marchiata in fronte con un bollo ro-
vente, che la denunzia come menzognera e calunniatrice di proposito
deliberato, per ingannare i semplici. Per altra parte la consorteria Gal-
licana ebbe il fatto suo dall'illustre Vescovo di Angoulème, con uiia let-
100 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
tera al suo clero, pubblicata nella Semaine religieuse di quella città, e
riferita nxNTUnidtrs del martedì 14 Giugno. (Ediz. quotid. n.° Iti
Nel precedente quaderno abbiamo parlato (a pag. 745 del voi. X)
d'una stupenda lettera che l'Arcivescovo di Cambray avea scritta ai
suoi diocesani, per isfatare le imposture e le calunnie divulgate dai
Gallicani intorno al procedere del Concilio. Mons. Vescovo di Angou-
lèmc comunicò tal lettera al clero e popolo della Diocesi, qualificandola
come * la migliore risposta che potesse darsi a quella moltitudine di li-
belli d'ogni genere di cui Roma e la Francia sono più che mai inonda-
te. » Poi, toccando delle a perfide insinuazioni e dei falsi ragionamenti
di codesti seitarii » , aggiunge: « La loro audacia è ancora manifesta
per un nuovo eccesso. Noi ricevemmo poc'anzi qui, e voi riceverete
certamente fra poco in Francia una supposta: Memoria, presentata ai
Padri del Concilio Vaticano, sopra la necessità della unanimità morale
nei Concila per le definizioni dommatiche. »
Questo è appunto il libello da noi confutato nel precedente quaderno
{voi. X, pag. 675-710.) Or ecco qual giudizio ne reca i! sapientissimo e
pio Vescovo di Àngoulème.
« Questa meschina dissertazione, già conosciuta e rifiutata, nella qua-
le verità incontrastabili ed incontrastate sono sfigurate per guisa da es-
sere trasformate in errori fondamentali , si termina in questa nuova
edizione di Napoli, con una conclusione di quattro pagine, che supera
in audacia ed in temerità tutto quello che fin qui erasi osato scrivere
contro il Concilio e contro la sua autorità. L' infelice, qualunque sia co-
stui, che le ha scritte, se non è già precipitato nell'eresia, prende difi-
lato la via per cadervi, e sembra voler strascinare i suoi lettori sino al
fondo di questo abisso. A questi clamori da furibondo, alle menzogne
di empii novellieri , ai falsi ragionamenti ed alla falsa eloquenza dei
sofisti, nulla può esser meglio che il contrapporre la grave e pia parola
del venerabile Arcivescovo di Cambray. »
6. Ma, la Dio mercè, con lutto il loro imperversare, i Gallicani non
riescono che a rendere più fervido il voto, più irresistibile il movimen-
to dei fedeli, clero e popolo, massime nella Francia, in favore della de-
finizione dommatica dell' infallibilità del Papa. Ne stanno in prova gli
indirizzi che, e vanno a stampa e si moltiplicano continuamente, massi-
me neHT/mv/s, e quelli che sono spediti direttamente al Santo Padre.
Eziandio di quelle Diocesi onde, per ragioni che non importa accenna-
re, pareva che si dovesse aspettare soltanto un ossequioso silenzio,
giunsero a Roma, con numerose firme, indirizzi accesissimi , in cui si
professa la più ferma fede in questa prerogativa conferita da Cristo a
Pietro ed ai suoi successori. Di che dobbiamo contentarci di accennare
quello de1 sacerdoti e laici di Marsiglia; e l'altro di sacerdoti di Nifesa
riferiti nell'i rnivers del 6-7, e delF8 Giugno.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 101
7. Da Napoli il Clero non si contentò di esprimere i suoi voti, ma
volle aggiungervi una offerta, relativamente cospicua, con più di mille
cinquecento nomi di sacerdoti che vi presero parte. Di che fu pubblica-
ta néY Un{tà Cattolica n.° 135 dell'll Giugno, la seguente lettera.
« [Illustrissimo signor Direttore. Il capitolo metropolitano, la curia ar-
civescovile, i parrochi, il Clero ed il Seminario dell'arcidiocesi di Na-
poli mal soffrono di esser secondi allorché trattasi di dimostrare al
Pontefice dell'Immacolata la loro fede ed il loro amore, e di soccorrere
alle grandi necessità in cui ora versa il Capo ed il Pastore supremo del-
la Chiesa. Compiono perciò assai di buon grado il dovere di corrispon-
dere al graditissimo invito fatto dalla S. V. Hlma nel suo giornale non
mai abbastanza lodato, offrendo, secondo le attuali loro forze, ma di
gran cuore, lire 4193 42.
« In tale occasione presentano anche una volta i loro voti per la de-
finizione dommatica dell'infallibilità del sommo Pontefice successore di
san Pietro, voti già innanzi collettivamente emessi ed umiliati al trono
pontifìcio daireminenlissimo cardinale Sisto Riario Sforza, amatissimo
loro arcivescovo, ora in Roma al Concilio Vaticano. È stata questa sem-
pre una verità cattolica per il Clero e per i fedeli di Napoli, sostenuta
ancora ed insegnata dall' illustre e santo Vescovo, loro concittadino, Al-
fonso Maria de'Liguori. Napoli, 31 Maggio 1870. Filippo canonico Chi-
liberti Provicario generale. »
8. I Gallicani sentono il peso di cotali dichiarazioni ; e, tornando loro
impossibile il contrapporvi alcun che di somigliante od equivalente, si
studiarono di usufruttuare il silenzio dignitoso osservato fino a poc' anzi
dal Clero Romano. Quello che era argomento di fede che non sopporta
nemmeno d'essere posta in dubbio, fu dai Gallicani irnsi'onmio in op-
posizione tacita ma espressiva. Corrispondenze in tal senso furono scrit-
te alla Perseveranza di Milano, alla Nazione di Firenze, al Francois pa-
rigino, in somma a quasi tutti i foglietti e fogliacci ostili alla Santa Se-
de. Ecco per saggio, quello che dai mestieranti fu, da Roma, scritto al
Francais, che se ne regalò con gran diletto nel n.° 162 del 14 Giugno.
« Devo narrarvi un fatto accaduto a Roma , e che sembrami assai si-
gnificativo rispetto all'agitazione d'una parte del Clero francese. Sem-
brami istruttivo il mettere in sodo a qual punto il vero spirito romano
è differente da quello che si figurano i corifei dell' Univers, e come esso
è lontano dalle esagerazioni e da tutto quello che può somigliare a ma-
neggi d'uno spirito partigiano. È un sintomo curioso di cui molto si
parla a Roma.
« I parrochi di questa città essendo interrogati da un zelante fra loro
sopra la convenienza di fare un indirizzo al Papa, ad instar dei francesi,
che seguono con entusiasmo il sig. Veuillot, parvero approvare la sua
proposta, e gli dissero di compilare Y indirizzo, e di convocarli poscia
per deliberarvi sopra. Quando Y indirizzo fu compilato, l'autore della
102 COSE SPETTASTI AL CONCILIO
proposta riunì i 54 parrochi ili Roma, e si procelette ai voti per iscru-
tinio segreto. Or sapete voi chi ne rimase stupito? Dei 54 votanti, 46
rifiutarono il disegnato indirizzo e la proposta di tarlo ».
Di qui inferiva il Gallicano corrispondente che ben può altri opporsi
a tutti gli eccitamenti di partilo senza incorrere percò taccia di Gallica-
no e senza mancare di sensi d'affetto per Ja Santa Sede.
Le stesse cose, ma molto meglio incorniciate di menzogne e d'impo-
sture, furono scritte specialmente alla Nazione di Firenze. E ciò valse
un solenne smacco a chi tripudiava di tali false novelle, e ne menava
trionfo, e ne inferiva una filza di conseguenze ad onore e gloria dei
Gallicani.
Ecco la lettera, scritta da uno de1 calunniati parrochi di Roma a,\Y Os-
servatore Romano n.c 127 del Lunedì 13 Giugno.
'< Illustrissimo Signore. Sotto la data dell'8 Giugno nel periodico
La Nazione, si legge che il giorno 2 trovandosi i RR. Parrochi di
Roma adunati presso quello di S. Maria del Popolo, furono pn Lì
da comando superiore a redigere un indirizzo a Sua Santità sulla In-
fallibilità, e che a questo inaspettato annunzio rimasero attoniti per
la violenza che si faceva alle loro coscienze, che molti volevano pro-
testare, che molti altri addussero forti e sapienti ragioni, fra i qua-
li il parroco di S. Tommaso in Parione, Cipolla; ma che tutto fu inu-
tile Ora il detto parroco di S. Tommaso e per la verità e per il
suo onore si sente obbligato a protestare contro la calunnia, e per la
cosa in se stessa, e per riguardo alla sua persona. Imperocché i RR.
Parrochi avendo risaputo quanto falsamente avea parlato la stessa Na-
zione in altro antecedente articolo sulla loro adesione alla dottrina della
infallibilità del Romano Pontefice spontaneamente e ad una sola voce
proclamarono la necessità dell' indirizzo in discorso a professione della
loro vera e sincera dottrina, e fra questi lo scrivente fu uno dei primi :
fu quindi onorato di essere fra quelli eletto a compilarlo e poscia (inna-
to da tutti i RR. Parrochi umiliarlo ai piedi di Sua Santità. È pertanto
falsissimo che alcuni ed egli specialmente aboia addotto la minima cosa
in contrario. Tutto procede spontaneo in unisono applauso. È d'altron-
de a tutti nota la dottrina che il medesimo nel suo pubblico e privato
insegnamento professa e dichiara, che è appunto quella che tiene per
fermo il romano Pontefice infallibile allorché ex cathedra decide ciò che
riguarda fede e costume, e che è dottrina eminentemente romana. Ora
prega Y. S. che si compiaccia inserire nel suo ottimo Periodico questa
sua coscienziosa dichiarazione per l'opportuna pubblicità. E con sensi di
stima si dichiara. Di V. S. Illnìa. Roma li 12 Giugno 1870. Dino »
G. Cipolla, Parroco di S. Tommaso, professore di Teologia morale, nel
pont. Seminario romano. »
LTndirizzo dei Parrochi al Santo Padre, di cui ci fu gentilmente co-
municato il testo, è dei più belli, dei più fervidi che ci siano venuti
COSE SPETTAMI AL CONCILIO 103
sottocchio; e mentre in esso sono ribattute le calunnie dei tristi, sono
magnificamente scolpiti i sensi della più tenera devozione al Papa, e del-
la fede più inconcussa nella prerogativa della sua infallibilità. Ci duole
che per difetto di spazio non io possiamo qui riprodurre intero come
leggesi anche ne\Y Unità Cattolica, n.p 141 del 19 Giugno; ed il recitar-
ne sol qualche brano sarebbe insuiìiciente a darne adeguato concetto.
Ciò basta a dimostrare il bel guadagno che fanno i Gallicani col travol-
gere a servigio della loro causa perfino il silenzio altrui.
9. 11 venerando mons. Rcess, Vescovo di Strasburgo, sullo scorcio
del Maggio, e dopo d'aver con sentenza canonica proferita contro i libel-
li del letterato Gratry, dato l'esempio di quella serie di condanne onde
questo strumento dei Gallicani fu sfolgorato, fu costretto dalle condizio-
ni della sua mal sana salute a ritornare alla sua diocesi. E per eguale
cagione dovette ricondursi alla sua sede il zelantissimo mons. Doney,
Vescovo di Montauban. Unno e l'altro aveano qui a Roma proclamato
altamente la loro fede nell'infallibilità del sommo Pontefice ex cathedra,
e sostenuta la convenienza e la necessità di pronunziarne la definizione
dommatica. Come per tal guisa essi fossero veri interpreti dei sensi e
della kùe dei loro cleri e popoli si vide, quando essi rientrarono nelle
rispettive sedi. Onde di cittadini usciti loro incontro per le vie addob-
bate a festa, cavalcate d'onore, processioni del clero, plausi sterminati
ed acclamazioni al Papa infallibile salutarono questi due illustri cam-
pioni della verità, e furono loro dolce compenso delle sostenute fatiche
e della lotta vittoriosa in cui s'erano ingaggiati contro le congiurate
consorterie dei Febbroniani e dei Gallicani. Le quali feste sono descritte
nei più minuti particolari lìtWUnicers del 5 e dell' 8 Giugno.
* III.
CRONACA DEL CONCILIO
1. Congregazioni generali — 2. Cappelle papali — 3. Felicitazioni al S. Padre —
4. Preghiere pubbliche.
1. Nell'ultima Congregazione avanti la Pentecoste, come dicemmo nel
passato quaderno, si pose la bramata line alla discussione generale della
Costituzione dommatica intorno al Capo della Chiesa, continuatasi in
quattordici Congregazioni generali coi discorsi di sessantacinque Padri.
La petizione per la chiusura della discussione, è riportata da molti logli,
e dice così : « Eminentissimis ac Reverendissimis Cardinalibus Praesidi-
bus Concilii Patrei in frascriplì: Persuasum habentes, discussionem su-
per schemate Constilutionis de Primatu R. Pontificis generatim spe-
dato, de quo Riìii Patres ex omnibus regionibus iam loculi sunt, esse
ex omni parte exhaustam, ac protrahi iam non posse, quin inutilibus
104 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
aeque ac fastidiosis repetitionibus tempus teratur, ab EiTiis et Ulffiis
Praesidibus humiliter et enixe postulant, iuxta decreti 20 Febr. teno-
rem, ut de fine praefatae discussioni iraponenda Congregationem gene-
ralem quaniprimum consulere dignentur » — La petizione era segnata
non solo da 10, ma da 150 Padri ; e fu accolta dalla immensa maggioran-
za dei Padri : e ciò basti in risposta a quanto ne ban detto i fogli ostili.
Il Lunedì dopo Pentecoste si cominciò la discussione speciale sui sin-
goli capi. Nelle due sole settimane dopo Pentecoste dal 6 al 18 Giugno
si tennero nove Congregazioni, cioè cinque nel Lunedi, Martedì, Giovedì,
Venerdì e Sabato della prima settimana, e quattro nel Lunedì, Martedì,
Mercoledì e Sabato della seconda. Celebrarono successivamente la Messa
dello Spirito Santo mgr. Rossi Vaccari, Arciv.di Colossi; mgr. Bar-Shi-
no, Arciv. di Salmas, di rito caldeo; mgr. Lyonnet, Àrciv. di Albi ;
mgr. Escalada, Arciv. di Buenos-Ayres; mgr. Errington, Arciv.di Tre-
bisonda; mgr. De Merode, Arciv. di Melitene; mgr. Landriot, Arciv.
di Reims ; mgr. Purcell, Arciv. di Cincinnati, e mgr. Gallo, Arciv.
di Patrasso. La discussione va seguitando e non pare fatto senza con-
siglio ebe nei giorni della novena e dell'ottava del Principe degli Apo-
stoli presso la sua tomba si mettano in luce dai Padri del Concilio le
grandi prerogative del suo Primato.
2. I Reverendissimi Padri del Concilio assisterono pure alle cappelle
papali il 12 Giugno, Domenica dell1 augustissima Trinità, e il 17 e 21
Giugno, anniversarii della esaltazione al Pontificato e della coronazione
di Sua Santità.
3. In tal ricorrenza una deputazione composta dagli Anziani fra i di-
versi ordini dei Padri del Concilio ecumenico, e dei Prelati Segreta-
rio, e sotto-segretario ricevuta in udienza, espresse alla Santità Sua a
nome di tutti i Padri le felicitazioni e^augurii proprii del fausto dì
in cui il Santo Padre entrò nel ventesimoquinlo anno di Pontilicato.
ì. Nulla diremo dello splendore straordinario della solenne proces-
sione del Corpus Domini, per la presenza del cattolico episcopato : per
quanto augusto e commovente sia stato quello spettacolo, diremo piut-
tosto di aver sentito da molti Vescovi che le semplici processioni di
devozione fatte da tutta Roma in tutta l'Ottava di Pentecoste fecero
in essi un1 impressione ancor più profonda. Sentimmo ripeter da mol-
ti che quella era veramente una Settimana Santa, e che Roma si mo-
strava degna del titolo di città santa; ed ora che i Vescovi hanno
nuova occasione di vedere la fede e la pietà romana nella novena e
nell1 ottavario dei Principi degli Apostoli, sentiamo già ripetere, quasi
proverbialmente,
0 ROMA FELIX, quae (Inorimi Principimi
Es consecrata glorioso sanguine!
CRONACA
CONTEMPORANEA
Roma 25 Giugno 1870.
I.
COSE ITALIANE.
Stato Pontificio 1. Vìsita del S. Padre alla basilica di S. Lorenzo al campo
Verano; inaugurazione del monumento funebre pei morti in difesa della
Santa Sede nel 1867 — 2. Altra visita di S. S. alla chiesa di S. Antonio dei
Portoghesi — 3. Estinzione parziale del Debito pubblico— 4. Nuovi ac-
quedotti a Ciciliano, Ienne e S. ©reste.
1. Nelle ore pomeridiane del martedì 14 Giugno, il Santo Padre si
recò in treno ordinario alla patriarcale basilica di S. Lorenzo fuori le
mura, ed al Cimitero comunale attiguo nel campo Verano, per osservarvi,
già compiute, due delle opere ivi condotte a sue spese; che sono, in pri-
ma gli affreschi ond1 è ornato il grande muro della nave maggiore della
Basilica; poi, nel camposanto, il monumento funebre alla memoria dei
militari che, combattendo a difesa dei sacri diritti del sommo Pontefice
e della Chiesa romana, perderono la vita nelle fazioni contro gli invasori
dello Stato pontificio nel 1867.
Sua Santità fu ricevuta all' ingresso della Basilica dal Presidente dei
PP. Cappuccini che l'ufficiano, dal comm. Spagna, maestro di Casa dei
sacri Palazzi apostolici, cui è commessa la cura amministrativa di quelle
opere, e dal comm. conte Virginio Vespignani che ne inventò e diresse
i grandi lavori. Eranvi ancora S. E. il Senatore di Boma coi Conservatori
di Boma, e S.E. il generale Kanzler, Pro-ministro delle armi, con altri
Generali e gli ufficiali di Stato maggiore.
■« Il Santo Padre, dice il Giornale di Roma del 15 Giugno, ardo ado-
rare l'augustissimo Sagramento. e venerare le reliquie insigni dei corpi
106 CRONACA
dei santi Leviti Stefano e Lorenzo, che riposano sotto l'altare della Con-
fessione, il cui ipogeo fu già dalla Santità Sua fatto ridurre alla magni-
ficenza che ora Tadorna. Dipoi, andando attorno per le navi minori, si
fece ad osservare gli affreschi, che, fra gli ornati dipinti da Luigi Bazzani,
sono stati recati a termine dai professori cav. Cesare Mariani, e cav.
Francesco Grandi. Il primo dei quali, in due grandi quadri, storiò il
martirio e la sepoltura di santo Stefano; ed il secondo il martirio e la
sepoltura di san Lorenzo; ed ambedue vi operarono eziandio quelle fi-
gure isolate, che, secondo l'adottato sistema generale di decorazione, so-
novisi effigiate a ricordare i personaggi che della Basilica si resero be-
nemeriti. Il Santo Padre al nominato architetto, ed ai ricordati profes-
sori, degnossi mostrare la sovrana soddisfazione per queste nuove opere;
e passato nel mezzo della grande navata gittò lo sguardo ad osservare
T effetto dell1 assieme che il vasto edificio ora presento. 11 quale effetto è
veramente stupendo: il soffitto sorretto dalle grandi travature dipinte a
meandri schizzati d' oro; le ampie pareti ricoperte dalle storie cominciate
dal compianto Fracassini, e continuate dal Cochetti, dal Mariani, dal
Grandi ; le figure dei Santi, che sopra fondo a musaico campeggiano
sulla fronte dell1 arco trionfale, e le decorazioni svariate che sono sparse
dalla fascia della cornice ricavata sulla trabeazione retta dalle colonne di
granito sino all'imposta del soffitto: formano tale complesso di bellezze,
che può affermarsi essere la descritta la più considerevole opera pro-
dotta a questi giorni in Roma dalla pittura in buon fresco. »
Il Santo Padre traversò poi i corridori del convento, ove degnossi
fermar l'attenzione sopra le pitture, i cartoni ed i disegni dell'artista
P. Bernardo da Monaco, cappuccino; ed, entrato nel camposanto, salì
al colle nelle cui viscere girano gli ambulacri della celebre catacomba
di S. Ciriaca, e sul cui rispianato ergesi il monumento ai morti nel 1867,
ideato e disegnato dall'architetto Vespignani K
Grandiosa è la mole, che sorge sopra doppia scalinata di marmo ca-
rislio, formata dal primo blocco rinvenuto negli scavi dell'Emporio; e il
primo corpo prende forma da un intasamento ad otto facce, sopra al
quale ne posa un altro di forma rotonda, che dà luogo al dato su cui
si eleva il gruppo colossale, modellato e scolpito dal professore cava-
liere Vincenzo Luccardi, rappresentante il Principe degli Apostoli in
atto di consegnare la spada ad un guerriero, che stende la destra a ri-
ceverla, e stringe con la sinistra un vessillo, sul quale si leggono le pa-
role orbis eatholicus. 11 tondo, sul dinanzi, dentro ad una riquadratura,
presenta a leggere le parole: accipe sanclum gladiimi mutmi a lieo -in
dièieies adccrsarios-populi mei Israel- ; e nella parte opposta: non
in multitudine exercitus Victoria belli - sed de melo forliludo eM - : sen-
1 Civ. Cali. Serie VII, Tot. II, pag. 733-35.
CONTEMPORANEA 107
lenze cavate dai libri dei Maccabei. Ai lati del tondo sono pure entro
ovati due mezze figure a bassorilievo scolpite dallo stesso Luccardi; e
lima rappresenta la Fede, l'altra la Fortezza. Le parti poi del monu-
mento designate da cornici, sono tutte messe a ornati di encorpi, di an-
tefisse, di corone, di fogliami, lavorati dal Carimiui, dal Palombìni, dal-
l'Augusti. Le facce poi del primo imbasamento ottagono contengono le
ÈscriEÌoni .ommemorative. In quella di mezzo si legge: Fortissimis
militibus- ìndifjenis e.cterisque-qui anno MDCCCLXYH-adcersus copias
jtar/ic'dnrum- plnribus pracliis- prò Religione- atque urbis incolumi-
tate - <!imicanfes - in ipsa Victoria - vitam cum sanguine profuderunt-
Pius IX. Ponti fex ììfaximiis ^monumentimi fieri iussit-quo gratae Ipsius
■volun'alis - in filios meritissimos - rirtulisque eorum memoria - sancta
atque sacrala - postcritaii tradatur, - Nelle altre facce sono registrati
i nomi, la patria, e il grado di ciascuno dei defonti , posti in ordine
sotto quelli che ricordano i luoghi ove i combattimenti avvennero, e
che sono così designati: Balneoregii - Farnesii-ad monterà Brittum-Ne-
fulae - YHerbii - Ereti - Romae-ad Nomentum - Attorno è il Monumen-
to difeso da balaustrata a spranghe di ferro incrociate, nel cui nodo sta
la Decorazione accordata alle milizie a ricordo di quella guerra, e che
sono raccomandate a cippi ove •tanno scolpiti emblemi di fortezza. Il
luogo ove sorge è una piazza formata ad emiciclo con cipressi, e attor-
no ad essi erano per la circostanza di ieri schierati drappelli di ogni
corpo delle pontificie milizie.
« lì Santo Padre, arrivato dinanzi al Cenotafio, in suffragio dell1 anima
dei suoi prodi militari defunti recitò il salmo De profundis, e dal copioso
numero dei Vescovi, che seguivano Sua Santità, e dal popolo, stando
tutti genuflessi, ne furono alternati i versetti e si rispose alle preci. Poi,
seduto sotto un magnifico padiglione di velluti, che quivi era stato eret-
to, ammise al bacio del piede gli ufficiali superiori delle milizie, gli ar-
tisti che aveano lavorato nella chiesa e ne! monumento, e a tutti diri-
gendo parole di benevolenza e di encomio, li regalò di una medaglia.
Finalmente andò attorno per osservare nei particolari le opere del mo-
numento, manifestando all'architetto direttore la sovrana soddisfazione.
Sua Santità lasciò il camposanto fra le dimostrazioni le più vive del-
la moltitudine accorsa, che ai reverenti saluti univa la dimanda del-
l'apostolica benedizione; e fece ritorno alla pontificia residenza del
Vaticano.
2. 11 giorno 30 di Maggio Sua Santità s1 è degnata di onorare della sua
augusta visita lo Stabilimento di S. Antonio dei Portoghesi, conforme
air invito che ne avea ricevuto l'anno scorso dal sig. cav. de Quillinan,
incaricato d'affari del Portogallo in quel tempo. Il Duca di Saldanha
kavea, mentr'era ancora in Roma, ordinata la ristorazione degli stucchi e
delle indorature di quel tempio, una delle più nobili chiese nazionali di
1 08 CRONACA
Roma, e ne avea affidata la direzione al eh. architetto conte Vespignani,
i coi disegni furono da lui approvati. Partito poco dopo il maresciallo,
quei lavori furono cominciati dal suo nipote D. Pietro da Costa, e poscia
continuati dal cav. de Quillinan, il quale ha dato saggio di assai huon
gusto artistico nella scelta del soggetto pel quadro della nave grande,
allogato al giovane artista Nobili. Esso riferiscesi alla pia tradizione, per
cui lo scudo portoghese ha per insegna le cinque piaghe di N. Signore:
e quindi rappresenta la nobile figura del fondatore della monarchia Lu-
sitana, don Alfonso Ilenriques, nell'atto di ricevere dalle mani d' un an-
gelo il sacro vessillo, che gli assicurava la vittoria sopra i Saraceni. Ciò
si collega bene colle dipinture a fresco della cupola, e colle dipinture a
fuoco dei vetri colorati; perchè sì le une come le altre rappresentano i
Santi e le Sante portoghesi: con che si può dire esser quivi ricordata
tutta la storia religiosa della Lusitania.
Attendevano Sua Santità sulla soglia della chiesa, S. A. R. donna Isa-
bella di Braganza, Infanta di Portogallo, tutti i membri dell'Ambasciata, i
Vescovi di Algarve, Lamego, e Capo Verde, il sig. cav. de Quillinan, go-
vernatore del pio Istituto, i cappellani, le Suore di S. Giuseppe dell'Ap-
parizione, e con essi molli altri signori portoghesi. Le giovani allieve
delle dette Suore, biancovestite e coronate di fiori, facevano ala al pas-
saggio, che percorse il Santo Padre. Il quale, dopo di avere adorato il
SSfllo Sacramento, si degnò osservare minutamente tutti i lavori nuovi
eseguiti nella chiesa e nella sacrestia, parte di ristauro, parte di abbelli-
mento, e ne manifestò la sua più viva soddisfazione. Quindi asceso nel-
r aula massima dell1 Istituto, ove intorno intorno pendono dalle pareti
damascate i ritratti dei Re del Portogallo, e assisosi sul trono quivi pre-
paratogli, ricevette una grata sorpresa dal mirare nella soffitta il suo
proprio ritratto, nell'atto di benedire quei signori Portoghesi che avean
preso parte a quel ristauro, e che quivi erano dipinti al naturale; e ciò
erano il Duca e la Duchessa di Saldanha, il sig. D. Pietro da Costa colla
sua consorte, ed il cav. de Quillinan colla sua moglie e la sua figliuola.
Il Santo Padre comprese tosto il delirato pensiero, che quell'affresco
esprimeva, e ne mostrò la sua alta soddisfazione al Governatore del-
l'Istituto.
Essendo quindi stato servito uno splendido rinfresco, il S. Padre de-
gnossi colla bontà sua consueta di distribuire dei dolci colle sue proprie
mani alle allieve delle Suore di S. Giuseppe. Quindi S. A. l'Infanta di
Portogallo offerse al Papa un magnifico mazzo dei più rari ed eletti fio-
ri, stretto nel piede da un gran nastro di seta, ove leggevasi in lettere
ricamate in oro, il motto : A Sua Santità il Pontefice Pio IX, la Congre-
gazione di S. Antonio de Portoghesi in Roma. L'accolse il S. Padre colla
più cortese benevolenza: e sul punto di lasciar quella sala, con paterna
effusione benedisse tutta quell'adunanza, e rivolse parole di approvazione
CONTEMPORANEA 169
e d'incoraggiamento al cav. de Quillinan, governatore dell' Istituto, al
conte Vespignani architetto, al sig. Nobili pittore, ed al sig. Moroni, fa-
bricante di vetri colorati, i quali aveano, ciascuno per la sua parte, coo-
perato a quei ristauri. Una tal visita, che durò non meno di due ore, la-
sciò in tutti i Portoghesi quivi presenti la più dolce impressione, che
non si cancellerà giammai dai loro cuori.
Il dì 8 Giugno poi venne solennemente aperta al pubblico la detta
chiesa di S. Antonio, novellamente ristaurata. La nobile maestà dei mar-
mi, degli stucchi dorati, delle pitture e dei vetri colorati era ravvivata
ancor di più dai fiori, dai paramenti, dalla illuminazione; cosichè a ve-
derla era un vero incanto. Vi si celebrarono i santi riti con accompa-
gnamento di orchestra e di canto, sotto la direzione del maestro Rolland,
e vi venne recitato dal Rev. P. Anacleto di S. Felice, dell1 Ordine di
S. Francesco, un eloquentissimo ed appropriatissimo sermone.
3. Tutti sanno in quali strettissime condizioni versano le finanze pon-
tificie, e con quali tergiversazioni il Governo rivoluzionario di Firenze,
sottraendosi in gran parte all'adempimento degli obblighi che gli era-
no stati imposti dalla Francia con solenne trattato, non cessa di fare ogni
opera per aggravare vie peggio i risultati delle rapine compiute, a dan-
no della Santa Sede, nel 1859 e nel 1860.
Malgrado di ciò, e dei dispendii renduti necessarii per la invasione
regio-garibaldesca del 1867, la Santa Sede con la più rigorosa puntua-
lità adempie i suoi doveri verso i creditori dello Stato, e procede rego-
larmente, alle epoche prefisse, alla parziale estinzione del suo debito
pubblico.
Di che sta in prova una Notificazione del Ministero delle finanze ,
sotto il 7 Giugno 1870, pubblicata nel Giornale di Roma, n.' 128, per
la estrazione, da farsi il 15 Giugno di 1,333 certificati di credito sul
pubblico tesoro, emessi per l' imprestito del 1863.
Con la somma di scudi 133,333,33.3. , pari a lire 716,668. 66, fondo
da impiegarsi nella presente estrazione, saranno ammortizzati 1,33$
certificati tra quelli e messi nel 1683 pel prestito di quattro milioni di
scudi; il qual debito dovea estinguersi in 15 anni; e rimarrà un resi-
duo di scudi 33,33, pari a lire 179,16 da erogarsi nella ventura estra-
zione. Sarà affissa il più presto possibile, nei soliti luoghi, la distinta
dei numeri estratti dei certificati, per norma dei relatici possessori. Nel
giorno 6 Luglio si aprirà, nella cassa della Deposi teria in Roma, il pa-
gamento del capitale alla pari dei certificati sortiti; il quale pagamento
verrà eziandio eseguito dagli amministratori camerali delle province a
favore di chi lo domanderà, secondo i regolamenti.
4. È pur da mettere in nota un fatto, che dimostra la incessante sol-
lecitudine del Santo Padre per migliorare in ogni guisa le condizioni dei
suoi figli e sudditi, spendendo in ciò del suo privato peculio, e per via
110 CRONACA
di provvedimenti intesi principalmente ad agevolare il traffico colFapri-
re nuove strade, ed a giovare V igiene pubblica, col fornire di acque po-
tabili e saluberrime i comuni che ne dilettano; come poc'anzi raccon-
tammo essersi fatto, oltre che in Anagni, Alatri, Ferentino, Ceccano e
Sezze, anche a Frodinone 1. Questa stessa lieta ventura toccò poc'anzi a
Ciciliano, a Ienne ed a S. Oreste nella Comarca. Mercè dei sussidii con-
ceduti da Sua Santità, i lavori necessari a condurvi acqua di eccellente
qualità dovranno in breve essere compiuti per Ciciliano, ed impresi e
condotti celeremente a Ienne e S. Oreste. Di che non è a dire quanto va-
dano lieti e siano grati al Santo Padre gli abitanti di quelle borgate.
Toscana e Stati annessi 1. Festa dello Statuto — 2. Agitazione mazziniana —
3. Lagnanze e confessioni d'un giornale ufficioso pel brigantasgio — 4. Fi-
lantropia dei Frammassoni di Ravenna; suoi effetti per le suore di Carità.
1. Nei primi anni della rivoluzione italiana per festeggiare lo Statuto
ottriato da Carlo Alberto, che spalancò all'Italia le porte di quell'Eden
di beatitudini in cui ora si va deliziando, si spendeano ingenti somme di
pecunia; ma il più delle volte le intemperie guastavano gli apparecchi
delle luminarie e dei fuochi artificiali , e rendeano fastidiosissime le ras-
segne di truppe e di Guardia nazionale. Si dovette pertanto venire, con
successive traslazioni della festa ad epoca meno inclemente, cercando un
giorno in cui fosse probabile il beneficio d'un cielo sereno. Ma che? Ces-
sato quell'inconveniente, eccone più altri. La Guardia nazionale che do-
yea dare il principale lustro a quella festa, a poco a poco si venne scio-
gliendo , così che spesso non si riesce che a grandissimo stento a rag-
granellare tanti uomini , quanti bastano a rappresentare uno smilzo
battaglione, anche nelle grandi metropoli, come Milano, che sulla carta
posseggono le quattro e le sei legioni di questi prodi. Venne pertanto a
mancare, per queste feste, il lustro del Palladio; quanto al rimanente,
le crescenti gravezze di balzelli enormi tolsero anche ai più fanatici ogni
fervore di spendere del proprio per celebrare un fatto, da cui non
ebbero fin qui se non libertà littizie e rovine reali d' ogni genere. Onde
Ja festa dello Statuto intisichì, cometa Guardia nazionale, ed oggimai
sta per essere sepolta nella stessa tomba in cui giacciono le tante altre
•e liberalesche del 1848 e del 1849.
Tuttavia, per decoro, la (ìazzelta ufficiale si studia di mantenere in
buona riputazione codesta solennità intristita; e perciò alli 6 Giugno,
prffna di recare le novelle delle bande mazziniane formatesi su quel di
Lucca e di Sarzana, ne faceva quella descrizione che recitammo nel pre-
ste Tol. X, a pag. MI. Il vero si è che niuno si accorse dell
1 C v. r0lt. Serie MI, voi. IX, pag. 610-21.
CONTEMPORANEA 111
Mica esultanza; e che l'ordine fu mantenuto per una semplicissima ra-
gione, cioè che è impossibile il disordine quando non ve nò moltitudi-
ne affollata, ne motivo onde le plebi abbiano a commoversi.
Pertanto non è da stupire se i giornali di quasi tutte le città parla-
rono di tal pubblica esultanza con quello stile e con quella vivacità, che
molto bene si addice anche ad un mortorio; ed anzi non pochi se ne bef-
farono altamente. Così , per esempio , da Firenze scrissero alla ministe-
riale Lombardia dei 6 Giugno che non si badò allo Statuto : « Noi fac-
ciamo gran conto, disse il corrispondente, del carnevale e passiamo in
silenzio la festa dello Statuto ». A Parma , secondo il Presente del 5,
la festa nazionale fu sospesa « in causa della pioggia, quantunque non
piovesse ». A Genova, disse il Dovere del 6, « abbiamo conlato fino a
cinque finestre imbandierate». A Torino fu vista la bandiera di Mao-
metto presso il Collegio internazionale, dove stanno gli Egiziani, il cor-
rispondente della Nazione dei 7 Giugno trovò in Torino, nella festa
nazionale, « un silenzio che potrebbe essere scambiato in uno sconfor-
to o in qualche cosa più significante ». A Milano, scrisse quella Gazzet-
ta, « su 16 battaglioni di guardia nazionale si potè formarne uno di due-
cento uomini circa ». E questa si chiama esultanza pubblica, esultanza,
massima?
2. Ma non è da stupire che i popoli avessero ben altro pel capo,
che di menar festa e tripudio per uno Statuto, di cui si è nella pratica
abrogato il poco che contenea di buono , cominciando dal primo suo ar-
ticolo spettante alla religione; e di cui si è volto il rimanente a servire
di strettoio, per ispremere dai contribuenti la massima parte degli averi
loro, sotto forma di balzelli, che si gettano nella voragine delle Finanze,
ad ingrassarvi un branco di settari». Tanto più che I1 avvenire appari-
sce anche più fosco, per 1' espettazione in che tutti stanno di un confitto
inevitabile tra le due fazioni avverse che parteggiano, l' una per la mo-
narchia rivoluzionaria, l'altra per la repubblica. Ciascuna di queste due
parti presumeva di sfruttare le forze dell'altra a proprio profitto. I mo-
derati credeano che Mazziniani e Garibaldini potessero tornare utili a
compiere Y unità d'Italia a profitto della monarchia; e perciò fin qui li
carezzavano; ma ora si accorgono che quelli non si contentano di esse-
re braccia, e vogliono diventar capo del corpo settario italiano. I de-
mocratici tennero le parti della monarchia, per potere, dietro al suo
esercito, salire al Campidoglio, ma col fermo proposito di gettare poi
la Monarchia, come una buccia spremuta, dall'alto della rupe Tarpea.
Gli uni e gli altri ora s'accorgono di stare come due mastini affamati
presso un osso. L'osso è Roma, di cui chi fosse padrone facilmente fa-
rebbesi padrone del resto d' Italia. Di qui ancora lo screzio fra il Gari-
baldi ed il Mazzini. Quegli voleva anzi tutto Roma, e poi da Roma ban-
dire la repubblica; questi, temendo che Roma non si potesse conquista-
112 • CRONACA
Te con sole bande di venturieri, o che vi si dovesse opporre l'esercito
Tegio per contrastare la preda, voleva che anzi tutto si spiegasse la ban-
diera repubblicana in Firenze, a Milano, a Genova, a Napoli ; poi si
•marciasse su Roma. Il litigio si compose con un accordo, che alle due
imprese si procedesse contemporaneamente; mentre le bande repubbli-
cane doveano occupare le truppe ed il Governo nell'alta e nella bassa
Italia, dalla centrale altre squadre tenterebbero un colpo sopra Roma.
Questo disegno andò fallito, per ora; però universalmente si crede che
non sia abbandonato, ma differito ad effettuarsi per l'epoca in cui, come
sperano que'settarii, il Governo francese si risolvesse, per motivo qual-
siasi, a richiamare la brigata di sue truppe che tiene su quel di Viterbo
^e di Civitavecchia.
Onde si spiegano i moti accaduti, e la facile loro repressione. Quelli
furono come i primi saggi allo scandaglio; questa era preveduta e non
iscoraggi punto la setta repubblicana. Il Governo cerca di cavarne pro-
fitto: 1.* per persuadere il Governo francese che la cagione di tutto il
malessere dell1 Italia sta neh' essere questa priva della sua capitale, Ro-
ma; 2.# che se non si fa presto ad appagare, col dare Roma all'Italia,
questo voto nazionale, divenuto oggimai una necessità ineluttabile, il
Governo potrebbe essere soverchiato e divenire impotente a frenare la
repubblica; il che non tornerebbe a prò della quiete dei vicini e della
Francia stessa.
Ad ogni modo certo è che l'agitazione mazziniana contro la monarchia
è più efficace che mai; e che le speranze della garibalderia rispetto a
Roma sono sempre vivaci, non senza compiacimento del Governo di Fi-
renze che si tien sicuro e di domare i repubblicani, e di potersi appro-
priare i frutti d'una nuova spedizione sul modello di quella di Marsala.
Se ne ha chiaro indizio nel favore, di cui è onorato quell'Enrico Cer-
nuschi, di cui abbiamo parlato nel precedente volume X, a pag. 499 ; e
che perciò, espulso dalla Francia, fu subito proposto, suo malgrado,
come Deputato per Guastalla; e vi riportò di fatto, nello scrutinio che
si tenne la domenica 5 Giugno, una pluralità relativa di voli, che è mol-
to espressiva. Erano 173 gli elettori concorsi a dare il loro suffragio;
10*2 votarono pel repubblicano Enrico Cernuschi, dichiara tissimo nemi-
co della unità monarchica d'Italia, e partigiano schietto d'una unità fe-
derale repubblicana. Per contro un tal Carlo Verga, candidato del Gover-
no, ebbe appena 42 voti. Lo scrutinio non fu decisivo, perchè altri 22
voti andarono dispersi. Ma ciò basta a far vedere qual progresso abbia
fatto, tra quelli che non hanno ribrezzo di avvolgersi tra codeste brighe,
l'idea repubblicana.
Per altra parte i giornali democratici, che professano di tenere le pitti
del Mazzini, continuano, malgrado delle parecchie decine di sequestri
fatti per pura cerimonia e senza effetto veruno di pena, a bandire alto
CONTEMPORANEA . 113
la repubblica, combattendo con ardore e con audacia impareggiabile fin
le persone singole, non che la dinastia intera di casa Savoia. E pare che
sperino di riuscire ali1 intento. Federico Campanella, che è Valter ego
del Mazzini, mandò stampare sul Dovere di Genova del 6 Giugno una
lettera, in cui disse schietto : « Ciò che ancora non si è fatto, si farà; ne
sono certo. » Ed il compare di Caprera, Yeroe Garibaldi scrisse ad un
suo masnadiere, per nome Sammito, quest'altra promessa : « Sarò con
voi nell'arena tino all'ultimo, quantunque già intirizzito di corpo, non
d'anima. »
Le finanze sono l'agguato in cui i repubblicani aspettano il Governo
per. sospingerlo al precipizio ; ed il Governo che ha soldati, baionette e
cannoni, aspetta che i repubblicani escano in campo, per secondarli se
vengono contro Roma, per isbaragliarli senza far loro troppo male, se
si muovono contro la monarchia. L1 una parte vale l'altra, quanto ad
onestà e capacità di far bene ai popoli. Dio protegge l' Italia cattolica.
3. Intanto Camera e Governo studiano il modo di spremere, con nuovi
balzelli, nuove rendite ; e, mentre i popoli sono così espilati per mille
guise da un Governo, che almeno dovrebbe potere e sapere proteggere
quel poco che loro lascia delle sostanze, e difendere le persone e le vi-
te, sono continue e troppo fondate le lagnanze perchè, quello che non
è loro tolto dal Governo, resta alla graziosa mercè dei malandrini. Di
che vogliamo recare una testimonianza non sospetta di esagerare le co-
se a vitupero del Governo: ed è un articolo dell' Italia militare del 15
Giugno, riprodotto senza critica o riserva veruna dalla ufficiosa Opinio-
ne nel n.° 166 del 17 Giugno, intorno alle geste gloriose dei briganti.
« Nel mese di Maggio si ebbe una notevole recrudescenza. I super-
stiti delle vecchie bande , che si tenevano celati , tornarono alla campa-
gna, e ricominciarono lo storia dolorosa delle uccisioni, dei ricatti e dei
furti. Un rapido sguardo alle divisioni di Napoli, di Salerno, di Catan-
zaro e di Chieti darà ai lettori un'idea del peggioramento seguito.
« Nella divisione di Napoli fece molto danno e portò molto sgomento
la banda Fuoco. Il 1' Maggio il Fuoco ricattò, sulla strada tra Presenza-
no e Yenafro , tre persone : un possidente, un utììziale telegrafico e uno
scrivano; uccise il primo, gli altri lasciò liberi dopo il pagamento d'una
forte somma. — Il 3 Maggio lo stesso Fuoco assalì e ferì un giovine
mandriano nel bosco Petrosa. — Il giorno 4 cinque briganti s' impadro-
nirono d'un proprietario di Angri, e lo lasciarono libero mediante la
somma di L. 1,275 pagata dalla famiglia. Il giorno 11 , presso la sta-
zione di Boscotrecase, il capo brigante Antonio Cazzolino ferì gravemen-
te di palla il brigadiere a piedi De Gaspari 1' Giulio, appiattatosi per ar-
restarlo. Il giorno 16 la banda d'Alena e Pomponio catturò e rilasciò al
prezzo di mille piastre un giovane contadino della montagna di Formia.
Il giorno 24 tre briganti , fra i quali si crede ci fosse il Fuoco , presero
Serie VII, voi. XI, fase. 487. 8 25 Giugno 1870.
114 CRONACA
presso Fonteorsara un guardaboschi e lo uccisero a colpi di bastone.
Il giorno 29 lo stesso Fuoco, aiutato da due compagni, aggredì un pro-
prietario, certo Delia, nel comune di Monteroduni , e gli rubò danaro e
oggetti di vestiario per il valore di L. 132 ; apparsa in quel punto una
pattuglia del 6° reggimento granatieri, i tre briganti fuggirono. Il gior-
no 25 si presentarono alla autorità tre briganti.
« Netta divisione di Salerno fi fu di peggio. 11 2 Maggio, nel comu-
ne di Carmine, due possidenti furono catturati da una comitiva di otto
briganti, a cui il giorno dopo riuscirono a sfuggire; quella venne arresta-
ta sette giorni dopo. Il giorno 6, i noti briganti Cappuccini , Tiracanale
e Pannicelli, nel comune di Matera, assalirono e legarono a un albero
un guardiano, certo Filippo Nicola; dopo di che, introdotti i in una vi-
cina capanna dov' eransi ricoverate alcune donne , ne trassero fuori una
di sedici e due di diciassette anni,, e le stuprarono poco lungi di Là, 'la-
sciandole libere poi. Il giorne 8 tre briganti, nel comune di Matera, cat-
turarono un oste insieme al suo figliuolo quattordicenne e a un contadi-
no incontrato per via; rilasciarono poi Y oste per una rilevante somma
pagata dalla moglie, dopo avergli reciso un orecchio; ritennero il fi-
gliuolo. La sera del 10, presso il villaggio Bosco, due briganti cattura-
rono un contadino di quarantanni e un suo ragazzo dodicenne, che non
restituirono prima d'aver ricevuto la somma di L. 2000. Il 15, nel ter-
ritorio di S. Martino d'Agri ; due briganti entrarono in una fattoria, vi
uccisero dodici pecore, sei vacche ed un asino e poi diedero il fuoco al-
la casa. Il giorno 16 veniva assalite la valigia postale sulla stradi da
Triedrico a Potenza, e due carabinieri vi rimanevano feriti. Il 18 , nel
territorio dei Giganti , cinque briganti assalivano un contadino e Io de-
rubavano di un mulo del valore di L. 500. Il 22, nel comune di Case-
letto Spartano, tre briganti ricattarono un giovanetto di 17 anni, che
riuscì a fuggire.
« Il 23, tre contadini di Marsiconovo si davano alla campagna come
briganti , e cominciarono immediatamente la loro carriera aggredendo
due conladini, bastonando una donna e tentando di sequestrare un mer-
eiaio. Ma il comandante di quella luogotenenza , coadiuvato dalle altre
autorità, tanto fece che nel pomeriggio del 2i i tre novelli briganti si
andarono a costituire. Nello stesso giorno, dietro indizii avuti dal sinda-
co di Licesati, fu fatta una perlustrazione dai militi della Guardia na-
zionale, soldati di fanteria e carabinieri nella montagna di Bulgheria, do-
ve si rinvenne un cadavere in istato di completa putrefazione, ricono-
sciuto poi per il capobanda Marino Nicola da Àntola. Il 27, in contrada di
Ponte di Sora, tre briganti catturarono un contadino. Uno di essi aveva
i calzoni rossi (caso grave). Il 28, un possidente di Connilicchio veniva
sorpreso dal brigante Notaro da Pollica con due suoi compagni. Datosi
alla fuga, i briganti gli tirarono due fucilate, di cui una lo ferì alla spalla,
C03TEMPORAN E A 115
V altra al braccio. Il 29, in contrada Limanti, i briganti trucidarono nel-
le proprie case due donne.
« Divisione di Catanzaro. Poco di consolante anche qui. Un rapfo di
domi ! honestà, come dicevano le gride dell1 eccellentissimo signor Gon-
zalo Fernandez di Cordova, fatto da un brigante il giorno 4 nel territo-
rio di Longoimco; una ragazza di 16 anni portata via, si può dire, sot-
to il naso del padre e non più vista. Il giorno 19 la comitiva brigante-
sca dei Castagneti, capitanata dal noto Gesualdo Donato , comparve nel
territorio di Gonfienti e vi ricattò due contadini. In questo mentre, pas-
sando per là cinque donne, tra cui una di 27, una di 26, e una di 15
anni, queste ultime tre furono rapite, e portate via e stuprate. Nello
stesso tempo i briganti assalivano altre tre persone , tra cui una donna
di 23 anni, che stuprarono subito, un povero diavolo a cui mangia-
rono il valore di 50 lire in pane, salame e formaggio, lui spettatore.
Poche ore dopo la stessa comitiva di briganti sgozzava in un bosco 68
pecore e ne feriva 15, e se ne andava poi senza lasciar traccia di se.
Il 22 altra aggressione nel territorio di Celigo; per parìe di tre brigan-
ti, che pretendevano da un contadino nientemente che il tributo di tre
revolvera , di due orologi , d' un canocchiale.
« Nella divisione di Chieti apparve una banda di dodici briganti , che
fu instancabilmente, ma senza risultato, perseguitata dalla truppa. Ap-
parve pure, nel circondario di Vasto e Lanciano, la banda Tola-Crocit-
to. La divisione di Bari fu la più tranquilla »,
Si ponga questo quadro a confronto di quel che abbiamo ragionato
nel precedente quaderno (voi. X, pag 649-59) circa la distruzione del
brigantaggio nello Stato pontificio, ed apparirà manifesto sempre più
qual sia l'origine del brigantaggio, e quanta sia T inettitudine del Go-
verno massonico a reprimere efficacemente il male.
4. Tuttavia i frammassoni sono eccellenti in una cotale loro arte di
Governo, a cui danno nome di filantropia; ed il risultato è costante-
mente quello di togliere ai poveri popolani ogni, sussidio che loro ven-
ga dalla carità cristiana; tanto li acceca rodio che professano per tutto
ciò che tiene di Chiesa cattolica. Animati da questo spirito diabolico i
frammassoni che prevalgono nel consiglio municipale di Ravenna, con
l'usata loro filantropia, eransi risoluti di dare lo sfratto a quei modelli
di abnegazione che sono le ammirabili Suòre della Carità, togliendo lo-
ro ogni ingerenza negli istituti dove si provvede alle miserie di corpo
e di spirito dell'afflitta plebe. A Dio piacque che non riuscissero se non
in parte all'intento. Eccone il racconto scritto da Ravenna a\V Ancora di
Bologna.
« Le Suore della Carità, da gran tempo in Ravenna dirigono varii
stabilimenti, cioè: 1." L'ospedale: 2.° L'orfanotrofio femminile: 3/ Un
florido Educandato con pubbliche scuole per le fanciulle estere: L* L'asi-
116 CRONACA
lo infantile. La Congregazione di Carità non può ingerirsi dell'Educan-
dato e ddle Scuole, che non sono cose di sua ispezione; ma, siccome
questo duplice stabilimento è impiantato nell'Orfanotrofio, così spera-
vano dissipare tanto le scuole che l'Educandato, rivocando improvvisa-
mente il locale da lunghi anni occupato dietro convenuto compenso. In-
nanzi tutto però, affine di salvar le apparenze, decisero di attaccare
quelle impareggiabili maestre come inette air insegnamento, credendole
sprovviste di patente governativa. Ma quale non fu lo stupore di questi
dabben uomini, quando si avvidero del grosso granchio preso a secco?
Le buone Suorine sono munite di regolare patente non solo, ma quasi
tutte l'hanno di prima classe. — Primo fiasco dei massoni.
« In quanto all'abitazione poi, esse non hanno mica aspettato che lor
venga fatta la intimazione di sloggiare ; ma per tempo hanno acquistato
a contanti un locale veramente magnifico, arieggiato, salubre e spazio-
so, nel bel centro della cita, con ampii cortili e comodi senza fine. Ivi
quanto prima andranno ad allogarsi colle scuole e coir Educandato. Que-
sto, in luogo sì vantaggioso, bello e capace, prenderà novella vita, e
lo vedremo prosperare più di prima. — Secondo fiasco.
« L'amministrazione dell'Asilo poi non ha voluto convenire in alcun
modo di rimandare le Suore di Carità, che prestano ai bambini cure tan-
to amorose. — Terzo fiasco.
« Per le ottime infermiere dell'ospedale la Provvidenza si è servita di
un mezzo affatto inatteso. I membri della Congregazione di carità col
nuovo loro presidente sedevano un giorno a consiglio, allorché compar-
ve a loro dinanzi, come si narra, una visita inaspettata. Era un certo
F... M..., popolano a tutti ben noto, ma specialmente al conte Gioac-
chino, perchè ferro vecchio di bottega... oggi però divenuto un pruno
negli occhi a lui ed al Governo stesso. Ebbene costui arditamente disse
sapere abbastanza di che si trattava; ma che i signori, non avendo biso-
gno di farsi curare al pubblico ospedale, non sono giudici competenti;
ciò toccare al popolo. E questo giudicare per prova che le Suore sono
utili e necessarie ai poveri infermi. Egli stesso averlo sperimentato... Si
guardassero adunque dal molestarle, altrimenti avrebbero che fare con
lui e coi suoi compagni !.. . A quel viso a quelle parole franche, a quel-
le minacce.... si diceche quei signori tutti cagliarono, facendo pro-
messe, assicurazioni, per non irritare maggiormente la belva! Quindi il
M.... fattosi paladino dell'innocenza e della virtù vilipesa e calunniata,
si condusse all'ospedale per dir parole di conforto alle caritatevoli sue
infermiere, assicurandole che egli e i suoi vegliavano alla loro difesa, e
guai a chi ardisse toccarle!....
« Di (Tatti esse sono fortunate di trovarsi ancora al loro posto per pro-
digare le più amorevoli cure ai poveri infermi. Solo le Suore dell'Orfa-
notrofio non avendo trovato difensori, sono rimaste a discrezione dei
COMEMPORANEA 117
frammassoni, i quali, nella suddetta Congregazione. di carità, hanno da-
to in maggioranza voti per cacciarle. Laonde presto le povere orfanelle
dovranno distaccarsi dalle ottime loro istitutrici per essere affidate a chi
sa quali altre maestre. Preghiamo Dio e la Beata Vergine a non abban-
bandonare affatto queste povere fanciulle 1 »
II.
COSE STRANIERE.
Spagna 1. Decreto sopra il giuramento del Clero — 2. Protestazione indirizza-
ta al reggente Serrano dagli Arcivescovi e Vescovi —3. Schema di leg-
ge contro il Clero — 4. Richiami dell'Episcopato alle Cortes — 5. Lettera
del Duca di Montpensier circa il suo duello con don Enrico di Borbone —
6. Sentenza della Corte marziale contro ilMontpensier — 7. Lettera dei figli
di D. Enrico, per rifiutare l'indennità loro assegnata dalla Corte Marziale.
1. Prima d'ingolfarci nel pelago della rivoluzione che continua ad
imperversare nella Spagna, crediamo opportuno di registrare alcuni at-
ti rilevantissimi che spettano alle relazioni tra la Chiesa e lo Stalo; e
che mettono sempre meglio in evidenza di qual natura sia la libertà che
i Frammassoni intendono di dare e guarentire alla Chiesa in compenso
d'averle rapinalo i beni. I procedimenti della setta, a questo riguardo,
sono da per tutto i medesimi. Libertà sconfinata, anzi licenza ed immu-
nità d'ogni legge divina ed umana pei settarii; ma oppressione tiran-
nesca e schiavitù perpetua pel Clero e pei cattolici. Noi siamo di pare-
re che, se per avventura si promulgherà per legge, in Italia e nella Spa-
gna, l'abolizione della pena di morte per qualsiasi reato eziandio di al-
to tradimento, non si ommetterà di fare una espressa eccezione pei
chierici e pei preti o per gli ascritti a qualche società cattolica. Non è
pertanto da meravigliare che, appena in uno stato trionfa con la rivolu-
zione la setta, questa sia sollecita di proporre che si abolisca sì il giu-
ramento di fedeltà, ma che invece questo si imponga al Clero, appun-
to per avere un pretesto legale di più, onde poterlo torturare e mettere
al bando d'ogni legge d'umanità.
Abbiamo riferito a suo tempo 1 come fosse prontamente ammessa
dalle Cortes e mutata in legge la proposta di imporre al Clero il giura-
mento di fedeltà allo Stato ed alla Costituzione, avendo il Zorrilla di-
chiaralo, nella tornata del 25 Novembre 1869, che la Santa Sede avea
riconosciuto al Governo del Reggente il diritto di esigere dal Clero que-
st'atto. La Santa Side fece palese la verità schietta, a tal proposito, con
una nota ufficiale inserita nel Giornale dì Roma del venerdì 1 Aprile
1870 ; la quale fu da noi trascritta testualmente nel citato volume X, a
pag. -244-43.
Cagione determinante della pubblicazione di tal nota era un decreto,
promulgato nella Gaceta ufficiale di Madrid alli 19 Marzo ; in virtù del
1 Civ. Catt. Serie VII, toI. X, pag. 122.
118 CROISÀfA
quale lutti gli Arcivescovi, Vescovi, Parrochi, Religiosi fuori del chiostro
ed ecclesiastici d'ogni ordine, erano astretti a dover prestare V imposto
giuramento. Gli Arcivescovi e Vescovi che {ossero presenti a Madrid
doveano, entro un mese, e senza alcuna riserva, restrizione o condizione
di sorta, giurare fedeltà alla Costituzione, « al cospetto di Dio r sopra i
santi Ecangeli » fra le mani di S. E. il Ministro di Grazia e Giustizia.
Nelle province i Vescovi ed loro Capitoli doveano prestarlo, nella slessa
forma, tra le mani dei Presidenti delle Corti di Giustizia. I cleri delle pa-
rocehie, i religiosi fuori del chiostro, ed ecclesiastici tutti doveano pu-
re, entro un mese, comparire innanzi al rispettivo Giudice di prima
istanza, e giurarvi fedeltà alla Costiluzione secondo la forma prescritta
ai Vescovi. Agli ecclesiastici d'ogni ordine, che fossero residenti fuori di
Stato, prolungavasi di due mesi il tempo utile a compiere lo slesso atto
innanzi agli incaricati d'Affari o Consoli di Spagna.
2. L'Episcopato spagnuolo, che trovasi quasi lutto riunite in Roma
pel Concilio ecumenico, e vi dà l'esempio di quella invitta fermezza, di
quella scienza soda, di quella pietà profonda, di quella devozione incrol-
labile alla Santa Sede, per cui gode, troppo meritamente, la venerazione
universale: F Episcopato spagnuolo prese a disamina le condizioni poste
alla prestazione del giuramento, ed avuti da fatti, e dalle chiose bandite
nelle Cortes, nuovi schiarimenti sopra il senso schietto ed assoluto che
dal Governo altribuivasi a quella forinola di giuramento; dopo matura
deliberazione fu unanime nel firmare e spedire a S. E. il maresciallo Ser-
rano, duca della Torre, reggente di Spagna, una protestazione in buo-
na forma, riprodotta nell' Univers dell' 11 Maggio, e la cui versione ita-
liana, stampata vAX Osservatore Romano n. 103 del 14 Maggio, noi sia-
mo lieti di qui trascrivere distesamente.
« Serenissimo signore. 1 sottoscritti Vescovi spagnuoli, residenti a
Roma in occasione del Concilio ecumenico, si dirigono rispettosamente a
Vostra Altezza, adempiendo il doloroso dovere di recare a vostra cogni-
zione le considerazioni gravissime, che impediscono ad essi di prestare,
e di autorizzare il loro clero a prestar giuramento alla nuova Costituzio-
ne politica, conformemente al decreto del Ministro di Grazia e Giustizia
del 17 di Marzo ultimo. L'atto religioso, che il Governo di Vostra Altez-
za esige d:>.i Vescovi e dal Clero, offende altamente la coscienza e la di-
gnità de' Vescovi. Esso eccede la competenza del potere temporale. Esso
nemmanco è in armonia con la costiturione che voi ordinate di giurare.
Vostra Altezza ci permetterà di richiamare un tratto la sua attenzione
su questi tre punti.
« Questa prestazione di giuramento offende altamente la nostra co-
scienza e la dignità nostra, merceeehò egli è notorio, che l'Episcopato
spagnuolo ha, non è minto, fallo delle rimostranze contro alcune
messe nell'attuale Costituzione; conciossiachè sieno opposte, non sola-
mente alle gloriose tradizioni e costumanze del popolo spagnuolo. ma
contrarie pur anco alla santa legge di Dio, che obbliga pi Stali e i par-
ticolari, e non acconciasi a quella specie d'ateismo politico, che attribui-
sce de' diritti eguali alle superstizioni da una parto, e alla verace reli-
gione dall'altra, agli errori in pori modo ebe alla \ trita, al male cosi
come al bene. 1 Vescovi, maestri legittimi in ciò che riguarda la religio-
ne e la morale, hanno rappresentato e formulato il loro giudizio sui ma-
CONTEMPORANEA 119
li gravissimi, che trarrebbero seco per la religione queste basi, le loro
naturali conseguenze, risultamenti non meno funesti pe'costumi, la pace
e la tranquillità delle popolazioni, che sono ad essi affidate, e della cui
salute sono essi responsabili verso il supremo Pastore. Or bene; il giu-
dizio del Ministro di grazia e giustizia si eleva contro questo giudizio
dottrinario, e dice: La legge fondamentale nulla contiene che si oppon-
ga ai precetti religiosi. Ei da ciò inferisce che il Clero dee giurarla as-
solutamente sui santi Evangeli. La dignità e la coscienza dell1 Episcopa-
to sono esse così ben salve? Può egli così solamente giurare?
« Ma, soggiunge il Ministro, la Santa Sede ha riconosciuto che il giu-
ramento è lecito, e dichiara all'Episcopato ch'ei può prestarlo. Gli è ve-
ro! solamente ha scordato d'aggiungere che questa dichiarazione della
Santa Sede è stata fatta in seguito d'un'altra dei Governo spagnuolo, che
avea fatto sapere el Santo Padre che, chiedendo esso al clero il giura-
mento, non esigeva, o, come ci si è tradotta la sua idea, non pensava
ad esigere che il clero giurasse alcuna cosa contraria alle leggi di Dio
e della Chiesa. Il che significa che il giuramento non ricadrebbe, in al-
cun caso, su ciò che nella Costituzione potesse esser contrario a queste
leggi. Una tale riserva sparisce allorché si esige un giuramento assoluto,
in pari tempo che affermasi non essere nella Costituzione alcun che di
contrario ai precetti religiosi. Inoltre, noi non pensiamo che siasi detto
nulla al Santo Padre sul proposito della contribuzione da parte del
clero alla consolidazione di questa grande opera delle Cortes, ed alla sua
approvazione delle libertà conquistate nella rivoluzione di Settembre.
Vostra Altezza comprende ch'egli è d'uopo che noi aggiungiamo una pa-
rola, perchè le condizioni hanno essenzialmente variato.
« Noi abbiamo detto ancora che il giuramento voluto nella forma spe-
cificata nel decreto eccede le attribuzioni del potere temporale. Se, in
vero, questo, in quanto esso ha per obbietto il benessere temporale dei
cittadini, dee esigere il rispetto, la fedeltà e l'obbedienza alle leggi, in
quanto ch'esse non avversino ciò che dobbiamo a Dio; esso, d'altra par-
te, non è fondato per obbligare a riconoscere buono, giusto e convenien-
te ciò che, in realtà, non apparisce tale. Esso può imporci sagrifizii nel-
l'interesse della società e del pubblico bene; ma il sagrifizio non mai del-
la coscienza, né quello dell'onore e della dignità personale, che ogni go-
verno, ogni autorità dee rispettare ne'suoi subordinati.
« Così, non solamente la coscienza, ma l'onore eziandio e la dignità
impediscono l'Episcopato e il Clero di prestare il giuramento che loro
si richiede. Quest'onore e questa dignità sono pei sacerdoti guarentigia
di alta stima; essi non possono rinunciarvi senza perdere l'ascendente
indispensabile per esercitare con frutto il loro ministero. Il popolo noa
fa astrazioni, il popolo spagnuolo che ha veduto e che vede che all'om-
bra della nuova costituzione, o come conseguenza dei suoi principii fon-
damentali, si annulla il concordato solenne conchiuso con Sua Santità;
si considerano i sacerdoti come una sorta d'ini piegati dello Stato, si spo-
gliano del loro diritto, si latino passare presso gli altri per avere i loro
mezzi di sussistenza, giusto indennizzo che loro appartiene; si distrug-
gono le chiese; si disperdono le famiglie religiose di monaci e si fanno
gemere sotto duri trattamenti deboli donne consacrate a Dio; si pro-
getta, con una notoria incompetenza, di sopprimere i Vescovadi e i Ca-
120 CRONACA
pitoli ; il popolo spagnuolo, che ha veduto e vede tutto questo, senza
contare mille altre cose, quale concetto avrebbe esso dei suoi Vescovi
e del suo Clero, se li vedesse comparire innanzi all'autorità civile per
giurare fedeltà alla Costituzione, ciò che, agli occhi del popolo, parreb-
be essere una vera adesione ai deplorabili eccessi or ora enumerati? No,
ei non appartiene ad alcun potere pubblico, ci non conviene al Gover-
no della nazione, ei non conviene alla nazione stessa, cattolica nella
sua immensa maggioranza, che l'Episcopato e il Clero s1 inchinino a
questa umiliazione, perdendo la salutare influenza, che loro è stata sì
vantaggiosa e sempre lo sarà per l'ordine e la tranquillità delle na-
zioni ! Come una esigenza ed un costringimento di questa natura po-
trebbero mai conciliarsi con una costituzione che dicesi essere libéra-
lissima, con una costituzione che proclama la libertà di coscienza e
consacra tanti diritti individuali? Come conciliare il giuramento con Dio
• co' santi Evangeli in favore d'una costituzione che, legalmente, non
riconosce né Evangelii ne Dio?
« Vostra Altezza è troppo illuminata perchè i sottoscritti abbiali
bisogno di dire una parola di più. Terminando il rispettoso loro indi-
rizzo, si limiteranno a protestare contro ogni idea politica, o qualunque
pensiero di partito, che si pretendesse loro attribuire. Cittadini spa-
gnuoli, essi rispettano i poteri costituiti, e, senza che siavi bisogno di
giuramento, essi sanno serbare la fedeltà e l'obbedienza dovuta alle leg-
gi, non per timore, ma bensì per coscienza, per ì l'ordine di Dio e pei
precetti della Chiesa.'
« Il sig. Ministro di grazia e giustizia non abbia timore di vedere che
i Vescovi e il Clero vogliano tentare di opporsi al vero progresso del
popolo spagnuolo ed allo sviluppo di una libertà saggia e ragionevole.
Noi non crediamo che questa apprensione abbia colpito il Governo in-
nanzi al rifiuto dei Deputati di prestar giuramento alla Costituzione.
Esso può avere meno ancora una tale apprensione rispetto alla condotta
dei Vescovi e del Clero, cui non si potrebbe imporre come dovere ciò
che è stato libero rispetto agli autori della legge fondamentale. No, nes-
suno, più che la Chiesa cattolica, è amico della libertà, del progresso e
della civiltà nel vero significato della parola. La Chiesa cattolica non
ha orrore della libertà, ma bensì del liberticidio: ella non condanna la
civiltà, ma non vuole che, sotto pretesto di progresso, si cancellino
diciannove secoli dalla storia, e che si faccia retrocedere l'umanità verso
le tenebre e gli errori del paganesimo.
« I Vescovi sottoscritti hanno la fiducia che Vostra Altezza si de-
gnerà apprezzare le loro osservazioni, e non insisterà da vantaggio
per esigere un giuramento, che, oltre al non essere necessario nò con-
veniente, li ferisce in ciò che la loro coscienza ha di più intimo, av-
vilisce la loro dignità, toglie il prestigio al loro ministero ed è contra-
rio allo spirito stesso della costituzione. Infrattanto, essi pregano Dio
che conservi ed illumini V. A. ed il vostro Governo per poter promuo-
vere la pace e il benessere della nostra patria tanto agitata. Roma
il 2G di Aprile 1870. »
Seguono le firme di 38 Prelati, che sono due Cardinali Arcivescovi, il
Patriarca delle Indie, cinque Arcivescovi e trenta Vescovi.
CONTEMPORANEA 121
3. Appena fatto sancire dalle Cortes, e bandire col mentovato decreto
del 17 Marzo, il nuovo corredo di catene pel Clero, il ministro Montero-
Rios, che era succeduto al Zorrilla nel Ministero di Grazia e Giustizia,
fu sollecito di presentare, alli 22 Marzo, uno schema di legge che stava
sommamente a cuore del suo degnissimo antecessore, il quale già l'avea
ammannito, secondo le idee della parte più anticristiana della setta e
dei progressisti.
Questo schema di legge, per ischerno e strazio della verità, è intitola-
to: Arreglo del Clero, e non ha altro scopo che di disorganizzare il Clero
sospingendolo allo scisma, e spezzandone i vincoli disciplinari; e per es-
so pretende la setta di riporre la cattolica Spagna « sotto la salvaguardia
dello Stato e del diritto comune. »
In virtù dei privilegi, che si guarentiscono al Clero, i Yescovi ed i
chierici avranno la facoltà di andare e venire dove e come loro piaccia,
senza impedimento di sorta, tranne il caso d'una sentenza esecutoria
rcnduta da un tribunale competente. Oh portento di benignità masso-
nica! Si contenta di non tener incatenati e nelle galere i Vescovi ed i
preti, ma di lasciarli andare evenire come loro piace, riservandosi il di-
ritto di chiuderli in carcere con opportune condanne!
Ciò non basta. La magnanimità dei frammassoni non conosce limiti;
e perciò i Vescovi e chierici godranno anche in tutta la loro ampiezza
della « libertà di parola, di stampa, d'associazione, di petizione, e di
tutti i diritti riconosciuti pei cittadini spagnuoli. » Inoltre lo Stato, che
ha già rubato tutto alla Chiesa, assume l'impegno « di non procedere
ad alcuna espropriazione della Chiesa fuori del caso d'utilità pubbli-
ca, dopo la sentenza del giudice ed udito Yordinario »; e per giunta
« lo Stalo riconosce alla Chiesa, (tutto bontà sua! ) i beni mobili ed altri
che potesse acquistare. » Ma per compenso di tante larghezze, sono
abolite « le giurisdizioni privilegiate degli ordini militari sacri e della
Cappella Reale »; e le attribuzioni dei Tribunati ecclesiastici « sono ri-
strette alle sole censure canoniche e spirituali nel foro interno. »
Procedendo in questa carriera di munificenze da prodigo : « lo Stato
rinunzia pure ai diritti di patronato, conservando solo a titolo oneroso
quello di cui fu fatta la concessione nel Concordato del 1851. Lo stato ri-
nunzia pure all' 'Exequatur regio, ai benefizii dell'ordinanza del 30 Mag-
gio 1778, ed alle alire prerogative ed agli altri privilegii conceduti dal-
la Santa Sede ai Re di Spagna nel corso dei passati secoli tino al dì
d'oggi ; ma sopprime i proventi casuali delle Chiese e le condizioni lo-
ro obbligatorie, riducendoli alla primitiva loro natura di oblazioni vo-
lontarie. »
Tale è la sostanza della prima parte di codesto schema e dei 19 arti-
coli in cui si stende. Altri 19 articoli costituiscono la seconda parte, e
riguardano specialmente la dotazione della Chiesa spagnuola e dei suoi
ministri.
Questa dotazione è di 112 milioni di reali, invece di 172, quanti le
erano assegnati per l'addietro. Pertanto una prima rapina di 60 milioni di
reali. Con questo si dee provvedere agli assegnamenti pel Nunzio della
Santa Sede, per gli Uditori di Rota, per le Suore di Carità, pel Primate
della Chiesa di Spagna, per 4 altri metropolitani, per 33 Vescovi suf-
fragane! e pei parrochi o cappellani con cura di anime. Il numero delle
122 CRONACA
parrocchie si lasciò indeterminato, ma è evidente che deve subire una
diminuzione relativamente molto maggiore che quello dei vescovadi,
attesa la somma tenuissima che è prolissa al sostentamento dei parrò-
chi; tanto che per rendere meno odioso il latrocinio si propose di decre-
tare un supplemento di 20 milioni di reali pei preti che non avessero
cura d'anime (cioè pei parrochi di cui fossero abolite le parrocchie; ed
inoltre un sussidio di 28 milioni di spiccioli pei bisogni della Chiesa. Lo
scopo di tutto questo è chiaro. Mettere il prete nella necessità di cam-
pare a spese del popolo e di riscuotere così una specie di balzello
indiretto, che lo renda odioso al popolo già torturato dai balzelli riscossi
dal Governo.
Ben inteso che, per colmo di generosità, questo qualsiasi compenso
dovuto dallo Stato dilla Chiesa, come indennità del centuplo che le ha
rubato, « sarà pagato con titoli del Debito pubblico, consegnati ai Ve-
scovi. » Ond' è chiaro che questa rendita già sì tenue e meno che in-
sufficiente, dovrà ancora sottostare a tutte le mutazioni e perdite di co-
tali titoli; che l'un dì o l'altro, per una crisi di Finanza, per una con-
versione forzosa, per un fallimento, possono sfumare in un bel nulla.
Ecco la giustizia e la filantropia dei Frammassoni, che sanno con buon
garbo condannare a morir, tosto o tardi, di fame tante migliaia di inno-
centi cittadini, spogliati ed assassinati liberalescamente pel solo reato
di essere Vescovi, preti o chierici! E poi vengano certi buoni uomini ad
inculcare la conciliazione della Chiesa con la società moderna, ed a rac-
comandare ai pubblicisti cristiani il rispetto, la carità, la cortesia, l'amo-
re pei trionfanti Frammassoni, come mezzo sicuro di renderli devoti a
Santa Chiesa e tenerissimi della giustizia e della religione!
4. Non presumeva certamente il Monterò Rios che l'Episcopato della
Spagna si dovesse ciecamente suggellare a tanto abuso di forza; né
l'Episcopato si potea illudere a segno, da reputare utile ad impetrare
qualche giustizia, l'indirizzare richiami al Montero-Rios. Pertanto il set-
tario Ministro la trinciò, senza riguardo veruno, con gentilezza da Pa-
scià; e 1' Episcopato giudicò di dover volgere direttamente alle Cortes
i suoi richiami. Ecco, volta in nostra lingua, la protestazione perciò
spedita da Roma, e firmata da tutti i medesimi 38 Prelati che aveano
sottoscritta la soprariferita al reggente Serrano.
« 1 sottoscritti, Vescovi spagnuoli residenti nella Città eterna per
P occasione del Concilio Vaticano, lessero con dolore profondo i disegni
che, il 22 del passato mese di Marzo, furono presentati dal Ministro di
Grazia e Giustiz a alle Cortes, sopra materie ecclesiastiche.
« Atteso che questi disegni contengono gravissimi provvedimenti ris-
petto ai diritti essenziali del cattolicismo, rispetto alla disciplina in vigo-
re nella Chiesa di Spagna, rispetto al Concordato del 1831 e delle Con-
venzioni del IKj!) e del 1807 ; senza che siasi avuta cura veruna, in tali
innovazioni, dell'intervento indispensabile della Chiesa, contro la quale
ad ogni istante si scagliano colpi sì numerosi e sì fieri : i Vescovi, per
satisfare all' ineluttabile dovere loro imposto dal proprio sacro ministe-
ro, e con santa liberta apostolica temperata dall' ossequio e dai riguar-
di dovuti a tutti i grandi Corpi dello Stato, non possono a meno che ri-
chiamarsi, come ora Canno, conlro i mezzi adoperati per ottenere code-
sto inlento.
CONTEMFORANEA 123
« Prescindendo pure dall'intenzione dell'autore di quelle proposte,
non è dubbio che esse tendono a null'altro che alla distruzione ed alia ro-
vina della Chiesa cattolica, apostolica e romana nella Spagna; come se
ciò potesse effettuarsi in una nazione che è quasi unanime nel professa-
re il cristianesimo dai più remotissimi tempi, e che si rifiuta come per
istinto ad ogni altro culto che il proprio, che solo è vero.
« I mezzi che a tale effetto s' inventarono ( benché di passata ricono-
scano alla Chiesa certe libertà che, ad ogni modo, già le appartengono
in virtù della sua origine divina), sono : il disprezzo dei diritti conferiti
alla Chiesa dal suo fondatore Gesù Cristo, la distruzione della sua indi-
pendenza. Poiché così si mette la Chiesa alla mercè dello Stato, il quale
cerca di modificarne 1' organamento e la disciplina, con quella stessa fa-
cilità onde si mutano le forme politiche nelle moderne società. Codesti
mezzi sono una derogazione a patti solenni, intorno ai rapporti stabiliti
Ira la Chiesa e lo Stato, per tutto quello che torna favorevole alla Chie-
sa; mentre, per altra parte, a vantaggio dello Stato si prendono tutti i
profitti e molte cose anticanoniche, le quali andrebbe troppo a lungo il
venire enumerando per singola.
« Pertanto, i Prelati sottoscritti, rivendicando dalle Cortes giustizia,
e non più che giustizia, sperano che i signori Deputati, riconoscendosi
incompetenti in tal materia, rifiuteranno i disegni usurpatori del signor
Ministro di Grazia e Giustizia. Che se per avventura questi legittimi de-
sideri!' fossero delusi, se codesti disegni ingiusti e violenti fossero ac-
cettati dall'Assemblea Costituente, tin d'ora è per l'avvenire i sottoscrit-
ti dichiarano di protestarsi, con tutta la forza di cui sono capaci, contro
gli eccessi di tale usurpazione, contro il disprezzo manifesto e contro
ì1 assalto brutale che sta nei mentovati disegni a danno della sola vera
religione, che è professata dalla pluralità degli Spagnuoli, al cui benes-
sere ed alla cui spirituale felicità s'appartiene ai Vescovi di provvede-
re. Roma, il 27 d'Aprile 1870 (seguono le firme.) »
Così fosse in piacere di Dio muovere i cuori dei presenti reggitori
della Spagna ad arrendersi a questi richiami ! Sarebbe forse questa co-
me riride annunziatrice della fine della procella. Ma pur troppo è da
temere che il flagello settario debba continuare a percuotere quella in-
felice nazione, troppo degna di migliori e più alti destini che non sia
quello di procedere curva sotto il giogo massonico.
5. Ora facendoci a ripigliare il filo degli avvenimenti politici, dobbia-
mo innanzi tutto dire a che approdasse pel Duca di Montpensier il suc-
cesso del suo duello micidiale con l'infante D. Enrico di Borbone, di cui
parlammo nel voi. X, a pag. 127-28.
A prima giuntai magistrati ordinarli del territorio, sul quale era
caduta la vittima, aveano cominciala un benigna inquisizione sopra le
cagioni ed il modo dell'avvenimento ; ed eransi trovati testamenti pieto-
si, che erano pronti a deporre: D. Enrico di Borbone essere caduto col-
pito mortalmente per puro caso, mentre tutto da se e per suo solazzo
maneggiava un'arme, che inavvedutamente egli avca fatto scoppiare
avendone la bocca rivolta alla propria persona. Il Montpensier ed i te-
stimonii s'erano trovati là, per caso altresì, e perciò aveano sentito il più
profondo dolore di quel!' accidente funesto. Così tutto andava liscio. Ma
alla fierezza del Montpensier non potea piacere che si accreditasse le-
124 CRONACA
galmcnte così assurda l'avola, già divulgata con affettata ingenuità in
parecchi giornali; e lasciò che si stampasse la seguente lettera ad un
intimo amico.
« Madrid, 19 Marzo. — Grazie, mio caro amico, per tutto ciò che mi
dite nella vostra lettera in cui parlate col cuore. Era sicuro che appro-
vereste la mia condotta. Non fui che il braccio della giustizia di Dio! Ilo
fatto il mio dovere di principe e di gentiluomo. Aspetto ora l'azione
della giustizia umana. Io era perfettamente tranquillo nell'ora solenne
a cui fate allusione. Rassegnalo a morire, deciso di vincere secondo la
volontà di Dio, non ho sentito verace emozione che vedendo cadere
senza parola e senza vita, come fulminato, l' infelice . . . Dio abbia pietà
dell'anima sua. — Antonio d'Orléans. »
6. Il processo era stat') iniziato dal Giudice di pace di Getafe; ma il
generale Izquierdo, Capitan Generale di Madrid, tenendo conto del grado
di Capitan Generale che il Duca di Montpensier occupa Bel!' esercito ,
rivendicò per la Corte marziale il diritto di giudicare l'imputato; e cosi
fu fatto. La relazione particolareggiata dalla seduta della Corte marzia-
le, che si tenne in Madrid il 12 Aprile, un mese appunto dì per dì dopo
il duello, può vedersi anche nel Débats del 16, dove sono riferiti brani
estesi delle deposizioni fatte dal Montpensier.
Sedeano giudici, oltre il presidente Izquierdo, il governatore di Ma-
drid Generale Perdita, ed i Generali di Brigata Tassarla, Burgas, Ney-
ron, Saenz, Delcourt ed Erille II Generale di Brigata Don Vicente \ rai -
gas vi fece le parti del Fisco. Un altro dello stesso grado, D. Felice Ma-
ria Messina era incaricato della difesa. La faccenda procedette assai li-
scia. Si riconobbe che i testimone del duello s'erano trovati là per puro
capo! Il fisco fece l'apologia del duello in genere, deplorando il succes-
so di questo in particolare; e chiese che in pena il Monpensier dovesse
soggiacere ad allontanamento da Madrid , durante un mese ed alla di-
stanza di dieci miglia; ed inoltre pagare alla famiglia dell'ucciso una in-
dennità di 30,000 franchi!
La sentenza, che ognuno vede quanto fosse severa, fu intimata lì di
presente al Montpensier che assisteva tranquillissimo a queir accad 'ini-
mico dibattimento, tra il Fisco che non accusava ed il difensore che ap-
pena trovava scuse da aggiungere alle già allegate dal Fisco. E la sen-
tenza si conchiudeva con queste parole : « La presente , ben inteso, non
potrà avere altro effetto, e per l'avvenire non potrà diminuire la buona
fama e la rinomanza di S. A. R. il signor Duca di Montpensier » ( Sin
que estas penas puedan perjudicarle in su camera, buona opionin j
fama! )
7. Resta a vedere se realmente al Montpensier non toccherà altra pena
pel commesso omicidio 1 Certo a noi sembra che non gli presagisca trop-
po liete cose la seguente lettera, scritta dai figli dell' ucciso D. Enrico
di Borbone Duca di Siviglia, al direttore del giornale // suffragio uni-
Tersale.
« Vi preghiamo, caro signore, di voler dare, alle seguenti lince, pub-
blicità nel vostro pregiato giornale. Sappiamo dai giornali di Madrid,
che il consiglio di guerra convocato per giudicare del fatto, in cui il no-
stro amatissimo e sventuratissimo padre perdette la vita, ha e ndannato
il suo uccisore a pagare a noi, a titolo d'indennità, la somma di 30 mila
CONTEMPORANEA 125
franchi. Non ci permettiamo di qualificare la sentenza di quel tribunale,
alla quale uno di noi deve rispetto nella sua qualità di umile ufficiale
nell'esercito; ma che signitica codesta indennità accordata a coloro che
non Ili chiesero? Sarebbe essa la stima comperata di quell'uomo giusto,
che ha sempre amato con entusiasmo la sua patria e la indipendenza di
essa? Egli era il sostegno e Y affetto di quattro figliuoli che allevava con
tuttala tenerezza del suo cuore. L'uccisore ci ha toltola consolazione
e la speranza di tutta la nostra vita; ma egli non può né potrà giam-
mai togliere la dignità che ci comanda ora di rifiutare i 30 ni la franchi,
coi quali il Montpensier crede di compensarci della perdita irreparabile
di cui fu causa. Noi speriamo di poter saldare, un giorno, il nostro con-
to con lui ; ma senza denaro. Il nostro buon padre, la cui memoria sarà
perenne nel nostro cuore, era incapace d' insultare chicchessia, e se fe-
ce, con violenza, un'eccezione per Antonio di Borbone, non ha che ob-
bedito ai suoi sentimenti prettamente spagnuoli, di indipendenza, di
dignità, di giustizia, come pure a quelli dell'indignazione di un uomo
onesto. E gli stessi sentimenti che l'hanno portato ad agire come ha fat-
to, non cesseranno mai d'essere condivisi da1 suoi figli. Enrico di Bor-
bone — Francesco di Borbone — Alberto di Borbone.
Cose d'Oriente (Nòstra Corrispondenza) 1. Movimenti per l'emancipazione
della Chiesa bulgara — 2. Firmano imperale per un Esarcato bulgaro
— 3. Vana opposizione del Patriarca greco.
1. D'una lunga Corrispondenza che ricevemmo teste da Costantino-
poli sulle cose d'Oriente, lo spazio non ci permette ora di pubblicare
altro che il tratto che riguarda la quistione bulgara, intorno alia quale
già pubblicammo altra Corrispondenza nel voi. V di questa Serie, a
pag. 310 e 471. — Or ecco la nuova Corrispondenza.
1 Bulgari sparsi per tutto l'Impero e pe' Principati tributarli, lottano
già da circa dieci anni per iscuotere il giogo del patriarcato greco di Co-
stantinopoli. Uno de' più scandalosi articoli di questo processo è l'enor-
me mercato che fanno i Greci delle dignità ecclesiastiche e dell'ammi-
nistrazione delle cose sante da un lato, e l' impossibilità dall' altro della
maggior parte de' dignitari! bulgari di far fronte agl'impegni contratti
nell'alto della loro promozione. Epperò l'insistenza de1 banchieri che
ayean garentite colla loro firma le promesse, e l'assiduità de' pastori
di smungere fino al sangue le pecorelle per far onore alle assunte ob-
bligazioni. Quando si vuol male ad un sacerdote, e' è un genere di ven-
detta non infrequente presso di loro, che consiste in farlo Vescovo, e
poi rimuoverlo in guisa, che non abbia avuto il tempo di raccoglier le
somme necessarie per pagare il suo debito.
I Bulgari uniti sono anch' essi l'oggetto delle antipatie e dei soprusi
de Greci, molto più quando esercitano verso i loro parrocchiani quelle
funzioni dalle quali si ricava qualche provento. Nelle ultime feste nata-
lizie, il prete bulgaro unito di Galata erasi associato un certo popa La-
zaro, greco convertito, per aiutarlo a benedire le case de' cattolici di quel
rito site a Stambul. Incontrato per la strada dal prete greco che eserci-
tava per suo conto queir ufficio, fu stramazzato per terra e colmato d'in-
126 CRONACA
giurie, a segno tale che dovette finalmente deporre la croce e rassegnar-
si protestando e movendo querele senz' alcun effetto.
Sarebbe lungo enumerare il sistema vessatorio di questa povera Chiesa
dalla parte del patriarcato del Panar. E per quel che riguarda la gran
maggioranza scismatica, il Governo dalla sua parte non può l'arsi sordo
a1 clamori di una Nazione sempre tentata di cedere agli afoni de! pansla-
vismo per averla complice de1 suoi disegni. Epperò la Porta non ha la-
sciato di proporre de1 mezzi di conciliazione, rigettati costantemente dal
patriarcato.
Dall'altro canto all'esistenza di quest'autorità suprema nella capitale
dell' Impero è legata, come ad un palladio, l' indipendenza religiosa della
maggioranza de' sudditi dell'Impero; i quali, fiaccato di forze e di presti-
gio il patriarcato ecumenico, rimarrebbero in balìa del santo Sinodo di
Pietroburgo. Sicché per evitare collisioni e scosse violente, avea già
il Governo creato da circa un anno, una commissione di membri laici,
che studiata la questione, proponessero i mezzi di una soluzione plau-
sibile.
2. Il modello da essa presentato dopo sei mesi di lavoro, fu discusso in
consiglio, e finalmente sanzionato dal Sultano con decreto imperiale, in-
timato nelle debite forme alle due parti. Dopo un esordio nel quale si
rammenta come è stata sempre intenzione del Governo, che tutte le re-
ligioni godessero del libero esercizio del loro culto, e colla pace e buona
intelligenza universale, concorressero con isforzi comuni alla prosperità
dello Stato, passa a decretare le cose seguenti.
1.° Sotto il nome di Esarcalo bulgaro vien formata un'amministra-
zione spirituale separata; alla quale esclusivamente apparterrà la dire-
zione religiosa di tutti gli affari delle Chiese enumerate nel corpo del
decreto.
2.° L'Esarca presiederà un santo Sinodo.
3.° « La direzione spirituale interiore di quest' Esarcato dev'esser pre-
sentata all'approvazione e alla conferma del Governo imperiale. Le at-
tribuzioni ne saranno definite da un regolamento organico, conforme in
tutto alle leggi e a' principii della Chiesa ortodossa. Esso sarà tale, da
escludere intieramente dagli affari monastici, e specialmente dalla ele-
zione dell'Esarca, ogni ingerenza diretta o indiretta del Patriarca ». Solo
a quest' ultimo sarà notificata senza ritardo la elezione dell' Esarca; ed
egli senz' altro darà le lettere di conferma, necessarie secondo le leggi
della Chiesa.
4/ L'Esarca sarà nominato per via di un berat imperiale, e sarà ob-
bligato, secondo le leggi ecclesiastiche, a far commemorazione del nome
del Patriarca di Costantinopoli. L'approvazione del Governo dee prece-
dere la consecrazione dell1 Esarca.
5.' Quando abbian bisogno del concorso dell'autorità civile gli esarchi
v i monaci che avran berat imperiale, si rivolgano alle autorità locali.
6/ Quando abbian bisogno di quella del patriarca per gli affari pura-
mente religiosi, procurino d'intendersi tra di loro, l'esarca e il suo si-
nodo, da un lato, il patriarca e il suo, dall'altro.
7.° 11 sinodo e l'esarcato bulgaro è tenuto a domandare i santi olei
dal patriarca di Costantinopoli.
CONTEMPORANEA 1 27
8.' Vescovi, Arcivescovi e metropolitani di un rito potranno traver-
sare i luoghi soggetti alla giurisdizione dell'altro, e viceversa. Solo non
potranno convocar sinodo, esercitare giurisdizione o ufficiare senza per-
messo del Vescovo locale.
9.° I due presbiteri de1 luoghi santi, situati nel quartiere del Fanar,
l'uno pe1 Greci e l'altro pe' Bulgari, resteranno addetti ciascuno alla
propria comunità; e i rispettivi prelati vi potranno officiare, Timo in-
dipendente dall'altro.
10.° L'esarcato bulgaro comprende nella sua giurisdizione spirituale
le città e i distretti ecc. (Segue l'enumerazione.) Se tutti o almeno uu
terzo degli abitanti di tali luoghi vorranno soggettarsi all'autorità dei
Bulgari, purché costi del fatto, sarà loro permesso di tarlo. Chi semina
zizzanie per tale occasione sarà punito secondo la legge.
I monasteri in territorio bulgaro, ma che secondo le leggi dipendono
dal patriarcato greco, rimarranno sotto la stessa soggezione.
Le disposizioni attuali bau ricevuta la sovrana sanzione del Governo
imperiale.
3. 11 giorno appresso la pubblicazione di questo tirmano i giornali fe-
cero notare una visita del generale Ignazief, ambasciadore di Russia al
Gran Vizir, evi aggiunsero i loro commentari*!. Seguiva immediatamente
la pubblicazione della risposta del patriarca Gregorio alia comunicazione
fattagli del formano imperiale: nella quale con dignità espone non aver
mai la Chiesa orientale mancato di ubbidienza agli ordini del Sultano in
materie civili; siccome è pur vero non essersi mai i Sultani di gloriosa
memoria, incluso l'attuai successore (che Dio renda invincibile], voluti
intromettere nelle questioni di competenza della sola autorità ecclesiasti-
ca, i cui privilegi son garenliti negli haUi-im.najum, nò aver mai per-
messo a persona che vi s'ingerisse. L'attuale tirmano non esser già la
sanzione di un accordo conchiuso tra' I patriarca ecumenico e i promolo-
ri delia questione bulgara: epperò dovendo riguardarsi come un atto
anticanonico e attentatorio ée\ privilegi e delle immuni à di questa San-
ta Sede, il patriarcato non può accettare Y ultimatum del governo di
S. Maestà.
Poiché dunque i promotori bulgari persistono a rigettare ogni pro-
getto di conciliazione ; e il Governo imperiale non ha il potere di pro-
nunziare una sentenza irrevocabile in una questione puramente ecclesia-
stica, il patriarcato prega di nuovo S. À. di accettare il disegno più
volte proposto di convocare un Concilio ecumenico, solo tribunale com-
petente ad emettere una decisione obbligatoria per le due parti.
Raccomanda in fine a S. A. di prendere gli espedienti efficaci per ac-
chetare le turbolenze che si eccitano dal partito bulgaro insolentito dalla
vittoria.
Se la Santa Sede di Roma avesse usato con un Governo qualunque
questo linguaggio; se lo avesse adoperato colla Porta nella questione
armena, il giornalismo avrebbe alzata la voce tino alle smanie, denun-
ziando a" popoli e a Governi l1 assolutismo romano, l'invasione dell'al-
trui autorità, il cartello di sfida lanciato contro la sovranità. Già L ha
fatto senza che Roma avesse detto una parola. Figuratevi dove sareb-
bero arrivati sa ne avessero avuto un appiglio di questa natura.
128 CRONACA CONTEMPO RASEA
Bisogna confessare che ne' termini della legalità non può tenersi un
contegno più energico e più dignitoso di questo usato dal Patriarca di
Costantinopoli. Dopo due o tre altri documenti di somigliante natura
scambiati tra la Porta e il Fanar, dandosi spiegazioni dall' una, e rincal-
zandosi le proteste dall'altra parte, il Patriarca stendendo sempre le
braccia al Concilio ecumenico, come ad ultima tavola nel naufragio,
conchiude dicendo che F amarezza di questo calice non tarderà guari a
condurne la travagliata canizie al sepolcro. Di che niente commosso il
Governo riceve e fa pubblicare gì1 indirizzi e le solenni azioni di grazie
che gli giungono dalle popolazioni bulgare. E così in barba del Patriar-
ca Gregorio assistito dal suo santo Sinodo L'affare è bello e finito.
Il Concilio ecumenico non si terrà, perchè il Governo non vuole. Una
pruova di più della necessità del dominio temporale nel Capo della Chie-
sa per trattare con libertà gli affari della Religione. Ma esso non si sa-
rebbe mai tenuto, perchè lo scisma non ha forza di unità per farsi cen-
tro di un'adunanza universale che meriti il nome di ecumenica. Come
difatti i suoi Pastori e le sue membra crederanno alla Chiesa ecumenica,
cioè universale, circoscritta solo air Oriente? alla Chiesa una, frazionata
in costantinopolitana, ellenica, bulgara, ecc.? Giusti giudizii di Dio! Colui
che ricusò di ricevere le lettere amorevoli del Patriarca dell' antica Ro-
ma, e negò di recarsi al Concilio ecumenico di tutto il mondo per en-
trarvi nelle trattative della pace e della unità, nel breve spazio di un
anno, sente amareggiarsi gli ultimi giorni della cadente sua età da un
simile rifiuto e da un novello scisma, consummato nel seno del suo stesso
ovile.
Solo il centro dell'unità è forte: e dopo aver prodigate tutte le cure
ai ribelli per guadagnarli, trovand li ostinati, non transige con esso lo-
ro, ma li tronca dal corpo come membra putride, e separasi del tutto
dalla loro comunione, come fece con Fozio e co' suoi aderenti.
Lo scisma ali1 opposto è debole, e dopo essersi alquanto dibattuto,
non ha a vergogna di transigere co' ribelli. Vedrete in fatti come si ras-
segneranno i Patriarchi a confermare F Esarca, eletto senza la loro in-
fluenza, sol perchè tale conferma porta seco qualche grosso emolumen-
to: vedrete come faranno colare i santi Olei in seno a una popolazione
violentemente separata ; purché questa non lasci di fare scorrere nel
suo seno ruscelletti d1 oro e d' argento co' quali si compera questo favore.
IL DECRESCERE DEL LIBERALISMO
Un certo soffio cattolico sembra di nuovo distendersi ora sul mon-
do a vivificare ed allietare alquanto questa socielà, corrotta ormai ed
inverminita dal liberalismo che pare in più luoghi in sul decrescere.
Lo spirito cattolico sembra invece in molli luoghi in sul crescere,
secondo che appare a chi tien d' occhio cotidianamente le vicissi-
tudini o fluttuazioni, come ora si dice, della pubblica opinione. L'es-
sere stati i liberali in questi venti anni padroni pressoché liberi e
dispotici pressoché di ogni cosa, pressoché in ogni luogo, non è sta-
ta l'ultima cagione di questo cominciamento di mutar di vento. Si
sono veduti all'opera costoro e inventi sunt minus habentes. Àveano
promesso ogni bene, e diedero lagrime e disinganni. Sicché il cele-
bre motto del si stava meglio quando si stava peggio, non è ora pro-
prio solo dell'Italia, dove è proverbiale, ma comune ormai ai varii
paesi cui toccarono più specialmente e tutte in una volta le beatitu-
dini del falso liberalismo moderno.
Un solo popolo, il Romano, si trovò, per grande provvidenza di
Dio, libero da questa universale dominazione liberalesca. E questo
solo popolo Romano, governalo sempre secondo la legge di Dio e
della Chiesa, ed a ritroso dei grandi principii della società moderna,
questo solo popolo Romano gode i dolci frutti del vero progresso,
ed è oggetto di ammirazione e di invidia : di lui solo potendosi or-
mai dire che : Beatus populus cuiiis Dominus Deus e>us. E siccome
Serie VII, voi. XI, fase. 488. 9 k Luglio 1870.
130 IL DECRESCERE DEL LIBERALISMO
agli Spartani por distoglierli dall' ubriachezza si facea vedere uno
schiavo ubbriaco, cosi si può dire che la provvidenza divina, per
confermare sempre meglio la Reggia della Religione e della civiltà
nell'amore e nella venerazione alla Chiesa cattolica ed al suo Capo
visibile, ed ai prineipii di vita da lui predicali, abbia permesso
che essa si vedesse come danzar d' intorno buona parte di Euro-
pa briaca e pazza del liberalismo, schiava di nuovi tiranni sorti dal
fango; dei quali ora essa è stanca, e per liberarsene non trova al-
tro rimedio che il guardar a Roma, ed al suo Capo civile e religio-
so guardiano unico e depositario fedele , non meno che predicatore
infallibile de' veri prineipii della vera religione e della vera civiltà e
prosperità anche naturale e sociale delle nazioni e degli individui.
Non diciamo queste cose quasi per trionfare avanti il tempo, come
se credessimo vicino ormai il secol d' oro, perchè in Baviera, in Bel-
gio ed in Portogallo paiono i cattolici uscire in varia misura dai ceppi
massonici, pei che in Austria si prepara evidentemente lo stesso, per-
chè in Francia si è più che mai risoluti a sostenere quella Roma che
il liberalismo di tutto il mondo vorrebbe appunto sola abbandonata,
perchè in Italia il liberalismo è ormai sfruttato, disprezzato, diviso,
cadente, perchè presso i popoli e i Governi stessi protestanti o ete-
rodossi sono mollo più in credito Roma e il suo civile e religioso
Principe che non l' Italia ed altri governi liberali apparentemente
più forti. Sappiamo che non è da noi il nosse tempora vel momen-
ta: sappiamo che il liberalismo può dall' un momento all'alilo col-
l' arte e colla violenza mutar le sorti di un popolo, calpestando ogni
suo voto e facendosi beffa di ogni suo suffragio. Sappiamo che cosa
significhi in buon volgare quel gergo liberalesco del giornale dc7A;-
bats, uno dei corifei della massoneria, il quale giorni sono (10
Giugno) a proposito delle elezioni cattoliche del Belgio avvisava i
suoi che « la prudenza vuole che in Francia come altrove si sorve-
gli l'orologio, che dee suonare il ritorno dell'ora delle grandi co-
se » sperate dai Cattolici. Sappiamo che gli stessi indizii che i
dono di questo ritorno, sono ben leggieri e ben rimoti a paragone
pravità del male onde è affitta la società moderna, e dell' ur-
genz a del rimedio. Sappiamo tutto questo e nondimeno non pò
IL DECRESCERE DEL LIBERALISMO 131
nio dissimulare che il liberalismo ci pare destinato a passare qual-
che malo quarto d'ora, e che specialmente per l'Italia e per Roma
e pel suo Pontefice e Re e pei principii sociali civili e religiosi che
egli rappresenta e predica, se il trionfo morale e la vittoria sugli
intelletti sono palpabili ormai e certi, non ò del tutto imprudente né
temerario lo sperarli ancora vincitori, in un tempo non remoto, nel-
l'ordine dei fatti.
Ma questo lasciamolo alla divina Provvidenza, la quale, per V a-
morosa sollecitudine onde circonda la Chiesa, non può permettere
che essa sia lungamente vittima delle insidie delle porte infernali,
quali specialmente si possono chiamare quelle onde ora è recinto
il presente Stato temporale della Chiesa; e ringraziamola intanto di
quella parte di vero e solido trionfo morale che le ha concesso in
questi anni, accrescendole gloria, splendore ed influenza a misura
che le venivano mancando i mezzi temporali, dai quali soli l'umana
e carnale prudenza poteva credere che essa pigliasse già gloria,
splendore ed influenza.
E queste cose ci piace notare appunto quando, mentre scriviamo,
il Sommo Pontefice Pio IX, nel cui lungo e sempre glorioso Ponti-
ficato sembra essersi veduto un compendio della storia ecclesiastica
in tutte quasi le sue vicissitudini, prosperità ed infortunii, è da po-
co entrato in quel venticinquesimo anno di Pontificato, che appena
une fra i dugencinquantasei suoi predecessori toccarono, e niuno,
siccome è noto, da S. Pietro in fuori, potè finora superare: ma che
la fiducia del mondo spera fermamente veder superato da questo
Pontefice cui già furono concesse da Dio altre grazie specialissime;
appunto, crediamo noi, perchè non mai forse la Chiesa si trovò in sì
speciali distrette e perciò in bisogno di specialissima prelezione e
di visibile e quasi palpabile dimostrazione di sua indefettibilità, non
ostanti tutte le violenze e le perfìdie del mondo.
Non è pur troppo ignoto, a perpetua infamia della civiltà mo-
derna, che sopra la morte di Pio IX si fecero dai politici pubblica-
mente e notoriamente i conti per le stampe dei giornali, e perfino
in documenti che hanno dell' ufficiale e certamente furono officiosi.
Si diceva palesamente che, vivendo Pio IX, non si potea onestamente
132 IL DECRESCERE DEL LIBERALISMO
venire a Roma e confiscare questo resto del Patrimonio di S. Pietro.
Ma dopo la sua morte tutto era preparalo da questi politici, de'quali
i più sono ora morti, ed altri invidiano la flo.ida salute di Colui
onde credeauo perversamente di ereditare. E intanto che passavano
gli anni, e si consumavano perciò e maceravano di dispello e di livo-
re i desideranti la morte altrui, passavano ancora molle delle anti-
che illusioni. Quelli che davano al Papa sapienti consigli di buon
governo si andavano dimostrando bisognosi di imparare essi i pri-
mi principi! del buon governo. Quelli che consigliavano il Papa, si
mostravano privi di consiglio. Quelli che-parlavano del popolo ro-
mano come di desideroso del loro soccorso, videro i proprii popoli
noiarsi a poco a poco del loro governo. Quelli che faceano i conti
sulle finanze del Papa e contavano i giorni e le ore del suo fallimen-
to, fallirono ormai, e doveltere caricare i loro felici sudditi d'impo-
ste ignote al popolo romano. Chi sperò nel brigantaggio fu infesta-
to esso dai briganti. Chi calunniò per infamare, fu esso infamato
senza bisogno di calunnie. Chi contribuì a ristabilire V ordine mo-
rale in Bologna e negli altri Stati del Papa, si vide, non ha molto,
cacciato egli medesimo per immoralilà da un'illustre capitale, e for-
zalo ad esulare dalla stessa sua patria e nascondere in isola remota
la sua disonorata canizie. Chi tradì è tradito: chi rubò sta ora af-
fannalo a mantenersi il suo ; chi cercò menomare l'autorità ponti-
ficia, vede menomata la propria ; chi fece i conti turpemente sulla
morte altrui, vede farsi turpemente i conli sulla propria, senza ave-
re neanche da lungi la minima parte di quella certezza che ha il
Pontefice di pacifica successione.
Che se ci ò lecito il toccare rispettosamente dei sempre imperscru-
tabili giudizii di Dio, noi confessiamo che una delle ragioni nelle
quali ci pare fondarsi quella universale speranza del mondo nella
durata ancor per molli anni del Pontificalo di Pio 1\, si è appunto
questa persuasione che la Provvidenza, che ludii in orbe terrarinn,
voglia appunto dare questo smacco alla falsa prudenza de' mali po-
litici. 1 quali, increduli a tulio il cerio, e creduli però a quel solo
phe è incertissimo, vollero tessere le loro fila e trainare le loro in-
sidie sul conto degli anni probabili della vita dei Papi. Ad ogni mo-
IL DECRESCERE DEL LIBERALISMO 133
do, è certo che, anche come sono ora le cose, i perfidi disegni sono
svaniti in questo correre da loro insperato di anni, e il Pontefice
vive e regna in Roma più sicuro, più glorioso, più influente, più
amato che non i suoi nemici.
I quali del resto sono ora, come dicemmo, di molto diminuiti;
potendosi anzi dire che questo Papa non ha nemici; benché molti
siano pur troppo i nemici di quanto egli rappresenta, sostiene e
predica. Ma anche questi nemici vanno diminuendo, avendo la Prov-
videnza permesso che V eccesso stesso del male abbia ormai aperto
gli occhi a molti, i quali, non fosse per altro che pel loro interesse
personale, si vedono costretti a sostenere e difendere quello che il
Papa rappresenta, sostiene e predica. E questo è il movimento che
dicevamo ora vedersi nel mondo verso i principii sani e cattolici,
che appaiono ormai anche ai politici il solo sostegno dell' ordine
materiale e degli interessi economici.
II qual movimento cattolico accade ora in varii paesi liberali ap-
punto per la naturale reazione del vero popolo e della vera maggio-
ranza cattolica contro la malvagità anticristiana del liberalismo.
« I nostri avversarli, dice il Bien public di Gand del 20 Giugno,
i nostri avversarli cercano della loro disfatta (nelle reconti elezioni
de' deputati) mille spiegazioni più o meno ingegnose. Essi farebbe-
ro mitilo meglio di vedere e di riconoscere l'incontrastabile realtà
de' falli. Ogni volta che il liberalismo oserà mostrarsi qual è, cioè
anticristiano, solleverà nel nostro Belgio rimasto sì fedele alla sua
fede religiosa, insormontabili repugnanze. Questo carattere anti-
cristiano del liberalismo essendosi più o meno ora tradito, ecco che
noi abbiamo ora veduto immediatamente eccitarsi la reazione nella
pubblica coscienza. »
E quello che è accaduto in Belgio, accadde per lo slesso motivo
in Baviera, e sta accadendo in Austria, siccome è noto: ed accadrà
presto o tardi dapertutto dove il liberalismo si toglierà la maschera
onde si copre e onde inganna le moltitudini imperile.
Ed a questa reazione la Provvidenza volte che il diavolo, cioè
il liberalismo, che è più sciocco di quel che si crede, contribuis-
se e cooperasse palesemente non meno coi suoi mali falli che col-
134 IL DECRESCERE DEL LIBERALISMO
le sue buone parole. Coi mali falli vi cooperò evidentemente, co-
me si ò dello, stancando di se i popoli, e forzandoli a vedere é toc-
car con mano la differenza Ira il Governo cattolico e il liberalismo.
Il che è accaduto specialmente in Italia e specialissimamente nelle
province rubate al Papa, dove coloro che si lagnavano prima dei
Legali e dei Delegali, ebbero poi occasione di provare i Prefetti e
i SoUoprefelti.
Colle buone parole poi vi cooperò in modo singolare, predicando,
per ipocrisia, massime buone, che poi apertamente violò, e pro-
mettendo per malizia beni e vantaggi che non mantenne.
Così per esempio, si è veduto il liberalismo acclamare a Pio IX,
e proclamarne le glorie. Diceano allora il vero i liberali : e i popoli
si affezionarono sempre più, grazie ai liberali, al loro Re e Pontefice.
Anche senza l'aiuto dei liberali i popoli avrebbero saputo ammirare
ed amare Pio IX. Ma la Provvidenza ha voluto che i liberali per
troppa accortezza diventassero corti, e per troppo assottigliarsi si
scavezzassero. Oh quanto pagherebbero ora i vecchi sellarli e i
capi del liberalismo italiano di non aver detto, né scritto, nò fatto
quanto ora vedono esser riuscito a loro danno. Giacché resta inte-
merata e cresce anzi ogni giorno la gloria di Pio IX da loro predi-
cata ; ma la loro predicazione é rimasta come il più gran monu-
mento di sciocca ipocrisia che si conservi nelle cronache delle mal
riuscite marinolerie settarie.
E così pure è tornata a loro danno ed onta l'arte sopraffina di
muovere ed eccitare la pubblica opinione, di cui furono maestri in
questi anni. Tutte quelle loro arti sono state poi adoperate contro
di loro : ed essendo stale adoperate a servigio della verità e allo
scopo di muovere ed eccitare la vera e non la falsa opinione, han-
no fatta maravigliosa prova. Secondo che si vede ora nelle innu-
merabili guise di dimostrazioni favorevoli al Papa ed alla Chiesa.
Sottoscrizioni, indirizzi, offerte, collette, circoli, associazioni, suf-
fragi, illuminazioni, tulio l'arsenale liberalesco e diventalo conqui-
sta dei buoni cattolici, gralissimi al liberalismo di aver loro inse-
gnato il modo pratico e facile di dimostrare. Cosicché ora è notis-
sima e chiarissima, grazie in parie ai liberali, l'opinione universale
IL DECRESCERE DEL LIBERALISMO 135
favorevole a Pio IX ed ai suoi drilli. ISò vi è principe o Governo li-
berale che sia riuscito in questi anni ad ottenere per se suffragiL
plebisciti, dimostrazioni di affetto e di stima, offerte e sacrifizii
volontari! di danari e di vite, come vi è riuscito il Governo sì tem-
porale e sì spirituale del Papa presente.
A questo Governo omnia cooperata sunt in bonum, in questi
anni ; ed anche le disgrazie. Le quali ogni giorno che passa meglio
dimostra che furono immeritate e procurate non da altro che dal-
l'arte e dalla frode sottilissima e perfidissima de' suoi nemici. Sicché
la sincera compassione verso l' ingiustamente oppresso e il desiderio
e la speranza di una riscossa sono succedute ora nei cuori dell' uni-
versale a quella fredda indifferenza comune, onde in sulle prime
pareva esser slata accolta la quasi totale caduta del più antico e del
più venerando principato. E laddove di alisi regni e sovranità anche
amatissime già dai sudditi fedeli, pare il tempo indebolire e a poco
a poco spegnere perfino la memoria; di questa sovranità pontificia
il tempo aumenta il credito e fomenta il desiderio. Ed anche que-
sto accade grazie ai liberali, i quali vanno da se e spontaneamente
pubblicando, contro ogni regola di volgare prudenza, quanto può
servire a infamare le origini del nuovo Governo e nobilitare la me-
moria dell'antico.
« P... [Per sano) mi ha comunicato il suo scritto (scriveva al To-
relli l'Azeglio sotto i 28 Aprile del 186G, parlando del diario di cui
il Persano ha, alcuni anni dopo, pubblicato già due parli). Gli ho
risposto che a vederlo solo scritto mi veniva la pelle di cappone pen-
sando alla possibilità della stampa. Che se in tutti i paesi si facevano
mariuolerie, in nessun paese gli interessali le confessavano (Noti il
lettore che quii Azeglio dà al Persano del mariuolo). Quindi il
proverbio: confessare al pie delle forche: e nemmeno allora, secon-
do alcuni. Che se degli amis maladroits poteano aver fatte confes-
sioni, sarebbe ben altra enormità che un ex Deputato, ex Ministro,
grande Ammiraglio della marina italiana pubblicasse confessioni,
documenti ecc. ecc. Vedo ora che non si è persuaso, che ha consul-
tato te. Per carità, balli sodo, perchè non ci capiti quest'altra vergo-
gna! (Vergogna era per l'Azeglio il confessare la verità! E pure
136 IL DECRESCERE DEL LIBERALISMO
l'Azeglio fu colui che osò scriver la famosa nota delle due coscien-
ze al Cardinal Segretario di Stato del S. Padre!) Già sai quanto
male ha fatto il N. B. (Nicomede Bianchi nella sua sloiia docu-
mentata della diplomazia europea in Italia dal 1814 al 1861) e
come ce le buttano in faccia. Quanto a me, se fossi nel caso di P.
(Persano), non vorrei nemmeno rischiare di tenere un simile ma-
noscritto nel cassetto per paura di una morte improvvisa, e che mi
fosse trovato dopo! Proprio in Italia il senso del vero è talmen-
te pervertito che non è più possibile intenderci. » Perversione del
senso del vero chiama il d'Azeglio il confessar la verità!
La confessava però egli stesso quanto all' ordine morale portalo
negli Slati del Papa, nella sua lettera al Torelli dei 16 Marzo
1861 : « Nello spirito pubblico ci è una decisa reazione contro noi,
che comincia ad estendersi anche alla mercanzia che portiamo in-
torno. Ci è un profondo malcontento in Romagna, Marche ed Um-
bria. Da per lutto si comincia a dire : si stava meglio prima. E so
ci volessero di fuori imporre la federazione, sarebbe certo che ora
i popoli rifiuterebbero? {E questo era fin dal 1861 !) À me paro
che si faccia un' Italia di cartone per la figura come al teatro, ma
che la vera si disfaccia ».
Intanto il d Azeglio che sapea così ben consigliar il Persino a
non conservare nel cassetto manoscritti pericolosi perchè veridici,
egli stesso poi facea manoscritti pericolosi e li mandava al Torelli
©he li conservò nel cassetto: e gli furono trovati dopo morte: ed
ora sono publicati col titolo di Lettere di Massimo d'Azeglio a Giu-
seppe Torelli. E come il Persano, come il d'Azeglio, come il Nico-
mede Bianchi, così altri assai cooperarono colle loro confessioni e
rivelazioni imprudenti ad attirar sopra sé e i loro complici ed amici
l'odio e il disprezzo, sopra i loro fatti le maledizioni, e sopra lo
loro vittime e specialmente sopra il Pontefice Pio IN le benedizio-
ni, l'affetto e il credilo universale.
Mai infatti non si è forse veduto verso nessun Pontefice passalo,
e mai certamente non si ò veduto, nò molto meno si vede ora \erso
nessun altro Principe sovrano quello che chiaramente vediamo \eri-
fkarsi nel mondo verso Pio IX, cui ogni giorno accresce qualche
IL DECRESCERE DEL LIBERALISMO 1 37
gloria. E quei moltissimi che da più anni ed ora più che mai con-
corrono da tutto il mondo a questa Roma videre Petriim (ad Gala-
tas 1, 18) ripetono le parole della Regina Saba: Reg. Ili, 10, 6-9:
Verus est sermo quem audivi in terra mea super sermonibus tuis
et super sapientia tua: non credebam narrantibus mi hi donec ipsa
veni et vidi oculis meis et probavi quod media pars mihi inumata
non fuerit : maior est sapientia et opera tua quam rumor quem
audivi. Beati viri tiri, et beati servì lui qui stant coram te semper,
et audiunt sapientiam tuam. SU Dominus Deus tuus benedictus, cui
complacuisti et posuit te super thronum Israel, eo quod dilexerit
Dominimi Israel in sempiternim et constiluit te regem ut faceres
iudicium et iustitiam.
E non è ultima cagione di questo risvegliarsi che paiono ora fare
gli spirili cattolici nel mondo quel fascino e quello, diciam così, san-
to prestigio che sopra tutti esercita ora il sommo Pontefice; fascino
e prestigio tanto più provvidenziali e mirabili quanto che l'arte prin-
eipile e la cospirazione universale del liberalismo era stala in que-
sti anni di versar a piene mani il ludibrio e lo scherno sullo Stato
pontifìcio ed il suo Governo. Ma a nulla sono tornate le arti e le con-
giure. Poterono queste in questi anni ogni cosa nel mondo a dan-
no di altri Principi e di altri Governi. Ma per rispetto al pontificio
ogni mina fu dalla Provvidenza sventata e tornata a bene e a gloria
dell'oggetto di ogni insidia. Ondechè non sono infondate le speranze
de' buoni che la divina Provvidenza voglia compiere con questo e
sotto questo Pontefice queir opera di ristorazione e di rinnovamento
morale e materiale a cui aspira la società presente, e che, per uni-
versale consenso, ormai non si aspetta più né si spera d' altronde
che da Roma e dal Pontefice romano. 4
I CROCIATI DI SAN PIETRO
SCENE STORICHE DEL 1867
XCVIII.
Mentana, 3 Novembre.
Chi saprebbe immaginare come mai Pio IX, il cui cuore si van-
ta come tesoro inesauribile di clemenza, scagliasse i suoi soldati a
macellare la gente accolla sui colli di Mentana? Non udì le agonie
di tanta gioventù mitragliala, sbaioneltata, scerpata? non previde il
sangue, onde a momenti rosseggiar dovea la campagna? noi fece
pietoso il compianto di tante madri, e sorelle, e spose, e fidanzate?
Così ragionarono certi animi, moderati e gentili a ritroso, che in-
contrando una tigre alle prese con un viandante, non pel viandante
si sentono intenerire, ma per la tigre. Pio IX invece, mansueto,
mite, paterno all'uso antico, benedisse coi sensi di Matalia e dei
Santi iniziatori delle crociale, benedisse le spade sguainate a di-
lesa del drillo, e implorò da Dio, gemendo sì, ma pure senza esita-
zione, la sconfitta dei nemici del popolo romano e della civiltà e
della religione.
Come fossero i suoi voti esauditi in cielo ora e da raccon-
tare. E noi ciò faremo, senza ira nò parte, seguendo solo la
scoria dei referti pubblicali dai generali pontificii e francesi, e di
altri conservali nell'archivio militare di Roma; ci varremo egual-
mente dei rapporti dei capi garibaldini, che si trovarono Dell'azio-
ne, come il Fabrizi, il Menotti, il Cuerzoni, il Italiani, il Del Vcc-
XCYIII. MESTALA, 3 NOVEMBRE 139
chio e altri, sceverandone, per quanto ci verrà fatto, il vero dal
falso 1. Vantaggiammo altresì di quanto scrissero prima di noi
scrittori diligenti, come il Vitali e il Mencacci. Di relazioni specia-
li e personali poi abbiamo vagliato fasci e fasci. Da ultimo ci re-
cammo più volte a considerare il luogo della battaglia e i siti delle
fazioni, anche in compagnia di ufficiali superiori e di chi aveva di-
retto e maneggiato la somma delle cose. Sarà difficile che altri do-
po noi aduni altrettanti istromenii di risapere la verità; ninno ci
vincerà nel buon volere di manifestarla: e questa dichiarazione ci
scusi dalle minute e interminabili citazioni di documenti.
Nell'alto della notte le schiere alleate balzavano alle armi pel-
le caserme di Roma, e traevano alla spianata del Maccao, ov'era sta-
bilita, per le ore tre, 3a massa di partenza generale. 11 rullar dei
tamburi e lo squillar delle trombe, che udivasi fuor de' quartieri, e
più il trapestio de' fanti e il nitrir de' cavalli e il carreggio delle
artiglierie, intronavano il silenzio notturno : e i cittadini spiando
dalle gelosie sì operoso rimescolamento guerresco, ritraevansi im-
pensieriti tra di speranza e di timore. Grondava il cielo a dirotta: e
forse a ciò attribuir devesi, che la sortita da porta Pia non si ef-
fettuasse prima delle quattro e mezzo.
Procedevasi alla sicura insino a ponte Nomentano e più oltre,
ove era attendata una gran guardia francese ; né v' ebbe altra diffi-
coltà, che il valico del ponte medesimo, cui non erasi tuttavia sca-
ricato della mina secondo l'uso di tali tragitti : però un artefice del
Genio si teneva a cavaliere del fornello; a schermo contro le impru-
denze de' passeggeri. Quasi alla testa del ponte , sulla diritta del-
l'Aniene si levano le salite del monte Sacro, famoso per la seces-
sione della plebe romana, placata cos'apologo di Menenio Agrip-
pa 2. Quivi cominciavano a scorgersi le veslige del furore garibal-
1 Vedi il Saggio bibliografico, stampato a carte XX1I-XL del voi. I.°
2 Vedi la nostra Carla corografica di cinque province ecc. Quivi sono la
topografia di Mentana e M onte Rotondo, la pianta di entrambi i luoghi e le
terre adiacenti Ciascun punto che noi in sèguito nomineremo,, nella Carta è
stato tratteggiato, con tale avvertenza, che tutto il movimento della battaglia
scorgere si possa quasi che ad occhio veggente.
HO I CROCIATI DI SAN PIETRO
desco, nelle case incendiate : ma della presenza o della lontananza
del nemico, niun indizio. Congetturandosi tullavia ch'esso non po-
tesse campeggiare più lungi che a Monte Rotondo, il general coman-
dante Kanzler preparavagli fin d'ora un'insidia. Tre compagnie di
Zuavi, 3,a4,a 5,a del 2° battaglione, sotto gli ordini del maggiore
di Troussures, vennero distaccale per la via Salaria in sulla sinistra,
con mandamento di marciare parallele, alla coperta, tenendosi a
filo del corpo di operazione, e dove sentissero progredire i fuochi
di battaglia, studiare il passo e sdrucire nel fianco del nemico im-
pegnato alla fronte.
La colonna principale continuò il cammino pei' la via Nomcnta-
na, a lume di fanali, recali io asta sui lati della strada ; lentamen-
te però, a cagione del peso grande delle munizioni, dei viveri per
due giornate e del corredo da accampare, onde ciascuno scntivasi
gravare le spalle ; e più ancora per le tenebre e il terreno impedi-
to, che richiedevano diligente cautela di scoperte nell'avanzare.
Ordine di battaglia prefisso, quanto era possibile contro un nemico
rintracciato sopra incerto terreno , era diloggiare i corpi avanzati,
che il Kanzler immaginava locati sulle allure di Mentana, come in
naturale contrafforte di Monte Rotondo, e di là movendo con lutto
il nerbo dell'artiglieria pigliare la piazza a rovescio, e risparmiare
così la lunga e disastrosa scalala , che altrimenti avrebbe dovuto
dare, contro tutte le forze del Garibaldi, per l'erta di verso il
Tevere.
Si era giunto al piano di Capobianco, a mezza via di Monte Ro-
tondo, scnz'allra novità che lo smettere della pioggia, e lo spunta-
re del giorno. Pertanto il Generale, che vedeva accostarsi le cime
di Mentana, comandò grand'allo, riposata e refiziamento. Vi arri-
vò eziandio la brigata francese, la quale, giusta gli accordi, avreb-
be dovuto separarsi l'intervallo di due ore : ma per l'indugiare del-
la colonna pontificia, e perchè essa varcava un suolo già esplorato,
raggiunse i preceduti, nò più se ne disgiunse. Una lunga cresta di
poggi copriva opportunamente la generale fermala dalla vista del
nemico: tuttavia non si potò impedire che le vedette garibaldine
a cavallo, sotto abito di pastori, non si sferrassero a corsa (e furo-
no vedute) verso Monte Rotondo.
XCVIII. MENTANA, 3 NOVEMBRE 141
Durò un'ora e mezzo il riposo. In pochi momenti le macchie più
dappresso avevano fornito rami e bruciaglia da far fuoco, le stac-
cionate (co A chiamano qui le chiudende di pali attraversati) ridotte
in ìschegge supplivano ove mancavano i boschi, il caffè gorgoglia-
va, si affettavano le pagnotte co' palosci, e le borracce, girando
di mano in mino, rallegravano le brigate. La comitiva invece del-
l'Ozanam colle suore e i cappellani fece alto alla cappella del casa-
le: i contadini trovarono i vasi sacri, cui avevano nascosto alla ra-
pacità garibalda, e il P. Ligiez offerse l'Ostia divina a santificazio-
ne della corrente domenica, e ad impetrazione della vittoria. Molti
crociati affollavasi alla porta dell' oratorio ; e i battaglioni, sfilando
dinanzi ali ambulanzi, riconoscevano alle bianche falde del vela-
melo le note monacello di S. Vincenzo; e sclamavano: -- Oh, le
suore anche qui! oh, le pietose ! ci cureranno le ferite. —
Un solo affanno amareggiava alcun poco la baldoria strepitosa
dell'accampamento. — Li troveremo? si dimandavano l'uno all'al-
tro, li troveremo colesti famosi Garibaldini? — Non li troveremo!
— Certo ci scopi iranno ai passi sulle altezze: non ci aspettano! —
I bùtteri, che vedemmo dileguarsi come saette, sono spie: a que-
st'ora i Garibaldini levano il campo. — Tali agitavansi i discorsi
nei capannelli della soldatesca: ma nei ristretti dello Stato maggio-
re si avevano gli avvisi degli esploratori, che riferivano, i colli in-
nanzi a Mentana brulicare di camiciotti, e a vista poter essere un
settecento. Si fece dunque ragione questi essere i corpi avanzati, e
l'esercito garibaldesco dimorare serrato attorno a Monte Rotondo:
e la lieta novella divulgandosi tra le compagnie vi destava uno sfa-
villamento di fuoco e di valore.
Le trombe sonarono a marciata, salutate dal clamore giulivo di
tutto il campo. Partivano a pie volante, coli' animo esaltato nelle
belle fazioni che si ripromettevano, e coll'ordinanza medesima che
stabilita era pel combattimento: Zuavi alla testa, Carabinieri esteri,
Legionarii, l'Artiglieria nel centro, Dragoni, Genio, Infermerie :
cinquanta Gendirmi, parte a piedi, parte a cavallo, serravano la
brigata pontificia. Poco diversamente disposta, e a picciola distan-
za, seguiva la brigata francese, il generale di Polhès in capo. Alla
142 I CROCIATI DI SAN PIETRO
fronte marciavano in vanguardia tre compagnie zuave, sotto il co-
mando del maggiore di Lambii! y, e una sezione di due pezzi di
campagna sotto il tenente Cheynet: precorreva in antivangii
un mezzo squadrone di Dragoni, dai quali il tenente di La Rodia-
te veniva spiccando drappellelti e punte di stracorridort; e ciò tanto
più gelosamente, quanto più la piaggia prendea dell'erta e il stt&lo-
cominciava a variare in tumuli e vallami, e la sia Nomcntana a
serpeggiare ed imboscarsi. 11 generale di Courten, condottierc del»
la brigata, co' suoi ufficiali di campo, Eugenio de Maistre, Pielra-
mellara e di Terves, precedeva alla testa di colonna, in avviso di
provvedere alle novità.
Splendidissimo tra la vanguardia e la battaglia cavalcava lo Sta-
to maggiore generale, al sèguito del comandante Kanzler : perchè
sebbene per consueto ristringevasi al maggiore Ungaretti, aiutante
di campo, e ai capitani di Stalo maggiore, Francesco de Maistre,
di Bourbon-Chalus e di Maumigny, pure vi si era aggiunto al-
l'uopo buon numero di ufficiali di varie armi pontificie e francesi,
e un nobilissimo corteggio di volontaria; che tulli poi, senza distin-
zione veruna, si porsero ai servigi di ufficiali d'ordinanza : e ciò
senza contare altri valorosi cavalieri, che erano concorsi o per do-
vere o spontaneamente, come aiutanti di campo de' comandanti dei
varii corpi. Niuna battaglia de' tempi nostri può vantare propor-
zionato numero di gentiluomini e di tante nazioni, gettatosi per solo
ardore cavalleresco a militare nel meno osservato e più rischioso
ufficio di ordinanze. 11 nome corrente della giornata, o come le mili-
zie italiane volgarmente il chiamano, il santo erasi dato con !
presagio da quindici giorni innanzi in questo motto e risposta: Pio,
Paria.
In tale regolato assetto si accostavano gli Alleati a Monte Roton-
do, che già compariva chiaramenle allo sguardo; e ascendevano i
ridossi che nascondono la odierna Mentana. Sopra questi lavò già le
sue rocche la vetusta Nomentum, chiara città nelle memori
prischi Sabini, e nobile castello ancora ne' tempi di mezzo : gi
a Nomenlo S. Leone 111 venne a festeggiare Carlo Magno, con ma-
gnifico incentro di elici ici e di senatori, poco prima di esaltarlo
XCVIII. MENTANA, 3 NOVEMBRE 143
all' impero d'occidente. Oggidì il villaggio, ridotto a un settecento
abitatori, non ritiene della passata grandezza che un castello baro-
mie, ereditario ne principi Borghese, edificio saldo, a botta di cari-
noie, che domina altamente intorno, e sopra tutto la strada No-
mertana. Le case si aggruppano presso il castello, e si distendono
sulla via di Monte Rotondo: le protegge a ponente la profondità di un
vallone, a levante un lungo ciglio di collina, sporgente poco più che
a fiore dei tetti; e il ciglio afforzano ceppi di case isolate, eccellenti
fortilizìi avanzali, quando sieno guernite di fucilieri. Incomparabil-
mente più aspre e minacciose sono le avvenute di Mentana, sui col-
li dalla parte di Roma, onde inollravasi l'esercito pontificio. Poiché
quinci si parano giogaie raddoppiate e rinterzale, le cui spalle, ora
selvose ora eulte e sparse di casali, formino muri e anlemiirali for-
midabili ad assaltare: e la strada Nomentana vi entra profonda-
mente, signoreggiata dai clivi, specialmente dove la strozzano due
colline, Servo Cavaliere a sinistra, e monte Santucci a destra.
Appunto nelf ora che i Pontificii pervenivano alle prime salile
di Mentana, cioè sulf ora del mezzodì 3 Novembre, giugneva nel
villaggio il generale Garibaldi, calatosi da Monte Rotondo alla le-
sta di tutte le sue forze. Le passa in rassegna nel suo rapporto ge-
nerale il colonnello Menotti Garibaldi, luogotenente del padre suo;
e novera sei principali colonne di battaglia propriamente dette,
suddivise ciascuna in tre o quattro battaglioni. Comandavate sei
colonnelli o maggiori, il Salomone, il Frigyesi, il Valzauia, il Can-
toni, il Paggi, l'Elia. Un drappello di Zappatori veniva sotto il
comando di Aurelio Amici; un piccolo corpo di Guide a cavallo,
sotto Ricciotli Garibaldi, due pezzi d'artiglieria di campo, presi
nell'acquisto di Monte Rotondo, e alquante spingarde o pezzi di
montagna, bei cannoncini di bronzo di 75 centimetri, già usati, seb-
bene con poca perizia, in anteriori combattimenti. Tenevan dietro
alle sei colonne tre o quattro battaglioni volanti ; in capo marciavano
tre battaglioni di fanti eletti, con titolo di carabinieri genovesi, co-
manditi dal capitano Stallo, dal maggiore Burlando, dal tenente-
colonnello Missori; cui si aggiugneva la compagnia livornese, ca-
pitano Santini. In tutto contavano ventotlo battaglioni, compresovi
144 I CROCIATI DI SAN PIETRO
due minori dell' Andreozzi e di Iacopo Sgarallino; ed escluso inte-
ramente i corpi separati del Nicotera e dell'Acerbi, altrove guer-
reggianti. Della quale massa di combattenti quanto il Menotti at-
tenui contro verità i ruoli, vcggasi solo da questo, che la colonna
Frigyesi, da lui valutata ad ottocento uomini, da un maggiore pon-
tificio venne riputata di milleducento, e dallo slesso Pietro Del Vec-
chio che era uno de' suoi capi, e ne fu il proprio storico, è jecala
a milletrenta.
Tre soli battaglioni si trovarono lungi dal terreno: uno spedito
di Là dal Tevere, il 14° che occupava Tivoli, il 20° lasciato in
guardia a Monte Rotondo: tutti gli altri, o campeggiavano ai posti
avanzati di Mentana, o vi entravano poco prima della battaglia. La
vanguardia, i tre battaglioni cioè di carabinieri, già erano distesi
sulle alture di contro a Roma, allorché Giuseppe Garibaldi co' suoi
tìgli Menotti e Ricciotti al fianco, seguito dallo Stato maggiore, fa-
ceva il suo ingresso nel villaggio al suono della fanfara. Festeggia-
Tanto i suoi solamente ; giacche « non vi fu un grido di festa, rim-
piagne qui doloroso il Bertani, quando entrammo in Mentana, non
vi fu un aiuto spontaneo durante la lotta, non un conforto dappoi,
che venisse dagli abitanti! » 11 battaglione del Ciotti da più tempo
era di tutto punto formato e schierato sulla strada grande, e segui
lo Stato maggiore. Per mezz' ora continuarono a sfilare le colonne
allegramente cantando: così che a mezz' ora prima del tocco, l'eser-
cito garibaldino si trovò in ordine di ricevere battaglia, il più e il
meglio che volere potesse in quelle si favorevoli posizioni: vantag-
giosa frontiera di resistenza, agevole V avanzare in prospera fortu-
na, sicuro il ritirarsi nell' avversa. Dicono, ciò avvenisse per iscal-
trimento del Garibaldi, che aveva sospettato di un possibile attacco
nella marciata: noi crediamo, fosse semplice effetto degli accurati
sludii fatti sul luogo dal suo Stalo maggiore, in cui non mancavano
valenti affidali rcgii, e degli avvisi recati nella mattina dagli esplo-
ratori a cavallo.
Ma nò previdenza di movimenti, nò sito felice, nò copia di batta-
glioni prevalente, bastarono contro il consiglio di Dio, e contro le
ristrette schiere crociate, che n' erano esecutrici. Il Garibaldi fu
XCVIII. MENTANA, 3 NOVEMBRE 145
disservito, dicono i referti suoi, innanzi tutto dal battaglione Ram-
bosio. Dovea questo tenere gran guardia a Torre Lupara sulla via
Nomentana, a sei o sette chilometri in avanti di Mentana, e n' era
scivolato per un ordine mal inteso di Menotti, o, come altri meglio
scrissero, par fastidio delle fatiche e dell' intemperie. Checché ne
sia, i Pontificii passarono a vista di Torre Lupara, avvisati, un' ora
prima, che nelle selve dirimpetto al Romitorio, a sinistra della stra-
da, attendevali il nemico imboscato. Tanto è falso che i Garibaldini
fossero sorpresi! A vista adunque della selva la scorta di cavalleria
spiccò un Dragone a perlustrare il luogo sospetto. L'Arduino (così
chiamavasi l'ardito scorridore) giunse a carriera, scoperse il ne-
mico, scaricò le armi, e tra cento palle tornò illeso a riferire.
Questo primo fuoco fu quasi mezz'ora dopo il mezzogiorno. Ne
rintonò 1' eco ai posti garibaldini dalla compagnia Erba, la più
avanzata, al battaglione Stallo schierato dietro al Romitorio, e più
addietro insino a Mentana : i bersaglieri del Missori e del Burlaudo
rinforzarono le prime file; Menotti a cavallo, dato ordine al Ciotti
di occupare Vigna Santucci col suo battaglione, rientrò in Mentana
di gran galoppo, col fucile in pugno, gridando ai terrazzani: « Tutti
a casa! serrate le finestre! » A queste grida, e più al raddoppiare
della moschetteria lontana la trepidazione spargevasi per ogni do-
ve: gli stessi Garibaldini gregarii, che nulla si aspettavano di si-
migliante, ne davano alla luce del sole (dice un presente) tali segni,
che tacere è bello. Giuseppe Garibaldi (riferisce il Guerzoni) inter-
rogò il figlio sulle condizioni della fronte di battaglia : Menotti ri-
spose : « Davanti si sta benissimo. » Garibaldi spinse il cavallo in-
nanzi. La battaglia era ingaggiata.
Riconosciutasi dai Pontificii la presenza del nemico, il generale
di Courten diede i suoi ordini. La compagnia Thomalé sonando alla
cacciatora avviluppa il colle a destra, la d'Albiousse s'inselva a
sinistra, il capitano Alano di Charette cresce sulla via tra mezzo,
serrato e sostenuto dalla compagnia Legonidec, tenendosi all'altez-
za dei fiancheggiatori. Apparve la linea delle camicie rosse scaglio-
nala sulle poppe del colle a destra: pochi momenti di viva fucilata
bastarono a scompigliarla e volgerla in isbaratto, sebben numerosa
Serie VII voi. XI, fase. 488. 10 4 Luglio 1870.
146 I CROCIÀII DI SAN riETRO
e rispondente con dieci cotanto di fuoco. E i Zuavi, incalzare. Giun-
ti all'alto scorsero a pruova la bontà delle posture garibaldine. Qui-
vi rispiana un campo vasto, protetto qui e là da pedali di quercia,
divenuti altrettanti ridotti, e, che peggio era, dalla sinistra della
via s innalzava una macchia folta, irta di moschetti che radeva il
campo con un nembo di morte; la strada avvallata e percossa. Pure
la compagnia Thomalé si sforzava di coronare il lembo della terri-
bile piattaforma con un cerchio di carabine, ma con picciolo pro-
gresso e con niun danno de' nemici.
Potevano allora i due battaglioni garibaldini con un movimento
in avanti tentare di riversar per la china quel pugno di audaci : non
si cimentarono, forse per tema delle baionette. Invece appariva in
buon punto la testa di colonna zuava a sostenere la vanguardia, e
due compagnie, la Moncuit e la de Yeaux, rinforzavano la linea
d'assalto. Ma atroce e spaventoso diveniva l'avanzare. In quella
arrivava a spron battuto il tenentecolonnello di Charelte.* Vide l'esi-
tazione, ordinò: «Zaino a terra! alla baionetta! » e spingevasi a
pìcciol trotto sotto il fuoco incrociato della selva e del piano, trasci-
nando l'animosa gioventù colla spada, col gesto, col grido « Avanti
i Zuavi! o vado a farmi uccider solo! » Un urlo immenso gli rispose
su tutta la linea: « Bravo il colonnello! avanti, viva Pio IX! A noi,
a noi! Avanti, avanti, avanti! » E coll'urlo balzano come pantere
sull'alto piano, si slanciano a baionetta calata entro la selva, si pro-
fondano per la strada dietro il colonnello. Niuno, ci dicevano uffi-
ciali e soldati, niuno descriverà mai l'impeto, la pressa, la violen-
tissima rovina di questa prima carica, onde alcune compagnie per
tre chilometri di strage, giunsero insino alle barricate di Montana.
Di greppo in greppo, di cespuglio in cespuglio, di tronco in tronco
si spazzava il terreno: gli abituri pieni di nemici si lasciavano pieni
di morti, o di arresi e guardati a bocca d'archibugio: il travaglio
della daga fu sì ratto e fulminante, che interi gruppi di nemici, pri-
ma di riaversi dallo stordimento si Videro accerchiati dì punte, e gli
uni sopra gli altri trafitti e inchiodali sul terreno. Un sacerdote che
alla sera percórse il bosco, ci disse: « Non si polca passare: ho do-
vuto assolvere dei moribondi in lontananza, per onore d' impacciar-
XCVIII. MENTANA, 3 NOVEMBRE 147
mi tra le cataste degli uccisi. » Quindici giorni dopo, un iiero cro-
cialo che vi guadagnò lo spallino, ci mostrava le pozze di sangue
tuttavia visibili a piò degli alberi.
In forse dieci minuti di feroce mischia cadeva in mano dei Ponti-
fìcii il primo serraglio di Mentana; e il nemico si ritirava inseguito
e disordinato sul secondo. Anche le compagnie zuave eransi al-
quanto rimescolate nella foga dell' incalzare. Invano il colonnello
Allet, cavalcando tra il reggimento, che a mano a mano veniva
ammettendo alla zuffa, brigavasi di disciplinare la fiumara traboc-
cante, i capitani arrocavansi a gridare : Serrate le file ! ogni nuovo
nodo di nemici che mostrasse il viso dietro una balza o un muric-
ciuolo, facea dimenticare i comandi, gli si correva sopra a tempe-
sta: o fuggiva, o era distrutto. Fu detto che ì Zuavi si mostrarono
sfrenati. A che risposero gli ufficiali, la consegna loro essere stata
di prendere tutti i posti occupati dal nemico: li presero. Guai, se
avessero per un momento solo contato il nemico, o studiate le sue
posizioni! invece di sei uomini perduti nel primo conflitto, perde-
vano le intere compagnie. Lasciarono la cura di coprirji ne' fianchi
alle colonne sopravvenienti e ai francesi: essi rovesciavano il nemi-
co. Alle loro spalle si aperse la prima delle infermerie di campo :
le buone suore e la signora Stone si posero, benché sconsigliate
dai soldati, al loro pietoso ufficio dentro e fuori della cappella del
Romitorio, mentre ancora \ì tempestavano le palle. De' cappellani
e degl'infermieri non è a dire: seguivano le pedate delle compagnie,
a confortare i morienti, a raccogliere i feriti, pontificii e garibaldini,
a un modo istesso.
Il comandante generale Kanzler era stato presente all' orrendo
impeto dell' entrata in battaglia; e si avanzava, sempre a eavallo
come il suo corteggio, tra il fischiare delle palle e le acclamazioni
delle milizie, sul campo seminato di cadaveri; e contemplava i nuo-
vi e più ardui sbarri che restavangli ad espugnale, prima di giù-
gnere sopraccapo a Mentana. Ne era lungi poco più d'un chilometro;
l'ampia strada gli si api iva dinanzi pressoché diritta e pianat, ma
battuta da due costiere di colli, gremite di bersaglieri sino all'in-
gresso della terra : alle fauci poi della valle, entro cui corre questo
118 I CROCIATI DI SAN PIETRO
tratto di strada, sorgeva, a manca, il monte Servo Cavaliere, i cui
rialti hanno più nomi, monle Guarnieri, Torretta, S. Salvatore, tutti
coperti d'armati; sulla sinistra domina il eolle Santucci, ove siede
la famosa vigna Santucci, la piccola Malakoff della nostra piccola
Sebastopoli. Garibaldi cavalcava in fondo alla valle provocando
i suoi a memorabili pruove di valore, e fu visto coi cannocchiali
dare una corsa dietro vigna Santucci, e dileguarsi.
Certo, se il Garibaldi era obbedito a punto, e l'esercito pontificio
s' ingaggiava cecamente per la valle ; il nemico avca silo e forze di
stritolare tra quelle morse ogni gran forza di assai tori. Ma il gene-
rale delle genti alleate si contentò di assalire i posti all' entrata del-
la valle, e dall'alto operare sul basso, poscia investire Mentana dal
fianco destro, a terreno pari. 11 Kanzler vide il colle Guarnieri e
il colle Santucci, considerò queir importuno edificio, a più ordini
di finestre cambiate in moschettiere, coperto da piantagioni nelle
pendici innanzi, fasciato alle falde da un muro allo e insuperabile
alle fanterie; vide i Garibaldini che lo guernivano con isquisita di-
sciplina di guerra, avendovi collocato tutto il presidio che ne' gior-
ni addietro teneva Mentana, e per rincalzo, buona parte de' batta-
glioni discacciati dai posti avanzati : il generale Kanzler vide lutto,
e disse in francese al Charelte: « Pigliatemi quella posizione. » E
intanto prese ad agevolargli la riuscita.
Mentre il Charette scagliava i Zuavi alle posture boscate di mon-
te Guarnieri, onde troppo era favorita la difesa di vigna Santucci,
e abbarrava ai Garibaldini lo sbocco della strada, e apparecchiava
l'assalto; il generale Kanzler mandava ordini ai Carabinieri di rin-
forzare le ali della fronte Cinque compagnie volarono alla destra,
aggirando largo il colle Santucci preso di mira: la prima compa-
gnia Waseshà, già era marciata in sussidio dei Zuavi, impegnati
nelle boscaglie a sinistra. Da questo lato si ebbe tosto guadagnalo
un rialto a fianco della strada, che mirabilmente prospellava la vi-
gna Santucci: il Kanzler, salitovi con lo Stalo maggiore, vi chiamò
uno dei pezzi di campagna che venuti erano colla vanguardia. Toc-
cò al maresciallo Bernardini recarvisi in batteria, e tonare il primo
colpo di cannone a Mentana, come aveva tiralo il primo di questa
XCVIII. MENTANA, 3 NOVEMBRE 149
guerra, a Bagnorea, e dovea tra poco tirare gli ultimi della batta-
glia, della guerra e della sua vita. E quel gentile cavaliere crociato
fulminò con terribile percossa il ridotto Santucci, infino al punto in
cui vide l'assali mento zuavo mescolarsi al nemico, e allora volse la
bocca del pezzo rigato altrove.
Si difesero egregiamente i Garibaldini dentro e fuori del riparo,
finche la procella romoreggiò lontana. Uscivano a bande, sparava-
no, e rientravano a caricare: mantennero una fucilata ardente, e
minacciarono bravamente in massa compatta al portone della cinta.
Ma quando dietro questa si furono formati i gruppi di battaglia, ed
eglino videro torneare le compagnie dei Carabinieri, e sopra lutto
allorché il Charetle ebbe fatto intendere il temuto grido: Alla baio-
netta! le camicie rosse vacillarono dinanzi alla porta, per modo che,
avventandosi i Zuavi a daga incannata, questi non ebbero nel cozzo
né un ucciso né un ferito; presero siepi e vigne, cacciando il nemi-
co avanti a sé, ed uccidendo sino alla casa. Quivi incontrarono re*
sistenza, e questa ancora non lunga né vigorosa, perchè sfondate le
porte e infilzati alcuni più ostinali, gli altri si arresero: molti erano
fuggiti a salvamento. Qui pure V audacia risparmiò il sangue : solo
vi caddero pochi feriti, tra i quali Edmondo Yarz e Luigi Maus, ed,
elettissima vittima, vi perde la vita il capitano Arturo de Yeaux.
Mentre scendeva al combattimento tra la grandine stridente e in-
giungendo ai suoi di marciar cauti, una palla il giunse diritto al
cuore, e nel cuore gli spinse la croco di Castelfidardo, che gli
brillava sul petto. Cadde, e non batté polso. Ieri tornando dalla
sacra mensa aveva detto ad un amico : « Mi sembra di avere pre-
so il Viatico. » Non lungi dal de Veaux, il colonnello Charelte eb-
be il cavallo uccisogli sotto da tre colpi di fuoco, ond' egli si pose
alla testa dell'assalto, a piedi, e i suoi Zuavi ristorati dal sospetto
di averlo perduto, più furibondi si slanciarono innanzi.
Più dura fortuna sostennero i Garibaldini sulle cime a sinistra.
Colà, dopo acquistata la vigna Santucci, si recò il Charettead attiz-
zare la zuffa, cavalcando un destriero, che gli Zuavi gli presentaro-
no, dicendo, essere del garibaldino generale Fabrizi. Da questo la-
to la battaglia si avanzava combattuta aspramente sino all'ultima
150 I CROCIATI DI SAIS PIETRO
sponda del giogo, ove sorgo Ira rari ulivi un mozzo di torre, e il
terreno si avvalla dirimpetto a Mentana. Le due compagnie, che vi
ascendevano ebbero arduo conflitto fin dalle falde del monte, ove
fu d' uopo spuntare a passo a passo la selva, accanitamente difesa
dai battaglioni del Burlando e del Missori. Pure si fecero strada in-
sino al culmine, lasciando dietro se il terreno coperto di corpi dei
nemici e seminato dei loro. Allora correndo la eresia a forze unite,
e appoggiali anche dal basso, livellarono in guisa miseranda i
Garibaldini per tulle le coste dei fianchi, sopra tutto all'estremo
burrone, dove si trasse sulla massa riunita e confusa, con ispaven-
ievole acciacco. Là, ci dissero, i cadaveri si raccolsero a centinaia.
Ci fu pure additato il luogo, dove il caporale carabiniere Emilio La-
dernier fu trapassato a morte, e gridò: « Son morto: non importa,
Viva Pio IX! » Sparò ancora un colpo, e cadde allagando il suolo
del proprio sangue.
Tutta la seconda linea dei Garibaldini era così conquistata ; e iìn
d'ora, per la presa di vigna Santucci sopra tutto, assicuralo il buon
successo delia giornata. Questa era, a giudizio de comandanti alleati,
non meno che dei garibaldini, la chiave di Mentana. Vi si promos-
se, sebbene a tiro del nemico, il quartier generale. In si rilevanti
acquisti si era speso meno di un'ora e mezza, o poco si, ma pre-
zioso sangue. Paolo di Doyncl, gentiluomo francese, fu il primo a
profondere la vita su quel campo di gloria imperitura ; Agostino
Guilmin boccheggiava; Giovanni Leton aveva una palla nel petto, e
diceva al cappellano, Mgr. Daniel : « Datemi V assoluzione, e riti-
ratevi: vedete, questi briganti vi mirano! » 11 sergente Carlo d'W-
cantara, straziato a morte orribilmente, animava i camerati: « Non
badate a me, avanti voi : viva Pio IX! » Si trasportavano all'ambu-
lanza il caporale Ivonc di Quali ebarbes, il tenente Salvatore Jacque-
mont, e l'eroico Pietro Àudouin, che spontaneamente riparò col petto
il colpo scagliato al suo capitano D'Aibiousse; e due primizie del
valor canadese, Alfredo Laroque, e il sergente Ugo Murray : tutti di
nobili ferite adorni, e nobilmente portale. 11 nemico intanio si risol-
veva in fuga universale, sparpaglialo, costernato oltre ogni dire. Se
le mura di Mentana o d'altro riparo murato non gli avesseofferto
un pronto rifugio, la sua sorte era già decisa al primo scon Ivo.
SGUARDO RETROSPETTIVO
SOPRA
L' AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
DAL 1860 AL 1870
IN ITALIA
[.
Mentre nel Parlamento italiano si van discutendo le proposte del
Sella per provvedere al disavanzo dell'Erario, non sarà fuor di
luogo il dare rapidamente uno sguardo retrospettivo all'amministra-
zione che dal 1860 al 1870 ba regolato le spese e le entrate delle
finanze italiane. Il tempo è abbastanza largo, e bene vi si può scor-
gere il merito d'un sistema dagli effetti che ha prodotto: ed è ab-
bastanza vicino, e bene vi si può nella indagine omettere la pruova
minuta e noiosa delle cifre, che sono presenti nella generalità a co-
loro che attendono a questi studii.
Dall'altra parte egli è molto utile il far questo esame, se vuoisi
portare un giudizio adequato della rivoluzione intervenuta in Italia.
1/ indipendenza, la forma di Governo, l'unità nazionale, in tanto
sono beni per un popolo, in quanto ne promuovono il vantaggio
pubblico e particolare sotto il triplice aspetto del dritto, delia mo-
rale, del ben essere sì pubblico si privato. Sembri pur questa una
bestemmia a certi propagatori di sistemi; essa al semplice buon
senso del volgo, non che alla scienza dei grandi uomini di Stato fu
Iò*2 SGUARDO SOPRA L AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
e sarà sempre la più semplice e la più giusta delle verità. Per giu-
dicare adunque dell' utilità della indipendenza, dell'opportunità del
parlamentarismo, o dei vantaggi della unità, bisogna accertarsi se
quei tre beni sieno veramente ottenuti o almeno con probabilità gran-
de sperati. Dove uno solo ne manchi, tutte le altre ragioni di Stato
o di politica non basteranno mai a giustificare un cangiamento sic-
come utile. Or quello dei tre beni, che è il più palpabile di tulli,
se non ò il più nobile, è appunto il ben essere pubblico e privato:
e questo ben essere e talmente collegato colla amministrazione delle
finanze, che ne è l' effetto più diretto e più immediato. Esaminare
dunque le finanze d'uno Stato, per un dito periodo e in date cir-
costanze, vai quanto 1' esaminare una forma imposta o un muta-
mento fatto. Un tal esame vai certo la pena di occuparvi un po' di
tempo e un po' di attenzione.
Neil' istituire intanto questa disamina, noi partiremo da un fatto
della più irrefragabile notorietà. Nei nove anni che intramezzano il
1860 e il 1870 sono stati spesi dal Governo dell'Italia quasi dieci
migliardi 1: cioè dire cinque migliardi e 8o0 milioni di lire colle
entrale annuali unite insieme, e quattro migliardi 142 milioni coi
debili contratti- Questa enorme somma, spesa disugualmente d' an-
no in anno, se si spartisce sopra i nove anni a rate uguali, costi-
tuisce un esito medio annuale di 1110 milioni di lire. L' Italia, di-
visa nei selle suoi Stati, spendeva, prima della rivoluzione, poco
più di 508 milioni l'anno. L' unità dunque ha fatto più che raddop-
piare la spesa annuale all'Italia, ed ha per conseguenza più che
raddoppiati i pesi che gì' Italiani debbono sostenere per essere go-
vernali.
Questo fatto mena naturalmente a tre quesiti importantissimi:
donde V Italia abbia preso questo soprappiù di danaro che ha incas-
sato: dove lo abbia erogato, e come se ne sia trovato tanlo il Gover-
no quanto il popolo. Questo donde, questo dove, questo come ci da-
ranno sufficiente argomento ad altrettante discussioni, che corche-
remo di fare senza spiriti o parziali o pregiudicati.
1 In cifra più giusta 9 migliardi, e 992 milioni di lire.
DAL 1860 AL 1870 IN ITALIA 153
II.
La prima sorgente, dalla quale il Governo d' Italia ha attinto il
denaro, sono state le lasse. A prima vista pare che ciò non possa
divenire un rimprovero : perchè le tasse sono naturalmente, anzi
debbono essere le vere fonti della ricchezza erariale. Se questa
vuoisi aumentata, naturai cosa è che quell'aumento domandisi alle
tasse slesse, che fra tutti i modi di dar denaro allo Stato e il men
disastroso, il più onesto e il più conforme alla ragione.
Se non che puossi aumentare il prodotto delle tasse, senza au-
mentar le lasse stesse; al.neno nella stessa proporzione. Ciò fassi
o colla migliore distribuzione di esse, o colla più facile riscossione,
o col crescimento della pubblica prosperila. A nuove imposte non
si ricorse mai dalla sapienza amministratrice, se non nei casi più
urgenti. Or tulio al rovescio è avvenuto nel nuovo regno formatosi
in Italia. x\vendo bisogno di più larghe entrate, s'è messo alla di-
ro! la nella facile via di decretar nuove e poi nuove imposte. Con
quanta prudenza il mostra quel complesso implicato e doloroso di
circostanze che accompagnano questa creazione di tributi.
In primo luogo furono aumentate di un colpo solo tulli i balzelli,
imponendo un tanto di più a tutte le tasse esistenti, sotto il titolo di
decimi di guerra, che promettevano dover essere temporanei, e
furono perpetui. Solo questa idea della generale uniformità di un au-
mento basta a mostrare la poca sapienza del pi ov vedi mento. In un
grande Stato non tutto può andare con uniforme procedimento; an-
zi il prosperare d'una industria spesso genera il decadimento di
un'altra, e dove un'entrata cresce l'altra scema. Fu dunque sempre
giudicata buona arte di governo l'acconciare i balzelli alle vicende
diverse delle industrie e dei commerci, e l'andarle là scemando,
qua aumentando, conforme al prosperar di queste o al decader di
quelle. Aumentare uniformemente i pesi senza considerazione veru-
na delle forze capaci di sostenerli, è un aggravar troppo certuni
senza aggravare abbastanza certi altri: riduce» a creare dei veri
privilegi. Così avvenne di fatto nell' Italia. L'aumento sulla tassa
154 SGUARDO SOPRA L AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
fondiaria fu intollerabile e rovinoso, soprattutto pei piccoli pro-
prietarii: l'aumento sopra le dogane fu pei commercianti di non
grave iattura; mentre che pei fabbricanti nazionali cagionò danni e
perdite ragguardevoli. Il commercio fu dunque privilegiato più del-
la manifattura, la manifattura più dell'agricoltura. Ecco l'effetto di
questi aumenti uniformi: disuguagliare il peso nelle varie classi
dei cittadini.
Oltre all'aver aumentate tutte le tasse anticamente esistenti, il
Governo ha nel corso di questi nove anni addossate ai suoi sudditi
tasse nuove. E quante credete voi ne abbia esso creale infin ad og-
gi? Nientemeno che più di quaranta, le quali potremmo qui annove-
rare ad una ad una, se non avessimo la certezza che gì' Italiani con-
tribuenti le conoscono meglio di noi. Ci basti il qui aggrupparne,
colle parole del eh. Savarese, soltanto alcune. « Ila tassato con la
legge del registro tutti gli alti della vita, la compra, la vendita, la
permuta, la donazione, l'enfiteusi, il mutuo, la locazione delle cose
e dell'opera; l'uso, l'usufrutto, la quietanza, il mandato; le succes-
sioni, l'esperimento dei proprii diritti dinanzi al magistrato. Ha tas-
sato sotto il nome di ricchezza mobile tutte le rendite ed i frulli ci-
vili, tutti i profitti e tutti i salarli. Ha tassato, sotto il nome di tas-
sa sul consumo, sulle vetture, sui domestici, su gli animali, sui
dispacci telegrafici, sulle tariffe postali tutta la rendila nella della
terra, il profitto dell' industria, il salario dell'operaio 1. »
Questa inondazione di tasse ha veramente sepolta sotto le sue ac-
que la pubblica prosperità. Una buona parte delle rendite private pas-
sano dalla scarsella del proprietario nella voragine dell'erario: cosic-
ché i cittadini d' Italia somigliano a certo capre che i pastori smun-
gono soverchiamente, e fan divenire stecchile e macilenti. Non v' e
tassa che trovisi in uso presso qualche paese d' Europa e d'Ameri-
ca che i legislatori d' Italia non abbiano voluto applicare al povero
nostro popolo, senza discernimento e senza temperanza. Senza di-
scernimento: perchè le tasse sono come le piante; le quali non tut-
te fanno per tutti i suoli e per tulli i climi. Senza temperanza: per-
chè il solo vedersi 1' unghia del fischio ad ogni allo e in ogni affa-
1 Lettere di un contribuente ad un uomo di Stalo, pag. 34.
DAL 1860 AL 1870 IN ITALIA 155
re, senza rispetto nò eccezione, è cosa estremamente fastidiosa. Un
bello umore forestiero, reduce da un suo viaggio in Italia, fu ri-
chiesto qual opinione si fosse formata della ricchezza d' Italia: ed
ei subito di ripicco: l' Italia è cangiata in un gran museo di tasse.
E diceva vero, perchè alla raccolta non ne manca nessuna.
La perequazione o il conguaglio delle imposte, brutta parola per
esprimere più brutto fatto, è stata un'altra circostanza che ha viepiù
inasprito il sistema tributario degl' italiani. In uno stato di antica
formazione una tassa può essere giusta divenendo eguale per tutte
le sue province: giacché queste pel lungo loro contatto reciproco si
sono messe a poco a poco nelle medesime condizioni di fortuna,
quanto basta almeno a sopportare i medesimi pesi. E pure in tale
stato la prudenza governativa consiste a scegliere quel genere di
materia tassabile che sia più universale per tutti, e a determina-
re quel minimo d' imposta che possa agevolmente tollerarsi dalla
parte men fortunata dello Stato. Quest'avvedutezza fu del tutto tra-
scurata in Italia. Essa era un corpo non venutosi formando per as-
similazione lenta di parti, ma per subito e violento accozzamento :
e queste parti erano così dissimili anzi contrarie tra loro, che più
non potrebbero se a nazioni diverse appartenessero. Ognuno dei
sette Slati avea tradizioni e coslumi diversi : ognuno i suoi vantag-
gi e i suoi incomodi speciali ; ognuno i suoi bisogni e i suoi pro-
dotti singolari. Bisognava, dopo avere abbattute le barriere che li
separavano, dar loro il tempo, per così dire, di livellarsi nella pro-
sperità, se si voleva senza grave offesa dei loro interessi livellarli
nei balzelli. Il Governo italiano procedette a rovescio: uguagliò con
legge improvvida sopra tutti di botto le imposizioni, e così ne segui-
tò un inegualissimo peso. A citarne solo qualche esempio, ricorde-
remo che per la differente valutazione dei cadastri furonvi provin-
ce ove il conguaglio raddoppiò ai proprietarii la tassa prediaria che
pagavan prima, e province ove quasi quasi la dimezzò; senza che
la proporzione della tassa col valore del fondo diventasse la stessa.
Così fece colui che per avere i libri uguali, li fé' scortar tutti alla
misura del più piccolo tra loro. Esso si vantava di aver tutti i suoi
libri d'una stessa altezza: ma la gente gli dava le beffe di avere non
più libri, ma inutili e ridicole sconciature.
156 SGUARDO SOPRA L AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
III.
Un altro vizio che è forse il peggior di tutti, hanno le moderne
tasse italiane, ed esso si è di avere col loro eccesso stremata la pro-
duzione e scemata quindi l'entrata corrispondente allo Stato: ossia,
in altri termini, d'essere riuscita dannosa del pari ai contribuenti
ed all'erario. Ciò si è avverato di moltissime fra le tasse imposte:
basterà notarlo qui in ispecic, a cagione di esempio, di una soltanto.
Il dritto di registro degli alti contrattuali e giudiziarii nelle pro-
vince continentali del Regno di Napoli era in media di una lira per
ciascun atto; il Governo d'Italia ha posto un dritto graduale che
riduce in media quelle tasse a 4 lire. Or che ne è avvenuto? Nelle
province continentali del Regno di Napoli, prima dell'unificazione
dell'Italia, registravansi 2,308,175 atti: nell'Italia intera, dopo
l'attuazione di quella tassa progressiva ed esorbitante, si registra-
rono appena 1,317,605 atti: cioè dire poco p«ù della metà per l'Ita-
lia intera di quanti si registrassero prima nelle sole province meri-
dionali. Or che vuol dire ciò? Vuol dire che in parte gli affari di-
minuirono, e in parte si compirono in frode della legge.
Ma a che ricorrere a questi minuti fatti, quando noi abbiamo una
pruova convincentissima e generale per tutte le tasse, nelle confes-
sioni medesime dogli amministratori del Governo? Ogni volta che
si è proposto o un aumento di tassa, o una tassa nuora, i Ministri
proponenti hanno assicurato che da quella imposta si caverebbero
tanti milioni e non meno di lire. Essi credevano di dar nel segno:
perchè o partivano dal prodotto delle tasse preesistenti, o dai dati
statistici con molta accuratezza forniti loro. Nel fallo però, salvo
qualche rara eccezione, quelle previsioni non furono convalidate
dagl'incassi effettivi del tesoro, che si avverarono minori della pre-
visione. E perchè? Perchè i Ministri nei loro calcoli aveano dimen-
ticato quel gran principio : una tassa troppo forte non s'incassa tut-
ta, perchè o diminuisce la produzione o aumenta il contrabbanda;
Da tutte queste considerazioni si deduce che le tasse dell'Italia
unita non sono unicamente raddoppiate, col solo peso di pagar tanto
di più, ma sonosi conturbate, imbrogliale, inasprite per un soprac-
DAL 1860 AL 1870 IN ITALIA 157
carico di noie, di fastidii, di fiscalità, senza un corrispondente gua-
dagno dell'erario pubblico. Bene adunque avea ragione il Sav aie-
se, di sopra da noi mentovato, di esclamare, sin dal 1868, dopo
di aver dimostrato questo raddoppiamento di balzelli, « che cosa è
avvenuto in Italia dal 1860 in poi che può autorizzarci a credere
che il capitale o la rendita di ciascun contribuente sia cresciuta del
doppio? Quali novelli continenti abbiamo scoverti? Quali marem-
me abbiamo prosciugate, quali terreni saldi abbiamo dissodato?
Quali novelle industrie sono state introdotte, e quali opificii che
prima non erano sono sorti tra noi? Quali novelli mari solcano le
nostre navi, o a quali giungono ignote terre, alle quali prima non
approdavano 1 ».
Qualche cosa però è avvenuto, ma qualche cosa tutta a rovescio
di ciò che indicherebbero le aumentate imposte. 11 brigantaggio, e
peggio forse di lui i rigori soldateschi e civili han lasciato per an-
ni ed anni incolta molta parte delle nostre campagne : le aumentate
milizie hanno sottratto alle opere campestri ed agli opiticii citta-
dini migliaia e migliaia di braccia: la malattia dei filugelli ha tol-
to alla foglia di gelso ogni valore, ed agli opificii della seta ogni
operosità : la lassa sul consumo ha distrutto buona parte della ren-
dita delle vigne : il libero scambio ha fatto chiudere le fabbriche
italiane di panno, ha distrutto la coltura del cotone, ed ha impo-
verite cento altre industrie paesane. Invece dunque di aumentata
prosperità, capace di sopportare le angarie dei nuovi e dei cresciu-
ti balzelli, l'Italia ha avuto d sastri e rovine, che ad un più prov-
vido, o almeno più potente Governo avrebbero consigliato diminu-
zione di peso, e alleggerimento di gravami.
All'amministrazione italiana queste grandi sventure non toccaro-
no il cuore, e invece le suggerirono di aggiugnere lo scherno all'in-
giustizia, la derisione all'aggravio. Poiché di tempo in tempo fu
tolto per proposta dei Ministri qualche balzello esistente: ma sape-
te perchè? Per rovesciarne l'odiosità sui comuni, e SAer l'aria di al-
leviare i sudditi da una banda, se si aggravavano dall'altra. Intanto
1 Ojr. citato, pag. 47.
158 SGUARDO SOPRA h AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
però i poveri sudditi al nuovo onere governativo doveano sottostare,
senza perciò sottrarre il collo al giogo municipale.
Tutti sanno che in quanto all' imporre le tasse i comuni italiani
dopo il cosi detto risorgimento d'Italia non hanno solo emulato, ma
di gran lunga sorpassato lo zelo del Governo. La troppo ardente e
spesso troppo agli amministrali funesta voglia di abbellire le città
e le terre, e alcune volle la giusta ma troppo impaziente brama di
aprire nuove strade, o demolire vecchie e malsane casipole, ha in-
vaso in Italia così i grandi siccome i piccoli municipii : e a procac-
ciarsi il denaro occorrente tutti hanno creduto di potersi impune-
mente mettere sulle orme del famoso Prefetto di Parigi, indebitan-
dosi fino agli occhi, e spremendo dalle borse dei contribuenti l'ulti»
mo soldo. Di che è proceduto che se le tasse governative dal 1860
in qua sonosi duplicate, le tasse comunali non solo non sono ri-
mase quali anticamente erano, ma sonosi più ancora del doppio
aggravale; e v'ha molti comuni dove esse son giunte a triplicarsi,
e non pochi dove sorpassano ancora questa spaventosa progres-
sione. Non è a dire quanto per questo capo tro vinsi angariati i
popoli : conciossiachè per la più gran parte essendo ai comuni la-
sciato il solo dazio che chiamano di consumo, non vi è derrata pur
indispensabile alla vita, che non siasi accresciuta di prezzo, non vi
è comodità vantaggiosa al benessere che non sia stata pel rinca-
rimento sopravvenutole dai balzelli comunali divietata al povero
popoletto. Si consoli esso però: se ha dovuto privarsi non che solo
del companatico, ma tino del pane, per isfamarsi appena di gran-
turco o di patate, sappia che esso non è più membro di piccolo
Stato, ma cittadino di gran Regno; e se non può nutrire bene e
vestir gaia la sua figliuolanza, ha per compenso il nobile teatro, la
lieta passeggiata, le belle fontane, che col denaro di lui ha costrut-
ta la sua magistratura comunale. Se non si appaga di tanto è un
vero tanghero, e merita davvero che a colpi di bastone lo incivili-
scano, e a colpi di calci lo spingano nel progresso.
Dopo ciò farà egli meraviglia che i contribuenti italiani, per quan-
to docili sieno stali a sopportare ogni pondo posto lor sulle spalle,
sieno stati nel fallo impotenti a più portarlo innanzi? I rendiconti
DAL 1860 AL 1870 IN ITALIA 159
governativi attestano difatli che il tesoro in nessun anno ha potuto
incassare tutto intero il contributo daziario dei suoi debitori, co-
sicché esso annovera tra i resìdui attivi delle annate preceda nti il
credilo enorme di 332 milioni di lire, accumulatesi d' anno in anno
con sempre ascendente progressione 1. Questa cifra è la più mani-
festa condanna del fìsco. Essa dimostra che le tasse furono spinte
al di là del limite, in cui potevano essere esatte, e sono pel popolo
non più la giusta retribuzione dei servigi che han diritto di doman-
dare al Governo, ma una insopportabile oppressione che li smunge
e li impoverisce.
Conchiudiamo adunque col raccorre in uno i fatti che l'esame di
questa prima sorgente del pubblico denaro ci ha messo sotto gli oc-
chi. La scienza economica invano ha indicate le leggi dell' equa im-
posizione di pesi sui sudditi: il Governo italiano o non le conosce,
o le vilipende. Essa vuole che non si ricorra senza estremo biso-
gno a tasse nuove, a tasse inaccclte, a tasse fastidiose ; ed il Go-
verno italiano ha invece creato nuove, inaccette, fastidiosissime
tasse. L'economia pubblica vuole che le tasse sieno proporzionate
alla prosperità del paese, tocchino parte dei risparmi*!, salvino gli
oggelli di prima necessità al nutrimenlo e all' industria; e il Go-
verno italiano non ha guardato a condizione e stato delia fortuna
pubblica, ha ingoiato tulli i risparmi!, e spsso anche parte del ne-
cessario, hi tassato le materie p ime e le derrate alimentari di
maggior uso. L'economia vuole che le tasse sian di facile esazione,
1 « Causa di questo doloroso cambio di un residuo attivo in passivo sono
gli arretrati nelle imposte, che non si esigono ( dice il Ministro ) e che for-
se non sono neppure esigibili. — E primamente vi sono quarantanove mi-
lioni di disperata esazione : il Ministro ha creato ima Commissione per depen-
narli. Poi t1 è un altro arretrato di cento e trentotto milioni, il quale consta
in gran parte di somme di difficile e d'impossibile incasso, perchè dovute da
perso e irreperibili... Ed io prevedo ( continua a dire il Ministro) che al fine
dell'anno 1370 avremo un arretrato pari all'attuale cioè di cento e trentotto
milioni. Insomma mettendo Insieme queste ed altre cifre enumerate nella rela-
zione ministeriale si viene a formare una somma di circa trecento e cinquan-
taduc milioni, la quale (dice testualmente la relazione del Ministro ) figura nei
residui aitivi, ma non sarà riscossa ! » Cosi il deputato M. Pescatore nel suo
libretto Politica finanziaria, a pag. 10-11.
160 SGUAPDO SOPRA L AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
spoglie d' ogni vessazione fiscale e d' ogni inceppamento ammini-
strativo; e il Governo italiano ha imposte tasse che non ha potuto
esigere, ed ha colle seccantissime noie dei gabellieri ed esattori resa
sempre più pungente la spina che ogni pagamento infigge a chi pa-
ga. Fu questa insipienza, o fu necessità? Se si polca far diversamen-
te e non si seppe, son condannati tutti gli uomini che han guidato in
questo decennio le sorti d' Italia. Se si sapea far diversamente, ma
non si potè, è condannato il mutamento stesso cui quegli uomini
costrinsero l'Italia ad accettare. Nessuno dei due casi torna a lode
della rivoluzione avvenuta.
IV.
Se non che tutte coteste tasse, per quanto abbiano impoverito i
cittadini, non sono bastate ad empiere l'ingordo ventre di quell'ar-
pia, che il fisco italiano è divenuto. Avendo essa sempre più fame
dopo il pasto, ha cercalo nuovo alimento a divorare: e non trovan-
done più sul desco dei suoi, ahi troppo miseri contribuenti, che si
sono lasciati spolpare infino all'osso, ha dovuto far ricorso ad altro
spediente: quello di porre all'asta pubblica il fior fiore della ricchez-
za nazionale. Tutti i beni demaniali sono già venduti : venduti con
improvvido baratto i possedimenti dello Stato, venduti con enorme
sacrilegio i beni ecclesiastici, venduto con rovinoso sbaraglio le vie
ferrate. E tutte coleste vendite fatte si può dire quasi a un tempo, se
hanno arricchito pochi coni piatoli, non han dato al tesoro neppure
la terza parte del valor loro effettivo, ed hanno aggravato l'avveni-
re di lutti gli obblighi inerenti a quelle felici proprietà. Esse dun-
que se hanno dato un piccolo vantaggio momentaneo, han cagiona-
to al fisco slesso un danno perpetuo e di gran lunga maggiore.
Ma il peggior danno V han cagionalo ai cittadini. Le rendite in
primo luogo che quei beni producevano dovranno nell' avvenire es-
sere supplite dalle tasse: e le tasse tocca loro a pagarle. In secondo
luogv> i beni demaniali, tra' quali erano luoghi boscosi in gran nu-
mero, offrivano ai conterranei alcune comodità, come quella di le-
gneggiare, odi pascolare: questi vantaggi sono tolti ai cittadini. In
terzo luogo il clero proprietario sì regolare sì secolare soccorreva
le famiglie proprie, soccorreva i poveri : il clero spogliato dev' es-
DAL 1860 AL 1870 IN ITALIA 161
sere soccorso dalla carità dei fedeli, acuì incombe inoltre di pen-
sare alle spese del culto, della beneficenza, della istruzione. Quan-
to danno ai cittadini sol da questo lato?
Ecco dunque bel pio' di tal divisamento : gran danno presente,
lo spossessar l'Italia di tanta ricchezza; gran danno avvenire, l'ag-
gravare 1' Erario di tante spese future, e i cittadini di altrettanti e
più oneri, per solo avere una sprizzatina di quattrini, sfumatisi an-
che prima d' incassarsi.
Ma né le tasse né le vendite sopperivano tanto denaro, quanto lor
domandavano le spese fatte dal Governo. Bisognò ricorrere a una
terza e più larga vena, che bastasse a dissetare quella sì insaziabile
sete; la vena dei prestiti. Quattro volte l'Italia ha fatto ricorso a
tal rimedio: tre volte con prestili volonlarii, una volta con prestito
forzoso : cosicché le riuscì per questa via di aggravarsi di un debito
di parecchi migliardi, e di obbligarsi a sborsare ogni anno in interes-
se molto più di cento milioni di lire. Vediamo quali effetti produsse
questa operazione.
All'erario in proporzione del sollievo avutone l'aggravio fu ecces-
sivo : perchè i prestiti si contrassero dal 60 al 65 per ogni o lire
di rendita, e dovranno restituirsi al 100, colla perdita enorme del
35 al 40 per % : oltre i parecchi milioni che andarono disper-
si nell'atto della contrattazione, sotto il titolo di commissioni e di
spese per l' incasso del denaro. Pochissima e quasi nessuna par-
te di questa ingente somma andò in opere pubbliche produttive:
quindi per l'avvenire del tesoro nessun alleviamento. Anzi un cnor-
missimo aggravio, per gì' interessi che deve ogni anno sborsarne ai
possessori della sua rendita consolidala.
Alla popolazione italiana poi il danno di questi prestiti non è stato
punto leggiero. Lasciamo di attirare l'attenzione dei lettori sopra la
necessilà che ogni prestito porta seco di aumentare le spese degli an-
ni avvenire per pagarne gì' interessi; questo è danno che salta trop-
po agli occhi, anzi può dirsi la cagione potissima di tutti i danni che
in fatto di tasse abbiam dimostrali. 11 prestilo d'oggi tocca a pagar-
lo alle tasse di domani: lo sanno tutti. Parliamo invece dello svili-
mento delle cartelle consolidale, che è naturalmente intervenuto,
Serie YIl, voi XI, fase, 488. 11 6 Luglio 1870.
162 sguardo sopra l' amministrazione finanzi \ma
ed è lutto danno dei possessori loro. Ninno igeerà che settate da
principio i capitali forestieri siano stati quelli che concorsero prin-
Cip ilissimamente a coprire quei prestiti, dal 1866 in qua il dil
zo fece rifluire in Italia quei titoli abbassati di prezzo, cosiceli ■
a mala pena può tenersi che di tutta la rendita italiana un Ho milio-
ni soltanto trovinsi in mano di creditori stranieri. Tutto il reato tro-
vasi nelle mani degli Italiani.
Ora essendo la rendita stata imposta dell' 8 e '/, per */0: e il ca-
pitale d'ogni ìi lire di reudita essendo costretto ad oscillare tra il 56
e il 58: di tanto si trova oggi impoverito il capitale della ricchezza
privata, di quanto il saggio della emissione sorpassò il saggio del
corso presente; e di tanto scemò l' entrata annuale di quanto d
al fisco per l' imposta sulla rendita. Li prima differenza impoi la una
perdita presente al capitale dei risparmia ossia alla ricchezza pub-
blica, di più centinaia di milioni; e la seconda h
annuale per questo capitale di risparniii di sopra 20 milioni eh
gansi al fisco. Non è certo molto onorevole all' amministrazione del-
l'Italia un tal risultalo I
Collo tasse, colle vendile, coi prestili sogliono per gli Siali, re-
golarmente amministrati, esaurirsi tutti i partili da far denari :
l'Italia è slata più feconda, ed ha fatto ricorso a un partito dei più
straordinarii, alla carta fiduciaria. Si può quasi essa ha
creato col mezzo dei torchi da stampatore il denaro da spendere.
Due sorli di carta fiduciaria ha introdotto in Italia: i Boni del teso-
ro, e i Viglietti dello banche private col corso forzoso. Nel II
rendiconti governativi accusano nientemeno che 'JOO milioni di Bo-
ni del tesoro, e gli >lati delle banche, autorizzale o non autorizzate,
accusano 067 milioni di viglietti circolanti l. Correvano adunque in
Italia in carta fiduciaria dei due generi nientemeno che 1261 milio-
ni di lire : una buona mela dei quali era servita a tornir le fìuanzc
di nuovi mezzi da prendere.
Per fare disastro che alla fortuna pubblica cagionò
un tal provwdimento, bisogna prima rapidamente accennare qual
1 Di questi %7 mikoui di \ inietti, appartengono nlle Amiche autorizzate
949 milioni, ed agl'istituti non autorizzati 18 milioni di lire.
DAL 1860 AL 1810 IX ITALIA 163
sfa il denaro occorrente alla circolazione in Italia. Non è difficile il
calcolarlo, sopra elementi al a sicuri. Basta l'indagare qual
i di moneta metallica, e di carta fiduciaria che seni-
transazioni del paese prima del corso forzoso.
>ndo il eh. Dr. Maestri, Direttore dell'Ufficio di Statistica ge-
Regno, tutta la moneta metallica che è stata coniata da
tutti insieme gli Stati d'Italia dal 1803 al 1866, ascende in cifra ro-
*>00 milioni di lire. Defalcando da tal somma i 300 milio-
ni di lire che vennero nello stesso spazio di tempo demonetizzate,
la moneta italiana circolante in Italia non potea sor-
; 1 200 milioni di lire. Il movimento monetario internazio-
fròo al 1864 non alterò mai sensibilmente questa cifra: perche
tto la deposizione e il parere degli esperti, interpellati dalla
limone di inchiesta pel corso forzoso 1, l'importazione e
one dei metalli coniati si erano costantemente bilanciate,
mutando cosi non il valore, ma 1* impronta del numerario accumu-
lato in Italia.
Ma dal 1864 all'Aprite del 1866, epoca del corso forzoso, le fac-
cende non andarono del pari. Si formò allora una corrente di espor-
tazione metallica dall'Italia nell'estero, la quale fece uscir fuori dello
Slato vistosissime somme di denaro. À determinare con molta vero-
ianza questa cifra, accettiamo i calcoli e i ragionamenti del de-
putato Busaeca, recando in mezzo le sue medesime parole 2, che
suonano appunto così: « Noi crediamo, che pei grandi prestili fatti
all'estero, per le società industriali formatesi con capitali esteri in
Italia, e per essere il commercio italiano in un periodo ascendente,
l'importazione del numerario in Italia nei primi anni del suo risor-
gimento sia stata considerevolmente superiore all' esportazione. Pe-
1 1861 in poi a questo moto ascendente successe il discenden-
te, e per il ritorno dei titoli di debito pubblico, e d'altri valori com-
merciali che l'estero respingeva in Italia, per il ritiro dei captali
esteri impiegati nel commercio italiano, e in generale per la deca-
1 V. Inchiesta, voi. 3, pag. ì:
v, Studii sul carso forzosa. Firenze. 1 87ò, pag. 176.
164 SGl'ARDO SOPRA i/ AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
denza dei credito e del commercio, per cui le partite dovettero sal-
darsi in buona parte in metallo, il capitale metallico al 1° Maggio
1866 era già grandemente diminuito, e crediamo essere più vici-
ni al vero riducendone la valutazione a un miliardo. » Son dunque
due cento i milioni di moneta che il Busacca pensa sieno stati per-
duti dalla piazza italiana sopra l'antico suo numerario circolante,
perchè migrati dal paese nei due sopraddetti anni. E tanto più vo-
lentieri noi accettiamo questa cifra, quanto che essa ha un riscon-
tro nella valuta dei biglietti di Banca adoperati dal traffico in Italia
nel 1866, i quali sopperirono in gran parte alla deficienza di que-
sto numerario.
La cifra positiva di questi viglietti può con quasi piena certezza
asseverarsi, perchè essa è data dai libri di conti delle varie banche,
che ne aveano facoltà. Eccone le partite.
Banca nazionale (28 Apr. 1866) 116,908,779:20
Banco di Napoli (Apr. 1866) .' 96, 580, 710: 93
Banco di Sicilia (31 Dee. 1865J 28,708,772:01
Banca nazionale toscana (30 Apr. 1866; ... 23, 924, 360: 00
Banca toscana di Cred. industr. (1 Magg. 1866). 244, 000:00
L. 266,360,622:14
Giravan dunque, l'Aprile del 1866, per le mani degl'Italiani po-
co più di 266 milioni di lire in viglietti di Banca. Ai quali volendo
unire i boni del tesoro per la somma di cento milioni, massimo va-
lore che ne fosse allora in corso; la carta di credito funzionante da
moneta calcolatasi al massimo a 366 milioni.
Riunendo le due cifre e calcolando il deposito metallico, guarcn-
tia dei viglietti, esistente inoperoso presso le Banche, ne dedurre-
mo che lutto il traffico italiano compieva» entro i confini dell'Ita-
lia con una somma di valori, tra metallici e cartacei, non superiore
a 1300 milioni di lire.
Or paragonando questa cifra dei valori fiduciarii correnti nel 1869
in Italia, troviamo che quasi da sé soli essi basterebbero al bisogno
del commercio interno. È naturale adunque che il numerario siasi
DAL 1860 AL 1870 IN ITALIA 163
o mandato via dalla sp ecolazione, o serbato dalle banche, o nasco-
sto dalla diffidenza. Presso le banche alla fine del 1868 trovavansi
quasi 234 milioni come riserva : presso i trafficanti in metalli conia-
ti si valuta dai periti trovarsi in quel tempo un presso ad 80 mi-
lioni : nelle casse del tesoro pubblico non dovea esservene gran fal-
lo, perchè a pagare i 40 milioni di rendita all'estero il Governo do-
vette ricorrere alla Banca. Alla diffidenza che nasconde ed alla
minuta circolazione metallica che pur rimase in vigore il massimo
che possa debitamente attribuirsi è di 100 milioni. Rimangono dun-
que, poco più poco meno, 600 milioni di moneta effettiva italiana
trasportati all'estero. Novecento milioni di carta di più e 600 mi-
lioni di moneta di meno: tale è la condizione fatta all'Italia dal
corso forzoso.
V.
Difficilmente può dirsi a parole il danno che una cotal depravazio-
ne del principalissimo strumento dei cambii ha cagionato alla for-
tuna pubblica e privata dell' Italia. 11 corso forzoso, invadendo ne-
cessariamente nei loro più piccoli anfratti le libere vie delia circo-
zione del cambio, ha reso duro, difficile, spesso impossibile il pur
procedere, non che il correre aH'attuosità commerciale della nazio-
ne. Alcuni soli degli effetti di questo ansioso e arduo cammino ba-
stano a fare intendere la gravezza dei danni eh' esso recò alla ric-
chezza italiana.
La difficoltà dei cambii coli' estero ne ha scemate sempre, di-
strutte spesso le contrattazioni; cosicché molti commercianti, e
molti fabbricanti, i più esigui e perciò stesso i più bisognosi, si sono
veduti astretti a rompere la loro industria, o alla men peggio ad
esercitarla non più per averne profitti e risparmii, ma solo per non
perire di fame. Tutta poi intera la popolazione ne è rimasta gravata
dall'aumento intervenuto nelle mercanzie di origine forestiera. Que-
sto aumento era pei compratori raddoppiato; giacché dai trafficanti
si chiedeva loro sui prezzi correnti prima, tanto di più por l'agio
cittadino della moneta, e tanto di più per l'invio più costoso del de-
naro ai fabbricatori esteri.
166 SGUARDO SOPttÀ L AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
Questo aumento si è avverato altresì nei prezzi di tutte le derra-
te e le manifatture paesane, perchè ciascun mercantiere s'è creduto
in dritto di stimare la propria masserizia alla ragione di valuta me-
tallica, e di aggiungere la differenza del cambio tra la moneta e la
carta al prezzo richiesto. Ne! che fare si è ecceduto quasi sempre in
favore dei venditori, e l'aumento una volta introdotto alla stregua
dei primi cambii che furono altissimi, non s' è ilo poscia calando al
calare dei cambii divenuti più tollerabili. Intanto né i salarii degli
operai, nò i soldi degl'impiegati, né i censi, né le rendite pubbliche
eransi punto nulla aumentati: e quindi ogni persona, senza vedersi
crescere l'entrata, fu costretta a sopportare un gravissimo cresci-
mento di spesa. Indi dissipamento de'risparmii accumulali innanzi,
privazione stentata di molte comodità, e per la massima parte della
più sottile popolazione disagi e patimenti senza nùmero.
All'elevazione dei prezzi in Italia fece contrapposto l'abbassa-
mento del credito per tutti i valori nazionali. Il corso forzoso gene-
ra sempre questo effetto per doppia influenza: per quello che esso
è, per quello che esso significa. Esso è una confessione evidente di
mal essere finanziario : esso significa un esaurimento assoluto di
tutti gli altri rimedii, valevoli a sollevare la fortuna pubblica. In-
tacca dunque direttamente il credito di tutta una nazione innanzi
agli stranieri, e lo affievolisce grandemente innanzi ai paesani. Or
che altro sono i valori nazionali se non titoli di credito? e per con-
seguenza di che altro essi si sostengono se non della estimazione
che questo credilo gode effettualmente presso tutti? Scemata que-
sta, scema il valore. Cosi dovea essere, e così fu: né abbiasi bi-
sogno a provarlo di far altro se non che invitare i nostri lettori a
consultare i listini delle borse italiane e forestiere di prima e di
dopo il corso forzoso. Esso dunque ebbe per effetto di diminuire
d'un tratto la ricchezza pubblica, il capitale cioè accumulato per
la serie di pareechi anni dal lavoro e dalla temperanza degl'Italiani.
Oltre alla perdita effettiva di una più o meno grande porzioncel-
la di proprietà, il corso forzoso produsse un ingiusto e continuo
spostamento di proprietà nei possidenti, una timorosa incertezza di
affari nei mercatanti. Il continuo oscillare degli (ujtji sui cambii
DAL 1860 AL 1870 IN ITALIA 167
esterni ed interni : il continuo variare della tassa sui valori gover-
nativi o commerciali, nulla più rendeva sicuro pei calcoli dell'avve-
nire, anche non remoli: e spesso una commissione creduta vantag-
giosa nel momento del darla, diveniva perniciosa nel momento del
riceverla; ed una somma in valori preparata per un pagamento
non era più sufficiente nel momento dello sborsarla; e certi con-
tralti antichi che obbligavano a soddisfarli col numerario riusci-
vano rovinosi nell'atto di eseguirli, e certi impegni nuovi si evitava
di assumere, perchè non potevasi correre il rischio del pagamen-
to in moneta che si pretendeva dall' una delle due parti. Il perchè
effetto naturale di questa doppia incertezza fu il rallentamento delle
grandi e anche mediocri intraprese: giacché non si avventurano le
grosse somme sopra il dubbio: e né l'industria laboriosa né il com-
mercio onesto possono fondarsi sopra il giuoco incostante della in-
certezza. Da tutti i lati adunque pernicie e disastri: tutte le fonti
della ricchezza illanguidite o disseccate; capitali accumulati, baratti
"vecchi, intraprese nuove, faccende, lucri, industrie, guadagni. Ec-
co i frutti proprii della mala pianta del corso forzoso.
Ma qui non s'arresta tutto il danno del corso forzalo dei viglietli
di Banca. I pericoli dell'avvenire sono ancor peggiori dei danni del
passato. Odasi come li descrive una penna non sospetta, quale cer-
tamente è il eh. deputato Servadio 1. «Io mi limiterò a richiamare
la vostra attenzione sui pericoli ai quali sarebbero esposti il paese
e lo Stato, qualora fossimo colti da una crise politica, commerciale,
o annonaria sotto il regime del corso forzato. Appunto perchè per
rara felicità del nostro paese noi abbiamo attraversato un periodo
fortunato scevro di crisi politiche e con abbondanti ricolti, è non
solo lecito ma è dovere di savio legislatore il prevedere una coi-
dizione di cose assolutamente contraria. È fatto troppo notorio che
In Italia un abbondante ricolto di cereali eccede di poco i bisogni
del consumo, che un ricolto medio non basta ai bisogni, e che un
1 Relazione, Progetto di legge e Discorso del deputato Giacomo Serva-
no. Firenze, 1870. Pag. 8.
168 SGUARDO SOPRA L AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
rirollo cattivo basta appena ai 9/10 delle urgenze del paese 1. Or
bene: basta dunque fare l'ipotesi di una carestia anche parziale per
tosto figurarsi le perturbazioni, le sofferenze, i pericoli che da que-
sto fatto potrebbero sorgere, qualora il paese soggiacesse tuttavia
al corso forzalo dei biglietti di banca. Se per sventura nostra in
siffatte condizioni di cose fosse mestieri inviare all'estero le somme
occorrenti all'acquisto anche di 1/10 soltanto dei cereali necessari!
al nostro consumo, chi ci può dire da quale crisc sarebbe minac-
ciato il paese? quali sacrifìzii dovrebbe sopportare per raccogliere i
200 e più milioni di lire che imperlerebbero gli 8 milioni di etto-
litri di grano indispensabili a soddisfare i bisogni più specialmente
delle classi meno agiate d'Italia? Chi saprebbe indicare quali sa-
rebbero i patimenti e i danni che ne potrebbero derivare ? Chi
oserebbe prevedere il limite al quale si arresterebbe l'aggio, e le
perdite che graviterebbero sull'erario nazionale pei pagamenti in oro
che egli si è obbligalo di fare all'estero? Chi ne assicura che in
tanto dissesto economico anche le basi stesse dello Slato non venis-
sero poste a cimento e l'Italia non avesse a soggiacere fra le agita-
zioni di una crise politica e sociale ad un tempo? »
VI.
Il nostro rapidissimo studio intorno alle sorgenti, donde il Go-
verno italiano ha tratto il si gran denaro sciupato in questi nove
anni, è terminato. Da esso deducousi due conseguenze : la prima ri-
sguaida il concetto generale che ha governalo la scelta di tai mez-
zi: la seconda risguarda l'effetto pratico che una tale scelta ha
conseguito.
Noi potremmo asserire che la cagione potissima di tanti dis-
sesti sia stata l'ingordigia di arricchire, a spese del povero po-
polo d' Italia, in coloro che han maneggialo la mestola sia nel fare
l'Italia una, sia nel governarla. Ne avremmo tutto il diritto : giacché
1 Vedi l'opera: Saggio sul Commercio esterno del regno d'Italie 'negli
anni 1862-63. Pubblicazione governativa, anno 1865, p. <)!>.
DAL 1860 AL 1870 IN ITALIA 169
molli fatti ci sono che darebbero ragione a questo severissimo giu-
dizio, e molle autorità non sospette lo convaliderebbero. Basti per
tutte questa sola del dep. Pescatore, caldissimo campione dell' Ita-
lia una, nella prima delle sue lettere agli elettori. Esso dice così.*
« Dell' orribile dissesto quali sono le maledette, le infernali cagio-
ni? L'Italia, amici miei, come altra volta dai barbari, ò invasa da
un orda di selvaggi interessi : sono interessi di ambizioni immo-
derate, immense; interessi di cupidigie insaziabili, sfacciate; inte-
ressi di militarismo; interessi di partili, di province, di regioni •—
di chi poco o nulla vorrebbe conferire alla cassa sociale, e prender-
vi la parte più opima; in una parola, sono gli interessi di un egoi-
smo insensato, che conduce alla rovina universale o al disonore: e
pur tutti combattono, gli uni contro gli altri, sotto la maschera del
pubblico bene, colla veste e col baslon del guardiano, gagliardo
difensore del gregge: ma sono lupi: la greggia, premio e preda dei
vincitori. » Si può dir nulla di più chiaro, o di più crudele? Pur
tuttavia non negando a questa cagione la sua parte non picciola di
concorso, asseriamo per amor del vero che la principale, la potis-
sima causa fu l'insipienza dei governanti.
Il concetto generale del sistema finanziario d' Italia fin qui seguito
si fu di non avere nessun concetto ragionevole nell'ordinamento del-
le finanze. Non il concentramento, non il discentramento, non la ri-
forma del sistema daziario, non la protezione all'industria cittadina,
non il ristoramcnto dell' agricoltura, non la semplicità dell'ammini-
strazione, non il governo a buon mercato, non la regolarità nei pesi.
Tutto è ito a casaccio, e quindi alle peggiori. Unica regola, che ha
diretto tutto il sistema, fu questa: trovare il denaro che si era spe-
so, o si voleva spendere, e trovarlo per la via più speditiva che
l'ora del bisogno presentasse. Sistema dunque di spedienli, che è il
sistema più rovinoso di tutti in fallo di finanze. Giacché esso costrin-
ge a passare da rovina a rovina, ma sempre crescendo, parche la
rovina seconda è peggiore della prima, la terza della seconda.
Avviene dello Stato che cammina per questa strada, quello che
del padre di famiglia che si gitta alla vita degli spedienli. Egli com-
bina il primo suo prestito al 5 per °/0 ipotecando per la prima voi-
nO SGUARDO SOPRA L* AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA ECC.
la i beni. Per pagare questo primo mutuo contrae un altro debito al
7 per % con una seconda ipoteca: e poi al 10 colla terza. Esaurite
#osì le garantie che poteva offrire coi suoi beni, ricorre all' usuraio,
e ipoteca la sua persona col firmare la prima cambiale al 18 per °/0»
Dopo tre mesi bisogna far onore alla firma, e la prima cambiale si
paga colla seconda, la seconda colla terza : ma l' usura è salita al
24, al 48 per °/0: e il debito da 1000 e montato a 10 mila. 11 po-
vero padre di famiglia è gittato sul lastrico, è oramai impotente a
pagar più nulla: l'ospedale o la carcere lo attendono. Chi lo trasci-
nò a questa brutta fine? Furono gli spedienti, i quali lo trassero di
disastro in disastro, fino all' ultimo che gli troncò per fino la possi-
bilità di spedienti nuovi. Qtteli* improvvido padre di famiglia fu il
fìsco d'Italia: esso procedette finora nella via degli spedienti; altri
ne tenta pur ora mentre scriviamo; altri glie ne rimangono tuttavia
da tentare. Ma la rovina si va facendo sempre più spaventosa, e la
fine tremenda delia bancarotta, se a tempo non si ritrae dal preci-
pizio, non potrà mancare. Vero è che il Governo non si darà per
vinto, se prima non vedià fallito, col pigliarsene tuttala roba, l'ul-
timo dei suoi sudditi, e sotto questo rispetto quel precipizio sareb-
be stoltezza a dirlo imminente. Ma questo è appunto il più crudele
di tutti i disastri che minacciano gì' Italiani: e che mostrano il bel
guadagno che essi hanno fatto coi mutamenti e colla rivoluzione.
(Sarà continuato)
LA DEFINIZIONE DOMMÀTICA
DELL' INFALLIBILITÀ PONTIFICIA
»00§§0OO-
Allorché questo nostro articolo cadrà sotto gli occhi dei nostri
lettori, la solenne definizione dommatica dell' infallibilità pontificia
o saia stata già proclamata dai sacrosanto Concilio Vaticano, o sarà
in procinto di essere proclamata. Noi dunque possiamo scriverne fin
d'ora come di avvenimento compiuto. E quali cose ne diremo? Una
sola: essere cioè questa definizione l'opera più grande del Conci-
lio Vaticano, l'idea suprema, per cui esso fu voluto da Dio. Tal è
il connetto, che per divino istinto ne sorge nell'animo de' fedeli; ta-
le il convincimento, che l'illuminata ragione ne genera nell' animo
de' sapienti. « Io credo, diceva giustamente l'egregio Monsignor
Vescovo di Nuova Orléans, io credo con lutti i buoni preti, con
tatti i buoni cattolici, che la definizione dell'infallibilità pontificia è
il negozio più rilevante del Concilio Vaticano; tutte le altre quistio-
ni, per gravi che sieno, agli occhi del mondo cattolico hanno ufi
interesse secondario 1. »
E vaglia il vero, dall' assodamento di questo domina dipende il
trionfo del Cattolicismo sopra il Razionalismo, la stabilità e la fer-
mezza del regno di Cristo sulla terra.
La Chiesa di Gesù Cristo non è istituita, come la società civile,
per procurare, qual suo fine prossimo e immediato, il solo ordine
esterno. Essa è istituita principalmente per procurare l'ordine in-
1 Vedi YUnivers, n. 11 il.
ilì LA DEFINIZIONE DOGMATICA
terno, di cui l'ordine esterno è manifestazione e sequela. Ora cote-
sto ordine interno è fondato sulla fede, sopra cui si eleva l'edilìzio
della speranza e la certezza dei beni d'ordine soprannaturale, al
conseguimento dei quali in questa divina società tendiamo. Dunque
l'autorità, che all'acquisto di siffatti beni muove e governa la nostra
operazione, deve di necessità esser tale, che riguardo alla fede, da
essi supposta, regga la nostra credenza. Questo secondo elemento è
implicito nel primo: l'autorità magistrale è qui condizion prima ed
assoluta dell'autorità giurisdizionale. Dunque quel potere che nella
Chiesa è supremo in fatto di giurisdizione, è supremo altresì in fat-
to di magistero. Come è inappellabile rispetto a quella, in egual mo-
do è inappellabile rispetto a questo. Se è irrepugnabile nel coman-
do, dev' essere irriformabile nel giudizio. Di che segue inevitabil-
mente che il Pontefice nella Chiesa di Cristo non potrebbe essere
riconosciuto come supremo ordinatore dell'azione, senza essere al
tempo stesso riconosciuto come supremo giudice della credenza.
E perciocché qui la credenza è tale, che esige pieno e fermissimo
assenso dell'intelletto, e ad assentire irremovibilmente coll'intelletto
non può obbligare, se non un'autorità infallibile; uopo è che il
Papa sia infallibile. Negare la sua infallibilità, varrebbe altrettanto
che distruggere il suo Primato; e quindi sconvolgere la gerarchia
e con essa l'organismo e la vita stessa della Chiesa.
Alla medesima illazione possiam venire sillogizzando in que-
st'altra forma. Ogni cosa in tanto mantiene il suo essere, in quanto
mantiene la sua unità. Ciò come e vero per le esistenze fìsiche, così
è tgco altresì per le esistenze morali. Rompete un vaso, voi l'avete
distrutto ; sciogliete un esercito, voi non avrete, che una moltitudi-
ne disordinala. Quegli dunque, acuì, come a Capo supremo, è
commesso l'ufficio di conservar la Chiesa nell'essere, è commesso
conseguentemente l'ufficio di conservarla nella sua unità. Or l'unità
della Chiesa ha per base l'unità della fede; e l'unità della fede non
può sussistere, se chi ha cura di mantenerla non sia infallibile nel
sentenz are, rispetto ad essa e rispetto agli errori che tentassero di
oscurarla. Se dunque il Pontefice è capo supremo nella Chiesa di
Gesù C listo, e quindi a lui è dato l'ufficio di mantenerla nell'essere
dell' infallibilità pontificia 173
e nella unità, egli è infallibile nei suoi giudizii intorno alla fede; il
suo Primato per questa parte si confonde colla sua infallibilità.
È questo in altri termini l'argomento di S. Tommaso, là dove co-
sì ragiona: « Una dev' esser la Fede di tutta la Chiesa, secondo la
prescrizìon dell'Apostolo: Dite tutti lo stesso, e non siano scismi tra
voi. Ora ciò non potrebbe mantenersi, se le quistioni, che sorgesse-
ro intorno alla fede, non fossero decise da Colui, il quale presiede a
tutta la Chiesa, sicché la sua sentenza sia da tutta la Chiesa ferma-
mente tenuta. E però alla sola autorità del sommo Pontefice appar-
tiene il formar nuovi simboli di credenza, come a lui appartiene
l'ordinare tutte le altre cose, riguardaci la Chiesa universale. Una
Fides debet esse tolius Ecclesiae, secundum illud (l.a ad Corint. 1):
Idipsum dicatis omnes et non sint in vobis schismata; quod servavi
non possel, nisi quaestio Fidei exorta determinetur per eum, qui
Mi Ecclesiae praeest, ut sic eius sententia a tota Ecclesia firmi-
ter teneatur. Et ideo ad solarli auctoritatem Romani Pontificis per-
tinetnova editto symboli, sicut et omnia alia quae pertinent ad totani
Ecclesiam 1. » Negata dunque l'infallibilità pontificia, è rimosso il
fondamento a cui è poggiata la stessa sua suprema giurisdizione,
e quindi è sciolto il vincolo dell'unità della Chiesa, l'esistenza di lei
è distrutta.
La Chiesa è il regno di Cristo quaggiù. E di che natura ò questo
regno? Esso è il regno della verità. Tal fu la solenne dichiarazione
che Cristo slesso ne fece dinanzi a Ponzio Pilato. Dopo aver Egli
asserito di essere Re, Rex sum ego, soggiunse che la sua missione
era l'affermazione e l'assodamento della verità: Ego in hoc natus
sum et ad hoc veni in mundum, ut testimonium perhìbeam ver itati.
Or questa missione di Cristo è cessata? No ; egli l' ha trasmessa alla
sua Chiesa : Sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Onde la Chiesa
è detta dall' Apostolo Columna et firmamentum veritatìs. Ma sopra
qual base è poggiala questa colonna della verità? Sopra di Pietro,
Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam.
Or come potrebbe Pietro, e conseguentemente il Romano Pontefice,
1 Stimma Ih. 2.a 2.a q. I, a. X,
174 LA DEFINIZIONE DOGMATICA
esser sostegno del regno della verità, se egli non fosse infallibile?
Negargli V infallibilità, vale lo stesso che levargli la prerogativa di
fondamento delia-Chiesa di Cristo, e quindi costringere essa Chiesa
a rovinare, mancandole il fondamento, su cui è stata innalzata.
Il Pontefice Romano è il Vicario di Cristo. Egli dunque è il con-
tinuatore nel mondo dell'opera di Cristo; egli è invece di lui il te-
slimoniatore della verità presso, noi. Cristo è la bocca del Padre ; il
Papa è la bocca di Cristo. Il Padre nella pienezza de tempi ci ha
parlato per mezzo del Figlio, loquutus est nobis in Filio ; il Figlio,
dopo il suo ritorno al Padre, continua a parlarci per mezzo del suo
Vicario. Ora in una bocca siffatta, in una siffatta parola, è mai con-
cepibile che si possa trovar la menzogna ? E dove ciò fosse possi-
bile, non sarebbe issofatto svanita la missione di Cristo e distrutto
il suo regno? Assodare dunque }' infallibilità del Pontefice importa-
va niente meno, che assicurar la durata del regno di Cristo sulla
terra. E ciò tanto era più urgente nel tempo nostro, in quanto lo
scopo della guerra satanica d' oggigiorno è appunto di scoronar Cri-
sto e spezzarne lo scettro. Nolumus hunc regnare super nos ; è
questo il grido infernale d' ogni gcnerazion di settarii. Vedete dun-
que se opera più rilevante potea fare il Concilio, che quella di con-
solidare in maniera incrollabile l'infallibilità del Romano Poni-
E questa è la ragione, per cui noi abbiamo veduto sopra di essa
appunto ingaggiata, si aspramente la lolla tra i duo opposti campi,
della verità e dell' errore. Si ricordino qui gl'innumerevoli scritti
usciti ultimamente alla luce in favore dell' infallibilità ponliiicia ; le
petizioni e gl'indirizzi, che da ogni parte del mondo cattolico «
sono spediti al Papa e ai Vescovi, per dimandarne la ci defi-
nizione; il commovimento universale, che si è suscitato non solo
nel Clero supcriore e inferiore, ma anche tra gii stessi laici, .
a Dio. Nel che principalmente si è segnalata la Francia, a cui giu-
stamente premeva di smentire in modo solennissimo l'i
lunnia, onde si attribuiva a lei lutlaquanla il traviamento di alcu-
mosliare a lamp ali provo di fatto, che il (iallica-
nismo era tuli' altro che il sentimento di una Chiesa, la quale van-
ta tra i suoi dottori un S. Ireneo, un S. Ilario, un S. Bernardo.
dell' infallibilità pontificia 175
Ella volle chiarire in faccia al mondo che la Chiesa di Francia me-
ritava tuttavia l'elogio, già frìttogli da Gregorio IX che ella in fer-
vore Fidei et devotione erga Apostolicam Sedevi non seguitar alias,
sed antecedi t. Nazione giustamente designata col soprannome di
r.rande; perchè, astrazion fatta da qualche eccezione non imputabi-
le a lei, ella si trova ad aver sempre le prime parli in tutto ciò che
è veramente nobile e generoso. Ma mentre il lettore richiama alla
memoria queste cattoliche manifestazioni, piene di zelo e di amore,
rimembri altresì di quanto odio ricolma e di fiele e di feroce acca-
nimento è stata per opposto là guerra degli avversarli. Menzogne,
calunnine, minacce, seduzioni, tradimento, denaro, eccitamento ad
ire popolari, ad intervenzion di Governi , tutto , quanto ci ha di più
basso e vergognoso-, è stato messo in opera per forviare la pubblica
opinione, gittar la discordia tra i fedeli , e spaventare, se fosse sta-
to possibile, i Padri della veneranda assemblea. I soli tempi del-
l' Arianesimo ci presentano qualche cosa di simigliante; ed era ben
naturale che la più alta prerogativa del rappresentante del Verbo
divino soffrisse la medesima contraddizione , che già incontrò la
prerogativa prima e fondamentale di tulle le doti competenti ad es-
so Verbo. I novelli Ariani non lasciarono intentato mezzo alcuno,
per impedire la tanto dai sinceri cattolici desiderata, e tanto ad essi
odiosa definizione; e quando videro non poterla evitare, sì volsero
con sacrilega impudenza a sparger dubbii sul valore delle delibera-
zioni del Concilio.
Senonchè il beni gaissimo Iddio, il quale sovente si piace di far
convergere all' adempimento de' suoi disegni gli stessi sforzi contra-
rli de' suoi nemici, fé servire questo contrasto degli odiatori dell' in-
fallibilità pontificia alla sua più pronta definizione. La violenza, con
cui si voile impugnarla, da opportuna la rese necessaria. Le minac-
ce , con cui si vollero intimidire i Padri , valsero anzi ad eccitarne
il coraggio e la fermezza. Il concorso, che si accettò, degl' incredu-
li, dei settarii , della stampa anticristiana, degli aperti nemici di
Dio, per crescere la schiera degli opponenti, si converti in argo-
mento per confermare negli animi la credenza di una dottrina, che
si vedeva combattuta da siffatta genia. Noi abbiamo udito più volte
176 LA DEFINIZIONE DOMMATICA
dalla bocca di molti Vescovi che se mai non fossero stati convinti ,
come lo erano, della verità dell' infallibilità pontificia, se ne sareb-
bero persuasi al solo guardare la qualità di coloro, che la oppu-
gnavano.
Si affacciava contro la definizione di questo domma cattolico l'ani-
mosità di potenti politici, e lo stato presente di Europa, gravido di
prossime perturbazioni e scompigli ? La divina Provvidenza costrin-
se i primi per vie inaspettate ad uscire dalla vita pubblica, e quan-
to al secondo rinnovò il prodigio operato già con Israello : Fiant
immobiles quasi lapis, donec pertranseat populus tuus. Una pace
universale, contro ogni previsione umana, ha permesso che proce-
dessero tranquille le deliberazioni conciliari, fino alla sospirata de-
finizione. Questo straordinario concorso della Provvidenza divina
mostra esso altresì evidentemente la grande importanza dell' ogget-
to, a cui favore interveniva.
Non meno ammirabile si è mostrata la Provvidenza divina nel
modo, onde ha condotta ad effetto la bramata definizione. Sembrava
ad alcuni che ella dovesse farsi per via di semplice acclamazione;
riputandosi ingiurioso alla certezza di una verità si cospicua e al
pacifico possesso che ella avea nella credenza cattolica, il solo as-
soggettarla ad esame. Ma d'altra parte l'omissione d'un tal esame
avrebbe dato ansa agli avversarli d' imperversare, accusando come
tumultuario e non prodotto da riposato giudizio, ma da impeto di
cieco entusiasmo un volo, al quale non fosse ita innanzi una ben
ponderata discussione. Or la sapienza divina ha voluto che l'un
modo e l'altro si avverasse: quello cioè della acclamazione, e quel-
lo altresì della discussione. Si avverò l' acclamazione , quando
presso a secento Padri, vai quanto dire la quasi totalità del Conci-
lio, chiese concordemente e con fervide istanze non già che si
mandasse a partito, bensì che si definisse dommaticamente con pa-
role escludenti ogni dubbio questo punto di dottrina cattolica, llu-
milliiiw instanterque flagitant ut apertis omnemque dubitandi lo-
cum excludentibus verbis sancire velit supremam ideoque ab er-
rore immvnem esse Romani Ponti ficis auctoritatem. cu tu in re-
bus l'idei e( inorurn ea statuii ac praesipit, quae ab omnibus
dell' infallibilità pontificia 177
Chrhtijìdelìbus credendo, et tenenda, vel reiicienda et damnanda
sìnt. Questo famoso Postulato fatto al Concilio dagli stessi Padri,
che il componevano, a tutta ragione, può dirsi acclamazione. E che
altro è Vacclamazione, se non la pubblica e concorde approvazione
data ad un oggetto, che si professa per vero e per giusto, senza
porlo in disamina? Anzi tanto più questa solenne manifestazione
del scotimento dei Padri del Concilio merita il nome di acclamazio-
ne, in quanto essa fu fatta non a voce ma per iscritto, in modo
cioè più acconcio ad apparire effetto di deliberato consiglio e restar
presso i posteri splendida e non contrastabile testimonianza dell'ac-
caduto.
Coll'acclamazione volle la sapienza divina che si accoppiasse la
discussione. E qual discussione? Siffatta, che niun' altra potesse
mai a lei agguagliarsi, sia per l'estensione, sia per l'operosità e la
durala. Per ben otto mesi, dacché si raccolse il Concilio, essa fu
proseguita da prima privatamente tra' Vescovi e poscia in comune
nelle conciliari adunanze; e ciò con un ardore non mai più veduto
per qualsivoglia altro negozio, comechè importantissimo. Scritture
d'ogni qualità si son moltiplicate in gran copia, riguardanti la que-
stione sotto tutti gli aspetti possibili. Teologi di gran valore e tra i
più chiari di Europa han detto prò e contra tutto ciò, che potea
dirsi sopra tale materia. Gli stessi Padri colla voce e con la penna
trattarono ed esaurirono interamente la quistione ; sicché oramai
non restava altro, che ripetere il già ripetuto più volte. Più di
cento oratori con dotti e ben intesi discorsi parlarono nell'aula con-
ciliare ; fatto unico nella storia delle deliberanti x\ssemblee: e gli
altri, che pur erano iscritti, cedettero spontaneamente alla parola,
non vedendone più oggimai il bisogno. Ondechè a tutta ragione può
dirsi che niun domma, anzi niuna quistione al mondo sia stata,
come questa , sì ampiamente e sì accuratamente meditata, discussa
ventilata, innanzi di definirsi. E nondimeno essa era una verità
religiosa universalmente riconosciuta nella Chiesa di Dio, affer-
mata evidentemente nelle divine Scritture, e trasmessa per costante
e non interrotta tradizione dagli Apostoli infino a noi. Essa inoltre
Serie VII, voi. XI, fase. 488. 12 6 Luglio 1870.
118 LA DEFINIZIONE DOMMATICA
formava f oggetto dei più caldi voli del clero e del popolo fedele.
A che dunque un così prolungato e faticoso dibattimento?
La meraviglia stessa, che genera cotesto fatto, ci mosira che
esso fu retto da siugolare disposizione divina. E 1' allo consiglio di
Dio lo volle, acciocché la verità del domina definito sfolgorasse di
luce più viva alle pupille alquanto deboli, e ai dichiarati nemici
fosse tolto ogni prelesto a contrastarla, inoltre la soave ed amoro-
sa Provvidenza divina ha voluto che tal definizione costasse sì lun-
ghe ed accurate fatiche, acciocché meglio se ne riconoscesse ed
apprezzasse il benefizio. Noi siamo così fatti , per fralezza della
nostra natura, che poco slimiamo i beni, il cui conseguimento ci
riesce pronto ed agevole. Per contrario gli sforzi, lo studio, la
lotta che ci faccia mestieri per l'acquisto di cosa desiderata, è come
cote che acuisce il nostro intelletto ad apprenderne il pregio, e il
possesso, a cui finalmente ne giungiamo, ci cagiona letizia e dol-
cezza indicibile. Così è avvenuto nel presente caso. Euntes ibant
et jìebant mittentes semina sua; venientes autem veniunt cum
ej'uUatione portantes manipulos suos. Ciascuno può esserne testi-
monio a sé medesimo, per la coscienza di ciò che sente nell'ani-
mo; e l'universale tripudio, e la letizia, e le pubbliche manifesta-
zioni di giubilo, che ali' ora, in cui queste pagine vedranno la lu-
ce, avranno luogo dappertutto nel mondo cattolico, ne sono prova
lampante.
Ma non è da credere che un avvenimento così glorioso e retto da
Dio con dispensazione così singolare, debba fermarsi in sé stesso.
Esso sarà fecondo di prodigiosi effetti in tulli gli ordini sociali per
salute dei popoli. Iddio non opera a caso, né dà mano a grandi
mez::i per tenui tini. Noi non dubitiamo di asserire che come le ne-
gazioni sovvertitrici dell' autorità, le quali invalse o all'epoca del
Concilio di Basilea segnarono i principii della grande rivoluzione
polilicorcligiosa dei tempi moderni; così l'affermazione riparatrice
di tutte le prerogative del Seggio di Pietro, falla ora così solennc-
menle dai Concilio Valicano, segnerà i principii di un 1 es'aura-
mento in lutti gli ordini privali e pubblici della cristianità. Onde
nella serie dei secoli questo nostro sarà un giorno benedetto e magni-
dell' ^fallibilità pontificia 179
ficato, siccome quello che, grazie al Concilio celebralo sollo Pio IX,
ritornò la luce nel mondo oppresso ed involto dalle tenebre della
rivoluzione.
Siano grazie adunque e benedizione e cantico di lode al Dator
d'ogni bene per si benigna dispensazione, usata verso la nostra fiac-
chezza. Cantate Domino quoniam magni fwe fecit, annuntiate hoc
in universa terra 1. Noi sentiamo vivamente la forza e la grandez-
za del ricevuto benefizio, e ci rechiamo ad onore di confessarlo alta-
mente : Opera Bei revelare et confileri lionorificum est 2. Iddio si
è ricordato dei suo popolo, ed ha tolto di mezzo ad esso Y ultima
pietra d'inciampo, che gli restava. Di mezzo alle procelle, ond'egli
d'ogni parte era minacciato, gli ha allumato dinanzi alla vista quel
faro, cui tenendo d'occhio assiduamente, non può fallire al porto
della salute. Egli ha abbattuto il muro di divisione, che partiva i
fedeli, quasi in due campi. D' ora innanzi è abolita quella oltrag-
giosa qualificazione di gallicani ed oltramontani, raffreddatrice dei
cuori e separatrice degli animi. Un sol nome designerà i figliuoli
della Chiesa, quello di cristiani cattolici, riconoscenti nel Capo su-
premo, che li governa in nome di Cristo, le medesime prerogative.
Iddio ha volto un guardo amoroso alla sua sposa diletta, la Chiesa,
e in tanto armeggiar di nemici, che si apparecchiavano a darle
battaglia, ha rassodato il comando del suo Duce supremo; ha lar-
gito valore più efficace alla sua imperante parola; ha collegato con
lui più strettamente i Duci minori e tutto l'esercito dei credenti.
D'ora innanzi in senso più vero potrà dirsi di lei che ella è come
milizia perfettamente ordinata : Tanquam castrorum acies ordina-
ta, in modo poi speciale Iddio si è ricordato di tmegl' incauli fi-
gliuoli, i quali, ondeggiando tra il Cattolicismo e il Liberalismo,
accettavano i principii dell'uno e dell'altro, persuadendosi di poterli
conciliare tra loro. Se .prima, allucinati dalle massime liberalesche,
essi balenavano alquanto nell'adesione dovuta alla voce del Supre-
mo Pastore ; d'ora innanzi essi potranno agevolmente ritrarsi dai-
1 Isaia e e. XII.
2 Lìber Tobiae, c. XII.
180 LA DEFINIZIONE DOMMAT1CA DELL' INFALLIBILITÀ PONTIFICIA
Torlo del precipizio, intorno a cui aggiravansi; stante il pieno os-
sequio di cuore e di mente, onde sono inescusabilmente tenuti ad
accogliere gli oracoli pontificii. Iddio finalmente ha mirato con più
tenera pietà eziandio gli acattolici, ponendo loro dinanzi agli occhi
in lume più splendente il divino organismo della sua Chiesa, e
mostrando in essa più chiaramente il rimedio, che cercane, allo
sbrigliamento del senso privato, generatore della confusione babe-
lica in cui si avvolgono. A Dio dunque sia gloria di sì gran fatto, e
a Lui ogni lingua sciolga un inno di lode, e in lui esulti ogni cuore.
Exulta et lauda, habilatio Sion, quia magnus in medio fui San-
ctus Israel 1.
Anche a Maria, dolce Signora e Regina di questo regno di Cristo,
si tributi affettuoso rendimento di grazie; giacché, dopo Dio, dal
favore di lei dee riconoscersi il bene ottenuto. Noi, appena leggem-
mo nella Bolla d' indizion del Concilio, che esso dovea aprire le sue
sedute nel giorno dedicato all' immacolato Concepimento di Maria,
tenemmo per ferma ed immancabile la definizione dell' infallibilità
pontificia. Il Pontefice, che con tanto plauso dell'orbe cristiano avea
dommaticamenle assicurata la più bdla prerogativa della santità di
Lei , dovea , senza fallo , vedere dommaticamente assicurata la più
bella prerogativa dell'apostolico suo ministero. Era questo il guider-
doae condegno, che Maria gli tenea serbato. L' immacolata Conce-
zione e F Infallibilità pontificia sono due donimi, di cui il primo in-
dubitatamente dovea esser seguito dal secondo. Ciò altresì ò argo-
mento di santa letizia pei fedeli; ma in modo più speciale dev'es-
sere pel nobilissimo animo del gran Pio, alla cui sapienza e virtù è
dovuta principalmente l'esecuzione di un'impresa sì grande. Gioisca
egli ed esulti nel Signore. Tra i gloriosi gesti, onde a dovizia va
ricco il suo pontificato, è questo il più sublime, 1' aver meritato
da Maria che il più maestoso Concilio che mai siasi veduto nella
Chiesa, rafforzasse con dommatica definizione il privilegio più alto
di quella Cattedra, su cui è stalo collocato da Dio.
1 ISAlAE C. XIL
RIVISTA
DELLA
STAMPA ITALIANA
»^\A/Vvv~
I.
// Concilio Vaticano al cospetto dell'odierna società, per Fr. Lodo-
vico da Castelplanio Minore osservante. Seconda edizione —
Torino 1870, tipografia del cav. Pietro Marietti.
Fin dal primo annunzio, che deramo di questo libro, a pag. 349
del voi. Vili, dicemmo : Il capitolo sui cattolici liberali è un capo-
lavoro. Questo capitolo fu poi stampato a parte col titolo: // Conci-
lio ecumenico Vaticano ed i cattolici liberali', e noi subilo l'annun-
ziammo, a pag. 607 del voi. IX, nella bibliografia speciale del
Concilio; riserbandoci a parlarne più ampiamente nella Rivista del-
la stampa italiana, trattandosi di un argomento sociale, e non sola-
mente teologico in riguardo del Concilio. Veniamo ora ad eseguir
questo nostro proposito, il che riuscirà di non lieve profitto pei
grandi ammaestramenti che quel capitolo racchiude.
Il concetto di cattolico liberale rappresenta una sintesi, non una
analisi; in quanto il predicato liberale è aggiunto al soggetto catto-
lico, non ne è dedotto. Se ne fosse dedotto, la distinzione di catto-
lici schietti e di cattolici liberali non avrebbe senso. La Chiesa, co-
me attesta la storia e i veri dotti riconoscono, ha prodotto la vera
libertà, la vera fratellanza, il vero progresso tra gli uomini. L'amo-
182 RIVISTA
re di questi beni, in quanto promossi dal Cattolicismo, hou ha me-
stieri d' essere espresso, se non con la sola denominazione di catto-
lico ; essendo qualità intrinseca, che sorge dalla natura stessa di
esso Catolicismo. L'aggiunto di liberale, che alcuni cattolici assu-
mono, inchiude dunque una sintesi. Or chi ha prodotto colcsla sinte-
si? Non la teologia ; giacche tra i diversi sistemi teologici non ci è
stato mai il liberalismo; benché si avverasse qualche teologo liberale.
Neppure l'ha prodotto la filosofia o altra delle scienze naturali; giac-
ché, quantunque i cattolici liberali levino a cielo le scoperte del nostro
secolo, tuttavia non si confondono con nessuna scuola scientifica. E
senza ciò essi stessi « confessano di aver assunto quel nome in for-
za di avvenimenti sociali, onde la patria si è posta per la via della
civiltà, del progresso, della libertà, eguaglianza e fraternità, fatti
veramente che f innamorano %. »
Peraltro non deve credersi che i liberali cattolici deducano quel
loro aggiunto dal principio del liberalismo puro, vuoi assoluto, vuoi
moderato. Siffatto principio pei liberali assoluti è il Dio-Slato, pei
moderati è la separazione piena della Chiesa dallo Stato. Ora il cat-
tolico liberale rigetta il primo, e non ammette del tutto la seconda.
Ma dunque donde nasce quella sintesi? Non nasce da alcun princi-
pio, ma nasce dai fatti. « ì cattolici liberali vagheggiano i nuovi falli
sociali, prodotti e originali dai principii del liberalismo assoluto e
moderato. Queste parole: civiltà, progresso, indipendenza, Chiesa
libera, Stato libero, solleticano 1' orecchio dei cattolici liberali in
quanto sono significative di fatti e non già di principii, e quel di-
moio di libertà civile, politica, di parola, di stampa, di coscienza
di culto, di associazione, e luti' altro, che l tempi moderni hanno
racchiuso o cavato da quella santa parola, sempre siccome fatto
e mai come principio, forma per essi un gran pregio; perchè ne
sentono gran tenerezza ed amore: laonde volgendosi alla Chiesa,
che veggono alla fin line affermata in quei fatti, le dicono, con com-
mozione che s' acconci ai fatti moderni, che non scrupoleggi di so-
verchio, che non sia inflessibile al solilo riportando tulio ai principii:
non trattarsi qui di principii ma di falli, i quali non escludono, ma
1 Pag. 11)9.
DELLA STAMPA ITALIANA 183
racchiudono il fatto divino del Cristianesimo. Che se l'azione né al-
quanto ristretta per la emancipazione, certo ingiusta, dello Stato
dall'autorità della Chiesa, non è poi questa una grande sventura. La
Chiesa dovrebbe ricordare le lotte, i contrasti e le catene che le
seppero apprestare gli Imperatori di Oriente, di Àlemagna, i Re di
Francia e tanti altri principi, che si dicevano cattolici e si soscrive-
vano figli della Chiesa sol per imbavagliare la madre, perchè non
emettesse liberamente la voce: or lutti questi guai spariscono nel
nuovo sistema di libertà. Si accetti dunque come fatto, e si vada in-
nanzi; che con la moderazione può tutto acconciarsi col tempo.
L'operare diversamente sarebbe di estremo danno alla società e al-
la Chiesa: la società non retrocede di uu passo: la legislazione so-
ciale di Europa è tutta improntata di libertà, i principii dell'ottanta-
nove governano il mondo : sarebbe inutile ogni resistenza. La Chiesa
dunque, e per essa il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi col-
l'odierno progresso e colla moderna civiltà. Avete udito? Il cattolico
liberale ò figlio legittimo del fatto sociale, separato dal principio.
Accetta dal caltolicismo i principii, onde si chiama cattolico ; dal
liberalismo i falli, onde si chiama liberale ; e perchè il liberalismo
dei fatti non lo trascini nel liberalismo dei principii, egli separa i
fatti liberali dai principii liberali, incarna questi fatti nel cattolico,
ed ottiene una persona sintetica, che denominasi cattolico-liberale;
cattolico dai principii, liberale dai fatti. Volete elevare quest' uomo
dei fatti a principio? Scrivete « Separazione del fatto dal principio»;
ecco il programma del cattolico-liberale 1. »
Or l'Autore entra qui a provare come appunto questo program-
ma, questa separazione del principio dal fatto, costituisce i cattolici
liberali in una falsa posizione, per cui non riescono a contentare
niuna delle due parli ; sicché di loro può dirsi quel di Dante : A Dio
spiacenti ed a nemici sui. Il liberalismo puro vuole i fatti liberale-
schi come conseguenza del suo principio : anzi in tanto vuol far trion-
fare quei fatti, in quanto vuole il trionfo dei suo principio. Quindi
s'irrita contro chi vorrebbe separare l'uno dagli altri. La Chiesa con-
danna il principio liberalesco, e quindi i falli che ne derivano. Il
1 Pag. 204.
184 RIVISTA
cattolico liberale vorrebbe procurare la conciliazione dell'una col-
l'altro. Egli dice al liberalismo: « Tu sei una bella e buona cosa nel
mondo; le opere tue mi piacciono; ma tu hai il torto di ribellarti al-
la Chiesa: non sai tu, che la divinità del Cristo è provatissima, ed
il Caltolicismo con tutto il suo corredo è tanto necessario al mondo,
che se non esistesse sarebbe d'uopo inventarlo? Acconciati dunque;
rinunzia a' principii liberaleschi, più o meno infetti di naturalismo e
di eresia, d. sposati coi principii cattolici, e lascia a me il compito
di difendere i fatti tuoi. — Poi si volge alla Chiesa e al Papa, e con
cuore commosso e con eloquenza patetica, a un disprezzo gli dice :
— Padre Santo, avete pur troppo ragione: il liberalismo è uno sca-
pato, anzi un ribelle al principio di autorità e di fede divina, che Voi
giustamente rappresentate e difendete! Guai alla società ed al mon-
do se la vostra voce e la vostra costanza e fermezza non avesse lot-
tato e non lottassero contro le pretese estreme del liberalismo! A
che sì ridurrebbe la terra! Or dunque, Padre Santo, io bacio il vo-
stro piede e mi presento nunzio di buone novelle. Il liberalismo ha
abiuralo nelle mie mani i principii irreligiosi e anticattolici, e di
gran cuore crede a vostra Beatitudine e alla vostra dottrina. Que-
st'abiura mi costò fatica e dolore, e l'ottenni con una condizione da
nulla. 11 liberalismo ha lavorato alcune opere sociali; esaminate coi
principii cattolici, senza meno sono illegittime ; ma oggi circostanze
imponenti non permettono che sieno distrutte. Adunque passale so-
pra a queste opere, almen per via di transazione e di accomodamen-
to benevolo, ed è tutto aggiustato. Voi potete farlo, dovete nulo in
grazia della società travagliata e sconvolta 1. >•>
Ma il liberalismo gli risponde che esso non può smetterò il prin-
cipio, per cui ha lavoralo ad introdurre quei fatti; e la Chiesa gli
fa sentire non potere la verità venire a patti colf errore, nò la giu-
stizia colla iniquità, nò Cristo con Belial. L'opera dunque del cat-
tolico liberale ò fallita. « 11 programma separatista del Cattolico-li-
berale, aggiunge l'Autore, ò tanto falso ed assurdo, che non si sal-
va dalla nota di eresia, senza ricorrere all' inconseguenza 2. » La
1 Pag. 207.
2 Pan. 214,
"r-
DELLA STAMPA ITALIANA 185
ragiono si è perchè ogni fatto è la forma sensata di un principio. I
falli slaccati dai principii non hanno senso. Ciò vale in ogni ordine
di cose, ma soprattutto nell'ordine morale, in cui la volontà è rego-
lala dalla legge, vale a dire da principii, e V intelletto è sotto l' im-
pero della verità, la cui espressione è sempre un principio. Come
dunque potrà l'uomo ragionevole ammettere un fatto, rigettando il
principio di cui esso è rampollo e manifestazione? Da questo bivio
non si esce: o accettare, in un coi fatti liberaleschi, eziandio il
principio liberalesco; o accettando i principii cattolici, esecrare i
fatti che ad essi contrastano. Il fare diversamente è un contraddire
alla logica. L'Autore dimostra ciò ampiamente. Non potendo re-
stringere tulta la sua argomentazione, staremo contenti a riportar-
ne testualmente un sol tratto, quantunque un pò lungo.
« Chiunque non sarà prevenuto nei pensiere dovrà convenire con
noi, che il cattolico-liberale è serrato da questo dilemma: o ere-
ticare o slogicare. Volete voi vederlo ed udirlo da lui medesi-
mo? Interrogatelo e lasciale, che risponda a grand' agio. Il Dio
della Chiesa cattolica non è solamente il Dio del cielo, ma anco il
Dio della terra, e perciò il Dio della civiltà e della religione, del-
l'immutabilità e del progresso, non è così? Senza meno, assoluta-
mente così. — La Chiesa può ella rinnegare il suo Dio? — No
certo, anzi ella lo crede, lo venera, lo adora; ed egli la ricambia
di sue prerogative divine. — Dunque la Chiesa anch'essa è religio-
ne e civiltà, immutabilità e progresso. — La conseguenza è evi-
dente! — Potrebbe la Chiesa defezionare o nimicarsi colla religione
e colta civiltà, coli' immutabilità e col progresso? Mainò, perchè
defezionerebbe e si nimicherebbe con sé medesima, ed esprimereb-
be la pugna di Dio con se slesso. — Ma la terra può ella defezio-
nare e nimicarsi col cielo, la civiltà colla religione, il progresso
coli' immutabilità? Sembra! maisì; perchè la terra, ossia gli uomini
che abitano sulla terra, sono defettivi, e quindi possono appigliarsi
al falso anziché al vero, e al male anziché al bene. Onde per amor
di male intesa civiltà e di mendace progresso volgono il dorso alla
immutabilità e alla religione. Ed in questo caso qual rimedio si ap-
presterebbe all' uomo traviato, fosse pure un Re, o un Imperatore?
Non vi parrebbejiaturale che la religione si facesse incontro alla
186 RIVISTA
civiltà, e l'i m mutabilità al progresso, e soavemente li rampognasse
del deviamento colpevole e dannoso, e li riducesse sul buon cam-
mino? Converrete almeno, che questo monito sarebbe gran fortuna
per la terra, ossia per gli uomini che abitano la terra, fossero pure
Re o Imperatori! — Convengo. — Ora avvertite: la religione e la
immutabilità non sono altro che la Chiesa, e si trovano solo nella
Chiesa assorellate colla civiltà e col progresso. Dunque sarà natu-
rale e salutare, che la Chiesa si faccia incontro alla civiltà degenere
dalla religione, al progresso degenere dalla immutabilità e li rimeni
in buona via! — Non se ne può dubitare. — Ma voi sostenete che
la Chiesa non s'impacci del governo della terra; che lasci a sé la
terra, ossia il progresso e la civiltà. Che volete dire con ciò? Forse
che la civiltà è separata dalla religione, e il progresso dall'immu-
tabilità? Allora voi pronunciate una bestemmia ed un'eresia: voi
venite ad affermare che il Dio della terra è altro dal Dio del cielo,
ed il dualismo manicheo vi si para dinanzi inevitabilmente. Dunque
v'impigliate nell'eresia! — Questo no! — Dunque escludete la se-
parazione? — Questo sì. — Dunque affermate la unione, e perciò
il richiamo della civiltà e del progresso per opera della religione e
della immutabilità incarnate nella Chiesa! — Questo richiamo nel
fatto non l'approvo. — Come? lo approvate come principio e lo
escludete come fatto? Dunque siete cattolico di principio, eretico di
fatto! — Protesto contro l'appellazione di eretico; io credo colla
Chiesa cattolica! — E questa vostra protesta noi l'accettiamo, ma
prendete nota della conclusione finale: Poiché il principio della unio-
ne e del richiamo è un principio- fatto, e non un semplice princi-
pio, escludendo il fatto e salvando il principio voi fate onta alla dia-
lettica per salvarvi dall'eresia. 11 perchè o eretico logicando, o cat-
tolico slogicando, ecco il pregio unico del vostro liberalismo I. »
Quindi l'Autore passa a rispondere ai cattolici liberali, allorché
essi per difendere il loro programma si volgono ad esaltare il pro-
gresso moderno, i nuovi ordinamenti politici, le libertà introdotte,
delle quali la stessa Chiesa si giova con tanto suo vantaggio. Quanto
al primo l'Autore osserva che un tal progresso, se ben si guardi,
1 Pag. 221.
DELLA STAMPA ITALIANA 187
si riduce quasi esclusivamente all' ordine materiale, il quale è lode-
vole quando si fa servire all'ordine morale; ma per contrario è bia-
simevole, e costituisse piuttosto un regresso per l'uomo, quando si
volge a strumento d' immoralità e di vizii. « Siccome la materia
deve servire allo spirito, il fatto all' idea, perciò non accordiamo
moralità e legittimità al progresso materiale se non in grazia dello
spirituale e del morale. La bussola, a cagione di esempio, non de-
ve promuovere la pirateria, né il telescopio l'astrologia giudiziaria,
né la fotografia riprodurre sconcezze, caricature, oscenità, turpitu-
dini; come il telegrafo e le vie di ferro non debbono servire per
organizzare il monopolio, le cospirazioni e le rivolte; e le nuove ar-
mi per aggredire un vicino pacifico, che attende ai fatti suoi ; im-
perocché altrimenti le forze naturali sarebbero profanate e prosti-
tuite nel servizio di passioni basse, vili, disonoranti. Che se questa
profanazione fosse cunsumata più o meno completamente, non sa-
premmo più esaltare queste scoperte, perchè le vedremmo lontane
dal destinato legittimo e naturale. Con questo criterio alla mano il
cattolico-liberale giudichi del valore dei tanti ritrovati che forma-
no i nove decimi della moderna civiltà 1. »
Quanto agli ordinamenti politici, egli ricorda come la Chiesa in
tutti i tempi ha santificata ogni forma legittima di Governo. Poscia
soggiunge: « Possono quindi i tempi moderni prendere qualunque
misura relativamente alla partecipazione del potere politico: ma non
inventeranno mai nulla, che la Chiesa non abbia già veduto, nulla
che necessariamente discordi dalla legge e dalla vita cristiana. La
controversia adunque o non esiste, ovvero si riduce a questione di
principio. Il cattolico-liberale, figlio disgraziato della separazione
del fatto dal principio, vi ponga ben mente. L'origine della sovra-
nità sociale da Dio costituisce un punto dommatico di dottrina. Si
può questionare, se l'autorità da Dio discende nel popolo, e dal pò
polo sale al sovrano, e quindi soscrivere senza pregiudizio della fe-
de alla derivazione mediata o immediata; ma la origine divina del
potere è innegabile. Ora i fatti sociali vanno coniugati col loro
principio. Le Camere, i Parlamenti, i Corpi legislativi, i Senati, che
1 Pag. 233.
188 RIVISTA
non disdicono l'origine divina del potere possono essere legittimi :
ma se poggiano sulla negazione del potere originante da Dio, se
sono la espressione del patto sociale del Ginevrino e della Sovrani-
tà assoluta del popolo, sono illegittimi sempre, ne possono legitti-
marsi se non si staccano dal loro principio e si coniugano col prin-
cipio cattolico li »
Quanto finalmente alle diverse libertà, che si vantano, l'Autore
osserva come la libertà nell'uomo, per questo stesso che dice indiffe-
renza, esjge la legge che la ordini e la guidi al bene. La libertà dun-
que convenevole all'uomo è quella, la quale, sotto la direzione della
legge, è condotta al vero bene. Ora tale non è la libertà intesa alla
moderna: perocché la legge che dovrebbe guidarla, l'abbandona a se
stessa, purché non disturbi 1' ordine materiale del civile consorzio.
« Dunque, egli dice, la legge moderatrice della libertà si risolve nella
facoltà data a tulli di eleggere tra bene e male, tra vizio e virtù, salva
sempre la regale maestà e la tranquillità pubblica! Ebbene questa
legge è ingiusta, è empia, è mortifera per tutti, ma specialmente
per i popoli cristiani; perchè nessuno è autorizzato a scegliere tra
bene e male, senza fare onta a quel Dio, che vietò questa scelta.
Dunque quelle libertà sono cattive, dunque segnano un regresso,
una barbarie. Ed il cattolico liberale pretenderebbe allucinare col-
le pompose parole di libertà, di progresso, le quali esprimono in
buona favella libertà del male come del bene , del vizio come della
virtù, della bestemmia come dell'adorazione, indifferentismo a
dir corto! Sì, indifferentismo; ecco la premessa di quella turba di
libertà, o in altri termini: legge senza moralità, società senza giu-
stizia , Stato senza Dìo! Ora la Chiesa non s'acconcerà giammai
a queste libertà , nò patteggei à con esse , perche si suiciderebbe di
propria mano, sanzionando la empietà! Si ripete sempre: in queste
libertà è compresa la Chiesa cattolica! — Sì, ma assieme all'ere-
sia, cui è uguagliata nella bilancia politica , e non di rado questa è
più fortunata di quella. Chi è più felice infatti sotto il cielo della
libertà, la Vergine di Cristo o la meretrice? 11 monaco o il mono-
polista e il cospiratore? 11 pulpito cattolico o la tribuna politica?
1 Pag. 236,
DELLA STAMPA ITALIANA 189
La stampa che difende la legittimità, la giustizia, la fede, la probi-
tà, l'onore , ovvero quella che esalta sino alle stelle la ignominia e
il tradimento 1 ? »
Nondimeno, ripiglia il cattolico liberale; all'ombra di questa
libertà universale la Chiesa opera, parla, scrive, si associa. —
« Voi, gli risponde Y Autore , non fate che affastellare superficialità
e slogicature! Chi va ha detto, che la Chiesa faccia tutto quello,
che dite, in nome delta libertà universale? Studiate meglio la strut-
tura della religione! La Chiesa quando scrive, parla, agisce, si
congrega, opera col suo principio divino, da cui è inseparabile.
Dio ha dato alla Chiesa la libertà di agire, di parlare, di adunarsi;
questa e non altra è la liberta esercitala dalla Chiesa: ella non ope-
ra in forza della libertà politica; la libertà politica promuove l'azio-
ne delle società, che non hanno in se alcun diritto ad agire; la
Chiesa opera in virtù de' suoi diritti sacrosanti, indipendenti dai po-
teri della terra. — Che vuol dire dunque , che avanti alla legge si
fa scudo della libertà universale? — Vuol dire, che la Chiesa ama
la legalità, anche allora quando è perseguitata ed oppressa : vuol
dire che trattando con persone che la uguagliano alla società dei
vapori e dei telegrafi non può farsi forte dei suo diritti divini: vuol
dire ancora, che Dio sa cavare dal male il bene, e gloria dalle umi-
liazioni. A furia di predicar libertà si bandì il Cattolicismo. Dio da
questa libertà, non convertita ancora, da questo male perciò, trae
il ginn bene. Si muove il vizio, ma si muove anco la virtù, cam-
mina l'errore, ma cammina ancora la verità. Ma questa non è ope-
ra dell' uomo: vorremmo anzi dirvi, che l' uomo scatenò tutte quel-
le libertà a danno del cattolicismo! L'opera è di Dio 2. »
Abbiamo voluto riportare sì sovente le parole slesse dell'Autore,
piuttosto che parafrasarle o epilogarle; acciocché i nostri lettori
vedessero meglio la forza e la limpidezza del ragionare che es-
se contengono. Ma tutto il libro avrebbe meritato d'essere riporta-
to ; tanto esso è pieno in ognUpagina di giudiziose e sapientissime
considerazioni.
1 Pag. 240.
2 Pag. 242.
190 RIVISTA
IL
Urania: Carmen didascalicum Petri Esseiva Friburgensis Ilelvetii;
cui certaminis poetici praemiicm e legato Henrici Hoetifft adiu-
dicatum est in consessu publico Academiae regiae disciplinarum
Neerlandiae, pridie id. Mari, anni CID1DCCCLXX- Arnste-
lodami, apud C. G. Van der Post, MDCCCLXX. In 8/ di p. 1 i.
È un grande argomento del segnalato valore nella latina poesia
dell' illustre capitano pontificio Pietro Esseiva, che questo suo poe-
metto, di meno che duecento esametri, sia stato dalla reale Accade-
mia delle discipline di Olanda preferito, nel concorso pel premio, a
quanti altri lavori poetici di valenti latinisti le si erano presentali
per contendere del medesimo onore. Ma se questo giudizio de' dotti
accademici ha grandissimo peso per mettere fuori di questione il
merito comparativo del suo poetare non basta però a farne conce-
pire il merito assoluto, il quale per più rispetti ci sembra affatto
straordinario. Noi duuque crediamo di rendere un buon servigio al-
le lettere latine, di cui pur troppo a' dì nostri sono rari i cultori,
se ci tratteniamo alcun poco a considerare cotesto merito in sé stes-
so, argomentando da prima in generale da'varii componimenti dati
alla luce, e dipoi da quest'ultimo.
E innanzi sarebbe gran cosa che l' Esseiva, con quel pochissimo
agio che la sua professione militare gli può porgere a coltivare le
lettere, e però quasi senz' altri studii che quelli della prima istitu-
zione, ricevuta nel Collegio di Friburgo della Compagnia di Ge-
sù, potesse riuscire a scrivere con sufficiente eleganza in una lin-
gua cosi sdegnosa d'ogni neo com'è la latina, ed in un genere
per se tanto difficile com' è il poetico. Ma egli ha sortito un inge-
gno così ben disposto a concepire il bello poetico, e facoltà inventi-
ve di tanta attitudine a trovare le immagini latine più proprie per
esprimerlo, che se il nostro giudizio non erra, non solo può staro
co' buoni poeti latini dell' età nostra, ma gareggiare, entro i limili
de'medesimi generi, anche cogli ottimi d' ogni tempo dopo il risor-
DELLA STAMPA ITALIANA 191
giraento delle lettere, li concetto dc'suoi componimenti è in genera-
le di una grande naturalezza; ma nello svolgimento prende forma e
consistenza per concelti particolari e immagini e figure di tanta novi-
tà e così squisitamente poetiche, che il lutto ne riesce di una stupen-
da vaghezza. Perciò nelle sue poesie ogui cosa è vita e movimento.
Lo sue narrazioni (giacche i generi prescelti da lui sono il narrativo
e il didascalico; procedono per maniera che le cose raccontale si
atteggiano in certa guisa corno presenti nella fantasia del lettore.
Il che ottiene in primo luogo coli' uso delle figure più efficaci, come
son quelle che danno senso e intelligenza alle cose inanimale, e
che egli sa scegliere sempre fra le più analoghe al soggetto, e le
più acconce a fare impressione: e l'ottiene in secondo luogo con un
cotale suo artifizio di descrivere, che tanto è più efficace, quanto si
mostra più disinvolto e sa meno del ricercato. Poiché lasciando da
parte, secondo il precetto del Mantovano , quelle cose che non pos-
sono essere convenevolmente i rimeggiate, egli con pochi tratti, nei
quali non si sente nò lo studio nò la fatica, ti mette sott' occhio que-
gli obbietti che più ti debbono muovere, e sì vivamente, come se
li contemplassi in un dipinto ritratti da pennello maestro.
I quali pregi, trasportati nel genere didascalico, che è quello
che forse meno di ogni altro si porge alla forma poetica, non è a
dire di qual effetto riescono. Poiché se è difficile accoppiare l'istru-
zione dell'intelletto (a che propriamente mira la Didattica) con quel-
l'eccitamento piacevole della fantasia e degli affetti, che e il fine
proprio e immediato della poesia ; chi sappia farlo in modo eccel-
lente, come sa fare 1' Esseiva, ne risulta un accordo di cotanta va-
ghezza, che ben può sentirsi, ma difficilmente esprimersi.
Se non che questi pregi medesimi non potrebbero aver virtù,
se non pigliassero atto e forma in uno stile veramente latino, vera-
mente poetico. Lo stile nelle opere letterarie, se ci si passi la simi-
litudine, è quello che nelle sostanze sensibili il principio formale.
Per questo elleno sono ciò che sono : di guisa che, sebbene non
ogni cosa, anche in genere di sostanza, che ritrovasi in esse sia
principio formale ; nondimeno se per poco si concepiscano divise da
questo, già non sono più quelle, ma diventano altra cosa sostanziai-
192 RIVISTA
mente diversa. Lo slesso accade nei lavori dell'ingegno per rispetto
allo siile. Togliete a Virgilio quello che ha di proprio nel modo di
esporre e colorire i suoi concetti, ed esponete e colorite diversa-
mente quegli stessi concelti; ciò che vi riuscirà d'aver fatto, dovrà
essere giudicato tutt' altro che l'opera di Virgilio. Il che poslo, noi
non loderemmo nulla di quel che tanto abbiam lodato nell'Esseiva,
se il lutto non prendesse forma di eccellenza da uno stile squisita-
mente Ialino e squisitamente poetico. Egli è padrone della lingua e
della frase; così che pare che non si affanni di cercare l'espressio-
ne che gli è necessaria, ma che quesla venga da sé medesima ad
innestarsi col suo concetto. E però nel mentre la sua frase è sem-
pre purgata e nitida, sempre propria, non dà mai nessun indizio di
ricercatezza e molto meno di stento. Donde la sua locazione pro-
cede spigliata, senza inciampo, e quasi non avvertendo le difficoltà
che sta superando. E benché i suoi versi non abbiano l' andamento
scorrevole, né l' armoniosa volubilità virgiliana; ed invece fanno
sentire qua e colà degli scontri alquanto aspri, e in generale un in-
cesso grave e ponderoso ; quell'asprezza nondimeno si accorda as-
sai bene coll'armonia, e questa gravità aiuta piuttosto la gaiezza.
Così Lucrezio e Catullo sono melodiosi anch'essi, sono festivi, spe-
cialmente il secondo : e pure chi considera i loro versi nella strut-
tura materiale o li misura con un orecchio inesperto, li crederà
scabri ed incolti.
Né vorremmo per questo che alcuno ragguagliasse lo stile del-
l' Esseiva con quello di Lucrezio o di Catullo. Esso non è più lucre-
ziano o catulliano di quello che sia virgiliano o checché altro; e vo-
gliam dire che come non si è studiato di modellare con istretta imi-
tazione il suo stile sopra Virgilio, così non V ha fatto sopra nessun
altro esemplare dell'antichità. E questo è ciò che veramente ci sem-
bra specialissimo in lui, e non è tanlo facile incontrare negli autori
de' secoli moderni eziandio di primissimo nome. Poiché scrivendosi
in una lingua già morta, sembra quasi impossibile poter arrivare
ad un grado notabile di perfezione nello stile, senza pigliarne H
modo, la forma e la qualità da qualcuno di que grandi maestri. Ma
1' Esseiva, senza ritrarre da nessuno in particolare, é riuscito, per
DELLA STAMPA ITALIANA 193
ciò che a noi sembra, a formarsi uno stile, in cui riluce sì bene
l'oro del secolo di Augusto, e tanto si sente il sapore della poesia
di que tempi, che sono assai pochi coloro, i quali, anche coll'opera
di una speciale imitazione, sappiano fare altrettanto.
Le quali lodi, perchè non sembrino esagerate, noi recheremo in
esempio il Carme Urania, che abbiamo da principio annunziato,
esponendone in breve l'orditura, e recitandone testualmente alcuni
tratti.
Il Poeta s'introduce con un graziosissimo paragone, che dee ri-
trarre dall'una parte la impressione, la quale finge aver sentito ap-
pena posto il piede nell' Osservatorio del Collegio Romano ; e dal-
l'altra il cortese ufficio che gii presta il celebre P. Secchi, che nò
Direttore, col dichiarargli le principali nozion di Astronomia.
Incomincia dunque così:
Exiguae est molis, taraen ipsa Pallade dignum
Artis opus, tereti clausum quod saepius auro,
Saepius argento, suspendit quisque monili,
Inque sinu fovet et rebus consultat agendis;
Praetereuntis ibi geminus nani temporis index
la disco positas spatiis aequalibus horas
Circinat : alter iners, oculos fallente meatu,
De signo in signum dum pergit, longior alter
Cunctantem properus sequitur transitque fugitque,
Perque notas decies senas solidum exigit orbem.
Horam adeo volucrem prò se metitur uterque,
Et modo diducta, iuncta modo cuspide signat.
Hoc si forte infans usus ignarus et artis
Yidit, eo simul et poti tur, manibusque tenellis
Yersat opus nitidum, quandoque etiam admovet auri
Internos gaudens pulsus deprendere, et acer
Ungue reluctantem pugnai discludere thecam,
Structura ut pateat crepitusque latentis origo.
Forsitan ipse gravi perdat sua gaudia casu,
Lumina ni patris caveant et provida dextra.
Is nati victus prece blanditiisque coactus,
Multa prius praecepta serens arcana recludit s
Serie VJI, voi. XI, fase. 488. 13 8 Luglio 1870.
19Ì RIVISTA
Omnia, complexo modo quae lattiere metallo.
Spiram impellentem monslrat, iunctique rotarum
Qua vice perpetuis trudantur dentibus orbes,
Discordesque regat quaenam concordia motus.
Atque ita persequitur genitor dum singula verbis,
Arrectus puer in digitos animaque retenta
Miralur: vetito vix parcil dextera taelu.
Olii qui puero tentant praecordia sensus,
Hos ego percepì, similique ferebar amore,
Uraniae quondam exstructo quum limine stanti
Sub pedibus Romanae arces, circumque supraque
Immensa obiecta est stellantis machina mundi.
In questo stato di meraviglia pertanto esso si rivolge al dotto
Astronomo ; onde prosegue :
llle, ubi vix animo suscepi vota, profanimi
Compellans prior affatu dignatur amico,
Multaque scitanti, neque enim reticere cupido
Discendi sinit, obstantes caliginis umbras
Dimovet ex oculis, atque aethera voce recludit.
Viene quindi a dichiarare le prime spiegazioni avute dello stato
del cielo, enumerando in primo luogo le costellazioni conosciute da-
gli antichi; e dipoi divisando le cinque zone, ed il viaggio del sole
per T eccliltica secondo i dodici segni del Zodiaco ; donde la va-
rietà delle stagioni. Accenna quindi brevemente i soggetti di altre
conferenze astronomiche, le cagioni degli ecclissi sì del sole e sì del-
la luna, il fenomeno dell'aurora boreale, delle stelli cadenti, ecc.,
e passa con una magnifica immagine poetica a descrivere l'espe-
rienza tolta immediatamente de'corpi celesti per mezzo del gran
cannocchiale. Saggiamone alcuni tratti. Ecco come descrive la lu-
na osservata con quello strumento :
Stygiis quam Thessala saepe
Carminibus, magna vel rbombo deducere lunam
Nequidquam est aggressajeavo trahit ilio cylindro,
DELLA STAMPA ITALIANA 105
Inclusit vitreos certis quo legibus orbes.
Quoque magis stupeas, tali nondum arte reperta,
Per noctem quae flectebat dea candida bigas,
Fit sine fruge solum, convulsa et inbospita tellus,
Centum ubi Vulcanus ruptis furit usque carni nis.
Né meno poetica è la descrizione del sole, costretto anch'esso ad
avvicinarsi e mostrare le macchie del suo gran corpo.
Exutus frontem radiis, ope ductus eadem
Phoebus et ipse venit, quamquam si vota valerent,
Non venisse velit: pudor est sine crimine quondam
Prodere nunc maculis turpata nigrantibus ora,
Obscurumve patens, scisso velamine, corpus.
Rex ubi iussus adest, quanam ratione satelles
Abneget indocilis validos audire vocatus?
Arcessiti adstant liventi lupi ter ore...
Dichiarala quindi la condizione de' pianeti, e descritta la legge,
a cui soggiacciono, dell'attrazione solare , la cui forza composta
con quella della proiezione di ciascuno, fa sì che percorrano inva-
riabilmente le orbite loro; fìnge di contemplare col medesimo stru-
mento una cometa :
Ecce autem functus diuturno errore, minìsque
Iampridem positis, coeli lustrare cometes
Yerrereque effuso properat laquearia crine.
Quae te longinquis, peregrinimi sidus, in oris
Detinuit mora? vel viso quid sole repente
Aversum repetis vasti confinia mundi ;
Commisso ceu quum metam certamine currus
Circuiit stringens, verso temone refertur
In spatium praeceps, arrectaque lumina fallit?
Forsitan, in te omni turba inquirente, vereris
Ne^species vana et natura patescat inanis?
Nil agis : est medio cupidum qui evadere lapsu
Accit et in trutina pendit, pensoque secandum
Praescribit cursum, et redi turo tempora ponit.
196 RIVISTA
Da ciò piglia occasione di accennare ai mirabili risultali ottenuti,
dal P. Secchi nel determinare la materia de' corpi celesti per mez-
zo degli spettri delle luci rispettive; e quindi passa a descrivere con
una singolare felicità Y Anemometro, che è un istrumento dal mede-
simo P. Secchi inventato per misurare il corso de' venti, ed altre
alterazioni atmosferiche. Eccone i versi:
Quid, quod et arte nova, quam daedalus ipse repertor
Extudit, instabiles ventos nebulasquesubegit
Annales perarare suos? Quantum hauserit aer
Humoris bibulus liquet bine, quantumque caloris
Perque gradus quoties sua pondera mutet in horas,
Unde recens spiret, quo se ferat impete flatus.
Munera dum graphium peragìt sua, scripta magister
Digerit in numerum, et coeli tabularla servat.
La chiusura linai mente è ammirabile, non sappiamo se più se-
condo la poesia, o secondo il sentimento cristiano. Il concetto è,
che essendo noi fatti pel cielo, la contemplazione delle bellezze
esteriori che 1' adornano, non può fare che non muovano l' animo
nostro al desiderio delle cose celesti. Ed ecco in qual modo lo svol-
ge in un'ultima apostrofe alla sua guida :
Dum loqueris nobis terrestria sordent
Actutum bona, fìt votis angustior orbis.
Nimirum sumus aetherio quia semine creti,
Ignea sponte suos mens se convertit in ortus.
Nos aquilae similes, alto quam ruslicus olim
Detraxit mdo'implumem, dominoque potenti
Captivam addixit. Tenera ut lanugine primum
Flavet avis, generis iam tum dat signa superbi ;
Inde in processu, maturo ubi conscius aevo
Accessit membris vigor, band mansuescere discit
Servitii impatiens. Aulae non divitis illa
Curat opes, pascive manu laetatur herili;
Sed faciles exosa cibos requiemque coaclam
Ardet abirc, teritque ferox in compede rostruin.
Xunc habiles pennas et adultos respici t ungucs,
DELLA STAMPA ITALIANA 197
Nunc moesto patrium metitur lumine coelum,
Deiectara quo se luget. Tum praepete lapsu
Cognatam si vidit avem transmittere nubes,
Plaudit inops animi vinclorumque imraemor alis,
Et nisu delusa novas hinc colligit iras.
Sin autem dederit se abrumpere vincula tempus,
Tendi t iter raptim supera in convexa volucris,
Fulgenti victrix donec libratur in aethra,
Despicit unde domos hominum nescitque reverti.
Questi piccoli saggi, che abbiamo offerti al lettore, del modo di
poetare dell'Esseiva, crediamo che valgono a farlo convenire nel
nostro avviso, che in lui la classica lingua del Lazio ha trovato
nel nostro secolo uno de' più valorosi poeti. Solo è da dolere, che
la professione delle armi, se è veramente poetica per questo che
può fornire i soggetti a grandiosi poemi, non sembra però la più ac-
concia per poter esercitare la facoltà poetica. E se è così, non cre-
derebbe il signor Esseiva dover applicar al caso suo queir antico
verso: Cedant arma togae, conceda t laurea linguae?
COSE SPETTANTI AL CONCILIO
•r&^&rr-S^S^Ssst»- —
I.
UN DUBBIO MORALE
CIRCA IL PLACET ED IL NON PLACET, SPETTANTE
ALLA INFALLIBILITÀ PONTIFICIA.
È noto il libercolo, che un anonimo ad indirizzo delle coscienze dei
Vescovi osò dare alle stampe col titolo: Disquisito moralis de officio
Episcoporum in emittendis suffragiis circa personalis et independentis
infallibilitatis romani Pontificis definitionem : e sono pur noti i tre sa-
vii ed eruditi opuscoli, coi quali furongli rivedute ben bene le bucce
secondo il merito. Ma che volete? essendo difficilissimo 1' antivenire
i dubbii, che all'occasione di gravi questioni sogliono pullulare nelle
menti, eccone qui uno, che ci propone un amico, domandandocene tutto
insieme la soluzione.
L'Autore del libercolo citato avendo conchiuso pel non placet sog-
giunge: Hoc autem non placet in Conciliis, ubi condenda definitio pro-
ponitur, nequaquam per se significai eum qui sic respondet omnino indi-
care rem veram non esse ; sai tantum eam non sibi iudicari ita ccrtam,
ut definiri posse videatnr; cum defìnitiones [idei non proferantur nisi de
absolute certis. Qui sottentra il nostro amico : è proprio tale il valore
del non placet nei Concilii, quale viene dato dall'anonimo? Un Vescovo
di timida natura potrebbe adagiarsi a cosiffatto parere tuta conscicntial
Questo è il mio dubbio. Scioglietelo.
La disquisizione morale dell'anonimo è apertamente diretta a far gen-
te contro la definizione della infallibilità pontifìcia. E però tutta la de-
strezza del suo artifizio batte al punto di arreticare il più gran numero
di quelli, che tengono per essa. Conosciutili uomini tenerissimi della
loro coscienza, si mise all'opera nella sua stolta audacia di gittarli nelle
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 199
angosce del dubbio, impaurendoli prima colla vista di quattro gravissi-
mi reati, die commetterebbero, se dessero il suffragio affermativo senza
la debita conoscenza della causa, e poscia mettendo innanzi tali condi-
zioni, come necessarie per tal conoscenza, da farla parere o impossibile
ad ottenersi o per lo meno sommamente difficile. Ridottili a questo du-
rissimo passo, da buon padre spirituale porge loro un consiglio per u-
scirne puri di ogni colpa, il quale è: diano il suffragio del non placet,
con questo saranno salvi dal risebio delle quattro gravissime reità ; né
disdiranno la certezza della dottrina dell'infallibilità, annebbiata per qual-
che dubbio, stantecbè il non placet nei Concilii alla fin fine non importi
per sé la cosa non esser vera, ma solamente non giudicarsi di quell'as-
soluta certezza, che è necessaria ad una definizione. Tale è il consi-
glio del nuovo maestro di spirito, il quale sotto la vaga apparenza di .
sovvenire all'angoscia dell'animo dubbioso, l'avvinghia da traditore a
suo prò, traendolo al non placet, scopo inteso dal suo artifizio. E che?
pensava forse l'anonimo di aver a fare con gente novizia nella scienza
sacra e non con venerandi Prelati invecchiati nello studio di essa? La
cecità del suo orgoglio non gli dovette permettere di vedere la fatuità
del suo tranello.
Rispondiamo ora all'amico. Che cosa significa di per sé propriamente
il non placet ? Non altro che la riprovazione del decreto proposto al
suffragio. Se poi chi lo pronunzia, neghi risolutamente la dottrina con-
tenuta nel decreto, o la tenga come probabile od anche come certa,
ma non al grado di una definizione di fede, non viene punto significato
dal non placet. Esso è sotto questo riguardo una espressione indetermi-
nata, che si acconcia a tutte le tinte dei concetti da quella più limpida
della prossimità alla fede infino alla più cupa della negazione assoluta.
Dunque è falsa la ragione, onde si serve l'anonimo per trarre con tran-
quilla coscienza al non placet; vale a dire non significarsi per esso che
la cosa non è vera, ma soltanto, che non è di una certezza assoluta
qual si richiede per una definizione dommatica. Di qui eccovi spuntar la
questione: supposto che un Vescovo abbia in conto di certa la dottrina
della infallibilità, può egli, per torsi alle angosce di qualche dubbio so-
pravvenuto, rispondere il non placet con coscienza sicura, come lo con-
forta l'anonimo? La risposta è pronta: non lo può fare, stantechè nel
caso della infallibilità il senso del non placet sia già fissato dagli avver-
sarii con gravissimo scapito del vero. La lotta ingaggiata su questo pun-
to a che si riduce? Ognun lo sa : ella si riduce a questo, che mentre
l'una parte sostiene la dottrina dell1 infallibilità quale dottrina defini-
bile di fede, l'altra per l'opposto contende, che essa è opinione libera,
opinione di gente esagerata, di gente adulatrice, magnificata e difesa
dallo spirito di scuola. Il non placet adunque porta seco la conferma di
questa sentenza fallace in sé stessa, di sommo pregiudizio ai divini
200 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
privilegi del Pontificato , e di reissime conseguenze per la unità della
lede nella pratica. Chi non tocca con mano quanto è fallace e quanto
contrario alla diritta coscienza il consiglio di rispondere non placet, da-
to dall'anonimo con tutta sicurtà al Vescovo dubbioso?
Ebbene, ripiglia qui il nostro amico, qual partito dovrà prendere chi
ha la coscienza travagliata dal dubbio? Non può consentire al placet,
perchè in istato di dubbiezza, non può adagiarsi al non placet per le
ragioni dette or ora: che farà egli adunque? Rispondiamo colFalihicì
della morale : deponga il dubbio. Ma come deporlo, se l'angustiato ba-
lenante non avesse ne tempo, né agio di riandare da capo a fondo la
quistione, di studiarne il prò ed il contro, di bilanciarne il valore, e ri-
levatolo lutto da sé determinarsi con sicurezza, come richiede Tanoni-
nio? È vero: tanto domanda il nuovo padre spirituale de1 Vescovi, ma
fallacemente. Due sono le vie da tenersi per giungere a proda di un
fermo convincimento, e così operare prudentemente in morale : quella
delle ragioni intrinseche, e Tal tra delle ragioni estrinseche, ossia del-
l'autorità. A chi manca l'agio di fornirsi delle prime, si appigli alle se-
conde. Nel caso proposto della infallibilità pontificia è cosa facile e spe-
ditissima il venire a capo di un fermissimo convincimento mercè la via
della autorità. Figuratevi, tale e tanto si è il peso delle autorità in prò
della dottrina in quistione, che non solamente provano esser ella defi-
nibile, ma eziandio dimostrano per soprappiù correre obbligo a tutti
i Vescovi di definirla nella presente circostanza. Tanto è lungi, che
debbasi riputare cosa dubbiosa o da contare tra le opinioni di persone
esaltate. Si maraviglia forse di tanto il nostro buon amico? Gliene
diamo un saggio.
« La infallibilità del romano Pontefice è dottrina definibile. » — Ec-
covi la prova limpida di questa proposizione sull'appoggio dell'auto-
rità. — Quella dottrina è definibile, che si dimostra contenuta di certo
nel sacro deposito della rivelazione. Ma la dottrina della infallibilità del
romano Pontefice si dimostra contenuta di certo nel sacro deposito per
sentenza dei più grandi maestri in teologia. Dunque ella è definibile.
Che essa sia infatti nel sacro deposito l'affermano colle prove alla mano
S. Tommaso, S. Antonino, il Cario, il Bellarmino, il Suarez, S. Alfonso,
dei quali perciò altri la qualifica prossima alla fede, altri la dire di lede
cattolica, tutti attribuiscono al Papa il pienissimo diritto di definire con
sentenza irreformabile le cose della fede. Più : si sa che ne' tempi an-
teriori al Concilio di Costanza era stimato eretico chi l'avesse negata,
e che ne' tempi posteriori fu dottrina comunissima presso i teologi sco-
lastici, come testifica il Suarez. Ora è canone stabilito dal Cano [De Lo-
cis theol. Uh. YIH, e. IV) che: Concordem omnium theologorum srholae
de fide ani moribus sententiam contradicere, si harrrsis non est, ni fiat-
resi proximum est. Eccovi l'alto grado, in cui è posta la dottrina della
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 201
infallibilità, stante il concorto della scuola teologica. Che se le asser-
zioni dei più grandi maestri in teologia circa la dottrina della infallibi-
lità, se le qualifiche datele, se la nota d' infamia apposta alla contraria
convengono nel dichiararla contenuta nel sacro deposito, chi può dubi-
tare sul conto della sua definibilità?
Direte, che ebbe maestri oppositori. Non lo neghiamo. Ma la loro au-
torità, che vale? Nulla, e ciò sia pel fondamento della loro sentenza in-
fetto di errori condannati, come l'ha dimostrato egregiamente testé il
P. Ballerini e nel Gersone, e nelFAlmaino e negli altri primi opposi-
tori, sia pel noto motivo della prepotenza e della piacenterìa, onde nel
1682 gli autori della Dichiarazione del clero gallicano furono mossi a
ripristinare la dottrina del Gersone e de1 suoi compagni rimessa a nuo-
vo, sia per la universale riprovazione della Chiesa, che si sollevò contro
un tale attentato, sia finalmente per la pochezza del loro numero messo
a confronto con quello dell'altra parte. Posto così in sodo il primo pun-
to del nostro asserto passiamo all'altro.
« Corre obbligo a tutti i Vescovi di definire la infallibilità pontificia
nella presente circostanza. » — Due semplicissimi sillogismi, fondati
sull'autorità e germoglianti l'uno dall'altro, ci danno la prova di tanto
obbligo. Il primo è il seguente : I fedeli sono obbligati a seguire la
credenza professata dalla Chiesa romana nel suo capo. Ma la Chiesa
romana ha sempre professata la credenza della infallibilità pontificia.
Dunque i fedeli sono obbligati a seguire tale credenza. Posto quesfob-
bligo universale, ecco spuntarne un altro particolare in questo secondo
sillogismo : I Vescovi sono obbligati in forza del loro ministero a te-
stificare solennemente quale che siasi credenza ed a suggellarne l'ob-
bligo colla definizione, quando siano convocati legittimamente a farlo.
Ma i Vescovi sono ora convocati legittimamente a testificare la creden-
za della infallibilità ed a suggellarne l'obbligo con solenne definizione.
Dunque sono obbligati a farlo.
Ripigliamo le proposizioni di questi due sillogismi. È egli vero che
tutti i fedeli siano obbligati a conformarsi alle credenze della Chiesa
romana? Chi può dubitarne? La quistione è sciolta da S. Ireneo, il qua-
le lo reputa cosa necessaria a tutte le Chiese ed a tutti i fedeli; è sciolta
da S. Girolamo nella sua lettera a S. Damaso; è sciolta da S. Agostino
a nome della Chiesa africana nella sua epistola sinodale a S. Innocen-
zo I : è sciolta da S. Ambrogio in quel suo celebre motto : ubi Petrus,
ibi Ecclesia. Tanto è necessario, secondo i Padri citati, seguire la dot-
trina della Chiesa romana o del Papa, quanto è necessario il permane-
re nella vera fede, il non errare da essa ed il sicurarsi il conseguimento
della salute eterna. E per recare un' autorità di tempi vicinissimi a
noi, non altrimenti ha testificato un'assemblea di ottantacinque Vesco-
vi della Chiesa gallicana nelle due lettere scritte il 1653 a Papa Inno-
202 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
cenzo X, nella prima delle quali essi chiedeano la condanna determinata
delle cinque proposizioni di Giansenio, e nell'altra ripetendo i concetti
de' Padri antichi, raccoglievano con ringraziamenti e con intera som-
messione ai giudizii del Papa come agiudizii infallibili. Vedete quanto
fallacemente insegni l'anonimo non doversi nella quislione presente far
conto della dottrina insegnata dal Papa.
Né meno chiaramente ci viene testificata la professione della infallibi-
lità pontificia nella Chiesa romana. Essa di fatto ci viene affermata fra
i molti altri da S. Leone in più Sermoni, da S. Gelasio I, da S. Agato-
ne I, da Nicolò I, da Innocenzo III e da ultimo da Papa Pio IX. Ognuno
di questi Papi ci dichiara la professione di questa dottrina con una qua-
lità speciale. Chi ci dice i giudizii pontificii esser la forma di quelli di
tutta la Chiesa, chi ci presenta la sicurezza dei medesimi, chi la perpe-
tuità della loro interezza, chi la fermezza incrollabile, onde sono forniti.
Più : sorse alcuno a combatterla comechcssia ? Eccovelo tosto fulminato
di condanna. Sorse ad oppugnarla Pietro di Osma, e fu subito condan-
nato da Sisto IV. Sorse Lutero, e giacque fulminato da Leone X. Sorse
Quesnello, e fu sentenziato da Alessandro Vili. Fu offesa da ultimo
e in modo solenne dalla Dichiarazione del clero gallicano, e fu tosto
vendicata mercè la riprovazione di Innocenzo XI, di Alessandro Vili,
ed in maniera più cospicua da Pio VI, il quale su la fine della Bolla Au-
clorem [idei riprovò e condannò l'adozione fattane dal Sinodo di Pistoia,
come scandalosa, temeraria e sommamente offensiva della Sede aposto-
lica. Che volete di più esplicito delle testimonianze e delle condanne qui
riferite? La credenza della infallibilità nella Chiesa romana, può ella
essere espressa più gagliardamente, o professata con più di solennità?
Dunque in forza dell'obbligo universale di seguire la credenza della
Chiesa romana, tutti i fedeli e tutte le Chiese sono obbligate a seguir-
la anche in questa della infallibilità pontificia.
Ciò posto, i Vescovi non sono in forza del loro ministero apostoli-
co i testimonii ei giudici della verità cattolica? Non hanno l'obbligo,
nel loro grado di pastori, di torre il dubbio nella lotta di diverse sen-
tenze ai fedeli, indirizzandoli per la diritta via della verità? Ebbene
essendo ora chiamati legittimamente a testificare la dottrina della in-
fallibilità, ed a suggellarne l'obbligo della credenza con solenne decre-
to e ad indicare in questo modo quale sentenza devono tenere i fe-
deli nella lotta presente, potranno senza mancare all'obbligo grà
mo del loro ufficio rifiutarsi a tanto? Egli è evidente che no. Dunque
eglino sono tutti obbligati a definirla.
Ne vale opporre i mille guai esagerati, che potrebbero accadere per
tale definizione. Il decreto dommatico è proposto in Concilio, perchè
si giudichi della dottrina contenuta in esso. Su questa adunque dee
portarsi il giudizio, e così s'intende da tutta la Chiesa. 11 Prelato, che
COSE SPETTASTI AL CONCILIO * 203
giudicasse invece del vantaggio e del danno verrebbe meno al suo do-
vere, indurrebbe in errore i fedeli, e dovrebbe quindi render conto a Dio
di questo suo strano procedimento.
Conchiudendo, il Prelato, che si trovasse dubbio o incerto circa la dot-
trina della infallibilità non può lecitamente rispondere non placet. Egli
dee deporre il dubbio, e non potendolo fare per via delle ragioni in-
trinseche, faccialo per via delle estrinseche o dell'autorità. Donde facil-
mente resterà pienamente sicuro, che la dottrina della infallibilità non
solo è definibile, ma eziandio tale da indurre ne1 Vescovi l'obbligo del
definirla solennemente. Tanto fu scritto in risposta ali1 amico, il quale
soddisfatto ci fece istanza di pubblicarlo colle stampe, quasi appendice
ai tre opuscoli citati da principio.
IL
RIVISTA BIBLIOGRAFICA
I. Scritti in difesa dell' infallibilità pontificia.
1. di Mgr. Cardoni — 2. del P. Bo Italia — 3. del P. Gesualdo da Bronte —
4. di Dora Guéranger — 5. dell1 Ab. Uccelli — 6. del P. Schneemann —
7. di Mgr. Freppel — 8. Altri opuscoli. /
1. Elucubratio de dogmatica Romani Pontificis infallibilitate eiusque
dòfinibilitaie per R. P. D« los. Cardoni Archiepiscopum Edessenum. Edi-
lio altera. Romae, typ. S. C. de prop. Fide. In 8.° picc. di pag. 220.
Questa seconda edizione porta in fronte un indirizzo al S. Padre,
sottoscritto da undici teologi, colleglli di mgr. Cardoni nella Commis-
sione dommalica, in cui chiedendo la definizione, soggiungono: Ilis por-
ro sensibus praedili, operi noslris his votis adiunclo, ab Illmo et Remo
Duo Edesseno Archiepiscopo, cuius, nti Pontifìcii theologi, collegas esse
laetamur, nuper ad eum finrm conscripto universi adhaeremus : quo
quidem in opere apprime demonslrat inerrandi privilegium supremo et
visibili Ecclesiae Capiti in doctrinae negotio adtributum veritatem esse
divinitus revelatam.
Le riviste cattoliche han già parlato con molta lode di questo lavoro
teologico, come noi pur facemmo a pag. 597 del volume precedente.
La spiegazione che ivi demmo di un tratto in riguardo all'oggetto del-
l'infallibilità era al tutto conforme al contesto e alla mente del eh. Auto-
re: ma a tórre ogni equivoco egli ha voluto esprimersi più chiaramen-
te nella seconda edizione, dicendo : Tunc solum dicimus Pontificem ex
Cathedra loqui, quando nulla vi ac mela cogente, libere ad tuendam Ec-
clesiae unitatem ci ad dissensiones in rebus fìdei ac morum compescendas
aliquid circa fìdem et mores definii vel damnat ; potissimum vero, quan-
201 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
do eos, qui aliter ac ipse docet, scntiant, uti haereticos et a communione
Ecclesiae separatos anatlemate punti (pag. 190). Così vien tolta ogni
occasione alla critica fatta da alcuni fogli, che il eh. Autore restringesse
V infallibilità al solo oggetto primario, ossia ai dogmi di fede.
A tórre pure ogni equivoco sif di un altro punto, raccomandiamo l'at-
tenta lettura di tutta intera la dottrina del eh. Autore al e. HI, art. IV.
Come già accennammo, egli ivi insegna in tre tesi distinte, 1.° che per
se alla validità dell'atto neppur si richiede che i Romani Pontefici pri-
ma della definizione sentano il voto consultivo o di Vescovi, o di Cardi-
nali o di teologi; 2.° che sono però obbligati ad usare le umane dili-
genze e tra queste a sentire V altrui consiglio, non bastando ordinaria-
riamente lo studio privato; e 3." che di fatto han sempre tenuta in varii
modi questa regola di prudenza. Non si appartiene però ai fedeli di esa-
minare se il Pontefice abbia usate le debite diligenze; essendoci garante
la promessa dell' assistenza divina che il Papa non definirà mai cosa
senza il debito esame.
2. The Pope and the Church considered in their mutuai rclations, by the
Rev. Paul Bottalla S. J. professor of theology in St. Beunds College,
N. Wales. Part. IL The infallibility of the Pope. (Il Papa e la Chiesa.
Parte II. V infallibilità del Papa. ) London, Burns, MDCCCLXX. In 8/
picc. di pag. 394.
Tra le opere di maggior polso scritte ultimamente intorno al primato
e alla infallibilità del Papa, una certamente si è questa del eh. padre
Bottalla. Fin dal voi. V pag. 465 parlammo della prima parte, che trat-
ta della suprema autorità del Papa ; ed ora annunziamo questa seconda,
che tratta della sua infallibilità. V opera è dogmatico-polemica, e però
vi si discute a fondo la dottrina cattolica alla luce della Scrittura e de1 Pa-
dri, e coi raggi di qnesta luce si dileguano le nebbie che tentano d'olfu-
scarla. Tra i tanti libri testò usciti contro P infallibilità, egli prende spe-
cialmente di mira P opera di mgr. Maret; ma non perde di vista il suo
primo avversario, il dr. Pusey, e il Le Page Renouf, e il Dòllinger e il
Janus, ed altrettali. Nei primi capi, ossia nelle prime sezioni del libro,
egli mostra il nesso logico e storico dell1 infallibilità papale colP unità
della Chiesa, col primato, e colla necessità della comunione con Roma;
fa vedere che i famosi testi della divina Scrittura provano del pari e il
primato e P infallibilità, ossia la suprema autorità di governo insieme e
di magistero; che tale fu il concetto degli antichi Padri; tale P antica
pratica della Chiesa ; tale P insegnamento degli antichi Pontefici ; e lutto
confermasi dal dritto e dal fatto antico, che sempre ci rappresenta la
Sede apostolica qual supremo tribunale, e il Romano Pontefice qual su-
premo giudice nelle cause di fede.
Nelle seguenti sezioni il eh. Autore pone in maggior luce P infallibili-
tà, mettendola in riscontro coi Concilii, e studiandola appunto negli atti
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 205
di tutti i Conciìii ecumenici. Dapprima dimostra generalmente come
stiano d'accordo l'infallibilità dei Concilii e del Papa; e come questa
non deroghi punto air autorità dei Vescovi quai giudici della fede :
quindi viene a parlare paratamente dei Concilii d1 Oriente, e mette in
mostra l'autorità suprema del magistero riconosciuta nei Romani Ponte-
fici; né si lascia punto sgomentare dalle famose obiezioni intorno ai
fatti di Liberio, di Vigilio e di Onorio. Parla indi più brevemente del-
l' infallibilità papale riconosciuta nei Concilii ecumenici d1 Occidente, e
dello sviluppo scolastico di questa dottrina. Finalmente traccia la di-
sonorata storia del contrario errore e termina accennando il carattere
dogmatico della dottrina dell1 infallibilità papale anche prima della defi-
nizione, il suo molteplice oggetto e le sue condizioni.
Il P. Bottalla sul terminare il suo trattato dice che la dottrina dell1 in-
fallibilità papale è insieme una dottrina logica ed istorica: it is a logicai
and historical doctrine. Il simigliarne possiamo dir noi del suo libro;
esso è del pari pregevole e per raziocinio di sana teologia, e per erudi-
zione di storia ecclesiastica. Egli aggiunge, che pur questa dottrina,
come tutti i grandi dogmi della Chiesa, può aver le sue difficoltà, biso-
gnevoli di spiegazione; ma che elle svaniscono al confronto della gran
massa delle tradizioni ecclesiastiche e dell1 istoria. E il simigliarne pos-
siamo dir noi del valore polemico del suo libro : le obiezioni non si dis-
simulano ; il trattato non è solo dogmatico , è anche polemico ; ma le
obiezioni restano stritolate, e svaniscono, specialmente sotto il peso e la
forza delle prove della verità.
3. De regno Dei divinaque summi Ponti ficis polestate in hebraea et
Christiana gente, Conquisitio historica et dogmatica R. P. Iesualdi de
Luca a Bronte Ordinis Capuccinorum, Illmi et Rvmi Dui Episc. Mura-
ìli Theologiae lurisque consultoris in Concilio Vaticano. Romae, ex typ.
Salviucci 1870. In 8.° di pag. 148.
Pro opportunitale oecumenicae declarationìs de pontifìcia mag isteria-
li infallibilitale thelogica dìsquisitio , Alidore R. P. Iesualdo de Luca
a Bronte. Neapoli, ex typ. Piscopo 1870. In 8.° di pag. 300.
La mente feconda del R. P. Gesualdo De Luca da Bronte ha messo in
luce quasi allo stesso tempo, come, due gemelli, due libri, i quali e per
la mole e più ancora per la dottrina meritano il nome di opere, anziché
di operette.
Il concetto del primo lavoro si vede abbastanza dal titolo ; Bel regno
di Dio e della divina potestà del Sommo Pontefice presso gli Ebrei e
presso i Cristiani, Disquisizione istorica e dogmatica. Secondo ciò il la-
voro è diviso in due parti-, e ciascuna è suddivisa in una disquisizione
istorica e in un1 altra dogmatica. Nella prima parte si mette, innanzi fi-
dea istorica del regno di Dio nella gente ebrea, e specialmente dell1 au-
206 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
lorità del sommo Pontefice; indi si dichiara dogmaticamente, come il re-
gno presso gli ebrei fu teocratico, e come dentro certi contini il sommo
Pontefice avea autorità d1 infallibile magistero, e come tutto ciò era im-
magine e preparazione della Chiesa cattolica.
Similmente nella seconda parte, che è assai più ampia, dapprima si
fa una disquisizione storica sul regno di Dio e di Gesù Cristo nella sua
Chiesa, e si dichiara la parte dei Vescovi e del Sommo Pontefice in que-
sto regno ; indi segue la disquisizione dogmatica, in cui si chiarisce co-
me la Chiesa cattolica sia il visibile regno monarchico di Dio e di Ge-
sù Cristo sulla terra, come il Romano Pontefice Vicario di Gesù Cristo
sia il visibile monarca nella Chiesa, e come abbia la prerogativa d' infal-
libile magistero, facendo sempre un riscontro tra la figura e il figurato,
e mostrando il vantaggio del regno di Dio nella Chiesa sopra lo stesso
regno adombrato nella Sinagoga ; onde conchiude colle parole di S. Bo-
naventura nella sua Apologia Pauperum: « Si tempore sacerdotii figura-
tivi, Ponlificis sententiae adversari malum crai, mortisque poena mul-
ctandum; multo fortius tempore veritatis et gratiae revclatae, quando
Christi Vicario plenitudo potestatis collata esse dignoscitur, malum esse
constai nullatenus tolerandum, in fide vel moribus eius definilioni
dogmatizare contrarium, approbando quod ipse reprobai, reaedificando
quod ipse destruit, defensando quod damnat. »
Senza entrare nei particolari delle dottrine del regno di Dio nella Si-
nagoga e nella Chiesa, ci basti di aver accennato con lode il concetto ge-
nerale : ed anziché lodare personalmente l'Autore, recheremo ciò che i
revisori dell1 ordine hanno attestato della dottrina principale di tutto il
libro; il che torna a gran lode di tutto l'Ordine de'PP. Cappuccini. Uno
dice : « Relate ad punclum doctrinae in ipso perlractalum, fateor confor-
me esse doctrinae sempzr in Ordine nostro post Seraphicum Doctorcm
D. Bonaventuram admissae et propugnatae » ; l'altro attesta di aver ivi
trovato « omnia conformici spiritili S. P. Francisci, cui in animo sem-
per fuit, ut fratres sui arclissimam obedientiam et reverentiam continuo
praeslarent summo Pontifici et Sanclae Sedi » ; onde il Rviìlo P. Gene-
rale approva la stampa del libro « cum in co doclrina contincatur ab
Ordine nostro constanter propugnata ».
Il concetto generale dell'altro libro per l'opportunità della definizione
non potrebbe esporsi meglio che colle parole stesse dei eh. Autore nel-
la Introduzione.
« Or è duopo di trattare della opportunità, anzi della necessità della
definizione sinodale; e poiché alcuni degli oppositori cercarono di scuo-
tere gli argomenti in prova dell1 infallibilità pontificia, se ne dee mostra-
re l'iii'i-ollabil fermezza. Pertanto sarà ben fatto trattare queste quistio-
ni 1.° se l'opposizione abbia qualche peso pel numero e per la dignità
degli oppositori. 2.° se l'abbia per forza delle loro ragioni. 3.° se la.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 207
dottrina dell1 infallibilità pontifìcia sia fondata nelle divine testimonian-
ze; 4.° se la professione di tal verità sia nuova e non anzi antica, univer-
sale e costante; 5.° se la definizione sia utile alla chiesa. 6.° anzi se al
tutto necessaria. » Le due prime e le due ultime quistioni son trattate
brevemente ; e assai diffusamente le due di mezzo con abbondanza di eru-
dizione ecclesiastica. Qui pure non possiamo entrare nei particolari; e pe-
rò lodando in generale specialmente la vasta erudizione, non ci tratterre-
mo a porre in rilievo alcuni tratti più belli e più ingegnosi, come per
esempio ove raccoglie io varie proposizioni la fede della Chiesa sulF in-
fallibilità Pontificia, o dove rappresenta il Concilio di Gerusalemme, co-
me un modello, per così dire, di una definizione ex cathedra in una con-
gregazione papale; o dove mostra che il consenso de1 Vescovi non è
condizione, ma effetto d'una pontifìcia definizione : e molto meno ci trat-
terremo a rilevare qualche difetto, specialmente ove rappresenta il con-
siglio de1 Cardinali , come un segno necessario a conoscere se una de-
finizione papale sia ex cathedra. Nel complesso, tutto il libro può dirsi
una compiuta dimostrazione dogmatico-polemica della verità della dot-
trina contro il gallicanismo a proposito della definizione.
Una sola cosa non lasceremo di notare particolarmente, e si è che seb-
bene l'Autore parli severamente della dissensione, anzi della sedizione
(pag. 291) eccitatasi fuor del Concilio, pure in riguardo alla opposizione
fatta conscienziosamente da alcuni Vescovi, non ha una parola men che
rispettosa (pag. V, e 296) ; e per divina mercè anche noi possiam ralle-
grarci di aver fatto altrettanto.
4. De la définition de Vinfaillibililé papale à propos de la lettre de
Mgr. D'Orléans a Mgr. de Malines, par le R. P. Dosi Prosper Guéran-
ger, abbé de Solesmes. Paris, Victor Palme, 1870. In 8.° di pag. 48.
Réponse aux dernières objeclions contre la définition de V infaillibilité
du Pontife Romain, par le R. P. Dom Prosper Guérainger, abbé de So-
lesmes. Paris, Victor Palme, 1870. In 8.° di pag. 40.
Fra i molti scrittori, che sono surti a difendere la cattolica dottrina
della infallibilità pontificia , impugnata da molti , e la convenienza o ne-
cessità che fosse definita di fede, da più altri contrastata, uno dei più
indefessi e de1 più valorosi è senza dubbio Y illustre Abbate di Solesmes
Dom Prospero Guéranger. Non è uscito alla pubblica luce niuno scritto
della parte avversaria , il quale abbia levato alcun rumore o sia per
rartificio di fare illusione co1 sofismi, o sia per l'autorità di chi lo det-
tava, o per 1* una e per l'altra cagione insieme, contro il quale non
abbia impugnata la penna il dotto Benedettino. I due opuscoli annun-
ziati non chiudono la serie de1 lavori da lui sinora pubblicati su pe1 gior-
nali cattolici, ma sono gli ultimi a noi pervenuti in libretti separati. Il
soggetto del primo ò sufficientemente dichiarato dal titolo ; ed il secon-
do contiene le risposte a parecchie difficoltà, accumulate in alcune scrit-
208 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
ture o anonime o con nome, fatte girare qui in Roma fra i Vescovi, per
distornarli dal definire la infallibilità pontifìcia. Nondimeno per non di-
vagare qui e colà con danno dell'unità e dell'interesse, egli prende a
confutare di proposito il libercolo, stampato in Napoli col titolo: Obser-
vationes quaedam de infallibilitaiis Ecclesiae subiecto ; raccogliendo so-
pra i punti toccati dall'Autore di esso, le obbiezioni che si trovano spar-
se in tutti gli altri opuscoli. Ci è impossibile dire delle cose in parti-
colare; ma possiamo comprender tutto in breve, affermando e di que-
ste e di altre opere di lui relative alla stessa materia, esser tanta la lu-
ce della dottrina, che egli arreca, alcune volte anche da recondite fonti,
sopra le diverse quistioni che tratta, e tanta dall'altro lato la forza del di-
scorso onde fa valere una tale dottrina nel confutare gli argomenti con-
trarii, che a chi lo legga con attenzione non è più possibile non vedere
la verità in tutto il suo splendore, e dissipati come nebbia i sotìsmi che
J'adom bravano.
5. De' testi esaminati da S '. Tommaso d'Aquino nell'opuscolo contro
gli errori de' Greci, relativamente air infallibilità pontificia; Memoria
del Dr. Pietro Antonio Uccelli. Napoli co1 tipi di Vincenzo Monfredi,
1870. In 8." di pag. 44.
È noto il meschino artifizio , al quale gf impugnatori della cattolica
dottrina della infallibilità pontificia sono ricorsi, per torre ad essa il
valevole suffragio dell1 autorità di S. Tommaso d'Aquino, e con ciò ri-
durre a nulla lo stesso consentimento di tutte le scuole intorno a quella
questione. Dicono dunque che 1' angelico Dottore fu tratto in inganno
da un libro datogli ad esaminare da Urbano IV , pieno zeppo di testi
apocrifi di Padri greci in favore della pontificia infallibilità; e che so-
pra così rovinoso fondamento egli appoggiò la sua opinione, la quale poi
a poco a poco si diffuse in tutte le scuole. Da molti, e trionfalmente, è
stato risposto a questo sciocchissimo argomento , tutti accordandosi in
questa sentenza , che quando ancora alcuni di que' testi , che V angelico
Dottore deriva da quel libro , fossero apocrifi , non ne verrebbe nessun
pregiudizio alla dottrina della infallibilità, da lui inoltre sostenuta colle
aperte testimonianze delle Scritture, e di tutta quanta la tradizione dei
Padri. Nondimeno il chiarissimo abbate Uccelli, indefesso scrutatore
delle opere dell'Angelico, si contenta di accettare la quistione, com'è
presentata dagli avversarli, fingendo che S. Tommaso non si fosse fon-
dato che sopra i testi, dagli avversarli dichiarati apocrifi : con tutto ciò,
egli dice, la tesi di S. Tommaso non ne patirebbe detrimento, essendo
che i testi addotti da lui sono autenticissimi. Egli lo pruova con un ar-
gomento di fatto, il quale è il libro stesso tolto ad esaminare da S.Tom-
maso, che gli è riuscito di trovare nella biblioteca vaticana. Da questo
codice adunque trascrive da prima per disteso tutt'i brani, che il santo
Dottore cita in compendio; e poi paragonando i testi del detto codice
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 209
co1 luoghi de' Padri, ai quali si riferiscono, ne fa scorgere ad evidenza la
identità de1 concetti, espressi alcune volte colle stesse frasi, alcune vol-
te in sentenza. Quanto ad alcune citazioni, alle quali non si trova il rag-
guaglio corrispondente, egli dimostra con argomenti invittissimi, che
altre furono tolte da alcuni canoni del Concilio Calcedonese sperduti, ed
altre da libri di Padri anch'essi smarriti. Tutta la dimostrazione del dot-
to Autore riesce di una manifesta evidenza.
6. Sancii Irenaei de Ecclesiae Romanae principati!, testimonium com-
mentatili» et defensum a Gerardo Schneemann, Societatis Iesu presby-
tero. Friburgi Brisgoviae, Herder MDCCCLXX. Iu 4.' gr. di p. XXX1Y.
Questa dotta dissertazione è del eh. P. Schneemann, si conosciuto in
Germania per la difesa del Sillabo e per altri articoli nelle Voci di Ma-
ria Laach, ed ora ancor più famoso qual collaboratore nell'insigne rac-
colta, Colleclio Lacensis, da noi lodata a pag. 349 del voi. IX e a pag.
572 del voi. X. Or appunto dal tomo 1Y di questa Collezione vien tolta *
questa dissertazione, ivi stampata come appendice ai Coneilii della Fran-
cia. Dimostrata dapprima dal contesto la forza di quella celebre testimo-
nianza: ad liane enìm Ecclesiam propter poten'iorem principalitatem
necesse est omnem convenire Ecclesiam; il eh. Autore in tre distinti ca-
pi dimostra la forza di quelle tre parole, 1.° convenire, 2." principalitasy
2.' necesse est; confuta ad una ad una le false interpretazioni; e ne fa spic-
care di viva luce il primato e la infallibilità della Sede Romana ossia del
Bomano Pontefice: e a tal proposito ci piace di vedere che anche il
P. Schneemann cita con gran lode la Lezione di Mgr. Freppel sopra
S. Ireneo, da noi tanto lodata a pag. 602 del voi. precedente.
7. Yeritable état de la question agilée entre le Pape S. Etienne et
S. Cyprien, touchant le bapléme des hérétiqnes. Lecons faites a la Sor-
bonne en 1863 par M. VAbbé Freppel, doyen de St. Geneviève, professeur
à la Sorbonne, actuellement Évèque d'Angers. Torino, Marietti. In 8.9
picc. di pag. 63.
La Lezione sopra S. Ireneo, estratta dalle opere di monsig. Freppel,
destò in molti la brama che similmente le sue tre lezioni sulla contro-
versia di S. Cipriano si estraessero dal tomo YII delle sue opere e si
stampassero a parte. Si dicea da molti che queste Lezioni , oltre il van-
taggio dogmatico e polemico contro quei che non rifinano di recare la
controversia di S. Cipriano, come segno che al suo tempo non si
credea all'infallibilità, anzi neppure al primato del Papa, recherebbero
altresì un vantaggio morale, mostrando a che può condurre sventurata-
mente anche delle anime grandi l'impegno di sostenere un'opinione. E
di vero basta leggere queste limpide ed eloquenti lezioni per cavarne
questo doppio vantaggio.
Serie TU, voi. XI, fase. 488. 14 8 Luglio 1870.
210 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
8. Altri opuscoli di varii autori.
Il desiderio di annunziare quanti più possiamo degli scritti intorno
l'infallibilità prima della definizione, ci costringe per difetto di tempo e
di spazio a raccogliere insieme varii opuscoli meritevoli di rivista e a
contentarci di semplici annunzii.
Annunziamo dapprima due altri catechismi : Catéchisme de l'infailli-
bililé da Pape par le R. P. II. Montrouzier, S. J. (Arras, V. Rousseau.
In 12.* di pag. 130); e un altro numero del Catechismo di Controver-
sia del P. De Boylesve S. J., intitolalo Le Pape et Ics Gallicani d'aulre-
fois (Paris, Dillet. In 8.° di pag. 31). Il primo riguarda direttamente
rinfallibilità dal Papa, ed è distinto in due parti : 1° Prove e spiegazio-
ni; 2° Obiezioni e risposte. Il secondo riguarda direttamente gli articoli
della Dichiarazione del 1682, e può aversi come un supplemento all'altro
numero del Catechismo, intitolato L'infaillibilité, come accennammo a
pag. 85 del volume precedente. Ivi pure annunziammo un Dialogo tra
un cattolico laico e un teologo romano, ed ora ne annunziamo la ver-
sione francese; L'infaillibilité pontificale, Dialogue eie. (Paris, Le Clero.
In 16.° di pag. 47). Questa versione francese, e un'altra portoghese e
due ristampe dell'originale a Bologna ed a Modena, dimostrano il meri-
to di questo Dialogo, che parimente può dirsi un Catechismo sull1 infal-
libilità. I nomi del P. De Montrouzier, e del P. De Boylesve, sì noti per
la letteratura popolare, e il favore incontrato dall1 anonimo teologo ro-
mano, ci scusano dal fare elogi di queste operette popolari. A queste
possiamo aggiungere una Disputa fra due artieri modenesi intorno al-
l'infallibilità del Romano Pontefice; che è il num. 74 della Collezione
di Letture amene ed oneste (Tip. dell'Immacolata Concezione. In 32.° di
pag. 60).
Alle persone più colte possiamo raccomandare due Conferenze, ed
anche per queste per ogni lode bastano i nomi. La prima si è del padre
Felix, L'infaillibilité pontificale. Conference a Notre-Dame de Paris par
le R. P. Felix S. J. Le dimanche des Rameaux, 10 Avril 1870 (Paris,
E. De Soye. In 8.° di pag. 43). L'opera di S. Michele per la propaga-
zione di buoni libri ne mandò una copia in dono a tutti i Padri del Con-
cilio. Una versione ne è stata già donata all'Italia, ed uscì subito alla
luce nel Maggio nella Biblioteca di S. Francesco di Sales per la diffusio-
ne gratuita dei buoni libri. V infallibilità papale, Conferenza del P. Fe-
lix, tradotta ed annotata per IL De Martlnis P. d. C. d. M. (Napoli, in
32.' di pag. 68). L'altra conferenza è del can. Àlimonda, V infallibilità
del Papa. Conferenza recitata nella Metropolitana di Genova dal can
prev. Gaetano Àlimonda, il 19 Giugno 1870 (Genova, tip. della Gio-
ventù, lu 8.° di pag. 51). Come la conferenza del P. Felix a ì\oire-Da-
me di Parigi, così nella Metropolitana di Genova la conferenza del can.
Àlimonda fu ascoltata con istraordinario interesse e chiesta per la stani-
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 211
pa. Il eh. Autore chiude la prefazione con queste parole: « 11 predicatore
e r uditorio della Metropolitana genovese mandano con la presente
stampa un rispettoso voto al Concilio Vaticano per la dichiarazione
dogmatica intorno all'infallibilità della S. Sede. »
Uniamo insieme tre opuscoli, che possiam dire religioso-sociali, scrit-
ti da penne valenti. Il primo è del P. Alfonso Capeceìatro dell'Oratorio
di Napoli, intitolato// Concilio Vaticano (Napoli, tip. degli Accattoncel-
li. In 12.° di pag. 48), e contiene due articoli pubblicati già nel giornale
La Carila, e intitolati Iddio con noi nel Concilio Vaticano, e La pole-
mica intorno all' infallibilità papale, i quali possono far seguito all'al-
tro suo libro intitolato, Perchè il Concilio? assai lodato da noi nel volu-
me Vili, p. 342. Il secondo è del principe Enrico De Valori, intitolato :
Infaillibilité dn Pape. Rome, le Ch'rist et le Concile (Paris, V. Palme. In
12.e di pag. 69). Ne abbiam sottocchio la sesta edizione, dedicata a ma-
dama Stone. Il terzo s'intitola, Del Sillabo e della infallibilità, Pensieri
d'un laico cattolico (Lucca, tip. Landi. In 8.° di 54). I nomi del principe
De Valori, e del P. Capeceìatro son noti tra i pubblicisti: e ad essi può
associarsi questo anonimo laico cattolico per nobiltà di stile e di con-
cetti, e per senno di cristiana politica.
Ci resta ancora ad annunziare, che non ci sovviene di averla per an-
co annunziata, la terza lettera del De Margerie al P. Gratry, la quale
non cede per merito alle due prime. V infaillibilité. Troisième lettre au
R. P. Gratry par Amédée De Margerie, professeur de philosophie à la
faculié des lellres de Nancy (Paris, DounioL In 12.° di pag. 103) : e si-
milmente la quarta delle famose lettere di mgr. Dechamps allo stesso
P. Gratry. Leltres au R. P. Gratry par mgr. Dechamps. Quatrième let-
tre [Malines, II. Dessain. In 8.° picc. di pag. 26). Delle prime lettere di
mgr. Dechamps e del sig. De Margerie parlammo a pag. *79, 81 del
voi. X. A queste aggiungiamo una lettera, benché d'altro genere, cioè
specolativo e non polemico, del P. Fr. Vittorio di S. G. B. Carni. Se.
Sopra l'autorità suprema del romano Pontefice, Lettera ad un amico ( Pia-
cenza, tip. Bertola. In 8/ di pag. 15).
Terminiamo con quattro opuscoli di quattro illustri Vescovi. Monsig.
Salzano, Vescovo di Tanes, ha pubblicato : Brevi riflessioni sul modo di
risolvere e sulV opportunità di definire V infallibilità del Pontefice som-
mo (Napoli, tip. de Leila. In 8.' di pag. li). Queste riflessioni quanto
son brevi, altrettanto sono sapienti. Monsignor Celesia, Vescovo di Pat-
ti, sotto forma di lettera pastorale al suo clero, ha pubblicato un egre-
gio opuscoietto latino: De infallibilitate romani Pontifìcis ( Augustae
Taurinorum, typis Speirani. In 8.° di pag. 17). Monsignor Regnier,
Arcivescovo di Cambrai, ha similmente pubblicato una breve confuta-
zione teologica del Gallicanismo: Lettre de Monseigneur rArchevéque de
Cambrai au clergé de son diocèse sur le Gallicanisme théologique (Pa-
212 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
ris, Y. Palme. In 32.° di pag. 33). Questa lettera nel suo genere non
la cede ali1 altra sì celebre, da noi lodata a pag. 745 del voi. preceden-
te. Da ultimo Mons. Ghilardi, Vescovo di Mondovì, oltre i suoi ratti
opuscoli, ha pubblicato opportunamente per l'occasione un prezioso trat-
tatela del Turrecremata : De plenitudine polestatis romani Pontipds in
Ecclesia Dei, opusculum ex operibus Io. De Turrecremata, Orci. Praedi-
ca.orum S. R. E. C. a Fr. Ioanne Thoma Ghilardi tiusdem Ordini*, Epi-
scopo Montis Reqalis depromptum (Taurini, ap. P. Marietti. In 8.° di
pag. 100).
II. Altri scritti in difesa di Papa Onorio.
I. di A. De Marlene — 2. del P. Colombier —3. di un Sacerdote romano —
4. del P. Schneemann — 5. del dr. Fabi — G. di mgr. Ghilardi — 7. di
un anonimo.
1. Réponse a Mgr. néfélé pour (aire suite aux lettres au R. P. Gra-
try, par Amédée de Margerie, professeur de philosophie a la (acuite des
lettres de Nancy. Paris, Dauniol, 1870. In 16.* di pag. 64.
Questo opuscolo del eh. professore de Margerie è un ritorno alla qui-
stione di Onorio, da lui egregiamente trattata nel rispondere al P. Gra-
try. Egli è obbligato di rifarsi sullo stesso argomento a fin di risolvere
alcune obbiezioni mossegli contro da Mgr. Hef'cle, per occasione appun-
to di quello scritto. Salvo alcuni leggerissimi falli di storia, i quali
l'Autore modestamente confessa, ma che sono del tutto estranei alla con-
troversia, egli risponde trionfalmente a tutti gli appunti fattigli da Mon-
signore, e ne trae miglior vantaggio per la causa di quel Papa.
2. Le Pape Ilonorius et Mgr. Iléfélé (Lettera del P. Colombier della
Comp. di Gesù a Mgr. Ilefcle). Paris, E. di Soye, 1870. In 8.* di pag. 17.
Il R. P. Colombier avea trattato lungamente nel Periodico parigino
Les Éludes la quistione di Onorio ; e la sua trattazione ci piacque massi-
mamente per alcuni dati storici, da lui prima (Togli1 altro solidamente
dimostrati, i quali aiutano a meraviglia a far compiuta l'apologia di quel
Papa. Noi ce ne servimmo largamente nel rispondere a questa stèssè
scrittura di mgr. Hefele, rendendo a chi si conveniva la lode della sco-
perta (voi. X. pag. 431). Godiamo ora che il medesimo P. Colombier,
condensando in poche pagine tutta la sostanza di quo suoi studi i, ne fa
una nuova applicazione per rispondere agli argomenti, che il dotto pre-
lato crede ricavare da quella storia per impugnare la infallibilità de' ro-
mani Pontefici e la loro superiorità sopra i Concilii. La lettera è scritta
con tutti quo riguardi di riverenza che sono dovuti al grado dell' illu-
stre personaggio, ma insieme con tanta lucidità d'idee, ordine di cose,
e soprattutto valore di argomentazione sempre crescente, che oggimai
non sembra poter rimanere nessun dubbio sopra la quistione.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 213
3. Papa Onorio ed il Concilio VI, per un Sacerdote romano. Roma, coi
tipi del Salviucci-, 1870. In 8.° di pag. 62.
Il eh. Autore di questo libro si è ristretto a considerare la questione
di Onorio solo per rispetto alla condanna che ne pronunziò il VI Con-
cilio. E a dir vero, dopo le tante e tutte vittoriose apologie della dot-
Irina di lui, sol questo punto meritava di essere trattato un pò1 più,
largamente, acciocché eziandio i meno esperti delle materie ecclesiasti-
che ne fossero a sufficienza chiariti. Il frutto della sua dotta discussio-
ne si può formolare in queste poche parole , colle quali la chiude : « Il
Concilio VI non intese e non potò intendere di giudicare una solenne
decisione pontificale, ma sibbene un atto privato di Onorio. Inoltre,
anche ciò posto , la sentenza del Concilio VI non potè mai costituire la
prova di una colpa in Onorio, esclusa pel giudizio emesso in preceden-
za dai Papi e da tutte le Chiese di Occidente. . . Tuttavia la difficoltà
che emerge in apparenza gravissima, svanisce dinanzi alla giusta idea,
che deve aversi de1 concilii ecumenici orientali , ed in vista delle posi-
tive autorevoli testimonianze, dalle quali apparisce che la condanna di
Onorio pronunziata dal Concilio VI non deve tenersi, come atto di Con-
cilio in questa parte ecumenico. Nò la sentenza conciliare in appresso,
per la sanzione della Sede apostolica, o espressa o almeno tacita, otten-
ne mai quella forza di cui era affatto priva , essendo che nò l1 approva-
zione data al Concilio da Leone II , si estende al giudizio emesso su di
Onorio, nò la testimonianza del libro diurno de1 RR. PP. o la leggenda
inserita negli antichi breviarii nella festa di S. Leone li, può mai consi-
derarsi come una tacita sanzione della Sede Apostolica in ordine alla
sentenza del Concilio VI contro Onorio. »
4. Elude sur la question d'Honorius par le P. Schneemaisn de la Com-
pagnie de Jesus; traduit de Vallemand. Paris, E. de Soye. In 12.' di pa-
gine 150.
Quest'opuscolo è de1 primi, che sono stati pubblicati per occasione
della presente recrudescenza , se così ci è lecito dire , della quistione di
Onorio. Però non è meraviglia se in qualche pnnto particolare, non an-
cora a sufficienza dilucidato al tempo che il eh. Autore scriveva , le sue
risposte possono sembrare meno franche e categoriche che altrove. Ma
tolto alcun levissimo nco di questa fatta , esso contiene una delle più.
belle e vigorose apologie di quel Pontefice. In ispezie l'esegesi che fa
delle lettere di lui , è condotta con tanta evidenza di discorso e soli-
dità di dottrina, che non potrebbe desiderarsi nulla di più calzante.
Segnatamente ci è piaciuta tutta la magnifica argomentazione che ri-
guarda la questione àeWunica volontà, di cui parla Onorio, e il dotto
parallelo fra la sentenza di questo: Non sunt haec diversae voluntatis,
sed dispcnsalionis humanitatis assumptae, ed altre espressioni similissi-
me de1 Santi Padri , specialmente di S. Agostino.
214 COSE SPETTAMI AL CONCILIO
5. Pro Honorio et Sede Apostolica contro, lì. P. D. Caroìum lose-
phum de Ilefele Episcopum Rotlcnburgcnsem (Ioseph Fabi 5. T. D.) Fio-
rentine, typographia regia, 1870. In 8.' di pag. 64.
Anche questa è una sugosa risposta, e scritta in buon latino, alle mol-
teplici difficoltà, ricavate da Mgr. Hefele dalle lettere di Onorio e dalla
sentenza onde il sesto Concilio lo condannò. Noi l'abbiam sentita lodare
da un teologo di gran nome, siccome una delle più aggiustate, più pie-
ne e più limpide apologie di quel Pontefice, e a lode del dotto Autore
possiamo attestare aver trovato giustissimo il giudizio di lui.
6. HonorimPapa ab accusationibus vetenm et novornm Infalìibilitatis
summi Poniificis adcersariorum vindicatus, opusciilum Fr. Ioannis Tno-
mae Ghilardi Ordinis Praedicatorum, Episcopi Monregalensis. Taurini,
apud Petrum H. F. Marietti 1870. In 8.° picc. di pag. 108.
Ecco l'ordine, onde il dotto e zelante monsignor Ghilardi conduce
questa erudita difesa di Papa Onorio. In primo luogo, messo in chiaro
con molta accuratezza lo stato della questione, come apparisce pel para-
gone delle lettere di Onorio con quella di Sergio, ed il tenore delle sen-
tenze del primo, ne dimostra la piena ortodossia; la quale riconferma
altresì co' testimonii de1 monumenti contemporanei. In secondo luogo
esamina per ogni verso la condanna pronunziata contra Onorio dal Con-
cilio VI, e tutti gli argomenti che gli avversarli ne deducono per di-
mostrare che fu condannato per eresia. Il chiaro Au':ore paragonando
i detti argomenti colle risposte de' teologi e fra queste scegliendo e
rafforzando le più opportune, ne conchiude che Y unica ragione per la
quale Onorio potè essere condannato, fu quella di aver voluto mante-
nere un silenzio nocevole alla causa cattolica e favorevole all'eresia. In
terzo luogo finalmente aggiugne per maniera di appendice i principali
documenti relativi alla questione.
7. In Epistolas Honorii Papae ad Serqium conimcntatio. Romae, tv-
pis fratrum Pallotta MDCCCLXX. In 12/ di pag. 70.
L'Autore di questo Commentario ha voluto per modestia rimanersi
nascosto ; ma la sua esegesi sopra le lettere di Onorio lo dimostra di un
ingegno assai penetrativo, di una logica molto vigorosa e di una peri-
zia non ordinaria nelle scienze sacre. La prima quistione in ispezie, che
è il cardine di tutta la controversia, vale a dire: « Se Onorio abbia in-
segnato essere in Cristo una sola volontà, e questa divina », è risoluta in
favore di Onorio con tal copia di argomenti ed evidenza di discorso,
«he basterebbe essa sola per dargli vinta la causa. Al Commentario è
aggiunta una breve appendice intorno al senso che può avere ed il va-
lore che deve darsi alla sentenza del Concilio VI centra Onorio.
Questi sono gli ultimi scritti, pervenutici in difesa del Papa Onorio,
di merito qual maggiore qua) minore certamente, se sono considerati
COSE SPETTASTI AL CONCILIO 215
sotto l'aspetto scientifico, ma tutti però invitti nel dimostrare la sua or-
todossia. Ci sia lecito di chiuderne l'elenco con una bella sentenza, che
troviamo nella Lettera pastorale diretta da mgr. Celesia, Vescovo di Patti
al suo clero. Sinamus igilur, egli dice, animam Ilonorii in pace requie-
scere. Immo naturalis sitimi et cliristianae iustitiae pretium sit indicare,
ut sicut ipse, nipote optimus Ponti fex ac veneratione dignus vixerat, et non
solum in sanctae Malris Ecclesiae communione mortuus, rerum eiiam cum
honoìitìus supremo Ecclesiae capiti debitis in Vaticana Basilica prope
cineres Principis Apostolorum sepultus; ita bonae suae famae confirma-
tionem ex infallibililatis Rom. Ponti ficis defìnitione exposcere, et merito
expectare videatur.
III. Un fascio di cattivi opuscoli.
1. Italiani — 2. Francesi.
1. Il Concilio ecumenico vaticano non ha esercitate solo le penne dei
buoni cattolici, ma ancora, e forse molto più, quelle degl'increduli, dei
protestanti e dei mali cattolici, tra i quali non pochi colsero questa so-
lenne occasione chi per bestemmiare apertamente quello che ignorano,
chi per esporre con più o meno ignoranza ciò che egli forse crede la
verità, chi ancora, e di questi sono moltissimi, per servirsi dell'inte-
resse che tutti prendono al Concilio per solleticare comechefosse ìa cu-
riosità del pubblico, e, come si dice, squattrinarlo all'uso dei ciarlatani.
Non pochi di tali opuscoli ci sono pervenuti, pochi se si guarda al vero
numero loro: troppi se si considera la loro importanza; i quali da un
pezzo ci stanno sul tavolino inosservati. Ora ne daremo una breve no-
tizia ai nostri lettori. Cominciamo dagli italiani. Di questi alcuni sono,
come dicemmo, d'increduli dichiarati. Tra i quali ha in Italia il primo
posto Giuseppe Mazzini che uscì teste con un suo opuscolo intitolato :
Dal Concilio a Dio. Trentasett'anni fa, quando niuno pensava al Con-
cilio egli scriveva un opuscolo Dal Papa al Concilio. Si dovrebbe cre-
dere che ora sia stato contento. Ma no ; egli ora dice che quando ap-
pellava al Concilio « intendeva il Concilio del popolo libero ed affra-
tellato nel culto del dovere e dell' ideale. » E chi sa che non dica poi
un giorno che egli per dovere intendeva il Dovere giornal mazziniano
di Genova. Donde si può ricavare che, quando Dio udisse l'appello del
Mazzini e venisse in persona a giudicarlo, il Mazzini direbbe certamen-
te che egli per Dio non intendeva Dio, ma sé medesimo, o qualche
altra cosa. Del resto a che serve appellare a Dio quando egli « crede
in una serie indefinita di reincarnazioni dell'anima, di vita in vita, di
mondo in mondo, ciascuna delle quali rappresenta un miglioramento
sull'anteriore'! E quanto all'irrevocabile perdizione, noi ne respingia-
mo la possibilità. Noi possiamo ricominciare lo stadio percorso quando
non abbiamo saputo meritare di superarlo : non retrocedere o perire
216 COSE SPETTASTI AL CONCILIO
spiritualmente. » Si capisce da queste parole perchè il Mazzini vecchio
e cadente non disperi ancora con qualche banda di Cecina e di Catan-
zaro, conquistare quelle autorità tiranne a cui il suo liberalismo e il
suo orgoglio corrono dietro invano da tanto tempo. Se non sarà in
uno stadio, sarà in un altro, se non sarà in una vita, sarà in una delle
serie indefinite di reincarnazioni della sua anima. Questa è anche buona
dottrina per incoraggiare tutti i ladri e gli assassini. Se staranno in ga-
lera o saranno impiccati in questa vita, si reincarneranno tante volte
quante basterà. A questa stregua non si capisce perchè il Mazzini sia
nemico della pena di morte per delitti politici e preferisca la galera in
vita. Non sarebbe meglio esser subito ucciso, reincarnarsi e ricomin-
ciare? E tanto basti del Mazzini e del suo opuscolo.
F. Petruccelli della Gattina, noto scrittore di romanzacci immorali,
nelle appendici dei cattivi giornali, volle anche dire la sua savia opi-
nione sul Concilio in un suo libretto intitolato 77 Concilio, dato da Parigi
nell'Agosto del 60 e stampato a Milano, nel quale decide che il Concili»
sarà il Solferino del potere spirituale. Oltre a questa profezia, il resto
è storia, ossia Romanzo degli antichi Concilii e di tutta quasi la storia
ecclesiastica compendiata in cento paginette. L'opuscolo non dovette
aver spaccio e Veditore dovette certamente rimetterci le spese : giacché
ce lo spedì con quest'avviso stampato, incollato sul frontispizio. « SÌ
invia alla Civiltà Cattolica per mettersi nell' indice e per stritolarlo. »
Dell' Indice non sappiamo nulla. Ma la Civiltà Cattolica ha altro da fare
che stritolare la sabbia. Perciò non ne abbiam parlato che ormai un
anno dopo.
Un librettucciaccio, se è possibile, anche peggiore di quello del Pe-
truccelli è quello che s' intitola : I preti al Concilio di Roma, e la Con-
fessione di Vittorio Emmanuele. Son cose da buttar sul fuoco : ne più
né meno che le contenute negli altri opuscoletti intitolati: Al Concilio
romano, petizione dei cristiani : - La Basilica Vaticana e il Concilio
ecumenico, inflessioni istorico-critiche di Luigi Dclàtre: cose tutte sen-
za sostanza e senza sugo, dimenticate prima che nate, ed incapaci di
far danno che ai già danneggiati nel bene dell'intelletto.
Quanto poi sia tenuto dagli stessi increduli per importante il Conci-
lio ecumenico di cui fìngono non curarsi, appare dal libro La donna
e la scienza, di Salvatore .Morelli deputato: il (piale ha creduto poter
rendere più vendibile il suo empiissimo libro, che nulla ha che fare col
Concilio ecumenico, col porgli il falso titolo di Risposta logica al Con-
cilio ecumenico.
L'Autore della Petizione ai Padri del Concilio per la soppres
V Osservatorio romano partendo dalla falsa ipotesi che la Chiesa sin ne-
mica delle scienze naturali consiglia i Padri del Concilio, con ironia di
pessimo gusto, a sopprimere l'osservatorio romano di astronomia. Ma la
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 217
risposta gli fu data appunto dai Padri del Concilio quando per due sere
per più ore, più centinaia di essi Padri assistettero alle dotte e faconde
dissertazioni sopra le macchie del sole fatte in Collegio Romano dal
chiaro P. Angelo Secchi d. C. d. G. direttore di queir osservatorio. Par-
larono ampiamente i giornali di quelle sedute scientifiche delle quali
volentieri avremmo discorso anche noi se la Cronaca delle cosq del Con-
cilio non ci avesse coll'abbondanza di sua materia forzati ad interrom-
pere la cronaca delle scienze naturali insieme colle altre Appendici. Ma
siamo ben lieti che l'opuscolo mentovato ci abbia fornito questa occa-
sione di almeno accennarle.
Uscì da tipografia notoriamente protestante l'opuscolo seguente : Del
futuro Concilio ecumenico e del Concilio di Basilea. Firenze, libreria
Rosmini. E notiamo il nome della libreria per dar nuovo avviso ai nostri
lettori che questa è libreria protestante, e che essi devonsi perciò guar-
dare da quanto esce da quella, tanto più attentamente quanto che il ve-
leno vi è sparso con arte e perfidia più singolare, siccome anche appa-
risce dal titolo onorato imposto a quella libreria che meriterebbe invece
l'altro di Lutero e dì Calvino. Ognuno poi può da sé intendere che cosa
si possa trovare nel libretto dei Concila ecumenici, trattato di Alessan-
dro Gavazzi ministro evangelico, come introduzione a un corso di trattati
sul Credo di Pio IX. Basti dire che è lavoro di un rinegato, dove la tri-
vialità e l'insolenza non sono vinte che dall'ignoranza e dalla mala fede.
Il libretto di Romolo Federici, intitolato: Roma ed il cattolicismo, è
scritto sotto l'impressione del timore che « la riunione episcopale con-
vocata in Roma nel 1862 essendosi convertita in assemblea politica
emettendo un voto formale sul potere temporale dei Papi » non possa
ora accader lo stesso del Concilio Vaticano. Infatti egli dice che « gli
interessi e le influenze che provocarono una tale dimostrazione conser-
vandosi tuttora le stesse; i medesimi proponimenti, le medesime conse-
guenze possono ancora riprodursi nel 1870 ». Teme il Federici questa
nuova dichiarazione, e prevede che essa renderà sempre più difficile al-
l'Italia l'agognata occupazione di ciò che resta del dominio temporale
della S. Sede. Per allontanare questo pericolo « è necessario, dice che
da ogni parte sorga energica la protesta in nome del diritto storico,
dell'equità e dell'interesse stesso dell'universale progresso, sino a che
i Romani giudicheranno l'ora venuta di rispondere a siffatte dichiarazioni
riprendendo di fatto la loro sovranità ». Nelle quali parole è dato l'argo-
mento e le principali prove, colle quali si tenta di dimostrarlo. Ma sono
cose vecchie entrambe, e mille volte già da noi e da molti altri trattate
a lungo. L'Autore però dee esser lodato per l'argomento che fornisce di
sua perspicacia sia nel prevedere che dal Concilio Vaticano non può non
rinforzarsi moralmente il Papato ancor temporale, sia nel non porre
ormai le sue speranze che « nel giudizio dei Romani ».
218 COSE SPETTASTI AL CONCILIO
E siccome il precedente opuscolo, con una certa cotale sobrietà e di-
gnità di parole degne di persona educata, tratta per la millesima volta
il volgar errore della conciliazione di Roma col liberalismo, così l'autore
dell'opuscolo seguente tratta colla solita ipocrisia il tema antichissimo
de' preti liberali, volgarmente detti presbiteri, sacrestani e cappellani del
liberalismo laico cbe vuol venir a Roma colle buone. L'opuscolo si intito-
la: Per il XX Concilio ecumenico: Appello ai parrochi, canonici, profes-
sori e moderatori dei Seminarii e sacerdoti italiani. Anche questo è
tema vecchio e volgare e trattato le mille volte, e aggiungeremo anche
disperato : siccome del resto previde saviamente Fautore deir Appello
dove dice « Qui sul line un dubbio ci contrista : ma non possiamo ta-
cercelo o Parrochi. Il vostro programma sarebbe mai differente e forse
contrario a quello che venne in queste pagine abbozzato? » Sì; rispon-
dono i Parrochi e tutti i sacerdoti italiani. Il nostro programma è molto
differente: e per accertarvene basta che leggiate i nostri indirizzi al Papa
ed al Concilio che ogni giorno si pubblicano sopra i giornali cattolici.
L'opuscolo, di Costanzo Giani, intitolato: Il Concilio in relazione col-
la scienza e col diritto, farebbe credere alla verità di ciò che vi si dice a
pag. 10, che «Paolo IV sequestrò coir indice la ragione umana. » Non
parrebbe infatti possibile, senza questo sequestro che un uomo d' inge-
gno e di studio, come sembra esser l'Autore, si fosse lasciato andare a
pubblicare tante, diciamole pure, corbellerie. Ma egli è incredulo dichia-
rato ; e questo spiega anche senza Paolo IV il sequestro della sua ra-
gione. Scopo dell'opuscolo è dimostrare che la Chiesa è tutta viziata,
e che il Concilio definirà « eretica la fisica, la cosmologia, l'astronomia,
la morale, la logica, la giurisprudenza, la storia. Di queste dolcezze in-
tende il Concilio allietare le cattoliche genti. » Teme specialmente per
l'Italia moderna eh' egli (e in ciò dice bene) trova molto debole a para-
gone della « teocrazia » ossia della Chiesa. E poiché dispera degli ita-
liani maturi « dei quali si udirono molte buone paròle parla dei libera-
li) ma si videro pochi buoni fatti » si raccomanda ai giovani. Ma confi-
diamo che questi udiranno il Concilio ecumenico anziché il sig. Costanzo
Giani.
2. Tra i libri cattivi sul Concilio venutici di Francia alcuni meritano
appena di esser mentovati : come le Concile par Petrucelli della Gattina
che è il medesimo sopra accennato in italiano: L'ultramontanismc batta
en brèche: son recours au futur Concile par Boismare, che si dice catho-
lique de l 'ancienne école: ma è diil'atti, nò cattolico, nò di ninna scuola:
giacche ora sembra incredulo, or gallicano, or cattolico liberale, sempre
però leggiero ed ignorante: Ics curés mariés par le Concile: libraccio
di /. M. Cayla cui ninna persona educata e onesta, fosse anche incredu-
la, potrà leggere senza stomaco: Adresse au futur Concile par des ca-
tholiques materialistes qui croient au symbole des Apblrcs mais ne vani
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 219
ni a messe ni a confesse, il cui Autore non dee essere tanto sciocco quan-
to pare, perchè ebbe l'avvertenza di non nominarsi : Za ré forme de
l'Eglise par VAbbé Charles Mikoszcwscki, discorso da lui recitato in Lo-
sanna al Congresso della lega della pace, nel quale il bravo Abbé dice
che « si può fin d'ora dire che il Concilio non otterrà nulla, perchè si
comporrà di gente che si arroga il diritto supremo: tutto vi sarà illegitti-
mo ed antisociale, dal Papa lino ai Vescovi ». Questo Abbé fu membro
del Governo occulto nazionale nel tempo dell'insurrezione polacca nel
1865. Le clergé de France: Revelations: le Pape. Le pouuoir temporel:
Le Concile, non sono varii opuscoli ma un solo brevissimo, al quale con
ragione son dati tanti titoli a scelta, perchè niuno leggendolo è al caso
di assicurare di che cosa parli veramente. Ai* Concile de 1869 : Rapide
exanwi du dogme chrélien, è un esame un pò1 troppo rapido fatto dai
sig. Guérin de Vitry incredulo dichiarato il quale dubita perfino della
vita futura e dell'esistenza di Dio.« Dio, dice egli, se esiste, non può nul-
la contro l'uomo giusto. Non inquietiamoci di vane minacce ; per l'altra
vita come per questa, fa quel che devi, accada quel che vuole». Le
Concile, è una satire che il sig. E.Darcey credette scrivere contro il Con-
cilio: ma chi vorrà leggerla vedrà che non può rimanerne colto che l'au-
tore che si mostra in questi suoi versi non si sa se più scempio o più
empio. Dice però vero negli ultimi due versi coi quali conchiude « che
importa, dice egli, di quanto ho scritto? Dei fedeli il docile gregge ap-
plaudisce al Concilio e dice: Oh quanto è bello ! » Più lungo ma non mi-
gliore è il libro di Alphonse Karr, intitolato Les Gaietès roniaines. Confes-
siamo che, avendo udito nominar più volte questo Karr, come autore
stimato, credemmo trovar nel suo libro qualche lampo d'ingegno quale si
può trovare in questi autori leggieri ed empii alla volteriana. Ma il riso
di questo Karr è simile a quello dei fatui negli spedali degli imbecilli.
In poche pagine pretende non solo di condensare, ma di render ancor ri-
dicola la storia della Chiesa e dei Concilii. Ma non riesce neanche a far
ridere di sé. Tutti questi opuscoli non possono che eccitare la compas-
sione verso chi li ha scritti e verso chi li ha comprati.
Qualche, benché piccola, apparenza di libro d'uomo ragionevole han-
no le: Lncompatibilités: ou simples observalions au clerge catholique à
Voccasion du Concile oecuménique, par le professeur J. Robert, edite a
Milano, dove sembra che quel signor professore insegni qualche cosa.
Nella strettezza delle sue idee e della cerchia di sua erudizione egli ve-
de che non ci è più cattolicismo nel mondo. « L' ortodossia cattolica è
finita: essa sparisce lentamente, come una cosa vecchia dalla coscienza
universale ». Poi, senz'accorgersene, confessa che di cattolicismo ce n'è
ancora assai. « Il nemico si avanza: le sue file sono serrate : marcia in
buon ordine, numeroso, disciplinato, ben preparato ». Però egli non
combatte la religione. Tuttr altro. Soltanto ne vuol una a suo modo.
220 COSE SPETTASTI AL CONCILIO
Prima di tutto non più Papa, ne Vescovi, ne unità gerarchica. « Antica-
mente tutto ciò era utile. Ora, dopo che la stamperia ha resi comuni i
testi della morale e del dogma, una tale organizzazione dee restare al
solo governo civile. » Ma forse che anche pel governo cimleh stamperia
non ha resi comuni i testi dei codici e delle leggi ? Checche sia di que-
sto, il sig. Professore crede che « il prete dee prendere per madre dei
suoi tìgli qualche Maddalena penitente: protestante e cattolico insieme
dee diventar prima nazionale, poi umanitario e universale. La sintesi
religiosa si avvicina : la stampa, il vapore, V elettricità, Y istinto commer-
ciale, le simpatie de1 popoli hanno invaso il mondo. Per chi vede queste
cose con occhio religioso è chiaro che l'umanità vaga verso il porto di
sua riabilitazione ». Ciononostante il prete «sarà benedetto quando
battezza, quando prega, quando predica, quando serve il pane della co-
munione fraterna, quando assiste i moribondi, quando benedice le tom-
be ». Tutte queste cose, crediamo noi, saranno lecite al prete finche non
si possono fare « colla stampa, col vapore, coll'elettricità, coli1 istinto
commerciale e colle simpatie de1 popoli ». Intanto, dice il Professore,
« tutti questi attributi devono bastare per fare del sacerdozio la più bel-
la, la più onorata delle magistrature. Una tale trasformazione sarà il
suo ringiovanimento nella sua specialità propria ; la sua intronizzazione
nuova nel vero potere spirituale ». Se il Concilio si occuperà di queste
idee farà qualche cosa di bene, se no tutto è perduto. E se taluno cre-
derà che il sig. Professore non sia buon cattolico : si disinganni. « Noi,
dice, non abbiamo punto combattuto la religione, come si vorrà forse far
credere; noi non abbiam cercato che di estirpare le radici del male ».
Un ministro protestante, proprio di quei ginevrini arcigni e pieni di
odio violento contro il cattolicismo, che si mostra, mal loro grado, sotto
l'apparente civiltà e coltura dello stile, il signor L. Burnier è l'autore
dell'opuscolo Rome, la France et le Concile che forma la troisiéme li-
vraison della Correspondance de théologie écangélique. 11 sig. Burnier,
volendo studiar bene il cattolicismo e conoscerlo a fondo per parlarne
poi con conoscenza di causa, ha ragionato, bene o male, co*ì : « TI cat-
tolicismo è in vigore in Francia più che altrove, dunque studierò il cat-
tolicismo in Francia. Tra i dottori cattolici quelli che esercitano mag-
gior influenza sono i Gesuiti. Dunque studierò il cattolicismo nei Ge-
suiti. I Gesuiti pubblicano in Francia una Rivista intitolata : Elude» re-
ligieuses, historiques et litteraires, dove certamente devono dire chiare
le loro idee: dunque io mi assoderò per un anno a quella Rivista. Cosi
conoscerò bene il cattolicismo gesuitico. E se poi comprerò e leggerò i
libri lodati e raccomandati da quella Rivista, avrò così compiuta la mia
istruzione ». E così fece il buon Burnier, di cui compendiammo in senso
esatto le parole. Essendosi dunque associato a quella Rivista ed aven-
do letti i libri da lei raccomandali, il sig. Burnier è venuto a quella
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 221
stessa conclusione a cui sarebbe arrivato col solo leggere il catechismo.
« I Gesuiti redattori degli Etudes, dice egli a pag. TI, non sono certa-
mente retrogradi, neanche in religione, come lo sono il sig. L. Yeuillot
e i suoi associati. Questo si può ricavare dalle citazioni da me fatte.
Ma queste citazioni stesse provano che, quanto all'essenza del Roma-
nismo, ricorre sempre il sint ut sunt ani non sint. » In altri termini il
catolicismo è sempre quello e tutti i veri cattolici dicono sempre lo
stesso, nelle cose di fede e di spirito cattolico. E non si sa se si debba
piangere o ridere al leggere le esclamazioni di stupore, di maraviglia,
di pietà, di compassione che il Burnier si lascia sfuggire quando scopre,
per esempio, che i cattolici sono divoti di S. Giuseppe. « Qual culto !
dice egli a p. 87, e qual lamentabile frutto di una divozione talvolta al-
trettanto profonda che sincera! » Fa poi gran mostra di erudizione per
dimostrare che (p. 88) « le superstizioni del culto romano non sono ai-
Fuso esclusivo del volgo ignorante ». A p. 122 si lagna che anche molti
protestanti cominciano a propendere verso il culto cattolico, e cita il
Guizot « ed un tal filosofo cristiano dei nostri, che parla di Roma, se
non con tenerezza, almeno con simpatia ». Nemmeno egli approva che
alcuni cattolici arrossiscano quasi del loro simbolo e diano, (p. 434),
« interpretazioni che non si accordano col senso vero degli atti più so-
lenni del Papa ». E cita alcuni opuscoli celebri di cattolici liberali, dei
quali dice: « Non si potrebbe essere più rispettosi alla persona del Papa
e meno rispettosi pel suo pensiero evidente » intendendo parlare di al-
cune celebri interpretazioni del Sillabo e dell' Enciclica. Avendo così
fatte molte scoperte e dette molte verità, e riconosciuto che Funità è
piena nel cattolicismo ; per modo di consolazione cerca dimostrare che
questa unità è un male. « La forza del protestantismo, dice a p. 162,
contro Roma è nella estrema diversità delle sue chiese: or bene, che Dio
ci guardi sempre dall'unità che molti sembrano cercare ». Osiamo assi-
curare il sig. Burnier che il suo voto sarà esaudito; essendo ornai nei
protestanti tante le religioni quante le teste.
Conchiudiamo questo elenco di cattivi libri francesi sul Concilio, con
quello intitolalo: L'aristocratie romaìne et le Concile, nel quale troviamo
due cose maravigliose. La prima è l- idea generale dell1 opuscolo. Si sa
che molti hanno scritto molte cose, per ispiegare a modo loro ed uma-
namente il primato di Roma sopra il mondo cattolico. Ma non crediamo
che finora si sia trovato chi, come Fautore di quest'opuscolo, abbia spie-
gato la cosa coir Aristocrazia romana. Posto questo principio, Fautore
si conforta pensando che, essendo ormai finita F èra delle aristocrazie, e
cominciando quella della democrazia finirà anche il Primato di Roma e
del Papa. « Allora la riforma si compirà, allora il Concilio ecumenico
sarà dichiaralo superiore al Papa, allora assisterà al Concilio anche il
clero inferiore che sarà come la Camera bassa. Il clero inferiore elegge-
222 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
rà i Vescovi. Il Papa sarà eletto dal Concilio. Le Chiese saranno tutte
padrone in casa loro : ma il cattolicismo sarà preservato : anzi gli scismi
non avranno così più ragione di essere. » Vede ognuno quanto sia vicino
ad essere approvato dal Concilio ecumenico un sì bello stato di cose
nuove. L'altra cosa maravigliosa di questo opuscolo e a pag. lui, dove
l'autore ha preso per una Bolla papale un articolo della Civiltà Cattolica,
dove si loda giustamente la Francia per aver conservato negli Slati del
Papa una sua guarnigione di truppe, che assicura al Concilio la sua li-
bertà. Ma basta così: un'altra volta ci sbrigheremo d'un altro l'ascio di
librettucciacci tedeschi ed inglesi.
IH.
NOTIZIE VARIE
lì Breve del S. Padre al Clero italiano — 2. Altre dimostrazioni del Clero
italiano — 3. Breve pontificio alla cittadinanza di Napoli — L Lettere
del Papa alle dimostrazioni dei fedeli — 5. Udienza data agli Stenografi
del Concilio — 6. Protestazione dell'Emo Card. Guidi — 7. La Rivisiti
Universale ed il Clero genovese — 8. Indirizzo del Clero di Praga al suo
Arcivescovo — 9. Soccorsi da parte dei Vescovi ai cattolici di Pera.
1. « Nella fausta ricorrenza, dice il Giornale di Roma n.° 142 del 25
Giugno, della Coronazione del Santo Padre, il eh. direttore del giornale
l' Unità Cattolica di Torino, ha mandato a deporre ai piedi della Santità
Sua, col mezzo del signor commendatore Stefano Margotti, la somma di
lire ottantatremila settecento ottantacinque, ed alquanti oggetti preziosi,
che per la soscrizione in omaggio ed aiuto al Concilio ecumenico vali-
cano inviaronsi al suo ufficio nel passato Maggio e nel corrente Giugno.
L'offerta proviene dalle largizioni che, dietro l'idea manifestatane nel-
l'effemeride stessa dal sacerdote Antonio Garbagni, il clero della nostra
penisola si die premura di contribuire, dirizzando il volontario dono del
suo obolo, allo scopo altissimo di concorrere nelle spese richieste dalla
celebrazione del Concilio vaticano. Questo atto di generosità che in ogni
tempo sarebbe stato meritevole di encomio, supera ogni elogio di questi
giorni, in cui l'atto medesimo veste il carattere di sagrificio per le la-
grimevoli condizioni alle quali il clero trovasi ridotto in Italia. E non è
a dire quanto allo zelo, col (piale si sforzano quei sacerdoti di aiutare
l'augusto Capo della Chiesa cattolica, cresca onore l'accompagnar che
fanno le offerte con le più solenni proteste della profonda devozione alla
cattedra di Pietro; proteste, che raccolte in grandissimo numero per
ogni contrada d'Italia, il benemerito direttore dell Mica in-
tende pubblicare per le stampe, e ne tiene già in pronto un volume,
presentato pure al trono pontificio insieme agli autograli delle proteste,
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 223
i quali cresceranno la mole della immensa raccolta formata dagl'Indirizzi
ricevuti dalla Santità di nostro Signore nelle diverse vicende del suo
glorioso pontificato. Il Santo Padre, gratissimo a questa nuova testimo-
nianza di affetto e di ossequio ricevuta dal clero italiano, sopra quanti
presero parte alla offerta, e principalmente quelli che fra loro meglio si
adoperano secondo la propria possibilità a procurare ogni vantaggio dei
fedeli, invoca la maggior copia di grazie celestiali, e vuole che di que-
ste sia arra la benedizione apostolica che loro a gran cuore impartisce. »
Ne questi sensi paternali si contentò di significare soltanto a voce,
ma volle che ne restasse perpetuo documento nella lettera che a tutto il
Clero italiano diresse in data dei 27 Giugno, e che noi trascriviamo dal
n.° 151 dell' Unità Cattolica. Es;a dice così:
Dilccti tilii, Salutem et apostolicam Benedictionem.
Volumina litteramm vestrarum, dilecti filii, Nos mirifice recreant; cum
nihil, quod maxime desideremus, in iis non cospiciamus evidenter demon-
stratum. Solida enim inde emicat refutatio calumniarum, obsequio studio-
que erga Nos vestro affictarum; elucet fìdes ac religio nullo commota di-
scrimine, nullis fracta minte aut vi, nullis aerumnis infirmata; splendei
unitas mentium affectuumque compactissima; erumpit amor tenacior fa-
ctus ac ferventior in dies ab aquis contradictionis. Isque adeo succensum
se praebet, ut absolutissimae devotionis vcstrae testimonia ad Nos per-
venire non patiatur, nisi faustissimi^ exornata votis, aucta precum subsi-
dio, et cumulata quoque muneribus ultro expressis ab ipsa egestate ve-
stra, quae caecutientibus etiam ostendant quanta tangamini rerum No-
strarum sollicitudine, et quo nisu suffragari contendatis oecumenici Con-
cilii a Nobis coacti provcctui. Gaudio autem ab hisce parto non medio-
cre quoque incrementum accedit e latente in officiis vestris pii populi
sensu; siquidem fieri nequit, ut in tanta Cleri totius italici concordia,
populus iili obsequens et ab eo institutus aliter afficiatur, aliterque
sentiat. Crebra certe communis huius animorum comparationis ac di-
serta testimonia hahuimus et habemus; veruni tacitam eorum confirma-
tionem in sensibus vestris deìitescentem non minus luculentam merito
fortasse arbitramur. Dum igitur maximas Deo gratias agimus, quod ita
consoletur Nos in omni tribulatione Nostra, vobis omnibus pergratos te-
stamur animi Nostri sensus, eique nominatim, qui primus de hoc sola-
tio Nobis comparando cogitavit , et illi qui propositum istud Ephemeri-
de sua vulgaTvit, nec non ei qai litteris vestris eloquenter et scite latina,
vernaculaque lìngua praefari voluit, et illis qui religiosissimo coepto
vestro curis operaque sua sunt adstipulati; universisque a Deo copiosam
caritatis suae mercedem, et secunda omnia ac felicia adprecamur. Su-
perni vero favoris auspicem et paternae Nostrae benevolentiae testem,
omnibus et singulis Benedictionem apostolicam peramanter impertimus.
Datum Romae apud S. Petrum, die 27 Iunii anno 1870. Pontificatus
Nostri anno vigesimoquinto. PIUS PP. IX.
224 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
2. Oltre alla manifestazione fattasi pervia di sottoscrizione ne\Y Unità
Cattolica dal clero italiano, molte altre ve ne sono state del medesimo
clero, fatte ossia di presenza in Roma, ossia di lontano per indirizzi in-
viati a Sua Santità. Il clero d' Italia pensa tutto a un modo nella sua
grande universalità, e si può affermare con verità che non vi sono divi-
sioni intorno alle divine prerogative dei successori di S. Pietro. Se tut-
to il clero non ha nel modo stesso manifestata questa sua credenza, ciò
devesi a quelle peculiari occasioni, che ne sono mancate loro ; non a dif-
ferenza di opinioni, o languidezza di volontà. Noi c'intratterremo di due
sole di queste speciali significazioni: l'una fattasi in Roma il dì 30 Giu-
gno dai sacerdoti, che trovavansi in Roma, ed appartenevano alle diocesi
varie d'Italia: l'altra riguardante il clero duna diocesi particolare, quel-
la di Pistoia, che in cento guise ha voluto scuotere da se con atti di aper-
tissima divozione alla S. Sede l'ingiuriosa calunnia, datagli sotto forma
di lode, da Gabriele Rossetti, di fautore del Sinodo Ricciano. La de-
scrizione di ambedue queste testimonianze la desumiamo dall' Unità Cat-
tolica; la prima perchè essa ne dà la narrazione ricevuta da chi faceva-
no parte; la seconda perchè la stessa Unità Cattolica ne ha raccolti i do-
cumenti autentici per pubblicarli nei volumi, contenenti le offerte del
clero italiano.
Il 30 di Giugno, festa dell'Apostolo san Paolo, ben duecento sacerdo-
ti ebbero l'onore d'essere ricevuti alle ore sei pomeridiane dal nostro
S. Padre Pio IX. Era alla loro testa il pio e modesto sacerdote Antonio
Garbagni da Fusignano, presso Lugo, quel desso che con una semplice
lettera, pubblicata nell'Unità Cattolica, die moto alla sublime manifesta-
zione del Clero italiano per soccorrere ed acclamare l'infallibile Vicario
di Gesù Cristo. Pio IX, stando in piedi sotto il suo trono, ebbe la bon-
tà di udire attentamente l'indirizzo che a nome de' sacerdoti lesse il
molto reverendo Garbagni, ed era del seguente tenore:
« Dall'ultima terra de' vostri temporali dominii, o Realissimo Padre,
elevossi una voce d' invito dell' ultimo sacerdote a sacerdoti fratelli per
nuova e solenne manifestazione di fede, di adesione, di riverenza verso
di Voi, in quello che i Successori degli Apostoli, raccolti ad ecumenico
Concilio, fanno a Voi in Vaticano bellissima corona. Manifestazione che
fu efficacemente propugnata da valenti scrittori di dotta effemeride, e
da tutti accolta col più vivo entusiasmo, e che con unanime ed indicibil
trasporto mirabilmente tuttora si compie. In questo giorno, sacro al
Dottor delle genti, e quando i devoli fedeli, rivolgendo lo sguardo a
Roma, aspettano una grande definizione, noi, interpreti dei voti de' no-
stri fratelli, siamo lieti di fare la confessione di nostra fede; e però con
un sol cuore vi preghiamo e ad una sola voce vi acclamiamo Icuiitimo
Successore del Beatissimo Pietro, Vicario di Gesù Cristo, organo viven-
te dello Spirito Santo, Dottobe infallibile, e del mistico ovile supremo
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 225
Pastore, ripetendo col Santo di Chiaravalle: Nec modo oviam, sed et
Pastorum tu unus omnium Pastor. E confessiamo altresì che Gesù sem-
pre provvidentissimo pose voi in questi tempi di tenebre Candelabro
risplendentissimo sul monte santo di Dio, perchè con le vostre virtù illu-
miniate le menti a verità, ed i cuori a carità riscaldiate. Sì, voi, o Padre
Santo, col vostro esempio a tutti ed in modo singolarissimo ripetete a cia-
scuno di noi: Inspice et fac secundum exemplar quod monstravit Ubi Do-
minus in monte. Voi collo splendore della vostra fede tenete salda la no-
stra credenza; colla fermezza della vostra speranza raffermate in Dio Ot-
timo Massimo la nostra fiducia ; e coir ardore della vostra immensa ca-
rità ci animate pel trionfo della Chiesa e per il bene de'nostri fratelli a
fare sacrificio delle nostre sostanze, ed, ove occorra, della nostra vita.
« Degnatevi adunque, o grande Pontefice e Re nostro desideratissi-
mo, gradire il vivo sentimento e la sincera espressione della nostra de-
vozione; e, a segno del vostro gradimento, benedite noi e le nostre fa-
miglie; benedite in modo specialissimo la gioventù delle nostre città e
terre, affinchè generazioni più virtuose e magnanime allietino in un
prossimo avvenire la Chiesa. E così prostrati al bacio dei vostri santis-
simi piedi, con animo riconoscente esclamiamo: — Vivete, o Padre
Santo, degli anni nostri; vivete all'amore, alla venerazione, alla gloria
di Roma; vivete all'amore, alla venerazione, alla gloria del mondo. »
Il Santo Padre si degnò tosto di rispondere a questo indirizzo; ed il
sacerdote Antonmaria Amadei, presente, così scrive il sunto della sua
risposta: « Sua Santità esternò il pieno gradimento e dei sentimenti
espressi e delle offerte fatte dal Clero italiano. Aggiunse colla consueta
sua facondia ed unzione tutta celeste parole di esortazione e di incorag-
giamento ad imitare le virtù precipue addimostrate dai tre Santi di cui
s'erano celebrate in pochi giorni le feste: di S. Pietro la fede, di S. Pao-
lo Io zelo, del precursore S. Giovanni Battista il distacco dalle terrene
cose. Quindi, profondamente commosso, impartiva a tutti l'apostolica be-
nedizione; ed a riceverla tutti ad un tempo compresi dalla venerazione
della suprema autorità del Pontefice, si prostrarono non senza lagrime
di consolazione e di giubilo. Appena ebbe il Santo Padre lasciata la gran
sala, ad un semplice mio invito fatto ai rimasti in essa di sottoscrivere
l'indirizzo, non solo si prestarono di tutto l'animo a firmarlo, ma volle-
ro aggiungere l'obolo, talché si potè poscia presentare al Pontefice una
non tenue somma. Anzi meritano speciale menzione e un sacerdote che
volle per modestia tacere il proprio nome, che offerse il suo orologio di
oro, ed il parroco di Bruzierchi, diocesi di Tortona, che per parte sua e
della parrocchia offriva lire 190, »
Fin qui YUnità Cattolica dei 6 Luglio intorno all'udienza data da Sua
Santità ai sacerdoti italiani, che trovaronsi quel dì di p;issagg:o in Ro-
ma. Nel n.° dei 6 Luglio lo stesso giornale descrive la divozione del
Serie Y1I, voi XI, fase. 488. 15 9 Luglio 1870.
2£6 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
Clero pistoiese ai romani Pontefici in questi termini: « La storia con-
temporanea dice che il Clero pistoiese non fu secondo a nessuno nel
manifestare coi fatti e colle parole il suo immenso affetto pel Sovrano
Pontefice. Non è questa la prima volta che esso spedisce collettivamen-
te il suo obolo; lo ha spedito nel 1867 con un affettuoso indirizzo al
Santo Padre per ringraziarlo d'avergli dato a Vescovo quel dottissimo
e venerando Prelato che è monsignore Bindi; lo ha spedito di poi quan-
do Monsignore andò a Roma pel Centenario di san Pietro ; ha inviato
di nuovo non piccole offerte unite ad un indirizzo di perfetta adesione
alle decisioni tutte del sacro Concilio, facendo voti per V infallibilità
quando Monsignor Vescovo partiva per Roma ; e finalmente V ultima
offerta e protesta già pubblicata. E noi sappiamo che monsignor Bindi
ha avuto assai congratulazioni per la sottoscrizione del suo Clero , che
è stata così splendida e generosa.
« Laonde noi, pieni di rispetto e venerazione per qnc1 sacerdoti, oltre
al battere loro le mani, li presentiamo come modello di fermezza nel re-
sistere a mille pericoli, di affetto irremovibile alla Santa Sede ed al ro-
mano Pontefice, di costantissima unione col proprio Pastore, a cui il
Clero pistoiese, quando venne spogliato, offriva tutto il suo avere.
E vorremmo suscitare una nobile gara fra i Cleri delle diverse Diocesi
italiane, sicché facessero l'un l'altro a chi può superarsi nello zelo per
la fede, nel culto delle scienze e delle lettere, e nell'amore e nell'osse-
quio al Vicario di Gesù Cristo. »
3. Questo nobile esempio del clero d'Italia fu, com'era da aspettarsi,
seguitato dalla cittadinanza. Le offerte presentate a Sua Santità in omag-
gio del Concilio Vaticano da ogni ordine di persone sono moltissime, e
giunte alle mani del Papa per mille vie. Non è possibile ristringere nel
piccolo spazio che ci è consentito quanto risguarda tal punto. Sceglia-
mo però un fatto solo, e lo riportiamo colle parole medesime, onde lo
narra Y Unità Callolicd nel suo n.° dei 23 Giugno, perchè serva di sag-
gio insieme di quanto è avvenuto con altre dimostrazioni di questo ge-
nere, di esempio degno d' imitazione e di lode meritata da coloro che
vi contribuirono. Trattasi dell'offerta d'una somma, e d'un albo pre-
sentato il dì 28 Maggio a Sua Santità in nome di moltissimi cittadini di
Napoli da una deputazione, venuta espressamente in Roma. « L'Albo.
dice il giornale, bellissimo lavoro del rinomato artista napoletano si-
gnor Tagliaferri, è tutto legato in velluto colore azzuro e in tartaru-
ga. Ha il dosso in velluto con lettere lapidarie — Napoli, 1 869. — Le
copertine sono formate da due bellissime tavole di tartaruga con istri-
sce di velluto, che a ino' di cornice le riquadrano; e siili* un de" lati vi
si vede in rilievo lo stemma papale, ritratto da un magnifico disegno
del Michelangelo eh' e in Campidoglio, e mirabilmente scolpito in tarta-
roga. Il fermaglio, ancora di tartaruga, venne modellalo su quello di
COSE SPETTASTI AL COTsCILIO 227
alcuni antichi codici patrii. Al di dentro si vollero posti i colori papali,
seta bianca e caratteri dorati. L'iscrizione che vi si legge è questa:
« Alla Santità — Di N. S. Pio Papa IX — I Napoletani — Da Pietro
rigenerati alla Chiesa di Gesù Cristo — Ed eruditi ali1 amore della ro-
mana Sede — Maestra infallibile di verità — Tra le ire e le lotte dello
errore — A testimonianza di fede cattolica — In omaggio del Concilio
Vaticano — Offrono devotissimi — Lire 27,271. — Vili Dicembre
MDCCCLXIX. »
lì 24 Maggio corrente i signori principe Piguatellì Monteroduni, mar-
chese del Pezzo de Simone, Francesco de1 Rogati, Carlo Greco-Sozzoli-
no, Ludovico Ricciardi, Gaetano Ferri-Pegnalver e Giuseppe Carigna-
ni, deputati dalla Commissione, ebbero l'onore di essere presentati dal
Cardinale Arcivescovo di Napoli a Sua Santità. L' Eminentissimo lesse
il seguente indirizzo :
« Beatissimo Padre. In mezzo a tante pruove d'ubbidienza e d'amore
che la Santità Vostra riceve da tutte le città, noi siamo lietissimi di po-
ter oggi deporre ai piedi di Vostra Santità l'Albo della sempre cattolica
città di Napoli. Ma, se esulta il cuor nostro nel Signore di aver potuto
rendere questo tributo d'affetto e d'amore alla Santa Sede, viemaggior-
mente esulterà, se noi potessimo ritornare nel seno delle nostre fami-
glie colla benedizione di Vostra Santità. Voglia pertanto da quest'alma
città di Roma, da questa Cattedra infallibile di veri tea, da questo gran
Faro che si eleva maestoso su l'abisso di tanti errori, voglia la Santità
Vostra volgere la mente a Napoli, e benedire in essa tutti, ma in ispe-
cial modo coloro che vollero che il loro nome ed il loro obolo fc^se da
noi deposto ai piedi di Vostra Santità, a testimonianza di fede cattolica,
in omaggio del Concilio Vaticano. »
Sua Santità, dopo aver esaminato l'Albo, rispose presso a poco que-
ste parole, che ci venne dato raccogliere : « Sì, è vero, Napoli ha dato
sempre pruove di affetto alla Santa Sede ed al Vicario di Cristo, né ho
certo dimenticato l'accoglienza che m'ebbi ne'giorni che fui colà. Ed io
fin d'allora quotidianamente prego per essa Iddio che le dia pace. Simi-
li pruove ricevo da tutte le parti, e que' doni che sono su que' tavoli
(si era nella piccola biblioteca) ne fanno testimonianza. » Poi soggiun-
se : « Iddio benedica tutti voi, le vostre famiglie, le vostre opere e tut-
ti gli oblatori. »
Questi sensi e questa benedizione vennero poscia confermati dalla se-
guente lettera, che pose il colmo alla consolazione di quanti concorsero
a quell'atto di liliale devozione:
PIUS PP. IX.
Dilecti fìlii, Salutem et apostolicam Benedictionem.
Crebra, quae Nobis exhibuistis, Neapolitanorum nomina Albo inserì-
pta, et munus ex communi collatione ei additum, cum luculentam prae-
"228 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
ferrcnt significationem antiqnae [idei, quae per difficilia haec tempora vi-
get apud vos et cónstantis obsequii absolutaeque devotionis erga banc
Petri Sedem, animimi Nostrum, quotidie contristatami a pertinaci impie-
iatìs ausu, sensus hosce obliterare nitenlis, non mediocri ter recrearunt.
Quamobrem siculi vobis, qui ad Nos accessistis oblaturi monumentimi
istud observantiae caritatisque communis , gratum aniroum Nostrum e-
nunciavimus; sic omnibus, qui, dato nomine, collalaque stipe, filialem
pietatem suam Nobis lestatam fecerunt, exploratum esse cupimus,
quam accepta Nobis sint huiusmodi officia, quae populorum obsequium
et studium in comm imeni fidelium parentem referentia, catbolicae uni-
tatis ampli tudinem et vigorem mirifico ostendunt. Universis itaque, qui
in Nobis ei, cuius vices gerimus in terris, honorem et obsequium defer-
re voluerunt, copiosam (idei caritatisque suae mercedem adprecamur;
et divini favoris auspicem paternaeque nostrae benevolentiae pignus
singulis, sicut et vobis, apostolicam Benedictionem peramanter imper-
timus. Datum Romae apud sanctum Petrum, die 9 Iunii, anno 1870.
Pon'.ifìcatus Nostri anno vigesimoquarto. PIUS PP. IX.
4. Ci è impossibile il venir riportando tutti gl'indirizzi che dalle di-
verse parti dal mondo giungono a Sua Santità dai fedeli, per testi-
moniare la loro ferma credenza nell'infallibilità della Cattedra di Pie-
tro. I giornali quotidiani che sogliono riferirli, benché ristretti d'or-
dinario ai soli loro connazionali, empiono da qualche tempo ogni dì
parecchie delie loro colonne. Noi siamo dunque costretti dalla troppa
vastità della materia a rimandare ad essi i nostri lettori : e special-
mente sWUnivers per la Francia, ed n\Y Unità Cattolica per V Italia. Non
possiamo però passarci ugualmente dal riferire alcune almeno delle
risposte che Sua Santità si è degnata di fare a quest'indirizzi, perla
testimonianza che esse recano alla verità, che da alcuni tristi gior-
nali suolsi da un pezzo offuscare di sofismi e di cavilli.
Merita il primo luogo, sebbene di data più recente delle altre, il
Breve che il Santo Padre ha diretto al Clero ed al popolo di Marsi-
glia. Tutti sanno quali delicatissime difficoltà impedivano a quella po-
polazione la manifestazione splendida della loro credenza nella infal-
libilità dei Pontefici, insegnanti alla Chiesa universale la verità cat-
tolica ex cathedra. Ora, per uffici i iniziati dall'egregio signor barone
De Roux, quelle difficoltà vennero superate, ed una calda e chiarissi-
ma professione di fede venne sottoscritta da tre dei quattro Vicarii
generali, da tutto il Capitolo, dai parrochi e dal clero della città, non
che da migliaia e migliaia di fedeli, appartenenti ad ogni ordine di
persone, e specialmente alla classe più elevata della cittadinanza. L'in-
dirizzo fu portato a Roma, e presentato a Sua Santità dallo stesso ba-
rone de Roux, incaricato a tal onorevole missione dal Clero stesso e
dal popolo; il quale venne accolto dal Santo Padre colle più paternali
significazioni di gradimento, e dalla stessa Santità Sua incaricato di
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 229
esprimerne i sensi di approvazione a quanti aveano sottoscritto a quel-
l'indirizzo. Fugli inoltre consegnato un Breve di risposta alla città di
Marsiglia, che noi qui riportiamo nel suo testo latino.
Dilectis film Vicariis Gmeralibus, Canonicis Cathedralis Ecclesiae,
Cleroque et Populo Massiliensi, Massiliam.
Dilecti filii, Salutem et apostolicam Benedictionem. Ea trepidis in ad-
iunctis ditionis nostrae exceperamus amoris et devotionis pignora a re-
ligiosissima hac urbe et dioecesi, ut minime dubitaremus, quin ipsa,
dum nonnulli diversis distrahuntur opinioni bus, sententiam foveret, di-
vinis huius Sanctae Sedis praerogativis obsequentiorem. At certe nequi-
vimus alacritatem non mirari, qua Clerus omnis, plerique e proceribus,
et magna populi pars turmatim nomina sua, Albo Nobis per dilectum
filium, egregium Baronem de Roux, exhibito adscribere voluerunt, ut
aperte testarentur, qua Nos prosequereiitur filiali dilectione et obser-
vantia, et quanta fide tenerent ae venerarentur in Nobis omnia et sin-
gula privilegia Petro largita a Christo Domino, in utilitatem Ecclesiae.
Celeritas ipsa, qua tanti molimi nis res perfecta fuit, siculi luculenter
ostendit quam alte insiderent animis proeliti sensus, sic praestantiorem
fecit, Nobisque iucundiorem nobiiissimam hanc significationem. In qua
sane studium animadvertimus ea urbe dignum, quae ab ipso Christia-
narum rerum exordio per fusa fuit evangelii lumine, quaeque suis mocni-
bus excepisse fertur amicura Christi, miramque et piane caelestem vitam
diu suspexisse illius quae diexit multum, et in eius sodalibus iam tum
habuisse specimen quoddam coenobiticae vitae. Quae sane avitae (idei et
caritatis commendatio eo splendidior fulget in vobis, quod néc convel-
li, nec restingui, nec infirmari potuerit vel a saevissimis diuturnisque
praeteriti saeculi perturbationibus, vel a crebris commotionibus aevi
huius nostri, vel a pericolosa convenarum totius orbis consuetudine in-
vecta a florentissimo commercio, vel demum a perenni bus et callidis
Ecclesiae osorum machinationibus. Quamobrem dum laeti excipimus Ili-
culentum istud religiosi affectus vestri testimonium, gratulamur vobis,
quod gloriam ita custodiatis ac exornetis patriae vestrae, quae primo-
genita Ecclesiae filia appellari meruit, ac nemini secundos esse conten-
datis in observantia et amore erga hanc Petri Cathedram, quam nobi-
liores ex Imperatoribus et Regibus vestris omni prosequi officio, omni-
que ope iuvare honori sibi duxerunt. Deus vobis semper propitiusadsit,
avertata patria vestra errorum omnium insidias et detrimenta, confir-
met fidem vestram et caritatem augeat, vosque suis omnibus muneribus
affatim accumulet. Nos grati animi sensu perciti haec vobis adpreca-
. mur, dum superni favoris auspicem nostraeque paternae benevolentiae
testem Apostolicam Benedictionem vobis omnibus peramanter imper-
timus. Datum Romae apud S. Petrum, die 27 lunii anno 1870. Pontili-
catus nostri anno vigesimoquinto. P1US PP. IX.
230 COSE SPETTAMI AL CONCILIO
Una pari devozione avea già prima dimostrato il clero della diocesi di
Saint-Brieue, dirigendo a Sua Santità, in un bell'Indirizzo, la l'erma si-
gnificazione della sua fede nel domina dell1 infallibilità pontificia. In ap-
provazione di quest'atto ebbesi dal S. Padre la seguente lettera iu for-
ma di Breve, che noi copiamo dal Monde, che lo stampò nel nnm. dei
23 Giugno 1870.
Dilecti filii, Salutem et apostoticam Benedictionem.
Consensi! vestro in rctinenda antiqua Galliarum fide, quoad divinas
Petri eiusque successorum praerogativas, votoque communi lucidioris
et firmioris earumdem declarationis ila delectati sumus, ut face re ne-
queamus quin commcndemus religionem vestram, eamque prudcutiam
vere christianam, qua illustrati in (irmi tate iimdamenti solidi tatem
agnoscitis aedilieii, et in virlute ac decore capiti» rubar et honorem cor-
poris. Paterno itaque alTeclu cxcepimus ofiicia vestra, quac praesiantio-
ra quoque facta esse censaimus a tcmporum adiunctis; vicemque rei
filiali cavitati vestrae copiosa graliae coelestis auxilia et omnia fausta
vobis adprecali sumus. Àuspicem vero divini favoris, paternaeque No-
strae benevolentiae et grati animi pignus apostolicam Benedictionem vo-
bis peramanter impertimus.Datum Bomae apud sauctum Petrum, die 2
lunii, anno 1870. Pontificatus Nostri anno vicesimo quarto. PLUS PP. IX.
Nulla però è più valevole ad attestare la copia di queste adesioni dei
fedeli alla ere :enza dell' infallibilità pontificia, quanta la lettera che qui
riportiamo tradotta dal testo francese, stampato nel n.° dei 20 Giugno
nel giornale Le Monde. Essa è scritta a nome di Sua Santità al .Nunzio
di Parigi; e suona coù.
« Illustrissimo e Reverendissimo Signore. Sua Santità riceve ogni
giorno da tutti i punti, e particolarmente dalla Francia, degF indrizzi,
ne1 quali s'afferma la credenza all' infallibilità dei Papi nelle definizioni
ex cathedra, intorno alla fede e ai costumi, e dove si domanda istan-
temente che questo prhile, io, conceduto per il bene della Chiesa al suo
supremo Gerarca, nella persona del Principe degli Apostoli, aia eretto
a domma di fede. Il S. Padre non può che rallegrarsi nel
pia dottrina, cui per tanti secoli nessuno metteva in dubbio, così aper-
tamente affermata oggi e diffusa nel clero e popolo cristiano. Per questa
ragione egli si è degnato rispondere con paiole di riconoscenza a un
grandissimo numero di queste manifestazioni ; ma c>se si moltiplicano
di tal guisa, che diviene del tutto impossibile di rendere in particolare
la testimonianza che merita a ciascuno dei corpi, a ciascuna delle riu-
nioni, la cui pieià offre queste umili suppliche.
« Pur tuttavia volendo dare soddisfazione in qui!1 la alla sua
affezione paterna verso tutti, e far conoscere in quale stima e;:li abbia
queste testimonianze di fede e di devozione, il Snulo Padre, per mez-
zo del sottoscritto Segretario, incarica V. Signoria Illma e lima di
COSE SPETTAMI AL CONCILIO 231
prendere i mezzi opportuni, aftinché il clero di Francia sappia quanto
riescano graditi a Sua Santità questi pegni di filiale attaccamento, e nel
medesimo tempo perchè tutti siano assicurati che essa fa tenere esat-
tamente conto di questi indirizzi, splendide manifestazioni del sentimen-
to della famiglia cattolica, da coloro che sono incaricati di mettere in or-
dine, e conservare tutto ciò che si riferisce alle materie, in cui si occupa
il sacro Concilio ecumenico.
« Il sottoscritto, nell'alto di compiere l'ordine ricevuto, gode di avere
questa occasione d1 offrire a V. S. Iìlma e Rina Y omaggio della sua pie-
na venerazione e di segnarsi;
« Di Vostra Signoria Illffia e Rffia, Uffio e devotissimo servitore, Fran-
cesco Meìxurelli, Segretario dei Brevi ai Principi. »
5. La sera del 1 Luglio il Santo Padre volle, in una guisa del tut-
to splendida e paterna a un tempo, premiare le fatiche intelligenti e in-
defesse sostenute finora dal corpo stenogratico del Concilio. I nostri let-
tori già sanno che a tal ufficio vennero destinati i più eletti giovani stu-
denti di Teologia dei seminarli ecclesiastici, italiani e stranieri, che so-
no in Roma, i quali per alquanti mesi prima dell'apertura del Concilio
attesero con molta cura ad apprendere quella non facile arte sotto la di-
rezione del eh. abb. Marchese, prescelto a dirigere questo importante
ufficio del Concilio. Essi non ricevono mercede alcuna dall'assidua loro
fatica, e pur la sostengono con tanto zelo, che sarebbe difficile di ottener
meglio dai più provetti stenografi. Or volendo Sua Santità dar loro un
segno dell'alto suo gradimento, li fece invitar tutti per le ore sei pome-
ridiane di quel dì nei suoi appartamenti. Radunatisi tutti i ventiquattro
che essi sono, col loro direttore alla testa, nella sala della Biblioteca pri-
vata del Santo Padre, vennero presentati a Sua Santità da mons. Fess-
ler segretario del Concilio, accompagnato da mons. Iacobini sottosegre-
tario, e quindi ammessi al bacio del sacro piede. Il Santo Padre rivolse
loro parole amorevolissime d'incoraggiamento e di approvazione, e s'in-
trattenne con essi con paterna amorevolezza, lodandoli della loro dili-
genza e capacità. Indi fece loro servire un copioso e nobile rinfresco,
seguitando a favellar con l'uno o l'altro di essi molto alla domestica, co-
me padre farebbe in mezzo ai suoi figliuoli un dì di festa. Lietissimi di
tanto onore, con tanta clemenza impartito loro, erano quei giovani levi-
ti : ma sorpresa maggiore ancora li attendeva. Imperocché il Santo Pa-
dre fece in quel mezzo di tempo avvicinare due suoi nipotini, gentilissi-
mi giovanetti, alunni dell'almo Collegio Capranicese, e date ai medesimi
due borse di magnifico ricamo, contenenti ciascuna dodici numeri, pre-
scrisse che si tenessero quivi fermi con quella borsa in mano. Avea es-
so, soggiunse, ideata una lotteria, e destinato ad ogni numero un pre-
mio : volea vedere come la sorte verrebbe a distribuirli. Infatti sopra
una gran tavola circolare erano disposti ventiquattro premii, consistenti
232 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
per la maggior parte in opere ecclesiastiche di gran pregio, e nobilmente
legate, portanti ciascuna un numero progressivo. Fattisi quindi appres-
sare ad uno ad uno ciascuno degli stenografi, questi estraevano il numero
che presentavano al Santo Padre, e ricevevano da mons. Maggiordomo
il premio indicato dalla sorte. Sua Santità intanto rivolgeva successiva-
mente a ciascheduno parole piene di benignità, e adatte o alla nazione,
o alla diocesi, o anche alla persona loro. Finita una tale distribuzione,
monsignor Fessler, prima di ricevere commiato dal Santo Padre, gli
espresse la soddisfazione dei Cardinali Presidenti e dei Padri del Conci-
lio pel servigio lodevole prestato dagli stenografi: e il Papa disse che
già n'era informato, e fece dono al Direttore dei medesimi d'un magni-
fico e bel calice d'argento. Benedettili poscia tutti, amorevolmente li
congedò, lasciando in essi la più soave impressione di quelle ore che fra
le immense sue cure spese con loro, e della benevolenza onde si degnò
di largamente riconoscere la lor premura nel porgere utile servigio al
Concilio.
6. S' è fatto un grande spreco di calunnie, di false interpretazioni,
di congetture e di supposizioni intorno a un discorso, tenuto dall' Emo
Card. Guidi in una delle ordinarie assemblee del Concilio Vaticano. A
far cessare tutto questo baccano intempestivo e senza fondamento, ba-
sterà, crediamo, quel brano che V Ancora, giornale bolognese, pubblica
nel suo n.° dei 6 Luglio, e che è estratto da una lettera scritta il 1 Lu-
glio dallo stesso Emo Arcivescovo a persona molto autorevole. In esso
il Cardinal Guidi così protestasi, con parole molto esplicite: «Non solo
posso, ma debbo rassicurarla, che nel mio discorso tenuto al Concilio
ho chiarito, sostenuto e difeso Y infallibilità del sommo Pontefice par-
lante ex cathedra, come sempre l'ho tenuta e difesa, e terrò e difende-
rò coll'aiuto di Dio fino alf ultimo respiro della mia vita. Il venerando
secreto del Concilio mi vieta dire di più. Verrà tempo, in cui potrò ma-
nifestare la verità coni' è ». Dopo questa professione così chiara della sua
credenza, cesseranno necessariamente così le lodi incongrue che i giornali
rivoluzionarii tributarono fin qui all'esimio porporato, come le conse-
guenze false che dalla falsa loro ipotesi vennero dedncendo.
7. Più d'una volta abbiam dovuto mettere in sull'avviso gl'Italiani so-
pra lo spirito della Ricista unicersale che si pubblica in Genova : e che
ha il vanto di aver gittato col suocattolicismo liberalesco il primo ger-
me di discordia nella buona stampa d'Italia. Gli scrittori di quel pe-
riodico se l'ebbero forte a male, ed al solito di cotal gente respinsero
quelle nostre osservazioni col gridarci uomini eccessivi, uomini di par-
te, senza prudenza, senza carità, e tirarono innanzi nella mala lor via.
Che ne è avvenuto? Che andando di male in peggio si sono attirati ad-
dosso i biasimi di tutto il Clero genovese, col lor superiore ecclesiastico
alla testa. Ciò solo basta oramai per far formare un giudizio equo di
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 233
questa. Rivista: e speriamo molto più che ciò basterà agli scrittori di
essa per riformarsi davvero nelle idee e nei principii che propugnano,
dando indirizzo schiettamente cattolico ai loro lavori. Finché questo non
si avveri, noi seguiteremo a dire agl'Italiani ben pensanti: guardatevi
da questa Ricista che vi mescola, insieme con qualche buon nutrimento,
non picciola dose di veleno. Ecco dunque la lettera dì monsignor Ma-
gnasco, Vicario capitolare di Genova:
« IUiTio sig. Direttore dello Stendardo Cattolico di Genova.
« Leggendo il n.° 144 dello Stendardo vi ho trovato un articolo inti-
tolato: « Un articolo della Ricista Universale », effemeride che si stampa
in cotesta città. Lo Stendardo parla di cotesto articolo della Rivista, e
insieme di una sottoscrizione che dice promuoversi da alcuni del Clero
in forma di protesta contro di queir articolo, disapprovando l'una cosa
e l'altra. Già a me erano giunti varii riclami da Genova a proposito di
queir articolo: quindi mi feci un dovere di leggerlo, e, a dir vero, rimasi
addolorato di trovarvi molte appreziazioni false e calunniose intorno a
ciò che avviene nel Concilio Vaticano, e irriverenti verso la suprema
autorità della Chiesa; donde, trattandosi di un periodico che si profes-
sa di esser cattolico, e sostenitore degli interessi della Religione, posso-
no facilmente ingerirsi dubbii nella mente de1 fedeli, ed esserne scossa la
loro credenza. Si aggiunge, che per la qualità de! periodico si dà a so-
spettare che tra il Clero e il popolo genovese v'abbiano di coloro che
parteggiano per opinioni, da cui furono sempre affatto alieni i nostri
maggiori, i quali godendo la più intiera libertà e indipendenza politica,
mostrarono costantemente un inviolabile attaccamento e rispetto agli in-
segnamenti e all' autorità della Chiesa e della Santa Sede. Ma non posso
neppur io approvare la supposta sottoscrizione, di cui però non ho ve-
runa contezza, bastando a sgombrare ogni sospetto a carico del nostro
Clero queir indirizzo al S. Padre, che all'epoca della festa della SS. Con-
cezione nello scorso Decembre venne sottoscritto da tutti i RR. Eccle-
siastici sì della città che della diocesi, e che io stesso ebbi la sorte di
deporre tra le mani di S. Santità. Nel quale indirizzo si dichiarava, che,
come nel 1854, essi col più vivo desiderio aspettavano dall' infallibile
oracolo del sommo Pontefice, la definizione di quell'augusto privilegio
della Madre di Dio, così al presente professavano anticipatamente una
pronta ed intera sommissione alle definizioni e ai decreti del sacro Con-
cilio Araticano.
« Le sarò ben grato, sig. Direttore, se vorrà inserire questa mia in un
prossimo numero del suo giornale, e intanto godo protestarmi. Roma,
27 Giugno 1870. Suo Devino Servo i Salvatore, Vescovo di Bolina,
Vie. cap. di Genova.
8. Si riferì dai giornali un indirizzo dei sacerdoti di Praga a sua Emi-
nenza il Card, di Schwarzenberg, e venne quindi accompagnato da coni-
234 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
menti secondo le varie tinte del loro spirito. Il Frischccran ! di Praga,
il 30 dello scorso Giugno, scrive a questo proposito: non doversi ripu-
tare un tale Indirizzo, quale atto di tutto il corpo de preti, ovvero dei
curati di Praga. Stanicene altri richiesti della sottoscrizione, Y aves-
sero assolutamente rifiutata, altri sembrassero di sottoscrivere per dare
una testimonianza di ossequio a sua Eminenza, ed altri fermi nella vene-
razione dovuta al loro Pastore negassero di ciò fare, stimando cosa inop-
portuna di avanzare un loro privato giudizio in risguardo di una immi-
nente decisione della Chiesa. Checche sia di ciò, il fatto è che cotesto
indirizzo non è da mettersi al paro di quello spedito da alcuni professori
di quella stessa città al Dòllinger. Imperocché i sottoscritti sacerdoti di
Praga rendono bensì grazie a sua Eminenza di aver sostenuto per inop-
portuna la dichiarazione della infallibilità pontificia, stante alcuni peri-
coli, che essi credono di scorgervi ; ma nel medesimo tempo dicono alto
di credere fermamente nelle prerogative del Papa, quale Capo supremo
della Chiesa; e protestano che non vogliono punto staccarsi dal corpo
della Chiesa. Donde si capisce, che quale che siasi la loro presente opi-
nione, sono apparecchiali a soggettarsi fedelmente ad ogni decreto di
fede, che sarà per uscire dal Concilio.
9. Il terribile incendio che ha distrutto presso a cinque mila case a
Pera, gittate sul lastrico quasi ventimila persone, e fattene perire altre
mille, ha cagionato fra tanti altri danni un danno immenso ai cattolici, e
specialmente agli armeni. Un pio pensiero di venir loro in aiuto ha sug-
gerito ad alcuni dei Vescovi radunati in Concilio a Roma, di fare appel-
lo alla carità dei cattolici d'Occidente. Sonosi essi adunque costituiti in
comitato, ed hanno indirizzato agli altri Vescovi loro colleghi la presen-
te lettera circolare, la quale espone brevemente la necessità che v1 è di
questo soccorso, e il modo di ordinarlo in grandi proporzioni. Diamo
qui la lettera stessa, perchè si vegga come gf interessi delle Chi >
Oriente stiano sinceramente a cuore non solo ai Santo Padre, ma eziandio
a tutto l'Episcopato della Chiesa latina.
« Monsignore. — I cattolici di Costantinopoli hanno testi' -< -ll'erto un
immenso disastro. Il grande incendio del li Giugno, che ha ridotto in
cenere la più gran parte del sobborgo di Pera, ha distrutto considere-
voli stabilimenti religiosi latini ed armeni. Il Vicarialo apostolico latino,
la sua chiesa dedicata a S. Giovanni Crisostomo sono in rovina: è una
grande pruova che colpisce questo Vicariato, già carico di pesi gravissi-
mi. Il Patriarcato armeno soprattutto, il presbiterio, la biblioteca, la
stamperia, il convento delle religiose armene, e molte case che e istitui-
vano l'entrata principale di questi stabilimenti, furono preda delle fiam-
me. I preti, i seminaristi, le religiose han potuto salvare appena le loro
persone: e un grftt numero di zitelle povere, allieve delle :
trovano oggi colle loro maestre senza tettoie prive interamente di tutto
COSE SPETTASTI AL CONCILIO 235
Così le magnifiche creazioni, frutto di treni' anni di sacrifizii e di fati-
che, sono state distratte in poche ore; e poiché esse erano di una utilità
generale a tutta la nazione armena, particolarmente il seminario e il con-
vento delle religiose, il contraccolpo di questa calamità sarà risentito in
tutta l'estensione del vasto Patriarcato, soprattutto dairopera delle Mis-
sioni dei nuovi Convertiti, che dava di giorno in giorno i frutti più ab-
bondanti e le più belle speranze. A questa immensa sventura pubblica bi-
sogna aggiungere la spaventosa miseria a cui sono ridotte numerose
famiglie, vittime del flagello, appartenenti a tutte le classi, e per conse-
guenza divenute incapaci di porgere soccorso ai bisogni del culto cat-
tolico.
« Il nostro Santo Padre Pio IX, il cui gran cuore risente tutti i dolori
de' suoi figliuoli, si è commosso, e benché sia egli stesso sostenuto dalle
limosine del mondo cattolico, e malgrado dei forti pesi che aggravano
il suo tesoro, ha stesa la compassionevole mano a questa illustre Chie-
sa orientale, figlia della Chiesa romana; egli le ha mandalo una generosa
limosina in denaro, in ornamenti e in vasi sacri. Egli ha benedetta
Fidea d'un appello alla carità dell1 Episcopato e dei fedeli dell1 Occiden-
te. Affine di assicurare il successo di questo pio atto , s1 è composto
un comitato di Vescovi appartenenti a tutte le nazioni. Questo comitato
s'è incaricato di sollecitare il concorso dell'Episcopato cattolico e di
supplicarlo d'interessare a questi opera la carità dei loro diocesani.
« Abbiamo ragione di sperare che i fedeli si faranno un dolce dovere
di seguitare il lor Padre, il grande Pio IX, nell'opera che il suo esem-
pio e i suoi mcoraggiamenii propongono alla loro carità. Essi reche-
ranno ai loro fratelli, che soffrono colpiti da sì crudele flagello, un soccor-
so efficace, e rialzando colle lor mani questa lontana e nobile missione,
daranno a tutto l'Oriente un grande insegnamento. Poiché essi faranno
risplendere agli occhi delle nazioni, fuorviate dagli scismi, la carità
universale che è il carattere più lucido e popolare della vera Chiesa, di
cui Gesù Cristo è il Capo, e Pio IX il supremo Pastore visibile.
« Per tal fine, Monsignore, i membri sottosegnali del comitato sup-
plicano l' Eccellenza Vostra di far conoscere ai fedeli della sua diocesi
l'immensa sventura che ha colpito la Chiesa di Costantinopoli, e di chie-
der loro il soccorso delle loro limosine in suo favore, ossia coll'ordi-
nare una colletta in ciascuna parrocchia, ossia coli' organizzare delle sot-
toscrizioni, ossia coli' impiegare qualsivoglia altro mezzo, che il suo zelo
crederà più utile.
« Luciano Cardinale Bonapartc, presidente— Massimiliano de Tarnoczy,
Arcivescovo di Salzhourg — Michele Ledochowski, Arcivescovo di Po-
sen e Gnc.-en — Raffaele Valdivieso, Arcivescovo di S. Giacomo del
Chili — Giuseppe Sant' Alémany, Arcivescovo di S. Francesco — Gre-
gorio de Scherr, Arcivescovo di Munich e Frisine — Patrizio Leahv,
236 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
Arcivescovo di Cashel — Gioacchino Umberti, Arcivescovo di Firenze
— Spiridione Maddalena, Arcivescovo di Corfù — Mariano Barrio y
Fernandez, Arcivescovo di Valenza — Carlo de la Tour d' Auvergne-
Lauraguais, Arcivescovo di Bourges — Pelagio de Lavaslida, Arcive-
scovo di Messico — Luigi Duhreuil, Arcivescovo d'Avignone— Martino
Spalding, Arcivescovo di Baltimora — Luigi Haynald, Arcivescovo di
Colocza e Bacs — Enrico Manning, Arcivescovo di Westminster — An-
drea Schoeppman, Arcivescovo d'Utrecht— Giuseppe Checa, Arcive-
scovo di Quito — Carlo Eyre, Arcivescovo d' Anazarba, delegato apo-
stolico di Scozia — Teodoro de Montpellier, Vescovo di Liége — An-
tonio de Macedo, Vescovo di Belem di Para — Luigi di Canossa, Ve-
scovo di Verona — Gaspare Mermillod, Vescovo d1 Hebron, ausiliare
di Genève — Edoardo Howard, segretario, prelato domestico di Sua
Santità.
« N. B. Le offerte raccolte nelle diocesi saranno spedite in un centro
solo a Roma, alla sacra Congregazione di Propaganda, che ne farà la
ripartizione secondo i bisogni speciali, e che più tardi farà un rendiconto
delle somme ricevute e della loro distribuzione. »
IV.
CRONACA DEL CONCILIO
1. Congregazioni generali — 2. Somma dei Padri che hanno scritto o parlato
intorno air infallibilità — 3. Cappelle papali — i. Partenze di Vescovi e
loro devozione alla Santa Sede.
1. Come già notammo, non pare fatto senza consiglio provvidenziale,
che nei giorni della novena e dell'ottava del Principe degli Apostoli,
presso la sua tomba, si dovessero mettere in luce dai Padri del Concilio
le grandi prerogative del suo primato. Nella novena si tennero cinque
Congregazioni, ai 20, 22, 23, 25 e 28 di Giugno, continuandosi sem-
pre la discussione sul capitolo quarto dello schema della Costituzione
dogmatica intorno al Capo della Chiesa. Celebrarono successivamente
mons. Tagliatela, Arciv. di Manfredonia; mons. Hagian, Arciv. armeno
di Cesarea ; mons. Lynch, Arciv. di Toronto ; mons. Euscbidès Dimi-
trio, Arciv. greco di Naplusa, e mons. Arciga, Arciv. di Mecoacan.
Altre cinque Congregazioni si tennero dentro l'ottava, ai 30 Giugno,
e al 1, 2, \ e '\ «Si Luglio; e celebrarono successivamente, mons. Ro-
tondo, Arciv. di Taranto; mons. Bostani, Arciv. maronita di Tiro e Si-
done; mons. Ilaynahl, Arciv. di Colocza e Bacs; mons. Ferrigno, Arciv.
di Brindisi, e mons. Ginoulhiac, Arciv. di Lione.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 237
Nella Congregazione del 2 Luglio i Rmi Padri (ecero la votazione sul
proemio e sopra i due primi capitoli. Nella Congregazione dei 4 termi-
narono la discussione sul quarto capo, la quale si era continuata per un-
dici Congregazioni coi discorsi di oltre a cinquanta Padri, e con grande
consolazione di tutti fu recata a termine prima del tempo, avendo più di
cinquanta altri Padri, che si erano iscritti per parlare, rinunziato spon-
taneamente al loro diritto. Nella Congregazione dei 5 Luglio si fece la
votazione sul terzo capitolo. Gita si sono distribuiti in istampa ai Padri
tutti gli emendamenti proposti nella discussione del quarto, e si è in-
timata la Congregazioue generale perTll di Luglio per far la votazione
sopra ciascuno di questi emendamenti, dopo sentito il parere della Com-
missione de fide. Poi si verrà alla votazione finale di tutto insieme lo
schema, prima di tener la tanto bramata quarta sessione.
2. Piacerà ai nostri lettori di aver insieme sottocchio, come può
ritrarsi da fogli, uno specchio di quanti ebbero la parola o la rinun-
ziarono nella discussione del quarto capitolo.
15 Giugno 1 Relatore e 2 Oratori
18 Giugno 3 Oratori
20 Giugno 1 Relatore e 4 Oratori
22 Giugno 7 Oratori
23 Giugno 5 Oratori
25 Giugno 6 Oratori e 2 rinunziarono
28 Giugno 6 Oratori
30 Giugno 6 Oratori e 2 rinunziarono
1 Luglio 6 Oratori
2 Luglio 9 Oratori e 14 rinunziarono
4 Luglio 2 Oratori e 42 rinunziarono.
Onde abbiamo che 56 Padri parlarono, oltre i 2 Relatori che parla-
rono a nome della Commissione; e che di più 62 Padri rinunziarono
la parola. Si aggiunga che, secondo che dissero i fogli, nella discus-
sione generale dello schema, continuatasi in 14 Congregazioni coi di-
scorsi di 6j Padri, i più d'essi parlarono almeno generalmente del
quarto capitolo; onde apparisce che più di 100 Padri hanno parlato
intorno alla definizione dell1 infallibilità. Si sa pure dai fogli che, prima
della discussione, assai più di 100 Padri diedero in iscritto le loro os-
servaz;oni su quel capitolo, che pur messe compendiosamente a stampa
in un grosso volume furono distribuite ai Padri; sicché abbiamo che
più assai di cento voci e di cento penne si sono occupate di questo
argomento. E pur si dirà che non vi è stata maturità e libertà di dis-
cussione !
238 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
3. Oltre le Congregazioni i Riìii Padri assisterono in questi giorni a
quattro cappelle papali ; ai 21 Giugno per l'anniversario della Coro-
nazione di S. S. ; ai 24 per la festa di S. Giovanni ; e ai 28 e 29 pei ve-
spri pontificali e per la Messa pontificale per la solennità dei Principi
degli Apostoli S. Pietro e S. Paolo.
4. 1 calori della stagione o urgenti affari han costretto non pochi Ve-
scovi a partire da Roma, con dispiacere di non poter essere pienti
alla definizione dell1 infallibilità pontificia. Più altri tardano a partire
solo per aver prima questa consolazione di far tale omaggio a S. Pie-
tro e a suoi Successori. Come dicemmo altra volta, il movimento cat-
tolico per questa definizione dee dirsi anzitutto un movimento
scopale. Fu detto da taluno che il votare per Y infallibilità potrebbe
sembrare ai Vescovi quasi un votare per la loro abdicazione. Se co-
sì fosse, non si sarebbe mai veduta una abdicazione sì spontanea, sì
devola e sì lieta; ma il vero si è che nel riconoscere i diritti e i
privilegi del Capo, nulla perde, anzi acquista nuovo splendore tutto
il corpo episcopale. Viva S. Pietro! viva Pio IX! viva il cattolico Epi-
scopato! vivajil Concilio Vaticano!
CRONACA
CONTEMPORANEA
Marna 9 Lw# fio 1870.
I.
COSE ITALIANE.
Stato Pontificio 1. Augurii del sacro Collegio al Santo Padre pel vigesimo
quinto anno del suo pontificato; Discorso di Sua Santità — 2. Concistoro
dei -27 Giugno 1870 — 3. Preparativi pel Giubbileo pontificio di Sua Santità
— i. Nuova loggia decorata dal Mantovani nel Cortile di S. Dainaso al
Vaticano — 5. Pagamento degli interessi del debito pubblico.
1. Il giorno 17 Giugno , con somma letizia di tutti i sinceri cattolici,
e con le più fauste speranze per l'avvenire, il Santo Padre Pio Papa IX
entrava nel vigesimo quinto anno del suo quanto travaglioso altrettanto
glorioso .pontificato. L'Emo Cardinale Patrizi , presentando a Sua Santi-
tà gli augurii del sacro Collegio, parlò nei seguenti termini, accurata-
mente notati dagli stenografi del Concilio.
« Beatissimo Padre! lo in nome del sacro Collegio vengo ad umiliare
di augurii e i voti alla Santità Vostra, in questo giorno anniversario del-
la sua esaltazione alla Cattedra di S. Pietro. Beatissimo Padre, ira que-
st'anno, che dà principio al ventesimoquinto anno del suo pontificato,
con maggiore effusione del nostro cuore noi adempiamo a quest1 uffi-
cio, sperando nella Provvidenza di Dio che con modi così ammirabili
ha guidato la Chiesa in questi anni del suo pontiiicato con avvenimen-
ti del tutto straordinarii , ed ha reso il suo pontificato veramente pieno
•di tribolazioni, ma ancora pieno di gloria; speriamo dissi, elio questa
Provvidenza sempre più risplenda, mostrandosi straordinaria altre-
sì nella durata del suo regno , di modo che ancora per molti anni la
Santità Vostra regoli il timone della mistica navicella, e governi la
240 CRONACA
Chiesa di Gesù Cristo in mezzo alle tempeste e alle tribolazioni. Di que-
sta grazia speriamole ci sia mediatrice al trono del Figlio V Immacola-
ta Vergine Maria, il cui diadema per oracolo infallibile della Santità
Vostra venne ornato del più bello gioiello, quando fu dichiarata Im-
macolata, e che in ricambio di questa gloria, sebbene accidentale, procu-
ratale dalla Santità Vostra, voglia affrettare la definizione del sospirato
domma, che tanto onora e tanta gloria reca alla Sede apostolica , al Ro-
mano Pontefice Vicario di Gesù Cristo e Maestro infallibile della catto-
lica Chiesa. »
11 Santo Padre degnossi rispondere col discorso seguente, che destò
in tutti gli astanti la più sentita e profonda commozione.
« Accolga Iddio questi voti e li verifichi, quando egli crederà nella sua
bontà e provvidenza, e intanto ringrazio di questa nuova prova di af-
fetto e di amore il sacro Collegio. E, mentr1 ella dice che il pontificato
presente è stato segnato da tribolazioni e da glorie, dirò francamen-
te che negf inizii del presente pontificalo fuvvi un conato dei nemici
di Dio per T emancipazione politica, per introdurre in seguito V eman-
cipazione religiosa. Fu inutile gridare, in quei primi slanci, ali1 incon-
siderato popolo e dirgli: Popule meus, qui te beatuni dicunt , ipsite se-
ducunt. La emancipazione fu fatta ed eseguita, i rivoluzionarli ottenne-
ro il loro intento.
« Appresso la emancipazione politica venne la emancipazione religiosa,
per cui si fece ciò che è noto al mondo tutto; le espoliazioni, le usur-
pazioni, le carceri, gli esigli e tutto ciò che dovè soffrire la Chiesa ed
i suoi ministri. Però a questi mali altri peggiori vennero appresso; e la
nostra terrà, imitando le sconcezze di tante altre terre, mise in campo
le più false dottrine; e se come altra volta, non fu acceso l'incenso alla
dea Ragione, si volle, e si vuole, che la ragione non deve sottostare
alla fede , che la scienza non deve essere guidata per mano dalla Reli-
gione; e per conseguenza si propagano mille altri errori, che, disgra-
ziatamente, trovano seguela e seguaci. Li seguono tutti coloro che sono
stoltamente meravigliati delle bellezze del secolo; li seguono tutti coloro
i quali per abbandonatisi vivono tranquilli sotto la tirannia di certi no-
mi; li seguono coloro i quali operano, pensano, discorrono a seconda dei
fogli che leggono e de' circoli che frequentano ; li seguono coloro i qua-
li hanno in adorazione e venerano ciò che si dice pubblica opinione, se-
guitandone i principii anche quando sono contrarii al giusto, al retto, al
Tero. E tutto questo perchè?
« Primo motivo di questi errori, non unico motivo no, ma primo mo-
tivo, è l'ignoranza. E permettete eh' io narri due brevi aneddoti succe-
duti a me negli anni testé decorsi. Sarò brevissimo, perchè non voglio
la taccia di stancare gli uditori , come talvolta succede in qualche punto
del mondo quando parlano certi oratori.
CONTEMPORANEA MI
« In due diversi tempi , per due diverse occasioni , negli anni scorsi
vennero a me due personaggi distinti , che occupavano un posto anche
distintissimo nello Stalo al quale appartenevano. Il primo, dopo breve
discorso , mi dichiarò, con mia consolazione, che era cattolico; e che an-
zi essendo cattolico credeva anche ali1 inferno; però che questo inferno ,
al quale egli credeva, era un inferno, non quale si sente comunemente,
ma bensì un luogo dove Iddio condannava i colpevoli ad una perpetua
malinconia, e nulla più.
« L'altro , che venne non molto tempo dopo , mi parlò di certe leggi
e di certi principii di Chiesa e di Religione. Non potendoci intendere,
se ne uscì in questo classico errore: Già, lo so, la religione di Roma e
di una parte d'Italia è diversa dalla religione di tutto Torbe terracqueo:
giacché a Roma vi è la religione di san Pietro, e altrove vi è la re-
ligione di san Paolo; e quindi soggiunse con poco aggiustata erudi-
zione: appunto per questo, diceva egli, che a san Paolo fece vedere Id-
dio quel lenzuolo pieno di animali immondi da divorare. Io mi rallegra-
va con lui di vederlo occupato nella lettura degli Atti apostolici , ma
soggiungevo che la visione non fu di Paolo, ma fu di Pietro; che i due
Apostoli erano in pieno accordo, e ambedue procuravano la conversio-
ne di Roma e del mondo; e Paolo, come scriveva ai Romani, si gloria-
va d'essere cittadino romano, e con Pietro fu martirizzato in Roma,
confermando col proprio sangue la stessa fede, predicata in Roma e fuo-
ri di Roma col Principe degli Apostoli.
« Ora io dico: perchè tutto questo? Ripeto , Fratelli carissimi, per
l'ignoranza principalmente. E a chi spetta dissipare queste tenebre
della ignoranza, a chi tocca di eliminare certi pregiudizii, che penetran-
do anche nelle alte classi della società, producono in essa mali senza
fine? Tocca a me, tocca a voi, Venerabili Fratelli , giacche e voi ed io
siamo stati costituiti da Dio sentinelle a vegliare giorno e notte alla si-
curezza di Sion: Super muros tuos constitui custodes ; tota die, tota nocte,
in '.-perpetuimi non tacebunt. Incombe a noi d'insegnare al popolo i suoi
doveri, a noi appartiene dissipare gli errori che formicolano su questa
terra, e dirigere tanti, anche forse buoni, ma che non conoscono, nella
posizione in cui si trovano, la verità di certi principii e la esistenza di
certi fatti.
« Dunque invocato l'aiuto di Dio, in primo luogo dirò che tra queste
sentinelle da Dio costituite alla custodia della sua città di Sion, vogliam
dire della Chiesa , ve ne ha qualcuna che dimentica la grandezza della
sua dignità, ve ne ha qualcuna che abbandona perfino la divisa onorata
del suo alto grado, per mettersi in certi costumi e maniere onde potere
mescolarsi meglio colle genti del secolo; vi sono delle sentinelle le qua-
li credono di potere avvicinarsi al mondo e mostrare di amarlo sotto
speciosi e vani pretesti ; ma il Magno S. Leone dice loro : Pacem cum
Serie VII, voi. XI, fase. 488. 16 9 Luglio 1870.
242 CRONACA
mundo nisi amalores mundi habere non possimi. Quelli i quali desidera-
no di stender la mano amica a questo mondo, per concludere convenzio-
ni fior: esso, dimenticano, d'Apostolo san Giovanni lo dice a noi chiara-
mente , che il mondo non conosce Gesù Cristo: Mundus eum non cogno-
mi. Che , se il mondo non conosce , o finge di non conoscere Gesù Cri-
sto, com'è possibile di fargli omaggio e cercarne i favori? È forse il
inondo che ha abbellito le anime nostre del carattere sacerdotale, di
quel carattere ch'io spero con voi che risplenderà in cielo un giorno,
quando Iddio ci chiamerà al cospetto della sua gloria? È forse il mondo
che ha impreziosito le anime nostre coi sacri carismi? È forse il mon-
do, che separandoci dal resto degli uomini e sollevandoci sopra loro, ci
ha arricchito coi doni della sapienza, dell'intelletto, del consiglio, della
fortezza, della scienza, della pietà e del santo timor di Dio; e non è for-
se Iddio stesso che ha versato nelle anime nostre queste celesti ricchez-
ze? A lui dunque i nostri pensieri, i nostri affetti, l'opera nostra, la
nostra gratitudine.
« Ma pongo termine a queste parole con la celeste benedizione , la
quale io do loro con tutta l' espansione del mio cuore. E prima benedico
que' primi di cui ho parlato finora , e levando al cielo le mani , prego
Iddio a riguardarli con occhio di misericordia e arricchire la benedizio-
ne col dono della luce, affinchè, aggirandosi essi fra certe oscurità, fra
certe tenebre, trovino la porta di uscire da quel baratro per vedere
un'altra volta le bellezze e lo splendore della verità. Benedico i secon-
di, e sono quelli che, andando ondeggianti in duas parles, non sanno
decidersi ancora a voler essere tutti intenti a difendere i diritti della
Chiesa; e prego Iddio a unire alle benedizioni il dono della fortezza, a
dar loro coraggio onde emanciparsi una volta da certe dubbiosità e in-
certezze. Benedico i terzi che sono i più; e !a benedizione che do a que-
sti è una benedizione alla quale domando a Dio che si degni unire il do-
no della perseveranza, che è il dono più grande che Dio possa l'are alla
Chiesa e al popolo suo. Ah! Se finora camminarono nelle vie della ve-
rità e della giustizia; se [inora furono esempio del Clero e del popolo;
se finora furono pieni di zelo per la gloria di Dio e per 1 zione
dcUe anime; di qui innanzi ut gigantes curvarti in mas suas, continuino
come giganti a correre di virtù in virtù nel cammino della vita che Id-
dio si degnerà ancora loro concedere; I fori consumata la carriera mor-
tale, possano all'ora estrema ascoltare queir invito celesto: Ex
bone et fìdelis, tétta in gandimn domini (ni. E prego die tutti quelli
che ancora si aggirano nelle pianure di Sennaar, vengano a noi, e tutti
uniti nella grande Aula apostolica poliamo pregare Iddio tftfMMlittr
pcrsrreran'cs in oralionc , e dimandargli aiuto per noi, pei nostri pros-
simi fratelli, per tutta la Chiesa e per la dilatazione della Chiesa slessa.
— Bencdielio Dei omnipoienlis, ctc. i»
CONTEMPORANEA 243
Nella fausta ricorrenza dei due anniversarii della esaltazione al pon-
tificato, e della incoronazione, il Santo Padre ricevette altre congratula-
zioni ed augurii.
Una deputazione composta dagli anziani fra i diversi Ordini dei Pa-
dri del Concilio ecumenico, e dai Prelati segretario e sotto-segretario,
ricevuta in udienza, espresse alla Santità Sua, a nome di tutti i Pa-
dri, le felicitazioni e gii augurii proprii della fausta ricorrenza. Tutti
i membri dell' Eccfiio Corpo diplomatico, accreditati presso la Santa
Sede, conseguirono eziandio Y onore di essere ricevati in particola-
re udienza da Sua Beatitudine, cui espressero i sensi della più pro-
fonda venerazione, e offrirono voti di felice e lunga conservazione. Lo
stesso onore ottennero i Ministri di Stato di Sua Santità, i Principi as-
sistenti al soglio, i diversi collegi della Prelatura, i consiglieri di Sta-
to, i consultori delle Finanze, il corpo delle Guardie nobili, l'uffizia-
lità della Guardia svizzera, e quella della Guardia palatina di onore.
Ancora S. E. il signor generale Dumont, comandante il corpo francese
di spedizione, accompagnalo dal suo Sialo Maggiore, e da altri coman-
danti ed uffiziali, si recò a far Fatto di ossequio al Santo Padre. Il Se-
Datore di Roma, ammesso pure, insieme ai Conservatori, all'onore delia
udienza, espresse a Sua Santità i sentimenti di venerazione e di fedeltà
a nome dei popolo romano. Il Santo Padre, accogliendo benignamente
le felicitazioni, che gli vennero umiliate, rivolse a tutti parole di gradi-
mento, e loro comparti l'apostolica benedizione. Nelle due sere di lunedì
e di martedì la città, in segno di allegrezza, fu vagamente illuminata.
2. La Santità di nostro Signore Papa Pio IX ha tenuto la mattina del
lunedì 27 Giugno, nel palazzo apostolico vaticano, il Concistoro segreto,
nel quale ha proposto le seguenti Chiese: Chiesa metropolitana di Leo-
poli, cui è unito il titolo di Bali eia, di rito greco-ruteno, nella Galizia,
per monsignor Giuseppe Sembratoviez, traslato dalia Chiesa arcivesco-
vile di ÌSazianzo in partibus infulelium. Chiesa metropolitana di Lione,
cui è unito il titolo di Vienna, in Francia, per monsignor Giacomo dia-
ria Achille Ginoulhiac, promosso dalla Sede di Grenoble. Chiesa metro-
politana di Zagabria, in Croazia, pel R. D. Giuseppe Mihalvits, sacer-
dote diocesano di Csanad. Chiesa metropolitana di Porto-Principe, in
Haiti,, per monsignor Alessio Guiiloux, sacerdote diocesano di Yannes,
e vicario apostolico in Porto-Principe. Chiesa arckeseocile di Lepanto,
■nelle parli degV infedeli, pel IL P. Fr. Giacinto Maria Giuseppe De Fer-
rari, professo dell'Ordine dei Padri Predicatori. Chiesa di Lussemburgo,
nel gran Ducato dello stesso nome, recentemente eretta in Cattedrale, per
monsignor Nicola Adames, Iraslato dalla Chiesa di Àlicarnasso in parti-
bus infideliuìii. Chiese cattedrali unite di Viterbo e Toscanella, negli
Stati pontificii, per monsignor Luigi Seraiini, sacerdote diocesano di
Sabina. Chiesa cattedrale di 2\eosolio, i.i Ungheria, per monsignor Si-
244 CRONACA
gismondo Szuppan, sacerdote diocesano di Neosoìio. Chiesa cattedrale di
Premislia, di rito latino, nella Galizia, per monsignor Mattia Hirschler,
sacerdote arcidiocesano di Leopoli. Chiesa cattedrale di-Tarbes in Fran-
cia, pel R. D. Pietro Anastasio Pichenot, sacerdote arcidiocesano di
Sens. Chiesa cattedrale di Nantes, in Francia, pel R. D. Felice Four-
nier, sacerdote di Nantes. Chiesa cattedrale di Grenoble, in Francia,
pel R. D. Pietro Antonio Giustino Paulinier, sacerdote diocesano di
Montpellier. Chiesa cattedrale di Evreux, in Francia, pel R. D. France-
sco Grollean, sacerdote diocesano di Angers. Chiesa cattedrale di Spira,
in Baviera, pel R. D. Corrado Reilher, sacerdote diocesano di Spira.
Chiesa cattedrale di Munster, in Prussia, pel R. D. Giovanni Rernardo
Brinomann, sacerdote diocesano di Miinster.
Dopo ciò il Santo Padre ha notilicate le elezioni per organo della
sacra Congregazione di Propaganda Fide, effettuate dall'ultimo all'odier-
no Concistoro, e sono: Chiesa arcivescovile di Nicomedia, nelle parli de-
gl' infedeli, per monsignor Leonardo Mellano, vicario apostolico di Ve-
rapoli, promosso dalla Chiesa vescovile di Olimpio ih partibus infede-
lium. Chiesa cattedrale di S. Giovanni, nell'isola di Terra Nuova, pel
R. D. Tommaso Power, sacerdote arcidiocesano di Dublino. Chiesa cat-
tedrale di Alessio, in Albania, pel R. D. Francesco Malezynsky. Chiesa
ca'tedraie di Auckland, nella Nuova Zelanda, pel R. D. Tommaso Crok,
sacerdote diocesano di Cloyne. Chiesa di Sprinfield, nello Stato di Mas-
sachusetts, provincia di Nuova York, recentemente eretta in Cattedrale,
pel R. D. Patrizio 0 Reilly, sacerdote diocesano di Boston. Chiesa catte-
drale di Harbour-Grace, nelly isola di Terra Nuova, pel R. P. Enrico
Carfagnini, dell'Ordine de1 Minori Riformati. Chiesa cattedrale di Pillati,
in Albania, pel R. P. Alberto Eracchi da Laudona, dell' Ordine dei Mi-
nori Riformati, prefetto apostolico della Missione di Pulati.
Finalmente si è fatta a Sua Beatitudine l' istanza del sacro Pallio per
le Chiese metropolitane di Leopoli, di rito greco-ruteno; di Lione, di
Zagabria, e di Porto Principe.
3. Il dì 21 Giugno 1871 compiesi il vigesimo quinto anno del ponti-
ficato di Pio IX; e quindi cade la festa del sito Giubbileo ponlilicale.
Nessuna delle occasioni valevoli a testimoniare al S. Padre l'affezione fi-
liale dei fedeli è giammai loro sfuggita: e splendidissima pruona ne fu-
rono le feste pel suo cinquantesimo anniversario del sacerdozio. Questo
giubbileo, straordinaria al certo, e dopo S. Pietro e Pio VI unica circo-
stanza, come tutti ci auguriamo, e come la florida sanità del S. Padre ci
dà fondamento ad aspettarlo, non poteva passare inosservata. Anzi il
desiderio di vederla solennizzata con grandissime feste e con unanime
concorso vi ha latti rivolgere l'attenzione (in da un anno innanzi. Ini-
ziatore delle proposte relative se n'ò latto il Consiglio superiore della
Società della Gioventù Cattolica in Italia, il quale ha diretto ai Presi-
CONTEMPORANEA 245
denti dei Circoli della medesima società, e a tutti i suoi corrispondenti
una lettera d'invito, ed un Programma, ove spiegasi il motivo della so-
lennità, e il concorso che lutti vi debbon dare. Plaudendo di vero cuore
a questa iniziativa e a queste proposte noi qui copiamo V una e Y altro,
ed esortiamo i nostri lettori a volersi associare a questa affettuosa di-
mostrazione.
Ài Presidenti dei Circoli, e ai Sodi corrispondenti
del Consiglio superiore.
Fratello in Cristo carissimo.
Ca avvenimento non più rinnovatosi nelle storie della cattolica Chie-
sa da ornai dicianove secoli, cioè dal pontificato di Pietro, primo Vica-
rio di Gesù Cristo in terra tino a noi , confidiamo in Dio e nella possen-
te intercessione della Vergine Immacolata che debba finalmente consolare
il mondo cristiano nel Giubbileo pontificale del Pontefice dell'Immacolata,
del grande Pio IX, prossimo ad entrare nell'anno XXV del suo combattuto
e glorioso pontificato. Sì, questo solenne avvenimento, negato all'univer-
so per tanta serie di tempi, noi lo bramiamo con ogni possa del cuore,
lo speriamo con vivissima fede, e ci uniamo con 200 milioni di Cattoli-
ci a far dolce violenza al cuore di Dio, sicché, sospese le folgori della
sua giustizia, provocate da tante colpe del mondo reo, si degni conce-
dere a tutti questo sommo favore, questa ineffabile esultanza. Col soc-
corso di Maria non otterremo vittoria? se Maria prega con noi, potrà
non esaudirci il suo onnipotente Figlio e Dio Gesù? Preghiamo, pre-
ghiamo! Questa è la prima delle proposte, votate dal Consiglio superio-
re, delle quali mi pregio compiegarvi i particolari.
Per ciò che riguarda la Colletta del denaro di S. Pietro in sì fausta
ricorrenza, non è mestieri eccitarvi ad assidua e costante solerzia. L'era-
rio della Chiesa spogliato dai nemici e da degeneri figli, ben sapete che
dai figli ossequenti ricolmar si deve in prò della Cristianità perchè il
supremo Gerarca possa governarla liberamente anche pei mezzi umani.
E voi sarete questa volta eziandio degni figli della Chiesa cattolica, qua-
li vi mostraste finora, e massime neir 11 Aprile 1869 di eterna ricor-
danza.
Le manifestazioni di ossequio e di letizia, che proponiamo a corona
dello sperato esaudimento dei nostri fervidi voti, è necessario che si
compiano con splendida solennità. Non è vana ostentazione di plauso,
non è spreco di somme e di lavori : è un tributo doveroso, è un Te Deum
di gratitudine che dovremo a Dio Ottimo Massimo; ed è insieme un
riaccen lere l'affetto e la venerazione di tutti alla Cattedra di Pietro, su
cui siede il Vicario di Gesù Cristo, il canuto Ottuagenario che vive e re-
gna per la salute dei cristiani, « il Ristoratore di tante rovine morali nel
Vaticano Concilio, il Maestro infallibile di tante verità o bandite o riven-
3£6 CRONACA
dicale dall'errore, il Coronatore di Maria Immacolata, il Padre amoroso
inesauribile di perdono e di beneficenza, il Martire, la cai lunga passio-
pione ha contristato quanti cuori onesti battono in petto agli nomini, il
Re costituito da Dio sopra il Monte Sion », che tiene il suo scettro dal-
l' onnipotente Signor dell'universo.
Si, è grande, è doveroso, è imprescindibile il concetto di festeggiare
con insolita magnificenza e gratitudine l'avvenimento che sta per allie-
tare la Chiesa e il mondo. Noi avventurati, se Dio ci darà tanto di vita
e di grazia, da potere assistere all'altare sacrosanto del primo tempio
dell'universo, a cui salito l' immortale Pio IX potrò cantare quell'inno di
grazie che nessun Successore di Pietro e nessun secolo della Cristianità
ebbe finora il soavissimo vanto di celebrare con lagrime di gioia.
Fratelli, gran giorno è quello che sospiriamo! Fratelli, usiamo fre-
quenti ai lavacri della vita eterna, al cibo degli Angeli, per essere
fatli degni d'impetrare sotto il manto di Maria Santissima il sospirato
compimento del Giubbtfco pontificale del nostro veneratissimo Padre e
infallibile Maestro, a cui giurammo fede, ossequio ed amore.
Il Consiglio, a cui mi è impartito l'onore di presiedere, affida ai sin-
goli Circoli ed ai Socii corrispondenti delle varie città italiane per la
cerchia propria di ciascuno l'esecuzione concorde dell'unito Programma,
discusso e stabilito nell'adunanza 28 Marzo prossimo scorso. E vi prega
da Dio ogni coBÉtetO e benedizione. Bologna 1 Giugno 1870. // Presi-
dente Giovanni Acquaderm — 77 Segretario Alfonso Romani.
PROGRAMMA
I. Si invitano i cattolici ad implorare da Dio onnipotente, Signore
della vita e della morte, la conservazione dei giorni preziosi del regnan-
te sommo Pontefice Pio IX, con fervorose ed umili preghiere, e, comin-
ciando dal 17 Giugno p. v. al 21 Giugno 1871, colla recita quotidiana
della liturgica orazione: Oremus prò Ponti fice nostro Pio. Domimi
' eum et vii'ifict'l eum et beatimi faciat cum in terra, et non tradat
cum in animavi ìniiniecrum eius*
II. Si propone una straordinaria raccolta generale di Denaro di S. Pie-
tro, da presentarsi al sommo Pontefice Pio IX in quella faustissima oc-
casione.
III. Si la appello allo zelo dei cattolici tutti d'ogni paese, d'ogni cit-
tà, d'ogni connine e parrocchia, affisene si formino Commissioni per rac-
cogliere prodotti naturali, industriali, artistici, e oggetti preziosi ose.,
da spedirsi a Roma in dono al Santo Padre, per una Mostra solenne da
-i in quell'epoca, a testimonianza dell'universale amore verso la
Santa Sede-, (ili aggotti esposti andrebbero sorteggiati in una lotteria a
benefizio d< 1 Denaro di S. Pietro.
COXTESiPOKANEÀ 247
IV. A solennizzare poi in modo splendido il giorno 21 Giugno 1871,
mentre non mancheranno le testimonianze d'ogni maniera della devozio-
ne e dell'amore dei popoli Terso il santo Pontefice successore di S. Pie-
tro, si propone intanto fin d'ora, che una grande rappresentanza conve-
nuta in Roma, delle nazioni cattoliche, dei comuni, delle associazioni
cattoliche, degli istituti, delle università, delle accademie, degli ordini
cavallereschi e militari ecc., si rechi con solenne apparato di concerti,
Ai stendardi, di costumi nazionali ecc., al Vaticano, per rendere un
omaggio di fede e di amore in nome del mondo cattolico al sommo Pon-
tefice, che da venticinque anni siede sulla Cattedra di S. Pietro.
V. I Circoli e i Sodi corrispondenti della Società della Gioventù cat-
tolica in Italia sono invitati ad agire con zelo ed energia all'effettuazione
delle sopraindicate proposte, costituendo le Commissioni per le raccolte
d'oggetti e tacendosi centri per la colletta del Denaro di S. Pietro.
Si pregano anche tutte le Associazioni cattoliche e i giornali e perio-
dici cattolici italiani e stranieri, a concorrere per attuare nel modo più
splendido questa festa, che il cattolico mondo tributerà al suo Padre e
Maestro, il romano Pontefice Pio IX.
Bologna 28 Marzo 1870.
Giovanni Acquaderni Presidente — Alfonso Rubri ani Segretario.
4. Nelle ore pomeridiane del martedì 21 di Giugno il Santo Padre
degnossi visitare le opere di decorazione condotte a compimento dal
cav. Alessandro Mantovani, in quella parte del loggiato che, nel palaz-
zo apostolico vaticano, da ponente si stende al primo ordine del corti-
le detto di san Damaso, e che sta rimpetto a quella ad oriente, che, di-
pinta da Giovanni da Udine, fu ristaurata parecchi anni addietro dallo
stesso Mantovani. L'opera è riuscita a tale bellezza, che riscuote il più
spontaneo ed amplissimo elogio da quanti sono gli intelligenti ed ama-
tori delle belle arti.
11 tipo degli scompartimenti e del genere decorativo fu dal Mantova-
ni egregiamente derivato da quello adoperato nella loggia di Giovanni
da Udine, cui dovea fare riscontro. Le sette arca-te, onde si compone il
loggiato, sono interamente fregiate e decorate nei sott1 archi, nelle lu-
nette, nelle volte, nei pilastri e nelle pareti che le sostengono, in guisa
da mostrare nel Mantovani una rara fecondità d'invenzione, ed una mae-
stria insigne nella esecuzione.
Con vaghissimo intreccio di fregi e di fantasie d'ogni forma, il Man-
tovani diede risalto e spicco mirabile a quanto v'ha di più scelto e de-
licato fra gli animali ed i vegetali che trionfano nei pergolati e nelle in-
cannucciate onde sono sorretti i rosati, le viti lussureggianti e le altre
piante che, con graziosa mescolanza, si avviticchiano l'ima all'altra e
s'inerpicano con delizioso effetto di prospettiva, che danno a vedere, o
svolazzanti o posati su pei viticci, i volatili più gentili pei colori delle
loro piume.
248 CRONACA
Per condurre queste opere il Mantovani associossi i due suoi scolari,
Lodovico Grillotti ed Alessandro Palombi. Le opere di pennello sono
messe io bel rilievo dai piccoli medaglioni, modellati, con rara perizia,
dallo scultore professore Galli, in cui sono effigiate le virtù cristiane, i
simboli della Vergine Immacolata e le prerogative, che di lei si canta-
no nelle litanie Lauretane. Gli scorniciamenti a stucco, tirati con tutta
finitezza d'arte da Giuseppe Pierozzi, corrono pei contorni degli scom-
partimenti, sì che l'occhio nell'osservare tante varietà di oggetti, non
pure ne trae singolare diletto, éna deliziosamente vi si riposa.
Il Santo Padre, disaminata ogni cosa, degnossi manifestare al valente
Mantovani la sua piena soddisfazione.
5. Una Notificazione del Tesoriere generale Ministro delle Finanze,
pubblicata nel Giornale di Roma del 22 Giugno, mostrava con quanta
esattezza il Governo della Santa Sede, nelle presenti sue durissime an-
gustie, vuole ad ogni costo soddisfare agli impegni contratti verso i
suoi creditori. Ecco il tenore della Notificazione.
« A termini di quanto è prescritto dagli articoli 7 e 8 del nostro re-
golamento dei 31 Gennaro 1863, dal giorno G del prossimo mese tìi Lu-
glio 1870 sarà eseguito, sulla Cassa della Depositeria generale in Roma
e sulle Casse camerali delle province, il pagamento de^K interessi per il
trimestre a tutto Giugno andante, sui certificali del Tesoro emessi in
virtù dell'editto dell'Emo Segretario di Stato dei 28 Gennaro 1863. Il
pagamento poi delle diverse passività, permanenti a carico della Cassa
del Debito pubblico, per la rata del primo semestre 1870, sarà aperto
Dal giorno dieci del medesimo mese di Luglio 1870 presso le suddette
Casse. Le competenze sulle rendile consolidate nominate saranno sod-
disfatte nei giorni designati nella sottoposta tabella, sui mandatelli che
si emettono dalla Direzione generale del Debito pubblico, seguendo il
numero progressivo della iscrizione delle rendite medesime. Le compe-
tenze poi sopra tutte le rendite innominate, risultanti da Certificati al
Portatore con la valuta a lire; come pure le competenze sopra le rendite
innominate con la valuta a scudi dal n.° 780 della serie 8ì in avanti, pei
Certificali al Portatore da scudi 20, e dalla serie 22 pei Certificati da
scudi cinque, saranno soddisfatte dal suddetto giorno undici Luglio
1870 in appresso, a volontà dei creditori, dalla Depositeria generale in
Roma, sulla consegna del rincontro relativo all'enunciato semestre. A
comodo poi dei creditori il pagamento delle diverse passività predette
resterà aperto a tutto il giorno 31 Decembre 1870, passato il quale sa-
rà chiuso, salvo ai creditori che entro il detto tempo non avessero coat-
te le rispettive partite, l'avanzare richiesta alla Direzione generale del
Debito pubblico, onde venga autorizzato il pagamento stesso, giusta i vi-
genti regolamenti. Dal Ministero delle finanze, questo dì 18 Giugno
1870. Il Tesoritre generale Ministro delle finanze, Giuseppe Ferrari. »
CONTEMPORANEA 249
Toscana e Stati annessi 1 II parlamento — 2. La giustizia — S. La linea del
Gottardo — i. Religione del popolo.
1. Alle scene del parlamento fiorentino assiste da un pezzo l'Italia con
molto minor interesse che non a quelle delle varie Arene, Politeami e si-
mili, che per moralizzar il popolo si vanno ora cotanto moltiplicando. Or-
mai vi è separazione compiuta tra l'Italia e il suo parlamento, dal quale,
come da male necessario, con rassegnazione non si aspettano ogni giorno
che tasse, balzelli, prestiti e vessazioni di ogni fatta. Neanche i giornalisti
seguono più con attenzione quelle tornate parlamentari : il che ben si ve-
de dalla negligenza onde ne scrivono, o falsano ed anche spesso ne lascia-
no i rendiconti. La camera è divisa e suddivisa in sètte e frazioni di sèt-
te; ciascuna delle quali odia e vitupera l'altra. Il meno a cui si pensi so-
no i provvedimenti di finanza del Sella che servono di pretesto a giochi
di partito e tentativi varii di buttarsi di sella Y un l'altro. Son però sem-
pre d'accordo i deputati nel rubare la Chiesa. Si sa che colle leggi spo-
gliatrici del 66 e 67 le fabbricerie non erano state ben involte nel sac-
cheggio universale: e i loro beni erano rimasti salvi dalla conversione
per sentenza dei tribunali. Ondeche nel 69 fu proposta una nuova leg-
ge che dichiara soggetti a conversione anche questi beni delle fabbri-
cerie e di altre amministrazioni, delle chiese parrocchiali, delle sussi-
diarie, dei santuari-!, ed oratorii finora riconosciuti quali enti morali. È
chiaro che questa legge, a poco a poco, sarà votata tutta intiera; ben-
ché per ora paiono salvati i beni delle parrocchie. E siccome colle pre-
cedenti parziali spogliazioni della Chiesa andò di pari passo la proporzio-
nata miseria delle finanze e del resto del regno d'Italia; così si può cre-
dere che con quest' ultimo colpo sarà pienamente ruinata non la Chiesa
ma la finanza ed il rimanente del Regno d'Italia.
Del resto la camera stessa è già in dissoluzione morale. Ed ora le
pende sul capo la fisica, per la minaccia dei sinistri che in numero di ol-
tre cento già diconsi essere firmati alla promessa di abbandonarla. Alla
qual minaccia risponde il Governo con altra minaccia per l1 organo del-
Y Opinione, che ora, come si sa, è il vero giornale ministeriale. « È dun-
que vera (dice essa nel suo numero dei 5 Luglio) la notizia che correva
da alcuni giorni che nelle file della sinistra cento deputati siansi già vin-
colati ad uscir dall'aula parlamentare per impedire la votazione a scru-
tinio segreto della convenzione con la banca nazionale. Il giornale massi-
mo del partito (La Riforma) conferma la notizia; ogni dubbio cessa ed
ogni incertezza viene rimossa. Pure, riflettendoci bene, qualche sospet-
to ci può ancor essere che, giunto il momento di mandar ad atto la sua
risoluzione, la sinistra sia per esitare. Ed invero un partito che esca dal-
la sala dei cinquecento nello scopo d' impedire l'adozione d'una legge,
f50 CRONACA
commette un grave errore che potrebbe esser origine di altri ancor più
gravi, producendo una posizione contraria alla natura ed all'indole del-
le istituzioni parlamentari. Ed il partito che si fosse lasciato trascinare a
tale eccesso, non avrebbe anticipatamente giustificate tutte le risoluzio-
ni estreme, che il potere esecutivo fosse costretto di prendere per tute-
lare gl'interessi dello Stato minacciati e compromessi? I colpi di Stato
parlamentari viziano intrinsecamente le libere istituzioni e spingono la
nazione nello sdrucciolo in cui trassero la Spagna le rivolte militari,
qualora il potere esecutivo non abbia la forza di resistere. Ma se questa
forza esso ha, allora non c'è prudenza che valga ad evitare uno di quei
conflitti, che scaturiscono dalla sostituzione della violenza al diritto. C'è
in Italia un partito il quale vorrebbe rendersi risponsabile di un siffat-
to colpo di Stato? » Così F Opinione. Ma forse questo colpo di Stato è
appunto ciò che è cercato dai sinistri come un pretesto di farne poi su-
bito essi un qualche altro.
2. È molto impacciato ora il Governo per la pressione morale che si
esercita sopra di lui colle suppliche che gli si presentano d'ogni parte
per ottenere la grazia del Barsanti , condannato a morte dal tribunale
militare per tradimento al suo dovere ne' fatti di Pavia. È questa un'al-
tra giusta vendetta che esercita Roma contro il Governo italiano, il
quale lasciò già far tanto fracasso in Italia per ottenere la grazia dei fa-
mosi Monti e Tognetti. Ora è egli nel caso di vedere qual peso si debba
dare a questa pubblica opinione favorevole agli assassini ed ai traditori.
Ma niuno sa se il Governo avrà il coraggio di giudicar da se : e di fare o
giustizia o grazia secondo il suo retlo giudizio, senza curarsi dellVm/or
civium prava iubentiirm.
Mentre si chiedeva la grazia del Barsanti, si faceva in Alessandria di
Piemonte l'apoteosi di altro Barsanti giustiziato nel 1833 sotto il regno
di Carlo Alberto per simile delitto. Si chiamava Andrea Yochieri ed
avea congiurato contro il padre di Vittorio Emmanuele. Ora è ricono-
sciuto un eroe. Nel 1852 fu proposto di erigergli un monumento : il
quale, innalzatogli già nel Camposanto, fu il 26 Giugno di quest'anno
trasportato nel pubblico giardino con solenne funzione e discorsi elo-
quenti, con assistenza di ex ministri e deputati.
Il 18 Giugno, i giurati di Milano rimandarono assolti gli accusali per
cospirazione repubblicana. Essi erano otto, tutti lombardi, con un capo
Vincenzo Dujardin milanese, accusati di aver voluto mutar il Governo,
avendo a tal fine fuse palle e preparate bombe. 11 Dujardin poi era anche
accusato di ferita sopra una guardia di pubblica sicurezza, che ne mori.
La difesa degli accusati si volse tutta sopra l'aver essi fatto tutti quei
preparativi colla sola intenzione di venire a Roma. Il Governo si vide
co-i deluso e burlato colla stessa arma con cui egli deluse e burlò altri
tante altre volte. I giurati riconobbero innocente l'idea di andar a Roma,
CONTEMPORANEA 2ol
idea predicata dal Governo e non ancor ritrattata, e mandò assoluti tutti
gì1 imputati, solo condannando alla leggerissima pena di 6 mesi di car-
cere il Dujaùìhi per aver ecceduto nella propria difesa. E così accade che
Roma, che si tenea per perduta, comincia ad essere io mano ai rivolu-
trii causa di perdizione per i nemici suoi, secondo la preghiera cele-
fyfdat Deus illos qui nos perdere festìnant. V Opinione dei 22 Giu-
gno, lagnandosi con ragione di tal assoluzione, si consola però pensando
che «non è stato il Governo che fu battuto, ma la giustizia », mostran-
do così che a lei, al solito, più cale del Governo che non della giustizia.
Nò solo si assolvono i rei di delitti politici, ma ancora quelli di delitti
comuni: sì che questa /emissione dei giurati non è ultima causa deli1 im-
perversar derelitti e del timore dei buoni. Ormai gli stessi giornali li-
berali hanno perduto il credito ai giurati. Basti il citare Y Opinione dei
30 Giugno, che, dopo narrata l'assoluzione di un evidentissimo reo di
assassinio, conchiude così: « E poi ci saranno i soliti sputasentenze che
dicono che i giurati esprimono la coscienza pubblica! » E non pensa che
questi sputasentenze non sono che i liberali! Intanto veniva assolto in
Napoli il deputato Malina ; per cui fatto è certo che fu ucciso in chiesa
il povero Marziani, siccome è noto.
3. Un aitare più importante che non pare, è stato conchiuso in questi
giorni tra l'Italia, la Prussia, e la Svizzera coli1 essersi accettata de-
lfìni tivamente la linea del Gottardo ed esclusa quella del Sempione e
della Spinga. Con quella via ferrata la Prussia sarà in diretta relazione
coli" Italia per la Svizzera, senza dipendenza dall'Austria e dalla Francia,
ne per rispetto alle tariffe, ne per rispetto alla strategica; doppia vitto-
ria commerciale e politica, di cui non si sa qual sia la più importante. La
Francia fece apparentemente buon viso al colpo improvviso. Mala linea
non è ancor fatta ; e ninno può sapere quali mezzi si vorranno adope-
rare per impedirla.
4. Nella massima parte dell.e città e terre italiane si sono fatte con
solennità e divozione maggiore del solilo le processioni del Corpus Do-
mini, quasi a protestare contro quel piccolo gruppo di empii ed incre-
duli, che pretende rappresentarle nel Governo e nel parlamento. Ài qual
medesimo scopo tende ancora quella fermezza nel conservare di fatto ed
osservare le feste che si pretesero sopprimere; sì che in molti luoghi sì
giunse per fino a non fare i mercati e le fiere solite, trasportandole a
giorni non festivi. Godiamo nel sapere che molta parte in questa aperta
dimostrazione di fede e di religione deesi alia società della gioventù cat-
tolica che in molti luoghi si mostra senza verun rispetto umano, e trova
nel popolo corrispondenza e simpatia, secondo che accadde per esempio
in Padova ed in Brescia nelle precessioni di S. Antonio di Padova e del
Corpus Domini.
Dal n.° dei 5 Giugno del giornal torinese il Museo delle missioni cat-
toliche diretto dall1 esresio canonico Ortalda, direttore in Torino del-
252 CRONACA
l'opera della Propagazione della Fede, ricaviamo che la città di Torino
continua ad esser la capitale d'Italia nel soccorrere alle Missioni. Essa
sola diede nell'anno scorso ottantamila trecento e cinquantacinque lire :
somma a cui non arrivò, né si avvicinò, nessuna delle altre città italia-
ne. À questa somma il direttore del Musco cooperò con quasi vent et-
temila lire da lui raunate; colle quali potè fondare in Torino la mirabile
opera delle scuole apostoliche, destinate ad allevare giovani apostoli per
le missioni straniere.
Svizzera Italiana ( Nostra corrUpcndenza ) 1 . "Riforma costituzionale —
2. Fine miseranda di un prete scomun.cato — 3, 1 Mazziniani nel Cantone
Ticino.
1. Il movimento riformista va diffondendosi nella Svizzera, e già in
molti Cantoni furono riformate le costituzioni cantonali, in altri si stan-
no riformando con evidente vantaggio del popolo, ed anche con qual-
che guadagno del partito conservatore. Io mi restringo a parlarvi del
Cantone Ticino, nel quale, come già sapete, si sta riformando il patrio
statuto. Fin dal 6 Febbraio il popolo ticinese era stato convocato nelle
assemblee circolari per decidere sopra alcuni punti fondamentali Ueiìa
riforma costituzionale, i quali miravano ad un nuovo riparto territo-
riale e amministrativo del Cantone. Il popolo, che sente il bisogno di
un miglioramento della cosa pubblica, si pronunciò a grande maggio-
ranza favorevole ai proposti quesiti che servir devono di base alla prc*
gettata riforma, e ciò in onta agli sforzi contrarii degli ultra radicali
e dei così detti pagnottisti, i quali temono a ragione di vedersi fug-
gir di mano il monopolio del Governo e delle cariche. Il risultato del
voto popolare, accompagnato da acconcio messaggio, fu dal Gover-
no presentato al Gran Consiglio nella prima metà di Maggio ; il qua-
le, onde procedere con sollecitudine, nominò una commissione di 17
membri per lavorare il progetto di riforma costituzionale, e si aggior-
nò al 20 Giugno, onde lasciare alla commissione il tempo necessario
di prepararlo. Ora la commissione ha compito il suo lavoro, che già
si legge stampato in un supplemento straordinario del foglio officia-
le. Lo schema della nuova costituzione viene diversamente giudicalo
dalla stampa cantonale, a seconda cioè del partito di cui è organo
il giornale che ne parla, o del luogo ove il giornale slesso si stampa.
Il che prova essere vive fra noi le gare di località e di partito, che
sempre furono gli ostacoli maggiori al vero miglioramento morale e
materiale della nostra piccola repubblica. La pubblica opinione però si
manifesta favorevole alla progettata riforma , quantunque si riconosca
dai più assennati cittadini essere questa una costituzione ammodernata,
la quale non apporterà certo al paese quei miglioramenti di cui sente
il bisogno, ne impedirà la prepotenza e la corruzione di cui sempre si
son serviti e si servono i radicali per mantenersi al potere. 1 cattolici
conservatori vi guadagnano assai poco; ma il poco è meglio del nulla;
e nell'attuale condizione delle cose fra noi, sempre sarà un guadagno
quando si possa mettere un freno anche piccolo alla prepotenza radica-
CONTEMPORANEA 233
le, ed assicurarsi il mezzo di migliorare in avvenire, il che ci viene as-
sicurato nel Titolo VI.0 del progetto di riforma, che stabilisce le norme
per procedere in ogni tempo alla revisione totale e parziale delia costi-
tuzione stessa.
2. Più volte ebbi occasione di parlarvi di un prete apostata e scomu-
nicato vitando, un certo D. Giacomo Perucchi di Stabio, principal bor-
gata del distretto di Mendrisio. Ora conviene che per l'ultima volta
ne parli , e che i lettori della Civiltà Cattolica conoscano la fine mise-
randa di questo disgraziato, sul quale sembra proprio che siasi ag-
gravata la mano della divina Giustizia a castigo della sua ostinazione,
e ad esempio di coloro, e non sono rari ai nostri giorni, i quali si
distaccano dalla Chiesa e divengono lo scandalo della società.
Il Perucchi, dopoché fu costretto dal popolo a dimettersi da parroco
intruso di Stabio, fu dal nostro Governo radicale nominato cappellano
militare; e fu appunto quel cappellano militare, che egli, sfidando la pa-
zienza di Dio, e nulla curandosi delle censure ecclesiastiche, osava nel
passato Novembre, celebrare per ischerno i divini misteri nella chiesa
di S. Antonio di Lugano, e con un empio discorso preconizzare ai mili-
ti, che chi avrebhe prestato fede alle decisioni del Concilio Vaticano,
e si sarebbe piegato ad ammettere l1 infallibilità del Pontefice Romano,
« una fisima a p^co a poco gli avrebbe succhiato il sangue, la vita, l'in-
telligenza, l'anima ». Ora ecco che questo appunto in lui si verifica, e po-
co tempo dopo ritornato dal servizio militare vomita il sangue, e per un
secreto malore perde la vita nella ancor robusta età di 58 anni non an-
cora compiuti. Avvertito del pericolo in cui versava la sua vita si mo-
strò indifferente; non volle ricevere sacramenti, si rideva delle preci
che per lui si facevano, e dopo di aver scritto, colla freddezza di un
settario, che i suoi funerali dovevano essere puramente civili, passò
al tribunale di Dio la mattina del venerdì santo, lasciando nel letto di
morte un cadavere così sfigurato , che riempiva P animo di orrore e di
spavento in chi 1' osservava.
3. Sapete benissimo che il Cantone Ticino è il vero covo rivoluziona-
rio, e sempre lo sarà finche il Governo della repubblica sarà in mano
dei rad cali, rivoluzionarli per eccellenza, e quindi naturali e legittimi
protettori dei rivoluzionarii di tutto il mondo. Per essere persuasi di
questa verità basterebbe vivere fra di noi qualche mese; e come si co-
spirava un tempo contro l'Austria e contro il Piemonte, così ora si ordi-
scono congiure controia Francia e l' Italia. Mazzini, che si dice ritor-
nato in seno alla sua famiglia, che ha nelle vicinanze di Lugano la sua
stabile dimora, lavora indefesso per l'attuazione della sua idea, e si assi-
cura che abbia date istruzioni e consigli alla banda che, non ha molto,
passò dai nostri confini sul territorio italiano; banda capitanata dal si-
gnor Giuseppe Natan, che da tutti si crede figlio delio stesso Mazzini. Il
nostro popolo è giustamente indignato contro di questi perturbatori, ma
deve contentarsi di sterili lamenti, non potendo agire come sarebbe suo
desiderio. È ben vero che le nostre autorità di quando in quando danno
segno di vita, sempre però quando ne arriva l'ordine da Berna, o quan-
do la cosa si fa talmente pubblica, che sarebbe, un compromettersi vo-
lontariamente il tacere; ma coi settarii procedono sempre con tutti ri-
guardi.
254 CRONACA
Credo inutile accennare ai particolari che riguardano la banda repub-
blicana partita di qui, ed entrata sul territorio italiano Un dal giorno 29
Maggio; ne sono pieni i giornali, i quali però, da quel che mi sappia,
non dicono che le armi, le munizioni e tutto l'occorrente per la spedizio-
ne fu provveduto con tutto agio in Lugano, donde ì congiurali son par-
titi le notte prima del 28 dopo di aver caricato sopra di un carro tutto il
bagaglio con la cassa delle armi. Arrivati al Maglio di Colla si armarono,
e guidati, si assicura, da un impiegato federale, salirono il monte S. Lu-
cio, dove si accamparono aspettando nella notte l'ora opportuna di
passare il confine. Compiuto il fatto furono tosto informate le autorità
governative, furono spediti con gran sollecitudine gendarmi e soldati,
e ancora vi si trovano a custodire la frontiere, ed a guarentire l'onore e
la lealtà dei nostri governanti.
Ora però le mosse mazziniane sembrano cessate, e son divenute ra-
re le facce sinistre che s'incontravano tempo fa sui nostri passeggi.
La venuta a Lugano del colonnello Hess di Zurigo col mandato dì
commissario federale, fu efficacissima a umiliare, pel momento almeno,
la oltracotanza dei settarii forastieri e nostrani, i quali però, per quan-
to mi si assicura, non cessano di lavorare in segreto a preparare e
disporre i loro disegni sovversivi. Uno dei primi atti del commissario
federale fu di ordinare una severa perquisizione nella casa di Mazzini
(Natan) ed in quella della vedova del conte Grillenzoni ; ma, come era
d'aspettarsi, nulla fu trovato di compromettente, perchè si ebbe avvi-
so a tempo di lutto riporre in luogo sicuro.
Il commissario Hess, compito il suo officio nel Cantone Ticino, se ne
ritornò a Berna, per informare personalmente il Consiglio federale dei
come stiano le cose in questo Cantone. Ma dopo tre o quattro giorni
ritornò a Bellinzona, dove trovasi tuttora, con nuove istruzioni. Il mo-
tivo principale della presenza di questo Commissario federale fra noi si
dice essere l'agitazione che domina nel Cantone per causa della riforma
costituzionale. Sia pure qualunque la missione del colonello Hess nel
Ticino, la sua presenza è da tutti riconosciuta opportunissima, e salverà
forse il paese dai disordini che sembrano minacciarlo.
IL
COSE STRANIERE.
Francia 1. La linea del S. Gottardo — 2. Petizione de1 Principi d'Orleans
— 3. Assicurazioni pacifiche dell'Olii vier — 4. Minacce guerresche del
Gr ammoni.
1. Non poche sono statele sedute parlamentari francesi di qualche in-
teresse. E in prima quella del 20 Giugno sopra la ferrovia da costruirsi
pel S.Gottardo, nella quale i primi bollori patriottici accesisi alla chiara
rista de1 danni commerciali e politici che può averne la Francia, sì raf-
freddarono dopo il pacato discorso del Ministro degli affari esterni (
mont. Egli con grande prudenza procurò di assicurar1 ognuno die nulla vi
era da temere per la Francia da niuna parte, che la neutralità svizzera
CONTEMPORANEA 255
non correva pericolo, che favorendo la navigazione fluviale sul Rodano,
sul Reno e sulla Saona, nulla avrebbe sofferto il commercio francese; spe-
cialmente poi se si aprisse anche la via ferrata pel Sem pione. Parvero
acquietarsi allora i timori; e chiaramente si vede che il Grammont, e per
suo mezzo il Governo francese, nuli' altro cercò con più sollecitudine in
tal occasione, che di impedire lo scoppio di troppo violenti parole con-
tro la Prussia, riserbandosi però di rispondere come meglio poìrà coi
fatti. Del resto, che i timori francesi non siano infondati, apparisce dalle
parole del Bismarck, che così parlava al Reichstag nella tornata del 25
Maggio. « Signori, i Governi confederati debbono senza dubbio essere
profóndamente convinti che gl'interessi politici comandano di aprire fra
l'Àlemagna e l'Italia una via di comunicazione, la quale non dipenda che
da un paese intermedio neutro, e non si trovi nel possesso d'una grande
potenza europea. Senza dubbio ancora, considerazioni d'un' importanza
tutta speciale debbono aver indotto questi Governi a prendere la riso-
luzione straordinaria, credo anche senza precedente, di dimandarvi un
grande assegno per una ferrovia che è non solo all' infuori della Confe-
derazione alemanna del Nord, ma anche all' infuori dell' Àlemagna. Le
considerazioni che hanno detcrminato i Governi a prendere questa ini-
ziativa straordinaria sono, d'altro lato, sì palpabili; esse sono state sì
spesso già pesate, e il carattere ne è sì delicato, che io vi prego a dispen-
sarmi dallo esporle qui di nuovo. » Queste parole, per quanto circo-
spette, sono eloquenùssime. S però poco dopo aggiungeva: « Per noi
l'interesse maggiore è d'avere una via di comunicazione quasi diretta
con un paese amico, e la cui amicizia, noi crediamo, sarà durevole,
l'Italia. »
2. Il 2 Luglio poi con 174 voti contro 31 si votò l'ordine del giorno
soprala Petizione dei Principi d'Orleans, i quali si erano volti al Corpo
legislativo perchè fosse abolita la legge che li esilia dal territorio fran-
cese. Ài 31 deputali favorevoli agii Orleans unendo i cinquanta che si
sono astenuti si forma il terzo della camera : il che non è poca opposi-
zione in una quistione sì delicata. Il sig. Dreollc relatore della petizione,
nel proporre l'ordine del giorno, recò tra gli altri argomenti in contra-
rio la forma della petizione che è volta al potere legislativo anziché al-
l'esecutivo e non contiene nessuna parola con cui si riconosca l'ordine
presente di cose in Francia. Argomentò ancora dall' ordine delle sotto-
scrizioni dei Principi posti secondo l'ordine dell'età: onde deduceva
che i Principi d'Orleans si riconoscono ancora come legittimi eredi del
trono francese. L'OUivier recò innanzi tutto l'argomento dell'ordine
pubblico che corre pericolo colla sola presenza di ceì'te famiglie che egli
chiamò privilegiate, senza presupporre negl' individui di quella famiglia
veruna mala intenzione. Molto bene dice a tal proposito il Monde dei l
Luglio: «Il Governo francese era molto ben armato contro cpiesta peti-
zione. Àgli amici degli Orleanesi potea rispondere che egli ancora era
stato proscritto da loro prima di ogni tentativo di insurrezione. Ài re-
pubblicani potea dire che egli applicava una legge fatta da loro stessi.
Ai suoi partigiani poi, che sono ora così divisi, l' Imperatore potea recar-
si in esempio e dimostrare che vi è sempre gran pericolo per i Governi
nel lasciar rientrar in casa i pretendenti. »
256 CRONACA COSTEMPORANEA
3. Notabile ancora fu la seduta dei 30 sopra il contingente militare pel
1871. Il La Tour si levò primo a lamentare la riduzione del contingente.
Egli sostenne che le forze della Francia sono ora interiori a quelle della
Germania, e lo sarebbero quand' anche si mantenesse il contingente a
100,000 uomini. Entrato in una particolareggiata esposizione dell' or-
ganamento militare della confederazione del Nord, 1' oratore provò che
in tempo di pace questa dispone di 414,000 uomini, mentre la Francia
non ne ha sul continente che 340 mila, giacche 60 mila sono tenuti or-
dinariamente in Algeria. Ma in tempo di guerra l'inferiorità della Fran-
cia è molto più chiara: l'effettivo francese è di 810,000 uomini, men-
tre l'effettivo federale è di 1,608,000 uomini. Conchiuse invitando il
governo a proporre ai Governi esteri e segnatamentte alla Prussia
una 'diminuzione dei loro armamenti, e nel caso che questa proposta
restasse sterile, lo invitò a tornare al contingente di 100,000 uomini.
Il marescialo Leboeuf affermò che « noi abbiamo fatto ciò che pote-
vamo fare. Abbiamo ridotto al contingente di 10,000 uomini . era un
invito alle altre Potenze. Ebbene! io devo dire che tino ad ora il nostro
esempio non ebbe imitatori [risa d'adesione), i contingenti non furono
cambiati. » Il discorso del Thiers fu un grido di all'armi. « La Francia è
minacciata, la Francia è iti pericolo. » Ricordò il discorso da lui pronun-
ciato dopo Sadowa: «Fui applaudito, è vero, ma non fui ascoltato. Sì
commise l'errore di permettere l'ingrandimento della Prussia : dobbiamo
scontarlo, spendendo molto per mantenerci forti: « L'oratore conchiu-
se sostenendo che « nelle condizioni attuali un contingente di 90,000
uomini è appena il necessario. » Del discorso d' Emil o Ollivier riporte-
remo il brano relativo alla condizione presente dell'Europa. « Rispondo
alP on. Giulio Favre, che il Governo non nutre inquietudine di sorta;
che in nessuna epoca il mantenimento della pace fu più sicuro: da o-
gni parte, ove si guardi, non havvi alcuna questione irritante; daper-
tutto i gabinetti hanno compreso che il rispetto dei trattati s'impone a
tutti; e specialmente i due trattati più importanti, che più d'ogni altro
mantengono la pace d'Europa, cioè quello del 1856, che assicura la pa-
ce in Oriente, e quello di Praga, che assicura la pace in Germania, so-
no considerati con unanime opinione come inviolabilmente rispettabili. »
La conclusione fu che si approvò la proposta del Governo.
4 Dopo le assicurazioni pacifiche dell Ollivier scoppiò come fulmine
a ciel sereno la notizia dell'offerta del trono di Spagna ad un Principe
prussiano che l'accettò. Se ne parlò nella tornata del 6 Luglio dovè il
Grammont disse, che la Francia non soffrirà che una potenza estera
ponga sul trono di Spagna un Principe che sarebbe un pericolo all'ono-
re e alla dignità della Francia. 11 Governo spera nella saviezza del popo-
lo spagnuolo. Ma, se la speranza fosse delusa, la Francia farà il suo do-
vere senza esitazione e senza debolezza Vede ognuno la oscurità della
presente condizione politica: la quale del resto non tarderà a chiarirsi.
COSTITUZIONE DOMMATICA
PRIMA
SOPRA LA CHIESA DI CRISTO*
PUBBLICATA NELLA SESSIONE QUARTA !
DEL CONCILIO VATICANO
Serie YII, voi XI, fase. 1*9. 17 23 Luglio 1870.
258 COSTITUZIONE DOGMATICA PRIMA
PTO VESCOVO
SERVO DEI SERVI DI DIO
APPROVANTE IL SACRO CONCILIO
A PERPETUA MEMORIA DELLA COSA
II Pastore eterno e Vescovo delle anime nostre, per rendere perenne
la salutifera opera della Redenzione, decretò edificare la santa Chiesa,
nella quale, come nella casa del Dio vivente, tutti i fedeli si mantenesse-
ro uniti nel vincolo di una sola fede e carità. Per la qual cosa, prima
che venisse glorificato, pregò il Padre, non soltanto per gli Apostoli,
ma ancora per quelli che per la parola loro avrebher creduto in lui, affin-
chè tutti fossero una cosa sola, come sono una cosa sola lo stesso Figlio
e il Padre. Siccome dunque mandò gli Apostoli che si era eletto per se
dal mondo, come egli era stato mandato dal Padre, così volle che nella
sua Chiesa fossero Pastori e Dottori fino alla consummazione del mondo.
Perchè poi lo stesso Episcopato fosse uno ed indiviso, e la moltitudi-
ne universale dei credenti, per mezzo dei sacerdoti, fra se vicendevol-
mente congiunti, si conservasse nell'unità della fede e della comunione;
preponendo agli altri Apostoli il Beato Pietro, in lui dell1 una e dell'altra
unità instituì il perpetuo principio ed il visibile fondamento, sopra la cui
fortezza sorgesse il tempio eterno, e cosi la sublimità della Chiesa da ele-
varsi fino al cielo, si innalzasse sopra la fermezza di questa fede. E poiché
le porte dell' inferno, per distruggere, se fosse possibile, la Chiesa, ogni
giorno con maggior odio, da ogni parte insorgono contro il suo fonda-
mento divinamente stabilito; Noi per la custodia, incolumità ed aumento
del gregge cattolico giudichiamo essere necessario, approvante questo
sacro Concilio, di proporre la dottrina da credersi e tenersi da tutti i fe-
deli, secondo l'antica e costante fede della Chiesa universale, sopra l'i-
stituzione, perpetuità e natura del sacro Primato apostolico, in cui sta
la forza e la solidità di tutta la Chiesa; e di proscrivere e condannare
gli errori contrarli, cotanto perniciosi al gregge del Signore.
SOPRA LA CHIESA DI CRISTO 2o9
PIVS EPISCOPYS
SERVVS SERVORYM DEI
SACRO APPROBANTE CONCILIO
AD PERPETVAM REI MEMORIAM
Pastor aeterms et epìscopus animarum nostrarum, ut saluti ferum re-
demptionis opus perenne redderet, sanctam aedificare Ecclesiam decremi,
in qua velati in domo Dei vkentis fideles omnes unius fidei et charitatis
rinculo continerentur. Quapropter priusquam clarifìcaretur, rogavit Pa-
trem non prò Apostolis tantum, sed et prò eis qui credituri erant per ver-
bum eorum in ipsum, ut omnes unum essent, sicut ipse Filius et Pater
unum sunt. Quemadmodum igitur Apostolos, quos sibi de mundo elege-
rat, misit, sicut ipse missus erat a Patre: ita in Ecclesia sua Pastores et
Doctores usque ad consummationem saeculi esse voluit.
Ut vero episcopatus ipse unus et indivisus esset, et per cohaerentes sibi
invìcem sacerdotes credentium niulfitudo universa in fidei et communionis
unitale conservaretur, beatum Petrum caeteris Apostolis praeponms in
ipso instituit perpetuum utriusque unitafis princìpium ac visibile funda-
mentum, super cuius fortitudinem aeternum exslrueretur templum, et Ec-
clesiae coelo inferenda sublimitas in huius fidei firmilate consurgeret l.
Et quoniam portae inferi ad evertendam, si fieri posset, Ecclesiam con-
tra eius fundamentum divinitus positum maiori in dies odio undique in-
surgunt; Nos ad catholicì gregis custodiam, incolumitalem, augrnentum,
necessarium esse iudicamns, sacro approbante Concilio, doctrinam de
institutione, perpetuitate, ac natura sacri Apostolici primatus, in quo
totius Ecclesiae vis ac soliditas consistit, cunctis fidelibus credendam et
tenendam, secundum antiquam atque constantem universalis Ecclesiae
[idem, proponere, atque contrarios dominico gregi adeo perniciosos erro-
res proscribere et condemnare.
1 9. Leo M, sera. IV. {al. IH.) cap, % in diem Natalis sixi.
260 COSTITUZIONE DOMMATICA PRIMA
CAPO I.
Dell' istituzione del Primato apostolico nel Beato Pietro.
Insegniamo dunque e dichiariamo che, secondo i testimonii del Vange-
lo, il Primato di giurisdizione sopra tutta la Chiesa di Dio fu promesso
e conferito dal Signor nostro Gesù Cristo al Beato Apostolo Pietro im-
mediatamente e direttamente. Giacche al solo Simone (cui già per V in-
nalzi avea detto: Tu sarai chiamato Cefa ) , dopo che egli protestò la
sua fede dicendo : Tu sei il Cristo, il figliuolo di Dio vivo ; il Signore vol-
se queste solenni parole: Beato sei tu, Simone Bariona; perchè non la
carne e il sangue te lo ha rivelato : ma il Padre mio che è nei cieli.
Ed io dico a te che tu sei Pietro e che sopra questa pietra io edificherò la
mia Chiesa, e le porte dell1 inferno non avran forza contro di lei : e a te
io darò le chiavi del regno de1 cieli: e qualunque cosa avrai legato sopra
la terra, sarà legata ancora nei cieli: e qualunque cosa avrai sciolta
sopra la terra, sarà sciolta ancora nei cieli. Ed al solo Simone Pietro Ge-
sù conferì, dopo la sua risurrezione, la giurisdizione di sommo Pastore
e Reggitore sopra tutto il suo ovile dicendo : Pasci i miei agnelli : Pasci
le mie pecorelle. A questa sì manifesta dottrina delle sacre Scritture,
secondo che sempre fu intesa dalla Chiesa cattolica, apertamente si
oppongono le male sentenze di coloro, i quali pervertendo la forma di
governo, dal Signor nostro Gesù Cristo stabilita nella sua Chiesa, nega-
no che il solo Pietro sia stato da Gesù Cristo fornito del vero e proprio
Primato di giurisdizione, a preferenza degli altri Apostoli o presi sepa-
ratamente ciascuno da se, o tutti insieme ; e quelli che affermano che lo
stesso Primato fu conferito, non immediatamente e direttamente allo
stesso Beato Pietro, ma alla Chiesa e per questa a lui come a ministro
della stessa Chiesa.
Se dunque alcuno dirà che il Beato Pietro Apostolo non fu dal Signor
nostro Gesù Cristo costituito Principe di tutti gli Apostoli, e Capo visi-
bile di tutta la Chiesa militante; ovvero che il medesimo ricevette dallo
stesso Signor nostro Gesù Cristo direttamente ed immediatamente il Pri-
mato solo di onore e non già di vera e propria giurisdizione: sia anatema.
CAPO II.
Della perpetuità del Primato del Beato Pietro
nei Romani Pontefici.
Quello poi, che il Principe dei Pastori, il grande Pastore del gregge,
il Signor nostro Gesù Cristo, a perpetua salute e a perenne vantaggio
SOPRA LA CHIESA DI CRISTO 261
CAPUT L
De Apostolici primatus in Beato Petro institutione.
Docemus itaque et declaramus, iuxta Evangelia testimonia primatum
iurisdictionis in unicersam Dei Ecclesiam immediate et directe beato Pe-
tro Apostolo promissum atque collatum a Christo Domino fuisse. Unum
enim Simotiem, cui iam pridem dixerat: Tu vocaberis Cephas I, post-
quam illc suam edidit confessionem inquiens : Tu es Chris tus, Filius Dei
vici , solemnibus his verbis allocutus est Dominus: Beatus es Simon Bario-
na: quia caro, et sanguis non revelavit Ubi, sed Pater meus, qui in coe-
lis est: et ego dico tibi, quia tu es Petrus, et super hanc petram aedi fica-
io Ecclesiam meam, et portae inferi non praecalebunt adversus eam : et
tibi dabo claves regni coelorum : et quodeumque ligaveris super terram,
erit ligatum et in coelis: et quodeumque soheris super terram, erit solu-
tum et in coelis 2. Atque uni Simoni Petro contulillesus post suam resur-
rectionem summi pastoris et rectoris iurisdiclionem in totum suum ovile,
dicens: Pasce agnos meos : Pasce oves meas 3. Buie tam manifeslae sa-
crarum Scripturarum doctrinae, ut ab Ecclesia catholica semper intelle-
cta est, aperte opponuntur pravae eorum sententiae, qui constitutam a
Christo Domino in sua Ecclesia regiminis formam percer'entes negant,
solum Petrum prae caeteris Apostolis, sue seorsum singulis sire omni-
bus simul, vero proprioque iurisdictionis primatu fuisse a Christo instru-
clum; aut qui affirmant eundem primatum non immediate, direct eque
ipsi beato Petro, sed Ecclesiae, et per hanc UH ut ipsius Ecclesiae mini-
stro delatum fuisse.
Si quis igitur dixerit, beatum Petrum Apostolum non esse a Christo
Domino constitutum Aposlolorum omnium pHncipem et totius Ecclesiae
miiitantis visibile caput; vel eundem honoris tantum, non aulem verae
propriaeque iurisdictionis primatum ab eodem Domino nostro lesu Chri-
sto directe et immediate accepisse: anathema sit.
Quo
CAPUT IL
De Perpetuiate primatus Beati Pelri in Romanis Pontificibus.
)d autem in bealo Apostolo Petro princeps pastorum et paslor ma-
gnus ovium Dominus Christus Iesus in perpetuarli salutem ac perenne bo-
1 Ioaj. I. 42.
2 Matth. XVI. 16-19.
3 lo.«. XXI. 1517.
262 COSTITUZIONE DOGMÀTICA PRIMA
delia Chiesa ha istituito nel Beato Apostolo Pietro ; per volere dello stes-
so divino Istitutore è necessario che duri perennemente nella Chiesa,
Ja quale fondata sopra la pietra starà Cernia fino alla fine dei secoli.
Non è dubbio per veruno, anzi è cosa nota a tutti i secoli, che il santo e
beatissimo Pietro, principe e capo degli Apostoli, colonna della fede e
fondamento della Chiesa cattolica, ha ricevuto le chiavi del regno dal
Signor nostro Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano :
e che Pietro, finora e sempre, vive e presiede e giudica nella persona
dei suoi successori, che sono i Vescovi della santa Romana Sede, da lui
fondata e dal suo sangue consacrata. Laonde qualunque succede a Pie-
tro in questa Cattedra, egli, secondo la istituzione dello stesso Cristo,
ottiene il Primato di Pietro su tutta la Chiesa universa. Riman dunque
ciò che la verità ha disposto, ed il Beato Pietro, perseverando nella rice-
vuta fortezza della pietra, non ha lasciato di tener la mano sul timone
della Chiesa. Per questo motivo fu sempre necessario che colla Chiesa
Romana, a cagione del sovraeminente principato, convenissero tutte le
altre, vale a dire i fedeli tutti del mondo, affinchè in quella Sede; dalla
quale sgorgano in tutti i diritti della veneranda comunione, tutti, sic-
come membri congiunti nel capo, venissero a congiungersi e rassodarsi
in un sol corpo.
Se dunque alcuno dirà, non essere d'istituzione dello stesso Cristo
Signore, ossia di ragione divina, che il Beato Pietro abbia nel Primato
sovra la Chiesa universale perpetui successori ; o non essere il Romano
Pontefice il successore del Beato Pietro nello stesso Primato : sia anatema.
CAPO III.
Della forza e della natura del Primato del Romano Pontefici.
Per la qual cosa appoggiati alle aperte testimonianze delle sacre let-
tere, ed inerendo agli espressi e perspicui decreti sì dei Romani Pontefici
Nostri predecessori, come dei generali Concilii; rinnoviamo la definizione
del Concilio ecumenico di Firenze, per virtù della quale da tutti i fede-
li di Cristo si dee credere, che la santa Sede apostolica ed il Romano
Pontefice tengono il Primato nell'universo orbe, e che lo stesso Romano
Pontefice è il successore del Beato Pietro principe degli Apostoli e il ve-
ro Vicario di Cristo, il Capo di tutta la Chiesa, il Padre e il Dottore di
tutti i cristiani; e che a lui, nella persona del Beato Pietro, fu comu-
nicata dal Signor nostro Gesù Cristo la piena podestà di pascere, di
reggere e di governare la Chiesa universale; siccome ancora si contiene
negli atti dei Concilii ecumenici e nei sacri canoni
Insegniamo pertanto e dichiariamo che la Chiesa Romana, disponendo
cosi il Signore, possiede il principato dell'ordinaria podestà sopra tutte
SOPRA LA CHIESA DI CRISTO 263
nim Ecclesiae, instituit, id eodem alidore in Ecclesia, quae fondata super
petram ad finem saeculorum nsque firma stabit, iugiter durare necesse
est. Nulli sane dubhim, imo saeculis omnibus notum est, quod sanctus
beati ssimusque Petrus, Apostolorum princeps et caput, fideique collimila
et Ecclesiae catholcae funclamentum, a Domino nostro Iesu Christo Sai-
mtore immani generis ac Redemptore, claves regni accepit: qui ad hoc
usque tenipus et semper in suis successoribus, episcopis sanctae Romanae
Sedis, ab ipso fundalae, eiusque consecratae sanguine, vivit et praesidet
et indi cium exercet l. linde quicumque in hac Cathedra Pelro succedit, is
secundum, Chris'iipsius insfitutionem primatum Pelri in universam Eccle-
siam obtinet. Manet ergo dispostilo reritatis, et beatus Petrus in accepta
fortitudine petrae perseverane suscepta Ecclesiae gubernacula non reti-
quii 2. Hac de causa ad Romanam Ecclesiam propfer potentiorem prin-
cipalitatem necesse semper full omnem convenire Ecclesiam, hoc est, eos,
qui san! undique fideles, ut in ea Sede, e qua venerandae communionis
tura in omne<? dimanant, tamquam membra in capite consociata, in unam
corporis compagem coalescermt 3.
Si quis ergo dixerit, non esse ex ipsius Christi Domini inrtilutione seu
iure diinno ut beatus Petrus in primatu super unirersam Ecclesiam ha-
leat perpetuos successores ; aut Romanum Ponlificem non esse beati Petri
in eodem primatu svccessorem : anathema sit.
CAPUT 111.
De tì et ratione Primatus Romani Pontificis.
Quapropter apertis innixi sacrarum IWerarum testimoniis, et inhae-
renfes tum Praedecessorum. Noslrorum, Romanorum Ponti fìcum , tum
Conciìinrum generalium disertis, perspicuis^/ue decretis, innoramus oe-
cumenici Conci Hi Fiorentini defìnitionpm, qua credendum ab omnibus
Christi fidelibus est, sanetam Apostolicam Sedem, et Romanum Ponti/i-
cem in universum orbem tenere primatum, et wsum PonHpcem Romanum
successorem esse beati Pe-ri principis Apostolorum, et verum Christi Vi-
carium, totiusque Ecclesiae caput, et omnium Christianorum patrem ac
doctorem existerp ; et ipsi in beato Petro pascendi, reqendi ac gubmian-
di universalem Ecclesiam a Domino nostro Iesu Christo plenam potestatem
traditam esse: quemadmodtm etiam in gestis oecumenicorum Concilio-
rum et in sacris canonibus continetur.
Docemus proinde et declaramus, Ecclesiam Romanam disponente Do-
mino super omnes alias ordinariae polestatis obtinere principatum, et
1 Cf. Ephpsini Conci lii Aet. III.
2 S. Leo M. Sermo III. (al. II.) cap. 3.
3 S. Ires. Adv. haer. 1. HI. e. 3. et Conc. Aqailei. a. 381. inter epp. S. àmbros. ep. XI.
264 COSTITUZIONE DOMMATICA PRIMA
le altre, e che questa podestà di giurisdizione del Romano Pontefice, po-
destà veramente episcopale, è immediata : verso la quale i pastori e i fe-
deli di qualunque siasi rito e dignità, tanto ciascuno in individuo, quanto
tutti insieme, sono astretti dal dovere di gerarchica subordinazione e di
vera obbedienza, non solo nelle cose che appartengono alla fede ed ai
costumi, ma ancora in quelle che spettano alla disciplina ed al reggi-
mento della Chiesa sparsa per tutto il mondo; cosi che custodita col Ro-
mano Pontefice l'unità sì della comunione e sì della professione della
medesima fede, la Chiesa di Cristo sia un unico gregge sotto un unico
sommo pastore. Questa è la dottrina della cattolica verità, dalla quale
niuno può sviarsi, senza perdita della fede e pericolo della salute.
Tanto poi è lungi che questa podestà del sommo Pontefice pregiudichi
a quella ordinaria ed immediata podestà di episcopale giurisdizione,
colla quale i Vescovi che, posti dallo Spirito Santo, succedettero in luogo
degli Apostoli, siccome veri pastori pascono e reggono ciascheduno i
singoli greggi loro assegnati ; che anzi essa dal supremo ed universale
Pastore viene affermata, corroborata e difesa, secondo il detto di S. Gre-
gorio Magno: L'onor mio è l'onore della Chiesa universale. L'onor mio
è la solida forza de1 miei fratelli. Allora veramente io sono onorato, quan-
do ad ognuno di essi il debito onore non vien negato.
Adunque dalla predetta suprema podestà del Romano Pontefice di go-
vernare la Chiesa universale, conseguita aver esso il diritto di comuni-
care liberamente nell1 esercizio di questo suo officio, coi pastori e coi
greggi di tutta la Chiesa, affinchè essi da lui possano venire diretti ed
ammaestrati nella via della salute. Per lo che condanniamo e riproviamo
le sentenze di coloro, che dicono potersi lecitamente impedire questa
comunicazione del Capo supremo coi pastori e coi greggi, o che la ren-
dono soggetta alla podestà secolare, così che sostengono che le cose, le
quali dalla Sede apostolica o dall1 autorità di lei pel reggimento della
Chiesa si stabiliscono, non hanno forza e valore, se dal placito della
podestà secolare non sieno confermate.
E conciossiachè pel divino diritto del Primato apostolico il Romano
Pontefice soprasta alla Chiesa universa, insegniamo ancora e dichiaria-
riamo che esso è giudice supremo dei fedeli, e che in tutte le cause spet-
tanti air esame ecclesiastico si può ricorrere al giudizio di lui; il giudi-
zio poi della Sede apostolica, di cui non esiste autorità maggiore, da
niuno si può ritrattare, nò a niuno è lecito giudicare del giudizio di lei.
Onde si allontanano dalla retta via della verità, coloro che affermano
esser lecito dai giudizii dei Romani Pontefici appellare al Concilio ecume-
nico, come ad autorità superiore al Romano Pontefice.
Se pertanto alcuno dirà che il Romano Pontefice ha solamente l'officio
di ispezione o di direzione e non la piena e suprema pode>ta di giurisdi-
zione nella Chiesa universa, non solo nelle cose che alla fede ed ai co-
SOPRA LA CHIESA DI CRISTO 265
hanc Romani Ponti '/ìris iurisdictionis potestatem, quae vere episcopalis est,
immediatam esse: erga quam cuiuscumque ritus et dignitatis pastores at-
que fideles, tam seorsum singuli quam simul omnes, officio hierarchicae
subordinalionis veraeque obedtenttae obstringuntur, non solum in rebus,
quae ad fidem et mores, sed etiam in iis, quae ad disciplinam et regi-
men Ecclesiae per totum orbem diffusae pertinent ; ita ut custodita cura
Homano Pontifice tam communionis, quam ciusdem fidei professionis
imitate, Ecclesia Christi sit unus grex sub uno summo pastore. Haec est
catholicae veritatis doctrina, a qua deviare salva fide atque salute ncmo
potest.
Tantum autem abest, ut haec Summi Pontificìs potestas officiai ordìna-
tiae ac immediatae UH episcopalis iurisdictionis potestati, qua Episcopi,
qui positi a Spiritu Sancto in Apostolorum locum successerunt, tamquam
veri pastores assignatos sibi greges, singuli singulos, pascimi et regunt,
ut eadem a supremo et universali Pastore asseratur, roboretur ac vindice-
tur, secundum illucl sancii Gregorii Magni: Meus honor est honor unker-
salis Ecclesiae. Meus honor est fratrum meorum solidus vigor. Tum ego
vere honoratus sum, cum singulis quibusque honor debitus non negatur 1.
Porro ex suprema illa Romani Pontificis potestate gubernandi univer-
sum Ecclesiam ius eidem esse consequitur, in huius sui muneris exercitio
libere communicandi cum pastoribus et gregibus totius Ecclesiae, ut ii-
dem ab ipso in via salutis doceri ac regi possint. Quarc damnamus ac
reprobamus illorum sententias, qui hanc supremi capitis cum pastoribus
et gregibus communicationem licite impediri posse dicunt, aut eandem
reddunt saeculari potestati obnoxiam, ita ut contendant, quae ab Apo-
stolica Sede vel eius auctoritate ad regimen Ecclesiae constituuntur , vim
ac valorem non habere, nisi potestatis saecularis placito confirmcntur.
Et quoniam divino Apostolici primatus iure Romanus Pontifex uni-
versae Ecclesiae praeest, docemus etiam et declaramus, eum esse iudicem
supremum fidclium 2, et in omnibus causis ad examen ecclesiasticum
spectantibus ad ipsius posse iudicium recurri 3; Sedis vero Apostolicae,
cuius auctoritate maior non est, iudicium a nemine fiore retractandum,
ncque cuiquam de eius licere iudicare iudicio 4. Quare a recto veritatis
tramite aberrant, qui affirmant, licere ab iudiciis Romanorum Ponlifi-
cum ad oecumenicum Concilium tamquam ad auctoritatem Romano Pon-
tifice superiorem appellare.
Si quis itaque dixerit, Romanum Pontificem habere tantummodo o/fi-
cium inspeclionis vel directionis, non autem plenam et supr emani potesta-
tem iurisdictionis in universum Ecclesiam, non solum in rebus, quae ad
1 Ep. ad Eulog. Alexandria 1. Vili. ep. XXX.
2 Pii PP. VI. Brere, Saper solidiUte, d. 28 Not. 1786.
3 Concil. Oecum. Lugdun. II.
4 Ep. Nicolai I. ad Michaelem imperatorem.
£66 COSTITUZIONE DOMMATICA PRIMA
stumi, ma ancora in quelle che alla disciplina ed al reggimento della
Chiesa sparsa per tutto il mondo appartengono; o che ha sol lauto le parti
principali, ma non tutta la pienezza di questa podestà suprema; o che
questa podestà di lui non è ordinaria ed immediata, ossia sopra tutte e
singole le chiese, ossia sopra tutti e singoli i pastori ed i fedeli: sia ana-
tema.
CAPO IV.
Del Magisterio infallibile del Romano Pontefice.
Che poi nello stesso apostolico Primato, che esercita il Romano Pon-
tefice, come successor di Pietro principe degli Apostoli, sulla Chiesa
universale, si comprenda altresì la potestà suprema del magisterio; que-
sta Santa Sede lo ha sempre tenuto, la perpetua consuetudine della
Chiesa lo conferma, e gli stessi Concilii ecumenici, massime quelli nei
quali T Oriente accordavasi coir Occidente nella unione della fede e del-
la carità, lo hanno dichiarato. Imperocché i Padri del Concilio Costan-
tinopolitano quarto, premendo le orme dei maggiori, proclamarono
questa solenne professione: La prima salute è custodire la regola della
retta fede. E poiché non si può obbliare la sentenza del Signor no-
stro Gesù Cristo, il quale disse : Tu sei Pietro, e su di questa pietra
io edificherò la mia Chiesa; la verità di queste parole è comprovata
dalla realità degli effetti ; giacche nella Sede apostolica si è sempremai
custodita senza macchia la cattolica religione, e professata la santa dot-
trina. Pertanto non volendo per niuna guisa dividerci dalla fede e dalla
dottrina di lei, speriamo di esser fatti degni di appartenere alla unica
comunione, predicata da essa Sede apostolica, nella quale ritrovasi l'in-
tera e la vera solidità della religione cristiana. Coli1 approvazione poi
del Concilio Lionese II.0 i Greci professarono : Che la santa Romana
Chiesa possiede il sommo e pieno Primato e Principato sopra tutta la
Chiesa cattolica, e riconosce veramente ed umilmente di averlo, colla
pienezza della potestà, ricevuto dallo stesso Signore, nella persona del
Beato Pietro principe e vertice degli Apostoli, di cui il Romano Pontefice
è successore; e siccome più delle altre Chiese essa è obbligata a difen-
dere la verità della fede, così ancora, ove insorgano questioni intorno
alla fede, si debbono terminare col giudizio di lei. Finalmente il Concilio
Fiorentino definì : Che il Pontefice Romano è il vero Vicario di Cristo, il
Capo di tutta la Chiesa, il Padre e il Dottore di tutti i crisi inni : e che a
lui nella persona del Beato Pietro fu comunicata dal Signor nostro Gesù
Cristo la piena potestà di pascere, di reggere e di governare la Chiesa
universale.
SOPRA LA CHIESA DI CRISTO 267
fidem et mores, sed etiam in iis, quac ad disciplina m et regimen Eccle-
siae per iotum orbem d'ffusae pertinml ; aut cum habere tantum poliores
, non vero iotam pleniludinem huius supremae potestatis, aut hanc
eius potestatem non esse ordinar iam et immedi a tam sive in omnes ac
singv.las ecclesias, sive in omnes et singidos pasiores et fideles: anate-
ma sit.
CAPUT IV.
De Romani Pontificis Infallibili Magisterio.
Ipso autem Apostolico primatu, quem Romanus Pontifex tamquam Pe-
tri principis Apostolorum successor in universum Ecclesiam obtinet, su-
premam quoque magisterii potestatem comprehendi, haec Sancta Sedes
semper tenuit, perpetuus Ecclesiae usus comprobai, ipsaque oecumenica
Concilia, ea imprimis, in quibus Oriens cum Occidente in fidei charita-
tisque unionem conveniebat, declaraverunt. Patres enim Concila Constan-
Unopo'iUini quarti, naiorum ves-igiis ini acrentes, hanc solemnem edi-
derunt profcssionem : Prima salus est, rectae fidei regulam custodire. Et
quia non polest Domini nostri Iesu Christi praetermitti sententia dicen-
tis: Taes Petrus, et super hanc pelram aedificabo Ecclesiam meam, haec
quac dieta sunt, rerum probantur effeclibus, quia in Sede Apostolica im-
maculata est semper catholica reservata religio, et sancta celebrata do-
ctriiw. Ab huius ergo fide et doctrina separari minime cupientes, spera-
mus, ut in una communione, quam Sedes Apostolica praedicat, esse me-
reamur, in qua est integra et vera Chrislianae religionis soliditas K Ap-
probanle vero Lugdunensi Concilio secundo, Graeci professi sunt: San-
etani lìomanam Ecclesiam summum et plenum primatum et principatum
super universam Ecclesiam catholicam obtinere, quem se ab ipso Domi-
no Petro Apostolorum principe sive vertice, euius Romanus Pontifex est
successor, cum potestatis plenitudine recepisse veraciler et humiliter re-
cognoscit ; et sicut prae caeteris tenetur fidei veritatem defendere, sic et,
si quae de fide subortae fuerint quaestiones, suo debent iudicio definiri.
Florentinum denique Concilium definivit: Pontificali Romanum, vcrum
Christi Vicarium, toliusque Ecclesiae caput et omnium Christianorum
patrem ac doctorem existere; et ipsi in beato Petro pascendi, regendi ac
gubemandi universalem Ecclesiam a Domino nostro Iesu Chrislo plenam
potestatem traditam esse.
1 lx formula S. Hormisdae Papae, prout ab Efedriano II. Patribus Concilii Oecumenici YHI, Coi-
stantinopolUani IV, proposita e» ab iisdera subscripta est.
268 C0ST1TIZI0XE DOMMATICA PRIMA
A fin di compiere quest'ufficio pastorale, i Nostri Predecessori pro-
curarono sempre con indefesso studio, che la salutare dottrina di Cristo
si propagasse fra tutti i popoli della terra, e colla stessa sollecitudine
invigilarono che dovunque fosse stata ricevuta, si conservasse sincera
e pura. Per lo che i Vescovi di tutto Torbe or soli, ed ora congregati
ne' sinodi, seguitando la lunga consuetudine delle chiese e la forma del-
la regola antica, soprattutto ne' pericoli, che nascevano intorno ai ne-
gozii della fede, ricorsero a questa Sede apostolica: acciocché ivi po-
tissimamente si ristorassero i danni della fede, ove la fede non può pa-
tire difetto. I Romani Pontefici poi, secondochè consigliava la condizio-
ne dei tempi e delle cose, or convocali i Concilii ecumenici o esplorata
la sentenza della Chiesa sparsa sulla terra, or coi sinodi particolari, ora
usando altri aiuti che somministrava la divina Provvidenza, definirono
doversi tenere quelle cose, le quali coli' aiuto di Dio aveano conosciute
consentanee alle sacre Scritture ed alle apostoliche tradizioni. Dappoi-
ché ai successori di Pietro non fu promesso lo Spirito Santo per questo
effetto, che per sua rivelazione essi palesassero una dottrina novella,
ma acciocché colla sua assistenza santamente custodissero e fedelmente
esponessero la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito del-
la fede. Difatti l'apostolica loro dottrina abbracciarono tutti i venerabili
Padri, e i santi ortodossi Dottori venerarono e seguirono; pienissima-
mente sapendo, che questa Sede di san Pietro rimane sempre illibata da
ogni errore, giusta la divina promessa del Signore Salvator nostro, fatta
al Principe de' suoi discepoli : Ego rogavi prò te ut non deficiat fides tua:
et tu aliquando conversus confirma fratres tuos.
Questo carisma dunque di verità e di fede non mai deficiente fu di-
vinamente conferito a Pietro ed ai suoi successori in questa Cattedra,
acciocché esercitassero il loro eccelso ufficio a salute di tutti; acciocché
tutto il gregge di Cristo, allontanato per opera loro dai pascoli velenosi
deir errore, si nutrisse del cibo della celeste dottrina; acciocché, tolta
l'occasione di scisma, tutta la Chiesa si conservasse una, ed appoggiata
sul suo fondamento durasse ferma contro le porle dell' inferno.
Ma però, poiché in questo tempo medesimo, nel quale più che mai è
mestieri l'efficacia salutifera dell'apostolico ministero, s' incontrano non
pochi, i quali ripugnano alla sua autorità ; riputiamo al tutto necessario
affermare solennemente la prerogativa, che l'unigenito Figliuolo di Dio
si è degnalo di congiungere col supremo ufficio pastorale.
Quindi Noi aderendo fedelmente alla tradizione ricevuta dai primordii
della fede cristiana, a gloria di Dio nostro Salvatore, ad esaltazione
della religione cattolica ed a salute de'popoli cristiani, approvante il sa-
cro Concilio, insegniamo e definiamo esser domina divinamente rivela-
to: Che il Romano Pontefice, quando parla ex Cathedra, cioè quando,
adempiendo l'ufficio di Pastore e Dottore di tutti i Cristiani, in virtù
SOPRA LA CHIESA DÌ CRISTO 269
Buie pastorali muneri ut satisfacerent, Praedecessores Nostri indefes-
sam semper opcram dederunt, ut salularis Christi doctrina apad omnes
lerrae populos propagarelur, parique cura vigUarunt, ut, ubi reccpta-
esset, sincera et pura conseroaretur. Quocirca totius orbis AnAstites nunc
singuli, nunc in Synodis congregati longam Ecclesiarum consuetudinem
et antiquae rcgulae formam sequentes, ea praesertim perìcula, quae in
negoliis fidei emergebant, ad liane Sedem Apostolicam retulerunt, ut ibi
potissimum resarcirentur damna fidei, ubi fides non potest sentire defe-
dimi *. Romani autem Ponti fices, prout temporum et rerum condicio
suadebat, nunc concocatis oecumenicis Conciliis aut explomta Ecclesiae
per orbem dispersae sententia , nunc per Synodos particulares , nunc
aliis, quae divina suppeditabat promdentia, adhibitis auxiliis, ea te-
nenda definiverunt, quae sacris Scripturis et apostolicis Traditionibm
consentanea Deo adiutore cognoverant. Neque enim Petri successoribus
Spiritus Sanctus promissus est, ut eo revelante novam doctr inani pate-
facerent, sed ut eo assistente traditam per Apostolos revelationem seu fi-
dei depositum sancte custodirent et fideliter exponerent. Quorum quidem
apostolicam doctr inam omnes venerabiles Patres amplexi et sancti Do-
ctores orthodoxi venerati atque sediti sunt; pienissime scientes, liane san-
eli Petri Sedem ab omni semper errore illìbatam permanere, secundum
Domini Sakatoris nostri divinam pollicitationem discipulorum suorum
principi factam: Ego rogavi prò te, ut non deficiat fides tua, et tu ali-
quando conversus confirma fratres tuos.
Hoc igitur veritatis et fidei numquam deficientis charisma Petro eius-
que in Ime Cathedra successoribus divinitus collatum est, ut excelso suo
miniere in omnium salutem fungerentur, ut universus Christi grex per
eos ab erroris venenosa esca aversus, coelestis doctrinae pabulo nutrire-
tur, ut sublata schismatis occasione Ecclesia tota una conservaretur atque
suo fundamento innixa firma adversus inferi portas consisterei.
At vero cum hac ipsa aetate, qua salutifera Apostolici muneris effica-
cia vel maxime requiritur, non pauci inveniantur, qui illius aucloritati
obtreclant ; necessarium omnino esse censemus, praerogativam, quam
unigenilus Dei lilius cum summo pastorali officio coniungere dignatus
est, solemniter asserere.
Itaque nos traditioni a fidei Christianae exordio perceptae fideliter in-
haercndo, ad Dei Salvatoris nostri gloriam, religionis Catholicae exal-
tationem et christianorum populorum salutem, sacro approbante Conci-
lio, docemus et divinitus revelatum dogma esse definimus : Romanum
Ponti ficem, cum ex Cathedra loquitur, id est, cum omnium Christianorum
Pasloris et Doctoris munere fungens, prò suprema sua Apostolica au-
1 CX. S. Ben». Epist. CXC.
270 COSTITUZIONE DOMMÀTICA PRIMA
della suprema sua apostolica Autorità, definisce una dottrina intorno alla
Fede o ai costumi, da tenersi da tutta la Chiesa ; mercè dell' assistenza
divina a lui promessa nella persona del Beato Pietro, è dotato di quella
infallibilità, della quale il divino Redentore volle che fosse fornita la
sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede o ai costumi ; e che
però cotali definizioni del Romano Pontefice per se sole, e non già pel
consenso della Chiesa, sono irreformabili.
Se poi alcuno oserà, tolgalo Iddio, di contraddire a questa Nostra de-
finizione: sia anatema.
Dato in Roma nella pubblica Sessione, solennemente celebrata nella
Basilica Vaticana, nell'anno dell1 Incarnazione del Signore MDCCCLXX,
il dì XVIII di Luglio, nell'anno XXV del Nostro Pontificato.
Così è — Giuseppe Vescovo di S. Ippolito
Secretano del Concilio Vaticano.
SOPRA LA CHIESA DI CRISTO 271
ctoritate doctrinam de fide vel moribus ab universa Ecclesia tenendam
definii per assistentiam divinarli, ipsi in beato Petro promissam, ea in-
fallibilitate pollere, qua divinus Redemptor Ecclesiam suam in definien-
da doctrina de fide vel moribus instructam esse voluit ; ideoque eius-
vnodi Romani Ponti fi cis d-efinitiones ex sese, non autem ex'consensu Ec-
clesiae irreformabiles esse.
Si quis autem huic Nostrae defmitioni contradicere, quod Deus aver-
taty praesumpserit: anathema sit.
Dalum Romae, in publica Sessione in Vaticana Basilica solemniter
celebrata, anno Incarnationis Dominicae millesimo octingentesimo sep-
tuagesimo, die decima octav-a Iulii, Pontificatus Nostri anno vigesimo
quinto.
Ita est — Iosephus Episcopus S. Hippolyti
Secretarius Concila Vaticani.
IULIA AUGUSTA TAURINORUM
OSSIA
L' ANTICA TORINO1
Torino, nel giro di pochi anni, ha sortito V onore di due insi-
gni storici, Luigi Cibrario e Carlo Promis; i quali han tolto ad il-
lustrare de'suoi fasti quelle parti appunto, che per l'antichità e per
la scarsezza de'monumenti giacevano in maggiore oscurità, ed ab-
bisognavano di più faticoso e profondo studio. 11 Cibrario si occupò
principalmente del periodo del medio evo, del quale ognuno sa quan-
to egli sia profondo conoscitore. Il Promis, risalendo più oltre, prese
a investigare soprattutto il periodo romano; e nel dottissimo libro
che qui annunziamo, ci ha dipinto così al vivo il ritratto di Torino,
qual ella fu dalle prime sue relazioni con Roma repubblicana fino
al cadere del romano impero in occidente, che egli sembra descri-
vere una storia contemporanea, non già i fatti e i costumi di quin-
dici e venti e più secoli fa, da lui però con arte e scienza mirabile
diseppelliti, e renduli in queste pagine a nuova e imperitura vita.
Noi ci proponiamo di trarre succintamente dal libro del Promis le
più importanti notizie che egli vi ha raccolte intorno alla lulia Au-
gusta Taurinorum, dopo di avere fatto conoscere il merito e la
tessitura della sua opera.
1 Storia dell' antica Torino, lulia Augusta Taurinorum, scritta sulla
fede de vetusti Autori e delle sue iscrizioni e mura da Carlo Promis —
Torino, MDCCCLXIX, dalla stamperia reale. Un voi. in 8.» gr. di pag. XX-350,
con tre tavole.
IULIÀ AUGUSTA TAURINORUM OSSIA L ANTICA TORINO 273
I.
Chi conosce le precedenti opere del conte Carlo Promis, coi rari
pregi di profonda erudizione, di senno critico, di accuratezza squi-
sita che le adornano, non ha punto bisogno che altri venga a pre-
dicargli i meriti di quest'ultima; la quale appunto perchè ultima non
può non avvantaggiarsi anche di valore sulle precedenti. Ma bensì
gli gioverà d' intendere che essa, siccome per mole di volume e per
vastità di argomento sorpassa le altre elucubrazioni del dotto Au-
tore, così anche soprattutto primeggia pel lungo amore di assidui
e solerti studii che egli vi ha posto intorno, facendone quasi l'oc-
cupazione principale nella sua vita scientifica. « A scrivere la sto-
ria antica della città di Torino (così egli medesimo ci narra nell' In-
troduzione) io mi predisposi con treni' anni di ricerche e spogli dei
vetusti autori, de' documenti del medio evo, degli storici universali
e locali, e soprattutto diligentemente indagando e notando luogo e
tempo, ne'quali trovate furono, ed anche troppo sovente perdute, le
tante epigrafi illustranti la città nostra, traendone sincere lezioni dai
marmi, quando fossero a noi pervenuti, comparandone gli apografi
e le copie, quando periti fossero gli originali. 11 soggetto proposto-
mi richiedendo l'opera di chi avesse equamente atteso all'architet-
tonica ed all'epigrafìa, giovommi l'aver applicato a codeste scienze,
negli otto anni di mio soggiorno in Roma, naturai sede di siffatti
studii. 1 »
Queste ricerche continuate per trentanni, vennero mostrando al
Promis con evidenza, ogni dì crescente, che la storia di Torino an-
tica non solo « si poteva scrivere », ma di più, che scritta a dove-
re, più ampia riuscita « sarebbe, e di maggior interessamento di
quanto parer possa a chi badi soltanto ai pochi cenni che ne die-
der gli antichi, ed agli autori che sinor ne trattarono, come Pingo-
ne, Tesauro, Castiglione, Giroldi, Paoletti; dalla qual volgare
schiera si scosta Luigi Cibrario, che le vicende della città nostra,
1 Pag. III.
Serie VII voi. XL fase. 489. 18 23 Luglio 1870.
274 IlLIA AUGUSTA TAIMNORUM
durante il medio evo, narrò colla scorta della critica e col sussidio
de'documenti 1».
E tali infatti ella è riuscita nelle mani del dotto Autore ; una
storia cioè di sommo interessse, non solo pei Torinesi e pei Pie-
montesi, che vi hanno interesse patrio, ma eziandio per quanti so-
no in Italia e fuor d' Italia eruditi lettori, i quali pigliano diletto a
conoscere sempre più intimamente quel meraviglioso mondo, che
fu il mondo romano, del quale anche oggidì ogni rovina, ogni sas-
so, ogni vestigio attrae cotanto la curiosità e l'attenzione dei dotti.
Imperocché il Promis, da quel valente archeologo che egli è, ini-
ziato in tulli gli arcani della classica antichità, nel risuscitare le
memorie della Julia Augusta Taurinorum, ci rinfresca sotto gli oc-
chi quasi un' immagine di tutto quel mondo ; nel descrivere i fasti
di Torino romana, egli discorre altresì le condizioni e vicende non
solo dei popoli vicini e di tutti la regione Transpadana, ma anche,
dove accade, della rimanente Italia; e siccome ogni municipio, ogni
colonia romana era infatti quasi una piccola Roma, giacché ad im-
magine di Roma ne era modellato il governo e tutto il vivere cit-
tadino; così nella romana colonia di Torino egli ci fa vedere quasi
una miniatura vivente del romano impero; estendendo ad ogni trat-
to con mirabile copia e maestria di riscontri, di allusioni e di con-
nessioni storiche l'orizzonte sotto gli occhi del lettore; nel quale
perciò cresce tanto maggiore il diletto, quanto più inaspettato gli
riesce di trovare nell'angusta cerchia di una sola città così vasto e
nobil teatro.
Le iscrizioni sono la fonte precipua, da cui il Promis ha fallo
scaturire così ricca vena di storia; giacché di Torino gli scrillori
romani non ci hanno lasciato che pochi e leggieri cenni, e scarsi
sono i monumenti d'altro genere, che ce ne abbiano serbato noti-
zie. Le epigrafi al contrario sono numerose; tanto che Torino por
questo lato non ha che poche città in Italia che la sorpassino; anzi,
per copia di epigrafi militari, quanto finora si conosce, essa tutte
(se togli Roma) le sorpassa di lunga mano, secondo che i ragguagli
1 Pag. IV.
OSSIA L ANTICA TORINO 2*75
del nostro Autore dimostrano 1. Pertanto, benché egli in questo
libro non si sia già proposto di raccogliere tutte le iscrizioni tori-
nesi, ma solo di adoperarne, come documenti storici, quante gli bi-
sognassero all'uopo, epperciò abbia dovuto tralasciarne parecchie;
nondimeno sommano a ben 274 quelle che qui son da lui arrecate
ed illustrate.
Se non che, egli non basta aver copia d' iscrizioni antiche; ma
conviene soprattutto saperle leggere, ricavando da esse e quello solo
che \i è, e lutto quello che vi è: arte rara e difficile, che richiede,
con un grande acume d'ingegno, un corredo immenso di erudizio-
ne ed una vasta comprensione di tutta la storia e letteratura antica.
Quest'arte, ossia, per usare le parole del Promis, questo « modo
di vedere nella storia romana e nell'epigrafia, minuto ne' particolari
e largo nel complesso, ne'tempi andati non era possibile; ma ben
lo è oggi dopo le fatiche de' recenti scrittori, e dopo la nuova via
aperta agli studii epigrafici dal Borghesi, ampliala e rischiarata
tuttogiorno dal Ritschl, Henzen, Rénier, De Rossi, Garrucci e co-
piosissimamente dal Mommsen 2 » . Ora il Promis possiede a ma-
raviglia quest'arte di leggere e interpretare i marmi, sviscerandoli e
traendone tutto quel succo di dottrina storica che essi contengono :
sicché, dopo i gran maestri or ora nominati, non ci ricorda d'aver
letto tra i moderni verun interprete di lapidi antiche, più di lui
profondo nei misteri dell'epigrafia.
Prima però di volgersi ad illustrare le epigrafi torinesi, egli ha
dovuto sobbarcarsi ad un altra non leggiera e poco grata fatica ;
quella cioè di cernere le vere dalle false , le sincere dalle spurie.
Conciossiachè la mania di foggiar lapidi false, e V altrui bonarietà
nell' accoglierle per vere, sono due piaghe antiche della letteratura
epigrafica; e specialmente, dopo rinnovato nel secolo XV il fervore
degli studii classici , i falsarli ebbero più che mai bel giuoco a fab-
bricare la loro merce ed a spacciarla. Pirro Ligorio, che può chia-
marsi il principe dei falsarli eruditi, è noto come abbia infettato nel
secolo XVI tutto il regno dell' epigrafìa romana , spargendo a pie-
1 Pag. 419. — 2 Pag. V.
276 IULIA AUGUSTA TAURINORUM
ne mani nei volumi del suo Dizionario della antichità, insieme colle
antiche e genuine, altre iscrizioni di sua propria fabbrica od impa-
sto; le quali, pel gran credito in che era l'Autore, accolte allora
ad occhi chiusi, e disseminatesi poi in cento altri libri, formano an-
cora oggidì l'inciampo o il fastidio degli archeologi. Ora il napoli-
tano Ligorio ebbe dappertutto imitatori in questo sciagurato mestie-
re ; ed anche in Piemonte non mancarono alcuni , che o per malin-
tesa brama d'ingrandir le cose patrie, o per vaghezza di ostentar
dottrina , o talora eziandio per guadagno e per trai* danaro da qual-
che ricco amatore di anticaglie , componessero iscrizioni false e in-
tagliassero marmi bugiardi. Il Meyranesio fu nel secolo passato
il più fecondo e il più abile di siffatti falsatori ; avendo con certe
sue invenzioni tratto in inganno, non che il Durandi e il Vernazza,
ma anche Gaetano Marini e il Borghesi, cioè i due più grandi epi-
grafisti dell' ultima età ; né essendosi svelato finalmente il cumulo
delle ribalderie archeologiche , ond' egli infettò tutto il Cispadano
superiore , se non a questi ultimi anni negli Atti dell'Accademia
delle Scienze di Torino , e nella Storia di Val di Maira del Barone
Manuel di S. Giovanni , già altrove da noi lodata. Al Meyranesio,
che fu il Ligorio del Piemonte, era preceduto, un secolo innanzi, il
Malabaila , gran falsario anch' esso , che contaminò delle sue bugie
tutta la storia e la regione di Asti ; e gli succede , sullo spirare del
secolo scorso , il Delevis, timido nondimeno e lontano seguace de-
gli ardimenti Meyranesiani. Costui prese per campo della sua losca
industria il Traspadano e specialmente la regione torinese ; la qua-
le però, assai meno delle altre terre subalpine, ebbe a soffrire di co-
testa lue falsaria , e può chiamarsi felice di tal povertà , ogni qual-
volta, come nota il Promis , si paragoni colla copia smodata che di
siffatti ingannatori sorse altrove e , specialmente , nel reame di
Napoli l.
Il nostro Autore tuttavia non ebbe a guardarsi dal Delevis ; ma,
atteso l'ampiezza del campo che da Torino, come centro e capo,
egli prese a perlustrare , e per quanto stavagli a cuore di non met-
1 Pag. XV.
OSSIA L ANTICA TORINO 277
tere in esso mai piede in fallo, dovette porsi in guardia altresì con-
tro gli erramenti e le frodi e del Meyranesio e del Malabaila e del
Ligorio e di altri simili ingannatori o ingannati. Il che quanto gli
costasse di cure e di studii , intenderà facilmente chi percorra il
suo volume , ovvero ne legga anche solo Y introduzione , dove egli
rendendo ragione delle fonti , da cui derivò la storia , e di cui , co-
me dicemmo, la precipua sono le iscrizioni, tesse il catalogo dei
Raccoglitori di antiche epigrafi torinesi, e reca giudizio dei meriti
e delle opere di ciascuno.
« Dopo il sussidio de' marmi letterati , le migliori informazioni
io le attinsi ( prosiegue l'Autore 1 ) alle carte anteriori al XIII se-
colo; le quali , scritte in barbara , ma sincera età , ci tramandarono
non ancor guaste tradizioni , unitamente ad antichi nomi geografici
e personali. Assai mi giovarono gli scrittori venuti dopo il risorgi-
mento, soltanto perequando raccolto avesser lapidi , avvegnaché
oscitantemente il facessero e ciecamente troppo : utilissimi i primi,
cioè Maccanéo, Pingone, Guichard. Nulla imparai dagli scrittori no-
stri del secento, o creduli per ignavia od ignoranza, o vantatori per
l' età in cui vissero , e tra le recenti e vetuste favole allegramente
spazianli; uomini che de' documenti dell'età mezzana e dell'antica,
de' ruderi che avevan sott' occhio non tennero conto alcuno. Sin-
goiar cosa è pure , che di quanti dieder opera all' antica storia no-
stra, nessuno v'è che Torinese sia.... Che se i concittadini nostri
non si curaron mai d' illustrare , disegnare , notare i vetusti monu-
menti patrii, operosissimi si mostrarono nel cancellarli dalla memo-
ria degli uomini; cosicché in città già folta di edifizii, e dove l'an-
damento delle vie è tuttora quale fu tracciato da Ottaviano Augusto,
nessun avanzo , eccetto la Porta Palatina , più sorge di romane fab-
briche , e se taluno se n' incontrò negli scavi , esso perì bentosto,
mai non essendovi stato chi ne lasciasse descrizione o disegno, on-
de la solerzia de' posteri potesse almeno supplire alla desidia de-
gli avi. »
1 Pag. XVII.
278 1ULIA AUGI STA TAIR1N0RUM
Fra colali difficoltà, e coi presidii sopra indicati, l'Autore si ac-
cinse all'ardua opera ed ebbela condotta felicemente a termine. La
sua Storia è partita in venti Capitoli; ed ecconc in breve la conte-
nenza, da cui sola già apparirà quanta sia la ricchezza e Y impor-
tanza del libro. I primi 4 Capitoli sono strettamente storici. Nel 1.°
si narrano le Origini dei Taurisci o Taurini e le Successive varia-
zioni nel nome della loro città; nei 3 seguenti, si racconta la Storia
de' Taurini, divisa in tre epoche: la l.a Dai più antichi tempi alla
guerra Annibalica; la 2.a Dalla occupazione Romana a Cesare Dit-
tatore; la 3." Da Augmto ai Longobardi. Gli altri l(i Capitoli possono
chiamarsi descrittivi. Infatti l'Autore comincia col descrivere (Capii.
Y°) la Storia naturale dell'Agro Taurino e delle sue adiacenze;
poi (Capit VI°) discorre delle Reliquie della Lingua Gallica in Pie-
monte. Passa quindi a descrivere la parte Architettonica dell'antica
Torino; nella quale, dopo avere ragionato (Capit. VII0) delle Anti-
che Piante di Torino, delle Successive demolizioni del suo recinto ,
delle Mura e delle 7Torn; espone (Capit. Vili0) tutto ciò che ri-
guarda la Pianta della città, le strade, i selciati, le chiaviche, i
Fori, l' Anfiteatro, il Teatro, la Necropoli, i Cunicoli e le Figuline
doliari; e fimdmente (Capit. IX°) Le Porte e specialmente la Porta
Palatina. Descritta così tutta la parte materiale della Torino roma-
na, viene poscia a descriverne lo slato civile e politico. E prima,
sotto il titolo di Municipio, tratta (Capit. X°) dei suoi Patroni e
Curatori; (Capit. XI") dell' Ordine P ossia dei Decurioni; (Capit.
XII0) dell'Orane 11° ossia degli Augustali; (Capit. XIII0) dell'Or-
dine IIP ossia del Popolo o Plebe, dove pure parla di una Men-
zione di Plebiscito, dei Servi pubblici della casa imperiale o di so-
cietà pubblicane, delle Famiglie di liberti, dei Collegi urbani, delta
Stazione Ad Fines, limite d' Italia e delle Alpi Cozzie, dell' Ufficio
della Quadragesima delle Gallie ivi stabilito, e finalmente delle
Iscrizioni metriche. In secondo luogo, sotto titolo di Esercito, de-
scrive tutti i personaggi e gli ordini militari, ricordati nelle iscri-
zioni torinesi; primamente (Capit. XIV0) Il Console Q. (ìlizio, Ali-
lio Agricola; poi (Capit. XV) i Legati, Tribuni, Prefetti d'Ale e
di Coorti, Primipili, Centurioni; (Capit. XV1°) i Pretoriani ed
OSSIA L ÀSTICA TORINO 279
Urbani, i Legionarii, un Soldato in Coorte ausiliario, i Cavalieri
Bomani, la Cavalleria Ausiliaria. E finalmente, sotto il titolo di
Giurisdizione suprema ed Amministrazione, ragiona (Capii. XVHC)
dei Giudizi supremi, della Coscrizione militare, dell' Assistenza
alimentaria, della Conservazione de pesi e delle misure, delle
Strade. Il Capit. XV1IP contiene ed illustra le poche iscrizioni,
riguardanti Professioni ed Arti, che all' Autore venne fatto di rac-
cogliere. 11 Capit. XIX0 abbraccia le iscrizioni delle Divinità ro-
mane o galliche, in Torino venerate; ed il Capit. XX0 ed ultimo, le
Iscrizioni onorarie d' Imperatori e di Privati, e quelle di alcuni
Liberti della Casa Angusta.
IL
Tra le moltissime notizie erudite, di cui tutto il libro è pieno, no-
tìzie in gran parte pellegrine, e tratte ora per la prima volta in luce;
»e riferiremo qui alcune delle più rilevanti, per darne un saggio a
quei nostri lettori, che non potessero altrimenti ricorrere alla fonte
medesima del libro, e per adombrar loro al tempo stesso un breve
quadro della storia di Torino romana.
1 popoli Taurini, secondo l'opinione del Promis, trassero l'ori-
gine non dai Galli, non dai Liguri, non dagli Etruschi, ma dai
Taurisci Illirici; i quali presso a trenta secoli fa, per le foci del Po
penetrati in Italia, ne occuparono tutta la regione Traspadana; ma
poi combattuti e sopraffatti dai prepolenti Etruschi, si ristrinsero
principalmente alle due estremità, Veneta ad oriente, e Taurina ad
occidente. Allora la tribù Taurisca, che era a capo di questa immi-
grazione illirica, prese stanza ferma nella pianura che stendesi tra
LOcro, il Po e le Alpi vicine: mentre altre tribù minori ed a lei
suddite o alleate — i Secusini, i Salassi, i Leponzii, gl'Ictimuli,
gli Agoni, — occuparono le valli delle circostanti Alpi, dal Mongi-
nevra fino a quelle che si specchiano nel lago Yerbano.
Le prime relazioni dei Taurini con Roma furono ostili; avendo
essi, nell'anno di Roma 529 (225 av. Cristo) preso parte coi Galli
Cisalpini alla battaglia, da questi combattuta a Telamone, contro i
280 II LIA Al GUSTA TAURIKORIM
due Consoli C. Atilio Regolo e L. Emilio Papa; i quali con due
eserciti, preso in mezzo l'incauto nemico, avvegnaché di forze quasi
uguale, ne fecero agevolmente macello. I Taurini, come narra Poli-
bio, stavano schierati coi carri in prima fronte contro Atilio, e non
ostante le perdite, tennero pienamente pie fermo tino all'estremo:
inferiori ai Romani soltanto per la qualità delle armi, che erano lo
scudo gallico, disadatto a maneggiarsi, e la sciabola, inetta a ferir
di punta. Dopo il fatto di Telamone, i Taurini veggonsi stretti in
amicizia e federazione coi Romani; amicizia a questi utilissima,
sia per tenere in freno gl'Insubri, sia per assicurarsi ad ogni uopo
dei passi delle Alpi, le cui chiavi principali stavano in mano dei
Taurini e dei Salassi e Secusini loro clienti. E di questa amistà
diedero i Taurini insigne prova indi a pochi anni, quando Annibale
piombò improvviso dalle Alpi sopra l'Italia. Per qual via egli ese-
guisse il famoso passaggio, fu sempre ed è tuttora gran controver-
sia tra gli eruditi; tanto die, dice il Promis, non v'è niun varco al-
pino, dall'Argentiera in vai di Stura fino oltre al GranS. Bernardo,
per cui egli non sia stato fatto passare. Ma l'opinione seguita dal-
l'Autore, e da lui corroborata con gran nerbo di autorità e di ra-
gioni storiche e strategiche, si è che Annibale passasse per Mongi-
nevro, e indi scendesse per la valle del Chiusone, anziché per quel-
la della Dora Riparia, più difficile e tenuta dai Secusini clienti dei
Taurini, epperciò amici di Roma 1. Certo ò ad ogni modo, che il
gran capitano cartaginese sboccò (sul fin del Settembre del 536)
nella pianura di Torino, ed ivi trovossi contrastato il passo; laonde
dovette fermarsi ad assediar la città, la quale dopo tre giorni gli
venne espugnata : aiutandolo a ciò il favore degli abitanti del conta-
do; giacché, come nota il Promis, se i cittadini stavano per Roma
e per l'aristocrazia, i campagnuoli al contrario eran per Cartagine
e per la democrazia; e così avvenne allora in tulle le città dell'Ita-
lia romana e greca non meno che della gallica, stando pel senato
gli ottimati, i plebei per Annibale che li blandiva 2. Ma Roma ren-
dè assai tristo merito a Torino della sua fedeltà e dell'audacia da
1 Pag. 31.-2 Pag. 35.
OSSIA L ANTICA TORINO 281
lei mostrata Dell'affrontare le prime ire del terribile Africano ; im-
perocché, espulso finalmente Annibale dall'Italia, ed occupate come
di conquista tutte le terre già da lui Tinte e lasciate dai Galli, i Ro-
mani occuparon fra queste, con tutto il Traspadano, anche Torino;
la quale indi innanzi (ciò fu verso il 584), perduta la nativa autono-
mia, e trattata col crudele dritto dei vinti, rimase incorporata nella
provincia Cisalpina al romano dominio, disteso ormai senza contra-
sto fino ai pie delle Alpi.
Cominciò nondimeno a migliorare la condizione dei Taurini,
quando nell'anno 663, in virtù della Lex Pompeia , portata da
Cneo Pompeo Strabone, padre del Magno, fu conferito a tutti i Tra-
spadani il ius Lalii; per modo che potessero, e militare nell'eser-
cito, come ausiliari, e andando a Roma chiedervi i magistrati, pur-
ché avessero esercitato per un anno la magistratura in patria. A
Torino, come ad altri municipii subalpini, furono allora dalla me-
desima legge dati in signoria varii di quei popoli barbari e feroci,
che occupavano il cuor delle Alpi, ed erano tuttora indipendenti
dal giogo romano. Con ciò questi municipii eran costituiti come
baluardo contro gli stranieri, e guardia delle Alpi, il cui varco
acquistava per Roma maggiore importanza, pel frequente passare
che doveano le truppe alle guerre di ollremonli. Dopo Annibale,
e dopo Asdi ubale che ricalcò nel 548 la via segnatagli dodici anni
innanzi dal fratello; M. Fulvio Fiacco fu il primo dei Romani che
passasse le Alpi, debellando parecchie tribù liguri ed inalpine; e
dopo che Appio Claudio Pulcro ebbe trionfato de' Salassi, il Senato
aperse per la loro valle, che per l'alpe Graia metteva negli Allobro-
gi, la prima grande strada romana, piantando a tal fine nel 654,
sullo sbocco della valle medesima, la colonia di Eporedia, oggi
Ivrea.
La calata dei Cimbri, discesi pel Sempione in Italia un secolo
avanti l'èra volgare, e poi disfatti da Mario nella gran battaglia
che lor diede non già nel Veronese, ma, come ben prova con nuovi
argomenti il nostro Autore t, presso Vercelli, non recò ai Taurini
1 Pag 53.
282 ULTA ALT.LSTA TAL'RINORCM
altro danno che il passaggiero di avere le campagne corse e sac-
cheggiale da quel torrente di bai bari; ma bensì maggior parte e
più molesta dovettero essi sostenere nelle frequenti guerre colle
indomile tribù delle montagne, le quali colle loro continue incur-
sioni nel piano travagliavano la frontiera romana, e vi rendean so-
vente necessaria la presenza di un console con giusto esercito.
Ma l'età più splendida per Torino e per tutta la regione Traspa-
dana devesi a Giulio Cesare. « Conosceva egli (scrive il Promis)
queste regioni come semenzaio di soldati che alla disciplina di Ro-
ma, per la quale militavano come sodi, univano il celebrato impe-
to gallico; pel conquisto della Gallia propria abbisognavagli a spal-
le una buona base d'operazioni in paese copioso di strade, di vi-
veri e di soldati tanto più devoti, quanto che a lui solo tutto doves-
sero. Codesti vantaggi aveali nel Piemonte, favorendo i pianigiani
eon promessa di elevarli alla romana cittadinanza, favorendo gli
Alpini coll'aggraduirsi Donno signor dei monti, cui mantenne il ti-
tolo regio; ebbeli quindi devotissimi a se ed asuoi successori 1. »
Avuta pertanto che egli ebbe nel 695 la provincia Cisalpina col-
rillirio, cioè tulte le Alpi cingenti l'Italia, qui coscrisse due legio-
ni, e colle altre tre venutegli da Aquileia, avviossi alla conquista
delle Gallie, pel paese di Donno re di Susa e per la strada del
Monginevro, che egli poi percorse ben venti volte, andando e ve-
nendo continuamente dalle Gallie, ed alternando le fatiche della
guerra oltre Alpi colle cure civili della sua provincia, dove ogni an-
no tornava a tenere i Conventus giuridici. Finita poi nel 70i la
guerra Gallica, Cesare fu ricevuto, al ritorno, da' suoi Cisalpini con
onori e feste incredibili; ed egli a vicenda largheggiò più che mai
con essi di donativi e di grazie. Tra le quali la più cara, siccome
la più ambila, fu il dare ch'egli fece nel 705 a tutti i Traspadani
la romana cittadinanza, elevandoli dal ius Latti al ius ritritati* Ro-
manae, che conferiva loro lutti i diritti civili, politici e militari
del Romano, e spalancava la via ad ogni ufficio e grado nella re-
pubblica.
1 Pag. 55.
OSSIA L' AMICA TORINO 283
In quell'anno pertanto, o poco appresso, crede il Promis che Ce-
sare fondasse la Colonia lidia Taurinorum, e che il nome aggiun-
tole di Augusta indichi una seconda condotta di coloni, fatta poi da
Augusto : tenendo egli col Borghesi che generalmente le colonie
luliae Augustae il doppio nome dovessero all'essere state condotte
due volte, prima da Cesare, poi da Augusto, quantunque talvolta
fossero così dette da Augusto solo. Divenuta città Romana, Torino
dovette allora essere ascritta ad una delle trentacinque tribù, in cui
poteva esercitarsi il diritto supremo di suffragio nei comizii della
metropoli; e venne infatti ascritta, come attestano ben 40 suoi mar-
mi, alla tribù Stellai ina, una delle rustiche e meglio pregiate, isti-
tuita nell'anno 387 di Roma, ed a cui appartenevano similmente
Preneste nel Lazio, Benevento nel Sannio, Urbino nell'Umbria ed
alcune altre.
I Taurini tuttavia non poterono in sulle prime godere gran fatto
del beneficio di Cesare, a cagione dei turbolentissimi tempi che al-
la morte del Dittatore successero, e della guerra civile che straziò,
colla rimanente Italia, tutta la Cisalpina, corsa e lacerata an-
ch'essa da Cesariani e da Antoniani. Ma, dopo la vittoria Àziaca nel
"723, Ottaviano memore della devozione dei Traspadani al nome
Cesareo, ristaurò le loro fortune, e rialzò a nuova vita e splendore
la città dei Taurini, la quale fu una delle 28 colonie, celeberrimae
et frequentissimae, che egli stesso ricordò 1 avere o fondate di
pianta o ristabilite in Italia, dando loro il proprio nome di Augu-
stae. E da Augusto infatti cominciò a prendere stabile assetto ed
a prosperare e fiorire la Torino romana. Egli non solo la rinsangui-
no di nuovi coloni, ma la arricchì altresì di pubblici fondi, l'ador-
nò di edificii, la ricinse e afforzò di mura, di torri e di porte, di cui
rimangono anche oggidì nobilissime reliquie.
1 Monum. Ancirano,
284 IULIA AUGUSTA TAURINORUM
III.
La pianta di Torino, ai tempi d' Augusto, era un quadralo quasi
perfetto : figura prediletta ai Romani, siccome imitazione dei ca-
stri, e di cui si han molti esempii, foggiati, per dir co>ì, sul tipo
primitivo della Roma quadrata di Romolo, in Aosta, Pana, Mila-
no, Verona, Bologna, Pesaro, ed altre romane città in Italia e fuo-
ri. Torino misurava circa 720 metri da Levante a Ponente, e 660
da Mezzodì a Tramontana; e tutto il suo compreso giaceva tra i li-
miti che oggidì sarebbero formati dalla fronte occidentale del Ca-
stello, e dalle vie di S. Teresa, della Consolata, e Giulio. Tanto nel
recinto esterno, come nell'interno caseggiato, ella era, salvo qual-
che leggiera storta, tutta ad angoli retti: undici vie, correndo pa-
rallele da Levante a Ponente, e intersecantisi ortogonalmente con
altrettante da Mezzodì a Settentrione, formavano cento isolali, i cui
antichi perimetri coincidono perfettamente cogl' isolati moderni, co-
me le vie moderne esattamente rispondono sopra le antiche. Queste
vie urbane aveano una larghezza media di 4 o 5 metri, come quel-
le di Pompei; e secondo che mostrarono alcuni scavi recenti, erano
pavimentale a gran poligoni di un gneiss antibolo, che trovasi a Va-
yez in vai di Susa. Torino aveva, oltre alcune minori, quattro por-
te principali: porta Fibellona ad Oriente, così detta nei bassi tem-
pi forse da un Fanum Bellonae; porta Marmorea a mezzodì; porta
Secusina ad Occidente ; e porta Palatina o piuttosto come dovette
anticamente chiamarsi, porta Romana a mezzanotte. Guest' ultima
era di gran lunga la più nobile e magnifica ; secondo lo stile delle
antiche città, in cui la porta Romana, quella che conduceva alla Me-
tropoli dell' Impero, sempre primeggiava per mole, per numero di
ingressi, per maestà e ricchezza di fregi. Ella si ammira in Tori-
no anche oggidì, non solo come l'unico monumento superstite dei
tempi romani,- campato per miracolo alla barbarie distruggitrice
dei secoli passati ; ma, anche senza ciò, come un monumento in
genere suo, essendo ella, fra le antiche porle Romane, una delle
maggiori per vastità di dimensioni e pel numero delle entrate che
OSSIA L ANTICA TORINO 285
erano, come a Nimes e ad Autun, quattro, cioè due maggiori pei
carri e due minori pei pedoni; ed inoltre l'unica, che fosse costrui-
ta in opera laterizia, di quella elegante maniera che usavasi al se-
colo di Augusto.
Il recinto delle mura e delle torri che chiudea la città, era anche
esso tutta opera romana, ma di due epoche diverse, come mostra-
no, nei pochi avanzi o vestigi rimastine, le diverse strutture. A Mez-
zodì e Ponente, eh' erano i lati per natura più deboli, furono le mu-
ra fabbricate da Cesare, con queir opus incertum di ciottoli spac-
cati, ch'era proprio dell'epoca repubblicana, vuote nel mezzo e a
doppio ordine di difese, secondo che richiedeva la ragione militare
del sito; laddove a Tramontana e Levante, le mura son piene, a
un sol giro di difese, e di magnifica opera laterizia, de' tempi d'Au-
gusto ; il quale nel ristaurare la colonia dei Taurini, continuò e com-
piè l'opera cominciata da Cesare. Fuor delle mura, il più insigne
edificio suburbano era Y anfiteatro, posto un po' a Ponente di porta
Marmorea, ed eretto probabilmente nel II secolo, sotto gli Antoni-
ni. Il Pingone lo annovera tra gli edificii demoliti, per la ragion di
guerra, dai Francesi nel 1536; e Guido Panciroli, il celebre com-
mentatore della Notitia Imperli e Professore di leggi in Torino dal
1570 al 1582, ne vide ancora i vestigi, che poi interamente dispar-
vero. La scellerata passione dei giuochi antìteatrali, nota qui il
Promis 1, avea sotto l'Impero, talmente invaso l'Italia, che il più
sicuro modo di cattivarsi le moltitudini e di conseguir gli onori mu-
nicipali era il dar giuochi pubblici o Y edificare anfiteatri. Quindi è
che il numero di questi crebbe a dismisura, e non vi fu città, ezian-
dio di secondo e di terzo ordine, che non avesse il suo. L'Hlìbner,
nel suo catalogo degli anfiteatri d'Italia, non ne annoverò che soli
36; e più recentemente il Friedlànder, professore di Konigsberg,
trovò stranamente esagerato il numero di 62, che io, dice il Pro-
mis, fin dal 1838, scrivendo dell'anfiteatro di Lunì, avea già con-
tato nella nostra Penisola, e dei quali io aveva piena certezza, o
per averli in massima parte veduti, o per attestazione di scrittori,
1 Pag 189.
286 IULIA AUGUSTA TAUR1N0RUM OSSIA L ANTICA TORINO
di architetti, o di lapidi. Or bene a quei 62 debbo ora aggiungerne
altri 23 ; dei quali, selle, allora da me non conosciuti o scordati,
sono nel catalogo dell' Hiibner ; gli altri sedici furono da me, dopo
quell'epoca, accertati; e tra essi. è quel di Torino. La somma per-
tanto di tutti gli anfiteatri d'Italia ascende oggidì a ben 85; e non
dubito d'asserire che una diligente perlustrazione della parie men
percorsa d' Italia, qual è la Puglia e l'ultima Calabria, ne porte-
rebbe il numero almeno a 100, non contando quelli delle isole. Il
solo antico Piemonte ne conta cinque : e sono quei di Torino, Poi-
lenza, Libarna in Tal di Scrivia, Omelia ed Aosta 1.
Torino dovette inoltre avere un teatro, come aveanlo Aosta, Poi-
lenza, Libarna testé nominate, ed altrettali città a lei di molto in-
feriori: e una delle sue iscrizioni ricorda infatti un Tizio Bellico
Choragiarius, cioè maestro e sopranlendente dell'apparato sceni-
co 2. Molti templi altresì adornavano l'Augusta dei Taurini; e al-
men di nove Divinità ivi venerate con pubblico culto fanno ricordo
i monumenti del Promis ; delle quali la maggior parte, recondo
l'empia adulazione di que' tempi, erano gl'Imperatori stessi, il Divo
Augusto, il Divo Claudio, la Diva Faustina e simili. Anche l'Iside
egizia aveva un tempio, e credesi per tradizione che sorgesse ove
poi fu la chiesa di S. Solutore nel luogo della cittadella: come pur
credesi che la chiesa dello Spirito Santo in Dora Grossa sia sotten-
trata al tempio di Diana; il culto della quale ebbe gran voga a To-
rino e nel contado, giacché il Vescovo S. Massimo, nel mezzo del
V secolo, doveva ancora tuonare contro le sanguinarie e pizze su-
perstizioni dei Dianatici delle campagne, e contro le arae ligneae
et simulacra lapidea, onde queste erano contaminate.
Sarà continuato.
1 Pag. 190.
2 Pag. 449. Iscrizione n.°
I CROCIATI DI SAN PIETRO
SCENE STORICHE DEL 1867
XCYIH.
Mentana, 3 Novembre (continua.)
« Erano circa le ore due, dice il Del Vecchio, quando, secondo
l'ordine di Garibaldi, ci ritirammo in Mentana. » Di simili eufemi-
smi si accomodano anche altri rapporti garibaldesehi. Il vero è
che l'ordine della ritirata fu dato dai Zuavi, a baionetta, secondo
che confessa il Guerzoni, uno dei presenti e forse dei fuggitivi. I
provvedimenti del Garibaldi mirarono a ristorare la resistenza en-
tro Mentana. Quattro battaglioni (colonna Frigyesi) si fermarono
alle barricate; l'Elia con tre battaglioni s'imboscò nell'altura che
copre il villaggio a levante; due altre poderose partite, divise in
sei battaglioni, si postarono più addietro in sostegno dell'Elia; mil-
ledugent'uomini solto il comando del Cantoni si distesero alla stra-
tda di Monte Rotondo, come corpo di ricuperazione; un pezzo di
campagna, con alcuni minori, si collocò sopra un rialto dietro
Mentana. Così il referto del Menotti, concorde colle nostre in-
formazioni.
Non crediamo per verità Giuseppe Garibaldi capace di sì bene
intese disposizioni di battaglia: ma le desse o le ricevesse, parve-
ro eccellenti ancora ai comandanti alleati, che si apprestavano a
combatterle. Sette pezzi d'artiglieria, dei quali due francesi, furono
288 XCVIII. MENTANA, 3 NOVEMBRE
comandati di aprire il fuoco sopra il castello e sopra i posti d'ap-
procciamento. Si scagliano allora i prodi cannonieri, e per fratte e
scarpe, che pareano impraticabili, smaniosamente piantano le bat-
terie : pareano temere che la fanteria rubasse loro l'opera ; alcuni
tra essi, come il maresciallo Ignazio Santi, che servì da semplice
puntatore, aveano mosso cielo e terra, dnd' essere prescelti tra la
piccola schiera dei combattenti. Tre bocche puntavano da niente
Guarnieri, una dalla strada, tre da vigna Santucci ; ed a quei baldi
garzoni parea giuoco e festa, sotto il flagello del moschetto nemi-
co imberciare ora nelle finestre del castello, ora scoscendere l'arti-
glieria garibaldina; e i capitani loro accarezzarli e commendarli delle
felici volate. Il conte di Caserta, come pure altri ufficiali di conto,
prendean diletto ad avvolgersi tra i cannoni, e dirizzarne i colpi.
Gagliarda ed efficace riusciva l' impressione dell' artiglieria ; giac-
ché oltre al danno, turbava d'indicibile spavento le falangi carni-
ciotte : ma troppo presto si dovette rinunziare a questo vantaggio ,
pel celere avanzarsi della fanteria pontificia alle prese col nemico.
Il cannone d'allora in appresso quasi non ebbe più altro ufficio che
di molestale il castello, non volendo il Kanzler altrimenti aggravar
le già troppo gravi sciagure degl'innocenti Mentanosi.
Ai Carabinieri esteri toccò l'onore del principale attacco, e tosto
la maggior parte del battaglione mosse per la valle e per la strada
di Roma, verso la porta di Mentana ; intanto varii drappelli di Zuavi
eran precorsi discendendo parallelamente sull'alto piano: gli uni e
gli altri sbarattando a ferro e a fuoco le reliquie del nemico, rimase
addietro nella fuga generale. Un casamento grande, chiamato il Con-
venivo, fu espugnato dai Zuavi in passando, e similmente un casale
di fornaci, di piò della salita di Mentana. Ma il forte punto era l'as-
salto della porla del villaggio e della altura frondosa che la fian-
cheggia ad oriente. Perciocché i Garibaldeschi valendosi accorta-
mente della posizione, avevano quivi accumulate le loro forze di
difesa: e soprattutto dai fincstrati del castello e dalle case e dalle
ripe a lato, spazzavano con infinita grandine di ferro ogni accesso
e lungo tratto della strada innanzi. Di che le compagnie dei Ca-
rabinieri, evitando il fuoco della porta, girarono sul fianco destro,
XCVIII. MENTANA, 3 NOVEMBRE 289
e si congiunsero ai Zuavi sull'alto piano orientale. Colà adunque si
tramutò il teatro dell'ultima giostra, in cui s'impegnarono a ma-
no a mano tutte le armi alleate. Pei Garibaldini, il castello diven-
ne l'ala destra di battaglia, la strada di Monte Rotondo colle forze
quivi schierate l'ala sinistra, e le case di Mentana, cambiate in
filiera di ridotti vomitanti fuoco, il centro della resistenza 1.
Non istaremo a divisare per minuto le pruove di valore e di te-
merità, date dalle bande zuave nella prima foga del loro arrivo so-
pra Mentana; solo accenneremo l'andamento generale del lungo e
ostinalo assalimene. Tra le prime punte di armati che diloggiando
il nemico di bronco in bronco, trascorsero ove il furore le trascina-
va, era una mezza compagnia del de Veaux ucciso a vista di vigna
Santucci: nulla potè arrestarla. Prendono a salire la terribile co-
sta; e tra gli ulivi folli scorgono una nube di fumo, entro cui tuona
il Viva Pio IX, e un gruppo di Zuavi incalza, preme, rovescia un
grande stuolo di garibaldini: congiungono mano a mano, ferro a
ferro, e rincacciano il nemico sin déntro le barricate. Udirono allo-
ra, dietro le mura, un urlo di Viva Garibaldi traversare la contrada.
Forse il condottiero percorreva un ultima volta le file arruffale delle
sue genti, e ordinava (se pure alcuna cosa ordinò egli) la mossa di
buona tattica, la quale tra poco vedremo eseguirsi. Poscia (e que-
sto è certo), prima delle ore tre, mentre accendevasi il combatti-
mento decisivo, Giuseppe Garibaldi, con picciol corteggio, reggen-
dogli il cavallo suo figlio Ricciotti, abbandonava i suoi sul terreno,
e ritiravasi a Monte Rotondo. Mentana il vide partire, Monte Ro-
tondo arrivare. Così cacciava i mer cenarti a calcio di fucile; così
il suo cadavere rimaneva tra il Papato e l'Italia; così compiva il
volo : 0 Roma, o morte.
Il pugno di Zuavi intanto, inebbriato dal suo rapido vantaggio,
non pensò né il numero dei nemici, né V. insidioso luogo in che s'av-
venturava, né il cannone che il percolea di fronte, né il lungo fian-
co delle case di Mentana, cui intaccare non poteva. Dalle finestre
non solo, ma fino dagli abbaìni, e di sotto le tegole, rilevate
1 Vedi la pianta di Mentana, nella nostra Carta corografica di cinque
province ecc.
Serie YJI, voi. XI, fase. 489. 19 26 Luglio 1870.
290 I CROCIATI DI SAN PIETRO
all'uopo, uscivano le bocche di moschetto impostatovi, e con esse la
morte ; in niuna parte appariva il nemico alla scoperta. Adunque i
Zuavi procedettero sino a trenta metri in faccia al villaggio : quivi
si stabilirono in mezzo ad alquanti pagliai come in rocca munita, e
quivi ora affrontando, ora difendendosi, ora ritirandosi a momenti e
a momenti riprendendo il perduto, sino al fine della giornata, mal-
grado le molte morti, si dimorarono. La sola istoiia di questo bran-
co di lioni meriterebbe una lunga pagina, non fosse altro, per men-
tovare i nomi di quelli che vi caddero, o morti o feriti. Sulle loro
pedate sopraggiugnevano con nuove forze il capitano Lefebvre, e il
capitano di Moncuit, e il capitano Legonidec, e il maggiore di Lam-
billy e altri ufficiali. Sopraggiugneva il fiero battaglione dei Carabi-
nieri, compatto, destro al comando, disciplinato alle più arrischiate
conversioni; il quale salendo dalla valle, parte rinforzò i Zuavi im-
pegnati all' attacco immediato di Mentana, e parte volteggiò alla lar-
ga a fine di proteggerli alle spalle.
E bene conveniva all'uopo: perchè le masse garibalde rigettate
addietro non erano però distrutte, e col favore de' muri a poco a
poco si riformavano, e cercavano di riprendere l'azione offensiva.
Almeno tre volte tentarono sortire di dietro Mentana, dalla parte
settentrionale cioè, che guarda Monte Rotondo, e piombare sui iìan-
chi de' Pontificii, intenti a battagliare le case. Chi guidasse quelle
sortite, grosse di gente, e ben maneggiate, noi sappiamo. Il Me-
notti ne racconta una sola, operante « con valore ed entusiasmo; »
il Guerzoni parimente le riunisce tutte in « una carica stupenda alla
baionetta, » sotto il comando del Fabrizi, di Menotti, del Mario,
del Bezzi, del Canzio, e perfino del Garibaldi; e assicura inoltre, che
per poco il Garibaldi non rientrò vittorioso sin dentro a vigna San-
tucci. Ma assolutamente non fuvvi una carica sola, sì bone più ten-
tativi, forse, d' uno stesso disegno che dovevasi eseguire con fazioni
accordato e invece riuscì a rotte successive. Ne seguì un vorticoso
torneamento dei Pontificii, i quali in terreno mirabilmente vario,
frastagliato da strade, ripe, forre, macchie, doveano fronteggiare
quelle colonne soverchiaci, e a grande opera di moschetto e di
daga volgerle in isbaraglio: fu un ora e più di trepidissimi combat-
timenti, in cui raramente i Garibaldini si lasciarono raggiugnero
XCVIIL MENTANA, 3 NOVEMBRE 291
alla baionetta, arma sempre decisiva contro essi, e non mai' pro-
vocata.
Un solo vantaggio momentaneo guadagnarono i Garibaldini, che
procacciò un vivo lampo di gloria agi' intrepidi Carabinieri. Men-
tre due loro compagnie (la 2.a capitano Stoeklin, e la 5.» tenente di
Buttet) e con esse un gruppo di Zuavi marciavan largo ad accer-
chiare la sinistra garibaldina, e tagliarle la ritirata su Monte Ro-
tondo, videro da quel lato stesso piombarsi addosso una colonna,
più largamente girante, di due o tre battaglioni. I Pontificii ordì-
naron ratto: Fuoco in ritirata. Si maneggiò adunque a ritroso, sen-
za stornar fronte, anzi grandinando di fuoco gli incalzatori, che
comperarono col sangue ogni palmo di terra, e non ardirono metter
mano all'arma bianca. La fiera ritirata durava circa mezz' ora, in
picciol terreno, finche giunse loro un rinforzo di altre due compa-
gnie, mandatevi dal colonnello Jeannerat. Allora si tenne piede, e
si arrestò il nemico, sebbene la colonna pontificia si trovasse ber-
sagliata orribilmente dalle case di Mentana da una parte, e dalle
grosse file dei nemici dall' altra.
Contemplavano dal quartier generale questa splendida evoluzione
i comandanti francesi e pontificii ; e mentre, già il maggiore Unga-
relli volava recando ordine al colonnello D'Àrgy, di spingere alla
riscossa la sua Legione, non poteano contenersi dall' applaudirla vi-
vissimamente pur da lungi, come uno de' più eroici episodii della
giornata, che tanti n'ebbe a vantare. Cinque compagnie di Legiona-
rii, arrivavano sul terreno, guidate dal maggiore Cirlot, che spedi-
va i capitani Sére e Vazeille a rinfrancare il combattimento dei Ca-
rabinieri. Però come questi videro la prima compagnia della Legio-
ne obliquare destramente sui loro fianchi, impazienti di più restare
sulle difese, si scagliano avanti colle daghe in canna. Dietro loro
si forma la colonna d' assalto, Carabinieri, Legionarii, un pugno
di Zuavi accorsovi col capitano Lefebvre: avanti, avanti! di palla
e di baionetta, alla bersagliera e a compagnie serrate, sì rompe la
linea garibaldina, che dapprima resistette gagliardamente, in fine
sbarattata in fuga ricevette la caccia, parte sino alle barricate di
Mentana, e parte sino alle macchie tra Mentana e Monte Rotondo ;
e con tanto abbandono, che una punta di Legionarii, portata dalla
292 I CROCIATI DI SAN PIETRO
furia francese e dal tenente di Cereale, arrivò sulle artiglierie, uc-
cise gli artiglieri, tagliò i fornimenti, e ritornò aprendosi il passo
alla baionetta.
Se la fazione lampeggiò di arte e di bravura, non fu però senza
sangue, specialmente dei Carabinieri che ne sostennero il peso prin-
cipale. Il loro maggiore Castella, perduto per tre colpi di fuoco il
cavallo, era ferito gravemente egli stesso, e strappato quasi di forza
dal combattimento , per mano del colonnello Jeannerat e del cap-
pellano , mgr Bérard : lasciava a comandare in sua vece un soldato
semplice, volontario, che era il colonnello de Courten. Un altro uffi-
ciale, Rodolfo Deworschek era piagalo a morte; presso a quaranta
Carabinieri giacevano sul terreno, tra morti e feriti. I Zuavi altresì
aveano pagato largo tributo di sangue nelle continuate zuffe sin qui
sostenute : circa sessanta dei loro erano già caduti: e tra essi il sot-
totenente Narciso Dujardin, che tuttavia guarì delle ferite.
Rigettata la prima sortita, i Pontificii strinsero novamenle la bat-
taglia sopra i lunghi serragli delle case, rincalzando le scarse com-
pagnie rimase a travagliare il centro del nemico. Non poco erasi
avanzata l'opera dell'attacco, sebbene sotto un nembo micidiale
di palle. Invano i Garibaldini mentre si disperdeva la sortita della
sinistra, aveano tentato una sortita a destra, appoggiandosi ad un
casamento, la villa Cicconetti, mantenuto in loro potere : tre com-
pagnie di Legionarii, condotte rapidamente dal maggiore Cirlot,
gli avevano anche da questa parte circondati e battuti, racquistan-
do anche la posizione dei pagliai, per un momento invasa dai ne-
mici. Il capitano Durostu spingendosi oltre all' entrata di Mentana
verso Monte Rotondo , aiutato dalle due bocche d' artiglieria collo-
cate a vigna Santucci, aveva sgombre le prime case: il cacciatore
Longin sfondò una porta , arietandola con un macigno , e vi saltò
dentro col suo tenente di Kerdrel, e il sergente maggiore Vittore
Yerstraeten : in tre inlimaron la resa a trenta uomini, e gli ebbero
prigionieri. Il Durostu s'apparecchiava di proseguire di casa in ca-
sa, finche si potesse dare assalto generale.
E già non pareva troppo lontano il momento. Rinchiuso era in
Mentana il grosso dei nemici, repressi con gravissime perdite i lo-
ro tentativi di offesa, intaccata la sua linea suprema di difesa: i
XCVIII. MENTANA, 3 NOVEMBRE 293
Garibaldini a frotte gittavansi sulla strada di Monte Rotondo ; uno
squadrone di Dragoni, cavalcato sino alle estreme posizioni nemi-
che , chiedeva ad alte grida di essere licenziato a dare la carica e
tagliare la ritirata di Monte Rotondo. Tale era il furore di scagliarsi
neir arringo, che non badavano alle asperità del suolo impraticabi-
le, e protestavano sé conoscere i loro cavalli, e ben potere eseguire
una carica tra le balze : appena bastò la disciplina militare a con-
tenerli, e non tutti, perchè alcuni giltatisi a piedi, si consolarono
colle pistolettate. Per giunta, dal lato del Tevere, cominciava a sa-
lire la colonna Troussures, cui vedemmo spiccarsi dal corpo di spe-
dizione, ad intento di operare una diversione. Per vie orrende ed
inescogitabili affacciasi oramai sulle cime dei colli a rovescio del
villaggio, e minacciava di traversare, come poi fece, le linee ne-
miche da banda a banda.
In tali condizioni dei due campi affrontati, si ebbe novella pruo-
va, che nello Stato maggiore garibaldino comandavano valenti uffi-
ciali, e che l'esercito italiano, testa e braccia, militava sotto la ca-
micia rossa. Si comprese allora tutto l' ordine di battaglia, fin qui
non rivelatosi interamente. Le due prime sortite non erano altro
che parte e appoggio d' una più vasta e bene intesa rivoluzione di
forze, donde attendevasi la vittoria, e che in verità poteva almeno
prolungar la battaglia, se fosse stata eseguita a un tempo stesso.
Dall' estremo limite della ala sinistra garibaldina, che stendevasi
sulla strada di Monte Rotondo sino alle macchie del monte S. Loren-
zo, si scoperse la mossa, assai bene dissimulata, di due profonde
colonne, che a guisa di ale stendevansi ad oriente ed occidente di
Mentana. Erano pressoché tutte le forze garibaldesche, tranne un
sei battaglioni lasciati a sostenere le barricate di Mentana. Del re-
sto tale e tanto arruffamento regnava tra i Garibaldini, per le palile
sciagure, che neppure il loro Stato maggiore potrà giammai divisa-
re quali corpi impegnasse in questo sforzo ultimo e supremo. Certo
comprendevano la colonna Cantoni, e quanto si era potuto raccoz-
zare degli sparpagliati in altre fazioni. Procedeano serrati, in giu-
ste sezioni, con perfetta disciplina di maneggio, con manifesto in-
tendimento di serrare i Pontificii e schiacciarli contro la sempre vi-
va e ardente fucileria del villaggio.
294 I CROCIATI DI SAN PIETRO
Se questo fu il più vantalo concetto dei comandanti garibaldesi,
fu però pronto ed efficace il riparo degli alleali. Perciocché il gene-
rale Kanzlcr, che dall'alto vegliava gli andamenti del vasto conflit-
to, provocò allora il corpo di riserva a scendere in campo. Da circa
sei ore i Francesi avevano caricato i chassepots, e i poveri fucilieri
sentianseli bruciare in mano, in veggendo dalle alture di vigna San-
tucci e di monte Guarnicri gii attacchi e le parate, che quasi danza
marziale s' intrecciavano a loro piedi : e, meglio non potendo, in-
coraggivano colle gridale campagnie entrate nella mischia. Al cen-
no del generale di Polhès parvero uscire di catena. Il lenente co-
lonnello Saussier, con forse 400 fanti del 29° di Linea, volteggiò
ad arrestare la colonna occidentale : la sua presenza e l'arrivo del
Troussures con tre compagnie zuave ruppero il movimento nemico,
due o tre volte superiore in numero. Dal lato orientale, che è quan-
to dire stili' alto piano della battaglia, il colonnello Frémonl entrò
col 1° di Linea e tre compagnie di Cacciatoli, scatenate alla bersa-
glerà. Mosse largo, e s' interpose come un cuneo, tra le spalle dei
Pontificii, e la colonna girante, che con cerchio amplissimo saliva
folta e baldanzosa da un fondo di valle, e ignara del castigo che
l'attendeva.
Mentre si preparava il nuovo urto, marciando ad incontrarsi Fran-
cesi e Garibaldini sulle ale, non si cessava tuttavia il fuoco nel cen-
tro. Pareva ad ogni ora divampare allora cominciata la battaglia. Il
capitano Daudier, soppraggiunto volontario alla sezione d'artiglieria
Cheynet, faccvala avanzare di posto in posto, con impazienza crescen-
te di fulminare le case dove più ardente romoreggiava la fucile -ria ga-
ribalda, e tempestava più oltre la colonna che cominciava ad esplica-
re le sue quadriglie. Volle promuovere il cannone sino a trecento
metri dal moschetto nemico : ma si stentava per l'arduità del terreno
a recarlo in batteria. 11 maresciallo Bernardini, che comandava il
pezzo della posizione più addietro, spinse il cavallo, e corse a dar
mano. « Ecco un prode! » gridò il capitano, in vergendolo appie-
dato travagliarsi alla carica sotto una grandine stridente. Cadevano
infalli attorno a lui il Bacchi, il Nunzi, e piti cavalli, il servente Mau-
rizio Buser colla bocca in sangue continuava il lavoro , gli ufliciali
slessi facean l'opera dei soldati. Infine il posto diveniva mortale, e
XCYIII. MENTANA, 3 NOVEMBRE 295
il cannone impossibile a governare. Pare si resse finche il tenente
Cheyneì non ebbe trovati altri cavalli di ricambio. Allora si ordinò
la ritirata ; e il maresciallo Ferruti disse all' amico Bernardini : Ba-
da, non salire a cavallo. Questi dispregia il pericolo, balza in sella :
due palle, al collo e al petto, ne lo rovesciano, morto in sul punto,
se non in quanto potè prima di spirare, con un cenno di mano sa-
lutare i camerati.
La ritirata del pezzo tornò disastrosa agli Artiglieri, né riusciva
senza la protezione dei Legionarii e dei Zuavi, che assediando il
borgo, copersero di fuoco i tiratori garibaldini. Ma cacciati questi
dalle finestre ribollirono nelle contrade, e animati dal vantaggio ot-
tenuto, e più dal vedere la loro colonna girante, prender terreno alle
spalle gli assediatoli, vociavan alto, e pareano in punto di sbocca-
re impetuosi da un viottolo tramezzo le ease. A rintuzzarli, due uf-
ficiali legionarii, il Kerdrel e il Napoletti, si avventano sul viotto-
lo stesso, seguili da un pugno di audaci, si coprono dal fuoco, si
piantano in sentinella. L'ardire dei rinchiusi fu arrestato prima del-
le mosse. Al centro adunque cadeva la fortuna nemica di momento
in momento : restava a veder l'esito dell'ultimo tentativo, sull'estre-
mo corno orientale.
E già quasi si fronteggiavano le linee francesi e le garibaldesche
queste svolgendosi sotto monte S. Croce e il convento degli Angeli
verso vigna Santucci, e quelle da vigna Santucci marciando in
contraria direzione, quasi parallele, ma più presso a Mentana. Mi-
rabilmente atroce fu il loro scontro. A seconda che il battaglione
progrediva passando a fronte delle masse garibalde, altiere del lo-
ro numero, e ben guidate, sembrava passasse la procella sopra un
campo di spighe, tanto era il flagello ! Trecento metri prima che le
carabine italiane potessero offendere, già le palle fitte tempestavano
entro le file, diradavano a occhio le compagnie, la morte era pre-
sente a ciascuno ne' compagni, lo strazio e il guaio dei caduti sbi-
gottiva i combattenti. E non era solo a danneggiarli la percossa
delle armi che sforacchiava e lacerava le umane membra, ma la
vista altresì del vivissimo lampeggio, lo scoppiamene grandinato e
incessante, che incutevano terrore inestimabile. E con questo si sma-
gliavano le ordinanze, cercandosi ciascuno un riparo, molti voltava-
296 I CROCIATI DI SAN PIETRO
no le spalle, non v'era chi non vacillasse. In breve le ini ere com-
pagnie, dirotte in iscorapiglio, si ritraevano fuggendo: ichassepot
spingevan oltre, e quelle intopparsi, rovesciarsi le une nelle altre ;
smarrito ordini e insegne e comandi, la colonna diventa un torrente
irrefrenabile e sparso per la campagna. I comandanti garibaldini,
se crediamo al Guerzoni, scagliavansi a dritta e a manca, esortando,
minacciando ; Frigyesi, Menotti, Marani, Bezzi, Cella, Fabrizi strac-
ciavansi per rabbia i capelli, non arrivando a raccozzare una com-
pagnia, o a rifare un nodo di fanti. Garibaldi già era in sicuro a
Monte Rotondo, ma il Guerzoni lo involge nella fiumana della rolla
universale. « Garibaldi, pallido, rauco, cupo, invecchiato di venti
anni, ululava ai fuggenti: Sedetevi, che vincerete. Invano! tutto ri-
gurgitava, correva, precipitava nella via finale della ritirala. »
Mal si potrebbe ridire il disordine infinito onde si coperse la piag-
gia. Strade, campi, boschi formicolavano di sbandati, guidati solo
dallo spavento. La colonna del Troussures, venuta quasi a cavalie-
re della strada di Monte Rotondo, con pochi colpi di fucile ne rac-
colse a centinaia i prigioni, tra gli altri il futuro storico mendace,
Pietro Del Vecchio : il colonnello Saussier, che avrebbe potuto
moschettarli a migliaia dal poggio poco più sopra donde dominava
la strada stessa, lasciò passare quella folla miseranda: la qual com-
passione cavalleresca gli è rinfacciata come paura dal Guerzoni, uno
dei fuggiaschi! Il capitano Epp, con una sola compagnia di Carabi-
nieri, incalzavali sino alle porte di Monte Rotondo, senza contrasto.
Un solo punto restava intatto ai Garibaldini, sull' ala destra, ed
era il castello di Mentana con le case intorno, ma tagliato fuori del
rimanente corpo. Poco danno avea risentito dall' artiglieria* il ca-
stello, perla solidità delle mura; le case, per la loro posizione pro-
fonda, mal si poteano battere col cannone , fuorché bombardando ,
e ciò non si volca fare. Però i Carabinieri genovesi, e parecchi
altre centinaia d' uomini tuttavia vi si sostenevano. Assai larono
questo ultimo ridotto dalla strada grande di Roma due battaglioni
condotti dal colonnello Bergcr e dallo slesso gcnciale di Polliòs:
ma, come i Carabinieri pontificii, così la fanteria francese tro-
vò in ìccessibilc questo lato, donde, il nemico a man salva di-
struggeva gli assalitori con un fuoco infernale : piegarono sulla de-
XCVIII. MENTANA, 3 NOVEMBRE 297
stra anch'essi, e si stabilirono sul rialto che domina Mentana. In-
tanto sullo stesso lato ma un po' più oltre Legionarii e Zuavi chie-
devano ad alte grida di finirla alla baionetta. Gli ufficiali si consi-
gliano. V'era il Duroslu, il Lefebvre, il Chappedelaine : accordano
la grazia. Il Chappedelaine sguainala spada, e comanda: « E bene,
ancora una follia: avanti alla baionetta! » I Zuavi, che dietro ai fe-
nili e di contro le case tenevano in rispetto il nemico, si precipitano
sulla casa più vicina : costernati i Garibaldini cessano il fuoco delle
finestre : la porta è in breve sfondata : quarantanove prigionieri si
rendono a discrezione. Altre case si agguatavano, per isforzarle.
Ma non bastava ai più violenti il guadagnare una casa dopo l'altra:
Giovanni Moeller, veterano di Castelfidardo, già ufficiale e ora sem-
plice soldato, scaglia dentro i serragli nemici il berretto, e grida:
« Chi ha cuore mi segua. » In ciò dire già correva ad una barrica-
ta poco distante, vi saltava sopra, e vi cadea mortalmente percosso
dal diluviare del fuoco. A gran pena potè ritirarsi, e ai compagni
disse: « Sono ferito ; che fortuna! » Temerità, vera temerità, ma
nobilissima e memoranda, che già trascinava Zuavi e Legionarii a
generale assalto della barricata e delle case, quando dietro le spalle
s'udì lo squillo delle trombe : Cessate il fuoco ! Era tempo : il bat-
taglione Frémont vittorioso, ripiegava la via su Mentana, e pianta-
vasi in sentinella tra il villaggio e la città di Monte Rotondo; il ca-
stello era accerchiato ; il grosso dei nemici sterminato lungi dal
campo di battaglia, sbandavasi in fuga spicciolata e irreparabile,
lasciando sul terreno una perdita immensa, tra morti, feriti, prigio-
nieri: cadeva la notte, e sull'esercito crociato era discesa indubita-
bile e piena la vittoria.
Giuseppe Garibaldi, se avea potuto mettersi in salvo un'ora e
mezzo prima, non potè tuttavia involarsi alla sua sconfitta; anzi do-
vette amaramente sorbirla a stilla a stilla. Da Monte Rotondo udiva
il bombo del cannone e l'infuriare della moschetteria, e vedeva a oc-
chio le circostanze di Mentana, lampeggiare di fuochi, e annuvolar-
si di fumea; non sapendo altro dei casi della battaglia, se non che i
suoi camiciotti gli tornavano a frotte, malconci, ansanti, esterrefatti,
molti disarmati e scalzi ; e che una fila di giumenti e di carrette gli
recava cataste di corpi scerpati, rigando la strada col gocciar del
298 I CROCIATI DI SAN PIETRO
sangue. Nò v'era modo di soccorrere a tutti, massime in città cor- .
dialmente nemica, e per tanti giorni esacerbata. Facea d'uopo apri-
re di forza le case cittadine, e di forza intrudervi i feriti alla rin-
fusa, minacciando di morte i casieri, se non porgevansi a curarli:
chiese, caserme, abitazioni private, tutto risonava di lamenti senza
conforto. E tali fuggivano da Mentana sbigottiti in guisa, che prima
di avventurarsi per uno svolto, informavansi dai cittadini, se colà
non vi fossero Zuavi; e poscia buttatisi nelle case, chiedevano mer-
cè d'un nascondiglio, e uno straccio di veste borghese onde scam-
biare la malvagia assisa rossa del loro condotliere.
Narra il rapporto del Fabrizi, che il Garibaldi ordinò certi sbar-
ri alle vie e posti avanzati nei dintorni di Monte Rotondo, e che
il nemico fu fermato. Vero gli sbarri, e vero altresì, che il colon-
nello Frémont non proseguila caccia sin dentro le mura: sareb-
be stato follia, con cinquecento fucilieri impegnarsi con le mi-
gliaia dentro le vie d'una città. Ma non è mcn vero, ciò che tutti
videro, che il povero generale dei camiciotti tra lo smarrimento e
le furie tragittavasi a dare comandi, che i suoi, dementati dalla
paura, più non ascoltavano. Interi corpi di guardia giltavan l'armi
a traverso, e fuggivano all'impazzata: le posizioni fuori le murafu-
ron deserte al primo apparire dei Francesi (che Legionarii si riputa-
vano), e le turbe raccozzatesi a gran pena, si risolvettero come neb-
bia al sole, ricoverando in città, sfrenatamente. Allora fu trombala
la grida: « Ài castello, al castello ! »
Ài castello giugueva pure il generale Fabrizi con altri capi , i
quali unitamente rappresentarono al Garibaldi le disperatissime
condizioni del suo .esercito. « E bene, ìispose esso, subilo a Core-
se. » Niun ordine diede mai il Garibaldi o più tosto compreso, o
più prontamente obbedito. Sbucava la ciurma (che di militari ordi-
nanze non rimaneva nò vestigio nò ricordo) dondechò fosse, al buio,
sotto la pioggia sopravvenuta, e si riversava per porta Romana,
secondo che spronavala costernazione, ira, vergogna. Nel flutto del-
la ritirata vorticosa, s' udiva palese il rammaricare, e l'imprecare
contro i condottieri della mala guerra, soprattutto contro il Garibal-
di, clic- awiluppalo da' suoi maggiorenti ne veniva, non guida, ma
parte della baraonda.
XCVIII. MENTANA, 3 NOVEMBRE 299
Parrà incredibile! il Guerzoni sceglie questo punto della narra-
tiva , per formare la più lepida caricatura che immaginare si possa
cMY Eroe leggendario. « La colonna, racconta egli, seguiva, lun-
ga, serrata, taciturna: non un canto, non un grido, non un collo-
quio. Ognuno pensava alfieri, al presente, al domani ; ogni uomo
era un sogno ambulante. Garibaldi precedeva a cavallo, silenzioso
anch' esso, col cappello sugli oc-chi, le braccia abbandonate, lugu-
bre, spettrale. Avete veduto il Napoleone diMeissonnier reduce da
Waterloo? tal quale. Egli non badava ad alcuno, e ognuno sentiva
che quell'uomo voleva star solo colla sua sventura, e che ne aveva
il diritto. Un istante parve accorgersi che io gli cavalcava più dap-
presso, e che guatava tulli i moti della sua fronte, onde rotto per
poco il silenzio, mi disse: — È la prima volta, Guerzoni, che mi
fanno voliere le spalle così, e sarebbe stato meglio... — qui un
profondo sospiro gli troncò nella strozza la parola.... Voleva forse
dire: Sarebbe stalo meglio morire? — L'ora era fatta per simili
pensieri, e taluno forse li covava come lui! »
Certo non li covava, crediamo noi, il Guerzoni; o almeno li co-
vava troppo tardi: come anche troppo tardi ci pensava il Garibaldi,
il quale, oltre al cessarsi dalla battaglia anzi tempo, non fu mai
visto dentro il tiro. Ne abbiamo in fede la parola d'ufficiali supe-
riori che comandarono la vanguardia pontificia, e il rapporto gene-
rale. Mentre che il general comandante Kanzler, che i referti gari-
baldeschi svillaneggiarono, con tutto il suo Stato maggiore caval-
cava con tale non caranzadel fuoco nemico, che un colonnello stra-
niero, veterano di guerra (il quale cel riferì esso stesso) si fece ar-
dito di avvisarlo di cansarsi, perche era preso di mira. Invece il
borioso Stato maggiore garibaldesco non sappiamo quanto si ci-
mentasse di sua persona: solo sappiamo che il dimani della disfat-
ta, nel primo Referto da sé pubblicato, ignorava tuttavia d' avere
avuto che fare con un corpo di Francesi ! Il che confermò eziandio,
con formata confessione, il Bertani in pieno parlamento di Firenze.
Garibaldi poi, più ignorante che il suo Stato maggiore, salutato da
un colonnello italiano, di là dal confine, rispose, non già colle poe-
tiche ed eroiche parole, che gì' indossa il benigno Guerzoni, ma
con uno storico prosaismo : — Siamo battuti !
300 I CROCIATI DI SAN PIETRO
— Da chi? dai Francesi?
— No, no : battuti dai Papalini... Con quelle carogne non si po-
tea vincere. —
Infelice gioventù, che segui la trista insegua! Tradita prima, vi-
lipesa poi. Gli stessi capi della garibalderia, nella rabbia della
sconfìtta, contro i loro soldati si rivalevano della sciagura, ond'essi
più clic ogni altro erano colpevoli. 11 Berlani va raggranellando i
fatli delle loro vigliaccherie, il Rapporto del loro Stato maggiore
non rifìu a di trovare trai volontari! gl'indocili, i fuggitori, gli
agenti malefìci, e ehi loro dà iella ; il Guerzoni canta spiccicato,
che il grosso del corpo non si battè beneì Almeno il generale Kanz-
ler, nel raccontare in termini, oltre ogui dire modesti, la vittoria
degli Alleati, non dinegò una consolazione ai vinti, confessando che
« i movimenti del nemico furono ben diretti, che fidando sulla sua
superiorità numerica e nelle favorevoli sue posizioni, valorosamente
si difese su diversi punti, ed in particolare dietro le mura eie bar-
ricate. »
Meglio che le alterige e le ire da scena ai capi garibaldeschi sa-
ria convenuto il rimorso. 11 corpo del loro delitto era presente; e
in quale orrido aspetto! Migliaia di giovani, strappati alle loro case
per forza di seduzione e aizzati al più esecrabile dei misfatti, erano
dal Garibaldi ricondotti verso le loro famiglie, dopo la più sangui-
nosa e disonorata delle punizioni. Più di ottocento loro cadaveri,
giacevano sul campo di Mentana, sui quali non polea scendere la
benedizione della Chiesa, né l'onoranza di alcuna patria, nò il pub-
blico lutto degli onesti. Durò più giorni l'opera del rintracciarli e
seppellirli. Se ne trovava per tutto : e, mentre i morti di parie pon-
tifìcia mostravano a sembianti di avere agonizzalo da cristiani, i
garibaldini si distinguevano eziandio alle forme truci, alle giaciture
orribili, alle chiome scarruffale, agli occhi schizzanti fuori l'orbite
e sanguigni, ai volti, ancora nel pallore della morte, pieni d'inenar-
rabile disperazione : parcano demonii percossi dalla folgore divina.
Ne dubili pure il profano : noi attestiamo ciò che ci attcstarono uo-
mini gravi, sacerdoti, soldati, ufiìciali superiori. Sopra alcuni si
rinvennero frammenti di vasi sacri, con reliquie dell' Ostia adorabi-
le, prova delle rapine sacrileghe esercitate : e, che peggio era, so-
XCVIII. MENTANA, 3 NOVEMBRE 301
pra le membra di più d'uno si scopersero punteggiati simboli set-
tarii, e demoniaci, e nefandi, e immagini appese al collo da fare
invidia all'inferno. Chi fu parte di quelle bolge di empietà e di sco-
starne, se leggerà queste carte, dirà: Pur troppo !
Di feriti poi non è facile dare il computo esatto. Ben è certo che
il domani della battaglia le novelle ne corsero al Governo di Firen-
ze, come di un eccidio. « Il Governo ( telegrafava il legato La Vil-
lestreux a Parigi ) ha ricevuto questa mattina la notizia, che le ban-
de garibaldine, sono state tagliate a pezzi. Si parla di tremila uo-
mini uccisi o feriti, Garibaldi è riuscito a fuggire. » Dopo venne-
ro le artificiose menzogne composte nei referti garibaldeschi ; le
quali non valsero tuttavia a fare inganno , almeno in Italia. Men-
tana era ingombra di piagati , Monte Rotondo n' era piena , le cam-
pagne n' erano coperte. Di quelli che si poterono carreggiare, Ro-
ma ne accolse oltre a dugento : al torrente Corese n era ammon-
tonato da novecento in mille , si per giovarsi delle acque , si per
attendere i vagoni. In un rapporto di un ufficiale di Gendarme»
ria pontificia al Ministro, dato il 15 Novembre, si leggeva : « Dal
punto di Corese fino a Terni e più oltre via facendo saranno morti
di ferite circa un migliaro di Garibaldini. » Durante molti giorni
le ferrovie trasportarono feriti: ne riempirono gli spedali di Poggio
Mirteto, Terni, Narni, Spoleto, Foligno, Perugia, e assai più in-
nanzi ne scaricarono insino a Bologna, Firenze, Genova. E la gente
fare comparazione tra 1' andata e il ritorno di quella stessa gioven-
tù, che ne' giorni passati avea veduto irrompere chiassosa alla fer-
rovia cantando e insultando il cielo; e ora si calava dai carrozzoni a
braccia altrui, altri mal reggenti sul bastone, altri colcati a traver-
so i fiàccheri o distesi sulle barelle , tutti più o meno storpiati delle
membra, mal fasciati, senza cappello, colle camicie strambiate.
Cosi si risapevano quasi cogli occhi le vere novelle di Mentana, e
si accresceva fede ai paurosi racconti dei reduci alle lor case , che
ne novellavano come di un macellamento.
GÌ' Italiani che ricordano quell' universale e prolungato spettaco-
lo di vendetta divina , che traversava le loro contrade , riconosce-
ranno per molto inferiore al vero il novero dato dal Rapporto pon-
tificio, di un migliaio tra morti e feriti garibaldini. Fu preso dai
302 I CROCIATI DI SAN PIETRO
primi e minimi ragguagli dopo cessalo il fuoco. Il computo poi del
rapportatore Fabrizi, compreso in cencinquanta morti e dugento venti
feriti, è sì manifestamente fallace, che volentieri lo trascuriamo.
Ognuno scorge l'intento di tale menzogna. 11 perchè altri si piac-
quero d'istituire un ragionato ragguaglio Ira la guerra dell'Italia
contro l'Austria nel 1866, e la guerra regiogaribalda contro Roma
nell' anno seguente , ed affermarono che la sola giornata di Menta-
na costò più perdite che l'intera campagna precedente. Nò noi di
questo sangue prendiamo diletto : a Dio solo si appartiene compia-
cersi nella sciagura dei colpevoli, che egli punisce; a noi spelta
inorridire, e registrare nella storia gli esempii del celeste castigo.
Ma torniamo al campo di Mentana, alla sera dopo la battaglia. Il
generale Kanzler, sbaragliato il nemico, provvide a proseguire di-
mani la vittoria, se mai la garibalderia a Monte Rotondo o altrove
rifacesse testa. Sul terreno conquistato, cioè a vigna Santucci, raunò
il consiglio di guerra. Fuvvi risoluto di chiamare da Roma alcuni
battaglioni di milizie fresche, a scambio e rinforzo delle stanche, in
evento di avere a combattere a Monte Rotondo la mattina vegnente.
Quanto al pugno di nemici rimaso in Mentana, piacque di rispar-
miare al tribolato popolo di Mentana gli orrori di un assalto not-
turno: tanto più che a giorno chiaro si sperava ottenere l' intento
per ispontanea dedizione, senza spendervi una goccia di sangue. Si
inlracchiuse ai Garibaldini ogni scampo drizzando le tende tutto in-
torno, e specialmente dal lato di Monte Rotondo. Ogni corpo fece
massa alla sua bandiera, l'artiglieria rimase carica e utlelata, i po-
sti frequenti e numerosi. La colonna Troussures, che ignara degli
ultimi ordini, era salita a ridosso del paese, vi entrò, penetrò in va-
rie case, vi fece gran copia di prigionieri : poi riconosciuta la con-
dizione delle cose, traversò con raro ardimento e pari felicità il vil-
laggio, e si recò a campeggiare presso un battaglione francese.
Trattante i comandanti chiamavano a rassegna ciascuno il suo bat-
taglione; e al vedersi ricomparire davanti, vivi, sani, esultanti i loro
soldati, sclamavano di maraviglia e di laude a Dio. Avevano presen-
te al pensiero i disvantaggi di tanti assalti, i contrasti di tante lolle,
il ferro e il fuoco di quattr' ore di battaglia; e ognuno trepidava di
avere forse comprato a carissimo prezzo la vittoria. Invece si aecor-
XCVIII. MENTANA, 3 NOVEMBRE 303
gevano che, valutando solo il numero e non la preziosità delle vitti-
me cadute, lo scapito era inferiore alle ragioni della guerra, e sem-
brava che un misterioso scudo celeste avesse protetto le milizie cro-
ciate. La brigata Polhès, sopra duemila uomini quasi tutti entrati in
battaglia, ebbe due morti, uno scomparso, trentasei feriti, tra i qua-
li ultimi il capitano Marambat e il tenente Blanc: la brigata Cour-
ten, oltre agli ufficiali mentovati più innanzi, contò Ira i Zuavi ven-
titré morti e cinquantacinque feriti; nella Legione francoromana, sei
; nellMitiglieria, un morto e due feriti ; nei Dragoni, un ferito;
mi battaglione dei Carabinieri esteri patì danni proporzionalmente
più gravi che in niun altro corpo, perche sopra cinquecento venti
uomini vi ebbe cinque morti e trentasette feriti. In tutto, il campo
alleato deplorava censettantadue perduti, dei quali, morti trenta-
<lue: non uno di meno, non uno di più.
Tale era l'esito della giornata, alla sera. Non tutto però ravvisa-
vasi immediatamente, a cagion della notte: ma il sorgere dell'auro-
ra vegnente il rischiarò di luce vie più fortunata . Non v'era più ve-
stigio di Garibaldini in Monte Rotondo, tranne di feriti: nella notte
si era accresciuta dai Zuavi la turba de'prigionieri; all'alba il mag-
giore Fauchon, francese, penetrò dentro Mentana e no prese un al-
tro gran numero, spendendovi poche moschettate, giacche in certe
case, bastava bussare alla porta, scendevano e si davano prigioni;
finalmente sul castello sventolava la bandiera della resa. Quivi era-
no rinchiusi sette od ottocento Garibaldini, e ben si potea credere,
con poche munizioni, senza cibo, nò uscita, nò speranza, e guardan-
do le artiglierie in resta, pronte a percuotere il castello sino a sep-
pellirne i difensori. Però quando il capitano Cavo, loro parlamen-
tario, propose al generale Kanzler di capitolare in mano di Fran-
cesi, e partire cogli onori della guerra, mosse le risa dei circo-
stanti. Tuttavia, per non ismettere la fin qui usata generosità, il
Kanzler concesse che i rinchiusi del castello (non i presi dentro il
villaggio, come mentirono alcuni) uscissero inermi, e gli ufficiali
colla spada; una compagnia francese li scortasse al confine. Della
quale condescensione il motivo potissimo si fu, che le carceri di
Roma e di Civitavecchia già contenevano da 600 prigionieri gari-
304 I CROCIATI DI SAN PIETRO
baldini, 1400 se n'eran presi a Mentana; e perciò volentieri si ri-
nunzia va al dispendio e alla molestia di altre centinaia.
A Monte Rotondo il colonnello Frémont aveva piantato il vessil-
lo del Papa e dell'Imperatore; e il generale Kanzler vi promosse il
campo, con intendimento di avvisare al discacciamento totale del
nemico dall'estremo lembo del confine. Vi entrò col generale di
Polhès a fianco, e le truppe alleate in ordinanza. L' incontro, e le
grida di gioia dell'infelice popolo erelino eguagliarono in intensità i
dolori dei dieci giorni d'agonizzamento sotto la tirannia garibalde-
sca. Francesi e Pontificii non si ricordavano di avere visto mai si-
migliante burrasca di festeggiamento. Pareva una frenesia univer-
sale. Ma quando le milizie ebbero veduto cogli occhi proprii la de-
vastazione di Monte Rotondo, e tutte cose sacre e profane orribilis-
simamente manomesse, impararono, che nella liberazione di sì atro-
ce oppressura, la frenesia era ragione. E questo fu il primo plauso
ai vincitori di Mentana.
Non fu d'uopo muovere l'armi oltre Monte Rotondo : i Garibal-
dini del Garibaldi già erano ricoverati oltre il confine, disarmati,
spediti alle loro case; il battaglione di Tivoli, ritiravasi; l'Acerbi
a Viterbo, e l'Orsini successore del Nicotera in Frosiuone, ripiega-
vano le insegne; il Menabrea, forzato dalle minacce di Parigi, ri-
chiamava i battaglioni reali, carcerava il capomasnada Garibaldi,
mal riuscito nel suo mandato. La guerra romanogaribaldina era
terminata.
Il generale Ermanno Kanzler, di sì grande lauro adornato, non
pensò a ricondurre con pompa il piccolo esercito vittorioso. Bensì
diede ordini urgenti per la piena ristorazione del Governo pontifi-
cio nelle province, ove con gaudio mirava i popoli rialzare gli
stemmi del Papa Re, a mano a mano che ne diloggiavano gli op-
pressori; provvide al trasporto e al governo dei feriti; rassicurò con
nobili parole di conforto i poveri prigioni ; questo e il dì vegnente
concesse al riposo ; ed egli tornossi a Roma la sera del 4 Novembre.
Un popolo fìtto aspettava l'arrivo dei prigionieri a porta Pia: e
quando vide invece di essi arrivare a cavallo il generale Kanzler,
con piccini sèguito di ufficiali, lui e questi accolse con viva ovazio-
XCVIII. MENTANA, 3 NOVEMBRE 305
ne, sino alla discesa di Monte Cavallo, ove la comitiva salì in vet-
tura per rendersi al Vaticano.
Il giorno 6, nelle ore pomeridiane le truppe si avvicinavano ai
quartieri della capitale. Cavalcava ad incontrarle il generale Ranz-
ler, con a Iato il generale de Failly , sommo comandante della
spedizione francese, e ciascuno d'essi circondato dai grandi uffi-
ciali e dal proprio Stato maggiore in gala, che mescolati insieme
davano vista di nobilissimo corteggio. Le truppe avevano consegna
di procedere unite sino alle Quattro fontane, e quivi, prima d'inol-
trarsi nel cuore dell'abitato, dividersi alle proprie stanze. Brevi e
militari si fecero le prime accoglienze fuori la porta Pia ; dopo di
che i generali postisi alla testa rientrarono in città e vennero a
far alto in sulla piazza dirimpetto a Santa Maria della Vittoria ,
nel qual tempio pendono i vessilli musulmani guadagnati a Le-
panto. Colà era convegno d'eccelsi personaggi e di principi, trai
quali primeggiava il Re delle Due Sicilie, Francesco II. Come pri-
ma vi ebbero preso posto i Generali delle armi alleate, le fanfare
dettero negli stromenti, e cominciò lo sfilare delle due brigate, pre-
cedute dai proprii generali di Courtenedi Polhès, con bella corona
di ufficiali di campo. Entravano in Roma nello stesso ordine con
cui erano entrate nella battaglia.
Semplice, come ognun vede, era la festa, che il vincitore di Men-
tana destinava ai valorosi cui avea condotto alla vittoria. Nulla si
poteva immaginare di più modesto. Ma il popolo, il vero e grande
popolo di Roma supplì di per sé alle debite onoranze. Niun invito di
pubblici magistrati 1' avea slimolato; noi chiamava allettamento ve-
runo di apparati, di spettacoli, di archi di gloria; solo quattro ri-
ghe sopra un giornale della sera antecedente annunziavano il ritorno
delle truppe. E pure Roma avea, si può dire, diserti i suoi alberghi
per iscagliarsi sulla via dei reduci di Mentana : il trionfo era decre-
tato a cuor di popolo, e celebrato con quella fiamma di entusiasmo,
con cui il popolo esegue i suoi decreti. Dal Quirinale a porta Pia',
e più innanzi fino a ponte Nomenlano, che è quanto dire per otto
o nove chilometri di strada, fiottava una folla infinita, che ingros-
sava ad occhio veggente, pel continuato sopraggiugnere di nuove
Serie Y1I, voi. XI, fase. 489. 20 26 Luglio 1870.
30 G 1 CROCIATI DI SAN PIETRO
Inaiare di spellatoli: finestre, poggi, tetti, ogni rialto attorno era
gremito, confondendosi insieme tulli gli ordini sociali da un solo
pensiere: Salutare di persona i vincitori, e rendere grazie ai salva-
tori di Roma e di Pio IX.
JNiuna pompa lungamente e dispendiosamente architettata para-
gonare si potrebbe al solo accoglimento, fatto ai generali Kanzler e
de Failly, allorché apparvero tra la moltitudine. Prorompeva intorno
ad essi altissimo l'applauso e la gioia degli Evviva, e l'ebbrezza del-
la riconoscenza cordiale. Nel Kanzler si onorava il fermo condottie-
ro della guerra felicemente condotta a termine, l'ordinatore celere,
il soldato cimentoso, il generale provveduto e irremovibile dell'ul-
tima giornata di Mentana: nel Failly il popolo romano impersona-
va il magnanimo soccorso deli' esercito francese, V imperatore Na-
poleone III che l'avea mandato, la intera Francia che i'avea voluto;
ed il Failly potrà ridire, se giammai un popolo può mostrarsi più
ardente nelle significazioni della sua gratitudine.
Non bastava ai Romani l'acclamare i generali; volea versare, se
cosi può dirsi, il suo affetto di ammirazione e l'animo riconoscente
sopra ciascuno de' suoi difensori. Però allo spuntare delle desiate
insegne della vanguardia, Zuavi e Artiglieria, ancora lungi da Ro-
ma, la massa popolare venuta all' incontro, levandomi clamore fra-
goroso di saluto, aprivasi in due spalliere, folle di teste umane, e le
abbracciava in mezzo, involgendole in un osanna continualo e ine-
narrabile di Viva i vincitori di Mentana ! viva Pio IX ! viva la Fran-
cia ! viva il Papa Re ! e ciascuno inventare nuove espressioni e più
gentili, e più calde, e più vivaci, secondo che dettavagli il cuore
commosso di giubilo smisurato. Ed era per verità spettacolo da e-
leltrizzare, non che i Romani si sensitivi e briosi, ma ogni animo
che pur di umano tenesse, l'aspetto di quella gioventù fiorente, in
vaga ordinanza e in isvariate assise, renduta vie più bella dalla
polvere, dal sudore, dalle vesti lacere, dall' armi spezzate in batta-
glia; circondata poi dall'aureola di tante fazioni, ardue, moltiplicar
te, strenuamente combattute e di sangue bagnate, insino alla piena
sconfitta di un odiosissimo nemico. Accresceva la riputazione dei
vincitori, nel cuore del popolo, il sapersi che quei capitani e quei
XCVIII. MENTANA, 3 NOVEMBRE 307
soldati erano infine tutti volontari^ moltissimi pellegrinati da lonta-
ne patrie, e non pochi, ancor tra i gregarii, nobili di chiare stirpi, o
cittadini agiati, che aveano lasciato famiglia, sollazzi, amici, spo-
se, por venire a portare il fucile, altra mercè non vagheggiando,
che di versare il sangue per Pio IX e la Religione. Cotali grandez-
ze dimorava» presenti e si ergeano brillanti dinanzi al pensiero di
ciascheduno : quindi il rinnovarsi ognora più strepitosa la festa a
ciascun corpo che appresentavasi, nuovi scrosci di Evviva ai singoli
comandanti più conosciuti, nuovi trasalimenti di laude a chi si por-
tava il braccio al collo, o segno di ferita.
La brigata francese, conosciuto da lungi di che si trattasse, si
acconciava alla mostra: gli ufficiali si rassettavano, sguainavano le
spade, i soldati si allineavano, regolavano il passo. Ma non imma-
ginavano l'un mille della trionfale esultanza che gli aspettava. Ap-
pena credevano che tanto numero di abitanti fosse in Roma, quan-
to ne vedevano cogli occhi loro. Dovunque volgessero lo sguardo, in
alto e a lato, incontravano volli ridenti, e mani levate in atto di ap-
plaudire, e cappelli inchinati al saluto; e i buoni popolani raccoglier-
si sulla punta delle dita un bacio e soffiarlo a volo verso quei vol-
ti marziali, non pria conosciuti, ed amati solo perchè amici a Roma
e a Pio IX! e con questo salve animatissimo, in italiano e in fran-
cese, di Viva la Francia ! viva Y imperatore! viva i soldati france-
si! viva i difensori di Pio IX! viva i soldati della Chiesa! E fu
notato che certi ufficiali più volentieri ringraziavano con saluto
di spada al grido: Viva la Francia cattolica!
Forse alcuni dei veterani ricordavano Y ingresso in Parigi, dopo
un'altra e ben più vasta guerra vinta pure in Italia : ma se quello
fu più adorno, questo era incomparabilmente più glorioso. Poiché
se gloria è un tributo di comune reverenza a contraccambio di azio-
ni egregie, e se la dignità dell' opere non dal numero degli esecu-
tori, sì bene dalla nobiltà dello scopo si misura; la nazione france-
se poteva andare altera di avere meglio vinto a Mentana che a Sol-
ferino. Sui campi di Solferino cataste di ossa francesi fondarono una
Italia, naturale nemica della Francia, un' Italia cui dee tenere in
rispetto col cannone in batteria sulle Alpi, un'Italia mendica, abbiet-
308 I CROCIATI DI SAN PIETRO
ta, rapace, sacrilega, tiranncggiatrice dogi' Italiani, i quali la de-
plorano imposta sulle loro cervici come una pubblica sventura. Lad-
dove i ehassepol incignali a Mentana, avevano ridestate le Gesta Dei
per Francos, e col primo loro lampo creato tanta luce di vera lau-
de, quanta non ne produrranno in lunghi secoli di fragorose cam-
pagne ; e dietro sé lasciato una delle più onorate pagine, onde si
abbellì la storia di Napoleone III, anzi pure della Francia moder-
na. Da Solferino la Francia raccolse Sadowa; da Mentana, il plebi-
scito dell' 8 Maggio : Solferino colmò di lutto principi e nazioni ;
Mentana recò letizia a quanti cuori onesti battono in petto agli uo-
mini, niun Re sentì vacillare in capo la sua corona, niun popolo fu
propriamente vinto a Mentana, bensì solamente furon vinti i barbari
fuor d'ogni società e rigettati dalla frontiera delle genti civili. Ro-
ma custode di ogni umano diritto accoglieva pertanto i soldati del-
l'aquila imperiale, come i crociati di S. Pietro, con un applauso si-
migliante, anzi con uno stesso. E bene scorgevasi a vista, che la
coscienza dell'onorata impresa diffondeva un verace tripudio di fe-
licità nei forti petti ricoperti della assisa francese.
Non mancarono nel lungo tragitto scenette ora pietose, ora piace-
voli a rifiorire di varietà lo spettacolo. Tra un gruppo di popolani
stava ritto, ed a bocca aperta, un vecchio campagnuolo, con a lato
una sua figliuola, giovane sposa risplendente, che si veniva divo-
rando coi baci il più paffuto e rosato bimbo che vedere si possa.
Ora il canuto uomo, ad ogni ripresa dello strepitare, altro non sa-
peva fare, fuorché giugnere le mani, e levar gli occhi al cielo, e
dire: Viva la Madonna! — Ma perchè, babbo, non gridale come gli
altri? — Perchè la Madonna ha fatto tutto essa: per me, Yiva la
Madonna! — Altrove uno scoppio di risate, che si propagava. Che
era? Una compagnia francese, avea preso sul nemico un asino, e Io
traeva seco, troppo lieta di fargli portare una parte del bagaglio.
E i Romani gridare: Ecco la cavalleria di Garibaldi! Il motto Iacea
fortuna, passava di bocca in bocca, percorreva la contrada: Allenii!
passa la cavalleria di Garibaldi. — E i soldati baioni, reggerlo per
la cavezza, mostrarlo in contegno, e pigliare sollazzo della celia.
Qui e là sorse talora un cominciamcnlo di fischiale, non già pel
XCYIII. MENTANA, 3 NOVEMBRE 309
ciucherello festivo, ma per una carrettata di Garibaldini, che ve-
rnano tratti prigionieri. Il generale Kanzler, con umanissimo intento,
avea provveduto che le filaie dei prigioni, entrassero in città alla
sordina, anticipatamente, perchè non servissero di spettacolo al
popolo irritato: perdonava ai vinti, e a quali vinti! e dopo le sevi-
zie usate ai Pontifìcii presi a Monte Rotondo! Solo questi entrarono
in città coi vincitori, perchè trovati dopo la partenza dei camerati.
Però se essi ascoltarono alcuna volta acerbe rampogne, dovettero
altresì notare, che subitamente i circostanti davano sulla voce ai
gridatori, rammentando loro il rispetto ai vinti: e allora a coro pie-
no si mutava il grido d' insulto in un più lieto e cortese: Viva il
Papa Re! Viva Pio IX!
Non erano anche entrati in porta Pia gli ultimi carriaggi france-
si, mentre la testa della soldatesca già toccava alle Quattro fontane:
onde che l'ampia, diritta, maestosa contrada apparve tutta ad un
sol gitto d' occhio animata dal semplice e pure mirabile trionfo. La
folla assiepata stringevasi ai due lati, ai crocicchi, agli sbocchi delle
traverse: laici, cherici, artigiani, donne, fanciulli, principi, conta-
dini, tutti affratellati in eguale tripudio. Interminabili filiere di car-
rozze in servizio di gala sovreggiavano sui pedoni, piene di signo-
ria; finestre e logge parate a festa, e popolate di ogni condizione
cittadini; e tutto questo mondo muovere in gaudio, agitarsi, e farsi
eco da un punto all'altro, sventolare fazzoletti bianchi, e porre in
cima alle mazze i cappelli ; e le gentili fanciulle dalle ringhiere dei
poggiuoli, o surte in sui cocchi, cogli ombrellini formare candide
bandiere, e spargere fiori e corone, che i soldati prendevano sulle
baionette. Si ripercoteva l'esultanza dai borghesi nei militari, e
dai militari nei borghesi, con tanta comunione di sentimenti, che
pareva il corso di quella immensa strada divenuto un festino di fa-
miglia. E dire che sì grande sfoggio di pompa si effettuava per sù-
bito impeto spontaneo de' Romani !
Molto più riusciva improvvisa la festa ai soldati, e però più gio-
conda. Quanti cel testificarono! Venivamo, ci ripetevano essi, ve-
nivamo arsi di sete, stanchi, spedati, sospirando ansiosamente il
proprio quartiere, e lontani le mille miglia dai pensieri di festeg-
310 I CROCIATI DI SAN PIETRO
giamenti : la presenza di un popolo senza numero, sollevato in si
strepitosa dimostranza d' ogni gentile affetto verso di noi, ci riposò
ad un tratto più che qualsiasi riposo. Più non ci pesavan l'armi e
gli zaini, il pie scivolava leggero su quella via infiorata dall'amor
cittadino, e ci era dolce l' aver combattuto per un popolo sì vivo
alla riconoscenza, e in mezzo al quale, lungi dal sentirci stranieri,
formavamo una sola famiglia, nella stessa casa paterna, attorno al
nostro padre, Pio IX.
Pio IX solo mancava al trionfo, in cui coli' onore de' suoi soldati si
solennizzava pure una novella sua gloria. Si riserbava ad accoglierli,
ringraziarli affettuosamente, premiarli e promettere loro più degni
premii nel cielo; e tutto ciò esegui a suo tempo, in quella guisa che
sa fare Pio IX: ma intanto che i suoi crociati rientravano in Roma
tra i plausi, egli più volentieri si avvolgeva tra figli suoi feriti o
moribondi, negli spedali. Tuttavia era stato il primo a rendere gra-
zie a Dio, come era stato il primo a risapere la notizia del celeste
favore ottenuto. Appena il generale Kanzler ebbe misurato l'am-
piezza della sua vittoria, e il successo decisivo della guerra, non si
contentò di mandare a Roma un bullettino di novelle, ma spacciò
al S. Padre un legato. Elesse a ciò un romano, il giovane principe
D. Filippo Lancellotti, uno dei molti arrivati allora nel campo al
sollievo dei feriti, pontificii e garibaldini, collo stesso ardore, onde
ne' giorni precedenti erano accorsi alle fazioni militari tra i Volon-
tarii romani. Giunse egli più colle ali che coi cavalli al Vaticano: e
Pio IX ascoltò il racconto della picciola ma rilevantissima giornata,
coi sensi medesimi, onde Pio Y aveva ascoltato i legati di D. Gio-
vanni d'Austria, dopo la giornata di Lepanto. Pio IX, come Pio V,
aveva tenuto le mani alzate al cielo, mentre i cristiani combatteva-
no contro i nemici del nome cristiano : e se il sangue sparso dei figli
suoi dell' una e deli' altra parte non poteva non contristare il cuore
mitissimo del comun Padre; pure la pronta liberazione di Roma, e
l'incomparabile vantaggio assicurato alla cristianità, colmarono il
suo animo grande di consolazione esuberante.
Non pensò, ne siam certi, al suo proprio esaltamento. E pure il
suo nome, più che altro, aveva ratinato l'esercito, e trattovi i nobili
XCVIII. MENTANA, 3 NOVEMBRE oli
alleati dalla Francia, e condotti i comandanti tra il più vivo balena-
re dell'armi, spronata la gioventù nei cimenti, addolcite le loro ago-
nie, e rendute serene le loro morti: il suo nome, invocalo perfino
dai nemici, aveva loro cento volte impetrato il perdono, sotto le ba-
ionette. Però se Pio IX si mostrò più grande che la sua gloria, a
noi, come a figli, non disdice il rallegrarci della nuova corona, ve-
nuta a rifulgere con tante altre sul suo capo paterno. Non gliela im-
pose già solamente, come avviene ad altri principi, il senno 4' un
suo generale e il valore di un esercito di sudditi, comandali alla
guerra: ma ad intrecciarla concorse a gara il braccio e l'amore dei
figli suoi sparsi per tuttala terra. A Mentana, a fianco del Romano,
si operò gran numero di Italiani di svariate province; la nazio-
ne francese, oltre T arrolare tanta gioventù sotto lo stendardo di
S. Pietro, vi spiegò a nome pubblico la bandiera del sovrano; vi
combatte l'Olandese, il Belga, il Germano, F Inglese, l'Irlandese,
lo Spagnuolo, il Polacco, il Russo, l'Asiatico, l'Africano, l'America-
no. Qual Re, in un giorno solo vide tanti popoli, unanimi e volonta-
rii, travagliarsi per incoronarlo di vittoria? Quale vittoria echeggiò
fausta, bramata, benedetta a tanti popoli? il perchè, senza dubita-
zione veruna affermiamo, che nell'avvenire, quando già l'ombra dei
secoli avrà oscurata la nomea delle più smisurate battaglie dei tem-
po nostro, la picciola Mentana sopravviverà nobile e chiara ogni di
meglio, sarà il racconto gradito ai figli dei cristiani, e santo orgo-
glio di chi potià nominare un antenato tra i vincitori o tra i morti
della santa battaglia.
SGUARDO RETROSPETTIVO
SOPRA
V AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
DAL 1860 AL 1870
IN ITALIA1
YIL
Nel precedente quaderno esaminammo donde traesse il Governo
italiano quella ingente somma, che fu da lui spesa dal 1860 al 1870.
Passiamo ora a fare qualche utile considerazione intorno al dove la
spendesse.
Yi sono casi, nei quali la necessità estrema obbliga un buon"am-
ministratore a far grandi spese, e ad indebitare per esse il patri-
monio confidatogli. Si dà anche caso che un amministratore ardi-
to, per la speranza di grandi guadagni avvenire, non esita di arri-
schiare tutto il suo capitale presente, impoverendosi oggi per ar-
ricchirsi domani. La prima è sventura, la seconda è audacia: ma
possono essere scusate quella dalla forza maggiore, questa dalla
maggiore avidità. Ma quando né l'uno nò l'altro impulso vi è, lo
spendere al di là della propria sostanza chiamasi scialacquare : e
chi così spende il suo dicesi dissipatore, chi spende l'altrui dicesi
barattiere. Da simili tacce vergognose non può liberare che la ba-
lordaggine, la quale indica che la magagna non è nel cuore ma nel
1 Y. questo volume, pag. 151 e segg.
SGUARDO SOPRA L AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA ECC. 313
cervello, e se non infama chi la merita, non vale certamente ad
onorarlo.-
Or quale di queste influenze cagionò cotanto sciupio di denaro
in questi nove anni all'Italia? La risposta conveniente non può
darsi, se non quando avremo trascorso ad uno ad uno i capi prin-
cipalissimi delle spese fatte.
Suol dirsi che l'una delle cagioni per l'aumento delle spese in
Italia sia stata la trasformazione. Per cacciar via i Principi regnan-
ti nei varii Stali d'Italia, ci è voluto denaro. Per unificare gli an-
tichi Stati in un sol regno, ci è voluto denaro. Per impiantare la
libertà nell'Italia unificata, ci è voluto denaro. Per conservare in-
fine l'unificazione e la libertà nell' Italia, ci è voluto denaro. Nulla
di tutto ciò occorreva nell'antica Italia ; qual meraviglia fa dunque
che siavi ora stato tanto maggior dispendio di prima?
La meraviglia vi è, e vi è tanto se si consideri il fatto della tra-
sformazione, quanto se si considerino i suoi effetti naturali sotto il
risguardo finanziario. Se si consideri il fatto della trasformazione
non s'intende il perchè abbia dovuto costar tanto denaro. Giacché
non si dissero maturi i tempi all'unità, esosi i Principi ai popoli,
spontanee le annessioni, volonterosi i plebisciti, desiderata la di-
nastia di Savoia? Stando alla storia, come ce l'hanno fatta i trasfor-
matori dell" Italia, tutta la mercanzia necessaria a questa impresa
fu gratuitamente offerta, e non dovette costare un soldo solo. Vero
è che essi pure ammettono delle eccezioni : qualche resistenza qua
e colà: qualche spedizione di volontarii, e qualche invio di soldate-
sche: ma ciò potea generare un lieve dissesto momentaneo, per la
piccola cosa che fu, e non già uno sconquasso si grave, da rovinare
le finanze d'un gran paese.
Che se le Finanze furono rovinate di fatto, allora quelle storie di
spontaneità, di maturità, di generosità van tutte a monte, e il di-
spendio si spiega colla compera delle opinioni, delle fedeltà, delle
coscienze. L' unità d' Italia diventa opera di ambizione o di fa-
zione, non di utilità o desiderio pubblico: e molto più ancora che il
fatto del dispendio è da condannarsene la cagione. Si è sprecato sì
gran denaro per corrompere le coscienze. Guai grideremo qui a
314 SGUARDO SOPRA L AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
chi si lasciò corrompere, ma molto più guai a chi riuscì a corrom-
pere ! La corruzione congiunse le divise parli d' Italia : la cor-
ruzione sfascerà questo corpo sì malamente accozzato.
Ma pur si mandi buona questa necessità di versar denaro per far
l'Italia una. Il fatto riuscito dovea compensare l'opera e la spesa.
Vi erano prima sette liste civili: vi erano sette amministrazioni cen-
trali: vi erano sette barriere politiche e doganali : vi erano sette
rappresentanze presso ogni Stato forestiero. Tutto ciò è caduto col-
l'unità: ed ora vi è una sola lista civile, una sola barriera, una so-
la capitale, una sola rappresentanza. Quanta economia, e quanti ri-
sparmii ! Non dovrebbero essi nei nove anni di mezzo tra il 60 ed
il 70 aver dato già un compenso larghissimo a quelle spese, per dir
così, d' impianto di questa Italia unificata?
Indubitatamente dovrebbero: e tanto ciò è manifesto, che ad ac-
calappiare i popoli questo argomento appunto si recava loro per ec-
citarli a volersi congiugnere in uno Slato unico; siccome quello che
più d'ogni altro era ragionevole, se si sguarda soltanto all' interes-
se. Ma quelle erano lustre; le realtà sono state contrarie alle pro-
messe, e gli sparagni che dovevano farsi si convertirono in fidali
dissipamenti.
Né vogliamo credere che altri ci arrechi come cagione plausibile
di maggiore spesa la libertà conceduta agi' Italiani nella trasforma-
zione fattasi dell' Italia. Questa cagione sta bene in bocca nostra,
ma non istà bene in bocca dei libertini. Poiché tutti i difensori de-
gli ordini liberi fanno a gara per esaltarli, siccome i più capaci di
dare il Governo a buon mercato: e citano di continuo l' Inghilterra
e l'America, quali pruove splendidissime della loro affascinante teo-
rica. Perchè ciò non dovea accadere in Italia ? E se doveva acca-
dere, chi lo impedì? 0 Y Italia libera adunque dà una mentita alla
teorica: o la teorica dà una mentita all' Italia libera.
Vili
La seconda cagione delle spese straordinarie di questi nove an-
ni è stata l'armamento. Distraili gli antichi ordini militari dei sin-
DAL 18G0 AL 1870 IN ITALIA 315
goli Stati si è voluto costituire un esercito nuovo, modellato in gran
parte sulle tradizioni piemontesi: e si è voluta creare una marina
consentanea ai tempi, e proporzionata a grande Stato. Or come
siasi a ciò riuscito amministrativamente e politicamente parlando,
tutti il sanno e tutti Io ripetono in Italia. Per la marina ninno igno-
ra la relazione fattasene dalla Commissione della Camera, delegata
a fare minuta ed universale inchiesta dello stato in che si tro-
vava or sono quattro anni : dalla quale si deduce essersi più che
largamente speso il denaro, ma non essersene indi avvantaggiato
l'armamente marittimo. Per l'esercito di terra ci basta il giudizio
d'un uomo competente, d'un Luogotenente generale, il Duca di Mi-
guano, il quale dopo aver dimostrato che il soldate italiano costa
allo S-tato più che non costi alla Francia il soldato francese, molto
più che non costava al Regno delle due Sicilie il soldato napolita-
no, tuttoché il soldato italiano non sia nutrito meglio che quei due
eserciti, e sia tanto peggio calzato, vestito, alloggiato, armato ; ne
arreca tutta la colpa al sistema attuale di amministrazione *. L'am-
ministrazione adunque è riuscita a far pochissimo con molto, vo-
lendo armar la nazione : tutto al rovescio d'ogni buona idea di
governo.
Per rispondere poi al vantaggio politico cavatosi da cotale ar-
mamento, non vogliamo dir nulla del nostro. Ci contenteremo di
citare le parole da un illustre deputato, caldo promovitore e soste-
nitore dell'unità italiana, dette 1*11 Giugno di quest'anno nell'aula
parlamentare in Firenze. « Quanto alla rapida guerra, vogliate no-
tare che anche la Prussia armò, ma senza sbilanciarsi e fece Sado-
wa: e che noi sperperando, per nostra sciagura, abbiamo avuto
Custoza. Quanto alla marina,, ricordate che l'Austria la curò senza
dissestarsi, e sopprimendone perfino il Ministero, e per nostra scia-
gura, fece Lissa. » Fin qui egli: e bastava, poiché le due sole pa-
role Custoza e Lissa dicono tutto.
Seguono in terzo luogo le spese profusamente fatte per le opere
pubbliche. Per questo capo sarebbe degnissimo di lode il Governo
1 Vedi i due Opuscoli. : Economia senza riduzione. Opuscolo I, e Opusc. II.
Napoli 1870.
31 6 SGIARDO SOPRA L AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
d'Italia, quand'anche avesse un po'ecceduto , se la sapienza nel
condurre quelle opere, e la prudenza nel proporzionarvi le spese
avessero preparato agl'Italiani nuovi agi e nuove prosperila. Ma
così non avvenne di fatto. In primo luogo quelle opere pubbliche,
fatte a spese di tutti i contribuenti, non si sono egualmente distri-
buite sopra tutta l'Italia: anzi quasi nulla ne è toccato alla Sarde-
gna, agli Abruzzi, alle Calabrie, e pochissimo alla Sicilia e alle al-
tre province meridionali. Quindi i lamenti giusti che siansi impo-
verite colle tasse alcune province, per arricchirne colle opere pub-
bliche alcune altre. In secondo luogo si è speso in queste opere
pubbliche non solo versandovi a larga mano per lo passalo le som-
me, ma vincolandovene delle maggiori forse nello avvenire. Pre-
sentemente l'Italia paga ogni anno un sessanta milioni per garanzie
concesse ai capitalisti, per lo più forestieri, che cooperarono alla
loro costruzione: e questi sessanta milioni facilmente col tempo
monteranno presso a cento. Pel servigio adunque che queste opere
pubbliche porgeranno all'Italia, essa dovrà pagare un giorno cento
milioni l'anno : l'interesse cioè di quasi due migliardi. Valgono tut-
te insieme queste opere pubbliche un migliardo solo? Noi non du-
bitiamo di asserire che no, fondati sull'autorità d'ingegneri e di
architetti peritissimi dell' arte loro : ben inteso che non parliamo
delle somme pagate, ma del valore effettivo di questi pubblici edi-
Ticii. In terzo luogo si sono esse intraprese o senza unità di dise-
gno, o senza costanza di esecuzione : cosicché gran parte dell'utile
che avrebbero potuto produrre è diminuito o dalla interruzione lo-
ro per necessaria economia, o dallo slegamento dell'una coll'altra
per inescusabile impreveggenza. Si spese adunque, è vero, in ope-
re pubbliche moltissimo : ma si spese al di sopra delle forze, si
spese senza giudizio, si spese male.
IX.
Una quarta cagione di tanto eccesso di spese furono senza dubbio
gl'impiegati. Essi costituiscono una vera piaga dell'Italia : poiché
quelli che si trovano nell' attività del servigio sono al di là d'ogni
DAL 1860 AL 1870 IN ITALIA 317
ragionevole proporzione col bisogno vero ; e quelli che sono o in
disponibilità, o in giubilazione, formano una seconda schiera di non
molto inferiore alla prima. Secondo i calcoli del deputato De Cesa-
re idal solo ramo giudiziario, facendovi una riduzione d'impiegati,
che per nulla scemi la celerità dei giudizii, potrebbero derivare die-
ci milioni l'anno di sparagno. Molto maggior risparmio fornirebbe
l'esercito d'impiegali che dipende dal Ministero delle Finanze, e
che si consuma in alcune delle entrate più del quarto per ispese di
riscossione e spesso, come ciarlano certe male lingue, è più com-
plice che vindice dei contrabbandi e delle frodi gabellarle.
Un tal disordine fu necessario effetto della rivoluzione. Bisognò
dare un premio a quanti aveano cooperato a farla : o almeno ai più
intriganti: e il premio non poteva essere altro che dar loro un
posticino alla mangiatoia dello Stato, più o men largo secondo
l'appetito e l'epa di ciascheduno. Dunque s'allarghi la mangia-
toia per far posto a tutti, e Pantalone paga, direbbe il Goldoni.
Prima dunque si mandino a casa col soldo della giubilazione tutti i
più onesti e fedeli ufficiali, sotto la coverta che a cose nuove non
eran buoni uomini vecchi. Poscia si creino ufficii nuovi, si moltipli-
chino nelle vecchie cariche il numero delle persone, sotto il prete-
sto dell'ordinar meglio il servigio, e sbrigar più presto gli affari.
Poi da capo colle giubilazioni, per far nuovi vuoti nelle file, e la lu-
stra ne fu V epurazione, che dovea mandar via i cattivi impiegati, e
invece ne mandò i più capaci e i più modesti. In breve ad ogni
nuova fase della rivoluzione, ad ogni nuovo cangiamento di Ministe-
ri, ad ogni nuovo merito di rivoluzionarti s'ebbe sempre lo stesso
ritornello: nuovi impiegati. Evviva la mangiatoia! Evviva l'arte
d'aggrapparvisi! Evviva il coraggio di allargarla sempre più alle
spese del popolo !
Finalmente indicheremo per ultima cagione di così enormi spen-
dii le dilapidazioni, non coverte da altro mantello che quello più o
meno trasparente del segreto. Molte volte si è fatta menzione lungo
il novennio scorso su pei giornali d' Italia eli certe sottrazioni di
1 Vedi il suo opuscolo, intitolato. Presente, passato e futuro d'Italia.
318 SGUARDO SOPRA L AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
somme aiicora vistose, di certe appropriazioni non giustificale, di
certi pagamenti non approvali dalla Gran Corle dei Conti. Molte
volle s'è chiesto, fin nella Camera dei Deputati, che si facesse la
luce sopra queste accuse : si è chiesto il perchè sui bilanci non ap-
parisse orma di una certa ventina di milioni, di moneta erosa sot-
tratta dalla circolazione : s' è chiesto perchè nessun conto si rendes-
se degli ori, degli argenti, dei gioielli, degli arredi sacri rapili alle
chiese: che si nominassero commissioni per prenderne indagini:
che s' istituissero almeno inquisizioni governative. Ma tutte queste
istanze son cadute in vano : e per evitare ogni scandalo s è atteso
dal tempo che il buio coprisse con ombre sempre più fìtte cotesti
imbrogli scandalosi. Ma il buio non poteva empire le casse del te-
soro del denaro sottrattone, e queste sottrazioni hanno aggiunto non
poche dozzine ai milioni sperperati.
Ma peggior effetto di questa indennità conceduta a certi più for-
tunati giuntatoli del pubblico denaro fu il malo esempio dato a tan-
ti altri che aveano in custodia le casse dello Stato. Per non breve
tempo l' Italia ha dato un veramente strano spettacolo d' immorali-
tà. Non v* era mese che non s' udisse essere il tal cassiere della tale
amministrazione sparito, lasciando il vuoto di tante centinaia di mi-
gliaia di lire : e sebbene ognuno di questi furti da per sé non fosse
da tanto, che dovesse gravemente soffrirne l'erario: pur tuttavia
uniti insieme costituiscono una somma, che non può spregiarsi in
questa nostra discussione.
Ma più gravi dilapidazioni ancora sonosi avverate nelle vendile
dei beni demaniali ed ecclesiastici. À fatti compiuti lo ha confessato
lo slesso Governo t, ed oramai è noto che in mezzo allo sprofon-
1 Sarà bene udire questa verità dalla bocca d'uno dei deputati, il eli. sig.
Bertolucci, nelf ottimo e coraggioso discorso che fece nel Parlamento na-
zionale il 4 Luglio 1870. Ecco le sue proprie parole, a Ditemi: che avvenne
del famoso miliardo di beni ecclesiastici che voi con tanto furore vi appro-
priaste come di cosa dello Stato? Divenimmo noi più ricchi? E non si avverò
invece il volgare proverbio che, farina del diavolo va tutta in crusca ? Ve lo
dica lo stesso ministro delle finanze, a cui del resto io professo alta stima e
come scienziato e come statista. Egli nella sua esposizione finanziaria, mentre
DAL 1860 AL 1870 IN ITALIA 319
darsi della pubblica fortuna sonosi improvvisamente innalzate in
Italia d'ogni intorno colossali fortune private. Esse debbonsi a con-
tratti di compere, fatti legalmente quanto alle forme, ma quanto al-
la sostanza così sproporzionati, che d'alcuni una porzione soltanto
della rendita di pochi anni bastò a pagare tutta la proprietà compra-
ta, e in altri moltissimi o la rendita sola o poco più della rendita di
alquanti anni coprì il costo intero. Così gì' immensi tesori che quei
beni comprendevano, si ridussero per l'Erario a un piccolo guada-
gno ; e questo prestamente sciupato ha lasciato allo Stato la infa-
mia di una sacrilega rapina , ed il peso perpetuo di annue pensioni
che dovrà pagare.
Arrestiamoci a questo punto. Ei ci pare che basti una benché
così rapida enumerazione per dare la risposta che cercavamo intor-
no al giudizio che deve formarsi degli amministratori dell'Italia uni-
ficata. Qualche volta sbaragliarono nelle spese il denaro spremuto
alle borse dei contribuenti per dura necessità : ma questa necessità
fu fatta dalla rivoluzione, la quale per conseguenza deve rispondere
di tanto sciupìo. Più spesso ancora il dissipamento dell'erario pro-
cedette da incapacità: ossia di mente a concepire gli opportuni prov-
vedimenti, ossia di volontà a resistere alle inopportune passioni: e
di questa doppia incapacità deve chiedersi ragione alla rivoluzione,
che pose le redini del Governo in mano ad uomini più ambiziosi che
intendeva a togliere alla Chiesa altri beni, non poteva dissimulare che i già ap-
presi furono consumati, e non restò di loro che un punto nero; confessione
gravissima che rimarrà monumento eterno di ciò che valgono le ingiustizie
degli uomini ! Ve lo dica la stessa Commissione con parole onde chiude la sua
relazione, emettendo un tardo rimpianto sullo sperpero di quei beni. — Sa-
rebbe rana opera, essa scrive, il vedere oggi se con altre operazioni non era
possibile ottenere per le finanze un risultato molto più vantaggioso, e insie-
me non offendere tante aspettative, non venire a tante asprezze, non pertur-
bare tanti interessi e tanti sentimenti. Questo solo si può dedurre, che le
speranze di coloro che mossero e sostennero le leggi predette ( cioè quelle di
soppressione degli enti morali religiosi e della cosi detta liquidazione dell'as-
se ecclesiastico ), finanziariamente furono in parte frustrate, e che i risultati
sono stati assai più scarsi di quelli sui quali nelle discussioni della Camera si
faceva assegnamento. — »
320 SGUARDO SOPRA L AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
capaci, più parteggiala che amatori del bene pubblico, più ampollo-
si di promesse false, che sperimentali promotori degli interessi na-
zionali. Generalmente ne è in colpa il sistema nuovo coi nuovi prin-
cipii, presi a norme di pubblico reggimento. Base del governare
non il giusto ma l'utile; e l'utile non della nazione intera ma del
partito prevalente. Mezzi di governare l'astuzia, l'inganno, la frode,
la corruzione; e se non bastano il gendarme e la soldatesca. Fine
del Governo non già l'agevolare ai singoli associati la sodisfazione
dei proprii bisogni, e l'adempimento dei proprii doveri, rimovendo-
ne ogni ingiusto ostacolo : ma il far servire le fatiche, le sostanze,
la vita persino d'ogni privato ai vantaggi della comunità, immo-
landoli tutti sull'ara pagana del Dio Stato, che il più delle volle si
concreta nei guadagni d'una piccola casta, che riesce a porsi alla te-
sta della nazione. Allettativa al popolo governato non già l'onore,
la probità, il ben essere individuale ; ma la vana prospettiva d'una
grandezza nazionale, che suole del cittadino fare uno schiavo, e la
lubrica promessa d'una libertà licenziosa, che fa del cristiano una
belva selvaggia. Un Governo che pone in atto questi principii divie-
ne necessariamente uno spenditore senza freno, un disperditore sen-
za riparo.
X
Ma esso diviene eziandio la rovina del suo paese. Il vedremo
chiaramente, entrando nella terza indagine che ci eravamo propo-
sta, del come siasi trovata l'Italia di così larghe spesene fatte Del-
l'ultimo novennio scorso.
Dei tristi effetti generali da così triste cagioni scegliamo sollan-
to i più gravi, alcuni riguardanti il popolo, altri riguardanti il Go-
verno stesso.
Il corso forzoso in permanenza ci si presenta primo fra tulli in-
nanzi, col suo scarno volto, colle sue livide occhiaie, colle sue
adunche unghie, col suo incesso minaccioso, col suo conlegno un
po' da sgherro, un po' da gabelliere. Esso è là dinanzi al povero
popolo smungendolo, intimorendolo, sbarrandogli ogni uà alla prò-
DAL 1860 AL 1870 IN ITALIA 321
spenta, all'agiatezza. Figlio della rivoluzione, esso ne è addivenu-
to il più crudele carnefice, percotendo a un tempo slesso e chi gli
die vita, e chi l'accolse in casa sua un po' per necessità, un po' per
iscapataggine. Quali sieno le sue opere, il vedemmo già nella prima
parte di questo discorso, abbastanza largamente, sicché oraci basta
il solo enumerarle di passata. Esso ha resi difficili e perniciosi i
cambii all'estero, ha discreditati tutti i valori nazionali, ha aumen-
tato con accrescimenti Gttizii i prezzi, ha svilita la proprietà, ha sce-
malo il lavoro, ha fugala la moneta, ha diminuita l'operosità dei ca-
pitali, ha gittato lo sconforto e la diffidenza, e prepara nei momen-
ti di crisi pericoli immensi alla pubblica fortuna. Il grido di guer-
ra, levatosi pur ieri nell'Europa, dove non ha oggi condotta di già
la fortuna d'Italia ? L' aggio sulla moneta è salito di nuovo al
dodici per %, e minaccia di montare ancor più allo: già varii istitu-
ti di credito delle più fiorenti città d'Italia minacciano di sospende-
re i loro pagamenti : già il prezzo di tutte le derrate s'è istantanea-
mente accresciuto : già le industrie nazionali si arrestano, alcune
per paura, per impotenza alcune altre. E se questa guerra si pro-
lunga, se l'Italia vi è trascinata essa stessa, chi può prevedere le
rovine che si ammucchieran.no, l'una più irreparabile dell'altra, sul-
la misera popolazione d'Italia?
Il secondo effetto micidiale di questo disastroso sistema di ammi-
nistrazione è stato l'affievolimenlo della industria nazionale. Nel
campo delle gare industriali non è l'uomo solo, l'uomo, per dir cosi,
ignudo, che entra a combattere : è l' uomo armalo del suo capitale.
Toglietegli il capitale di mano, esso per quanto ingegno, per quanto
coraggio si abbia, deve o retrocedere o soccombere. Ora i quattro
migliardi di più spesi dal Governo, in opere per la massima parte
improduttive, costituiscono in realtà quattro migliardi tolti ai rispar-
mii, al capitale della nazione e dei singoli individui. Qual meraviglia
che l'industria se ne sia trovata rallentata, anzi quasi distrutta?
Aggiugnesi che mentre, cogl' improvvidi dispendii, si veniva
disarmando l'industria nazionale della sua più necessaria difesa,
colle leggi ancor più improvvide si è attirala in casa l' industria fo-
restiera, armata fino ai capelli, e piena di vigoria e di ardore. Le
Serie VII, voi. XI, fase. 489. 21 28 Luglio 1870.
Sii SGUARDO SOPRA L AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
tariffe nuove doganali, dettate dal liboro scambio, furono il fruito
degli aiuti ricevuti pel trasferir: a mento e pel riscatta dell' Italia: lo
sappiamo. Ma appunto per questo abbiam dritto di diro che un tal
riscatto ha impoverito l'Italia, mentre che le si promettevano tesori
di prosperità e dì grandezze. E vuol egli vedersi fino a qual punto
questo illanguidimento sia pervenuto? 11 paragone tra le esporta-
zioni e le importazioni dell' Italia ce no dà la misura adeguata.
Ora la esportazione è appena un quinto della importazione, ovechò
dieci anni fa era a mala pena una metà. Le manifatture adunque,
lo fabbriche, i prodotti nazionali sono scemati di altuosilà e di for-
2a: e dopo il riscatto dalla loro dominazione siamo diventati tribù-
tarii dei forestieri peggio assai di prima.
Ma più ancora che V industria manifatturiera in Italia, ha sofferto
e soffre l'agricoltura. Un molto giudizioso opuscolo, uscito due anni
or sono pei tipi del Giachetti di Prato 1, si distende tutto a dimo-
strare coi fatti e colle cifre, a stretto rigor di verità e di logica, appun-
to questa pessima condizione del suolo italiano. Esso pruova ad evi-
denza che « l'aggravio del sistema contributivo sulla proprietà :
ria è tale e tanto, che manca l'equilibrio necessario tra la potenza
della rendita e la resistenza dei tributi; poiché i redditi, sottoposti
ad un quoziente di deduzioni continuo, eccedente, progressivo, ven-
gono assorbiti per intero, e non lasciano ai reddenli che zero e de-
bito. Le cifre regolano il mondo, diceva Platone, e le cifre ci daran-
no ragione ».
E di queste cifre vien formando un tal quadro spaventoso ed in-
sieme evidente, che ci duole grandemente che, per amore di brevità,
non possiamo riportarlo per intero. Non possiamo per altro passarci
di citarne la conchiusione, siccome quella che compendia in breve
tutta la dimostrazione, e fa insieme scorgerò la estensione del male.
Egli dunque dice cosi :
« I fa'ti esposti par che bastino a persuadere che sotto il bel
culo d'Italia la proprietà della terra, infarcita e macinata da tante
1 La terra e le sovrapposte municipali del Regno d'Italia. Prato, tip.
Giuchclli, libilo e C.« 1868.
DAL 1860 AL 1870 IN ITALIA 323
gravezze, non sia'più una ricchezza ma una rovina, e che a que-
st' opera nefasta non abbiano piccola parte le reimposte municipali
che vi concorrono in proporzione del 50 per cento sul tributo dello
Stalo. Ma per portare la dimostrazioie Imo all'evidenza, ne piace di
darne qui un esempio pratico e sinottico, in un fondo affittato e se-
menzaio a grano. Esso va sottoposto: — 1° al tributo erariate —
2° al decimo di guerra *— 3° all'altro decimo aggiunto — 4° al dritto
di esazione — 5° alla sopraimposta provinciale — 6° alla comunale
— T al prestito forzoso — 8° alla tassa del registro sul contralto
di fitto — 9° a quella del linaiuolo — 10° al drilto di misura o bi-
lancio — 11° al dazio governativo sulla farina — 12° al macino co-
munale; oltre ai danni del corso forzoso, e alle tasse eventuali di do-
gana, sublocazione, sequestri, guidizii, multe, successioni, donazio-
ni, vendite ed altro che suole intervenire.
« Dunque sul fondo del grano, sul grano islesso, sul pane quoti-
diano, sul villo di necessità primaria, sull'unico alimento dd povero,
pesano insieme dodici tasse, una più grave e più molesta dell' altra,
mentre nella Cina ed in altri luoghi che si dicono barbari, non $e
i\ esige che una sola e consiste nella decima della rendila ; dunque
al proprietario della terra, esaurita nei reddito con la moltiplicità
delle imposizioni e reimposizioni, e scarnificata nel capitale con le
tasse di successione, alienazione e code, non resta nemmeno il ne-
cessario fisico e il cespite di riproduzione, ma rimane soltanto un
senso d' ira e di cordoglio, il dolore e la disperazione delle fatiche
sprecale e del debito che lo incalza; debito che sopra un capitale di
venti miliardi, quanio è calcolato il suolo italiano, rappresenta una
passività ipotecaria di dieci miliardi, setleccnto sessantatrè milioni,
senza i chirografi, cosicché l'intero dei pesi pubblici piomba sulle
forze di una sola metà, perchè l'altra vien assorbita dai creditori
particolari. Altro che fucili alla Cliassepot e cannoni all'Armstrong! »
Farà dunque meraviglia che molli poveri proprietarii, sbalorditi
e sopraffatti, abbiano, per bocca del deputalo Amari, nella tornata
dei 3 Maggio 1867, offerta alla Camera elettiva la cessione dei loro
beni, perchè non si sentivano più il coraggio di farla, nel coltivare la
terra, da procuratori del fisco senza mercede, giacche il prodotto
totale andavasene tutto tra le casse dell' Erario, della Provincia
324 SGUATIDO SOPRA L AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
e del Comune? A. tale misero stalo venne ridotta dalla rivoluzione
la potissima ricchezza degl' Italiani, la proprietà prediale!
Ma la proprietà mobiliare, quella soprattutto che è costituita
dalle cartelle del debito pubblico d'Italia, sebbene non trovisi an-
cora condotta a sì pessimi estremi, certamente non è prosperosa.
Essa, quando pur riésca a schivar la bancarotta, ha due immense
piaghe: lo svilimento già sofferto, la riduzione quasi minacciala.
Lo svilimento già sofferto ha colpito disugualmente due sorte di
possessori: quelli che hanno immobilizzate con vincoli impostile
cartelle stesse, quelli che le possedono alla libera senza nessun le-
game. Sui primi s è accumulalo tutto il danno, giacché lo scema-
menlo del valore è stato sopportato unicamente da loro, e sempre
da loro : e questo danno grave per tutti, gravissimo ò slato pei più
antichi possessori di titoli statuali, i quali aveano comprato ogni
5 lire di rendita per 110, e fin 118 lire, e se li son veduti discen-
dere, come se li vedranno tra brevi giorni, sotto il 40. Per questi
sventurati il danno è stato di quasi due terzi del loro capitale. Gli
altri possessori hanno sofferto meno : giacche colla mobilità delle
cartelle han potuto dividere con molli le perdile del ribasso: ma il
danno per la massa intera della popolazione è stato uguale. Giacche
queir infinito numero di persone che han comprato e successiva-
mente venduto con qualche perdila quelle carte circolanti e sempre
perdenti, costituiscono una vera massa di creditori perdenti. Né
sufficiente compenso è per gli ultimi compratori la cifra elevata del
F interesse : giacche, oltre che questo è in parte roso dalle perdile
dei titoli venduti con ribasso, è continuamente svilito dalla paura
della riduzione.
Questa parola, così spaventosa per tutti i possessori di cartelle
governative, fu già messa innanzi da parecchi deputati e finanzieri
d' Italia: da alcuni più spietati come rimedio agli sbilanci annuali
dell' Erario, da altri più accorti come conseguenza non desiderabile
ma necessaria del sistema presente di amministrare. Prescegliamo
fra tante l'autorità del eh. M. Pescatore, che ne parla un po' nell'uno
e un po' nell'altro senso. Egli crede che se non siamo ancora giunti
alla vera necessità di ridurre la rendita, vi ci andiamo nondimeno
avvicinando, un po' per elezione, un po' per necessità di chi governa
dal 1860 al 1870 m Italia 325
l'Italia. «Per arrivare alla riduzione, dic'egli, bisogna mascherare,
confondere, continuare a spendere, a spingere, accrescere il debito,
alienando ogni anno sotto diverse forme un quindici o venti milioni
di rendita pubblica. Quando questa sia ridotta al valore commerciale
di quaranta su cento, la batteria si smaschera : — Vedete (allora si
dirà) lo stato reale del Tesoro! esso è sconfitto : oggimai questa mas-
sa enorme di debito, che sommerge il paese, è venuta in mano di
capitalisti, i quali se l'ebbero a bassissimi prezzi , e già da troppi
anni si godono un interesse del dodici per cento sul prezzo effettivo
dei loro acquisti.
« Le vecchie doti, i vecchi impieghi privilegiati oggimai li dob-
biamo credere liquidati; gli impieghi privilegiati più recenti ebbe-
bero pure il favore dei recenti prezzi della rendita già svilita: i cor-
pi morali, possessori di rendita, comprata ab antico a prezzi eleva-
ti, stanno nel dominio assoluto della legge : e quei pochi privati,
rimasti anch' essi possessori di titoli comprati a prezzi maggiori,
perchè si ostinarono a non voler considerare l'eventualilà inerente
alla carta pubblica, debbono imputare il danno, che soffrono, alla
loro imprudenza: lo Stalo non può riaversi allrimenli; i prezzi so-
no oggimai fissati al quaranta : impossibile che si rialzino: è tempo
dunque di cessare un disastroso e indebito pagamento di una inden-
nità ai recenti compratori di una carta perdente, imponendo tributi
alla nazione, la vera danneggiata, frammezzo alla quale il danno
delle cartelle, che già da lunghi anni scapitarono a poco a poco, si
divise e si sparse: è tempo, in una parola, di rimborsare la carta,
straordinariamente svilita, al tasso del suo valore effettivo, al tassò
del quaranta, a cui stabilmente discese ; e per un valore effettivo di
quaranta lire la rendita del due e mezzo, sostiluita al cinque primi-
tivo, ben può considerarsi ancora come un largo e generoso rimbor-
so. — Ed eccovi, amici miei, in qual modo la cosa pubblica si
conduca man mano alla riduzione del debito.. »
Fin qui l'accorto deputalo 1, e con tutta ragione: poiché chi ha
oramai esaurito lutti i provvedimenti gabellarli per far quattrini, e
1 V. Politica finanziaria, e riduzione del Debito pubblico nel Regno
d'Italia. Torino 1870, pag. 56 e seg.
326 SGUARDO SOPRA L AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
vuol seguitare a spendere più di quello che gli avanza dopo il paga-
mento dei suoi debili, deve necessariamente ricorrere all' i:no dei
due spedienli : o dichiarare la bancarotta, o chiamare i suoi credi-
lori al concorso, per ripartir fra loro come può il poco attivo che
gli rimane. Or de' due mali certo minore è questo secondi), il quale
ha di più per se le apparenze meno svergognale. Né si creda celesta
una paura esagerata, o un progetto impossibile. Peggio della ridu-
zione sarebbe al cerio la bancarotta: eppure questa non fa spavento
a certi uomini di Stato. Più d'una volta Cavour, incalzato nel Par-
lamento sul crescere del debito pubblico, gridò sogghignando :
« Getteremo al fuoco il Gran Libro. » Lo slesso, sebbene con frase
meno beffarda , disse Cambray-Digny ministro , alle Camere nel
1868: « Noi non potremo impedire l'ultimo disastro delle nostre
finanze. »
Conseguenza di tutti questi aggravii, e pel minuto popolo più fa-
tale di essi, è filialmente l'incarimenlo sopravvenuto dei viveri. Fat-
to il ragguaglio tra il 1860 e il 1869, può dirsi che la vita in Italia è
divenuta in questo periodo di tempo il doppio più cara che non fos-
se innanzi. Molti scrittori ne bau composte tavole di paragone per
le città dov' essi vivevano, e ne potremmo citare parecchie d' una
evidenza troppo funesta. Ma porteremmo lucciole in Alene : giac-
che ognuno dei nostri lettori il sa per pruova. Ammesso adunque
un cotal fatto, noi dimandiamo come potrà fare il popolo per vive-
re? Guadagnai ora l'operaio, l'impiegato, il piccolo proprietario duo
volte tanto che prima? No, certamente, giacche l'aumento sui sa-
larli e sui soldi., se aumento vi fu e dove fu, è appena appena
sensibile; e i proprietarii prediali, specialmente i più tenui, scema-
rono non crebbero di entrala. L' interesse o lo sconto dei capitali ò
ora in Italia diminuito in proporzione dell'aumento dei viveri? Tut-
to al contrario; perchè ora non trovasi generalmente denaro in pre-
stito ad usura minore del 10 per %• Da questi due fatti deduciamo
due altre conseguenze. La prima si è che questo rincaro di generi,
non essendo accompagnato da proporzionale aumento di Balani, e
decremento d'interessi, è il segno più manifesto di miseria pubbli-
ca. La seconda si è, che non solo l'agiatezza, ma eziandio il ben
DAL 1860 AL 1870 tò ITALIA 327
essere, eziandio il sufficiente è eliminato dalle famiglie del popolo,
con danno notabile delle complessioni e della salule. Quante sven-
ture accumulate insieme sul capo degl' Italiani !
XI.
Ma non minori ne accumulò coi pessimi suoi metodi il Governo
stesso a proprio danno. Essi possono restringersi in poche parole,
dicendo che la cagione del discredito, della disistima, del malcon-
tento, deT impotenza a che esso è manifestamente ridotto presso i
suoi sudditi e presso gli stranieri, dimora principalmente nello sta-
to delle sue finanze. GÌ' Italiani per tante guise aggravati e senza
compenso, naturai cosa è che né pregino, nò amino, nò secondino
un Governo, nella cui incapacità e dissennatezza riconoscono la ca-
gione precipua di tante loro sciagure. I forestieri, che quando trat-
tasi d'interessi, poco si curano delle teoriche, ma guardano ai fat-
ti; non hanno più fiducia nò sulla parola dei Ministri, nò sulle pro-
messe degli uomini di Stato, nò sul credito degli uomini d'affari: e
quindi in ogni faccenda domandano guarentigie reali, e in ogni con-
tratto esigono mille cautele, e vogliono per soprappiù il pegno in
mano. Oh quanto l'Italia unificata e scaduta di credito nel mondo!
Intanto il Governo si dibatte nelì' annuo disavanzo, che cerca in-
darno di pareggiare ogni anno, ed ogni anno mira sempre più di-
lungarsi. Ai debiti non può ricorrere più, perchè non trova più chi
presti. Alle imposte non può ricorrere più, perchè colla legge testé
votata nelle Camere ha toccato, se non valicato il massimo limite a
cui l'Italia può ora essere ridotta. Alle economie non osa ricorrere
più, perchè colle abitudini create dall'una parte, e col fremito d' in-
degnazione che dall'altra covasi in petto a tutti, non vuol alienarsi i
pochi rimasigli ancor fedeli, che sono appunto coloro che vivono a
spese dello Staio. La quislione dunque finanziaria è divenuta per lei
non solo la più difficile di tutte le altre, ma sopra tutte le altre pe-
ricolosa. Essa è una minaccia perenne alla stessa unità dell'Italia,
è un precipizio che paurosamente spalancasi sotto i piedi dei go-
vernanti.
328 SGUARDO SOPRA L AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA ECC.
XII.
Ma tempo e di conchiudere questo nostro discorso. Non fu certo
nostra colpa se esso riuscì un continuo processo della rivoluzione.
Se in tutti gli altri risguardi la rivoluzione accumulò in Italia disa-
stri e rovine, nei drilli, nella giustizia, nella moralità, nella religio-
ne; in questo delle finanze non riuscì punto men disastrosa, punto
men rovinosa. La sola differenza è questa : che negli altri rispetti
quelle che chiamansi iatture dai più, vengono da alcuni chiamali gua-
dagni : ma nel rispetto economico tutti gì' Italiani trovansi d' accor-
do, tutti gridano ugualmente, lutti sono al paro spaventali. Noi adun-
que, lasciati da banda i primi, che non han bisogno di nostri slimoli,
dimanderemo ai secondi : valeva egli la pena di sconvolgere da capo
a fondo l' Italia, di distruggerne tutte le tradizioni più care, di of-
fenderne tutti gì' interessi più sacri, per ridurli poi a tanta miseria,
cui siete ora tanto inetti a riparare, quanto foste incapaci ad impe-
dire? Sarà dunque compenso proporzionato a tante indigenze da voi
create questa unificazione, in nome della quale le avele prodotte?
Asciugherà essa le lacrime di tanti che piangono, satollerà essa la
fame di tanti che svengono, ristorerà essa le perdite di tanti cui
riduceste alla mendicità? Se voi ascollaste non la voce menzognera
dei vostri piaggiatori, non la lode addormentatrice dei vostri com-
plici, non l'approvazione interessata dei vostri clienti; ma bensì la
voce vera di tutto il popolo italiano, dall'Etna alle Alpi, udreste un
grido solo levarsi, un volo solo manifestarsi. Quel grido quel voto lo
avete provocato voi, è tutta opera vostra: poiché a voi de vosi questo
senso universile generato da universale sciagura, che tulli ugual-
mente hi colpito n ciò che è più accessibile a tulli, gì' inti
materiali. Quel grido condanna il vostro passalo: quel Noto chiama
un altro avvenire. Iddio faccia che questo avvenire sia un awenire
ripar lore: e che l'Italia, fatta accorta degli errori fin qua commes-
si, non gittisi a nuove venture, che invece di riparare ai danni an-
tichi, ne abbiano ad accumulare dei nuovi,!
RIVISTA DELLA STAMPA
Wjgrjin^
Le nouveìles études sur les Catacombes romaines, Ilistoire-Peintu-
res-Symboles, par le C'e Desbassayns de Richemont, prece-
dées d'une lettre par M. Le Chevalier De Rossi — Paris, li-
brairie Poussielgue frères, me Cassette 27, MDCCCLXX. Un
volume in 8.° di pag. XXY1II - 508.
I due volumi pubblicali nel 1864 e nel 1867 dal cav. Giovanni
Ballista de Rossi intorno alla Roma sotterranea cristiana hanno
quella celebrità, che era loro ben dovuta sì pel nome dell'Autore,
come pel soggetto sul quale essi si versano. L'egregio archeologo
erasi prefìsso nientemeno, che di ricostruire scientificamente i cimi-
teri sotterranei de' primitivi fedeli di Roma ; il che vuol dire rido-
nare alla scienza una città (poiché tanta è l'ampiezza di quei cimite-
ri) , tutta scavata nel seno della terra a guisa d'intrigatissimi labe-
rinti, gli uni sottoposti agli altri ; ed in gran parte o smarrita affat-
to, o almeno dopo ripetuti ed inutili tentativi stimata inaccessibile.
Ma nò questa somma difficoltà dell' impresa, né questo comune
scoramento de' precedenti archeologi il poterono raltenere dal man-
dare ad effetto con alacrità il suo proposito. Lo studio assiduo dei
libri composti da tutti gl'investigatori di quelle venerande memorie,
il continuo aggirarsi per quei cupi e tortuosi anfratti, l'esaminare
330 RIVISTA DELLA STAMPA
atlcntamenle quanto ivi resta, soprattutto le figure dipinle sulle pa-
reli, e le iscrizioni pure dipinte o solamente graffite, il raccogliere
ed ordinare i frammenti anche minimi delle lapidi, e confrontarli co-
gli allri frammenti, portati via e collocali nei musei o altróve senza
veruna legge e senza niuna traccia della loro origine, finalmente i
nuovi scavi ordinati dalla munificenza dell' augusto Pontefice Pio IX
ed eseguili con somma perizia dalla Commissione di sacra Archeo-
logia, furono gli efficaci presidii, che menarono a lietissimo termine
la costanza del cav. de Rossi. Egli ne'due lodati volumi ha descrit-
ti quei cimiteri ad uno ad uno ; ne ha determinali i limiti, e gli ha
esaminali e delineati in tutte le loro parli. Ha illustralo le iscri-
zioni, le pitture e gli altri monumenti che quivi si rinvengono, e ha
cercato di distribuirli in classi secondo l'ordine cronologico. E la
luce, che egli ha diffusa sulla storia, sulla topografia e sulla crono-
logia dei delti cimiteri, siccome ognuno facilmente comprende, si
sparge sulle prime origini del cristianesimo, sulle memorie dei pri-
mi Martiri e dei primi Pontefici della Chiesa di Roma, e sugli stessi
dommi che si professarono e sugli stessi riti che si custodirono fino
dai secoli primitivi.
Noi già demmo conto del primo di questi volumi del de Ptossi in
due riviste nel primo volume della sesta serie, a pag. 107 e seg.
ed a pag. 327 e SQg. Dell'altro volume discorremmo nell'Appendi-
ce archeologica, pubblicata nel secondo volume della settima serie,
a pag. 470 e seg. Qui intanto siamo invitati a far di nuovo onorifi-
ca menzione di questo originai lavoro del celebre archeologo roma-
no, per ragion dell' altro prezioso libro che abbiamo annunziato,
scritto recentemente sul medesimo tema de' cimiteri di Roma dal
eh. conte Desbassayns de Richemont. 1 nomi del de Rossi e del de
Richemont sono ornai con una slabile celebrità associati colla me-
moria di questi sacri avanzi, che attestano le sofferenze, le lotte e
i trionfi della Chiesa primitiva.
Il conte de Richemont passò in Roma varii anni, e furono quel-
li appunto, in cui il cav. de Rossi preparava i suoi volumi. « L ami-
cizia, cosi egli dice, e l' impareggiabil benevolenza del eli. archeo-
logo romano mi permisero di vedergli formare sotto i miei occhi i
RIVISTA DELLA STAMPA 331
suoi volumi sulla Roma sotterranea cristiana. Spesse volte io mi
trovai presente alle infaticabili ricerche, le quali servirono di base
ai eletti volumi, ed allora io ebbi la sorte di raccogliere dalle stes-
se labbra dell' esploratore le primizie delle scoperte, godendo in-
sieme con lui all'aspetto di un monumento, risuscitato dopo quindici
o sedici secoli, e sempre più ammirando la scienza e l'abilità, colla
quale egli sa a tali reliquie carpire il secreto della loro origine, e
la data del lor nascimento. Cosi dopo aver visto elevarsi pietra
sopra pietra e compiersi l'edilìzio, io m'ingegnai di disegnarne al-
cuni schizzi. Né con essi io avea da principio l'intenzione di com-
porre un tutto intero; ma però igiudizii di uomini assai indulgen-
ti mi spinsero a riunirli insieme, ed io ho ceduto finalmente alle
loro istanze 1. »
Ma coloro che gli consigliarono la stampa de' suoi studii furono
giudici competenti, anziché indulgenti, quali egli modestamente li
chiama. Chi meglio del cav. de Rossi polea stimarne il merito? Or
in una lettera che il de Rossi scrisse al de Richemont, e che questi
ha pubblicato in fronte alla sua opera, è grandemente lodata l'opera
medesima pe' ùm capi, che qui appresso soggiungiamo.
Quando noi demmo conto dei volumi del de Rossi, ne' quaderni
del nostro periodico citati di sopra, riconoscemmo e confessammo
la difficoltà o piuttosto l' impossibilità di presentarne ai nostri let-
tori un sunto ordinato e chiaro; e ciò per la moltiplicità e varietà
delle cose in essi contenute, e tutte esposte dal dotto archeologo
colla più minuta esattezza, affin di stabilire su saldi fondamenti le
sue conclusioni. Ecco intanto lo stesso de Rossi, nella citata lettera
al de Richemont, confermare quella difficoltà e stendersi neir arre-
carne le intrìnseche ragioni. Vogliamo riferire le medesime sue pa-
role, le quali confessiamo di aver lette non senza soddisfazione. « È
un compito assai malagevole, così egli dice, l'esporre innanzi al
mondo scientifico ricerche sì ardue, sì minuziose e sì complicate.
Però non ostante tulli i miei sforzi per rendere il mio testo sempli-
ce, chiaro ed anche, il più che era possibile, attraente, io non pre-
1 Pag. XXIV.
332 RIVISTA DELLA STAMPA
lendo di esser riuscito a fare scomparire le aridità inseparabili dal
vasto soggetto e dal sistema scrupoloso del mio lavoro. Ma ciò, che
soprattutto era impossibile di evitare, è il laberinto topografico, nel
quale il mio testo è inviluppalo, per la natura e per la essenza me-
desima del mio metodo. L' analisi ne occupa necessariamente la più
gran parte, ed a mala pena i sunti posti alla line di ciascun volume
possono essere consociati alla sìntesi. Le particolarità son dissemi-
nate con quelf ordine, che è richiesto dalla descrizione de' sotter-
ranei e dall' esame topografico e critico dei medesimi. La serie cro-
nologica ed istorica dei fatti, il sistema della espressione delle cre-
denze religiose per via dei simboli e delle immagini', e coi mezzi e
coi ripieghi dell'arte, il complesso e l'armonia di tutte queste cose
posson certamente capirsi ne' miei volumi in una maniera generale
e ne' loro larghi contorni; ma è impossibile che chiaramente si veg-
gano e si comprendano in tutti i loro particolari. »
Questa lacuna, per confessione del medesimo de Rossi, è stata
felicemente riempiuta nel volume del de Richemont; essendo questi
riuscito a esporre in esso con ordine e con somma chiarezza la cro-
nologia e la storia delle catacombe romane, e tutto il loro svolgi-
mento logico ed artistico, valendosi a questo effetto non solo dei
due grandi volumi sulla Roma sotterranea, ma eziandio di quant' al-
tro avea già il de Rossi pubblicato sullo slesso argomento così in
separate dissertazioni, come nei sette interi anni del suo Rulleltino
di Archeologia cristiana. Questo è il primo pregio del libro, che
esso ha dato alla luce.
L'altro pregio consiste in tutto quello, che lo slesso de Richemont
vi ha aggiunto di suo. « Voi, così a lui scrive il de Rossi nella let-
tera testò mentovata, avete stabilito alcuni principi! di interpreta-
zione; ed innalzandovi su di ciò, che ò contenuto nelle mie pagine,
siete montalo sino alla origine della scienza simbolica, ove le vostre
ricerche e le vostre meditazioni vi sono state di scorta. E però io
lon pretendo, che ciascuna frase del vostro libro sia l'epilogo di
una parte del mio testo, e ciascuna vostra idea la riproduzione di
una mia. V ha in esso cose tutto nuove e tutte vostre; ed io me ne
congratulo con esso voi. »
RIVISTA DELLA STAMPA 333
II libro ha tre parti. Nella prima è raccolta in breve la storia
delle catacombe romane, dalla loro origine insino a che ven-
nero abbandonate nel secolo IX ; e indi si parla delle ricerche
e delle scoperte, che se ne sono fatte dal secolo XVII insino
ai nostri giorni. Dà principio il eh. Autore a questi cenni sto-
rici con esporre i costumi che osservarono i primitivi cristiani
nel costruire i loro sepolcri, cioè di collocarli lontani dalle tombe
dei gentili e tutti vicini fra loro in un cimitero comune, raggrup-
pandoli intorno alla memoria o al deposito di qualche martire. Asse-
gna quindi le ragioni, per le quali furono preferiti i sepolcreti sot-
terranei ; e venendo a que' celebri di Roma, tratta la questione se
essi fossero scavati dai cristiani fin da principio, a fin di collocarvi
i loro defonti; o se fossero invece arenarii, già lavoro dei gentili
per estrarne i materiali delle fabbriche, i quali da essi abbandona-
ti venissero poi dai cristiani ridotti ad ipogei. Una tal questione,
mercè degli studii incominciati varii anni fa dal P. Marchi della
Compagnia di Gesù ed al tutto perfezionati ai nostri giorni dal
sig. Michele de Rossi fratello dell'archeologo, è oggi pienamente
risoluta in favore della genesi cristiana di queste catacombe. Dopo
ciò domanda il de Richemont se noi dobbiamo riguardare la vasta
necropoli come un opera irregolare e capricciosa, o piuttosto come
un lavoro eseguito a regola di arte, accomodato alla natura del suo-
lo, e condotto fra condizioni or suggerite dalla prudenza, ed ora pre-
scritte dalle leggi civili? E se è così, quali sono, i principii coi quali
si vennero svolgendo cotesti ipogei? Qual direzione essi hanno, fin
dove si estendono, e quanta è la loro capacità? Come sono divisi,
come sono limitati sotterra, e quali rapporti hanno cogli edifizii fab-
bricati sopra essi all'aria aperta? Finalmente con quali industrie si
occorse al pericolo, che non cadessero per diritto di eredità in mani
profane? Il dotto Autore dà a tutte queste domande erudite e sod-
disfacenti risposte.
Premesse queste generali considerazioni, egli descrive le vicen-
de delle catacombe di Roma, pigliando le mosse da quelle apparte-
nenti all'età apostolica, costruite, come apparisce dai loro avanzi,
con isplendore di arte di un gusto classico. Negli anni seguenti gli
ipogei si moltiplicarono, non ostanti le persecuzioni dei tiranni;
3U1 RIVISTA DELIA STAMPA
ma quando verso la melatici terzo secolo, l'Ira de' gentili assalì
questi ricetti lasciati sino allora in paco, l'arte cristiana più clic ad
ornarli si rivolse a renderli impraticabili ed inaccessibili ai profani.
Segui la pace conceduta alla Chiesa da Costantino, e quindi la li-
bertà d' innalzare da per tulio lo basiliche cristiane. Molte se ne co-
struirono sapra i cimiteri; ed in esse si cominciarono a seppellire
ì morti. Il qual costume prevalse a poco a poco, tal che verso la
metà del quinto secolo le catacombe non erano altro che sa-
lii, ove i fedeli con divoti pellegrinaggi accorrevano da ogni p
per venerare le spoglie de' martiri. Ma l' empietà Ai spinse altri
sitatoli, i barbari nel quinto e sesto secolo, ed i longobardi nel se-
colo ottavo saccheggiarono di tempo in tempo la città, devastarono
i templi, e discesero ne' sacri sepolcreti a contaminarli ed a metterli
a soqquadro. Ciò costrinse i sommi Ponteiìci a trasportare in lloma
le reliquie de' martiri più celebri : e di qui avvenne che gl'ipogei
rimasero abbandonati nelle loro rovine, se però si eccettuino li
grotte di S. Sebastiano, le quali sole fra tutte continuarono nei me-
dio evo od essere aperte alla divozione de' pellegrini.
Lo studio delle antichità cristiane risvegliatosi nel secolo decimo-
sesto foce sì, che le catacombe incominciassero ad esser visitale con
somma diligenza da esploratori scientifici. 11 deRichemont in que-
sto sunto storico parla di tutto quello, che operossi dopo quel tem-
po fino ai nostri dì, per illustrarle e ridonarlo a novella vita. Narra
in primo luogo le ricerche principiate nel lb'92 dal Bosio, a cui si
dà meritamente il nomo di Colombo della Roma sotterranea: lidi
enumera le scoperte falle dal più chiari eruditi, che fiorirono dopo
di Uii; e termina con quelle recenti del de Rossi, Il quale con
dritto può appellarsi il nuovo e più fortunato Colombo di questi me-
desimi Battei r;inei, mentre essi non erano mai stati da altri così a
pieno come da lui, esplorati o descritti in lutto il loro complesso ed
In ciascuna delle loro parli.
La seconda parte del libro si versa tutta sulla storia speciale del
Cimitero di Callisto. Chi percorre queale pagine non può non lodare
ed ammirare il eli. Autore, sì perchè In breve spazio egli è riusci-
to u d^iivcro secondo l'ordine cronologico i l'atti e le Aiccnde
prindp ali di questo insigne sepolcro!©; <ed anche perche ci fa rileva-
RIVISTA DELLA STAMPA 335
re la gran luce, che da tèli notizie si rifletto sulla storia generale del
cristianesimo primitivo»
Più delle due menzionale si stende l'ultima parte, ed in essa in-
contrasi con più frequenza quella novità di considerazioni archeolo-
giche, che, come abbiamo dello» vien lodala dal de Rossi. Prende
quivi il de Richemont a descrivere e ad esaminare l'arte cristiana
nei tic primi secoli della Chiesa; restringendo però il discorso ai
soli monumenti figurati, e ira essi fermandosi di vantaggio, come
sul più importanti, sulle pitture e sui segni che trovansi scolpiti
nelle lapidi insieme colle isct izioni. E poiché in cotali monumenti i
concetti e le cose sono espresse ordinariamente per mezzo dei sim-
boli, il eh. Autore premette una erudita discussione intorno al sim-
bolismo, da lui considerato tanto in generale, quanto in ispecie nei
libri ispirati dell'antico Testamento, nel Vangelo, negli scritti apo-
stolici, ed in tutta la letteratura dei primi secoli delia Chiesa.
Egli dislingue tre epoche; la prima incomincia dalla origine del
cristianesimo e termina a un di presso alla seconda metà del secon-
do secolo; l'altra si prolunga sino alla metà del terzo secolo, e l'ul-
timo abbraccia tutto il tempo rimanente che precede la pace di Co-
stantino, ì monumenti di ciascuna di queste epoche sono similmente
divisi in tre classi; cioè ne' segni ideografie! o gerogliilci, nei sog-
getti allegorici, e finalmente nei soggetti istoricosimbolici. I segni
Ideografici sono, per esempio, l'ancora, il pesce, l' agnello, il vaso
o solo o circondato da agnelli, la colomba e la palma. ì soggetti
allegorici sono la vigna, il pescatore, il banchetto, il pesce ed il ca-
nestro eucaristico. Gli storicosimbolici sono la rupe percossa dalla
Terga, il battesimo di Nostro Signore, l'arca di Noè, Daniele fra i
leoni, le avventure di. Giona, la risurrezione di Lazzaro, il sacrifi-
cio di Abramo, e il gruppo di Adamo e di Eva. Ogni segno, ogni
allegoria, ogni simbolo è qui diligentemente descritto; di ciascuno
si riportano le molteplici significazioni, e si espone come ne' loro
disegni andò variando e svolgendosi Varie cristiana m tetto e tre le
epoche sopraddette.
Ma quuli furono le sorgenti dell' arte , le cui opere si osservano
in questi monumenti cristiani? Furono i puri concetti ispirali dal
cristianesimo? 0 furono piuttosto i tipi e gli elementi dell'arte pa-
336 RIVISTA DELLA STAMPA
gana e soprattutto quelli della scuola grecoromana, alla quale ap-
partenevano gli artisti adoperali dai cristiani in quei primi secoli?
il de Richemont risponde alla questione, dimostrando, che V ebbe
fin da principio un'arte classica e veramente cristiana, e che essa
progredì sempre con un pieno discernimento, intendendo assai be-
ne quanto a lei conveniva allorché era libera di operare a suo gra-
do, e quanto poteva concedere alle necessità dei luoghi e dei tempi,
ed alle consuetudini ed a' precetti della scuola grecoromana, a cui
essa succedeva. In questo, come in tutto il rimanente del libro, egli
segue le dotte orme del de Rossi, facendo insieme servire a corro-
borare la verità della risposta i frutti degli studii suoi proprii.
E per procedere con chiarezza parla separatamente delle differenti
parti che abbraccia l'arte cristiana; cioè degli acecssorii e dei
soggetti principali. Sotto il nome di accessorii intende gli ornati
propriamente detti, e quella che egli chiama lingua dell' arte, cioè
le decorazioni che rappresentano in forma di uomini o di altri ani-
mali le idee astratte. Ai soggetti principali poi riduce tanto quelli
non eseguiti da mani cristiane, i quali vennero ciò non ostante per
un certo tempo e per ispeciali molivi ammessi e tollerati dalla
Chiesa, quanto quelli la cui esecuzione fu diretta dalla pura idea
cristiana, e che adornano in più gran numero i sepolcri delle cata-
combe primitive. Non lascia il eh. Autore di confutare l'opinione
contraria della scuola di Raoul Ruchette , la quale dà a tutte queste
pitture cristiane una origine al tutto pagana. Una tale opinione è
stata cecamente riprodotta alla luce in un lavoro sul Cimitero di
Callisto, composto dal sig. Boissier , e pubblicato nella Revue de
Deux Mondes il 1 di Marzo dello scorso anno 1869.
Ma bastino questi piccoli cenni sulla egregia opera del de Ri-
chemont. E noi terminando ci congratuliamo con lui ben volentieri,
non solo per aver egli con tanta erudizione illustrato le venerabili
reliquie di Roma cristiana, ma anche perchè è riuscito a farlo con
uno stile tutto pieno di ornamenti e di vita, e, ciò che è più, con
tanta copia di sincera pietà, da accendere in chiunque percorre le
sue pagine, i medesimi sensi di venerazione e di amore verso la no-
stra fede e verso i primi cristiani che in questa città la professarono.
BIBLIOGRAFIA
AMBROSIA RAFFAELE — Iscrizioni sacre e profane, antiche e moderne, edita
ed inedite, per Raffaele Ambrosini di Fabriano, parroco del castello di Al-
bacina, djve tuttora esistono. Iesi 1870, tip fratelli Polidori e comp. In
8.° grande di pag. 20.
Oltre la fedele lettura di queste iscrizioni, il menti quanto eruditi, altrettanto opportuni a far-
ch. loro raccoglitore ci porge notizie e schiari- cele comprendere e pregiare.
ANONIMO — Catechismo di religione ad uso del seminario di Nola. Napoli,
stab. tip. dell'Ancora 1867. Un voi. in 16.° di pag. 358.
Col modesto titolo di Catechismo, questo libro della carità, e quindi espone la dotln'na cattolica
offre alla gioventù cattolica un trattato compiuto intorno al culto, che è rarità verso D>o, e storno
della religione cristiana. L'ordine delle materie ai doveri nostri col prossimo, parlando della ea-
è molto logico. Poiché nella prima parte cumm- rità cristiana e dei vizii opposti. Nella quinta
eia a trattare della esistenza e delia natura di parte Analmente espone le feste principali di Gesù
Dio: segue a parlare della creazione degli angeli, Cristo e di Maria Vergine,
del mondo, dell'uomo; e poi narrato il Tatto della Da questa seconda sposizione, si scorge quanta
caduta di Adamo riferisce le promesse fatte di materia abbracci il mentovato Catechismo, e come
un Redentore, e le mostra avverate nella vita sia pieno e acconcio ad istruire i fedeli intorno
di Gesù Cristo, mediacre tra Dio e gli uomini, a no che debbono credere ed operare. La brevità
Nella set-onda parie tratta della nostra umone con però delio stile, congiunta a molta lucidità d'idee,
Gesù Cristo per mezzo delia fede, percorrendo e ha fatto restringere tutta questa materia in breve
dichiarando i misteri che essa ci svela. Nella mole. Al che se si aggiunge la bontà della dot-
terza parte ragiona della nostra unione con Gesù trina, pregio essenziale di colali libri, s' mien-
Crisio per mezzo della speranza, e qui tratta della derà perche noi lo raccomandiamo allo studio di
grazia, dell'efficacia delle opere buone, della pre- tutta la gioventù italiana, siccome libro attissimo
ghiera, della meditazione, dei sacramenti sì in a formare il toro cuore e la loro niente, ai sensi
genere sì in {specie. Nella quarta parte favella ed alla stima della nostra santa religione,
della nostra unione con Gesù Cristo per mezzo
— Fiamme celesti, uscenti dalla fornace d'amore, il S. Cuore di Gesù. Torino,
coi tipi di Giulio Speirani e figli 1870. In 6ì.° di pag. 31.
— Fiori di paradiso, raccolti nel mese di Maggio. Hl.a edizione con aggiunte e
correzioni. Torino, coi tip. di Speirani e figli 1870. In 64." di pag. 31.
— Il mese di Dicembre, consacrato air immacolata Concezione di Maria san-
tissima, ed alla Nascita di Gesù Cristo; coll'esercizio di altre mediazioni a
compimento degli altri giorni di questo mese. Foligno, tipogr. Tomassini
1870. Un voi. in 32.° di pag. 159.
■ — Libellus manualis ad usum cleri, qui exercitiis spiritualibus vacai. Venetiis,
ex typojraphia aemiliana 18t>9. Un voi. in 16.° di pag. 137.
L'autunno è la stagione, in cui i sacerdoti so- Esercizii, e ritempratovi l'animo a nuovo fervore,
gliono ritirarsi per alquanti dì negli spirituali uscirne più gagliardi di spirito alla santa opera
Serie VII, voi. XI, fase. 489. 22 28 Luglio 1870.
338
BIBLIOGRAFIA
del loro ministero. Ma chi non sa un tal frutto
corrispondere ordinariamenle alla maniera, con
che si fauno i Ecco un manuale cliu può servire
all'uopo di trarne gran frutto. L'amore anoni-
mo divide il suo lavoro in tre parti, cui egli stes-
so indica, e ne dà la ragione noia prefazione
con queste parole: 1.° Proponunlur, quae ad
cxternam disciplinam hoc salutari tempore per-
tinenl, deinde quae respiciunl exercitaliones spi-
riluales, v.g. medilaliones, Examina,etc, quae
sic dieta Exercilia spiri tualia proprie consti-
luunt. 2.° Et quia SS. Exercilia ad emendalio-
nem, sive reformalionem vita» prucurandam ten-
ùunt, in secunda parie a) quinque Reformationum
argumenla evolcunlur, et quaelibel Reformali*
suam synopsim sub finem adnexam liabet: b) dan-
lur regulae et schema Emendai onis lolius iita$.
Z.° A idi l tir quasi appenlix exposilio praclica
munerum Confess irii a S. Leonardo e l'orla Mau-
rilio composita, ut ehi rvimi ad agno—
scendos errorcs in adminislralione huius sacra-
menti commissos. Nel nteiodo c^li segue dei tutto
S. Ignazio, di cui dà in suolo iv^olc, ammonimenti.
ed addizioni; nelle riforme procede con uno stile
chiaro, vigoroso e temperato da soave unzione,
mostr;uidusi io genere uomo sperimentato nel—
1' opera di dare gli Esercizi! ai sacerdoti e nei
Seminarli.
BENASSUTI LUIGI — La Divina Commedia di Dante Alighieri, spiegata alle scuo-
le cattoliche da Luigi Benassuti, arciprete di Cerea, veronese ; Paradiso.
Padova dalla tip. del seminario 1870. Un voi in 12." di pag. 380.
Non abbiamo bisogno di dir altro, a proposito
di questo terzo volume de' Commenti sopra la
Divina Commedia del chiaro Benissut», salvo che
con esso si ha il compimento di quel Compen-
dio, che il medesimo illustre Autore avea pro-
messo della sua Opera grande. Del disegno, del
melodo, de' pregi, come altresì di qualche difetto
della delta Opera, nonché del sommo vantaggio
che di questo Compendio potrebbero trarrre le
scuole, abbiamo altrove ragionato :.bb..sianza. Al-
tro non ci rimane a fare, fhe raccomandilo viva-
mente ai Professori, co ■ e il più opportuno, cfce
finora conosciamo per introdurre i giova»! stu-
denti nella intelligenza del divino Poema, senza
penco'o di euSer stravolli da false e pericolose in-
terpretazioni.
BENETTI MICHELE — Raccolta di prose e poesie francesi, ad uso delle scuole
tecniche, corredala di note esplicative e d'osservazioni filolofiche e gram-
maticali; per cura di Michele Beuetti, delle Scuole Pie. Firenze, tip. Ca-
lasanziaaa 1870. Un voi. in 16.° di pag. X1V-2'
Ollima scelta dei testi, ossia per quel che ri-
guarda la bontà delle massime, ossia per quel ebe
riguarda la bella dello siile: e. olire a ciò una do-
vizia di note istruttive, le quali dichiarano il te-
sto, mostrano le eleganze dello stile francese,
fan cottoscere gli aulori, e aiutano grandemente
nella versione italiana: son queste le due qua-
lità che rendono que:ta Mecolla pregevole più
che tante altre che vanno per le mani della gio-
ventù italiana.
BERNUZZI ISIDORO — Dell'origine e del fine dell'uomo secondo reinografìa. Os-
servazioni per Isidoro Bernuzzi, prevosto della parrocchiale di sant'Andrea
in Parma. Parma, tip. Fiaccadori 1870. In 8.° di pag. 126. Pr. L. 1, 60.
Abbiam letta con mollo piacere l'operetta del
prevosto Bernuzzi, e PaM iam trovata eccellente
sotto luti' i rispetti. Il eh. Autore mostra piena
coguizione dei fatti della scienza, e ultimi prin-
cipii di filosofia e religione. Senza mettere iu
dubbio i fatti, egli saviamente insiste ne! dimo-
strare come sia esagerata la latitudine delle con-
seguenze che se ne son volute tirare: e rome
quesie per lo più situo illogiche o contradditto-
rie e sempre più ampie delle premesse. Quindi
deduce che le dette scoperte non possono per nulla
pregiudicare alla fede. Il libro è scritto con di-
sinvoltura e con brio, e talora è condilo di frinì
e di gustose ironie, i'.gli non dissimula il mistero
religioso colà dove è realmente e dove si deve
credere; e insieme scientificamente dimostra le
contraddizioni di certi beofifosot, veramente de-
gni dell'età della pietra archeolilicu, e che, al
dire d'un cristiano geologo e pajeoetaojoj
che vogliono dimostrare in se stessi una qualche
probabilità Bèi la Icona della IfMfofOtftcieM delle
specie. Intorno a che Ieg«iamo rlw ultin amente
mentre un tal professore stabiliva « una grada-
zione di gerarchie fra le scimie antropomorfe, le
razze umane inferiori e le razze superiori » gli
uditori diniandivnnsi, se IgH appartenere alle
superiori od alle inferiori.
BERTELLI TOMMASO — Il mese di Maggio, sacro a Maria santissima, santifica-
to colle litanie della iiKMlcsiina, del canonico Tommaso Bertelli. Genova,
tip. di G. SckenoneìHW. Un volumetto in ìbsdi pag. \ì\.
BIBLIOGRAFIA
339
BR0G1ALDI ALDO-LUIGI ■*- S. Valentino, o il martire cristiano, carme del sa-
cerdote prof. Aldo-Luigi P»rogialdi, Pisa, tip. Pieraccini 1870. In 8.» di
pag. 20.
Candida, affettuosa, bella poesia contiene questo
carme del eh. fcrogialdi. aitila V è di affettato,
ma neppur nulli di n.-yletto ; e i soavi affetti
che essi di sta in cuore son tutti per la v rtii, |Mr
lapida, per Iddio. Ila ragione l'Autore di due che
non Tuoi gradire ai carnali: questi sensi caslis-
CAREGA FRANCESCO — Nozioni di agronomia, ordinate secondo i programmi
Officiali degli istituti industriali e professionali, dal commendatore France-
sco Carega, dottore in scienze fisiche e naturali, ecc. ecc. ecc. Empoli,
edit. L. Monti 1870. Un voi. in 16.° di pag. 271.
simi non son per loro. Ma ha torlo quando chiama
la su'i poesia povera di concetti rari, e di belli
ornamenti; poiché essa ne è ricca con quella
giusta misura che il buon gusto pone in mano
a chi fa Verhi.
duslrla, V economia agraria. 1 due uniti insieme
formano un corso compiuto di agronomia, e un
corso molto utile, perchè ben ordinato, lucida-
mente esposto, e ricco di qucgl' insegnamenti
prattici che sono il tanto della coltura toscana.
Quest' opera conterrà le nozioni richieste dal
programma ufficiale pel primo i*or<o agrario de-
gl'Istituti industriali e profusionali. 11 primo vo-
lume svolge Vagricoilura generale. 1! secondo
volume, che è sul punto di veder la luce, ab-
braccia Vayrirollura speciale, la pastorizia, l'in-
CABNEVALI RAFFAELE — 11 Clero e il Parlamento italiano dal 1860 al 1870.
Memoria eli Raffaele canonico Carnevali di Nocera-Umbra. Foligno, tip.
Campitela 1870. Un volumetto in 16.° di pag. 120 Vendesi per lira 1 in
Homa presso il libraro Aureli, ed in Foligno presso il tip. Campitelli.
Il eh. sig. can. Carnevali svolge ampiamente
il tema propostosi, che è di mostrare con quanta
ingiustizia e con quanto danno pubblico e pri-
vato abbia il Parlamentò italiano ordinato l'inca-
meramento e la conversione dei beni ecclesiastici,
importa la tassa del trenta per Cento sulle mense
vescovili, sui Capitoli, e sui Seminarli, aboliti
gli Ordini religiosi, e fatte le altre leggi infeste
CAYRJANI C0RRADIN0 — Brevi considerazioni sopra il divinissimo Cuore di
Gesù, per ciascun giorno del mese di Giugno, del canonico Corradino dei
marchesi Cavrisni, dott. in sacra teologia e teologo della cattedrale di
Mantova. Mantova, presso gli editori della biblioteca ascetica 1870. Un
volumetto in 32.° di pag. 143.
Piene dei piò sani principii delli teologi», tutte apposta per infiammare ogni anima di santo amo-
ardore di affetto verso il S. Cuore di Gesù, queste re, e ispirarle desiderii efficaci di sante opere,
brevi e spesso peregrine considerazioni son fatte
CIAMPI 1GJ4ÀZI0 —Vita di Giuseppe Valadier, architetto romano; scritta dai
cavaliere avvocato Ignazio Ciampi. Roma, tip. delle belle arti 1870. In
1G.° di pag. 83.
al Clero cattolico. Quanto giuste, altrettanto la-
minose per forza di ragionamento sono le sue
considerazioni; cosicché raccomandiamo questo
scritto a tutto il Clero, ed eziandio ai laici di
retti seusi o almeno di buona fede, perchè cono-
scano gl'inconvenienti religiosi, morali ed eco-
nomici di queste leggi.
Nel Febbraro del 1839 moriva in ltorna un ar-
chitetto celebre ai suoi dì, Giuseppe Valadier,
nella grave età di seltantasette anni, dopo avere
multi operato nell'arte sua. La vita che ne tesse
Con giudizio grande e con diligenza inolla il
eh. avv. Ciampi, ce ne mostrano i pregi non me-
no che i difetti: questi più del tempo che del-
l'uomo, quelli più del suo ingegno che della
sua scuola.
COLLANA PANEGIRICA — Nuovissima Collana panegirica di celebri oratori
per le feste di nostro Signore, della beala Vergine, dei Santi ecc. Quarta
edizione, aumentata di nuovi lavori editi ed inediti, e compilata per cura
340
BIBLIOGRAFIA
di Domenico Scotti-Pagliara. Xapoli, 1870. Gabriele Rondinella editore,
S Anna de' Lombardi, 8. Olio volumi in 8.° grande a due colonne di
circa 600 pag. ciascuno.
tiene Notizie, Sermoni ecc. per le feste dell'Immaco-
lata, della Natività, del Nome, della Presentazione,
(klI'Anoaoziazion**, della Visitazione, della Purifi-
cazione, dell'Addolorata, della Di-soUia, dell'As-
sunzione, del Patrocinio, del Cuore ere. Il quarto
contiene Notizie, Sermoni ecc. per le fesie della
Madonna del Cannine, del Rosario, della Cintu-
ra , del Buon Consulto, della Porziumola, di
S. Maria della N. ve, della S. Casa di Loreto, del-
la Madonna della Mercede, delle Grane, della
l'uria, della Salute, della Consolazone, della
Provvidenza, della Pietà, della Fortuna, del Lau-
ro, del Popolo , del Principio, di Costantinopoli,
degli Abbandonati, di Porto Salvo, della Scala,
della Divina Pastora, della Misericordia, degli
Angeli, della Verità, del Verd O'ivo, del Pilaro,
del Rimedio, delle Arque, del Po/zo, della Tor-
re, dell'Arco, delia Seggiola, del Soccorso, del
Suffragio ecc. I volumi quinto e sesto «onlen—
gono Notizie, Sermoni ecc. per le feslc degli
Angeli e de' Santi. Il volume settimo contiene
Notizie, Sermoni ecc. per la festa delle Sanie,
de' novelli Sacerdoti, delia Vestizione e Profes-
sione delle monache, per Benedizione di Noz-
ze, di Bandiere, di Campane, per l'opera del-
la Propagazione delia Fede, degli ammalati,
dei ciechi, de'sordi muti ecc. L'oliavo volume
contiene Sermoni per la novena e oliava dei
morti, e orazioni funebri per Pontefici, Principi,
Cardinali, Canonici. Letterati, Artisti ecc.
V editore, prendendo in considerazione le
strettezze, in cui oggi ai trova il Clero, rimette
per L. ìV> fino a domicilio, quest'opera che fi-
nora si è data per L. 73.
COSTA GIUSEPPE — Altre considerazioni sopra un recente opuscolo del cava-
liere Giuseppe Costa, in difesa degli agricoltori romani; per Mario principe
di Campagnano; risposta del cav. Giuseppe Costa. Velletri 1869, tip. Co-
lonnesi. In 16.° di pag. 34.
Il nome del chiariss mo Scotti Pagliara, uno
de'piu valenti oratori sacri, che vanti l" Italia, e
la migliore guarentigia di ques'a Collana, da
lui compilata co'lavori de'piu riputali predica-
tori, massime de'nosiri tempi. Il Quo a cui ri
sembra che egli abbia miralo, non lauto e sialo di
fom>re ai g<ovam oratori ottimi esempli, stan-
teche l'eccellenza, specialmente mi genere sa-
cro, è di pochissimi ; ma piultuSlo gran copia
di materia per ogni occasione di discorsi sa-
cri, acciocché chi n<>n potesse per sé procacciar-
sela, ne trovasse quivi a sufficienza [nesso va-
lenti amori benché di mento diverso. Per que-
sta stessa ragione il saggio compilatore non ha
compreso solamente nella sua raccolta le 0<azioni
formate, ma anche i semplici materiali per for-
marne e questo per ognuno de'soggetli, i qui-
1 costituiscono come altrettanti anelli della Col-
lana. Da un elenco generale, che qui soggiun-
geremo di tulli questi soggetti, compresi negli
Otto volumi; ognuno può argomentare il gran
vantaggio che gli sarà dalo di trarre da una
Raccolta cosi vana e cosi ricca.
Il primo volume contiene Notizie, Sermoni,
Assunti, Sentenze scritturali, figure della sacra
Scrittura e sentenze de'Padri per le feste del Na-
tale, della Circoncisione, del Nome di Gesù, del-
la Epifania, della Trasfigurazione, di tult'i mi-
steri della Passione, dell'Agonia, della Croce. Il
secondo contiene Notizie, Sermoni ecc. per le fe-
ste della Risurrezione, dell'Ascenzione, della Pen-
tecoste, della Trinità, del Corpus Donimi, delle
Quaranlore, della Messa, della prima Comunione,
del Cuore di Gesù, del Redentore ecc. Il terzo con-
ti eh. cav. Giuseppe Costa, chiaro letterato
non meno che molto sperimentato economista,
scrisse un opuscolo in difesa degli agricoltori
romani, dimostrando «he non era mila loro la
colpa della condizione presente della campagna
romaiu, ma doversene una buona parte arrecare
ai proorietarn dell'agro. L'eccellentissimo signor
Principe di Campagnano rispose al Costa, pren-
dendo le direse di quella parte di proprietaria
ohe appartiene alla nobiltà romana. Il presente
egli sotto il nome di proprielarli non aveva inteso
esclusivamente i nobili : e che anzi parlando
dei nobili avea fallo delle formali ecce/toni. Man-
tenendole ora, esso conferma l'opinione manifesta-
la nel primo opuscolo con nuovi argomenti. Questa
discussione, conservatasi lutla ne' termini della
più gentile cortesia, e utilissima : giacché desta
una gara vantaggiosa tra i lOluvalori e i pro-
pnetarii a chi cooperi meglio a ristorare la non
fiorente agricoltura nel suolo romano.
opuscolo e scritto dal Costa per dimostrare che
CRASSET — Il paradiso terrestre, ossia Gesù nella SS. Eucaristia, considera-
zioni estratte dalle opere del P. Crassetd. C. d. G. Torino, tip. dì (i. Mar*
rietti, tipografo pontificio 1870. Un voi. in 16.° di pag. 279.
CURI YINCfcNi.0 — Marianna Pacetti Datli. Cenni necrolugici scritti dall' IVY.
prof. Vincenzo Curi. Fermo, tip. Paccasassi 1870. In 8.° di pag. XII.
BIBLIOGRAFIA 341
DUBINÓ LUIGI — Epilogo delle prose della pontifìcia Accademia tiberina, e re-
lazione dei nuovi socii e dei defunti nell'aia™ 1869, letto nsllVunanza del
■20 Dicembre dell'anno stesso dal segretario annuale avv. Luigi Dubino.
Roma, coi tipi del Salviucci 1870. /nl6.u di pag. 61.
L'accademia tiberina ha per costume dj tratta- Secchi, Zantedesehi e Volpiceli}, i due prelati
reneUfSue tomaie argomenti gravi, e di wol- mons. Roranana e mons. Nardi, e i eh. lettera-
gerli dottamente. Quindi essa nesce di vera utili- ti. Coppi e Spada. Quali niaterie trattassero es-
tà a quinti ci intervengono, perche. tutti ci han- " si, e come le venissero svolgendo, espone con
no alcun che da apprendere. Ciò avvenne ezian— molto appropriala analisi in queso discorso, il
dio nel cor<o del 1 809, nel quale fra tanti altri si?, avv. Dubino, segretario annuale dell'Acca-
•graffi personaggi di Roma che vi lessero loro deinia.
discorsi divario soggetto, nomineremo i profess.
EMMAKUELLI ANTONIO — Del fine provvidenziale del moderno spiritismo, ossia
il diavolo mandato, suo malgrado, a mettere in rivoluzione la filosofia del
secolo XIX. Saggio critico Xeofilosofico, per Antonio Emmanuelli, sacer-
dote. Parma, tip. Fiaccadori, 1870. In 8.° di pag. XX~-59.
11 titolo di questo libro eccita lacunosità del prima di giungere alla fine: segno mani feslissi-
Jeltore ; ma la sua curiosità ivsta pienamente sod- mo crei merito d'uno scrino. Desideriamo che es-
disfatta, compiutane la leti lira : tanta è la dna-' so venga alla mano di molti giovani, e soprat-
rez/.a «lei procedimento e la forzi di Logica ad- tulio di quelli che ebbero la sventura d'essere
operata dall'Autore. Esso libro poi è tale , che istituiti nelle false dottrine dei moderno positi—
preso una \o>ta a leggere, non si àbbandoua vismo e naturalismo.
FERRER1 SEVERINO — Il mese dt Maggio in esempii, del sacerdote Severino
Ferreri. Torino, tip. di G. Speirani e figli, 1870. In 32.° di pag. 77.
FINAZZI ANTONIO — Pellegrinaggio al santuario d1 Einsilden nella Svizzera.
Memoria del sac. Antonio Finazzi. Genova, tip. della Gioventù, 18G8. In
16." di pag. 19.
FRASSINETTI GASPARE —La divozione illuminata. Manuale di preghiere che
contiene le orazioni del mattino e della sera, gli atti per la confessione e
comunione, altre orazioni di vote e pratiche con analoghe istruzioni, salmi
ed inni, avvertenze per varii generi di persone, e un ristretto di ciò che
deve sapere il cristiano; per Giuseppe Frassineti, priore a S. Sabina in
Genova. Ediz. 2. Genova, tip. della Gioventù, 1870. In 32.° di p»g. 382.
GASTALDI LORENZO — Cenni necrologici del fu monsignor Francesco Gardozo-
Ayres, dell'istituto della carità, Vescovo di Olinda e Pernambuco; lettera
di monsig. Lorenzo Gastaldi, Vescovo di Saluzzo a mons. Antonio De Ma-
cedo-Costa, Vescovo di Belem De Para. Roma, coi tipi della Civiltà Cat-
tolica, 1870. In 8.° di pag. 11.
GIORGI CALLISTO — Due discorsi in onore della SS. Vergine di Bonaria, vene-
rata in Cagliari nella chiesa dei RR. PP. della Mercede; detti nel quinto
centenario e nella solenne incoronazione, da monsig. Callisto Giorgi, came-
riere di S. Santità e canonico in Roma dalla perinsigne Basilica di S. Lo-
renzo in Damaso. Cagliari, tip. Timon, 1870. In 8.° di pag. 30.
GOBIO INNOCENTE — Storia del culto di S. Giuseppe, sposo di Maria Vergine,
del P. Innocente Gobio C. R. barnabita. Torino, tip, dell" Oratorio elisati
Francesco di Sales, 1870. In 32.°. di pag. 71.
G. R. — Esclamazioni di zelo per ogni giorno dell1 anno, e associazione di ca-
rità per l'esercizio delle opere di misericordia, aggiuntovi il modo di ascol-
tare la S. Messa ed altre divozioni. Milano, presso Antonio Guzzelti. Un
volumetto in 32.° di pag. 22i.
312 BIBLIOGRAFIA
GUARN1ERI ANGELO — Tributo d1 ossequio al sacro Cuore di Gesù. Dell'amor
di Dio, contemplazioni dell1 idiota; volgarizzale dal sae. Angelo Guarnieri.
Prato, a spese dell' editore, 1870. In 1G.° piccolo di pag. ÀTJ-80.
IACOVACCI GIOVANNI — Nella festa del V centenario ed incoronazione della
SS. V. Maria di Bonaria, eseguita il 2i Aprile 1870. Parole del Delegato
S. E. ftema monsig. Don Giovanni Iacovacci, vescovo di Eritrea; ed epi-
grafi con poesie deh" egregio avvocato Fr. Bertlnelli. Cagliari, tip. di A.
Timori, 1870. In 4." di pag. 2$,
IL PARAD1SUS ANMAE, o trattato delle virtù di Alberto Magno, recato la prima
volta in volgare. Napoli, tipografia degli Accaitoncelli, 1870. Un volume
in 16.° di pag. 200.
Quesla elegantissima versione della chiara si- Paradisi al prezzo di lir. 1, in Roma uffizio
gnorina Francesca ^ofìo fu da noi molto lodata della Civiltà Cattolica, ed io altre città d' Italia
e raccomand.ila nel quaderno 485 , pag. 586. presso i principali librai al prezzo di lir. 1,10.
L'opera è rendibile in Nnpoli presso Domenico
LEM0YNE G. B. — Biografia del giovane Mazzarello Giuseppe, pel sacerdote
G. B. Lemoyne, direttore del collegio-convitto di Lanzo. Torino, tip. del-
VOrat. di S. Frane di Sales, 1870. Un volumetto in 32.° di pag. 139.
Nell'eia di 3G anni cessò di vivere nell'O- come era vivulo con esempii di rare virtù, così
ratorio di S. Francesco di ^ales, cui si era con- se n' è voluto perpetuar la memoria , ad edi
secrato, il pio uomo Giuseppe Mazzarello; e sic- ficazione del prossimo, col pubblicarne la vila.
L. R. B. — Ammaestramenti dello Spirito Santo alla Gioventù. Firenze, per
E. Culi, 1870. In 32." di pag. 48.
1UXARD0 FEDELE — Vita di S. Giovanni Bono, vescovo di Milano, scritta dal
sac. professore Fedele Luvardo. Genova, tip. Anna Bocci, vedova Faziola,
1870. InSsdipag. 16.
S. Giovanni chiamato Bono per la Insigne san- morie che rimangono ancora di lui, trovansi rac-
tità della sua vita, fiorì nello scorcio del VI se- colte ed ord naie con ottima critica in questa
colo e nella prima metà del VII. Tutte le me- importante biografia.
MAGGIULLÌ LUIGI — Monografia numismatica della provincia di terra d'Otran-
to, e breve ragguaglio storico delle città di questa regione, che tennero
Zecca nei tempi del dominio greco, romano, avevo, angioino ed aragone-
se, per Luigi Maggiulli. Lecce, tipografia editrice salentina, 1870. Un
voi. in 8.° di pag. 108.
Frutto di lunghe ricerche, guidale da una cri- un ragguaglio storico di ciascuna delle delte citlà,
tica molto sagace, è ruest' opera del eh. signor il quale N dall' una parte giova moltissimo per
Luigi Maggiulli. In essa egli chiama a rassegna la spiegazione delle monete, dall'altra attinge
e descrive e class (Ica con bell'ordine tutte le molta luce dalle medesime. 1 numismatici di pro-
momte in oro, in argento ed in bronzo, cornili- ftssione debbono essere mollo riconoscenti all' il-
ciando dalle più antiche, e terminando nelle più lustre Autore, che loro fornisce tanta materia di
recenti delle singole città di terra d'Otranto, du- utili s'udii e confronti; ma più gli dev'essere
ranlc il ie npo che furono autonome e batterono graia la provincia d'Otranto, la cui storia ne
monete. A qne<lo studio, che e la parte sostati- riesce per quesla via mirabilmente illustrala,
ziale e più difterie del luvoro, egii coogiunge
KER1GHI PIETRO — La Uieciardeide, ossia T anticoncilio massonico in Napoli.
Deccmbre 18G9; eia coda detta EUcoiardeide. Poemetto del can. Pietro Me-
rfghl <li Ferrara. Seconda ediz. Reggio-Emilia, tip. Degani e Afa
1870. In ÌG •di pag. 10.
BIBLIOGRAFIA 30
MOGLIA AGOSTINO — La tirannia repressa dal Sillabo di Pio IX; per A. Sfoglia.
Piacenza, dalla tip. F. Solari, 1870. Un voi. in 16.° di pag. 344.
In questo libro l' Autore prende a chiarire e e sottili argomentazioni, ma per facili e piani e
difendere la conduuua data nel Sillabo ad ottan- brevi ragionamenti, non avendo diretto il suo
ta proposizioni, seguendo lo stesso ordine nel libro aisoli scienziati, ma a persone di qualun-
que esse son collocate, e mostrando come la que siasi classe, comecbè di mediocre o anche
loro condanna tende ad assicurare la verace li- tenue coltura, sicché tutti lo potranno leggera
berta dell' uomo. Egli non procede per lunghe con profitto.
NARDI FRANCESCO — Il pontificato romano nella storia. Discorso di mons. Fran-
cesco Nardi, uditore di S. Rota. Rima, tipogr. Sinimoerghi, 1870. In 8.°
di pag. 37.
Questo discorso, ledo da mons. Nardi nell'Ac- fu per tutti i tempi il custode doli' ordine mo-
cademia pontifìcia tiberina per festeggiare l'an- rale nella Chiesa e nella società. Basti dire che
ni versano della coronazione di Pio IX., è un vivo questo discorso è uno dei più vivi, usciti dalla
quadro storico, in cui 600 pennellate e scorci da penna e diremmo quasi dal pennello di monsi-
maestro ei fa vedere come il Pontificato romano gnor Nardi.
NA VARRÀ GIUSEPPE — Sacra Novena di XII orazioni ed aspirazioni divote in
preparazione alla festa di Maria Santissima ecc. ecc.; composta dal rev.
P. G. Navarra, della Congregazione dell'Oratorio di Fermo. Camerino, tip.
Marchi, 1870. In 32.° di pag. 16.
PANFILO DA RAGLIANO — La Chiesa greca e la processione eterna dello Spirito
Santo dal Padre e dal Figlinolo, per P. Fr. Panfilo da Magliano, M. 0. del-
l' Ordine di S. Francesco. Roma, tip. di Propaganda; Torino, Marietti,
1870. In 16.° di pag. 208.
Piccolo di mole, ma pieno di sostanza è que- nota del eh. Autore. 11 P. Panfilo rogalo già
Sto volume, che può dirsi insieme un trattato all' Italia una bella versione della pia e dotta
storico polemico e teologico. Il libro è diviso in operetta di mgr. Mannmg, Arcivescovo di West-
tré capi; nel primo, che più specialmente è sto- minster, intitolata La missione temporale dello
rico, si discorre dello scisma greco ; nel secondo, Spirito Santo: ed ora sentiamo con piacere che
che più specialmente è polemico, si tratta la ì' operetta originale del P. Panfilo sulla Proces-
controversia sull'addizione del Filioque al sim- sione eterna dello Spirilo Santo sarà presto volta
bolo; e nel terzo più specialmente teologico si io inglese. Veramente le due opere posson dirsi
dimostra la dottrina cattolica della processione complemento e perfezione l'una dell'altra; ed a-
eterna dello Spirito Santo dal Padre e dal Fi- nsendue possono aversi in Ptoma alla tipografia
gliuolo; e tuito con la dottrina ed eleganza già di Propaganda.
PAVÌSSICH LUIGI CESARE — Trieste, XI Aprile 1869. Ossia Omaggio deiTriesti-
ni a Pio IX nel suo Giubbileo sacerdotale. Trieste, tip. C. V. lìusenick e
comp. 1819. In 8.° di pag. 8.
P. G. M. — Breve memoria intorno a Teresa Ricci, morta il VII Marzo 1868,
del P. G. M. Modena, Imm. Concezione. In 32.° di pag. 36.
POPPI AGOSTINO — Di mons. Gio. Battista Ciofi, Vescovo di Chiusi e Pienza;
elogio funebre recitato nella collegiata, concattedrale ùi Cbianciano, nelle
esequie solenni del giorno settimo della sua morte. Siena 1870, tip. sordo-
muti di L. Lazzeri. In 8.° di pag. 24.
RAFFAELLI FILIPPO — Alcune lettere della celebre grecista Clotilde Tambro-
ni, ed altre da illustri personaggi diretti alla medesima; pubblicate ed illu-
strate per il marchese Filippo Raffaelli, bibliotecario delia Mozziana Bor-
getti di Macerata, ecc. ecc. Sameverino-Marche , tip. Soc» editrice, di-
retta da C. Corradetti 1870. In 8.° di pag. 43.
Clotilde Tambroni. nata in Bologna il 17"J8, la sua classica erudizione, specialmente delle
e morta quivi il 1817, venne in tanta fama per greche lettere, che meritò di succedere nella ho-
344 BIBLIOGRAFIA
lognese università al eel. P. Aponle, e insegnar- corrispondenza epistolare di lei coi personaggi
Ti pubblicamente la greca letteratura. Alla Betta- più famosi del suo tempo, in occasione delle
za accoppiò essa le più insigni vino, e Tu dai no/.ze che una sua discendente contra>se in
•onlempuranei Itmu'a in islima grande per le questi mesi. Il march. Raffaeli!, che ne è l'edi-
doti del cuore, non meno che per quelle della tore, ti ha premessa una breve, ma suflicunte
meme. Fu dunque modo geniil pensiero quello ' ed esatta biografia.
di pubblicare alcune più insigui lettere della
ROMANZI DI ONESTA ED UTILE LETTURA — Annoveriamo qui unitamente dei
Romanzi, che possono fornire alla curiosità pascolo innocuo, anzi ancora
utile per la istruzione e per la morale. Quattro di essi sono volgarizzamen-
ti fatti dal francese: due sono scritti originalmente in favella italiana. Que-
sti ultimi hanno parecchi punti di riscontro, trattando entrambi dei casti-
ghi che la Giustizia divina serba ai malfattori anche sopra questa terra, e
della protezione che la Providenza fa trovare all'innocenza perseguitata, e
metteudo entrambi in iscena dei pessimi feudatari^ flagello delle contrade
a loro sottoposte.
KIITSCHE DE LA GRANGE ANTONIETTA — La rietU, tip. pontifìcio, 1870. Ull
torre del corvo. Racconto di Anto- voi. in 16.* di pag 221 .
nietta Klitsche de la Grange. Ori- dutheileuginia— L'espiazione. Raccon-
ginale italiano. Roma, coi tipi del- toper la contessa Eugenia Dutheil
l'Osservatore romano 1870. Un de là Rochère. Bologna, presso
voi. in 16° di pag. 534. l'Uffizio del Messaggere 1870. Un
viglieechio Leopoldo — Febo dei marche- volumetto in 32.° di pa^.262.
si di Ceva. Racconto storico del se- nyon euginio — Il figlio del governato-
colo XVI, per il teol. cav. prof. re, per Eugenio Nyon. Bologna,
Leopoldo Yiglierchio. Mondovì, presso V Uffizio del Mcssagge-
tip. di A. Fracchia. Un voi. in re 1870. Due volumetti in 16.° di
n: di pag. mi. paf.'%\*.
di livonnière marino — La stanza delle nieritz gustavo — La chiave della fre-
ombre. Racconto storico del signor gata, per Gustavo Nieritz. Bolo-
Marino di Livonnière; versione li- gna, presso l'Uffizio del Messag-
bera dal francese, del sac. Severi- gere 1869. Un volumetto in 16.*
no Ferreri. Torino, P. di G. Ma- piccolo di pag.^ì.
R0SIN1I CAR. MAR1AE Episcopi Puteolani — Aegyptii, Comoedia, mine pri-
mum recognita a Caielano Barbati, metropolitanae neapolitanae Ecclesiae
canonico. Neapoli, typis Fibrenianis, anno MDCCCLXX. Un elegante vo-
lume in i.° di pag. 40.
Grazie alle cure del dotto Canonico D. Gae- Orazio. I quali presi, ed altri molli che «li accom-
tano tariteli, possiam gustare questa terza Com- pannano, hanno grandissimo rilievo nella rappre-
media di quel luminare delle lettere Ialine, che sentanza, grazie ad una singolare proprietà dei-
fu Monsignor Rosini, Vescovo di Pozzuoli; sic- l'Autore di saper accoppiare con quella sua la'.ini-
come alcuni anni addietro ne avevamo «tubiate tà luti' oro una facilità affatto maravigli!»;». E
le prime due per l'opera del compianto P. Lui- però noi crediamo, che in que'Cnllegi, ne'quah si
gi Palumbo Non ci è possibile dir per minuto è inl-odolla la consuetudine di far rappresen-
tull'i pregi di questi capilavori lett.rarii: ma tare alcune volle fra l'anno ai giovani alunni
Taiga per ogni lode che esse, non a giudizio qualche dramma, sarebbe di grandissima uhii-
ncslro solamente, ma di uomini 'Ionissimi, riesco- tà adoperare a tal uopo le Commedie del I
DO a ritrarre ron 'squisita perfezione tulio ciò ni, poiché coli' onesio ricreamene che rVl-
che può piacere in Plauto, specialmente la nili- no seco, sarebbe congiunto il vantaggio inesli-
dezza della fr..se e la comica festività, ed a sebi- mabiie «li far apprendere con somma agevolez-
▼arne i non pochi difetti che lo deturpano, se- za le più pure eleganze del linguaggio latino,
gnatament* la frivolezza e la inurbanità degli Di ciò diedero l'esempio qui in Ruma nel pas-
w ni , tanto severamente rimproverategli da salo Carnevale due Collegi, il dementino, di-
BIBLIOGRAFIA 345
retto dai RR. PP. Somaschi, e il Nazareno, di- diletto di una scelta corona di spettatori, ap-
retto dai RR. PP. oeiie Scuole Pie, ne' quali punlo le due Commedie del Resini che etano
que' bravi alunni produssero sulle srene con state pubblicale dal P. Palumbo.
moltissimo garbo e intelligenza, e con sommo
SACCHERI GIROLAMO PIO — Sermones quos in sacello pontificio vaticano ab an-
no 1857 ad annum 1867, prima domnnca Advenkis et prima dominica qua*
dragesimae, vice P. M. Mariani Spada, procuratoris generalis Ordinis Prae-
dicatorum, Imbuii P.M. Fr. Hieronymus Pius Saccheri, eiusdem Ordinis,
bibliothecae casanatensis praefectnsetprovincialisromanus. Romae, typis
B. Mortili 1870. In 16/' di pag. 99.
Il vangelo della 1." Domenica dell'Avvento è senza del S. Padre nella cappella pontifìcia,
quello della venuta di Cristo a giudicare il mon- Sono essi scritti in molto buon latino, e oltre
do: ed il Vangelo della 1.' Domenica di Qua- alia varietà dei concetti sopra lo stesso argo-
resinia è quello delle tre tentazioni di Cristo nel mento, ci paiono notevoli pel maneggio dei le-
deseno. ti pruno vangelo è commentalo con dieci sii criiturali e patristici, che con molla spon-
sernioni, e con altrettanti il secondo dal dotto taneità s'intersecano al discorso dal eh. Autore,
e eh. p. Saccherì, che dovè predicarli alla pre-
SCOLARI FILIPPO — Sopra lo stato presente della letteratura dantesca, lettera
critica al professore David Farahulini. Roma, tipografia delle belle Ar-
ti 1870. Un voi. in 8.° di pag. 40.
Il ch'aro cavaliere Filippo Scolari giustamen- pone le opere e gli esempii di alcuni di coloro,
te si lamenta, che la «lanUsca letteratura, min che a suo giudizio più si sono segnalati negli
essendo governata da princìpi! comuni, e tutti ultimi tempi nella intelligenza e nella giusti esti-
proeacciaiido di far valere i proprii pensieri , è mazione della divina Commedia. Gli Amori che
diventata per la moltplicilà del'e opinioni una nomina sono pochissimi e a dir vero non sap-
matena sì scompigliata e contraddittoria, che a piamo trovar la ragione, perche gli ò piaciuto
volere argomentare da quanto si è scritto e si tacersi di molli altri che avevano il medesimo,
scrive sul divino Poema niuua cosa in esso si e forse alcuni maggior diritto di esser proposti,
dovrebbe tenere per sicura, né anco il testo. Il Del pari non ci e piacimi), che ìwu'Elenco di
rimedio, che l'illustre Autore propone, sarebbe alquante pubblicazioni dantesche o contempo-
senza dubbio eccellente; poiché consisterebbe ranee posteriori al Centenario di Dante, sia
nell'accordo di vane accademie, stabilitesi nelle stata citala serua niuna osservazione l'opera di
città principali di Europa, le quali di tempo in Fraocesco Perez La Beatrice svelala, il cui sco-
tempo dovrebbero pubblicare un volume in cui pò e di spiegare in senso panieisiico il concetto
fosse chiarito ed affermalo il vero senso de'di- di Dante. Ma forse in queir Elenco il eh. Autore
versi luoghi del Poema. Ma nò questo, né altri non atlro ha inteso che dare una notizia siunca
simili provvedimenti sono possibili: e pelò il di alcune opere, senile nel periodo di tempo da
eh. Autore, per opporsi aila comune licenza, la lui accennalo, seuza entrar garante nò del loro
quale piuttosto che conferire alla intelligenza di spirito né del merito loro.
Dante, riesce a sempre peggio infoscarla, pro-
SC0TT1 - PAGLIARA DOMENICO —Vedi, Collana panegirica.
SERVIZI RAFFAELLO— Ode Saffica ad onore di Pio IX, P. 0. I. che in pochi
anni ha fatto opera di lunghissimo tempo, riempiendo del suo gran nome
tutto il mondo. Roma, tip. Pallotta 1870. Un fot. in 8.°
STRAMBI VINO. MARIA — Il mese di Luglio, consecrato al preziosissimo Sangue
del nostro divin Redentore, composto dal servo di Dio M. Vinc. Maria
Strambi, vescovo di Macerata e Tolentino, Torino, Pietro di G. Marietti.
tipografo pontifìcio 1870. Un voi. in 32.° di pag. 212.
TANCREDI GIUSEPPE — L'unione del sapere et Ineleganza e l'unità della lingua
italiana. Discorso del pruf. Giuseppe Tancredi. Roma, tipografa delle
scienze matematiche e fi* > che, 1870. In i.° dipag. 8.
Il chiaro Amore confuta con buone ragioni, già i vocaboli formano la sostanza del discorso:
elegantemente esposte, il vecchio sofisma di co- donde inferiscono non dovere un pensatore, dar-
loro, i quali , a S' usa della loro ignoranza e in- si alcuna briga della buona lingua, nò della
fingardaggine sostengono che i concetti e non scelta dille parole. Contro a cosi rovinoso prin-
346 BIBLIOGRAFIA
cipio egli dimostra quanto gran pai te ha e de- assai poste cor/siderazioni intorno alla quistio-
ve aveie nelii verace eloquenza, e quindi nel- ne, UCMo ngtlate in questi ulliuii tempi, dell'unt-
l'iffetto che sì ne attinie, lo stmtio bene in- là cella lingua nell'Italia,
teso detl.i parola. Da ciò prende occasione di fare
VALDAMERI ANTONIO — Sugli odierni sistemi cVarrministrazione desìi istituti
di beneficenza. Osservazioni del sac. prof. Antonio Valdameri, tratte dai
rendiconti economici delle opere pie di Crema. Crema, tip. Campani-
ni 1870. In 8.° di pagAM.
Le Opere pie sono slate per la massima parie Ciò infatti che evidentemente mostra il eh. prof,
secolarizzate in Italia, facendo succedere alla di- Valdameri si è che, supposta pan onestà perso-
lezione ed amministrazione dei Preti quella dei naie nei laici die nei preti; i principi! liberale-
Laici. Qual guadagno vi han fatto i poveri? A sdii professati da quelli mirano a viziare que-
^uesto quesito risponde il presente opuscolo. Esso st' Istituii di carità. Ottimo libro, che dovreb-
parte da un caso particolare, quello dell'Ospitai besi meditar molto da quanti in Italia amano di
Maggiore di Crema, ma le sue conclusioni sono preservare da corruzione queste utilissime fon-
genern-he, siccome quelle che movendo da prin- dazioni della carila dei nostri avi.
•ipii universali hanno universale applicazione.
VAL-SECCHI GIACOMO — Orazioni sacre del teologo Giacomo Valsecchi, canoni-
co della Chiesa cattedrale di Alessandria, cavaliere de1 SS. Maurizio e Laz-
zaro ecc. Alessandria, tip. dì P. Ragazzone 1870. Un voi. in 8.° di pa-
gine 77/1-151.
Le dieci sacre orazioni del eh. c»n. Valsecchi compreso lo scopo vero dei panegirici, che non e
sono per la maggior parte del genere lodativo; quello di esaltare con fiorito discorso le glorie dei
ma cosi bine appropriate ali' uttliià pratica de- Sunti che si lodano, ma riscaldare i petii dei fo-
gli ascoltami, che sembrano esortazioni morali deli nel desiderio di imitarli, e additarne loro
al tempo stesso. Ciò mostra che l'autore ha beo la via.
VARII AUTORI — In morte del conte D. Giuseppe Carbonelli, barone di Setino.
Nàpoli, tip. di S. De Leila 1870. In 8.° di pag. Vò.
— Memorie funebri e cecini biografici intorno ad Ernesto Palombo, console
dalla Repubblica del Salvador in Napoli. Napoli, tip. di S. De Leila 1870.
In Vài pag.SS.
VASARI GIORGIO — Le vite dei più eccellenti pittori, scultori ed architetti, di
Giorgio Vasari, scelte ed annotate. Volume terzo. Torino, tip. dell' Orat.
di S. Frane, di Sales 1870. Un voi. in 32.° di pag. 254.
TEL-ARDITA ANTONINO — Il sistema della natura, cioè Dio, l'uomo, la reli-
gione. Libri tre. Opera cosmologica del cav. Antonino Velardita. Volume
primo. Napoli, tip. di C Zamack 18<»9.
Quest'opera, a giudicarne da questo primo vo- do equivoco; ed è c<ò che al numero 53 e 54
lumetto, ci sembra scritta con molta dottrina ed dice del nulla,, a cui attribuisce IVisicnza, ben-
erudi/ione e sani pr>neipii. Una sola cosa non che la chiami negativa, e lo identillca collo spa-
ci garbeggla e ci sembra almeno espressa in mo- zio puro e col luogo ove esistono 1 corpi.
VIGANO' FRANCESCO — Unità delle cedole e pluralità delle banche, e légge S
Giugno 186ì, che organizza le banche nazionali degli Stati uniti d'Ameri-
ca, ed alcune idee finanziarie (col progetto di legge del ministro Ca> tagliola)
proposte all'Italia dal professore Francesco Vigano. Milano, tip. arciv.
di G. B. Pogliani e C. 1870. In 8.* dì pag. 68.
VITA del venerabile P. Cesare De Bus, fondatore della Congregazione dei Sacer-
doti secolari della Dottrina Cristiana, compilata da un Sacerdote della
stessa Congregazione. Roma, tip. Menicanli, 1869. In 8.° di pè§. .'»2i;.
Bacconanllamo assai questa vita che si leg- riprensibile. HI. Vita penitente. IV. Vita sarer-
gerà con eiificaz'one insieme e diletto. Ella è dolale. V. Vita dottrinaria, ti Vi la sanla dd
distinta in sei libri: I. Vita innocente. II. Vita P. Cesare de Bus.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO
— Q£S£*&*r-*sì\2s5Z3—-
t
V UNANIMITÀ' MORALE DEI PADRI NELLA IV SESSIONE
DEL CONCILIO VATICANO.
Nella pubblica Sessione del Concilio, tenutasi il dì 18 Luglio, nell'at-
ta del votare sopra i 535 prelati presenti, due soli dissero Non placet,
e tutti gli altri dissero Placet. Questa distribuzione di voti deve essere
riguardata come uno dei più singolari tratti della divina Provvidenza.
Si può dire in effetto che vi furono tanti voti negativi appunto, quan-
ti erano necessarii perchè dai miscredenti fuori del Concilio, tanto al
predente, quanto all'avvenire, non si potesse dire die non vi era stata
libertà nei Vescovi per votare secondo coscienza al cospetto del Papa.
Se quei due voti negativi non ci fossero stati, noi siam certi che i ne-
mici della fede cattolica avrebbero detto che quella votazione era nulla,
perchè non fi era stata libertà nel votare il NO. Né ciò diciamo a caso;
e per provarlo arrecheremo qui un aneddoto che ci venne riferito da
persona degnissima di fede. In una delle logge dell'aula conciliare, riser-
vate ai laici, era riuscito a farsi ammettere un forestiere, corrispon-
dente d'un giornale \ rotestante, che ha sempre, com'era naturale, osteg-
giata l'infallibilità dei Papi, ed ha in questo tempo fatto eco a quanto
si stampava contro i Padri del Concilio. Egli attendeva con molto in-
teresse alla votazione, e mostravasi assai soddisfatto di quel continuo
succedersi di voti favorevoli. Se non che al primo flfbtt placet che udì,
si mostrò assai turbato, e richiesto da un amico suo vicino di questo
non ispiegabile suo turbamento, non rispose che queste sole parole,
udite da chi sedevagli accanto: Questo colo negativo ci guas'a tutto.
àia che cosa potea guastare, se non solo la preparata eccezione del-
la mancanza di libertà?
348 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
Ma questi voti negativi, se. fossero stati in gran numero, avreb-
bero esclusa l'unanimità morale. Or la divina Provvidenza ha voluto
appunto che questa definizione si facesse a voti unanimi dei Padri;;'
non perchè quesia piena concordia di voti fosse necessaria ad una qual-
siasi decisione del Concilio; ma perchè fosse tolto ai Contraddittori
dell'Infallibilità quest' ultimo loro rifugio. E nota infatti la polèmica
sostenutasi fuori del Concilio con opuscoli e con articoli di giornali,
intorno al numero di voti necessari! a rendere valido un decreto con-
ciliare. Gli oppugnatori della Infallibilità dei Papi posero innanzi una
quanto nuova, altrettanto strana. opinione, cbe una minorità cioè con-
traria di voti bastasse ad invalidare qualsivoglia definizione, che risguar-
dasse un Domma: e che per conseguenza si richiedesse, pei decreti dom-
inatici almeno, quella che essi dissero unanimità morale. Questa teorica
è falsa, come fu dimostrato appieno dai teologi e canonisti, e come ancor
noi largamente provammo. Ma l'evidenza stessa della verità non basta
per certi spiriti, troppo ostinati nelle preconcette loro idee: e l'ecce-
zione della unanimità seguitava a darsi su pei giornali e negli opu-
scoli, come se quella fosse la più palpabile, la più sicura delle verità.
La divina Provvidenza, commiserando la debolezza della fede e del-
la scienza di questi sventurati, per via non preveduta, ha reciso il
nodo, togliendo via il pretesto stesso alla loro difficoltà, e disponen-
do che questa definizione fosse realmente comprovata dal suffragio
unanime dei Padri.
I voti infatti emessi nelle Congregazioni conciliari non sono realmen-
te definitivi : come non sono realmente definitive le Congregazioni me-
desime. Sì le Congregazioni, cornei voli, sono preparaloiii : giacche
servono a discutere la sostanza e la forinola dei decreti , i quali ed ogni
nuova votazione sono sottomessi a nuove modificazioni, finché dopo
l'ultima votazione generale preparatoria non prendono quella forma
stabile e definitiva, che si sottopone alla votazione definitiva dei Padri.
In queste Congregazioni preparatorie il voto negativo può bensì esse-
re sopra la sostanza medesima del decreto, come il voto affermativo
condizionato è realmente sopra la formola proposta: ma questo voto
non è f ultima parola dei Padri , e può essere da loro o ritrattala o mo-
dificata nella sessione, come di fatti assai spesso nei concilii, e in que-
sto come negli altri, è accaduto di alcuni. L'ultima parola dei Vescovi,
il loro voto definitivo, e veramente irrevocabile in quanto esso è atto
o sentenza di giudici, è quello che si dà nella Sessione ultima e definiti-
va, che nel Concilio Vaticano tiensi alla presenza e sotto la Presidenza
del sommo Pontefice. In questa sessione si dà la sentenza dai Vescovi,
la quale approvata che sia dal Papa, passa in re indicata. A questa
sentenza non prendono parte che i soli presenti, né gli assenti vi han
dritto alcuno. Anzi nel Concilio Vaticano si è voluta rendere ancor più
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 3 £9
severa del solito la legge della presenza, non essendo stato consentito
a nessuno dei Vescovi, qualunque fosse stato il motivo delia sua assen-
za, di manifestare il voto loro neppur per procura. Tal è il dritto sì ge-
nerale per tutti i concilii , sì particolare pel Vaticano. Or conforme a
questo dritto scorgesi essersi realmente conseguita quella morale una-
nimità, la quale, sebbene senza giusta ragione, pretende/vasi dagli av-
versarli del magistero infallibile del Pontificato romano richiedersi in-
dispensabilmente, perchè la decisione del Concilio fosse valida ed ob-
bligatoria per tutti i fedeli.
Nò ciò è vero solamente in se, ed a punta di dritto: ciò ammettesi
altresì da questi stessi avversarii , ed ammettesi con parole chiare ed
esplicite. Imperocché essi, volendo dimostrare che tutte le definizioni
dommatiche dei Concilii furon fatte con questa loro pretesa unanimità
morale, fanno due distinzioni. Distinguono dapprima le congregazioni
preparatorie dalla Sessione pubblica e definitiva: distinguono dipoi i
Vescovi riuniti in Concilio in due parti : coloro che dettero il loro con-
senso affermativo al domina, e coloro che per non darlo uscirono dal
Concilio e rifiutarono di sottoscrivere. Queste congregazioni preparato-
rie e questi rifiuti non li mettono in conto: perchè? Per la sola ragione
che i Vescovi oppositori non trovandosi a bello studio presenti il dì del-
la votazione, non fanno più parte del Concilio. Due sole citazioni ci ba-
stano a convincerci che tale è la loro teorica.
Nell'opuscolo intitolato V Unanimité dans les Conciles oecuméniqv.es,
stampato dal Dentu a Parigi, così leggesi a pag. 35.
« Le concile de Constantinople, célèbre en 381, se prononca à Tuna-
nimité des cent cinquante évèques presents, « fide consensu communi
stabili (a » disent Ics actes. Trente-six évèques macédoniens, qui s'é-
taient volontairement retirés want le vote, ne réussirent pas à infir-
mer plus tard les décisions de cette assemblée, et leurs voix discordan-
tes se perdirent sans écho dans Tadliésion de V Église universelle. »
Ecco dunque una minorità di 36 Vescovi sopra i 186 riuniti, la quale
si assenta volontariamente per non dare il voto, perchè contrario alla
maggiorità dei 150 rimanenti, non essere calcolata affatto come minorità,
perchè sebbene presente alla discussione, non si trovò presente alla vo-
tazione. E ciò si ribadisce ancor più esplicitamente nel periodo seguen-
te. Quivi si vuol dare risposta all'asserzione della Cicìltà Cattolica e
dell' Unhers, che avean detto esservi stata nel Concilio di Costantino-
poli una minorità opposta alla definizione conciliare di quasi un quar-
to: e per distruggere T efficacia di questo fatto lo scrittore ricorre a
questo rifugio dell' assenza. Eccone le parole : « Il n'y a pas eu minori-
le en 381 (epoca del Concilio), mais bien unanimité. Les trente six évè-
ques macédoniens n'étaint pas une minorité dont on ne pril nul souci,
puisqif ils avaint quitte le concile volontairement et avant le vote. »
350 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
E tre linee più sotto aggiusne: « Les opposants ne se rencontrent pas*
au concile, mais en demors du concile: là est la differente. » Applicando
questa teorica alla definizione dommatica (lell1 infallibilità poulilìcia, la
scuola rappresentata da questo scrittore deve ugualmente conchiudcre
che non le mancò la tanto da lui desiderata unanimità, e che essa dev'es-
sere da lui e dai suoi fautori venerata al pari del Concilio costantinopo-
litano, e di tutti gli altri decreti conciliari.
La seconda citazione la desumiamo dall'altro opuscolo, uscito coi tipi
napoletani del De Àngelis, e che ha per titolo: De l'unanimité morale,
nécessaire dans les concile* pour Ics définitions dogmatiques. Quivi trat-
tandosi del famoso decreto del Concilio tridentino sopra il Canone dei
libri sacri, e volendo rispondere alla Cicilia Cattolica, la quale avea ri-
cordato che la sanzione dell1 anatema, fulminato dal Concilio, avea avu-
to quattordici voti contrarli e solo venti favorevoli ; cosi a pag. 21 ri-
sponde: « Elle (la Civiltà Cattolica) a confondu les divergences qui se
sont produites pendant les discussions préparaloires, avec T incon
ble unanimité, obténue par le decret dans le vote definitif, en session
publique, le 8 Avril 1546. Or toule la question est là. » E sia pur là nel
caso presente la questione. Deve dunque esso concedere che il volo de-
finitivo, data nella Sessione pubblica, fu anime qui pienamente concor-
de, fu anche qui più che moralmente unanime.
E così volle realmente la Provvidenza che avvenisse, affinchè dagli
occhi medesimi di questi dissidenti sparisse ogni nebbia di solisma, e
dalle loro stesse esigenze, tuttoché erronee ed esorbitanti, fossero con-
dotti a piegare con docilità la mente a celesta sì contrastata definizione.
Non è egli vero che digitus Dei est hic?
II.
RIVISTA BIBLIOGRAFICA
I. Un pessimo opuscolo anonimo.
La dernière ìiewre du Concile. Paris, Dentu 1870, pag. 16 in 8/ col-
r epigrafe : Non moriar sed vivam.
Ecco un opuscolo, secondo noi, male intitolato; giacché si sarebbe do-
vuto molto meglio intitolare: La première heure d'un condonine. Si sa
infatti che, secondo il proverbio, si concedono ai condannali \enliqnat-
tr'ore per maledire i loro giudici : e non è maraviglia che il condannato
gallicano autore di quest' opuscolo si sia sentito, nella prima ora, borire,
eome naturalmente, sulla bocca, le maledizioni peggiori. Anche li sìivIj-
he potuto quest1 opuscolo, e forse anche meglio, intitolare : La première
brochure de Salan tombe. Infatti, tranne lo stile e la poesia, ci pare leg-
COSE SPETTASTI AL CONCILIO 351
gendo quest'opuscolo rileggere le parole che i poeti pongono In bocca
a Lucifero la prima volta che neìl' inferno volge la parola al suo esercito
sconfìtto. Perfino sembra satanica l'epigrafe dell'opuscolo: Non moriar
sed mvam; testo d'Isaia scelleratamente condotto ad esser in questa cir-
costanza come im1 imitazióne del Nequaquam moriemini. Infatti l'opu-
scolo è inteso a far coraggio ai ribeili al Concilio, e dimostrar loro che il
Gallicanismo, benché condannato a morte, non morirà. Ma satanico so-
pra tutto è l'orgoglio che spira da ogni linea di quest'opuscolo. « Fin,
d'ora, ilice l'arrabbiato e vinto gallicano, tki d'ora noi possiam dire a
chi resterà la gloria. Si: noi sappiamo chi è che ha lottato pel diritto e
p r hi libertà. Il nostro grido di ammirazione loro giunga per vendicar
almeno la loro disfatta ! » Così appunto Lucifero presso il Tasso :
a Fummo io noi nego in quel conflitto vinti,
Pur non mancò virtude al gran pensiero:
Diede checche si fosse a Lui vittoria,
Rimase a noi d'invitto ardir la gloria. »
E presso il Milton:
o Fummo scorni Iti: e che perciò? fiaccati,
Benché vinti non siamo Una indomata
Voglia, uno studio di vendetta, un astio
Immortale,, ed un cor che non piegarsi,
Mai sopporsi non può, che Cenno adunque
Altro significar se non che domo,
Soggiogato io non sono? Oli questo vanto
Rapir non mi potrà ne la sua possa,
Ne l'ira sua! »
Esegue l'autore dell'opuscolo, per un pezzo, con orgoglio veramente
satanico, ad asserire che la scienza, la libertà, l'indipendenza, tutte le
virtù insomma furono oppresse e vinte dalla sola forza brutale del nu-
mero. « Noi vedremo, dice, se la massa avrà il coraggio di schiaccia-
re r intelligenza, la libertà e il valore ». Cosi Lucifero alla massa degli
angeli fedeli attribuì la sua sconfitta. Ma non ai soli angeli : bensì a
Dio principalmente, contro cui Lucifero ha odio formale. Or bene. Così
pure procede l'autore di quest'opuscolo. Dopo parlato della maggio-
ranza con quei termini di disprezzo che il solo orgoglio può suggerire
ad un animo pieno di sé solo e dei suoi meriti, osa volgersi diretta-
mente contro il Papa: e al Papa solo dà la colpa della sconfitta. Il che è
verissimo, in senso ben diverso però dall' inteso da questo orgoglioso
caduto. Infatti il Papa fu questa volta, come sempre, la rocca della fe-
de, il maestro indefettibile della verità, il sostegno indomabile del buon
diritto, il dottore infallibile della Chiesa. Ma non per questo egli tolse
352 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
punto nulla air onesta libertà di discussione e di voto ; ed anzi volle che
i termini di tal libertà toccassero, si può dire, gli ultimi confini.
Pure di questo Papa, osa il superbo sconfitto far un ritratto quale si
farebbe di un tiranno. « Mentre tutte le potenze temporali, dice, hanno
questa volta scrupolosamente rispettata la libertà del Concilio, un solo
potere l1 ha impacciato in tutti i modi, l'ha temuto, 1' ha annichilato.
Non è bisogno nominare questa potenza ». Ma la nominò poco innanzi,
parlando chiaro del Papa e del suo governo. E altrove: « Mai non si
era visto così da presso l'assolutismo » e parla di Pio IX. Ma questo fu
sempre il vezzo degli eretici ; lodare se soli ; in se soli trovare ogni bene;
negli altri e specialmente neir autorità che giudica e condanna, non tro-
vare che ignoranza e abuso di forza. Nel che appunto gli eretici si mo-
strano degni imitatori di Lucifero.
Vede ognuno se, dopo che costui parla dei Vescovi come di genterel-
la, e del Papa come di tiranno, può molto importare a noi che egli ci
giudichi il peggio che può e sa. Ci duole soltanto di non aver pur trop-
po meritato abhaslanza f onore dei suoi, che egli crede insulti, ma sono
in verità elogi. Laddove invece crediamo che quanti sono stati da lui
lodati, si terranno giustamente per insultati.
E conchiuderemo colla nota terzina di Dante al capo 7° dell1 Inferno:
Poi si rivolse a queir enfiate labbia,
E disse: taci maledetto lupo:
Consuma dentro te con la tua rabbia.
II. Fiori poetici.
1. Il Concilio Vaticano; Cantica del P. Luigi Marii ci. C. d. G. Napo-
li, tipografia degli Accantoncelli 1870. In 8.6 di pag. 36.
Due sono i concetti, che governano questa Cantica del chiarissimo
P. Marii : il primo è la miserrima condizione religiosa e morale della
odierna società, contristala da errori di ogni genere; ed il secondo, il
supremo rimedio, che a questa stessa società è offerto da Dio per mezzo
del Concilio ecumenico. (Kiesti due concetti prendono forma in una or-
ditura di molta semplicità e naturalezza, ma che riesce squisitamente
poetici per le finzioni particolari che ne compongono la sostanza, e per
le continue imm.igini di molta gaiezza ed ellicaca che le danno il co-
lorito. Lo stile è proporzionato al soggetto ed al metro, vale a dire no-
b le, vigoroso ed elegante, com'è quello che in altri componimenti di
simil ^ene e abbaino altre volte rilevato nel P. Marii.
2. La France a home. Album de la Poesie catholique a Voccasion da
Concile oecuminiqae de 1860; liecueil offerì au Soucerain Ponlife arce
de nombreuses adliésions épiscopales sous la direction de Adrien Pela-
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 353
dan. Lyon, Bureaux de la Semaine religieuse 1870. In 8.° di pagi-
ne XLIV; 588.
Molti sono gli autori, che compongono questo magnifico Album, inti-
tolato La France à Rome. Il merito non può essere certo uguale in tanta
diversità di scrittori; nò noi, per rispetto ai componimenti francesi,
che sono i più, potremmo esserne giudici competenti. Diremo in gene-
rale che i concetti sono dappertutto degni dell'argomento, cioè nobili in
se medesimi e spiranti pietà; ne ad essi è inferiore l'espressione poeti-
ca. Lode alla Francia, al cav. Peladan e a' suoi cattolici collaboratori !
3. Carmina Vaticano Concilio persoluta a Rhetoricae cultoribus Se-
minarii spolettiti. Spoleti, ex Umbriae typografia 1870. In 8.° di
pag. 32.
Questa bella Accademia , tutta di poesie latine, che il venerabile Se-
minario di Spoleto offre in omaggio al Sovrano Pontefice Pio IX ed al
sacrosanto Concilio Vaticano, è una chiara dimostrazione, non solo della
pietà di quel pio stabilimento, ma anche della cultura nelle lettere lati-
ne, che vi apparisce in grado non comune. Noi non possiamo che con-
gratularcene co1 giovani alunni, i quali con questi lieti principii fanno
concepire cosi belle speranze di sé a vantaggio e decoro della Chiesa.
4. Autori varii. Mettiamo insieme, come un mazzetto di fiori, non colti
di fresco, ma neppure appassiti, parecchie poesie, le quali in diverse
guise inneggiano al Concilio Vaticano. Fra queste va lodato in primo
luogo un Carme latino, Henrico Binclio, Episcopo Pistoriensium et Pra-
tensium, politioribiis lilteris excultissimo... dicatum, dell'ab. Giovanni
Bacci, professore di rettorica nel Seminario di Prato, il quale con ele-
gantissimi versi mette in mostra le ree dottrine del secolo presente che
il sacrosanto Concilio, confermato dall'autorità di Colui, al quale fu
promessa la divina assistenza nel magisterio della Fede, dovrà fulmi-
nare a tutela e salute del gregge cristiano. E a questi trionfi appunto,
che il Concilio Vaticano apparecchia alla Chiesa, fa plauso una nobile
Canzone, di cui è autore l'ab. Augusto Targioni, uno degli alunni del
clero di S. Felicita in Firenze. Un concetto del medesimo genere forni-
sce l'argomento al bel Sonetto dell' ufficiale in ritiro, sig. Simone Vao
carezza, il quale nella tarda età di quasi novantanni si è sentito come
rinvigorire la fantasia dal nobile soggetto. Un altro Sonetto, il cui ar-
gomento è tolto dalla coincidenza del Concilio colla Esposizione romana
delle Belle Arti, è frutto della valorosa penna del cav. Michele de Chia-
ra, il quale lo ha inoltre nobilitato con una versione in epigramma lati-
no. Commendevole è parimente il Sonetto del sacerdote Domenico Car-
tasegna, il quale con versi pieni di affetto invoca il divino Spirito, che
spanda largamente i suoi doni sovra i Padri del Vaticano Concilio, ed
esalti il Successore di Pietro, proclamandolo a tutte le genti infallibile
nel magisterio della Fede. 11 pio autore può consolarsi che il suo voto»
Serie VII, voi. XI, fase. 489. 23 30 Luglio 1870.
Zo& COSE SPETTANTI AL CONCILIO
è stato pienamente esaudito dal divino Spinto. Tre poesie italiane, so-
pra Pio IX e Maria Immacolata in relazione al Concilio generale, segnate
da V. A., prof, di teologia nel gran Seminario di Carcassona, sono rac-
colte in un grazioso librettino, stampato pure in Carcassona. Sono di
grande semplicità e naturalezza, ma piene di affetto. Affettuosissimo
insieme e spirante grazie poetiche è YIndirizzo in versi decasillabi, con
che i giovani studenti del Seminario di Ales in Sardegna, licenziandosi
dal lor Vescovo mons. Zunnui Casula, quand'era sul punto di partir pel
Concilio, lo pregavano che volesse testimoniare alla sacra adunanza la
lor fede, ed al Santo Padre i sensi di fede, di pietà e di divozione
ta pruova alla Cattedra di Pietro ed alla sua sacra persona, offrendogli
il tenue lor obolo. Monsignore Rino li compiacque, e nella lettera di
offerta al Santo Padre aggiunse parole di altissima lode della fede e pie-
tà di que' giovani, nonché dell'intera Diocesi, e segnatamente del Clero,
di cui parimente presentava un caldo Indirizzo ed una Collctta. Merita
special lode una vivacissima ode francese delKab. Desvaux Du Moutiers,
canonico di Lucon, intitolata Aspirations sur le Concile oecuménique du
Tatican; che parte rassegna poeticamente i fatti gloriosi del Pontificato
di Pio IX, e parte gli augura più nobili e universali trionfi per T opera
del Concilio Vaticano, da lui convocato e diretto. Chiuderemo questa li-
sta annunziando, benché troppo tardi, un haW Inno popolare, con ac-
compagnamento di pianoforte, del sacerdote G. Cagliero, a S. S. Pio Pa-
pa IX e ai Padri del Concilio ecumenico Vaticano, pubblicato bella Musi-
ca sacra della calcogratia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales a Torino.
Altri più fiori poetici ci aspettiamo ora a festeggiare Pio IX, il Conci-
lio e la definizione. Già si e stampato un bell'Inno militare, intitolalo :
V Infallibilità del romano Pontefice confermata dal Concilio Valicano ;
poesia del prof. G. B. Toti, e musica del maestro Rollano : ed ora rice-
viamo un Prospetto di un' accademia poetica, che gli accademici fiorenti
del Sisvi; icario Convitto di Civita Castellana, diretto dai Padri della Com-
pagnia di Gesù, offersero al pubblico il 20 Luglio alla presenza deirEiùo
Card. Monaco La Valletta, a cui l'accademia fu dedicata. Essa s" inti-
tola: Fasti del Pontificalo di Pio IX comparati con quelli d'illustri Pon-
tefici; ed è divisa in due parti: Avvenimenti gloriosi; e Virtù piò illu-
stri. Nella prima parte tra gli altri campeggiano questi titoli di va-
rie poesie : Ritorno glorioso in Roma di Pio VII e di Pio IX — S. Ce-
lestino vendica a Maria la divina Maternità; Pio IX l'immacolata Con-
cezione — Contro gli umani disegni raccoglie Paolo III il Concilio di
Trento; Pio IX quello del Vaticano — S. Pio V e la vittoria di Lepan-
to; Pio IX e la vittoria di Mentana. Nella seconda tra gii altri titoli
basti accennar questi due: Zelo della fede in S. Gregorio M. che invia
i primi apostoli in Inghilterra; in Pio IX che vi restituisce la gerar-
chia ecclesiastica — Eroica fortezza cristiana di S. Gregorio e di Pio IX.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 355
III.
NOTIZIE VARÌE
1. V infallibilità pontificia e l'Ungheria — 2. Un indirizzo del Clero genovese
eia Rivista universale — 3. Altri indirizzi, specialmente del Clero d'In-
ghilterra e di Scozia — 4. Indirizzo del convitto teologico d' Innsbruek —
5. Offerte ed applausi nel!' Vnivers dopo la definizione; protesta di som-
messione del Francate; festa di tutti i cattolici.
1. La solenne detìnizione della infallibilità pontificia ha tolto ornai ogni
interesse a molte notizie anteriori; ma noi non possiamo tacerne alcune
più rilevanti, perchè restino come documento anche in queste pagine.
Il Giornale di Roma del 9 Luglio avea le seguenti parole assai gravi
in risposta air Osservatore Triestino ed al Lloyd:
« Si legge neir Osservatore Triestino un articolo che dice: « Pest 4 Lu-
glio: A quanto riferisce il Lloyd, i Vescovi ungheresi che trovansi a Ro-
ma sarebbero stati minacciati delle più gravi pene della Chiesa e della
privazione del diritto di esercitare funzioni ecclesiastiche, qualora per-
sistano nell'opposizione contro l1 infallibilità. I Vescovi, prima di pren-
dere una risoluzione, desiderano di conoscere le vedute del Governo. Il
Lloyd spera che il Governo non esiterà un momento ad eccitare i Prela-
ti a persistere animosamente, senza riguardo alle conseguenze. Osserva
che tutta la popolazione cattolica dell1 Ungheria sta dalla parte dei Ve-
scovi, cosicché i fulmini del Vaticano passeranno sulla loro testa senza
lasciare alcuna traccia. »
« Quali siano i sentimenti dei Vescovi ungheresi e quali le idee del
Governo austriaco non è dato a noi di conoscere. Quello che possiamo as-
serire si è che niuna minaccia è stata fatta a quell'Episcopato, e neppu-
re una osservazione officiale qualunque in proposito. Tutto dunque nel-
la esposta narrazione si deve attribuire alla perversa volontà di calun-
niare, alla ignoranza dei fatti e dei sani principii, le quali formano l'ali-
mento di certi giornali e investono certe persone, che si sono schierate
in battaglia sia per debolezza di mente, sia per odio alla Chiesa, sia per
spirito di orgoglio e di vanità.
« Questi giornali e queste persone fingono soprafazioni che attribui-
scono alla parte direttiva del Concilio, la quale al contrario esercita
continui atti di pazienza e di longanimità. »
Fin qui il Giornale di Roma del 9 Luglio. Ora la definizione ha posto
fine al tanto dir che si è fatto dell'opposizione dell'Episcopato ungarico.
Ma merita di restare in memoria una corrispondenza pubblicata fin dal
356 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
28 Maggio nel Vatican, che contiene un prezioso documento di quattro
Concilii provinciali d'Ungheria, i quali insegnarono l1 infallibilità ponti-
fìcia e proscrissero la dottrina contraria. Ci basti di citare alcune frasi
dei due ultimi Concilii, del 1838 e del 1863. — Il Concilio provienile stri-
goniensc del 1838, celebrato dall'Arcivescovo mons.Scitowszki, a cui fu-
rono presenti quattro dei Padri del Concilio Vaticano, mons. Ranol-
der, mons. Simor, mons. Kovàcs e mons. Zalka, tra l'altre cose contie-
ne queste parole: « Romana Ecclesia, quae semper immaculata mansit,
et Domino providente et B. Petro Ap. opem ferente in futuro manchi'
sine ulla haereticorum insultatione firma et immohilis omni tempore
persistet; Ecclesia romana est omnium Ecclesiarum mater et magistra,
catholicae ceritatis et unitatis centrum, in qua est integra et vera cliri-
stianac religionis solidilas, et ex qua traditionem fidei omnes reliquac
Ecclesiae mutucnlur oportet. Unde Petro in rebus fidei et morum per os
Pontificis loquenti omnes per orbem fideles et pastorcs ci tra omne du-
Lium assensum semper praebuerunt. Hanc erga cathedram Petri obe-
dientiam, reverentiam et inconcussam adhaesionem, sicut fideles ita et
pastorcs Ecclesiae et provinciae huius eo libentius profitemur, et invio-
labiliter nos servaturos spondemus, quo magis beatae memoriae praede-
cessorum nostrorum exemplo ad id provocamur. Grata est memoria
Georgii Szelepesény, strigoniensis Archiepiscopi, qui quatuor proposi-
tiones cleri gallicani anno 1682 editas, una cum ceteris Hungariae prae-
sulibus eodem adhuc anno ceu auribus christianis absurdas et piane
detestabiles proscripsit, ac universis istins regni Christifidelibus interdi-
xit ne eas legere vel tenere, multo minus docere auderent. (Roskovàny,
Rom. Pont.'t. 4, p. 387-390.)
Similmente il Concilio provinciale di Colocza, tenutosi nel 1863 dal-
l'Arcivescono mgr. Kunszt, al quale intervennero due Padri del Con-
cilio Vaticano, mgr. Ilaynald, e mgr. Bonnaz, dopo citate alcune nobi-
lissime sentenze di S. Leone sul primato di Pietro, soggiunge: « Quem-
admodum ergo Petrus est petra seu fundamentum Ecclesiae, doctrinae
fidei magister irrefragabilis, prò quo Dominus oravit ut non deficeret
fides eius ; pari modo legitimi eius in Cathedrae Romanae culmine suc-
cessores, in quibus semper vivit et loquitur et praesidet, nihilo sunt
ipso inferiores, sed pari potestatis plenitudine et omnium Ecclesiarum
sollicitudine caeterorum Apostolorum in episcopato successoribus prae-
valent, depositum fidei summo et irrefragabili oracuìo cuslodiunt. Unde
propositiones Cleri gallicani anno 1682 editas, quas iam piae memoriae
Georgius Szelepesény, Archiepiscopus Strigoniensis, una cum caeteris
Hungariae Praesulibus, eodem adhuc anno publice proscripsit, itidem
reiicimus, proscribimus, alque cunctjs provinciae huius fidelibus inter-
dicimus, ne eas legere vel tenere, multo minus docere audeant» (Rosko-
Tàny, t. ì, p. 482).
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 357
Con tali documenti sotto degli occhi avea ragione il corrispondente
del Vatican di non credere alla sì decantata opposizione dei Vescovi
d'Ungheria air infallibilità. « Credete voi possibile, egli dicea, che gli
stessi Vescovi, i quali rigettando di tutto cuore la dottrina gallicana
sette o dieci anni or sono, fecero una legge disciplinare contro chiun-
que de1 loro sudditi ardisse d'insegnarla, si sian poi in una notte, come
per verga magica, trasformati in gallicani, ed abbian potuto insegnare
al cospetto dell1 universo ciò che essi sarebbero in dovere di punire se
fosse insegnato dai loro teologi nei lor seminarli? Credete ciò che vi
piace; ma io, e quanti spargono lagrime su quelle malaugurate lodi date
alla supposta opposizione, non posso trovarne alcuna ragione teologica. »
Checche ne sia, ebbe ragione il Yatican di dire, che quello splendido
documento della tradizione della Chiesa ungarica prova ad evidenza che
i Vescovi opposti alla definizione avrebbero ripudiato le solenni decisioni
conciliari delle stesse loro Chiese, ed avrebbero insegnato ai lor greggi,
non già che il Papa sia fallibile, ma che alcuni Vescovi possono con-
traddire in un tempo apertamente ciò che essi stessi hanno solennemente
insegnato in un altro, e ciò che vien tuttora insegnato negli stessi lor
seminarii e nelle loro parrocchie. Per divina grazia dopo la dogmatica
definizione una tale incoerenza non è più possibile.
2. Un altro documento, degnissimo di restare in memoria, si è il se-
guente indirizzo di grandissima parte del Clero di Genova.
Beatissime Pater ,
Ad Sanctitatis Tuae pedes provoluti, Beatissime Pater, subscripti sa-
cerdotes vota sua promunt, ut ab oecumenico Vaticano Concilio pontifi-
cia definiatur infallibili tas. Romanum siquidem Pontificem ex cathedra
definientem in rebus fidei, et morum infallibilem esse, eiusque dogma-
tica decreta, etiam antequam Ecclesiae consensus accedat, esse prorsus
irreformabilia ex sacris litteris colligitur, et ex perpetua Ecclesiae tra-
ditione luculentissime evincitur. Eiusmodi autem delìnitio, quam omnes
boni ardenter exoptant non modo opportuna, sed in praesentibus rerum
circumstantiis necessaria quoque videtur. Sine igitur, Beatissime Pater,
ut tot sacerdotnm Galliae, Germaniae, Italiae, etc, votis iungantur
et nostra, ut huius dogmatis definitione vehementer universa laetetur
Ecclesia.
Quidquid oecumenica Vaticana Synodus statuerit, nos humiliter su-
scipimus; quidquid Romanus Pontifex approbaverit, approbamus; quid-
quid damnaverit, damnamus.
Dum hos sensus humiliter Sancitati Tuae pandimus, silentio prete-
rire non possumus dolorem, quo afiìcimur, ob quasdam ephemerides,
quae hic et alibi vulgantur, quaeque, licet erga Ecclesiam, et hanc San-
ctam Sedeni obsequentissimas se esse profiteantur, nimium tamen novi-
358 COSE SPETTANTI AL COÀCILIO
tatihus adhaercntes, ia novas item abeunt
plenas. Beflemus polissimum quac ab cphemeride, cui titulus Rivista
universale, cvulgatae sunt opinioncs , quas iam celeberrima romana
ephemerides, cui titulus Cimila Cattolica, pluries refutavit, easque
praesertim, quas nuperrime mense Maio huius anni, pag. 540 et se-
quent., in lucimi edere non dubitavit. Ad tuum autem oportet referri
apostolatum, Beatissime Pater, pericula quaeque, et scandala emergen-
tia in regno Dei ; tu enim es Petri Successor et Christi Vicarius , cuius
sana dcctrina constai iudicio veritatis, et fulcitur munimine auctoritatis.
aMos iste semper in Ecclesia viguit, aiebat Vincentius Lirinensis, ut
quo quisque forct religiosior, eo promptius noccllis adinvenlioitibus
coìitraivct. » Tiracmus ne connivere sit, hoc tacere. In huiusmodi si-
quidem causis non caret suspicione taciturnitas; quia occurreret veritas
si falsitas displiceret. Speciosum quidem est nomen paci. ; ast mundi se-
da lores pacem voce clamare consueverunt, et opere destruere. Xos au-
tem pacem vcram , pacem Christi volumus; fugicnda profecto sunt par-
tium studia, et veruni non vincendi, sed inveniendi gratia quaereiidum.
Vera Ecclesiae catholicae tessera est: charitas erga errantes; hellum ad-
versus errorem. « Miserari licet, scribebat S. Hilarius Pictaviensis , et
praesentium temporum stultas opiniones ingemiscere, quibus patrocinari
Deo humana creduntur, et ad tuendam Christi Ecclesiam anibitio:;c sae-
culari laboratur. »
Nos semper Romano Pontifici Successori Beati Petri Principis Àposto-
lorum , et vero Christi Vicario , totiusque Ecclesiae Capiti , et omnium
christianoruni Patri et Doctori, usque ad extremum vitae spiritimi fir-
miter adbaerere gloriabimur.
Sancii tatis Tuae,
Genuae, die 29 Iunii 1870,
Humiìlimi et obedientissimi
Famuli et Filii
(Seguono le firme. )
Nel documento qui sopra riferito si accenna specialmente ad un arti-
colo della Rivista universale, periodico genovese, contro cui protestano
i sacerdoti sottoscritti. Perchè i nostri lettori sappiano di òhe si tratta,
diremo due parole di quell'articolo. Esso uscì nel N.° di Maggio del det-
to periodico; è intitolato: La Costituzione dogmatica del 2i Aprile 1870,
ed è sottoscritto da due signori laici, ordinarli redattori. Quest'articolo
non contiene nulla di originale: ed è anzi un sunto o centone di articoli
e corrispondenze di giornali francesi, e l'eco fedele e la ripetizione di
certe brochurcs ed opuscoli parimente francesi. Giacché pur troppo si
osserva che questi cattolici liberali, che si vantano italiani e ci danno
lekiòni di amor di patria, non fanno poi che copiar frani
imitar francesi, lodar francesi. Ed almeno pigliassero per maestri e pe-
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 359
dagoghi i francesi veri e buoni. Ma no: vanno proprio a scegliere i
gallicani che sono pseudo-francesi. Del resto, secondo il nostro modo
di yedere, degli spropositi di cui ribocca questo centone di articolo, con-
tro cui protestò il clero genovese, noi vediamo la cagione, più che
nella malizia non supponibile in quei signori (benché essi la suppongano
molto facilmente negli altri), nell'ignoranza molto scusabile in laici; i
quali però dovrebbero astenersi, non diciam dal parlare, ma almeno dal
sentenziare e definire come dalla cattedra di materie, di cui non conosco-
no neanche i primi elementi. Che se invece di predicare la modestia agli
altri, avessero essi avuta quella di non dare giudizii sopra giornali esclu-
sivamente teologici, avrebbero evitato di far pomposi elogi e di racco-
mandar caldamente, e con viva simpatia un oscuro giornale di Torino, e
un altro di Parigi, che sono appunto i peggiori forse e certamente i più
maliziosi e i più acconci ad ingannare la buona fede dei semplici laici, di
quanti ne conosciamo fra quei tanti che pullularono in questi mesi a ra-
gionare e sragionare sul Concilio ecumenico. Dall' elogio caldo e simpa-
tico che la Rivista universale fa di due pessimi giornali, dei quali cer-
tamente essa non capì la malizia, e più, dall' essere il detto articolo, co-
me dicemmo, non altro che un sunto ed un centone di giornali ed opu-
scoli gallicani, intendono da se i lettori la convenienza e la legittimità
della protesta sopra riferita. Quanto a noi, rendendo in prima cordialis-
sime grazie a chi prese sì altamente le nostre parti, crediamo inutile di
protestare contro l'insigne sciocchezza, più che calunnia, che si contiene
nel detto articolo a nostro riguardo, dove della Civiltà Cattolica si parla
come « di quel periodico politico religioso, scritto in Roma da alcuni ge-
suiti e sconfessato dal Generale della loro Compagnia. » Del resto che la
Rivista universale sia sconfessata dal clero della sua patria è ora ufficial-
mente evidente. Quanto poi al « voto formale di professare la dottrina
deirinfallibilità » proposto da noi e disapprovato dalla Rivista universale,
ma approvato da Roma e fatto da infiniti in ogni parte di mondo, ora
anche gli scrittori della Rivista universale devono, ci pare, approvarlo;
se non vsque ad consummationem sangvinis, come essi dicono , almeno
usque ad effusionem, come dicevamo noi. Prima di finire ci permettia-
mo di rinnovare alla Rivista universale la raccomandazione di non ser-
virsi esclusivamente, per mostrar la propria italianità, di idee, di maestri/
di giornali, di padri spirituali gallicani. Sia di fatto e non a parole ita-
liana: sarà allora meno liberale e meno gallicana. Ma sarà più italiana,
più romana e più cattolica, e non sarà sconfessata dal patrio clero.
3. È ornai troppo tardi recare altri Indirizzi venuti d' ogni parte per
la definizione dell infallibilità : tuttavia ne accenneremo ancora qualcu-
no. Abbiamo sotto degli occhi un recente indirizzo del capitolo e del
clero secolare e regolare della diocesi di Spalatro, stampato in un libret-
to col titolo di ObsequevJissima vota capikili ac utriusque cleri Ecclesiae
360 COSE SPETTASTI AL CONCILIO
Spalatensis alias Salonilanac in Dalmalia. Similmente Tediamo nclP e-
gregio periodico mensile di Lisbona , V Edio de Roma , nei numeri di
Giugno e di Luglio fervorosi indirizzi per lo slesso line. Nella gran Bret-
tagna , la diocesi di Limerick in Irlanda ha la gloria di essere stata la
prima a darne l'esempio, e T archidiocesi di Westminster in Inghilterra
ha pure la gloria di aver mandata essa sola sette indirizzi : ma oltre gì1 in-
dirizzi speciali venuti da varie diocesi venne ultimamente in Roma questo
breve indirizzo del Clero secolare e regolare d'Inghilterra e di Scozia.
« Nos infrascripti, Angliae et Scotiae utriusque Cleri Sacerdotes, sen-
sus nostros quoad doctrinam de qua definienda in sacro Concilio Oecu-
cumenico nunc agitur manifestare cupientes, et nulla meliori verhorum
forma id fieri posse censentes quam illa quae a confratribus nostris al-
mae Urbis Parochis nuper est adhibita, ad pedes Beatitudinis Tuae hu-
millime provoluti declaramus : « nihil esse nobis antiquius, nihil san-
dius, nihil gralius , nihil optabilius , quam ni per Vaticani Condili de-
cretum (si tamen ita Spirititi Sancto ac Patribus in codem Spiritu con-
gregatis, quod summopere confidimus, visum fuerit ) infallibile Sanctae
Sedis, hoc est Romani Ponti ftcis , in docendo magisterium tandem ali-
quando expresse slabilialur, alque in universo qua late palet orbe catho-
lica fide omnibus credendum edicatur. »
« Quam quidem declarationem ad Beatitudinis Tuae pedes humiliter
deponentes , super nos et super omnes Christi lìdeles in hoc Regno be-
nedictionem apostolicam peramanter et enixe precamur.
« Datum die 11 Iulii 1870.
(Subscripserunt Sacerdotes 839j. »
4. Se fosse altrettanto breve , quanto è bello , pubblicheremmo anco-
ra un indirizzo al S. Padre dei giovani studenti ty Teologia nella fioren-
te università di Innsbruck, i quali han trovato modo di essere, per quan-
to potevano, i primi a festeggiare la definizione. « Per riguardo dovuto
alle circostanze (ci dice una lettera di colà ) non abbiamo mandato in-
dirizzo, mentre si disputava ancora; ma tosto che il dogma è proclama-
to , questi riguardi non esistono più ; ed è perciò che ci affrettiamo di
dare dalla longinqua e fredda Germania il primo segno di letizia e di
congratulazione al sommo Pontefice; e nutriamo speranza che Sua Santi là
ne riceva qualche piccola consolazione, dopo che alcuni Tedeschi Y hanno
non poco contristato coi loro scritti. Abbiamo fatto adornare V indirizzo
da un artista valentissimo ed abbiamo aggiunto trecento franchi in oro
pel danaro di S. Pietro: e il tutto sarà rimesso al Nunzio apostolico, nel
giorno che sarà proclamata Y infallibilità. L'indirizzo è segnato da chie-
rieijdi 29 diocesi e da regolari di 13 monasteri, e sarà, speriamo, il pri-
mo segno di congratulazione in Germania per questo grande evento. »
5. La notizia del grande evento per mezzo del telegrafo rallegrò ben
presto i cattolici di lontani paesi, e i fogli cattolici si affrettarono a dare
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 361
il testo della Costituzione. VUnivers trovò modo di far comparire a Pari-
gi, colle ultime modificazioni trasmesse per telegrafo, il testo della Co-
stituzione dommatica nel numero dei 20 di Luglio. Quel numero uscì con
un nuovo fregio a festa e non parlò d'altro che della definizione, aggiun-
gendovi la lista 179a delle sottoscrizioni pel Concilio, più ricca ancora
delle precedenti per offerte, e per acclamazioni al Papa infallibile. Dopo
r offerte degli stessi Redattori dell1 Univers , viene un'offerta di 20,600
franchi con questa epigrafe: Actions degràces pour la définition de Vin-
faillibilité personelle des Pontifes Romains. Òffrande rccueiUie par le
B. P. Ludovic, capucin: e seguono hen dieci colonne di sottoscrizioni.
Ma ciò che ci ha fatto ancor più piacere si è la bella protesta del Francais
del 21 Luglio. Saputa appena per telegrafo la definizione e vedutone il te-
sto iì(ì\1 Univers , il Francais si affrettò di stampare queste nobili parole
di sottomissione completa, sincera e filiale. Yoilà donc termine , après
des travaux longs et approfondis , un débat solennel , dont la place sera
grande clans V histoire de V E g lise. La décision rendue dot tonte contro-
verse: la liberto des opinions perd ce qui appartieni désormais pour tout
catholique au domaine de la foi. Puissent tous les ésprils accueillir la
décision de VEglise acce une soumission aussi complète, aussi sincère, et
aussi filiale que la nutre! Francais Beslay.
Oh sì , una sottomissione completa , sincera e filiale di quanti prima
eran contrarii, è la più bella festa, il più bel trionfo che possiamo bra-
mare ! Qui non si tratta di vincitori e di vinti ; ma di fratelli che si uni-
scono nel trionfo della verità e della fede. Un senso di delicatezza ver-
so quelli che furon contrarii, più che le circostanze politiche della guer-
ra, han suggerito di non fare certe dimostrazioni di gioia per la definizio-
ne, che si erano ideate in Roma ed altrove. Invece la festa più degna al
cospetto di Dio, degli Angeli e degli uomini sia per tutti la sommissione
filiale alla Chiesa, e la carità fraterna nell1 unità della fede ; e ornai tolta
per sempre la divisione di gallicani e d' oltramontani , alla guerra suc-
ceda la pace.
362 COSE SPETTAMI AL CONCILIO
IV.
CRONACA DEL CONCILIO
1; Congregazioni generali — 2. Protesta degli Eiìii Presidenti — 3. Sessione IV
— 4. La maggioranza e la minoranza — 5. Partenze di Vescovi -- 6. Ne-
crologia.
1. Tre Congregazioni generali si tennero il Lunedì, Martedì e Saba-
to, 11, 13, 16 Luglio, in preparazione prossima alla quarta Sessione.
Nella Congregazione deiril, dopo la Messa celebrata da monsignor
Melano, Arcivescovo di Nicomedia, si fece la votazione sopra tutti gli
emendamenti proposti nella discussione del quarto capitolo dello schema.
Nella Congregazione dei 13, dopo la Messa celebrata da monsignor
Cilento, Arcivescovo di Rossano, si terminarono le votazioni, e si fece
l'appello nominale per raccogliere i voti sopra tutto il testo della Costi-
tuzione dogmatica. Il telegrafo annunziò tosto a cento fogli il numero
dei Padri 601 ; 450 placet; 88 non placet ; 6*2 placet iuxta modani. La
Nazione del 17, e Y Opinione del 18, ed altri giornali diedero la lista
nominale degli 88 Padri che votarono col non placet; ma oltre alcuni
gravi errori nella lista dei nomi, s'ingannarono a partito mettendo Del-
l'opposizione anche i 62 voti iuxta modum, mentre i più diesai erano
siati proposti dai Padri della maggioranza, che avrebbero voluto ancora
qualche cosa di più nella solenne definizione. Tutti questi voti condizio-
nali, che proponevano nuove eccezioni o emendamenti, furono messi a
stampa e distribuiti ai Padri, per venire ali1 ultima decisione.
Nella Congregazione del 16, festa della B. Vergine del Carmelo, do-
po la Messa celebrata da monsignor Giannelli, Arcivescovo di Sardia,
in tre distinte relazioni si espose ai Padri il giudizio della Commissione
De Fide sulle eccezioni proposte nei voti iuxta modum, prima sul proe-
mio e sui due primi capitoli, quindi sul terzo e poi sul quarto capitolo;
e la Congregazione approvò col suo voto il giudizio della Commissione *.
1 Pi questo voto parla il Giornale dì Roma dei 20 e 27 Luglio in una solenne mentita che di
all' Italie.
« L'Italie, del giorno 2i corrente, ha una corrispondenza da Roma del 18, nella quale afferma
che la clausola absque consensi/, Ecclesiae , trovata mancante nella pubblicazione della Costituzione Da
Ecclesia ChrtsU fatta dall' Unità Cattolica, fu aggiunta nella Sessione pubblica del giorno 18
dine imperino del Santo Padre.
« La venia t; che proposto lo schema nella penultima Congregazione generale, secondo il lesto
pubblicato dall' Uni Ut Cattolica, nei voti che ebbero luogo vi f;irono, come già è noto, del placet
iuxta modum. Preti ejwiU in consideratlone nella susseguente Congregazione generale, dne ne furo-
no adottati; dei quali l'uno dimandava la soppressione di un lesto <n 8 l'altro la suin-
dicata aggiunta, non con le parole ab$fué coment* Eceletiae, ma con le altro non antan ex coti"
temu Ecclesiae.
cose spettanti al concilio 363
Altro non restava che la Sessione pubblica, la quale non potendosi tene-
re il dì appresso, Domenica 17 Luglio, per difetto di tempo a mettere
in is lampa il testo della Costituzione, cogli ultimi emendamenti, e a ri-
durre in assetto l'Aula conciliare, fu intimata per ordine di Sua Santità
il Lunedì seguente.
2. Nella stessa Congregazione del 16 Luglio, dice il Giornale di Ro-
ma, « si è distribuita ai Reviìri Padri in doppio esemplare e di poi letta
una protesta degli Emi e Rini Signori Cardinali Presidenti delle Congre-
gazioni generali in disapprovazione delle calunnie sparse nei giornali ed
in diversi opuscoli contro il Concilio, e sonosi invitati i Padri, come te-
stimonii della verità, a voler signiikare il loro avviso intorno alla me-
desima. A questo invilo hanno i Padri universalmente manifestato la
loro pienissima adesione a quell'atto ; e tale adesione, dietro invito de-
gli stessi Emi Presidenti, hanno confermato i Padri coirapporre la pro-
pria firma ad uno degli esemplari della protesta, che sono stati quindi
rilasciati alla segreteria per esser conservati negli atti del Concilio a
perpetua memoria del fatto. » Ecco la protesta.
Reverendissimi Palres.
Ex quo Sacrosanta Synodus Vaticana, opitulante Beo, congregata
est, acerrimum statini contra eam bellum exarsit; atque ad venerandam
eius auctoritatem penes iidelem populum imminuendam , ac, si fieri
posset, peni tu s labefactandam , contumeliose de illa detrahere, eamque
putidissimis calumili ts oppetere plures scriptores certatim aggressi sunt,
non modo inter heterodoxos et apertos Crucis Christi inimicos, sed
etiam inter eos qui catholicae Ecclesiae iìlios sese dictitant, et quod ma-
xime doìendum est, inter ipsos eius sacros ministros.
Q;:ae in publicis cuiusque idiomatis ephemeridibus, quaeque in li-
bellis absque auctoris nomine passim editis et furtive distributis, con-
gesta hac de re fuerint probrosa mendacia, omnes apprime norunt, quin
nobis necesse sii illa singillatim eclicere. Veruni inter anonymos istius-
modi libeilos duo praesertim extant, galìice conscripti sub titulis: « Ce
« La Ceduazione così modificata dai Padri venne poi nella Sessione pubblica del dello giorno
notamente approvata dai medesimi., e solennemente confermata dal Santo Padre; e quelle modifica-
cazioni conitene appunto il testo pubblicato dal G'ornale di Roma.
" Serva ciò di una novella prova della veracità dei corrispondenti, dei quali ama servirsi l' Ita-
lie, che sembra avere, piuttosto che altri, cui ella si compiace di accusare, la calcolata abitudine di
esporre ciò che non è precisamente vero. »
Con queste ultime parole il Giornale di Roma, allude ad un'altra solenne mentita, data il dì
innanzi alla stessa Italie.
« Kel giornale di Firenze l' Italie, del 23 corrente, si attribuisce alla nostra Redazione un'abi-
tudine calcolata di esporre ciò che non è precisamente vero. Così quando noi, nel dar conto della
quarta Sessione del Concilio Kcumenico Vaticano, tenuta lunedì 18 di questo mese, dicem.-iiO essere
stati cinquecento trenta cinque i Padri che alla medesima furono presenti, quel Giornale asserisce che
il detto numero era di mollo inferiore. Si tranquillizzi l' Italie e si rassegni, giacché in "quella so-
lenne circostanza i Padri presenti furono realmente cinquecento trenta cinque. »
364 COSE SPETTAMI AL CONCILIO
qui se passe au Concile, et La dernicre heure da Concile », qui ob suam
calumniandi artem, obtrectandique licentiam ceteris palnuun pracri-
puissc videntur. In bis enim nedinn huius Concilii dignitas ac piena li-
bertas turpissimis oppugnatur mendaciis, iuraque Apostolicae Sedis
evertuntur; sed ipsa quoque SSmi Domini Nostri augusta persona gra-
vibus tacessi tur iniuriis. Iam vero Nos officii nostri memores, ne si-
lentium nostrum, si diutius protraberetur, sinistre a malevolis homini-
bus interpretari valcat, contra tot tantasqueobtrectationesvocem extol-
lerc cogimur, atque in conspectu omnium vestrum, Rùìi Patres, prote-
star"! ac declarare: falsa omnino esse et calumniosa quaecumque in
praedictis ephemeridibus et libellis efì'utiuntur, sive in spretum et con-
tumeliam SSiìii Domini Nostri et Apostolicae Sedis, sive in dedecus hu-
ius Sacrosanctae Synodi, et contra assertum defectuin in illa legitimae
libertatis.
Datum ex Àula Concilii Vaticani, die 16 Iulii 1870.
Piiilippus Card. De Axgelis Praeses
Amoninus Card. De Luca Praeses
Andreas Card. Bizzarri Praeses
Alovsius Card. Bilio Praeses
Hanniral Card. Capalti Praeses
Iosephus Ep. S. Hippohjli Secretar ias.
3. Toglieremo a verbo dal Giornale di Roma del 19 Luglio la relazio-
ne della Sessione. — La Sessione quarta del Concilio Ecumenico Vati-
cano si tenne la mattina di ieri, feria li dopo la Domenica VI di Pente-
coste, nella patriarcale Basilica dedicata a Dio in onore di san Pietro,
principe degli Apostoli.
Sulle ore nove gli ErTii e Unii signori Cardinali, i Pimi monsigno-
ri Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi, gli Abati nullius e gli
Abati generali, dopo aver assunti gli abiti sacri di colore rosso, in-
sieme ai padri Generali e Vicarii Generali delle Congregazioni rego-
lari e monastiche, ed a quelli degli Ordini mendicanti, adorato l'au-
gustissimo Sagramento, prendevano il posto a ciascuno conveniente
nella grande aula conciliare, il cui ingresso era guardato dai Cava-
lieri del sacro Ordina gerosolimitano e dalle Guardie nobili di Sua
Santità. Qa'.vi assistetlero alla Messa dello Spirito Santo, che fu ce-
lebrata dall1 Emo e Bino signor Cardinale Barili.
Il sommo Ponie'ice, avendo nella cappella gregoriana assunti gli
abiti pontificii!, recossi nell'aula, circondato dalla sua nobile corte ed
anticamera, da monsignor Vice-Camerlengo di santa romana Chiesa,
dal Principe assistente al soglio, custode del Concilio, da monsignor
Uditore della Camera apostolica, e dal Senatore coi Conservatori di
Roma. Assistevano la Santità Sua Y Emo e Rifio signor Cardinale Dc-
Angelis come Prete, e gli Emi e Riìii signori Cardinali (ìrassellini e
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 365
Mertel quali Diaconi. Monsignor de Aviia, uditore della sacra Rota,
compiva le funzioni di Suddiacono apostolico.
Seduto che fu in trono il Santo Padre, il limo monsignor Fessler,
Vescovo di Santo Ippolito, segretario del Concilio, andò a porre so-
pra il piccolo trono preparato sull'altare il Codice dei santi Evange-
li. Allora si compirono le supplicazioni segrete, dopo le quali Sua San-
tità recitò le assegnate orazioni, cantandosi dai cappellani cantori la
prescritta antifona. Seguirono le litanie; e il Santo Padre, quando si
pervenne alle invocazioni, levatosi in piedi ripetè quelle che succes-
sivamente imploravano dall'Onnipotente che si degnasse benedire,
reggere e conservare il Sinodo e la ecclesiastica gerarchia; e ripe-
tendole, sei volte segnò la croce sopra il venerando Consesso. Termi-
natesi poi le litanie, Sua Santità recitò le orazioni.
Dipoi l'Emo e Rino signor Cardinale Capalti, adempite le cerimo-
nie prescritte, cantò solennemente Y Evangelio, che era tratto dal ca-
po XVI di san Matteo, ove si narra la confessione che Pietro fa del-
la divinità di Gesù Cristo, e il premio che egli ne riporta.
Alla lezione dell1 Evangelo seguì il canto dell1 inno Veni Creator Spi-
ritus, alternato fra i Padri e i cappellani cantori, e che fu intonato
da Sua Santità, che ne disse pure la orazione.
A quel punto, secondo il prescritto dal cerimoniale, si sarebbero
dovute chiudere le porte dell'aula, e da questa avrebbero dovuto u-
scire quanti nel Concilio non hanno parte: ma, come era avvenuto
nella Sessione terza, il Santo Padre ordinò che gli estranei rimanes-
sero nel luogo, ed i fedeli che erano al di fuori potessero vedere per
i rimossi ripari la rimanente cerimonia, che fu per tal modo compita.
Il soprannominato monsignor Vescovo segretario del Concilio, in-
sieme a monsignor Valenziani, Vescovo di Fabriano e Matelica, si fe-
cero al soglio pontificio, ed il primo consegnò la Costituzione da pro-
mulgarsi al Santo Padre, che ebbela subito passata nelle mani del se-
condo. Il quale, asceso l'ambone, con alta voce lesse intera la prima
Costituzione dommatica de Ecclesia Chrisli; e terminatane la lettura
interrogò per tal modo i Padri : Reverendissimi Patres, placent ne vo-
bis Decreta et Canones, qui in hac Constilutione continentur?
Allora successe l'appello nominale dei Padri, dovendo ciascuno di
essi alla chiamata del proprio, nome rispondere con la forinola placet
ovvero non placet. I Padri presenti ascedevano al numero di cinque-
cento trentacinque; e di essi cinquecento trentatre dettero il loro voto
affermativo, due negativo. I voti erano notati dai Prelati scrutatori
e dai Prelati protonotarii apostolici, coadiuvati dai Notari aggiunti.
I Prelati che avean raccolti i suffragi, accompagnati da monsignor
Segretario del Concilio, accederono al soglio, e ne presentarono la
somma al Santo Padre, che nella suprema sua Autorità sanzionò i De-
B66 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
creii e i Canon?, pronunziando solennemente questa forinola: Decre-
ta et Canones, qui in Conslitutione modo leda conlincnlur , placuerunt
omnibus Patri bus, cluobus exceplis ; Nosque, sacro approbante
Ho, illa ci illos, ita ut leda sunt, definimus, et apostolica Auclorila-
te confìrmamus.
Terminato appena Tatto L-olennissimo della sanzione e promulgazio-
ne della Costituzione, un'acclamazione vivissima dei Padri del Conci-
lio, accompagnata da salve, si udì immantinente per la grande aula,
e da questa si propagò al difuori, e si fece generale nella folla che ac-
calcava^ entro la chiesa. Sua 'Santità, quando vide rimessa la foga
di quello slancio, cominciò a dir parole ai Padri, le quali furono in-
terrotte da nuova e più prolungata acclamazione, dopo la quale po-
tè il Santo Padre recitare una breve allocuzione latina, che è la se-
guente :
Summa isla Romani Ponti ficis auctorilas, Venerabiles Fraires, non
opprimit scd adiucat, non dcstruit sed acdificat, et saepissimc confirmat
in di fintiate, unitin charilate, et Fratrum, scilicet Episcopo,
firmai atque tuelur. Ideoque UH, qui mine iudicant in commotione,
sciant non esse in commotione Dominum. Meminerint quod paucis ab
Itine annis, opposiiam tenentes sentcntiam abmdaverunt in sensu No-
stro, et in sensu maioris parlis Imius amplissimi Consessus; $eà
iudicarunt in spirita aurac lenis. Numquid in codem iudicio indican-
do duae oppositae possimi existere conscienliae? Absit. Jlluminet ago
Deus scnais et corda; et quoniam Ipse facìt mirabilia magna solus,
Uluminet stnsus et corda ut omnes accedere possint ad sinum P
Cùrisli Icjlì in ierris indigni Vicarii, qui cos amai, cos diligit, et cxop-
tat unum esse cum illis. Et ita simul in v'inculo charilatis coh
pradiare possimus praelia Domini, ut non solum non irridcant nos
inimici nostri, sed timeo.nl potius, et aliquando arma malitiae cedant
in conspeciu verilatis, sicque omnes cum D. Augustino diccre vai
« Tu measii me in admirubile lumen tuum et ecce video ».
Dopo l'allocuzione prcsentaronsi al trono i Prelati proionotari apo-
stolici, e gli avvocati concistoriali De Dominicis-Tosti e Halli , i
promotori del Concilio, e questi pregarono i primi a voler compila-
re uno o più Istrumenli di tutte le cose, che erano avvenute nella
Sessione. £ il Decano dei protonotarii rispose che il farebbe im
do ad" esser tcstimonii i monsignori Maggiordomo e Maestro ci
mera di Sua Santità.
Il sommo Pontefice intonò l'inno del ringraziamento, che nei suoi
versetti fu proseguito a vicenda dai Padri e dai cappellani cantori
col popolo. E delta l'orazione, Sua Santità impartì solennemenl
po>l ■■: fte, ed il Cardinale Prete Assistente pubblicò la in-
dolgenza. Per tal modo fu dato compimento alla quarta Sessione del
Concilio Ecumenico Vaticano.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 307
Il Santo Padre, fatto ritorno alla cappella Gregoriana, ti depose le
e vesti, e quindi si ritrasse nei suoi appartamenti.
Quando la sacra Assemblea si sciolse era passata di un quarto la
metta del giorno.
Alla descritta Sessione assistè, in una delle gallerie che fiancheg-
giano Tania, S. A. R. la principessa donna Isabella, infanta di Por-
togallo. V1 intervennero pure membri dell' Eccolo Corpo diplomatico
dilato presso la Santa Sede, ed altri personaggi romani ed esteri.
Le gallerie superiori erano occupate dai Procuratori dei Vescovi
dispensali o scusati, dai Teologi e Canonisti pontifìcii, e dai Teologi
consultori dei Padri del Concilio.
Nella sera, a segno di gioia, si videro, illuminati molti luoghi del-
la città. —
4. Lo stesso Giornale di Roma nel giorno stesso della Sessione aven-
done dato un cenno, aggiungeva questa osservazione: « Crediamo op-
portuno notare che i Vescovi parliti dal Concilio per diverse ragioni
imamente riconosciute, e che ascendono pressoché al numero di
duecento, nella grande maggioranza ritenevano la stessa dottrina oggi
solennemente definita, e che a questa pure diversi Vescovi, che simil-
mente per cause legittime non son potuti intervenire al Concilio , han-
no anticipatamente mandato in iscritto la loro adesione. »
Da questa osservazione può rilevarsi di quanto sarebbe cresciuto il
numero dei 5-13 Placet, se il Concilio fosse stato più numeroso. Ben è
vero che V autorità del conciliare decreto dipende solo dai S35 presenti,
tra i quali soli due dissero Non placet 1.
Quanto ai Padri della minoranza, alcuni si unirono alia maggioranza
e nella Sessione pubblica votarono col placet: i più si astennero dall' in-
tervenirvi, e quindi non pronunziarono nessun giudizio definitivo 2. Di
parecchi di loro sappiamo che già hanno fatto, nelle mani del S. Padre,
piena adesione alia definizione del Concilio : e non dubitiamo che gli al-
tri tutti sieno, in una forma o in òtf altra, per farla. Ce n1 è garante lo
zelo che essi nutrono per la fede, e la riverenza che professano alle de-
cisioni delia Chiesa.
5. Il Concilio non ha avuto né sospensione ne proroga: bensì nella
Congregazione del 16 Luglio fu dichiarato che poteano temporaneamen-
1 Mgr. Riccio, Vescovo di Caiazzo (Due Sicilie) ; e Mgr. Filzgerald, Vescovo di Liltlc-Rock (Stali
uniti d'America).
2 Parecchi giornali bua fatto ragguagli comparativi dei voti dati dai Vescovi di varie nazioni in
/.ione o in Sessione. Il Monde del 25 Luglio dà la lista dei Vescovi francesi che nella IV ses-
sione votarono col placet, o che si astennero dal votare, o che già erano assenti. V Osservatore Cat-
tolico di Milano dei 21 Luglio in una delle sue egregie corrispondenze romane fa un cenno dei voti
In 0.11 jregaziono o in Sessione, secondo le varie nazioni. Ne caviamo solo questo periodo per rendere
a chi si deve un giusto onore: « Degli spagnuoli, e di tutti gii americani spagnuoli-, settcnlrionali
e meridionali, di tutti i portoghesi, belgi, olandesi, nessuno mancò e volò conilo. »
368 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
te assentarsi dal Concilio, ma non oltre il giorno 11 del futuro Novem-
bre, festa di S. Martino, quei reverendissimi Padri che erano chiamati
alle loro diocesi da gravi affari, o che avean bisogno di andar fuori di
Roma per motivi di salute. Però dopo la Sessione molti Padri son già
partiti ed altri van partendo ogni giorno; avendo non pochi d'essi aspet-
tato già troppo, solo per aver la consolazione di dare il lor voto per l'in-
fallibilità.
6. Questa consolazione non fu concessa a due RiTii Padri, che pur l'a-
vevano assai bramata; il Vescovo di Erbipoli o Wùrzburgo, mgr. De
Stàhl, che morì la mattina dello stesso giorno 13 Luglio, in cui si dava
col Placet il voto nella Congregazione; e il P. Domenico di S. Giuseppe,
proposito generale dei Carmelitani scalzi, che morì nella notte preceden-
te. In quella stessa Congregazione l'Eiìio Card. Anziano dei Presidenti
annunziò la lor morte, e ricordate le virtù di questi due Padri ne racco-
mandò le anime ai suffragi comuni. La santità non comune della lo-
ro vita ci fa sperare che essi assisteron dal cielo alla solennità della
IY Sessione. Tre giorni appresso, un altro piissimo Prelato , il Vescovo
di Barcellona, mgr. Monserrat y Navarro, che avea pur avuto la conso-
lazione di dare il suo Placet nella sessione, passò a miglior vita la mat-
tina del 21 Luglio in Frascati nella casa dei Padri delle Scuole Pie. Que-
sti tre Padri del Concilio han volentieri sacrificato la loro vita per la lo-
ro devozione alla Sede di Pietro. L'assiduità del Rvfiio P. Domenico di
S. Giuseppe alle riunioni conciliari, malgrado non leggieri incommodi
di salute, accelerò la sua morte, come accennò la Correspondance de
Home dei 16 Luglio nell'elogio di quel sant'uomo. 11 Vescovo di Erbi-
poli, consiglialo dal medico, pochi dì innanzi, a partire da Roma, ri-
spose che no: costi pure la vita; e già da parecchi giorni si sentiva sì
sfinito, che disse al suo nipote che ogni sera, andando a letto, faceva la
sua preparazione alla morte. 11 Vescovo poi di Barcellona , dopo detto
il suo Placet nella Congregazione generale del 13 , si arrese al consiglio
del medico di andare a Frascati ; ma la mattina della sessione, senten-
dosi meglio, venne alla sessione. All'appello nominale, com'egli non era
al suo luogo, fu risposto Abest: ma egli levando la voce dal luogo ove
si era seduto, fò sentire alto il suo Placet, volgendo a se gli occhi dei
suoi Colleghi, che non si aspettavano di vederlo nella sessione. Torna-
to subilo a Frascati ricadde nella febbre che si dichiarò perniciosa, e
morì, munito di tutti i conforti della nostra santa religione, in osculo
Domini.
CRONACA
CONTEMPORANEA
Roma 30 Luglio 1870.
COSE ITALIANE.
Stati Pontificii 1. Visita di Sua Santità — 2. Il Portogallo e la Repubblica
di Nicaragua rappresentati in Roma — 3. Morte di Mons. Tesoriere —
4. La cappella di S. Toribio — 5. Esercizii scolastici.
1. La Santità di nostro Signore, nelle ore pomeridiane di mercoledì,
onorò di una visita lo studio dello scultore signor professore commenda-
tore Filippo Gnaccarini, cattedratico nella insigne pontificia accademia
di belle arti denominata di san Luca, per osservare la statua colossale del
Principe degli Apostoli san Pietro , che egli ha modellata ed offerta in
omaggio alla Santità Sua per esser quindi fusa in bronzo e collocata so-
pra la colonna monumentale , che dovrà erigersi sul Gianicolo in memo-
ria del Concilio ecumenico Vaticano. Il Santo Padre mostrò la sua sod-
disfazione per sì nobile opera, e si trattenne benignamente coli1 egregio
professore ad osservare gli altri lavori esposti nel suo studio.
2. Il dì 4 di Luglio le loro Eccellenze il signor senatore Mariano Mon-
tealegre ed il signor commendatore Giuseppe de Marcoleta furono, con
le formalità di uso , ricevute in udienza della Santità di nostro Signore,
cui ebbero l'onore di rimettere le lettere credenziali, con le quali da
S. E. il signor Presidente della Repubblica di Nicaragua sono accreditati
come inviati straordinarii e ministri plenitenziarii presso la Santa Sede.
Dopo T udienza pontificia le LL. EE. passarono a visitare Y Emo e Rmo
sig. Cardinale Antonelli, Segretario di Stato, dal quale furono accolte con
le distinzioni dovute al loro grado.
11 dì 27 dello stesso mese S. E. il signor conte De Thomar, si è reca-
to in nobile treno al Palazzo Apostolico Vaticano, ed ha presentato alla
Serie VII, voi XI, fase. 489. 24 30 Luglio 1870.
310 CRONACA
Santità di nostro Signore le lettere, con le quali S. M. Fedelissima la
accredita come suo Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario
presso la Santa Sede. 11 Santo Padre ha accolto S. E. con le formalità
proprie di simili circostanze. Dopo l'Udienza pontificia il signor Conte
si è recato dall'Emo e limo signor Cardinale Antonelli, Secretarlo di
Stato, da cui è stato ricevuto coi riguardi dovuti all'alto suo grado.
3. II mattino del 12 Luglio, dopo lunga malattia sopportata con cri-
stiana rassegnazione, e munito di lutti i conforti della nostra santa reli-
gione, è passato agli eterni riposi monsignor Giuseppe Ferrari, tesorie-
re generale della reverenda Camera apostolica, ministro delle linanze.
L'illustre prelato apparteneva a nobile famiglia di Ceprano, ove era
nato il dì 26 Dicembre dell'anno 1811. Ascritto alla prelatura sostenne
diversi onorevoli incarichi, e nel 1854 dalla Santità di nostro Signore
gli fu affidato il tesoro pubblico, che resse da quell'epoca con tale inte-
grità, intelligenza e zelo, da meritargli la stima universale in vita ed il
compianto in morte.
La sua salma, dopo essere stata esposta per due giorni ncll' apparta-
mento che l'illustre prelato abitava in vita, fu con la pompa prescrit-
ta trasportata nella ven. chiesa parocchiale di santa Maria sopra Miner-
va, seguendola tutti i capi degli ufiicii dipendenti dal Ministero che
fu retto dal defunto, le carozze mandate dai Ministri e da altri rag-
guardevoli personaggi , e decorandola drappelli delle truppe di Marina
e di Finanza. Celebratogli nel detto tempio le solenni esequie : il ca-
davere fu tumulato nella chiesa del Gesù, nel sepolcro gentilizio di
famiglia.
4. La cappella di S. Toribio, Arcivescovo di Lima, che esiste nella
nave traversa della chiesa titolare e collegiata di sant'Anastasia alle
falde del Palatino, fu sul principio del passato secolo eretta dai nazio-
nali peruviani, i quali tuttora ne conservano il patronato. L'altare fu
consagrato dal Pontefice Benedetto XIII, che nel 1726 avea canonizza-
to quel santo Arcivescovo. Però in occasione che nei fondamenti di quel-
la chiesa si scoprirono avanzi delle mura della Roma quadrata di Romo-
lo, e si operarono delle sostruzioui per lasciar visibili quei superstiti
monumenti di romane antichità, nel sacro edificio, costruito in gran
parie sopra quelli, si resero necessari! grandi r istauri, che furono fatti
eseguire dalla Santità di nostro Signore, coi mezzo del Ministero dei
lavori pubblici e belle arti. Ed essendo stato inevitabile in tal uì costan-
za scomporre l'altare, in quei restauri fu compreso l'altare stesso, che
venne rifatto con sontuosità maggiore, in accordo alle decorazioni ; onde
la chiesa medesima crebbe in bellezza. Domenica pertanto, 3 I
invito di quel Capitolo, l'Ululo e limo monsignor Moreyra, Vescovo di
Ayacucho, nel Perù, fece la consagrazione del ricomposto altare, e la
cerimonia fu celebrata con grandissima pompa, prestandovi il servizio
CONTEMPORANEA 371
gli alunni del collegio Pio latino-americano. Intervennero alla sacra
funzione Vescovi dell1 America meridionale, ed illustri famiglie peruvia-
ne che sono in Roma.
5. Al Collegio Romano dove insegnano i Padri della Compagnia di
j&esù, sono incominciati gli esperimenti straordinarii, ai quali sullo scor-
cio deiranno scolastico sogliono esporsi gli studenti che nelle facoltà su-
periori hanno dato prove migliori d'ingegno, di studio e di profitto.
Addi li del passato Giugno il rev. P. Alessandro Sampieri, della
Compagnia di Gesù, in una conclusione teologica si espose a sostenere
:ìlot:o tesi , tutte riiereniisi al mistero della Santisima Trinità;
e la 'eco alla presenza di coltissimo uditorio, in cui si distinguevano
gli Emi e Rmi signori Cardinali Corsi, Pecci, Antonucci, La Lastra y
Cuesta, Moreno, Monaco, molti Vescovi ed altri prelati. Argomentaro-
no contro i Unii signor D. Serafino Zitelli, signor D. Giuseppe Delfino,
professore di Teologia nel seminario di Reggio di Calabria, e il Rev.
P. Tommaso Martinelli, Agostiniano, professore di S. Scrittura nella ro-
mana Università.
Il giorno 4 il Rev. signor D. Pietro Le Talìec, alunno del seminario
francese, tenne atto pubblico proponendosi di difendere duecento qua-
rantacinque tesi cavate dalla materia di tutta la teologia dommalica. La
mattina egli disputò nell'aula massima, il dopo pranzo nella chiesa di
5. [gnazio, sempre con grandissimo concorso di Professori e di ama-
tori delle sacre scienze. Neil' esperimento pomeridiano, che fu fatto in
più solenne forma, levaronglisi contro adavversarii gHllmi e Rmi mon-
signor Micaleff, Vescovo di Città di Castello; monsignor Freppel, Ve-
scovo di Àngers ; monsignor Despreaux, Vescovo di Sion; e l'onora-
rono di loro presenza gli Emi e Rmi signori Cardinali Patrizi, protetto-
re del Seminario in cui il Difendente è alunno, Riario Sforza, Donnet,
Antonucci, Sacconi, Pitra, Moreno, oltre a quaranta Vescovi ed altri
Prelati.
11 P. Sampieri ed il Le Tallec si dimostrarono assai profondi negli
studii teologici; e diedero riprova assai chiara di quanto abbiano pene-
trante r ingegno ed abbondino nella sacra erudizione; sì che riscosse-
ro gli applausi della dotta adunanza che concorse ad ascoltarli.
Il signor Raffaele De Rossi , giovine studente nel terzo anno dei
corso filosofico, ha dato il giorno 6 un saggio di Calcolo differenziale
ed integrale alia presenza di scelto uditorio. Egli espose 171 proposi-
zioni, che abbracciano intero quel ramo di scienza difficilissima. I si-
gnori professori Tortolini, Chelini, Respighi, Azzarelìi e Retocchi ne
provarono il valore, interrogandolo sulle quistioni più difficili della
scienza, e vi soddisfece per modo da destar meraviglia come un gio-
yane in età sì fresca sia già tanto addentro nella vasta ed ardua ma-
teria.
372 CRONACA
II.
COSE STRANIERE.
Guerra Franco-prussiana 1. Causa della guerra spiegata dalla Francia — 2.
Spiegazioni date dalla Prussia — 3. Proclami dei due Sovrani ai loro po-
poli — 4. Dichiarazione di guerra — 5. Armamenti — 6. Attitudine delle
Potenze.
1. Era chiaro a tutti, dopo Sadova e il trattato di Praga, che né Prus-
sia ne Francia erano contente, e che o presto o tardi quella avrebbe
cercato svincolarsi dalle maglie di quel trattato, e questa avrebbe cer-
cato invece di serrarle viemeglio. Niuno però avrebbe pensato che la
causa o il pretesto del grande scoppio d'ira lungamente repressa tra
queste due grandi potenze dovesse originarsi proprio dalla Spagna.
Ma o causa o pretesto che a tanta guerra sia stata la candidatura al
trono di Spagna del principe Leopoldo di Hohenzollern, è certo che
questa, diciamola così, occasione di guerra è ora, mentre scriviamo, e
quando ancora non ci son noti altri fatti militari che le marcie dei
due eserciti, ormai dimenticata; vedendo ognuno che ben altra in ve-
rità è la causa ed altro lo scopo della guerra che il candidato al trono,
per quanto alto ed invidiabile, della Spagna.
Ad ogni modo giova V accennare in breve il fatto, secondo che fu
presentato all'Europa in documenti ufficiali. E in prima già accennam-
mo nel fascicolo passato la dichiarazione del Grammont fatta il 6 Lu-
glio alle Camere, dove chiaramente protestò che, anche a costo di guer-
ra, mai la Francia non avrebbe tollerato un Prussiano sul trono spa-
gnuolo. Cominciarono allora le pratiche diplomatiche delle quali diedero
il sunto e la storia il Grammont al Senato e TOllivier al Corpo legis-
lativo il 15 Luglio nei seguenti termini.
« 11 modo con cui il paese accolse la nostra dichiarazione del 6 Luglio
avendoci resi certi che voi approvate la nostra politica e che poteva-
mo fidarci del vostro appoggio, noi abbiamo tosto incominciato delle
trattative colle potenze estere allo scopo di ottenere i loro buoni uflicii
presso della Prussia perchè essa riconoscesse le legittimità delle nostre
lagnanze. In queste trattative noi non abbiamo chiesto nulla alla Spa-
gna, di cui non volevamo destare le suscettibilità, nò irritare l'indipen-
denza. Noi non abbiamo agito presso il Principe di Hohenzollern, che
noi considerammo siccome coperto dal Re. Noi abbiamo ugualmente
rifiutato di frammischiare alla nostra discussione nessuna recriminazione
CONTEMPORANEA 373
o di farla uscire dal limite nel quale l'avevamo circoscritta sin da prin-
cipio. La maggior parte delle potenze furono piene di premura nel ri-
sponderci; ed esse con più o meno espansione hanno ammesso la giu-
stizia de'nostri richiami.
« Il Ministro degli affari esteri prussiano ci oppose una scappatoia,
pretendendo eli' egli ignorava la cosa e che il gabinetto di Berlino
vi era restato estraneo. Noi abbiamo dovuto allora indirizzarci al Re
medesimo ed abbiamo ordinato al nostro ambasciatore di recarsi ad Ems
presso S. M. il Re di Prussia mentre riconosceva ch'egli aveva autoriz-
zato il Principe di Hohenzollern ad accettare la candidatura che gli
era stata offerta, sostenne che era rimasto estraneo alle trattatrve che
si erano condotte fra il Governo spagnuolo ed il Principe flohenzollern,
ch'esso non vi era intervenuto che come capo della famiglia, e niente
affatto come sovrano, e che non aveva su ciò né radunato nò consul-
tato Consiglio dei Ministri. S. M. riconobbe però ch'egli aveva infor-
mato il conte di Bismark di quanto accadeva. Noi non potevamo con-
siderare questa risposta come soddisfacente: noi non abbiamo potuto
ammettere questa distinzione sottile tra il sovrano ed il capo della fami-
glia, ed abbiamo insistito perchè il Re consigliasse ed al caso impones-
se al principe Leopoldo una rinuncia alla sua candidatura.
« Mentre noi discutevamo col Re di Prussia la rinuncia del principe
Leopoldo, essa ci venne da un lato da cui non l'attendevamo e ci fu ri-
messa il 12 Luglio dall'ambasciatore di Spagna. Il Re di Prussia aven-
dovi voluto restar estraneo, noi gli domandammo di associatisi e di di-
chiarare che se mai per uno di quei rivolgimenti sempre possibili in un
paese che esce da una rivoluzione, la corona fosse novamente offerta
dalla Spagna al principe Leopoldo, egli non autorizzerebbe più il Prin-
cipe ad accettarla affinchè il litigio restasse definitivamente chiuso. La
nostra domanda era moderata; i termini nei quali l'esprimevano, non lo
erano meno. « Dite bene al Re, scrivevamo al conte Benedetti il 12
Luglio a mezzanotte, dite bene al Re che noi non abbiamo nessun se-
condo fine, che non cerchiamo un pretesto di guerra e che domandia-
mo solo di risolvere onorevolmente una difficoltà che noi non abbiamo
creata. »
« Il Re acconsentì ad approvare la rinunzia del principe Leopoldo,
ma rifiutò di dichiarare che per l' avvenire egli non autorizzerebbe
più il rinnovamento di questa candidatura. « Io ho domandato al Re, ci
scriveva il sig. Benedetti il 13 Luglio, a mezzanotte, di volermi per-
mettere di annunziarvi in suo nome che se il Principe di Hohenzol-
lern volesse di nuovo attuare il suo progetto, S. M. interporrebbe la
sua autorità e vi metterebbe ostacolo. Il Re ha assolutamente rifiuta-
to di autorizzarmi a trasmettervi una tale dichiarazione. Io insistei vi-
vamente, ma senza riuscire a modificare le disposizioni di S. M. Il
37 i CRONACA
Re terminò il nostro colloquio dicendomi che non poteva né voleva
prendere un impegno di tal fatta, e che tanto per quella, come per
qualunque altra eventualità, egli doveva riserbarsi la facoltà di con-
sultare le circostanze. »
« Quantunque quel rifiuto ci paresse ingiustificabile, il nostro deside-
rio di conservare all' Europa il benefizio della pace era tale, che non
troncammo le trattative, e che, nonostante la nostra impazienza, te-
mendo che una discussione vi mettesse ostacolo, noi vi chiedemmo di
differire le nostre spiegazioni. Perciò la nostra sorpresa fu grandissi-
ma allorché ieri apprendemmo che il Re di Prussia aveva notificato
al nostro ambasciatore, per mezzo di un aiutante di campo, che non
lo riceverebbe più, e che per dare a quel rifiuto un carattere non equi-
voco, il suo Governo lo aveva comunicato ufficialmente ai gabinetti di
Europa. Nel tempo stesso venivamo a sapere che il barone di Werther
aveva ricevuto l'ordine di prendere il suo congedo, e che in Prussia
si andavano facendo armamenti. In queste circostanze, il tentare di più
per la conciliazione, sarebbe stato al tempo stesso il non curare la pro-
pria dignità ed una imprudenza. Noi non trascurammo nulla per evi-
tare una guerra. Noi prendiamo ora a prepararci a sostenere quella
che ci si olire, lasciando ad ognuno le parte di responsabilità che gli
spetta. Da ieri noi richiamammo sotto le armi le nostre riserve, e col
vostro concorso ci accingiamo a prendere i provvedimenti necessari
per tutelare gl'interessi, la sicurezza e l'onore della Francia. »
2. Dal canto suo la Prussia espose le sue ragioni e il modo come in-
tende la questione, il 19 Luglio nel discorso con cui il Re aperse il parla-
mento federale: il quale dice così: « Onorevoli signori delia Dieta della
Confederazione della Germania del Nord. Allorché, nell'ultima vostra
adunanza, da questo posto vi salutai in nome dei Governi confederati,
potei affermare con vero gradimento che ai miei sinceri sforzi per cor-
rispondere ai desiderii dei popoli e ai bisogni della civiltà, impedendo
ogni perturbazione della pace, non mancò, coll'aiuto di Dio, il buon suc-
cesso. Se ciò nondimeno minacce e pericoli di guerra hanno imposto ai
Governi confederati di convocarvi in una sessione straordinaria, saia in
voi, come in me viva la convinzione che la Confederazione tedesca del
Nord era intenta a riordinare la forza del popolo a proteggere la nostra
indipendenza, e che noi obbediamo ai comandi dell'onore e del dovere.
« La candidatura spagnuola di un Principe tedesco, alla quale i Go1-
confederati sou rimasti estranei tanto nel proporla quanto nel metterla
da parte, e nella quale la Confederazione germanica del Nord aveva in-
teresse soltanto perchè sembrava che vi si potesse collegare la spe-
ranza di assicurare a quella nazione amica e mollo f Ut un Go-
verno ordinato ed amante della pace, diede al Governo dell'In.;
tore dei Francesi il pretesto, in un modo da molto tempo ignoto alle re-
CONTEMPORANEA 375
Iasioni diplomatiche, di mettere innanzi un caso di guerra, mantenendo-
lo anche dopo che quel pretesto fu allontanato, con quella noncuran-
za del diritto che hanno i popoli di fruire delle benedizioni della pa-
ce, noncuranza della quale la storia dei passati dominatori della Fran-
cia porge analoghi esempii.
« Se nei secoli passati la Germania soffrì in silenzio simili violenze
contro il suo diritto ed il suo onore, le soffrì perchè, divisa com'era, non
sapeva quanto era forte. Oggi, quando il legame dell'unità morale e di
diritto, il quale cominciò astringersi durante la guerra dell1 indipenden-
za, unisce le razze tedesche più intimamente, oggi quando V armamento
della Germania non offre alcun vuoto al nemico, la Germania ha in sé
l la volontà e la forza di respingere le rinnovate violenze francesi.
Non è presunzione quella che mi pone in bocca queste parole. I Go-
verni confederati, come lo stesso, agiscono nella piena coscienza che
la vittoria e le sconfitte stanno nelle mani del Dio delle battaglie. Noi
abbiamo misurato con occhio sereno la responsabilità che colpisce in-
nanzi al giudizio di Dio e degli uomini colui che spinge due grandi e
pacifici popoli nel cuore dell1 Europa e guerre devastatrici. La nazione
tedesca, come la francese, che entrambe ugualmente godono ed ambi-
scono le benedizioni della civiltà cristiana e di una crescente prosperità,
sono chiamate ad una lotta ben più salutare che non quella sì dannosa
delle armi. Ma gli uomini di Stato di Francia seppero sfruttare i giusti,
ma troppo suscettibili sentimenti del gran popolo nostro vicino, delibe-
ratamente facendoli fuorviare per interessi e passioni personali.
« Quanto più i Governi confederati hanno la coscienza di aver fatto
tutto quello che consentivano l'onore e la dignità per conservare al-
l'Europa le benedizioni della pace, e quanto più è evidente agli occhi
di tutti che ci fu messa la spada nella mano, con tanto maggior fiducia
noi, appoggiati ali1 unanime volontà dei Governi tedeschi, così del Sud
come del Nord, ci rivolgiamo all'amor patrio ed alla prontezza dei sa-
crifizii del popolo tedesco, facendogli appello per difendere il suo ono-
re e la sua indipendenza. Seguendo l'esempio dei nostri padri, lottere-
mo per la nostra libertà e per il nostro diritto contro la violenza di
conquistatori stranieri, e in questa lotta, nella quale non abbiamo altro
scopo che di assicurare all'Europa una pace duratura, Dio sarà con
noi come fu coi padri nostri. »
3. Esposte così le loro ragioni, ecco come i due Sovrani parlarono ai
loro popoli. L'imperatore Napoleone parlò così:
« Francesi! Vi sono nella vita dei popoli alcuni momenti solenni nei
quali l'onore nazionale, violentemente eccitato, s'impone come una for-
za irresistibile, domina tutti gl'interessi e prende solo nelle mani la di-
rezione dei destini della patria. Una di queste ore decisive è suonata
per la Francia. La Prussia, per la quale noi abbiamo avuto, durante
376 CRONACA
e dopo la guerra del 1866, le più concilianti disposizioni, non ten-
ne alcun conto del nostro buon volere e della nostra longanimità. Lan-
ciatasi nella via delle invasioni , essa ha destalo tutte le diffidenze ,
obbligò tutti a fare armamenti esagerati e fece dell'Europa un campo
ove regnano f incertezza e la paura dell1 indomani. Un ultimo incidente
venne a rivelare f instabilità dei rapporti internazionali ed a mostrare
tutta la gravità delle cose.
« In presenza delle nuove pretensioni della Prussia, i nostri richiami
si fecero udire, ma essi furono elusi e seguiti da un procedere disdegno-
so. Il nostro paese ne risentì una profonda irritazione, e subito un gri-
do di guerra risuonò da un capo all'altro della Francia. A noi non re-
sta più altro che affidare i nostri destini alla sorte delle armi.
« A'oi non facciamo guerra alla Germania, di cui rispettiamo f indipen-
denza. Facciamo anzi voti aftinché i popoli che compongono la gran-
de nazionalità tedesca dispongano liberamente dei loro destini. Quan-
to a noi, domandiamo che si stabilisca uno stato di cose, il quale gua-
rentisca la nostra sicurezza ed assicuri f avvenire. Noi vogliamo conqui-
stare una pace durevole, fondata sui veri interessi dei popoli e fare
cessare uno stato precario, in cui tutte le nazioni impiegano le loro
forze per armarsi le une contro le altre. La gloriosa bandiera che noi
spieghiamo ancora una volta innanzi a coloro che ci provocano, è quel-
la stessa che recò attraverso f Europa le idee civilizzatrici della nostra
grande rivoluzione. Essa rappresenta gli stessi principii ed ispirerà gli
stessi affetti.
« Francesi! lo mi pongo alla testa di questo valoroso esercito che
è animato dall'onore e dal dovere verso la patria. Esso sa quanto va-
le, perchè ha visto nelle quattro parti del mondo la vittoria seguire
i suoi passi. Io conduco meco mio tìglio, malgrado la sua giovinezza.
Egli sa quali doveri gf imponga il suo nome. Egli è superbo di pren-
dere la sua parte dei pericoli con quelli che combattono per la patria.
Dio benedica i nostri sforzi. Un grande popolo, che difende una causa
giusta, è invincibile. »
Il Re di Prussia pubblicò pure un proclama, di cui i giornali ci recarono
il sunto telegratico seguente : « Il Re ringrazia per le dimostrazioni così
numerose in favore dell'indipendenza e dell'onore della Germania che
egli ricevette non solo da tutte le parti della Germania, ma anche dai
Tedeschi d'America. Dice che conserverà sempre la stessa fedeltà ver-
so la Germania; che l'amore della patria comune, lo slancio di tutti i
Tedeschi e dei loro principi riconciliò tutti i partiti. Termina dicendo che
la Germania nella sua concordia e diritto troverà le guarentigie per una
guerra che produrrà la pace durevole, nonché la libertà e l'unità della
Germania. »
CONTEMPORANEA 377
4. Lo stesso giorno 19 alle due Camere francesi fu dal Grammont an-
nunziata ufficialmente la dichiarazione di guerra colle seguenti parole :
« Signori ! 11 giorno 1 5 vi furono esposte le giuste cause di guerra che noi
abbiamo contro la Prussia. Secondo gli usi e per ordine dell'Imperatore
io ho invitato l'incaricato di affari di Francia di render noto al gabinetto
di Berlino la nostra risoluzione di ottenere coir armi le guarentigie che
non abbiamo potuto ottenere colla discussione. Questo passo fu dato, ed
io ho l'onore di farvi sapere che lo stato di guerra esiste fra noi e la
Prussia dal giorno 19 Luglio. Questa dichiarazione si applica ancora agli
alleati della Prussia che le prestano contro di noi il concorso delle loro
armi. »
L'atto della dichiarazione di guerra alla Prussia è pubblicato dal Gior-
nale ufficiale di Prussia, esso dice così: «Il sottoscritto incaricato di
affari per la Francia, in esecuzione degli ordini avuti dal suo Gover-
no, ha l'onore di portare a conoscenza di S. E. il Ministro degli affari
esteri del Re di Prussia la seguente partecipazione. Il Governo di Sua
Maestà Y Imperatore dei Francesi , essendo costretto a considerare il
progetto d'innalzare al trono di Spagna un Principe prussiano come un
atto unicamente diretto contro la sicurezza territoriale della Francia, si
trovò nella necessità di chiedere a S. M. il Re di Prussia la promessa
che questa combinazione non avrebbe effetto col di lui assenso. Essendo-
si S. M. il Re di Prussia rifiutato di dare questa guarentigia, e avendo
al contrario dimostrato all'inviato di S. M. l'Imperatore dei Francesi
che tanto per questa eventualità come per qualunque altra egli avea
l'intenzione di riserbarsi la possibilità di prendere consiglio dagli eventi,
cosi il Governo imperiale fu costretto a trovare in questa dichiarazione
del Re un pensiero nascosto che minacciava tanto la Francia quanto
l'equilibrio di tutta l'Europa. La dichiarazione di S. M. il Re fu resa
anche più grave dalla notificazione spedita ai gabinetti che egli erasi
rifiutato di ricevere l'inviato dell Imperatore, e di entrare con lui in
qualsiasi nuova spiegazione a tal proposito. In seguito a ciò il Governo
francese crede di avere il dovere di provvedere immediatamente alla di-
fesa del suo onore e dei suoi interessi offesi, e decise a questo effetto di
ricorrere a tutti que1 provvedimenti impostigli dalla condizione che gli
era stata fatta ; e da questo momento esso si considera come in stato di
guerra con la Prussia. 11 sottoscritto ha l'onore di esprimere a S. E. le
assicurazione della più alta stima e considerazione. Berlino, 19 Luglio
1870. Le Sourd. »
Questa dichiarazione di guerra fu del Bismark diramata ai rappresen-
tanti della Confederazione del Nord e accompagnata dalla seguente circo-
lare: « Berlino 19 Luglio. 11 Governo imperiale francese, per mezzo del
suo incaricato di affari, ci ha fatto consegnare il documento che le ac-
chiudo, in copia, contenente la dichiarazione di guerra. Questo è l'unico
378 c?,o:;\ca
docamcnlo nuziale che noi abbiamo ricevuto dal Governo imperialo
cese in tutto questo affare, che occupa il mondo da li giorni. Come mo-
tivi dellii guerra, nella quale ci si trascina, sono ivi indicati: « il rifiuto di
Sua Maestà il Re di dare rassicurazione che col suo assenso non potrebbe
Terificarsi l'innalzamento di un Principe prussiano al trono spagnuolo, e
la noliiìcazione, che si asserisce fatta dai gabinetti, del rifiuto di ricevere
l1 ambasciatore francese, e di trattare ulteriormente con lui ». A ciò noi
rispondiamo brevemente quanto segue : Sua Maestà il Re, rispettando
pienamente l'indipendenza della nazione spagnuola e la libertà delle ri-
soluzioni del capo della Casa principesca di ììohenzollern, non ha mai
pensato a voler innalzare quel Principe ereditario sul trono di Spagna.
Le richieste fatte a S. Maestà di promesse per V avvenire erano ille-
gittime e pretenziose. Ascrivergli in ciò un secondo fine od una inten-
zione ostile contro la Francia, è un'arbitraria invenzione. L'asserita noti-
ficazione ai gabinetti non è mai avvenuta e così pure non è mai avvenu-
to un rifiuto di trattare coli' ambasciatore dell'Imperatore dei Francesi.
Al contrario quell'ambasciatore non ha mai cercato di avere pratiche uf-
fiziali col regio Governo, malia trattato le questioni soltanto con S. Mae-
stà il Re, personalmente e privatamente, al bagno di Ems. La nazione
tedesca, dentro e fuori della Confederazione della Germania settentriona-
le, ha riconosciuto che le pretensioni del Governo francese erano diret-
te ad una umiliazione che la nazione non tollera, e che la guerra, la qua-
le no;: poteva essere mai nelle mire della Prussia, ci viene imposta dal-
la Francia. Tutto il mondo civilizzato riconosce che i motivi addotti dal-
la Francia non esistono, ma sono pretesti inventati. La Confederazione
della Germania settentrionale ed i Governi della Germania del Sud ad
essa alleati, protestano contro Tassalimento della Confederazione ger-
manica, non provocato, e lo respingeranno con tutti i mezzi che ricevet-
tero da Dio.
« Vostra... è invitata a dar copia di questo dispaccio, e dei suoi alle-
gati, al Governo presso cui è accreditato ».
A questa circolare controrispose il Governo francese. Ma a noi basta
l' aver quinci e quindi recati alcuni dei documenti che portano le ragio-
ni delle due parti contendenti. Da essi più che da qualsivoglia altra fon-
te possono i lettori giudicare, e formarsi il giusto criterio delle cause e
dell1 occasione della contesa.
5. Fin dai primi giorni, quando la contesa parea semplicemente diplo-
matica, cominciarono i giornali francesi e tedeschi ad essere ripieni di
notizie di armamenti per mare e per terra, di arruolamenti di volontari]',
di previsioni strategiche, e di ogni sorta di aneddoti militari più 0 meno
autentici, finché non venne sì in Prussia e sì in Francia la proibizione
sotto severissime pene di dar notizie relative alla guerra ed alla marcia
pure delle truppe. Ciò non vietò che ogni giorno tutti i giornali non se-
CONTEMPORANEA 379
guitasscro a discorrere che di guerra e di marcie. Ma vede ognuno qual
fede si possa dare a tali notizie. Del resto le relazioni ufficiali non man-
cheranno pur troppo tra breve dall'una e dall'altra parte: e quelle che
potremmo noi ora dare dalle relazioni incertissime dei giornali non
avrebbero vcrun interesse il giorno in cui sarebbero tardivamente lette
dai nostri lettori. Basti il dire che l'ima parte e V altra arma qdàrilo sa
e può, potendosi calcolare che almeno un milione e mezzo di uomini
siano ora sotto Tarmi pronti a trucidarsi a vicenda. Se i primi fatti
d' arme abbiano ad essere per mare ó per terra, sul Baltico o sul Reno,
in Francia o in Prussia, lo sapremo tra breve dal fatto. Il voler ora
prevedere qualche cosa, mentre scriviamo, sarebbe un giocare ad indo-
vinare. N
6. Tutta l'Europa è, per così dire, involta in questa guerra: nò vi è
regno o grande o piccolo che non ne senta fin d'ora o non aspetti di sen-
tirne il contracolpo. Per ora i soli Stati del Sud della Germania si di-
chiararono per la guerra in favore della Prussia. Le altre potenze quasi
tutte dichiararono ufficialmente la loro neutralità. Alcune, come il Bel-
gio, l'Olanda e la Svizzera, si dichiararono neutrali per dovere, a così di-
re, del loro stato. Altre per elezione, come la Russia, l'Inghilterra, l'Au-
stria, l'Italia. Niuno però sa quanto tempo potranno durare queste neu-
tralità; sì le volontarie e sì le obbligate. Che anzi di alcune, come del-
l' Italia , si assicura che già sieno certi i patti di alleanza colla Francia.
Molti credono lo stesso dell'Austria e della Danimarca. E si teme che,
l'una potenza chiamando l'altra, la guerra non sia per diventar ge-
nerale. Tutto questo però è incerto : e il solo certo si è che ogni cosa
è sempre diretta e volta dalla Provvidenza al bene ed al trionfo della
Chiesa, anche quando scatena sopra il mondo i suoi più terribili flagelli.
380 CRONACA
Svizzera [Nastra Corrispondenza) — 1. La Svizzera e la guerra franco-ger-
manica — 2. La riforma della Costituzione federale — 3. La ferrovia del
S. Gottardo — 4. La banda Nathan — 5. La definizione dogmatica della
infallibilità pontificia — 6. Le elezioni nel Cantone di Berna — 7. Le ele-
zioni nel Cantone di S. Gallo — 8. Movimento politico nel Cantone Ticino.
1. Sarebbe egli mai possibile cbe il vostro corrispondente svizzero
non dicesse verbo del conflitto gravissimo testò insorto tra la Francia e
l'intera Germania, e che sta per definirsi col sangue di tante migliaia di
infelici sulle rive del Reno, dell' Oder e della Vistola? Non è però attri-
buto mio di sentenziare intorno a questa grossa guerra, ornai già inco-
minciata e che solo Dio sa come andrà a ricscire. Mi basterà farvi sape-
re che la Svizzera è forse lo Stato che, per molte ragioni che l'esporre
è vano, trovasi per condizione propria più direttamente involto ed inte-
ressato in questa terribile conflagrazione. Nessuna meraviglia pertanto
che tino dal 17 Luglio i supremi poteri della Confederazione abbiano
chiamato sotto le bandiere ben 50,000 soldati d'ogni arma ed abbiano
per giunta ordinato ad altri 35, 500 di tenersi pronti al primo appello. Ve-
ro è che le nazioni belligeranti hanno esplicitamente riconosciuta la neu-
tralità del nostro paese, proclamata dagli Stati che firmarono i trattati
di Vienna del 1815 e novamente dichiarata dal nostro Governo federa-
le. Siccome si conosce pur troppo a prova quanto insidiata e traditrice
arte sia ne' tempi nostri la diplomatica, così si è saviamente pensato tor-
nar meglio alla Svizzera di provvedere al caso colle forze sue alla pro-
pria neutralità ed autonomia, tanto più che il nostro territorio si offre
assai facilmente alle scorrerie d'entrambi gli eserciti contendenti e po-
trebbe prestarsi a strategiche combinazioni. Le cinque divisioni attual-
mente in servizio d'osservazione lungo la linea del Reno stanno sotto gli
ordini del colonnello d'artiglieria sig. Herzog delPArgovia, nominato or
ora generalissimo delle nostre milizie dall' Assemblea federale ; e n' è
capo di stato-maggiore il colonnello Paravicini di Basilea. Sono due pre-
gevolissimi ufficiali superiori, che per fermo guiderebbero con onore i
nostri prodi alla vittoria in caso di non soverchiante urto di un esercito
d'invasione. La Svizzera è incrollabilmente deliberata a qualunque sa-
crifizio per proteggere la neutralità, l'integrità e l'indipendenza del suo
territorio. E perchè vediate di quali mezzi militari essa può all'evenien-
za disporre, eccovi lo specchio delle nostre truppe di tutto punto orga-
nizzate: stato-maggiore generale 805; attiva (dai 23 ai 34 anni) 85.:; 63;
riserva (dai 34 ai 40) 50,146; landwehr (dai 40 ai 44) 66,539. Abbiamo
dunque un totale effettivo di 203,053 uomini con 16 brigate d'artiglie-
ria di campagna. Tutte le armi sono di perfezione; l'equipaggiamento
è buono e insieme elegante ; lo spirito marziale superiore ad ogni elo-
CONTEMPORANEA 381
gio. Tolga nondimeno Iddio che le truppe nostre siano costrette al sa-
crifizio del sangue per la difesa della patria !
2. In mezzo però a tanto strepito di guerra, la Svizzera non cessa di
volgere le sue cure al miglioramento politico ed economico della repub-
blica. Il Consiglio federale, che è il nostro potere esecutivo centrale, ha
preparato uno schema di modificazione allo Statuto federale del 12 Set-
tembre 1818, giusta il compito affidatogli dalle superiori autorità legis-
lative. Temcvasi da taluno che il risveglio dello spirito riformatore
suonasse abbandono del sistema. federativo per surrogarvi V unitarismo,
e perciò il partito conservatore, specialmente il cattolico, s' oppose a
qualunque idea di mutamento costituzionale. Mi ricorda di avervi fatto
notare a suo tempo che questo timore era effimero e che sarebbe stata
transitoria la coalizione degli imitarli coi federalisti. Le proposte del
Consiglio federale giustificano appieno le mie previsioni, giacche esse
sono concepite in senso talmente temperato, che i conservatori in gene-
rale le accettano, fatta soltanto qualche riserva riguardo ai punti rife-
renti a materie religiose. Ma quando si ponga mente che nella patria
nostra la maggioranza è protestante, non si dura fatica a comprendere
che le proposte del Consiglio federale sono ancora meno inaccettevoli di
quelle che verrebbero per avventura formulate da certi Parlamenti e
deputati cattolici che conoscete benissimo anche voi. La bisogna poi
verrà tenuta lì alcuni mesi perchè maturi, essendo consuetudine nostra
di non procedere a capo chino nel fare e disfare le Costituzioni e le leggi.
Il Consiglio nazionale ed i Consiglio degli Slati hanno eletto le rispettive
Commissioni per esaminare e riferire su questo importante argomento,
e intanto sarà libero ai cittadini di presentare a queste Commissioni i
loro voti. La trattazione avverrà nel prossimo consesso delle Camere in
Dccembre.
3. Anche air avvenire economico del paese tengon fisso e vigile lo
sguardo i nostri padri della patria. Altra volta vi ho intrattenuto della
colossale impresa della ferrovia internazionale attraverso il S. Gottar-
do, ed ora posso soggiungere che un gran passo fu dato dacché quasi
tutti gli Stati direttamente interessati air opera gigantesca han votato
le contribuzioni in danaro ad essi assegnate. L'Italia era sul punto di
far decretare dal suo Parlamento la partecipazione che si assunse colla
convenzione internazionale di Berna del la Ottobre 1869 ; ma temo che
la guerra franco -germanica abbia a ritardare chi sa fin quando la defi-
nitiva adesione delle Camere di Firenze. E temo altresì che il presente
tramestìo abbia a mandare in fumo le deliberazioni già prese dalle au-
torità della Germania del Nord, del Baden e del Wurtcmberg. A buon
conto i nostri Consigli legislativi federali vincendo con esito insperato le
rivalità dei parti tanti dello Spluga e del Sempione, ratificarono alla qua-
si unanimità i trattati finora stipulati per la ferrovia del S. Gottardo.
382 CRONACA
Voglia il cielo che fra i danni incalcolabili della guerra, non si debba an-
noverare anche quello di privare il commercio intemazionale di questo
più rapido e sicuro mezzo a soddisfazione di tanti pubblici e privati
affari !
4. Allo scopo manifesto di viemeglio favorire i suoi interessi mora-
li, politici ed economici, la Svizzera s'adopra parimenti con perfetta
lealtà ad osservare il diritto delle genti ed a tutelare V ordine pubblico
nell'interno. 11 vostro corrispondente della Svizzera italiana vi ha fornito
minuti ed esatti particolari sulla banda repubblicana- demagogica di quel
figlio di Mazzini che si fa chiamare Giuseppe Nathan, ed io non posso
che confermarvi quella relazione. Mi sia però concesso di soggiunge-
re che realmente il mazzinianismo ha gittate salde radici in alcune lo-
calità del Cantone Ticino, e che in ispecie vi stanno impegolati fino al
collo certi magnati che tengono un1 alta mano nel governo di quel Can-
tone. E il peggio si è che i mazziniani hanno formato il loro nido nella
Svizzera italiana, nò le autorità federali verranno facilmente a capo di
scovameli. Il primo provvedimento energico da prendersi sarebbe lo
sfratto perpetuo di tutta la famiglia della cosidetta vedova Nathan, in
un colle relative appendici. Ritornando ora alla banda del figlio di
zini, saprete che essendo indietreggiati sul nostro territorio quei prodi
rodomonti, vennero arrestati e sottoposti ad inquisizione legale! Ma le
autorità giudiziarie federali , giudicando la spedizione Nathan per una
goffa fanciullaggine, proposero di punirla con un semplice correttivo
di polizia, e quindi di espellere dal territorio svizzero i 30 inquisiti. Il
Consiglio federale accettò le concordi proposizioni del giudice istruttore
e del pubblico procuratore, ed i fannulloni della Bepubblica univenah
furono mandati in Oga Magoga. Ritenete tuttavia che fatta qualche ra-
ra eccezione, Mazzini è in abbominio presso il popolo e le autorità del-
la Svizzera.
5. La definizione ca della iflfaUibitf pontiGcia venne accolta
con filiale riverenza e vivo giubilo dalle popolazioni cattoliche della Sviz-
zera. Anche i protestanti ortodossi, che vedono quali ruine minacci il
razionalismo e che assistettero con sincero rammarico alle stravaganze
dei loro confratelli dedicati al cristianesimo libero o liberale, non senti-
rono di mal animo la solenne decisione del Concilio Valicano, poiché vi
ravvisano un potente conforto al principio cardinale dell'autorità, prin-
cipio di vita per l'umano consorzio e peculiarmente per V associazione
religiosa. I soli radicali d'entrambe le confessioni scapitano di fronte a
questo splendido trionfo della vera Chiesa di Cristo; ma la stolida loro
indegnazione costituisce anzi il titolo più evidente della opportunità del-
l'avvenuta definizione. I cattolici radicali, di conserva coi radicali pro-
testanti , accennano ad una comune propaganda per provocar ne1 fedeli
l'apostasia. State però certissimi che l'opera loro cadrà a vuoto, e la
CONTEMPORANEA 383
Svizzera cattolica , imam" me col suo degno episcopato, non diminuirà
d'un iota P inalterabile suo attaccamento alla Santa Sede ed al Capo an-
imo della Chiesa. Io spero eziandio che le nostre autorità politi-
che non seguiranno l'infelice esempio del Ministro del culto in Ungheria,
ile ha dato il primo segno di ribellione contro F irrevocabile e sa-
i ione dei Padri della cristianità.
6. Gli avvenimenti politici nei singoli Cantoni hanno scarseggiato al-
quanto in questo ultimo trimestre. Devo nondimeno farvi parola delle
elezioni alla magistratura legislativa compiutasi nello scorso Maggio nei
Cantoni di Berna e di S. Gallo. Sapete che cinque sesti dei Bernesi sono
protestanti, ma non per questo la grande maggioranza del popolo, pre-
seduta dalla colta aristocrazia della capitale, cessa di essere conservatri-
ce in sommo grado. I radicali tengono le redini di quella repubblica,
ma il Governo loro è più di nome che di fatto» poiché tutte le leggi più
importanti non possono venir promulgate senza la ratifica dei comizii po-
polari. Le ultime elezioni al Gran Consiglio, contro il previsto diedero
ai radicali 135 deputati e soli 100 ai conservatori. Fu molto avvertita
la circostanza che i quattordici deputati della città di Berna, la qua-
le è altresì la capitale della Confederazione, furono scelti a grande
pluralità di suffragi tra gli uomini più eminenti del partito conservato-
re; tanto ancor vi predomina il sentimento di quella gloria del mondo
civile che fu l'insigne pubblicista Carlo Luigi di Mailer! Che se i radi-
cali contano nel nuovo Gran Consiglio e nel potere esecutivo la maggio-
ranza, io tengo per fermo che la cosa pubblica s'inspirerà ciò non ostan-
te al principio d'ordine e' di conservazione, grazie al pratico senno del
popolo nel giudicare de' suoi morali politici ed economici interessi. La
qual cosa avverrà tanto più sicuramente, in quanto che i migliori pa-
trioti militano nelle schiere conservatrici.
7. Il Cantone di S. Gallo poi, da quasi un decennio, vive in perfetta
tranquillità, e se v'ha agitazione di partito, gli è soltanto per muover
guerra e tenere lontani dal Governo gli estremi radicali, i banderai del
razionalismo e dell'unitarismo. I cattolici vi sono in maggioranza, e gli
affari lor proprii maneggiano con egregie amministrazioni, le quali pro-
cedono a meraviglia. Gli affari comuni invece sono condotti da un Gran
Consiglio , in cui i cattolici annoverano un numero gagliardo di rappre-
si e siedono arbitri fra i radicali moderati e gli estremi. Il potere
esecutivo è composto esclusivamente di radicali moderati e di cattolici,
e queste due frazioni politiche serrano in pugno il Governo del Cantone.
guesta è la condizione in cui versa da parecchi anni questo florido e in-
dusire paese, e le elezioni del Maggio passato han rinvigorito anziché
deteriorato il predominio e l'intervento attivo dei cattolici nelle cose
del paese.
384 CRONACA CONTEMPORANEA
8. Mi rimane ora a compiere rapidamente la relazione fattavi dal cor-
rispondente della Svizzera italiana circa il movimento costituzionale nel
Cantone Ticino. Lo schema di statuto proposto al Gran Consiglio da una
commissione di 17 deputati era, salvo qualche pecca, sommamente ac-
concio ai bisogni di quel paese. Ma il Gran Consiglio, rappresentando
non già gli interessi dell'intero Cantone, bensì quello delle diverse loca-
lità, pose la falce nel disegno dei 17 e ne stralciò le più importanti e
proficue disposizioni mirando unicamente a toglier la capitale a Lugano
per fissarla a Bellinzona; dovesse pure lo Stato precipitare alla malora!
Di qui asprissimi guai, a segno che i deputati dei distretti meridionali,
che formano quasi la metà del Cantone e ne sono la parte più Ibrida,
abbandonarono l'aula legislativa protestando contro l'opera spogliatrice
della maggioranza dei deputati appartenenti ai distrettì settentrionali.
E s'andò più oltre; si espresse il proponimento di voler separato il Can-
tone come Basilea, Untervaldo ed Appenzetto e questo voto è partecipato
da tutta la popolazione dei distretti meridionali. Gli antichi partili stan-
no per ora in riserbo, mentre il tentativo di separazione viene spingen-
dosi ognor più gagliardamente, e solo il conflitto franco-germanico ha
imposto la tregua al pertinace divisamento. Piacerai poi di constatare
che il concetto della nazionalità svizzera è radicato profondamente nel-
l'animo del popolo ticinese.
LA SOLENNE PROTESTA
DEL SINODO VATICANO
CONTRO DUE LIRELLI
I.
Il Concilio di Trento nella sua durata e dopo la chiusura fu in-
sultato, calunniato e gridato di niun valore nelle sue decisioni,
per difetto della necessaria libertà. Eccovi rinnovato lo stesso giuo-
co a carico del Concilio vaticano con questo divario, che gl'insulti,
le calunnie e le grida contro quello di Trento uscivano da penne
eretiche, laddove contro questo del Vaticano sono opere di scritto-
ci, che si nominano malamente cattolici liberali. Sì: da tali uomini
si scrissero con penne stillanti amarissimo fiele articoli ne' giornali,
si spedirono corrispondenze da Roma, e si pubblicarono libelli di
infamia contro la Sede apostolica e contro la più gran parte de'Vesco-
vi, denunziando al mondo il nuovo Concilio, quale raunata di gente
vile e codarda nella sua generalità dinanzi ad una potente astuzia,
che avea di buon' ora saputo ordinare il tutto a suo prò, ed incep-
pare la libertà fino a non lasciarne filo a chicchesifosse fuori del
suo arbitrio. Avendo i Presidenti del Concilio nella ultima Congre-
gazione dei sedici Luglio segnalato a' Padri cotesto tristissimo lavo-
rio della calunnia colla proposta del decreto di una solenne smenti-
ta, si levò un grido unanime di adesione a tale decreto, che bollan-
do tutti i rei scritti in fascio col marchio dell'infamia, nominava in
Serie VII, voi. XI, fase. 490. 25 8 Agosto 1870.
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386 LA SOLENNE PROTESTA DEL SINODO VATICANO
particolare due libelli: Ce qui se passe au Concile, e La dernière
heure du Concile, siccome quelli che nella pessima arte dell' in-
sulto, della menzogna e della calunnia aveano vinto tutti gli altri,
sozzi di tanta malvagità.
Così doveasi fare. Richiedeanlo le particolari qualità di tristizia,
di che sono essi impregnati non meno a danno del Concilio, che
della fede dei popoli. Conciossiachè in generale non vi s'incontri
furore di stile, insulti grossolani, falsità smaccate, ma piuttosto
procedimento di animo tranquillo, ostentazione di amore pel vero
e per la Chiesa, arte nel dare sembianza di verità con audaci e mi-,
surate affermazioni a ciò , che è il trovato della maldicenza e del
reo talento. Cosicché la calunnia, la falsità, il sarcasmo, presa sotto
la loro penna aria di verità e di virtù, giungono ad impiagare inos-
servati l'animo del male accorto lettore. Leggete il libello: Ce qui
se passe au Concile, e da un capo all'altro vi parrà il lamento e tut-
to insieme la difesa della verità e del diritto oppresso, in quella che
con un cumulo di fallacie e di menzogne tira a nimicare al Papa ,
al Concilio e segnatamente alla dottrina della infallibilità tutta la
Francia. Leggete un famoso articolo del Moniteur universel, tutto
su lo stile del libello qui nominato, e vi troverete espresso dall'au-
tore il convincimento di prestar servigio alla causa stessa del Con-
cilio e della Santa Sede, con ciò che viene esponendo 1. La calun-
nia e la maldicenza hanno di lor natura un non sappiamo che di%
appiccaticcio, che raro passano per gli animi senza lasciarvi di se
alcun fiato pestilente. Figuratevi, quanto debbano riuscire perico-
lose, quando vengono da persone, che professano pietà e devozio-
ne alla Chiesa e sanno colorire al vero le invenzioni della malva-
gità. Sia dunque lode alla saviezza dei Padri, che smascherò al
mondo la insigne tristizia di cotali scritti.
V'è un secondo motivo , che rendea questa pubblica giustizia
conveniente. Siccome è provata ad evidenza la lega del liberalismo
di lutti i paesi, stretta sotto la maschera del gallicanismo, per im-
pedire la definizione di certe dottrine, così a chi studia un po' l'an-
damento dei giornali e degli opuscoli conlrarii al Concilio appare
1 14 Fevrier.
CONTRO DUE LIBELLI 387
avervi il motto d'ordine di assaltarne anticipatamente 1' autorità, se
mai fossero definite, impugnando ad un modo la necessaria libertà
della definizione. Tanta è la somiglianza degli argomenti e de' punti
combattuti in cotesti scritti del partilo ! A mezzo Febbraio uscì nel
Moniteur universel l'articolo di sei fitte colonne sopra citato col tito-
lo: La situatimi des choses à Rome; due mesi dopo fu stampato
il libello : Ce qui se passe au Concile; nel Maggio comparvero nel
Times, e riferiti dal Journal des Dèbats, due lunghi brani di due
lettere spedite da una persona del Concilio; da ultimo La dernière
Jieure du Concile. Confrontate questi quattro scritti, e vi troverete
piantati e difesi tre medesimi punti, i quali sono: la libertà oppres-
sa dal regolamento delle lettere apostoliche MuUiplices inter : la
libera discussione oppressa dagli schemi e dalla maniera stabilita
pel dibattimento : la libertà dei suffragi oppressa da potenti influen-
ze morali. Passate nella Germania : leggete gli scritti del Dollin-
ger e le corrispondenze romane della Gazzetta universale di Augu-
sta, e vi si presenterà la medesima forma di assalto. Nulla diciamo
dei giornali pedissequi : il loro linguaggio non è punto differente.
Tutte le pruove battono a questa triplice oppressione : conveniva
saturarne le menti; conveniva farla credere universalmente ad ogni
costo. Ne andava la verità, ne andava la coscienza : non valse.
Dovea vincere il consiglio che non si definisse l'infallibilità soprat-
tutto: nel caso poi, che fallisse, la definizione dovea giacere ne-
gletta, senza autorità, senza forza. Il mezzo più acconcio per giun-
gere a questo parve quello di rendere esoso il Papa, quale usur-
patore dei più sacri diritti, d'invilire la massima parte dei Vescovi,
quale masnada codarda, e di mostrare oppressa sotto ogni risguar-
do la libertà del Concilio. I tre punti su indicati erano all'uopo e si
presero di mira.
Sembra ad alcuno troppo fiera questa nostra conchiusione? Non
è così. Lo spirito di rivolta trapela da tutti i loro argomenti, vi è
insinuato, vi è caldeggiato. Chi scrive, che « gravi doveri possono
presentarsi alle menti degli oppressi! j^Chi afferma, « che la defini-
zione riuscirebbe di peso intollerabile alle coscienze »: e chi senza
tanti riguardi dice chiaro: « che i Vescovi della opposizione sono sto-
macati della maniera, onde procedono le cose, e che se il program-
388 LA SOLENNE PROTESTA DEL SINODO VATICANO
ma oscurantista della Curia si compie prima della proroga del
Concilio, non hanno altra speranza per salvare la Chiesa in perico-
lo, che questa: appellare dal presente concilio, nullo di sua natura fi-
no dal suo aprimento, ad un concilio libero; da questa assemblea di
vile servidorame, preseduta da un Cesare e diretta da una fazione
monacile e settaria, ad una assemblea di Vescovi, preseduta dallo
Spirito Santo e retta dall' amore del bene, della verità e del pro-
gresso. » Questo è il linguaggio della Liberto; eguale è quello delle
lettere riferite dal Débats; non punto diverso quello della Bernière
heure du Concile. Eccovi disvelato il terribile passo a cui tirano.
Allo scisma, alla rivolta, al dilaceramento della Chiesa. Quindi,
dopo avervi incitato gli animi, il pronunziare, che fanno, cotesti ma-
li, il gridarli come sicuri, e come inevitabili conseguenze delle defi-
nizioni del presente concilio. Così hanno operato, ed operano i ri-
voltosi moderni: incitare con libri e con articoli più o meno bugiar-
di e calunniosi i popoli alla rivolta, e poscia gridare il principe,
quale colpevole dei mali, che ne sono per derivare.
La protesta solenne di tutto il Sinodo contro le calunnie larga-
mente spacciate è venuta in buon punto. Non v'ha dubbio: essa
varrà sommamente a torre dall'inganno gl'incauti. Ma se basta a
ritrarli dal consentire all' errore, non basta a rischiararli circa i
fatti maliziosamente infìnti o travisati. A tal uopo v' è bisogno di
argomenti, che mettano a nudo la menzogna, che disvelino la ca-
lunnia , che pongano in piena mostra la verità. A questo supplire-
mo, per quanto ci è dato, col presente articolo. Tre sono i punti, a
cui sono rivolte le false pruove dei nemici del Concilio, come ab-
biamo sopra indicato. Rivediamoli l'un dopo l'altro.
II.
Stando agli accusatori , nel Concilio vaticano non v' ha punto di
libertà, tutto è oppressione. Guardatelo nella sua prima mossa: voi
vedete il sacro diritto dell'Episcopato manomesso, sia pel regola-
mento impostogli, sia per le materie da discutersi già studiate, e
redatte in ischemi. Non fu questo un calpestare ogni concetto di as-
semblea generale? Non apparteneva ai Vescovi radunati e l' ordì-
CONTRO DIE LIBELLI 389
narsi, e il disporre a grado le materie, e il darsi regole e norme di
procedimento? Non fu questo l'uso di tutti i Concilii ecumenici?
Eccovi invece nel Vaticano i Vescovi col bavaglio alla bocca e coi
ceppi ai pie fin da principio , cosicché non possono parlare se non
di ciò , che è loro permesso , ne possono andare se non per quella
via, che è loro assegnata \.
Tutto questo discorso è intaccato di un errore capitale, il quale
si è di avere scambiato un Concilio con una assemblea sovrana.
Questa sì , che ha il diritto di esser lasciata in piena balìa di so
quanto al comporsi, al disciplinarsi ed alla scelta delle materie da
discutere, ma il Concilio, no. I suoi rapporti col Papa non sono quelli
di un assemblea sovrana, ma quelli che corrono tra un corpo su-
bordinato ed il sovrano. Tali furono creati da Cristo , quando nomi-
nò Pietro fondamento della Chiesa , quando gli affidò le chiavi del
regno del cielo , quando il fé pastore di tutto il suo gregge. Tali
riconobbeli il Concilio II di Lione , chiamando il Papa, « rettore
della Chiesa universale » : tali ravvisolli il Concilio di Firenze, defi-
nendo il Pontefice « capo , padre e maestro di tutta la cristianità »,
e riconoscendo in lui, « qual Vicario di Cristo, la piena podestà di
pascere , di reggere e di governare la Chiesa universale. » Volete
vederli in opera? Leggete le gravissime parole dette nel Concilio I
di Efeso dal prete Filippo, legato di Papa S. Celestino, donde rile-
verete avere il Pontefice dato ordini e norme per quel Concilio, co-
me prìncipe e capo , come colonna della fede, come fondamento
della Chiesa cattolica, come giudice supremo, come investito di
tanta podestà dal divin Redentore 2. Quinci sgorga il triplice di-
ritto nel Papa, notato da tutti i teologi e dai canonisti: di convo-
care auctoritative il Concilio , di presiedervi auctoritative per sé o
per i suoi Legati , e di confermare pure auctoritative le decisio-
ni 3. L' esempio adunque di un' assemblea sovrana è recalo a
sproposito. Il Papa nello statuire il regolamento non usurpò i di-
ritti altrui, ma esercitò i proprii ; non fé' un sopruso, ma un atto della
1 Ce qui se passe au Concile, pag. 49, 57 e segg. ; La dentière heure,
pag. 4.
2 Mansi, v. V, col. 1295.
3 Cf. Ferraris, Bibl. can. ad verb. Concìlium, art. I.
390 LA SOLENNE PROTESTA DEL SINODO VATICANO
sua autorità sovrana. Sapete invece chi è 1' oppressore della liber-
tà? È proprio la congrega degli accusatori, i quali colla loro falsa
teorica mirano a ristringere i diritti di operare, che il Papa tiene
dallo stesso Cristo.
In prova che la proposta delle materie negli schemi offese gra-
vemente la libertà episcopale, gli accusatori fanno appello all' uso
dei Concilii ecumenici. Ma in ciò essi peccano o di grossolana igno-
ranza, o di insigne mala fede. La storia dei Concilii è aperta per
tutti. Scorretela. Oh se il Papa avesse voluto valersi del suo diritto,
quanto più oltre sarebbe andato nella sua proposta! Avrebbe potu-
to legittimamente proporre un decreto invece del semplice schema,
coli' obbligo ai Padri del Concilio di pigliarne conoscenza studian-
dolo e di aderirvi. Tanto ci testifica l'uso praticato da Concilii ecu-
menici, a cui gli accusatori si richiamano. Così infatti leggesi aver
operato Papa S. Celestino, il quale mandò i suoi legati a presedere
nel Concilio di Efeso, quai giudici supremi ed esecutori della sen-
tenza, che egli avea pronunziato 1. Così S. Leone, il quale ordinò
che la sua definizione fosse puramente e semplicemente accettata
dal Concilio di Calcedonia, reiecta penitus audacia disputandì 2.
Così S. Agatone, il quale impose ai Padri del Concilio VI ecumeni-
co, che non discutessero intorno alla forinola o definizione inviata,
come se fosse cosa dubbia, ma la ricevessero come cosa certa ed
immutabile 3. La stessa condizione fu posta al Concilio Vili da Papa
Adriano 4, la stessa al Concilio II di Lione da Papa Gregorio X
quanto ai greci 5.
Non altrimenti si è operato in più Concilii dell' occidente. Pi-
gliate, a mo' di esempio, i quattro primi Concilii di Laterano. Ci
1 Epist. Coelestini ad Synod. Act. Il, toc. cit., col. 1287.
2 Epist. Leonia ad Synod. part. l' Concil. Chalced. cap. 45, et act, IV.
3 Personas praevidimm dirigere, quae suggestione™, in qua et ap<H
slolicae noslrae ftaei con fessionem praclibavimus, off erre debcant: non (a-
rncn tamquam de incerti* contendere, sed ul certa alque immutabili a com-
pendiosa definitione proferre.
4 Sanclissimus Papa Iladrianus potestatem nobis dedit... ut quae ipse
edidit, confirmemus.
5 Cf. Annales Baronii ad ann. 1274.
CONTRO DUE LIBELLI 391
mancano, è vero, gli atti, ma rimangono le decisioni, donde è facile
dedurle. Trecento furono i Vescovi, di che si compose il primo, pre-
seduto da Papa Callisto II. In esso fu risoluta la gravissima e terri-
bile quistione delle Investiture, ordinata la elezione dei Vescovi, san-
citi ventidue canoni, promosse le crociate, rassodato il diritto di pos-
sesso della Chiesa romana con apposita sanzione. E tutto questo in
undici o al più diciannove dì 1 ! Nel secondo, preseduto da Papa
Innocenzo II, si trattò degli errori di Pietro de Bruis, di Arnaldo
da Brescia e dello scisma di Pietro di Leone, si statuirono trenta ca-
noni, de'quali altri dominatici, altri di disciplina ecclesiastica, altri
di riforma. Presso a mille si annoverarono i Prelati intervenuti:
eppure si conchiuse il tutto entro il corto spazio di diciassette gior-
ni 2. Il terzo ci lasciò ventisette capitoli, in cui si die forma miglio-
re alla elezione dei romani Pontefici, si determinarono i rimedii ai
mali dello scisma, si trattò della repressione degli eretici, della ele-
2ione dei Vescovi e della pubblica istruzione e di altre materie som-
mamente gravi. Trecento furono i Vescovi presenti, tre le sessioni,
quindici i giorni della durata 3. Che diremo del quarto, sotto Inno-
cenzo III, del quale si hanno settanta capitoli, e in essi una defini-
zione dogmatica contro gli errori di quel tempo, condanne di ereti-
ci, riforme di costumi e queste di somma saviezza, e ciò in tre ses-
sioni, nello spazio di venti giorni, col concorso di quattrocento dodici
Vescovi ed oltre ottocento tra Abbati e Priori 4? Il buon senso una
cosa sola ci suggerisce di questo e dei tre Concilii antecedenti : es-
ser cosa impossibile, che tanti Vescovi in sì corto spazio, in sì poche
sessioni abbiano potuto proporre, determinare, discutere, statuire
canoni sì numerosi, e con tanta sapienza; e però doversi conchiude-
re, che furono preparati ed ordinati prima dal Papa e proposti alla
conoscenza ed alla adesione del Concilio.
Tale fu il modo di procedere tenuto dai Papi. V'ebbero forse
querele? Si scrissero libri in difesa della libertà oppressa dell' Epi-
1 lbid. ad arni. 1122, n. 1 et seqq., et ad arni. 1123 in notis Pagii et Na-
talem AiEXANDR. ad saec. XI, XII, diss. IV, art. 20.
2 lbid., adann. 1139, n. 4 et seqq. etPAGiuM in notis^
3 lbid. ad ann. 1179, n. 1 et seqq. et in notis.
4 Cf. Annal. Raynaldi, ad ann. 1215, n. 1 et seqq.
392 LA SOLENNE PROTESTA DEL SINODO VATICANO
scopato? Si minacciarono di nullità i nominati Concilii, tenuti in
oriente? Tutt' altro. Il diritto che ha il Pontefice di operare di tal
guisa fu riconosciuto, e solennemente testificalo dagli stessi Padri
dei Concilii. Quelli di Efeso diconsi strettamente obbligali ad ese-
guire la sentenza di Papa S. Celestino 1 : quelli di Calcedonia pro-
testano doversi tenere la definizione mandata da Papa S. Leone ,
illecita qualunque altra 2. Nel Concilio Vili si nega potersi offen-
dere il definito dal Papa, siccome cosa contraria ai sacri canoni 3 ;
e nel VI S. Agatone proclama altamente, aver tutta la Chiesa , tut-
ti i Padri ed i Concilii ecumenici accettato con umile sommessio-
ne e fedelmente osservalo i decreti di fede usciti dalla Sede apo-
stolica, utpote Apostolorum omnium principi* 4. Chi sul conto
dei quattro Concilii di Laterano citati osò tacciare i Papi di aver
usurpato i diritti episcopali? Chi ardì appuntarli di nullità? Chi si
lasciò ire fino a minacciare ribellioni e scismi, come hanno fallo gli
autori dei libelli riprovati? No; non troviamo alcuno fra quelle pa-
recchie centinaia di Vescovi, venuti ai Concilii di Laterano dai più
lontani paesi di Europa, nella stagione più rigida, in mezzo a mille
pericoli e con innumerevoli disagi, non troviamo alcuno che si do-
lesse di que' Concilii, o come di fantasmi di assemblee, o come di
artifizio papale, e gridasse oppressa la libertà dell'Episcopato. Tutti
accettarono i canoni, li portarono seco nelle loro diocesi e li pro-
mulgarono, traendo dalla osservanza quel miglior prò, che consen-
tiva la reità di quei barbari tempi. Ecco qual fu l'uso seguitalo dal
più dei Concilii. Gli accusatori del Concilio Vaticano, facendo appello
ad essi in prova della oppressa libertà dei Vescovi a cagione degli
1 Coacti per sacros canones et epistolam sanctissimi patris nostri et com-
ministri Caelestini... ad lugubrem hanc contro, eum [Nestorium) sentcntiam
necessario venimus. Ad. Ili, loc. cit. col. 1295.
2 Super his forma data est a sanclissimo Archiepiscopo Romanac ur-
bis et sefjuimur eum... alteram expositionem non licet fieri. Act. II.
3 Nobis non licet rescindere iudicium sacrorum Romanorum Ponlijtcuin.
IIoc enim conlrarium canonicis institutis.
4 Cuius (apostolicae sedis) aucloritatem, utpote apostolorum omnium
principis, semper omnis calholica ChriUi Ecclesia et univcrsalcs synodi
fìdeliter amplectentes, in cunctìs secutac sunt.
CONTRO DIE LIBELLI 393
schemi apparecchiati, poteano avere più solenne smentita da que' me-
desimi documenti, che hanno invocato?
Papa Pio IX tenne altra via assai più ampia. Propose gli schemi,
è vero, ma li propose tali, che meritassero la più alta stima del Con-
cilio. Conciossiachè essi fossero l'opera di teologi, scelti tra i più
dotti uomini che conti la Chiesa, fatti venire a Roma in gran nume-
ro, di diverse nazioni e di studii diversi. Né li propose, come cosa
compita, ma li rimise interamente alla cognizione dei Padri, anzi volle
ed ordinò (vohimus et mandamus), che sottomessi, nulla auctoritate
muniti, all'esame ed al giudizio degli stessi, radunati in Congregazio-
ne generale, si discutessero con amplissima libertà di parola e di suf-
fragio 1. Dov'è qui il bavaglio posto alle bocche dei Padri? Dov'è la
oppressione della libertà di paiola? La esperienza fé noto al mondo
esservene stata in sì grande abbondanza, che fu riputato comune-
mente necessario doversi porre un qualche limite affine di venir a
capo di alcuna cosa. Non così gli accusatori, i quali coll'occhio tutto
inteso alla malignità della critica convertono in materia di biasimo
gli schemi, come offensivi della libertà, quando invece erano mezzi
per facilitare ai Padri la via delle trattazioni. ■
Non meno è calunnia, che siansi posti i ceppi alla libertà, quanto
alla scelta delle materie. Imperocché fu data fin dal principio larga
facoltà a tutti i Padri di proporre, quanto essi giudicassero ridon-
dare a pubblica utilità. Fu quindi stabilita, ed è tuttavia in pie una
speciale Congregazione coll'offizio di ricevere quali che siano le pro-
poste, e dondechè vengano, di esaminarne diligentemente i vantaggi
e la convenienza, e riferire il tutto colla conchiusione al Papa, affin-
chè egli definisca, se siano, o no, da proporsi in Concilio 2. Con que-
sto spediente , salva tutta libertà , è tolto il disordine nel propor-
re, è ovviato all'inconveniente delle proposte disutili, sono rispar-
miali fastidii e noie ai" Padri con non piccolo guadagno di tempo.
Niuno ignora quante volte siasi rinnovata nel Concilio di Trento
la quistione circa la forinola: proponentibiis Legatis. Ma che? oltre
il diritto del proporre inerente al Pontefice, le ragioni qui arrecate,
1 Cf. Litt. app. Muìtiplices Inter, §. VII, De Congregationibus generali-
bus Palrum.
2 Ibid. §. II, Le iure et modo proponendo.
394 LA SOLENNE PROTESTA DEL SINODO VATICANO
congiunte all' uso de Concilii, parvero sì buone e definitive ai Pa-
dri, che messa a partito due volte, l'una sotto Paolo 111, 1' altra, per
mera condescendenza, sotto Pio IV, ebbe Y unanimità dei suffragi.
11 Sinodo protestò contro l' accusa di violala libertà conciliare, e
dissela menzognera. E in vero tale ò apparsa nel diritto e nel fatto.
Nel diritto, essendo una menzogna non meno il giure di assemblea
sovrana supposto ne Vescovi adunati, che la conferma di questo
giure tratta dall' uso dei Concilii : nel fatto, essendo i Padri in forza
del regolamento liberissimi tanto nel discutere, quanto nel proporre.
III.
Sia pure quanto abbiamo qui detto della libertà di proporre e di
favellare. Ma con qual prò, se la discussione e materialmente e
moralmente impacciata? Che importa il dire a Vescovi: parlate,
discutete, quando poi togliete il modo di farsi intendere, e non date
alcun agio per mettersi in istato di discutere? La sala delle Congre-
gazioni generali è sì male ordinata, che un Cardinale ebbe a dire
(testimonio l'accusatore), che dall' aprimento del Concilio non giunse
ad afferrare più di quattro parole, capite! quatre mots: eppure sta-
va presso ai dicitori! Era cosa facile il mutar sito, non mancande
grandi sale in Roma. Non si sa intendere per quale ostinatezza ne]
primo divisamento non siasi voluto a ciò pensare 1. Questo ostacolc
materiale ò un nulla posto al confronto dell' altro morale: gli sche
mi piombano in mano de' Padri improvvisi, tre o quattro dì avanti
la discussione, con brandelli di quistioni e tale mistura di dottri-
na, di disciplina, di tesi immense, di trattati diffìcili da uscirne ui
vero viluppo. Come discernere l' una cosa dall' altra, bilanciarne li
ragioni, vederne il fondo, giudicare con piena cognizione di causi
1 La salle dans la quelle se licnt le Concile, par une fatalité tingulière
a élé si mal di spose e, qu a V origine il élall littéralement impossible d' en
lendre un seul mot; aujourd' Imi encore, malgré des amélioralions accor
dées non sans peine, la voix ne parvient pas au quart des audiieurs. E il
nota: Un Cardinal, asscz rapproché de la tribune cepcndanl, disaìt dvr
nièrement, qu il n avait entendu que quatre mots, depuis l'ouverture di
Concile. Ce qui se passe au Concile, p. CI.
CONTRO DUE LIBELLI 395
in materie sì difficili 1? Unite insieme questi due ostacoli, e dite se
vi può essere discussione libera. Donde il pessimo effetto, che alla
fine annoiata la maggioranza precipiti i suffragi, ed opprima la mi-
noranza. Ma in questo caso si dirà, che le decisioni sono decisioni
di un valore conciliare?
A chi vive in Roma parrà cosa impossibile, che si spaccino cose
somiglianti : ma i libri citati e non pochi giornali le hanno spaccia-
te, e non pochi le hanno credute. Primo ostacolo alla libera discus-
sione : il difetto acustico della sala. Che questo vi fosse da princi-
pio, non lo neghiamo. Ma egli è falso , che non siasi procuralo di
evitarlo colla mutazione di luogo. Furono fatti studii e nel Vaticano
ed al Quirinale e in qualche Chiesa per trovarvi stanza acconcia al
bisogno. Riuscì ogni ricerca inutile. 11 pensiero si rivolse tutto a
rinvenire alcun mezzo, onde torre il difetto dalla sala preparata, ed
a tal uopo le si die un nuovo ordine. Rispose questo all' intento? Chi
ne può dubitare? Salgono a più centinaia i discorsi fattivi, e a pa-
recchie decine le Congregazioni generali tenutevi. E che? tanti ora-
tori avranno parlato pel solo piacere di far vibrare l'aria della sala?
1 settecento Padri avranno frequentato quel luogo per la semplice
delizia di starsene impancali le quattro* o le cinque ore , o pel solo
prò di mirare chi si affatica in parlare, senza che altri ne capisca
una sillaba? E poi, come va, che i giornali della tinta degli accu-
satori han saputo riferire per filo e per segno il grande successo
conseguito dalla eloquenza, dalla sagacia, dalla erudizione di certi
discorsi? Forsechè questi erano inlesi e gli altri no? L'anonimo
ha spacciato una grossolana falsità.
1 Les moyens cF informations dont les Pères du Vatican dìsposent pour
èclaircr ìeur conscience se bornent donc strictement a l'elude personnelle
qu ih: peuvent faire du schema pendant les quelques jours, trois ou quatre
souvenl, ladt au plus, qui séparent la distribuitili de la discussicn gene-
rale. Encore les scliemala, qui comprennent tous une multitude de questions
desplus graves et desplus délicatcs, dogmatiques et disciplinaires a la fois,
ixe sont-ils communi qués aux évèques que par fragments, de Ielle sorte qxCil
leur est impossible d' en apercevoir V ensemble, ni de voir oh on les méne;
et doctrine, discipline, thèses immenses, questions difficiles, tout arrive
plU-méU. Ibicl. pag. 59, e Monitcur universel, 14 Fènder: La Situation.
396 LA SOLENNE PROTESTA DEL SINODO VATICANO
Come slia il fatto l'abbiamo da una lettera scritta dall'Àrcivcsco-
yo di Cambiai al clero della sua Arehidiocesi. Riportiamo qui le
sue parole, quale testimonianza irrefragabile. « L' insediamento ma-
teriale del Concilio ebbe difetti da principio: niun lo nega. Ma è co-
sa certa, che appresso furono tolti. La sala conciliare, a cui si era
data soverchia ampiezza, è stata ridotta a convenientissime propor-
zioni. Tale qual è al presente, qualunque oratore, che è fornito di
voce ordinaria e parla distintamente, si fa intendere senza sforzo
da tutto il suo uditorio. V ha una difficoltà nelle gravi differenze,
con che è pronunziato il latino dalle diverse nazioni, ma tale diffi-
coltà indipendente dalla condizione acustica del luogo, sarà portata
dovunque dalla nostra assemblea. Ve n ha un altra propria degli
oratori, essendovene alcuni, che a cagione della debolezza, o di
qualche altro difetto della voce non possono farsi ben capire in qua-
le che sia luogo 1. » Ma queste due difficoltà di ragione affatto par-
ticolare ed estrinseche alla qualità della sala da chi saranno equa-
mente stimate un ostacolo materiale, a cui non si volle ostinatamen-
te provvedere con danno della libera discussione , come asserisce
mendacemente l'anonimo?
Trovato falso l'ostacolo materiale, credete voi che esista comec-
chesia il morale? Eccovi senz'altro il regolamento, che è presente-
mente seguito nelle discussioni. Giudicatelo. Tre sono gli sladii per
cui debbe correre lo schema prima che venga definitamente messo
a voti nella pubblica Sessione. Nel primo viene proposto dai Presi-
denti e distribuito ai singoli Padri, affinchè entro un convenevole
spazio di tempo ognuno di essi lo studii profondamente, e ne appunti
il tutto o le parli riputate difettose con debite osservazioni in iscrit-
to, e vi soggiunga i concelti o le parole delle mutazioni da far visi.
Cotesto lavorio di osservazioni ridotto a largo sunto analitico da
scelti teologi viene sottilmente esaminato dalla commissione o giunta
corrispondente dei ventiquattro Vescovi. La quale sul meglio di tali
osservazioni riformalo lo schema proposto, e fatta comporre una rela-
zione, in cui si dà conto del perchè altre osservazioni siausi accettate,
1 Vedi Univers, 30 Maggio 1870.
CONTRO DUE LIBELLI 397
altre no, manda l'uno e l'altra col sunto delle osservazioni ai singoli
Padri. I quali tenendo sott' occhio, ciò che hanno pensalo prò o con-
tra allo schema proposto i varii membri del Concilio , e ciò che ha
deciso la commissione, si preparano al pubblico dibattimento. Siamo
al secondo stadio. In questa battaglia delle intelligenze circa lo sche-
ma riformato ognuno può entrare in lizza, ognuno, secondo l'ordine
posto, può ragionare su tutto o su una parte, rigettare, difendere, o
proporre correzioni, dandole poscia scritte, perchè non ne cada sil-
laba senza essere considerata. La discussione di questa maniera va
oltre fino a che o non v'è chi voglia favellare di vantaggio, o per do-
manda di dieci Padri e consentimento dei Presidenti posta a voti
la chiusura, il Concilio la decide a pluralità di suffragi. Le corre-
zioni proposte da Padri nel dibattimento sono vagliate dalla com-
missione, ed uno della medesima ha l'incarico di riferire in Conci-
lio le conchiusioni pel si o pel no su ciascuna di esse. Qui inco-
mincia il terzo stadio, nel quale udito il relatore, prima sono messe
a voti per singolo le correzioni anzidette , poscia i varii capi dello
schema ricomposto secondo le correzioni volute ed approvate da Pa-
dri, in fine il tutto , il quale non solamente si può approvare col
placet o disapprovare col non placet , ma ancora accettarlo a con-
dizione di alcun mutamento da presentarsi in iscritto col placet iu-
xta moclum. Se v' hanno di questi placet iuxta modani, la commis-
sione giudica, decide e propone ai voti del Concilio, e questo si
è l' ultimo passo.
Dopo questi suffragi la prova è finita : lo schema così ricompo-
sto, corretto, ritoccato è il decreto, che conciliarmento si approva
dai Padri col placet, o si disapprova col non placet dinanzi il Papa
nella solenne Sessione. Dicalo il nostro lettore. Può essere più am-
pia la libertà di esame? Può sfuggire mercè di questo regolamento
un concetto, una sillaba, senza che sia da tutti i Padri in privato
e in pubblico severamente giudicata e discussa ? Può egli uscire
decreto dal concilio, che non sia passato perla pruova del più squi-
sito raffinamento? Si indichi un' altra maniera di discussione, la
quale presenti più di maturità nel suo processo, e più di libertà nei
suoi confini. E poi si ha la fronte di spacciare che il Concilio Vati-
398 LA SOLENNE PROTESTA DEL SINODO VATICANO
cano è un Concilio fait d'avance: che il regolamento vale ùì ma-
nette serrate ai polsi, che non lascia modo a Vescovi d'intendersi,
che la discussione non è né studiata, né preparata, nò circoscrit-
ta, che gli schemi sono un viluppo di cose mal discernibili? Con-
viene proprio dire, che il mal talento sia montato al sommo, quan-
do non trova altro sfogo, che quello di falsità e di calunnie così
sfrontate.
A che prò cotesla libertà, soggiungono gli accusatori, se poj.
nel fatto la discussione è impossibile, se i migliori e di animo più
moderato sono continuamente interrotti nei loro dicorsi , se quei
della minoranza sono costretti a scendere dal pulpito senza aver
esplicato il proprio concetto o difesa la propria sentenza, se viene
loro spenta in sul labbro la parola dai Presidenti quando si dipar-
tono un tantino dal tema, mentre alla maggioranza è concesso di
scapestrare a sua posta in esagerazioni ed in oltraggi senza che al-
tri le dia su la voce 1 ? — Gli oratori della minoranza sono interrot-
ti continuamente? Non è possibile la discussione? Ma non sono
appunto gli oratori della minoranza, i cui discorsi, secondo i gior-
nali del partito, rapirono gli animi di tutto il Concilio, misero in
pensiero di sé la maggioranza, portarono le prime palme? Non fu-
rono congregazione per congregazione riferiti i loro nomi con la
giunta della lode o di aver battuti a meraviglia gli avversari!, o di
aver provata mirabilmente la propria tesi ? Come si accorda tutto
questo colle interruzioni, coi tumulti, e cogli abbandoni forzati del
pulpito ? E poi l'autore di Ce que se passe au Concile non prova
la impossibilità della discussione dalla sbrigliata libertà di parlare
concessa a tutti? Finiamola: tutte coteste accuse sono indegne ca-
lunnie: lo provano coteste contraddizioni, e lo testifica l'Arcivescovo
di Cambrai, esponendo con aurea semplicità il fatto.
« Queste discussioni, egli scrive, che possono udirsi, ed a bel-
l'agio seguirsi colla mente, sono esse libere? Sì, noi raffermiamo,
sono perfettamente libere: e non dubitiamo dire che l'immensa
maggioranza dei nostri venerabili colleghi sono di ciò convinti.
1 La dernièrc heure, paj. 4, 16; Journal des Débats, 7 Mai 1870.
CONTRO DUE LIBELLI 309
>*oi abbiamo assistito a tutte lo congregazioni generali: e come te-
stimonii attenti ed imparziali di tutto ciò, che è accaduto, lo ripe-
tiamo: sì, la libertà nel Concilio fu spinta fino all'ultimo confine.
I Cardinali, che presiedono alle nostre sedute, Y hanno rispettata
con un rigore tanto scrupoloso, che si è potuto giudicarlo alcuna
volta eccessivo. Qualunque ha domandato facoltà di parlare, l'ha
ottenuta, e se ne valse per tutto quel tempo, che volle. Se nello
spazio di cinque mesi, che sono corsi dall'aprimento del Concilio,
tre o quattro oratori sono stati interrotti nello svolgimento del lo-
ro discorso, la ragione si è, che aveano fuorviato dalle quistioni a
segno da apparire evidente la necessità di richiamarveli 1. »
Cosi parla il venerabile Prelato al clero della sua diocesi, e col-
la stampa della sua lettera a tutto il mondo : le discussioni sono
■perfettamente libere; la libertà del Concilio tocca il confine estre-
mo: i Cardinali presidenti la rispettano fino all'eccesso: la facoltà di
parlare è per chi la vuole : il picciol numero di chiamate alla qui-
stione fu evidentemente necessario. Così ha scritto mons. Alzon in
una sua tetterà alla Gaiette du midi: così il Vescovo di Troyes in
confutazione del libello Le dentière heure du Concile : così ha pur
detto in generale il Card. Cullen nella sua risposta ad un Indiriz-
zo di trenta Vescovi di origine irlandese, riunitisi presso di lui.
Ecco in qual modo parlano uomini venerabili a fronte scoperta, e
collo stile della verità, e quai testimonii di presenza, a confusione
della bugia e della calunnia e di chi ne fa spaccio, celando vilmente
il proprio nome.
Ma v'è un altro capo di accusa. I Vescovi in forza della legge
del secreto non possono consultarsi l'un l'altro; è interdetto il mu-
tuo commercio di note, di scritti per la stampa; sono proscritte le
riunioni a più insieme di modo, che non hanno altro mezzo da ri-
schiarare i dubbii della propria coscienza, se non quello dello studia
strictement personnelle su lo schema proposto 2. Tanto hanno corag-
gio di scrivere i detrattori del Concilio, quando tutta Roma potreb-
1 Unìvers, loc. bit.
2 Ce qui se passe au Concile, pag. 59.
400 1A SOLENNE PROTESTA DEL SINODO VATICANO
be dar loro una solenne smentita. Chi ignora in essa e le sale, dove
sì univano parliti in piccoli gruppi i Vescovi di un medesimo pae-
se, e quelle dove si univano in gran corpo quelli della stessa na-
zione, e le altre dove convenivano mischianze di più lingue insie-
me, e questo a grado dei singoli, in quel tempo e in quella manie-
ra, che meglio piaceva? Si sono fatti postulati prò e contro la de-
finizione della infallibilità pontificia, si sono scritte petizioni prò e
contra il differimento della medesima, si sono presentati memoran-
di, proteste con lunghe sottoscrizioni di Vescovi di varie nazioni
Come sarebbesi potuto far questo, se fossero state proibite le riu-
nioni, V accontarsi l'un Y altro, il consultarsi? E qui pure mentita
tst iniquitas sibi. Quel tale innominato, che nelle sue lettere, ripor-
tate dal Débats, scrisse di aver operato gagliardamente contro la
definizione della infallibilà, ci fé anche sapere il come, vale a dire
istituendo una commissione internazionale ; dunque erano permesse
le adunanze dei Vescovi di più nazioni : fondando più commissioni
nazionali; dunque non erano interdetti i gruppi della medesima
nazione: guadagnando tre rappresentanze o suffragi; dunque era li-
bero il consultare, il convincere in particolare.
Si grida interdetto il commercio di note e di scritti a stampa : qua-
le più smaccata calunnia di questa? Piovvero nelle case dei Vescovi
tanti opuscoli gratis e d'ogni formato , di ogni lingua e di sentenze
stranamente erronee da potersene comporre un bel fascio. Chi ne
impedì la distribuzione? Chi fu chiamato a render conto delle cose
contenutevi? Eppure non riempirono di se tutta Roma? Non resero
incerti gli animi, se dovessero gridare indegnati contro la inespli-
cabile baldanza, con che spropositavano in fede gli scrittori anoni-
mi, o piuttosto facendo silenzio ammirare la somma pazienza di chi
in risguardo di più alto fine tollerava la libertà dello spaccio? E poi
si dice interdetto il mutuo commercio di scritti in stampa? Non oc-
corre di più. Quando si negano fatti così pubblici, così palpabili,
non è no l'amore della verità, o il servigio della religione che muo-
ve la penna, ma lo spirito di parte, ed il cicco furore della passione,
che mentisce e calunnia senza regola e senza modo.
CONTRO DUE LIBELLI 401
IV.
Teniamo al terzo punto dell' accusa: la libertà del suffragio fu
oppressa da potenti influssi morali. Donde uscirono cotesti influssi?
Dal Vicario di Cristo, il quale si valse della sovrana sua autorità
per trarre all' infallibili là i suffragi de' Vescovi e tenerceli immoli.
Se ne valse in que' tanti Brevi, scritti in favore di tal dotti ina: se
ne valse ribadendola colla potente parola delle sue allocuzioni: se
ne valse disapprovando cogli stessi mezzi la dottrina contraria ed i
suoi fautori 1. Sì, è vero; egli ha commendata la dottrina della in-
fallibilità. Ma in questo egli seguì Y esempio di Papa S. Ormisda,
il quale non solamente la commendò , ma ancora la impose in una
solenne professione di fede: egli seguì l'esempio di S. Agatone, il
quale a nome di tale dottrina ordinò ai Padri del Concilio VI ecu-
menico di accettare la sua definizione dommatica , pena la scomu-
nica se la rifiutassero: egli seguì 1' esempio di Papa Gregorio X, il
quale non accolse i Greci, rinneganti lo scisma, se non a patto, che
la professassero pubblicamente nel Concilio II di Lione : egli affer-
mò in ciò quello , che affermò S. Girolamo nella sua lettera a Papa
S. Damaso, e S. Agostino e i Vescovi del Concilio di Cartagine nel-
la loro lettera a Papa S. Innocenzo I, ed i Vescovi di tre Concilii
africani a Papa S. Teodoro e da ultimo ciò, che hanno affermato
ottantacinque Vescovi della Francia nel 1653 nelle loro lettere a
Papa Innocenzo X sul conto della condanna del libro di Giansenio.
Papa Pio IX ha disapprovato la dottrina contraria alla infallibilità.
È vero. Ma Sisto IV non l'ha disapprovata colla condanna di una pro-
posizione di Pietro d'Osma, che intaccava il magistero infallibile
della Chiesa romana? Leone X non l'ha gravemente biasimata col-
la condanna di una proposizione di Lutero, che negava nel Papa
l'autorità di stabilire articoli di fede? Alessandro Vili non l'ha
appuntata in due altre proposizioni, che diceano asserzione di niun
conto e molte volte abbattuta quella della infallibilità pontificia?
1 Ce qui se passe au Concile, chap. V.
Serie \H, voi XI, fase. 490. 26 8 Agosto 1870.
402 LA SOLENNE PROTESTA DEL SINODO VATICANO
Nella Bolla dommatica Auctorem fidei non fu riprovala colla con-
danna dell'adozione dei quattro articoli gallicani falla dal sinodo di
Pistoia? Con quale giustizia si vuole adunque condannare nei Bre-
vi e nelle allocuzioni di Papa Pio IX, ciò che altri Papi hanno fatto
nell'esercizio più solenne del loro magisterio ed hanno imposto a tut-
ta la Chiesa?
Sì, egli ha sostenuto la dottrina della infallibilità e si è mostrato
avverso alla contraria: così dovea fare. Sono esaltati nella Chiesa
come esecutori fedeli del proprio dovere quei Pastori, i quali di-
fesero gagliardamente in faccia della podestà terrena i sacri dirit-
ti della loro cattedra, e sono infamati quai traditori del proprio
officio quelli, che per paura o per condescendenza non l'hanno fat-
to. Il sacro privilegio della infallibilità conferito da Cristo al suo
Vicario, riconosciuto e riverito dalla pratica e dalla testimonianza
di tanti secoli, veniva assaltato da ogni parte e gridato : opinione
erronea, parto di una scuola di menzogna, eresia da fulminarsi.
E che ? Dovea il Papa tacersi contro tanta falsità? Dovea starsene
immobile, come se a lui non appartenesse punto la ruma di un
privilegio affidatogli da Cristo nell' assunzione al Pontificato ? La
sua coscienza non glielo consentiva. Egli sorse e difese il sacro
diritto della sua cattedra in quel modo e per quei mezzi, che la sua
saviezza riputò migliori. E voi gli fate colpa di ciò, che in altri
stimereste degno di altissima lode ?
Ma egli mise in rivolta i cleri contro i proprii Pastori, fatto unico
nella storia della Chiesa, approvando in Francia quello, che con-
dannava negli Armeni di Costantinopoli I. — Strana confusione del-
l'ordine disciplinare coll'ordine dottrinale per cieca brama di calun-
niare. Il Papa ha condannato in Costantinopoli la ribellione del greg-
ge contro il proprio pastore, ha condannato la violazione delle pri-
me leggi della disciplina ecclesiastica, e Y ha meritamente punita :
laddove in Francia ed in altri luoghi ha commendato la rettitudine
della dottrina, e ne ha incoraggialo la pubblica professione. 1 dori
ed i popoli sono sempre obbligati alla soggezione dei loro Prelati
1 La dentière heure eie. pag. 6.
CONTRO DEE LIBELLI 403
quanto alle leggi della disciplina, ma non cosi quanto alla regola
della credenza. In questa devono seguirli fintantoché sono d' accor-
do con chi e il dottore e maestro universale della Chiesa: nel caso
contrario, no. Vi è chi ignori Y obbligo strettissimo, che, secondo
la testimonianza di S. Ireneo, corre a tutti i fedeli, qui sunt lindi-
que, di convenire nella dottrina colla Chiesa romana, ossia col suo
capo, oh potentiorem principalilatem? I Brevi adunque e le parole
del Papa non misero la rivolta, ma confermarono Y ordine, e se,
come dicono gli accusatori, alcuni Vescovi cedettero ai moti dei cleri
condotti dal Papa, non fu quest' atto una soggezione del Pastore al
gregge, ma sibbene un atto di ossequio al cenno del Pastore su-
premo.
V ha un altra accusa, o per meglio dire un altra calunnia senza
nome. « La maggioranza, essa dice, non è libera: giacché ella ri-
sulta da una turba enorme di Vescovi italiani e di Vicarii aposto-
lici; esercito bello e fatto, guadagnalo fino all'ultimo uomo, am-
maestrato a dovere, ben partito, disciplinato. Guai se tentenna! è
minacciato della fame e* della disponibilità. Così il Papa cogli italia-
ni; così la Propaganda in modo particolare coi Vicarii apostolici, la
quale abusando dei suoi diritti si serve delle limosine annuali per
operare efficacemente sull'animo dei Prelati, e dar loro ogni setti-
mana quell'impulso speciale che fa il Concilio 1. » Papa, Propa-
ganda, Vicarii apostolici, Vescovi italiani, eccoveli tutti in fascio
gravali di un' orribile accusa. Papa e Propaganda sono accusati di
abusare della loro autorità, di valersi di mezzi, quanto vili tanto abo-
minevoli, ai loro intendimenti sul Concilio : Vicarii apostolici e Ve-
scovi italiani di tradire la loro coscienza per la vigliacca paura della
fame e della disponibilità. V è feccia d' uomo, il quale possa accu-
sarsi innanzi ai tribunali di violenza o di tradimento del proprio do-
vere, senza che si producano testimonianze o documenti irrefraga-
bili? Quali sono le pruove, quali sono i documenti, che portano gli
accusatori a sostegno della loro orribile accusa contro il Vicario
di Gesù Cristo e tanti insigni Prelati, tradotti da essi dinanzi al
1 La deridere heure eie. , Débats, loc. cit.
404 LA SOLENNE PROTESTA DEL SINODO VATICANO ECC.
tribunale del mondo? Uno solo: uditelo. Il Papa e la Propaganda
hanno il potere di affamare e di metlere da canto a lor talento i
Vicarii apostolici ed i Vescovi italiani ; dunque gli minacciano di
tanto danno, se non seguono ciecamente il loro impero nelle cose
del Concilio. I Vicarii apostolici ed i Vescovi italiani possono veni-
re affamati e cassi di uffizio, se non tradiscono la propria coscien-
za, rendendosi ciechi esecutori degli ordini del Papa e di Propa-
ganda ; dunque all'occasione la tradiscono. Con un argomento sì
illogico e sì dissennato trascinasi empiamente nel fango di un or-
ribile accusa il Vicario di Gesù Cristo e tanti Prelati! Chi non
si sente rovesciare lo stomaco e ricolmare di sdegno a tanta vil-
tà di accusa, a tanta perfidia di accusatori, a tanta indegnità di
calunnia, lanciata contro il Capo venerando della cristianità, contro
i generosi imitatori degli Apostoli di Cristo nella grande e difficilis-
sima opera della propagazione della fede tra i popoli barbari, e tra
i furenti nemici del cristianesimo? E poi cotesti calunniatori hanno
la fronte di chiamarsi enfants devoués della Chiesa ! Tristi che so-
no! La menzogna, la calunnia, di cui si valgono a piene mani, gli
assalti feroci contro l'autorità del Papa e del Concilio, sì, gli sma-
scherano, li mostrano quali sono, cioè: ipocriti rivoltosi della Chie-
sa. Dio voglia, che essendo ora decisa la questione della infallibilità,
contro cui hanno tanto infuriato, siansi ricreduti, siansi sottomessi
di cuore.
IULIA AUGUSTA TAURINORUM
OSSIA
1/ ANTICA TORINO1
IV.
Dalla topografìa della città tornando alla storia ; Torino, richia-
mata come dicemmo, da Augusto a nuova vita, fiorì da indi innanzi
e godè profonda pace ; soprattutto dopo che egli ebbe domate tutto
intorno le iiere tribù delle montagne, perpetue infestatrici delle pia-
nure subalpine. Le alpi infatti, nei primordii di Augusto, erano tut-
tora occupate da molte tribù indipendenti; e, cosa singolare! men-
tre la romana dominazione già si stendea tant' oltre nelle Gallie,
nelle Spagne e nelle Germanie, quivi in sulle porte d' Italia e nel
cuor dell' Impero, v' erano ancora popoli indomiti e selvaggi che ne
sprezzavano il giogo, e a debellare i quali mai non si erano seria-
mente applicati né Cesare, nò Pompeo, né altri generali romaniche
di qua valicarono cogli eserciti. Ma vi pose tutto l'animo Augusto,
e vi riusci in breve tempo con felicissimo successo. I nomi delle
43 tribù inalpine, cioè delle gentes alpinae omnes quae a mari su-
pero ad inferum pertinebant, da lui soggiogate, leggonsi nella ce-
lebre iscrizione della Turbia, presso Nizza, sul trofeo ivi erettogli
dal senato nell'anno 747 : e tra esse la più famosa, anzi la sola del-
la cui guerra gli storici di Augusto abbiano fatto singoiar menzio-
ne, fu quella dei Salassi nella valle della Dora Ballea; sterminali i
1 V. questo volume, pag. 272 e segg.
406 IULIA AUGUSTA TAURIXORUM
quali col Tenderne schiavi ben 44,000 capi, Augusto pose a guar-
dia perpetua di quella valle -importantissima una colonia di 3000
pretoriani, fondandovi la nuova città, tutta romana e militare, di
Augusta Preistoria.
I soli alpigiani che scampassero ai colpi di quella universale
tempesta, e i cui nomi perciò non si trovano nella descrizione della
Turbia, furono i Secusini e le circostanti tribù governate da Cozio,
figlio di Donno, re di Susa, già sopra mentovato. Imperocché Cozio
a prevenire il pericolo, si fece spontaneo cliente di Augusto ; e
questi, memore dell'amicizia di Cesare con Donno, conservò a Co-
zio la signoria paterna, mutandogli solo il nome regio in quello di
Prafectus, ossia governatore romano; siccome leggesi nell'arco di
Susa : 31. Julius Regis Donni F. Cottiiis Praefectus ceivitatium
quae subscriptae sunt etc. Da questo Cozio presero nome le al-
pi Cozie, su per le quali egli rifece in istile romano e compiè
la magnifica strada del Monginevro, già cominciata da Donno.
Aveva egli un fratello , per nome Giulio Vestale, che stette al-
cun tempo alla corte di Augusto ; poi mandalo a militare sul Da-
nubio e sufi' Eusino, vi salì dal grado di Primipilo a quello di Go-
vernatore militare della provincia della Mesia, e fu celebrato per
prodezza da Ovidio 1, allora esule a Tomi e forse già suo amico in
Roma. Al vecchio Cozio successe il figlio Cozio il giuniore, a cui
l'imperatore Claudio ampliò lo Stato avito, e restituì il titolo regio;
onde in un marmo coevo di Susa è appellato 31. Iulius Cottius Bex.
Venuto poi questi a morte, sotto Nerone, verso Tanno di Cristo 66,
il suo Stato, l'ultimo che tra gli Alpini serbasse un'ombra dell'anti-
ca autonomia, fu incorporato definitivamente all' Impero e costituito
in Provincia Alpium Cottiarum, retta da un Preside o da un Pre-
fetto, con due città capitali, cioè Embrun capo della parte transal-
pina, e Susa, dalla Cisalpina. I marmi scopertisi pochi anni fa pres-
so Avigliana in vai di Susa, e dottamente illustrali dal Promis 2,
baro rivelato il confine preciso da cui cominciava la nuova provin-
cia, sotlcntrata al regno dei Cozii, e dove terminava l' Italia cioè
1 F.x Ponto, lib. IV, epist. VII.
2 Pag. 285-291.
OSSIA L ASTICA TORINO 401
quell'Italia legale dei Romani, la quale da prima non giungeva che
BÌYAesis, poi fu prodotta al Rubicone, indi al Po, ed ora finalmente,
ragguagliandosi presso che interamente colla Italia geografica, era
pervenuta fino al pie delle alpi. Questo confine, chiamato nelle iscri-
zioni ora scoperte Fines Comi, trovasi all'odierno Drubiogìio, sulla
sinistra della Dora Riparia, ed a paro con Àvigliana. Ivi era l'antico
Ocelum, mentovato da Cesare 1; ivi la stazione Ad Fines degl' Itine-
rarii; ivi, in sull'ultimo lembo della Gallia, era l'ultimo ufficio do-
ganale ove riscuotevasi la Quadragesima Galliarum, appaltata ad
una società di repubblicani, di cui le iscrizioni predette ricordano
un Servus Contra Scriba e un Tabularius ; e, come dalle medesime
apparisce, ivi pure terminava il culto delle Matrone, galliche divi-
nità, ignote in Italia; e quivi finalmente, colf Italia finiva anche la
romana cittadinanza, prima che Caracalla questa cittadinanza non
estendesse a tutto l'Impero. Né guari lungi furono le celebri Chiu-
se dei Longobardi, che fino ai tempi di Carlomagno ed eziandio per
più secoli appresso segnarono il confine tra l'Italia e la Francia.
La via delle Alpi Cozie, frequentatissime dai Romani dopo Giulio
Cesare, dovette porgere a Torino assai sovente lo spettacolo , sem-
pre bello e grandioso avvegnaché talvolta gravoso, del passaggio
d'Imperatori e di eserciti. Probabilmente vi passò Augusto con Ti-
berio nel 144, ritornando pei moli Dalmatici dalle Gallio in Italia:
poi Tiberio vi ripassò a furia , quando udita in Pavia la morte di
Druso, corse al Reno, facendo in tre giorni ducenlo miglia. Caligola
vi passò, e fu allora che gli sorse in capo lo strano pensiero di fab-
bricare sulla cima delle alpi una città. Dopo Nerone, l'anno di Cri-
sto 69, quaranta mila Yitelliani venuti dalle Gallio, scesero per le
Alpi Cozie, mentre altri 30,000 piombavano giù dalle Perniine, per
combattere Ottone. Poco appresso , il passaggio di alcune truppe
Ottomane, che il vincitore Yitellio , per allontanarle dall'Italia,
mandava in Brettagna , lasciò in Torino orme sanguinose di stragi
e d' incendii; a cagione di una rissa, accesasi per caso tra i soldati
della legione XIV e le coorli Bataviche ; la quale sarebbe riuscita
ancora più esiziale alla città, se due coorli pretorie, facendo causa
1 De Bello Gallico, 1, 10.
408 IULIA AUGVSTA TAIRIXORUM
comune coi legionarii Quartadecimani e coi cittadini , non avessero
repressa la ferocia dei Batavi, e sgombrato toslo dagli armati il pae-
se. Finalmente, a tacer d' altri, dalle medesime alpi del Monginevro,
discese nel 312 Costantino con circa 40,000 tra Germani e Galli,
a combattere Massenzio ; e dopo sforzata Susa che volle resistere ,
presso Collegno disfece in ordinata battaglia i Massenziani , forti
specialmente per la cavalleria Clibanaria o Catafratta. Torino allora
chiuse le porte ai fuggitivi, che furono perciò sotto le sue mura ma-
cellati dai vincitori ; e salutando la prima fra le città italiane la sor-
gente fortuna di Costantino , fece sicuro preludio ai trionfi che do-
veano in breve coronarla sul Tevere.
L' epoca imperiale , da Augusto fino a Valentiniano III , è quella
che viene principalmente illustrata dalle iscrizioni del Promis, e in
cui si mostra nel suo massimo splendore la Iulia Augusta Taur ino-
rimi. Questa colonia ossia municipio ( giacche le due denominazio-
ni andaron ben presto confuse) aveva, secondo l'uso romano, i
suoi Patroni e i suoi Curatores Reipublkae, sotto la cui tutela era
il patrimonio municipale; e di parecchi d' essi è rimasta memoria
nelle epigrafi. I cittadini poi erano distinti in tre ordini. Il primo,
YOrdo amplissimus , corrispondente al Senatus di Roma, era quel-
lo dei Decurioni; dal cui seno traevansi i magistrali e i maggiori
ufficiali della città, i giudici, i questori, gli edili, i duumviri, i du-
umviri quinquennales che erano deputati al censo ricorrente ogni
cinque anni, i quatuorviri, i quatuorviri aedilicia potestate ; tutti
titoli che si leggono nei marmi torinesi.
Il secondo ordine era quello degli Augustali, e rispondeva a quel
che in Roma chiamavasi Ordine equestre. Anche Torino, come altre
città, contava alcuni Equites Romani, ma così pochi da non poter
costituire un ordine di cittadini come in Roma; e pare che si con-
fondessero al tutto coi Decurioni, all' apparire degli Augustali, in
cui era il nerbo della classe media. Colest' Ordine degli Augustali,
spregiato e pretermesso dai romani scrittori, tutti più o meno ari-
stocrali, ma ricordato in moltissimi marmi, ncll' età nostra è slato
OSSIA L ANTICA TORINO 409
messo dottamente in luce da valenti Archeologi, e soprattutto dal-
l' Egger, dallo Zumpi e dal Mommsen; ai quali ò ora da aggiunge-
re il Promis, che giovandosi delle lapidi torinesi ha arricchito di
nuovi lumi questo importante soggetto. Erano gli Augustales i mi-
nistri del culto dei Lares Augusti, culto che ben presto fu confuso
coli' adorazione dell' Imperatore stesso ; e divenuto quasi Y unico, Au-
guste appellandosi tutte le divinità : ed istituilli Augusto con finis-
simo accorgimento politico, per amicarsi e legare a sé la massa del-
la plebe, e farsene scudo, secondo l'antico pensiero di Mario e di
Cesare, contro il patriziato. Essi venivano scelti in ogni città del-
l'Impero tra i popolani più grassi e danarosi, venuti su dal poco o
dal nulla coi loro traffichi e industrie, e perciò naturalmente avver-
si per 1' una parte all' aristocrazia del sangue, e per l'altra capi na-
turali delle moltitudini plebee. Mercè il carattere, politico insieme e
sacro, impressogli da Augusto, 1' ordine degli Augustali venne a
costituire una specie di nobiltà plebea, non trasmessibile ma tutta
personale, epperciò espansiva e di fatto largamente eslesasi nelle
plebi urbane, e tra i liberti e i libertini assai più che tra gì' inge-
nui: come il mostra l'esempio di Torino, dove, sopra 40 epigrafi a
noi pervenute di Augustali, 15 sole appartengono ad ingenui, tutte
le altre a liberti; e meglio il mostrerebbero altre città, dove simili
epigrafi sono di quasi soli liberti. Essi attenevansi dunque, soggiun-
ge il Promis, agli ottimati per superbia e ricchezze, alla plebe per
tendenze materiali ed abbiette, e per tutti i vizii della schiavitù ai
servi dai quali uscivano, altra religione non avendo che 1' adora-
zione del Dio stato nella persona dell' Imperatore. L' Augustale Tri-
malcione, nella satira di Petronio, è il vero tipo dell' arricchito, in-
solente e fradicio borghese di quei tempi.
Fuor di Roma, nei municipii e nelle colonie, pochi essendo e di
poca rilevanza i Cavalieri, costituirono gli Augustali l'ordine medio.
Quindi è che nell'epigrafi municipali dell' Impero ò frequente e so-
lenne la formola: Decuriones, Augustales, Plebs ovvero Populus,
per indicare tutta la cittadinanza. Ma non era in tutte le città uni-
forme il loro organamento. In Torino, e generalmente nella Tra-
spadana, dove era assai grande la devozione agli Augusti, e però
assai diffuso 1* ordine degli Augustali, oltre i semplici Augustales,
410 IULIA AUGUSTA TÀUMXORUM
ed oltre i Magistri o Sexviri Augustales, detti con più piena appel-
lazione Sexviri Magistri Augustales, o meglio ancora Sexviri Augu-
stales Magistri Larum Augustalium, il cui ufficio di soprantenden-
za bene ancora non si sa in che consistesse ; trovansi altresì i Sex-
viri Iuniorum e i Sexviri Seniorum ovvero Sexviri Maiores, che
mostrano una suddivisione dell' ordine in Augustali Giuniori e Se-
niori. Un'altra diramazione degli Augustali, cospicua specialmente
nell'alta Italia, fu quella dei Claudiali, dei Flaviali, degli Adria-
nali, che al culto primario d'Augusto aggiungevano come seconda-
rio quello d'altri Imperatori deificati: e cosi a Torino si sono rin-
venute lapidi di Augustali Claudiali, ed altre di Augustali Flaviali
In varii luoghi del Piemonte, ed in Acqui è recente la scoperta di
un L. Vibullio Montano VI. Vir. Augustalis Flavialis. Agli Augu-
stali, come a sacerdozio maggiore, trovansi parimente affigliate, in
quei tempi di fanatismo idolatrico per l'Impero, altre corporazioni
politico-sacre, denominantisi nelle singole città dal Dio patrono del
luogo; le quali, secondo 1' opinione del Cavedoni lodata dal Pro-
mis I, stavano all' ordine degli Augustali puri, come i Cavalieri
romani secondarli ed a plebe ai primarii Equites Equo Publico.
Tali erano gli Augustales Apollinares di Modena, di Pesaro ecc., i
Concordiales di Padova, i Mercuriales, i Martenses o Martiales, i
Minervales, gli Herculanei ecc. di altre città. In Piemonte non se
ne ha finora altro esempio che in Asti, dove, siccome mostrano le
lapidi recate dal Promis, fioriva il collegio degli Augustales Miner-
vales.
Colle iscrizioni relative agli Augustali, il Promis ha non solo ri-
schiarato grandemente cotesta classe della società romana, rimasta
fino a pochi hanni fa poco men che ignota, ma ha apportato altresì
molta luce da un'altra questione, che da tre secoli si agita tra gli
eruditi: se cioè i liberti fossero o no inscritti nelle tribù romane,
il che importava la facoltà del suffragio nei comizii. La maggior
parte degli autori, col Maffei, col Marini, coll'Orelli, stettero pel
no : restando pel sì quasi il solo Zaccaria. Ma ora i monumenti del
Promis confermano luminosamente la sentenza del Zaccaria; col-
1 Paz. 272.
OSSIA L ASTICA TORINO 41 1
raggiungere ai pochi, che Cinqui si avevano, parecchi nuovi esem-
pii di Seviri Àuguslali, Fluviali o Minervali, tulli libelli, e tutti ap-
partenenti alla tribù Palatina. Questa, come è noto, era fra le
più ignobili, cioè una delle quattro tribù urbane, a cui era ignomi-
nia 1'apparlenere: ma per un liberto era già gran favore Tessere
ascritto a una tribù qualsiasi; e di tal favore sembra, dal numero
delle iscrizioni rimastene, che gli Augusti specialmente largheg-
giassero colla Traspadana, siccome quella che agli Augusti era, fra
tutte le ragioni d'Italia, singolarmente devota e cara.
Ma noi trascorreremmo in troppa lunghezza se volessimo accen-
nare tutti i punti più importanti e curiosi di erudizione, che il dot-
tissimo Autore va discorrendo in questo suo volume. Tralasciando
adunque tutto ciò ch'egli nei capi seguenti espone intorno al ter-
z'ordine municipale, cioè alla Plebe, intorno ai Servi pubblici, ai
Collegi urbani, alle Professioni ed Arti, ai diversi rami di Ammi-
nistrazione pubblica, alle varie divinità venerate in Torino e nel
Piemonte ecc. ; conchiuderemo con un cenno di quello che egli dice
sopra Y Esercito', materia, trattata dall'Autore (da pag. 295 a pag.
421) con ampiezza e con amore singolare.
VI.
Il Piemonte ebbe in ogni età pregio di guerriero, e l'epoca roma-
na di cui parliamo, dopo l'illustrazione ora fattane dal Promis, dee
contarsi tra le più splendide ne' suoi fasti militari. Esso non fornì a
Roma insigni letterati, come la Lombardia e la Venezia, che diedero
un Catullo, un Virgilio, un Tito Livio, un Plinio; non ricordandosi
tra i Subalpini, giunti in Roma a qualche letteraria celebrità, che i
due oratori Albuzio Silo novarese, e Vibio Crispo vercellese, il quale
fu aitfhe il primo Piemontese che si sappia esser salito, sotto Ne-
rone, alla dignità di Senatore. Ma egli diede bensì molti ed eccel-
lenti soldati e capitani, tra i quali parecchi giunsero eziandio ai
gradi supremi della romana milizia. Non parliamo di P. Elvio Perti-
nace, nato nella villa di Marte presso Alba Pompeia; il quale col-
F eminenza del senno e del valore si elevò, percorrendo tutta la
scala delle dignità romane, fino alla porpora imperiale. Di Giulio
412 II LIA AUGUSTA TAURINOMJM
Vestale di Susa, fratello del re Cozio, e divenuto Governatore mili-
tare della Mesia (l'odierna Servia e Bulgaria) abbiamo sopra già
parlato. Tra gli altri, enumerati in lunga schiera dal Promis, ne ci-
teremo qui solo alcuni per mostra.
C. Valerio Clemente, di Torino, fu alla guerra Giudaica, sotto
Vespasiano, Prefetto dell'Ala Gelulica; e la sua iscrizione onoraria
merita d' essere qui riferita, siccome quella che, a giudizio del Pro-
mis I, per maestà ed eleganza di locuzione vince tutte le torinesi.
C. Valerio C. F. Stel {latina) Clementi, Primipilari, IL Yir.
Quinquennali, Flamini Bivi Aug. Perpetuo, Patrono Coloniae,
Becuriones Alae Gaetulorum Quibus Praefuit Bello ludaico sub
Bivo Vespasiano Aug. Patre, Honoris Caussa. Hicob dedicationem
statuarum equestris et pedestris Oleum Plebi utrique sexui dedit.
Desticio Juba, d'Industria, fu Legato Pro Praetore degli Augusti
Valeriano e Gallieno nella Britannia, cioè Governatore militare di
quella provincia che fu sempre tra le Cesaree 2. C. Gavio Silvano,
torinese, fa Primi pilare, cioè comandante di quattro centurie in pri-
ma fila, nella legione Vili Augusta, sotto l' imperatore Claudio,
nella guerra Britannica del 43; nella quale segnalatosi, meritò da
Claudio, oltre i doni minori dei torques, armillae, phalerae, anche
quello della corona aurea, e poi fu promosso in Roma al tribunato
successivo di tre coorti, nelle truppe scelte dei Vigili, degli Urbani
e dei Pretoriani 3. C. Valerio Celso comandò, sotto Traiano, la Coor-
te I dei Breuci, poi l'Ala I dei Pannonii Tampiana; indi da Traiano
medesimo fu, dopo esercitate le cariche di Questore, di Edile Ce-
riate, di Pretore, in amplissimum Senatus Ordinem adlectus: laon-
de, siccome personaggio per civili e militari dignità cospicuo, fu
eletto a gara per Patrono, non solo dal Municipio di Alba, sua pa-
tria, ma anche da quelli di Tortona, di Genova, di Acqui e di Au-
gusta Bagiennorum, che è l'odierna città di Bene 4.
Sovra tutti nondimeno illustrossi il torinese Q. Glizio Atilio Agri-
cola, fiorilo nell' età più splendida dell' Impero, e onorato in guerra
1 Pag. 361. Iscriz. n. 146.
2 Pag. 345. Iscriz. n. 134.
3 Pag. 356. Iscriz. n. 142.
4 Pag. 348. Iscriz. n. 139.
OSSIA i/ ANTICA TORINO 413
e in pace dei più eccelsi carichi, a cui, sotto gli Augusti, verun
Romano potesse aspirare. Di lui ci sono rimasti, oltre un bronzo in-
glese di diploma militare, ben quattordici marmi nostrali, scampati,
più o meno interi, airedacità di diciolto secoli, con fortuna non solo
rara, ma finora senza esempio di niun altro personaggio militare,
che non fosse della famiglia dei Cesari. Il Promis, dopo illustrata
con parecchie altre epigrafi la famiglia de' Glizi, che erasi dalla
terra Falisca trapiantata in Torino, ed ivi fu, con quella degli Ebu-
zii, degli Aurelii, dei Gavii, dei Valeri!-, dei Vennonii, ecc. una del-
.e più illustri; tesse un ampio e dotto commentario sopra le 14 iscri-
zioni di Q. Glizio Atilio, e ce ne rifa, per così dire, fresca e intera
le biografia. Ecco, secondo l'Autore, l'ordine degli onori, percorsi da
Glizio nella sua splendida carriera; ed ai lettori meno famigliari col-
l'antichiià romane non sarà forse discaro l'avere in esso un bel sag-
gio di quel che fosse ai tempi dell' Impero la vita pubblica e il corso
consueto dei gran personaggi. Il nostro Glizio adunque ebbe in
prima il Flaminato di Roma e d'Augusto - Flamen Romae et Angusti,
che era un sacerdozio, elevato bensì, non però dei primari! e più
onorifici. Poi fu ascritto tra i Giudici delle cinque Decurie — ■ In-
dex Selectus ex V Decuriis ; indi tra i Decemviri delle liti X Vir
Stlitibus Iudicandis, magistratura, a cui bastava l'età di 18 an-
ni. Entrato poscia nella milizia, lo troviamo di slancio Tribunns
Legionis I. Italicae, ossia, come oggi diremmo, colonnello, senza
passare altrimenti pei gradi inferiori del Centurionato : privilegio
non raro ne' giovani nobili e in gran favore presso il Principe, come
era allora presso Vespasiano il giovane Glizio. Da Vespasiano infat-
ti fu egli indi a poco, nel fiore de' suoi 25 a 30 anni, promosso al-
la Questura, all'edilità Curulc, alla Pretura — Praetor, Aedilis Cu-
riilis, Quaestor Bivi Vespasiani — tre principali gradi giuridici ed
amministrativi, che davano l'ingresso al Senato. Dopo ciò, siccome
uomo pretorio, fu dal medesimo Vespasiano assunto alla Luogote-
nenza della Spagna citeriore — Legatus Citerioris Hispaniae —
che abbracciava mezza la penisola Iberica ; e più tardi al comando
della Legione VI Ferrata — Legatus, Legionis VI Ferratae — la
quale campeggiava nella Giudea. Sotto Domiziano, sembra che Gli-
zio, al pari di tanti altri egregi cittadini, reo solamente di essere
414 ILLIA ALGISTA TÀERINOROI
stalo in favore presso Tito e Vespasiano, vivesse in disgrazia e in
oscuro riposo ; ma, ritornati con Nerva e con Traiano tempi miglio-
ri, anche la sua fortuna tornò a brillare più lieta che mai. Nerva
gli diede il primo Consolato — Consul — ; e dopo gli onori dei
fasci, lo mandò al governo militare della Gallia Belgica — Legalus
prò Praetore Imperatoris Nervae Caesaris Angusti Provinciae
Belgicae — che era provincia cesarea ed abbracciava tutto il paese
tra la Senna e la Schelda. Verso lo stesso tempo, Glizio aggiunse al
Flaminato altri due titoli sacerdotali, cioè quello di — Septem Tir
E 'pulonum e quello di — Sodalis Augustalis Claudialis — (cosa tut-
to diversa dagli Àugustali Claudiali semplici, di cui sopra si è parla-
to) : due Sacerdozii ch'erano a quei dì tra i più nobili e più ambiti
in Roma, ed a cui ascriveansi coi Cesari e coi Principi del sangue
gli uomini Consolari. Sotto Traiano finalmente, Glizio fu in prima
posto al governo della Pannonia — Legatus prò Praetore Impera-
toris Nervae Traiani Caesaris Angusti Germanici Bacici Provin-
ciae Pannoniae — provincia importantissima, soprattutto a quei
di per cagione della guerra Dacica, ed allora non per anco divisa
in due: indi fu con Traiano stesso alla guerra contro Deccbalo co-
mandandovi un ala dell'esercito; e vi si segnalò con tanto valore,
che non solo ottenne dall'Imperatore il sommo dei premii militari,
cioè quattro aste pure e quattro vessilli, oltre le quattro corone,
murale, vallare, classica, aurea — Bonatus ab eodem (Traia-
no Angusto) Bello Bacico Bonis Militaribus Corona Murali Val-
lari Classica Aurea Ilastis Puris MI. Vexillh MI — , ma inol-
tre ebbe un secondo Consolato — Consul II — Tanno 101, sot-
tentrando, come suffetto, con Liberio Massimo al Consolato V di
Traiano, e finalmente la Prefettura di Roma, — Praefectus Ur-
bis — dignità ed ufficio altissimo, che nell' Impero non conferivasi
se non ad uomini consolari, i quali sovente crcavansi Prefetti o
mentre esercitavano il Consolato secondo, ovvero, come avvenne al
nostro Glizio, dopo averlo compiuto.
À queste glorie militari di Torino e del Piemonte nei più bei
tempi di Roma imperiale, il Promis fa in siuT ultimo un bel riscon-
tro, paragonandole colle recenti dei tempi Napoleonici; (empi, per
grandezza d'imprese e di guerre gigantesche, niente inferiori al-
OSSIA L ANTICA TORINO 415
l'epoca dei Cesari, e in cui la bravura dei moderni subalpini non
apparve punto degenere da quella degli antichi. Dopo ricordata
adunque la straordinaria dovizia di iscrizioni militari, per cui To-
rino, come fin da principio accennammo, supera ogni altra città in
Italia e da Roma sola è superata, dovizia che indica in quanto fiore
ivi fosse la milizia, l'Autore soggiunge : « La qual copia d' uomini
militari fu sempre notata in Piemonte ; e quando nell'arco Parigino
della Stella furon memorati gl'insigni Generali Napoleonici, coi no-
mi d'un Romano, d' un Romagnuolo, d'un Lombardo, si posero
quelli di sette Piemontesi, Massena Maresciallo, Rusca, Colli, Cu-
rial, Ferino, Campana, Seras; cui si potrebbero aggiungere il Par-
toneaux di Monaco, il Cervoni, il Fresia, il Gifilenga ed altri molti.
Alla stessa età moltissimi Ufficiali che militalo aveano per la Pie-
montese patria, persuasi che i prestali 'giuramenti non s' infirmano
per sventure pubbliche o di Principi, portaron loro spade in tutta
Europa, rifulgendo negli eserciti Russi i Generali Falicon, Martin
d'Orfengo, Venanson, De Maistre, De Sonnaz, Paulucci, Michaud,
Galaleri, otto o dieci altri fra gli Austriaci, cinque fra gl'Inglesi, e
dando il sangue nei campi di Germania, Russia, Spagna, al lucro,
agli onori, alla fama anteponendo la fede, l'onore antico, la coscien-
za di un dovere compiuto fra mille ostacoli 1. »
Elogio giustissimo, e di cui il Piemonte può andare a ragiono
superbo sopra le altre regioni d' Italia ! Così possa egli conservarsi
in ogni tempo intera questa, che ò una delle più antiche e più pure
sue glorie. Il Promis non fa in tutto il suo volume niun cenno, niu-
ria allusione alle vicende politiche di questi ultimi tempi, che il
Piemonte trasformarono in tutt' altro da quel di prima, e in cui
anche la sua gloria militare dall'alito funesto della Rivoluzione è
stata miseramente in più guise contaminata. Ma egli avea troppo
ragione di premerle sotto alto silenzio. Le tristi immagini del pre-
sente gli avrebbero funestate le belle memorie del tempo antico, e
turbate in petto le pure gioie di quel nobilissimo amor di patria,
che gli avea posto in mano la penna, e del quale il suo libro reste-
rà uno de' più splendidi monumenti.
1 Pag. 419, 420.
I CROCIATI DI SAN PIETRO
SCENE STORICHE DEL 1867
IC.
1 feriti e i morti di Mentana.
Giuliano Watts-Russell , Carlo d'Alcantara, Giovanni Moeller,
Leone Brache, Giuseppe Rialan, Carlo Bernardini, altri.
Mentre in Roma si benediceva a Dio e si osannava ai valorosi
ministri della divina possanza, in tutta Italia sorgeva un clamore di
maledizione contro il Garibaldi e i suoi califfi. Incredibile, ma pur
vero! Dei due partiti dominanti nella tirannia del Governo, ed
egualmente odiosi alla nazione, non si sapea ben dire quale più o
quale meno fosse accanilo contro l'altro. I moderati (così chiamansi
coloro che consumano L' Italia a fuoco lento) rimbrottavano i Gari-
baldini, di avere colle improntitudini messo a soqquadro la cosa
pubblica, e chiamato lo straniero in paese, e le patrie armi con on-
tosa disfatta vituperate. E i Garibaldeschi, di ripicco: Alla ignomi-
nia ci spronaste voi, che per viltà vi ritraeste ; noi colla bravura e
col sangue tentammo ciò ottenere, che voi solo colla perfidia men-
dicavate dallo straniero: su voi soli cada il vituperio. Gli umori di
parte dalla piazza salirono insino ai seggi del parlamento, dove a
vicenda si chiamarono felloni alla patria, barattieri del decoro na-
zionale, ladroni da bosco e peggio, gli uni agli, altri palleggiandosi
la vergogna della guerra garibaldina. Nò noi, che riguardammo in
IC. I FERITI E I MORTI DI MENTANA 417
silenzio ncll' aula dei legislatori quelle nimistà di trecca, sappiamo
per cui parteggiare; e troppo volentieri ci stiamo col popolo italia-
no, che entrambe le fazioni coperse di meritato dispregio, sopra
tutto i reduci dalla mala guerra.
Cento volte più avventurosi che non i reduci da quel campo Mi-
fausto furono i feriti che vi giacquero, e poterono risentire Y influs-
so benefico di quella Roma cui aveano guerreggiato. Non era bene
sbollita l'ira della pugna, e già si accorreva ad offerire loro la
misericordia di Dio, e il sollievo dalle piaghe. Di Garibaldini si
riempirono le infermerie di campo ; chirurghi e cappellani si spar-
sero per le case di Mentana e di Monte Rotondo. E quanto riu-
sciva dolce ai derelitti Garibaldini l'apparizione d'un infermiere
pontifìcio, o d'una Sorella della carità, e più di tutto, di un sacer-
dote! Quegli stessi Zuavi, che ieri sì furibondi si scagliavano contro
le camicie rosse, oggi presi da pietà, dividevano coi prigioni il tabac-
co e il cibo, e alcuni ancora comperare da essi qualche coserei la, e
lautamente pagarla, per velare a questo modo la limosina, il capo-
rale carabiniere Bugnard, riarso per le ferite, die ad un ferito gari-
baldino smaniante, quanto gli restava di acqua e caffè nella sua fia-
schetta; il simile è riferito del sergente Meyer; il simile del loro mag-
giore Castella, che distribuì ai nemici quell'unico vasello d'acqua
che gli restava per le sue ferite. Gli Zuavi a squadre erravano pie-
tosi colà dove si rammentavano di avere più insanguinato le baio-
nette; e i Francesi veterani furono visti lacerare le proprie camicie
per fasciare le piaghe. Non si parlava più di Pontificii o di Garibal-
dini : bastava essere ferito, per impetrare tutte le più delicate cure
della carità cristiana.
Non solo dopo Mentana, ma sempre, i crociati depostolo schiop-
po mettean mano a soccorrere amici e nem ci a un modo istesso.
Troppo ce ne abbondano i fatti in pruova. Sappiamo di Zuavi che
fecero da cappellani, da infermieri, da sotterratori, appunto come
gli antichi baroni di S. Luigi di Francia ; sappiamo d' un ufficialo
della Linea, che si accostò ad un Garibaldino moribondo sul campo,
e sì bene e acconciamente il venne confortando a confidare nella mi-
serie VII, voi. XL fase. 490. 27 9 Agósto 1870.
418 I CROCIATI DI SAN PIETRO
sericordia divina, che queir infelice, il quale già perduta aveva la
favella, e come brulo si moriva, congiunse ambe le mani, levò gli
occhi al cielo, implorando perdono, e in quest'atto, penitente con
grande edificazione dei circostanti spirò. Ma a Mentana poco rimase
da supplire ai sold iti, perchè abbondarono i sacerdoti, vuoi cap-
pellani di ufficio, vuoi volontarii trattivi dallo zelo. E i mi itali ram-
mentano con gratitudine i nomi del Galanti, del Daniel, del Bararci,
del B istide, del Woèlmont, del Sacre, del Peigné, del Ligiez, del
Vannutelli, del Gerlache, del Wilde, del p. Anselmo, dell' Akker-
■\veken sopranomato il p. Cornelio ; i quali, specialmente tra gli
orrori della disfatta garibaldese, raccolsero nobilissimo fruito del
loro ministero, a prezzo talora di eroici sacrifizii.
Tra le molte morti cristiane di Garibaldini, memorabile è quella
d'un ufficiale superiore, il giovane conte Giulio Bolis di Lugo. Gia-
ceva sopra una predella di altare, con una palla nelle, viscere e la
disperazione nel cuore ; e rigettava con disdegno le cortesi sollecitu-
dini degli assistenti, implorando invece dai Zuavi, che lo circonda-
yano, una pistolettata che mettesse termine agli spasimi suoi, più
intollerabili che la morte. In quella arrivava da Roma un gesuita
fiammingo, il p. Cornelio, che poco dipoi morì egli stesso, vittima di
carità. Il religioso gli si appressa, gli dice parole di benigna com-
passione, lo esorta al ravvedimento, e gli porge il Crocifisso a ba-
ciare: il povero ferito si arrese a quest' umile alto; e dopo riflettuto
un momento, rispose: — Padre, confessatemi subito. — Recitò ad
alta voce il suo atto di contrizione, si atteggiò divotamenle, e pro-
sciolto digli anatemi e dalle colpe, più non diede segno d' impa-
zienza tra suoi atroci dolori, sino al momento in cui trapassò nelle
braccia della divina misericordia. Non lungi dal Bolis un altro ri-
corse pure al religioso fi immingo, e accortosi che balbettava a sten-
to la lingua italiana, — Padre, gli disse, l' italiano poco lo masti-
cate, parlatemi in Ialino. — E con questo mezzo compi il dover suo.
Somiglianti tratti troviamo in gran numero nelle memorie delle
Infermerie, dove si curarono i Garibaldini ; e tali loro ritratta/ioni
e lettere abbiamo vedute da magnificarne la diviua clemenza. Basti,
IC. I FERITI E I MORTI DI MENTANA 419
che quasi tulli coloro che poterono essere assistili da un sacerdote
(e pochi ne mancarono) diedero segni di penitenza : i camerati stes-
si dei feriti sollecitavano in favore di essi gli aiuti spirituali. E co-
me quei poveri moribondi giubilavano, allorché si sentivano sgra-
vati dal peso delle scomunicazioni incorse, e loro mette vasi al
collo uno scapolare della Madonna, o potevano imprimere le labbra
sopra un Crocifisso ! Concorreva ad ispirare loro cotali sensi la fede
propria e l'altrui carità: la fede pura, ardente, indelebile che Iddio
concesse in retaggio agl'Italiani, e con questa il terrore del tribuna-
le divino, già quasi visibile ai loro sguardi ; la carità sublime onde
si vedeano fatti segno, non pure dai sacerdoti e dalle sorelle di
carità, ma fino da quei soldati, la cui ira tremenda aveano provato
sul campo.
Sul mattino del 4 Novembre una lunga fila di carrozze cittadine
riportava a Roma molti Garibaldini feriti, e le guidavano i Volon-
tarii romani e altri signori a ciò venuti. Nobilissimo esempio ne die-
de il duca di Luynes. 11 venerabile vecchio, illustre in patria per la
sua scienza, per la munificenza, per la fedeltà irremovibile profes-
sata agli antichi sovrani della Francia, avea versato tesori nel-
l'esausto erario pontifìcio, avea donato alla Crociata un suo nipote
ed erede, il giovinetto duca di Chévreuse. Da ultimo, nei più tre-
pidi momenti, volle di sua mano operarsi al servigio della più ec-
celsa di tutte le cause. Appunto in condurre a Roma un ferito Gari-
baldino, spogliò sé per coprire lui dalla gelida tramontana. Così
contrasse la malattia, che lo trasse alla tomba. Cotal morte onore-
rebbe una vita dianzi oscura : or qui coronava una splendidissima
carriera.
Gli spedali di Roma non bastando ad accogliere tutti gl'infermi
agiatamente, altri ne furono aperti dalla carità romana, nei quali si
curarono promiscuamente gli amici e i nemici dei romani, facendo
loro abbondare non che il necessario, ma persino le delizie. Sarebbe
qui luogo di castigare con dure verità le villane calunnie del Guer-
zoni, del Garibaldi e d'altri siffatti, che farneticarono delle torture
pretesche a strazio dei feriti di parte loro. Ma a che smentire una
420 I CROCIATI DI SAI? PIETRO
impotente dimostrala di rabbia settaria, che non fa inganno a ve-
runo? Roma, pienissima allora di forestieri, vide il trionfo del per-
dono, sollenlrato a quello della fortezza, ed entrambi formavano un
trionfo solo, il trionfo della vera e bene intesa religione di Gesù
Cristo.
E questo fu il più dolce conforto alle desolate lacrime dei genito-
ri, quando riseppero la fine miseranda dei figli loro sul maledetto
terreno di Mentana. Ci si consenta di recarne una sola lettera in
pinéta, che recitiamo dall'autografo.
« Reverendo Signore
« Un tratto di superna provvidenza che su tutto veglia e a tutto
provvede; un soffio di quell'immensurabile misericordia divina che
per salvezza delle anime redente, allontana i colpi dell'onnipotente
provocata giustizia, offrendo meriti superiori alla gravezza dell'uma-
no peccato ; una predestinazione che il celeste favore accorda a co-
loro i quali benché si dilungassero dal retto sentiero di verità, in
radice però non lo sconobbero o rinegarono : questi tre singolaris-
simi doni concorsero avventurosamente a confortare gli estremi ane-
liti del fu mio primogenito , mancato ai vivi nell'ultimo de-
corso Novembre, nei dintorni di Mentana, e per sorte sua, in mo-
menti cosi decisivi e di completo disinganno, assistito dall' evange-
lica unzione e carità della reverendi paternità vostra. Io ciò seppi
di certo, dacché, quale desolatissimo genitore, non cessai dal ricer-
care notizie sulle ore estreme del compianto mio figlio, e le chiesi
a pie, oneste ed autorevoli persone, a portata di relazionarmene.
« Fu per questo appunto eh' io con certezza ed inesprimibile
consolazione, appresi il cattolico fine ch'ebbe la fortuna d'incontra-
re l'estinto, sorretto, rinvigorito, primieramente dalla gratuita di-
vina grazia e dalla protezione di Maria santissima immacolata, e
poscia dagli umani e religiosi eccitamenti sovvenuti opportuni allo
spirante mio . . . . , in punto cosi decisivo e tremendo, dalla di lei
tenerezza, erudizione e capacità, lo non ho espressioni per ringra-
ziare di tanta clemenza l'onnipotente e misericordioso Salvatore del
IC. I FERITI E 1 MORTI DI MENTANA 421
mondo, la sua Madre santissima, ed in secondo luogo la stessa re-
verenda paternità vostra, che ben comprendendo il sacerdotale suo
ufficio, raccolse utilmeule li ultimi respiri in Mentana del moribon-
do a me sì caro, ferito colà nel petto da un proiettile zuavo, nella
mal augurata lotta da fanatici ed illusi provocata e sostenuta contro
i difensori dell'altare, da coloro che propugnavano una mentita cau-
sa, nel terzo giorno del su ricordato Novembre.
« Ella rammenterà, senza forse, questa sua assistenza prestata
nel luogo ed epoca indicata, al mio primogenito, insieme ad altri
acciecati, i quali incontrarono egualmente prima, o dopo, la morte,
e che mi consola assai sapere quasi tutti profìcuamente ricreduti e
salutarmente riconciliati col supremo Giudice.
« Che se il mio .... conseguiva la bella, unica, rilevante sorte
di salvare (sperasi) l'anima sua, io che per umana fralezza e qua-
si ribellata natura agli imperscrutabili decreti di Dio, mi querelava
incessante per tanta perdita, umilio il mio cupo, e bacio la sapien-
te destra che mi ha colpito, e ringrazio la divina misericordia per
una grazia supcriore ad ogn'altra più invidiabile, poiché, religiosa-
mente ragionando, in seguela delle ricevute consolanti informazioni
sul doloroso argomento, concludo con animo cristiano ed intimo
convincimento, che mio figlio era morto mentre viveva nel mondo,
travolto da sue fallaci attrattive, ed ora soltanto vive d'incorruttibi-
le spirituale vita che mai avrà fine. Io pregherò incessante, sebbe-
ne indegnamente, pel suo eterno riposo, e perchè breve sia la sua
presumibile dimora nel purgatorio d'espiazione, tocche supplico vi-
vamente la di lei carila di fare ella pure, a sollievo di quell'anima
benedetta, cui ella, forse, fu sicura guida e valevole sussidio di sal-
vamento. Che se poi, in sua gentilezza, si degnasse relazionarmi
di qualche ulteriore dettagliata notizia relativa alle ore estreme del
decesso , alle ultime sue paiole e nuovissime aspirazioni; io serbe-
rei costante memoria a quest'ulteriore di lei condiscendenza, nò
avrei condegni termini per ringraziarla. Creda pure ch'io amava as-
sai l'estinto mio figlio, perchè datomi da Dio dotato d'ingegno, cul-
tura, urbani modi, affettuoso e di sentimenti filantropici, né altro
422 I CROCIATI DI SAN PIETRO
in esso era a compiangersi e censurarsi, tranne fantastiche idee,
inesperienza di mondo, mal riposta fiducia e spiegata debolezza per
resistere ai lacci della seduzione, dell' inganno e delle strambe in-
congruenze dei più illogici ed ignoranti razionalisti.
« Ella intanto mi perdoni, cortese, l'incomodo che ho azzardalo
recarle, e si degni onorarmi di suo imploralo riscontro, onde solle-
vare il mio spirilo, e viepiù confermarmi nella rassegnazione, la
quale, sebbene doverosa, non è senza l'aiuto di Dio che si possa
ottenere e conservare, e mi ritenga lealmente quale con profondo
ossequio ed inesprimibile gratitudine, sono lieto di potermi di-
chiarare
« Della reverenda vostra Paternità
« Umilissimo, Obbmo Devmo Servitore
Dopo letta si soave lettera, non contristeremo il lettore, rammen-
♦tando nominatamente quei pochissimi ostinati, che funestarono le
infermerie romane colle loro morti impenitenti. Ma pur ci è forza
di confessare, che qui rimase in celebre esecrazione un sacerdote
apostata, che fino all'estremo anelito perfidiò nel disperare del per-
dono ; e un giovane, non sappiamo bene se inglese o americano,
vero bruto in fra gli uomini. Costui schifosamente professava, sé
non essere né amico né nemico del Papato, ma semplice soldato
del Garibaldi, e ammazzatore per conto di lui. Munito di carabina
di gran passata, sceglieva le sue vittime con un occhiale di contro-
mira, e compiacevasi di abbatterle, come si allieta il cacciatore di
avere dato nel segno. Ferito, amputato, ridotto in fin di morte, niun
indizio seppe dare né di religione né di sreligione: come giumento
morì, come carogna fu coperto di terra. Ne sappiamo il nome, ma
non ci piace arricchire la storia con tali nomi. A quegli stessi Ga-
ribaldini, cui la infermità fu occasione di ravvedimento prima di mo-
rire, basti, in cielo e in terra, l'obblio del loro delitto.
IC. I FERITI E I MORTI DI MENTANA 423
Che se tra i parricidi, molli frutti e poche spine raccolse la re-
ligione, ben potrà ciascuno fare ragione quanto lieta messe germi-
nasse tra i campioni della fede. Gloria a Dio! neppure uno di que-
sti, tanto solo che desse indugio di pochi momenti dopo la ferita,
passò senza i divini sacramenti: tanto sollecito li preoccupava il
soccorso dei sacerdoti, tra il fuoco del combattimento! In legge-
re i ragguagli de' cappellani, nasce dubbio se la gioventù crociata
più bella fosse lampeggiante nell'armi, o dolorante sul terreno, o
stretta tra le fasciature dell'infermerie. Cadeano i prodi, e senza
lamento vedeano sgorgare il loro sangue e con esso venir meno il
vigor della giovine vita; e guatavano serenamente al cielo. Comune
risuonava sul loro labbro l' acclamazione Viva Pio IX ! e il dare
animo ai commilitoni, e le parole di rassegnazione dolcissima e di
laude al Signore, a cui offerivano sé stessi in olocausto.
Trasportati poi agli spedali ambulanti o permanenti sparsero in-
torno a sé tanta fragranza di virtù cristiana, che ciascuno in rimi-
rarli ne benediceva Iddio. E i camerati intenti a raccogliere l'ulti-
mo loro respiro, rimpiangevanli (gli abbiamo intesi noi) dicendo:
— Era sì buono! — Era un angelo. — Era lo specchio della com-
pagnia. — Era impromesso. — Avea lasciato la sposa e i figli. —
La madre nell'ultima lettera gli avea raccomandato di battersi da
valoroso. — A scegliere tra tutti, non si trovava più bell'anima nò
miglior soldato. — Ah, lui si meritava la palma.... e io, no! — E
l'afflitto amico si rasciugava una lacrima, affacciatasi furtiva alla
pupilla. Sì, Roma vide in quei giorni scene così sublimi, che non
disdirebbero nelle memorie dei santi. Quindi l'affollarsi della signo-
ria romana alle infermerie militari, a confortare gl'infermi e ad es-
serne confortati. Il Santo Padre spesse volte vi compariva, rasse-
gnava letto per letto i suoi figli, loro compartendo parole d'ineffa-
bile dolcezza: ai convalescenti aperse la reggia ed i giard'ni del Qui-
rinale : perfino agli infermi nemici estese alcuna voi la le sue visite
paterne. I cavalieri di Malta, memori della loro vocazione, offerse-
ro spontaneamente sussidii e servigi. Dame romane e forestiere, in
gran numero, diventarono spedalinghe, diremmo così, diprofessio-
424 I CROCIATI DI SAN PIETRO
ne. La Reina di Napoli pareva avere preso stanza all' ospedale : tanto
spesso vi ritornava, non isdegnando di porgere la mano augusta al
servizio dei malati: onde che Pio IX salutolla un giorno, col caro]
nome di sua prima Suora di Carità. Una veneranda matrona ingle-
se, Elisabetta Maria Winchester, vi spese l'oro, le fatiche e infine
ancora la vita. Ma i particolari alti di tante anime generose e del
regno dell'amore evangelico, fiorente in mezzo alle piaghe e ai do-
lori, sfuggono alle strettezze della storia: tocca agli angeli descri-
verli nei registri del cielo.
Così ci è forza di tacere le laudi dei feriti sopravissuti; il cui ca-
talogo, anche solo, sarebbe troppo in una istoria. Noi chiamano a
gran voce le tombe dei morti di Mentana: e ci sembra dolce dovere
di non chiudere il presente racconto, senza deporre, sopra alcune al-
meno, una ristretta corona. Innanzi tutti ci sorride un sepolcro, ci si
passi la parola, un sepolcro angelico, cui speciali memorie ed affet-
tuose ci rappresentano spesso al cuore: ed è quello di Giulio ossia
Giuliano Walts-Russell, del quale non per la pi ima volta ci occorre
ora la menzione. Riposa il suo corpo nell'Agro Verano, presso le
ossa degli antichi cristiani: ma il suo cuore è a Mentana! Colà lo por-
tava una pietosa comitiva ( e ne eravamo parte ) il giorno 22 Apri-
le 1869. Si cercò il luogo consacrato dal sangue di Giulio. A pochi
passi dal villaggio, « Qua, ci dissero i compagni, giunse Giulio, in-
calzando a ferro e fuoco i nemici di Dio, passando tra mille palle,
una delle quali aveagli tolto il berretto; e qua fu spento da un col-
po a bruciapelo. » Innanzi a noi sorgeva un piccolo ma deliziale n-o-
numcnto, destinato a coprire il cuore di Watls-Russcll: un cippo di
candiJo marmo, circondato da quattro colonnini incatenati da una
sbarra di ferro, e sormontalo dalla croce di Menlana. L'iscrizione
diceva: « Qui cadde pugnando prò Sede Pelri Giulio Watls-Russcll
zuavo pontificio, giovanetto inglese d'anni 17 e 10 mesi, il più gio-
vane caduto nel campo della vittoria e il più d'appresso a Mentana. »
Ci guatammo alterno. Dirimpetto al monumento splendeva, dora-
ta dai raggi del sole di primavera la maestosa cupola che ricuopre la
tomba di S. Pietro. « No, dicemmo tra noi stessi, non si poteva tro-
IC. I FERITI E I MORTI DI MENTANA 420
tare miglior silo: e se un crociato di S. Pielro potesse eleggere libe-
ramente l'ara del suo sacrificio , difficilmente incontrerebbe altrove
luogo o più armonico o più significativo. » Intanto traeva in folla il
popoletto di Mentana , e alcuni Zuavi dei vicino posto militare ; gli
operai avevano scavato e murato il terreno; non restava chea con-
summare le cerimonie. Eravamo presenti più sacerdoti: ma l'onore
del rito espiatorio toccò ad un venerabile vecchio e pur sacerdote
novello, che forse per la prima volta esercitava il funebre ministe-
ro. Era il genitore di Giulio! Yilfrido, fratello e commilitone di Giu-
lio , il signor Vansittart , venuto a prendere le armi in cambio del-
l'estinto amico, e noi tutti imprimemmo le labbra sulla teca di
metallo che racchiudeva il cuore innocente e generoso del fanciullo
crociato, e il deponemmo nel suo luogo. Quegli affettuosi amplessi,
quelle mani fraterne intese al pio ufficio , e la. destra di un padre,
sacrata testé dal crisma, e dislesa senza vacillare sulle reliquie di
un figliuolo diletto non si scancelleranno mai più dalla nostra ricor-
danza. Tornammo parendoci avere affidato alla terra una semenza
di martiri.
All'inglese crociato secondi il ricordo di un mortorio gemello.
Grande folla si adunava ad onorarlo, la sera del 10 Dicembre
1867, in piazza Pia. I Romani si erano lungamente commossi delle
ferite di due giovani amici, Carlos d'Alcantara e Giovanni Moeller.
Aveano pressoché eguale l'età, comune la patria belgica, e la voca-
zione alle armi; feriti alla stessa battaglia, trasportati ad una stes-
sa infermeria per cura di un comune amico, Mgr di Mèi ode, tutti
e due lottarono contro il male 26 giorni , e morirono quasi alla
stess'ora, lasciando segnalati esempli di pietà cristiana, assistili il
primo dal proprio padre, il secondo dal fratello. Le due bare adorne,
quella del d'Alcantara della spada di ufficiale, meritata a Mentana ,
quella del Moeller del tocchelto di zuavo e della croce di S. Gre-
gorio, si avanzarono tra il popolo reverente, e tra un concorso no-
bilissimo di quanto è in Roma di più elevato tra i militari ed i bor-
ghesi. Sembrava un pubblico lutto e un pubblico tributo di ricono-
scenza renduto da Roma al Belgio cattolico.
126 I CROCIATI DI SAN PIETRO
Il conte Carlos d' Alcantara , nato a Gante , d' una famiglia di
Grandi di Spagna , e d' un padre benemerito in sommo della Santa
Sede , aveva militalo gli anni più floridi della sua giovinezza, vivo
specchio di virtù cristiane e militari. Noi ne recitammo altrove al-
cune lettere , degne di un santo crociato. La morte non ismentì la
vita. In mezzo a slrazii indescrivibili, il suo più assiduo consolato-
re era il suo padre. Tra loro non i agionavasi di quelle vane lusin-
ghe, onde si confortano i poveri di cuore: ma sì degli altissimi van-
taggi de' saerifizii eroici ; del bene di versare il sangue per Gesù
Cristo, il quale lo versò per noi. « Tu hai ricevuto, diceva il degno
padre al degno figlio, tu hai ricevuto una grazia grande, quella che
più desideravi. Dio sia benedetto! » L'ultimo alto di Carlo fu leva-
re gli occhi al cielo, e dire: « Papà, a rivederci in cielo col Signo-
re. » Giovanni Moeller, lovaniese, figlio del famoso storico di tal
nome, arse d' indomabile amore per la gran causa della religione.
Fu il primo belga ascritto al battaglione, che fé' le belle pruove a
Castelfidardo. Raggiunto l'onore di ufficiale, tornò in patria chia-
matovi da domestiche sciagure. Ma il pericolo di Roma il ricondus-
se all'amato vessillo, semplice soldato. Le circostanze della sua fe-
rita mortale , gli assicurano un posto di gloria tra i più rinomati
martiri della crociala.
E quante altre tombe visitare dovremmo di illustri belgi! Valeran-
do d'Erp gantese, giovinetto anch'esso di primo fiore, di costumi il-
libati, di valore maturo, appena ebbe tempo di volare a Roma, san-
tificarsi coi divini sacramenti, marciare a Mentana, e morire com-
battendo. Breve carriera, ma piena, e incomparabilmente più ono-
rata di quella per altro onorarissima, che gli apriva in mezzo al
mondo la sua nobile famiglia. E gantese era pure il sergente Leone
Bracke, che tra i feriti di Mentana fu uno degli ultimi a raccogliere
la sua palma, adorna di lunghi patimenti, essendo morto il 6 Mar-
o 1868. Ricevute le supreme consolazioni del cristiano, si rivolse
al sacerdote : — Credete voi, che io debba morire dentr'oggi?
— Potrebbe essere, figliuolo.
— Oh, quanto ne sarei conlento!
IC. I FERITI E I MORTI DI MENTANA 427
Poco dopo disse alla suora che l'assisteva : — Il Signore non mi
vuole ancora: l'anima mia non può anche dipartirsi: — e assopito-
si un tratto, cominciò a formare segni di croce, e sorridere soave-
mente.
— Che fate? gli domandò la suora.
— Ah, sorella, io mi credevo di entrare in paradiso.
Ciascuno degli astanti, sacerdoti, religiose, infermi, camerati, gli
davano commissioni da trattare col Signore e colla Madonna ; e il
moribondo accettavate, e prometteva di non le dimenticare. Infine
sembrando già trapassato, un infermiere lo chiamò per nome. Leo-
ne aperse gli occhi: — Ah, Béchet (nome dell'infermiere), che
avete fatto? Io mi moriva e andava al cielo, e voi mi avete turba-
to!— Un ufficiale che contemplava estatico questa maravigliosa
agonia, si curvò sopra di lui e lo baciò in fronte : il morente gli
corrispose con sì dolce sorriso, che l'ufficiale non contenne le lacri-
me. Spirò placidamente. I presenti sclamarono ad una voce:
« È in paradiso! »
Ah, non morivano con tanta fiducia di salvezza coloro che ave-
vano portatele armi contro il Vicario di Gesù Cristo. Alcuni rifiu-
tavano persino di udirsi parlare dell'altra vita. Eccone un caso or-
ribile, ma non disutile a risapersi. Nella sera dopo la battaglia, un
sergente di Zuavi trova un ufficiale garibaldino ferito gravemente e
quasi agonizzante. Gli si avvicina cortesemente, e gli parla. Quegli
risponde in francese: Sé essere un parigino, e desiderare un sorso
da bere. Il sergente gli versa in bocca quel poco d'acqua, che gli
restava nella fiasca ; e conoscendo che il ferito non potrebbe tra-
sportarsi vivo ad un'ambulanza, dice ad un soldato di andare pel
cappellano. Si rivolta invelenito il moribondo, e grida: — No! cer-
catemi piuttosto di... (qui fece una proposta esecranda): se no, la-
sciatemi stare.
— Ah, ciacco! crepa da pari tuo ; rispose il sergente, indegnato
di si bestiale mostruosità in ora sì tremenda. E gli voltò le spalle.
Alla dimane ritornò, e lo vide crepato. Così si moriva dai feriti di
Mentana, diversamente, secondo la causa difesa. Anche le condizio-
428 I CROCIATI DI SAX PIETRO
ni dei difensori giudicano la degnila delle cause. Ma torniamo alle
tombe dei giusti.
Quanto fiore di gioventù crociata cadde anche nella sola po-
sizione, che rimase famosa sotto il nome dei fenili di Mentana, e
famosa sì che chiunque si ò battuto colà, viene dai commilitoni ripu-
tato prode tra i prodi! Là morì il sergente Enrico Pascal, francese,
il quale aveva speso metà del suo scarso patrimonio per redimersi
dalla leva in patria, ed acquistare la libertà di offerire la vita tra le
armi crocesignate. Oh eroico mercenario ! Là morì il sergente di
Retz, illustrissimo nome tra la nobiltà francese; e cadde colpito in
fronte in quella che raccomandava ad un caporale di cessare dalla
pugna. Era questi il peruviano Giuseppe Sevilìa, che zampillando
sangue da due ferite, continuava a far fuoco, invocando ad alta vo-
ce la Regina del cielo, all'uso patrio, e gridando il grido di guerra
Viva Pio IX! finche alla quinta piaga si lasciò disarmare dai came-
rati. Pur sopravisse: ed ora cinge la più splendida spada di ufficia-
le, che vedere si possa; finissima lama di Toledo, offertagli da un
amico illustre, con sopravi incisi due motti: Maria, da mihi virtu-
tem cantra hostes tuos, e Pio IX Pont. Max. falli nescio. Tanti so-
no e sì esquisiti gli ornamenti di quest'arma, che sarebbe tenuta per
gioiello in un museo. Il Santo Padre l' ammirò e la benedisse nel dì
festivo di S. Pietro in .Vincoli e dei santi Martiri Maccabei.
Ai fenili morì il sergente Pietro Guérin, di una stirpe breltona, la
quale da Castclfidardo sino ad oggi mantenne i suoi rappresentanti
alla crociata, e due n' ebbe a Mentana; vi fu ferito a morte il ser-
gente Luigi Loirant, nantese, che portalo all'ambulanza vi moriva
tranquillo, lieto, ridente, mentre un Carabiniere (ne ignoriamo il
nome) lacerato egli pure nelle viscere, il veniva confortando con
queste precise parole: « Coraggio, Loirant; su via salva l'anima tua:
tu voli diritto al paradiso. » Là morirono Giulio Iìenqucnet, ed Elia
Chevalier, francesi; il prussiano Sauér, il germano Ernesto Haburg,
l'olandese Eduardo Van Rambost, e il francese Edmondo Lalande:
questi due ultimi già feriti e dislesi a terra, finiti a calciate di fu-
cile dai cannibali sopravvenuti. Qui, ricevettero le ferite mortali
IC. I FERITI E I MORTI RI MENTANA 429
tre o quattro Carabinieri, i cui nomi non potemmo sceverare nel
novero dei morti; tra gli altri certamente un singolare mercenario,
il quale da più anni divideva cotidianamente la paga, metà per sé,
metà per Y obolo di S. Pietro: e di questo si conosce il nome, ma è
d'uopo tacerlo, perchè egli si fece promettere il segreto. Ma Iddio
il sa, e il sanno parecchi suoi camerati Carabinieri, che vivo l' imi-
tavano, e l' invidiarono morto. Ai fenili fu ferito Luigi Rouleau, fran-
cese che poi si ricuperò dalle sue ferite; e non molto lungi il gio-
vane conte Odoardo Raczynski, arrotatosi la sera innanzi, e Pietro
di Beaurepaire, talmente lacerato, che nei primi ruoli il vedemmo
annoverato tra i morti. Troppo ci pesa il non potere almeno recitare
i nomi di tutti i gloriosi feriti, e qui e altrove: ma il loro gran nu-
mero ce lo divieta.
Egli è d' uopo che ci affrettiamo a dare un cenno alquanto parti-
colareggiato, di una nobilissima vittima, caduta appunto su questo
altare di tanti sacritizii. Parliamo del sergente Giuseppe Rialan, di
cui vorremmo, se il potessimo, scrivere una giusta vita: giovane
ammirato e pressoché venerato dalla sua compagnia, e da quanti il
conobbero dalla prima puerizia insino al giorno della sua immola-
zione. Parve nato solo alla mansuetudine, alla pietà, all'amore dei
poverelli; e fin da suoi teneri anni, vi fu chi previde in lui il per-
fetto cristiano dell' avvenire. Basti, che corse opinione tra suoi co-
noscenti, avere lui consacrato col sangue la stola battesimale. Certo
è, eh' egli riempì di santi esempii la casa paterna nella città di
Plocrmel in Brettagna, e il collegio di S. Salvatore a Redon, ove
attinse piissima educazione, e il reggimento dei Zuavi, dove fiori in
concetto di un giovane straordinario. Delle sue virtù e delle sue let-
tere un amico, Roberto Oheix, potè intessere un bel volume, tutto
di religiosi sensi imbalsamato.
Insistendo presso i genitori, per ottenere l'assenso di arrotarsi
tra i vinti di Castelfidardo, scriveva queste parole: « Quando anche
nessuno partisse per Roma, e fossi solo, pure non desidero meglio
che di partire: perchè se vado a Roma, non vi vado per fare come
gli altri, sì bene per difendere Santa Chiesa, e per vantaggio mio
430 I CROCIATI DI SAN PIETRO
particolare. Gli affari colà non sono forse così disperati, comesi di-
ce: e se fossero, si potrebbe ancora morire combattendo. E appun-
to sembra che si pensa tuttavia a resistere, poiché si arrolano quan-
ti si presentano. Non crediate, cari genitori, ch'io ciò scriva per e-
saltamento dì spirito : ho tutto considerato, e sotto tutti gli aspetti.
Mi sono detto: posso tornare, ma è più probabile che ci resterò. E
ancora non è questo che più mi fa impressione. Ho pensato, che do-
vrò allontanarmi da voi, forse per sempre, e morire da voi lontano.
Queste sono le sole considerazioni che potrebbero trattenermi. Ma
Iddio mi darà virtù d' animo bastevole per eseguire ciò che da me
esigerà. » E in altre : « Voglio andare in Italia per battermi, e non
per arrivare dopo una disfatta, o anche dopo una vittoria. . sono
in forze di sostenere una campagna: perle ferite, squarciature ecc.
sono rassegnato. »
Dopo lunga espettazione, nel quale intervallo fu licenziato in leg-
gi, ritornò p-ù ardentemente che mai a sollecitare la permissione di
partire. La ritirala dei Francesi da Roma non gli lasciava aver pa-
ce, finché non fosse a Roma a montare la guardia contro le perfi-
die del Governo italiano. Allora scrisse ad un amico : « Mi viene
spesso in pensiero che l'esercito di Pio IX potrebbe divenire un nuo-
vo esercito di Gedeone, ma, sia che vuole, se ci aspetta la sorte dei
nostri gloriosi antecessori di Castelfidardo, almeno noi protesterem-
mo com'essi protestarono, cadendo coll'armi alla mano. » 11 padre
di lui comprese che era tempo di offerire il sacrifizio: e congedato-
lo colla paterna benedizione, aggiunse: « Non mi dispiace di aver-
lo lasciato partire: ma di non avere l'età sua, per accompagnarlo!»
Di tal razza nascono i forti. Giuseppe Rialan a Roma, visse tulio
assorbito nei doveri dell' armi, tutto fervore di devozione, armi e
divozioni non interrotta da altro fuorché dalle lettere alla patria e
qualche raro sollievo cogli amici, coi quali era di giocondissima
con\ersazionc. Cogl' intimi apriva interamente il cuore: « Vi sono
molti modi, diceva egli un giorno, di servire la Francia e la Chie-
sa: prima di tutto, col sangue. Nulla avanza una causa più effica-
cemente, che il morire per essa. E per altra parte , quale più bella
sorte per colui che muore ? »
IC. I FERITI E I MORTI DI MENTANA 431
Colui che dal fondo del cuore parlava in t4»l guisa, ben era de-
gno di riportare la corona nel più onoralo luogo della battaglia.
Una palla in fronte il battè morto, a pochi passi da Mentana, com-
battendo tra due valorosi, il sergente Alfredo Gerbaud, e il zuavo
Alessandro Lienas. Due giorni dopo, mentre due sacerdoti ne de-
ponevano pietosamente il cadavere entro una cassa, i conoscenti
ne chiedevano le reliquie, e tra loro si divisero il suo scapolare,
i galloni di sergente, la sua barba, i suoi capelli, intrisero panno-
lini nel sangue della ferita, tuttavia liquido e vermiglio, e la voce
comune dei camerati gli rendette testimonianza, la più invidiabile
per un crociato: « Nel quartiere era il miglior cristiano del reggi-
mento, e nel campo era il migliore soldato. »
Ultima tra le tombe, su cui inscriviamo un breve titolo, sia quel-
la di un sottufficiale italiano, ucciso a breve distanza dal sottuffi-
ciale francese. Tra i non pochi italiani che in quel celebralo campo
di gloria opposero il petto contro i nemici di S. Chiesa, quattro
soli caddero feriti o morii, se pure per quinto non vi aggiungiamo
il dragone Pcrilli, valorosissimo giovane trasteverino, che furtivo
e a piedi corse a combattere, tornò infermo, e morì dicendo: « li
solo dispiacere che mi abbia in questo momento estremo, è di mo-
rire in letto, mentre la mia ambizione era sempre stata di morire
sul campo, combattendo pel Santo Padre. » Tra i caduti brillò di
primo splendore Carlo Bernardini, che noi vedemmo percosso quan-
do già la lolla volgeva al fine ; quasi che l'angelo di Dio atlendesse
ancora il sacrifizio di questo sangue eletto, per calare sul campo
crociato e dichiarare la vittoria.
Niuno per avventura senti affezioni di famiglia più profonde che
il giovane Carlo, e niuno più eroicamente le troncò in omaggio
della religione. A scorrere le sue lettere sembravaci di udire il can-
to di un idillio di tenerezze verso i genitori, i fratelli, le sorelle, i
sassi perfino del luogo natio: e pure ogni più delicato sentimento
vi è al fine immolato al dovere, all'onore, alla gran causa di Santa
Chiesa. Nel che molto egli dovette alla indole cavalleresca del suo
gran cuore, e molto alla esquisila sua educazione, temperala colle
432 I CROCIATI DI SAN PIETRO
tradizioni dell'antico patriziato italiano. Nato in Lucca, Tanno
1841 di chiarissima stirpe, e nobile nelle patrie storie, fu tenuto
al sacro fonte dal Duca suo sovrano, e da quella venerabile donna
che fu la duchessa Maria Teresa di Savoia. Crebbe in mezzo a
un'atmosfera di religiosi esempii ripiena; e sembrava non trovare
diletto che pure negli esercizii della fede, onde rampollano e si
alimentano le veraci virtù cristiane. Ancora i pregi più rari e dif-
fìcili ad incontrarsi nella giovine età, in lui fiorivano a maraviglia:
il non disagiare persona, il non presumere di se stesso, il pospor-
re se agli altri, sfuggire le laudi e la bella comparsa, il privarsi
de'suoi più cari sollievi per rendere servigio a quei di casa. Fu
veduto per più mesi farsi guida e sostegno d'una sua sorella in-
ferma de' piedi, e rendersi volonteroso agli ordini di lei, come un
famiglio. Era perciò la delizia della sua casa, com'egli trovava tut-
te le sue delizie nella casa, cui, scrivendo alla madre, paragonava
al « paradiso terrestre. »
Raccontare d'un giovanetto italiano, eh' egli fu pio, è pure un
dire che fin dai primi anni fu singolare cultore della Vergine divi-
na. Carlo in questo particolare riuscì veramente esimio. Ci è per-
venuta autografa una sua lunga preghiera, che egli compose il di
dell'Assunta 1857, essendo in età di sedici anni; è un inno di amo-
re e di fiducia filiale, ardente, poetico e pure sì rettamente rego-
lalo, che fu giudicato degno di porsi a stampa, e il vedemmo im-
presso. Co'suoi di casa, e specialmente colla madre, contessa Ma-
rianna Sardi, tutte rivelava le impressioni del suo spirito interno,
e i religiosi sentimenti onde regolava sua vita.
« Io non cesserò mai, le scriveva da Roma, di ringraziare il Signo-
re di avermi dito parenti così pii, così religiosi, che non hanno avuto
in mira che il bene, primo dell'anima mia, e gelosamente mi hanno
custodito. » E in un'altra, quando fu improvvisamente chiamalo a
Genazzano, con isperanza, che poi svanì, di far qualche colpo: « lo
andavo a battermi volentieri, e quantunque mi credessi vicino alla
pugna, sono sempre rimasto di buon animo, come se fossi a casa
mia. Mi faceva pena di non poter vedere i miei cari: ma la causa
IC. I FERITI E I MORTI DI MENTANA 433
che sostenevo mi avvalorava: mi dispiaceva ancora, che non avevo
avulo il tempo di confessarmi, mentre alcuni più furbi di me si era-
no sottraili al corvè, ed avevano messo in pari le loro partite. Ma
non era molto che mi ero confessato, ed avevo la coscienza tran-
quilla, e confidavo che Iddio avrebbe avuto misericordia di me,
pel sacrifizio che facevo della mia vita. » 0 anima bella e ge-
nerosa !
Gradiva di raccogliersi alcuna volta, a riconcentrare, com'egli
diceva, 1' anima sua nel Signore. « Vengo ora d ìgli esercizii spiri-
tuali di S. Eusebio, tutto consolalo e pienamente contento. Non
può credere quanta è stata la mia consolazione in questi giorni di
ritiro e di quiete. Ringrazio Iddio di avermi dato questa interna
consolazione, che mi dà colaggio di servirlo sempre più fedelmen-
te. Questa mattina in particolare è stata assai commovente la co-
munione generale, gli ultimi ricordi e la benedizione, tutto accom-
pagnato dal massimo raccoglimento e divozione di tutti (quasi tutti
giovani delle primarie famiglie di Roma : eravamo 58). Io ho fatto
un riepilogo generale della mia vita al P... uomo di gran santità e
dottrina, e molto pratico di gioventù, e ne sono rimasto mollo sod-
disfatto. Nella mia debolezza ho raccomandato a Dio, per quanto
potevo, la mia famiglia... »
Cosi intendeva Carlo la pratica della religione, quando già era
soldato; mentre che nell'esterno conversare occultava i tesori del-
l'anima sua, e nulla mostrava che snpesse di eccessivo o di male
acconcio ad usare cogli amici. Che anzi, la gentilezza del tratto e
la franchezza del conversare, il rendevano caro oltre modo alle bri-
gate. Sapeva molto innanzi, per giovane, nella letteratura, special-
mente italiana, che fu il suo studio più giocondo; conosceva la lin-
gua latina, la greca, la francese, la tedesca, di che sortì eccellenti
maestri nella sua casa ; nelle arti della danza e della musica attinse
alcuni principii, anzi per condiscendere a'suoi maggiori, che per ge-
nio che vi sentisse; ma bene applicò l'animo con felice riuscita alle
matematiche e alla filosofia: breve, all'età di 21 anno egli poteva
«ssere additato come uno de' più compiiti gentiluomini della suapa-
Serie VII, voi. XI, fase. 490. 28 9 Agosto 1870.
434 I CROCIATI DI SAN PIETRO
tria, che pure ne abbonda. Avventurosa l'Italia, clic l'ebbe per sua
rappresentante tra i prodi di Mentana.
Recossi egli in Roma, per diporto, nel 1861. Roma piena della
maestà di Pio IX, Roma animata dalla gioventù sceltissima concor-
sa a rilevare la bandiera di Castelfidai do, Roma minacciata sempre
e pericolante, adescò il suo cuore magnanimo; e la fiamma della
crociata sopraffece in lui ogni altro palpilo meno elevalo. Ottenne a
grandi istanze il consenso dei genitori; e fino all'ultimo fu crocialo
e solo crociato. Se dalle sue lettere si togliesse tutto ciò cbe riguar-
da la religione, il Santo Padre e le carezze alla famiglia, quasi al-
tro non vi resterebbe. Ma la prima risoluzione del dislacco non fu
senza interna lotta. Ècco in qual maniera la descrive egli stesso.
« Caro papà. Grandemente mi angoscia il pensiero di dover stare
separato alcun tempo dalla mia cara famiglia, di dover lasciare
quella tranquillità, quella pace, quell'affezione singolarissima, que-
gli usi nostri, il nostro pranzo, le veglie di famiglia, le colazioni,
tutti punti di riunione di famiglia... Ah queste e molle altre cose
sono a me per il presente, memorie carissime, e dolorose assai in la-
sciarle... La natura è impossibile che non si faccia sentire: la rico-
noscenza, l'amore dei genitori, della famiglia fanno palpitare ogni
cuore, strappano lacrime da ogni ciglio ; ma pure è d'uopo farsi co-
raggio, superare sé stesso... è necessario fondarsi nelle buone opi-
nioni, servire una causa santa e santificante. » Altre sue lettere
scritte in questi primi tempi di deliberazione, riescono veramente
eloquenti in esprimere le gioie della vita domestica, e i vivaci af-
fetti che lo stringono a ciascuna persona di casa, e l'acerbità del
restarne privo. Ma che? sopravviene il pensiero della religione,
della Chiesa, di Pio IX, ed egli alla cruda battaglia che « gì' impia-
ga il cuore, » fa succedere il trionfo della ferrea volontà : « Risogna
che mi distacchi da tutto: almeno il Signore gradisca questo sacri-
;_fizio!» Con tale purità d'intenzione cingevasi la spada il nostro
Carlo Rernardini , non ispinto , non chiamato da altra voce, che da
quella del suo cuore.
Intanto egli veniva presentato al Ministro delle armi, e n era ac-
colto con queste parole: « Sono molto contento di acquistarvi per
IC. I FERITI E I MORTI DI MENTANA 435
soldato: vorrei avere diecimila giovani come voi. » Il dimani fece
l'equipaggio, e parli pel quartiere di deposito in Velletri. Alcuna
volta, durante la milizia, ebbe agio di vedere e di baciare la mano
e il piede al Santo Padre: e allora ricordava la paterna bontà, on-
d' era stato confortato nella prima udienza; e brillando di gioia al
pensiero di potere un giorno scendere in campo a difesa di Pio IX,
ne scriveva tosto ai genitori: « Me felice, se potrò adoperarmi per
la causa che servo, prima di ritornare in seno alla mia cara fami-
glia! Questo è il mio sogno dorato. >> Più s' inoltrava, e più la no-
bile brama divampatagli in petto. « Questo statu quo (1865) co-
mincia a divenire noioso. Quanto sarei felice di esser utile alla cau-
sa che serviamo! Benché pochi e tenuti a vile da molti, quando an-
che noi riuscissimo a niente, serviremo almeno per protestare a fa-
vore di una causa, per cui è poco morire una volta sola... Chi nu-
tre sentimenti di attaccamento alla S. Sede, deve persuadersi che
le chiacchiere che si fanno a tavolino non fanno verun vantaggio
alla causa; ma ci vogliono dei fatti, ci vuol del sangue. »
In famiglia, dopo più anni di assenza, desideravasi vivamente
una sua visita. Carlo rispose: « In oggi che tutta l'Italia è in armi
potrei io starmene a casa inoperoso? Difendiamo la Chiesa! — Ma
non ci sarà niente. — E se ci fosse qualche cosa, ed io fossi costà,
che cosa farei ? diverrei pazzo per lo meno. » Dipoi, all'accendersi
della guerra, si rallegrò di non avere preso il congedo, giubilò al-
lorché seppe che il suo fratello Mai tino (allora maresciallo nei Dra-
goni e ora ufficiale) aveva avuto tempo di accorrere alla sua bandie-
ra, e supplicava i genitori di infondere sensi marziali nel fratello
Felice, più tenero di età, che tuttavia dimoravasi a casa 1.
Carlo mostrò all' opera la sincerità delle sue parole. Perchè, se
durante i cinque anni della vita di guarnigione egli destava di
sé ammirazione coli' alto sentire e ragionare della Crociata , col-
T animare i compagni a sperare la battaglia, e col ripetere tra suoi
1 Vedi parte delle sue lettere di questo tempo, riferite al capo XVI, L'al-
rarmi dei Crociati.
136 I CROCIATI DI SAN PIETRO
più Ciri, nulla esservi al mondo di più desiderabile che combalte-
re e morire per la religione; ora, venuto il suo tempo, trascinava i
camerati colla prontezza ai comandi, coli' ardore di combattere, col
valore sul campo. Spedito in guerra a Viterbo, si congedò dagli
amici, come ebbro di gioia: no' giorni di riposo era lutto in istrui-
re i suoi cannonieri, ne' giorni di fazione cavalcava briosamente ac-
canto al suo pezzo rigato, largheggiando coi subalterni di danaro,
tabacco, liquori, affine di averli baldi e animosi all' ora della pu-
gna. Le sue prime armi a Bagnorea le raccontammo a suo luogo;
ed anche ne' rapporti del suo colonnello comandante, troviam com-
mendati con distinta ed onorevolissima menzione « i marescialli di
alloggio Bernardini Carlo e Ambrosi Pietro, per la buona direzio-
ne al pezzo loro affidato, e per il coraggio che infondevano nei
soldati. »
Si sentì ferire nel profondo dell'anima, allorché gli fu signifi-
cato 1' ordine di abbandonare la provincia e piegarsi sopra Roma:
quando poi inlese che la mossa mirava a fronteggiare il nemico
presso la capitale, si riconsolò tutto ; ed il giorno 2 Novembre, in
leggendo il proprio nome tra gli eletti alla fazione di Mentana, più
non capiva in sé per l'entusiasmo. Ne recò la notizia al maresciallo
Greggi, anch' esso destinato alla partenza, e si annunziò portatore
della più lieta novella che desiderare si potesse; e tenutolo cosi un
tratto in espettazione: « Domani , disse , a quest' ora avremo già
combattuto, e vendicato i nostri. » Assai prima dell'ora posta eb-
be dato asselto al suo cannone, visitato le munizioni, gli attrezzi,
i fornimenti, rassegnato i suoi artiglieri; e dava mano ai camerati.
Nella marciata notturna resse lungamente le redini al cavallo del
Greggi, il quale per le moltiplicate veglie veniva sopraffatto da in-
vincibile sonnolenza: infine lo scosse un tratto: « Amico, e tu dor-
mendo vai incontro alla fortuna più desiderata? Aspetti a destarli ai
tuono del cannone ? »
Alle prime fucilate sfavillò di vivo fuoco nel volto , parve stu-
diare col guardo le posizioni, e cavalcò ratto ad un gruppo di uili-
ziali, cui pregò di fargli capitare il destro di puntare pel primo.
IC. I FERITI E I MORTI DI MENTANA 137
Foco stante l'ordine del Generale chiamavalo appunto all'onore
ambito. Levò gli occhi al cielo, salutò i compagni, e spronò oltre.
Trasfondeva l'ardire suo nell'animo altrui, lampeggiava nel sem-
biante, ed esponevasi innanzi a tutti: non si die un istante di respiro
durante le quattro ore di battaglia, finché Iddio noi ritolse a questa e
a tutte le battaglie, coronandolo nel riposo del cielo. Un suo came-
rata ci disse, che cadendo da cavallo per la mortale ferita, invocò
tuttavia il nome di Dio, e che il cadavere si trovò composto, come
d' uomo che si addormenta col sorriso in sulle labbra. Degno ca-
valiere della crociata! Allora fu tutto esaudito il voto eccelso della
tua ultima lettera alla madre, a di 22 Ottobre: « Non dubitino di
me, perchè il maggior male che possa cogliermi è la morte; e que-
sta non è da temere, ma bensì da invidiare, quando invece di co-
gliervi in un letto vi coglie sul campo, coli' ai mi alla mano, a di-
fesa di quanto vi ha di più caro e di più sacro. Spero che S. Pie-
tro, il quale tiene quelle somme chiavi, non ci chiuderà le porte,
allorché ci vedrà morti in difesa de' suoi Successori. »
Il corpo giacque da prima sepolto in fretta nel cimitero di Monte
Ro'ondo, distato solo dai fiori, onde i Zuavi e il loro cappellano,
monsignor Daniel, lo ricopersero, prima d'interrarlo. Ma un caro
amico, il maescialio Tambini, volò da Roma a riscuotere sì preziosa
reliquia, e sebbene con infinito travaglio, pure il rinvenne e il ren-
dette al fratello del defunto, alla famiglia, a Roma. Non riferiremo
qui la commozione della città alla novella di questa morte. Il conte
Carlo Bernardini, sottufficiale nell'artiglierìa pontificia, in età di an-
ni 26, e primogenito di sua famiglia, godeva di notabile sfera di
amici, non solo in tutti i corpi militari, ma eziandio nelle più no-
bili case di Roma: onde anche ai funerali, celebratigli nel lem-
pio dei Lucchesi, trasse elettissimo concorso; e il tumulo fu ono-
rato dalli forte eloquenza di monsignor Nardi. L'anima generosa e
pur modestissima di Carlo aspetta forse ora dal cielo, che alcuna
mano esperti racconti le sue virtù e i suoi meriti, o almeno aduni
attorno alla sua memoria le lettere sue, e quelle scritte in morte di
lui da' suoi genitori e dal fratello; e ciò per gloria duratura della
religione e della patria.
438 I CROCIATI DI SAN PIETRO
Perciocché Terrà tempo, giova sperarlo, che il popolo italiano
potrà laudare liberamente coloro che ora tacitamente ammira. Al-
lora coi rottami degli idoli bugiardi, profumali, ahi troppo! d' in-
censo vendereccio, si costruiranno piedestalli ai veri eroi ; a coloro
che, come Carlo Bernardini, seppero colle ali dello spirito levarsi
alto, disdegnando la pubblica viltà del tempo loro, e innamorarsi
della verità e della virtù, e per queste dare il loro sangue inconta-
minato. Breve giro di anni basterà per confondere nel comune dis-
pregio i famosi che ora dei loro gesti intronano il paese, plauditi
per le onte fatte alla patria : ma dopo lunghissima età, vivace e gio-
vinetta dimorerà la laude di Carlo; e niuna istoria di illustri Lucche-
si negherà di accogliere il suo nome in una pagina luminosa. Intan-
to noi additiamo il suo sepolcro all'Italia come un segno di conforto
a bene sperare: udita è in cielo la preghiera del sangue sparso. Alle
altre nazioni lo additiamo come una scusa, di che l'Italia abbisogna
al cospetto della cristianità. Dalla terra italiana, pur troppo! in gran
parte fu razzolata quell'orda sacrilega, la quale col ferro e coll'oro
del Governo mosse guerra al Vicario di Gesù Cristo, emulando le
intenzioni di Maometto II. Ma, viva Iddio! non si deve estimare un
popolo ne da'suoi tiranni, né dai maledetti del popolo istesso. Niu-
na nazione odiò i nemici di Pio IX più cordialmente che la italiana,
mentre i pubblici studii manifestaronsi, in tutti i modi possibili
sotto la tirannia, in favore dei crociati. E molti italiani, molti più
che non si credette oltre alpi e oltre mare, militarono, e non po-
chi morirono liberamente per la causa di Pio IX. Osiamo dirlo, e
all'uopo oseremmo giurarlo: se i padri italiani e le madri dovesse-
ro eleggersi un tiglio secondo il loro cuore, o come Carlo Bernardi-
ni, o come il suo uccisore ; appena V uno per mille, anzi neppure
l'uno per mille preferirebbe al martire il carnefice.
Ma se bella è la corona del crociato italiano, che noi , con ambi-
zione scusabile, riserbammo quasi a corona di tutte le altre, non
per questo la riputiamo o più eccellente, o da anteporre alle sue so-
relle. Dio solo conosce i suoi santi. E forse tale mori ignorato in
un solco, o senza fama si spense sopra un letto di ospedale, che
IC. I FERITI E I MORTI DI MENTANA 439
Dio pose alla testa della schiera gloriosa nel cielo. Quaggiù, come
i crociati di S. Pietro ebbero comuni le aspirazioni, i pericoli, le
morti; comuni altresì ottennero le esequie, prima dalla gratitudine
di Pio IX nella cappella Sistina, col concorso degli ufficiali romani e
francesi, e poi con solennissima pompa nella basilica Lateranense,
capo e madre di tutte le chiese, a nome dell'universo cristiano. Co-
mune sortirono l'omaggio dei funerali, in tutto il mondo, ma fune-
rali misti di plauso e di festeggiamento, come a riputati martiri si
conveniva: ei cenotafii dei morti della guerra sacra si innalzarono
adorni di lauro e di segni di trionfo, nelle cattedrali di Francia,
del Belgio, dell' Olanda, della Germania, dell' Irlanda e di fuori
T Europa. Il racconto delle quali dimostrazioni formerebbe assai
convenevole finimento al nostro racconto , come quello che asside
sopra ferma base il concetto della guerra romanogaribaldina : se
non che a noi sembra di averne assai discorso in addietro ; però
qui poniamo il termine della narrazione, finendo, come finì la guer-
ra, con Mentana.
RIVISTA
DELLA
STAMPA ITALIANA
L
Analisi fisiologica del libero arbitrio umano, del Dottore Alessan-
dro Heuzen, seconda edizione — Firenze 1870.
Pochi libri così bestiali, come questo, ci è accaduto mai di dover
leggere. E ciò non solo per i gravi errori che contiene, ma ancora
per la sciocca maniera di ragionare che segue. Benché il suo tema
principale sia la negazione della libertà; tuttavia per incidenza ne-
ga altresì l'immortalità e la spiritualità dell'anima umana, e per-
fino la esistenza di Dio. Ne è meraviglia; giacché gli scrittoli, a
cui egli si è ispirato, sono quanto ci ha di più abbietto in fatto d'in-
credulità, di materialismo e di scetticismo. D'IIolbac, Priestley, Hu-
me, Stendhal e simigliane. Che se talvolta gli accade di citare qual-
che autore cattolico, l'intende a rovescio, o a bello studio ne falsifi-
ca la dottrina. Siane esempio ciò, che riferisce di S. Tommaso. Do-
po aver citato un testo di Lutero, il quale fu acerrimo impugnatore
del libero arbitrio dell'uomo, soggiunge: « Ma Lutero ò un eretico,
dirà taluno; verissimo. Consultiamo dunque un santo, un Padre del-
la Chiesa, S. Agostino o S. Tommaso. Quest'ultimo parla cosi: Ad
primum sic proceditur: Videtur quodhomo non sit liberi arbitrii.
RIVISTA DELLA STAMPA ITALIANA 141
Quicumque enim est liberi arbitrii, facit quoti vult; homo non facit
quod vult. Dicitur enim: Non enim quod volo bonumJ hoc ago;sed quod
odi mainili, illud facio. Pi 'aeterea liberum est quod sui causa est, ut
dicitur. Quod ergo movetur ab alio, non est liberum. Sed Deusmo-
vet voluntatem. Praeterea quicunque est liberi arbitrii, estdominus
suonnn actuum; sed homo non estdominus suorum actuum 1. Avendo
riportate queste parole di S. Tommaso, per provare che il santo Dot-
tore negava la libertà umana, si guarda bene dall' indicare il luogo
dove un tal testo si trova. E ciò accortamente, aftinché il credulo
lettore si adagi in esso, senza esser tentalo di andarlo a riscontrare
nel fonte. Imperocché, si crederebbe? le anzidette parole, che dal
nostro dabben Autore sono recaie come esprimenti la dottrina di
S. Tommaso, in realtà non esprimono che le difficoltà che il santo
Dottore fa a sé medesimo, e quindi risolve dopo aver dimostrato
con invitti argomenti il libero arbitrio dell'uomo. Ognuno può con-
vincersene andando a riscontrare la sua Somma teologica, parte
prima, questione ottantesima terza, articolo primo. Quivi S. Tom-
maso si propone la quis'ione: Utrum homo sit liberi arbitrii.
Quindi, secondo l'usanza che egli tiene in quest'opera ed in altre,
comincia dal recare le obbiezioni che potrebbero farsi in contrario;
e sono appunto quelle riferite qui dal nostro Herzen, insieme a due
altre ohe questi omette. Contro di esse ricorda da prima quel testo
della Scrittura: Deus ab initio constituit hominem et reliquit eum
in manu consilii sui 2. Quindi viene a rispondere al quesito propo-
sto in principio, e a stabilire la propria dottrina : Respondeo: Dicen-
dum quod homo est liberi arbitrii. Per dimostrarla ricorre in
primo luogo a prove a posteriori, in quanto se così non fosse, in-
utili sarebbero le consultazioni, le esortazioni, i precetti, le proi-
bizioni, i premii e le pene. Alioquin frustra essent Consilia, exhor-
tationes, praecepta, prohibitiones, proemia et poenae, cose tutte
che presuppongono l'uomo dotato di libero arbitrio, in quanto il
presuppongono padrone e causa determinante de' proprii atti. Pas-
1 Pag. 29.
2 Eccl. 15.
442 RIVISTA
sa poscia a provar la tesi a priori, dimostrandola come conseguenza
della natura stessa dell'uomo, in quanto è dotato di ragione, con-
chiudendo con queste parole: Necesse est quod homo sit liberi ar-
bitrii, ex hoc ipso quod rationalis est. 11 che egli rende evidente in
questo modo. Ci ha degli agenti, i quali operano senza previo
giudizio, per esser privi di conoscenza, come i minerali e le piante.
Ci ha inoltre agenti, i quali operano con previo giudizio, ma istin-
tivo e determinato ad unum. Tali sono i bruti animali, i quali go-
dono di sola conoscenza sensitiva. E così la pecora veggendo il
lupo, lo fugge come nemico per semplice naturale istinto. Ora l'uo-
mo, essendo dotato di conoscenza non solo sensitiva ma altresì
razionale, opera con previo giudizio formato dalla deliberazione
della ragione, e però tale che non è determinato ad uno, ma ri-
guarda aspetti opposti. Quindi egli ha facoltà di eleggere l'una
parte o l'altra. 1/ indifferenza del suo volere è corollario dell' in-
differenza del suo giudicare ; giacché la ragione , apprendendo
l'obbietto secondo l'intrinseco suo valore, non può non riferire co-
me appetibili o disprezzabili i beni particolari e contingenti, riguar-
dati per loro stessi. Particularia operabilia sunt quaedam contin-
gentia ; et ideo circa ea iudicium rationis ad diversa se habet, et
non est determinatimi ad unum.
Dimostrata così la tesi della libertà umana, passa il S. Dottore a
sciogliere le difficoltà proposte in principio, e che l'Herzen con fro-
de così vergognosa, o con errore così ridicolo, ha portate quasi
fossero argomenti. E quanto alla prima, risponde coli' interpretazio-
ne di S. Agostino, cioè che l'Apostolo in quel luogo parla della ten-
denza sensitiva, la quale appetisce il contrario di ciò che prescrive
la ragione; e in questo senso è detto: non il bene, che voglio, io
opero, ma il male che abbonisco. Quanto alla seconda (che pro-
priamente nell'articolo di S. Tommaso è la terza) risponde, che
l'uomo muove sé stesso ad operare colla libera elezione, benché sot-
to l'influenza di Dio, che concorre con lui. Di che segue che V uo-
mo neir operare est causa sui, non prima ma seconda, e ciò basta
all' esercizio della libertà. Tanto poi è lungi che il concorso divino
tolga la libertà dell'ente ragionevole, che anzi la produce; giacché
DELLA STAMPA ITALIANA 443
la causa prima influisce, secondo l'esigenza del subbietto in cui in-
fluisce. E però siccome Dio concorrendo colle cause tisiche non fa
che l'azione non sia propria di queste; così concorrendo colle cause
libere non fa che l'azione non sia determinata dalle medesime. Alla
terza risponde che l'uomo non è padrone dei suoi atti, quanto al-
l'esecuzione delle sue elezioni, nella quale può ricevere impedimen-
to da esterna cagione, voglia o non voglia; non già quanto alle ele-
zioni stesse, le quali procedono da lui e sono in lui.
Or noi dimandiamo : e credibile che il sig. Herzen nel legge-
re quest'articolo di S. Tommaso fermasse gli occhi sopra le sole
obbiezioni, riputandole in buona fede argomenti, senza che trascor-
resse cogli occhi due righi appresso, d'onde si sarebbe tostamente
accorto del preso abbaglio? Credat ludaeus Apella. L' accusa di
frode qui ci sembra inevitabile; e una frode sì turpe e sì grosso-
lana non dovrebbe coprir di vergogna uno scrittore per guisa, che
più non osasse di comparire nel pubblico? Ma veniamo alle prove
intrinseche onde l'Autore conforta 1' assunto suo.
Egli nella prefazione si lamenta che finora le sue prove non fu-
rono esaminate nel loro proprio valore. « Le conclusioni (son sue
parole) che ho cercato di appoggiare con una breve esposizione dei
fatti d'onde scaturiscono, sono state violentemente attaccate, non
dico criticate, giacché non vi fu vera critica, anzi nessuna opposi-
zione seria, nessun esame del metodo, nessun apprezzamento del va-
lore delle prove addotte, nessun indizio di osservazioni o di speri-
menti, contrarli a quelli da me citati 1. » Coteste querele ci mossero
a leggere con particolare attenzione il suo libro, per intendere bene
il metodo e la forza delle sue piove. Ma con nostra meraviglia rin-
venimmo che il metodo consiste nel batter la campagna fuor di pro-
posilo, e le prove sono riposte in gratuite asserzioni, o patenti sofi-
smi. Egli fa una lunga descrizione del sistema nerveo; del modo,
ond'esso riceve le impressioni esterne o reagisce sulle medesime; ci
racconta i fenomeni, che si manifestano in una ranocchia, a cui siano
tagliate ora le radici anteriori ed ora le posteriori del nervo sciati-
1 Pag. 5.
444 RIVISTA
co, ovvero in una lucertola in cui si distrugga il cervello o la mi-
dolla spinale ; parla del modo, onde si genera lo starnuto, il grido,
la tosse, lo sbadiglio, il vomito e non sappiamo che altre; e con ciò
crede o ama dar a credere di aver fondate nella fisiologia le sue
conclusioni, contro la libertà delle azioni umane. Venendo poi di-
rettamente alle prove, egli in sostanza non fa che procedere per
una serie di confusioni. Egli confonde la forza colla materia, argo-
mentando dalla congiunzione all' identità. La materia, egli dice,
non è possibile senza una forza ; dunque l' una non si dislingue dal-
l'altra. Confonde il principio di vita e di senso nell'animale coll'or-
ganismo, che informa ; argomentando dalla dipendenza alla mede-
simezza. Le funzioni vitali e sensitive non si esercitano senza
alterazioni organiche; dunque non sono che il risultato delle me-
desime. Confonde 1' intelligenza col senso ; argomentando dalla
participazione all'eguaglianza. Nel bruto ci ha una tal quale ana-
logia ed imitazione imperfetta delle operazioni razionali dell'uomo;
dunque la ragione non si differenzia essenzialmente dal senso. Con-
fonde la causatila colla necessità ; argomentando dalla sufficienza
alla determinazione. La causa deve bastare a produrre l'effetto;
dunque non può non produrlo. Eppure bastava una leggera rifles-
sione per fargli intendere che anzi la causalità sarebbe distratta nel
suo principio, senza la supposizione della libertà; perchè la causa
necessaria ha ragione di causa non principale ma islrumentale,
attesa 1' esigenza che inchiude di un' altra causa, da cui abbia
ricevuta la determinazione. Onde è impossibile che esistano cause
necessarie, senza che esista una causa libera. Confonde l'aiuto col-
la coazione, argomentando contro i suoi avversarli dalla necessità
del concorso divino all' esclusione del concorso umano. Voi am-
mettete che senza l' influsso di Dio non potete operare ; dunque
dovete ammettere che non influite nulla nelle vostre elezioni. Con-
fonde la ragion motiva colla ragione necessitante, argomentando
dall'attraimenlo d'un bene richiesto nelle nostre volizioni, all' im-
possibilità di resistervi. Eppur bastava osservare che qualsiasi be-
ne finito, ravvisato da noi come non necess inamente connesso
colla nostra felicità, può per questo stesso da noi disprezzarsi,
DELLA STAMPA ITALIANA 445
benché per esser bene possa da noi appetirsi. Né la scelta del-
l'una parte, piuttosto che dell'altra, è cieca e non ragionata, sì
perchè sta in mano nostra far prevalere nella nostra apprensione
le ragioni del prò a preferenza del contra; sì perchè, anche pre-
scindendo da ciò, l'accettazione o rifiuto del bene proposto ha sem-
pre sufficiente motivo nella sua bonlà e nella sua deficienza, e ba-
sta guardare all'una non curando dell'altra per avverarsi.
Come nelle prove l' Herzen è proceduto a via di confusioni ; così
ancora procede per confusione nella risposta che dà ai difensori
del vero contrario.
Il libero arbitrio dell'uomo è un fatto d'immediata evidenza.
Ognuno sente da sé medesimo che nelle sue deliberate appetizioni
non solo egli è quegli che vuole, ma che egli è quegli che determi-
na sé stesso a volere. L' Herzen audacemente asserisce che ciò av-
viene per inganno e illusione. Un' illusione che occupa tutto il ge-
nere umano, intorno a un fatto presente in sé medesimo alla coscien-
za, è cosa veramente da far ridere le telline ! E nondimeno questi
filosofi protestano di non seguire altra norma, che l'esperienza. Per
render credibile un tale ing inno del genere umano, l'Autore ricorre
all'illusione dell'immobilità della terra. Ma il caso è ben diverso.
Qui non si trattava di un fatto d' immediata esperienza, ma di un
fatto da conoscersi per discorso. Sia che si movesse, sia che non
si movesse la terra, 1' apparenza dovea esser la stessa; e all'appa-
renza appunto si fermano i sensi. L'inferire da essa l'una parte
più tosto che l'altra dell'ipotesi, era una temeraria illazione: e in
cose tali la moltitudine non solo degli idioti ma ancora dei dotti
può errare, quando le premesse, a cui ricorrono e da cui dipende il
raziocinio, non sieno bene assodate. Ma il caso nostro è tutt' altro.
La libertà stessa della elezione costituisce il fatto, sentito dalla co-
scienza. L'Herzen aggiunge che egli ed i suoi consorti non sentono
nn tal fatto. Sarà. Ma se una tale eccezione bastasse a infermare
la testimonianza del genere umano; ogni manicomio formerebbe un
argomento ineluttabile contro il valore della ragione nel!' uomo.
L'Herzen da ultimo confonde gli eretici coi cattolici, dicendo che
per questi « è articolo di fede di credere che l'uomo non è libero
446 RIVISTA
che nel fare il male, menlre il fare il bene dipende dalla grazia
divina, che deve non solamente predispone, ma anche addirittura
determinare 1' azione 1. » A smentirlo basta il Concilio di Trento,
laddove defluisce poter Y uomo liberamente assentire o dissentire
alla grazia in lui operanle 2.
Il nostro Autore confonde il pregio fisico col pregio morale e la
semplice appartenenza coli' imputazione. Imperocché movendosi la
obbiezione, che negala la libertà non ci sarebbe più merito né deme-
rito nelle azioni umane, risponde che « l'azione rimane egualmente
stimabile o spregevole per ogni persona educata, astrazion fatta dal
suo credere o non credere che le azioni tutte provengono oppure no
dal libero arbitrio 3. » E a provar ciò, reca l'esempio del canto
dall'usignuolo e del raglio dell'asino. Ma la cosa è ben differente ;
giacché nessuno dà lode all'usignuolo, perchè canta sì gradevol-
mente, né vitupera l'asino perchè ci offende l'udito.
Una consimile confusione egli fa, rispello ad un'altra obbiezione
cioè che secondo la sua teoria si perderebbe il concetto di ricom-
pensa e di pena. Egli risponde che noi puniamo e ricompensiamo
anche i bruti animali, benché non li stimiamo dotali di libero arbi-
trio. Quindi conchiude: « Voi punite l' uomo per la medesima ra-
gione per la quale punite il cane, per disfarvi del pericolo di esser
esposti alla sua traviata attività; la sicurezza sociale lo richiede in
modo imperioso, senza preoccuparsi menomamente dell' esistenza o
non esistenza del libero arbitrio 4. » Magnifica dottrina per la digni-
tà dell'uomo e per la norma della giustizia distributiva! Ma diman-
diamo a chiunque ha fior d' intelletto se sia questo il concetto che
ha il genere umano nel premiare i buoni e gastigare i catini?
E qui facciam fine, senza noiare più i lettori con la narrazione di
siffatte stoltizie, distruggi tri ci di ogni ordine morale pel rimuover
che fanno la distinzione tra la semplice perfezione o difetto e la per-
fezione o difetto di cui il soggetto stesso sia autore, atteso il domi-
1 Pag. 156.
2 SessioVI, De iustifi catione.
3 Pag. 157.
4 Ivi.
DELLA STAMPA ITALIANA 447
nio che ha sopra il suo operare. Simigliante lordura di libri mostra
lo stato misero in cui son cadute e sempre più van cadendo le scien-
ze nell'Italia rivoluzionaria.
II.
Caroli àloisii Morichini Cardinalis, Aesinatium Episcopi, Petrei-
dos libri III ad Pium IX P. M. — Accedunt Carmen de Mar-
tyribus Sebastenìs et epistolae tres ad Auctoris fratres.
Un poema sopra S. Pietro è sempre opportuno, o si consideri
sotto l'aspetto sociale, o sotto l'aspetto religioso. E in vero il cri-
stianesimo, secondo l'unica e vera sua forma, che è la Chiesa cat-
tolica, è una grande società, sparsa per tutto il mondo, e società
religiosa, la quale non solo ha origine da Pietro, capo e principe di
coloro, che ebbero da Cristo il mandato di stabilirla; ma anche da
Pietro, il quale colla sua virtù e autorità vive e vi vera sempre nei
suoi successori, ha costantemente Tessere, il modo e la forma di
tal società. Come dunque in nessun tempo i popoli cristiani posso-
no essere estranei a Pietro, non solo avuto riguardo al loro passato,
ma ancora al loro presente ; cosi in nessun tempo possono essere
estranei alle sue glorie o indifferenti ai suoi trionfi. Con tutto ciò
non sappiamo se in tutti gli annali ecclesiastici si possa trovare un
complesso di circostanze più opportune di quelle, che al presente
offre l'età nostra, per celebrare con epica tromba il Principe degli
Apostoli. Poiché è vero che il principato di Pietro, e vogliam dire il
romano pontificato, ha traversato i secoli lottando sempre e sempre
vincendo, obbietto per conseguenza di odio per alcuni, di amore per
altri, e di ammirazione per tutti ; che sono gli elementi della gran-
dezza e dell'interesse: non mai però, come nei nostri tempi, la cau-
sa del pontificato è stata tanto popolare, né mai si sono vedute così
immedesimate in ogni classe di persone o sia le lotte che ha dura-
te, o sia i trionfi che ha conseguiti : donde proviene una grandezza
ed un interesse specialissimo. A che si aggiugne, che sebbene in
tutti i secoli precedenti il romano pontificalo è stato sempre consi-
448 RIVISTA
derato come il seggio e il centro delle dottrine rivelate, e da esso
il mondo ha in ogni tempo aspettato gli oracoli della vera fede,
ora però per la prima volta questo suo divino privilegio ò slato
proclamato da un Concilio universale, con un decreto così reciso,
che sieno rese impossibili tutte le ombre, con cui pel passalo si
cercò di oscurarlo. Il qual decreto non solo -è stato accolto con
infinito amore dalla gran maggioranza de' popoli cattolici, dopo
ch'è stato pubblicalo, ma innanzi che fosse bandito venne sollecita-
to colle fervide preghiere dappertutto innalzale a Dio, colle univer-
sali manifestazioni della inconcussa fede che vi aveano, e colle mo-
deste preghiere, inviate da ogni luogo al trono apostolico.
11 che così essendo, non potea incontrare 1' Eminentissimo Car-
dinale Monchini tempo più favorevole del presente, per dare alla
pubblica luce la sua Epopea sopra S. Pietro, ch'è quanto dire non
solo sopra colui che è il primo della serie de' romani Pontefici, ma
in cui si fonda la ragione di tulli i privilegii ad essi conferiti da Cri-
sto. E però crediamo di far anche noi cosa gradita ai nostri lettori
col trattenerli alquanto di questo Poema, analizzandone brevemente
il tutto e le parti, e recandone, in saggio dello stile, qualche tratto
particolare.
Il Poema è circoscritto negli ultimi mesi della vita di Pietro, ed
ha per fine principale il trionfo di lui per mezzo del martirio, il
quale allo slesso tempo è trionfo della Chiesa romana, da lai fon-
data, in quanto per la sua morte diviene la Sede de'romani Pontefi-
ci, Capi della Chiesa universale. Il nodo per conseguenza è costi-
tuito da ciò che Pietro opera per dar l'ultima mano allo stabili-
mento della Chiesa di Roma, e dall' opposizione che incontra nella
Roma pagana, rappresentata principalmente da Nerone. Con questi
due elementi si rannodano i fatti subalterni, i quali possono essere
considerali come episodii sì veramente, ma episodii assai stretta-
mente collegati colf azione principale.
Il poeta dopo la proposi/, one, in cui ò formolato il concetto, da
noi poco fa esposto, del Poema, e fattane la dedicazione al regnan-
te Pontefice Pio IX, s'introduce con una spledida descrizione della
pasquale solennità celebrata da Pietro, nel palazzo del senatore Pu-
DELLA STAMPA ITALIANA 449
dente, insieme co' più eletti personaggi della Chiesa romana. Ecco-
ne una parte solamente :
Attalicis ergo peplis floramque coronis
Ornatur paries, festaque virentia myrto
Marmora calcanlur, rubeis aut strata tapetis ;
Innumeri cera lychni flammante coruscant,
Et locus unguentis arabumque vaporibus halat.
Laevìbus hic iignis triplici veloque nivali
Obtectae, adsimiles arcae tolluntur et arae,
Et super effundunt septem funalia lucem.
Has prope sacra parant insculptis aurea signis
Vasa; resurgentis Christi quae facla retractant.
Et vacuum in pateris excisa rupe sepulcrum,
Caelestisque chori iuvenes bine inde sedentes ;
Et positum capiti velum, quaeque unguine multo
Condita obvolvere sacrum nova i ì n tea corpus,
Et stratus terris nimia formidine custos,
Mugit ubi lelius tremitìi et concussa dehiscit.
Orai us haec, Christo peperit quem Paulus Athenis,
Cornell iussu caelato sculpserat aere.
Interea pia turba genu deflexa ferebat
Mimerà Pontilici, panebaei thuris odores,
Auratisque cadis vinum et cerealia liba,
Et parcis fabricata apibus flammantia dona 1.
Compiuta la celebrazione dei divini misteri, fra i quali Pietro
esortò con calde parole i fedeli ed istituì parecchi Vescovi, sul faro
del giorno si scioglie l'adunanza. Cominciavano appunto allora in
Roma pagana le feste Florali, solite celebrarsi dai popolo con estre-
ma licenza, pochi dì prima delle calende di Maggio, in onore della
dea Flora, a cui era sacro quel mese. Le due folle s'incontrano nel-
le medesime vie; ed il Poeta coglie questa occasione per mettere
in mostra le differenze dell'una e dell'altra, e fai e una bella allusio-
ne alla pia consuetudine de' nostri tempi di consecrare il mese di
1 Pag. 9, Lib. I, vers. 67.
Serie VII, voi. XI, fase. 490. 29 11 Agosto 1870.
430 RIVISTA
Maggio all'onore ed agli ossequii di Maria Santissima, quasi in ri-
parazione degli scandali di quelle feste gentilesche. Intanto Pietro,
al quale era noto per divina rivelazione approssimarsi il tempo della
sua mortale peregrinazione, dà opera a raffermare sempre più i fe-
deli nella legge di Cristo; ed il Poeta enumera brevemente varii
luoghi di convegno, dove, secondo le antiche tradizioni il santo Apo-
stolo era solito di recarsi per ammaestrare i diversi gruppi di quel-
la fervorosa cristianità.
Dall'altro canto Simone il mago faceva ogni sforzo per impedire
i progressi del cristianesimo, e frastornare dalla scuola dell'Apo-
stolo i già convcrtiti. I mezzi più efficaci da lui adoperati sono i pre-
stigi, che gli acquistavano fra il volgo fama sempre maggiore di
uomo divino. Ma le sue arti rimangono senza effetto contro i veri fe-
deli, e sono pubblicamente sbugiardate da Pietro, il quale in prova
della divinità di Cristo risuscita un morto, che Simone indarno
avea promesso di richiamare in vita per accreditare la sua falsa
dottrina. Fruiti anche felici, benché non tanto copiosi raccoglieva la
predicazione di Pietro presso i suoi connazionali. In pruovaè ripor-
tala la conversione di Gamaliele, uno dei principali maestri della
legge, il cui esempio è seguito da una gran moltitudine di Giudei.
Ma intanto Nerone, che falsamente fu creduto esser perito per
naufragio, ritorna all'improvviso a maniera di trionfante dall' Acaia e
si disfrena in varii generi di stranezze e di follie. Nel medesimo tem-
po siccome Tigellino ed Elio, nimicissimi di Pietro e della religione
di Cristo, si accordano insieme di perdere l'uno e sradicare l'altra
dal mondo: a questo fine riesce loro opportunissimo il ritorno di
xNerone, che Simone dall'una parte procaccia di guadagnarsi coi
suoi falsi prodigii, e dall' altra tant'egli, quanto i due suoi amici si
argomentano per ogni via di commovere ad odio sempre maggiore
contro Pietro e i cristiani.
In questo mezzo Nerone avea concepito il crudele disegno d'in-
cendiare Roma a fine di rinnovarla. Egli ne tiene proposito con quei
tristi, e da essi è confortato a metterlo subitamente in opera, e ro-
vesciarne dipoi, per frastornare da se il pubblico odio, tutta la col-
pa sopra i cristiani. Le scene dell'incendio, de'casi crudeli de'citta-
DELLA STAMPA ITALIANA 451
dini, e de' supplizi! atrocissimi del tiranno fatti soffrire ai cristiani
in pena del suo delitto, sono delle più belle del Poema. Ecco come
comincia la descrizione dell'incendio.
Nox erat; et nil triste timens Urbs tota qiuetos
Captabat somnos; quum dira facessere lussa
Incipiunt taciti pacta mercede ministri.
Hic alii sarraenta ferunt sulphurque picemque;
Hic alii rapiunt ipsis penetralibus ignem,
Coniiciuntque faces, et segnes Aelius urget.
Parte Tigellious diversa congerit aere
Multa cavo, facilem prunis flammantibus escara,
Et stuppara taedasque parat : Polycletus et agraen
Conscius et Simo iungit. Tura nota Tyrannus
Dat signa e turri, subitoque ad sidera fumus
Erigitur, laxisque t'urit vulcanus habenis.
Haud aliter si forte faces flaventibus arvis
Iactentur dum piena seges, citus emicat ignis,
Et sata carpit edax hominumque boumque labores:
Nititur agricola incassimi, nec viribus ullis
linda potest tantam carapis prohibere ruinam:
Sic volitant tremuìae caeli ad convexa favillae... 1
Ma lungo sarebbe riferire tutte le circostanze particolari e i di-
versi episodi!, che il Poeta tratteggia per rappresentare al vivo gli
orrori di quella notte, e fra le orride cose la più orrida di tutte, Ne-
rone, il quale vestilo da istrione contempla dall'alto della torre di
Mecenate il lutto e lo scompiglio della città, cantando insieme al
suono della cetra alcuni suoi versi sull'incendio di Troia. Alle quali
atrocità tiene dietro il crudelissimo eccidio de' cristiani, come si è
accennato pocanzi. Assai commovente è il racconto che il Poeta ne
fa: noi ne citeremo la sola conclusione, nella quale sono indicati gli
effetti soprannaturali che gli esempii di questi martiri ispirano an-
che adesso a chi visita i loro antichi sepolcri.
1 Pag. 41, Lib. II, vers. 118.
452 RIVISTA
f
Monumenta tuorum
Haec libi, Roma, patrum sint baud peritura per acvum,
Mirentur thermas alii, mirentur et arcus
Templaque pyramidasque alque aita palatia regis.
Yos decus, o Hypogaea, meae quae condì lis almos
Athletas fidei, magnae vos gloria Romae.
ilaec mihi relligio atque animi solamen amari
Mortalis dum tanta premunt incommoda vitae.
Has caveas penetrare li bel, quam saeva tulistis
Supplicia excolere atque effuso sanguine palmas,
Et prece secrelis venerarier ossa sepulcris.
Haec ego dum re peto fluxis fiducia rebus
Mente cadit: nec honos nec copia divitis auri
Allicit, aut quae corda rapit vesana cupido.
Yos recolo : augeturque fides tlammisque renascens
Corda fovet caelestis amor, spesque erigi t una
Me socium yobis aeterna in luce futurum 1.
In mezzo a lauta desolazione che farà Pietro? Un generoso pen-
siero lo invita a presentarsi al tiranno, il quale o sarà mosso dalle
sue parole, e desisterà dalla strage de'crisliani; o almeno, se rimarrà
duro, avuto nelle sue mani il Capo de' cristiani, e immolatolo alle
sue ire, potrà più facilmente risparmiare gli altri. E già era sul
punto di compiere il suo disegno, quando gli viene incontro il suo
santo ospite Pudente, il quale con gravi ragioni lo dissuade da quel
proposito, in quanto senza salvare niuno de' suoi perderebbe irrepa-
rabilmente sé stesso, principalissimo appoggio della Chiesa nascen-
te. A queste preghiere del Senatore aggiungono le loro la sposa di
lui e le due vergini figlie, e finalmente i due coadiutori di Pietro
Lino e Cleto, i quali coli' esempio e col consiglio lasciato dal divino
Maestro, lo esortavano anch' essi a porsi in salvo, per non esporre
la Chiesa a perdere il suo Capo, quando ne è maggiore il bisogno.
Nel mentre che Pietro, rendulosi a tanle istanze, di notte tempo
e tutto solo si ritira da Roma in cerca di un sicuro rifugio. Satana
1 l'oc. 16, Lib. II, ve rs. 286.
DELLA STAMPA ITALIANA 153
si fa presente a Simone per avvertirlo essere quello il tempo più pro-
pizio di macchinare l'ultimo sterminio della religione di Cristo, ve-
dovata de' due più forti campioni ; di Pietro cioè, che fugge da Ro-
ma per evadere dal pericolo, e di Paolo, il quale da più tempo sta
chiuso in oscura prigione, e presto sarà dannato all'estremo sup-
plizio.
Questi conforti accendono vie più il rio talento di Simone e dei
satelliti suoi, per l'opera de' quali la persecuzione diventa più ge-
nerale e più fiera. Il Poeta nondimeno interrompe per poco questa
dolorosa narrazione, facendo cadere in questo tempo la venuta dal-
l' oriente di quel Cornelio centurione, che fu il primo gentile aggre-
gato da Pietro alla religione cristiana. Queste ed altre insigni opere
dell'Apostolo, come altresì la prodigiosa liberazione del medesimo
dalla carcere di Gerosolima, sono da lui con molta commozione rac-
contate nella casa di Pudente. Un altro peregrino giunse nel mede-
simo tempo da Milano, inviato a ragguagliare la Chiesa eli Roma
dello stato della cristianità in que' luoghi, durante la persecuzione,
e delle illustri vittorie conseguite da' più insigni combattitori della
fede. Descrive in particolare i martini de' due santi fratelli Gerva-
sio e Protasio, del loro padre Vitale, di Nazario e del fanciullo
Celso.
Intanto Simone, credendo che Pietro fosse lontano, ne potesse
perciò impedire i suoi prestigi, avea promesso a Nerone di levarsi
in alto sino al cielo al cospetto di tutto il popolo, e dare così una
pubblica pruova della sua origine celeste e della verità di quanto
avea insegnato. Ma egli non sapeva, che il santo Apostolo non si
era che per poco allontanato dalla città, indotto a tornarvi dallo
stesso divin Redentore, il quale datoglisi a vedere in quella fuga
colla croce sulle spalle, gli fé intendere che fra poco lo dovrebbe
colà imitare col medesimo genere di morte. Il Poeta descrive con
molta verità di espressione la gran folla del popolo accorsa il dì
prefisso allo spettacolo con gran rumore annunzialo, la espiazione
di tutti, massime dell'Imperatore, gli scongiuri fatti dal mago, il
suo improvviso levarsi al cielo, e poco stinte la miseranda fadata
alla semplice preghiera di Pietro. Recitiamone alami tratti.
451 RIVISTA
Qua Tarpeia foro rupes supereminet alto,
Et Capitolini propter Iovis inclyta sedes
Emicat, inde Magus liquidas se tollere in auras
Spondei et aetherias enando vincere nubes,
Ergo luce stata vix caelo aurora rubescit,
Plebs stipata frequens incensa cupidine monstrum
Visendi, plateas complet vicosque propinquos,
Turrenum Tuscumque et tetro a carcere dictum
Mamertis, sacramque viam vicinaque circum
Compita
Ipse Nero turri populo spectabilis alta
Aurata insidit sella; praetoria circum
Àgmina stant armis fulgentibus; Aelius hinc et
Inde Tigellinus; tyrio rex murice tincta
Veste rubet, cupido Simonem lumine lustrat.
Ore habituque tumens comitaniibus ibat amicis
Coniector, summique Iovis delubra petebah
Hic taurum ingentem velatimi cornua vittis,
Nigrantem tergo solemnes mactat ad aras,
Sanguinem et effundit patera... 1
Dopo questi sacrifizii nel tempio, e fatti gl'incantesimi nel bosco
attiguo al medesimo tempio, il mago si leva inailo sopra un cocchio
infocato:
Igneus en subito currus flammantibus actus
Visus equis, rapitur Simo atque assurgit in auras
Insuetum vectus per iter, praevertit et euros.
Illum quadriugis pronum dare lora luentur,
Pallia dum levibus volitant ludibria venlis 2.
Ma egli non regge alla preghiera di Pietro, il quale insieme con
Paolo, fallosi anch'esso presente per divino miracolo in quel luogo
1 Pag. 72, Lib. HI, vers. 217, 244.
2 V. 269.
DELLA STAMPA ITALIANA 4o5
indirizza una fervida preghiera ai Signore, acciocché frastorni il
diabolico prestigio, e non permelta la illusione di tanto popolo. Il
Signore esaudisce la domanda de' suoi servi : ed ecco come il poe-
ta ne descrive l'effeilo.
Haec in ter subito miscetur turbine coeìum,
Horrenduraque tonat ; nubes ferrugine telra
Ignitos currus, aurigara obvolvit equosque;
Praecipitique ruit perculsus fulgure Simo
Cruribus effractis, attritus corpore loto
Caesaris ad soìium infeìix ruit: atra cruore
Terra rubet, guttis tegmen regale made cit...
Sed sancii Heroes casum ut novere, Tonanti
Persolvunt meritas grates et poplite flexo
Procuuibunt. Facti testis mollescere visa
Dura siìex, genuumque Petri vestigia ferre l.
Questo trionfo di Pietro sopra le diaboliche arti di Simone acce-
so vie maggiormente gli amici di costui nel desideiio di perderlo.
Né fu difficile gettargli le mani addosso. Il santo Apostolo conscio
del divino decreto, che segnava prossimo il termine della sua mor-
tale carriera, non prese veruna cura per sottrarsi alle indagini dei
suoi nemici. Fu dunque preso, e carico di catene cacciato nel car-
cere Marne r tino, per attendervi insieme con Paolo la sentenza di
morte. I pochi giorni che intanto rimanevano furono da Pietro im-
piegati nel provvedere all'avvenire della Chiesa, scrivendo a que-
st'uopo l'ultima sua epistola e dando gli opportuni ammaestramenti
a Lino, a Cleto e a Clemente che gli doveano succedere nel ponti-
ficato, e consolando il resto de' fedeli, contriti tiss'mi per la vicina
morte di lui e di Paolo. A questo fine il poeta finge che il senatore
Pudente, ispirato da lume superiore, rivelasse a que' fedeli le glo-
rie della Chiesa romana e del romano Pontificato : Pict o poi rivela
in guisa speciale i tratti principali dell' illustre governo del regnan-
te Pontefice Pio IX, e fra questi particolarmente la definizione dom-
1 V. 290.
456 RIVISTA
matica della immacolata Concezione di Maria SS. e la celebrazione
dell'ecumenico Concilio vaticano. I quali passi reciteremmo per in-
tero, se non ci prendessero troppo spazio. 11 Poema si compie col
glorioso martirio de' due Apostoli, donde ogni ragione di grandezza
e di primazia della Chiesa romana. La memoria di quel trionfo è
rinnovata ogni anno con solenne festeggiamento; ma lo fu massi-
mamente nel 1867, compiendosi in quell'anno il decimottavo secolo
dal memorabile avvenimento. Allora appunto l'eminentissimo auto-
re terminava di comporre il suo Poema : il che gli fornisce un de-
licato pensiero per un' ultima conclusione, che è la seguente :
Haec ego Romana Petri de sede canebam,
Quum tenet hanc Pius, atqae decem post saecula et odo.
Iam revoluta Petro solemnem instaurat honorem
Plusquam alias: Christi grex omni e litore Romani,
Pastoresque sacri adproperant, densaque corona
Pontitici Patres adstant, quos purpura cingit.
Hos inter 1 cet immeritum me maxima Roma
Tempore post longo, atque extorrem excepit alumnum.
Tunc, Petre, versiculos devoti pignus amoris
Quamvis parva tuo referebam dona scpulcro 1.
Diremo poche altre parole intorno ad un Carme ed a tre sermo-
ni che seguono dopo il Poema.
Il Carme celebra poeticamente i quaranta Martiri di Sebaste ; so-
migliante nello stile, nella espressione e nella virtù di muover gli
affetti, alla Petreide. I due sermoni che seguono, l'uno intitolato
Fraga, l'altro Arx Plautina, ritraggono buona parte delle bellezze
delle Georgiche virgiliane; ed il primo descrive con molla proprietà
varie specie di fragole, ed il secondo l'ameno soggiorno della villa
di Castelplanio, dove l'eminentissimo Autore suole passare alcuni
giorni dell'anno.
L'ultimo sermone ha per titolo Carceres Palatini. È scritto dalle
carceri di Ancona, dove 1' eminenlissimo Cardinale fu chiuso dal
1 Ultimi vers. del lib. HI.
DELLA STAMPA ITALIANA 457
Governo usurpatore, senz' altra ragione che quella della prepotenza
brutale e dell' odio sacrilego contro le cose e le persone sante. Con
tutto ciò nò ira nò rancore trasparisce da versi del piissimo Autore.
Egli si contenta di descrivere con somma tranquillila le sue soffe-
renze, fra le quali quelle che unicamente gli giungono all'animo sono
i pericoli che circondano il suo gregge, e in generale la persecuzio-
ne contro la Chiesa. Nel rimanente egli ò tranquillo nella pace della
buona coscienza, ed anzi lieto di patire alcuna cosa per la giustizia;
nò poca consolazione gli forniscono inoltre i libri santi, e la pietà
officiosa di alcuni amici fedeli.
III.
Bullettino di Archeologia cristiana del commendatore Giovanni
Battista de Rossi. Seconda serie — Roma, tip. Salviucci 1870.
Questo primo quaderno, elegantemente stampato, apre una nuo-
va serie, ossia la seconda, del celebre Bullettino di Archeologia
cristiana , per cui l'illustre sig. commendatore de Rossi è giusta-
mente salilo in tanta fama di erudizione e di sagacilà presso gì' in-
telligenti di queste discipline. La prima serie è slata chiusa con la
pubblicazione degl' indici generali delle materie svariatissime trat-
tate nel settennio 1863-69. Le ragioni che hanno indotto l'autore
a cominciare questa novella serie, sono le seguenti che riferiamo
colle sue stesse parole. « l primi due anni del Bullettino sono dive-
nuti irreperibili: talché la collezione completa dei periodici fogli, da
me fin qui pubblicati, non può essere fornita ai nuovi associati. La
forma poi in quarto di quei fogli li faceva assai sciupare nel viag-
gio per le poste; ed aveva molti altri difetti, i quali desideravo far
scomparire mutando tutto in meglio. Perciò mi sono appigliato al
partito di adottare la forma del massimo numero delle odierne ri-
viste, pubblicando il Bullettino in fascicoli di sesto ottavo. L' edi-
zione prenderà aspetto più nobile e sarà sostanzialmente abbellita.
Migliore la carta: nuovi i caratteri e di modulo più piccolo, conve-
niente a quello delle pagine ; i disegni in tavole separale dal testo.
458 RIVISTA DELLA STAMPA ITALIANA
Non perciò sarà accresciuto il prezzo dell' annata, ma, a compenso
delle nuove spese e per dare tempo ed agio ali' autore di preparare
i fascicoli, quesii saranno trimestrali, non minori di pagine 40 di
testo e forniti ognuno di tre tavole di disegni.
« Nella scelta degli argomenti e nel modo di trattarli e di svolger-
li avrò cura della varietà, per quanto le quotidiane scoperte o i nuo-
vi studi lo consentiranno. Imperocché il Bollettino per cambiare di
veste e di statura non muterà l' indole sua primigenia ; uè diverrà
una rivista generica di storia e di archeologia. Ma avrà sempre per
scopo principalissimo il divulgare prontamente e commentare a suf-
ficienza le più notabili novità e i più pregevoli acquisti , che anno
per anno arricchiscono ed ampliano il campo già tanto divozioso
delle cristiane antichità, massime dei primi secoli. Del rimanente
basta correre coli' occhio gli indici dei sette passati anni del Bullet-
taio, per avere un' idea adequata della molliplicilà e dell' importan-
za dei punti svariatissimi di archeologia , di storia od anche di teo-
logia, illustrati e sovente trattati a fondo in quei fogli. Non parmi
dovere fare ne più nò diversamente nella seconda serie, per ottene-
re il successo , di che gli amatori di questi studi sono stali soddi-
sfatti nella prima. »
Stimiamo superfluo raccomandare a quelli dei nostri lettori che
si dilettano di archeologia, questo pregevole periodico, il quale, ol-
tre che si raccomanda da se pel nome del suo dotto scrittore, è sta-
to sempre onorato dal plauso de' giudici più competenti delle ma-
terie che tratta 1.
1 Le associazioni al Bullettino si prendono in Roma, nella tipografia Sal-
viucci, piazza SS. XII Apostoli, a lire 10, 75 per annata. Si spedisce franco
per la posta a tutta PItalia e all'estero al prezzo di lire 11, 50. Fuori di Roma
si possono prendere le associazioni presso i librai seguenti : Torino cav. Pie-
tro di Giacinto Marietti, Venezia tip. Emiliana, Parir/i A. Durami rue Cujas
n. 9, Londra C. J. Steewart, 11 Ling William Street, West Strand.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO
— '^s^V^r-^^N^ri»' —
I.
RIVISTA BIBLIOGRAFICA
I. Sei Confutazioni del Dóllinger.
1. del Dr. Hergenròilier — 2. del Dr. Scheeben — 3. del Dr. Roth— 4. di
J. Zaini — 5. del Dr. Friedhoff — 6. del Dr. Stòckl. '
La lotta intorno alla infallib lhà pontificia portò alla Germania il non
piccolo bene di accendervi la stampa ad una robusta polemica religio-
sa. Molti furono i libri e gli opuscoli prò e contro, di cui parlammo
più o meno largamente. Ma ce ne rimangono parecchi altri, dei quali
pure non taceremo, non ostante che sia definita la grande quistione,
riputando utile, che i nostri lettori conoscano appieno il corso della
tenzone e ne rimanga documento nella storiai Abbiano il primo posto
sei confutazioni del Dóllinger; e voglia Iddio che egli già non sia più il
Dóllinger dei mesi passati. Allora dopo che, gittata via la masche-
ra, sotto cui si era nascosto nel Janus, si fu messo finalmente a fronte
scoperta alla testa del partito liberale anticattolico, la polemica in Ger-
mania sopra le questioni del Concilio prese, sua mercè, un'andatura
più risoluta e franca. I liberali salirono bensì in maggiore audacia e
baldanza, veggendosi avere dichiaratamente per capitano colui che da
molti anni godeva in quei paesi fama di oracolo e di maestro dei maestri
in teologia; ma nel tempo slesso i cattolici, sciolti ornai da tutti i vin-
coli di amicizia e da tutti i riguardi di riverenza verso l'antico loro duce
e commilitone, disertato cosi turpemente al campo nemico, poterono
parlar più chiaro e più forte, e non solo render vani gY inganni , in
cui molti venivano tratti dal nome e dall'autorità del Dóllinger, ma di
160 COSE SPETTANTI AL CONCILIÒ
quest'autorità medesima giovarsi, come di arma" polente in prò della
propria causa. Ciò appare specialmente dai diversi opuscoli, usciti colà
alla luce in confutazione delle due più famigerate scritture che, dopo il
Janus, furono dal Dollinger pubblicate sopra la questione deli* Infallibi-
lità; Tuna, sotto il titolo di Considerazioni presentate ai Vescoci del Con-
cilio {Ericàgungcn fir die Dischi) fé des Conciliums), Tal tra, sotto forma
di Dichiarazione o protesta contro la Unfehlbarkeilsadresse, cioè contro
la petizione fatta da più di 400 Vescovi al Concilio per la definizione
dell in falli ori ita: Dichiarazione, in cui il Dollinger comparve per la pri-
ma volta col proprio nome, e che diede occasione a parecchi scanda-
losi Indirizzi d' adesione (Zusllmmungsadresscn) in varie città di AJema-
gna. Di cotesti opuscoli daremo qui un rapido ragguaglio, che avevamo
già da gran tempo in pronto per la stampa, ma non potemmo ancor
pubblicare.
1. Die « IrrthUmef» ron méhr als vierhundert Bischofen und ihr theo-
logischcr Censor. Ein Beilrag zar Wiirdignng der con Hcrrn Dr. von
Dollinger ter dffenf Uditeti « Worle iiber die Unfehlbarkeitsadresse » von
prof.}. 0ERGENRÒTHER, (Gli « errori » di più di quattrocento Vescovi, e il
loro censore teologico. Un articolo del Prof. Dott. I Hergenròther, sul
valore delle « parole sopra la petizione per T infallibilità » pubblicate
dal Dottor Dollinger.) Friburgo in Brisgovia, Herder, 1870. Opuscolo
in 8.' gr. di pag. 46.
L'illustre Autore àeìVAntirJanus ben merita d'essere nominato in pri-
mo luogo tra i confutatori del Dollinger. Senza entrare tuttavia in espo-
sizioni più minute, poiché si tratta di materie ai nostri lettori notissime,
ci basterà il dire, come l' Hergenròther, togliendo qui ad esaminare ca-
po per capo le parole del Dollinger, ne mette in chiarissimo rilievo tut-
ti i sofismi e gii errori, e ad uno ad uno li ribatte con quella medesima
solidità di dottrina, dovizia di erudizione e potenza di logica, di cui già
lutti sanno quanto splendida prova egli abbia fatto nel confutare il la-
nus: ma con questo vantaggio eziandio, che laddove nel Janus, a cagio-
ne della sterminata farragine di spropositi d'ogni fatta, onde quelle 468
pagine vanno gremite, egli dovette restringersi a confutarne di proposi-
to i più massicci soltanto e di più maligna natura; in queste « parole »
al contrario, dove non può negarsi al Dollinger il merito della brevità,
il suo avversario ha potuto avere più libere e spaziose le mosse ad una
piena confutazione, la quale non lasciasse, per dir così, un solo apice
scorretto senza la sua correzione. Nò vogliam tacere , come ancor qui
egli conserva, in mezzo al più vivo della battaglia, quella inalterabile
serenità di volto e placidezza di modi che già notammo w\Y Anti-Janus,
e che dimostra in lui, con una singolare bontà e gentilezza di cuore, un
zelo schiettissimo della pura verità, non avente altro di mira che il ser-
vigio della fede e della scienza cattolica, e sommamente studioso di sai-
COSE SPETTAMI AL CONCILIO 461
vare Ferrante nell'atto medesimo di combatterne Terrore. Onde niuno
gli negherà credenza, quando egli protesta (pag. ì) essergli tornato
« sommamente doloroso il dovere impugnar la penna contro di imo, cui
da lungo tempo anch'egli venerava come ornamento e colonna della Chie-
sa cattolica in Germania, e che, siccome tale, è venerato da molti anche
oggidì. » Ciò che, mentre accresce il merito all' Hergenròther, dimostra
altresì quanto la sua confutazione debba essere tornata opportuna ed uti-
le a quei cattolici, che in buona fede furono fin qui ammiratori e idolatri
del Prevosto di Monaco.
La presente scrittura può dirsi un'appendice de\Y Anti-Janus ; e sicco-
me ù\Y Anti- Janus non sappiamo che sia stata fatta finora niuna risposta,
così siamo sicuri che niuna parimente si farà alle trionfanti ragioni di
questa Appendice. Il Dollinger e i suoi amici conoscono troppo bene il
consiglio del Tempns tacendi; benché troppo male intendano e mettano
ancor peggio in pratica quello del Tempus loquendi.
2. Neue Erwàgungen ilber dieFrage der papstlichen Unfchlbarkeit, aus
den anerkann'en historischen Werken D'óllinger's urkundlich zusammen-
gestellt. (Nuove consideraz'oni sopra la questione dell' infallibilità papa-
le, raccolte autenticamente dalle opere storiche del Dollinger.) Ratisbo-
na, Pustet 1870. Opuscolo in 8.° di pag. 48.
« Die mànnliche That » und « die unwiderleg lìchen Bemerkungen »
des Herrn Professors von Dollinger — E in freies Wort an die besnnnenen
und freisinnigen Mànner Kolns und Deutschlands, von Dr. Joseph Schee-
ben — ( « La virile impresa » e « le irrefutabili osservazioni » del sig. Pro-
fessor Dollinger — Una libera parola del dottore Giuseppe Scheeben
agli uomini savi e franchi di Colonia e dell' Alemagna) — 2a edizione,
Colonia, Mellinghaus. Opuscolo in 8.° di pag. 51.
Il dottore Scheeben, uno dei buoni campioni della causa cattolica in
Germania, possiede a maraviglia le qualità che si richiedono a fare un
eccellente battagliere nella polemica religiosa. Oltre un solido fondo di
dottrine sicurissime, ed una grande agilità di penna sempre sguainata e
pronta al duellare, egli ha una singolare destrezza a trovare le vie più.
pronte ed efficaci di conquidere l'avversario, ferendolo nel più vivo,
sicché in pochi colpi ei sia costretto a rendersi per vinto, od a ritirarsi
e chiudersi in un vergognoso silenzio. Noi già lo vedemmo alla prova
in quella sua confutazione del Janus, di cui altrove parlammo; confuta-
zione brevissima, ma così bene ideata e condotta, che potè bastare da
se sola a rovinare d'un trattoli credito di quel famoso libro. Ed ora ne ab-
biamo un altro bel saggio nei due opuscoli sopra annunziati, che lo
Scheeben pubblicò, appena comparvero le nuove scritture del Dollinger,
ornai non più nascosto sotto finti nomi, contro l'Infallibili tà papale.
462 COSE SPETTAMI AL CONCILIO
Nel primo di quest'opuscoli, lo Scheeben prese a confutare le Consi-
derazioni presentate ai Vescovi del Concilio sopra la questione dell' infal-
libilitàitevoro anonimo, ma che subilo si sospettò essere parto del Dòl-
linger, siccome quello che portava troppo chiari in faccia i segni di fra-
tellanza col Janus: né quel sospetto guari tardò a cambiarsi in certezza.
Il nostro Dottore, al primo scorrerle, subito le ebbe giudicate per quel
che erano, vale a dire: « sotto un colai lustro di novità, non altro che
vecchie ciarpe gallicane e sferrevecchie febroniane, cui la scienza tedesca
ha già da lungo tempo sfatate e dichiarate armi del tutto inette nella
guerra moderna, in cui non basta puntare ma bisogna anche colpi-
re I, » Poi, risolutosi di pubblicare a comune utilità questo suo giudi-
zio e di farne toccar con mano a tutti la verità, gli parve di non potere
giunger meglio al suo intento, che servendosi dell'autorità stessa del
Doilinger, e contrapponendo al moderno autore delle sciagurate Conside-
razioni Y antico autore avite Storia Ecclesiastica, del Cristianesimo e Chie-
sa al tempo della fondazione, della Chiesa e Chiese, e di altre opere prege-
voli e già da più anni in tutta la Germania accreditate. Così appunto egli
ha fatto nel presente opuscolo; dove, premessa una brevissima Inlrodu-
sione, in venti paragrafi egli distribuisce e recita tutti i capitoli delle
Considerazioni, ed e ciascun capitolo soggiunge subilo una citazione più
o meno lunga, tratta dalle Opere antiche del Doilinger, la quale dice
esattamente il contrario, e confuta mirabilmente i sofismi e le menzogne
del Doilinger moderno: non aggiungendovi lo Sheeben del suo, se non
qualche osservazione o qualche Nota appiè di pagina per mettere in mi-
glior luce l'argomento. In tal guisa sono nate queste Nuoce considera-
zioni ; le quali pertanto debbon dirsi opera del Doilinger anziché dello
Scheeben, e non sono veramente nuove, se non in quanto che è conve-
nuto dar loro nuova luce ed attualità: rinfrescandole nella memoria,
in prima del loro padre ed autore, il quale dovette rimanere non poco
stordito e confuso nel rafiìgurare questi suoi parti di anni più floridi e
più felici, e poi in quella dei leggitori alemanni, avvezzi da gran tempo
a venerare come oracoli, le parole del Doilinger. Ad essi avverrà real-
mente quel che i nostri vecchi buonamente credevano, avvenire ai
morsicati dalle vipere, di trovare cioè nel capo delle vipere stesse, ap-
plicato in sulla ferita, un sicuro antidoto. Imperocché se mai per dis-
grazia hanno attinto dalle recenti scritture del celebre Prevosto d
naco qualche veleno, troveranno pronto il contravveleno negli scritti
anteriori del medesimo, cioè in quelli in cui la sua scienza splendeva tut-
tavia di luce pura e serena, quiisi in un bel meriggio, e non l'avcano
per anco ofiuseata né i fumi dell'orgoglio, né gli atri vapori di 8
passioni, né le nebbie precoci d1 un precipitoso tramonto. Certo è ehe
1 Neie; Eriùigungen, Introduzione.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 4bJ
a confutare il Dòllinger non polca immaginarsi metodo più compendio-
so ed efficace di quello , che fu qui adoperato dallo Seheeben ; e non
sappiamo che cosa possa ri . poudere il grand' oracolo di Monaco a que-
sto suo confa latore, che ha messo in cosi Sagrante e luminosa contrad-
dizione i suoi responsi d'oggidì con quei di ieri l'altro. Trista condizio-
ne, ma giusta pena di cotesti ribelli superbi; il doversi vedere sconfitti
colle proprie anni e convertite in materia di confusione e di condanna
quelle opere medesime, che erano un dì, e doveano essere in eterno, la
loro gloria.
Il secondo opuscolo,, sopra annuncialo, è volto a caratterizzare e
confutare l'altra scandalosissima scrittura del Dòllinger , cioè la Dicìùa-
razione, da lui pubblicata nella Gazze'ia d'Augusta del 21 Gennaio,
contro la Petizione dei Vescovi per l'infallibilità Negli Indirizzi ed elo-
gi, con cui quella Dichiarazione fu salutata dalla fazione liberalesca in
Germania, ella venne celebrata innanzi tutto, come atto virile, come
nn tratto di gran coraggio e prova d'animo libero e generoso; giacché
ivi il Dòllinger, uscendo fuori per la prima volta col vero suo nome,
«anifestavasi al mondo autore e capo di quel movimento antipapale
di cui già da più mesi era stato segretamente l'anima. Quanto poi alla
sostanza della Dichiarazione, cioè agli argomenti in essa recati contro
la dotlri a dell* Infallibilità, essi furono gridati a pieno coro irrefuta-
bili, evidenti, trionfanti, tali insomma che tutti insieme i 400 o 500
Vescovi della Petizione non sarebbero mai più bastati a strigarsene. Or
bene, lo Seheeben ha preso qui direttamente a ribattere queste due
enormità dei lodatori del Dòllinger ; e con ciò a spogliare la sciagurata
Dichiarazione della doppia aureola, onde costoro la vollero inghirlan-
dare, siccome opera moralmente eroica e scientificamente apodittica.
Cosi spogliata, e ridotta alla sua originale nudità, la Dichiarazione ri-
trovasi esser tale appunto, quale lo Seheeben la dipinge fin dal princi-
pio, nella seguente magnifica ipotiposi (pag. 4).
« Un'opera tenebrosa e codarda; un tessuto da capo a fondo di gros-
solane falsila e di calunnie nerissime; un peccato contro la Chiesa,
contro la scienza e contro il popolo dei credenti ; una vergogna per la
nostra patria alemanna. Ed è (soggiunge il medesimo) una triste prova
del quanto siasi fra noi oscurato il sentimento religioso, il sentimento
del vero e del dritto, il vedere che cotesta opera non solo non provocò
niun grido d' indegnazione nella Germania cattolica, ma anzi si sono
trovati teologi, i quali, niente curandosi della propria riputazione di
iastici e di scienziati, eccitarono e confortarono il Dòllinger a que-
sto passo, e molti altri uomini colti tuttora gli fanno ciecamente plau-
so. Quello che qui noi diciamo, lo dimostreremo , e Io dimostreremo ad
evidenza per chiunque, cme uomo saggio e riflessivo non si lascia me-
464 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
nare e tirare qua e là dall' opinion pubblica, e come onest1 uomo cerca
la verità e nient'altro cbe la verità. »
E la dimostrazione qui promessa, lo Scheeben la va svolgendo nelle
seguenti pagine, con tal forza e splendore di ragioni, che niun leggito-
re, capace d'intendere e d'amare la verità, potrà negargli il suo interis-
simo assenso, e al tempo stesso altamente non commendare, insieme col-
la scienza, l'egregio zelo che gli ha pesta in mano e guidata la penna.
3. Beleuchlung der in der v. Dóllinger'schen Erklàrung vom 19 Ia-
miar 1870 ausgesprochenen Princìpien, von Dr. Laurenz Max. Roth,
Professor der Pastoraltheologie an der Universilàt nnd Inspector des
Kaili. theol. Convicls zu Bonn. (Esame dei principii, espressi nella Di-
chiarazione del Doliinger del 19 Gennaio 1870, dtjl dottor Lorenzo Mas-
similiano Roth, Professore di teologia pastorale nell'Università, ed
Ispettore del Convitto teologico-cattolico di Ronn.) Paderborn, Scho-
riingh. 1870. Opuscolo in 8.° di pag. 30.
Einige freimiithige Worte zur Orientirung imd Beruhigung in der
Vnfehlbarkeitsfrage an alle Frcunde der Wahrheil, von Dr. Laurenz
J\Iax. Roth, Professor eie. (Alcune libere parole, indirizzate a tutti gli
amici della verità, per loro schiarimento e quiete riguardo la questione
dell'Infallibilità, dal dottor Lorenzo Massimiliano Roth ecc.) Paderborn,
Schoningh, 1870. Opuscolo in 8.° di pag. 52.
Amendue questi opuscoli, usciti, a poco intervallo l'un dall'altro, dal-
la penna di uno dei più illustri Professori di Ronn, sono rivolti a con-
futare il Doliinger, e a difendere e chiarire la causa dell'Infallibilità.
Ma nel primo l'Autore si restringe ad esaminare e ribattere i principii,
sopra cui si fonda la Dichiarazione del Doliinger contro la Petizione dei
Vescovi, e che sono da lui espressi nell'esordio della medesima : atter-
rati i quali, le difficoltà ed accuse che il Doliinger va indi paratamente
movendo contro la Petizione, forza è che perdano anch'esse gran parte
almeno del loro vigore.
Nel secondo invece, il Roth spaziando più largamente, abbraccia
la questione dell'Infallibilità sotto i suoi varii e moltiplici aspetti; e ne
illustra opportunamente ai bisogni correnti del tempo la dottrina; so-
pratutto adoperandosi a disgombrare dagli animi dei cattolici quelle
false apprensioni e paure, onde gli avversarii, e alla loro testa il Dol-
iinger, col quale anche qui egli è continuamente alle prese, si sono
sforzati di intorbidarli, col fingere a loro posta una intera iliade di fu-
nestissime conseguenze, che dalla definizione dommatica dell'Infallibilità
pontificia infallibilmente proverrebbero alla Chiesa, alla società, al mon-
do intero. In tutti e due gli opuscoli, il Roth poco dice del suo ; aman-
do piuttosto di lasciar la parola a Prelati^ Teologi e scrittori illustri;
come a dire, al Manning e al Dechamps e al Ketleler, al Liebermann e
COSE SPETTASTI AL CONCILIO 465
allo Scavini, al Kleutgen e al Ferraris, all'Hcrgenròther e all'Hurter
e al Dipinger e al Dollinger medesimo di tempi migliori; dei quali fa
continue e lunghe citazioni, mirabilmente giovandosene al suo inten-
to. Degno in ispecial modo di vedersi è I1 uso che fa, nel secondo opu-
scolo (pag. 25, 45), dell'autorità dell1 Hurter; e come, dopo avere re-
cati due stupendi tratti del celebre convertito, nei quali tuttavia non
è punto parola dell' Infallibilità papale, egli ne trae all'improvviso, con
una serie di quattordici domande che fa al lettore , una intera bat-
teria, per dir così, di ragioni stringentissime in prova e in difesa del-
l'Infallibilità.
In un solo punto ci pare che l'Autore abbia inciampato, ed è nostro
debito il porlo qui, con tutta la riverenza che gli professiamo, in nota.
Alla pagina 29 del primo opuscolo, confutando il sofisma, con cui il Dol-
linger pretende che la definizione dommatica dell' infallibilità papale,
fatta dal Concilio, inchiuderebbe un circolo vizioso, perchè il Papa
Terrebbe a dar testimonianza a sé stesso; il Roth concede all'avversario
che, « se il Papa, nella sua qualità bensì di Capo supremo della Chiesa,
ma senza il concorso e il consenso dell'Episcopato rappresentante la
Chiesa intera, dichiarasse la propria infallibilità, questa non otterrebbe
perciò niuna certezza » ; soggiungendo poi , essere ben altro il caso,
quando il Papa tal dichiarazione facesse , come uno dei fattori della
Chiesa docente in unione con tutto l'Episcopato, che è un altro fattore;
perchè in tal caso entrerebbe anco il terzo fattore infinitamente più al-
to, cioè lo Spirito Santo, il quale renderebbe la decisione infallibile.
Secondo il Rolli adunque, il Papa, almeno in questo caso dove si trat-
ta della sua propria infallibilità, non potrebbe da sé solo pronunziare
una definizione infallibile. Se l'illustre professore di Bonn si compiacerà
di leggere quel che noi altrove *, confutando il medesimo argomento
del Dollinger, abbiamo scritto di questa materia, ivi troverà le ragioni
dell'opposta nostra sentenza, e speriamo che ne resterà soddisfatto, e pie-
namente chiarito del come sia da sciogliere il sofisma del Dollinger, sen-
za fare concessioni incaute, e come il Papa, anche solo, potesse definire
la propria infallibilità, senza cadere in niun circolo vizioso.
i. Einige Bemerkungen zu Dollinger* s Artifici in der « Avgsb. Allg.
Zeitung » vom 21 Ianuar 1870, von J. Zahn. (Alcune osservazioni sul-
l' articolo del Dollinger pubblicato nella Gazzetta universale di Augusta
del 21 Gennaio 1870, di I. Zahn.) Vienna e Gran, Sartori, 1870. Opu-
scolo in 8.° gr. di pag. 22.
L'Autore di queste osservazioni, come egli stesso ci avverte nel pro-
logo è un semplice laico cattolico ; il quale, al primo leggere lo scanda-
1 Quaderno 478, del 19 Febbraio 1870, pag. 391 e seug.
Serie VII, voi. II, fase. 490. 30 11 Agosto 1870.
466 COSE SPETTA^ il AL CONCILIO
loso articolo del Dollinger contro la Petizione dei Vescovi per V infalli-
bilità, non potè tenersi alle mosse, sicché non prendesse tosto la penna
per confutare questa sciagurata scrittura, e rivendicare la dignità della
gran maggioranza dell'episcopato cattolico, co.>ì iudegnamennic calpe-
stata da un sacerdote cattolico. Alia vivaci là dello zelo in questo esimio
laico risponde una solidità di scienza e un vigore di pernia, che molti
cherici si pregerebbero d'averne altrettanto : ed è bello a vedere, in
queste brevi ma nervose pagine, come sotto il dente critico dello Zahn
la dichiarazione del celebre Prevosto di Monaco resti in pochi tratti di-
laniata, sconfitta e ridotta in polvere. Né meno belle sono e commoven-
ti a leggere le ultime parole, con cui egli, in line della sua confutazione,
deplora l'articolo del Dollinger come un {atto lag rime l'olissimo non so-
lo per altri, ma innanzi ad ogni altro, per lui medesimo, atteso l'infelice
prostituire che egli ha fatto a una causa così trista la sua celebrità, la
sua scienza, la sua fede antica; pur consolandosi in ultimo alla speran-
za, che, al proclamarsi che tosto si farà dal Concilio Vaticano la definizio-
ne dommatica dell'Infallibilità, « ogni cattolico, qualunque si fo
sua opinione intorno all'opportunità e per quanto egli siasi lasciato for-
se trasportare da eccessiva passione fuor dei termini nel difendere una
preconcetta sentenza, si soggetterà all' oracolo infallibile della Chiesa,
colonna e fondamento di verità. »
a. Gcgcn-Erwàgungcn uber die pàpstliche Unfehlbarkeit , von Dr.
theol. Franz Friedhofe, ausserordcntlichen professor der Moral'hcologie
an der Kòniglichen Àkademie zu JJunstir. ( Con tro-consi de razioni so-
pra P infallibilità papale, del dottor teologo Francesco Friediiofc, pro-
fessore straordinario di teologia morale nella reale accademia di Mun-
ster.) 2.a Edizione, accresciuta e corretta. Miinster, Russell, 1870. Opu-
scolo in 8.° di pag. 33.
I dieci capitoli, in cui è diviso questo bel lavoro del Friedhoff, forma-
no due parti ben distinte: l'una tutta dommatica, l'altra tutta polemica.
Nella prima che abbraccia i due primi capitoli, l'Autore, con un'arte e
maniera tutta sua di condensare in poche parole molte cose, ed io ogni
cosa andar subito al midollo, stabilisce sopra basi di ragioni solidissime
la dottrina della Infallibilità papale; primieramente dimostrando dalla
natura medesima e costituzione della Chiesa, coli' infallibilità di questa
essere necessariamente e inseparabilmente connessa l'infallibilità perso-
nale del Papa; e poi dalia storia ecclesiastica provando, questa infallibi-
lità papale essere stata in ogni tempo riconosciuta, creduta, invocata ed
esercitata. Fra le altre ragioni, egli fa risaltare con molta evidenza gli
inconvenienti, anzi gii assurdi, che nascerebbero nella Chiesa, dal ne-
gare al Papa un'autorità infallibile nel decidere le quistioni di {'ada e di
morale : genere d'argomento potentissimo a convincere anche le intel-
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 467
ligenze più rozze. Se il Papa può errare (dicegli), nò si possono avere
definizioni infallibili fuorché da Concilii ecumenici, la Chiesa adunque
sovente dovrebbe passare interi secoli neir errore o nel dubbio intor-
no a questioni gravissime e spesso anche urgentissime, di domina o di
costumi. Inoltre, all'aprirsi di un nuovo Concilio ecumenico, il primo
suo e più incalzante negozio dovrebbe essere quello di esaminare tut-
te le decisioni di fede e morale , date dai Pontefici dall' ultimo ecu-
menico in qua, e condannare quelle che trovasse erronee. E così l'odier-
no Concilio Vaticano dovrebbe cominciando dalle 79 proposizioni di Ba-
io, condannate da S. Pio V nel 1567, e venendo giù fino a Pio IX, at-
traverso Torrida foresta di quelle parecchie centinaia di tesi che furono
dalla S. Sede censurate e proscritte nel Giansenio, nel Molinos, nel
Quesuello, nel Sinodo Pistoiese e in tanti altri più o meno ereticanti ;
dovrebbe, dico, la prima cosa, rivedere tutte queste decisioni papali,
e assicurare finalmente la Chiesa con infallibile sentenza, quali di esse
sieno da tenersi, e quali da trasandarsi [Pag. 4, 5). E nuovamente:
« Se il Papa può fallire in dottrine di Fede e di morale, la Chiesa in tal
caso diventerebbe o scismatica o fallibile: sc:smatica, se nega di ubbidi-
re alla decisione papale; fallibile, se a tal decisione ubbidisce {Pag. 12.)
Egregiamente detto!
Posta in sodo la vera dottrina, V Autore passa nei seguenti capitoli,
a confutare gli errori principali del Janus, e dello scrittore delle Erwa-
gmgen; spesso giovandosi, e specialmente nelle questioni storiche, del-
l'autorità dell'antico Dollinger, cioè dell'autore medesimo e del Janus e
delle Erwcig angeli moderne, contro le quali soprattutto sono indirizzate
queste Gegen-Erwàgungen del Friedhoft'. Però non è già solo il Dollinger,
a cui il Professore di Mùnster indirizzi i suoi colpi; ma venendogliene
il bello, dà, quasi di passaggio, un po'di casiigatoia anche al professore
di filosofia, Michelis, già da noi altrove lodato secondo i meriti; il qua-
le, come appare da un suo recente opuscolo intitolato: Die Versuchung
Christi und die Versuchung des Kirche (La persecuzione di Cristo eia
persecuzione della Chiesa), vede; nel minacciato domma dell1 Infallibilità
papale lo spettro di una orribile e non mai più veduta persecuzione con-
tro la Chiesa di Cristo. Parimente raggiusta in capo le idee al dottore
Schulte, professore di dritto canonico ali1 Università di Praga, il quale
da certi argomenti di mons. Maret si era lasciato ingarbugliare a crede-
re che fosse assolutamente impossibile una definizione dommatica della
medesima infallibilità. Non accade soggiungere, che il Friedhoff si mostra
non meno valente nel confutare gli avversarli, che nello stabilire la pro-
pria dottrina; usando nell1 una e neh" altra parte del suo lavoro la mede-
sima concisione di siile, quanto pieno di cose, altrettanto sobrio di pa-
role; sicché in poche pagine egli ha saputo condensare ciò che altri a-
vrebbe agevolmente potuto stendere in un giusto e bel volume.
1G8 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
G. Die Infdllibilitat des Ohe hauptes der Kirche and die Zustimmungs-
adressen an Ilerrn e. Dollinger, namentlich die Miinster' sche von Òr.
Albert Stòckl, Professor der Philosophie an der Kónigl. Akademic zu
Miinsfer. [V Infallibilità del Cupo della Chiesa, e gì1 Indirizzi di adesio-
ne al sig. Dollinger, specialmente quel di Miinster, del dolt. Alberto
Stòckl, Professore di filosofìa alla Reale Accademia di Miinsfer.) 28 edi-
zione, Miinster, Russell, 1870. Opuscolo in 8.° gr. di pag. 40.
Ecco da Miinster un altro ardito e nobile campione dell' Infallibilità,
contro il Dollinger e contro i suoi aderenti. A questi secondi è vera-
mente indirizzato l'opuscolo dello Stòckl ; e tutto il suo discorso ha di-
rettamente di mira, non già la questione dottrinale per se medesima,
ma piuttosto la reità morale degl' Indirizzi di adesione al Dollinger.
Ma ognun vede, che e la censura, fatta agli scolari, prima di tutti va a
ferire in capo al maestro; e la reità di quelle adesioni non può mettersi
in chiara luce, altrimenti che prestabilendo la falsità della dottrina da
esse approvata. Ond' è, che questa requisitoria dello Stòckl contro
gln Indirizzi riesce anch' ella una verissima confutazione degli spropo-
siti, accumulati dal Dollinger nella sua Dichiarazione, già più volte
nominata; e confutazione tanto più pregevole, in quanto che, oltre la
bontà e sodezza della dottrina, che ha comune colle qui sopra lodate,
porta con se una certa novità di aspetti, ancor essi degnissimi di essere
in questa questione considerati.
Il dottore Stòckl adunque, appena vide appiccarsi anche alla sua Miin-
ster la febbre del liberalismo antipapale, e parecchi membri di quella
illustre Università, rinomata fino a quest' ora per purezza di dottrine
schiettamente cattoliche, dietro lo sciagurato esempio di alcuni profes-
sori di Breslavia, di Bonna e di Praga, essersi fatti anch' essi pubblica-
mente complici del Dollinger, approvandone con un Indirizzo la Dichia-
razione ed esaltandola come irrefutabile e opera di gran coraggio; lo
Stiickl, diciamo, riputò essere per lui « un dovere e un punto d'onore il
contrapporsi e protestare pubblicamente contro cotesto Indirizzo al Dol-
linger » (Pag. 7); non solo col fare solenne professione dei proprii sen-
timenti, ma col dimostrare inoltre l'indegnità e malvagità dell'atto, a
cui que' suoi colleghi, forse senza pesarne prima tutta l'importanza, si
erano lasciati condurre.
E ciò appunto egli fa in queste pagine; nelle quali, dopo un pream-
bolo storico dell1 agitazione che precedette e segui la Dichiarazione del
Dollinger, si occupa principalmente a porre in rilievo due punti capita-
lissimi. Primieramente, enumerando tutte le circostanze che maggior-
mente aggravano la reità dell'Indirizzo, egli mette in evidenza la falsità
ed enormità delle propos;zioni del Dollinger che ivi si approvano; e
l'insulto orrendo che in esso s' inchiude contro l'Episcopato cattolico ra-
dunato in Concilio, cioè non solo contro i presso a 500 Vescovi che sot-
COSE SPETTASTI AL CONCILIO Ì69
toscrissero la Petizione e che formano del Concilio la maggioranza, ma
anche contro gli altri e specialmente contro i Vescovi di Germania, tra
i quali, se alcuni furono e sono contrarli all' opportunità, ninno è però
che quanto alla dottrina slessa dell1 Infallibilità, approvi gli errori e le
esorbitanze del Dòllinger, siccome i costui seguaci vanno vantando; il
quale insulto ai Vescovi è tanto più grave, se si consideri la qualità dei
sottoscrittori dell1 indirizzo di Mtinster, uomini la più parte laici, e co-
mechè dotti nelle scienze profane, stranieri nondimeno alla teologia, op-
pure erigentisi in questa a giudici e maestri contro i Vescovi. A cotali
gagliarde rimostranze, piene d'una evidenza spaventosa, lo Stock! mette
il colmo, spiegando ai medesimi sottoscrittori Y orribile condizione, in cui
col loro Dòllinger si sono messi, in una condizione cioè sostanzialmente
ereticale; perocché, sostenendo essi col Dòllinger che, dove il Concilio
definisse di lede l'Infallibilità papale, introdurrebbe nella fede un erro-
re, vengono con ciò a negare il domma dell' Infallibilità stessa della Chie-
sa, e a dichiararsi anticipatamente ribelli a tutti i decreti del Concilio,
che per avventura non fossero d'accordo colle loro opinioni.
L'altro punto, in cui lo Stòekl singolarmente adopera contro gli ap-
plauditola del Dòllinger la sua stringente eloquenza, si è nel mettere in
chiara vista la vanità e sciocchezza delle paure che costoro, ad esempio
del loro maestro, hanno o mostrano d'avere dell1 Infallibilità papale e
delle conseguenze che la sua definizione dommatica porterebbe. E qui,
giovandosi di quella celebre idea del De Maistre, che ogni autorità su-
prema, per ciò slesso che è suprema, dev'essere in un certo senso infal-
libile, si allarga sopratutto a provare come l'Infallibilismo sia cosa ne-
cessaria, non meno allo Stato che alla Chiesa, non meno a un Monarca
o a un supremo Giudice laico che al Pontefice. E quindi, dall'esempio ed
analogia dello Stato, trae un bellissimo argomento d'illustrazione, che
fa toccar con mano la ragionevolezza, V utilità, anzi la necessità d' un
Pupa infallibile nella Chiesa; con questa differenza però che dove nello
Stato il Giudice supremo non è infallibile se non che formalmente, in
quanto che le sue decisioni legali, benché possano essere veramente er-
ronee ed ingiuste, hanno tuttavia vigore assoluto come se non fossero
soggette ad errore; nella Chiesa al contrario, all'infallibilità formale si
aggiunge anche la materiale, cioè le definizioni della suprema autorità,
non solo rispetto all'obbligazione morale che impongono, ma in se stesse
e nella loro materiale contenenza, sono immuni da errore; ciò esigendo
e la natura stessa di quelle definizioni, e la natura della Chiesa essenzial-
mente diversa da quella dello Stato, e le esplicite promesse, fatte alla
sua Chiesa da Cristo.
L1 opuscolo dello Stòekl fece sì gagliarda impressione nel pubblico,
che gli autori dell'Indirizzo di Mùnster si credettero in debito di fargli
una pubblica risposta, pigliando le difese della propria condotta. E que-
470 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
sta risposta apparve, in forma di lettera indirizzata al medesimo Stòck),
nel seguente opuscolo: A. Stòckl fùr die In fai libili sten. (A. Stòckl in fa-
vore degl'Infallibilisti.) Ma in verità ella non fa grand" onore ne al pro-
fessore che la scrisse, né a quelli che la sottoscrissero. Lasciando stare i
modi insolenti e villani, con cui ivi è bistrattata la persona dell'avver-
sario, il quale aveva pur dato loro tutt1 altro esempio, trattandoli con
ogni riguardo di civiltà neir atto stesso del combatterli, quanto alla so-
stanza, non è da capo a fondo che un tessuto di puerilità meschine, a cui
per dare qualche corpo ed apparenza non basta quel po' di belletto let-
terario e brillante, onde lo scrittore si è studiato di intonacarla. La po-
vertà delle ragioni e dei raziocino, o piuttosto dei sofismi e dei sotterfu-
gi, con cui gli avversari! rispondono alle gravissime e stringentissime
rimostranze dello Stòckl, è cosa che mette compassione; e per ciò che è
scienza teologica, basti dire che il Gratry è il loro gran teologo, il mae-
stro in cuius verbo, iurant, citandolo ad ogni pie di pagina; e che il fat-
to di Onorio, maneggiato alla Gratry, è per essi l'argomento unico, ma
argomento sempre invitto e bastevole ad annientare d'un solo colpo tut-
te le ragioni degl'Infallibilisti. Laonde ha gran ragione lo Stòekl di di-
re, com'ei fa m\Y Appendice delia sua 2a edizione, che coteste Risposte
de' suoi avversarli presso ogni savio e intendente cattolico, è riuscita la
miglior difesa e conferma che egli potesse desiderare al suo opuscolo.
Ma già speriamo che queste contese siano soltanto memorie di storia
passata, e che tutti quei cattolici tedeschi di buona fede che non furono
convinti dalle ragioni dei lodati opuscoli, si siano già arresi di tutto cuo-
re all'autorità della definizione.
II. Altri scritti in difesa dell'infallibilità.
1. Altre difese di Onorio — 2. Altre risposte al P. Gratry, a mgr. Dupanloup,
a mgr. Maret, al Dr. Dòllinger — 3. Altri opuscoli polemici, teologici,
istruttivi — 4. Opere più importanti.
Se come ahhiam fatto de* sullodati opuscoli tedeschi, volessimo dare
una rivista anche breve di ciascuno di tanti altri libri e libretti che an-
cor ci rimangono intorno all'infallibilità pontificia, non sarebbe cosa da
venirne a capo sì presto. D'altra parte non si conviene differire di più.
Pertanto ne daremo cosi in fascio un semplice annunzio, riserbandoci a
tempo opportuno di tornar sopra qualcuno de'più importanti.
1. La causa di Onorio è felicemente finita per la fede, dovendosi ora
credere che, qualunque sia stato il suo fallo, certo ei non insegnò eresia
ex cathedra: ma per la scienza la causa non è ancora finita: e però
non vengono troppo tardi due opere di Ringoiar merito uscite testé in
luce, l'una in Francia, l'altra in Olanda. La prima s'intitolala cause d'Ho-
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 471
norius. Documents originaux acce tradiiclion, notes, et conclusion (Pa-
ris, V. Palme. In 4.° di pag. 126). Le traduzioni sono de sigg. Weill
e Loth; le note e la conclusione del sig. Arturo Loth. Àvevam già
formato il giudizio di questo dotto lavoro, quando ci venne sottocchio
il giudizio che ne dà l'egregia Reme du monde catholique (10 luillet),
Ci e grato di tradurre le sue parole d'elogio. « La cause a" Honorius.
Magnifico, assai dotto, assai utile e decisivo lavoro del nostro amico,
sig. Lolh : lavoro che sarebbe degno della erudita e laboriosa Germania,
che ultimamente non si è guari distinta: lavoro che fa onore alla scienza
francese, e mostrerà a tutti gli avversarli dell'infallibilità pontiiìcale che
quelli che la di Tendono non temon punto la luce, che anzi la cercano e
non fanno che spargerla in abbondanza. Ecco la causa d'Onorio, ecco i
documenti, testo greco, testo latino e traduzione francese: ecco le fa-
mose lettere del Papa, e i decreti dei Conciiii, e il testo del Liber diur-
nus, eie.; ecco tutto l'arsenale d'onde il P. Gratry ha cavato, ma con
iscelta, i testi e i fatti, non prendendo altro che le testimonianze contra-
rie e rigettando le altre. Or qui tutto è completo, chiaro, decisivo; e
dopo ciò è già impossibile alla buona fede di sostenere che Onorio abbia
insegnata un'eresia ex cathedra. »
L'altro dotto lavoro s'intitola De Honorii Papae epistolarum corru-
ptione, scripsit Gasp. Jos. Mart. Bottemanne, Decanus et Parochus ad
S. Io. Bapt. in Soeterwoude, olim S. Theol. prof in sera. Warmonda-
no dioeceseos Harlemensis (Bosco-duci, a pud H. Bogaerts. In 8.° di pa-
gine 127). L'erudito e critico autore sostiene che son veramente di
Onorio quelle parole dell'una volontà in Cristo, da lui dette in senso
cattolico, fraintese dai monoteliti, ed ottimamente spiegate da' suoi di-
fensori; ma che non sono punto di Onorio, ma intruse e falsate da
Macario, quelle riprovevoli parole che comandano il silenzio alle due
parti : quindi Onorio sarebbe innocente anche di quella colpa per cui sa-
rebbesi condannato per errore di fatto. La sentenza del Dr. Bottemanne
non è nuova; ma è ornai andata in disuso e quasi antiquata : ora però
posta in nuova luce può chiamare a se novamente l'attenzione dei cri-
tici: in ogni modo si legge assai volentieri per la luce che gitta sopra
tutta la controversia monotelitica.
Alle tante altre difese di Onorio, che abbiamo altrove lodate, aggiun-
giamo ancor le seguenti : quella dell'ai). Bélet; La chute du Pape Ho-
7iorius et la mission de M. Vabbé Gratry (Tourcoing, in 8.° di pag. 32):
quella dell'ab. Dcfaut ; La verité sur le Pape Honorius (Avignon, in 12.* ):
quella dell'ab. Rambouillet; Le Pape Honorius (Paris, in 8.°) : quella
del P. Pététot; Post-scriptum sur Honorius (Paris, in 12.°): quella
dell'ab. Rivière; Le Pape Honorius et le gallicanisme moderne (Ni-
mes, in 8.°) : quella dell'ab. Larroque; La questioni d' Honorius. Lettre à
M. Gratry (Toulouse, in 8.° di pag. 20): quella dell'ab Coldefy; Le
Ì72 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
Pape Honorius et M. Vabbé Gralry (Paris, in 8.°) : quella dell'ai). Ro-
ques; képonse à la lettre du P. Gratry (Lavaur in 8.' di pag. 53): quel-
le dell'ab. Colin; Le Pape Honorius. Jìéponse au Jì. P. Gratry (Mont-
real, in 8.° di pag. 41 ); oltre altre difese di Onorio che si contengono in
altre risposte, specialmente al Gratry; e ciò solo di libretti stampati a
parte, per nulla dire, secondo il nostro costume, di tanti articoli in difesa
di Onorio che si sono pubblicati nelle riviste cattoliche.
2. Daremo altresì nulla più che semplici annunzii di altri opuscoli di
controversia più generale intorno all'infallibilità. Parlarne minutamente
è ornai troppo tardi : tacerne affatto, sarebbe troppa lacuna nella nostra
rivista bibliografica intorno al Concilio. Basti dunque accennare l'altra
lettera deli'Ab. Roqies in risposta alla 2.a lettera del Gratry; Jìéponse
à la 2me lettre, ecc. (Lavaur, Vidal, in 8.° di pag. 107) : parimente l'al-
tra : Réponse a la 2,ne lettre de M. Gratry, par M. Larroque (Carcasson-
ne, Pollére, in 8.° dì pag. 36) : la versione inglese della Difesa della
Chiesa Romana contro il P. Gratry di doni Guéranger, fatta da un Be-
nedettino inglese, il P. W. Woods, con una stupenda introduzione di
un altro Benedettino inglese, il P. R. B. Vaughan: Def enee of the Roman
Churcli ecc. (London, R. Washbourne, in 8.° di pag. 56). D'un altra
operetta parleremo forse altra volta: Le chant du cygne Gallicani Pa-
roles ci musique du P. Gratry executé après jugement préalablc par
/. Loyseau (Paris, Dillet in 16.* di pag. 266). Un titolo somigliante
ha un'altro opuscolo di un Vescovo nel Canada in risposta a monsignor
Dupanloup : Le derni, r chant du cygne sur le lumulus du Gallicanisme ;
Réponse à mgr. Dupanloup par mgr. Pinsoneault Ecèque de Byrtha
(Montreal, in 8.° di pag. 48): parimente un'altra risposta dell' abbate
M. Magendie: Sophismes etc. (Paris, A Rochette, in 16.° di pag. 80).
E già troppo tardi di parlare e basta annunziare un' altra risposta a
mgr. di Sura: Mgr. Marti et le Concile du vatican, ou simple coup-d'oeil
d'un catholique sur le livre intilulé: Du concile general et de la paix
religieuse, par un ancien prtfesscur de Theologie (Lyon, Briday, in
8.e di pag. 103). Di altre risposte al Dr. Dòllinger, oltre le arrecate
di sopra, e d'altri opuscoli tedeschi, siccome per la lingua men noti in
Italia, daremo a suo luogo qualche più distinto ragguaglio.
3. A sgombrare le solite difficoltà, i tanti dubbi e timori che si oppo-
nevano alta definizione, fu diretto un bel discorso inglese, altrove da noi
accennato, del P. Gallwey d. C. d. G. intitolato: S. Joseph and the vati-
can Council (London, Burns, in 8.' di pag. 40); e allo stesso scopo
principalmente fu pur diretta con vittoriosa polemica una Lettera di
mgr. D Domenico Arnaldi al prof. D. Pietro Jìalan, in risposta ad un
articolo di Alessandro Chierici (Modena, in 8.° di pag. 16). Abbiamo
pur sotto degli occhi, stampalo a parte, un articolo estratto dal Memo-
ria! Catholique, intitolato: V opposition moderne à l'au forile ponti fi-
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 473
cale chi chef de V Èglise (Orléans, Constant, in 8.° di pag. 8), e se-
gnato dal Can. Meslè, Curato decano di N. S. di Rennes; il quale ap-
pena fatta i la definizione ha scritto alcuni versi popolari francesi sot-
to il titolo Te Delira laudamus (Rennes, imp. de H. Vatar).
Appartengono pure alla controversia felicemente or terminata intor-
no all'infallibilità due pregevoli scritti latini di due Padri del Concilio, il
Vescovo di Mondovì e il Rino P. Ministro Generale dell'Ordine dei Min.
Cappuccini. Il primo opuscolo s'intitola: Refutatio nonnullorum ex prae-
cipuis erroribus de inerrantia Summi Pontifìcis et huiusmodi dogmatica
definì (ione, Opusculum Fr. Ioanms Thomae Ghilardi Ord. Praed. Epi-
scopi Jlonlisregalis (Taurini, Marietti, in 8.° di pag. 14). A questo e
ad altri suoi dotti lavori l'infaticabile Vescovo ha aggiunto la pubblica-
zione d'un altro prezioso opuscolo del Turrecremata in prova insieme e
in difesa dell1 Infallibilità: De inerrantia Romani Pontifìcis ex cathedra
definientis suffragium praeclarissimi Card, lo. Turrecremata 0. PP., Le-
gati Pontificii ad Concilium Basileense, deinde ad Concilium F orenti-
num Latinorum oratoris, ex aureo illius opere: Summa de potestate
papali, depromptiim et Ree. Patribus Concili Vaticani exhibitum (Tauri-
ni, Marietti, in 8 ° di pag. 42). L'altro opuscolo del Rino P. Generale dei
Cappuccini s'intitola: Quaedam absurda quae ex opinione errantiae Ro-
mani Pontifìcis necessario exoriun'ur, per Fr. Nicolaum a S. Ioanne,
Min. gen. Capuccinorum (Romae, Salviucci, in 16.° di pag. 44); il quale
opuscolo non è solo polemico in difesa dell'infallibilità pontificia, ma
vuol portar insieme direttamente 1' offesa nel campo nemico.
Si sono pur pubblicate due erudite lettere di altri due Padri del Conci-
lio : Epistolae duae de infallibitibus Summi Pontifìcis ex cathedra loquen-
tis in rebus fidei et morum dfcretis sire iudiciis (Taurini, Marietti, in
8.° di pag. 18), nelle quali l'Arciv. di Amadia, mgr. Khayatt, rito et
genere Chaldaeus, e il dottissimo orientalista mgr. Bailles, già Vescovo
di Lucon, mettono in luce la credenza dei cattolici Caldei nella dottrina
dell'infallibilità pontificia, specialmente secondo il loro classico Manuale
d'istruzione o Specchio di dottrina (Makzitha mricta) scritto dal loro
Patriarca Giuseppe il.
La trad zione della grande Chiesa di Milano vien pur messa in luce
nell'opuscolo: 5. Ambrogio e t' infallibilità ponti fu in del sac. Angelo
Taglioretti, 0. 51. D. R. (Milano, Civelli, in 8.° picc. di pag. 110); il
qua! lavoro è una degna appendice ai suoi Stuelli sul Giansenismo e sul
Gallicanismo, da noi altrove lodati.
La tradizione dei Concilii e dei Padri intorno all' incal!ibiltà pontificia
fu pure raccolta in un opuscolo di altro autore da noi spess > odat -, il
P. Gaspare Luise de'pii Operarii: De infalli'n i a' e Romani Pm'ifìcis,
supplex votum (Neapoli, typis Fibrenianis, in 8.° di pag. XXIX). Questi
tradizione universale è pur brevemente ricordata in uaa professione di
474 COSE SPETTAMI AL CONCILIO
fede, stampata da un teologo del Concilio, la quale, poiché fu segnala
da molti teologi, e segreta rii di Vescovi quando eran presenti nelle tri-
bune dell'aula alla Sessione, potè dirsi fatta corani SS. D. N. Pio PP. IX,
come si legge nel titolo : Profemo [idei de penti fida infallibilitale, ctc.
(Romae, Salviucci, un foglio in 4.° gr.)
4. Ci restano altresì a lodare tre altri opuscoli, per istruzione popolare,
tutti d'autori già da noi altre volte lodati: L'infallibilità del Papa. Dia-
logo del can. Or\zio Bertoni (Roma, Monaldi, in 16.* di pag. 51.) —
Accogliamo con amore !a verità, Dialogo tra un prete e un laico catto-
lico, pel sac. Liborio Rossi (Milano, Fogliarli, in 32.° di pag. 63.) —
La doctrine de V infaillibilité brièrement exposée aux gens du monde
$ar P. Marin deBoylesve, S. J. (Poitiers, Bonamy, in 16.° di pag. 36).
11 can. don P. Pazzaglia in un suo discorso popolare, intitolato : La in-
fallibil là pontifìcia (Bologna, Mareggiane in 16.* di pag. 32), fa sentire
come la prerogativa di Pietro si continua ne1 suoi successori : e il march.
Ignazio Vitelleschi degli àzzi, patrizio di Foligno e di Roma, in una
sua prosa poetica intitolata : Le due corone (Àsisi, Sensi, in 8.° di pag. 6),
rappresenta Pio IX coronato della definizione dell' infallibilità, dopo di
aver coronato Maria colla definizione dell' immacolato Concepimento.
Non vorremmo stancare i lettori eoa un più lungo elenco di titoli; ma
forse sarà grato ai più di aver per ora anche i titoli d'altri libri, i qua-
li per l'ampiezza e profondità della trattazione meritano una speciale ri-
vista. Sotto il titolo di Entretiens théologiques (Toulous, E. Privai, in
16.° di pagine 430) uscì testé in luce un trattato del R. P. Antonio Ma-
ria, Missionario Cappuccino, intorno al Conciio e all' infallibilità. Si
estende più oltre della controversia dell'infallibilità un altro volume
dell'Abbate Planté, intitolato : Le (Jallican>'sme et le Jansenisme com-
parés, depuis 1682 jusqii à nos jours (Nantes, Maseau, in 16.* di pa-
gine 448). Risguarda insieme l'infallibilità dilla Chiesa docente e del Pa-
pa un libro intitolato: De V infaillibilité doctrinale attaché? au caraetére
apostolique de VEglise par E. De Marin (Paris, Perisse, in 8.° di pagi-
ne 102). Similmente il eh. P. Semenenko, rettore del collegio pontificio
dei Polacchi in Roma, ha teste pubblicato il primo libro di una sua ope-
ra teologicofìlosofica: Quid Papa et quid est episcopati^ ex aeterna ac
divina ratione nec non quae eorum partes in Ecclesiae infallibili ma-
gistero (Romae, typis S. C. de prop. Fide, in 8.° di pag. 148). Final-
mente è pur testò uscita in luce, dai tipi dell' 'Osservatore Romano, una
eruditissima monografìa teologico-liturgica: De authentico romani Pon-
tificis magisterio solmne t stimonium ex monimentìsr liturgicis Eccle-
siae universae deprompsit M. A. Rampolla presbyler (Romae, in 8.°
di pag. 133). Di questi dotti lavori parleremo a miglior agio: intanto i
nostri lettori da questi cenni possono arguire come la controversia della
infallibilità abbia giovato insieme alla scienza e alla fede.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 475
III. Risposte a due libelli.
Ancor due parole intorno ad altri opuscoli d'interesse attuale e per
se e per la polemica intorno ali1 infallibilità.
Benché di altro argomento, pure di fatto ha stretta relazione colla
già finita controversia dell1 infallibilità pontificia un erudito e stringente
opuscolo: De suffragiorum plur alitate in Conciliis oencralibus , conlra
LTunanimité dans les Conciles oecuméniques, per Iosephum Pennacchi
in Romana studiorum Vnicer sitate hisloriae ecclesiasticae professorem
substitutum (Romae, Gentili, in 8.' di pag. 28). Il fantasma della formi-
dable minor ite vi è ridotto in polvere, con argomenti di diritto e di fat-
to. L'opuscolo fu scritto mentre era ancor viva la controversia , ma per
varie circostanze estrinseche ne fu differita la stampa; e noi non voglia-
mo ancora differirne l'annunzio. Si chiedeva pure la stampa d1 un altro
opuscolo d'un altro eh. professore sullo stesso argomento: ma, come
altri voti di teologi pontifìcii, fu stampato privatamente per uso del Con-
cilio e non pubblicato, ed ora possiamo ben dire, la Dio mercè, che la
controversia è finita 1.
Colla medesima controversia della infallibilità pontificia ha stretta re-
lazione il famoso libello: La dernière heure du Concile. Il Vescovo di
Troyes, Mgr. Ravinet, ha l'onore di essere stato il primo a constarlo
in una sua lettera a un amico pubblicata in varii giornali e stampata
anche a parte: Lettre de Mgr. V Éièque de Troijes à un de s?s amis au
sujH de la brochure: La dernière heure du Concile ; ma è grande di ono-
re del vecchio Gallicanismo che in questo opuscolo, il quale può dirsi la
sua dernière heure, esso sia morto nel fango da impenitente, invocando
persino per disperazione in quel!1 ultim1 ora un Luigi XIV e un Giu-
seppe II. Questa circostanza è notata dal Vescovo di Troyes nel fine del-
la sua lettera. Anche mgr. Elloy, Vescovo di Tipasa, coadiutore del Vi-
cario Apostolico deir Oceania centrale, scrisse subito ali1 Univers una
bella lettera, specialmente in difesa dei Vicari i Apostolici e della Propa-
gandaci indegnamente trattati in quel calunnioso libello. V Avenir ca-
tholique del 30 Luglio riporta questa lettera e insieme a titolo di docu-
mento, com'egli dice, anche tutto il libello.
1 II Genio Cattolico ha impresa la versione dell'opuscolo del P. Steccahella contro la nuova
dottrina dell'unanimità, e del P. Ballerini contro la famosa disquisizione morale; e 1 ha annun-
ziata nel 1.° quaderno di Luglio con tali parole di lode per gli autori e per la Civiltà Cilloli<a,
che noi non possiamo a meno di renderne grazie pubblicamente, e di ricambiare con fraterno affetto)
queir egregio periodico che tanto onora V Emilia.
476 COSE SPETTASTI AL CONCILIO
II.
NOTIZIE VARIE
1. Riflessioni della slampa cattolica intorno la 1Y Sessione — 2 Quadro della
votazione alla IV Sessione — 3. Adesione dei Vescovi alla definizione —
* 4. Osservazioni della stampa cattolica sui voti dei Vescovi di varie nazio-
ni — 5. Opposizione dell'Austria e dell1 ex-padre Giacinto — 6. Indir zzi
della Società della Gioventù cattolica italiana al S. Padre e al Consilio —
7. Te Deum a S. Pietro in vinciila — 8. Preghiere e pie opere pel Concilio,
e Breve di S. S. al Vescovo di Verona.
1. La stampa cattolica è stata unanime nel riconoscere la mano di Dio
nelle circostanze della IV Sessione. Tutti riconoscono un avvenimento
provvidenziale nella più che morale unanimità dei suffragi e nella vo-
lontaria astensione degli oppositori. Chi mette in rilievo , qual una
qual altra circostanza, che sembra provvidenziale; soprattutto Tessersi
tenuta la Sessione appunto prima dello scoppiar della guerra franco-
prussiana. Pare che la mano di Dio tenesse a freno gli eserciti finché la
Chiesa non avesse data la grande definizione, e che solo allora abbia la-
sciato il freno, e ciò stesso forse anche a vantaggio di quella stessa de-
finizione. Se la guerra fosse scoppiata prima, forse non sarebbe stato
possibile di trattenere i Vescovi; e lo scoppio della guerra immediata-
mente dopo, ha lasciato in pace la Chiesa, chiudendo, per così dire, la
bocca alla stampa anticattolica e volgendo le menti a ben altri pensieri
che a spropositare contro la verità per sempre definita. Nei fragorosi e
devoti applausi chi ha notato T acclamazione dei Padri unita mirabilmen-
te alla più matura discussione, e chi ha osservato nei fedeli il rinnova-
mento di quel sacro entusiasmo col quale fu accolta la definizione del Con-
cilio di Efeso, pur combattuta da alcuni come inopportuna; e nello stesso
temporale, che occorse appunto nel tempo della Sessione, chi ha raffigu-
rato poeticamente le ire impotenti del nemico infernale, chi un tempe-
stoso funerale del gallicanismo, chi i fulmini del Vaticano contro Terrore,
chi la voce di Dio quasi da un nuovo Sinai : insomma tutte ìe circostanze
ancor più minute han dato pascolo alla mente, al cuore ed alla fantasia
per accogliere religiosamente Toracolo della definizione. La stampa cat-
tiva, non sapendo ornai più che dire, si è volta ad ingrandire e gonfiare
lo scandalo dei Non placet nella Congregazione, e degli Ahest nella Ses-
sione: ma anche in ciò è stata ridotta a vergognoso silenzio dalla stam-
pa cattolica.
2. Noi che per giusto riserbo non abbiam fatto quasi mai parola della
minoranza, or trattandosi d'un fatto sì pubblico, non l'arem altro che
COSE SPETTAMI AL CONCILIO 477
copiare dalla corrispondenza romana, pubblicata ndY Osservatore cattoli-
co di Milano, dei 29 Luglio, il Quadro della votazione alla Sessione IV,
clic possiamo credere abbastanza esatto.
« Per metter (ine (se è possibile) alle ciarle dei giornali, eccovi il nu-
mero dei Padri intervenuti, e dei mancanti alla IVa Sessione solenne del
Concilio vaticano.
*Emi lìmi Cardinali. Ne erano in Roma 48; avendola gravissima età
o altro insuperabile impedimento, trattenuti dal venire a Roma gli al-
tri tre, di Toledo, di Compostala e di Cbambery. Di questi 48, 4'2 vo-
tarono col placet; 2, i Card. Mattel e Orfei erano e sono tuttora infer-
mi; 4, i card. Schwarzenberg, Rauscher, Matthieu e Hobenlohe, si
astennero dalFintervenire, onde abbiamo dei Cardinali 42 contro 4.
« Rmi Patriarchi. Di 8 presenti in Roma, 6 intervennero e dissero
placet;i, TAntiocheno di rito greco melchita, e il Babilonese di rito
caldeo, si astennero, o erano ammalati. Ammettendoli come contrarli
abbiamo dei Patriarchi 6 contro 2.
« Buri Primati. Di 8 che preser parte al Concilio, 6, cioè Salisburgo,
Àntivari, S. Salvatore del Brasile, Gnesna e Malines intervennero e dis-
ser placet l ; uno, quel di Salerno, era infermo, e da gran tempo torna-
to alla sua sede; i suoi sentimenti, come è noto a tutti, erano favorevo-
lissimi alla dottrina. I Primati di Strigonia (o Gran) e di Lione si asten-
nero, onde abbiamo nei Primati 6 contro 2.
t Rmi Arcivescovi, iscritti nella lista officiale 103, dei quali 80 inter-
vennero e'votarono col placet; quelli di Alby, Quilo -, Colonia e Lem-
berg erano partili da Roma con licenza, e i primi due da gran tempo.
Si astennero o erano ammalati : 1 Tuam (Irlanda), 2 Babilonia (rito la-
tino), 3 S. Luigi del Missini (Stati uniti), 4 Sirace (Armenia), 5 Naplu-
sa (rito greco), 6 Olmiitz, 7 Nisibi (mons. Tizzani), il quale però lo stes-
so giorno scrisse una bellissima lettera ai S. Padre, in cui dichiarava
il suo dolore di non aver potuto intervenire essendo ammalato, e ade-
riva pienissimamente e fervidissimamente alla dottrina ; 8 Trebisonda
(mons. Errington), 9 Monaco, 10 Tiro e Sidone (maronita), 11 Bamber-
ga, 12 Serta (rito caldeo), 13 Halifax (Nova Scozia), 14 Parigi, 15 Co-
locza, 16 Melitene (mons. De Merode), 17 Milano, 18 Iconio (monsig.
Pueeher Passavalli), 19 Nicomedia (in partibus infìdelium novamente
nominato e assente da Roma). Togliendo, coinè giusto, mons. Tizzani
ei 4 partiti prima; quindi supponendo che gli altri 18 siansi astenuti
volontariamente e fossero contrarli, il che non è per nulla provato, ab-
biamo nei Riìii Arcivescovi 80 contro 18.
1 L'Osservatore Cattolico, il 4 Agosto fece questa correzione. « Manca fra i Primati un bellissimo
nome, e*1 e quello dell'illustre Primate d'Irlanda, l'Arcivescovo d'Armagh, d gno successore di S. Patria
zio che intervenne e disse Placet.
2 Qui d?e esser corso un errore, perchè l'Arcivescovo di Quito votò col flaceì.
478 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
« Degli Arcivescovi italiani con sede non si astenne che Milano. Tori-
no era per malattia tornato da gran tempo con licenza alla sua sede, e in
una sua bella lettera pastorale manifestò sensi favorevolissimi alla de-
finizione. Di Salerno già dicemmo di sopra come fosse ammalalo gra-
vemente. Votarono parimente in favore tutti gli Arcivescovi francési,
tranne Parigi e Lione teste nominato e non ancora andato alla sua
sede. Quello di Besanzone è il Cardinale Matthieu. È notevole che gli
Arcivescovi di Sens, Avignone e Rheims erano stati per alcun tempo
colla minoranza. Parimenti dissero placet tutti gli Arcivescovi dell'Ame-
rica meridionale e settentrionale, tranne i due di Halifax e di S. Lui-
gi; quindi quelli dell'Impero britannico, tranne Tuam; tutti gli spa-
gnuoli, belgi, olandesi. Dell'Impero austriaco dissero placet Salisburgo
e Zara; mancavano da Roma Lemberg, Erlau, Gorizia.
« Mini Vescovi. Stavano sulla lista officiale 440, dei quali 359 dissero
placet; dei rimanenti 81, tre (Dromor, Southampton, Marianopoli) era-
no assenti da gran tempo, e neppure vennero chiamati; circa 20 erano
tornati anch'essi, per gravissimi motivi, con licenza del S. Padre e del
Concilio, alle lorsedi. Parecchi degli altri erano ammalati; però alcuno,
come il venerando Vescovo d'Ischia, si fece portare nell'aula benché am-
malato, per dare il voto. Onde io credo che fissando a 45 il numero dei
Vescovi che volontariamente si astennero, noi non restiamo certo al di-
sotto del vero. Supponendo contrarii questi 45, e aggiungendovi i due
che dissero non placet, abbiamo dei Riìii Vescovi 359 contro 47.
« Miiii Abbati con giurisdizione vescovile e
« Mini Generali di Ordini. La lista officiale ne enumerava 44; 40 vo-
tarono a favore. Degli altri 4, uno, l'Abbate di Monte Vergine, era am-
malato, e favorevolissimo alla definizione; uno, il Presidente dei Bene-
dettini inglesi, Rmo P. Burchall, era per gravissimi affari tornato da due
mesi in Inghilterra colla debita licenza; il Generale dei Camaldolesi era
ammalato ; del 4°, cioè quello di S. Ormisda (caldeo), non so nulla, e
forse è il solo mancato volontariamente. Onde abbiamo 40 contro 1.
« Riassumendo, dove si vogliano considerare come assenti volontaria-
mente tutti quelli che non intervennero, e quindi crederli tutti contrarii
(supposizione per nulla giustificata), noi avremo 1 :
\ Cardinali
favorevoli 42
contrarii 4
Patriarchi
» 6
» 2
Primati
». ' 6
» 2
Arcivescovi
» 80
» 18
Vescovi
» 359
» 17
Abbati e Generali
» 40
» 1
"533
74
1 Diamo la lista secondo la correzione fattavi dallo stesso Osservatore Cattolico il 4 Agosto.
Aggiungasi ai 553 la gran maggioranza di circa 200 partiti assai prima dal Concilio.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 479
« Cioè 533 certi favorevoli contro Ti voti contrarli, dei quali due cer-
ti, eli altri incerti ; poiché, secondo l'uso di tutte le assemblee che furono
al mondo, chi si astiene non dice ne si, nòno. Né s'invochino ìnon pla-
cet, e i inxta modum (placet condizionati) alla Congregazione secreta
per appello nominale, mentre è notorio che quasi tutti questi ultimi, e
non pochi dei primi, dissero placet nella Sessione solenne, posciachè nel-
la Congregazione intermedia s'era fatta ragione al loro desiderio di ve-
dere corretto il testo. Quindi tutti sanno, che i voti delle Congregazioni
secrete non sono che provvisori e non legano nessuno ; sono piuttosto
indicazioni di volontà, che vere decisioni, le quali non si pronunciano
che nelle sessioni solenni e definitive. »
3. V Osservatore Cattolico parla poi d'una lettera diretta al S. Padre
il dì innanzi della definizione da 5S della minoranza: e nel num. 176
reca dalla Gazzetta d'Augusta un altro documento anteriore: ma benché
tanti fogli, buoni e cattivi, rechino questi due documenti, pure giacché
non sono un atto pubblico come gli abest delia Sessione, noi tenendoci
a quel rispettoso riserbo che abbiam avuto finora, non ne faremo pa-
rola. Più volentieri recheremo dallo stesso e da altri periodici varie no-
tizie, più o meno autentiche, intorno all'adesione fatta già in varii mo-
di da molti Vescovi della minoranza alla definizione. Noi già dicemmo
fin dal passato quaderno che non dubitiamo che tutti sicno, in una for-
ma o in un'altra, per farla. Qui rechiamo solo i due documenti più au-
tentici die abbiamo veduti; il primo intorno a monsignor De Merode che
ente dalla Sessione; l'altro intorno a mons. Riccio, che votò non
placet. In capo al Giornale di Roma del i Agosto si legge questa menti-
la: «Nel Corriere delle Marche dei 28 del trascorro Luglio si legge: —
Monsignor De Merode non vuole aderire al dogma dell' infallibilità,
perchè lo crede assurdo e dannoso. Io non nego questa opinione del
De Merode e degli altri Prelati che la dividono. — Sappia però il Cor-
riere delle Marche, che monsignor De Merode ha pienamente, espli-
citamente e chiaramente aderito al dogma suindicato. Chiunque ope-
rasse nel senso espresso in quel giornale non apparterrebbe più alla
Chiesa cattolica. » Fin qui il Giornale di Roma. Nella Unità Cattoli-
ca poi dei 29 Luglio si legge una lettera, direttale per la pubblicazione
dallo stesso monsig. Riccio, Vescovo di Caiazzo, ove egli dice: « Bra-
mando che il mio voto non lasci alcun luogo a sinistre interpreta-
zioni, mi affretto a dichiarare che con quello spirito stesso di sinceri-
tà e di sottomissione con cui, chiamato dalla Chiesa a dare il mio vo-
to, risposi non placet, appena confermata dall'immortale Pontefice Pio
Nono la prefitta Costituzione m'inginocchiale dissi con tutta l'anima
CREDO; mi unii di gran cuore a Sua Santità ed ai Padri del Conci-
lio nel renderne grazie a Dio col canto del Te Deum e mi offrii pron-
to coll'aiuto di Dio a sostenere la ridetta Costituzione ed in panico-
480 COSE SPETTAMI AL CONCILIO
lare l'infallibilità dei Successori di san Pietro a costo anche della mia
vita. » Anche del Vescovo di Little Rock, che fu Tallio che votò col
non placet, chi era presente nella stessa aula del Concilio afferma che
proferite dal Papa le parole di confermazione, esclamò, stringendosi
al cuore la croce pettorale: Nunc credo et ego ; Sane et ego fìrmiter
credo. Poiché il Concilio ha detto Visum est Spiritili Sanclo et JSobis,
non dubitiamo punto che questo CREDO sia già non solo nel cuore,
ma ancor nelle labbra di quanti Vescovi prima furon contrarli o alla
dottrina o alla sua definizione.
ì. Non possiamo arrecare le tante riflessioni che leggiamo nei giornali
della stampa cattolica: basti accennare qualcuna delle osservazioni com-
parative sui voti dei Vescovi di vane Nazioni. Vediamo alcuni fogli
spagnuoli rallegrarsi assai che nessun Vescovo di lingua spagnuola sia
mai stato contrario alla definizione; così alcuni fogli belgi e olandesi:
così pure alcuni logli portoghe i, sol lamentando e spiegando come per
nn momento qualche Vescovo portoghese fosse indotto a tener la defi-
nizione per inopportuna; altri osservano con piacere che tra i Vescovi
più distinti nel promuovere la definizione, tre vennero dai paesi più li-
beri: monsignor Manniug dall'Inghilterra ; monsignor Dechamps dal
Belgio ; monsignor Mermillod dalla Svizzera ; osservano ancora che
monsignor Manning non solo è inglese di nascita e di spirito, ma che
fu prima anglicano; che monsignor Mermillod è Vescovo ausiliare di
quella Ginevra che fu la Roma del Protestantesimo; e che i più caldi so-
stenitori dell'infallibilità furono Vescovi francesi e qualcun d'essi edu-
cato già nella scuola del gallicanismo. E in vero, per dirlo di passag-
gio, anche adesso che la guerra assorbe tutto l'interesse della Francia,
pure nella stampa cattolica francese si rivela lo spirito cattolico verso il
Papa, i Vescovi e il Concilio ; sicché anche per questo si dimostra che il
gallicanismo non fu mai francese, e chi abbia però meglio rappresentato
linora la fede della Francia. Come l'America d'origine spagnuola e porto-
ghese, così l'America d'origine inglese (per nulla dire del cattolico Ca-
nada) si è pur dimostrata nella slampa cattolica sempre favorevolis-
sima alla definizione, e si è notato con piacere che tra tanti Vescovi di
lingua inglese, i più d'essi originarli della cattolica Irlanda, pochissimi
sono slati contrarli alla definizione.
5. E notevole che il primo atto di ostilità alla definizione del sacro-
santo Concilio è venuto dal Consiglio municipale di Vienna, che ne ha
domandato al Governo austriaco una pronta vendetta. Dopo ciò la
Gazzetta di Vienna del 31 di Luglio puhblicò la nota ufficiale seguente:
« In seguito alla dichiarazione dell' infallibilità, il Governo ha deciso di
non mantenere più lungamente il Concordato. Il Cancelliere dell'Impero
ha fatto le pratiche necessarie per notificare alla Curia romana l'abro-
gazione formale del Concordato. L1 Imperatore ha incaricato il Ministro
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 481
dei culti di preparare un disegno di legge a questo effetto. » Alcuni di
innanzi un telegramma avea annunziato che il Ministro dei eulti dell'lm-
pero austro-ungarico era chiamato a Pestìi « per concertare le misure
da prendersi contro il dogma della infallibilità. » Noi non diremo già;
povera Chiesa! ma povera Austria! povera Ungheria!
Come una piccola potenza, si è pur levato Y ex-padre Giacinto, appel-
lando dal Concilio ad altro Concilio, e a Dio, o meglio a sé stesso, in
una sua miserabile lettera dei 20 Luglio, indirizzata alla France ed al
Journal des Débats, che può vedersi tradotta nell1 Osservatore Cattolico
del £ Agosto. Ci ricorda aver veduta una risposta ad un'altra sua lette-
ra;, con questo titolo: Pére Hyacijnthe, vous vous étes trompé. Réponse a
la lettre chi 21 Sept. par M. Vabbé Bouquet te (Toulouse, Millas 1869.
In 8.' di pag. 23) ; ed ora basti questa risposta: Pére Hyacynthe, vous
vous étes trompé.
6. Tra i tanti atti di pubblica adesione al Concilio non dispiacerà che
diamo la preferenza alla Società della Gioventù cattolica italiana. Adun-
que pubblichiamo i seguenti due indirizzi, che ci sono stati trasmessi dal
Consiglio superiore della Società della Gioventù cattolica, i quali si son
presto firmati ancora dalle presidenze e dai socii attivi dei circoli della
Società medesima, costituiti nelle varie città d'Italia, e dai socii corri-
spondenti.
I. Beatissimo Padre. Al grido universale di gioia, con che oggi il
mondo cattolico Yi acclama e Vi saluta, o Beatissimo Padre, con santo
giubilo e con certezza di fede divina, Maestro infallibile di verità, la So-
cietà della Gioventù cattolica d'Italia non può contenere la piena del
gaudio ond'è compresa, ed osa deporre ai Vostri santissimi piedi l'espres-
sione più viva e più sincera.
La divina Provvidenza, che ne* suoi imperscrutabili divisamenti Voi
già prescelse fra i successori di Pietro a definire coli1 apostolica Vo-
stra autorità il domma dell'Immacolato Concepimento della gran Madre
di Dio, ha voluto altresì, quasi a ricambio dell'eccelsa e novella onorifi-
cenza attribuita dalla Vostra parola alla Vergine Madre del divin Re-
dentore, innalzare all'apice della gloria e della potenza nella Vostra per-
sona la sublime e divina dignità dei successori di Pietro, dei Vicarii di
Gesù Cristo in terra, della quale Voi siete investito.
Sì, o Beatissimo Padre, noi esultiamo di santa letizia : e prostrati
al s olo, rendiamo a Dio le umili nostre grazie di tanto singolare be-
nefizio largito al mondo in questi miseri tempi di universale aberramen-
to e cecità.
E qual dono più prezioso e più desiderabile potea la divina Miseri-
cordia concedere agli uomini di una sì solenne confermazione, che essi
posseggono in Voi un Maestro infallibile della verità*! della verità, che
è la vita dell'anima nostra? della verità, senza cui la umana natura di-
Sene VII, voi. XI, fase. 490. 31 13 Agosto 1870.
482 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
vagando scenderebbe a peggior condizione dei bruti, cbe non banno
intelletto? .
Noi con tutto l'ardore dell'età giovanile aneliamo alla conoscenza del
Tero, del bello, del buono: ed una turba varia ed infinita di maestri,
cbe si credono sapienti percbè superbi ed orgogliosi, ci assorda d'ogni
lato, e con abbaglianti proposte d'indefinito progresso tenta trascinar-
ci nel baratro del più desolante scetticismo e della più brutale corru-
zione.
Ma no, Beatissimo Padre! percbè non c'incolga questa suprema sven-
tura, noi terremo gii occhi sempre fissi in Voi, specchio dell'eterna Ve-
rità: li terremo del continuo intenti a questa Cattedra apostolica, d'on-
de sgorgano perenni le acque della vera sapienza e della eterna vita.
Parlate dunque, o infallibile Maestro, e noi giovani figli della cat-
tolica Chiesa ascolteremo le Vostre parole, come parole dell'eterna Sa-
pienza; i Vostri giudizii saranno per noi, come giudizii di Dio; le Vo-
stre definizioni, come definizioni di Dio ; i Vostri insegnamenti, come
insegnamenti di Dio. Noi veneriamo nella Vostra autorità di Vicario di
Gesù Cristo, l'autorità di Dio; e assoggettando ad essa la nostra mente
e il nostro cuore abbiam fede di sostenere la dignità dell'umana natura
di fronte alle tiranniche pretese della mente orgogliosa, guasta ed ac-
ciecata da ree passioni.
Degnatevi, o Beatissimo Padre, di confermarci nei nostri santi propo-
siti coli' apostolica Benedizione, che da Voi con tutto l'animo imploria-
mo prostrati al bacio dei sacri piedi.
Bologna, li 19 Luglio 1870.
Giovanni Acquaderni, Presidente del Consiglio superiore,
Ugo Flandoli, Vice Presidente.
Alfonso Rubbiani, Segretario delle corrispondenze.
Gian-Antonio Bianconi, Segretario delle adunanze.
Pietro Malvezzi Campeggi, Tesoriere.
Mons. Luigi cari. Rovere, Assistente ecclesiastico.
II. Sanctissimis Palribus in oecumenica Vaticana Synodo congregati^
Societas iucentutis Italiae Catholicae.
Placuit Deo, qui sapicntia sua attingit a fine usque in finein forti-
ter, et disponit omnia suaviter, quique crrantibus ut in viam possint
redire iustitiae, veritatis suae lumen ostendit, ut Vobis prestantissimi-
senioribus populi christiani, Episcopis positis a Spiritu Sancì*» regere
Ecclesiam Dei, ad gloriosum sepulcrum Principis Apostolorum in oecu-
menico Concilio congregulis, solemni ac infallibili iudicio eonlìrmare-
tur lìdes, tamquam a Deo revelata, quam plebs sancta et regale sacer-
dotium christianae Ecclesiae iam ab huius exordio usque in praesens
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 483
semper et ubique professi snnt de suprema potestate et de infallibili
magisterio summorum Ponlifìcum in romana Sede Petri successorum.
Quare luventutis catbolicae Societas nuper instituta per Italiani, in-
tra cuius fines Petri Sedes expers erroris posita est, de hoc tam prae-
claro et salutari beneficio hac nostra aetate universo orbi concesso ,
humillimas Deo Uni et Trino grates persolvit, atque libentissimo corde
Yobis gratulatur, sapientissimi Patres, quos Spiritus Sanctus ad tan-
tum opus perficicndum elegit, induxitque.
Quod sane cum iucundissimum nobis, tum et Yobis pergratum fore
censentes hanc tesseram fidei et obsequii erga Yos, sanctissimi Patres,
mittere et commendare laetamur.
Bononiae, XI Y calendas Augusti, anno MDCCCLXX.
Iohannes Àcquaderni, Praeses.
Hugo Flandoli, Praesidis vices gerens.
Alphonsus Rubbiani, )
Iohannes Antonius Bianconi, )
Petrus Malvezzi Campeggi, Thesaurarius.
Àloisius can. Rovere, Adsistens ecclesiaslicus.
7. Il circolo della Società della gioventù cattolica in Roma non ebbe
bisogno di sprone, ma piuttosto di freno nel festeggiare la definizione.
Poiché per varie circostanze non si vollero festose dimostrazioni, si
aspettò almeno la prima festa di san Pietro al 1 di Agosto, nella Basi-
lica di S. Pietro in vincula, per un solenne Te Deum di ringraziamento ;
e il circolo di S. Pietro della gioventù romana fu il primo a farne istanza;
la quale rinnovata da ogni ordine di persone, indusse l'Eminentissimo
cardinal Vicario a pubblicare X Invito Sacro ai romani per quell'Inno di
ringraziamento, che fu cantato con grande devozione la sera d< Ila festa
dopo i vesperi , colla benedizione dell'Augustissimo Sacramento, com-
partita dallo stesso Emo cardinal Yicario.
8. Il felice successo delle passate preghiere dee ora animare i fedeli
a pregar viepiù pel Concilio, percbè compia l'opera sì bene incomin-
ciata. Chi sa quanta parte del felice successo si dee alle preghiere, alle
comunioni, alle pie opere dei semplici fedeli! Altra volta scrivemmo
intorno a ciò un articolo intitolato : Offerte e preghiere ed altre pie opere
pel Conci tio ecumenico (voi. XIV, pag. 717); nel quale parlammo an-
cora specialmente di alcune pie associazioni in Verona. Ora per avvivar
questo spirito per ogni dove, ci piace di conchiudere pubblicando la
versione di una lettera Apostolica, diretta testé da S. S. Pio IX a Mon-
signor Vescovo di Verona, Luigi marchese di Canossa, in relazione al-
l'appendice dell'Album 1869 per le comunioni e alle molte oblazioni ri-
cevute nel Luglio 1870 da Verona.
4SI COSE SPETTANTI AL CONCILIO
PIO PP. IX.
Venerabile Fratello salute ed apostolica Benedizione.
Non è mollo abbiamo ricevuto il Memoriale, in cui vedemmo registra-
ti i nomi di que' che si aggiunsero alla devota compagnia , che si ado-
pera, mediante la sacramentai comunione, di ottenere il divino aiuto a
Noi ed ai Padri dell1 ecumenico Concilio. In esso abbiamo parimente
veduto F unione istituita per opera di pie donne, che ha per line, colla
recita della corona di Maria Vergine in giorni prefissi, d'impetrarci il
patrocinio della medesima, i pii affetti della qual compagnia ed il numero
de1 fedeli veronesi , che in essi stanno registrati , Ci fece presentare il
diletto Nostro figliuolo religioso Luigi Artini. Abbiamo inteso pure, che
i malati, assistiti dai religiosi Ministri degli infermi, anch1 essi entra-
no in questa gara di pietà, sforzandosi di attestarci il loro affetto e l'a-
more alla santa Religione, coli1 offerire a Dio le proprie sofferenze e col-
le pie oblazioni a Noi mandate. Ne possiamo certamente lasciar passare
la divota affezione degli altri tuoi diocesani , che poco fa in buon nume-
ro ci arrecarono il sussidio delle loro largizioni. Tutte queste prove di
pietà, venerabile Fratello, in cui risplende il singoiar merito del tuo ze-
lo pastorale, ci furon di non lieve consolazione, le quali mentre difendo-
no l'antica gloria della veronese cittadinanza, sono altresì assai oppor-
tune ai tempi e adatte per impetrare gli aiuti del cielo.
Noi perciò, o venerabile Fratello, t'incarichiamo di voler far noti a
tutti i summentovati fedeli i sensi della Nostra gratitudine, e il singoiar
amore che ci arde per essi , la cui sovrabbondanza non lasceremo di
spandere dinanzi l'aitar del Signore. Frattanto, pregando ad essi dalla
divina bontà copiosissimo il guiderdone , impartiamo amantissimamente
con tutto r affetto del cuore a Te ed a tutti e singoli i predetti diletti Fi-
gliuoli ed agli altri Fedeli della tua diocesi l'apostolica Benedizione.
Dato a Roma presso S. Pietro, il giorno 13 Luglio 1870.
Vigesimo quinto del Nostro Pontificato
PIO PP. IX.
Al Venerabile Fratello
Luigi Vescovo di Verona.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 485
III.
CRONACA DEL CONCILIO
1. Schema distribuito ai Padri — 2. Necrologia — 3. Solenne messa di requie
— 4. Lista dei PP. defonti.
1. Dopo la quarta sessione poco o nulla vi è a dire della cronaca del
Concilio in Roma: piuttosto vi sarebbe non poco da scrivere delle liete
e onorifiche accoglienze fatte per tutto altrove ai Vescovi reduci da Roma
alle lor sedi, e delle loro allocuzioni e lettere pastorali : ma di ciò par-
leremo altra volta. Intanto pochi di dopo la sessione un nuovo schema
di costituzione disciplinare sulle missioni fu distribuito ai Padri, intorno
al quale possono intanto scrivere le loro osservazioni. Lo schema fu in-
viato con questo Monitum.
, Distribuitur Rmis Concai Palribus schema constitutionis super apo-
stolicis Missionibus : simuique monentur Rmi PP., ut ii quibus super
eodem schemale aliquid observandum videbitur, iuxta Decretum 20 Fe-
bruarii anni currentis, animadvcrsiones suas scripto tradanl secretarlo
Concilii non ultra diem vigesimum sequentis mensis Augusti.
Ex Secretaria Concilii Vaticani, die 26 Tulli 1870.
Ludovicus ìacobini, Subsecretarhis Concilii Yatic.
2. In breve tempo dopo la quarta sessione, dopo brevi malattie, son
passati agli eterni riposi ben cinque altri Padri: cioè, il Vescovo di Bar-
cellona, mgr. Monserrat y Navarro, in Frascati, come già dicemmo nel
passato quaderno; e poi, mentre erano in viaggio per la lor sede, il
Vescovo di Ardagli dell'Irlanda, mgr. Mac Cabe; e il Vescovo di Parma,
mgr. Cantimori; e due altri in Roma; l'Arcivescovo di Buenos-Ayres,
mgr. Escalada; e il Vescovo di Terni, mgr. Severa. Può immaginarsi
qual senso abbia dovuto produrre la notizia di queste morti nelle ior
diocesi, appunto mentre aspettavano di rivedere i loro Pastori. Anche
in Roma esse han prodotto per le circostanze un senso non usi tato.
3. Oltre le solenni esequie celebrate per ciascuno, volle il Santo Padre
che si celebrasse una solenne Messa di requie per tutti i Padri defunti
nel corso del Concilio. Ne fu dato avviso ai Padri presenti in Roma con
questo Monitum.
Feria tertia die 9 Augusti, de mandato Sanctitatis Suae, in Ecclesia
sancii Augustini bora decima antemeridiana fient exequiae prò Episco-
pis, qui tempore Concilii oecumenici Vaticani obierunt.
Rùii Patriarchae, Primates, Archiepiscopi et Episcopi ad praedictam
Ecclcsiam accedent et adorato Sanctissdio Sacramento cappam induent
ac paratimi locum oecupabunt et Missae solemnis celebrationi assistente
Aloisius Ferrari, Protonot. Apost. Caerem. Praefectus.
18G COSE SPETTANTI AL CONCILIO
Il Giornale di Roma del 9 Agosto così die conto di questo funebre rito.
« La Santità di nostro Signore, per suffragare l'anime dei Vescovi che,
durante il tempo fin qui corso dell'ecumenico Concilio vaticano, si sono
riposati nel Signore, ha stabilito che la mattina del presente giorno, vi-
gilia del santo Levita martire Lorenzo, si destinasse nella ven. chiesa di
sant'Agostino alla celebrazione delle Messe ed alla solennità delle sacre
espiatorie funzioni, con le quali si invocano le misericordie dell'Onnipo-
tente a prò dei trapassati.
« La Chiesa venne decorosamente all'uopo addobbata: all'altare mag-
giore spiegavasi un ampio padiglione, nel cui mezzo trionfava a tocca
d'oro il vessillo della Redenzione ; e nella grande navata sorgeva il tu-
mulo, ricco di ceri, attorno al quale si vedevano collocati i seggi parati
di gramaglia per i personaggi ecclesiastici, che a nome della Santità Sua
erano invitati a prestare l'assistenza alla funebre cerimonia; cioè i Rfili
Patriarchi, i Primati, gli Arcivescovi e i Vescovi, che sono presenti in
Roma, ed inoltre i due Prelati segretari! della sacra Congregazione di
Propaganda.
« Ha pontificato la solenne Messa FU Imo e Rino Monsignor Marinelli,
Vescovo di Porfirio, sagrista pontificio, il quale ha fatto pure l'assolu-
zione al tumulo. Han prestato servizio all'altare i cappellani e i chie-
rici della cappella pontificia, come pure i cappellani cantori pontificii
hanno accompagnato i sacri riti con gravi e mesti concenti, e la Guar-
dia svizzera pontificia vi ha prestato il servizio d'onore.
« Con grande frequenza in tutta la mattinata sono i fedeli, per corri-
spondere alle intenzioni del Santo Padre, accorsi a pregare la pace eter-
na dei giusti ai sacri Pastori, che mentre attendevano ai gravi negozii
della Chiesa universale, spirarono l'anima nel bacio del Signore.
4. Dall'apertura del Concilio fino a queste solenni esequie, cioè dagli
8 Decembre fino agli 8 Agosto, sono passati a miglior vita 3 Cardinali,
1 Arcivescovo, 16 Vescovi, e 2 Generali di Ordini religiosi; cioè un Card.
Vescovo, un Card. Prete e un Card. Diacono; l'Arciv. di Bucnos-Ayres;
i Vescovi di Premislia, di Foggia, di Panama, di Vera Cruz, di Tarbes,
di Lerida, di Huesca e Barbastro, di Àlbenga, d'Evreux, di Olinda o Fer-
nambuco, di Southwark, di Erbipoli o Wurzburgo, di Barcellona, di
Ardagh, di Parma e di Terni; i Generali dei Premostratensi e dei Car-
melitani Scalzi. Di questi 22 Padri, 16 morirono in Roma, 6 fuor di Ro-
ma. Non si comprende in questa lista l'Enio De Ronald, Arcivescovo di
Lione, e qualche altro Vescovo, che mori senza aver mai potuto venire
a Roma, e però senza esser di fatto membro del Concilio; eccetto I Emo
De Reisach, il quale sebbene sia morto prima di giungere a Roma, fu
però considerato come principal membro del Concilio per la nomina a\ Il-
la tra i Presidenti. Or ecco la lista funebre dei nomi di questi Padri,
chiamati dal seno del Concilio, come speriamo, alla Chiesa trionfante
in cielo.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 487
SACRI CONCILII PATRES
qui a die 8 Deccmbris 1869 ad diem 8 Augusti 1870
• OBIERUNT
Franciscus Pentiti S. E. R. Cardinalis Diaconus S. Mariae inporticu.
Carolus De Reisach S. E. R. Cardinalis Episcopus Sabinensis.
Eustachius Gonella S. E. R. Cardinalis Presb. S. Mariae super Miner-
ram, Episcopus Viterbiensi? et Tuscaniensis.
Marianus Escalada, Archiepiscopus De Buenos Ayres.
Antonius Manastyrski, Episcopus Presmiliensis.
Bernardinus Frascolla, Episcopus Fodianus.
Eduardus Vasquez, Episcopus Panamensis.
Franciscus Suarez Peredo, Episcopus Verae Crucis.
Bernardus Mascarou Laurence, Episcopus Tarbiensis.
Marianus Pdigllat y Amigo, Episcopus Illerdiensis.
Basilius Gill y Bueno, Episcopus Oscensis et Barbastrensis.
Raphael Siale, Episcopus Albinganensis.
Ioannes Devoucoux, Episcopus Ebroicensis.
Franciscus Cardozo Ayres, Episcopus Olindensis.
Thomas Grant, Episcopus Southwarcensis.
Georgius De Stahl, Episcopus Herbipolensis.
Pa>taleon Monserrat y Navarro, Episcopus Barcinonensis.
Cor>elius Mac Cabe, Episcopus Ardagadensis.
Felix Cantimorri, Episcopus Parmensis.
Ioseph Severa, Episcopus Inter amnensis.
Hieronymus Zeidler, Abbas, Praeses Generalis Ordinis Praemonstraten*
siimi.
Dominicus a Sancto Ioseph, Praepositus Generalis Ordinis Carmela arum
discalceaiorum.
R. 1. P.
CRONACA
CONTEMPORANEA
Roma 13 Agosto 1870.
1.
COSE ITALIANE.
1. Stati Pontificii 1. Visita del Santo Padre a Monasteri — 2. air istituto
dei ciechi — 3. a S. Maria in via Lata — 4. L'università della Sapienza —
5. Atto pubblico di Teologia in Collegio romano, dedicato al S. Padre —
6. Conservatorio Pio di S. Spirito eretto in Palestrina — 7. Partenza dei
soldati francesi dallo Stato pontificio.
1 . La Santità di nostro Signore, verso le dieci antimeridiane del 2 Ago-
sto, movendo dall'apostolica residenza del Vaticano in treno nobile, ac-
compagnata dalla sua corte ed anticamera, recossi alla ven. chiesa del
SSnio Crocifìsso, a monte Cavallo, appartenente alle monache Cap-
puccine. Il Santo Padre, ricevuto alla porta dal Rino P. Generale dei
Cappuccini, e dai religiosi di quest'Ordine che prestano la spirituale as-
sistenza a quelle Suore, ascoltò la santa Messa, che fu celebrata da imo
dei suoi cappellani segreti, e compì la visita prescritta a lucrare la ple-
naria indulgenza, detta della Porziuncida, che nel predetto giorno si ac-
quista in tutte le chiese dei religiosi e delle religiose viventi sotto la re-
gola del gran Patriarca di Assisi. Dopo ciò la Santità Sua entrò nel mo-
nastero, ed ammise al bacio del piede le Suore, che consolò dirigendo lo-
ro breve discorso per confermarle nello spirito di perfezione, al quale
sono chiamate dallo stato che si sono eletto volandosi a Dio.
Dal monastero delle Cappuccine Sua Santità fece passaggio all'altro
limitrofo delle Adoratrici perpetue del SSnio Sagrameli lo, degnandosi
similmente di ammettere al bacio del piede queste suore, e confortando-
le nel loro santo proposilo con paterne toccanti parole. Il Santo Padre,
CRONACA CONTEMPORANEA 189
poco dopo il mezzodì, faceva ritorno all'apostolico palazzo Vaticano tra-
versando la città fra le più riverenti ed affettuose dimostrazioni degli
abitanti.
2. La medesima Santità Sua nelle ore pomeridiane del 3 Agosto, si
piacque onorare di una visita il nascente istituto dei giovanetti ciechi,
collocato temporaneamente in quello dei sordomuti, ed assistere ad un
saggio della istruzione quivi data ai medesimi. Il Santo Padre, ricevuto
all'ingresso dall'Emo e Rino signor Cardinale Milesi, presidente della
pubblica Beneficenza e degl'istituti da essa dipendenti, da S. E. Rina
monsignor Negroni, ministro dell'interno, dalle LL. EE. il signor mar-
chese Cavalletti, senatore di Roma, e signor Duca di Sora, presidente
della Commissione, entrò nell'aula principale decorosamente addobbata,
mentre gl'infelici giovanetti cantavano un inno, musicato ed accompa-
gnato sul pianoforte dal loro maestro il cieco Oldani. Dopo aver Sua San-
tità udita breve relazione sullo stato del nascente istituto, fatta da uno
dei membri della Commissione, ebbe luogo il saggio che versò sulla dot-
trina cristiana, sulla grammatica italiana, sull'aritmetica, e sulla lettura
eseguita in caratteri a rilievo e a punti, e sulla scrittura a matita e a
punti, e terminò con concerti musicali di canto e di suono. Il Santo Pa-
dre ammise quindi al bacio del piede i giovinetti e i loro maestri rega-
lando ciascuno di una medaglia in argento; e consegnato al Tesoriere
dell'istituto un oggetto assai prezioso per utilizzarne il ritratto a vantag-
gio della pia opera, lasciò il locale manifestando la somma sua soddisfa-
zione, e tutti facendo lieti dell'apostolica Benedizione.
3. Nella ven. chiesa diaconale e collegiata di S. Maria in via Lata
si celebrò, il dì 8 Agosto, la festa dei S. Martiri Ciriaco Levita, e dei
suoi compagni Largo e Smaragdo, in onore dei quali è ivi dedicato
uno degli altari principali, in cui sono venerate le insigni Reliquie del
primo dei nominati atleti della nostra santa Religione, trasportatevi
dall'antico tempio che fu già in quei dintorni consacrato alla sua me-
moria. E i fedeli vi accorrono a mostrare la loro divozione verso un
Santo, la cui intercessione fu sempre sperimentata valevole presso il
Signore contro le vessazioni diaboliche : al qual line, per uso che monta
a remotissimo tempo, sogliono nel predetto giorno distribuirsi al po-
polo in larga copia pani con la invocazione di S. Ciriaco benedetti. La
Santità di nostro Signore, che nei primordii del suo Sacerdozio sedè fra
i Canonici di quel Rmo Capitolo, ai molti argomenti onde nella sua
munificenza ha più volte significato l'affetto che conserva verso questa
chiesa arricchendone il sacro tesoro con preziose suppellettili, si è pia-
ciuta di mandare in dono, ieri mattina, in occasione della predetta
festiva ricorrenza, due lampade di argento con rabeschi e riporti la-
vorati a cisello, belle per forma e decorate del suo stemma a smalti
colorati, acciò ardessero innanzi l'altare del S. Levita. E nelle ore po-
meridiane vi si recò di persona, ricevuta dal Rino Capitolo. Quivi ado-
Ì90 CRONACA
rò l'augustissimo Sagramento, Teucro le Reliquie del Santo, e passato
nell'Aula capitolare ammise al bacio del piede i componenti lo stesso
Capitolo, con gli altri addetti alla Chiesa, coi quali amorevolmente si
trattenne ricordando le memorie che si legano a quell'antico e vene-
rando tempio. E confortati tutti dell' apostolica Benedizione, i Canonici
rinnovarono alla Santità Sua le proteste della gratitudine, che serbe-
ranno perenne per i beneficii coi quali si è degnata distinguere la lo-
ro chiesa.
4. L'Emo e Rino signor Cardinale De-Angelis, Arcivescovo di Fermo,
camerlengo di santa romana Chiesa, e arcicancelliere della romana
Università, la mattina del 25 Luglio, recossi in nobile treno a questo
archiginnasio per chiudervi il corso scolastico 1809-70 col conferimento
delle Lauree e dei Gradi e con la distribuzione dei preraii. L'Emo Porpo-
rato fu ricevuto sull' ingresso principale dal Rino P. Rettore, dai mem-
bri dei collegi scientifici e dai professori, i quali dipoi fecero a lui coro-
na nell'aula massima ove ebbe luogo la cerimonia letteraria. Le Lauree
cbe si conferirono furono : in sacra teologia quarantatre ; nell'uno e nel-
l'altro Diritto novantaquattro : nella medicina ventisette; nella chirurgia
venti; nella filosofia e matematica trentasei; nella filosofia ragionale quat-
tro; e i gradi di baccellierato e licenza, dati nelle predette facoltà, ag-
giuntavi la farmaceutica, ascesero complessivamente al ninnerò di quat-
tro cento quarantacinque. Il libero esercizio delle professioni fu conceduto
in medicina a ventidue; in chirurgia a quattordici: in farmacia a sette; in
filosofia e matematica a quarantaquattro ; in agrimensura e misurazione
di fabbriche a quarantatre ; in farmacia inferiore a quattordici; in fleboto-
mia a nove; in ostetricia a otto; in veterinaria superiore a tre; in chi-
rurgia dentistica a due. Ventiquattro conseguirono il notariato.
Al detto numero delle Lauree e dei Gradi, aggiungendo il numero di
centossessatituno studenti, che per potere attendere al secondo anno del
corso di teologia, di legge e di medicina subirono l'esame di passaggio,
si conosce che oltre a mille furono i frequentanti l'Università, i quali
col mezzo degli esami prescritti diedero egregia prova del profitto ri-
portato.
Al conferimento delle Lauree e dei Gradi segui la pubblicazione dei
nomi di quanti ne'concorsi tenuti sul terminare dell'anno scolastico nel-
le singole scuole della facoltà teologica, legale, medico-chirurgica, filo-
sofica filologica, non che negli annuali esercizii accademici furono repu-
titi degni ei premio, ed essi ascesero al numero di duecenloventisei. Fu-
rono novecenfonove i giovani, che ai diversi concorsi presero parte Ter-
minatasi la descritta cerimonia, fu celebrata nella chiesa deli
la solenne Messa e si cantò V Inno di ringraziamento, prestandovi assi-
stenza il ricordato EiTio Porporato, i collegi, i professori e la i fcol ;esca.
5. La Santità di nostro Signore benignamente degnassi di permettere
che all' augusto e venerato suo nome fosse intitolato l1 atto pubblico di
CONTEMPORANEA 491
Teologia dommatica, (che, nelle ore antimeridiane e pomeridiane del 2
Agosto, tenne al Collegio romano, dei Padri della Compagnia di Gesù, il
reverendo signor D. Giovanni Guglielmo Arenhold, alunno del Collegio
germanico-ungarico. Il Santo Padre commise V onore di rappresentarlo
air Emo e Rino signor Cardinale Antonelli, suo segretario di Sialo, il qua-
le perciò nei pomeriggio recossi in nobile treno alla chiesa di sant'Igna-
zio, ove si tenne la disputa, accompagnato dagf Illnii e Rnii monsignor
Marino Marini, Arcivescovo Vescovo di Orvieto, pro-sostituto di Segre-
teria di Stato, e pro-segretario degli affari ecclesia stici straordinarii;
monsignor Lorenzo Gizzi, ponente della sacra Consulta; e monsignor
Nassi, canonico della patriarcale Basilica liberiana. Il trono pontificio er-
gevasi alla metà della grande navata, che era tutta addobbata, e dicon-
tro, superiormente alla cattedra ove sedeva il Difendente, leggevasi la
iscrizione dedicatoria. All'Emo Porporato facevano con largo giro coro-
na Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi, ed altri Prelati in gran-
dissimo numero; ed inoltre Superiori generali di Ordini religiosi, profes-
sori e dottori di scienze sacre.
Le tesi, cavate dalla materia dell1 intera Teologia, che il Difendente si
proponeva di sostenere, ascendevano al numero di trecento diecissette, e
contenevansi in un libretto a stampa, cui era premessa la Epigrafe e la
Epistola dedicatoria, dalla cui lettura cominciò l'esperimento. A prova-
re T ingegno e la dottrina del giovine teologo levossi primo Sua Eccel-
lenza Reverendissima monsignor Hassun, Patriarca di Cilicia degli Ar-
meni ; poi mimo e Rino monsignor Garcia Gii, Arcivescovo di Saragoz-
za ; da ultimo F ìllmo e Rino monsignor Iacobini, Segretario della S. Con-
gregazione di Propaganda per gli affari del rito orientale, e sotto- segre-
tario del Concilio vaticano. 11 modo tenuto dai Difendente nel risponde-
re e nello sciogliere le molteplici difficoltà che si obbiettarono contro,
dimostrò quanto acuta abbia V intelligenza, e come questa sia stata per
lui nudrita da lunghi e profondi studii. La dotta assemblea lo rimeritò
con applausi, i quali avea pur conseguiti con V esperimento dato, secon-
do il costume, nelìe ore antimeridiane nell'aula massima, ove gli si era-
no levati a contraddittori diversi egregi Professori.
6. Tra le tante opere di beneficenza promosse dal pio istituto di S. Spi-
rito a vantaggio de'poveri infermi ed esposti si deve ora annoverare l'ere-
zione di un nuovo conservatorio in Palestrina per collocarvi quelle fan-
ciulle esposte che restate prive d'educazione per morte de' loro conces-
sionarii o da questi per cause legittime ritolte, ritornano sotto la cura
immediata di quel pio istituto. Tornando queste da ville o terre nelle
quali erano state concesse a famiglie di contadini, ed avendo ricevuto
educazione conforme al vivere villereccio, facea mestieri che nel modo
medesimo venissero conseguemente cresciute ed allevate, siccome quelle
che vanno per lo più a marito con contadini e che perciò debbono esse-
re buone madri di famiglia atte al disimpegno di tutte quelle faccende
492 CRONACA
che deve esercitare una donna secondo quella condizione. Quindi è che
le occupazioni di queste fanciulle debbono principalmente consisterà,
oltre i doveri religiosi, nel far pane, cucinare, (ilare cucire, tessere, far
calze, fare il bucato, in una parola nell'adempimento di tutte le dome-
stiche attribuzioni.
Si dovea pertanto rinvenire all'uopo un locale che tanto per la sua
naturale postura, quanto per le opportune comodità soddisfacesse
compiutamente a tali esigenze. Monsig. Commendatore di S. Spirito
umiliò il progetto alla Santità di N. S. e ne riportò il sovrano benepla-
cito. Dopo varie ricerche fatte nei paesi circonvicini fu rinvenuto nella
città di Palestrina un locale a dovizia fornito di tutti gli agi e i comodi
necessari! per uno stabilimento di simil natura, cioè una fabbrica di re-
cente e solida costruzione con acqua, terreno da coltivare, granai, forno,
ambienti atti a tesser la tela, grotte, cantine ecc. Recati a termine
tutti i necessari i preparativi fu disposto che si procedesse all'apertura
del locale nel giorno 21 di Giugno, anniversario dell' incoronazione del-
l'immortale regnante Pontefice intitolandolo a tale effetto' Conservatorio
Pio di S. Spirito. Le benemerite suore della carità di S. Vincenzo de Pao-
li guidate dalla superiora generale suor Carolina Chambrot, insieme al
rappresentante del pio Istituto sig. Pietro Caldani commissario generale
degli esposti, eransi colà recate per assumerne la direzione loro affidata.
Invitata l'autorità ecclesiastica residente sul luogo a fare la benedizione,
vi si prestò cortesemente; e mentre ciò eseguivasi il Governatore, il
Gonfaloniere, l'intiera Magistratura e le persone più cospicue della città
spontaneamente si presentarono nel novello stabilimento, per attesta-
re la loro soddisfazione e gratitudine in vedere eretto nella loro città
quell'istituto caritatevole. Al suono di quel concerto municipale venne-
ro innalzati di fuori gli stemmi di Sua Santità e del pio luogo di S. Spi-
rito in Sassia, dandosi termine con tale atto alla solennità dell' inau-
gurazione d'uno stabilimento, da cui altresì si scorge l'interesse che
prende il Pio luogo di quegl' infelici suoi figli, interpretando la carità,
lo zelo, la mente di quell'augusto Sovrano, il quale nel suo gran cuore e
nella singolare sua munificenza adempie sopra ogni altro al precetto
espresso nelle sacre pagine : Tibi derelictus est pauper, orphano tu tris
adiu'.or.
7. Negli ultimi giorni di Luglio e nei primi di Agosto si compì l'im-
barco e la partenza da Civitavecchia per Marsiglia dei circa cinquemila
Francesi rimasti nelle province dello Stato pontificio, dopo la già av-
venuta partenza di gran parte di quelli che, nel Novembre del 1867,
coll'applauso del mondo cattolico, vennero a Roma a tempo per unirsi
coi Pontificii a dare l'ultimo crollo all'invasione garibaldina e contri-
buire finora alla sicurezza di Roma contro la possibilità di simili at-
tentati.
CONTEMPORANEA 3LU«S
IL
COSE STRANIERE.
Guerra Franco-Prussiana 1. Guerra diplomatica — 2. Primi preparativi di
guerra sul Reno e primi scontri di niun momento — 3. Preparativi per
mare — 4. Le Potenze neutrali.
1. Per quanto l'importanza dei primi fatti d'arme accaduti tra Prussia
e Francia colla peggio di questa, le cui notizie ci giungono mentre scri-
viamo, e la probabile maggior importanza di quegli altri politici e mili-
tari insieme che ora si preparano e saranno avverati quando si leg-
geranno queste pagine e per ora si possono soltanto congetturare; per
quanto, diciamo, 1' importanza di questi fatti paia togliere ogni interesse
al racconto delle quistioni diplomatiche e dei primi preparativi guerre-
schi e fatti d'arme che li precedettero, non crediamo però doverne tra-
lasciare il racconto ; perchè sia noto, almeno nelle sue parti precipue, il
filo degli avvenimenti. Nel fascicolo seguente narreremo, a Dio piacen-
do, quello che ora occupa le menti e le immaginazioni di tutti. In que-
sto ci contenteremo di raccontare i principii. Dunque prima che gli eser-
citi venissero alle mani, i giornali ufficiali, e le cancellerie prussiana e
francese vennero a parole assai amare ed a rivelazioni, accuse e a difese
in cospetto dell'Europa, di cui ciascuna delle parti contendenti volea così
guadagnarsi le simpatie e il suffragio. Cominciò la Corrispondenza di
Berlino a parlare vagamente di un progetto di trattato attribuito alla
Francia, secondo il quale questa non si sarebbe opposta air unità germa-
nica sotto la Prussia, quando questa avesse cooperato ad assicurare alla
Francia l'acquisto del Belgio e del Lussemburgo. Non negò ogni cosa
il Giornale officiale di Parigi : ma V attenuò molto pretendendo che Y ini-
ziativa del negozio fosse venuta da Berlino.
Intanto, per comunicazione fattane da Berlino, il Times del 25 Luglio
pubblicò il progetto di quel Trattato con queste parole :
« Ci venne comunicato gentilmente il seguente progetto di trattato :
« Sua Maestà il Re di Prussia e Sua Maestà l'Imperatore dei Francesi,
giudicando utile di ristringere i legami di amicizia che li uniscono e di
consolidare i rapporti di buon vicinato felicemente esistenti fra i due
paesi, convinti d'altra parte che per raggiungere questo risultato, de-
stinato d'altra parte ad assicurare il mantenimento della pace generale,
importa loro d'intendersi su questioni che interessano le loro future re-
lazioni, hanno deciso di concludere un trattato a questo effetto, e nomi-
nato inconseguenza per loro plenipotenziarii, cioè:
« S. M., ecc.
« S. M., ecc.
19 1 CRONACA
a I quali dopo aver scambiato i loro pieni poteri, trovati in buona e
debita forma, sono convenuti nei seguenti articoli :
« Art. I. — Sua Maestà l'Imperatore dei Francesi ammette e ricono-
sce gli acquisti che la Prussia ha fatto in seguito all'ultima guerra che
essa ha sostenuto contro l'Austria e contro i suoi alleati.
« Art. II. — Sua Maestà il Re di Prussia promette di facilitare alla
Francia l'acquisto del Lussemburgo; a questo effetto la detta Maestà
entrerà in negoziati con Sua Maestà il Re dei Paesi Bassi por determinar-
lo a fare all'Imperatore dei Francesi la cessione dei suoi diritti sovrani in
questo ducato, verso quel compenso che sarà creduto sufficiente od al-
trimenti. Dal canto suo l'Imperatore dei Francesi s'impegna ad assumere
gli obblighi pecuniarii che può comportare questa transazione.
« Art. IH. — SuaMaestà l'Imperatore dei Francesi non si opporrà ad
un'unione federale della Confederazione del Nord con gli Stati del mez-
zogiorno della Germania, ad eccezione dell'Austria, la qual unione po-
trà essere fondata su di un Parlamento comune, pur rispettando, in una
giusta misura, la sovranità dei detti Stati.
« Art. IV. — Dal canto suo, Sua Maestà il Re di Prussia, nel caso in
cui Sua Maestà l'Imperatore dei Francesi fosse indotto dalle circostanze a
fare entrare le sue truppe nel Belgio od a conquistarlo, concederà il soc-
corso delle sue armi alla Francia, e la sosterrà con tutte le sue forze di
terra e di mare, verso e contro ogni potenza che, in tale eventualità le
dichiarasse la guerra.
« Art. V. — Per assicurare l'intera esecuzione delle disposizioni che
precedono, Sua Maestà il Re di Prussia e l'Imperatore dei Francesi con-
traggono, mediante il presente trattato, un'alleanza offensiva e difen-
siva che essi s'impegnano solennemenle a mantenere. Le Loro Maestà si
obbligano, inoltre e specialmente, ad osservarlo in tutti i casi nei quali
i loro Stati rispettivi, di cui essi si guarentiscono reciprocamente l'inte-
grità, fossero minacciati da una aggressione, tenendosi per vincolati,
in simile circostanza, di adottare senza ritardo e non rifiutare sotto nes-
sun pretesto i provvedimenti militari che fossero imposti dal loro inte-
resse comune, conforme alle clausole e previsioni enunciate più sopra. »
Era naturale che la pubblicazione di questo trattato eccitasse grande
commozione specialmente io Inghilterra dove subito fu interpellato nel
Parlamento il Governo. Per soddisfare all'ansietà universale e dare le
relative spiegazioni i due Governi di Berlino e di Parigi pubblicarono
Tarii documenti. Ed in prima ecco la Circolare che il Bismark di
a tutti i rappresentanti della Prussia presso le Potenze neutre, sotto la
data dei Vò Luglio, in questo tenore:
« Rispondendo all'aspettativa espressa nel Parlamento malese da lord
Granville e dal sig. Gladslone, che ulteriori comunicazioni sarebbero
fatt«v (1 Jle due potenze interessate circa il progetto di trattato, ho pre-
ventivamente risposto con una comunicazione in data del -27, diretta per
COiNTEMPORAlNEÀ 495
telegrafo al conte di Bernstorff. La forma telegrafica non mi permetteva
che una breve esposizione, che compio oggi per iscritto.
« Il documento pubblicato dal Times non è la sola proposta che ci sia
stata l'atta nello siesso tempo dalla Francia. Già prima della guerra di
Danimarca, agenti francesi ufficiosi e non ufficiosi avevano fatto pres-
so di me dei tentativi per un'alleanza fra la Francia e la Prussia di-
retta allo scopo di un reciproco ingrandimento.
« Non ho bisogno di farvi osservare che la credenza del Governo fran-
cese alla possibilità di una simile transazione con un Ministro tedesco, la
cui posizione è una conseguenza del suo accordo completo col senti-
mento nazionale tedesco, non può spiegarsi che coi fatto che gli uomini
di Stalo della Francia non conoscono le condizioni fondamentali dell'esi-
stenza degli altri popoli. Se gli agenti del Governo francese fossero
stati capaci di osservare le relazioni tedesche, a Parigi non si sarebbe
mai dato corso alla illusione regolare gli affari tedeschi coli1 aiuto della
Francia. Vostra Eccellenza conosce come me Y ignoranza nella quale so-
no i Francesi circa la Germania.
« Gli sforzi del Governo francese per attuare i suoi avidi progetti sul
Belgio e sui confini renani, coir assistenza della Prussia, erano già giun-
ti a mia conoscenza prima del 1862, per conseguenza prima della mia
entrata ai Ministero; ma non posso considerare queste comunicazioni,
affatto personali, come tali da potere entrare nel dominio delie trattative
internazionali, e credo dovere conservare i documenti interessanti che
risultano da colloqui! e da lettere private che potrei fornire per chiarire
quest'affare. Le tendenze più sopra menzionate del Governo francese si
manifestano, prima di tutto, nell'attitudine che esso osservò in nostro
favore al momento del conflitto prusso-danese. L'irritazione cbe la
Francia risentì in seguito contro di noi all'occasione del trattato di Ga-
stein, proveniva dal timore che il consolidamento durevole dell' alleanza
prusso-austriaca non facesse perdere al gabinetto di Parigi i frutti di
questa attitudine. Già, prima del 1865, la Francia aveva fatti i suoi
conti sopra una guerra fra noi e l'Austria, ed essa si avvicinò con pia-
cere alla Prussia non appena cominciarono ad alterarsi i nostri rapporti
con Vienna. Prima che scoppiasse la guerra, delle proposte mi furono
fatte in parte da parenti di S. M. l'Imperatore dei Francesi ed in parte
da agenti confidenziali. Queste proposte avevano sempre per mida tran-
sazioni intese a produrre reciproci ingrandimenti. Ora trattavasi del
Lussemburgo o della frontiera del 1814 con Landau e Sarrelouis, ora di
uno scopo più esteso, nel quale la Svizzera francese e la questione di
sapere dove bisognava tracciare i confini del Piemonte relativamente
alla lingua, non erano esclusi.
* In Maggio 1866 queste insinuazioni presero la forma di una proposta
d'alleanza offensiva e difensiva, della quale rimase in mia mano l'estrat-
to seguente:
496 CRONACA
1.' Io caso di Congresso insistere d'accordo per la cessione della Ve-
nezia all'Italia e l'annessione dei ducati alla Prussia.
2." Se il Congresso non riesce, alleanza offensiva e difensiva.
3.8 Il Re di Prussia comincerà le ostilità nei dieci giorni che seguiran-
no la separazione del Congresso.
4.° Se il Congresso non si riunisce, la Prussia assalirà trenta giorni
dopo la conclusione del presente trattato.
5.° L'Imperatore dichiarerà la guerra all'Austria appena saranno co-
minciate le ostilità fra l'Austria e la Prussia (trenta giorni, 300,000 uo-
mini).
6.° Non si farà pace separata coli' Austria.
7.° La pace si farà nelle condizioni seguenti :
La Venezia all'Italia ed i territori! tedeschi di cui più sopra alla Prus-
sia (7 ad 8 milioni d'anime a scelta) ; più la riforma federale nel senso
prussiano.
Per la Francia il territorio fra la Mosella ed il Reno senza Cohlenza
e Ma gonza.
8.° Convenzione militare e marittima fra la Francia e la Prussia non
appena si avesse l'adesione del Re d'Italia.
« La forza dell'armata colla quale l'Imperatore doveva aiutarci, in vir-
tù dell' articolo 5, era fissata a 3000,000 uomini. La cifra della popolazio-
ne, di cui la Francia voleva ingrandirsi, si elevava, secondo il calcolo
dei Francesi (che non è d'accordo colla cifra reale) ad 1 milione 800,000
anime. Tutti coloro che sono bene al corrente della storia diplomatica
e militare del 1866 scorgeranno in queste clausole la politica che la
Trancia seguiva nello stesso tempo coli' Italia, colla quale essa trattava
ugualmente in segreto e più tardi di fronte alla Prussia ed all'Italia.
Dopo che noi abbiamo rigettato in Giugno 1866 il progetto d'alleanza
sopra menzionato, non ostante avvertimenti reiterati e pressoché minac-
ciosi, il Governo francese, non sperando più che sul trionfo dell'Austria,
sperava poterci invece sfruttare, offrendoci l'aiuto della Francia, dopo
la nostra eventuale disfatta, disfatta che la politica francese cominciava
a preparare diplomaticamente con tutti gli sforzi.
« \ ostia Eccellenza sa che il congresso, di cui è questione nel progetto
d'alleanza, e che fu proposto anche più tardi, avrebbe avuto per risul-
tato di porre termine alla nostra alleanza coli' Italia, conclusa per tre
mesi, senza che questa potenza avesse potuto esserci utile. Vostra Ec-
cellenza sa pure in quale modo la Francia si sforzò con ulteriori comuni-
cazioni relative a Custoza, di nuocere alla nostra condizione e di prepa-
rare la nostra disfatta se ciò fosse stato possibile.
« Le angoscio patriottiche del signor Rouher sono un commentario del-
la politica ulteriore della Francia. Da quel tempo essa non cessò di ten-
tarci eoo offerte a spese della Germania e del Belgio. Ma non ho mai
pensalo che fosse possibile accettare offerte di questa natura. Credeva
CONTEMPORANEA 497
clic fosse utile, nell'interesse della pace, di lasciare ai diplomatici fran-
cesi le illusioni che loro sono particolari quanto maggior tempo ciò era
possibile, senza neppure fare delle promesse verbali, lo presumeva che
r annientamento delle speranze francesi comprometterebbero la pace
che era nell'interesse della Germania e dell1 Europa di mantenere. Io
non era dell'avviso di quegli uomini politici, i quali consigliavano di
non impedire la guerra con tutti gli sforzi, perchè in ogni caso essa
era inevitabile. Nessuno può penetrare i disegni della Provvidenza, ed
io considerai una guerra, anche felice, come una sventura che la diplo-
mazia doveva sforzarsi di risparmiare ai popoli, lo non potevo non
senza la possibilità di eventuali modificazioni nella costituzione e nella
politica della Francia, che farebbero sparire la necessità d'una guerra
fra due popoli. Per questi motivi io mi tacqui sulle domande che mi
erano state fatte, e negoziai dilatoriamente senza mai fare promesse.
« Allorché naufragarono le trattative col Re dei Paesi Bassi per l'acqui-
sto del Lussemburgo, la Francia mi rinnovò le sue precedenti proposte
circa il Belgio e la Germania del sud. Allora ebbe luogo la comunicazio-
ne del manoscritto del sig. Benedetti. Supporre che l'ambasciatore di
Francia abbia formulato queste proposte di sua propria mano , me le
abbia rimesse e le abbia appoggiate a più riprese, modificando i testi
che io faceva cambiare , tutto ciò senza Y autorizzazione del suo Sovra-
no, è completamente inverisimile ; e non lo è meno che l'imperatore
Napoleone non abbia aderito alla domanda della cessione di Magonza,
domanda che mi fu fatta ufficialmente dall' ambasciatore imperiale nel
corso del 1866 , con minaccia di guerra in caso di rifiuto.
« Le diverse fasi di cattivo umore e di voglia di far la guerra per par-
te della Francia, che noi abbiamo attraversato dal 1866 al 1869, coin-
cidono abbastanza bene colla buona e la cattiva disposizione per le trat-
tative che gli agenti francesi credevano di trovare presso di me. Nello
stesso modo con cui io ero stato avvertito, in passato, da un per-
sonaggio alto locato, che non fu estraneo a queste trattative, che nel
caso di un1 occupazione del Belgio, noi troveremmo bene il nostro Bel-
gio altrove; nello stesso modo mi si diede ad intendere, in un'occasio-
ne anteriore, che, nella soluzione della questione d'Oriente, la Francia
non cercherebbe punto la sua parte in Oriente, ma sibbene sulle sue fron-
tiere immediate.
« Io credo che la convinzione che non si potrebbe giungere per mezzo
nostro ad un aumento di territorio francese, ha da se sola deciso l' Im-
peratore ad ottenerla con una guerra contro di noi. Ho anzi luogo di
credere che, se la pubblicazione del progetto di trattato non avesse
avuto luogo, la Francia ci avrebbe fatto, dopo il compimento dei no-
stri reciproci armamenti , Y offerta di mettere in esecuzione le propo-
ste che anteriormente ci erano state fatte , allorché ci saremmo trovati
Serie VII, voi. XI, fase. 490. 32 13 Agosto 1870.
498 CRONACA
assieme alla testa di un milione di soldati bene armati , in faccia al-
l'Europa disarmata, ovvero di fare la pace prima o dopo la prima bat-
taglia, sulla base delle proposte del signor Benedetti a spese del Telaio.
« Relativamente al testo di queste proposte, io faccio osservare che il
progetto di trattato è interamente scritto di mano del signor Bene i» t i e
sopra carte dell1 ambasciata di Francia e che gli ambasciatori d'Austria,
d Inghilterra, di Russia, di Baviera, del Baden, del Belgio, dell'Assia,
d'Italia, di Sassonia, di Turchia e del Wùrtemberg, i quali videro T ori-
ginale, riconobbero il carattere del signor Benedetti. All'articolo 1° il
signor Benedetti rinunziò, fino dalla prima lettura, alla clausola finale
(e la mise fra parentesi), dopo che io gli avevo fatto osservare che.
essa faceva suppore un'immistione della Francia negli affari interni nel-
la Germania. 11 signor Benedetti fece spontaneamente in mia presenza
una correzione meno importante all'articolo 2.° Il 24 informai verbal-
mente lord Loftus dell'esistenza del documento; e dubitandone egli,
io lo invitai a prenderne conoscenza, ciò che fece il 27, e si co:
allora che il documento era del suo antico collega francese. Se oggi il
gabinetto imperiale nega i tentativi coi quali esso si è sforzato di av-
vicendare con noi dal 1864 fin adesso le con promesse e le minacce, e
ciò senza interruzione, la cosa si spiega facilmente colla condizione
politica presente. »
Alla pubblicazione del Trattato ed alla Circolare del Bismarck il Go-
verno francese rispose in prima con una lettera del sig. Benedetti, che
confessava al ministro duca di Grammont di aver bensì scritto quel trat-
tato, ma, in un certo modo, sotto la dettatura del Bismark: poi con una
circolare del duca di Grammont agli agenti diplomatici francesi all'este-
ra. Essa è data il 5 Agosto e dice così.
« Signore..., noi conosciamo oggidì lo sviluppo del telegramma indi-
rizzato dal sig. conte di Bismark all' ambasciatore di Prussia a Londra per
annunciare all'Inghilterra i pretesi segreti, di cui il cancelliere federale
si diceva depositario. Il suo dispaccio non aggiunge alcun fatto »
ziale a quelli ch'egli aveva già esposti. Noi vi troviamo soltanto alcune
inverosimiglianze di più. Noi non ce ne occuperemo. L'opinione pubbli-
ca ha già latto giustizia di asserzioni, che non ricevono alcuna autorità
dall'audacia colla quale si ripetono, e consideriamo come definita amente
stabilito, che giammai l'imperatore Napoleone ha proposto alla frussii
un trattato per prendere possesso del Belgio. Questa idea appartiene al
sig. di Bismark; era uno degli spedienli di quella politica senza scrupoli,
che speriamo, volga al suo termine.
« Mi asterrei dunque dal ritornare sopra asserzioni la cui falsila -
gidì manifesta, se l'autore del dispaccio prussiano con una maacania di
tatto che \Qdo per la prima volta giunta a questo grado in nn documento
diplomatico, non avesse citato dei parenti dell' Imperatore come latori di
messaggi e di confidenze compromettenti. Qualunque sia la repugnanza
CONTEMPORANEA 499
con cui mi veggo obbligato, per seguire il cancelliere prussiano, ad im-
pegnarmi in una via tanto contraria alle mie abitudini, vinco questo sen-
timento, perchè è mio dovere di respingere le perfide insinuazioni, che,
dirette contro membri della famiglia imperiale, cercano evidentemente
di colpire l'Imperatore stesso.
« In Berlino il sig. di Bismark, prendendo l'iniziativa delle idee di cui
egli vuole oggidì attribuirci il primo concepimento, sollecitava in questi
termini il principe francese che egli fa intervenire oggidì ad onta di
ogni convenienza, nella sua polemica : « Voi cercate, gli diceva egli,
una cosa impossibile, voi volete prendere le province del Reno che
sono tedesche. Perchè non annettervi il Belgio, dove esiste un popolo
che ha la stessa origine, le stesse relazioni, la stessa lingua? Ho già
fatto dir ciò air Imperatore; se egli entrasse nelle mie viste, noi Io
aiuteremmo a prendere il Belgio. Quanto a me, se fossi il padrone e che
non fossi imbarazzato dall1 ostinazione del Re, ciò sarebbe già fatto. »
Queste parole del cancelliere prussiano furono, per così dire, letteral-
mente ripetute alla Corte di Francia dal conte di Goltz. Questo amba-
sciatore ne faceva tanto poco mistero, che è considerevole il numero dei
testimoni', che 1' hanno udito. Soggiungerò che all'epoca dell'Esposizio-
ne universale, le trattative della Prussia furono conosciute da più d'un
alto personaggio che ne prese buona nota e se ne sovviene ancora.
Non era del resto nel conte di Bismark un' idea passeggiera, ma bensì
nn progetto concertato, al quale si riferivano i suoi progetti ambiziosi,
e ne proseguiva Y esecuzione con una perseveranza che è provata abba-
stanza dalle sue numerose escursioni in Francia, sia a Biarritz, sia al-
trove. Egli non riuscì dinnanzi alla volontà irremovibile dell' Imperato-
re, il quale rifiutò sempre di associarsi ad una politica indegna della sua
lealtà.
t Lascio ora questo argomento che ho discusso per Y ultima volta,
colla ferma intenzione di non ritornarvi più, e giungo al punto veramen-
te nuovo del dispaccio del signor di Bismark: « Ho motivo di credere,
dice egli, che se la pubblicazione del progetto di trattato non avesse
avuto luogo, la Francia ci avrebbe fatto, dopo il compimento dei no-
stri reciproci armamenti, l'offerta di mettere in esecuzione le propo-
ste ch'essa ci aveva fatte anteriormente, appena ci fossimo trovati
insieme alla testa a un milione di soldati bene armati, di fronte all' Eu-
ropa non armata, cioè di fare la pace prima o dopo la prima battaglia
sulla base delle proposte del signor di Benedetti, a spese del Belgio. »
Non potrebbe convenire al Governo dell' Imperatore di tollerare una
simile asserzione. Di fronte all'Europa, i Ministri di S. M. sfidano il si-
gnor di Bismark di addurre un latto qualunque che possa far supporre
ch'essi abbiano manifestato direttamente od indirettamente, in via uffi-
ciale o pel canale di agenti segreti, l'intenzione di unirsi alla Prussia
per compiere con essa sul Belgio V attentato commesso sull' Aunover.
500 CRONACA
« Noi noti abbiamo intrapreso nessun negoziato col signor di Bismark
né sul Belgio, né sopra un altro soggetto qualsiasi. Ben lungi dui cercar
Ja guerra, come siamo accusati, noi abbiamo pregato lord Clarendon di
intervenire presso il Ministro prussiano per provocare un disarmo reci-
proco, missione importante di cui lord Clarendon, per amicizia verso
Ja Francia e per devozione all'idee di pace, consentì ad incaricarsi con-
fidenzialmente. Ecco in quali termini il signor conte Dani, in una let-
tera del 1 Febbraio, spiegava le intenzioni del Governo al sig. marche-
se di Lavalette, nostro ambasciatore a Londra: « E certo cbe non mi
immischierei punto di questo affare e clic non chiederei meglio dell' In-
ghilterra di non immischiarsene, se si trattasse puramente e semplice-
mente d'un passo volgare e di pura forma, fatto unicamente per for-
nire al signor di Bismark l'occasione di esprimere una volta di più il
suo rifiuto. È un passo fermo, serio, positivo che si tratta di fare. Il
segretario principale di Stato sembra prevedere che il signor di Bis-
mark proverà un primo movimento di malcontento e di malumore. Ciò
è possibile ma non certo. In questa previsione, è forse bene di prepa-
rare il terreno, in modo da evitare una risposta negativa da princi-
pio. Sono convinto che la riflessione ed il tempo indurranno il cancel-
liere a prendere in seria considerazione il passo dell1 Inghilterra; se,
sino dal primo giorno, egli non ha respinto ogni trattativa, l'interesse
della Prussia e della Germania tutta parlerà ben presto abbastanza al-
to per indebolire le sue resistenze. Egli non vorrà sollevare contro di
sé l'opinione di tutto il paese. Quale sarebbe la sua condizione, infatti,
se noi gli togliessimo il solo pretesto dietro il quale egli possa rifugiar-
si, cioè l'armamento della Francia? »
« Il conte di Bismark rispose dapprima eh1 egli non poteva prendere
fu di se di far parte al Re dei suggerimenti dei Governo britannico, e
eh1 egli conosceva bene la maniera di vedere del suo sovrano e pre-
sentare la sua opinione contraria. Il re Guglielmo vedrebbe certa-
mente, diceva egli, nel passo del gabinetto di Londra, la prova d* un
cambiamento nelle disposizioni dell'Inghilterra verso la Prussia. Insom-
ma il cancelliere federale dichiarava «ch'era impossibile alla Prussia
di modificare un sistema militare entrato profondameute nelle tradizio-
ni del paese, che formava una delle basi della sua costituzione e non
aveva nulla di anormale. »
« Il sig. conte Daru non si fermò a questa prima risposta. Il 13 Feb-
braio, egli scriveva al sig. di Lavalette: « Spero che lord Clarendon non
si terrà per battuto e non si scoraggirà. Noi gli daremo prossimamente
T occasione di ritornare alla carica, se ciò gli conviene, e di riprendere
la conversazione interrotta col cancelliere federale. È nostra intenzione,
infalli, di diminuire il nostro contingente; noi lo avremmo diminuito
mollo se aves*iino ottenuto una risposta favorevole del cancelliere del-
la Confederazione del Nord; noi lo diminuiremo meno, poiché la rispo-
COKTEMPORANEA 501
sta è negativa, ma non pertanto lo diminuiremo. La riduzione sarà,
spero, di 10,000 uomini; questa è la cifra clic io proporrò.
« Affermeremo in questo modo con gli atti, che valgono sempre me-
glio delle parole, le nostre intenzioni, la nostra politica. Nove contin-
genti, ridotti di 10,000 uomini ciascuno, fanno una diminuzione totale
di 90,000 uomini. E già qualche cosa, è un decimo dell1 esercito esisten-
te; deploro di non poter fare di più. La legge del contingente sarà de-
posta quinto prima. Lord Clarendon giudicherà allora se è a proposito
di rappresentare al signor di Bismark che il Governo prussiano, solo
in Europa, non fa punto concessioni allo spirito di pace, e ch'egli si po-
ne così in una situazione grave iu mezzo alle società europee, perchè
egli dà delle armi contro di se a tutti, ed anche alle popolazioni acca-
sciate sotto il peso dei carichi militari ch'egli impone loro. »
« Il conte di Bismark, vivamente stimolato, credè necessario di en-
trare in qualche nuova spiegazione con lord Clarendon. Queste spiega-
zioni, come le conosciamo da una lettera del signor di Lavalette, sotto la
data del 23 Febbraio, erano piene di reticenze. Il cancelliere della Confe-
derazione prussiana, ritornando sulla sua prima risoluzione, aveva par-
lato al re Guglielmo della proposta raccomandata dall'Inghilterra, ma
Sua Maestà l'aveva rifiutata. In appoggio di questo rifiuto, il cancel-
liere adduceva il timore d'alleanza eventuale dell'Austria con gli Stati
del Sud della Germania e le velleità d'ingrandimento che potrebbe ave-
re la Francia. Ma egli adduceva soprattutto le preoccupazioni che gli
ispirava, diceva egli, la politica della Russia, e s1 impegnava, a questo
proposito, in considerazioni particolari sulla corte di Pietroburgo, che
preferisco passare sotto silenzio, non potendo decidermi a riprodurre
ili; umazioni offensive. Questi sono i rifiuti, che il conte di Bismark op-
poneva alle leali e coscienziose istanze rinnovate reiteratamente da lord
Clarendon, per la domanda del Governo dell'Imperatore.
« Se dunque l'Europa è rimasta in armi, se un milione d' uomini sono
sul punto di urtarsi sui campi di battaglia, non è più permesso di con-
tentarlo, la responsabilità d'un simile stato di cose appartiene alla Prus-
sia, poiché essa ha respinto ogni idea di disarmare allorché noi gliene
facevamo giungere la proposta, e incominciavamo a dargliene l'esempio.
Questa condotta, non si spiega essa del resto col fatto che all' ora stessa
in cui la Francia, fiduciosa, diminuiva il suo contingente, il gabinetto di
Berlino organizzava all'ombra la candidatura provocatrice d'un Principe
iiano? Qualunque siano le calunnie inventate dal cancelliere federa-
le, noi siamo senza timore; egli ha perduto il diritto d'essere creduto.
La coscienza dell' Europa e la storia diranno, che la Prussia ha cerca-
to la guerra attuale infliggendo alla Francia, preoccupata dello sviluppo
delle sue istituzioni politiche, un oltraggio che nessuna nazione potente
e coraggiosa avrebbe potuto accettare senza meritare il disprezzo dei
popoli. »
502 CRONACA
2. Mentre così battagliavano i Ministri e le cancellerie , il 28 Luglio
Napoleone III abbandonava la capitale della Francia, per recarsi col
Principe imperiale, al quartier generale del grande esercito di opera-
zione, a Metz. Un telegramma di Berlino della stessa data annunziava
che il 31 Agosto il Re di Prussia lasciava la capitale per venire al cam-
po. Il re Guglielmo era accompagnato dal primo ministro Bismark.
Coll'arrivo dei due Sovrani i due e.erciti si dichiaravano in assetto di
guerra.
Già prima del loro arrivo le direzioni dei due eserciti erano state mol-
to mutate. Al primo muoversi delle truppe francesi, il campo di Chà-
lons. le guarnigioni della Francia orientale, centrale e meridionale afflui-
vano in grandi masse a Strasborgo. I giornali di Lione e di Straborgo
erano pieni di ragguagli della gran quantità di truppe che si accumula-
vano in quella città. Tutto parea far prevedere che i francesi intendes-
sero prendere i tedeschi alla sprovvista, passare il Reno a Kehl in faccia
a Strasborgo e dirigersi fra Cassel e Yurtzborgo verso il Meno, cioè
proprio nel cuore della Germania, minacciando a sinistra gran parte
della Prussia Renana, a destra gli Stati del Sud, e di fronte Berlino. E
pare che la Prussia si aspettasse quest'attacco, perchè sulle prime, riti-
rate tutte le guarnigioni che avea di qua dal Reno, si fortificò nell'an-
golo sporgente formato dal Reno e dal Meno, per aspettare colà l'urto
dei francesi; e i contingenti di Baviera, "Wurtemberg e Badcn ebbero
ordine di descrivere un gran circuito per concentrarsi al largo nella
bassa Baviera verso le sorgenti del Meno e i monti della Boemia, come
se si temesse che potessero venire ad urtarsi nei francesi. La cosa era
così generalmente aspettata, che la fantasia del telegrafo ci regalò per-
fino la descrizione del passaggio dei francesi per Kehl e di un certo
campo trincerato nei dintorni di Rastadt, da essi preso sul nemico. Ma
in breve si riconobbe che i piani dei movimenti militari si erano modi-
ficati , giacché dal 20 e 21 Luglio le truppe che venivano da Parigi e
dalla Francia occidentale invece di proseguire fino a Strasborgo, si fer-
mavano a Metz e di là si avanzavano verso la frontiera bavaro-prussia-
na, prendendo posto lungo quella frontiera. Intanto le truppe accu-
mulate a Strasborgo, si diressero esse pure verso il Nord, sicché i
giornali e le lettere di Strasborgo, annunziavano il 23 e il 24 che q nella
città era di nuovo sgombra di soldati. Però non rimase sguernita a lun-
go, perchè mentre le truppe partite congiungevansi alle altre in prima
linea alla frontiera, he succedevano in Strasborgo altre componenti il
primo corpo di esercito, destinato a formare una prima riserva sotto il
comando del maresciallo Mac-Mahon, mentre una seconda riserva orga-
nizzava^ più indietro, al campo di Chàlons.
I prussiani dal canto loro vedendo che i francesi non si avanzava-
no, appena i corpi ebbero ricevute le prime riserve e si furono
sul piede di guerra, ripassarono il Reno in grandi masse, sboccando
COKTEMPORÀEEA 503
da Magonza e Coblenza e si avanzarono di nuovo fino alla frontiera
francese. I bavaresi del Palafittato che eransi ritirati nella città murata
di Landau, ritornarono essi pure alla frontiera francese. Altri corpi
prussiani passarono il Meno, entrarono nel gran Ducato di Baden, ri-
salirono il Reno tino a Khel, dove furono raggiunti dai badesi, mentre
bavaresi e wurtemberghesi non più minacciati di una sorpresa, presero
una via più breve e vennero a concentrarsi verso Wurtzborgo. Alla fi-
ne di Luglio all'arrivo dei due Sovrani al campo si può dire che i due
eserciti belligeranti fossero disposti nel seguente modo. Alla frontiera
franco-bavaro-prussiana, verso il Nord della Francia, il 2° e 4° corpo
comandati dai generali Ladmirault e Froissard, formavano l'estrema si-
nistra francese, nei dintorni di Metz, e Thionville, al di là dei quali la
Francia confina cogli Stati neutrali del Lussemborgo e del Belgio. Alla
destra di questi corpi , cioè al centro dell'esercito francese in faccia ai
con- ini della Prussia e del palatinato, trovavasi il 3° corpo comandato
dal maresciallo Bazaine; poi il 5* comandato dal generale De Failiy che
si appoggiava quasi al Reno. Un po' indietro alla destra, cioè a Stra-
sborgo, trovavasi il 1° corpo comandato dal maresciallo Mac-Mahon. Un
po' indietro fra il centro e l'ala sinistra, cioè a Nancy, la guardia impe-
riale. Più indietro infine il corpo di Riserva al campo di Chàlous, sotto
il maresciallo Canrobert. I cinque corpi si possono ritenere forti di 40
mila uomini caduno, pronti al combattimento. Più altri 40 mila uomini
fra la guardia imperiale e la Riserva di Chàlons. L'effettivo sulla carta
di questo esercito si può calcolare a circa 300 mila uomini; ma spediti
a combattere, non saranno più di 240 in 250 mila. Essi sono disisi in
23 divisioni di fanteria e 7 di cavalleria; cioè circa 260 battaglioni di
fanti e 150 squadroni di cavalli.
L'esercito prussiano si divide in tre armate: quella del Reno, quella
del Meno e quella di Riserva. Quella del Reno comprende tutto il fiore
dell'esercito prussiano, cioè circa 80 reggimenti di fanteria e 40 di ca-
valleria. Posta sotto il comando diretto del \ rincipe Federico Carlo, essa
si stendeva verso il fine di Luglio lungo la frontiera francese in faccia
all'esercito nemico. Non si può calcolare esattamente la forza di quel-
l'esercito che il Times del 30 Luglio faceva ascendere a 300 mila uomi-
ni, ma forse con qualche esagerazione. Un secondo esercito composto
di poche truppe prussiane, al quale doveano riunirsi circa 100 mila uo-
mini bavaresi, sassoni, wurtemberghesi e badesi, e così circa 150 mila
uomini sotto il Principe ereditario di Prussia, stava organizzandosi nel
Meno, avendo per obietto Strasborgo, cioè il fianco destro dell'eser-
cito francese. Infine un esercito di riserva, composto degli altri ottan-
ta reggimenti di Landweber che la Prussia organizza in tempo di
guerra, si formava fra il Weser e il Meno, sotto il generale De Bit-
tenfeìd col quartiere generale a Francoforte, dove pure il re Gugliel-
mo venne a stabilire il quartier generale principale di tutte quante le
504 CRONACA
forze di operazione prussiane. Inoltre la Land weber organizzata in nuo-
vi reggimenti secondo il sistema prussiano, formava corpi di osserva-
tone per la difesa del litterale, minacciate dalle flotte e dai corpi di sbarco
francesi, e pel presidio di Berlino, la cui vicinanza al Baltico, la rende
esposta a qualche colpo di mano, sotto gli ordini di Vogel di Fal-
kensìein.
I due grandi eserciti prussiano e francese, occupavano prima della
rottura delle ostilità una fronte assai ristretta: il francese fra Thionville,
e Strasborgo, cioè una fronte di cento circa miglia italiane, ed altrettan-
to il prussiano fra Saareìouis e Landau. Una catena di montagne, i Vo-
sgesi, che viene dalla Francia e penetra in Prussia e Baviera Renana, di-
vide questo spazio di terreno in due valli quasi parallele, l'una bagnata
dal Reno e l'altra bagnata dalla Saar: queste due valli discendono dalla
Francia verso la Prussia e Baviera renana: i francesi lungo i due pendii
dei Yosgesi tendono a penetrare in Prussia, nello spazio compreso fra i
due fiumi; e i prussiani si dispongono a chiuderne il passo. Bitcbe quar-
tiere generale del 3° corpo cioè del centro francese, è una piccola città si-
tuata sui Yosgesi; i quartieri generali della sinistra e della destra si ap-
poggiano gli uni alla Saar (a Sarreguemines e Forhach) e gli altri al
Reno (Haguenau e Strasborgo). Pareva tuttavia che lo sforzo principale
dell' esercito francese si portasse principalmente verso la sinistra, per-
chè da quella parte la vallata della Saar, si allarga verso la Prussia e dà
il passo verso le province renane, mentre air opposto quella del Re-
no si restringe ed è quasi chiusa dal Reno che volta a sinistra verso
Spira e Magonza.
Parecchi piccoli scontri si ebbero nelle prime settimane. Ma il primo
fatto d1 arme di qualche momento avvenne il 2 Agosto. I prussiani
sembravano volersi mantenere a Saarbruk, piccola città posta sulla
Saar , dove si incrociano le due ferrovie che vanno da Metz a Man-
heime da Strasborgo a Treviri. La Saar in quel punto costituisce quasi
la frontiera, e la città è come la chiave delle pianure treviresi. La de-
stra dell1 esercito prussiano pareva appoggiarsi a Saarbruk che è fra il
centro e la sinistra dell'esercito francese. Già da parte dei francesi crasi
fatto un tentativo contro Saarbruk li 30 Lnglio; ma erano stati respinti.
II 2 Agosto venne pertanto ordinata una forte ricognizione france-
se contro Saarebruk, comandata dall'Imperatore in persona. Questa
aveva principalmente due scopi: primo di riparare il leggero scacco toc-
cato dalle armi francesi tre giorni prima, e secondo di tastare i prussia-
ni e vedere se realmente il nemico intendeva tener fermo in quella po-
sizione; se cioè si sentiva sostenuto, e se il grosso dell'esercito prus-
siano era vicino e disposto ad ingaggiare una lotta di qualche importan-
za. I francesi stabiliti a Forback cioè in vista di Saarbruk, uscirono ^er-
so le dieci del mattino dagli alloggiamenti e impegnarono razione verso
le 11. Dopo un combattimento che durò fino all'una, i francesi occupa-
CONTEMPORANEA 505
rono le alture che dominano la citlà, e la loro artiglieria ridusse, a
quanto ne disse il telegramma ufficiale, al silenzio Y artiglieria nemica.
Tuttavia il corpo francese non proseguì il suo vantaggio lino oltre la
città e contentossi di mantenersi nelle posizioni conquistate; il che pare
significare che realmente i prussiani fossero in forze sufficienti, ma che
nessuna delle parti giudicasse ancora prudente di impegnare un azio-
ne di maggior momento.
È intanto da notare la contraddizione delle notizie di quel fatto d'ar-
me di origine francese e prussiana. I giornali francesi parlano di una so-
la divisione francese impegnata contro tre divisioni prussiane; in-
vece il bollettino ufficiale di Berlino, 4 Agosto, asserisce che i fran-
cesi formaronsi in tre divisioni sugli avamposti, obbligando il debole
distaccamento che occupava la città ad evacuarla. Qui si possono fare
alcuni commenti. Non possiamo suppore che Napoleone III col suo fi-
glio, siasi voluto avventurare in un fatto d'arme con poca truppa, e
quindi ci par più probabile che i francesi fossero superiori di numero;
ma un debole distaccamento di prussiani non poteva sostenersi due ore
contro un corpo considerevole di truppa. È infatti più ragionevole di
supporre che i prussiani non avessero lasciato senza un forte presidio
quel posto di qualche importanza, che manteneva le comunicazioni fer-
roviarie di Treviri col centro dell'armata prussiana; ma quantunque
numerosi, dovettero cedere ad un nemico superiore di forze, dopo una
buona ed onorevole resistenza di due ore.
Qui è noto il rovescio delle armi francesi succeduto al primo loro
avanzarsi alle offese. Nel fascicolo seguente ne racconteremo i partico-
lari. Toccato così dei preparativi per terra, veniamo ora a parlare dei
preparativi per mare.
3. La Francia ha un grande impegno a valersi della supremazia che
le dà sui mari la preponderanza della sua flotta, rispetto a quella della
Prussia. La flotta tedesca non ha disponibili che 6 grandi legni corazza-
ti, laddove la Francia ne ha 18 in attività di servizio, ed altri otto furo-
no allestiti o stavano compiendo le ultime operazioni sullo scorcio di
Lugli o. Inoltre la Francia possiede 270 altri legni di antico modello o
di minor portata, mentre la flotta tedesca non arriva a possederne 50.
In altri termini, stando alle statistiche dei giornali inglesi, la Francia fa
su questo momento galleggiare 6784 cannoni e la Prussia solo 5G3.
Fin dalla rottura delle ostilità un corpo numeroso di truppe era diret-
to a Brest e a Cherborgo, per essere imbarcato e spedito nei mari del
Nord. L'importanza che si dava a questa spedizione è rivelata dall'esscr-
si recata la stessa imperatrice Eugenia a Cherborgo per assistere all'ini-
barco ed eccitare colla sua presenza l'entusiasmo dei soldati.
Dal canto suo la flotta prussiana rinunziava a mantenersi al largo, e
veniva a rifugiarsi nei posti militari che stanno all' imboccatura dell'El-
30 G CRONACA
ba e del Weser per le divisioni del Mar del Nord, e a Kiel pel naviglio
del Baltico.
Il secreto fu ben mantenuto circa i movimenti della flotta francese, la
quale del resto non può mandare notizie che assai tarde, perchè non ha
a sua disposizione veruna stazione telegrafica, operando contro sponde
nemiche che intercettano tutte le comunicazioni. Ecco però sommaria-
mente le notizie che si poterono raccogliere dai giornali inglesi e tedeschi.
La flotta francese pare divisa in due squadre principali. Una di 12 le-
gni corazzati e altri legni minori da guerra che serve di vanguardia ;
l'altra di sei altri legni corazzati provenienti dal Mediterraneo che scor-
ta un convoglio di 30 grossi vapori da trasporto carichi di truppa, im-
barcata a Brest e Cherborgo.
Già il 18 Luglio i giornali viennesi annunziavano la comparsa di una
flotta francese nei Mari dell'isola di Helgoland che è di fronte alle im-
boccature del Weser e dell'Elba, appartenenti agli antichi Slati di Ànno-
ver eOldemborgo. Altro dispaccio dell'Aia 20 Luglio annunziava che il
giorno precedente un legno da guerra francese erasi arrenato presso l'iso-
la di Fielaud, nelle stesse acque; e il Times del 23 riferiva come una nave
mercantile, il Seahorse, avesse udito un forte cannoneggiamento dalle par-
ti di Sohwenin-gen in faccia alle coste olandesi, che si credea prodotto
dallo scontro di qualche legno prussiano coi francesi. Pare dunque che
verso il 20 Luglio la flotta francese si trovava alle alture della costa
germanica del Mar del Nord.
La France del 24 annunziava in seguito che una squadra, cioè la se-
conda, era espettata a Brest; e annunziava contemporaneamente che il
Corpo di spedizione si era tutto concentrato in quella città e a Cher-
borgo. Contemporaneamente sapevasi che i vapori delle Messaggerie
imperiali erano stati respinti per trasporto di truppe. Questa era la se-
conda squadra col corpo di sbarco, che deve aver lasciato i posti fran-
cesi fra il 24 e il 26 di Luglio. Dispacci di origine tedesca annunziava-
no il 23 che i posti tedeschi di Brema, Lubecca, Amborgo, Stellino e
Kònigsberg erano stati posti in istato d'assedio dalla prima squadra e
che si andavano fortificando le coste coi famosi cannoni giganti della
fonderia Krupp, i quali portano proiettili del peso di 500 (ettogrammi,
capaci di affondare una nave alla distanza di due miglia. Questa noiizia
confermava indirettamente l'altra della comparsa delle navi franti
vista delle coste tedesche del Mar del Nord.
La prima flotta, a detta di un dispaccio di Emdem (Annover), ora an-
cora il 21 presso l'isola di Borkum all'imboccatura dell'Ems. Ma la Gaz-
zetla di Colonie, annunziava già il 2-2 che navi francesi, l'avanguardia
della prima squadra, avevano passalo la Sonda e penetrato nel Baltico.
Un dispaccio di Londra, 21 Luglio confermava la notizia; e altro dispac-
cio di Copenaga del 28 annunziava che il giorno precedente tutta la
CONTEMPORANEA 507
prima flotta aveva passato il Capo Skageu, e quindi addentravasi nel
Sund.
Mentre quella prima flotta penetrava nel Baltico, la seconda flotta
traversava la Manica, seguendo la stessa direzione. Infatti un telegram-
ma di Londra 27 Luglio, diceva esser essa stata veduta nelle acque di
Wich sulla costa occidentale inglese, navigando verso iì Nord; e il
Gaulois di Parigi annunziava a sua volta che il 26 la squadra di Bonet-
Villaumes era passata in vista di Douvres il 26 ; e un dispaccio di
Vienna, 28 Luglio, dava più minuti ragguagli, dicendo che essa si com-
poneva di 5 corazzate a sperone, due corazzate minori, e trenta grossi
vapori da trasporto.
Da cosifatti ragguagli, henchè spesso confusi e contraddittorii, si può
rilevare che l'operazione della squadra francese fosse combinata nel se-
guente modo. La prima squadra composta esclusivamente di grossi le-
gni da guerra, presentandosi nel Mar del Nord, forzava il naviglio prus-
siano a nascondersi nei posti fortificati; e teneva in rispetto quel navi-
glio fino a che la seconda squadra colle truppe di sbarco avesse salpa-
to dai porti francesi. La stessa squadra vedendo che il mare era spazza-
to di squadre nemiche, si avviò verso il Sud, per compiere la stessa
operazione nel Baltico. Per tal guisa si dividevano le forze prussiane,
le quali temendo sulle prime un attacco contro il littorale annoverese,
si occuparono a fortificar solo quello, ma al momento dato invece la
tempesta parve volgersi in altre parti per andarsi a scaricare sulle co-
ste indifese del Baltico.
Per dare un'idea forse triviale ma assai esatta del teatro di queste ope-
razioni navali, diremo che le coste tedesche, danesi, svedesi e russe di
quelle regioni danno ali1 ingrosso f immagine di una immensa bocca di
animale, spalancata e munita di enormi denti veduta di profilo. Il labbro
inferiore è rappresentato dalle coste germaniche dell' Ànnover e Oldem-
borgo, i denti inferiori sono formati dalla penisola danese, i denti supe-
riori, che invece di essere in fuori sono in dentro, costituiscono l'altra pe-
nisola della Svezia e Norvegia, e in mezzo alle due dentiere quasi come
due enormi bocconi sono le due isole principali di Fionia e Seeland ap-
partenenti alla Danimarca. La bocca seguita a spalancarsi per molte cen-
tinaia di miglia, e disotto è rappresentata prima dalle coste prussiane,
poi dal litorale russo, e il palato della stessa bocca è il proseguimento
della costa svedese. La flotta francese venne a fermarsi innanzi al labbro
inferiore per minacciarlo, poi repentinamente si spiccò di là e passando
fra i denti, venne a posarsi sulla parte inferiore dell' interno della boc-
ca. Le coste prussiane sono in questa parte poco difese e di facile ac-
cesso ad uno sbarco. Tutta la costa è irta di isolette impossibili a difen-
dere contro una flotta armata di grossi cannoni che le possa circondare.
Un corpo di sbarco assistito da una flotta superiore di forze può facil-
mente impadronirsi di una di queste isole e sfidare i prussiani che si
508 CRONACA
trovano dall'altra parte del canale sulla terra ferma. L1 isola di fl
separata da uno stretto canale da Stralsunda cui mette capo uno ferro-
via di Berlino, 1" altra isola di Usedom posta di fronte a Stettino e ad
Anklan sono a poche leghe da Berlino, al quale si può avere accesso sia
per ferrovia sia pel fiume Oden, navigabile fino a poche leghe dalla
capitale della Prussia. Il possesso pertanto di questi punti di sbarco,
poteva riuscire fatale alla Prussia, qualora la Francia avesse potato am-
massarvi un corpo di truppe così considerevole da poter uscire all'
to e misurarsi colle forze prussiane. Infatti al primo annunzio del pas-
saggio della flotta francese nella Sonda, i giornali berlinesi si mostraro-
no assai inquieti di questa minaccia e da quanto si può raccogliere, i!
Governo prussiano ha ordinato la formazione di una riserva di osserva-
zione intorno a Berlino, composta di soldati della Land-weber.
Si ebbero fin dal 4 Agosto per telegramma notizie di conflitti navali
avvenuti nel Baltico ; ma troppo oscuri e laconici da non poterne trarre
verun costrutto. E prevedibile che lo Stato maggiore francese avrà calco-
lato il tempo che la flotta dovea impiegare per dar principio al suo at-
tacco, in un mare col quale i piloti francesi si sono familiarizzati nel tem-
pi della guerra di Crimea quando venne espugnata Bomarsund. Perciò
assai più che dalle incerte nozione dei telegrammi e più che dalle rela-
zioni ufficiali, le quali dovendo venir per mare saranno sempre in ritar-
do intiere settimane, il lettore potrà trarre meno incerti indizii delle o-
perazioni del Baltico da quelle del grande esercito francese scaglionato
fra Strasburgo e Thionville che devono coincidere con quelle della flot-
ta; l'ordine di marciare da Nancy dovea probabilmente combinarsi col-
F ordine di bombardare dato dalla nave ammiraglia della flotta del Bal-
tico. Ma è chiaro che la disastrosa ritirata deir esercito di terra dee a
quest'ora aver influito sul richiamo in Francia dell1 esercito di mare.
4. È un fatto che tutte le potenze europee estranee al conflitto franco-
prussiano sentono in teoria i vantaggi della neutralità, ma in pratici
provano la grande difficoltà di poterla conservare. L'Inghilterra che
pure è di tutte la meno minacciata, baciò non pertanto presi provvedi-
menti di precauzione. Il Times avea lettere da Malta fin dal -2*2 e Gibilter-
ra 23 Luglio, in cui si discorreva delle cautele di difesa che si stavano
prendendo ih quei due grandi punti della strategia navale nel Mediter-
raneo. L'Arsenale di Woolwich è in gran moto per allestire ordigni di
guerra, e una flotta numerosa tiene il mare nella Manica e nel mare
del Nord. Inoltre fu ordinata una leva di 20,000 uomini e il parlamen-
to votò le spese necessarie per questi allestimenti militari.
L'Austria sta parimente armandosi : un dispaccio da Vienna già an-
nunziava fin dal 19 Luglio che « fu deciso in un Consiglio de' Ministri
di ripristinare lo stato di pace dell'armala che per le economie era stato
fortemente ridotto e di sospendere i movimenti autunnali di truppe.
CONTEMPORANEA 509
Nella seduta segreta della dieta ungarica del 28 Luglio il primo mini-
stro Andrassy domandò un impresti to di 5 milioni di fiorini per prov-
vedere a tutte le eventualità di guerra. Venne pure concessa al Mini-
stero la facoltà di anticipare la leva di quesl' anno. Il ministro degli
esteri Andrassy interpellato sopra la condotta che avrebbe tenuto l'Au-
stria, rispose che l'Austria volea la neutralità e non pensava punto a ri-
cuperare I1 influenza sulla Germania, cui aveva rinunziato dopo il 1866.
Questa dichiarazione venne accolta con applausi.
La Russia ingrossa il suo esercito in Polonia ponendo l'orti corpi di
truppa tra la Prussia e l1 Austria con grande inquietudine della stampa
austriaca e specialmente dell' ungarese.
Bei piccoli Stati confinanti col teatro della lotta si capisce che gli
apprestamenti militari sono spinti con energia. L'Olanda e il Belgio
hanno chiamato sotto le armi un 60,000 uomini ciascuno e il Lussem-
borgo ha messo in linea la sua armata che si compone di 500 caccia-
tori a piedi e 1300 gendarmi! La Svizzera è però quella che si mostra
più inquieta. Ha convocato cinque divisioni di truppa cioè 30,000 uomi-
ni circa che ha accampati verso Basilea. Venne eletto dall'Assemblea
federale il 19 Luglio, il colonnello Herzog per generale capo. I gior-
nali svizzeri e francesi temevano assai che la Prussia non volesse ri-
spettare la neutralità di questa potenza, ma risalire la sponda del Reno,
verso Basilea e Neuchàtel per entrare per la famosa valle di Dappel
nel territorio francese.
Al Nord della Germania stanno tre potenze, la Russia, la Svezia e la
Danimarca. La Russia ha grandi simpatie e comunanze di interessi colla
Prussia. La Prussia è infatti la sola fra le grandi potenze europee cui
poco importi della preponderanza alla quale la Russia così ardentemente
aspira in Oriente. Inoltre Russia e Prussia posseggono la massima parte
della cattolica Polonia, che soffre mal volontieri il giogo tanto degli
scismatici di Pietroburgo, quanto de1 luterani di Berlino. La Russia vede
quindi naturalmente di mal occhio le flotte francesi approdare alle coste
prussiane del Baltico a 50 leghe dal granducato di Posen (Polonia prus-
siana e cosi avvicinare la miccia accesa alla mina di risentimenti che
cova sotto le macerie della Polonia soggiogata. Ed invero al primo an-
nunzio della comparsa della squadra francese nel Baltico, una. flotta rus-
sa di una mezza dozzina di corazzate venne a gironzolarle vicino con una
cera di neutralità malevola, che è proprio il contrapposto della neutra-
lità benevola di Firenze. Ed è da notare che i giornali prussiani non si
peritano di asserire che qualora nascessero tumulti nel Granducato di
Posen, la Russia interverrebbe militarmente per mantenervi l' ordine,
per il pericolo che la comunanza di nazionalità non facesse anche nascer
P incendio nella Polonia russa. Anche qui la Russia farebbe il rovescio
della medaglia, di quanto si fa a Firenze nella quistione romana.
510 CRONACA
Le altre due potenze, cioè Svezia e Danimarca, sono invece assai pro-
pense alla Francia. Vedendosi schiacciate fra i due colossi del Nord, ac-
colgono volentieri l'idea di mettersi sotto la protezione di un'altra
grande potenza interessata a sostenerle. La Svezia però è meno diretta-
mente impegnata a dichiararsi. La Danimarca invece, che si vide spo-
gliare delle due più belle sue province lo Schleswigh e PHolstein ; e di
più non può nemmeno riaver quella parte dello Schleswigh che il trat-
tato di Praga sembrava volerle restituire, arde di desiderio di veder
trionfare la Francia. Tuttavia il Governo, posto fra un nemico vicino e
un amico lontano, protesta continuamente della sua neutralità assoluta;
ma le popolazioni si manifestano energicamente in favor della Francia ;
ed è facile immaginare qual conseguenza possa avere in così critiche cir-
costanze anche una semplice imprudenza di popolo.
Ma di tutti gli Stati neutrali il più impacciato è quello di Firenze. I
Ministri hanno dichiarato in pien parlamento che vogliono mantenersi
in uno stato di neutralità benevola per la Francia. Questa neutralità be-
nevola non piacque agli arrutfapopoli e mestatori della demagogia, i quali
organizzarono dimostrazioni e meeting in favore della neutralità assoluta.
Di queste dimostrazioni ve ne furono a Firenze le sere del 18 e 19 Lu-
glio, e a Torino, a Milano, a Napoli, a Palermo, quasi contemporanea-
mente fra il 20 e il 25 dello stesso mese, ma composte quasi esclusi-
vamente di monelli e mestatori. Le popolazioni sono seriamente in-
quiete e non secondano questi tumulti. È curioso però osservare che in
tutte queste dimostrazioni, organizzale in onore della neutralità assoluta,
oltre al gridare: Viva la Repubblica! Viva Garibaldi! e altre grida tut-
t' altro che neutrali quanto alle cose interne; si gridò generalmente: Viva
la Prussia! Abbasso Napoleone HI; le quali grida, quanto rispettino la
neutralità all'estero, ognuno può dirlo. Ma il peggio fu a Milano la sera
del 25. Si cominciò lungo il Cordusio e a Porta Garibaldi a fare il solito
chiasso pseudo-neutrale, ma quando fu fatta ressa, e le guardie di P. S.
misero mano a sciogliere gli attruppamenti, presso al locale di S. Orsola,
sbucarono fuori un venti patrioti armati di fucile e fecero fuoco sulla forza
pubblica. Anzi si tentò rovesciar omnibus e improvvisar barricate; ma
non fu possibile venirne a capo. Varii di questi dimostranti a colpi di fu-
cile, vennero arrestati, come pure vennero arrestati parecchi redattori
e i gerenti del Gazzettino Rosa e dell' Unità Italiana, ma questi asseri-
scono essersi trovati per mero caso nel tumulto. È però da avvertire
che il Gazzettino Rosa portava nel numero di quel giorno in fronte un
disegno, rappresentante una bomba che scoppia, con una relativa iscri-
zione intorno alla festa che dovea far V Italia per quella bomba che scop-
piava !
Però dopo parecchi giorni quelle dimostrazioni si calmarono. Forse in
grazia di un' astuzia della polizia che fé affiggere agli angoli cartelli mi-
steriosi, come i seguenti. Ora si vede scritto così : Biancone si muove!
altra volta è stampato in grosse lettere 1." Agosto e sotto a queste pa-
role un ? colossale. Con ciò la gente si martella il cervello, e aspet-
tando T ignoto si dimentica o non si cura del presente. Ora si lavora
a gran forza a provare che gli arrestati di queste scene facevano per
burla: e forse i tribunali meneranno buona la ragione. Si riconosce che
nella casa da cui sboccarono i venti armati di via S. Orsola a Milano,
CONTEMPO RANEA 511
furono rinvenute casse di revolver e fucili perfezionati; eppure quei ta-
li che uscirono in piazza aveano avuto cura di scegliere dei fucili ruggi-
nosi ed inservibili della guardia nazionale. A Genova, a Milano, a Pa-
lermo vennero scoperti depositi d'anni, e sequestrati.
Con tutto ciò il Ministero si siringe alla sua politica della neutralità
benevola. Interpellato a più riprese nella Camera si tenne fermo a que-
sto suo programma. Interrogato se volea prolittare dell'occasione della
guerra in cui la Francia si trova impegnata colla Prussia, per andare a
jftoma , rispose evasivamente dichiarando di attenersi alla Convenzione
di Settembre. Messo alle strette per sapere se il ritiro delle, truppe
francesi si adoperava dalla Francia d'accordo col Governo di Firenze, i
Ministri si contentarono di dichiarare che un tale avvenimento non vio-
lerebbe in nulla le leggi della neutralità. Questa dichiarazione importan-
te conciliò al Ministero i voti di una gran parte della sinistra, e gli alie-
nò quelli dell'estrema destra che si unì all'estrema sinistra per votar
contro quella dichiarazione.
Ma la quistione romana pare debba avere una coda. Il 20 Luglio ar-
rivava in Firenze da Parigi il conte Vimercati, latore chi dice di una let-
tera dell'Imperatore al Re, e chi dice un trattato bello e formulato di
alleanza eventuale tra Francia, Austria e Italia. Il conte Vimercati si fer-
mò pochi giorni a Firenze, poi si recò a Vienna dove arrivò il 27. 1 gior-
nali più credibili asseriscono che in questi colloquii del Vimercati, si git-
tarono le basi dei detti accordi, dei quali sarebbe stato conseguenza imme-
diata il richiamo del corpo francese che occupava Civitavecchia. La Iti-
forma di Firenze fin dal 21 così parlava dello sgombro dei Francesi :
« Ci si afferma che le esibizioni fatte alla Corte italiana siano per un
« ritorno puro e semplice aila Convenzione di Settembre: il Governo
« italiano rimarrebbe obbligato a non toccare e a difendere il conline
« pontificio. » L'Ambasciatore di Prussia conte Brassier di S. Simon ebbe
sentore della cosa e corse dal Ministro degli affari esteri Visconti Venosta
per avere una spiegazione. Un corrispondente fiorentino della Gazzetta
di Torino del 27 asserisce che l'ambasciatore prussiano « avrebbe si-
gnificato da parte del suo Governo al nostro Ministro degli affari esteri
che la surrogazione delle nostre truppe alle francesi in Civitavecchia
verrebbe considerala come un l'atto uscente dai limiti della neutralità a
danno deila Prussia e quindi di natura tale, da sollevare il casus belli tra
quest'ultima e l'Italia. » Fatto sta che dopo quella conversazione l'am-
basciatore prussiano partiva per Berlino e un dispaccio di Vienna del
27 Luglio diceva: « Il Governo di Prussia avrebbe l'intenzione di invia-
re l'intimazione di dichiarare la propria posizione politica », cioè, in ter-
mini meno diplomatici, di scegliere fra una neutralità passiva, e la neu-
tralità benevola per Francia.
Quello che è certo si è che il Governo di Firenze pare avere come un
presentimento di non la potere durare a lungo neutrale. Esso è il solo dei
Governi neutrali non confinanti col teatro deila guerra che abbia richia-
malo sotto le armi .fin dai primi giorni delle ostilità franco prussiane dei
soldati in congedo. È vero cne le due classi chiamate erano state congeda-
te prima del tempo prescritto dai regolamenti per ragioni di economia ;
ciò non di meno sono sempre 65 mila l uomini dì più che venivano sotto
1 Classe del 1844 n. 35,468 uomini, id. del 1845 n. 33,114 uomini. Totale 68 582 uomini.
512 CRONACA CONTEMPORANEA
le armi : sicché le truppe possibili ad essere mobilizzate in Italia ascen-
dono a circa 150 mila uomini di tutte le armi. Si parlò molto, ma senza
che nulla si sapesse di certo, della formazione di un corpo di osserva-
zione da radunarsi a Verona. Si designavano i generali che lo coman-
deranno: cioè Cialdini in capo, con Pianell e Cadorna per luogotenenti.
Intanto numerosi corpi di truppa si avviavano a quella volta fin dal 20
Luglio, quantunque la mobilizzazione di quell'esercito non fosse ancor
dichiarata. Però gli accordi furono già presi fin da quell'epoca colle am-
ministrazioni delle ferrovie, pel trasporto in tre giorni di 60 mila uomini
a Verona, e tutti i giornali annunciavano fra il 23 e 26 l'ordine dato di
provvedere 10,000 cavalli e 1500 muli per l'artiglieria, col qual rinfor-
zo si potranno mobilizzare 80 batterie (240 cannoni) d'artiglieria di cam-
po e 15 batterie (60 cannoni) di montagna. Verso la stessa epoca si pre-
parava la chiamata di altre due classi di soldati in congedo, cioè quelle
del 1842 e 1843, onde portar la forza dell'esercito suscettivo di mobiliz-
zazione a 200,000 uomini, e la Camera dei Deputati votava il 30 Luglio
un credito di 16 milioni pel mantenimento del maggior numero di sol-
dati pretenti sotto le armi.
11 31 Luglio il conte Vi mercati era di ritorno da Vienna seguito da
presso dal signor conte Vizthum , confidente del ministro De Beust,
uomo, come il Cancelliere, d'origine sassone e ostilissimo alla Prussia.
Qual* decisione siasi presa su queste conversazioni diplomatiche non si
sa bene: ciò che pare più probabile si è che Austria, Italia e fors' anche
l'Inghilterra, vorrebbero convenire di un' azione comune nella neutralità.
Tuttavia è opinione assai generale che il Governo di Firenze propen-
de a lasciarsi trascinar dalla Francia. Così almeno la pensano i tumul-
tuanti, i quali non mancano di quando in quando di far nascere subbugli
con questo pretesto. Già nell'ultima seduta delia Camera del 1 Agosto,
un Deputato avea detto : faremo la rivoluzione! ci batteremo ! Questa
parola può essere un segnale dato alle sette di agitarsi. A Genova, fu
colta la palla in balzo. Trattavasi in quella città un processo intentato
a certi Stallo1 e complici, imputati di aver 'organizzato nella scorsa
primavera una banda coli' intento di proclamar la repubblica. Gl'impu-
tati nell'entrare e nell' uscire dalla sala delle udienze (che è posta nel
già Convento dei SS. Giacomo e Filippo) sotto i bastioni dell' Acquarola,
erano oggetto di ovazioni da parte del popolaccio. Finalmente i giurati
avendo dichiarato lo Stallo e complici colpevoli, quantunque la pena
fosse untissima, si formarono attruppamenti allÀcquasola nelle salite di
S. Bartolomeo e di S. Caterina e presso all' Ospedale maggiore, virino
alla famosa via di Porteria, dove nel 1746 il famoso Balilla, lanciò la
prima sassaia contro gli austriaci, e dove dopo il 1848 venne eretta
una statua allo storico fanciullo genovese. Vi -fu pure tentativo di edifi-
car barricale nei luoghi abitali dal basso popolo. Ma grazie alla pron-
tezza della truppa e ad una pioggia dirotta, la cosa fu quietata non però
senza spargimento di sangue dall'una e dall'altra parte.
I Lo Stallo Luigi era maggior garibaldino a Mentana, dove fu ferito; e tradotto a Roma ove venne fatto
prigione e Ti stette Quo alla perfetta sua guarigione.
IL DOMMA
DELL' INFALLIBILITÀ PONTIFICIA
E LA BASE DEI CONCORDATI
Nel numero dei 17 Agosto è stato dall' Unità Cattolica pubblicalo
in Torino un dispaccio, che dicesi diretto dal signor Beust, cancel-
liere dell'Impero austriaco, al signor commendator Palomba Carac-
ciolo, consigliere d'ambasciata ed agente per gli affari ecclesiastici
nella legazione di Austria in Roma. Noi non sappiamo con tutta cer-
tezza se questo documento sia autentico : e quantunque facilmente
avessimo potuto accertare questo punto, non ce ne siamo dato alcun
carico , perchè non vogliamo considerarne l'importanza politica, ma
solamente la dottrinale. A un tal punto di vista per noi la prove-
nienza del Dispaccio è del tutto indifferente. Ossia esso un atto
autentico del Governo austriaco, ossia un articolo d'un giornalista
più o meno autorevole, per noi è tutt'uno. Noi non vogliamo esami-
narne che le accuse che dà al Concilio, i principii che professa, le
conseguenze che ne deduce. Ci fermiamo adunque nel mero campo
speculativo, e ci rivolgiamo agli uomini periti in teologia, abituati a
ragionare secondo logica, pratici della costituzione organica della
Chiesa. Ed il facciamo perchè le idee svolte da questo Dispaccio
sono slate messe fuori sotto altre forme da altri scrittori: e benché
siano esse altre volte state da altri e da noi stessi confutale, non
bisogna lasciarle senza risposta nella forma nuova, di cui si presen-
tano ora rivestile.
Serie VII, voi XI, fase. 491. 33 22 Agosto 1870.
Olì IL DOMMA DELL' INFALLIBILITÀ PONTIFICIA
11 documento intero, prodotto la prima volta dal Giornale di
Vienna, è stato copiato da quasi tutta la stampa di Europa: pos-
siamo dunque passarci dal riferirlo alla distesa in questo luogo.
Ma ne compendieremo fedelmente il discorso, spogliandolo di tulio
ciò che può riferirsi alla parte politica che esso contiene. Eccone
adunque nei sommi capi il tenore.
— Dal Concilio Valicano i Governi aspettavano una grande ope-
ra di conciliazione e di pacificazione. Essi rispettarono adunque la
libertà del Concilio, e si astennero da principio da ogni pressione,
e perfino da ogni intervenzione , sebbene le materie assoggettate
all'esame dei Prelati dovessero toccare in più d'un punto degl'in-
teressi che non erano di carattere puramente religioso. Ma le in-
fluenze preponderanti del Concilio ingannarono quella espettazione.
« Malgrado gli sforzi di una minoranza imponente, la maggioranza
dei Padri del Concilio, incoraggiata dall'altitudine pronunziata del-
la Santa Sede, inclinava ognor più verso le decisioni estreme. »
Allora si commossero i Governi , e le loro rimostranze presso la
Santa Sede si accumularono. « Tulli questi avvertimenti furono al-
trettanto vani, quanto fu vana apposizione della minoranza. » Il
domina del Primato e dell'Infallibilità dei romani Pontefici venne
promulgalo.
— Questo fatto muta sostanzialmente i rapporti vigenti finora tra
la Chiesa e lo Stalo : perchè questa definizione estende in primo
luogo la cerchia della competenza della Chiesa, e concentra in se-
condo luogo nella persona del Papa, armalo di una autorità novel-
la, tutti i poteri che la Chiesa stessa pretende di esercitare, a Un
cangiamento cosi radicalo rovescia tutte le condizioni che hanno
presieduto finora all' ordinamento dei rapporti fra lo Slato e la
Chiesa, » dando loro una base affatto nuova.
— Quindi vengono naturalmente colpite di caducità tulle le con-
venzioni concluse solto l'impero di circostanze all'alio differenti: e
però il Concordato del 1855 si dee considerare come abrogalo. Né
ciò basta. D'ora innanzi « non si possono senza inquietudine man-
tenere relazioni con un potere che si costituisce da sé quale potere
senza limili e senza sindacato » . —
E LA BASE DEI CONCORDATI 515
Questi sono i concetti del Dispaccio, fedelmente disposti secon-
do l'ordine loro naturale. Veniamo a considerarli l'un dopo l'altro,
colla scorta della buona teologia e del buon senso.
T.
S'attendevano i Governi dal Concilio Vaticano una grande opera
di conciliazione e di pacificazione, ma nella loro speranza vennero
delusi dalla promulgazione del Domma dell'Infallibilità pontifìcia.
Questa è la prima accusa che si lancia contro una tale definizione.
Oh quanto e per quanti versi essa è ingiusta! Le considerazioni si
affollano sotto la penna : e per esser brevi bisogna sceglierne so-
lo alcune delle principali, e queste accennare piuttosto che svolgere.
Chi rammentasi quelle parole di Cristo nostro Signore presso
S. Matteo : Non veni pacem mittere, sed gladium, non troverà al
certo che mancando, quando pure dovesse mancare, alla defini-
zione del Concilio Vaticano l'effetto della conciliazione, possa que-
sto essergli attribuito a sfregio e disdoro: quasi segno che lo spi-
rito di Gesù Cristo sia in esso stato pervertito. Quella conciliazio-
ne, quella pacificazione che il secolo attende vasi da Gesù, e che
Gesù dichiarò altamente non aver egli portato sulla terra : quella
conciliazione, quella pacificazione non doveva aspettarsi dal Conci-
lio, né il Concilio poteva proporsi come scopo da conseguire. Or
qual è questa pace, che Gesù ripudia, che la Chiesa, sposa sua im-
macolata, deve insiem con lui e sull'orme sue ripudiare?
Questa pace è principalissimamente la conciliazione della verità
coli' errore, del bene col male, del giusto coli' ingiusto. Come Dio,
somma ed infinita Verità, sommo ed infinito Bene, somma ed infini-
ta Giustizia, non è che verità, bene, giustizia assoluta, in cui non
può cadere mescolanza di falso, di male, d'ingiustizia; cosi il verbo
che venne Gesù a rivelare al mondo è verità assoluta, è bene as-
soluto , è giustizia assoluta. Quello che con linguaggio sacro chia-
masi dal Redentore medesimo il secolo , esso è sostanzialmente il
miscuglio del vero col falso , del bene col male, del giusto coli' in-
giusto: poiché alla ragione umana non puossi proporre la falsità, la
516 IL DOMMA DELL* INFALLIBILITÀ PONTIFICIA
malizia, l'ingiustizia assoluta con isperanza che essa universal-
mente le accetti, o conceda loro predominio largo e durevole. Il
secolo ha sempre adunque agognato alla conciliazione, che sacrifica
un po' della verità alle esigenze delle passioni , un po' di bene alle
richieste dell'interesse, un po' di giustizia all'urto delle passioni;
il secolo ha sempre chiesta la pacificazione che camuffa il falso
sotto le apparenze del vero, nasconde il male sotto la coverta
dell'utile, dissimula l'ingiustizia sotto il pretesto della necessità,
affinchè gli uomini restino ingannali dal bagliore di quel poco di
bene che lor si proponete non scoprano il mollo male a cui si vo-
gliono menare. Innanzi al secolo saranno grandi coloro che posseg-
gono a perfezione quest'arte; si attribuirà loro il nome e il vanto
di moderati; si chiameranno tutti in un fascio radicali, estremi, fa-
natici, tanto coloro che gloriosi della figliazione di Dio cercano
senza debolezza il vero e il bene schietto , quanto coloro che spre-
giatori del rispetto umano non si vergognano che loro si dica : vos
ex patre diabolo estis, e osano dimandare il male come tale, e pro-
fessare il falso senza reticenze né cautele. Ma nn tal secolo è ripu-
dialo da Cristo : un tal secolo è appunto l' opposto della Chiesa fon-
data da Cristo : un tal secolo non deve aspettarsi pace da Cristo e
dalla sua Chiesa, ma spada: non veni pacem mittere, sed gladium.
L' attendere dal Concilio questa conciliazione fu una vera illusione :
non imposta dalla Chiesa che professa altamente il contrario, ma
creatasi dallo spirilo medesimo del secolo, che non ha mai voluto
riconoscere nella Chiesa quella divina missione che ha, di non ce-
lare al mondo tutta intera la verità.
E notisi contraddizione manifesta in che s'avvolgono nel caso
nostro concreto i Governi retti alla liberale, aspettandosi dalla Chie-
sa una tal conciliazione. Essi professano di non avere nessuna in-
gerenza in lutto quello che è verità rivelata, o anche verità natura-
le: poiché professano libertà di coscienza, non come tolleranza di er-
rore per una parte di loro sudditi, ma come diritto di tutti i cittadi-
ni innanzi allo Stalo: professano libertà di opinione e di stampa sopra
: qualsivoglia materia, dando uguale diritto di propagarsi alla verità
ed all'errore. Essi adunque ammeltono che come Governo non deb-
E LA BASE DEI CONCORDATI 511
bono insegnare o imporre dottrine : anzi debbono tutelare in cia-
scuno dei loro sudditi il diritto che in loro riconoscono di professa-
re quale dottrina meglio ad essi aggrada. Dovrebbe adunque esse-
re per essi indifferente qualsivoglia opinione si professi dalla Chie-
sa cattolica: e se i cattolici vogliono tenere il Papa per infallibile,
tal sia di loro , dovrebbero essi dire : ciò non ci spelta né ci tocca
in nulla. E pur no : quando il Concilio è radunato , quando si di-
scute la infallibilità dei romani Pontefici , questi Governi non sono
più indifferenti alle dottrine, anzi hanno una opinione loro propria;
questa opinione la giudicano più salda della opposta, e sperano che
la Chiesa rinuncierà alla sua fede, almeno in parte, per accostarsi
al loro modo di pensare; e perchè il Concilio non si adagia a que-
sto partito, il Concilio ha mancato all'opera di conciliazione, di pa-
cificazione. Or perchè non avete voi, la cui missione sulla terra non
è d'insegnare il vero, modificato il vostro modo di opinare, facendo
un'opera di conciliazione colla Chiesa, un'opera di pacificazione? Per
qual diritto potevate voi persistere nel vostro pensiero, voi che dove-
te professare di non averne alcuno come proprio, ed esigere che la
Chiesa modificasse il suo , la Chiesa che è fondata appunto sulla
confessione d'un pensiero, d'una verità?
V'è però una pace che Cristo nostro Signore dispensò vivendo ai
suoi discepoli, e che costituiva anzi il suo saluto ordinario: pax vo-
bis, pacem meam do vobis. Ma questa pace non è quella che il se-
colo, che il mondo suol dare: non qualem mundus dat, Ego do
vobis. Questa pace non è l'amalgama tra la verità e l'errore: è
la distruzione dell'errore per mezzo della verità; è l'unificazione di
tutte le intelligenze nello stesso vero, la più grande pacificazione
delle intelligenze umane. Or questa pacificazione per mezzo della
verità adempie sulla terra ogni dì la Chiesa; e l'adempie col continuo
combattere gli errori che sorgono a dividere gli spiriti e a gittare
la confusione fra gli uomini. Da diciannove secoli sta essa com-
piendo questa missione : e il Concilio Vaticano, non degenere da
tutti gli altri Concilii ecumenici, nella definizione dell' infallibilità
pontificia ha veramente compiuta mia grande opera di pacificazione
nel mondo. Né già soltanto perchè ha estinto il gallicanismo, il feb-
518 IL DOMMA DELL INFALLIBILITÀ PONTIFICIA
bronianismo, il giansenismo, spanditori di discordie deplorabili nel
seno della Chiesa; ma eziandio perchè ha reso più visibilmente effi-
cace quella spada che il Signore confidò alla Chiesa, per uccidere gli
errori nascenti, veni mittere gladium, l'autorità cioè della divina
rivelazione, secondo la parola di S. Paolo agli Efesini, gladium spi-
rilus, r/uod est verbum Bei. Questa autorità, di cui interprete e de-
positario è il Vicario di Gesù in terra, e con lui la Chiesa, fu sem-
pre dai successori di Pietro adoperata in servigio della verità. Es-
sa per la solenne definizione non ha acquistato maggior vigore in-
trinseco, ma maggiore estrinseca efficacia; perchè chi non la rico-
noscerà, non solo commette peccato, come anche prima della so-
lenne definizione del Concilio si commetteva; ma non è più tolle-
rato nel suo seno dalla Chiesa, e come ramo disseccato dalla eresia
Tiene dalla mistica vite reciso. Questo solenne riconoscimento del-
l'autorità dei Pontefici è come una nuova ritempera di quella spada,
la quale distruggendo l'errore darà la pace al mondo. Questa spe-
ranza, la sola che potesse legittimamente concepirsi, non sarà dal
tempo defraudata: perchè la parola infallibile del romano Pontefice
sarà la gran paciera fra le discordie degl' intelletti che sorgeranno
nel modo.
li.
« I Governi, pieni di rispetto per la libertà del Concilio, furono
unanimi nell'astenersi da ogni pressione, e persino da ogni inter-
venzione. » Ma questa astensione non fu costante: perchè vedendo
quali erano le tendenze del Concilio, essi uscirono dalla loro riser-
va: e vi furono disfacci e memorandum; osservazioni ed avverti-
menti; consigli e rimostranze. Ma tutto fu indarno.
Tali sono i fatti esposti in questo Dispaccio. Essi dan luogo alle
seguenti considerazioni.
Vi furono dunque due stadii: quello dell'astensione, quello della
intervenzione. Lo stadio dell'astensione, non sappiamo lino a qual
punto intera, fondavasi sopra tali principi!, che avrebbero dovuto
sconsigliare ogni intervenzione posteriore. Poiché per qual ragione
E LA BASE DEI CONCORDATI 1)19
si astennero nel primo stadio i Governi dall'intervenire? Se fu per
rispetto alla libertà del Concilio, l'intervenzione posteriore era una
offesa a questa libertà. Se fu pel principio della separazione della
Chiesa dallo Stato, questo principio non fu abbandonato dai Gover-
ni dinante il Concilio, e l'astensione precedente condanna l'inter-
venzione posteriore.
Se non che a scusare una tal doppia condotta arrecasi una ra-
gione, che invece maggiormente la condanna. Essi videro, dice il
dispaccio austriaco, che le materie preparate toccarono in più d'un
punto degl'interessi che non erano di carattere meramente religioso.
Or si chiede: quali sono state le materie proposte all'esame dei Pa-
dri che tocchino altri interessi che i meramente religiosi? Dalle co-
stituzioni già pubblicate non trasparisce verbo che si riferisca ad
interessi materiali, civili, politici: sono meri dommi di fede sta-
biliti e riconfermati, sono errori intorno alla fede condannati. Nep-
pure si è ancor nulla decretato intorno alla disciplina, che potreb-
be in alcuni punti trovarsi in rapporto colle leggi civili: anzi i dom-
mi stessi definiti, gli errori condannati non si riferiscono per nulla
a materie miste; che potrebbero dare un pretesto a quella scusa. Ei
ci sembra che sia interesse eminentemente religioso, e nulla affat-
to politico, il sapere quale sia la verità rivelata da Dio intorno a un
qualsivoglia punto : e non si sa concepire come in queste defini-
zioni i Governi liberali alla moderna possano scorgere dei punti
di conlatto colla politica. Essi non pretendono niente affatto di por-
re in armonia l'ordine specolativo, specialmente il soprannaturale
che è il rivelato, coll'ordine prattico : e lasciando quello alla Chiesa
o alla scienza, serbano per sé unicamente questo. Quindi la loro le-
galità differente dalla giustizia: quindi la loro separazione della
Chiesa dallo Stato : quindi la loro libertà dell'opinione : quindi la loro
uguaglianza di tutti i culti innanzi allo Stato. Cotali sistemi rendono
impossibile a priori qualsivoglia rapporto tra le verità meramente
dommatiche e gl'interessi di uno Stato. Come dunque potè questo
rapporto trovarsi nel caso presente, e così grave che costringesse i
Governi di passare dall'astensione alla intervenzione? Confessiamo
che ciò supera la nostra intelligenza; e quindi tanto men ragionevole
520 IL DOMMA DELL INFALLIBILITÀ PONTIFICIA
ci sembra quel cangiamento di attitudine verso il Concilio, quanto
più s' insiste a volerla da questo lato giustificare.
L'intervenzione però dei Governi non giovò a nulla: e questa
circostanza è molto bene da ricordare sì per lode del Concilio, sì
per garanzia maggiore della verità delle definizioni. Poiché chi dava
avvertimenti, chi faceva rimostranze, chi suggeriva consigli, son
coloro che stringono nei loro pugni i destini di grandi nazioni : che
hanno per loro la forza e la ricchezza: dai quali individualmente di-
pendono gì' interessi materiali di ciascuno degl' individui che for-
mavano il Concilio. Dall' altra parte quelli a cui si dirigevano que-
ste rimostranze sono il Papa e i Vescovi, ai quali, se avesse potuto
in essi tacere la voce del dovere, ogni interesse temporale avrebbe
dovuto suggerire docilità e condiscendenza verso sì potenti consi-
glieri. Se adunque resistettero a quei consigli, questo è segno che
non poteano accettarli, senza venir meno al divino loro mandalo.
Qual altro elogio più grande può farsi a questa augusta assemblea?
Qual altro segno più manifesto può desiderarsi per comprendere
che essa era mossa dallo Spirito Santo, che la fortificava contra
ogni rispetto terrestre? Qual altra umana garanzia più rassicurante
può cercarsi perla verità che essa ha annunciata al mondo? Questo
è il beneficio che l'intervento dei Governi succeduto all'astensione
ha fatto alla Chiesa: somministrare una pruova estrinseca di più
ehe essa non cerca gì' interessi umani, ma la sola verità.
III.
Seguono ora accuse più dirette contro il Concilio stesso. Udia-
mole colle stesse parole del Dispaccio: « Malgrado gli sforzi di una
minoranza imponente, la maggioranza dei Padri del Concilio, inco-
raggiata dall'altitudine pronunciata della Santa Sede, inclinava ognor
più verso le decisioni estreme. »
Di tre cose si parla in questo periodo: degli sforzi della mino-
ranza, delle tendenze della maggioranza, e dell' attitudine della San-
ta Sede. Di tulle e tre si parla mollo difformemente dal rispetto do-
vuto alla loro dignità e alla loro virtù, e quello che più monta molto
difformemente dalla realtà vera dei fatti.
E LA BASE DEI CONCORDATI 521
La minoranza non sarà contenta delle lodi che quivi, se non le si
danno esplicitamente, s'ingeriscono tacitamente, secondo la mente
dello scrittore: poiché, in buoni termini, vuol esso dire che in lei
trovatasi lo spirito di conciliazione, tanto da lui desiderato ed appro-
vato; in lei le tendenze moderate; in lei la vigoria e V ingegno per
far prevalere le sue giuste opinioni. Queste lodi, nel senso com'esse
son date, cioè in opposizione alla condotta, alle intenzioni, al valore
dell' altra parte, verranno, ne siamo sicuri, respinte dai Vescovi
stessi ai quali sono impartite. Poiché uno era lo spirito che doveva
informare tutti, e di fatto informava: Y amore della verità, e il bene
spirituale dei fedeli. Se vi fosse stato chi diversamente dirigesse la
sua operazione nel Concilio, oltre che sarebbe stato altamente da
biasimare innanzi a Dio ed alla Chiesa; a qucst' ora che lo Spirito
Santo ha parlato per la bocca del Papa e dei Vescovi, fatto avvedu-
to del suo deviamento, avrebbe, ne siamo certi, vergogna di sé me-
desimo, e molto più ancora di questi non competenti elogi, come
di ingiurie non bene meritate. Poiché se vi fu nel Concilio diversità
di opinione, non vi fu diversità d'intendimenti: e gli sforzi utili e
virtuosi per far prevalere la verità non mancarono alla maggioran-
za, come non vennero mai meno alla minoranza per acquistar cre-
dito a quella opinione che essa credeva la verità. Noi non parliamo
del fatto di altri sforzi, anzi neppure della loro possibilità: giacché
solo di questi virtuosi pare che voglia far menzione il Dispaccio,
dicendo che a malgrado di essi, il Concilio decise il domma della
infallibilità. Sarebbe assurdo che si supponesse potere il Concilio,
in questioni di fede, lasciarsi muovere da sforzi illeciti e viziosi.
Checché sia però della minoranza, molto più grave ponderazione
merita ciò che della maggioranza si assevera. Quella parola di de-
cisioni estreme, presa in sé medesima, e applicata a questioni di
mere dottrine di fede, non ha veramente senso: perche nella verità
non cadono eccessi, e però non vi sono estremità. Non vi è una ve-
rità poco vera, e una verità soverchiamente vera, intramezzate da
una verità moderatamente vera. La verità nell'ordine ideale corri-
sponde alla esistenza nell'ordine fisico: o è o non è, non vi è mezzo
Per dare adunque a quella parola un senso ragionevole, bisogna
522 IL D0MMA DELL INFALLIBILITÀ PONTIFICIA
considerarla in bocca a chi la pronunziava: ed essa allora si oppone
a quella conciliazione, sistema tulio proprio dei liberali, e della
quale dicemmo qualche cosa innanzi. Ed in tal senso fu vero che la
maggioranza ripudiava la conciliazione del vero col falso, la mode-
razione di dire mezza verità, la prudenza carnale di concedere qual-
che cosa all' errore perchè non gridasse troppo, e non negare qual-
che cosa alla verità perchè contenta dell' ottenuto si stesse cheta,
senza farsi troppo scorgere. Ma in colai senso nessuno della mino-
ranza vorrà dire che esso non inclinasse alle decisioni estreme: e
nessuno della maggioranza non si glorierà di questa sua inclinazio-
ne. Era essa certamente il più stretto dovere d' ogni Vescovo ve-
nuto al Concilio, e dobbiam dire che fu ancora il più facile. Mara-
viglia grande ecciterà dunque il vedere recato a colpa ciò che è
merito, e biasimare come tendenza riprovevole lo spirito proprio
della Chiesa insegnante.
Un biasimo alla Santa Sede corona questo famoso periodo. Con-
tiensi esso in due parole : attitudine pronunciata, e nel contesto del
discorso vuol dire l'influenza esercitata dal S. Padre sopra i Vesco-
vi radunati in Roma. Non si parla esplicitamente di oppressione
fatta alla libertà dei Vescovi: ma nel linguaggio diplomatico questa
idea nascondesi sotto il velame di quelle parole. Or una tale accu-
sa ogni cattolico la respinge e noi qui la respingiamo con lui te- le
forze del nostro animo. 1 fatti parlano alto, parlano chiaro in con-
trario : poiché il rispetto alla libertà de'Vescovi fu conservato fino
ali ultimo momento con tale e tanta longanimità, che non solo ba-
stava, ma a molli sembrò soverchiasse al bisogno. Nel quaderno
precedente abbiamo largamente trattato questo punto : laonde sa-
rebbe tempo sprecato il più olirà intraltenervisi sopra. Noteremo
soltanto che la dottrina dell'infallibililà pontificia non fu proposta di
proprio moto dal Papa all'esame del Concilio : ma per aderire alla
richiesta fallasene da cinquecento e più Vescovi. Ciò solo in che la
Santa Sede si pronunziò, fu nel volere che, dovendosi disestere que-
sta dottrina, essa fosse seriamente, largamente, liberamente discus-
sa per tutti i versi dai Padri. Che se nel tempo che i Padri discu-
tevano nel Concilio, il Papa nei suoi atti professava la fede che per
E LA BASE DEI CONCORDATI 523
diciannove secoli avea sempre professata la Sede Romana; faceva
ciò che "fecero in tutti i Concilii i Pontefici, cioè dire, significare
apertamente la fede, /che, secondo l' apostolica tradizione, esisteva
nella Chiesa. 0 volevasi in materia di fede la neutralità della Cat-
tedra di Pietro ?
IV.
Ma tempo è di discutere la parte più importante del Dispaccio,
quella cioè che enuncia non giàdei fatti, ma dei principii. L'idea car-
dinale di tutto il Dispaccio è dunque questa. La definizione fattasi
intorno al Primato ed alla Infallibilità dei Papi pone le relazioni
della Chiesa collo Stato sopra una base affatto nuova: e ciò per due
ragioni. La prima si è perchè quella definizione estende la cerchia
della competenza della Chiesa; la seconda perchè essa concentra
nello stesso tempo nella persona del Papa tutti i poteri che essa
pretende di esercitare. Per vedere se il principio annunciato sia
vero, bisogna esaminare se siano vere queste due ragioni che si ad-
ducono per provarlo.
È egli vero in primo luogo che la definizione emessa estende la
cerchia della competenza della Chiesa? Nel leggere queste parole
noi siamo stati compresi della più alta meraviglia. Due Costituzioni
dogmatiche sono state fin qui promulgate dal Concilio : e in esse
neppure una sillaba che possa, anche stiracchiandosi, storcere a
questo senso; e quasi ciò sia poco neppure una sillaba che accenni an-
che di lontano direttamente a questo argomento. Come mai adun-
que può asserirsi che nel Concilio siasi estesa la cerchia di questa
competenza?
Ma vi è ancor di più. Trattandosi della infallibilità pontifìcia, as-
seriscasi cader essa, come cade eziandio quella della Chiesa, sulle
dottrine che riferisconsi alla fede e alla morale. Questa e non altra
è la cerchia della competenza che trovasi assegnata ugualmente al
Papa ed alla Chiesa. Ove puossi scorgere in queste parole una esten-
sione al di là di quello che prima si insegnava nelle scuole, e si
credeva dai fedeli? 0 fu altra mai la dottrina professata, senza con-
524 IL DOViMA DELL INFALLIBILITÀ PONTIFICIA
trasto di sorte alcuna, da tutta la Chiesa? 0 fu almeno altra mai la
forinola adoperata per esprimere questa dottrina? Lungi adunque dal
vedersi in questa definizione estesa la cerchia della competenza , la
vediamo novellamente ricalcata, in quel medesimo confine che fu
notoriamente il suo.
Se non che a togliere l'assurdo di questa asserzione, non appog-
giata alla verità del fatto, adoperasi il seguente raziocinio, che ri-
porteremo colle stesse parole dello scrittore: « È vero che l'infalli-
bilità pontifìcia non deve estendersi che a materia di fede e di mo-
rale; ma è evidente che quegli che non può fallire rivendica a se
solo il diritto di giudicare ciò che dipende dalla fede e dalla mora-
le, e che per conseguenza decide da solo dei limili della sua compe-
tenza. » Manco male: questa volta si adduce qualche cosa, che può
parere una ragione. Ma essa non è che un' apparenza di ragione,
non già una ragione vera. E ciò per due capi.
In primo luogo perchè quel raziocinio è in sé stesso sofistico :
giacché la conseguenza é più estesa delle premesse. La vera conse-
guenza è che chi è infallibile decide da solo dei limiti della sua
competenza in quelle materie in cui è infallibile, e non in altre.
Come vi sono dotti ine evidentemente legate colla fede e colla mora-
le, così vi sono dottrine filosofiche, vi sono dottrine sociali, vi sono
dottrine fisiche, vi sono cento altre dottrine, le quali evidentemente
non si riferiscono nò alla fede nò alia morale. E come sulle prime
dottrine non può negarsi l'infallibilità alla Chiesa e al Papa; così
in tutte queste altre dottrine nò la Chiesa, nò il Papa si sono mai so-
gnato, nò si sogneranno mai di attribuirsi l' infallibilità. Soltanto
quando vi è dubbio se qualche materia si attenga veramente alla fe-
de e alla morale, il togliere questo dubbio spelta unicamente a co-
lui che è infallibile nel definire le dottrine di fede e di morale. In tal
caso non si estende mica la cerchia della competenza: ma restando
sempre in quella stessa cerchia, si dissipa la nebbia di chi non ve-
deva i rapporti di una data dottrina colla fede e colla morale. Si af-
ferma, non si estende la cerchia della competenza.
In secondo luogo, perchè quand'anche quel raziocinio fosse giu-
sto, esso non farebbe a proposito. Esso si applica ugualmente alla
E LA BASE DEI CONCORDATI 52o
infallibilità della Chiesa, che è dottrina cattolica, credula di fede
esplicita prima del Concilio Vaticano, senza nessuna opposizione. Se
la conchiusione adunque del ragionamento è retta, prima anche del
Concilio era vero che la Chiesa decide da sola dei limiti della sua
competenza. Come dunque può asserirsi che il Concilio ha ora este-
sa cotesta cerchia? Come può quindi dedursi che abbia esso intro-
dotto un cambiamento radicale nelle relazioni tra la Chiesa e lo
Stato? ?
Comechè si volga adunque questa prima ragione, essa è del tutto
vana. Ma vana eziandio è al par della prima la seconda. In essa si
asserisce che pel Concilio la Chiesa abbia concentrato nella per-
sona del Papa tutti i poteri che essa pretende di esercitare. Il con-
cetto vero di questa ragione trovasi chiaramente espresso in un al-
tra frase incidente che leggesi innanzi, ove si dice che il Concilio
ha armato il Papa di un autorità novella, che lo riveste di una
specie di onnipotenza. Da queste due frasi emerge chiaro il senso
di questa considerazione. Vuoisi dire che il Concilio ha fatto una
nuova concessione al Papato, dandogli una pienezza di autorità di-
sciplinare e dommatica, che prima non aveva. Or nulla è più fal-
so di questo.
Il Papa dopo il Concilio Vaticano non sarà nella Chiesa nò più ne
meno di quello che era prima del Concilio, di quello che sono stati
tutti i suoi predecessori, tanto nella intrinseca natura della sua au-
torità, quanto nell'estrinseco riconoscimento dei suoi fedeli. Cosa
dunque ha fatto il Concilio? Il Concilio non gli ha dato autorità
nuova che prima non avesse: non ha riconosciuto in lui autorità,
che prima la Chiesa già non riconoscesse. Il suo primato, che con-
tiene la pienezza di tutta la potestà nel reggere e l' infallibilità del
magistero nell' insegnare, sono prerogative del sommo Pontificato,
che i Papi esercitano da diciannove secoli, che la Chiesa riconosce
nei Papi da diciannove secoli, che i fedeli confessano nei Papi da
diciannove secoli. Il Concilio Vaticano non ha fatto altro che ricor-
dare , quasi sempre colle parole degli altri Concilii precedenti ,
queste prerogative : non ha fatto altro che professare con forinole
esplicite , ciò che sempre fu professato dalla Chiesa in forinole
526 IL DOMMA DELL' INFALLIBILITÀ PONTIFICIA
equivalenti; non ha fatto altro che condannare quelle sentenze
che sopra alcuno di questi punti dipartivansi dalla fede comune,
e che erano già stati le cento volte condannati dai Papi stessi, dai
sinodi nazionali e provinciali, dalle università cattoliche, dai teolo-
gi di tutte le nazioni e di tutte le scuole. Non è dunque intervenuto
nei Papi nessun cangiamento: nessun cangiamento non è interve-
nuto nella fede della Chiesa. A chi per poco sappia di teologia, o
anche solo di latino ciò non deve dimostrarsi : giacché gli stessi
Padri del Concilio il professano altamente nella loro costituzione :
e non vi è trattalo di teologia cattolica che ciò non insegni. Anzi
essa è quislione di semplice catechismo: specialmente in Germania,
ove i catechismi furono sempre in questo argomento più espliciti e
più diffusi.
Nulla adunque di più falso quanto l' asserzione che siasi messa
dal Concilio una base affatto nuova alle relazioni tra la Chiesa e lo
Stato. No, lo ripetiamo: nulla venne cangiato, nulla venne aumen-
tato, nulla venne concentrato più di quello che fosse prima nella
persona del Papa. La Chiesa è rimasta qual era, il Papa è rimasto
qual era. La Chiesa non si è spogliata di nulla per rivestirne il Pa-
pa: il Papa non si è avvantaggiato di nulla a danno dell' autorità
della Chiesa. Quando Galileo formolo il principio della gravità, qual
balordo avrebbe potuto dire che Galileo avesse concessa ai corpi
una nuova qualità che prima non aveano? E pure quel balordo sa-
rebbe stato scusabile: giacché a molti corpi quella proprietà si ne-
gava, e non trattavasi solo di formolare un principio, ma di scoprir-
lo. Meno scusabile ci sembra ora chi dice essersi al Pontefice con-
ceduta una nuova prerogativa: giacché questa fu sempre in lui rico-
nosciuta, e dalle scuole formulata al modo stesso che il Concilio.
Quindi che dovremo dire delle conseguenze che da questo supposto
mutamento voglionsi inferire?
Ecco le parole testuali di queste conseguenze. Un cangiamento
così radicale rovescia tutto le condizioni che hanno presieduto lino-
E LA BASE DEI CONCORDATI 527
ra all' ordinamento dei rapporti fra la Chiesa e lo Stato. . . Le con-
tenzioni concluse sotto l' impero di circostanze affatto differenti non
possono più ritenersi come valevoli. Il Concordato del 1855 è quin-
di colpito di caducità e il Governo i. e r. lo considera -come abro-
gato.
Questa volta un atto di si grave ingiuria alla Chiesa non esce
alla luce giustificato da qualche motivo, che abbagli la vista. La
falsità delle premesse è tanto manifesta che scorgesi a prima vista
l'eccessiva assurdità della conseguenza. Il Concordato sarà abro-
galo: ma se non vi è altro dritto di abrogarlo che quello manife-
stato in questo Dispaccio ; una tale abrogazione è irragionevole e,
per dire la vera parola, è .ingiusta. Il Dispaccio che si pretende sot-
toscrillo dal Beust è diretto tutto a giustificare questa abrogazione:
ma esso riesce all' effetto del tutto contrario che è di accusarla.
Talmente a rovescio conchiudono le ragioni da esso arrecate !
Gli uomini però passano: le loro passioni si calmano: ed il ragio-
namento contenuto in questa scritta rimarrà qual perpetuo monu-
mento della nuova ingiustizia che è stata perpetrata a detrimento
della Chiesa.
Noi crediamo che sarebbe stato meno disonorevole per la lealtà
di cui deve far mostra un Governo, un'abrogazione pura e semplice,
che non sia questa abrogazione motivata da ragioni così palesemen-
te insussistenti. In entrambi i casi, l'alto è ugualmente arbitrario ed
ingiusto: ma nel secondo l'arbitrio e l' ingiustizia brillano in modo
troppo cospicuo, cosicché un poco di catechismo soltanto basta a
comprenderli. E forse questa è l'unica, sebbene magrissima, scusa
per chi distese quella giustiflcazione: l'ignoranza del catechismo
cattolico.
E questa stessa ignoranza ha forse impedito di vedere la conse-
guenza legittima dell'abrogazione di un Concordato. I Concordati
sono in sostanza una modificazione speciale delle leggi comuni della
Chiesa entro i limiti di un dato regno, conceduta dalla Santa Sede
a richiesta di un Governo, che si obbliga di tutelarne la osservanza.
Abrogato dunque un Concordato, entra ipso facto in vigore il dritto
comune della Chiesa, che ne veniva in alcuni punti addolcito e tem-
E 28 IL DOMMA DELL' INFALLIBILITÀ PONTIFICIA ECC.
perato. Ora, generalmente parlando, in che i Concordati temperano
il drillo canonico? Lo temperano specialmente col dare ai Governi
una maggiore ingerenza negli affari della Chiesa, che loro non sa-
rebbe spettato per ragione del dritto comune.
Se ciò non s' ignorava dal Cancelliere dell' Impero, invece di ti-
rare per conseguenza delle sue, benché false, premesse quell'abro-
gazione, avrebbe dovuto piuttosto invocare un Concordato nuovo,
che valesse a dare, secondo i suoi pretesi dritti, maggior balia e
maggior sicurtà allo Stato. Se non l'ha fatto, se una così facile de-
duzione non l'ha tirata, forza è conchiudere che esso pensa che tutta
la economia del Governo della Chiesa cattolica riducasi al Concor-
dato : cosicché, cessato questo, il Governo possa a suo modo dispor-
re dell'amministrazione interna della Chiesa cattolica nei suoi Sta-
ti. Ma questa è una mera illusione: poiché la cessazione del Con-
cordato fa rivivere in tutta la sua pienezza il dritto canonico : ed
il Governo che ha obbligo di tutelare nel suo Stato i dritti di cia-
scuna confessione stabilita , il Governo che professa di difendere
nei suoi sudditi la libertà di coscienza, il Governo trovasi di-
sarmato in faccia ad una legge preesistente, che sarà obbligato di
rispettare.
Che se il Governo volesse dar seguito a quella minaccia, di leg-
gi nemiche o almen sospettose, cui velatamente accenna, quando
dice che « non si può senza inquietudine mantener relazione con
un potere che si costituisce da sé quale potere senza limiti e senza
sindacato »; allora noi non avremmo più nulla da aggiungere. Que-
sta si chiama persecuzione: e la persecuzione alla Chiesa come non
è nuova per lei, così non è nuova per tanti e tanti Governi antichi e
moderni. Essa non ha bisogno di chiedere il permesso né alla Chie-
sa, né ai cattolici: essa non ha bisogno di essere preceduta da una
giustificazione che le concilii l'adesione delle menti riflessive, e
dei cuori retli. Essa si chiama forza, e non altro che forza: e noi
dobbiamo confessare che innanzi alla forza che vuol prevalere ta-
ce ogni dritto. Tace ma non muore : e il tempo è sempre un po-
tentissimo ed invincibile ausiliario d'ogni dritto vivente.
LA MASSONERIA E LA GUERRA
Vi sono certi ladri domestici, cotanto avvezzi a servirsi come di
propria, arbitrariamente e impunemente, della roba del dabben pa-
drone, clie quando questi fa qualche spesa per sé, si tengono come
rubati del proprio, e gli fanno assalto addosso e gli gridano in te-
sta T economia. E così per l'appunto ha fatto, nell' occasione di que-
sta guerra franco prussiana, la massoneria europea e specialmente
la peggiore, che e la nostra italiana. Questi ladri di frammassoni,
usati da un pezzo a servirsi dei Principi e delle loro finanze e dei
loro eserciti a proprio profitto privato, non appena videro due Prin-
cipi che voleano venir alle mani per loro contese, nelle quali la
massoneria non aveva nulla da guadagnare, subito presero a pre-
dicar la pace, dicendo espressamente : « A che tanto danaro e tanto
sangue? Se si trattasse di affari e di interessi nostri, la guerra, an-
corché micidialissima, sarebbe giusta e lecita, perchè utile a noi: e i
nostri giornali e la nostra influenza si spenderebbero a infervorare
ed accanire alla guerra. Ma che cosa possiam guadagnar noi in que-
sta contesa tra due nazionalità già compite, tra due popoli già avvia-
li nel cammino della nostra civiltà? Noi non possiamo che perdere,
qualunque sia il vincitore. Perciò non approviamo questa guerra. »
Ecco infatti la circolare ai frammassoni italiani teste publicata sui
giornali: « Carissimi fratelli. Più di cento lettere delle principali log-
ge della comunione nazionale ci chieggono il nostro avviso e una
norma di condotta rimpetto alle attuali contingenze dolorose di
Serie YU, voi. XI, fase. 491. 34 22 Agosto 1870.
530 LA MASSONERIA E LA GUERRA
Europa. Il grand'orienle non può sostare più olire ad inviarvi una
parola di indirizzo e di conforto. Due nazioni egualmente potenti e
maestre di civiltà stanno per scagliarsi l'una contro l'altra — e
molti fratelli nostri sono per cadere da ambo le parli sulle zolle in-
sanguinate; nò è facile prevedere verso chi sieno per volgere le sor-
ti della vittoria ingloriosa. La Massoneria non può far voti più per
gli uni che per gli altri; essa deplora l'infausta guerra, questa be-
stemmia del Dio che ognuno invoca a cuoprire il fratricidio. La
Massoneria si adopererà, quanto mai possa, a che la lolla rimanga
circoscrìtta — fa voti perchè non si prolunghi — e guarda pietosa,
e si tien pronta a raccogliere con soccorrevole mano la vedova e
l'orfano che gli si parino innanzi, a qualunque razza essi apparten-
gano. In simile frangente, quindi, e come massoni e come cittadini
pel bene dell'ordine e dell'Italia nostra, noi abbiamo dovere di con-
servarci riservati ed attenti. Certo di essere da voi compreso, il
grande oriente vi invia, carissimi fratelli, il bacio fraterno. 11 gran
maestro L. FrapoUi».
Quando con ragioni non certo più valide di quelle che ora si al-
legarono, la Francia e la Prussia assalirono l'Austria; quando colla
sola ragione dei ladri il Piemonte invase Napoli e assassinò il Papa;
quando la gran ribalderia d' Italia, imitando illustri esempii, tentò
rimpannucciarsi a spese del residuo Stato pontificio, allora la Masso-
neria approvò ogni cosa perchè ogni cosa era a suo vantaggio. E se
ora Francia e Prussia dovessero spendere a mille doppii più sangue e
danaro di quello che abbiano sparso e siano per ispargere nella loro
contesa di equilibrio, se diciamo, Francia o Prussia dovessero spen-
dere a mille doppi più per ottenere alla beila Italia, il Trentino o
l'Istria o anche solo un villaggio, noi vedremmo tutta questa rugia-
dosa frammassoneria sghignazzare a tanto flagello, e battere le
empie mani alla ruina ed al devastamento di mezza Europa, purché
tutta questa gente si sgozzasse per i begli occhi del siguor Frapolli
e della sua civiltà massonica.
La quale approverebbe sì una guerra tra due nazioni i ne ijual men-
te 'potenti si che la più debole ne dovesse essere schiacciata : o tra
due popoli di cui un solo fosse maestro di civiltà e dovesse perciò
LA MASSONERIA E LA GUERRA 531
portar al vinto i principii rivoluzionarii e liberaleschi : o tra due
paesi dove non ci fossero fratelli massoni da trucidare. Ma, per dis-
grada, in questo caso due nazioni ugualmente potenti e maestre di
civiltà stanno per iscagliarsi V una contro l' altra : e molti fra-
telli nostri sono per cadere da ambo le parti: e nulla avendo
perciò che guadagnare, e mollo da perdere in ogni caso, la masso-
neria, è naturale che essa non debba questa volta spingere alla
guerra. L'unico dovere dei framassoni è, in questo caso, di conser-
varsi riservati ed attenti. Yale a dire, i framassoni devono far le
viste di esser neutrali tinche non si sa chi sarà il più forte. Si do-
vrà poi circuire colle solite arti il vincitore e procurare di spremer-
ne, a profitto della setta, il sugo della vittoria.
Non dunque per filantropia, ma per egoismo, la Massoneria odia
questa volta la guerra. Se vi trovasse il suo conto, anche menomo,
addio allora filantropia, addio congressi della pace, addio tutte le
imposture e le ipocrisie liberalesche. Si griderebbe allora all'armi
in ogni loggia ed in ogni giornale della consorteria.
Specialmente nella massoneria italiana, com' è naturale, si è os-
servato quest'istintivo orrore contro la presente guerra, in sul prin-
cipio, quando la guerra non era ancor formalmente dichiarata, e si
potea, assolutamente parlando, ancor sperare nella pacifica solu-
zione della contesa, benché ogni uomo savio vedesse che la guer-
ra era voluta ad ogni modo, e, moralmente parlando, era inevita-
bile, pure il giornalismo liberale di ogni paese, e il nostro special-
mente, non facea che portar ragioni per consigliar la pace alle due
parti. Leggendo in quei giorni \'\Opinione, la Perseveranza, il
Giornale des Dèbats ed altri simili giornali che vanno per la mag-
giore, ci pareva udire D. Abbondio che voleva convincere i bravi.
« Ma, signori miei di Francia e di Prussia, si degnino di mettersi
nei miei panni. » Ma Francia e Prussia aveano altro da fare che
udire le ragioni dei giornalisti, i quali ragionavano, se volete, be-
nissimo, ma allegavano, come si dice, le loro ragioni ai birri. Que-
sti, come i bravi a D. Abbondio, poteano rispondere alla stampa
liberale: « Se la cosa avesse a decidersi a ciarle, lei ci metterebbe
in sacco » . Se i giornalisti liberali avessero avuto la calma e il
532 LA MASSONERIA E LA GUERRA
sangue freddo necessario per intendere la vera condizione delle
cose, avrebbero capilo subito che le loro esortazioni alla pace era-
no fiato sprecalo. Ma chi è in pericolo si attacca , come dicesi, ai
rasoi; e il meno che potessero fare i liberali per iscongiurare que-
sta guerra, era di scrivere molti articoli con cui convincere i pro-
prii lettori che Francia e Prussia aveano torto a voler combattere
quando non vi era nessun profitto pel liberalismo.
E questa fu come la prima fase della stampa liberalesca e mas-
sonica. I consigli cioè della pace , seminati con ricca profusione
per tutto il tempo in cui le due nazioni, già risolute, come ogni sa-
vio vedeva, a combattere pel loro equilibrio, ossia per la loro pre-
valenza, forbivano le armi, senza aver tempo di leggere nò i Dc-
bats, nò Y Opinione, nò la Perseveranza. Nella quale ridicola pre-
sunzione di voler influire sopra i consigli di due potenze rivali con
articoli da giornale se caddero con tanta fatuità i giornalisti più sa-
vii della massoneria, pensi ognuno con qual prosopopea e baldanza
dovettero cadervi i giornalisti minori appartenenti alla massoneria
che il Frappelli chiamerebbe men riservata e meno attenta. Tra
questi citeremo il Diritto, che, tra i giornali pazzi, è il più savio e
il più riservato e attento. Pure questi nel suo n.° dei 17 Luglio con-
fessa ingenuamente di aver proprio creduto che egli coi suoi dotti
articoli avrebbe forse potuto influire sopra la Francia e la Prussia.
« Le cose volsero a un tratto alla peggio ; ma fino all' ultimo noi ci
ostinammo a non disperare, e finche un filo di speranza rimase,
non ci preoccupammo che sui mezzi di mantenere la pace : profon-
damente, addolorati dell'esito finale della questione, abbiamo tutta-
via la coscienza di aver fatto , per quanto da noi dipendeva , il no-
stro dovere. »
Fece il suo dovere il povero Diritto, ma fu tempo perso. Se non
che colla paura non si ragiona. E la paura che i liberali aveano
della guerra venuta così all' improvviso a guastar loro le ova nel
paniere, e rompere le fila massoniche con lunga fatica tessute, la
paura, diciamo, era tanta, che non lasciò loro considerare la va-
nità dei loro articoli, i quali non dimostravano altro che il grande
interesse che essi aveano questa volta alla conservazione della pace.
LA MASSONERIA E LA GUERRA o33
Fecero come quel notaio criminale di cui parla il Manzoni, il quale
« era un furbo matricolato ; ma in quel momento si trovava coli' a-
nimo agitato. Ma è una tendenza generale degli uomini quando so-
no agitali e angustiati e vedono ciò che un' altro potrebbe fare per
levarti di impiccio, di chiederglielo con istanza e ripetutamente. E
i furbi quando sono angustiati e agitati cadono anche loro sotto
questa legge comune. Quindi è che in simili circostanze fanno per
lo più una pessima figura. » Anche si può dire che imitarono quel
tale che, in una tempesta di mare, avendo quasi perduto il cervel-
lo, credeva rimediare ali* imminente pericolo coli' abbracciare l'al-
bero maestro e tirarlo a sé con quanta forza aveva dalla parte de-
stra quando la nave piegava a sinistra, e dalla sinistra quando pie-
gava a destra, faticando assai e non approdando a nulla. Benché
si può credere che i dotti articoli di questi savii giornali massoni-
ci hanno questa volta influito sopra F opinione dei Governi anche
meno che non sul piegar della nave la forza di quel povero spa-
ventato.
Scoppiata la guerra e venutosi cosi alla seconda fase, ci perdo-
nino i cortesi lettori, ma noi non sapremmo meglio compendiare gli
articoli dei prelodati giornali, organi della massoneria dotta e del
liberalismo sapiente, che ricorrendo ancor una volta alle parole di
D. Abbondio quando, fuggendo la guerra, si ricoverava al castello
dell'Innominato. «Dopo aver sospirato e risospirato e poi lasciato
scappare qualche interiezione, Don Abbondio cominciò a brontolar
più di seguito. Se la prendeva col Duca di Nevers che avrebbe po-
tuto stare in Francia a godersela, a fare il Principe, e voleva esser
Duca di Mantova a dispetto del mondo: con l'Imperatore che avreb-
be dovuto aver giudizio per gli altri, lasciar correr 1' acqua all' in-
giù, non istar su tutti i puntigli: che finalmente lui sarebbe sempre
stato l'imperatore, fosse duca di Mantova Tizio o Sempronio. Biso-
gnerebbe, diceva, che fossero qui quei signori a vedere, a provare
che gusto ci è. »
E a voler esser equi, non si può negare che niun gusto può avere
il liberalismo in genere e l'italiano in ispecie in questa guerra.
Quanto al liberalismo in generale è chiaro che questa guerra
viene in mal punto a rompere tutti i suoi disegui, e contrariare tutti
534 LA MASSONERIA E LA GUERRA
i suoi intendimenti. Gran flagello è certamente la guerra. Ma es-
sendo flagello di Dio è ordinato al bene: ed il cristiano, mentre non
dee uè farla né procurarla se non che quando è giusta, inevitabile
e doverosa, quando però la subisce ha da persuadersi che anche
allora egli si trova nell'ordine della provvidenza di Dio, che ogni
cosa dispone a sua gloria e nostro bene. E nel caso presente, per
quanto i giudizii di Dio siano imperscrutabili, ci è però lecito di
osservare che il guasto delle idee che si fa colle congiure sotter-
ranee, coll'istruzione corruttrice, coll'arrolamento della gioventù,
col guasto specialmente degli operai per mezzo delle società ope-
raie ed internazionali, tutto questo è scombinato, confuso, sconquas-
sato da una guerra così colossale. Il danaro stesso, senza cui nulla
può ordire il liberalismo, fugge dalle sue casse di risparmio ordi-
nate anche esse a guerra pacifica contro l'ordine e la religione nel-
le mani dei settarii in molli paesi. La gioventù studiosa e l'operaria
esce dalle congiure e dalle scuole settarie per entrare nelle file
dell'esercito, dove i principii massonici e liberaleschi sono sgomi-
nati dai contraili antichi principii della disciplina, dell'obbedienza,
del rispetto alle autorità. Non vi ò infatti esercito senza unità, né
unità senz' autorità, né autorità senza obbedienza all'antica, e quale
appunto è odiala dal liberalismo. La guerra inoltre eccila in tutti
cuori i principii religiosi, fa pensare all'anima, alla morte e a
prepararvisi, alla protezione di Dio e ad invocarla, al soccorso del
sacerdote e della Suora di carità e a rispettarli, al disprezzo della
"vita pel dovere, perla patria, per l'obbedienza: lutti sentimenti,
pensieri e principii generosi, cristiani e morali, e perciò antilibe-
rali ed anlimassonici. Che se la guerra non fosse altro che flagel-
lo, morte, desolazione e rovina, la massoneria ispirata dal diavolo
homicida ab initio, vorrebbe sempre la guerra. Se l'odia, talvolta,
se la detesta, se, col pretesto di filantropia, fa i congressi della pa-
ce ossia della guerra settaria e sotterranea, ciò è perche trovan-
dosi ora quasi da.pertutto in possesso del governo, intende che col-
la pace può pei -venire, al colmo del suo trionfo meglio che colla
guerra che può essere la sua ro\ina.
E ciò in generale. Ma in particolare per l'Italia è chiaro che non
polca cadérle addosso questa guerra in peggior punto. Disarmata,
LA MASSONERIA E LA GUERRA 535
screditata, impoverita, come ottener voce in capitolo? Quanto a sim-
patie ragionevoli essa non può averne per la Prussia, cui dee Vene-
zia, senza offendere Francia cui dee ogni cosa; nò può averne per
Francia cui dee ogni cosa, senza offendere Prussia, cui dee la Vene-
zia. Inoltre la Prussia sembra per ora la più forte, e può far pagar
cara ogni velleità d'offenderla. D'altra parte è poi certo che la Prus-
sia sarà in fine la più forte?
Resta dunque una neutralità benevola ai due contendenti. Ma una
tal neutralità è sempre interpretata come ostilità dalla parte vinci-
trice. Peggio poi se la neutralità è benevola ad una sola parte. Gli
imbrogli dell' Italia sono dunque evidenti. J) dir ani rec/es dicea la
Perseveranza dei 27 Luglio prendendosela, come Don Abbondio, coi
due contendenti : e poi seguitava « La guerra non ci poteva arrivare
in peggior punto. Essendo condannati a governi fiacchi, e' eravamo
pure accomodati a trarne per ora questo profitto, l'aumento dell'en-
trata pubblica. L'operosità economica del paese si risvegliava; noi
vedevamo non lontana l' ora in cui la questione delle finanze, la più
ostinata delle questioni nostre, sarebbe stata risoluta. Ecco, che
un' altra volta, e non per colpa nostra ora, noi siamo ricacciati in
giù, né possiamo sapere quanto in giù. Poiché è impossibile oggi
indovinare, se la guerra si estenderà, e se noi saremo sforzati a
prendervi parte. Niente è più probabile che la Prussia voglia sfrut-
tare 1' odio garibaldino contro la Francia, e le smanie garibaldine
verso Roma. D'altra parte, è evidente che ogni nostro provvedimen-
to di tesoro c'è reso oggi assai più diffìcile, costoso. »
Ed il Diritto del 18 Luglio diceva: « Se nella situazione attuale il
Governo italiano volesse uscire dalla neutralità per chi dovrebb' egli
prendere parte? Non per la Francia; perchè sposerebbe la causa del-
la prepotenza , una causa che è la negazione del principio del non
intervento e del principio della nazionalità che sono la base del no-
stro diritto pubblico e la nostra principale condizione d'esistenza;
non con la Francia ancora perchè avrebbe contro di sé il sentimento
ormai non dubbio del popolo italiano. Allearci con la Prussia sa-
rebbe altresì, nel momento attuale, sommamente pericoloso, molto
più avendo, come abbiamo, un nemico in casa, e non essendo sufi-
536 LA MASSONERIA E LA GUERRA
cientemente preparati. » E il 21 Luglio: dicendo « Chi potrà mai
levar di testa ai Francesi che gì' Italiani non debban loro tutto quel
po' di bene che respirano ? Chi potrebbe persuadere ai Prussiani
che essi non abbiano rimediati i danni irreparabili delle nostre scon-
fitte, coronando, per miracolo, l'unità della nostra patria? Questo
diciamo, pei che si veda come la neutralità, se da un lato rende si-
curi, non sia tale bensì che svanisca i pericoli e le incertezze; ove
si pensi che due popoli amici, se non si cambiano in nemici aperti,
non mancheranno guardarci di traverso o tenerci in sospetto , come
tepidi o irriconoscenli. E questi, ove porga il destro, non si staranno
dal vendicarsi a cento doppii. »
L'Opinione, giornale ora ministeriale e quasi ufficiale, dice nel
suo num. dei 19 Luglio. « 11 Governo non si trova su d'un letto di
rose. Ogni partito che a lui si presenta, ha le sue spine. Se vi ha
qualcuna, il quale non vegga che un nuovo Waterloo sarebbe fatale
alla libertà ed al progresso sociale di cui la Francia sta sempre
alla testa : se vi ha tal altro, il quale non capisca che una nuova
battaglia di Iena riuscirebbe disastrosa per il principio nazionale
di cui per forza la Prussia si dovette fare una bandiera, quegli non
sono uomini politici e ragionar con loro tornerebbe inutile. »
Ma niuno forse espose questo stato di perplessità forzala del-
l'Italia liberale quanto la Rivista europea, periodico fiorentino, dot-
to se volete, o meglio erudito di indigesta erudizione, ma empio al
tutto, si che non sappiam intendere come esso sia stato lodato testé
senza restrizioni e quasi proposto ad esempio da un periodico scrit-
to da cattolici, se non sapessimo (e Dio volesse che non anche tal-
volta per nostra esperienza) che nella fretta e precipitazione dello
scrivere moderno non sempre i giudizii possono essere retti come il
cuore e l' intenzione. Or ecco come /liberto Mario nel n.° 3 della det-
ta Rivista espone il pericolo d' Italia sia che vinca Francia, sia che
vinca Prussia. Comincia col mostrarsi favorevole alla Prussia, poi,
pensando meglio, vede che la vittoria della Prussia sarebbe perico-
losa e finisce col non saper che augurarsi. « Per le inflitte (all'Italia)
umiliazioni, e per l'occupazione di Roma, e per il sangue di Menta-
na, è naturale che noi italiani auguriamo una Sadowa rinterzata alla
LA MASSONERIA E LA GUERRA 537
Francia imperiale. E se la giustizia sta tutta dalla parte del re Gu-
glielmo, se egli accogliendo il guanto difende 1' onore della Germa-
nia insultata in lui, se difende il diritto che ogni popolo ha di co-
stituirsi come gli piace, contestato alla Germania dalla cieca gelosia
francese, desiderare ch'ei vinca gli è desiderare il disastro minore.
La libertà pagherà in ogni caso i vetri rotti. ... La \ittoria napo-
leonica importerebbe il colpo di Stato europeo, ma la vittoria del
Re di Prussia, trarrà seco l' unità germanica o almeno la federazio-
ne germanica sotto l'esorbitante primato della Prussia, in balla
d'un re glorioso» di razza guerriera, e ambizioso e saturo di dirit-
to divino. »
E come il sig. Alberto Mario e la Rivista europea, cosi la Mas-
soneria italiana in generale ha perduto il filo delle idee ; e non
ostanti le circolari del sig. Frappolli che raccomandano neutra-
lità, è divisa in due partiti, dei quali ciascuno combalte per l'una
delle due potenze belligeranti secondo che dall'una e dall' altra
vede ciascuno minori pericoli soprastare all'Italia liberale. Ten-
gono per Francia la Gazzetta d' Italia e gli altri giornali più de-
voti al Governo presente, che tutto in verità è fondato sopra la
Francia. Tengono per Prussia i nemici di Francia e i pazzi radicali
quasi tutti: benché anche questi sono divisi e suddivisi, rimanendo
certo soltanto quel pericolo e timore generale che il Diritto del 17
Agosto molto bene spiega dicendo: « Non conviene dimenticare che
mentie da una parte l' Italia non avrebbe nulla a guadagnare da u-
na guerra nelle presenti circostanze, dall'altra non solamente ne a-
vrebbe a temere, come tutti gli altri paesi, danni più o meno gra-
vi; ma, per la sua speciale condizione, vi comprometterebbe la sua
stessa esistenza nazionale, la sua unità che non ha cessato ancora
di essere minacciata. »
E meglio ancora 1' Opinione dei 10 Agosto: « Ora si è pensosi
perchè anche indipendentemente dalla forte scossa che può avere
la politica generale dal mutamento improvviso e profondo del suo
punto di equilibrio, si capisce che havvi una grande questione in-
terna che sovrasta ad ogni altra considerazione ed a tutti gì' inte-
ressi particolari. La nostra unità data dal 1860; non bisogna mai
538 LA MASSONERIA E LA Gì ERRA
dimenticarlo. I suoi nemici son tulli vivi, lutti operosi, tutti rinco-
rati da queste strane \icende. 11 paese domanda se il Governo ha
forze sutlicienti per difenderlo contro gli assalti e gli agguati che
non possono mancargli, pur conservando la forza che gli abbisogna
per presentarsi nei consigli europei e per esservi ascollato. »
Al solito poi di tulli i casi nei quali i liberali sono imbrogliati,
anche questa volta accade che se la piglino con Dio, siccome con
Colui che essi ben sanno avere a nemico capitale. E non potendolo
offendere direttamente in cielo, cercano di offenderlo indirettamente
in terra pigliandosela colla sua Chiesa e con Roma. La sola con-
solazione che paiono ora avere i liberali si è la partenza dallo Stato
pontificio dei soldati di Francia. 11 qual abbandono molli di loro in-
terpretano come una licenza di venir avanti e di prender possesso
di ciò che resta al Papa. Il Diritto e la Bi forma, che ì tra i giornali
moderati sono i più pazzi, e tra i giornali democratici sono i più sa-
vii, scrissero in questi giorni dei grandi articoli per ispingere ver-
so Roma il Governo fiorentino. Non essendo stati uditi da Francia
e Prussia speravano di esser almeno esauditi dall' Italia. E fu note-
vole il Diritto, che paragonò se slesso a Catone (questo caso è
accaduto il 19 Agosto) e Roma a Cartagine, e quindi « a viso
aperto: è necessario, disse, che Roma sia nostra ». Ma non
ostante tanta apertura di viso o meglio di bocca, il Governo fio-
rentino finora ha credulo meglio non ascoltar Catone e avere giu-
dizio. Che anzi fece sapere al Diritto ed ai suoi, per mezzo del-
F Opinione del 19 Agosto, che l'Italia perora non intende ve-
nire a Roma. E non mica per isciupolo, o per amor di giustizia.
Ma perchè sarebbe dannoso all' Italia il far ora quest'altro latro-
cinio. « La sinistra stessa dee intendere (dice V Opinione, quasi
dicendo: se lo dee intendere la sinistra, chi sarà tanto scemo che
non l'intenderà?) la sinistra stessa dee intendere che si edifiche-
rebbe sull'arena se si pretendesse di andare a Roma con un colpo
di mano. » Crediamo dunque che quei liberali, i quali pensano di
poter ora pescare nel torbido, si illudano fieramente , e che anche
quesla volta patiranno il supplizio di Tantalo, cioè « vedrrc e non
toccare », cosa crudelissima per i ladri e i ghiottoni di professione,
LA MASSONERIA E LA GUERRA 539
E noi siamo certissimi che quest'abbandono in cui par essere Roma
e il Papa, questo essere come in balìa de' suoi nemici, questa con-
dizione di cose iu cui sembra che basti ai liberali dar un passo per
ottenere quella Roma cui agognano da tanto tempo inutilmente, noi
siam certissimi che questa condizione di cose è permessa da Dio
soltanto perchè si veda e si tocchi con mano che egli solo si è inca-
ricato di difenderla da sé, e non vuole divisa con altri la sua glo-
ria. Diceva molto saviamente il sarto del Manzoni, gran lettore del
Leggendario dei Santi: « Non ho mai letto che il Signore abbia
comincialo un miracolo senza finirlo bene. » E filosofava meglio di
molti dotti e sapienti, grandi lettori del Machiavelli. Se Dio ha
salvata Roma da tanti barbari per centinaia di secoli, se ha sem-
pre voluto che vi tornasse pacifico Re il suo Vicario in terra, se
anche ieri raunò sotto le sue mura tutta la schiuma della ribalderia
italiana soltanto per far loro vedere la cupola di S. Pietro e insegnar
loro che Roma si vede e non si tocca, poiché ora la lascia di nuo-
vo sprovveduta di altro aiuto che del suo, questo è indizio chiaro
che egli vuol finir bene il miracolo che ha cominciato.
Che se anche ai liberali fosse, per impossibile, dato di far ancor
una volta questo passo e d'invadere Roma, come nel corso dei seco-
li passati tanti altri barbari l'invasero; si dee tener per certissimo
che anche questo riuscirà a gloria maggiore di Dio, della sua Chie-
sa, di Roma e del sommo Pontefice, e a maggior umiliazione e
scorno del liberalismo, il quale altre volte è entrato a Roma e sem-
pre ne è uscito sconfìtto, mutando il supplizio di Tantalo con quello
di Sisifo condannato a far sempre la slessa salita faticosa, e poi
sempre la stessa discesa precipitosa. Ma il cuor ci dice (e lo dice
pure agli stessi liberali) che se essi hanno da soffiare questa volta
il supplizio di Sisifo, ciò loro accadrà più facilmente precipitando
da Firenze dove sono, anziché da Roma dove non arriveranno. E
così sia.
LA BOLLA REVERSURUS
DEL 16 LUGLIO 1867
INTORNO ALLA CHIESA ARMENA
Jl Papa Pio IX felicemente regnante diede alla chiesa di Armenia
il fondamento di una santa prosperità colla Bolla Reversurus, da
lui promulgata nel Luglio del 1867. Ma i nemici della pace eccle-
siastica, fra gli altri pretesti, si valsero di questa Bolla medesima,
e trassero da lei occasione di suscitar turbolenze in quella cristia-
nità, la quale, senza cotesti seminatori di zizzania, gusterebbe al pre-
sente i salutiferi frutti dell' apostolica provvidenza. Non è nostra in-
tenzione di parlare di questi dissidii e di questi scandali. La storia
compirà a suo tempo il suo ufficio; e se lascerà a Dio il giudicare
delle intenzioni occulte, non ometterà certamente di porre in mani-
festa luce la tristizia delle azioni esterne, colle quali si è nel fatto
tentato di cagionar quivi lo scisma, cioè la rovina maggiore che si
può apportare alle anime, rigenerate col santo Battesimo ed unite a
Cristo nella comunione col suo Vicario. Vogliamo soltanto in questo
articolo esporre il contenuto di quel documento della Santa Sede, e
indi in un altro quaderno faremo vedere quanto a torto i mentovati
perturbatori l'abbiano usato come mezzo per mandare ad effetto i
loro perversi proponimenti.
Prima del 1830 versavano in un assai infelice condizione tutti gli
Armeni uniti, che dimoravano nella città di Costantinopoli e nei luo-
ghi circonvicini. Essi non dipendevano per niuna guisa dui Palliar-
LA BOLLA REYERSURUS DEL 16 LUGLIO 1867 ECC. 541
ca cattolico della lontana Cilicia, a cui eran soggetti tutti gli altri
Armeni uniti. Nelle cose meramente civili aveano a superiore il Pa-
triarca degli Armeni scismatici di Costantinopoli ; giacché secondo
la consuetudine stabilita nell' Impero ottomano fin dal tempo di
Maometto II, i prelati delle varie comunioni cristiane hanno ivi au-
torità qfcvile su coloro che essi reggono nello spirituale. Or questa
autorità si arrogarono indebitamente i Patriarchi armeni scismatici
anche sugli Armeni cattolici. Nelle cose religiose, che hanno effetti
civili, come sono i battesimi, i matrimonii, le sepolture, eran que-
sti cattolici costretti a sottomettersi, per tutto ciò che riguarda cotali
effetti, al clero scismatico. Nell'amministrazione delle opere pie e di
pubblica beneficenza, quali sono le scuole, gli spedali, gli orfano-
trofi, non dovevano riconoscere altro capo, fuorché il nominato Pa-
triarca scismatico e il suo clero. Finalmente nelle cose strettamente
religiose e per la debita soggezione alla Santa Sede dipendevano da
un Vicario apostolico latino, residente in Costantinopoli.
Questo stato durò sino al 1828, quando per ragione della guerra
di Grecia vennero in uggia alla Sublime Porta tutti i cristiani di rito
orientale, ma in ispecie i cattolici. Allora gli Armeni scismatici,
mettendo in opera le consuete arti, denunziarono al Governo i loro
connazionali cattolici, e riuscirono a farli sbandire dalla metropoli
e dalle sue vicinanze. Il bando fu accompagnato da tratti d' inau-
dita ferocia.
Per sovvenire alle necessità di questi tribolati, Pio Vili scrisse a
Francesco I imperatore di Austria ed a Carlo X re di Francia, ec-
citandoli ad interporre i proprii ufììcii, a nome della protezione,
con che quelle due inclite nazioni aveano sempre favoriti i catto-
lici del Levante. Queste pratiche migliorarono notabilmente la sorte
degli Armenti uniti. Il provvido Pontefice pensando altresì a libe-
rarli dal giogo del Patriarca scismatico e del suo clero, costituì per
essi una gerarchia, composta d'un Arcivescovo primate e di dieci
Vescovi suffraganei; ed elesse a primo Arcivescovo monsignor An-
tonio Nurigian. Alla morte del Nurigian succede nel primato monsi-
gnor Boghos Maniche, il quale ebbe dapprima a Vicario e indi a
Vescovo coadiutore monsignor Antonio Hassun. Morto poi nel 1846
monsignor Maruche, ottenne la sede primaziale monsignor Hassun.
542 LA BOLLA REVERSURUS DEL 16 LVJGLIO 1867
Nella Bolla Quod iamdiu, colla quale Pio Vili eresse la detta se-
de, riservò espressamente a se ed ai suoi successori il dritto di or-
dinare per l'avvenire quel che sarebbe tornato più utile alla stessa
provincia degli Armeni: Beservantes Nobis et successoribus Nostris
in posterum sancire quae in hac sic constituta ecclesiastica pro-
vincia, prò temporum, locorum, personarumque rationibu^magis
in Domino expedire dignoscetur.
Sotto il glorioso governo del regnante Pontefice giunse il tempo,
in cui il mutare la disposizione di Pio Vili era necessario al comun
bene sì degli Armeni della provincia di Costantinopoli, come di
quelli della provincia di Cilicia. Egli dunque colla Bolla Beversu-
rus estinse ed abolì il titolo primaziale ed arcivescovile, di che
Pio Vili avea decorata la Chiesa armena di Costantinopoli ; unì in
perpetuo la provincia costantinopolitana ecclesiastica degli Armeni
cattolici al patriarcato armeno cattolico di Cilicia; e comandò che
tutti gli Armeni cattolici delle due province di Cilicia e di Costanti-
nopoli dipendessero da un solo Patriarca. Lasciò a questo il titolo
di Patriarca di Cilicia, ma gli assegnò per sede la città di Costanti-
nopoli, e gli diede il dritto di governare la Chiesa costantinopolita-
na con giurisdizione ordinaria. Il primo eletto a tal dignità fu il no-
minato monsignor Antonio Hassun, il quale allora, come già ab-
biamo detto, era Primate di Costantinopoli; ed assunse il nuovo ca-
rico col nome di Pietro IX nel 1866, cioè dopo la morte, avvenuta
quel!' anno, del Patriarca Gregorio Pietro Vili, dalla cui giurisdi-
zione spirituale erano di penduti fino allora i soli Armeni cattolici
della provincia di Cilicia.
Dalla menzionala ordinazione dell'augusto Pontefice provenivano
due vantaggi. 11 p»imo era di raccogliere in un solo Patriarca la
giurisdizione su lutti gli Armeni uniti, la quale era innanzi divisa
tra il Primate di Costantinopoli ed il Patriarca di Cilicia. L'altro
era che potea quindi avere miglior sesto l' amministrazione degli
affari civili di tutta quella comunità dei medesimi Armeni; ed ecco
in qual modo.
Quando per le provvide cure di Pio Vili, ricordate di sopra, gli
Armeni cattolici della provincia costantinopolitana ebbero a loro
INTORNO ALLA CHIESA ARMENA 543
proprio Arcivescovo monsignor Antonio Nurigian, e così incomin-
ciarono a formare una comunilà al tutto indipendente nelle cose
spirituali dal Patriarca e dal clero scismatico di Costantinopoli;
implorarono dalla Sublime Porta che una tale costituzione ecclesia-
stica fosse riconosciuta, e che il detto Arcivescovo Primate fosse in-
vestito ancora di quei poteri civili, che i capi de' diversi riti eserci-
tano sopra i loro sudditi, giusta la consuetudine vigente in tutto
l'Impero ottomano. La domanda andò a vuoto pei maneggi contra-
rli del clero scismatico, a cui erano soggetti nel civile quegli Arme-
meni cattolici. Se le cose si fosser mutate, avrebbe questo clero
perduto un numero considerabile di sudditi, si sarebbe ristretta la
sfera della sua influenza, e, ciò che più era, gli sarebbe venuta
meno ogni utilità pecuniaria, che da quella civile amministrazione
o riceveva legittimamente o anche spremeva a torto. Potè anche
dar peso al rifiuto il non essere il Nurigian suddito ottomano ma
austriaco. Intanto il Governo si negò di concedere a questo Primate
la prefettura civile, adducendo per ragione che egli non avea il ti-
tolo di Patriarca. Alla Santa Sede appariva mostruoso, qual era ve-
ramente, il creare un secondo Patriarca di uno slesso rito in Costan-
tinopoli, ed ingiusto lo spogliare di tale titolo la sede di Cilicia.
I principali della comunilà, persistendo nella loro domanda, conse-
guirono finalmente dalla Porta di potersi scegliere un capo civile col
tìtolo di Patriarca. Ciò fu al tempo del Pontificato di Gregorio XVI,
il quale consentì che di tal potere e di tal titolo fosse insignito un
semplice prete, a patto espresso che non esercitasse verun alto di
ecclesiastica giurisdizione, senza speciale facoltà concedutagli dai
Primate, e che questi non glie ne comunicasse più di quanto egli
slesso ne possedea. Vietò altresì che tanto il Primate quanto il Pa-
triarca civile s'ingerissero in veruna faccenda spirituale delle altre
chiese, che aveano già propria gerarchia e dipendevano dai pro-
pri! prelati, siccome erano, per esempio, quelle della Georgia e del-
la Cilicia.
Nel 1845 monsignor Antonio Hassun, allor Vescovo coadiutore
del primate Maruche, venne eletto ad esercitare questa prefettura
civile. Indi ad un anno egli succede al defonto Maruche nell'arci-
544 LA BOLLA REVERSIRUS DEL 16 LLGLIO 1867
vescovado e primato della provincia armena di Costantinopoli, ed
ottenne dalla Sublime Porta di conservare l'autorità di Patriarca ci-
vile, benché non avesse il titolo di Patriarca ecclesiastico. Per tal
modo la condizione degli Armeni cattolici di quella provincia finì
di essere inferiore a quella degli altri cristiani dell' Impero ; peroc-
ché incominciarono a dipendere da un capo solo, appartenente alla
loro religione ed al proprio rito, il quale era ad un tempo investito
della giurisdizione ecclesiastica e della civile autorità.
Gli altri Armeni cattolici dipendevano nello spirituale, come già
si è detto, dal Patriarca della provincia di Cilicia ; ma negli affari
civili eran soggetti al Patriarca scismatico, che dimorava in Co-
stantinopoli, com' erano dapprima gli Armeni cattolici della pro-
vincia costantinopolitana. Allorché poi questi Armeni di Costantino-
poli ebbero un Patriarca civile, quei di Cilicia ottennero di dipendere
dallo stesso Patriarca ne'negozii temporali, e si riscossero cosi dal-
la civile soggezione del Patriarca scismatico. Venuta indi a qualche
anno la prefettura civile nelle mani del primate Hassun, essi si val-
sero per questi negozii dell' opera di lui.
Senonchè il Patriarca di Cilicia immaginò, che si vantaggereb-
bero gl'interessi della sua comunità, se ella avesse in Costantino-
poli per la spedizione de'proprii affari una persona indipendente da
monsignor Hassun. Pertanto fece pratiche presso la Sublime Porta
affìn di avere a tal uopo un suo vicario nella detta metropoli, e
l'ottenne nel 1860. Ma infastidito ben presto dalle difficoltà, che
gli sorgevano attorno per questa novità, si determinò di proporre
in secreto ai suoi Vescovi una convenzione, la cui somma era , che
si unissero le due giurisdizioni ecclesiastiche nella persona del Pa-
triarca di Cilicia, e la sede patriarcale si trasferisse a Costantino-
poli, conservando tult'i suoi dritti e tutte le sue prerogative. Mon-
signor Hassun, avvenuto questo cangiamento, avrebbe continuato
ad esercitare la giurisdizione primaziale ; però sarebbe nello stesso
tempo nominalo vicario del Patriarca, e presterebbe nelle mani di
lui il giuramento solilo a prestarsi dagli altri Vescovi che erano
nel patriarcato. Quest'alto fu stipulalo e sottoscritto da tulli gli Ar-
civescovi il 18 Febbraio del 1865. Ma il colera, che l'anno inedesi-
INTORNO ALLA CHIESA ARMENA 545
mo afflisse la città di Costantinopoli, rapì immaturamente monsi-
gnor Michele, principale negoziatore della nominata convenzione; e
cominciando appena il seguente anno 1866, fini di vivere lo stesso
Patriarca di Cilicia, Gregorio Pietro Vili, iniziatore di quel trattato.
La Santa Sede approvava la sostanza della convenzione, ed avca
provvisto sì fattamente, che, ove accadesse la morte del detto Gre-
gorio, nella scelta del nuovo Patriarca si effettuassero i desideri!
delle due comunità degli Armeni uniti. Morto Gregorio, fu scelto a
succedergli monsignor Hassun. L' augusto Pontefice Pio IX confer-
mò una tale elezione, e, come di sopra abbiamo detto, decretò nella
Bolla Reversurus la riunione della sede primaziale di Costantinopoli
colla patriarcale di Cilicia, ritenendo di questa seconda il titolo e
della prima la residenza.
Dà quindi le norme per le elezioni future sì del Patriarca come
de' Vescovi della chiesa di Armenia. E dapprima abolisce un certo
capitolo che il defonto Patriarca di Cilicia Gregorio Pietro Vili avea
illegittimamente eretto tre anni innanzi, concedendogli una indebita
ingerenza nella elezione de' Prelati, insieme con alcuni pretesi di-
ritti e privilegi, ingiuriosi non solo alla dignità episcopale, ma al-
tresì alla patriarcale. Con questo illegale capitolo rimane anche
abolito qualsivoglia altro capitolo della medesima specie, che per
avventura fosse stato creato ne confini del patriarcato armeno; e si
vieta che per l'avvenire niun capitolo somigliante si stabilisca nello
stesso patriarcato.
Le norme della elezione del Patriarca son queste. Vacando la
sede patriarcale i soli Vescovi abbiano il dritto del suffragio nella
elezione del Vicario, che dee governare ed amministrare il pa-
triarcato vacante. Nella scelta dello stesso Patriarca similmente i
soli Vescovi abbiano il dritto del suffragio, escludendo affatto i che-
rici ed i sacerdoti non insigniti del carattere episcopale, ed altresì
vietando che niun laico s' ingerisca e pigli parte in tale elezione,
sotto qualsivoglia colore o pretesto. Il Patriarca eletto non sia in-
tronizzato e non abbia alcun dritto o giurisdizione sul patriarcato,,
nò anche a titolo o a nome di vicario o di procuratore; se prima la
sua elezione o postulazione non sia stata, secondo Y uso, ammessa
Serie Y1J, voi. XJ, fase. 491. 35 24 Aggsto 1870.
546 LA BOLLA REYERSURVS DEL 16 LLGLIO 1867
e confermata dal romano Pontefice, e non siano state spedite le let-
tere apostoliche della confermazione, tolta qualsivoglia consuetudine
Incontrario. 11 medesimo] Patriarca, benché sia confermato nella
già detta guisa dalla Sede [apostolica, non possa lecitamcnle conse-
crare i Vescovi, convocare i Sinodi, fare il crisma, dedicare le
chiese ed ordinarefi chierici, prima che abbia ottenuto il sacro Pal-
lio dalla stessa apostolica Sede. Dopo ciò sono enumerati i giorni
festivi, ne' quali [il Patriarca^ può fare uso del Pallio nelle messe
solenni e nelle chiese, contenute fra i limili del suo patriarcato.
Gli s'impone l'obbligo di visitare ogni quinquennio il sepolcro dei
SS. Apostoli Pietrofe Paolo, e di dare in questa visita conto al ro-
mano Pontefice dell' adempimento del suo pastorale officio. Final-
mente se gli prescrivono alcune regole intorno all'amministrazione
ed all' uso dei beni temporali e delle possessioni del patriarcato.
Quanto alla elezione de' Vescovi, 1' augusto Pontefice stabilisce,
che vacando una diocesi|del patriarcato, il Patriarca convochi quan-
to prima il Sinodo de' Vescovi ; dal quale si proporranno sinodal-
mente tre idoneifecclesiastici al Pontefice romano; e questi sceglierà
il più idoneo tra essi al governo di quella sede. « Non dubitiamo,
così soggiunge iUPonteh'ce, che i Vescovi procureranno di proporre
persone degne e veramente idonee, acciocché Noi o i Nostri succes-
sori non siano giammai costretti per l'ufficio dell'apostolico mini-
stero, a decorare qualche altro, benché da loro non proposto, della
dignità episcopale, ed a costituirlo sulla chiesa vacante. »
Questa è la somma delle prescrizioni, contenute nella [Bolla Re-
versurus; della^quale soggiungiamo qui appresso il testo intero.
PIUS EPISCOPUS
SERYUS 8 I R V 0 R|U M d|e I
ad perpeluam rei memoriam.
Rr versurus ex hoc mundo ad Patroni Unigenitus; Dei Filius Ec-
clesie suae divinam ordinationem ita consti tuit, ut, quemadmodum
B, Leo PP. 1. deccssor Noster monuit 1, cum inter beatissimos
1 Epist. ad Anaslasium Thessalonicerf.
INTORNO ALLA CHIESA ARMENA 541
Àpostolos in similitudine honoris quaedam fucrit discrelio potesta-
tis, omniumque par esset electio, uni tamen, scilicet Buio Petro, da-
tum fuerit, ut ceteris praeraineret. Huic enim soli a Christo Domi-
no suprema potestas fuit attributa pascendi nedum agnos, verum et
oves; hoc est regendi et gubernandi universam Ecclesiam; ut iam
in grege Christi non sit, qui Petrum Pastorem non agnoscat. « De
« qua forma, ut ait idem B. Leo, Episcoporum quoque est orta di-
« stinctio et magna dispositione provisum est, ne omnes omnia sibi
« \indicarent ; sed essent in singulis proYinciis singuli, quorum in-
« ter fratres haberetur prima sententia ; et rursus quidam in maio-
« ribus urbibus constituti sollicitudinem susciperent ampliorem, per
« quos ad unam Petri Sedem universalis Ecclesiae cura conflueret,
e et nihil umquam a suo Capite dissideret. » Quibus sane verbis
Metropolitarum ac Patriarcharum ecclesiastica instilutio aperte desi-
gnatur.
Hinc factum est, ut in iis tantum amplioribus urbibus patriarcha-
lis dignitas antiquitus constiterifc, quarum ecclesias B. Petrus fun-
daverat. Hinc factum est, ut Patriarchis ipsis vix electis nil magis
cordi fuerit, quam confìrmationis litteras ab hac B. Petri Sede obti-
nere, per quam sciebant, largiente Domino, omnium solidari digni-
tatem sacerdotum, et ab eadem ipsam patriarchalem auctoritatem
promanare. Hinc factum est, ut graviores ac difficiliores causae tam
fidei quam disciplinae ad eamdem Sedem deferrentur, quae sola
cunctas haereses, etiam ante conciliorum generalium detìniliones, au-
ctoritate sua interemit, et universalis Ecclesiae disciplinae, cum opus
fuit, latis etiam legibus, providissime consuluit. Atque hanc consti-
tutionem semper in Ecclesia fuisse religiosissime custoditam, uni-
versalium conciliorum acta, SS. Patrum institutiones, atque uni-
versae Ecclesiaslicae historiae monumenta tam perspicue demon-
strant, ut nemo ante funestissimum (Mentis schisma nraesumpserit
hanc supremam Romanorum Pontificum auctoritatem in dubium de-
iìnite revocare.
Etsi autem schisma illud omnes ferme Orientales ecclesias ab
unitatis centro divulserit, haud tamen potuit hanc veritatem catho-
licam in Ecclesia obscurare, \el saltem ex Orientalium animis pe-
548 LA BOLLA REVERSLRUS DEL 16 LVGLIO 1867
nitus eradicare. Etenim praetcrquamquod innumerabiles gentes in
agnilionem veritatis ex idololatriae vel haereseos tenebris vocatae ad
hanc Romanam Ecclesiam propter potiorem principalitateni undique
convenerunt aìiaeque in dies conveniunt, ipsae eliam Orientalium
ecclesiae, quolies ad bonam frugem, divina aspirante gralia, rever-
sae sunt, primatum nedum honoris verum et iurisdictionis B. Petro
Eiusque in Romana Cathedra successoribus a Iesu Christo Domino
Nostro attributnm soìemniter professae sunt. Quem primatum, li-
cet a vetustiorìbus etiam Conciliis et ab universa Ecclesia semper
agnitum etsummo in honore habitum, oecumenica Synodus Fioren-
tina, in qua Graeci sacrorum Antislites cum Latinis convencre, so-
lemni dogmatico decreto asseruit, ut magis magisque inexcusabiles
fierent qui tam perspicuam veritatem vellent inficiali.
Atque ulinam hoc Fidei christianae dogma Orientales Àntistites
constanter tenuissent ! Neque enim eorundem ecclesiae in miserri-
niam illam conditionem cecidissent, in qua post contlatum vel in-
stauratum schisma versantur. Siquidem praeter asperrimas calami-
tates, quae earumdem defectionem ab hac Apostolica Sede consecu-
tae sunt, etiam vigor canonum, et ecclcsiaslicae disciplinae hone-
stas, et sacrae hierarchiae ordo et maiestas apud eas miserrime dc-
fecerunt. Et inscrutabili Dei iudicio factum est, ut Antislites earum-
dem ecclesiarum, qui Supremi Ecclesiae Pastoris divinitus institu-
tam auctoritatem contempserunt, laicorum quin et infidelium iugo
premantur, ut neque ordinaria atque immediata Episcoporum iuris-
dictio in suas dioeceses, neque Patriarcharum in suos Episcopos
canonica auctoritas sarta teda manserit: quos contra monilum Apo-
stoli suis cleris praeter canonum statuta dominantes, clerus ipseac
populus contra eorumdem canonum statuta vel a sua dignitate
deiiciunt, vel eidem renunciare nunquam satis lugendo exemplo au-
dacter compellunt.
Tanlam infelicitatem Orientalium ecclesiarum miserati Romani
Ponti fices pracdecessores Nostri nihil intentalum reliquerunt, ut
abcrranlcs oves in unicum Christi ovile reducerent. Quod asse(|ui
conati sunt plurimis datis ad Orientales litteris eliam encyclicis,
Conciliis etiam generalibus celebratis, ac potissimum missis ad
INTORBO ALLA CHIESA ARMENA 549
Oricnlales pìagas Apostolicis xiris, quorum sudore, laboribus, at-
que acrumuis vineae illae olim florenlissimac, tandem aliquando re-
florescerent. Ouod si curis atque laboribus cumulate non respondit
fruclus, haud tamen res in ìrritum cessiti siquidem multi, agnilo
errore, schismate eiurato, ad Ecclesiae unitatem reverti festinaxe-
runt, quos inter, ut ceteros hic praetereamus, Armenii recensendi
sunt. Etsi autem propter humanam infirmitatcm, hominum nequi-
tiam ac temporum acerbitatem haud semel eorum Àntistites in er-
rorem riversi fuere, ex ipsis tamen Àrmenis non defuerunt praecla-
rissimi viri, qui divina ope suffulli catholicam veritatem et unita-
tatem resliiuendam curarunt. Talis fuit Àbrahamus Petrus Primus,
quem multis aerummnis prò catbolica fide probatum Benedictus
PP. XIV decessor Noster Patriarcbam Ciliciae renunciavit ; quem
deinde non interrupta Patriarcharum series huic Àpostolicae Sedi
firmi ter adbaerentium subsequuta est. Praeclarum quoque fidei spe-
cimen exbibuerunt Armeni Constantinopolim fìnitimasque provin-
cias incolentes, qui licei persequutionibus exagitati, adduci tamen
numquam potuere, ut a catbolica fide recederent, prò qua asperrima
quaeque perpeti non dubitaverunt.
Placuit tandem Omnipotenti Deo hisce malis finem imponere : qui
dans xocem xirtutis inclytìs chrislianorum Principum Legatis, eam
mentem summo Turcarum imperatori iniecit, ut catholicos Armenios
a schismaticis omnino separaret, eosque ab omni, qua antea teneban-
tur, erga schismaticum Patriarcbam subiectione,obedientia, parendo
que obligatione, xel sacris xel civilibus in rebus, perpetuo eximeret.
Tunc reddita catholicis Armeniis ecclesiastica liberiate, placuit
sa. mem. Pio PapaeOctavo decessori Nostro Primatialem atque Ar-
chiepiscopalem Armeniorum Sedem Costantinopoli erigere Aposto-
licis lilteris Quod iamdiu, die sexta Iulii anno Domini millesimo
octingcntesimo trigesimo sub annulo Piscatoris expeditis, eamque
huic Beatissimi Petri Cathedrae arctius coniungere, ut quo magis
ìli ì adhaereret, eo iìrmius et fructuosius in catholicae xeritatis pro-
fessione permaneret atque proficeret. « In Petro enim, uti iam me-
« moratus Sanctus Leo l docuit, omnium fortitudo solidatur, et di-
1 Serm. 3 in Anniver. Assumpt. suae.
o!)0 LA BOLLA REVERSURUS DEL 16 LUGLIO 1867
« vinae gratiae ita ordinatili' auxilium, ut fìrmilas, quae por Chri-
« stimi Petro tribuilur, per Petrum Apostolis ceteris conferatur. »
Re autem calholica per memoratae Sedis Primatialis inslilulio-
nem sic opportune constituta, potuimus Nos post aliquot annos cpi-
scopales quoque Sedes erigere 1, quarum Antistites Constanlinopo-
litano Armenorum Archiepiscopo Primati suffragarentur. Quin eliam
Hispahanensem Armenium Episeopatum, extra fìnes Constantinopo-
litanae ecclesiasticae provinciae in Perside a Nobis erectum, eius-
dem Primatis sumaganeum prò visoria ratione decrevimus 2, donec,
catholicorum numero, Deo iuvante, adaucto, opportuniori ratione
providere liceret.
Etsi vero tam feliciter Armenis Constantinopolitanae provinciae
consultami fuisset, iisdem tamen satius esse videbatur, Primatialem
Constantinopoleos et Patriarchalem Ciliciae Sedes in unum conìun-
gi; quam unionem a fel. ree. Gregorio Papa Sextodecimo etiam
Praedecessore Nostro et a Nobis praefati Armeni non semel efflagi-
taverunt. Sed graves iustaeque causae obstiterunt, quominus haec
eorum vota possent expleri. Novissime autem post obìlum bo. me.
Gregorii Petri Octavi postremi Ciliciae Palriarchae, Episcopi eius-
dem Patriarchatus synodaliter convenienles ad Successoris electio-
nem peragendam in eamdem sententiam devenerunt, atque buie fini
assequendo Venerabilem Fratrem Nostrum Antonium Hassun ba-
ctenus Archiepiscopum Primatem Armenorum Constantinopoleos in
Patriarcham Ciliciae elegerunt seu postulaverunt, Nos bumillime
obsecrantes, ut nedum hanc electionem coniirmare, veruni et me-
moratam coniunctionem earumdem Armeniarum Sedium indulgere
dignaremur, et hac ratione Catbolicis Armeniis decus atque ordi-
nerà unitatis tam quoad iurisdictionem, quam circa disciplinam tri-
bueremus.
Re itaque per Venerabiles Fratres Nostros Sanctae Romanae Ec-
clesiae Cardinales Congregalionis cbrislianae Fidei propagandae
prò Orientalium Ecclcsiarum negoliis praepositae acculalo «ramine
perpensa, Nos Armeniorum volis annuendum esse censuimus.
1 Litt. Aposlol. Universi 30 Aprii. 1850 — Assidua 9 Maii 1865.
2 Litt. Aposlol. Ad Supremum 30 Aprilis 1850.
INTORNO ALLA CHIESA ARMENA 551
Ouapropter, exorato ad tanti momenti negotium defìniendum di-
vinae gratiae praesidio, ad laudem et honorem Omnipotentis Dei
et SSmae Genitricis Dei Marìae sine labe conceptae ac Beatorum
Apostolorum Petri etPauli,necnon in catholicae Fidei exaltationem,
Apostolica qua pollemus in universam Ecclesiam auctoritate, te-
nore praesentium extinguimus et abolemus titulum Primatialem at-
que Archiepiscopalem, quo mcmoratus Pius Praedecessor Noster
supradiclis Aposlolicis litteris Armeniaui Constantinopolitanam Ec-
clesiam decoravit. Deinde pari auctoritate Constantinopolitanam Ec-
clcsiasticam Armenorum Provinciam Patriarchatui Ciliciae perpetuo
unimus; mandantes, ut novus Patriarcha, eiusque successores li-
tulo fruantur Patriarcharum Ciliciae Armenorum : ut iidem in Urbe
Conslantinopolitana resideant , eamclemque Constantinopolitanam
ecclesiam ordinaria iurisdictione gubernent. Volumus autem ut
praedictus Patriarchatus iisdem limìtibus coerceatur, quibus Cili-
ciae Patriarchatus et Primatiatus Constantinopolitanus in praesen-
tiarum continentur.
Quo vero haec ferme nova Patriarchatus Armenii constitulio in
bonimi cedat animarum, atque ut gravissima damna, quae ex in-
certa vel mimis apte constituta ecclesiastica disciplina solent deri-
vali, propulsentur alque arceantur, motu proprio, certa scientia,
ac de Apostoliche potestatis plenitudine praecipua quaedam eiusdem
disciplinae capita (salvis tamen ritibus Orientalium a Sanctis Patrì-
bus inslitutis et ab hac Apostolica Sede probatis) in memorato Pa-
triarchatu perpetuis fuluris temporibus inviolabiliter observanda te-
nore quoque praesentium constituimus atque sancimus.
Ac primo quidem praetensum quoddam capitulum, quod ante tri-
ennium a nonnullis Armeniis praesbyleris primo expetitum, defun-
ctus Patriarcha Gregorius Petrus Octavus anno Domini millesimo
octingentesimo quinquagesimo primo, uti accepinius, illegitime ere-
xerat, cui etiam quaedam praetensa iura seu privilegia attributa fue-
rant episcopali quin et patriaichali dignitati iniuriosa, itemque alia
praetensa capitula, si quae fortasse intra fines eiusdem Patriarcha-
tus, uti supra, institut a sint, praedicta Nostra Apostolica auctoritate
abolemus; prohibenles, ne in posterum similia capitula in Armenio
Patriarchatu umquam inslituantur.
552 LA BOLLA REYERSIRUS DEL 16 LLGLtO 1867
Vacante SedePatriarchali, nomini umquani, qui episcopali cliara-
ctere non fulgeat, fas sit suffragium ferie in eleclione Vicari! , qui
vacantem Palriarchatum gubernet atque ad ministre!.
In electionc aulem Patriarchae solis Episcopis ius erit suffragii
ferendi , exelusis omnino clericis et sacerdotibus , qui episcopali
charactere non polleanl. Nemo vero laicorum in eadem electionc
semet inserire, ullamque partem possit habere quovis quacsito co-
lore vel praetexlu.
Porro electum Patriarcham neque, uti aiunt, inthronizari, ne-
que ulluni ius aut iurisdiclionem, ne procuratorio quidem aul vi-
cario nomine vel titillo, in Palriarchatum habere volumus, nisi prius
eiusdem electio seu postulalo a Nobis vel a Romano Pontiiìce prò
tempore exislenle fuerit admissa et de more confirmata, alque Apo-
slolicae litterae confirmationis eiusdem fucriut expeditae, sublata
qualibel contraria consuetudine.
Eidem Patriarchae, quamvis ab Apostolica Sede, uti supra, con-
firmato , non licebit Episcopos consecrare , nec convocare conci-
lium, nec chiasma conficele, neque ecclesias dedicare, nec clericos
ordinare, antequam ab Apostolica Sede sacrum Pallium oblinucriL
Praedicto aulem Pallio Patriarcha uti tantum poleril in Missarum
solemniis intra fines et in ecclesiis sui Patriarchatus, sequentibus
dumtaxat diebus ; videlicet in Nalivitate Domini Nostri Iesu Chri-
sti, in feslis Sancii Stephani Protomartyiis, Sancii Ioannis Apostoli
et Evangelistae, Circumcisionis Domini, Epiphaniae eiusdem, Domi-
nicae in palmis, Feriae quintae in Coena Domini, Sabbati Sancii,
Dominicae Resurreclionis cum duobus sequentibus diebus, Domini-
cae in Albis, Ascensionis Domini, Dominicae Pentecosles,Sacralis-
simi Corporis Chrisli, nec non in quatuor festivilalibus Realac Ma-
riae semper Virginis, videlicet Puriticalionis, Annuntiationis, As-
sumptionis et Nalivilalis eiusdem; quibus, id humillime poslulanle
praefalo Venerabili Fratre Nostro Antonio Hassun cleclo seu postu-
lalo Paliiarcha Armenorum Ciliciac, addimus festum Immaculalac
Conceplionis eiusdem Dei Genilricis Mariae: item in feslis Nalivila-
lis Sancii Ioannis Baptistae el Omnium Sanclorum; nec non in festi-
vilalibus omnium Apostolorum, in dedieatione ccclcsianuu, in prac-
INTORNO ALLA CHIESA ARMENA 553
cipuìs ecclesiae suae feslivitatibus, in ordinalionibus clericorum, in
Érasecrationibus Episcoporum et Virginum, atque in diebus anni-
versariis tana consecrationis suae, quam dedicationis ecclesiae.
Sacra limina Beatissimorum Apostolorum Eetri et Pauli singulis
quinquenniis Patriarcha personaliter et per se ipsum visitabit, Ro-
manoque Pontifici prò tempore exislenti ralionem reddet de loto suo
pastorali officio, ac de rebus omnibus ad Patriarchatus sui statimi
pertinenlibus ; eiusdemque monita et mandata bumiliter excipiet
ac diligcntissime exequetur. Posscssiones vero pertinentes ad ec-
clesia m vel mensam suam, sive ad alias quascumque ecclesias \7el
loca pia sui Patriarchatus non poterit idem Patriarcha Tendere, aut
donare, vel oppignorare, aut de novo infeudare, vel alio quocunque
modo alienare, ncque assentili, ut a quovis alienenlur, inconsulto
Romano Pontifice, secundum formam iuramenti, quod electi Patriar-
chae Orientalis ritus in sua promotione emittere tcncnlur.
Yerum nibil magis animum Nostrum sollicitat atque angit, quam
provida Episcoporum eleciio, a qua praecipue pendent felicitas po-
pulorum, ordo ecclesiaslicae disciplinae, atque aeterna animarum
salus. Animo igitur assidue recolentes, quod sanguine m ovium
Christi, quae peribunt ex malo regimine pastorum negligentium,
et sui officii immemorum, de manibus Nostris sit requisiturus Domi-
nus Noster lesus Christus, qui humilitati Nostrae universae Eccle-
siae. quanta illa est, regimen et sollicitudinem demandavit, ea quae
sequuntur, circa electionem Episcoporum Armenii Patriarchatus,
prò Apostolici Nostri ministeri! officio ac de Nostrae potestatis ple-
nitudine, tenore praesentium statuimus atque decernimus.
Quoties aliquam dioecesim memorati Patriarchatus vacare con-
tinget, Patriarcha quamprimum synodum indice! universorum Epi-
scoporum eiusdem Patriarchatus ; quo facto, ab codem Patriarcha
et Episcopis synodaliter congregatis tres idonei ecclesiastici viri,
collatisconsiliis, Romano Pontifici prò tempore existenli proponan-
lur, ut ex illis digniorem et magis idoneum eligere, et vacanti Epi-
scopali sedi providere possit. Non dubitamus autem, quin iidem
Episcopi dignos ac vere idoneos viros proponere sludeant, ne uni-
quam cogamur Nos vel successores Nostri prò eiusdem Apostolici
554 LÀ BOLLA REYERSURrS DEL 16 LLGLIO 1867
ministerii officio alium, licetab eis non propositura, Episcopali di-
gnitate augere, et vacanti Ecclesiae praeficere. Ouod si propter in-
stantem necessitatem, aut itineris longitudinem universi Episcopi ad
synodum, liti supra, a Patriarcha indictara accedere non potcrunt,
tres saltem Episcopi propriam dioecesìm cura iurisdiclione haben-
tes una cura memorato Patriarcha in eamdem synodum omnino con-
veniant, absentibus ternariam suam proposilioncm scripto signifi-
cantibus. Volumus autem et universa acta eiusdera Synodi ad prae-
fatam Congregationem de Propaganda Fide Orientalium ecclesia-
rum negotiis praepositam per Nostrum et huius Sanctae Sedis Apo-
stolicura Delegatum transmittantur, ut diligenti primum trutina ab
eadem Congregatione cxpensa, deraum Nostro et successorum No-
strorum iudicio subiiciantur.
Dum autem haec prò Àrmeniorum Antistitum electione deccrni-
mus, haud obliviscimur reliquoruni Palriarchatuum ritus Orientalis,
prò quibus etiam hoc gravissimum de Episcoporum electione nego-
tium quamprimuni moderandurn eurabimus, uli iam venerabilibus
Fratribus Nostris Patriarchis Maronitarum et Melchitarura, aliisque
Orientalibus Praesulibus Piomae in praesentia commorantibus palam
ediximus.
Haec volumus, praecipimus, atque mandaraus, decernentes irri-
tum atque inane, si quid contra praemissa a quolibet quavis aucto-
ritate scienter vel ignoranter contigerit attentali: ac reservantes No-
bis et successoribus Nostris ea in posterum sancire, quae in memo-
rato Ciliciae Patriarchatu prò temporum, locorum ac personarum
rationibus magis in Domino expedire dignoscenlur.
Decernimus quoque praesentes Nostras litteras semper et quando-
cumque validas et efficaces fore, suosque plenarios et intcgros effe-
ctus sortili et oblinerc, et ab omnibus, ad quos spectat, inviolabili-
ter observari debcre ; quin ullo umquam tempore ex quoeumque
capite vel causa de subreptionis vel obreplionis aut nullilalis vilio,
vel de Nostrae intenlionis defectu notari aut impugnali possint;
sicque et non aliter per quoscumque iudices ordinario^ vel delegatos
quavis aucloritatc fungonlos, sublata eis et eorum cuilibel quarls
aliter iudicandi et inlerprctandi facultale, indicali ci definiti debere.
INTORNO ALLA CHIESA ARMENA 555
Non obstanlibus Nostra et Cancellariae Nostrae Apostoliche rega-
la « De iure quaesilo non tollendo », ac quibusvis aliis etiam in sy-
nodalibus, provincialibus, generalibus, universalibusque Conciliis
editis constitutionibus et ordinationibus Apostolicis ; dictarumque ec-
clesiarum Patriarchalis Ciliciae et Primatialis Constanlinopoleos
etiam iuramento, confirmatione Apostolica, vel quavis fìrmitate alia
roboratis,slatutis et consuetudinibus, privilegiis atque indultis etlit-
teris Apostolicis sub quibuscumque tenoribus et formis ac cum qui-
busvis etiam insolilis clausulis et decrelis concessisi quibus omnibus
et singulis, illorum tenores praesenlibus prò "piene et sufficienter
expressis habentes, ad praemissorum omnium et singulorum vali-
dissimum effectum latissime et pienissime, ac specialiter et expres-
se, nec non opportune et valide harum quoque serie motu pari de-
rogami^, ceterisque contrariis quibuscumque etiam speciali mentio-
ne dignis.
Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam Nostrae extin-
ctionis, unionis, abolitionis, constitutionis, proliibitionis, exhibi-
tionis, praescrlplionis, praecepti, mandati, decreti, voluntatis, in-
tentionis, rcservationis et !derogationis infingere vel ei ausu te-
merario contraire. Si quis autem hoc attentare praesumpserit, indi-
gnalionem Omnipotentis Dei ac Beatorum Petri et Pauli Apostolo-
rum Eius se noverit incursurum.
Datum Romae apud Sanctum Petium, Anno Incarnationis Domini-
cae millesimo oclingentesimo sexagesimo septimo, quarto idus Iulii, )
Pontifìcatus Nostri Anno vigesimo secundo.
I CROCIATI DI SAN PIETRO
SCENE STORICHE DEL 1867
C.
Conclusione.
. I monumenti della Crociata del 1867.
Giunti al termine del nostro lungo e faticoso cammino, volgiamo
lo sguardo addietro, e misuriamo dìm'occhiata la strada percorsa.
Vi lasciammo noi un orma durevole ? Noi sappiamo. Certo il ten-
tammo. E più che segnare un orma, vorremmo avere elevato un
monumento, a perpetuare ne' posteri la memoria dei Crociati di san
Pietro. Forse nessuno possederà mai più tanto marmo, tanto metal-
lo, tante gemme, quanto noi ne avemmo alle mani per costruirlo :
ma non sarà difficile comporre la materia a migliore norma di ar-
chitettura. Ad ogni modo ci consola la coscienza di avere sempre
narralo la verità, e consegnato agli avvenire molti nomi, che sareb-
bero forse periti col tempo, e pur sono meritevoli dell' eternità.
Che se altri volesse tutta la nostra narrazione abbracciare d'un
solo gitlo d'occhio, e scolpire in mente i cominciamenti, il progres-
so, il fine della guerra mossa contro Roma nel 1867, siam lieti di
potergli mostrare tutti i cento capi del nostro libro, quasi diremmo,
ridotti in iscorcio, e nel tempo stesso autenticali, in due monumen-
ti, eretti ai vincitori e ai morti della guerra dalla più irrefragabile
autorità che esista in sulla terra, quale ò quella di Pio Papa IX. Il
primo di questi è il breve, ond' egli istituì la medaglia ossia croce
di Mentana.
C. CONCLUSIONE 557
PIO PAPA IX.
A FUTURA MEMORIA DELLA COSA.
« Da che i nemici infensissinii del cattolico nome, per annientarlo
affatto, se fosse possibile, hanno osato scrollare il civile principato
della Santa Sede, e sottrattegli fìorentissime province, appena al-
quante ce ne lasciarono, perchè dentro contini ben ristretti e non
senza difficoltà dell'erario esercitassimo il civile potere, uomini
perfidiosi non mai si rimasero dal proposito di occupare le restanti
nostre province, e d' invadere perfino quest' alma^citlà, nella qua-
le, per divino consiglio, si è stabilita la Sede apostolica, fonda-
mento della religione, maestra della fede, rocca e baluardo della
cattolica verità. Di qui le macchinazioni e le frodi, di qui 1' aperta
violenza testé adoperata : quando cioè accozzatesi masnade racco-
gliticce di infima plebe e ad ogni misfatto prontissime, si spinsero
nelle province nostre ad alzarvi bandiera di ribellione, e col ter-
rore, con le rapine e con ogni sacrilega scelleratezza funestarono i
villaggi, i paesi, le città, senza però che dalla debita fede e dal-
l' ossequio verso di noi e verso il Seggio apostolico giugnessero a
dimuovere le popolazioni. Se non che in questo così gran frangen-
te rilusse il valor singolare dei nostri militi : imperocché dietro le
orme dei loro duci, non isgomenlati dall'asperità delle vie, non
isnervati dalla lunghezza delle marce, non isvigoriti dai travagli,
alacri volarono a reprimere 1' impelo dei nemici, ed appiccata
contro essi e in più luoghi rinnovata la zuffa, così animosamente e
gagliardamente combatterono, che sconfissero e disfecero quelle
turine efferate, ed ai paesani ed ai cittadini restituirono la quiete
e la sicurezza. Né molto di poi una banda in armi essendo stata
osa di accostarsi alle mura di Roma per tentarne l'accesso, a fine
di sfogare il conceputo furore con gl'incendii, col saccheggio del-
le case, con la ruina dei templi e col sangue de' virtuosi cittadini,
loslochè dai complici, che vi si erano celatamente introdotti e nuo-
vi strumenti di eccidio aveano apprestati, si fosse dato il segnale
1)38 I CROCIATI DI SAN PIETRO
della congiura; i nostri militi non fallirono al loro obbligo : concios-
siaehé, scoperte le insidie, prevennero la perfidia dei congiurati,
una porzione dei quali avendo sgominata ed uccisa e una porzione
tratta nei ferri, salvarono questa sede della religione e stanza delle
arti belle dall' imminente sterminio. Alla milizia nostra poi si pre-
sentò un altra occasione di cimentar il valore. Una colluvie di armali
raccolti da ogni luogo nella prossima provincia di Sabina, s' era im-
padronita diMonterotondo: ed avendovi commesse di molte indegni-
tà, ed accesa di sfrenata cupidigia meditando una nuova aggressione
di Roma, le furono spediti contro i soldati nostri insieme con fran-
cesi ausiliarii, acciocché 1' assalissero : e di fallo, venutosi a bat-
taglia presso Mentana, di tanta fortezza, ardore e costanza nel pu-
gnare fecero prova, che domarono quella moltitudine di ladroni,
benché per numero superiore, la sbaragliarono e assai di loro feri-
tine e morti ed assaissimi fattine prigioni, gli altri col loro audacis-
simo condottiere messi in fuga, riportarono una vittoria del tutto in-
signe. Le vincitrici legioni poi, tornate in Roma, ebbero una trion-
fale accoglienza, dacché la città sparsasi ad incontrarli, con le gri-
da e coi plausi festeggiò la beila impresa di quei valorosissimi uo-
mini. Ma acciocché la ricordanza di questa vittoria, la quale non
senza l'aiuto di Dio si è conseguita e in ogni parte del mondo é sta-
ta celebrata con laudi, in tulle le età si perpetui ; abbiamo ordina-
to che si conii un fregio d'argento in forma di croce otlagona, nelle
cui estremità sia inscritto: Plus PP. IX. An. MDCCCLXVH: e in
mezzo mostri una medaglietta, la quale nel diritto rechi gli emble-
mi della dignità pontificia colla scritta: Fidei et Virtuti; e nel rove-
scio abbia la croce colla scritta: Rine Victoria. Ed a tutti e singoli
i presenti militi del nostro esercito concediamo che possano porta-
re questo fregio d'argento nel sinistro lato del petto, sospeso ad un
nastro di seta bianca distinto con cinque righe di colore cileslro : e
per maggior compenso della fatica ai medesimi concediamo che sia
loro rimesso un anno del tempo stabilito per la giubilazione, e per
ottenere altri benefizii secondo le regole militari. Inoltre del mede-
simo fregio d' argento da portarsi alla sinistra del petto facciam do-
no a tulli e singoli i soldati dell'esercito francese, che presso Mcn-
C. CONCLUSIONE Soft
tana combatterono ai fianchi delle nostro milizie contro le lurmc?
nemiche. Finalmente acciocché quei fortissimi i quali, per difende-
re i diritti nostri e ributtare da Roma il furor degli empii, offersero
il sangue e la vita, abbiano da noi un solenne preconio di valore e
di laude; con queste lettere pubblichiamo e dichiariamo che eglino
ben meritarono in sommo grado di noi, dell'apostolica Sede e della
cosa cattolica: preconio del quale certamente nulla è più onorifico,
nulla più glorioso, nulla, per l' immortalità del nome, più illustre.
«Dato in Roma presso S. Pietro, sotto 1' anello del Pescatore,
ai li Novembre dell'anno 1867, del nostro Pontificato;^. »
« N. Card. Paracciani Clarelli. »
Or che altro abbiamo raccontato noi alla distesa, se non quello
che Pio IX attesta in brevi parole? Non confessò anche il Ministro
italiano, che sulla bandiera del Garibaldi era scritto: « Distruzione
DELLA SUPREMA AUTORITÀ SPIRITUALE DEL CAPO DELLA RELIGIONE? » E
vi è di più, che lo stesso concetto volle il Santo Padre che fosse
scolpito nel sasso e nel bronzo, e predicato ai secoli seguenti col
mausoleo eretto ai caduti nei combattimenti. Sì, fif'pensiero di
Pio IX, che nell'Agro Verano, sul suolo consacrato dalle catacom-
be dei martiri antichi, sorgesse la memoria dei Crociati del secolo
XIX. Fu pensiero di Pio IX il gruppo colossale in marmo, che raf-
figura S. Pietro, in attitudine di consegnare la spada ad un guerrie-
ro, accinto nell'armi e sostenente un vessillo crocesignato, coi mot-
to: L'orbe cattolico. In Pietro è Pio; nel guerriero e l'esercito cri-
stiano; l'idea della missione brilla nell'atto autorevole del mandante, .
e in quello umile e generoso del mandato, e viemeglio si illustra
da due scritte in sulla base, ricavate dai libri de'Maccabei: Ricevi
la spada santa, dono di Dio, colla quale vincerai i nemici del po-
polo mio Israele. — Non nella moltitudine dimora la vittoria del-
la guerra: ma sì dal cielo viene la fortezza.
torreggia il parlante marmo sopra un sodo di forma ettagona,
di giusta elevazione, surlo su basamento doppiamente scalinato; e
nelle otto facce si ricordano i valorosi che, o sul campo, o di poi
per le ferite morendo, eseguirono gli ordini di S. Pietro. Qui i lo-
560 I CROCIATI DI SA]\T PIETRO
ro nomi rilevano in lucido metallo doralo, ma troppo più belli deb-
bono rifulgere nel libro della vita. Né noi sappiamo fregiare l'ulti-
ma nostra pagina di migliore ornamento, che inscrivendovi quel
beato e benedetto ruolo di martiri di S. Chiesa 1.
A Bagnorea.
Pietro Niccolò Heykamp, olandese, zuavo.
A Farnese.
Emmanuele Dufournel, francese, sottotenente dei zuavi.
A Monte Libretti.
Arturo Guillemin, francese, tenente dei zuavi.
Urbano de Ouélen, francese, sottotenente dei zuavi.
Augusto Delalande, francese, sergente dei zuavi.
Alfredo Collingridge, inglese, caporale dei zuavi,
Uberto Mercier, belga, caporale dei zuavi.
Odoardo De Roeck, belga, zuavo.
Goffredo Van Ravenstein, olandese, zuavo.
Francesco Martinaggi, francese, zuavo 2.
Pietro Jong, olandese, zuavo.
Francesco Van den Boom, olandese, zuavo.
.Giovanni Crone, olandese, zuavo.
Leopoldo de Coesters, belga, zuavo.
Antonio Bongenaard, olandese, zuavo.
Domenico Ciarla, italiano, zuavo.
1 II monumento è disegno del Vespignani, le statue sono del Luccardi,
illusili nomi; gli ornati appartengono a valenti artisti, il Carimini, il Pa-
lombini, l'Augusti ; le iscrizioni, tutte iu latino, al gesuita Francesco Ton-
giorgi. Più ampia descrizione è nel Giornale di Roma, 15 Giugno 1870, e
da questo nella Civiltà Cattolica contemporanea.
2 Corso.
C. CONCLUSIONE 561
Antonio Olten, olandese, zuavo.
Enrico Scholten, olandese, zuavo 1.
A Nerola.
Giuseppe Trémeur, francese, legionario romano.
Francesco Ladavière, francese, legionario romano
Enrico Mael, francese, legionario romano,
Luigi Yallèe, francese, legionario romano.
A Viterbo.
Antonio Quadrotta, italiano, dragone.
A Monte Rotondo.
Bernardo de Quatrebarbes, francese, tenente degli artiglieri 2.
Domenico Massei, italiano, maresciallo degli artiglieri.
Giacomo Schrama, italiano, zuavo 3.
Giovanni Sthaele, svizzero, carabiniere estero.
Giovanni Dupuy-Lamothe, francese, legionario romano.
Adolfo Zecher, svizzero, legionario romano.
A Roma.
Genesio Coppi, italiano, maresciallo dei gendarmi 4.
Francesco Carrara, italiano, brigadiere dei gendarmi.
Luigi Sandri, italiano, gendarme.
Telesforo Proietti, italiano, gendarme.
Francesco Antici, italiano, gendarme.
1 Nei registri del reggimento si aggiugne: Enrico Bakker, olandese, zuavo.
2 Questo nome, nel marmo, per errore è noverato tra i morti di Men-
tana: lo restituiamo al suo posto.
3 Lo crediamo olandese.
4 Ucciso a Casamari nel Frosinonese.
Serie YII, voi. XI, fase. 491. 36 24 Agosto 1870.
o62 I CROCIATI DI SAN PIETRO
Annibale Reali, italiano, squadrigliere 1.
Aristide Cudennec, francese, sergente dei carabinieri esteri.
Alessandro Jacoppini, italiano, della linea 2.
Achille Burli, italiano, tromba dei carabinieri esteri.
Pietro Rius de Torralba, spagnuolo, sergente dei zuavi.
Enrico de Foucault, francese, zuavo.
Diodato Dufournel, francese, capitano dei zuavi.
Antonio Huygen, francese, zuavo 3.
Alessio Desbordes, francese, caporale dei zuavi.
Luigi Carrey, francese, caporale dei zuavi.
Emilio Claude, francese, zuavo.
Giacomo Poggi, italiano, tromba dei zuavi.
Cesare Desideri, italiano, zuavo.
Pietro Mancini, italiano, zuavo.
Federico de Dietfurt, francese, zuavo.
Andrea Portanova, italiano, zuavo.
Domenico Tartavini, italiano, tromba dei zuavi.
Fortunato Chiusaroli, italiano, tromba dei zuavi.
Oreste Soldati, italiano, tromba dei zuavi.
Luigi Flamini, italiano, tromba dei zuavi.
Carmine Carletti, italiano, tromba dei zuavi.
Giuseppe Cerasani, italiano, tromba dei zuavi.
Vittore Viochot, francese, zuavo.
Giovanni Devorscek, italiano, caporale dei zuavi.
Antonio Partel, tirolese, zuavo.
Odoardo Larroque, francese, zuavo.
Francesco Miranda, italiano, zuavo.
Michelangelo Mancini, italiano, tromba dei zuavi.
Stefano Mélin, francese, zuavo.
Giovanni Lanni, italiano, tromba dei zuavi.
Nicola Silvestrelli, italiano, tromba dei zuavi 4.
1 Ucciso, per quanto crediamo, a Vallecorsa.
2 Leggi: Jacobini.
3 È certamente belga.
4 Sotto il nome di tibicen sono compresi i concertisti e i trombetti egual-
C. CONCLUSIONE 563
Federico Cornet, belga, zuavo.
Edmondo Robinet, francese, zuavo.
A Mentana.
Carlo Bernardini, italiano, maresciallo degli artiglieri.
Alessandro de Veaux, francese, capitano dei zuavi.
Carlo d'Alcantara, belga, tenente dei zuavi.
Alessandro de Retz, francese, sergente dei zuavi.
Luigi Loirant, francese, sergente dei zuavi.
Pietro Guérin, francese, sergente dei zuavi.
Enrico Pascal, francese, sergente dei zuavi.
Giuseppe Rialan, francese, sergente dei zuavi.
Eduardo Van Bambost, olandese, zuavo.
Gerardo Erstemeyer, olandese zuavo 1.
Giulio Henquenet, francese, zuavo.
Maturino Guillermic, francese, zuavo.
Giuliano Walts Russell, inglese, zuavo.
Enrico Yan den Dungen, olandese, zuavo.
Edmondo Lalande, francese, zuavo.
Agostino Guilmin, belga, zuavo.
Enrico Roemer, olandese, zuavo.
Enrico Yan Hooren, olandese, zuavo.
Giovanni Maes, belga, zuavo.
Evcrardo Heyman, olandese, zuavo,
Ernesto Haburg, tedesco, zuavo.
Giovanni Sauér, tedesco, zuavo.
Giovanni Zandvliet, olandese, zuavo.
Ivone Jaffrenon, francese, zuavo.
Giacomo Melkert, olandese, zuavo.
Elia Chevalier, francese, zuavo.
mente: noi abbiamo tradotto tromba. Sulla lapide qui è anche il nome di
Carlo d'Alcantara, che noi rimettiamo al suo posto, tra i morti di Mentana.
1 I registri del reggimento scrivono: Erftemeyer.
564 I CROCIATI DI SAN PIETRO
Yalerando d'Erp, belga, zuavo.
Cornelio Pronck, olandese, zuavo.
Placido Meyembcrg, tedesco, carabiniere estero.
Giovanni Lclon, francese, zuavo.
Giovanni Yetzel, tedesco, carabiniere estero.
Pietro Tabardel, francese, zuavo.
Enrico Matlhys, francese, zuavo 1 =
Rodolfo Deworschek, boemo, sottotenente dei carabinieri esteri.
Emilio Ladernier, svizzero, caporale dei carabinieri esteri.
Francesco Grabitzer, tedesco, carabiniere estero.
Guglielmo Frankle, carabiniere estero.
Antonio Albrick, tirolese, carabiniere estero.
Giuseppe Scbmidt, svizzero, carabiniere estero.
Corrado Scheup, svizzero, carabiniere estero.
Giacomo Kramer, svizzero, carabiniere estero.
Davide Bonnavaux, svizzero, carabiniere estero.
Pio Rebm, tedesco, carabiniere estero.
Luigi Rhein, tedesco, carabiniere estero.
Giorgio Uehlein, tedesco, carabiniere estero.
Pietro Fougères, cacciatore francese.
Giovanni Binchet, cacciatore francese.
Lodovico Menetre, caporale dei cacciatori francesi.
Osvaldo Steibli, della linea francese.
Sulla fronte che riguarda Roma, ò posta la intitolazione del mo-
numento ; le cui parole ci sembrano sì comprensive di pensiero, e
sì eleganti di dettato, che oltre alla traduzione, vogliamo recarne
il testo.
1 Qui è da aggiugnere: Giovanni Moeller, belga, zuavo.
Leone Bracke, belga, zuavo.
Giovanni Vlemminx, olandese, zuavo.
Simone Frankcn, olandese, zuavo.
Giovanni Metro, belga, zuavo.
Paolo di Doynel, francese, zuavo.
C. CONCLUSIONE 565
Fortissimis . Militibus
Indigenis . Exterisque
Qui . Anno . MDCCCLXVII
Advcrsus . Copias . Parricidarum
Pluribus . Praeliis
Pro . Religione
Atquc . Urbis . ìncoluraitale
Dimicanles
In . Ipsa . Victoria
Vi tara . Clini . Sanguine . Profuderunt
Pius . IX . Ponlifex . Maximus
Monumentimi . Fieri . Iussit
Quo . Gratae . Ipsius . Voluntalis
In . Filios . Meritissimos
Virtutisque . Eorum . Memoria
Sancla . Atquc . Sacrata
Posleritati . Tradatur
Ai militi fortissimi,
sì paesani che forestieri,
i quali nell'anno MDCCCLXVII
contro le truppe dei parricidi
in molti combattimenti
per la religione
e per la salvezza di Roma pugnando,
tra la vittoria,
la vita e il sangue versarono
Pio IX Pontefice Massimo
volle si erigesse il monumento :
affinchè della sua gratitudine
inverso figliuoli altamente benemeriti,
e del loro valore la memoria
santa e sacra
alla posterità si raccomandi.
Noi, meglio non potendo, con simili sentimenti all' onore dei vivi
e dei morti Crociali di S. Pietro abbiamo composta la nostra istoria.
Fine dei Crociati di S. Pietro.
RIVISTA
DELLA
STAMPA ITALIANA
lllus trazioni filologi co-comparatke alla Grammatica greca del
dott. Giorgio Curtius, professore di Filologia classica nella
Università di Lipsia, scritte da lui medesimo, con sua licenza
tradotte dal tedesco e corredate di un proemio, di giunte ecc.
per cura del dott. Fausto Gherardo Fimi, prof, di lettere clas-
siche nel R. Liceo di Reggio-Calabro — Napoli, stamperia del
Fibreno 1868; R. de Ruberlis editore. Un voi. in 8.° di pagi-
ne CI, 264.
Il dottore Giorgio Curtius, professore di filologia classica nella
Università di Lipsia, dopo avere dato alla luce varie opere di litolo-
gia e di grammatica greca, considerata nelle sue relazioni colle altre
lingue, mise fuori nel 1852 una piena grammatica greca, tradotta
poi in italiano da Emilio Teza, e poscia da Fortunato Dematlio, pro-
fessore ginnasiale a Rovereto. Nel compone la sua grammatica il
Curtius, valendosi dogli studii della linguistica o della grammatica
comparativa delle varie lìngue, si discostò in molti capi dal metodo
seguito non solo dagli antichi grammatici, ma eziandio da quelli
più vicini a noi e che hanno levato di so così grande fama, come il
Bullmann, il Kuhner, il Rost, il Krugcr, il Dubner, il Jelf ed altri
molti. Ma ciò rendeva necessario un comentario o un* illustrazione
della nuova grammatica; mcrcccchò quei principi*! e quelle ultime
RIVISTA DELLA STAMPA ITALIANA 567
ragioni, che servono come di fondamento alle mutazioni introdotte
dal Curtius, appena potevano essere accennati in un libro elementare
qual è la grammatica; e alcuni potevano sembrare non abbastanza
certi, altri non essere di tal pesu da richiedere i fatti cambiamenti.
Per la qual cosa il professore di Lipsia avvisò di pubblicare colle
stampe alcune Illustrazioni alla sua Grammatica {E rlauter ungevi
zu meiner Griechischen S chulgrammatik, Prag, Verlagvon F. Tem-
pskg 1863), nelle quali seguendo l'ordine tenuto nella grammatica,
capo per capo vien dichiarando i precetti specialmente della parte
prima, cioè della Etimologia: e mostrando quali sienoque principii
della filologia comparata, secondo i quali ha composto ed ordinate
le sue istituzioni, tratta alcune delle principali quistioni della lin-
guistica generale in quanto spettano alla lingua greca. Ora la tra-
duzione italiana delle Illustrazioni del Curtius forma la parte prin-
cipale e diciamo così il corpo dell' opera che abbiamo qui sopra
annunziata: ma è questo proprio il caso di dire, che la giunta su-
pera di assai la derrata. Imperciocché il eh. Fumi ha messo innanzi
un proemio Intorno agli studii linguistici, specialmente greci e com-
parativi, che si stende ad ottanta e più pagine. Poscia alla traduzio-
ne del testo del Curtius fanno seguito le osservazioni proprie del
Fumi, da lui chiamate Giunte ad alcuni luoghi delle Illustrazioni.
Indi seguono tre appendici, cioè alcune Avvertenze del dolt. Er-
manno Bonitz sull' insegnamento della grammatica greca, una Pro-
lusione del Curtius sopra la Filologia e la Scienza del linguaggio,
ed un elenco bibliografico di opere appartenenti agli studii lingui-
stici. Tale è il contenuto di questo volume, del quale prendiamo a
discorrere, e l'avremmo fatto assai prima, se una necessità, che spes-
so non conosce leggi, non ce ne avesse distolto. Ma non vogliamo
omettere di parlarne benché tardi, sì per l' importanza dell' argo-
mento, sì per essere il libro, così com' è, opera di un giovine italia-
no, che in siffatti studii, se cammini pel retto sentiero, mostra di
poter giungere ad assai nobile meta.
Diremo dunque alcuna ^cosa in particolare, prima del Proemio,
poscia delle illustrazioni e della Grammatica stessa del Curtius, a
cui queste si riferiscono. Che se le nostre sentenze non consoneran-
568 RIVISTA
no sempre con quelle del eh. Fumi o del dott. Curtius, che egli ha
preso ad interpretare e comentarc, portiamo fiducia che non saprà
amaro al valoroso giovane calabrese.
3.
E cominciando dal proemio, anzi tratto ci conviene dire che esso
in generale è veramente un bel lavoro, e condotto con molta accu-
ratezza. E sebbene il Fumi, come dice^gli medesimo, abbia al suo
bisogno tolte assai cose, dove compendiando, dove liberamente tra-
ducendo, e dalle letture di Massimiliano Mttller sopra la scienza del
linguaggio (Lectures on the science of language. London, 1865
I Series; 1866 li Series), e dalla prefazione di Michele Bréal al-
la traduzione francese della grammatica comparativa di Francesco
Bopp; pur nondimeno egli ci ha dato un lavoro propriamente suo,
compilando con molta erudizione una breve storia degli studii lin-
guistici. Noi non vogliamo qui seguire passo passo il eh. Fumi, e
rifare quasi il suo lavoro, non essendo questo l'intendimento della
nostra rivista. Basti ai nostri lettori il sapere l'ordine del proemio
medesimo. Esso si compone di sei lunghi articoli: il 1.° è intorno
alla manifestazione e al concetto della scienza del linguaggio ; il
2.° parla degli studii linguistici nell' antichità e nel medio evo, e il
3.° degli studii medesimi dal secolo XYI al XVIII; il 4.° discorre
della Società asiatica e della lingua sanscrita, e il 5.° dei lavori di
F. Bopp, cioè del Sistema della coniugazione e della Grammatica
comparata; finalmente il 6.° ragiona dei progressi della linguistica,
e della riforma del Curtius. Qui c'intratterremo solo di quest'ulti-
mo articolo, ragionando un poco intorno al frutto e agli effetti prin-
cipali derivati dallo studio della linguistica, e riserbandoci a parla-
re della riforma del Curtius nella seconda parte di questa rivista.
Che molti e grandemente utili siano i fruiti che si vengono co-
gliendo dallo studio comparativo delle lingue, non ò chi possa du-
bitarne. E quelli fra' nostri lettori, che non sono del tutto digiuni
in questa materia, ben li conoscono senza che entriamo qui a divi-
sarli partitamenterdove per soddisfare a' bisogni o a'desiderii dogli
BELLA STAMPA ITALIANA 569
allri, ci sarebbe mestieri convertire questa rivista in una ben lunga
dissertazione. Ma per avere dagli studii linguistici quell'utile che essi
possono recare, è necessario non lasciarsi abbacinare V occhio della
mente da bagliori di vane apparenze, né impedire la chiara vista
delle cose col guardare a traverso di teoriche anticipate, né (ciò che
più monta) ottenebrarla col fumo cui solleva lo spirito del moderno
razionalismo. Che noi portiamo ferma fiducia che gli studii sopra
l'umano linguaggio, se vengano regolati colle norme di una vera
filosofia, condurranno a quelle conclusioni, le quali o potranno scio-
gliere in fatto, o almeno spianeranno la via alla soluzione degli alti
problemi intorno all'origine del linguaggio, anzi dell' uman genere
medesimo : e questo per siffatto modo, che lo scioglimento non sia
in opposizione, ma in confermazioue di ciò che le Scritture sacre
ne insegnano. Diciamo di avere sopra ciò una ferma persuasione,
non solo per quel supremo principio, che la verità non si può con-
traddire, nò la parola dell'uomo può rendere fallacela parola di
Dio; ma eziandio perchè i risultali finora ottenuti non contrastano,
ma compruovano la verità rivelata. E di vero è reso già mani-
festo che le lingue per quanto siano molteplici e svariate, pure
si possono ordinare in tre principali famiglie, l'ariana, la semi-
tica, la luranica : e benché molte ancora rimangano poco cono-
sciute, delle quali nulla si può definire con certezza, pure egii è
possibile anzi probabile che si giunga a scoprire que' legami che
le rannodano ad una di quelle famiglie, le quali ben possono ri-
spondere ai tre diversi popoli discendenti da Sem, Cham e Ia-
phet. Mentre poi da un lato appare manifesta la dissomiglianza
che è tra l'ima e l'altra delle lingue appartenenti alle diverse fa-
miglie , così che non si possono confondere le une colle altre pel
loro diverso organamento ; dall' altro è certo essere uniforme il
principio della loro costituzione, cioè una radice fondamentale con-
giunta con altre variamente atteggiate. Fra tutte le lingue abbiamo
adunque una fondamentale e naturale somiglianza, ed insieme una
vera e sostanziale dissomiglianza. Or qual altra miglior via a dare
di ciò ragione si può divisare, se non se dicendo che il linguaggio
umano era da principio uno solo, cioè che esisteva da principio una
570 RIVISTA
lingua generale, la quale per un azione subitanea e di somma for-
za si è divisa e separata in varii come frammenti, che hanno poi
prodotte varie famiglie di lingue, suddivise in seguito da diverse
cause naturali? Ma non è questo appunto ciò di che la Genesi ne am-
maestra colle parole spirate da Dio, quando ci dice che una sola
era la lingua degli uomini tutti ; che , pena della superbia dell' uo-
mo, quell'unica lingua si confuse così, che gli uni non intendevano
la lingua degli altri, onde si divisero e dispersero sopra le varie re-
gioni della terra i figliuoli di Sem, di Cham e di Iaphet? La scien-
za naturale della linguistica non può additare la cagione che divi-
se 1' unità del linguaggio : essa attesta come può il fatto, e la ca-
gione ci viene rivelala dalla parola di Dio medesimo. Questo ben
risponde al disegno della divina Provvidenza, la quale ha ordinato
le divine Scritture non all' appagamento della nostra curiosità, ma
al perfezionamento delie anime: onde spesso tacciono o spiegata-
mente non chiariscono il fatto, ma solo ne mostrano la ragione; e
talvolta viceversa nulla dicono della ragione, ma narrano il fatto, se-
condo che torna a nostra edificazione. Vero è che gli studii lingui-
stici non pruovano , e forse non possono provare , la necessità di
ammettere una sola e comune origine dell' umano linguaggio : ma
certo dimostrano che non vi è necessità alcuna di ammettere diffe-
renti origini per escluderle. E questo basta. Intanto qui pure dove
non arriva la scienza umana colle sue indagini , giunge la scienza
divina : questa ora ci rivela il fatto ; quella come ancella ragionando
sopra que' frammenti, che le sono messi in mano dalle lingue così
svariate dell' uomo, riconosce che sono o certo possono essere fram-
menti di un tutto originario: e, lungi dal contraddire, giova a confer-
mare la verità rivelata dalla parola di Dio. Non possiamo qui trat-
tenerci a lungo entrando in minuti particolari. Ci basti il conferma-
re quanto abbiam detto coli' autorità di un uomo che da una par-
te non può essere sospetto, come troppo credulo o troppo rispetto-
so alle parole della Bibbia, e dall' altra viene per comune consenso-
risguardalo come solenne maestro negli studii linguistici. Intendia-
mo dire il già lodalo Massimiliano Muller , il quale nella Lezio-
ne Vili del primo volume ha queste espresse parole: « Io confesso,
DELLA SAMPA ITALIANA 571
che quando trovai l'argomento usato e ripetuto cosi frequente, cioè
essere impossibile parlare più a lungo di una comune origine del
linguaggio, perchè la filologia comparativa ha provato che esistono
varie famiglie del linguaggio , io sentii che ciò non era vero , che
in ogni caso era un'esagerazione (I felt that this was not trite, that
at ali events it was an exaggeration). Il problema propriamente
considerato si presenta sotto questo aspetto: se voi volete assevera-
re che il linguaggio ebbe differenti principii, voi dovete provare es-
sere impossibile che il linguaggio possa avere avuto una comune
origine. » E continua mostrando come una tale impossibilità non è
mai stata stabilita, né per ciò che spetta alle lingue semitiche ed
ariane, ne per risguardo alle turaniche: anzi lo studio accurato, sì di
quelle come specialmente di queste, conduce piuttosto a rendere non
solo possibile, ma probabile la sola e comune origine.
Che se si voglia investigare come sia nato il linguaggio umano,
cioè come siano state trovate le radici elementari, ossia quegli ele-
menti che dicono formativi dell'umano linguaggio, e come sia stato
determinato quel legame che è tra la parola e il pensiero a cui ser-
ve di veste, ciò resterà, crediamo, sempre inviluppato nell'ombra
del mistero. La fede nulla ci dice, e le ipotesi elei dotti sono varie.
Non soddisfa certo la ipotesi della onomotopea, la quale vuole che
il linguaggio sia stato formato per imitazione de' suoni che l' uomo
sentiva emettere da' bruti , e dalle cause naturali come il tuono , il
fiotto del mare, ecc. Non quella dall' interiezione , la quale sup-
pone che le naturali interiezioni dell'uomo siano i naturali e reali
principii dell' umano linguaggio. Non finalmente la terza ipotesi,
anzi meno delle altre, che il linguaggio umano si debba a una con-
venzione artificiale. Chi bramasse di vedere spiegate e dottamente
confutate quelle ipotesi , legga il Muller nella Lezione Vili poc' an-
zi citata. Alle precedenti si potranno aggiungere altre ipotesi più
o meno verisimili , ma nulla più che ipotesi : le quali crediamo
che , riuscendo inutili a spiegare la grave questione , potranno con-
durre chi le propone o mantiene ( come già avvenne all'Herder do-
po aver tanto caldeggiato l' ipotesi dell' onomotopea ) all' opinione
che il linguaggio sia stato rivelato da Dio. Certo è che sebbene nul-
572 RIVISTA
la apertamente ci dicano intorno a ciò le sacre Carte, pure quell'opi-
nione è la più conforme alla narrazione della Genesi , e più accon-
cia a spiegare come Adamo appena crealo potesse dare il nome agli
animali : il che vuol pure intendersi in senso proprio , non in senso
figurato. Non è però necessario intendere quella rivelazione o ma-
nifestazione così, che Iddio all'uomo rivelasse le singole parole bel-
le e formate. Intorno a che ci pare degno di ascoltarsi il P. Giamb
Pianciani della Compagnia di Gesù, che nel suo ammirabile lavoro:
La Cosmogonia naturale comparata col Genesi, parlando delle
opere di Dio nella giornata sesta , così scrive : « Assai agitata tra i
filosofi è la possibilità di un linguaggio primitivo inventato e for-
mato naturalmente dall'uomo. Quanto al fatto, può non inverisimil-
mente immaginarsi che la cosa andasse così. Iddio, che all' uomo
avea data la facoltà di parlare, negata ai bruti, diversa mollo dal
potere di ripetere alcune parole umane , che troviamo in alcuni uc-
celli, aggiunse alla facoltà l' istinto di farne uso, come tutti gli ani-
mali hanno per istinto di attuare le proprie facoltà. Credesi comu-
nemente che il Creatore ispirasse o, a così dire, insegnasse all'uo-
mo il primo linguaggio ch'esso parlò. Forse non ispirò un linguag-
gio compiuto, ma infuse prima nell'anima ragionevole una tendenza
ad esprimere con alcune determinate voci un certo numero d' idee
generali di qualità e di azioni, che potesse poi quella applicare agli
oggetti , i quali le presenterebbero i sensi, e così imporre i nomi
agli animali e ad altri oggetti. Forse tale tendenza si sviluppò a
mano a mano, allorché veniva occasione di attuarla. Se così andò
la cosa, cominciossi fin d'allora a verificare in certo senso, ciò che
Dante poi fìnse insegnatogli da Adamo (Parad. XXVI, 130): Ope-
ra naturale è eli uom favella, Ma, così o così, natura lascia Poi
fare a voi secondo che v abbella. » Ma comunque il fatto andasse
intorno alla prima origine del linguaggio, certo è, ripetiamo, che
la scienza della linguistica nulla ha da opporre con buona ragione
alla narrazione della storia rivelata. E come gli sludii comparativi
non contrastano, anzi chiariscono possibile, una sola e comune esse-
re l'origine dell'umano linguaggio, così pure servono a confermare
il dogma, che una sola è l' origine del genere umano e che tutti
DELLA STAMPA ITALIANA 573
quanti gli uomini derivano da una soia e prima coppia. La quale
verità se pure si voglia chiamare opinione o idea, ben dice il Mùller,
esser un idea così naturale e coerente con tutte le leggi umane del
ragionare, che non è stata nazione alcuna sopra tutta la terra, che
nelle sue tradizioni intorno all' origine del genere umano non abbia
derivato tutta quanta l'umana famiglia da una sola coppia od anche
da una sola persona.
Or sebbene dal proemio del eh. Fumi siano messi in chiaro i buo-
ni fratti degli studii linguistici, e se ne deducano quelle liete con-
seguenze che abbiamo qui sopra accennate ; nondimeno (e ci duole
assai il dirlo; e se non ci spronasse il desiderio di un bene mag-
giore, assai di buon grado ce ne passeremmo in silenzio), nondime-
no s' incontrano in quel Proemio alcune sentenze, le quali suonano
assai male, ne facilmente si accordano coi dettati dì una sana filosofia
e della stessa rivelazione divina. Quelle sentenze ci giova credere
non siano frutto propriamente dell' intima persuasione del sig. Fu-
mi, ma si siano così insinuatelo nell'animo suo o nel suo scritto,
senza che egli medesimo se ne accorgesse, per la lettura di libri di
linguistica dettali da uomini di altro paese, ed eretici o razionalisti.
Pur troppo è vero, che chi bazzica col mugnaio ne ritorna imbian-
cato. Noi, per mettere in guardia specialmente i giovani lettori,
che non abbiano a trovare inciampo, noteremo alcune di tali sen-
tenze. Parlando nel num.° ìli dei primi saggi di uno studio com-
parativo intorno alle lingue, nota che in essi abbondano le stranezze
e gli errori; e poi soggiunge: « Il che nasceva da quel pregiudizio,
da quel Eptòtcv ò-uqoc, per cui l'ebrea doveva essere la madre lin-
gua. Quest'errore nacque coi Padri della Chiesa, i quali nel pri-
mo entusiasmo della nuova fede presero alla lettera e talvolta male
interpretarono le narrazioni ( per altri leggende) del Vecchio Testa-
mento e, nel caso nostro, quei due punti della Genesi, ove si dice
che Adamo die il nome ai diversi animali, e dove si narra la con-
fusione delle lingue nata nell' innalzamento della Torre di Babele.
Si concluse che come i nomi trovati da Adamo sono ebrei, così fu
l'ebrea la prima lingua parlata dall'uomo. La fallacia dì queste de-
duzioni non apparve a quei caldi credenti, ecc. » Ora noi permei-
574 RIVISTA
teremo al Fumi che chiami errore il supporre che la lingua ebrea
sia la lingua madre. Ma come può lasciarsi uscir dalla penna tulio
ciò che aggiunge? È il citato qui sopra un tratto che potrà stare in
un'opera di un razionalista d'oltre alpe, ma non può comportarsi in
uno scritto di un cattolico italiano. Quest'errore nacque co Padri
della Chiesa. Notiamo primieramente che pochissimi tra i Padri
hanno trattato una tale quistione ; e di quo' medesimi che hanno
preso a spiegare YEsamerone mosaico, varii (come S. Basilio,
S. Ambrogio, S. Giovanni Grisostomo) non hanno parola intorno a
quest'argomonto. In secondo luogo quelli, che come per incidente
ne hanno toccato alcuna cosa, non sono concordi. E se S. Agosti-
no (De Civ. Bei, l. XVI, e. 42), e Origene (Num. Hom. XI), ed
altri non hanno più che un putamus, quod creditur, od altra simile
parola ; S. Gregorio Nazianzeno nell' omelia XII contro Eunomio,
dice espressamente, che « Mosè scrisse in lingua ebraica, non per-
chè quella fosse la lingua con che Dio parlò ad Adamo, nò quella
di Adamo stesso, ma perchè si valse della lingua che era comune-
mente in uso a suoi tempi (rf, covasi yjp&\*.&oq ^l^c^): e soggiunge
che « per sentenza di uomini assai periti nelle Scritture la lingua
ebrea nemmeno mostra di essere così antica come altre lingue
([ayj Bs àpycd&w tyjv 'Ejàpafrov ^covyjv xaO' òjjLsiÓTYjxa twv ac.-mv). » Inter-
zo luogo i Padri hanno in tale materia seguito l'opinione comune,
diciamo così, dei letterati di allora: che essi erano posti da Dio co-
me dottori alla sua Chiesa non per le quislioni grammaticali o filo-
logiche, ma per le verità della fede: e a queste non a quelle volse-
ro accuratamente i Padri l'opera loro. Vanno dunque lungi dal vero,
e vengono meno alla riverenza dovuta a' maestri del popolo cristia-
no quelle parole: « Questo errore nacque coi Padri della Chiesa ».
Ma con qual fronte volere attribuire all'ardore della fede, il non
iscorgere la falsità di un principio e la fallacia delle deduzioni?
Quasi che fosse l'ardore della fede, ciò che fa bruttamente traviare
gli umani intelletti, o quasi che i Padri ne' primi secoli appunto
della Chiesa non avessero nel discutere le quislioni teologiche dato
pruova di tale perspicacia e vigoria di raziocinio, da disgradarne
tutti i linguisti de nostri giorni. Non sono poi i venerandi dottori
DELLA STAMPA ITALIANA 575
della Chiesa quelli che malamente interpretano le narrazioni del
Vecchio Testamento, ma sì i razionalisti co' loro miti, e tutti coloro
che baldanzosi nella vanità dell'umana sapienza vogliono, dietro la
scorta di falsi giudizi!, spiegare ciò che non giungono ad intendere.
E per cotali uomini ben intendiamo che le narrazioni delle Scrittu-
re sante possano essere leggende, ma per un vero cattolico, non
mai. E come osare eli porre tra i miti e le leggende le narrazioni di
quel libro, che è il libro di Dio, che è la fonte della verità, che è
il maestro del genere umano, che è scritto non a dilettarci e ad in-
gannarci persuasibilibus humanae sapientiae verbis, o cogli abbelli-
menti della poesia o colle stravaganze de' romanzi, ma ad erudirci
e confortarci colla dimostrazione della viriù divina ? Se qualcuno
anche tra i cattolici, sia ne secoli antichi sia ne più vicini a noi, ha
voluto interpretare solo come allegoriche alcune delle narrazioni del
Vecchio Testamento, è noto come sia. stato gravemente ripreso e
confutato dai Concili! della Chiesa. Ed è canone fermo, secondo la
dottrina di S. Agostino, nel lib. il De Genesi ad litteram, che so-
lo quod ad litteram non nisi absurde non possit inielligi, procul
dubìo figurate dietim ob aliquam significationem accipi deb et. Ora
ci pruovino i razionalisti, maestri di linguistica, che. non nisi ab-
surde possit inielligi quello che la Scrittura dice dei nomi dati da
Adamo ai diversi animali, e della confusione delle lingue alla torre
di Babele: e poi potrà il sig. Fumi scrivere le parole che ha scrit-
to. Ma non vogliono le cose della fede riguardarsi con occhio ter-
reno: né si vuole interpretare la narrazione delle Scritture divine
come non si oserebbe d'interpretare la storia dettata dall'uomo.
E dei dettami della scuola razionalista sono pure informate quelle
sentenze del n. VI (p. XCIV), ove il eh. Fumi discorre de' grandi
problemi, alla soluzione de'quali attende alacremente la nuova scien-
za del linguaggio. « 11 più grande e più delicato problema, ivi si
dice, è quello dell'origine dell' uman genere e dell'unum linguaggio.
Biguardo al primo i teologi e gli etnologi , i fisiologi e i linguisti,
disputano ancora sull'unità o la molteplicità delle razze: ma in ogni
modo non pare che le tradizioni e il detto biblico abbiano troppo
scapitalo agli assalti della scienza moderna. » Se il dottor Fumi vo-
376 RIVISTA
lea parlare secondo verità, dovea (e ci permetta racconciargli il pe-
riodo ) scrivere così: Riguardo al primo i teologi cattolici concorde-
mente ammettono l'unità dell'umana specie, secondo la narrazione e
il detto della divina Scrittura: e la medesima verità riconoscono gli
etnologi, i fisiologi, i linguisti più chiari, non solo tra i cattolici ma
eziandio tra gli eterodossi. Altri ne disputano, anzi la negano : ma
o sono della scuola de sedicenti filosofi del secolo passato, o razio-
nalisti. Ad ogni modo la tradizione e il detto biblico, non solo non
hanno scapitato per gli assalti, che, abusando della scienza moderna,
alcuni hanno voluto muovere contro; ma invece hanno ricevuto una
splendida conferma e luminosissime testimonianze anche da quelli,
che prima amavano di contraddire alla storia della divina Scrittura.
Questa che noi abbiamo espressa è la verità storica delle dispute
che si muovono intorno alla unità della nostra specie. E crediamo
inutile il fare qui una vana pompa di molte citazioni per confermare
quello che abbiamo asserito, essendo cosa nota a tutti che abbiano
qualche pratica di questi studii. Chi pur ne avesse mestieri o desi-
derio, può trovarle, per tacere di altre opere in tal materia assai
pregiate, nelle Lezioni del Wiseman o nella Cosmogonia del Pian-
ciani. Qui solo aggiungeremo che questa verità consolantissima ,
che di tutto l'uman genere fa uua sola famiglia, e di tutti gli uomi-
ni tanti fratelli, ò verità di fede ed è il fondamento della dottrina
del peccato originale, propagato da uno solo in tutti gli uomini , e
del mistero della redenzione per cui tutti gli uomini sono stali re-
denti dal novello Adamo Cristo. E una tale verità dovrà dirsi un
problema intorno a cui disputano i teologi e i filosofi cattolici, e la
cui soluzione dee aspettarsi dagli studii linguistici?
Ma ascoltiamo di nuovo il Fumi. « Il linguista ha di mira più
che questo problema, l'altro dell' origine e del primo frazionamento
del linguaggio. Che sia una rivelazione immediata della divinità
non si ammette più , perchè non è indispensabile per iseiogliere ii
problema. » Che non si ammetta più essere stato rivelalo da Dio ii
linguaggio al primo uomo, se cosi in generale si prenda questa pro-
posizione, e si guardi non ciò che può essere, ma ciò che fu di fatto,
si può negare secondo ciò che in queste stesse pagine abbiamo toc-
DELLA STAMPA ITALIANA 577
cato più sopra. E se non si ammette più da razionalisti , de' quali
pare che qui si faccia discepolo il Fumi , tal sia di loro. Ma come
sciogliono essi il difficile problema? 11 Fumi ci addita il modo colle
parole che seguono immediatamente. « Il linguaggio altro non è
che un amalgama od una riunione di radici; le quali sono emana-
zioni foniche dell'anima umana, e da essa spontaneamente prodotte
per esprimere le idee generali, le concezioni, mentre i suoni imita-
tivi od onomatopeici esprimono le percezioni, e i suoni interiezio-
nali le sensazioni. Tutto ciò entra nella sfera dell' attività umana :
quindi il linguaggio può benissimo essere creazione dell' uomo. »
Ma e che significano queste parole? E come si scioglie il problema
dicendo che le radici sono emanazioni foniche dell'anima umana ?
Il Mailer almeno nella sua Lezione IX, cui pure il Fumi dà mostra
di volere seguire, ci sembra parli più chiaramente e secondo verità.
« Le radici, esso dice, sono tipi o forme foniche prodotte dal potere
inerente nella natura dell'uomo: onde sono opere della natura o me-
glio della mano di Dio. Poiché Iddio che diede all'uomo la facoltà
d'intendere, diede pure la facoltà di dare un'espressione articolata
a suoi concetti razionali, variando quell'espressione secondo la di-
versa impressione e quasi il diverso suono che quei concetti produ-
cono nell'animo. La quale facoltà non è frutto dell' industria o del-
l'opera dell'uomo, ma è dono di Dio. » Così il Mtiller in sentenza:
ed è ciò che in altre paroleabbiamo sentito piùsopradalP. Pianciani.
Continua il Fumi dicendo: « Ma fu una sola la lingua primitiva?
Ecco un'altra quistione scabrosissima e assai controversa. Anche
qui la Bibbia ci dice: Erat autem terra labii unhis et sermonnm
eorumdem (Gen. C. XI, v. I); e pare che tale asserzione non ab-
bia potuto esser combattuta vittoriosamente dai validi ingegni, come
Pott eSteinthall, che hanno tentato discuterla. » Ricordi il lettore
ciò che abbiamo discorso poco prima, e vedrà come gli studii lin-
guistici anche per testimonianza de' più valenti professori, favorisca-
no piuttosto che contrastare la verità, che una sola fosse in origine
£la lingua dell'uomo. Certo è poi che sa di empietà il mettere in dub-
[ bio ciò che espressamente attesta la divina Scrittura; ed è insieme
follìa ed empietà il pur supporre che gli assalti della scienza mo-
Serie VII, voi. XI, fase. 491. 37 26 Agosto 1870.
518 RIVISTA DELLA STAMPA ITALIANA
derna possano fare scapitare il detto biblico, o combattere vitto-
riosamente le asserzioni della Bibbia. No, ciò non può esser mai,
perchè la parola di Dio è eternamente vera. Una particolare inter-
pretazione, forse troppo letterale, di un qualche tratto o di una qual-
che parola della sacra Scrittura, potrà essere mostrata non accura-
tamente vera: ma non potrà essere mai mostrata falsa la narrazione
e la parola di quella Scrittura che è Scrittura di Dio. Se per colti-
vare gli stuelli linguistici fosse mestieri anche solo in qualche cosa
rinunziare alle tradizioni bibliche (come pare voglia fare supporre
il Fumi eziandio alla png. LI V), noi mandiamo in malora e la lin-
guistica e ogni altra scienza, che non può essere se non se empia
stoltezza quando non si accordi colla parola di Dio. Ma per buona
ventura non è così. Anzi come le narrazioni della Bibbia, conside-
rate anche solo come testimonianze di storia umana, ci valgono di
lume e di scorta fedelissima neli' indagare le recondite verità natu-
rali; così viceversa l'accurata e sapiente indagine di queste riesce
a farci meglio intendere le parole della Scrittura e a confermare la
divina veracità dei libri santi. E noi non possiamo por line dall'am-
mirare la divini provvidenza in ciò, che alcune particolari scienze o
discipline, lo studio delle quali era stato proposto e caldeggialo da
nomini empii con intendimento di smentire la verità rivelata colla
forza della verità naturale, non hanno poi in fine, come accader do-
veva, fatto altro che imprimere un evidente suggello di verità alla
parola di Dio, cosicché l'empietà stessa ne è rimasta vinta e con-
quisa. Così per esempio è avvenuto nel fatto della geologia, della
quale alcuni nuovi titani disegnavano valersi come di arme invitta
a violare il cielo: così avverrà, ne siamo certi, della linguistica.
Ora tali sentenze uscite dalla penna del eh. Fumi, ci giova il ri-
peterlo, non crediamo che veramente esprimano i sensi dell' animo
suo ; ma sieno, così come sono, state tolte dalle opere di uomini
eterodossi. La fallacia ed empietà di quelle non apparve al caldo
ammiratore della dottrina e della erudizione di celebri autori : ed
e^so nel primo entusiasmo della nuova scienza prese troppo incaula-
mente le pirole de'suoi mieslri. Ma di ciò basti, e veniamo alla se-
conda parte della nostra rivista.
BIBLIOGRAFIA
AMBROSI ALESSANDRO —Nel giorno 21 di Giugno dell'anno 1870, anniversario
della coronazione di Sua Santità Papa Pio IX; voti e preghiere dell' avvo-
cato Alessandro Ambrosi, giudice del tribunale di Benevento. Velletri, tip.
di D. Colonnesi. In 8.° di pag. 6.
ANONIMO — Istruzioni e preghiere per assistere divotamente alla santa Messa
e accostarsi degnamente ai sacramenti della Confessione e Comunione ed
altre orazioni. Modena, tip. deW Imm. Concezione, 1870. Un volumetto
in 32.° dipagAU.
— La voce di Maria Madre del Buon Consiglio al cuore della giovinetta, ad
uso specialmente dei Conservatorii e delle pie case di educazione. 7.a ediz.
riveduta dall'Autore. Mo lena, tip. dell' Imm. Concezione, 1870. In 32.°
di pag. 102.
— Mem rie di un padre sulla vita e la morte di suo figlio. Napoli, direzione
delle lett. catt. 1870. Due opuscoli in 2i.° di pag. 204.
— Milano e Roma. Racconto del duodecimo secolo. Modena, tip. dell'Imm.
Concezione, 1860. Un voi. in 16-.* di pag. 206.
Una succinta storia della famosa Lega lombar- te ogni di rammentare quella lega, ma ne igna-
ba Tiene rapidamente narrata in questo Racron- ra o ne crede a rovescio le cagioni , i fruiti , e
lo: il quale può essere utile al popolo che sen- soprattutto lo spirilo che la suggerì e la animò.
— Saggio di pratica pastorale, ossia Memorie sulla vita episcopale di monsi-
gnor Giuseppe Montieri, Vescovo di Sora, Aquino e Pontecorvo ; per un
ecclesiastico suo familiare. Napoli, tip. degli Accattoncelli 1870. Un voi.
in 8.° di pag. X-618. Prezzo lire 5. Dirigersi al sig. D. Francesco Gallo
in Napoli, strada del Duomo, palazzo Scarpa.
Volendoci noi, tosto che ci sarà consentito dal- Vescovo di Avellino, raccogliendo essa sotto
lo spazio, trattenere un po' più di proposito so- un sol punto di vista un complesso di dottri-
pra questa opera, l'annunziamo ora qui siccome ne episcopali, e nell'applicazione di esse dan-
meritevolissima d'es<ere non solo letta, ma stu- do per guida un Vescovo dottissimo e santo
diala da ogni classe di ecclesiastici. Giacché qual era M. Montieri, non può non tornare
per adoperare le parole autorevoli di monsignor vantaggiosa a tutti i pastori di anime.
— Sunto storico dell'abbazia e del Pellegrinaggio alla beata Vergine Maria de-
gli Eremiti, dall'epoca della sua fondazione ai nostri di. Einseldeln, 1870,
presso Carlo Nicoiao Benzi ger fratelli. In 32.° di pag. 62.
Einselden è un borgo della Svizzera primi- secolo nono dal santo eremita Meinrado. La sto-
liva nel Cantone •di Svillo; formatosi intorno al- ria del santuario, dell'abazia, del culto dell»
l'Abbazia benedettina, quivi costrutta per ser- B. Vergine è narrata in questa graziosa e fe-
vire ai pellegrini, che andavano a venerare una dele monografia,
statua della Vergine Santissima, collocatavi nel
ANTON MARIA DA VICENZA — Vita di S. Diego d'Alcalà, minore osservante,
scritta dal P. Anton Maria da Vicenza, minore riformato della provincia di
S. Antonio di Venezia. Bologna, tip. Mareggiani 1870. /n 16.° di pag. 63.
580 BIBLIOGRAFIA
BADODI LUIGI — Poesie di Luigi Badodi da Restio nell' Emilia. Bologna, via
dei Malcontenti 1797, tip. Mareggiarti aW Insegna di Dante, 1870. Un
volumetto in 32.° grande di pag. 126. Prezzo lire 2.
Da sincero congratulamento vogliamo ch8 renile la poesia strumento di buoni costumi e di
giunga al sig. Badodi per queste sue poesie, santo proponimento. Da alquanti indirti, qui e là
Esse sono foggiale sul modello dei nostri mi- raccolti, giudichiamo che il eh. Badodi sia in età
gliori classici: hanno l' impronta del buon gu- ancor giovanile; ma al tempo stesso lutto dedi-
sto che ò la nitida semplicità dei concetti e del- to agli studii e conscio a sé medesimo della Ca-
le frasi: hanno il lavoro della lima, per cui Io tica (he dee costare anche ai più valenti una
stile è corretto, il verso elegante; hanno, pie- buona poesia. Segua dunque con perseveranza
gio veramente di pochi, la spontaneità del pen- nella buona via che ha intrapresa : e così se ora
siero, del metro, della rima che svelano uu in- ha potuto dar fiori si gentili, darà un giorno frut-
gegno inchinato da natura a poetare : e sovra ti gustosi e sostanziosi col suo ingegno e col suo
tutto hanno quella onesta nobiltà di pensieri che lavoro.
BALDUZZI L. — Sopra due bolli figulinari affatto inediti, scoperti a Bagnaca-
vallo nel 1851. Rimembranze del can. teol. L. Balduzzi. Firenze, tip. di
M. Ricci, 1870. In 8.° di pag. 12.
Nella Pieve di Bagnacavallo furono trovati mile a quella del sepolcro di S. Sergio Martire,
due antichi mattoni bollati con una medesima può fare rimontare quei mattoni a mezzo il seco-
scritta, sebbene di grandezza e forma differente: lo V ; ma se Stintemi è il nome dtl fiume, sono
f Santemi Armentaria. Santerni può indicare essi posteriori a Teodosio il giovine, quando il flu-
ii luogo dell'officina, presso il fiume Santerno : me Vatrenus o Vaternus, divenuto Satrenus, prese
Armentaria indica al certo il nome o del pa- il nome stabile di Santernus. Tali sono le opinioni
dmne dell' uflìcina, o del campo coltivato a pa- date dal Cavedoni e dal Borghesi intorno a que-
scolo. La forma della croce latina pedala, si- sti due mattoni, rifer.te qui dal can. Balluzzi.
BERNABEI RICCIARDO — Novena in onore di san Giuseppe, sposo di Maria Ver-
gine, del sacerdote Ricciardo Bernabei. Modena, tip. dell' Imm. Concezio-
ne, 1870. In 16.° piccolo di pag. 32.
— S. Giuseppe padre dei giovani, pel sacerdote Ricciardo Bernabei. Modena,
tip. dell Imm. Concezione. Un volumetto in 16." di pag. li^. Prezzo cen-
tesimi 40.
BERTEU AGOSTINO —Mese del Cuor di Gesù. Meditazioni pratiche ed esempii
recenti, per tutti i giorni del mese di Giugno, proposto alle anime pie, dal
canonico Agostino Berteu. Seconda edizione. Torino, tip. di G. Spcirani
e figli 1870. Un volumetto in 32.° di pag. 200.
— Una giornata con Maria, ossia metodo di santificare la vita in unione a
Maria Vergine, proposto alle anime pie, dal canonico Agostino Berteu. To-
rino, tip. di G. Spcirani 1870. Un volumetto in \§.° di pag. 157.
BOURBON MATILDE — La moglie di un otliciale. Racconto della signora Matil-
de Bourdon; traduzione dal francese per M.'S. Modena, tip. dell' Imm. Con-
cezione, 1869. Due volumetti in 16.' di pag. 160, 162. Prezzo lire 2.
Il Bacconto della signora Bourdon è notevole che qui s' intrecciano assai Mitralmente. Per la
per la semplicità dei casi, la grazia della nar- educazione del cuore, soprattutto delle giovanel-
razione, e la copia degli affetti più soavi. Le te, questo libro è acconcissimo: e noi voluntien
vicende di una modesta famiglia, le passioni lo consigliamo a chi cerca nella lettura dei rac-
più comuni nel cuore dei giovani , P efficacia conti un onesto e utile trattenimento,
della virtù fomentala dalla pietà, formano i casi
CALABRESE-SALVO FILIPPO — Errori e menzogne di prete Filippo Bartolomeo,
giudice del soppresso tribunale della legazia apostolica ecc., pel sacerdote
Filippo Calabrese - Salvo. Messina, tip. dell Avvenire 1870. In 8.° di pa-
gine 106.
Lodammo poco tempo fa uno scritto saWAbi- Salvo; ora ci congratuliamo ancor più con lui,
lo Clericale, del giovane Diacono F. Calabrese divenuto giàjsacerdole , di questa confutazione
BIBLIOGRAFIA 581
piena, vigorosa, briosa. Egli fa con essa vera za l'audacia di un Drele scomunicalo, e spende
opera buona: perchè difende le verità della no- l'ingegno e il lavoro in servigio della Chiesa,
stra fede, difende la fonia di un Vescovo, rintuz-
CALANDRl FRANCESCO — Epigrafi che al p. Francesco Calandri G. R. Somasco
inspirò T alta estimazione e l1 affetto pel fratello Francesco Felice, sacerdo-
te cappuccino, morto nel bacio del Signore nel 1869. Casale, 1870. In 8 e
di pag. 12.
CEPARl VIRGILIO — Il beato giovinetto Giovanni Berchmans della Compagnia.
di Gesù; vita scritta dal P. Virgilio Cepari d. m. C. Modena, tip. dell'Im-
macolata Concezione 1869. Un voi. in 32.' dìpag. 288.
COSELLI PIETRO — Saggio critico dei principii e delle conseguenze della ri-
voluzione italiana, per il sac. Pietro Ceselli, lucchese. Bologna, tip. 3Ia~
reggiani 1870. Un voi. in 16.° dìpag. 409.
Nel quaderno 447 della Civiltà Cattolica (Se- parte: e le conseguenze della rivoluzione ita-
ne VII, voi. IV, pag. 343) lodammo un altro liana, le tristi nella III" parte, e le buone nel-
scrilto del eh ab. Coselli, intitolato Assalti prò- la IV parte. L'opportunità dell'argomento, la
testanti e trionfi cattolici: Lettere; e pregam- sanità della dottrina, l'ordine della trattazione,
mo l'autore di continuare a rendersi utile colla la chiarezza e la bella maniera tulio popolare
stampa di altri somiglianti lavori. È debito di dello stile, senza negligenze nò bassezze, racco-
riconoscenza il ringraziarlo ora del nuovo re- mandano altamente questo libro ad ogni ordina
gaio che fa all'Italia col libro qui sopra annun- di persone, siccome uno di quelli che può es-
ziato. In esso si esaminano i principii rivolu- sere efficacissimo a dileguare dulie menti gli er-
ziouarii, quelli riguardanti la religione nella rori correnti ora nell'Italia.
1" parte, quelli riguardanti la società nella li"
CUNEO GIUSEPPE SECONDO — Nei- solenni funerali celebrati nella insigne col-
legiata di Taggia, per cura degli onorevoli fabbriceri, in suffragio del molto
rev. parroco teologo, Stefano Semeria, il 28 Aprile 1870, trentesimo dalla
sua morte, orazione del rev. Giuseppe Secondo Cuneo, prof, di rettorica
nel ginnasio di Taggia. Oneglia, tip. Glutini. In 8.° di pag. 22.
Questa eloquente orazione dettata dal cuore ci gione, ma ancor per la patria, ben inteso in senso
dà un vivo ritratto di un zelante pastore, qual cristiano; e questo amoru abbiam pur notato in
fu il parroco Semeria; e insieme ci rivela nel- un'altra orazione dello stesso prof. Cuneo per
l'oratore un caldo amore non solo per la reli- l'inaugurazione degli studii nell'anno scorso.
CU0M0 MICHELE — Manuale della pia unione delle madri cristiane sotto il pa-
trocinio del preziosissimo Sangue di G. Cristo, Maria ausiliatrice de cristia-
ni e S. Monica; canonicamente eretta in Gragnano (Napoli) nella chiesa del
Corpus Domini ; del sac. Michele Cuomo. Castellomare, stamp. di san
Martino 1869. Un voi. in 1§.° picc. di pag. 207. Prezzo lira 1: e Vende-
si presso D. Pietro Pandolfi in Castellamare di Slabia, strada Gesù, 3,
Associare !e Madri cristiane, perchè coltivino se queste associazioni si moltiplicassero in modo
nella pietà i loro cuori, apprendano i loro do- che non vi fosse parrocchia che non ne avesse
veri e si confortino ad esercitarli, si dieno vi- la sua ! I parroci che volessero introdurla po-
cendevole aiuto di buono esempio, di prudenti trebberò saperne le regole, le pralliche, i modi
consigli e di caritatevole assistenza, è opera som- da questo Manuale , acconcissimo all' uopo , e
inamente utile alle famiglie , alle cittadinanze, che contiene quanto può essere desideralo a que-
alla religione. Oh qual bene se ne caverebbe sto scopo.
DALU' ANTONINO — Triduo in onore di Maria SSuia, scritta pei divoti di lei,
dal sac. Antonino Dalù termitano. Termini-Imerese, tip. di G. Sodino,
1870. Un voi. in 8.° di pag. 138.
Il eh. autore tratta in questo triduo di tre esse è svolta in un ampio e dolio discorso, che
virtù di Maria SSma, della modestia, della riti- può servire in pari tempo di guida per meditare,
ratezza, e della canta verso Dio. Ognuna di e di materia per leggere.
582
BIBLIOGRAFIA
DANDOLO TULLIO — Storia del pensiero nei tempi moderni, del conte Tullio
Dandolo. Nuova ediz., preparata dall'Autore. Àsisi, stab. tip. Sensi 1870.
Edizione in 8.°
Abbiamo soii'oechio il Programma del tipo-
grafo Sensi, editore di questa nuova ristampa
della Storia del Pensiero dell'illustre coute Tul-
lio Dandolo, rapito teste all'Italia da morte im-
matura. Noi non sogliamo occuparci mui di
Programmi: ma qui sono due circostanze mollo
capitali che ci consigliano a fare una eccezio-
ne. La prima si è che l'opera promessa dai Sen-
si non è nuova: essa è gà nota, essendo stata
tutta pubblicata prima della morte del suo au-
tore, e da noi nelle varie sue pa*ti molle voile
esaminata e lodata, come può vedersi nella 1»
Serie della Civiltà Cattolica, voi. IV, VI, VII :
nella IL" Sene, voi. VI e X; nella 1V« Serie,
voi. X; e nella VI, voi. IV. Quindi nou possia-
mo nutrire verun dubbio iutomo alia qualità del-
l'opera che dovrà stamparsi Neppure possiamo
dubitar punto che le promesse dell'editore non
sieno per avere effetto, che è la seconda circo-
stanza particolare di queslo programma. Giacché
la stampa s'imprende sotto fili auspicai ed a spe-
se di Sua Eccellenza il sig. principe Torlonia,
amico del Dandolo, il quale col solo suo nome
dà p;u che ampia garaulia del buono e regola-
re procedimento della edizione. Essa cotnporras-
si di una serie di studn storici, filosofici e re-
ligiosi, falli dal Dandolo col concetto , quanto
giuslo altrettanto vasto, che il perno dei de-
stini del genere umano è il cristianesimo nelle
sue tre fast di aspettazione, di apparizione, di
svolgimento. La verna dunque e gli errori, i
vizit e le virtù, le glorie e le ignominie degli
Stati e degli uomini ; tutto entra In questo di-
segno, e tulto è dal Dandolo abbracciato. Il
suo brio poi, la sua facile vena, e quel non so
che di attrattivo che ha il suo siile, raccomanda-
no la lettura di questa Storia del pensiero, e
ne fanno sperare buon frutto.
DA VICENZA ANTON-MARIA — Vita della venerabile serva di Dio suor Maria di
Agreda, francescana scalza concezionista ; scritta dal p. Anton-Maria da
Vicenza, lettore teologo de' Min. Rif. della provincia di S. Antonio di Ve-
nezia. Bologna, tip. pont. Mareggiami, 1870. Un voi. in 32.° di pag. lìl
La Mistica Città di Dio che narra la vita di
Maria Sanissima è libro notissimo a quanti so-
no versati negli sludii sacri , perchè lodala a
Cielo da molti anche sommi personaggi, da al-
tri combattuta con pari vivacità. Questo libro ha
reso celebre la sua autrice, la ven. Suor Maria
di Gesù, Francescana scalza dell' Immacolata Con-
cezione, eabbadessa di Agreda. Ma pochi sanno
al di là di questo fatto: pochi han Ilio la vi-
ta edificantissima di questa Serva del Signore :
specialmente in Italia ove non fu mai stampata
in un libro a parte. Sopra la vita spagnuola,
che ne scrisse il Vescovo di Piacenza, biodi. Giu-
seppe Xunenez Samaniego, supcriore religioso
dapprima, poi Prelato diocesano e contemporaneo
e conoscitore della venerabile Suor Mar. a, ha di-
steso con buono stile e buon metodo questa vita
il eh. P. Anton Maria da Vicenza, scrittore lodato
per la dottrina e la diligenza.
DE CARA CESARE ANTONIO — Clodoaldo principe di Dania. Tragedia lirica,
del P. Cesare Antonio De Cara, d. C. d. G. Roma, tip. dei fratelli Monal-
do, via delle botteghe oscure 25, 1870. In 8.° di pag. 45.
Nel primo anno della guerra che Carlo Ma-
gno mosse ai Sassoni, il Principe di Dania, Clo-
doaldo, pagano di religione, staccalo da due
dei suoi figliuoli, e in procinto di perdere il ter-
zo, era dopo la disfatta di Vitigindo, signor dei
Sassoni, minacciato ancora delia vita, non che
della perdita del Regno. Ma la appunto ove egli
temeva di più trovò la sua salute. Poiché per ope-
ra appunto di Carlo Magno egli è salvalo da mor-
te che minacciavagli una congiura dei suoi sud-
diti, ricupera il trono, ritrova e riacquista i figli,
e si rende cristallo col fiore del suo popolo, yue-
s o fallo dà il fondamento al Dramma composto
dal eh. P. De Cara, ij;ià nido per altri componi-
menti di simil genere. Il pregio che più spicca
in questo lavoro si è lo stile nobile, fiorito,
elegante : e insiem con esso una certa altezza
di concetti che giovano mirabilmente alla edu-
cazione nella gioventù, al quale fine principal-
mente mirò egli nello scriverlo.
DE-FAZY ELDRADO — Vita e passione di S. Giorgio M. protettore dei soldati
cristiani e degli agricoltori, scritta dal sacerdote Eldrado De-Fazy, della
diocesi di Susa. Torino, tip. delV Orai, di S. Francesco di Sale. 1870.
Un volumetto in 16.° piccolo di pag. 102. Dirigersi all'Autore in Ihv;$ole-
no di Susa.
Proporre al soldato cristiano un esempio de- tante e tante migliaia di cristiani debbono di-
gnissimo d' imitazione è in questo tempo, in cui venire soldati, un santo ed utile pensiero. Qae-
BIBLIOGRAFIA 883
Sta vita poi ha il merito di non offrire ai gusti Santo sono infarcite ; e non privare la pietà del
troppo s.intìllosi se non fatti autentci, ricavati suo pascolo, rifiutando quelle traditi**! più pro-
dalle fonti più sicure, senza la noia di tante cri- babili, che tanto edificano e consolano.
tiene disquisizioni, onde le altre vite di questo
BE-SEGIU ANTONIO — Pneumouensimetro automatico, per Antonio De-Negri,
assistente nel laboratorio di eli. mica generale della IL Università di Geno-
va. Genova, co' tipi del R. I. de* sordo-muti, 1870. In 8.° gr. di pag. 46.
Il Big. Bunsen ideò un piccolo apparecchio col se modificazioni ha reso automatico lo strumento,
quale determinare cou abbastanza esattezza il tale cioè che non ha bitogno di calcolo difficile,
peso specifico dei gas, anche quando non sene ne di osservatore perito: cosicché d'ora innanzi
abbiano che appena quaranta centimetri cubici, lo strumento che il De Negri chiama pneumo-
Questo strumentino pero, richiedendo molta de- densimetro, può essere facilmente usato non .solo
slrezza nell'osservatore, non è stato molto dif- nel laboratorio del chimico, ma eziandio nel-
fuso. Il eh. sig. De Negri con alcune ingegno- l'officina di chi lavora.
DI PIETRO STANISLAO — Due mottetti: 0 salu'mris hostia per basso. Cibavit
nos per soprano e contralto, con accompagnamento d'organo, del P. Stani-
slao di Pietro d. C. d. G. Roma, litografia Luciani al Corso N. 282, 1870.
In i.° Prezzo L. ì, 50. Vendousi in Roma neiroHìcio della Civiltà Catto-
lica, e nella tipografia di Propaganda.
Le opere di Musica sacra del eh. P. Di Pietro egualmente gradili che le Canzoncine pel mese
sono pregiate dai maestri o gustate assai dal pub- di Maria, le Litanie, il Canto dei fanciulli per
blico. per la semplicità della melodia, per la la Novena dell' immacolata, e gli altri Mottetti
gravità del ritma, e per l'appropriala espressione e le altre Canzoncine date da lui alla luce,
dei concetii. Questi due nuovi Mollotti saranno
ELENA LUIGI — Orazione funebre nell'anniversario della morte del nobiluo-
mo conte cavaliere Valerio Cozza di Bolsena: letta dal p. Luigi Elena di Al-
benga, per le solenni esequie celebrate in S. Maria del Giglio a di 29 Gen-
naio, 1870. Roma, tipi del Salviucci, 1870. In 8.° di pag. 15.
E. S. — Il mese del sacro Cuore di Gesù, tradotto dal francese in italiano, sul-
la ventesima edizione; da fra E. P. dei Predicatori. Quarta ediz. ital. Mode-
na, tipi dell' Imm. Concezione, 1870. Un voi. in 32.° di pag. 256.
FAA' FRANCESCO — Sunti di fisica, meteorologia e chimica, con tavole ad uso
delle scuole maschili e femminili pel eavalieie Francesco Faà di Bruno, dot-
tore in scienze presso le università di Parigi e Torino, ecc. ecc. Firenze,
Torino e Milano, presso G. B. Paravia e comp., 1870. Un volumetto in
16." di pag. 126. Prezzo lira 1, 20.
Piestringf-re in sole 126 pagine le teoriche sa mi , sì perchè sappiano davvero le cose più
principaiissime di queste tre scienze pare cosa importanti di queste scienze. Quindi per riuscirvi
appena possibile, non che difll-ile; e pure il bene ha dovuto serbare un ordine rigoroso, ri-
sig. cav. Faà di Bruno vi è abbastanza bene gettare le applicazioni e le eccezioni, scegliere i
riuscito. Kgli non si è proposto di dare un cor- teoremi più vasti e più importanti, essere parsi-
SO compiuto a quei giovani che vorranno slu- moroso al sommo di parole. E cosi veramente
diario di proposito : ma solo di fornire le più abbiamo scorto, nel percorrere il suo libro, che
essenziali cognizioni di ciascuna d'esse a quei chi lo studiasse, ne caverebbe abbastanza di nu-
tra loro che attendono ad altri studii , sì per- le per la sua istruzione.
ehè possano convenientemente riuscire negli e-
FABBR0NI MARIA VIRGINIA — Nuovi versi di Maria Virginia Fabbroni. Pisa,
tip. Nistri, 1870. In 16." di pag. 37.
La Lira della signora Fabbroni, sacra al Cie- l'animo senlesi a nobili sensi sollevato, e al tem-
lo, alla virtù, ai casti afletti dell'amicizia, tic- pò stesso dalla bella armonia dei versi rallegra-
ta dalla mano esperta della sua simnatrice, cmet- lo e commosso.
te suoni teneri, soavi, armoniosi. Jn ascoltarli
381
BIBLIOGRAFIA
FABI MONTANI FRANCESCO — La vita della Beatissima Vergine, esposta in al-
trettanti sonetli da Francesco Fabi Montani. Roma, tip. Forense, 1870. In
8.° di pag. 40.
pio argomento, e l'altro d'uno stile colto, e d'u-
no svolgimento quanto naturale, altrettanto no-
bile e dignitoso.
I trcntairè sonetti che sono qui riuniti espon-
gono i farti pnncipalissimi della vita della bea-
ta Vergine Malia. Essi hanno il merito di cor-
rispondere tolu» pietà dei loro sentimenti al
FESTA FRANCESCO M. — Sulla obbedienza cattolica. Dissertazione per France-
sco M. Festa, del clero napolitano. Napoli, lib. e stamp. dì A. Festa 1870.
Jn8.° di pag. 48.
Ottimo e utilissimo è il Discorso del eh. sig. per l'argomento tutto acconcio alle circostanze
Festa : ottimo per la forza del ragionamene e presenti, in cui irovansi i fedeli.
per la dottrina sicura che contiene: utilissimo
FINAZZI ANTONIO — Pensieri sull'istruzione, del sacerdote D. Antonio Finazzi.
Bergamo, tip. Crescini 1868. In 8.* di pag. 18.
FORCELLA VINCENZO —Iscrizioni delle chiese e d'altri edificii di Roma dal se-
colo XI fino ai giorni nostri, raccolte e pubblicate da Vincenzo Forcella.
Volume I. Roma, tip. delle scienze matematiche, fisiche 1869. Un volume
in 4.° grande di pag. XII - 592.
Il eh. sig. Forcella si è proposlo di raccogliere
e pubblicare tutte le iscrizioni che scritte sui mar-
mi o sui bronzi nelle chiese e negli altri edi-
fizii di Roma, leggonsi ora tuttavia o nei loro
posti prim tivi o traslocale altrove. Questa rac-
colta unirà, confermerà o illustrerà le memorie
gerarchiche, gentilizie, civili, letterarie, scienti-
fiche ed artistiche; le quali si connettono colla
Storia del sacro e civile Principato di Roma, dei
suoi ordini, delle sue famiglie, delle sue istitu-
zioni, delle sue vicende: e sopra questa storia
gitterà quella luce sì utile e sì necessaria qual
è quella delle date autentiche, dei nomi veri, de-
gli uflkii esercitati. Laonde un tal disegno de-
v' essere sommamente lodato e accolto dal pub-
blico con vero applauso. Esso però richiede ac-
corgimento, lavoro e diligenza somma: e spe-
cialmente una costanza di proposili a tutia pruova:
giacché questa impresa per la sua mole è non
solo vasta, ma gigantesca. Vi sono è vero molle
e molle Rarcolle d' iscrizioni romane sia mano-
scritte nei Codici delle Biblioteche in Roma, sia
stampate nelle opere dell' Alveri, del Melimi, del
Cancellieri, del ben. Pier Luigi e di alili : ma
olire che queste sono spesso mal copiale, o non
portano la indicazione indispensabile del luogo;
oltre che Irovansi disperse qua e colà, con grave
difficoltà di poterle trovare e consultare; non sono
poi nò tutte nò la massima parte delle iscrizioni
utili a registrarsi. Bisognava dunque fare il la-
singolarissima. E l'ha fatto il eh. Forcella, ed
ora comincia a darlo alla luce, in una magni-
fica edizione intrapresa sotto gli auspicii e cogli
aiuti generosi del Principe Boncompagni, perso-
naggio cospicuo per dottrina, e dei dotti mun -
fico mecenate.
In questo volume raccolgonsi le iscrizioni che
Irovansi I. nella piazza e nei Palazzi Capitolini;
II. in S. Maria in Aracoeli ; III. in 8. Maria ad
Marlyres; IV. in S. Maria de! popolo; V. in S. Ma-
ria sopra Minerva. Ognuna di queste iscrizioni è
registrala colla più grande fedeltà, e preceduta
o seguita da brevi noie che determinano il silo,
la forma, gli stemmi, i segni, gli accessorii, tutti
gli schiarimenti ulili a far o dislinguere, o ri-
trovare, o dichiarare ciascuna delle iscrizioni. La
correzione poi dei tipi è fatta con perfezione som-
ma, e pari alla diligenza della stessa Raccolta.
Un copioso e minutissimo indice di nomi, or-
dinato per dignità e per alfabeto, posto in One
del volume, agevola grandemente l'uso di questa
Raccolta.
3Soi adunque ci congratuliamo coli' autore di
questa Raccolta, e gli auguriamo lena perche possa
condurre a termine, una fatica tanto utile e tanlo
gloriosa ai Romani, e nella quale non vi dovreb-
be essere famiglia romana che non prendesse par-
te, siccome in realtà non vi e che non ri dovi
memorie del proprio casato, quanto utili, altri i-
tanlo care.
voro da capo: e farlo con attenzione e pazienza
FRANZELIN S10. BATT. — Ioannis Baplisiac Franzelin e Societate lésu in colle-
gio Romano S. Theologiae professoris, tractatus de Dei» uno secundunj na-
turane Romae, typis S. Congr. deprop. Fide MDCCCLXX. In 8/ grande
dì pag. 722.
All' uscire dell'altro volume De Deo Trino se- che quel trattato era uno dei libri più dotti usciti
tuwìum persona* dicemmo, a pag. 324 voi. Vili, nell'età nostra. Altrettanto diciamo ora di que-
BIBLIOGRAFIA
583
sto. Certamente questi due volur-ù De Deo Uno steranno imperituri, quai monumenti delia dol-
et Trino, e gli altri tre già pubblicai, De Sa- trina dei teologi pontificii nel Concilio vaticano,
tramentis in genere, De SS. Eucharisliaa Sa- al pari delle opere più famose dei teologi de*
tramenio et Sacrificio, e De Verbo Incarnato re- Concilio di Trento.
GATTI ARCANGELO — Cenno storico del santuario del Monte e sue trasloca-
zioni, compilato sulle memorie degli storici bolognesi da un canonico rego-
lare lateranense. Bologna, via Malcontenti n. 76, tip. Mareggiani, 1809.
In 16.° di pag.lb.
Sulla vetta del S. Benedetto, collina presso la
porta di S. Maininolo in Bologna, fu conseerala
ad Otior di Maria SSina nel 1110 una cappella
rotonda, costrutta in quel luogo prodigiosamente
indicato da una colomba. Nel liìi vi si aggiun-
se una chiesi assai più spaziosa, perchè la Roton-
da non bastava più al concorso ogni giorno mag-
giore dei devoti visitatori. Più tardi innanzi al-
l' antica Rotonda fu posto un porticato di quat-
tro archi. Allorché nel principio di questo secolo
per ordine di Napoleone I, vennero distrutte le
cappelle, gli alni, il cenobio benedettino, e l'o-
spizio per edificarvi uu palazzo regio, fu in mezzo
al nuovo edificio conservala intatta la Rotonda:
e Ja immagine quivi venerata venne: traslocata
d'una in altra chiesa entro Bologna. La storia
esatta di questi singoli fatti, e soprattutto la
pietà dei Bolognesi nel venerar Maria SSrìia, e
la protezione di Maria SSnìa verso i Bolognesi,,
sono in questa monografia fedelmente e larga-
mente descritte dal rev. P. D. Arcangelo GattL,
priore dei Canonici regolari lateranensi, e pro-
motore zelantissimo del culto della B. Vergine.
GROSSELLI LUIGI — Un grande bisogno dei nostri tempi, del sacerdote Grossel-
li Luigi. Milano, tip. dell Osservatore Cattolico 1870. In 16.° di pag. 24,
Aderiamo di tutto cuore alla proposta del eh.
Sig. Grosselli, da lui provata per indispensabile
non che utilissima a punta di salde ragioni in
questo egregio discorso. Essa è da lui così im-
molata: « Noi abbiamo studiato qualche cosa nel-
la profonda fìlosolia cristiana degli scolastici e
soprattutto di S. Tommaso, che ne è il più alto
rappresentante. Ebbene, ne abbiamo preso e tut-
todì ne prendiamo per essa trasporlo, amore in-
tenso; e vi abbiamo trovato verità cosi nuove
e stupende, che ci parvero esse sole poter dare
il colpo mortale a tutti gli errori del giorno. Noi
abbiamo acquistato l' intima convinzione, che la
società presente non potrà essere riformata so
non venga ristaurata con grandi sforzi quella
mirabile filosofìa. Or ecco uno e forse il precipuo
de' mezzi con cui raggiungere un tale intento.
Istituire nei luogjii importanti, Delle città, una
cattedra pubblica, dipendente interamente dal-
l'autorità ecclesiastica, in cui si insegni laverà
filosofia cristiana, tratta dai più grandi scolastici,
colla quale filosofia dimostrare le verità della re-
ligione cattolica ». Così l'autore. Piaccia a Dio
che questo suo voto abbia effetto.
GUALCO DOMENICO — La religione e la Chiesa cattolica, opera apologetico -po-
lemica, per Tab. Domenico Gualco, dottore in sacra teologia, ed in ambe le
leggi, prevosto della Collegiata di N. S. delle vigne, socio della romana
accademia di Religione cattolica. Volumi 12. Roma, tip. della Gioven-
tù 1868. Dodici volumi in 16.° contenenti complessivamente 4106 pagine.
Si vende in Genova presso il libraro Giovanni Fassi Como.
V illustre abb. Domenico Gualco, Prevosto della rici del Dominio temporale dei Romani Pontefici.
Il XI.° La Sovranità temporale dei Papi dimo-
strata con invitti argomenti. Il XII.0 Risposta
alle obbiezioni contro il Principato civile dei
Papi. In breve è una piccola Biblioteca, ove sono
riuniti insieme i Trattati più necessari! a chia-
rire nel tempo nostro le più agitate questioni in-
torno alla Rivelazione, alla Chiesa cattolica, al
Pontificato romano. Questa opera sola scusa molti
libri : e con essa un parroco, un professore, un
coltivatore di questi sludii ha quanto basta a
poter illuminare sé slesso e i suoi dipendenti
Collegiata di N. S. delle Vigne in Genova è no-
tissimo in tutta Italia pel gran numero di pie,
dotte, erudite opere, date alla luce in aiuto delle
scienze ecclesiastiche, della pietà cristiana, della
morale domestica. Ora ha terminato di slampare
questi dodici volumi, opera di maggior lena che
le altre sue precedenti. Ce ne occuperemo di pro-
posilo. Per ora ci basterà il dirne solo l'argo-
mento. 1 primi selle volumi trattano della Divi-
nità della Religione e della Chiesa cattolica. Il
voi. Vili» è intitolato // Papa. 11 IX0 ha per ti-
tolo Il Papa e il Gallicanismo. Il X.° Cenni slo-
sopra punii sì svariati e sì importanti.
MANFREDINI GIUSEPPE M. — Meditazioni e divote pratiche in apparecchio alla
festa del sacro Cuore di Maria, proposte da Giuseppe M. Manfredini d. CL
586 BIBLIOGRAFIA
d. G. Terza edizione. Modena, tip. dell' Imm. Concezione, 1869. In 32 •
di pag. 127.
MARCHI ALBERTO — Duecento cartelline aritmetiche graduate, per lo insegna-
mento pratico delle quattro principali operazioni dell* aritmetica negli asili
d* infanzia, e nelle scuole elementari diurne e serali; compilate dall' arcidia-
cono Alberto Marchi, direttore degli asili infantili di Pescia; con 6 tavole
mnemoniche per l'addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione, com-
pilate dallo stesso X. Marchi. Pescia, tip. Vannini, 1870. 200 tavole mon-
tale in cartoncino della dimensione di cent. 15" per 11: e i tavole più gran-
di. Prezzo della collezione intera, sufficiente per una scuola, lire 6.50
franco per posta.
Queste tavole, utili per 1' insegnamento dei zione nei fanciulli, risparmia ai maestri quel-
fanciulli, fanno risparmiare mollo tempo ai mae- 1' improba fatica di rifar da sé l'opetazione ese-
slri ed agli scolari, facilitano l'intelligenza di gmta dallo scolare per correggerla, e gradua ac-
ciascuna operazione, giovano a destar lemula- cortamente l'istruzione degli alunni.
MARICOURT E. — Vivia perpetua, ossia i Martiri di Cartagine. Racconto sto-
rico di E. Maricourt. Versione italiana. Modena, tip. deirimm. Concezio-
ne, 1870. Due voi. in 16.° di pag. 197,176. Prezzo lire 2.
Nella Collezione di buoni Romanzi stampata se, sia pel fondo slesso del racconto, sia per lo
dal Casterman di Tournay v' è questo del eh. svolgimento, sia per lo stile. La traduzione che
E. Maricourt, intitolato Vivia oh les Martyrs de qui aanunziamo è fall* assai bene, ed emula la
Carthage: scritto con molto garbo in france- naturale semplicità dell'originale.
MAZZONI PACIFICI EMIDIO — Studio storico sulla successione legittima dal-
le XII tavole al codice civile italiano, per l'avvocato Emidio Pacifici Maz-
zoni. Memoria scritta per il concorso alla cattedra d'introduzione alle scien-
ze giuridiche e di storia del diritto nella 11. Università di Bologna. Volume
unico. Modena, Carlo Vincenzi, tip. editore 1870. Un volume in 8.° di
pag. VJII-rói.
Questo studio storico sulla saccessione legilti- dai principii a (il di logica; ma li subordina de-
ma, è un lavoro mollo notevole. Esso rappresenta tritamente, dando la preferenza al nesso razionale
coire in un gran quadro tutto il dritto delle sue- il nesso cronologico. Il filosofo non meno che il
cessioni legittime dalle XU tavole insino a nei, legisperito accoglieranno con plauso un lavoro
passando per le tre grandi epoehe, la romana, che sodisfarà, ne Siam certi, la speciale inclina-
la medievale e la moderna. Esso abbraccia al lem- zione di ciascuno: tanto è bene trattato e svolto
pò stesso i due svolgimenti: quello storico com- il non facile argomento,
provato dai documenti, quello razionale dedotto
MAZZ0TTA (P.) DI FILADELFIA — Faro segnato da Pio IX vicario di G. C, on-
de distinguere il naturalismo dal catlolicismo, pel professore in sacro drit-
to Padre Mazzolta del fu Gian Dome ùco di Filadelfia. Iloma, tip. delle
Belle Arti 18G9. Un voi. in 8.° di pag. 315. Prezzo lire 3, 30 franco per
posta.
11 eh. e dotto P. Mazzetta da Filadelfia così derna armano cinque insidiosi e potenti nemici;
lignifica lo scopo che esso si è proposto nel com- e al dritto della vita sociale non resti che il
porre e dare alia luce un'opera di Y> volumi, disarmarli, il coglierli nati* insussistenza e nel-
intitoliila: 11 Sillabo di Pio li e il Progresso l'assurdità. Fine di questo lavoro é dunque, mo-
de* liberalismo, di cui fa parte come primo vo- strare le •aatraddiitofti dal ti 'ns otaajM ehi <<>s!an-
lume (beuchè opera clic fu Mia da se un libro le ente combalte la vera filosofia della nunte e
compiuto) quello che abbiamo qui annunziato, dalla volontà tati ::r,Ma d«f panteismo
Egli dunque dice COSÌ: L'eresia odierna dun- che intense (rame contro Dio autore del calloli-
que è una sola, è la nes.'.zione del soprannatu- etano: le insussistenze del protestanti! o che cerca
rale; ma per attuarla in seno alla società mo- sommellere il catlolicismo allo spirito individuale:
BIBLIOGRAFIA
587
qui sopra indicato dall'aulore, giacché vi si scorge
che per salvarsi o dal raz onalismo, o dal pan-
teismo, o dall'indifferentismo, o dal naturalismo
bisogna che il cattolico si attenga tenacemente
al Sillabo di Pio IX. Per isvolgcre questo ampio
concetto l'autore si vale delle scienze filosofiche,
e teologiche, nelle quali è maestro: e con ottimo
ragionamento, senza molto occuparsi degli ador-
namenti o delle grazie dello stile, va dritto al
suo scopo, pensando più a persuadere che a di-
lettare.
gì* inganni della libertà di cullo, con i quali si
arrovella per dare morte alla vita della società
cattolica: e le incredibilità del naturalismo, per il
qua!- aspira all'emancipazione dell' uomo e del-
l' ornano consorzio da sud Creatore. Colali nemici
della venta giustamente furono condannati dal
Sillabo di Pio iX, e qui si schiudono, gli assur-
di pei quali doveano essere condannati. »
Que.-to volume percorre P uno dooo l'altro gli
ottanta articoli del Sillabo: e mostra per quali
ragioni ciascuno dovea essere condannalo. In
ognuna di quesle trattazioni svolgesi il concetto
MERÌGHI PIETRO — Il concilio di Berlicche sugli affari d'Italia. Poemetto in sei
canti del can. Pietro Merighi di Ferrara. Reggio-Emilia, tip. Degani e Na-
sini, 1870. In 16.° piccolo di pag. 55.
Il poemetto satirico del eh sig. Merighi qui
annunciato esce dalia solita cerchia delle cento
e mille poesie che si stampano ogni di in Ita-
lia. Ne esce per l'argomento suo del tutto ci-
vile : d'pignendovisi a vivi colori la condizio-
ne nostra presente. Ne esce per la facilità della
vena, che fluisce spontanea dal primo all'ultimo
verso. Ne esce pel garbo dello stile pioprio del
■ILONE CRISTOFORO — Gli atti ed il culto di san Vito martire, illustrati dal
sac. Cristoforo Milone. Napoli, uffizio delle lett. catt. 1870. Un voliti 16. e
di pag. 221.
genere satirico. Ne esce per la festività non isbri-
gliata della invenzione e por la finezza delle osser-
vazioni politiche. Quindi può dirsi uno dei buoni
e degli utili componimenti che meritino di esse-
re propagati : rendendo esso ugual servigio al
buon gusto letterario, ed al buon senso politico
del popolo.
B. Vito Martire ha culto affettuoso e solenne
nella Sicilia, nel Napoletano, in molte altre re-
gioni dell'Italia, nella Sassonia, nella Boemia,
nella Slavonia, e fino nella Pomerania : e non-
dimeno poco si conosce delle sue geste, e una
vita criticamente scritta, e al tempo stesso con-
tenente tulle le notizie che intorno al santo Mar-
lin | ssono raccogli* rsi, mancava alla storia sa-
cra. V ha ora scritta con buon intendimelo di
metodo, e con ottimo successo il eh. sac. Mi-
lone. Nella prima parte espone gli Atti di san
Vito Martire: nella seconda il Cullo. Comincia
la prima parte dallo stabilire l'unicità di san
Vito, discutendo e distruggendo le opposte, ben-
ché autorevoli opinioni; poi passa a provare
che la sua patria fu Salinunte : finalmente di-
mostra l'autorità dei suoi alti. Fin qui è discusion
di critica, aasai bene condotta. Segue poi la nar-
razione vera: la quale riesce tanto più importante,
quanto p u l'autore vi connette la storia dell'età
di S. Vito, e dà ragguaglio dei costami di quel-
P epoca. L' ultimo capo di questa prima parie è
tulio ili estetica: giacché ragiona del modo di figu-
rare il Santo Martire, e dei simboli o segni che
soglionsi o debb nsi porre accanto. Nella seconda
parte è più agevole la fatica: perchè trattasi di
falli non antichissimi, di monumenti descritti
chiaramente, o che facilmente possono conoscersi.
Tutto il lavoro è improntato di molta diligenza,
di molto criterio, e di buon gusto.
OLMI G. — I Cattolici nel cenacolo con Maria Vergine e con gli Apostoli in
aspettazione dello Spirito Santo ; per G. Olmi. Modena, tip. dell' Imm.
Concezione. In 16.° piccolo di pag. 72. Prezzo centesimi 20.
— 11 tabernacolo ossia l'anima cristiana che vive con Cristo nella SS. Eucari-
stia, per G. Olmi. Modena, tip. dell' Imm. Concezione, 1870. In 32.° di
pag. 128. Prezzo cent. 35.
Per ogni settimana dell'anno proponesi una
breve consideratone, alcune pratiche divote,
un' aspirazione, un motto eucaristico, e un bre-
vissimo cenno intorno a un Santo protettore. In
breve vi è in queslo caro libretto quanto può
giovare a mantenere l'anima fedele unita con
Gesù nel santissimo Sacramento dell'Altare.
La Manna dell' anima amante del sacro Cuor di Gesù. Brevi meditazioni per
tutti i giorni dell'anno, del sacerdote Gaspero Olmi, Voi. l.° e 2.° Mode-
88
BIBLIOGRAFIA
«o, tip. dell' Imm. Concezione, 1870. Due voi. in 3*2.° di pag. 38i, 384.
Prezzo L. 2. 20 franco per posta.
Talli gli scritli ascetici del eh. al>b. Olmi sono
altamente da pregiare: ma sopra lutti gli aliti
a noi piace quest » sua Manna. In essa egli offre
alle anime devote del sacro Cuore una medita-
zione per ogni dì dell'anno, aftinché non passi
giorno sen/.a un pensiero consecralo al S. Cuore
di Gesù, senza un allo di amore verso quel
S. Cuore. Le meditazioni le ha disposte nel modo
seguente che egli medesimo indica nella breve
introduzione: « Riguardo alle feste non mobili
te quali mi presentavano temi da sviluppare in-
torno al Cuor di Gesù, ho tenuto fermo il loro
giorno, cosicché non ti deve far meraviglia, se
talvolta trovi interrotta la linea regolare delle
meditazioni, lu quanto a tutto il reslo poi, dopo
aver presentalo a' miei lettori il Cuor di Gesù e
mostrala in molle maniere l'eccellenza e la ne-
cessità di tal devozione, ho aperto davanti a loro
questo preziosissimo erario, invitandoli a contem-
plare le meraviglie di questo Cuore nei diversi
stati della sua vila; cosicché tu puoi trovare in
queste meditazioni i! pascolo die vuoi, qualunque
sia lo spirito, col quale desideri avvicinarli a
quesla fontana di ogni grazia e di ogni bene-
dizione. » Così veramente tulli gli aspetti, sotto
cui puossi considerare il S. Cuore, vengono svolti:
e quanto intorno a questo fecondissimo argomento
può dirsi, trovasi qui riunito , sebbene con una
brevità e facilità grandissima, che aggiungono
pregio non piccolo al libro.
0L5II G. — V Anima in solitudine col Cuor SS. di Gesù e la B. Margherita Ala-
coque, del sacerdote Gaspero Olmi. Quarta edizione riveduta dall1 Autore.
Modena, tip. deWImm. Concezine. Un voi. in 16.° piccolo di pag. 192.
Prezzo centesimi 70.
-— V imitazione della beata Margherita M. Alacoque, proposta all'anima aman-
te del sacro Cuore di Gesù, da Gaspero Olmi. Modena, tip. dell' Imm. Con-
cezione, 1869. Un voi. in 32.° di pag. 206. Prezzo cent. 50.
Bel modo di allettare le giovanelte alla con-
siderazione dei proprii doveri, ed alla pratica
della virtù è l'adoperato dal eh. Olmi in questo
opuscolo. Egli pon loro innanzi la vila della
B. Margherita a piccioli tratti: e ad ogni tratto
fa le sue osservazioni, dà opportuni avvisi,
esorla, slimola, punge ancora con brio. Cosi
l'esempio scolpisce meglio le considerazioni, e la
lettura riesce più gradila e più acconcia alla
fantasia sì mobile delle fanciulle.
— L'orto mariano e L orto del mondo. Pensieri ed affetti per ogni giorno del
mese di Maggio, per G. Olmi, Modena, tip. deli' Imm. Concezione, 1869.
In 16.° piccolo di pag. 36. Prezzo centesimi 12.
— Quattro gemme preziose, offerte alla considerazione delle giovanelte, da G.
Olmi. Modena, tip. dell' Imm. Concezione, 1869. Un volumetto in 6i.° di
pag. 151. Prezzo cent. 60.
Le quattro gemme sono quattro opuscoli dif-
Jereuti riuniti in questo grazioso librettino: Le
comunioni spirituali. Perchè non volete medi-
lare. La modestia cristiana. Siale gslose del
vostro cuore. Vi si aggiugne in ultimo come
P. G. P. — Le veglie e pli amoreggi amenti. Letture di campagna. Torino, tip.
di G. Speirani e figli 1870. In 32.° di pag. 90.
P1NCELLI LUIGI — 11 vero cattolico, confermato nella verità e nella pratica
della fede. Nuovo manuale di pietà, per Luigi Pincelli d. C. d. G., seconda
ediz. con correzioni ed aggiunte dell'Autore. Modena, tip. dell' Imm. Con-
cezione editrice. Un voi. in 32.° di pag. 760.
appendice l'Alimento alla devozione del S. Cuore
di Gesù. Il eh. scrittore e nolo per la pietà e la
facilità dei suoi scrini asceti-i, che son sempre
accolti di tutti con grande flducia.
Allorché fu pubblicata la prima edizione di
questi) veramente, prezioso libretto, mostrammo il
desiderio che MM fosse ampiamente usalo dalla
gioventù. Siam dunque conienti di vedere così
presto fatta una seconda edizione. Essa però si
avvantaggia grandemente sulla prima: non tanto
perche l'edizione è mollo più elegante, quanto
perché i miglioramenti e le aggiunte fattevi
dall'. nitore sono tali e tante, che il libro si è
quasi raddoppiato, giacché da 470 pagine che
coniava prima, e giunto ora a 700. Il libro in
fonila tascabile, legato a nano mam. echino con
oro nel dorso, e impronta a secco, mandasi franco
per posla con sole lire 2, 45.
BIBLIOGRAFIA 589
PINCELLI LUIGI — La divozione a Gesù, Maria e Giuseppe, coltivata nel cuore
de' giovani, principalmente nel Marzo, Maggio e Giugno, con appendice di
documenti per chi finiti gli sludii entra nel mondo. Operetta compilata da
L. Pincelli d. C. d. G., seconda edizione. Modena, tipogr. edit. dell' Imm.
Concezione, 1870. Un voi. in 32.° grande di pag. VJ7M55.
— San Giuseppe patrono universale della gioventù cattolica. Riflessioni, esem-
pii e pratiche per ogni giorno del mese di Marzo, del p. Luigi Pincelli di C.
d. G. Terza edizione. Modena, tip. dell' Imm. Concezione, 1870. In 16.°
piccolo di pag. VJJ-120. Prezzo cent. 40.
POLI STINA TOMASO — L'accademia della gioventù cattolica napoletana, e
sua Eminenza Reverendissima Sisto Riario Sforza nel giorno 19 Apri-
le 1870. In 8.° di pag. 7.
POMPA RAFFAELE — I giorni della creazione. Letture istruttive ed educative
pei figli del popolo, del P. Raffaele Pompa. Eboli, tip. di F. Spara-
no, 1869. Un voi. in lb.°dipag. 198.
A prima vista sembra che in queste lettere debba idee, sempre conformi all' insegnamento cristiano,
trattarsi esclusivamente la tanto agitata questione e per la istruzione del popolo sufficienti. Cosic-
del senso che dee darsi alla parola giorno, ado- che per la varietà sua, questo libro di lettura
perata da Mosè per indicare i successivi spazii piacerà molto: e sarà utile per diffondere le pre-
della creazione. Ma questo non è che il tema di cipali cognizioni delle varie scienze. Ei sembra
una sola di esse; le ahre si occupano degli og- che il sig. Pompa sii* preparando una seconda
getti che in quei giorni furono creati, e ciò vuol edizione. Siamo certi che essa riuscirà più com-
dire che nelle ventisette lettore il eh. sig. Pompa piuta e più corretta sia nelle cose, sia nello
abbraccia ogni cosa, e parla un po' di tutto. Di stile,
ciascuno de' suoi svariati argomenti dà poche
— L'antinaturalismo o il materialismo moderno, disaminato e confutato nella
Zoologia. Dialoghi in dieci serate del prof. Raff. Pompa. Napoli, tip. di
L. Gargiulo 1869. Un voi. in 16.° di pag. 204.
E un breve corso di zoologia, per istruzione dei Vi sono esposte con molta chiarezza le notizie
giovani che non debbono applicarsi a questo sta- più importanti: e quello che vai moltissimo le
dio in particolare. Viene esposto sotto forma di teoriche cristiane che suppone o compruova, o
dialogo: e questo ne rende più amena la lettura, svolge sono di sana dottrina.
RENZONI GIUSEPPE MARIA — Il Luglio del 1870. Ragionamenti del sacerdote
Giuseppe Maria Renzoni, a vergogna degli spurii figli d'Italia, insultanti le
sacre immagini della Madre di Do e Madre degli uomini, nella città di Ve-
nezia e Lugo. Roma, tip. Sinimberghi 1870. In 16.° di pag. 30.
RISI FRANCESCO — De baptismo parvulorum in primitiva Ecclesia ; Disserta-
tio theologico-historico-critica P. Francisci Risi, CG. RR. Infirmis Miuistran-
tium. Romae, ex typ. 1. Via, 1870. In 8.° di pag. 147. Prezzo lire 3.
Questa che il eh. prof. P. Risi chiama Disser- che, ne pesa le ragioni, ne mostra secondo i
tazioneé propriamente una Monografia che esau- Padri l'insussistenza, e fa toccar con mano quale
risce la qaistione, e che possiamo proporre a' gio- sia sialo sempre l'uso e lo spirito della Chiesa.
vani teologi per molello come trattare a fondo Questa dotta monografia si legge assai volen-
una questione teologica istorica e critica. Resta- tieri, sì perchè il lettore sente di apprendere da
va ancor qualche nebbia sulia pretesa consue- uno che possiede la materia da maestro, ma pure
tudine della Chiesa primitiva di differire più scrive con modestia senza darsi aria e autorità
volentieri il battesimo all'età adulta per pru- di maestro; si perche la materia è disposta con
denti ragioni di disciplina. Ora il P. Risi di- grande ordine e trattata con eleganza e con gra-
moslra ad evidenza dalle testimonianze de' Padri zia; e sì finalmente perchè vi è detto tutto ciò
dei primi secoli e dai monumenti dell'antichità che si richiede e non più; senza lunghezza o
cristiana che il differire il battesimo all'età adulta brevità; senza ripetizioni o episodii; sicché il let-
non è stalo mai consuetudine della Chiesa, ma tore dopo lette tutte le 147 pagine senza sa-
abuso sol di privali; ne addita le origini istori- zietà rimati soddisfatto.
590
BIBLIOGRAFIA
ROMANO ANTONIO — Soluzione del problema sul moto perpetuo o continuato,
ossia disposizione meccanica sul nuovo sistema della leva per avere forza
e velocità, lavoro importante del modo d'ottenere una forza motrice per-
manente, di Antonio Romano da Como, con tavole litografiche. Como, coi
tipi di C. Franchi 1809. In 16.° dipag. X - 30.
— Esposizione di quattro nuove scoperte. 11 moto perpetuo o continuato per
quattro leggi e per due sistemi diversi, sviluppo della circonferenza al dia-
metro meccanicamente d'una data ruota; Attrazione di forza dei corpi scen-
denti sui piani inclinati; L'acqua rotante su d'un asse ovale, costituita in
un molino continuato; La luce perpetua appoggiala sul moto continuato;
Nuovo sistema di equilibrio sulle bilancie; La quadratura del circolo dimo-
strato a rigore di leggi naturali, per Antonio Romano di Como. Con tavole
litografiche. Como, dalla tip. di Carlo Franchi 1870. In 16.° dipag. 41.
11 modo onde 1' autore scioglie il problema è Varia l'autore in più guise il congegno: ma sem-
pre il principio a cui ricorre è queslo da noi an-
nunziato. Veggano i matematici se le teoriche del
eh. sig. Romano reggano innanzi ai primipii della
scienza: e mollo più veggano i meccanici se pas-
sando dalla teoria al fatto non si trovi sfumato
tutto il vantaggio, siccome noi crediamo che
possa accadere, d.igli attriti e dalla resistenza del
congegno slesso. Noi ci passiamo d'ogni giudi-
zio: ed abbiam solo voluto annunziar l'idea, per-
che può essere utile in qualche caso; se non a da-
re il moto perpetuo, almeno ad aiutare qualche
altro meccanismo.
questo. Un peso che scendesse con maggior forza
di quello che salisce, e che potesse effettivamente
alternare di continuo le sue discese e salite, la-
scerebbe ad ogni ritorno un eccesso di forza, che
può utilizzarsi. Questo salire e scendere è conge-
gnato per via di ruote, il cui diverso raggio e
diverso punto di rotazione permettano a un si-
stema di pi.le di trovarsi all' estremità di leve
e di lunghezza differente: cosicché quelle che
scendono siando a una maggior distanza dal ful-
cro, possono non solo equilibrare, ma vincere lo
sforzo di quelle che montano, e così lasciare un
residuo di forza non elisa da veruna resistenza.
SANES1 RANIERI — La buona Maria, ossia la donna educata a vera pietà dal cul-
to cattolico. Racconto, dell'abate Ranieri Sanesi. Torino, tip. dell'orato-
rio di S. Frane, di Sales 1870. Un voi. in 32.° di pag. 320. Prezzo lira 1.
Questa è una seconda edizione d' un' operetta
pregevolissima, premiata fin dal 1854 dalla So-
cietà toscana per la diffusione dei buoni libri,
e lodala assai da tutta la stampa cattolica, e della
quale noi pure parlammo con motto elogio allor-
ché Uscì alla luce. Essa e in sostanza la spiega-
SARRA DOMENICO —Vita del ven. card. Cesare Baronio, scritta dall'ab. Dome-
nico Sarra, eh. benefiziato del. a basilica di S. Pietro in Vaticano, e Retto-
re del Seminario di detta basilica. Roma, tip. Aureli e C. 1862. Un voi.
in 8.° di pag. 190.
zione popolare delle principali cerimonie del rito
cattolico: ravvivata dall'innesto fattone con molto
garbo in un semplice raccon'o edificante. Ora si
ristampa con i' utile Rimila sul modo migliore di
assistere alla santa Messa.
gl'ore rapidiià di stile, e più compiuto del se-
condo per maggiore abbondanza di materie. Que-
sta nuova Vita del Baronio adunque sarà gra-
dita e vantaggiosa a ogni sorta di persone ec-
clesiasiiche, ricordando novamente e con più
luminosi maniera gli esempii di un così illustre
personaggio.
11 Bernabei più dist» samenle in latino, e il
Tuzii più compendiosameiiie in italiano riferiro-
no la storia della vita di] e e le lire Card. Baro-
nio, lume splendidissimo di virtù e di sapere.
Sulle loro orme ha scrino ora il eli. abb. Sarra,
tenendosi in neuO fra Imo due: poiché mentre
arricchisce di nuove notizie quanto essi riferi-
scono, riesce meri voluminoso del primo per mag-
SCARP1N1 AMBROSIO — I titoli di ordinazione con riguardo alle leggi 7 Lu-
glio 1866 e 15 Agosto 1867. Memoria dell'avvocato Ambrogio Scarpini.
Crema 1870, tip. Campanini. In 8.° di pag. 40.
Importantissimo argomento vien trattalo nella guarda i titoli di ordinazione, relativamente alle
dotta desolazione del eh. avv. Scarpini. Es60 ri- leggi nuove doti' Italia. Quattro quesiti si fa
BIBLIOGRAFIA 591
l'autore, che noi qui riportiamo, aggiugucnJo la rentliu pubblica pei beni stabiliti che li orsi tui-
risposta, che dopo la più severa discussione le- sconti? Risposta: I titoli di Wdijùxkne puri e
-so dà a ciascuuo. I.° Quesito. Sono sop- semplici non vi seno inai soggetti.: i B niflcii
pressi i Titoli di ordinazione puri e semplici? Ri- Titoli vi sono soggetti alla morte degP invititi,
sposta: No. — li.» Qui ito. Sono soppiessi i titoli o alla c^sa/.ione del Beneficio. — IV.0 Quesito. È
che si costituirono mediante I* investitura di un applicabile a questi titoli la tassa del 30 per %?
qualche Beneficio? Risposta: No, lino alla morte Risposta: Assolutamente No, pei titoli di ordi-
del .«Mceruote che ne e investito, o alla cessano- nazione puri e semplici; e No eziandio tinche i
ne in lai dei Benefìcio stosso. — III.» Quesito. So- Beneficai tengon luogo di Titoli di ordinazione,
no sogg.-tli questi due titoli alla conversione in
SCHIAVI L0REKZ0 — Manuale didattico-storico della letteratura italiana, con
annessi saggi di scelti autori, per esercizio della scolaresca. Testo ad uso
delle classi ginnasiali superiori e d'altre scuole, compilato dalFab. Lorenzo
Schiavi, socio corrispondente dell'accademia Raffaello d'Urbino, ecc. ecc.
Trieste, tip. delLloyd Austriaco 1870. Un volume in 8.° di pag. 202.
Prezzo lire 2, SO.
Ottimo libro è questo dei eh. ab. Schiavi, che lunque di componimento, e poi discende a dire
può servirò a un tempo e per corso di storia let- di quelli che vi si sono più segnalati, narrando
tararla, e per corso di Estetica italiana. Giacché di loro e delle loro opere le principali vicende e
l'autore prima paria in genere d'ima specie qua- qualità, e riportandone lunghi tratti per esempio.
SILiPìGNI GIUSEPPE — Pr. loseplii Silipigni, in R. Neapolis universitate
s. theologia dogmatica approbati ac flonmontanae vibonensis socii. De re
iiteraria Specimen. JSeapoli, typis S. deLellalfKQ. In 8.° di pag. 23.
SPINOLA FABIO AMBROSIO — Vita del B. Carlo Spinola, martire della Compa-
gnia di Gesù, scritta dal P. Fabio Ambrogio Spinola, della medesima Com-
pagnia. Novissima edizione corretta ed accresciuta. Roma, coi tipi della
Civiltà Cattolica 1869. Un voi. in 16.° di pag. 248. Prezzo lir. 1. 70.
Vendesi in Roma neW Ufficio della Civiltà Cattolica, e nella tipografia di
Propaganda.
U P. Fabio Ambrogio Spinola descrisse con traile dagli originali che conservare nell'Archivio
aurea semplicità e con molto naturale eleganza del Gesù in Roma. In fine alla vita, oltre i mi-
la vita del B. Carlo Spinola, Martire della Coni- racoli operati da Dio a intercessione del suo
pagnia di Gesù. Questa vita esce ora alla luce Servo, e agli atti della Beatificazione il P. Boe-
ampliala di molto per opera del eh. agiografo, ro ha aggiunto alcune notizie degli altri martiri
il P. Giu-eppe Boero. Egli inserisce, sulle trac- che insieme col B. Carlo e nel medesimo giorno
«e del primo autore, nuove lettere del B. Carlo, confermarono colla vita la loro fede.
TAVANI II. — San Luigi Gonzaga della Compagnia di Gesù, esemplare e protet-
tore della gioventù studiosa, per IL Tavani, della stessa Compagnia. 3a edi-
zioneriveduta dall'autore. Modena, tip. deWImm. Concezione 1870. Un
voi. in 32.* dipag.%20.
T. B. C. I. — Isabellina Maria da Rubiera, rammemorata ad esempio di virtù
da T. B. C. I. Breve memoria intorno a Teresa Ricci. Modena, tipi dell'Im-
macolata Concezione 1870. Un voi. in 32.° di pag. 256.
TEXIER P. CLAUDIO — Saggio di traduzione delle opere del P. Claudio Texier
d. C. d G. per un sacerdote lombardo. Reggio [Emilia), tip. Bondavallì
e compagni 1868. In 8.° di pag. 87. Prezzo lire 0. 75.
Il p. Claudio Texier d. C. d. G. uomo quanto na, e ne dà ora un saggio in sei orazioni che
zelanti- altrettanto dotto, fu predicatore insigne il pubblica. La versione assai ben fatta sarà certo
Francia, lasciò stampiti! più di treccino fra Pre- accolta favorevolmente dal pubblico, e ci dà luo-
diche, Panegirici, Spiegazioni, Meditazoni, Di- go a sperare che tutte le opere del Texier po-
scorsi morali e via dicendo. Tulli sono pregevo- Iranno essere lette e gustate dagl'Italiani fra non
li per dottrina e par eloquenza. Il sacerdote lom- mollo tempo,
bardo C. L. ne ha cominciata la versione Italia-
592 BIBLIOGRAFIA
TRASMONDO-FRANGIPÀNI CAMILLO — De Frangi panibus ill\ ricis eorumque con-
sanguineis; commentarium anctore dyriàstó Camillo Trasmunde-Vrangipane,
ex ducibus Mirabelli. Romae, typis Civilitatis Cath. 1870. 7?i8.° clip. 51.
L'illustre famiglia dei Frangipani discenderne sii Duchi di Mirabella hanno tulli i dritti che alla
dalla antichissima stirpe romana degli Anicii, da discendenza dei Frangipani sarebbero «petlati.Que-
Roma ove dimorava slanziossi in Venezia. Di quivi sto è l'argomento del Commentario qui sopra an-
trasferissi nell'Illirico e nella Croazia, ove gode- nunziato, composto dal eh. Bar. Camillo Tras-
rono molti e nobili feudi. Estinti i Frangipani mondo-Frangpani dei duchi di Mirabella, sopra
ebbero per eredi i Duchi di Mirabella, provenienti i documenti più autentici, e con copia grande di
da Girolamo Gregorio Terzaz, uuo dei Frangipani notizie domestiche, e scritto in elegante stile la-
illirici ; siccome fu da sentenza del 1052 solen- tino, che all'ordine del discorso aggiugne ehia-
nemente giudicato. I discendenti adunque di que- rezza e maestà.
TRIPEPI LUIGI — Religio. Carmina Aloisii Tripepii, in litterariis Urbis coeti-
bus recitata, Romae, ex typ. Bonarum artium 1870. In 8.° di p. 189.
Molle volte dovemmo nei nostri quaderni en- per le poesie latine contenute nel presente volume,
eo.niare i lavori letlerarii del eh. mons. Tripepi, Esse sono di buona tempera, sì pel concetto poe-
che alla fecondità dell' ingegno accoppia coltura lieo di ciascun componimento, sì per lo stile
non volgare. Aggiugniamo ora una nuova lode non solamente corretto, ma eziandio elegante.
VARII AUTORI — Alla tomba del cavaliere Ferdinando de Luca. Omaggio di
parenti ed amici. Napoli, tip. di A. Trani 1870. in 8.° dì p. 128.
• Ferdinando De Luca fu una gloria del F.egno di composti e pubblicati. Le consolazioni de/la re-
IS'apoli per l'eminente sua scienza nella geogra- ligione cattolica, alla quale fu sempre ossequio-
fla, nella matematica, nella fìsica, non che in al- so, confortarono gli ultimi suoi momenti. Tri-
tri svariati rami dell* umano supere. Ebbe lun- buio a sì cara memoria offrono gli amici e con-
ghissima vita di 87 anni, sempre laboriosa o in- giunti suoi in questo libro, che sarà vero mo-
segnando, o scrivendo, o consigliando. Uà la- numento di gloria per i suoi concittadini,
sciato una dovizia di libri assai pregevoli da lui
VECCHIOTTI GIAMBATTISTA — Dell'educazione del cuore. Discorso del dott.
Giambattista Vecchiotti, membro del consiglio scolastico provinciale di
Pesaro e delegato scolastico del mandamento di Urbino. Urbino, tip. del
Me lauro 1870. In 8.° di pag. 43.
VENTURI LUIGI — Per F8.0 Decembre 1869 solenneggiato in S. Eufrasia di Pi-
sa, versi allo Spirito consolatore e a Maria Immacolata. Pisa, tip. di hit.
cali. 1869. /« 16.° di pag. 15.
VITELLESCH1 DEGLI AZZI IGNAZIO — Vero concetto del sacro Cuore di Gesù,
dimostrato, in omaggio al Concilio ecumenico vaticano, dal marchese Igna-
zio Vitelleschi degli Azzi, patrizio folignate e romano. Roma, tip. Palot
fa 1870. In 8.° di pag. 27.
Nella speranza che per opera del Concilio va- discorso a mostrare l'istituzione della devozione
ticano si accresca il cullo del divin Cuore, il al sacro Cuor di Gesù qual compimento delle
marchese Vitelleschi pubblica questo splendido opere fatte da Cristo a benefìcio degli uomini.
ZANNINI ANTONIO — Rime dell'arciprete Antonio Zannini, vicario foraneo nel-
la collegiata chiesa di Pieve di Cento, seguite da una centuria d1 iscrizioni
italiane. Bologna, società tip. dei Compositori 1870. In 8.° di p. 356.
Il eh. Arciprete Zinnini è as«ai colto scrittore, sunasorle. V'ha tra queste rime dei componimenti
Le sue poesie sono ben pensato, bene svolte, ben veramente belli : e come tali citeremo i quindici
corrette. Qnella facilità, che a prima vista sem- sonetti in lode della B. Vergine. Le cento iscri-
bra così naturale, è pur frutto di slud o e di lima zioni che leggonsi in fine sono pregevoli molto:
non picciola! La scuola c.ii appartiene lo Zan- e care specialmente quelle non poche, scolpite so-
nini, è la classica scuola italiana; ed il suo gu- pra urne funerarie di fanciulli e fanciulle,
sto è buono, perche senza esaggerazione di nes-
COSE SPETTANTI AL CONCILIO
I.
RIVISTA BIBLIOGRAFICA
1. Alcuni cattivi opuscoli tedeschi.
1. Papsthum and Concil. Antwort auf die 21 Canones als Mahnruf
an des deufsche Volk zur AbschiUtlung des Joches Rómischer Herrsch-und
Habsucht. Leipzig, Verlag von Otto Wigand,1870. (Papato e Concilio.)
In 16.° di pag. 72.
Questo libercolo è un ardente appello alla rivolta contro la Chiesa.
Concetti e stile sono tutti appropriati a quella maniera di scritture, in
cui Podio, il furore e la calunnia dominano da un capo all'altro. La pas-
sionata cecità dell'Autore anonimo non incrudelisce solamente colla sto-
ria, ma ancora col buon senso. Figuratevi, che egli afferma essersi di-
vietato da' Romani Pontefici (ino al 1825 da Papa Leone XII l'innesto
del vaiuolo, siccome cosa empia (gottlos), e dai predecessori di Papa
Pio IX essersi messe al bando le ferrovie, siccome opera diabolica.
Quando uno scrittore sdogana simili corbellerie per cieco furore di par-
te, merita di essere compatito qual pazzo, anziché confutato qual ra-
gionatore.
2. Die Unfehlbarkeit des Papstes in Widerspruche rnit 1800 jàhrigen
Erfahrung der Kirche, der Yernunft, and dem sittlichen Gefuhle desMen-
schen von einen kalh. Geist lichen. Speyer, Drack and Verlag von G. L.
Laug. (La infallibilità del Papa in opposizione alla pratica della Chiesa
di 1800 anni, alla ragione ed al sentimento morale dell' uomo, per un
prete cattolico.) In 12.° di pag. 23.
Il presente libretlucciaccio è tutto sul taglio dell'antecedente. Quello
che spicca meglio e la calunnia, la ignoranza nelle cose di religione, la
ipocrisia con che l'autore anonimo si spaccia prete cattolico. La profes-
sione di eguale tolleranza verso i principii religiosi di qual che siasi cre-
denza, il disprezzo delle definizioni dommatiche, come di cose inutili,
ed il gridare da forsennato alle crudeltà della Chiesa, dicono alto che il
libercolaccio è roba massonica , tale essendo il linguaggio usato dai
massoni.
Serie VII, voi. XI, fase. 491. 38 26 Agosto 1870.
594 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
3. Die Unfehlbarkcitsfrage. E ine Bcleuclilung dcr in der « Bres'auer
Haushlatlcrn » cnthaliencn Glcsscn suri Manifest Dollingers in dcr Unfehì-
barkeitsfrage, und den Zusnmmungsadressen deutscher Gelehrter. Eres-
iati, Verlag von Joseph Max et Konip. 1870. (La quistione della infalli-
bilità. Uno schiarimento delle chiose contenute nei « Fogli di famiglia di
Breslavia » circa il manifesto del Dòllinger ecc.) In 16/ di pag. 36.
L'autore di questo libro è un curato. Se sia stato o no discepolo del
Dòllinger non consta. Il certo si è, che egli vedendolo combattuto nel suo
Manifesto e con lui i professori partigiani, si sentì rimescolare il sangue,
ed entrato in lizza volle rompere una lancia in lor favore. Per lui i di-
fensori della infallibilità sono uomini passionati, ingiusti aggressori,
lasciatisi trasportare dall1 astio ad assalti personali. E questo perchè?
Per una quistione, che esaminata intrinsecamente ed estrinsecamente
appare di niun prò a segno da recar maraviglia il veder uomini, a cui
sta a cuore il bene e il male della Chiesa, accendersi cotanto. E contro
chi? Contro un Dòllinger, contro uomini che fedeli a un loro convinci-
mento si mostrano tali con indirizzi di adesione. Dalle querele venuto
al punto della difesa i suoi colpi riescono di si poco valore, che le chio-
se da lui volute confutare appaiono la parte più bella del suo scritto.
Ora poi, che il Concilio ha giudicato altrimenti circa la quistione della
infallibilità, non dubitiamo, che il buon curato non abbia smesso le sue
opinioni favorevoli al Dòllinger ed ai suoi discepoli.
i. Schrìft und Tradition. Bine Widertegung der ròmischrn Leìire vom
unfehibaren Lehramte und der rbmischen Einwiirfe gegen das evangeli-
scìie Schriftprincip, mit besondercr Beziehung auf die Scrift drs Frei-
herm von Ketteler, Biscìiofs vonMainz: « Das allgemeine Concil und
seine Bedeatung far unscre Zeit » ven August Wilhelm Dieckhoff, Doclor
und Professor dcr TJieologie zuRostock. Rostock, und Malchin, Stillersche
Hofbuchandlung (Hermann Schmidt) 1870. (Scrittura e Tradizione. Una
confutazione della dottrina romana circa il magistero infallibile, e delle
romanesche obbiezioni contro il principio evangelico della Scrittura ecc.)
In 16/ di pag. 170.
Monsignore di Ketteler Vescovo di Magonzanel suo bel libro: « 11 Con-
cilio ecumenico ed il suo significato pel nostro tempo », avendo provato
F infallibile magistero della Chiesa contro il principio protestanlico, che
riduce tutta la dottrina di Gesù Cristo alla privata intelligenza della Scrit-
tura; il professore di telogia protestantica a Rostock sorge collo scritto
annunziato a difendere il principio della propria setta, studiandosi di ab-
battere in pari tempo quello della Chiesa cattolica. Egli adunque non as-
salta di fronte il Concilio, ma il principio di autorità su cui appo -
la credenza cattolica, e donde traggono per conseguenza tutta la loro
forza le definizioni dommatiche del Concilio. Il principio luterano, chela
sola Scritturi, basti di per se al cristiano, che essa sola delibasi pigliare
a maestra e duce, che sia cosa aperta a tutte le intelligenze si, che non
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 595
occorra alcuna autorità, che ne suggelli il vero significato, è cosa vinta
con argomenti irrepugnabili fin da quando fu messo in corso dal suo
autore, e non v'ha corso di teologia, in cui non venga coi medesimi con-
futato. Onde il trattenerci nel dimostrare quanto malamente venga pro-
pugnato dal professore DieckholT contro gli argomenti del Vescovo di
Magonza e in danno dell'autorità infallibile del Concilio, sarebbe tempo
gittato.
5. Schivi eri g keiten der Lehre con des papstlichen Unfelbarkeit, und
ihre Lósung durch die modernm Infallibilisten. Von einen Priester der
Diocese Padérborn. Miinster, E. C. Bruns Verlag, 1870. (Difficoltà cir-
ca la dottrina della infallibilità pontificia e la loro soluzione per i moder-
ni infallibilisti.) In 16.° di pag. 43.
Porre nel miglior lume possibile le difficoltà che occorrono contro il
domma delia infallibilità pontificia, e dimostrare la debolezza delle rispo-
ste è il primo scopo dell1 autore di questo opuscolo. Trattandosi qui di
pesare il valore delle ragioni di due parti opponentisi, ognun vede,
che vi bisognava un1 animo puro di qualunque amore di parte affine
di sentenziare prò o contro Tuna di esse equamente. 11 prete anonimo
non trovandosi, come rilevasi da tutto lo scritto, in tale condizione, qual
meraviglia del suo torto giudizio? Di qui il seguire, che egli fa ad occhi
chiusi il Dollinger ed i suoi discepoli professori e il dare in quelli erro-
ri, in che essi sventuratamente hanno inciampato. Contentiamoci di se-
gnalarne due. Il primo si è d: porre l'occhio nelle difficoltà e queste ma-
gnificare, senza curar punto la dimostrazione che la infallibilità pontificia
è una credenza rivelata. Donde il prete anonimo argomenta malamente
così : le difficoltà, che si oppongono alla infallibilità pontificia sono gra-
vi e per niun conto risolute dai difensori della medesima; dunque non
esiste un tal privilegio : neghiamo, che non siano sciolte per lo meno
sufficientemente. Pognamo che per l'anonimo la soluzione non tocchi
l'alto grado della evidenza, si dovrà per questo negarla? In questo caso
quale credenza cattolica rimarrebbe intatta? Sfidiamo a trovarne una,
contro la quale non siano state opposte gagliarde difficoltà e di più for-
te tempera che non mostrano quelle da lui raccozzate contro la infallibi-
lità pontificia. Le difficoltà non distruggono il fatto. Dalla scrittura e
dalla tradizione è dimostrato, che la infallibilità pontificia è cosa rivela-
ta; e però, valendo il detto che contro, factum non valet argumentum,
niuna obbiezione potrà mai distruggere questo fatto. Qui sta il vero
punto della difficoltà.
I discepoli del Dollinger, da cui il prete anonimo trae i suoi argo-
menti, negano la rivelazione di un tal fatto. « Gl'infallibilisti, essi dico-
no, fanno incetta di testimonianze dei Padri, nelle quali viene indicato
comecchesia il privilegio della infallibilità ne1 Papi, gì1 interpretano nel
loro senso, celano la possibilità di un altro significalo, ed ignorano del
tutto i luoghi contrarii (pag. o). » E qui ridendosi di questo metodo
596 COSE SPETTASTI AL CONCILIO
senza critica, proprio, loro mercè, dei gesuiti, e sciorinando tuttala
loro erudizione patristica, conchiudono che per esso potrebbonsi de-
durre stranissime cose dalla tradizione, a mo' di esempio, che l'Arci-
vescovo di Alessandria ha il primato sopra tutta la Chiesa colla giunta
della infallibilità nelle cose della fede, e che S. Paolo fu eguale, se non
superiore, a S. Pietro in dignità. Così ragionano i discepoli del Dòllin-
ger senza farsi coscienza del fatto calunnioso, che mettono a carico di
quelli che difendono la infallibilità. Ma senza prò: giacche cotesti gran-
di maestri di critica, commettono quel reato di che accusano gl'iiil'alli-
bilisti; e ciò nell'atto stesso dell1 accusa !
E in vero la prima colpa, che appongono, si è, che il metodo degli
infallibilisti è illogico: ebbene in questa colpa cadono eglino stessi. Ve-
detelo nel primo esempio succitato. S. Gregorio Nazianzeno, essi dico-
no, dà a S. Atanasio, Arcivescovo di Alessandria, il titolo di primo dei
sacerdoti, di colonna della fede, di norma della retta credenza : dunque
l'Arcivescovo di Alessandria, stando al metodo degl' infallibilisti , do-
vrebbe dirsi primate ed infallibile al paro del Papa. — Vana deduzio-
ne. Essa è illogica in sé: giacché attribuiscono inerente alla successione
nella cattedra alessandrina quello che S. Gregorio Nazianzeuo predica
di S. Atanasio, siccome proprio delle sue virtù personali , mutando nel-
la conseguenza il soggetto dell'antecedente contro la legge della logica.
È anche illogica nell'applicazione: perchè gl'infallibilisti pongono il pri-
mato e l'infallibilità nel Papa, in quanto le qualifiche date dai Padri ai
Papi sono fondate su le promesse di Cristo, e non su i pregi personali.
La mancanza dì critica nel considerare le relazioni) che le testimo-
nianze arrecate hanno col contesto, è la seconda colpa, di che gli avver-
sarli ci accusano, e di questa si fanno rei eglino stessi. S. Giovanni Cri-
sostomo nel Commentario della epistola ai Galati, dice S. Paolo pari in
onore a Pietro: dunque, conchiudono, stando al metodo degli infallibili-
sti, la Chiesa avrebbe avuto da principio due capi. Ebbene, leggete per
disteso il tratto del Grisostomo e troverete 1." che il senso di quel pari
in onore si riferisce non al primato, ma all' onore. di essere stali tutti e
due istruiti dalla bocca del Redentore nelle cose della fede: 2.° che lo
stesso santo Dottore indica apertamente il sovraeminente primato di san
Pietro sopra tutta la Chiesa, osservando, come S. Paolo si portò a Ge-
rusalemme non per vedere semplicemente Pietro ( £«w ), ma sì per ve-
derlo e conoscerlo ( loropraat ) parlandone a modo di quelli, che visitano
le grandi e splendide città, adeo , conchiude, iudicabal operae predimi
esse tanlummodo ridere virum. Chi non vede in questo la cosa straor-
dinaria che dovea esser Pietro dinanzi agli occhi di Paolo secondo il sen-
timento del Grisostomo? Non sono dunque illogici nel loro metodo gli
infallibilisti, ma i seguaci del Dollinger: non mancano di critica i difen-
sori della infallibilità, ma sì gli oppositori e con essi il prete anonimo,
che se ne fece cieco discepolo.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 597
II. Due risposte a due libelli.
1. Le suffragiorum phir alitate in Conciliis gcneralibus contro, L'una-
nimi té dans les Conciles cecuméniques, per Iosepiujm Pennacchi, in Ro-
mana stucliorum Unicersitate Uistoriae ecclesiasticae professorem substi-
tutum. Romae, typis Iosephi Gentili 1870. In 8.° di pag. 28.
L'ultimo rifugio, a cui, com'è noto, ebbe ricorso il partito contrario
alla Infallibilità pontificia per impedirne la solenne proclamazione nel
Concilio Vaticano, fu di promuovere per mezzo di giornali e di libercoli
una dottrina, quanto nuova altrettanto assurda, vale a dire cbe per le
definizioni dogmatiche ne'Concilii generali fosse necessaria la concorren-
za di tutti o quasi tutti i suffragi de Padri. Imperocché trovandosi nel
Concilio Vaticano un numero alquanto considerevole di Vescovi, i quali
ripugnavano a quella definizione, tostochè si fosse provata necessaria la
unanimità almeno morale delle sentenze, pe'decreti dommatici, una tale
definizione diventava impossibile. Fra le molte e trionfali risposte, che
furono rese e dagli stessi Padri vaticani e da altri teologi a così strana
pretensione, occupa un luogo onorato questa del eh. Professore Pennac-
chi, di cui demmo solo un cenno nel passato quaderno, diretta princi-
palmente a confutare un opuscolo scritto in francese sul detto argomen-
to, e che fu molto propagato in Roma stessa nel mese di Aprile.
L'illustre Autore esamina da prima la quistione secondo il lato dom-
matico. Conceduto pertanto che l'oppositore avea messo per fondamen-
to alla sua tesi, che cioè la Chiesa non può elevare a domma se non
quelle verità, le quali trovano contenute nel deposito di detta Rivela-
zione, gli nega recisamente la conseguenza , che per conoscere con cer-
tezza così fatta verità sia necessaria la unanime testimonianza di tutte o
quasi tutte le chiese, di tutti o quasi tutti i Vescovi. Perocché, comedi-
mostra con invitti argomenti, dedotti dalla ragione teologica, dalle sen-
tenze de' santi Padri, e dalla storia, può accadere benissimo, che in mol-
te chiese alcune dottrine rivelate siensi oscurate; e può accadere altresì,
com'è accaduto pur troppo anche nel Concilio Vaticano , che le testimo-
nianze di alcuni Vescovi sieno difformi dalle testimonianze delle loro
chiese. Onde conchiude, che la differenza de'suffragi ne'concilii non è
argomento per inferirne, che la sentenza dei più è falsa, ovvero incerta,
ma solo che alcuni si possono ingannare , o rimanere dubbii intorno a
qualche verità che è con sufficiente chiarezza compresa nelle scritture e
nella tradizione; e per conseguenza che per definire cotali verità come
domini di fede non è punto necessaria la unanimità neppur morale delle
singole chiese e molto meno deYingoli Vescovi. La qual dottrina l'au-
tore ribadisce con un esame breve ma assai convincente di tutto il con-
testo del celebre Commonitorio di S. Vincenzo lirinese, di cui un picciol
brano, moralmente stralciato, fu la più possente arma degli avversarli.
098 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
La seconda parte dell'opuscolo si versa intorno alla quistione storica,
che il dotto Professore anzi tutto cerca di stabilire nel suo vero stato.
Questo non è propriamente il latto; vale a dire, se nelle definizioni
dommatiche degassati Concilii abbia sempre avuto luogo la unanimità
almeno morale de1 suffragi; ma il diritto: vale a dire, se ne' passali Con-
cilii si è giudicata necessaria pei decreti di tal genere una siffatta una-
nimità. Quanto alla semplice q istione di fattovi ha non pochi csempii
di definizioni dommatiche, conchiuse colla sola maggioranza. Per rispet-
to poi alla quistione di dritto, l'Autore dimostra co'documenti de primi
Concilii la persuasione certissima che era in tutti, che non fosse necess-
aria la morale unanimità pei decreti di fede. Imperciocché si osserva
costantemente che le minoranze ostinate ne1 loro errori, o non prende-
vano parte ne1 Concilii , ovvero se v'intervenivano, erano solite d'as-
sentarsene prima dell'ultima votazione. 11 che non avrebbero mai fatto,
se avessero potuto supporre che la loro contraddizzione ne' Concilii
avrebbe la virtù d'impedire la decisione della maggioranza.
Questa è la sostanza dell'opuscolo del eh. prof. Pennacchi, che noi
appena abbiamo potuto adombrare. Se esso è stato pubblicato dopo la
solenne definizione della Infallibilità pontificia, ciò non fu dipendente
dalla volontà dell'Autore, il quale avealo preparato alcun tempo innan-
zi. Intanto la tesi sostenuta da lui, e da quanti in quella controversia
non si lasciarono governare dalla passione o da ragioni di partito, ha a-
vuto una irrefragabile conferma non solo dalla maggioranza del Conci-
lio vaticano con a capo il sovrano Pontefice, ma dalla stessa minoranza.
L'ha avuto dalla maggioranza; perchè questa, malgrado la contraddi-
zione degli 88 Padri, quanti nell'ultima Congregazione generale si erano
dichiarati contrarii al decreto, era disposta a procedere all'ultima defi-
nizione solenne. E l'ha avuto dalla stessa minoranza, perchè de'contrad-
dittori dell'ultima Congregaz:one quei che persistettero nella opposizione
credettero bene non intervenire alla pubblica sessione. Or se essi fosse-
ro stati persuasi, che al valore de' decreti dommatici fosse necessaria la
morale unanimità de' Padri presenti nel Concilio, non avrebbero certo
abbandonato il campo nel meglio per dar valore a quella definizione fino
allora impugnata.
2. Esame critico dell'opuscolo a L'ultima ora del Concilio ». Firen-
ze 1870.
L'anonimo autore di questo critico esame, indegnato e stomacato pel
libello che insulta al Papa e al Concilio, non si è potuto tenore di repel-
lere vini vi, e di rispondere per le rime, né contento delle difese hi cre-
duto bene di venire alle offese con l'anonimo calunniatore. « Dorrà cer-
tamente a lui , così egli chiude la sua risposta, come duole a boi
di chiamarlo ad ogni passo calunniatore; ma questo titolo infamante
non è di nostra invenzione, ma deriva giustamente dalla natura del suo
scritto, e dai fatti che narra; ed egli non può ignorare che il giorno
COSE SPETTASTI AL CONCILIO 599
1G del corrente Luglio con tal titolo appunto fu qualitìcato il suo libel-
lo dai Padri Vaticani die aderirono di buon grado e con islancio spon-
taneo alla nobile protesta degli Eminentissimi loro Presidenti. »
A tal proposito non sarà fuor di luogo V aggiungere che il Vescovo di
S. Marco e Bisignano , Mons. Parlatore, insieme con due atVettuosi in-
dirizzi a Pio IX, ha stampato qui in Roma una sua EminentissimGrum
Praesidum Sacri Vaticani Concilii prolestalioni adhaesio ; ove parlando
della Damiere heure, e degli altri libelli compagni, dice, in pcrdiioruìii
sciptorum insignem impudentiam , incredibilemque andaciam animo
loto protestor.
II.
NOTIZIE VARIE
3. Breve del S. Padre in risposta all' Indirizzo del clero d'Inghilterra e di Sco-
zia: altri Brevi a privati — 2. Altre notizie d'Inghilterra intorno alla defi-
nizione deir infallibilità e al ritorno dei Vescovi — 3. Altre d' Irlanda —
i. Altre di Portogallo — 5. Altre di Dalmazia — 6. Accademia di Religio-
ne Cattolica in Roma — 7. Breve del S. Padre in risposta a un Indirizzo
di molti del clero di Genova.
1. L'indirizzo del Clero d'Inghilterra e di Scozia al S. Padre per la
definizione della infallibilità, sottoscritto in quattro giorni da più di
800 sacerdoti (come dicemmo a pag. 380), in breve ebbe presso a mil-
le sottoscrizioni. Il Santo Padre nel ricevere l'indirizzo, presentato da
Mgr. Stonor, manifestò singoiar gradimento per quest'atto collettivo del
Clero d' Inghilterra e di Scozia, e pochi di dopo la definizione diresse
loro in risposta il breve seguente:
Dilectis Filiis Clero kngìiae et Scoh'ae , Plus PP. IX.
Dilccti Filii, Saluterò et apostolicam Benedictionem. — Licet gra-
tulati iam simus Westmonasteriensi Clero de unanimi et absolutis-
sima devozione sua huic Sanctae Sedi , deque desiderio ac studio quo
declarari apertius expetebat fìrmiusque asserì a Sancta Synodo divinas
eius praerogativas, nequimus tamen iisdem de causis.novam animo
non concipere laetitiam, dum non unius dioecesis, quantumvis am-
plae, sed universum Angliae Scotiaeque clerum in eamdem sententiam
eosdemque affectus convenire perspicimus. Quod in votis vobis erat ,
dilecti Filii, quod precihus implorabatis a Deo, quod a sancta Synodo
postulabatis, id demum, afflante Spiritu Sancto, factum est; et sicuti
per id dirempta fuerunt opinionum dissidia , reiecta aversa sophismata,
et sancita praeteritorum saeeulorum fides, sic confirmatum fuit funda-
mentum cuiusvis moralis ordinis, auctoritas, quo concusso et everso
tanta in humanam societatem irrepsit perturbatio. Quoniam itaque vo-
bis maxime res est cum illis qui, sacrae auctoritatis principio reiecto,
600 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
in cam inciderunt opinionum confusionem et dissensum ut iam non au-
dial unusquisque vocem proximi sui, futurum confidimus, ut vos per
istam definitionem arctius quoque coniuncli cum visibili capite Eccle-
siae, dum praefertis simul et velati digito in hoc eventu commonstratis
unitatem eius et vigorem , efficacius et utilius, codesti iuvante gratia,
discutiendis eoruni erroribus animisque reducendis ad veritatem adla-
borare possitis. Hoc zelo et cantati vestrae, hoc terrae olim religione
clarissimae toto corde ominamur; et interim superni favoris auspiccm
paternaeque nostrae benevolenliae pignus apostolicam Benediclionem
vobis peramanter impertimus.
Datimi Romae apud S. Petruin die 28 Iulii anno 1870 , Pontificatus
Nostri anno vicesimo quinto. Pius PP. IX.
In questo breve, pieno di tanto zelo ed affetto per l'Inghilterra, ci sem-
bra di sentire l'erede dell'Apostolo d'Inghilterra, S. Gregorio Magno.
Simili sensi e in voce e in iscritto il S. Padre ha espressi più volte in
questa circostanza nelle risposte agli indirizzi venutigli d' Inghilterra da
varie diocesi , dopo Shrewsbury che diede prima Y esempio, e da co-
munità religiose, da seminari e collegi. Àbbiam veduto parecchi di tali
indirizzi e di tali risposte, e vi abbiamo notato con piacere un vicende-
vole singolare affetto dei cattolici inglesi verso il Santo Padre, e del
Santo Padre verso Y Inghilterra. Sarebbe cosa troppa lunga recarne qui
degli estratti : più brevemente potremo piuttosto dar per saggio alcun
tratto di qualche breve diretto a persone private, da cui parimente
traspira il medesimo zelo ed affetto per l'Inghilterra. In un breve diret-
to al sig. Rhodes per la sua opera sulla Visibile unità della Chiesa, da
noi già annunziata a pag. 608 del voi. IX, il Santo Padre dopo aver
commendata quell'opera tanto giovevole per la conversione degli Angli-
cani di buona fede, che vorrebbero esser cattolici senza esser romani, e
ricordato il detto di S. Adelmo: frustra de fide catholica inaniter gloria-
tur qui dogma et regulam sancii Vetri non sectahir ; così conchiude:
« Cum itaque tu docte solideque demonstrare studueris, solam visibilem
catholicam Ecclesiam esse veram Christi Ecclesiam, et absonum prorsus
ostenderis esse commentimi universali? Ecclesiae e variis conflatae so-
cietalibus visibiliter seiunctis, gratili a unir Ubi quod ingenium scientiam-
que tuam contuleris ad hunc etiam submovendum errorem, qui multos
adhuc e dissidentibus implicat. Deum vero rogamus ut semini a te iacto
largum concedat incrementum, nobisque optatissimum concedat sola-
tium reditus tot filiorum, quorum discriminis sollicitudine iugiter angi-
mur. » Anche nella risposta al P. Bottalla per l'opera su\YFn fallibilità f
parimente già nota ai nostri lettori (V. p. 204 di questo voi.) il S. Padre
dimostra uno speciale affetto per l'Inghilterra nelle prime parole: « Aliis
illustribus testimoniis obsequii ctsincerae devolionis, quae hoc praeser-
tim tempore e Britannia accepimus, libenter accensemus opus tuum »;
e un singolare zelo nelle ultime parole, augurando e pregando che, per
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 601
mezzo di tal opera, « lux affulgeat iis qui versantur in tenebris et qui
debiles in fide sunt contìrmentur ». Simiglianti sensi il S. Padre fece es-
primere dal suo segretario al P. Knox, per la sua operetta $u\Y Infalli-
bilità della Chiesa, già sì nota in Italia (V. voi. IX, pag. 349; e voi. X,
pag. 729).
Il medesimo Santo Padre ha pur voluto ricambiare di singolare bene-
volenza la special devozione alla Santa Sede di due campioni della stam-
pa cattolica in Inghilterra, il dottore Ward, editore della Dublin Review,
e il rev. dottore Erberto Vaughan, proprietario direttore del Tablet.
L'onorevolissimo ed affettuosissimo breve dovè riuscire tanto più gradi-
to al dr. Ward, quanto più inaspettatamente gli fu diretto dal S. Padre,
consapevole de'suoi meriti e della recente sua malattia ; e noi lo rechiam
qui per intero, non tanto per ciò che dice personalmente del dr. Ward,
quanto per lo zelo papale, che vi si vede, pel bene spirituale dell1 In-
ghilterra.
Dilecto Filio Georgio Ward, Pius PP. IX.
Dilecle Fili, Salutem et apostolicam Benedictionem. — Gratulamur
tibi, dilecte fili, quod in fìliorum Dei lucem vocatus, idem lumen alio-
rum mentibus ottundere certes, et, in gremium sanctae Matris Ecclcsiae
reccptus, sanctitatem eius ostendere et illustrare studeas, supremique
ciusdem Pastoris divinam asse'rere auctoritatem, vindicare praerogati-
vas, iura omnia lueri. Nobilitatem in hoc videmus animi, qui ad verì-
tatem maturo compulsus examine, eo incensiore illius flagrai amore,
quo maiore conlentione illam est adeptus; et eo impensiore nisu bene-
ficium acceptum latius porrigere satagit, quo miseriorem, propria do-
ctus experientia, censet errantium conditionem. Indefessus autem labor
quo pluribus ab hinc annis dona omnia ingenii, scientiae, eruditionis,
eloqueutiae tibi a Domino largita, confers ad religionis nostrae sanctis-
simae et huius Apostolicae Sedis causam propugnandam, fìdem perspi-
cue praefert inditam menti tuae et charitatem in tuo corde diflusam,
quibus urgeris ad redimendum praeteritum tempus, et certamen im-
prudenter alias prò errore fortasse commissum rependendum per ala-
crem ac strenuam veritatis defensionem. Quoniam vero merces lìdelis
paratur seminanti iustitiam, et qui ad eam erudiunt multos fulgebunt
quasi stellae in perpetuas aeternitates, dum te tuum ita sertum texere
gaudemus, te simul hortamur ut instes proposito tuo, et impigre prae-
liari pergas praelia Domini, quo et piures semper ad viam veritatis ad-
ducas et splendidius tibi compares aeternae gloriae pondus. Necessa-
rias idcirco ad hoc vires tibi ominamur, copiosaque adprecamur gratiae
coeleslis auxiìia et fausta omnia; eorumque auspicem et paternae no-
strae benevolentiae pignus apostolicam Benedictionem tibi peramanter
impertimus.
Datum Romae, apud sanctum Petrum, die 4 lulii, anno 1870, Pontifi-
calus Nostri anno vicesiino quinto. Pius PP. IX.
fiO 2 COSE SPETTASTI AL CONCILIO
Il rev. dr. Yaughan, venuto a Roma, potè presentar di persona a
Sua Santità la nuova serie del Tablet ; e il Santo Padre, assai bene in-
formato dello spirito di quel periodico, non solo lo incoraggiò a voce
uel preso impegno, specialmente di dir tutta intera la verità a bene del-
T Inghilterra, ma di più in un breve direttogli ai 4 di Giugno diceva:
« Ignota Nobis non est, dilecte fili, tua tuorumque adiectorum erga Kos
et hanc apostolicam cathedram, omnium Ecclesiarum matrem et magi-
stram, devotio, pietas et observantia »; e lodando e congratulandosi co-
gli scrittori delie loro fatiche « ad causano rationesque calholieae Eccle-
siae sanamque doctrinam tuendam »; conchiudeva con parole d'incorag-
giamento e di zelo : « dum vobis gratulamur, animos etiam addimus ut
in incoeptis vestris constanter maneatis, et a clementissimo Domino eni-
xe poscimus, ut labores vestros sua grafia adiuvare velit, quo salutares
et uberes ex iisdem fructus et in vestros cives et in omnes qui scripta
vestra excipiunl, dimanare possint. »
2. La Dublin Reciew ed il Tablet hanno pure avuto un merito specia-
le in Inghilterra nelle controversie dell'infallibilità : la Dublin Reciew
coi suoi dotti articoli, massime intorno all'oggetto dell' infallibilità, dei
quali il Dr. Ward die un i>reve sunto in certe sue Thts-es et quaestiones De
■infallibilitatis estensione, ristampate già in Roma, come appendice, nel
fascicolo XLVII degli Acla ex iis decerpta quae apud S. Seder* geruntnr,
che son tornate opportune in questa circostanza: il Tablet poi in modo
più popolare co'suoi articoli e massime col Valicati, che ha dato, come
supplemento, durante il Concilio.
Ma ciò che più onora l'Inghilterra nella passata controversia dell'in-
fallibilità, si è la parte che la fama pubblica vi ha attribuita, tra più
zelanti campioni, all'Arcivescovo di Westminster, monsignor Manning.
Il clero di Westminster, nell'indirizzo ali Arcivescovo nel suo ritorno,
vi ha l'atto nobilmente allusione, e facendo alio di perfetta sommessio-
ne al Concilio, aggiunse in particolare della definizione dell'infallibilità:
« Speriamo che essa contribuirà assai alla pace della chiesa col preclu-
dere le interne controversie, e coli1 unire i cuori di tutti i cattolici in
sincera devozione al Vicario di Cristo. » Leggiamo nei fogli inglesi che
per ordine dell'Arcivescovo si cantò il Te Deum in tutte le Cinese del-
l'Arcidiocesi in ringraziamento per la definizione; il simigliarne si fece
in altre diocesi; e in particolare leggiamo che il Vescovo di llexham e
Newcastle, monsignor Chadwick, dopo il canto del Te Deum, nella
sa Messa solenne dopo il vangelo, salì egli stesso in pulpito e proclamò
l'infallibilità del Papa qual dogma di fede, e in un discorso assai istrut-
tivo intorno al dogma e al Concilio disse tra V altre eoe che la libertà
di discussione nel Concilio fu piena, e che i dibattimenti erano stati liberi
come Varia (the debales liad been reali y [ree as air). Troviamo altresì as-
sai lodati altri discorsi l'alti in Inghilterra e in Irlanda, serialmente
quello del dr. Cleary, riportato nel Waterford Cilizm del a' Agosto.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 603
3. Nel giorno stesso della definizione si ebbe qui in Roma una so-
lenne dimostrazione della fede della cattolica Irlanda e della sua gioia
per quella definizione. Molti Vescovi, che rappresentano i figli di san
Patrizio, non solo in Irlanda ma per tutte le colonie inglesi, raccoltisi
quella stessa sera nel Collegio irlandese presentarono ali1 Emo Card.
Cullen questo breve indirizzo, che fu letto dal Primate Arcivescovo
d'Armagli, monsig. Mac. Gettigan. « AU'Eminentissimo Card. Cullen
Arcivescovo di Dublino, Primate d'Irlanda. Eminentissimo! In questo
dì tanto memorabile nella storia del Concilio Vaticano, noi sottoscrit-
ti Arcivescovi e Vescovi, rappresentanti la stirpe irlandese, rispetto-
samente ci presentiamo all'Eminenza Vostra e Vi offriamo le più cor-
diali congratulazioni per la difesa sì splendida e sì felice che nell'au-
la conciliare faceste dei diritti della Santa Sede e della tradizione del-
la Chiesa irlandese intorno ad essi. Vostra Eminenza rappresentò ve-
ramente in quella occasione la fede e il sentimento del popolo irlan-
dese, e noi andiamo altieri del modo in cui Voi ne rendeste pubbli-
ca testimonianza. » L'Eminentissimo Cardinale in una nobile risposta
si congratulò vicendevolmente coi Vescovi e coll'Irlanda, che dai gior-
ni di S. Patrizio fino al presente tenne sempre la dottrina dell'infal-
libilità, e sì rallegrò che i tigli di S. Patrizio sieno stati rappresentati
sì nobilmente da sì gran numero di Vescovi nella grande assemblea
dei Vescovi di tutta la terra.
Le onorifiche accoglienze, che l'Emo Card. Cullen avrebbe ricevute in
Dublino, furono da lui evitate col giungere privatamente fuori dell'as-
pettato. Grandi accoglienze descritte dal Freemari s Journal, furono fat-
te all'Arcivescovo di Cashel, mons. Leahy, uno dei Padri della commis-
sione de Fide, nel suo ritorno a Thurles. La buona popolazione Irlan-
dese uscì tutta incontro all'amato Pastore; le case furono illuminate la
sera, e fuochi di festa sui colli circostanti a più miglia rendevano palese
la fede e l'affetto del popolo della campagna. Anche del Vescovo di
Galway, mons. Mac Evilly, leggiamo che fu ricevuto da clero e popolo
con tali liete e festive accoglienze, che dimostravano la fede dei pa-
dri non essersi raffreddata nell'occidente dell' Irlanda *.
4. 11 Tablet del 6 Agosto riportava pure una corrispondenza di Lisbo-
na, in cui si descriveva la festa fatta per la definizione della infallibilità
dal collegio inglese di Lisbona. Fu una festa campereccia nella villa e
nella chiesa del Collegio, con canti, suoni, fuochi e quanti altri segni di
gioia potè suggerire insieme la pietà inglese e portoghese. Dalla mattina
lino a notte fu tutto una festa : alla Messa solenne il parroco portoghese
parlò nel suo discorso della ragionevolezza, utilità e necessità della de-
finizione; e la sera prima del Te Deum un altro sacerdote di Lisbona
parlò della singoiar provvidenza divina manifestatasi nel modo e nel
1 Ci giungono ora altre notizie dei Vescovi di Limerick, di Down e Connor ecc., ma troppo tardi
per la stampa.
604 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
tempo della definizione. I segni di gioia dati nelle colline intorno con fuo-
chi al modo portoghese, il festivo suono delle campane, il ripetuto canto
Tu es Petrus, e un campestre convito diedero a quella festa un tal ca-
rattere di lieta devozione, che la breve relazione terroni <on dire che
feste più splendide si sono potute sì celebrare per la definizione, ma
non già più sincere e più entusiastiche di questa.
Due giorni dopo la definizione veniva pure a Roma da Braga questo
telegramma: « Notizia della definizione dell'infallibilità ricevuta con vi-
vo entusiasmo. Fuochi artificiali e concerti. Fate felicitazioni ai Vescovi
portoghesi in nome nostro e del popolo bragarense ». Il Divin Salvato-
re lo pubblicava nel suo num. 33 insieme con una sua corrispondenza
di Braga del 20 Luglio: « In Portogallo la credenza' nell'infallibilità del
romano Pontefice era viva, come doveva attendersi da un popolo sem-
pre geloso della sua religione, e nei passati tempi il più zelante nel dif-
fonderla per tutto il mondo, e il più fiero nelfatterrare gli altari delle
divini Uà impure, innalzati nelle più lontane contrade dell'Africa e della
Cina, ove i Portoghesi fecero sventolare lo stendardo della Croce. Mol-
te sono state le manifestazioni in favore della infallibilità, fatte quando
i nemici la combattevano accanitamente. Primi furono i Portoghesi, che si
trovavano a Roma nel Febbraio passato, ad umiliare ai piedi del Santo
Padre quel bello ed espressivo documento che avete stampato nel vostro
giornale, al quale il S. Padre si benignò rispondere con una lettera af-
fettuosissima, che anche nel medesimo vostro periodico veniva pubblica-
ta. Dietro questo atto dei Portoghesi di Roma si svegliò un grande e
magnifico movimento in tutta la nazione fedelissima. 11 Vescovo di An-
gra, decano dell'Episcopato portoghese, impedito di assistere al santo
Concilio dalla sua decrepitezza, ha fatto una solenne prolesta di fede sul-
P infallibilità, che ha indirizzata all'Emo Card. De Angelis. Uguali ma-
nifestazioni e proteste di pienissima sottomissione a tutte le decisioni
del Concilio furono fatte da corporazioni e da particolari di tutto il Re-
gno. Né i giornali cattolici mancarono al loro compito; e l'egregio Edio
de Roma li precedette. Molte adesioni accompagnarono la protesta del-
YEcho, belle e degne di stamparsi se non fossero tante. Una grande par-
te dei curati del Regno le hanno fatte e dirette alla direzione deWEcho
del pari che i capitoli, e specialmente quello della Diocesi di Funchal, il
quale era accompagnato dalle firme di 27 sacerdoti e di 461 altri catto-
lici insieme a molte nobili signore. Le Figlie di Maria anche esse hanno
diretto una animatissima protesta di adesione alle sue decisioni, eù a
quelle dell' ecumenico Concilio. » Dopo ciò, il Divin Salvatore ha ragione
di aggiungere che la fede degli Alfonsi, ad onta delle mene della setta,
si mantiene tuttora viva fra i popoli portoghesi.
Ad avvivar questa fede nella infallibilità giovò anche molto uno splen-
dido documento di adesione a questa dottrina dato dall'università di
Coimbra nel 1717 ad occasione della Balla Unigenitus, e pubblicato testò
COSE SPETTASTI AL CONCILIO 605
dai Conimbricense, e ristampato poi per disteso in altri fogli. Abbiam
sotto gli occhi la Nacao del 17 Luglio, che lo riporta, aggiungendo tra
l'altre queste osservazioni. « Questo documento più che secolare dovet-
te influire assai nel rifiuto dell'attuale Università di acconsentire all'esi-
genze del ministero Loulé, che per servire al sig. Daru di liberalesca
memoria, e talora anche agli ordini della massoneria, cercava che l'Uni-
versità si pronunciasse contro la definizione.... 11 Conimbricense colla
pubblicazione di quello splendido documento rese un servigio importan-
tante alla religione e alla patria ».
Lo stesso documento vediam riportalo dall'ilo de Roma, nel qua-
derno di Agosto in un primo articolo sull'antica e moderna credenza del
Portogallo nella infallibilità pontificia. Tutto il quaderno è un tributo
alla infallibilità. Vi vediamo un tripudio che comincia colle parole Glo-
ria in excehis Beo; e indirizzi e proteste al S. Padre e al Concilio, e un
Breve del S. Padre ai Redattori àeWficho, e una lettera del segretario
delle lettere latine di S. S., mons. Nocella, a S. E. mons. Oreglia di
Santo Stefano, nunzio apostolico a Lisbona, in risposta complessiva ai
tanti indirizzi venuti dal Regno per la definizione, simile all'altra lettera,
diretta per lo stesso fine a S.E. mons. Chigi, nunzio apostolico a Parigi.
Specialmente ci vien richiesto di riportare una dichiarazione dell'Ilo de
Roma a pag. 151. « Riguardo ai nostri Riìii Vescovi dobbiamo schiarire ciò
che di loro abbiam detto altrove, affinchè sia nota la verità, ed altresì la
riverenza e il rispetto che abbiamo verso di loro. Le LL. EE. adunque,
allorché sottoscrissero il postulato contro l'opportunità della definizione
dell'infallibilità, dichiararono apertamente al Rino Vescovo d'Orleans,
mentre li pregava della loro sottoscrizione, che essi teneano per l'infal-
libilità, poiché questa era la credenza loro e del Portogallo; inoltre che
appena S. Santità si fosse pronunziata autorizzando il Concilio a trattare
questa materia, e con ciò avesse fatto vedere che ne giudicava opportu-
na la discussione e decisione, le loro sottoscrizioni si doveano tenere co-
me cassate da quel postulato; conciossiacchè il loro parere era subordi-
nato al parere del Santo Padre, con cui erano e sarebbero sempre uniti.
Coerentemente poi a questa riserva e condizione , e a quello che essi
hanno a tutti dichiarato, cioè, che non avevano mai tenuto, né tenevano
altra credenza intorno all'infallibilità, se non quella di tutta la tradizio-
ne, di tutta la Chiesa, di tutti i Papi, la quale dottrina già due di essi
avevano insegnato mentre erano professori di teologia, e tutti all' ora
della definizione confermerebbero col 'placet di tutto cuore; coerentemen-
te (diciamo) a tutto questo, allora quando Mgr. Dupanloup si recò da
loro richiedendoli di sottoscrivere la protesta contro la chiusa della di-
scussione sulla infallibilità in generale, eglino si ricusarono, rammentan-
do allo stesso Monsignore quanto prima gli avevano aeuo, e gii manife-
starono ch'ei non doveva più fare alcun assegnamento sopra di loro, dac-
ché essi tenevano colla Chiesa, colla maggioranza de' Padri, e col Papa.
606 COSE SPETTASTI AL CONCILIO
Belle risposte; e non altre poteano uscir dalla bocca di Vescovi di un re-
gno, il quale è sempre stato sì unito alla cattedra di S. Pietro, ancora
nei tempi di tribolazione Ci rallegriamo dunque coi nostri Vescovi
per la testimonianza che della nostra fede han reso nel Concilio ... Qui
aggiungeremo poche parole per ricordare il generale applauso, col quale
si è in Portogallo ricevuta la definizione dell'infallibilità. Siccome nel no-
stro paese, in fatto di religione, Braixa è sempre la prima a dar V esem-
pio, così appena la mattina del 19 Luglio ivi si ricevette il telegramma
da Roma che annunziava Tatto della definizione, subito tutte le campane
della città suonarono a festa, e s1 incominciarono le dimostrazioni di pub-
blico giubilo, le quali finirono la sera con luminaria generale. Il giorno
seguente in una grande adunanza cattolica si risolvette di scrivere un
indirizzo al Santo Padre, ed intanto s'inviò per telegrafo all'Emo Cardi-
nale Antonelli una congratulazione, la quale fu presentata a S. Santità,
che la gradì e ricambiò colla sua Benedizione. Il 23 si cantò nella Catte-
drale solennissimo Te Demn, intonato da Mgr. Arcivescovo, intervenen-
dovi gran moltitudine di popolo ed anche non pochi magistrati civili e
militari: la sera poi si ripeterono le illuminazioni, gli squilli festivi ed
altre dimostrazioni. Simili sacre feste si sono fatte a Cervaens, a Arcos,
a Tibaens ed in altri luoghi, come pure qui presso a Lisbona nella villa
del Collegio inglese a Luz ed in Campolide. Abbiamo udito che a Porto si
appresta pure un solenne rendimento di grazie. Inoltre qui nella capitale
si è istituita una commissione, presieduta da IVIgr. Commissario gene-
rale della Bolla della Crociata, per celebrare una grande solennità reli-
lìgiosa per lo stesso motivo, per la quale si è scelto il giorno 1 8 Agosto. »
5. Potremmo ora raccogliere simigliami notizie da alcuni fogli spa-
gnuoli, che abbiamo sottocchio; altre molte ne abbiamo già in pronto
della Francia e del Belgio; ma avendo già detto abbastanza intorno a
questa materia, per questa volta, ci contenteremo di aggiunger piutto-
sto due parole della Dalmazia. Abbiam testò ricevuto un libretto ov' è
stampata la lettera scritta da mons. Nocella a mons. Silvestro de Gui-
na, canonico preposito capitolare spalatense. Rescriptum de mandalo
SS. Domini Pii PP. IX ad obsequentissima vota capitoli ac ntriusque
cleri Ecclesiae Spalalensis, alias Salonilanae in Dalmatia. Di questi
obsequentissima vota per T infallibilità demmo già un cenno in un al-
tro quaderno. Un altro esempio della fede dei popoli dalmati V abbia-
mo nelle feste fatte in Zara all' Arcivescovo nel suo ritorno, le quali so-
no descritte in questa corrispondenza, diretta al Veneto cattolico.
Zara, 27 Luglio 1870.
« Saprete come S. E. mons. Pietro Doimo Maupas propugnasse nel
vaticano Concilio la pontificia Infallibilità, dimostrandola verità catto-
lica creduta ab antico nella diletta nostra Dalmazia. Ora le feste, che
oggi qui si fecero, espressero e riepilogarono quanto V amatissimo no-
COSE SPETTANTI AL CONCILIO C07
stro Arcivescovo operò in Concilio. Difatti come il detto conciso: Infatti-
bilitatis Propugnatori, che oggi già sul far del giorno leggevasi sulla
civica porta d' ingresso, indicava ad ognuno che cosa significasse V im-
bandieramento delie contrade, lo sparo moltiplice di mortaretti ed armi
da fuoco, l1 innalzamento di palloni aerostatici e simili; così l'egual
detto riprodotto la sera a mezzo di fitti lumini sulla piazza, che prospet-
ta il palazzo arcivescovile, ricordava agii accorsi per godere della gentile
illuminazione, dei concerti musicali, dei fuochi d'artifizio ed altro, come
il motivo impellente di tanta gioia fosse il piacere che la dalmata fede
sia stata sì bene esposta dal Metropolita di questa nostra provincia. Buon
per noi che compagni degnissimi di viaggio dell1 ottimo nostro Pastore,
che giungeva stamane da Roma, erano gli Illmi e Rmi monsignori Ve-
scovi di Spalato e Lesina: giacché l'omaggio delle Autorità politico-
comunali, l'intervento d'entrambi i Cleri e Seminari]*, la sterminata
moltitudine tranquilla e devota, V osanna gridatogli da un decenne fan-
ciullo, che arringò brevemente Sua Eccellenza, il coro festoso intuonato
sotto le vòlte della porta d'ingresso dai giovani alunni del Seminario
Zmajevic , dimostrarono qual sia la fede di questa dominante, da ta-
luno messa in credito di burocratica e fredda. Ma, grazie a Dio, il popolo
dei Ss. Simeone, Grisogono, Anastasia, si addimostrò, come in passato,
degno della antica fede de' padri suoi. Per me vi avrei voluto presen-
te allo sfilare fra la calca dell'imponente corteggio che si apriva con
una infantile falange dalla bianco-gialla pontifìcia bandiera e guidati e
preceduti da alunni del Seminario diocesano, gli uni coi vessilli Zma-
jevic *, gli altri con fiori che recavano e profondevano spargendo. . .
per avervi testimonio della devozione di questi cittadini, che s'affollava-
no a render veritiera col fatto la iscrizione latina posta di fianco alla Cat-
tedrale sopra un bel padiglione, dove leggevasi :
Quem promeru't absens, redux trìumphum agii. »
6. In Roma si sono chiuse coll'Agosto le tornate dell' Accademia di
Religione cattolica, cominciate nel Maggio; le quali quest'anno desta-
roro anche maggior interesse del solito, sì per la presenza di tanti Car-
diali e Vescovi che v'intervennero con frequenza, sì per gli argomenti
proposti, tutti in copulazione del Janus. Come già altra volta si fece dal-
l'Accademia in riguardo degli errori delNuytz, così si è fatto questa vol-
ta in riguardo degli errori del Janus, prendendoli a confutare in una se-
rie di dotte el eloquenti dissertazioni. Piacerà ai nostri lettori di aver
sottocchio l'elenco degli argomenti, come già fu proposto dall'Accade-
mia. I. Emo Card. Monaco La Valletta: Aprirà il corso accademico con un
discorso eli libero argomento. — IL RvMoCan. Gatti: Falsamente il Janus
1 II Seminario Diocesano di Zara duetto dai Padri della Compagnia di Gesù si chiama Seminario
Zmajevic dal nome di monsignor Arcivescovo Zaìajevic, che Io fondò nello scorso secolo.
G08 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
attribuisce ai Papi la corruzione di Roma e d'Italia — III. Remo Can.
Farabulini: Che S. Gregorio VII, Innocenzo III ed i seguenti Pontefici,
non abbiano falsificato le relazioni della Chiesa e dello Stato, siccome
pretende il Janus — IV. Remo P. Ilario da Parigi de' MM. Cappuccini:
Dagli atti di Giovanni XXII contro i Frati Minori non si può trarre argo-
mento, come fa il Janus a danno della infallibilità del romano Pontefice.
— V. Remo Mons. Manacorda: E falso il concetto del Janus che i Papi
abbiano alterato il senso ed il concetto del primato attribuito alla Sede
di Roma — VI. Remo P. Vaccaui Cassinese: L'inquisizione e la censu-
ra non furono delle nuove istituzioni le quali estendessero e deturpasse-
ro l'autorità papale, secondo che asserisce Janus — VII. Rumo Ab. Bar-
bato: Della giurisdizione papale nelle diocesi contro gli errori del Janus.
— Ylll.Rcmo P. De Luise de'Pii Operati: Se i decreti delle sessioni lVe V
di Costanza fossero conciliari, autenticati da Martino V, e riconosciuti da
EugenioIV. — Remo Can. Giampaoli de7 Canonici Regolari Lateranensi:
A torto il Janus afferma, la dottrina dell' infallibilità pontificia essere
stata introdotta dalCaietano, dalCano, dal Bellarmino —X. Remo Mons.
Tripepi: Quanto sia temeraria ed erronea Y asserzione del Janus che
S. Gregorio VII, i prossimi Papi e i Decretalisti parafassero la libertà
e l'autonomia dei Concilii — XI. Rimo P. Dussot de' PP. Predicatori:
S. Tommaso d'Aquino ed il Papato contro le accuse del Janus —
XII. Illmo e Rmo Mons. Ferré, vescovo di Casale Monferrato: Chiuderà
il corso accademico con discorso di libero argomento.
7. Come abbiamo cominciato queste varie notizie da qualche breve
di Sua Santità, così le chiuderemo con un breve di grande importanza
in risposta a un Indirizzo di molti del Clero di Genova, il quale Indirizzo
fu da noi recato e commentato a pag. 357 di questo volume, ed ora re-
cheremo il breve senza commento, e il recheremo anche in italiano, per
que'cattolici liberali di buona fede che non intendessero abbastanza il
latino.
Dilectis Filiis canonicis Melropolitanae Ecclesiae, parocltis, professo-
ribus et presbijleris ianuensibus , Pius PP. IX.
Dilecti Ftlii, salutem et apostolicam benedictionem. — Quamvis obse-
quentissimis atque amantissimis verbis significavissetis lìdem vestram
quoad divinas apostolicae huius Sedis praerogalivas, et desiderium,
quo flagrabatis, ut clarius ipsae et firmius assererentur ab oecumenici
Concilii auctoritate; non inopportunum tamen nec inutile duximus rur-
sum vos priora vota diserte confirmasse, dum contrariae vulgabantur
opiniones ab ephemeride, liberalium, ut aiunt, doctrinarum propugna-
trice, ne ullo modo participes earum, aut saltem incuriosi lectores exi-
stim iri possetis. Quae sane reclamatio vostra acceptior etiain Nobis in-
de fui t, quo d accesserit improbationi egregii Praesulis Vicarii vostri
capitularis; quippe sic praclulit eum sententiarum et aflectuum consen-
sum, qui necessarius semper, nunc praesertim aperte est ostendendus,
COSE SPETTANTI AL CONCILIO C09
cum dirempta quaestio nihil inter verità teca et errorem medium reli-
quia et sublato fuco studi i concordine, effugiisque iuterclusis, ita di-
scriminavi t aeiem, ut unusquisque cuius sit prodere cogatur. Iteratas
itaque significationes vestras perlibenter excepimus; easque futuras es-
se confidimus non modo forni tem arctioris inter vos et cum venerabili
Fraesule vestro nexus, sed etiam illicem aliis, qui noudum piane praeiu-
dicatas abiecerint opiniones suas, si qui sunt, ut in unum tandem cor
vobiscum coeant et in imam animani. Id a Patre luminimi ex animo po-
scimus, dum f'avoris eius auspicem, et paternae Nostrae benevolentiae
pignus apostolicam benedictionem vobis peramanter impertimus.
Datum Romae apud sanclum Petrum, die 28 Iulii anno 1870, Ponti-
lìcatas Nostri anno vieesimoquinto. Pius PP. IX. »
Ai diletti Figliuoli canonici della Chiesa metropolitana, parrochi ,
professori e sacerdoti genovesi. Pio PP. IX.
Diletti Figliuoli, salute e benedizione apostolica. — Comechè aveste
di già con ossequentissime ed amantissime espressioni manifestata la
vostra fede verso le divine prerogative di questa Sede apostolica, e
del pari il desiderio onde eravate accesi, che venissero desse assev*erate
più chiaramente, e più irrepugnabilmente dall'autorità del Concilio
ecumenico, nulladimeno non reputammo Noi nò inopportuno nò inuti-
le che voi abbiate di nuovo confermati espressamente i voti anteriori
nel caso che si pubblicavano contrarie opinioni da un periodico propu-
gnatore di dottrine, come dicono, liberali: acciocché voi non pote-
ste esserne per niuna maniera tenuti partecipi , od esserne per lo
meno considerati come lettori indifferenti. Il quale vostro reclamo
tornò a Noi certamente meglio accettevole da che si unì in accordo colla
riprovazione fattane dall'egregio Prelato, vostro Vicario capitolare;
imperocché, si ebbe così quel consenso di giudizii e di affetti che, neces-
sario sempre, devesi ora in ispecie apertamente mostrare, mentre la
finita quistione non lasciò mezzo fra la verità e Terrore; e tolto via il
pretesto di adoperarsi per la conciliazione, e chiuso ogni sotterfugio,
dipartì la schiera in siffatto modo, che corra ad ognuno la necessita di
confessare con chi egli sia. Noi quindi ricevemmo volentierissimo le
reiterate vostre significazioni; e confidiamo dover esse riuscire non
solo a fomite di più stretta unione fra voi e col vostro venerabile Pre-
lato, ma di allettamento eziandio ad altri , se ve ne fossero, che non
avessero ancora onninamente reiette le pregiudicate loro opinioni ; sic-
ché, in un sol cuore e in una sola anima a voi s uniscano finalmente.
Tanto Noi supplichiamo con tutta V anima dal Padre dei lumi, mentre
che, com'auspice del suo favore, e come contrassegno della Nostra be-
nevolenza, con p eno affetto vi compartiamo la apostolica benedizione.
Dato a Roma presso san Pietro, il 28 di Luglio dell'anno 1870 , del
Nostro Pontificato Tanno vigesimoquinto. Pio PP. IX. »
Serie VII, voi. XL fase. 491. 39 27 Agosto 1870.
610 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
III.
CRONACA DEL CONCILIO
1. Lettera del Emo Card. Antonelli intorno alla pubblicazione della Costituzione
della Sessione IV — 2. Indirizzo al S. Padre di adesione al Concilio del-
l'Emo Card. Mattei, riportato dal Giornale di Roma — 3. Altri atti di
adesione, indicati dallo stesso giornale, di Vescovi o assenti o non inter-
venuti alla IV Sessione — 4. Cappella papale e Congregazioni generali
— 5. Monìtum per la nomina di 10 Padri per la Deputazione discipli-
nare — 6. Nomi dei Padri eletti — 7. Monilum per la continuazione delle
discussioni conciliari — 8. Errata corrige.
1. Pubblichiamo una lettera deirEffio Card. Antonelli, diretta ai Nun-
zi, e già pubblicata in parecchi giornali — IlliTio e RiUo Signore —
« Si è dato a conoscere alla S. Sede che qualcuno tra i fedeli, e forse
anche tra i Vescovi, ritiene non essere obbligatoria la Costituzione apo-
stolica emanata nella Sessione del Concilio ecumenico Vaticano il 18
del precorso mese di Luglio, finché con ulteriore atto della S. Sede
non venga solennemente pubblicata. Quanto sia strana siffatta suppo-
sizione, può da ognuno facilmente ravvisarsi. La Costituzione, di cui è
parola, ebbe la più solenne possibile pubblicazione nel giorno stesso in
cui nella Basilica vaticana venne solennemente confermala e promulga-
ta dal sommo Pontefice in presenza di oltre cinquecento Vescovi : i
do stata quindi affissa con le ordinarie formalità ne' consueti luoghi di
"Roma, sebbene ciò non fosse necessario al caso. In conseguenza di che,
secondo la nota regola, si rese obbligatoria per V intiero mondo cattoli-
co, senza bisogno di altra qualsiasi pubblicazione. Ho creduto dover co-
municare a V. S. I. questa breve osservazione, affinchè possa esserle di
norma nel caso di dubbii che le si muovano da qualche parte. Roma,
41 Agosto. G. Card. Antonelli. »
2. Il Giornale di Roma in due numeri ha parlato dell'atto di piena
adesione al Concilio fatto da molti Vescovi o assenti o non intervenuti
alla IV Sessione. Dapprima nel num. dei 12 Agosto così diceva:
« Molti dei membri dell1 Episcopato, i quali o per motivi di malferma
salute o per gli affari urgenti delle proprie diocesi non presero parte
alle Congregazioni e Sessioni del Concilio ecumenico, bau fatto perve-
nire alla Santità di nostro Signore, col mezzo di analoghi indirizzi, la
loro piena adesione alle risoluzioni e definizioni conciliari. Fra questi vi
è stato T Eiho e Rnio signor Cardinale Mattei, decano del sacro Collegio,
Vescovo di 0.4 a e Velletri, Arciprete della patriarcale basilica Vaticana.
il cui Indirizzo è del tenore seguente :
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 611
Beatissime Pater
Nihil magis optabam quam ut oecumenico Concilio vaticano, quod
aeque sapientissime ac providentissime Sanctitas Vestra celebrandum
esse iusserat, interessem. Veruni diuturna intìrmitas, quae non animi,
sed corporis vires usque adhuc debiles reddidit, impedimento fuit, quo-
minus ferventissimis meis votis satisfacerem. Utinam mihi licuisset sal-
tem ad solemnes Sessiones convenire, quibus unanimis Patrum consen-
sus stultam rationis autonomiam damnavit, et divjna iura apostolicae
Sedis, et romani Pontificis asseruit, definiens inter cetera infallibile pror-
sus esse romani Pontificis magisterium circa divinae revelationis doctri-
nam, ac propterea eiusdem definitiones per se, non vero ex consensu
Ecclesiae, irreformabiles esse. Utinam in tara venerabili totius Orbis con-
sessu, prò Sedis Ostiensis dignità te, primus inter Patres potuissem de-
bilem meam vocem extollere, et ceteris omnibus unanimiter conclaman-
tibus, universo Orbe plaudente, Te Magistrum infallibilem Ecclesiae ap-
pellare. Certe magna quidem fuisset mea gloriatio in Domino si omnibus
praeivissem in eo iudicio quod suprema auctoritate Tua fuit roboratum,
nt inter densissimas errorum tenebras splendidissimam lucem in salutem
populorum undequaque diffunderet. Quoniam id per me praestari non
potuit, per bas literas, ad pedes Sanctitatis Tuae provolulus, ore et cor-
de profiteor me ultro libenterque et amplecti quaecumque a sacrosancta
Synodo iam definita sunt, et Tuam vocem in supremo Magisterio obeun-
do tamquam Petri ipsius oraculum venerari. Ut autem nulla unquam
aetate dubium remaneat quaenam Episcopi Ostiensis, sacri Collegii Car-
dinalium Decani, simulque Archi presbyteri Vaticanae Basilicae senten-
za fuerit, humiilime rogo Sanctitatem Tuam ut iubeas in ipsis puhlicis
Àctis sacri oecumenici Concilii cum meae absentiae causa hos fìrmissi-
mos animi mei sensus recenseri.
Interea Tuae benignitati confisus, prò me et grege mihi commisso,
et prò Vaticanae Basilicae Capitulo et Clero apostolicam Benedictionem
expostulo ad sacros provolutus pedes.
Sanctitatis Vestrae
Cryptae Ferratae in Tusculano, die 2 mensis Augusti 1870.
Humilissimus, Obsequentissimus, et Addictissimus Servus et Filius
Maruis Cardinalis Mattei.
3. Nel num. poi dei 22 Agosto il Giornale di Roma aggiungeva: —
« Facendo seguito a quanto altra volta indicammo intorno alle manife-
stazioni che i Bini Vescovi o assenti o non intervenuti alla Sessione IV
del Con -ilio ecumenico vaticano han fatto in riguardo alla Costituzione
dommatica, sancita e promulgata nella predetta sessione, crediamo op-
portuno di notare che, sia con verbali dichiarazioni, quando ancora tro-
vavansi in Boma, sia con indirizzi, dopoché furono tornati alle proprie se-
di, molti di essi han manifestato alla Santità di nostro Signore il pienis-
simo ossequio della loro mente e del loro cuore alla conciliare defìnizio-
612 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
ne. E come già dicemmo dell1 Emo e PuTio signor Cardinale Mattei, de-
cano del sacro Collegio, cosi ora ne piace aggiungere i nomi degli Emi
e Rnii signori Cardinali Schwarzenberg, Mathieu, Rauscher, d1 iìohen-
lohe; come pure dell'Arcivescovo di Sirace di rito armeno, e dei Vescovi
di Yalenee, Cahors, Lncon, Chalons, Sant'Agostino.
Inoltre indirizzi di egual tenore sono alla Santità Sua pervenuti da altri
di quei RiTii Vescovi che per ragioni legittime, o trattenuti nelle diocesi
o tornativi antecedentemente alla sessione, non poterono dare i! loro
voto per la menzionata dommatica Costituzione. Fra i quali ricordiamo
gli Arcivescovi di Aix, di Salerno, di Algeri, e quelli di Andra e di Ce-
sarea in parlibus, ambedue di rito armeno; ed i Vescovi di Verdun,
Pamiers, Saint Flour, Vincennes, Angola, Trapani, Catanzaro, Cefalù,
Pozzuoli, Cava e Sarno, Sant'Angelo dei Lombardi, e dei Vescovi in
fartibus inftdelium di Poìemonia, di Almira e di Columbica.
Aggiungiamo poi che il Santo Padre prova grande consolazione nel
conoscere come la parola dei Vescovi, fatta intendere nelle diverse re-
gioni al loro gregge, col mezzo di pastorali, di omelie o di altri generi
di pubblicazioni adoperati ad annunziare la definita verità (siccome han
fatto, per nominarne alcuni, l'Arcivescovo di Colonia, il Vescovo di Ma-
gonza e quello di Linz) produce buoni Frutti nei fedeli, che con la debi-
ta sommissione piegano docili gì' intelletti in ossequio della lede. Corri-
spondenza doverosa, la quale, ad accrescere il gaudio del suo cuore, ve-
de la Santità Sua farsi ancora più solenne con dichiarazioni consegnate
in affettuosi indirizzi, che quotidianamente arrivano al trono pontiiicio. »
4. I Rmi Padri del Concilio il li Agosto intervennero alla Cappel-
la papale nella Basilica Liberiana per la solennità dell'Assunta. Già
hanno riprese le loro adunanze in Congregazione generale. In quella
dei 13 Agosto nominarono temporaneamente dieci altri Padri per la De-
putazione disciplinare, e in quella dei 623 ripresero le discussioni sopra
materie disciplinari, già dibattute in Concilio: nella prima celebrò Mgr.
De Ferrari, Arcivescovo di Lepanto; nella seconda, Mgr. Jekellalusi,
Te-covo di Alba Reale. Daremo qui il Monitum per la nomina della De-
putazione, e la lista dei Padri eletti, come pure il Monitum per la con-
tinuazione delle couciliari discussioni.
5. MONITLM
Cum ex Patribus, qui Congregationem seu Deputationem prò rebus
Disciplinac ecclesiaslicae con^tituunt, plerique, usi venia a SSmo Domi-
no Nostro concessa, e Roma ad lem pus discesserint, ne, perdurante eo-
rum absentia, susceplum iam ab ipsa Deputatione Schematum examen in
suspenso maneat, Eminentissimi ac RevereudL-simi Praesidea Congre-
galiouufli generalium RiTios Concilii Patres rogant, ut, loco absealium,
ali<^ decem eligere velini, qui illorum vices interim gerani. (Juapropler
proMina die Sabbati, quae est decima tenia curreutis mensis Augusti,
hora oclava cum dimidio in Aula Conciliari habebitur Congregatio gè-
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 613
neralis ad eiusmodi electionem per schedulas sccretas peragendam. Ro-
gantur itaque Rfiii Patres, ut eorum quilibet in schedula, que huic fo-
lio adnexa distribuitur, adnotare velit ex Patri bus Romae praesentibus,
decem, quos ad praedictum temporaneum munus seligendos iudieaverit.
E Secretaria Concilii Vaticani, die 9 Augusti 1870.
Ludovicus Iacobini, Subsecretarius Concilii Yaticani.
6. Nomina Revcrcndissimorum Patrum, qui in Congregatane generali
dici 13 ìugusti ad Deputationem prò rebus Disciplinae ecclesiasti-
cae, loco absentium, maiori suffragiorum numero electi sunt.
1. Yincentius Jekelfalusy, Epìscopus Albaregalensis.
ì. Michael Paya y Rico, Episcopus Conchensis.
3. Benvenutus Mouzon.y Martins, Archiepiscopus Granatensis.
4. Iacobus Quinn, Episcopus Brisbanensis.
5. Iosephus Targioni, Episcopus Volaterranus.
6. Frauciscas Robertus Blanchet, Archiep. Oregonopolitanus.
7. Petrus Paulus Trucchi, Episcopus Foroliviensis.
8. Alexander Franchi, Archiepiscopus Thessalonicensis.
9. Iacobus Bailles, Episcopus iam Lucionensis.
10. Yincentius Moretti, Episcopus Imolensis.
E Secretaria Concilii Vaticani, die 16 Augusti 1870.
Ludovicus Iacobini, Subsecretarius Concilii Vaticani.
7. MONITUM
Mittiturhuic folio adiectum Schema Constitutionis disciplinaris de Se-
de Episcopali vacante, rel'ormatum iuxta observationes Patrum, una
cum Relatione ad ipsum pertinente.
Proxima Congregatio generalis habebitur Feria III sequentis hebdo-
madae, die 23 currentis mensis x\ugusti, bora octava cum dimidio, in
qua post Relationem ab uno ex Patribus Deputa tionis prò rebus Disci-
plinae ecclesiasticae habendam, fiet de eodem Schemate discussio gene-
ralis, qua absoluta procedetur ad discussionem specialem. Itaque Reve-
rendissimi Patres qui de hoc Schemate loqui voluerint, poterunt suum
disserendi propositum modo solito significare ad normam Decreti diei
20 Februarii huius anni.
E Secretaria Concilii Vaticani, die 19 Augusti 1870.
Ludovicus Iacobini, Subsecretarius Concilii Yaticani.
8. Nella lista, che demmo nel passato quaderno a pag. 486, dei Pa-
dri defunti dall' apertura del Concilio lino alle solenni esequie celebrate
in Roma agli 8 Agosto, manca il nome di mgr. Derry, Vescovo di Gon-
ferà che passò a miglior vita a Cams presso Roscommon in Irlanda, po-
che settimane dopo il suo ritorno da Roma per motivi di salale. Adun-
que nella lista necrologica, dopo il nome di monsignor Grant, si dee ag-
giungere : Iohannes Derry, Episcopus Clonfertensis.
; R 0 N A C :
C ONTE M P 0 R A N E A
Roman Agosto 1870.
I.
COSE ITALIANE.
Stato Pontificio 1. Festa onomastica di S. M. F imperatore Napoleone —
2. Visita del Santo Padre a S. Luigi dei Francesi — 3. Preghiere in Roma
per la pace — 4. Battesimo di un'ebrea — 5 Noterella del Giornale di
Roma — 6. Fatto deplorabile di un pazzo in Roma e pazzie non meno de-
plorabili dei giornalisti italiani.
1. La festa onomastica di S. M. Napoleone HI, imperatore de Fran-
cesi, fu celebrata il 15 Agosto, secondo il consueto, nella ven. chiesa
nazionale di S. Luigi, che per tal circostanza vedevasi splcdidamente
addobbata ed illuminata. V Illustrissimo e Reverendissimo monsignor
Charbonnier, Vescovo di Domiziopoli e Vicario apostolico della Codiin-
china orientale, pontificò la solenne Messa, assistito dalla comunità
ecclesiastica di quella chiesa. Lo stesso prelato, terminata la Messa,
impartì la trina benedizione coir augustissimo Sagramento. A queste
sacre funzioni intervenne privatamente PEffio e Rino signor Cardinale
Bonaparte. A prestarvi poi assistenza in formalità recovvisi in gran
treno S. E. il signor marchese de Banneville, ambasciatore di S. M. I.
presso la Santa Sede, accompagnato dagli addetti all'imperiale amba-
sciata. V'intervenne eziandio il signor direttore dell' imperiali accade-
mia di belle arti, coi pensionati della medesima, e molti p
nazionali e stranieri.
CRONACA CONTEMPOIUTnEA 615
2. La festiva ricorrenza di S. Lodovico IX, re di Francia, fu celebra-
ta, i! 23 Agosto, nella suddetta chiesa nazionale dedicata a Dio in onore
di quel Santo. Gli Emi e Rnii signori Cardinali vi tennero la consue-
ta cappella, assistendo alla solenne Messa che fu pontificata dall'Illu-
strissimo e Reverendissimo monsig. Rossi-Yaccari, Arcivescovo di Co-
lossi. Gli Emi Porporati furono ricevuti da S. E. il signor Marchese de
Banneville, ambasciatore di S. M. l'Imperatore dei Francesi presso la
S. Sede, che erasi recato al sacro tempio in gran treno accompagnato
dagli addetti alla imperiale ambasciata, insieme ai quali assistè pari-
mente alla Messa. La Santità di nostro Signore, nelle ore pomeridiane,
recovvisi in treno nobile, accompagnata dalla sua corte ed anticamera,
e nel discender di carrozza fu ricevuta dal nominato signor Ambasciato-
re, ed alla porta della chiesa, dal Clero nazionale che vi attende all'uffi-
ciatura. Seguito dai medesimi il Santo Padre adorò V augustissimo Sa-
gramene, ed orò dinanzi Tal tare di san Lodovico. Dipoi nella sagrestia
ammise al bacio del piede quanti aveano avuto l'onore di riceverlo, e
molti altri signori e dame.
Nella ricorrenza della solennità del Santo titolare la sua chiesa, che
è vestita tutta di marmi e decorata con nobilissime pitture e lavori di
stucchi e dorature, si è vista cresciuta in decoro per diverse nuove
opere che testò vi sono state condotte a termine, coi disegni e la dire-
zione dell'architetto Luca Carimini. Fra esse opere va principalmente
notato il pavimento, disteso sopra un vespaio per liberare l'edificio dal-
l'umidità. Nelle navate piccole si sono collocate ed ordinate tutte le
lapidi che erano sparse pel pavimento, alla conservazione delle quali fu
gelosamente provveduto, e la parte della navata di mezzo, rimasta li-
bera da ogni lapide mortuaria, è stata con marmi, distinti per varietà
di colori, ridotta a nobilita e bellezza, che accorda assai bene colle de-
corazioni del sacro tempio.
3. Il Cardinal Patrizi Vicario di S. S. pubblicò il seguente Invito sa-
cro: « Una guerra devastatrice miete al presente a migliaia le vite de-
gli uomini, e porta la desolazione ed il lutto ira i popoli di due grandi
Nazioni. Questo terribile flagello, con cui Dio nella sua giustizia punisce
i peccati degli uomini, è pure un mezzo per richiamarli al ravvedi-
mento ed alla sincera conversione, impegnandoli a ricorrere con ferventi
preghiere all' infinita sua misericordia, onde cessi il castigo e torni la
desiderala pace. Ad ottenere così importanti fini la Santità di nostro
Signore ha ord nato che nelle infrascritte chiese, nei giorni di lunedì 22,
martedì 23, e mercoledì 24 corrente, si celebri un divoto Triduo, in cui
con umili suppliche s'impetri da Sua Divina Maestà che, per l'inter-
cessione della SSma Vergine e di tutti i Santi, si plachi la giusta ira
sua, e la formidabile spada che reca desolazione e strage rientri nella
616 CRONACA
sua vagina e si quieti: 0 rimerò Domini, usqueguo non quiesces? Tngredere
in rag inani tuam, refrigerare et sile. lerem. XLVU, 6. Esposto pertanto
il SSìTio Sagramento si reciteranno le Litanie dei Santi colle consuete
orazioni come nell" Esposizione delle Quaranlore, e cantato quindi il
Tantum ergo si darò la benedizione col SSìTio Sagramento. 11 Sauto Pa-
dre accorda l'indulgenza di sette anni per ciascun giorno del Triduo, e
la plenaria a lutti coloro che confessati e comunicati vi saranno interve-
nuti tutti e tre i giorni. Le stesse indulgenze si lucreranno dalle Comu-
nità religiose, adempiendo la prescritta preghiera e pregando secondo la
mente di Sua Santità. Prescrive inoltre il Santo Padre che in tutte le
Messe che si celebreranno negli indicati tre giorni si aggiunga la colletta
prò Pace, in luogo dell'altra A domo tua. Dato dalla nostra Residenza li
21 Agosto 1870. C. Card. Vicario. Placido Canonico Petacci Segretario. »
Il triduo ha avuto luogo nelle ore e nei giorni stabiliti. Alla sera
funzione e alla benedizione data col Venerabile, la quale in più luoghi
fu impartita da eminentissimi Porporati, si fece straordinario concorso
di persone di ogni grado e condizione. Sua Santità ad assistervi recossi
il primo giorno nella chiesa del Gesù, il secondo in S. Maria della Pace,
e l1 ultimo in S. Maria della Scala. Dalla qual chiesa il Santo Padre, pri-
ma di restituirsi alla residenza vaticana, andò a S. Bartolomeo all'Isola,
ove celebravansi i primi vespri della festività di questo santo Apostolo,
il cui sacro tempio, ufficiato dai religiosi Minori Osservanti, è stato testé
restaurato, e nobilmente decorato con marmi, stucchi e pitture a buon
fresco.
4. Nella chiesa di S. Andrea della Valle, il giorno di Domenica 21
Agosto F Mulo e Rmo monsignor Villanova-Castellacci , Arcivescovo
di Pietra, conferì solennemente i santi sacramenti del Battesimo e
della Confermazione all'ebrea romana Gemma Coen, dell'età di anni 23.
La neofita prese i nomi di Maria, Grazia, Francesca, Saveria, Luigia,
col cognome Villa, ed ebbe a madrina la nobil signora marchesa Fanny
Amat di Villa-Rios.
:;. Nel Giornale di Roma dei 23 Agosto si legge quanto segue: « In
una corrispondenza recata dal Nord, nel suo numero di giovedì 18 cor-
rente, si asserisce essersi il Vaticano gittato in braccio alla Prussia, e si
scende a1 particolari. Possiamo assicurare che queste asserzioni sono af-
fatto insussistenti. Il Vaticano non si getta che nelle braccia del divino
Fondatore della Chiesa cattolica. »
6. Il giorno di venerdì 12 di questo mese avvenne caso assai doloro-
so in Roma, «he è stato in modo veramente strano travisato su pei gior-
nali d'Italia. 11 caso fu questo. Era da qualche tempo venuto in Homa un
giovane olandese per farsi zuavo: ma poiché dette subito segui di accessi
maniaci per soverchia esaltazione, non venne ascritto in quel corpo,
CONTEMPORANEA 617
e fu in vece consegnato al Manicomio per farlo curare. E quivi sembrò
di fatto guarito, tantoché ne fu rimandato al tutto libero. Appena usci-
tone, eccolo di nuovo attaccato dal male, cosicché fu ricondotto allo
spedale ; ma non vi potè essere sul fatto ammesso, per mancanza d1 una
delle indispensabili formalità di simili ammissioni. Nel brevissimo tempo
che si attendeva a compierla, riuscì al giovane alienato di prendere nel
palazzo Righetti al Biscione, non osservato da veruno, un fucile e delle
munizioni, che per guardia del Casino dei zuavi olandesi vi si custodi-
scono in uno stanzino posto in cima a una scaletta a lumaca, cosicché
per la strettezza del luogo potè nel medesimo tempo minacciare col fu-
cile coloro che sarebbero saliti per detta scaletta, e sparare dalla fene-
stra che apre sul Campo di fiori.
Intanto che la forza pubblica dei gendarmi e dei zuavi accorreva sul
luogo, intanto che si abbatteva la porta di dentro per impadronirsi di
lui, e di fuori gli si tiravano fucilate per obbligarlo a ritirarsi ed a ces-
sare; scorse un po'di tempo; e questo bastò perchè egli ferisse di palla
sette persone, tra le quali due zuavi. Si riuscì alla fine a penetrare ovV
gli era: si dovè lottare con lui, né cedette se non quando fu colpito
in viso da un colpo di rivoltella tiratogli da un zuavo. Colla sua pre-
sura tutto fu terminato. Ma quelle fucilate, quei ferimenti e V ignoranza
della cagione fecero un istante credere nelle adiacenze del silo, e in-
di di mano in mano per la. città, che accadesse in quel momento
qualche cosa di grosso: e- la gente si ritrasse impaurita nelle case,
e parecchie botteghe si chiusero. Qualche ora dopo tutto fu saputo,
e l'apprensione del popolo tostamente si dissipò.
Il dì vegnente il Colonnello, con un sensatissimo ordine del giorno,
annunziò ai zuavi il fatto del dì precedente, non imputabile certamente
al corpo : e al tempo stesso aprì una soscrizione per venire in soccorso
dei feriti e delle famiglie di due fra questi già trapassati.
Questa sventura, grave e dolorosa al certo, ma senza colpa di veru-
no, fu detta nei giornali d'Italia una provocazione, un insulto sanguino-
so al popolo, una rivoltura. Così si scrive la storia da certe fazioni !
618 CRONACA
II.
COSE STRANIERE.
Guerra Franzo Prussiana 1. Combattimento di Wissemburgo — 2. Battaglia
di Worth — 3. Combattimento di Forbach — 4. Ritirata sopra Metz —
5. Parigi e la guerra — 6. 1 neutri.
1. Il fatto d'arme di "Wissemborgo, quantunque meno importanle di tut-
ti per la scarsità delle truppe cbe vi erano impegnate da parte dei fran-
cesi e per la enorme inferiorità numerica in cui versavano rispetto al
nemico, pure si può dire importantissimo per le conseguenze che ha
avuto. Sotto al rispetto tattico fu cosa da poco, invece sotto il rispetto
strategico fu fatale. Vediamolo brevemente:
La 2.a divisione del 1.' corpo francese, staccata a Wissemborgo, tro-
vavasi da 15 a 20 miglia innanzi al 1.* corpo d'armata raccolto fra
Strasborgo e Haguenau, e a più di 20 miglia sopra il fianco destro del
corpo di Failly stanziato a Bitche. Era quindi evidentemente troppo lon-
tana da qualunque soccorso: né poteva impegnare un serio combatti-
mento contro forze superiori, perchè non poteva esser soccorsa se non
dopo un giorno di pugna. Appare dai documenti cbe si hanno, che il
Douay non solo non si avvide che i prussiani raccoglievano molte trup-
pe di là della Lauter, ma sembra quasi che non volesse accorgersene, e
ciò nella speranza di poter battere i prussiani colle sole sue forze, ed
aver così l'onore della prima vittoria. Il sotto-prefetto di Wissemborgo,
più vigilante o meglio informato, erasi avveduto di questo concentra-
mento di truppe nel confine bavarese, e mandava, la vigilia del combat-
timento, telegrammi al Quartier generale nei quali era detto, secondo
il Gaulois del 7, « aspettarsi egli da un momento all'altro l'attacco della
città. » Ed aggiugeva: « Non per paura vi telegrafo cosi, ma credetemi,
vi do informazioni esatte! » Altri giornali interpretano la indifferenza del
Quartier generale principale francese in altro modo; dicono cioè che i
prussiani eransi a bello studio lasciati sorprendere un falso disegno di
guerra, secondo il quale essi dovevano fare un fìnto attacco a Wisse.n-
borgo, ma realmente sboccare per Sarrebruck col grosso dell'esercito, e
marciare sopra Parigi. Ma questo pare assai improbabile; giacché
CONTEMPORANEA 619
nemmeno a Sarrebruck i francesi erano in forza, e vi avevano lasciato il
solo corpo di Frossard. 11 più probabile si è che lo stato maggiore fran-
cese erasi deciso a mantenersi fra la Saar e la Moseìla, nella convin-
zione (he gravi fatti d'arme non si potessero compiere nella valle del Re-
no, dove non erasi lasciato che il corpo di Mac Mahon e assai più indie-
tro il corpo ancora in formazione in quel momento del generale Douay
fratello di quello che morì a Wissemborgo. Altra accusa si fa da taluno
ai generali francesi, ed è quella di vivere in mala intelligenza fra lo-
ro. Poco disposti ad aiutarsi nei pericoli, e troppo lìdenti nella bravu-
ra delle loro truppe, essi evitavano forse a bello studio di unirsi ai col-
leghi, per aver l'onore di vincere in nome proprio. Questa mala intel-
ligenza dei Generali è cosa notoria neh1 esercito francese, e già alla bat-
taglia di Solferino erano avvenuti gravissimi inconvenienti fra i gene-
rali Canrobert e Niel, che però furono sopiti dalla vittoria. Checché ne
sia, è certo che il gen. Douay non credeva certamente di aver a fare con
tutto l'esercito del Principe reale, e credendo di aver a fronte una forza
non troppo superiore alla sua, avventurò la battaglia.
La divisione Douay si componeva del 16° battaglione di cacciatori,
dei 50° e 78° reggimenti di linea, di un reggimento di zuavi , e di un
reggimento dei famosi turcos. Non ci consta di quanta cavalleria fos-
se provvista: ma essendo in un posto d'osservazione, non potea averne
meno di un reggimento. Ma piccola parte di queste truppe stava nella
città, o almeno ne uscì per combattere alla campagna, fin dai primi mo-
menti della pugna. Le truppe stavano per la maggior parte attendale
fuori della città, nei prati e campi che la circondano, avendo di fronte
a se le macchie che avvicinano la Lauter. I corpi si guardavano appena
sulla loro fronte, secondo l'uso delle truppe francesi che, come quelle
che si professano sempre pronte a ricevere il nemico, tengono quasi
come atto di codardia lo star vigilanti contro un assalto.
Intanto i prussiani, che da parecchi giorni si raccoglievano nelle bo-
scaglie che stanno sulla sponda sinistra del fiume, si misero in movimen-
to. I prussiani pare non credano opportuno di insegnare con minute re-
lazioni al nemico i loro procedimenti tattici ; da parte dei francesi il Ge-
nerale che avrebbe potuto darle è morto nella mischia, e la sua divisio-
ne schiacciata ha pena a riordinarsi, né può pensare a riferire le sue
sventure. Dalle relazioni però più autentiche, benché private, sembra
che il fatto passasse così.
Il Principe reale di Prussia aveva raccolto al di là della Lauter tutto
il suo esercito composto dei 5\ 6', 11°, 12° corpi d'armata bavarese
(1 3 6 federale). Si ignora se il 1° corpo bavarese e il contingente del
Wurtemberg che appartengono a quell'esercito, fossero sul luogo. Il
2° corpo bavarese formava la destra dell' esercito prussiano e occupava
le alture che stanno a monte di "Wissemborgo; il 5" corpo prese posizio-
620 CRONACA
ne in faccia a WisfcèmborgD. L'I 1° corpo comparve di qua dalla Lauler e
protetto dalle boscaglie, sorprese la destra dei Francesi nei suoi allog-
giamenti; né è certo se avesse passala la Lauter a guado, oppure se,
sboccando da Lauterhorgo, avesse risalito la sponda destra del fiume
fino al convegno di battaglia. Gli altri corpi non furono impegnatilo
almeno solo qualche frazione di quei corpi, specialmente la cavalleria,
presero parte alla lotta. Ad ogni modo questi tre corpi che formavano da
60 a 70 mila uomini erano più che sufficienti per isehiacciare i 10,000 fran-
cesi della divisione Douay. Il Principe reale, operando con una pruden-
za veramente straordinaria, e servito con eguale puntualità dalle sue
truppe, aspettò che il segno della battaglia venisse dato daini9 corpo
come quello che, avendo da l'are una lunga marcia, era il meno sicuro di
essere esaito all'appuntamento. 11 successo di questa manovra fu così
pieno, che quando le teste di colonna prussiane shoccarono dalla selva,
sorpresero i zuavi di Douay, mentre stavano preparando il rancio del
mattino. La prontezza dei francesi a mettersi in battaglia è nota. Gli
zuavi, appena visti spuntare i prussiani, abbandonato il rancio, diedero
di piglio alle armi e messisi in ordine corsero con tanto impeto contro
i prussiani, che li ricacciarono in disordine nel bosco, malgrado la vigo-
rosa resistenza che questi opponevano. Il rimanente della divisione
francese mettevasi in ordine di combattimento, e schieravasi fumi della
città per far fronte all'attacco dell1 IT corpo prussiano. La strada ferra-
ta Haguenau-Landau, proprio al punto in cui si scosta da AYissemborgo,
corre sui fianchi di un colle che è tagliato a picco, per dar luogo alla fer-
rovia. Ài momento in cui i francesi si ordinavano per far fronte all'I 1°
corpo prussiano, ecco comparire sulla sommità del colle, il Principe ere-
ditario col suo stato maggiore; e quasi questa comparsa fosse il segnale
dell' impegno generale delle truppe, tosto il 2° corpo si presenta contro
la città, mentre il corpo bavarese si avanza sulle alture, a monte della cit-
tà medesima. Ognuno capisce quanto fosse critica fin dal primo momento
la condizione dei francesi. Pare che un sol battaglione francese difendesse
parecchie ore la città, contro gli attacchi di tutto un corpo prussiano; men-
tre poche truppe si stendevano sulle alture per trattenere i bavaresi che
minacciavano di venire a prendere da tergo il grosso della divisione
francese, impegnato giù in basso contro TU" corpo. E contro questo
corpo ferveva il grosso della mischia, perchè qualora si fossero potuti
ricacciare da quella parte i prussiani di là della Lauler, era meno dif-
ficile sostener la città, e proleggere le alture contro i bavaresi. Ma que-
sta impresa era disperata. Tre reggimenti di fanteria e pochi squadroni
avevano a lottare contro otto reggimenti di fanteria e sci reggimenti di
cavalleria. Il reggimento dei zuavi, respinto indietro dalle masse prus-
siane, che sempre ingrossavano, ripiegavasi sulla prima brigata. Questa
entrò bravamente in linea e sostenne il fuoco. Si disse che in breve
CONTEMPORANEA 621
mancarono ai soldati le cartucce, o che i fucili chassepol, le cui canne
sono leggere e sottili, si scaldassero in breve talmente, da renderne diffi-
cile Fuso; ma probabilmente i francesi non ascoltarono che la loro auda-
cia, e vollero rimaner fedeli alla loro tattica: vale a dire che dopo alcune
scariche si gitlarono novamente colla baionetta sul nemico. Ma se l'at-
taccare alla baionetta il nemico che si ha di fronte è quasi sempre un
movimento che assicura la vittoria, ciò diviene pericolosissimo quando
si carica un nemico troppo numeroso che occupa una linea di battaglia
molto estesa; perchè per lo stesso sfondare che si fa il nemico in un
punto, le parti non attaccate, se tengono fermo, vengono a trovarsi di
banco all'assalitore, lo crivellauo di fuochi e in breve lo annientano. Ma
ciò che più monta, i prussiani avevano profondamente studiata la tatti-
ca francese, e avevano anche cercato il rimedio a questo pericolo. Infatti,
mentre i francesi si mettevano in moto per la carica, cosa che produ-
ce sempre un certo spostamento delle file e un tal qual disordine, la
cavalleria prussiana, sbucata a sua volta dai boschi, caricò vigorosamente
le colonne francesi. E mentre alcune di queste più fortunate raggiungeva-
no il nemico e impegnavano la lotta a corpo a corpo, le altre disordinate
dalle cariche della cavalleria, indietreggiavano in disordine, appena sal-
vate, grazie alla cavalleria francese, da uno sbaraglio totale. D'altra parte
le poche colonne che avevano riuscito a raggiungere il nemico, so-
praffatte dair immensa sua superiorità, dopo brevi momenti di una
lotta eroica ma disuguale, furono costrette esse pure a retrocedere in
disordine. In quel frattempo una formidabile artiglieria prussiana, ve-
niva a prendere posizione sul pendio della collina, alla sommità della qua-
le stava il Principe ereditario e riduceva in breve al silenzio l'artiglieria
francese inferiore in numero di bocche e in posizione. Sulle alture e
nella città i pochi francesi facevauo alla meglio fronte agli attacchi in-
cessanti di truppe sempre fresche che loro affacciavano i prussiani e
i bavaresi, ma nella pianura, il grosso della divisione era disfatto e il
combattimento perduto. Se in quel momento il gen. Douay avesse ordi-
nala la ritirata, forse il risultato del combattimento non sarebbe stato
così funesto. I prussiani non ancora imbaldanziti da vittorie, meravi-
gliati dell'audacia con cui un pugno d'uomini veniva intrepidamente ad
attaccare un esercito sette volte più numeroso, temendo un soccorso
vicino, non li avrebbero forse di troppo inquietati nella ririrata. Ma
il generale Douay, conscio forse del suo fallo di essersi lasciato sor-
prendere e di non essersi messo in ritirata, e desideroso anche di sal-
vare l'onore di tutto l'esercito, con una sconfitta eroica, volle tentare
un' ultima prova. I battaglioni, protetti da alcune cariche di cavalleria,
si riordinarono alla meglio, e furono di nuovo lanciati all'attacco. Ma
intanto le masse prussiane continuavano a sbucare dalle boscaglie, si
622 CRONACA
avanzavano e si estendevano sempre più sulla sinistra ; sviluppandosi
molto di là della destra della breve linea francese. Tuttavia Furto
dei francesi fu ancora una volta così impetuoso, che i prussì
Jarono un istante, e qui nacque una mischia terribile in cui si IV
prineipal macello. Ma bastarono pochi momenti per convincersi dell in-
utili Là di quello sforzo. Chi dice che in quel momento cadesse il gene-
rale Douay, chi dice invece che si uccidesse da se nella ritirata. 11
sta che i francesi dovettero ritirarsi, lasciando circa 800 morti sul cam-
po di battaglia. Intanto la scarsa guarnigione di AVissemborgo era sta-
ta sopraffatta dal nemico che era riuscito ad introdursi nella città. Si
scambiavano fucilate nelle vie, ma senza speranza di successo; e le
scarse truppe che stavano di fronte ai bavaresi sulle colline, discen-
devano verso la pianura, voltando il tergo al resto della divisione fran-
cese che faceva fronte al basso airil0 corpo. La divisione francese de-
scriveva pertanto un movimento simile al chiudersi di un compasso,
avente per pomo AYissemborgo. Al cominciare del combattimento questo
compasso era aperto ad un raggio di 60 in 70 gradi, ma erasi andato
man mano restringendo sotto la pressione delle forze nemiche. Indi-
zio del rispetto che quella divisione incusse ai prussiani, si è che dopo
essere stala disorganizzata da tanti attacchi, essa potè uscire da quella
stretta, non abbandonando che un cannone smontato e 400 prigionieri;
i quali erano stati raccolti in gran parte nella città, oppure nelle cari-
che alla baionetta, nelle quali i più audaci che si sono spinti più avan-
ti, restano quasi sempre prigioni, quando i loro compagni sono costret-
ti a ritirarsi.
Gli avanzi della divisione, privi di capo, si ritirarono grazie al rispet-
to che avevano incusso al nemico. L1 artiglieria riuscì a sottrarsi, la ca-
valleria e quei battaglioni che avevano conservati i capi, protessero alla
meglio la ritirata, che i prussiani del resto non si fecero troppa premura
di inquietare. Ma molti soldati francesi si sbandarono, e se ne videro
lino a Colmar, cioè a più di 100 chilometri più indietro.
2. Tutti gli intelligenti di cose militari furono altamente sor;
segretezza e puntualità, colla quale i corpi dell'esercito prussiano del
Sud, dispersi in tutta la Germania, vennero al convegno di Wissembor-
go. Giova pensare ai bagagli che trascina seco solo un reggimento di
fanteria o una batteria di artiglieria, per farsi un' idea della difficoltà di
raccogliere 150 mila uomini sovra uno spazio di poehe leghe, e r
glierìi senza che il nemico, solo discosto poche miglia, se ne avveda. E
questa forse la migliore scusa che si possa addurre in favore di Mac
Mahon, nell'inconsiderato muoversi (he lece verso il nemico, quando eb-
be notizia del combattimento di AYissemborgo. Che se egli a^^se sapulo
di certo di avere dinanzi a sé tutto quanto Teserei lo del Sud, non avreb-
CONTEMPORANEA 623
he certamente commesso queir atto di audacia. Ma tutto concorre nel
confermarci nel concetto che i francesi fossero realmente convinti, tutta
la forza pru siana essere concentrata sulla Saar, e l'attacco di AYissembor-
go non essere che una forte diversione, per istaccare i francesi dalla lo-
ro posizione di Metz-Nancy-Bitche. Il Principe reale aveva contribuito
a mantenere Mac Mahon in quella illusione, non ispiegando contro Do-
uay che due corpi prussiani e il corpo bavarese, in tutto sessantamila
uomini. Mac Mahon nel mettersi in moto contava sui 35 in 40 mila uo-
mini che egli aveva, sugli avanzi della divisione Douay che avrebbe
raccolti per istrada, e su qualche aiuto che in caso di bisogno avrebbe
potuto prestargli il corpo di Failly; epperciò credette di trovarsi, quan-
tunque di qualche poco interiore al Principe reale, però in grado di
sconfiggerlo. Ma il Principe reale, che aveva con mirabile sagacia pre-
veduta la mossa di Mac Mahon, appena finito il combattimento di Wis-
semborgo , aveva fatto sfilare avanti gli altri tre corpi freschi del suo
esercito, lasciando una mezza giornata di riposo a quelli che erano stati
impegnati nel combattimento del mattino. Questi corpi freschi invece di
prendere la via diretta da Wisaemborgo a Strasborgo, incontro a Mac
Mahon, presero la via diagonale verso Worth, Niederbronn e Sanerne,
perchè intendevano, se riuscivano a battere Mac Mahon, d1 impedirgli il
passo per congiungersi al resto dell1 esercito che stava alia sua sinistra,
e di rispingerlo di nuovo sopra Strasborgo. Mac Mahon, dal canto suo, e
con iscopo opposto, invece di marciare direttamente da Haguenau verso
Wissemborgo, aveva deviato a sinistra sulla strada di Niederbronn per
avvicinarsi, mentre marciava avanti, al centro dell1 esercito francese.
Perciò i due eserciti marciavano verso un obbiettivo comune, ma per
due strade rispettivamente diagonali : i francesi dal Sud ali1 Ovest, e i
prussiani dal Nord ali1 Ovest ; in guisa che vennero quasi ad urtarsi di
fianco, come se in un sito, dove due ferrovie si congiungono in un sol
binario, due convogli che andassero nella stessa direzione venissero
a scontrarsi sul punto di congiunzione; le teste dei due convogli si ur-
terebbero e il lato sinistro dell1 uno verrebbe a far fronte verso il lato
destro dell1 altro. Questo fu presso a poco il modo onde le forze nemiche
si scontrarono. Le truppe francesi facendo fronte a destra rimasero in fac-
cia alle prussiane, e i prussiani si misero pure in battaglia facendo fron-
te a sinistra. Solo presso Worth, dove le teste delle colonne nemiche si
scontrarono, si ebbe il cozzo principale. Ed ecco perchè i prussiani danno
quel nome alla battaglia, mentre i francesi la chiamano di Reichshoffen,
dal luogo dove era il comando del corpo francese combattente. Di que-
sta battaglia, che fu immensamente più importante della prima, si ha
la seguente relazione più che sommaria da parte di Mac Mahon. La rife-
riamo per esteso accompagnandola con alcune spiegazioni.
624 CRONACA
« Sajuerne 7 Agosto. Sire, ho l'onore di esporre a V. M. che il 6 A-
gosto dopo essere stato obbligato ad evacuare la città di Wisscmborgo,
il 1.° corpo, allo scopo di coprire la ferrovia da Strasborgo a Bitche e le
principali strade che congiungono i pendii orientali agli occidentali dei
Vosgesi, ho occupato le seguenti posizioni: La l.a divisione era ordina-
ta colla destra innanzi a Freischwiller, colla sinistra nella direzione di
Reichshoffen, appoggiata ad un bosco che copre questo villaggio. Esso
staccava due compagnie a Nuenviller e Jagerstadt (due case di campagna
poste lungo la fronte di battaglia). La 3.a divisione occupava colla prima
brigata un contrafforte che si stacca da Freischwiller e termina in punta
Terso Guersdorf, la 2.a brigata appoggiava la sinistra a Freischwiller e
la destra al villaggio di Elsasshausen. La 4.* divisione formava una li-
nea irregolare a destra della 3.a divisione, facendo fronte colla 1.* divi-
sione a Guustedt e colla 2.a al villaggio di Marsbrònn che non potò oc-
cupare per difetto di forze. La divisione Dumesnil del 7.° corpo che avea
raggiunto nella mattina del 6 per tempo, era in riserva dietro la 4.a di-
visione. La 2.a divisione (quella di Douay che avea combattuto a AVis-
semborgo) stava in riserva dietro l'ultima brigata della 3.a divisione e
la 1 .» brigata della 4.a Infine più indietro, era posta la brigata di caval-
leria leggera del gen. Septeuil e la divisione di corazzieri del gen. Bonn-
main; la brigata di cavalleria Michel sotto gli ordini del gen. Duhesme
stava dietro all'ala destra della 4.a divisione. »
Ci vorrebbero carte corografiche molte precise per fare un esatto giu-
dizio della disposizione del corpo di Mac Mahon. E però noto che la ca-
tena dei Vosgesi accompagna il Reno ad una distanza media di 50 ki-
lometri nella direzione dal Nord al Sud; e da Belfort tino ai dintorni di
Strasborgo è così configurata, che nessuna ferrovia finora la traversa.
È invece contornata da ferrovie alle due estremità, in cui le alture si
abbassano sufììcientemente per lasciarle il passo. Di queste ferrovie
una, la più meridionale, li contorna a mezzodì e da Molosa per Belfort e
Lure entra nel cuor della Francia e va a Parigi ; l'altra, parte da Stras-
borgo e li contorna al Nord e per Sauerne, Sarrebourg e Nancy si uni-
sce alla rete ferroviaria del centro della Francia. Era quest1 ultima li-
nea che i prussiani minacciavano dopo le presa di AVissemborgo e che
J\lac Mahon tentava di coprire prendendo posizione avanti a Worth. In
quel luogo le alture dei Vosgi sensibilmente si abbassano verso il Nord-
est ed offrono posizioni assai favorevoli per un esercito, che, come quel-
lo di Mac Mahon, si trovi più a monte del suo avversario. Però la
località favoriva assai i prussiani, perchè vi sono molti boschi prati-
cabili, i quali coprivano i prussiani e nascondevano al nemico le loro
disposizioni d'attacco. Le forze di Mac Mahon consistevano in tre di-
Tisioni fresche del suo corpo, cioè 36 battaglioni di fanteria e tre di
CONTEMPORANEA 625
cacciatori, più la l.a divisione del 7. 6 corpo di tredici battaglioni, in
tutto 52 battaglioni di fanteria; più la seconda divisione (Douay) che
dopo la rotta di AYissemborgo non metteva certamente in linea più di
5000 uomini. Inoltre egli disponeva di cinque reggimenti di cavalle-
ria leggera e quattro di corazzieri, cioè 54 squadroni. Calcolando ad
800 uomini i battaglioni di fanteria e a 100 uomini gli squadroni,
noi avremo coi 5 mila uomini della seconda divisione un totale di 52
mila, uomini sotto gli ordini di Mac Mahon. La disposizione presa dal-
le truppe francesi per affrontare il nemico indica sufficientemente che
esse lo avevano incontrato mentre marciavano di fianco, cercando di con-
tornare i pendii dei Vosgesi. Dallo stesso rapporto si scorge che le
divisioni erano l'ima dietro all'altra in ordine di marcia e non fecero
che operare un fronte a destra per respingere il nemico ; la prima
divisione dando la destra alla 3.a, la 3. a alla 4.\ Che se Mac Mahon
fosse andato incontro al nemico, le colonne avrebbero camminato in
linee parallele. Invece le 3 prime divisioni non fecero che voltarsi a
diritta, e la divisione Dumesnil e Douay non fecero che passar dietro
alla prima fila, per Venirsi a fermare la prima dietro al centro e l'al-
tra dietro l'estrema destra delle tre divisioni che stavano in prima
linea. Una brigala di cavalleria leggiera si avanzò pure verso il centro
per qualunque cosa potesse accadere ; ma la grossa cavalleria si fermò
alla estrema destra, perchè, come il rapporto accenna, l'estrema destra
non avea forze sufficienti o non era arrivata in tempo (e questo ci
par più probabile) per fortificare la sua estremità nel villaggio di
Marsbronn; sicché trovandosi, come si suol dire, in armi, in mezzo al-
la campagna, le si era lasciata la cavalleria pesante, per proteggerla
contro gli insulti della cavalleria nemica, che avesse tentato di girarle
il fianco e venirla prendere alle spalle.
11 6° e 12° corpi prussiani che cominciavano la lotta, contavano cia-
scuno otto reggimenti di fanteria e due o tre battaglioni di cavalleria, di
cinque squadroni, più un reggimento di fucilieri, un battaglione di cac-
ciatori, e un reggimento di cavalleria di riserva di 5 squadroni. In tut-
to 50 battaglioni e 30 squadroni, i quali erano per lo meno tanto forti
quanto i francesi, se non anzi di più ; perchè i battaglioni prussiani
quando sono compiuti, raggiungono i 1000 uomini. Si può quindi ri-
tenere che i due corpi prussiani oltrepassassero i 50 mila uomini. Pare
che essi marciassero sovra una sola linea, ed essendosi mostrali quan-
do già la la divisione francese aveva marciato avanti, attaccarono l'ul-
tima brigata di quella la divisione e la prima brigata della 3a divisio-
ne che la seguiva. Ma udiamo prima di tutto la relazione ufficiale. Essa
prosegue :
« A 7 ore del mattino, il nemico comparve innanzi alle alture di
Guersdorff e cominciò l'attacco con un cannoneggiamento seguito ben-
Serie YI1, voi. XI, fase. 491. 40 27 Agosto 1870.
()ì\ì CRONACA
tosto da un vivissimo fuoco di moschettcria contro la la e la 3a divi-
sione. Questo attacco fu abbastanza vibrato da obbligare la la divi-
sione a fare un cambiamento di fronte sul davanti della sua ala de-
stra per impedire il nemico di girare la posizione generale. » Queste
espressioni lasciano capire sufficientemente, come del resto la condi-
zione dei luogbi ne fa fede, che il corpo di Mac Mahon descriveva una
curva, la cui parte convessa venne attaccala dai prussiani. La 2a bri-
gata della la divisione potè ancora resistere di fronte, ma la prima
brigata che già stava voltando in altra direzione, dovette cambiar di
fronte, cioè avendo per perno la seconda brigata, descrivere una con-
versione a destra che la portava sul fianco destro dei prussiani, tentan-
do con quel fuoco di fianco di allentare l'attacco che i prussiani mo-
vevano contro la 2* brigata. Ma la posizione occupata dalla la brigata
della 2a divisione francese sulle alture di Guersdorff era troppo forte,
e i prussiani non erano abbastanza in forze per isloggiarli. I francesi
mantennero le loro posizioni, e gli attacchi dei prussiani rimasero infrut-
tuosi. Ma i prussiani che avevano riconosciute le forze francesi, e vole-
vano assicurarsi la vittoria, capivano che bisognava loro aspettare i tre
corpi che avevano combattuto a Wssemborgo ; i quali, malgrado le per-
dite del giorno precedente, dovevano contare ancora per lo meno 60 mi-
la combattenti. Intanto una parte delle truppe prussiane dei 6° e 11*
corpo stendevansi nella loro sinistra, ingaggiando la battaglia su tutta
la fronte; ma senza tentare alcunché di decisivo. Così infatti appare
dalla relazione molto laconica di Mac Mahon che proseguiamo a citare
in tutta la sua integrità.
« Un po' più tardi il nemico aumentò considerevolmente il numero
delle sue batterie ed aprì il fuoco sull'alta posizione che occupavano
sulla destra della Sauerbach (fronte della 4a divisione francese). Ben-
ché più seria e più forte della prima che contemporaneamente si conti-
nuava, questa seconda dimostrazione non era che un fìnto attacco pron-
tamente respinto. »
Era questo, come abbiam veduto, lo stendersi a sinistra delle truppe
prussiane dei due primi corpi. Ma il Principe reale, avvisato per tempo
del movimento di Mac Mahon, aveva fin dal mattino per tempo messo
in moto il rimanente dell'esercito, il quale attirato dal cannone e sfor-
zando il passo, giunse sul campo di battaglia verso il mezzodì. Infat-
ti Mac Mahon prosegue:
« Verso mezzodì il nemico ravvivò l'attacco versola nostra de-tra.
Nuvole di cacciatori appoggiati da masse considerevoli di fanteria e
protetti da oltre sessanta bocche da fuoco collocate sulle alture di Gun-
stadt. si slanciarono sulla 2a divisione (che nel combattimento preceden-
te era forse entrata in linea) e sulla 2a brigata e 3a divisione che occupa-
CONTEMPORANEA 627
Taro i! villaggio di Elsasheusen. Nonostante forti e ripetute riprese of-
fensive, e malgado il fuoco ben diretto dell'artiglieria e varie brillanti
cariche dei corazzieri , la nostra destra fu respinta dopo molte ore di
una resistenza accanita. »
Anche in questo caso non si può disconoscere la prontezza delle riso-
luzioni dillo stato maggiore prussiano. La direzione dei primi due corpi
prussiani da Wisseniborgo a Wórth pare mostrare con evidenza che es-
si intendevano tagliare le comunicazioni di Mac Mahon col resto del-
l' esercito francese, attraversandogli il passo e respingendo la sua-estre-
ma sinistra verso la destra, cioè verso Strasborgo. Ma arrivati un
po' tardi essi trovarono i francesi già troppo inoltrati. Si contentarono
però di trattenerli attaccandoli prima fra la sinistra ed il centro e poi
facendo qualche dimostrazione contro la destra. Sopraggiunto il Prin-
cipe reale col resto dell1 esercito, e vista la diflieoltà di ricacciare in-
dietro i francesi, e con prontezza mirabile, adocchiato il diletto della
fronte francese, la cui destra finiva nei campi senza essere appoggiata
a verun ostacolo naturale, subito stese lungo il centro francese un nu-
golo di cacciatori per nascondere il suo movimento, e sfilando col gros-
so delF esercito dietro i cacciatori venne a precipitarsi sub11 estrema de-
stra dai francesi, tagliando loro la ritirata di Strasborgo, e ricaccian-
doli verso Sauerne cioè indietro un po' a sinistra.
Tutte le relazioni convengono nelfammirare l'accanimento con cui si
pugnò da ambo le parti. I corazzieri francesi eseguirono a più riprese
cariche disperale, lasciando morti , feriti o prigioni oltre a 120 ufficiali.
Ognuno si farà facilmente un'idea della strage che devono produrre una
dozzina di reggimenti di cavalleria che si scontrano disperatamente in
un campo ingombro da quarantamila soldati di fanteria, che accecati di
furore si caricano a vicenda. Ma alla fine la enorme preponderanza
numerica dei prussiani e l'abilità delle loro mosse doveva avere il so-
pravvento sull'eroico coraggio dei francesi. Sentiamo per fui lima volta
Mac Mahon :
« Erano le 4. Io ordinai la ritirata. Essa fu protetta dalla la e dalla
2a divisione che spiegarono molta fermezza e permisero alle altre trup-
pa di ritirarsi senza troppo grave molestia. La ritirata si effettuò sopra
Sauerne per Niederbronn dove la divisione Guyot de l'Espare del 5° cor-
po che vi era giunta allora, prese posizione e non si ritirò che a notte
inoltrata, io trasmetto il nome dei feriti, uccisi, ecc. Mac Mahon. »
Queste parole di Mac Mahon danno un'idea del modo con cui il suo
corpo operò la ritirata. La estrema destra cominciò il movimento pas-
sando dietro il centro e la sinistra e proseguendo la via che già calcava
il mattino, poi il centro passò dietro l'ala sinistra nello stesso senso, e
finalmente la sinistra chiuse la ritirata, continuando la stessa via, ma
628 CRONACA
con maggior confusione, abbandonando sul campo trenta cannoni, sei
mitragliatrici , e 4000 prigionieri o raccolti nei villaggi cbe difende-
vano, o tagliati fuori all'ala destra, quando si trovò avviluppata dai cor-
pi prussiani. Solo a Niederhronn, cioè verso sera, e dopo dodici ore che
il combattimento era cominciato a AYòrth, Mac Mahon trovò la divisione
più vicina del 5° corpo, che De Failly mandava in suo aiuto. Eccola cau-
sa di tanti rovesci. Mac Mahon Dell'affrontare tutto V esercito del Princi-
pe reale, non avea potuto ricevere in tempo utile altro soccorso che una
divisione dal 7° corpo che stava alla sua destra, e dalla sua sinistra un'
altra divisione del 5* corpo, ma dopo che la battaglia era stala perduta.
Le cause di questo disastro furono adunque: l.'La troppa distanza in
cui si trovavano i corpi francesi Timo dall'altro, lungo la frontiera del
Nord : 2.° Il non sapere che l'esercito tedesco del Sud si raccoglieva su
Wissemborgo: 3." La eccessiva fiducia dei superiori nelle truppe, e la
poca cura di aiutarsi a vicenda, anzi lo studio di evitarsi fintanto che le
condizioni divenissero disperale e i soccorsi inutili.
3. Lo stalo maggiore prussiano, per divertire l'attenzione dei fran-
cesi dalì1 attacco del Principe reale, meditava una seria dimostrazione
verso l'estremità opposta della fronte d'operazioni, cioè all'estrema sini-
stra dei francesi. Probabilmente lo stato maggiore prussiano non aspet-
tava la disperata difesa che fece la divisione Douay a Wissemborgo, e
credeva che quella divisione ripiegandosi sul primo corpo, la battaglia
fra il Principe reale e Mac Mahon sarebbesi impegnata il domani del
passaggio della Lauter. Il fatto sta che durante le giornate del 4 e del 5
Agosto i prussiani se ne stettero cheti nei loro alloggiamenti di Saar-
bruck, anzi non si mossero che assai tardi nella mattina del 6. Probabil-
mente essendo incerti del momento dell'azione nella valle del Reno, as-
pettavano un telegramma del Principe reale, il quale, udito il tuonar dei
cannoni dei primi corpi aWorth, ebbe tempo a informarne per telegra-
fo l'esercito di Steimnetz verso le 9 del mattino. Al mattino del 6 a sole
già alto i francesi occupavano tranquillamente il terreno da essi preso ai
prussiani nella precedente scaramuccia, nò si aspettavano un attacco.
Steimnetz aveva fra il 4 e il 5 Agosto raccolto intorno a Saarbruck
tutta la sua armata composta dei 7° ed 8° corpo, cioè una sessantina di
battaglioni e altrettanti squadroni di cavalleria ; perchè a queir ora già
cominciavano ad arrivare a Saarbruck le vanguardie dell'esercito del
principe Federico Carlo, forte di 6 corpi d'armata, il quale avea risalito
la valle della Mosella da Treviri verso la frontiera francese. Il corpo di
Frossard (2* dell' esercito francese) che occupava le posizioni innanzi a
Saarbruck, componevasi di 12 reggimenti di fanteria, cioè 36 battaglioni,
tre battaglioni di cacciatori a piedi e 4 reggimenti, ossia 12 squadroni di
cavalleria leggera, e 12 di linea. Questo corpo francese stendevasi sopra
CONTEMPORANEA 629
un semicircolo di alture che dominano la città verso occidente, e teneva
un solo reggimento attendato nella pianura a (ianco della città. Relazioni
ai giornali francesi di corrispondenti che si trovarono sui luoghi asseri-
scono che, air ora del rancio del mattino, le truppe di Frossard erano
tranquille né appariva minaccia di un attacco. Quando ad un tratto si
videro spuntare sulla ferrovia da Saarbrucka Saarlouis, che in quel luo-
go cammina sovra un terrapieno e nasconde la campagna verso Treviri,
un certo numero di bersaglieri tedeschi, i quali fecero fuoco contro le
sentinelle avanzate dei francesi, e scavalcata la ferrovia si avanzarono
contro il reggimento che stava ali1 aperto. Intanto considerevoli colonne
prussiane seguivano i bersaglieri e minacciavano contemporaneamente
la città', il reggimento che le stava a fianco e le allure che giravano alle
spalle di quel reggimento. I francesi, prese a lor volta le armi, discesero
in soccorso del reggimento che stava più vicino al nemico, e coronaro-
no le alture per disputarle all'esercito di Steimnetz. Notisi che persone,
le quali dicono di essere state presenti , narrano diversamente questo
combattimento, del quale del resto si hanno scarsissime informazioni,
per:hè poco importante relativamente all'altro contemporaneo della rot-
ta di Wòrth e della ritirata su Metz. Riferiamo sobriamente i soli fatti
principali sui quali il dubbio è minore. Tutti sono perciò d1 accordo nel
dire che il combattimento continuò senza essere vivamente inpegnato dal-
le nove circa del mattino fino assai avanti nel pomeriggio. Infatti fin ver-
so le tre di sera, lo stato maggiore di Frossard teneva per certo che i
francesi avrebbero mantenuta la posizione. Non prima di allora, cioè
quando le truppe francesi erano già stanche di un combattimento di sei
ore, che nuovi e formidabili corpi di truppe fresche furono messe in moto
dai prussiani. Erano queste le prime colonne ossia una parte delT eser-
cito del principe Federico Carlo, che attirata dal cannone, era accorsa
nel teatro del combattimento. Queste truppe trovarono i francesi già
sloggiati dalla pianura che stava al centro dell'azione, e raccolti sulle al-
ture che la dominano. Una prima carica fatta sulla estrema sinistra fran-
cese verso Forbach fu respinta dai francesi , ma quando si vide che le
masse prussiane aumentavano da quella parte, minacciando di tagliare ai
francesi la ritirata sopra S. Àvolde Metz, fu dato il segno della ritirata.
Questa si compì col massimo ordine, senza abbandonar cannoni o ban-
diere, lasciando pochissimi prigioni, e senza che i prussiani si ponesse-
ro, come altrove, ad inseguire troppo vivamente il nemico.
Anche in questa circostanza si ebbero a deplorare le male intelligenze
dei capi, e il loro desiderio di operare da soli. 11 Paris journal racconta
a tal proposito un fatto assai significante, e che, portando nomi assai noti,
ci dà qualche guarentigia di verità. «Al principio (dice) del combatti-
mento (di Forbach) sapendo che il general Frossard stava per affrontare
630 CRONACA
con 35,000 uomini un esercito di 100,000, il maresciallo Bazaine gli fece
dire se volea de1 rinforzi. — È inutile, rispose Frossard: vinceremo da
soli. E infatti fu a un pelo di vincere. Tuttavia, dopo parecchie ore di
lotta, siccome il numero minacciava di prevalere, il sig. Jerome David,
vice-presidente della Camera, che è stato soldato e che lo è ridivenuto
per combattere contro i prussiani, parti dalla mischia alla volta di Ba-
zaine e gli annunziò che bisognava soccorrere Frossard. — Vi inganna-
te, gli fu risposto; Frossard ha fatto dire che era in un' eccellente po-
sizione e voleva finire la giornata da solo. Il maresciallo Bazaine non si
mosse e Frossard fu vinto. » 11 sig. Jerome David è personaggio assai
noto, e vive. Finora, per quanto sappiamo, egli non ha ancora smentito
quelle asserzioni del Paris Journal .
4. Ma quand'anche Frossard fosse riuscito a mantenere la sua posizio-
ne sulla Saar, dopo la disfatta di Worth, egli avrebbe dovuto ritirarsi.
La battaglia di Wòrth aveva dimostrato che il piano difensivo dello stato
maggiore francese lungo tutta la frontiera, già pericoloso prima, dopo la
disfatta di Mac Mahon diveniva impossibile. Mac Mahon non potendo più
dirigersi verso Bitche per congiungersi al 5* corpo, aveva dovuto indie-
treggiare verso Sauerne e Nancy, lasciando aperta ai prussiani tutta la
valle del Beno. Il solo 7 corpo di Douay, che trovavasi molto indietro
in quella valle, avea dovuto indietreggiare ancor di più, per evitare uno
scontro contro un esercito di truppe superiore e animato dalla vitto-
ria. S'ebbero notizie di lui verso il 10 Agosto, ed era a S. Marie aux
Mines, a dieci miglia alKOvest di Schlestadt, dove mette capo il tronco
di ferrovia da Schlestadt a S. Marie; il quale, per l'asprezza dei Yosgesi,
resta qui interrotto, ed è ripreso sul pendio occidentale a St. Die, donde
la ferrovia prosiegue per Luneville e Nancy a Metz e oltre. Egli proba-
bilmente tentava di condurre intatte le due divisioni che ancor gli ri-
manevano al quartier generale principale, traversando i Vosgesi per
la strada carreggiabile che da S. Marie va a St. Die. Questo Generale
che, malgrado la distanza, fece ancora pervenire in tempo una divisio-
ne a Mac Mahon nel campo di Wòrth e poi diresse così saviamente il
suo movimento di congiunzione col centro dell'esercito, si è certamen-
te ben comportato, e forse meglio di qualunque altro, negli avvenimen-
ti della prima quindicina dell'Agosto. Le riserve di cavalleria raccolte
a Belfort si trovavano a poco meno di 200 Udometri da Metz. Nella
confusione di notizie che si accumulano sui giornali, non ci fu dato di
sapere che cosa siasi fatto di quella cavalleria. Probabilmente ance
rimontò al Nord-ovest, per venirsi a raccogliere fra Metz e Cbalons. Per-
ciò tutta la valle del Beno sulla sponda destra di quel fiume lino ai Yos-
gesi, restava intieramente aperta ai prussiani. 11 principe di Prussia fe-
ce immediatamente minacciare Slrashorgo da qualche corpo di truppa.
CONTEMPORANEA 631
Slrasborgo è città murata, assistita da una buona cittadella, e circondata
da un campo trincerato, capace di 80 mila uomini. È arsenale di prima
classe specialmente per quanto riguarda il genio ed i pontonieri, che
possedono nei magazzeni dicesi fino a 140 equipaggi da ponte. Però la
città era affatto sguarnita di truppe ; ma la sola guardia mobile se ben
diretta, e l'artiglieria di piazza, possono facilmente difenderla per qual-
che settimana , e fino ai lavori preliminari di un assedio. 11 Principe
reale di Prussia avendo fatta intimar la resa alia città non potè otte-
nerla. Ma al Principe reale premeva troppo di congiungersi coir altro
esercito prussiano satto Metz; ne volle trattenersi innanzi a Strasborgo.
Chiamò il geo. De Bayer colle truppe badesi del 13 corpo per investire
la città, mentre le truppe wùrtemberghesi, che eransi raccolte a Lorrach
sul confine svizzero presso Basilea, passando il Reno in faccia ad Uninga
e a Neu Brisach, invadevano il territorio di Colmar e di Molosa, che era
solo guardato da qualche distaccamento di cavalleria speditovi in rico-
gnizione da Bell'ori. I due dipartimenti francesi dell1 Alto e Basso Reno,
che si stendono fra questo fiume e i Vosgesi, meno Strasborgo e qualche
altro punto fortificato, caddero dunque in poter degli invasori e si guer-
nirono di truppe badesi e wùrtemberghesi.
Intanto l'esercito francese operava la sua ritirata sulla Mosella. Que-
sto assai considerevole confluente del Reno nasce nel pendio occiden-
tale dei Vosgesi, presso Molosa, che però si trova dal lato opposto dei
monti, e descrive un immenso circolo concavo al Nord-est che passa per
Remiremont, Épinal, Toul, Metz, Thionville ed entra nel Lussembor-
go. Questa linea, che si appoggia da un lato alla catena impraticabile
dei Vosgesi, e dall'altro al Lussemborgo ed è sostenuta da tre piazze
l'orti, cioè Thionville, Metz e Toul, offre una posizione favorevolissima
per opporsi ad un esercito che dalla frontiera del Nord volesse incam-
minarsi alla volta di Parigi. Strade comode e numerose conducono dai
punti ove si trovavano dapprima i corpi francesi a tutte queste città in
cui potevano venirsi a raccogliere. Infatti la ritirata di tutti i corpi
francesi si operò quasi spontaneamente su questa linea; Mac Mahon
retrocedeva per Sauerne verso Nancy e Toul, dove già trovavasi la
guardia imperiale: i corpi del centro e della sinistra venivano a racco-
gliersi fra Metz e Pont à Mousson che è sul fiume a mezza strada fra
Metz e Nancy. Il 7° corpo da S. Marie aux Mines poteva arrivare in tem-
po per formare l'estrema destra dell'esercito a Nancy, e fors'anco la
grossa cavalleria poteva giungere in tempo da Belfort per prestare il
suo concorso ad un'azione generale.
Le truppe ancora intatte, di cui disponeva l'Imperatore dopo i com-
battimenti del 4 e 6 Agosto erano: 2 divisioni di fanteria della guar-
dia: 4 divisioni di Bazaine (3° corpo): 3 divisioni di Ladmirault (4° cor-
632 CRONACA
po) : 2 divisioni di Failly (5 corpo : la 3a aveva combattuto a Nieder-
bronn per proteggere la ritirata di Mac Mahon) : 4 divisioni di Canro-
bert; 2 divisoni del 7° corpo, cioè in tutto 17 divisioni: 68 reggimen-
ti : 204 battaglioni; più 32 battaglioni di cacciatori cioè in tutto 236 bat-
taglioni : lenendo conto della cavalleria e le altre armi si può calcolare
FeffetUvp di queste forze a circa 250 mila uomini. A questi aggiungen-
do 50 mila uomini validi delle divisioni già logorate dai precedenti
combattimenti , la forza totale dei francesi nella Mosella potea calcolar-
si a 300 mila uomini in cifra rotonda. I prussiani invece, colle sole
truppe della Confederazione del Nord, avevano verso quella stessa epo-
ca fra i Vosgesi e la Mosella la guardia e 12 corpi d'annata, cioè 26 di-
visioni di fanteria di 9 reggimenti cadauna, cioè 117 reggimenti di fan-
teria, 351 battaglioni, più 18 battaglioni di cacciatori, i quali essendo
più forti che i battaglioni francesi, portano a circa 350 mila uomini la
sola fanteria ; più 50 mila uomini di truppe delle altre armi; più 50
mila bavaresi; più altri 50 mila soldati degli altri Stati. Le sole truppe
della Confederazione del Nord, coi bavaresi, davano dunque un totale di
450 mila uomini. Ma riserbiamo al seguente quaderno il racconto dei
gravi avvenimenti succeduti, i quali portarono la divisione dell' esercito
francese e il pericolo sempre più serio della sua disfatta.
5. Fin da quando l'imperatore Napoleone nel lasciar Parigi aveva ordi-
nato di metterlo in istato di resistere ad un assedio, i parigini eransi
sinistramente commossi di codesta precauzione. Forse Napoleone ave-
va anche inteso con quest' atto di mettere in apprensione la capitale
della Francia e collo spettro dei pericoli della guerra attutire gli elemen-
ti repubblicani, di cui la sapea riboccante, e preparargli animi alla pro-
clamazione dello stato di assedio. È noto che la gran capitale della Fran-
cia, fu, ai tempi del Ministero Tbiers, sotto il governo di Luigi Filippo,
munita di una cinta bastionata semplice, constellata all'intorno da una
quantità di fortini, che ne difendono gli approcci. È un'opera stabile,
ma assai semplice, che vale assai meglio a soffocare i tumulti interni della
rivoluzione, che non a respingere attacchi esterni di un esercito regolare,
munito dei mezzi necessarii di procedere ad un assedio. Ma la città è così
vasta, che, qualora avesse una guarnigione di 100 mila uomini e la po-
polazione valida cooperasse energicamente alla resistenza, un milione
d'uomini basterebbe appena ad investirla compiutamente. I lavori furo-
no compiuti prima della caduta di Luigi Filippo: se non che volendosi
aver riguardo al comodo della popolazione parigina non si potè condurre
a termine un certo numero di opere; specialmente rimasero indifesi gli
accessi alle porte della città, come quelli che sarebbero riusciti insuflìneii-
ti all'enorme carreggio quotidiano, se avesse dovuto operarsi -opra pon-
ti levatoi e sotto le porte. Perciò agli sbocchi delle strade nel suburbio,
CONTEMPORANEA 633
che è popolatasi mo, vi era ima soluzione di continuità nelle mura che
erano solo rappresentate o da eleganti arcate, o sostituite da cancellate
di ferro. Inoltre i fortini in molti luoghi, per non sciupare terreno costo-
sissimo, non avevano nò controforti, né glacis (ossia gli spalti) e in qual-
che sito nemmeno fossati ; ed erano stretti all' intorno dalle eleganti vil-
leggiature dei parigini, o da edifizii ingombri di gente che, pel rincari-
mento delle pigioni ali1 interno della città, si ritirava nei sobborghi. Ap-
pena rottasi la guerra si pose pertanto mano al compimento di questi la-
vori, adoperandovi quotidianamente, a quanto dicono i fogli parigini, un
30 usila operai. Tuttavia Y opera procedeva rimessamente, perchè niuno
era ancora preparato ali1 idea di dover essere seriamente attaccato.
Ma il 5 Agosto la fiducia dei parigini cominciò ad essere assai scossa
dalle notizie della rotta di Wissemborgo ■ e tanto più scossa quanto che,
per uno di quegli equivoci tanto frquenti in tempo di guerra, erasi po-
co prima sparsa la falsa notizia di una grande vittoria dei francesi.
Scene di disordine avvennero alla Borsa, con veri spettacoli di pugila-
to; e il pubblico impaziente, appena avuto sentore delf altro scacco di
Wòrth , recavasi la sera del 6 in piazza Vandòme innanzi al Ministe-
ro dei culti per domandare schiarimenti sugli avvenimenti del teatro
della guerra. Il ministro Guardasigilli diede spiegazioni intorno agli
spacciatori di false notizie ed incorò la città ad aver fiducia; ciò non per-
tanto fin da quella sera la città di Parigi cominciò a prendere un1 atti-
tudine pericolosa. Ma fu bene altra cosa quando nella giornata del 7 si
seppe in modo certo la sconfìtta di Mac Mahon e la ritirata di Frossard.
L'agitazione della città divenne tale, da generare gravissime inquietudini.
La fiducia dei giorni precedenti era convertita nelle classi agiate in vero
sbigottimento. Una moltitudine di persone lasciava Parigi; il lavoro natu-
ralmente era sospeso; la classe operaia divenne perciò oziosa ed inquieta.
Fra essa stava il ceto terribile dei pescatori del torbido, sedicenti repub-
blicani, i quali non desideravano di meglio che un subbuglio. Fin dagli 8
i cambiavalute, orafi, gioiellieri, armaiuoli e altri commercianti che e-
spongono in vendita oggetti preziosi, furono invitati a tener chiusi i
loro magazzini. Tutto il giorno, ma specialmente nella notte, masse
di popolo agitato ingombravano le vie della città, con frequenti san-
guinose collisioni cogli ufficiali di polizia. Intanto il 9 il Ministero
convocava le Camere per esporre loro lo stato delle cose e domandare
pronti soccorsi. Ma il Ministero non potè resistere all' animosità del
Corpo legislativo. Vi furono parecchie vive apostrofi; il deputato Fa-
vre dichiarò che, non potendosi più aver fiducia nelf Imperatore, con-
veniva organizzare un Comitato di difesa; vi fu chi propose perfino la
decadenza di Napoleone dal trono. Ma questo sfogo di personali risenti-
menti non trovò eco nell'Assemblea; la proposta di eleggere un Comitato
634 CRONACA
di difesa venne respinta da 100 voti contro 53; solo il Ministero OUivier-
Grammont non potè reggere all'onta del disastro che aveva preparato al-
la Francia, e, silenziosamente, si dimise. Gli venne sostituito in meno di
un'ora un nuovo Ministero, presieduto dal duca di Palikao e composto
dei bonapartisti più conosciuti. Questo Ministero prese subito in mano
con vigore gli affari della guerra e dell'ordine a Parigi. Lo stato d1 as-
sedio fu promulgato. La turba che stanziava minacciosa agli ac
del Corpo legislativo e avea messo a repentaglio la vita degli ex-mini-
stri Ollivier e Grammont all'uscire dall'Assemblea, fu caricata e disper-
sa dalia cavalleria. Vennero chiamate a Parigi truppe di marina, doga-
nieri, gendarmi, per lasciare in libertà il più che fosse possibile di truppa
regolare , la quale però nella Capitale non si volle mai che fosse
inferiore ai 40 mila uomini, intanto erano proposte ed approvate varie
cautele straordinarie, quali sarebbero la chiamala sotto le armi di tutti
gli uomini validi dai 20 ai 30 anni, il richiamo dei soldati licenziati e
scapoli delle ultime sei classi dell'esercito; il corso forzato dei Biglietti
della Banca di Francia, e un credito di guerra di 2,400 milioni. Fu an-
che concentrato il comando dell'esercito nelle mani del Bazaine, e pre-
si altri provvedimenti che ci contentiamo di accennare di volo, rimet-
tendo il racconto al futuro quaderno.
6. Fra le potenze neutre, il Governo di Firenze è quello che ha fatto,
nel periodo che corrisponde ai fatti militari della presente rassegna, la più
cavalleresca figura. Non è scarso in Italia il numero di coloro ì quali in
tutti i partiti politici, dal generale Cialdini lino al dep. Mellana, avreb-
bero voluto che l'Italia prendesse parte alla lotta, a banco della Francia
contro la Prussia, come la Francia venne in aiuto dei piemontesi a Solfe-
rino. Ma questa politica, quantunque abbia in sé qualche cosa di gene-
roso, viene ad infrangersi coutro due ostacoli potentissimi: cioè gli in-
teressi materiali che sarebbero capitalmente danneggiati dalla guerra, e
le mire del numerosissimo e potentissimo partilo anarchico, il quale ve-
de nei trionfi della Prussia l'anarchia in Francia e per conseguenza l'a-
narchia in Italia. Tuttavia il Ministero di Firenze intende che egli ha bi-
sogno, se non altro, di dimenarsi per far vedere che qualche co.-a fa. E il
suo dimenarsi, insieme a molto di patetico, ha qualche cosa di comico.
È infatti cosa per lo meno assai strana il vederlo ammassare con tanta
sollecitudine tanti corpi di truppa alla frontiera del Patrimonio di S.Pie-
tro, per proteggere il Governo pontificio che non ha bisogno di
protetto, o meglio per proteggerlo contro sé stesso. E questo si dice un
modo di mostrare un gran zelo per la Convenzione di Settembre e un
tratto d'amicizia a Napoleone 111, per quanto le circostanze lo per-
mettono.
Ma in realtà questa condotta del Ministero è altamente pericolosa. Se
la Francia può riaversi delle patite sventure, essa non avrà certo a ral-
CONTEMPORANEA bóo
legrarsi di questo sfoggio della riconoscenza fiorentina; e se è vinta, la
Prussia saprà tenere a calcolo queste mal celate simpatie del Gabinetto
di Firenze; il quale fa tanto da compromettersi, ma non osa far tanto da
salvarsi.
Che il Gabinetto di Firenze sia sopra una falsa via, lo mostrano am-
piamente i suoi atti; perchè mentre si dimena a comporre e formolare la
famosa lega dei neutri che oggi è fatta e domani è da fare, per essere
disfatta il posdomani, e cosi di seguito; d'altra parte procede ad arma-
menti che sono incompatibili con una stretta e sincera neutralità. Malti
non contento delle due classi chiamate sotto le armi in principio di Ago-
sto, esso ne ha richiamate altre due, quelle del 1840 e 41 verso la metà
del mese, accrescendo cosi le iìle di circa 50 mila uomini. Il ministro
Lanza, nel presentare alla Camera, il 16 Agosto, il progetto di credito di
40 milioni per sopperire a quest' aumento di spese dell1 esercito, mentre
insisteva sulla neutralità dell1 Italia e sui motivi di ordine pubblico inter-
no, pure non potea nascondere le sue preoccupazioni anche riguardo
agli avvenimenti generali d'Europa; e il linguaggio del parlamento di-
mostra quanto siano grandi a Firenze queste preoccupazioni. Infatti la
Prussia ha subito profittato dei primi suoi trionfi, per rivolgere qual-
che puntura allltalia, facendo sentire, a quanto ne dissero certi giornali,
che essa avrebbe veduto volontieri a Roma qualche corpo di truppa di
potenza neutra cattolica, come l'Austria o simili, lasciando così inten-
dere che quanto all' Italia il Jamais di Rouher sarebbe ripreso dal Bi-
smark, qualora la Prussia venisse a sottentrare alla Francia nella pre-
ponderanza europea.
Pare che a Firenze siasi lungamente nutrita la speranza di stringere
un'alleanza tra Austria, Italia e Inghilterra, per intervenire in favore
della potenza belligerante che fosse rimasta perdente; e che il Visconti-
Venosta, dopo i fatti del 4 e 6 Agosto, avesse già invitato le due altre
potenze a fare un passo comune in questo senso. Ma pare che l'Inghilter-
ra abbia declinato l'invito, osservando che ne Francia ne Prussia avreb-
bero accettato per ora i loro buoni uffizii. Questo stoicismo del Gabinetto
di S. Giacomo avrebbe alquanto messo in pensiero i Ministri di Firenze,
i quali si cominciano a sentire in poco buono odore alla Corte di Ber-
lino, e temono che l'Inghilterra sia poco disposta a dar loro altro che
buone parole; ed in seguilo a questa risposta sarebbesi decisa la chia-
mata sotto le armi delle altre due classi di soldati congedati, di cui par-
lammo più sopra.
Partite intanto da Roma le truppe francesi, ed occupata la Francia
nella guerra contro la Prussia, il partito democratico italiano credette
giunto il momento di verificare il proverbio che nell'assenza del gatto i
topi ballano. Se Roma si potesse prendere come Gerico, a quest'ora sa-
636 CRONACA
rebbe caduta sotto il frastuono delle trombe giornalistiche. Ma il (Inver-
no italiano pare che questa volta non creda poter secondare ne sopra ne
sotto mano i voti democratici. Agitatasi la questione nelle due Camere,
il Governo, non ostanti i fremiti della sinistra, ottenne un voto di ap-
provazione del suo modo di vedere nella qnistione romana, che è per ora
di rispettare i termini della famosa Convenzione del 15 Settembre 1864,
secondo la quale, T Italia è obbligata a non venire a Roma e ad impedi-
re sul serio che vi vengano i garibaldini. Furono in tal occasione co-
municati al Parlamento i seguenti due dispacci, corsi fra Italia e Francia,
che crediam utile di riportare.
« 77 Ministro degli affari esteri di Francia al Ministro di Francia in
Firenze.
« Parigi, 2 Agosto 1870. Signor Barone, quando gii avvenimenti del
1867 ricondussero negli Stati romani le truppe francesi che ne erano
state ritirate Tanno precedente, il Governo dell'Imperatore ha fatto co-
noscere che il suo scopo non era di sottrarsi dalla Convenzione del 15
Settembre 1864. La Francia interveniva per supplire alla protezione
stipulata in cotesto atto a favore della Santa Sede, ma dichiarava nel-
lo stesso tempo che non si considererebbe affatto come sciolta dagli im-
pegni contratti coli Italia. Il gabinetto di Firenze, da parte sua, non ha
mai negato il valore di quelli che l'obbligano verso di noi. Le dichia-
razioni che ci ha fatte, il linguaggio elevato che risuonò ultimamen-
te in seno al Parlamento italiano, ce ne danno la guarentigia. Noi ab-
biamo dunque richiamate le truppe che avevamo mantenute sinora a
Civitavecchia. Le due potenze si trovano cosi ricollocate nei termini
della Convenzione di Settembre, in virtù della quale l'Italia s*è impe-
gnata a non attaccare, ed a difendere al bisogno contro ogni aggressio-
ne il territorio pontificio. Rimettendo in vigore le varie clausole di que-
sto atto, i due gabinetti gii danno una nuova consecrazione, la quale
ne rassoda l'autorità. E rientrati sin d'ora coi termini dell'obbligo che
esso impone alla Francia, noi riposiamo con piena fiducia sulla vigilante
fermezza, con cui l'Italia eseguirà tutte le disposizioni che la concerno-
no. Siete invitato a leggere questo dispaccio al signor Visconti- Veno-
sta, ed a lasciargliene copia, se ve ne manifesta il desiderio. — Gramonl.
« Il Ministro degli Affari esteri al Ministro del Re in Parigi.
« Firenze, 4 Agoslo 1870. Signor Ministro, il signor Inviato straordi-
nario e Ministro plenipotenziario dell'Imperatore è venuto a darci co-
municazione di un dispaccio, con cui il suo Governo ci fa notificare che
esso ritorna all'esecuzione della Convenzione del 15 Setiembre 1864;
richiamando le sue truppe dal territorio romano. Il Governo del He
prende atto di questa determinazione del Governo imperiale. Voi cono-
scete, signor Ministro, le dichiarazioni che ho fatte al Parlamento il 31
CONTEMPORANEA 637
Luglio ultimo scorso. Vi prego di tenere lo stesso linguaggio al Mini-
stro degli all'ari esteri dell'Imperatore. Il Governo del Re, in ciò che lo
concerne, si conformerà esattamente agli obblighi che risultano per lui
dalle stipulazioni del 1864. lo ho appena d'uopo di aggiungere che noi
contiamo sopra una giusta reciprocità da parte del Governo dell'Impe-
ratore. Vogliate dar lettura di questo dispaccio a S E. il Ministro degli
affari esteri dell'Imperatore, e lasciargliene copia, se la desidera. — Vi-
sconti-Venosta. »
È però chiaro che non in questi dispacci, nò nelle promesse, quali
che si siano, di qualsivoglia Ministero fiorentino, ne molto meno nelle
dichiarazioni e voti delle Camere, è da porre niuna fiducia. Ma soltanto
nella divina provvidenza, che sembra ora, più ancora che pel passato,
aver preso direttamente ed esclusivamente sopra di sé sola la difesa di
Roma e del Papa.
Quanto all'Austria vi fu un momento di vivissima commozione, essen-
dosi sparsa la voce che la Prussia le avesse fatto offerte abbastanza lar-
ghe per guadagnarsela. Si sarebbe trattato nò più né meno che resti-
tuirle il Lombardo- Veneto e permetterle di mandare un corpo di trup-
pe in difesa del territorio pontificio. In una parola renderle la preponde-
ranza in Italia in compenso di quella cui rinunziava in Germania. Que-
ste voci turbarono talmente il pubblico liberale, che ne fu fatta inter-
pellanza nel Parlamento fiorentino, dove il Ministro degli Esteri fece
una esplicita dichiarazione degli stretti vincoli di simpatia e comu-
nanza di interessi che univa i due gabinetti. Ma in Austria come in
Italia i gabinetti non hanno con se le simpatie di tutte le popolazioni.
Mentre 1 Ungheria e la Boemia vedono di mal occhio i trionfi della Ger-
mania , il popolo delle province tedesche applaude di cuore, e ne na-
scono disordini, perchè le autorità non approvano queste dimostra-
zioni. Mentre scriviamo tutte le grandi potenze sono in i-tato di aspet-
tativa; e si intende la necessità di aspettare che un nuovo e decisivo
fatto d1 armi dia un segno più evidente del tracollo che la fortuna ri-
serva all' una più che all'altra delle potenze belligeranti.
Dalle piccole potenze, la sola Danimarca ebbe a passare, comedi-
cono, una crisi. L' apparizione delle flotte frances nel mare del nord, e
la speranza che F esercito francese avesse a riportare qualche fausto
successo sul nemico, avevano riacceso gli spiriti di quelle p polazi* ni,
che tanto hanno sofferto dalla Prussia. Ma le notizie delle prime vitto-
rie prussiane vennero a spegnere in un momento otti quei carboni che
ardevano sotto le ceneri. Dal Belgio e dal Lussemborgo !a ìurras-a si
allontana. Quanto è meglio ora pel Lussemborgo, essere un piccol > -ta-
to, che un dipartimento del Nord del grande Impero francese, calpe-
stato da un milione di combattenti e pieno di rovine e di stragi.
638 cro^ ! e v
Belgio (Nostra corrispondenza) 1. Tirannia dei liberali — 2. Loro errori
— 3. Primo trionfo dei cattolici nelle elezioni parziali — 4. Divisione
dei liberali — 5. Secondo e definitivo trionfo dei cattolici nelle elezio-
ni generali — 6. 11 Belgio e la guerra.
i. Da tredici anni regnavano in Belgio i liberali, che erano saliti al
potere nel 1857 in forza di lu multi fatti contro un disegno di legge so-
pra la carità. Nel 1864 aveano io verità perduta la maggioranza nel-
la camera: ma aiutati da varii errori di alcuni capi del partii) catto-
lico, poterono ciononostante mantenersi al Governo colle nuove elezio-
ni. Si credette per un istante che all'occasione dell'avvenimento al tro-
no di Leopoldo li, nel Dicembre del 1860, sarebbe stata accettata la
loro dimissione, in causa dell'appello air unione fatto dal nuovo Re:
ma non ne fu nulla. Fin al Giugno del 1870 i liberali governarono
dunque il Belgio, e con tanta sicurezza dell'avvenire, che i loro giornali
profetavano appunto allora l'annientamento del partito cattolico. Più
si credeano forti e più opprimevano i cattolici. Questo loro dispotismo
fu la causa della loro disfatta.
Sotto il regno liberalesco i cattolici furono impediti nei loro diritti
di associazione, di fondazioni di carità, di amministrazione delle borse
di studio: furono oppressi nel libero esercizio del loro culto, colla pro-
fanazione dei cimiteri, colla soppressione delle esenzioni dalla leva,
sempre fin allora concedute al clero : furono lesi nei loro diritti di cit-
tadini coiresclusione sistematica dagl'impieghi. Il Ministro della giusti-
zia si segnalò sopra tutti in questa ingiustizia e in questa persecu-
zione dei cattolici. Egli tentò di fare della magistratura un vero corpo
politico, non lasciando più entrarvi che membri delle associazioni li-
berali, ed affigliati alle logge massoniche.
2. Ma quando si è nella via dell'oppressione non sempre si sa conte-
nersi nel possibile. Il signor Frère, capo del Ministero, era giunto a tale,
che non gli era più possibile sopportare la menoma contraddizione Egli
dominava sopra il suo stesso partito con mano di ferro, come dominava
sopra tutti i poteri dello Stato. Guai agi' impiegati liberali che avessero
osato essere di parere diverso dal suo. Egli obbligò i suoi servitori li-
berali a ritrattar i loro voti, per far passare la legge contro le borse
di studio: ej:li insultò un membro considerevole del suo partito per-
chè avea osato resistergli in una bagattella. Il Senato stesso fu da lui
cosi poco rispettato che un bilancio, da lui disapprovato una prima vol-
ta, gli fu subito ripresentato tal e quale perchè lo accettasse, quasi sotto
CONTEMPORANEA 639
la sferza del maestro offeso. Se egli tollerava ancora che le leggi fossero
discusse, ciò era quasi ccl patto che non fossero emendate. Lo stesso po-
tere reale parea sparito dinanzi a quello del Ministro che era chiamato
pubblicamente: // signore del palazzo. E cosi il potere legislativo, che,
secondo la parola della Costituzione, si esercita collettivamente dalle due
Camere e dal Re, era di fatto concentrato nel capo del Gabinetto; e noi
belgi, nonostante il nostro reggimento costituzionale, teoricamente sop-
portammo da vani anni il capriccio del dispotismo esercitato da un li-
berale.
3. I Belgi, che sono in generale assai pazienti, non aspettavano che
una favorevole occasione per iscuolere questo giogo. L'occasione venne
il 14 Giugno, quando la Camera dovea rinnovarsi nella sua metà. Le cir-
costanze erano sfavorevoli ai cattolici, grazie al solito accorgimento dei
liberali. Pure, con grande maraviglia dei liberali, il risultato fu favo-
revole ai cattolici , che guadagnarono abbastanza voti da poter equili-
brare quelli dei liberali. Il Ministro capì che dovea dare le sue dimis-
sioni. Le diede, e il Re incaricò il barone di Anethan, senatore cattolico,
di comporre un nuovo Ministero.
Si vide allora uno spettacolo sempre curioso, benché solito: cioè l'ab-
ono in cui fu lasciato il sig. Frère da molti di quelli che lo soste-
nevano quando era al potere. Un giornale, che già era del suo partito,
scrisse che la sua caduta avea cagionato un sollievo universale. Ma non
per questo i liberali volevano un Ministero cattolico. Si ninnarono a
Brusselle da tutte le parti : e colà, in nome di non so quali principii
costituzionali, instarono per conservare il potere. Non la vinsero però
questa volta, e il barone di Anethan riuscì a formare il Ministero cat-
tolico.
Il 2 Luglio i signori d' Anethan, Kervyn di Lettenhove, Jacobs, Cor-
Desse, Tack e Guillaume fecero nelle mani del Re il giuramento solito
ed entrarono in carica. La loro condizione era difficile, perchè non avea-
no ancora la maggioranza nelle Camere, e non poteano che scioglierle e
procedere a nuove elezioni. Era la prima volta dopo il 1830 che il parti-
to cattolico ricorreva a questo procedimento, di cui i liberali aveano tan-
to abusato. L'8 Luglio fu decretato lo scioglimento, e il Belgio fu chia-
Lo ad eleggere, una nuova camera per il 2 Agosto.
4. Intesero i liberali che il momento era decisivo. Essi sono divisi in due
partiti; quello dei dottrinarti che è il più numeroso e quello dei radicali
che è il più attivo. Hanno uno scopo comune, ma i radicali più schietti
e più imprudenti lo dicono chiaro e lo vogliono ottenere subilo. I dot-
trinarli più ipocriti e più furbi lo dissimulano e si contentano di arrivar-
vi a poco a poco. I radicali accusano i dottrinarli, che sempre finora fu-
rono al potere, di non aver fatto abbastanza : e per un momento si erano
640 CRONACA CONTEMPORANEA
quasi decisi di abbandonarli e separarsene affatto. Molti di loro si orano
uniti ai catto'ici nelle elezioni del 14 Giugno, per potersi così sbarazzar
più presto dei dottrinaria Questa volta si pensò di unirsi invece coi dot-
trinarli per combattere i cattolici.
Intanto scoppiava la guerra tra Francia e Prussia con gran pericolo
del Ministero e del Belgio. Non si pensò più che all' unione di tutti i
partiti. I liberali furbescamente proposero un Ministero nazionale, com-
posto di cattolici e liberali; e la rivocazione del decreto di scioglimento
delle camere. Grazie a Dio i cattolici questa volta non caddero nella rete.
Il Ministero prese i provvedimenti militari neeessarii e man tenne il de-
creto già fatto.
5. Le elezioni ebbero dunque luogo il 2 Agosto, mentre alle frontiere due
nazioni rivali si battevano e nell'interno tutti pensavano al pericolo del
paese che ognuno volea salvare a suo modo. Le elezioni furono lasciate
libere dal Ministero, che vietò-agli impiegati di influirvi. Il che i liberali
non aveano mai fatto. Il risultato fu che furono eletti Deputati 50 libe-
rali e 70 cattolici: Senatori 25 liberali, e 34 cattolici. Nella camera vi
sono inoltre 4 indipendenti eletti col favor dei cattolici, e nel Senato 5
del centro sinistro. Fu un vero trionfo pei cattolici dovuto all' attività
ed energia comune: e specialmente poi a quello dei cattolici di Gand e
di Anversa. La rabbia dei liberali si sfogò specialmente in queste due
città, coi soliti argomenti liberaleschi di tumulti e di sassate, eccitando
così sempre più contro di sé il disprezzo o 1 avversione comune. Mai non
si videro i cattolici, ancorché in maggioranza, abbandonarsi a tali ecces-
si. Essi seppero sopportare degnamente l'oppressione. Imparino ora i li-
berali a rassegnarsi almeno alla giustizia. Ma costoro non sanno nò ob-
bedire né comandare; non sanno che ribellarsi.
6. Nelle gravi circostanze in cui era il Belgio, il Ministero pen<ò di con-
vocar subito il parlamento. Il 5 Agosto si aperse dunque la sessione
straordinaria, dove il Re disse Ira le altre cose, che avea ricevute assi-
curazioni dalle due nazioni belligeranti, sopra la neutralità del Belgio;
che specialmente si doveano grazie per questo air Inghilterra ed alle
premure che essa porta per la nostra nazionalità; e aggiunse esortazio-
ni ali1 unione di tutti per la salute ed indipendenza della patria, la cui
neutralità e sicurezza il Belgio era pronto a difendere. Le parole reali
furon molto applaudite.
Si seppe poco dopo del nuovo trattato sottoscritto da Prussia e Fran-
cia, in favor della neutralità belga, per cura dell* Inghilterra. Ma tutte
queste guarentigie non e1 impediscono dal prendere le nostre precauzio-
ni di difesa militare. Speriamo che Dio ci proteggerà e ci libererà da
ogni flagello di guerra, come ci ha liberati dal flagello dei liberali.
I NUOVI PROTESTANTI
CONTRO IL CONCILIO VATICANO
--sjmrw"
I
Non v' è ormai parte dell' Europa cattolica , in cui la definizione
della infallibilità pontificia non sia stata accolta da popoli con mo-
stre più o meno solenni di sommessione e di gioia: incontri festosi
di cittadini a Vescovi tornali da Roma, acclamazioni, inui, lumina-
rie, discorsi, indirizzi e cento altri modi, con che il profondo con-
vincimento del fedele sa attuarsi estrinsecamente, e dar conto di sé
e della sua vigoria al mondo spettatore. Non è possibile, che un a-
nima credente, leggendo nei giornali le tante e sì svariate relazioni
di cotesti atti della fede, non sentasi dolcemente commuovere e ra-
pire come all' inno più sublime, che la creatura razionale possa in-
viare dal suo seno al trono del suo fattore. Dio ha parlato per boc-
ca del Concilio, ha rassicurato le menli, che tale e non altrimenti
è la somma dei privilegi divinamente posta nel suo Vicario, e que-
sto basta: il popolo fedele calpestando 1' umano orgoglio s' inclina
e dice all'Altissimo:* io credo. Né pago a tanto, gli offre questo no-
bile atto di sommessione, e questo splendido olocausto della intel-
ligenza fra gli odorosi incensi delle feste, dei tripudii e dei canti.
Leggesi nella Genesi che l'olocausto offerto da Noè dopo il diluvio
tornò gradito al Signore non altrimenti, che l'olezzo di soavissimo
fiore, e fu ripagato con amplissime benedizioni. Non accadrà altrct-
Serie VII, voi. XI, fase. 492. 41 3 Settembre 1870.
642 I NUOTI PROTESTANTI
tanto e più di ricambio a questo nobilissimo allo della fede? Niuno
può dubitarne.
In mezzo però a si grande armonia di tutte le intelligenze catto-
liche, non mancarono alcune voci, che tentassero di turbarla eo-
mechessia, e di intorbidare la pura gioia della Chiesa. V ebbero
de' suoi figli, in poco numero ò vero, ma pur v'ebbero, i quali inor-
gogliti di sé medesimi si dissero essi soli sapienti, e rifiatarono di
far ossequio e riverenza alla verità. Non maravigliamoci : il fatto
moderno è la ripetizione di un altro antico. E quando v' ebbe caro di
superbi in questo mondo? S. Germano, Patriarca di Costantino-
poli, scrive, che alcuni, finito il Concilio VI ecumenico, misero in
opera tutti i loro sforzi per annientarne la defìnizioneVFra i quali
v ebbe un tristo prete, v'ebbe un venduto sofista, corsero libelli
avversi, si raccolsero sottoscrizioni contrarie, ed una mano reale
giovò ed animò i ribelli della verità a grande prò della eresia ed a
grave danno della sana dottrina là; Non è punto diversa la opposi-
zione al Concilio vaticano. Un misero prete anonimo mandò a stam-
pare un suo articolo nella Gazzetta universale di Augusta, un ex-re-
ligioso ne scrisse un altro in Francia, un povero sofista die alla luce
un libello a Dusseldorf, una protesta uscì dalla Università di Mo-
naco colla sottocrizione di alcuni professori : e tutto il mondo sa ,
che qualche Governo fieramente ombrò all'annunzio della definizione
della infallibilità, e si mise in su le difese de' proprii diritU, creduli
in grave pericolo. La somiglianza tra le due opposizioni, fatte al Con-
cilio VI ed al Concilio vaticano, non potrebbe essere più spiccata.
Quello che accade presentemente è già aceadulo ab antico , e nel
futuro si rinnoverà ciò che avviene al presente. Niuno ne pigli
scandalo. Alla fin dei conti le opposizioni, che sorgono contro le
1 Quamquam et postea nonnulli enixc connisi sunl sexlam ipsam subver-
tere sijnodum, et libello* scripserunt, et coactas adversus cani subscriptiu-
nes fecerunt , regìa manti eunetos contro, synodum impeli e ni e, Philippico
(nani duplex nomcn huic infausti nomini* reptatori
firit ), qui adversus eam insurrexit. Jtem loanncs quidam coloneu* jpresbn*
ter, et Nicolaus sophista , aliique quorum nomina sponte praetcrmittum ,
haereseos vires auxerunt, et sanum,ecclcsiae noslrae dogma vitiaruni. Mai,
Spicilegium romanum, v. VII; S. Gekmani JSarratio de synodis el Itaeresi-
:;;\. '. S5.
CONTRO IL CONCILIO VATICANO 643
verità definite, sono come gli sbattimenti e le ombre, le quali dan-
no risalto e lume alle figure principali ne' quadri.
Che pensano- infatti tutti cotesti uomini , che gridano , che prote-
stano e che impugnano il Concilio vaticano ? Forse di annientar-
ne la forza? di spegnerne la credenza? di farlo cadere inonorato
nel fango? GÌ' ingannati che sono! a cui non serve di ammaestra-
mento la storia di diciotto Concilii ecumenici. Non v'ebbero defini-
zioni in lutti questi Concilii? Non sorsero oppugnatori, non li guer-
reggiarono potenti d'ingegno e d'impero? Osservate in particola-
re il Concilio niceno I. Quanti sforzi d' ingegno non si adoperarono
per abbatterne la definizione ? quante astuzie non si misero in ope-
ra , quanti conciliaboli di Vescovi non si tennero al medesimo sco-
po? Chi può annoverare le prigioni, gli esilii, le morti decretate da
un Costante, da un Valente per isterparla dal cuore dei sacerdoti di
Cristo? Chi può pensare senza orrore alle profanazioni, ai saccheg-
giamenti ed alle uccisioni , commesse da un' aizzata soldatesca per
annientarla nel popolo fedele ? Leggete il Commonitorio primo di
S. Vincenzo lirinese. Ebbene cadde un apice di ciò, che avea defi-
nito il Concilio? Tutt' altro. La fiera pruova non valse ad altro, che
a radicare vie meglio la credenza definita dal Concilio e cingerla
di fulgidissima aureola. Non accadde altrettanto alle definizioni del
Concilio di Trento? Contro di esse stamparonsi infiniti libelli, mol-
tiplicaronsi dovunque le proteste , usaronsi mille arti e tutte raffi-
nale per iscreditarle , per rovesciarle. Ma tutto indarno. Le verità
definite brillarono invece di nuova luce, e continueranno a brillare
infino alla consummazione dei secoli. La verità del Signore rimane
salda in eterno. Cristo ha promesso di stare a fianchi della Chiesa
per reggerla nella lotta dell' errore contro la verità , di cui essa è
universale maestra, e la sua promessa, come non ha fallito fin qui,
così non fallirà mai. E cotesti nuovi protestanti del secolo decimo-
nono si credono di renderla vana ?
Stolta pretensione! Come di tanti altri sta scritto, che evannerimt
in cogitationibus suis, così può dirsi fin d' ora, che tanto accadrà di
costoro. Essi pensano di recar danno al Concilio ed invece lo recano
a sé gravissimo : vale a dire lo recano alla propria unione colla
Chiesa, perchè ne vengono bruscamente divelti per l' anatema ; lo re-
644 I NUOVI PROTESTANTI
cano alla virtù della fede, perchè ne patiscono un totale naufragio;
lo recano alla propria salute, perchè colui che non ha la fede min
iudicatus est. V ha di più. Chi non solamente ricusa di soggettarsi
ai donimi definiti, ma ancora per giunta leva nella sua stoltezza lo
stendardo della ribellione con solenni proleste e pubblici ammae-
stramenti contrarli alla credenza dei medesimi, si espone a certo
rischio, che in lui si adempia ciò, che Cristo disse al cieco nato in
risguardo dei Farisei: In iudicium ego in hunc mundum veni; ut qui
non vident, videant, et qui vident, cacci fiant 1. Cristo a tempo
debito rischiala le sue verità per bocca della Chiesa a vantaggio
de' fedeli. Gli umili, che per ignoranza o per torta educazione le
contrastavano, o non le vedeano limpide, ne rimangono illuminali
e soavemente confortati dal loro lume: i superbi per contrario,
piuttosto che dare a dietro e ricredersi , chiudono gli occhi per
non vederle, e così a guisa di ciechi continuano a negarne in lor
dannazione il fulgido chiarore. La Chiesa ha testé parlalo circa la
grande lite della infallibilità pontifìcia : V ha decisa. L' umile cre-
dente s' inchina, il superbo, no: ma stolto si accieca e protesta.
E in vero quale altro orgoglio si può immaginare più grande di
quello, onde cotesti nuovi protestanti danno si bruito saggio? Ec-
covi qua oltre a cinquecento giudici della fede, i quali con a capo il
supremo Pontefice dopo di avere studiata, esaminata, discussa per
oltre a due mesi una quistione già studiata, esaminata e discussa le
cento volle, definiscono in pieno concilio esser domma di fede la in-
fallibililà pontificia. Eccovi là un pugno di professori, un religioso
apostata, un misero prete anonimo, e qualche altro di simile stam-
po sorgere e gridare: noi protestiamo. Voi proponete la infallibilità
come un domma rivelalo, e noi « lo rigettiamo come dottrina nuo-
va »: voi lo dite « fondalo nella sacra Scrittura », e noi lo neghia-
mo: voi ce lo date come trasmesso per la via dellatradizionc, e noi
lo giudichiamo « come apertamente contrario alla tradizione del-
l'antichità cristiana, e della storia ecclesiastica ». Che vi pare, di
queste proteste? Pel cattolico, il quale sa, che il Concilio è retto
nelle sue decisioni dallo Spirito Santo, il reato di simili intemperan-
1 Ioa*. e. !X,v. 39.
CONTRO IL CONCILIO VATICANO Ò45
ze è quello dell' orgoglio portato alla follia. Sorsero negli inizii della
Chiesa uomini, che si diceano sapienti, e tocchi dallo stesso male
della superbia volendo acconciare la verità al proprio senno venne-
ro meno alla fede. Ex nobis prodierunt, scrisse di loro S. Giovanni,
sed non erant ex nobis: nani si fuissent ex nobis , permansissent liti-
que nobiscum, sed ut manifesti sint, quoniam non sunt omnes ex
nobis 1. Uscirono dalla Chiesa: ma l'orgoglio gli avea già disposti
al tristo passo : di qui il dire di S. Giovanni che non erant ex nobis.
Non altrimenti i protestanti contro il Concilio vaticano, tronfi di
vana scienza, gridano: noi protestiamo, noi rigettiamo. Gridino
pure, e protestino gli sventurati. Le loro proteste, come ombre e
sbattimenti del gran quadro del Concilio, daranno risalto alle defi-
nizioni, e la loro memoria passerà ai posteri, come quella di uomi-
ni stoltamente improvvidi, orgogliosi, dissennati, che si giltarono
alla impresa di pugnare contro le decisioni conciliari inutilmente e
con estrema mina dell' anima propria.
11.
Se i nuovi protestanti rigettano le decisioni del Concilio, noi fan-
no a capriccio. Essi hanno ragioni da vendere. Figuratevi, a mo'
di esempio, il solo Pantaleoni n ebbe tante da comporre contro iì
domma della infallibilità un arlicolone per X Antologia italiana, da
vedersene a grande stento la fine. E poi un Ministro non potò for-
mare intorno al medesimo da undici quistioni, ed un altro non
iscrisse una lunghissima nota? Cosicché, come vedete, stanno con-
tro il Concilio ragioni di università e ragioni di governo, ossia ra-
gioni teologiche e ragioni politiche. E vero. Ma, sapete che sono?
Non altro, che falsità informate di spirito piolestantico. Vedetelo
nel fondamento, da cui muovono cotesti nuovi protestanti.
Un errore fondamentale si è il considerare le definizioni conciliari
a seconda del proprio senno, prescindendo totalmente dalla quistio-
ne teologica, di che sono penetrale. E in questo cade, o per meglio
dire vi si gitta il dottore Pantaleoni ; giacche egli si propone e lo
1 Id. ep. I, e. II, v. 19.
(ÌÌ6 I NUOTI PROTESTANTI
ripete più volte, di non toccare nella sua discussione circa la defi-
nizione della infallibilità il lato dommatico o canonico. E fallo ap-
punto alla maniera del protestante, cioè a proprio senno. Quindi è,
che filosofandovi attorno in questo modo ei la vede gravida di tanti
guai per la Chiesa, che poco è a petto di essa il vaso favoloso di
Pandora: e perciò si diseioglie lutto in lagrime per le ribellioni, per
gli scerpamenti, per lo sterminio della Chiesa e per altri finimondi,
che ei pronostica, come sicurissimi ad accadere. Ma, se il ciel vi
salvi, sig. dottore, Cristo ha costituito sì, o no, il suo Vicario mae-
stro infallibile nelle cose del domma e della morale? Il Concilio ha
definito, che sì. Adunque Y una delle due : o dire, che Domeneddio
neir ordinamento della sua Chiesa per difetto di sapienza ha posto
un principio distruttivo della medesima, o affermare, che il sig. dot-
tore avendo omesso collo spirito del protestante il punto teologico
della quistione, ha parlato da insipiente nelle sue deduzioni.
Il sig. dottore non considera la quistione sotto il riguardo teolo-
gico. E che? le decisioni di fede non sono cose sommamente teo-
logiche? non si appoggiano al sacro codice della Scrittura? non
escono dai Concilii col suggello di una suprema autorità interpre-
tatrice ? Or come mai il nostro dottore commette Y enorme fallo
di gittare da canto il codice e la interpretazione autentica per ra-
gionare e conchiudere secondo i capricciosi suoi principii? Oltre,
il principio protestantico, che sta nel fondo, si affaccia in tutto lo
scritto un altra ragione : ed è Y ardente brama di sfogare la bile,
che lo cuoce contro di Roma, e di sfogarla con qualche frutto del
suo partito. Se egli avesse detto di tratto: il Concilio nel suo decre-
to ha falsato la fede, ha mentito nel Papa un diritto che non v' è,
sarebbe comparso anche al più semplice de' suoi lettori nella laida
figura di schietto protestante. E però infintosi ipocritamente rive-
rente colla protesta di non toccare la quistione teologica , quando
appunto doveasi considerare, ebbe modo d' insinuare il veleno pro-
testante eccitando gli animi all' odio della definizione ed alla ribel-
lione contro il Concilio in nome del diritto manomesso.
Non basta conoscere la necessità della quistione teologica : con-
viene ancora giudicarla con sano criterio. Così non fece, e quindi
errò nel fondamento il credente anonimo di Dusseldorf. Avendo
COLTRO IL CONCILIO VATICANO 647
egli messo innanzi il principio conosciutissimo del doversi credere
di fede soltanto quello che come tale fu creduto, dovunque, sempre
e da tutti, fa questa applicazione: «la dottrina della infallibilità
pontifìcia fu contraddetta a tempi di Bonifacio Vili, poi nel Concilio
di Costanza e più lardi dal quarto articolo della Dichiarazione gal-
licana. Onde chi non vede mancare a tal dottrina la condizione
della universalità nella credenza? Pognamo, che essa venga definita
qual domma, sia dalla maggioranza del Concilio, sia dalla unani-
mità : nullo sarebbe il suo valore, ed il Papa proclamandola calpe-
sterebbe le leggi fondamentali del cattolicismo e darebbe vita ad
una nuova Chiesa ». Tale è il suo discorso, ed il principio prote-
stantico v' è tutto dentro col suo veleno. Ogni cattolico non sola-
mente è obbligato a credere i donimi già definiti, ma deve ancora
essere apparecchiato ad accettare con sommessione tutti quelli che
la Chiesa, colonna e fermezza della verità, fosse per proporre. Il cre-
dente anonimo dimenticato Y obbligo di questa disposizione dell'ani-
mo, e persuaso dal proprio giudizio esser cosa aliena dalla fede il
dorama della infallibilità a cagione della opposizione fattagli, con-
chiuse alla maniera dei protestanti doversi rigettare, come contrario
alla credenza cattolica, quando anche venisse proposto dalla Chiesa
in concilio. No, non è la contraddizione, fatta ad una dottrina, che
dee servire di norma per giudicare, che essa non appartiene al de-
posito della rivelazione ; ma la sentenza definitiva della Chiesa, co-
stituitane da Cristo guardiana e maestra infallibile. Altrimenti qual
domma rimarrebbe intatto? La stessa divinità di Gesù Cristo, essen-
do stata in varie guise contraddetta prima del Concilio di Nicea, non
dovrebbesi col criterio del credente anonimo, disconoscere e riget-
tare come estranea al cattolicismo? Non v'è quindi scampo: o cre-
dere coi veri cattolici alle definizioni del Concilio vaticano, ovvero
coi protestanti accettare o negare a misura del proprio giudizio
quelle degli altri Concilii.
Lo stesso veleno protestantico porta seco l'accusa di novità dom-
matica fatta alla definizione della infallibilità pontifìcia. Novità dom-
matica nella Chiesa suona errore, in quanto dinota una credenza
o malamente dedotta dai principii di fede, o di fabbrica puramente
umana e spacciata come cosa appartenente al deposito della rivela-
648 I NUOVI PROTESTANTI
zione. Tertulliano colf argomento della novità alla mano convinse di
menzogna tutti gli errori de' suoi tempi. L' accusa adunque di no-
vità, lanciata contro la definizione della infallibilità, importa che la
credenza contenutavi è falsamente dedotta dai principii di fede, ov-
vero che è un trovato umano venduto quale oro di rivelazione con
gravissimo inganno del mondo. Chiariti i termini dell' accusa, ecco
la domanda, che facciamo agli accusatori : credete o non credete,
che i Concilii ecumenici siano infallibili? Il cattolico fidalo nella di-
vina parola lo crede, il protestante arrogando il tutto al suo giudi-
zio privato non lo crede. E voi che dite? La taccia di novità, che
date alla definizione, palesa il vostro pensiero: voi pensale alla ma-
niera del protestante. No, non è la credenza della infallibilità, a cui
si addice la taccia di esser nuova nella Chiesa, ma sibbene a quella
della dottrina contraria. Qual è infatti il teologo sì povero di erudi-
zione, il quale ignori, che la data de' suoi monumenti non monta
più in su del secolo XV, e che i suoi maestri furono alcuni dottori
sorboniei fieramente contraddetti dal grido unanime della Chiesa?
Ma se ella è di data così recente, le quadra l'irrepugnabile entimema
di Tertulliano : tu se' nuova; dunque sei falsa.
Il Savio ci avverte, che la lìsonomia ed il portamento dell'uomo
enunciant de ilio, ossia che lo palesano per quello che è nell'ani-
mo. Tanto accade alle ragioni, che vengono portale contro il Con-
cilio vaticano. Esse manifestano i proprii spacciatori per quelli,
che sono, vale a dire per tocchi di protestantesimo, in quanto che
non sono diverse dai motivi, onde i protestanti oppugnavano la va-
lidità del Concilio di Trento. Non v' ebbe libertà nelle decisioni,
gridano gli avversarli del Concilio vaticano : e questo era pure il
grido, di che empievano la Germania i protestanti contro il Conci-
lio di Trento. V ebbe pressione fisica e morale in Roma, dicono i
moderni protestanti; e questo pure spacciavano i protestanti antichi,
or accusando Trento, come luogo grandemente sospetto, ed or la-
mentando l'assoluta dipendenza dei vescovi dagli ordini pontificii.
La definizione della infallibilità, scrivono i professori di Monaco,
non è fondala nella sacra Scrittura, è contraddetta dalla tradizione,
è dimostrata falsa dalla storia ecclesiastica. E non sono queste ap-
punto le ragioni, per cui i protestanti rifiutavano le decisioni di Trcn-
CONTRO IL CONCILIO VATICANO 649
to ? Non le cliccano contrarie alla parola di Dio ? non le sentenzia-
vano avverse al sentimento dei Padri? Non condannavano il Conci-
lio ed il Papa come sovvertitori della pura dottrina dell'Evangelo?
Quindi conchiudevano, rigettar essi la dottrina papistica, ossia del
Concilio, e tenersi fermi a quella del puro Evangelo, affatto diver-
sa; sentirsi a ciò obbligati dalla propria coscienza. Neppure questa
concbiusione manca a nostri dì! L'ex- Padre Giacinto rigetta il Conci-
lio a nome del proprio cattolicismo, ed il Michelis col piglio dell'ipo-
crita « chiamandosi peccatore, ma fermo nella santa fede cattoli-
ca » folgora di anatema il Papa « come eretico corrompitore della
Chiesa». Somiglianza di ragioni, somiglianza di bestemmie e di
ipocrisie coi protestanti non enunciant de illis, che sono protestanti
infino al midollo ?
Il Concilio valicano, ed il Sommo Pontefice sovvertitori della fe-
de con definizioni non libere, senza appoggio di Scrittura o di tra-
dizione? Gli sventurati non si accorgono, che le pruove di tanto
reato da essi portate li convincono di sovvertire eglino stessi la
fede. E qual dornma definito nei Concili rimarrebbe in pie, se pun-
to valessero le loro accuse ? Non quello definito dal Concilio niceno
primo: perchè contro di esso potrebbesi indicare, quale pressione
fisica, la pena di un crudo esiglio, che stava sul capo degli opposi-
tori. Non quello del Concilio Efesino primo: perchè potrebbesi ac-
cusale di pressione morale patita da parte del Papa, in quanto che i
Padri diconsi coacti per la sentenza pontificia già pronunziata. Non
quello di Calcedonia: perchè potrebbesi rigettare, come mancante
della libertà di discussione, stante il divieto fattone da Papa san
Leone. Così dite del sesto e dell'ottavo Concilio generale, dei quali
potrebbesi ragionare, come i nuovi protestanti ragionano del Con-
cilio vaticano. Essi rifiutano la definizione della infallibilità pontifi-
cia, siccome non fondata nella Scrittura e nella tradizione. E qual
maestro di eresia non ha fatto altrettando in risguardo delle dottri-
ne definite contro di sé? Le orazioni di S. Gregorio Nazianzeno, le
omelie di S. Giovanni Grisostomo e gli scritti di S. Agostino testi-
ficano con quanta apparenza di vero argomentassero dalla Scrittura
gli Ariani, i Pelagiani ed altri eretici di que' tempi in pio dell'errore
€50 I NUOVI PROTESTANTI
contro la venia. Vi pare egli, che si possa dare sovvertimento mag-
giore della fede? Se le ragioni degli oppositori del Concilio vaticano
valessero punto, lutti i Concilii, tutti i dommi delìniti sarebbero an-
nullati. A tanta enormità di conseguenze si giunge colle loro teoriche.
Così è. I varii punti, da cui muove il loro rifiuto, sono tocchi dallo
spirito protestantico, e lo spirito protestammo è spirito di distru-
zione. Cristo ha promesso alla Chiesa fondala su Pietro , che non
prevarrebbe mai contro di essa l' errore. Or avendo cotesta Chiesa
dichiarato domma di fede Y infallibilità pontificia, è mestieri che la
opposizione sia la opposizione dell'errore in fede, ossia della eresia.
IH.
Qual è alla fine il valore intrinseco delle singole ragioni, di cui
menano vampo cotesti nuovi protestanti ? Diciamolo in una paro-
la: nullo. Eccovi in primo luogo quelle, che escono della universi-
tà, ossia le teologiche.
— Il Concilio vaticano patì una sensibile pressione fisica. —
Menzogna! Niuno dei Prelati fu costretto per violenza a tacere,
niuno fu tratto per violenza a dare il suffragio prò o contro la deci-
sione messa a partito. Se v' ebbe incommodo acustico da principio,
vi fu tosto provveduto. Se alcuno fu interrotto nella foga del suo
discorso dai presidenti, la uscita dall' argomento gliel meritò.
— Essendosi nel decreto di convocazione tenuta nascosa la futu-
ra questione della infallibilità , mancò il tempo da prepararvisi , e
con ciò fu resa fisicamente impossibile una seria discussione. —
Questa ragione vale 1.° una maligna insinuazione di sospetto con-
tro del Papa, quasiché S. Santità col supposto artificio del silenzio
abbia tentato di carpire la definizione della infallibilità per sorpresa:
quando tutto il mondo sa, che la proposta della medesima fu intro-
dotta a petizione di oltre seicento Padri. Vale 2.° un insulto sfrontato
ai Vescovi , quasiché mal conoscessero una quislione già profonda-
mente dibattuta e dentro e fuori delle scuole teologiche : quasiché
dopo una vivissima discussione di due mesi, che le spesero attor-
no, fossero venuti ai suffragi in cosa si grave senza la debita co-
CONTRO IL CONCILIO VATICANO 631
gnizionc. L'artifizio o la ignoranza non islà no dalla parte del Con-
cilio, ma sì bene da quella de' suoi oppositori, i quali con fronte si-
cura fondano una ragione così insolente sopra la necessità , clic nei
decreto di convocazione vengano specificate in particolare tutte le
quistioni da definirsi, pena la nullità di quelle definite e non spe-
cificate antecedentemente. Or questo è menzognero supposto: giac-
che non ve legge che lo dica, e fuso dei Concilii afferma il con-
trario, testimonio dalla prima all' ultima definizione il Concilio di
Trento.
— La libertà dei Vescovi fu oppressa dal regolamento imposto. —
Ragione d'insigne ignoranza del diritto, se intendono, che pel da-
to regolamento i Vescovi siano stati spogliati del diritto di ordinar-
si; stantechè teologi e canonisti si accordino nell'affermare che ap-
partiene al Papa , come a capo sovrano della Chiesa, il dar regola
e norma al Concilio. Ragione d'insigne calunnia, se intendono, che
in forza del regolamento la libertà de' Vescovi sia stata inceppata
nella discussione; stantechè ne fosse lasciata tanta da aver dato
presa all'abuso d'interminabili discorsi dentro il concilio , e d'in-
congrui libelli spacciati tra i Vescovi di fuori.
— I Concilii antichi non avrebbero tollerato l' audace oppres-
sione della maggioranza. —
A che si riduce cotesta audace oppressione ? Ad aver interrotto
tre o quattro oratori a cagione di un linguaggio sbalestrante in co-
se di fede. Fu questo un'audace oppressione della libertà? Non sa-
rebbesi tollerato nei Concilii antichi? Così parla chi ne ignora la
storia. Nel Concilio di Calcedonia furono gridati eretici gì' Illirici,
perchè chiedeano schiarimenti di cosa già approvata : furono grida-
ti eretici gli Egizii , perchè chiedeano di differire la sottoscrizione
al definito sino alla elezione del proprio Patriarca. È noto a qual
reo termine fosse ridotto Teodoreto , perchè die sentore di scusare
l'intenzione di Nestorio. E nel Concilio di Trento, un Vescovo ita-
liano per una proposizione men che giusta cadutagli dalla bocca non
dovette pubblicamente scusarsi, disdirsi? La libertà non è licenza.
Che se tutti i congregali hanno il diritto di discutere la materia an-
cor dubbia, niuno ha quello di offendere quella già ferma. Del resto
Co2 I NUOVI PROTESTANTI
chi ignora la somma cortesia, con che procedette la commissione
sopra le cose della fede nel comporre la formula della infallibilità?
Or ammorbidì un concetto, or ne tolse un altro , e sempre guar-
dossi da tutto quello che, salva la verità, potea offendere l'ani-
mo della minuranza. Questa non si arrese , e fu sventura. Ma per
questo la verità non dovea fare il suo cammino nella Chiesa?
— V ebbe pressione fisica e morale in Roma dalla parte della
Propaganda sopra i Yicarii apostolici , dalla parte del Papa sopra
i molti Vescovi bisognosi. —
Si scrisse, che in forza dell'assoluta dipendenza da Propaganda
i Yicarii apostolici riceveano in corpo di settimana in settimana il
motto d'ordine, con che doveano marciare nel Concilio. Sfrontata
menzogna. Non sussiste nemmeno l'ombra del fatto. Spacdossi, che
oltre i Yicarii apostolici molli altri Prelati sotto l'influsso del ti-
more di perdere il posto od i sussidii pontificii aveano ingrossata la
maggioranza. Nulla di più calunnioso. Fra quelli della minoranza
v'ebbe un certo numero di coloro, che vivcano a spese del Papa
od erano di appartenenza della Propaganda. Sfidiamo i nuovi pro-
testanti a citarne un solo, il quale abbia avuto per ciò la menoma
minaccia. Cotesti mezzi di accattar suffragi non si usano in Roma, e
nel governo della Chiesa. Per trovarne esempii e non pochi e nella
piena luce del dì conviene cercare altrove. Fate ora conto, che altri
osasse spargere nel volgo, che molli della minoranza sono stati sal-
di nel loro consiglio per piacere a certi ministri, o per la paura di
qualche perdita, o pel fulgore di qualche nuovo onore o lucro. Le
tenere coscienze dei contraddittori del Concilio non griderebbero
alla menzogna, allo scandalo, alla calunnia? Orbene, e perchè con
tanta levità senza arrecare alcuna pi uova dinunziano al mondo Pa-
pa, Propaganda, centinaia e centinaia di Vescovi, quale trista ma-
snada, della quale i due primi abusano della propria autorità con
minacce indegne, e gli altri con estrema viltà d'animo vendono la
propria coscienza e tradiscono sacrilegamente il deposito della fede?
— Il Papa esercitò la pressione morale incoraggiando colle sue
lodi i difensori della infallibilità. —
Ecco quello, che avrebberu voluto cotesti signori: ai Vescovi di
sentenza contraria alla infallibilità amplissima libertà di scrivere,
CONTRO IL CONCILIO VATICANO 653
dire ed operare, checché fosse stato loro in grado: al Papa ed a
quelli della sentenza favorevole, silenzio, inoperosità. Non hanno
fatto così, e perciò sono oppressori della libertà. Era egli giusto il
volere, che il Papa in mezzo alla lotta rimanesse in silenzio, indif-
ferente? Tutt' altro. Laudottrina della infallibilità tocca il fondamen-
to della divina costituzione della Chiesa. Il Papa fu costituito da
Cristo confermatore della Chiesa nella vera credenza, e riconosciuto
solennemente dai Concilii maestro e dottore universale dei fedeli, e
giudice supremo delle quistioni circa le cose della fede. Or essen-
do messa in quistione tale dottrina, dovea egli starsene muto e non
curante? No; non dovea fare così, e noi fece: animando colla lode i
difensori della infallibità, quai difensori della vera dottrina della
Chiesa, ha compiuto un rigoroso dovere.
Finiamola con questa turpe accusa della pressione fisica e mora-
le. Nella Congregaziane generale del 16 Luglio da seicento Padri
hanno protestato contro di essa, come di un'infame calunnia. Chi
non crede a questa protesta, non y' ha scampo, deve dire l' una delle
due: o che i secento venerabili Prelati sono una massa d'imbecilli,
[che pensano di operare liberamente, quando operano per oppres-
sione, ovvero che sono dal primo all'ultimo una massa di perfidi
ingannatori. Ma per asserire l'unao l'altra cosa, chi non vede,
che conviene avere spento ogni lume di buon senso?
— La dottrina della infallibilità non ha alcun fondamento, sia nel-
la Scrittura, sia nella Tradizione. —
Cristo non ha dato l' autorità ed il privilegio di determinare in-
fallibilmente il senso della Scrittura, né al frate apostata, né al pre-
te razionalista, né al professore della università di Monaco, ma ai
Vescovi uniti al Papa. Ora avendo questi autorevolmente definito,
che la dottrina della infallibilità è un domma rivelato, ossia conte-
nuto nella Scrittura e nella tradizione, non occorre di più. Chiunque
contraddice, sia pure il più dotto uomo, si dichiara da sé un ribelle
alla fede, un eretico.
— Cinquantaselte Vescovi in una lettera al Papa dichiararono di
restar saldi nella loro sentenza contraria alla infallibilità, e si asten-
nero dal pigliar parte alla sessione IV. —
$54 I NUOVI PROTESTANTI
Trenta Vescovi nel Concilio di Costantinopoli primo, dichiaratisi
recisamente contrarli alla definizione, che si era determinato di fai e,
se ne partirono. Oltre quaranta nel Concilio Efesino primo negaro-
no il loro suffragio alla sentenza degli altri, preseduti dai legati pon-
tificii. Eppure le definizioni dell'uno e dell'altro, confermate dal Pa-
pa, furono e sono riverite dalla Chiesa ai pari del santo Evangelo
secondo la formola di S. Gregorio Magno, e giudicati eretici quanti
le contraddissero o fossero per contraddirle. La dichiarazione adun-
que dei cinquantasette Vescovi non scema , no, la forza della defini-
zione, ma impone l'obbligo del disdirsi ai contradditori con una
pronta soggezione.
— Il Concilio deve esser riconosciuto od accettato come ecume-
nico dalla Chiesa, ossia dalla comunità dei fedeli. —
Così T ex-frate Giacinto, soggettando con ciò le decisioni del Con
cilio al sindacato dei fedeli. Così pure anche Lutero, il quale si ral-
legrava di questo suo trovato, qual mezzo facilissimo per render
nulla tutta l'autorità dei Concilii. Chi toglie a prestanza, o si appro-
pria il linguaggio di Lutero, è già confutato.
Eccovi la somma delle ragioni, colle quali i nuovi protestanti op-
pugnano fieramente il valore del Concilio vaticano. Qual sia la loro
forza, l'avete veduto, è la forza della ragione fondata su la falsità, su
la calunnia e sulla eresia.
IV.
Veniamo ai politici. La guerra e tutta contro la definizione della
infallibilità. Contro di questa il Governo della Baviera si armò del
suo placet, e ne divietò la pubblicazione, quello dell' Italia aizzò i
prefetti all'erta, e quello dell'Austria finì di stracciare il Concorda-
to. Informati da principii eterodossi essi mirano ingiustamente la
Chiesa non già come una istituzione divina, o come una madre dei
popoli, ma come un'opera dell' uomo, e come una grande patema
morale, che cerca per ogni via di soppiantare a suo pio' l' autorità
politica. Indi gelosie ed ire e persecuzioni. Il domina della infalli-
bilità mise loro in corpo il rovello: di qui la furia dei mentovali de-
creti. Eccovi le ragioni, che turbarono loro il capo.
CONTRO IL CONCILIO VATICANO 6j5
— Il domma delia Infallibilità mula -radicalmente la costituzione
(klla Chiesa, e perciò dinanzi a tale novità cadono le relazioni tra
Chiesa e Stalo già stabilite. —
Falso principio e falsa conseguenza. Il domma della infallibilità
non ha punto mutata la divina costituzione della Chiesa. Esso non
ha fatto, che affermarla solennemente contro chi volea guastarla e
ricomporla a suo senno- Li costituzione della Chiesa non può essere
altra da quella, che le ha data il suo divin Fondatore. Quale poi
debba essere, ci viene rivelato dalla Scrittura e dalla tradizione, fon-
ti d'infallibili verità pel cattolico. Leggete ora il decreto domina-
lieo della quarta sessione, in cui fu sancito il domma della infalli-
bilità, e voi vedrete come esso è per l'appunto fondato su la Scrit-
tura e su la tradizione. Non si fé' dunque mutamento nella costitu-
zione, e perciò le pristine relazioni tra la Chiesa e Stato non pos-
sono cadere dinanzi ad una novità che non esiste.
i — Il sommo Pontefice armato di una autorità novella, che lo ri-
veste di una specie di onnipotenza, è istituito giudice supremo in
materia di fede e di morale. Un accrescimento sì considerevole di
potenza obbliga i Governi a più vigilanza ed a più energia, —
Rea premessa e peggior conseguenza. È falso, che il Pontefice
venga istituito giudice supremo in materia di fede e di morale in
forza del domma della infallibilità, come se fin qui noi fosse stato.
Chi non sa un'acca di teologia e di storia ecclesiastica può scrivere
simile corbelleria; giacché le tesi dell' Bua ed i monumenti dell'al-
tra dicono alto, che il Papa fu sempre dalla Chiesa riconosciuto
qual giudice supremo nelle cose della fede e della morale, e ciò
per istituzione di Cristo. È pur falso, che in forza della medesima
definizione sia stato armato dì una autorità novella. L' autorità del
capo della Chiesa non può essere nò scemata, nò cresciuta. Essa
deve rimanere, e rimane quale fu costituita dal suo divin fondatore.
E 1' autore della nota austriaca ha tutto l' agio di certificarsene leg-
gendo gli atti degli ultimi sinodi, tenutisi nell' Ungheria e nella Boe-
mia. Il dire, che il Papa fu rivestito di una specie di onnipotenza, non
e che un misero equivoco. Il Papa infallibile non è il Papa arbitro
della fede e della morale. Ma il Papa, che nel dichiarare e definire,
656 I NUOVI PROTESTANTI CONTRO IL CONCILIO VATICANO
quando occorre, il contenuto della rivelazione, tanto per la parte
specolativa quanto per la pratica, non può errare in conseguenza
delle divine promesse. Se adunque nulla v'ha di nuovo, o di aumen-
to neir autorità del Papa, a cbe prò il fastidio di maggior vigilanza e
di maggior energia nei Governi? Essi metterebbonsi in su le difese
contro le vane ombre.
— Ad ogni modo i Governi negano il placet alla Costituzione,
che sancisce il domma della infallibilità. —
Mezzo senza nome. Giacché è un mezzo iniquo, perchè è una
usurpazione contro cui ha sempre protestato la Chiesa, e la usurpa-
zione è sempre cosa iniqua : è un mezzo tiranno, perchè tenta di
costringere la coscienza a certe credenze: è un mezzo ridicolo per-
chè si riferisce ad atti meramente speculativi, i quali sfuggono alla
legge civile. ,
— « Le dottrine promulgate dal Concilio pongono le relazioni dello
Stato colla Chiesa sopra una base affatto nuova, dacché questa esten-
de la cerchia della sua competenza, e concentra nello stesso tempo
nella persona del Papa tutti i poteri, ch'essa pretende esercitare.
La prova dell'estensione sta nella Enciclica dell'8 Decembre 1864 e
nel Sillabo : indi la necessità di ricuperare la libertà di azione per
respingere le usurpazioni di un potere divenute quasi certe. » —
La Chiesa non ha concentrato nel Papa alcun che di potere. Essa
ha dichiarato quello che gli conviene per ordinamento di Cristo.
Voi ciò non ostante lo giudicate un mezzo di usurpazione a danno
dello Stato, e minacciate. Tal sia di voi. Anche gì' Imperatori paga-
ni perseguitarono i seguaci di Cristo siccome usurpatori dei diritti
dello Stato. Ma essi passarono, ed il Cristianesimo trionfò. Ecco ciò
che accadrà nella lotta presente. Passeranno i nuovi protestanti po-
litici e non politici, e le decisioni del Concilio vaticano staranno sal-
de in eterno, perchè sono la parola di Dio.
UNA MODERNA EDUCATRICE
DELLA
DONNA ITALIANA
In Italia , non ostante il gran progredire che si fa nella « vita
nuova », la femmina filosofessa, per grazia di Dio, continua ad es-
sere uccello raro; quasi più raro del corvo bianco. E diciamo che
è una grazia di Dio : perciocché dalla prova che alcune pochissime
di loro hanno data, si può argomentare che guai alla pubblica sa-
nità dei cervelli , se queste femmine abbondassero ! Il delirio , fra
noi, diventerebbe malattia nazionale.
Ma si badi bene , che non parliamo delle donne poetesse , delle
donne letterate, delle donne ancora notabilmente inslrutte nelle
scienze naturali. Di codeste l'Italia, se non è stata sempre copiosa,
non è stata mai nemmeno povera affatto. Anche al presente , per
non accennare che queste, vivono e vengono su, l'ima in Toscana
e 1' altra in Napoli, due fanciulle che, nell' arte del bello scrivere e
del gentile poetare, già si lasciano indietro una turba di scrittori e
di maestri di rettorica giovani e ad Iti : e, per colmo di fortuna,
queste due donzelle, quantunque abbiano messi in luce libretti lo-
datissimi, pure sono modeste, sono pie e per soprappiù alienissimc
da quello spirito liberalesco, che oggidì sembra essenziale requisi-
to a salire in fama.
Parliamo invece di quelle donne che anelano a glorie maggiori,
che ambiscono il pallio de' filosofi e che da serio montano in catle-
Serie Y1J, voi. XI, fase. 492. 42 3 Settembre 1870.
658 UNA MODERNA EDUCATRICE
(Ira, per dare pubblicamente, a voce o in istampa, lezioni di mora-
le, di pedagogia, di politica e di speculative discipline. Sopra dieci
che tentano questo volo prosunluoso , nove precipitano in queir a-
bisso che si chiama « il ridicolo », cioè si rendono bellamente la
favola del paese ; ed una a fatica si regge tanto , quanto basta per
farsi compatire.
Del resto la ragione viva e lampante sta nel proverbio che dice :
Chi vuol far V altrui mestiere,
Fa la zuppa nel paniere.
Or, si voglia o no, il filosofare, il politicare, il moralizzare, insom-
ma il dottoreggiare non è mestiere da donne. La madre natura non
le ha fatte per questo.
Troppo bene sappiamo che ogni regola generale ha le sue ecce-
zioni; e che in niun tempo non mancarono donne di grande ingegno,
le quali, applicandolo con assiduità ai forti studii, riuscirono a un
grado di coltura intellettuale che tiene dello straordinario. Ma ap-
punto perchè tai « fenomeni » sono eccezioni, confermano la regola
generale, non la infermano.
Abbiamo premesse queste semplici osservazioni, per farci strada
ad informare i lettori nostri di una specie di trattatello pedagogico,
che una certa signora Rosa Piazza ha testé pubblicato, per ammae-
stramento delle donne d' Italia. Noi ignoriamo se questa signora
veramente si creda in cuor suo, per dottrina e per intelletto, uno
di quei « fenomeni » del suo sesso, che or ora accennavamo. Stando
alle apparenze , sembra che non sia da dubitarne ; giacché si mo-
stra pienissima di sé : ed è venuta fuori assumendo le parti di so-
lenne riformatriee di nientemeno che tutto il sistema educativo delle
donne italiane, il quale ella pretende rifare da capo; e ciò mediante
alcuni suoi Pensieri, esposti prima da lei nel giornale La Donna
di Venezia, e quindi raccolti e dilatali in un libercolo di sessanla-
nove paginelte , fiore di roba.
Come ognun vede, basta l'assunto preso da questa filosofessa dom-
malizzaiilc, per muovere a riso e farla giudicare. Noi tuttavia amia-
mo occuparci del suo libercolo, perchè i Pensieri che la signora
DELLA DONNA ITALIANA 659
Rosavi esprime, non sono propriamente suoi, ma della odierna
scuola massonica, la quale tende, col pervertimento della educazio-
ne, a corrompere lo spirito e il cuore della maggiore e più debole
porzione del genere umano, in tutti i suoi stati di fanciulla, di spo-
sa e di madre di famiglia.
Non vogliamo asserire con questo che la signora Rosa Piazza sia
una Mopsa, cioè un ascritta a qualche loggia femminile della mas-
soneria. Noi non ne sappiamo nulla. Ma certamente è molto ad-
dentro nell'arcana disciplina della setta, e, come vedrassi, ne ha
imbevuto l'animo quanto può averlo una Mopsa matricolala.
I.
La donna italiana.
Non la donna in genere, ma in ispecie la donna italiana, è sog-
getto dei profondi studii di questa sua moderna educatrice, o rifor-
matrice che piaccia chiamarla. La signora Rosa, con una certa
prosopopea da matriarca, incanutita fra le sollecitudini del perfezio-
nare il sesso gentile in Italia, comincia subito dal bel principio
a riprenderne i difetti, sotto scusa di manifestare « il desiderio
che la incoraggia e le è di sprone » a mettere in pubblico i suoi
Pensieri.
Essa in primo luogo vuol « vedere la donna lavorare con ardore,
con interesse al bene della patria e della società » : in secondo luo-
go vuol « vederla allevare deTigliuoli, che siano veramente gl'Ita-
liani degni della libera Italia, di cui parla Massimo d'Azeglio e di
cui si lamenta, ahi troppo! la mancanza ». Ma né questo « lavo-
ro » né questo « allevamento » ella ha la consolazione di vedere.
E perchè non si creda che all'acume del suo guardo penetrativo ed
all'esperienza di forse lunghi anni di sua osservazione sfugga la
ragion vera di sì capitali difetti, soggiunge subito che la donna ila-
liana non può disfarsene « senza migliorarsi continuamente » : e
non otterrà questo continuo miglioramento « senza spogliarsi di tanti
abiti cattivi, senza lasciare tante vecchie ubbie, tanti pregiudizii,
660 UNA MODERNA EDUCATRICE
tante superstizioni, che sono la trista e fatale conseguenza della sua
cattiva educazione passata ».
Capite, o donne italiane, questo latino? La signora Rosa non vi
tratta davvero coi guanti di velluto. Da emola dell'arcigno Aristar-
co, vi snocciola in viso tutta la filza delle vostre miserie : e ciò in
fascio, senza eccezioni e nel suo primissimo esordio, che gli scrit-
tori avveduti sogliono condire di grazie, per accattarsi favore da chi
legge. Ma con voi ella fa a fidanza. Sente di essere da più di voi
e di potervi mirare dall' allo in basso, perchè voi non sapete che
tener 1' ago in mano ; ella, per di più, sa tenervi la penna e farsi
stampare. Vi par poco? Voi siete male abituate, voi ubbiose, voi
piene di pregiudizii, voi infarcite di superstizione. Tenetelo bene a
mente. Questa, è la velenosa radice della vostra noncuranza per la
« patria » e della vostra ritrosia ad allevare figliuoli « degni della
libera Italia ».
Adunque per fare che una donna porti onoratamente il nome di
« italiana », non basta che sia nata e cresciuta sotto il ridente cielo
della Penisola, che ne parli ancora con eleganza la lingua o i dia-
letti, che viva secondo le usanze e, in tutti i suoi modi e procedi-
menti, sia e si mostri donna del proprio paese. Ciò è nulla, se, nel-
la misura delle sue forze, non si ingegna inoltre di diventare donna
« lavorante con ardore e con interesse al bene della patria », cioè
donna politica; e se non rivolge ogni cura a formare de' suoi fi-
gliuoli buoni e bravi patrioti, giusta il cuore e lo spirito di quel
tipo santissimo di patriotismo italiano che fu Massimo d'Azeglio ;
vale a dire se non si fa per giunta donna e madre liberale.
Il che si fa così chiaro in tutto il corpo del libercolo della signo-
ra Rosa, che ella insegna perfino non potersi sperare vero progres-
so e vera moralità nella donna anche popolana e « madre del sem-
plice operaio e del contadino », se a lei « che dice : una volta co-
mandavano i Tedeschi nel mio paese, adesso ci son venuti gì' Ita-
liani, si lascia ignorare cosa significhi questo cambiamento, come
sia avvenuto, con quali mezzi si mantenga ».
La forma pertanto, ossia il costitutivo caratteristico della donna
italiana, per senno della signora Rosa, consiste in ciò che ella di-
DELLA DONNA ITALIANA 661
venga una politichessa liberale o, che è il medesimo, una politica
liberalessa.
Desiderate conoscere praticamente, o buone donne d'Italia, quel
che avete a fare, per « migliorarvi continuamente » ed assorgere
alla (Ugnila di donne veramente « italiane »? Dovete impacciarvi
un poco più degl' interessi della patria. Neil' aspettazione che si dia
corpo alle idee di quei rigeneratori della società, che meditano ap-
paiarsi nei diritti chili agli uomini ed abilitarvi ad essere anche
voi elettrici, sindache, prefettesse, senatrici e (chi sa?) pure mini-
stresse di Stato, dovete procurare di addomesticarvi alquanto più
colle cose pubbliche; di parteggiare pei destri o pei sinistri del
Parlamento nazionale; di fortificare col vostro, non sempre impo-
lente appoggio, questo o quel candidato nelle elezioni; di arric-
chirvi la mente di cognizioni politiche ed economiche sopra i gior-
nali, massime sopra quei più ponderosi che escono dalle officine
dei Dina, dei Civinini, degli Oliva e dei Bonghi di Firenze e di Mi-
lano; di studiare e di farvi passare in sangue le dottrine pedago-
giche dei migliori giornali educativi ed istruitivi , sopra tutto poi
della Donna di Venezia, ingemmata dagli scritti di quel miracolo
del vostro sesso che è la signora Rosa Piazza. Se poi in certi casi
riuscisse ad alcune di voi d' imitare quella famosa patrizia lom-
barda, che nel 18i8 correva le città italiane, per arrotare truppe
contro il Tedesco, col pennacchio a tre colori nel cappello e uno
sciabolone pendente al fianco ; o di rannodarsi a squadroni volanti,
come le celebri amazzoni del campo del Garibaldi sotto Montero-
tondo nel 1867; esse toccherebbero Y apice « dell'italianità » e re-
sterebbero immortali tra le né vergini nò martiri del calendario li-
beralesco d'Italia. Finalmente, se non potete altro, dovete « lavorare
con ardore » esercitando colla lingua, che non vi sta mai ferma in
bocca, un apostolato indefesso a prò dell'unità d'Italia, della sua li-
bertà, della conquista di Roma sua capitale « acclamata » e quindi
contro il poter temporale del Papa, contro i « clericali », i « rea-
zionarii » e simile genia.
— Ma, direte voi, se ci mettiamo a fare le politichesse o le solda-
tesse e ad impigliarci nei negozii pubblici, chi attenderà alle no-
662 INA MODERNA EDUCATRICE
strc case? chi reggerà le nostre famiglie? chi si prenderà cura dei
figliuoli piccoli e dell' economia domestica?
— 0 poveri cervelli ! Ecco « gli abiti cattivi » ; vi risponderà su-
bito la signora Rosa ; ecco « le vecchie ubbie » della gente che non
sa intendere « l'avvenire della donna d'Italia » !
Andiamo innanzi. Per « migliorarvi continuamente » e meritare
l'altissimo titolo d' « italiane », fa d'uopo che cominciate di buon'ora
a coltivare certi Istinti nei vostri bimbi. La « libera Italia, di cui
parla Massimo d'Azeglio », e di cui voi dovete rendere degni i vostri
figliuoli, ha mestieri di grandi virtù. Le bisognano i nobili ardi-
menti di un Giuseppe Garibaldi, la scrupolosa rettitudine eli un
Camillo di Cavour, la specchiata lealtà di un Liborio Romano, il
disinteresse di un Carlo Luigi Farbi e cento altre bellissime quali-
tà morali, per cui si son renduti gloriosi i suoi fabbricatori. A voi
però tocca di spargere nei loro animi e di fomentarvi i semi di que-
sta bontà tutta liberalesca. A voi appartiene di imprimervi quelle
sante massime di onestà pubblica e privata, che sono la quintessen-
za del codice della recente rivoluzione e fanno beato il popolo ita-
liano sopra tutti i popoli dell'universo. A voi spetta in una parola il
modellare i vostri cari putti ad immagine e simiglianza dei sommi
eroi prenominati ed in particolare di Massimo d'Azeglio, le cui Me-
morie e Lettere edificantissime vi somministreranno esempii impa-
reggiabili di obbedienza figliale, di docilità, di modestia, di reli-
gione, di riguardoso linguaggio e di immacolato costume, quale si
avviene ad « Italiani degni della libera Italia ».
— Tutto bene; replicherete voi; ma se a noi le virtù di questi
santi del liberalismo non vanno a genio ; se la coscienza ci detta
che coteste loro non sono virtù, ma scelleratezze abbominevoli ; se
ci piace di preferire a questi tipi schifosi gli esempii dei veri Santi
che la Chiesa ci addita da ricopiare, chi potrà farcene rimprovero?
— Oh, oh! vi sogghigna sotlo il mento la signora Rosa; ecco i
« pregiudizii » ; ecco le « superstizioni » ; ecco « la trista e fatale
conseguenza della cattiva educazione passata » !
Queste esclamazioni beffarde non sono certo buoni argomenti : e le
donne savie, che rigettano con disprezzo queste nuove pazzie di chi
DELLA DONNA ITALIANA 663
vuol trasformare le madri cristiano di famiglia in femmine politi-
chesse e libcralesse, hanno ragione da vendere. Perocché nessuna
cosa è più aliena dagli ufficii a cui la Provvidenza ha naturalmente
destinata la donna, che la politica; e niun veleno è più intima-
mente pervertitore del cuor suo, clic il liberalesco. E in verità chi
dice donna politicaste, è come dicesse donna dissipata, donna al-
bagiosa, donna trascurante la propria casa, donna che pensa a lut-
to, fuorché a quello per cui è nata. Chi poi per soprassoma dice
donna liberaleggiante, è come dicesse donna fumosa, donna insoffe-
rente di giogo, donna inchinevole a conciliare il male col bene,
donna che a tempo e luogo sa transigere col dovere ed alle volte
fare di ogni erba fascio. Però chi ha esperienza del vivere, sa trop-
po bene che le donne di questa sorta non sogliono goder fama che
provochi invidia. Or sono questi pregi così belli, che onorino una
donna e le accrescano riputazione nel concetto altresì del mondo
sciocco e maligno? Una donna così fatta potrà apparire una gemma
di sposa e un fior di madre agli occhi « italiani » dì femmine co-
me la signora Resa Piazza: ma noi siamo convinti che pur ella, se
avesse un figliuolo o un nipote a sé caro in cerca di collocarsi, non
gli suggerirebbe mai di prendere in moglie una gemma di tale ac-
qua, né un fiore di tale specie.
In una popolosa città dell'Italia, prima ancora che la guerra e i
rivolgimenti del 1859 e del 1860 mettessero tutto a soqquadro, vi-
veva appunto una di queste donne, madie di due amabili giovanetti
e di una fanciulla, che era un vaso di grazie. Questa dama, rimasta
vedova in età fresca, era assai ricca, molto spiritosa e « italiana», al
modo voluto dalla signora Rosa, quanto poteva desiderarsi. Per don-
na politica e liberale era dessa: ma lo era principalmente per ambi-
zione di rendersi singolare, per far parlare di so, per vedersi cor-
teggiata ed ammirata ; in sostanza per vanità più che per altro. Nel
suo palazzo convenivano frequentemente i patrioti più caldi, vecchi e
giovani, che fossero in quei dintorni, o vi si trovassero di passaggio;
e in quelle sue sale si congiurava a mano salva contro le cose e le
persone del Governo. La religione di questa dama era qual poteva
essere in una pari sua. Difficilmente le si sarebbe ricordata una
664 UNA MODERNA EDUCATRICE
pratica, eziandio fra le più sante della Chiesa cattolica, che ella non
biasimasse di « pregiudizio » e di « superstizione ». Frequentava
però le prediche: ma per aver campo di censurare alla libera i pre-
dicatori e mostrarsi frizzante.
Alla casa non aveva tempo di dare un pensiero. Questi rompi-
capi se li erano addossali un ministro ed una governante. 1 figlio-
letti, sino a che furon piccoli, stettero nelle mani di balie e di came-
riere: fatti più grandicelli, passarono sotto la disciplina di un mae-
stro zerbinotto, scelto proprio nel mazzo, che non tardò a conciarli
per le feste. La figliuola fu attaccata alla gonna di un' aia inglese
protestante. Tutto in quel palazzo andava a rifascio e il patrimonio
entamente si disfaceva. La signora non si accorgeva di nulla. So-
pra certi argomenti poi voleva essere cieca, sorda e muta. Lasciava
correre e lasciava dire. Che liberalità di donna!
Sopravvennero i mutamenti politici, nei quali essa, benché anzia-
notta, diede dentro con tale ardore, che per poco non impazzò. « La
Italia, di cui parla il Massimo d'Azeglio », diventò l' idolo suo e l'a-
dorò : anzi, novella Saba, adorò anche i Salomoni suoi, e i suoi so-
vrani edificatori. Pellegrinò a Torino, pellegrinò a Parigi e pellegrinò
alla Caprera, sempre in compagnia de' suoi tre figliuoli, già grandi
e ingranditi « degnissimi » di questa « libera Italia ».
Ci sembra che questa dama corrispondesse in tutto e per tutto a
queir archetipo della donna « italiana », che la signora Piazza va-
gheggia ne*' suoi Pensieri. Or bene, quale è stato 1' esito di tale e
tanta italianità di madre e di figliuoli? Alberto, il primogenito, dopo
sciupata la prima gioventù negli stravizii e, per amore della « libera
Italia », dato quasi fondo alla sua porzione di eredità, s'intruppò
colle bande garibaldesche nella spedizione del 1867 contro Roma;
e ferito gravemente in Mentana, morì poco dipoi, tra le braccia del-
la madre, roso da una cancrena. Vittoria in età di diciott'anni, per
amore della « libera Italia », s'incapricciò di un giovinotto affamato,
che campava scrivacchiando le cronache dei balli e dei teatri in
una gazzetta. Lo volle ad ogni costo e se lo ebbe. Ma, trascorsi ap-
pena due anni, e succhiatole il meglio della dote la piantò: od ella
non molto appresso, per sottrarsi alla vergogna, se ne fuggì in In-
DELLA DONNA ITALIANA 665
ghil terra con un supposto signore, che si scoprì poi essere un cava-
lier di ventura. Carlo, il terzo, per amore della « libera Italia », si ar-
rotò in un corpo di lancieri, da cui fu cacciato con infamia, per bruite
colpe, e andò salvo dalla galera in grazia unicamente della madre:
onde vive inonoratamente, quasi nascosto, lontano della sua città.
Non può negarsi, che qual seme tal grano. La povera madre però,
messo giudizio quando il male dei figliuoli era già irreparabile, è
venuta meno può dirsi di crepacuore. E buono per lei che, cedendo
alle suggestioni pietose di una buona suora della Carità, si rivolse
a Dio e, innanzi di morire, pianse cordialmente il malto suo libera-
lismo e passò all'altro mondo riconciliata colla Chiesa e coli' eterno
Giudice dei vivi e dei morti.
Se la signora Rosa Piazza si fosse trovata al capezzale di questa
madre agonizzante, martire sconsigilata della « italianità » che essa
inculca alle donne; ci persuadiamo che forse non avrebbe dati a
luce i suoi Pensieri, perchè a quella scena se li sarebbe sentiti sva-
nire dalla fantasia.
— Oh che; potrebbe soggiungere qualcheduno; pretendete adun-
que che il « lavorare al bene della patria » sia l'ottavo dei peccati
capitali? Non ha la donna il debito di rendersi utile ancor essa alla
società?
Alla doppia dimanda risponderemo prima un no e poi un sì. No
signore, non è vero che pretendiamo apporre a peccato il lavorare
che può la donna « al bene » della patria. Anzi affermiamo che sì
signore, ella ha il debito di rendersele utile. Ma facciamo a inten-
derci sopra la parola « bene ». Noi non ammettiamo punto che sia
un bene il « lavorare » al consolidamento della « libera Italia di cui
parla Massimo d' Azeglio »; e mollo meno che sia un « bene » l'al-
levare i figliuoli in modo che riescano « degni »di essa. Imperocché
com'è sorta quest'Italia, come si regge, che frutti ha recati e a che
termine s'incammina? Non è essa forse, al dire comune anche dei
liberali più caldi, un'Italia ladra, sregolata, scostumata, irreligiosa,
senza forze, senza onore, senza germi proprii di vitale durazione?
Non è definita generalmente un assassinio dei popoli italiani, a van-
taggio di un pugno di consorti? Il servire pertanto a quest'Italia non
666 UNA MODERNA EDUCATRICE
è uu lavorare al « bene » della patria ; ma un concorrere alla sua
rovina ; e 1' allevare i figliuoli « degni » di lei è un guastarli e git-
tarli in preda ad ogni corruzione.
Avvertiamo inoltre, così di passala, che la donna non dee, per
legge ordinaria, concorrere al bene comune, direttamente intrican-
dosi nelle pubbliche faccende ; ma più tosto indirettamente coi buo-
ni esempii, colle opere di carità e di pietà e singolarmente colla sag-
gia condotta della sua famiglia e coli' educazione sodamente virtuo-
sa dei figliuoli, preparando alla patria probi e virtuosi cittadini.
Questo è il circolo entro cui ordinariamente la donna può e dee
rendersi utile alla civile socielà. Perocché, come argutamente os-
servò quel filosofo , la donna è animale domestico e dalla natura
designato a vivere vita casalinga; e, giusta la memorabile sentenza
di Cesare Balbo, « il regno delle donne è in casa ; quivi, se sono
belle, paiono più belle; e se sono buono, paiono più buone ». Chi
dunque mira a trarla fuori di questo santuario e di questo regno
e ad implicarla in esteriori maneggi di partiti e di imbrogli, per cui
non è fatta e non ò idonea; la smove dai suo sito, la svia dalla sua
strada e stoltamente la trasnatura e Y avvilisce. Di una regina che
ella è nel seno della sua famiglia, tenta farne che cosa? Quel che
vediamo essere tutte le femmine politicanti, una pettegola e nulla più.
La signora Rosa ha un bel dire, che codeste sono « ubbie » mes-
se in voga dalla « cattiva educazione passata ». Il male è, che que-
ste « ubbie » si trovano dettate dalla natura e confermate dalla, sa-
pienza e dall'uso di tutti i secoli. V ordine richiede che ogni cosa
stia al suo luogo naturale. Ma il luogo naturalmente approprialo alla
donna qual'è? È accanto al focolare, è accanto alla culla, è accanto
al tombolo o al telaio a maneggiare, come accenna Dante, l'ago, la
spola ed il fuso : non ò fra gli strepiti dei meetings, o gli schiamazzi
dei clubs, o i crocchi dei politicastri da spezierie e da caffè. Con-
sulti un po' la brava nostra educatrice moderna il modello della
donna forte, proposto nella sacra Bìbia e vedrà che le sue lodi pre-
cipue sono in ciò che: « si leva per tempissimo e comparte il biso-
gnevole ai domeslici, ed il cibo alle ancelle sue: che considera gli
andamenti della casa e non mangia il pane consumandosi nell'ozio:
DELLA DONNA ITALIANA 667
che si procaccia lana e lino e lo adopera con grande perizia : che
imprende lavori sodi e tratta il fuso e la conocchia ». Medesima-
mente studii, non diremo soltanto le usanze dei Patriarchi, ma quelle
degli Etruschi, dei Romani e dei Greci, popoli i più inciviliti dell'an-
tichità: legga i sapientissimi scrittori italiani di cose educative e do-
mestiche, Francesco da Barberino, Agnolo Pandolfini, Matteo Pal-
mieri, Francesco Tommasi, Sperone Speroni, Torquato Tasso e im-
parerà da loro, se il posto conveniente alla donna sia sempre stato
altrove che fuor del nido familiare ; e se le occupazioni a lei più
confacevoli per ingenito, si siano giudicate altre da quelle di regger
la casa e di allevare i bambini.
Una femmina che presume di dar pubbliche lezioni di pedago-
gia alle donne d'Italia dovrebbe non ignorare almeno i documenti di
questi nostri autori italiani riputatissimi , e le nostre veramente na-
zionali tradizioni in così fatta materia. Né sappiam con quai termini
bollare la ridicola petulanza di costei , che si arroga di condannare
come « cattivo » ed « ubbioso » un metodo di educazione che, oltr'es-
ser fondato nelle esigenze della natura e nei dettami della parola di
Dio, è avvalorato dall'esperienza di tutte le generazioni e illustrato
dai migliori filosofi di ogni età. La signora Rosa si ricordi del pro-
verbio :
Che chi barba non ha e barba tocca,
Si merita uno schiaffo nella bocca.
LA PENA DI MORTE
È incredibile a dire con quanto studio il liberalismo moderno si
adopera per l'abolizione della pena di morte. Non ci ha delitto,
quantunque gravissimo, che ai suoi occhi ne apparisca meritevole; le
stesse nefande atrocità del Troppman non potrebbero legittimarla.
Qual è la ragione di tanto odio dei liberali per questa pena? A mi-
rarne il fondo , cotesto odio è naturai sequela dei principii libera-
leschi e de' suoi interessi settarii. Concetto fondamentale del libera-
lismo è la libertà del male. Or la pena di morte è il più forte freno,
posto ai malvagi per rattenerli. Essa è tutta in favore dei buoni, e
in danno dei tristi. I buoni non hanno nulla a paventare dalla pena
di morte ; giacche per la costante loro adesione all'onesto, essi son
lungi le mille miglia dal meritarla giammai. Ad essi può qui appli-
carsi quel detto dell'Apostolo: Insto lex non est posila. Anzi i buo-
ni-nella pena di morte trovano una valida guarentigia, contro le of-
fese almeno supreme, che potrebbero incorrere per parte dei tristi
costretti a rispettare almeno l'altrui vita per timor del supplizio:
Oderunt peccare mali formidine poenae. Per contrario ai tristi la
pena di morte riesce gravosissima, siccome quella che arreca loro
non solo l'estremo dei mali, ma lo arreca altresì in modo irrepara-
bile. Ogni altra pena ammette un rimedio, almeno nell'apprensione
e nella speranza. Sia pure il perpetuo carcere o la galera a vita, il
condannalo non dispera di riacquistare la perduta libertà. Le itera-
te grazie sovrane, i rivolgimenti politici, sì frequenti oggidì, e al
Li PENA DI MORTE 6G9
postutto un evasione, procurata col denaro o coli' arte; son tanti
raggi di luce che gli confortano la mente e gli scaldano il cuore
Ma dell'estremo supplizio non è così. Tronco ima volta il capo, niu-
no spera di vederselo di bel nuovo ricongiunto col busto. La vita,
con tutti i beni, di cui essa ò fondamento, si perde in guisa, che più
non resta fior di speranza. Ciò accuora troppo i malvagi, ed è un
ostacolo troppo duro alla sfrenatezza del loro operare. Il principio
liberalesco della libertà del male ne resta sommamente offeso.
Oltre a ciò la pena di morte è nociva agl'interessi settarii. Il li-
beralismo si accentra nella setta massonica. Or la setta massonica
nelle società secrete sue figlie, si diletta assai del pugnale, spe-
cialmente in Italia; e al libero esercizio del pugnale è di gravis-
simo ostacolo la pena di morte. Finché si tratta d'inferiori pene,
la setta può promettere ai suoi mandatarii, che dove le incorrano,
sarà sua cura il liberameli e rifarli dei patiti danni. Ma qual com-
penso può ella dare a chi, per obbedirlo ai suoi comandi di san-
gue, si espone a certo rischio di perder la vita, e colla vita ogni
altro bene? Sicché agli occhi del liberalismo settario la pena di
morte non solo apparisce inutile, attesa 11 equivalente sanzione che
la setta ha nel pugnale; ma apparisce perniciosa per l'atterrire che
fa i suoi adepti dal prestargli piena obbedienza.
Queste in sostanza son le ragioni per cui il liberalismo abboni-
sce tanto la pena di morte e la vorrebbe cancellata da tutti i codici
dell'universo. Senonchè esse son tali, che egli non può decorosa-
mente porle all'aperto, e però ne mette innanzi delle altre per git-
tar polvere agli occhi ed illudere la pubblica opinione. Egli elice
da prima che la società non ha diritto d' infliggere la pena di mor-
te : « Noi neghiamo alla società il diritto di togliere la vita ad uno
de' suoi membri. » Così esclamava, alcun tempo fa, la giudaica
Nazione di Firenze 1. Ma a quali pruove ella appoggia questa
sua negazione? E vano il chiederle ; i liberali non ne recano alcu-
na, nò il potrebbero, giacché tali prove non esistono. L'unica pruo-
va, possibile a recarsi, sarebbe quella del Beccaria; il quale fondan-
dosi nella teorica del contratto sociale del Rousseau, argomentava
INum. 321.
670 LA PENA. DI MORTE
non avere lo Stato il diritto d' infliggere pena capitale ; perchè l' au-
torità sociale non è che la somma dei diritti, insieme uniti dei singo-
li cittadini ; i quali certamente non han diritto sulla propria vita, e
però non possono conferirlo ad altrui. E veramente, ammessa quella
strana ipotesi della origine della pubblica autorità, la conseguenza
dovrebbe accettarsi. Ma il liberalismo moderno non si serve di
questo argomento ; perchè pare che abbia vergogna di risuscitare
la tavoletta del sofista ginevrino ; e benché proclami sovrano il po-
polo, nondimeno gli conferisce poteri sociali risultanti dalla natura.
Senonchè ognun vede che con ciò egli si dà da sé stesso della zappa
sui piedi. Imperocché in tal caso l'autorità sociale ha per misura dei
suoi diritti non già il potere dei singoli cittadini, bensì il line per
cui è costituita dalla natura. Il qual line essendo il mantenimento
della giustizia e la difesa efficace della società, i liberali per negare
all'autorità sociale il diritto d'infliggere pena capitale, dovrebbero
dimostrare che tal pena non è da quel fine in nessun modo richie-
sta. Or il contrario è anzi dimostrabile. Imperocché vi ha dei delit-
ti sì orribili, a cui uhm' altra pena avrebbe convenevole proporzio-
ne; e la società bene spesso non sarebbe sufficientemente assicura-
ta dagli assalti di certi delitti, senza spaventare i malvagi colla mi-
naccia dell'estremo supplizio.
E quanto al primo di questi due capi, prendete, a cagion d'esem-
pio, il parricidio. Yi parrà che esso sia abbastanza punito col car-
cere, quantunque duro? 0 non vi detta la ragione esser al tutto in-
degno di vita chi la tolse all' autore stesso de' giorni suoi? Gli
antichi Romani riputavano non bastare la morte a punire sì atroce
misfatto, se non vi fosse aggiunto lo strazio. Onde chiudevano il
parricida in un otre insieme con un cane, un gallo, una vipera ed
una scimmia, e gittavanlo in mare o in un fiume. Così solamente
riputavano in qualche guisa soddisfatte le ragioni della giustizia, e
posta eguaglianza tra il delitto e la pena. Assai simile al parricida
è il traditor della patria; il quale per fermo è indegno di goder più
quella vita che in lei e cogli aiuti di lei ricevette. Lo stesso propor-
zionevolmente vuol dirsi di chi con animo deliberato e con preme-
ditazione uccìde il suo simile. V eguaglianza, inchiusa nel concetto
di giustizia, richiede che egli altresì perda la vita per mano di chi
LA PENA DI MORTE 671
veglia alla tutela dei comuni diritti; e però veggiamo che Dio con
positivo precetto volle che l'omicida fosse dannato a morte: Qui-
cumque fuderit sanguinem hominis, fundetur sanguis illius.
E tanto falso il dire di per sé ingiusta la pena di morte, che il
buon senno degli antichi non seppe altrimenti simboleggiar la giustì-
zia che ponendogli in mano insieme con la bilancia la spada; e la
nostra lingua denomina dalla giustizia l'esecuzione della pena capi-
tale, dicendola giustiziare.
Che se poi si riguarda la ragion di difesa, di cui la società è cer-
tamente dotata, ci ha dei delitti così distruttivi dell'ordine pubblico
e dei diritti de' cittadini, che l' autorità deve adoperare il massimo
rigore a punirli, per impedirne il rinnovamento. Or massimo non
sarebbe cotesto rigore, se al delinquente non s' infliggesse la morte.
Il che ha luogo massimamente negli Stati retti a liberi ordinamenti;
nei quali non essendo permessi i mezzi preventivi del delitto, è me-
stieri che il timor della pena sia più grave, che nei Governi non
liberi. Fu ciò giustamente osservato dall'avvocato sig. Pietro Ros-
setti in un suo opuscolo, sopra il presente argomento. « Io trovo,
egli dice, in una Monarchia che il potere di Polizia, o sicurezza pub-
blica, arrestando chi ha fatto conoscere in qualunque modo che è
prossimo a fare un grande delitto, quando la pena non sia sufficien-
te ad atterrire, la solitudine del carcere deve almeno portarlo ad un
salutare soliloquio. Deve con seco dire chi è preventivamente messo
in prigione : Io sono preso di mira, i miei disegni sono scoperti; se
uccido, sono arrestato, giudicato, condannato, la impunità non è più
possibile. Adunque a monte il delitto. In un Governo libero non po-
tendo l'autorità arrestare e neanche richiamare chi si prepara ad un
delitto, se non vi siano sentenze giudiziarie le quali vengono tardi
a colpire i malvagi; bisogna che si limiti a dare opera ad una vigi-
\ lanza sopra colui che sa essere in via di delinquere, la quale, spe-
cialmente se ò protratta, finisce col rimanere delusa e quindi inutile;
ed il delitto può compiersi. Da ciò ne levo la conseguenza che in
un Governo libero ò più difficile prevenire i delitti di quello, che in
altro Governo; e da questa conseguenza ne tolgo l'altra che vi è ne-
cessità in un Governo libero di una remora o timore maggiore nei
delitti gravissimi, che non sia in un Governo assoluto: remora e ti-
672 LA PENA DI MORTE
more, che infonde negli animi i più rotti a malvagità (dicasi ciò che
si vuole in contrario) la pena di morte *. »
Né qui vale l'obbiezione di coloro, i quali si sforzano di attenuare
il valore dalla pena di morte, dicendo che essa non ispira ai mal-
vagi, per l'attenerli dal misfare, più orrore di quello, che qualsivo-
glia altra pena. Questa gratuita asserzione viene smentita dal fatto
e dalla ragione. Dal fatto; perchè non ci ha nessun dannato nel ca-
po, il quale non tenga in conto di somma grazia la permutazione del
supremo supplizio col carcere eziandio perpetuo. 11 che mostra che
si abbonisce la morte più di qualsivoglia altro male, non escluso la
perdita perenne della libertà. È smentita poi dalla ragione ; perchè
essendo la vita il fondamento di lutti i beni, è massima la ripugnan-
za che l'uomo sperimenta a perderla ; e una tal ripugnanza è germo-
glio necessario della nostra natura. A superarla, convien che l' uo-
mo faccia il massimo degli sforzi ; e però il disprezzare la morte
costituisce il supremo grado della fortezza. L'uomo nella privazione
della vita, vede la cessazione assoluta d'ogni sorta di beni: senza
che rimanga a confortarlo un sol filo di speranza. Perciò la morte
gli apparisce come l' estremo de' mali; e tanta è l'avversione ad essa,
per istinto di natura, quanto è l'amore e la tendenza, che proviamo
verso la felicità.
Vero è che la beatitudine, che speriamo nella vita avvenire, ha
virtù di addolcire, e talvolta di superare del tutto cotesta avversio-
ne. Ma ciò non ha luogo nel malvagio; il quale o non pensa all' al-
tra vita, e se vi pensa, ne riceve piuttosto accrescimento di terro-
re, pei supplizii eterni, che la divina giustizia gli tien preparato a
punizione del suo delitto. Sicché quale che sia l' aspetto, a cui egli
si volga, la pena di morte gli apparisce formidabile e tremenda in
sommo grado.
Del resto la vanità dell' obbiezione proposta è cospicua per la con-
traddizione, in cui cadono quegli stessi, che la propongono. Impe-
rocché essi mentre avversano la pena di morte e la vogliono cancel-
lata dai codici pei cittadini, l'approvano poi e la vogliono mantenuta
1 La pena di morte, parole dell' avvocato Pietro Rossetti al popolo.
Pag. 59 e 60.
LA PENA DI MORTE 673
pei soldati, affili di assicurar meglio l'osservanza della militar di-
sciplina. Ma lasciando stare che la pena di morie se è ingiusta, co-
me essi dicono, non patisce veruna eccezione, non essendo mai lecito
operare l'ingiusto a riguardo di chìchessia; T argomento del non
esser il timor della morte più valevole di qualunque altra pena a
raltenere V uomo dal delitto, cade per terra. Conciossiachè se, a giu-
dizio di costoro, essa vale per quelli che fan professione di fortezza
nel disprezzare la morte, e l' affrontano di fatto nei bellicosi cimenti;
quanto più non dee valere per quelli che son di professione pacifica
e vivono lontani da quei cimenti? Piuttosto il contrario potrebbe,
con qualche apparenza di verità, asserirsi: la pena di morte essere
poco acconcia al soldato, il quale è sempre in atto prossimo di espor-
re la propria vita sui campi di battaglia e per contrario essere ac-
concissima a spaventare chi non è addetto al meslier delle armi.
Ma i nostri bravi ragionatori la pensano diversamente : pei secondi
la credono inopportuna, pei primi non solo opportanissima ma
necessaria. Segno manifesto che essi in tal quistione sono messi da
tutt' altro motivo, che quello della ragione.
Ci ha degli altri, i quali impugnano la pena di morte sotto lo spe-
cioso pretesto, che essa non serve all'emendazione del reo. Perchè
ciò? Perchè l'emendazione del reo, essi dicono, è il fine proprio di
ogni pena. Ma costoro in così dire confondono l'autorità civile con la
paterna. Il padre, considerato precisamente in quanto padre, aven-
do per fine l'educazion del figliuolo, non può aver altro scopo nel
punirlo, che l'emendarlo. Ma del Principe non è così. Il Principe ha
per fine la salute della società e il mantenimento della giustizia tra
i cittadini. Egli è ministro di Dio, come dice l'Apostolo, vindice
con santo sdegno contro coloro che operano il male : Minister Bei
est vindex in tram ei, qui malum agii. Egli ha da Dio stesso il di-
ritto di vita e di morte, secondo l'esigenza delle eterne ragioni, del
giusto; e però non porta inutilmente la spada: Non sine causa già-
dium portai. Egli la porta come simbolo del diritto che ha di pu-
nir nel capo i malvagi, e per adoperarla di fatto contro di loro,
quando la ragione il richiede. Il fine a cui mira nel punire è il ri-
sloramento dell'ordine violato, e la difesa della società, affidata ai-
Sene YU, voi. XI, fase. 492. 43 6 Settembre 1 870.
674 LA PENA DI MORTE
la sua -vigilanza. L'ordine violalo dal delitto non può ristorarsi al
trimenli, se "non infliggendo al delinguente una pena proporzionata
alla colpa; la quale se è gravissima, non può altrimenti espiarsi
che con la perdita della vita. Se l'uomo spogliandosi moralmente
della dignità di uomo, si è convertito in belva nociva verso i suoi
concittadini; come belva nociva deve esser trattato. La belva non
s'incarcera, ma si uccide: Quamvis hominem in sua dignitate ma-
nentem occidere sit\secundum se malum, lamen hominem peccatore™
occidere potest esse bonum, sicut occidere bestiam. Peior enim est
malus homo quam bestia et plus nocet 1. La ben meritata sua
morte servirà altresì di paventoso esempio e salutare ammonimento
a tutti quegli altri, i quali per avventura si sentissero tentati d'imi-
tarlo nella nequizia.
Vero è che la pena eziandio sociale, oltre all' essere vindicatrice
della giustizia e difenditrice della società, deve procurare, per quan-
to e fin dove è possibile, d'essere altresì emendatrice del reo: giac-
ché l'uomo mentre vive quaggiù è emendabile, e l'autorità sociale,
nell' atto stesso del suo rigore convien che cooperi a svolgere que-
sto germe salutare della nostra natura. Ma ciò altresì, in certa gui-
sa si mèi a nella pena di morte ; giacché per gli animi sommamen-
te pervertiti non ci è mezzo più acconcio per indurli a resipiscenza
e a vergogna del male operato, che toglier del tutto dinanzi alla
loro apprensiva la scena dei beni presenti, i quali col loro falso ba-
gliore ne travolsero i passi. Allora solamente essi rientrano in sé
stessi e col pentimento del loro peccato si rimettono nell'ordine e
si riconciliano coll'Aulore del medesimo.
Ma, come dicemmo, l'idea di emendazione che è fine precipuo del-
la pena inflitta dal potere paterno; è fine secondario del potere civile;
e però per accidente può mancare, allorché non può compoisi col-
Tassegnimento del fine primario. Giustamente adunque nel passato
anno la quasi totalità della magistratura italiana interrogala del suo
parere intorno all' abolizione della pena di morte, dichiarò espres-
samente che ciò sarebbe stato di sommo pregiudizio all' 01 dine socia-
le, e stoltamente i giornali liberaleschi si svociarono a maledirli.
1 S. Tommaso, Svmma Ih. 2» 2ae q. 64, a. 2 ad 3.
LA BOLLA REVERSURUS
DEL 16 LUGLIO 1867
INTORNO ALLA CHIESA ARMENA 1
Nel passato quaderno esponemmo il contenuto e riferimmo an-
che il testo intero della Bolla Reversurus ; in questo ci facciamo
a dimostrare con quanta ingiustizia i perturbatori della pace eccle-
siastica abbiano calunniato queir atto di provvidenza apostolica,
e quanto malamente se ne siano serviti a far nascere tumulto e
scisma nella Chiesa degli Armeni.
1.
La principale disposizione di siffatta Bolla fu confermare il con-
centi-amento della giurisdizione ecclesiastica su i cattolici Armeni, la
quale era divisa per T innanzi tra il Patriarca di Gliela e il Primate
di Costantinopoli, e fu indi raccolta tutta nel solo Patriarca. Riten-
ne questi il titolo di Patriarca di Cilicia, ma trasferì la sede dalla
solitaria cella di un monastero della stessa Cilicia, ove erano di-
morali i precedenti Patriarchi, nel palagio arcivescovile eretto nella
metropoli dell' Impero ottomano. Questa concentrazione di autorità
1 V. questo voi. pag. 540 e segg
676 LA BOLLA REVBRSDRUS DEL 16 LUGLIO 1867
era il desiderio degli Arcivescovi armeni, e fu mandata ad effetto,
per concessione della Santa Sede, allorché, morto il Patriarca di
Cilicia, Gregorio Pietro Vili, fu eletto a succedergli monsignor Has-
sun, col nome di Pietro IX.
Mentre poi la Santa Sede decorava il patriarcato di Cilicia col
detto aumento di onore e di autorità, volle essa prescrivere le nor-
me della elezione del successore di Gregorio Pietro Vili ; tanto più
che costui avea stabilito , contro la volontà del Romano Pontefice,
un capitolo di semplici preti, e a due di loro avea conceduta la in-
debita facoltà di prender parte in quella futura elezione. Venne
per questo effetto, dopo la morte del medesimo Gregorio, spedito
come delegato apostolico straordinario monsignor Giuseppe Valer-
ga Patriarca latino di Gerusalemme. Egli raccolse il sinodo dei
Vescovi nella chiesa dell'Assunta del Monte Libano, e inlimate le
prescrizioni di Roma, dichiarò nullo il preteso dritto di quei preti,
r Vescovi radunati erano otto, ed elessero, sotto la presidenza dello
stesso Valerga, il già menzionato monsignor Antonio Hassun. Nò so-
lamente i loro voti furono unanimi, ma furono dati per acclamazio-
ne ; e quell'atto fu messo in iscritto, e firmato da tutti i suffraganti.
Gli stessi Vescovi elettori andarono tutti a Costantinopoli, e si
congratularono col nuovo Patriarca da loro scelto, e gli prestaro-
no obbedienza. Indi insieme con lui vennero a Roma, ove erano
stali invitati con tutti gli altri Vescovi dell'orbe cattolico, a cele-
brare il centenario del glorioso martirio del Principe degli Apostoli.
Allora il Santo Padre tenne un concistoro secreto, nel quale solen-
nemente approvò la domanda, già fatta fin dal tempo del suo pre-
decessore Gregorio XVI, di riunire la sede primaziale di Costanti-
nopoli colla patriarcale di Cilicia, ritenendo il titolo di questa, e
trasferendo la sede dalla Cilicia a Costantinopoli. Confermò la ele-
zione di monsignor Antonio Hassun, sotto il nome di Antonio Pie-
tro IX ; e decretò le norme, colle quali si doveano fare per l'avve-
nire le elezioni del Patriarca e dei Vescovi di quella cristianità. La
Bolla Iìeversurus contiene un cenno di questi fatti, e le norme del-
le elezioni.
INTORNO ALLA CHIESA ARMENA 677
II.
Su questi fatti medesimi vollero malignare i seminatori di zizza-
nia e i nemici dell'apostolica Sede. Incominciarono dalla delegazio-
ne di monsignor Valerga, dicendo che fu allora la prima volta che
un prelato latino intervenisse e presedesse alla elezione di un Pa-
triarca orientale. Ma sbagliarono grossamente, poiché vi ha esem-
pii antichi e recenti di simili delegazioni. Eccone alcuni. Sotto il
pontificato di Benedetto XIV mori monsignor Giuseppe Pietro Pa-
triarca maronita , ed intanto i Vescovi di quella nazione non si ac-
cordarono nella elezione del successore. Quindi avvenne che sei dì
quei Vescovi elessero a Patriarca Elia Vescovo di Acri, laddove i
Vescovi rimanenti, che erano in minor numero, scelsero Tobia Ve-
scovo di Naplusa. In mezzo ai gravi dissidii de' contrarii partiti,
ciascuno degli eletti domandò alla Santa Sede la conferma della sua
elezione e l'uso del Pallio. Il nominato Pontefice volle meglio an-
nullare amendue le elezioni, e pose di moto proprio in quella Sede
patriarcale Simone Evodio Vescovo di Damasco. A ciò si opposero
alcuni dei Vescovi, e si costituirono un Vicario patriarcale; e il Pa-
pa di presente depose il Vicario, riprese acremente quei Vescovi e
li ridusse alla debita obbedienza. In questo negozio Benedetto XIV
non delegò un Vescovo, ma un semplice sacerdote di rito latino, il
quale fu il Guardiano di Terra santa. Il simile fece Clemente XIII,
quando spedì presso i Greci melchiti, come delegato apostolico, il
P. Domenico Lanza semplice sacerdote de frati Predicatori. Era
allora accaduta la morte del Patriarca Cirillo, ed i Vescovi aveano
scelto il successore, ma con una forma indebita. Clemente XIII,
per mezzo del suo delegato, annullò questa elezione, e costituì il
nuovo Patriarca, il quale venne accettato dai Vescovi.
I perturbatori testé nominati rappresentarono la scelta di mon-
signor Hassun come illegale. Poiché andarono spargendo in mezzo
al volgo ignorante, che i Vescovi, a cui apparteneva il diritto del
suffragio, doveano essere dodici; intanto due erano morti, un altro
fu trattenuto in Costantinopoli, ed un altro che trovavasi in Ales-
$78 LA BOLLA REVERSURUS DEL 16 LUGLIO 1867
sandria non fa aspettalo. 11 sinodo dunque si con pose di so\ ) otto
Vescovi; e i voli si diedero por acci ni izio; e. Cu sta formi < i ele-
zione, essi aggiungevano, non è ricoiu sciita per valili;, se non
quando il numero de' votanti è plenario. Affermarono neon, clic
uno di questi otto Vescovi dopo aver dalo il suo \oio cadd ; in de-
liquio, e che altri quattro detestarono ben presto e continuarono di
poi a detestare il momento, in cui presero parie a quella elezione.
Al solo volgo ignorante si poteano vendere queste ciance. 1 due
Vescovi erano stati rapiti dal colera. Ma se la loro morte diva giu-
sta cagione a cordoglio, non apportava peiò verun impedimento alla
convocazione del sinodo de' Vescovi rimanenti, né polea infermare
punto la validità dei loro atti. Lo slesso si dica dell'assenza degli
altri due Vescovi, i quali domandarono espressamene licenza di
non recarsi al sinodo. Vero è che uno di questi, cioè monsignor
Arsenio, mutò consiglio e notificò per mezzo del telegrafo il suo
arrivo in Alessandria; ma allora il sinodo non era più a tempo di
sospendere le sue azioni.
È poi incredibile quel che i delti perturbatori volevano dare ad in-
tendere degli otto Vescovi convenuti nel sinodo, cioè che tre solamen-
te erano favorevoli a monsignor Hassun e cinque contrarli. Come mai
in lai caso tutti i voti, senza verun contrasto, si sarebbero potuti ac-
cordare non solamente a scegliere il medesimo Hassun, ma altresì a
nominarlo con acclamazione? Siccome poi niun indizio di questa
pretesa diversità di opinioni si ebbe nel sinodo, celebralo sul Mon-
te Libano ; così né anche appresso ci fu ombra di pentimento e di
ritratlazione; né in Costantinopoli, ove lutti quei Vescovi si condus-
sero insieme a congratularsi coli' Hassun, scelto da loro a Patriarca,
ed a prestargli obbedienza ; nò in Roma, quando venuti in questa
città insieme collo stesso Hassun, applaudirono alla conferma, che
il sommo Pontefice diede alla loro elezione.
Poiché l'acclamazione, colta quale fu nominato il nuovo Patriar-
ca, dimostrava ad ogni evidenza la perfettissima concordia dei Ve-
scovi elettori; i calunniatori di quella elezione si gettarono al di-
speralo partito di persuadere, che essa era invalida, appunto per-
chè eia stala fatta per acclamazione. E però proclamarono, corno
INTONO ALLA CHIESA ARMENA 679
abbiamo dello, il principio, che le elezioni fatte per acclamazione
allor solamente sono valide, quando il numero dei suffraganti è
plenario. Ma essi trassero un tal principio dal loro stravolto cer-
vello, non già dal dritto canonico, il quale riprova quelle sole ac-
clamazioni, che si fanno dal popolo o dalla moltitudine, che non ha
dritto al suffragio : Electus ad clamor em populi non debet per su~
perior&m con/innari 1. Se i suffragi sono dati da legittimi elettori,
il diritto canonico riconosce per valida la elezione, o essa si faccia
per acclamazione, o cogli altri due modi più ordinarli, cioè collo
scrutinio o col compromesso. E siccome non è necessario che il
numero degli elettosi o dei suffragi! sia plenario, acciocché sia va-
lida la elezione fatta per via di scrutinio o di compromesso : così
ne anche è mestieri una tale pienezza di voti pel valore della
acclamazione.
III.
La Santa Sede unendo in una sola persona la giurisdizione ec-
clesiastica, che era per Y innanzi divisa fra due, avea ad un mede-
simo tempo appagato i desideri*! de' Vescovi armeni e provveduto
ai vantaggi spirituali di tutti i fedeli di quella nazione. Con ciò non
avea essa inteso d' imporre come capo civile il nuovo Patriarca ec-
clesiastico da lei confermato. Rimaneva dunque dal canto di Roma
pienamente libera tutta quella comunità di Armeni o di dipendere
dal patriarca Hassun anche nei negozii temporali, o dì ottenere
piuttosto dalla Porta ottomana, come già avea ottenuto peri' innan-
zi, un capo civile distinto dall'ecclesiastico.
Intanto monsignor Hassun ritornato insieme coi suoi Vescovi da
Roma a Costantinopoli, fu intronizzato con liete e solenni feste e
cogli applausi di tutti gli ordini di persone. Indi ei presentò i docu-
menti della sua elezione alla Sublime Porta, la quale con un beral
imperiale lo riconobbe come Patriarca di tutti gli Armeni uniti, e
al potere spirituale di cui era stato investito dal Romano Pontefice,
1 Tit. V De Electione, etc. e. 2.
680 LA BOLLA REYERSURUS DEL 16 LUGLIO 1867
unì l'autorità di sopraintendcre nell'amministrazione civile della sua
comuni là.
Ma ben presto cominciò a sollevarsi lo spirito della discordia,
pigliando pretesto da questa amministrazione degli affari temporali.
Né dall'altro lato monsignor Hassun tardò di sventare siffatti pre-
testi. Dichiarò innanzi ai notabili, che pel bene della pace ci lasciava
di ingerirsi in simili affari e rinunziava ad ogni prefettura di questo
genere : con ciò essi aveano pienissima libertà di domandare al
Governo un altro superiore civile. Però, come era di ragione, disse
di non avere facoltà di concedere o di permettere quello, che per
Taddietro era stato tollerato dal Papa Gregorio XVI, cioè che il
capo civile fosse un ecclesiastico e che assumesse il titolo di Pa-
triarca civile.
Da questi cenni apparisce, che gli Armeni non poteano dall'am-
ministrazione de' loro affari temporali prendere niun pretesto ragio-
nevole per contrastare alle disposizioni ecclesiastiche, stabilite dalla
Santa Sede a prò delle loro anime.
IV.
Le calunnie più ingiuste che si sparsero contro la Bolla Rever-
surus, riguardano le norme, che essa prescrive intorno alla nomi-
nazione del Patriarca e dei Vescovi. Si calunniò dapprima come
ingiusto il divieto, fatto al clero ed al popolo, di ingerirsi nella ele-
zione del Patriarca. Basteranno le poche osservazioni, che qui ap-
presso soggiungeremo per ribattere questa prima calunnia.
In tutto l'Oriente cattolico il popolo non piglia mai parte nella
elezione dei Patriarchi. Per ciò che spellava al Patriarca armeno, la
cui sede era in Cilicia, la elezione facevasi dai soli Vescovi. Anche
oggi nello stesso calore della disputa gli avversarii della Santa Se-
de 1 confessano, che intorno a quei deserti monasteri, ove dimora-
vano il Patriarca e i suoi Vescovi, non vi era niuna popolazione di
cattolici armeni, la quale potesse convocarsi a dar buona tesUmo-
1 La Turquie, 6 Avril 1870.
INTORNO ALLA CHIESA ARMENA 681
nianza sulla persona da eleggere. Vero è che Y ultimo Patriarca il
quale abitò quelle solitudini della Cìlicia, cioè Gregorio Pietro Vili,
come di sopra abbiamo detto, stabili un "capitolo di semplici preti,
e a due di loro concedè la facoltà di dare il suffragio nella elezione
dei futuri Patriarchi. Ma, come anche di sopra abbiamo avvertito,
fu questa una strana novità, la quale venne tosto riprovata dalla
Santa Sede, e fu espressamente dichiarata priva di effetto da mon-
signor Valerga delegalo apostolico, e come tale fu unanimamenle
rigettata da tutti i Vescovi armeni, raccolti in sinodo nel Monte Li-
bano per eleggere il nuovo Patriarca dopo la morte del nominato
Gregorio.
Il presente Patriarca di tutti gli Armeni uniti in virtù della Bolla
Beversurus risiede in Costantinopoli, ma porta il titolo di Patriarca
di Cilicia. Or dunque se esso si considera soltanto come successore
de' precedenti Patriarchi di Cilicia, è cosa manifesta da quanto ab-
biamo accennato, che la sua elezione non appartiene per niuna ma-
niera né al clero inferiore, né molto meno alla turba dei laici, ma
unicamente ai Vescovi. Senonchè oltre al succedere al Patriarca di
Cilicia, egli succede ancora all'Arcivescovo e Primate armeno di
Costantinopoli. Ma né anche per questo rispetto possono i semplici
preti ed i secolari immischiarsi nella sua elezione. Pio Vili, come
già dicemmo nel precedente articolo, fu quegli che nel 1830, de-
corò la Chiesa armena di Costantinopoli col titolo di primaziale ed
arcivescovile. Egli costituì come Arcivescovo e Primate monsignor
Antonio Nurigian, e volle accogliere benignamente in quella prima
elezione le commendatizie, che fecero in favore dello stesso Nurigian
i preti ed i laici armeni della provincia di Costantinopoli. Di qui in-
cominciarono questi a vantar dritti e privilegi che non aveano, e
turbarono gravemente colle loro pretensioni la elezione del succes-
sore del Nurigian, che fu monsignor Maniche. Pertanto a fin d'im-
pedire i nuovi disordini, che le ambizioni e gì' intrighi avrebber
cagionato nelle elezioni dei futuri Arcivescovi, la Santa Sede si ri-
serbò interamente la loro nomina ; e per tal guisa, essendo acca-
duta nel 184G la morte del Maniche, essa, senza niun intervento ne
di chierici né di laici, nominò a succedergli monsignor Hassun.
082 LA BOLLA JtEVERSURUS DEL 16 LUGLIO 1867
Gli uomini agitali dallo spirilo di parie sì piegarono mal volen-
tieri alla debita soggezione, né mai lasciaron di dare impaccio
così al Primate Hassun come alla Santa Sede, allora specialmente
quando trattatasi di provvedere alle sedi vacanti soggette allo stes-
so Primate.
Intanto la Santa Sede volendo abbondare in indulgenza il più die
era possibile, ordinò nel 1853 con una Istruzione speciale, che in-
comincia Licet episcopato, il modo di procedere nella nomina dei
Vescovi e del Primate di questa provincia armena di Costantinopoli.
Permise ebe vacando una sede, il capo civile radunasse i notabili
ed il clero della nazione in numero uguale, a dar testimonianza del-
la buona condotta dei candidati. Un tale consiglio ebbe facoltà di
designare da sei a dodici sacerdoti, che giudicava meritevoli. Il
Primate poi se vacava una delle sedi vescovili, o il Vescovo più an-
tico se vacava la stessa sede primaziale, dovea scegliere dalla lista
presentita dal consiglio tre nomi, e proporli alla Santa Sede. Ove
nella prima lista non si fosser trovate persone meritevoli di quella
dignità, il consiglio del clero e dei notabili potea presentarne una
seconda; e se non se ne fossero trovali nò anche in questa, allora
il Primate o il Vescovo più antico proponeva alia Santa Sede tre
nomi di sua scella.
Frattanto due cose erano espressamente dichiarate in quella Istru-
zione. La prima, che la elezione sì de' Vescovi come del Primate
appartenendo di pieno dritto alla Sede apostolica, sarebbe a questa
restato sempre libero di sostituire un altro ai tre proposti. La se-
conda, che tutte le nominale concessioni siccome derivavano dalla
mera liberalità del sommo Pontefice, così non erano se non tempo-
ranee, e però libere a rivocarsi ogni qual volta accadessero nuovi
inconvenienti, o si mutassero le circostanze.
Le circostanze si mutarono grandemente, o, per meglio dire, si
mutò la natura slessa delle cose, allorquando, secondo i desiderii
dell' Episcopato armeno, la Santa Sede stabilì colla Bolla lìevcrsurus,
che tutti gli Armeni sparsi nelP Impero ottomano di pendettero da
un capo solo, il quale ritenendo il titolo di Patriarca di Cttìcìa, ri-
sedesse in Constanlinopoli. Il drillo di nominare questo Patriarca
INTORNO ALLA CHIESA ARMENA 68$
fu conceduto ai soli Vescovi, e fu negato, senza far loro uhm torlo,
ai semplici preti ed ai laici.
V.
GH antichi Patriarchi di Cilicia, come sopra abbiamo notato, era-
no eletti dii soli Vescovi, senza l' intervento né del clero inferiore
né de' secolari. Però appesa eletti essi si facevano intronizzare, cioè
pigliavano pass sso dclh loro dignità; e poscia o recavansi a Roma
di persona o vero spedivano suppliche, per esser confermati e per
avere il l'ali o. In questo intervallo di tempo non si astenevano da
tolti gli atti e, is opali, ma solo da alcuni, come per esempio dal-
l'ordlnaie i Vescovi, dal f.re il crisma e dal consecrare le chiese.
Ciò era un gravissimo abuso, del quale si lamentava la Santa
Sede ; poic'iè presentandosi a domandare la conferma ed il Pallio
colui, che s'ava già in esercizio delle funzioni patriarcali, se esso
troviiVc si ind gno, non gli si poteva negare la domanda, senza un
alto di t'ormai" destituzione dal grado che occupava.
Pei tanto il Romano Pontefice nella Rolla Reversurus prescrive,
che i nuovi Patriarchi eletti non sieno intronizzati, e non abbiano
vermi dri'to, nò esercitino veruna giurisdizione sul patriarcato, né
anche come procuratori o vicari], se la loro elezione non sia stata
prima, secondo l'uso comune della Chiesa cattolica, ammessa e con-
fermala di'laS ntaSede. Avuta poi questa conferma, è loro vietato
di consecrare i Vescovi, di convocare i sinodi, di fare il crisma, di
dedicare le eh ese, e di ordinare i chierici, se prima non abbiano
ottenuto il Pallio.
Il duite della calunnia si avventò ancora contro questi si provvidi
ordinamenti, accusandoli come ingiuste violazioni dei dritti del Pa-
triarca di Cilicia. Ma è facile a dimostrare la malizia e la stoltezza:
di tali accuse. E dapprima supponiamo per poco, che tratlavasi
veramente di un dritto de' Patriarchi di Cilicia. Quale altra potea
essere stata la fonte di un tal dritto, se non la benigna concessione
della Sede apostolica? Or dunque siccome i Romani Pontefici, nella
supposizione che facciamo, avrebbero gratuitamente conceduta quel-
684 LA BOLLA REYERSI'RIS DEL 16 LUGLIO 1867
la prerogativa al Patriarca armeno di Cilicia, nel tempo clic questi
dimorava in un monastero deserto, ed era soltanto destinato a pa-
scere un gregge sparso sui gioghi del Tauro e per le solitudini del-
l' Asia e della Siria ; così poteano ben ragionevolmente avocare
ogni privilegio, allorché al nuovo Patriarca da eleggersi essi conce-
devano di risedere nella metropoli dell'Impero ottomano e di gover-
nare non i soli Armeni di Cilicia, ma tutti quelli che erano nella
città di Costantinopoli e nelle rimanenti città della Turchia europea.
Senonchò non si trattava di un diritto del patriarcato di Cilicia,
nò d'una prerogativa concedutagli dalla Sede Romana ; trattatasi
invece di un abuso colà prevaluto contro l'ordine di dipendenza, la
quale, secondo la divina istituzione, si dee conservare in tutte le
chiese particolari dal Romano Pontefice, capo della Chiesa univer-
sale. Di cotesta prava consuetudine, come testò abbiamo detto, la
Santa Sede si era più volte lamentata ; e però non potea, senza farsi
colpevole di una grave negligenza, più lungamente differire l'oppor-
tuno rimedio. Neli'apprestar poi questo rimedio, essa volle proce-
dere con una soprabbondanza di soavità e di prudenza, aflìn d'im-
pedire quegli scandali, che pur vennero quivi suscitali dallo spirito
di sedizione e di calunnia. Poiché stabilì le nominate prescrizioni
della Bolla Reversurus, dopo averle prima fatte proporre in piena
adunanza a tutt' i Vescovi di rito armeno, e dopo ottenutone l'una-
nime consenso. Oltre a ciò essa dichiarò formalmente, che non
avrebbe tardato di estendere quelle medesime ordinazioni a tutt' i
Patriarchi orientali di altri riti.
VI.
L'Istruzione Licei episcopalis permetteva, come di sopra abbia-
mo riferito, che dovendosi eleggere un Vescovo della provincia ar-
mena di Costantinopoli, venissero interrogali i notabili secolari del-
la provincia medesima intorno alla vita ed alla onestà de' candidati.
Questa permissione, benché non sia espressamente rivocala nella
Bolla Reversurus, pur nondimeno non é neanche confermala; giac-
ché in essa si dice solamente, che vacando una sede vescovile, il
INTORNO ALLA CHIESA ARMENA 685
Patriarca convocherà il sinodo di tulti i Vescovi del patriarcato, e
che dal sinodo medesimo si proporranno al Romano Pontefice tre
persone idonee a sostenere il carico pastorale. Rimane dunque libe-
ro al Patriarca ed ai Vescovi il domandare o no dal popolo informa-
zioni e testimonianze sulla condotta delle persone, che propongono
di nominare al vescovado vacante, E se essi si astengono dal far-
lo, non hanno i laici niun giusto titolo di querelarsene, tanto più
che la tristissima esperienza ha dimostrato che quanto maggiormen-
te essi si sono ingeriti in siffatte elezioni, tanto meno degne sono
state le persone elette.
Nel Breve, con cui l'augusto Pontefice Pio IX spedì in Costantino*-
poli, nel Febbraio del corrente anno, monsignor Pluym, per impe-
dire lo scisma, che si erano attentati di eccitare quivi alcuni pochi
Armeni, riprova coteste pretensioni dei laici, e ricorda loro i proprii
doveri, colle parole seguenti: « Il ceto dei laici, egli dice, si contenga
nel suo ufficio, né si mescoli per niuna guisa nelle faccende eccle-
siastiche. Essi nella Chiesa debbono essere ammaestrati, non am-
maestrare; debbono esser retti, non reggere: né fuvvi mai niuna
cosa così nociva alla Chiesa di Dio e per conseguenza tanto meri-
tevole di essere riprovata dai santi Padri e dai Concilii anche ecu-
menici, quanto V impacciarsi che fanno i laici nei negozii di Chie-
sa, e l'intromettersi nel governo delle cose sacre : Laicorum coetas
in officio suo maneat, neque in ecclesiasticas res se ullo modo im-
misceat. Eorum in Ecclesia est doceri non docere, regi non rege-
re; et Ecclesiae Dei nihil unquam tam nocivum futi, ac propterea
a sanctis Patribus et a Concilìis etiam oecumenicis nihil tnagis im-
probandum, quam ut laici in ecclesiastica negotia sese insererent
et in ecclesiasticum ordinem insilirent. » ."
■VII.
Il detto fin qui basta a far conchiudere, che le maldicenze e le
calunnie colle quali si è tentato, specialmente in questi ultimi mesi,
di lacerare la Bolla Reversurus,. non hanno avuto altra origine, se
non lo spirito di ribellione e di scisma. In fatti questo spirito tutto
686 LA BOLLA REVERSURUS DEL 16 LUGLIO 1867 ECC.
pieno di perversità odia al sommo e fa ogni sforzo per impedire ed
estinguere la libertà della Chiesa, l'autorità de'Vescovi e l'unità del-
la cattolica religione ; cioè quei beni appunto che la Santa Sede
mira di assicurare colta detta Bolla, nella chiesi di Armenia. « Non
yi è, così dice lo stesso sommo Pontefice Pio IX nel Breve a mon-
signor Pluym, non vi è niuna cosa, la quale meglio della Bolla Be-
versurus possa difendere ¥ ecclesiastica libertà, vendicare i dritti
e l'autorità de'sacri Pastori, e conservare sempre più la religione e
l'unità cattolica : Nihil ea opportunius est ad ecclesiasticam liber-
tatem tuendam, ad sacrorum Antistitum tura auctoritalemque vin-
dicandam, et ad catholicam religionem atque unitatem mayis ma-
gisque conservandam. »
Di così preziosi ornamenti, senza i quali non può sussistere nella
verità nessuna chiesa cristiana, intendeva il venerato Pontefice di
adornare la cristianità degli Armeni col mezzo di questa Bolla; e
per tal ragione, persistendo nell'adempimento del pastorale suo of-
ficio, egli dichiara al nominato monsignor Pluym di volere, che la-
Bolla medesima rimanga nel suo vigore, e che si osservi diligente-
mente da tutti coloro a'quali s'appartiene : Nostrani constitulionem
edidimus IV idus Iulias an. MDCCCLXVII, cuius initium est Re-
yersurus; quam in suo robore manere volunius, et ab omnibus ad
quos pertinet diligenter observari.
RIVISTA
DELLA
STAMPA ITALIANA
I.
Illustrazioni filologi co-comparative alla Grarnmatica greca del
dott. Giorgio Curtius, professore di Filologia classica nella
Università di Lipsia, scritte da lui medesimo, con sua licenza
tradotte dal tedesco e corredate di un proemio, di giunte ecc.
per cura del dott. Fausto Gherardo Fumi, prof, di lettere clas-
siche nel R. Liceo di Reggio-Calabro — Napoli, stamperia del
Fibreno 1868; R. de Rubertis editore. Un voi. in 8.* di pagi-
ne CI, 264 1.
II
Entriamo ora a discorrere brevemente il più che far sì potrà, in-
torno a ciò che in particolare si riferisce alla grammatica del Cur-
tius e alle illustrazioni voltate in italiano e arricchite con aggiunte
dal eh. Fumi. Se la prima parte della nostra rivista potè essere di
qualche diletto ai lettori, questa seconda potrà sembrare molesta
ed aspra come un ginepraio, se non se a que pochi a'quali tornano
care le liti di quella gente fastidiosa ed arcigna che sono i gramma-
tici. Mail fastidio verrà consolato dalla brevità; e a chi sembrasse
1 V. questo voi. pag. 566 e segg.
688 RIVISTA
poca siffatta consolazione, può procacciarsene una maggiore saltan-
do a piò pari queste brevi pagine.
Adunque il chiarissimo Fumi nella seconda parte dell' ultimo
articolo del suo Proemio parla con molte lodi della grammatica
greca del Curtius, e, sono sue parole, « dell'ardita e feconda ri-
forma da lui recata allo studio lessicale e alla teorica grammati-
cale del greco. » Negheremo noi queste lodi così ampie al Cur-
tius? o gliele concederemo senza più? Nò l'uno, nò l'altro. Che
se da una parte troviamo molte cose da lodare nella grammatica
del Curtius e nelle illustrazioni, dall'altra ci sembra che il Fu-
mi, innamorato del metodo del Curtius, sia profuso ed alcun poco
e forse più di un poco, esageralo nel lodarlo. E di vero se è giusto
l'applicare i principi! della linguistica comparativa allo studio della
grammatica greca, e chi ciò faccia merita lode : pur nondimeno si
vuol adoperare in questo molla e molta parsimonia. Ben altra cosa
è il fornire ad uso delle scuole una grammatica della lingua gre-
ca; ed altra il volere comporre un libro che faccia vedere come
certe teoriche, ricavate dallo studio della linguistica comparativa,
potrebbero servire a dare ragione della formazione e struttura del-
la lingua greca e della sua grammatica. Noi portiamo ferma opi-
nione che in una grammatica ad uso delle scuole non si debba dar
luogo se non a ciò che ò certo, o- almeno grandemente probabile,
ne si debbano accrescere le difficoltà della nuova lingua diesi
vuole insegnare con ipotesi e teoriche astruse e più speciose che
vere; nò si conducano gli scolari per ambagi e labcrinti, dove fa
duopo una via spedila ed aperta : e per ismania di riformare, so-
prattutto dove una tale riforma non sia veramente necessaria, non
si riesca a distruggere ciò che è ben fatto, e ad innalzare un edifi-
zio che forse non posa sopra stabili fondamenti, e come oggi è sta-
to costruito, così domani può essere abbattuto. In una parola cre-
diamo che i fatti e non le congetture si debbano proporre in una
grammatica per le scuole : e le congetture più o meno probabili,
si possano riserbare ad un libro ove si vogliano indagare sottil-
mente le ragioni de' fatti, ad un libro diretto ad uno studioso di
linguistica comparata, il quale abbia sufficiente contezza di una de-
DELLA STAMPA ITALIANA 689
terminata lingua, e qui diciamo della greca, giacche di questa pure
si parla. Ora a noi sembra che la grammatica del Curtius pecchi
appunto in ciò, e sia anzi un libro per gli studiosi di filologia com-
parata, non una vera grammatica, quale si richiede a fare appren-
dere la lingua greca così come si legge negli scrittori. Non tema il
eh. Fumi che noi siamo venuti in questa sentenza o perchè siamo
avversi allo studio e ai progressi veri della linguistica, o per-
chè siamo disturbati e contrariati dalle tradizioni e pregiudizio di
una vecchia scuola, o perchè siamo digiuni della lettura dei lavori
grammaticali sopra la lingua greca messi in luce, specialmente in
questo nostro secolo, dai dotti ellenisti di oltremonte. Quello che
abbiamo discorso nella prima parte di questa rivista, mostra, ci
pare, più che abbastanza in qual conto noi teniamo la linguistica
comparata. E possiamo dire con tutta verità che le più riputate
grammatiche pubblicate in Germania, in Francia e in Inghilterra,
tutte le abbiamo avute lungamente per le mani, e ne abbiamo fatto
soggetto de' nostri studii, e di esse ci siamo giovati nell' indirizzare
alla lingua greca molti e molli valorosi giovani, dipartendoci, quando
lo credevamo necessario, dall'antico metodo, e accettando le nuove
dottrine. Ma egli è proprio quel poco di esperienza che abbiamo
acquistato ne' lunghi anni dell' insegnamento, che ci fa portare il
giudizio da noi espresso sopra la grammatica del Curtius. Ci si
dica di grazia se possa veramente essere acconcia all'insegnamen-
to delle scuole elementari una grammatica, della quale il Fumi
medesimo nella lettera, con che dedica il suo libro al Yillari, con-
fessa le difficoltà assai gravi, e scrive: « La novità ed una certa
oscurità della grammatica greca di Curtius derivano dall'ardita ap-
plicazione dei principii della linguistica alla teorica delle forme
greche: principii che sfuggono alla riflessione, se manchino gli
anelli intermedii di quella catena, ove il greco sta accanto al san-
scrito, allo zend, al latino, al celtico, allo slavo, al goto ecc.; »
una grammatica, a intender la quale, comunque si sia, è necessa-
rio un libro d' illustrazioni e di giunte per poco più lungo della
grammatica medesima; una grammatica, per l'uso della quale so-
no richieste, e non bastano, tutte le Avvertenze del prof. Bonitz
Serie YH, voi XI, fase. 492. 44 6 Settembre 1870.
COO RIVISTA
esposte in lo fìtte pagine in 8.' grande, e poi compendiate dal Cur-
tius medesimo e dichiarate in ano scritto destinato a preparare
il terreno alla sua grammatica anco in Italia (Fumi pag. 22
una grammatica in fine, la quale per confessione del Bonilz mede-
simo (pag. 212) chi adoperi, tal quale è, come norma assoluta del
suo insegnamento, corre pericolo che gli studenti ottengano tut-
t'altro che un vero possesso delle forme greche, e arrivati alle
classi superiori, in luogo di avere imparato esse forme abbiano
solo osservato le attraenti singolarità delle spiegazioni e compa-
razioni linguistiche, e solo possa sfuggire un tal pericolo coll'a/i-
dare trascegliendo ed ordinando in essa (grammatica) le cose più
adattate ai suoi allievi, e col tracciarsi in precedenza il suo
piano, cioè in buon volgare componendosi una nuova grammatica.
Noi crediamo che il Fumi stesso dirà, una tale grammaiiea non è
per le scuole. Né ci si risponda che il libro del Curtius conta già più
edizioni, e almeno due traduzioni italiane, e che è adoperato in mol-
te scuole: perchè noi dimanderemo quale ne sia il vero frutto; e
temiamo non sia quelli», e nulla più, accennato dal Bonitz come
minaccioso pericolo nelle parole poc anzi riferite. Aggiungiamo
qui che le osservazioni critiche del sig. Wolf sopra la grammatica
del Curtius, pubblicate nel giornale dei ginnasii austriaci l'an-
no 1852, e riportate dal Bonitz nelle Avvertenze, confermano la no-
stra sentenza. Alle osservazioni del Wolf ha tentato di rispondere
il Bonitz in difesa della grammatica del Curtius: ma lasciando da
un lato le molte parole, l'unica risposta vera è quella che abbiamo
già riferita, vale a dire, essere necessario che il maestro sopra la
grammatica del Curtius si lavori un'altra grammatica da servire di
guida a suoi allievi, se vuole che questi imparino ciò che pur deb-
bono imparare. E una tale grammatica sarà buona ed utile alle
scuole? Sia detto con tutto il rispetto, e senza menomare punto la
sliia a che abbiamo pel Curtius e pel Fumi, non mot.
Da queste considerazioni generali venendo ad alcune particolari,
ci pare di poter dire che nella grammatica del Curtius il nuovo me-
todo e la nuova nomenclatura impaccia e non aiutalo l'ap-
prendimento del greco; inoltre che la sintassi è soverchiamente
DELLA STAMPA ITALIANA 691
oscura, e in alcune pirli non bene ordinata, per essere condotta e
lavorati sopra dottrine ed astrazioni incerte ed alcun poco nebulo-
se, frullo di una filosofia soggettiva non oggettiva, volendo usare
le parole nuove e che ora procacciano rinomo. 11 mostrare ciò par-
tita niente ci condurrebbe troppo per le lunghe : si contenti però il
leltore di alcuni brevissimi cenni.
Fa già notato dal Wolf medesimo che manca di buon metodo la
grammatica del Curtius, perchè invece di far imparare in un modo
breve e chiaro le forme correnti delle flessioni, discorre « di quel-
li accorciamenti o mutamenti fonetici che risalgono ad un periodo
della lingua non più visibile, e quindi, riguardo alla lingua viva,
hanno tutto il carattere di ardue astrazioni. » Un tal metodo è ciò
che propriamente ha di nuovo il libro del Curtius, e poc' altro vi si
rinviene che non insegnino pure le altre grammatiche. Ma ognuno
di por sé intende quanto per un tal metodo si renda difficile lo stu-
dio della grammatica, che si dovrebbe piuttosto agevolare con
ogni diligenza. Oltre di che diviene perciò necessario il ragionare
di cose, che propriamente alla grammatica non appartengono, ma
sì all'etimologia o alla storia della lingua. Si apra la grammatica
del Curtius, e si vegga quante di tali materie s'incontrano nella
prima parte, anzi nel solo primo capo, dove si parla de' varii can-
giamenti a cui vanno soggette le lettere nelle flessioni delle parole
e delle forme grammaticali. Eppure se v'è parte della grammatica
in cui sia d'uopo serbare una grande parsimonia, è appunto questa.
Ma osserviamo alcune poche cose intorno alle declinazioni e alle
coniugazioni. Primieramente notiamo che la distinzione fra tema e
termi nazione, e fra radice e quelle parti che si aggiungono o com-
pongono colla radice per la inflessione delle forme greche, non è
nuova , come tutti sanno, e molti grammatici ne avevano già fatto
uso, quantunque il Curtius sembri nelle Illustrazioni darsene van-
to come di sua invenzione. Ma ciò sia detto di passaggio. Parlando
delle declinazioni, il Curtius dice che originariamente era una so-
la: ora si debbono distinguere due declinazioni principali, la prima
che abbraccia i temi in vocale aspra a ed o, la seconda quelli in con-
sonante, quelli in vocale dolce t ed o, in dittongo, ed alcuni pochi
692 RIVISTA
in e. Alla prima declinazione principale appartengono le due secon-
darie, quella dei temi in a che talora mutasi in yj , e quella dei temi
in o. Quindi vengono le regole per le declinazioni dei variì temi, e
sono date le finali pe'varii casi da aggiungersi al tema: e al mede-
simo tempo vengono divisale le svariatissime trasformazioni, tra-
sferimenti, sostituzioni, ecc. , che necessariamente debbono aver
luogo perchè si abbia quella forma che è in uso presso gli scrittori.
Rechiamone un qualche esempio. Il tema v£ve<; che appartiene alla
declinazione dei temi in e, ha il nomin. -/Ivo? per la mutazione del-
l' s in e: il genit. è févtteq, ma il a quando sta tra due vocali si to-
glie; onde si ha févso?, e poi févou; per la contrazione. E il tema
òfcòvr, che appartiene alla declinazione dei temi in dentale ed ha il
nomin. 6&o6^ dovrebbe avere l'accus. ò&Svtjj., e per la sostituzione
del v al ;;., zzivr> : ma vi è la vocale a che ha l'ufficio di unire il v
ai temi in consonante, quindi si ha &86vtav, e sparendo il v, ht&nà:
e così nel plur. acc. da lò^r.-y.z, ossia cscvt-v;, si ha &5<5vr*s, co-
me nel latino dentes invece di dent-e- ns. Molli de' nostri lettori,
che pur conoscono la lingua greca, resteranno, crediamo, ammirati
di questo modo di spiegare e fare imparare le declinazioni greche:
or essi portino sentenza, se un tal modo, concedendo pure che lo
possa tenere un etimologo o uno studioso di linguistica comparativa
nelle sue laboriose indagini, debba dirsi chiaro, ordinato, adatto
insomma alla scuole, così che abbia quasi da compiangersi chi non
lo segue, come uno sceltico, o uno impacciato da pregiudizi! di scuo-
la antica, o uno non amante dei veri progressi della scienza.
Le medesime cose e forse con più ragione dobbiamo ripetere, se
esaminiamo la maniera onde viene dichiarata la coniugazione greca.
Ecco un saggio del metodo del Curtius. Dopo i preliminari si distin-
guono per ogni verbo sette temi, del presente, da cui si forma il
pres. e l'imperf.; dell'aor. forte, da cui si ha l'aor. forte; del futuro,
onde si forma il futuro; dell'aor. debole, o sigmatico, da cui si ha
l'aor. debole; del perfetto, onde si forma il perfetto e il piucchè per-
fetto; dell'aor. forte passivo, onde si ha l'aor. forte e il futuro forte
del passivo; dell'aor. debole passivo, da cui si forma l'aor. debole
e il fut. debole passivo. Tulli questi tempi si possono derivare da
DELLA STAMPA ITALIANA 693
quella forma che chiamasi tema verbale. Poi si dà la coniugazione a
parte a parte e dirò cosi smembrata secondo la divisione del verbo
nei sette temi accennati, rendendo così assai difficile a chi studia il
formarsi un giusto concetto della coniugazione del verbo greco (seb-
bene a questo sconcio procuri l'Autore di porre un qualche rime-
dio); e intanto si danno le regole per formare quei sette temi dal
tema verbale. Date le regole secondo questi principii per la coniu-
gazione (che del resto, tolte alcune teoriche un poco arbitrarie,
nulla vi ha di nuovo), si parla dei verbi in \u e dei verbi anoma-
li in due lunghi capi; i quali, a dirlo in una parola sola, possono
sembrare anche per la disposizione materiale, pagine di calcolo al-
gebrico: tante sono le divisioni, suddivisioni, trasformazioni, deri-
vazioni, supplementi, richiami, e che so io; e ciò che ne e conse-
guenza, molte incertezze, molte ipotesi prese per verità dimostra-
te, e così via discorrendo. E un tal libro si deve encomiare co-
me quello, che il solo o meglio di ogni altro può introdurre i
giovani .alla conoscenza della lingua greca? E si deve tentare ogni
via per farlo libro di uso nelle scuole d'Italia? No, se pure non vo-
gliamo che lo studio della lingua greca nell'Italia volga a peggiore
stato, che non e quello che tuttodì vediamo. Quanto non deve appa-
rire migliore il metodo p. e. del Buttimann? quanto non è più facile,
dichiarata la teoria non difficile dei verbi a doppio tema, derivare
semplicemente tutti i tempi dal presente con poche regole certe,
tutte insieme raccolte, ben ordinate fra loro, separando ciò che è
anomalia e particolarità dei dialetti; e quindi premesse alcune cose
intorno alle varie specie dei verbi anomali e alle varie cagioni del-
l'anomalia, tessere un ben ordinato catalogo per ordine alfabetico
dei suddetti verbi, distinguendo in ciascuno le forme comuni dalle
proprie dei varii dialetti? È necessaria la teorica del Buttimann
dei verbi a doppio tema, e basta nella sua verità e semplicità a spie-
gare tutte le forme che non sono anomale nel più stretto senso : ma
perchè non contentarsi di questa, e volere, a spiegare la formazione
dei tempi, introdurre tante diverse forme o temi, e rinnovare in qual-
che modo ciò che fecero il Lennep e i suoi seguaci, i quali pre lese-
ro che ogni verbo avesse nove forme diverse, ridotte poi dal
694 RIVISTA
Knight a sole otto? Il Curtius medesimo confessa nelle Illustrazioni
(pag. 6S) che V essenziale nella teoria verbale è la unità di ogni
verbo. Or vegga egli se il suo metodo giovi o no a far meglio cono-
scere a chi non sa il greco, ma vuole impararlo, quella unità. Ci
riesce poi difficile l'intendere perchè il medesimo Autore (Illustra-
zioni pag. 64) dica come « È a dolere che molte grammatiche or-
dinaric serbino tuttora quel vano spcdiente dei cataloghi alfabetici
dei verbi irregolari. » Noi non troviamo nulla a dolere, nò ripulia-
mo vauo, ma utilissimo il catalogo alfabetico. Quando si siano pre-
messe quelle osservazioni, che la scienza richiede intorno alle varie
specie e cagioni delle anomalie nei verbi, il catalogo alfabetico
avrà, non fosse altro, questa grande utilità per chi studia, che facil-
mente e subito potrà vedere a quale tema si riporti una data forma.
Rechiamo un esempio : se uno scolare s'incontra nelle forme IO-.^sv,
exiiGa, ècpav, lO^pov, ecosa, Ip£w, facilmente scorge da quali temi
derivino, e cercando nel catalogo alfabetico troverà subilo teff db*,
xuvéo), ecc., a quali si riferiscono quelle forme. Senza il, catalogo
alfabetico e con la disposizione del Curtius, è mestieri che lo sco-
lare riconosca che Sto^ò* ed gx*m appartengono alla classe quinta
[Nasali): lòpav ed i&cpsv, alla classe sesta (Incoativi), e il pi imo
ai temi in a, il secondo ai temi in ok e%>aa alla classe setlima (In
E): !p£w alla classe ottava (Mista)', e quindi ricerchi, svolgendo
talvolta inutilmente , molte pagine e percorrendo quelle diverse
classi e tutte le loro suddivisioni, quale sia il tema di quelle va-
rie forme. Veramente ci pare di potere ripetere ciò che quel va-
lentissimo letterato, che fu il marchese Cesare Lucchesini, scrisse
discorrendo appunto delle grammatiche greche (Opere, t. 12,*
pag 95. Lucca, tipogr. Giusti 1833): « Per soverchio amore di
novità traviano bruttamente certi uomini quantunque dotti. »
Riguardo alla sintassi, che abbiamo detta oscura e in alcune pat-
ti non bene ordinata, tocchiamo pure qualche cosa riportando per
alcune regole le parole stesse della grammatica 1 , affinchè si abbia
1 Non avendo qui il testo originale del Curtius, re ilo le parole della tra-
duzione del Demattio, che vuol riputarsi fedele essendo fatta di consenso col-
V Autore, e tele io vero mi sembra, per quanto la memoria ricorda. 1* origi-
nale letto \arii anni addietro.
DELLA STAMPA ITALIANA 695
anche un saggio della esattezza e proprietà con cui vengono inter-
pretate. Lasciamo stare che nei preliminari sono esposte regole le
quali dovrebbero aver luogo altrove; come la regola « Il predicato
deve concordare col soggetto; cioè il verbale in numero, il nominale
in numero, casce, quando sia aggettivo, anche in genere», con tutte
quelle osservazioni che seguono. Ma lasciando i preliminari nel Capo
quartodecimo, numero e genere, la prima regola che vi si espone è
che « l! singolare usato collettivamente indica talvolta il plurale:
è^0r(; (abiti), t:a(vOc; (mattoni). Alle volte a sostantivi collettivi usa-
li nel singolare tiene dietro un predicato od un'apposizione in plu-
rale: 'À8r,vacwv xè ;:XyjGc; ctovcoH *. t. X. » La qual regola andava di-
chiarata con opportune distinzioni tra inomi di persona e di cosa,
e tra il valore che hanno quei nomi in sé e rispetto alla maniera di
tradurli nella lingua nostra, a quello che hanno rispetto alla sintas-
si nella .concordanza di numero: affinchè lo scolare non creda che
come può dirsi tfc TÙ&floq oiòv-cot, così possa scriversi p. e. ècO-fc eì<;-
cizz-nz>.. Un'altra regola è: « Alcune parole, specialmente astratte,
hanno un plurale nel greco ma non nell'italiano I*) quando si riferi-
scono ad una pluralità: o« $oi tòv prjxópwv vitae oraiorum, la vita de-
gli oratori : 11°) quando si voglia esprimere la ripetizione di una idea:
è^Si al g%\ \uL-fi\gn sò-iì/jai còse d^Cròouai, non mi aggrada la tua mol-
ta fortuna, in più eventi. » E a questa regola si aggiunge una nota,
di cui la prima parte è questa: « Spesso i poeti usano del plurale
quando noi ci serviamo dell'articolo indeterminato col singolare:
co-/, av 7'jvatT.nv ¥pvofe$ vSkd\ì^ àv, non vorrei esser detto schiavo
di una donna. » Non fa mestieri, crediamo, di aggiungere nulla:
che ognuno di per sé vede, che quelle parole così indeterminate,
così vaghe, così astratte non son proprie di chi dà regole; la nota
non ben si collega alla regola; ed è falso che non si possa dire in
italiano le vite degli Oratori, o che eziandio non si possa scrivere
non voglio essere schiavo di donne, intendendo pure di una donna
sola. La terza regola dice: « Il neutro del plurale si accosta molto,
pel significato, al singolare: di qui abbiamo una spiegazione a quel-
la proprietà del greco di accordare il neutro del plurale col singola-
re del verbo. » Confessiamo che così come è esposto il principio di
696 RIVISTA
questa regola non lo intendiamo, e mollo meno, crediamo, lo inten-
derà un giovine scolare e giudicherà che siano parole vuole di buon
senso: come certo non potrà chiaramente conoscere quando si pos-
sa o si debba col neutro plurale costruire il verbo nel singola-
re, il che si vuole insegnare nelle due note apposte alla regola.
L'ultima regola dice: « Il pronome dimostrativo si accorda spesso
in genere e numero col predicato a cui si riferisce: c!kc( «oiv av$pe$
(questi sono uomini). » Qui lo scolare dimanderà: or non si accor-
da sempre? e se talvolta discorda, quando è e come? Ora se noi
volessimo cosi minutamente esaminare gli altri capi come abbia-
mo per saggio adoperato intorno a questo primo, certo abuserem-
mo della pazienza de' nostri lettori. Ma al nostro intento non è ne-
cessario : che da quello che abbiam detto si fa chiaro in qual mo-
do proceda più o meno tutta la sintassi ; della quale inoltre alcune
parti richiederebbero una più distesa trattazione, come, a cagione
di esempio, il capo decimo ottavo che è dei pronomi; il capo ven-
tesimo terzo intorno ai parlicipii; e mancano per intero (salvo per
avventura alcune poche sparse qua e là) le osservazioni intorno ad
alcune particolari maniere di costruzione, che altre grammatiche
con assai buon consiglio hanno raccolto insieme in un sol capo,
cioè le osservazioni intorno all' ellissi, al pleonasmo, all' anacolutia
o inconseguenza che dir si voglia. Gli esempii poi che si danno a
dichiarazione della regola, sono troppo scarsi, essendoché rade
volte se ne rechi più d' uno per quelle regole che più ne richiede-
rebbero, ne sia indicato l'autore e il luogo onde son presi, il che
ci pare necessario.
Delle cose sin qui discorse ognuno di leggieri può intendere che
la grammatica del Curtius non è da volersi introdurre nelle scuole,
ne consigliarsi a' giovani che debbono ancora prendere conoscenza
della lingua greca. Nò, a nostro avviso (sia detto con buona pace
del eh. Fumi), portava il pregio dell'opera che egli si sottomettes-
se alla grave fatica di tradurre le Illustrazioni e corredarle delle
sue Giunte, a promovere la propagazione e la esatta intelligenza di
una tale grammatica presso gli insegnanti italiani di lettere classiche
(Lelt. di dedic. al Villari). Non crediamo opportuno che gì' inse-
DELLA STAMPA ITALIANA 697
gnanti italiani si attengano al metodo della grammatica del Curtius,
e al modo onde sono dettate le Illustrazioni, e, ci dispiace di dover
aggiungere, anche le Giunte. Un tal metodo sarà buono forse per
le scuole di oltremonti, ma non è confacevole all'indole deli' ingegno
italiano, veramente e squisitamente classico, che suole accoppiare
la sodezza e profondità della dottrina ad una bella lucidezza di ben
ordinata esposizione, né ama di avvolgersi fra le tenebre o di sfu-
mare tra le nubi. Queste doti mancano alla grammatica del Curtius
e al libro delle Illustrazioni e delle Giunte: e mancano sì per altre
ragioni, e sì precipuamente per queste due: che vi è confusa la di-
sciplina della grammatica con altre discipline o scienze, e che abu-
sando di una filosofia non acconcia all' uopo vi si vuole tutto rifor-
mare. E di vero alla pagina 29. a delle Illustrazioni leggiamo: « Il
fine precipuo dei grammatici debb' essere quello di rendere manife-
sta, quanto meglio si possa, per via di esempii caratteristici la stra-
da tenuta dall' istoria di una lingua. » Ora egli è manifesto che se
si voglia prendere la parola grammatica non nel suo più ampio si-
gnificalo, ma in quel proprio e determinato in che si usa quando si
parla di maestri, di scuole, di libri di grammatica, la sentenza del
Curtius non è vera; e non è vera, perchè confonde la scienza della
grammatica propriamente detta colla scienza della storia della lin-
gua, dell' etimologia, della linguistica, o come che altri la voglia
chiamare. Che poi il Curtius abbia voluto tutto riformare noli' inse-
gnamento della lingua greca e affetti sempre di parlare in nome del-
la filosofia e dell' alta scienza, lo dice egli medesimo e lo ripete si-
no al fastidio; e si par chiaro da quel pochissimo che abbiamo ri-
portato, tolto dalla sua grammatica.
Ma ci si consenta di riferire qui due passi, uno preso dalle Illu-
strazioni ed uno dalle Giunte, affinchè vie meglio il lettore resti
persuaso della verità delle nostre parole. Non li trascegliamo con
isludio; ma come ci cadono sott' occhio così li trascriviamo, poiché
tutto il libro ha una sola forma e si presenta col medesimo aspetto.
Il §. 147 della grammatica, dove si danno le regole per formare il
nominativo dai temi in consonante dentale che appartengono alla
seconda declinazione principale (noi profani diremmo alla terza, od
698 rivist.v
anche alla quinta secondo i più antichi), e può essere col sigma o
senza, è commentilo da un' illustrazione di cui ecco il principio:
« Le due formazioni del noni sing. riguardano due diverse specie
di temi: il nom. sing. è sigmaiico nei T. Gutturali e Labiali, nei
temi in ò e 0 nel tema unico in a, àX, nei temi in vocale molle e in
dittongo; è asigmatico nei temi in p e ?; è oscillante fra le due for-
mazioni nei temi in x, vt, v, e nei temi in o. Dal che si vede chiara-
mente che la formazione sigmatica è preponderante e la vera e pro-
pria normale; ed è manifesta la intenzione della lingua di designare
il nominativo singolare coli' aggiunta di una sibilante al tema. Solo
quando per tale aggiunta sarebbe nato un troppo duro gruppo fone-
tico, dovè quella intenzione cedere a favore della eufonia: ma serbò
un modo speciale di distinzione fra il nominativo e il tema. L'allun-
gamento vocalico nel nominativo asigmatico, come fta-rijp T. icaxsp,
Sa(|jio37 T. Siqiov provenne evidentemente da questa tendenza di com-
pensare il e. Onde a ragione la Grammatica comparata dà come
forme originarie: icorcep^;, 3aiy.cv-r, c^tz-q. Però in una Gramma-
tica greca speciale, anzi per uso delle scuole, dovevasi accuratamen-
te distinguere questa formazione dalla sigmatica, la formazione p.e.
del nom. jcetpufp T. *oi|*ev, da quella del nom. e!-; T.b. Là dove la
giunta del e produceva difficoltà, avvennero due specie di forma-
zione le quali spettano, a nostro avviso, a due periodi distinti dello
sviluppo linguistico. Fin da un antichissimo periodo della sua vita,
la lingua si mostra nemica dei gruppi fonetici r$, ss, ts, ecc. »
Riportiamo finalmente un passo delle Giunte con che il Fumi di-
chiara e compie la Illustrazione del Curtius ai g§. 23 i e *v«g.
che sono intorno all' aumento. La Giunta comincia con queste paro-
le: « Il segno del passato od aumento a in sanscrito, £ di regola in
greco, do\è in origine essere a, strumentale del T pronominale di-
mostrativo a - quello - col senso per quel tempo, il latino iam
(che è locativo del T. Pron. Relat. ja), il greco rrort, il cui primo
elemento ò appunto lo strimi, a mutalo in tj. Sono forse suoi avanzi
gli aumenti di r,-£sj>.ó-[rr,v, r-ouvf-;rr(v, f-;j.sXXsv . Ma si hanno an-
che avanzi del più antico a in a-sfleoGe - minò - citato d<i Lsiehio
nel Lessico, in £topev - spellò -, a-fcr/^v - risuonò del dialetto
DELLA STAMPA ITALIANA 699
eolico ricordati da Àkrens. Offriamo, con alcune nostre congetture,
i raffronti indo-europei dei verbi citati in questi §§. originariamente
comincianti per consonante, nell' ordine in cui sono nella Gramma-
tica. - èie»- L'imperfetto euav, aoristo debole sueqk, ecc. accenne-
rebbero ad un R eomire.jante per una spirante seguita da e; il che
non sarebbe contraddetto dall'omerico s?iw, che innanzi la spirante
avrebbe avuto un s protetico. Inoltre le forme, eolica efc*a©y, dori-
ca egflwcv, che sono aoristi deboli colli1 desinenze primitive (Cfr. l'ome-
rico tgsv, I; e;, = iv l-35-v, r/-jc-; della R. tx.), indicano che la R.
dopo l's aveva u o F dov. p. Laonde non possiamo ammettere Ra-
dici come re, e/7 od so;, ma invece p. e. una radice jsu (supposta
jav da /w - congiungere -, nel Causativo col senso di accordare,
promettere ecc.) da cui coli' e proletico è-js/'-aw, h-Fy.uy sìxw,
senza l'è, jsF-iw, èF-aw [onde su-x-so-v, i^-x-so-v], èao>,ed eiwv,
si'acrx = s-jsx-ov l—jìa— mi, ecc. »
A questi tratti delle Illustrazioni e delle Giunte noi non faremo
commenti , né ci fermeremo a considerare la verità e l'esattezza di
ciò che in essi viene esposto. Ma avuto riguardo alla ragione per cui
li abbiamo riferiti, concludiamo, che un libro che così procede, ab-
usando di una filosofìa astrusa e nebulosa, alternando del continuo
i dovrebbe, si può supporre, dev'essere stato, si deve credere ecc.
aggirandosi per vie tortuose ed intricatissime, sostituendo alle già
ricevute , parole e denominazioni malagevoli a comprendersi né
punto necessarie, e per soprappiù adoperando uno stile che ben si
può rassomigliare ad una selva selvaggia ed aspra e forte; un sif-
fatto libro, ripetiamo, non è lavorato come vogliono essere i libri
di utile insegnamento; né può gran fitto giovare ad imparare la lin-
gua greca, né è punto da desiderarsi che sia in uso nelle scuole d'I-
talia. Portiamo fiducia che questo nostre parole non verranno fi an-
tese, come se tutto riprovassimo nella Grammatica, nelle Illustra-
zioni e nelle Giunte, o se volessimo rigettare il libro tra le ciarpe.
La sarebbe una stoltezza che in noi non cape. Molte e molte cose
buone ed ottime sono in quel libro, e può essere grandemente utile
a chi se ne possa e se ne sappia valere, e ( lo affermiamo con sin-
cera verità) ci ha fatto ammirare l'ingegno, la dottrina e l'erudizio-
700 RIVISTA
ne, non diciamo del Curtius che già ci era nota, ma sì del nostro
italiano D.r Fausto Gherardo Fumi. Il nostro giudizio, se si vuole,
è più relativo che assoluto: cioè diciamo, che siccome uno che sap-
pia la lingua greca può trarre vantaggio ed anche non lieve dalla
Grammatica e dalle Illustrazioni, così non possono libri cosifalli ri-
putarsi opportuni alle scuole, chi non voglia pervertire l'ordine pro-
prio de'varii gradi nell'insegnamento, e pentirsi di avere consumalo
molto e molto tempo faticando, senza aver poi raccolto il frutto ri-
chiesto.
Terminiamo questa nostra rivista, troppo lunga, lo confessiamo,
rinnovando le nostre congratulazioni col eh. D.r Fumi pel suo così
operoso amore agli studii linguistici, e nello slesso tempo manife-
stando schiettamente un nostro duplice desiderio. Il primo è , che
ne'suoi studii egli sia e si mostri un poco più italiano, e non vo-
glia prendere a guida, se non unica, certo principale, come dà vista
di aver fatto, i letterati tedeschi, la maniera de'quali poco si accorda
col bello e chiaro ingegno di chi è nato sotto il limpidissimo cielo
d'Italia; nò creda che tutto quanto si scrive o si fa nella dotta Ger-
mania in ordine agli studii filologici, tutto sia oro di venti carati :
non ha bisogno, gli diciamo, che spesso è orpello, e tal volta borra
sotto l'inviluppo di rumorose parole. Non abbiamo a vile i lavori de-
gli estranei, anzi li teniamo in gran conto e impariamo pure da loro:
ma non ci piace che il letterato italiano si renda loro adoratore o
servile imitatore. L'altro desiderio ancora più vivo e acceso si è che
un sì bravo giovine, qual è il signor Fumi, tenga fermo che la verità
è una sola, e che sillaba di Dio non si cancella. Non si lasci però
sedurre dagli stolti ed empii divisamenti di coloro, che hanno meno
rispetto alla parola di Dio che alla parola dell' uomo, nò vogliono
dar fede se non a ciò che toccano e palpano colle loro mani e veg-
gono coloro occhi, e ben sovente pure a quelle vanità che alla loro
fantasia paiano oggetti veri e reali. Si addentri a suo piacere il si-
gnor Fumi ne'pcnetrali della scienza linguistica, ne scruti quanto
vuole i più reconditi misteri; ma se non vuole smarrire la retta via,
tenga l'occhio fisso a quella viva stella che ò la verità rivelata. Così
adoperando e ben discernendo dalle realtà i fantasmi, vedrà con
DELLA STAMrA ITALIANA 701
quanto mirabile armonia si accordino la religione e la scienza, e non
vorrà certo essere uno dell'insensato gregge di coloro che si affan-
nano ed arrovellano per dare una mentita a Dio, ma si uno e trai
primi del bel numero di quelli, che studiano a far manifesto come
nelle cose create dell'universo penetri e risplenda « la gloria di Co-
lui che tutto aiuove. »
II.
Sul metodo scientifico, quesiti di Maurizio Bufalini ai savii ed
ingenui cultori della medicina, in appendice alle Istituzioni di
analitica — Firenze, Successori Le Monnier 1870.
« Non so veramente con quale animo potrete voi, o savii ed inge-
nui cultori della medicina, accogliere questi Quesiti, che io vi indi-
rizzo, occupato già dei pensieri estremi della vita. Bensì questo solo
presumo di sapere, che, mentre l' uomo sentesi ornai disciolto del
tutto dalle affannose cure delle caduche cose terrene , non può se-
guire le sue più forti e conscienziose persuasioni. E tali appunto af-
fermo essere quelle , che non mi permettono di dividermi da voi ,
senza esortarvi a volgere una benigna considerazione ai predetti
miei Quesiti. »
Con queste parole il chiarissimo Bufalini comincia il proemio di
questa sua operetta. Dalle quali chiaramente si scorge che l' illu-
stre vegliardo, benché sentendosi presso al fine della mortale car-
riera, tenga volti i pensieri alla vita avvenire; pure non sa distac-
carsi dalla presente, senza manifestare chiaramente quali sieno sta-
ti i suoi convincimenti in ciò che riguarda la scienza, e lasciarli co-
me in testamento a coloro, i quali gli sono, come a dire, stretti per
intellellual parentela.
Attesa la ben meritata fama di questo Nestore della medicina in
Italia , crediamo di dover anche noi dire alcuna cosa in questo no-
stro periodico dei sensi, espressi da lui nella presente operetta:
non già seguendo ciascuno dei 379 quesiti, di cui essa è composta
(il che ci allungherebbe di troppo), ma sol rilevando il pensiero
702 RIVISTA
principale che domina nei medesimi. Un tal pensiero sembra che
si riduce a queslo: il Bufalini si dichiara seguace e approvatole del
metodo puramente sperimentale, ma pensa che esso è valevole a
dimostrare la spiritualità dell' anima umana e l' esistenza di Dio: se-
parandosi così del tutto dagli antichi e moderni materialisti, e dagli
scettici e dai panteisti e dai fautori dell* empirismo ateo. A chiarir
ciò noi non abbiamo a far altro che riportare alcuni lesti del-
l' Autore.
Quanto al primo capo, egli si esprime in maniera indubitabile,
sì in moltissimi de' suoi quesiti, e sì tìn dal principio nel suo proe-
mio. In questo disconoscendo V oggettività dei principii razionali e
riputandoli meramente soggettivi, rigetta perfino l' induzione del
positivista Stuart Mill ; intorno alla quale parla così : « Certamente
da un oggetto esistente non potremmo mai indurre o argomentare
l'esistenza di un altro: metalli molti si conoscevano da lungo tem-
po; non per questo avemmo cognizione del platino, finché non ci
venne discoperto. Fatti insieme collegati sono quelli soli degli effetti
e delle loro proprie cagioni; ma questa collegazione medesima, se
non è da noi osservata, non è nemmeno conosciuta, e quando dopo
di averla appresa per osservazione, dall'esistenza dell'effetto argo-
mentiamo quella della cagione, e viceversa; non formiamo punto
un' induzione, non deriviamo cioè dalla cognizione dell' effetto quella
dell'incognita sua cagione, e viceversa, ma affermiamo sollanto che
l'effetto accenna a quella cagione, colla quale già lo abbiamo os-
servato collegato. Senza dubbio induzione o argomentazione dì un
altro fallo ignoto da un altro fatto noto non è mai possibile: sicché
l'induzione, ammessa da Stuart Mill, ci è forza di considerai hi im-
possibile 1. » Lo stesso in altra guisa ripete più volte ne' suoi
quesiti. Coleste parole suonano il più rigoroso positivismo o empi-
rismo assoluto. Laonde parrebbe che chi le pronunzia si chiuda da
sé slesso la via a conoscere la spiritualità dell' anima umana e l'esi-
stenza di Dio. Imperocché come potrebbe egli giungere a scoprirò
l'esistenza in noi d' un principio immateriale, che certamente non
1 Pag. 12.
DELLA STAMPA ITALIANA 703
percepisce per immediata esperienza? Inferendolo (tagli effetti, che
a noi ne manifesta la coscienza. Dunque, deducendo dal noto Y igno-
to, collegato con esso qual causa. Lo stesso dicasi delia conoscenza
di Dio. Il Bufai ini certamente non ha la diretta e immediata visione
di Dio; privilegio dei soli ontologi. Dunque egli deduce Y esistenza
di Dio dall' esistenza e dall' ordine dell' universo, in virtù del prin-
cipio di causalità. Dunque procede dal noto all'ignoto, e il princi-
pio di causalità ha valore obbiettivo. Dunque la sua teorica, dianzi
espressa, è falsa; se vuol tenersi ad essa deve rinunziare alla cogni-
zione di Dio e dell' anima spirituale.
Ma il buon senso dell' Autore non gli permette di appigliarsi a
questa seconda parte del dilemma. Egli ammette amendue quelle
verilà: anzi pensa che esse si conciliano ottimamente col suo me-
todo sperimentale, infatti nell' epilogo che fa dei suoi quesiti intor-
no alle medesime, dice così : « Errore il credere non atta la scienza
empirica ad elevarsi alla cognizione della spirituale Datura dell'ente
che in noi pensa, ragiona e vuole, e della esistenza di Dio ordinatore
dell' universo: prove incontrovertibili dell'una e dell'altra di queste
verità; supposizioni erronee degl'idealisti, degli scettici, dei pantei-
sti e dei fautori del dualismo empirico: materia incile, e forza 1. »
Ma come prova cotesto assunto? Ragionando dal noto all'ignoto,
in virtù di principii razionali; cioè facendo il contrario di ciò, che
aveva insegnato nella sua teoria logica? E vaglia il vero, quanto
alla spiritualità dell'anima, ecco come invita ad ammetterla, co'suoi
quesiti: « Non dovremmo anzi cercare se gli attributi dell' intelli-
genza manifestino alcuna ripugnanza con quelli del subbietto da noi
denominato corpo o materia? E questa ripugnanza non sarebbe ella
slata già riconosciuta nel ravvisare noi unità negli attributi del pen-
siero, ed invece il molteplice, l'esteso ed il divisibile in quelli della
materia? 11 giudizio non sarebbe già stato addotto come prova evi-
de, le della prefata unità? 11 confronto di due idee ed il giudizio ri-
cavatone non si stimarono eglino attributi del pensiero, assoluta-
mente ripugnanti coli' impenetrabilità, l' estensione e la divisibilità
1 Pag. 101
704 RIVISTA
della materia e le prerogative del moto?.... Questa sola considera-
zione non sarebbe dunque bastevole a provare che il subbicllo del
pensiero e dell'intelligenza dell'uomo non può essere materia, cioè
gode di attributi assolutamente ripugnanti con quelli della mate-
ria? E non sentiamo noi forse che la potenza incommensurabile del
pensiero, che si crea, si varia e si diffonde senza limite di luoghi e
di tempo, è qualche cosa non possibile a circoscriversi nella finita
stabilità degli esseri della materia 1 ? »
Ottimamente; ma questo, ognuno il vede, è un sillogizzare dal nolo
all'ignoto. Imperocché di che si tratta? Di sapere se oltre il corpo,
sia in noi qualche altra cosa, cioè un principio immateriale. Siffatto
punto è un ignoto, intorno al quale si disputa coi materialisti. Ora
per accertarlo, che fa il Bufalini? Ricorre ad un noto; cioè agli attri-
buti del pensiero, manifestatici dalla coscienza , e ripugnanti cogli
attributi della materia. Dunque induce, o, meglio, deduce dal noto
l'ignoto, contro i precetti logici, da lui stabiliti.
Più evidente è ciò nella dimostrazione che fa per l' esistenza di
Dio. Dio certamente non è oggetto d' esperienza: Beum nemo vidit
iiìiquam. Dunque rispetto ad essa è per noi un ignoto. Che fa il Bu-
falini per rendercelo noto ? Ci trasporta a considerare l'ordine del-
l'universo, e in ispecie l'economia dei viventi. « Non si disse egli
essere manifesto nell'ordine dell'universo un mirabile costante colle-
gamento di cause ed effetti, sicché si vegga non possibile l'esisten-
za d' un effetto, senza quella d' una propria cagione ; e quindi sa-
lendo dall' una all' altra, non si giungerebbe fino a dover credere
o eterno l'universo, o invece originato da una cagione non confusa
con esso? Ma le grandi meraviglie dell' ordine dell' universo po-
tremmo noi credere effetto soltanto delle cieche forze della mate-
ria? Che dire dovremmo della tanto celebrala corrispondenza dei
mezzi ai fini? I fini non sarebbero eglino che gli effetti neces-
sarii delle naturali cagioni , anziché effetti voluti per un antipen-
sato scopo? L' economia dei viventi non offrirebbe por a\ -
ventura ben soventi volte il fallo innegabile di effetti coordinati
1 Pag. 63 e 6G
DELLA STAMPA ITALIANA 105
con uno scopo evidentemente anti pensato, quali sono tutti quelli che
senza alcuna reciproca relazione possibile e senza provenienza loro
possibile da una comune cagione, manifestano tuttavia di operare
insieme ad uno stesso evidente scopo? Ai pochi esempii di questa
materia, da me già accennati, non se ne potrebbero eglino aggiun-
gere altri molti, ed in tale guisa non si giungerebbe egli col mezzo
della scienza empirica a dimostrare la realtà ùeW'Ente assoluto, eter-
no, infinito, onnisciente, onnipotente, perfettissimo 1?» Qui evi-
dentemente l'Autore ragiona in questa forma: La costante e perpe-
tua osservazione ci mostra la dipendenza di effetti dalle proprie ca-
gioni, e di queste da altre. Dunque noi dobbiamo giungere ad una
cagione ultima. Questa o è fuori del mondo o è il mondo stesso. Ma
la seconda parte della fatta alternativa non può ammettersi; giacché
l'ordine portentoso, che ammiriamo nel mondo e specialmente ne' vi-
venti, non può essere effetto del caso e delle cieche forze della ma-
teria. Dunque bisogna ammettere la prima parte di essa alternativa,
cioè 1' esistenza di un ente, distinto dal mondo, e da sé esistente, il
quale come causa effettiva del mondo e del suo stupendo ordine,
con\ien che sia onnipotente e dotata di perfettissima intelligenza.
Siffatto ente è Dio. Or non è questo un dedurre Y ignoto dal noto ?
Una realtà, ossia un fatto nascoso ai sensi, da un altro fatto, ai sen-
si palese?
Di qui apparisce altresì la falsità di ciò che l'Autore sostiene con-
tro l'efficacia del sillogismo. « lo avevo, egli dice, già mostrato nella
parte prima dei Prolegomeni, ed ho ripetuto nella nota sopracci-
tata, che il sollogismo non discopre veramente alcuna nuova cogni-
zione; perchè la conclusione, che si crede enunciare una tale cogni-
zione, non ripete per riguardo ad un particolare subbietto che quella
medesima, inchiusa nella premessa maggiore relativamente a tutti i
subbietti dello stesso genere 2. » Senonchè questa ragione tanto è
lungi che potesse autorizzare il Bufalini a conchiudere che il siilo-
1 Pag. 67 e 68.
2 Pag 12.
Serie VII, voi. XI, fase. 492. 45 9 Settembre 1870.
706 RIVISTA
gismo nientissimo afferma di più di quanto f/ià conosciamo 1 ; che
anzi dovea condurlo alla conclusione contralia. Imperocché lo sco-
prire che un dato subbietlo per appartenere allo stesso genere di
cose, al quale compete tale o tale attributo, deve andare adorno del
medesimo, è cei lamento una nuova conoscenza.
E così vediamo che S. Tommaso, il quale assai meglio s' inten-
deva di Logica, dall'applicazione di verità generali a subbielli par-
ticolari ripeteva lo scoprimento di nuove verità. « 11 procedimento
della ragione egli dice, allorché viene alla conoscenza dell' ignoto
per via d'invenzione, consiste Dell'applicare principi! universali a
subbielli particolari, e quindi trarre alcune particolari illazioni, e
da queste dedurne altre. Processus rationis provenienti* ad cogui-
tionem ignoti in inveniendo, est ut principia communia applicet ad
determinaias materias, et inde procedat in aliquas peculiares con-
chsiones et ex his in alias 2. » 11 Bufalini in quel suo discorso è si-
mile a chi dicesse, essere inutile 1' applicazion della luce ad un
corpo per farci scoprire di che colore esso sia, perchè la luce già
contiene in sé stessa tutti i colori speciali. La illazione del sillogis-
mo è inchiusa nella promessa maggiore, ma vi è inchiusa in modo
astratto. Or la conoscenza, che si cerca, riguarda quella illazione
in concreto, in quanto cioè si riferisce a tale o tal subbielto; e que-
sta conoscenza si consegue per l'applicazione di quella promessa al
detto subbietto, il che si fa col sillogismo. Spieghiamo la cosa per
via di esempii. Nel principio generale : Ogni effetto suppone la cau-
sa, è inchiusa l'illazione che il mondo ha una causa da sé distinta;
ma vi è inchiusa in modo implicito e Virtuale, non già esplicito e
formale. Difatti gli atei ammettono quel principio, e nondimei
gano Dio. Acciocché io peneiìg ;;i avere tal conoscenza esplici-
ta e formale, convien che io applichi quel principio generale al inon-
do, soggiungendo: ma il inondo è effetto, secondo che mi Manife-
stano i suoi caratteri; dunque ha una causa; e poscia ragionando
sopra i caratteri che deve avere siffatta causa, giungo a con*
2 Qq. Disp. (juaeslio de Magistro, a. 1.
DELLA STAMPA ITALIANA fiOi
che essa è Dio. Del pari, quando io pronunzio che ninna cosa può
dare ciò che non ha, io affermo implicitamente che l'ordine non
può procedere dal caso; ma non ho tal cognizione esplicita ed in
sé stessa, se non quando soggiungo : ora il caso non contiene l'or-
dine, essendo anzi negazione dell'ordine; dunque ecc.
L'errore del sig. Bufalini in questa parte procede dalle false nozio-
ni, che egli ha intorno alla natura dei concetti universali. Intorno
a tal punto egli segue la dottrina dei Lockiani e dei Condillachiani;
giacché, come apparisce da tutto il contesto della sua operetta, egli
crede che il concetto universale sia composto e risulti dall'unione
dei particolari, confondendolo col collettivo. Dove ciò fosse vero,
egli avrebbe ragione, giacché l' idea collettiva contiene formalmente
ed esplicitamente tutti i particolari, da cui risulta. Ma tale non è
l' idea universale, che formasi anzi per astrazione e non per aduna-
rnento dei particolari. Cosi l'idea di uomo ex. gr. non mi rappre-
senta Pietro, Antonio, Francesco e va dicendo; ma mi rappresenta
la quiddità di uomo, cioè di animai ragionevole, prescindendo dai
peculiari soggetti, in cui essa si personifica e si rende concreta.
Essa esibisce la natura umana in astratto e riguardata da sé. Onde
allorché nei giudizii, che intorno ad essa si formano, si enunziano
di lei dati attributi ; siffatti attributi non si ravvisano appartenere ai
singoli subbietti, se non in quanto in essi si scorga rilucere quel-
l' idea; e ciò si scorge in virtù del sillogismo.
Conchiudiamo, il chiarissimo Bufalini qui si è trovato in opposi-
zione con sé medesimo, perchè nel seguire gì' impulsi del suo buon
senso in ordine a Dio e all'anima umana, ha voluto tenersi fermo
alla falsa Logica degl' empiristi, da lui appresa nell'età giovanile.
BIBLIOGRAFIA
ANONIMO — Amore e riparazione. Raccolta di pensieri ed affetti desunti dal
Vangelo e dai libri dei SS. Padri, per servire di preghiera e di consolazio-
ne agli amici del sacro Cuore di Gesù; per cura di* .. Milano, tip. di Gia-
como Agnelli, via S. Margherita num. 2, 1870. Un voi. in \b.° picc. di
pag. 317.
Può dirsi un picciolo Manuale, ma assai ben
fatto, pei dipoli del S. Cuore; perche dà le no-
tizie più precise intorno all'origine e>l alla na-
tura di questo cullo, ne espone i misteri, ne con-
siglia la pratica, e suggerisce le meditazioni, le
forinole di preghiere, gli esercizii di pula, le Ta-
ne orazioni che si possono fare in onore del
S. Cuore.
—sì Annotazioni alle leggi criminali per V isola di Malta e sue dipendenze, da
servire di guida al giurato : per cura d'un giovane avvocato maltese. Jfof-
ta, tipo-litografia anglo-maltese, 1870. Un voi. in 8 ° di. pag. 308.
Fin dal Marzo 183't fa introdotta in Malta la
giudicatura per mezzo di nn Giuri che siede in-
sidile colla Corte criminale di Sua Maesià, per
qualsivoglia renio punibile secondo la legge, ec-
cetto alcuni pochi ris rvatt alla sola Corte della
Polizia giudiziaria. Per agevolare ai giurali
— I trattenimenti delle famiglie cattol
ed illustrate da cento fatti storici
capi di casa, da un sacerdote della
Imm. Concezione 1869 Un voi. in
Insegnare per ria di discorso è via lunga e
difficile: insegnare per via di esempii è molto p u
breve e più agevole, soprattutto pel popolo.
L'autore di questo buon libro s'è proposto ap-
punto di condurre per qu sta strada i suoi Jet—
l'adempimento del loro ufficio, il eh. autori di
queste Annotazioni puhblica il testo della leggi
criminali vigenti nell'isola di Malta, e ciascun
articolo commenta, spiega, od annota con molto
prudenti osservazioni, siano storiche, siano giu-
ridiche. •
iché, ossia le virtù cristiane confermate
. Operetta raccomandata al clero ed ai
diocesi di Modena. Modena, tip. della
16.° picc. di pag. 372.
tori. Esso parla delle virtù teologali, cardinali e
morali, e per ciascuna dà brevemente una suf-
ficiente contezza siorica, reca fatti cavati dalla
stona. Un tal libro e molto appropriato per la
lettura delle famiglie.
■— San Giuseppe patrono della Chiesa universale, proposto alla considerazione
dei Padri del Concilio Vaticano, da una società di sacerdoti secolari e re-
golari. Considerazioni teologico critiche. Yerona 1870, tip, vescovile di
san Giuseppe. Un voi. in 8 ° di pag. 072.
Una scelta mano di degnissimi ecclesiastici si conoscere, pregiare, invocare il glorioso Palriar-
è costituita in Verona in Società promolrice del ca. Il primo mieniimenlo fu già messi» In opera
cullo di S. Giuseppe. E»*h proponevi di colise- dalla p-a Società: poiché una Lettera circolare
gu're dal Connlio E.-umenico Vaticano la di- « tutti i devol i di 8. Qtutlff* *pnrsi nel mondo
esarazione solenne del S.nto a Patrono della cattolico per invitarli a porger.- sucplidie al Con-
Chies* universale, e di stampar libri atti a far cilto ottenne l'universale approvmioue, e da qua-
BIBLIOGRAFIA 709
si lutle le diocesi giunsero in Roma petizioni cai- parti esporranno la maniera pratica di ossequiarlo,
dissime, sottoscritte da migliaia e migliaia di e i benefizi! fatti da Dio per intercessione del
fedeli. Ora esce alla luce il primo volume di Santo ai varii ordini del cristianesimo. L'opera
un'Opera grave assai e dotta che conterrà quat- è scritta da penna dotta ed erudita: ha concetti
tro pani. Le due prime, racchiuse in questo vo- nuovi anche per chi è abitualo a leggere libri
lume, son destinate a far comprendere il disegno in onore di s. Giuseppe: ed e lavoro commen-
che questa pia Società si è proposto, e i titoli dabile ugualmente per la pietà che ispira, come
che ha S. Giuseppe ad essere proclamalo Protei- per la istruzione che coltiva,
tore massimo del popolo cristiano. Le altre due
BARBIER — I tesori di Cornelio Àlapide, tratti dai suoi commentarli sulla sa-
cra Scrittura dall'ab. Barbier, per uso dei predicatori e delle famiglie cri-
sliane. Prima versione italiana dal francese, del sacerdote Francesco Maria
Faber. Voi. VII. Parma, Pietro Fiaccadori 1870. Un voi. in 16.° di pa-
gine 006.
BELLARMINO CARD. ROBERTO — De gemitu columbae, sive de dono lacryma-
rum; libri tres auctore Roberto Card. Bellarmino, e Socletate lesu. Ferra-
rtele, ex typis Dominici Taddei 1869. Un voi. in 32." dipag. 403. Prezzo
lire % 25.
BIANCHETTI LIVIA — I doveri della donna cattolica, per Livia Bianchetti di
Livorno, seconda edizione corretta. Pisa, tip. di Letture cattoliche dir.
da Gio. Alisi 1870. Un voi. in \§.°picc. di pag. XVS-253.
Ci rons la moltissimo il vedere novamenle ri- auguriamo che possa venire nelle mani di quante
prodotto per le stampe quest'ottimo libro della donne sono in Italia più coite e istruite, affin-
ch. Big." Bian.-h tti. Esso co1 1' affetto, colla viva- che apprendano con prolìllo dalla bocca di uua
ci'à, colla semplicità propria dei libri scritti da loro amica quelle grandi verità, che udite da ai-
donne, tratta dei doveri della donna cattolica, e tra bocca potrebbero parer loro per io meno so-
ne tratta con sapienza e discrezione grande. Ci spelte.
BORGO CARLO — Novena in apparecchio alla festa del sacro Cuore di Gesù,
proposta dal P Carlo Borgo d. C. d. G. XV edizione riveduta. Modena,
tip. dell' Imm. Concezione 1870. Un volumetto in 32.c dipag. 135.
BUSCaRJNI GIUSEPPE — Dialoghi politico-filosofici ai bagni di Tabiano, per
monsig. Giuseppe Buscarmi, professore di filosofìa i azionale, ecc. ecc. Bo.
logna, tip. M areggiani all'insegna di Dante, via Malcontenti num. 1797,
Un volumetto in 16.° di pag. 185'.
Chi non si lagna dei mali onde geme ora op- pria del conversare e colla profondità di chi ha
pressa la nostra Italia? Su questo punto sono tutti mente molto comprensiva, e foni studii di fllo-
d' accordo: ma dove gl'italiani si separano si è sofia razionale e sociale, discute queste grandi
neil' indicarne le cagioni vere, e nel l'assegnarne i questioni, e ne propone le pm vere e sapienti
rimedii. Se vuoisi una guida, fedele che indichi le soluzioni: I dialoghi sono tre: La tirannide, sua
une e gli altri, leggansi con uMucia questi Dia- vera cagione e rimedio: - La presente società li-
Ioghi di Mons. Buscariui. Esso coli' amenità prò- beralesca.- Le false opinioni salta obbligazione.
CATALD1 AUGUSTO — Augusti Cataldi, sacri consistorii advocati, dissertatio ad
legem secundam codicis de veteris numismatis potestate, hb. XI, tit. X.
Romae, ex typographia Mugnoz 1809. In 4.° di pag. 51.
La dissertazione del eh. giureconsulto, avv. Ca- momento del pagamento, ovvero se debban farsi
taldi, può dirsi un compendioso trattato intorno secondo il valore antico, che correva nel momento
alla origine, al corso, all'uso legale della mo- del contratto. Quei giure. onsulli che stimano tutto
neta. E^so tratta direttamente la questione giù- il valore delia moneta derivare dal valore intrin-
ridica, se lo svilimento in'er venuto per fatto del- seco del a sua materia, senza nessun rapporto alle
1* autorità legittima nella moneta produca l'ef- prescrizioni delle leggi civili, si attengono alla
fetto che i pagamenti contrattati prima della legge seconda opin one. Ma l'autore dimostra che essa
debban farsi secondo il valore nuovo, corrente nel non può sostenersi : perche non si può prescin-
710
EIBLIOGIIAFIÀ
dere dalle norme sibilile dalla legge, sebben ridiche intorno agli altri punti che riferii
questa sia imprudente e dannosa. Questo è il pun- alla mollata. B una dotta dissertazione, ele;.'ante-
to che largamente, svolge l'autori-: ma vi ag- meo te scritta in tingila Ialina, o che onora la
gruppa intorno, sebben quasi di p*ssagmo, M P*n Bcleosa e la letteratura insieme del foro romano,
notevoli i:0' .uni e notizie sia economiche, sia giù-
CENTURIONE G. B. — Nuova Filotea, o
che contiene l'ufficio di M. V. e d^i
le principali novene; molte laudi sa?
turione d. C. d. G. Torino, Pietro
Un voi. in 16.' piccolissimo di pag
li eh. autore di questo nuovo Mannaie di pietà
dichiara di aver tolto da altri libri, e special-
mente dal P. Pinelli, dal P. Le Clerc e dal sac.
Riva, la principiti materia che vi e riunita II suo
merito è tulio dunque nella scelta e nclt'ordina-
mento. E >n questo è veramente da pregiare. Poi
che nella prima parie trovatisi le preghiere e le
pratiche di pietà, usate dai fedeli nella lor vita,
dìrem co-ì, d'Ogni giorno, inclusivi i vani uflMi
che si cantano d;i!le Congregazioni o Confrater-
nite. Seguono le meditazioni per ogni giorno del
mese sulla Passione di N. S. G. C. e sulla SSrna
florilegio di preghiere e di meditazioni
morti; tre sene di trenta meditazioni;
re, ecc. ecc.; comp lato da G. B. Cen-
di G. Marietti, tip. pontificio 1870.
. XV1-702.
Eucaristia, altre trentuna meditazione sulla vita
di Maria SSma; ed altre trentuna sulle massime e
sulle verità p<u importanti. Quindi soli i>o-te
quarantasei Novene in apparecchio alle princi-
pali feste dell' aiiiio: un regolamento di vita cri-
stiana, ed una bella Raccolta assai copiosa di
laudi e canzoncine sacre ordinatamente disposta.
Ognun vede die questo libro solo s< us.i un' in-
tiera biblioteca ascetica: e come ogni cesa è lecita
tra le rrngl ori dello s esso genere, Denteateti an-
cora gli spiriti più difficili e schifiltosi.
— Quattro decadi di panegirici sacri, compasti da G. B. Centurione d. C. d. G.
Torino, tip. di Pietro di G. Marietti 1870. Un voi. in 16.° di pa<j. 486.
I quaranta panegirici del eh. P Centurione sono
mo'to pregevoli per alcune qualità loro proprie, e
che non è frequente l'incontrare nei moderni sa-
cri Oratori. In primo luogo essi più che a un
concettino o ardito o nuovo mirano a dar l'idea
vera e sostanziale del mistero o del Santo che
celebrano. In se ondo luogo sono brevi, non af-
faticando con inutili lungaggini l'uliioie. In ter-
zo luogo sono svolli cou quella naturalezza che
è frutto di molla meditazione e di m..ito slu Ho,
e che Unto agevola l' intelligenza di chi aM-olia.
In quarto luogo sono scritti in molto buona e
corretta favella italiana. Final nenie non sono mai
scompagnali da quelle appliea'ioni murali chi
giovanu all' emendazione dei costumi e ulta pra-
tica della pietà. Per questi titoli li r.iecomandia-
mo come utili esemplari soprattutto al govine
Clero.
CICCODICOLA EDOARDO — L1 insocialità, ossia la democrazia pura, del sac.
Edoardo Ciccodicola, membro di molte accademie scientifiche e letterarie,
italiane e straniere Napoli, 1870. In 16.° di pag. Ili.
L'autore stesso ci dice il concetto e lo svol-
gimento del suo libro. « La democrazia a secon-
da della logica e della sana morate ha da op-
porsi essenzialmente alla società ecclesiastica
in f r/.a dei suoi pnncipii antireligiosi, alla
società civile in for/.a delle tendenze antisocia-
li, alla propria stima, non che all'onore di se
slesso iu forzu delie sue brutali e odiose con-
quiste. » Sopra due perni si aggira il ragiona-
mento del signor Ciccodicola : la ragione che
indica quali sieno le conseguenze logiche dei
rei principi! delia democrazia, ed i fatti che
mostrano nella stona del passalo e del pr. sen-
te avverate dall'opera le deduzioni del rasfocl-
nio. la rivoluzione francese deli'89, che delle
alla democrazia e forza e tempo d
tutta intera nel suo essere, è dall'autore princi-
palmente esposta ed esaminata. Questi pochi
cenni li. .stano a far conoscere la so>i-,n,a e l'u-
tilità morale dei I bro, il quale dal lalo letterarie
n.er la ancora encomio di diligente ed oidmata
scn aura.
CORREDINI FRANCESCO — Lexicon totius latiiiilatis 1. Far iolali. Aeg. PÒTCel-
lini et 1. Furlanelli, seminarli Patavini alumnorum, cura, opera et studio
lucubratum, nunc demuin iu\ta operali, lvlolz, G. Fremili, L. Dotici iein
alioruinque recentionun auclius, einentlalius, melioremque in formatn reda-
ctum; curante doct. Francis *o Corradini, eiusdem seminarli stanino. To-
mus 11, fase. X et XI. Patavii, typis seminar ii 1870. Due fascicoli in 4."
dapag.nil apag.m. Sigiugne alla parola IXSUBDITIVUS.
BIBLIOGMFIA 711
BALFI TEOBORO — Viaggio biblico in Oriente, Egitto, Istmo di Suez, Arabia
petrea, Palestina, Siria, coste dell'Asia minore, Costantinopoli ed isole,
fatto, negli anni 1857, 18G5, 1866, dal sacerdote D. Teodoro Dalfì, preve-
sto di S. Maria di Casanova-Carmagnola e missionario apostolico; da Ini
descritto specialmente al giovane clero. Egitto, tomo secondo. Torino, tip.
C. Favate e compagnia 1870. Un voi. in 8.° di pag. X-7o3. Vendesi lire 5
presso la tipogr. Monetti a Carmagnola.
Pochi mesi fa un primo volume, edito dal eh. storia egiziana in quattro periodi: l'Edilio pa-
Autore, descriveva il viaggio da lui fatto nel- gano , l'Egitto cristiano, l'Egiito musulmano,
l'Egitto e all' (Simo di Suez: e in quella descri- l'Edito moderno: distribuzione semplicissima che
zioue dipingeva la storia direni cosi esterna e da segue ;.p unto i grandi cangiai». enti storici di
tutti visibile dell' 'Egitto. In queslo secondo vo- quei paese. Agli uomini studiosi, ai cupidi di
lume si compie lo studio sopra .''Egitto col ri- amene letture, a coloro che amano le disquisizioni
ferirne la vita interna; vale a dire le credenze, di polemica cattolica, ai dediti alle ricerche sto-
i pripcipii, le leggi di questa ricercatissima re- riche piacerà moltissimo i! libro del eh. Prev. Dalfì:
gione del mondo. SNel primo volume parlava l'os- perchè ciascuno vi troverà appagamento e van-
serva'oie; nel secondo parla l'antiquario, il teo- (aggio. Ciascuno dei due vcumi Vendesi sepa-
Jogo, il filosofo, lo storico, in una parola l'uomo ratamente allo stesso prezzo di lire 5.
dolio e largamente dono. Esso descrive luna la
DALLA PIEVE P. GIACOMO — Predica sopra i trionfi della cattolica Chiesa dai
suo nascimento fino a'nostri giorni, detta dal P. Giacomo dalla Pieve, cap-
puccino. Albenga 1870, tip. vesc. di T. Craviotto. In 8.° di >>ag. 22.
DA ROM 4 P. GIUSEPPE — Vita del ven. P. Giovanni Battista di Borgogna, del
Ritiro di S. Bonaventura sul Palatino, estratta dai biografi coevi e dai pro-
cessi ordinarli; pubblicata per cura del P. Giuseppe da Roma, già custode
provincale, miss, apostolico e p;)stulatore delle cause di beatificazione e
canonizzazione de'servi di Dio Minori riformati nel sopradde' o S. Ritiro.
Roma, tip. delle belle arti 1870. Un voi. in 8.° di pag. XII-822.
11 ven. Servo di Dio P. Fr. Giov. Battista da poli, coetaneo del venerabile giovane, e mandato
Borgogna del Ritiro di S. Bonaventura in Roi.a, in Napoli a farne il processo: ma non venne
trapas-ò nel Signoie li 22 Marzo 1726 nelui fre- ^nai stampata. Compendiosamente fu anche scr.lla
sca età di 26 anni. E^li può dirsi un vivo ri- e stampata dal P.Ludovico di Cantatore. Esistono
tratto di S. Luigi Gonzaga: vero esempio dei gio- i processi fatti per la introdottone della sua cau-
vani, dei religiosi, di sacerdoti. Giacché nella sa; e negli archivii dei Padri francescani del
vita nien.ia per quattro I us' ri nel secolo fu ca- Ritiro esistono molte memi-rie relative alla vita e
stissino ed innocente, fu obbediente ai genitori, ai miracoli di questo Servo del Signore. Sopra
fu stiHioso nell'apprendere le umane lettere, fu questi documenti fu ora con grande e minuta
costantemente pio e divoto. Divenuto religioso, diligenza compendiata la presente Vita. Essa è
a queste grandi vir*ù adoppiò l'osservanza per- presa :n massima parte da quella del P. An-
fetta della rigida disciplina e dei voti def suo selmo, toltane la diffusione dello stile, e aggiun-
sanio Ordine, e alla perfezione religiosa attese levi le testimonianze giurate dei processi, le me-
con amor sommo. Divenuto sacerdote, il poco mone che alirove si conservano, le grazie rice-
tempo che sopravvisse spese lutto alla prepara- vute per intercessione del ven Gio. Battista. Essa
zione del min's'ero che avea assunto, e atl'adem- è dunque veramente compiuta, fedele, esatta, e
pi : ento fedele, delle nuove e sucre obbigazioni varrà grandemente a far rivivere, la memoria di
contratte. (Mimo secolare, ottimo religioso, otti- questo angelico giovane ad edificazione della gio-
rno prete: ecco in poche parole la vita del ven. venni, a conso azione dell'Ordine, francescano,
P. Giov. Battista di Borgogna. Una tal vita fu ad onore della Chiesa, e a gloria principalmente-
scritta diffusamente dal P. Fr. Anselmo da Na- del Signore.
DRAGO R4FF4ELS — Sulla relazione dei fenomeni meteorologici colle variazio-
ni del magnetismo terrestre. Teoria del P. Angelo Secchi, esposta dall'av-
vocato Raffaele Drago, membro della società italiana di scienze naturali.
712
BIBLIOGRAFIA
Edizione seconda. Genova, tip. del
grande di pag. 88.
Nulla certo vai più a comprendere Io scopo
e l'importanza di questo lavoro del eh. avvo-
cato Drago, quanto il giudizio che ne ha por-
tato il P. Secchi medesimo, le cui teoriche vi
si espongono. Ecco dunque la lettera che il
detto Padre scrisse all'autore dopo la prima edi
zione. « Chiarissimo Signore, La ringrazio del-
le copie che mi ha inviato del sunto de'miei
lavori meteorologici e monetici : le ne sono
Obbligato. Approvo poi con mollo piacere il suo
progello di ristamparlo, perchè le memorie ori-
ginali sono ormai esaurite, essendone slate ti-
FABER FRANCESCO M. — Vedi, Barbi er.
FANTOLI ANDREA — Nella festa centenaria di Maria Vergine SS. Immacolata,
celebratasi in Grignasco il 1.° e 2.° giorno di Maggio 1870. Discorsi due,
recitati dal parroco di S. Vittore d'Agnate - Conturbìa, Andrea Patitoli.
Novara, slamp. di F. Merati 1870. In 8.° grande di pog. lo*.
FARABUL1NI DAVID — Sopra una sacra famiglia di Federico Barocci nell'espo-
sizione romana. Ragionamento del prof. David can. Farabulini. Roma, tip.
di Benedetto Guerra 1870. In 16.° di pag. 53.
R. 1. de Sordo-Muti 1870. In 8.»
rate poche copie, e perchè sparse qua e là so-
no d incomodo al letioie. Elia che ha avuta la
pazienza e il talento di riunirle con sistema
ragionato ha fallo a me. stessa un grande favore,
perche quelle cose scritte per la circostanza
ora di una, ota dell'altra osserva/ione riusciva-
no troppo slegate. La ringrazio dell'averne fat-
to un corpo, che mentre riunisce fedelmente i
miei concetti dà loro una novella viU e un lu-
stro che esse non aveano nell'originale. Sono
con distinta stima — P. A. Secchi. »
Questo scritto del eh. prof. Farabulini il col-
loca certamente fra i più notevoli scrittori mo-
derni di belle arti. Egli mostra buon gusto,
buon intendimento , varia erudizione, e cnt.ca
fina ina non. pedantesca. Come lutto ciò in sì
tenue argomento? Perchè l'autore a proposito
di quel giudizio ha dovuto trattare di tanti al-
tri pittori che hanno dipinto su tela Io stesso
soggetta: ha dovuto paragonare quei dipinti ira
lom: esporre i pregi e i difetti di ciancino:
discutere le ragioni che vi sono per attribuire il
dipinto che illustra al Barocci e quindi scri-
vere una bella e compiuta disertazione, non un
semplice giudizio di poche parole.
F. B. — Difesa popolare delle principali verità cattoliche impugnate dogli er-
rori moderni. Òpera di F. B. Prato, tip. di R. Guasti 1869. In 16.° picco-
lo di pag. 302. Prezzo L. 1, 30.*
Sia lode al Signore che fa moltiplicare que-
sta specie di libri così necessaria in questi nostri
tempi. Ogni giorno da molte centinaia di fogli
diffusi in migliaia di copie tra il popolo si pit-
tano in mezzo al mondo beffe, soQsmi errori con-
tro la fede, la morale cristiana. È impossibi-
le che qualcuno di questi rei germi non attec-
chisca. E chi sa dire allora i danni che pro-
durrà? A. distrugge! li non sono buoni i libri se-
rii, i libri dotti, i grossi volumi di polemica.
Chi ha più il tempo di leggerli? E quanti ncn
se ne dovrebbero leggerle? Raccogliere insanie
i più notevoli di questi errori : a ciascun d'essi
opporre una risposta breve ma calzante, ma vi-
brata, ma evidente: questa è la via più utile per
isnelibtare tante caligini. Fra gli altri libri di
questo genere il presente vuol essere racco-
maialato assai. E piccolo di mole, ma contiene
molta materia, bene scella, bene «volt», bene
ordinai;!, e con istile chiaro e popolare.
FÉNÉL0N— Istruzione di monsignor Fénélon sui mezzi più adatti per insegnare
ai fanciulli il catechismo. Traduzione .dell'ai). Luigi Nob. Tinti, professore
di teologia e sacra eloquenza nel seni, di Concordia. Modena, tip. Im:n.
Concezione 1869. In 16.° di pag. 65.
Oh potesse questo piccolo libretto, scritto da
mano maestra, e volgarizzato con molla diligen-
za, correre nelle mani di quanti debbono inse-
gnare il ratei -bisino ai fanciulli! Quanto più
utilmente adempirebbero essi questo non facile
compito ! I genitori, i maestri, e Quo i preti e i
parrochi apprenderebbero molli utilissimi modi
pratici di far M tendere le verna rivi m
modo chiaro e agevole ; coso-che il WOfbltmo
non s<a un formulato ripetuto da papp.^alii,
ma un libro studiato e capito da uomini ra-
gionevoli.
BIBLIOGRAFIA 713
FERRERI SEVERINO — Istruzioni sul Vangelo, ossia le quattro parti della dot-
trina cristiana esposte In tre anni di spiegazioni evangeliche, aggiuntavi una
appendice sulle leste di nostro Signore, di Ilaria SS. e dei Santi, del sac.
Severino Ferreria, untore del catechismo della buona settimana. Voi. I.
To ino 1879, collegio degli Artigianelli. Un voi. in 8.' di pag. WI-
43G. Prezzo del presente volume lire 3. Dirigersi al collegio degli Arti-
gy anelli in Torino, o al Rev. D. Pietro Borra, prevosto in ROSELLA
(Monferrato).
E divisamelo del «h. e dotto autore di co n- gcndo al popolo il Catechismo nelle spiegazioni
premiere tutta l'opera il) quattro Volumi. Ognu- domenicali del Vangelo: ottimo il mescolare le
no dei primi tre contiene un corso compiu- spiegazioni collo applicazioni morali, cogli esern-
to d'struz'Oni sul vangelo per tutte le Domeni- pii delia storia, colle esortazioni alla vita cnstia-
che dell'anno: e questi tre corsi d'istruzioni na; ottimo il porgere tulio con un tono di fami-
domenicali svolgeranno tutta la materia del Ca gliare bonarietà, senza frasi ampollose e con-
teihismo, con quell'ordine che, i vangeli con- cettuzzi cfìmeri. Se tutti i parrochi facessero co-
sentino. Il quarto volume avrà le Istruzioni Sila Domenica la spiegazione dei Vangelo, i
sopra le feste principali dell'anno, e tutti gli loro parrocchiani se ne . avvantaggerebbero gran-
altri discorsi che possono occorrere ad un par- demente nella isuuzione e nella pietà, e ver-
roco. Il primo volume qui da noi annunziato rebbeio in folla ad ascoltarli.
è un saggio e una garanzia sufficiente dell'ope- V'è un altro motivo di raccomandar molto
ra intera: Dottrina sicura, istruzione adattata ai questo Moro. L'utile che la sua vendita potrà
nostri tempi, stile facilissimo, copia di fatti ed dare è destinato ad edificare la chiesa della
esempM, pietà affettuosa: tali ci sembrano le parrocchia di Rohella nel Monferrato, perla
quotila precipue di queste nuove istruzioni sul quale costruzione l'autore ha ceduto l'opera.
Cateehismo Ottimo e il pensiero di venire svol-
FRANCIOSI GIOVANNI— Alcune poesie dell'avvocato Giovarmi Franciosi, pro-
fessore di lettere italiane. Modena, tipi delVlmm. Concezione 1868. In 32.°
di pag. 29.
Delicate immagini, pensieri di gentilezza, no- altre, perchè sieno sprone alla gioventù di cerc-
hile e puro stile trovansi in queste rime del eh. care nei classici nostri scrittori il belio schietto
prof. Franciosi, le quali lasciano nel lettore il ed elegante,
desiderio di vederne uscir alla luce motte più
— Le ragioni supreme dell'istoria secondo la mente di Dante Alighieri ; per
Giovanni Franciosi, prof, di lettere italiane. Modena, coi tipi di C. Vin-
cenzi 1870. Un voi. in Ili.0 di pag. 208.
Tre Parli ed un'appendice compongono que- 1° la rivelazione fondamento della filosofia del-
sto elefante libretto. Ecco i titoli loro rispet- la storia; 11° rutilila della filosofia nella storia;
tivi. Parte 1.» L'umana famiglia nella sua storia, 111° legame tra la filosofia della storia e la scien-
1° in tutti i tempi, 2° innanzi Cristo. 3° dopo za di Dio. Tale è la tessitura di ulto il lihro. Lo
Cristo — Parte II.* Gli angeli cooperatori de- svolgimento poi della materia è tutto confor-
gli uomini, 1° in genere, 2° in ispecie — Parie me alla mente dell'Alighieri, del quale espone
l\lB Dio' nella vita dell'umana famiglia, cioè le sentenze spesso colle parole sue medesime.
1° la Trinila di Dio nella sua provvidenza, 2° Nob.le e lo stile del eh. autore, nobili ne sono
la Provvidenza di Dio e l'umana libertà nell'i- le idee, e atte a ispirare nei lettori vera nobiltà,
storia. L'Appendice tratta Ire begli argomenti: di concepimenti e di fatti.
MAIORCA GIACOMO — Numismatica contemporanea sicula, ossia le monete di
corso prima de! 1860, per Giacomo Maiorca Palermo, tip. di Pietro Pen-
sanleWit). Un voi. in 16. ° piccolo di pag. 100.
Quando nell'Agosto del 1860 fu decretalo in di Ferdinando IV, di Giuseppe Napoleone e
Sicilia il corso legale e forzoso della moneta Gioacchino Minat, di Ferdin. n lo 1, di France-
piemontese, della forma, peso e valore della sco I, di Ferdinando li, e di Francesco li. Cu;-
Iraneese; correvano in Sicilia le monete Sicilia- ste monete sono spante o pre.-to sparirai n • dal
ne e napoletane di Carlo III, di Ferdinando HI, commercio. È bene dunque ci. e se ne sia data
114 BIBLIOGRAFIA
dal cb. sig. Maiorca la più minuta descrizione, un' altra che abbraccia il tempo e rso dal 1065
accompagnila dalle notizie storiche più aulen- fino al 1735, indicando e spieganti» le monete
tiche. Così rimane illustrato il periodo numi- vigenti in Sicilia in questo peri, do precidale
smalico della Sicilia dal 1735 al 1800. A que- al Borbonico. Bel lavoro, diligenteii ente ari-
sta illustrazione ha aggiuuio l'autore ancora to ed elegantemente impresso.
MANZO LUIGI — Rituale orationura iuxla missale romanum. Editio prima, au-
cta multis aliis orationibus, a presi). Aloysio Manzo. i\eapoli, ex lyp. Mar-
efiese 1870. in i.° di pag. 48, stampato in rosso e nero.
MARTELLI PASQUALE — Introduzione allo studio della Bibbia, del canonico
Pasquale Martelli. Firenze, tip. Cenniniana 1870. hi Iti.0 di pan. ìì.
Altra volta (a pag. 471 del voi. X) lodammo renze. Il capitolo e il clero fece plauso a quel
un opuscolo del eh. canonico Martell» intitolalo: primo opuscolo ; siam certi clic farà altrettan-
« sull' infallibilità del Papa ; Lettera ad un ami- lo a questo secondo, il quale vorremmo che fosse
co ». Altrettauto dobbiamo ora lodare questa dot- noto anche ai protestanti fuori d'Italia, che vi
ta dissertazione teologico polemica che fa ono vedrebbero confutati con forza e chiarezza i lo-
ro al canonico teologo delle metropolitana di Fi- ro pnncipii.
MAZ ONI E FRANCHI — Biblioteca di sacri oratori moderni italiani e stranieri,
pubblicati e tradotti da Baldassarre Mazzoni e Leopoldo Franchi, canonici,
della cattedrale di Prato. Volume X della serie prima. Prato, tip. di Ra-
nieri Guasti 1870. Un voi. in 8.° di pag. 321. Prezzo L. ì.
EI1LLET P. — Gesù vivente nel sacerdote, considerazioni sulla grandezza e san-
tità del sacerdozio, del Rev.P. Millet d. C. d. G. Prima traduzione italia-
na di Giovanni Pisanello, approvata dall'autore. Venezia, tip. Emilia-
na 1870. Un voi. in 16/ piccolo di pag. XX-Ì7L Prezzo L. 2, 50.
Posto per fondamento die la vita del sacer- riosa deve animarlo nella speranza del premio
dote deve modellarsi sulla viia di Gesù Cristo, riservalo al sacerdote in cielo. Tal è il d
il P. Millet propone le cinque parti di questa di quest'opera, accolta in Francia dal eleio con
vita a tipo di quella. La vita nascosta di G. C. grande plauso, e sperimcni.ta utilissima a ben
dev'essere la preparazione al sacerdozio: la vi- avviare 1 g ovani candidali al santuario. La
la -pubblica deve dirigere il ministero sacerdo- beila traduzione ehe ora esce alla luce in Italia
tale : la vite sofferenti! deve sostenere il prete estenderà ancor di più quei vantaggi, e concor-
dile pruove e nelle persecuzioni : la vita euea- rerà a formare una generazione nuova di pii, di
rislira di-ve mosir.irgli come debba offrire il dotti, di zelanti sacerdoti,
gran s velificio dell'aliare al Signore, la vita glo-
0FFIZI0 della Beatissima Vergine Maria, secondo la riforma di S. Pio V, Cle-
mente Vili ed Urbano Vili, sommi Pontefici, a cui si aggiungono gli of-
fieii del Sj Natale, della settimana santa, del SS. Sagra mento e dei defon-
ti, coi sette salmi penitenziali, da recitarsi dalle Àrchiconfraternite e Com-
pagnie de1 secolari, dalla sacra Congregazione de1 riti, giusta il prescritto,
riveduto. Roma, tip. nell'ospizio dì S. Maria degli Angeli alle terme,
Leonardo Olivieri tip. edil. via Fraltina JS. 1, 1870. Un va!, in i.'
(Kpag.Hm-m.
EdiZ'One in trrosso carattere, con pagine a acquisteranno 10 esemplari si rilascia ciascuna
dae colonne, ord'iiitamente composta, e corretta copia sciolta per lire 2,25: e legata in calta
con molta esatti /./a. Per le confraternite ebe ne pecora per lire 3,25.
OLMI G. — Una settimana di villeggiatura, ossia Considerazioni sugli ultimi
tempi della Chiesa, per G. Olmi. Modena, tip. dell' Imm. Concezione 18(i9.
Unvolumetlo in 1G.° di pag. 175.
A Fongère* di Francia nel 1798 mori in con- no. Bua ebbe In vita molte grazie straordinarie
cello di santità, m» carta 9O0T Varia della Na- dal Signore: fra le allre aawfcla rivelazioni
lività, Religiosa Urbanista dell'Ordine francesca- sopra gli ultimi tempi della Chiesa. 11 eh. G. Ol-
BIBLIOGRAFIA
m
mi le riferisce sommaria mente in questo libre!- fine un discorso per istruzione e per vantaggio
tino, ponendovi accanto lutto ciò che lesesi nei del popolo fedele, il quaie dalla cousiderazione
libri sanii del nuovo Testamento, Intorno a que- degli ultimi giorni del mondo può trarre frutti
sto argomento, e quanto leg^esi sopra esso net molto salutari.
Catechismo del Concilio di Trento. Vi tesse su in
PAGNONS ALFONSO SI. — Virginia Anselmi o il modello delle vedove cristiane,
del P. Alfonso M. Paglione, barnabita. Torino, tip. dell'Orai, di S.Fran-
cesco di Saies, 1870. Un volumetto in 32.° di pag. 172.
soluzione e conforto di molte anime. Questa bre-
ve vita, che il eh. P. Pagnone ne ha scritto con
bell'arte, continuerà e allargherà ancor di più
tale soave fragranza, e farà bene assai a quante
la leggeranno.
La Virginia Anselmi fu buona donzella, affettuo-
sa consorte, redova ed incanì issi ma, savia madre
di famiglia: e sempre pia, paziente, zelante, ca-
ntatevi.le. La sua vita fu nascosa sotto l'ombra
del tetto domestico: e nondimeno l'olezzo delie
sue viiìu spamievasi largamente intorno, a eon-
PECGPiuiì CARLO —La Iconologia^ Fisiognomonia e la Frenologia portate alla
comune inteHigesza e studiata dal punto morale-religioso. Opera tra le più
istruttive, piacevoli e curiose, arricchita di 90 figure e ritratti, utilissima
in ispecie ai sacri oratori, educatori, pittori, scultori ed amanti di belle ar-
ti, pel sacerdote D. Carlo Pecorini. 3filano 1870, presso l'edìt. Carlo Bar-
bini, via Chiaravalle N. 9. Un voi. in 16.° di pag. 310. Prezzo lire 2.
L'interno dell'uomo si rivela nell'esterno o in
modo cangiabile o in modo stabile. Le altitudi-
ni , le m«»e, gli sguardi, i gesti svelano non
solo le tendenze, ma spesso gli atti: l' Iconologia
studia tal rapporto tra l'interno, e la configu-
razione, esterna dell' uomo. La Fisiognomonia
tratta dei rapporti tra i lineamenti stabili del-
l'uomo e lo passioni dell'animo. La Frenologia
studia i rapporti tra le diverse propensioni in-
terne colle diverse prominenze del cervello. Non
è qui luogo d' indagare sino a qual punto que-
ste tre possano dirsi scienze ; qual fede meriti-
no le loro conclusioni e regole pratiche ; quali
e quante eccezioni debbano farsi alle poche con-
clusioni loro più probabili, ^'olo non pnO dissi-
mularsi essere esse state il più delle volte stru-
mento di inganni o almen di errori nelle mani
di chi prese a trattarne ex professo. Lodevole
adunque è stato il pensiero dell' illustre abb. Pe-
corini di spogliarle di quanto potea offendere
la fede, la buona filosofia e i costumi : dando
loro per così esprimerci 1' impronta cristiana. Es-
so ha svolto V Iconologia per ordine alfabetico,
e litastrando molli dei suoi articoliti con im-
magini appositamente delineate; offrendo cosi
grande aiuto ai pittori, agii scultori, agli ora-
tori, agli studiosi della declamazione. La Fisio-
gnomonia, lialt.ita eoo molla brevità, può dirsi
il compendio del celebre libro del Lavater, con
aggiunta di buone o morali osservazioni. Fi-
nalmente la Frenologia e trattala colle idee del
Gali, ammesse dall'autore senza dis imsizioni :
ma però rou quelle riserve che la critica e più
ancora la fede gì' imponeva.
PELLICANI ANTONIO — La famiglia secondo la ragione e la fede. Opuscolo del
P. Antonio Pellicani. Torino, tip. di Giulio Speiranì e figli, 1870. In 16.*
di pag. 39.
P. F. R. — Giardino di divozione pei giovanetti. Decimasesta edizione. Prato ,
tip. di R. Guasti, 1869 Un voi. in 32.° di pag. 276.
PIC0KE GIAMBATTISTA — Primalità di diritto. Studii dell'avvocato Giambatti-
sta Picone, deputato al 1.° parlamento italiano, dottore in filosofia e scien-
ze naturali, ecc. ecc. Girgenti, E. Romito, 1870. In 16.° di pag. 39.
Solto il nome di primati là di diritto intende il
eh. e dotto autore di questa utilissima disserta-
zione certi principii universali di filosofia, di
etica, di religione, dai quali scaturisce il drit-
to. Quali sieno queste primalità di drillo che
l'av. Picone incalca che vengano insegnale al
popolo, non vogliamo specificare; perchè desi-
deriamo che i lettori nostri le apprendano dal-
Popu>colo stesso. Essi ce ne sapran grado pel gu-
sto che troveranno nel leggerlo , e pei saldi
principii che vi sono difesi.
PIZZARDO GIUSEPPE — il giorno del Signore, ossia la santificazione della Do-
menica. Lettere istruttive e familiari ad un giovane, del prevosto Giuseppe
716 BIBLIOGRAFIA
Pizzardo da Savona. Bologna, tip. 31 areg giani, 1870. Un voi. in 32.° di
pag. 2?4.
PIZZARDO GIUSEPPE — Trattato contro le danze. Versione dal francese con note
del prevosto G Pizzardo da Savona. Prato, tip. di Ranieri Guasti, 1869.
Un voi. in 16." piccolo di pag. 262. Prezzo lire 1, 20
Questo Trattato, quanto nella sua dottrina mo- lei lo da tutte le madri di famiglia cristiana, e da
rale solido e sicuro, altrettanto convincente nelle tutti i direttori di coscienza, e i parroehi. Oh
dimostrazioni tratte dalla S. Scrittura, dai P.dri quaHto bene i.e deriverebbe alle anine delia gio-
della Chiesa, dai Canoni ecclesiastici, dalla Ah sofia venlii, la quale si gilla impunemente neile dan-
e teologia morale, dalla testiti. omanza degli auto- ze, spesso col solo scopo di ricrearsi, e ne riporta
ri più gravi non solo cattolici ma eziandio ere- ferite spesso incurabili e mortali !
tici ; questo trattato, diciamo, dovrebbe essere
PRANZINI GiO. RATTISTA —Le principali eresie antiche e moderne al cospetto
dell'unità della Chiesa, raccolta nel Concilio Vaticano, per il sacerdote
Gio. Battista Pranzini. dei bagni della Por retta. Operetta dedicata a Sua
Eccellenza reverendissima mons. Pietro Rota, Vescovo di Guastalla. 31 o-
dena, tip. dell' Imm. Concezione 1869. Un voi in 16.° di pag. 18!K
Il eh. abb. Frassini stampò l'anno scorso un provata dalle più autentiche testimonianze della
Quadro sinottico delle varie eres'e antiche e fede nella Chiesa cattolica. La sua trattazione è
moderne, che fu accolto assai bene, dagli studiosi preceduta da un Proemio ben lungo, nel quale
delle scienze ecclesiastiche. Ora, rimanendo nello tratta le principali questioni intono alla Bibbia,
slesso tema, ne ha miglioralo d'assai il lavoro, dalla cui arbitraria interpretazione contro t' in—
classificando le eresie secondo le differenti ma- segnamento delia Chiesa rampollano le eresie. II
tene, ed opponendo a ciascuna elasse di eresie questo un ottimo libro, perchè di buona dottrina,
le dotti ine cattoliche ad esse contrarie; mettendo concisamente ma esattamente, esposta.
cioè di rincontro ad ogui errore la verna, coni-
SECCHI ANGELO — Descrizione del metcorografo dell' osservatorio del Collegio
romano, del P. A. Secchi d. C. d. G. direttore del med. Osservatorio. Ro-
ma, tip. delle belle arti, 1870. In 8.° di pag. 9ti.
— Le Soleil. Exposé des principale^ découvertes modernes sur la structure de
cet astre, son inlluence dans l'univers, et ses relations avecles autres corps
célestes; par le P. A. Secchi S. J. directeur de l' Observatoire do. Collège
romain, ollìcier de la legion d'honneur, correspondant de rinstitui impe-
riai de France, etc. Paris, Gauthicr-Villars, mprimeur-Ubraire, du bu-
reau des longiludes, de Vécole imperiale polytechnique, successcur De
Mallet-Bachelier, Quai des Augustine, 85, 1870. Un voi. in 8.° di pag.
AVM-22.
— Sull'ecclisse totale del sole che avrà luogo ai 22 Decembre 1870. Notizie
ed istruzioni del P. A. Secchi, direttore dell* Osservatorio del Collegio ro-
mano. Milano, dottor Francesco Yallardi, tipografo-editore, via Fieno
N. 3, 1870. in 8.° di pag. 36 e tre carte illustrative. Prezzo lira 1, i2 "* _
Di queste tre nuove opere dell' illustre astronomo P. Secchi diamo ora semplicemente l'annun-
zio, riservandoci a parlarne più di proposito in miglior tempo. •
SERAFINI FILIPPO — Istituzioni di diritto romano comparato al diritto civile
patrio; dell'avvocato cav. Filippo Serafini, prof, ordinario di Pandette nel-
la R. Università di Bologna, direttore dell'archivio giuridico. Parte prima.
Firenze, Giuseppe Pellas, editore, 1870. Un voi. in 16.° di pag. *26ì.
Prezzo lire 4.
Queste istituzioni sono notevoli per l'ordine proprietà) potrebbe essere soggetta a discussione:
semplicissimo delle natene, la brevità delia trai- ma da queste piccole eccezioni in fuori, e al
tazione, e per la semplicità dello stile. Qualche cerio di non prave rilievo, l'autore chiarissimo
definizione e qualche teorica (p. e. intorno alla segue le opinioni più accreditale e più sicure.
BIBLIOGRAFIA 717
SICA LUIGI MARIA — Casus conscientiae resoluti in missione Nankinensi. Ro-
mae, typis S. C. de Prop. Fide, 1870. Un voi. in 16.° di pag.VHSIZ.
La Teologia morale ha i suoi principii gene- istruiti nella morale, trovanti spesso imbarazza-
tali chehan vigore per tulli i paesi del mondo sali nello sciogliere quei casi nuovi che loro si
e per tutte le nazioni : cosicché il miss onano offrono. Ad aiutarli nella pratica del loro mini-
cattolico per dirigere le coscienze non deve ini- siero, il eh. P. Sica, antico missionario in dna,
parare uua scienza nuova per ogni nuova mis- pratico degli usi cnesi , e buon teologo, ha rac—
sione che coltivi. Ma quei principii generali van colto in questo libro moltissimi casi, che sono oc-
sottoposti ad applicazioni differenlissime secon- corsi a lui o ad altri dei suoi colleghi in quel-
do i casi differenti che s'incontrano: eia dif- le missioni, ed applicando loro i principe ge-
ferenza dei casi procede dalia differenza delle nerah deila teologia morale ne dà e ne ragiona
leggi, delle tradizioni, degli usi, dei costumi la soluzione concernente, il libro è stato rive-
dei popoli. I moralisti cattolici han cercato di duto anche in Roma, e approvato da lutti esce
riunire il più che loro è riuscito di questi casi ora alla luce. Esso pei missionari! della dna è
pei paesi da essi conosciuti : ma per la Cina, re- di un vantaggio tanto evidente che non occor—
gione così tutta da sé per ogni particolarità del rono parole a dichiararlo. Pei teologi non mis-
viyere, che non v' è nessun'allra che le somigli, sionarii è anche utile, si per ledisqu sizioni scien-
è stata poco fin qua studiata e conosciuta da tifiche che contiene, e sì per la novilà dei casi
loro. Quindi i missionarii europei, anche i più che espone.
SPADA GIUSEPPE — Storia della rivoluzione di Roma e della restaurazione del
Governo pontificio dal 1 Giugno 1846 al 15 Luglio 1819, del commendatore
Giuseppe Spada. Volume terzo. Firenze, stab. di G. Pellai, 18611. Un voi.
in 16.° dipag. 767. Prezzo del terzo volume lire 5: dell' opera intera
composta di tre volumi lire 13.
Questo terzo volume compie la Storia della Ri- manifesta della sua cenoscenza dei fatti, e della
•voluzione romana dal 1 G'Ugno 1846 al lo Lu- veracità nel raccontarli. Lavoro di lunghe e di—
glio 1819. Essa è la più esalta, la più verilic- ligenli ricerche, di cure senza numero, e di stu-
ra, la più particolareggiata, la più imparziale dio indefesso, questa Storia sopravviverà alle
che se ne sia scritta. I, 'onestà notissima dell'au- tante altre passionate, partegiane, leggere o at-
tore, la copia dei documenti originali da lui rac- meno inesatte che si sono compiute e divulgate
colti, la presenza sua In Roma, le sue relazioni intorno a quel gravissimo avvenimento,
con ogni classe di cittadini, sono la garantia più
TOMSìSI G. M. — Sull'esercito italiano. Pensieri e considerazioni del capita-
no cav. G. M. Tommasi. Cortona, tip. Bimbi, 1870. In 8.° dipag. 42.
TRASMONDO-FRANGIPANI CAMILLO — Fabio Colonna. Cenni biografici per servire
alla storia scientifica del secolo XVII, letti in un'adunanza di Arcadia dal
barone Camillo Trasmondo Frangipani, dei duchi di Mirabello. Roma, tip.
delle belle arti, 1870. In 8.° di pag. 25.
Fabio Colonna illustrò il suo nobilissimo ca.- luce in una breve ma succosa biografìa il eh
sato coi suoi studii e. colle sue scoperte nelle professore barone Trasmondo-Frangipani.
scienze fisiche e naturali. Questo merito pone in
VALSECCHI GIACOMO — Lezioni sopra gli evangeli delle domeniche per la gio-
ventù studiosa, del teolo ro canonico Giacomo Valsecchi. Alessandria,
tip. di Luigi Pagnoni, 1861. Un voi. in 16."° dipag. 272. Prezzo lire 3.
Le lezioni del eh. cav. Valsecchi sono appro- ne fanno, sia pei consigli che se ne derivano,
priate alla Gioventù: sia per le massime mo- sia finalmente per la forma piana, affettuosa,
rali che svolgono, sia per le applicazioni ebe se breve del discorso.
VARII AUTORI — A sua eccellenza reverendissima monsignore Luigi Serafini,
eletto Vescovo di Toscanella e Viterbo, i maestri e gli alunni del semina-
rio toscanese, nel di lui giorno onomastico, gratulazioni e voti. Yiterbo%
presso Rocco Monarchi. In 16.° dipag. 24.
718 BIBLIOGRAFIA
VESPIGNANI LUIGI MARIA — Un novello Elvidio confutato, ovvero la verginità
perpetua della divina Madre dopo il parto; apologia contro l'autore civi-
ci ano del ritratto di Maria nei cieli ; pel sacerdote imolese Luigi Maria
Vespisnani. Bologna, tip. e lib. Mareg giani, 1870. Un voi. in Iti.
pag.XVHI-Wi.
11 librettucciaccio intitolato - Ritrailo di Ma- vero di questi confutatori : ma si avvalli
ria nei Cieli - stampalo nel 1857 iu Tonno nn- sopra essi per la vastità della trattazione, aven-
novella la bestemmi* di Elvidio che Maria SSma do preso a combattere ad uno ad uno tutti
non fu Vergine dopo il parto di Gesù. Multi sor- fismi di queir er lieo, dando loro non una ma
sero a confutarlo: e con ciò dal male la Prov- spesso tre e quattro risposte, tutte trionfali,
videnza trasse il bene di r nnovare nella memo- Lo siile buono, l'ordine retto, la dottrina pro-
ria degli uomini le glorie della Gran Madre di fonda, ecco le più beile qualità di quest' omino
Dio. li eh. e dotto sac. Vespign.mi entra nel no- Trattato, intorno alla Verginità di Maria SSrìia.
VOGEL GIUSEPPE ANTONIO — De ecclesiis Recanatesi et Lauretana earumque
episcopis; commentarius historicus losephi Antonii Vogel, s. iheolog. li-
centiati; canonici olini recanatensis. Voi. II. Recineti, ex typographia Leo-
nardi Badaloni, 1859. Un voi. in 8.° grande di pag. 381.
Nel voi. VI.0 della IV.8 Serie lungamente es- ce il secondo volume dei Documenti; né mai
ponemmo i pregi della Storia della Chiesa Re- più ne mentovammo la stampa, perché non ci
canatese e Lauretana, scrina dal celebre can. pervenne né il libro nò la notizia. Ripariamo a
Vogel , trapassato nel 1817 nel sessanlunesimo questa omissione ora che ci è capitato nelle ma-
anno di sua età. Concludemmo quella rivista ni il 11.0 voiume, edito non guari dopo il pri-
critica col desiderare che presto uscisse alla lu- mo, « stampato con diligenza e nitidezza somma.
ZANELLA GIUSEPPE — Sulle guarentigie delle persone dagli avvenimenti nelle
strade ferrate. Memoria del cav. Giuseppe Zanella, presidente del tnb.
prov. di Padova, ecc. Padova, tipogr. Salmin, 1870. In 8.° di pag. 77.
Prezzo (ira 1.
Sono frequenti i ferimenti e non rarissime le si è il bandire alto il principio che la impresa
morti per infortuna avvenuti sulle strade ferra- delle ferrovie è responsabile del danno effettivo
te: e Mila massima parte dei casi quest' infor- e del guadagno perduto verso i danneggiati e i
lumi dipendono da negligenze o colpe degl'ini- loro eredi. Tale l'argomento di questo discorso,
piegali nelle stesse vie. La ieg stazione civile e come ognuno vede di somma importanza, e svol-
criminale, vigente in Europa, per tuielare le lo dall'autore con molla saviezza d'idee, sia
persone da somiglianti sventure è insufficiente, sono il puuto di vista giuridico, sia sotto il
Bisogna cangiarla: e la principal cosa da fare punto di vista civile e sociale.
ZERBI LUIGI — Gli Angeli. Lezioni e considerazioni, compilate sulle opere di
di S. Tommaso, dottore angelico, e corredate degli insegnamenti di altri
SS. Padri e Dottori, dal sac. Zerbi Luigi, coadiutore nella metropolitana di
Milano Milano, presso S. Malòcchi, 1870. Ih voi. in 16.° di pag. ii8.
Il mondo degli Spirili é poco studiato in que- suo duce e maestro è S. Tommaso, colle cui dot-
ata eia nostra tutta materiale. Consola dunque trine e spesso anche colle cui parole svolge le
il veder comparire un libro, ben idealo, bene più ardue questioni. L'ordiue generale della trat-
svoilo, che in quel mondo appunto ci trasferì- tazione e strettamenle logico, e la maniera di ra-
sce, presentando alla contemplazione le p u belle giooare e di concludere cosi evidente, che più
creature uscite dalla mano dell'Attissimo, e fa- non può desiderarsi. Ha poi un pregio tulio suo
teo<k>tte conoscere le doti naturali e sopranna- specialissimo, ed e quello di congiugnere
turali, le differenze dei gradi, gli uflKn, il gni lezione speculativa intorno agli an.-'cl «B»
rappuito loro cogli uomini e col inondo scusi- considerazione di morale pratica pei cristiani :
bile, e la storia dei pm insigni spirili celesti, con che etilene di editlcure chi legge imi. li e I"
Egli si e servito di quanto la teologia indegna istiuisce, e d'un libro di sublime speculazione
aopra si svariati argomenti: ma l'autor suo, il fare un libro di pratica ulihla.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO
— ><*&<?<&^-*^S2s$&
I.
ÀTTFEPISCOPALI
1 Del Card, di Napoli — 2. del Vescovo di Novara — 3. del Vescovo di Mon-
dovi — i. del Vescovo di Savona e Noli — o. dell' Arcivescovo di Salerno
— 6. del Vescovo amministratore ap. di Acquapendente — 7. del Vescovo
d'Ischia — 8. del Vescovo di Bagnorea.
Per saggio delle tante lettere pastorali, che lo zelo episcopale ora va
dettando intorno all'infallibilità e al Concilio, noi non ne andremo rac-
cogliendo dei tratti dai fogli cattolici, che le riportano o in parte o an-
cor per intero; ma, come abbiam fatto altre volte, ci terrem paghi a da-
re un cenno di quelle poche che ci vengono in mano stampate a parte.
Cominciamo da alcune poche lettere pastorali d; Vescovi italiani.
1. Abbia il primo luogo la lettera del Cardinale Arcivescovo di iVa-
poli al clero e ai fedeli della sua archidiocesi in occasione della defini-
zione data dal Concilio vaticano dell' infallibile magistero del Romano
Pont: [ice. L'Eminentissimo Riario Sforza subito dopo la definizione, pri-
ma di far ritorno alla sua sede, volle scrivere questa istruzione pa Umi-
le che da lui si compendia in queste parole: « Dal detto finora voi avete
potuto intendere, fratelli dilettissimi, la natura dell'atto solenne emes-
so dal sacrosanto Concilio , imparando che cosa è la delinizione di un
domina, ed in qual modo si svolga il domma cattolico- Voi avete potuto
misurare il valore, persuadendovi come esso si conteneva nella parola
di Dio scritta e nella tradizione, come da un domma già stabilito ne sia
derivato quest'altro. Voi potrete prevedere i vantaggi, che da quella
promulgazione sono per derivare, ponendovi sott1 occhio il bene che
può aspettarsene per la società e per la Chiesa » (pag. 40). Chiunque
720 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
brami d'intendere la natura, il valore e i vantaggi di questa definizio-
ne, legga questa dotta insieme e semplice istruzione deliquio Cardinale
di Napoli, e resterà soddisfatto. (Roma, coi tipi della Civiltà Cattolica;
in 8.° di pag. 44.)
2. // Vescovo di Novara, mons. Gentile, pochi giorni innanzi alla de-
finizione, pubblicò parimente una utilissima istruzione. L'illustre prela-
to, costretto da lunga malattia a restarsi in diocesi, non avendo potuto
sostenere l'infallibilità colla voce in Concilio, volle spiegarla e difen-
derla colla penna. A spiegare dapprima che s'intenda per l' infallibilità
del Papa, parlante ex cathedra, egli dichiara che « la cattedra significa
il magistero: quindi il Papa, che parla ex cathedra, significa il Papa
che parla in qualità di maestro e dottore della Chiesa universale » (pa-
gina 4). Dipoi a dichiararne l'ampiezza, « l'oggetto dell'infallibilità
pontifìcia, egli dice, è tutto e solo il deposito della divina rivelazione,
t per conseguenza esso comprende tutte e sole le verità spettanti alla
fede e alla morale, ossia che queste si trovino formalmente espresse
nella rivelazione, ossia che vi si contengano implicitamente, ossia che
abbiano anche solo qualche legame col domma rivelato. Laonde il Papa
è infallibile nella condanna delle proposizioni che offendono in diversi
modi la fede e la morale, è infallibile nei così detti fatti dommatici, è
infallibile nelle cose concernenti il culto divino e la disciplina generale,
e in tutte quelle insomma, che lasciate in balìa dell'uomo metterebbero
a repentaglio il deposito divino alla Chiesa confidato » (pag. 6). Così
chiarito ^soggetto e l'oggetto dell'infallibilità, dissipa altresì la strana
confusione dell'infallibilità coll'impeccabilità: e quindi passa a stabilire
e difendere il dogma colla scrittura e colla tradizione. No, non è nuovo
il domma, egli dice; ma è nuova soltanto la definizione; ed avvivando
la fede del suo gregge conchiude: « Vi ripeterò (che ben si confà pure
al caso nostro) la supposizione impossibile fatta da S. Paolo : Quand'an-
che venisse un Angelo dal cielo a predicare una cosa contraria a quello
che il Papa ci ha insegnato, noi dovremmo rigettare le parole dell'An-
gelo, ed attenerci a quelle del Papa; perchè non l'Angelo, non altri,
ma il Papa ci fu assegnato per maestro infallibile da Dio stesso. » [No-
vara, tip. vesc. in 8.* di pag. 16.)
3. // Vescovo di Mondooì, mons. Ghilardi, col suo solito zelo due dì
dopo la definizione mandò al suo gregge una lettera pastorale intitola-
ta: Annunzio della definizione dommatiea dell'infallibilità pontificia.
« Noi non possiamo esprimervi abbastanza, egli dice, l'allegrezza che
provammo in que'momenti di paradiso, allorché specialmente, pronun-
ciatasi appena dal Papa la conferma della dogmatica definizione, uno
scoppio generale di vi\ issimi applausi e festose acclamazioni si l'è sen-
tire nella grand'aula conciliare, e in un baleno si diffuse fra il popò-
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 721
lo stipato al di fuori , echeggiandone in modo mai più udito le dorate
Volte e la portentosa cupola del più gran tempio del mondo. A. spie-
gare la gioia da cui erano inondati tutti i cuori, non s'è forse mai can-
tato un Te Deum con tanta espansione, come in quel giorno. » Il ze-
lante Vescovo prescrisse una novena e un ottavario solenne per la festa
dell'Assunta, nella cattedrale e al celebre santuario della Vergine, che
Tanno scorso fu con tanta pompa e pietà incoronata. (Roma, tipog. di
Prop. Fide; in 8/ di pag. 14.)
4. // Vescovo di Savona e Noli, mons. Cerniti, in una nobile Omelia
per la solenne festività di Maria Vergine Assunta al cielo, espose al suo
popolo la somma e la sostanza della Costituzione de Fide e della pr'm/a
Costituzione de Ecclesia., trattenendosi specialmente pella definizione
della infallibilità pontificia ; e intorno alla opportunità del tempo per
questa nuova dottrina sì antica, egli pure riconosce, ciò che ornai si os-
serva generalmente, uno speciaje consiglio della Provvidenza « affinchè
nella pienezza dello splendore, di cui per tal modo si mostra in tutta
la sua bellezza e sublimità la divina autorità della Chiesa, che nel su-
premo magistero del Romano Pontefice, suo capo, tutta come a dire
si assomma e tocca al suo fastigio, a poco a poco si ristorasse il con-
cetto e la venerazione dell'autorità umana, sia di famiglia, sia di so-
cietà, non meno della religiosa, fieramente oggi combattuta dalle ree
dottrine dell'umana superbia. » (Savona, tip. vesc; in 8.° di pag. 12.)
5. V Arcivescovo di Salerno, mons. Salomone, che nel Concilio sede-
va tra i Primati, come Primate della Lucania e delle Calabrie, dolente
di non aver potuto assistere per malattia alla IV sessione, né potendo
ancora tornare in diocesi, non si è potuto rattenere di dirigere almeno
a1 suoi figli spirituali una lettera pastorale, nella quale espone la som-
ma della Costituzione intorno alla fede, e della prima costituzione in-
torno alla Chiesa. « È qui dove l'anima mia esulta in una gioia ineffabi-
le, egli dice, e dove non posso annunziarvi senza una voluttà di pa-
radiso l' opera più grande del Vaticano grandioso consesso . . . Non
taccio affatto essere questa Costituzione passata attraverso l'opposi-
zione energica e compatta di una piccolissima frazione del gran con-
cilio; senza punto tener conto di quel chiasso di piazza che fuori di
esso si è venuto facendo con tutte le arti dai nemici e da' poco o nul-
al amici della Chiesa; ma debbo dirvi francamente, a rimuovere lo
scandalo dai pusilli, che la è stata eminentemente provvidenziale quel-
la opposizione. » L'illustre prelato dichiara specialmente come perciò
la costituzione n'è uscita raggiante di maggior luce, come già avea ge-
neralmente dichiarata l'opportunità provvidenziale di queste due Costi-
tuzioni per lo stato presente della società. [Napoli; in 8.° di pag. 12.)
Serie VII, voi XI, fase. 492. 46 9 Settembre 1870.
1M COSE SPETTANTI AL CONCILIO
6. // Vescovo di Lislri e amministratore apostolico di Acquapen-
dente, monsìg. Focacce Ui, il giorno stesso della definizione non tardò
un momento a dirigere al gregge da Roma un Invito sacro per una
lesta di ringraziamento. « Veniamo, o dilettissimi, dalla gloriosa tomba
di S. Pietro, ali. lo alla quale il sacrosanto Concilio ecumenico ha deli-
luto pur ora solenuemente la potestà suprema e l'infallibile magistero
del Pontefice Romano. Mentre l'augusta basilica ancor echeggia del fer-
vido plauso, ond'è stata accolta dalle labbra del Vicario di Cristo la
promulgazione del sospirato decreto; mentre ci dura vivissima nel cuo-
re la commozione di un atto e di un momento sì grande, il nostro pen-
silo corre a voi in quella guisa che congiungemmo le anime nostre
nella preghiera, congiungiamole nel rendimento di grazie, ed esaltiamo
la Provvidenza infinita dell'inestimabil beneficio che ha largito alla ter-
ra. » [Roma, un foglio.)
7. // Vescovo d'Ischia, monsig. Romano, comincia con dire: « Ritor-
nato dall'eterna città, dove debole di corpo e prontissimo di animo, mi
trasse la doverosa ubbidienza al supremo infallibile maestro della Chie-
sa, per prender parte alla santa opera dell'ecumenico Concilio valicano,
cou la pastorale benedizione dirigo a voi tatti il paterno saluto. » E se-
gue con parole, veramente paterne, a congratularsi co' suoi figli della loro
fede e pietà, e si rallegra di aver potuto significare col placet la sua e
la loro fede, il suo e il lor desiderio. (Un foglio.)
8. Termineremo per questa volta colla Lettera pastorale del Vescovo di
Bagnorca, mgr. Corradi, il quale ha avuto il felice pensiero d'illustrare
la dottrina dell'infallibilità colle parole di quel grande Dottore, che è la
gloria di B agnorea, il serafico S. Bonaventura. Siam certi che i nostri
lettori ne gradiranno un luugo estratto.
« Stimiamo farvi cosa grata, e del pari vantaggiosa alla vostra pietà
di trattenervi ancor per poco, per mettervi in grado di poter rispondere
colle parole stesse del Santo a chiunque tentasse farvi tralignare dalla
fede dei Padri vostri. A. coloro i quali pur abbindolare i semplici van fa-
cendo le meraviglie, come mal il Concilio Vaticano abbia potuto definire
che un uom > soggetto alle comuni miserie, non possa sbagliare; rispon-
dete che allora noi non consideriamo il Papa come una persona qualun-
que, ma come dice il Serafico, allora lo consideriamo quale la S. Scrit-
tura lo asserisce, la fede lo insegna, il diritto lo attesta, e ragioni irre-
fragabili lo dimostrano Capo unico e sommo, sposo unico, il (piale co-
me supremo Maestro instruisce la Chiesa, e tiene il luogo di Cristo; e
perciò si deve curvare innanzi a lui ogni ginocchio e dei Principi <i dei
Prelati, e dei Chierici e dei Laici, ali1 istesso modo come si curva innan-
zi a Cristo nei cieli o^ni potestà celeste, terrestre ed infernale ia
depaup. Chrisli). A quelli che per orgoglio e per miscredenza spargono
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 723
dubhii sulla condanna emanata dalla S. Sede di qualsiasi libro od erro-
re, rispondete come in simile caso diceva S. Bonaventura (Cap. Ì.Apol.
paup.) «. che non senza nota di ribellione si sprezza la sentenza del Pon-
tefice. Se nel tempo dell1 antica legge riputavasi delitto degno di morte
contrariare al di lui giudizio; molto più adesso, mentre si ha un'aper-
ta cognizione della pienezza della potestà conferita al Vicario di Gesù
Cristo, è un gran peccato da non potersi in verun conto sopportare,
Fopporsi alle sue definizioni in materia di fede e di costumi ». Se ta-
luni avessero la temerità di asserire che alcuni Ponletici, come Dottori
della Chiesa universale, avessero errato in materia di fede o di costumi,
rintuzzate l'indegna calunnia colle eloquenti parole del Serafico piene di
fede e di affetto alla sacrosanta Chiesa Romana. Egli per difesa della ve-
rità contro gli oppugnatori della mendicità volontaria approvata dai som-
mi Pontefici così diceva: « Tale assurdità abboniscono di ascoltare le pie
orexhie dei credenti » aures piae audire abhorrent.... Sorgi tu, o santa
Romana Chiesa et indica causam tiiam. Se V Ordine dei Minori retta-
mente professa la verità del Vangelo, tuum est: se nella professione da
te sancita esso devia dalla verità, tuum est ; e perciò se si appone Y er-
rore a questa santa professione, tu stessa che f hai sanzionata sei accu-
sata di errore; e tu quae magislra veritatis hactenus exlitisti, che sei stata
sempre la maestra della verità, ora da certi moderni presuntuosi sei de-
risi come ignorante della legge umana e divina, et a quibusdam moder-
nis praesumptoribus velut iuris divini et fiumani nescia derideris (Cap. 2.
A/?, paup.)
Potremmo, o dilettissimi in Gesù Cristo, darvi altri ammonimenti rica-
vati dalla sublime dottrina del nostro S. Concittadino per mantenervi
saldi nella fede, e del pari premunirvi contro i nemici di Dio e della
Chiesa, che cercano ogni mezzo per falsare il vero senso della dottrina
cattolica definita dal Concilio Vaticano. Siccome però ciò allungherebbe
di troppo 'Otesta nostra lettera, pertanto sarem paghi solamente, prima
di por fine alla presente, di accennarvi e sciogliere una difficoltà, che al-
cuni accampano per menomare Y importanza e necessità della definizione
teste emanata. Se questa verità, essi dicono, anche per lo innanzi si cre-
deva, e mettevasi in pratica dai fedeli, non vi era dunque una necessità
che il Concilio ne formasse un'articolo di fede, senza del quale come
essi si salvarono nel passato, così potevano salvarsi in avvenire. Ri-
sponderemo a questa difficoltà colle stesse parole del Santo. Per difen-
dere la processione dello Spirito Santo contro dei Greci, che mal sop-
pottavano venisse aggiunto nel simbolo che desso procede anche dal
Fig io, così egli scrive; « È antico vezzo de1 miscredenti, quando si tro-
vano deboli di ragioni, muovere accuse e rimproveri contro i cattoli-
ci, perchè anche senza il dichiarato articolo di fede si poteva conse-
724 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
guire l'eterna salate « quia sine huius articuli professione salus erat »
(1. Sent. d. il, art. I). Ma la professione di questoarticolo, così egli pro-
segue, venne fuori per tre motivi: ex fìdei ventale, ex Ecclesiae auctori-
tate, ex periculi necessitate. Il medesimo deve dirsi dell1 infallibilità del
Romano Ponteiice. »
E appunto coir applicare al caso presente le tre ragioni accennate da.
santo Dottore, il Vescovo di Bagnorea conclude la sua pastorale, data da
Roma il giorno stesso della definizione. (Roma, tip. Aureli; in 8.° di
pag. 12.)
IL
ACCOGLIENZE AI VESCOVI RITORNATI DAL CONCILIO
1. Nelle diocesi di Francia — 2. in quelle del Belgio.
1. Per la dichiarazione della guerra e molto più per l'avversa fortuna,
eoe patì fin dal principio di essa l'esercito imperiale, furono intorbidate
e poi estinte del tutto le dimostrazioni pubbliche di gioia, colle quali si
apparecchiava la Francia ad applaudire alla solenne defrazione, fatta
nel Concilio Vaticano della infallibilità del Romano Pontefice. Senza il
peso di così insperata calamità, la proclamazione di questo domma
sarebbe stata accolta e celebrata con segni di giubilo pari all'ardore del-
le supplichile, colle quali essa venne implorata dal clero e dal popolo di
quella illustre nazione. Noi lo argomentiamo da quelle liete e divote ac-
coglienze, che si poterono l'are ai Vescovi, allorché essi tornarono dal
Concilio in mezzo ai loro greggi, agitati dagli apparecchi militari, e dal
passaggio e dalla partenza delle truppe.
I venerabili Prelati giungendo nelle loro città, incontravano alla sta-
zione delle vie ferrate i capitoli, tutto il resto del clero ed il popolo.
Tra le acclamazioni festive, in mezzo ai concerti musicali, col canto de-
gP inni sacri erano condotti alla chiesa cattedrale, e quivi, annunciata
la buona novella, recitavasi solennemente il Credo, e cantavasi.il Te
Deum. Venuta la notte, si continuava a festeggiare il loro arrivo con
private e pubbliche luminarie. Senonchè codesti sfoghi di santa letizia
erano moderati dagli stessi Vescovi, i quali per riguardo della condizio-
ne pericolosa in cui versava la patria, avevano con avvisi precedenti o
raccomandata la sobrietà o altresì vietata ogni esteriorità di pompa.
Per dire qualche cosa in particolare, nella città di Àire-sur-l'Adour
monsignor Epivent fu accompagnato alla chiesa vescovile in mezzo ai
canti di gioia e di trionfo, al suono di strumenti musicali, e con acclama-
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 725
zioni in certa maniera simili a quelle, che furono fatte in Roma a Pio IX
infallibile nella sessione generale dai Padri del Concilio e da tutta la
moltitudine dei fedeli raccolti nella Vaticana Basilica. Il popolo di Aire
si era proposto di rendere al suo Pastore, il quale rappresentava la fede
romana e la persona del Papa, quelle onorificenze, che la città eterna
avea resi al Vicario di Gesù Cristo. Esso salutò nel proprio Vescovo un
Padre e nello stesso tempo un testimonio ed un messaggero della infal-
libilità, definita come domma, dei successori di Pietro. Abbracciando lui
abbracciò con uno slancio medesimo di affetto il Pastore della Chiesa uni-
versale. Le vie erano illuminate e adorne di archi trionfali. La chiesa
cattedrale splendidamente parata. 11 Vescovo vi fu condotto sulle brac-
cia del popolo, e quindi fu accompagnato al palazzo episcopale. Nella
chiesa e nel palazzo alcuni oratori gli volsero la parola, e celebrarono
le lodi di Pietro, e magnificarono il suo glorioso e divino magistero, che
si perpetua nei suoi successori.
In questo ritorno quasi tutt'i Vescovi significarono di voler tosto pub-
blicare una lettera pastorale, ove parlerebbero delle definizioni del Con-
cilio Vaticano, ed in particolare di quella intorno ali1 infallibilità del
Papa. Alcuni si contentarono di questo solo; ma i più aggiunsero qual-
che parola per consolare la pietà di quelle moltitudini di fedeli, accorsi a
festeggiare il loro arrivo. Noi soggiungeremo qui appresso alcuni pochi
tratti di tali discorsi, i quali furono tutti dal popolo devoto ascoltati
con quella santa gioia, conche erano pronunziati dai loro venerabili Pa-
stori.
Monsignor Guerrin, Vescovo di Langres, annunziò la definizione della
infallibilità del Romano Pontefice sotto il concetto di una gloriosa vit-
toria, riportata dalla verità contro tutti gli errori del nostro secolo. Il
suo discorso fu un semplice ed affettuoso commento di quelle parole
dell'Apostolo: Gratias Beo, qui dedit nobis uirforiam islam per Bomi-
num Nostrum Iesum Christum. I preti della diocesi aveano sottoscritto ed
inviato a Roma un indirizzo al Santo Padre, implorando quella defini-
zione. Il venerabile Pastore raccontò con quanta soddisfazione esso era
stato accolto dall' augusto Pontefice Pio IX, allorché egli stesso ebbe
l'onore di deporlo a'suoi piedi.
Il Vescovo di Tulle, monsignor Berteaud, avendo paragonata la defi-
nizione della infallibilità pontificia ad un taro risplendente innalzato
nella Chiesa, ne inferì che essa lungi dall' apportar danno o fastidio,
come alcuni pretendevano, e cagione di somma utilità e di consolazio-
ne, com'è ai viandanti là luce del sole.
Monsignor Jordany, Vescovo di Frejus, rese grazie a Dio di aver po-
tuto sostenere felicemente nel Concilio Vaticano le parti di giudice e di
testimonio della fede. Come giudice, egli disse, io recando in mezzo i
726 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
frutti di cinquanta anni da me spesi nello studio delle scienze sacre, ho
afTt-rnìnto le grandi verità di cui il secolo ha bisogno, e soprattutto
quella della infallibilità del Romano Pontefice Vicario di Gesù Cristo,
ogni qual volta egli definisce ex cathedra intorno alla fede ed ai costu-
mi. Come testimonio ho attestato solennemente al cospetto di Pio IX e
dei Vescovi di tutto l'universo, che la mia fede era quella medesima
del mio clero e del mio popolo: quella stessa che i miei predecessori
nella sede di Frejus hanno costantemente predicata. Io esulto per aver
contribuito alla solenne definizione, che in questo momento rallegra il
mondo cattolico, e resterà sempremai memorabile nei fasti della Chiesa.
Con tale definizione il Concilio ha rimediato ad uno dei grandi mali del
nostro tempo. Affermando in una forma così solenne l'autorità del suc-
cessore di Pietro, ha raffermato sopra basi incrollabili il principio di
autorità, sul quale essenzialmente riposa la felicità tanto civile quanto
domestica del genere umano.
Monsignor de Langalerie, Vescovo di Belley, espose eloquentemente
i frutti di henedizone e di pace, che proverranno da questa definizione
del Concilio. Poiché, ei disse, la mansuetudine della Chiesa si unisce
maravigliosamente alla sua invincibile possanza. Essa parla, e alle sue
parole, siccome a quella di Gesù Cristo suo fondatore, tacciono i venti
e le tempeste, e si spande e si stabilisce la pace nel mondo delle intelli-
genze. Et facta est tranquillitas magna.
Monsignor Rousselet, Vescovo di Séez, trovò alla stazione tutto il ca-
pitolo della sua cattedrale, i direttori dei seminarli, i cleri delle par-
rocchie, gli allievi dei piccoli seminari*!, le comunità, i collegi, gli ec-
clesiastici accorsi in gran numero dalle varie parti della diocesi, le fa-
miglie più cospicue del dipartimento. Fu trionfalmente condotto alla
cattedrale, innanzi alla cui porta era un arco colla iscrizione: Ecclesia
Sagicnsis Doctori Infallibili Fides et Amor. L'ab. de Fontenay vicario
generale parlò in nome di tutto il gregge, congratulandosi del fausto
n'orno del Pastore, che apportava il bramato annunzio della grande de-
finizione. Egli terminò dicendo, che la definizione del domma della in-
fallibilità del sommo Pontefice ha dissipale tutte le nubi; che per tale
definizione la cattedra di Pietro è divenuta come la colonna luminosa, la
quale precede il novello popolo di Dio; e gl'indica il cammino che de-
ve battere. Questa colonna, egli aggiunse, non avrà punti oscuri, se non
pei figli dell'Egitto, per gli orgogliosi e per gli empii; ma rischiarerà per
sempre i figliuoli d'Israele con una pura ed immutabile chiarezza. Al che
rispondendo il venerabile Prelato disse tra le altre cose: Quando io sta-
va nell'Aula conciliare, il giorno in cui, terminata ogni discussione, la
Chiesa dovea rendere il suo giudizio, provai in quel momento l'immen-
sa consolazione di vedermi come raccolta intorno tutta la mia diocesi.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 727
Non si ignorava qui ciò che io pensava intorno alla infallibilità del Ro-
mano Pontetice. Spesse fiate io avea fonnalniente dichiaralo il mio ani-
mo, ricevendo gl'indirizzi fatti e sottoscritti da tulli voi nelle vostre
riunioni, lo allora palesava il mio gaudio, vedendo che il mio gregge
avea la fede medesima del suo Pastore, la grande fv de tradizionale del-
ia Chiesa, la quale, sia pure che in qualche contrada si poneva in dub-
bio, conservava nondimeno costantemente ia sua l'orza e i suoi dritti.
Oggi al line la cosa è giudicata. Il domata della infallibilità del Papa,
parlante ex cathedra in materia di fede e di costumi, è stato definito,
possiamo pur dirlo, ad unanimità dai Padri presenti alla sessione. Un
tal voto confermato dal sommo Pontefice, regola questo punto della no-
stra credenza, e lo pone quindi innanzi per tutti i cattolici fuori di ogni
questione.
La cattedrale di Bourges era, come ne1 giorni di Pasqua, tutta colma
di popolo plaudente al ritorno del suo Arcivescovo, monsignor de La
Tour d'Au vergne. Questi rispondendo ai desiderio che si leggevano
apertamente in tutti i volti, salì in pulpito e parlò del Concilio Valicano
e delle sue definizioni, e specialmente di quella sì ardentemente invo-
cata della infallibilità del Romano Pontefice. Egli fece avvertire, che la
sanzione di un Concilio generale fatta dal Papa, induce rigorosa e stret-
ta obbligazione, e che questa sanzione suprema era già stata aggiunta
da Pio IX agli atti del Concilio Vaticano; e che per conseguenza fin da
quel punto questi atti erano stati rivestiti di tutti quei caratteri, che si
richiedono a costituire le leggi della Chiesa. La promulgazione era stata
l'atta a Roma. La costituzione concernente V infallibilità era stata affissa
ai quattro angoli della eterna città, e con ciò essa era stata promulgata
non solamente per Roma, ma per tutto Korbe cristiano.
Monsignor Bernadou, Arcivescovo di Sens, ritrovò al suo arrivo la
chiesa cattedrale piena di popolo e di ecclesiastici non solo della città,
ma de1 luoghi più lontani della diocesi. Allora monsignor Picherot Ve-
scovo preconizzalo di Tarbes gli fece un discorso a nome di tutti, e tra
le altre cose disse queste: « Non ostante il permesso, che voi avevate
ottenuto di ricondurvi nella vostra diocesi, e non ostante il bisogno che
noi avevamo di voi, noi fummo profondamente commossi al sapere, che
voi vi eravate deciso di non abbandonar Roma, se prima non aveste
renduto col vostro Placet un solenne e pubblico omaggio alla verità.
Voi ritornate in mezzo a noi ricolmo dei favori di Pio IX e tutto fragran-
te delle sue benedizioni. Noi, monsignore, ne siamo felici, ne andiamo
lietissimi e ce ne congratuliamo con esso voi. Voi sarete per ciascun dei
vostri preti ciò che è stato per voi il sommo Pontefice, ed i pastori di
second'ordine saranno per le loro pecorelle ciò che voi vi degnate di
essere per loro. Cosi vanno ordinariamente le cose. Coir obbedì re si
728 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
apprende a comandare. » L'Arcivescovo rispondendo parlò della defini-
zione dell'infallibilità nei termini seguenti: « Il principal frutto, ei disse,
de' lavori del Concilio è slata la donaniaticà definizione dell1 infallibilità
del Romano Pontefice. Non è certamente questa una novella verità. Con-
tenuta (in dal principio nel deposito della rivelazione, essa era diven-
tata, col volgere dei secoli, sempre più palpabile, mercè della pratica co-
stante della Chiesa. Ma con tutto ciò, la verità medesima rimaneva più
o meno velata agli occhi di certuni; potea esser discussa, potea esser
rivocata in dubbio e perfino negata, senza incorrere la nota dell'eresia.
Oggi finalmente essa è di fede cattolica e necessaria. Ieri questionava-
mo, oggi crediamo e confessiamo; e dobbiamo. tutti star pronti a difen-
dere questo domma, come ogni altro doni ma della fede, anche, occor-
rendo, a costo della nostra vita e fino all'ultima goccia del nostro san-
gue. Un Credo immenso già prorompe da tutti i cuori cattolici, e fa eco
alla grande voce del Concilio e a quella del Santo Padre. »
La piazza innanzi alla stazione di Meaux era tutta piena di popolo al-
l'arrivo del suo Vescovo monsignor Allou. Al primo suo comparire fu sa-
lutato con vivissime acclamazioni, e quivi stesso egli si vestì degli abiti
di coro, si ordinò una lunga e splendida processione, e si andò alla cat-
tedrale. Il discorso di congratulazione- fu recitato dal decano del capito-
lo, il quale terminò esclamando in questa guisa: « Tutti, preti e seco-
lari, riguardiamo come uno de1 più beati giorni di nostra vita questo,
nel quale stiamo per esser benedetti da quella mano, diventala per
noi più degna di venerazione ; da quella mano che ha sottoscritto il de-
creto, col quale è stata innalzata a domina di fede la dottrina dell'infal-
libilità del Romano Pontefice! » Al che l'amato e venerato Pastore mon-
tato in pulpito rispose con parola di caldissimo affetto, e dichiarò che
egli stando in Roma e nelP aula conciliare si metteva in ispirito in mez-
zo allo stesso Segno clero ed al piissimo popolo, che gli faceva a queslo
suo ritorno si lieta e divota corona. Il vostro Vescovo, egli disse, ha vo-
tato senza niuna esitazione pel trionfo dell'autorità e dell' infallibilità
dei Romani Pontefici successori di Pietro.
La città di Carcassona non fu da meno di niun'aìtra nel festeggiare
l'arrivo del suo Vescovo monsignor Roullet de la Bouillerie, e neir ap-
plaudire al santo ardore col quale in Roma egli avea proclamato e di-
feso i dritti della Cattedra di Pietro. Ecco il sunto del discorso, che in
quella occasione pronunziò l'illustre Prelato. « Gli omaggi, ei disse, che
voi mi fate in questo momento, non vanno solamente a terminare alla
mia persona, ma assai meglio e con maggior diritto onorano la santa
causa, che io ho avuto la fortuna di difendere, ed il glorioso trion-
fo, al quale Iddio mi ha conceduto di assistere, lo non lascierò di com-
piere il dovere del mio ufficio, spiegandovi chiaramente la magnifica
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 729
dottrina, che abbiamo definita nel Concilio. Per ora io mi contento di
ripetere quel solo, che io già vi diceva nel punto della mia partenza;
cioè che la questione che andavamo a trattare, toccava stella niente
alla costituzione stessa della Chiesa. Trattavasi di sapere se Gesù Cristo
avesse detto al solo Pietro: « Tu sei Pietro, e su di questa Pietra io
edificherò la mia Chiesa ...» Quand'ecco le colonne del tempio, non
tutte ma più di una, cominciano ad ingelosire contro la Pietra. Esse
hanno avuto la temerità di dire: « Anche noi sosteniamo l'edificio... »
Insensate! Esse noi sostengono altrimenti, se non in quanto la Pietra
del fondamento sostiene loro. Se questa Pietra crollasse, esse cadreb-
bero nel medesimo istante, e diventerebbero un miserabile ammasso
di rovine. Ma Iddio non permette nulla di ciò. Egli ha permesso le
lotte, ha permesso i proponimenti cattivi, ha permesso i mezzi per-
versi. Egli ha permesso che gli angeli di luce si trasformassero in an-
geli di tenebre. Ma non permetterà giammai che le porte dell1 inferno
prevalgano contro la Chiesa e contro la sua Pietra fondamentale. La
Pietra dura immobile, e l'edilìzio resta in piedi. Affermando irrevoca-
bilmente l'autorità della Sede apostolica, abbiamo messa in salvo la
Chiesa. Di qui innanzi non vi saranno dunque più discussioni, non più
discordie, non più sentimenti opposti intorno ad una quistione, che
divideva da tanti secoli gli animi de1 cattolici. Non vi sarà ornai che
una sola fede; quella fede che ostata definita nella costituzione am-
mirabile, promulgata dal sommo Pontefice il diciottesimo giorno di
questo mese. Oh! come posso io descrivervi ciò che si passò in que-
sto gran giorno, che resterà indelebile e glorioso ne' fasti della Chie-
sa I Cinquecento quaranta Vescovi, che proclamano l'infallibilità dot-
trinale del sommo Pontefice; il Papa che dall'alto del suo trono con-
ferma la definizione del Concilio ; indi vicendevolmente i Vescovi, che
acclamano alla parola suprema del loro capo infallibile; e così a quel
primo voto si venne ad aggiungere quest'altro voto per acclamazioue,
che era tanto pavenlevole a taluni; poi tutta la folla de' fedeli raccolta
nell'immensa basilici, che accoglie cogli applausi e colle grida di ec-
cessiva letizia la parola del Papa e dei Vescovi; e le volte di san Pie-
tro che trasportano lontano quest'eco, come se con un immenso con-
certo esse cantassero quelle sublimi parole scritte attorno alla sacra cu-
pola: « Tu sei Pietro, ed io edificherò su questa Pietra la mia Chiesa... »
Come mai, figliuoli miei carissimi, io potrò degnamente rappresentarvi
tali cose! La parola mi manca; e questa è una delle glorie dell'anima
cristiana; che essa provi trasporti di gioia impossibili a descrivere con
lingua umana. »
2. Dalla Francia passiamo nel Belgio, e dapprima nella città diMalines,
ove monsignor Arcivescovo Dechamps fu accolto con dimostrazioni di
730 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
-somma letizia dal clero e dal popolo. Giunto alla chiesa metropolitana ei
recitò la seguente allocuzione: « Carissimi Fratelli. E il nono mese da che-
io vi lasciai, e mentre ora, benché il Concilio non sia prorogato, io ritor-
no in mezzo a voi col consenso del Santo Padre, e mentre v'impartisco la
sua benedizione, qual atira parola vi posso indirizzare se non quella di
Gesù Cristo: « La pace sia con voi? » La pace! Ma è questo il tempo di
parlare di pace? Sì, miei fratelli, è questo il tempo di parlare della pa-
ce, sì perchè in questo momenlo io ritorno da Roma, e sì perchè ar-
rivo in mezzo a voi. Il mio arrivo da Roma richiede che. io parli della
pace, perchè tutte le fatiche che ora sostiene la Chiesa insegnante, rac-
colta intorno al suo capo, sono fatiche di pace ed arrecheranno frutti di
pace. La sorgente di tutte le turbolenze è Terrore; e quindi il Concilio
nel proclamare la verità arricchisce il mondo della vera fonte di ogni
pace e di ogni salvezza: Veiitas liberabit vos. Yoi lo avrete già ben ri-
conosciuto, miei fratelli, leggendo le due costituzioni dottrinali (inora
promulgate dalla Santa Sede, sacro approbante Concilio. La prima ver-
sa sugli errori degli ultimi tempi, e specialmente su quello che è l'origi-
ne di tutti gli altri, cioè su quello il quale afferma che sono ostili fra lo-
ro le due forze, le quali per lo contrario Iddio vuole che siano io
collegate con vincolo di pace: la ragione e la fede. Questa prima costi-
tuzione del Concilio Vaticano stabilisce dunque i ptincipii di armonia
della kde e della scienza; e li stabilisce con quella irresistibile chia-
rezza, che ha ripieno di giubilo tutti gli occhi amanti della luce. L'altra
costituzione dogmatica dissipa le nubi, che si vollero diffondere fin do-
po il grande scisma di Occidente, sulla stessa regola della fede, sulla
costituzione divina della Chiesa, sntfantorità vivente, che Gesù Cristo
ha stabilita come custode della verità rivelata, promettendole la sua
infallibile assistenza nella guardia di questo sacro deposito, sino alla eon-
summazione dei secoli. Il Concilio ha fatto quello che non polca non fa-
re. Dopo il Concilio di Trento le nubi, di cui parlo, presero un corpo
per mezzo di una celebre formola. Questa forinola, più volte prov
non era stata però finora dommaticamente condannata. Il primo Conci-
lio generale dopo il 1682 non potea passarla sotto silenzio. Esso dun-
que ha parlato, tutte le nubi sono svanite, tutte le tempeste degli ani-
mi si son sedate mercè della proclamazione dommatica della credenza,
che è tanto antica e tanto universa!1, quanto la Chiesa riessa, in torna
all'autorità suprema di Pietro e de'suoi successori nelle definizioni so-
lenni delle dottrine, che toccano alla fede ed alla morale, e nella
danna degli errori che feriscono lima e l'altra. Così, mici fratelli, la pa-
ce si è fatta Degli animi.
« Ma, oimè! nel tempo medesimo che si è fatta negli animi questa pa-
ce, la guerra si è scatenata fra i popoli !
COSE SPETTANTI AL CONCILIO ^31
« La guerra è un flagello, il più terribile forse fra tutti, perchè si stra-
scina dietro gli altri; ed allorché la divina giustizia permette che esso si
scateni, noi dobbiamo unire le nostre preghiere, affin di ottener da Dio,
che ne abbrevii la durata, che vi metta un pronto termine, che tenga
lungi le calamità che minacciano la nostra cara patria. Non mancano se-
gni della divina misericordia verso di noi. 11 contegno della nazione riu-
nita intorno al trono ed al patrio drappello, il rispetto che una tal atti-
tudine ispira ali1 Europa, le assicurazioni che ci arrivano dalle vicine
nazioni, sono ragioni valevoli a sorreggere la nostra confidenza, la quale
però dev' essere confermata ed accresciuta dalla preghiera. Sì egli è me-
stieri che la preghiera del Clero, la preghiera delle anime consecrate a
Dio, la4 preghiera di tutto il popolo fedele, la preghiera comune., a cui
sono state fatte le divine promesse, ci somministri un titolo ad una fidu-
cia anche maggiore. Dall'altro canto noi abbiamo un motivo da sperare
tutto speciale. La Chiesa, io V ho udito dalla bocca stessa del suo Capo,
la Chiesa è contenta del Belgio. Dunque la santa Chiesa nostra madre è
contenta dell'altra nostra madre, cioè della nostra cara patria. 11 Belgio
è fedele alla fede dei suoi maggiori ; il Vicario di Gesù Cristo benedice
di tutto cuore questa fedeltà. Noi dobbiamo nutrire la ferma speranza,
che siffatta benedizione ci apporti felicità, che conservi fra noi la fede
come radice della vita cristiana, e Y unione cittadina come radice del-
l'unione nazionale. »
Appena comparve alla stazione di Namur il Vescovo di quella diocesi
monsignor Gravez, l'immensa moltitudine che stava ad aspettarlo pro-
ruppe nelle acclamazioni di Viva monsignore! Viva Pio IX 1 Viva il Pa-
pa infallibile! Tra queste voci di giubilo egli fu accompagnato sino alla
porta della cattedrale, ove il decano del capitolo gl'indirizzo un breve
discorso a nome del clero e del popolo. Indi cantando il versetto Sa-
cerei os et Pontifex si andò all' altare; e quivi giunto il Vescovo intonò
il Te Deum, che fu proseguito dalla folla che empiva il vasto tempio.
Allora ei sali sul pulpito, e dopo le parole di affetto, colle quali salutò
tutto il popolo quivi raccolto, gli annunziò la definizione del Concilio
in questi termini : Nello scorso lunedì noi abbiamo sentito proclamare
il domma della infallibilità del sommo Pontefice. Questa proclamazione
fu accolta colle vivissime acclamazioni di tutti i fedeli, che ricolmavano
la vasta Basilica di san Pietro; acclamazioni, le quali, ne siamo certi,
avranno un eco potente nei vostri cuori. Il domma della infallibilità del
Papa è stato sempre generalmente creduto nella Chiesa, e soprattutto
nel Belgio; e se fu combattuto, noi fu mai da altri che da alcuni teinera-
rii. Il sommo Pontefice, cedendo alle premurose istanze che gli vennero
fatte, consentì d' introdurre la questione nel Concilia ; e questo avendola
definita affermativamente, ha aggiunta una nuova gemma alla corona
del Vicario di Gesù Cristo.
T32 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
A Bruges monsignor Faict, accolto con simili dimostrazioni di gioia,
per contentare il desiderio ardente del suo gregge, salì ancor egli sul
pulpito, e cominciò con esporre succintamente tutte le maniere di osta-
coli, che il febronianismo e il gallicanismo aveano voluto suscitare con-
tro la proclamazione solenne della infallibilità pontiticia, e racco. ito co-
me dall'altra parte i difensori della verità aveano con prudenza e con
forza sventato i loro maneggi. Dopo ciò venendo a parlare della defini-
zione della grande verità, fece chiaramente vedere conf essa esclude
qualsivoglia tergiversazione e qualsivoglia equivoco. Indi colla forza
della sua eloquenza quasi trasportò gli uditori sotto V immensa nave del
Vaticano. Mostrò loro l'augusta assemblea dei 535 Prelati tutti in piedi
innanzi al Padre comune della cristianità, intenti ad ascoltare la lettura
d1 una costituzione dommatica, aspettata con tanta avidità da tutto Y uni-
verso, ed approvando con sommo trasporto di affetto una definizione
che era l'opera dello Spirito Santo, e finalmente cantando, insieme con
trentamila fedeli, il magnifico inno di sant'Ambrogio.
A Liége venne con simile pompa festeggiato il ritorno di monsignor
de Montpelier, Vescovo di quella diocesi. L'Arcivescovo di Tiro in par-
libus, monsig. de Mercy-Argenleau, parlò in nome di tutto il clero e di
tutto il popolo liegese, congratulandosi col venerabile Pastore per es-
sersi egli tanto adoperato a far proclamare come domma cattolico la
infallibilità del Romano Pontefice nelle decisioni ex cathedra. Questa in-
fallibilità, egli disse, è stata per diciotto secoli la base della nostra fe-
de. Al che rispondendo monsignor de Montpelier, disse che era stata
soprabbondaute la sua allegrezza, nel dare il suffragio favorevole alla
grande definizione; perchè nello stesso tratto che egli allora sentenzia-
va come giudice, sapeva certo di essere il rappresentante e il testimo-
nio della fede ardente, colla quale la sua diocesi avea sempre professata
quella divina prerogativa de'successori di Pietro.
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 733
III.
NOTIZIE VARIE
1. Atti di adesioni di Vescovi alla definizione dell'infallibilità pontificia; men-
tita ad imposture contro l'Arcivescovo di Leopoli — 2. S oniilta di setta-
rii del Konge; e solenne promulgazione del domma dell' infallibilità ponti-
ficia in GriUz ed in Lisbona — 3. Feste a Gibilterra — 4. Circolare del
Radi, ministro dèi Governo di Firenze, circa la promulgazione della Co-
stituzione pontificia intorno alla infallibilità; articoli del Codice penale,
onde sono minacciati i Vescovi ed i parrochi che ne parlassero in modo
spiacevole pel Governo.
1. Continuano a giungere alla Santa Sede gli atti di adesione alla Co-
stituzione e definizione conciliare pontificia sancita e promulgata nella
Sessione IV del Concilio Vaticano ,' p^r parte dei Vescovi che in quel
memorando giorno erano assenti dall' aula vaticana , o che calunniosa-
mente furono messi in voce di poco disposti ad accettarne l1 irreforma-
bile decreto. Infatti ecco quel che leggesi nel Giornale di Roma, n.° 197
del 31 Agosto.
« Grillini e Timi monsignor Arcivescovo di Lione, e monsignor Arcive-
scovo di Leopoli, di rito latino, non che monsignor Vescovo di Autun,
han fatto pervenire alla Santità di nostro Signore, in termini chiari ed
espliciti, Tatto del pienissimo ossequio della loro mente e del loro cuore
alla Conciliare definizione sulla Infallibilità pontificia, sancita e promul-
gata nella Sessione IV del Concilio ecumenico Vaticano.
« E qui è da notare come il predetto monsignor Arcivescovo di Leo-
poli ha energicamente protestato contro la impudente calunnia sparsa a
suo carico da alcuni giornali, che bugiardamente gli attribuirono opi-
nioni sfavorevoli al dogma dell1 Infallibilità pontificia, quando invece e-
gli nello esporlo e dichiararlo ai fedeli avea anche difeso tal dogma dalle
ingiurie e dai cavilli dei malevoli. »
2. Nello stesso Giornale di Roma , n.° 195 del 29 Agosto leggevasi
un'altra nota, intesa a smentire gravi imposture spacciate da giornali
dei frammassoni, circa una supposta scisma di un numeroso clero;, alle
quali favole fanno bel contrapposto le feste celebrate in Gràtz, dove
dicesi avvenuta la scisma in massa. Ecco il tenore della nota del Gior-
nale di Roma. i
« Dai giornali ostili alla Santa Sede si è menato poc'anzi gran rumore
di un apostasia in massa, che avrebbe avuto luogo in Gràtz, in occasione
della pubblicazione del domma dell'Infallibilità pontificia. La verità è
che nella città di Gràtz si è stabilita già da molti anni la sede dei cosi
734 COSE SPETTAMI AL CONCILIO
detti « sema religione o liberi pensatori » sotto la condotta del noto a-
postataRonge. Questi infelici, capitanati da un prete apostata prussiano,
aveano concepito il disegno di fare, nella circostanza della promulgazio-
ne del domma, una pubblica dimostrazione, cui avrebbero dato il titolo
di Apostasia in massa. Se non che la riunione, che a tale effetto erasi
organizzata, venne impedita, e i più furenti di quei disgraziati non po-
terono sfogare il loro mal animo che con parziali dichiarazioni, le quali
raggiunsero il numero di poche centinaia, ben lontano dal migliaio an-
nunzialo dai detti giornali.
« Non si tratta dunque di una nuova apostasia, come gli accennati gior-
nali avrebbero indotto a credere, ma di una sola dimostrazione di anti-
chi apostati, la quale per giunta non sarebbe riuscita ad ottenere che un
ben meschino ed insignificante risultamento.
« Della qual cosa è pure splendidissima prova il fatto, che mimo e
Rnio Mons. Vescovo di Secovia ha solennemente pubblicato, in Gì àtz sua
residenza, il domma promulgato dal Concilio Vaticano, tenendo egli
stesso tre discorsi per ispiegarlo; e ciò non solo senza incontrar difficol-
tà, ma in mezzo ad un numeroso concorso di popolo raccolto e devoto.
« Anche in Lisbona, al dire di siffatti giornali, avrebber dovuto aver
luogo delle contrarietà alla pubblicazione suddetta. Ma i fatti a queste as-
serzioni eziandio hanno inflitto una solenne e consolante smentita, giac-
che questa occasione ha dato invece luogo, in quella città, ad una pub-
blica dimostrazione di venerazione e di affetto alla Santa Sede, che si at-
tuò col festeggiare nel giorno 19 corrente con istraordinaria pompa la
promulgazione del domma dell' Infallibilità pontificia. Questa festa che
riuscì di generale gradimento, venne diretta da una commissione di varii
cattolici e di alcuni ecclesiastici, che costituitasi spontaneamente sotto la
presidenza di monsignor Commissario della B dia della Crociata, aprì una
sottoscrizione per le offerte dei fedeli, e compiè la sua opera con la re-
dazione di un devoto indirizzo al Santo Padre, ora già pervenuto al suo
augusto destino. »
3. Belle dimostrazioni di fede veramente cattolica e di perfetta som-
missione a quanto erasi definito nel Concilio Vaticano si videro pure in
Gibilterra, nella congiuntura del ritorno colà del Vicario apostolico che
regge quella eletta parte del gregge di Gesù Cristo; intorno alle quali
il Giornale di Roma, n.° 197 del 31 Agosto, stampò quanto segue.
« Da una lettera di monsignor Giovanni Rattista Scandella, Vescovo di
Antinoe, Vicario apostolico di Gibilterra, diretta all' Efilo e Rino signor
Cardinale Prefetto di Propaganda, in data de' 6 di questo mese, toglia-
mo quanto segue: « Il mio arrivo in questa città, il 31 dello scorso Lu-
glio, ha offerto a questi fedeli una nuova occasione di far conoscere i
sentimenti cattolici dai quali sono animati. Appena il vapore in cui ve-
nivo, entrava in questa rada, un considerevol numero di battelli con ban-
COSE SPETTANTI AL CONCILIO 735
diere ed altri ornati, e pieni lutti di fedeli vestiti a festa, ci circondò, e
da tutti i petti sortivano ripetute grida di « viva Pio ÌX! viva il Conci-
lio Vaticano! » Tutti questi battelli che sembravano una flottiglia, scor-
tarono quello, in cui io veniva, nel quale guidavano i remi i principali
artigiani. Giunto al molo trovai tutto il clero, che vestito di cotta, cap-
pa, e pluviale, e preceduto dalla Croce parrocchiale era venuto in pro-
cessione ad incontrarmi. Quivi pure m'attendeva una Commissione dei
principali cattolici, scelti in una riunione generale, onde felicitarmi in
nome di tutti. La folla era immensa. Sul molo solo v' erano oltre a cin-
quemila persone, e questo numero non era maggiore per mancanza di
spazio. In mez/o alle più entusiastiche grida di « viva il Papa infallibile!
viva l'infallibilità! viva il Concilio Vaticano » ci recammo alla Chiesa.
Durante tutta la via si rinnovavano le stesse acclamazioni, e la folla era
tale, che a grande stento potè passare la Processione. Giunti nella Chie-
sa, il Clero mi lesse un affettuoso indirizzo. Molto tenero fu il modo, con
che questi fedeli mi congedarono nella mia partenza pel Concilio. La loro
fede fece versare molte lagrime a monsignor Arcivescovo di Granata, a
monsignor Vescovo delle Canarie, e a molti Preti spagnuoli, che mi ac-
compagnavano. Mi è grato però assicurare Vostra Eminenza che assai
più espressiva ed affettuosa fu l'accoglienza, con cui questi fedeli saluta-
rono il mio ritorno. Vostra Eminenza può avere un'idea più esatta delle
disposizioni di questi cattolici dalla descrizione, che della riferita acco-
glienza fu pubblicata in questo foglio semi-ufficiale. Ora oso pregare Vo-
stra Eminenza Urna a degnarsi d'assicurare Sua Santità dei sentimenti
veramente cattolici di questi fedeli, della loro gioia pel decreto della In-
fallibilità pontilieia, e della docilità e sommessione assoluta, con cui ac-
coglieranno tutti i decreti del Concilio. Oggi stesso pubblico officialmen-
te la Costituzione menzionata, e su di essa domani predico nella Chiesa
cattedrale. »
4. Il Governo di Firenze pei suoi giornali giudaici menava gran vanto
della magnanimità, con cui avea permesso ai Vescovi d'Italia di con-
dursi al Concilio, e non avea frapposto verun ostacolo alla piena liber-
tà di questo , per rispetto al principio di Libera Chiesa in libero Stato.
Affinchè si vegga viemmeglio di quale indole fosse questa magnanimi-
tà, riferiremo qui il testo d'una Circolare risercatissima , spedita dal
Raeli,minis!ro di Grazia e Giustizia e dei Culti circa la Costituzione del-
l'Infallibilità pontificia: la quale Circolare venne pubblicata da quasi
tutti i buoni giornali d'Italia, ed è del tenore seguente.
« Firenze, 15 Agosto 1870. In confronto delle dichiarazioni manife-
stale dal Governo nella circolare 29 Settembre 1869, num. 13956, al-
lorché slava per radunarsi in Roma il Concilio ecumenico, avendo ora
notizia della risoluzione del medesimo intorno alla infallibilità del Ro-
mano Pontefice nelle materie di Fede, il sottoscritto, mentre si riser-
736 COSE SPETTANTI AL CONCILIO
va di comunicare le ulteriori determinazioni del Governo per ciò che
concerne la pubblicazione, che dai Vescovi e Parroci volesse farsi del
decreto sulla Costituzione dommatica della delia infallibilità personale
del Papa, invila le LL. SS. ad esercitare la massima vigilanza, riferire,
e, secondo i casi, procedere a termini degli art. 268, 269, 471 del co-
dice penale, qualora in occasione della pubblicazione medesima o per
commenti od esecuzione del decreto anzidetto si commettesse alcuno de-
gli atti delittuosi preveduti dai menzionati articoli. Radi. »
Questa Circolare mette in piena luce V indole della libertà ed indipen-
denza che il Governo di Vittorio Emmanuele II dice di voler guarentire
alla Chiesa ed al sommo Pontefice, e fa presentire a quali eccessi ose-
rebbero trascorrere i suoi Ministri quando regnassero in Roma. Il che sì
fa più evidente dui tenore degli articoli del Codice penale, onde sono
minacciati i Vescovi ed i Parrochi nella citata Circolare, di cui trascri-
viamo il testo.
« Art. 268. I ministri della religione dello Stato e dei culti tollerati,
che nell1 esercizio del loro ministero, pronuncino a pubblica adunanza
un discorso contenente censura delle istituzioni o delle leggi dello Sta-
to, o commettano fatti che siano di natura da eccitare il disprezzo ed il
malcontento contro le medesime, o coir indebito rifiuto dei proprii udi-
zii turbino la coscienza pubblica o la pace delle famiglie, sono puniti
colla pena del carcere da tre mesi a due anni. La pena sarà del earce-
re da sei mesi a tre anni se la censura sia fatta per mezzo di scritti, d' i-
struzioni od' altri documenti di qualsivoglia forma., letti in pubblica
adunanza, od altrimenti pubblicati. In lutti i casi dal presente articolo
contemplati alla pena del carcere sarà aggiunta una multa, che potrà
estendersi a lire duemila.
« Art. 269. Se il discorso, lo scritto, o gli atti mentovati nell' arti-
colo precedente contengono provocazione alla disobbedienza alle leggi
dello stato, o ad altri provvedimenti della pubblica autorità, la pena
sarà del carcere non minore di tre anni, e una multa non minore di li-
re duemila. Ove la provocazione sia susseguita da seduzione o rivolta,
l'autore della provocazione sarà considerato come Complice.
« Art. 471. Ogni altro pubblico discorso, come pure ogni altro scritto
o fatto, non compresi negli articoli precedenti, che siano di natura da
eccitare lo sprezzo ed il malcontento contro la sacra persona del Re, e
le persone della reale famiglia o contro le istituzioni costituzionali, sa-
ranno puniti col carcere o col confino estensibile a due anni e con multa
estensibile a lire tremila, avuto riguardo alle circostanze di tempo e di
luogo e alla gravezza del reato. »
CRONACA
CONTEMPORANEA
Roma 10 Settembre 1870.
GUERRA FRANCO-PRUSSIANA.
1 . Considerazioni sopra i fatti precedenti — 2. Ritirata dei francesi sulla Mo-»
sella — 3. Movimenti dei prussiani ; fatto d'armi del 14 Agosto — 4. Com-
battimento del 16 Agosto — 5. Combattimento del 18 — 6. Riordina-
mento dell' esercito prussiano e sua marcia verso Parigi — 7. Stato di
Parigi e della Francia; orrori della guerra — 8. Potenze neutre — 9. L'Ita-
talia neutrale; discorso del deputato conte Crotti — 10. Circolare diplo-
matica della Prussia sopra lettere di Sua Santità e del re Guglielmo.
1. Abbiamo riferito nella cronaca precedente i fatti d'arme che cam-
biarono le posizioni degli eserciti francese e prussiano sul Reno; e come
l'esercito prussiano abbia preso l1 offensiva mediante i combattimenti di
AYissemborgo, Wòrth o Forbach; passando l'esercito francese alla difen-
siva col concentrarsi sulla linea della Mosella intorno a Metz. Or prima
di raccontare uli avvenimenti posteriori, ci sia lecito fare qualche consi-
derazione sul primo periodo di questa guerra. Notano i pratici che fu
errore gravissimo l'aver disseminato l'esercito francese lungo la fron-
tiera del Nord, in corpi troppo distanti gli uni dagli altri, da non poter-
si dar la mano in un momento di bisogno. Del che seppero profittare i
prussiani, riunendosi in due grandi masse alle due estremità della linea,
per battere con grandissimo vantaggio di numero i due soli corpi di
Mac-Mahon e di Frossard. Ma a quest' errore di piano si aggiunse la con-
fusione al momento dell1 azione. Pare agli intendenti che il gen. Douay.
Serie Yll, voi. XI, fase. 4S2. 47 10 Settembre 1870.
738 CRONACA
doveva ritirarsi da Wissemborgo sopra Haguenau e Strasborgo 1, per
congiungersi a Mac-Mahon e al V corpo e difendere la valle del Reno
appoggiandosi a Strasborgo. La quale operazione Mac-Mahon avrebbe
ancora potuto compiere dopo la disfatta di Douay, invece di avventurarsi
con 45 mila uomini a Wòrth contro V esercito del Principe ereditario,
che egli non poteva ignorare esser forte almeno di < Itre a 100 mila uo-
mini. Le relazioni prussiane infatti sono unanimi nelPasserire che il Prin-
cipe ereditario non voleva sulle prime credere air attacco di Mac-Mahon
e lo riputò per qualche tempo una finzione. Ma anche dopo la battaglia
di "Wòrlh, a giudizio di persone peritissime, potevasi forse ancora ovvia-
re al male. Ma lo stato maggiore francese volle portare l'esercito a Metz
e difendere la linea della Mosella. La qual linea è troppo breve: ne le
truppe del maresciallo Bazaine erano sufficienti per impedire ai prus-
siani, quasi doppii di numero, di girare la loro destra per Nancy, pren-
derli alle spalle, chiuderli in Metz e incamminarsi sovra Parigi in for-
ze tali da battere il secondo esercito francese che si stava formando a
Chàlons.
Dicesi che il gen. Changarnier, venuto spontaneamente a Metz, alla
notizia delle disfatte dei francesi, desse il consiglio di battere lentamente
?n ritirata anche da Metz, e di concentrarsi a Chàlons. Tale era pure il
consiglio che gli strategisti inglesi davano quasi unanimamente 2. Ma
questo consiglio traeva seco grandissimi inconvenienti In primo luogo
una ritirata troppo precipitosa avea per effetto di abbattere il coraggio dei
sei corpi di esercito rimasti ancora intatti; in secondo luogo non lasciava
tempo al Governo francese di organizzare un secondo esercito; in terzo
luogo non impediva per nulla ai prussiani di unire tutti i tre eserciti : e
i tre eserciti prussiani riuniti sommando a circa 400 mila uomini, non
era possibile che si potessero raggranellare, né a Chàlons uè a Parigi,
forze sufficienti per combatterli, nel breve tempo che potea durare la
marcia dei prussiani.
Un altro partito era consigliato da persone peritissime. Né, se ben si
considera, era più pericoloso di quello al quale si è dato la preferenza.
Questo partito consisteva nell' operare colla massima possibile celerità
un movimento di fianco (sempre pericoloso è vero in teoria) sulla fronte
dei prussiani, e portare dietro ai Vosgi tutto l'esercito francese nella
valle del Reno. Il c^rpo di Failly e quello di Douay, nonché le truppe
1 Essendo slato accasato il Douty di temerità per aver accettata battaglia a Wisseniborfto, dobbia-
ino dire h<I onor del vero ch« Tani frantali asseriscono «ter egli aspettato i prussiani prr or.in,
si di Napoleone, il qn,ile ani-or* «Ha vigilia del combattimento gli comandava di resistere lino al-
l'un imo momento in raso d'aUacco.
5 Vegiransi a tal proponilo varii articoli pubblicali dal Time» fra il 10 e il 15 Agosto e scritti evi-
dentemente da abili ufficiali deli' esercito inglese.
CONTEMPORANEA 739
raccolte a Sarrebourg e la Guardia imperiale che era a Nancy, vi si po-
tevano portare comodamente per ferrovia prima dei prussiani ; e sareb-
bero stati così oltre a 100 mila uomini in Strasborgo, prima che i prus-
siani avessero pennato a minacciarla. Il resto dell'esercito poteva sfilare
più comodamente dietro la Mosella, e valersi delle numerose ferrovie
che, mediante un circuito un po' più lungo, lo avrebbe trasferito fresco
sotto Strasborgo. Ora un esercito di 200 mila uomini a Strasborgo ave-
va sopra la posizione di Metz diversi grandi vantaggi. 1." Si appoggiava
ad una piazza più forte e meglio provvista che Metz ; giacché, se non
altro, asseriscono varii giornali che vi erano dentro 200 mila fucili, dei
quali altrove difettò l'esercito francese. 2.° Minacciava il Baden egli
Stati del Sud costringendo i prussiani a mantenervi grossi corpi di osser-
vazione. 3.° Operava in una valle assai ristretta che non ha più di 60 ki-
lometri di apertura, nella quale un esercito anche inferiore di numero
poteva occupare tutta la linea di battaglia e far fronte ad un esercito
anche più numeroso. 4.° Aveva alla sua destra il Reno, fiume quasi im-
possibile a passare se guardato da buone forze; e alla sinistra i Vosgesi
impraticabili ad un esercito numeroso. 5.° Copriva l'Alsazia che invece
è rimasta in preda ai prussiani. 6.' Copriva i quattro quinti della Fran-
cia e aveva le sue comunicazioni libere con Lione, col Mediterraneo e
con Tolone. 7.° In fine minacciava talmente il fianco sinistro e le spalle
del grande esercito prussiano, che esso non avrebbe potuto inoltrarsi
nella Lorena e nella Sciampagna, senza vedersi minacciate e quasi anche
chiuse le sue comunicazioni colla Germania; perchè appena 1" esercito
prussiano si fosse avvicinato a Verdun, i francesi erano più vicini a Saar-
bruk che i prussiani. Questo piano aveva però due gravi inconvenienti.
1.* la difficoltà di compiere quell'operazione; 2.6 il pericolo di lasciare
Parigi scoperta, e forse questa seconda fu la diflìcol à più temuta. Giac-
ché l'idea di lasciar Parigi, anche per un momento in mano ai prussiani,
non potea entrare in capo ad uomini che fìn'allora aveano sempre sacri-
ficata la Francia a Parigi. Ma ritorniamo al racconto.
2. L'esercito prussiano avanzavasi in tre colonne verso la Mosella. La
destra, cioè V esercito di Steimnetz, dopo aver rioccupata Saarbruk e
costretto alla ritirata il corpo di Frossard, marciava direttamente su Metz
per Forbach, St. Avold e Pange. 11 grande esercito prussiano del centro,
sotto il comando del principe Federico Carlo, e col quartier generale
principale del re Guglielmo, descriveva un circuito a sinistra per Saa-
rable, Saarunion, Albertsoff, Morhauge, Delme, Nomeny, dirigendosi
verso Pont-à-Mousson sulla Mosella, a mezza strada fra Metz e Nancy;
lanciando dei corpi staccati specialmente di cavalleria, di cui abbonda
l'esercito prussiano, (ino a Saarburgo, Luneville e Nancy, cioè molto
avanti sulla sua sinistra. Il che taceva per premunirsi contro un assalto
740 CRONACA
da quella parte che restava esposta Terso il centro della Francia, ed apri-
re la via al 3° esercito del principe Federico Carlo, che dopo la vittoria
di Wórih inseguiva gli avanzi del 1° corpo francese di Mac-Mahon, de-
scrivendo una curva parallela agli altri due eserciti prussiani, ma assai
più vasta, e formando Y estrema sinistra di tutte le forze tedesche. Il
Principe ereditario, lasciati dei distaccamenti lungo la strada e innanzi
a Pbaìsboorg, per mantenere le comunicazioni col corpo badese che as-
sediava Strasborgo, e coi corpi degli Stati minori che occupavano i di-
partimenti francesi dell'alto e basso Reno, avanzavasi per Sarrebourg e
Luneville sopra Nancy e Toni. I tre eserciti prussiani eseguivano per-
tanto una grande conversione a destra. Le teste di colonna dei tre eser-
citi che il 3 Agosto formavano una fronte verso il mezzodì, lunghesso
la frontiera francese a Saarbruk, Due Ponti e AYissemborgo, avevano
eseguito un gran movimenta di fianco a destra e trovavansi rivolti nel-
lo stesso ordine ad occidente innanzi a Metz, Pont-a-Mousson e Nancy.
Solamente la destra di Steimnetz, come quella che aveva dovuto descri-
vere il circolo più vicino al centro, fu in tre giorni innanzi a Metz; il cen-
tro del principe Federico Carlo arrivò a Pont-a-Mousson, tre o quattro
giorni più tardi; e la sinistra che essendo più lontana, aveva il maggior
circolo a descrivere, da superare i Vosgesi, e dovea guardarsi con più
vigilanza, arrivò molto più tardi sulla Mosella, cioè durante i fatti d'ar-
me che descriveremo.
L'esercito francese dal canto suo operava la propria ritirata, prece-
dendo di poche tappe il nemico. Frossard che veniva da Saarhruk fu il
primo, perchè il più vicino, a rientrare in Metz. Il corpo di Failly, che tro-
vavasi presso Bitche, sentendo di avere l'esercito di Steimnetz sulla sua
sinistra, si ritirò indietro sopra Nancy, coperse la ritirata di Mac-Mahon
e segui gli avanzi del 1° corpo fino a Chàlòns; la Guardia' imperiale e
gli altri corpi che già s%vano sulla Mosella poterono senza difficoltà rac-
cogliersi intorno a Metz in posizioni abbastanza vicine da darsi co-
modamente la mano in caso di bisogno. Ma il 1° corpo di Mac-Mahon
tutto disordinato per le enormi perdite toccate a Wòrth, non potè, co-
me abbiamo detto, recarsi in linea col resto dell' esercito. Per Saar-
bourg, Luneville, Toul, Commercy sfilò sulla destra del resto dell'eser-
cito e venne a raccogliersi a Chàlons cioè a 80 miglia dietro la Mosella,
fra Metz e Parigi (dove stavano organizzandosi in fretta altri due corpi
francesi) per riordinarsi e rimettersi in istato di tener la campagna.
L'esercito francese trovavasi pertanto, dopo la ritirata, disposto nel
seguente modo. Cinque corpi d'esercito e la Guardia cioè 150 a 170
mila uomini sulla Mosella fra Pont-a-Mou^son e Metz, sotto il conian-
do del maresciallo Bazaine; a Chàlons sulla Marna due corpi in forma-
zione, quello di Failly e il corpo di Mac-Mahon per riordinarsi, cioè
CONTEMPORANEA 741
altri 100,000 uomini sotto il comando di Canrobert. Più il 7° corpo di
Douay che trovavasì Terso gli otto Agosto sui Vosgesi presso Colmar
colle riserve della cavalleria, e che raggiunse molto più tardi il 2° eser-
cito francese a Chàlons.
In Parigi intanto si organizzavano alacremente i soccorsi. Appena
avuta contezza degli avvenimenti di ^Vissemborgo , Wòrth e Saar-
bruk, r opinione pubblica in Francia si mostrò sbalordita dell'infe-
riorità numerica in cui trovavasi l'esercito francese, rispetto al prussia-
no; e della imprevidenza colla quale il Governo erasi accinto alla guer-
ra. Il primo scoppio di questa irritazione si manifestò colla cacciata dal
Corpo legislativo del Ministero che avea dichiarato la guerra. Gli venne
surrogato un Ministero composto degli uomini più energici che si co-
noscessero fra i più fedeli bonapartisti, presieduto dal Duca di Palikao,
ministro della guerra. Primo aliare del nuovo Ministro della guerra fu
di organizzar nuove forze. Parigi aveva ancora una guarnigione di 30
mila uomini , che si tenevano nella capitale per timore dei repubblicani
che si sapevano numerosi e disposti a qualche partito arrischiato. Il
Ministro della guerra chiamò a Parigi i cannonieri e le truppe di mari-
na, le guardie di dogana, i pompieri di tutta la Francia che sono orga-
nizzati militarmente. Un tentativo insurrezionale fatto alla Villette venne
represso e punito coir applicazione della legge stataria. Le truppe di
Parigi rimaste in libertà vennero spedite a Chàlons chiamando ad ingros-
sarle tutte quelle che erano disseminate nei depositi e nelle guarnigio-
ni di tutta la Francia. Con queste truppe si formarono a Chàlons
due nuovi corpi d'esercito forti di 35 mila uomini cadono, i quali col
corpo di Mac-Mahon, con quei di Douay e Failly e qualche rinforzo di
volontarii, costituivano un nuovo esercito di 180 mila uomini. Dietro a
quest'esercito organizzavasi la guardia mobile che in un mese potea da-<
re un 150 mila uomini sufficientemente formati. Il tutto stava nel po-
ter guadagnar questo mese; e questo me^e appunto i prussiani coli' e-
nergia dei loro attacchi e colla rapidità delle mosse intendevano nega-
re al nemico. ;
3. Steimnetz,che si era mosso il 7 Agosto da Saarbruk colla sinistra
prussiana, fu, a quanto pare, l'8 a Forbach, il 9 a St. Avold, il 10 fra
Faulquemont eFouligny coi posti avanzati a Pange eCourcelles ad otto
o dieci miglia di fronte a Metz. L'esercito del centro prendendo una via
più lunga sulla sinistra di Steimnetz si avanzò per Saarable, Saarunion,
Altroff, Helliwer; Gros Tenquln, Morhange, Derme, Sologne, e venne
ad arrestarsi fra Herry e Nomeny sulla sponda della Seille piccolo af-
fluente della Mosella, dalla quale si scosta in media un cinque miglia e le.
è quasi parallelo fin verso Metz dove si unisce al fiume principale. Que-
sto movimento del centro dell'esercito prussiano era compiuto fra il 12
"42 CRONACA
e il 13 Agosto. Da questo esercito numerosi corpi di cavalleria span-
devano a dieci o quindici miglia innanzi e tal fiata anche più, minac-
ciando Nancy, che posero a contribuzione, Toni, Luneville e periino
Bar le Due che è a mezza via fra Nancy e Chàlons. Questi due eserciti
prussiani, che conlavano fra i 250 e i 280 mila uomini, si prepararono
immediatamente a restringere in Metz tutto l'esercito di Bazaine che
ne contava 160 mila. Scopo evidente dello stato maggiore prussiano
era di provocare Bazaine ad un combattimento definitivo che assicu-
rasse la superiorità ai prussiani nel momento in cui Y esercito del Prin-
cipe ereditario che veniva da Wdrth, fosse arrivato a Nancy, oppure sfi-
nirlo tanto da poterlo tener chiuso nelle mura di Metz. E ciò perchè, in
caso di non riuscita, l'esercito del Principe reale venisse in soccorso agli
altri due, e in caso contrario potesse inoltrarsi nella campagna senza
paura di essere molestato alle spalle ed attaccare l'esercito di Chàlons
prima che si avesse avuto tempo di compierne 1' organizzazione. E sic-
come il centro e la destra prussiana, che erano superiori di circa cento
mila uomini a Bazaine, non avevano motivi di aspettare il terzo eser-
cito del Principe reale per Y attacco; quindi si disposero ad investire
F esercito francese che, a quanto pare, il 13 era ancora a cavallo, co-
me dicono, sulla Mosella, e ne difendeva il corso lungo quel tratto del
fiume che scorre fra Metz e Pont-a-Mousson,e, ridiscendendola sulla riva
sinistra per Thiancourl, Gorze e Mars-la-Tour, venire a racchiudere
Teserei to francese nel campo trincerato di Metz. Questo piano, come
ognuno vede, era formato su quello tanto celebre di Napoleone 1, quan-
do nel 1805 racchiuse Mak a Ulma, e taglandogli la ritirata lo costrin-
se ad arrenderai con tutto il suo esercito, senza sparare un colpo.
Dal canto suo il maresciallo Bazaine doveva, senza arrischiare una
battaglia decisiva (nello stato di inferiorità numerica in cui trovavasi il
suo esercito), per una parte opporre una resistenza abbastanza energi-
ca da trattenere tutto l'esercito prussiano sulle sponde della Must Ila, e
tale d'altra parte da non lasciarsi chiudere adatto nelle mura di Metz
ove sarebbe stato difficile procurarsi a lungo i viveri per sì gran quan-
tità di truppe e, ciò che più monta, i foraggi per la cavalleria. In tale
stato di cose era impossibile che non seguissero frequenti e sanguinosi
fatti d'arme, essendo nello scopo delle due parti contrarie di affrontarsi:
i prussiani per ridurre affatto all'impotenza queir esercito ancora consi-
derevole, e i francesi per obbligare il nemico a perder tempo sulla Mo-
sella. Pertanto Bazaine, fino a che non ebbe a fronte che il corpo di
Steimnelz, mantenne una parte delle due truppe sulla sponda destra fra
la Mosella e la Seille; e soltanto al mattino del 14, quando si vide a
fronte anche il centro dell' esercito prussiano, diede ordine di passa-
re sulla sponda opposta. Infatti forti ricognizioni di cavalleria prussiana
CONTEMPORANEA 713
erano già comparse nei dintorni di Toni sulla sinistra del fiume, e di-
scendendolo potevano prendere 1" esercito francese di fianco e alle spalle
in quel momento critico che è sempre il passaggio di un fiume. Bazaine
pertanto, quando ebbe veduto forze imponenti spiegarsi sulla sua fron-
te, e minacciare la sua sinistra, die ordine alle truppe che stavano an-
cora sulla sponda destra di passare sulla sinistra per Pont-a-Mousson.
Forse i prussiani aspettavano che fossero arrivate le truppe dirette dalla
parte di Toul, per discendere la Mosella sulla sponda destra e attaccare
di fianco la posizione de' francesi; epperciò non si erano mossi dalle lo-
ro posizioni sulla Seille. Infatti in tutta la mattina del 14 essi non in-
quietarono i francesi nel loro passaggio per Pont-a-Musson. Ma poi
vedendo che la giornata si inoltrava, che il corpo prussiano (grazie alle
piogge che rendevano le strade assai difficili ) non compariva, si deci-
sero ad attaccare il nemico sperando di far toccare almeno un grave
danno alla retroguardia francese che trovavasi ancora alla destra della
Mosella.
Prima di narrare i fatti, per mettere in luce, in quanto potremo, la
verità, conviene fornire alcune indicazioni topografiche, la cui mala in-
telligenza ha dato luogo alle più strane confusioni nella massima parte
delle relazioni che si hanno dei fatti d'arme avvenuti sotto Metz. E
prima di tutto conviene aver ben presente che la città forte di Metz è
posta a cavallo della Mosella, e il campo trincerato che la circonda si
estende egualmente sulle due sponde del fiume. In secondo luogo con-
viene sapere che i francesi facevano fronte verso i prussiani lungo la
Mosella, appoggiando la sinistra a Metz e la destra a Pont-a-Musson,
con varii corpi che stavano ancora sull'altra sponda, ma che il 14 passa-
rono il fiume quando si videro a fronte tutto il centro dell1 esercito
prussiano. In terzo luogo che questo tratto della Mosella fra Metz e
Pont-a-Musson è brevissimo, cioè non più di 15 miglia italiane; e che
perciò la Mosella poteva essere passata senza grandi difficoltà sia sulla
destra dei francesi verso Nancy, sia sulla loro sinistra fra Metz e Thion-
ville. la ultimo bisogna osservare che i francesi, sia il giorno 14 quan-
do avvenne il primo combattimento, nel quale i prussiani tentarono di
sbaragliare i corpi che tentavano ripassare la Mosella, sia nei giorni
successivi, potevano sempre sboccare dal campo trincerato di Metz
sulla riva destra del fiume, cioè dalla parte ove stavano i prussiani.
Questi quattro fatti che son certi, serviranno assai a sceverare la ve-
rità nella confusione di tante relazioni e di tanti commenti. Infatti che
cosa dissero i dispacci tanto francesi quanto prussiani, dispacci che fu-
rono trovati contraddittori*!, ma che pure possono sufficientemente ac-
cordarsi, anzi si accordano tanto quanto si possono accordare le infor-
mazi ni di due quartieri generali che occupano due diverse località, han-
no oggettivi diversi, e procedono con diversa tattica? Vediamolo.
744 CRONACA
Un dispaccio di Parigi 15 dicevache il 14, verso le 2 pomeridiane, gli
scorridori prussiani erano comparsi a 1500 metri della città di Toul.
Intimarono la resa; ma Tennero respinti. È chiaro che erano scorridori,
e nulla più, perchè si ritirarono. Lo stesso dispaccio li fa salire a 200
ulani. Il prefetto della Mosa annunziava cohtemporaneamentc la com-
parsa di prussiani verso Vigneulles, dieci miglia di qua da Pont-a -Mous-
son, proprio dietro ai francesi; ma anche qui non avvenne nulla di se-
rio. Indizio anche questo che.erano scorridori. Questa cavalleria prus-
siana, fidente nella sua rapidità, si spinge arditamente frammezzo al ne-
mico, gitta lo sgomento nelle popolazioni, ma precede sempre di dicci,
quindici, e anche venti miglia le truppe di linea. Questi ulani non po-
tevano essere altro che i primi esploratori del corpo prussiano che, co-
me dicemmo, avea passato la Mosella presso Nancy e ora la discende-
va lungo la sponda sinistra per attaccare i francesi nell'atto di passare
ì\ fiume a Pont-a-Mousson, mentre il grosso dell" esercito prussiano li
avrebbe spinti con forza verso il fiume che si apprestavano a passare.
Ma sentiamo ora la relazione del fatto. Napoleone telegrafava la sera
del 14: « Tarmata (francese) incominciò a passare sulla riva sinistra.
Al mattino i nostri esploratori non avevano segnalato la presenza di
alcun corpo ; ma quando la metà dell'armala fu passata, i prussiani
Fatlaccarono con grandi forze. Dopo una lotta di quattro ore furono
respinti con grandi perdite. » Questo dispaccio è datato da Longuevil-
le, paese posto sulla riva sinistra della Mosella fra Metz e Pont-a-Mous-
son, ove era il quarlie.r generale imperiale. Ciò significa che i francesi,
malgrado gli attacchi prussiani, avevano compiuto il passaggio della
Mosella riuscendo a trattenere i prussiani sulla sponda opposta meno
quel corpo che Tavea passata presso Nancy. Vediamo ora se i dispacci
prussiani contraddicono. Ecco come parla re Guglielmo : • Domeni-
ca (14) alle 4 pomeridiane la nostra avanguardia segnalò la partenza di
un corpo francese. Immediatamente la brigata Gotz attaccò la retro-
guardia del corpo di Decaen con tale veemenza, che questo corpo, o
il corpo di Frossard, dovette soccorrerla. 11 generale Glimmer si avanzò
colla 2a brigata mentre le divisioni Kaineve e Wrangel attaccarono ì
nemici sulla sinistra e respingevano il nemico dietro i forti. » Questa
parte del dispaccio dee riferirsi al combattimento avvenuto sulla Mosel-
la, impegnato dalla brigata prussiana di Goltz quando si avvide che i
francesi si ritiravano dalla Seille per andare di là della Mosella ; e
questo combattimento ha avuto luogo fra la Seille e la Mosella in faccia
a Pont-a-Mousson. 11 seguito del dispaccio si riferisce ad un episodio
considerevole della medesima giornata. Il corpo di Ladmirault che non
era sulla Mosella, già nel campo trincerato di Metz, vedendo che i
prussiani attaccavano il corpo di Decaen , uscì fuori dalle trincee per
CONTEMPORANEA 745
operare una potente diversione sulla destra del nemico. Il dispaccio lo
dice in termini assai chiari. « Nello stesso tempo (prosegue il dispaccio
prussiano e quelle parole nello sfesso tempo paiono indicare eviden-
temente una differenza di luogo) il corpo di Ladmirault tentò prendere
il fianco destro (cioè prenderci di fianco alla destra) del 1° corpo d'ar-
mata, ma fa respinto nella città (il che sembra supporre che era usci-
to dalla città) da ManteulTel. Le nostre truppe si spinsero tino ai forti
più avanzati di Bellecroix e Bonus; » che sono precisamente le opere
avanzate del campo, sulla sponda destra in l'accia ai prussiani. La stessa
cosa si desume dal dispaccio del re Guglielmo della sera del 14.
« L'avanguardia del 7 corpo attaccò il nemico ; questo prese posizione e
si rinforzò con truppe uscite dalla fortezza. » Il re Guglielmo il quale si
trovava ad Heruy sulla sponda destra e a sud-est di Metz assistè a que-
sto fatto d'arme e non a quello che comhattevasi in faccia a Pont-a-
Mousson; ed è pertanto naturale che parli più diffusamente di questo
che di quello.
Da queste relazioni si può intendere come ambe le parti si siano at-
tribuito il buon successo di quella giornata. I francesi perchè, grazie al-
la forte resistenza opposta, e alla diversione di Ladmirault, poterono
continuare il movimento di passaggio della Mosella e compierlo. 1 prus-
siani perchè avevano respinto Ladmirault entro Metz, e compiuto i!
primo passo verso 1' investimento che disegnavano del nemico sotto le
mura di Metz, avendolo sloggiato da tutte le posizioni che occupava
ancora poche ore prima sulla destra della Mosella; meno quelle che
stavano nel campo trincerato di Metz, dove appunto il re Guglielmo as-
serisce con verità di essersi spinto sulla città; ma non sulla sponda
opposta dove i francesi tenevano ancora la campagna e avevano il quar-
tier generale a Longueville a 5 miglia al sud di Metz.
Nella giornate del 15 non vi furono gravi combattimenti. Le due di-
visioni prussiane Wrangel e Kaineve che avevano passato la Mosella fin
dal 14, inquietarono alquanto la destra francese; ma i prussiani non si
sentivano forti abbastanza da impegnare un'azione sèria; i francesi
d'altra parte Volevano evitare il conflitto per preparare lo sgombero di
Metz, e la loro ritirata a Verdun sulla Mosa, un 20 miglia più indietro,
4. Ma i prussiani non intendevano permettere a Bazaine di ritirar-
si tranquillamente. Nella giornata del 15 il corpo di Steimnetz aveva
disceso la sponda destra della Mosella verso Thionville per passare
questo fiume all'altezza di Briey e attaccare le colonne francesi che per
Briey tentavano allontanarsi, e seguendo la via di Etain andare a Ver-
dun. L'esercito del principe Carlo, stilando per Pont-a-Mousson, si por-
tava sul lato opposto dei francesi e per Thiamourt e Gorze cammi-
nava perpendicolarmente sopra Mars-la-Tour, che è là prima tappa
746 CRONACA
sulla strada diritta fra Metz e Verdun, dove intendea ritirarsi il gros-
so delP esercito francese. Pare che il 16 Agosto già i primi corpi del-
l'esercito del Principe ereditario avessero raggiunto quello del prin-
cipe Carlo; giacche, secondo racconti prussiani che crediamo esatti, i
corpi 2° e 12° che abbiamo veduto figurare al combattimento di Wis-
semborgo si trovarono impegnati nella battaglia di Gorze. Da un'occhia-
ta data sopra una pianta dei luoghi, facilmente si scorge che l'eser-
cito francese, cogli immensi suoi bagagli, per facilitarsi la ritirata se-
guiva tre vie quasi parallele : l'ima è più a mezzodì che va direttamen-
te da Metz a Verdun per Gravelotte, Mars-la-Tour e Manhoelles;
ma al Nord è alquanto più lunga che quella che per Briey e Conflaus
si va a riunire a Etain alla strada di Briey. Quest' ultima strada
serviva ai bagagli; le altre due, come le più esposte, erano per-
corse dalle truppe combattenti. L'esercito prussiano diviso in due cor-
pi principali attaccò i francesi sui due fianchi: quello di Steiranetz,
passata la Mosella fra Mezières e Mondelauge, venne ad assalire di
fianco le truppe che marciavano più al Nord per Briey verso Etain; men-
tre Peserei to del principe Carlo, camminando da Pont-a-Mousson verso
il Nord, moveva contro l'altra parte dell' esercito che sfilava fra Grave-
lotte e Mars-la-Tour. Se non che questo secondo esercito, come quel-
lo che avea già passato il fiume fino dal giorno avanti e avea presa la
strada più breve, arrivò assai prima al convegno che non quello di
Steimnetz, che doveva passar la Mosella e descrivere un gran circuito fi-
no a Briey. Abbiamo adunque ancor qui due battaglie distinte in una
sola giornata, come avvenne ai tempi di Napoleone I a Jena e Aner-
stàdt. I francesi nell'uscir da Metz seguivano due vie divergenti : una
allOvest verso Verdun col grosso delle loro forze; una seconda col ri-
manente al Nord-Ovest per Briey. Vi furono adunque due combatti-
menti contemporanei, ma distinti; uno del grosso dell' esercito francese
con quello del principe Carlo; e un altro del resto dell'esercito francese
coll'esercito di Steimnetz. E cosi, come il 14 eranvi stati due combatti-
menti a Pont-a-Mousson e Boruy, ve ne furono parimente due il 10 a
Mars-la-Tour e a Briey. In tal guisa per lo meno si spiegano le appa-
renti contraddizioni dei telegrammi.
I francesi camminavano con fiducia lungo queste vie, non credendosi
seriamente inquietati dal nemico. Relazioni di testimonii narrano anzi
la sorpresa della truppa che non sapea spiegarsi quel movimento retro-
grado, quando non si vedea ancora nessuna grave minaccia del nemico.
Ma ben presto si vide che il maresciallo Bazaiue non avea peccalo cerla-
meiitc di soverchia prudenza; anzi avea di troppo ritardata la ritirata.
Infatti i prussiani nella giornata del 15 non aveano ammassato pieno di
cinque corpi intorno a Gorze; i quali si tenevano nascosti nella campa-
CONTEMPORANEA 747
gna, o dietro alle macchie. Essi lasciarono sfilare gran parte dell'eserci-
to fin verso al mezzodì. 0 speravano in tal guisa trarlo tutto fuori dalla
protezione del fuoco del campo trinceralo, o voleano dar tempo a Steim-
netz di eseguire il suo movimento più difficile verso Brey. Ma alla fine,
vedendo the Steimnetz tardava e che i francesi stavano per allontanar-
si, essi uscirono fuori dai loro nascondigli e attaccarono i francesi con
tanta furia, che il nemico sorpreso dovè cedere un momento. Tutte le
narrazioni concordano nel dire che quella battaglia fu micidialissima.
Da ambe le parti si pugnò con furia. I francesi seguivano le strade che
si trovavano protette dall'alture, e attaccavano con impeto il nemico;
questo, più numeroso dell' avversario, combatteva con pari accanimen-
to, ma con maggiore accorgimento. L'artiglieria prussiana possiede un
gran nomerò di cannoni di picciol calibro, che si possono colla massima
celerità trascinare sulla fronte dell'esercito: questi coprono il nemico
di granate; quando ii nemico si avanza per impadronirsi dei pezzi, gli
artiglieri attaccano gli avantreni e fuggono a precipizio, lasciando le co-
lonne nemiche sotto il fuoco di nubi di bersaglieri che le decimano riti-
randosi sempre, lino a che queste colonne decimate e spossate dalla
caccia si arrestano o vacillano, e allora si avanza la truppa fresca ed
impegna la zuffa ali1 arma bianca, con molte condizioni di buon succes-
so. I francesi hanno anche le loro mitragliatrici le quali producono ef-
fetti spaventevoli, quando si scaricano sovra masse nemiche; ma i
prussiani lo sanno e non avanzano contro di esse che stesi alla bersa-
glici. Tuttavia queste regole tattiche non si possono sempre osserva-
re. Quando una fronte di battaglia si estende per venti o venticinque
chilometri, molta parte degli avvenimenti è dovuta al caso o all' inizia-
tiva dei capi subalterni ; nella qual parte i francesi sono superiori ai
prussiani e per risolutezza personale e per iniziativa dei capi di corpo.
Perciò il combattimento del 18 fu in molti p nti una vera mischia e fu
piena di illustri episodii, i quali riferiti paratamente presentano una cer-
ta confusione, perchè in altri punti si combattè rimessamente. 1 prussiani
ripeterono a più riprese gii attacchi, specialmente verso Mars-la-Tour,
che i primi corpi francesi avevano già passato, dirigendosi a Verdun.
Questi tornarono addietro e su questo punto la pugna fu terribile. I prus-
siani volevano ricacciare indietro i francesi verso Metz; questi volevano
mantener libero il passaggio e proteggere la sfilata dei bagagli che in-
tanto operavasi per l'altra strada che corre dietro a quella per Grave-
lotte, Conflaus, Etain. La destra dell'esercito del principe Carlo attaccava
contemporaneamente Gravelotte che è quasi a portata del tiro delle pri-
me opere avanzate del campo trincerato di Metz. Anche qui l'azione si
impegnò vivissima e si combattè fino a notte inoltrata. Ma i prussiani fu-
rono alla (ine respinti indietro di Gravellolte. A Mars la-Tour il successo
fu indeciso. I francesi si mantennero a Mars-la-Tour fino a notte; ma do-
7Ì8 CRONACA
Tetterò poi abbandonarla, per prendere una posizione più indietro per le
ragioni che stiamo per dire. In primo luogo Bazaine, vedendo di essere
proprio attaccato dal grosso dell'esercito prussiano, non potea presumere
di continuare la sua marcia sotto il fuoco di un nemico superiore di nu-
mero, e quindi dovea rassegnarsi a mantenere le sue posizioni dietro a
Metz. In secondo luogo sul cadere della giornata Steimnetz, la cui marcia
era rimasta ritardata non si sa perchè, comparve finalmente di qua dalla
Mosella e attaccò i francesi che seguivano la via di Briey. Ma egli arrivò
troppo tardi, quando cioè i prussiani avevano veduti infruttuosi i loro
atlachi; le divisioni francesi, che stavano su quella strada, soccorse dal-
la Guardia imperiale, tennero anche da quella parte in rispetto i prus-
siani; i quali del resto, assai probabilmente, non erano ancora arrivati
sul luogo in numero sufficiente da impegnare un'azione di riguardo.
Intendendo così la cosa si spiega ancora come le due parti si siano
attribuita la vittoria nella giornata del 16. I francesi avevano respin-
ti tutti gli attacchi, presa in parecchi punti con buon successo l'offen-
siva: ed erano rimasti padroni del campo di battaglia. La vittoria tatti-
ca, direni così, era dei francesi; ma dei prussiani era la vittoria strate-
gica. Essi avevano cioè raggiunto lo scopo di impedire la ritirata di Ba-
zaine per Mars-la-Tour, e costretto i francesi a sgombrare quel villag-
gio, intorno al quale le forze prussiane vennero a concentrarsi nella suc-
cessiva giornata per tagliare affatto la ritirata ai francesi, e dando bima-
no alle truppe del Principe ereditario che affluivano a Nancy, mettevano
da questa parte fra l'esercito francese e la Mosella un esercite tale da
impedirgli il passo verso quel iiume. Perciò il risultato strategico fu
dei prussiani, i quali tagliarono la miglior linea di ritirata ai francesi, e
li restrinsero sotto Metz; dove in breve doveano difettare di provvigio-
ni sì da guerra e sì da bocca.
5. Ma malgrado questo successo strategico, l' investimento di Metz e
dell'esercito di Bazaine non era ancora compiuto. Gli restava infatti an-
cora libera la strada di Thionville e di là per Longuyon e Monlmedy
verso Rheims e Chàlons. Il corpo di Steimnetz, dopo la non riuscita del
16, per la difficoltà delle posizioni e per non essere da sé solo in forze
da poter reggere contro l'urto di tutto l'esercito francese, non investiva
totalmente il nemico. Ad ogni modo è chiaro che V investire intiera-
mente una piazza, che col campo trincerato ha più di dicci chilometri di
diametro, ed è presidiata da 140 mila soldati, non è opera tanto facile.
Bisogna che l'esercito assediantc si riunisca in grandi masse sovra tre
o quattro punti del circuito, e l'esercito assediato può, col cadere im-
provvisamente sovra un solo di questi corpi, schiacciarlo prima che ab-
bia ricevuto dagli altri un soccorso di qualche importanza.
Perciò la condizione di Steimnetz era, la mattina del 18, alquanto peri-
colosa. Egli stava a cavallo della ferrovia Metz-Tliionville e della Mosel-
CONTEMPORANEA 749
la, come l'annunziò un dispaccio del re Guglielmo; mentre l'esercito del
principe Carlo stava Ira Gorze e Mars-la-Tour separato da Steimnetz dal-
le colline per le quali passano le strade a Conflaus e a Briey che erano
ancora occupate dai francesi. Perciò il maresciallo Bazaine, lasciate ripo-
sare le sue truppe nella giornata del 17, durante la quale pare siavi sta-
to un breve armistizio per seppellire i morti, si preparò a prendere di
nuovo una vigorosa offensiva, la quale consisteva nell' attaccare i prus-
siani del principe Carlo, fra Gravelotte e Mars-la-Tour, per occupare
quell'esercito; ma portare contemporaneamente il nerbo delle sue forze
contro il corpo di Steimnetz che aveva occupate le alture che si stendo-
no al Nord di Metz in vista di Briey. Anche in questa giornata, come nel-
le due precedenti, il combattimento fu simultaneo in due punti diversi,
perchè i francesi possedevano ancora quel tratto di terreno ondulato e
abbondante di ottime posizioni che si stende a occidente di Metz fra
Briey e Gravelotte. Sicché 1' esercito francese facendo fronte indietro ad
occidente verso Verdun, Chàlons e Parigi, dove teoricamente era diretto,
si trovava formare un cuneo, sulla cui sinistra stava il principe Carlo e
sulla cui destra stava Steimnetz ; con questo divario che il grosso del-
l'esercito prussiano del principe Carlo stava sulla sua sinistra, mentre
egli gittava il grosso dell'esercito francese sul minore esercito prussiano
di Steimnetz. Da questo nuovo fatto d'armi tanto sanguinoso quanto quel-
lo del 16, si ebbero i risultamene che si potean prevedere. L' esercito
del principe Carlo, molto superiore in numero ai francesi, mantenne le
sue posizioni e, dopo una serie di attacchi, strinse sempre più i francesi,
respingendoli fino a Gravelotte sotto il fuoco del campo trincerato: ep-
perciò avea ragione re Guglielmo di telegrafare che avea rinchiuso i
francesi in Metz, però solo dalla parte dove egli avea combattuto. Ma
Bazaine spintosi sulla destra contro Steimnetz, con forze che agguaglia-
vano quasi il nemico, lo sloggiò con tanta furia dalle alture di Doncourt
che lo respinse, dicono, verso le cave di Jomond. Epperciò avea ra-
gione il Ministro della guerra francese di asserire che in quella giorna-
ta l'esercito francese avea avuto un lieto successo ; perchè avea sopraf-
fatto una parte dell' esercito prussiano e costrettala ad abbandonare le
proprie posizioni. Anche questa giornata avea dunque avuto un esi-
to ambiguo. I prussiani si rallegravano con ragione di aver respinto i
francesi tino al campo trincerato di Metz dalla parte di Gravelotte; ma
i francesi si vantavano pur con ragione di aver respinto V esercito di
Steimnetz dalle posizioni di Doncourt.
6. Checché ne sia di questi tre terribili combattimenti del li, 16 e 18
Agosto, egli è certo che furono micidialissimi. Per quanto si vogliano
restringere alle giuste proporzioni le notizie delle perdite toccate dalle
due parti, non si può calcolare a meno di 30 mila i morti delle due parti
che ingombrarono il terreno nei dintorni di Metz dal li al 18 Agosto*
*750 CRONACA
I feriti poi debbono essere in numero assai superiore l. Di più i francesi
perdettero da 5 in 6000 prigioni, cosa cbe si spiega facilmente; perchè
sempre i francesi combattevano sovra una linea di marcia; sicché dove
il nemico veniva a rompere questa linea, le teste di colonna dovevano
restar tagliate fuori e cadere in poter del nemico, se non avevano tempo
di tornare in dietro e congiungersi al grosso dell' esercito. Reca anzi
meraviglia che i prussiani non abbiano fatto maggior numero di prigio-
ni : il che si può spiegare solo con due fatti , cioè coir accanimento col
quale si combatteva, e colla vicinanza di Metz, nella quale i corpi sban-
dati dalle cariche nemiche potevano facilmente ri fuggi arsi.
Ad ogni modo dopo queste tre grandi fazioni campali, e dopo cbe an-
che Teserei to del Principe ereditario di Prussia avea raggiunto gli altri
due eserciti prussiani, il maresciallo Baiarne non potea più arrischiare
altro fatto d'arme, ed avendo di che vivere in Metz, dovette aspettare i
soccorsi che gli si stavano preparando a Parigi e a Chàlons. I tre attac-
chi offensivi dei 14, IGetS avevano poi mostrato ai prussiani che feser-
cito di Metz era ancora formidabile: il che li costringeva a guardarlo
con forze preponderanti : sicché il Principe ereditario non poteva mar-
ciare sopra l'esercito di Chàlons con un numero di truppe sufficienti ad
assicurargli la vittoria.
Infatti vi furono, dopo la terribile giornata del 18, parecchi giorni di
forzato riposo. Di questo i prussiani profittarono per riordinare tut-
to quanto il loro esercito, scomposto dai sanguinosi fatti d'arme dei
giorni precedenti, e da alcune rotte che è giustizia dichiarare aver es-
si toccale. Ed invero la dissoluzione dell'esercito di Steimnetz non può
essere che la conseguenza di quanto gli avvenne a Doncourt e Jomond.
Non si sa nulla ancor di ben certo: ma non è improbabile ciò che da
molte parti si assicura; cioè che nei piani inclinati di Jomond furono
aperte negli anni addietro grandi cave di pietra, che oltre al servire
per le opere di fortificazione di Metz, erano usufruttuate per le costru-
zioni private. Pare che i prussiani non fossero bene informati della po-
sizione di queste cave, che essendo continuamente lavorate, si sono in-
grandite assai più di quanto lo segnassero le piante topografiche di
cui disponeva lo stato maggiore prussiano. Essi perciò si avanzarono
fiduciosamente sulle alture, oltre le quali esiste l'orribile precipizio
1 Gii slessi giornali tedeschi confessano aver i prussiani perduto nella giornata del 18, 8000 mor-
ti, 11 mila feriti, 7000 dispersi, invece i francesi che si difendevano in posizioni più coperte non
avrebbero perduio che li mila uomini fra morii e feriti e 3000 prigionieri. Ma la battaglia del 18
fu la più micidiale pei prussiani spinalmente per l'esercito di Stellimeli, se è vero che fu precipizio
nelle cave di Jom<>nd. Del resio i rapporti dede perdite sono sempre esagerati. Dopo la battaglia di
Sadowa gli ausirian ammettevano di aver lascialo 12 mila morti sul campo; ma un anno dopo le
Statistiche affittali restrinsero quel numero a 5,500 circa. Alla sera della battaglia si danno per
modi tulli colori die si videro combattere, e non sono presenti ; ma invece sono sbandati nella mi-
schia, o solamente feriti, e fra gli stessi feriti, molti lo souo soltanto leggermente.
CONTEMPORANEA T51
prodotto dagli scavi della pietra. I francesi pratici dei luoghi si avvide-
ro del pericolo cui si erano esposti i prussiani, li assalirono con furia,
li costrinsero a indietreggiare sì che molte centinaia di prussiani furo-
no precipitati, dalle allure che occupavano, in fondo alle cave.
Checché sia di questo, il certo è che le truppe di Steimnetz furono
smembrate e distribuite nei due eserciti del principe Federico Carlo e
ilei Principe ereditario. L'esercito poi di operazione prussiano, che
non arrivava ai 400 mila uomini al rompersi della ostilità, era certa-
mente ridotto, fra morti, feriti, malati, a non più di 300 mila uomini.
Colle quali sole forze sarebbe stato imprudente il marciar innanzi contro
i 200 mila uomini che si raccoglievano a Chàlons e il tenere contempo-
raneamente in iscacco i quasi 100 mila uomini che stavano ancora a
Metz sotto gli ordini di Bazaine. Vi fu dunque, nei giorni che succedet-
tero al 18, un vero rimpasto totale dell'esercito prussiano nei dintorni di
Metz. Esso fu diviso in due grandi eserciti, l'uno sotto gli ordini del prin-
cipe Federico Carlo destinato ad osservare Metz e l'esercito di Bazaine,
l'altro sotto gli ordini del Principe ereditario destinato ad avanzarsi so-
vra Chàlons e Parigi. Durante il quale rimpasto sopraggiungevano nuovi
rinforzi dalla Germania. Tutte le riserve della Landweher erano avvia-
te al campo, e chiamate sotto le armi varie classi della Landsturn per
guernire le spiagge marittime e pel servizio interno degli Stati confedera-
ti. Non si hanno argomenti da valutare l'effettivo di questi rinforzi; ma è
molto probabile che essi vennero ad accrescere di un 100 mila uomini i
due eserciti prussiani, prima della ripresa delle operazioni. Queste ri-
serve non hanno cambiato il numero dei corpi, ma li hanno compiuti;
sicché si può ritenere, giudicando con moderazione, che le forze com-
plessive dei prussiani scaglionate fra Metz e Verdun, ascendessero, al
line del riordinamento dell'esercito, di nuovo a 400 mila uomini, come
erano al principio della campagna.
Ma i prussiani copersero abilmente questo respiro che lasciavano al
nemico con marce e mosse che lo tenevano inquieto. Di mano in mano
che un corpo era compiuto si spingeva innanzi sulla strada di Chàlons
e Parigi, preceduto da nubi di cavalleggeri che gittavano lo spavento
nelle popolazioni. Un altro corpo era contemporaneamente destinato a
hloccare Verdun, ultimo anello di congiunzione fra Metz e Chàlons. E in-
tanto nulla omettevasi per compiere l'investimento di Metz, afforzando-
si sulle alture che circondano la città dalla parte occidentale. Bar-le Due,
St. Dizier,Épernay, e varie altre città lungo la strada che segue la valle
della Marna, caddero a poco a poco in potere dei prussiani, i quali giun-
sero finalmente verso il 25 Agosto innanzi a Chàlons.
Ma il 2° esercito francese di Mac-Mahon non aveva aspettato i prus-
siani in quel campo. Già fin dal 18 o 19 Agosto questo esercito erasi
mosso verso il Nord passando per Rheims. 1 diciotto battaglioni della
152 CRONACA
guardia mobile di Parigi, i quali non si erano resi celebri né per disci-
plina, nò per ardor militare in tutto il tempo che rimasero al campo, la-
sciate le armi e i bagagli al corpo di Mac-Mahon che aveva perduto il
lutto a AYòrth, furono per la maggior parte rimandati a Parigi. Tre so-
li battaglioni ebbero l'onore di essere associati air esercito belligerante
che si componeva di 5 corpi (1', 5°, 7°, 12° e 13'), e contava un 160
mila uomini di truppa spedita.
Pertanto verso il 25 o 26 Agostola posizione degli eserciti belligeran-
ti era così fatta. Dugento mila prussiani erano accampati fra la Mosa
e la Mosella, tenendo in rispetto Verdun sulla Mosa e Metz sulla Mosella
con 100 mila francesi di Bazaine rinchiusi in quest'ultima piazza; altri
dugentomila prussiani marciavano dalla Mosa per la Marna sovra Chà-
lons e Parigi, mentre 160 mila francesi seguivano, un cinquanta miglia
più al Nord, una strada inversa marciando da Parigi e Chàlons verso la
Mosa e la Mosella. E qui sarebbe da raccontare la marcia di Mac-Mahon
combinata con quella di Bazaine per congiungersi insieme e sconfiggere
i prussiani : la sconfitta toccata invece ai due Marescialli prima che si
potessero riunire: la resa dell' esercito di Mac-Mahon, la prigionia del-
l'imperatore Napoleone III; la repubblica in Parigi e il resto dei memo-
rabili avvenimenti che in pochi giorni si agglomerarono in guisa inaspet-
tata e maravigliosa. Ma volendo noi raccontar queste cose con qualche
diligenza, siccome ci siamo sforzati di farlo pei fatti anteriori, ci con-
tentiamo di qui accennarle, rimettendone il racconto particolareggiato
al quaderno venturo. In questo ci contenteremo per ora di compiere la
narrazione di quanto si riferisce a questo periodo della guerra, parlando
in prima di ciò che accadeva in Parigi.
7. A. Parigi dunque si lavorava per organizzare compiutamente la di-
fesa dello Stato e della Capitale. 11 Governo di Napoleone III non esiste-
Ta più se non nel tacito accordo dei partiti di non occuparsene, e nella
riputazione di bonapartismo di cui godevano i Ministri e specialmente
quelli dell'interno e della guerra. Napoleone accompagnava Mac-Mahon
col 2° esercito, e si disse che aveva avuto dal suo Maresciallo il co-
mando di un corpo di cavalleria. Chi diceva che avesse seco il figlio, chi
invece lo dicea già partito per l'estero. L'Imperatrice e la principessa
Clotilde stavano a Parigi ; il principe Napoleone, abbandonato il campo,
era venuto improvvisamente a Firenze, non si sa per incombenza o per
antiveggenza politica. Il vero ed effettivo governo già cominciava a
prendere un avviamento estra legale. È noto che Bazaine, comandante
l'esercito di Metz, non passava fra i Marescialli più affezionati all'Impero;
e Trochu, al quale venne affidata la difesa di Parigi, aveva preferito
l'oscurità e il ritiro al servizio di Napoleone.* Changarnier che accorse
al campo dopo la ritirata di Metz e verso il quale si rivolgevano le sim-
patie dei soldati, era in disgrazia ancor il 6 Agosto, inoltre nel comitato
CONTEMPORANEA 753
di difesa di Parigi 1 era stato ammesso il sig. Thiers, che certo non do-
veva avere gran fiducia nella capacità militare di Napoleone HI, sicco-
me questi alla sua volta non doveva averne molta nella sua simpatia al-
l'Impero. Lo spirito di quanti concorrevano alla difesa della Francia in
quei pericolosi momenti significava dunque « Salviamo la Francia messa
a repentaglio da Napoleone ».
I preparativi di difesa si dividevano in due rami principali. La difesa
dello Stato; la difesa della capitale. Per difendere Parigi si facea asse-
gnamento sulle truppe di mare, sui doganieri, sui pompieri , in tutto
40 mila uomini circa; e sovra 100 mila uomini di guardia nazionale. Per
proteggere Parigi contro un colpo di mano queste forze erano suffi-
cienti , ma non per fermo per reggere contro un assedio regolare.
Altri provvedimenti straordinarii erano stati votati per agevolare la
difesa della città. Le magnifiche piante del Bosco di Boulogne erano state
atterrate; chiuse affatto le lacune delle mura ; armati i forti staccati del-
la città. Per provvedere alle vettovaglie erasi disposto che, oltre le
provvigioni ordinarie, si raccogliesse™ in Parigi 350 mila quintali di
farina, 150 mila di riso, 50 mila buoi e parecchie centinaia di migliaia
di montoni. E per non isprecare queste provvigioni, prima si ordinò
l'espulsione dalla città di tutte le persone appartenenti per nascita agli
Stati tedeschi, che sommano a molte decine di migliaia ; e poi di quanti
si trovavano in Parigi senza mezzi di sussistenza, i quali credesi che non
fossero meno di 300 mila. Se questi ordini vennero eseguiti, contando
anche coloro che volontariamente si allontanavano per isfuggire agli or-
rori dell'assedio, si può ritenere che la popolazione di Parigi restasse in
tal guisa ridotta a meno di un milione di abitanti. Alla. notizia poi che i
prussiani si avvicinavano a Chateau-Thierry, a poche leghe dalla capi-
tale, fu pure dato ordine di trasportare in città quante vettovaglie"^
bestiami si trovassero nei dintorni, abbruciando tutto il resto, affinchè i
prussiani si trovassero in campagna rasa. Inoltre fu promossa e favo-
rita la formazione di corpi franchi, colla missione di molestare il ne-
mico, nell'Argonne, nello Ardenne, nella Sciampagna, nei Vosgi, ovun-
que esso si fosse presentato. Infine disponevasi ogni cosa per trasferire
i Ministeri e il Governo in una piazza forte dietro la Loira.
Oltre a questi provvedimenti di difesa peculiari alla città di Parigi,
il Ministro della guerra organizzava un terzo esercito. Il 2.* esercito di
Mac-Mahon era composto di reggimenti normali esistenti neir organizza-
zione dell'esercito stanziale francese. I corpi 1.*, 5.° e 7/ già esisteva-
1 Questa specie di Governo estralegale era composto di Trochu, comandante della città di Pari-
gi, maresciallo Vaillant, ammiraglio Rigault De Genouilly, bar. Gerol. David, vice-presidente del
Corpo legislativo, gen. Cbabau.l la Tour che ha cooperato alle fortificazioni di Parigi, gen. Guyod,
membro del Comitato d'artiglieria, gen. De Hautemarre, già comandante la guardia nazionale di Pa-
rigi, gen. Soumani, comandante di piazza di Parigi.
Serie VII, voi. XI, fase. 492. 48 10 Settembre 1870.
754 CRONACA
no prima della guerra; i due nuovi corpi 12.' e 13.° erano formati colle
guarnigioni di Parigi e delle altre città : questi corpi erano però accre-
sciuti di numero con soldati tratti dai depositi. 11 Ministro della guerra
pensò a formare un terzo esercito coi depositi stessi e ordinò la forma-
zione di 40 nuovi reggimenti di fanteria costituiti dai sol-iati in congedo
e richiamati straordinariamente, dalle guardie mobili meglio disposte,
e dai volontarii. Questi 40 reggimenti, che poteano avere un effettivo
di 60 in 70 mila uomini, si raccoglievano in modo da poter raggiungere
Parigi, almeno in gran parte, prima che i prussiani Y avessero cinta
d'assedio.
Intanto Strasborgo, Metz, Falsborgo, Verdun, Toni, quantunque in-
vestite più o meno dappresso dai prussiani, opponevano forte resisten-
za, e le piazze tedesche si sfornivano di grossa artiglieria che si avvia-
va a battere le piazze francesi. Strasborgo si difendeva valorosamente,
facendo con vario successo frequenti sortile; convogli di viveri avean
potuto entrare nella città, che difettava di truppa, ma non di munizio-
ni. I prussiani la bombardavano fieramente recando danni anche alla ma-
gnifica sua cattedrale. L'artiglieria della piazza aveva dal canto suo
bombardato Keehl sulla sponda opposta del Reno. 11 Vescovo (di cui si
annunziò poi la morte ) avea domandato invano ai prussiani che lascias-
sero uscire le donne e i fanciulli.
La flotta francese comparsa in due squadre innanzi a Helgoland e a
Kiel aveva anch'essa mandato qualche bomba sulle città tedesche, di-
chiarandone il blocco; aveva avuto qualche scontro insignificante col ne-
mico, e catturato qualche nave mercantile.
Ma la parte più trista di questa orrenda carniticina era la scena
straziante dei morti e dei feriti che ingombravano il Nord della Fran-
cia. In molti luoghi i morti rimasero lunga pezza insepolti. Sul cam-
po di battaglia di Forbach essi si putrefacevano nei campi ancora il
20 Agosto, cioè due settimane dopo la battaglia. Sotto Metz erasi usato
dai prussiani lo spediente di gittar migliaia di cadaveri nella Mosella;
e questi erano in sì gran numero, che invece di essere trascinati dalle
acque, si erano ammassati in varii punti del fiume e mostravano ai
300 mila superstiti raccolti sulle due rive l'orrendo spettacolo della len-
ta putrefazione dei loro fratelli di arme. I due eserciti si raccoglieva-
no amaramente intorno a queste scene indescrivibili. Sessanta mila fe-
riti ingombravano i due campi. La città di Metz era un vasto spedale.
Nell'esercito prussiano erano lasciati in piena campagna per difetto di
locali. Molti feriti dopo aver aspettato nelle angosce dell'agonia, due
giorni intieri nel campo di battaglia, una mano pietosa che li soccorres-
se, dovevano poi aspettare due o tre altri giorni prima che un medico
potesse apprestar loro la prima assistenza; le carni corrotte in questa
lunga aspettativa, andavano in cancrena; e migliaia di uomini nel fior
CONTEMPORANEA 755
dell'età, che una cura adoperata a tempo avrebbe certamente salvato
dalla morte, dovevano invece morire fra atroci spasimi. Grandi e nobili
episodii di generosità sovrumana illustrarono a dir vero questa terribile
scena. I fogli parigini annunziavano la partenza pel campo di oltre a
cento preti della città ordinatisi in compagnia di infermieri ; a Wòrth
una Suora di S. Vincenzo de Paoli ebbe le gambe portate via da un
colpo di cannone e spirò accanto al ferito che stava curando. Da molte
parti drappelli di medici e volontari^ organizzati in ambulanze, accorre-
vano in aiuto: ma che era tutto questo per tante migliaia di pazienti?
La Prussia aveva domandato che le leggi della neutralità si sospen-
dessero un momento, per lasciar passare i convogli di feriti pel Belgio
e pel Lussemburgo ; ma la legge inesorabile della guerra vi si oppose;
perchè, dicevasi, mandando i feriti da quella parte, la Prussia aveva
più libere le ferrovie della Germania che le arrecavano continuamente
nuovi soldati e nuovi strumenti di morte. La fame, le malattie conta-
giose, le fucilazioni di persone sospette e di spie, compievano quest'or-
rendo quadro.
8. Non appena i prussiani furono sotto Metz, e vi ebbero confinato
l'esercito di Bazaine, vedendo le sorti della guerra volgere in loro favo-
re, e qualche foglio avendo gittato qualche timida proposta di pace;
tosto i giornali tedeschi cominciarono a discutere le condizioni della pa-
ce futura. Oltre ad una forte indennità di guerra, domandavano nulla
meno che l'Alsazia e la Lorena, come province tedesche che dovevano
tornare alla patria comune. E l'opinione pubblica dei paesi neutri mo-
strandosi avversa a queste idee, i fogli tedeschi rincarirono la dose,
pretendendo anche la Franca Contea, e domandando perfino la cessione
alla Germania di mezza la flotta francese 1.È vero che i giornali officiali
tedeschi diedero sulla voce a queste pretese del giornalismo nazionale,
ma re Guglielmo organizzava intanto politicamente l'Alsazia e la Lore-
na, annettendole di Fatto al suo regno. Quanto ciò dispiaccia alle poten-
ze neutre è facile ad intendersi. Le sconfitte della Francia loro fanno
viepiù desiderare che questa potenza non sia sminuita di territorio.
La fermezza dei soldati francesi le rende persuase che, anche sconfitta, la
Francia sarebbe ancora il miglior antemurale dell'Europa contro la pre-
ponderanza germanica. Ma intanto esse vedono la Francia agli estremi,
e, misurando ben bene le proprie forze, non si sentono in grado di far
valere i proprii consigli presso il Re vittorioso. Che fare infatti qua-
lora il re Guglielmo non accettasse le proposte di mediazione? Ar-
marsi in comune per imporgliele? La Russia, quantunque ancor essa
1 Venne stampata a Lipsia una carta del nuoto impero germanico. Essa comprende oltre l'Alsa-
zia, la Lorena, la Franca Contea, anche la Svizzera tedesca, l'Austria propriamente detta compresa
Trieste, e "varie province della Russia occidentale ove si parla il tedesco.
756 CRONACA
malcontenta dei buoni successi prussiani, è lontana; l'Austria ha in casa
propria popolazioni tedesche che applaudono alle littorie dei confede-
rati ; r Italia stenta a sorreggersi, e, se si dichiarasse contro la Prussia,
avrebbe prima da vincere la guerra civile. L'Inghilterra, come quella
che meno pericola, ed è più esperta, dà buone parole a tutti, ma riufita
di prendere un impegno, come quella che teme di non essere sufficien-
temente sostenuta sul continente. Ora si comincia a vedere quanto sa-
rebbe stato prudente Tarmarsi in tempo, o per dettar la pace prima
della rottura delle ostilità, o per scendere in campo dopo i primi rove-
sci, e trovar così ancora un valido appoggio, negli avanzi dell'esercito
soccombente. é
Fin dalla ritirata de1 francesi sulla Mosella, si fece qualche passo in
favor della pace, ma con grande riservatezza. L'Inghilterra dichiarò aper-
tamente di volersene astenere, non credendo ancora venuto il momento.
L'Austria e l'Italia si trovarono più felicemente d'accordo; ed entrambe
accrebbero gli armamenti per dar maggior peso alle proposte; ma queste
vennero fatte in guisa del tutto ufficiosa; e la Francia le respinse per
amor proprio, la Prussia per interesse. A questa infatti conveniva scon-
figgere prima il secondo esercito francese, per ridurre la Francia alla
impotenza, prima di manifestare le proprie pretensioni. La cosa stette
in quei termini fino al 24 Agosto, quando il principe Napoleone arriva-
va a Firenze. Egli si credea forse più opportuno sul campo della diplo-
mazia che sul campo di battaglia, e si vuole che egli abbia se non altro
fermato il programma dei neutri, facendo loro accettare il principio di
respingere in comune qualunque proposta di pace che portasse uno
smembramento della Francia. Questa idea dicesi siasi accettata come
base del programma di pace da tutte le potenze neutre. 11 commenda-
tore Minghetti, che era pienamente di questo parere, fu spedito am-
basciadore a Vienna, dove un inviato russo e il ministro inglese dove-
vano, a quanto affermavasi, l'ormare il programma dell'azione comune.
In sostanza la diplomazia sentiva il bisogno di agire, ma non trovava
ancora i mezzi di azione che le sembrassero appropriati ai bisogni.
9. L'Italia dal canto suo continuava ad armare. 11 16 Luglio venne
riconvocata la camera elettiva per domandarle un credito di 50 milio-
ni pei bisogni dell'esercito. Le Camere lo votarono con una maggioranza
soddisfacente, ma dopo lunghe e tempestose discussioni. Si trattò nei
due rami del parlamento la famosa questione di Roma, parendo alla si-
nistra che fosse venuto il momento di romperla colla Francia impotente,
stracciare la convenzione di Settembre e marciare su Roma.
Al qual proposito non vogliamo omettere di riferire le sole parole
cattoliche e di buon senso perfetto che si udirono in quelle tornate.
Esse sono dell' onorevole conte Crotti, deputalo, il quale disse così :
« Molto si ragionò sui doveri, sugli obblighi e diritti della Francia,
CONTEMPORANEA 757
sui diritti nostri verso Roma ;è nessun però parlò dei doveri che ab-
biamo noi verso uno Stato limitrofo, che è uno Stato sovrano, indipen-
dente, riconosciuto da secoli e da secoli, il quale è nei consorzio di tut-
ti gli Stati d'Europa. Di quei doveri internazionali, nò dalla destra né
•dalla sinistra sentii far parola ; eppure questi sono doveri essenziali dei
quali noi non possiamo liberarci. A questi diritti e doveri si vuol sosti-
tuire un diritto nuovo, il diritto delle aspirazioni nazionali, il diritto
che avrebbe 1' Italia di andare a Roma. Questo diritto veramente io non
10 posso riconoscere, perchè si fonda soltanto sopra un'aspirazione. Ma,
signori, le aspirazioni non sono un diritto che si possa ammettere; se
ammettiamo le aspirazioni, state in guardia, o signori, che la logica
dei fatti è inesorabile , ed avverrà che il popolo avrà un giorno aspira-
zioni sulle Banche, sui capitali, sui ricchi palazzi, e vorreste ammet-
terle? (Si ride). Questo è molto grave, perchè ogni cosa ha le sue con-
seguenze. Dunque vi consiglio di pensarci seriamente...
« Voci a destra. Sono le aspirazioni nazionali.
« Ma che cosa sono queste aspirazioni nazionali? Io dico che non so-
no nazionali , ma che sono le aspirazioni di un partito.
« Io conosco il paese quanto qualunque di voi , e vi so dire che que-
ste sono aspirazioni di un partito che comanda, di nn partito che si è
imposto, che ha preso la direzione di tutto e che si vuol far nazionale,
ma non è nazionale, è semplicemente parziale. Questa è la verità. Ieri
11 onorevole presidente del Consiglio disse che tutti i Deputati aspira-
vano ad andare a Roma, e che non solo lo volevano essi, ma ne aveva-
no il mandato dai loro collegi elettorali. In primo luogo io risponderò
che mandati i collegi elettorali non ne possano dare. Poi vorrei sapere
quale è quel collegio elettorale che ha dato un simile mandato al suo
deputato? ( Voci da molte parti della Camera ! il mio ! il mio! )
« Sarà in alcuni : tranquillatevi, lo credo che, se in qualche colle-
gio questo mandato sarà stato dato, lo sarà stato dato dalle società
massoniche, dai liberi pensatori, dai comunisti; ma questi non formano
la nazione. La nostra Italia è cattolica, epperciò V immensa maggioran-
za di tutti i collegi elettorali è pure cattolica, e non può e non vuole
andare a Roma. Cosicché voi non potete appoggiarvi sulla volontà na-
zionale a tale riguardo. Disse pure l'onor. presidente che il non esse-
re noi andati a Roma ha prodotto l'infallibilità; e gettò così leggermente
la questione dell1 infallibilità nella Camera. Io tengo per fermo che lo
stesso presidente del Consiglio non ha ponderato che cosa sia quest1 in-
fallibilità. Quest'infallibilità è cosa spirituale, è cosa che riguarda uni-
camente la fede, ha niente di materiale; fu definita una pratica costan-
te della Chiesa e nulla più. La questione dell' infallibilità non ha che fa-
r.e nel caso attuale. In essa non ha niente che fare la Camera. Circa i
40 milioni, io debbo dichiarare che non capisco come, al dire di certi
758 CRONACA
giornali e di lettere particolari , il Governo abbia messo lungo la fron-
tiera pontificia circa 30,000 uomini. (Voci. Piùl) Trentamila uomini
mi pare che son troppi e che 3 o 5 mila basterebbero.
« Se il Governo non vuole che si vada a Roma , se non vuole che le
bande, che i repubblicani vadano nello Stato romano, non ci andranno.
L'altra volta la nostra truppa aveva, dissesi , la consegna di seguitare
i garibaldini, ma di mai raggiungerli e di non arrestarli [si ride) : que-
sto è P ordine che, si pretende, avevano allora. Adesso se il Governo
non vorrà lasciarli penetrare sul territorio romano, non andranno, ne
sono sicuro; dimodoché questa truppa di 30,000 uomini mi dà sospetto
di qualche idea nascosta, di qualche gherminella (nuova ilarità). Per
conseguenza io domando al Ministero se esso non andrà negli Stati pon-
tifìcii che chiamato dal sovrano. In tal caso io voto i 40 milioni e anche
di più; ma se il Ministero non fa una dichiarazione esplicita, io gli nego
il mio voto. »
E lo negò di fatti, perchè il Ministero fu ben lontano dal fare la
dovuta dichiarazione. Però il Ministero tenne fermo sull'osservare la
Convenzione. Le parole del Ministro degli Esteri furono più del soli-
to esplicite in questo senso. Se non che sempre si è preteso di aver
diritto alla Capitale naturale; anzi il Sella che è il più sinistro dei Mi-
nistri, si espresse ad una commissione di sinistri, che erasi recata ad in-
terpellarlo a tal proposito, in termini assai equivoci, lasciando intende-
re che a Roma si intendeva andare con mezzi più efficaci che non i so-
li mezzi morali. Ma codesta conversazione, riferita da giornali, venne
poi sconfessata dal Sella come infedele. Intanto alle frontiere pontifi-
cie furono mandati 30 mila uomini in pieno assetto di guerra, coir in-
tendimento ufficiale di proteggerle contro nuove invasioni di garibal-
dini. Una flotta di corazzate armate in fretta venne a veleggiare nelle
acque di Civitavecchia. Garibaldi era guardato a vista nell'isola di Ca-
prera; e Mazzini, il grande agitatore, arrestato in Palermo nelP atto di
scendervi per mettere a fuoco la Sicilia. Il famoso genovese venne tra-
dotto coi massimi riguardi nella fortezza di Gaeta, dove si custodisce
senza saperne troppo il perchè e il per quanto. I grandi centri militari
Torino, Milano, Verona, Genova, Bologna, Piacenza formicolavano di
soldati; le truppe disponibili potendosi calcolare a 250 mila uomini,
raccolti, specialmente la cavalleria, nell'alta Italia e di preferenza nelle
antiche province. Ma l'agitazione continuava. 1 Deputati della sinistra.
appena rimandati alle case loro., si raccolsero e decisero di promuovere
meeting* per domandare al Governo l'occupazione di Roma. A Genova
i reduci delle patrie battaglie, cioè il fiore del garibaldinismo, vollero
radunarsi illegalmente, ed un Assessore di Polizia avendo loro intimato
lo sfratto per causa di parole ingiuriose del Canzio, genero di Garibal-
di, ne arrestò, col Canzio stesso, parecchi. I membri dell' associazione si
CONTEMPORANEA TSl*
offerivano di accompagnare il loro presidente in prigione, ma il domani
erano tutti quanti rimessi in libertà. Anche lo Stallo, condannato dalle
assise di Genova a cinque mesi di prigionia per sollevazione a mano
armata contro lordine di cose esistente, essendo ricorso in cassazione,
fu ammesso alla libertà provvisoria con cauzione. Il potere si affretta di
rimettere sul lastrico tutti coloro che egli sa essere capaci di disfare il
lastrico per erigere barricate. Il solo caporale Barsanli, convinto di aver
promossa la famosa insurrezione militare nel quartiere di S. Lino in
Pavia nella scorsa primavera, malgrado l'agitazione fatta per ottenergli
salva la vita, venne fucilato la mattina del 29 nel castello di Milano.
10. Conchiuderemo questa cronaca col riferire la parte veramente
pontificale e sublime che a questa guerra prese il Sommo Pontefice
Pio IX. Né possiamo meglio riferir la cosa che colle parole ufficiali del
signor di Thiele, ministro degli affari esteri della Prussia: Ecco dunque la
circolare eh1 egli spedì ai rappresentanti della Prussia. Noi la copiamo
e traduciamo dalla Gazzetta di Losanna che, nel suo num. dei 20 Agosto,
fece conoscere il testo pervenuto al signor generale de Roeder, incarica-
to della Prussia in Isvizzera. 11 dispaccio è dato sotto il 9 Agosto 1870
e dice così :
« Io credo dover far conoscere a Vostra Eccellenza che Sua Santità
il Papa ha indirizzato al Re nostro potentissimo signore, sotto la data dei
22 Luglio, cioè dopo il cominciamento della guerra colla Francia, la let-
tera autografa di cui accludo copia, allo scopo di offrire la sua media-
zione. La stessa offerta fece a Parigi il sommo Pontefice. Sua Maestà il
Re ha ricevuta questa comunicazione del Santo Padre con una viva
commozione ed ha espressi i caldi sentimenti da essa ispiratigli in una
sua lettera dei 30 Luglio, di cui accludo copia.
« L'incaricato di affari del Re presso la Santa Sede ci ha avvisati il
6 Agosto che l'imperatore Napoleone ricusò quest'offerta di mediazione
coll'intermezzo del suo ambasciatore, dichiarando che i negoziati erano
impossibili dopo la dichiarazione di guerra, postala grande sopraeccita-
zione degli animi. Il tentativo del Papa, sì rispettabile nella sua sem-
plicità, è dunque fallito. Ma vostra Eccellenza non conoscerà però sen-
za interesse questa corta trattativa. Io vi autorizzo nello stesso tempo a
comunicare questi documenti al Governo presso cui siete accreditato.
Lettera del Santo Padre Pio IX al re Guglielmo di Prussia. « Mae-
stà. Nelle gravi circostanze in cui siamo, vi parrà forse insolito di ri-
cevere una lettera da me ; ma Vicario sulla terra del Dio della pace,
non posso non offrirvi la mia mediazione. Il mio desiderio è di vede-
re sparire i preparativi di guerra e d'impedire i mali che ne sono
la conseguenza inevitabile. La mia mediazione è quella d'un sovrano
che, nella sua qualità di Re, non può ispirare alcuna gelosia, avuto ri-
guardo all'esiguità del suo territorio, ma che nondimeno ispirerà fidu-
760 CRONACA
eia per l'influenza morale e religiosa ch'egli personifica. Dio esaudi-
sca i miei voti ed esaudisca pur quelli che faccio per Vostra Maestà, a
cui desidero essere unito coi vincoli della stessa carità. Pio PP IX. Dal
Vaticano, 22 Luglio 1870. PS. Ho scritto egualmente a S. M. T Impe-
ratore dei Francesi. »
Risposta di Sua Maestà il Re di Prussia. « Berlino, 30 Luglio 1870.
Augustissimo Pontefice! Non fui sorpreso, ma profondamente commos-
so leggendo le parole toccanti tracciate dalla vostra mano per far udi-
re la voce del Dio della pace. Come potrebbe il mio cuore non ascol-
tare una voce così potente? Obbedendo ai sacri doveri che Dio impo-
ne ai sovrani ed alle nazioni, noi prendiamo la spada per difendere
Pindipendenza e l'onore della patria; e noi saremo sempre pronti a
deporla quando questi beni siano tutelati. Se Vostra Santità potesse
offrirmi , da parte di colui che ha così inopinatamente dichiarato la
guerra, l'assicurazione di disposizioni sinceramente pacifiche e guarenti-
gie contro il rinnovarsi di simile offesa alla pace ed alla tranquillità
dell'Europa, Don io certamente ricuserò di riceverle dalle mani vene-
rabili di Vostra Santità, unito come sono con lei dai vincoli della carità
cristiana e da una sincera amicizia. Guglielmo. »
INDICE
^C
L'agitazione riguardo all'In fallibilità pontificia, pag. 5
/ Crociati di san Pietro; scene storiche del 1867.
XCVI. Sbarco dei Francesi. Consigli di guerra
degli Alleati, 20. - XCVII. Disegni e forze del
Garibaldi a Mentana. Si allestisce la spedizione
francopontificia, 30. - XCVIII. Mentana, 3 No-
vembre, 138 e 287. - IC. I feriti e i morti di
Mentana. Giuliano Watts-Russell, Carlo d'Al-
cantara, Giovanni Moeller, Leone Bracke,
Giuseppe Rialan, Carlo Bernardini, altri, 416.
- C. Conclusione. I monumenti della Crociata
del 1867 556
Un caso di coscienza a proposito dell' Infallibilità
pontificia 39
// decrescere del Liberalismo 129
Sguardo retrospettivo sopra V amministrazione finan-
ziaria dal 1860 al 1870 in Italia 151, 312
La Definizione dommatica dell' Infallibilità pontificia. 171
Costituzione dommatica prima sopra la Chiesa di Cri-
sto pubblicala nella sessione quarta del Concilio
Vaticano 257
Iulia Angusta Taurinorum ossia l'antica Torino. 272, 405
La solenne protesta del Sinodo Vaticano contro due
libelli 385
762 INDICE
77 domina dell' Infallibilità pontificia e la base dei
Concordali pag. 513
La Massoneria e la Guerra 529
La Bolla Reversurus del 16 Luglio 1867 intorno
alla Chiesa Armena 540, 675
I nuovi Protestanti contro il Concilio Vaticano .... 641
Una moderna Educatrice della donna italiana .... 657
La pena di morte 668
RIVISTE DELLA STAMPA ITALIANA
Degli istituti di carità per la sussistenza e l'educazione dei
poveri e de prigionieri in Roma, libri tre del Cardinale
Carlo Luigi Morichini di lesi. Ediz. novissima — Roma,
stabil. tipografico camerale, 1870. Un voi. in 4.° di pag. 816. 52
Bullarum, diplomatimi et privilegio-rum sanctorum roma-
norum Ponti ficum editio, etc, quam SS. D. N. Plus Papa IX
apostolica benedictiorle erexit. Tomus XVII l: Clemens X ab
an MDCLXX ad an. MDCLXXVl. Un voi. di pag.XXXIl-752. 64
Il Concilio Vaticano al cospetto dell' odierna società, per
Fr. Lodovico da Castelplanio Minore osservante. Seconda
edizione — Torino 1870, tipografia del cav. Pietro Marietti. 181
Urania: Carmen didascalicum Petri Esseiva Friburgensis
Belvetii ; cui certaminis poetici praemium e legato Henrici
Hoeufft adiudicatum est in consessu publico Acaderniae re-
giae disciplinarum Neerlandiae , pridie id. Mari, anni
CID13CCCLXX — Amslelodami, apud C. G. Van der Post,
MDCCCLXX. In 8/ di pag. 14 190
Le nouvelles études sur les Catacombes romaines, llisloi-
re-Peintures-Symboles, par le Cte Desbassayns de Ricue-
mont, précédées d'une lettre par M. Le Chevalier De Ros-
si — Paris, librairie Poussielguc frères, me Cassette 27,
MDCCCLXX. Un volume in 8.° di pag. XXVlll-508. . . 329
Analisi fisiologica del libero arbitrio umano, del dottore
Alessandro Herzen, seconda edizione — Firenze 1870 . . 440
INDICE 763
Caroli Aloisii Monchini Cardinalis, Aesinatium Episco-
pi, Petreidos libri III ad Piava IX P. M. — Accedimi Car-
men de Martyribus Sebastenis et epistolae tres ad Auctoris
fratres pag. 447
Bulletlino di Archeologia cristiana del commendatore Gio-
vanni Bxttista de Rossi. Seconda serie — Roma, tip. Sal-
\iurril870 451
Illustrazioni filologi co- comparative alla Grammatica greca
del dott. Giorgio Curtius, professore di Filologia classica
nella Università di Lipsia, scritte da lui medesimo, con sua
licenza tradotte dal tedesco e corredate di un proemio, di
giunte ecc. per cura del dott. Fausto Ghkrardi Fumi, prof,
di lettere classiche nel fì. Liceo di Reggio Calabro — Na-
poli, stamperia del Fibreno 1868; R. de Rubertis editore.
Un voi. in 8 ° di pagine CI, 264 566, 687
Sul metodo scientifico, quesiti di Maurizio Bi fauni ai sa-
vii ed ingenui cultori della medicina, in appendice alle Isti-
tuzioni di analitica — Firenze, Successori Le Monnier 1870. 701
Ribliografia 67, 337, 579, 708
COSE SPETTANTI AL CONCILIO
Rivista Bibliografica /. Lavori eruditi intorno air infallibilità pon-
tificia. 1. di mgr. Azarian — 2. del P. R. Bianchi — 3. del P. Fedele
da Fauna — 4. di mgr. Senestrey e >ii mgr. Freppel 78
— //. Risposte alle lettere di mgr. Dupanloup. 1 . Di mgr. Dechamps
— 2. del can. Sauvé — 3. del P. Ramière — 4. del bar. Carbonelli
— 5. del prev. Messina — 6. di mgr. Nardi 86
— ///. Della unanimità morale. Opuscoli 1. di mgr. lineili — 2. del
P. Steccanella 91
— /. Scritti in difesa dell'infallibilità pontificia. 1. di mgr. Canto-
ni— 2. del P. Bottalla — 3. del P Gesualdo da Bionte — 4. di Dom
Guéranger — 5. dell ab. Uccelli — 6. del P. Schneemann — 7. di mgr.
Freppel — 8. Altri opuscoli 203
— 11. Altri scritti in difesa di Papa Onorio. 1. di A DeMargerie —
2. del P. Colombier — 3. di un Sacerdote romano — 4. del P. Schnee-
mann— 5. del dr. Fabi — 6. di mgr. Ghilardi — 7. di un anonimo . 212
764 INDICE
— IH. Un fascio di cattivi opuscoli. 1. italiani — 2. francesi, pag. 215
— I. Un pessimo opuscolo anonimo 350
— J7. Fiori poetici 352
— /. Sei Confutazioni del Dollinger. 1. del dr. Hergenròther — 2.
del dr. Schecben — 3. del dr. Rolli — 4. di J. Zahn — 5. del dr. Fried-
hoff—b.deldr.Stoekl 159
— II. Altri scritti in difesa dell' infallibilità. 1. Altre difese di Ono-
rio — 2. Altre risposte al P. Gratry, a mgr. Dupanloup, a mgr. Ma-
rci, al dr. Dollinger — 3. Altri opuscoli polemici, teologici, istrut-
tivi — 4. Opere più importanti 470
— HI. Risposte a due libelli 475
— I. Alcuni cattivi opuscoli tedeschi 593
— 77. Due risposte a due libelli 597
Notizie Varie 1. Munificenza e pietà filiale dei Gallicani verso il
Santo Padre — 2. Una calunnia nel Francais contro la Civiltà Catto-
lica; minacce contro la Santa Sede — 3. Imputazioni ingiuriose con-
tro un illustre Prelato francese — 4. Dichiarazioni del Vescovo di
Magonza, per V infallibilità del Papa — 5. Lettera del Vescovo di
Angouleme contro un opuscolo gallicano sopra V unanimità dei voti
per le dichiarazioni dommatiche — 6. Indirizzi al Santo Padre da
JSizza e da Marsiglia — 7. Oblazioni del Clero di Napoli, e sue di-
chiarazioni per V infallibilità pontificia — 8. Calunnie divulgate
contro il collegio dei Parrochi di Roma; indirizzo di questi al Santo
Padre; mentita alla Nazione — 9. Ricevimento dei Vescovi di Stras-
burgo e di Montauban reduci nelle loro diocesi. . 92
— 1. Breve del S. Padre al Clero italiano — 2. Altre dimostrazio-
ni del Clero italiano — 3. Breve pontificio alla cittadinanza di Na-
poli — 4. Lettere del Papa alle dimostrazioni dei fedeli — 5. Udien-
za data agli Stenografi del Concilio — 6. Protestazione dell' Emo
Card. Guidi — 7. La Rivista universale ed il Clero genovese — 8. In-
dirizzo del Clero di Praga al suo Arcivescovo — 9. Soccorsi da par-
te dei Vescovi ai cattolici di Pera 222
— 1 . L' infallibilità pontificia e Y Ungheria — 2. Un indirizzo del
Clero genovese e la Rivista universale — 3. Altri indirizzi, special-
mente del Clero d 'Inghilterra e di Scozia — 4. Indirizzo del convit-
to teologico d' Innsbruch — 5. Offerte ed applausi nell' Univers dopo
la definizione; protesta di sommessione del Francais ; festa di tutti i
cattolici 355
— 1. Riflessioni della stampa cattolica intorno la IV Sessione — 2.
Quadro della votazione alla IV Sessione — 3. Adesione dei Vescovi
alla definizione — 4. Osservazioni dilla stampa cattolica sui voti dei
INDICE 76&
Yescovi di varie 'nazioni — 5. Opposizione dell'Austria e dell' ex-pa-
dre Giacinto — 6. Indirizzi della Società della Gioventù cattolica
italiana al S. Padre e al Concilio — 7. Te Deum a S. Pietro in vin-
cula — 8. Preghiere e pie opere pel Concilio, e Breve di S. S. al Ve-
scovo di Verona pag. 476
— 1. Breve del S. Padre in risposta all' Indirizzo del Clero d'In-
ghilterra e di Scozia; altri Brevi a privati — 2. Altre notizie d' In-
ghilterra intorno alla definizione dell' infallibilità e al ritorno dei
Yescovi — 3. Altre d' Irlanda — 4. Altre di Portogallo — 5. Altre
di Dalmazia — 6. Accademia di Religione cattolica in Roma — 7.
Breve del S. Padre in risposta a un Indirizzo di molti del Clero di
Genova 599
— 1. Atti di adesioni di Yescovi alla definizione dell' in fallibi-
lità pontifici a; mentita ad imposture contro V Arcivescovo di teopoli
— 2. Sconfitta di gettarti del Ronge; e solenne promulgazione- del
domma dell' infallibilità pontificia inGriìtz ed in Lisbona — 3. Fe-
ste a Gibilterra — 4. Circolare del Radi, ministro del Governo di Fi-
renze, circa la promulgazione della Costituzione pontificia intorno
alla infallibilità ; articoli del Codice penale, onde sono minacciati
i Yescovi ed i p arrochì che ne parlassero in modo spiacevole pel
Governo 733
In dubbio morale circa il placet ed il non placet, spettante alla in-
fallibilità pontificia 198
L' unanimità.' morale dei padri nella IV Sessione del Concilio
Vaticano 347
Accoglienze ai Vescovi ritornati dal Concilio 1. nelle diocesi di
Francia — 2. in quelle del Belgio 724
Atti Episcopali 1. del Card, di Napoli — 2. del Vescovo di No-
vara — 3. del Vescovo di Mondavi — 4. del Vescovo di Savona e
Noli — lì. dell Arcivescovo di Salerno — 6. del Vescovo amministra-
tore ap. di Acquapendente — 7. del Vescovo d'Ischia — 8. del Vesco-
scovo di Bagnorea 719
Cronaca del Concilio 1. Congregazioni generali — 2. Cappelle
papali — 3. Felicitazioni al S. Padre — 4. Preghiere pubbliche . . 103
— 1. Congregazioni generali — 2. Somma dei Padri che hanno
scritto o parlato intorno all' infallibilità — 3. Cappelle papali — 4.
Partenze di Vescovi e loro devozione alla Santa Sede 236.
— 1. Congregazioni generali — 2. Protesta degli Emi Presidenti
— 3. Sessione IV — 4. La maggioranza e la minoranza — 5. Par-
tenze di Vescovi —b. Necrologia . . . 362
766 indice
— 1. Schema distribuito ai Pa<lri — 2. Necrologia — 3. Solenne
Messa di requie — 4. Lista dei PP. defonti pag. 485
— 1. Lettera del Emo Card. AntoneUi intorno alla 'pubblicazione
della Sessione IV — 2. Indirizzo al S. Padre di adesione al Conci-
lio dell' Emo Card. Mai tei, riportato dal Giornale di Roma — 3. Al-
tri atti di adesione, indicati dallo stesso giornale, di Vescovi o as-
senti o non intervenuti alla IV Sessione — 4. Cappella papale e Coti"
gregazioni generali — 5. Monitum per la nomina di 10 Padri per la
Deputazione disciplinare — 6. Nomi dei Padri eletti — 7. Monitum
per la continuazione delle discussioni conciliari — 8. Errata corrige. 610
CRONACHE CONTEMPORANEE
DALL 11 AL 25 GIUGNO
I. COSE ITALIANE — Stato Pontificio 1. Visita del S. Padre
alla basilica di S. Lorenzo al campo V erano; inaugurazione del mo-
numento funebre pei morti in difesa deVa Santa Sede nel 1867 — 2.
Altra visita di S. S. alla chiesa di S. Antonio dei Portoghesi — 3.
Estinzione parziale del Debito pubblico — 4. Nuovi acquedotti a Ci-
ciliano, lentie e S. Oreste 105
Toscana e Stati annessi 1. Fata dello Statuto— 2. Agitazione
mazziniana — 3. Lagnanze e confessioni d'un giornale ufficioso pel
brigantaggio — 4. FiUntropia dei Frammassoni di Ravenna; suoi
effetti per le suore di Carità 110
TI COSE STRANIERE— Spagna 1. Decreto sopra il giw amento del
Clero — 2. Protestazione indirizzata al reggente Serrano dagli
Arcivescovi e Vescovi — 3. Schema di lejge contro il Cle o — 4. Ri-
chiami dell' Episcopato alle Cortes — 5. Lettera del Dica di Mont-
pensier circa il suo duello con don Enrico di Borbone — 6. Senten-
za della Corte marziale contro il Montpensier — 7. Lettera dei figli
di IT. Enrico, per rifiutare l' indennità Lro assegnata dalla Corte
marziale 117
Cose d' Oriente (Nostra corrispondenza) 1. Movimenti per V eman-
cipazione della Chiesa bulgara — 2. Firmano imperiale per un Esar-
cato bulgaro — 2. Vana opposizione del Patriarca greco .... 125
DAL 25 GIUGNO AL 9 LUGLIO
I. COSE ITALIANE — Stato Pontificio 1. Augurii del sacro Colle-
gio al Santo Padre pel vigesimo quinto anno delsuo pontificato; di-
scorso di Sua Santità — 2. Concistoro dei 27 Giugno 1870 — 3. Pre-
INDICE 767
parativi pel Giubbìleo pontificio di Sua Santità — 4. Nuova loggia
decorata dal Mantovani nel Cortile di S. D omaso al Vaticano — 5.
Pagamento degli interessi del debito pubblico pag. 139
Toscana e Stati annessi 1. 77 parlamento — 2. La giustizia— 3.
La linea del Gottardo —i. Religione del popolo . 549
Svizzera Italiana (Nostra corrispondenza) 1. Mi forma costituzio-
nale— 2. Fine miseranda di un prete scomunicato — 3. J Mazzi"
niani nel Cantone Ticino 25$
II. COSE STRANIERE — Francia 1 . La linea del S. Gottardo — 2.
Petizione de Principi d'Orleans — 3. Assicurazioni pacifiche del-
l' Ollivier — 4. Minacce guerresche del Grammont 254
DAL 9 AL 30 LUGLIO
I. COSE ITALIANE — Stato Pontificio 1. Visita di Sua Santità —
2. // Portogallo e la Repubblica di Nicaragua rappresentati in Ro-
ma— 3. Morte di Mons. Tesoriere — 4. La cappella di S. Toribio
— 5. Esercizii scolastici 36&
II. COSE STRANIERE — Guerra Franco-prussiana 1. Causa della
guerra spiegata dalla Francia — 2. Spiegazioni date dalla Prus-
sia — Il Proclami dei due Sovrani ai loro popoli — 4. Dichiara-
zione di guerra — 5. Armamenti — 6. Attitudine delle Potenze . . 37t
Svizzera (Nostra corrispondenza) 1. La Svizzera e la guerra fran-
co-germanica — 2. La riforma della Costituzione federale — 3. La
ferrovia del S. Gottardo — 4. La banda Nathan — 5. La definizio-
ne dogmatica della infallibilità pontifìcia — 6. Li elezioni nel Can-
tone di Berna — 7. Le elezioni nel Cantone di S. Gallo — 8. Movi-
mento politico nel Cantone Ticino 380
DAL 30 LUGLIO AL 13 AGOSTO
I. COSE ITALIANE — Stato Pontificio 1. Visita del Santo Padre
a Monasteri — 2. all' istituto dei ciechi — 3. a S Maria in via Lata
— 4. L'università della Sapienza — 5. Atto pubblico di Teologia in
Collegio Romano, dedicato al S. Padre — 6. Conservatorio Pio di
S. Spirilo eretto in Palestrina — 7. Partenza dei soldati francesi
dallo Slato pontificio 488
II. COSE STRANIERE — Guerra Franco-prussiana 1. Guerra diplo-
matica— 2. Primi preparativi di guerra sul Reno e primi scontri di
niun momento — 3. Preparativi per mare — 4. Le Potenze neutrali. 48$
DAL 13 AL 27 AGOSTO
I. COSE ITALIANE — Stato Pontificio 1. Festa onomastica di
S. M. V imperatore Napolenc —2. Visita del Santo Padre a S. Lui-
768 INDICE
gi dei Francesi — 3. Preghiere in Roma per la pace— 4. Battesimo
di un ebrea — 5. JYoterella del Giornale di Roma — 6. Fatto deplo-
rabile di un pazzo in Roma e pazzie non meno deplorabili dei gior-
nalisti italiani , pag. 314
II. COSE STRANIERE — Guerra. Franco-prussiana 1. Combatti-
mento di Wissemburgo — 2. Battaglia di Worth — 3. Combattimen-
to di Forbach — 4. Ritirata sopra Metz — 5. Parigi e la guerra
— 6. i neutri 617
Belgio (Nostra corrispondenza) 1. Tirannia dei liberali — 2. Loro
errori — 3. Primo trionfo dei cattolici nelle elezioni parziali — 4.
Divisione dei liberali — 5. Secondo e definitivo trionfo dei cattolici
nelle elezioni generali — 6. Il Belgio e la guerra 637
DAL 27 AGOSTO AL 10 SETTEMBRE
Guerra Franco-prussiana 1. Considerazioni sopra i fatti prece-
denti — 2. Ritirata dei francesi sulla Mosella — 3. Movimenti dei
prussiani ; fatto d' armi del 14 Agosto — 4. Combattimento del 16
Agosto — o. Combattimento del 18 — 6. Riordinamento dell'esercito
prussiano e sua marcia verso Parigi — 7. Stato di Parigi e della
Francia; orrori della guerra — 8. Potenze neutre — 9. V Italia
neutrale; discorso del deputato conte Cretti — 10. Circolare diplo-
matica della Prussia sopra lettere di Sua Santità e del re Guglielmo. 737
ERRATA
CORRIGE
'air
. 190 lin. 21
E innanzi
E innanzi tutto
»
191
» 15
del Mantovano
del Venosino
i
192
» 13
locazione
locuzione
a
280
» 5
pienamente
fieramente
»
281
» 3
lasciate dai Galli
lasciate ai Galli
»
284
» penult
. in genere suo
in genere suo insigne
»
407
» 0
Drubioilio
Drubiaglio
i
»
» 10
repubblicani
pubblicani
»
411
» 9
ragioni
regioni
»
597
» 22
che l'oppositore
ciò che r oppositore
»
»
» ultima moralmente
malamente
Imprimatur — Fr. Marianus Spada 0. P. S. P. A. Maqister.