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Full text of "La Civiltà cattolica"

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ÌVritten  in  the  Catalogue  of  the  Hoìy  SefuLhre, 
NEW     HALL. 


LA 


CIVILTÀ  CATTOLICA 


ANNO  VENTESIMOPRIMO 


Beatus  populus  cuius  Dominut  Deus  eius. 
Psìlm.  CXLIII,48. 


VOL.  XI. 
DELLA  SEME  SETTIMA 


ROMA 

COI  TIPI  DELLA  CIVILTÀ  CATTOLICA 
1870. 


Proprietà  letteraria  secondo  le  Convenzioni  dei  variì  Stati. 


L'  AGITAZIONE 

RIGUARDO 

ALL'  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA 


I 


n  un  secolo  così  poco  teologico,  anzi  cosi  generalmente  alieno 
da  quanto  sa  di  teologia,  com'  è  il  nostro,  fa  grande  meraviglia 
il  commovimento  eccitatosi  in  ogni  paese  civile  ed  in  ogni  ordine 
di  persone,  a  cagion  del  Concilio  vaticano,  o  più  tosto  a  cagion  di 
quell'unico  punto  dell'infallibilità  pontifìcia,  nella  cui  definizione  il 
mondo  ha  compendiata  tutta  la  importanza  dell'assemblea  concilia- 
re. È  lecito  asserire,  fuori  d'iperbole,  che  da  otto  mesi  in  qua  tutto 
ciò  che  poteva  dirsi  e  scriversi  prò  e  contro  questo  articolo  di  dot- 
trina cattolica,  si  è  detto  e  si  è  scritto  con  una  tale  varietà  di  for- 
me, che  la  fecondità  dell'umano  ingegno  pare  esservisi  esaurita. 

È  stato  un  bene  questo  commovimento  degli  animi,  od  un  ma- 
le? Altri  lo  ha  predicato  e  lo  predica  un  bene  singolare  ;  altri  un 
male  assai  lamentabile.  Ma  forse  dà  meglio  nel  segno  chi  lo  giu- 
dica uno  di  quei  fatti  straordinarii,  che  risultano  da  cause  in  parte 
buone  ed  in  parte  cattive,  e  si  chiamano  appunto  provvidenziali, 
perchè  Dio  mirabilmente  li  ordina  a  un  grande  utile  del  consor- 
zio umano. 

Or  sotto  questo  rispetto  piace  anche  a  noi  di  considerare  l'agi- 
tazione destatasi  a  proposito  dell'infallibilità  pontificia;  e  speriamo 
che  non  sarà  del  tutto  superfluo  il  venire  indicando  le  due  specie 
di  cause,  buone  e  cattive,  che  son  concorse  diversamente  a  muo- 
verla e  ad  accrescerla,  e  l'hanno  condotta,  grazie  agl'influssi  della 
Provvidenza,  a  produrre  i  lieti  effetti  che  presentemente  ammi- 
riamo. 


6  L  AGITAZIONE  RI Gt ARDO  ALL   IÌS FALLIBILITÀ  PONTIFICIA 

I. 

—  Chi  ha  mossa  dapprima  l'agitazione?  Ecco  il  quesito  che  si  è 
fatto  da  assaissimo  o  spauriti  del  romore,  o  sdegnati  per  le  conse- 
guenze che  ne  deriverebbero.  Gli  avversarli  della  definizione  ne 
incolpano  continuamente  la  nostra  pochezza.  —  Se  la  Civiltà  Catto- 
lica, dicono  essi,  non  fosse  uscita  nel  Giugno  1867  a  fare  quella  ma- 
laugurata proposta  del  Voto  a  S.  Pietro,  per  onorare  la  prerogativa 
della  infallibilità  della  sua  Cattedra  ;  e  se  si  fosse  astenuta  dal  pub- 
blicare quell'ancor  più  malaugurata  corrispondenza  francese ,  che 
diede  in  luce  nel  Febbraio  del  1869 ,  niuno  avrebbe  pensato  a  met- 
tere in  campo  questa  controversia,  per  occasion  del  Concilio;  e  così 
la  pace  degli  spiriti  non  sarebbe  stata  turbata  nel  cristianesimo. 

A  dir  vero,  l'onore  che  quest'accusa  ci  fa  non  può  da  noi  essere 
accettato,  perchè  non  ha  fondamento.  Che  la  nostra  proposta  del 
Volo,  tuli'  altro  che  malaugurata,  sia  stata  giovevole  a  mantenere  e 
fomentare  in  molti  cuori ,  massime  di  persone  ecclesiastiche,  la 
pietà  verso  S.  Pietro  e  le  divine  prerogative  concedute  da  Cristo 
alla  sua  Cattedra,  ci  è  dolce  sperarlo,  e  fino  a  un  certo  segno  lo 
crediamo  probabile  e  ne  benediciamo  Iddio;  ma  che  quella  propo- 
sta, venuta  fuori  un  anno  avanti  l'indizione  del  Concilio,  abbia  de- 
stato l'incendio  dell'agitazione,  non  è  da  credersi;  giacche  l'agita- 
zione si  cominciò  a  muovere,  in  modo  sensibile,  solo  nell'estate  dello 
scorso  anno  1869.  Or  non  è  chiaro  che  se  quella  proposta  fosse 
stata  cagione  dell'incendio,  non  avrebbe  tardalo  tanto  a  produrlo, 
contro  tutte  le  leggi  della  combustibilità?  Quanto  poi  alla  corri- 
spondenza francese,  che  ci  è  tanto  rimproverata  dagli  avversarli, 
amclteremo  volentieri  che  sia  loro  servita  di  «  pretesto  »  a  crea- 
re l'agitazione,  che  da  lunga  mano  apparecchiavano  in  occulto,  con- 
tro l'infallibilità  pontificia;  ma  negheremo  sempre  che  l'abbia  cau- 
sata, pai  riè  ohe  \Me\a  intrinsecamente:  molto  più  dopo  le  larghe 
spiegazioni  che  demmo  intorno  ad  essa;  le  quali  gli  stessi  a\ versa- 
ili  Oper  verità  o  per  finzione,  dichiararono  di  avere  per  buone 
e  sufficienti. 

Adunque  non  essendo  in  noi  il  merito  dell" opera,  nemmeno  pos- 
iamo accettarne  l'onore.  Anzi,  giacché  siamo  in  questo  argomen- 


L  AGITAZIONE  RIGUARDO  ALL  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA  7 

to ,  confesseremo  schiettamente  che  noi  sentiamo  invece  qualche 
rimorso  di  aver  fatto  troppo  poco.  Se  nei  due  anni  andati  avessimo 
potuto  indovinare,  che  tanti  contrasti  si  sarebbero  levati  contro 
una  verità  così  sacrosanta,  così  universalmente  tenuta  e  così  divi- 
namente certa,  qual  è  cotesta  dell'infallibilità  dottrinale  del  Papa; 
non  avremmo  mancato  di  prevenirli,  trattandone  più  di  proposito, 
giusta  la  tenuità  delle  nostre  forze ,  addimostrando  1'  opportunità 
e  chiarendo  le  congruenze  sociali  della  sua  definizione.  Con  che 
avremmo  procurato  di  meritarci,  almeno  un  poco  più,  l'onore  che  sì 
profusamente  ci  hanno  largito  gli  oppositori  di  essa. 

II. 

—  Ma  chi  dunque  ha  mossa  l'agitazione?  s'insiste  interrogando. 
E  noi  risponderemo  che  coloro  l'hanno  mossa,  i  quali  più  simulano 
di  dolersene  :  e  sono  quelli  che  hanno  cominciato  pei  primi  ad  im- 
pugnare la  definizione,  o  la  definibilità  di  questo  capo  di  dottrina. 

E  di  fatto,  benché  un  tal  capo  di  dottrina  non  fosse  definito  co- 
me articolo  di  fede,  la  cattolicità  però  lo  aveva  per  teologicamente 
certissimo,  tanto  che  niuno  avrebbe  ardito  negarlo,  o  metterlo  in 
dubbio,  senza  incorrere  sconcissima  nota.  La  quale  credenza  era 
stabilita  e  nell'  interpretazione  autorevole  dei  luoghi  evangelici  che 
riguardano  il  Primato  di  Pietro,  e  nel  consenso  dei  Padri,  dei  Dot- 
tori e  delle  Scuole,  e  nella  tradizione  costante  e  pratica  della  Chie- 
sa, e  nelle  dichiarazioni  di  molti  Concilii  nazionali  e  provinciali  fino 
all'  ultimo  di  Baltimora.  Ciò  per  la  parte  positiva.  Per  la  parte  ne- 
gativa poi,  questa  credenza  era  stabilita  nelle  riprovazioni  e  con- 
danne, fatte  dalla  Santa  Sede,  degli  errori  più  o  men  direttamente 
contrarii  a  tale  dottrina,  e  in  ispecie  delle  celebri  proposizioni  dette 
gallicane.  Ma  in  modo  particolare  era  stabilita  nella  Bolla  domma- 
tica  Auctorem  (idei  di  Pio  VI  (accettata  da  tutto  l'Episcopato  ed 
espressamente  dai  Vescovi  sospetti  di  giansenismo)  dalla  quale  non 
solo  si  confermarono  le  condanne  di  Innocenzo  XI  e  di  Alessan- 
dro VIII,  contro  le  prenominate  proposizioni  gallicane,  ma  si  riprovò 
e  condannò  la  dottrina  che  vi  è  contenuta,  con  qualificazioni  più 
gravi,  essendovi  dichiarata  l'adozione  che  ne  fece  il  Sinodo  pistoiese 


8  l'agitazione  riguardo  all'  infallibilità  pontificia 

di  temeraria,  scandalosa  ed  ingiuriosa  alla  Santa  Sede  1.  Onde  la 
cattolicità  era  in  pieno,  legittimo  e  pacifico  possesso  di  quesla  cre- 
denza; e  il  professarla  e  l' illustrarla  e  l'onorarla  pubblicamente 
da  niuno  era  avuto  in  conto  di  atto  perturbativi);  ma  più  tosto  era 
riputalo  alto  pio  e  sommamente  lodevole.  Ed  ecco  perchè  la  no- 
stra proposta  del  Voto  a  S.  Pietro  fu  giudicala,  dalla  censura  ec- 
clesiastica di  Roma,  immune  da  qualsiasi  neo  contrario  alla  pietà  o 
alla  fede. 

Posto  ciò,  appena  si  ebbe  seniore  del  disegno  manifestato  dal 
Pontefice,  di  convocare  un  Concilio  ecumenico,  e  maggiormente 
quando  si  ebbe  notizia  della  Bolla  che  lo  convocava,  fu  lecitissimo 
ad  ogni  cristiano  cattolico  esprimere  a  voce  e  in  istampa  il  desiderio 
che  il  Concilio  definisse,  come  articolo  di  fede,  quesla  verità  teolo- 
gicamente certissima;  ed  ancora  adoperarsi,  affinchè  le  convenienze 
dì  tale  definizione  fossero  studiale  e  riconosciute  dai  Pastori  e  dai 
fedeli.  Così  facendo  i  cattolici  compivano  un'  opera  buona,  come 
suol  dirsi,  ex  integra  causa:  buona  in  se,  perocché  la  conferma- 
zione della  verità  sopprannaturalc  è  di  somma  gloria  al  Verbo  di 
verità;  buona  nel  fine,  perocché  questa  confermazione  mirava  e  mi- 
ra al  consolidamento  ed  alla  propagazione  del  Regno  del  Verbo  di 
verilà  nella  terra,  clic  ha  il  suo  trono  visibile  nella  Cattedra  di 
S.  Pietro;  buona  nel  modo,  perocché  le  definizioni  conciliari  sono 
sempre  accompagnale  dall'assistenza  suprema  dello  Spirilo  di  san- 
tità e  di  verilà  increata;  buona  nei  molivi,  perocché  la  definizione 
Ola  bramata  unicamente  per  zelo  della  gloria  di  Gesù  Cristo  nel  suo 
rio,  e  della  salute  delle  anime  nella  Chiesa;  buona  finalmente 

1  Ecco  il  testo  autentico  della  Bolla  Auciorem  Fidei.  Quamobrem,  quaè 
>  uttttftfKj  Gallicani,  mox  ut  prodierunt,  praedecessor  nosier 
Ili  innocentini  XI per  Utero*  in  forma  Brevi*  die  11  Aprilis  uniti  I 
posto  |         der  \Iil  constitutione  Inter  ucltii 

{postulici 
derm  !  irrita  dcclorarunt;  multo  forlius  exigit  a  noi  ralis 

miem  horum  /orioni  In  Si/nodo  tal  viliis  off  edam  adoplto- 
mdalosam  oc  (praeserlim  post  e  il 
■!■>,  buie   ipottolicae  Sedi  wnmopere  ìniuriosom  re- 
probare ac  dnmnare,  prout  cam  praettnti  Hoa  mtilutiont  n  /  /   / /- 
mui  et  ttamnamus,  ac  prò  reprobata  et  damnala  haberi  I 


L   AGITAZIONE  ^GUARDO  ALL'  INFALLIBILI?!  ?oNTjfICIA  9 

nel  mezzi,  perocché  la  esposizione  candida  e  franca  degli  argomenti 
dimostrativi  della  verità,  è  laudabile  presso  Dio  e  presso  gli  uo- 
mini sapienti. 


III. 


—  Qui  appunto  fu  Terrore,  o,  se  si  vuol  meglio,  l'«  imprudenza  » 
dei  cattolici  «  intemperanti  »,  soggiungono  gli  avversar»;  nell' anti- 
venire con  manifestazioni  inopportune  la  sentenza  del  Concilio.  Que- 
sto irritò  i  cattolici  «  moderati  »  e  diede  origine  alla  agitazione. 

I  cattolici,  cui  per  isquisita  gentilezza  si  dà  il  titolo  d'  «  intempe- 
ranti »,  non  antivennero  nessuna  sentenza.  Si  contentarono  di  pren- 
dere la  cosa  com'era;  cioè  dire,  si  contentarono  di  asserire  che  la 
dottrina  della  infallibilità  pontificia  era  verità  certissima  della  Chie- 
sa cattolica:  e,  premesso  questo,  mostrarono  le  congruenze  che  una 
così  fatta  verità  fosse  definita  domina  di  fede;  e  siccome  le  con- 
gruenze erano  evidentemente  persuasive,  ed  appagavano  non  meno 
f  intelletto  che  il  cuore;  cosi  mostrarono  insieme  la  speranza  che  il 
Concilio  avrebbe  fatta  la  definizione.  Nel  che  i  cattolici  furono  pre- 
ceduti dall'esempio  dell'illustre  e  dotto  monsignore  Enrico  Eduar- 
do Manning  Arcivescovo  di  Wcstminster,  il  quale,  1'  autunno  del 
1867,  disse  cose  stupende,  in  una  pastorale  al  suo  clero,  intorno 
alle  relazioni  tra  il  prossimo  Concilio  e  l'infallibilità  pontificia  K 
Che  era  in  questo  procedimento  che  meritasse  biasimo?  Dove  sta 
scritto  che  sia  proibito  esporre  pubblicamente  tra  i  cattolici  il  de- 
siderio, che  la  verità  cattolica  passi  di  splendore  in  splendore?  Non 
è  stata  invece  riprovevole  intemperanza  di  linguaggio,  il  dare  perciò 
a  tali  cattolici  nota  d'  «  intemperanti  »?  Non  è  stato  errore  grossis- 
simo,  il  sorgere  ad  impugnare,  con  miserabili  sofismi,  il  diritto  che 
tali  cattolici  avevano  di  palesare  i  santi  loro  desiderii  e  le  loro  pie 
speranze?  Non  è  un  capovolgere  l'ordine  di  giustizia,  il  venire  a 
gridale  che  Y  agitazione  è  stata  fatta,  non  da  chi  contrastava  il  pos- 
sesso legittimo  della  verità,  ma  da  chi  usava  legittimamente  di  que- 


1  II  Centenario  di  S.  Pietro  ed  il  Concilio  ecwmenieo.  Roma,  tip.  della 
Civiltà  Cattolica  1867. 


10  L'AGITAZIONE  MGIARDO  ALL   LNTALLIBILITA  PONTIFICIA 

sto  possesso?  I  cattolici,  che  esprimevano  i  lor  desideri*!  e  le  loro 
speranze,  imponevano  per  sorte  ai  Vescovi  la  volontà  propria,  o  li 
minacciavano  di  scismi  e  del  finimondo,  se  non  l'eseguivano,  come 
baino  poi  latto  gli  avversarli  «  moderati  »,  per  impedire  che  i  Pa- 
dri Vaticani  sentenziassero  dommaticamente  in  favore  dell'infal- 
libilità:' 


IV. 


Del  resto  la  Provvidenza  di  Dio,  che  voleva  il  trionfo  di  questa 
verità,  aveva  lutto  disposto  in  modo,  che,  dato  il  Concilio,  la  defi- 
nizione era,  come  suol  dirsi,  nell'  aria,  ossia  nella  forza  stessa  del- 
le cose. 

Un  Concilio  ecumenico  che  si  adunava  dopo  le  famose  dichiara- 
zioni dell'assemblea  del  1682,  così  attentatone  all'integrità  della 
fede  ed  ai  divini  diritti  del  Seggio  apostolico,  e  dopo  gli  scapestra- 
menti  del  giansenismo,  che  in  quelle  dichiarazioni  avea  trovato  il 
più  solido  appoggio  alla  sua  pervicacia,  parca  non  potesse  fare  che 
non  rinforzasse  il  cardine  vivente  dell'unità  cattolica,  con  più  espli- 
cite definizioni,  e  non  riprovasse,  con  nuove  e  solenni  condanna- 
zioni, principii  esiziali  che  covavano  bensì  semispenti  sotto  la  cene- 
re, ma  non  erano  del  tutto  estinti;  anzi  si  venivano  pian  piano  rav- 
uv.indo,  per  istigazione  di  quel  liberalismo  cattolico,  il  quale  nei 
delti  principii  accennava  di  cercare  un'arma  di  resistenza  alle  mo- 
encirl iche  pontificie  ed  al  Sillabo  del  1864. 
Un  Concilio  ecumenico  che  si  adunava  dopo  le  ammirabili  mani- 
coni di  adesione  al  Capo  visibile  della  Chiesa  date  dall'  Epi- 
fore del  1s:h.  allorché  intervenne  alla  definizio- 
ne dominata;'  fatta  da  Pio  IX  della  Immacolata  Concezione  di  Maria 
ni  1859  e  1S00,  allorché  tulio  unanime,  con  atti 
contro  il  latrocinio  degli  Stati  della  Chiesa, 
dtchfatrando  a  l  il  Dominio  temporale  del  Vicario  (li  Ciislo, 

'i/io  libero  del  Mipronio  suo  ministero:  nell' anno  lSf>:>7 

allorché  In  grande  numero  venne  ad  assistere  il  Santo  Padre,  per 
lo  cei  li,:  canonizzatone  dèi  Martiri  giapponesi  e  ad  i 

:  diritti  civili  della  Santa  Sède  è  il  Primato  di  Pietro  sopra  tulio 


L  AGITAZIONE  RIGUARDO  ALL'  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA  11 

l'ovile  di  Gesù  Cristo;  e  nel  Giugno  del  1867,  allorché  tornò  con 
circa  cinquecento  suoi  membri  a  solennizzare  il  diciottesimo  anni- 
versario secolare  del  martirio  di  S.  Pietro,  ed  a  protestare  che  «  esso 
credeva  ed  insegnava  ciò  che  il  Pontefice  crede  ed  insegna,  e  ri- 
gettava quegli  errori  che  esso  rigetta  »  ;  un  Concilio  ecumenico 
che  si  ragunava  dopo  queste  meravigliose  dimostrazioni,  parea  non 
potesse  fare  che  non  coronasse  l'opera,  definendo  esplicitamente 
infallibile  il  magistero  sovrano  di  quel  Pietro,  la  cui  infallibilità 
l'Episcopato  avca  già  meglio  che  implicitamente  confessata,  con 
parecchi  atti  e  singolari  e  collettivi ,  nel  corso  dei  sedici  anni  pre- 
cedenti. 

Un  Concilio  ecumenico  che  si  adunava  in  un  tempo,  nel  quale  una 
guerra  implacabile  è  rotta  ad  ogni  rappresentazione  dell'  autorità  di 
Dio  nel  mondo;  e  il  Pontificato  romano  è  fatto  più  che  mai  segno 
degli  odii  e  delle  macchinazioni  delle  sètte  anticristiane  ;  ed  ogni 
legge  soprannaturale  del  credere  e  dell'  operare  è  proculcata  dalla 
sfrenatezza  dell'orgoglio  e  dalla  licenza  della  carne;  e  si  pretende 
cacciare  Cristo  e  la  sua  Chiesa  fuori  della  società  civile  ;  e  si  ban- 
disce per  fondamento  di  una  «  novella  civiltà  »  il  diritto  dell'errore 
e  la  libertà  del  male  ;  parea  non  potesse  fare  che  non  raffermasse, 
colle  sue  definizioni,  la  potestà  somma  e  le  prerogative  tutte,  delle 
quali  Cristo  ha  dotato  il  suo  Vicario  in  terra;  e  fortificando  così  il 
centro  ed  il  capo,  rassodasse  viepiù  l'intero  edifizio  dell'unità  dom- 
matica  e  tutto  il  corpo  gerarchico,  contro  gli  assalti  dello  spirito  di 
rivolta,  che  ne  minaccia  ab  estrinseco  la  stabillà,  la  sanità  e  perfino 
l'esistenza. 

Finalmente  un  Concilio  ecumenico  che,  per  la  prima  volta  da  che 
la  Chiesa  è,  si  adunava  intorno  al  sepolcro  del  Principe  degli  Apo- 
stoli, tra  un  risveglianiento  di  fede  e  d'amore  incomparabile,  per 
parte  dei  cattolici  di  tutto  l'orbe,  verso  il  combattuto  suo  Seggio  ; 
e  in  un  momento  in  cui,  fra  il  decadimento  di  tante  maestà  e  di  tante 
materiali  potenze,  il  Papato,  nella  persona  augusta  di  Pio  IX,  era 
assorto  a  un  grado  di  maestà  e  di  potenza  morale  che  aveva  del  pro- 
digioso; parea  non  potesse  fare  che  non  si  giovasse  di  congiunture 
cosi  propizie,  per  dommatizzare  formalmente  il  più  divino  dei  privi- 
legi conceduti  dal  Salvatore  a  Pietro  ;  e  per  tal  modo  non  concor- 


1 1  L  AGITAZIONE  IUGl  AUDO  ALL'  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA 

resse  alla  glorificazione  sempre  maggiore  di  questa  sua  Calledra  di 
verità,  che  dev'essere  l' unica  salute  del  mondo  pericolante. 

I  Cattolici  che  aveano  l' intendimento  di  questa  condizione  di  co- 
se ed  il  senso  retto  degl'  interessi  di  Dio  nella  umana  società,  co- 
noscevano e  sentivano  che  lo  Spirito  del  Signore  avrebbe  guidato 
il  Concilio  verso  questa  definizione  dell'  infallibilità  dottrinale  del 
sommo  Pontefice;  e  senza  previi  accordi,  senza  maneggi,  senza  ar- 
tilicii  si  trovarono  unanimi  di  concelti,  di  desidera  e  di  speranze. 
Or  questa  uniformità  di  pensiero  e,  diremo  cosi,  d' istinto  sopran- 
naturale nella  m'glior  porzione  della  Chiesa,  era  uno  di  quei  segni 
sicuri  che  facevano  esclamare:  Digilus  Bei  csthic.  E  che  il  dito  di 
Dio  vi  fosse,  lo  abbiam  veduto  e  lo  stiamo  vedendo  agli  effetti. 

Concludiamo  pertanto  ,  che  dal  lato  dei  veri  cristiani  cattolici, 
apostolici  e  romani  nessun  disordine  occorse,  che  potesse  originare 
l'agitazione  la  quale  poscia  si  è  destata  intorno  al  punto  dell'infalli- 
bilità pontificia  ;  che  eglino  usarono  legittimamente  del  santo  diritto 
di  rendere  ossequio  ad  una  verità  della  fede,  di  cui  la  Chiesa  era  in 
possesso  ;  e  che  così  adoperando  secondarono  le  intenzioni  e  i  dise- 
gni della  Provvidenza,  la  quale,  a  mille  indizii,  mostrava  di  volere 
ciò  che  loro  intimamente  ispirava. 


V. 


L'agitazione  invece  sorse,  quando  i  neogallicani  e  i  neofebbronia- 
ni,  che  la  pretendono  a  cattolici  «  liberali  »  e  «  moderati  »,  si  arro- 
garono d'impedire  che  i  cattolici  semplici  esercitassero  il  loro  di- 
ritto di  manifesta:  si,  per  mezzo  della  stampa  e  di  caldi  indirizzi  ai 
Vescovi  ed  al  Papa,  de\oli  zelatori  della  infallibilità;  e  per  questo  si 
icreditarli  e  li  tacciarono  d*  «  intemperanti».  Com'era 
ualii;  \iva  polemica  s'ingaggiò  tra  le  due  parti:  lo  zelo  dei 

nitori  della  verità  si  i  le  manifestazioni  favorevoli  si 

moltiplicarono  da  per  tutto  :  cleri  e  fedeli  gareggiarono  in  raddop- 
pimi protestazioni  della  loro  credenza.  E  perciocché  è  più 
■  difèndere  il  giusto  ed  il  vero  a  sangue  freddo,  che  non  oppu- 
ovenne  che  gli  oppugnatori,  per  difetto  di  salde 
ragioni,  ri  al  romorf,  agli  scandali,  alle  invettive,  agl'intri- 


l/  AGITAZIONE  RIGUARDO  ALL'  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA  13 

gin  ;  gittarono  indegnamente  nelle  piazze  la  controversia;  accettaro- 
no i  presidii  del  giornalismo  irreligioso;  e  presto,  aiutati  da  cotale 
ausiliario ,  empirono  la  cristianità  di  schiamazzi ,  di  spropositi  e  di 
confusione. 

Fino  ad  allora  la  Provvidenza  aveva  disposte  e  indirizzate  le  cau- 
se buone  al  suo  intento  :  appresso,  permettendo  che  le  cause  cattive 
dell'  agitazione  venissero  ad  urtarsi  colle  buone  e  guidando  sempre 
stupendamente  le  une  e  le  altre  al  fine  inteso  ,  fece  che  dal  contra- 
sto si  producesse  quello  che  si  è  prodotto,  e  rallegra  di  pura  gioia 
tutta  la  Chiesa  di  Gesù  Cristo. 

Per  lo  che  se  i  cattolici  «  liberali  »  e  «  moderati  »  avesser  bada- 
to ai  fatti  loro  e  lasciato  che  i  cattolici  semplici  facessero  i  lor  pro- 
prii,  sotto  la  cura  di  chi  ha  debito  di  governarne  le  coscienze  e  d'il- 
luminarne la  fede ,  possono  essere  certi  che  niuna  agitazione  sareb- 
besi  levata  ad  alterare  la  pace  delle  anime  :  la  quale  hanno  intorbi- 
data essi,  facendo  pur  troppo  davvero,  quello  che  fintamente  deplo- 
rano aver  fatto  i  «  gesuiti  »,  gli  «  oltramontani  »,  gli  «  esaltati  » 
dell'  Unità  Cattolica  e  «  i  laici  turbolenti  »  dell'  Univers. 


VI. 


—  Ma  che  si  è  fatto  alla  fin  dei  conti ,  che  fosse  contrario  alla 
pace  delle  anime?  dimandano  essi. 

Davvero  che  hanno  mal  garbo  a  costringere  chi  pur  amerebbe  di 
risparmiarli ,  a  rifare  sempre  il  processo  della  loro  innocenza.  Che 
si  è  fatto  ?  Ebbene  accenniamo  così  alla  grossa  una  particella  di 
quel  che  hanno  fatto. 

Cominciarono  collo  scatenare  il  Giano  bifronte  di  Germania  ad- 
dosso al  «  romanismo  »,  cioè  alla  Santa  Sede,  contro  cui  vomitò  uno 
stillato  di  bile  febbroniana  la  più  amara:  poi  accattarono  pubblica- 
mente firme  di  laici  ad  indirizzi  sediziosi  e  sovversivi  della  discipli- 
na cattolica:  poi  si  fecero  forti  del  danno  di  apostasie,  che  non  dan- 
neggiavano se  non  chi  se  ne  macchiava  :  poi  si  misero  ad  adorare 
strepitosamente  il  loro  vitello  d' oro ,  ossia  lo  scheletro  del  gallica- 
nismo, mal  rincarnato  in  certi  tisici  volumi  che  facea  pietà  il  vederli  : 
poi  aizzarono  tutto  il  giornalismo  liberalesco  e  settario  alle  coste  dei 


li  li'  AGITAZIONE  RIGUARDO  ALL'  INFALLIR1LITA  PONTIFICIA 

i 

cattolici  che  propugnavano  la  verità  loro  esosa  :  poi  pretesero  di 
tracciare  essi  modestamente  il  «  programma  »  ai  Padri  del  Concilio, 
indicando  loro  i  punti  della  divina  costituzione  della  Chiesa  da  ri- 
formare ,  ed  offerendosi  in  certa  guisa  mediatori  tra  essa  Chiesa  e 
la  «  società  moderna  »,  che  voleano  rappacificare  insieme  a  spese 
dell'autorità  del  Papa,  divenuta  «  eccessiva  »  e  bisognosa  di  tempe- 
ramenti: poi  scaraventarono  trai  popoli  libelli  insidiosi,  per  alienar- 
li dalla  definizione  dell'  infallibilità,  dato  che  il  Concilio  commettes- 
se 1'  «  imprudenza  »  di  decretarla:  poi,  convocatasi  la  sacra  assem- 
blea in  Roma,  le  sollevarono  intorno  coi  loro  giornali  una  tempesta 
di  noie,  di  menzogne,  d'impertinenze,  di  spauracchi:  poi  diffusero 
scritti  riboccanti  di  errori,  di  sentenze  scismatiche  e  d'infamie  in 
onta  al  Papato:  poi  applaudirono  ai  delirii  di  chi  aveva  insultato  il 
Vicario  di  Cristo  qual  «  idolo  del  Vaticano  »  :  poi  comprarono  tra- 
ditori che  divulgassero  i  documenti  secreti  del  Concilio  :  poi  in  som- 
ma scopersero  tutte  le  fila  di  una  vergognosa  congiurazione,  la 
quale  metteva  capo  in  tentativi  di  violenza  morale  contro  il  Conci- 
lio, da  disgradarne  le  bassezze  bizantine. 

Questo  è  un  cenno  compendiosissimo  di  ciò  che  si  è  operato  dal 
loro  «  cattolicismo  »  e  dalla  loro  «  liberalità  »  contro  la  definizione, 
e  quindi  contro  la  pace  delle  anime  ;  e  noi  sfidiamo  chi  che  sia  a 
negare  pur  uno  di  questi  fatti  s 


VII. 


-—  0  che!  ripigliano  alcuni  d'essi;  trattandosi  di  un'  «opinione  li- 
bera »,  se  era  lecito  ai  cattolici  «  intemperanti  »  promuoverne  la  de- 
finizione ,  perchè  non  dovea  esser  lecito  ai  «  moderati  »  lo  studiarsi 
d  impedirla? 

In  primo  taogt  è  l Uso  che  la  dottrina  dell' infallibilità  fosse  «  un 

opinione  linei  schè  costituiva  una  verità  appartenente  alla  l'e- 

de,  appoggiata  alla  Scrittura,  alla  tradizione,  ai  Padri,  ai  decreti 

"ixilii:  ed  il  cui  contrario  era  stato,  con  formolo  espresse, 

damato  dalla  CMéfta.  In  secondo  luogo,  posto  ancora  che  fosse  sta- 

non  era  mai  lecito  frastornarne  la  definizione 


L  AGITAZIONE  RIGUARDO  ALL'  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA  15 

con  mezzi  per  sé  tristi  :  ora  quale  tristizia  maggiore  di  quella  che 
appare  nel  processo  tessuto  dianzi  sommariamente? 

Ma  giacché  viene  in  taglio,  sarà  utile  riferire  qui,  per  ischiari- 
mento  migliore,  un  tratto  dell'  enciclica  Quanta  cura  del  Papa 
Pio  IX,  che  dà  gran  lume  in  questa  materia.  «  Non  possiamo  pas- 
sare sotto  silenzio  l'audacia  di  quelli,  i  quali,  intolleranti  della  sana 
dottrina,  contendono  che  si  possa  senza  peccato  e  iattura  della  pro- 
fessione cattolica,  negare  Y  assenso  e  Y  obbedienza  a  quei  decreti 
e  giudizii  della  Sede  apostolica,  1'  obbietto  dei  quali  si  dichiara  che 
riguarda  il  bene  generale  della  Chiesa  e  i  suoi  diritti  e  la  sua  di- 
sciplina; purché  essi  non  tocchino  i  dommì  della  fede  e  de'  costu- 
mi. Il  che  quanto  grandemente  si  opponga  al  domina  cattolico  della 
piena  potestà  del  romano  Pontefice,  divinamente  conferitagli  dallo 
stesso  Cristo  Signore,  in  ordine  a  pascere,  a  reggere  e  governare 
la  Chiesa  universale ,  non  è  chi  apertamente  e  chiaramente  non 
vegga  ed  intenda  l  ». 

Adunque  se  non  può  mai  essere  conceduto  «  senza  peccato  e 
senza  iattura  della  cattolica  professione  »  il  negare  assenso  ai 
giudizii  della  Sede  apostolica,  ancorché  non  tocchino  direttamente 
il  domma;  quanto  meno  potrà  essere  conceduto  il  negarlo  a  quei 
giudizii  i  quali  riguardano  la  condanna  di  errori  direttamente  op- 
posti a  verità,  che  al  domma  appartengono  e  col  domma  si  col- 
legano? E  quanto  meno  potrà  essere  conceduto  il  negarlo  a  quei 
così  fatti  giudizii,  che  sono  stati  inoltre  esplicitamente  approvati  da 
tutta  la  Chiesa?  Or  tal  è  il  giudizio  col  quale,  siccome  abbiam  ve- 
duto più  sopra,  Pio  YI  riprovò  e  condannò  l'errore  opposto  alla  dot- 
trina dell'  infallibilità  pontificia,  contenuto  nelle  dichiarazioni  del 


1  Atque  silentio  praeterire  non  possumus  eorum  audacìam,  qui,  sanarti 
non  sustinentes  doctrinam,  contendimi  ììlis  apostolicae  Sedis  ìudiciis  et  de- 
creti*, quorum  obiectud  ad  bonum  generale  Ecclesiae,  eiusdemque  tura  ac 
discipUnam  spedare  declaratur,  dummodo  fidei  morumque  dogmata  non 
attingant,  posse  assensum  et  obedientiam  detrectari  absque  peccato,  et 
absque  ulta  cathollcae  professionis  iactura.  Quod  quidem  quantopere  adver- 
setur  catholico  dogmatì  plenae  potestatìs  romano  Pontifici  ab  ipso  divisto 
Domino  divinìtus  collatae  unìversalcm  pascendi,  regendi  et  gubernandi  Ec- 
clesiam,  nemo  est  qui  non  dare  aperteqae  videat  et  intelligat. 


16  l'  AGITAZIONE  RIGUARDO  ALL'  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA 

clero  gallicano.  Ciò  posto,  qual  cattolico,  sia  pur  «  moderato  »  quan- 
to piace,  volendo  cattolicamente  sentire,  potrà  mai  asseverare  che 
la  dottrina  dell'infallibilità,  sebbene  non  definita  di  fede,  costituisse 
una  semplice  «  libera  opinione  »  ? 

Osserviamo  per  giunta,  che  non  correva  parità  alcuna  tra  le  ra- 
gioni dei  cattolici  promotori  e  le  ragioni  dei  cattolici  oppositori  del- 
la definizione  ;  perocché  i  promotori  favorivano  il  trionfo  di  una  im- 
portantissima" verità  cattolica,  gli  oppositori  invece  lo  contrariavano. 
Ed  essi  che  hanno  fatto  tanto  carico  al  Papa  Onorio,  perchè  sacrificò 
la  definizione  di  una  simile  verità  alle  astuzie  di  Sergio,  si  sono  mo- 
strati ben  poco  logici  con  pretendere  poi  che  il  Concilio  rinnovasse 
il  medesimo  sacrificio  alle  astuzie  dei  novelli  Sergi  loro  banderai. 


Vili. 


—  Pure,  si  replica  da  molti,  anche  i  cattolici  «  liberali  »,  nel- 
l'opporsi  alla  definizione  dell'infallibilità,  erano  animati  da  ottime 
intenzioni. 

Delle  intenzioni  giudica  Iddio:  gli  uomini  guardano  ai  fatti,  giu- 
sta la  regola  suggerita  ancora  nel  Vangelo:  Ex  frudibus  eorum  co- 
gnoscctis  cos.  Noi  non  vogliamo  dunque  nò  dobbiamo  entrare  in 
questi  meriti  delle  intenzioni.  Le  quali  però,  generalmente  parlando, 
ci  sembra  ben  difficile  che  possano  essere  ottime  ed  accompagnarsi 
con  azioni  evidentemente  riprensibili.  La  naturale  sinderesi  e  data 
a  ciascun  uomo,  appunto  affinchè  nel  suo  operare  armonizzi  gli  at- 
ti colle  intenzioni. 

Ma  che  che  ne  sia,  siccome  l'argomento  ci  lira  a  discorrerne,  di- 
remo clic  i  i!ioti\i  impellenti  a  contrastare  la  definizione,  sommini- 
strano la  bilancia  da  pesare  (sempre  generalmente  parlando)  il  va- 
lore delle  intenzioni  di  tanti  clic  l'hanno  contrastata. 

:  abbiamo  letta  una  {.irraggine  di  libri,  libelli,  lettere  e  gior- 
nali in  v;n  ic  lingue,  usciti  dal  campo  degli  oppositori:  abbiamo  con- 
feriti, con  persona  praticissime  degli  uomini  e  delle  cose  del  partito 
c.iUolieolibcrale:  e  infine  ci  siamo  pure  abboccati  con  qualcuno 
ini  più  .saputi  ed  operosi  seguaci,  Che  ci  ha  aperto  l'animo  in- 
genuamente. Siamo  quindi  al  caso  di  poter  giudicare,  con  bastevole 


L'AGITAZIONE  IUGIAKDO  ALL'  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA  17 

cognizione  di  causa,  dei  motivi  impellenti  i  cattolici  «  liberali  »  a 
guerreggiare  si  aspramente  la  definizione. 

Questi  vanno  divisi  in  tre  specie  diverse  :  vi  sono  i  motivi  appa- 
renti, vi  sono  i  reali  e  vi  sono  gli  accessorii. 

I  due  apparenti  più  ricantati,  perchè  coprono  meglio  i  reali  che  di- 
spiace di  divulgar  troppo,  si  riducono  1.*  Ad  un  fervido  amore  della 
Chiesa,  la  quale  si  è  voluto  dar  da  credere  alla  gente  dabbene  che 
pericolerebbe  al  sommo,  ove  si  definisse  l'infallibilità,  odiosissima  al 
maggior  numero  dei  cattolici,  che  si  lascia  supporre  sia  «  liberale  »  ; 
odiosissima  alla  «  società  moderna  »,  che  non  vuol  saperne  di  «  nuo- 
vi dommi  »  e  con  cui  è  pur  necessario  che  la  Chiesa,  o  tosto  o  tardi, 
si  riconcilii.  2.°  Ad  uno  zelo  non  meno  fervido  della  libertà  gerar- 
chica nella  Chiesa;  libertà  minacciata  dalle  pretendenze  della  scuo- 
la «  esagerata  »,  che  si  mostra  più  cattolica  del  Papa  e  mira  a  fa- 
re del  Vicario  di  Cristo  in  terra  un  «  Cesare  divino  ».  A  dir  vero 
è  bisognata  una  bella  fronte  ai  cattolici  «  liberali  »  per  metter  fuo- 
ri queste  brutte  ragioni,  tult'altro  che  cattoliche,  e  seguitare  a  darsi 
per  cattolici  di  ventiquattro  carati.  Non  monta:  queste  sono  le  due 
ragioni  che  essi  hanno  ripetute  a  sazietà,  per  coonestare  le  loro  con- 
traddizioni al  domina  dell'inerranza  pontificia. 

I  due  motivi  reali,  nascosti  sotto  i  predetti  apparenti,  sono  invece: 
1.*  L'orrore  a  quella  solenne  affermazione  del  principio  di  autorità 
nel  mondo,  che  viene  ad  essere  compresa  nel  decreto  dommatico 
dell'infallibilità  papale;  affermazione  che  finirà  con  atterrare  il 
principio  massonico  del  liberalismo,  a  cui  questi  cattolici,  o  in  buona 
o  in  mala  fede  non  fa,  sono  devoti  quasi  come  a  un  principio  celeste. 
2.°  Lo  sgomento  delle  conseguenze  di  questo  decreto  dommatico, 
riguardo  alle  condanne  degli  errori  moderni,  e  in  particolare  a  quel- 
le del  Sillabo,  che  preveggono  di  non  poter  accettare  colle  beni- 
gne interpretazioni  di  certi  loro  dottori,  se  pur  hanno  da  restare 
cattolici.  In  sostanza  questi  motivi  reali  si  ristringono  all'impossi- 
bilità di  conciliare  giuslificatamente  l'essere  di  «  cattolico  »  e  l'es- 
sere di  «  liberale  »,  quando  si  sentiranno  obbligati  a  rigore  di  sot- 
tomettersi, con  pieno  assenso  della  mente  e  con  pieno  ossequio,  a 
tutte  le  definizioni  e  condannazioni  del  romano  Pontefice.  Qui  è  tul- 
Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  487.  2  20  Giugno  1870. 


18  L  AGITAZIONE  RIGUARDO  ALL  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA 

to  il  nodo  della  difficoltà  e  il  vero  casus  belli  che  li  ha  inalati   a 
combattere  guerra  sì  disperala. 

1  inolivi  aocesaorii  poi  sono  parecchi.  Staremo  paghi  a  toccare  dei 
seguenti.  l.°  LV  ignoranza  in  materie  religiose,  molto  più  comune  di 
ciò  che  si  pensa,  anche  in  quell'ordine  vastissimo  di  persone,  che  si 
vantano  istruite,  colle  e  anche  dotte.  E  questa  speriamo  che,  din- 
nanzi a  Dio,  abbia  scusati  assai;  e  specialmente  abbia  scusate  le  fem- 
mine, che  In  questa  campagna  teologica  si  son  fatte  compatire  tanto 
col  titolo  di  «  matriarchc  ».  Dopo  la  grazia,  si  suol  dire  che  l' igno- 
ranza ù  ministra  la  più  fortunata  di  salute.  2.°  Lo  spirito  di  parte  che 
oscura  la  vista  de'meglio  intenzionati,  massime  allorché  vi  si  aggiun- 
gon  le  nebbie  degli  errori  e  dei  pregiudizii  che  offuscano  la  presente 
a  atmosfera  morale  »  e,  per  soprappiù,  le  tenebre  dell'  ignoranza. 
Quanti  in  Francia,  verbigrazia,  si  sono  improvvisati  gallicani,  dac- 
ché hanno  inteso  dire  che  il  gallicanesimo  è  una  gloria  nazionale;  ed 
hanno  ignorato  che  invece  è  una  impostura  la  più  antìfraneese  che 
figurare  si  possa,  siccome  ripugnantissima  allo  spirilo,  al  cuore,  al 
leale  carattere  di  lor  nazione?  Quanti  sono  stali  strumenti  inconscii 
di  questa  guerra  alla  Chiesa,  unicamente  perchè  si  trovavano  a  par- 
teggiare per  lo  «  spirito  moderno  »  ;  il  quale  capiscono  che  non  è 
il  Santo  ,  ma  non  finiscono  di  persuadersi  che  sia  il  satanico?  3.° 
V  interesse  personale  o  di  amor  proprio  offeso,  o  di  troppa  opi- 
nione di  sé  da  sgonfiare,  o  di  aderenze  che  rincresceva  di  compro- 
mettere, o  di  amicizie  che  premeva  di  non  alterare  e  \ia  via.  Questo 
motivo  e  slato  di  grande  possanza  sopra  le  anime  deboli  e  sopra  le 
donni-  ire,  in  certe  materie,  più  toslo  col  capo  altrui  che 

eoi  loro.  11  dovere  dar  torlo  a  un  Tizio,  per  esempio,  clic  era  il  loro 
Meni  un  Caio  clic  stimavano  un  oracolo  di  saggezza,  saper 

mi  loro  toppo  a-ro:  e  qucsii  cervelli  volatili  non  han  badato  che, 
nelle  cose  di  ;  è  infinitamente  meglio  pensare  colla  tesila 

quella  di  un  Tizio  qualunque  o  di  un  qualun- 
que Caio,  ancoiclir  steno  arche  di  senno  sopraffino.    Lfl  11  malo 

l'uomini  che,  per  la  loro  condizioni,   erano  tenuti  B  darlo 
buono  ed  ottimo.   Chi  .sa  come  il  liberalismo  sia   per  un  lato  il  più 
le  e  per  l'altro  il  piti  dispotico  del  Sistemi,  Si  renderà  di  leggie- 
ri capace  della  somma  facilità  con  cui  molli  si  sono  impegnali  con- 


L  AGITAZIONE  RIGUARDO  ALL  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA  1  9 

tro  la  definizione  dell'  infallibilità,  per  andar  dietro  alla  solita  «  pub- 
blica opinione  »,  capitanata  dai  soliti  portabandiera  che  la  formano. 
La  considerazione  di  questi  motivi  che,  con  varii  gradi  e  con  dif- 
ferente misura,  hanno  indotto  la  massa  dei  cattolici  «  liberali  »  a 
guerreggiare  tanto  e  poi  tanto  la  proclamazione  del  domma  dell'  in- 
fallibilità nel  Concilio,  farà  sì  che  si  possa  non  imprudentemente 
giudicare  la  qualità  delle  intenzioni  dei  guerreggianti. 


IX. 


Se  non  che  basti  delle  cause  cattive,  che  hanno  suscitata  1'  agi- 
tazione, cotanto  ora  deplorata  da  chi  le  ha  poste.  I  cattolici  schiet- 
ti più  veramente  dei  «  liberali  »  ne  deplorano  i  danni  e  deplorano 
sopra  lutto  le  offese  gravissime  che  si  sono  recate  a  Dio,  in  que- 
sti passati  mesi  di  commovimento:  ma  in  quella  che  si  addolorano 
del  male,  benedicono  però  la  Provvidenza  dello  stesso  Dio ,  che  ha 
saputo,  con  modi  così  ammirandi,  far  servire  tutto  questo  male  al 
bene  della  Chiesa  ed  alla  vittoria  della  verità.  Conciossìachè,  tolto 
il  fiero  contrasto  di  tanti  oppugnatori,  i  quali  hanno  renduta  neces- 
saria la  definizione  che  sostenevano  inopportuna,  ignoriamo  se  i  vo- 
ti della  cattolicità  sarebbero  stati  coronati  sì  presto  e  sì  appieno,  co- 
me son  per  essere  in  presente.  Onde  per  questo  verso  i  cattolici 
debbono  viva  gratitudine  ai  loro  avversarli  :  e  la  professeranno  con 
pregare  il  cielo,  che  faciliti  ad  essi  quella  docilità  di  mente  alla  di- 
finizione  del  Concilio,  senza  cui  non  v'  ha  salute. 

È  piaciuto  ai  contraddittori  del  domma  dell'  infallibilità  parago- 
nare la  sua  definizione  ad  un  convoglio  di  strada  ferrata,  che  di  tut- 
ta corsa  vola  agli  abissi.  L' idea  ha  del  poetico.  Se  si  contentano, 
ci  approprieremo  anche  noi  questa  similitudine,  e  diremo  che  il 
convoglio  è  opera  dello  Spirito  Santo,  ma  la  forza  generante  il  ce- 
lerissimo moto  è  benefizio  loro.  Perciò  il  convoglio,  guidato  dallo 
Spirito  di  Dio,  vola  gloriosamente  agli  abissi  dell'  eterna  miseri- 
cordia impietosita  del  mondo  e,  per  colmo  di  bellezza,  vi  vola  por- 
tato sull'ali  del  vapore  liberalesco.  Chi  altri  che  Dio  può  scherzare 
così  ih  orbe  terrarum  ? 


I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

SCENE  STORICHE  DEL  1867 


XCVI. 

Sbarco  dei  Francesi.  Consigli  di  guerra  degli  Alleati. 

Cinque  lcgnelti  da  guerra  francesi  avevano  preceduto  di  più  giorni 
l'arrivo  della  flotta:  il  maggiore  fra  essi,  la  corvetta  Caton,  non  por- 
lava  che  sei  cannoni  e  centovenlinove  uomini  di  equipaggio  Fon- 
deggiava  pure  in  porlo  il  Mindello,  bel  vapore  militare  spedilo  dal- 
la cattolica  Spagna  con  altri  legni  minori,  cui  sopraggiunse  a  dì 
30  Ottobre  la  fregata  Villa  de  Madrid,  che  per  la  gran  mole  fu 
costretta  di  ormeggiarsi  fuori.  Sì  tenui  forze  tenevansi  in  avviso  di 
contrastare  alle  corazzate  italiane,  dove  queste  si  affacciassero  a 
Civitavecchia.  A  Tolone  non  fu  mai  naviglio  in  armamento  o  in  par- 
tenza, che  più  commovesse  gli  sludii  appassionati  di  quella  citta- 
dinanza mariniera.  Da  circa  dieci  giorni  la  rada  e  il  porto  divenu- 
ti erano  punto  di  assembramento:  e  un  mirabile  vascello  blindato, 
il  Solfai  a  bandiera  ammiraglia,  sotto  gli  ordini  del  vice- 

ammiraglio conte  Lligi  di  Gueydon.  Intorno  intorno  si  operava  di 
far  \iiiovaglia,  carbone,  provvisioni;  ufficiali  giungevano  precipi- 
zio, traino,  artiglieria  ingombravano  le  calate 
de' moli;  la  brigata  l'olhès,  della  divisione  Dumont,  fu  la  prima  a 
pronte  houli»,  con  raposoldo  di  partenza,  metà  pagato  al  quartiere 
di  motta,  metà  da  pagarsi  in  Civitavecchia. 


XCVI.  SBARCO  DEI  FRANCESI  21 

La  prima  squadra  era  in  acconcio  di  salpare  a  mezzo  il  gior- 
no 18.  Ma  il  generale  conte  di  Failly  aiutante  di  campo  dell'Impe- 
ratore, creato  generalissimo  dell'impresa,  tenevasi  tuttavia  a  terra. 
Di  qui  rendeva  un  bando  fermo  e  chiaro  sullo  scopo  della  spedizio- 
ne, bando  che  colmò  di  giubilo  l' armata  e  la  Francia  intera.  Se 
non  che,  trasferito  a  bordo  della  nave  ammiraglia  il  quartier  ge- 
nerale, di  là  spediva  un  contram  mandato  che  sospendeva  la  par- 
lenza  ,  ordinava  sbarcare  le  truppe  e  acquartierarsi  ne'  dintorni. 
Tolone  e  il  porto  quietavano  in  dolorosa  dubitazione,  finché  non 
balenò  da  Parigi  un  telegramma,  a  levare,  si  potrebbe  dire,  il  se- 
questro sulle  speranze  della  cristianità.  Ciò  avvenne  il  dì  25  Otto- 
bre, alle  ore  due  dopo  mezzodì.  Allora  il  naviglio  da  battaglia  e 
da  carico  leva  bandiera  di  partenza,  i  capitani  di  marina  chiamati 
in  diligenza,  saltano  sugli  schifi  e  vogano  al  loro  posto,  i  cittadini 
si  esaltano  al  rullo  concitato  de'  tamburi  che  battono  la  generale 
per  tutte  le  strade  ;  le  masse  dei  quartieri  lontani  tornavano  a  mar- 
cia forzata,  file  d'uomini  e  di  carriaggi,  come  raggi  al  centro,  con- 
vergevano al  porto,  tutta  notte  fervea  l'opera  nell'arsenale;  negli 
opitìcii  e  ne'depositi,  gli  operai  vigilavano  sul  lavoro,  il  prefetto  ma- 
rittimo e  i  capi  di  servizio  non  chiuser  occhio  :  la  voce  correva  che 
la  dimane  si  metterebbe  al  vapore.  I  vecchi  di  Tolone  dissero  che, 
a  memoria  loro,  non  si  era  visto  imbarco  né  più  sollecito,  né  più 
disciplinato.  Basti,  che  in  sedici  ore  la  squadra  prendeva  mare, 
con  sei  grandi  corazzate  da  combattere  e  quattro  onerarie,  e  quat- 
tromila uomini  da  sbarco  1. 

Già  raccontammo,  parlando  de'negoziali  tra  il  Governo  francese 
e  il  fiorentino,  come  in  effetto  la  divisione  navale  non  si  spiccasse 
dalla  costiera  tolonese,  prima  di  altre  undici  ore  di  angoscia  per 
gli  spettatori  e  per  l'equipaggio  2  :  tuttavia  il  lungo  altalenare  par- 
ve compensarsi  dalla  vigoria  dell'ultima  consegna.  Recava,  tra  gli 
altri,  quest'ordine:  «  Se  la  flotta  italiana  si  parasse  davanti,  pas- 
sarle sopra.  »  Così  ci  riferirono  tali  che  il  seppero  di  buon  luogo, 

t  Lettere  e  telegr.  da  Tolone,  nella  pubblica  stampa  ;  Uelaz.  speciali. 
2  Capo  LXXI,  Rottura  delle  trattative. 


22  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

stando  a  bordo.  Perciò  venivano  il  vascello  Solferino,  e  le  cinque 
fregate  la  Normandia,  la  Couronne,  la  Bevanehe,  la  Provence. 
e  YJììvincible.  che  rompeano  il  mare  dinanzi  al  convoglio.  E  tale 
mandato  sentiva  ciascuno  de'marini  e  dc'soldati  bollirsi  nel  sangue, 
sì  che  al  cenno  di  poggiare  in  alto,  si  accese  a  gara  tutto  lo  sforzo 
del  vapore,  per  involarsi  a  nuove  richiamate.  Si  discendeva  lun- 
ghesso le  coste  italiane  con  tutte  le  artiglierie  cariche,  cercando 
l'orizzonte  coi  cannocchiali,  per  bramosia  di  scoprire  legni  di  guer- 
ra italiani.  Un  solo  si  mostrò  in  lontananza  ne'paraggi  dell'Elba,  e, 
inseguito,  disparve  a  grandissimo  vapore:  la  rimanente  armata 
della  Spezia,  al  primo  telegramma  della  squadra  salpata  da  Tolo- 
ne, scordò  la  passata  baldanza,  e  le  minacce  contro  le  quasi  iner- 
mi marine  pontificie ,  e  si  ridusse  a  suoi  porti ,  quieta  come  in 
disarmo. 

Si  lagnavano  bensì  i  giornali  di  Firenze,  nel  giorno  28,  dell'esser- 
si scorto  la  bandiera  francese  sventolare  tra  V  isola  del  Giglio  e  il 
monte  Argentaro.  Il  Monitore  di  Parigi  in  egual  tempo  l' annunziava 
giunta  dirimpetto  a  Civitavecchia  ;  e  per  placare  il  pubblico  fremi- 
to d'impazienza,  aggiugneva,  Roma  dimorare  tranquilla,  ben  custo- 
dita, e  le  orde  garibaldine  tuttavia  a  distanza  di  più  miglia  dalle 
mura.  Per  verità  la  squadra  non  era  anche  giunta,  e  se  in  Roma 
prevaleva  la  fiducia,  in  Civitavecchia  si  pendeva  allo  sgomento.  Sa- 
pevano i  Civilesi  il  ristringersi  delle  milizie  pontificie  sopra  Roma, 
il  pressarsi  delle  regie  al  confine  di  Orbetello,  navi  nemiche  fino  a 
ieri  corseggiavano  a  loro  vista.  Ogni  antenna  che  navigasse  in  fon- 
do all'  orizzonte  veniva  esaminata  e  studiata  da  cento  occhiali  :  se 
non  era  italiana,  acchetava»  il  batticuore  del  bombardamento.  Né  in 
minore  travaglio  si  v<  rsàva  il  colonnello  d'Argy,  comandante  supe- 
iìoiv  dell  perchè  sebbene  lenexasi  all'ordine  di  resistere 

per  terra  pure,  pel  non  rodere  la  mattina  del  28  una 

squadra,  che  il  telegrafo  annunziava  (falsamente)  partita  da  Tolone 
all' alba  del  26,  in  suo  cuore  dubitaci.  i  Noi  siamo  alla  vedetta, 

al  ministro  Kanzler,  siamo  tutf  occhi  per  vedere  la 
'a.  e  boi  vediamo  nulla...  .Non  penso  ad  altro  che  alla  squa- 
dra, e  a  lai  tranelli  del  Piemonte,  che  può  venirci  a  mo- 


XCVI.  SBARCO  DEI  FRANCESI  23 

ìestare  per  mare  e  per  terra.  »  Alle  due  e  mezzo  di  giorno,  ripiglia- 
va: «  Ancora  nulla  della  squadra:  fa  un  mare  spaventoso,  vento 
forte,  ondate  immense  contro  terra  %.  » 

Col  passare  delle  ore  pomeridiane  !'  ansietà  del  popolo  civitese 
toccava  il  parossismo.  Era  tutto  sui  moli,  sulle  altane,  sui  tetti:  il 
naviglio  del  porto  fin  dal  mattino  teneva  i  gabbieri  sui  più  alti  pen- 
noni degli  alberi.  Noi  vedemmo  di  presenza  quello  spettacolo,  di 
una  città  in  affanno  a  studiare  la  marina  deserta,  e  promettersi  gli 
orrori  della  guerra  o  la  securilà  della  pace,  secondo  che  spuntasse 
una  bandiera  italiana  o  francese;  e  veramente  attestiamo  che,  se  tal 
vista  può  entrare  per  gli  occhi  e  sentirsi  nell'animo,  non  si  può 
tuttavia  con  parole  ritrarre.  Al  fine,  verso  le  ore  cinque,  si  cominciò 
ad  indovinare  un  fumo  diffuso  sulle  acque  occidentali;  e  questo  cre- 
scendo di  momento  in  momento,  si  ebbe  certezza  d'  un  legno  a  va- 
pore, e  si  riconobbe  una  fregata  da  guerra  e  lo  stendardo  di  Fran- 
cia. Prorompeva  la  gioia  popolare  sparsamente,  secondo  che  cia- 
scuno assicuratasi  cogli  occhi  suoi  del  desiderato  avvenimento  ; 
propagavasi  ed  aumentava  coli'  apparire  di  nuovi  alberi  al  lembo 
dell'orizzonte.  Trattanlo  il  Caton  dal  porto  già  favellava,  in  linguag- 
gio di  mare,  colla  nave  di  vanguardia  in  vista,  e  questa  tra  gli 
enormi  cavalloni  che  le  davano  sul  fianco,  veniva  a  filo  del  porto  : 
beccheggiò  un  tratto,  e  sparò  un  colpo  di  cannone.  Due  avvisi  le 
mossero  incontro,  con  un  piloto:  poco  di  poi  la  squadra  tutta  scor- 
ge vasi  ad  occhio  nudo.  Ma  per  essere  l'ora  tarda,  e  i  vascelli  di 
gran  corpo,  e  l'onde  cavalcate  dal  vento  in  traversia,  riuscì  im- 
possibile l'approdare.  Per  maggior  sicurezza  l'armata  si  ritrasse  in 
pieno  mare  :  ma  i  cittadini  riposarono  dal  terrore  di  offese  da  que- 
sto lato  :  un  insulto,  solo  da  terra,  poco  dava  a  temere  2. 

Non  è  a  dire  se  le  novelle  ne  volassero  a  Roma  col  lampo  ma- 
gnetico, a  confortare  il  Santo  Padre  e  i  suoi  ministri  :  si  batteano  i 
telegrammi,  un  sopra  l'altro,  per  ogni  novità  di  momento  :  il  genera- 
le dell'  armi  facea  sgombrare  cinque  caserme,  per  accogliervi  i  bat- 

1  Lettere,  telegr.  atti  varii  nei  Doc.  mss.  degli  Archivii,  di  questi  giorni; 
Relazioni  speciali. 

2  Ivi. 


21  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

taglioni  di  soccorso,  cui  invitava  a  tener  presidio  in  Roma,  appena 
sbarcati  ;  aflìne  di  potere  spiccare  incontanente  le  sue  forze  a  ri- 
scuotere le  province  dagli  oppressori.  Tra  i  molti  avvisi,  ond'  egli 
riseppe  l'arrivo  della  flotta,  uno  ne  vogliam  riferire  a  verbo,  per 
rispetto  del  nome  che  vi  è  sottoscritto,  nome  che  la  storia  dell'ono- 
re pontificio  e  francese  insieme  alleati  dovrà  scrivere  tra'  suoi  più 
cavallereschi  difensori.  «  Palazzo  Colonna,  Lunedi  9  ore.  Ecco  infine, 
mio  caro  Generale,  il  termine  delle  vostre  gloriose  fatiche!  Ricevo 
da  Civitavecchia  l'annunzio  che  la  nostra  squadra,  composta  di  sei 
fregile  corazzate  e  di  cinque  navi  onerarie  colle  truppe,  è  a  dieci 
miglia  io  mare,  e  vi  passerà  la  notte.  Voi  e  i  vostri  valorosi  soldati 
potete  una  volta  riposare  di  tanti  travagli.  La  gloria  vostra  e  del- 
l'esercito pontificio  è  oggimai  assicurata  nella  storia.  Risogna  coro- 
narla con  una  vittoria  comune  col  nostro  esercito  contro  i  5000  ma- 
scalzoni (coquins),  che  sono  venuti  a  visitarci.  Mille  rallegramenti 
e  di  lutto  cuore.  Armand  1.  » 

Intanto  che  il  naviglio  francese,  sospinto  dal  controvento,  s'allar- 
gava dalla  spiaggia,  non  cessava  tuttavia  di  spiare  ogni  bastimento 
di  navigazione  sospetta:  due  volte  nella  notte  accese  i  fuochi  di  al- 
l'armi, ed  anche  ne' dì  seguenti  spacciava  a  quando  a  quando  un 
legno  corridore  a  dare  una  cercata  e  riconoscere  le  acque  circo- 
stanti. Alla  dimane  dell'arrivo,  tanto  aveva  perduto  della  terra,  che 
a  mala  pena,  frangendo  i  marosi  pur  sempre  grossi,  potè  schierarsi 
innanzi  a  Civitavecchia,  alle  ore  quattro  dopo  mezzo  giorno.  Fu  un 
prospetto  grande  e  delizioso.  Le  corazzate  si  anelavano  in  ordine 
di  ricevere  il  nemico;  il  Solferino  surto  in  mezzo,  e  sopraeminen- 
te,  colla  poppa  rasa  e  stagliata,  nero  i  fianchi  e  immobile  al  fiotto, 
rcndea  sembiante  d'  una  rupe  cresciuta  improvviso  in  mezzo  all'on- 
de. Ad  ora  ni  ora  vedovasi  una  collana  di  drappelli  dipinti  ser- 
peggiare sulle  sue  sarte  sino  alle  cime  altissime  de'  pappafichi  ;  e 
controrispondere  una  o  più  navi  del  convoglio,  collo  svolazzare  di 
stmiglianli  fiammelle  ;  e  tosto  spiccarsi,  o  muoversi,  o  altrimenti 
obbedire  al  significato  comando.  Da  lungi  le  coperte  delle  fregate 

1  Doc.  MB.  degli  Ardimi  28  e  29  ott. 


XCVI.  SBARCO  DEI  FRANCESI  25 

e  vascelli  da  trasporto  parevate  le  antiche  galere  abbancate;  ed  era- 
no le  file  de'soldati  che  ne  stipavano  le  tolde  ed  i  castelli.  Così  ave- 
vano navigato. 

Al  cenno  de  capitani,  si  aprivano  in  più  luoghi  d'ima  stessa  nave 
i  portelli  de' traponti,  si  svolgevano  le  scale  di  comando,  un  torrente 
di  armali  ne  discendeva  ad  ingorgarsi  nelle  lance  calate  da  bordo,  o 
nei  vaporetti  pontificii  accorsi  allo  sbarco.  Intanto  si  erano  pure  git- 
tati  a  galla  i  battelli  di  rimorchio;  e  questi  scaldavano  le  vivacissime 
loro  macchinette  ad  elice,  e  come  due  o  tre  palischermi  vedean 
pieni,  gittavan  loro  un  capo  di  barbetta  cui  attenersi,  e  via  filavano 
sibilando  allo  sbarcatoio.  Dal  bacino  del  porto  erasi  ritirato  il  bar- 
chereccio nella  darsena,  e  ristretto  ai  moli  il  rimanente  naviglio  ; 
ondechè  entrandovi  da  due  ingressi  quegli  agili  burchielli  fumanti, 
con  dietro  a  se  più  lance  accodate,  vi  disegnavan  curve  e  giri  ve- 
locissimi a  tutti  gli  scali.  E  cosi  cento  barchette  s' intrecciavano  a 
un  tempo,  gremite  di  assise  variopinte,  e  rutilanti  di  acciaro,  di 
bandiere,  di  aquile,  di  spallini  d'argento,  e  davano  simigliala  di 
vasta  carola,  danzata  su  pavimento  di  cristallo. 

Ma  non  faceano  già  da  sollazzo  :  perchè  da  quelle  capaci  conche 
di  ferro  (che  tali  erano  gli  scalini,  e  s'integrano  di  pezzi  e  si  smon- 
tano all'uopo)  sgusciavano  centinaia  d'uomini  in  armi;  e  toccar  ter- 
ra, drappellare  in  compagnie,  formarsi  in  battaglioni,  e  marciare 
in  tutto  punto  di  fare  campagna,  era  un  punto  solo.  La  letizia  e  il 
plauso  de* cittadini  li  accompagnava.  Prima  di  notte  la  città  riboc- 
cava di  ogni  fatta  milizie;  e  campeggiavasi  sulle  piazze,  sotto  le 
alberate  de'passeggi,  nelle  mezzelune  a  pie  delle  mura,  nel  campo 
trincerato,  sui  poggi  circostanti.  Continuandosi  ne'  dì  consecutivi  lo 
sbarco  di  questa  e  della  seconda  squadra,  i  bastimenti  da  carico  en- 
trarono in  porto,  a  due  o  tre  per  volta;  acculavan  la  poppa  agli  sca- 
ricatoi, o  si  abbordavano  alle  banchine,  e  sin  pel  canale  della  darse- 
na, ove  posero  i  ponti  sulla  riva  murata;  e  in  poco  d' ora  sgombra- 
vano quei  gran  fianchi,  stivati  sì  che  non  vi  pareva  un  dito  di  vuoto. 
Nei  quali  difficili  maneggi  di  enormi  corpi  di  nave  si  parve  non  solo 
la  destrezza,  ma  l'ardimento  del  pontifìcio  capitano  del  porto,  Gio- 
vanni Giacchetti,  ora  defunto:  riuscì  di  stupore  ai  più  esperti  coman- 


26  I  CROCIATI  DI  SAX  PIETRO 

danti  doli' armata,  e  all'Ammiraglio,  che  co' suoi  pressanti  ufficii  gli 
procacciò  premio  insigne  nella  Legione  d'onore,  e  presso  il  Governo 
pontificio.  Quindi  lo  scarico  procedette  con  celerità  maravigliosa  : 
cavalli,  palchi  d'artiglieria,  munizioni,  viveri,  salmerie,  crescevano 
a  monti  attorno  agli  scali:  l'intero  corpo  di  esercito  era  calato,  e  in 
pieno  fornimento  di  guerra,  in  meno  d'una  settimana. 

Comprendeva  l'armata  navale  ventotto  bastimenti,  tra  i  quali 
sette  grandi  corazzate  da  battaglia,  il  rimanente  da  carico,  o  misti, 
o  legni  minori.  Tre  contrammiragli,  sotto  il  Gueydon,  la  comanda- 
vano: lo  sbarco  fu  diretto  dal  contrammiraglio  Laffon  de  Ladébat, 
che  spiegava  bandiera  sull'avviso  il  Phènix.  Portavano  due  giuste 
divisioni  di  esercito,  con  a  capo  i  generali  Dumont  e  Balaille,  vete- 
rani di  memorabili  campagne.  La  terza  divisione  fu  trattenuta  per 
le  pratiche  del  Governo  italiano,  e  più  ancora  pel  pronto  rinnegare 
che  fece  Vittorio  Emmanuele  dei  plebisciti  garibaldeschi  sul  suolo 
pontificio,  e  per  la  docilità  mostrata  in  richiamare  le  truppe  regie 
mandate  oltre  il  confine. 

Prima  a  discendere  in  Civitavecchia  fu  la  brigata  sotto  gli  ordini 
del  generale  di  Polhès,  la  quale  poi  si  battè  a  Mentana;  e  con  esso  il 
Dumont  generale  della  divisione,  e  il  capitan  generale  di  Failly.  Toc- 
calo terra,  il  Failly  tenne  consiglio  di  guerra  col  colonnello  D'Argy7 
comandante  superiore  della  piazza,  e  già  suo  commilitone  nella  cam- 
pagna di  Lombardia  nel  1866;  poco  stante  sopraggiunse  da  Roma 
il  maggiore  Ungarelli,  di  Stato  maggior  generale,  e  capo  di  gabi- 
netto del  ministro  Kanzler.  In  questi  consigli  varie  risoluzioni  rile- 
vanti si  deliberarono  :  il  d'Argy  continuasse  nel  suo  comando,  le 
vie  ch<*  mettono  a  Civita\  occhia  si  munissero  validamente,  e  perciò 
tre  battaglioni  francesi  furono  subitamente  spediti,  a  Corneto.  alla 
Tolfa,  a  Palo:  Koma  si  rafforzasse  colla  guarnigione  pontificia  di 
Civita\ ecchia.  a  misura  clic  qui  sottentravano  le  milizie  francesi,  e 
collo  genti  del  colonnello  Azzanesi,  giunte  allora  da  Viterbo,  e  l'er- 
mate\i  dal  Ministro  dolio  armi,  con  mezzo  disegno  di  ripigliare  la 
guerra  offensiva  nel  Viterbese;  un  grosso  delle  truppe  sbarcate  par- 
tisse per  Itoma,  alla  dimane,  col  brigadiere  di  Polhès,  già  sporto 
di  I  terréno;  prima  di  nulla  muovere  in  avanti  si  attendesse  finterò 


XGM.  SBARCO  DEI  FRANCESI  27 

corpo  di  spedizione;  in  caso  di  combattimento  si  concedesse  ai  Pon- 
tificii, come  chiedevano,  il  posto  di  prima  linea  1. 

Ogni  cosa  riuscì  a  pieno  gradimento  de'  comandanti  pontifìcii.  Al 
popolo  poi  fu  d' incredibile  soddisfazione  il  bando  imperiale,  affisso 
incontanente  in  Civitavecchia  e  in  Roma,  che  diceva,  in  francese  e 
in  italiano  : 

«  Al  popolo  romano.  Romani,  l'imperatore  Napoleone  manda  di 
nuovo  un  corpo  di  spedizione  a  Roma,  per  proteggere  contro  gli  at- 
tacchi armati  di  bande  rivoluzionarie  il  Santo  Padre  e  il  trono  pon- 
tificio. Voi  ci  conoscete  da  molto  tempo.  Come  sempre,  veniamo  a 
compiere  una  missione  tutta  morale  e  disinteressata.  Noi  vi  aiute- 
remo a  stabilire  la  fiducia  e  la  sicurezza.  I  nostri  soldati  continue- 
ranno a  rispettare  le  vostre  persone,  i  vostri  costumi,  le  vostre  leg- 
gi. Il  passato  lo  garantisce.  Civitavecchia,  29  Ottobre.  1867.  Il  ge- 
nerale in  capo  del  corpo  di  spedizione  francese,  De  Failly.  » 

Collo  entrare  sulla  piazza  di  Termini  dei  primi  1200  francesi, 
capitanati  dal  generale  di  Polhès  (e  fu  alle  4  pomeridiane  del  30), 
entrò  incomparabile  fiducia  nella  cittadinanza:  si  credette  daddovero 
all'  intervento,  si  depose  ogni  apprensione  delle  armi  garibaldine  e 
regiogaribaldine.  Non  narreremo  qui  gli  applausi  e  i  saluti  di  rico- 
noscenza clamorosa,  onde  vennero  accolti  i  Francesi:  il  bando  pre- 
corso, loro  aveva  apparecchiato  un  vero  trionfo  popolare.  Uno  splen- 
dido ponce  fu  offerto  nel  casino  militare,  dagli  ufficiali  della  piazza 
ai  novelli  venuti,  da  questi  poi  ricambiato  solennemente  dopo  Men- 
tana. Il  dì  vegnente  la  piazza  di  Roma  fu  consegnata  al  generale 
Polhès,  compagnie  francesi  dettero  la  muta  a  qualche  posto  avanzato, 
una  batteria  testé  venuta  fu  parcata  in  Castello,  e  gli  artiglieri  ponti- 
fìcii innalzarono  sul  maschio  la  bandiera  dell'  Imperatore  a  fianco  di 
quella  del  Papa.  Allora  finalmente  splendette  una  prima  ora  di  re- 
spiro alle  truppe  di  S.  Pietro.  Il  generale  Kanzler,  che  innanzi  tutto 
aveva  Y  animo  a  campeggiare  il  nemico  nelle  province,  spiccò  un 
invoglio  espresso,  e  fu  a  dare  il  benvenuto  al  generale  della  spedi- 

1  Moltissimi  telegr.  e  atti  nei  Doc.  mss.  di  questi  giorni;  Relaz.  speciali* 
Mencacci,  La  mano  dì  Dio,  IH,  pp.  322  e  segg. 


28  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

zionc  imperiale,  e  a  deliberare  con  esso  lui,  in  Civitavecchia.  Era 
il  primo  giorno  di  Novembre,  alla  sera  1. 

Non  meno  del  pontificio  anelava  a  pronte  e  formale  operazioni  il 
Generale  francese.  Tutlavia  nel  consigliare  varie  sentenze  si  ventila- 
rono. Sorgeva  naturalmente  la  ricordanza  delle  sciagure  toccate  re- 
centemente dalle  armi  imperiali  nel  Messico,  colpa  il  valore  scompa- 
gnato dalla  prudenza:  essere  l'oste  garibaldese  rifatta  di  soldati  di 
ordinanza,  e  ingrossata  sino  al  novero  d' un  giusto  esercito,  il  legato 
francese  in  Firenze  attribuirle  almeno  10,000  combattenti  2,  e  questi 
asserragliati  in  munitissime  posizioni;  laddove  le  truppe  del  Papa, 
con  tutto  il  soccorso  pervenuto  in  Roma,  non  potevano  presentare 
battaglia,  fuorché  in  numero  men  possente,  e  in  sito  eletto  dal  nemi- 
co. Doversi  inoltre  tener  l'occhio  alle  milizie  regie;  perciocché,  seb- 
bene le  istruzioni  di  Parigi  portavano  di  non  le  molestare  coli'  armi, 
finche  durava  la  speranza  di  scacciarle  colle  minacce,  e  per  parte 
sua  il  Menabrea  sacramentava  di  bramare  concordia  col  comandan- 
te dello  sbarco,  pure  aversi  a  fare  con  un  Governo  misleale,  il  qua- 
le troppo  bene  saprebbe  romper  fede,  e  col  buon  destro  accorrere 
alla  riscossa  del  Garibaldi.  E  anche  senza  tradimento,  chi  potea 
mallevare  che  la  crescente  marea  repubblicana  non  soverchiasse  le 
dighe,  e  ne  portasse  d'un  solo  impeto  il  trono  di  Vittorio  Emma- 
miele  a  rifascio,  e  l'esercito  contro  Roma?  In  tali  casi,  ingaggiato 
colle  armi  anche  l' onore  della  Francia,  sarebbe  giocoforza  mante- 
nere r  arringo  ad  ogni  costo,  e  forse  porgere  il  fianco  in  disuguale 
conflitto.  Sembrare  pertanto  più  cauto  consiglio  1'  aspellare  che 
almeno  un'  intera  divisione  francese  fosse  in  acconcio  di  sortire  in 
guerra,  e  una  forte  base  di  operazione  costituita. 

Non  si  può  negare,  cotali  avvisamene  movevano  da  gravi  ragio- 
ni. Sopra  tutto  il  sospetto  d' un  moto  repubblicano,  prevalente  a  Fi- 
renze, appariva  fondato.  Vedemmo  pur  dianzi  quanto  vi  si  adope- 
rasse la  setta  mazziniana,  e  il  zimbello  di  lei,  Giuseppe  Garibaldi: 
i  giornali  prezzolati  pareano  sonare  a  slormo:  noi  stessi  ricevemmo 

1  Molti  atti  od  Do*,  bug.  dfegU  àrchly.  29,  30, 31  Ott. 

2  Libro  giallo,  telejir.  del  1  Nuv. 


XCVI.  SBARCO  DEI  FRANCESI  29 

lettere  in  quei  giorni  dal  cuore  d' Italia,  in  cui  si  leggeva:  «  Opi- 
nione generale  di  quanti  incontro  è,  che  si  prepara  la  repubblica.  » 
E  il  ministro  Kanzler  tanto  non  n  era  nuovo,  che  prima  di  rendersi 
a  Civitavecchia  aveva  telegrafato  al  generale  de  Courten,  partito  pel 
racquisto  di  Velletri:  «  Restano  sospesi  i  rinforzi...  fino  a  dopo  di- 
mani. Si  dubita  scoppio  della  repubblica  a  Firenze.  Quindi  guerra 
grossa.  Costituirei  allora  due  brigate.  La  sua  sarebbe  reggimento 
Zuavi,  reggimento  Linea,  Gendarmi  a  piedi  e  a  cavallo  mobili,  bat- 
teria Poi  ani  1.  » 

Cionondimeno  anche  il  partito  di  commettere  battaglia  subita- 
mente, aveva  i  suoi  motivi:  prevenirsi  colla  celerilà  la  congiunzione 
del  Nicotera  e  dell'Acerbi  colle  masnade  del  centro;  il  vantaggio 
del  numero  e  del  sito  superarsi  coli'  ardore  del  combattere,  e  i 
Pontificii  ornai  se  ne  struggevano  per  impazienza.  Non  essere  neces- 
sario per  battere  i  Garibaldini  intaccare  il  suolo  occupato  dai  regii; 
il  Menabrea,  non  provocato,  sarebbe  trattenuto  o  da  un  resto  di 
onestà,  o  dal  terrore;  la  repubblica,  se  nascesse,  si  vedrebbe  na- 
scere; al  peggio  restava  agli  alleati  aperta  la  ritirata  su  Roma,  men~ 
treche  Civitavecchia,  ormai  inespugnabile,  riceverebbe  le  rimanenti 
forze  della  spedizione.  Somma  e  suprema  ragione:  una  sollecita 
marciata  recava  speranza  di  sorprendere  il  nemico  tuttavia  sul  ter- 
reno; un  indugio  davagli  tempo  di  rinsavire  e  ritirarsi;  e  dove  il 
Garibaldi  ne  uscisse  senza  solenne  e  sanguinoso  castigo,  egli  e  i 
suoi  ne  menerebbero  vanto  come  di  segnalata  vittoria,  e  più  age- 
vole riuscirebbe  ai  masnadieri  di  rifar  gente  e  ritentare  l'impresa; 
e  intanto  della  fallita  occasione  tornerebbe  poca  riputazione  e  ram- 
marico infinito  all'  esercito  pontificio. 

Non  fu  mai  difficile  persuadere  a  generali  francesi  una  risoluzio- 
ne arrischiata  :  col  generale  de  Failly ,  fresco  della  guerra  d' Italia, 
e  impaziente,  com' esso  diceva,  di  venire  ai  ferri,  riuscì  facilis- 
simo. I  due  generali  fermarono  di  fare  fazione,  senz'altro  sopra- 
stamento  che  il  necessario  a  riunire  le  truppe  e  marciare.  Forse 
di  qui  trassero  pretesto  i  diarii  garibaldeschi  di  rappresentare  co- 


1  Doc.  mss.  degli  Àrchiv.  31  Ott. 


30  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

me  /anatici,  tutti  in  fascio  i  comandanti  francesi  venuti  al  soccorso 
del  Santo  Padre.  Con  tale  fanatico  accordo  adunque  volò  a  Roma  il 
capitan  generale  pontificio  a  sera  tarda ,  nella  giornata  susseguente 
fece  gli  appresti,  la  notte  mosse  alla  volta  del  campo  garibaldino  1. 

XCVII. 

Disegni  e  forze  del  Garibaldi  a  Mentana.  Si  allestisce 
la  spedizione  francopontificia. 

Mirabile  a  dirsi!  Giuseppe  Garibaldi  conobbe  per  filo  e  per  se- 
gno l'approdare  della  squadra  francese,  l'ingresso  del  soccorso  in 
Roma,  gli  apparecchi  della  marciata  su  Mentana  ;  e  pure  tanto  bene 
seppe  fare,  che  né  assalì,  né  si  ritirò,  né  aspettò  di  piò  fermo  ;  ma 
piuttosto  venne  a  punto  a  punto  a  farsi  battere  :  parve  Iddio  accecarlo 
appostatamele,  sì  ch'egli  spontaneo  si  porgesse  alla  mazza.  Da  chi 
si  aggirò  per  le  vie  di  Monte  Rotondo  il  2  Novembre,  e  parlò  con  Me- 
notti, ci  fu  riferito  che  due  messaggeri,  romani  alla  parlata,  a  lui  ne 
vennero  anelanti,  e  dissero  alto:  «  Roma  è  piena  di  Francesi;  »  po- 
scia accolti  in  disparte  si  trattennero  in  secreto  abboccamento. 
L'  avviso  ricevuto  dell'  attacco,  apparecchiato  per  la  dimane,  lo  at- 
testa pure  il  Guerzoni  2.  Che  anzi  se  ne  discorreva  come  di  cosa 
certa,  non  che  a  Monte  Rotondo,  ma  insino  a  Firenze,  in  corte,  nel 
comitato  garibaldino  e  altrove.  Quivi  un  nostro  amico  ne  udì  la  no- 
vella, alle  11  della  sera  antecedente:  solo  si  errava  nell'ora  dello 
scontro ,  che  assegnavasi  al  primo  mattino ,  mentre  era  stabilito  pel 
mezzo  giorno.  Egli  è  da  credere ,  che  alcun  telegramma  in  cifera 
ne  andasse  da  Roma  o  da  Civitavecchia  alle  legazioni  di  Firenze,  e 
da  quelle  si  divulgasse. 

A  colali  avvisi  quali  risoluzioni  tenessero  dietro  nel  quartier  ge- 
nerale di  Monte  Rotondo,  ò  difficile  affermare  con  certezza.  Sembra 

1  Rapp.  gerì,  del  geu.  Kanzlcr,  p.  46;  Rapp.  del  gen.  Failly,  nel  Moni- 
teur,  14  Nov.  e  nella  Civ.  Cali.  ser.  VI,  voi.  XII,  p.  747,  Doc.  ma.  degli 
àrdi,  in  questi  gleni;  Helaz.  speculi. 

2  Guerzoni,  :V.  Antol.  Apr.  1868,  p.  774. 


XCVII.  DISEGNI  E  FORZE  DEL  GARIBALDI  A  MENTANA  31 

che  il  Garibaldi  opinasse  di  pressare  la  ritirala  negli  Abruzzi,  e  le- 
vare il  campo  quella  notte  medesima.  Cosi  scrisse  Pietro  Del  Vec- 
chio ,  uno  degli  intimi  in  corte  garibaldesca,  e  presente  ;  e  aggiu- 
gne  :  «  Se  si  seguiva  l' ispirazione  del  Generale ,  la  catastrofe  di 
Mentana  era  evitata  l.  »  Il  Guerzoni,  presente  egli  pure,  conferma 
questo  disegno  del  suo  eroe ,  e  ne  reca  Y  ordine  del  giorno,  tutto 
di  pugno  del  Garibaldi,  con  cui  si  comandava  a  Menotti  la  marcia- 
ta. Se  costui  non  tergiversava,  esclama  dolente  lo  storico  setta- 
rio, «  i  Pontifìcii  giugnendo  in  faccia  a  Mentana ,  V  avrebbero  tro- 
vata vuota.  Quale  smacco  per  i  generali  francesi  !  quale  trionfo  per 
Garibaldi  2  !  »  Il  Bertani  poi  nel  suo  Diario ,  scritto  non  per  uso 
di  mentire  al  pubblico,  si  bene  per  servigio  del  quartier  generale, 
ha  queste  precise  parole:  «3  Novembre.  Si  parte  per  Tivoli.  » 
E  furono  quasi  le  sole  che  potè  scrivervi  in  questo  giorno ,  poiché 
le  fucilate  gli  mutarono  l'ufficio  di  segretario  in  quello  di  chirurgo 
militare.  Per  quali  cose  tutte  non  si  può  in  conto  alcuno  dubitare 
del  disegno  garibaldesco  di  sloggiare  da  Monte  Rotondo  il  giorno 
3  Novembre,  giorno  della  battaglia  di  Mentana  3. 

Or  come  avvenne,  che  con  tanta  foga  di  ritirata  o  notturna  o 
mattutina,  il  Garibaldi  si  trovò  tuttavia  sul  terreno  a  mezzo  gior- 
no? Rispondiamo,  perchè  attese  il  nemico  e  volle  combattere.  Po- 
ca fede  aggiustiamo  ai  rapporti  garibaldeschi,  i  quali  ascrivono  la 
indugiata  partenza  alla  necessità  di  trasportare  i  feriti  4  ;  alle  ri- 
mostranze del  colonnello  Menotti,  che  si  ostinò  a  voler  dispensare 
prima  le  scarpe  agli  scalzi  3;  alla  necessaria  distribuzione  di  for- 
nimenti e  cartucce  6;  o  molto  meno  a  «  cause  invincibili  7.  »  Che 
anzi  il  Menotti  medesimo  attesta  di  avere  avuto  ordine  di  muove- 

1  P.  Del  Yecciho,  La  colonna  Frigyesi  ecc.  p.  3G. 

2  Guerzoni,  1.  e.  776.  L'ordine  del  giorno  è  riferito  anche  dal  Fabrizi,  Re- 
lazione ecc.,  e  da  altri. 

3  Lo  asserisce  pure  l'autorevole  Vitali,  p.  219;  e  concordano  le  nostre 
Relaz.  speciali  di  persone  presenti. 

4  P.  Del  Vecchio,  luogo  cit. 

5  Guerzoni,  1.  e. 

6  Menotti  Garibaldi,  nella  Relazione  del  Fabrizi. 

7  Fabrizi,  Relazione. 


32  I  CUOCI  ATI  DI  SAN  PIETRO 

re  la  sua  genie  «  per  le  oro  111/,  antimeridiane  del  giorno  3:  »  e 
nella  relazione  sottoscritta  il  domani  di  Mentana  da  tutti  i  capora- 
ni  della  garibalderia  ò  detto  espressamente ,  che  «  il  generale  Ga- 
ribaldi aveva  preveduto  l'eventualità  d'incontrare  il  nemico  in  mar- 
cia i.  »  E  noi  crediamo,  che  allora  appunto  proferisse  quella  pro- 
messa famosa,  cui  seppe  a  tempo  ritrattare  :  «  11  mio  cadavere  re- 
sterà tra  il  Papato  e  l'Italia.  »  Tanto  vero,  ch'egli  volle  espcri- 
menlare  la  fortuna  dell'armi,  che  egli  si  recò  il  dì  prima  della  bat- 
taglia, col  suo  Stalo  maggiore,  ad  esplorare  il  terreno  sul  quale 
intendeva  ricevere  il  nemico,  e  lo  percorse  largamente,  e  colla  car- 
ta topografica  alla  mano.  Dopo  desinato  nel  convento  di  S.  Maria 
degli  Angeli  presso  Mentana,  Menotti  disse  ai  frati:  «  Forse  dimani 
ci  rivedremo.  »  Al  cominciar  dell'azione  l'esercito  garibaldino  «  era 
militarmente  accampato,  attendendo  un  attacco,  »  secondo  che  at- 
testa il  Rapporto  pontifìcio,  e  apparirà  dalla  narrazione  incontra- 
stabilmente. 

E  in  verità  se  il  Garibaldi  intendeva  recarsi  a  Tivoli  per  licen- 
ziare i  volonlarii,  come  piacque  mentire  al  Crispi  2,  come  mai,  al 
risapere  la  marciata  dei  Pontifìcii  non  elesse  al  licenziamento  Co- 
rese,  luogo  vicino,  sicuro,  servito  dalle  ferrovie?  Se  egli  non  altro 
bramava  fuorché  guadagnare  le  montagne  abruzzesi,  perchè  ve- 
nire incontro  al  nemico  sulla  via  di  Mentana,  mentre  gli  si  apriva 
un  varco  sgombro  di  pericoli  per  Castel  Chiodato  e  Palombara  ?  li 
perche  a  noi  sembra  manifesto,  che  il  Garibaldi,  o  almeno  chi  gui- 
dò le  mosse,  nutriva  questo  formato  disegno  :  rigettare  come  che 
sia  un  primo  attacco  dei  Pontificii,  e  poscia  cantando  villoria"racco- 
glierc  la  bandiera  repubblicana  sugli  inaccessibili  apennini  del  Re- 
gno di  Napoli,  menlrechè  i  suoi  messi  sonassero  l'armi  del  popolo- 
in  tutta  Italia.  La  riputazione  dell'immaginato  trionfo,  solennizzalo 
dalle  cento  trombe  della  setta,  avrebbe  secondalo  mirabilmente  lo 
sforzo  dei  bandi,  elei  ci  unitali,  dei  mestatori  .spedili  nei  giorni  pas- 
siccome  pur  dianzi  narrammo. 

1   (fella  Jlìforma  e  in  unii  i  giornali. 
forese,  \  Nov. 


XCVII.  DISEGNI  E  FORZE  DEL  GARIBALDI  A  MENTANA  33 

Nel  ripromettersi  poi  un  felice  successo  militare,  il  Garibaldi 
operava  mente  più  pazzamente  del  consueto;  anzi  alcuna  cosa  meno. 
Perciocché,  oltre  al  restargli,  in  ogni  evento,  aperta  la  ritirata  alle 
spalle,  egli  godea  vantaggio  incomparabile  di  sito,  e  sapeva  di 
potere  schierar  in  battaglia  due  o  tre  cotanti  dell'esercito  assalitore. 
E  qui  ci  pare  il  luogo  proprio  e  necessario  di  mettere  in  sodo  il  no- 
vero dei  Garibaldini  di  Mentana,  sul  quale  sì  lungi  dal  vero  farne- 
licarono  i  rapportatori  partigiani,  e  pur  debbe  dimorare  fermo  nel- 
la storia.  Il  Fabrizi,  il  Bertani,  il  Guerzoni,  e  Menotti  Garibaldi, 
dopo  la  sconfitta  minorarono  nei  referti  le  forze  loro  sino  a  cinque- 
mila e  meno  ancora.  Or  ecco  la  smentita,  che  loro  ne  danno  i 
loro  stessi  amici.  Francesco  Ciispi,  prima  che  pattovita  fosse  la 
utile  menzogna,  aveva  scritto  ingenuamente  di  avere  veduto  l'ar- 
rivo del  Garibaldi,  reduce  da  Mentana,  «  alla  testa  di  cinquemila 
uomini,  gioventù  scelta,  la  quale  aveva  ardente  desiderio  di  torna- 
re a  battersi  sotto  Roma  1.  »  Altri,  come  i  battaglioni  del  Salomo- 
ne, si  ritirarono  verso  l'Abruzzo,  altri  aveano  passato  il  confine  la 
sera  slessa  del  combattimento.  Cionondimeno  cinquemila  e  cinque 
fucili  furono,  a  vista  di  ognuno,  contati  sulla  piazza  di  Monte  Roton- 
do, raccolti  sul  terreno  della  lotta,  ai  quali  il  Vitali  ne  aggiugne 
altri  duemila,  trovati  in  appresso  nelle  vicinanze.  È  dunque  manife- 
sta conclusione,  che  almeno  un  dodicimila  uomini  avevano  armeg- 
giato a  Mentana. 

Altra  via  di  rinvenire  la  verità.  Quattordicimila  Garibaldini  furono 
registrati  nei  giorni  antecedenti  al  fatto  di  Mentana,  nel  passare  per 
Terni,  come  ci  assicura  il  Fabrizi.  È  credibile,  che  prima  di  Menta- 
na ne  fuggissero  novemila?  Arrogi,  che  grosse  colonne  entrarono  per 
altre  vie  che  di  Terni.  Certo  è  che  da  Firenze,  due  giorni  prima  della 
battaglia  il  legato  francese  scrisse  al  suo  Governo  :  «  Garibaldi  è 
sempre  a  Monte  Rotondo,  con  una  forza  che  i  più  moderati  slimano 
di  10,000  2.  »  In  conformità  di  che  un  gentiluomo  francese,  poco 
dopo  Mentana,  ci  scriveva:  «  Un  alto  ufficiale  delle  ferrovie,  che 

1  Leu.  del  Crispi,  Fir.  5  Nov.  È  in  tutti  i  giornali  del  partito. 

2  Libro  giallo^  1  Nov. 

Serie  VII,  voi.  XI,  fasciti.  3  22  Ghigno  1870. 


3ì  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

organizzò  precisamente  il  ritorno  dei  volontarii,  mi  dichiarò,  che 
dai  I  al  7  Novembre  erano  passati  a  Corese  10,800  Garibaldini.  » 
Ora  non  vi  furono,  a  saputa  di  tulti,  almeno  altri  cinquemila  uomi- 
ni, o  morti,  o  feriti,  o  prigioni,  o  fuggiti  per  altra  via  che  di  Co- 
rese?  Che  se  consultiamo  le  memorie  unicamente  di  parie  pontifi- 
cia, che  pure  sono  le  più  onorale,  e  quelle  a  cui  dimanderassi  la 
Verità  dai  posteri,  abbiamo  il  giornale  di  Roma,  che  alla  sera  del 
3  Novembre  diede  il  numero  dei  Garibaldini,  sul  giudizio  formato 
a  occhio  dagli  ufficiali  superiori,  in  15,000.  E  noi  ne  interrogam- 
mo un  uomo  di  guerra,  non  romano,  stato  nel  più  vivo  della  balta- 
glia,  e  pratico  per  lunga  esperienza  di  noverare  le  masse  nemiche  ; 
e  ci  rispose  che,  a  sua  estimazione,  passavano  di  assai  quel  nume- 
ro 1.  Il  perchè  tanto  dimoriamo  sicuri  del  computo  nostro,  che 
neppure  ce  ne  distoglie  l'autorità  del  Rapporto  generale  pontificio, 
Il  quale  si  attiene,  così  qui  come  altrove  sempre,  ai  minimi  termini 
più  incontrastabili,  e  si  contenta  di  dire  :  «  i  Garibaldini  ascende- 
vano a  circa  novemila.  » 

Non  è  dunque  da  tacciare  di  temerità  il  Garibaldi,  o  chi  che  al- 
tri si  fosse  1'  autore  della  deliberazione  di  saggiare  il  fuoco,  prima 
di  gittarsi  fuori  del  Pontificio.  Con  tali  forze,  riposate  da  due  gior- 
ni, sceverate  dagli  imbelli,  composte  per  un  largo  terzo  di  militari 
dell'esercito  italiano  2,  in  posizioni  eccellenti,  sulle  quali  poco  po- 
teva il  cannone,  e  nulla  la  cavalleria;  ben  poteva  sperare  di  con- 
trastare qualche  ora  con  felice  scontro  ogni  gran  numero  di  assali- 
tori, non  che  11  picciolo  esercito  cui  sapeva  muoversi  da  Roma. 
Ma  Giuseppe  Garibaldi  non  aveva  estimato  ne  1'  armi,  nò  1'  ardore, 
nò  l' impeto  dei  mercenarìi  di  S.  Pietro,  nò,  mollo  meno,  V  ira  di 
Dio  lungamente  provocata. 

In  Rotola  si  teneva  consiglio  al  ministero  delle  armi,  nella  matti- 
nata 8  tò  abbracciale  determinazioni  dispone vansi  in  poche 
ore.  Nulla  ne  trapelò  di  accertato,  tra  i  borghesi,  ma  facile  era  indo- 
vinare che  si  apprestava  straordinaria  fazione:  i  militari  poi  vi  pre- 
vede\  ano  grande  cominciamento  di  guerra  assaltata.  Si  dimentieawi- 

1  Vedi  altri  compiili  sìmiglìanti,  fatti  colle  notizie  prese  sul  luogo  dal  Vi- 
tali, Le  >i'<vci  giornate,  p.  201. 

2  Molti  atti  nei  Doc.  mss.  di  questi  giorni:  Relazioni  speciali. 


XCVII.  DISEGNI  E  FORZE  DEL  GARIBALDI  A  MENTANA  35 

no  adunque  i  trascorsi  disagi,  e  un  fremito  di  contentezza  balenava 
di  quartiere  in  quartiere,  col  giugnervi  della  consegna  di  apparec- 
chiarsi per  partire  nella  notte.  Sappiamo  che  gli  ufficiali  della  truppa 
indigena  si  dolsero  di  non  essere  stali  tutti  a  parte  della  spedizione. 
Ma  per  loro  conforto  doveano  porre  mente,  che  già  il  loro  bat- 
taglione elei  Cacciatori  campeggiava  in  riscossa  offensiva  contro 
l'ala  sinistra  del  Garibaldi  in  sul  Velletrano;  e  molti  paesani  mar- 
ciarono a  Mentana  nella  cavalleria,  nell'artiglieria,  tra  i  Gendarmi, 
nel  reggimento  zuavo;  e  infine,  se  alcuna  milizia  dovea  pure  restare 
in  Roma,  toccava  alla  Linea,  che  nel  Viterbese  aveva  sostenuto  le 
prime  fucilale,  e  ultima  con  faticoso  viaggio  era  tornata  in  Roma. 
Della  vittoriosa  guarnigione  viterbese  non  si  presero  che  alquante 
compagnie  di  Zuavi,  per  complemento  de'  battaglioni.  Del  resto  niun 
corpo  marciò  con  tulle  le  compagnie. 

Ed  ecco  il  registro  esatto  del  modesto  esercito  alleato,  uscito  in 
traccia  del  Garibaldi;  eccolo,  non  quale  il  sognarono  i  mitologi  par- 
ziali, ma  quale  il  vide  il  popolo  romano,  e  il  descrissero  i  genera- 
li, nei  loro  referti  fededegni.  Si  formarono  due  colonne:  una  di  bat- 
taglia, comandata  dal  generale  Giuseppe  di  Courten,  una  di  riserva 
dal  brigadiere  Baldassarre  di  Polhès;  capitan  generale,  il  ministro 
delle  armi,  Ermanno  Kanzler.  Contava  lai  prima  due  forti  battaglio- 
ni di  Zuavi,  ciascuno  di  circa  750  baionette,  condotti  dal  coman- 
dante del  reggimento,  colonnello  Giuseppe  Àllet  ;  un  battaglione  di 
520  Carabinieri  esteri,  colonnello  comandante  Giuseppe  Jeannerat; 
un  battaglione  di  540  Legionarii  francoromani,  sotto  il  proprio  colon- 
nello Carlo  d'Argy;  una  batteria  di  sei  pezzi  di  campagna,  capitano 
Polani;  uno  squadrone  di  106  cavalli,  capitano  Cremona;  una  com- 
pagnia di  Zappatori  del  Genio,  capitano  Fabri  ;  drappelli  di  Gendar- 
meria al  proprio  servigio  di  campo,  guidati  dal  tenente  Rasori  :  in 
tutto  2,913  combattenti.  La  seconda  colonna,  quasi  interamente 
francese,  comprendeva  un  battaglione  di  Cacciatori  a  piedi,  coman- 
dante il  maggiore  Giambattista  Comle  ;  quattro  sottilissimi  batta- 
glioni di  Linea,  cioè  il  1°  del  1°  reggimento,  comandato  dal  colon- 
nello Domenico  Fiémont;  il  1°  del  29°,  dal  tenentecolonnello  Felice 
Saussier,  due  del  59°,  dal  colonnello  Francesco  Berger  ;  quattro 
cannoni,  sotto  il  tenente  Ploix;  due  partite  di  cavalli,  una  francese 


36  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

guidata  dal  caposquadrone  Wederspach-Tor ,  e  una  pontifìcia  dal 
sottotenente  Celli:  comprensivamente,  2000  combattenti.  Le  truppe 
francesi,  tanto  precipitose  si  erano  avviate  a  Tolone,  che  non  solo 
non  furono  aumentate  al  ruolo  di  guerra,  ma  neppure  ebbero  tempo 
di  scambiare  gì'  infermi  e  gli  assenti  1. 

È  diffìcile  dire  quale  alacrità  s'accendesse  nelle  caserme,  nei  ma- 
gazzini, nel  forte  S.  Angelo,  durante  le  ore  pomeridiane  del  2  No- 
vembre. Si  voleva  ogni  cosa  all'ordine  prima  dell'annottare,  poi  ci- 
bo, riposo,  partenza  dopo  la  mezzanotte.  Né  solo  accingeva»  l'armi 
i  militari  comandati,  ma  altri  assai  più  volevano  trovarsi,  come  si 
direbbe,  alla  festa.  Non  parliamo  dei  colonnelli  Caimi  e  Lepri,  i 
quali  non  lasciarono  fuggirsi  il  destro  di  accompagnaro  i  distacca- 
menti di  artiglieria  e  cavalleria  di  cui  sono  comandanti;  ma  più  e 
più  altri  ufficiali  o  in  riposo,  o  prosciolti  quel  dì  dalle  fazioni,  o 
semplici  dilettanti  della  Crociala,  forbivano  la  spada.  Yi  concorse- 
ro il  colonnello  di  Sonnenberg  della  guardia  svizzera  di  palazzo,  il 
colonnello  de  Christen,  il  tenente  colonnello  Carpegna,  il  generale 
Raffaele  de  Courlen,  e  il  colonnello  Vittore  de  Courten,  il  quale  a 
farla  più  spacciata,  si  levò  uno  schioppo  in  ispalla  e  si  serrò  tra  i 
carabinieri.  Altri  ufficiali  partirono  pure  da  volontarii,  come  il 
de  Saintenac,  il  Du  Tilleul,  il  d'Ayguesvives,  e  parecchi,  il  cui  no- 
me non  ci  sovviene.  Fu  notalo  sopra  tutti  il  conte  di  Caserta,  D.  Al- 
fonso di  Borbone,  seguito  dai  colonnelli  Ussani  e  Afan  di  Rivera:  il 
real  giovane  si  era  offerto  di  prendere  il  fucile  tra  le  file  dei  Crocia- 
ti, fin  dal  muoversi  della  guerra;  fu  allora  addetto  allo  Stato  mag- 
gior generale,  e  come  tale  partì  per  Mentana,  e  comballò  nel  più  vi- 
vo della  battaglia. 

Che  si  apprestassero  gli  ospedali  ambulanti,  ognuno  ben  può  im- 
maginarlo. Sessanta  infermieri  seguivano  la  colonna  pontifìcia,  e 
gran  numeri»  di  chirurghi  militari,  sotto  la  dire/ione  generale  del  dot- 
tor CeccarelK  :  il  simile  era  della  colonna  francese.  Nò  i  loro  splen- 
didi servigi  diedero  maraviglia,  perchè  consueti.  Ciò  che  parve  nuo- 
\u  si  ò  che  più  chirurghi,  e  romani  e  forestieri,  vi  posero  la  mano 
coint  \o!oiìlarii;  e  sopra  ogni  altro  vi  risplcndellc  il  comitato  pon- 

1  K  )<>;>.  del  g«i   K;m/icr.  p.  '.(',;  Rapp.  tH^ralico  del  seti.  Failly,  nel  M  • 
mleur,  9  Noi .  :  Kclaz.  speciali  Uiullìciali  sup. 


XCVII.  DISEGNI  E  FORZE  DEL  GARIBALDI  A  MENTANA  37 

tificio  francese,  con  nuovo  esempio,  memorabile  tra  le  più  pieto- 
se scene  dei  Crociati  di  S.  Pietro.  Tre  suore  di  S.  Vincenzo  erano 
giunte  quella  mattina  da  Parigi,  affidate  alla  cura  del  dottore  Carlo 
Ozanam.  Le  suore  accorrevano  ai  soliti  ufficii  angelici;  e  l'Ozanam 
con  una  eletta  di  signori  francesi  veniva  a  trattare  di  armi  perfezio- 
nate e  di  nuovi  fornimenti  da  guerra,  da  provvedersi  all'esercito 
crociato  colle  larghezze  de'  comitati  cattolici.  Accolseli  il  ministra 
Kanzler  colla  usata  cortesia,  gradì  altamente  il  loro  concorso;  poi 
soggiunse:  «  Signori,  voglio  rispondere  alla  devozione  vostra  con 
un  pegno  di  fiducia.  In  secreto,  domattina  a  tre  ore  parliamo  in 
caccia  del  Garibaldi,  che  dev'essere  a  Monte  Rotondo:  le  suore  che 
avete  condotto,  non  ci  saranno  inutili  ;  veniteci  tutti,  e  goderete  una 
bella  battaglia.  » 

Non  parea  vero  a  quei  cuori  gentili  di  poter  sì  bene  collocare 
l'opera  loro.  Il  visconte  di  Saint-Priest,  segretario  del  Ministro, 
avendo  segnato  loro  il  permesso  di  seguitar  la  colonna,  volle  esse- 
re egli  stesso  della  brigata  :  la  superiora  delle  suore,  comechè  non 
avesse  giammai  per  l'addietro  inviate  le  sue  religiose  tra  i  campi 
di  battaglia,  pure,  pei  Crociati,  accondiscese:  le  consorelle  ebbero 
tosto  dalle  medicherie  dello  spedale  militare  approntato  da  mil- 
le bendature,  un  tesoro  di  faldelle,  balsami,  unguenti,  medicine, 
che  si  accumularono  al  corredo  recato  dall'Ozanam.  Alle  tre  suore 
se  ne  aggiunse  una  quarta  di  buona  voglia,  cioè  la  signora  Caterina 
Stone,  per  lunga  pratica,  divenuta  esperta  quanto  qualsiasi  suora 
spedalinga  ;  il  dottore  Ozanam  fu  naturale  direttore  dell'  inferme- 
ria, due  medici  parigini  gli  si  aggiunsero  volontarii;  i  signori  Be- 
noist  d'Azy,  Keller,  de  Saint-Maur,  de  Luppé,  Vrignault,  il  duca  di 
Lorges  e  altri  pietosi  si  dichiararono  infermieri;  l'abbate  Peigné  e 
il  P.  Ligiez  domenicano  si  offersero  cappellani:  l'ambulanza,  copio- 
sa d'ogni  suo  necessario,  fa  a  Mentana,  vi  sostenne  fatiche  estre- 
me, vi  rendette  servigi  incomparabili  1.  0  Francia!  gli  angioli  di 
Dio,  che  accompagnarono  sul  campo  di  terribile,  sebben  giusta, 
vendetta  quella  schiera  militanle  solo  alla  carità  celestiale,  proteg- 
gano sempre  la  patria  dei  cuori  generosi  ! 

1  Kapp.  del  gen.  Kanzler,  p.  25;  Lettere  nell'Union  di  Parigi,  5  Nov.;  Re- 
laz.  nel  Contemporain,  30  Nov.  1868. 


38  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

A  sera  latti  gli  apparecchi  erano  pressoché  ultimati;  e  ne' quar- 
tieri sonavasi  a  silenzio.  Ma  a  molli  la  speranza  di  bella  giornata 
non  lasciava  sentire  la  necessità  del  sonno.  Si  banchettava  allegra- 
mente, si  passavan  le  ore  alle  serale  presso  gli  amici  ;  nelle  veglie 
di  alcuni  saloni,  ov'era  annunziata  la  mossa  d'armi  le  signore  di- 
stribuivano medaglie  e  scapolari  benedetti,  che  i  prodi  poneano  sul 
petto  piloso  ad  armadura  nella  pugna,  o  a  conforto  dell'agonia.  Due 
officiali,  che  in  una  conversazione  operavansi  ad  apprestare  sfilac- 
ci, si  andavan  dicendo:  Forse  lavoriamo  per  noi!  Furono  profeti 
entrambi.  Ma  la  precipua  sollecitudine  delle  milizie  era  stalo  di  ri- 
temperare l'animo  nella  preghiera  e  nei  sacramenti  di  Gesù  Cristo. 
In  ciò  non  cadeva  distinzione  di  gradi  nò  di  nazioni.  Si  operava  al- 
la libera,  in  pubblico.  Ne  vigeva  l'uso,  l'uso  continuato  dalle  cro- 
ciale antiche  sino  a  Castelfidardo,  e  che,  in  causa  giusta,  aguzza  il 
ferro  dieci  cotanto  che  non  un  bando  di  valor  comandato. 

Se  non  che,  mentre  bollivano  le  speranze  e  gli  ardori  del  pro- 
messo combattimento,  ed  ecco  una  voce  si  diffonde,  la  spedizione 
forse  indugiarsi  a  diman  l'altro.  Ma  poco  penò  a  dissiparsi.  Nacque 
da  ciò  che  un  Generale  francese,  informato  delle  soverchianti  forze 
nemiche,  propoueva  di  raddoppiare  la  colonna  di  riserva,  il  che 
non  poteva  effettuarsi  prima  che  arrivassero  altri  battaglioni  da  Ci- 
vitavecchia. La  profferta  passò  per  un  incaglio  nato  repentemente. 
Un  cappellano  militare,  cenando  in  casa  d'un  ambasciatore,  udì  la 
novella  come  certa.  Corse  al  quartiere,  e  trovò  nulla  essere  muta- 
to. Fu  provvidenza  di  Dio,  e  provvidenza  al  tutto  memorabile.  Il 
capitan  generale  Kanzler  aveva  già  ricevuto  la  benedizione  di 
Pio  IX,  per  la  divisata  battaglia;  fino  ad  ora  non  tfffeva  rivocato 
niun  ordine  di  conseguenza,  e  pesavagli  mutar  verso  sul  line  della 
guerra;  vedeva  inoltre  le  milizie  crociate  sfavillanti  di  ardire,  anzi 
rapite  da  ferventfasim  >  entusiasmo  ad  asfaltare  ;ì  nemico:  e  pei-  al- 
tra parte  |  >pra  ogfni  altro  pericolo,  la  fuga  del  Garibal- 
di: persistette.  Se  .  i\  \incerc  alla  lusinga  di  crescere  d'un 
terzo  le  sae  forze,  Mentana  non  era;  e  Giuseppe  Garibaldi,  ritirati- 
Dipanilo,  avrebbe  intronato  il  mondo  coi  millanti  de'suoi  im- 
maginarii  trionfi. 


UN  CASO  DI  COSCIENZA 

A  PROPOSITO 

DELL'  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA 


^X^<^S^- 


Fra  i  molti  libelli  anonimi,  che  come  i  funghi  dopo  la  pioggia, 
pullulano  in  gran  copia,  e  vengono,  non  si  sa  d'onde,  spediti  ai  Ve- 
scovi raccolti  in  Roma,  uno  ne  è  sorto  ultimamente  assai  più  stra- 
no e  più  frodolento,  in  quanto  si  dirige  alla  coscienza  dei  Padri,  e 
sotto  colore  di  volerla  preservare  dal  cadere  in  gravissima  colpa  si 
sforza  di  persuaderli  a  dare  negativo  suffragio  alla  definizione  del- 
l'infallibilità pontificia.  L'  opuscolo  è  scritto  in  latino  ;  e  muove  tre 
quistioni.  Prima,  se  possa  un  Vescovo,  senza  incorrere  in  grave  pec- 
cato, dare  il  volo  affermativo,  se  prima  non  ha  conseguita  vera  e  pie- 
na certezza  che  la  dottrina  dell'infallibilità  pontificia  è  rivelata,  ed  è 
stata  sempre  nella  Chiesa  comunemente  creduta  ed  insegnata  come 
tale.  Al  che  risponde  di  no;  soggiungendo  che  il  peccato  gravissimo 
in  cui,  dando  il  voto  affermativo,  incorrerebbe  il  Vescovo  sarebbe 
quadruplice  :  1.°  Contro  la  veracità,  perchè  direbbe  colla  bocca  ciò 
che  non  sente  coll'animo;  2.°  contro  la  fede,  perchè  affermerebbe 
contenersi  nel  deposito  della  fede,  ciò  che  non  sa  se  vi  è  contenuto; 
3.°  contro  la  giustizia,  perchè  fulminerebbe  l'anatema  contro  chi  non 
lo  merita  ;  i.°  contro  l'ufficio  di  provvedere  alla  pace  e  all'unità  della 
Chiesa,  perchè  esporrebbe  questa  a  nuovi  dissidi!  e  a  nuove  scis- 
sure. La  seconda  quistione  si  è:  come  dove  fue  il  Vescovo  per  con- 
seguire l'anzidetta  certezza;  e  dice  che  primieramente  deve  proce- 


40  CN  CASO  DI  COSCIENZA 

dere  per  esame  personale,  senza  baciare  al  giudizio  degli  alti  i  Ve- 
scovi, e  dello  stesso  sommo  Pontefice;  in  secondo  luogo  deve  pro- 
cedere prudentemente,  cioè  deponendo  i  pregiudizi  delle  scuole,  e 
ponderando  con  diligenza  tutte  le  ragioni  del  prò  e  del  conila;  ia 
terzo  luogo  deve  appoggiare  il  suo  giudizio  ad  argomenti  propria- 
mente dominatici,  cioè  ad  aperti  testi  della  S.  Scrittura  e  all' uni- 
versale e  costante  tradizione.  Ciò  posto,  viene  alla  terza  quisliouc, 
in  cui  chiede  :  come  deve  comportarsi  il  Vescovo,  compiuto  che  ab- 
bia un  tale  esame.  Intorno  a  che  dice  tre  poter  esserne  i  risultati: 
il  dubbio,  la  probabilità,  la  certezza.  Nel  primo  e  secondo  caso  egli 
stabilisce  che  il  Vescovo  è  obbligato  a  dar  voto  negativo:  In  ulro~ 
que  casti  Episcopus  respondere  tenetur:  non  placet.  Che  se  per 
ventura  si  avverasse  il  terzo  caso  (il  che  egli  dice  esser  mollo  dilìi- 
cile);  allora  il  Vescovo  deve  volger  l'animo  a  considerare  se  sia 
espediente  per  la  Chiesa  venire  a  una  definizione,  che  si  prevede 
dover  suscitare  gravi  tempeste.  E  qui  si  fa  a  numerare  tulli  i  mali 
che  una  tal  definizione  si  trarrebbe  dietro  :  la  guerra  da  parte  degli 
scismatici,  degli  eretici  e  degl'  increduli;  la  gelosia  dei  governi,  i 
quali  stringeranno  la  Chiesa  con  più  duri  lacci,  e  facilmente  inva- 
deranno i  beni  ecclesiastici,  dove  ancora  non  furono  tocchi  ;  la  ro- 
vina di  molli  tra  gli  slessi  cattolici;  la  separazione  dello  Stato  dalla 
Chiesa;  la  perdila  forse  dello  stesso  poter  temporale  della  Santa  Se- 
de. Sicché  (quantunque  l'Anonimo  noi  dica  esplicitamente)  la  con- 
clusione evidente  del  suo  discorso  si  è  che  per  una  ragione  o  per 
un'altra,  in  ogni  ipolesi  il  Vescovo  deve  dare  il  volo  negativo. 

Non  può  negarsi  che  l'Anonimo  ha  ordita  bene  la  sua  relè  e  con 
molto  artifizio.  Egli  impone  ai  Vescovi  una  meta  arbitraria  e  falsa. 
Li  costituisce  poscia  nella  quasi  impossibilità  di  toccarla.  E  dove 
qualcuno  pei  disgrazia  \i  fosse  giunto,  gli  presenta  paurosi  l'anla- 
lornare  indietro.  Senonchè  una  cos  i 
che  il  mio  artifizio  è  troppo  patente,  e  i  Lic- 
ei, onde  ha  tessuta  la  sua  rete,  son  troppo  facili  a  e 

fremo  agevolmente  seguendolo  passo  pas>e  b  1  suo  ragio- 

!ll0. 

E  d.i  prima  ,  d'onde  ha  cavalo  l'Anonimo  quel  suo  \7- 

lul  de  fi  ni  ri  posse,  ut  de  /«le  credendum.  itisi  prò  certissimo  habea- 


A  PROPOSITO  BELL  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA  il 

tur  ilhid  revelatum  esse  semperque  in  Ecclesìa  ut  tale  passim  tra- 
ditum  et  ereditimi?  Che  debba  accertarsi  esser  da  Dio  rivelata 
esplicitamente  o  implicitamente  la  verità,  che  si  propose  a  definire; 
sta  bene:  non  potendo  dichiararsi  essere  articolo  di  fede,  se  non 
ciò  che  realmente  si  trova  nel  deposito  della  Fede.  Ma  che  debba 
inoltre  pienamente  accertarsi  che  quella  verità  fu  sempre  nella 
Chiesa  comunemente  creduta  ed  insegnata  come  tale;  ciò  è  falso: 
potendo  avvenire  benissimo  che  siffatta  verità,  per  non  essere  sta- 
ta ancora  dalla  Chiesa  definita  con  solenne  giudizio,  da  molti  e  in 
varii  luoghi  sia  stata  disconosciuta  e  negata.  Acconciamente  in 
tal  proposito  Melchior  Cano  :  Fidei  quaestionem  duabiis  modis  in- 
terpretari  possumus  :  et  ex  natura  sua  et  quoad  nos.  Ex  natura 
sua  illa  Fidei  quaestio  est,  quae  est  a  Beo  E cclesiae  revelata , 
quamvis  a  plerisqne  ignoretur.  Ut  Spiritum  a  Patre  Filioque  pro- 
cedere ,  ipse  Spiritns  Apostolis  revelavit.  ltem  animas  Sanctorum 
statini,  ut  a  cor  por  e  exierint ,  videre  Deum.  De  quibus  licuit  olim 
varie  sentire,  et  sine  Fidei  discrimine  ant  a/firmare  aut  negare; 
cum  neutra  res  scilicet  eroi  piane  ab  Ecclesia  definita.  Ita  quoad 
nos  non  semper  Fidei  quaestiones  illae  snnt  habitae;  sed,  salva  Fi- 
de, viri  quidam  dodi  contrariam  ventati  sententiam  tenneritnt  1. 
E  S.  Tommaso  nei  Commenti  sopra  le  epistole  di  S.  Paolo  dice  : 
Forum,  quae  sunt  Fidei,  quaedam  snnt,  quae  non  sunt  per  fede 
per  Ecclesiam  manifestata.  Sicut  in  primitiva  Ecclesia  noncium 
erat  perfecte  declaratum  apud  homines  quod  UH  qui  etani  ex  Iu- 
daeis  conversi  non  tenerentnr  legalia  observare;  et  sicut  tempore 
Augustini  nondum  erat  per  Ecclesiam  declaratum  qnod  anima  non 
esset  ex  traduce  %. 

Ciò  notiamo  non  perchè  ce  ne  sia  bisogno  nel  caso  nostro  pre- 
sente; giacche  V  infallibilità  Pontifìcia  gode  di  tanta  luce,  che  da 
ognuno  può  ravvisarsi  non  solo  come  verità  rivelata,  ma  come  tale 
sempre  e  universalmente  tenuta  nella  Chiesa.  Difficilmente  si  tro- 
verà altro  domma,  che,  più  di  questo,  abbia  in  suo  favore  la  divina 
Scrittura  e  l'ecclesiastica  tradizione.  Ma  noi  ci  soffermiamo  a  mo- 


1  De  Locis  theol.  1.  12,  e.  XIII. 

2  In  epist.  ad  Rom.  e.  lì,  lect.  III. 


1 1  l  N  CASO  DI  COSCIENZA 

strare  la  falsità  della  proposizione  dell'Anonimo;  acciocché  distrut- 
to il  fondamento,  a  cui  si  appoggia,  tutto  il  suo  edilizio  cada  per 
terra.  Ripigliando  dunque  il  filo  del  nostro  discorso,  ci  basti  osser- 
vare che  se  la  proposizione  dell'  Anonimo  fosse  vera,  i  Padri  di 
molti  Concilii  avrebbero  operalo  contro  coscienza;  avendo  bene  spes- 
so definito  esser  donimi  di  fede  dottrine  non  solo  impugnate  da  mol- 
ti, ma  di  cui  tra  gli  stessi  Vescovi  era  dissenso.  Ci  piace  qui  di  tra- 
durre un  tratto  della  magnifica  confutazione  di  questo  libello,  fatta 
dai  P.  Antonio  Ballerini.  «  Se  le  pretese  condizioni,  egli  dice,  son 
necessarie  acciocché  il  Vescovo  non  incorra  il  reato  dì  peccato  gravis- 
simo conti  o  la  verità,  la  fede  e  la  giustìzia,  come  potranno  scusarsi 
da  sì  gravissimo  delitto  i  Vescovi,  che  nel  Sinodo  Niceno  o  Arelatc- 
se  definirono  esser  valido  il  battesimo  amministralo  dagli  eretici,  e 
però  non  doversi  battezzare  di  nuovo  coloro  che  dall'  eresia  tornas- 
sero al  seno  della  Chiesa?  Imperocché  in  che  modo  poterono  per- 
suadersi esser  quella  dottrina  comunemente  insegnala  e  creduta 
nella  Chiesa,  quando  apertamente  constava  che  la  contraria  era  in- 
valsa e  ridotta  nella  pratica  non  solamente  in  tulle  le  chiese  del- 
l'Africa  e  nei  due  Esarcati,  del  Ponto  cioè  e  dell'Asia,  e  nell'Egitto 
(secondochè  attestano  le  lettere  di  Dionisio  Alessandrino),  ma  oltre 
a  ciò  era  stata  confermala  in  molli  Concilii  Africani  e  neH'Iconien- 
se  di  Frigia  e  nel  Sinadense  di  Asia?  Che  diremo  poi  dei  Padri 
del  Concilio  Tridentino?  Come  potranno  esimersi  dalla  taccia  di 
violala  veracità,  fede  e  giustizia,  quando  nella  Sessione  IV,  sotto 
pena  di  anatema,  stanziarono  il  seguente  canone  :  Se  alcuno  non 
riceverà  come  sacri  e  canonici  gl'interi  libri  con  tutte  le  loro  parti 
idraulica  \ulgala  edizione  latina  son  contenuti  :  sia  anatema? 
Imperocché,  diverso  è  l'elenco  del  sacri  libri,  che  ci  porgono  Ori- 
gene ed  Atanasio  dall'Egitto,  Eusebio  di  Panfilo  e  Cirillo  Geroso- 
limitano dalla  Palestina,  Anfilochio  dalla  Panfilia,  Melitene  di 
dall'  Asia,  il  Laodiceno  (i  cui  canoni  furono  approvali  dai 

Padri  del  Concilio  Tulliano)  dalla  Frigia,  Epifanio  dall'isola  di 
Cipro,  Nazianzeno  dalla  Cappadocia,  Damasceno  dalla  Tracia,  Iu- 
nilio  dall'Africa,  Isidoro  dalla  Spagna,  Ilario  dalla  Francia,  Ruffi- 
no dall'Italia,  e  finalmente  Girolamo,  il  quale  tolto  inteso  allo  stu- 
dio delle  disine  Scritture  a\ca  pefcofSO  l'Oriente  insieme  e  l'Oca- 


A  PROPOSITO  DELL  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA  43 

dente,  in  che  guisa  può  dirsi  che  la  dottrina  qui  definita  dai  Padri 
Tridentini  fu  da  essi  ravvisata  come  sempre  insegnata  e  creduta 
comunemente  qual  dottrina  rivelata  1?  »  Moltissimi  altri  esempii 
di  simil  natura  potremmo  recare  in  mezzo,  non  escluso  il  recentis- 
simo della  definizione  dell'  Immacolato  Concepimento  di  Maria,  a 
cui  aderirono  i  Vescovi,  senza  formare  certamente  il  giudizio  che 
una  tale  sentenza  fosse  stata  per  l'innanzi  sempre  insegnata  e  cre- 
duta comunemente  nella  Chiesa,  come  dottrina  rivelata. 

È  falsa  dunque  la  proposizione  dell'Anonimo,  e  contraddetta  dal- 
la ragione  insieme  e  dal  fatto.  Secondo  la  sana  dottrina  e  la  pratica 
costante  della  Chiesa,  acciocché  una  verità  possa  definirsi  come 
doni  ma  di  fede  basta  che  sia  ravvisala  come  appartenente  al  depo- 
silo della  Fede,  quantunque  in  varii  tempi  e  in  varii  luoghi  sia  slata 
o  sia  tuttora  disconosciuta  o  anche  impugnata  da  pochi  o  anche  da 
molii.  Anzi  per  questo  appunto  la  Chiesa  s'induce  a  solennemente 
definirla,  per  assicurarla  cioè  da  siffatta  obblivione  ed  oppugnazione. 

Ciò  posto,  il  quadruplice  peccato,  sognalo  dall'Anonimo,  sfuma 
appunto  come  sfumano  i  sogni;  giacché  il  Vescovo,  il  quale  con  la 
certezza  testé  spiegata,  dà  il  suo  voto  affermativo,  compie  per  con- 
trario un  quadruplice  dovere  :  di  veracità,  esprimendo  colla  parola 
ciò  che  pensa  colla  mente;  di  fedeltà,  concorrendo  ad  assicurare 
l'integrila  della  Fede  dagli  assalti  dell'errore;  di  giustizia,  punendo 
coll'anatema  i  contumaci  e  ribelli  alla  verità  rivelata;  di  provviden- 
za per  la  pace  ed  unità  della  Chiesa,  la  qual  pace  ed  unità  ha  fon- 
data appunto  nell'unità  della  Fede:  Unus  Deus,  una  Fides. 

Dicemmo  in  secondo  luogo  che  l' Anonimo,  dopo  aver  proposto 
ai  Vescovi  come  fine  una  certezza  esagerata  e  non  necessaria  ;  li 
pone  neir  impossibilità  di  conseguirla,  imperocché  solto  le  ambigue 
parole  di  giudizio  da  formarsi  per  esame  personale,  con  prudenza, 
e  sopra  argomenti  dommalici  (le  quali  cose  di  per  sé  potrebbero 
intendersi  in  buon  senso)  egli  prescrive  loro  di  separarsi  dal  senti- 
mento sia  dei  Colleghi  nell'Episcopato,  sia  dello  slesso  sommo 
Pontefice;  di  obliare  gì'  insegnamenti  delle  scuole  e  la  dottrina  per 
l'innanzi  tenuta;  sicché  chiusisi  nella  propria  individuale  coscien- 

1  JÌ(S  et  officium  Episeopornm  in  ferendo  suffragio,  eie.  Pag.  8. 


44  IN  CASO  DI  COSCIENZA 

za  applichino  l'animo  allo  studio  della  Scrittura  e  della  tradizione, 
esaminando  e  ponderando  accuratamente  tutto  ciò  clic  e  stato  dettò 
in  contrario.  Ci  sembra  di  veder  qui  un'  applicazione  del  metodo 
cartesiano.  Anche  Cartesio  ingiungeva  che  ad  acquistar  la  certezza 
filosofica  si  dovesse  in  un  dato  tempo  dubitare  di  tutto  ciò  che  per 
innanzi  si  era  tenuto  per  vero,  non  esclusi  i  principii  più  evi- 
denti della  ragione.  Senonchè  egli  dopo  aver  cacciato  l'allieve  in 
tanto  buio,  si  sforzava  poi  con  pochi  e  brevi  raziocinii  di  liberar- 
nelo;  laddove  il  Vescovo,  che  si  lasciasse  abbindolare  da  queste 
ciance  dell'Anonimo,  avrebbe  a  faticale  per  ben  molli  anni  prima 
di  veder  lume.  Per  lui  si  tratterebbe  non  solo  di  rifar  da  capo  gli 
studii,  ma  di  rifarli  salendo  ai  fonti  primi  del  sapere  teologico, 
non  esclusi  (s'intende)  i  necessairi  presidii  dell'ermeneutica,  della 
linguistica  e  della  storia.  Sarebbe  affare  da  stillarvi  attorno  il  cer- 
vello e  da  appena  venirne  a  capo  dopo  il  corso  di  alcuni  lustri.  Ed 
è  questo  appunto  ciò  che  desidera  Y  Anonimo,  a  fine  di  scongiurare 
almeno  per  ora  la  temuta  definizione.  Ma  i  suoi  ridicoli  suggerimenti 
si  confutano  da  s«  medesimi  per  la  patente  loro  sciocchezza. 

E  vaglia  il  vero,  ci  ha  cosa  più  inetta,  che  in  materia  di  fede,  la 
quale  è  tutta  appoggiata  alla  testificazione  de'  suoi  depositari!,  voler 
separato  il  Vescovo  dal  giudizio  degli  altri  Vescovi?  Se  tutta  la  bi- 
sogna qui  si  riduce  a  scernere  ciò  che  è  contenuto  nel  deposito  del- 
la fede,  niente  di  più  conducente  a  formare  sopra  ciò  retto  giudi- 
zio, che  il  vedere  ciò  che  ne  pensino  gli  altri  Vescovi,  lesiimonii 
autorevoli  della  tradizione  delle  singole  loro  chiese.  Soprattutto  è 
di  gran  forza  in  questa  materia  il  sentimento  di  quei  Vesco\i,  nelle 
cui  diocesi  si  è  conservata  più  pura  l'antica  fede,  senza  mescolanza 
di  contrario  errore.  Ciò  ha  luogo  massimamente  in  quelle  contra- 
de, in  cui  l'eresia  non  ha  posto  mai  piede;  sembrando  assai  verisi- 
mile che  in  quei  paesi,  in  cui  i  cattolici  son  frammisti  ai  protestan- 
ti, l'influenza  ereticale  siasi  a  poco  a  poco  talmente  infiltrata  nel- 
l'animo di  molli,  che  la  sincerità  della  fede  ne  abbia  sofferto  non 
leggici-  detrimento. 

Ma  ciò  che  non  sol  d'inettezza  ma  di  manifesta  stoltizia  dee  ri- 
prendersi nell'  Anonimo,  si  è  il  dissuader  che  egli  fa  i  Vescovi  dal- 
l'appoggiarsi  nel  loro  giudizio  all'autorità  del  romano  Pontefice. 


A  PROPOSITO  DELL'  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA  45 

E  non  ricorda  il  valentuomo  doversi  la  Chiesa  romana,  giusta  Y  in- 
segnamento del  Concilio  di  Trento,  riconoscere  da  tutti  qual  madre 
e  maestra  delle  singole  Chiese?  11  Concilio  di  Costanza  nella  sessio- 
ne io  colla  Costituzione  Inter  cunctas  definì  doversi  riputare  eretici 
coloro,  che  in  materia  di  fede  sentissero  altrimenti  da  quello,  che 
insegna  la  sacrosanta  Chiesa  romana.  Certamente,  se  la  Chiesa  ro- 
mana è  indefettibile,  come  gli  stessi  Gallicani  non  osano  di  negare, 
se  il  deposito  della  fede  presso  di  lei  si  conserva  incontaminato; 
non  ci  ha  mezzo  più  conducente  per  conoscere  ciò  che  sia  o  no  verità 
di  fede,  che  consultare  la  dottrina  della  medesima.  Onde  S.  Ireneo 
prescriveva  che  posciachè  era  difficile  discernere  la  tradizione  delle 
singole  chiese,  nelle  quistioni  di  fede  si  guardasse  a  ciò  che  sente 
e  crede  la  Chiesa  romana,  colla  quale,  atteso  l' eminente  suo  prin- 
cipato, è  uopo  che  consentano  le  altre  chiese,  cioè  i  fedeli  dispersi 
per  tutto  l'Orbe.  Or  la  Chiesa  romana  da  chi  riceve  la  sua  dottri- 
na? Dal  Pontefice,  che  la  regge  ed  ammaestra.  11  magistero  dell'una 
non  ò  che  l'eco  del  magistero  dell'altro.  E  cosi  veggiamo  che  S.  Gi- 
rolamo scrivendo  a  Damaso  Papa  dice  aver  egli  giudicato  di  con- 
sultare la  cattedra  di  Pietro,  per  averne  il  cibo  dell'  anima,  persua- 
so che  in  essa  si  conserva  incorrotta  l'eredità  dei  padri;  e  conchiu- 
de: Voi  siete  la  luce  del  mondo,  voi  il  sale  della  terra,  voi  i  vasi 
d'oro  e  d'argento. 

Non  meno  strano  è  l'altro  suggerimento  dellMnonimo,  di  dovere 
il  Vescovo  abbandonare  i  pregiudizii  delle  scuole.  Se  con  questo 
nome  intendesse  la  così  detta  scuola  gallicana,  il  suo  consiglio  sa- 
rebbe giusto  ;  giacché  la  dottrina  di  quella  scuola  sopra  cotesto  punto 
non  solo  è  pregiudizio  ma  manifesto  errore,  essendo  stala  ripro- 
vata da  quattro  Pontefici  e  tenuta  universalmente  nella  Chiesa  come 
prossima  all'  eresia.  Ma  tutt'  altro  intende  l'Anonimo  sotto  il  nome 
di  scuole.  Egli  intende  la  dottrina  teologica,  comunemente  ammessa 
ed  insegnata.  Or  che  rappresenta  cotesla  dottrina?  Rappresenta  la 
dottrina  e  la  tradizion  della  Chiesa,  essendo  dedotta  dalle  divine 
Scritture,  dalle  sentenze  dei  Padri,  dalle  definizioni  de'  Concilii  e 
costituendo  il  fondo,  da  cui  si  traggono  gì'  insegnamenti  nelle  cate- 
chesi e  predicazioni  al  popolo.  Tanto  dunque  è  lungi  che  a  formare 
prudente  giudizio,  debbasi  rimuovere  la  mente  da  cotesta  dottrina, 


40  IN  CASO  DI  COSCIENZA 

che  ossa  anzi  deve  chiamarsi  in  aiuto  ;  e  sarebbe  imprudentissimo 
consiglio  il  dissestarsene. 

Per  ciò  che  spella  filialmente  agli  argomenti  dominatici,  a  cui 
vuole  che  si  appoggi  il  giudizio,  egli  dice  non  essere  altri  che  gli 
aperti  testi  della  santa  Scrittura  e  l'antica  e  certamente  costante 
tradizione  universale  della  Chiesa.  Intorno  a  che,  se  badassimo  al 
solo  caso  presente  potrebbe  concedersi  all'Anonimo  la  sua  preten- 
sione; giacche,  come  sopra  notammo,  son  rari  i  dommi  che  abbia- 
uo  al  pari  dell'infallibilità  pontificia  in  loro  favore  sì  manifeste  te- 
stimonianze della  divina  Scrittura  e  della  perpetua  tradizion  della 
Chiesa.  Nondimeno,  guai  data  in  sé  stessa,  la  proposizione  è  molto 
inesatta.  Imperocché,  secondo  gl'insegnamenti  della  sana  teologia,, 
acciocché  la  Chiesa  possa  definire  una  verità  come  domina  di  fede, 
non  è  mestieri  che  questa  sia  esplicitamente  e  con  aperte  parole  ri- 
velata, ma  basta  che  sia  rivelata  implicitamente  in  altra  verità,  da 
cui  solio  l'assistenza  dello  Spirito  Santo,  venga  dedotta.  E  cosi  an- 
cora, essendo  la  Chiesa  sempre  indefettibile  nella  credenza,  basta, 
assolutamente  parlando,  guardare  la  tradizione  di  alcuni  secoli,  per 
accertarsi  che  una  verità  è  contenuta  nel  deposilo  della  fede,  quan- 
d' anche  non  si  trovasse  espressamente  professata  nei  monumenti 
che  ci  restano  dei  secoli  anteriori.  La  Chiesa  in  niun  tempo  può  ab- 
bracciare T  errore;  non  potendo  in  niun  tempo  prevalere  contro  di 
lei  le  porte  dell'  inferno. 

L'ultima  conclusione  dell'Anonimo  è  che  il  Vescovo  in  ogni  caso 
deve  dare  il  voto  negatho.  Imperocché,  egli  dice,  o  il  Vescovo  do- 
po 1'  esame  l'atto  delle  ragioni  non  è  giunto  a  conseguire  certezza,  e 
in  (àie  ipotesi  non  può  imporre  ai  fedeli  come  domina  una  verità, 
di  cui  egli  slesso  dubita;  o  è  giunto  a  conseguire  tale  certezza  il  che 
reputa  molto  difficile),  e  allora  lo  dissuaderanno  dal  dare  il  volo  af- 
ferra itivo  li'    igtooi  d' inopportunità,  attesi  i  pericoli  sopra  descritti. 

.Ma  il  \<  la  contraria  illazione  dovea  anzi  dedursi.  lin- 

cilo egli  eia  da  dire:  O  il  Yescn\o  é  giunto  a  conseguir*1  cer- 
6  allora  é  tenuto  a  dare  il  Mito  affermativo,  disprezzando  i  li- 
mo! I  dir  Li  predilla  carnale  gli  rappresenta;  owero  non  è  giunto 
a  ed!  il  ilio  pie  mollo  difficile  ,  e  allora  può  e 

dee  formine  il  giudizio  pratico  pel  volo  affannati  vo  in  virtù  di  argo- 


A  PROPOSITO  DELL'  IX FALLIBILITÀ  PONTIFICIA  47 

meati  estrinseci  irrecusabili.  Diciamo  qualche  parola  d'amendue 
le  ipotesi. 

Se  il  Vescovo  è  giunto  a  conseguire  certezza  (il  che  non  può  fal- 
lire, stante  la  luce  onde  sfolgora  l' infallibilità  Pontificia)  ;  è  evidente 
che  egli  ò  tenuto  a  dare  il  -voto  affermativo,  atieso  l'obbligo  che  gli 
corre  di  assicurare  l' integrità  della  fede,  in  un  punto  sì  essenziale 
e  tanto  accanitamente  oggidì  assalito.  IXè  i  pericoli,  che  enumera 
l'Anonimo,  debbono  punto  commuoverlo;  stanicene  essi  o  sono  vani 
spauracchi,  o  certo  son  tali  che  vengono  superati  dai  pericoli  che 
sovrastanno  dalia  non  definizione.  È  giudiziosissimo  il  parallelo, 
che  tra  i  pi  irai  e  i  secondi  istituisce  un  altro  Anonimo  in  un  opusco- 
lo da  lui  contrapposto  al  presente.  «  Se  si  paragonano,  egli  dice,  i 
pericoli  e  gl'incomodi,  che  proverrebbero  dalla  non  definizione,  coi 
pericoli  e  gl'incomodi  delia  definizione,  si  parrà  chiarissimamente: 

«  t.°Che  i  pericoli  della  prima  sono  del  tutto  certi  e  in  gran  par- 
ie presenti,  giacche  vediamo  e  ci  sta  dinanzi  l'insolenza  dei  nemi- 
ci dell'autorità  Pontificia,  lo  scandalo  dei  pii  fedeli,  le  dissensioni 
ira  i  Vescovi,  e  gli  altri  deplorabili  mali,  già  sotti  dal  differimento 
della  definizione,  i  quali  senza  dubbio  si  aggraverebbero,  se  la  de- 
finizione fosso  tralasciata. 

«  Per  contrario  i  pericoli  della  definizione  appartengono  in  gran 
parte  ai  futuri  contingenti;  e  sebbene  alcuni  di  loro  non  mancano 
di  probabilità,  tuttavia  sembrano  molto  esagerati.  Nò  poteva  spe- 
rarsi che  lo  spirito  di  parte,  il  quale  ha  pervertito  gii  stessi  fatti  sto- 
rici, non  eccedesse  la  misura  nel  congetturarne  dei  possibili. 

«  E  vaglia  il  vero,  quanto  sieno  poco  serii  non  pochi  dei  pretesi 
pericoli,  ben  lo  dimostra  il  modo  di  operare  di  quelli,  che  li  pro- 
pongono. Imperocché  tra  coloro,  i  quali  sostengono  che  il  dom- 
ina dell'  infallibilità  pontificia  e  ignorato  nei  loro  paesi  e  però  non 
può  definirsi  senza  rischio  di  scandalo,  altri  affermarono  cotesto 
<lomma  nei  Concilii  provinciali  e  vollero  che  fosse  insegnalo  nei  ca- 
techismi ai  fanciulli  ed  ai  rozzi  come  verità  inconcussa;  ed  altri  nu- 
trirono gli  stessi  timori,  quando  si  trattò  del  domma  dell'immaco- 
lata Concezione,  e  felicemente  furono  smentiti  dall'  esito.  È  lecito 
pensare  che  essi  per  simili  cagioni  cadano  ora  in  simile  inganno. 


48  CU  CASO  DI  COSCIENZA 

}la  non  lo  stesso  può  dirsi  dei  pericoli,  che  seguirebbero  dalla  non 
definizione;  giacche  questi  non  si  presagiscono,  ma  già  si  toccano 
con  mano. 

b  2.*  I  pericoli  della  non  definizione  sono  intrinseci,  e  si  atten- 
gono alla  stessa  esistenza  della  Chiesa.  Yale  a  dire,  la  sua  tradizio- 
ne si  oscurerebbe,  l'unità  resterebbe  turbata,  l'autorità  s'indeboli- 
rebbe, il  Pontificalo  ne  sarebbe  avvilito,  la  Gerarchia  disciolta.  Per 
contrario  i  pericoli  della  definizione  per  lo  più  sono  estrinseci  e 
riguardano  coloro,  che  son  fuori  della  Chiesa.  Or  questi  stessi,  se 
son  sinceri,  non  possono  venir  dissuasi  dall' abbracciare  la  verità, 
per  la  proposta  definizione.  Quelli  poi  che  massimamente  si  lamen- 
tano di  questo  articolo,  sono  tali,  che  vorrebbero  diventare  cattolici 
senza  esser  costretti  a  sottomettere  il  loro  intelletto;  in  altri  termi- 
ni ,  mentre  la  forza  degli  argomenti  li  sospinge  alla  cattolica  ve- 
rità, lo  spirito  di  eresia  li  distoglie  dall'umile  ossequio  della  fede. 
Malamente  la  Chiesa,  affin  di  guadagnare  sì  falli  seguaci,  abban- 
donerebbe la  sua  tradizione  ed  autorità. 

«  3.°  I  pericoli  della  non  definizione  sono  gravissimi  ed  essen- 
ziahnente  contrarli  all'istituzione  di  Cristo  e  alla  tradizion  de'  mag- 
giori. Imperocché  non  ci  ha  nulla  più  caldamente  raccomandato  da 
Cristo,  che  l'unità  della  sua  Chiesa  e  la  sommissione  di  tutti  i  fe- 
deli all'autorità,  che  li  regge  ;  non  ci  ha  nulla  che  nei  secoli  scorsi 
i  Pontefici  e  i  Dottori  non  credettero  doversi  posporre  alla  purità 
della  dottrina  cattolica. 

«  Pei*  contrario  i  pericoli  della  definizione,  in  ciò  che  riguarda 
gli  stessi  cattolici,  sono  meramente  accidentali  e  originati  da  difello 
di  debita  sommissione  all'autorità  della  Chiesa.  Certamente  la  Chie- 
sa con  materna  pietà  tratta  i  deboli  nella  fede  ;  ma  per  la  loro  in- 
obbedienza non  può  astenersi  dal  confermare  la  propria  autorità,  e 
dallo  slesso  Cristo  ha  appreso  ad  avere  in  conto  di  etnici  e  pubbli- 
cani coloro  che  non  vogliono  ascoltarla. 

«  I.1  Inoltre  i  più  principali  di  cotesti  pericoli  sono  volontarii  e 
quasi  unicamente  nascono  dai  sofismi  e  dalle  male  arti  dei  nemici 
dell'autorità  pontificia.  Imperocché  se  cattolici  scrittori  non  avesse- 
ro travisato  alcuni  fatti  storici  e  non  avessero  soffiato  negli  all'etti 


A  PROPOSITO  DELL'  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA  49 

ostili  olla  Chiesa  romana,  non  deploreremmo  la  turnazione  di  fede 
in  tante  persone,  nò  l'animosità  di  alcuni  Governi,  né  l'eccitamen- 
to della  pubblica  opinione.  Si  domanda  dunque  con  qual  diritto  si 
possano  opporre  alla  Chiesa  queste  inique  arti  dei  nemici  della  ve- 
rità, per  impedire  la  manifestazione  della  medesima?  A  quelli,  che 
inventarono  e  propagarono  menzogne,  corre  obbligo  strettissimo  di 
ritrattarle  ;  essi  soli  daranno  conto  a  Dio  dei  tristi  frutti  di  semente 
sì  rea. 

«  o.#  Finalmente  i  pericoli,  che  si  obbiettano,  sono  tali,  che  non 
dissuasero  mai  la  Chiesa  dall' affermare  la  sua  tradizione.  Imperoc- 
ché né  l'ostilità  della  pubblica  opinione,  né  le  minacce  delle  potestà 
della  terra,  né  il  timore  di  scisma/nè  il  sospetto  che  i  deboli  nella 
fede  non  venissero  a  partiti  estremi,  né  in  fine  l'opposizione  di  Ve- 
scovi, potenti  per  numero  ed  autorità,  impedirono  giammai  i  pre- 
cedenti Concilii  dall' affermare  la  verità  negata  e  dal  condannare  gli 
sparsi  errori  1.  »  Ciò  per  la  prima  ipotesi. 

Se  poi  si  verifica  la  seconda  ipotesi,  cioè  se  il  Vescovo  non  giun- 
ge a  conseguire  certezza  per  l'esame  intrinseco  delle  ragioni  (il  che 
ripetiamo  è  quasi  impossibile)  ;  allora  egli  può  e  deve  volgersi  agli 
argomenti  estrinseci  dell'autorità,  affin  di  appoggiare  sopra  di  essi 
il  suo  giudizio.  Questo  punto  è  stato  sodamente  trattato  dall'egregio 
P.  Potton  dell'  Ordine  domenicano,  il  quale  nella  graziosa  confuta- 
zione, che  anch'  egli  ha  fatto  del  presente  opuscolo,  finge  appunto 
il  caso  di  un  Vescovo,  il  quale  impedito  o  dalla  vecchiezza,  o  da 
gravi  occupazioni,  o  da  mali  consiglieri,  o  dai  pregiudizii  di  una 
cattiva  istituzione,  o  da  qualunque  altra  cagione,  non  vegga  ciò  che 
chiaramente  veggono  tanti  altri,  intorno  alla  verità  e  alla  opportu- 
nità della  desiderata  definizione.  È  questo  il  caso  del  dubbio  per- 
sonale, supposto  dall'Anonimo.  Che  dovrà  fare  il  Vescovo  in  tale 
stato  ?  Ciò  domanda  a  sé  stesso  il  P.  Potton.  E  rispondendo,  dap- 
prima gli  consiglia  la  fervente  orazione  (cosa  dimenticala  dall'Ano- 
nimo nel  suo  opuscolo),  acciocché  il  Padre  de'  lumi  si  degni  ri- 

1  Episcoporum  conscientia  in  luto  posita  quoad  gravissimam  de  Ponti- 
ficìae  infallibilitatis  definiti one  quaestionem.  Pag.  11. 
Serie  TU,  voi.  XI,  fase.  487.  4  22  Giugno  1870. 


50  IN  CASO  DI  COSCIENZA 

schiarargli  la  mefite  e  condurlo  al  discernimento  della  velila.  Dipoi 
l'invita  a  considerare  le  ragioni  estrinseche  e  patenti  in  favore  dei 
voto  affermativo  ;  e  sarà  bene  riferire  questo  tratto  colle  sue  stesse 
parole.  «  Guardi  dunque  e  vegga,  egli  dice.  Imperocché,  lasciando 
indietro  i  tempi  andati,  bastano  i  presenti.  Coloro  che  gli  persua- 
dono il  Placet,  certamente  formano  un  numero  assai  maggiore  di 
Prelati  della  Chiesa.  Or  chi  potrà  mai  darsi  a  credere  che  lo  Spi- 
rilo di  verità,  il  quale  fu  da  Cristo  promesso  agli  Apostoli,  adesso, 
in  affare  gravissimo,  contro  gli  oracoli  divini  che  chiamano  la  Chie- 
sa Colonna  e  fermezza  della  verità,  f  abbia  abbandonata  per  mo- 
do, che  la  maggior  parte  dei  suoi  Pastori,  almen  cinque  sesti,  stu- 
diosamente e  ardentemente  chiegga  che  si  definisca  una  sentenza, 
la  cui  definizione  sia  empia  o  calamitosa?  Chi  potrà  mai  persuadersi 
un  tanto  assurdo? 

«  Altro  è  la  scienza  umana,  la  quale  benché  talvolta  non  ricusi  la 
via  dell'autorità,  nondimeno  attribuisce  più  pregio  alle  forze  dell'in- 
gegno e  alla  considerazione  delle  interne  ragioni;  ed  altro  è  la  fe- 
de divina,  la  quale  superando  la  potenza  della  ragione  (giacché  ò 
argoiiìento  di  cose  non  apparenti)  si  appoggia  principalmente  al- 
l'autorità. Ben  certamente  nelle  materie  di  fede  è  lecito  dedurre  il- 
lazioni sillogizzando  dalle  Sacre  Scritture,  o  dai  Canoni  de'  Conci- 
ni, come  fecero  e  fanno  i  teologi  d'ogni  età  e  d'ogni  nazione.  Ma  al 
lutto  e  assai  più  da  fidare  nel  comun  senso  della  Chiesa,  apparte- 
nendo ad  essa  il  giudicare  con  finale  sentenza,  per  istinto  divino, 
del  vero  senso  delle  Scritture  e  della  legittimila  della  tradizione. 
Ninno  ignora  quanti  e  quali  siano  slati  nei  varii  secoli  i  delirii  degli 
ereliei.  D'onde  l'origine  di  tanto  male  ?  Da  questo  certamente,  che 
più  ti  Confidando  essi  nella  propria  sapienza  imprudentemen- 

te non  curarono  il  eomun  senso  della  Chiesa  e  non  apprezzarono  ba- 
Stevol mente  l'autorità  nelle  cose  di  Fede.  Or  noti,  la  Vostra  Gran- 
dezza, e  ponderi  ((santo  debba  valere  nel  caso  presente  l'autorità  di 
quasi  tuli  ópatòi  equanlo  grave  fallo  sarebbe  i  :i  pe- 

i  itoli  e  contrario  alla  santa  umiltà  il  separarsi  in  qualsiasi  modo 
dalla   senien;  desìfUO. 

«  Se  tali  0086  non  bas!,r.io.  volga  l'animo  a  eonsidoraie  (juanti 
errori  gra\  issimi  e  perniciosissimi  e  intollerabili  si  lro\ino  dalla 


A  PROPOSITO  DELL   INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA  51 

parto  di  quelli  che  avversano  l' infallibilità  Pontifìcia  !  Vegga  a  chi 
prestino  appoggio  le  autorità  secolari,  le  quali  sempre  o  quasi  sem- 
pre, secondo  la  profezia  di  Davidde,  si  sforzano  di  scuotere  il  giogo 
di  Cristo,  ed  abboniscono  il  bene  della  Chiesa!  Vegga  da  qual  par- 
te stia,  ed  a  cui  suffraghi  l'immonda  turba  degli  empii,  i  quali  vo- 
gliono ad  ogni  costo  rovesciare  la  Chiesa  e  stabilire  il  regno  del 
diavolo.  Vegga  da  qual  parte  si  trovino  le  passioni,  le  frodi,  le  mac- 
chinazioni, l'irriverenza  al  Pontefice,  la  violenza,  la  pertinacia,  la 
superbia,  l' audacia,  e  gli  altri  vizii,  che  vai  meglio  tacere. 

«  Se  anche  queste  cose  non  bastano,  ecco  il  sommo  Pontefice. 
Che  egli  sia  il  Vicario  di  Cristo  e  il  fondamento  della  Chiesa,  niuno 
è  che  non  tenga.  Che  abbia  piena  potestà  di  pascere  e  governare  la 
Chiesa  universale,  è  creduto  da  tutti  Or  un  tempo  forse  si  potè  da 
alcuni  dubitare  da  qual  parte  egli  inclinasse  intorno  all'  opportunità 
della  presente  questione.  Ma  oggigiorno,  ogni  dubitazione  è  tolta  di 
mezzo.  Il  santissimo  Signor  nostro,  Pio  IX,  e  nelle  innumerevoli 
sue  leltere,  e  nelle  conversazioni  private,  e  nei  pubblici  sermoni,  e 
ciò  che  più  è  colla  proposta  dello  Schema  al  Concilio,  apertamente 
ha  manifestato  la  mente  sua,  sicché  è  svanita  ogni  occasione  d'ulte- 
riore incertezza.  Si  ha  dunque,  in  maniera  cospicua,  dinanzi  agli 
occhi  l'immensa  maggiorità  de' Pastori  di  questa  Chiesa,  che  è  go- 
vernata dallo  Spinto  Santo,  con  a  capo  il  Vicario  di  Cristo,  in  fa- 
vore della  definizione  dell'  infallibilità,  e  sì  risolutamente,  che  essa 
sarebbe  oggimai  conchiusa,  se  innumerevoli,  e  non  aspettati,  e  quasi 
incredibili  ostacoli  da  ogni  parte  non  si  fossero  opposti  1.  »  Siffatte 
considerazioni,  il  Potton  giustamente  conchiude,  son  validissimo  ar- 
gomento per  rimuovere  ogni  esitanza  dall'animo  di  quel  Vescovo,  il 
quale  per  avventura  ancor  vacillasse  intorno  alla  verità  dell'  infalli- 
bilità Pontificia  o  all'  opportunità  della  sua  definizione.  Il  peso  im- 
menso d' un'  autorità  così  grande  è  più  che  bastevole  ad  assodare 
il  suo  giudizio. 


1  Responsio  ad  opusculum  quoddam  cui  tìtulus:  Disquisitio  moralis  ctc. 
concinnata  a  R.  P.  Fr.  Maria-Ambrosio  Potton  Sac.  Ord.  Praed.  Pag.  fcJL 


RIVISTA 

DELLA 

STAMPA   ITALIANA 


L 


Degli  istituti  di  carità  per  la  sussistenza  e  l'educazione  dei  poveri 
e  de  prigionieri  in  Roma,  libri  tre  del  Cardinale  Carlo  Luigi 
Monchini,  Vescovo  di  Iesi.  Ediz.  novissima  —  Roma,  stabil. 
tipografico  camerale,  1870.  Un  voi.  in  4.°  di  pag.  81 G. 

Nel  1840  il  cardinal  Monchini,  allora  minor  prelato,  recitò  nel- 
l'Accademia di  Religione  Cattolica  in  Roma  una  dotta  dissertazione, 
data  alla  luce  il  medesimo  anno  nel  voi.  XI  degli  Annali  dello 
scienze  religiose.  Tolse  a  dimostrare  in  essa,  che  i  Romani  Ponte- 
fici furono  i  primi  a  concepire  ed  eseguire  il  ben  inteso  migliora- 
mento delle  prigioni,  e  che  questo  ha  per  principalissimo  elemento 
la  religione  cattolica.  Or  sul  medesimo  tema  si  versa  lutto  il  terzo 
libro  del  recente  volume  che  annunziamo.  L' illustre  Porporato 
svolge  qui  compiutamente  ciò  che  non  potè  se  non  accennare  mila 
menzionata  dissertazione,  e  conferma  di  vantaggio  la  verità  del  suo 
assunto  con  porre  in  mostra  quel  di  più,  che  si  ò  operato  a  prò 
delle  prigioni  di  Roma  negli  ultimi  trent'anni,  quanti  ne  sono  corsi 
dal  1850  al  1870,  de'  quali  la  maggior  parte  spelta  al  glorioso 
governo  del  regnante  Pontefice. 


RIVISTA  DELLA  STAMPA  ITALIANA  53 

Noi  diamo  nel  presente  quaderno  un  brevissimo  cenno  di  que- 
sta ultima  parte  del  volume  del  Monchini,  siccome  già  ne'  due 
quaderni  precedenti  abbiamo  dato  un  somigliante  cenno  delle  pri- 
me due,  nelle  quali  egli  discorre  delle  istituzioni  che  fioriscono 
in  Roma  di  misericordia  corporale,  e  di  quelle  altre  di  misericordia 
spirituale. 

A  diffondere  poi  cotali  notizie  ci  è  stato  di  forte  stimolo  una  con- 
siderazione, che  fa  il  eh.  Autore  nella  prefazione  della  sua  opera. 
«  Ogni  persona,  così  egli  dice,  che  si  educa  alle  buone  discipline, 
studia  fin  dai  primi  anni  nell'istoria  di  Roma  pagana,  dimodoché 
le  rimembranze  dei  fatti  di  questa  famosa  dominatrice  dell'  uni- 
verso si  legano  colle  più  care  della  nostra  prima  giovinezza,  e  per 
lunghezza  di  tempo  non  mai  si  dimenticano.  Chi  è  poi  che  non  sap- 
pia dei  monumenti  dell'antica  romana  grandezza,  che  ancora  ci  re- 
stano e  dimostrano  siccome  classico  questo  suolo  ?  Chi  mai  ignora 
l'anfiteatro  Flavio,  il  palazzo  de'  Cesari,  il  Circo  massimo,  la  Mole 
Adriana,  gli  archi  trionfali,  gli  obelischi,  le  terme,  i  templi,  il  Foro, 
il  Campidoglio  ?  E  i  capolavori  in  marmi  ed  in  tela,  di  che  Roma 
è  sopra  ogni  altra  città  ricchissima,  non  sono  ad  ognuno  notissimi; 
e  non  traggono  tuttodì  stranieri  in  gran  numero  d' oltremonti  e  d'ol- 
tremari ad  ammirarli  ?  Anche  le  splendide  e  devote  cerimonie  di 
Roma  cattolica,  e  le  cristiane  antichità,  e  le  memorie  e  i  sepolcri 
dei  martiri,  e  le  chiese  e  le  basiliche  sono  chiare  ed  illustri;  ma 
ben  poco  si  conosce  di  Roma  quanto  alle  istituzioni  di  carità ,  che 
figlie  della  morale  evangelica  produssero  gentilezza  ed  incivilimen- 
to. Da  questo  sconoscere  le  nostre  cose  nacquero  assai  false  idee 
su  Roma,  che  si  tenne  da  alcuni  come  luogo  di  miseria  e  d' igno- 
ranza, e  si  volle  per  vitupero  chiamare  la  città  delle  rimembranze, 
quasiché  null'altro  ci  avesse  di  buono,  che  le  glorie  degli  antichi. 
Essa  però  seguitando  la  vera  indole  della  carità  cristiana,  la  quale 
suole  andarsene  tacita  e  modesta,  operò  molto  e  non  menò  alcun 
rumore.  A  questi  dì  per  altro,  che  tutti  parlano  e  scrivono  di  cari- 
tà, parca  disdiccvole  che  si  tacesse  di  Roma,  la  quale  può  dirsene 
maestra  ;  onde  è  che  stimai  cosa  edificante  per  la  Chiesa,  e  non 
disutile  e  forse  onorevole  alla  patria  mia  far  di  pubblico  dritto  quan- 


I)i  imi 

to  ci  ha  d' istituii,  che  proveggono  alla  sussistenza  ed  al  migliora- 
mento morale  del  povero  1  ». 

Intanto  colla  divulgazione  e  colla  celebrità,  che  tutte  cotesto  no- 
tizie sugl'istituti  della  romana  carità  avranno  certamente  dallo  stes- 
so intrinseco  merito  del  volume,  in  cui  esse  sono  esposte  per  minu- 
to, e  dalla  stessa  chiara  fama  di  colui  che  le  ha  riferite  ;  abbiamo 
voluto  aggiungere  quella,  qual  che  essa  sia,  la  quale  può  provenire 
dalla  diffusione  del  nostro  periodico. 

Diamo  principio  a  quest'ultimo  cenno  daHc  carceri  in  via  Giulia, 
le  quali  si  chiamano  carceri  nuove,  come  si  cominciarono  a  chiama- 
re dal  tempo,  in  che  le  fece  costruire  il  Papa  Innocenzo  X.  L'  Ho- 
ward venuto  a  visitarle  verso  la  metà  dello  scorso  secolo,  le  anno- 
verò fra  le  migliori,  che  avea  viste  in  tutta  1'  Europa.  Questi  è  il 
celebre  Howard,  nominato  l'amico  de'  poveri,  degl'  iufelici  ed  in 
ispecie  de'  carcerati  ;  poiché  coi  viaggi,  coi  consigli  e  coi  libri  che 
mise  a  stampa  contribuì  a  migliorare  lo  stato  delle  prigioni.  Ma  in 
Roma  cotesti  miglioramenti  erano  già  incominciati  ad  eseguirsi  col 
fatto,  quando  altrove  non  ancora  si  era  principialo  a  stabilirne  la 
teorica.  Leone  XII  ed  il  regnante  Pontefice  Pio  IX  migliorarono  di 
vantaggio  questo  carcere,  che  al  presente  ò  carcere  di  prevenzione, 
cioè  destinalo  pe'  soli  detenuti  sotto  processo;  eccetto  il  caso,  in  cui 
alcuno  ò  condannato  ad  una  detenzione  di  breve  durala.  Giacche  la 
pena  della  semplice  detenzione  qui  si  applica  in  due  soli  gradi;  da  un 
mese  ad  un  anno,  e  da  un  anno  a  tre  :  e  vi  è  regolamento  che  se  il 
processo  duri  oltre  a  tre  mesi,  il  di  più  si  metta  a  conto  della  pena; 
anzi  il  tribunale  ha  potestà  ancora  di  calcolare  nella  pena  quei  tre 
mesi  della  processura.  Se  dunque  dopo  la  sentenza  resta  poco  tem- 
po di  pena,  la  Direzione  generale  delle  carceri  suol  permettere,  che 
.  esso  si  compia  in  questo  medesimo  e  li  pi  e  volizione.  Le  don- 

ne sono  ;  dagli  uomini,  e  su  di  esse  invigilano  le 

ottime  Suore  della  Provvidenza  e  della  immacolata  Conce/ione,  le 
quali  hanno  slan/a  nel! l  sfestia  prigione.  Una  buona  parte  di  questi 
nuli  è  de'  paesi  circonvicini,  che  non  hanno  prigioni  siane. 

1  P*g,33e« 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  55 

Non  vi  ha  qui  obbligazione  di  lavoro,  essendo,  come  si  è  detto, 
un  carcere  di  prevenuti  e  non  di  condannati.  Oltre  a  ciò  l'espe- 
rienza dimostra,  che  chi  è  sotto  procedura  ha  l'animo  agitato  e  non 
inclinevole  ad  alcun' opera  di  mano;  e  nemmeno  ne  ha  il  tempo, 
mentre  questo  in  gran  parte  si  passa  negl'interrogatorii,  nelle  se- 
dute e  negli  abboccamenti  col  procuratore.  Pur  nondimeno  vi  stan- 
no officine  per  alcuni  mestieri,  come  di  calzolaio  e  di  sarto;  chi 
vuole  lavora,  e  il  guadagno  è  tutto  suo.  Si  permette  di  scrivere,  e 
di  avere  e  ricevere  libri,  i  quali  però  sono  prima  esaminati. 

Il  carcere  di  punizione  è  alle  Terme  di  Diocleziano.  Vi  son  cu- 
stoditi gli  uomini  e  le  donne,  condannate  alla  pena  della  semplice 
detenzione,  o  a  quella  dell'opera  pubblica,  che  si  applica  in  due 
gradi,  da  1  anno  a  3,  e  da  3  a  5.  Questa  differisce  dalla  galera,  la 
quale  è  da  5  a  20  anni  o  anche  a  vita,  e  si  sconta  non  in  Roma,  ma 
a  Civitavecchia,  a  Porlo  d'Anzio,  aTerracina,  a  Paliano  e  a  Civita- 
castellana.  Gli  uomini  sono  al  tutto  separati  dalle  donne.  Alcuni  di 
essi  fanno  nelle  stesse  carceri  panni  e  scarpe  per  uso  de'  carcerati 
di  Roma  ;  circa  (iO  si  conducono  ogni  dì  a  fabbricare  nel  Campo 
Verano  ;  altri  50  stanziano  il  solo  inverno  ad  Ostia  per  proseguirvi 
gli  scavi  incominciati  ;  ed  altri  40  anche  nel  solo  inverno  abita- 
no alle  Tre  Fontane,  e  lavorano  a  fm  di  rendere  salubre  quel  luo- 
go, santificato  dal  martirio  dell'apostolo  S.  Paolo,  che  il  Pontefice 
Pio  IX  ha  dato  da  qualche  anno  in  custodia  ai  religiosi  Trappisti. 
I  profitti  di  queste  opere  si  depositano  nella  Cassa  di  risparmio,  e 
si  danno  ai  condannati  quando  escono  dal  luogo  di  pena.  ì  Fra- 
telli della  Misericordia  in  numero  di  10  sopraintcndono  siili'  infer- 
meria, sulle  sale  di  lavoro,  sulla  dispensa  e  sulla  guardaroba. 

Le  Suore  testé  nominate  della  Provvidenza  e  della  Immacolata 
Concezione,  vennero  nel  1854  a  dirigere  l'altra  parte  dello  stesso 
carcere,  che  è  destinata  alle  donne.  Esse  hanno  ivi  introdotta  l'arte 
de'  merletti  al  modo  di  Fiandra,  e  i  ricami  di  ogni  specie  ;  ed  in 
questi  ed  in  altri  lavori  donneschi  tengono  occupale  le  detenute. 
Questa  casa  di  condanna  è  per  le  donne  di  lutto  lo  Stato. 

Il  carcere  de'  minorenni  sotto  Clemente  XI  era  presso  l'Ospizio 
Apostolico  di  S.  Michele  ;  Leone  XlUnell'anno  1827  lo  trasferì  in 


56  RIVISTA 

una  nuova  fabbrica,  che  fece  costruire  vicino  al  carcere  Innocen- 
ziano  in  via  Giulia;  finalmente  il  regnante  Pontefice  Pio  IX  nel  1 8Z> 5 
destinò  a  questo  effetto  il  monastero  di  S.  Balbina.  Sono  quivi  rac- 
colti i  giovani  prevenuti,  i  condannali,  i  catturati  per  misura  di  po- 
lizia, e  i  discoli  a  richiesta  de'  loro  parenti.  Sono  ricevuti  dagli  8 
anni  sino  ai  21.  De'  condannali  che  compiono  l'anno  ventunesimo 
e  non  hanno  ancora  scontata  tutta  la  pena,  si  dà  avviso  alla  Dire- 
zione generale  delle  carceri  e  case  di  condanna,  con  un  rapporto 
dei  superiori  locali  intorno  alla  utilità  di  continuare  o  no  la  dimora 
nel  luogo,  affinchè  la  podestà  governativa  disponga  a  proposito. 

La  prima  opera  di  carità,  confidata  in  Roma  ai  Fratelli  della  Mi- 
sericordia, fu  appunto  questa  di  dirigere  il  carcere  di  S.  Balbina. 
Essi  tengono  i  giovanetti  divisi,  per  quanto  si  può,  secondo  le  età 
e  le  cause  della  cattura.  Gli  occupano  nelle  scuole  d' istruzione,  e 
nelle  officine  delle  arti.  L  istruzione  che  danno  e  il  leggere,  lo 
scrivere,  il  catechismo,  la  storia  sacra  e  della  Chiesa,  il  disegno 
lineare  e  il  sistema  metrico.  Fanno  imparare  diversi  mestieri  sotto 
probi  e  liberi  capi  d'arte  ;  e  addestrano  alcuni  all'agricoltura  nel 
vicino  fondo  che  appartiene  alla  prigione.  1  guadagni  si  tengono 
in  serbo;  e  si  dà  a  ciascuno  il  suo  quando  parte.  Si  osserva  il  si- 
lenzio tutto  il  dì,  salvo  ne'  tempi  di  ricreazione.  La  notte  sono  tutti 
rinchiusi  in  cellette  separale. 

Il  carcere  di  Roma  meglio  costruito  è  presso  l'Ospizio  Apostolico 
di  S.  Michele.  Clemente  XI,  come  testò  abbiamo  accennato,  ne  in- 
nalzò per  custodirvi  i  minorenni  la  più  gran  parte,  col  disegno  di 
Carlo  Fontana.  L'altra  parte  fu  eretta  dal  Pontefice  Clemente  \ll 
perle  donne  condannate  alla  detenzione;  e  ne  fu  architetto  Alessan- 
dro Fuga,  che  imitò  il  disegno  del  Fontana.  L'americano  Giorgio 
William  Smith,  nell'opera  che  stampò  in  Filadelfia  l'anno  1833, 
parla  di  questo  carcere  ne'  termini  seguenti  :  «  A  Roma  si  deve  la 
prima  grande  riforma  della  disciplina  penitenziaria.  La  prigione, 
nella  quale  essa  fu  introdotta,  ò  restata  pressoché  un  secolo  esem- 
pio unico  della  carità  cattolica.  Egli  è  vero  che  si  erano  stabilite  in 
altri  paesi  delle  case  di  lavoro,  dove  travagliavano  i  detenuti  ;  ma 
le  comunicazioni  corruttrici  permesse  notte  e  giorno,  la  mescolanza 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  57 

di  tutte  le  età,  di  tutte  le  classi,  di  tutt*  i  sessi,  in  una  massa  di 
gente  iniquissima,  rendeva  l' imprigionamento  de'  giovani  delinquen- 
ti una  sentenza  di  morte  spirituale.  Quegli  eh'  entrava  nella  prigio- 
ne, novizio  nel  delitto,  vi  compiva  una  educazione  di  scelleratezza, 
e  lasciando  in  quelle  mura  la  riputazione,  la  vergogna,  lo  stimolo 
all'  industria  e  alla  virtù,  ne  usciva  depravato  e  quasi  forzato  ad 
esercitare  il  brigantaggio  come  un  mestiere.  Tal  era  la  condizione 
delle  prigioni,  chiamate  con  verità  scuole  del  delitto,  quando  fu  in- 
nalzato il  bello  stabilimento  di  S.  Michele:  i  fondamenti  furono  po- 
sti sopra  la  base  della  umanità  e  d'una  sana  filosofia.  I  gran  mali 
che  ingenerava  l'ozio  furono  prevenuti  con  un  lavoro  costante,  du- 
rante il  giorno.  Si  stabilì  il  silenzio  e  la  separazione  notturna.  Sen- 
tenze morali  furono  scritte  su  tavolette,  sempre  esposte  alla  vista 
dei  prigionieri.  Si  diede  T  istruzione  religiosa.  La  punizione  era 
esercitata  sotto  le  regole  di  una  disciplina  dolce,  costante,  vigilante 
ed  inflessibile  :  la  riforma  e  non  il  soffrire  era  il  nobile  scopo  della 
istituzione.  »  Così  egli. 

Al  presente  i  minorenni  son  custoditi,  come  abbiam  detto,  a 
S.  Bulbina,  e  le  donne  alle  Terme  di  Diocleziano.  Gli  uni  e  le  altre 
stanno  a  quella  stessa  savissima  disciplina,  che  osservavasi  nel  car- 
cere di  S.  Michele  ;  la  quale  anzi  si  è  potuta  in  alcuni  punti,  colla 
scorta  della  esperienza,  condurre  a  novelli  perfezionamenti. 

Intanto  il  nominato  carcere  di  S.  Michele,  vale  a  dire  la  mi- 
glior fabbrica  di  tal  genere  che  sia  in  Roma,  è  oggi  tutta  destinata 
a  quei  che  chiamano  prigionieri  politici,  o  siano  prevenuti  o  con- 
dannati alla  detenzione.  Dimorano  ivi  4  Fratelli  della  Misericordia 
ed  attendono  alla  infermeria,  alla  cucina  e  alla  guardaroba.  I  car- 
cerati non  sono  costi  etti  al  lavoro,  ma  se  vogliono  han  tutto  l'agio 
di  esercitare  a  proprio  conto  o  alcune  arti  meccaniche  o  anche 
quelle  liberali  del  disegno  e  della  pittura.  Non  si  negano  loro  i  li- 
bri nò  la  carta  per  iscrivere. 

Vi  ha  due  altre  carceri  speciali,  entrambe  di  prevenzione  ;  luna 
pe'  soli  militari,  l'altra  pe'  soli  ecclesiastici.  La  prima  ò  in  Castel 
S.  Angelo,  ove  i  prigionieri,  durante  il  processo,  son  trattati  come 
gli  altri  compagni  d'arme.  Dichiarati  innocenti,  tornano  ai  loro  bat- 


58  RIVISTA 

taglioni:  condannati  alla  galera  o  all'opera  pubblica,  sono  scacciati 
dalla  soldatesca,  e  rinchiusi  nelle  prigioni  comuni.  La  pena  capitale 
che  è  rarissima,  si  eseguirebbe,  presenti  le  milizie,  colla  fucilazio- 
ne nel  Castello  medesimo.  Gli  ecclesiastici  prevenuti  son  custoditi, 
nel  tempo  della  processura,  in  una  parte  del  Convento  de'  Padri 
della  Penitenza,  a  S.  Maria  delle  Grazie,  presso  porta  Angelica. 
Vi  son  trattali  alla  maniera  dei  religiosi.  Nel  caso  di  condanna  si 
trasportano  alla  città  di  Cometo,  nella  prigione  tutto  speciale  pei 
rei  dell'uno  e  dell'altro  clero.  Chiamasi  Pia  casa  di  penitenza  o 
Ergastolo;  fu  eretta  da  Urbano  Vili  e  restaurata  da  Pio  VI  ;  di- 
pende dal  Vescovo  di  Montefìascone  e  dal  Decano  dei  Chierici  di 
Camera. 

Le  donne  di  malaffare,  condannate  alla  detenzione,  sono  custo- 
dite nella  casa  del  Buon  Pastore  alla  Longara,  sotto  la  cura  delle 
piissime  Suore  di  Àngers,  dette  di  Nostra  Donna  della  Carità  del 
Buon  Pastore  ;  le  quali  attendono  alla  conversione  delle  donne  che 
menano  una  vita  licenziosa,  ed  a  preservare  dalla  caduta  le  donzel- 
le pericolanti.  La  casa  è  divisa  in  quattro  parti  ;  l'una  è  delle  Suo- 
re; e  nelle  tre  rimanenti  abitano  tre  diverse  famiglie,  ciascuna  al 
tutto  separata  dalle  altre.  La  prima  famiglia  è  di  donne  penitenti, 
le  quali  dimorano  ivi  di  lor  volontà.  Son  mantenute  o  gratuitamente 
o  a  spese  di  benefattori.  Tutte  lavorano,  ed  intanto  si;  come  posson 
restare  nel  pio  luogo  tinche  non  trovino  un  collocamento  onesto, 
così  son  libere  di  uscire  ancorché  non  venisse  fatto  di  collocarle.  Se 
qualcuna  volesse  farsi  religiosa,  si  manderebbe  in  uno  de'  conventi 
a  ciò  <!cstin;iti  ;  poiché  qualunque  sieno  le  qualità  e  i  talenti  d'una 
convertita,  non  potrebbe  mai  esser  ricevuta  nella  Congregazione  del 
Buon  Pastore.  La  seconda  famiglia  è  delle  donne  preservale.  Final- 
mente l'ultima  è,  come  abbiamo  dclto,  delle  donne  di  partito  con- 
dannai alta  detenzione.  Esse  sono  obbligate  al  lavoro,  e  si  li! 
loro  dì  perdi  ima  mela  del  guadagno.  Tutta  la  pia  casa  ed  in  i 

è  st;i!;i  sotlo  il  governo  del  regnante 
Pontefice  notabilmente  migliorala  ed  ingrandita. 

uria  lnnoccn/iana  a  Monte  Citorio  vi  ha  alcune  camere  di 
dopo*'  nsito,  ove  son  custoditi  gli  accusali  per  quel  solo  bre- 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  59 

ve  tempo,  che  è  necessario  ai  primi  esami  ;  dopo  i  quali  o  essi  si 
liberano  o  si  mandano  al  cacere  di  prevenzione. .  Quivi  stesso  è  un 
altra  prigione  adoperata  a  tempo  brevissimo  per  misura,  come  di- 
cono, di  polizia. 

Queste  sono  le  carceri  di  Roma,  le  quali,  come  ottimamente  os-r 
serva  il  cardinal  Monchini  1,  si  procura  che  non  si  aprano  ad  ac- 
cogliere gran  numero  di  delinquenti;  il  che  ha  effetto  mercè  di  quei 
due  generi  di  istituzioni  benefiche,  le  quali  fioriscono  tra  queste 
mura,  e  si  vedono  descritte  nei  primi  due  libri  dell'egregia  sua 
opera.  E  per  fermo  le  più  funeste  ed  efficaci  cagioni  dei  delitti  sono 
la  miseria  e  l' ignoranza.  La  miseria  è  mitigata  in  questa  città  con 
quelle  istituzioni  caritative,  che  provvedono  alle  infermità  corpo- 
rali, ed  alle  strettezze  dei  poveri;  l'ignoranza  è  sbandita  da  quegli 
altri  istituti  piissimi,  che  diffondono  da  per  tutto  t  istruzione  così 
letteraria  come  religiosa. 

Ma  conferiscono  anche  più  direttamente  ad  impedire  e  raffrenare 
il  mal  costume  quelle  pie  Case,  ove  si  rinchiudono  di  propria  ele- 
zione o  le  donzelle  pericolanti,  o  le  donne  di  partito  che  si  ravve- 
dono. Abbiamo  già  accennato  di  sopra,  che  nel  monastero  del  Buon 
Pastore  alla  Longara  si  contano  due  famiglie,  l'ima  di  donzelle  pre- 
servate e  l'altra  di  donne  penitenti.  In  via  Felice  vi  è  la  chiesa  ed 
il  convento  di  S.  Francesca  romana,  ove,  se  vogliono,  possono  ri- 
fugiarsi per  tutto  il  resto  di  loro  vita,  quelle  donne  che  escono  dal- 
lo spedale  di  S.  Giacomo  in  Augusta.  Però  non  si  ammettono  se 
son  maritate  o  vedove.  Dal  lavoro  delle  proprie  mani  e  da  qualche 
piccola  rendita  esse  ritraggono  il  povero  lor  mantenimento.  È  leci- 
to a  chi  piace  di  partirsi  ;  ma,  come  narra  il  Monchini,  quasi  tutte 
perseverano.  «  L'opera,  egli  soggiunge,  è  tale  che  merita  altissima 
commendazione,  ed  io  ho  sentito  in  cotesto  luogo  una  certa  com- 
mozione che  non  saprei  esprimere  ;  e  un  sentimento  di  tenera  sod- 
disfazione provai  nel  vedere  tante  infelici  vittime  della  seduzione, 
incamminate  in  quel  silenzioso  ritiro  per  le  vie  della  più  perfetta 
virtù  2.  »  Per  le  zitelle  e  per  le  vedove  e  maritate,  che  escono  dal 

1  Pag.  675.  -  2  Pag.  744. 


(H)  RIVISTA 

carcere  delle  Terme,  vi  è  la  special  Casa  di  Rifugio  presso  S.  Ma- 
ria in  Trastevere.  Se  esse  lo  domandano  vi  si  accolgono;  ed  accolte 
si  procura  di  persuaderle  a  restarvi,  se  pure  non  andassero  in  casa 
de'  loro  mariti,  o  non  avessero  buoni  parenti,  che  ne  prendano  cu- 
ra. Un  altro  ospizio  è  sulla  via  che  dal  Colosseo  conduce  alla  Basi- 
lica Lateranense,  e  chiamasi  di  S.  Maria  Lauretana.  Quivi  le  Suore 
già  nominate  del  Buon  Pastore  dirigono,  come  nel  monastero  alla 
Longara,  due  comunità  ;  l'una  di  preservate  e  l'altra  di  penitenti. 
Il  rev.  P.  Antonio  Bennicelli  de'  Ministri  degl'infermi,  parroco  di 
S.  Maria  Maddalena,  apri  nel  1865  una  nuova  Casa  per  le  giovani 
ravvedute  che  escono  dall'ospedale  di  S.  Giacomo.  Il  pio  ospizio 
in  gran  parte  fabbricato  di  nuovo  è  nella  via  di  S.  Francesco  di 
Sales  alla  Longara,  ed  è  sotto  la  direzione  delle  più  volte  lodate 
Suore  del  Buon  Pastore. 

Siccome  abbondano  le  varie  opere  di  misericordia  a  fin  di  pre- 
venire i  delitti  e  le  ricadute;  cosi  quando  la  giustizia  incoglie  i  col- 
pevoli, non  solo  non  trasmoda  mai  da'  proprii  confini,  ma  lascia  il 
campo  alla  privata  carità,  ed  alla  sovrana  clemenza,  la  quale,  co- 
me a  lungo  dimostra  il  eh.  Autore,  traspira  dalle  leggi,  dalla  pro- 
cedura, e  da  tutto  l'ordinamento  della  giurisdizione  criminale.  Di 
qui  segue  che  ne'  luoghi  di  condanna,  de'  quali  parli  imo,  si  sta  ad 
un  giusto  mezzo,  evitandosi  que'  trattamenti  o  d' inesorabile  seve- 
rità o  di  soverchia  dolcezza,  i  quali  applicati  alle  carceri  di  altri 
paesi  si  vedono  produrre  effetti  contrarli  a  quelli  che  si  speravano  di 
ottenere.  La  carcere  è  qui  stabilita,  qual  dev'essere,  cioè  qual  casa 
di  pena  :  ed  il  carcerato  vien  riguardato  come  uomo  guasto  dal  de- 
litto, non  però  si  fattamente  che  non  possa  correggersi  col  gastigo 
e  diventare  migliore.  Ogni  cosa  dunque  si  amministra  in  tal  ma- 
niera da  raggiungere  questo  scopo  di  correzione  e  di  miglioramen- 
to; e  però  mentre  il  rigore  tien  lungi  tutte  quelle  licenze,  che  val- 
gono a  maggiormente  pervertire  i  costumi,  la  pietà  adopera  tutte 
quelle  industrie  che  giovano  a  ripiegarli  verso  il  bene.  Quindi,  per 
cagion  d'esempio,  la  separazione  degli  uomini  dalle  donne,  dei  gio- 
vanetti dagli  adulti,  dei  prevenuti  dai  condann  iti  :  l'ozio  sbandilo  ; 
stabilita  la  segregazione  notturna,  ed  il  silenzio  nel  tempo  dei  la- 
vori ;  vietato  ai  custodi  di  accettare  dai  detenuti  qualsiasi  regalo, 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  61 

benché  minimo,  sotto  pena  d'immediata  destituzione;  e,  per  venire 
a  qualche  cosa  più  particolare,  proibito  l'uso  dei  liquori,  ed  oltre  a 
quella  parca  quantità  di  vino  che  ciascuno  riceve  quotidianamente 
dall'amministrazione  governativa,  si  permette  che  ne  comprino  a 
loro  spese,  ma  però  non  più  di  una  foglietta,  che  è  meno  di  mezzo 
litro,  al  giorno.  Finalmente  tutte  le  azioni  della  giornata  sono  ri- 
partite con  ordine,  e  si  fanno  a  suono  di  campana. 

Si  attende  poi  con  somma  diligenza  a  coltivare  i  poveri  prigionie- 
ri nelle  cose  religiose.  Le  carceri  nuove  dipendono  in  ciò  dal  par- 
roco di  S.  Lucia  al  Gonfalone.  Un  cappellano  abita  nell'interno,  ce- 
lebra ogni  mattina  la  messa,  a  cui  assistono  tult'i  carcerati,  eccetto 
quelli  rinchiusi  nelle  secreto,  i  quali  l'ascoltano  nelle  sole  feste  di 
obbligo,  eVè  per  loro  un  altro  sacerdote.  Tutti  ogni  sera  reci- 
tano il  santo  Rosario,  si  dispongono  a  celebrare  le  principali  so- 
lennità che  occorrono  fra  Tanno  con  divote  novene  ;  circa  la  Pasqua 
fanno  gli  esercizii  spirituali  por  otto  di  ;  e  con  opere  convenienti 
alla  loro  condizione  partecipano  ai  giubbilei  ed  alle  indulgenze,  che 
si  concedono  dal  sommo  Pontefice.  I  rev.  Padri  di  S.  Girolamo, 
quelli  della  Compagnia  di  Gesù  ed  una  Congregazione  di  ecclesiastici 
secolari,  frequentano  queste  prigioni  per  consolare  i  carcerati,  per 
far  loro  istruzioni,  e  per  ascoltarne  le  confessioni.  A  un  di  presso 
le  stesse  pratiche  di  religione  si  compiono  nelle  altre  carceri.  Ma 
è  degno  di  menzione  quel  che  il  cardinal  Monchini  riferisce  della 
prigione  dei  minorenni  a  S.  Balbina.  «  Avviene,  egli  dice,  che  nei 
giorni  festivi,  quelli  che  sono  usciti  di  colà,  perchè  compilo  il  tem- 
po della  loro  pena,  vi  ritornino  a  fin  di  praticare  le  opere  di  reli- 
gione, e  per  ricevere  i  sacramenti  da  quegli  stessi  buoni  Padri 
Passionisti  o  dagli  altri  buoni  Sacerdoti,  che  li  diressero  nelle  cose 
dell'anima  1.  » 

Ma  acciocché  si  mettano  in  esecuzione  il  più  perfettamente  che  si 
può  tulle  le  leggi  intorno  al  buon  andamento  delle  carceri  ;  ed  ab- 
biano i  carcerati  quel  maggior  sollievo,  che  nello  stalo  in  cui  si  tro- 
vano può  loro  concedersi,  sì  quanto  al  corpo  come  quanto  allo  spi- 
rito; sono  stabilite  le  visite  delle  prigioni,  le  quali  si  fanno  in  certi 

1  Pag.  722. 


62  RIVISTA 

(empi  determinati  dalle  persone  a  ciò  delegate  dal  Governo.  Così 
almeno  una  volta  al  mese  si  conducono  a  visitare  ogni  luogo  di  cu- 
stodia e  di  detenzione  il  Preside  della  provincia  o  il  capo  del  tribu- 
nale, il  Vescovo  o  il  Vicario  generale  o  il  capo  del  clero,  il  capo  dei 
magistrati,  un  deputato  almeno  della  congregazione  di  Carità,  ove 
essa  esiste,  il  Procuratore  de'  poveri,  il  cancelliere  del  tribunale  e 
il  medico  delle  carceri.  Vanno  tutti  insieme  ad  osservare  e  provve- 
dere l'ordine  religioso  e  morale,  la  nettezza  delle  carceri,  e  1'  uma- 
nità del  trattamento  de  prigionieri. 

Nelle  prigioni  di  Roma  vi  è  di  più  la  visita  detta  graziosa  tre  volte 
l'anno,  a  Pasqua,  alatale  e  nel  mese  d'Agosto.  «  È  questa,  dice  il 
Monchini,  la  visita  graziosa,  che  si  fondava  da  Eugenio  IV,  creato 
Papa  nel  1431,  ne'  primi  anni  del  suo  pontiticato,  prendendone 
l' idea  da  un  antico  uso  della  Chiesa,  riferito  da  iNiceforo  Calisto.  1 
magistrati  dell'ordine  giudiziario  ed  i  procuratori  de' poveri  si  reca- 
vano due  volte  il  mese  alle  prigioni,  ascoltavano  ciascun  detenuto, 
esaminavano  le  cause,  sminuivano  la  pena,  componevano  co'  credi- 
tori i  prigioni  per  debiti,  e  mettevano  anche  in  libeità,  tranne  i  *ei 
dei  più  gravi  delitti  ed  i  recidivi.  Questa  buona  istituzione  di  papa 
Eugenio  dura  tutt'ora  fra  noi,  e  si  fa  con  molta  solennità  a  vantag- 
gio de'  prigioni  tre  volte  1'  anno.  Ragunansi  sotto  la  presidenza  del 
Vicecamerlengo  e  i  prelati  presidente  e  vicepresidente  del  tribunale 
di  Roma,  i  prelati  della  Carità  e  della  Pietà,  l'avvocato  e  i  procu- 
ratori e  i  sollecitatori  de'  poveri,  il  Procuratore  generale  del  Fisco 
co'  suoi  sostituti,  il  Luogotenente  dell'Emo  Vicario,  il  cancelliere 
del  tribunale  criminale  di  Roma,  il  capo  dell'  ufficio  della  Direzio- 
ne generale  di  polizia  e  un  medico  e  un  chirurgo.  Come  vedesi,  uni- 
ti per  tal  modo  tutti  quei  che  han  relazione  coi  carcerali,  sia  perchè 
giudici,  sia  perchè  sostenitori  della  legge,  sia  perchè  difensori  de- 
gl'imputati,  sia  perchè  caritatevoli  lor  visitatori,  sia  finalmente 
perchè  aventi  parte  nell'  istruttoria,  nelle  processile,  ed  udendosi 
da  loro  singolarmente  lutti  i  prigionieri,  si  ha  un  assieme  di  perso- 
naggi specchiatissirai,  che  hanno  potestà  di  occorrere  a  tuli'  i  biso- 
gni di  quegl'  infelici,  accoppiando  insieme  la  carità  e  la  giustizia  1 .  » 

1  Pag.  783,  784. 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  €3 

Fra  le  privale  istituzioni  di  Roma,  che  prestano  lo  stesso  pietoso 
ufficio  di  visitare  e  di  soccorrere  i  carcerati  sono  più  celebri  tre  Ar- 
eiconfraternite ;  cioè  quella  di  S.  Girolamo  della  Carità,  quella  della 
Pietà  dei  Carcerati  e  quella  di  S.  Giovanni  decollato. 

I  membri  dell'  Arciconfraternita  della  Carità  esercitano  la  loro 
misericordia  a  prò  de'  prevenuti,  che  sono  rinchiusi  nelle  carceri 
nuove.  Li  visitano  di  frequente,  esaminano  il  loro  vitto  e  comparti- 
scono soccorsi  a  quei  che  ne  han  bisogno.  Procurano  che  sieno  pron- 
tamente spedile  le  cause,  ed  a  questo  lino  è  deputato  un  di  loro  col 
titolo  di  sollecitatore,  il  quale  nello  stesso  tempo  dà  opera  a  toglie- 
re gli  odii,  a  rattemperare  le  ire,  ad  ottenere  il  perdono  della  par- 
ie offesa,  a  conciliare  e  pacificare  gli  animi.  Ma  soprattutto  pren- 
dono cura  dello  spirito  dei  carcerati;  e  per  tal  effetto  T  Arciconfra- 
ternita mantiene  la  comunità  de'  Sacerdoti,  che  vivono  nella  casa  di 
S.  Girolamo  della  Cai  Uà. 

V Arciconfraternita  della  Pietà,  a  cui  appartiene  la  chiesa  di 
S.  Giovanni  della  Pigna,  compie  a  un  di  presso  le  medesime  opere 
di  carità  anche  nelle  carceri  nuove. 

L' Arciconfraternita  di  S.  Giovanni  decollalo  ha  la  chiesa  dedica- 
4a  a  questo  santo.  Si  compone  di  toscani,  o  discendenti  da  toscani 
sino  alla  terza  generazione.  11  suo  scopo  è  di  assistere  i  condanna- 
ti a  morte  ;  i  pii  confratelli  porgono  ad  essi  ogni  possibil  conforto 
sia  corporale  sia  spirituale;  gli  accompagnano  insino  al  palco,  e  indi 
prendono  cura  de'  loro  cadaveri,  a  cui  danno  una  decente  sepoltura 
nel  cimitero,  che  è  presso  la  loro  chiesa. 

Due  altre  Arciconfraternilc  si  occupano  de'  soli  suffragi  :  Y  una 
è  nella  chiesa  della  Natività  di  Gesù  Cristo,  detta  degli  Agonizzanti 
a  piazza  di  Pasquino,  e  l'altra  detta  di  Gesù  e  Maria  nella  chiesa  di 
S.  Nicola  in  Arcione.  Espongono  il  SSmo  Sagramenlo  nelle  loro 
chiese  dalla  pubblicazione  della  condanna  fino  alla  esecuzione;  ne 
mandano  avviso  ai  monasteri,  perchè  si  facciano  preghiere,  e  van- 
no raccogliendo  per  la  città  le  limosine  delle  messe,  che  fan  cele- 
brare per  le  anime  dei  giustiziati. 


G4  rivista 

IL 

Bullarum  diplomatimi  et  privileyiorum  sanctorum  romanorum  Pon- 
ti/icum  editto,  etc.,  quam  SS.  D.  N.  Pus  Papa  IX  apostolica 
benedictione  erexit.  Tomus  XVIII:  Clemens  X  ab  an.  MDCLXX 
ad  ao.  MDGLXXVI.  Un  volume  di  pag.  XXXil-";5-\ 

11  Bollarlo  Romano  e  senza  fallo  il  più  ricco  prontuario  di  quanto 
ordinò  nel  corso  dei  secoli  la  sapienza  dei  romani  Pontefici,  per 
l'amministrazione  che  Cristo  nella  persona  del  beato  Apostolo  Pie- 
tro loro  commise  della  Chiesa  universale.  Quivi  stanno  regislrati 
gli  Atti  autentici  di  fondazione  della  maggior  parte  delle  Chiese  di 
Europa  e  del  nuovo  mondo,  le  quali  ebbero  i  natali  in  Roma,  ma- 
dre e  maestra  di  tutte  le  Chiese.  Quivi  erezioni  di  Metropoli,  novel- 
le circoscrizioni  di  diocesi,  limitazione  ed  accordi  delle  varie  giu- 
risdizioni. Quivi  istituzioni  e  dotazioni  delle  più  celebri  università 
di  studii  generali  per  opera  dei  Papi,  stali  sempre  promotori  e  fau- 
tori zelantissimi  delle  buone  lettere,  delle  arti  liberali  e  delle  scien- 
ze. Quivi  fondazioni  di  collcgii,  seminarli  ed  altri  stabilimenti  ec- 
clesiastici, approvazioni  di  Ordini  e  Congregazioni  regolari  e  seco- 
lari, aprimcnti  e  direzione  di  sempre  nuove  missioni  agli  infedeli, 
ed  ottimi  statuti  per  regolare  le  mutue  relazioni  dell'uno  e  dell'al- 
tro clero.  Quivi  largizioni  di  grazie,  indulgenze  e  privilegii,  uso 
sapiente  delle  censure  ecclesiastiche,  leggi  di  disciplina,  ordina- 
menti del  divino  culto,  canonizzazione  di  Santi,  risoluzioni  di  dub- 
bii,  definizioni  irrefragabili  e  sempre  immuni  di  errori  in  ogni  con- 
troversia concernente  la  fede  ed  i  costumi.  Quivi  convocazioni  di 
Sinodi  e  sanzione  data  ai  loro  decreti.  Quivi  insomma  il  codice 
vigente  di  tutta  la  Chiesa.  Qual  Chiesa  adunque  particolare  od  Isti- 
tuto ecclesiastico  un  po'  importante  ne  potrebbe  fare  a  meno*?  o 
quale  biblioteca  di  città,  di  vescovadi,  di  seminarli  e  di  curie  non 
debbo  averlo? 

Ma  nienti  o  non  sarebbe  anche  al  dì  d'oggi  molto  difficile  il  pro- 
usi  la  continuazione  del  Bollano  Romano  per  quello  spazio  di 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  65 

circa  un  secolo,  eh'  è  da  Benedetto  XIV  fino  a  Pio  IX  felicemente 
regnante,  quanto  al  corpo  primo  e  fondamentale  dello  stesso  Bol- 
larlo Romano,  per  i  tredici  secoli  che  corrono  da  Leone  Magno  a 
Benedetto  XIV,  ne  tornava  ornai  da  gran  tempo  impossibile  a  qual- 
siasi prezzo  l'acquisto,  conciossiachè  l'unica  edizione  che  ne  esi- 
stesse, curata  nel  secolo  scorso  dal  dotto  giureconsulto  Carlo  Co- 
quelines,  ed  eseguita  a  Roma  dal  1733  al  1746  in  28  tomi  in  folio 
coi  tipi  del  Mainardi,  fosse  onninamente  esausta  da  non  potersene 
più  trovare,  se  non  per  incontro  fortuito,  verun  esemplare. 

Fu  dunque  provvido  e  sapiente  consiglio  quello  di  alcuni  insigni 
teologi  e  canonisti  romani  e  torinesi,  ben  secondati  da  valenti  tipo- 
grafi, d'imprendere  e  proseguire  coraggiosamente  con  la  benedizione 
apostolica  del  Santo  Padre,  e  sotto  gli  auspìcii  in  prima  dell'Emo 
Cardinale  Francesco  Gaude,  di  felice  memoria,  poi  dell'  Emo  si- 
gnor Cardinale  Luigi  Bilio ,  protettore  zelantissimo  dell'  impresa 
colossale,  una  compiuta  ristampa,  d'assai  migliorala  per  nitidezza 
di  caratteri,  bontà  della  carta,  comodità  del  formato  e  correttezza 
dell'edizione,  dell'amplissima  collezione  di  Bolle  pontificie  Mainar- 
di-Coqueliniana,  la  quale  verrebbe  poi  continuata  insino  ai  nostri 
giorni,  ed  inoltre  accresciuta  di  una  copiosa  Appendice  di  moltis- 
simi Atti  papali,  rimasti  finora  od  inediti  od  esclusi  dal  Bollano 
Romano,  da  S.  Leone  il  Grande  sino  a  Pio  IX.  Ma  dato  per  saggia 
un  primo  volume  dell'Appendice,  da  S.  Leone  Magno  a  Vigilio  (e 
dovrà  essere  condotto  fino  a  S.  Gregorio  Magno),  che  ci  mette  in 
molto  desiderio  di  vederne  la  continuazione,  i  dotti  editori  si  av- 
visarono, con  savio  accorgimento,  di  dovere  innanzi  tutto  sop- 
perire al  bisogno  più  urgente  della  cristianità,  promuovendo,  con 
istraordinaria  operosità  la  ristampa  del  primo  e  più  sostanziale  fon- 
do del  Bollano  sino  a  Benedetto  XiV,  che  al  tutto  mancava.  Ed  è 
quella  appunto  della  quale  annunziammo  poc'anzi  nel  primo  nostro 
quaderno  di  Gennaio  il  tomo  XVIII,  contenente  tutte  le  Bolle  fin  qui 
pubblicate  di  PP.  Clemente  X  dal  1670  al  1676,  e  ci  si  dà  come  pros- 
simo ad  essere  pubblicato  il  XIX,  che  conterrà  V  intero  pontificato 
di  Innocenzo  XI  fino  al  1689.  Dopo  di  che  non  rimarranno  più  che 
soli  cinquant'anni  di  bolle  pontifìcie  da  ristampare  in  cinque  volumi 
Serie  VII,  voi  XI.  fase.  487.  0  23  Giugno  1870. 


66  RIVISTA  DELLA  STAMPA  ITALIANA 

a  un  di  presso  per  raggiungere  la  prima  meta  avuta  per  ora  in  mira 
dagli  editori  torinesi,  e  chiudere  così  la  prima  parte  dell'opera  uni- 
versalmente desiderata,  che  farà  un  tutto  da  se,  e  si  potrà  anche 
acquistare  separatamente  da  quelli  che  già  possedessero  la  conti- 
nuazione del  Bollano  romano  di  qualche  altra  edizione. 

Non  ci  stenderemo  di  più  a  rilevare  i  molti  pregi  di  quest'  Opera 
grandiosa,  poiché  ne  abbiamo  già  fatto  più  volte  nei  passati  qua- 
derni quell'onorata  menzione  che  ben  si  meritava.  D'altra  parte 
ognuno  qui  in  Roma  potè  informarsene  co'  proprii  occhi,  avendo 
essa  figurato  fra  i  più  insigni  prodotti  dell'arte  tipografica  cattolica, 
che  adornavano  la  splendida  Esposizione  romana.  Solo  ci  contente- 
remo di  notare  che  la  celerità  del  lavoro  non  detrae  punto  alla  di- 
ligenza e  accuratezza  della  lezione.  Anche  il  presente  volume  XVIII 
ci  offre  subito  da  principio  l'elenco  di  ben  ottocento  correzioni,  che 
gli  editori  torinesi  fecero  al  volume  corrispondente  dell'edizione  ro- 
mana. Quanto  poi  alla  nitidezza  della  stampa,  alla  giusta  distinzio- 
ne delle  linee,  alla  savia  interpunzione,  e  a  tutte  le  altre  parti  che 
costituiscono  ciò  che  chiamasi  finezza  d'occhio  tipografico,  basti 
dire  che  le  bolle  pontificie,  le  quali  d'ordinario  riescono  di  grave 
e  faticosa  lettura  nei  tomi  del  Mainardi,  talché  niuno  vi  ricorre  se 
non  avendone  più  che  stretto  bisogno  ;  in  questa  edizione  torinese 
si  percorrono  tanto  leggermente,  da  sembrare  quasi  un  libro  di 
amena  lettura. 

Il  volume  che  annunziamo  porta  in  fronte  una  bella  iscrizione  di 
dedica  ai  venerandi  Padri  del  Concilio  vaticano  ;  e  noi  desideriamo 
che  i  generosi  imprenditori  di  questa  grande  opera,  tanto  utile  alla 
Chiesa,  possano  finalmente  ritrarre  nella  presente  occasione  le  in- 
genti spese,  che  certo  dovettero  anticipare,  per  condurla,  senza  il 
sussidio  di  molle  associazioni,  a  tal  punto,  che  si  può  riguardarla 
come  finita. 


BIBLIOGRAFIA 


ADONE  LUIGI  —  Elogio  funebre  di  Luigi  Monforte  dei  Conti  di  Campobasso,  ca 
nonico  diacono  della  metropolitana  di  Napoli  ;  recitato  da  Luigi  Adone, 
prete  napolitano.  Napoli,  tip.  degli  Accattoncelli,  1870.  In  8.°  di  pag.  18. 

ANONIMO  —  Alcuni  cenni  sulla  vita  della  venerabile  Maria  Cristina  di  Savoia, 
di  Napoli  ;  ricavati  dalla  vita  che  di  essa  scrisse  Y  illustre  Luigi  Maria 
Cafiero,  sacerdote  napolitano.  Ferrara,  tip.  di  D.  Taddei,  1870.  In  32.° 
di  pag.  51.  Prezzo  cent.  30. 

—  Brevi  parole  intorno  all'educazione  del  popolo,  clie  servono  d'introduzione 
al  catalogo  della  Biblioteca  circolante  fiorentina,  aperta  al  pubblico  il  26 
Febbraio  1870.  Firenze,  tip.  all'insegna  di  S.  Antonino  1870.  Unvolitr 
metto  in  16.°  di  pag.  XXII-YòO. 

Le  Biblioteche  circolanti,  istituite  da  persone  possono  porvi  mano,  a  istituirle  per  tutto.  E  per 

sinceramente  cattoliche,  possono  fare  .un  gran  be-  questo  appunto  annunziamo  il  presente  libretto,  il 

ne  nel  popolo,  e  salvare  non  solo  dai  pericoli  quale   nell'ottima  sua  prefazione   discorre  della 

dell'ozio  molte  persoae,  ma  eziandio  dai  pericoli  necessità,    della   utilità    e  della  organizzazione 

più  dannosi  dell'errore  chi  per  fuggir  quell'ozio  prattica  di  queste  biblioteche;  e  nel  catalogo  che 

gittasi  a  qualsivoglia  lettura,  senza  verun  avve-  dà  di  quella  formatasi  in  Firenze,  offre  una  tal 

dimento.  Laonde  ci  gode  l'animo  vedendo  come  quale   guida  sicura  per  la  scelta  dei  libri  che 

queste  buone  Biblioteche  circolanti  siensi  molti-  ponnosi  impunemente  ammettere  in  coteste  rac- 

plicate  in  Italia,  e  vivamente  esortiamo  quanti  colte. 

—  Catalogo  dei  Santi,  Beati  e  Venerabili  del  sagro  Ordine  dei  Carmelitani  cal- 
zati, estratto  dalle  Memorie  conservate  nell'Archivio  generalizio  di  S.  Ma- 
ria di  Traspontina,  e  disposto  in  forma  di  calendario  da  un  religioso  dello 
stesso  Ordine.  Viterbo,  1870,  tip.  di  S.  Pompei.  In  16.°  di  pag.  47. 

—  Il  contadino  premunito  contro  gli  errori  della  giornata,  o  ricordi  di  un  pa- 
dre a'suoi  figliuoli.  Milano,  G.  Agnelli  1870.  In  32.°  di  pag.  22. 

—  Istruzioni  sopra  l'adorazione  perpetua  del  santissimo  Sacramento  e  triduo 
a  S.  Leonardo  da  Porto  Maurizio,  propagatore  di  questa  devozione.  Firen- 
ze, tip.  di  F.  Bencini  1869.  Un  voi.  in  16.°  di  pag.  174. 

—  La  passione  e  morte  del  nostro  Signore  Gesù  Cristo.  Canto  spirituale  divi- 
so in  due  parti.  Fermo  1870,  tip.  di  Cesare  Ci  ferri.  In  32.°  di  pag.  43. 

—  La  Pentecoste  ;  novena  allo  Spirito  Santo,  per  nna  religiosa.  Sciacca,  tip. 
V  Unione,  1870.  In  32/  di  pag.  68. 

—  La  voce  di  Maria,  madre  del  buon  consiglio,  al  cuore  della  giovinetta,  ad 
uso  de'conservatorii,  delle  case  d'educazione  e  di  tutte  le  famiglie  cristia- 
ne. Quarta  ediz.  di  questa  tipografia,  riveduta  e  aumentata  per  cura  di  un 
ecclesiastico.  Bologna,  per  A.  Mareggiani  1870.  Un  volumetto  in  32.° 
di  pag.  112. 


68  BIBLIOGRAFIA 

ANONIMO  —  Preci  ordinarie  del  cristiano.  Napoli,  direz.  delle  Letture  cattoli- 
che 18ò'8.  In  16."  di  pag.  61,  prezzo  cent.  22  per  posta. 

—  Triduo  del  SS.  Corporale  che  si  venera  nella  cattedrale  di  Orvieto,  prece- 
duto dalla  memoria  storica  del  miracolo.  ViterbOj  presso  Sperandio 
Pompei  1870.  7h2ì.°  di  pag.  39. 

—  Un  fiore  al  cuore.  Ricordo  del  mese  di  Maria.  Torino,  tip.  G.  Speirani  e 
figli  1870.  In  Sì.0  di  pag.  31. 

APICELLA  STEFANO  —  Nelle  esequie  di  Nicola  Genovese;  canonico  della  catte- 
drale di  Cava  dei  Tirreni,  ecc.  ecc.  Elogio  funebre  letto  dal  sac.  Stefano 
Apicella.  Salerno,  stabilimento  tip.  Migliaccio  1869.  In  8."  di  pag.  20. 

BERSANI  ANGELO  —  Il  Catechismo  spiegato  al  popolo  per  via  di  esempii  e  di  si- 
militudini, per  mons.  Angelo  Bersani,  prel.  dom.  di  S.  S.  Seconda  edizione 
riveduta  ed  aumentata.  Volume  terzo  dei  precetti  della  Chiesa  e  dei  Sacra- 
menti. Lodi,  tip.  vescovile  di  C.  Cagnola,  1870.  Un  voi.  in  16.'  di 
pag.  276. 

BIANCHI  DOMENICO  —  Sulla  tomba  del  poeta  Pietro  Giannone,  fiori  e  lacrime, 
per  Domenico  Bianchi  da  Pietrafitta.  Cosenza,  tip.  dell'  Indipendenza 
1870.  In  16.»  di  pag.  12. 

È  bene  che    la   memoria   de'valorosi  ingegni  che  il  signor  Bianchi  ha  scritto  in  eommendazio- 

sia  raccomandata  alla  posterità,  sì  perchè  si  co-  ne  del  bravo  poeta  calabrese  Pietro  Giannone,  ul- 

nosca  in  quale  stima  furono   tenuti  de'  contem-  timamente  defunto,  lodandone  con  molto   affetto 

poranei,  sì  perchè  il  loro  esempio  Taiga  di  con-  i  pregi,  e  proponendolo  in  esempio  nella  carrie 

Torto  e  di  sprone  ad  imitarne  le  geste.  A  que-  ra  letteraria  alla  calabra  gioventù, 
sto  doppio  scopo  sono   dirette    le  brevi  parole, 

BIBLIOTECA  AMENA  DEL  MESSAGGERE  -  G.  E.  R.  Laura  l'emigrata.  Bologna, 
presso  V uffìzio  del  Messaggiere,  1869.  Un  voi.  in  12. 8  di  pag.  182. 

Le  sciagure,  che  nella  rivoluzione  francese  in-  Contessa  poi  e  la  figliuola,  rimaste  senza  nessun 
colsero  alla  casa  del  Conte  di  Saint-Val,  formano  ricapilo,  in  terra  straniera,  e  cosirette  a  procac- 
ci soggetto  del  presente  Racconto,  originariamen-  ciarsi  il  vitto  coli* opera  delle  lor  mani,  si  por- 
te scritto  in  francese,  e  tradotto  dalla  benemerita  gono  in  esempio  delle  più  rare  virtù,  che  in 
"Biblioteca  del  Messaggiere  di  Bologna  in  buon  mezzo  alle  pruove  di  ogni  genere  possano  ali i— 
italiano  L' intreccio  risulta  di  casi  assai  vani  e  gnare  in  anima  cristiana.  La  madre  andò  pre- 
inaspettati, i  quali  pel  contrasto  di  grandi  vizii  sto  a  raccogliere  il  premio  in  seno  a  Dio,  essendo 
e  di  grandi  virtù,  e  per  la  manifesta  imerven-  stata  la  debole  natura  sopraffatta  dalla  forza  di 
zione,  onde  la  divina  Provvidenza  condusse  a  tanti  mali  ;  ma  la  figliuola  Lauretta  ne  riportò 
salvamento  la  Conlessa  e  la  sua  giovine  figlia,  anche  in  questa  vita  il  premio:  poiché  quindi  a 
destano  un  singolare  interesse.  Lo  scopo  dell'Ali-  poco  potè  ritornare  nella  patria,  do\o  la  rara  fe- 
tore, non  tanto  è  stato  di  metlere  in  mostra  i  deità  di  un  servo  le  fé  trovare  inaspettatamente 
terribili  effetti  di  quel  flagello,  benché  anche  a  un  ricco  deposito,  che  il  Conte  nel  tempo  del 
questo  ha  indirettamente  la  mira,  quanto  di  far  maggior  pericolo  gli  avea  ditto  a  custodire.  Il 
spiccare  le  virtù  cristiano  di  quella  nobile  fami-  Racconto  sì  pe' pregi  dell'arte,  come  assai  più 
glia  11  Conte  rimase  vittima  di  una  fedeltà  al  pe'  piegi  religiosi  e  morali,  merita  di  esser  con- 
suo  Re,  la  quale  non  ismarrì  innanzi  a  nessun  gigliato  ad  ogni  classe  di  persone,  come  libro  di 
pericolo,  an-he  quandi  i  più  duri  sagrifizii  non  amena  e  insieme  di  utile  lettura, 
poteano  promettere   nessun   buon   risultato.    La 

BOCCACCIO  GIOVANNI  —  Novelle  scelle  di  Giovanni  Boccaccio,  purgate  ed  an- 
notate dal  sac.  prof.  Celestino  Durando.  Volume  secondo,  che  contiene  in 
fine  La  vita  di  Dante  del  medesimo  autore.  Torino,  tip.  dell'Orai,  di  san 
Fri n rrsro  di  Sales  1870.  Un  voi.  in  32.°  di  pag.  262. 

B0SSUET  —  La  subordinazione  alle  autorità  legittimamente  costituite.  Consi- 
dera/ioni tratte  dalle  opere  di  Monsignor  Bossuet.  Firenze,  tip.  Calasan- 
ziana,  1861.  In  8.u  di  pag.  50. 


BIBLIOGRAFIA  69 

BRIGNARDELLO  GIO.  BATT.  —  Giuseppe  Gaetano  Descalzi,  Campanino,  e  Parte 
delle  sedie  in  Chiavari,  per  Gio.Batt.  Brignardello.  Firenze,  coi  tipi  di  M. 
Cellini,  1870.  Un  volumetto  in  16.°  dipay.  139. 

Fra  le  curiosità  storiche  e  letterarie  può  me-  listi  che  più  si  segnalarono  nel  fabbricarle.  Te- 
ntar posto  il  libro  del  signor  Brignardello.  Es-  nue  argomento  al  certo:  ma  pure  non  privo  di 
so  tratta  dell'arte  di  far  quelle  famose  sedie  di  diletto  a  leggerne  lo  svolgimento,  e  di  vantag- 
Chiavari,  tanto  pregiate  dalla  signoria  d'ogni  gio  a  vedere  come  si  possa  salire  in  fama  anche 
ritta  in  Europa,  e  del  modo  com'  esse  vennero  con  questi  non  vistosi  lavori  di  mano, 
perfezionandosi  sempre  più,  e  dei  principali  ar- 

CARLONI  GIROLAMO  —  Lezioni  di  grammatica  latina,  esposte  a  domanda  e  ri- 
sposta dal  prete  Girolamo  Cartoni.  Sesta  ediz.  riveduta  e  corretta  dall'Au- 
tore. Firenze,  tip.  di  V.  Demi,  1870.  Un  voi.  in  16.e  dipag.  A-298. 

Buon  corso  per  lo  studio  dei  giovanetti  è  co-  suoi  principali  sono  buona  scelta  dei  precetti  più 

testo  del  eh.  Carloni:  e  lo  dimostra  l'essersi  do-  utili:  buon  metodo  nello  svolgimento  delle  re- 

vuto  in  pochi  anni  sei  volte  ristampare,  affin  di  gole:  e  buona  disposizione  delle  varie  sue  parli, 
corrispondere  alle  richieste  dei  compratori.  I  pregi 

CARTESIO  E  IL  DUBBIO  METODICO  —  Riflessioni  filosofiche  di  Giuseppe  Patroni 
dottore  in  filosofia  e  matematiche.  Roma,  1870.  Un  voi.  in  8.°  di  pag.  180. 

Il  giovine  Autore  prende  in  questo  libro  a  di-  differisce  dal  metodo  usato  dai  più  sani  Qlosofl.  La 

fendere  non  già  in  tutta  la  sua  estensione  la  filo-  qual  cosa,  checché  sia  dell'esito  della  dimostra- 

sofia  di  Cartesio,  ma  solamente  il  suo  dubbio  me-  zione,  egli  procaccia  di  fare  con  molla  acutezza 

todico;  studiandosi  di  dimostrare  che  esso  non  d'ingegno,  e  corredo  di  filosofica  erudizione. 

CELI  ETTORE  —  L'Abbici  dell'agricoltore  :  Principii  dell'  Arte  agraria,  esposti 
dal  prof.  Ettore  Celi,  per  uso  segnatamente  delle  scuole  rurali.  Terzi  edi- 
zione riordinata  in  parte  ed  accresciuta  dall'Autore.  Modena,  tip.  di  Car- 
io Vincenzi,  1870.  Un  voi.  in  16.°  di  pag.  636. 

COSTITUZIONE  DI  PIO  IX  che  limita  le  censure  latae  sententiae.  Testo  latino 
colla  versione  italiana.  Sciacca,  tip.  l'Unione  1870.  In  3*2.°  di  pag.  38. 

CUSMAN0  BERNARDINO  —  La  guida  sicura  dei  religiosi  dispersi  nei  tempi  pre- 
senti, per  P.  Bernardino  Cusmano,  lettore  e  predicatore  cappuccino,  ediz. 
quarta,  riveduta  e  corretta  dall'autore.  Milano  1870.  In  di.0  di  pag.  56. 

DA  CASALBORDINO  GIUSTINO  —  Dodicina  in  ossequio  di  Maria  Santissima  Im- 
macolata, del  p.  Giustino  da  Casalbordino,  esdef.  M.  O.  Roma,  tip.  dei 
fratelli  Monaldi,  1870.  In  24.°  dipag.  32. 

DA  CRECCHIO  ALESSANDRO  —  Schizzo  biografico  di  monsignor  Bernardino  Ma- 
ria Frascolla,  Vescovo  di  Foggia.  Roma,  tip.  Salviucci,  1870.  In  24.°  di 
pag.  12. 

DURANDO  CELESTINO  —  Vedi,  Boccaccio  Giovanni. 

ERMENEGILDO  DA  CHITIGNANO  (FRA)  —  Guida  spirituale  pei  giovani  francesca- 
ni che  aspirano  all'Ordine  sacro,  per  fra  Ermenegildo  da  Chitignano  M.  R. 
Missionario  dell'Incontro.  Prato,  tipografia  di  Ranieri  Guasti,  1870.  Un 
voi.  in  8.°  picc.  di  pag.  Vili.  504. 

Il  eh.  e  rev.  fra  Ermenegildo  da   Chitignano  veramente    prezioso.    Offre    ai    giovani  chierici 

è   uno  dei  più  corretti  e  dei  più  eleganti  scrittori  che  si    hanno  a  ordinare    una    direzione   sicura 

che.  mantengano   vivo  ora  in  Italia  l'onore    del  p^r  riconoscere    la   vocazione  celeste  al   celeste 

hello  stile.    Il    suo   libro  degli  Ammaestramenti  ministero  del  sacerdozio,  una  chiara  spiegazio- 

riseosse  lodi  non  solo  dagli  ascetici,    ma  ezian-  ne  dei  doveri  che  assumono  insieme  colla  nuo- 

dio  dai  letterati  :  e  pari    se  non  anco  maggio-  va  dignità,  ed  un  conforto  efficace    per  m<mda- 

ri   ne    riscoterà   questa    Guida    Spirituale   che  re  santamente  ad  effetto  gli   obblighi    di  quello 

Tiene  ora  alla  luce.  Come   libro  morale  esso  è  Stalo.   E  sebbene  e^li  scriva  in    modo  speciale 


70 


BIBLIOGRAFIA 


pei  chierici  francescani,  e  qaindi  abbia  sempre 
in  vista  la  professione  religiosa  propria  di  quei 
santo  Ordine,  pur  luitavia  la  più  gran  parte 
degli  avvedimenti  che  suggerisce,  «  dei  consigli 
che  dà  s'attagliano  ugualmente  ai  chierici  se- 
colari ,  i  quali  hanno  coi  primi  comune  la  più 
gran  parte  delle  obbligazioni.  Sotto  questo  ri- 
spetto la  Guida  Spirituale  di  fra  Ermenegildo 
è  veramente  esperta  della  via,  alacre,  sicuri,  e 
tutta  piena  dei  più  santi  e  soavi  spiriti  sacerdo- 
tali, che  danno  ai  suoi  suggerimenti  una  sin- 
golarissima efficacia.  Come  libro  letterario  poi 
la  sua  bellezza  incanta  e  rapisce.  L'ordine  na- 
turale delle   singole  sue   parti    dà    la    miglior 


forma  al  concello  unico  che  esso  svolge  :  e  la 
dignità  del  linguaggio,  sempre  correttamente 
italiani,  sempre  appropriato  ai  vani  argomenti, 
Bell'ambra  o  di  Mgttgauaa  o  di  alienazione, 
senza  sopraccarico  di  frange  a  di  sdolcinatura, 
ma  elegantemente  semplice,  spigliato,  scorrevo- 
le ;  questa  dignità  diciamo,  nobilita  ancor  di 
più  l'argomento  per  sé  nobilissimo,  come  un 
bel  manto  nobilita  ancor  di  più  l'augusta  mae- 
stà di  un  gran  personaggio.  Accolga  il  eh. 
Autore  di  questo  libro  i  nostri  congratul» meati, 
e  insieme  con  essi  la  preghiera  di  continuare  ad 
arnechne  la  Chiesa  e  l'Italia  di  uguali  lavori, 
che  l'una  e  l'altra  avvantaggiano  ed  onorano. 


FAA'  FRANCESCO  —  Sunti  di  morale  ad  uso  delle  scuole  magistrali  maschili  e 
femminili,  con  sentenze  morali  di  autori  greci  e  latini  ;  pel  cavaliere  Fran- 
cesco Faà  di  Bruno,  dottore  in  iscienze  presso  le  università  di  Parigi  e  To- 
rino. Torino  e  Napoli,  società  l'unione  tipografico-edilrice,  1870.  In  16.* 
dipag.  100.  Prezzo  lira  una. 


Abbiamo  dovuto  assai  spesso  lodare  i  libri 
del  cav.  Faà  di  Bruno,  siccome  pregevoli  per  la 
purità  della  dottrina  cattolica,  o  per  i  pregi  let- 
terarii  e  scientifici,  propri!  delle  materie  trattate. 
Queste  due  qualità  rilucono  egualmente  in  que- 
sto libro,  che  può  dirsi  un  breve  e  succoso  com- 
pendio del  dritto  naturale  e  sociale,  ed  è  desti- 
nalo per  uso  delle  scuole  magistrali  dei  due  sessi. 
È  perche  veggasi  la  sincerità  di  questa  lode,  ci 


permettiamo  di  osservare  che  nel  paragrafo  intor- 
no alla  Monarchia,  Rappresentativa  si  emette  un 
giudizio,  il  quale,  se  corrisponde  alle  promesse  di 
coloro,  che  se  ne  fanno  in  buona  fede  propugna- 
tori, non  corrisponde  del  tutto  alla  natura  intima 
di  questa  forma  di  governo,  e  molto  meno  quando 
essa  viene  informata  dai  rei  principii,  onde  tutte 
le  costituzioni  rappresentative  moderne  sono  im- 
bevute. 


FANUCCHI  GIUSEPPE  —  Della  vita  di  S.  Angelo  martire  carmelitano,  scritta  no- 
vellamente dal  P.  L.  Giuseppe  Fanucchi,  dell'Ordine  islesso,  ridotta  a  ca- 
pitoli, fornita  di  parecchi  documenti  dedotti  da1  più  antichi  scrittori.  Vi- 
terbo, 1870,  tip.  di  S.  Pompei.  Un  volumetto  in  16.°  dipag.  148. 


S.  Angelo,  apostolo  insigne  e  martire  dell'Or- 
dine Carmelitico,  Qorì  nella  Une  del  secolo  deci- 
mo secondo,  e  nel  cominciamento  del  decimo  ter- 
zo: e  predicò  con  zelo  grande  e  con  grande  fruUo, 
specialmente  nella  Sicilia.  La  sua  vita,  veramente 
edificante,  fu  scritta  fra  gli  altri  dal  P.  Filippini, 
Priore  generale  dei  Carmelitani  nel  10 il.  Ora  esce 
alla  luce  migliorala  d'assai  e  corretta,  e  quasi 


rifatta  per  opera  del  eh.  P.  Fanucchi,  religioso  del 
medesimo  Ordine:  il  quale,  con  questa  sua  fa- 
tica ha  mirato  a  dar  forme  più  pulite  a  quella 
antica  vita,  per  così  procacciarle  maggior  numero 
di  lettori,  persuaso  che  questa  sua  e  opera  vera- 
mente utile  alla  edificazione  ed  alla  conversione 
delle  anime. 


FAZIO  GI0.  BARTOLOMEO  —  Della  istruzione  popolare,  per  Gio.  Bartolomeo  Fa- 
zio, delegato  scolastico  mandamentale.  Lettura.  Edi/.,  di  107  esemplari.  Ge- 
nova. lì]>   t  IH.  Anna  Rocci  ved.  Faziola  e  figlio,  1870.  in  8.°  di  pag.  *22. 

FERRANTI  FELICIANO  —  Dell'art.'  di  scrivere,  cavata  dagli  esempii  dei  Foraa- 
ciari.  Osservazioni  del  prof.  Feliciano  Ferranti.  Firenze,  co'  tipi  di  M. 
lini  e  C.  1869.  Un  volume  in  12.°  di  pag.  !)i. 


Giustamente  il  eh.  professore  l'erranti  intitola 
le  sue  Osservazioni  sopra  l  testi  che  prende  ;i 
commentare,  dell'Ara  dello  scrivere.  Perocché 
tutte  quelle  avvenenze  sono  dirette  a  far  notare 
alcuni  artilhii  de'  buoni  autori,  dall'una  parti 
efficacissimi  a  scolpire  i  concetti  o  a  produrre  i 


particolari  elTetti  che  s'intendono,  ma  «l.iir.tllni 
si  minuti,  che  facilmente  sfuggono  alla  riti 
E  con  questo,  egli  ambe  propone  ai  mae-lri  di 
scuola  un  modo  pratico  di  facile  imitazione,  per 
poter  dichiarare  ai  loro  alunni,  col  maggior  van- 
taggio possibile,  altri  lesti  de'  Classici. 


FERRERI  SEVERINO  —  il  mete  di  Maggio  io  esempli,  del  sacerdote  Severino 
Ferreri.  Torino,  tip.  G.  Speirani  e  figli  1870.  In  32.°  dipag.  11. 


BIBLIOGRAFIA  71 

FILOCARBIO  —  Il  cuor  addolorato  di  Maria.  Contemplazione  di  Filocardio. 
Torino,  tip.  di  G.  Speirani  e  figli  1869.  Un  voi.  in  32.° 

I  dolori  del  Cuore  di  Maria  SSma  contemplali  riflessioni,  sodezza  di  ammaestramento  e  buona 
in  quindici  meditazioni  formano  la  materia  di  applicazione  alla  vita  cristiana  rendono  queste 
questo  libro.    Soavità  di   alleiti,   dulicalezza  di     meditazioni  -veramente  utili. 

F1NAZZI  ANTONIO  —  Detti  e  fatti  di  politico  reggimento,  tratti  dalla  storia  ali- 
ti n  e  romana;  per  cura  dell1  ab.  Antonio  Finazzi.  Bergamo,  tip.  Crescini, 
.     1867.  In  16."  dipag.  23,  83. 

—  Pensieri  sul  piano  degli  studii,  per  A.  F.  Genova,  tip.  di  G.  Schenone.  In 
8.°  dipag.  64. 

Ottimi  veramente  sono  questi  pensieri  del  eh.  Finazzi,  specialmente  in  ciò  che  ha  attenenza 
all'istruzione  religiosa  nelle  scuole.  , 

—  Un  villaggio  italiano  transalpino;  Cenni  del  sacerdote  professore  D.  Anto- 
nio Finazzi.  Milano,  tip.  di  D.  Salvi  e  Comp.  In  8.°  dì  pag.  22. 

A  2400   metri  sopra   il  livello  dell'  Adriatico  le,  e  i  cui    costumi  sono  buoni  meglio  che  per 

trovasi  il   comune  di  Livigno,   gran    parte  del-  tutto  altrove.  Di    questo    singoiar  comune  fa  la 

l'anno    sepolto   sotto    le    nevi,    ghiacciale    alla  minuta   descrizione    il   eh.  D.   Antonio  Finazzi, 

temperatura  di  20  gradi  R.  sotto  lo  zero,  con  cir-  che  passò  quivi  alcuui  mesi  nel  cuore  del  più 

ca  800  abitanti,  i  cui  figliuoli  hanno  sette  scuo-  rigido  inverno. 

FRANCESCHI  PINOCCHI  TEODOLINDA  —  La  villa  Ferniani  presso  Faenza  ;  Ode 
di  Teodolinda  Franceschi  Pignocehi  ;  Elegia  del  cav.  Diego  Vitrioli.  Bolo- 
gna, tipi  Fava  e  Garagnani,  1869.  In  8.°  di  pag.  10. 

Questi  due  componimenti  vanno  bene  appaiati,  italiana  della  signora  Franceschi,  non  è  iudegna 

non  solo  perchè  sono  entrambi  diretti  al  nobile  della  venusta  elegia  Ialina  del  sì  chiaro  e  giu- 

conte  Ferniani,  la  cui  villa  celebrano  poeticamen-  Blamente  celebralo  Vitrioli. 
te;  ma  anche  perchè  la  colla  eleganza  dell'ode 

FRANC0Z  F.  PH.  —  Manuel  des  familles  chrétiennes,  offrant  le  moyen  sur  d'atti- 
rer  le  ciel  dans  la  famille  et  la  famille  au  ciel,  par  la  prióre  du  soir  en  com- 
muti, devant  l'image  de  la  Sainte  Famille,  publié  par  le  P.  F.  Pli.  Fran- 
coz,  de  la  Compagnie  de  Jesus.  Lyon  et  Paris,  Ubrairie  de  F.  Girard, 
1870.  Un  voi.  in  32.°  di  pag.  XXIV-'m. 

Importante  è  questo  libro,  e  degno   che  ogni  tico   immenso.    Aggiungiamo   che  il  Manuale  è 

buon  pastore  di  anime  se  lo  procacci.  Tratta  di  mirabilmente  ben   fatto,  e  può  servire  non  solo 

una  nuova  Opera  pia  da    fondare  nelle  p:irroc-  di  guida  alle    fonda/ioni,    ma   altresì  di  tesoro 

chie,   raccomandata   dal    S.  Padre,  siccome  op-  d'istruzioni  e  di  divote  preghiere  per  le  faini- 

porlunisiima.    Infatti  è  di    agevole    impianto,  glie  e  per  gl'individui, 
senza  carico  di  nuove  pratiche,  e  di  fruito  pra- 

GATT0LA  DUCA  DI  R0SC1GN0  E  SACCO  —  Maria  desolata.  Musica  a  tre  voci 
con  accompagnamento  di  viole  e  basso,  del  Duca  di  Roscigno  e  Sacco,  Gat- 
tola.  Boma,  1870,  litografia  Tiberina  al  Pozzetto  N.  110.  In  4.°  di 
pag.  71.  Prezzo  fr.  12. 

I  sette  dolori    di   Maria  Santissima  esposti  in  canto  religioso  si  addice,    è   nondimeno   tenero 

bei  versi  italiani  sono  siati  posti  soavemente  in  e  affettuoso  oltre  ogni  dire:  al  qual  effetto  coo- 

musica   dui    nobile    gentiluomo,   Duca  di  Rosei-  pera  mirabilmente  l'accompagnamento  delle  vio- 

gno   e  Sacco ,    perche    servano  al    pio  esercizio  le  e  del   basso    dato    dall'Autore  al    canto,  ac- 

della  contemplazione   di    Maria  Desolata,    solito  compagnamenlo    che  dispone    l'animo  al  racco- 

farsi   dai    fedeli,   specialmente   nella   settimana  glimento  ed  alla  mestizia. 
Santa.  Lo   siile,    pur  essendo   grave,    quale  a 


72 


BIBLIOGRAFIA 


GELTRUDE  (S.)  Manuale ■  pietatis,  ex  operibus  B.  Gertrudis  desumpUim,iu  usum 
sacerdotum.  Taurini,  Petrus  ll.F.  Marietti,  pont.  Ujp.  1870.  Un  voi.  in 
32.°rf<>a#.512. 


Le  preci  composte  da  S.  Gellrude  sono  state 
sempre  in  pregio  presso  i  fedeli,  ancor  più  dot- 
ti, pei  semi  di  soda  e  sentita  pietà  che  con- 
tengono, e  per  la  Tenta  delle  massime  religio- 
se che  offrono  a  considerare.  Esse  sono  siate 
raccolta   qui    insieme,    e    distribuite  metodica- 


mente, così  da  offrire  agli  ee/lesiastici  non 
meno  che  ai  laici  un  Manuale  di  eserozii  de- 
voti: aggiungendovi,  a  renderlo  compiuto  e  in- 
tiero, dei  traiti  non  pochi  tolti  dalle  opere  di 
S.  Tommaso,  di  S.  Bonaventura,  e  di  altri  so- 
miglianti piissimi  e  dottissimi  zcriiloii. 


G.  E.  R.  —  Vedi,  Biblioteca  amena  del  Messaggiere. 

G0UGEN0T  DES  MOUSSEAUX  —  Lejuif,  le  judaisme  et  la  judaisation  des  peuples 

chrétiens,  par  le  èhevalier  Gougenot  des  Mousseaux.  Paris,  Ploh  1869.  Un 

voi.  in  8.°  dipag.  568. 


Molto  noto  è  il  nome  del  sig.  cav.  des  Mous- 
seaux, per  le  sue  opere  insigni  Intorno  al  mondo 
soprassensibite,  di  cui  abbi  uno  fatto  cenno  nella 
Serie  V,  voi.  IV.  Questa  che  annunziamo  ha  una 
importanza  speciale,  perchè  mostra  quale  sia  lo 
strumento  precipuo  che  lo  spinto  satanico  ado- 
pera a  scrisiianizzare  il  mondo.  Questo  strumento 
è  il  giudaismo.  L'  Autore,  con  un  corredo  rie— 


padroni  occulti  di  una  grande  porzione  d'Euro- 
pa. 1  fatti  e  i  documenti  che  il  cav.  des  Mous- 
seaux riporta  e  cita  in  buon  numero,  fanno  gran- 
de luce  alla  sua  dimostrazione:  ed  e  impossibile 
correre  questo  suo  libro,  e  non  vedere  chiaramente 
che  i  motori  primarii  dello  spirito  moderno,  vi- 
vono nascosti  nel  fondo  del  giudaismo,  sempre 
uguale  a  sé  stesso  nel  livore  contro  il  nome  df 


chissimo  di  erudizione,  tesse  la  storia  delle  cor-    Gesù  Cristo.  Noi  invitiamo   gli   studiosi   di  cosa 


rullele  giudaiche  e  dell'atroce  ed  implacabile 
guerra,  che  la  nazione  deicida  ha  sempre  fatta 
alla  religione  di  Gesù  Cristo.  Esamina  ed  espone 
le  immorali  dottrine  talmudiche,  e  poscia  le  di- 
pinge nella  pratica,  delincando  a  vive  botte  di 
pennello  le  ìnlluenze  giù  laiche  nel  mondo  odier- 
no. L'oro,  di  cui  gli  Ebrei  lunno  spogliato  i 
Cristiani  in  quasi  lutti  i  paesi  dell'Occidente,  è 
in  mano  di  essi:  il  giornalismo  è  cosa  in  grande 
parte  loro  o  dipendente  da  loro:  nelle  fratellanze 
secrete  o  massoniche  che  pertui  b.uio  tulio  il  vi- 
vere sociale,  hanoo  mano  potentissimi:  in  som- 
ma quella  che  si  chiama  rivoluzione,  e  si  di- 
stingue da  lutti  i  morbi  sociali  dei  passati  tempi, 
per  l'odio  suo  a  quanto  sa  di  cristiano,  è  animata 
sopra  tutto  dai  Giudei,   divenuti  per  suo  mezzo 


sociali  a  leggere  e  a  meditare  quest'opera  cu- 
riosissima; la  quale  meriterebbe  di  venire  com- 
pendiata e  sparsa  ancora  in  lingua  nostra  nella 
Penisola,  che  è  ora  sottoposta  ai  Giudei,  e  da 
loro  dominata  mollo  più  che  non  apparisca. 
VUniver»  israelita  di  Parigi  (X.  dei  lo  Aprile 
1870)  si  è  furiosamente  scatenalo  contro  il  libro 
del  sig.  des  Mousseaux;  ma  non  ha  saputo  con- 
futarlo con  altro  che  con  insolenze.  Il  frullo  più 
bello  che  si  ricava  da  esso  libro  è  di  toccare  con 
mano,  che  chi  dà  appoggio  alla  rivoluzione  non 
fa  altro  che  spingere  sempre  più  i  popoli  cri- 
stiani a  giltarsi  nelle  branche  del  giudaismo,  che 
succhia  loro  il  sangue,  li  deprava,  li  avvilisce 
e  li  assoggetta  alla  secreta  sì,  ma  reale  sua  ti- 
rannide. 


HAMILTON  CAVALLETTI  GIACOMO  —  Forza,  Materia  e  Ragione.  Osservazioni  sul 
materialismo,  per  Giacomo  Hamilton  Cavalletti.  Firenze,  1870.  Un  libro 
in  n.*  dipag.  206. 

Lo  scopo  di  questo  libro  è  la  confutazione  del    spesso  rendono  noiosa  ai  più  una  trattazione:  ma 


materialismo  del  Bùchner  e  degli  altri  seguaci 
di  questa  scuola.  Esso  è  diviso  in  due  parti: 
nella  prima  si  riguarda  il  materialismo  ne' suoi 
principi!,  nella  seconda  si  riguarda  nelle  sue 
conseguenze. 

Noi  non  abbiamo  che  lodi  per  questa  operet- 
ta. Essa  è  scritta  con  sodezza  di  ragioni  ,  ro- 
bustezza di  logica,  lucidità  di  esposizione,  di- 
sinvoltura di  stile.  L'Aulore  pone  ogni  cura  ad 


ciò  niente  toglie  alla  forza  degli  argomenti  che 
arreca.  Si  astiene  da  citazioni  di  scritti  altrui, 
per  dire  soltanto  ciò  che  la  meditazione  propria 
gli  suggerisce;  e  nondimeno  si  mostra  eruditis- 
simo nella  storia,  nelle  scienze  naturali,  nelle  fi- 
losofiche discipline.  In  somma  questo  libro  è  pia- 
cevole insieme  ed  utilissimo  ;  e  noi  desideriamo 
grandemcnle  che  sia  letto,  in  ispecie  da  giova- 
ni laici;  e  da  chiunque  sia  in  qualche  modo 
assalilo  da  dubbii  del  moderno  materialismo. 


evitale    le    sottigliezze    metafisiche,    che    bene 

LANFRANCHI  VINCENZO  —  Nelle  nozze  di  Emilio  Biliietti  e  Carolina  Palmira  Ba- 
lcani, fiorellini  del  cognato  Vincenzo  Lanfranrhi.  Torino,  tip.  ddl'Orat.di 
S.  Franceeco  di  Sale*,  1870.  In  2ì.°  di  pag.  30. 

L  un'accoltina  di  brevi  poesie,  alcune  scherzose  ed  argute,   ed  altre  gravi;   ma   tulle  morali, 
e  condotte  con  accuratezza  ed  eleganza. 


BIBLIOGRAFIA  73 

LISI  SEBASTIANO  —  11  prole  nel  secolo  decimonono.  Pensieri  ai  compagni  del- 
la mia  ordinazione.  Reggio-Calabria,  tip.  Siclari.  In  24.°  di  pag.  8. 

L0M0NAC0  GIOVANNI  —  Il  duello,  per  Giovanni  Lomonaco.  Estratto  dal  perio- 
dico Fiori  cattolici.  In  8.°  di  pag.  14. 

MARASCA  PIETRO  —  Ricordi  del  canonico  Pietro  Marasca  di  Vicenza  it  suoi  an- 
tichi scolari.  Modena,  tip.  dell' Immac.  Concezione,  1870.  In  16.°  di 
par/.  17. 

MARTORELLI  IGINO  —  Roma  e  le  sue  Catacombe,  visitate  in  occasione  che  si 
inaugurava  l'ecumenico  Concilio  Valicano  T8  Decembre  18H9,  pel  canoni- 
co Igino  Martorelli.  Vercelli,  1870.  Un  voi.  in  12. n  di  pag.  166. 

Non  è  queslo  libro  una  disquisizione  archeolo-  luoghi,  più  a  pascolo  della  divozione,  che  non  ad 
gica  delle  Catacombe,  come  il  liiolo  potrebbe  far  appagamento  della   curiosila.  E    però  non  soia- 
credere.  Esso  invece  espone  con  istile  caldo,  af-  mente  si  legge  con  piacere,  ma  eziandio  con  so- 
fettuoso  e  pieno   di  unzione  i  varii  pensieri  ed  lido  profitto  spirituale, 
affetti,  eccitati  nell'Autore  visitando  que' sacri 

MAZZARELLA  B.  —  Intorno  al  Cristianesimo,  pensieri  di  B.  Mazzarella.  Firen- 
ze, tip.  Nazionale  di  V.  Lodi,  1870.  In  16.°  di  pag.  15. 

MAZZOLI  NI  PIO  —  Sull'uso  ed  utilità  del  liquore  di  Pariglina,  composto-prepa- 
rato da  Pio  Mazzolini,  residente  in  Gubbio,  maestro  approvato  di  chimica 
e  farmacia,  ecc.  Documenti.  Foligno,  1868,  stab.  tip.  e  Ut.  di  P.  Spari- 
glia. In  8.°  di  pag.  46. 

MAZZOLINI  GIOVANNI  —  Sull'uso  ed  utilità  delle  pillole  antifebbrili  prive  di  chi- 
na e  suoi  sali,  di  Giovanni  Mazzolini,  chimico  farmacista  residente  in  Ro- 
ma ecc*  Roma  1867,  tip.  Fratelli  P allotta.  In  8.°  di  pag.  38. 

Vi  sono  rimetti  annunziati  su  pei  giornali  co-  conseguito  non  golo  l'approvazione  di  molti  me- 

me  farmachi  infallibili:  e  pur  non  sono  altro  che  dici,  ma  eziandio  un  premio  speciale  del  Gover- 

c  ciarlatanerie,  o  inganni,  se  non  peggio  anco-  no.  In  questi  due  libretti   qui   annunziati  si  re- 

ra.  Non  così  il  liquore  di  Pariglina  e  le  pillole  gistrano   nella  loro  integrità   tutti  i    documenti, 

antifebbrili  dei  due  farmacisti   signori   Mazzolini  che  ciò  dimostrano,  e  che  danno  una  sicura  gua- 

padre  e  tìglio.  Essi   hanno  sostenuto  la  pruova  rentigia  per  l'uso  dei  due  preparati  farmaceutici 

più  certa  qu*l  è  la  sperienza,    l'esame  più  co-  di  questi  due  eh.  farmacisti, 
scienzioso  delle  commissioni  sanitarie,  ed  hanno 

METTI  P.  GIULIO  —  Maria,  Au-capitaine.  Ricordo  alle  figlie  cattoliche.  Firen- 
ze, tip.  all'insegna  dì  S.  Antonino  1870.  In  16.°  di  pag.  31. 

Maria   Angelica   Au-capilaine  fu  rapita   dopo  che  ne  fregiarono  la  breve  vita,  sonvi  descritte 

lenta  e  lunga  infermità  all'amore  dei    suoi  pa-  con  molta  opportuna  semplicità,   sicché  questo 

renti  e  all'  esempio   delle  sue  compagne  nella  Ricordo  perpetuerà  ancor  dopo  la  morte  il  buono 

fiorente  età  di  soli  ventitré  anni.  Le  rare  -virtù  esempio  che  la  Maria  darà  nel  suo  vivente. 

MOCHI  GIUSEPPE  —  Versi  di  Giuseppe  Mochi,  pubblicati  per  le  nozze  dei  no- 
bili Ernesto  Mochi  e  Giulia  Rramuti  di  Cagli.  Fossombrone,  tip.  Monacel- 
li 1870.  In  ci."  di  pag.  ci. 

M0R1CHINI  CAROLI  AL0IS1I  Cardinalis  Aesinatium  Episcopi,  Petreidos  libri  IH 
Ad  Pium  IX  P.  M.  Accedunt  Carmen  de  Martyribus  Sebastenis  et  Epistolae 
tresadAucloris  fratres.  Romae,  typis  Aerarii  pontifìcii  MDCCCLXX.  Un 
elegante  volume  in  8.°  grande,  di  pag.  126. 

Mentre  stiamo  ammannendo  la  presente  Biblio  ta  cosa  assai  bella.  Ne  diamo  per  ora  il  semplice 

grafia  ci  giugne  questo  volume,  la  cui  parte  pre-  annunzio  ai  lettori ,  riserbandoci  di  occuparcene 

cipua  è  un  poema  Ialino  in  tre  libri  sopra  san  di  proposito,  come  merita  l'opera  e  1'  Eminentis- 

Pielro,  composto  dall'Emo  Card.  Monchini.  Ne  ab-  Simo  Autore  di  essa,  il  più  presto  che  ci  sarà  pos- 

biamo  letti  varii  tratti  qua  e  colà,  e  ci  è  sembra-  sibile. 


74  BIBLIOGRAFIA 

MONTUORI  GIUSEPPE  GAETANO  —  Elogio  funebre  di  Luigi  Monti  rie,  canonico 
delia  metropolitana  di  Napoli,  letto  dal  sacerdote  napolitano  G.useppe  , 
Gaetano  Monluori,  parroco  della  chiesa  di  S.  Liborio,  esaminatore  prosi- 
nodale  ecc.  ecc.  Napoli,  slab.  tip.  Vitale  1870.  In  16. p  di  pag.  28. 

PARLATi  ALESSANDRO—  I  fiori  a  Maria  nella  primavera  del  1870.  Versi  di  Ales- 
sandro Parlati,  canonico  della  cattedrale  di  And  ria.  Milano,  presto  Gc- 
rardo  Lapenna  1870.  In  16.°  di  pag.  22. 

Queslo    poesie   sono   veramente   da   assomi-  un  bel  conserto  di  soavissime  melodie  in  onore 

gliare    ad   un   mazzetto   di    eletti   fiori:    poiché  della  gran  Madre  di  Dio,  ed  a  diletto  di  quai  che 

ciascuna  è  per  sé  bellissima   per  isceltezza  di  si  piacciono  delle  grazie  di  una  casta  poesia.  Ce 

pensieri,    vaghezza  d'immagini,  e  profumo    di  uè  congratuliamo  sinceramente  colf  ìllus.re  Cano- 

delicati  e  santi  affetti;  e  tutte  insieme  formano  nico  che  n'è  l'Autore. 

PARMEGG1ANI  PIETRO  —  Al  giovine  organista  ed  anche  iniziato  trecento  ses- 
santasei versetti  per  organo,  in  tutti  i  tuoni  della  musica  pn-  T  accom- 
pagnamento di  Messe  cantate,  corali,  Vespri  e  Compiete,  di  Pietro  Par- 
meggiani,  divisi  in  quattro  libri.  Milano,  P.  De  Giorgi.  Libri  quattro  in 
fol.  di  pag.  41,  48,  37,  48.  Prezzo  dei  quattro  volumi  ove  contengonsi  i 
366  versetti,  lire  45.  Vendonsi  in  Milano  presso  Paolo  De  Giorgi,  in  Napoli 
presso  Del  Monaco,  in  Palermo  presso  Salalia,  in  Lugano  presso  Yehdini, 
in  Genova  presso  Sivori. 

Questi  366  versetti  offrono  un  esercizio  quo-  alla  pratica,  istruzione  di  un  organista,  possono 
lidiano  all'organista,  ora  di  facile  ora  di  dif-  applicarsi  a  tutti  gli  usi  e  i  bisogni  più  ordi- 
scile esecuzione,  sicché  egli  possa  ammaestrar-  narii  del  servigio  religioso  nelle  chiese.  Il  eh. 
si  per  grado  e  su  tutti  i  tuoni  della  musica.  Autore  ha  meritato  n  Ila  Esposi/ione  romana,  la 
V'è  gravità  religiosa,  v' è  vivacità  moderata,  medaglia  d'incoraggiamento:  non  piccola  gua- 
v'ò  qualche  volta  anche  slancio  e  novità  non  rentiagia  del  mento  di  questi  sacri  componimenti, 
isconveniente   a   Chiesa.    Questi  esercizii,  oltre 

PASINATf  STANISLAO  LUIGI  —  Il  duello  per  Stanislao  Luigi  Pasinati,  prete  na- 
politano, professore  di  lettere  ecc.  (con  appendice).  Napoli  tip.  di 
S.  De  Leila  1870.  In  32.°  di  pag  24. 

PAVISSICH  LUIGI  CESARE  —  Giuseppina  di  Wissiak  nata  Matas-Beluda  y  Buyz. 
Cenno  biografico-necrologico  per  Luigi  Cesare  Dr.  Pavissich,  protonotario 
apostolico,  canonico  onorario  di  Macarsca,  I.R.  Ispettore  scolastico  pro- 
vinciale ecc.  ecc.  Zara,  tip.  Fratelli  Battara  1870.  In  8.°  di  pag.  26. 

PIMAZZ0NI  ANTONIO  AGOSTINO  —  Lo  Sposo  di  Maria;  poemetto  di  Antonio  Ago- 
stino Pimazzoni,  sacerdote  veronese.  Verona  tip.  di  A.  Merlo  1870.  In 
16.°  di  pag.  59. 

II  di.  Autore  si  protesta  di  non   aver  inleso  lo   rendono   più   caro.    Questi    sono    in    primo 

di  Ciré  un  poema  pe'  letterati,  ma  si  di  scrivere  luogo  la   semplicità    e   la    n aturale/za,    le  quali 

alcuni  canti  in  onore  di  S.  QtaSSfpe   a  pascolo  se  piacciono    in    ogni    poesia,  piacciono  anche 

della  sua  e  dell'altrui  devozione.   Ma  se  queslo  più  nella  sacra.    In   secondo    luogo,    l'alletto,  il 

intendimento  dà  la  ragione  e  Insieme  porge   la  tji                        tiro   più  facilmente    dove  meno 

scusa  di  quelle  Ipejajlesst  di  lingua  e  di  siile,  si  scorge  l'artifizio.  Onde  noi  lauto  più  m-dia- 

che  qua  e  colà   |"  iMMtrsso   lungo  il   lavoro;  mo  degno  di  lode  il  pio  Astore,   quanto  meno 

gli  aggiunge    pero   non  pochi   pregi    che   forse  egli  ha  preteso  al  vanto  di  l 

PINI  VINCENZO  —  La  madre  cristiana  :  Ottave  per  le  nozze  iel  ctTaliere  Emi- 
dio Costantini  di  Acquapendente,  colla  nobile  donzella  olimpia  Raffi  Paga- 
ni d'Imola.  Civitavecchia,  tip.  Strambi  1K70.  In  s.  iip*$.  7. 

tot»  Razionale  tra  rn-    itoti  nltol  ai,  di  geoii,  di  amorel- 

stiani!  Altro  dm  quelle  .-npiie   favole  e  inven-     ti,  di  frecce,  e  mille  altre  corbellerie  di  cui  so- 


BIBLIOGRAFI  A  75 

gliono  alcuni  comporre  cerli  versi  che  chiamano  non  solo  por  l'argomento,  ma  eziandio  per  lo  stile 
poesie  per  queste  occasioni.  E  la  Madre  rrìstin-  e  lo  svolgimento,  che  ne  formano  il  più  neces- 
na  del  eh.  Can.  Pini    è  pure   una   bella   poesia    sario  pregio. 

PIZZARDO  GIUSEPPE  —  ì  compagni  cattivi,  lettere  ad  un  giovane  del  prevosto 
Giuseppe  Pizzardo  da  Savona.  Bologna,  tip.  pont.  Mareggiarli  1870.  Un 
volumetto  in  32.°  di  pag.  112. 

Quai    danni    temporali   e  spirituali    cagionino  tali    sono  i   punti    principali    che   tocca   nelle 

i  cattivi  compagni,  per  quai  modi  li  produca-  dieci  lettere    il  eh.    prev.  Pizzardo.    Pochi  libri 

no,  come  s  a  ob'.'l  ^o  rigoroso   per   ogni   giovi-  possono    essere  tanto    utili  alla  gioventù  quan- 

ne  il  fuggirli,    con  quali    pretesti    soglias;   eia-  to  questo;  e  tutti  coloro  che  hanno  giovani  da 

dere  questa   obbligazione,  e  infine  a  quali  se-  guidare  al  bene,  non  possono  far  loro  miglior 

gni  si    iliscemano    ì   rei  dai   buoni  compagni:  regalo. 

PRJNETTI  GIACOMO  —  Perchè  Protestanti?  Dialogo,  perPrinetti  Giacomo,  sa- 
cerdote. Voghera  tipografia  di  Giuseppe  Gatti  1869.  Opuscolo  in  16.°  di 
pag.  81. 

—  Un'Alleanza  straniera  e  l'Onore  d'Italia.  Supplementi  all'Opuscolo:  Perchè 
Protestanti  ?  per  Prinetti  Giacomo  sacerdote.  Voghera,  tipografia  di  Giu- 
seppe Gatti  1869.  Opuscolo  in  16.°  di  pag.  16. 

—  Lo  Spettro  dello  zio  Ugo,  ossia  gli  ultimi  giorni  di  un  convertito.  Leggen- 
da meravigliosa  vogherese,  dissotterrata  da  un  Vogherese.  Voghera,  tipo-' 
grafia  di  Giuseppe  Gatti  18C9.  Opuscolo  in  16.°  di  pag.  62. 

Lo  zelo  di  opporsi  all'invasione  che  il  Prole-  spesso  dalle  confessioni  medesime  dei  più  celebri 

stamismo,  sotto  l'egida  del  Governo  ateo,  va  pur  Protestanti,    non  lasciali    nulla  a  desiderare  per 

troppo  facendo  in  varie  città  d'Italia,  e  special-  convincere  gì' intelletti  ancor  più  duri  e  ribelli, 

mente  in  Voghera,  e  il  desiderio  di  preservare  Nel  romanzo,  ossia  Leggenda,  il  Prinetti  istruì— 

dal  veleno  dell'eresia   soprattutto  la  gioventù,  sce  dilettando  e  cattivandosi  la  fantasia  e  il  cuo- 

hanno  ispirato  all'egregio  sacerdote  Prinetti  que-  re  del  giovane  lettore  colle  maravigliose  insieme 

sti  cari  Opuscoli.    Essi   riveh.no    in  lui  un'atti-  e  pietose  avventure  del  suo  racconto  ;  e  nel  Dia- 

tudine  e  maestria  singolare  a  trattar   popolar-  logo  diletta  islruendo  e  calechizzando  il  medesi- 

menle  le  materie  di  coniroversia  religiosa.  Som-  mo  lettore  sopra    gli  errori  e  le  obbiezioni  più 

ma  chiarezza  e  fluidità  di  stile,    gran   nettezza  volgari  che  dai  Protestanti  sogliono   mettersi  in 

d'idee,  congiunte  a  molta  vivacilà  e  grazia  ren-  campo  a  pervertirei  cattolici.  E  assai  a  deside- 

dono  il  suo  scrivere  pianissimo  insieme  e  dilet-  rare  che  i  libri  di  questa  falla  si  vadano  molti- 

tevole  ad  ogni  classe  di  persone;  mentre  d'altra  plicando  oggidì  in  Italia;  e  noi  speriamo  che  la 

parie  la  solidità  della  dottrina  e  la  forza  delle  feconda  e  graziosa  penna  del  Prinetti  non  tarde- 

ragioni,    (ratte  dal    senso  comune  e  avvalorate  rà  a  regalarcene  altri  somiglianti. 

QUATRÌNI  BERNARDINO  -  Vedi,  Rossi  Giuseppe. 

RAFAELLI  K1CC0LA  —  Un  opuscolo  con  la  coda.  Sullo  stato  attuale  della  so- 
cietà e  sul  compito  de'giovani  cattolici.  Firenze,  tip.  all'insegna  diS.  An- 
tonino 1870.  Un  voi.  in  8.°  di  pag.  AT-177. 

11  titolo  un  po'  strano  di  queslo  libro  è  dal-  analoghe  al  soggetto  del  suo  primo  lavoro  glie 

l'Autore  giustificato  col   dichiarare    che  avendo  ne  porgevano  il  destro.   L'argomento  del  libro 

ammannite)  l'opuscolo,   ed  essendosene  ritardata  può  ridursi  a  questo:   dimostrare  i  danni  che  i 

per  altrui  colpa  la  stampa,  nell'  intervallo  esso  principii  della  rivoluzione  han  fatto  o  minaccia-     * 

è  venuto  aagiugnendovi   nuovi  articoli,  a  mano  no  di  fare  alla  società,  alla  famiglia,  agi'  indi— 

a   muno  che  i  nuovi  fatti  o  le  nuove  quistioni  vidui. 

RANDAZZ1NI  SAVATORE  —  Il  cristianesimo  in  faccia  alla  civiltà  italiana.  Osser- 
vazioni sopra  un  discorso  di Maestro  della  quarta  classe  per  la  pre- 
miazione delle  pubbliche  scuole  elementari  maschili  in  Caltagirone,  di  Sal- 
vatore Randazzini.  Milano,  tip.  e  lib.  arciv.  G  Agnelli  1869.  In  16.°  di 
pagine  63. 

Cn  Maestro  della  quarta  classe  elementare  prò-    le  propugnavansi  errori  perniciosissimi  tanto  al 
nunzio  in  Caltagirone  un  suo  discorso,  nel  qua-    progresso  della  istruzione,  quanto  al  buon  avvia- 


76 


BIBLIOGRAFIA 


mento  della  educazione.  In  confutazione  di  e.uel  di  provare  la  inseparabilità  della  religione  dalla 

discorso  è  scritto  il    presente  opuscolo,    in  cui  scuola;  e  finalmente  di  smascherare  gì' iulendi- 

l' Autore  propouesi  di  in jstn  re  che  h  caituliosmo  meati  di  quella  parte  che  vorrebbe   separare   la 

è  stato  la  caus.i  otlla  presente  civiltà  in  Italia;  scuola  dalla  religione. 

RENZONI  GIUSEPPE  MARIA  —  Il  Maggio  del  1870.  Ragionamento  del  sacerdote 
Giuseppe  M.  Ronzoni.  Roma,  tip.  Sìnimberghi  1870.  In  l*ì.°  di  pag.  48. 

RICHARD  —  Compendio  della  Beala  Francesca  (TAmboise,  duchessa  di  Bretta- 
gna e  religiosa  carmelitana,  per  l'abbate  Richard,  vicario  generale  della 
diocesi  di  Nantes.  Tradotto  dal  francese  dal  Padre  Santi  Mattei,  carmelita- 
no. Roma,  coi  tipi  del  Salvinoci  1869.  Un  volumetto  in,l§.'  di  pa- 
gine 112. 

Benché  trapassata  or  son  ornai  quattro  secoli,  la 
memoria  della  B.  Fiancesca  d'Amboise,  prima  Du- 
chessa di  Brettagna  e  poi  religiosa  carmelitana, 
conservasi  sì  viva  e  sì  domestica  presso  quei  po- 
poli, che  tutavia  la  chiamano  col  nome  che  go- 
dea  vivendo  :  la  buona  madre  duchessa.  Questa 


vita  scritta  brevemente  in  francese  ed  ora  traspor- 
tata in  italiano,  edificherà  molto  le  pie  lettrici  per 
l'esempio  che  propone  alla  loro  imitazione,  esem- 
pio delle  più  imitabili  virtù  dei  varii  slati  della 
donna;  poicbè  ella  visse  santamente  da  zitella,  da 
maritata,  da  vedova  e  da  religiosa. 


ROSSI  GIUSEPPE  —  Elegia  latina  del  cav.  Giuseppe  Rossi,  voltata  in  terza  ri- 
ma dal  canonico  Bernardino  Quatrini,  g  à  prof,  d'eloquenza  nei  collegi  di 
Sinigalia  e  Perugia.  Savona,  tip.  di  F.  Bertolotti  1870.  In  8.°  di  pag.  15. 

—  Achilli  Mariae  Riccio  Antistiti  etc.  Iosephus  Rossius,  quod  ipse  condidit 
Carmen  de  Cholera  morbo,  nuncupat,  testem  animi  et  obsequii  sui.  Un  li- 
brettiìio  in  16/  di  pag.  6. 


Queste  due  poesie  latine  del  chiarissimo  ca- 
valiere Rossi,  la  prima  un'elegia  sopra  il  Cou- 
cilio  Vaticano,  e  la  seconda  un  Carme  intorno 
al  Coltra,  sonn,  siccome  le  altre  da  noi  Indile 
del  me<'es  ino  autore,  di  un  merito  veramente 
singoiar*  per  castigatezza  di  frase  e  robustezza 
di  pensieri.   E  quanto  all'elegia,  essa  può  esser 


gustata  anche  da  coloro  che  non  s'intendono  di 
latino;  poicbè  è  stata  tradotta  così  felicemente 
iu  terza  rima  dall'illustre  Canonico  e  Professore 
Bernardino  Quauini ,  the  rimanendo  la  stessa 
nei  pensieri,  apparisce  anche  bella  ed  elegante 
nella  veste  italiana. 


SABATINI  PIO  —  Un  buon  medico  ;  racconto  popolare  di  Pio  Sabbatini.  Mode- 
na, tip.  di  V.  Moneti  1870.  In  2i.°  di  pag.  iì. 

SECURI  FORTUNATO  —  A  Reggio  mia  patria.  Versi  del  P.  Fortunato  Securi, 
cappuccino.  Reggio-Calabria,  stamperia  Siclan  1870.  In  16.°  di  pag.%. 


K  una  bellissima  Ode  in  quinarii  doppii. 
Nella  prma  parte  il  Poeta  compendia  breve- 
mente le  lodi  di  Reggio  per  rispetto  special- 
mente al  valor  militare,  dimostralo  in  aulico 
contro    le  città    emule ,  e  modernamente    nelle 


guerre  contro  il  Turco.  Nella  seconda  manifesta 
il  suo  dolore,  pel  suo  presente  decadimento; 
e  da  ciò  piglia  occasione  di  rinfiammarla  alla 
religione,  che  no'  tempi  cristiani  fu  precipua 
cagione  d'ogni  sua  gloria. 


SOCIETÀ'  SAVONESE  per  la  diffusione  gratuita  de'  buoni  libri  nel  popolo. 
Anno  II.*  Dispensa  l.a  Sanità  e  lavoro.  Savona,  la  società  editrice,  1870. 
Un  fase,  in  32.° 


Questa  associazione  attcsta  anch'essa,  come 
tante  altre,  la  necessita  dei  tempi  e  lo  zelo  co- 
stante de'  buoni  in  Italia.  Ila  due  particolarità 
che  la  distinguono  eia  raccomandano  ai  fedeli: 
1.°  ■  specialmente  diretta  ad  illuminare  e  pre- 
munire le  intime  classi  del  popolo  oggidì  preso 
di  mira  dalle  sette,  e  gli  fornisce  i  suoi  libri 
gratuilamenle;  2."  Fa  partecipare  i  laici  alla  pro- 
pif  MHHM1  e  alla  difesa  della  verità:  il  che  gio- 
va mirabilmente  a  saldare  negli  animi  la  fe- 
de, e  stringere  tra  fratelli  i  vincoli  della  carità. 


Le  opere  della  misericordia  spirituale,  istruire, 
correggere,  consigliare,  ordinariamente  poste  in 
non  cale,  sono  con  questo  mezzo  grandemente 
facilitate. 

Pei  ciò  godiamo  sentire  che  questa  benemerita 
società  è  già  mollo  ditTusa  in  Italia,  e  facciamo 
voli  perchè  gli  sforzi  de'  benemeriti  che  la  pro- 
mossero siano  coronali  di  felice  riuscita.  Chi  de- 
sideri più  preiiM'  informazioni  sarà  soddisfatto 
scrivendo  al  segretario  della  Sonda,  nella  Can- 
celleria vescovile  di  jjavona. 


BIBLIOGRAFIA  77 

STATUTO  E  REGOLAMENTO  per  il  maniconio  di  S.  Maria  della  pietà  di  Ro- 
ma. Roma,  tip.  della  S.  C.  de  Prop.  Fide  1870.  In  8.°di  pag.  26. 

Nel  paragrafo  23.°  di  questa  egregia  e  vera-  profezia  cioè,  con  la  quale  spiegando  il  ben  nolo 

mente  dona  digei  tazione  se  ne    indica  lo  scopo  sogno  al  monarca  Caldeo  Nabucodònosor,  trae- 

colle  seguenti  parole:  «  Noi  oseremo  qui  di  prò-  ciò  in  anticipazione  l'istoria  futura  delle  grandi 

porre  agli  uomini  attaccati  al  cattolicismo....  se  monarchie  del  mondo.  » 

oltre  la  ragione  che  fa  conoscere   l'utilità  e  la        Per  convincere  i  lettori  intorno  all'applicazione 

necessità  del  poiere  civile  della  Chiesa  per  l'è-  della  profezia  di  Daniele  al  Principato  civile  dei 

senizio  libero  ed  indipendente  del  potere  spiri-  Pupi  il  eh.  Autore  tien  questa  via  molto  sempli- 

tuale  di  Lei,  se  oltre    al  fallo    che    dimostra  il  ce.  Espore  il  testo  biblico  nelle  singole  sue  parti, 

fermo    volere  della   Provvidenza  di  mantenerlo  e  poscia  percorrendo  i  fatti  più  importanti  della 

saldo  ed  intangibile,   non  si   possa  andare  più  storia  del  mondo  ne  vien  facendo  a  patte  a  par- 

oltre,  e  sostenere  che  la  Provvidenza  stessa  ab-  te  l'applicazione.  Nulla  vi  òdi  sforzato  o  di  so— 

bia  espresso  chiaramente  questo  suo  volere  per  Ostico  :  tutto  procede  pianamente,  e  il  lettore  è 

la  bocca  di  uno  dei  profeti  più  grandi  dell' an-  siretto  alla  flne  a  consentire  all'Autore  tutte  le 

tichilà,  voglio  dire   di  Daniele;  inquanlochè  il  conchiusioni,  che  esso  da  questa  applicazione  ha 

regno  temporale  della  Chiesa  si  rinvenga  notato  cosi  naturalmente  dedotte. 
nella  celebre  profezia  del  medesimo,   in  quella 

SVIDERSCOSKI-GRU  GIUSEPPE  —  Imitazione  di  san  Giuseppe,  Sposo  purissimo 
di  Maria.  Operetta  tradotta  dal  francese  in  lingua  italiana  dal  sac.  di  Ve- 
rona Don  Giuseppe  Svidercoski-Gru,  Miss.  Àp.  della  Congr.  del  presioso 
Sangue.  Bologna,  tip.  delle  Picc.  lett.  catt.  1870.  In  16.°  picc.  di  pag.  80. 

Siam  lieti  di  annunziare  la  terza  edizione  di  questa  devota  operetta,  come  segno  della  devozio- 
ne sempre  crescente  verso  il  S.  Patriarca. 

YAGNOZZI  GIUSEPPE  —  La  visita  a  Maria  Santissima  da  farsi  nel  sabbato  e  nel- 
le sue  feste,  in  riparazione  degli  oltraggi  che  ella  riceve  dagli  empii, 
proposta  ai  divoti  della  Vergine  dal  P.  Giuseppe  Vagnozzi  d.  C.  d.  G.  Ro- 
ma, coi  tipi  della  Civiltà  Cattolica  1870.  In  32.°  di  pag.  91. 

VALLAUR1  TOMMASO  —  Osservazioni  critiche  di  Tommaso  Vallami  sul  volga- 
rizzamento di  C.  Crispo  Sallustio,  fatto  da  Vittorio  Alfieri.  Torino  1870, 
presso  T.  Vaccarino.  In  16.°  piccolo  di  pag.  32. 

In  queste  Osservazioni,  novamente  pubblicate,  da  Sallustio.  Il  nome  dell' Autore,  che  è  uno  dei 
sono  chiamali  a  rassegna  alcuni  de'  più  gravi  critici  più  stimati  e  forse  il  più  valoroso  latini- 
errori,  ne'quali  e  caduto  l'Alfieri  nella  versione  sia  dell'età  nostra,  rendono  superfluo  ogni  nostro 
da  lui  fatta  della  Congiura  di  Catilina,  narrata  elogio. 

VARII  AUTORI  —  Serto  di  laudi  rendute  al  SS.  Nome  di  Gesù  il  27  Gennaio 
1870  nella  Congregazione  de1  Sacerdoti  Missionarii  eretta  in  S.  Giorgio  Mag- 
giore. Napoli,  stamperia  del  Fibreno,  1870.  In  16.°  di  pag.  V1/-48. 

Le  poesie  le  quali  formano  il  presente  Serto,  sizioni  riscossero,  quando  furono  dinanzi  a  col- 
altre  sono  latine  ed  altre  italiane,  composte  da  tissima  udienza  recitale  nella  prima  tornata  del- 
varii  Autori.  Da  ciò  è  chiaro,  che  non  possono  l'Accademia,  istituita  o  piuttosto  ristaurata  in 
aver  tutte  il  medesimo  merito.  Nondimeno  se  vi  Napoli,  per  onorare  il  Nome  SS.  di  Gesù.  Valga 
ha  di  quelle,  e  non  son  poche,  le  quali  toccano  questo  felice  esito  a  riconfermare  nel  buon  pro- 
nn  grado  non  comune  di  eccellenza,  nessuna  per  posito  que'  pii  sacerdoti,  che  si  son  messi  nel 
avventura  vi  s' incontra  che  non  sia  per  sé  slessa  santo  proposito  di  promuovere  con  ogni  sorta 
commendevole.  Questo  giudizio,  che  noi  abbiam  d' industria  il  culto  al  santissimo  Nome,  facen- 
formalo  colla  semplice  lettura,  rende  ragione  di  dogli  servire  anche  le  graziedella  poesia, 
quel  plauso  non  ordinario,  che  le  dette  compo- 

W0LYNSKI  ARTURO  —  De  Sibyllis,  seu  ethnicorum  prò  Christiana  religione  te- 
stimonium  ;  auctore  Arthuro  Wolynski,  sacrae  theologiae  doctore.  Pari- 
siis,  E.  Repos.  Un  voi.  in  16.°  di  pag.  176. 

Gli  argomenti  svolli  in  questa  dotta  ed  erudi-  sono  allegali  dai  Padri.  IV.  La  contenenza  dei  delti 

ta  dissertazione  sono  i  seguenti:  1.  Nozioni  gè-  carmi,  e  le  profezie  da  essi  fatte  intorno  a  N.  S.G.C, 

ncrali  intorno  alle  Sibille,  ai  loro  scritti,  ai  loro  V.  La  confutazione  di  coloro  che  oppugnano  i  va- 

oppugnatori.  II.  L'esistenza   e  il  numero  delle  ticinii  sibillini,  perchè  non  furono  i  carmi  delle 

Sibille,  ili.  La  genuinità  dei  carmi  sibilimi,  quali  Sibille  posti  nel  canone  delle  SS.  Scritture. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 


— •<ìSsé**2*rJ*S>*2s&* — 


I. 

RIVISTA  BIBLIOGRAFICA 

I.  Lavori  eruditi  intorno  air  in  fallibilità  'pontifìcia 

1.  di  Mgr.  Azarian  —  2.  del  P.  R.  Bianchi  —  3.  del  P.  Fedele  da  Fanna  — 
4.  di  Mgr.  Senestrey  e  di  Mgr.  Freppel. 

1.  Ecclesiae  Armenae  Traditio  de  Romani  Pontifìcis  Primatu  iurisdi- 
ctionis  et  inarabili  magisterio,  per  presbyterum  Armenum  Stepiianoi 
Azarian,  Alumnum  Yen.  Coli.  Urb.  de  Prop.  Fide,  et  SS.  D.  N.  honor. 
cubicularinm.  Roraae,  typ.  S.  Congr.  de  Prop.  Fide,  MDCCCLXX.  In 
8.*  gr.  di  pag.  175. 

Le  circostanze  generali  della  Chiesa  per  L'aspettata  definizione,  e  le  cir- 
costanze speciali  della  Chiesa  armena  danno  attualmente  un  interesse 
assai  vivo  a  questo  prezioso  lavoro  di  mons.  Azarian  :  ma  esso,  qual  li- 
bro monumentale  della  tradizione  della  Chiesa  armena  intorno  al  pri- 
mato di  giurisdizione  e  air  infallibilità  de'  Romani  Pontefici,  resterà  im- 
perituro tra  gli  altri  libri  classici  di  simil  genere  nelle  biblioteche  eccle- 
siastiche. In  picciol  volume  il  dotto  Autore  ha  saputo  raccogliere  quan- 
to basterebbe  per  un  grosso  volume:  sì  egli  è  sobrio  nei  documenti, 
sì  parco  nelle  osservazioni,  sì  conciso  nelle  notizie  storiche.  Dapprima 
egli  restringe  in  poche  pagine  la  tradizione  della  Chiesa  orientale  in- 
torno alla  suprema  autorità  del  Romano  Pontefice  nel  reggere  e  nelf  in- 
segnare; e  quindi  venendo  a  parlare  distintamente  della  tradizione  del- 
la Chiesa  armena,  che  è  parte  sì  nobile  della  Chiesa  orientale,  agli  fa 
sentire  e  quasi  toccar  con  mano  che  presso  gli  Armeni  Primato  ed  Infal- 
libilità non  sono  due  cose,  ma  una,  considerandosi  Y  infallibilità  come 
parte  essenziale  dello  stesso  primato.  A  convincersene  basta  leggete  gli 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  79 

splendidi  documenti  eh'  egli  arreca  della  fede  della  Chiesa  armena  nel 
primato  giurisdizionale  e  dottrinale  del  Papa,  1.°  dai  suoi  libri  liturgi- 
ci ;  2.°  dal  Nonio-canone,  che  è  come  il  codice  del  dritto  ecclesiastico  ar- 
meno; 3.°  dai  suoi  Concilii  plenari! x  e  parziali;  4.°  dai  suoi  Padri  e 
scrittori,  e  persino  da  alcuni  scrittori  scismatici;  5.°  dalle  lettere  dei 
suoi  Vescovi  e  Patriarchi,  e  da  altre  fonti.  Non  pochi  di  questi  documen- 
ti, tratti  dagli  archivi  Vaticani  e  di  Propaganda  Fide  e  da  altri  pregiatis- 
simi archivii  e  da  libri  assai  rari,  hanno  il  pregio  della  novità  ;  ma  il  pre- 
gio migliore  del  libro  non  è  tanto  nella  raccolta,  quanto  nell'ordine  del- 
la trattazione,  e  nella  forza  del  raziocinio,  onde  la  tradizione  della  Chie- 
sa armena  da  primi  secoli  fino  ai  dì  nostri  si  fa  sentire  come  una  voce, 
sempre  viva  e  parlante  in  testimonianza  della  cattolica  verità.  Il  dubbio 
intorno  ali1  infallibilità  del  primato  dottrinale  per  gli  Armeni  è  cosa  nuo- 
va; e  il  solo  sentire  che  si  dubita  dell1  infallibilità  del  Papa  cagiona  in 
essi  scandalo,  come  se  si  dubitasse  dello  stesso  primato.  Quindi  non  è 
maraviglia  che  a  cessar  questo  scandalo,  Y  Episcopato  armeno,  ora  rac- 
colto in  Roma,  facesse  istanza  (in  dallo  scorso  Gennaio  che  presto  si  de- 
finisse in  Concilio  questa  dottrina,  di  cui  dagli  Armeni  non  si  è  mai  du- 
bitato; e  con  questo  solo  documento,  che  riassume  la  tradizione  della 
nobilissima  Chiesa  armena,  noi  darem  fine  a  questo  cenno  bibliografico. 
«  Etiamsi  in  Ecclesia  nostra  Armena  numquam  dubita tum  fuit  de  ir- 
reformabilitate  iudiciorum,  quae  a  Romano  Pontifice  uti  supremo  Ec- 
clesiae  catholicae  Magistro  et  Doctore  pronunciantur  in  materia  ildei  et 
inorimi,  utpote  plurima  Patrum  nostrorum  vetusta  testimonia,  atque  Ec- 
clesiae  nostrae  historica  documenta  luculenter  ostendunt,  quodque  sa- 
cri et  orthodoxi  eiusdem  Ecclesiae  Antistites  hucusque  docuerunt;  cimi 
tamen  audierimus  quosdam  liane  ipsam  infallibilitalem  in  dubium  revo- 
care; Nos  timentes  gravia  damna,  quae  ex  hac  nova  doctrina  possent 
oriri  universae  Ecclesiae,  praesertim  vero  Orientalibus,  quoniam  num- 
quam dubitatum  fuit  quia  irreformabilitas  praedicta  supremo  Romani 
Ponti ficis  primatui  arctissime  et  inseparabiliter  cohaereat;  necessarium 
exisiimamus  ut  eadem  ab  oecumenico  Concilio  definitive  declaretur, 
atque  ideirco  petimus  ut  de  eiusmodi  re  in  eodem  Concilio  quamprimum 
agatur.  Romae,  in  aedibus  Piatti  Montislaniculi,  die  11  fanuarii  187D.  » 
(pag.  159).  Dopo  ciò  s'intenderà  facilmente  con  quanta  ragione  l'Autore 
abbia  conehiuso  la  prefazione  al  suo  libro  con  queste  parole:  «  Spero 
etiam  hunc  qualemcumque  meum  laborem,  documentorum  quae  profero 


1  Noteremo  qui  di  passaggio  col  eh.  Autore  (pag.  54)  che  nella  versione  armena  del  decreto  d'U- 
nione, fatta  e  letta  nel  smodo  Fiorentino,  la  famosa  clausula,  quemadmodum  etiam,  suona  come  se 
dicesse,  prout  in  ipsis  eliam  gestis  oecumenicorum  Conciliorum ,  ossia  come  persino  negli  atti  dei 

Concilii  viene  insegnato;  che  tale  èia  forza  dell'Armeno  utili ^U-.U  m^ncevs :  il  che  vai  quan- 
to dire,  i  diritti  del  Romano  Pontefice  ivi  dichiarati  non  esser  nuovi,  ma  contenersi  persino  negli 
atti  antichi:  ond'  è  manifesto  che  il  senso  di  quelle  paiole  non  è  di  restringere,  ma  di  confermare 
la  potestà  pontificia. 


80  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

mictoritate  urgente,. band  inutilem  futurum  iis  qui  putant  timendum  esse 
Orientalibus,  qua  catholicis,  qua  schismaticis,  si  Romani  Pontificis  pri- 
matus  et  pracrogativae  maiori  semper  in  luce  collocentur.  »  (pag.  Vili.) 

2.  De  Constitutionc  monarchica  Ecclesiae  et  de  infallibilitate  Romani 
Pontificis  iuxta  D.  Thomam  Aquinatem  eiusque  scholam  in  Ord.  Prae- 
dicatorum,  per  Fr.  Raymundum  Bianchi  Procuratorem  gcneralem  eius- 
dem  Ordinis  et  Professorem  S.  Theologiac  in  Romana  studiorum  Ini- 
versitate.  Romae,  typis  Salviucci  1870.  In  8.°  di  pag.  174. 

11  principio,  che  l'uomo  sa  cavar  male  dal  bene,  e  che  Dio  invece  sa 
cavar  bene  anche  dal  male,  viene  illustrato  a  maraviglia  dalla  presente 
quistione  dell'infallibilità.  Dal  desiderio  della  definizione,  manifestato 
dapprima  per  singoiar  devozione  verso  S.  Pietro  e  i  suoi  successori,  si 
è  levato  un  partito  di  opposizione  tanto  violenta  quanto  inaspettata  ; 
ma  questa  opposizione  nell'ordine  della  divina  Provvidenza  ha  servito 
agli  interessi  della  verità;  sicché  la  definizione  stessa,  implorata  dap- 
prima come  una  grazia  per  devozione,  sembra  essere  divenuta  una  ne- 
cessità in  forza  appunto  dell'opposizione.  Così  Iddio  sa  trarre  bene  dal 
male!  Parimente  se  non  fosse  stata  la  violenza  dell1  opposizione  non 
avremmo  avuti  ne  tanti  indirizzi,  né  tanti  opuscoli  e  libri  per  la  defini- 
zione, come  si  può  raccogliere  dai  tanti  scritti  che  abbiamo  annunziati 
nella  nostra  Rivista  bibliografica  del  Concilio:  ed  uno  di  questi  si  è  ap- 
punto il  libro  che  ora  annunziamo. 

Chi  avrebbe  pensato  a  scrivere  della  dottrina  dell'Angelico  Dottore  e 
della  sua  scuola  in  favore  dell' infallibilità,  se  la  Gazzetta  d'Augusta,  os- 
sia Giano,  e  poi  il  P.  Gratry  e  poi  altri  pappagalli  non  avessero  ripetuto 
che  S.  Tommaso,  se  credette  all'infallibilità,  fu  tratto  in  errore  da  certi 
testi  apocrifi,  e  che  la  sua  scuola  fu  tratta  bonamente  in  errore  da  lui. 
Ora  lo  scopo  diretto  del  Rino  P.  Bianchi  si  è  appunto  di  confutar  que- 
sto errore,  e  però  dimostra  che  indipendentemente  dai  pretesi  testi 
apocrifi  e  S.  Tommaso  e  tutta  la  sua  scuola  ha  fondato  la  dottrina  del- 
l'infallibilità pontificia  sopra  chiare  testimonianze  del  Vangelo,  e  sopra 
indubie  prove  della  tradizione,  e  sopra  inconcusse  ragioni  teologielu\ 

Ma  oltre  questo  vantaggio  polemico,  il  libro  ha  un  merito  positivo 
dottrinale;  giacché  non  è  già  solo  una  catena  di  testimonianze,  ma 
piuttosto  un  trattato  teologico  della  costituzione  monarchica  della  Chiesa 
e  dell'  infallibilità  del  Romano  Pontefice  composto  armonicamente  dalle 
testimonianze  di  S.  Tommaso  e  dei  più  insigni  teologi  della  sua  scuola, 
che  splendono  quasi  pianeti  ed  astri  minori  intorno  a  quel  sole  ì.  Già  il 

1  Erro  l'indico  alfabetico  degli  autori  citati  qartl  più  qual  meno  nel  corso  del  libro.  S.  Anioni- 
nu$,  B.  Albertus  M.,  De  Araujo:  Banlieu,  Billuart,  Bzowiux:  Catetanus,  Calerà,  Cerboni,  Chalvet,  Cot- 
fetleau,  Conlensun:  lì  winicu»  de  S.  Thoma,  Durandun:  Ferre,  De  Fiume:  Galli,  G<>nzalez,  Gotti, 
Gravina:  loannes  de  XtapoH,  l>»in>ifx  a  S.  Thoma:  Labat :  Marchesi,  Melchior  Canus,  Ioannes  de 
Montenigru  :  Miniai,  Swjn-i  Cabazudo  :  Orti:  Patudanus,  Prièras:  Beali,  Beginaldu»,  Bocnberli:  Sal- 
tano, S'j 'inorala,  Serry,  Solo    Dominicus,  Solo  (de)    Petrus:  Turrecremata  :    Victoria. 


COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO  81 

P.  Reali  avea  fatto  un  breve  cenno  della  dottrina  della  scuola  Tomistica 
intorno  l'infallibilità,  come  il  P.  Ludovico  da  Castelplanio  della  scuola 
Francescana,  e  il  P.  don  Luigi  Vaccari  della  scuola  Benedettina,  negli 
opuscoli  da  noi  altrove  lodati,  (voi.  X,  p.  443  e  724;  e  voi.  IX,  p.  343). 
Ma  il  P.  Bianchi  di  proposito  ci  fa  sentire  l'armonioso  concerto  delle 
voci  della  scuola  Tomistica,  e  produce  i  testi  de'  suoi  più  cospicui  dotto- 
ri, con  abbondanza  e  insieme  con  iscelta  e  con  sobrietà:  e  da  tutti  insie- 
me i  testi  si  ha  un  corpo  armonico  di  dottrina,  pieno  e  compiuto,  spe- 
cialmente quanto  alla  quistione  principale  del  soggetto  dell'  infallibilità 
e  del  suo  oggetto  primario.  Alcuni  punti  poi  meritano  una  menzione 
speciale  :  tali  sono  a  cagion  d'esempio  le  ragioni  teologiche  per  l'infal- 
libilità proposte  dal  Cano  e  dal  Gravina  (pag.  106);  le  tesi  sulla  mo- 
narchia nella  Chiesa,  e  sui  famosi  testi  di  S.  Matteo,  di  S.  Luca  e  di 
S.  Giovanni,  sì  ben  formolate  dal  P.  Cerboni  (pag.  13,  78,  93,  100), 
il  quale  sebbene  in  un  luogo  (pag.  23)  ristringa  di  troppo  l'oggetto  e  le 
condizioni  dell'infallibilità,  formola  pure  assai  bene  altre  tesi  sulle  di- 
ligenze umane  richieste  per  una  definizione  (pag.  158);  e  finalmente 
l'appendice  tolta  dal  P.  Gravina  sopra  la  convenienza  d'una  definizione 
dommatica  in  certe  circostanze  non  ostante  l'apparenza  di  gravi  difìicol- 
tà  (pag.  161-67);  la  quale  appendice  è  si  bella  e  si  opportuna  ai  tempi 
presenti  che  pare  scritta  pur  ora.  e  noi  la  vedremmo  volentieri  stampa- 
ta anche  a  parte. 

Noteremo  pure  specialmente  che  il  P.  Bianchi  nel  corso  del  suo  li- 
bro fa  ima  breve  e  compiuta  confutazione  d'un  opuscolo  uscito  teste  in 
Napoli  col  titolo,  L'infallibilità  del  Papa  secondo  S.  Tommaso  d'Aquino 
per  V.  P.  in  cui  si  pretende  che  S.  Tommaso  abbia  sì  riconosciuta  nel 
Papa  l' infallibilità,  ma  non  già  personale,  sibbene  sol  collettiva,  insie- 
me coi  Vescovi  o  in  Concilio  o  dispersi  :  parimente  il  P.  Bianchi  difen- 
de alcuni  dell'Ordine  di  S.  Domenico  che  si  vorrebbero  da  taluni  favo- 
revoli alla  sentenza  gallicana  :  S.  Antonino  che  si  è  voluto  teste  presen- 
tare come  un  precursore  e  una  colonna  del  Gallicanismo  1  ;  poi  l'illustre 
contemporaneo  di  S.  Antonino,  Silvestro  Prieras,  che  Natale  Alessandro 
(il  quale  certo  in  ciò  non  rappresenta  la  scuola  Tomistica)  vorrebbe  pur 
favorevole  alla  scuola  Gallicana  ;  e  quindi  il  Turrecremata,  il  Soto  ed  il 
Contenson. 

Ma  per  far  conoscere  il  merito  di  questo  dotto  lavoro,  non  fa  mestieri 
di  più  minuta  rivista:  il  Breve  che  il  Santo  Padre  si  è  degnato  di  diri- 
gere al  eh.  Autore,  contiene  insieme  tutto  il  concetto  e  l'elogio  del- 
l' opera  e  della  dottrina  dell'Angelico  e  della  sua  scuola. 

1  I!  eh.  Autore  a  pag.  58  accenna  con  lode  al  bel  lavoro  fatto  a  nostra  istanza  sui  manoscritti  di 
S.Antonino  dell'esimio  paleografo,  Marchese  Palermo:  il  qual  lavoro  fu  inserito  nella  Civiltà  Cattoli- 
<a,  come  parte  integrale  della  nostra  ampia  difesa  della  dottrina  di  S.  Antonino  (Ser.  VII,  voi.  IV,  V  e  IX). 

Serie  YIJ,  voi  XI,  fase.  487.  6  23  Giugno  1 870. 


82  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

PìUS  PP.  IX.  Dilecle  Fili,  Salutem  et  Apostolica™  Benecliclionem. 
Perlibenter  equidem,  dilecte  Fili,  compressalo  yideramus  ab  altero  e 
tui  Ordinis  Aluinnis  audaciam  epbemeridis,  quae  vulgaverat,  neminem, 
ante  clarissiraum  Ecclesiae  lumen  Thomara  Aquinatem,  apud  vea  asse- 
ruisse  nescium  erroris  romanum  Pontificem  ex  cathedra  docentem;  ipsum 
vero  id  tradidisse  spuriis  fretum  Graecorum  testimoniis,  tolamque  post- 
ea  eius  scholam,  pecudum  more,  Magistri  vestigia  secata m,  eanidem  pro- 
pugnasse nutantem  sententiamet  fondamento  carenlem.Libenlius  tamen 
videmus,  le  e  rei  corticc  ad  ipsam  medullam  progressum  ex  eodem  An- 
gelico Doctore  iugique  discipulorum  eius  serie  deprompsisse  argumenla 
spectantia  constitutionis  Ecclesiae  indolem  romanique  Pontificis  praero- 
gativas,  illaque  scite  studioseque  conquisila  ea  disposuisse  et  ordinasse 
industria,  quae  in  hoc  themate  absolutum  velati  doctrinae  corpus  et 
adeo  compaclum  oculis  subiiciat,  ut  dum  quae  Vir  sanclissimus  docuit 
clarius  et  fusius  explicata  cernuntur  a  discipulorum  commcnlariis,  no- 
vum  vicissim  robur  istis  additum  conspiciatur  a  tanti  praeceptoris  aucto- 
ritate.  Quam  sane  eo  maioris  facimus,  quod  eximia  et  prorsus  angelica 
sanctissimi  huius  viri  doctrina  ab  ipso  Christo  Domino  commendala  fe- 
ratur;  et  facta  testantur,  Ecclesiam  in  Oecumenicis  Conciliis  po;>t  illius 
obitum  habitis  tantum  detulisse  scriptis  eiusdem,  ut  sentenliis  inde  du- 
ctis  et  saepe  etiam  verbis  usa  fuerit,  sive  ad  elucidanda  Catholica  dog- 
mala,  sive  ad  erumpentes  errores  conterendos.  Non  uno  autem  nomine 
collectionem  islam  tuam  opportunam  utilemque  censemus.  Praeter  quam 
enim  quod  omr.es  subiectae  materiae  parles  attingat  ac  illustre!.,  et  quot- 
quot  in  ea  diflicultates  excitantur  diremptas  exhibeat,  ila  ut,  lucubra- 
lione  perlecta,  liceat  animadvertere  cum  Ecclesiaste,  nihil  sub  sole  no- 
rum,  ncc  valet  quisquam  (licere:  ecce  hoc  recens  est:  iam  enim  praecessit 
in  saeculis,  quae  fucrunt  ante  nos:  expers  praeterea  sit  omnis  suspicionis 
commotae  mentis  et  abreptae  a  quaestionis  aestu,  cum  tota  ferme  con- 
stet  ex  scriptorum  sententiis,  qui  iamdiu  ex  h umani 8  rebus  excesserunt. 
Gratulamur  itaque  tibi,  quod  ad  tuendam  vetuslatem,  solidi latem  et 
conslantiam  doctrinae  angelici  Magistri  tal  eiusque  scholae  i 
lume  laborem  susceperis;  siquidem  dum  te  propositum  luum  assecutom 
esse  videmus,  non  parum  lucis  ab  opere  buiusmodi  couferendum 
arbitramur  ;id  discutiendas  obieclionum  nebulas  mentibus  oliti 

llunc  ideirco  libi  iaustum  ominamur  exitum;  et  grato  excipienjaa  ani- 
mo volameli  oblatam,  divini  favoris  auspicem  et  paternae  Nostrae  bene- 
volentiae  pignilfi  Apostolicam  beaedictionem  libi  totique  Praedicatorum 
Ordini  peramanler  imperlimi!.-;. 

Datimi  Ilomae  apud  S.  Petrum,  die  0  fornii  anno  1870. 

Pontificala*  Nostri  anno  vigesimoquarto. 

3  PP.  1\. 

Dilecto  filio  Rayrnundo  Bianchi  Procuratori  generali  Ordinis  l'rac- 
dicatorum. 


COSE  SPETTAMI  AL  CONCILIO  83 

3.  Seraphici  Doctoris  Dici  Bonacenturae  dottrina  de  Romani  Ponti ficis 
primatu  et  infallibilitate  a  P.  Fideli  a  Fann\,  Lect.  theol.  ref.  prov. 
Yenet.,  collecìa  et  adnotata.  Taurini,  apud  P.  Marietti  MDCCGLXX.  In 
8.°  gr.  di  pag.  45. 

Alla  presente  polemica  andiamo  pur  debitori  di  quest' aurea  catena 
di  testi  del  Padre  della  scuola  serafica,  S.  Bonaventura,  sì  bene  scelti 
e  illustrati  dal  P.  Fedele  da  Fauna.  Egli  raccoglie  le  sentenze  del  Santo 
che  riguardano  non  solo  la  infallibilità,  ma  anche  il  primato  :  sì  perchè 
dall'idea  adequata  che  il  santo  Dottore  dà  del  primato  risplende  vie- 
maggiormente  l'idea  dell'  infallibilità,  che  deriva  dal  primato,  e  in  lui 
si  contiene,  nò  solea  da  quello  separarsi  nel  medio  evo,  considerandosi 
insieme  il  primato  di  governo  e  di  magistero  inchiuso  nella  formola  : 
plenitudo  potestatis:  sì  perchè  nella  presente  polemica  non  solo  si  oppu- 
gna l'infallibilità,  ma  neppur  si  vorrebbe  da  taluni  quella  pienezza  di 
potesià  ordinaria,  immediata  e  assoluta  sopra  tutte  le  Chiese,  che  il 
S.  Dottore  riconosce  sì  apertamente  nel  primato  di  giurisdizione  insieme 
e  di  magistero  del  romano  Pontelice  e  della  Sede  apostolica.  Pertanto  il 
dotto  discepolo  di  S.  Bonaventura  distingue  il  suo  lavoro  in  tre  sezio- 
ni e  raccoglie  ed  ordina  i  testi  in  modo  da  illustrare  nella  prima  più 
direttamente  il  primato,  nella  seconda  l'infallibilità,  nella  terza  il  prima- 
to e  T  infallibilità  tutto  insieme:  e  fa  vedere  come  il  santo  Dottore,  chec- 
ché sia  di  qualche  apocrifa  decretale  da  lui  pure  citata,  fonda  le  sue 
sentenze  sopra  le  divine  scritture,  eie  più  inconcusse  ragioni  teologiche. 

Osserveremo  specialmente  due  cose,  che  hanno  relazione  colle  qui- 
stioni  più  vive  al  tempo  presente.  La  prima  riguarda  la  quistione  del- 
Y  oggetto  dell'infallibilità.  Il  S.  Dottore  non  si  ristringe  già  solo  air  og- 
getto primario  che  sono  i  dogmi  di  fede,  come  gli  si  fa  dire  in  un  testo 
che  si  suppose  in  buona  fede  essere  di  S.  Bonaventura,  ed  è  invece  del 
P.  Pietro  Trigosio;  Papa  non  potest  errare  suppositis  duobus  :  primum 
quod  detenni n et  quaienus  Papa  ;  altcrum,  ut  intendat  facere  dogma  de 
fide:  che  anzi  il  serafico  dottore  parla  più  volte  direttamente  dell1  infal- 
libilità del  Romano  Pontefice,  o  ciò  che  per  lui  è  lo  stesso,  della  Santa 
Sede,  in  cose  anche  soltanto  connesse  col  domma  e  coi  costumi,  come  è, 
a  cagion  d'esempio,  l'approvazione  solenne  degli  Ordini  religiosi  di 
S.  Francesco  e  di  S.  Domenico,  e  l'approvazione  fatta  dalia  S.  Sede  del- 
la mendicità  volontaria,  e  la  condanna  fatta  da  Alessandro  IV  del  famo- 
so libro  di  Guglielmo  del  santo  Amore;  cose  tutte  che  il  S. Dottore  com- 
prende espressamente  nella  formola  generale  dell'infallibilità  in  fide  et 
moribus.  Che  però  nella  sua  Apologia  pauperum,  dando  nota  di  ribel- 
lione in  fede  a  chi  opponevasi  alle  suddette  pontificie  definizioni,  sog- 
giunge, che  ora  tempore  veritalis  et  gratiae  revelatae,  quando  Christi 
Yicario  plenitudo  potestatis  collata  esse  dignoscàur ,  malum  esse 
constai  nullatenus  iolerandum  in  fide  vel  mgmuis  eius  dep.nilioni  do- 


8Ì  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

gmalizare  contrarium,  approbando  quod  ipse  reprobai,  reaedi fìcando 
quod  ipso  desiniti,  defensando  quod  damnat  (pag.  24).  Quindi  per  di- 
fesa della  verità  contro  gli  oppugnatori  della  mendicità  volontaria, 
approvata  dai  sommi  Pontefici,  ricorre  con  eloquenza  piena  di  fede  e 
di  i.ffetto  alla  sacrosanta  Chiesa  Romana,  che  chiama  Malrem ,  re- 
g inani  alque  magistrata  ad  defendendam,  et  docendam  tam  morvm 
quam  fidei  veritatem.  Exurge  igilur  sancta  Mater  et  ludica  causam 
tuam;  quia  si  paupcr  hic  orda  minorimi  recte  profdetur  veritatem  Evan- 
gelii,  tv um  est:  si  a  ventate  in  professione  a  te  sancita  deviat,  rtiVM 
est:  ac  per  hoc  si  professioni  huiusmodi  sanctae  error  impingilur,  tu 
quae  Ulani  sanxisli  errasse  assereris,  et  quae  magistra  yeritatis  iiacte- 
xus  extitisti,  nunc  de  approbatione  erroris  argueris,  et  a  quibusdam 
inodernis  praesumptoribus,  velut  iuris  divini  et  fiumani  nescia  deride- 
ris  (pag.  25). 

L'altra  cosa  degnissima  di  osservazione  per  le  controversie  presenti 
si  è  che  al  santo  Dottore  è  affatto  ignota  la  teorica  dell'unanimità  dei 
suffragi  per  le  definizioni  dommatiche:  anzi  riconosce  appunto  la  pie- 
nezza della  potestà  e  l'infallibilità  del  Romano  Pontefice  anche  perchè 
così  si  possano  terminare  le  discordie.  Secondo  la  nuova  teoria  dell' uha- 
nimità  morale,  in  caso  di  discordia  tra  i  Vescovi,  il  Papa  (ci  si  per- 
metta la  similitudine  che  abbiam  sentita  da  altissimo  personaggio)  il 
Papa  sarebbe  simile  al  famoso  asino  di  Buridano,  che  dovrehbe  restarsi 
immobile;  non  potendo  accostarsi  nò  alla  maggioranza  nò  alla  minoran- 
za; ma  dovendo  aspettare  pazientemente  che  i  discordi  si  mettessero  da 
sé  d'accordo,  almeno  con  morale  unanimità.  Oh  davvero  il  bel  giu- 
dice delle  controversie!  Ma  non  la  sente  già  così  il  santo  Dottore. 
Petro  Dominus  dedit  super  alios  Apostolos  ordinariam  potestalem  dicens 
(Lue.  22)  Et  tu  aliquando  conversus  confirma  fratres  tuos.  In  huius 
rei  fìguram  dicitur  (in  Lib.  Sap.  18)  quod  in  veste  podèris,  quam  habe- 
bat  Aaron,  totus  erat  orbis  terrarum.  Quod  si  unus  non  esset  qui  in  omnes 
exercere  posset  iurisdictioneni,  ubi  maneret  status  Ecclesiael  Si  pautirls 

DISCORD AXT IRIS    NON    ESSET    QUI    POSSET    M1TTERE    MAXIM    IX    AMBÀSUS , 

fuisset  synagoga  felicior  quam  Ecclesia,  quia  illa  habebat  unum  Sum- 
mum  Ponti ficem,  qui  omnes  discordias  poterat  terminare  (pag.  W). 

Conchiuderemo  rallegrandoci  col  dotto  teologo  che  non  solamente  ha 
raccolta  e  annotala,  com'egli  dice,  la  dottrina  del  serafico  Dottore,  ma  coi 
titolelti  marginali,  e  colle  sue  sugose  e  sapienti  annotazioni  l'ha  anche  il- 
lustrata, raccogliendo,  per  così  dire,  come  in  un  foco  tanti  raggi  di  luce. 

\.  Beati  Alberti  Magni  Ecclesiorumque  (ìermaniae  doctrina  de  infal- 
libili Romani  Pontificii  magisterio  testimoniis  aliquot  illustrala  lieve- 
rendimmis  Concila  Vaticani  Patribus  ad  manus.  —  Iunatii  9  Episcopi* 
Halisboncn.  Neapoli,  typ.  V.  Manfredi.  In  8/  di  pag.  1  i. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  85 

De  primato  Romani  Ponti ficis  eiusque  infallibili  magisterio  iuxta 
ultima  Galliarum  Concilia  provincialia,  scripsit  Carolus  Aemilius  Frep- 
pel,  Episcopus  Andegavensis.  Taurini,  apudP  Marietti.  In  8. 6  di  pag.  47. 

Ci  basti  un  breve  annunzio  di  questi  due  eruditi  lavori  del  Vescovo  di 
Ratisbona,  mons.  Senestrey,  e  del  Vescovo  d1  Angers,  mons.  Freppel, 
che  tanto  onorano  la  fede  della  Germania  e  della  Francia. 

Si  è  voluto  dubitar  da  taluno  se  quel  lume  della  Germania,  il  B.  Al- 
berto Magno,  abbia  tenuta  l'infallibilità  del  romano  Pontefice;  e  special- 
mente si  è  voluto  far  credere  che  in  questi  ultimi  secoli,  dopo  sorto  il 
protestantesimo,  non  sia  più  stata  in  vigore  nella  Germania  quella  dot- 
trina. Ma  l'illustre  Vescovo  di  Ratisbona  risponde  trionfalmente  colle 
testimonianze  del  B.  Alberto  e  dei  Concilii  della  Germania  cattolica.  Egli 
mette  dapprima  in  luce  in  poche  pagine  la  dottrina  del  Magno  Alberto; 
e  poi  per  saggio  allega  per  la  infallibilità  pontificia  le  testimonianze 
dei  sinodi  d'Augusta,  di  Treveri,  di  Costanza,  di  Vienna,  di  Praga  e  di 
Colonia,  recando  insieme  per  Colonia  altre  testimonianze,  cioè  quella 
della  facoltà  teologica  nel  1713  e  dell'Arcivescovo  nel  1719,  in  riguar- 
do della  Costituzione  Unigenitus.  Con  brevi  riflessioni  fa  sentire  la  forza 
di  queste  testimonianze,  e  conclude  che  dunque  la  definizione  non  giun- 
gerà nuova  alla  Germania  cattolica,  nella  quale,  anche  in  mezzo  del  do- 
minante protestantesimo,  si  è  pur  conservata  in  vigore  l'antica  dottri- 
na ;  a  qua  etiam  ratisbonensem  Sedem  nunquam  recessisse,  compertum 
est.  Lode  a  Ratisbona  e  al  suo  Vescovo  ! 

L'infausto  nome  di  Gallicanismo,  dato  alla  dottrina  contraria  all'in- 
fallibilità pontificia,  mette  presso  molti  in  sospetto  e  in  mala  voce  la 
Francia  più  ancora  della  Germania.  Ma  si  legga  l'opuscolo  di  mgr.  Frep- 
pel,  e  si  vedrà  se  la  Francia  sia  Gallicana.  L1  illustre  Vescovo  di  Angers 
reca  per  disteso  quanto  han  professato  gli  ultimi  Concilii  provinciali, 
Suessionense,  Remense,  Avenionense,  Burdigalense,  Albiense,  Tolosanum, 
Cleromontense,  Lugdunense,  Senonense,  Aquense,  Rhedonense,  Auscita- 
num  e  Parisiense;  soggiungendo  ai  più  dei  testi  alcune  brevi  avvertenze 
con  quella  forza  e  limpidezza  di  concetto,  tutta  sua  propria.  Al  leggere 
tante  splendide  testimonianze  ci  veniva  timore  che  al  confronto  potreb- 
be poi  sembrar  pallida  ogni  più  esplicita  definizione  del  Concilio  Vatica- 
no, e  quasi  ci  veniva  più  d' una  volta  al  labbro,  come  or  ci  viene  libera- 
mente alla  penna,  un  Viva  alla  Francia,  e  Morte  al  Gallicanismo.  Ma  ter- 
mineremo piuttosto  colle  sublimi  parole  di  Gregorio  IX  in  elogio  della 
Chiesa  di  Francia,  colle  quali  mgr.  Freppel  conchiude  pure  il  suo  opu- 
scolo ;  che  cioè  la  Chiesa  di  Francia  in  fervore  fidei  ac  devotione  erga 
apostolicam  Sedem  non  sequitur  alias,  sed  antecedit. 


8G  COSE  SPETTAMI  AL  CONCILIO 


li.  Risposte  alle  lettere  di  Mgr.  Dupanloup. 

1.  Di  Mgr.  Dechamps  —  2.  dei  cau.  Sauvé  —  3.  del  P.  Ramiòre  —  4.  del  Bar. 
Carboneili  —  5.  del  Prev.  Messina  —  6.  di  Mgr.  Nardi. 

1.  Deuxième  reponse  de  Monséigneur  Dechamps,  Archevéque  de  Malines 
a  monséigneur  Dupanloup,  Eceque  d'Orleans,  suivie  de  divere  docummts 
relatifs  a  f  infaillibilité.  -  Malines,  II.  Dessain  1870.  Paris,  V.  Palme. 
In  8.°  di  pag.  124. 

Tra  i  tanti  scritti  intorno  alla  definizione  della  infallibilità  pontificia, 
forse  niuno  ha  levato  tanto  grido  quanto  le  due  eloquenti  lettere  del  Ve- 
scovo d'Orleans,  la  prima  sì  famosa,  diretta  al  suo  clero,  in  data  degli 
11  Nov.  1860,  e  la  seconda,  men  famosa,  diretta  a  Mgr.  Dechamps,  in 
data  del  1  Marzo  1870.  Ma  noi  che  abbiamo  scritto  lunghi  articoli  sopra 
opuscoli  ancor  men  famosi,  del  Dollinger,  del  Gralry,  e  d'altri,  per  ri- 
guardi speciali  non  abbiam  mai  parlato  direttamente  di  quelle  due  let- 
tere: che  anzi  dei  tanti  scritti  in  risposta  ad  esse  non  abbiam  fatto  co- 
piose riviste,  ma  soltanto  un  cenno  bibliografico,  come  faremo  pur  ora. 

Annunziamo  dapprima  la  bella  edizione  di  Malines  della  seconda  ri- 
sposta di  Mgr.  Dechamps.  Ella  è  già  sì  nota  e  celebrata  per  la  sua 
erudizione  e  dottrina,  che  non  ha  davvero  mestieri  di  nostra  rivista;  ma 
siam  lieti  di  annunziare  questa  edizione,  poiché  oltre  quella  magnifica 
risposta  in  79  pagine,  ella  contiene  una  preziosa  Appendice  di  presso  a 
SO  pagine,  in  carattere  minuto;  ove  si  riportano  per  disteso,  1°  La  let- 
tera dello  stesso  Mgr.  Dechamps  a  un  Magistrato  sull1  opportunità  della 
definizione;  II0  La  sua  prima  risposta  a  Mgr.  Dupanloup;  111°  L' indi- 
rizzo del  Rettore  magnifico  e  della  facoltà  teologica  di  Lovanio  per  la 
definizione;  IV.0  Una  lettera  di  S.  Vincenzo  de'  Paoli  sull'opportunità 
della  condanna  del  Giansenismo;  V.°  Il  Breve  del  Santo  Padre  a  Doni 
Guéranger;  VI/  La  lettera  dell'Arcivescovo  di  Baltimora  al  Vescovo 
(T  Orleans. 

2.  Héfiexions  sur  la  rèponse  de  monseignpur  VE  >rlcans  a 
monséigneur  VArcheceque  de  Malines,  par  M.  le  chat  !  in  Svivi; 
Théologien  Pontificai.  Deiuième  édition,  revue,  corr'ujée,  il  cugmentée. 
Lavai.  M.  Beauehéne  1870.  In  IO/  di  pag.  59. 

Vediamo  con  piacere  questa  graziosa  edizioncella  delle  Riflessioni  di 
un  teologo,  da  noi  annunziate  a  pag.  '22<>  del  voi.  precedente,  che  ora 
perfezionate  ed  accresciute  vengono  in  luce  col  nome  dell'Autore.  Oltre  il 
pregio  generale  dell'opuscolo  per  le  risposte  alle  singole  diflicollà  propo- 
ste, es>o  ha  pur  questo  pregio  singolare,  che  venuto  in  luce  subito  do- 
po la  lettera  di  mgr.  Dupanloup,  fu  il  primo,  o  certo  tra  primi,  a  fare 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  87 

appunti  sulla  famosa  lista  dei  teologi  gallicani,  communieata  al  Vesco- 
vo d'Orleans  da  un  teologo,  e  sulla  più  famosa  teorica  dell'unanimità 
morale.  Le  due  edizioni  italiane  furon  tosto  esaurite,  e  pel  gran  numero 
delle  nuove  dimande  si  è  fatta  questa  edizione  francese. 

3.  Le  Programma  da  Concile  trace  par  Mons.  VEcéque  d'Orléans,  par 
le  P.  li.  Ramièrs  de  la  Compagnie  de  Jesus.  Paris,  Enault  et  Mas,  rue 
Cassette,  23-1870.  In  8.°  picc.  di  pag.  108. 

Il  eh.  P.  Ramière,  assai  ingegnoso  nel  volgere  contro  gli  avversarli 
le  stesse  loro  armi,  dalle  lettere  del  P.  Gratry  ricavò  La  Missione  del 
Concilio,  che  sta  appunto  nel  combattere  le  diverse  forme  dell'antipa- 
pismo razionalistico,  liberale  e  cesariano,  come  accennammo  a  pag.  81 
del  precedente  volume.  Ed  ora  similmente  dalla  lettera  di  Mgr.  d'Or- 
leans a  Mgr.  di  Malines  il  P.  Ramière  ricava  77  programma  del  Conci- 
lio, e  fa  derivare  non  solo  la  opportunità,  ma  anche  la  necessità  della 
definizione  dal  piano  stesso,  che  il  suo  chiaro  avversario  tracciò  del  Con- 
cilio nella  citata  risposta:  «  Facciamo,  egli  diceva,  un  grande  Concilio  : 
sviluppiamo  le  vive  e  feconde  forze  della  Chiesa...  dissipiamo  infine, 
per  mezzo  di  dichiarazioni  limpide,  precise,  formali,  questi  spaventevo- 
li malintesi  che  ci  divorano.  Ecco  in  qual  modo  noi  ci  attrarremo  questo 
secolo  che  ci  fugge,  e  come  potremo  salvare  la  società  che  domanda  soc- 
corso con  tutte  le  voci  delle  sue  sofferenze  e  de1  suoi  pericoli.  »  Sapien- 
tissimo è  questo  scopo,  che  l'illustre  Vescovo  propone  al  Concilio:  ma 
per  attuarlo,  sogghigno  il  P.  Ramière,  non  sopperisce  al  Concilio  stesso 
altro  mezzo,  che  quello  appunto  che  Monsignore  si  affanna  di  escludere, 
vale  a  dire  la  definizione  della  infallibilità  pontificia.  Il  mezzo  termine  a 
provarlo,  è  una  chiara  ed  esatta  esposizione  dello  stato  presente  del  mon- 
do, eh'  è  come  diviso  in  due  grandi  parti  contraddittorie,  il  Cristianesimo 
e  V Anticristianesimo,  fra  mezzo  le  quali  si  è  costituito  quello  ch'egli 
chiama  Antipapismo  nel  seno  stesso  della  Chiesa,  ed  è  la  parte  a  cui 
tengono  i  gallicani,  ed  i  loro  alleati  i  liberali-cattolici.  Questa  fazione 
professa  sudditanza  ed  obbedienza  alla  Chiesa,  ma  nello  stesso  tempo 
vuole  partecipare  alle  due  qualità  caratteristiche  del  moderno  Anticri- 
stianesimo,  che  sono  la  libertà  del  pensiero  e  la  libertà  dell'azione.  È 
chiaro  che  costoro  debbono  sommamente  osteggiare  la  definizione  della 
pontificia  infallibilità,  siccome  quella  che  tronca  dalle  radici  queste  due, 
ad  essi  sì  care,  ma  alla  professione  cattolica  sì  esiziali  dottrine.  Ma  da 
ciò  stesso  risulta  che  ninna  cosa  è  tanto  utile,  ed  anzi  tanto  necessaria 
agli  interessi  della  Chiesa  ed  alla  salute  delle  anime,  quanto  proclamare 
un  dogma,  che  renderebbe  impossibile  o  almeno  assai  difficile  protrarre 
più  a  lungo  T  illusione.  Questo  è  il  concetto  cardinale  della  bellissima 
operetta  del  eh.  P.  Ramière.  Ma  per  poter  debitamente  apprezzare  il 
merito  dello  sviluppo  logico  sì  del  tutto  e  sì  delle  parti,  conviene  leg- 


88  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

gerla  per  intero.  Essa  si  trova  non  solo  nel  volumetto  da  noi  annun- 
ziato, ma  anche  nel  Bullctin  du  Concile,  dov'è  uscita  alla  luce  in  cin- 
que articoli  separati.  Il  primo  volume  di  questo  BulUitino  è  già  compilo 
col  numero  del  9  Giugno,  e  contiene  pag.  636.  Noi  raccomandiamo  no- 
vamente  questo  egregio  Periodico  settimanale  ai  nostri  lettori. 

4.  V  inopportunité  de  la  Question  d'opportunité;  Lettre  à  monseirjneur 
VEvèque  d'Orléans  par  le  Baron  de  Letino  Carbonelli.  In  8.*  di  pag.  72. 

Questa  lettera  del  chiarissimo  barone  napoletano  Carbonelli  è  in  ri- 
sposta a  quella,  che  l'illustre  Vescovo  d'Orleans  diresse  a  mgr.  De- 
champs,  per  ribadire  i  suoi  antichi  argomenti  contro  Y  opportunità  della 
definizione  dommatica  della  infallibilità  pontificia,  confutati  da  quel  dot- 
tissimo Prelato.  Da  prima  l'Autore,  se  riconosce  nella  presente  polemi- 
ca una  inopportunità,  la  fa  scorgere  a  chiarissimi  segni  dal  lato  di  coloro 
che  si  son  messi  nell1  impegno  di  combattere  come  inopportuna  la  detta 
definizione.  Egli  pone  in  molta  evidenza  quella  verità,  diventata  oggi- 
mai  proverbiale,  che  le  opposizioni  di  costoro  hanno  tramutata  la  oppor- 
tunità di  essa  in  una  vera  necessità.  Dopo  di  che  si  reca  ad  esaminare 
con  molta  accuratezza  gli  argomenti  addotti  da  Monsignore,  e  risponde 
ad  essi  con  tanta  lucidità  di  esposizione,  esattezza  di  dottrina,  copia  di 
buon  senso  e  valore  di  logica,  che  veramente  ci  ha  fatta  dolce  meravi- 
glia ritrovare  accolte  tutte  queste  qualità  in  uno  scritto  di  un  laico  so- 
pra un  soggetto  sostanzialmente  teologico. 

5.  V infallibilità  pontifìcia  e  la  lettera  dimons.  Felice  Dupanluup  Ve- 
scovo d'Orleans,  sulla  inopportunità  d'una  dommatica  definizione:  Esa- 
me critico  del  Prevosto  curato  della  CaUredale  di  Noto,  Niccolò  Missi- 
na, Vicario  Capitolare.  Palermo,  tipogr.  di  G.  Tamburello,  1870.  In  8* 
di  pag.  160. 

Questa  confutazione  è  scritta  con  molta  tranquillità  e  con  una  cortesia 
che  qualche  volta  potrebbe  sembrare  troppo  condiscendente:  con  tutto- 
ciò  procede  con  tanta  forza  di  ragioni  e  vigore  di  argomentazione,  che  la 
stessa  cortesia  e  condiscendenza  riesce  in  ultimo  a  dare  maggior  risalto 
alla  verità.  Tutta  l'opera  si  tiene  a  due  punti,  i  quali  corrispondono  a'due 
lati  della  questione  proposta  dall'  illustre  Vescovo  nella  lettera  al  suo 
Clero:  l'uno  diretto,  in  cui  si  cerca  se  sia  opportuna  la  definizione  dom- 
matica della  infallibilità  pontificia,  e  l'altro  indiretto  (consideralo  dall'op- 
positore in  ordine  $HY opportunità  stessa),  in  cui  si  tratta  il  merito  della 
quistione,  vale  a  dire  la  dottrina  della  infallibilità  in  se  stessa.  Il  chiaro 
Autore  esamina  molto  minutamente  tutti  gli  argomenti  e  le  osservazio- 
ni dell'illustre  Vescovo;  e  per  la  prima  quistione,  dove  risolvendo  le 
difficoltà  in  contrario  o  anche  ritorcendole  contro  l'oppositore,  e  dove 
argomentando  da  altre  fonti,  dimostra  sino  all'evidenza,  che  non  solo  è 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  89 

opportuna,  ma  sotto  un  rispetto  anche  necessaria  la  definizione  della 
infallibil.là  pontifìcia.  Per  la  seconda  questione  poi,  dissipati  tuli1  i  dub- 
bii  e  gli  equivoci,  dedotti  o  sia  dalla  storia  o  sia  dalle  ragioni  teologiche, 
conchiude  che  la  detta  dottrina  ha  tutt1  i  requisiti,  ed  anche  assai  più 
del  necessario,  per  poter  essere  definita. 

Non  vorremmo  però  che  il  lettore  interpretasse  malamente  alcune 
espressioni  deli1  Autore,  specialmente  nel  principio  della  sua  discussione, 
che  sembrano  alquanto  vaghe,  ma  il  cui  senso  è  assai  bene  dichiarato 
in  altri  luoghi.  Di  fatto  nelle  osservazioni  preliminari,  messe  per  deter- 
minare lo  stato  della  quistione,  parrebbe  ch'egli  consideri  Pobbietto  del- 
la infallibilità  pontificia  solo  in  quegli  atti,  co1  quali  o  si  propone  a  cre- 
dere una  verità  come  domina  di  fede,  o  si  condanna  un  errore,  come 
formale  eresia.  Ma  che  egli  non  intenda  questa  dottrina  in  modo  esclu- 
sivo, e  invece  includa  neh"  obbietto  della  infallibilità  anche  quelle  dottri- 
ne, che  sono  designate  da1  teologi  con  qualificazioni  inferiori,  lo  lascia 
agevolmente  capire,  quando  adotta  la  forinola  di  S.  Alfonso  la  quale  è 
generalissima  ed  è  la  seguente  :  Cam  Papa  loquilur  tamquam  Doctor 
nniversalis  definiens  ex  cathedra,  nempe  ex  potestate  suprema  tradita 
Petro  doccndi  Ecclesiam,  fune  dicimus  Ipsum  in  controversa  fidei  et  mo- 
rum  deccrnendis  omnino  infallibilem  esse  (Th.  m.  1.  I,  tract.  II,  de  leg. 
-  Diss.  de  Infall.)  [Parimente  in  altri  luoghi  potrebbe  sembrare  ch'egli 
conceda  essere  libera  nella  Chiesa  la  dottrina  della  infallibilità,  sicché  si 
possa  negare  non  solo  senza  incorrere  nella  formale  eresia  (ilchetutti 
concedono),  ma  senza  niuna  colpa,  né  incorrendo  alcuna  nota  teologica 
(come  vorrebbero  i  gallicani).  Ma  a  quanto  ci  pare,  quando  egli  ciò 
suppone,  lo  suppone  mettendosi  nella  ipotesi  degli  avversarii.  Poiché, 
quanto  a  se,  egli  afferma  più  volte,  che  la  delta  dottrina  si  trova  chiara- 
mente rivelata  nella  Scrittura,  ed  insegnata  e  professata  da  tutta  la  tra- 
dizione ;  e  che  per  conseguenza  essa  è  una  verità  di  fede  divina,  alla  qua- 
le per  divenire  di  fede  divina  cattolica  altro  non  manca  che  la  formale 
proclamazione  della  Chiesa.  Donde  si  scorge,  che  egli,  a  prescindere  dal- 
le cause  subbieliive  che  possono  scusare  dinanzi  a  Dio,  tiene  chela  infal- 
libilità pontificia  non  è  per  sé  un  punto  di  dottrina  libera  nella  Chiesa. 

6.  Observations  sur  Ics  lettres  de  Mgr.  V  Évèque  cV Orleans,  par  Mgr. 
Nardi  Auditeur  de  Rote.  Paris.  V.  Palme  1870.  In'l2.e  di  pag.  66. 

Alle  due  edizioni  italiane  da  noi  annunziate  (voi.  IX,  pag.  341,  voi. 
X,  pag.  83)  tien  dietro  questa  versione  francese.  Essa  fu  fatta  in 
Roma  da  un  ecclesiastico  francese  sotto  gli  occhi  e  la  direzione  dell'Au- 
tore; e  però  possiam  credere  che  abbia  la  perfezione  dell'originale,  per 
la  forza  dello  stile,  e  perla  vibratezza  de'concetti,  sì  propria  dell'illustre 
scrittore  italiano  qual  è  Mgr.  Nardi.  Benché  siano  già  uscite  tante  ri- 
sposte alle  lettere  di  Mgr.  d1  Orleans,  questa  di  Mgr.  Nardi  nulla  ha 
perduto  del  credito  che  si  meritò  quando  uscì  tra  le  prime. 


00  COSE  SPETTAMI  AL  CONCILIO 

Avremmo  qui  da  annunziare  un  gran  numero  d'altri  opuscoli,  intor- 
no all'infallibilità,  sì  in  generale,  e  sì  specialmente  in  difesa  d'Onorio, 
oltre  a  tanti  e  tanti  libri  ed  opuscoli  relativi  al  Concilio:  ma  noi  pos- 
siamo fare  che  poco  alla  volta  :  e  ciò  ci  serva  di  scusa  e  presso  gli  auto- 
ri e  presso  i  lettori  :  ma  non  possiamo  differire  l'annunzio  di  due  opu- 
scoli sulla  questione  dell1  unanimità  morale,  che  ora  può  dirsi  la  que- 
stion  dujour. 

III.  Della  unanimità  morale 
Opuscoli  1  di  Mgr.  Zinelli  —  2  del  P.  Sleccanella. 

1.  Bella  unanimità  dei  suffragi  nei  decreti  dogmatici  dei  Conditi  ecu- 
menici per  Monsignore  Federico  Maria  Zinelli,  Vescovo  di  Treviso.  To- 
rino, cav.  P.  Marietti,  1870.  In  8°  di  pag.  76. 

Vi  sono  di  quelli,  che  si  danno  la  briga  non  piccola  di  comporre  e 
stampare  opuscoli  avversi  alla  infallibilità  pontificia  e  di  spedirli  gratis 
ai  Padri  del  Concilio,  affine  di  sanare  agl'intelletti  lor  non  sani  da  pre- 
giudizii  beuti  nelle  scuole,  che  frequentarono.  Ma  che?  conscii  della  ma- 
la opera  che  fanno,  e  perciò  tutti  vergognosi  di  se,  non  esano  di  apporvi 
il  proprio  nome:  cosichè  cotali  sconciature  escono  tutte  anonime.  Mons. 
Zinelli,  confuta  nell'opuscolo  annunziato  una  di  coteste  cose  anonime, 
che  si  intitola:  De  Vl'nanimité  morale  nécessaire  dans  les  Conciles  pour 
les  défniitions  dogmatiques ;  Mémoire  présente  aux  Per es  du  Concile  du 
Yatican.  L'Autore  anonimo  vorrebbe  far  credere  ai  Vescovi,  che  stante 
la  minoranza,  opposta  alla  definizione  della  infallibilità  pontificia,  non 
si  può  venire  a  capo,  essendo  interdetto  dalla  storia,  dalla  autorità  di 
sommi  uomini  e  dalla  ragione  teologica  il  definire  di  ragione  dommatica 
una  dottrina,  in  cui  non  concorre  V  unanimità  morale  dei  suffragi.  La 
confutazione  di  questo  nuovo  principio,  è  quale  dovea  uscire  dalla  pen- 
na di  chiarissimo  scrittore,  chiara,  diritta,  serrata.  Mandata  innanzi 
una  lezioncina  ai  signori  anonimi,  nella  quale  si  fa  loro  intendere  i 
opera  gittata  e  piuttosto  dannosa  alla  loro  causa  gli  opuscoli  distribuiti, 
siccome  quelli  che  contengono  assai  vecchi  arnesi  di  argomenti,  spun- 
tati le  cento  volte  alle  prove  già  fattene,  il  venerando  Autore  viene  al 
punto  della  confutazione.  Nel  brevissimo  sunto,  che  ei  fa  dell'opuscolo, 
riduce  il  lutto  a  certi  capi  di  argomenti.  Indi  mostrato  che,  salva  la  ec- 
cezione di  un  particolare  Statuto,  è  sufficiente  la  maggiorana  per  le 
deliberazioni  di  qualunque  assemblea,  conferma  qui  gra- 

vi autorità  teologiche,  e  la  fa  vedere  ossi  ■'  Concilii  ecumenici 

specialmente  in  (niello  di  Trento  e  di  Costanza  (  §.  I).  Pttrto  questo 
principio,  che  vagliono  i  l'atti  storici  allegali  dall'anonimo?  Nulla.  Essi 
di  per  se  non  provano  altro,  che  vi  sono  due  vie  per  giungere  al  me- 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  91 

desimo  termine  della  definizione:  la  unanimità  e  la  maggioranza.  È  egli 
poi  vero  che  nei  Concilii  siasi  sempre  deciso  per  unanimità?  Dall'Ano- 
nimo è  affermato,  ma  non  dimostrato,  standogli  contro  ed  il  Concilio  di 
Sardica,  giunta  del  Niceno,  e  quello  di  Efeso  e  tutti  gli  altri,  in  cui 
v'ebbero  dissidenti,  fatto  ammesso  dal  Tournely  e  dallo  stesso  Bossuet 
(§.  II).  L'anonimo  distingue  nelle  decisioni  di  fedele  verità  dommatiche, 
sempre  credute  come  tali,  dalle  verità  dommatiche  credute  soltanto  im- 
plicite, ed  il  eh.  confutatore  dimostra  quanto  sia  vana  allo  scopo  cotesta 
distinzione  (§.  III).  L'anonimo  arreca  autorità  antiche,  moderne,  re- 
centi; ed  il  confutatore,  spiegatene  alcune,  mostra  nelle  altre  la  mala  fe- 
de di  chi  le  ha  portate  (§.  IV),  e  messa  così  a  nudo  la  falsità  della  nuo- 
va teorica  dàuna  buona  picchiata  alla  temerità  dell'anonimo,  che  si  pre- 
se così  malamente  l'incarico  di  dar  lezione  ai  Vescovi. 

2.  Adversus  novam  doclrinam  de  necessitate  consensus  Episcoporum 
wanimis,  theologìca  disquisitio  P.  Valentini  Steccanella  S.  I.  Romae, 
typis  Civilitatis  catholicae.  In  8.°  di  pag.  66. 

L'articolo  della  Civiltà  Cattolica  (voi.  X,  pag.  100)  Delta  Unanimità 
dei  Concilii  nei  decreti  dominatici  incontrò  tanto  favore,  che  ne  venne 
chiesta  da  molti  Vescovi  la  versione  in  latino.  Ma  l'autore,  invece  d'una 
semplice  versione  dell'  articolo,  credette  meglio  di  ampliarlo  in  un  opu- 
scolo, per  rispondere  più  pienamente  ad  altri  scritti  sopravvenuti 

Questo  opuscolo  è  diviso  in  due  parti.  Nella  prima  si  confuta  la  nuo- 
va dottrina,  la  quale  vuole,  che  nelle  decisioni  dommatiche  in  Concilio 
concorra  la  morale  unanimità  dei  suffragi  :  nella  seconda  si  stabilisce  la 
verità.  Partito  il  tutto  in  otto  capitoli,  nel  primo  si  annoverano  gli  argo- 
menti adoperati  in  prò  della  nuova  dottrina  e  si  addita  la  trista  origine 
della  medesima.  Esaminato  nel  secondo  il  fondamento,  su  cui  si  appog- 
gia, e  nel  terzo  ciò  che  ella  è  in  sé  stessa,  trovasi  fondata  su  la  contra- 
dizione, su  la  falsità,  e  piena  di  gravissimi  pericoli  per  la  fede,  dal  che 
si  conchiude  doversi  rigettare  del  tutto.  Statuito  nel  quarto,  colla  tradi- 
zione alla  mano,  che  il  Pontefice  ha  il  sommo  diritto  di  sentenziare  su  le 
controversie  dommatiche,  che  nascono  ne'  Concili,  si  dimostra  nel  quin- 
to non  esser  lui  obbligato  nella  sua  sentenza  a  seguire  piuttosto  l'una, 
che  l'altra  parte,  e  per  contrario  tutti  esser  obbligati  di  aderire  e  sog- 
gettarsi a  quanto  egli  definisce.  Cercato  nel  sesto,  qual  parte  di  regola 
ordinaria  prevalga  ne'  Concilii,  si  prova  che  è  la  maggioranza.  Nel  set- 
timo si  fa  vedere,  come  i  fautori  della  nuova  dottrina  della  unanimità 
siansi  valsi  dell'arme  indegna  della  falsificazione  o  del  troncamento  dei 
testi  che  arrecano.  Nell'ottavo  si  conferma  la  dottrina  propugnata  coi 
fatti  dei  Concilii. 


92  COSE  SPETTAMI  AL  CONCILIO 

II. 

NOTIZIE  VARIE 

1.  Munificenza  e  pietà  liliale  elei  Gallicani  verso  il  Santo  Padre  —  2.  Una 
calunnia  nel  Francois  contro  la  Civiltà  Cattolica;  minacce  contro  la  San- 
ta Sede  —  3.  Imputazioni  ingiuriose  contro  un  illustre  Prelato  francese  — 

4.  Dichiarazioni  del  Vescovo  di  Magonza,  per  l'infallibilità  del  Papa  — 

5.  Lettera  del  Vescovo  di  Angoulème  contro  un  opuscolo  gallicano  sopra 
Yunanimità  dei  voti  per  le  definizioni  dommatiche  —  6.  Indirizzi  al  Santo 
Padre  da  Nizza  e  da  Marsiglia  —  7.  Oblazioni  del  clero  di  Napoli,  e  sue 
dichiarazioni  per  l'infallibilità  pontificia—  8.  Calunnie  divulgate  contro  il 
collegio  dei  Parrochi  di  Roma;  indirizzo  di  questi  al  Santo  Padre  ;  mentita 
alla  Nazione  —  9.  Ricevimento  dei  Vescovi  di  Strasburgo  e  di  Montauban 
reduci  nelle  loro  diocesi. 

1.  Dacché  la  setta  massonica  ebbe  facoltà  di  assaltare  armata  mano  la 
sovranità  temporale  del  Papa,  e  la  Febbroniana  ripigliò  la  guerra  con- 
tro la  sua  sovranità  spirituale,  noi  siamo  colpiti  da  imo  spettacolo  assai 
istruttivo,  e  che  dovrebbe,  anche  senza  il  sussidio  d'altri  argomenti,  di- 
singannare certi  illusi  predicatori  di  conciliazione  tra  la  Chiesa  e  codesti 
campioni  e  direttori  della  società  moderna. 

Alla  Santa  Sede  vennero  rubati,  e  si  sa  per  opera  di  cbi  e  con  quali 
mezzi,  i  quattro  quinti  degli  Stati  ;  e  solo  per  uno  speciale  concorso  del- 
la Provvidenza  divina  il  Papa  è  ancora  in  possesso  di  un  piccol  brano 
di  territorio,  dal  quale  può  liberamente  governare  la  Chiesa  ed  eserci- 
tare il  supremo  suo  ministero  con  quella  indipendenza  che  gli  è  al  tutto 
indispensabile.  Ma  le  condizioni  in  cui  fu  posta  la  Santa  Sede  per  le 
piraterie  sacrileghe  del  1859  e  del  1860,  aggravate  dalle  invasioni  del 
1867,  sono  tali,  che  la  sollecitudine,  l'aiuto  e  le  spontanee  offerte  di  tutti 
quelli,  che  si  pregiano  di  essere  veri  cattolici,  appena  basterebbero  a  far 
cessare  quel  non  so  che  di  precario,  che  tutti  deplorano,  che  tiene  tutti 
in  ansietà,  e  che  mentre  impedisce  beni  sommi,  fa  paventare  mali  estre- 
mi. Or  che  accade? 

Lasciando  da  parte  i  Febbroniani,  che  appena  sono  cattolici  di  nome, 
noi  vediamo  che  si  pregiano  di  questo  titolo  di  cattolici  non  meno  i  Gal- 
licani che  i  buoni  e  schietti  fedeli  d'ogni  nazione,  a  cui  da  quelli  è  ap- 
piccicato per  ischerno  il  nome  di  Oltramontani  ;  che  nel  loro  gergo  ser- 
Te  a  designare  indiscreti  e  fanatici  e  perniciosi  difensori  deMa  Santa 
Sede  e  delle  sue  prerogative.  Gli  uni  e  gli  altri  si  vantano  di  nutrire 
sviscerato  affetto  alla  Santa  Sede  ed  al  Papa;  ma  hanno  diversissima 
maniera  di  significarlo.  Noi,  che  abbiamo  un  poco  l'abitudine  di  valutare 
le  parole,  ed  anche  le  scritture,  principalmente  secondo  l'espressione 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  93 

che  esse  ricevono  dai  fatti ,  ci  atteniamo,  nel  giudicarne,  ali1  autorità  di 
quel  detto  antico  e  sapiente  che,  probatio  amoris  exhibitio  est  operis... 
Amor,  ubi  est,  magna  operatur  ;  et  ubi  operavi  renuit,  amor  non  est. 
È  sentenza  di  S.  Gregorio,  pel  quale  speriamo  che  i  Gallicani  abbiano 
qualche  rispetto. 

Laonde  abbiamo  accuratamente  posto  in  nota  i  fatti  degli  uni  e  degli 
altri;  e  dalla  qualità  dello  scopo,  dagli  effetti,  dalla  molteplicità  di  co- 
desti fatti  tra  loro  posti  a  confronto,  abbiamo  inferito  l' indole,  la  since- 
rità, L'efficacia  di  quell'amore  che  i  Gallicani  tanto  vantano  a  parole. 

Or  ecco  in  chiare  parole  il  risultato  delle  nostre  osservazioni,  assai 
facile  a  dimostrarsi  evidente,  poiché  troppo  sono  manifesti  i  fatti,  che 
saltano  agli  occhi  di  tutti,  massime  da  un  paio  d'anni  in  qua. 

Da  una  parte  vediamo  i  Gallicani,  col  plauso  dei  protestanti,  dei  vol- 
teriani,  dei  frammassoni  e  settarii  d'ogni  genìa,  dimenarsi  con  immenso 
loro  travaglio  per  attenuare  e  ridurre  a  niente,  ove  fosse  possibile,  le 
prerogative  della  Sede  apostolica  e  del  Papa  ;  di  cui  vogliono  fare  una 
specie  di  Re  che  regna  nella  Chiesa  ma  non  governa,  lasciandogli  ben- 
sì le  lustre  del  primato  di  onore,  ma  togliendogli  la  suprema  sua  auto- 
rità di  giurisdizione;  e  per  grazia  somma  contentandosi  di  farne  come 
un  portavoce,  per  cui  dee  passare  la  voce  della  Chiesa  cioè  dell'Episco- 
pato. Per  ottenere  questo  intento,  incili  spicca  mirabilmente  l'amore 
e  la  devozione  dei  Gallicani,  essi  hanno  profuso,  e  profondono  tuttavia 
ingenti  somme  di  pecunia  in  prezzolare  giornalisti  e  libellisti  d'ogni 
risma,  per  divulgare,  e  mandare  gratis  per  ogni  parte  ed  a  migliaia  di 
copie,  libercoli  pieni  di  cavilli,  di  falsità  storiche,  e  di  argomentazioni, 
in  cui  la  mala  fede  va  di  paro  con  una  profonda  ignoranza,  ma  che,  sot- 
to una  vernice  letteraria  dai  colori  smaglianti,  possono  abbarbagliare  gli 
occhi  delle  moltitudini  imperite. 

Ne  paghi  di  tanto,  essi  viaggiano  e  fanno  viaggiare  ;  tengono  adunan- 
ze; di/fondono  a  voce  e  per  iscritto  minacce  di  scisma;  si  studiano  di 
chiudere  la  bocca  a  chi  vuol  parlare  o  scrivere  in  difesa  delle  preroga- 
tive del  Papa;  adoperano  per  ciò  le  abbiettissime  arti  della  menzogna  e 
della  calunnia;  s'arrogano  di  spiare  e  divulgare  fin  nei  diarii  protestan- 
ti, come  la  Gazzetta  d'Augsbourg,  ciò  che  dovrebbe  essere  sepolto  sotto 
l'irrefragabile  segreto  pontificio;  e  mettono  i  difensori  della  Santa  Sede 
in  aspetto  di  settarii,  che  per  loro  interesse  traggono  al  più  terribile  ci- 
mento l'unità  della  Chiesa  e  l'autorità  stessa  del  Papa.  Di  che  si  hanno 
prove  lampanti  e  quotidiane  in  quella  colluvie  di  scritture,  che  si  divul- 
gano da  cotesloro  nella  Gaz-ette  de  France,  nell'Amor  catholique,  nella 
trance,  nel  Francais,  nel  Débats,  ed  anche  nelle  corrispondenze  che 
vanno  in  Germania,  e  per  tutta  Italia,  sui  diarii  che  apertamente  profes- 
sano di  voler  fare  guerra  a  tutta  oltranza  contro  il  Papa  e  la  Santa  Sede, 
come  l' Opinione,  la  Nazione,  la  Perseveranza. 


91  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

Abbiamo  cercato,  ma  non  ci  venne  fatto  di  scoprire,  che  codesti  svi- 
scerati amatori  della  Chiesa  e  del  Papa  siansi  intanto  disagiati  a  man- 
dare al  Papa  un  obolo  in  sussidio  della  sua  povertà,  od  un  soldato  a 
difesa  del  territorio  che  gli  spetta.  Anzi  li  vediamo  piuttosto  menar  van- 
to d'avere  scatenato  contro  la  Santa  Sede  le  influenze  ed  anche  le  minac- 
ce di  certe  Potenze,  di  cui  essi  si  fecero  araldi,  trombando  per  tutto  il 
mondo  la  contenenza  di  certi  dispacci  diplomatici,  che  per  ogni  riguardo 
di  prudenza  e  di  civiltà  doveano  restare  nelle  rispettive  Cancellerie. 

Tale  è,  alla  prova  dei  fatti,  la  mimi  licenza  e  la  pietà  filiale  dei  Galli- 
cani verso  il  Papa  :  spendere  in  fargli  guerra  ciò  che  potrebbero  e  do- 
vrebbero offerirgli  come  tributo  giusto  di  devozione  e  d'amore;  non  ri- 
fuggire da  arte  veruna  per  levargli  d'attorno  i  difensori  o  costringerli 
a  cedere  le  armi  e  tacere;  attirare  contro  lui  i  maneggi  dei  Gabinetti 
e  le  minacce  più  o  meno  aperte  di  abbandonarlo  alla  mercè  della  rivo- 
luzione ;  intimare  che  la  definizione  dell1  infallibilità  del  Papa  sarebbe 
il  segnale  della  distruzione  compiuta  della  sua  sovranità  temporale;  e 
trarre  alle  porte  di  Roma  la  fantasima  sanguinosa  del  Garibaldismo,  la- 
sciato in  libertà  di  entrarvi  a  tiranneggiarla  a  posta  sua,  quando  la  plu- 
ralità del  Concilio,  obbedendo  al  dettato  della  sua  coscienza,  promulgas- 
se autorevolmente  quella  vera  dottrina  cattolica,  a  cui  essi  si  oppongo- 
no  Ecco  le  prove  della  pietà  filiale  di  codesti  signori. 

Per  altra  parte  vediamo  gli  Oltramontani,  cioè  la  sterminata  pluralità 
dei  cattolici  di  Francia,  del  Belgio,  d'Italia,  della  Spagna,  e  d'ogni  altra 
regione  altamente  dichiararsi  pel  Papa  e  per  la  Santa  Sede,  per  via  dì  in- 
dirizzi caldissimi  di  affetto  e  spiranti  illimitata  devozione  e  fede  pienissima 
nella  infallibilità  pontificia;  e  meglio  ancora  per  via  di  generose  offerte  di 
denaro,  d'oggetti  preziosi,  d'armi,  e  fin  delle  persone,  a  difesa  di  Roma 
e  del  Papa.  Sono  vituperati  dai  Gallicani  come  fanatici,  più  perniciosi 
che  qualsiasi  più  sfidato  nemico,  gli  scrittori  dell1  Univers,  del  Monde, 
del  Bien  public  di  Gand,  àé\Y  Unità  Cattolica  di  Torino,  AeW  Osservatore 
Cattolico  di  Milano,  del  Veneto  Cattolico  di  Venezia,  e  d'altrettali  diarii. 
Intanto  questi  scrittori,  confortati  dall'approvazione  e  benedizione  del 
Papa  e  dal  plauso  della  massima  parte  dell1  Episcopato,  godono  la  fidu- 
cia d'un  numero  immenso  di  cattolici,  che  loro  mandano  le  offerte  de- 
stinate al  Papa.  Il  solo  Univers  raccolse  già  assai  più  d'un  milione  :  quasi 
un  milione  in  breve  tempo  pel  titolo  di  rifornire  l'esercito  pontificio,  do- 
po Mentana;  ed  ora,  per  aiutare  il  Papa  alle  spese  pel  Concilio,  in  pochi 
mesi  registrò,  in  166  lunghissime  liste,  che  valgono  quanto  una  so- 
lenne professione  di  fede  nelf  infallibilità  del  Papa,  le  offerte  di  qualche 
centinaio  di  migliaia  di  fedeli,  per  la  somma  di  franchi  234,41*.  Ma  non 
abbiamo  veduto  mai  nella  France,  nella  Gazette  de  France,  nel  Franruis 
registrato  pure  un  soldo  pel  Papa  ! 

In  conclusione  :  i  Gallicani  mandano  a  Roma  alteri  consigli ,  pro- 
grammi di  riforma  per  la  costituzione  della  Chiesa,  minacce  di  abbando- 


COSE  SPETTAMI  AL  CONCILIO  95 

nar  Roma  in  preda  ai  furori  della  setta  quando  non  si  riducano  a  mere 
apparenze  le  prerogative  del  Papa;  ed  in  ciò  spendono  denari,  ingegno 
e  maneggi  d'ogni  sorta.  Gii  Oltramontani  mandano  a  Roma  attestati 
umilissimi  e  fervidi  di  obbedienza  e  di  fede;  mandano  il  frutto  dei  loro 
«adori, «dei  loro  risparmii  sottratti  al  sollievo  della  propria  povertà; 
mandano  i  proprii  figliuoli  a  portar  Tarmi  ed  a  dare  il  sangue  per  la  di- 
iel  Papa. 

Ci  pare  che  la  conclusione,  per  chi  ha  un  po'  di  senso  comune,  sia 
quanto  chiara  altrettanto  decisiva. 

2.  Quanto  allo  spaccio  di  false  novelle,  di  sinistre  interpretazioni  e  di 
prette  calunnie,  in  verità  reputiamo  inutile  stenderci  nel  recare  prove 
di  fatto,  che  si  trovano  in  tutti  i  diarii  delia  setta.  Rammentiamo  solo 
la  nota  ufficiale  del  Giornale  di  Roma  da  noi  riferita  nel  volume  X,  a 
pag.  237.  Ed  in  particolare  per  le  calunnie,  ab  angue  ìeonem,  eccone 
una,  e  basta.  Bisognava,  allo  scopo  della  setta,  mettere  in  uggia  dei 
Francesi,  e' specialmente  del  Governo  imperiale,  gli  scrittori  della  Cz- 
vilià  Cattolica,  ed  attirare,  se  fosse  possibile,  contro  di  essi  qualche 
intervento,  che  li  facesse  tacere.  Lo  spediente  fu  subito  trovato,  e  spe- 
dito a  Roma  al  Frmcais,  n.°  150  del  1.°  Giugno,  in  forma  di  corri- 
spondenza scritta  il  23  Ma  rgio.  Ne  trascriviamo  le  precise  parole. 

«  I  corifei  della  Cimila  Cattolica  e  dell1  Univers,  di  questo  secondo 
diario  principalmente,  volendo  qui  ad  ogni  costo  far  ricadere  sul  Gover- 
no francese  lo  scisma  degli  Armeni,  non  si  sentono  punto  impacciati  ad 
insinuare  che  il  nostro  ambasciadore,  sig.  Bourrée,  si  è  fatto,  in  certo 
modo,  agente  della  Russia.  Questa  è  una  calunnia  che  vuoisi  improntare 
di  quel  marchio  che  essa  si  merita.  Gli  uomini  che  parlano  cosi,  sanno 
troppo  bene  a  chi  si  deve  attribuire  ciò  che  accadde  pur  testò  a  Roma 
ed  a  Costantinopoli;  e  farebbero  bene  a  tacere,  se  non  vogliono  vedere 
un  giorno  svelati  i  loro  disegni.  »  Così  appunto  il  Gallicano  corrispon- 
dente del  Francais. 

Per  quanto  spetta  a  noi  ecco  la  verità  schietta.  Non  abbiamo  scritta 
pure  una  parola  nostra,  in  verun  nostro  quaderno,  intorno  alla  ribellio- 
ne degli  Armeni  di  Costantinopoli;  non  abbiamo  trascritto  pur  una  pa- 
rola di  quanto  se  ne  leggeva  nei  giornali  ;  non  abbiamo  mai  nò  indicata 
per  nome,  nò  accennata  in  veruna  guisa  la  persona  del  sig.  Bourrée; 
non  abbiamo  voluto  valerci  delle  autorevoli  e  particolareggiate  corris- 
pondenze che  sopra  quello  scisma  degli  Armeni  ci  erano  pervenute  di- 
rett  mente  da  Costantinopoli;  e  tutto  quel  tristo  fatto  abbiamo  velato 
d'un  assoluto  silenzio.  Onde  sfidiamo  tutta  la  combriccola  Gallicana,  che 
da  Roma  diffonde  le  sue  bugie  e  calunnie,  a  trovare  nei  nostri  quaderni 
una  sola  parola  che  autorizzi  V  imputazione  appiccataci  graziosamente 
nel  Francais. 

In  un  solo  luogo  fu  da  noi  mentovato  il  fatto  degli  Armeni  di  Roma, 
cioè  a  pag.  488-91  del  precedente  nostro  volume  X  ;  dove  è  trascritto 


96  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

a  verbo  un  articolo  ufficiale  del  Giornale  di  Roma,  n/  105  del  10  Mag- 
gio ;  preceduto  da  due  righe  nostre  con  cui  indicammo  che  tale  articolo 
versava  «  iutorno  a  certi  fatti,  pur  troppo  gravi  e  deplorabili,  ma  per- 
fidamente esagerati  e  Falsificati  dai  nemici  della  Santa  Sede  ».  Or  come 
imputare  a  noi  calunniose  insinuazioni,  per  causa  di  tale  articolo,  sen- 
za offendere  con  sì  brutta  ingiuria  la  Santa  Sede?  Era  forse  ciò  inteso 
dal  Francate?  Sarebbe  mai  vero  che,  per  poter  impunemente  colpire  gli 
atti  della  suprema  autorità  del  Papa,  si  prendono  come  bersaglio  YUni- 
vers  e  la  Civiltà  Cattolica,  che  professano  speciale  devozione  ai  diritti 
della  Santa  Sede?  Ovvero  con  ciò  si  mirava  ad  incutere  sgomento  in 
chi  sa  con  quanta  delicatezza  di  riguardi  si  debba  procedere  verso  le 
Potenze? 

Fatto  sta  che  da  più  mesi  i  diari  della  setta,  simulando  di  biasimare 
soltanto  i  giornali  più  devoti  verso  la  Santa  Sede,  non  cessano  di  cen- 
surare gli  atti  sì  dei  Presidenti  e  della  pluralità  dei  Padri  del  Concilio, 
e  sì  del  Papa  stesso;  mostrandosi  irritati  oltremodo  pei  Brevi,  con  cui 
Sua  Santità  riconosce  il  merito,  l'affetto,  la  sana  dottrina  di  quanti  pro- 
pugnano od  invocano  la  dommatica  definizione  delle  prerogative  ponti- 
ficie. Con  queste  censure  procaci  essi  avvicendano,  mettendovi  una  stra- 
na insistenza ,  le  minacce  dell1  abbandono  di  Roma  alle  sue  proprie  for- 
ze contro  gli  assalti  della  rivoluzione. 

Nello  stesso  numero  150  del  1.°  Giugno,  in  cui  il  corrispondente  del 
Francois  avventava  contro  «  i  corifei  della  Civiltà  Cattolica  »  la  riferita 
calunnia ,  attribuiva  pure  ad  un  Vescovo  francese  certa  conversazione 
tenuta  col  sig.  Emilio  Ollivier  in  Parigi;  e  diceva  che  questo  Ministro 
«  sarebbe  disposto  a  lasciare  alla  Santa  Sede  ed  al  Concilio  tutta  la  sua 
libertà  d°  azione,  ma  sarebbe  altresì  risoluto  di  togliere  in  un  prossimo 
avvenire,  al  Governo  pontificio  Y appoggio  materiale  della  Francia». 
Ed  il  Francati  aggiungeva  che,  rispetto  a  tali  disposizioni  del  Governo 
francese  verso  Roma,  le  sue  particolari  informazioni  erano  assolutamente 
conformi  a  quelle  del  suo  corrispondente.  Era  come  dire:  volete  definire 
T infallibilità  del  Papa  a  dispetto  dei  Gallicani?  La  Francia  ve  ne  punirà 
col  richiamare  le  sue  truppe,  e  seguane  quel  che  può! 

Dato  così  il  tema,  il  coro  dei  giornali  della  setta  uscì  a  cantarne  leM- 
riazioni.Sì  giunse  tino  a  divulgare  V analisi  d'un  supposto  dispaccio 
dell1  Ollivier:  che  un'ultima  volta  ammoniva  la  Santa  Sede  di  baciare  a 
quel  che  faceva,  perchè,  ove  non  desistesse  delle  sue  pretensioni  ripu- 
gnanti al  diritto  pubblico  della  Francia,  cioè  dei  Gallicani,  la  Francia  si 
laverebbe  le  mani  della  quistionc  romana,  richiamando  le  sue  truppe. 
Questo  dispaccio  fu  poi  smentito;  ma  fu  ribadito  il  chiodo,  che  la  defi- 
nizione dell' infallibilità  del  Papa  obbligherebbe  il  Governo  imperiale  ad 
abbandonare  In  tutela  efficace  ed  armata  del  territorio  pontifìcio,  od  a 
continuargli  solo  il  suo  appoggio  morale.  La  Gazzette  de  Frante,  la 
France,  il  Francois  si  alternavano  nel  cantare  questo  ritornello;  e  per 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  97 

farne  più  sentire  la  forza,  il  Francais,  n.°  161  del  13  Giugno  trascrive- 
va da  una  sua  corrispondenza  romana  queste  parole:  «  Qui  si  illudono 
rispetto  al  sig.  Ollivier;  benché  questi  abbia  fatto  capire  al  Vescovo  di 
Bayeux  che  la  Divisione  d'occupazione  sarebbe  richiamata  dopo  la  defi- 
nizione (dell' infallibilità  del  Papa).  Malgrado  di  ciò  si  ha  fiducia  nel 
sig.  Ollivier,  mentre  non  si  aveva  nel  sig.  Daru,  che  voleva  far  vedere 
al  Concilio  il  tranello  (fiége)  che  si  prepara  dalla  rivoluzione.  »  Non  è 
questo  un  dir  chiaro:  sarete  abbandonati  alla  mercè  della  rivoluzione, 
se  definite  Y  infallibilità  del  Papa?  Così  i  Gallicani  rispettano  la  libertà 
del  Papa  e  del  Concilio. 

Il  mentovato  dispaccio  minaccioso,  attribuito  air  Ollivier,  era  stato 
stampato  dalla  Gazzetta  d'Augsboùrg,  e  riprodotto  dal  Francais  del  6-7 
Giugno  e  dagli  altri  diarii  della  consorteria  gallicana;  e  conteneva  le  se- 
guenti parole:  «  La  Francia  ha  fatto  il  suo  dovere,  tentando  di  stornare 
la  Santa  Sede  dalla  via  funesta  in  cui  è  entrata.  Non  riuscì  all'  intento. 
La  Santa  Sede  pare  risoluta  a  suicidarsi.  La  Francia  si  contenta  della 
parte  di  spettatrice;  ma  la  sua  posizione  sarà  necessariamente  mutata 
per  la  dichiarazione  di  guerra  della  Corte  di  Roma.  Il  giorno  in  cui  la 
infallibilità  sarà  promulgata,  il  concordato  cesserà  d'  aver  vigore,  ed  i 
rapporti  presenti  fra  la  Chiesa  e  lo  Stato  saranno  distrutti.  Lo  Stato  si 
separa  dalla  Chiesa,  e  le  truppe  francesi  partono  dal  territorio  pontifi- 
cio. La  separazione  dello  Stato  dalla  Chiesa  significa  in  Francia,  tra  al- 
tre cose,  anche  l'abolizione  del  budget  dei  culti,  ond' è  lasciato  ai  Fedeli 
il  carico  di  mantenere  il  Clero.  » 

3.  Mentre  si  tenzonava  sulla  esistenza  e  l'autenticità  di  tal  dispaccio, 
e  la  Patrie  lo  dichiarava  una  pura  invenzione,  il  cui  merito  va  tutto  ad 
onore  e  gloria  dei  Feòbroniani  tedeschi,  si  commentavano  dai  diarii  dei 
Gallicani  certe  parole  che,  malgrado  del  segreto  conciliare,  eransi  spac- 
ciate, non  sappiamo  da  chi  nò  con  quale  intento,  come  proferite  da  un 
illustre  Prelato  francese,  nell'atto  di  concludere  un  suo  discorso.  Senza 
verun  rispetto  pel  sacro  carattere  di  questo  Prelato,  che  pure  a  notizia 
di  tutti  è  sì  parco  di  parole,  sì  cauto,  sì  prudente,  osarono  affermare 
come  cosa  indubitata,  che  egli  :  «  ha  dichiarato  apertissimamente  (très- 
rondement)  che  la  proclamazione  del  domina  dell1  infallibilità  significava 
per  suo  avviso,  la  caduta  inevitabile  ed  infallibile  della  sovranità  tem- 
porale del  Papa.  »  (Un'vers  4  Giugno).  Non  ispetta  a  noi  assumere  le  di- 
fese di  quel  venerando  Prelato.  Ma  chi  è  che  non  vegga  che  con  ciò  gli 
si  faceva  un'atroce  ingiuria?  Qual  vitupero  maggiore  per  un  Arcivesco- 
vo, che  il  rappresentarlo  in  atto  di  inceppare  la  l.bertà  del  G  ncilio  con 
minacce  di  tal  natura?  Qual  più  abbietta  perfid  a  che  questa,  di  attri- 
buire ad  un  Arcivescovo  l'impudenza  di  mercanteggiare  la  proclamazione 
od  il  silenzio  della  verità  cattolica,  mettendovi  il  prezzo  degli  interessi 
temporali?  E  ciò  in  p  en  Concilio,  quando  si  tratta  solo  di  discutere  e 

Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  487.  7  £5  Giugno  1870. 


98  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

decidere  quistioni  di  domina,  non  già  di  promovere  affari  politici!  E  ciò 
in  guisa  da  sembrare  che  co^ì  parlasse,  non  per  proprio  impulso,  ma 
per  commissione  ab  alto! 

Noi  ci  protestiamo  altamente  di  non  voler  aggiustar  fede  alle  dicerie 
che  corsero  a  lai  proposito,  così  che  certi  corrispondenti  romani ,  anche 
di  buona  intenzione,  come  quello  della  Gazzelle  du  midi,  credettero  di 
potarne  dare  contezza  a  varii  giornali  di  Francia;  né  c'indurremo  mai  a 
credete  che,  sotto  forma  di  consiglio  a  procedere  con  prudenza,  un  per- 
sonaggio insignito  di  alta  dignità  e  di  delicatissimi  ufficii  in  Corte,  fa- 
cesse echeggiare  nel  Concilio  le  minacce,  che  la  Gazetta  d' Augsbourg 
con  bruttissima  arte  di  calunnia  imputava  all'Ollivier,  e  che  in  bocca  sua 
avrebbero  avuto  troppo  maggiore  importanza,  che  non  sotto  la  penna 
d'un  prezzolato  giornalista.  Laonde  preferiamo  di  rilegare  quel  racconto 
tra  le  favole;  ma  siamo  pure  in  diritto  di  far  rilevare  altresì  l'impegno, 
con  cui  studiaronsi  di  usufruttuario,  per  isgomentare  i  Padri  del  Conci- 
lio, i  diarii  della  consorteria  gallicana. 

4.  Fanno  ingiuria  al  Concilio  coloro  che  lo  suppongono  capace  di 
soggiacere,  per  isgomento  e  paura  di  pericolare  i  materiali  interessi,  alla 
debolezza  di  tradire  la  verità,  soffocandola  quando  tutti  vedono  che  il 
proclamarla  è  necessario.  Ma  col  troppo  ricalcare  tali  ingiurie,  si  espon- 
gono appunto  ad  ottenere  l'effetto  contrario.  Così  accadde  alla  setta 
Febbroniana  tedesca  ;  la  quale,  per  aver  troppo  forte  e  troppo  spesso 
insistito  nel  calunniare  monsig.  Ketteler,  Vescovo  di  Magonza,  riuscì  a 
fargli  bandire  una  solenne  dichiarazione  in  favore  dell' infattibili tà  del 
Papa,  mentre  essi  lo  rappresentavano  come  «  un  avversario  risoluto  di 
tal  domina.  »  Di  che  vorremmo  poter  qui  riferire  distesamente  tutta  la 
lettera  scritta  da  monsig.  Ketteler,  e  che  i  compilatori  del  Katholic  di 
Magonza  mandarono  subito  al  giornale  parigino  Le  Monde,  che  la  stam- 
pò nel  suo  numero  102  del  16  Giugno.  Ne  reciteremo  tuttavia  i  brani 
più  importanti. 

«  La  Gazzetta  d'Augsbourg,  scrisse  monsig.  Ketteler,  non  pronunzia 
quasi  mai  il  mio  nome  senza  aggiungervi  una  menzogna.  Questo  ancora 
le  accadde  nella  sua  cinquantesima  lettera  romana,  inserita  nel  suo  nu- 
mero del  4  Giugno.  »  Qui  il  Prelato  trascrive  l'analisi  che  il  calunnia- 
tore corrispondente  si  inventò  d'un  suo  discorso;  poi  soggiunge:  «  Non 
posso  comunicare  ciò  che  ho  detto;  ina,  senza  violare  il  segreto,  posso 
affermare  che  cosa  non  ho  detto.  Dichiaro  pertanto  quanto  segue. 

«  1."  Io  non  ho  mai  dubitato  dell'infallibilità  del  Papa;  io  sempre,  in 
Germania  come  qui  in  Roma,  ho  professato  questa  dottrina;  io  non  ho 
dato  mai  motivo  ad  alcuno  di  dubitare  di  questa  mia  opinione;  io  dun- 
que non  ho  certo  rinnegato  in  quest'  ultimo  discorso  questa  mia  persua- 
sione. È  per  ciò  perfettamente  falso  che  abbia  avuto  luogo  un  cambia- 
mento nella  mia  persuasione;  è  perfettamente  falso  che  io  da  inopporiu- 
nista  sia  divenuto  un  avversario  decho  del  domina  medesimo.  11  mio  en- 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  99 

tusiasmo  infuocato  e  la  mia  devozione  decisa  per  il  Papa  è  sempre  stata 
dappertutto  la  medesima.  Il  corrispondente  adunque  non  potè  certamen- 
te indicare  la  gradazione  per  la  .quale  si  è  operato  in  me  questo  processo 
di  disinganno  e  di  ravvedimento.  Tutte  queste  asserzioni  sono  nude  e 
prette  falsità.  Se  qualche  cosa  ho  diritto  di  pretendere  per  me,  si  è  che 
in  riguardo  a  questa  dottrina  ho  sempre  avuto  la  stessa  persuasione,  e 
la  ho  ancora  al  presente. 

«  2.°  Per  me,  dacché  venne  messa  in  campo  questa  questione,  ha  esi- 
stito solamente  un  duplice  dubbio;  1.°  Se  questa  dottrina,  la  quale  io 
tengo  come  la  più  degna  di  fede,  e  la  quale  io  ho  proposto  alia  mia 
diocesi,  risulti  tale  dalla  sacra  Scrittura  e  dalla  tradizione,  con  quel 
grado  di  chiarezza  che  è  necessario  ad  una  definizione  dommatica.  2.°  Se 
esista  nelle  circostanze  del  tempo  quella  necessità,  la  quale  si  richiede 
sempre  per  definire  un  domma.  Quest'  ultimo  s'intende  sotto  la  deno- 
minazione di  opportunità.  Sotto  quest'ultimo  riguardo,  se  ha  avuto  luo- 
go in  me  un  cambiamento,  questo  è  stato  solamente  in  tanto,  in  quanto 
io  veramente,  attesi  gli  assai  veementi  assalti  che  ha  incontrato  il  Pri- 
mato in  questi  ultimi  tempi,  nel  che  le  lettere  romane  àeWAllgemeine 
Zeitung  tengono  il  primo  posto,  non  sono  rimasto  saldo,  colla  medesima 
certezza  di  prima,  nell1  opinione  che  possa  omettersi  una  decisione  della 
Chiesa  sopra  tale  questione. 

«3.°  Benché  io  tenga  la  dottrina  dell1  infallibilità  pontificia  come  sal- 
damente fondata  sopra  la  santa  Scrittura  e  la  Tradizione  a  segno  che  non 
solo  io  l'ho  presa  come  guida  della  mia  vita,  ma  ancora  ne  riguarderei 
la  negazione,  se  non  come  una  defezione,  certo  come  una  colpa  estrema- 
mente grave;  e  che  in  tal  senso  risponderei  ad  un  figliuolo  fedele  della 
Chiesa,  che  a  tal  proposito  mi  chiedesse  consiglio:  tuttavia  possono 
darsi  varie  sentenze  intorno  ali1  oggetto  della  medesima,  intorno  all'am- 
piezza, e  intorno  alle  condizioni  e  presupposizioni,  sotto  le  quali  le  sen- 
tenze del  Papa  relative  alla  rivelazione  soprannaturale  (e  solamente  di 
tali  sentenze  può  qui  parlarsi),  per  un'assistenza  speciale  divina,  sono 
infallibili.  Sopra  ciò  esistono  opinioni,  le  quali  sono  o  più  ampie  o  più 
limitate.  » 

Sul  chiudere  della  lettera  mons.  Ketteler  dice,  ad  onore  e  gloria 
della  setta  Febbroniana ,  di  cui  è  portavoce  la  Gazzetta  rf'  Augsbourg: 
«  Sarebbe  cosa  facile  per  me  di  dimostrare  in  ogni  lettera  dell'  Allgemei- 
ne  Zeitung  sopra  il  Concilio  grandi  menzogne  e  travisamenti.  Chi  cono- 
sce qui  le  cose,  e  legge  queste  lettere,  non  può  dubitare  che  questi  non 
possano  essere  errori  senza  colpa,  ma  che  qui  esista  un  sistema  d'in- 
durre in  errore  il  pubblico  ». 

5.  La  setta  Febbroniana  fu  così  marchiata  in  fronte  con  un  bollo  ro- 
vente, che  la  denunzia  come  menzognera  e  calunniatrice  di  proposito 
deliberato,  per  ingannare  i  semplici.  Per  altra  parte  la  consorteria  Gal- 
licana ebbe  il  fatto  suo  dall'illustre  Vescovo  di  Angoulème,  con  uiia  let- 


100  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

tera  al  suo  clero,  pubblicata  nella  Semaine  religieuse  di  quella  città,  e 
riferita  nxNTUnidtrs  del  martedì  14  Giugno.  (Ediz.  quotid.  n.°  Iti 

Nel  precedente  quaderno  abbiamo  parlato  (a  pag.  745  del  voi.  X) 
d'una  stupenda  lettera  che  l'Arcivescovo  di  Cambray  avea  scritta  ai 
suoi  diocesani,  per  isfatare  le  imposture  e  le  calunnie  divulgate  dai 
Gallicani  intorno  al  procedere  del  Concilio.  Mons.  Vescovo  di  Angou- 
lèmc  comunicò  tal  lettera  al  clero  e  popolo  della  Diocesi,  qualificandola 
come  *  la  migliore  risposta  che  potesse  darsi  a  quella  moltitudine  di  li- 
belli d'ogni  genere  di  cui  Roma  e  la  Francia  sono  più  che  mai  inonda- 
te. »  Poi,  toccando  delle  a  perfide  insinuazioni  e  dei  falsi  ragionamenti 
di  codesti  seitarii  » ,  aggiunge:  «  La  loro  audacia  è  ancora  manifesta 
per  un  nuovo  eccesso.  Noi  ricevemmo  poc'anzi  qui,  e  voi  riceverete 
certamente  fra  poco  in  Francia  una  supposta:  Memoria,  presentata  ai 
Padri  del  Concilio  Vaticano,  sopra  la  necessità  della  unanimità  morale 
nei  Concila  per  le  definizioni  dommatiche.  » 

Questo  è  appunto  il  libello  da  noi  confutato  nel  precedente  quaderno 
{voi.  X,  pag.  675-710.)  Or  ecco  qual  giudizio  ne  reca  i!  sapientissimo  e 
pio  Vescovo  di  Àngoulème. 

«  Questa  meschina  dissertazione,  già  conosciuta  e  rifiutata,  nella  qua- 
le verità  incontrastabili  ed  incontrastate  sono  sfigurate  per  guisa  da  es- 
sere trasformate  in  errori  fondamentali ,  si  termina  in  questa  nuova 
edizione  di  Napoli,  con  una  conclusione  di  quattro  pagine,  che  supera 
in  audacia  ed  in  temerità  tutto  quello  che  fin  qui  erasi  osato  scrivere 
contro  il  Concilio  e  contro  la  sua  autorità.  L'  infelice,  qualunque  sia  co- 
stui, che  le  ha  scritte,  se  non  è  già  precipitato  nell'eresia,  prende  difi- 
lato la  via  per  cadervi,  e  sembra  voler  strascinare  i  suoi  lettori  sino  al 
fondo  di  questo  abisso.  A  questi  clamori  da  furibondo,  alle  menzogne 
di  empii  novellieri ,  ai  falsi  ragionamenti  ed  alla  falsa  eloquenza  dei 
sofisti,  nulla  può  esser  meglio  che  il  contrapporre  la  grave  e  pia  parola 
del  venerabile  Arcivescovo  di  Cambray.  » 

6.  Ma,  la  Dio  mercè,  con  lutto  il  loro  imperversare,  i  Gallicani  non 
riescono  che  a  rendere  più  fervido  il  voto,  più  irresistibile  il  movimen- 
to dei  fedeli,  clero  e  popolo,  massime  nella  Francia,  in  favore  della  de- 
finizione dommatica  dell' infallibilità  del  Papa.  Ne  stanno  in  prova  gli 
indirizzi  che,  e  vanno  a  stampa  e  si  moltiplicano  continuamente,  massi- 
me neHT/mv/s,  e  quelli  che  sono  spediti  direttamente  al  Santo  Padre. 
Eziandio  di  quelle  Diocesi  onde,  per  ragioni  che  non  importa  accenna- 
re, pareva  che  si  dovesse  aspettare  soltanto  un  ossequioso  silenzio, 
giunsero  a  Roma,  con  numerose  firme,  indirizzi  accesissimi ,  in  cui  si 
professa  la  più  ferma  fede  in  questa  prerogativa  conferita  da  Cristo  a 
Pietro  ed  ai  suoi  successori.  Di  che  dobbiamo  contentarci  di  accennare 
quello  de1  sacerdoti  e  laici  di  Marsiglia;  e  l'altro  di  sacerdoti  di  Nifesa 
riferiti  nell'i rnivers  del  6-7,  e  delF8  Giugno. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  101 

7.  Da  Napoli  il  Clero  non  si  contentò  di  esprimere  i  suoi  voti,  ma 
volle  aggiungervi  una  offerta,  relativamente  cospicua,  con  più  di  mille 
cinquecento  nomi  di  sacerdoti  che  vi  presero  parte.  Di  che  fu  pubblica- 
ta néY Un{tà  Cattolica  n.°  135  dell'll  Giugno,  la  seguente  lettera. 

«  [Illustrissimo  signor  Direttore.  Il  capitolo  metropolitano,  la  curia  ar- 
civescovile, i  parrochi,  il  Clero  ed  il  Seminario  dell'arcidiocesi  di  Na- 
poli mal  soffrono  di  esser  secondi  allorché  trattasi  di  dimostrare  al 
Pontefice  dell'Immacolata  la  loro  fede  ed  il  loro  amore,  e  di  soccorrere 
alle  grandi  necessità  in  cui  ora  versa  il  Capo  ed  il  Pastore  supremo  del- 
la Chiesa.  Compiono  perciò  assai  di  buon  grado  il  dovere  di  corrispon- 
dere al  graditissimo  invito  fatto  dalla  S.  V.  Hlma  nel  suo  giornale  non 
mai  abbastanza  lodato,  offrendo,  secondo  le  attuali  loro  forze,  ma  di 
gran  cuore,  lire  4193  42. 

«  In  tale  occasione  presentano  anche  una  volta  i  loro  voti  per  la  de- 
finizione dommatica  dell'infallibilità  del  sommo  Pontefice  successore  di 
san  Pietro,  voti  già  innanzi  collettivamente  emessi  ed  umiliati  al  trono 
pontifìcio  daireminenlissimo  cardinale  Sisto  Riario  Sforza,  amatissimo 
loro  arcivescovo,  ora  in  Roma  al  Concilio  Vaticano.  È  stata  questa  sem- 
pre una  verità  cattolica  per  il  Clero  e  per  i  fedeli  di  Napoli,  sostenuta 
ancora  ed  insegnata  dall'  illustre  e  santo  Vescovo,  loro  concittadino,  Al- 
fonso Maria  de'Liguori.  Napoli,  31  Maggio  1870.  Filippo  canonico  Chi- 
liberti  Provicario  generale.  » 

8.  I  Gallicani  sentono  il  peso  di  cotali  dichiarazioni  ;  e,  tornando  loro 
impossibile  il  contrapporvi  alcun  che  di  somigliante  od  equivalente,  si 
studiarono  di  usufruttuare  il  silenzio  dignitoso  osservato  fino  a  poc'  anzi 
dal  Clero  Romano.  Quello  che  era  argomento  di  fede  che  non  sopporta 
nemmeno  d'essere  posta  in  dubbio,  fu  dai  Gallicani  irnsi'onmio  in  op- 
posizione tacita  ma  espressiva.  Corrispondenze  in  tal  senso  furono  scrit- 
te alla  Perseveranza  di  Milano,  alla  Nazione  di  Firenze,  al  Francois  pa- 
rigino, in  somma  a  quasi  tutti  i  foglietti  e  fogliacci  ostili  alla  Santa  Se- 
de. Ecco  per  saggio,  quello  che  dai  mestieranti  fu,  da  Roma,  scritto  al 
Francais,  che  se  ne  regalò  con  gran  diletto  nel  n.°  162  del  14  Giugno. 

«  Devo  narrarvi  un  fatto  accaduto  a  Roma ,  e  che  sembrami  assai  si- 
gnificativo rispetto  all'agitazione  d'una  parte  del  Clero  francese.  Sem- 
brami istruttivo  il  mettere  in  sodo  a  qual  punto  il  vero  spirito  romano 
è  differente  da  quello  che  si  figurano  i  corifei  dell'  Univers,  e  come  esso 
è  lontano  dalle  esagerazioni  e  da  tutto  quello  che  può  somigliare  a  ma- 
neggi d'uno  spirito  partigiano.  È  un  sintomo  curioso  di  cui  molto  si 
parla  a  Roma. 

«  I  parrochi  di  questa  città  essendo  interrogati  da  un  zelante  fra  loro 
sopra  la  convenienza  di  fare  un  indirizzo  al  Papa,  ad  instar  dei  francesi, 
che  seguono  con  entusiasmo  il  sig.  Veuillot,  parvero  approvare  la  sua 
proposta,  e  gli  dissero  di  compilare  Y  indirizzo,  e  di  convocarli  poscia 
per  deliberarvi  sopra.  Quando  Y  indirizzo  fu  compilato,  l'autore  della 


102  COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO 

proposta  riunì  i  54  parrochi  ili  Roma,  e  si  procelette  ai  voti  per  iscru- 
tinio  segreto.  Or  sapete  voi  chi  ne  rimase  stupito?  Dei  54  votanti,  46 
rifiutarono  il  disegnato  indirizzo  e  la  proposta  di  tarlo  ». 

Di  qui  inferiva  il  Gallicano  corrispondente  che  ben  può  altri  opporsi 
a  tutti  gli  eccitamenti  di  partilo  senza  incorrere  percò  taccia  di  Gallica- 
no e  senza  mancare  di  sensi  d'affetto  per  Ja  Santa  Sede. 

Le  stesse  cose,  ma  molto  meglio  incorniciate  di  menzogne  e  d'impo- 
sture, furono  scritte  specialmente  alla  Nazione  di  Firenze.  E  ciò  valse 
un  solenne  smacco  a  chi  tripudiava  di  tali  false  novelle,  e  ne  menava 
trionfo,  e  ne  inferiva  una  filza  di  conseguenze  ad  onore  e  gloria  dei 
Gallicani. 

Ecco  la  lettera,  scritta  da  uno  de1  calunniati  parrochi  di  Roma  a,\Y  Os- 
servatore Romano  n.c  127  del  Lunedì  13  Giugno. 

'<  Illustrissimo  Signore.  Sotto  la  data  dell'8  Giugno  nel  periodico 
La  Nazione,  si  legge  che  il  giorno  2  trovandosi  i  RR.  Parrochi  di 
Roma  adunati  presso  quello  di  S.  Maria  del  Popolo,  furono  pn  Lì 
da  comando  superiore  a  redigere  un  indirizzo  a  Sua  Santità  sulla  In- 
fallibilità, e  che  a  questo  inaspettato  annunzio  rimasero  attoniti  per 
la  violenza  che  si  faceva  alle  loro  coscienze,  che  molti  volevano  pro- 
testare, che  molti  altri  addussero  forti  e  sapienti  ragioni,  fra  i  qua- 
li il  parroco  di  S.  Tommaso  in  Parione,  Cipolla;  ma  che  tutto  fu  inu- 
tile  Ora  il  detto  parroco  di  S.  Tommaso  e  per  la  verità  e  per  il 

suo  onore  si  sente  obbligato  a  protestare  contro  la  calunnia,  e  per  la 
cosa  in  se  stessa,  e  per  riguardo  alla  sua  persona.  Imperocché  i  RR. 
Parrochi  avendo  risaputo  quanto  falsamente  avea  parlato  la  stessa  Na- 
zione in  altro  antecedente  articolo  sulla  loro  adesione  alla  dottrina  della 
infallibilità  del  Romano  Pontefice  spontaneamente  e  ad  una  sola  voce 
proclamarono  la  necessità  dell'  indirizzo  in  discorso  a  professione  della 
loro  vera  e  sincera  dottrina,  e  fra  questi  lo  scrivente  fu  uno  dei  primi  : 
fu  quindi  onorato  di  essere  fra  quelli  eletto  a  compilarlo  e  poscia  (inna- 
to da  tutti  i  RR.  Parrochi  umiliarlo  ai  piedi  di  Sua  Santità.  È  pertanto 
falsissimo  che  alcuni  ed  egli  specialmente  aboia  addotto  la  minima  cosa 
in  contrario.  Tutto  procede  spontaneo  in  unisono  applauso.  È  d'altron- 
de a  tutti  nota  la  dottrina  che  il  medesimo  nel  suo  pubblico  e  privato 
insegnamento  professa  e  dichiara,  che  è  appunto  quella  che  tiene  per 
fermo  il  romano  Pontefice  infallibile  allorché  ex  cathedra  decide  ciò  che 
riguarda  fede  e  costume,  e  che  è  dottrina  eminentemente  romana.  Ora 
prega  Y.  S.  che  si  compiaccia  inserire  nel  suo  ottimo  Periodico  questa 
sua  coscienziosa  dichiarazione  per  l'opportuna  pubblicità.  E  con  sensi  di 
stima  si  dichiara.  Di  V.  S.  Illnìa.  Roma  li  12  Giugno  1870.  Dino  » 
G.  Cipolla,  Parroco  di  S.  Tommaso,  professore  di  Teologia  morale,  nel 
pont.  Seminario  romano.  » 

LTndirizzo  dei  Parrochi  al  Santo  Padre,  di  cui  ci  fu  gentilmente  co- 
municato il  testo,  è  dei  più  belli,  dei  più  fervidi  che  ci  siano  venuti 


COSE  SPETTAMI  AL  CONCILIO  103 

sottocchio;  e  mentre  in  esso  sono  ribattute  le  calunnie  dei  tristi,  sono 
magnificamente  scolpiti  i  sensi  della  più  tenera  devozione  al  Papa,  e  del- 
la fede  più  inconcussa  nella  prerogativa  della  sua  infallibilità.  Ci  duole 
che  per  difetto  di  spazio  non  io  possiamo  qui  riprodurre  intero  come 
leggesi  anche  ne\Y  Unità  Cattolica,  n.p  141  del  19  Giugno;  ed  il  recitar- 
ne sol  qualche  brano  sarebbe  insuiìiciente  a  darne  adeguato  concetto. 
Ciò  basta  a  dimostrare  il  bel  guadagno  che  fanno  i  Gallicani  col  travol- 
gere a  servigio  della  loro  causa  perfino  il  silenzio  altrui. 

9.  11  venerando  mons.  Rcess,  Vescovo  di  Strasburgo,  sullo  scorcio 
del  Maggio,  e  dopo  d'aver  con  sentenza  canonica  proferita  contro  i  libel- 
li del  letterato  Gratry,  dato  l'esempio  di  quella  serie  di  condanne  onde 
questo  strumento  dei  Gallicani  fu  sfolgorato,  fu  costretto  dalle  condizio- 
ni della  sua  mal  sana  salute  a  ritornare  alla  sua  diocesi.  E  per  eguale 
cagione  dovette  ricondursi  alla  sua  sede  il  zelantissimo  mons.  Doney, 
Vescovo  di  Montauban.  Unno  e  l'altro  aveano  qui  a  Roma  proclamato 
altamente  la  loro  fede  nell'infallibilità  del  sommo  Pontefice  ex  cathedra, 
e  sostenuta  la  convenienza  e  la  necessità  di  pronunziarne  la  definizione 
dommatica.  Come  per  tal  guisa  essi  fossero  veri  interpreti  dei  sensi  e 
della  kùe  dei  loro  cleri  e  popoli  si  vide,  quando  essi  rientrarono  nelle 
rispettive  sedi.  Onde  di  cittadini  usciti  loro  incontro  per  le  vie  addob- 
bate a  festa,  cavalcate  d'onore,  processioni  del  clero,  plausi  sterminati 
ed  acclamazioni  al  Papa  infallibile  salutarono  questi  due  illustri  cam- 
pioni della  verità,  e  furono  loro  dolce  compenso  delle  sostenute  fatiche 
e  della  lotta  vittoriosa  in  cui  s'erano  ingaggiati  contro  le  congiurate 
consorterie  dei  Febbroniani  e  dei  Gallicani.  Le  quali  feste  sono  descritte 
nei  più  minuti  particolari  lìtWUnicers  del  5  e  dell' 8  Giugno. 

*     III. 

CRONACA  DEL  CONCILIO 

1.  Congregazioni  generali  —  2.  Cappelle  papali  —  3.  Felicitazioni  al  S.  Padre  — 
4.  Preghiere  pubbliche. 

1.  Nell'ultima  Congregazione  avanti  la  Pentecoste,  come  dicemmo  nel 
passato  quaderno,  si  pose  la  bramata  line  alla  discussione  generale  della 
Costituzione  dommatica  intorno  al  Capo  della  Chiesa,  continuatasi  in 
quattordici  Congregazioni  generali  coi  discorsi  di  sessantacinque  Padri. 
La  petizione  per  la  chiusura  della  discussione,  è  riportata  da  molti  logli, 
e  dice  così  :  «  Eminentissimis  ac  Reverendissimis  Cardinalibus  Praesidi- 
bus  Concilii  Patrei  in frascriplì:  Persuasum  habentes,  discussionem  su- 
per schemate  Constilutionis  de  Primatu  R.  Pontificis  generatim  spe- 
dato, de  quo  Riìii  Patres  ex  omnibus  regionibus  iam  loculi  sunt,  esse 
ex  omni  parte  exhaustam,  ac  protrahi  iam  non  posse,  quin  inutilibus 


104  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

aeque  ac  fastidiosis  repetitionibus  tempus  teratur,  ab  EiTiis  et  Ulffiis 
Praesidibus  humiliter  et  enixe  postulant,  iuxta  decreti  20  Febr.  teno- 
rem,  ut  de  fine  praefatae  discussioni  iraponenda  Congregationem  gene- 
ralem  quaniprimum  consulere  dignentur  »  —  La  petizione  era  segnata 
non  solo  da  10,  ma  da  150  Padri  ;  e  fu  accolta  dalla  immensa  maggioran- 
za dei  Padri  :  e  ciò  basti  in  risposta  a  quanto  ne  ban  detto  i  fogli  ostili. 
Il  Lunedì  dopo  Pentecoste  si  cominciò  la  discussione  speciale  sui  sin- 
goli capi.  Nelle  due  sole  settimane  dopo  Pentecoste  dal  6  al  18  Giugno 
si  tennero  nove  Congregazioni,  cioè  cinque  nel  Lunedi,  Martedì,  Giovedì, 
Venerdì  e  Sabato  della  prima  settimana,  e  quattro  nel  Lunedì,  Martedì, 
Mercoledì  e  Sabato  della  seconda.  Celebrarono  successivamente  la  Messa 
dello  Spirito  Santo  mgr.  Rossi  Vaccari,  Arciv.di  Colossi;  mgr.  Bar-Shi- 
no,  Arciv.  di  Salmas,  di  rito  caldeo;  mgr.  Lyonnet,  Àrciv.  di  Albi  ; 
mgr.  Escalada,  Arciv.  di  Buenos-Ayres;  mgr.  Errington,  Arciv.di  Tre- 
bisonda;  mgr.  De  Merode,  Arciv.  di  Melitene;  mgr.  Landriot,  Arciv. 
di  Reims  ;  mgr.  Purcell,  Arciv.  di  Cincinnati,  e  mgr.  Gallo,  Arciv. 
di  Patrasso.  La  discussione  va  seguitando  e  non  pare  fatto  senza  con- 
siglio ebe  nei  giorni  della  novena  e  dell'ottava  del  Principe  degli  Apo- 
stoli presso  la  sua  tomba  si  mettano  in  luce  dai  Padri  del  Concilio  le 
grandi  prerogative  del  suo  Primato. 

2.  I  Reverendissimi  Padri  del  Concilio  assisterono  pure  alle  cappelle 
papali  il  12  Giugno,  Domenica  dell1  augustissima  Trinità,  e  il  17  e  21 
Giugno,  anniversarii  della  esaltazione  al  Pontificato  e  della  coronazione 
di  Sua  Santità. 

3.  In  tal  ricorrenza  una  deputazione  composta  dagli  Anziani  fra  i  di- 
versi ordini  dei  Padri  del  Concilio  ecumenico,  e  dei  Prelati  Segreta- 
rio, e  sotto-segretario  ricevuta  in  udienza,  espresse  alla  Santità  Sua  a 
nome  di  tutti  i  Padri  le  felicitazioni  e^augurii  proprii  del  fausto  dì 
in  cui  il  Santo  Padre  entrò  nel  ventesimoquinlo  anno  di  Pontilicato. 

ì.  Nulla  diremo  dello  splendore  straordinario  della  solenne  proces- 
sione del  Corpus  Domini,  per  la  presenza  del  cattolico  episcopato  :  per 
quanto  augusto  e  commovente  sia  stato  quello  spettacolo,  diremo  piut- 
tosto di  aver  sentito  da  molti  Vescovi  che  le  semplici  processioni  di 
devozione  fatte  da  tutta  Roma  in  tutta  l'Ottava  di  Pentecoste  fecero 
in  essi  un1  impressione  ancor  più  profonda.  Sentimmo  ripeter  da  mol- 
ti che  quella  era  veramente  una  Settimana  Santa,  e  che  Roma  si  mo- 
strava degna  del  titolo  di  città  santa;  ed  ora  che  i  Vescovi  hanno 
nuova  occasione  di  vedere  la  fede  e  la  pietà  romana  nella  novena  e 
nell1  ottavario  dei  Principi  degli  Apostoli,  sentiamo  già  ripetere,  quasi 
proverbialmente, 

0  ROMA  FELIX,  quae  (Inorimi  Principimi 
Es  consecrata  glorioso  sanguine! 


CRONACA 

CONTEMPORANEA 


Roma  25  Giugno  1870. 


I. 

COSE  ITALIANE. 

Stato  Pontificio  1.  Vìsita  del  S.  Padre  alla  basilica  di  S.  Lorenzo  al  campo 
Verano;  inaugurazione  del  monumento  funebre  pei  morti  in  difesa  della 
Santa  Sede  nel  1867  —  2.  Altra  visita  di  S.  S.  alla  chiesa  di  S.  Antonio  dei 
Portoghesi —  3.  Estinzione  parziale  del  Debito  pubblico—  4. Nuovi  ac- 
quedotti a  Ciciliano,  Ienne  e  S.  ©reste. 

1.  Nelle  ore  pomeridiane  del  martedì  14  Giugno,  il  Santo  Padre  si 
recò  in  treno  ordinario  alla  patriarcale  basilica  di  S.  Lorenzo  fuori  le 
mura,  ed  al  Cimitero  comunale  attiguo  nel  campo  Verano,  per  osservarvi, 
già  compiute,  due  delle  opere  ivi  condotte  a  sue  spese;  che  sono,  in  pri- 
ma gli  affreschi  ond1  è  ornato  il  grande  muro  della  nave  maggiore  della 
Basilica;  poi,  nel  camposanto,  il  monumento  funebre  alla  memoria  dei 
militari  che,  combattendo  a  difesa  dei  sacri  diritti  del  sommo  Pontefice 
e  della  Chiesa  romana,  perderono  la  vita  nelle  fazioni  contro  gli  invasori 
dello  Stato  pontificio  nel  1867. 

Sua  Santità  fu  ricevuta  all'  ingresso  della  Basilica  dal  Presidente  dei 
PP.  Cappuccini  che  l'ufficiano,  dal  comm.  Spagna,  maestro  di  Casa  dei 
sacri  Palazzi  apostolici,  cui  è  commessa  la  cura  amministrativa  di  quelle 
opere,  e  dal  comm.  conte  Virginio  Vespignani  che  ne  inventò  e  diresse 
i  grandi  lavori.  Eranvi  ancora  S.  E.  il  Senatore  di  Boma  coi  Conservatori 
di  Boma,  e  S.E.  il  generale  Kanzler,  Pro-ministro  delle  armi,  con  altri 
Generali  e  gli  ufficiali  di  Stato  maggiore. 

■«  Il  Santo  Padre,  dice  il  Giornale  di  Roma  del  15  Giugno,  ardo  ado- 
rare l'augustissimo  Sagramento.  e  venerare  le  reliquie  insigni  dei  corpi 


106  CRONACA 

dei  santi  Leviti  Stefano  e  Lorenzo,  che  riposano  sotto  l'altare  della  Con- 
fessione, il  cui  ipogeo  fu  già  dalla  Santità  Sua  fatto  ridurre  alla  magni- 
ficenza che  ora  Tadorna.  Dipoi,  andando  attorno  per  le  navi  minori,  si 
fece  ad  osservare  gli  affreschi,  che,  fra  gli  ornati  dipinti  da  Luigi  Bazzani, 
sono  stati  recati  a  termine  dai  professori  cav.  Cesare  Mariani,  e  cav. 
Francesco  Grandi.  Il  primo  dei  quali,  in  due  grandi  quadri,  storiò  il 
martirio  e  la  sepoltura  di  santo  Stefano;  ed  il  secondo  il  martirio  e  la 
sepoltura  di  san  Lorenzo;  ed  ambedue  vi  operarono  eziandio  quelle  fi- 
gure isolate,  che,  secondo  l'adottato  sistema  generale  di  decorazione,  so- 
novisi  effigiate  a  ricordare  i  personaggi  che  della  Basilica  si  resero  be- 
nemeriti. Il  Santo  Padre  al  nominato  architetto,  ed  ai  ricordati  profes- 
sori, degnossi  mostrare  la  sovrana  soddisfazione  per  queste  nuove  opere; 
e  passato  nel  mezzo  della  grande  navata  gittò  lo  sguardo  ad  osservare 
T  effetto  dell1  assieme  che  il  vasto  edificio  ora  presento.  11  quale  effetto  è 
veramente  stupendo:  il  soffitto  sorretto  dalle  grandi  travature  dipinte  a 
meandri  schizzati  d' oro;  le  ampie  pareti  ricoperte  dalle  storie  cominciate 
dal  compianto  Fracassini,  e  continuate  dal  Cochetti,  dal  Mariani,  dal 
Grandi  ;  le  figure  dei  Santi,  che  sopra  fondo  a  musaico  campeggiano 
sulla  fronte  dell1  arco  trionfale,  e  le  decorazioni  svariate  che  sono  sparse 
dalla  fascia  della  cornice  ricavata  sulla  trabeazione  retta  dalle  colonne  di 
granito  sino  all'imposta  del  soffitto:  formano  tale  complesso  di  bellezze, 
che  può  affermarsi  essere  la  descritta  la  più  considerevole  opera  pro- 
dotta a  questi  giorni  in  Roma  dalla  pittura  in  buon  fresco.  » 

Il  Santo  Padre  traversò  poi  i  corridori  del  convento,  ove  degnossi 
fermar  l'attenzione  sopra  le  pitture,  i  cartoni  ed  i  disegni  dell'artista 
P.  Bernardo  da  Monaco,  cappuccino;  ed,  entrato  nel  camposanto,  salì 
al  colle  nelle  cui  viscere  girano  gli  ambulacri  della  celebre  catacomba 
di  S.  Ciriaca,  e  sul  cui  rispianato  ergesi  il  monumento  ai  morti  nel  1867, 
ideato  e  disegnato  dall'architetto  Vespignani  K 

Grandiosa  è  la  mole,  che  sorge  sopra  doppia  scalinata  di  marmo  ca- 
rislio,  formata  dal  primo  blocco  rinvenuto  negli  scavi  dell'Emporio;  e  il 
primo  corpo  prende  forma  da  un  intasamento  ad  otto  facce,  sopra  al 
quale  ne  posa  un  altro  di  forma  rotonda,  che  dà  luogo  al  dato  su  cui 
si  eleva  il  gruppo  colossale,  modellato  e  scolpito  dal  professore  cava- 
liere Vincenzo  Luccardi,  rappresentante  il  Principe  degli  Apostoli  in 
atto  di  consegnare  la  spada  ad  un  guerriero,  che  stende  la  destra  a  ri- 
ceverla, e  stringe  con  la  sinistra  un  vessillo,  sul  quale  si  leggono  le  pa- 
role orbis  eatholicus.  11  tondo,  sul  dinanzi,  dentro  ad  una  riquadratura, 
presenta  a  leggere  le  parole:  accipe  sanclum  gladiimi  mutmi  a  lieo -in 
dièieies  adccrsarios-populi  mei  Israel-  ;  e  nella  parte  opposta:  non 
in  multitudine  exercitus  Victoria  belli  -  sed  de  melo  forliludo  eM  -  :  sen- 

1  Civ.  Cali.  Serie  VII,  Tot.  II,  pag.  733-35. 


CONTEMPORANEA  107 

lenze  cavate  dai  libri  dei  Maccabei.  Ai  lati  del  tondo  sono  pure  entro 
ovati  due  mezze  figure  a  bassorilievo  scolpite  dallo  stesso  Luccardi;  e 
lima  rappresenta  la  Fede,  l'altra  la  Fortezza.  Le  parti  poi  del  monu- 
mento designate  da  cornici,  sono  tutte  messe  a  ornati  di  encorpi,  di  an- 
tefisse, di  corone,  di  fogliami,  lavorati  dal  Carimiui,  dal  Palombìni,  dal- 
l'Augusti.  Le  facce  poi  del  primo  imbasamento  ottagono  contengono  le 
ÈscriEÌoni  .ommemorative.  In  quella  di  mezzo  si  legge:  Fortissimis 
militibus-  ìndifjenis  e.cterisque-qui  anno  MDCCCLXYH-adcersus  copias 
jtar/ic'dnrum-  plnribus  pracliis-  prò  Religione-  atque  urbis  incolumi- 
tate  -  <!imicanfes  -  in  ipsa  Victoria  -  vitam  cum  sanguine  profuderunt- 
Pius  IX.  Ponti  fex  ììfaximiis  ^monumentimi  fieri  iussit-quo  gratae  Ipsius 
■volun'alis  -  in  filios  meritissimos  -  rirtulisque  eorum  memoria  -  sancta 
atque  sacrala  -  postcritaii  tradatur,  -  Nelle  altre  facce  sono  registrati 
i  nomi,  la  patria,  e  il  grado  di  ciascuno  dei  defonti ,  posti  in  ordine 
sotto  quelli  che  ricordano  i  luoghi  ove  i  combattimenti  avvennero,  e 
che  sono  così  designati:  Balneoregii  -  Farnesii-ad  monterà  Brittum-Ne- 
fulae  -  YHerbii  -  Ereti  -  Romae-ad  Nomentum  -  Attorno  è  il  Monumen- 
to difeso  da  balaustrata  a  spranghe  di  ferro  incrociate,  nel  cui  nodo  sta 
la  Decorazione  accordata  alle  milizie  a  ricordo  di  quella  guerra,  e  che 
sono  raccomandate  a  cippi  ove  •tanno  scolpiti  emblemi  di  fortezza.  Il 
luogo  ove  sorge  è  una  piazza  formata  ad  emiciclo  con  cipressi,  e  attor- 
no ad  essi  erano  per  la  circostanza  di  ieri  schierati  drappelli  di  ogni 
corpo  delle  pontificie  milizie. 

«  lì  Santo  Padre,  arrivato  dinanzi  al  Cenotafio,  in  suffragio  dell1  anima 
dei  suoi  prodi  militari  defunti  recitò  il  salmo  De  profundis,  e  dal  copioso 
numero  dei  Vescovi,  che  seguivano  Sua  Santità,  e  dal  popolo,  stando 
tutti  genuflessi,  ne  furono  alternati  i  versetti  e  si  rispose  alle  preci.  Poi, 
seduto  sotto  un  magnifico  padiglione  di  velluti,  che  quivi  era  stato  eret- 
to, ammise  al  bacio  del  piede  gli  ufficiali  superiori  delle  milizie,  gli  ar- 
tisti che  aveano  lavorato  nella  chiesa  e  ne!  monumento,  e  a  tutti  diri- 
gendo parole  di  benevolenza  e  di  encomio,  li  regalò  di  una  medaglia. 
Finalmente  andò  attorno  per  osservare  nei  particolari  le  opere  del  mo- 
numento, manifestando  all'architetto  direttore  la  sovrana  soddisfazione. 
Sua  Santità  lasciò  il  camposanto  fra  le  dimostrazioni  le  più  vive  del- 
la moltitudine  accorsa,  che  ai  reverenti  saluti  univa  la  dimanda  del- 
l'apostolica benedizione;  e  fece  ritorno  alla  pontificia  residenza  del 
Vaticano. 

2. 11  giorno  30  di  Maggio  Sua  Santità  s1  è  degnata  di  onorare  della  sua 
augusta  visita  lo  Stabilimento  di  S.  Antonio  dei  Portoghesi,  conforme 
air  invito  che  ne  avea  ricevuto  l'anno  scorso  dal  sig.  cav.  de  Quillinan, 
incaricato  d'affari  del  Portogallo  in  quel  tempo.  Il  Duca  di  Saldanha 

kavea,  mentr'era  ancora  in  Roma,  ordinata  la  ristorazione  degli  stucchi  e 
delle  indorature  di  quel  tempio,  una  delle  più  nobili  chiese  nazionali  di 


1 08  CRONACA 

Roma,  e  ne  avea  affidata  la  direzione  al  eh.  architetto  conte  Vespignani, 
i  coi  disegni  furono  da  lui  approvati.  Partito  poco  dopo  il  maresciallo, 
quei  lavori  furono  cominciati  dal  suo  nipote  D.  Pietro  da  Costa,  e  poscia 
continuati  dal  cav.  de  Quillinan,  il  quale  ha  dato  saggio  di  assai  huon 
gusto  artistico  nella  scelta  del  soggetto  pel  quadro  della  nave  grande, 
allogato  al  giovane  artista  Nobili.  Esso  riferiscesi  alla  pia  tradizione,  per 
cui  lo  scudo  portoghese  ha  per  insegna  le  cinque  piaghe  di  N.  Signore: 
e  quindi  rappresenta  la  nobile  figura  del  fondatore  della  monarchia  Lu- 
sitana, don  Alfonso  Ilenriques,  nell'atto  di  ricevere  dalle  mani  d'  un  an- 
gelo il  sacro  vessillo,  che  gli  assicurava  la  vittoria  sopra  i  Saraceni.  Ciò 
si  collega  bene  colle  dipinture  a  fresco  della  cupola,  e  colle  dipinture  a 
fuoco  dei  vetri  colorati;  perchè  sì  le  une  come  le  altre  rappresentano  i 
Santi  e  le  Sante  portoghesi:  con  che  si  può  dire  esser  quivi  ricordata 
tutta  la  storia  religiosa  della  Lusitania. 

Attendevano  Sua  Santità  sulla  soglia  della  chiesa,  S.  A.  R.  donna  Isa- 
bella di  Braganza,  Infanta  di  Portogallo,  tutti  i  membri  dell'Ambasciata,  i 
Vescovi  di  Algarve,  Lamego,  e  Capo  Verde,  il  sig.  cav.  de  Quillinan,  go- 
vernatore del  pio  Istituto,  i  cappellani,  le  Suore  di  S.  Giuseppe  dell'Ap- 
parizione, e  con  essi  molli  altri  signori  portoghesi.  Le  giovani  allieve 
delle  dette  Suore,  biancovestite  e  coronate  di  fiori,  facevano  ala  al  pas- 
saggio, che  percorse  il  Santo  Padre.  Il  quale,  dopo  di  avere  adorato  il 
SSfllo  Sacramento,  si  degnò  osservare  minutamente  tutti  i  lavori  nuovi 
eseguiti  nella  chiesa  e  nella  sacrestia,  parte  di  ristauro,  parte  di  abbelli- 
mento, e  ne  manifestò  la  sua  più  viva  soddisfazione.  Quindi  asceso  nel- 
r  aula  massima  dell1  Istituto,  ove  intorno  intorno  pendono  dalle  pareti 
damascate  i  ritratti  dei  Re  del  Portogallo,  e  assisosi  sul  trono  quivi  pre- 
paratogli, ricevette  una  grata  sorpresa  dal  mirare  nella  soffitta  il  suo 
proprio  ritratto,  nell'atto  di  benedire  quei  signori  Portoghesi  che  avean 
preso  parte  a  quel  ristauro,  e  che  quivi  erano  dipinti  al  naturale;  e  ciò 
erano  il  Duca  e  la  Duchessa  di  Saldanha,  il  sig.  D.  Pietro  da  Costa  colla 
sua  consorte,  ed  il  cav.  de  Quillinan  colla  sua  moglie  e  la  sua  figliuola. 
Il  Santo  Padre  comprese  tosto  il  delirato  pensiero,  che  quell'affresco 
esprimeva,  e  ne  mostrò  la  sua  alta  soddisfazione  al  Governatore  del- 
l'Istituto. 

Essendo  quindi  stato  servito  uno  splendido  rinfresco,  il  S.  Padre  de- 
gnossi  colla  bontà  sua  consueta  di  distribuire  dei  dolci  colle  sue  proprie 
mani  alle  allieve  delle  Suore  di  S.  Giuseppe.  Quindi  S.  A.  l'Infanta  di 
Portogallo  offerse  al  Papa  un  magnifico  mazzo  dei  più  rari  ed  eletti  fio- 
ri, stretto  nel  piede  da  un  gran  nastro  di  seta,  ove  leggevasi  in  lettere 
ricamate  in  oro,  il  motto  :  A  Sua  Santità  il  Pontefice  Pio  IX,  la  Congre- 
gazione di  S.  Antonio  de  Portoghesi  in  Roma.  L'accolse  il  S.  Padre  colla 
più  cortese  benevolenza:  e  sul  punto  di  lasciar  quella  sala,  con  paterna 
effusione  benedisse  tutta  quell'adunanza,  e  rivolse  parole  di  approvazione 


CONTEMPORANEA  169 

e  d'incoraggiamento  al  cav.  de  Quillinan,  governatore  dell'  Istituto,  al 
conte  Vespignani  architetto,  al  sig.  Nobili  pittore,  ed  al  sig.  Moroni,  fa- 
bricante  di  vetri  colorati,  i  quali  aveano,  ciascuno  per  la  sua  parte,  coo- 
perato a  quei  ristauri.  Una  tal  visita,  che  durò  non  meno  di  due  ore,  la- 
sciò in  tutti  i  Portoghesi  quivi  presenti  la  più  dolce  impressione,  che 
non  si  cancellerà  giammai  dai  loro  cuori. 

Il  dì  8  Giugno  poi  venne  solennemente  aperta  al  pubblico  la  detta 
chiesa  di  S.  Antonio,  novellamente  ristaurata.  La  nobile  maestà  dei  mar- 
mi, degli  stucchi  dorati,  delle  pitture  e  dei  vetri  colorati  era  ravvivata 
ancor  di  più  dai  fiori,  dai  paramenti,  dalla  illuminazione;  cosichè  a  ve- 
derla era  un  vero  incanto.  Vi  si  celebrarono  i  santi  riti  con  accompa- 
gnamento di  orchestra  e  di  canto,  sotto  la  direzione  del  maestro  Rolland, 
e  vi  venne  recitato  dal  Rev.  P.  Anacleto  di  S.  Felice,  dell1  Ordine  di 
S.  Francesco,  un  eloquentissimo  ed  appropriatissimo  sermone. 

3.  Tutti  sanno  in  quali  strettissime  condizioni  versano  le  finanze  pon- 
tificie, e  con  quali  tergiversazioni  il  Governo  rivoluzionario  di  Firenze, 
sottraendosi  in  gran  parte  all'adempimento  degli  obblighi  che  gli  era- 
no stati  imposti  dalla  Francia  con  solenne  trattato,  non  cessa  di  fare  ogni 
opera  per  aggravare  vie  peggio  i  risultati  delle  rapine  compiute,  a  dan- 
no della  Santa  Sede,  nel  1859  e  nel  1860. 

Malgrado  di  ciò,  e  dei  dispendii  renduti  necessarii  per  la  invasione 
regio-garibaldesca  del  1867,  la  Santa  Sede  con  la  più  rigorosa  puntua- 
lità adempie  i  suoi  doveri  verso  i  creditori  dello  Stato,  e  procede  rego- 
larmente, alle  epoche  prefisse,  alla  parziale  estinzione  del  suo  debito 
pubblico. 

Di  che  sta  in  prova  una  Notificazione  del  Ministero  delle  finanze , 
sotto  il  7  Giugno  1870,  pubblicata  nel  Giornale  di  Roma,  n.'  128,  per 
la  estrazione,  da  farsi  il  15  Giugno  di  1,333  certificati  di  credito  sul 
pubblico  tesoro,  emessi  per  l' imprestito  del  1863. 

Con  la  somma  di  scudi  133,333,33.3. ,  pari  a  lire  716,668.  66,  fondo 
da  impiegarsi  nella  presente  estrazione,  saranno  ammortizzati  1,33$ 
certificati  tra  quelli  e  messi  nel  1683  pel  prestito  di  quattro  milioni  di 
scudi;  il  qual  debito  dovea  estinguersi  in  15  anni;  e  rimarrà  un  resi- 
duo di  scudi  33,33,  pari  a  lire  179,16  da  erogarsi  nella  ventura  estra- 
zione. Sarà  affissa  il  più  presto  possibile,  nei  soliti  luoghi,  la  distinta 
dei  numeri  estratti  dei  certificati,  per  norma  dei  relatici  possessori.  Nel 
giorno  6  Luglio  si  aprirà,  nella  cassa  della  Deposi teria  in  Roma,  il  pa- 
gamento del  capitale  alla  pari  dei  certificati  sortiti;  il  quale  pagamento 
verrà  eziandio  eseguito  dagli  amministratori  camerali  delle  province  a 
favore  di  chi  lo  domanderà,  secondo  i  regolamenti. 

4.  È  pur  da  mettere  in  nota  un  fatto,  che  dimostra  la  incessante  sol- 
lecitudine del  Santo  Padre  per  migliorare  in  ogni  guisa  le  condizioni  dei 
suoi  figli  e  sudditi,  spendendo  in  ciò  del  suo  privato  peculio,  e  per  via 


110  CRONACA 

di  provvedimenti  intesi  principalmente  ad  agevolare  il  traffico  colFapri- 
re  nuove  strade,  ed  a  giovare  V  igiene  pubblica,  col  fornire  di  acque  po- 
tabili e  saluberrime  i  comuni  che  ne  dilettano;  come  poc'anzi  raccon- 
tammo essersi  fatto,  oltre  che  in  Anagni,  Alatri,  Ferentino,  Ceccano  e 
Sezze,  anche  a  Frodinone  1.  Questa  stessa  lieta  ventura  toccò  poc'anzi  a 
Ciciliano,  a  Ienne  ed  a  S.  Oreste  nella  Comarca.  Mercè  dei  sussidii  con- 
ceduti da  Sua  Santità,  i  lavori  necessari  a  condurvi  acqua  di  eccellente 
qualità  dovranno  in  breve  essere  compiuti  per  Ciciliano,  ed  impresi  e 
condotti  celeremente  a  Ienne  e  S.  Oreste.  Di  che  non  è  a  dire  quanto  va- 
dano lieti  e  siano  grati  al  Santo  Padre  gli  abitanti  di  quelle  borgate. 

Toscana  e  Stati  annessi  1.  Festa  dello  Statuto  —  2.  Agitazione  mazziniana  — 
3.  Lagnanze  e  confessioni  d'un  giornale  ufficioso  pel  brigantasgio  —  4.  Fi- 
lantropia dei  Frammassoni  di  Ravenna;  suoi  effetti  per  le  suore  di  Carità. 

1.  Nei  primi  anni  della  rivoluzione  italiana  per  festeggiare  lo  Statuto 
ottriato  da  Carlo  Alberto,  che  spalancò  all'Italia  le  porte  di  quell'Eden 
di  beatitudini  in  cui  ora  si  va  deliziando,  si  spendeano  ingenti  somme  di 
pecunia;  ma  il  più  delle  volte  le  intemperie  guastavano  gli  apparecchi 
delle  luminarie  e  dei  fuochi  artificiali ,  e  rendeano  fastidiosissime  le  ras- 
segne di  truppe  e  di  Guardia  nazionale.  Si  dovette  pertanto  venire,  con 
successive  traslazioni  della  festa  ad  epoca  meno  inclemente,  cercando  un 
giorno  in  cui  fosse  probabile  il  beneficio  d'un  cielo  sereno.  Ma  che?  Ces- 
sato quell'inconveniente,  eccone  più  altri.  La  Guardia  nazionale  che  do- 
yea  dare  il  principale  lustro  a  quella  festa,  a  poco  a  poco  si  venne  scio- 
gliendo ,  così  che  spesso  non  si  riesce  che  a  grandissimo  stento  a  rag- 
granellare tanti  uomini ,  quanti  bastano  a  rappresentare  uno  smilzo 
battaglione,  anche  nelle  grandi  metropoli,  come  Milano,  che  sulla  carta 
posseggono  le  quattro  e  le  sei  legioni  di  questi  prodi.  Venne  pertanto  a 
mancare,  per  queste  feste,  il  lustro  del  Palladio;  quanto  al  rimanente, 
le  crescenti  gravezze  di  balzelli  enormi  tolsero  anche  ai  più  fanatici  ogni 
fervore  di  spendere  del  proprio  per  celebrare  un  fatto,  da  cui  non 
ebbero  fin  qui  se  non  libertà  littizie  e  rovine  reali  d'  ogni  genere.  Onde 
Ja  festa  dello  Statuto  intisichì,  cometa  Guardia  nazionale,  ed  oggimai 
sta  per  essere  sepolta  nella  stessa  tomba  in  cui  giacciono  le  tante  altre 
•e  liberalesche  del  1848  e  del  1849. 

Tuttavia,  per  decoro,  la  (ìazzelta  ufficiale  si  studia  di  mantenere  in 
buona  riputazione  codesta  solennità  intristita;  e  perciò  alli  6  Giugno, 
prffna  di  recare  le  novelle  delle  bande  mazziniane  formatesi  su  quel  di 
Lucca  e  di  Sarzana,  ne  faceva  quella  descrizione  che  recitammo  nel  pre- 
ste Tol.  X,  a  pag.  MI.  Il  vero  si  è  che  niuno  si  accorse  dell 

1  C  v.  r0lt.  Serie  MI,  voi.  IX,  pag.  610-21. 


CONTEMPORANEA  111 

Mica  esultanza;  e  che  l'ordine  fu  mantenuto  per  una  semplicissima  ra- 
gione, cioè  che  è  impossibile  il  disordine  quando  non  ve  nò  moltitudi- 
ne affollata,  ne  motivo  onde  le  plebi  abbiano  a  commoversi. 

Pertanto  non  è  da  stupire  se  i  giornali  di  quasi  tutte  le  città  parla- 
rono di  tal  pubblica  esultanza  con  quello  stile  e  con  quella  vivacità,  che 
molto  bene  si  addice  anche  ad  un  mortorio;  ed  anzi  non  pochi  se  ne  bef- 
farono altamente.  Così ,  per  esempio ,  da  Firenze  scrissero  alla  ministe- 
riale Lombardia  dei  6  Giugno  che  non  si  badò  allo  Statuto  :  «  Noi  fac- 
ciamo gran  conto,  disse  il  corrispondente,  del  carnevale  e  passiamo  in 
silenzio  la  festa  dello  Statuto  ».  A  Parma ,  secondo  il  Presente  del  5, 
la  festa  nazionale  fu  sospesa  «  in  causa  della  pioggia,  quantunque  non 
piovesse  ».  A  Genova,  disse  il  Dovere  del  6,  «  abbiamo  conlato  fino  a 
cinque  finestre  imbandierate».  A  Torino  fu  vista  la  bandiera  di  Mao- 
metto presso  il  Collegio  internazionale,  dove  stanno  gli  Egiziani,  il  cor- 
rispondente della  Nazione  dei  7  Giugno  trovò  in  Torino,  nella  festa 
nazionale,  «  un  silenzio  che  potrebbe  essere  scambiato  in  uno  sconfor- 
to o  in  qualche  cosa  più  significante  ».  A  Milano,  scrisse  quella  Gazzet- 
ta, «  su  16  battaglioni  di  guardia  nazionale  si  potè  formarne  uno  di  due- 
cento uomini  circa  ».  E  questa  si  chiama  esultanza  pubblica,  esultanza, 
massima? 

2.  Ma  non  è  da  stupire  che  i  popoli  avessero  ben  altro  pel  capo, 
che  di  menar  festa  e  tripudio  per  uno  Statuto,  di  cui  si  è  nella  pratica 
abrogato  il  poco  che  contenea  di  buono ,  cominciando  dal  primo  suo  ar- 
ticolo spettante  alla  religione;  e  di  cui  si  è  volto  il  rimanente  a  servire 
di  strettoio,  per  ispremere  dai  contribuenti  la  massima  parte  degli  averi 
loro,  sotto  forma  di  balzelli,  che  si  gettano  nella  voragine  delle  Finanze, 
ad  ingrassarvi  un  branco  di  settari».  Tanto  più  che  I1  avvenire  appari- 
sce anche  più  fosco,  per  1'  espettazione  in  che  tutti  stanno  di  un  confitto 
inevitabile  tra  le  due  fazioni  avverse  che  parteggiano,  l' una  per  la  mo- 
narchia rivoluzionaria,  l'altra  per  la  repubblica.  Ciascuna  di  queste  due 
parti  presumeva  di  sfruttare  le  forze  dell'altra  a  proprio  profitto.  I  mo- 
derati credeano  che  Mazziniani  e  Garibaldini  potessero  tornare  utili  a 
compiere  Y  unità  d'Italia  a  profitto  della  monarchia;  e  perciò  fin  qui  li 
carezzavano;  ma  ora  si  accorgono  che  quelli  non  si  contentano  di  esse- 
re braccia,  e  vogliono  diventar  capo  del  corpo  settario  italiano.  I  de- 
mocratici tennero  le  parti  della  monarchia,  per  potere,  dietro  al  suo 
esercito,  salire  al  Campidoglio,  ma  col  fermo  proposito  di  gettare  poi 
la  Monarchia,  come  una  buccia  spremuta,  dall'alto  della  rupe  Tarpea. 

Gli  uni  e  gli  altri  ora  s'accorgono  di  stare  come  due  mastini  affamati 
presso  un  osso.  L'osso  è  Roma,  di  cui  chi  fosse  padrone  facilmente  fa- 
rebbesi  padrone  del  resto  d' Italia.  Di  qui  ancora  lo  screzio  fra  il  Gari- 
baldi ed  il  Mazzini.  Quegli  voleva  anzi  tutto  Roma,  e  poi  da  Roma  ban- 
dire la  repubblica;  questi,  temendo  che  Roma  non  si  potesse  conquista- 


112      •  CRONACA 

Te  con  sole  bande  di  venturieri,  o  che  vi  si  dovesse  opporre  l'esercito 
Tegio  per  contrastare  la  preda,  voleva  che  anzi  tutto  si  spiegasse  la  ban- 
diera repubblicana  in  Firenze,  a  Milano,  a  Genova,  a  Napoli  ;  poi  si 
•marciasse  su  Roma.  Il  litigio  si  compose  con  un  accordo,  che  alle  due 
imprese  si  procedesse  contemporaneamente;  mentre  le  bande  repubbli- 
cane doveano  occupare  le  truppe  ed  il  Governo  nell'alta  e  nella  bassa 
Italia,  dalla  centrale  altre  squadre  tenterebbero  un  colpo  sopra  Roma. 
Questo  disegno  andò  fallito,  per  ora;  però  universalmente  si  crede  che 
non  sia  abbandonato,  ma  differito  ad  effettuarsi  per  l'epoca  in  cui,  come 
sperano  que'settarii,  il  Governo  francese  si  risolvesse,  per  motivo  qual- 
siasi, a  richiamare  la  brigata  di  sue  truppe  che  tiene  su  quel  di  Viterbo 
^e  di  Civitavecchia. 

Onde  si  spiegano  i  moti  accaduti,  e  la  facile  loro  repressione.  Quelli 
furono  come  i  primi  saggi  allo  scandaglio;  questa  era  preveduta  e  non 
iscoraggi  punto  la  setta  repubblicana.  Il  Governo  cerca  di  cavarne  pro- 
fitto: 1.*  per  persuadere  il  Governo  francese  che  la  cagione  di  tutto  il 
malessere  dell1  Italia  sta  neh'  essere  questa  priva  della  sua  capitale,  Ro- 
ma; 2.#  che  se  non  si  fa  presto  ad  appagare,  col  dare  Roma  all'Italia, 
questo  voto  nazionale,  divenuto  oggimai  una  necessità  ineluttabile,  il 
Governo  potrebbe  essere  soverchiato  e  divenire  impotente  a  frenare  la 
repubblica;  il  che  non  tornerebbe  a  prò  della  quiete  dei  vicini  e  della 
Francia  stessa. 

Ad  ogni  modo  certo  è  che  l'agitazione  mazziniana  contro  la  monarchia 
è  più  efficace  che  mai;  e  che  le  speranze  della  garibalderia  rispetto  a 
Roma  sono  sempre  vivaci,  non  senza  compiacimento  del  Governo  di  Fi- 
renze che  si  tien  sicuro  e  di  domare  i  repubblicani,  e  di  potersi  appro- 
priare i  frutti  d'una  nuova  spedizione  sul  modello  di  quella  di  Marsala. 

Se  ne  ha  chiaro  indizio  nel  favore,  di  cui  è  onorato  quell'Enrico  Cer- 
nuschi,  di  cui  abbiamo  parlato  nel  precedente  volume  X,  a  pag.  499  ;  e 
che  perciò,  espulso  dalla  Francia,  fu  subito  proposto,  suo  malgrado, 
come  Deputato  per  Guastalla;  e  vi  riportò  di  fatto,  nello  scrutinio  che 
si  tenne  la  domenica  5  Giugno,  una  pluralità  relativa  di  voli,  che  è  mol- 
to espressiva.  Erano  173  gli  elettori  concorsi  a  dare  il  loro  suffragio; 
10*2  votarono  pel  repubblicano  Enrico  Cernuschi,  dichiara tissimo  nemi- 
co della  unità  monarchica  d'Italia,  e  partigiano  schietto  d'una  unità  fe- 
derale repubblicana.  Per  contro  un  tal  Carlo  Verga,  candidato  del  Gover- 
no, ebbe  appena  42  voti.  Lo  scrutinio  non  fu  decisivo,  perchè  altri  22 
voti  andarono  dispersi.  Ma  ciò  basta  a  far  vedere  qual  progresso  abbia 
fatto,  tra  quelli  che  non  hanno  ribrezzo  di  avvolgersi  tra  codeste  brighe, 
l'idea  repubblicana. 

Per  altra  parte  i  giornali  democratici,  che  professano  di  tenere  le  pitti 
del  Mazzini,  continuano,  malgrado  delle  parecchie  decine  di  sequestri 
fatti  per  pura  cerimonia  e  senza  effetto  veruno  di  pena,  a  bandire  alto 


CONTEMPORANEA    .  113 

la  repubblica,  combattendo  con  ardore  e  con  audacia  impareggiabile  fin 
le  persone  singole,  non  che  la  dinastia  intera  di  casa  Savoia.  E  pare  che 
sperino  di  riuscire  ali1  intento.  Federico  Campanella,  che  è  Valter  ego 
del  Mazzini,  mandò  stampare  sul  Dovere  di  Genova  del  6  Giugno  una 
lettera, in  cui  disse  schietto  :  «  Ciò  che  ancora  non  si  è  fatto,  si  farà;  ne 
sono  certo.  »  Ed  il  compare  di  Caprera,  Yeroe  Garibaldi  scrisse  ad  un 
suo  masnadiere,  per  nome  Sammito,  quest'altra  promessa  :  «  Sarò  con 
voi  nell'arena  tino  all'ultimo,  quantunque  già  intirizzito  di  corpo,  non 
d'anima.  » 

Le  finanze  sono  l'agguato  in  cui  i  repubblicani  aspettano  il  Governo 
per.  sospingerlo  al  precipizio  ;  ed  il  Governo  che  ha  soldati,  baionette  e 
cannoni,  aspetta  che  i  repubblicani  escano  in  campo,  per  secondarli  se 
vengono  contro  Roma,  per  isbaragliarli  senza  far  loro  troppo  male,  se 
si  muovono  contro  la  monarchia.  L1  una  parte  vale  l'altra,  quanto  ad 
onestà  e  capacità  di  far  bene  ai  popoli.  Dio  protegge  l' Italia  cattolica. 

3.  Intanto  Camera  e  Governo  studiano  il  modo  di  spremere,  con  nuovi 
balzelli,  nuove  rendite  ;  e,  mentre  i  popoli  sono  così  espilati  per  mille 
guise  da  un  Governo,  che  almeno  dovrebbe  potere  e  sapere  proteggere 
quel  poco  che  loro  lascia  delle  sostanze,  e  difendere  le  persone  e  le  vi- 
te, sono  continue  e  troppo  fondate  le  lagnanze  perchè,  quello  che  non 
è  loro  tolto  dal  Governo,  resta  alla  graziosa  mercè  dei  malandrini.  Di 
che  vogliamo  recare  una  testimonianza  non  sospetta  di  esagerare  le  co- 
se a  vitupero  del  Governo:  ed  è  un  articolo  dell'  Italia  militare  del  15 
Giugno,  riprodotto  senza  critica  o  riserva  veruna  dalla  ufficiosa  Opinio- 
ne nel  n.°  166  del  17  Giugno,  intorno  alle  geste  gloriose  dei  briganti. 

«  Nel  mese  di  Maggio  si  ebbe  una  notevole  recrudescenza.  I  super- 
stiti delle  vecchie  bande ,  che  si  tenevano  celati ,  tornarono  alla  campa- 
gna, e  ricominciarono  lo  storia  dolorosa  delle  uccisioni,  dei  ricatti  e  dei 
furti.  Un  rapido  sguardo  alle  divisioni  di  Napoli,  di  Salerno,  di  Catan- 
zaro e  di  Chieti  darà  ai  lettori  un'idea  del  peggioramento  seguito. 

«  Nella  divisione  di  Napoli  fece  molto  danno  e  portò  molto  sgomento 
la  banda  Fuoco.  Il  1'  Maggio  il  Fuoco  ricattò,  sulla  strada  tra  Presenza- 
no  e  Yenafro ,  tre  persone  :  un  possidente,  un  utììziale  telegrafico  e  uno 
scrivano;  uccise  il  primo,  gli  altri  lasciò  liberi  dopo  il  pagamento  d'una 
forte  somma.  —  Il  3  Maggio  lo  stesso  Fuoco  assalì  e  ferì  un  giovine 
mandriano  nel  bosco  Petrosa.  —  Il  giorno  4  cinque  briganti  s' impadro- 
nirono d'un  proprietario  di  Angri,  e  lo  lasciarono  libero  mediante  la 
somma  di  L.  1,275  pagata  dalla  famiglia.  Il  giorno  11 ,  presso  la  sta- 
zione di  Boscotrecase,  il  capo  brigante  Antonio  Cazzolino  ferì  gravemen- 
te di  palla  il  brigadiere  a  piedi  De  Gaspari  1'  Giulio,  appiattatosi  per  ar- 
restarlo. Il  giorno  16  la  banda  d'Alena  e  Pomponio  catturò  e  rilasciò  al 
prezzo  di  mille  piastre  un  giovane  contadino  della  montagna  di  Formia. 
Il  giorno  24  tre  briganti ,  fra  i  quali  si  crede  ci  fosse  il  Fuoco ,  presero 
Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  487.  8  25  Giugno  1870. 


114  CRONACA 

presso  Fonteorsara  un  guardaboschi  e  lo  uccisero  a  colpi  di  bastone. 
Il  giorno  29  lo  stesso  Fuoco,  aiutato  da  due  compagni,  aggredì  un  pro- 
prietario, certo  Delia,  nel  comune  di  Monteroduni ,  e  gli  rubò  danaro  e 
oggetti  di  vestiario  per  il  valore  di  L.  132  ;  apparsa  in  quel  punto  una 
pattuglia  del  6°  reggimento  granatieri,  i  tre  briganti  fuggirono.  Il  gior- 
no 25  si  presentarono  alla  autorità  tre  briganti. 

«  Netta  divisione  di  Salerno  fi  fu  di  peggio.  11  2  Maggio,  nel  comu- 
ne di  Carmine,  due  possidenti  furono  catturati  da  una  comitiva  di  otto 
briganti,  a  cui  il  giorno  dopo  riuscirono  a  sfuggire;  quella  venne  arresta- 
ta sette  giorni  dopo.  Il  giorno  6,  i  noti  briganti  Cappuccini ,  Tiracanale 
e  Pannicelli,  nel  comune  di  Matera,  assalirono  e  legarono  a  un  albero 
un  guardiano,  certo  Filippo  Nicola;  dopo  di  che,  introdotti  i  in  una  vi- 
cina capanna  dov'  eransi  ricoverate  alcune  donne ,  ne  trassero  fuori  una 
di  sedici  e  due  di  diciassette  anni,,  e  le  stuprarono  poco  lungi  di  Là, 'la- 
sciandole libere  poi.  Il  giorne  8  tre  briganti,  nel  comune  di  Matera,  cat- 
turarono un  oste  insieme  al  suo  figliuolo  quattordicenne  e  a  un  contadi- 
no incontrato  per  via;  rilasciarono  poi  Y oste  per  una  rilevante  somma 
pagata  dalla  moglie,  dopo  avergli  reciso  un  orecchio;  ritennero  il  fi- 
gliuolo. La  sera  del  10,  presso  il  villaggio  Bosco,  due  briganti  cattura- 
rono un  contadino  di  quarantanni  e  un  suo  ragazzo  dodicenne,  che  non 
restituirono  prima  d'aver  ricevuto  la  somma  di  L.  2000.  Il  15,  nel  ter- 
ritorio di  S.  Martino  d'Agri  ;  due  briganti  entrarono  in  una  fattoria,  vi 
uccisero  dodici  pecore,  sei  vacche  ed  un  asino  e  poi  diedero  il  fuoco  al- 
la casa.  Il  giorno  16  veniva  assalite  la  valigia  postale  sulla  stradi  da 
Triedrico  a  Potenza,  e  due  carabinieri  vi  rimanevano  feriti.  Il  18 ,  nel 
territorio  dei  Giganti ,  cinque  briganti  assalivano  un  contadino  e  Io  de- 
rubavano di  un  mulo  del  valore  di  L.  500.  Il  22,  nel  comune  di  Case- 
letto  Spartano,  tre  briganti  ricattarono  un  giovanetto  di  17  anni,  che 
riuscì  a  fuggire. 

«  Il  23,  tre  contadini  di  Marsiconovo  si  davano  alla  campagna  come 
briganti ,  e  cominciarono  immediatamente  la  loro  carriera  aggredendo 
due  conladini,  bastonando  una  donna  e  tentando  di  sequestrare  un  mer- 
eiaio. Ma  il  comandante  di  quella  luogotenenza  ,  coadiuvato  dalle  altre 
autorità,  tanto  fece  che  nel  pomeriggio  del  2i  i  tre  novelli  briganti  si 
andarono  a  costituire.  Nello  stesso  giorno,  dietro  indizii  avuti  dal  sinda- 
co di  Licesati,  fu  fatta  una  perlustrazione  dai  militi  della  Guardia  na- 
zionale, soldati  di  fanteria  e  carabinieri  nella  montagna  di  Bulgheria,  do- 
ve si  rinvenne  un  cadavere  in  istato  di  completa  putrefazione,  ricono- 
sciuto poi  per  il  capobanda  Marino  Nicola  da  Àntola.  Il  27,  in  contrada  di 
Ponte  di  Sora,  tre  briganti  catturarono  un  contadino.  Uno  di  essi  aveva 
i  calzoni  rossi  (caso  grave).  Il  28,  un  possidente  di  Connilicchio  veniva 
sorpreso  dal  brigante  Notaro  da  Pollica  con  due  suoi  compagni.  Datosi 
alla  fuga,  i  briganti  gli  tirarono  due  fucilate,  di  cui  una  lo  ferì  alla  spalla, 


C03TEMPORAN E A  115 

V altra  al  braccio.  Il  29,  in  contrada  Limanti,  i  briganti  trucidarono  nel- 
le proprie  case  due  donne. 

«  Divisione  di  Catanzaro.  Poco  di  consolante  anche  qui.  Un  rapfo  di 
domi  !  honestà,  come  dicevano  le  gride  dell1  eccellentissimo  signor  Gon- 
zalo Fernandez  di  Cordova,  fatto  da  un  brigante  il  giorno  4  nel  territo- 
rio di  Longoimco;  una  ragazza  di  16  anni  portata  via,  si  può  dire,  sot- 
to il  naso  del  padre  e  non  più  vista.  Il  giorno  19  la  comitiva  brigante- 
sca dei  Castagneti,  capitanata  dal  noto  Gesualdo  Donato  ,  comparve  nel 
territorio  di  Gonfienti  e  vi  ricattò  due  contadini.  In  questo  mentre,  pas- 
sando per  là  cinque  donne,  tra  cui  una  di  27,  una  di  26,  e  una  di  15 
anni,  queste  ultime  tre  furono  rapite,  e  portate  via  e  stuprate.  Nello 
stesso  tempo  i  briganti  assalivano  altre  tre  persone ,  tra  cui  una  donna 
di  23  anni,  che  stuprarono  subito,  un  povero  diavolo  a  cui  mangia- 
rono il  valore  di  50  lire  in  pane,  salame  e  formaggio,  lui  spettatore. 
Poche  ore  dopo  la  stessa  comitiva  di  briganti  sgozzava  in  un  bosco  68 
pecore  e  ne  feriva  15,  e  se  ne  andava  poi  senza  lasciar  traccia  di  se. 
Il  22  altra  aggressione  nel  territorio  di  Celigo;  per  parìe  di  tre  brigan- 
ti, che  pretendevano  da  un  contadino  nientemente  che  il  tributo  di  tre 
revolvera ,  di  due  orologi ,  d'  un  canocchiale. 

«  Nella  divisione  di  Chieti  apparve  una  banda  di  dodici  briganti ,  che 
fu  instancabilmente,  ma  senza  risultato,  perseguitata  dalla  truppa.  Ap- 
parve pure,  nel  circondario  di  Vasto  e  Lanciano,  la  banda  Tola-Crocit- 
to.  La  divisione  di  Bari  fu  la  più  tranquilla  », 

Si  ponga  questo  quadro  a  confronto  di  quel  che  abbiamo  ragionato 
nel  precedente  quaderno  (voi.  X,  pag  649-59)  circa  la  distruzione  del 
brigantaggio  nello  Stato  pontificio,  ed  apparirà  manifesto  sempre  più 
qual  sia  l'origine  del  brigantaggio,  e  quanta  sia  T  inettitudine  del  Go- 
verno massonico  a  reprimere  efficacemente  il  male. 

4.  Tuttavia  i  frammassoni  sono  eccellenti  in  una  cotale  loro  arte  di 
Governo,  a  cui  danno  nome  di  filantropia;  ed  il  risultato  è  costante- 
mente quello  di  togliere  ai  poveri  popolani  ogni,  sussidio  che  loro  ven- 
ga dalla  carità  cristiana;  tanto  li  acceca  rodio  che  professano  per  tutto 
ciò  che  tiene  di  Chiesa  cattolica.  Animati  da  questo  spirito  diabolico  i 
frammassoni  che  prevalgono  nel  consiglio  municipale  di  Ravenna,  con 
l'usata  loro  filantropia,  eransi  risoluti  di  dare  lo  sfratto  a  quei  modelli 
di  abnegazione  che  sono  le  ammirabili  Suòre  della  Carità,  togliendo  lo- 
ro ogni  ingerenza  negli  istituti  dove  si  provvede  alle  miserie  di  corpo 
e  di  spirito  dell'afflitta  plebe.  A  Dio  piacque  che  non  riuscissero  se  non 
in  parte  all'intento.  Eccone  il  racconto  scritto  da  Ravenna  a\V Ancora  di 
Bologna. 

«  Le  Suore  della  Carità,  da  gran  tempo  in  Ravenna  dirigono  varii 
stabilimenti,  cioè:  1."  L'ospedale:  2.°  L'orfanotrofio  femminile:  3/  Un 
florido  Educandato  con  pubbliche  scuole  per  le  fanciulle  estere:  L*  L'asi- 


116  CRONACA 

lo  infantile.  La  Congregazione  di  Carità  non  può  ingerirsi  dell'Educan- 
dato e  ddle  Scuole,  che  non  sono  cose  di  sua  ispezione;  ma,  siccome 
questo  duplice  stabilimento  è  impiantato  nell'Orfanotrofio,  così  spera- 
vano dissipare  tanto  le  scuole  che  l'Educandato,  rivocando  improvvisa- 
mente il  locale  da  lunghi  anni  occupato  dietro  convenuto  compenso.  In- 
nanzi tutto  però,  affine  di  salvar  le  apparenze,  decisero  di  attaccare 
quelle  impareggiabili  maestre  come  inette  air  insegnamento,  credendole 
sprovviste  di  patente  governativa.  Ma  quale  non  fu  lo  stupore  di  questi 
dabben  uomini,  quando  si  avvidero  del  grosso  granchio  preso  a  secco? 
Le  buone  Suorine  sono  munite  di  regolare  patente  non  solo,  ma  quasi 
tutte  l'hanno  di  prima  classe.  —  Primo  fiasco  dei  massoni. 

«  In  quanto  all'abitazione  poi,  esse  non  hanno  mica  aspettato  che  lor 
venga  fatta  la  intimazione  di  sloggiare  ;  ma  per  tempo  hanno  acquistato 
a  contanti  un  locale  veramente  magnifico,  arieggiato,  salubre  e  spazio- 
so, nel  bel  centro  della  cita,  con  ampii  cortili  e  comodi  senza  fine.  Ivi 
quanto  prima  andranno  ad  allogarsi  colle  scuole  e  coir  Educandato.  Que- 
sto, in  luogo  sì  vantaggioso,  bello  e  capace,  prenderà  novella  vita,  e 
lo  vedremo  prosperare  più  di  prima.  —  Secondo  fiasco. 

«  L'amministrazione  dell'Asilo  poi  non  ha  voluto  convenire  in  alcun 
modo  di  rimandare  le  Suore  di  Carità,  che  prestano  ai  bambini  cure  tan- 
to amorose.  —  Terzo  fiasco. 

«  Per  le  ottime  infermiere  dell'ospedale  la  Provvidenza  si  è  servita  di 
un  mezzo  affatto  inatteso.  I  membri  della  Congregazione  di  carità  col 
nuovo  loro  presidente  sedevano  un  giorno  a  consiglio,  allorché  compar- 
ve a  loro  dinanzi,  come  si  narra,  una  visita  inaspettata.  Era  un  certo 
F...  M...,  popolano  a  tutti  ben  noto,  ma  specialmente  al  conte  Gioac- 
chino, perchè  ferro  vecchio  di  bottega...  oggi  però  divenuto  un  pruno 
negli  occhi  a  lui  ed  al  Governo  stesso.  Ebbene  costui  arditamente  disse 
sapere  abbastanza  di  che  si  trattava;  ma  che  i  signori,  non  avendo  biso- 
gno di  farsi  curare  al  pubblico  ospedale,  non  sono  giudici  competenti; 
ciò  toccare  al  popolo.  E  questo  giudicare  per  prova  che  le  Suore  sono 
utili  e  necessarie  ai  poveri  infermi.  Egli  stesso  averlo  sperimentato...  Si 
guardassero  adunque  dal  molestarle,  altrimenti  avrebbero  che  fare  con 
lui  e  coi  suoi  compagni  !..  .  A  quel  viso  a  quelle  parole  franche,  a  quel- 
le minacce....  si  diceche  quei  signori  tutti  cagliarono,  facendo  pro- 
messe, assicurazioni,  per  non  irritare  maggiormente  la  belva!  Quindi  il 
M....  fattosi  paladino  dell'innocenza  e  della  virtù  vilipesa  e  calunniata, 
si  condusse  all'ospedale  per  dir  parole  di  conforto  alle  caritatevoli  sue 
infermiere,  assicurandole  che  egli  e  i  suoi  vegliavano  alla  loro  difesa,  e 
guai  a  chi  ardisse  toccarle!.... 

«  Di  (Tatti  esse  sono  fortunate  di  trovarsi  ancora  al  loro  posto  per  pro- 
digare le  più  amorevoli  cure  ai  poveri  infermi.  Solo  le  Suore  dell'Orfa- 
notrofio non  avendo  trovato  difensori,  sono  rimaste  a  discrezione  dei 


COMEMPORANEA  117 

frammassoni,  i  quali,  nella  suddetta  Congregazione. di  carità,  hanno  da- 
to in  maggioranza  voti  per  cacciarle.  Laonde  presto  le  povere  orfanelle 
dovranno  distaccarsi  dalle  ottime  loro  istitutrici  per  essere  affidate  a  chi 
sa  quali  altre  maestre.  Preghiamo  Dio  e  la  Beata  Vergine  a  non  abban- 
bandonare  affatto  queste  povere  fanciulle  1  » 

II. 

COSE  STRANIERE. 

Spagna  1.  Decreto  sopra  il  giuramento  del  Clero  —  2.  Protestazione  indirizza- 
ta al  reggente  Serrano  dagli  Arcivescovi  e  Vescovi  —3.  Schema  di  leg- 
ge contro  il  Clero  —  4.  Richiami  dell'Episcopato  alle  Cortes  —  5.  Lettera 
del  Duca  di  Montpensier  circa  il  suo  duello  con  don  Enrico  di  Borbone  — 
6.  Sentenza  della  Corte  marziale  contro  ilMontpensier  —  7.  Lettera  dei  figli 
di  D.  Enrico,  per  rifiutare  l'indennità  loro  assegnata  dalla  Corte  Marziale. 

1.  Prima  d'ingolfarci  nel  pelago  della  rivoluzione  che  continua  ad 
imperversare  nella  Spagna,  crediamo  opportuno  di  registrare  alcuni  at- 
ti rilevantissimi  che  spettano  alle  relazioni  tra  la  Chiesa  e  lo  Stalo;  e 
che  mettono  sempre  meglio  in  evidenza  di  qual  natura  sia  la  libertà  che 
i  Frammassoni  intendono  di  dare  e  guarentire  alla  Chiesa  in  compenso 
d'averle  rapinalo  i  beni.  I  procedimenti  della  setta,  a  questo  riguardo, 
sono  da  per  tutto  i  medesimi.  Libertà  sconfinata,  anzi  licenza  ed  immu- 
nità d'ogni  legge  divina  ed  umana  pei  settarii;  ma  oppressione  tiran- 
nesca e  schiavitù  perpetua  pel  Clero  e  pei  cattolici.  Noi  siamo  di  pare- 
re che,  se  per  avventura  si  promulgherà  per  legge,  in  Italia  e  nella  Spa- 
gna, l'abolizione  della  pena  di  morte  per  qualsiasi  reato  eziandio  di  al- 
to tradimento,  non  si  ommetterà  di  fare  una  espressa  eccezione  pei 
chierici  e  pei  preti  o  per  gli  ascritti  a  qualche  società  cattolica.  Non  è 
pertanto  da  meravigliare  che,  appena  in  uno  stato  trionfa  con  la  rivolu- 
zione la  setta,  questa  sia  sollecita  di  proporre  che  si  abolisca  sì  il  giu- 
ramento di  fedeltà,  ma  che  invece  questo  si  imponga  al  Clero,  appun- 
to per  avere  un  pretesto  legale  di  più,  onde  poterlo  torturare  e  mettere 
al  bando  d'ogni  legge  d'umanità. 

Abbiamo  riferito  a  suo  tempo  1  come  fosse  prontamente  ammessa 
dalle  Cortes  e  mutata  in  legge  la  proposta  di  imporre  al  Clero  il  giura- 
mento di  fedeltà  allo  Stato  ed  alla  Costituzione,  avendo  il  Zorrilla  di- 
chiaralo, nella  tornata  del  25  Novembre  1869,  che  la  Santa  Sede  avea 
riconosciuto  al  Governo  del  Reggente  il  diritto  di  esigere  dal  Clero  que- 
st'atto. La  Santa  Side  fece  palese  la  verità  schietta,  a  tal  proposito,  con 
una  nota  ufficiale  inserita  nel  Giornale  dì  Roma  del  venerdì  1  Aprile 
1870  ;  la  quale  fu  da  noi  trascritta  testualmente  nel  citato  volume  X,  a 
pag.  -244-43. 

Cagione  determinante  della  pubblicazione  di  tal  nota  era  un  decreto, 
promulgato  nella  Gaceta  ufficiale  di  Madrid  alli  19  Marzo  ;  in  virtù  del 

1  Civ.  Catt.  Serie  VII,  toI.  X,  pag.  122. 


118  CROISÀfA 

quale  lutti  gli  Arcivescovi,  Vescovi,  Parrochi,  Religiosi  fuori  del  chiostro 
ed  ecclesiastici  d'ogni  ordine,  erano  astretti  a  dover  prestare  V  imposto 
giuramento.  Gli  Arcivescovi  e  Vescovi  che  {ossero  presenti  a  Madrid 
doveano,  entro  un  mese,  e  senza  alcuna  riserva,  restrizione  o  condizione 
di  sorta,  giurare  fedeltà  alla  Costituzione,  «  al  cospetto  di  Dio  r  sopra  i 
santi  Ecangeli  »  fra  le  mani  di  S.  E.  il  Ministro  di  Grazia  e  Giustizia. 
Nelle  province  i  Vescovi  ed  loro  Capitoli  doveano  prestarlo,  nella  slessa 
forma,  tra  le  mani  dei  Presidenti  delle  Corti  di  Giustizia.  I  cleri  delle  pa- 
rocehie,  i  religiosi  fuori  del  chiostro,  ed  ecclesiastici  tutti  doveano  pu- 
re, entro  un  mese,  comparire  innanzi  al  rispettivo  Giudice  di  prima 
istanza,  e  giurarvi  fedeltà  alla  Costiluzione  secondo  la  forma  prescritta 
ai  Vescovi.  Agli  ecclesiastici  d'ogni  ordine,  che  fossero  residenti  fuori  di 
Stato,  prolungavasi  di  due  mesi  il  tempo  utile  a  compiere  lo  slesso  atto 
innanzi  agli  incaricati  d'Affari  o  Consoli  di  Spagna. 

2.  L'Episcopato  spagnuolo,  che  trovasi  quasi  lutto  riunite  in  Roma 
pel  Concilio  ecumenico,  e  vi  dà  l'esempio  di  quella  invitta  fermezza,  di 
quella  scienza  soda,  di  quella  pietà  profonda,  di  quella  devozione  incrol- 
labile alla  Santa  Sede,  per  cui  gode,  troppo  meritamente,  la  venerazione 
universale:  F  Episcopato  spagnuolo  prese  a  disamina  le  condizioni  poste 
alla  prestazione  del  giuramento,  ed  avuti  da  fatti,  e  dalle  chiose  bandite 
nelle  Cortes,  nuovi  schiarimenti  sopra  il  senso  schietto  ed  assoluto  che 
dal  Governo  altribuivasi  a  quella  forinola  di  giuramento;  dopo  matura 
deliberazione  fu  unanime  nel  firmare  e  spedire  a  S.  E.  il  maresciallo  Ser- 
rano, duca  della  Torre,  reggente  di  Spagna,  una  protestazione  in  buo- 
na forma,  riprodotta  nell'  Univers  dell'  11  Maggio,  e  la  cui  versione  ita- 
liana, stampata  vAX  Osservatore  Romano  n.  103  del  14  Maggio,  noi  sia- 
mo lieti  di  qui  trascrivere  distesamente. 

«  Serenissimo  signore.  1  sottoscritti  Vescovi  spagnuoli,  residenti  a 
Roma  in  occasione  del  Concilio  ecumenico,  si  dirigono  rispettosamente  a 
Vostra  Altezza,  adempiendo  il  doloroso  dovere  di  recare  a  vostra  cogni- 
zione le  considerazioni  gravissime,  che  impediscono  ad  essi  di  prestare, 
e  di  autorizzare  il  loro  clero  a  prestar  giuramento  alla  nuova  Costituzio- 
ne politica,  conformemente  al  decreto  del  Ministro  di  Grazia  e  Giustizia 
del  17  di  Marzo  ultimo.  L'atto  religioso,  che  il  Governo  di  Vostra  Altez- 
za esige  d:>.i  Vescovi  e  dal  Clero,  offende  altamente  la  coscienza  e  la  di- 
gnità de' Vescovi.  Esso  eccede  la  competenza  del  potere  temporale.  Esso 
nemmanco  è  in  armonia  con  la  costiturione  che  voi  ordinate  di  giurare. 
Vostra  Altezza  ci  permetterà  di  richiamare  un  tratto  la  sua  attenzione 
su  questi  tre  punti. 

«  Questa  prestazione  di  giuramento  offende  altamente  la  nostra  co- 
scienza e  la  dignità  nostra,  merceeehò  egli  è  notorio,  che  l'Episcopato 
spagnuolo  ha,  non  è  minto,  fallo  delle  rimostranze  contro  alcune 
messe  nell'attuale  Costituzione;  conciossiachè  sieno  opposte,  non  sola- 
mente alle  gloriose  tradizioni  e  costumanze  del  popolo  spagnuolo.  ma 
contrarie  pur  anco  alla  santa  legge  di  Dio,  che  obbliga  pi  Stali  e  i  par- 
ticolari, e  non  acconciasi  a  quella  specie  d'ateismo  politico,  che  attribui- 
sce de' diritti  eguali  alle  superstizioni  da  una  parto,  e  alla  verace  reli- 
gione dall'altra,  agli  errori  in  pori  modo  ebe  alla  \  trita,  al  male  cosi 
come  al  bene.  1  Vescovi,  maestri  legittimi  in  ciò  che  riguarda  la  religio- 
ne e  la  morale,  hanno  rappresentato  e  formulato  il  loro  giudizio  sui  ma- 


CONTEMPORANEA  119 

li  gravissimi,  che  trarrebbero  seco  per  la  religione  queste  basi,  le  loro 
naturali  conseguenze,  risultamenti  non  meno  funesti  pe'costumi,  la  pace 
e  la  tranquillità  delle  popolazioni,  che  sono  ad  essi  affidate,  e  della  cui 
salute  sono  essi  responsabili  verso  il  supremo  Pastore.  Or  bene;  il  giu- 
dizio del  Ministro  di  grazia  e  giustizia  si  eleva  contro  questo  giudizio 
dottrinario,  e  dice:  La  legge  fondamentale  nulla  contiene  che  si  oppon- 
ga ai  precetti  religiosi.  Ei  da  ciò  inferisce  che  il  Clero  dee  giurarla  as- 
solutamente sui  santi  Evangeli.  La  dignità  e  la  coscienza  dell1  Episcopa- 
to sono  esse  così  ben  salve?  Può  egli  così  solamente  giurare? 

«  Ma,  soggiunge  il  Ministro,  la  Santa  Sede  ha  riconosciuto  che  il  giu- 
ramento è  lecito,  e  dichiara  all'Episcopato  ch'ei  può  prestarlo.  Gli  è  ve- 
ro! solamente  ha  scordato  d'aggiungere  che  questa  dichiarazione  della 
Santa  Sede  è  stata  fatta  in  seguito  d'un'altra  dei  Governo  spagnuolo,  che 
avea  fatto  sapere  el  Santo  Padre  che,  chiedendo  esso  al  clero  il  giura- 
mento, non  esigeva,  o,  come  ci  si  è  tradotta  la  sua  idea,  non  pensava 
ad  esigere  che  il  clero  giurasse  alcuna  cosa  contraria  alle  leggi  di  Dio 
e  della  Chiesa.  Il  che  significa  che  il  giuramento  non  ricadrebbe,  in  al- 
cun caso,  su  ciò  che  nella  Costituzione  potesse  esser  contrario  a  queste 
leggi.  Una  tale  riserva  sparisce  allorché  si  esige  un  giuramento  assoluto, 
in  pari  tempo  che  affermasi  non  essere  nella  Costituzione  alcun  che  di 
contrario  ai  precetti  religiosi.  Inoltre,  noi  non  pensiamo  che  siasi  detto 
nulla  al  Santo  Padre  sul  proposito  della  contribuzione  da  parte  del 
clero  alla  consolidazione  di  questa  grande  opera  delle  Cortes,  ed  alla  sua 
approvazione  delle  libertà  conquistate  nella  rivoluzione  di  Settembre. 
Vostra  Altezza  comprende  ch'egli  è  d'uopo  che  noi  aggiungiamo  una  pa- 
rola, perchè  le  condizioni  hanno  essenzialmente  variato. 

«  Noi  abbiamo  detto  ancora  che  il  giuramento  voluto  nella  forma  spe- 
cificata nel  decreto  eccede  le  attribuzioni  del  potere  temporale.  Se,  in 
vero,  questo,  in  quanto  esso  ha  per  obbietto  il  benessere  temporale  dei 
cittadini,  dee  esigere  il  rispetto,  la  fedeltà  e  l'obbedienza  alle  leggi,  in 
quanto  ch'esse  non  avversino  ciò  che  dobbiamo  a  Dio;  esso,  d'altra  par- 
te, non  è  fondato  per  obbligare  a  riconoscere  buono,  giusto  e  convenien- 
te ciò  che,  in  realtà,  non  apparisce  tale.  Esso  può  imporci  sagrifizii  nel- 
l'interesse della  società  e  del  pubblico  bene;  ma  il  sagrifizio  non  mai  del- 
la coscienza,  né  quello  dell'onore  e  della  dignità  personale,  che  ogni  go- 
verno, ogni  autorità  dee  rispettare  ne'suoi  subordinati. 

«  Così,  non  solamente  la  coscienza,  ma  l'onore  eziandio  e  la  dignità 
impediscono  l'Episcopato  e  il  Clero  di  prestare  il  giuramento  che  loro 
si  richiede.  Quest'onore  e  questa  dignità  sono  pei  sacerdoti  guarentigia 
di  alta  stima;  essi  non  possono  rinunciarvi  senza  perdere  l'ascendente 
indispensabile  per  esercitare  con  frutto  il  loro  ministero.  Il  popolo  noa 
fa  astrazioni,  il  popolo  spagnuolo  che  ha  veduto  e  che  vede  che  all'om- 
bra della  nuova  costituzione,  o  come  conseguenza  dei  suoi  principii  fon- 
damentali, si  annulla  il  concordato  solenne  conchiuso  con  Sua  Santità; 
si  considerano  i  sacerdoti  come  una  sorta  d'ini  piegati  dello  Stato,  si  spo- 
gliano del  loro  diritto,  si  latino  passare  presso  gli  altri  per  avere  i  loro 
mezzi  di  sussistenza,  giusto  indennizzo  che  loro  appartiene;  si  distrug- 
gono le  chiese;  si  disperdono  le  famiglie  religiose  di  monaci  e  si  fanno 
gemere  sotto  duri  trattamenti  deboli  donne  consacrate  a  Dio;  si  pro- 
getta, con  una  notoria  incompetenza,  di  sopprimere  i  Vescovadi  e  i  Ca- 


120  CRONACA 

pitoli  ;  il  popolo  spagnuolo,  che  ha  veduto  e  vede  tutto  questo,  senza 
contare  mille  altre  cose,  quale  concetto  avrebbe  esso  dei  suoi  Vescovi 
e  del  suo  Clero,  se  li  vedesse  comparire  innanzi  all'autorità  civile  per 
giurare  fedeltà  alla  Costituzione,  ciò  che,  agli  occhi  del  popolo,  parreb- 
be essere  una  vera  adesione  ai  deplorabili  eccessi  or  ora  enumerati?  No, 
ei  non  appartiene  ad  alcun  potere  pubblico,  ci  non  conviene  al  Gover- 
no della  nazione,  ei  non  conviene  alla  nazione  stessa,  cattolica  nella 
sua  immensa  maggioranza,  che  l'Episcopato  e  il  Clero  s1  inchinino  a 
questa  umiliazione,  perdendo  la  salutare  influenza,  che  loro  è  stata  sì 
vantaggiosa  e  sempre  lo  sarà  per  l'ordine  e  la  tranquillità  delle  na- 
zioni !  Come  una  esigenza  ed  un  costringimento  di  questa  natura  po- 
trebbero mai  conciliarsi  con  una  costituzione  che  dicesi  essere  libéra- 
lissima, con  una  costituzione  che  proclama  la  libertà  di  coscienza  e 
consacra  tanti  diritti  individuali?  Come  conciliare  il  giuramento  con  Dio 
•  co'  santi  Evangeli  in  favore  d'una  costituzione  che,  legalmente,  non 
riconosce  né  Evangelii  ne  Dio? 

«  Vostra  Altezza  è  troppo  illuminata  perchè  i  sottoscritti  abbiali 
bisogno  di  dire  una  parola  di  più.  Terminando  il  rispettoso  loro  indi- 
rizzo, si  limiteranno  a  protestare  contro  ogni  idea  politica,  o  qualunque 
pensiero  di  partito,  che  si  pretendesse  loro  attribuire.  Cittadini  spa- 
gnuoli,  essi  rispettano  i  poteri  costituiti,  e,  senza  che  siavi  bisogno  di 
giuramento,  essi  sanno  serbare  la  fedeltà  e  l'obbedienza  dovuta  alle  leg- 
gi, non  per  timore,  ma  bensì  per  coscienza,  per  ì l'ordine  di  Dio  e  pei 
precetti  della  Chiesa.' 

«  Il  sig.  Ministro  di  grazia  e  giustizia  non  abbia  timore  di  vedere  che 
i  Vescovi  e  il  Clero  vogliano  tentare  di  opporsi  al  vero  progresso  del 
popolo  spagnuolo  ed  allo  sviluppo  di  una  libertà  saggia  e  ragionevole. 
Noi  non  crediamo  che  questa  apprensione  abbia  colpito  il  Governo  in- 
nanzi al  rifiuto  dei  Deputati  di  prestar  giuramento  alla  Costituzione. 
Esso  può  avere  meno  ancora  una  tale  apprensione  rispetto  alla  condotta 
dei  Vescovi  e  del  Clero,  cui  non  si  potrebbe  imporre  come  dovere  ciò 
che  è  stato  libero  rispetto  agli  autori  della  legge  fondamentale.  No,  nes- 
suno, più  che  la  Chiesa  cattolica,  è  amico  della  libertà,  del  progresso  e 
della  civiltà  nel  vero  significato  della  parola.  La  Chiesa  cattolica  non 
ha  orrore  della  libertà,  ma  bensì  del  liberticidio:  ella  non  condanna  la 
civiltà,  ma  non  vuole  che,  sotto  pretesto  di  progresso,  si  cancellino 
diciannove  secoli  dalla  storia,  e  che  si  faccia  retrocedere  l'umanità  verso 
le  tenebre  e  gli  errori  del  paganesimo. 

«  I  Vescovi  sottoscritti  hanno  la  fiducia  che  Vostra  Altezza  si  de- 
gnerà apprezzare  le  loro  osservazioni,  e  non  insisterà  da  vantaggio 
per  esigere  un  giuramento,  che,  oltre  al  non  essere  necessario  nò  con- 
veniente, li  ferisce  in  ciò  che  la  loro  coscienza  ha  di  più  intimo,  av- 
vilisce la  loro  dignità,  toglie  il  prestigio  al  loro  ministero  ed  è  contra- 
rio allo  spirito  stesso  della  costituzione.  Infrattanto,  essi  pregano  Dio 
che  conservi  ed  illumini  V.  A.  ed  il  vostro  Governo  per  poter  promuo- 
vere la  pace  e  il  benessere  della  nostra  patria  tanto  agitata.  Roma 
il  2G  di  Aprile  1870.  » 

Seguono  le  firme  di  38  Prelati,  che  sono  due  Cardinali  Arcivescovi,  il 
Patriarca  delle  Indie,  cinque  Arcivescovi  e  trenta  Vescovi. 


CONTEMPORANEA  121 

3.  Appena  fatto  sancire  dalle  Cortes,  e  bandire  col  mentovato  decreto 
del  17  Marzo,  il  nuovo  corredo  di  catene  pel  Clero,  il  ministro  Montero- 
Rios,  che  era  succeduto  al  Zorrilla  nel  Ministero  di  Grazia  e  Giustizia, 
fu  sollecito  di  presentare,  alli  22  Marzo,  uno  schema  di  legge  che  stava 
sommamente  a  cuore  del  suo  degnissimo  antecessore,  il  quale  già  l'avea 
ammannito,  secondo  le  idee  della  parte  più  anticristiana  della  setta  e 
dei  progressisti. 

Questo  schema  di  legge,  per  ischerno  e  strazio  della  verità,  è  intitola- 
to: Arreglo  del  Clero,  e  non  ha  altro  scopo  che  di  disorganizzare  il  Clero 
sospingendolo  allo  scisma,  e  spezzandone  i  vincoli  disciplinari;  e  per  es- 
so pretende  la  setta  di  riporre  la  cattolica  Spagna  «  sotto  la  salvaguardia 
dello  Stato  e  del  diritto  comune.  » 

In  virtù  dei  privilegi,  che  si  guarentiscono  al  Clero,  i  Yescovi  ed  i 
chierici  avranno  la  facoltà  di  andare  e  venire  dove  e  come  loro  piaccia, 
senza  impedimento  di  sorta,  tranne  il  caso  d'una  sentenza  esecutoria 
rcnduta  da  un  tribunale  competente.  Oh  portento  di  benignità  masso- 
nica! Si  contenta  di  non  tener  incatenati  e  nelle  galere  i  Vescovi  ed  i 
preti,  ma  di  lasciarli  andare  evenire  come  loro  piace,  riservandosi  il  di- 
ritto di  chiuderli  in  carcere  con  opportune  condanne! 

Ciò  non  basta.  La  magnanimità  dei  frammassoni  non  conosce  limiti; 
e  perciò  i  Vescovi  e  chierici  godranno  anche  in  tutta  la  loro  ampiezza 
della  «  libertà  di  parola,  di  stampa,  d'associazione,  di  petizione,  e  di 
tutti  i  diritti  riconosciuti  pei  cittadini  spagnuoli.  »  Inoltre  lo  Stato,  che 
ha  già  rubato  tutto  alla  Chiesa,  assume  l'impegno  «  di  non  procedere 
ad  alcuna  espropriazione  della  Chiesa  fuori  del  caso  d'utilità  pubbli- 
ca, dopo  la  sentenza  del  giudice  ed  udito  Yordinario  »;  e  per  giunta 
«  lo  Stalo  riconosce  alla  Chiesa,  (tutto  bontà  sua!  )  i  beni  mobili  ed  altri 
che  potesse  acquistare.  »  Ma  per  compenso  di  tante  larghezze,  sono 
abolite  «  le  giurisdizioni  privilegiate  degli  ordini  militari  sacri  e  della 
Cappella  Reale  »;  e  le  attribuzioni  dei  Tribunati  ecclesiastici  «  sono  ri- 
strette alle  sole  censure  canoniche  e  spirituali  nel  foro  interno.  » 

Procedendo  in  questa  carriera  di  munificenze  da  prodigo  :  «  lo  Stato 
rinunzia  pure  ai  diritti  di  patronato,  conservando  solo  a  titolo  oneroso 
quello  di  cui  fu  fatta  la  concessione  nel  Concordato  del  1851.  Lo  stato  ri- 
nunzia pure  all' 'Exequatur  regio,  ai  benefizii  dell'ordinanza  del  30  Mag- 
gio 1778,  ed  alle  alire  prerogative  ed  agli  altri  privilegii  conceduti  dal- 
la Santa  Sede  ai  Re  di  Spagna  nel  corso  dei  passati  secoli  tino  al  dì 
d'oggi  ;  ma  sopprime  i  proventi  casuali  delle  Chiese  e  le  condizioni  lo- 
ro obbligatorie,  riducendoli  alla  primitiva  loro  natura  di  oblazioni  vo- 
lontarie. » 

Tale  è  la  sostanza  della  prima  parte  di  codesto  schema  e  dei  19  arti- 
coli in  cui  si  stende.  Altri  19  articoli  costituiscono  la  seconda  parte,  e 
riguardano  specialmente  la  dotazione  della  Chiesa  spagnuola  e  dei  suoi 
ministri. 

Questa  dotazione  è  di  112  milioni  di  reali,  invece  di  172,  quanti  le 
erano  assegnati  per  l'addietro.  Pertanto  una  prima  rapina  di  60  milioni  di 
reali.  Con  questo  si  dee  provvedere  agli  assegnamenti  pel  Nunzio  della 
Santa  Sede,  per  gli  Uditori  di  Rota,  per  le  Suore  di  Carità,  pel  Primate 
della  Chiesa  di  Spagna,  per  4  altri  metropolitani,  per  33  Vescovi  suf- 
fragane! e  pei  parrochi  o  cappellani  con  cura  di  anime.  Il  numero  delle 


122  CRONACA 

parrocchie  si  lasciò  indeterminato,  ma  è  evidente  che  deve  subire  una 
diminuzione  relativamente  molto  maggiore  che  quello  dei  vescovadi, 
attesa  la  somma  tenuissima  che  è  prolissa  al  sostentamento  dei  parrò- 
chi;  tanto  che  per  rendere  meno  odioso  il  latrocinio  si  propose  di  decre- 
tare un  supplemento  di  20  milioni  di  reali  pei  preti  che  non  avessero 
cura  d'anime  (cioè  pei  parrochi  di  cui  fossero  abolite  le  parrocchie;  ed 
inoltre  un  sussidio  di  28  milioni  di  spiccioli  pei  bisogni  della  Chiesa.  Lo 
scopo  di  tutto  questo  è  chiaro.  Mettere  il  prete  nella  necessità  di  cam- 
pare a  spese  del  popolo  e  di  riscuotere  così  una  specie  di  balzello 
indiretto,  che  lo  renda  odioso  al  popolo  già  torturato  dai  balzelli  riscossi 
dal  Governo. 

Ben  inteso  che,  per  colmo  di  generosità,  questo  qualsiasi  compenso 
dovuto  dallo  Stato  dilla  Chiesa,  come  indennità  del  centuplo  che  le  ha 
rubato,  «  sarà  pagato  con  titoli  del  Debito  pubblico,  consegnati  ai  Ve- 
scovi. »  Ond'  è  chiaro  che  questa  rendita  già  sì  tenue  e  meno  che  in- 
sufficiente, dovrà  ancora  sottostare  a  tutte  le  mutazioni  e  perdite  di  co- 
tali  titoli;  che  l'un  dì  o  l'altro,  per  una  crisi  di  Finanza,  per  una  con- 
versione forzosa,  per  un  fallimento,  possono  sfumare  in  un  bel  nulla. 
Ecco  la  giustizia  e  la  filantropia  dei  Frammassoni,  che  sanno  con  buon 
garbo  condannare  a  morir,  tosto  o  tardi,  di  fame  tante  migliaia  di  inno- 
centi cittadini,  spogliati  ed  assassinati  liberalescamente  pel  solo  reato 
di  essere  Vescovi,  preti  o  chierici!  E  poi  vengano  certi  buoni  uomini  ad 
inculcare  la  conciliazione  della  Chiesa  con  la  società  moderna,  ed  a  rac- 
comandare ai  pubblicisti  cristiani  il  rispetto,  la  carità,  la  cortesia,  l'amo- 
re pei  trionfanti  Frammassoni,  come  mezzo  sicuro  di  renderli  devoti  a 
Santa  Chiesa  e  tenerissimi  della  giustizia  e  della  religione! 

4.  Non  presumeva  certamente  il  Monterò  Rios  che  l'Episcopato  della 
Spagna  si  dovesse  ciecamente  suggellare  a  tanto  abuso  di  forza;  né 
l'Episcopato  si  potea  illudere  a  segno,  da  reputare  utile  ad  impetrare 
qualche  giustizia,  l'indirizzare  richiami  al  Montero-Rios.  Pertanto  il  set- 
tario Ministro  la  trinciò,  senza  riguardo  veruno,  con  gentilezza  da  Pa- 
scià; e  1'  Episcopato  giudicò  di  dover  volgere  direttamente  alle  Cortes 
i  suoi  richiami.  Ecco,  volta  in  nostra  lingua,  la  protestazione  perciò 
spedita  da  Roma,  e  firmata  da  tutti  i  medesimi  38  Prelati  che  aveano 
sottoscritta  la  soprariferita  al  reggente  Serrano. 

«  1  sottoscritti,  Vescovi  spagnuoli  residenti  nella  Città  eterna  per 
P  occasione  del  Concilio  Vaticano,  lessero  con  dolore  profondo  i  disegni 
che,  il  22  del  passato  mese  di  Marzo,  furono  presentati  dal  Ministro  di 
Grazia  e  Giustiz  a  alle  Cortes,  sopra  materie  ecclesiastiche. 

«  Atteso  che  questi  disegni  contengono  gravissimi  provvedimenti  ris- 
petto ai  diritti  essenziali  del  cattolicismo,  rispetto  alla  disciplina  in  vigo- 
re nella  Chiesa  di  Spagna,  rispetto  al  Concordato  del  1831  e  delle  Con- 
venzioni del  IKj!)  e  del  1807  ;  senza  che  siasi  avuta  cura  veruna,  in  tali 
innovazioni,  dell'intervento  indispensabile  della  Chiesa,  contro  la  quale 
ad  ogni  istante  si  scagliano  colpi  sì  numerosi  e  sì  fieri  :  i  Vescovi,  per 
satisfare  all'  ineluttabile  dovere  loro  imposto  dal  proprio  sacro  ministe- 
ro, e  con  santa  liberta  apostolica  temperata  dall'  ossequio  e  dai  riguar- 
di dovuti  a  tutti  i  grandi  Corpi  dello  Stato,  non  possono  a  meno  che  ri- 
chiamarsi, come  ora  Canno,  conlro  i  mezzi  adoperati  per  ottenere  code- 
sto inlento. 


CONTEMFORANEA  123 

«  Prescindendo  pure  dall'intenzione  dell'autore  di  quelle  proposte, 
non  è  dubbio  che  esse  tendono  a  null'altro  che  alla  distruzione  ed  alia  ro- 
vina della  Chiesa  cattolica,  apostolica  e  romana  nella  Spagna;  come  se 
ciò  potesse  effettuarsi  in  una  nazione  che  è  quasi  unanime  nel  professa- 
re il  cristianesimo  dai  più  remotissimi  tempi,  e  che  si  rifiuta  come  per 
istinto  ad  ogni  altro  culto  che  il  proprio,  che  solo  è  vero. 

«  I  mezzi  che  a  tale  effetto  s'  inventarono  (  benché  di  passata  ricono- 
scano alla  Chiesa  certe  libertà  che,  ad  ogni  modo,  già  le  appartengono 
in  virtù  della  sua  origine  divina),  sono  :  il  disprezzo  dei  diritti  conferiti 
alla  Chiesa  dal  suo  fondatore  Gesù  Cristo,  la  distruzione  della  sua  indi- 
pendenza. Poiché  così  si  mette  la  Chiesa  alla  mercè  dello  Stato,  il  quale 
cerca  di  modificarne  1'  organamento  e  la  disciplina,  con  quella  stessa  fa- 
cilità onde  si  mutano  le  forme  politiche  nelle  moderne  società.  Codesti 
mezzi  sono  una  derogazione  a  patti  solenni,  intorno  ai  rapporti  stabiliti 
Ira  la  Chiesa  e  lo  Stato,  per  tutto  quello  che  torna  favorevole  alla  Chie- 
sa; mentre,  per  altra  parte,  a  vantaggio  dello  Stato  si  prendono  tutti  i 
profitti  e  molte  cose  anticanoniche,  le  quali  andrebbe  troppo  a  lungo  il 
venire  enumerando  per  singola. 

«  Pertanto,  i  Prelati  sottoscritti,  rivendicando  dalle  Cortes  giustizia, 
e  non  più  che  giustizia,  sperano  che  i  signori  Deputati,  riconoscendosi 
incompetenti  in  tal  materia,  rifiuteranno  i  disegni  usurpatori  del  signor 
Ministro  di  Grazia  e  Giustizia.  Che  se  per  avventura  questi  legittimi  de- 
sideri!' fossero  delusi,  se  codesti  disegni  ingiusti  e  violenti  fossero  ac- 
cettati dall'Assemblea  Costituente,  tin  d'ora  è  per  l'avvenire  i  sottoscrit- 
ti dichiarano  di  protestarsi,  con  tutta  la  forza  di  cui  sono  capaci,  contro 
gli  eccessi  di  tale  usurpazione,  contro  il  disprezzo  manifesto  e  contro 
ì1  assalto  brutale  che  sta  nei  mentovati  disegni  a  danno  della  sola  vera 
religione,  che  è  professata  dalla  pluralità  degli  Spagnuoli,  al  cui  benes- 
sere ed  alla  cui  spirituale  felicità  s'appartiene  ai  Vescovi  di  provvede- 
re. Roma,  il  27  d'Aprile  1870  (seguono  le  firme.)  » 

Così  fosse  in  piacere  di  Dio  muovere  i  cuori  dei  presenti  reggitori 
della  Spagna  ad  arrendersi  a  questi  richiami  !  Sarebbe  forse  questa  co- 
me riride  annunziatrice  della  fine  della  procella.  Ma  pur  troppo  è  da 
temere  che  il  flagello  settario  debba  continuare  a  percuotere  quella  in- 
felice nazione,  troppo  degna  di  migliori  e  più  alti  destini  che  non  sia 
quello  di  procedere  curva  sotto  il  giogo  massonico. 

5.  Ora  facendoci  a  ripigliare  il  filo  degli  avvenimenti  politici,  dobbia- 
mo innanzi  tutto  dire  a  che  approdasse  pel  Duca  di  Montpensier  il  suc- 
cesso del  suo  duello  micidiale  con  l'infante  D.  Enrico  di  Borbone,  di  cui 
parlammo  nel  voi.  X,  a  pag.  127-28. 

A  prima  giuntai  magistrati  ordinarli  del  territorio,  sul  quale  era 
caduta  la  vittima,  aveano  cominciala  un  benigna  inquisizione  sopra  le 
cagioni  ed  il  modo  dell'avvenimento  ;  ed  eransi  trovati  testamenti  pieto- 
si, che  erano  pronti  a  deporre:  D.  Enrico  di  Borbone  essere  caduto  col- 
pito mortalmente  per  puro  caso,  mentre  tutto  da  se  e  per  suo  solazzo 
maneggiava  un'arme,  che  inavvedutamente  egli  avca  fatto  scoppiare 
avendone  la  bocca  rivolta  alla  propria  persona.  Il  Montpensier  ed  i  te- 
stimonii  s'erano  trovati  là,  per  caso  altresì,  e  perciò  aveano  sentito  il  più 
profondo  dolore  di  quel!'  accidente  funesto.  Così  tutto  andava  liscio.  Ma 
alla  fierezza  del  Montpensier  non  potea  piacere  che  si  accreditasse  le- 


124  CRONACA 

galmcnte  così  assurda  l'avola,  già  divulgata  con  affettata  ingenuità  in 
parecchi  giornali;  e  lasciò  che  si  stampasse  la  seguente  lettera  ad  un 
intimo  amico. 

«  Madrid,  19  Marzo.  —  Grazie,  mio  caro  amico,  per  tutto  ciò  che  mi 
dite  nella  vostra  lettera  in  cui  parlate  col  cuore.  Era  sicuro  che  appro- 
vereste la  mia  condotta.  Non  fui  che  il  braccio  della  giustizia  di  Dio!  Ilo 
fatto  il  mio  dovere  di  principe  e  di  gentiluomo.  Aspetto  ora  l'azione 
della  giustizia  umana.  Io  era  perfettamente  tranquillo  nell'ora  solenne 
a  cui  fate  allusione.  Rassegnalo  a  morire,  deciso  di  vincere  secondo  la 
volontà  di  Dio,  non  ho  sentito  verace  emozione  che  vedendo  cadere 
senza  parola  e  senza  vita,  come  fulminato,  l' infelice . . .  Dio  abbia  pietà 
dell'anima  sua.  —  Antonio  d'Orléans.  » 

6.  Il  processo  era  stat')  iniziato  dal  Giudice  di  pace  di  Getafe;  ma  il 
generale  Izquierdo,  Capitan  Generale  di  Madrid,  tenendo  conto  del  grado 
di  Capitan  Generale  che  il  Duca  di  Montpensier  occupa  Bel!' esercito , 
rivendicò  per  la  Corte  marziale  il  diritto  di  giudicare  l'imputato;  e  cosi 
fu  fatto.  La  relazione  particolareggiata  dalla  seduta  della  Corte  marzia- 
le, che  si  tenne  in  Madrid  il  12  Aprile,  un  mese  appunto  dì  per  dì  dopo 
il  duello,  può  vedersi  anche  nel  Débats  del  16,  dove  sono  riferiti  brani 
estesi  delle  deposizioni  fatte  dal  Montpensier. 

Sedeano  giudici,  oltre  il  presidente  Izquierdo,  il  governatore  di  Ma- 
drid Generale  Perdita,  ed  i  Generali  di  Brigata  Tassarla,  Burgas,  Ney- 
ron,  Saenz,  Delcourt  ed  Erille  II  Generale  di  Brigata  Don  Vicente  \ rai  - 
gas  vi  fece  le  parti  del  Fisco.  Un  altro  dello  stesso  grado,  D.  Felice  Ma- 
ria Messina  era  incaricato  della  difesa.  La  faccenda  procedette  assai  li- 
scia. Si  riconobbe  che  i  testimone  del  duello  s'erano  trovati  là  per  puro 
capo!  Il  fisco  fece  l'apologia  del  duello  in  genere,  deplorando  il  succes- 
so di  questo  in  particolare;  e  chiese  che  in  pena  il  Monpensier  dovesse 
soggiacere  ad  allontanamento  da  Madrid ,  durante  un  mese  ed  alla  di- 
stanza di  dieci  miglia;  ed  inoltre  pagare  alla  famiglia  dell'ucciso  una  in- 
dennità di  30,000  franchi! 

La  sentenza,  che  ognuno  vede  quanto  fosse  severa,  fu  intimata  lì  di 
presente  al  Montpensier  che  assisteva  tranquillissimo  a  queir  accad  'ini- 
mico dibattimento,  tra  il  Fisco  che  non  accusava  ed  il  difensore  che  ap- 
pena trovava  scuse  da  aggiungere  alle  già  allegate  dal  Fisco.  E  la  sen- 
tenza si  conchiudeva  con  queste  parole  :  «  La  presente ,  ben  inteso,  non 
potrà  avere  altro  effetto,  e  per  l'avvenire  non  potrà  diminuire  la  buona 
fama  e  la  rinomanza  di  S.  A.  R.  il  signor  Duca  di  Montpensier  »  (  Sin 
que  estas  penas  puedan  perjudicarle  in  su  camera,  buona  opionin  j 
fama!  ) 

7.  Resta  a  vedere  se  realmente  al  Montpensier  non  toccherà  altra  pena 
pel  commesso  omicidio  1  Certo  a  noi  sembra  che  non  gli  presagisca  trop- 
po liete  cose  la  seguente  lettera,  scritta  dai  figli  dell'  ucciso  D.  Enrico 
di  Borbone  Duca  di  Siviglia,  al  direttore  del  giornale  //  suffragio  uni- 
Tersale. 

«  Vi  preghiamo,  caro  signore,  di  voler  dare,  alle  seguenti  lince,  pub- 
blicità nel  vostro  pregiato  giornale.  Sappiamo  dai  giornali  di  Madrid, 
che  il  consiglio  di  guerra  convocato  per  giudicare  del  fatto,  in  cui  il  no- 
stro amatissimo  e  sventuratissimo  padre  perdette  la  vita,  ha  e  ndannato 
il  suo  uccisore  a  pagare  a  noi,  a  titolo  d'indennità,  la  somma  di  30  mila 


CONTEMPORANEA  125 

franchi.  Non  ci  permettiamo  di  qualificare  la  sentenza  di  quel  tribunale, 
alla  quale  uno  di  noi  deve  rispetto  nella  sua  qualità  di  umile  ufficiale 
nell'esercito;  ma  che  signitica  codesta  indennità  accordata  a  coloro  che 
non  Ili  chiesero?  Sarebbe  essa  la  stima  comperata  di  quell'uomo  giusto, 
che  ha  sempre  amato  con  entusiasmo  la  sua  patria  e  la  indipendenza  di 
essa?  Egli  era  il  sostegno  e  Y  affetto  di  quattro  figliuoli  che  allevava  con 
tuttala  tenerezza  del  suo  cuore.  L'uccisore  ci  ha  toltola  consolazione 
e  la  speranza  di  tutta  la  nostra  vita;  ma  egli  non  può  né  potrà  giam- 
mai togliere  la  dignità  che  ci  comanda  ora  di  rifiutare  i  30  ni  la  franchi, 
coi  quali  il  Montpensier  crede  di  compensarci  della  perdita  irreparabile 
di  cui  fu  causa.  Noi  speriamo  di  poter  saldare,  un  giorno,  il  nostro  con- 
to con  lui  ;  ma  senza  denaro.  Il  nostro  buon  padre,  la  cui  memoria  sarà 
perenne  nel  nostro  cuore,  era  incapace  d' insultare  chicchessia,  e  se  fe- 
ce, con  violenza,  un'eccezione  per  Antonio  di  Borbone,  non  ha  che  ob- 
bedito ai  suoi  sentimenti  prettamente  spagnuoli,  di  indipendenza,  di 
dignità,  di  giustizia,  come  pure  a  quelli  dell'indignazione  di  un  uomo 
onesto.  E  gli  stessi  sentimenti  che  l'hanno  portato  ad  agire  come  ha  fat- 
to, non  cesseranno  mai  d'essere  condivisi  da1  suoi  figli.  Enrico  di  Bor- 
bone —  Francesco  di  Borbone  —  Alberto  di  Borbone. 


Cose  d'Oriente  (Nòstra  Corrispondenza)  1.  Movimenti  per  l'emancipazione 
della  Chiesa  bulgara  —  2.  Firmano  imperale  per  un  Esarcato  bulgaro 
—  3.  Vana  opposizione  del  Patriarca  greco. 

1.  D'una  lunga  Corrispondenza  che  ricevemmo  teste  da  Costantino- 
poli sulle  cose  d'Oriente,  lo  spazio  non  ci  permette  ora  di  pubblicare 
altro  che  il  tratto  che  riguarda  la  quistione  bulgara,  intorno  alia  quale 
già  pubblicammo  altra  Corrispondenza  nel  voi.  V  di  questa  Serie,  a 
pag.  310  e  471.  —  Or  ecco  la  nuova  Corrispondenza. 

1  Bulgari  sparsi  per  tutto  l'Impero  e  pe'  Principati  tributarli,  lottano 
già  da  circa  dieci  anni  per  iscuotere  il  giogo  del  patriarcato  greco  di  Co- 
stantinopoli. Uno  de'  più  scandalosi  articoli  di  questo  processo  è  l'enor- 
me mercato  che  fanno  i  Greci  delle  dignità  ecclesiastiche  e  dell'ammi- 
nistrazione delle  cose  sante  da  un  lato,  e  l' impossibilità  dall'  altro  della 
maggior  parte  de' dignitari!  bulgari  di  far  fronte  agl'impegni  contratti 
nell'alto  della  loro  promozione.  Epperò  l'insistenza  de1  banchieri  che 
ayean  garentite  colla  loro  firma  le  promesse,  e  l'assiduità  de' pastori 
di  smungere  fino  al  sangue  le  pecorelle  per  far  onore  alle  assunte  ob- 
bligazioni. Quando  si  vuol  male  ad  un  sacerdote,  e'  è  un  genere  di  ven- 
detta non  infrequente  presso  di  loro,  che  consiste  in  farlo  Vescovo,  e 
poi  rimuoverlo  in  guisa,  che  non  abbia  avuto  il  tempo  di  raccoglier  le 
somme  necessarie  per  pagare  il  suo  debito. 

I  Bulgari  uniti  sono  anch'  essi  l'oggetto  delle  antipatie  e  dei  soprusi 
de  Greci,  molto  più  quando  esercitano  verso  i  loro  parrocchiani  quelle 
funzioni  dalle  quali  si  ricava  qualche  provento.  Nelle  ultime  feste  nata- 
lizie, il  prete  bulgaro  unito  di  Galata  erasi  associato  un  certo  popa  La- 
zaro,  greco  convertito,  per  aiutarlo  a  benedire  le  case  de' cattolici  di  quel 
rito  site  a  Stambul.  Incontrato  per  la  strada  dal  prete  greco  che  eserci- 
tava per  suo  conto  queir  ufficio,  fu  stramazzato  per  terra  e  colmato  d'in- 


126  CRONACA 

giurie,  a  segno  tale  che  dovette  finalmente  deporre  la  croce  e  rassegnar- 
si protestando  e  movendo  querele  senz' alcun  effetto. 

Sarebbe  lungo  enumerare  il  sistema  vessatorio  di  questa  povera  Chiesa 
dalla  parte  del  patriarcato  del  Panar.  E  per  quel  che  riguarda  la  gran 
maggioranza  scismatica,  il  Governo  dalla  sua  parte  non  può  l'arsi  sordo 
a1  clamori  di  una  Nazione  sempre  tentata  di  cedere  agli  afoni  de!  pansla- 
vismo per  averla  complice  de1  suoi  disegni.  Epperò  la  Porta  non  ha  la- 
sciato di  proporre  de1  mezzi  di  conciliazione,  rigettati  costantemente  dal 
patriarcato. 

Dall'altro  canto  all'esistenza  di  quest'autorità  suprema  nella  capitale 
dell'  Impero  è  legata,  come  ad  un  palladio,  l' indipendenza  religiosa  della 
maggioranza  de' sudditi  dell'Impero;  i  quali,  fiaccato  di  forze  e  di  presti- 
gio il  patriarcato  ecumenico,  rimarrebbero  in  balìa  del  santo  Sinodo  di 
Pietroburgo.  Sicché  per  evitare  collisioni  e  scosse  violente,  avea  già 
il  Governo  creato  da  circa  un  anno,  una  commissione  di  membri  laici, 
che  studiata  la  questione,  proponessero  i  mezzi  di  una  soluzione  plau- 
sibile. 

2.  Il  modello  da  essa  presentato  dopo  sei  mesi  di  lavoro,  fu  discusso  in 
consiglio,  e  finalmente  sanzionato  dal  Sultano  con  decreto  imperiale,  in- 
timato nelle  debite  forme  alle  due  parti.  Dopo  un  esordio  nel  quale  si 
rammenta  come  è  stata  sempre  intenzione  del  Governo,  che  tutte  le  re- 
ligioni godessero  del  libero  esercizio  del  loro  culto,  e  colla  pace  e  buona 
intelligenza  universale,  concorressero  con  isforzi  comuni  alla  prosperità 
dello  Stato,  passa  a  decretare  le  cose  seguenti. 

1.°  Sotto  il  nome  di  Esarcalo  bulgaro  vien  formata  un'amministra- 
zione spirituale  separata;  alla  quale  esclusivamente  apparterrà  la  dire- 
zione religiosa  di  tutti  gli  affari  delle  Chiese  enumerate  nel  corpo  del 
decreto. 

2.°  L'Esarca  presiederà  un  santo  Sinodo. 

3.°  «  La  direzione  spirituale  interiore  di  quest'  Esarcato  dev'esser  pre- 
sentata all'approvazione  e  alla  conferma  del  Governo  imperiale.  Le  at- 
tribuzioni ne  saranno  definite  da  un  regolamento  organico,  conforme  in 
tutto  alle  leggi  e  a'  principii  della  Chiesa  ortodossa.  Esso  sarà  tale,  da 
escludere  intieramente  dagli  affari  monastici,  e  specialmente  dalla  ele- 
zione dell'Esarca,  ogni  ingerenza  diretta  o  indiretta  del  Patriarca  ».  Solo 
a  quest' ultimo  sarà  notificata  senza  ritardo  la  elezione  dell'  Esarca;  ed 
egli  senz'  altro  darà  le  lettere  di  conferma,  necessarie  secondo  le  leggi 
della  Chiesa. 

4/  L'Esarca  sarà  nominato  per  via  di  un  berat  imperiale,  e  sarà  ob- 
bligato, secondo  le  leggi  ecclesiastiche,  a  far  commemorazione  del  nome 
del  Patriarca  di  Costantinopoli.  L'approvazione  del  Governo  dee  prece- 
dere la  consecrazione  dell1  Esarca. 

5.'  Quando  abbian  bisogno  del  concorso  dell'autorità  civile  gli  esarchi 
v  i  monaci  che  avran  berat  imperiale,  si  rivolgano  alle  autorità  locali. 

6/  Quando  abbian  bisogno  di  quella  del  patriarca  per  gli  affari  pura- 
mente religiosi,  procurino  d'intendersi  tra  di  loro,  l'esarca  e  il  suo  si- 
nodo, da  un  lato,  il  patriarca  e  il  suo,  dall'altro. 

7.°  11  sinodo  e  l'esarcato  bulgaro  è  tenuto  a  domandare  i  santi  olei 
dal  patriarca  di  Costantinopoli. 


CONTEMPORANEA  1 27 

8.'  Vescovi,  Arcivescovi  e  metropolitani  di  un  rito  potranno  traver- 
sare i  luoghi  soggetti  alla  giurisdizione  dell'altro,  e  viceversa.  Solo  non 
potranno  convocar  sinodo,  esercitare  giurisdizione  o  ufficiare  senza  per- 
messo del  Vescovo  locale. 

9.°  I  due  presbiteri  de1  luoghi  santi,  situati  nel  quartiere  del  Fanar, 
l'uno  pe1  Greci  e  l'altro  pe'  Bulgari,  resteranno  addetti  ciascuno  alla 
propria  comunità;  e  i  rispettivi  prelati  vi  potranno  officiare,  Timo  in- 
dipendente dall'altro. 

10.°  L'esarcato  bulgaro  comprende  nella  sua  giurisdizione  spirituale 
le  città  e  i  distretti  ecc.  (Segue  l'enumerazione.)  Se  tutti  o  almeno  uu 
terzo  degli  abitanti  di  tali  luoghi  vorranno  soggettarsi  all'autorità  dei 
Bulgari,  purché  costi  del  fatto,  sarà  loro  permesso  di  tarlo.  Chi  semina 
zizzanie  per  tale  occasione  sarà  punito  secondo  la  legge. 

I  monasteri  in  territorio  bulgaro,  ma  che  secondo  le  leggi  dipendono 
dal  patriarcato  greco,  rimarranno  sotto  la  stessa  soggezione. 

Le  disposizioni  attuali  bau  ricevuta  la  sovrana  sanzione  del  Governo 
imperiale. 

3.  11  giorno  appresso  la  pubblicazione  di  questo  tirmano  i  giornali  fe- 
cero notare  una  visita  del  generale  Ignazief,  ambasciadore  di  Russia  al 
Gran  Vizir,  evi  aggiunsero  i  loro  commentari*!.  Seguiva  immediatamente 
la  pubblicazione  della  risposta  del  patriarca  Gregorio  alia  comunicazione 
fattagli  del  formano  imperiale:  nella  quale  con  dignità  espone  non  aver 
mai  la  Chiesa  orientale  mancato  di  ubbidienza  agli  ordini  del  Sultano  in 
materie  civili;  siccome  è  pur  vero  non  essersi  mai  i  Sultani  di  gloriosa 
memoria,  incluso  l'attuai  successore  (che  Dio  renda  invincibile],  voluti 
intromettere  nelle  questioni  di  competenza  della  sola  autorità  ecclesiasti- 
ca, i  cui  privilegi  son  garenliti  negli  haUi-im.najum,  nò  aver  mai  per- 
messo a  persona  che  vi  s'ingerisse.  L'attuale  tirmano  non  esser  già  la 
sanzione  di  un  accordo  conchiuso  tra'  I  patriarca  ecumenico  e  i  promolo- 
ri  delia  questione  bulgara:  epperò  dovendo  riguardarsi  come  un  atto 
anticanonico  e  attentatorio  ée\  privilegi  e  delle  immuni  à  di  questa  San- 
ta Sede,  il  patriarcato  non  può  accettare  Y  ultimatum  del  governo  di 
S.  Maestà. 

Poiché  dunque  i  promotori  bulgari  persistono  a  rigettare  ogni  pro- 
getto di  conciliazione  ;  e  il  Governo  imperiale  non  ha  il  potere  di  pro- 
nunziare una  sentenza  irrevocabile  in  una  questione  puramente  ecclesia- 
stica, il  patriarcato  prega  di  nuovo  S.  À.  di  accettare  il  disegno  più 
volte  proposto  di  convocare  un  Concilio  ecumenico,  solo  tribunale  com- 
petente ad  emettere  una  decisione  obbligatoria  per  le  due  parti. 

Raccomanda  in  fine  a  S.  A.  di  prendere  gli  espedienti  efficaci  per  ac- 
chetare le  turbolenze  che  si  eccitano  dal  partito  bulgaro  insolentito  dalla 
vittoria. 

Se  la  Santa  Sede  di  Roma  avesse  usato  con  un  Governo  qualunque 
questo  linguaggio;  se  lo  avesse  adoperato  colla  Porta  nella  questione 
armena,  il  giornalismo  avrebbe  alzata  la  voce  tino  alle  smanie,  denun- 
ziando a" popoli  e  a  Governi  l1  assolutismo  romano,  l'invasione  dell'al- 
trui autorità,  il  cartello  di  sfida  lanciato  contro  la  sovranità.  Già  L  ha 
fatto  senza  che  Roma  avesse  detto  una  parola.  Figuratevi  dove  sareb- 
bero arrivati  sa  ne  avessero  avuto  un  appiglio  di  questa  natura. 


128  CRONACA  CONTEMPO RASEA 

Bisogna  confessare  che  ne'  termini  della  legalità  non  può  tenersi  un 
contegno  più  energico  e  più  dignitoso  di  questo  usato  dal  Patriarca  di 
Costantinopoli.  Dopo  due  o  tre  altri  documenti  di  somigliante  natura 
scambiati  tra  la  Porta  e  il  Fanar,  dandosi  spiegazioni  dall'  una,  e  rincal- 
zandosi le  proteste  dall'altra  parte,  il  Patriarca  stendendo  sempre  le 
braccia  al  Concilio  ecumenico,  come  ad  ultima  tavola  nel  naufragio, 
conchiude  dicendo  che  F  amarezza  di  questo  calice  non  tarderà  guari  a 
condurne  la  travagliata  canizie  al  sepolcro.  Di  che  niente  commosso  il 
Governo  riceve  e  fa  pubblicare  gì1  indirizzi  e  le  solenni  azioni  di  grazie 
che  gli  giungono  dalle  popolazioni  bulgare.  E  così  in  barba  del  Patriar- 
ca Gregorio  assistito  dal  suo  santo  Sinodo  L'affare  è  bello  e  finito. 

Il  Concilio  ecumenico  non  si  terrà,  perchè  il  Governo  non  vuole.  Una 
pruova  di  più  della  necessità  del  dominio  temporale  nel  Capo  della  Chie- 
sa per  trattare  con  libertà  gli  affari  della  Religione.  Ma  esso  non  si  sa- 
rebbe mai  tenuto,  perchè  lo  scisma  non  ha  forza  di  unità  per  farsi  cen- 
tro di  un'adunanza  universale  che  meriti  il  nome  di  ecumenica.  Come 
difatti  i  suoi  Pastori  e  le  sue  membra  crederanno  alla  Chiesa  ecumenica, 
cioè  universale,  circoscritta  solo  air  Oriente?  alla  Chiesa  una,  frazionata 
in  costantinopolitana,  ellenica,  bulgara,  ecc.?  Giusti  giudizii  di  Dio!  Colui 
che  ricusò  di  ricevere  le  lettere  amorevoli  del  Patriarca  dell'  antica  Ro- 
ma, e  negò  di  recarsi  al  Concilio  ecumenico  di  tutto  il  mondo  per  en- 
trarvi nelle  trattative  della  pace  e  della  unità,  nel  breve  spazio  di  un 
anno,  sente  amareggiarsi  gli  ultimi  giorni  della  cadente  sua  età  da  un 
simile  rifiuto  e  da  un  novello  scisma,  consummato  nel  seno  del  suo  stesso 
ovile. 

Solo  il  centro  dell'unità  è  forte:  e  dopo  aver  prodigate  tutte  le  cure 
ai  ribelli  per  guadagnarli,  trovand  li  ostinati,  non  transige  con  esso  lo- 
ro, ma  li  tronca  dal  corpo  come  membra  putride,  e  separasi  del  tutto 
dalla  loro  comunione,  come  fece  con  Fozio  e  co'  suoi  aderenti. 

Lo  scisma  ali1  opposto  è  debole,  e  dopo  essersi  alquanto  dibattuto, 
non  ha  a  vergogna  di  transigere  co' ribelli.  Vedrete  in  fatti  come  si  ras- 
segneranno i  Patriarchi  a  confermare  F  Esarca,  eletto  senza  la  loro  in- 
fluenza, sol  perchè  tale  conferma  porta  seco  qualche  grosso  emolumen- 
to: vedrete  come  faranno  colare  i  santi  Olei  in  seno  a  una  popolazione 
violentemente  separata  ;  purché  questa  non  lasci  di  fare  scorrere  nel 
suo  seno  ruscelletti  d1  oro  e  d' argento  co'  quali  si  compera  questo  favore. 


IL  DECRESCERE  DEL  LIBERALISMO 


Un  certo  soffio  cattolico  sembra  di  nuovo  distendersi  ora  sul  mon- 
do a  vivificare  ed  allietare  alquanto  questa  socielà,  corrotta  ormai  ed 
inverminita  dal  liberalismo  che  pare  in  più  luoghi  in  sul  decrescere. 
Lo  spirito  cattolico  sembra  invece  in  molli  luoghi  in  sul  crescere, 
secondo  che  appare  a  chi  tien  d' occhio  cotidianamente  le  vicissi- 
tudini o  fluttuazioni,  come  ora  si  dice,  della  pubblica  opinione.  L'es- 
sere stati  i  liberali  in  questi  venti  anni  padroni  pressoché  liberi  e 
dispotici  pressoché  di  ogni  cosa,  pressoché  in  ogni  luogo,  non  è  sta- 
ta l'ultima  cagione  di  questo  cominciamento  di  mutar  di  vento.  Si 
sono  veduti  all'opera  costoro  e  inventi  sunt  minus  habentes.  Àveano 
promesso  ogni  bene,  e  diedero  lagrime  e  disinganni.  Sicché  il  cele- 
bre motto  del  si  stava  meglio  quando  si  stava  peggio,  non  è  ora  pro- 
prio solo  dell'Italia,  dove  è  proverbiale,  ma  comune  ormai  ai  varii 
paesi  cui  toccarono  più  specialmente  e  tutte  in  una  volta  le  beatitu- 
dini del  falso  liberalismo  moderno. 

Un  solo  popolo,  il  Romano,  si  trovò,  per  grande  provvidenza  di 
Dio,  libero  da  questa  universale  dominazione  liberalesca.  E  questo 
solo  popolo  Romano,  governalo  sempre  secondo  la  legge  di  Dio  e 
della  Chiesa,  ed  a  ritroso  dei  grandi  principii  della  società  moderna, 
questo  solo  popolo  Romano  gode  i  dolci  frutti  del  vero  progresso, 
ed  è  oggetto  di  ammirazione  e  di  invidia  :  di  lui  solo  potendosi  or- 
mai dire  che  :  Beatus  populus  cuiiis  Dominus  Deus  e>us.  E  siccome 
Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  488.  9  k  Luglio  1870. 


130  IL  DECRESCERE  DEL  LIBERALISMO 

agli  Spartani  por  distoglierli  dall'  ubriachezza  si  facea  vedere  uno 
schiavo  ubbriaco,  cosi  si  può  dire  che  la  provvidenza  divina,  per 
confermare  sempre  meglio  la  Reggia  della  Religione  e  della  civiltà 
nell'amore  e  nella  venerazione  alla  Chiesa  cattolica  ed  al  suo  Capo 
visibile,  ed  ai  prineipii  di  vita  da  lui  predicali,  abbia  permesso 
che  essa  si  vedesse  come  danzar  d' intorno  buona  parte  di  Euro- 
pa briaca  e  pazza  del  liberalismo,  schiava  di  nuovi  tiranni  sorti  dal 
fango;  dei  quali  ora  essa  è  stanca,  e  per  liberarsene  non  trova  al- 
tro rimedio  che  il  guardar  a  Roma,  ed  al  suo  Capo  civile  e  religio- 
so guardiano  unico  e  depositario  fedele ,  non  meno  che  predicatore 
infallibile  de' veri  prineipii  della  vera  religione  e  della  vera  civiltà  e 
prosperità  anche  naturale  e  sociale  delle  nazioni  e  degli  individui. 

Non  diciamo  queste  cose  quasi  per  trionfare  avanti  il  tempo,  come 
se  credessimo  vicino  ormai  il  secol  d' oro,  perchè  in  Baviera,  in  Bel- 
gio ed  in  Portogallo  paiono  i  cattolici  uscire  in  varia  misura  dai  ceppi 
massonici,  pei  che  in  Austria  si  prepara  evidentemente  lo  stesso,  per- 
chè in  Francia  si  è  più  che  mai  risoluti  a  sostenere  quella  Roma  che 
il  liberalismo  di  tutto  il  mondo  vorrebbe  appunto  sola  abbandonata, 
perchè  in  Italia  il  liberalismo  è  ormai  sfruttato,  disprezzato,  diviso, 
cadente,  perchè  presso  i  popoli  e  i  Governi  stessi  protestanti  o  ete- 
rodossi sono  mollo  più  in  credito  Roma  e  il  suo  civile  e  religioso 
Principe  che  non  l' Italia  ed  altri  governi  liberali  apparentemente 
più  forti.  Sappiamo  che  non  è  da  noi  il  nosse  tempora  vel  momen- 
ta:  sappiamo  che  il  liberalismo  può  dall' un  momento  all'alilo  col- 
l' arte  e  colla  violenza  mutar  le  sorti  di  un  popolo,  calpestando  ogni 
suo  voto  e  facendosi  beffa  di  ogni  suo  suffragio.  Sappiamo  che  cosa 
significhi  in  buon  volgare  quel  gergo  liberalesco  del  giornale  dc7A;- 
bats,  uno  dei  corifei  della  massoneria,  il  quale  giorni  sono  (10 
Giugno)  a  proposito  delle  elezioni  cattoliche  del  Belgio  avvisava  i 
suoi  che  «  la  prudenza  vuole  che  in  Francia  come  altrove  si  sorve- 
gli l'orologio,  che  dee  suonare  il  ritorno  dell'ora  delle  grandi  co- 
se »  sperate  dai  Cattolici.  Sappiamo  che  gli  stessi  indizii  che  i 
dono  di  questo  ritorno,  sono  ben  leggieri  e  ben  rimoti  a  paragone 
pravità  del  male  onde  è  affitta  la  società  moderna,  e  dell'  ur- 
genz a  del  rimedio.  Sappiamo  tutto  questo  e  nondimeno  non  pò 


IL  DECRESCERE  DEL  LIBERALISMO  131 

nio  dissimulare  che  il  liberalismo  ci  pare  destinato  a  passare  qual- 
che malo  quarto  d'ora,  e  che  specialmente  per  l'Italia  e  per  Roma 
e  pel  suo  Pontefice  e  Re  e  pei  principii  sociali  civili  e  religiosi  che 
egli  rappresenta  e  predica,  se  il  trionfo  morale  e  la  vittoria  sugli 
intelletti  sono  palpabili  ormai  e  certi,  non  ò  del  tutto  imprudente  né 
temerario  lo  sperarli  ancora  vincitori,  in  un  tempo  non  remoto,  nel- 
l'ordine dei  fatti. 

Ma  questo  lasciamolo  alla  divina  Provvidenza,  la  quale,  per  V  a- 
morosa  sollecitudine  onde  circonda  la  Chiesa,  non  può  permettere 
che  essa  sia  lungamente  vittima  delle  insidie  delle  porte  infernali, 
quali  specialmente  si  possono  chiamare  quelle  onde  ora  è  recinto 
il  presente  Stato  temporale  della  Chiesa;  e  ringraziamola  intanto  di 
quella  parte  di  vero  e  solido  trionfo  morale  che  le  ha  concesso  in 
questi  anni,  accrescendole  gloria,  splendore  ed  influenza  a  misura 
che  le  venivano  mancando  i  mezzi  temporali,  dai  quali  soli  l'umana 
e  carnale  prudenza  poteva  credere  che  essa  pigliasse  già  gloria, 
splendore  ed  influenza. 

E  queste  cose  ci  piace  notare  appunto  quando,  mentre  scriviamo, 
il  Sommo  Pontefice  Pio  IX,  nel  cui  lungo  e  sempre  glorioso  Ponti- 
ficato sembra  essersi  veduto  un  compendio  della  storia  ecclesiastica 
in  tutte  quasi  le  sue  vicissitudini,  prosperità  ed  infortunii,  è  da  po- 
co entrato  in  quel  venticinquesimo  anno  di  Pontificato,  che  appena 
une  fra  i  dugencinquantasei  suoi  predecessori  toccarono,  e  niuno, 
siccome  è  noto,  da  S.  Pietro  in  fuori,  potè  finora  superare:  ma  che 
la  fiducia  del  mondo  spera  fermamente  veder  superato  da  questo 
Pontefice  cui  già  furono  concesse  da  Dio  altre  grazie  specialissime; 
appunto,  crediamo  noi,  perchè  non  mai  forse  la  Chiesa  si  trovò  in  sì 
speciali  distrette  e  perciò  in  bisogno  di  specialissima  prelezione  e 
di  visibile  e  quasi  palpabile  dimostrazione  di  sua  indefettibilità,  non 
ostanti  tutte  le  violenze  e  le  perfìdie  del  mondo. 

Non  è  pur  troppo  ignoto,  a  perpetua  infamia  della  civiltà  mo- 
derna, che  sopra  la  morte  di  Pio  IX  si  fecero  dai  politici  pubblica- 
mente e  notoriamente  i  conti  per  le  stampe  dei  giornali,  e  perfino 
in  documenti  che  hanno  dell' ufficiale  e  certamente  furono  officiosi. 
Si  diceva  palesamente  che,  vivendo  Pio  IX,  non  si  potea  onestamente 


132  IL  DECRESCERE  DEL  LIBERALISMO 

venire  a  Roma  e  confiscare  questo  resto  del  Patrimonio  di  S.  Pietro. 
Ma  dopo  la  sua  morte  tutto  era  preparalo  da  questi  politici,  de'quali 
i  più  sono  ora  morti,  ed  altri  invidiano  la  flo.ida  salute  di  Colui 
onde  credeauo  perversamente  di  ereditare.  E  intanto  che  passavano 
gli  anni,  e  si  consumavano  perciò  e  maceravano  di  dispello  e  di  livo- 
re i  desideranti  la  morte  altrui,  passavano  ancora  molle  delle  anti- 
che illusioni.  Quelli  che  davano  al  Papa  sapienti  consigli  di  buon 
governo  si  andavano  dimostrando  bisognosi  di  imparare  essi  i  pri- 
mi principi!  del  buon  governo.  Quelli  che  consigliavano  il  Papa,  si 
mostravano  privi  di  consiglio.  Quelli  che-parlavano  del  popolo  ro- 
mano come  di  desideroso  del  loro  soccorso,  videro  i  proprii  popoli 
noiarsi  a  poco  a  poco  del  loro  governo.  Quelli  che  faceano  i  conti 
sulle  finanze  del  Papa  e  contavano  i  giorni  e  le  ore  del  suo  fallimen- 
to, fallirono  ormai,  e  doveltere  caricare  i  loro  felici  sudditi  d'impo- 
ste ignote  al  popolo  romano.  Chi  sperò  nel  brigantaggio  fu  infesta- 
to esso  dai  briganti.  Chi  calunniò  per  infamare,  fu  esso  infamato 
senza  bisogno  di  calunnie.  Chi  contribuì  a  ristabilire  V ordine  mo- 
rale in  Bologna  e  negli  altri  Stati  del  Papa,  si  vide,  non  ha  molto, 
cacciato  egli  medesimo  per  immoralilà  da  un'illustre  capitale,  e  for- 
zalo ad  esulare  dalla  stessa  sua  patria  e  nascondere  in  isola  remota 
la  sua  disonorata  canizie.  Chi  tradì  è  tradito:  chi  rubò  sta  ora  af- 
fannalo a  mantenersi  il  suo  ;  chi  cercò  menomare  l'autorità  ponti- 
ficia, vede  menomata  la  propria  ;  chi  fece  i  conti  turpemente  sulla 
morte  altrui,  vede  farsi  turpemente  i  conli  sulla  propria,  senza  ave- 
re neanche  da  lungi  la  minima  parte  di  quella  certezza  che  ha  il 
Pontefice  di  pacifica  successione. 

Che  se  ci  ò  lecito  il  toccare  rispettosamente  dei  sempre  imperscru- 
tabili giudizii  di  Dio,  noi  confessiamo  che  una  delle  ragioni  nelle 
quali  ci  pare  fondarsi  quella  universale  speranza  del  mondo  nella 
durata  ancor  per  molli  anni  del  Pontificalo  di  Pio  1\,  si  è  appunto 
questa  persuasione  che  la  Provvidenza,  che  ludii  in  orbe  terrarinn, 
voglia  appunto  dare  questo  smacco  alla  falsa  prudenza  de'  mali  po- 
litici. 1  quali,  increduli  a  tulio  il  cerio,  e  creduli  però  a  quel  solo 
phe  è  incertissimo,  vollero  tessere  le  loro  fila  e  trainare  le  loro  in- 
sidie sul  conto  degli  anni  probabili  della  vita  dei  Papi.  Ad  ogni  mo- 


IL  DECRESCERE  DEL  LIBERALISMO  133 

do,  è  certo  che,  anche  come  sono  ora  le  cose,  i  perfidi  disegni  sono 
svaniti  in  questo  correre  da  loro  insperato  di  anni,  e  il  Pontefice 
vive  e  regna  in  Roma  più  sicuro,  più  glorioso,  più  influente,  più 
amato  che  non  i  suoi  nemici. 

I  quali  del  resto  sono  ora,  come  dicemmo,  di  molto  diminuiti; 
potendosi  anzi  dire  che  questo  Papa  non  ha  nemici;  benché  molti 
siano  pur  troppo  i  nemici  di  quanto  egli  rappresenta,  sostiene  e 
predica.  Ma  anche  questi  nemici  vanno  diminuendo,  avendo  la  Prov- 
videnza permesso  che  V  eccesso  stesso  del  male  abbia  ormai  aperto 
gli  occhi  a  molti,  i  quali,  non  fosse  per  altro  che  pel  loro  interesse 
personale,  si  vedono  costretti  a  sostenere  e  difendere  quello  che  il 
Papa  rappresenta,  sostiene  e  predica.  E  questo  è  il  movimento  che 
dicevamo  ora  vedersi  nel  mondo  verso  i  principii  sani  e  cattolici, 
che  appaiono  ormai  anche  ai  politici  il  solo  sostegno  dell'  ordine 
materiale  e  degli  interessi  economici. 

II  qual  movimento  cattolico  accade  ora  in  varii  paesi  liberali  ap- 
punto per  la  naturale  reazione  del  vero  popolo  e  della  vera  maggio- 
ranza cattolica  contro  la  malvagità  anticristiana  del  liberalismo. 
«  I  nostri  avversarli,  dice  il  Bien  public  di  Gand  del  20  Giugno, 
i  nostri  avversarli  cercano  della  loro  disfatta  (nelle  reconti  elezioni 
de' deputati)  mille  spiegazioni  più  o  meno  ingegnose.  Essi  farebbe- 
ro mitilo  meglio  di  vedere  e  di  riconoscere  l'incontrastabile  realtà 
de'  falli.  Ogni  volta  che  il  liberalismo  oserà  mostrarsi  qual  è,  cioè 
anticristiano,  solleverà  nel  nostro  Belgio  rimasto  sì  fedele  alla  sua 
fede  religiosa,  insormontabili  repugnanze.  Questo  carattere  anti- 
cristiano del  liberalismo  essendosi  più  o  meno  ora  tradito,  ecco  che 
noi  abbiamo  ora  veduto  immediatamente  eccitarsi  la  reazione  nella 
pubblica  coscienza.  » 

E  quello  che  è  accaduto  in  Belgio,  accadde  per  lo  slesso  motivo 
in  Baviera,  e  sta  accadendo  in  Austria,  siccome  è  noto:  ed  accadrà 
presto  o  tardi  dapertutto  dove  il  liberalismo  si  toglierà  la  maschera 
onde  si  copre  e  onde  inganna  le  moltitudini  imperile. 

Ed  a  questa  reazione  la  Provvidenza  volte  che  il  diavolo,  cioè 
il  liberalismo,  che  è  più  sciocco  di  quel  che  si  crede,  contribuis- 
se e  cooperasse  palesemente  non  meno  coi  suoi  mali  falli  che  col- 


134  IL  DECRESCERE  DEL  LIBERALISMO 

le  sue  buone  parole.  Coi  mali  falli  vi  cooperò  evidentemente,  co- 
me si  ò  dello,  stancando  di  se  i  popoli,  e  forzandoli  a  vedere  é  toc- 
car con  mano  la  differenza  Ira  il  Governo  cattolico  e  il  liberalismo. 
Il  che  è  accaduto  specialmente  in  Italia  e  specialissimamente  nelle 
province  rubate  al  Papa,  dove  coloro  che  si  lagnavano  prima  dei 
Legali  e  dei  Delegali,  ebbero  poi  occasione  di  provare  i  Prefetti  e 
i  SoUoprefelti. 

Colle  buone  parole  poi  vi  cooperò  in  modo  singolare,  predicando, 
per  ipocrisia,  massime  buone,  che  poi  apertamente  violò,  e  pro- 
mettendo per  malizia  beni  e  vantaggi  che  non  mantenne. 

Così  per  esempio,  si  è  veduto  il  liberalismo  acclamare  a  Pio  IX, 
e  proclamarne  le  glorie.  Diceano  allora  il  vero  i  liberali  :  e  i  popoli 
si  affezionarono  sempre  più,  grazie  ai  liberali,  al  loro  Re  e  Pontefice. 
Anche  senza  l'aiuto  dei  liberali  i  popoli  avrebbero  saputo  ammirare 
ed  amare  Pio  IX.  Ma  la  Provvidenza  ha  voluto  che  i  liberali  per 
troppa  accortezza  diventassero  corti,  e  per  troppo  assottigliarsi  si 
scavezzassero.  Oh  quanto  pagherebbero  ora  i  vecchi  sellarli  e  i 
capi  del  liberalismo  italiano  di  non  aver  detto,  né  scritto,  nò  fatto 
quanto  ora  vedono  esser  riuscito  a  loro  danno.  Giacché  resta  inte- 
merata e  cresce  anzi  ogni  giorno  la  gloria  di  Pio  IX  da  loro  predi- 
cata ;  ma  la  loro  predicazione  é  rimasta  come  il  più  gran  monu- 
mento di  sciocca  ipocrisia  che  si  conservi  nelle  cronache  delle  mal 
riuscite  marinolerie  settarie. 

E  così  pure  è  tornata  a  loro  danno  ed  onta  l'arte  sopraffina  di 
muovere  ed  eccitare  la  pubblica  opinione,  di  cui  furono  maestri  in 
questi  anni.  Tutte  quelle  loro  arti  sono  state  poi  adoperate  contro 
di  loro  :  ed  essendo  stale  adoperate  a  servigio  della  verità  e  allo 
scopo  di  muovere  ed  eccitare  la  vera  e  non  la  falsa  opinione,  han- 
no fatta  maravigliosa  prova.  Secondo  che  si  vede  ora  nelle  innu- 
merabili guise  di  dimostrazioni  favorevoli  al  Papa  ed  alla  Chiesa. 
Sottoscrizioni,  indirizzi,  offerte,  collette,  circoli,  associazioni,  suf- 
fragi, illuminazioni,  tulio  l'arsenale  liberalesco  e  diventalo  conqui- 
sta dei  buoni  cattolici,  gralissimi  al  liberalismo  di  aver  loro  inse- 
gnato il  modo  pratico  e  facile  di  dimostrare.  Cosicché  ora  è  notis- 
sima e  chiarissima,  grazie  in  parie  ai  liberali,  l'opinione  universale 


IL  DECRESCERE  DEL  LIBERALISMO  135 

favorevole  a  Pio  IX  ed  ai  suoi  drilli.  ISò  vi  è  principe  o  Governo  li- 
berale che  sia  riuscito  in  questi  anni  ad  ottenere  per  se  suffragiL 
plebisciti,  dimostrazioni  di  affetto  e  di  stima,  offerte  e  sacrifizii 
volontari!  di  danari  e  di  vite,  come  vi  è  riuscito  il  Governo  sì  tem- 
porale e  sì  spirituale  del  Papa  presente. 

A  questo  Governo  omnia  cooperata  sunt  in  bonum,  in  questi 
anni  ;  ed  anche  le  disgrazie.  Le  quali  ogni  giorno  che  passa  meglio 
dimostra  che  furono  immeritate  e  procurate  non  da  altro  che  dal- 
l'arte e  dalla  frode  sottilissima  e  perfidissima  de' suoi  nemici.  Sicché 
la  sincera  compassione  verso  l' ingiustamente  oppresso  e  il  desiderio 
e  la  speranza  di  una  riscossa  sono  succedute  ora  nei  cuori  dell'  uni- 
versale a  quella  fredda  indifferenza  comune,  onde  in  sulle  prime 
pareva  esser  slata  accolta  la  quasi  totale  caduta  del  più  antico  e  del 
più  venerando  principato.  E  laddove  di  alisi  regni  e  sovranità  anche 
amatissime  già  dai  sudditi  fedeli,  pare  il  tempo  indebolire  e  a  poco 
a  poco  spegnere  perfino  la  memoria;  di  questa  sovranità  pontificia 
il  tempo  aumenta  il  credito  e  fomenta  il  desiderio.  Ed  anche  que- 
sto accade  grazie  ai  liberali,  i  quali  vanno  da  se  e  spontaneamente 
pubblicando,  contro  ogni  regola  di  volgare  prudenza,  quanto  può 
servire  a  infamare  le  origini  del  nuovo  Governo  e  nobilitare  la  me- 
moria dell'antico. 

«  P...  [Per sano)  mi  ha  comunicato  il  suo  scritto  (scriveva  al  To- 
relli l'Azeglio  sotto  i  28  Aprile  del  186G,  parlando  del  diario  di  cui 
il  Persano  ha,  alcuni  anni  dopo,  pubblicato  già  due  parli).  Gli  ho 
risposto  che  a  vederlo  solo  scritto  mi  veniva  la  pelle  di  cappone  pen- 
sando alla  possibilità  della  stampa.  Che  se  in  tutti  i  paesi  si  facevano 
mariuolerie,  in  nessun  paese  gli  interessali  le  confessavano  (Noti  il 
lettore  che  quii  Azeglio  dà  al  Persano  del  mariuolo).  Quindi  il 
proverbio:  confessare  al  pie  delle  forche:  e  nemmeno  allora,  secon- 
do alcuni.  Che  se  degli  amis  maladroits  poteano  aver  fatte  confes- 
sioni, sarebbe  ben  altra  enormità  che  un  ex  Deputato,  ex  Ministro, 
grande  Ammiraglio  della  marina  italiana  pubblicasse  confessioni, 
documenti  ecc.  ecc.  Vedo  ora  che  non  si  è  persuaso,  che  ha  consul- 
tato te.  Per  carità,  balli  sodo,  perchè  non  ci  capiti  quest'altra  vergo- 
gna! (Vergogna  era  per  l'Azeglio  il  confessare  la  verità!  E  pure 


136  IL  DECRESCERE  DEL  LIBERALISMO 

l'Azeglio  fu  colui  che  osò  scriver  la  famosa  nota  delle  due  coscien- 
ze al  Cardinal  Segretario  di  Stato  del  S.  Padre!)  Già  sai  quanto 
male  ha  fatto  il  N.  B.  (Nicomede  Bianchi  nella  sua  sloiia  docu- 
mentata della  diplomazia  europea  in  Italia  dal  1814  al  1861)  e 
come  ce  le  buttano  in  faccia.  Quanto  a  me,  se  fossi  nel  caso  di  P. 
(Persano),  non  vorrei  nemmeno  rischiare  di  tenere  un  simile  ma- 
noscritto nel  cassetto  per  paura  di  una  morte  improvvisa,  e  che  mi 
fosse  trovato  dopo!  Proprio  in  Italia  il  senso  del  vero  è  talmen- 
te pervertito  che  non  è  più  possibile  intenderci.  »  Perversione  del 
senso  del  vero  chiama  il  d'Azeglio  il  confessar  la  verità! 

La  confessava  però  egli  stesso  quanto  all'  ordine  morale  portalo 
negli  Slati  del  Papa,  nella  sua  lettera  al  Torelli  dei  16  Marzo 
1861  :  «  Nello  spirito  pubblico  ci  è  una  decisa  reazione  contro  noi, 
che  comincia  ad  estendersi  anche  alla  mercanzia  che  portiamo  in- 
torno. Ci  è  un  profondo  malcontento  in  Romagna,  Marche  ed  Um- 
bria. Da  per  lutto  si  comincia  a  dire  :  si  stava  meglio  prima.  E  so 
ci  volessero  di  fuori  imporre  la  federazione,  sarebbe  certo  che  ora 
i  popoli  rifiuterebbero?  {E  questo  era  fin  dal  1861  !)  À  me  paro 
che  si  faccia  un'  Italia  di  cartone  per  la  figura  come  al  teatro,  ma 
che  la  vera  si  disfaccia  ». 

Intanto  il  d  Azeglio  che  sapea  così  ben  consigliar  il  Persino  a 
non  conservare  nel  cassetto  manoscritti  pericolosi  perchè  veridici, 
egli  stesso  poi  facea  manoscritti  pericolosi  e  li  mandava  al  Torelli 
©he  li  conservò  nel  cassetto:  e  gli  furono  trovati  dopo  morte:  ed 
ora  sono  publicati  col  titolo  di  Lettere  di  Massimo  d'Azeglio  a  Giu- 
seppe Torelli.  E  come  il  Persano,  come  il  d'Azeglio,  come  il  Nico- 
mede Bianchi,  così  altri  assai  cooperarono  colle  loro  confessioni  e 
rivelazioni  imprudenti  ad  attirar  sopra  sé  e  i  loro  complici  ed  amici 
l'odio  e  il  disprezzo,  sopra  i  loro  fatti  le  maledizioni,  e  sopra  lo 
loro  vittime  e  specialmente  sopra  il  Pontefice  Pio  IN  le  benedizio- 
ni, l'affetto  e  il  credilo  universale. 

Mai  infatti  non  si  è  forse  veduto  verso  nessun  Pontefice  passalo, 
e  mai  certamente  non  si  ò  veduto,  nò  molto  meno  si  vede  ora  \erso 
nessun  altro  Principe  sovrano  quello  che  chiaramente  vediamo  \eri- 
fkarsi  nel  mondo  verso  Pio  IX,  cui  ogni  giorno  accresce  qualche 


IL  DECRESCERE  DEL  LIBERALISMO  1 37 

gloria.  E  quei  moltissimi  che  da  più  anni  ed  ora  più  che  mai  con- 
corrono da  tutto  il  mondo  a  questa  Roma  videre  Petriim  (ad  Gala- 
tas  1, 18)  ripetono  le  parole  della  Regina  Saba:  Reg.  Ili,  10,  6-9: 
Verus  est  sermo  quem  audivi  in  terra  mea  super  sermonibus  tuis 
et  super  sapientia  tua:  non  credebam  narrantibus  mi  hi  donec  ipsa 
veni  et  vidi  oculis  meis  et  probavi  quod  media  pars  mihi  inumata 
non  fuerit  :  maior  est  sapientia  et  opera  tua  quam  rumor  quem 
audivi.  Beati  viri  tiri,  et  beati  servì  lui  qui  stant  coram  te  semper, 
et  audiunt  sapientiam  tuam.  SU  Dominus  Deus  tuus  benedictus,  cui 
complacuisti  et  posuit  te  super  thronum  Israel,  eo  quod  dilexerit 
Dominimi  Israel  in  sempiternim  et  constiluit  te  regem  ut  faceres 
iudicium  et  iustitiam. 

E  non  è  ultima  cagione  di  questo  risvegliarsi  che  paiono  ora  fare 
gli  spirili  cattolici  nel  mondo  quel  fascino  e  quello,  diciam  così,  san- 
to prestigio  che  sopra  tutti  esercita  ora  il  sommo  Pontefice;  fascino 
e  prestigio  tanto  più  provvidenziali  e  mirabili  quanto  che  l'arte  prin- 
eipile  e  la  cospirazione  universale  del  liberalismo  era  stala  in  que- 
sti anni  di  versar  a  piene  mani  il  ludibrio  e  lo  scherno  sullo  Stato 
pontifìcio  ed  il  suo  Governo.  Ma  a  nulla  sono  tornate  le  arti  e  le  con- 
giure. Poterono  queste  in  questi  anni  ogni  cosa  nel  mondo  a  dan- 
no di  altri  Principi  e  di  altri  Governi.  Ma  per  rispetto  al  pontificio 
ogni  mina  fu  dalla  Provvidenza  sventata  e  tornata  a  bene  e  a  gloria 
dell'oggetto  di  ogni  insidia.  Ondechè  non  sono  infondate  le  speranze 
de'  buoni  che  la  divina  Provvidenza  voglia  compiere  con  questo  e 
sotto  questo  Pontefice  queir  opera  di  ristorazione  e  di  rinnovamento 
morale  e  materiale  a  cui  aspira  la  società  presente,  e  che,  per  uni- 
versale consenso,  ormai  non  si  aspetta  più  né  si  spera  d'  altronde 
che  da  Roma  e  dal  Pontefice  romano.  4 


I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

SCENE  STORICHE  DEL  1867 


XCVIII. 

Mentana,  3  Novembre. 

Chi  saprebbe  immaginare  come  mai  Pio  IX,  il  cui  cuore  si  van- 
ta come  tesoro  inesauribile  di  clemenza,  scagliasse  i  suoi  soldati  a 
macellare  la  gente  accolla  sui  colli  di  Mentana?  Non  udì  le  agonie 
di  tanta  gioventù  mitragliala,  sbaioneltata,  scerpata?  non  previde  il 
sangue,  onde  a  momenti  rosseggiar  dovea  la  campagna?  noi  fece 
pietoso  il  compianto  di  tante  madri,  e  sorelle,  e  spose,  e  fidanzate? 
Così  ragionarono  certi  animi,  moderati  e  gentili  a  ritroso,  che  in- 
contrando una  tigre  alle  prese  con  un  viandante,  non  pel  viandante 
si  sentono  intenerire,  ma  per  la  tigre.  Pio  IX  invece,  mansueto, 
mite,  paterno  all'uso  antico,  benedisse  coi  sensi  di  Matalia  e  dei 
Santi  iniziatori  delle  crociale,  benedisse  le  spade  sguainate  a  di- 
lesa del  drillo,  e  implorò  da  Dio,  gemendo  sì,  ma  pure  senza  esita- 
zione, la  sconfitta  dei  nemici  del  popolo  romano  e  della  civiltà  e 
della  religione. 

Come  fossero  i  suoi  voti  esauditi  in  cielo  ora  e  da  raccon- 
tare. E  noi  ciò  faremo,  senza  ira  nò  parte,  seguendo  solo  la 
scoria  dei  referti  pubblicali  dai  generali  pontificii  e  francesi,  e  di 
altri  conservali  nell'archivio  militare  di  Roma;  ci  varremo  egual- 
mente dei  rapporti  dei  capi  garibaldini,  che  si  trovarono  Dell'azio- 
ne, come  il  Fabrizi,  il  Menotti,  il  Cuerzoni,  il  Italiani,  il  Del  Vcc- 


XCYIII.  MESTALA,  3  NOVEMBRE  139 

chio  e  altri,  sceverandone,  per  quanto  ci  verrà  fatto,  il  vero  dal 
falso  1.  Vantaggiammo  altresì  di  quanto  scrissero  prima  di  noi 
scrittori  diligenti,  come  il  Vitali  e  il  Mencacci.  Di  relazioni  specia- 
li e  personali  poi  abbiamo  vagliato  fasci  e  fasci.  Da  ultimo  ci  re- 
cammo più  volte  a  considerare  il  luogo  della  battaglia  e  i  siti  delle 
fazioni,  anche  in  compagnia  di  ufficiali  superiori  e  di  chi  aveva  di- 
retto e  maneggiato  la  somma  delle  cose.  Sarà  difficile  che  altri  do- 
po noi  aduni  altrettanti  istromenii  di  risapere  la  verità;  ninno  ci 
vincerà  nel  buon  volere  di  manifestarla:  e  questa  dichiarazione  ci 
scusi  dalle  minute  e  interminabili  citazioni  di  documenti. 

Nell'alto  della  notte  le  schiere  alleate  balzavano  alle  armi  pel- 
le caserme  di  Roma,  e  traevano  alla  spianata  del  Maccao,  ov'era  sta- 
bilita, per  le  ore  tre,  3a  massa  di  partenza  generale.  11  rullar  dei 
tamburi  e  lo  squillar  delle  trombe,  che  udivasi  fuor  de' quartieri,  e 
più  il  trapestio  de'  fanti  e  il  nitrir  de'  cavalli  e  il  carreggio  delle 
artiglierie,  intronavano  il  silenzio  notturno  :  e  i  cittadini  spiando 
dalle  gelosie  sì  operoso  rimescolamento  guerresco,  ritraevansi  im- 
pensieriti tra  di  speranza  e  di  timore.  Grondava  il  cielo  a  dirotta:  e 
forse  a  ciò  attribuir  devesi,  che  la  sortita  da  porta  Pia  non  si  ef- 
fettuasse prima  delle  quattro  e  mezzo. 

Procedevasi  alla  sicura  insino  a  ponte  Nomentano  e  più  oltre, 
ove  era  attendata  una  gran  guardia  francese  ;  né  v'  ebbe  altra  diffi- 
coltà, che  il  valico  del  ponte  medesimo,  cui  non  erasi  tuttavia  sca- 
ricato della  mina  secondo  l'uso  di  tali  tragitti  :  però  un  artefice  del 
Genio  si  teneva  a  cavaliere  del  fornello;  a  schermo  contro  le  impru- 
denze de'  passeggeri.  Quasi  alla  testa  del  ponte  ,  sulla  diritta  del- 
l'Aniene  si  levano  le  salite  del  monte  Sacro,  famoso  per  la  seces- 
sione della  plebe  romana,  placata  cos'apologo  di  Menenio  Agrip- 
pa 2.  Quivi  cominciavano  a  scorgersi  le  veslige  del  furore  garibal- 

1  Vedi  il  Saggio  bibliografico,  stampato  a  carte  XX1I-XL  del  voi.  I.° 

2  Vedi  la  nostra  Carla  corografica  di  cinque  province  ecc.  Quivi  sono  la 
topografia  di  Mentana  e  M onte  Rotondo,  la  pianta  di  entrambi  i  luoghi  e  le 
terre  adiacenti  Ciascun  punto  che  noi  in  sèguito  nomineremo,,  nella  Carta  è 
stato  tratteggiato,  con  tale  avvertenza,  che  tutto  il  movimento  della  battaglia 
scorgere  si  possa  quasi  che  ad  occhio  veggente. 


HO  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

desco,  nelle  case  incendiate  :  ma  della  presenza  o  della  lontananza 
del  nemico,  niun  indizio.  Congetturandosi  tullavia  ch'esso  non  po- 
tesse campeggiare  più  lungi  che  a  Monte  Rotondo,  il  general  coman- 
dante Kanzler  preparavagli  fin  d'ora  un'insidia.  Tre  compagnie  di 
Zuavi,  3,a4,a  5,a  del  2°  battaglione,  sotto  gli  ordini  del  maggiore 
di  Troussures,  vennero  distaccale  per  la  via  Salaria  in  sulla  sinistra, 
con  mandamento  di  marciare  parallele,  alla  coperta,  tenendosi  a 
filo  del  corpo  di  operazione,  e  dove  sentissero  progredire  i  fuochi 
di  battaglia,  studiare  il  passo  e  sdrucire  nel  fianco  del  nemico  im- 
pegnato alla  fronte. 

La  colonna  principale  continuò  il  cammino  pei'  la  via  Nomcnta- 
na,  a  lume  di  fanali,  recali  io  asta  sui  lati  della  strada  ;  lentamen- 
te però,  a  cagione  del  peso  grande  delle  munizioni,  dei  viveri  per 
due  giornate  e  del  corredo  da  accampare,  onde  ciascuno  scntivasi 
gravare  le  spalle  ;  e  più  ancora  per  le  tenebre  e  il  terreno  impedi- 
to, che  richiedevano  diligente  cautela  di  scoperte  nell'avanzare. 
Ordine  di  battaglia  prefisso,  quanto  era  possibile  contro  un  nemico 
rintracciato  sopra  incerto  terreno ,  era  diloggiare  i  corpi  avanzati, 
che  il  Kanzler  immaginava  locati  sulle  allure  di  Mentana,  come  in 
naturale  contrafforte  di  Monte  Rotondo,  e  di  là  movendo  con  lutto 
il  nerbo  dell'artiglieria  pigliare  la  piazza  a  rovescio,  e  risparmiare 
così  la  lunga  e  disastrosa  scalala ,  che  altrimenti  avrebbe  dovuto 
dare,  contro  tutte  le  forze  del  Garibaldi,  per  l'erta  di  verso  il 
Tevere. 

Si  era  giunto  al  piano  di  Capobianco,  a  mezza  via  di  Monte  Ro- 
tondo, scnz'allra  novità  che  lo  smettere  della  pioggia,  e  lo  spunta- 
re del  giorno.  Pertanto  il  Generale,  che  vedeva  accostarsi  le  cime 
di  Mentana,  comandò  grand'allo,  riposata  e  refiziamento.  Vi  arri- 
vò eziandio  la  brigata  francese,  la  quale,  giusta  gli  accordi,  avreb- 
be dovuto  separarsi  l'intervallo  di  due  ore  :  ma  per  l'indugiare  del- 
la colonna  pontificia,  e  perchè  essa  varcava  un  suolo  già  esplorato, 
raggiunse  i  preceduti,  nò  più  se  ne  disgiunse.  Una  lunga  cresta  di 
poggi  copriva  opportunamente  la  generale  fermala  dalla  vista  del 
nemico:  tuttavia  non  si  potò  impedire  che  le  vedette  garibaldine 
a  cavallo,  sotto  abito  di  pastori,  non  si  sferrassero  a  corsa  (e  furo- 
no vedute)  verso  Monte  Rotondo. 


XCVIII.  MENTANA,  3  NOVEMBRE  141 

Durò  un'ora  e  mezzo  il  riposo.  In  pochi  momenti  le  macchie  più 
dappresso  avevano  fornito  rami  e  bruciaglia  da  far  fuoco,  le  stac- 
cionate (co A  chiamano  qui  le  chiudende  di  pali  attraversati)  ridotte 
in  ìschegge  supplivano  ove  mancavano  i  boschi,  il  caffè  gorgoglia- 
va, si  affettavano  le  pagnotte  co' palosci,  e  le  borracce,  girando 
di  mano  in  mino,  rallegravano  le  brigate.  La  comitiva  invece  del- 
l'Ozanam  colle  suore  e  i  cappellani  fece  alto  alla  cappella  del  casa- 
le: i  contadini  trovarono  i  vasi  sacri,  cui  avevano  nascosto  alla  ra- 
pacità garibalda,  e  il  P.  Ligiez  offerse  l'Ostia  divina  a  santificazio- 
ne della  corrente  domenica,  e  ad  impetrazione  della  vittoria.  Molti 
crociati  affollavasi  alla  porta  dell'  oratorio  ;  e  i  battaglioni,  sfilando 
dinanzi  ali  ambulanzi,  riconoscevano  alle  bianche  falde  del  vela- 
melo le  note  monacello  di  S.  Vincenzo;  e  sclamavano:  --  Oh,  le 
suore  anche  qui!  oh,  le  pietose  !  ci  cureranno  le  ferite.  — 

Un  solo  affanno  amareggiava  alcun  poco  la  baldoria  strepitosa 
dell'accampamento.  —  Li  troveremo?  si  dimandavano  l'uno  all'al- 
tro, li  troveremo  colesti  famosi  Garibaldini?  —  Non  li  troveremo! 
—  Certo  ci  scopi  iranno  ai  passi  sulle  altezze:  non  ci  aspettano!  — 
I  bùtteri,  che  vedemmo  dileguarsi  come  saette,  sono  spie:  a  que- 
st'ora i  Garibaldini  levano  il  campo.  —  Tali  agitavansi  i  discorsi 
nei  capannelli  della  soldatesca:  ma  nei  ristretti  dello  Stato  maggio- 
re si  avevano  gli  avvisi  degli  esploratori,  che  riferivano,  i  colli  in- 
nanzi a  Mentana  brulicare  di  camiciotti,  e  a  vista  poter  essere  un 
settecento.  Si  fece  dunque  ragione  questi  essere  i  corpi  avanzati,  e 
l'esercito  garibaldesco  dimorare  serrato  attorno  a  Monte  Rotondo: 
e  la  lieta  novella  divulgandosi  tra  le  compagnie  vi  destava  uno  sfa- 
villamento di  fuoco  e  di  valore. 

Le  trombe  sonarono  a  marciata,  salutate  dal  clamore  giulivo  di 
tutto  il  campo.  Partivano  a  pie  volante,  coli'  animo  esaltato  nelle 
belle  fazioni  che  si  ripromettevano,  e  coll'ordinanza  medesima  che 
stabilita  era  pel  combattimento:  Zuavi  alla  testa,  Carabinieri  esteri, 
Legionarii,  l'Artiglieria  nel  centro,  Dragoni,  Genio,  Infermerie  : 
cinquanta  Gendirmi,  parte  a  piedi,  parte  a  cavallo,  serravano  la 
brigata  pontificia.  Poco  diversamente  disposta,  e  a  picciola  distan- 
za, seguiva  la  brigata  francese,  il  generale  di  Polhès  in  capo.  Alla 


142  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

fronte  marciavano  in  vanguardia  tre  compagnie  zuave,  sotto  il  co- 
mando del  maggiore  di  Lambii!  y,  e  una  sezione  di  due  pezzi  di 
campagna  sotto  il  tenente  Cheynet:  precorreva  in  antivangii 
un  mezzo  squadrone  di  Dragoni,  dai  quali  il  tenente  di  La  Rodia- 
te veniva  spiccando  drappellelti  e  punte  di  stracorridort;  e  ciò  tanto 
più  gelosamente,  quanto  più  la  piaggia  prendea  dell'erta  e  il  stt&lo- 
cominciava  a  variare  in  tumuli  e  vallami,  e  la  sia  Nomcntana  a 
serpeggiare  ed  imboscarsi.  11  generale  di  Courten,  condottierc  del» 
la  brigata,  co' suoi  ufficiali  di  campo,  Eugenio  de  Maistre,  Pielra- 
mellara  e  di  Terves,  precedeva  alla  testa  di  colonna,  in  avviso  di 
provvedere  alle  novità. 

Splendidissimo  tra  la  vanguardia  e  la  battaglia  cavalcava  lo  Sta- 
to maggiore  generale,  al  sèguito  del  comandante  Kanzler  :  perchè 
sebbene  per  consueto  ristringevasi  al  maggiore  Ungaretti,  aiutante 
di  campo,  e  ai  capitani  di  Stalo  maggiore,  Francesco  de  Maistre, 
di  Bourbon-Chalus  e  di  Maumigny,  pure  vi  si  era  aggiunto  al- 
l'uopo buon  numero  di  ufficiali  di  varie  armi  pontificie  e  francesi, 
e  un  nobilissimo  corteggio  di  volontaria;  che  tulli  poi,  senza  distin- 
zione veruna,  si  porsero  ai  servigi  di  ufficiali  d'ordinanza  :  e  ciò 
senza  contare  altri  valorosi  cavalieri,  che  erano  concorsi  o  per  do- 
vere o  spontaneamente,  come  aiutanti  di  campo  de'  comandanti  dei 
varii  corpi.  Niuna  battaglia  de'  tempi  nostri  può  vantare  propor- 
zionato numero  di  gentiluomini  e  di  tante  nazioni,  gettatosi  per  solo 
ardore  cavalleresco  a  militare  nel  meno  osservato  e  più  rischioso 
ufficio  di  ordinanze.  11  nome  corrente  della  giornata,  o  come  le  mili- 
zie italiane  volgarmente  il  chiamano,  il  santo  erasi  dato  con  ! 
presagio  da  quindici  giorni  innanzi  in  questo  motto  e  risposta:  Pio, 
Paria. 

In  tale  regolato  assetto  si  accostavano  gli  Alleati  a  Monte  Roton- 
do, che  già  compariva  chiaramenle  allo  sguardo;  e  ascendevano  i 
ridossi  che  nascondono  la  odierna  Mentana.  Sopra  questi  lavò  già  le 
sue  rocche  la  vetusta  Nomentum,  chiara  città  nelle  memori 
prischi  Sabini,  e  nobile  castello  ancora  ne' tempi  di  mezzo  :  gi 
a  Nomenlo  S.  Leone  111  venne  a  festeggiare  Carlo  Magno,  con  ma- 
gnifico incentro  di  elici  ici  e  di  senatori,  poco  prima  di  esaltarlo 


XCVIII.  MENTANA,  3  NOVEMBRE  143 

all'  impero  d'occidente.  Oggidì  il  villaggio,  ridotto  a  un  settecento 
abitatori,  non  ritiene  della  passata  grandezza  che  un  castello  baro- 
mie,  ereditario  ne  principi  Borghese,  edificio  saldo,  a  botta  di  cari- 
noie,  che  domina  altamente  intorno,  e  sopra  tutto  la  strada  No- 
mertana.  Le  case  si  aggruppano  presso  il  castello,  e  si  distendono 
sulla  via  di  Monte  Rotondo:  le  protegge  a  ponente  la  profondità  di  un 
vallone,  a  levante  un  lungo  ciglio  di  collina,  sporgente  poco  più  che 
a  fiore  dei  tetti;  e  il  ciglio  afforzano  ceppi  di  case  isolate,  eccellenti 
fortilizìi  avanzali,  quando  sieno  guernite  di  fucilieri.  Incomparabil- 
mente più  aspre  e  minacciose  sono  le  avvenute  di  Mentana,  sui  col- 
li dalla  parte  di  Roma,  onde  inollravasi  l'esercito  pontificio.  Poiché 
quinci  si  parano  giogaie  raddoppiate  e  rinterzale,  le  cui  spalle,  ora 
selvose  ora  eulte  e  sparse  di  casali,  formino  muri  e  anlemiirali  for- 
midabili ad  assaltare:  e  la  strada  Nomentana  vi  entra  profonda- 
mente, signoreggiata  dai  clivi,  specialmente  dove  la  strozzano  due 
colline,  Servo  Cavaliere  a  sinistra,  e  monte  Santucci  a  destra. 

Appunto  nelf  ora  che  i  Pontificii  pervenivano  alle  prime  salile 
di  Mentana,  cioè  sulf  ora  del  mezzodì  3  Novembre,  giugneva  nel 
villaggio  il  generale  Garibaldi,  calatosi  da  Monte  Rotondo  alla  le- 
sta di  tutte  le  sue  forze.  Le  passa  in  rassegna  nel  suo  rapporto  ge- 
nerale il  colonnello  Menotti  Garibaldi,  luogotenente  del  padre  suo; 
e  novera  sei  principali  colonne  di  battaglia  propriamente  dette, 
suddivise  ciascuna  in  tre  o  quattro  battaglioni.  Comandavate  sei 
colonnelli  o  maggiori,  il  Salomone,  il  Frigyesi,  il  Valzauia,  il  Can- 
toni, il  Paggi,  l'Elia.  Un  drappello  di  Zappatori  veniva  sotto  il 
comando  di  Aurelio  Amici;  un  piccolo  corpo  di  Guide  a  cavallo, 
sotto  Ricciotli  Garibaldi,  due  pezzi  d'artiglieria  di  campo,  presi 
nell'acquisto  di  Monte  Rotondo,  e  alquante  spingarde  o  pezzi  di 
montagna,  bei  cannoncini  di  bronzo  di  75  centimetri,  già  usati,  seb- 
bene con  poca  perizia,  in  anteriori  combattimenti.  Tenevan  dietro 
alle  sei  colonne  tre  o  quattro  battaglioni  volanti  ;  in  capo  marciavano 
tre  battaglioni  di  fanti  eletti,  con  titolo  di  carabinieri  genovesi,  co- 
manditi dal  capitano  Stallo,  dal  maggiore  Burlando,  dal  tenente- 
colonnello  Missori;  cui  si  aggiugneva  la  compagnia  livornese,  ca- 
pitano Santini.  In  tutto  contavano  ventotlo  battaglioni,  compresovi 


144  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

due  minori  dell' Andreozzi  e  di  Iacopo  Sgarallino;  ed  escluso  inte- 
ramente i  corpi  separati  del  Nicotera  e  dell'Acerbi,  altrove  guer- 
reggianti.  Della  quale  massa  di  combattenti  quanto  il  Menotti  at- 
tenui contro  verità  i  ruoli,  vcggasi  solo  da  questo,  che  la  colonna 
Frigyesi,  da  lui  valutata  ad  ottocento  uomini,  da  un  maggiore  pon- 
tificio venne  riputata  di  milleducento,  e  dallo  slesso  Pietro  Del  Vec- 
chio che  era  uno  de' suoi  capi,  e  ne  fu  il  proprio  storico,  è  jecala 
a  milletrenta. 

Tre  soli  battaglioni  si  trovarono  lungi  dal  terreno:  uno  spedito 
di  Là  dal  Tevere,  il  14°  che  occupava  Tivoli,  il  20°  lasciato  in 
guardia  a  Monte  Rotondo:  tutti  gli  altri,  o  campeggiavano  ai  posti 
avanzati  di  Mentana,  o  vi  entravano  poco  prima  della  battaglia.  La 
vanguardia,  i  tre  battaglioni  cioè  di  carabinieri,  già  erano  distesi 
sulle  alture  di  contro  a  Roma,  allorché  Giuseppe  Garibaldi  co'  suoi 
tìgli  Menotti  e  Ricciotti  al  fianco,  seguito  dallo  Stato  maggiore,  fa- 
ceva il  suo  ingresso  nel  villaggio  al  suono  della  fanfara.  Festeggia- 
Tanto  i  suoi  solamente  ;  giacche  «  non  vi  fu  un  grido  di  festa,  rim- 
piagne  qui  doloroso  il  Bertani,  quando  entrammo  in  Mentana,  non 
vi  fu  un  aiuto  spontaneo  durante  la  lotta,  non  un  conforto  dappoi, 
che  venisse  dagli  abitanti!  »  11  battaglione  del  Ciotti  da  più  tempo 
era  di  tutto  punto  formato  e  schierato  sulla  strada  grande,  e  segui 
lo  Stato  maggiore.  Per  mezz'  ora  continuarono  a  sfilare  le  colonne 
allegramente  cantando:  così  che  a  mezz'  ora  prima  del  tocco,  l'eser- 
cito garibaldino  si  trovò  in  ordine  di  ricevere  battaglia,  il  più  e  il 
meglio  che  volere  potesse  in  quelle  si  favorevoli  posizioni:  vantag- 
giosa frontiera  di  resistenza,  agevole  V  avanzare  in  prospera  fortu- 
na, sicuro  il  ritirarsi  nell'  avversa.  Dicono,  ciò  avvenisse  per  iscal- 
trimento  del  Garibaldi,  che  aveva  sospettato  di  un  possibile  attacco 
nella  marciata:  noi  crediamo,  fosse  semplice  effetto  degli  accurati 
sludii  fatti  sul  luogo  dal  suo  Stalo  maggiore,  in  cui  non  mancavano 
valenti  affidali  rcgii,  e  degli  avvisi  recati  nella  mattina  dagli  esplo- 
ratori a  cavallo. 

Ma  nò  previdenza  di  movimenti,  nò  sito  felice,  nò  copia  di  batta- 
glioni prevalente,  bastarono  contro  il  consiglio  di  Dio,  e  contro  le 
ristrette  schiere  crociate,  che  n'  erano  esecutrici.  Il  Garibaldi  fu 


XCVIII.  MENTANA,  3  NOVEMBRE  145 

disservito,  dicono  i  referti  suoi,  innanzi  tutto  dal  battaglione  Ram- 
bosio.  Dovea  questo  tenere  gran  guardia  a  Torre  Lupara  sulla  via 
Nomentana,  a  sei  o  sette  chilometri  in  avanti  di  Mentana,  e  n'  era 
scivolato  per  un  ordine  mal  inteso  di  Menotti,  o,  come  altri  meglio 
scrissero,  par  fastidio  delle  fatiche  e  dell' intemperie.  Checché  ne 
sia,  i  Pontificii  passarono  a  vista  di  Torre  Lupara,  avvisati,  un'  ora 
prima,  che  nelle  selve  dirimpetto  al  Romitorio,  a  sinistra  della  stra- 
da, attendevali  il  nemico  imboscato.  Tanto  è  falso  che  i  Garibaldini 
fossero  sorpresi!  A  vista  adunque  della  selva  la  scorta  di  cavalleria 
spiccò  un  Dragone  a  perlustrare  il  luogo  sospetto.  L'Arduino  (così 
chiamavasi  l'ardito  scorridore)  giunse  a  carriera,  scoperse  il  ne- 
mico, scaricò  le  armi,  e  tra  cento  palle  tornò  illeso  a  riferire. 

Questo  primo  fuoco  fu  quasi  mezz'ora  dopo  il  mezzogiorno.  Ne 
rintonò  1'  eco  ai  posti  garibaldini  dalla  compagnia  Erba,  la  più 
avanzata,  al  battaglione  Stallo  schierato  dietro  al  Romitorio,  e  più 
addietro  insino  a  Mentana  :  i  bersaglieri  del  Missori  e  del  Burlaudo 
rinforzarono  le  prime  file;  Menotti  a  cavallo,  dato  ordine  al  Ciotti 
di  occupare  Vigna  Santucci  col  suo  battaglione,  rientrò  in  Mentana 
di  gran  galoppo,  col  fucile  in  pugno,  gridando  ai  terrazzani:  «  Tutti 
a  casa!  serrate  le  finestre!  »  A  queste  grida,  e  più  al  raddoppiare 
della  moschetteria  lontana  la  trepidazione  spargevasi  per  ogni  do- 
ve: gli  stessi  Garibaldini  gregarii,  che  nulla  si  aspettavano  di  si- 
migliante,  ne  davano  alla  luce  del  sole  (dice  un  presente)  tali  segni, 
che  tacere  è  bello.  Giuseppe  Garibaldi  (riferisce  il  Guerzoni)  inter- 
rogò il  figlio  sulle  condizioni  della  fronte  di  battaglia  :  Menotti  ri- 
spose :  «  Davanti  si  sta  benissimo.  »  Garibaldi  spinse  il  cavallo  in- 
nanzi. La  battaglia  era  ingaggiata. 

Riconosciutasi  dai  Pontificii  la  presenza  del  nemico,  il  generale 
di  Courten  diede  i  suoi  ordini.  La  compagnia  Thomalé  sonando  alla 
cacciatora  avviluppa  il  colle  a  destra,  la  d'Albiousse  s'inselva  a 
sinistra,  il  capitano  Alano  di  Charette  cresce  sulla  via  tra  mezzo, 
serrato  e  sostenuto  dalla  compagnia  Legonidec,  tenendosi  all'altez- 
za dei  fiancheggiatori.  Apparve  la  linea  delle  camicie  rosse  scaglio- 
nala sulle  poppe  del  colle  a  destra:  pochi  momenti  di  viva  fucilata 
bastarono  a  scompigliarla  e  volgerla  in  isbaratto,  sebben  numerosa 
Serie  VII  voi.  XI,  fase.  488.  10  4  Luglio  1870. 


146  I  CROCIÀII  DI  SAN  riETRO 

e  rispondente  con  dieci  cotanto  di  fuoco.  E  i  Zuavi,  incalzare.  Giun- 
ti all'alto  scorsero  a  pruova  la  bontà  delle  posture  garibaldine.  Qui- 
vi rispiana  un  campo  vasto,  protetto  qui  e  là  da  pedali  di  quercia, 
divenuti  altrettanti  ridotti,  e,  che  peggio  era,  dalla  sinistra  della 
via  s  innalzava  una  macchia  folta,  irta  di  moschetti  che  radeva  il 
campo  con  un  nembo  di  morte;  la  strada  avvallata  e  percossa.  Pure 
la  compagnia  Thomalé  si  sforzava  di  coronare  il  lembo  della  terri- 
bile piattaforma  con  un  cerchio  di  carabine,  ma  con  picciolo  pro- 
gresso e  con  niun  danno  de'  nemici. 

Potevano  allora  i  due  battaglioni  garibaldini  con  un  movimento 
in  avanti  tentare  di  riversar  per  la  china  quel  pugno  di  audaci  :  non 
si  cimentarono,  forse  per  tema  delle  baionette.  Invece  appariva  in 
buon  punto  la  testa  di  colonna  zuava  a  sostenere  la  vanguardia,  e 
due  compagnie,  la  Moncuit  e  la  de  Yeaux,  rinforzavano  la  linea 
d'assalto.  Ma  atroce  e  spaventoso  diveniva  l'avanzare.  In  quella 
arrivava  a  spron  battuto  il  tenentecolonnello  di  Charelte.*  Vide  l'esi- 
tazione, ordinò:  «Zaino  a  terra!  alla  baionetta!  »  e  spingevasi  a 
pìcciol  trotto  sotto  il  fuoco  incrociato  della  selva  e  del  piano,  trasci- 
nando l'animosa  gioventù  colla  spada,  col  gesto,  col  grido  «  Avanti 
i  Zuavi!  o  vado  a  farmi  uccider  solo!  »  Un  urlo  immenso  gli  rispose 
su  tutta  la  linea:  «  Bravo  il  colonnello!  avanti,  viva  Pio  IX!  A  noi, 
a  noi!  Avanti,  avanti,  avanti!  »  E  coll'urlo  balzano  come  pantere 
sull'alto  piano,  si  slanciano  a  baionetta  calata  entro  la  selva,  si  pro- 
fondano per  la  strada  dietro  il  colonnello.  Niuno,  ci  dicevano  uffi- 
ciali e  soldati,  niuno  descriverà  mai  l'impeto,  la  pressa,  la  violen- 
tissima rovina  di  questa  prima  carica,  onde  alcune  compagnie  per 
tre  chilometri  di  strage,  giunsero  insino  alle  barricate  di  Montana. 
Di  greppo  in  greppo,  di  cespuglio  in  cespuglio,  di  tronco  in  tronco 
si  spazzava  il  terreno:  gli  abituri  pieni  di  nemici  si  lasciavano  pieni 
di  morti,  o  di  arresi  e  guardati  a  bocca  d'archibugio:  il  travaglio 
della  daga  fu  sì  ratto  e  fulminante,  che  interi  gruppi  di  nemici,  pri- 
ma di  riaversi  dallo  stordimento  si  Videro  accerchiati  dì  punte,  e  gli 
uni  sopra  gli  altri  trafitti  e  inchiodali  sul  terreno.  Un  sacerdote  che 
alla  sera  percórse  il  bosco,  ci  disse:  «  Non  si  polca  passare:  ho  do- 
vuto assolvere  dei  moribondi  in  lontananza,  per  onore  d' impacciar- 


XCVIII.  MENTANA,  3  NOVEMBRE  147 

mi  tra  le  cataste  degli  uccisi.  »  Quindici  giorni  dopo,  un  iiero  cro- 
cialo che  vi  guadagnò  lo  spallino,  ci  mostrava  le  pozze  di  sangue 
tuttavia  visibili  a  piò  degli  alberi. 

In  forse  dieci  minuti  di  feroce  mischia  cadeva  in  mano  dei  Ponti- 
fìcii il  primo  serraglio  di  Mentana;  e  il  nemico  si  ritirava  inseguito 
e  disordinato  sul  secondo.  Anche  le  compagnie  zuave  eransi  al- 
quanto rimescolate  nella  foga  dell'  incalzare.  Invano  il  colonnello 
Allet,  cavalcando  tra  il  reggimento,  che  a  mano  a  mano  veniva 
ammettendo  alla  zuffa,  brigavasi  di  disciplinare  la  fiumara  traboc- 
cante, i  capitani  arrocavansi  a  gridare  :  Serrate  le  file  !  ogni  nuovo 
nodo  di  nemici  che  mostrasse  il  viso  dietro  una  balza  o  un  muric- 
ciuolo,  facea  dimenticare  i  comandi,  gli  si  correva  sopra  a  tempe- 
sta: o  fuggiva,  o  era  distrutto.  Fu  detto  che  ì  Zuavi  si  mostrarono 
sfrenati.  A  che  risposero  gli  ufficiali,  la  consegna  loro  essere  stata 
di  prendere  tutti  i  posti  occupati  dal  nemico:  li  presero.  Guai,  se 
avessero  per  un  momento  solo  contato  il  nemico,  o  studiate  le  sue 
posizioni!  invece  di  sei  uomini  perduti  nel  primo  conflitto,  perde- 
vano le  intere  compagnie.  Lasciarono  la  cura  di  coprirji  ne'  fianchi 
alle  colonne  sopravvenienti  e  ai  francesi:  essi  rovesciavano  il  nemi- 
co. Alle  loro  spalle  si  aperse  la  prima  delle  infermerie  di  campo  : 
le  buone  suore  e  la  signora  Stone  si  posero,  benché  sconsigliate 
dai  soldati,  al  loro  pietoso  ufficio  dentro  e  fuori  della  cappella  del 
Romitorio,  mentre  ancora  \ì  tempestavano  le  palle.  De'  cappellani 
e  degl'infermieri  non  è  a  dire:  seguivano  le  pedate  delle  compagnie, 
a  confortare  i  morienti,  a  raccogliere  i  feriti,  pontificii  e  garibaldini, 
a  un  modo  istesso. 

Il  comandante  generale  Kanzler  era  stato  presente  all'  orrendo 
impeto  dell' entrata  in  battaglia;  e  si  avanzava,  sempre  a  eavallo 
come  il  suo  corteggio,  tra  il  fischiare  delle  palle  e  le  acclamazioni 
delle  milizie,  sul  campo  seminato  di  cadaveri;  e  contemplava  i  nuo- 
vi e  più  ardui  sbarri  che  restavangli  ad  espugnale,  prima  di  giù- 
gnere  sopraccapo  a  Mentana.  Ne  era  lungi  poco  più  d'un  chilometro; 
l'ampia  strada  gli  si  api  iva  dinanzi  pressoché  diritta  e  pianat,  ma 
battuta  da  due  costiere  di  colli,  gremite  di  bersaglieri  sino  all'in- 
gresso della  terra  :  alle  fauci  poi  della  valle,  entro  cui  corre  questo 


118  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

tratto  di  strada,  sorgeva,  a  manca,  il  monte  Servo  Cavaliere,  i  cui 
rialti  hanno  più  nomi,  monle  Guarnieri,  Torretta,  S.  Salvatore,  tutti 
coperti  d'armati;  sulla  sinistra  domina  il  eolle  Santucci,  ove  siede 
la  famosa  vigna  Santucci,  la  piccola  Malakoff  della  nostra  piccola 
Sebastopoli.  Garibaldi  cavalcava  in  fondo  alla  valle  provocando 
i  suoi  a  memorabili  pruove  di  valore,  e  fu  visto  coi  cannocchiali 
dare  una  corsa  dietro  vigna  Santucci,  e  dileguarsi. 

Certo,  se  il  Garibaldi  era  obbedito  a  punto,  e  l'esercito  pontificio 
s' ingaggiava  cecamente  per  la  valle  ;  il  nemico  avca  silo  e  forze  di 
stritolare  tra  quelle  morse  ogni  gran  forza  di  assai  tori.  Ma  il  gene- 
rale delle  genti  alleate  si  contentò  di  assalire  i  posti  all'  entrata  del- 
la valle,  e  dall'alto  operare  sul  basso,  poscia  investire  Mentana  dal 
fianco  destro,  a  terreno  pari.  11  Kanzler  vide  il  colle  Guarnieri  e 
il  colle  Santucci,  considerò  queir  importuno  edificio,  a  più  ordini 
di  finestre  cambiate  in  moschettiere,  coperto  da  piantagioni  nelle 
pendici  innanzi,  fasciato  alle  falde  da  un  muro  allo  e  insuperabile 
alle  fanterie;  vide  i  Garibaldini  che  lo  guernivano  con  isquisita  di- 
sciplina di  guerra,  avendovi  collocato  tutto  il  presidio  che  ne'  gior- 
ni addietro  teneva  Mentana,  e  per  rincalzo,  buona  parte  de'  batta- 
glioni discacciati  dai  posti  avanzati  :  il  generale  Kanzler  vide  lutto, 
e  disse  in  francese  al  Charelte:  «  Pigliatemi  quella  posizione.  »  E 
intanto  prese  ad  agevolargli  la  riuscita. 

Mentre  il  Charette  scagliava  i  Zuavi  alle  posture  boscate  di  mon- 
te Guarnieri,  onde  troppo  era  favorita  la  difesa  di  vigna  Santucci, 
e  abbarrava  ai  Garibaldini  lo  sbocco  della  strada,  e  apparecchiava 
l'assalto;  il  generale  Kanzler  mandava  ordini  ai  Carabinieri  di  rin- 
forzare le  ali  della  fronte  Cinque  compagnie  volarono  alla  destra, 
aggirando  largo  il  colle  Santucci  preso  di  mira:  la  prima  compa- 
gnia Waseshà,  già  era  marciata  in  sussidio  dei  Zuavi,  impegnati 
nelle  boscaglie  a  sinistra.  Da  questo  lato  si  ebbe  tosto  guadagnalo 
un  rialto  a  fianco  della  strada,  che  mirabilmente  prospellava  la  vi- 
gna Santucci:  il  Kanzler,  salitovi  con  lo  Stalo  maggiore,  vi  chiamò 
uno  dei  pezzi  di  campagna  che  venuti  erano  colla  vanguardia.  Toc- 
cò al  maresciallo  Bernardini  recarvisi  in  batteria,  e  tonare  il  primo 
colpo  di  cannone  a  Mentana,  come  aveva  tiralo  il  primo  di  questa 


XCVIII.  MENTANA,  3  NOVEMBRE  149 

guerra,  a  Bagnorea,  e  dovea  tra  poco  tirare  gli  ultimi  della  batta- 
glia, della  guerra  e  della  sua  vita.  E  quel  gentile  cavaliere  crociato 
fulminò  con  terribile  percossa  il  ridotto  Santucci,  infino  al  punto  in 
cui  vide  l'assali  mento  zuavo  mescolarsi  al  nemico,  e  allora  volse  la 
bocca  del  pezzo  rigato  altrove. 

Si  difesero  egregiamente  i  Garibaldini  dentro  e  fuori  del  riparo, 
finche  la  procella  romoreggiò  lontana.  Uscivano  a  bande,  sparava- 
no, e  rientravano  a  caricare:  mantennero  una  fucilata  ardente,  e 
minacciarono  bravamente  in  massa  compatta  al  portone  della  cinta. 
Ma  quando  dietro  questa  si  furono  formati  i  gruppi  di  battaglia,  ed 
eglino  videro  torneare  le  compagnie  dei  Carabinieri,  e  sopra  lutto 
allorché  il  Charetle  ebbe  fatto  intendere  il  temuto  grido:  Alla  baio- 
netta! le  camicie  rosse  vacillarono  dinanzi  alla  porta,  per  modo  che, 
avventandosi  i  Zuavi  a  daga  incannata,  questi  non  ebbero  nel  cozzo 
né  un  ucciso  né  un  ferito;  presero  siepi  e  vigne,  cacciando  il  nemi- 
co avanti  a  sé,  ed  uccidendo  sino  alla  casa.  Quivi  incontrarono  re* 
sistenza,  e  questa  ancora  non  lunga  né  vigorosa,  perchè  sfondate  le 
porte  e  infilzati  alcuni  più  ostinali,  gli  altri  si  arresero:  molti  erano 
fuggiti  a  salvamento.  Qui  pure  V  audacia  risparmiò  il  sangue  :  solo 
vi  caddero  pochi  feriti,  tra  i  quali  Edmondo  Yarz  e  Luigi  Maus,  ed, 
elettissima  vittima,  vi  perde  la  vita  il  capitano  Arturo  de  Yeaux. 
Mentre  scendeva  al  combattimento  tra  la  grandine  stridente  e  in- 
giungendo ai  suoi  di  marciar  cauti,  una  palla  il  giunse  diritto  al 
cuore,  e  nel  cuore  gli  spinse  la  croco  di  Castelfidardo,  che  gli 
brillava  sul  petto.  Cadde,  e  non  batté  polso.  Ieri  tornando  dalla 
sacra  mensa  aveva  detto  ad  un  amico  :  «  Mi  sembra  di  avere  pre- 
so il  Viatico.  »  Non  lungi  dal  de  Veaux,  il  colonnello  Charelte  eb- 
be il  cavallo  uccisogli  sotto  da  tre  colpi  di  fuoco,  ond'  egli  si  pose 
alla  testa  dell'assalto,  a  piedi,  e  i  suoi  Zuavi  ristorati  dal  sospetto 
di  averlo  perduto,  più  furibondi  si  slanciarono  innanzi. 

Più  dura  fortuna  sostennero  i  Garibaldini  sulle  cime  a  sinistra. 
Colà,  dopo  acquistata  la  vigna  Santucci,  si  recò  il  Charettead  attiz- 
zare la  zuffa,  cavalcando  un  destriero,  che  gli  Zuavi  gli  presentaro- 
no, dicendo,  essere  del  garibaldino  generale  Fabrizi.  Da  questo  la- 
to la  battaglia  si  avanzava  combattuta  aspramente  sino  all'ultima 


150  I  CROCIATI  DI  SAIS  PIETRO 

sponda  del  giogo,  ove  sorgo  Ira  rari  ulivi  un  mozzo  di  torre,  e  il 
terreno  si  avvalla  dirimpetto  a  Mentana.  Le  due  compagnie,  che  vi 
ascendevano  ebbero  arduo  conflitto  fin  dalle  falde  del  monte,  ove 
fu  d' uopo  spuntare  a  passo  a  passo  la  selva,  accanitamente  difesa 
dai  battaglioni  del  Burlando  e  del  Missori.  Pure  si  fecero  strada  in- 
sino  al  culmine,  lasciando  dietro  se  il  terreno  coperto  di  corpi  dei 
nemici  e  seminato  dei  loro.  Allora  correndo  la  eresia  a  forze  unite, 
e  appoggiali  anche  dal  basso,  livellarono  in  guisa  miseranda  i 
Garibaldini  per  tulle  le  coste  dei  fianchi,  sopra  tutto  all'estremo 
burrone,  dove  si  trasse  sulla  massa  riunita  e  confusa,  con  ispaven- 
ievole  acciacco.  Là,  ci  dissero,  i  cadaveri  si  raccolsero  a  centinaia. 
Ci  fu  pure  additato  il  luogo,  dove  il  caporale  carabiniere  Emilio  La- 
dernier  fu  trapassato  a  morte,  e  gridò:  «  Son  morto:  non  importa, 
Viva  Pio  IX!  »  Sparò  ancora  un  colpo,  e  cadde  allagando  il  suolo 
del  proprio  sangue. 

Tutta  la  seconda  linea  dei  Garibaldini  era  così  conquistata  ;  e  iìn 
d'ora,  per  la  presa  di  vigna  Santucci  sopra  tutto,  assicuralo  il  buon 
successo  delia  giornata.  Questa  era,  a  giudizio  de  comandanti  alleati, 
non  meno  che  dei  garibaldini,  la  chiave  di  Mentana.  Vi  si  promos- 
se, sebbene  a  tiro  del  nemico,  il  quartier  generale.  In  si  rilevanti 
acquisti  si  era  speso  meno  di  un'ora  e  mezza,  o  poco  si,  ma  pre- 
zioso sangue.  Paolo  di  Doyncl,  gentiluomo  francese,  fu  il  primo  a 
profondere  la  vita  su  quel  campo  di  gloria  imperitura  ;  Agostino 
Guilmin  boccheggiava;  Giovanni  Leton  aveva  una  palla  nel  petto,  e 
diceva  al  cappellano,  Mgr.  Daniel  :  «  Datemi  V  assoluzione,  e  riti- 
ratevi: vedete,  questi  briganti  vi  mirano!  »  11  sergente  Carlo  d'W- 
cantara,  straziato  a  morte  orribilmente,  animava  i  camerati:  «  Non 
badate  a  me,  avanti  voi  :  viva  Pio  IX!  »  Si  trasportavano  all'ambu- 
lanza il  caporale  Ivonc  di  Quali  ebarbes,  il  tenente  Salvatore  Jacque- 
mont,  e  l'eroico  Pietro  Àudouin,  che  spontaneamente  riparò  col  petto 
il  colpo  scagliato  al  suo  capitano  D'Aibiousse;  e  due  primizie  del 
valor  canadese,  Alfredo  Laroque,  e  il  sergente  Ugo  Murray  :  tutti  di 
nobili  ferite  adorni,  e  nobilmente  portale.  11  nemico  intanio  si  risol- 
veva in  fuga  universale,  sparpaglialo,  costernato  oltre  ogni  dire.  Se 
le  mura  di  Mentana  o  d'altro  riparo  murato  non  gli  avesseofferto 
un  pronto  rifugio,  la  sua  sorte  era  già  decisa  al  primo  scon Ivo. 


SGUARDO  RETROSPETTIVO 

SOPRA 

L' AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA 

DAL  1860  AL  1870 

IN    ITALIA 


[. 


Mentre  nel  Parlamento  italiano  si  van  discutendo  le  proposte  del 
Sella  per  provvedere  al  disavanzo  dell'Erario,  non  sarà  fuor  di 
luogo  il  dare  rapidamente  uno  sguardo  retrospettivo  all'amministra- 
zione che  dal  1860  al  1870  ba  regolato  le  spese  e  le  entrate  delle 
finanze  italiane.  Il  tempo  è  abbastanza  largo,  e  bene  vi  si  può  scor- 
gere il  merito  d'un  sistema  dagli  effetti  che  ha  prodotto:  ed  è  ab- 
bastanza vicino,  e  bene  vi  si  può  nella  indagine  omettere  la  pruova 
minuta  e  noiosa  delle  cifre,  che  sono  presenti  nella  generalità  a  co- 
loro che  attendono  a  questi  studii. 

Dall'altra  parte  egli  è  molto  utile  il  far  questo  esame,  se  vuoisi 
portare  un  giudizio  adequato  della  rivoluzione  intervenuta  in  Italia. 
1/ indipendenza,  la  forma  di  Governo,  l'unità  nazionale,  in  tanto 
sono  beni  per  un  popolo,  in  quanto  ne  promuovono  il  vantaggio 
pubblico  e  particolare  sotto  il  triplice  aspetto  del  dritto,  delia  mo- 
rale, del  ben  essere  sì  pubblico  si  privato.  Sembri  pur  questa  una 
bestemmia  a  certi  propagatori  di  sistemi;  essa  al  semplice  buon 
senso  del  volgo,  non  che  alla  scienza  dei  grandi  uomini  di  Stato  fu 


Iò*2  SGUARDO  SOPRA  L  AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA 

e  sarà  sempre  la  più  semplice  e  la  più  giusta  delle  verità.  Per  giu- 
dicare adunque  dell'  utilità  della  indipendenza,  dell'opportunità  del 
parlamentarismo,  o  dei  vantaggi  della  unità,  bisogna  accertarsi  se 
quei  tre  beni  sieno  veramente  ottenuti  o  almeno  con  probabilità  gran- 
de sperati.  Dove  uno  solo  ne  manchi,  tutte  le  altre  ragioni  di  Stato 
o  di  politica  non  basteranno  mai  a  giustificare  un  cangiamento  sic- 
come utile.  Or  quello  dei  tre  beni,  che  è  il  più  palpabile  di  tulli, 
se  non  ò  il  più  nobile,  è  appunto  il  ben  essere  pubblico  e  privato: 
e  questo  ben  essere  e  talmente  collegato  colla  amministrazione  delle 
finanze,  che  ne  è  l' effetto  più  diretto  e  più  immediato.  Esaminare 
dunque  le  finanze  d'uno  Stato,  per  un  dito  periodo  e  in  date  cir- 
costanze, vai  quanto  1'  esaminare  una  forma  imposta  o  un  muta- 
mento fatto.  Un  tal  esame  vai  certo  la  pena  di  occuparvi  un  po'  di 
tempo  e  un  po'  di  attenzione. 

Neil' istituire  intanto  questa  disamina,  noi  partiremo  da  un  fatto 
della  più  irrefragabile  notorietà.  Nei  nove  anni  che  intramezzano  il 
1860  e  il  1870  sono  stati  spesi  dal  Governo  dell'Italia  quasi  dieci 
migliardi  1:  cioè  dire  cinque  migliardi  e  8o0  milioni  di  lire  colle 
entrale  annuali  unite  insieme,  e  quattro  migliardi  142  milioni  coi 
debili  contratti-  Questa  enorme  somma,  spesa  disugualmente  d'  an- 
no in  anno,  se  si  spartisce  sopra  i  nove  anni  a  rate  uguali,  costi- 
tuisce un  esito  medio  annuale  di  1110  milioni  di  lire.  L' Italia,  di- 
visa nei  selle  suoi  Stati,  spendeva,  prima  della  rivoluzione,  poco 
più  di  508  milioni  l'anno.  L'  unità  dunque  ha  fatto  più  che  raddop- 
piare la  spesa  annuale  all'Italia,  ed  ha  per  conseguenza  più  che 
raddoppiati  i  pesi  che  gì'  Italiani  debbono  sostenere  per  essere  go- 
vernali. 

Questo  fatto  mena  naturalmente  a  tre  quesiti  importantissimi: 
donde  V  Italia  abbia  preso  questo  soprappiù  di  danaro  che  ha  incas- 
sato: dove  lo  abbia  erogato,  e  come  se  ne  sia  trovato  tanlo  il  Gover- 
no quanto  il  popolo.  Questo  donde,  questo  dove,  questo  come  ci  da- 
ranno sufficiente  argomento  ad  altrettante  discussioni,  che  corche- 
remo di  fare  senza  spiriti  o  parziali  o  pregiudicati. 

1  In  cifra  più  giusta  9  migliardi,  e  992  milioni  di  lire. 


DAL  1860  AL  1870  IN  ITALIA  153 

II. 

La  prima  sorgente,  dalla  quale  il  Governo  d' Italia  ha  attinto  il 
denaro,  sono  state  le  lasse.  A  prima  vista  pare  che  ciò  non  possa 
divenire  un  rimprovero  :  perchè  le  tasse  sono  naturalmente,  anzi 
debbono  essere  le  vere  fonti  della  ricchezza  erariale.  Se  questa 
vuoisi  aumentata,  naturai  cosa  è  che  quell'aumento  domandisi  alle 
tasse  slesse,  che  fra  tutti  i  modi  di  dar  denaro  allo  Stato  e  il  men 
disastroso,  il  più  onesto  e  il  più  conforme  alla  ragione. 

Se  non  che  puossi  aumentare  il  prodotto  delle  tasse,  senza  au- 
mentar le  lasse  stesse;  al.neno  nella  stessa  proporzione.  Ciò  fassi 
o  colla  migliore  distribuzione  di  esse,  o  colla  più  facile  riscossione, 
o  col  crescimento  della  pubblica  prosperila.  A  nuove  imposte  non 
si  ricorse  mai  dalla  sapienza  amministratrice,  se  non  nei  casi  più 
urgenti.  Or  tulio  al  rovescio  è  avvenuto  nel  nuovo  regno  formatosi 
in  Italia.  x\vendo  bisogno  di  più  larghe  entrate,  s'è  messo  alla  di- 
ro! la  nella  facile  via  di  decretar  nuove  e  poi  nuove  imposte.  Con 
quanta  prudenza  il  mostra  quel  complesso  implicato  e  doloroso  di 
circostanze  che  accompagnano  questa  creazione  di  tributi. 

In  primo  luogo  furono  aumentate  di  un  colpo  solo  tulli  i  balzelli, 
imponendo  un  tanto  di  più  a  tutte  le  tasse  esistenti,  sotto  il  titolo  di 
decimi  di  guerra,  che  promettevano  dover  essere  temporanei,  e 
furono  perpetui.  Solo  questa  idea  della  generale  uniformità  di  un  au- 
mento basta  a  mostrare  la  poca  sapienza  del  pi  ov  vedi  mento.  In  un 
grande  Stato  non  tutto  può  andare  con  uniforme  procedimento;  an- 
zi il  prosperare  d'una  industria  spesso  genera  il  decadimento  di 
un'altra,  e  dove  un'entrata  cresce  l'altra  scema.  Fu  dunque  sempre 
giudicata  buona  arte  di  governo  l'acconciare  i  balzelli  alle  vicende 
diverse  delle  industrie  e  dei  commerci,  e  l'andarle  là  scemando, 
qua  aumentando,  conforme  al  prosperar  di  queste  o  al  decader  di 
quelle.  Aumentare  uniformemente  i  pesi  senza  considerazione  veru- 
na delle  forze  capaci  di  sostenerli,  è  un  aggravar  troppo  certuni 
senza  aggravare  abbastanza  certi  altri:  riduce»  a  creare  dei  veri 
privilegi.  Così  avvenne  di  fatto  nell'  Italia.  L'aumento  sulla  tassa 


154  SGUARDO  SOPRA  L  AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA 

fondiaria  fu  intollerabile  e  rovinoso,  soprattutto  pei  piccoli  pro- 
prietarii:  l'aumento  sopra  le  dogane  fu  pei  commercianti  di  non 
grave  iattura;  mentre  che  pei  fabbricanti  nazionali  cagionò  danni  e 
perdite  ragguardevoli.  Il  commercio  fu  dunque  privilegiato  più  del- 
la manifattura,  la  manifattura  più  dell'agricoltura.  Ecco  l'effetto  di 
questi  aumenti  uniformi:  disuguagliare  il  peso  nelle  varie  classi 
dei  cittadini. 

Oltre  all'aver  aumentate  tutte  le  tasse  anticamente  esistenti,  il 
Governo  ha  nel  corso  di  questi  nove  anni  addossate  ai  suoi  sudditi 
tasse  nuove.  E  quante  credete  voi  ne  abbia  esso  creale  infin  ad  og- 
gi? Nientemeno  che  più  di  quaranta,  le  quali  potremmo  qui  annove- 
rare ad  una  ad  una,  se  non  avessimo  la  certezza  che  gì'  Italiani  con- 
tribuenti le  conoscono  meglio  di  noi.  Ci  basti  il  qui  aggrupparne, 
colle  parole  del  eh.  Savarese,  soltanto  alcune.  «  Ila  tassato  con  la 
legge  del  registro  tutti  gli  alti  della  vita,  la  compra,  la  vendita,  la 
permuta,  la  donazione,  l'enfiteusi,  il  mutuo,  la  locazione  delle  cose 
e  dell'opera;  l'uso,  l'usufrutto,  la  quietanza,  il  mandato;  le  succes- 
sioni, l'esperimento  dei  proprii  diritti  dinanzi  al  magistrato.  Ha  tas- 
sato sotto  il  nome  di  ricchezza  mobile  tutte  le  rendite  ed  i  frulli  ci- 
vili, tutti  i  profitti  e  tutti  i  salarli.  Ha  tassato,  sotto  il  nome  di  tas- 
sa sul  consumo,  sulle  vetture,  sui  domestici,  su  gli  animali,  sui 
dispacci  telegrafici,  sulle  tariffe  postali  tutta  la  rendila  nella  della 
terra,  il  profitto  dell'  industria,  il  salario  dell'operaio  1.  » 

Questa  inondazione  di  tasse  ha  veramente  sepolta  sotto  le  sue  ac- 
que la  pubblica  prosperità.  Una  buona  parte  delle  rendite  private  pas- 
sano dalla  scarsella  del  proprietario  nella  voragine  dell'erario:  cosic- 
ché i  cittadini  d' Italia  somigliano  a  certo  capre  che  i  pastori  smun- 
gono soverchiamente,  e  fan  divenire  stecchile  e  macilenti.  Non  v'  e 
tassa  che  trovisi  in  uso  presso  qualche  paese  d'  Europa  e  d'Ameri- 
ca che  i  legislatori  d' Italia  non  abbiano  voluto  applicare  al  povero 
nostro  popolo,  senza  discernimento  e  senza  temperanza.  Senza  di- 
scernimento: perchè  le  tasse  sono  come  le  piante;  le  quali  non  tut- 
te fanno  per  tutti  i  suoli  e  per  tulli  i  climi.  Senza  temperanza:  per- 
chè il  solo  vedersi  1'  unghia  del  fischio  ad  ogni  allo  e  in  ogni  affa- 

1  Lettere  di  un  contribuente  ad  un  uomo  di  Stalo,  pag.  34. 


DAL  1860  AL  1870  IN  ITALIA  155 

re,  senza  rispetto  nò  eccezione,  è  cosa  estremamente  fastidiosa.  Un 
bello  umore  forestiero,  reduce  da  un  suo  viaggio  in  Italia,  fu  ri- 
chiesto qual  opinione  si  fosse  formata  della  ricchezza  d' Italia:  ed 
ei  subito  di  ripicco:  l' Italia  è  cangiata  in  un  gran  museo  di  tasse. 
E  diceva  vero,  perchè  alla  raccolta  non  ne  manca  nessuna. 

La  perequazione  o  il  conguaglio  delle  imposte,  brutta  parola  per 
esprimere  più  brutto  fatto,  è  stata  un'altra  circostanza  che  ha  viepiù 
inasprito  il  sistema  tributario  degl'  italiani.  In  uno  stato  di  antica 
formazione  una  tassa  può  essere  giusta  divenendo  eguale  per  tutte 
le  sue  province:  giacché  queste  pel  lungo  loro  contatto  reciproco  si 
sono  messe  a  poco  a  poco  nelle  medesime  condizioni  di  fortuna, 
quanto  basta  almeno  a  sopportare  i  medesimi  pesi.  E  pure  in  tale 
stato  la  prudenza  governativa  consiste  a  scegliere  quel  genere  di 
materia  tassabile  che  sia  più  universale  per  tutti,  e  a  determina- 
re quel  minimo  d' imposta  che  possa  agevolmente  tollerarsi  dalla 
parte  men  fortunata  dello  Stato.  Quest'avvedutezza  fu  del  tutto  tra- 
scurata in  Italia.  Essa  era  un  corpo  non  venutosi  formando  per  as- 
similazione lenta  di  parti,  ma  per  subito  e  violento  accozzamento  : 
e  queste  parti  erano  così  dissimili  anzi  contrarie  tra  loro,  che  più 
non  potrebbero  se  a  nazioni  diverse  appartenessero.  Ognuno  dei 
sette  Slati  avea  tradizioni  e  coslumi  diversi  :  ognuno  i  suoi  vantag- 
gi e  i  suoi  incomodi  speciali  ;  ognuno  i  suoi  bisogni  e  i  suoi  pro- 
dotti singolari.  Bisognava,  dopo  avere  abbattute  le  barriere  che  li 
separavano,  dar  loro  il  tempo,  per  così  dire,  di  livellarsi  nella  pro- 
sperità, se  si  voleva  senza  grave  offesa  dei  loro  interessi  livellarli 
nei  balzelli.  Il  Governo  italiano  procedette  a  rovescio:  uguagliò  con 
legge  improvvida  sopra  tutti  di  botto  le  imposizioni,  e  così  ne  segui- 
tò un  inegualissimo  peso.  A  citarne  solo  qualche  esempio,  ricorde- 
remo che  per  la  differente  valutazione  dei  cadastri  furonvi  provin- 
ce ove  il  conguaglio  raddoppiò  ai  proprietarii  la  tassa  prediaria  che 
pagavan  prima,  e  province  ove  quasi  quasi  la  dimezzò;  senza  che 
la  proporzione  della  tassa  col  valore  del  fondo  diventasse  la  stessa. 
Così  fece  colui  che  per  avere  i  libri  uguali,  li  fé'  scortar  tutti  alla 
misura  del  più  piccolo  tra  loro.  Esso  si  vantava  di  aver  tutti  i  suoi 
libri  d'una  stessa  altezza:  ma  la  gente  gli  dava  le  beffe  di  avere  non 
più  libri,  ma  inutili  e  ridicole  sconciature. 


156  SGUARDO  SOPRA  L  AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA 

III. 

Un  altro  vizio  che  è  forse  il  peggior  di  tutti,  hanno  le  moderne 
tasse  italiane,  ed  esso  si  è  di  avere  col  loro  eccesso  stremata  la  pro- 
duzione e  scemata  quindi  l'entrata  corrispondente  allo  Stato:  ossia, 
in  altri  termini,  d'essere  riuscita  dannosa  del  pari  ai  contribuenti 
ed  all'erario.  Ciò  si  è  avverato  di  moltissime  fra  le  tasse  imposte: 
basterà  notarlo  qui  in  ispecic,  a  cagione  di  esempio,  di  una  soltanto. 
Il  dritto  di  registro  degli  alti  contrattuali  e  giudiziarii  nelle  pro- 
vince continentali  del  Regno  di  Napoli  era  in  media  di  una  lira  per 
ciascun  atto;  il  Governo  d'Italia  ha  posto  un  dritto  graduale  che 
riduce  in  media  quelle  tasse  a  4  lire.  Or  che  ne  è  avvenuto?  Nelle 
province  continentali  del  Regno  di  Napoli,  prima  dell'unificazione 
dell'Italia,  registravansi  2,308,175  atti:  nell'Italia  intera,  dopo 
l'attuazione  di  quella  tassa  progressiva  ed  esorbitante,  si  registra- 
rono appena  1,317,605  atti:  cioè  dire  poco  p«ù  della  metà  per  l'Ita- 
lia intera  di  quanti  si  registrassero  prima  nelle  sole  province  meri- 
dionali. Or  che  vuol  dire  ciò?  Vuol  dire  che  in  parte  gli  affari  di- 
minuirono, e  in  parte  si  compirono  in  frode  della  legge. 

Ma  a  che  ricorrere  a  questi  minuti  fatti,  quando  noi  abbiamo  una 
pruova  convincentissima  e  generale  per  tutte  le  tasse,  nelle  confes- 
sioni medesime  dogli  amministratori  del  Governo?  Ogni  volta  che 
si  è  proposto  o  un  aumento  di  tassa,  o  una  tassa  nuora,  i  Ministri 
proponenti  hanno  assicurato  che  da  quella  imposta  si  caverebbero 
tanti  milioni  e  non  meno  di  lire.  Essi  credevano  di  dar  nel  segno: 
perchè  o  partivano  dal  prodotto  delle  tasse  preesistenti,  o  dai  dati 
statistici  con  molta  accuratezza  forniti  loro.  Nel  fallo  però,  salvo 
qualche  rara  eccezione,  quelle  previsioni  non  furono  convalidate 
dagl'incassi  effettivi  del  tesoro,  che  si  avverarono  minori  della  pre- 
visione. E  perchè?  Perchè  i  Ministri  nei  loro  calcoli  aveano  dimen- 
ticato quel  gran  principio  :  una  tassa  troppo  forte  non  s'incassa  tut- 
ta, perchè  o  diminuisce  la  produzione  o  aumenta  il  contrabbanda; 

Da  tutte  queste  considerazioni  si  deduce  che  le  tasse  dell'Italia 
unita  non  sono  unicamente  raddoppiate,  col  solo  peso  di  pagar  tanto 
di  più,  ma  sonosi  conturbate,  imbrogliale,  inasprite  per  un  soprac- 


DAL  1860  AL  1870  IN  ITALIA  157 

carico  di  noie,  di  fastidii,  di  fiscalità,  senza  un  corrispondente  gua- 
dagno dell'erario  pubblico.  Bene  adunque  avea  ragione  il  Sav aie- 
se,  di  sopra  da  noi  mentovato,  di  esclamare,  sin  dal  1868,  dopo 
di  aver  dimostrato  questo  raddoppiamento  di  balzelli,  «  che  cosa  è 
avvenuto  in  Italia  dal  1860  in  poi  che  può  autorizzarci  a  credere 
che  il  capitale  o  la  rendita  di  ciascun  contribuente  sia  cresciuta  del 
doppio?  Quali  novelli  continenti  abbiamo  scoverti?  Quali  marem- 
me abbiamo  prosciugate,  quali  terreni  saldi  abbiamo  dissodato? 
Quali  novelle  industrie  sono  state  introdotte,  e  quali  opificii  che 
prima  non  erano  sono  sorti  tra  noi?  Quali  novelli  mari  solcano  le 
nostre  navi,  o  a  quali  giungono  ignote  terre,  alle  quali  prima  non 
approdavano  1  ». 

Qualche  cosa  però  è  avvenuto,  ma  qualche  cosa  tutta  a  rovescio 
di  ciò  che  indicherebbero  le  aumentate  imposte.  11  brigantaggio,  e 
peggio  forse  di  lui  i  rigori  soldateschi  e  civili  han  lasciato  per  an- 
ni ed  anni  incolta  molta  parte  delle  nostre  campagne  :  le  aumentate 
milizie  hanno  sottratto  alle  opere  campestri  ed  agli  opiticii  citta- 
dini migliaia  e  migliaia  di  braccia:  la  malattia  dei  filugelli  ha  tol- 
to alla  foglia  di  gelso  ogni  valore,  ed  agli  opificii  della  seta  ogni 
operosità  :  la  lassa  sul  consumo  ha  distrutto  buona  parte  della  ren- 
dita delle  vigne  :  il  libero  scambio  ha  fatto  chiudere  le  fabbriche 
italiane  di  panno,  ha  distrutto  la  coltura  del  cotone,  ed  ha  impo- 
verite cento  altre  industrie  paesane.  Invece  dunque  di  aumentata 
prosperità,  capace  di  sopportare  le  angarie  dei  nuovi  e  dei  cresciu- 
ti balzelli,  l'Italia  ha  avuto  d  sastri  e  rovine,  che  ad  un  più  prov- 
vido, o  almeno  più  potente  Governo  avrebbero  consigliato  diminu- 
zione di  peso,  e  alleggerimento  di  gravami. 

All'amministrazione  italiana  queste  grandi  sventure  non  toccaro- 
no il  cuore,  e  invece  le  suggerirono  di  aggiugnere  lo  scherno  all'in- 
giustizia, la  derisione  all'aggravio.  Poiché  di  tempo  in  tempo  fu 
tolto  per  proposta  dei  Ministri  qualche  balzello  esistente:  ma  sape- 
te perchè?  Per  rovesciarne  l'odiosità  sui  comuni,  e  SAer  l'aria  di  al- 
leviare i  sudditi  da  una  banda,  se  si  aggravavano  dall'altra.  Intanto 

1  Ojr.  citato,  pag.  47. 


158  SGUARDO  SOPRA  h  AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA 

però  i  poveri  sudditi  al  nuovo  onere  governativo  doveano  sottostare, 
senza  perciò  sottrarre  il  collo  al  giogo  municipale. 

Tutti  sanno  che  in  quanto  all'  imporre  le  tasse  i  comuni  italiani 
dopo  il  cosi  detto  risorgimento  d'Italia  non  hanno  solo  emulato,  ma 
di  gran  lunga  sorpassato  lo  zelo  del  Governo.  La  troppo  ardente  e 
spesso  troppo  agli  amministrali  funesta  voglia  di  abbellire  le  città 
e  le  terre,  e  alcune  volle  la  giusta  ma  troppo  impaziente  brama  di 
aprire  nuove  strade,  o  demolire  vecchie  e  malsane  casipole,  ha  in- 
vaso in  Italia  così  i  grandi  siccome  i  piccoli  municipii  :  e  a  procac- 
ciarsi il  denaro  occorrente  tutti  hanno  creduto  di  potersi  impune- 
mente mettere  sulle  orme  del  famoso  Prefetto  di  Parigi,  indebitan- 
dosi fino  agli  occhi,  e  spremendo  dalle  borse  dei  contribuenti  l'ulti» 
mo  soldo.  Di  che  è  proceduto  che  se  le  tasse  governative  dal  1860 
in  qua  sonosi  duplicate,  le  tasse  comunali  non  solo  non  sono  ri- 
mase quali  anticamente  erano,  ma  sonosi  più  ancora  del  doppio 
aggravale;  e  v'ha  molti  comuni  dove  esse  son  giunte  a  triplicarsi, 
e  non  pochi  dove  sorpassano  ancora  questa  spaventosa  progres- 
sione. Non  è  a  dire  quanto  per  questo  capo  tro vinsi  angariati  i 
popoli  :  conciossiachè  per  la  più  gran  parte  essendo  ai  comuni  la- 
sciato il  solo  dazio  che  chiamano  di  consumo,  non  vi  è  derrata  pur 
indispensabile  alla  vita,  che  non  siasi  accresciuta  di  prezzo,  non  vi 
è  comodità  vantaggiosa  al  benessere  che  non  sia  stata  pel  rinca- 
rimento  sopravvenutole  dai  balzelli  comunali  divietata  al  povero 
popoletto.  Si  consoli  esso  però:  se  ha  dovuto  privarsi  non  che  solo 
del  companatico,  ma  tino  del  pane,  per  isfamarsi  appena  di  gran- 
turco o  di  patate,  sappia  che  esso  non  è  più  membro  di  piccolo 
Stato,  ma  cittadino  di  gran  Regno;  e  se  non  può  nutrire  bene  e 
vestir  gaia  la  sua  figliuolanza,  ha  per  compenso  il  nobile  teatro,  la 
lieta  passeggiata,  le  belle  fontane,  che  col  denaro  di  lui  ha  costrut- 
ta la  sua  magistratura  comunale.  Se  non  si  appaga  di  tanto  è  un 
vero  tanghero,  e  merita  davvero  che  a  colpi  di  bastone  lo  incivili- 
scano, e  a  colpi  di  calci  lo  spingano  nel  progresso. 

Dopo  ciò  farà  egli  meraviglia  che  i  contribuenti  italiani,  per  quan- 
to docili  sieno  stali  a  sopportare  ogni  pondo  posto  lor  sulle  spalle, 
sieno  stati  nel  fallo  impotenti  a  più  portarlo  innanzi?  I  rendiconti 


DAL  1860  AL  1870  IN  ITALIA  159 

governativi  attestano  difatli  che  il  tesoro  in  nessun  anno  ha  potuto 
incassare  tutto  intero  il  contributo  daziario  dei  suoi  debitori,  co- 
sicché esso  annovera  tra  i  resìdui  attivi  delle  annate  preceda  nti  il 
credilo  enorme  di  332  milioni  di  lire,  accumulatesi  d'  anno  in  anno 
con  sempre  ascendente  progressione  1.  Questa  cifra  è  la  più  mani- 
festa condanna  del  fìsco.  Essa  dimostra  che  le  tasse  furono  spinte 
al  di  là  del  limite,  in  cui  potevano  essere  esatte,  e  sono  pel  popolo 
non  più  la  giusta  retribuzione  dei  servigi  che  han  diritto  di  doman- 
dare al  Governo,  ma  una  insopportabile  oppressione  che  li  smunge 
e  li  impoverisce. 

Conchiudiamo  adunque  col  raccorre  in  uno  i  fatti  che  l'esame  di 
questa  prima  sorgente  del  pubblico  denaro  ci  ha  messo  sotto  gli  oc- 
chi. La  scienza  economica  invano  ha  indicate  le  leggi  dell'  equa  im- 
posizione di  pesi  sui  sudditi:  il  Governo  italiano  o  non  le  conosce, 
o  le  vilipende.  Essa  vuole  che  non  si  ricorra  senza  estremo  biso- 
gno a  tasse  nuove,  a  tasse  inaccclte,  a  tasse  fastidiose  ;  ed  il  Go- 
verno italiano  ha  invece  creato  nuove,  inaccette,  fastidiosissime 
tasse.  L'economia  pubblica  vuole  che  le  tasse  sieno  proporzionate 
alla  prosperità  del  paese,  tocchino  parte  dei  risparmi*!,  salvino  gli 
oggelli  di  prima  necessità  al  nutrimenlo  e  all' industria;  e  il  Go- 
verno italiano  non  ha  guardato  a  condizione  e  stato  delia  fortuna 
pubblica,  ha  ingoiato  tulli  i  risparmi!,  e  spsso  anche  parte  del  ne- 
cessario, hi  tassato  le  materie  p  ime  e  le  derrate  alimentari  di 
maggior  uso.  L'economia  vuole  che  le  tasse  sian  di  facile  esazione, 

1  «  Causa  di  questo  doloroso  cambio  di  un  residuo  attivo  in  passivo  sono 
gli  arretrati  nelle  imposte,  che  non  si  esigono  (  dice  il  Ministro  )  e  che  for- 
se non  sono  neppure  esigibili. — E  primamente  vi  sono  quarantanove  mi- 
lioni di  disperata  esazione  :  il  Ministro  ha  creato  ima  Commissione  per  depen- 
narli. Poi  t1  è  un  altro  arretrato  di  cento  e  trentotto  milioni,  il  quale  consta 
in  gran  parte  di  somme  di  difficile  e  d'impossibile  incasso,  perchè  dovute  da 
perso  e  irreperibili...  Ed  io  prevedo  (  continua  a  dire  il  Ministro)  che  al  fine 
dell'anno  1370  avremo  un  arretrato  pari  all'attuale  cioè  di  cento  e  trentotto 
milioni.  Insomma  mettendo  Insieme  queste  ed  altre  cifre  enumerate  nella  rela- 
zione ministeriale  si  viene  a  formare  una  somma  di  circa  trecento  e  cinquan- 
taduc  milioni,  la  quale  (dice  testualmente  la  relazione  del  Ministro  )  figura  nei 
residui  aitivi,  ma  non  sarà  riscossa  !  »  Cosi  il  deputato  M.  Pescatore  nel  suo 
libretto  Politica  finanziaria,  a  pag.  10-11. 


160  SGUAPDO  SOPRA  L  AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA 

spoglie  d'  ogni  vessazione  fiscale  e  d'  ogni  inceppamento  ammini- 
strativo; e  il  Governo  italiano  ha  imposte  tasse  che  non  ha  potuto 
esigere,  ed  ha  colle  seccantissime  noie  dei  gabellieri  ed  esattori  resa 
sempre  più  pungente  la  spina  che  ogni  pagamento  infigge  a  chi  pa- 
ga. Fu  questa  insipienza,  o  fu  necessità?  Se  si  polca  far  diversamen- 
te e  non  si  seppe,  son  condannati  tutti  gli  uomini  che  han  guidato  in 
questo  decennio  le  sorti  d' Italia.  Se  si  sapea  far  diversamente,  ma 
non  si  potè,  è  condannato  il  mutamento  stesso  cui  quegli  uomini 
costrinsero  l'Italia  ad  accettare.  Nessuno  dei  due  casi  torna  a  lode 
della  rivoluzione  avvenuta. 

IV. 

Se  non  che  tutte  coteste  tasse,  per  quanto  abbiano  impoverito  i 
cittadini,  non  sono  bastate  ad  empiere  l'ingordo  ventre  di  quell'ar- 
pia, che  il  fisco  italiano  è  divenuto.  Avendo  essa  sempre  più  fame 
dopo  il  pasto,  ha  cercalo  nuovo  alimento  a  divorare:  e  non  trovan- 
done più  sul  desco  dei  suoi,  ahi  troppo  miseri  contribuenti,  che  si 
sono  lasciati  spolpare  infino  all'osso,  ha  dovuto  far  ricorso  ad  altro 
spediente:  quello  di  porre  all'asta  pubblica  il  fior  fiore  della  ricchez- 
za nazionale.  Tutti  i  beni  demaniali  sono  già  venduti  :  venduti  con 
improvvido  baratto  i  possedimenti  dello  Stato,  venduti  con  enorme 
sacrilegio  i  beni  ecclesiastici,  venduto  con  rovinoso  sbaraglio  le  vie 
ferrate.  E  tutte  coleste  vendite  fatte  si  può  dire  quasi  a  un  tempo,  se 
hanno  arricchito  pochi  coni  piatoli,  non  han  dato  al  tesoro  neppure 
la  terza  parte  del  valor  loro  effettivo,  ed  hanno  aggravato  l'avveni- 
re di  lutti  gli  obblighi  inerenti  a  quelle  felici  proprietà.  Esse  dun- 
que se  hanno  dato  un  piccolo  vantaggio  momentaneo,  han  cagiona- 
to al  fisco  slesso  un  danno  perpetuo  e  di  gran  lunga  maggiore. 

Ma  il  peggior  danno  V  han  cagionalo  ai  cittadini.  Le  rendite  in 
primo  luogo  che  quei  beni  producevano  dovranno  nell' avvenire  es- 
sere supplite  dalle  tasse:  e  le  tasse  tocca  loro  a  pagarle.  In  secondo 
luogv>  i  beni  demaniali,  tra'  quali  erano  luoghi  boscosi  in  gran  nu- 
mero, offrivano  ai  conterranei  alcune  comodità,  come  quella  di  le- 
gneggiare,  odi  pascolare:  questi  vantaggi  sono  tolti  ai  cittadini.  In 
terzo  luogo  il  clero  proprietario  sì  regolare  sì  secolare  soccorreva 
le  famiglie  proprie,  soccorreva  i  poveri  :  il  clero  spogliato  dev'  es- 


DAL  1860  AL  1870  IN  ITALIA  161 

sere  soccorso  dalla  carità  dei  fedeli,  acuì  incombe  inoltre  di  pen- 
sare alle  spese  del  culto,  della  beneficenza,  della  istruzione.  Quan- 
to danno  ai  cittadini  sol  da  questo  lato? 

Ecco  dunque  bel  pio'  di  tal  divisamento  :  gran  danno  presente, 
lo  spossessar  l'Italia  di  tanta  ricchezza;  gran  danno  avvenire,  l'ag- 
gravare 1'  Erario  di  tante  spese  future,  e  i  cittadini  di  altrettanti  e 
più  oneri,  per  solo  avere  una  sprizzatina  di  quattrini,  sfumatisi  an- 
che prima  d' incassarsi. 

Ma  né  le  tasse  né  le  vendite  sopperivano  tanto  denaro,  quanto  lor 
domandavano  le  spese  fatte  dal  Governo.  Bisognò  ricorrere  a  una 
terza  e  più  larga  vena,  che  bastasse  a  dissetare  quella  sì  insaziabile 
sete;  la  vena  dei  prestiti.  Quattro  volte  l'Italia  ha  fatto  ricorso  a 
tal  rimedio:  tre  volte  con  prestili  volonlarii,  una  volta  con  prestito 
forzoso  :  cosicché  le  riuscì  per  questa  via  di  aggravarsi  di  un  debito 
di  parecchi  migliardi,  e  di  obbligarsi  a  sborsare  ogni  anno  in  interes- 
se molto  più  di  cento  milioni  di  lire.  Vediamo  quali  effetti  produsse 
questa  operazione. 

All'erario  in  proporzione  del  sollievo  avutone  l'aggravio  fu  ecces- 
sivo :  perchè  i  prestiti  si  contrassero  dal  60  al  65  per  ogni  o  lire 
di  rendita,  e  dovranno  restituirsi  al  100,  colla  perdita  enorme  del 
35  al  40  per  %  :  oltre  i  parecchi  milioni  che  andarono  disper- 
si nell'atto  della  contrattazione,  sotto  il  titolo  di  commissioni  e  di 
spese  per  l' incasso  del  denaro.  Pochissima  e  quasi  nessuna  par- 
te di  questa  ingente  somma  andò  in  opere  pubbliche  produttive: 
quindi  per  l'avvenire  del  tesoro  nessun  alleviamento.  Anzi  un  cnor- 
missimo  aggravio,  per  gì'  interessi  che  deve  ogni  anno  sborsarne  ai 
possessori  della  sua  rendita  consolidala. 

Alla  popolazione  italiana  poi  il  danno  di  questi  prestiti  non  è  stato 
punto  leggiero.  Lasciamo  di  attirare  l'attenzione  dei  lettori  sopra  la 
necessilà  che  ogni  prestito  porta  seco  di  aumentare  le  spese  degli  an- 
ni avvenire  per  pagarne  gì'  interessi;  questo  è  danno  che  salta  trop- 
po agli  occhi,  anzi  può  dirsi  la  cagione  potissima  di  tutti  i  danni  che 
in  fatto  di  tasse  abbiam  dimostrali.  11  prestilo  d'oggi  tocca  a  pagar- 
lo alle  tasse  di  domani:  lo  sanno  tutti.  Parliamo  invece  dello  svili- 
mento delle  cartelle  consolidale,  che  è  naturalmente  intervenuto, 
Serie  YIl,  voi  XI,  fase,  488.  11  6  Luglio  1870. 


162  sguardo  sopra  l'  amministrazione  finanzi  \ma 

ed  è  lutto  danno  dei  possessori  loro.  Ninno  igeerà  che  settate  da 
principio  i  capitali  forestieri  siano  stati  quelli  che  concorsero  prin- 
Cip  ilissimamente  a  coprire  quei  prestiti,  dal  1866  in  qua  il  dil 
zo  fece  rifluire  in  Italia  quei  titoli  abbassati  di  prezzo,  cosiceli  ■ 
a  mala  pena  può  tenersi  che  di  tutta  la  rendita  italiana  un  Ho  milio- 
ni soltanto  trovinsi  in  mano  di  creditori  stranieri.  Tutto  il  reato  tro- 
vasi nelle  mani  degli  Italiani. 

Ora  essendo  la  rendita  stata  imposta  dell'  8 e  '/,  per  */0:  e  il  ca- 
pitale d'ogni  ìi  lire  di  reudita  essendo  costretto  ad  oscillare  tra  il  56 
e  il  58:  di  tanto  si  trova  oggi  impoverito  il  capitale  della  ricchezza 
privata,  di  quanto  il  saggio  della  emissione  sorpassò  il  saggio  del 
corso  presente;  e  di  tanto  scemò  l' entrata  annuale  di  quanto  d 
al  fisco  per  l' imposta  sulla  rendita.  Li  prima  differenza  impoi  la  una 
perdita  presente  al  capitale  dei  risparmia  ossia  alla  ricchezza  pub- 
blica, di  più  centinaia  di  milioni;  e  la  seconda  h 
annuale  per  questo  capitale  di  risparniii  di  sopra  20  milioni  eh 
gansi  al  fisco.  Non  è  certo  molto  onorevole  all'  amministrazione  del- 
l'Italia  un  tal  risultalo  I 

Collo  tasse,  colle  vendile,  coi  prestili  sogliono  per  gli  Siali,  re- 
golarmente amministrati,  esaurirsi  tutti  i  partili  da  far  denari  : 
l'Italia  è  slata  più  feconda,  ed  ha  fatto  ricorso  a  un  partito  dei  più 
straordinarii,  alla  carta  fiduciaria.  Si  può  quasi  essa  ha 

creato  col  mezzo  dei  torchi  da  stampatore  il  denaro  da  spendere. 
Due  sorli  di  carta  fiduciaria  ha  introdotto  in  Italia:  i  Boni  del  teso- 
ro, e  i  Viglietti  dello  banche  private  col  corso  forzoso.  Nel  II 
rendiconti  governativi  accusano  nientemeno  che  'JOO  milioni  di  Bo- 
ni del  tesoro,  e  gli  >lati  delle  banche,  autorizzale  o  non  autorizzate, 
accusano  067  milioni  di  viglietti  circolanti  l.  Correvano  adunque  in 
Italia  in  carta  fiduciaria  dei  due  generi  nientemeno  che  1261  milio- 
ni di  lire  :  una  buona  mela  dei  quali  era  servita  a  tornir  le  fìuanzc 
di  nuovi  mezzi  da  prendere. 

Per  fare  disastro  che  alla  fortuna  pubblica  cagionò 

un  tal  provwdimento,  bisogna  prima  rapidamente  accennare  qual 

1  Di  questi  %7  mikoui  di  \  inietti,  appartengono  nlle  Amiche  autorizzate 
949  milioni,  ed  agl'istituti  non  autorizzati  18  milioni  di  lire. 


DAL  1860  AL  1810  IX  ITALIA  163 

sfa  il  denaro  occorrente  alla  circolazione  in  Italia.  Non  è  difficile  il 
calcolarlo,  sopra  elementi  al  a  sicuri.  Basta  l'indagare  qual 

i  di  moneta  metallica,  e  di  carta  fiduciaria  che  seni- 
transazioni  del  paese  prima  del  corso  forzoso. 
>ndo  il  eh.  Dr.  Maestri,  Direttore  dell'Ufficio  di  Statistica  ge- 
Regno,  tutta  la  moneta  metallica  che  è  stata  coniata  da 
tutti  insieme  gli  Stati  d'Italia  dal  1803  al  1866,  ascende  in  cifra  ro- 
*>00  milioni  di  lire.  Defalcando  da  tal  somma  i  300  milio- 
ni di  lire  che  vennero  nello  stesso  spazio  di  tempo  demonetizzate, 
la  moneta  italiana  circolante  in  Italia  non  potea  sor- 
;  1 200  milioni  di  lire.  Il  movimento  monetario  internazio- 
fròo  al  1864  non  alterò  mai  sensibilmente  questa  cifra:  perche 
tto  la  deposizione  e  il  parere  degli  esperti,  interpellati  dalla 
limone  di  inchiesta  pel  corso  forzoso  1,  l'importazione  e 
one  dei  metalli  coniati  si  erano  costantemente  bilanciate, 
mutando  cosi  non  il  valore,  ma  1*  impronta  del  numerario  accumu- 
lato in  Italia. 

Ma  dal  1864  all'Aprite  del  1866,  epoca  del  corso  forzoso,  le  fac- 
cende non  andarono  del  pari.  Si  formò  allora  una  corrente  di  espor- 
tazione metallica  dall'Italia  nell'estero,  la  quale  fece  uscir  fuori  dello 
Slato  vistosissime  somme  di  denaro.  À  determinare  con  molta  vero- 
ianza  questa  cifra,  accettiamo  i  calcoli  e  i  ragionamenti  del  de- 
putato Busaeca,  recando  in  mezzo  le  sue  medesime  parole  2,  che 
suonano  appunto  così:  «  Noi  crediamo,  che  pei  grandi  prestili  fatti 
all'estero,  per  le  società  industriali  formatesi  con  capitali  esteri  in 
Italia,  e  per  essere  il  commercio  italiano  in  un  periodo  ascendente, 
l'importazione  del  numerario  in  Italia  nei  primi  anni  del  suo  risor- 
gimento sia  stata  considerevolmente  superiore  all'  esportazione.  Pe- 
1  1861  in  poi  a  questo  moto  ascendente  successe  il  discenden- 
te, e  per  il  ritorno  dei  titoli  di  debito  pubblico,  e  d'altri  valori  com- 
merciali che  l'estero  respingeva  in  Italia,  per  il  ritiro  dei  captali 
esteri  impiegati  nel  commercio  italiano,  e  in  generale  per  la  deca- 

1  V.  Inchiesta,  voi.  3,  pag.  ì: 

v,  Studii  sul  carso  forzosa.  Firenze.  1 87ò,  pag.  176. 


164  SGl'ARDO  SOPRA  i/ AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA 

denza  dei  credito  e  del  commercio,  per  cui  le  partite  dovettero  sal- 
darsi in  buona  parte  in  metallo,  il  capitale  metallico  al  1°  Maggio 
1866  era  già  grandemente  diminuito,  e  crediamo  essere  più  vici- 
ni al  vero  riducendone  la  valutazione  a  un  miliardo.  »  Son  dunque 
due  cento  i  milioni  di  moneta  che  il  Busacca  pensa  sieno  stati  per- 
duti dalla  piazza  italiana  sopra  l'antico  suo  numerario  circolante, 
perchè  migrati  dal  paese  nei  due  sopraddetti  anni.  E  tanto  più  vo- 
lentieri noi  accettiamo  questa  cifra,  quanto  che  essa  ha  un  riscon- 
tro nella  valuta  dei  biglietti  di  Banca  adoperati  dal  traffico  in  Italia 
nel  1866,  i  quali  sopperirono  in  gran  parte  alla  deficienza  di  que- 
sto numerario. 

La  cifra  positiva  di  questi  viglietti  può  con  quasi  piena  certezza 
asseverarsi,  perchè  essa  è  data  dai  libri  di  conti  delle  varie  banche, 
che  ne  aveano  facoltà.  Eccone  le  partite. 

Banca  nazionale  (28  Apr.  1866) 116,908,779:20 

Banco  di  Napoli  (Apr.  1866)  .' 96,  580,  710:  93 

Banco  di  Sicilia  (31  Dee.  1865J 28,708,772:01 

Banca  nazionale  toscana  (30  Apr.  1866;  ...  23,  924,  360:  00 
Banca  toscana  di  Cred.  industr.  (1  Magg.  1866).  244,  000:00 

L.  266,360,622:14 

Giravan  dunque,  l'Aprile  del  1866,  per  le  mani  degl'Italiani  po- 
co più  di  266  milioni  di  lire  in  viglietti  di  Banca.  Ai  quali  volendo 
unire  i  boni  del  tesoro  per  la  somma  di  cento  milioni,  massimo  va- 
lore che  ne  fosse  allora  in  corso;  la  carta  di  credito  funzionante  da 
moneta  calcolatasi  al  massimo  a  366  milioni. 

Riunendo  le  due  cifre  e  calcolando  il  deposito  metallico,  guarcn- 
tia  dei  viglietti,  esistente  inoperoso  presso  le  Banche,  ne  dedurre- 
mo che  lutto  il  traffico  italiano  compieva»  entro  i  confini  dell'Ita- 
lia con  una  somma  di  valori,  tra  metallici  e  cartacei,  non  superiore 
a  1300  milioni  di  lire. 

Or  paragonando  questa  cifra  dei  valori  fiduciarii  correnti  nel  1869 
in  Italia,  troviamo  che  quasi  da  sé  soli  essi  basterebbero  al  bisogno 
del  commercio  interno.  È  naturale  adunque  che  il  numerario  siasi 


DAL  1860  AL  1870  IN  ITALIA  163 

o  mandato  via  dalla  sp ecolazione,  o  serbato  dalle  banche,  o  nasco- 
sto dalla  diffidenza.  Presso  le  banche  alla  fine  del  1868  trovavansi 
quasi  234  milioni  come  riserva  :  presso  i  trafficanti  in  metalli  conia- 
ti si  valuta  dai  periti  trovarsi  in  quel  tempo  un  presso  ad  80  mi- 
lioni :  nelle  casse  del  tesoro  pubblico  non  dovea  esservene  gran  fal- 
lo, perchè  a  pagare  i  40  milioni  di  rendita  all'estero  il  Governo  do- 
vette ricorrere  alla  Banca.  Alla  diffidenza  che  nasconde  ed  alla 
minuta  circolazione  metallica  che  pur  rimase  in  vigore  il  massimo 
che  possa  debitamente  attribuirsi  è  di  100  milioni.  Rimangono  dun- 
que, poco  più  poco  meno,  600  milioni  di  moneta  effettiva  italiana 
trasportati  all'estero.  Novecento  milioni  di  carta  di  più  e  600  mi- 
lioni di  moneta  di  meno:  tale  è  la  condizione  fatta  all'Italia  dal 
corso  forzoso. 

V. 

Difficilmente  può  dirsi  a  parole  il  danno  che  una  cotal  depravazio- 
ne del  principalissimo  strumento  dei  cambii  ha  cagionato  alla  for- 
tuna pubblica  e  privata  dell'  Italia.  11  corso  forzoso,  invadendo  ne- 
cessariamente nei  loro  più  piccoli  anfratti  le  libere  vie  delia  circo- 
zione  del  cambio,  ha  reso  duro,  difficile,  spesso  impossibile  il  pur 
procedere,  non  che  il  correre  aH'attuosità  commerciale  della  nazio- 
ne. Alcuni  soli  degli  effetti  di  questo  ansioso  e  arduo  cammino  ba- 
stano a  fare  intendere  la  gravezza  dei  danni  eh'  esso  recò  alla  ric- 
chezza italiana. 

La  difficoltà  dei  cambii  coli' estero  ne  ha  scemate  sempre,  di- 
strutte spesso  le  contrattazioni;  cosicché  molti  commercianti,  e 
molti  fabbricanti,  i  più  esigui  e  perciò  stesso  i  più  bisognosi,  si  sono 
veduti  astretti  a  rompere  la  loro  industria,  o  alla  men  peggio  ad 
esercitarla  non  più  per  averne  profitti  e  risparmii,  ma  solo  per  non 
perire  di  fame.  Tutta  poi  intera  la  popolazione  ne  è  rimasta  gravata 
dall'aumento  intervenuto  nelle  mercanzie  di  origine  forestiera.  Que- 
sto aumento  era  pei  compratori  raddoppiato;  giacché  dai  trafficanti 
si  chiedeva  loro  sui  prezzi  correnti  prima,  tanto  di  più  por  l'agio 
cittadino  della  moneta,  e  tanto  di  più  per  l'invio  più  costoso  del  de- 
naro ai  fabbricatori  esteri. 


166  SGUARDO  SOPttÀ  L  AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA 

Questo  aumento  si  è  avverato  altresì  nei  prezzi  di  tutte  le  derra- 
te e  le  manifatture  paesane,  perchè  ciascun  mercantiere  s'è  creduto 
in  dritto  di  stimare  la  propria  masserizia  alla  ragione  di  valuta  me- 
tallica, e  di  aggiungere  la  differenza  del  cambio  tra  la  moneta  e  la 
carta  al  prezzo  richiesto.  Ne!  che  fare  si  è  ecceduto  quasi  sempre  in 
favore  dei  venditori,  e  l'aumento  una  volta  introdotto  alla  stregua 
dei  primi  cambii  che  furono  altissimi,  non  s'  è  ilo  poscia  calando  al 
calare  dei  cambii  divenuti  più  tollerabili.  Intanto  né  i  salarii  degli 
operai,  nò  i  soldi  degl'impiegati,  né i censi,  né  le  rendite  pubbliche 
eransi  punto  nulla  aumentati:  e  quindi  ogni  persona,  senza  vedersi 
crescere  l'entrata,  fu  costretta  a  sopportare  un  gravissimo  cresci- 
mento  di  spesa.  Indi  dissipamento  de'risparmii  accumulali  innanzi, 
privazione  stentata  di  molte  comodità,  e  per  la  massima  parte  della 
più  sottile  popolazione  disagi  e  patimenti  senza  nùmero. 

All'elevazione  dei  prezzi  in  Italia  fece  contrapposto  l'abbassa- 
mento del  credito  per  tutti  i  valori  nazionali.  Il  corso  forzoso  gene- 
ra sempre  questo  effetto  per  doppia  influenza:  per  quello  che  esso 
è,  per  quello  che  esso  significa.  Esso  è  una  confessione  evidente  di 
mal  essere  finanziario  :  esso  significa  un  esaurimento  assoluto  di 
tutti  gli  altri  rimedii,  valevoli  a  sollevare  la  fortuna  pubblica.  In- 
tacca dunque  direttamente  il  credito  di  tutta  una  nazione  innanzi 
agli  stranieri,  e  lo  affievolisce  grandemente  innanzi  ai  paesani.  Or 
che  altro  sono  i  valori  nazionali  se  non  titoli  di  credito?  e  per  con- 
seguenza di  che  altro  essi  si  sostengono  se  non  della  estimazione 
che  questo  credilo  gode  effettualmente  presso  tutti?  Scemata  que- 
sta, scema  il  valore.  Cosi  dovea  essere,  e  così  fu:  né  abbiasi  bi- 
sogno a  provarlo  di  far  altro  se  non  che  invitare  i  nostri  lettori  a 
consultare  i  listini  delle  borse  italiane  e  forestiere  di  prima  e  di 
dopo  il  corso  forzoso.  Esso  dunque  ebbe  per  effetto  di  diminuire 
d'un  tratto  la  ricchezza  pubblica,  il  capitale  cioè  accumulato  per 
la  serie  di  pareechi  anni  dal  lavoro  e  dalla  temperanza  degl'Italiani. 
Oltre  alla  perdita  effettiva  di  una  più  o  meno  grande  porzioncel- 
la  di  proprietà,  il  corso  forzoso  produsse  un  ingiusto  e  continuo 
spostamento  di  proprietà  nei  possidenti,  una  timorosa  incertezza  di 
affari  nei  mercatanti.  Il  continuo  oscillare  degli  (ujtji  sui  cambii 


DAL  1860  AL  1870  IN  ITALIA  167 

esterni  ed  interni  :  il  continuo  variare  della  tassa  sui  valori  gover- 
nativi o  commerciali,  nulla  più  rendeva  sicuro  pei  calcoli  dell'avve- 
nire, anche  non  remoli:  e  spesso  una  commissione  creduta  vantag- 
giosa nel  momento  del  darla,  diveniva  perniciosa  nel  momento  del 
riceverla;  ed  una  somma  in  valori  preparata  per  un  pagamento 
non  era  più  sufficiente  nel  momento  dello  sborsarla;  e  certi  con- 
tralti antichi  che  obbligavano  a  soddisfarli  col  numerario  riusci- 
vano rovinosi  nell'atto  di  eseguirli,  e  certi  impegni  nuovi  si  evitava 
di  assumere,  perchè  non  potevasi  correre  il  rischio  del  pagamen- 
to in  moneta  che  si  pretendeva  dall'  una  delle  due  parti.  Il  perchè 
effetto  naturale  di  questa  doppia  incertezza  fu  il  rallentamento  delle 
grandi  e  anche  mediocri  intraprese:  giacché  non  si  avventurano  le 
grosse  somme  sopra  il  dubbio:  e  né  l'industria  laboriosa  né  il  com- 
mercio onesto  possono  fondarsi  sopra  il  giuoco  incostante  della  in- 
certezza. Da  tutti  i  lati  adunque  pernicie  e  disastri:  tutte  le  fonti 
della  ricchezza  illanguidite  o  disseccate;  capitali  accumulati,  baratti 
"vecchi,  intraprese  nuove,  faccende,  lucri,  industrie,  guadagni.  Ec- 
co i  frutti  proprii  della  mala  pianta  del  corso  forzoso. 

Ma  qui  non  s'arresta  tutto  il  danno  del  corso  forzalo  dei  viglietli 
di  Banca.  I  pericoli  dell'avvenire  sono  ancor  peggiori  dei  danni  del 
passato.  Odasi  come  li  descrive  una  penna  non  sospetta,  quale  cer- 
tamente è  il  eh.  deputato  Servadio  1.  «Io  mi  limiterò  a  richiamare 
la  vostra  attenzione  sui  pericoli  ai  quali  sarebbero  esposti  il  paese 
e  lo  Stato,  qualora  fossimo  colti  da  una  crise  politica,  commerciale, 
o  annonaria  sotto  il  regime  del  corso  forzato.  Appunto  perchè  per 
rara  felicità  del  nostro  paese  noi  abbiamo  attraversato  un  periodo 
fortunato  scevro  di  crisi  politiche  e  con  abbondanti  ricolti,  è  non 
solo  lecito  ma  è  dovere  di  savio  legislatore  il  prevedere  una  coi- 
dizione  di  cose  assolutamente  contraria.  È  fatto  troppo  notorio  che 
In  Italia  un  abbondante  ricolto  di  cereali  eccede  di  poco  i  bisogni 
del  consumo,  che  un  ricolto  medio  non  basta  ai  bisogni,  e  che  un 


1  Relazione,  Progetto  di  legge  e  Discorso  del  deputato  Giacomo  Serva- 
no. Firenze,  1870.  Pag.  8. 


168  SGUARDO  SOPRA  L  AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA 

rirollo  cattivo  basta  appena  ai  9/10  delle  urgenze  del  paese  1.  Or 
bene:  basta  dunque  fare  l'ipotesi  di  una  carestia  anche  parziale  per 
tosto  figurarsi  le  perturbazioni,  le  sofferenze,  i  pericoli  che  da  que- 
sto fatto  potrebbero  sorgere,  qualora  il  paese  soggiacesse  tuttavia 
al  corso  forzalo  dei  biglietti  di  banca.  Se  per  sventura  nostra  in 
siffatte  condizioni  di  cose  fosse  mestieri  inviare  all'estero  le  somme 
occorrenti  all'acquisto  anche  di  1/10  soltanto  dei  cereali  necessari! 
al  nostro  consumo,  chi  ci  può  dire  da  quale  crisc  sarebbe  minac- 
ciato il  paese?  quali  sacrifìzii  dovrebbe  sopportare  per  raccogliere  i 
200  e  più  milioni  di  lire  che  imperlerebbero  gli  8  milioni  di  etto- 
litri di  grano  indispensabili  a  soddisfare  i  bisogni  più  specialmente 
delle  classi  meno  agiate  d'Italia?  Chi  saprebbe  indicare  quali  sa- 
rebbero i  patimenti  e  i  danni  che  ne  potrebbero  derivare  ?  Chi 
oserebbe  prevedere  il  limite  al  quale  si  arresterebbe  l'aggio,  e  le 
perdite  che  graviterebbero  sull'erario  nazionale  pei  pagamenti  in  oro 
che  egli  si  è  obbligalo  di  fare  all'estero?  Chi  ne  assicura  che  in 
tanto  dissesto  economico  anche  le  basi  stesse  dello  Slato  non  venis- 
sero poste  a  cimento  e  l'Italia  non  avesse  a  soggiacere  fra  le  agita- 
zioni di  una  crise  politica  e  sociale  ad  un  tempo?  » 


VI. 


Il  nostro  rapidissimo  studio  intorno  alle  sorgenti,  donde  il  Go- 
verno italiano  ha  tratto  il  si  gran  denaro  sciupato  in  questi  nove 
anni,  è  terminato.  Da  esso  deducousi  due  conseguenze  :  la  prima  ri- 
sguaida  il  concetto  generale  che  ha  governalo  la  scelta  di  tai  mez- 
zi: la  seconda  risguarda  l'effetto  pratico  che  una  tale  scelta  ha 
conseguito. 

Noi  potremmo  asserire  che  la  cagione  potissima  di  tanti  dis- 
sesti sia  stata  l'ingordigia  di  arricchire,  a  spese  del  povero  po- 
polo d' Italia,  in  coloro  che  han  maneggialo  la  mestola  sia  nel  fare 
l'Italia  una,  sia  nel  governarla.  Ne  avremmo  tutto  il  diritto  :  giacché 

1  Vedi  l'opera:  Saggio  sul  Commercio  esterno  del  regno  d'Italie 'negli 
anni  1862-63.  Pubblicazione  governativa,  anno  1865,  p.  <)!>. 


DAL  1860  AL  1870  IN  ITALIA  169 

molli  fatti  ci  sono  che  darebbero  ragione  a  questo  severissimo  giu- 
dizio, e  molle  autorità  non  sospette  lo  convaliderebbero.  Basti  per 
tutte  questa  sola  del  dep.  Pescatore,  caldissimo  campione  dell'  Ita- 
lia una,  nella  prima  delle  sue  lettere  agli  elettori.  Esso  dice  così.* 
«  Dell'  orribile  dissesto  quali  sono  le  maledette,  le  infernali  cagio- 
ni? L'Italia,  amici  miei,  come  altra  volta  dai  barbari,  ò  invasa  da 
un  orda  di  selvaggi  interessi  :  sono  interessi  di  ambizioni  immo- 
derate, immense;  interessi  di  cupidigie  insaziabili,  sfacciate;  inte- 
ressi di  militarismo;  interessi  di  partili,  di  province,  di  regioni  •— 
di  chi  poco  o  nulla  vorrebbe  conferire  alla  cassa  sociale,  e  prender- 
vi la  parte  più  opima;  in  una  parola,  sono  gli  interessi  di  un  egoi- 
smo insensato,  che  conduce  alla  rovina  universale  o  al  disonore:  e 
pur  tutti  combattono,  gli  uni  contro  gli  altri,  sotto  la  maschera  del 
pubblico  bene,  colla  veste  e  col  baslon  del  guardiano,  gagliardo 
difensore  del  gregge:  ma  sono  lupi:  la  greggia,  premio  e  preda  dei 
vincitori.  »  Si  può  dir  nulla  di  più  chiaro,  o  di  più  crudele?  Pur 
tuttavia  non  negando  a  questa  cagione  la  sua  parte  non  picciola  di 
concorso,  asseriamo  per  amor  del  vero  che  la  principale,  la  potis- 
sima causa  fu  l'insipienza  dei  governanti. 

Il  concetto  generale  del  sistema  finanziario  d' Italia  fin  qui  seguito 
si  fu  di  non  avere  nessun  concetto  ragionevole  nell'ordinamento  del- 
le finanze.  Non  il  concentramento,  non  il  discentramento,  non  la  ri- 
forma del  sistema  daziario,  non  la  protezione  all'industria  cittadina, 
non  il  ristoramcnto  dell'  agricoltura,  non  la  semplicità  dell'ammini- 
strazione, non  il  governo  a  buon  mercato,  non  la  regolarità  nei  pesi. 
Tutto  è  ito  a  casaccio,  e  quindi  alle  peggiori.  Unica  regola,  che  ha 
diretto  tutto  il  sistema,  fu  questa:  trovare  il  denaro  che  si  era  spe- 
so, o  si  voleva  spendere,  e  trovarlo  per  la  via  più  speditiva  che 
l'ora  del  bisogno  presentasse.  Sistema  dunque  di  spedienli,  che  è  il 
sistema  più  rovinoso  di  tutti  in  fallo  di  finanze.  Giacché  esso  costrin- 
ge a  passare  da  rovina  a  rovina,  ma  sempre  crescendo,  parche  la 
rovina  seconda  è  peggiore  della  prima,  la  terza  della  seconda. 

Avviene  dello  Stato  che  cammina  per  questa  strada,  quello  che 
del  padre  di  famiglia  che  si  gitta  alla  vita  degli  spedienli.  Egli  com- 
bina il  primo  suo  prestito  al  5  per  °/0  ipotecando  per  la  prima  voi- 


nO  SGUARDO  SOPRA  L* AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA  ECC. 

la  i  beni.  Per  pagare  questo  primo  mutuo  contrae  un  altro  debito  al 
7  per  %  con  una  seconda  ipoteca:  e  poi  al  10  colla  terza.  Esaurite 
#osì  le  garantie  che  poteva  offrire  coi  suoi  beni,  ricorre  all'  usuraio, 
e  ipoteca  la  sua  persona  col  firmare  la  prima  cambiale  al  18  per  °/0» 
Dopo  tre  mesi  bisogna  far  onore  alla  firma,  e  la  prima  cambiale  si 
paga  colla  seconda,  la  seconda  colla  terza  :  ma  l' usura  è  salita  al 
24,  al  48  per  °/0:  e  il  debito  da  1000  e  montato  a  10  mila.  11  po- 
vero padre  di  famiglia  è  gittato  sul  lastrico,  è  oramai  impotente  a 
pagar  più  nulla:  l'ospedale  o  la  carcere  lo  attendono.  Chi  lo  trasci- 
nò a  questa  brutta  fine?  Furono  gli  spedienti,  i  quali  lo  trassero  di 
disastro  in  disastro,  fino  all'  ultimo  che  gli  troncò  per  fino  la  possi- 
bilità di  spedienti  nuovi.  Qtteli*  improvvido  padre  di  famiglia  fu  il 
fìsco  d'Italia:  esso  procedette  finora  nella  via  degli  spedienti;  altri 
ne  tenta  pur  ora  mentre  scriviamo;  altri  glie  ne  rimangono  tuttavia 
da  tentare.  Ma  la  rovina  si  va  facendo  sempre  più  spaventosa,  e  la 
fine  tremenda  delia  bancarotta,  se  a  tempo  non  si  ritrae  dal  preci- 
pizio, non  potrà  mancare.  Vero  è  che  il  Governo  non  si  darà  per 
vinto,  se  prima  non  vedià  fallito,  col  pigliarsene  tuttala  roba,  l'ul- 
timo dei  suoi  sudditi,  e  sotto  questo  rispetto  quel  precipizio  sareb- 
be stoltezza  a  dirlo  imminente.  Ma  questo  è  appunto  il  più  crudele 
di  tutti  i  disastri  che  minacciano  gì'  Italiani:  e  che  mostrano  il  bel 
guadagno  che  essi  hanno  fatto  coi  mutamenti  e  colla  rivoluzione. 

(Sarà  continuato) 


LA  DEFINIZIONE  DOMMÀTICA 

DELL'  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA 


»00§§0OO- 


Allorché  questo  nostro  articolo  cadrà  sotto  gli  occhi  dei  nostri 
lettori,  la  solenne  definizione  dommatica  dell' infallibilità  pontificia 
o  saia  stata  già  proclamata  dai  sacrosanto  Concilio  Vaticano,  o  sarà 
in  procinto  di  essere  proclamata.  Noi  dunque  possiamo  scriverne  fin 
d'ora  come  di  avvenimento  compiuto.  E  quali  cose  ne  diremo?  Una 
sola:  essere  cioè  questa  definizione  l'opera  più  grande  del  Conci- 
lio Vaticano,  l'idea  suprema,  per  cui  esso  fu  voluto  da  Dio.  Tal  è 
il  connetto,  che  per  divino  istinto  ne  sorge  nell'animo  de' fedeli;  ta- 
le il  convincimento,  che  l'illuminata  ragione  ne  genera  nell'  animo 
de'  sapienti.  «  Io  credo,  diceva  giustamente  l'egregio  Monsignor 
Vescovo  di  Nuova  Orléans,  io  credo  con  lutti  i  buoni  preti,  con 
tatti  i  buoni  cattolici,  che  la  definizione  dell'infallibilità  pontificia  è 
il  negozio  più  rilevante  del  Concilio  Vaticano;  tutte  le  altre  quistio- 
ni,  per  gravi  che  sieno,  agli  occhi  del  mondo  cattolico  hanno  ufi 
interesse  secondario  1.  » 

E  vaglia  il  vero,  dall'  assodamento  di  questo  domina  dipende  il 
trionfo  del  Cattolicismo  sopra  il  Razionalismo,  la  stabilità  e  la  fer- 
mezza del  regno  di  Cristo  sulla  terra. 

La  Chiesa  di  Gesù  Cristo  non  è  istituita,  come  la  società  civile, 
per  procurare,  qual  suo  fine  prossimo  e  immediato,  il  solo  ordine 
esterno.  Essa  è  istituita  principalmente  per  procurare  l'ordine  in- 

1  Vedi  YUnivers,  n.  11  il. 


ilì  LA  DEFINIZIONE  DOGMATICA 

terno,  di  cui  l'ordine  esterno  è  manifestazione  e  sequela.  Ora  cote- 
sto ordine  interno  è  fondato  sulla  fede,  sopra  cui  si  eleva  l'edilìzio 
della  speranza  e  la  certezza  dei  beni  d'ordine  soprannaturale,  al 
conseguimento  dei  quali  in  questa  divina  società  tendiamo.  Dunque 
l'autorità,  che  all'acquisto  di  siffatti  beni  muove  e  governa  la  nostra 
operazione,  deve  di  necessità  esser  tale,  che  riguardo  alla  fede,  da 
essi  supposta,  regga  la  nostra  credenza.  Questo  secondo  elemento  è 
implicito  nel  primo:  l'autorità  magistrale  è  qui  condizion  prima  ed 
assoluta  dell'autorità  giurisdizionale.  Dunque  quel  potere  che  nella 
Chiesa  è  supremo  in  fatto  di  giurisdizione,  è  supremo  altresì  in  fat- 
to di  magistero.  Come  è  inappellabile  rispetto  a  quella,  in  egual  mo- 
do è  inappellabile  rispetto  a  questo.  Se  è  irrepugnabile  nel  coman- 
do, dev'  essere  irriformabile  nel  giudizio.  Di  che  segue  inevitabil- 
mente che  il  Pontefice  nella  Chiesa  di  Cristo  non  potrebbe  essere 
riconosciuto  come  supremo  ordinatore  dell'azione,  senza  essere  al 
tempo  stesso  riconosciuto  come  supremo  giudice  della  credenza. 
E  perciocché  qui  la  credenza  è  tale,  che  esige  pieno  e  fermissimo 
assenso  dell'intelletto,  e  ad  assentire  irremovibilmente  coll'intelletto 
non  può  obbligare,  se  non  un'autorità  infallibile;  uopo  è  che  il 
Papa  sia  infallibile.  Negare  la  sua  infallibilità,  varrebbe  altrettanto 
che  distruggere  il  suo  Primato;  e  quindi  sconvolgere  la  gerarchia 
e  con  essa  l'organismo  e  la  vita  stessa  della  Chiesa. 

Alla  medesima  illazione  possiam  venire  sillogizzando  in  que- 
st'altra forma.  Ogni  cosa  in  tanto  mantiene  il  suo  essere,  in  quanto 
mantiene  la  sua  unità.  Ciò  come  e  vero  per  le  esistenze  fìsiche,  così 
è  tgco  altresì  per  le  esistenze  morali.  Rompete  un  vaso,  voi  l'avete 
distrutto  ;  sciogliete  un  esercito,  voi  non  avrete,  che  una  moltitudi- 
ne disordinala.  Quegli  dunque,  acuì,  come  a  Capo  supremo,  è 
commesso  l'ufficio  di  conservar  la  Chiesa  nell'essere,  è  commesso 
conseguentemente  l'ufficio  di  conservarla  nella  sua  unità.  Or  l'unità 
della  Chiesa  ha  per  base  l'unità  della  fede;  e  l'unità  della  fede  non 
può  sussistere,  se  chi  ha  cura  di  mantenerla  non  sia  infallibile  nel 
sentenz  are,  rispetto  ad  essa  e  rispetto  agli  errori  che  tentassero  di 
oscurarla.  Se  dunque  il  Pontefice  è  capo  supremo  nella  Chiesa  di 
Gesù  C listo,  e  quindi  a  lui  è  dato  l'ufficio  di  mantenerla  nell'essere 


dell'  infallibilità  pontificia  173 

e  nella  unità,  egli  è  infallibile  nei  suoi  giudizii  intorno  alla  fede;  il 
suo  Primato  per  questa  parte  si  confonde  colla  sua  infallibilità. 

È  questo  in  altri  termini  l'argomento  di  S.  Tommaso,  là  dove  co- 
sì ragiona:  «  Una  dev'  esser  la  Fede  di  tutta  la  Chiesa,  secondo  la 
prescrizìon  dell'Apostolo:  Dite  tutti  lo  stesso,  e  non  siano  scismi  tra 
voi.  Ora  ciò  non  potrebbe  mantenersi,  se  le  quistioni,  che  sorgesse- 
ro intorno  alla  fede,  non  fossero  decise  da  Colui,  il  quale  presiede  a 
tutta  la  Chiesa,  sicché  la  sua  sentenza  sia  da  tutta  la  Chiesa  ferma- 
mente tenuta.  E  però  alla  sola  autorità  del  sommo  Pontefice  appar- 
tiene il  formar  nuovi  simboli  di  credenza,  come  a  lui  appartiene 
l'ordinare  tutte  le  altre  cose,  riguardaci  la  Chiesa  universale.  Una 
Fides  debet  esse  tolius  Ecclesiae,  secundum  illud  (l.a  ad Corint.  1): 
Idipsum  dicatis  omnes  et  non  sint  in  vobis  schismata;  quod  servavi 
non  possel,  nisi  quaestio  Fidei  exorta  determinetur  per  eum,  qui 
Mi  Ecclesiae  praeest,  ut  sic  eius  sententia  a  tota  Ecclesia  firmi- 
ter  teneatur.  Et  ideo  ad  solarli  auctoritatem  Romani  Pontificis  per- 
tinetnova  editto  symboli,  sicut  et  omnia  alia  quae  pertinent  ad  totani 
Ecclesiam  1.  »  Negata  dunque  l'infallibilità  pontificia,  è  rimosso  il 
fondamento  a  cui  è  poggiata  la  stessa  sua  suprema  giurisdizione, 
e  quindi  è  sciolto  il  vincolo  dell'unità  della  Chiesa,  l'esistenza  di  lei 
è  distrutta. 

La  Chiesa  è  il  regno  di  Cristo  quaggiù.  E  di  che  natura  ò  questo 
regno?  Esso  è  il  regno  della  verità.  Tal  fu  la  solenne  dichiarazione 
che  Cristo  slesso  ne  fece  dinanzi  a  Ponzio  Pilato.  Dopo  aver  Egli 
asserito  di  essere  Re,  Rex  sum  ego,  soggiunse  che  la  sua  missione 
era  l'affermazione  e  l'assodamento  della  verità:  Ego  in  hoc  natus 
sum  et  ad  hoc  veni  in  mundum,  ut  testimonium  perhìbeam  ver  itati. 
Or  questa  missione  di  Cristo  è  cessata?  No  ;  egli  l' ha  trasmessa  alla 
sua  Chiesa  :  Sicut  misit  me  Pater,  et  ego  mitto  vos.  Onde  la  Chiesa 
è  detta  dall'  Apostolo  Columna  et  firmamentum  veritatìs.  Ma  sopra 
qual  base  è  poggiala  questa  colonna  della  verità?  Sopra  di  Pietro, 
Tu  es  Petrus,  et  super  hanc  petram  aedificabo  Ecclesiam  meam. 
Or  come  potrebbe  Pietro,  e  conseguentemente  il  Romano  Pontefice, 

1  Stimma  Ih.  2.a  2.a  q.  I,  a.  X, 


174  LA  DEFINIZIONE  DOGMATICA 

esser  sostegno  del  regno  della  verità,  se  egli  non  fosse  infallibile? 
Negargli  V  infallibilità,  vale  lo  stesso  che  levargli  la  prerogativa  di 
fondamento  delia-Chiesa  di  Cristo,  e  quindi  costringere  essa  Chiesa 
a  rovinare,  mancandole  il  fondamento,  su  cui  è  stata  innalzata. 

Il  Pontefice  Romano  è  il  Vicario  di  Cristo.  Egli  dunque  è  il  con- 
tinuatore nel  mondo  dell'opera  di  Cristo;  egli  è  invece  di  lui  il  te- 
slimoniatore  della  verità  presso,  noi.  Cristo  è  la  bocca  del  Padre  ;  il 
Papa  è  la  bocca  di  Cristo.  Il  Padre  nella  pienezza  de  tempi  ci  ha 
parlato  per  mezzo  del  Figlio,  loquutus  est  nobis  in  Filio  ;  il  Figlio, 
dopo  il  suo  ritorno  al  Padre,  continua  a  parlarci  per  mezzo  del  suo 
Vicario.  Ora  in  una  bocca  siffatta,  in  una  siffatta  parola,  è  mai  con- 
cepibile che  si  possa  trovar  la  menzogna  ?  E  dove  ciò  fosse  possi- 
bile, non  sarebbe  issofatto  svanita  la  missione  di  Cristo  e  distrutto 
il  suo  regno?  Assodare  dunque  }'  infallibilità  del  Pontefice  importa- 
va niente  meno,  che  assicurar  la  durata  del  regno  di  Cristo  sulla 
terra.  E  ciò  tanto  era  più  urgente  nel  tempo  nostro,  in  quanto  lo 
scopo  della  guerra  satanica  d' oggigiorno  è  appunto  di  scoronar  Cri- 
sto e  spezzarne  lo  scettro.  Nolumus  hunc  regnare  super  nos  ;  è 
questo  il  grido  infernale  d'  ogni  gcnerazion  di  settarii.  Vedete  dun- 
que se  opera  più  rilevante  potea  fare  il  Concilio,  che  quella  di  con- 
solidare in  maniera  incrollabile  l'infallibilità  del  Romano  Poni- 

E  questa  è  la  ragione,  per  cui  noi  abbiamo  veduto  sopra  di  essa 
appunto  ingaggiata,  si  aspramente  la  lolla  tra  i  duo  opposti  campi, 
della  verità  e  dell' errore.  Si  ricordino  qui  gl'innumerevoli  scritti 
usciti  ultimamente  alla  luce  in  favore  dell'  infallibilità  ponliiicia  ;  le 
petizioni  e  gl'indirizzi,  che  da  ogni  parte  del  mondo  cattolico  « 
sono  spediti  al  Papa  e  ai  Vescovi,  per  dimandarne  la  ci  defi- 

nizione; il  commovimento  universale,  che  si  è  suscitato  non  solo 
nel  Clero  supcriore  e  inferiore,  ma  anche  tra  gii  stessi  laici,  . 
a  Dio.  Nel  che  principalmente  si  è  segnalata  la  Francia,  a  cui  giu- 
stamente premeva  di  smentire  in  modo  solennissimo  l'i 
lunnia,  onde  si  attribuiva  a  lei  lutlaquanla  il  traviamento  di  alcu- 
mosliare  a  lamp  ali  provo  di  fatto,  che  il  (iallica- 
nismo  era  tuli' altro  che  il  sentimento  di  una  Chiesa,  la  quale  van- 
ta tra  i  suoi  dottori  un  S.  Ireneo,  un  S.  Ilario,  un  S.  Bernardo. 


dell'  infallibilità  pontificia  175 

Ella  volle  chiarire  in  faccia  al  mondo  che  la  Chiesa  di  Francia  me- 
ritava tuttavia  l'elogio,  già  frìttogli  da  Gregorio  IX  che  ella  in  fer- 
vore Fidei  et  devotione  erga  Apostolicam  Sedevi  non  seguitar  alias, 
sed  antecedi t.  Nazione  giustamente  designata  col  soprannome  di 
r.rande;  perchè,  astrazion  fatta  da  qualche  eccezione  non  imputabi- 
le a  lei,  ella  si  trova  ad  aver  sempre  le  prime  parli  in  tutto  ciò  che 
è  veramente  nobile  e  generoso.  Ma  mentre  il  lettore  richiama  alla 
memoria  queste  cattoliche  manifestazioni,  piene  di  zelo  e  di  amore, 
rimembri  altresì  di  quanto  odio  ricolma  e  di  fiele  e  di  feroce  acca- 
nimento è  stata  per  opposto  là  guerra  degli  avversarli.  Menzogne, 
calunnine,  minacce,  seduzioni,  tradimento,  denaro,  eccitamento  ad 
ire  popolari,  ad  intervenzion  di  Governi ,  tutto ,  quanto  ci  ha  di  più 
basso  e  vergognoso-,  è  stato  messo  in  opera  per  forviare  la  pubblica 
opinione,  gittar  la  discordia  tra  i  fedeli ,  e  spaventare,  se  fosse  sta- 
to possibile,  i  Padri  della  veneranda  assemblea.  I  soli  tempi  del- 
l' Arianesimo  ci  presentano  qualche  cosa  di  simigliante;  ed  era  ben 
naturale  che  la  più  alta  prerogativa  del  rappresentante  del  Verbo 
divino  soffrisse  la  medesima  contraddizione ,  che  già  incontrò  la 
prerogativa  prima  e  fondamentale  di  tulle  le  doti  competenti  ad  es- 
so Verbo.  I  novelli  Ariani  non  lasciarono  intentato  mezzo  alcuno, 
per  impedire  la  tanto  dai  sinceri  cattolici  desiderata,  e  tanto  ad  essi 
odiosa  definizione;  e  quando  videro  non  poterla  evitare,  sì  volsero 
con  sacrilega  impudenza  a  sparger  dubbii  sul  valore  delle  delibera- 
zioni del  Concilio. 

Senonchè  il  beni  gaissimo  Iddio,  il  quale  sovente  si  piace  di  far 
convergere  all'  adempimento  de'  suoi  disegni  gli  stessi  sforzi  contra- 
rli de'  suoi  nemici,  fé  servire  questo  contrasto  degli  odiatori  dell' in- 
fallibilità pontificia  alla  sua  più  pronta  definizione.  La  violenza,  con 
cui  si  voile  impugnarla,  da  opportuna  la  rese  necessaria.  Le  minac- 
ce ,  con  cui  si  vollero  intimidire  i  Padri ,  valsero  anzi  ad  eccitarne 
il  coraggio  e  la  fermezza.  Il  concorso,  che  si  accettò,  degl'  incredu- 
li, dei  settarii ,  della  stampa  anticristiana,  degli  aperti  nemici  di 
Dio,  per  crescere  la  schiera  degli  opponenti,  si  converti  in  argo- 
mento per  confermare  negli  animi  la  credenza  di  una  dottrina,  che 
si  vedeva  combattuta  da  siffatta  genia.  Noi  abbiamo  udito  più  volte 


176  LA  DEFINIZIONE  DOMMATICA 

dalla  bocca  di  molti  Vescovi  che  se  mai  non  fossero  stati  convinti , 
come  lo  erano,  della  verità  dell'  infallibilità  pontificia,  se  ne  sareb- 
bero persuasi  al  solo  guardare  la  qualità  di  coloro,  che  la  oppu- 
gnavano. 

Si  affacciava  contro  la  definizione  di  questo  domma  cattolico  l'ani- 
mosità di  potenti  politici,  e  lo  stato  presente  di  Europa,  gravido  di 
prossime  perturbazioni  e  scompigli  ?  La  divina  Provvidenza  costrin- 
se i  primi  per  vie  inaspettate  ad  uscire  dalla  vita  pubblica,  e  quan- 
to al  secondo  rinnovò  il  prodigio  operato  già  con  Israello  :  Fiant 
immobiles  quasi  lapis,  donec  pertranseat  populus  tuus.  Una  pace 
universale,  contro  ogni  previsione  umana,  ha  permesso  che  proce- 
dessero tranquille  le  deliberazioni  conciliari,  fino  alla  sospirata  de- 
finizione. Questo  straordinario  concorso  della  Provvidenza  divina 
mostra  esso  altresì  evidentemente  la  grande  importanza  dell'  ogget- 
to, a  cui  favore  interveniva. 

Non  meno  ammirabile  si  è  mostrata  la  Provvidenza  divina  nel 
modo,  onde  ha  condotta  ad  effetto  la  bramata  definizione.  Sembrava 
ad  alcuni  che  ella  dovesse  farsi  per  via  di  semplice  acclamazione; 
riputandosi  ingiurioso  alla  certezza  di  una  verità  si  cospicua  e  al 
pacifico  possesso  che  ella  avea  nella  credenza  cattolica,  il  solo  as- 
soggettarla ad  esame.  Ma  d'altra  parte  l'omissione  d'un  tal  esame 
avrebbe  dato  ansa  agli  avversarli  d' imperversare,  accusando  come 
tumultuario  e  non  prodotto  da  riposato  giudizio,  ma  da  impeto  di 
cieco  entusiasmo  un  volo,  al  quale  non  fosse  ita  innanzi  una  ben 
ponderata  discussione.  Or  la  sapienza  divina  ha  voluto  che  l'un 
modo  e  l'altro  si  avverasse:  quello  cioè  della  acclamazione,  e  quel- 
lo altresì  della  discussione.  Si  avverò  l' acclamazione ,  quando 
presso  a  secento  Padri,  vai  quanto  dire  la  quasi  totalità  del  Conci- 
lio, chiese  concordemente  e  con  fervide  istanze  non  già  che  si 
mandasse  a  partito,  bensì  che  si  definisse  dommaticamente  con  pa- 
role escludenti  ogni  dubbio  questo  punto  di  dottrina  cattolica,  llu- 
milliiiw  instanterque  flagitant  ut  apertis  omnemque  dubitandi  lo- 
cum  excludentibus  verbis  sancire  velit  supremam  ideoque  ab  er- 
rore immvnem  esse  Romani  Ponti ficis  auctoritatem.  cu  tu  in  re- 
bus l'idei  e(  inorurn  ea  statuii  ac  praesipit,  quae  ab  omnibus 


dell'  infallibilità  pontificia  177 

Chrhtijìdelìbus  credendo,  et  tenenda,  vel  reiicienda  et  damnanda 
sìnt.  Questo  famoso  Postulato  fatto  al  Concilio  dagli  stessi  Padri, 
che  il  componevano,  a  tutta  ragione,  può  dirsi  acclamazione.  E  che 
altro  è  Vacclamazione,  se  non  la  pubblica  e  concorde  approvazione 
data  ad  un  oggetto,  che  si  professa  per  vero  e  per  giusto,  senza 
porlo  in  disamina?  Anzi  tanto  più  questa  solenne  manifestazione 
del  scotimento  dei  Padri  del  Concilio  merita  il  nome  di  acclamazio- 
ne, in  quanto  essa  fu  fatta  non  a  voce  ma  per  iscritto,  in  modo 
cioè  più  acconcio  ad  apparire  effetto  di  deliberato  consiglio  e  restar 
presso  i  posteri  splendida  e  non  contrastabile  testimonianza  dell'ac- 
caduto. 

Coll'acclamazione  volle  la  sapienza  divina  che  si  accoppiasse  la 
discussione.  E  qual  discussione?  Siffatta,  che  niun'  altra  potesse 
mai  a  lei  agguagliarsi,  sia  per  l'estensione,  sia  per  l'operosità  e  la 
durala.  Per  ben  otto  mesi,  dacché  si  raccolse  il  Concilio,  essa  fu 
proseguita  da  prima  privatamente  tra'  Vescovi  e  poscia  in  comune 
nelle  conciliari  adunanze;  e  ciò  con  un  ardore  non  mai  più  veduto 
per  qualsivoglia  altro  negozio,  comechè  importantissimo.  Scritture 
d'ogni  qualità  si  son  moltiplicate  in  gran  copia,  riguardanti  la  que- 
stione sotto  tutti  gli  aspetti  possibili.  Teologi  di  gran  valore  e  tra  i 
più  chiari  di  Europa  han  detto  prò  e  contra  tutto  ciò,  che  potea 
dirsi  sopra  tale  materia.  Gli  stessi  Padri  colla  voce  e  con  la  penna 
trattarono  ed  esaurirono  interamente  la  quistione  ;  sicché  oramai 
non  restava  altro,  che  ripetere  il  già  ripetuto  più  volte.  Più  di 
cento  oratori  con  dotti  e  ben  intesi  discorsi  parlarono  nell'aula  con- 
ciliare ;  fatto  unico  nella  storia  delle  deliberanti  x\ssemblee:  e  gli 
altri,  che  pur  erano  iscritti,  cedettero  spontaneamente  alla  parola, 
non  vedendone  più  oggimai  il  bisogno.  Ondechè  a  tutta  ragione  può 
dirsi  che  niun  domma,  anzi  niuna  quistione  al  mondo  sia  stata, 
come  questa ,  sì  ampiamente  e  sì  accuratamente  meditata,  discussa 
ventilata,  innanzi  di  definirsi.  E  nondimeno  essa  era  una  verità 
religiosa  universalmente  riconosciuta  nella  Chiesa  di  Dio,  affer- 
mata evidentemente  nelle  divine  Scritture,  e  trasmessa  per  costante 
e  non  interrotta  tradizione  dagli  Apostoli  infino  a  noi.  Essa  inoltre 
Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  488.  12  6  Luglio  1870. 


118  LA  DEFINIZIONE  DOMMATICA 

formava  f  oggetto  dei  più  caldi  voli  del  clero  e  del  popolo  fedele. 
A  che  dunque  un  così  prolungato  e  faticoso  dibattimento? 

La  meraviglia  stessa,  che  genera  cotesto  fatto,  ci  mosira  che 
esso  fu  retto  da  siugolare  disposizione  divina.  E  1'  allo  consiglio  di 
Dio  lo  volle,  acciocché  la  verità  del  domina  definito  sfolgorasse  di 
luce  più  viva  alle  pupille  alquanto  deboli,  e  ai  dichiarati  nemici 
fosse  tolto  ogni  prelesto  a  contrastarla,  inoltre  la  soave  ed  amoro- 
sa Provvidenza  divina  ha  voluto  che  tal  definizione  costasse  sì  lun- 
ghe ed  accurate  fatiche,  acciocché  meglio  se  ne  riconoscesse  ed 
apprezzasse  il  benefizio.  Noi  siamo  così  fatti ,  per  fralezza  della 
nostra  natura,  che  poco  slimiamo  i  beni,  il  cui  conseguimento  ci 
riesce  pronto  ed  agevole.  Per  contrario  gli  sforzi,  lo  studio,  la 
lotta  che  ci  faccia  mestieri  per  l'acquisto  di  cosa  desiderata,  è  come 
cote  che  acuisce  il  nostro  intelletto  ad  apprenderne  il  pregio,  e  il 
possesso,  a  cui  finalmente  ne  giungiamo,  ci  cagiona  letizia  e  dol- 
cezza indicibile.  Così  è  avvenuto  nel  presente  caso.  Euntes  ibant 
et  jìebant  mittentes  semina  sua;  venientes  autem  veniunt  cum 
ej'uUatione  portantes  manipulos  suos.  Ciascuno  può  esserne  testi- 
monio a  sé  medesimo,  per  la  coscienza  di  ciò  che  sente  nell'ani- 
mo; e  l'universale  tripudio,  e  la  letizia,  e  le  pubbliche  manifesta- 
zioni di  giubilo,  che  ali'  ora,  in  cui  queste  pagine  vedranno  la  lu- 
ce, avranno  luogo  dappertutto  nel  mondo  cattolico,  ne  sono  prova 
lampante. 

Ma  non  è  da  credere  che  un  avvenimento  così  glorioso  e  retto  da 
Dio  con  dispensazione  così  singolare,  debba  fermarsi  in  sé  stesso. 
Esso  sarà  fecondo  di  prodigiosi  effetti  in  tulli  gli  ordini  sociali  per 
salute  dei  popoli.  Iddio  non  opera  a  caso,  né  dà  mano  a  grandi 
mez::i  per  tenui  tini.  Noi  non  dubitiamo  di  asserire  che  come  le  ne- 
gazioni sovvertitrici  dell'  autorità,  le  quali  invalse  o  all'epoca  del 
Concilio  di  Basilea  segnarono  i  principii  della  grande  rivoluzione 
polilicorcligiosa  dei  tempi  moderni;  così  l'affermazione  riparatrice 
di  tutte  le  prerogative  del  Seggio  di  Pietro,  falla  ora  così  solennc- 
menle  dai  Concilio  Valicano,  segnerà  i  principii  di  un  1  es'aura- 
mento  in  lutti  gli  ordini  privali  e  pubblici  della  cristianità.  Onde 
nella  serie  dei  secoli  questo  nostro  sarà  un  giorno  benedetto  e  magni- 


dell'  ^fallibilità  pontificia  179 

ficato,  siccome  quello  che,  grazie  al  Concilio  celebralo  sollo  Pio  IX, 
ritornò  la  luce  nel  mondo  oppresso  ed  involto  dalle  tenebre  della 
rivoluzione. 

Siano  grazie  adunque  e  benedizione  e  cantico  di  lode  al  Dator 
d'ogni  bene  per  si  benigna  dispensazione,  usata  verso  la  nostra  fiac- 
chezza. Cantate  Domino  quoniam  magni fwe  fecit,  annuntiate  hoc 
in  universa  terra  1.  Noi  sentiamo  vivamente  la  forza  e  la  grandez- 
za del  ricevuto  benefizio,  e  ci  rechiamo  ad  onore  di  confessarlo  alta- 
mente :  Opera  Bei  revelare  et  confileri  lionorificum  est  2.  Iddio  si 
è  ricordato  dei  suo  popolo,  ed  ha  tolto  di  mezzo  ad  esso  Y  ultima 
pietra  d'inciampo,  che  gli  restava.  Di  mezzo  alle  procelle,  ond'egli 
d'ogni  parte  era  minacciato,  gli  ha  allumato  dinanzi  alla  vista  quel 
faro,  cui  tenendo  d'occhio  assiduamente,  non  può  fallire  al  porto 
della  salute.  Egli  ha  abbattuto  il  muro  di  divisione,  che  partiva  i 
fedeli,  quasi  in  due  campi.  D'  ora  innanzi  è  abolita  quella  oltrag- 
giosa qualificazione  di  gallicani  ed  oltramontani,  raffreddatrice  dei 
cuori  e  separatrice  degli  animi.  Un  sol  nome  designerà  i  figliuoli 
della  Chiesa,  quello  di  cristiani  cattolici,  riconoscenti  nel  Capo  su- 
premo, che  li  governa  in  nome  di  Cristo,  le  medesime  prerogative. 
Iddio  ha  volto  un  guardo  amoroso  alla  sua  sposa  diletta,  la  Chiesa, 
e  in  tanto  armeggiar  di  nemici,  che  si  apparecchiavano  a  darle 
battaglia,  ha  rassodato  il  comando  del  suo  Duce  supremo;  ha  lar- 
gito valore  più  efficace  alla  sua  imperante  parola;  ha  collegato  con 
lui  più  strettamente  i  Duci  minori  e  tutto  l'esercito  dei  credenti. 
D'ora  innanzi  in  senso  più  vero  potrà  dirsi  di  lei  che  ella  è  come 
milizia  perfettamente  ordinata  :  Tanquam  castrorum  acies  ordina- 
ta, in  modo  poi  speciale  Iddio  si  è  ricordato  di  tmegl'  incauli  fi- 
gliuoli, i  quali,  ondeggiando  tra  il  Cattolicismo  e  il  Liberalismo, 
accettavano  i  principii  dell'uno  e  dell'altro,  persuadendosi  di  poterli 
conciliare  tra  loro.  Se  .prima,  allucinati  dalle  massime  liberalesche, 
essi  balenavano  alquanto  nell'adesione  dovuta  alla  voce  del  Supre- 
mo Pastore  ;  d'ora  innanzi  essi  potranno  agevolmente  ritrarsi  dai- 

1  Isaia  e  e.  XII. 

2  Lìber  Tobiae,  c.  XII. 


180      LA  DEFINIZIONE  DOMMAT1CA  DELL' INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA 

Torlo  del  precipizio,  intorno  a  cui  aggiravansi;  stante  il  pieno  os- 
sequio di  cuore  e  di  mente,  onde  sono  inescusabilmente  tenuti  ad 
accogliere  gli  oracoli  pontificii.  Iddio  finalmente  ha  mirato  con  più 
tenera  pietà  eziandio  gli  acattolici,  ponendo  loro  dinanzi  agli  occhi 
in  lume  più  splendente  il  divino  organismo  della  sua  Chiesa,  e 
mostrando  in  essa  più  chiaramente  il  rimedio,  che  cercane,  allo 
sbrigliamento  del  senso  privato,  generatore  della  confusione  babe- 
lica in  cui  si  avvolgono.  A  Dio  dunque  sia  gloria  di  sì  gran  fatto,  e 
a  Lui  ogni  lingua  sciolga  un  inno  di  lode,  e  in  lui  esulti  ogni  cuore. 
Exulta  et  lauda,  habilatio  Sion,  quia  magnus  in  medio  fui  San- 
ctus Israel  1. 

Anche  a  Maria,  dolce  Signora  e  Regina  di  questo  regno  di  Cristo, 
si  tributi  affettuoso  rendimento  di  grazie;  giacché,  dopo  Dio,  dal 
favore  di  lei  dee  riconoscersi  il  bene  ottenuto.  Noi,  appena  leggem- 
mo nella  Bolla  d' indizion  del  Concilio,  che  esso  dovea  aprire  le  sue 
sedute  nel  giorno  dedicato  all'  immacolato  Concepimento  di  Maria, 
tenemmo  per  ferma  ed  immancabile  la  definizione  dell'  infallibilità 
pontificia.  Il  Pontefice,  che  con  tanto  plauso  dell'orbe  cristiano  avea 
dommaticamenle  assicurata  la  più  bdla  prerogativa  della  santità  di 
Lei ,  dovea ,  senza  fallo ,  vedere  dommaticamente  assicurata  la  più 
bella  prerogativa  dell'apostolico  suo  ministero.  Era  questo  il  guider- 
doae  condegno,  che  Maria  gli  tenea  serbato.  L' immacolata  Conce- 
zione e  F  Infallibilità  pontificia  sono  due  donimi,  di  cui  il  primo  in- 
dubitatamente dovea  esser  seguito  dal  secondo.  Ciò  altresì  ò  argo- 
mento di  santa  letizia  pei  fedeli;  ma  in  modo  più  speciale  dev'es- 
sere pel  nobilissimo  animo  del  gran  Pio,  alla  cui  sapienza  e  virtù  è 
dovuta  principalmente  l'esecuzione  di  un'impresa  sì  grande.  Gioisca 
egli  ed  esulti  nel  Signore.  Tra  i  gloriosi  gesti,  onde  a  dovizia  va 
ricco  il  suo  pontificato,  è  questo  il  più  sublime,  1'  aver  meritato 
da  Maria  che  il  più  maestoso  Concilio  che  mai  siasi  veduto  nella 
Chiesa,  rafforzasse  con  dommatica  definizione  il  privilegio  più  alto 
di  quella  Cattedra,  su  cui  è  stalo  collocato  da  Dio. 


1   ISAlAE  C.  XIL 


RIVISTA 


DELLA 


STAMPA    ITALIANA 


»^\A/Vvv~ 


I. 


//  Concilio  Vaticano  al  cospetto  dell'odierna  società,  per  Fr.  Lodo- 
vico da  Castelplanio  Minore  osservante.  Seconda  edizione  — 
Torino  1870,  tipografia  del  cav.  Pietro  Marietti. 

Fin  dal  primo  annunzio,  che  deramo  di  questo  libro,  a  pag.  349 
del  voi.  Vili,  dicemmo  :  Il  capitolo  sui  cattolici  liberali  è  un  capo- 
lavoro. Questo  capitolo  fu  poi  stampato  a  parte  col  titolo:  //  Conci- 
lio ecumenico  Vaticano  ed  i  cattolici  liberali',  e  noi  subilo  l'annun- 
ziammo, a  pag.  607  del  voi.  IX,  nella  bibliografia  speciale  del 
Concilio;  riserbandoci  a  parlarne  più  ampiamente  nella  Rivista  del- 
la stampa  italiana,  trattandosi  di  un  argomento  sociale,  e  non  sola- 
mente teologico  in  riguardo  del  Concilio.  Veniamo  ora  ad  eseguir 
questo  nostro  proposito,  il  che  riuscirà  di  non  lieve  profitto  pei 
grandi  ammaestramenti  che  quel  capitolo  racchiude. 

Il  concetto  di  cattolico  liberale  rappresenta  una  sintesi,  non  una 
analisi;  in  quanto  il  predicato  liberale  è  aggiunto  al  soggetto  catto- 
lico, non  ne  è  dedotto.  Se  ne  fosse  dedotto,  la  distinzione  di  catto- 
lici schietti  e  di  cattolici  liberali  non  avrebbe  senso.  La  Chiesa,  co- 
me attesta  la  storia  e  i  veri  dotti  riconoscono,  ha  prodotto  la  vera 
libertà,  la  vera  fratellanza,  il  vero  progresso  tra  gli  uomini.  L'amo- 


182  RIVISTA 

re  di  questi  beni,  in  quanto  promossi  dal  Cattolicismo,  hou  ha  me- 
stieri d' essere  espresso,  se  non  con  la  sola  denominazione  di  catto- 
lico ;  essendo  qualità  intrinseca,  che  sorge  dalla  natura  stessa  di 
esso  Catolicismo.  L'aggiunto  di  liberale,  che  alcuni  cattolici  assu- 
mono, inchiude  dunque  una  sintesi.  Or  chi  ha  prodotto  colcsla  sinte- 
si? Non  la  teologia  ;  giacche  tra  i  diversi  sistemi  teologici  non  ci  è 
stato  mai  il  liberalismo;  benché  si  avverasse  qualche  teologo  liberale. 
Neppure  l'ha  prodotto  la  filosofia  o  altra  delle  scienze  naturali;  giac- 
ché, quantunque  i  cattolici  liberali  levino  a  cielo  le  scoperte  del  nostro 
secolo,  tuttavia  non  si  confondono  con  nessuna  scuola  scientifica.  E 
senza  ciò  essi  stessi  «  confessano  di  aver  assunto  quel  nome  in  for- 
za di  avvenimenti  sociali,  onde  la  patria  si  è  posta  per  la  via  della 
civiltà,  del  progresso,  della  libertà,  eguaglianza  e  fraternità,  fatti 
veramente  che  f  innamorano  %.  » 

Peraltro  non  deve  credersi  che  i  liberali  cattolici  deducano  quel 
loro  aggiunto  dal  principio  del  liberalismo  puro,  vuoi  assoluto,  vuoi 
moderato.  Siffatto  principio  pei  liberali  assoluti  è  il  Dio-Slato,  pei 
moderati  è  la  separazione  piena  della  Chiesa  dallo  Stato.  Ora  il  cat- 
tolico liberale  rigetta  il  primo,  e  non  ammette  del  tutto  la  seconda. 
Ma  dunque  donde  nasce  quella  sintesi?  Non  nasce  da  alcun  princi- 
pio, ma  nasce  dai  fatti.  «  ì  cattolici  liberali  vagheggiano  i  nuovi  falli 
sociali,  prodotti  e  originali  dai  principii  del  liberalismo  assoluto  e 
moderato.  Queste  parole:  civiltà,  progresso,  indipendenza,  Chiesa 
libera,  Stato  libero,  solleticano  1'  orecchio  dei  cattolici  liberali  in 
quanto  sono  significative  di  fatti  e  non  già  di  principii,  e  quel  di- 
moio di  libertà  civile,  politica,  di  parola,  di  stampa,  di  coscienza 
di  culto,  di  associazione,  e  luti'  altro,  che  l  tempi  moderni  hanno 
racchiuso  o  cavato  da  quella  santa  parola,  sempre  siccome  fatto 
e  mai  come  principio,  forma  per  essi  un  gran  pregio;  perchè  ne 
sentono  gran  tenerezza  ed  amore:  laonde  volgendosi  alla  Chiesa, 
che  veggono  alla  fin  line  affermata  in  quei  fatti,  le  dicono,  con  com- 
mozione che  s'  acconci  ai  fatti  moderni,  che  non  scrupoleggi  di  so- 
verchio, che  non  sia  inflessibile  al  solilo  riportando  tulio  ai  principii: 
non  trattarsi  qui  di  principii  ma  di  falli,  i  quali  non  escludono,  ma 

1  Pag.  11)9. 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  183 

racchiudono  il  fatto  divino  del  Cristianesimo.  Che  se  l'azione  né  al- 
quanto ristretta  per  la  emancipazione,  certo  ingiusta,  dello  Stato 
dall'autorità  della  Chiesa,  non  è  poi  questa  una  grande  sventura.  La 
Chiesa  dovrebbe  ricordare  le  lotte,  i  contrasti  e  le  catene  che  le 
seppero  apprestare  gli  Imperatori  di  Oriente,  di  Àlemagna,  i  Re  di 
Francia  e  tanti  altri  principi,  che  si  dicevano  cattolici  e  si  soscrive- 
vano  figli  della  Chiesa  sol  per  imbavagliare  la  madre,  perchè  non 
emettesse  liberamente  la  voce:  or  lutti  questi  guai  spariscono  nel 
nuovo  sistema  di  libertà.  Si  accetti  dunque  come  fatto,  e  si  vada  in- 
nanzi; che  con  la  moderazione  può  tutto  acconciarsi  col  tempo. 
L'operare  diversamente  sarebbe  di  estremo  danno  alla  società  e  al- 
la Chiesa:  la  società  non  retrocede  di  uu  passo:  la  legislazione  so- 
ciale di  Europa  è  tutta  improntata  di  libertà,  i  principii  dell'ottanta- 
nove  governano  il  mondo  :  sarebbe  inutile  ogni  resistenza.  La  Chiesa 
dunque,  e  per  essa  il  Romano  Pontefice  può  e  deve  riconciliarsi  col- 
l'odierno  progresso  e  colla  moderna  civiltà.  Avete  udito?  Il  cattolico 
liberale  ò  figlio  legittimo  del  fatto  sociale,  separato  dal  principio. 
Accetta  dal  caltolicismo  i  principii,  onde  si  chiama  cattolico  ;  dal 
liberalismo  i  falli,  onde  si  chiama  liberale  ;  e  perchè  il  liberalismo 
dei  fatti  non  lo  trascini  nel  liberalismo  dei  principii,  egli  separa  i 
fatti  liberali  dai  principii  liberali,  incarna  questi  fatti  nel  cattolico, 
ed  ottiene  una  persona  sintetica,  che  denominasi  cattolico-liberale; 
cattolico  dai  principii,  liberale  dai  fatti.  Volete  elevare  quest'  uomo 
dei  fatti  a  principio?  Scrivete  «  Separazione  del  fatto  dal  principio»; 
ecco  il  programma  del  cattolico-liberale  1.  » 

Or  l'Autore  entra  qui  a  provare  come  appunto  questo  program- 
ma, questa  separazione  del  principio  dal  fatto,  costituisce  i  cattolici 
liberali  in  una  falsa  posizione,  per  cui  non  riescono  a  contentare 
niuna  delle  due  parli  ;  sicché  di  loro  può  dirsi  quel  di  Dante  :  A  Dio 
spiacenti  ed  a  nemici  sui.  Il  liberalismo  puro  vuole  i  fatti  liberale- 
schi come  conseguenza  del  suo  principio  :  anzi  in  tanto  vuol  far  trion- 
fare quei  fatti,  in  quanto  vuole  il  trionfo  dei  suo  principio.  Quindi 
s'irrita  contro  chi  vorrebbe  separare  l'uno  dagli  altri.  La  Chiesa  con- 
danna il  principio  liberalesco,  e  quindi  i  falli  che  ne  derivano.  Il 

1  Pag.  204. 


184  RIVISTA 

cattolico  liberale  vorrebbe  procurare  la  conciliazione  dell'una  col- 
l'altro.  Egli  dice  al  liberalismo:  «  Tu  sei  una  bella  e  buona  cosa  nel 
mondo;  le  opere  tue  mi  piacciono;  ma  tu  hai  il  torto  di  ribellarti  al- 
la Chiesa:  non  sai  tu,  che  la  divinità  del  Cristo  è  provatissima,  ed 
il  Caltolicismo  con  tutto  il  suo  corredo  è  tanto  necessario  al  mondo, 
che  se  non  esistesse  sarebbe  d'uopo  inventarlo?  Acconciati  dunque; 
rinunzia  a'  principii  liberaleschi,  più  o  meno  infetti  di  naturalismo  e 
di  eresia,  d. sposati  coi  principii  cattolici,  e  lascia  a  me  il  compito 
di  difendere  i  fatti  tuoi.  —  Poi  si  volge  alla  Chiesa  e  al  Papa,  e  con 
cuore  commosso  e  con  eloquenza  patetica,  a  un  disprezzo  gli  dice  : 
—  Padre  Santo,  avete  pur  troppo  ragione:  il  liberalismo  è  uno  sca- 
pato, anzi  un  ribelle  al  principio  di  autorità  e  di  fede  divina,  che  Voi 
giustamente  rappresentate  e  difendete!  Guai  alla  società  ed  al  mon- 
do se  la  vostra  voce  e  la  vostra  costanza  e  fermezza  non  avesse  lot- 
tato e  non  lottassero  contro  le  pretese  estreme  del  liberalismo!  A 
che  sì  ridurrebbe  la  terra!  Or  dunque,  Padre  Santo,  io  bacio  il  vo- 
stro piede  e  mi  presento  nunzio  di  buone  novelle.  Il  liberalismo  ha 
abiuralo  nelle  mie  mani  i  principii  irreligiosi  e  anticattolici,  e  di 
gran  cuore  crede  a  vostra  Beatitudine  e  alla  vostra  dottrina.  Que- 
st'abiura mi  costò  fatica  e  dolore,  e  l'ottenni  con  una  condizione  da 
nulla.  11  liberalismo  ha  lavorato  alcune  opere  sociali;  esaminate  coi 
principii  cattolici,  senza  meno  sono  illegittime  ;  ma  oggi  circostanze 
imponenti  non  permettono  che  sieno  distrutte.  Adunque  passale  so- 
pra a  queste  opere,  almen  per  via  di  transazione  e  di  accomodamen- 
to benevolo,  ed  è  tutto  aggiustato.  Voi  potete  farlo,  dovete  nulo  in 
grazia  della  società  travagliata  e  sconvolta  1.  >•> 

Ma  il  liberalismo  gli  risponde  che  esso  non  può  smetterò  il  prin- 
cipio, per  cui  ha  lavoralo  ad  introdurre  quei  fatti;  e  la  Chiesa  gli 
fa  sentire  non  potere  la  verità  venire  a  patti  colf  errore,  nò  la  giu- 
stizia colla  iniquità,  nò  Cristo  con  Belial.  L'opera  dunque  del  cat- 
tolico liberale  ò  fallita.  «  11  programma  separatista  del  Cattolico-li- 
berale, aggiunge  l'Autore,  ò  tanto  falso  ed  assurdo,  che  non  si  sal- 
va dalla  nota  di  eresia,  senza  ricorrere  all'  inconseguenza  2.  »  La 


1  Pag. 207. 


2  Pan.  214, 


"r- 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  185 

ragiono  si  è  perchè  ogni  fatto  è  la  forma  sensata  di  un  principio.  I 
falli  slaccati  dai  principii  non  hanno  senso.  Ciò  vale  in  ogni  ordine 
di  cose,  ma  soprattutto  nell'ordine  morale,  in  cui  la  volontà  è  rego- 
lala dalla  legge,  vale  a  dire  da  principii,  e  V  intelletto  è  sotto  l' im- 
pero della  verità,  la  cui  espressione  è  sempre  un  principio.  Come 
dunque  potrà  l'uomo  ragionevole  ammettere  un  fatto,  rigettando  il 
principio  di  cui  esso  è  rampollo  e  manifestazione?  Da  questo  bivio 
non  si  esce:  o  accettare,  in  un  coi  fatti  liberaleschi,  eziandio  il 
principio  liberalesco;  o  accettando  i  principii  cattolici,  esecrare  i 
fatti  che  ad  essi  contrastano.  Il  fare  diversamente  è  un  contraddire 
alla  logica.  L'Autore  dimostra  ciò  ampiamente.  Non  potendo  re- 
stringere tulta  la  sua  argomentazione,  staremo  contenti  a  riportar- 
ne testualmente  un  sol  tratto,  quantunque  un  pò  lungo. 

«  Chiunque  non  sarà  prevenuto  nei  pensiere  dovrà  convenire  con 
noi,  che  il  cattolico-liberale  è  serrato  da  questo  dilemma:  o  ere- 
ticare o  slogicare.  Volete  voi  vederlo  ed  udirlo  da  lui  medesi- 
mo? Interrogatelo  e  lasciale,  che  risponda  a  grand'  agio.  Il  Dio 
della  Chiesa  cattolica  non  è  solamente  il  Dio  del  cielo,  ma  anco  il 
Dio  della  terra,  e  perciò  il  Dio  della  civiltà  e  della  religione,  del- 
l'immutabilità  e  del  progresso,  non  è  così?  Senza  meno,  assoluta- 
mente così.  —  La  Chiesa  può  ella  rinnegare  il  suo  Dio?  —  No 
certo,  anzi  ella  lo  crede,  lo  venera,  lo  adora;  ed  egli  la  ricambia 
di  sue  prerogative  divine.  — Dunque  la  Chiesa  anch'essa  è  religio- 
ne e  civiltà,  immutabilità  e  progresso.  —  La  conseguenza  è  evi- 
dente! —  Potrebbe  la  Chiesa  defezionare  o  nimicarsi  colla  religione 
e  colta  civiltà,  coli' immutabilità  e  col  progresso?  Mainò,  perchè 
defezionerebbe  e  si  nimicherebbe  con  sé  medesima,  ed  esprimereb- 
be la  pugna  di  Dio  con  se  slesso.  —  Ma  la  terra  può  ella  defezio- 
nare e  nimicarsi  col  cielo,  la  civiltà  colla  religione,  il  progresso 
coli' immutabilità?  Sembra!  maisì;  perchè  la  terra,  ossia  gli  uomini 
che  abitano  sulla  terra,  sono  defettivi,  e  quindi  possono  appigliarsi 
al  falso  anziché  al  vero,  e  al  male  anziché  al  bene.  Onde  per  amor 
di  male  intesa  civiltà  e  di  mendace  progresso  volgono  il  dorso  alla 
immutabilità  e  alla  religione.  Ed  in  questo  caso  qual  rimedio  si  ap- 
presterebbe all'  uomo  traviato,  fosse  pure  un  Re,  o  un  Imperatore? 
Non  vi  parrebbejiaturale  che  la  religione  si  facesse  incontro  alla 


186  RIVISTA 

civiltà,  e  l'i m mutabilità  al  progresso,  e  soavemente  li  rampognasse 
del  deviamento  colpevole  e  dannoso,  e  li  riducesse  sul  buon  cam- 
mino? Converrete  almeno,  che  questo  monito  sarebbe  gran  fortuna 
per  la  terra,  ossia  per  gli  uomini  che  abitano  la  terra,  fossero  pure 
Re  o  Imperatori!  —  Convengo.  —  Ora  avvertite:  la  religione  e  la 
immutabilità  non  sono  altro  che  la  Chiesa,  e  si  trovano  solo  nella 
Chiesa  assorellate  colla  civiltà  e  col  progresso.  Dunque  sarà  natu- 
rale e  salutare,  che  la  Chiesa  si  faccia  incontro  alla  civiltà  degenere 
dalla  religione,  al  progresso  degenere  dalla  immutabilità  e  li  rimeni 
in  buona  via!  —  Non  se  ne  può  dubitare.  —  Ma  voi  sostenete  che 
la  Chiesa  non  s'impacci  del  governo  della  terra;  che  lasci  a  sé  la 
terra,  ossia  il  progresso  e  la  civiltà.  Che  volete  dire  con  ciò?  Forse 
che  la  civiltà  è  separata  dalla  religione,  e  il  progresso  dall'immu- 
tabilità? Allora  voi  pronunciate  una  bestemmia  ed  un'eresia:  voi 
venite  ad  affermare  che  il  Dio  della  terra  è  altro  dal  Dio  del  cielo, 
ed  il  dualismo  manicheo  vi  si  para  dinanzi  inevitabilmente.  Dunque 
v'impigliate  nell'eresia!  —  Questo  no!  —  Dunque  escludete  la  se- 
parazione? —  Questo  sì.  —  Dunque  affermate  la  unione,  e  perciò 
il  richiamo  della  civiltà  e  del  progresso  per  opera  della  religione  e 
della  immutabilità  incarnate  nella  Chiesa!  —  Questo  richiamo  nel 
fatto  non  l'approvo.  —  Come?  lo  approvate  come  principio  e  lo 
escludete  come  fatto?  Dunque  siete  cattolico  di  principio,  eretico  di 
fatto!  —  Protesto  contro  l'appellazione  di  eretico;  io  credo  colla 
Chiesa  cattolica!  —  E  questa  vostra  protesta  noi  l'accettiamo,  ma 
prendete  nota  della  conclusione  finale:  Poiché  il  principio  della  unio- 
ne e  del  richiamo  è  un  principio- fatto,  e  non  un  semplice  princi- 
pio, escludendo  il  fatto  e  salvando  il  principio  voi  fate  onta  alla  dia- 
lettica per  salvarvi  dall'eresia.  11  perchè  o  eretico  logicando,  o  cat- 
tolico slogicando,  ecco  il  pregio  unico  del  vostro  liberalismo  I.  » 

Quindi  l'Autore  passa  a  rispondere  ai  cattolici  liberali,  allorché 
essi  per  difendere  il  loro  programma  si  volgono  ad  esaltare  il  pro- 
gresso moderno,  i  nuovi  ordinamenti  politici,  le  libertà  introdotte, 
delle  quali  la  stessa  Chiesa  si  giova  con  tanto  suo  vantaggio.  Quanto 
al  primo  l'Autore  osserva  che  un  tal  progresso,  se  ben  si  guardi, 


1  Pag.  221. 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  187 

si  riduce  quasi  esclusivamente  all' ordine  materiale,  il  quale  è  lode- 
vole quando  si  fa  servire  all'ordine  morale;  ma  per  contrario  è  bia- 
simevole, e  costituisse  piuttosto  un  regresso  per  l'uomo,  quando  si 
volge  a  strumento  d' immoralità  e  di  vizii.  «  Siccome  la  materia 
deve  servire  allo  spirito,  il  fatto  all'  idea,  perciò  non  accordiamo 
moralità  e  legittimità  al  progresso  materiale  se  non  in  grazia  dello 
spirituale  e  del  morale.  La  bussola,  a  cagione  di  esempio,  non  de- 
ve promuovere  la  pirateria,  né  il  telescopio  l'astrologia  giudiziaria, 
né  la  fotografia  riprodurre  sconcezze,  caricature,  oscenità,  turpitu- 
dini; come  il  telegrafo  e  le  vie  di  ferro  non  debbono  servire  per 
organizzare  il  monopolio,  le  cospirazioni  e  le  rivolte;  e  le  nuove  ar- 
mi per  aggredire  un  vicino  pacifico,  che  attende  ai  fatti  suoi  ;  im- 
perocché altrimenti  le  forze  naturali  sarebbero  profanate  e  prosti- 
tuite nel  servizio  di  passioni  basse,  vili,  disonoranti.  Che  se  questa 
profanazione  fosse  cunsumata  più  o  meno  completamente,  non  sa- 
premmo più  esaltare  queste  scoperte,  perchè  le  vedremmo  lontane 
dal  destinato  legittimo  e  naturale.  Con  questo  criterio  alla  mano  il 
cattolico-liberale  giudichi  del  valore  dei  tanti  ritrovati  che  forma- 
no i  nove  decimi  della  moderna  civiltà  1.  » 

Quanto  agli  ordinamenti  politici,  egli  ricorda  come  la  Chiesa  in 
tutti  i  tempi  ha  santificata  ogni  forma  legittima  di  Governo.  Poscia 
soggiunge:  «  Possono  quindi  i  tempi  moderni  prendere  qualunque 
misura  relativamente  alla  partecipazione  del  potere  politico:  ma  non 
inventeranno  mai  nulla,  che  la  Chiesa  non  abbia  già  veduto,  nulla 
che  necessariamente  discordi  dalla  legge  e  dalla  vita  cristiana.  La 
controversia  adunque  o  non  esiste,  ovvero  si  riduce  a  questione  di 
principio.  Il  cattolico-liberale,  figlio  disgraziato  della  separazione 
del  fatto  dal  principio,  vi  ponga  ben  mente.  L'origine  della  sovra- 
nità sociale  da  Dio  costituisce  un  punto  dommatico  di  dottrina.  Si 
può  questionare,  se  l'autorità  da  Dio  discende  nel  popolo,  e  dal  pò 
polo  sale  al  sovrano,  e  quindi  soscrivere  senza  pregiudizio  della  fe- 
de alla  derivazione  mediata  o  immediata;  ma  la  origine  divina  del 
potere  è  innegabile.  Ora  i  fatti  sociali  vanno  coniugati  col  loro 
principio.  Le  Camere,  i  Parlamenti,  i  Corpi  legislativi,  i  Senati,  che 


1  Pag.  233. 


188  RIVISTA 

non  disdicono  l'origine  divina  del  potere  possono  essere  legittimi  : 
ma  se  poggiano  sulla  negazione  del  potere  originante  da  Dio,  se 
sono  la  espressione  del  patto  sociale  del  Ginevrino  e  della  Sovrani- 
tà assoluta  del  popolo,  sono  illegittimi  sempre,  ne  possono  legitti- 
marsi se  non  si  staccano  dal  loro  principio  e  si  coniugano  col  prin- 
cipio cattolico  li  » 

Quanto  finalmente  alle  diverse  libertà,  che  si  vantano,  l'Autore 
osserva  come  la  libertà  nell'uomo,  per  questo  stesso  che  dice  indiffe- 
renza, esjge  la  legge  che  la  ordini  e  la  guidi  al  bene.  La  libertà  dun- 
que convenevole  all'uomo  è  quella,  la  quale,  sotto  la  direzione  della 
legge,  è  condotta  al  vero  bene.  Ora  tale  non  è  la  libertà  intesa  alla 
moderna:  perocché  la  legge  che  dovrebbe  guidarla,  l'abbandona  a  se 
stessa,  purché  non  disturbi  1'  ordine  materiale  del  civile  consorzio. 
«  Dunque,  egli  dice,  la  legge  moderatrice  della  libertà  si  risolve  nella 
facoltà  data  a  tulli  di  eleggere  tra  bene  e  male,  tra  vizio  e  virtù,  salva 
sempre  la  regale  maestà  e  la  tranquillità  pubblica!  Ebbene  questa 
legge  è  ingiusta,  è  empia,  è  mortifera  per  tutti,  ma  specialmente 
per  i  popoli  cristiani;  perchè  nessuno  è  autorizzato  a  scegliere  tra 
bene  e  male,  senza  fare  onta  a  quel  Dio,  che  vietò  questa  scelta. 
Dunque  quelle  libertà  sono  cattive,  dunque  segnano  un  regresso, 
una  barbarie.  Ed  il  cattolico  liberale  pretenderebbe  allucinare  col- 
le pompose  parole  di  libertà,  di  progresso,  le  quali  esprimono  in 
buona  favella  libertà  del  male  come  del  bene ,  del  vizio  come  della 
virtù,  della  bestemmia  come  dell'adorazione,  indifferentismo  a 
dir  corto!  Sì,  indifferentismo;  ecco  la  premessa  di  quella  turba  di 
libertà,  o  in  altri  termini:  legge  senza  moralità,  società  senza  giu- 
stizia ,  Stato  senza  Dìo!  Ora  la  Chiesa  non  s'acconcerà  giammai 
a  queste  libertà ,  nò  patteggei  à  con  esse ,  perche  si  suiciderebbe  di 
propria  mano,  sanzionando  la  empietà!  Si  ripete  sempre:  in  queste 
libertà  è  compresa  la  Chiesa  cattolica!  —  Sì,  ma  assieme  all'ere- 
sia, cui  è  uguagliata  nella  bilancia  politica ,  e  non  di  rado  questa  è 
più  fortunata  di  quella.  Chi  è  più  felice  infatti  sotto  il  cielo  della 
libertà,  la  Vergine  di  Cristo  o  la  meretrice?  11  monaco  o  il  mono- 
polista e  il  cospiratore?  11  pulpito  cattolico  o  la  tribuna  politica? 

1  Pag.  236, 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  189 

La  stampa  che  difende  la  legittimità,  la  giustizia,  la  fede,  la  probi- 
tà, l'onore ,  ovvero  quella  che  esalta  sino  alle  stelle  la  ignominia  e 
il  tradimento  1  ?  » 

Nondimeno,  ripiglia  il  cattolico  liberale;  all'ombra  di  questa 
libertà  universale  la  Chiesa  opera,  parla,  scrive,  si  associa.  — 
«  Voi,  gli  risponde  Y  Autore ,  non  fate  che  affastellare  superficialità 
e  slogicature!  Chi  va  ha  detto,  che  la  Chiesa  faccia  tutto  quello, 
che  dite,  in  nome  delta  libertà  universale?  Studiate  meglio  la  strut- 
tura della  religione!  La  Chiesa  quando  scrive,  parla,  agisce,  si 
congrega,  opera  col  suo  principio  divino,  da  cui  è  inseparabile. 
Dio  ha  dato  alla  Chiesa  la  libertà  di  agire,  di  parlare,  di  adunarsi; 
questa  e  non  altra  è  la  liberta  esercitala  dalla  Chiesa:  ella  non  ope- 
ra in  forza  della  libertà  politica;  la  libertà  politica  promuove  l'azio- 
ne delle  società,  che  non  hanno  in  se  alcun  diritto  ad  agire;  la 
Chiesa  opera  in  virtù  de' suoi  diritti  sacrosanti,  indipendenti  dai  po- 
teri della  terra.  —  Che  vuol  dire  dunque ,  che  avanti  alla  legge  si 
fa  scudo  della  libertà  universale?  —  Vuol  dire,  che  la  Chiesa  ama 
la  legalità,  anche  allora  quando  è  perseguitata  ed  oppressa  :  vuol 
dire  che  trattando  con  persone  che  la  uguagliano  alla  società  dei 
vapori  e  dei  telegrafi  non  può  farsi  forte  dei  suo  diritti  divini:  vuol 
dire  ancora,  che  Dio  sa  cavare  dal  male  il  bene,  e  gloria  dalle  umi- 
liazioni. A  furia  di  predicar  libertà  si  bandì  il  Cattolicismo.  Dio  da 
questa  libertà,  non  convertita  ancora,  da  questo  male  perciò,  trae 
il  ginn  bene.  Si  muove  il  vizio,  ma  si  muove  anco  la  virtù,  cam- 
mina l'errore,  ma  cammina  ancora  la  verità.  Ma  questa  non  è  ope- 
ra dell'  uomo:  vorremmo  anzi  dirvi,  che  l' uomo  scatenò  tutte  quel- 
le libertà  a  danno  del  cattolicismo!  L'opera  è  di  Dio  2.  » 

Abbiamo  voluto  riportare  sì  sovente  le  parole  slesse  dell'Autore, 
piuttosto  che  parafrasarle  o  epilogarle;  acciocché  i  nostri  lettori 
vedessero  meglio  la  forza  e  la  limpidezza  del  ragionare  che  es- 
se contengono.  Ma  tutto  il  libro  avrebbe  meritato  d'essere  riporta- 
to ;  tanto  esso  è  pieno  in  ognUpagina  di  giudiziose  e  sapientissime 
considerazioni. 

1  Pag.  240. 

2  Pag.  242. 


190  RIVISTA 

IL 

Urania:  Carmen  didascalicum  Petri  Esseiva  Friburgensis  Ilelvetii; 
cui  certaminis  poetici  praemiicm  e  legato  Henrici  Hoetifft  adiu- 
dicatum  est  in  consessu  publico  Academiae  regiae  disciplinarum 
Neerlandiae,  pridie  id.  Mari,  anni  CID1DCCCLXX-  Arnste- 
lodami,  apud  C.  G.  Van  der  Post,  MDCCCLXX.  In  8/  di  p.  1  i. 

È  un  grande  argomento  del  segnalato  valore  nella  latina  poesia 
dell'  illustre  capitano  pontificio  Pietro  Esseiva,  che  questo  suo  poe- 
metto, di  meno  che  duecento  esametri,  sia  stato  dalla  reale  Accade- 
mia delle  discipline  di  Olanda  preferito,  nel  concorso  pel  premio,  a 
quanti  altri  lavori  poetici  di  valenti  latinisti  le  si  erano  presentali 
per  contendere  del  medesimo  onore.  Ma  se  questo  giudizio  de'  dotti 
accademici  ha  grandissimo  peso  per  mettere  fuori  di  questione  il 
merito  comparativo  del  suo  poetare  non  basta  però  a  farne  conce- 
pire il  merito  assoluto,  il  quale  per  più  rispetti  ci  sembra  affatto 
straordinario.  Noi  duuque  crediamo  di  rendere  un  buon  servigio  al- 
le lettere  latine,  di  cui  pur  troppo  a'  dì  nostri  sono  rari  i  cultori, 
se  ci  tratteniamo  alcun  poco  a  considerare  cotesto  merito  in  sé  stes- 
so, argomentando  da  prima  in  generale  da'varii  componimenti  dati 
alla  luce,  e  dipoi  da  quest'ultimo. 

E  innanzi  sarebbe  gran  cosa  che  l' Esseiva,  con  quel  pochissimo 
agio  che  la  sua  professione  militare  gli  può  porgere  a  coltivare  le 
lettere,  e  però  quasi  senz'  altri  studii  che  quelli  della  prima  istitu- 
zione, ricevuta  nel  Collegio  di  Friburgo  della  Compagnia  di  Ge- 
sù, potesse  riuscire  a  scrivere  con  sufficiente  eleganza  in  una  lin- 
gua cosi  sdegnosa  d'ogni  neo  com'è  la  latina,  ed  in  un  genere 
per  se  tanto  difficile  com'  è  il  poetico.  Ma  egli  ha  sortito  un  inge- 
gno così  ben  disposto  a  concepire  il  bello  poetico,  e  facoltà  inventi- 
ve di  tanta  attitudine  a  trovare  le  immagini  latine  più  proprie  per 
esprimerlo,  che  se  il  nostro  giudizio  non  erra,  non  solo  può  staro 
co'  buoni  poeti  latini  dell'  età  nostra,  ma  gareggiare,  entro  i  limili 
de'medesimi  generi,  anche  cogli  ottimi  d'  ogni  tempo  dopo  il  risor- 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  191 

giraento  delle  lettere,  li  concetto  dc'suoi  componimenti  è  in  genera- 
le di  una  grande  naturalezza;  ma  nello  svolgimento  prende  forma  e 
consistenza  per  concelti  particolari  e  immagini  e  figure  di  tanta  novi- 
tà e  così  squisitamente  poetiche,  che  il  lutto  ne  riesce  di  una  stupen- 
da vaghezza.  Perciò  nelle  sue  poesie  ogui  cosa  è  vita  e  movimento. 
Lo  sue  narrazioni  (giacche  i  generi  prescelti  da  lui  sono  il  narrativo 
e  il  didascalico;  procedono  per  maniera  che  le  cose  raccontale  si 
atteggiano  in  certa  guisa  corno  presenti  nella  fantasia  del  lettore. 
Il  che  ottiene  in  primo  luogo  coli'  uso  delle  figure  più  efficaci,  come 
son  quelle  che  danno  senso  e  intelligenza  alle  cose  inanimale,  e 
che  egli  sa  scegliere  sempre  fra  le  più  analoghe  al  soggetto,  e  le 
più  acconce  a  fare  impressione:  e  l'ottiene  in  secondo  luogo  con  un 
cotale  suo  artifizio  di  descrivere,  che  tanto  è  più  efficace,  quanto  si 
mostra  più  disinvolto  e  sa  meno  del  ricercato.  Poiché  lasciando  da 
parte,  secondo  il  precetto  del  Mantovano ,  quelle  cose  che  non  pos- 
sono essere  convenevolmente  i rimeggiate,  egli  con  pochi  tratti,  nei 
quali  non  si  sente  nò  lo  studio  nò  la  fatica,  ti  mette  sott'  occhio  que- 
gli obbietti  che  più  ti  debbono  muovere,  e  sì  vivamente,  come  se 
li  contemplassi  in  un  dipinto  ritratti  da  pennello  maestro. 

I  quali  pregi,  trasportati  nel  genere  didascalico,  che  è  quello 
che  forse  meno  di  ogni  altro  si  porge  alla  forma  poetica,  non  è  a 
dire  di  qual  effetto  riescono.  Poiché  se  è  difficile  accoppiare  l'istru- 
zione dell'intelletto  (a  che  propriamente  mira  la  Didattica)  con  quel- 
l'eccitamento piacevole  della  fantasia  e  degli  affetti,  che  e  il  fine 
proprio  e  immediato  della  poesia  ;  chi  sappia  farlo  in  modo  eccel- 
lente, come  sa  fare  1'  Esseiva,  ne  risulta  un  accordo  di  cotanta  va- 
ghezza, che  ben  può  sentirsi,  ma  difficilmente  esprimersi. 

Se  non  che  questi  pregi  medesimi  non  potrebbero  aver  virtù, 
se  non  pigliassero  atto  e  forma  in  uno  stile  veramente  latino,  vera- 
mente poetico.  Lo  stile  nelle  opere  letterarie,  se  ci  si  passi  la  simi- 
litudine, è  quello  che  nelle  sostanze  sensibili  il  principio  formale. 
Per  questo  elleno  sono  ciò  che  sono  :  di  guisa  che,  sebbene  non 
ogni  cosa,  anche  in  genere  di  sostanza,  che  ritrovasi  in  esse  sia 
principio  formale  ;  nondimeno  se  per  poco  si  concepiscano  divise  da 
questo,  già  non  sono  più  quelle,  ma  diventano  altra  cosa  sostanziai- 


192  RIVISTA 

mente  diversa.  Lo  slesso  accade  nei  lavori  dell'ingegno  per  rispetto 
allo  siile.  Togliete  a  Virgilio  quello  che  ha  di  proprio  nel  modo  di 
esporre  e  colorire  i  suoi  concetti,  ed  esponete  e  colorite  diversa- 
mente quegli  stessi  concelti;  ciò  che  vi  riuscirà  d'aver  fatto,  dovrà 
essere  giudicato  tutt' altro  che  l'opera  di  Virgilio.  Il  che  poslo,  noi 
non  loderemmo  nulla  di  quel  che  tanto  abbiam  lodato  nell'Esseiva, 
se  il  lutto  non  prendesse  forma  di  eccellenza  da  uno  stile  squisita- 
mente Ialino  e  squisitamente  poetico.  Egli  è  padrone  della  lingua  e 
della  frase;  così  che  pare  che  non  si  affanni  di  cercare  l'espressio- 
ne che  gli  è  necessaria,  ma  che  quesla  venga  da  sé  medesima  ad 
innestarsi  col  suo  concetto.  E  però  nel  mentre  la  sua  frase  è  sem- 
pre purgata  e  nitida,  sempre  propria,  non  dà  mai  nessun  indizio  di 
ricercatezza  e  molto  meno  di  stento.  Donde  la  sua  locazione  pro- 
cede spigliata,  senza  inciampo,  e  quasi  non  avvertendo  le  difficoltà 
che  sta  superando.  E  benché  i  suoi  versi  non  abbiano  l'  andamento 
scorrevole,  né  l' armoniosa  volubilità  virgiliana;  ed  invece  fanno 
sentire  qua  e  colà  degli  scontri  alquanto  aspri,  e  in  generale  un  in- 
cesso grave  e  ponderoso  ;  quell'asprezza  nondimeno  si  accorda  as- 
sai bene  coll'armonia,  e  questa  gravità  aiuta  piuttosto  la  gaiezza. 
Così  Lucrezio  e  Catullo  sono  melodiosi  anch'essi,  sono  festivi,  spe- 
cialmente il  secondo  :  e  pure  chi  considera  i  loro  versi  nella  strut- 
tura materiale  o  li  misura  con  un  orecchio  inesperto,  li  crederà 
scabri  ed  incolti. 

Né  vorremmo  per  questo  che  alcuno  ragguagliasse  lo  stile  del- 
l' Esseiva  con  quello  di  Lucrezio  o  di  Catullo.  Esso  non  è  più  lucre- 
ziano  o  catulliano  di  quello  che  sia  virgiliano  o  checché  altro;  e  vo- 
gliam  dire  che  come  non  si  è  studiato  di  modellare  con  istretta  imi- 
tazione il  suo  stile  sopra  Virgilio,  così  non  V  ha  fatto  sopra  nessun 
altro  esemplare  dell'antichità.  E  questo  è  ciò  che  veramente  ci  sem- 
bra specialissimo  in  lui,  e  non  è  tanlo  facile  incontrare  negli  autori 
de'  secoli  moderni  eziandio  di  primissimo  nome.  Poiché  scrivendosi 
in  una  lingua  già  morta,  sembra  quasi  impossibile  poter  arrivare 
ad  un  grado  notabile  di  perfezione  nello  stile,  senza  pigliarne  H 
modo,  la  forma  e  la  qualità  da  qualcuno  di  que  grandi  maestri.  Ma 
1'  Esseiva,  senza  ritrarre  da  nessuno  in  particolare,  é  riuscito,  per 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  193 

ciò  che  a  noi  sembra,  a  formarsi  uno  stile,  in  cui  riluce  sì  bene 
l'oro  del  secolo  di  Augusto,  e  tanto  si  sente  il  sapore  della  poesia 
di  que  tempi,  che  sono  assai  pochi  coloro,  i  quali,  anche  coll'opera 
di  una  speciale  imitazione,  sappiano  fare  altrettanto. 

Le  quali  lodi,  perchè  non  sembrino  esagerate,  noi  recheremo  in 
esempio  il  Carme  Urania,  che  abbiamo  da  principio  annunziato, 
esponendone  in  breve  l'orditura,  e  recitandone  testualmente  alcuni 
tratti. 

Il  Poeta  s'introduce  con  un  graziosissimo  paragone,  che  dee  ri- 
trarre dall'una  parte  la  impressione,  la  quale  finge  aver  sentito  ap- 
pena posto  il  piede  nell'  Osservatorio  del  Collegio  Romano  ;  e  dal- 
l'altra il  cortese  ufficio  che  gii  presta  il  celebre  P.  Secchi,  che  nò 
Direttore,  col  dichiarargli  le  principali  nozion   di  Astronomia. 

Incomincia  dunque  così: 

Exiguae  est  molis,  taraen  ipsa  Pallade  dignum 
Artis  opus,  tereti  clausum  quod  saepius  auro, 
Saepius  argento,  suspendit  quisque  monili, 
Inque  sinu  fovet  et  rebus  consultat  agendis; 
Praetereuntis  ibi  geminus  nani  temporis  index 
la  disco  positas  spatiis  aequalibus  horas 
Circinat  :  alter  iners,  oculos  fallente  meatu, 
De  signo  in  signum  dum  pergit,  longior  alter 
Cunctantem  properus  sequitur  transitque  fugitque, 
Perque  notas  decies  senas  solidum  exigit  orbem. 
Horam  adeo  volucrem  prò  se  metitur  uterque, 
Et  modo  diducta,  iuncta  modo  cuspide  signat. 
Hoc  si  forte  infans  usus  ignarus  et  artis 
Yidit,  eo  simul  et  poti  tur,  manibusque  tenellis 
Yersat  opus  nitidum,  quandoque  etiam  admovet  auri 
Internos  gaudens  pulsus  deprendere,  et  acer 
Ungue  reluctantem  pugnai  discludere  thecam, 
Structura  ut  pateat  crepitusque  latentis  origo. 
Forsitan  ipse  gravi  perdat  sua  gaudia  casu, 
Lumina  ni  patris  caveant  et  provida  dextra. 
Is  nati  victus  prece  blanditiisque  coactus, 
Multa  prius  praecepta  serens  arcana  recludit  s 

Serie  VJI,  voi.  XI,  fase.  488.  13  8  Luglio  1870. 


19Ì  RIVISTA 

Omnia,  complexo  modo  quae  lattiere  metallo. 
Spiram  impellentem  monslrat,  iunctique  rotarum 
Qua  vice  perpetuis  trudantur  dentibus  orbes, 
Discordesque  regat  quaenam  concordia  motus. 
Atque  ita  persequitur  genitor  dum  singula  verbis, 
Arrectus  puer  in  digitos  animaque  retenta 
Miralur:  vetito  vix  parcil  dextera  taelu. 

Olii  qui  puero  tentant  praecordia  sensus, 
Hos  ego  percepì,  similique  ferebar  amore, 
Uraniae  quondam  exstructo  quum  limine  stanti 
Sub  pedibus  Romanae  arces,  circumque  supraque 
Immensa  obiecta  est  stellantis  machina  mundi. 

In  questo  stato  di  meraviglia  pertanto  esso  si  rivolge  al  dotto 
Astronomo  ;  onde  prosegue  : 

llle,  ubi  vix  animo  suscepi  vota,  profanimi 
Compellans  prior  affatu  dignatur  amico, 
Multaque  scitanti,  neque  enim  reticere  cupido 
Discendi  sinit,  obstantes  caliginis  umbras 
Dimovet  ex  oculis,  atque  aethera  voce  recludit. 

Viene  quindi  a  dichiarare  le  prime  spiegazioni  avute  dello  stato 
del  cielo,  enumerando  in  primo  luogo  le  costellazioni  conosciute  da- 
gli antichi;  e  dipoi  divisando  le  cinque  zone,  ed  il  viaggio  del  sole 
per  T  eccliltica  secondo  i  dodici  segni  del  Zodiaco  ;  donde  la  va- 
rietà delle  stagioni.  Accenna  quindi  brevemente  i  soggetti  di  altre 
conferenze  astronomiche,  le  cagioni  degli  ecclissi  sì  del  sole  e  sì  del- 
la luna,  il  fenomeno  dell'aurora  boreale,  delle  stelli  cadenti,  ecc., 
e  passa  con  una  magnifica  immagine  poetica  a  descrivere  l'espe- 
rienza tolta  immediatamente  de'corpi  celesti  per  mezzo  del  gran 
cannocchiale.  Saggiamone  alcuni  tratti.  Ecco  come  descrive  la  lu- 
na osservata  con  quello  strumento  : 

Stygiis  quam  Thessala  saepe 
Carminibus,  magna  vel  rbombo  deducere  lunam 
Nequidquam  est  aggressajeavo  trahit  ilio  cylindro, 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  105 

Inclusit  vitreos  certis  quo  legibus  orbes. 
Quoque  magis  stupeas,  tali  nondum  arte  reperta, 
Per  noctem  quae  flectebat  dea  candida  bigas, 
Fit  sine  fruge  solum,  convulsa  et  inbospita  tellus, 
Centum  ubi  Vulcanus  ruptis  furit  usque  carni  nis. 

Né  meno  poetica  è  la  descrizione  del  sole,  costretto  anch'esso  ad 
avvicinarsi  e  mostrare  le  macchie  del  suo  gran  corpo. 

Exutus  frontem  radiis,  ope  ductus  eadem 
Phoebus  et  ipse  venit,  quamquam  si  vota  valerent, 
Non  venisse  velit:  pudor  est  sine  crimine  quondam 
Prodere  nunc  maculis  turpata  nigrantibus  ora, 
Obscurumve  patens,  scisso  velamine,  corpus. 
Rex  ubi  iussus  adest,  quanam  ratione  satelles 
Abneget  indocilis  validos  audire  vocatus? 
Arcessiti  adstant  liventi  lupi  ter  ore... 

Dichiarala  quindi  la  condizione  de'  pianeti,  e  descritta  la  legge, 
a  cui  soggiacciono,  dell'attrazione  solare  ,  la  cui  forza  composta 
con  quella  della  proiezione  di  ciascuno,  fa  sì  che  percorrano  inva- 
riabilmente le  orbite  loro;  fìnge  di  contemplare  col  medesimo  stru- 
mento una  cometa  : 

Ecce  autem  functus  diuturno  errore,  minìsque 
Iampridem  positis,  coeli  lustrare  cometes 
Yerrereque  effuso  properat  laquearia  crine. 
Quae  te  longinquis,  peregrinimi  sidus,  in  oris 
Detinuit  mora?  vel  viso  quid  sole  repente 
Aversum  repetis  vasti  confinia  mundi  ; 
Commisso  ceu  quum  metam  certamine  currus 
Circuiit  stringens,  verso  temone  refertur 
In  spatium  praeceps,  arrectaque  lumina  fallit? 
Forsitan,  in  te  omni  turba  inquirente,  vereris 
Ne^species  vana  et  natura  patescat  inanis? 
Nil  agis  :  est  medio  cupidum  qui  evadere  lapsu 
Accit  et  in  trutina  pendit,  pensoque  secandum 
Praescribit  cursum,  et  redi  turo  tempora  ponit. 


196  RIVISTA 

Da  ciò  piglia  occasione  di  accennare  ai  mirabili  risultali  ottenuti, 
dal  P.  Secchi  nel  determinare  la  materia  de'  corpi  celesti  per  mez- 
zo degli  spettri  delle  luci  rispettive;  e  quindi  passa  a  descrivere  con 
una  singolare  felicità  Y Anemometro,  che  è  un  istrumento  dal  mede- 
simo P.  Secchi  inventato  per  misurare  il  corso  de' venti,  ed  altre 
alterazioni  atmosferiche.  Eccone  i  versi: 

Quid,  quod  et  arte  nova,  quam  daedalus  ipse  repertor 
Extudit,  instabiles  ventos  nebulasquesubegit 
Annales  perarare  suos?  Quantum  hauserit  aer 
Humoris  bibulus  liquet  bine,  quantumque  caloris 
Perque  gradus  quoties  sua  pondera  mutet  in  horas, 
Unde  recens  spiret,  quo  se  ferat  impete  flatus. 
Munera  dum  graphium  peragìt  sua,  scripta  magister 
Digerit  in  numerum,  et  coeli  tabularla  servat. 

La  chiusura  linai  mente  è  ammirabile,  non  sappiamo  se  più  se- 
condo la  poesia,  o  secondo  il  sentimento  cristiano.  Il  concetto  è, 
che  essendo  noi  fatti  pel  cielo,  la  contemplazione  delle  bellezze 
esteriori  che  1'  adornano,  non  può  fare  che  non  muovano  l' animo 
nostro  al  desiderio  delle  cose  celesti.  Ed  ecco  in  qual  modo  lo  svol- 
ge in  un'ultima  apostrofe  alla  sua  guida  : 

Dum  loqueris  nobis  terrestria  sordent 
Actutum  bona,  fìt  votis  angustior  orbis. 
Nimirum  sumus  aetherio  quia  semine  creti, 
Ignea  sponte  suos  mens  se  convertit  in  ortus. 
Nos  aquilae  similes,  alto  quam  ruslicus  olim 
Detraxit  mdo'implumem,  dominoque  potenti 
Captivam  addixit.  Tenera  ut  lanugine  primum 
Flavet  avis,  generis  iam  tum  dat  signa  superbi  ; 
Inde  in  processu,  maturo  ubi  conscius  aevo 
Accessit  membris  vigor,  band  mansuescere  discit 
Servitii  impatiens.  Aulae  non  divitis  illa 
Curat  opes,  pascive  manu  laetatur  herili; 
Sed  faciles  exosa  cibos  requiemque  coaclam 
Ardet  abirc,  teritque  ferox  in  compede  rostruin. 
Xunc  habiles  pennas  et  adultos  respici t  ungucs, 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  197 

Nunc  moesto  patrium  metitur  lumine  coelum, 
Deiectara  quo  se  luget.  Tum  praepete  lapsu 
Cognatam  si  vidit  avem  transmittere  nubes, 
Plaudit  inops  animi  vinclorumque  imraemor  alis, 
Et  nisu  delusa  novas  hinc  colligit  iras. 
Sin  autem  dederit  se  abrumpere  vincula  tempus, 
Tendi t  iter  raptim  supera  in  convexa  volucris, 
Fulgenti  victrix  donec  libratur  in  aethra, 
Despicit  unde  domos  hominum  nescitque  reverti. 

Questi  piccoli  saggi,  che  abbiamo  offerti  al  lettore,  del  modo  di 
poetare  dell'Esseiva,  crediamo  che  valgono  a  farlo  convenire  nel 
nostro  avviso,  che  in  lui  la  classica  lingua  del  Lazio  ha  trovato 
nel  nostro  secolo  uno  de' più  valorosi  poeti.  Solo  è  da  dolere,  che 
la  professione  delle  armi,  se  è  veramente  poetica  per  questo  che 
può  fornire  i  soggetti  a  grandiosi  poemi,  non  sembra  però  la  più  ac- 
concia per  poter  esercitare  la  facoltà  poetica.  E  se  è  così,  non  cre- 
derebbe il  signor  Esseiva  dover  applicar  al  caso  suo  queir  antico 
verso:  Cedant  arma  togae,  conceda t  laurea  linguae? 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 


•r&^&rr-S^S^Ssst»- — 


I. 

UN  DUBBIO  MORALE 

CIRCA  IL  PLACET  ED  IL  NON  PLACET,  SPETTANTE 
ALLA  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA. 

È  noto  il  libercolo,  che  un  anonimo  ad  indirizzo  delle  coscienze  dei 
Vescovi  osò  dare  alle  stampe  col  titolo:  Disquisito  moralis  de  officio 
Episcoporum  in  emittendis  suffragiis  circa  personalis  et  independentis 
infallibilitatis  romani  Pontificis  definitionem  :  e  sono  pur  noti  i  tre  sa- 
vii  ed  eruditi  opuscoli,  coi  quali  furongli  rivedute  ben  bene  le  bucce 
secondo  il  merito.  Ma  che  volete?  essendo  difficilissimo  1' antivenire 
i  dubbii,  che  all'occasione  di  gravi  questioni  sogliono  pullulare  nelle 
menti,  eccone  qui  uno,  che  ci  propone  un  amico,  domandandocene  tutto 
insieme  la  soluzione. 

L'Autore  del  libercolo  citato  avendo  conchiuso  pel  non  placet  sog- 
giunge: Hoc  autem  non  placet  in  Conciliis,  ubi  condenda  definitio  pro- 
ponitur,  nequaquam  per  se  significai  eum  qui  sic  respondet  omnino  indi- 
care rem  veram  non  esse  ;  sai  tantum  eam  non  sibi  iudicari  ita  ccrtam, 
ut  definiri  posse  videatnr;  cum  defìnitiones  [idei  non  proferantur  nisi  de 
absolute  certis.  Qui  sottentra  il  nostro  amico  :  è  proprio  tale  il  valore 
del  non  placet  nei  Concilii,  quale  viene  dato  dall'anonimo?  Un  Vescovo 
di  timida  natura  potrebbe  adagiarsi  a  cosiffatto  parere  tuta  conscicntial 
Questo  è  il  mio  dubbio.  Scioglietelo. 

La  disquisizione  morale  dell'anonimo  è  apertamente  diretta  a  far  gen- 
te contro  la  definizione  della  infallibilità  pontifìcia.  E  però  tutta  la  de- 
strezza del  suo  artifizio  batte  al  punto  di  arreticare  il  più  gran  numero 
di  quelli,  che  tengono  per  essa.  Conosciutili  uomini  tenerissimi  della 
loro  coscienza,  si  mise  all'opera  nella  sua  stolta  audacia  di  gittarli  nelle 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  199 

angosce  del  dubbio,  impaurendoli  prima  colla  vista  di  quattro  gravissi- 
mi reati,  die  commetterebbero,  se  dessero  il  suffragio  affermativo  senza 
la  debita  conoscenza  della  causa,  e  poscia  mettendo  innanzi  tali  condi- 
zioni, come  necessarie  per  tal  conoscenza,  da  farla  parere  o  impossibile 
ad  ottenersi  o  per  lo  meno  sommamente  difficile.  Ridottili  a  questo  du- 
rissimo passo,  da  buon  padre  spirituale  porge  loro  un  consiglio  per  u- 
scirne  puri  di  ogni  colpa,  il  quale  è:  diano  il  suffragio  del  non  placet, 
con  questo  saranno  salvi  dal  risebio  delle  quattro  gravissime  reità  ;  né 
disdiranno  la  certezza  della  dottrina  dell'infallibilità,  annebbiata  per  qual- 
che dubbio,  stantecbè  il  non  placet  nei  Concilii  alla  fin  fine  non  importi 
per  sé  la  cosa  non  esser  vera,  ma  solamente  non  giudicarsi  di  quell'as- 
soluta certezza,  che  è  necessaria  ad  una  definizione.  Tale  è  il  consi- 
glio del  nuovo  maestro  di  spirito,  il  quale  sotto  la  vaga  apparenza  di . 
sovvenire  all'angoscia  dell'animo  dubbioso,  l'avvinghia  da  traditore  a 
suo  prò,  traendolo  al  non  placet,  scopo  inteso  dal  suo  artifizio.  E  che? 
pensava  forse  l'anonimo  di  aver  a  fare  con  gente  novizia  nella  scienza 
sacra  e  non  con  venerandi  Prelati  invecchiati  nello  studio  di  essa?  La 
cecità  del  suo  orgoglio  non  gli  dovette  permettere  di  vedere  la  fatuità 
del  suo  tranello. 

Rispondiamo  ora  all'amico.  Che  cosa  significa  di  per  sé  propriamente 
il  non  placet  ?  Non  altro  che  la  riprovazione  del  decreto  proposto  al 
suffragio.  Se  poi  chi  lo  pronunzia,  neghi  risolutamente  la  dottrina  con- 
tenuta nel  decreto,  o  la  tenga  come  probabile  od  anche  come  certa, 
ma  non  al  grado  di  una  definizione  di  fede,  non  viene  punto  significato 
dal  non  placet.  Esso  è  sotto  questo  riguardo  una  espressione  indetermi- 
nata, che  si  acconcia  a  tutte  le  tinte  dei  concetti  da  quella  più  limpida 
della  prossimità  alla  fede  infino  alla  più  cupa  della  negazione  assoluta. 
Dunque  è  falsa  la  ragione,  onde  si  serve  l'anonimo  per  trarre  con  tran- 
quilla coscienza  al  non  placet;  vale  a  dire  non  significarsi  per  esso  che 
la  cosa  non  è  vera,  ma  soltanto,  che  non  è  di  una  certezza  assoluta 
qual  si  richiede  per  una  definizione  dommatica.  Di  qui  eccovi  spuntar  la 
questione:  supposto  che  un  Vescovo  abbia  in  conto  di  certa  la  dottrina 
della  infallibilità,  può  egli,  per  torsi  alle  angosce  di  qualche  dubbio  so- 
pravvenuto, rispondere  il  non  placet  con  coscienza  sicura,  come  lo  con- 
forta l'anonimo?  La  risposta  è  pronta:  non  lo  può  fare,  stantechè  nel 
caso  della  infallibilità  il  senso  del  non  placet  sia  già  fissato  dagli  avver- 
sarii  con  gravissimo  scapito  del  vero.  La  lotta  ingaggiata  su  questo  pun- 
to a  che  si  riduce?  Ognun  lo  sa  :  ella  si  riduce  a  questo,  che  mentre 
l'una  parte  sostiene  la  dottrina  dell1  infallibilità  quale  dottrina  defini- 
bile di  fede,  l'altra  per  l'opposto  contende,  che  essa  è  opinione  libera, 
opinione  di  gente  esagerata,  di  gente  adulatrice,  magnificata  e  difesa 
dallo  spirito  di  scuola.  Il  non  placet  adunque  porta  seco  la  conferma  di 
questa  sentenza  fallace  in  sé  stessa,  di  sommo  pregiudizio  ai  divini 


200  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

privilegi  del  Pontificato ,  e  di  reissime  conseguenze  per  la  unità  della 
lede  nella  pratica.  Chi  non  tocca  con  mano  quanto  è  fallace  e  quanto 
contrario  alla  diritta  coscienza  il  consiglio  di  rispondere  non  placet,  da- 
to dall'anonimo  con  tutta  sicurtà  al  Vescovo  dubbioso? 

Ebbene,  ripiglia  qui  il  nostro  amico,  qual  partito  dovrà  prendere  chi 
ha  la  coscienza  travagliata  dal  dubbio?  Non  può  consentire  al  placet, 
perchè  in  istato  di  dubbiezza,  non  può  adagiarsi  al  non  placet  per  le 
ragioni  dette  or  ora:  che  farà  egli  adunque?  Rispondiamo  colFalihicì 
della  morale  :  deponga  il  dubbio.  Ma  come  deporlo,  se  l'angustiato  ba- 
lenante non  avesse  ne  tempo,  né  agio  di  riandare  da  capo  a  fondo  la 
quistione,  di  studiarne  il  prò  ed  il  contro,  di  bilanciarne  il  valore,  e  ri- 
levatolo lutto  da  sé  determinarsi  con  sicurezza,  come  richiede  Tanoni- 
nio?  È  vero:  tanto  domanda  il  nuovo  padre  spirituale  de1  Vescovi,  ma 
fallacemente.  Due  sono  le  vie  da  tenersi  per  giungere  a  proda  di  un 
fermo  convincimento,  e  così  operare  prudentemente  in  morale  :  quella 
delle  ragioni  intrinseche,  e  Tal  tra  delle  ragioni  estrinseche,  ossia  del- 
l'autorità. A  chi  manca  l'agio  di  fornirsi  delle  prime,  si  appigli  alle  se- 
conde. Nel  caso  proposto  della  infallibilità  pontificia  è  cosa  facile  e  spe- 
ditissima il  venire  a  capo  di  un  fermissimo  convincimento  mercè  la  via 
della  autorità.  Figuratevi,  tale  e  tanto  si  è  il  peso  delle  autorità  in  prò 
della  dottrina  in  quistione,  che  non  solamente  provano  esser  ella  defi- 
nibile, ma  eziandio  dimostrano  per  soprappiù  correre  obbligo  a  tutti 
i  Vescovi  di  definirla  nella  presente  circostanza.  Tanto  è  lungi,  che 
debbasi  riputare  cosa  dubbiosa  o  da  contare  tra  le  opinioni  di  persone 
esaltate.  Si  maraviglia  forse  di  tanto  il  nostro  buon  amico?  Gliene 
diamo  un  saggio. 

«  La  infallibilità  del  romano  Pontefice  è  dottrina  definibile.  »  —  Ec- 
covi la  prova  limpida  di  questa  proposizione  sull'appoggio  dell'auto- 
rità. —  Quella  dottrina  è  definibile,  che  si  dimostra  contenuta  di  certo 
nel  sacro  deposito  della  rivelazione.  Ma  la  dottrina  della  infallibilità  del 
romano  Pontefice  si  dimostra  contenuta  di  certo  nel  sacro  deposito  per 
sentenza  dei  più  grandi  maestri  in  teologia.  Dunque  ella  è  definibile. 
Che  essa  sia  infatti  nel  sacro  deposito  l'affermano  colle  prove  alla  mano 
S.  Tommaso,  S.  Antonino,  il  Cario,  il  Bellarmino,  il  Suarez,  S.  Alfonso, 
dei  quali  perciò  altri  la  qualifica  prossima  alla  fede,  altri  la  dire  di  lede 
cattolica,  tutti  attribuiscono  al  Papa  il  pienissimo  diritto  di  definire  con 
sentenza  irreformabile  le  cose  della  fede.  Più  :  si  sa  che  ne'  tempi  an- 
teriori al  Concilio  di  Costanza  era  stimato  eretico  chi  l'avesse  negata, 
e  che  ne'  tempi  posteriori  fu  dottrina  comunissima  presso  i  teologi  sco- 
lastici, come  testifica  il  Suarez.  Ora  è  canone  stabilito  dal  Cano  [De  Lo- 
cis  theol.  Uh.  YIH,  e.  IV)  che:  Concordem  omnium  theologorum  srholae 
de  fide  ani  moribus  sententiam  contradicere,  si  harrrsis  non  est,  ni  fiat- 
resi  proximum  est.  Eccovi  l'alto  grado,  in  cui  è  posta  la  dottrina  della 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  201 

infallibilità,  stante  il  concorto  della  scuola  teologica.  Che  se  le  asser- 
zioni dei  più  grandi  maestri  in  teologia  circa  la  dottrina  della  infallibi- 
lità, se  le  qualifiche  datele,  se  la  nota  d'  infamia  apposta  alla  contraria 
convengono  nel  dichiararla  contenuta  nel  sacro  deposito,  chi  può  dubi- 
tare sul  conto  della  sua  definibilità? 

Direte,  che  ebbe  maestri  oppositori.  Non  lo  neghiamo.  Ma  la  loro  au- 
torità, che  vale?  Nulla,  e  ciò  sia  pel  fondamento  della  loro  sentenza  in- 
fetto di  errori  condannati,  come  l'ha  dimostrato  egregiamente  testé  il 
P.  Ballerini  e  nel  Gersone,  e  nelFAlmaino  e  negli  altri  primi  opposi- 
tori, sia  pel  noto  motivo  della  prepotenza  e  della  piacenterìa,  onde  nel 
1682  gli  autori  della  Dichiarazione  del  clero  gallicano  furono  mossi  a 
ripristinare  la  dottrina  del  Gersone  e  de1  suoi  compagni  rimessa  a  nuo- 
vo, sia  per  la  universale  riprovazione  della  Chiesa,  che  si  sollevò  contro 
un  tale  attentato,  sia  finalmente  per  la  pochezza  del  loro  numero  messo 
a  confronto  con  quello  dell'altra  parte.  Posto  così  in  sodo  il  primo  pun- 
to del  nostro  asserto  passiamo  all'altro. 

«  Corre  obbligo  a  tutti  i  Vescovi  di  definire  la  infallibilità  pontificia 
nella  presente  circostanza.  »  —  Due  semplicissimi  sillogismi,  fondati 
sull'autorità  e  germoglianti  l'uno  dall'altro,  ci  danno  la  prova  di  tanto 
obbligo.  Il  primo  è  il  seguente  :  I  fedeli  sono  obbligati  a  seguire  la 
credenza  professata  dalla  Chiesa  romana  nel  suo  capo.  Ma  la  Chiesa 
romana  ha  sempre  professata  la  credenza  della  infallibilità  pontificia. 
Dunque  i  fedeli  sono  obbligati  a  seguire  tale  credenza.  Posto  quesfob- 
bligo  universale,  ecco  spuntarne  un  altro  particolare  in  questo  secondo 
sillogismo  :  I  Vescovi  sono  obbligati  in  forza  del  loro  ministero  a  te- 
stificare solennemente  quale  che  siasi  credenza  ed  a  suggellarne  l'ob- 
bligo colla  definizione,  quando  siano  convocati  legittimamente  a  farlo. 
Ma  i  Vescovi  sono  ora  convocati  legittimamente  a  testificare  la  creden- 
za della  infallibilità  ed  a  suggellarne  l'obbligo  con  solenne  definizione. 
Dunque  sono  obbligati  a  farlo. 

Ripigliamo  le  proposizioni  di  questi  due  sillogismi.  È  egli  vero  che 
tutti  i  fedeli  siano  obbligati  a  conformarsi  alle  credenze  della  Chiesa 
romana?  Chi  può  dubitarne?  La  quistione  è  sciolta  da  S.  Ireneo,  il  qua- 
le lo  reputa  cosa  necessaria  a  tutte  le  Chiese  ed  a  tutti  i  fedeli;  è  sciolta 
da  S.  Girolamo  nella  sua  lettera  a  S.  Damaso;  è  sciolta  da  S.  Agostino 
a  nome  della  Chiesa  africana  nella  sua  epistola  sinodale  a  S.  Innocen- 
zo I  :  è  sciolta  da  S.  Ambrogio  in  quel  suo  celebre  motto  :  ubi  Petrus, 
ibi  Ecclesia.  Tanto  è  necessario,  secondo  i  Padri  citati,  seguire  la  dot- 
trina della  Chiesa  romana  o  del  Papa,  quanto  è  necessario  il  permane- 
re nella  vera  fede,  il  non  errare  da  essa  ed  il  sicurarsi  il  conseguimento 
della  salute  eterna.  E  per  recare  un'  autorità  di  tempi  vicinissimi  a 
noi,  non  altrimenti  ha  testificato  un'assemblea  di  ottantacinque  Vesco- 
vi della  Chiesa  gallicana  nelle  due  lettere  scritte  il  1653  a  Papa  Inno- 


202  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

cenzo  X,  nella  prima  delle  quali  essi  chiedeano  la  condanna  determinata 
delle  cinque  proposizioni  di  Giansenio,  e  nell'altra  ripetendo  i  concetti 
de'  Padri  antichi,  raccoglievano  con  ringraziamenti  e  con  intera  som- 
messione  ai  giudizii  del  Papa  come  agiudizii  infallibili.  Vedete  quanto 
fallacemente  insegni  l'anonimo  non  doversi  nella  quislione  presente  far 
conto  della  dottrina  insegnata  dal  Papa. 

Né  meno  chiaramente  ci  viene  testificata  la  professione  della  infallibi- 
lità pontificia  nella  Chiesa  romana.  Essa  di  fatto  ci  viene  affermata  fra 
i  molti  altri  da  S.  Leone  in  più  Sermoni,  da  S.  Gelasio  I,  da  S.  Agato- 
ne I,  da  Nicolò  I,  da  Innocenzo  III  e  da  ultimo  da  Papa  Pio  IX.  Ognuno 
di  questi  Papi  ci  dichiara  la  professione  di  questa  dottrina  con  una  qua- 
lità speciale.  Chi  ci  dice  i  giudizii  pontificii  esser  la  forma  di  quelli  di 
tutta  la  Chiesa,  chi  ci  presenta  la  sicurezza  dei  medesimi,  chi  la  perpe- 
tuità della  loro  interezza,  chi  la  fermezza  incrollabile,  onde  sono  forniti. 
Più  :  sorse  alcuno  a  combatterla  comechcssia  ?  Eccovelo  tosto  fulminato 
di  condanna.  Sorse  ad  oppugnarla  Pietro  di  Osma,  e  fu  subito  condan- 
nato da  Sisto  IV.  Sorse  Lutero,  e  giacque  fulminato  da  Leone  X.  Sorse 
Quesnello,  e  fu  sentenziato  da  Alessandro  Vili.  Fu  offesa  da  ultimo 
e  in  modo  solenne  dalla  Dichiarazione  del  clero  gallicano,  e  fu  tosto 
vendicata  mercè  la  riprovazione  di  Innocenzo  XI,  di  Alessandro  Vili, 
ed  in  maniera  più  cospicua  da  Pio  VI,  il  quale  su  la  fine  della  Bolla  Au- 
clorem  [idei  riprovò  e  condannò  l'adozione  fattane  dal  Sinodo  di  Pistoia, 
come  scandalosa,  temeraria  e  sommamente  offensiva  della  Sede  aposto- 
lica. Che  volete  di  più  esplicito  delle  testimonianze  e  delle  condanne  qui 
riferite?  La  credenza  della  infallibilità  nella  Chiesa  romana,  può  ella 
essere  espressa  più  gagliardamente,  o  professata  con  più  di  solennità? 
Dunque  in  forza  dell'obbligo  universale  di  seguire  la  credenza  della 
Chiesa  romana,  tutti  i  fedeli  e  tutte  le  Chiese  sono  obbligate  a  seguir- 
la anche  in  questa  della  infallibilità  pontificia. 

Ciò  posto,  i  Vescovi  non  sono  in  forza  del  loro  ministero  apostoli- 
co i  testimonii  ei  giudici  della  verità  cattolica?  Non  hanno  l'obbligo, 
nel  loro  grado  di  pastori,  di  torre  il  dubbio  nella  lotta  di  diverse  sen- 
tenze ai  fedeli,  indirizzandoli  per  la  diritta  via  della  verità?  Ebbene 
essendo  ora  chiamati  legittimamente  a  testificare  la  dottrina  della  in- 
fallibilità, ed  a  suggellarne  l'obbligo  della  credenza  con  solenne  decre- 
to e  ad  indicare  in  questo  modo  quale  sentenza  devono  tenere  i  fe- 
deli nella  lotta  presente,  potranno  senza  mancare  all'obbligo  grà 
mo  del  loro  ufficio  rifiutarsi  a  tanto?  Egli  è  evidente  che  no.  Dunque 
eglino  sono  tutti  obbligati  a  definirla. 

Ne  vale  opporre  i  mille  guai  esagerati,  che  potrebbero  accadere  per 
tale  definizione.  Il  decreto  dommatico  è  proposto  in  Concilio,  perchè 
si  giudichi  della  dottrina  contenuta  in  esso.  Su  questa  adunque  dee 
portarsi  il  giudizio,  e  così  s'intende  da  tutta  la  Chiesa.  11  Prelato,  che 


COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO  *  203 

giudicasse  invece  del  vantaggio  e  del  danno  verrebbe  meno  al  suo  do- 
vere, indurrebbe  in  errore  i  fedeli,  e  dovrebbe  quindi  render  conto  a  Dio 
di  questo  suo  strano  procedimento. 

Conchiudendo,  il  Prelato,  che  si  trovasse  dubbio  o  incerto  circa  la  dot- 
trina della  infallibilità  non  può  lecitamente  rispondere  non  placet.  Egli 
dee  deporre  il  dubbio,  e  non  potendolo  fare  per  via  delle  ragioni  in- 
trinseche, faccialo  per  via  delle  estrinseche  o  dell'autorità.  Donde  facil- 
mente resterà  pienamente  sicuro,  che  la  dottrina  della  infallibilità  non 
solo  è  definibile,  ma  eziandio  tale  da  indurre  ne1  Vescovi  l'obbligo  del 
definirla  solennemente.  Tanto  fu  scritto  in  risposta  ali1  amico,  il  quale 
soddisfatto  ci  fece  istanza  di  pubblicarlo  colle  stampe,  quasi  appendice 
ai  tre  opuscoli  citati  da  principio. 

IL 

RIVISTA  BIBLIOGRAFICA 
I.  Scritti  in  difesa  dell'  infallibilità  pontificia. 

1.  di  Mgr.  Cardoni  —  2.  del  P.  Bo Italia  —  3.  del  P.  Gesualdo  da  Bronte  — 
4.  di  Dora  Guéranger  —  5.  dell1  Ab.  Uccelli  —  6.  del  P.  Schneemann  — 
7.  di  Mgr.  Freppel  —  8.  Altri  opuscoli.  / 

1.  Elucubratio  de  dogmatica  Romani  Pontificis  infallibilitate  eiusque 
dòfinibilitaie  per  R.  P.  D«  los.  Cardoni  Archiepiscopum  Edessenum.  Edi- 
lio altera.  Romae,  typ.  S.  C.  de  prop.  Fide.  In  8.°  picc.  di  pag.  220. 

Questa  seconda  edizione  porta  in  fronte  un  indirizzo  al  S.  Padre, 
sottoscritto  da  undici  teologi,  colleglli  di  mgr.  Cardoni  nella  Commis- 
sione dommalica,  in  cui  chiedendo  la  definizione,  soggiungono:  Ilis  por- 
ro sensibus  praedili,  operi  noslris  his  votis  adiunclo,  ab  Illmo  et  Remo 
Duo  Edesseno  Archiepiscopo,  cuius,  nti  Pontifìcii  theologi,  collegas  esse 
laetamur,  nuper  ad  eum  finrm  conscripto  universi  adhaeremus  :  quo 
quidem  in  opere  apprime  demonslrat  inerrandi  privilegium  supremo  et 
visibili  Ecclesiae  Capiti  in  doctrinae  negotio  adtributum  veritatem  esse 
divinitus  revelatam. 

Le  riviste  cattoliche  han  già  parlato  con  molta  lode  di  questo  lavoro 
teologico,  come  noi  pur  facemmo  a  pag.  597  del  volume  precedente. 
La  spiegazione  che  ivi  demmo  di  un  tratto  in  riguardo  all'oggetto  del- 
l'infallibilità  era  al  tutto  conforme  al  contesto  e  alla  mente  del  eh.  Auto- 
re: ma  a  tórre  ogni  equivoco  egli  ha  voluto  esprimersi  più  chiaramen- 
te nella  seconda  edizione,  dicendo  :  Tunc  solum  dicimus  Pontificem  ex 
Cathedra  loqui,  quando  nulla  vi  ac  mela  cogente,  libere  ad  tuendam  Ec- 
clesiae unitatem  ci  ad  dissensiones  in  rebus  fìdei  ac  morum  compescendas 
aliquid  circa  fìdem  et  mores  definii  vel  damnat  ;  potissimum  vero,  quan- 


201  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

do  eos,  qui  aliter  ac  ipse  docet,  scntiant,  uti  haereticos  et  a  communione 
Ecclesiae  separatos  anatlemate  punti  (pag.  190).  Così  vien  tolta  ogni 
occasione  alla  critica  fatta  da  alcuni  fogli,  che  il  eh.  Autore  restringesse 
V  infallibilità  al  solo  oggetto  primario,  ossia  ai  dogmi  di  fede. 

A  tórre  pure  ogni  equivoco  sif  di  un  altro  punto,  raccomandiamo  l'at- 
tenta lettura  di  tutta  intera  la  dottrina  del  eh.  Autore  al  e.  HI,  art.  IV. 
Come  già  accennammo,  egli  ivi  insegna  in  tre  tesi  distinte,  1.°  che  per 
se  alla  validità  dell'atto  neppur  si  richiede  che  i  Romani  Pontefici  pri- 
ma della  definizione  sentano  il  voto  consultivo  o  di  Vescovi,  o  di  Cardi- 
nali o  di  teologi;  2.°  che  sono  però  obbligati  ad  usare  le  umane  dili- 
genze e  tra  queste  a  sentire  V  altrui  consiglio,  non  bastando  ordinaria- 
riamente  lo  studio  privato;  e  3."  che  di  fatto  han  sempre  tenuta  in  varii 
modi  questa  regola  di  prudenza.  Non  si  appartiene  però  ai  fedeli  di  esa- 
minare se  il  Pontefice  abbia  usate  le  debite  diligenze;  essendoci  garante 
la  promessa  dell'  assistenza  divina  che  il  Papa  non  definirà  mai  cosa 
senza  il  debito  esame. 

2.  The  Pope  and  the  Church  considered  in  their  mutuai  rclations,  by  the 
Rev.  Paul  Bottalla  S.  J.  professor  of  theology  in  St.  Beunds  College, 
N.  Wales.  Part.  IL  The  infallibility  of  the  Pope.  (Il  Papa  e  la  Chiesa. 
Parte  II.  V  infallibilità  del  Papa.  )  London,  Burns,  MDCCCLXX.  In  8/ 
picc.  di  pag.  394. 

Tra  le  opere  di  maggior  polso  scritte  ultimamente  intorno  al  primato 
e  alla  infallibilità  del  Papa,  una  certamente  si  è  questa  del  eh.  padre 
Bottalla.  Fin  dal  voi.  V  pag.  465  parlammo  della  prima  parte,  che  trat- 
ta della  suprema  autorità  del  Papa  ;  ed  ora  annunziamo  questa  seconda, 
che  tratta  della  sua  infallibilità.  V  opera  è  dogmatico-polemica,  e  però 
vi  si  discute  a  fondo  la  dottrina  cattolica  alla  luce  della  Scrittura  e  de1  Pa- 
dri, e  coi  raggi  di  qnesta  luce  si  dileguano  le  nebbie  che  tentano  d'olfu- 
scarla.  Tra  i  tanti  libri  testò  usciti  contro  P  infallibilità,  egli  prende  spe- 
cialmente di  mira  P  opera  di  mgr.  Maret;  ma  non  perde  di  vista  il  suo 
primo  avversario,  il  dr.  Pusey,  e  il  Le  Page  Renouf,  e  il  Dòllinger  e  il 
Janus,  ed  altrettali.  Nei  primi  capi,  ossia  nelle  prime  sezioni  del  libro, 
egli  mostra  il  nesso  logico  e  storico  dell1  infallibilità  papale  colP  unità 
della  Chiesa,  col  primato,  e  colla  necessità  della  comunione  con  Roma; 
fa  vedere  che  i  famosi  testi  della  divina  Scrittura  provano  del  pari  e  il 
primato  e  P  infallibilità,  ossia  la  suprema  autorità  di  governo  insieme  e 
di  magistero;  che  tale  fu  il  concetto  degli  antichi  Padri;  tale  P antica 
pratica  della  Chiesa  ;  tale  P  insegnamento  degli  antichi  Pontefici  ;  e  lutto 
confermasi  dal  dritto  e  dal  fatto  antico,  che  sempre  ci  rappresenta  la 
Sede  apostolica  qual  supremo  tribunale,  e  il  Romano  Pontefice  qual  su- 
premo giudice  nelle  cause  di  fede. 

Nelle  seguenti  sezioni  il  eh.  Autore  pone  in  maggior  luce  P infallibili- 
tà, mettendola  in  riscontro  coi  Concilii,  e  studiandola  appunto  negli  atti 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  205 

di  tutti  i  Conciìii  ecumenici.  Dapprima  dimostra  generalmente  come 
stiano  d'accordo  l'infallibilità  dei  Concilii  e  del  Papa;  e  come  questa 
non  deroghi  punto  air  autorità  dei  Vescovi  quai  giudici  della  fede  : 
quindi  viene  a  parlare  paratamente  dei  Concilii  d1  Oriente,  e  mette  in 
mostra  l'autorità  suprema  del  magistero  riconosciuta  nei  Romani  Ponte- 
fici; né  si  lascia  punto  sgomentare  dalle  famose  obiezioni  intorno  ai 
fatti  di  Liberio,  di  Vigilio  e  di  Onorio.  Parla  indi  più  brevemente  del- 
l' infallibilità  papale  riconosciuta  nei  Concilii  ecumenici  d1  Occidente,  e 
dello  sviluppo  scolastico  di  questa  dottrina.  Finalmente  traccia  la  di- 
sonorata storia  del  contrario  errore  e  termina  accennando  il  carattere 
dogmatico  della  dottrina  dell1  infallibilità  papale  anche  prima  della  defi- 
nizione, il  suo  molteplice  oggetto  e  le  sue  condizioni. 

Il  P.  Bottalla  sul  terminare  il  suo  trattato  dice  che  la  dottrina  dell1  in- 
fallibilità papale  è  insieme  una  dottrina  logica  ed  istorica:  it  is  a  logicai 
and  historical  doctrine.  Il  simigliarne  possiamo  dir  noi  del  suo  libro; 
esso  è  del  pari  pregevole  e  per  raziocinio  di  sana  teologia,  e  per  erudi- 
zione di  storia  ecclesiastica.  Egli  aggiunge,  che  pur  questa  dottrina, 
come  tutti  i  grandi  dogmi  della  Chiesa,  può  aver  le  sue  difficoltà,  biso- 
gnevoli di  spiegazione;  ma  che  elle  svaniscono  al  confronto  della  gran 
massa  delle  tradizioni  ecclesiastiche  e  dell1  istoria.  E  il  simigliarne  pos- 
siamo dir  noi  del  valore  polemico  del  suo  libro  :  le  obiezioni  non  si  dis- 
simulano ;  il  trattato  non  è  solo  dogmatico ,  è  anche  polemico  ;  ma  le 
obiezioni  restano  stritolate,  e  svaniscono,  specialmente  sotto  il  peso  e  la 
forza  delle  prove  della  verità. 

3.  De  regno  Dei  divinaque  summi  Ponti ficis  polestate  in  hebraea  et 
Christiana  gente,  Conquisitio  historica  et  dogmatica  R.  P.  Iesualdi  de 
Luca  a  Bronte  Ordinis  Capuccinorum,  Illmi  et  Rvmi  Dui  Episc.  Mura- 
ìli  Theologiae  lurisque  consultoris  in  Concilio  Vaticano.  Romae,  ex  typ. 
Salviucci  1870.  In  8.°  di  pag.  148. 

Pro  opportunitale  oecumenicae  declarationìs  de  pontifìcia  mag  isteria- 
li  infallibilitale  thelogica  dìsquisitio ,  Alidore  R.  P.  Iesualdo  de  Luca 
a  Bronte.  Neapoli,  ex  typ.  Piscopo  1870.  In  8.°  di  pag.  300. 

La  mente  feconda  del  R.  P.  Gesualdo  De  Luca  da  Bronte  ha  messo  in 
luce  quasi  allo  stesso  tempo,  come,  due  gemelli,  due  libri,  i  quali  e  per 
la  mole  e  più  ancora  per  la  dottrina  meritano  il  nome  di  opere,  anziché 
di  operette. 

Il  concetto  del  primo  lavoro  si  vede  abbastanza  dal  titolo  ;  Bel  regno 
di  Dio  e  della  divina  potestà  del  Sommo  Pontefice  presso  gli  Ebrei  e 
presso  i  Cristiani,  Disquisizione  istorica  e  dogmatica.  Secondo  ciò  il  la- 
voro è  diviso  in  due  parti-,  e  ciascuna  è  suddivisa  in  una  disquisizione 
istorica  e  in  un1  altra  dogmatica.  Nella  prima  parte  si  mette,  innanzi  fi- 
dea  istorica  del  regno  di  Dio  nella  gente  ebrea,  e  specialmente  dell1  au- 


206  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

lorità  del  sommo  Pontefice;  indi  si  dichiara  dogmaticamente,  come  il  re- 
gno presso  gli  ebrei  fu  teocratico,  e  come  dentro  certi  contini  il  sommo 
Pontefice  avea  autorità  d1  infallibile  magistero,  e  come  tutto  ciò  era  im- 
magine e  preparazione  della  Chiesa  cattolica. 

Similmente  nella  seconda  parte,  che  è  assai  più  ampia,  dapprima  si 
fa  una  disquisizione  storica  sul  regno  di  Dio  e  di  Gesù  Cristo  nella  sua 
Chiesa,  e  si  dichiara  la  parte  dei  Vescovi  e  del  Sommo  Pontefice  in  que- 
sto regno  ;  indi  segue  la  disquisizione  dogmatica,  in  cui  si  chiarisce  co- 
me la  Chiesa  cattolica  sia  il  visibile  regno  monarchico  di  Dio  e  di  Ge- 
sù Cristo  sulla  terra,  come  il  Romano  Pontefice  Vicario  di  Gesù  Cristo 
sia  il  visibile  monarca  nella  Chiesa,  e  come  abbia  la  prerogativa  d' infal- 
libile magistero,  facendo  sempre  un  riscontro  tra  la  figura  e  il  figurato, 
e  mostrando  il  vantaggio  del  regno  di  Dio  nella  Chiesa  sopra  lo  stesso 
regno  adombrato  nella  Sinagoga  ;  onde  conchiude  colle  parole  di  S.  Bo- 
naventura nella  sua  Apologia  Pauperum:  «  Si  tempore  sacerdotii  figura- 
tivi, Ponlificis  sententiae  adversari  malum  crai,  mortisque  poena  mul- 
ctandum;  multo  fortius  tempore  veritatis  et  gratiae  revclatae,  quando 
Christi  Vicario  plenitudo  potestatis  collata  esse  dignoscitur,  malum  esse 
constai  nullatenus  tolerandum,  in  fide  vel  moribus  eius  definilioni 
dogmatizare  contrarium,  approbando  quod  ipse  reprobai,  reaedificando 
quod  ipse  destruit,  defensando  quod  damnat.  » 

Senza  entrare  nei  particolari  delle  dottrine  del  regno  di  Dio  nella  Si- 
nagoga e  nella  Chiesa,  ci  basti  di  aver  accennato  con  lode  il  concetto  ge- 
nerale :  ed  anziché  lodare  personalmente  l'Autore,  recheremo  ciò  che  i 
revisori  dell1  ordine  hanno  attestato  della  dottrina  principale  di  tutto  il 
libro;  il  che  torna  a  gran  lode  di  tutto  l'Ordine  de'PP.  Cappuccini.  Uno 
dice  :  «  Relate  ad  punclum  doctrinae  in  ipso  perlractalum,  fateor  confor- 
me esse  doctrinae  sempzr  in  Ordine  nostro  post  Seraphicum  Doctorcm 
D.  Bonaventuram  admissae  et  propugnatae  »  ;  l'altro  attesta  di  aver  ivi 
trovato  «  omnia  conformici  spiritili  S.  P.  Francisci,  cui  in  animo  sem- 
per  fuit,  ut  fratres  sui  arclissimam  obedientiam  et  reverentiam  continuo 
praeslarent  summo  Pontifici  et  Sanclae  Sedi  »  ;  onde  il  Rviìlo  P.  Gene- 
rale approva  la  stampa  del  libro  «  cum  in  co  doclrina  contincatur  ab 
Ordine  nostro  constanter  propugnata  ». 

Il  concetto  generale  dell'altro  libro  per  l'opportunità  della  definizione 
non  potrebbe  esporsi  meglio  che  colle  parole  stesse  dei  eh.  Autore  nel- 
la Introduzione. 

«  Or  è  duopo  di  trattare  della  opportunità,  anzi  della  necessità  della 
definizione  sinodale;  e  poiché  alcuni  degli  oppositori  cercarono  di  scuo- 
tere gli  argomenti  in  prova  dell1  infallibilità  pontificia,  se  ne  dee  mostra- 
re l'iii'i-ollabil  fermezza.  Pertanto  sarà  ben  fatto  trattare  queste  quistio- 
ni  1.°  se  l'opposizione  abbia  qualche  peso  pel  numero  e  per  la  dignità 
degli  oppositori.  2.°  se  l'abbia  per  forza  delle  loro  ragioni.  3.°  se  la. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  207 

dottrina  dell1  infallibilità  pontifìcia  sia  fondata  nelle  divine  testimonian- 
ze; 4.°  se  la  professione  di  tal  verità  sia  nuova  e  non  anzi  antica,  univer- 
sale e  costante;  5.°  se  la  definizione  sia  utile  alla  chiesa.  6.°  anzi  se  al 
tutto  necessaria.  »  Le  due  prime  e  le  due  ultime  quistioni  son  trattate 
brevemente  ;  e  assai  diffusamente  le  due  di  mezzo  con  abbondanza  di  eru- 
dizione ecclesiastica.  Qui  pure  non  possiamo  entrare  nei  particolari;  e  pe- 
rò lodando  in  generale  specialmente  la  vasta  erudizione,  non  ci  tratterre- 
mo a  porre  in  rilievo  alcuni  tratti  più  belli  e  più  ingegnosi,  come  per 
esempio  ove  raccoglie  io  varie  proposizioni  la  fede  della  Chiesa  sulF  in- 
fallibilità Pontificia,  o  dove  rappresenta  il  Concilio  di  Gerusalemme,  co- 
me un  modello,  per  così  dire,  di  una  definizione  ex  cathedra  in  una  con- 
gregazione papale;  o  dove  mostra  che  il  consenso  de1  Vescovi  non  è 
condizione,  ma  effetto  d'una  pontifìcia  definizione  :  e  molto  meno  ci  trat- 
terremo a  rilevare  qualche  difetto,  specialmente  ove  rappresenta  il  con- 
siglio de1  Cardinali ,  come  un  segno  necessario  a  conoscere  se  una  de- 
finizione papale  sia  ex  cathedra.  Nel  complesso,  tutto  il  libro  può  dirsi 
una  compiuta  dimostrazione  dogmatico-polemica  della  verità  della  dot- 
trina contro  il  gallicanismo  a  proposito  della  definizione. 

Una  sola  cosa  non  lasceremo  di  notare  particolarmente,  e  si  è  che  seb- 
bene l'Autore  parli  severamente  della  dissensione,  anzi  della  sedizione 
(pag.  291)  eccitatasi  fuor  del  Concilio,  pure  in  riguardo  alla  opposizione 
fatta  conscienziosamente  da  alcuni  Vescovi,  non  ha  una  parola  men  che 
rispettosa  (pag.  V,  e  296)  ;  e  per  divina  mercè  anche  noi  possiam  ralle- 
grarci di  aver  fatto  altrettanto. 

4.  De  la  définition  de  Vinfaillibililé papale  à  propos  de  la  lettre  de 
Mgr.  D'Orléans  a  Mgr.  de  Malines,  par  le  R.  P.  Dosi  Prosper  Guéran- 
ger,  abbé  de  Solesmes.  Paris,  Victor  Palme,  1870.  In  8.°  di  pag.  48. 

Réponse  aux  dernières  objeclions  contre  la  définition  de  V  infaillibilité 
du  Pontife  Romain,  par  le  R.  P.  Dom  Prosper  Guérainger,  abbé  de  So- 
lesmes. Paris,  Victor  Palme,  1870.  In  8.°  di  pag.  40. 

Fra  i  molti  scrittori,  che  sono  surti  a  difendere  la  cattolica  dottrina 
della  infallibilità  pontificia ,  impugnata  da  molti ,  e  la  convenienza  o  ne- 
cessità che  fosse  definita  di  fede,  da  più  altri  contrastata,  uno  dei  più 
indefessi  e  de1  più  valorosi  è  senza  dubbio  Y  illustre  Abbate  di  Solesmes 
Dom  Prospero  Guéranger.  Non  è  uscito  alla  pubblica  luce  niuno  scritto 
della  parte  avversaria ,  il  quale  abbia  levato  alcun  rumore  o  sia  per 
rartificio  di  fare  illusione  co1  sofismi,  o  sia  per  l'autorità  di  chi  lo  det- 
tava, o  per  1*  una  e  per  l'altra  cagione  insieme,  contro  il  quale  non 
abbia  impugnata  la  penna  il  dotto  Benedettino.  I  due  opuscoli  annun- 
ziati non  chiudono  la  serie  de1  lavori  da  lui  sinora  pubblicati  su  pe1  gior- 
nali cattolici,  ma  sono  gli  ultimi  a  noi  pervenuti  in  libretti  separati.  Il 
soggetto  del  primo  ò  sufficientemente  dichiarato  dal  titolo  ;  ed  il  secon- 
do contiene  le  risposte  a  parecchie  difficoltà,  accumulate  in  alcune  scrit- 


208  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

ture  o  anonime  o  con  nome,  fatte  girare  qui  in  Roma  fra  i  Vescovi,  per 
distornarli  dal  definire  la  infallibilità  pontifìcia.  Nondimeno  per  non  di- 
vagare qui  e  colà  con  danno  dell'unità  e  dell'interesse,  egli  prende  a 
confutare  di  proposito  il  libercolo,  stampato  in  Napoli  col  titolo:  Obser- 
vationes  quaedam  de  infallibilitaiis  Ecclesiae  subiecto  ;  raccogliendo  so- 
pra i  punti  toccati  dall'Autore  di  esso,  le  obbiezioni  che  si  trovano  spar- 
se in  tutti  gli  altri  opuscoli.  Ci  è  impossibile  dire  delle  cose  in  parti- 
colare; ma  possiamo  comprender  tutto  in  breve,  affermando  e  di  que- 
ste e  di  altre  opere  di  lui  relative  alla  stessa  materia,  esser  tanta  la  lu- 
ce della  dottrina,  che  egli  arreca,  alcune  volte  anche  da  recondite  fonti, 
sopra  le  diverse  quistioni  che  tratta,  e  tanta  dall'altro  lato  la  forza  del  di- 
scorso onde  fa  valere  una  tale  dottrina  nel  confutare  gli  argomenti  con- 
trarii,  che  a  chi  lo  legga  con  attenzione  non  è  più  possibile  non  vedere 
la  verità  in  tutto  il  suo  splendore,  e  dissipati  come  nebbia  i  sotìsmi  che 
J'adom  bravano. 

5.  De'  testi  esaminati  da  S '.  Tommaso  d'Aquino  nell'opuscolo  contro 
gli  errori  de'  Greci,  relativamente  air  infallibilità  pontificia;  Memoria 
del  Dr.  Pietro  Antonio  Uccelli.  Napoli  co1  tipi  di  Vincenzo  Monfredi, 
1870.  In  8."  di  pag.  44. 

È  noto  il  meschino  artifizio ,  al  quale  gf  impugnatori  della  cattolica 
dottrina  della  infallibilità  pontificia  sono  ricorsi,  per  torre  ad  essa  il 
valevole  suffragio  dell1  autorità  di  S.  Tommaso  d'Aquino,  e  con  ciò  ri- 
durre a  nulla  lo  stesso  consentimento  di  tutte  le  scuole  intorno  a  quella 
questione.  Dicono  dunque  che  1'  angelico  Dottore  fu  tratto  in  inganno 
da  un  libro  datogli  ad  esaminare  da  Urbano  IV ,  pieno  zeppo  di  testi 
apocrifi  di  Padri  greci  in  favore  della  pontificia  infallibilità;  e  che  so- 
pra così  rovinoso  fondamento  egli  appoggiò  la  sua  opinione,  la  quale  poi 
a  poco  a  poco  si  diffuse  in  tutte  le  scuole.  Da  molti,  e  trionfalmente,  è 
stato  risposto  a  questo  sciocchissimo  argomento ,  tutti  accordandosi  in 
questa  sentenza ,  che  quando  ancora  alcuni  di  que'  testi ,  che  V  angelico 
Dottore  deriva  da  quel  libro  ,  fossero  apocrifi ,  non  ne  verrebbe  nessun 
pregiudizio  alla  dottrina  della  infallibilità,  da  lui  inoltre  sostenuta  colle 
aperte  testimonianze  delle  Scritture,  e  di  tutta  quanta  la  tradizione  dei 
Padri.  Nondimeno  il  chiarissimo  abbate  Uccelli,  indefesso  scrutatore 
delle  opere  dell'Angelico,  si  contenta  di  accettare  la  quistione,  com'è 
presentata  dagli  avversarli,  fingendo  che  S.  Tommaso  non  si  fosse  fon- 
dato che  sopra  i  testi,  dagli  avversarli  dichiarati  apocrifi  :  con  tutto  ciò, 
egli  dice,  la  tesi  di  S.  Tommaso  non  ne  patirebbe  detrimento,  essendo 
che  i  testi  addotti  da  lui  sono  autenticissimi.  Egli  lo  pruova  con  un  ar- 
gomento di  fatto,  il  quale  è  il  libro  stesso  tolto  ad  esaminare  da  S.Tom- 
maso, che  gli  è  riuscito  di  trovare  nella  biblioteca  vaticana.  Da  questo 
codice  adunque  trascrive  da  prima  per  disteso  tutt'i  brani,  che  il  santo 
Dottore  cita  in  compendio;  e  poi  paragonando  i  testi  del  detto  codice 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  209 

co1  luoghi  de' Padri,  ai  quali  si  riferiscono,  ne  fa  scorgere  ad  evidenza  la 
identità  de1  concetti,  espressi  alcune  volte  colle  stesse  frasi,  alcune  vol- 
te in  sentenza.  Quanto  ad  alcune  citazioni,  alle  quali  non  si  trova  il  rag- 
guaglio corrispondente,  egli  dimostra  con  argomenti  invittissimi,  che 
altre  furono  tolte  da  alcuni  canoni  del  Concilio  Calcedonese  sperduti,  ed 
altre  da  libri  di  Padri  anch'essi  smarriti.  Tutta  la  dimostrazione  del  dot- 
to Autore  riesce  di  una  manifesta  evidenza. 

6.  Sancii  Irenaei  de  Ecclesiae  Romanae  principati!,  testimonium  com- 
mentatili» et  defensum  a  Gerardo  Schneemann,  Societatis  Iesu  presby- 
tero.  Friburgi  Brisgoviae,  Herder  MDCCCLXX.  Iu  4.'  gr.  di  p.  XXX1Y. 

Questa  dotta  dissertazione  è  del  eh.  P.  Schneemann,  si  conosciuto  in 
Germania  per  la  difesa  del  Sillabo  e  per  altri  articoli  nelle  Voci  di  Ma- 
ria Laach,  ed  ora  ancor  più  famoso  qual  collaboratore  nell'insigne  rac- 
colta, Colleclio  Lacensis,  da  noi  lodata  a  pag.  349  del  voi.  IX  e  a  pag. 
572  del  voi.  X.  Or  appunto  dal  tomo  1Y  di  questa  Collezione  vien  tolta  * 
questa  dissertazione,  ivi  stampata  come  appendice  ai  Coneilii  della  Fran- 
cia. Dimostrata  dapprima  dal  contesto  la  forza  di  quella  celebre  testimo- 
nianza: ad  liane  enìm  Ecclesiam  propter  poten'iorem  principalitatem 
necesse  est  omnem  convenire  Ecclesiam;  il  eh.  Autore  in  tre  distinti  ca- 
pi dimostra  la  forza  di  quelle  tre  parole,  1.°  convenire,  2."  principalitasy 
2.' necesse  est;  confuta  ad  una  ad  una  le  false  interpretazioni;  e  ne  fa  spic- 
care di  viva  luce  il  primato  e  la  infallibilità  della  Sede  Romana  ossia  del 
Bomano  Pontefice:  e  a  tal  proposito  ci  piace  di  vedere  che  anche  il 
P.  Schneemann  cita  con  gran  lode  la  Lezione  di  Mgr.  Freppel  sopra 
S.  Ireneo,  da  noi  tanto  lodata  a  pag.  602  del  voi.  precedente. 

7.  Yeritable  état  de  la  question  agilée  entre  le  Pape  S.  Etienne  et 
S.  Cyprien,  touchant  le  bapléme  des  hérétiqnes.  Lecons  faites  a  la  Sor- 
bonne en  1863  par  M.  VAbbé  Freppel,  doyen  de  St.  Geneviève,  professeur 
à  la  Sorbonne,  actuellement  Évèque  d'Angers.  Torino,  Marietti.  In  8.9 
picc.  di  pag.  63. 

La  Lezione  sopra  S.  Ireneo,  estratta  dalle  opere  di  monsig.  Freppel, 
destò  in  molti  la  brama  che  similmente  le  sue  tre  lezioni  sulla  contro- 
versia di  S.  Cipriano  si  estraessero  dal  tomo  YII  delle  sue  opere  e  si 
stampassero  a  parte.  Si  dicea  da  molti  che  queste  Lezioni ,  oltre  il  van- 
taggio dogmatico  e  polemico  contro  quei  che  non  rifinano  di  recare  la 
controversia  di  S.  Cipriano,  come  segno  che  al  suo  tempo  non  si 
credea  all'infallibilità,  anzi  neppure  al  primato  del  Papa,  recherebbero 
altresì  un  vantaggio  morale,  mostrando  a  che  può  condurre  sventurata- 
mente anche  delle  anime  grandi  l'impegno  di  sostenere  un'opinione.  E 
di  vero  basta  leggere  queste  limpide  ed  eloquenti  lezioni  per  cavarne 
questo  doppio  vantaggio. 
Serie  TU,  voi.  XI,  fase.  488.  14  8  Luglio  1870. 


210  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

8.  Altri  opuscoli  di  varii  autori. 

Il  desiderio  di  annunziare  quanti  più  possiamo  degli  scritti  intorno 
l'infallibilità  prima  della  definizione,  ci  costringe  per  difetto  di  tempo  e 
di  spazio  a  raccogliere  insieme  varii  opuscoli  meritevoli  di  rivista  e  a 
contentarci  di  semplici  annunzii. 

Annunziamo  dapprima  due  altri  catechismi  :  Catéchisme  de  l'infailli- 
bililé  da  Pape  par  le  R.  P.  II.  Montrouzier,  S.  J.  (Arras,  V.  Rousseau. 
In  12.*  di  pag.  130);  e  un  altro  numero  del  Catechismo  di  Controver- 
sia del  P.  De  Boylesve  S.  J.,  intitolalo  Le  Pape  et  Ics  Gallicani  d'aulre- 
fois  (Paris,  Dillet.  In  8.°  di  pag.  31).  Il  primo  riguarda  direttamente 
rinfallibilità  dal  Papa,  ed  è  distinto  in  due  parti  :  1°  Prove  e  spiegazio- 
ni; 2°  Obiezioni  e  risposte.  Il  secondo  riguarda  direttamente  gli  articoli 
della  Dichiarazione  del  1682,  e  può  aversi  come  un  supplemento  all'altro 
numero  del  Catechismo,  intitolato  L'infaillibilité,  come  accennammo  a 
pag.  85  del  volume  precedente.  Ivi  pure  annunziammo  un  Dialogo  tra 
un  cattolico  laico  e  un  teologo  romano,  ed  ora  ne  annunziamo  la  ver- 
sione francese;  L'infaillibilité  pontificale,  Dialogue  eie.  (Paris,  Le  Clero. 
In  16.°  di  pag.  47).  Questa  versione  francese,  e  un'altra  portoghese  e 
due  ristampe  dell'originale  a  Bologna  ed  a  Modena,  dimostrano  il  meri- 
to di  questo  Dialogo,  che  parimente  può  dirsi  un  Catechismo  sull1  infal- 
libilità. I  nomi  del  P.  De  Montrouzier,  e  del  P.  De  Boylesve,  sì  noti  per 
la  letteratura  popolare,  e  il  favore  incontrato  dall1  anonimo  teologo  ro- 
mano, ci  scusano  dal  fare  elogi  di  queste  operette  popolari.  A  queste 
possiamo  aggiungere  una  Disputa  fra  due  artieri  modenesi  intorno  al- 
l'infallibilità del  Romano  Pontefice;  che  è  il  num.  74  della  Collezione 
di  Letture  amene  ed  oneste  (Tip.  dell'Immacolata  Concezione.  In  32.°  di 
pag.  60). 

Alle  persone  più  colte  possiamo  raccomandare  due  Conferenze,  ed 
anche  per  queste  per  ogni  lode  bastano  i  nomi.  La  prima  si  è  del  padre 
Felix,  L'infaillibilité  pontificale.  Conference  a  Notre-Dame  de  Paris  par 
le  R.  P.  Felix  S.  J.  Le  dimanche  des  Rameaux,  10  Avril  1870  (Paris, 
E.  De  Soye.  In  8.°  di  pag.  43).  L'opera  di  S.  Michele  per  la  propaga- 
zione di  buoni  libri  ne  mandò  una  copia  in  dono  a  tutti  i  Padri  del  Con- 
cilio. Una  versione  ne  è  stata  già  donata  all'Italia,  ed  uscì  subito  alla 
luce  nel  Maggio  nella  Biblioteca  di  S.  Francesco  di  Sales  per  la  diffusio- 
ne gratuita  dei  buoni  libri.  V infallibilità  papale,  Conferenza  del  P.  Fe- 
lix, tradotta  ed  annotata  per  IL  De  Martlnis  P.  d.  C.  d.  M.  (Napoli,  in 
32.'  di  pag.  68).  L'altra  conferenza  è  del  can.  Àlimonda,  V infallibilità 
del  Papa.  Conferenza  recitata  nella  Metropolitana  di  Genova  dal  can 
prev.  Gaetano  Àlimonda,  il  19  Giugno  1870  (Genova,  tip.  della  Gio- 
ventù, lu  8.°  di  pag.  51).  Come  la  conferenza  del  P.  Felix  a  ì\oire-Da- 
me  di  Parigi,  così  nella  Metropolitana  di  Genova  la  conferenza  del  can. 
Àlimonda  fu  ascoltata  con  istraordinario  interesse  e  chiesta  per  la  stani- 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  211 

pa.  Il  eh.  Autore  chiude  la  prefazione  con  queste  parole:  «  11  predicatore 
e  r  uditorio  della  Metropolitana  genovese  mandano  con  la  presente 
stampa  un  rispettoso  voto  al  Concilio  Vaticano  per  la  dichiarazione 
dogmatica  intorno  all'infallibilità  della  S.  Sede.  » 

Uniamo  insieme  tre  opuscoli,  che  possiam  dire  religioso-sociali,  scrit- 
ti da  penne  valenti.  Il  primo  è  del  P.  Alfonso  Capeceìatro  dell'Oratorio 
di  Napoli,  intitolato//  Concilio  Vaticano  (Napoli,  tip.  degli  Accattoncel- 
li.  In  12.°  di  pag.  48),  e  contiene  due  articoli  pubblicati  già  nel  giornale 
La  Carila,  e  intitolati  Iddio  con  noi  nel  Concilio  Vaticano,  e  La  pole- 
mica intorno  all'  infallibilità  papale,  i  quali  possono  far  seguito  all'al- 
tro suo  libro  intitolato,  Perchè  il  Concilio?  assai  lodato  da  noi  nel  volu- 
me Vili,  p.  342.  Il  secondo  è  del  principe  Enrico  De  Valori,  intitolato  : 
Infaillibilité  dn  Pape.  Rome,  le  Ch'rist  et  le  Concile  (Paris,  V.  Palme.  In 
12.e  di  pag.  69).  Ne  abbiam  sottocchio  la  sesta  edizione,  dedicata  a  ma- 
dama Stone.  Il  terzo  s'intitola,  Del  Sillabo  e  della  infallibilità,  Pensieri 
d'un  laico  cattolico  (Lucca,  tip.  Landi.  In  8.°  di  54).  I  nomi  del  principe 
De  Valori,  e  del  P.  Capeceìatro  son  noti  tra  i  pubblicisti:  e  ad  essi  può 
associarsi  questo  anonimo  laico  cattolico  per  nobiltà  di  stile  e  di  con- 
cetti, e  per  senno  di  cristiana  politica. 

Ci  resta  ancora  ad  annunziare,  che  non  ci  sovviene  di  averla  per  an- 
co annunziata,  la  terza  lettera  del  De  Margerie  al  P.  Gratry,  la  quale 
non  cede  per  merito  alle  due  prime.  V infaillibilité.  Troisième  lettre  au 
R.  P.  Gratry  par  Amédée  De  Margerie,  professeur  de  philosophie  à  la 
faculié  des  lellres  de  Nancy  (Paris,  DounioL  In  12.°  di  pag.  103)  :  e  si- 
milmente la  quarta  delle  famose  lettere  di  mgr.  Dechamps  allo  stesso 
P.  Gratry.  Leltres  au  R.  P.  Gratry  par  mgr.  Dechamps.  Quatrième  let- 
tre [Malines,  II.  Dessain.  In  8.°  picc.  di  pag.  26).  Delle  prime  lettere  di 
mgr.  Dechamps  e  del  sig.  De  Margerie  parlammo  a  pag.  *79,  81  del 
voi.  X.  A  queste  aggiungiamo  una  lettera,  benché  d'altro  genere,  cioè 
specolativo  e  non  polemico,  del  P.  Fr.  Vittorio  di  S.  G.  B.  Carni.  Se. 
Sopra  l'autorità  suprema  del  romano  Pontefice,  Lettera  ad  un  amico  (  Pia- 
cenza, tip.  Bertola.  In  8/  di  pag.  15). 

Terminiamo  con  quattro  opuscoli  di  quattro  illustri  Vescovi.  Monsig. 
Salzano,  Vescovo  di  Tanes,  ha  pubblicato  :  Brevi  riflessioni  sul  modo  di 
risolvere  e  sulV  opportunità  di  definire  V  infallibilità  del  Pontefice  som- 
mo (Napoli,  tip.  de  Leila.  In  8.'  di  pag.  li).  Queste  riflessioni  quanto 
son  brevi,  altrettanto  sono  sapienti.  Monsignor  Celesia,  Vescovo  di  Pat- 
ti, sotto  forma  di  lettera  pastorale  al  suo  clero,  ha  pubblicato  un  egre- 
gio opuscoietto  latino:  De  infallibilitate  romani  Pontifìcis  (  Augustae 
Taurinorum,  typis  Speirani.  In  8.°  di  pag.  17).  Monsignor  Regnier, 
Arcivescovo  di  Cambrai,  ha  similmente  pubblicato  una  breve  confuta- 
zione teologica  del  Gallicanismo:  Lettre  de  Monseigneur  rArchevéque  de 
Cambrai  au  clergé  de  son  diocèse  sur  le  Gallicanisme  théologique  (Pa- 


212  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

ris,  Y.  Palme.  In  32.°  di  pag.  33).  Questa  lettera  nel  suo  genere  non 
la  cede  ali1  altra  sì  celebre,  da  noi  lodata  a  pag.  745  del  voi.  preceden- 
te. Da  ultimo  Mons.  Ghilardi,  Vescovo  di  Mondovì,  oltre  i  suoi  ratti 
opuscoli,  ha  pubblicato  opportunamente  per  l'occasione  un  prezioso  trat- 
tatela del  Turrecremata  :  De  plenitudine  polestatis  romani  Pontipds  in 
Ecclesia  Dei,  opusculum  ex  operibus  Io.  De  Turrecremata,  Orci.  Praedi- 
ca.orum  S.  R.  E.  C.  a  Fr.  Ioanne  Thoma  Ghilardi  tiusdem  Ordini*,  Epi- 
scopo Montis  Reqalis  depromptum  (Taurini,  ap.  P.  Marietti.  In  8.°  di 
pag.  100). 

II.  Altri  scritti  in  difesa  di  Papa  Onorio. 

I.  di  A.  De  Marlene  —  2.  del  P.  Colombier  —3.  di  un  Sacerdote  romano  — 
4.  del  P.  Schneemann  —  5.  del  dr.  Fabi  —  G.  di  mgr.  Ghilardi  —  7.  di 
un  anonimo. 

1.  Réponse  a  Mgr.  néfélé  pour  (aire  suite  aux  lettres  au  R.  P.  Gra- 
try,  par  Amédée  de  Margerie,  professeur  de  philosophie  a  la  (acuite  des 
lettres  de  Nancy.  Paris,  Dauniol,  1870.  In  16.*  di  pag.  64. 

Questo  opuscolo  del  eh.  professore  de  Margerie  è  un  ritorno  alla  qui- 
stione di  Onorio,  da  lui  egregiamente  trattata  nel  rispondere  al  P.  Gra- 
try.  Egli  è  obbligato  di  rifarsi  sullo  stesso  argomento  a  fin  di  risolvere 
alcune  obbiezioni  mossegli  contro  da  Mgr.  Hef'cle,  per  occasione  appun- 
to di  quello  scritto.  Salvo  alcuni  leggerissimi  falli  di  storia,  i  quali 
l'Autore  modestamente  confessa,  ma  che  sono  del  tutto  estranei  alla  con- 
troversia, egli  risponde  trionfalmente  a  tutti  gli  appunti  fattigli  da  Mon- 
signore, e  ne  trae  miglior  vantaggio  per  la  causa  di  quel  Papa. 

2.  Le  Pape  Ilonorius  et  Mgr.  Iléfélé  (Lettera  del  P.  Colombier  della 
Comp.  di  Gesù  a  Mgr.  Ilefcle).  Paris,  E.  di  Soye,  1870.  In  8.*  di  pag.  17. 

Il  R.  P.  Colombier  avea  trattato  lungamente  nel  Periodico  parigino 
Les  Éludes  la  quistione  di  Onorio  ;  e  la  sua  trattazione  ci  piacque  massi- 
mamente per  alcuni  dati  storici,  da  lui  prima  (Togli1  altro  solidamente 
dimostrati,  i  quali  aiutano  a  meraviglia  a  far  compiuta  l'apologia  di  quel 
Papa.  Noi  ce  ne  servimmo  largamente  nel  rispondere  a  questa  stèssè 
scrittura  di  mgr.  Hefele,  rendendo  a  chi  si  conveniva  la  lode  della  sco- 
perta (voi.  X.  pag.  431).  Godiamo  ora  che  il  medesimo  P.  Colombier, 
condensando  in  poche  pagine  tutta  la  sostanza  di  quo  suoi  studi i,  ne  fa 
una  nuova  applicazione  per  rispondere  agli  argomenti,  che  il  dotto  pre- 
lato crede  ricavare  da  quella  storia  per  impugnare  la  infallibilità  de' ro- 
mani Pontefici  e  la  loro  superiorità  sopra  i  Concilii.  La  lettera  è  scritta 
con  tutti  quo  riguardi  di  riverenza  che  sono  dovuti  al  grado  dell' illu- 
stre personaggio,  ma  insieme  con  tanta  lucidità  d'idee,  ordine  di  cose, 
e  soprattutto  valore  di  argomentazione  sempre  crescente,  che  oggimai 
non  sembra  poter  rimanere  nessun  dubbio  sopra  la  quistione. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  213 

3.  Papa  Onorio  ed  il  Concilio  VI,  per  un  Sacerdote  romano.  Roma,  coi 
tipi  del  Salviucci-,  1870.  In  8.°  di  pag.  62. 

Il  eh.  Autore  di  questo  libro  si  è  ristretto  a  considerare  la  questione 
di  Onorio  solo  per  rispetto  alla  condanna  che  ne  pronunziò  il  VI  Con- 
cilio. E  a  dir  vero,  dopo  le  tante  e  tutte  vittoriose  apologie  della  dot- 
Irina  di  lui,  sol  questo  punto  meritava  di  essere  trattato  un  pò1  più, 
largamente,  acciocché  eziandio  i  meno  esperti  delle  materie  ecclesiasti- 
che ne  fossero  a  sufficienza  chiariti.  Il  frutto  della  sua  dotta  discussio- 
ne si  può  formolare  in  queste  poche  parole ,  colle  quali  la  chiude  :  «  Il 
Concilio  VI  non  intese  e  non  potò  intendere  di  giudicare  una  solenne 
decisione  pontificale,  ma  sibbene  un  atto  privato  di  Onorio.  Inoltre, 
anche  ciò  posto ,  la  sentenza  del  Concilio  VI  non  potè  mai  costituire  la 
prova  di  una  colpa  in  Onorio,  esclusa  pel  giudizio  emesso  in  preceden- 
za dai  Papi  e  da  tutte  le  Chiese  di  Occidente. . .  Tuttavia  la  difficoltà 
che  emerge  in  apparenza  gravissima,  svanisce  dinanzi  alla  giusta  idea, 
che  deve  aversi  de1  concilii  ecumenici  orientali ,  ed  in  vista  delle  posi- 
tive autorevoli  testimonianze,  dalle  quali  apparisce  che  la  condanna  di 
Onorio  pronunziata  dal  Concilio  VI  non  deve  tenersi,  come  atto  di  Con- 
cilio in  questa  parte  ecumenico.  Nò  la  sentenza  conciliare  in  appresso, 
per  la  sanzione  della  Sede  apostolica,  o  espressa  o  almeno  tacita,  otten- 
ne mai  quella  forza  di  cui  era  affatto  priva ,  essendo  che  nò  l1  approva- 
zione data  al  Concilio  da  Leone  II ,  si  estende  al  giudizio  emesso  su  di 
Onorio,  nò  la  testimonianza  del  libro  diurno  de1  RR.  PP.  o  la  leggenda 
inserita  negli  antichi  breviarii  nella  festa  di  S.  Leone  li,  può  mai  consi- 
derarsi come  una  tacita  sanzione  della  Sede  Apostolica  in  ordine  alla 
sentenza  del  Concilio  VI  contro  Onorio.  » 

4.  Elude  sur  la  question  d'Honorius  par  le  P.  Schneemaisn  de  la  Com- 
pagnie de  Jesus;  traduit  de  Vallemand.  Paris,  E.  de  Soye.  In  12.'  di  pa- 
gine 150. 

Quest'opuscolo  è  de1  primi,  che  sono  stati  pubblicati  per  occasione 
della  presente  recrudescenza ,  se  così  ci  è  lecito  dire ,  della  quistione  di 
Onorio.  Però  non  è  meraviglia  se  in  qualche  pnnto  particolare,  non  an- 
cora a  sufficienza  dilucidato  al  tempo  che  il  eh.  Autore  scriveva ,  le  sue 
risposte  possono  sembrare  meno  franche  e  categoriche  che  altrove.  Ma 
tolto  alcun  levissimo  nco  di  questa  fatta ,  esso  contiene  una  delle  più. 
belle  e  vigorose  apologie  di  quel  Pontefice.  In  ispezie  l'esegesi  che  fa 
delle  lettere  di  lui ,  è  condotta  con  tanta  evidenza  di  discorso  e  soli- 
dità di  dottrina,  che  non  potrebbe  desiderarsi  nulla  di  più  calzante. 
Segnatamente  ci  è  piaciuta  tutta  la  magnifica  argomentazione  che  ri- 
guarda la  questione  àeWunica  volontà,  di  cui  parla  Onorio,  e  il  dotto 
parallelo  fra  la  sentenza  di  questo:  Non  sunt  haec  diversae  voluntatis, 
sed  dispcnsalionis  humanitatis  assumptae,  ed  altre  espressioni  similissi- 
me  de1  Santi  Padri ,  specialmente  di  S.  Agostino. 


214  COSE  SPETTAMI  AL  CONCILIO 

5.  Pro  Honorio  et  Sede  Apostolica  contro,  lì.  P.  D.  Caroìum  lose- 
phum  de  Ilefele  Episcopum  Rotlcnburgcnsem  (Ioseph  Fabi  5.  T.  D.)  Fio- 
rentine, typographia  regia,  1870.  In  8.'  di  pag.  64. 

Anche  questa  è  una  sugosa  risposta,  e  scritta  in  buon  latino,  alle  mol- 
teplici difficoltà,  ricavate  da  Mgr.  Hefele  dalle  lettere  di  Onorio  e  dalla 
sentenza  onde  il  sesto  Concilio  lo  condannò.  Noi  l'abbiam  sentita  lodare 
da  un  teologo  di  gran  nome,  siccome  una  delle  più  aggiustate,  più  pie- 
ne e  più  limpide  apologie  di  quel  Pontefice,  e  a  lode  del  dotto  Autore 
possiamo  attestare  aver  trovato  giustissimo  il  giudizio  di  lui. 

6.  HonorimPapa  ab  accusationibus  vetenm  et  novornm  Infalìibilitatis 
summi  Poniificis  adcersariorum  vindicatus,  opusciilum  Fr.  Ioannis  Tno- 
mae  Ghilardi  Ordinis  Praedicatorum,  Episcopi  Monregalensis.  Taurini, 
apud  Petrum  H.  F.  Marietti  1870.  In  8.°  picc.  di  pag.  108. 

Ecco  l'ordine,  onde  il  dotto  e  zelante  monsignor  Ghilardi  conduce 
questa  erudita  difesa  di  Papa  Onorio.  In  primo  luogo,  messo  in  chiaro 
con  molta  accuratezza  lo  stato  della  questione,  come  apparisce  pel  para- 
gone delle  lettere  di  Onorio  con  quella  di  Sergio,  ed  il  tenore  delle  sen- 
tenze del  primo,  ne  dimostra  la  piena  ortodossia;  la  quale  riconferma 
altresì  co' testimonii  de1  monumenti  contemporanei.  In  secondo  luogo 
esamina  per  ogni  verso  la  condanna  pronunziata  contra  Onorio  dal  Con- 
cilio VI,  e  tutti  gli  argomenti  che  gli  avversarli  ne  deducono  per  di- 
mostrare che  fu  condannato  per  eresia.  Il  chiaro  Au':ore  paragonando 
i  detti  argomenti  colle  risposte  de'  teologi  e  fra  queste  scegliendo  e 
rafforzando  le  più  opportune,  ne  conchiude  che  Y  unica  ragione  per  la 
quale  Onorio  potè  essere  condannato,  fu  quella  di  aver  voluto  mante- 
nere un  silenzio  nocevole  alla  causa  cattolica  e  favorevole  all'eresia.  In 
terzo  luogo  finalmente  aggiugne  per  maniera  di  appendice  i  principali 
documenti  relativi  alla  questione. 

7.  In  Epistolas  Honorii  Papae  ad  Serqium  conimcntatio.  Romae,  tv- 
pis  fratrum  Pallotta  MDCCCLXX.  In  12/  di  pag.  70. 

L'Autore  di  questo  Commentario  ha  voluto  per  modestia  rimanersi 
nascosto  ;  ma  la  sua  esegesi  sopra  le  lettere  di  Onorio  lo  dimostra  di  un 
ingegno  assai  penetrativo,  di  una  logica  molto  vigorosa  e  di  una  peri- 
zia non  ordinaria  nelle  scienze  sacre.  La  prima  quistione  in  ispezie,  che 
è  il  cardine  di  tutta  la  controversia,  vale  a  dire:  «  Se  Onorio  abbia  in- 
segnato essere  in  Cristo  una  sola  volontà,  e  questa  divina  »,  è  risoluta  in 
favore  di  Onorio  con  tal  copia  di  argomenti  ed  evidenza  di  discorso, 
«he  basterebbe  essa  sola  per  dargli  vinta  la  causa.  Al  Commentario  è 
aggiunta  una  breve  appendice  intorno  al  senso  che  può  avere  ed  il  va- 
lore che  deve  darsi  alla  sentenza  del  Concilio  VI  centra  Onorio. 

Questi  sono  gli  ultimi  scritti,  pervenutici  in  difesa  del  Papa  Onorio, 
di  merito  qual  maggiore  qua)  minore  certamente,  se  sono  considerati 


COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO  215 

sotto  l'aspetto  scientifico,  ma  tutti  però  invitti  nel  dimostrare  la  sua  or- 
todossia. Ci  sia  lecito  di  chiuderne  l'elenco  con  una  bella  sentenza,  che 
troviamo  nella  Lettera  pastorale  diretta  da  mgr.  Celesia,  Vescovo  di  Patti 
al  suo  clero.  Sinamus  igilur,  egli  dice,  animam  Ilonorii  in  pace  requie- 
scere.  Immo  naturalis  sitimi  et  cliristianae  iustitiae  pretium  sit  indicare, 
ut  sicut  ipse,  nipote  optimus  Ponti fex  ac  veneratione  dignus  vixerat,  et  non 
solum  in  sanctae  Malris Ecclesiae  communione  mortuus,  rerum  eiiam  cum 
honoìitìus  supremo  Ecclesiae  capiti  debitis  in  Vaticana  Basilica  prope 
cineres  Principis  Apostolorum  sepultus;  ita  bonae  suae  famae  confirma- 
tionem  ex  infallibililatis  Rom.  Ponti  ficis  defìnitione  exposcere,  et  merito 
expectare  videatur. 

III.  Un  fascio  di  cattivi  opuscoli. 
1.  Italiani  —  2.  Francesi. 

1.  Il  Concilio  ecumenico  vaticano  non  ha  esercitate  solo  le  penne  dei 
buoni  cattolici,  ma  ancora,  e  forse  molto  più,  quelle  degl'increduli,  dei 
protestanti  e  dei  mali  cattolici,  tra  i  quali  non  pochi  colsero  questa  so- 
lenne occasione  chi  per  bestemmiare  apertamente  quello  che  ignorano, 
chi  per  esporre  con  più  o  meno  ignoranza  ciò  che  egli  forse  crede  la 
verità,  chi  ancora,  e  di  questi  sono  moltissimi,  per  servirsi  dell'inte- 
resse che  tutti  prendono  al  Concilio  per  solleticare  comechefosse  ìa  cu- 
riosità del  pubblico,  e,  come  si  dice,  squattrinarlo  all'uso  dei  ciarlatani. 
Non  pochi  di  tali  opuscoli  ci  sono  pervenuti,  pochi  se  si  guarda  al  vero 
numero  loro:  troppi  se  si  considera  la  loro  importanza;  i  quali  da  un 
pezzo  ci  stanno  sul  tavolino  inosservati.  Ora  ne  daremo  una  breve  no- 
tizia ai  nostri  lettori.  Cominciamo  dagli  italiani.  Di  questi  alcuni  sono, 
come  dicemmo,  d'increduli  dichiarati.  Tra  i  quali  ha  in  Italia  il  primo 
posto  Giuseppe  Mazzini  che  uscì  teste  con  un  suo  opuscolo  intitolato  : 
Dal  Concilio  a  Dio.  Trentasett'anni  fa,  quando  niuno  pensava  al  Con- 
cilio egli  scriveva  un  opuscolo  Dal  Papa  al  Concilio.  Si  dovrebbe  cre- 
dere che  ora  sia  stato  contento.  Ma  no  ;  egli  ora  dice  che  quando  ap- 
pellava al  Concilio  «  intendeva  il  Concilio  del  popolo  libero  ed  affra- 
tellato nel  culto  del  dovere  e  dell'  ideale.  »  E  chi  sa  che  non  dica  poi 
un  giorno  che  egli  per  dovere  intendeva  il  Dovere  giornal  mazziniano 
di  Genova.  Donde  si  può  ricavare  che,  quando  Dio  udisse  l'appello  del 
Mazzini  e  venisse  in  persona  a  giudicarlo,  il  Mazzini  direbbe  certamen- 
te che  egli  per  Dio  non  intendeva  Dio,  ma  sé  medesimo,  o  qualche 
altra  cosa.  Del  resto  a  che  serve  appellare  a  Dio  quando  egli  «  crede 
in  una  serie  indefinita  di  reincarnazioni  dell'anima,  di  vita  in  vita,  di 
mondo  in  mondo,  ciascuna  delle  quali  rappresenta  un  miglioramento 
sull'anteriore'!  E  quanto  all'irrevocabile  perdizione,  noi  ne  respingia- 
mo la  possibilità.  Noi  possiamo  ricominciare  lo  stadio  percorso  quando 
non  abbiamo  saputo  meritare  di  superarlo  :  non  retrocedere  o  perire 


216  COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO 

spiritualmente.  »  Si  capisce  da  queste  parole  perchè  il  Mazzini  vecchio 
e  cadente  non  disperi  ancora  con  qualche  banda  di  Cecina  e  di  Catan- 
zaro, conquistare  quelle  autorità  tiranne  a  cui  il  suo  liberalismo  e  il 
suo  orgoglio  corrono  dietro  invano  da  tanto  tempo.  Se  non  sarà  in 
uno  stadio,  sarà  in  un  altro,  se  non  sarà  in  una  vita,  sarà  in  una  delle 
serie  indefinite  di  reincarnazioni  della  sua  anima.  Questa  è  anche  buona 
dottrina  per  incoraggiare  tutti  i  ladri  e  gli  assassini.  Se  staranno  in  ga- 
lera o  saranno  impiccati  in  questa  vita,  si  reincarneranno  tante  volte 
quante  basterà.  A  questa  stregua  non  si  capisce  perchè  il  Mazzini  sia 
nemico  della  pena  di  morte  per  delitti  politici  e  preferisca  la  galera  in 
vita.  Non  sarebbe  meglio  esser  subito  ucciso,  reincarnarsi  e  ricomin- 
ciare? E  tanto  basti  del  Mazzini  e  del  suo  opuscolo. 

F.  Petruccelli  della  Gattina,  noto  scrittore  di  romanzacci  immorali, 
nelle  appendici  dei  cattivi  giornali,  volle  anche  dire  la  sua  savia  opi- 
nione sul  Concilio  in  un  suo  libretto  intitolato  77  Concilio,  dato  da  Parigi 
nell'Agosto  del  60  e  stampato  a  Milano,  nel  quale  decide  che  il  Concili» 
sarà  il  Solferino  del  potere  spirituale.  Oltre  a  questa  profezia,  il  resto 
è  storia,  ossia  Romanzo  degli  antichi  Concilii  e  di  tutta  quasi  la  storia 
ecclesiastica  compendiata  in  cento  paginette.  L'opuscolo  non  dovette 
aver  spaccio  e  Veditore  dovette  certamente  rimetterci  le  spese  :  giacché 
ce  lo  spedì  con  quest'avviso  stampato,  incollato  sul  frontispizio.  «  SÌ 
invia  alla  Civiltà  Cattolica  per  mettersi  nell'  indice  e  per  stritolarlo.  » 
Dell'  Indice  non  sappiamo  nulla.  Ma  la  Civiltà  Cattolica  ha  altro  da  fare 
che  stritolare  la  sabbia.  Perciò  non  ne  abbiam  parlato  che  ormai  un 
anno  dopo. 

Un  librettucciaccio,  se  è  possibile,  anche  peggiore  di  quello  del  Pe- 
truccelli è  quello  che  s' intitola  :  I  preti  al  Concilio  di  Roma,  e  la  Con- 
fessione di  Vittorio  Emmanuele.  Son  cose  da  buttar  sul  fuoco  :  ne  più 
né  meno  che  le  contenute  negli  altri  opuscoletti  intitolati:  Al  Concilio 
romano,  petizione  dei  cristiani  :  -  La  Basilica  Vaticana  e  il  Concilio 
ecumenico,  inflessioni  istorico-critiche  di  Luigi  Dclàtre:  cose  tutte  sen- 
za sostanza  e  senza  sugo,  dimenticate  prima  che  nate,  ed  incapaci  di 
far  danno  che  ai  già  danneggiati  nel  bene  dell'intelletto. 

Quanto  poi  sia  tenuto  dagli  stessi  increduli  per  importante  il  Conci- 
lio ecumenico  di  cui  fìngono  non  curarsi,  appare  dal  libro  La  donna 
e  la  scienza,  di  Salvatore  .Morelli  deputato:  il  (piale  ha  creduto  poter 
rendere  più  vendibile  il  suo  empiissimo  libro,  che  nulla  ha  che  fare  col 
Concilio  ecumenico,  col  porgli  il  falso  titolo  di  Risposta  logica  al  Con- 
cilio ecumenico. 

L'Autore  della  Petizione  ai  Padri  del  Concilio  per  la  soppres 
V Osservatorio  romano  partendo  dalla  falsa  ipotesi  che  la  Chiesa  sin  ne- 
mica delle  scienze  naturali  consiglia  i  Padri  del  Concilio,  con  ironia  di 
pessimo  gusto,  a  sopprimere  l'osservatorio  romano  di  astronomia.  Ma  la 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  217 

risposta  gli  fu  data  appunto  dai  Padri  del  Concilio  quando  per  due  sere 
per  più  ore,  più  centinaia  di  essi  Padri  assistettero  alle  dotte  e  faconde 
dissertazioni  sopra  le  macchie  del  sole  fatte  in  Collegio  Romano  dal 
chiaro  P.  Angelo  Secchi  d.  C.  d.  G.  direttore  di  queir  osservatorio.  Par- 
larono ampiamente  i  giornali  di  quelle  sedute  scientifiche  delle  quali 
volentieri  avremmo  discorso  anche  noi  se  la  Cronaca  delle  cosq  del  Con- 
cilio non  ci  avesse  coll'abbondanza  di  sua  materia  forzati  ad  interrom- 
pere la  cronaca  delle  scienze  naturali  insieme  colle  altre  Appendici.  Ma 
siamo  ben  lieti  che  l'opuscolo  mentovato  ci  abbia  fornito  questa  occa- 
sione di  almeno  accennarle. 

Uscì  da  tipografia  notoriamente  protestante  l'opuscolo  seguente  :  Del 
futuro  Concilio  ecumenico  e  del  Concilio  di  Basilea.  Firenze,  libreria 
Rosmini.  E  notiamo  il  nome  della  libreria  per  dar  nuovo  avviso  ai  nostri 
lettori  che  questa  è  libreria  protestante,  e  che  essi  devonsi  perciò  guar- 
dare da  quanto  esce  da  quella,  tanto  più  attentamente  quanto  che  il  ve- 
leno vi  è  sparso  con  arte  e  perfidia  più  singolare,  siccome  anche  appa- 
risce dal  titolo  onorato  imposto  a  quella  libreria  che  meriterebbe  invece 
l'altro  di  Lutero  e  dì  Calvino.  Ognuno  poi  può  da  sé  intendere  che  cosa 
si  possa  trovare  nel  libretto  dei  Concila  ecumenici,  trattato  di  Alessan- 
dro Gavazzi  ministro  evangelico,  come  introduzione  a  un  corso  di  trattati 
sul  Credo  di  Pio  IX.  Basti  dire  che  è  lavoro  di  un  rinegato,  dove  la  tri- 
vialità e  l'insolenza  non  sono  vinte  che  dall'ignoranza  e  dalla  mala  fede. 

Il  libretto  di  Romolo  Federici,  intitolato:  Roma  ed  il  cattolicismo,  è 
scritto  sotto  l'impressione  del  timore  che  «  la  riunione  episcopale  con- 
vocata in  Roma  nel  1862  essendosi  convertita  in  assemblea  politica 
emettendo  un  voto  formale  sul  potere  temporale  dei  Papi  »  non  possa 
ora  accader  lo  stesso  del  Concilio  Vaticano.  Infatti  egli  dice  che  «  gli 
interessi  e  le  influenze  che  provocarono  una  tale  dimostrazione  conser- 
vandosi tuttora  le  stesse;  i  medesimi  proponimenti,  le  medesime  conse- 
guenze possono  ancora  riprodursi  nel  1870  ».  Teme  il  Federici  questa 
nuova  dichiarazione,  e  prevede  che  essa  renderà  sempre  più  difficile  al- 
l'Italia l'agognata  occupazione  di  ciò  che  resta  del  dominio  temporale 
della  S.  Sede.  Per  allontanare  questo  pericolo  «  è  necessario,  dice  che 
da  ogni  parte  sorga  energica  la  protesta  in  nome  del  diritto  storico, 
dell'equità  e  dell'interesse  stesso  dell'universale  progresso,  sino  a  che 
i  Romani  giudicheranno  l'ora  venuta  di  rispondere  a  siffatte  dichiarazioni 
riprendendo  di  fatto  la  loro  sovranità  ».  Nelle  quali  parole  è  dato  l'argo- 
mento e  le  principali  prove,  colle  quali  si  tenta  di  dimostrarlo.  Ma  sono 
cose  vecchie  entrambe,  e  mille  volte  già  da  noi  e  da  molti  altri  trattate 
a  lungo.  L'Autore  però  dee  esser  lodato  per  l'argomento  che  fornisce  di 
sua  perspicacia  sia  nel  prevedere  che  dal  Concilio  Vaticano  non  può  non 
rinforzarsi  moralmente  il  Papato  ancor  temporale,  sia  nel  non  porre 
ormai  le  sue  speranze  che  «  nel  giudizio  dei  Romani  ». 


218  COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO 

E  siccome  il  precedente  opuscolo,  con  una  certa  cotale  sobrietà  e  di- 
gnità di  parole  degne  di  persona  educata,  tratta  per  la  millesima  volta 
il  volgar  errore  della  conciliazione  di  Roma  col  liberalismo,  così  l'autore 
dell'opuscolo  seguente  tratta  colla  solita  ipocrisia  il  tema  antichissimo 
de' preti  liberali,  volgarmente  detti  presbiteri,  sacrestani  e  cappellani  del 
liberalismo  laico  cbe  vuol  venir  a  Roma  colle  buone.  L'opuscolo  si  intito- 
la: Per  il  XX Concilio  ecumenico:  Appello  ai  parrochi,  canonici,  profes- 
sori e  moderatori  dei  Seminarii  e  sacerdoti  italiani.  Anche  questo  è 
tema  vecchio  e  volgare  e  trattato  le  mille  volte,  e  aggiungeremo  anche 
disperato  :  siccome  del  resto  previde  saviamente  Fautore  deir  Appello 
dove  dice  «  Qui  sul  line  un  dubbio  ci  contrista  :  ma  non  possiamo  ta- 
cercelo o  Parrochi.  Il  vostro  programma  sarebbe  mai  differente  e  forse 
contrario  a  quello  che  venne  in  queste  pagine  abbozzato?  »  Sì;  rispon- 
dono i  Parrochi  e  tutti  i  sacerdoti  italiani.  Il  nostro  programma  è  molto 
differente:  e  per  accertarvene  basta  che  leggiate  i  nostri  indirizzi  al  Papa 
ed  al  Concilio  che  ogni  giorno  si  pubblicano  sopra  i  giornali  cattolici. 

L'opuscolo,  di  Costanzo  Giani,  intitolato:  Il  Concilio  in  relazione  col- 
la scienza  e  col  diritto,  farebbe  credere  alla  verità  di  ciò  che  vi  si  dice  a 
pag.  10,  che  «Paolo  IV  sequestrò  coir  indice  la  ragione  umana.  »  Non 
parrebbe  infatti  possibile,  senza  questo  sequestro  che  un  uomo  d'  inge- 
gno e  di  studio,  come  sembra  esser  l'Autore,  si  fosse  lasciato  andare  a 
pubblicare  tante,  diciamole  pure,  corbellerie.  Ma  egli  è  incredulo  dichia- 
rato ;  e  questo  spiega  anche  senza  Paolo  IV  il  sequestro  della  sua  ra- 
gione. Scopo  dell'opuscolo  è  dimostrare  che  la  Chiesa  è  tutta  viziata, 
e  che  il  Concilio  definirà  «  eretica  la  fisica,  la  cosmologia,  l'astronomia, 
la  morale,  la  logica,  la  giurisprudenza,  la  storia.  Di  queste  dolcezze  in- 
tende il  Concilio  allietare  le  cattoliche  genti.  »  Teme  specialmente  per 
l'Italia  moderna  eh'  egli  (e  in  ciò  dice  bene)  trova  molto  debole  a  para- 
gone della  «  teocrazia  »  ossia  della  Chiesa.  E  poiché  dispera  degli  ita- 
liani maturi  «  dei  quali  si  udirono  molte  buone  paròle  parla  dei  libera- 
li) ma  si  videro  pochi  buoni  fatti  »  si  raccomanda  ai  giovani.  Ma  confi- 
diamo che  questi  udiranno  il  Concilio  ecumenico  anziché  il  sig.  Costanzo 
Giani. 

2.  Tra  i  libri  cattivi  sul  Concilio  venutici  di  Francia  alcuni  meritano 
appena  di  esser  mentovati  :  come  le  Concile  par  Petrucelli  della  Gattina 
che  è  il  medesimo  sopra  accennato  in  italiano:  L'ultramontanismc  batta 
en  brèche:  son  recours  au  futur  Concile  par  Boismare,  che  si  dice  catho- 
lique  de  l 'ancienne  école:  ma  è  diil'atti,  nò  cattolico,  nò  di  ninna  scuola: 
giacche  ora  sembra  incredulo,  or  gallicano,  or  cattolico  liberale,  sempre 
però  leggiero  ed  ignorante:  Ics  curés  mariés  par  le  Concile:  libraccio 
di  /.  M.  Cayla  cui  ninna  persona  educata  e  onesta,  fosse  anche  incredu- 
la, potrà  leggere  senza  stomaco:  Adresse  au  futur  Concile  par  des  ca- 
tholiques  materialistes  qui  croient  au  symbole  des  Apblrcs  mais  ne  vani 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  219 

ni  a  messe  ni  a  confesse,  il  cui  Autore  non  dee  essere  tanto  sciocco  quan- 
to pare,  perchè  ebbe  l'avvertenza  di  non  nominarsi  :  Za  ré  forme  de 
l'Eglise  par  VAbbé  Charles  Mikoszcwscki,  discorso  da  lui  recitato  in  Lo- 
sanna al  Congresso  della  lega  della  pace,  nel  quale  il  bravo  Abbé  dice 
che  «  si  può  fin  d'ora  dire  che  il  Concilio  non  otterrà  nulla,  perchè  si 
comporrà  di  gente  che  si  arroga  il  diritto  supremo:  tutto  vi  sarà  illegitti- 
mo ed  antisociale,  dal  Papa  lino  ai  Vescovi  ».  Questo  Abbé  fu  membro 
del  Governo  occulto  nazionale  nel  tempo  dell'insurrezione  polacca  nel 
1865.  Le  clergé  de  France:  Revelations:  le  Pape.  Le  pouuoir  temporel: 
Le  Concile,  non  sono  varii  opuscoli  ma  un  solo  brevissimo,  al  quale  con 
ragione  son  dati  tanti  titoli  a  scelta,  perchè  niuno  leggendolo  è  al  caso 
di  assicurare  di  che  cosa  parli  veramente.  Ai*  Concile  de  1869  :  Rapide 
exanwi  du  dogme  chrélien,  è  un  esame  un  pò1  troppo  rapido  fatto  dai 
sig.  Guérin  de  Vitry  incredulo  dichiarato  il  quale  dubita  perfino  della 
vita  futura  e  dell'esistenza  di  Dio.«  Dio,  dice  egli,  se  esiste,  non  può  nul- 
la contro  l'uomo  giusto.  Non  inquietiamoci  di  vane  minacce  ;  per  l'altra 
vita  come  per  questa,  fa  quel  che  devi,  accada  quel  che  vuole».  Le 
Concile,  è  una  satire  che  il  sig.  E.Darcey  credette  scrivere  contro  il  Con- 
cilio: ma  chi  vorrà  leggerla  vedrà  che  non  può  rimanerne  colto  che  l'au- 
tore che  si  mostra  in  questi  suoi  versi  non  si  sa  se  più  scempio  o  più 
empio.  Dice  però  vero  negli  ultimi  due  versi  coi  quali  conchiude  «  che 
importa,  dice  egli,  di  quanto  ho  scritto?  Dei  fedeli  il  docile  gregge  ap- 
plaudisce al  Concilio  e  dice:  Oh  quanto  è  bello  !  »  Più  lungo  ma  non  mi- 
gliore è  il  libro  di  Alphonse  Karr,  intitolato  Les  Gaietès  roniaines.  Confes- 
siamo che,  avendo  udito  nominar  più  volte  questo  Karr,  come  autore 
stimato,  credemmo  trovar  nel  suo  libro  qualche  lampo  d'ingegno  quale  si 
può  trovare  in  questi  autori  leggieri  ed  empii  alla  volteriana.  Ma  il  riso 
di  questo  Karr  è  simile  a  quello  dei  fatui  negli  spedali  degli  imbecilli. 
In  poche  pagine  pretende  non  solo  di  condensare,  ma  di  render  ancor  ri- 
dicola la  storia  della  Chiesa  e  dei  Concilii.  Ma  non  riesce  neanche  a  far 
ridere  di  sé.  Tutti  questi  opuscoli  non  possono  che  eccitare  la  compas- 
sione verso  chi  li  ha  scritti  e  verso  chi  li  ha  comprati. 

Qualche,  benché  piccola,  apparenza  di  libro  d'uomo  ragionevole  han- 
no le:  Lncompatibilités:  ou  simples  observalions  au  clerge  catholique  à 
Voccasion  du  Concile  oecuménique,  par  le  professeur  J.  Robert,  edite  a 
Milano,  dove  sembra  che  quel  signor  professore  insegni  qualche  cosa. 
Nella  strettezza  delle  sue  idee  e  della  cerchia  di  sua  erudizione  egli  ve- 
de che  non  ci  è  più  cattolicismo  nel  mondo.  «  L' ortodossia  cattolica  è 
finita:  essa  sparisce  lentamente,  come  una  cosa  vecchia  dalla  coscienza 
universale  ».  Poi,  senz'accorgersene,  confessa  che  di  cattolicismo  ce  n'è 
ancora  assai.  «  Il  nemico  si  avanza:  le  sue  file  sono  serrate  :  marcia  in 
buon  ordine,  numeroso,  disciplinato,  ben  preparato  ».  Però  egli  non 
combatte  la  religione.  Tuttr altro.  Soltanto  ne  vuol  una  a  suo  modo. 


220  COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO 

Prima  di  tutto  non  più  Papa,  ne  Vescovi,  ne  unità  gerarchica.  «  Antica- 
mente tutto  ciò  era  utile.  Ora,  dopo  che  la  stamperia  ha  resi  comuni  i 
testi  della  morale  e  del  dogma,  una  tale  organizzazione  dee  restare  al 
solo  governo  civile.  »  Ma  forse  che  anche  pel  governo  cimleh  stamperia 
non  ha  resi  comuni  i  testi  dei  codici  e  delle  leggi  ?  Checche  sia  di  que- 
sto, il  sig.  Professore  crede  che  «  il  prete  dee  prendere  per  madre  dei 
suoi  tìgli  qualche  Maddalena  penitente:  protestante  e  cattolico  insieme 
dee  diventar  prima  nazionale,  poi  umanitario  e  universale.  La  sintesi 
religiosa  si  avvicina  :  la  stampa,  il  vapore,  V  elettricità,  Y  istinto  commer- 
ciale, le  simpatie  de1  popoli  hanno  invaso  il  mondo.  Per  chi  vede  queste 
cose  con  occhio  religioso  è  chiaro  che  l'umanità  vaga  verso  il  porto  di 
sua  riabilitazione  ».  Ciononostante  il  prete  «sarà  benedetto  quando 
battezza,  quando  prega,  quando  predica,  quando  serve  il  pane  della  co- 
munione fraterna,  quando  assiste  i  moribondi,  quando  benedice  le  tom- 
be ».  Tutte  queste  cose,  crediamo  noi,  saranno  lecite  al  prete  finche  non 
si  possono  fare  «  colla  stampa,  col  vapore,  coll'elettricità,  coli1  istinto 
commerciale  e  colle  simpatie  de1  popoli  ».  Intanto,  dice  il  Professore, 
«  tutti  questi  attributi  devono  bastare  per  fare  del  sacerdozio  la  più  bel- 
la, la  più  onorata  delle  magistrature.  Una  tale  trasformazione  sarà  il 
suo  ringiovanimento  nella  sua  specialità  propria  ;  la  sua  intronizzazione 
nuova  nel  vero  potere  spirituale  ».  Se  il  Concilio  si  occuperà  di  queste 
idee  farà  qualche  cosa  di  bene,  se  no  tutto  è  perduto.  E  se  taluno  cre- 
derà che  il  sig.  Professore  non  sia  buon  cattolico  :  si  disinganni.  «  Noi, 
dice,  non  abbiamo  punto  combattuto  la  religione,  come  si  vorrà  forse  far 
credere;  noi  non  abbiam  cercato  che  di  estirpare  le  radici  del  male  ». 

Un  ministro  protestante,  proprio  di  quei  ginevrini  arcigni  e  pieni  di 
odio  violento  contro  il  cattolicismo,  che  si  mostra,  mal  loro  grado,  sotto 
l'apparente  civiltà  e  coltura  dello  stile,  il  signor  L.  Burnier  è  l'autore 
dell'opuscolo  Rome,  la  France  et  le  Concile  che  forma  la  troisiéme  li- 
vraison  della  Correspondance  de  théologie  écangélique.  11  sig.  Burnier, 
volendo  studiar  bene  il  cattolicismo  e  conoscerlo  a  fondo  per  parlarne 
poi  con  conoscenza  di  causa,  ha  ragionato,  bene  o  male,  co*ì  :  «  TI  cat- 
tolicismo è  in  vigore  in  Francia  più  che  altrove,  dunque  studierò  il  cat- 
tolicismo in  Francia.  Tra  i  dottori  cattolici  quelli  che  esercitano  mag- 
gior influenza  sono  i  Gesuiti.  Dunque  studierò  il  cattolicismo  nei  Ge- 
suiti. I  Gesuiti  pubblicano  in  Francia  una  Rivista  intitolata  :  Elude»  re- 
ligieuses,  historiques  et  litteraires,  dove  certamente  devono  dire  chiare 
le  loro  idee:  dunque  io  mi  assoderò  per  un  anno  a  quella  Rivista.  Cosi 
conoscerò  bene  il  cattolicismo  gesuitico.  E  se  poi  comprerò  e  leggerò  i 
libri  lodati  e  raccomandati  da  quella  Rivista,  avrò  così  compiuta  la  mia 
istruzione  ».  E  così  fece  il  buon  Burnier,  di  cui  compendiammo  in  senso 
esatto  le  parole.  Essendosi  dunque  associato  a  quella  Rivista  ed  aven- 
do letti  i  libri  da  lei  raccomandali,  il  sig.  Burnier  è  venuto  a  quella 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  221 

stessa  conclusione  a  cui  sarebbe  arrivato  col  solo  leggere  il  catechismo. 
«  I  Gesuiti  redattori  degli  Etudes,  dice  egli  a  pag.  TI,  non  sono  certa- 
mente retrogradi,  neanche  in  religione,  come  lo  sono  il  sig.  L.  Yeuillot 
e  i  suoi  associati.  Questo  si  può  ricavare  dalle  citazioni  da  me  fatte. 
Ma  queste  citazioni  stesse  provano  che,  quanto  all'essenza  del  Roma- 
nismo, ricorre  sempre  il  sint  ut  sunt  ani  non  sint.  »  In  altri  termini  il 
catolicismo  è  sempre  quello  e  tutti  i  veri  cattolici  dicono  sempre  lo 
stesso,  nelle  cose  di  fede  e  di  spirito  cattolico.  E  non  si  sa  se  si  debba 
piangere  o  ridere  al  leggere  le  esclamazioni  di  stupore,  di  maraviglia, 
di  pietà,  di  compassione  che  il  Burnier  si  lascia  sfuggire  quando  scopre, 
per  esempio,  che  i  cattolici  sono  divoti  di  S.  Giuseppe.  «  Qual  culto  ! 
dice  egli  a  p.  87,  e  qual  lamentabile  frutto  di  una  divozione  talvolta  al- 
trettanto profonda  che  sincera!  »  Fa  poi  gran  mostra  di  erudizione  per 
dimostrare  che  (p.  88)  «  le  superstizioni  del  culto  romano  non  sono  ai- 
Fuso  esclusivo  del  volgo  ignorante  ».  A  p.  122  si  lagna  che  anche  molti 
protestanti  cominciano  a  propendere  verso  il  culto  cattolico,  e  cita  il 
Guizot  «  ed  un  tal  filosofo  cristiano  dei  nostri,  che  parla  di  Roma,  se 
non  con  tenerezza,  almeno  con  simpatia  ».  Nemmeno  egli  approva  che 
alcuni  cattolici  arrossiscano  quasi  del  loro  simbolo  e  diano,  (p.  434), 
«  interpretazioni  che  non  si  accordano  col  senso  vero  degli  atti  più  so- 
lenni del  Papa  ».  E  cita  alcuni  opuscoli  celebri  di  cattolici  liberali,  dei 
quali  dice:  «  Non  si  potrebbe  essere  più  rispettosi  alla  persona  del  Papa 
e  meno  rispettosi  pel  suo  pensiero  evidente  »  intendendo  parlare  di  al- 
cune celebri  interpretazioni  del  Sillabo  e  dell'  Enciclica.  Avendo  così 
fatte  molte  scoperte  e  dette  molte  verità,  e  riconosciuto  che  Funità  è 
piena  nel  cattolicismo  ;  per  modo  di  consolazione  cerca  dimostrare  che 
questa  unità  è  un  male.  «  La  forza  del  protestantismo,  dice  a  p.  162, 
contro  Roma  è  nella  estrema  diversità  delle  sue  chiese:  or  bene,  che  Dio 
ci  guardi  sempre  dall'unità  che  molti  sembrano  cercare  ».  Osiamo  assi- 
curare il  sig.  Burnier  che  il  suo  voto  sarà  esaudito;  essendo  ornai  nei 
protestanti  tante  le  religioni  quante  le  teste. 

Conchiudiamo  questo  elenco  di  cattivi  libri  francesi  sul  Concilio,  con 
quello  intitolalo:  L'aristocratie  romaìne  et  le  Concile,  nel  quale  troviamo 
due  cose  maravigliose.  La  prima  è  l-  idea  generale  dell1  opuscolo.  Si  sa 
che  molti  hanno  scritto  molte  cose,  per  ispiegare  a  modo  loro  ed  uma- 
namente il  primato  di  Roma  sopra  il  mondo  cattolico.  Ma  non  crediamo 
che  finora  si  sia  trovato  chi,  come  Fautore  di  quest'opuscolo,  abbia  spie- 
gato la  cosa  coir  Aristocrazia  romana.  Posto  questo  principio,  Fautore 
si  conforta  pensando  che,  essendo  ormai  finita  F  èra  delle  aristocrazie,  e 
cominciando  quella  della  democrazia  finirà  anche  il  Primato  di  Roma  e 
del  Papa.  «  Allora  la  riforma  si  compirà,  allora  il  Concilio  ecumenico 
sarà  dichiaralo  superiore  al  Papa,  allora  assisterà  al  Concilio  anche  il 
clero  inferiore  che  sarà  come  la  Camera  bassa.  Il  clero  inferiore  elegge- 


222  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

rà  i  Vescovi.  Il  Papa  sarà  eletto  dal  Concilio.  Le  Chiese  saranno  tutte 
padrone  in  casa  loro  :  ma  il  cattolicismo  sarà  preservato  :  anzi  gli  scismi 
non  avranno  così  più  ragione  di  essere.  »  Vede  ognuno  quanto  sia  vicino 
ad  essere  approvato  dal  Concilio  ecumenico  un  sì  bello  stato  di  cose 
nuove.  L'altra  cosa  maravigliosa  di  questo  opuscolo  e  a  pag.  lui,  dove 
l'autore  ha  preso  per  una  Bolla  papale  un  articolo  della  Civiltà  Cattolica, 
dove  si  loda  giustamente  la  Francia  per  aver  conservato  negli  Slati  del 
Papa  una  sua  guarnigione  di  truppe,  che  assicura  al  Concilio  la  sua  li- 
bertà. Ma  basta  così:  un'altra  volta  ci  sbrigheremo  d'un  altro  l'ascio  di 
librettucciacci  tedeschi  ed  inglesi. 

IH. 

NOTIZIE  VARIE 

lì  Breve  del  S.  Padre  al  Clero  italiano  —  2.  Altre  dimostrazioni  del  Clero 
italiano  —  3.  Breve  pontificio  alla  cittadinanza  di  Napoli  —  L  Lettere 
del  Papa  alle  dimostrazioni  dei  fedeli  —  5.  Udienza  data  agli  Stenografi 
del  Concilio  —  6.  Protestazione  dell'Emo  Card.  Guidi  —  7.  La  Rivisiti 
Universale  ed  il  Clero  genovese  —  8.  Indirizzo  del  Clero  di  Praga  al  suo 
Arcivescovo  —  9.  Soccorsi  da  parte  dei  Vescovi  ai  cattolici  di  Pera. 

1.  «  Nella  fausta  ricorrenza,  dice  il  Giornale  di  Roma  n.°  142  del  25 
Giugno,  della  Coronazione  del  Santo  Padre,  il  eh.  direttore  del  giornale 
l' Unità  Cattolica  di  Torino,  ha  mandato  a  deporre  ai  piedi  della  Santità 
Sua,  col  mezzo  del  signor  commendatore  Stefano  Margotti,  la  somma  di 
lire  ottantatremila  settecento  ottantacinque,  ed  alquanti  oggetti  preziosi, 
che  per  la  soscrizione  in  omaggio  ed  aiuto  al  Concilio  ecumenico  vali- 
cano inviaronsi  al  suo  ufficio  nel  passato  Maggio  e  nel  corrente  Giugno. 
L'offerta  proviene  dalle  largizioni  che,  dietro  l'idea  manifestatane  nel- 
l'effemeride stessa  dal  sacerdote  Antonio  Garbagni,  il  clero  della  nostra 
penisola  si  die  premura  di  contribuire,  dirizzando  il  volontario  dono  del 
suo  obolo,  allo  scopo  altissimo  di  concorrere  nelle  spese  richieste  dalla 
celebrazione  del  Concilio  vaticano.  Questo  atto  di  generosità  che  in  ogni 
tempo  sarebbe  stato  meritevole  di  encomio,  supera  ogni  elogio  di  questi 
giorni,  in  cui  l'atto  medesimo  veste  il  carattere  di  sagrificio  per  le  la- 
grimevoli  condizioni  alle  quali  il  clero  trovasi  ridotto  in  Italia.  E  non  è 
a  dire  quanto  allo  zelo,  col  (piale  si  sforzano  quei  sacerdoti  di  aiutare 
l'augusto  Capo  della  Chiesa  cattolica,  cresca  onore  l'accompagnar  che 
fanno  le  offerte  con  le  più  solenni  proteste  della  profonda  devozione  alla 
cattedra  di  Pietro;  proteste,  che  raccolte  in  grandissimo  numero  per 
ogni  contrada  d'Italia,  il  benemerito  direttore  dell  Mica  in- 

tende pubblicare  per  le  stampe,  e  ne  tiene  già  in  pronto  un  volume, 
presentato  pure  al  trono  pontificio  insieme  agli  autograli  delle  proteste, 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  223 

i  quali  cresceranno  la  mole  della  immensa  raccolta  formata  dagl'Indirizzi 
ricevuti  dalla  Santità  di  nostro  Signore  nelle  diverse  vicende  del  suo 
glorioso  pontificato.  Il  Santo  Padre,  gratissimo  a  questa  nuova  testimo- 
nianza di  affetto  e  di  ossequio  ricevuta  dal  clero  italiano,  sopra  quanti 
presero  parte  alla  offerta,  e  principalmente  quelli  che  fra  loro  meglio  si 
adoperano  secondo  la  propria  possibilità  a  procurare  ogni  vantaggio  dei 
fedeli,  invoca  la  maggior  copia  di  grazie  celestiali,  e  vuole  che  di  que- 
ste sia  arra  la  benedizione  apostolica  che  loro  a  gran  cuore  impartisce.  » 

Ne  questi  sensi  paternali  si  contentò  di  significare  soltanto  a  voce, 
ma  volle  che  ne  restasse  perpetuo  documento  nella  lettera  che  a  tutto  il 
Clero  italiano  diresse  in  data  dei  27  Giugno,  e  che  noi  trascriviamo  dal 
n.°  151  dell'  Unità  Cattolica.  Es;a  dice  così: 

Dilccti  tilii,  Salutem  et  apostolicam  Benedictionem. 

Volumina  litteramm  vestrarum,  dilecti  filii,  Nos  mirifice  recreant;  cum 
nihil,  quod  maxime  desideremus,  in  iis  non  cospiciamus  evidenter  demon- 
stratum.  Solida  enim  inde  emicat  refutatio  calumniarum,  obsequio  studio- 
que  erga  Nos  vestro  affictarum;  elucet  fìdes  ac  religio  nullo  commota  di- 
scrimine, nullis  fracta  minte  aut  vi,  nullis  aerumnis  infirmata;  splendei 
unitas  mentium  affectuumque  compactissima;  erumpit  amor  tenacior  fa- 
ctus  ac  ferventior  in  dies  ab  aquis  contradictionis.  Isque  adeo  succensum 
se  praebet,  ut  absolutissimae  devotionis  vcstrae  testimonia  ad  Nos  per- 
venire non  patiatur,  nisi  faustissimi^  exornata  votis,  aucta  precum  subsi- 
dio,  et  cumulata  quoque  muneribus  ultro  expressis  ab  ipsa  egestate  ve- 
stra,  quae  caecutientibus  etiam  ostendant  quanta  tangamini  rerum  No- 
strarum  sollicitudine,  et  quo  nisu  suffragari  contendatis  oecumenici  Con- 
cilii  a  Nobis  coacti  provcctui.  Gaudio  autem  ab  hisce  parto  non  medio- 
cre quoque  incrementum  accedit  e  latente  in  officiis  vestris  pii  populi 
sensu;  siquidem  fieri  nequit,  ut  in  tanta  Cleri  totius  italici  concordia, 
populus  iili  obsequens  et  ab  eo  institutus  aliter  afficiatur,  aliterque 
sentiat.  Crebra  certe  communis  huius  animorum  comparationis  ac  di- 
serta testimonia  hahuimus  et  habemus;  veruni  tacitam  eorum  confirma- 
tionem  in  sensibus  vestris  deìitescentem  non  minus  luculentam  merito 
fortasse  arbitramur.  Dum  igitur  maximas  Deo  gratias  agimus,  quod  ita 
consoletur  Nos  in  omni  tribulatione Nostra,  vobis  omnibus  pergratos  te- 
stamur  animi  Nostri  sensus,  eique  nominatim,  qui  primus  de  hoc  sola- 
tio Nobis  comparando  cogitavit ,  et  illi  qui  propositum  istud  Ephemeri- 
de  sua  vulgaTvit,  nec  non  ei  qai  litteris  vestris  eloquenter  et  scite  latina, 
vernaculaque  lìngua  praefari  voluit,  et  illis  qui  religiosissimo  coepto 
vestro  curis  operaque  sua  sunt  adstipulati;  universisque  a  Deo  copiosam 
caritatis  suae  mercedem,  et  secunda  omnia  ac  felicia  adprecamur.  Su- 
perni vero  favoris  auspicem  et  paternae  Nostrae  benevolentiae  testem, 
omnibus  et  singulis  Benedictionem  apostolicam  peramanter  impertimus. 

Datum  Romae  apud  S.  Petrum,  die  27  Iunii  anno  1870.  Pontificatus 
Nostri  anno  vigesimoquinto.  PIUS  PP.  IX. 


224  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

2.  Oltre  alla  manifestazione  fattasi  pervia  di  sottoscrizione  ne\Y  Unità 
Cattolica  dal  clero  italiano,  molte  altre  ve  ne  sono  state  del  medesimo 
clero,  fatte  ossia  di  presenza  in  Roma,  ossia  di  lontano  per  indirizzi  in- 
viati a  Sua  Santità.  Il  clero  d' Italia  pensa  tutto  a  un  modo  nella  sua 
grande  universalità,  e  si  può  affermare  con  verità  che  non  vi  sono  divi- 
sioni intorno  alle  divine  prerogative  dei  successori  di  S.  Pietro.  Se  tut- 
to il  clero  non  ha  nel  modo  stesso  manifestata  questa  sua  credenza,  ciò 
devesi  a  quelle  peculiari  occasioni,  che  ne  sono  mancate  loro  ;  non  a  dif- 
ferenza di  opinioni,  o  languidezza  di  volontà.  Noi  c'intratterremo  di  due 
sole  di  queste  speciali  significazioni:  l'una  fattasi  in  Roma  il  dì  30  Giu- 
gno dai  sacerdoti,  che  trovavansi  in  Roma,  ed  appartenevano  alle  diocesi 
varie  d'Italia:  l'altra  riguardante  il  clero  duna  diocesi  particolare,  quel- 
la di  Pistoia,  che  in  cento  guise  ha  voluto  scuotere  da  se  con  atti  di  aper- 
tissima divozione  alla  S.  Sede  l'ingiuriosa  calunnia,  datagli  sotto  forma 
di  lode,  da  Gabriele  Rossetti,  di  fautore  del  Sinodo  Ricciano.  La  de- 
scrizione di  ambedue  queste  testimonianze  la  desumiamo  dall'  Unità  Cat- 
tolica; la  prima  perchè  essa  ne  dà  la  narrazione  ricevuta  da  chi  faceva- 
no parte;  la  seconda  perchè  la  stessa  Unità  Cattolica  ne  ha  raccolti  i  do- 
cumenti autentici  per  pubblicarli  nei  volumi,  contenenti  le  offerte  del 
clero  italiano. 

Il  30  di  Giugno,  festa  dell'Apostolo  san  Paolo,  ben  duecento  sacerdo- 
ti ebbero  l'onore  d'essere  ricevuti  alle  ore  sei  pomeridiane  dal  nostro 
S.  Padre  Pio  IX.  Era  alla  loro  testa  il  pio  e  modesto  sacerdote  Antonio 
Garbagni  da  Fusignano,  presso  Lugo,  quel  desso  che  con  una  semplice 
lettera,  pubblicata  nell'Unità  Cattolica,  die  moto  alla  sublime  manifesta- 
zione del  Clero  italiano  per  soccorrere  ed  acclamare  l'infallibile  Vicario 
di  Gesù  Cristo.  Pio  IX,  stando  in  piedi  sotto  il  suo  trono,  ebbe  la  bon- 
tà di  udire  attentamente  l'indirizzo  che  a  nome  de' sacerdoti  lesse  il 
molto  reverendo  Garbagni,  ed  era  del  seguente  tenore: 

«  Dall'ultima  terra  de' vostri  temporali  dominii,  o  Realissimo  Padre, 
elevossi  una  voce  d' invito  dell'  ultimo  sacerdote  a  sacerdoti  fratelli  per 
nuova  e  solenne  manifestazione  di  fede,  di  adesione,  di  riverenza  verso 
di  Voi,  in  quello  che  i  Successori  degli  Apostoli,  raccolti  ad  ecumenico 
Concilio,  fanno  a  Voi  in  Vaticano  bellissima  corona.  Manifestazione  che 
fu  efficacemente  propugnata  da  valenti  scrittori  di  dotta  effemeride,  e 
da  tutti  accolta  col  più  vivo  entusiasmo,  e  che  con  unanime  ed  indicibil 
trasporto  mirabilmente  tuttora  si  compie.  In  questo  giorno,  sacro  al 
Dottor  delle  genti,  e  quando  i  devoli  fedeli,  rivolgendo  lo  sguardo  a 
Roma,  aspettano  una  grande  definizione,  noi,  interpreti  dei  voti  de'  no- 
stri fratelli,  siamo  lieti  di  fare  la  confessione  di  nostra  fede;  e  però  con 
un  sol  cuore  vi  preghiamo  e  ad  una  sola  voce  vi  acclamiamo  Icuiitimo 
Successore  del  Beatissimo  Pietro,  Vicario  di  Gesù  Cristo,  organo  viven- 
te dello  Spirito  Santo,  Dottobe  infallibile,  e  del  mistico  ovile  supremo 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  225 

Pastore,  ripetendo  col  Santo  di  Chiaravalle:  Nec  modo  oviam,  sed  et 
Pastorum  tu  unus  omnium  Pastor.  E  confessiamo  altresì  che  Gesù  sem- 
pre provvidentissimo  pose  voi  in  questi  tempi  di  tenebre  Candelabro 
risplendentissimo  sul  monte  santo  di  Dio,  perchè  con  le  vostre  virtù  illu- 
miniate le  menti  a  verità,  ed  i  cuori  a  carità  riscaldiate.  Sì,  voi,  o  Padre 
Santo,  col  vostro  esempio  a  tutti  ed  in  modo  singolarissimo  ripetete  a  cia- 
scuno di  noi:  Inspice  et  fac  secundum  exemplar  quod  monstravit  Ubi  Do- 
minus  in  monte.  Voi  collo  splendore  della  vostra  fede  tenete  salda  la  no- 
stra credenza;  colla  fermezza  della  vostra  speranza  raffermate  in  Dio  Ot- 
timo Massimo  la  nostra  fiducia  ;  e  coir  ardore  della  vostra  immensa  ca- 
rità ci  animate  pel  trionfo  della  Chiesa  e  per  il  bene  de'nostri  fratelli  a 
fare  sacrificio  delle  nostre  sostanze,  ed,  ove  occorra,  della  nostra  vita. 

«  Degnatevi  adunque,  o  grande  Pontefice  e  Re  nostro  desideratissi- 
mo,  gradire  il  vivo  sentimento  e  la  sincera  espressione  della  nostra  de- 
vozione; e,  a  segno  del  vostro  gradimento,  benedite  noi  e  le  nostre  fa- 
miglie; benedite  in  modo  specialissimo  la  gioventù  delle  nostre  città  e 
terre,  affinchè  generazioni  più  virtuose  e  magnanime  allietino  in  un 
prossimo  avvenire  la  Chiesa.  E  così  prostrati  al  bacio  dei  vostri  santis- 
simi piedi,  con  animo  riconoscente  esclamiamo:  —  Vivete,  o  Padre 
Santo,  degli  anni  nostri;  vivete  all'amore,  alla  venerazione,  alla  gloria 
di  Roma;  vivete  all'amore,  alla  venerazione,  alla  gloria  del  mondo.  » 

Il  Santo  Padre  si  degnò  tosto  di  rispondere  a  questo  indirizzo;  ed  il 
sacerdote  Antonmaria  Amadei,  presente,  così  scrive  il  sunto  della  sua 
risposta:  «  Sua  Santità  esternò  il  pieno  gradimento  e  dei  sentimenti 
espressi  e  delle  offerte  fatte  dal  Clero  italiano.  Aggiunse  colla  consueta 
sua  facondia  ed  unzione  tutta  celeste  parole  di  esortazione  e  di  incorag- 
giamento ad  imitare  le  virtù  precipue  addimostrate  dai  tre  Santi  di  cui 
s'erano  celebrate  in  pochi  giorni  le  feste:  di  S.  Pietro  la  fede,  di  S.  Pao- 
lo Io  zelo,  del  precursore  S.  Giovanni  Battista  il  distacco  dalle  terrene 
cose.  Quindi,  profondamente  commosso,  impartiva  a  tutti  l'apostolica  be- 
nedizione; ed  a  riceverla  tutti  ad  un  tempo  compresi  dalla  venerazione 
della  suprema  autorità  del  Pontefice,  si  prostrarono  non  senza  lagrime 
di  consolazione  e  di  giubilo.  Appena  ebbe  il  Santo  Padre  lasciata  la  gran 
sala,  ad  un  semplice  mio  invito  fatto  ai  rimasti  in  essa  di  sottoscrivere 
l'indirizzo,  non  solo  si  prestarono  di  tutto  l'animo  a  firmarlo,  ma  volle- 
ro aggiungere  l'obolo,  talché  si  potè  poscia  presentare  al  Pontefice  una 
non  tenue  somma.  Anzi  meritano  speciale  menzione  e  un  sacerdote  che 
volle  per  modestia  tacere  il  proprio  nome,  che  offerse  il  suo  orologio  di 
oro,  ed  il  parroco  di  Bruzierchi,  diocesi  di  Tortona,  che  per  parte  sua  e 
della  parrocchia  offriva  lire  190,  » 

Fin  qui  YUnità  Cattolica  dei  6  Luglio  intorno  all'udienza  data  da  Sua 
Santità  ai  sacerdoti  italiani,  che  trovaronsi  quel  dì  di  p;issagg:o  in  Ro- 
ma. Nel  n.°  dei  6  Luglio  lo  stesso  giornale  descrive  la  divozione  del 
Serie  Y1I,  voi  XI,  fase.  488.  15  9  Luglio  1870. 


2£6  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

Clero  pistoiese  ai  romani  Pontefici  in  questi  termini:  «  La  storia  con- 
temporanea dice  che  il  Clero  pistoiese  non  fu  secondo  a  nessuno  nel 
manifestare  coi  fatti  e  colle  parole  il  suo  immenso  affetto  pel  Sovrano 
Pontefice.  Non  è  questa  la  prima  volta  che  esso  spedisce  collettivamen- 
te il  suo  obolo;  lo  ha  spedito  nel  1867  con  un  affettuoso  indirizzo  al 
Santo  Padre  per  ringraziarlo  d'avergli  dato  a  Vescovo  quel  dottissimo 
e  venerando  Prelato  che  è  monsignore  Bindi;  lo  ha  spedito  di  poi  quan- 
do Monsignore  andò  a  Roma  pel  Centenario  di  san  Pietro  ;  ha  inviato 
di  nuovo  non  piccole  offerte  unite  ad  un  indirizzo  di  perfetta  adesione 
alle  decisioni  tutte  del  sacro  Concilio,  facendo  voti  per  V  infallibilità 
quando  Monsignor  Vescovo  partiva  per  Roma  ;  e  finalmente  V  ultima 
offerta  e  protesta  già  pubblicata.  E  noi  sappiamo  che  monsignor  Bindi 
ha  avuto  assai  congratulazioni  per  la  sottoscrizione  del  suo  Clero ,  che 
è  stata  così  splendida  e  generosa. 

«  Laonde  noi,  pieni  di  rispetto  e  venerazione  per  qnc1  sacerdoti,  oltre 
al  battere  loro  le  mani,  li  presentiamo  come  modello  di  fermezza  nel  re- 
sistere a  mille  pericoli,  di  affetto  irremovibile  alla  Santa  Sede  ed  al  ro- 
mano Pontefice,  di  costantissima  unione  col  proprio  Pastore,  a  cui  il 
Clero  pistoiese,  quando  venne  spogliato,  offriva  tutto  il  suo  avere. 
E  vorremmo  suscitare  una  nobile  gara  fra  i  Cleri  delle  diverse  Diocesi 
italiane,  sicché  facessero  l'un  l'altro  a  chi  può  superarsi  nello  zelo  per 
la  fede,  nel  culto  delle  scienze  e  delle  lettere,  e  nell'amore  e  nell'osse- 
quio al  Vicario  di  Gesù  Cristo.  » 

3.  Questo  nobile  esempio  del  clero  d'Italia  fu,  com'era  da  aspettarsi, 
seguitato  dalla  cittadinanza.  Le  offerte  presentate  a  Sua  Santità  in  omag- 
gio del  Concilio  Vaticano  da  ogni  ordine  di  persone  sono  moltissime,  e 
giunte  alle  mani  del  Papa  per  mille  vie.  Non  è  possibile  ristringere  nel 
piccolo  spazio  che  ci  è  consentito  quanto  risguarda  tal  punto.  Sceglia- 
mo però  un  fatto  solo,  e  lo  riportiamo  colle  parole  medesime,  onde  lo 
narra  Y Unità  Callolicd  nel  suo  n.°  dei  23  Giugno,  perchè  serva  di  sag- 
gio insieme  di  quanto  è  avvenuto  con  altre  dimostrazioni  di  questo  ge- 
nere, di  esempio  degno  d' imitazione  e  di  lode  meritata  da  coloro  che 
vi  contribuirono.  Trattasi  dell'offerta  d'una  somma,  e  d'un  albo  pre- 
sentato il  dì  28  Maggio  a  Sua  Santità  in  nome  di  moltissimi  cittadini  di 
Napoli  da  una  deputazione,  venuta  espressamente  in  Roma.  «  L'Albo. 
dice  il  giornale,  bellissimo  lavoro  del  rinomato  artista  napoletano  si- 
gnor Tagliaferri,  è  tutto  legato  in  velluto  colore  azzuro  e  in  tartaru- 
ga. Ha  il  dosso  in  velluto  con  lettere  lapidarie  —  Napoli,  1 869.  —  Le 
copertine  sono  formate  da  due  bellissime  tavole  di  tartaruga  con  istri- 
sce  di  velluto,  che  a  ino'  di  cornice  le  riquadrano;  e  siili*  un  de"  lati  vi 
si  vede  in  rilievo  lo  stemma  papale,  ritratto  da  un  magnifico  disegno 
del  Michelangelo  eh'  e  in  Campidoglio,  e  mirabilmente  scolpito  in  tarta- 
roga.  Il  fermaglio,  ancora  di  tartaruga,  venne  modellalo  su  quello  di 


COSE  SPETTASTI  AL  COTsCILIO  227 

alcuni  antichi  codici  patrii.  Al  di  dentro  si  vollero  posti  i  colori  papali, 
seta  bianca  e  caratteri  dorati.  L'iscrizione  che  vi  si  legge  è  questa: 

«  Alla  Santità  —  Di  N.  S.  Pio  Papa  IX  —  I  Napoletani  —  Da  Pietro 
rigenerati  alla  Chiesa  di  Gesù  Cristo  —  Ed  eruditi  ali1  amore  della  ro- 
mana Sede  —  Maestra  infallibile  di  verità  —  Tra  le  ire  e  le  lotte  dello 
errore  —  A  testimonianza  di  fede  cattolica  —  In  omaggio  del  Concilio 
Vaticano  —  Offrono  devotissimi  —  Lire  27,271.  —  Vili  Dicembre 
MDCCCLXIX.  » 

lì  24  Maggio  corrente  i  signori  principe  Piguatellì  Monteroduni,  mar- 
chese del  Pezzo  de  Simone,  Francesco  de1  Rogati,  Carlo  Greco-Sozzoli- 
no,  Ludovico  Ricciardi,  Gaetano  Ferri-Pegnalver  e  Giuseppe  Carigna- 
ni,  deputati  dalla  Commissione,  ebbero  l'onore  di  essere  presentati  dal 
Cardinale  Arcivescovo  di  Napoli  a  Sua  Santità.  L' Eminentissimo  lesse 
il  seguente  indirizzo  : 

«  Beatissimo  Padre.  In  mezzo  a  tante  pruove  d'ubbidienza  e  d'amore 
che  la  Santità  Vostra  riceve  da  tutte  le  città,  noi  siamo  lietissimi  di  po- 
ter oggi  deporre  ai  piedi  di  Vostra  Santità  l'Albo  della  sempre  cattolica 
città  di  Napoli.  Ma,  se  esulta  il  cuor  nostro  nel  Signore  di  aver  potuto 
rendere  questo  tributo  d'affetto  e  d'amore  alla  Santa  Sede,  viemaggior- 
mente  esulterà,  se  noi  potessimo  ritornare  nel  seno  delle  nostre  fami- 
glie colla  benedizione  di  Vostra  Santità.  Voglia  pertanto  da  quest'alma 
città  di  Roma,  da  questa  Cattedra  infallibile  di  veri  tea,  da  questo  gran 
Faro  che  si  eleva  maestoso  su  l'abisso  di  tanti  errori,  voglia  la  Santità 
Vostra  volgere  la  mente  a  Napoli,  e  benedire  in  essa  tutti,  ma  in  ispe- 
cial  modo  coloro  che  vollero  che  il  loro  nome  ed  il  loro  obolo  fc^se  da 
noi  deposto  ai  piedi  di  Vostra  Santità,  a  testimonianza  di  fede  cattolica, 
in  omaggio  del  Concilio  Vaticano.  » 

Sua  Santità,  dopo  aver  esaminato  l'Albo,  rispose  presso  a  poco  que- 
ste parole,  che  ci  venne  dato  raccogliere  :  «  Sì,  è  vero,  Napoli  ha  dato 
sempre  pruove  di  affetto  alla  Santa  Sede  ed  al  Vicario  di  Cristo,  né  ho 
certo  dimenticato  l'accoglienza  che  m'ebbi  ne'giorni  che  fui  colà.  Ed  io 
fin  d'allora  quotidianamente  prego  per  essa  Iddio  che  le  dia  pace.  Simi- 
li pruove  ricevo  da  tutte  le  parti,  e  que'  doni  che  sono  su  que'  tavoli 
(si  era  nella  piccola  biblioteca)  ne  fanno  testimonianza.  »  Poi  soggiun- 
se :  «  Iddio  benedica  tutti  voi,  le  vostre  famiglie,  le  vostre  opere  e  tut- 
ti gli  oblatori.  » 

Questi  sensi  e  questa  benedizione  vennero  poscia  confermati  dalla  se- 
guente lettera,  che  pose  il  colmo  alla  consolazione  di  quanti  concorsero 
a  quell'atto  di  liliale  devozione: 

PIUS  PP.  IX. 

Dilecti  fìlii,  Salutem  et  apostolicam  Benedictionem. 
Crebra,  quae  Nobis  exhibuistis,  Neapolitanorum  nomina  Albo  inserì- 
pta,  et  munus  ex  communi  collatione  ei  additum,  cum  luculentam  prae- 


"228  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

ferrcnt  significationem  antiqnae  [idei,  quae  per  difficilia  haec  tempora  vi- 
get  apud  vos  et  cónstantis  obsequii  absolutaeque  devotionis  erga  banc 
Petri  Sedem,  animimi  Nostrum,  quotidie  contristatami  a  pertinaci  impie- 
iatìs  ausu,  sensus  hosce  obliterare  nitenlis,  non  mediocri  ter  recrearunt. 
Quamobrem  siculi  vobis,  qui  ad  Nos  accessistis  oblaturi  monumentimi 
istud  observantiae  caritatisque  communis  ,  gratum  aniroum  Nostrum  e- 
nunciavimus;  sic  omnibus,  qui,  dato  nomine,  collalaque  stipe,  filialem 
pietatem  suam  Nobis  lestatam  fecerunt,  exploratum  esse  cupimus, 
quam  accepta  Nobis  sint  huiusmodi  officia,  quae  populorum  obsequium 
et  studium  in  comm imeni  fidelium  parentem  referentia,  catbolicae  uni- 
tatis  ampli tudinem  et  vigorem  mirifico  ostendunt.  Universis  itaque,  qui 
in  Nobis  ei,  cuius  vices  gerimus  in  terris,  honorem  et  obsequium  defer- 
re  voluerunt,  copiosam  (idei  caritatisque  suae  mercedem  adprecamur; 
et  divini  favoris  auspicem  paternaeque  nostrae  benevolentiae  pignus 
singulis,  sicut  et  vobis,  apostolicam  Benedictionem  peramanter  imper- 
timus.  Datum  Romae  apud  sanctum  Petrum,  die  9  Iunii,  anno  1870. 
Pon'.ifìcatus  Nostri  anno  vigesimoquarto.  PIUS  PP.  IX. 

4.  Ci  è  impossibile  il  venir  riportando  tutti  gl'indirizzi  che  dalle  di- 
verse parti  dal  mondo  giungono  a  Sua  Santità  dai  fedeli,  per  testi- 
moniare la  loro  ferma  credenza  nell'infallibilità  della  Cattedra  di  Pie- 
tro. I  giornali  quotidiani  che  sogliono  riferirli,  benché  ristretti  d'or- 
dinario ai  soli  loro  connazionali,  empiono  da  qualche  tempo  ogni  dì 
parecchie  delie  loro  colonne.  Noi  siamo  dunque  costretti  dalla  troppa 
vastità  della  materia  a  rimandare  ad  essi  i  nostri  lettori  :  e  special- 
mente sWUnivers  per  la  Francia,  ed  n\Y  Unità  Cattolica  per  V  Italia.  Non 
possiamo  però  passarci  ugualmente  dal  riferire  alcune  almeno  delle 
risposte  che  Sua  Santità  si  è  degnata  di  fare  a  quest'indirizzi,  perla 
testimonianza  che  esse  recano  alla  verità,  che  da  alcuni  tristi  gior- 
nali suolsi  da  un  pezzo  offuscare  di  sofismi  e  di  cavilli. 

Merita  il  primo  luogo,  sebbene  di  data  più  recente  delle  altre,  il 
Breve  che  il  Santo  Padre  ha  diretto  al  Clero  ed  al  popolo  di  Marsi- 
glia. Tutti  sanno  quali  delicatissime  difficoltà  impedivano  a  quella  po- 
polazione la  manifestazione  splendida  della  loro  credenza  nella  infal- 
libilità dei  Pontefici,  insegnanti  alla  Chiesa  universale  la  verità  cat- 
tolica ex  cathedra.  Ora,  per  uffici i  iniziati  dall'egregio  signor  barone 
De  Roux,  quelle  difficoltà  vennero  superate,  ed  una  calda  e  chiarissi- 
ma professione  di  fede  venne  sottoscritta  da  tre  dei  quattro  Vicarii 
generali,  da  tutto  il  Capitolo,  dai  parrochi  e  dal  clero  della  città,  non 
che  da  migliaia  e  migliaia  di  fedeli,  appartenenti  ad  ogni  ordine  di 
persone,  e  specialmente  alla  classe  più  elevata  della  cittadinanza.  L'in- 
dirizzo fu  portato  a  Roma,  e  presentato  a  Sua  Santità  dallo  stesso  ba- 
rone de  Roux,  incaricato  a  tal  onorevole  missione  dal  Clero  stesso  e 
dal  popolo;  il  quale  venne  accolto  dal  Santo  Padre  colle  più  paternali 
significazioni  di  gradimento,  e  dalla  stessa  Santità  Sua  incaricato  di 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  229 

esprimerne  i  sensi  di  approvazione  a  quanti  aveano  sottoscritto  a  quel- 
l'indirizzo. Fugli  inoltre  consegnato  un  Breve  di  risposta  alla  città  di 
Marsiglia,  che  noi  qui  riportiamo  nel  suo  testo  latino. 

Dilectis  film  Vicariis  Gmeralibus,  Canonicis  Cathedralis  Ecclesiae, 
Cleroque  et  Populo  Massiliensi,  Massiliam. 

Dilecti  filii,  Salutem  et  apostolicam  Benedictionem.  Ea  trepidis  in  ad- 
iunctis  ditionis  nostrae  exceperamus  amoris  et  devotionis  pignora  a  re- 
ligiosissima hac  urbe  et  dioecesi,  ut  minime  dubitaremus,  quin  ipsa, 
dum  nonnulli  diversis  distrahuntur  opinioni  bus,  sententiam  foveret,  di- 
vinis  huius  Sanctae  Sedis  praerogativis  obsequentiorem.  At  certe  nequi- 
vimus  alacritatem  non  mirari,  qua  Clerus  omnis,  plerique  e  proceribus, 
et  magna  populi  pars  turmatim  nomina  sua,  Albo  Nobis  per  dilectum 
filium,  egregium  Baronem  de  Roux,  exhibito  adscribere  voluerunt,  ut 
aperte  testarentur,  qua  Nos  prosequereiitur  filiali  dilectione  et  obser- 
vantia,  et  quanta  fide  tenerent  ae  venerarentur  in  Nobis  omnia  et  sin- 
gula  privilegia  Petro  largita  a  Christo  Domino,  in  utilitatem  Ecclesiae. 
Celeritas  ipsa,  qua  tanti  molimi nis  res  perfecta  fuit,  siculi  luculenter 
ostendit  quam  alte  insiderent  animis  proeliti  sensus,  sic  praestantiorem 
fecit,  Nobisque  iucundiorem  nobiiissimam  hanc  significationem.  In  qua 
sane  studium  animadvertimus  ea  urbe  dignum,  quae  ab  ipso  Christia- 
narum  rerum  exordio  per  fusa  fuit  evangelii  lumine,  quaeque  suis  mocni- 
bus  excepisse  fertur  amicura  Christi,  miramque  et  piane  caelestem  vitam 
diu  suspexisse  illius  quae  diexit  multum,  et  in  eius  sodalibus  iam  tum 
habuisse  specimen  quoddam  coenobiticae  vitae.  Quae  sane  avitae  (idei  et 
caritatis  commendatio  eo  splendidior  fulget  in  vobis,  quod  néc  convel- 
li, nec  restingui,  nec  infirmari  potuerit  vel  a  saevissimis  diuturnisque 
praeteriti  saeculi  perturbationibus,  vel  a  crebris  commotionibus  aevi 
huius  nostri,  vel  a  pericolosa  convenarum  totius  orbis  consuetudine  in- 
vecta  a  florentissimo  commercio,  vel  demum  a  perenni  bus  et  callidis 
Ecclesiae  osorum  machinationibus.  Quamobrem  dum  laeti  excipimus  Ili- 
culentum  istud  religiosi  affectus  vestri  testimonium,  gratulamur  vobis, 
quod  gloriam  ita  custodiatis  ac  exornetis  patriae  vestrae,  quae  primo- 
genita Ecclesiae  filia  appellari  meruit,  ac  nemini  secundos  esse  conten- 
datis  in  observantia  et  amore  erga  hanc  Petri  Cathedram,  quam  nobi- 
liores  ex  Imperatoribus  et  Regibus  vestris  omni  prosequi  officio,  omni- 
que  ope  iuvare  honori  sibi  duxerunt.  Deus  vobis  semper  propitiusadsit, 
avertata  patria  vestra  errorum  omnium  insidias  et  detrimenta,  confir- 
met  fidem  vestram  et  caritatem  augeat,  vosque  suis  omnibus  muneribus 
affatim  accumulet.  Nos  grati  animi  sensu  perciti  haec  vobis  adpreca- 
.  mur,  dum  superni  favoris  auspicem  nostraeque  paternae  benevolentiae 
testem  Apostolicam  Benedictionem  vobis  omnibus  peramanter  imper- 
timus.  Datum  Romae  apud  S.  Petrum,  die  27  lunii  anno  1870.  Pontili- 
catus  nostri  anno  vigesimoquinto.  P1US  PP.  IX. 


230  COSE  SPETTAMI  AL  CONCILIO 

Una  pari  devozione  avea  già  prima  dimostrato  il  clero  della  diocesi  di 
Saint-Brieue,  dirigendo  a  Sua  Santità,  in  un  bell'Indirizzo,  la  l'erma  si- 
gnificazione della  sua  fede  nel  domina  dell1  infallibilità  pontificia.  In  ap- 
provazione di  quest'atto  ebbesi  dal  S.  Padre  la  seguente  lettera  iu  for- 
ma di  Breve,  che  noi  copiamo  dal  Monde,  che  lo  stampò  nel  nnm.  dei 
23  Giugno  1870. 

Dilecti  filii,  Salutem  et  apostoticam  Benedictionem. 

Consensi!  vestro  in  rctinenda  antiqua  Galliarum  fide,  quoad  divinas 
Petri  eiusque  successorum  praerogativas,  votoque  communi  lucidioris 
et  firmioris  earumdem  declarationis  ila  delectati  sumus,  ut  face  re  ne- 
queamus  quin  commcndemus  religionem  vestram,  eamque  prudcutiam 
vere  christianam,  qua  illustrati  in  (irmi tate  iimdamenti  solidi tatem 
agnoscitis  aedilieii,  et  in  virlute  ac  decore  capiti»  rubar  et  honorem  cor- 
poris.  Paterno  itaque  alTeclu  cxcepimus  ofiicia  vestra,  quac  praesiantio- 
ra  quoque  facta  esse  censaimus  a  tcmporum  adiunctis;  vicemque  rei 
filiali  cavitati  vestrae  copiosa  graliae  coelestis  auxilia  et  omnia  fausta 
vobis  adprecali  sumus.  Àuspicem  vero  divini  favoris,  paternaeque  No- 
strae  benevolentiae  et  grati  animi  pignus  apostolicam  Benedictionem  vo- 
bis peramanter  impertimus.Datum  Bomae  apud  sauctum  Petrum,  die  2 
lunii,  anno  1870.  Pontificatus  Nostri  anno  vicesimo  quarto.  PLUS  PP.  IX. 

Nulla  però  è  più  valevole  ad  attestare  la  copia  di  queste  adesioni  dei 
fedeli  alla  ere  :enza  dell'  infallibilità  pontificia,  quanta  la  lettera  che  qui 
riportiamo  tradotta  dal  testo  francese,  stampato  nel  n.°  dei  20  Giugno 
nel  giornale  Le  Monde.  Essa  è  scritta  a  nome  di  Sua  Santità  al  .Nunzio 
di  Parigi;  e  suona  coù. 

«  Illustrissimo  e  Reverendissimo  Signore.  Sua  Santità  riceve  ogni 
giorno  da  tutti  i  punti,  e  particolarmente  dalla  Francia,  degF  indrizzi, 
ne1  quali  s'afferma  la  credenza  all' infallibilità  dei  Papi  nelle  definizioni 
ex  cathedra,  intorno  alla  fede  e  ai  costumi,  e  dove  si  domanda  istan- 
temente che  questo  prhile,  io,  conceduto  per  il  bene  della  Chiesa  al  suo 
supremo  Gerarca,  nella  persona  del  Principe  degli  Apostoli,  aia  eretto 
a  domma  di  fede.  Il  S.  Padre  non  può  che  rallegrarsi  nel 
pia  dottrina,  cui  per  tanti  secoli  nessuno  metteva  in  dubbio,  così  aper- 
tamente affermata  oggi  e  diffusa  nel  clero  e  popolo  cristiano.  Per  questa 
ragione  egli  si  è  degnato  rispondere  con  paiole  di  riconoscenza  a  un 
grandissimo  numero  di  queste  manifestazioni  ;  ma  c>se  si  moltiplicano 
di  tal  guisa,  che  diviene  del  tutto  impossibile  di  rendere  in  particolare 
la  testimonianza  che  merita  a  ciascuno  dei  corpi,  a  ciascuna  delle  riu- 
nioni, la  cui  pieià  offre  queste  umili  suppliche. 

«  Pur  tuttavia  volendo  dare  soddisfazione  in  qui!1  la  alla  sua 

affezione  paterna  verso  tutti,  e  far  conoscere  in  quale  stima  e;:li  abbia 
queste  testimonianze  di  fede  e  di  devozione,  il  Snulo  Padre,  per  mez- 
zo del  sottoscritto  Segretario,  incarica  V.  Signoria  Illma  e  lima  di 


COSE  SPETTAMI  AL  CONCILIO  231 

prendere  i  mezzi  opportuni,  aftinché  il  clero  di  Francia  sappia  quanto 
riescano  graditi  a  Sua  Santità  questi  pegni  di  filiale  attaccamento,  e  nel 
medesimo  tempo  perchè  tutti  siano  assicurati  che  essa  fa  tenere  esat- 
tamente conto  di  questi  indirizzi,  splendide  manifestazioni  del  sentimen- 
to della  famiglia  cattolica,  da  coloro  che  sono  incaricati  di  mettere  in  or- 
dine, e  conservare  tutto  ciò  che  si  riferisce  alle  materie,  in  cui  si  occupa 
il  sacro  Concilio  ecumenico. 

«  Il  sottoscritto,  nell'alto  di  compiere  l'ordine  ricevuto,  gode  di  avere 
questa  occasione  d1  offrire  a  V.  S.  Iìlma  e  Rina  Y  omaggio  della  sua  pie- 
na venerazione  e  di  segnarsi; 

«  Di  Vostra  Signoria  Illffia  e  Rffia,  Uffio  e  devotissimo  servitore,  Fran- 
cesco Meìxurelli,  Segretario  dei  Brevi  ai  Principi.  » 

5.  La  sera  del  1  Luglio  il  Santo  Padre  volle,  in  una  guisa  del  tut- 
to splendida  e  paterna  a  un  tempo,  premiare  le  fatiche  intelligenti  e  in- 
defesse sostenute  finora  dal  corpo  stenogratico  del  Concilio.  I  nostri  let- 
tori già  sanno  che  a  tal  ufficio  vennero  destinati  i  più  eletti  giovani  stu- 
denti di  Teologia  dei  seminarli  ecclesiastici,  italiani  e  stranieri,  che  so- 
no in  Roma,  i  quali  per  alquanti  mesi  prima  dell'apertura  del  Concilio 
attesero  con  molta  cura  ad  apprendere  quella  non  facile  arte  sotto  la  di- 
rezione del  eh.  abb.  Marchese,  prescelto  a  dirigere  questo  importante 
ufficio  del  Concilio.  Essi  non  ricevono  mercede  alcuna  dall'assidua  loro 
fatica,  e  pur  la  sostengono  con  tanto  zelo,  che  sarebbe  difficile  di  ottener 
meglio  dai  più  provetti  stenografi.  Or  volendo  Sua  Santità  dar  loro  un 
segno  dell'alto  suo  gradimento,  li  fece  invitar  tutti  per  le  ore  sei  pome- 
ridiane di  quel  dì  nei  suoi  appartamenti.  Radunatisi  tutti  i  ventiquattro 
che  essi  sono,  col  loro  direttore  alla  testa,  nella  sala  della  Biblioteca  pri- 
vata del  Santo  Padre,  vennero  presentati  a  Sua  Santità  da  mons.  Fess- 
ler  segretario  del  Concilio,  accompagnato  da  mons.  Iacobini  sottosegre- 
tario, e  quindi  ammessi  al  bacio  del  sacro  piede.  Il  Santo  Padre  rivolse 
loro  parole  amorevolissime  d'incoraggiamento  e  di  approvazione,  e  s'in- 
trattenne con  essi  con  paterna  amorevolezza,  lodandoli  della  loro  dili- 
genza e  capacità.  Indi  fece  loro  servire  un  copioso  e  nobile  rinfresco, 
seguitando  a  favellar  con  l'uno  o  l'altro  di  essi  molto  alla  domestica,  co- 
me padre  farebbe  in  mezzo  ai  suoi  figliuoli  un  dì  di  festa.  Lietissimi  di 
tanto  onore,  con  tanta  clemenza  impartito  loro,  erano  quei  giovani  levi- 
ti :  ma  sorpresa  maggiore  ancora  li  attendeva.  Imperocché  il  Santo  Pa- 
dre fece  in  quel  mezzo  di  tempo  avvicinare  due  suoi  nipotini,  gentilissi- 
mi giovanetti,  alunni  dell'almo  Collegio  Capranicese,  e  date  ai  medesimi 
due  borse  di  magnifico  ricamo,  contenenti  ciascuna  dodici  numeri,  pre- 
scrisse che  si  tenessero  quivi  fermi  con  quella  borsa  in  mano.  Avea  es- 
so, soggiunse,  ideata  una  lotteria,  e  destinato  ad  ogni  numero  un  pre- 
mio :  volea  vedere  come  la  sorte  verrebbe  a  distribuirli.  Infatti  sopra 
una  gran  tavola  circolare  erano  disposti  ventiquattro  premii,  consistenti 


232  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

per  la  maggior  parte  in  opere  ecclesiastiche  di  gran  pregio,  e  nobilmente 
legate,  portanti  ciascuna  un  numero  progressivo.  Fattisi  quindi  appres- 
sare ad  uno  ad  uno  ciascuno  degli  stenografi,  questi  estraevano  il  numero 
che  presentavano  al  Santo  Padre,  e  ricevevano  da  mons.  Maggiordomo 
il  premio  indicato  dalla  sorte.  Sua  Santità  intanto  rivolgeva  successiva- 
mente a  ciascheduno  parole  piene  di  benignità,  e  adatte  o  alla  nazione, 
o  alla  diocesi,  o  anche  alla  persona  loro.  Finita  una  tale  distribuzione, 
monsignor  Fessler,  prima  di  ricevere  commiato  dal  Santo  Padre,  gli 
espresse  la  soddisfazione  dei  Cardinali  Presidenti  e  dei  Padri  del  Conci- 
lio pel  servigio  lodevole  prestato  dagli  stenografi:  e  il  Papa  disse  che 
già  n'era  informato,  e  fece  dono  al  Direttore  dei  medesimi  d'un  magni- 
fico e  bel  calice  d'argento.  Benedettili  poscia  tutti,  amorevolmente  li 
congedò,  lasciando  in  essi  la  più  soave  impressione  di  quelle  ore  che  fra 
le  immense  sue  cure  spese  con  loro,  e  della  benevolenza  onde  si  degnò 
di  largamente  riconoscere  la  lor  premura  nel  porgere  utile  servigio  al 
Concilio. 

6.  S'  è  fatto  un  grande  spreco  di  calunnie,  di  false  interpretazioni, 
di  congetture  e  di  supposizioni  intorno  a  un  discorso,  tenuto  dall'  Emo 
Card.  Guidi  in  una  delle  ordinarie  assemblee  del  Concilio  Vaticano.  A 
far  cessare  tutto  questo  baccano  intempestivo  e  senza  fondamento,  ba- 
sterà, crediamo,  quel  brano  che  V Ancora,  giornale  bolognese,  pubblica 
nel  suo  n.°  dei  6  Luglio,  e  che  è  estratto  da  una  lettera  scritta  il  1  Lu- 
glio dallo  stesso  Emo  Arcivescovo  a  persona  molto  autorevole.  In  esso 
il  Cardinal  Guidi  così  protestasi,  con  parole  molto  esplicite:  «Non  solo 
posso,  ma  debbo  rassicurarla,  che  nel  mio  discorso  tenuto  al  Concilio 
ho  chiarito,  sostenuto  e  difeso  Y  infallibilità  del  sommo  Pontefice  par- 
lante ex  cathedra,  come  sempre  l'ho  tenuta  e  difesa,  e  terrò  e  difende- 
rò coll'aiuto  di  Dio  fino  alf  ultimo  respiro  della  mia  vita.  Il  venerando 
secreto  del  Concilio  mi  vieta  dire  di  più.  Verrà  tempo,  in  cui  potrò  ma- 
nifestare la  verità  coni'  è  ».  Dopo  questa  professione  così  chiara  della  sua 
credenza,  cesseranno  necessariamente  così  le  lodi  incongrue  che  i  giornali 
rivoluzionarii  tributarono  fin  qui  all'esimio  porporato,  come  le  conse- 
guenze false  che  dalla  falsa  loro  ipotesi  vennero  dedncendo. 

7.  Più  d'una  volta  abbiam  dovuto  mettere  in  sull'avviso  gl'Italiani  so- 
pra lo  spirito  della  Ricista  unicersale  che  si  pubblica  in  Genova  :  e  che 
ha  il  vanto  di  aver  gittato  col  suocattolicismo  liberalesco  il  primo  ger- 
me di  discordia  nella  buona  stampa  d'Italia.  Gli  scrittori  di  quel  pe- 
riodico se  l'ebbero  forte  a  male,  ed  al  solito  di  cotal  gente  respinsero 
quelle  nostre  osservazioni  col  gridarci  uomini  eccessivi,  uomini  di  par- 
te, senza  prudenza,  senza  carità,  e  tirarono  innanzi  nella  mala  lor  via. 
Che  ne  è  avvenuto?  Che  andando  di  male  in  peggio  si  sono  attirati  ad- 
dosso i  biasimi  di  tutto  il  Clero  genovese,  col  lor  superiore  ecclesiastico 
alla  testa.  Ciò  solo  basta  oramai  per  far  formare  un  giudizio  equo  di 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  233 

questa. Rivista:  e  speriamo  molto  più  che  ciò  basterà  agli  scrittori  di 
essa  per  riformarsi  davvero  nelle  idee  e  nei  principii  che  propugnano, 
dando  indirizzo  schiettamente  cattolico  ai  loro  lavori.  Finché  questo  non 
si  avveri,  noi  seguiteremo  a  dire  agl'Italiani  ben  pensanti:  guardatevi 
da  questa  Ricista  che  vi  mescola,  insieme  con  qualche  buon  nutrimento, 
non  picciola  dose  di  veleno.  Ecco  dunque  la  lettera  dì  monsignor  Ma- 
gnasco,  Vicario  capitolare  di  Genova: 

«  IUiTio  sig.  Direttore  dello  Stendardo  Cattolico  di  Genova. 
«  Leggendo  il  n.°  144  dello  Stendardo  vi  ho  trovato  un  articolo  inti- 
tolato: «  Un  articolo  della  Ricista  Universale  »,  effemeride  che  si  stampa 
in  cotesta  città.  Lo  Stendardo  parla  di  cotesto  articolo  della  Rivista,  e 
insieme  di  una  sottoscrizione  che  dice  promuoversi  da  alcuni  del  Clero 
in  forma  di  protesta  contro  di  queir  articolo,  disapprovando  l'una  cosa 
e  l'altra.  Già  a  me  erano  giunti  varii  riclami  da  Genova  a  proposito  di 
queir  articolo:  quindi  mi  feci  un  dovere  di  leggerlo,  e,  a  dir  vero,  rimasi 
addolorato  di  trovarvi  molte  appreziazioni  false  e  calunniose  intorno  a 
ciò  che  avviene  nel  Concilio  Vaticano,  e  irriverenti  verso  la  suprema 
autorità  della  Chiesa;  donde,  trattandosi  di  un  periodico  che  si  profes- 
sa di  esser  cattolico,  e  sostenitore  degli  interessi  della  Religione,  posso- 
no facilmente  ingerirsi  dubbii  nella  mente  de1  fedeli,  ed  esserne  scossa  la 
loro  credenza.  Si  aggiunge,  che  per  la  qualità  de!  periodico  si  dà  a  so- 
spettare che  tra  il  Clero  e  il  popolo  genovese  v'abbiano  di  coloro  che 
parteggiano  per  opinioni,  da  cui  furono  sempre  affatto  alieni  i  nostri 
maggiori,  i  quali  godendo  la  più  intiera  libertà  e  indipendenza  politica, 
mostrarono  costantemente  un  inviolabile  attaccamento  e  rispetto  agli  in- 
segnamenti e  all'  autorità  della  Chiesa  e  della  Santa  Sede.  Ma  non  posso 
neppur  io  approvare  la  supposta  sottoscrizione,  di  cui  però  non  ho  ve- 
runa contezza,  bastando  a  sgombrare  ogni  sospetto  a  carico  del  nostro 
Clero  queir  indirizzo  al  S.  Padre,  che  all'epoca  della  festa  della  SS.  Con- 
cezione nello  scorso  Decembre  venne  sottoscritto  da  tutti  i  RR.  Eccle- 
siastici sì  della  città  che  della  diocesi,  e  che  io  stesso  ebbi  la  sorte  di 
deporre  tra  le  mani  di  S.  Santità.  Nel  quale  indirizzo  si  dichiarava,  che, 
come  nel  1854,  essi  col  più  vivo  desiderio  aspettavano  dall'  infallibile 
oracolo  del  sommo  Pontefice,  la  definizione  di  quell'augusto  privilegio 
della  Madre  di  Dio,  così  al  presente  professavano  anticipatamente  una 
pronta  ed  intera  sommissione  alle  definizioni  e  ai  decreti  del  sacro  Con- 
cilio Araticano. 

«  Le  sarò  ben  grato,  sig.  Direttore,  se  vorrà  inserire  questa  mia  in  un 
prossimo  numero  del  suo  giornale,  e  intanto  godo  protestarmi.  Roma, 
27  Giugno  1870.  Suo  Devino  Servo  i  Salvatore,  Vescovo  di  Bolina, 
Vie.  cap.  di  Genova. 

8.  Si  riferì  dai  giornali  un  indirizzo  dei  sacerdoti  di  Praga  a  sua  Emi- 
nenza il  Card,  di  Schwarzenberg,  e  venne  quindi  accompagnato  da  coni- 


234  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

menti  secondo  le  varie  tinte  del  loro  spirito.  Il  Frischccran  !  di  Praga, 
il  30  dello  scorso  Giugno,  scrive  a  questo  proposito:  non  doversi  ripu- 
tare un  tale  Indirizzo,  quale  atto  di  tutto  il  corpo  de  preti,  ovvero  dei 
curati  di  Praga.  Stanicene  altri  richiesti  della  sottoscrizione,  Y  aves- 
sero assolutamente  rifiutata,  altri  sembrassero  di  sottoscrivere  per  dare 
una  testimonianza  di  ossequio  a  sua  Eminenza,  ed  altri  fermi  nella  vene- 
razione dovuta  al  loro  Pastore  negassero  di  ciò  fare,  stimando  cosa  inop- 
portuna di  avanzare  un  loro  privato  giudizio  in  risguardo  di  una  immi- 
nente decisione  della  Chiesa.  Checche  sia  di  ciò,  il  fatto  è  che  cotesto 
indirizzo  non  è  da  mettersi  al  paro  di  quello  spedito  da  alcuni  professori 
di  quella  stessa  città  al  Dòllinger.  Imperocché  i  sottoscritti  sacerdoti  di 
Praga  rendono  bensì  grazie  a  sua  Eminenza  di  aver  sostenuto  per  inop- 
portuna la  dichiarazione  della  infallibilità  pontificia,  stante  alcuni  peri- 
coli, che  essi  credono  di  scorgervi  ;  ma  nel  medesimo  tempo  dicono  alto 
di  credere  fermamente  nelle  prerogative  del  Papa,  quale  Capo  supremo 
della  Chiesa;  e  protestano  che  non  vogliono  punto  staccarsi  dal  corpo 
della  Chiesa.  Donde  si  capisce,  che  quale  che  siasi  la  loro  presente  opi- 
nione, sono  apparecchiali  a  soggettarsi  fedelmente  ad  ogni  decreto  di 
fede,  che  sarà  per  uscire  dal  Concilio. 

9.  Il  terribile  incendio  che  ha  distrutto  presso  a  cinque  mila  case  a 
Pera,  gittate  sul  lastrico  quasi  ventimila  persone,  e  fattene  perire  altre 
mille,  ha  cagionato  fra  tanti  altri  danni  un  danno  immenso  ai  cattolici,  e 
specialmente  agli  armeni.  Un  pio  pensiero  di  venir  loro  in  aiuto  ha  sug- 
gerito ad  alcuni  dei  Vescovi  radunati  in  Concilio  a  Roma,  di  fare  appel- 
lo alla  carità  dei  cattolici  d'Occidente.  Sonosi  essi  adunque  costituiti  in 
comitato,  ed  hanno  indirizzato  agli  altri  Vescovi  loro  colleghi  la  presen- 
te lettera  circolare,  la  quale  espone  brevemente  la  necessità  che  v1  è  di 
questo  soccorso,  e  il  modo  di  ordinarlo  in  grandi  proporzioni.  Diamo 
qui  la  lettera  stessa,  perchè  si  vegga  come  gf  interessi  delle  Chi  > 
Oriente  stiano  sinceramente  a  cuore  non  solo  ai  Santo  Padre,  ma  eziandio 
a  tutto  l'Episcopato  della  Chiesa  latina. 

«  Monsignore.  —  I  cattolici  di  Costantinopoli  hanno  testi'  -< -ll'erto  un 
immenso  disastro.  Il  grande  incendio  del  li  Giugno,  che  ha  ridotto  in 
cenere  la  più  gran  parte  del  sobborgo  di  Pera,  ha  distrutto  considere- 
voli stabilimenti  religiosi  latini  ed  armeni.  Il  Vicarialo  apostolico  latino, 
la  sua  chiesa  dedicata  a  S.  Giovanni  Crisostomo  sono  in  rovina:  è  una 
grande  pruova  che  colpisce  questo  Vicariato,  già  carico  di  pesi  gravissi- 
mi. Il  Patriarcato  armeno  soprattutto,  il  presbiterio,  la  biblioteca,  la 
stamperia,  il  convento  delle  religiose  armene,  e  molte  case  che  e  istitui- 
vano l'entrata  principale  di  questi  stabilimenti,  furono  preda  delle  fiam- 
me. I  preti,  i  seminaristi,  le  religiose  han  potuto  salvare  appena  le  loro 
persone:  e  un  grftt  numero  di  zitelle  povere,  allieve  delle  : 
trovano  oggi  colle  loro  maestre  senza  tettoie  prive  interamente  di  tutto 


COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO  235 

Così  le  magnifiche  creazioni,  frutto  di  treni'  anni  di  sacrifizii  e  di  fati- 
che, sono  state  distratte  in  poche  ore;  e  poiché  esse  erano  di  una  utilità 
generale  a  tutta  la  nazione  armena,  particolarmente  il  seminario  e  il  con- 
vento delle  religiose,  il  contraccolpo  di  questa  calamità  sarà  risentito  in 
tutta  l'estensione  del  vasto  Patriarcato,  soprattutto  dairopera  delle  Mis- 
sioni dei  nuovi  Convertiti,  che  dava  di  giorno  in  giorno  i  frutti  più  ab- 
bondanti e  le  più  belle  speranze.  A  questa  immensa  sventura  pubblica  bi- 
sogna aggiungere  la  spaventosa  miseria  a  cui  sono  ridotte  numerose 
famiglie,  vittime  del  flagello,  appartenenti  a  tutte  le  classi,  e  per  conse- 
guenza divenute  incapaci  di  porgere  soccorso  ai  bisogni  del  culto  cat- 
tolico. 

«  Il  nostro  Santo  Padre  Pio  IX,  il  cui  gran  cuore  risente  tutti  i  dolori 
de'  suoi  figliuoli,  si  è  commosso,  e  benché  sia  egli  stesso  sostenuto  dalle 
limosine  del  mondo  cattolico,  e  malgrado  dei  forti  pesi  che  aggravano 
il  suo  tesoro,  ha  stesa  la  compassionevole  mano  a  questa  illustre  Chie- 
sa orientale,  figlia  della  Chiesa  romana;  egli  le  ha  mandalo  una  generosa 
limosina  in  denaro,  in  ornamenti  e  in  vasi  sacri.  Egli  ha  benedetta 
Fidea  d'un  appello  alla  carità  dell1  Episcopato  e  dei  fedeli  dell1  Occiden- 
te. Affine  di  assicurare  il  successo  di  questo  pio  atto ,  s1  è  composto 
un  comitato  di  Vescovi  appartenenti  a  tutte  le  nazioni.  Questo  comitato 
s'è  incaricato  di  sollecitare  il  concorso  dell'Episcopato  cattolico  e  di 
supplicarlo  d'interessare  a  questi  opera  la  carità  dei  loro  diocesani. 

«  Abbiamo  ragione  di  sperare  che  i  fedeli  si  faranno  un  dolce  dovere 
di  seguitare  il  lor  Padre,  il  grande  Pio  IX,  nell'opera  che  il  suo  esem- 
pio e  i  suoi  mcoraggiamenii  propongono  alla  loro  carità.  Essi  reche- 
ranno ai  loro  fratelli,  che  soffrono  colpiti  da  sì  crudele  flagello,  un  soccor- 
so efficace,  e  rialzando  colle  lor  mani  questa  lontana  e  nobile  missione, 
daranno  a  tutto  l'Oriente  un  grande  insegnamento.  Poiché  essi  faranno 
risplendere  agli  occhi  delle  nazioni,  fuorviate  dagli  scismi,  la  carità 
universale  che  è  il  carattere  più  lucido  e  popolare  della  vera  Chiesa,  di 
cui  Gesù  Cristo  è  il  Capo,  e  Pio  IX  il  supremo  Pastore  visibile. 

«  Per  tal  fine,  Monsignore,  i  membri  sottosegnali  del  comitato  sup- 
plicano l' Eccellenza  Vostra  di  far  conoscere  ai  fedeli  della  sua  diocesi 
l'immensa  sventura  che  ha  colpito  la  Chiesa  di  Costantinopoli,  e  di  chie- 
der loro  il  soccorso  delle  loro  limosine  in  suo  favore,  ossia  coll'ordi- 
nare  una  colletta  in  ciascuna  parrocchia,  ossia  coli'  organizzare  delle  sot- 
toscrizioni, ossia  coli' impiegare  qualsivoglia  altro  mezzo,  che  il  suo  zelo 
crederà  più  utile. 

«  Luciano  Cardinale  Bonapartc,  presidente— Massimiliano  de  Tarnoczy, 
Arcivescovo  di  Salzhourg  —  Michele  Ledochowski,  Arcivescovo  di  Po- 
sen  e  Gnc.-en  —  Raffaele  Valdivieso,  Arcivescovo  di  S.  Giacomo  del 
Chili  —  Giuseppe  Sant' Alémany,  Arcivescovo  di  S.  Francesco  —  Gre- 
gorio de  Scherr,  Arcivescovo  di  Munich  e  Frisine  —  Patrizio  Leahv, 


236  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

Arcivescovo  di  Cashel  —  Gioacchino  Umberti,  Arcivescovo  di  Firenze 
—  Spiridione  Maddalena,  Arcivescovo  di  Corfù  —  Mariano  Barrio  y 
Fernandez,  Arcivescovo  di  Valenza  —  Carlo  de  la  Tour  d'  Auvergne- 
Lauraguais,  Arcivescovo  di  Bourges  —  Pelagio  de  Lavaslida,  Arcive- 
scovo di  Messico  —  Luigi  Duhreuil,  Arcivescovo  d'Avignone— Martino 
Spalding,  Arcivescovo  di  Baltimora  —  Luigi  Haynald,  Arcivescovo  di 
Colocza  e  Bacs  —  Enrico  Manning,  Arcivescovo  di  Westminster  —  An- 
drea Schoeppman,  Arcivescovo  d'Utrecht—  Giuseppe  Checa,  Arcive- 
scovo di  Quito  —  Carlo  Eyre,  Arcivescovo  d'  Anazarba,  delegato  apo- 
stolico di  Scozia  —  Teodoro  de  Montpellier,  Vescovo  di  Liége  —  An- 
tonio de  Macedo,  Vescovo  di  Belem  di  Para  —  Luigi  di  Canossa,  Ve- 
scovo di  Verona  —  Gaspare  Mermillod,  Vescovo  d1  Hebron,  ausiliare 
di  Genève  —  Edoardo  Howard,  segretario,  prelato  domestico  di  Sua 
Santità. 

«  N.  B.  Le  offerte  raccolte  nelle  diocesi  saranno  spedite  in  un  centro 
solo  a  Roma,  alla  sacra  Congregazione  di  Propaganda,  che  ne  farà  la 
ripartizione  secondo  i  bisogni  speciali,  e  che  più  tardi  farà  un  rendiconto 
delle  somme  ricevute  e  della  loro  distribuzione.  » 

IV. 

CRONACA  DEL  CONCILIO 

1.  Congregazioni  generali  —  2.  Somma  dei  Padri  che  hanno  scritto  o  parlato 
intorno  air  infallibilità  —  3.  Cappelle  papali  —  i.  Partenze  di  Vescovi  e 
loro  devozione  alla  Santa  Sede. 

1.  Come  già  notammo,  non  pare  fatto  senza  consiglio  provvidenziale, 
che  nei  giorni  della  novena  e  dell'ottava  del  Principe  degli  Apostoli, 
presso  la  sua  tomba,  si  dovessero  mettere  in  luce  dai  Padri  del  Concilio 
le  grandi  prerogative  del  suo  primato.  Nella  novena  si  tennero  cinque 
Congregazioni,  ai  20,  22,  23,  25  e  28  di  Giugno,  continuandosi  sem- 
pre la  discussione  sul  capitolo  quarto  dello  schema  della  Costituzione 
dogmatica  intorno  al  Capo  della  Chiesa.  Celebrarono  successivamente 
mons.  Tagliatela,  Arciv.  di  Manfredonia;  mons.  Hagian,  Arciv.  armeno 
di  Cesarea  ;  mons.  Lynch,  Arciv.  di  Toronto  ;  mons.  Euscbidès  Dimi- 
trio,  Arciv.  greco  di  Naplusa,  e  mons.  Arciga,  Arciv.  di  Mecoacan. 

Altre  cinque  Congregazioni  si  tennero  dentro  l'ottava,  ai  30  Giugno, 
e  al  1,  2,  \  e  '\  «Si  Luglio;  e  celebrarono  successivamente,  mons.  Ro- 
tondo, Arciv.  di  Taranto;  mons.  Bostani,  Arciv.  maronita  di  Tiro  e  Si- 
done; mons.  Ilaynahl,  Arciv.  di  Colocza  e  Bacs;  mons.  Ferrigno,  Arciv. 
di  Brindisi,  e  mons.  Ginoulhiac,  Arciv.  di  Lione. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  237 

Nella  Congregazione  del  2  Luglio  i  Rmi  Padri  (ecero  la  votazione  sul 
proemio  e  sopra  i  due  primi  capitoli.  Nella  Congregazione  dei  4  termi- 
narono la  discussione  sul  quarto  capo,  la  quale  si  era  continuata  per  un- 
dici Congregazioni  coi  discorsi  di  oltre  a  cinquanta  Padri,  e  con  grande 
consolazione  di  tutti  fu  recata  a  termine  prima  del  tempo,  avendo  più  di 
cinquanta  altri  Padri,  che  si  erano  iscritti  per  parlare,  rinunziato  spon- 
taneamente al  loro  diritto.  Nella  Congregazione  dei  5  Luglio  si  fece  la 
votazione  sul  terzo  capitolo.  Gita  si  sono  distribuiti  in  istampa  ai  Padri 
tutti  gli  emendamenti  proposti  nella  discussione  del  quarto,  e  si  è  in- 
timata la  Congregazioue  generale  perTll  di  Luglio  per  far  la  votazione 
sopra  ciascuno  di  questi  emendamenti,  dopo  sentito  il  parere  della  Com- 
missione de  fide.  Poi  si  verrà  alla  votazione  finale  di  tutto  insieme  lo 
schema,  prima  di  tener  la  tanto  bramata  quarta  sessione. 

2.  Piacerà  ai  nostri  lettori  di  aver  insieme  sottocchio,  come  può 
ritrarsi  da  fogli,  uno  specchio  di  quanti  ebbero  la  parola  o  la  rinun- 
ziarono  nella  discussione  del  quarto  capitolo. 


15  Giugno  1  Relatore  e  2  Oratori 

18  Giugno  3  Oratori 

20  Giugno  1  Relatore  e  4  Oratori 

22  Giugno  7  Oratori 

23  Giugno  5  Oratori 

25  Giugno  6  Oratori  e  2  rinunziarono 

28  Giugno  6  Oratori 

30  Giugno  6  Oratori  e  2  rinunziarono 

1  Luglio    6  Oratori 

2  Luglio    9  Oratori  e  14  rinunziarono 
4  Luglio    2  Oratori  e  42  rinunziarono. 

Onde  abbiamo  che  56  Padri  parlarono,  oltre  i  2  Relatori  che  parla- 
rono a  nome  della  Commissione;  e  che  di  più  62  Padri  rinunziarono 
la  parola.  Si  aggiunga  che,  secondo  che  dissero  i  fogli,  nella  discus- 
sione generale  dello  schema,  continuatasi  in  14  Congregazioni  coi  di- 
scorsi di  6j  Padri,  i  più  d'essi  parlarono  almeno  generalmente  del 
quarto  capitolo;  onde  apparisce  che  più  di  100  Padri  hanno  parlato 
intorno  alla  definizione  dell1  infallibilità.  Si  sa  pure  dai  fogli  che,  prima 
della  discussione,  assai  più  di  100  Padri  diedero  in  iscritto  le  loro  os- 
servaz;oni  su  quel  capitolo,  che  pur  messe  compendiosamente  a  stampa 
in  un  grosso  volume  furono  distribuite  ai  Padri;  sicché  abbiamo  che 
più  assai  di  cento  voci  e  di  cento  penne  si  sono  occupate  di  questo 
argomento.  E  pur  si  dirà  che  non  vi  è  stata  maturità  e  libertà  di  dis- 
cussione ! 


238  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

3.  Oltre  le  Congregazioni  i  Riìii  Padri  assisterono  in  questi  giorni  a 
quattro  cappelle  papali  ;  ai  21  Giugno  per  l'anniversario  della  Coro- 
nazione di  S.  S.  ;  ai  24  per  la  festa  di  S.  Giovanni  ;  e  ai  28  e  29  pei  ve- 
spri pontificali  e  per  la  Messa  pontificale  per  la  solennità  dei  Principi 
degli  Apostoli  S.  Pietro  e  S.  Paolo. 

4. 1  calori  della  stagione  o  urgenti  affari  han  costretto  non  pochi  Ve- 
scovi a  partire  da  Roma,  con  dispiacere  di  non  poter  essere  pienti 
alla  definizione  dell1  infallibilità  pontificia.  Più  altri  tardano  a  partire 
solo  per  aver  prima  questa  consolazione  di  far  tale  omaggio  a  S.  Pie- 
tro e  a  suoi  Successori.  Come  dicemmo  altra  volta,  il  movimento  cat- 
tolico per  questa  definizione  dee  dirsi  anzitutto  un  movimento 
scopale.  Fu  detto  da  taluno  che  il  votare  per  Y  infallibilità  potrebbe 
sembrare  ai  Vescovi  quasi  un  votare  per  la  loro  abdicazione.  Se  co- 
sì fosse,  non  si  sarebbe  mai  veduta  una  abdicazione  sì  spontanea,  sì 
devola  e  sì  lieta;  ma  il  vero  si  è  che  nel  riconoscere  i  diritti  e  i 
privilegi  del  Capo,  nulla  perde,  anzi  acquista  nuovo  splendore  tutto 
il  corpo  episcopale.  Viva  S.  Pietro!  viva  Pio  IX!  viva  il  cattolico  Epi- 
scopato! vivajil  Concilio  Vaticano! 


CRONACA 

CONTEMPORANEA 


Marna  9  Lw# fio  1870. 


I. 

COSE  ITALIANE. 

Stato  Pontificio  1.  Augurii  del  sacro  Collegio  al  Santo  Padre  pel  vigesimo 
quinto  anno  del  suo  pontificato;  Discorso  di  Sua  Santità  —  2.  Concistoro 
dei  -27  Giugno  1870  —  3.  Preparativi  pel  Giubbileo  pontificio  di  Sua  Santità 
—  i.  Nuova  loggia  decorata  dal  Mantovani  nel  Cortile  di  S.  Dainaso  al 
Vaticano  —  5.  Pagamento  degli  interessi  del  debito  pubblico. 

1.  Il  giorno  17  Giugno ,  con  somma  letizia  di  tutti  i  sinceri  cattolici, 
e  con  le  più  fauste  speranze  per  l'avvenire,  il  Santo  Padre  Pio  Papa  IX 
entrava  nel  vigesimo  quinto  anno  del  suo  quanto  travaglioso  altrettanto 
glorioso  .pontificato.  L'Emo  Cardinale  Patrizi ,  presentando  a  Sua  Santi- 
tà gli  augurii  del  sacro  Collegio,  parlò  nei  seguenti  termini,  accurata- 
mente notati  dagli  stenografi  del  Concilio. 

«  Beatissimo  Padre!  lo  in  nome  del  sacro  Collegio  vengo  ad  umiliare 
di  augurii  e  i  voti  alla  Santità  Vostra,  in  questo  giorno  anniversario  del- 
la sua  esaltazione  alla  Cattedra  di  S.  Pietro.  Beatissimo  Padre,  ira  que- 
st'anno, che  dà  principio  al  ventesimoquinto  anno  del  suo  pontificato, 
con  maggiore  effusione  del  nostro  cuore  noi  adempiamo  a  quest1  uffi- 
cio, sperando  nella  Provvidenza  di  Dio  che  con  modi  così  ammirabili 
ha  guidato  la  Chiesa  in  questi  anni  del  suo  pontiiicato  con  avvenimen- 
ti del  tutto  straordinarii ,  ed  ha  reso  il  suo  pontificato  veramente  pieno 
•di  tribolazioni,  ma  ancora  pieno  di  gloria;  speriamo  dissi,  elio  questa 
Provvidenza  sempre  più  risplenda,  mostrandosi  straordinaria  altre- 
sì nella  durata  del  suo  regno ,  di  modo  che  ancora  per  molti  anni  la 
Santità  Vostra  regoli  il  timone  della  mistica  navicella,  e  governi  la 


240  CRONACA 

Chiesa  di  Gesù  Cristo  in  mezzo  alle  tempeste  e  alle  tribolazioni.  Di  que- 
sta grazia  speriamole  ci  sia  mediatrice  al  trono  del  Figlio  V  Immacola- 
ta Vergine  Maria,  il  cui  diadema  per  oracolo  infallibile  della  Santità 
Vostra  venne  ornato  del  più  bello  gioiello,  quando  fu  dichiarata  Im- 
macolata, e  che  in  ricambio  di  questa  gloria,  sebbene  accidentale,  procu- 
ratale dalla  Santità  Vostra,  voglia  affrettare  la  definizione  del  sospirato 
domma,  che  tanto  onora  e  tanta  gloria  reca  alla  Sede  apostolica ,  al  Ro- 
mano Pontefice  Vicario  di  Gesù  Cristo  e  Maestro  infallibile  della  catto- 
lica Chiesa.  » 

11  Santo  Padre  degnossi  rispondere  col  discorso  seguente,  che  destò 
in  tutti  gli  astanti  la  più  sentita  e  profonda  commozione. 

«  Accolga  Iddio  questi  voti  e  li  verifichi,  quando  egli  crederà  nella  sua 
bontà  e  provvidenza,  e  intanto  ringrazio  di  questa  nuova  prova  di  af- 
fetto e  di  amore  il  sacro  Collegio.  E,  mentr1  ella  dice  che  il  pontificato 
presente  è  stato  segnato  da  tribolazioni  e  da  glorie,  dirò  francamen- 
te che  negf  inizii  del  presente  pontificalo  fuvvi  un  conato  dei  nemici 
di  Dio  per  T  emancipazione  politica,  per  introdurre  in  seguito  V eman- 
cipazione religiosa.  Fu  inutile  gridare,  in  quei  primi  slanci,  ali1  incon- 
siderato popolo  e  dirgli:  Popule  meus,  qui  te  beatuni  dicunt ,  ipsite  se- 
ducunt.  La  emancipazione  fu  fatta  ed  eseguita,  i  rivoluzionarli  ottenne- 
ro il  loro  intento. 

«  Appresso  la  emancipazione  politica  venne  la  emancipazione  religiosa, 
per  cui  si  fece  ciò  che  è  noto  al  mondo  tutto;  le  espoliazioni,  le  usur- 
pazioni, le  carceri,  gli  esigli  e  tutto  ciò  che  dovè  soffrire  la  Chiesa  ed 
i  suoi  ministri.  Però  a  questi  mali  altri  peggiori  vennero  appresso;  e  la 
nostra  terrà,  imitando  le  sconcezze  di  tante  altre  terre,  mise  in  campo 
le  più  false  dottrine;  e  se  come  altra  volta,  non  fu  acceso  l'incenso  alla 
dea  Ragione,  si  volle,  e  si  vuole,  che  la  ragione  non  deve  sottostare 
alla  fede ,  che  la  scienza  non  deve  essere  guidata  per  mano  dalla  Reli- 
gione; e  per  conseguenza  si  propagano  mille  altri  errori,  che,  disgra- 
ziatamente, trovano  seguela  e  seguaci.  Li  seguono  tutti  coloro  che  sono 
stoltamente  meravigliati  delle  bellezze  del  secolo;  li  seguono  tutti  coloro 
i  quali  per  abbandonatisi  vivono  tranquilli  sotto  la  tirannia  di  certi  no- 
mi; li  seguono  coloro  i  quali  operano,  pensano,  discorrono  a  seconda  dei 
fogli  che  leggono  e  de'  circoli  che  frequentano  ;  li  seguono  coloro  i  qua- 
li hanno  in  adorazione  e  venerano  ciò  che  si  dice  pubblica  opinione,  se- 
guitandone i  principii  anche  quando  sono  contrarii  al  giusto,  al  retto,  al 
Tero.  E  tutto  questo  perchè? 

«  Primo  motivo  di  questi  errori,  non  unico  motivo  no,  ma  primo  mo- 
tivo, è  l'ignoranza.  E  permettete  eh'  io  narri  due  brevi  aneddoti  succe- 
duti a  me  negli  anni  testé  decorsi.  Sarò  brevissimo,  perchè  non  voglio 
la  taccia  di  stancare  gli  uditori ,  come  talvolta  succede  in  qualche  punto 
del  mondo  quando  parlano  certi  oratori. 


CONTEMPORANEA  MI 

«  In  due  diversi  tempi ,  per  due  diverse  occasioni ,  negli  anni  scorsi 
vennero  a  me  due  personaggi  distinti ,  che  occupavano  un  posto  anche 
distintissimo  nello  Stalo  al  quale  appartenevano.  Il  primo,  dopo  breve 
discorso ,  mi  dichiarò,  con  mia  consolazione,  che  era  cattolico;  e  che  an- 
zi essendo  cattolico  credeva  anche  ali1  inferno;  però  che  questo  inferno , 
al  quale  egli  credeva,  era  un  inferno,  non  quale  si  sente  comunemente, 
ma  bensì  un  luogo  dove  Iddio  condannava  i  colpevoli  ad  una  perpetua 
malinconia,  e  nulla  più. 

«  L'altro ,  che  venne  non  molto  tempo  dopo ,  mi  parlò  di  certe  leggi 
e  di  certi  principii  di  Chiesa  e  di  Religione.  Non  potendoci  intendere, 
se  ne  uscì  in  questo  classico  errore:  Già,  lo  so,  la  religione  di  Roma  e 
di  una  parte  d'Italia  è  diversa  dalla  religione  di  tutto  Torbe  terracqueo: 
giacché  a  Roma  vi  è  la  religione  di  san  Pietro,  e  altrove  vi  è  la  re- 
ligione di  san  Paolo;  e  quindi  soggiunse  con  poco  aggiustata  erudi- 
zione: appunto  per  questo,  diceva  egli,  che  a  san  Paolo  fece  vedere  Id- 
dio quel  lenzuolo  pieno  di  animali  immondi  da  divorare.  Io  mi  rallegra- 
va con  lui  di  vederlo  occupato  nella  lettura  degli  Atti  apostolici ,  ma 
soggiungevo  che  la  visione  non  fu  di  Paolo,  ma  fu  di  Pietro;  che  i  due 
Apostoli  erano  in  pieno  accordo,  e  ambedue  procuravano  la  conversio- 
ne di  Roma  e  del  mondo;  e  Paolo,  come  scriveva  ai  Romani,  si  gloria- 
va d'essere  cittadino  romano,  e  con  Pietro  fu  martirizzato  in  Roma, 
confermando  col  proprio  sangue  la  stessa  fede,  predicata  in  Roma  e  fuo- 
ri di  Roma  col  Principe  degli  Apostoli. 

«  Ora  io  dico:  perchè  tutto  questo?  Ripeto ,  Fratelli  carissimi,  per 
l'ignoranza  principalmente.  E  a  chi  spetta  dissipare  queste  tenebre 
della  ignoranza,  a  chi  tocca  di  eliminare  certi  pregiudizii,  che  penetran- 
do anche  nelle  alte  classi  della  società,  producono  in  essa  mali  senza 
fine?  Tocca  a  me,  tocca  a  voi,  Venerabili  Fratelli ,  giacche  e  voi  ed  io 
siamo  stati  costituiti  da  Dio  sentinelle  a  vegliare  giorno  e  notte  alla  si- 
curezza di  Sion:  Super  muros  tuos  constitui  custodes ;  tota  die,  tota  nocte, 
in '.-perpetuimi  non  tacebunt.  Incombe  a  noi  d'insegnare  al  popolo  i  suoi 
doveri,  a  noi  appartiene  dissipare  gli  errori  che  formicolano  su  questa 
terra,  e  dirigere  tanti,  anche  forse  buoni,  ma  che  non  conoscono,  nella 
posizione  in  cui  si  trovano,  la  verità  di  certi  principii  e  la  esistenza  di 
certi  fatti. 

«  Dunque  invocato  l'aiuto  di  Dio,  in  primo  luogo  dirò  che  tra  queste 
sentinelle  da  Dio  costituite  alla  custodia  della  sua  città  di  Sion,  vogliam 
dire  della  Chiesa ,  ve  ne  ha  qualcuna  che  dimentica  la  grandezza  della 
sua  dignità,  ve  ne  ha  qualcuna  che  abbandona  perfino  la  divisa  onorata 
del  suo  alto  grado,  per  mettersi  in  certi  costumi  e  maniere  onde  potere 
mescolarsi  meglio  colle  genti  del  secolo;  vi  sono  delle  sentinelle  le  qua- 
li credono  di  potere  avvicinarsi  al  mondo  e  mostrare  di  amarlo  sotto 
speciosi  e  vani  pretesti  ;  ma  il  Magno  S.  Leone  dice  loro  :  Pacem  cum 
Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  488.  16  9  Luglio  1870. 


242  CRONACA 

mundo  nisi  amalores  mundi  habere  non  possimi.  Quelli  i  quali  desidera- 
no di  stender  la  mano  amica  a  questo  mondo,  per  concludere  convenzio- 
ni fior:  esso,  dimenticano,  d'Apostolo  san  Giovanni  lo  dice  a  noi  chiara- 
mente ,  che  il  mondo  non  conosce  Gesù  Cristo:  Mundus  eum  non  cogno- 
mi. Che ,  se  il  mondo  non  conosce ,  o  finge  di  non  conoscere  Gesù  Cri- 
sto, com'è  possibile  di  fargli  omaggio  e  cercarne  i  favori?  È  forse  il 
inondo  che  ha  abbellito  le  anime  nostre  del  carattere  sacerdotale,  di 
quel  carattere  ch'io  spero  con  voi  che  risplenderà  in  cielo  un  giorno, 
quando  Iddio  ci  chiamerà  al  cospetto  della  sua  gloria?  È  forse  il  mondo 
che  ha  impreziosito  le  anime  nostre  coi  sacri  carismi?  È  forse  il  mon- 
do, che  separandoci  dal  resto  degli  uomini  e  sollevandoci  sopra  loro,  ci 
ha  arricchito  coi  doni  della  sapienza,  dell'intelletto,  del  consiglio,  della 
fortezza,  della  scienza,  della  pietà  e  del  santo  timor  di  Dio;  e  non  è  for- 
se Iddio  stesso  che  ha  versato  nelle  anime  nostre  queste  celesti  ricchez- 
ze? A  lui  dunque  i  nostri  pensieri,  i  nostri  affetti,  l'opera  nostra,  la 
nostra  gratitudine. 

«  Ma  pongo  termine  a  queste  parole  con  la  celeste  benedizione ,  la 
quale  io  do  loro  con  tutta  l' espansione  del  mio  cuore.  E  prima  benedico 
que'  primi  di  cui  ho  parlato  finora ,  e  levando  al  cielo  le  mani ,  prego 
Iddio  a  riguardarli  con  occhio  di  misericordia  e  arricchire  la  benedizio- 
ne col  dono  della  luce,  affinchè,  aggirandosi  essi  fra  certe  oscurità,  fra 
certe  tenebre,  trovino  la  porta  di  uscire  da  quel  baratro  per  vedere 
un'altra  volta  le  bellezze  e  lo  splendore  della  verità.  Benedico  i  secon- 
di, e  sono  quelli  che,  andando  ondeggianti  in  duas  parles,  non  sanno 
decidersi  ancora  a  voler  essere  tutti  intenti  a  difendere  i  diritti  della 
Chiesa;  e  prego  Iddio  a  unire  alle  benedizioni  il  dono  della  fortezza,  a 
dar  loro  coraggio  onde  emanciparsi  una  volta  da  certe  dubbiosità  e  in- 
certezze. Benedico  i  terzi  che  sono  i  più;  e  !a  benedizione  che  do  a  que- 
sti è  una  benedizione  alla  quale  domando  a  Dio  che  si  degni  unire  il  do- 
no della  perseveranza,  che  è  il  dono  più  grande  che  Dio  possa  l'are  alla 
Chiesa  e  al  popolo  suo.  Ah!  Se  finora  camminarono  nelle  vie  della  ve- 
rità e  della  giustizia;  se  [inora  furono  esempio  del  Clero  e  del  popolo; 
se  finora  furono  pieni  di  zelo  per  la  gloria  di  Dio  e  per  1  zione 

dcUe  anime;  di  qui  innanzi  ut  gigantes  curvarti  in  mas  suas,  continuino 
come  giganti  a  correre  di  virtù  in  virtù  nel  cammino  della  vita  che  Id- 
dio si  degnerà  ancora  loro  concedere;  I  fori  consumata  la  carriera  mor- 
tale, possano  all'ora  estrema  ascoltare  queir  invito  celesto:  Ex 
bone  et  fìdelis,  tétta  in  gandimn  domini  (ni.  E  prego  die  tutti  quelli 
che  ancora  si  aggirano  nelle  pianure  di  Sennaar,  vengano  a  noi,  e  tutti 
uniti  nella  grande  Aula  apostolica  poliamo  pregare  Iddio  tftfMMlittr 
pcrsrreran'cs  in  oralionc ,  e  dimandargli  aiuto  per  noi,  pei  nostri  pros- 
simi fratelli,  per  tutta  la  Chiesa  e  per  la  dilatazione  della  Chiesa  slessa. 
—  Bencdielio  Dei  omnipoienlis,  ctc.  i» 


CONTEMPORANEA  243 

Nella  fausta  ricorrenza  dei  due  anniversarii  della  esaltazione  al  pon- 
tificato, e  della  incoronazione,  il  Santo  Padre  ricevette  altre  congratula- 
zioni ed  augurii. 

Una  deputazione  composta  dagli  anziani  fra  i  diversi  Ordini  dei  Pa- 
dri del  Concilio  ecumenico,  e  dai  Prelati  segretario  e  sotto-segretario, 
ricevuta  in  udienza,  espresse  alla  Santità  Sua,  a  nome  di  tutti  i  Pa- 
dri, le  felicitazioni  e  gii  augurii  proprii  della  fausta  ricorrenza.  Tutti 
i  membri  dell'  Eccfiio  Corpo  diplomatico,  accreditati  presso  la  Santa 
Sede,  conseguirono  eziandio  Y onore  di  essere  ricevati  in  particola- 
re udienza  da  Sua  Beatitudine,  cui  espressero  i  sensi  della  più  pro- 
fonda venerazione,  e  offrirono  voti  di  felice  e  lunga  conservazione.  Lo 
stesso  onore  ottennero  i  Ministri  di  Stato  di  Sua  Santità,  i  Principi  as- 
sistenti al  soglio,  i  diversi  collegi  della  Prelatura,  i  consiglieri  di  Sta- 
to, i  consultori  delle  Finanze,  il  corpo  delle  Guardie  nobili,  l'uffizia- 
lità  della  Guardia  svizzera,  e  quella  della  Guardia  palatina  di  onore. 
Ancora  S.  E.  il  signor  generale  Dumont,  comandante  il  corpo  francese 
di  spedizione,  accompagnalo  dal  suo  Sialo  Maggiore,  e  da  altri  coman- 
danti ed  uffiziali,  si  recò  a  far  Fatto  di  ossequio  al  Santo  Padre.  Il  Se- 
Datore  di  Roma,  ammesso  pure,  insieme  ai  Conservatori,  all'onore  delia 
udienza,  espresse  a  Sua  Santità  i  sentimenti  di  venerazione  e  di  fedeltà 
a  nome  dei  popolo  romano.  Il  Santo  Padre,  accogliendo  benignamente 
le  felicitazioni,  che  gli  vennero  umiliate,  rivolse  a  tutti  parole  di  gradi- 
mento, e  loro  comparti  l'apostolica  benedizione.  Nelle  due  sere  di  lunedì 
e  di  martedì  la  città,  in  segno  di  allegrezza,  fu  vagamente  illuminata. 

2.  La  Santità  di  nostro  Signore  Papa  Pio  IX  ha  tenuto  la  mattina  del 
lunedì  27  Giugno,  nel  palazzo  apostolico  vaticano,  il  Concistoro  segreto, 
nel  quale  ha  proposto  le  seguenti  Chiese:  Chiesa  metropolitana  di  Leo- 
poli,  cui  è  unito  il  titolo  di  Bali  eia,  di  rito  greco-ruteno,  nella  Galizia, 
per  monsignor  Giuseppe  Sembratoviez,  traslato  dalia  Chiesa  arcivesco- 
vile di  ÌSazianzo  in  partibus  infulelium.  Chiesa  metropolitana  di  Lione, 
cui  è  unito  il  titolo  di  Vienna,  in  Francia,  per  monsignor  Giacomo  dia- 
ria Achille  Ginoulhiac,  promosso  dalla  Sede  di  Grenoble.  Chiesa  metro- 
politana di  Zagabria,  in  Croazia,  pel  R.  D.  Giuseppe  Mihalvits,  sacer- 
dote diocesano  di  Csanad.  Chiesa  metropolitana  di  Porto-Principe,  in 
Haiti,,  per  monsignor  Alessio  Guiiloux,  sacerdote  diocesano  di  Yannes, 
e  vicario  apostolico  in  Porto-Principe.  Chiesa  arckeseocile  di  Lepanto, 
■nelle  parli  degV  infedeli,  pel  IL  P.  Fr.  Giacinto  Maria  Giuseppe  De  Fer- 
rari, professo  dell'Ordine  dei  Padri  Predicatori.  Chiesa  di  Lussemburgo, 
nel  gran  Ducato  dello  stesso  nome,  recentemente  eretta  in  Cattedrale,  per 
monsignor  Nicola  Adames,  Iraslato  dalla  Chiesa  di  Àlicarnasso  in  parti- 
bus  infideliuìii.  Chiese  cattedrali  unite  di  Viterbo  e  Toscanella,  negli 
Stati  pontificii,  per  monsignor  Luigi  Seraiini,  sacerdote  diocesano  di 
Sabina.  Chiesa  cattedrale  di  2\eosolio,  i.i  Ungheria,  per  monsignor  Si- 


244  CRONACA 

gismondo  Szuppan,  sacerdote  diocesano  di  Neosoìio.  Chiesa  cattedrale  di 
Premislia,  di  rito  latino,  nella  Galizia,  per  monsignor  Mattia  Hirschler, 
sacerdote  arcidiocesano  di  Leopoli.  Chiesa  cattedrale  di-Tarbes  in  Fran- 
cia, pel  R.  D.  Pietro  Anastasio  Pichenot,  sacerdote  arcidiocesano  di 
Sens.  Chiesa  cattedrale  di  Nantes,  in  Francia,  pel  R.  D.  Felice  Four- 
nier,  sacerdote  di  Nantes.  Chiesa  cattedrale  di  Grenoble,  in  Francia, 
pel  R.  D.  Pietro  Antonio  Giustino  Paulinier,  sacerdote  diocesano  di 
Montpellier.  Chiesa  cattedrale  di  Evreux,  in  Francia,  pel  R.  D.  France- 
sco Grollean,  sacerdote  diocesano  di  Angers.  Chiesa  cattedrale  di  Spira, 
in  Baviera,  pel  R.  D.  Corrado  Reilher,  sacerdote  diocesano  di  Spira. 
Chiesa  cattedrale  di  Munster,  in  Prussia,  pel  R.  D.  Giovanni  Rernardo 
Brinomann,  sacerdote  diocesano  di  Miinster. 

Dopo  ciò  il  Santo  Padre  ha  notilicate  le  elezioni  per  organo  della 
sacra  Congregazione  di  Propaganda  Fide,  effettuate  dall'ultimo  all'odier- 
no Concistoro,  e  sono:  Chiesa  arcivescovile  di  Nicomedia,  nelle  parli  de- 
gl'  infedeli,  per  monsignor  Leonardo  Mellano,  vicario  apostolico  di  Ve- 
rapoli,  promosso  dalla  Chiesa  vescovile  di  Olimpio  ih  partibus  infede- 
lium.  Chiesa  cattedrale  di  S.  Giovanni,  nell'isola  di  Terra  Nuova,  pel 
R.  D.  Tommaso  Power,  sacerdote  arcidiocesano  di  Dublino.  Chiesa  cat- 
tedrale di  Alessio,  in  Albania,  pel  R.  D.  Francesco  Malezynsky.  Chiesa 
ca'tedraie  di  Auckland,  nella  Nuova  Zelanda,  pel  R.  D.  Tommaso  Crok, 
sacerdote  diocesano  di  Cloyne.  Chiesa  di  Sprinfield,  nello  Stato  di  Mas- 
sachusetts, provincia  di  Nuova  York,  recentemente  eretta  in  Cattedrale, 
pel  R.  D.  Patrizio  0  Reilly,  sacerdote  diocesano  di  Boston.  Chiesa  catte- 
drale di  Harbour-Grace,  nelly  isola  di  Terra  Nuova,  pel  R.  P.  Enrico 
Carfagnini,  dell'Ordine  de1  Minori  Riformati.  Chiesa  cattedrale  di  Pillati, 
in  Albania,  pel  R.  P.  Alberto  Eracchi  da  Laudona,  dell'  Ordine  dei  Mi- 
nori Riformati,  prefetto  apostolico  della  Missione  di  Pulati. 

Finalmente  si  è  fatta  a  Sua  Beatitudine  l' istanza  del  sacro  Pallio  per 
le  Chiese  metropolitane  di  Leopoli,  di  rito  greco-ruteno;  di  Lione,  di 
Zagabria,  e  di  Porto  Principe. 

3.  Il  dì  21  Giugno  1871  compiesi  il  vigesimo  quinto  anno  del  ponti- 
ficato di  Pio  IX;  e  quindi  cade  la  festa  del  sito  Giubbileo  ponlilicale. 
Nessuna  delle  occasioni  valevoli  a  testimoniare  al  S.  Padre  l'affezione  fi- 
liale dei  fedeli  è  giammai  loro  sfuggita:  e  splendidissima  pruona  ne  fu- 
rono le  feste  pel  suo  cinquantesimo  anniversario  del  sacerdozio.  Questo 
giubbileo,  straordinaria  al  certo,  e  dopo  S.  Pietro  e  Pio  VI  unica  circo- 
stanza, come  tutti  ci  auguriamo,  e  come  la  florida  sanità  del  S.  Padre  ci 
dà  fondamento  ad  aspettarlo,  non  poteva  passare  inosservata.  Anzi  il 
desiderio  di  vederla  solennizzata  con  grandissime  feste  e  con  unanime 
concorso  vi  ha  latti  rivolgere  l'attenzione  (in  da  un  anno  innanzi.  Ini- 
ziatore delle  proposte  relative  se  n'ò  latto  il  Consiglio  superiore  della 
Società  della  Gioventù  Cattolica  in  Italia,  il  quale  ha  diretto  ai  Presi- 


CONTEMPORANEA  245 

denti  dei  Circoli  della  medesima  società,  e  a  tutti  i  suoi  corrispondenti 
una  lettera  d'invito,  ed  un  Programma,  ove  spiegasi  il  motivo  della  so- 
lennità, e  il  concorso  che  lutti  vi  debbon  dare.  Plaudendo  di  vero  cuore 
a  questa  iniziativa  e  a  queste  proposte  noi  qui  copiamo  V  una  e  Y  altro, 
ed  esortiamo  i  nostri  lettori  a  volersi  associare  a  questa  affettuosa  di- 
mostrazione. 

Ài  Presidenti  dei  Circoli,  e  ai  Sodi  corrispondenti 
del  Consiglio  superiore. 

Fratello  in  Cristo  carissimo. 

Ca  avvenimento  non  più  rinnovatosi  nelle  storie  della  cattolica  Chie- 
sa da  ornai  dicianove  secoli,  cioè  dal  pontificato  di  Pietro,  primo  Vica- 
rio di  Gesù  Cristo  in  terra  tino  a  noi ,  confidiamo  in  Dio  e  nella  possen- 
te intercessione  della  Vergine  Immacolata  che  debba  finalmente  consolare 
il  mondo  cristiano  nel  Giubbileo  pontificale  del  Pontefice  dell'Immacolata, 
del  grande  Pio  IX,  prossimo  ad  entrare  nell'anno  XXV  del  suo  combattuto 
e  glorioso  pontificato.  Sì,  questo  solenne  avvenimento,  negato  all'univer- 
so per  tanta  serie  di  tempi,  noi  lo  bramiamo  con  ogni  possa  del  cuore, 
lo  speriamo  con  vivissima  fede,  e  ci  uniamo  con  200  milioni  di  Cattoli- 
ci a  far  dolce  violenza  al  cuore  di  Dio,  sicché,  sospese  le  folgori  della 
sua  giustizia,  provocate  da  tante  colpe  del  mondo  reo,  si  degni  conce- 
dere a  tutti  questo  sommo  favore,  questa  ineffabile  esultanza.  Col  soc- 
corso di  Maria  non  otterremo  vittoria?  se  Maria  prega  con  noi,  potrà 
non  esaudirci  il  suo  onnipotente  Figlio  e  Dio  Gesù?  Preghiamo,  pre- 
ghiamo! Questa  è  la  prima  delle  proposte,  votate  dal  Consiglio  superio- 
re, delle  quali  mi  pregio  compiegarvi  i  particolari. 

Per  ciò  che  riguarda  la  Colletta  del  denaro  di  S.  Pietro  in  sì  fausta 
ricorrenza,  non  è  mestieri  eccitarvi  ad  assidua  e  costante  solerzia.  L'era- 
rio della  Chiesa  spogliato  dai  nemici  e  da  degeneri  figli,  ben  sapete  che 
dai  figli  ossequenti  ricolmar  si  deve  in  prò  della  Cristianità  perchè  il 
supremo  Gerarca  possa  governarla  liberamente  anche  pei  mezzi  umani. 
E  voi  sarete  questa  volta  eziandio  degni  figli  della  Chiesa  cattolica,  qua- 
li vi  mostraste  finora,  e  massime  neir  11  Aprile  1869  di  eterna  ricor- 
danza. 

Le  manifestazioni  di  ossequio  e  di  letizia,  che  proponiamo  a  corona 
dello  sperato  esaudimento  dei  nostri  fervidi  voti,  è  necessario  che  si 
compiano  con  splendida  solennità.  Non  è  vana  ostentazione  di  plauso, 
non  è  spreco  di  somme  e  di  lavori  :  è  un  tributo  doveroso,  è  un  Te  Deum 
di  gratitudine  che  dovremo  a  Dio  Ottimo  Massimo;  ed  è  insieme  un 
riaccen  lere  l'affetto  e  la  venerazione  di  tutti  alla  Cattedra  di  Pietro,  su 
cui  siede  il  Vicario  di  Gesù  Cristo,  il  canuto  Ottuagenario  che  vive  e  re- 
gna per  la  salute  dei  cristiani,  «  il  Ristoratore  di  tante  rovine  morali  nel 
Vaticano  Concilio,  il  Maestro  infallibile  di  tante  verità  o  bandite  o  riven- 


3£6  CRONACA 

dicale  dall'errore,  il  Coronatore  di  Maria  Immacolata,  il  Padre  amoroso 
inesauribile  di  perdono  e  di  beneficenza,  il  Martire,  la  cai  lunga  passio- 
pione  ha  contristato  quanti  cuori  onesti  battono  in  petto  agli  nomini,  il 
Re  costituito  da  Dio  sopra  il  Monte  Sion  »,  che  tiene  il  suo  scettro  dal- 
l' onnipotente  Signor  dell'universo. 

Si,  è  grande,  è  doveroso,  è  imprescindibile  il  concetto  di  festeggiare 
con  insolita  magnificenza  e  gratitudine  l'avvenimento  che  sta  per  allie- 
tare la  Chiesa  e  il  mondo.  Noi  avventurati,  se  Dio  ci  darà  tanto  di  vita 
e  di  grazia,  da  potere  assistere  all'altare  sacrosanto  del  primo  tempio 
dell'universo,  a  cui  salito  l' immortale  Pio  IX  potrò  cantare  quell'inno  di 
grazie  che  nessun  Successore  di  Pietro  e  nessun  secolo  della  Cristianità 
ebbe  finora  il  soavissimo  vanto  di  celebrare  con  lagrime  di  gioia. 

Fratelli,  gran  giorno  è  quello  che  sospiriamo!  Fratelli,  usiamo  fre- 
quenti ai  lavacri  della  vita  eterna,  al  cibo  degli  Angeli,  per  essere 
fatli  degni  d'impetrare  sotto  il  manto  di  Maria  Santissima  il  sospirato 
compimento  del  Giubbtfco  pontificale  del  nostro  veneratissimo  Padre  e 
infallibile  Maestro,  a  cui  giurammo  fede,  ossequio  ed  amore. 

Il  Consiglio,  a  cui  mi  è  impartito  l'onore  di  presiedere,  affida  ai  sin- 
goli Circoli  ed  ai  Socii  corrispondenti  delle  varie  città  italiane  per  la 
cerchia  propria  di  ciascuno  l'esecuzione  concorde  dell'unito  Programma, 
discusso  e  stabilito  nell'adunanza  28  Marzo  prossimo  scorso.  E  vi  prega 
da  Dio  ogni  coBÉtetO  e  benedizione.  Bologna  1  Giugno  1870.  //  Presi- 
dente Giovanni  Acquaderm  — 77  Segretario  Alfonso  Romani. 

PROGRAMMA 

I.  Si  invitano  i  cattolici  ad  implorare  da  Dio  onnipotente,  Signore 
della  vita  e  della  morte,  la  conservazione  dei  giorni  preziosi  del  regnan- 
te sommo  Pontefice  Pio  IX,  con  fervorose  ed  umili  preghiere,  e,  comin- 
ciando dal  17  Giugno  p.  v.  al  21  Giugno  1871,  colla  recita  quotidiana 
della  liturgica  orazione:  Oremus  prò  Ponti  fice  nostro  Pio.  Domimi 

'  eum  et  vii'ifict'l  eum  et  beatimi  faciat  cum  in  terra,  et  non  tradat 
cum  in  animavi  ìniiniecrum  eius* 

II.  Si  propone  una  straordinaria  raccolta  generale  di  Denaro  di  S.  Pie- 
tro, da  presentarsi  al  sommo  Pontefice  Pio  IX  in  quella  faustissima  oc- 
casione. 

III.  Si  la  appello  allo  zelo  dei  cattolici  tutti  d'ogni  paese,  d'ogni  cit- 
tà, d'ogni  connine  e  parrocchia,  affisene  si  formino  Commissioni  per  rac- 
cogliere prodotti  naturali,  industriali,  artistici,  e  oggetti  preziosi  ose., 
da  spedirsi  a  Roma  in  dono  al  Santo  Padre,  per  una  Mostra  solenne  da 

-i  in  quell'epoca,  a  testimonianza  dell'universale  amore  verso  la 
Santa  Sede-,  (ili  aggotti  esposti  andrebbero  sorteggiati  in  una  lotteria  a 
benefizio  d<  1  Denaro  di  S.  Pietro. 


COXTESiPOKANEÀ  247 

IV.  A  solennizzare  poi  in  modo  splendido  il  giorno  21  Giugno  1871, 
mentre  non  mancheranno  le  testimonianze  d'ogni  maniera  della  devozio- 
ne e  dell'amore  dei  popoli  Terso  il  santo  Pontefice  successore  di  S.  Pie- 
tro, si  propone  intanto  fin  d'ora,  che  una  grande  rappresentanza  conve- 
nuta in  Roma,  delle  nazioni  cattoliche,  dei  comuni,  delle  associazioni 
cattoliche,  degli  istituti,  delle  università,  delle  accademie,  degli  ordini 
cavallereschi  e  militari  ecc.,  si  rechi  con  solenne  apparato  di  concerti, 
Ai  stendardi,  di  costumi  nazionali  ecc.,  al  Vaticano,  per  rendere  un 
omaggio  di  fede  e  di  amore  in  nome  del  mondo  cattolico  al  sommo  Pon- 
tefice, che  da  venticinque  anni  siede  sulla  Cattedra  di  S.  Pietro. 

V.  I  Circoli  e  i  Sodi  corrispondenti  della  Società  della  Gioventù  cat- 
tolica in  Italia  sono  invitati  ad  agire  con  zelo  ed  energia  all'effettuazione 
delle  sopraindicate  proposte,  costituendo  le  Commissioni  per  le  raccolte 
d'oggetti  e  tacendosi  centri  per  la  colletta  del  Denaro  di  S.  Pietro. 

Si  pregano  anche  tutte  le  Associazioni  cattoliche  e  i  giornali  e  perio- 
dici cattolici  italiani  e  stranieri,  a  concorrere  per  attuare  nel  modo  più 
splendido  questa  festa,  che  il  cattolico  mondo  tributerà  al  suo  Padre  e 
Maestro,  il  romano  Pontefice  Pio  IX. 

Bologna  28  Marzo  1870. 

Giovanni  Acquaderni  Presidente  —  Alfonso  Rubri  ani  Segretario. 

4.  Nelle  ore  pomeridiane  del  martedì  21  di  Giugno  il  Santo  Padre 
degnossi  visitare  le  opere  di  decorazione  condotte  a  compimento  dal 
cav.  Alessandro  Mantovani,  in  quella  parte  del  loggiato  che,  nel  palaz- 
zo apostolico  vaticano,  da  ponente  si  stende  al  primo  ordine  del  corti- 
le detto  di  san  Damaso,  e  che  sta  rimpetto  a  quella  ad  oriente,  che,  di- 
pinta da  Giovanni  da  Udine,  fu  ristaurata  parecchi  anni  addietro  dallo 
stesso  Mantovani.  L'opera  è  riuscita  a  tale  bellezza,  che  riscuote  il  più 
spontaneo  ed  amplissimo  elogio  da  quanti  sono  gli  intelligenti  ed  ama- 
tori delle  belle  arti. 

11  tipo  degli  scompartimenti  e  del  genere  decorativo  fu  dal  Mantova- 
ni egregiamente  derivato  da  quello  adoperato  nella  loggia  di  Giovanni 
da  Udine,  cui  dovea  fare  riscontro.  Le  sette  arca-te,  onde  si  compone  il 
loggiato,  sono  interamente  fregiate  e  decorate  nei  sott1  archi,  nelle  lu- 
nette, nelle  volte,  nei  pilastri  e  nelle  pareti  che  le  sostengono,  in  guisa 
da  mostrare  nel  Mantovani  una  rara  fecondità  d'invenzione,  ed  una  mae- 
stria insigne  nella  esecuzione. 

Con  vaghissimo  intreccio  di  fregi  e  di  fantasie  d'ogni  forma,  il  Man- 
tovani diede  risalto  e  spicco  mirabile  a  quanto  v'ha  di  più  scelto  e  de- 
licato fra  gli  animali  ed  i  vegetali  che  trionfano  nei  pergolati  e  nelle  in- 
cannucciate onde  sono  sorretti  i  rosati,  le  viti  lussureggianti  e  le  altre 
piante  che,  con  graziosa  mescolanza,  si  avviticchiano  l'ima  all'altra  e 
s'inerpicano  con  delizioso  effetto  di  prospettiva,  che  danno  a  vedere,  o 
svolazzanti  o  posati  su  pei  viticci,  i  volatili  più  gentili  pei  colori  delle 
loro  piume. 


248  CRONACA 

Per  condurre  queste  opere  il  Mantovani  associossi  i  due  suoi  scolari, 
Lodovico  Grillotti  ed  Alessandro  Palombi.  Le  opere  di  pennello  sono 
messe  io  bel  rilievo  dai  piccoli  medaglioni,  modellati,  con  rara  perizia, 
dallo  scultore  professore  Galli,  in  cui  sono  effigiate  le  virtù  cristiane,  i 
simboli  della  Vergine  Immacolata  e  le  prerogative,  che  di  lei  si  canta- 
no nelle  litanie  Lauretane.  Gli  scorniciamenti  a  stucco,  tirati  con  tutta 
finitezza  d'arte  da  Giuseppe  Pierozzi,  corrono  pei  contorni  degli  scom- 
partimenti, sì  che  l'occhio  nell'osservare  tante  varietà  di  oggetti,  non 
pure  ne  trae  singolare  diletto,  éna  deliziosamente  vi  si  riposa. 

Il  Santo  Padre,  disaminata  ogni  cosa,  degnossi  manifestare  al  valente 
Mantovani  la  sua  piena  soddisfazione. 

5.  Una  Notificazione  del  Tesoriere  generale  Ministro  delle  Finanze, 
pubblicata  nel  Giornale  di  Roma  del  22  Giugno,  mostrava  con  quanta 
esattezza  il  Governo  della  Santa  Sede,  nelle  presenti  sue  durissime  an- 
gustie, vuole  ad  ogni  costo  soddisfare  agli  impegni  contratti  verso  i 
suoi  creditori.  Ecco  il  tenore  della  Notificazione. 

«  A  termini  di  quanto  è  prescritto  dagli  articoli  7  e  8  del  nostro  re- 
golamento dei  31  Gennaro  1863,  dal  giorno  G  del  prossimo  mese  tìi  Lu- 
glio 1870  sarà  eseguito,  sulla  Cassa  della  Depositeria  generale  in  Roma 
e  sulle  Casse  camerali  delle  province,  il  pagamento  de^K  interessi  per  il 
trimestre  a  tutto  Giugno  andante,  sui  certificali  del  Tesoro  emessi  in 
virtù  dell'editto  dell'Emo  Segretario  di  Stato  dei  28  Gennaro  1863.  Il 
pagamento  poi  delle  diverse  passività,  permanenti  a  carico  della  Cassa 
del  Debito  pubblico,  per  la  rata  del  primo  semestre  1870,  sarà  aperto 
Dal  giorno  dieci  del  medesimo  mese  di  Luglio  1870  presso  le  suddette 
Casse.  Le  competenze  sulle  rendile  consolidate  nominate  saranno  sod- 
disfatte nei  giorni  designati  nella  sottoposta  tabella,  sui  mandatelli  che 
si  emettono  dalla  Direzione  generale  del  Debito  pubblico,  seguendo  il 
numero  progressivo  della  iscrizione  delle  rendite  medesime.  Le  compe- 
tenze poi  sopra  tutte  le  rendite  innominate,  risultanti  da  Certificati  al 
Portatore  con  la  valuta  a  lire;  come  pure  le  competenze  sopra  le  rendite 
innominate  con  la  valuta  a  scudi  dal  n.°  780  della  serie  8ì  in  avanti,  pei 
Certificali  al  Portatore  da  scudi  20,  e  dalla  serie  22  pei  Certificati  da 
scudi  cinque,  saranno  soddisfatte  dal  suddetto  giorno  undici  Luglio 
1870  in  appresso,  a  volontà  dei  creditori,  dalla  Depositeria  generale  in 
Roma,  sulla  consegna  del  rincontro  relativo  all'enunciato  semestre.  A 
comodo  poi  dei  creditori  il  pagamento  delle  diverse  passività  predette 
resterà  aperto  a  tutto  il  giorno  31  Decembre  1870,  passato  il  quale  sa- 
rà chiuso,  salvo  ai  creditori  che  entro  il  detto  tempo  non  avessero  coat- 
te le  rispettive  partite,  l'avanzare  richiesta  alla  Direzione  generale  del 
Debito  pubblico,  onde  venga  autorizzato  il  pagamento  stesso,  giusta  i  vi- 
genti regolamenti.  Dal  Ministero  delle  finanze,  questo  dì  18  Giugno 
1870.  Il  Tesoritre  generale  Ministro  delle  finanze,  Giuseppe  Ferrari.  » 


CONTEMPORANEA  249 

Toscana  e  Stati  annessi  1  II  parlamento  —  2.  La  giustizia  —  S.  La  linea  del 
Gottardo  —  i.  Religione  del  popolo. 

1.  Alle  scene  del  parlamento  fiorentino  assiste  da  un  pezzo  l'Italia  con 
molto  minor  interesse  che  non  a  quelle  delle  varie  Arene,  Politeami  e  si- 
mili, che  per  moralizzar  il  popolo  si  vanno  ora  cotanto  moltiplicando.  Or- 
mai vi  è  separazione  compiuta  tra  l'Italia  e  il  suo  parlamento,  dal  quale, 
come  da  male  necessario,  con  rassegnazione  non  si  aspettano  ogni  giorno 
che  tasse,  balzelli,  prestiti  e  vessazioni  di  ogni  fatta.  Neanche  i  giornalisti 
seguono  più  con  attenzione  quelle  tornate  parlamentari  :  il  che  ben  si  ve- 
de dalla  negligenza  onde  ne  scrivono,  o  falsano  ed  anche  spesso  ne  lascia- 
no i  rendiconti.  La  camera  è  divisa  e  suddivisa  in  sètte  e  frazioni  di  sèt- 
te; ciascuna  delle  quali  odia  e  vitupera  l'altra.  Il  meno  a  cui  si  pensi  so- 
no i  provvedimenti  di  finanza  del  Sella  che  servono  di  pretesto  a  giochi 
di  partito  e  tentativi  varii  di  buttarsi  di  sella  Y  un  l'altro.  Son  però  sem- 
pre d'accordo  i  deputati  nel  rubare  la  Chiesa.  Si  sa  che  colle  leggi  spo- 
gliatrici del  66  e  67  le  fabbricerie  non  erano  state  ben  involte  nel  sac- 
cheggio universale:  e  i  loro  beni  erano  rimasti  salvi  dalla  conversione 
per  sentenza  dei  tribunali.  Ondeche  nel  69  fu  proposta  una  nuova  leg- 
ge che  dichiara  soggetti  a  conversione  anche  questi  beni  delle  fabbri- 
cerie e  di  altre  amministrazioni,  delle  chiese  parrocchiali,  delle  sussi- 
diarie, dei  santuari-!,  ed  oratorii  finora  riconosciuti  quali  enti  morali.  È 
chiaro  che  questa  legge,  a  poco  a  poco,  sarà  votata  tutta  intiera;  ben- 
ché per  ora  paiono  salvati  i  beni  delle  parrocchie.  E  siccome  colle  pre- 
cedenti parziali  spogliazioni  della  Chiesa  andò  di  pari  passo  la  proporzio- 
nata miseria  delle  finanze  e  del  resto  del  regno  d'Italia;  così  si  può  cre- 
dere che  con  quest'  ultimo  colpo  sarà  pienamente  ruinata  non  la  Chiesa 
ma  la  finanza  ed  il  rimanente  del  Regno  d'Italia. 

Del  resto  la  camera  stessa  è  già  in  dissoluzione  morale.  Ed  ora  le 
pende  sul  capo  la  fisica,  per  la  minaccia  dei  sinistri  che  in  numero  di  ol- 
tre cento  già  diconsi  essere  firmati  alla  promessa  di  abbandonarla.  Alla 
qual  minaccia  risponde  il  Governo  con  altra  minaccia  per  l1  organo  del- 
Y Opinione,  che  ora,  come  si  sa,  è  il  vero  giornale  ministeriale.  «  È  dun- 
que vera  (dice  essa  nel  suo  numero  dei  5  Luglio)  la  notizia  che  correva 
da  alcuni  giorni  che  nelle  file  della  sinistra  cento  deputati  siansi  già  vin- 
colati ad  uscir  dall'aula  parlamentare  per  impedire  la  votazione  a  scru- 
tinio segreto  della  convenzione  con  la  banca  nazionale.  Il  giornale  massi- 
mo del  partito  (La  Riforma)  conferma  la  notizia;  ogni  dubbio  cessa  ed 
ogni  incertezza  viene  rimossa.  Pure,  riflettendoci  bene,  qualche  sospet- 
to ci  può  ancor  essere  che,  giunto  il  momento  di  mandar  ad  atto  la  sua 
risoluzione,  la  sinistra  sia  per  esitare.  Ed  invero  un  partito  che  esca  dal- 
la sala  dei  cinquecento  nello  scopo  d'  impedire  l'adozione  d'una  legge, 


f50  CRONACA 

commette  un  grave  errore  che  potrebbe  esser  origine  di  altri  ancor  più 
gravi,  producendo  una  posizione  contraria  alla  natura  ed  all'indole  del- 
le istituzioni  parlamentari.  Ed  il  partito  che  si  fosse  lasciato  trascinare  a 
tale  eccesso,  non  avrebbe  anticipatamente  giustificate  tutte  le  risoluzio- 
ni estreme,  che  il  potere  esecutivo  fosse  costretto  di  prendere  per  tute- 
lare gl'interessi  dello  Stato  minacciati  e  compromessi?  I  colpi  di  Stato 
parlamentari  viziano  intrinsecamente  le  libere  istituzioni  e  spingono  la 
nazione  nello  sdrucciolo  in  cui  trassero  la  Spagna  le  rivolte  militari, 
qualora  il  potere  esecutivo  non  abbia  la  forza  di  resistere.  Ma  se  questa 
forza  esso  ha,  allora  non  c'è  prudenza  che  valga  ad  evitare  uno  di  quei 
conflitti,  che  scaturiscono  dalla  sostituzione  della  violenza  al  diritto.  C'è 
in  Italia  un  partito  il  quale  vorrebbe  rendersi  risponsabile  di  un  siffat- 
to colpo  di  Stato?  »  Così  F  Opinione.  Ma  forse  questo  colpo  di  Stato  è 
appunto  ciò  che  è  cercato  dai  sinistri  come  un  pretesto  di  farne  poi  su- 
bito essi  un  qualche  altro. 

2.  È  molto  impacciato  ora  il  Governo  per  la  pressione  morale  che  si 
esercita  sopra  di  lui  colle  suppliche  che  gli  si  presentano  d'ogni  parte 
per  ottenere  la  grazia  del  Barsanti ,  condannato  a  morte  dal  tribunale 
militare  per  tradimento  al  suo  dovere  ne'  fatti  di  Pavia.  È  questa  un'al- 
tra giusta  vendetta  che  esercita  Roma  contro  il  Governo  italiano,  il 
quale  lasciò  già  far  tanto  fracasso  in  Italia  per  ottenere  la  grazia  dei  fa- 
mosi Monti  e  Tognetti.  Ora  è  egli  nel  caso  di  vedere  qual  peso  si  debba 
dare  a  questa  pubblica  opinione  favorevole  agli  assassini  ed  ai  traditori. 
Ma  niuno  sa  se  il  Governo  avrà  il  coraggio  di  giudicar  da  se  :  e  di  fare  o 
giustizia  o  grazia  secondo  il  suo  retlo  giudizio,  senza  curarsi  dellVm/or 
civium  prava  iubentiirm. 

Mentre  si  chiedeva  la  grazia  del  Barsanti,  si  faceva  in  Alessandria  di 
Piemonte  l'apoteosi  di  altro  Barsanti  giustiziato  nel  1833  sotto  il  regno 
di  Carlo  Alberto  per  simile  delitto.  Si  chiamava  Andrea  Yochieri  ed 
avea  congiurato  contro  il  padre  di  Vittorio  Emmanuele.  Ora  è  ricono- 
sciuto un  eroe.  Nel  1852  fu  proposto  di  erigergli  un  monumento  :  il 
quale,  innalzatogli  già  nel  Camposanto,  fu  il  26  Giugno  di  quest'anno 
trasportato  nel  pubblico  giardino  con  solenne  funzione  e  discorsi  elo- 
quenti, con  assistenza  di  ex  ministri  e  deputati. 

Il  18  Giugno,  i  giurati  di  Milano  rimandarono  assolti  gli  accusali  per 
cospirazione  repubblicana.  Essi  erano  otto,  tutti  lombardi,  con  un  capo 
Vincenzo  Dujardin  milanese,  accusati  di  aver  voluto  mutar  il  Governo, 
avendo  a  tal  fine  fuse  palle  e  preparate  bombe.  11  Dujardin  poi  era  anche 
accusato  di  ferita  sopra  una  guardia  di  pubblica  sicurezza,  che  ne  mori. 
La  difesa  degli  accusati  si  volse  tutta  sopra  l'aver  essi  fatto  tutti  quei 
preparativi  colla  sola  intenzione  di  venire  a  Roma.  Il  Governo  si  vide 
co-i  deluso  e  burlato  colla  stessa  arma  con  cui  egli  deluse  e  burlò  altri 
tante  altre  volte.  I  giurati  riconobbero  innocente  l'idea  di  andar  a  Roma, 


CONTEMPORANEA  2ol 

idea  predicata  dal  Governo  e  non  ancor  ritrattata,  e  mandò  assoluti  tutti 
gì1  imputati,  solo  condannando  alla  leggerissima  pena  di  6  mesi  di  car- 
cere il  Dujaùìhi  per  aver  ecceduto  nella  propria  difesa.  E  così  accade  che 
Roma,  che  si  tenea  per  perduta,  comincia  ad  essere  io  mano  ai  rivolu- 
trii  causa  di  perdizione  per  i  nemici  suoi,  secondo  la  preghiera  cele- 
fyfdat  Deus  illos  qui  nos  perdere  festìnant.  V Opinione  dei  22  Giu- 
gno, lagnandosi  con  ragione  di  tal  assoluzione,  si  consola  però  pensando 
che  «non  è  stato  il  Governo  che  fu  battuto,  ma  la  giustizia  »,  mostran- 
do così  che  a  lei,  al  solito,  più  cale  del  Governo  che  non  della  giustizia. 
Nò  solo  si  assolvono  i  rei  di  delitti  politici,  ma  ancora  quelli  di  delitti 
comuni:  sì  che  questa /emissione  dei  giurati  non  è  ultima  causa  deli1  im- 
perversar derelitti  e  del  timore  dei  buoni.  Ormai  gli  stessi  giornali  li- 
berali hanno  perduto  il  credito  ai  giurati.  Basti  il  citare  Y  Opinione  dei 
30  Giugno,  che,  dopo  narrata  l'assoluzione  di  un  evidentissimo  reo  di 
assassinio,  conchiude  così:  «  E  poi  ci  saranno  i  soliti  sputasentenze  che 
dicono  che  i  giurati  esprimono  la  coscienza  pubblica!  »  E  non  pensa  che 
questi  sputasentenze  non  sono  che  i  liberali!  Intanto  veniva  assolto  in 
Napoli  il  deputato  Malina  ;  per  cui  fatto  è  certo  che  fu  ucciso  in  chiesa 
il  povero  Marziani,  siccome  è  noto. 

3.  Un  aitare  più  importante  che  non  pare,  è  stato  conchiuso  in  questi 
giorni  tra  l'Italia,  la  Prussia,  e  la  Svizzera  coli1  essersi  accettata  de- 
lfìni tivamente  la  linea  del  Gottardo  ed  esclusa  quella  del  Sempione  e 

della  Spinga.  Con  quella  via  ferrata  la  Prussia  sarà  in  diretta  relazione 
coli" Italia  per  la  Svizzera,  senza  dipendenza  dall'Austria  e  dalla  Francia, 
ne  per  rispetto  alle  tariffe,  ne  per  rispetto  alla  strategica;  doppia  vitto- 
ria commerciale  e  politica,  di  cui  non  si  sa  qual  sia  la  più  importante.  La 
Francia  fece  apparentemente  buon  viso  al  colpo  improvviso.  Mala  linea 
non  è  ancor  fatta  ;  e  ninno  può  sapere  quali  mezzi  si  vorranno  adope- 
rare per  impedirla. 

4.  Nella  massima  parte  dell.e  città  e  terre  italiane  si  sono  fatte  con 
solennità  e  divozione  maggiore  del  solilo  le  processioni  del  Corpus  Do- 
mini, quasi  a  protestare  contro  quel  piccolo  gruppo  di  empii  ed  incre- 
duli, che  pretende  rappresentarle  nel  Governo  e  nel  parlamento.  Ài  qual 
medesimo  scopo  tende  ancora  quella  fermezza  nel  conservare  di  fatto  ed 
osservare  le  feste  che  si  pretesero  sopprimere;  sì  che  in  molti  luoghi  sì 
giunse  per  fino  a  non  fare  i  mercati  e  le  fiere  solite,  trasportandole  a 
giorni  non  festivi.  Godiamo  nel  sapere  che  molta  parte  in  questa  aperta 
dimostrazione  di  fede  e  di  religione  deesi  alia  società  della  gioventù  cat- 
tolica che  in  molti  luoghi  si  mostra  senza  verun  rispetto  umano,  e  trova 
nel  popolo  corrispondenza  e  simpatia,  secondo  che  accadde  per  esempio 
in  Padova  ed  in  Brescia  nelle  precessioni  di  S.  Antonio  di  Padova  e  del 
Corpus  Domini. 

Dal  n.°  dei  5  Giugno  del  giornal  torinese  il  Museo  delle  missioni  cat- 
toliche diretto  dall1  esresio  canonico  Ortalda,  direttore  in  Torino  del- 


252  CRONACA 

l'opera  della  Propagazione  della  Fede,  ricaviamo  che  la  città  di  Torino 
continua  ad  esser  la  capitale  d'Italia  nel  soccorrere  alle  Missioni.  Essa 
sola  diede  nell'anno  scorso  ottantamila  trecento  e  cinquantacinque  lire  : 
somma  a  cui  non  arrivò,  né  si  avvicinò,  nessuna  delle  altre  città  italia- 
ne. À  questa  somma  il  direttore  del  Musco  cooperò  con  quasi  vent  et- 
temila  lire  da  lui  raunate;  colle  quali  potè  fondare  in  Torino  la  mirabile 
opera  delle  scuole  apostoliche,  destinate  ad  allevare  giovani  apostoli  per 
le  missioni  straniere. 

Svizzera  Italiana  (  Nostra  corrUpcndenza  )  1 .  "Riforma  costituzionale  — 
2.  Fine  miseranda  di  un  prete  scomun.cato  —  3, 1  Mazziniani  nel  Cantone 
Ticino. 

1.  Il  movimento  riformista  va  diffondendosi  nella  Svizzera,  e  già  in 
molti  Cantoni  furono  riformate  le  costituzioni  cantonali,  in  altri  si  stan- 
no riformando  con  evidente  vantaggio  del  popolo,  ed  anche  con  qual- 
che guadagno  del  partito  conservatore.  Io  mi  restringo  a  parlarvi  del 
Cantone  Ticino,  nel  quale,  come  già  sapete,  si  sta  riformando  il  patrio 
statuto.  Fin  dal  6  Febbraio  il  popolo  ticinese  era  stato  convocato  nelle 
assemblee  circolari  per  decidere  sopra  alcuni  punti  fondamentali  Ueiìa 
riforma  costituzionale,  i  quali  miravano  ad  un  nuovo  riparto  territo- 
riale e  amministrativo  del  Cantone.  Il  popolo,  che  sente  il  bisogno  di 
un  miglioramento  della  cosa  pubblica,  si  pronunciò  a  grande  maggio- 
ranza favorevole  ai  proposti  quesiti  che  servir  devono  di  base  alla  prc* 
gettata  riforma,  e  ciò  in  onta  agli  sforzi  contrarii  degli  ultra  radicali 
e  dei  così  detti  pagnottisti,  i  quali  temono  a  ragione  di  vedersi  fug- 
gir di  mano  il  monopolio  del  Governo  e  delle  cariche.  Il  risultato  del 
voto  popolare,  accompagnato  da  acconcio  messaggio,  fu  dal  Gover- 
no presentato  al  Gran  Consiglio  nella  prima  metà  di  Maggio  ;  il  qua- 
le, onde  procedere  con  sollecitudine,  nominò  una  commissione  di  17 
membri  per  lavorare  il  progetto  di  riforma  costituzionale,  e  si  aggior- 
nò al  20  Giugno,  onde  lasciare  alla  commissione  il  tempo  necessario 
di  prepararlo.  Ora  la  commissione  ha  compito  il  suo  lavoro,  che  già 
si  legge  stampato  in  un  supplemento  straordinario  del  foglio  officia- 
le. Lo  schema  della  nuova  costituzione  viene  diversamente  giudicalo 
dalla  stampa  cantonale,   a  seconda  cioè  del  partito  di  cui  è  organo 
il  giornale  che  ne  parla,  o  del  luogo  ove  il  giornale  slesso  si  stampa. 
Il  che  prova  essere  vive  fra  noi  le  gare  di  località  e  di  partito,  che 
sempre  furono  gli  ostacoli  maggiori  al  vero  miglioramento  morale  e 
materiale  della  nostra  piccola  repubblica.  La  pubblica  opinione  però  si 
manifesta  favorevole  alla  progettata  riforma  ,  quantunque  si  riconosca 
dai  più  assennati  cittadini  essere  questa  una  costituzione  ammodernata, 
la  quale  non  apporterà  certo  al  paese  quei  miglioramenti  di  cui  sente 
il  bisogno,  ne  impedirà  la  prepotenza  e  la  corruzione  di  cui  sempre  si 
son  serviti  e  si  servono  i  radicali  per  mantenersi  al  potere.  1  cattolici 
conservatori  vi  guadagnano  assai  poco;  ma  il  poco  è  meglio  del  nulla; 
e  nell'attuale  condizione  delle  cose  fra  noi,  sempre  sarà  un  guadagno 
quando  si  possa  mettere  un  freno  anche  piccolo  alla  prepotenza  radica- 


CONTEMPORANEA  233 

le,  ed  assicurarsi  il  mezzo  di  migliorare  in  avvenire,  il  che  ci  viene  as- 
sicurato nel  Titolo  VI.0  del  progetto  di  riforma,  che  stabilisce  le  norme 
per  procedere  in  ogni  tempo  alla  revisione  totale  e  parziale  delia  costi- 
tuzione stessa. 

2.  Più  volte  ebbi  occasione  di  parlarvi  di  un  prete  apostata  e  scomu- 
nicato vitando,  un  certo  D.  Giacomo  Perucchi  di  Stabio,  principal  bor- 
gata del  distretto  di  Mendrisio.  Ora  conviene  che  per  l'ultima  volta 
ne  parli ,  e  che  i  lettori  della  Civiltà  Cattolica  conoscano  la  fine  mise- 
randa di  questo  disgraziato,  sul  quale  sembra  proprio  che  siasi  ag- 
gravata la  mano  della  divina  Giustizia  a  castigo  della  sua  ostinazione, 
e  ad  esempio  di  coloro,  e  non  sono  rari  ai  nostri  giorni,  i  quali  si 
distaccano  dalla  Chiesa  e  divengono  lo  scandalo  della  società. 

Il  Perucchi,  dopoché  fu  costretto  dal  popolo  a  dimettersi  da  parroco 
intruso  di  Stabio,  fu  dal  nostro  Governo  radicale  nominato  cappellano 
militare;  e  fu  appunto  quel  cappellano  militare,  che  egli,  sfidando  la  pa- 
zienza di  Dio,  e  nulla  curandosi  delle  censure  ecclesiastiche,  osava  nel 
passato  Novembre,  celebrare  per  ischerno  i  divini  misteri  nella  chiesa 
di  S.  Antonio  di  Lugano,  e  con  un  empio  discorso  preconizzare  ai  mili- 
ti, che  chi  avrebhe  prestato  fede  alle  decisioni  del  Concilio  Vaticano, 
e  si  sarebbe  piegato  ad  ammettere  l1  infallibilità  del  Pontefice  Romano, 
«  una  fisima  a  p^co  a  poco  gli  avrebbe  succhiato  il  sangue,  la  vita,  l'in- 
telligenza, l'anima  ».  Ora  ecco  che  questo  appunto  in  lui  si  verifica,  e  po- 
co tempo  dopo  ritornato  dal  servizio  militare  vomita  il  sangue,  e  per  un 
secreto  malore  perde  la  vita  nella  ancor  robusta  età  di  58  anni  non  an- 
cora compiuti.  Avvertito  del  pericolo  in  cui  versava  la  sua  vita  si  mo- 
strò indifferente;  non  volle  ricevere  sacramenti,  si  rideva  delle  preci 
che  per  lui  si  facevano,  e  dopo  di  aver  scritto,  colla  freddezza  di  un 
settario,  che  i  suoi  funerali  dovevano  essere  puramente  civili,  passò 
al  tribunale  di  Dio  la  mattina  del  venerdì  santo,  lasciando  nel  letto  di 
morte  un  cadavere  così  sfigurato ,  che  riempiva  P  animo  di  orrore  e  di 
spavento  in  chi  1'  osservava. 

3.  Sapete  benissimo  che  il  Cantone  Ticino  è  il  vero  covo  rivoluziona- 
rio, e  sempre  lo  sarà  finche  il  Governo  della  repubblica  sarà  in  mano 
dei  rad  cali,  rivoluzionarli  per  eccellenza,  e  quindi  naturali  e  legittimi 
protettori  dei  rivoluzionarii  di  tutto  il  mondo.  Per  essere  persuasi  di 
questa  verità  basterebbe  vivere  fra  di  noi  qualche  mese;  e  come  si  co- 
spirava un  tempo  contro  l'Austria  e  contro  il  Piemonte,  così  ora  si  ordi- 
scono congiure  controia  Francia  e  l' Italia.  Mazzini,  che  si  dice  ritor- 
nato in  seno  alla  sua  famiglia,  che  ha  nelle  vicinanze  di  Lugano  la  sua 
stabile  dimora,  lavora  indefesso  per  l'attuazione  della  sua  idea,  e  si  assi- 
cura che  abbia  date  istruzioni  e  consigli  alla  banda  che,  non  ha  molto, 
passò  dai  nostri  confini  sul  territorio  italiano;  banda  capitanata  dal  si- 
gnor Giuseppe  Natan,  che  da  tutti  si  crede  figlio  delio  stesso  Mazzini.  Il 
nostro  popolo  è  giustamente  indignato  contro  di  questi  perturbatori,  ma 
deve  contentarsi  di  sterili  lamenti,  non  potendo  agire  come  sarebbe  suo 
desiderio.  È  ben  vero  che  le  nostre  autorità  di  quando  in  quando  danno 
segno  di  vita,  sempre  però  quando  ne  arriva  l'ordine  da  Berna,  o  quan- 
do la  cosa  si  fa  talmente  pubblica,  che  sarebbe,  un  compromettersi  vo- 
lontariamente il  tacere;  ma  coi  settarii  procedono  sempre  con  tutti  ri- 
guardi. 


254  CRONACA 

Credo  inutile  accennare  ai  particolari  che  riguardano  la  banda  repub- 
blicana partita  di  qui,  ed  entrata  sul  territorio  italiano  Un  dal  giorno  29 
Maggio;  ne  sono  pieni  i  giornali,  i  quali  però,  da  quel  che  mi  sappia, 
non  dicono  che  le  armi,  le  munizioni  e  tutto  l'occorrente  per  la  spedizio- 
ne fu  provveduto  con  tutto  agio  in  Lugano,  donde  ì  congiurali  son  par- 
titi le  notte  prima  del  28  dopo  di  aver  caricato  sopra  di  un  carro  tutto  il 
bagaglio  con  la  cassa  delle  armi.  Arrivati  al  Maglio  di  Colla  si  armarono, 
e  guidati,  si  assicura,  da  un  impiegato  federale,  salirono  il  monte  S.  Lu- 
cio, dove  si  accamparono  aspettando  nella  notte  l'ora  opportuna  di 
passare  il  confine.  Compiuto  il  fatto  furono  tosto  informate  le  autorità 
governative,  furono  spediti  con  gran  sollecitudine  gendarmi  e  soldati, 
e  ancora  vi  si  trovano  a  custodire  la  frontiere,  ed  a  guarentire  l'onore  e 
la  lealtà  dei  nostri  governanti. 

Ora  però  le  mosse  mazziniane  sembrano  cessate,  e  son  divenute  ra- 
re le  facce  sinistre  che  s'incontravano  tempo  fa  sui  nostri  passeggi. 
La  venuta  a  Lugano  del  colonnello  Hess  di  Zurigo  col  mandato  dì 
commissario  federale,  fu  efficacissima  a  umiliare,  pel  momento  almeno, 
la  oltracotanza  dei  settarii  forastieri  e  nostrani,  i  quali  però,  per  quan- 
to mi  si  assicura,  non  cessano  di  lavorare  in  segreto  a  preparare  e 
disporre  i  loro  disegni  sovversivi.  Uno  dei  primi  atti  del  commissario 
federale  fu  di  ordinare  una  severa  perquisizione  nella  casa  di  Mazzini 
(Natan)  ed  in  quella  della  vedova  del  conte  Grillenzoni  ;  ma,  come  era 
d'aspettarsi,  nulla  fu  trovato  di  compromettente,  perchè  si  ebbe  avvi- 
so a  tempo  di  lutto  riporre  in  luogo  sicuro. 

Il  commissario  Hess,  compito  il  suo  officio  nel  Cantone  Ticino,  se  ne 
ritornò  a  Berna,  per  informare  personalmente  il  Consiglio  federale  dei 
come  stiano  le  cose  in  questo  Cantone.  Ma  dopo  tre  o  quattro  giorni 
ritornò  a  Bellinzona,  dove  trovasi  tuttora,  con  nuove  istruzioni.  Il  mo- 
tivo principale  della  presenza  di  questo  Commissario  federale  fra  noi  si 
dice  essere  l'agitazione  che  domina  nel  Cantone  per  causa  della  riforma 
costituzionale.  Sia  pure  qualunque  la  missione  del  colonello  Hess  nel 
Ticino,  la  sua  presenza  è  da  tutti  riconosciuta  opportunissima,  e  salverà 
forse  il  paese  dai  disordini  che  sembrano  minacciarlo. 

IL 
COSE  STRANIERE. 

Francia  1.  La  linea  del  S.  Gottardo  —  2.  Petizione  de1  Principi  d'Orleans 
—  3.  Assicurazioni  pacifiche  dell'Olii vier  —  4.  Minacce  guerresche  del 
Gr  ammoni. 

1.  Non  poche  sono  statele  sedute  parlamentari  francesi  di  qualche  in- 
teresse. E  in  prima  quella  del  20  Giugno  sopra  la  ferrovia  da  costruirsi 
pel  S.Gottardo,  nella  quale  i  primi  bollori  patriottici  accesisi  alla  chiara 
rista  de1  danni  commerciali  e  politici  che  può  averne  la  Francia,  sì  raf- 
freddarono dopo  il  pacato  discorso  del  Ministro  degli  affari  esterni  ( 
mont.  Egli  con  grande  prudenza  procurò  di  assicurar1  ognuno  die  nulla  vi 
era  da  temere  per  la  Francia  da  niuna  parte,  che  la  neutralità  svizzera 


CONTEMPORANEA  255 

non  correva  pericolo,  che  favorendo  la  navigazione  fluviale  sul  Rodano, 
sul  Reno  e  sulla  Saona,  nulla  avrebbe  sofferto  il  commercio  francese;  spe- 
cialmente poi  se  si  aprisse  anche  la  via  ferrata  pel  Sem  pione.  Parvero 
acquietarsi  allora  i  timori;  e  chiaramente  si  vede  che  il  Grammont,  e  per 
suo  mezzo  il  Governo  francese,  nuli'  altro  cercò  con  più  sollecitudine  in 
tal  occasione,  che  di  impedire  lo  scoppio  di  troppo  violenti  parole  con- 
tro la  Prussia,  riserbandosi  però  di  rispondere  come  meglio  poìrà  coi 
fatti.  Del  resto,  che  i  timori  francesi  non  siano  infondati,  apparisce  dalle 
parole  del  Bismarck,  che  così  parlava  al  Reichstag  nella  tornata  del  25 
Maggio.  «  Signori,  i  Governi  confederati  debbono  senza  dubbio  essere 
profóndamente  convinti  che  gl'interessi  politici  comandano  di  aprire  fra 
l'Àlemagna  e  l'Italia  una  via  di  comunicazione,  la  quale  non  dipenda  che 
da  un  paese  intermedio  neutro,  e  non  si  trovi  nel  possesso  d'una  grande 
potenza  europea.  Senza  dubbio  ancora,  considerazioni  d'un'  importanza 
tutta  speciale  debbono  aver  indotto  questi  Governi  a  prendere  la  riso- 
luzione straordinaria,  credo  anche  senza  precedente,  di  dimandarvi  un 
grande  assegno  per  una  ferrovia  che  è  non  solo  all' infuori  della  Confe- 
derazione alemanna  del  Nord,  ma  anche  all' infuori  dell' Àlemagna.  Le 
considerazioni  che  hanno  detcrminato  i  Governi  a  prendere  questa  ini- 
ziativa straordinaria  sono,  d'altro  lato,  sì  palpabili;  esse  sono  state  sì 
spesso  già  pesate,  e  il  carattere  ne  è  sì  delicato,  che  io  vi  prego  a  dispen- 
sarmi dallo  esporle  qui  di  nuovo.  »  Queste  parole,  per  quanto  circo- 
spette, sono  eloquenùssime.  S  però  poco  dopo  aggiungeva:  «  Per  noi 
l'interesse  maggiore  è  d'avere  una  via  di  comunicazione  quasi  diretta 
con  un  paese  amico,  e  la  cui  amicizia,  noi  crediamo,  sarà  durevole, 
l'Italia.  » 

2.  Il  2  Luglio  poi  con  174  voti  contro  31  si  votò  l'ordine  del  giorno 
soprala  Petizione  dei  Principi  d'Orleans,  i  quali  si  erano  volti  al  Corpo 
legislativo  perchè  fosse  abolita  la  legge  che  li  esilia  dal  territorio  fran- 
cese. Ài  31  deputali  favorevoli  agii  Orleans  unendo  i  cinquanta  che  si 
sono  astenuti  si  forma  il  terzo  della  camera  :  il  che  non  è  poca  opposi- 
zione in  una  quistione  sì  delicata.  Il  sig.  Dreollc  relatore  della  petizione, 
nel  proporre  l'ordine  del  giorno,  recò  tra  gli  altri  argomenti  in  contra- 
rio la  forma  della  petizione  che  è  volta  al  potere  legislativo  anziché  al- 
l'esecutivo e  non  contiene  nessuna  parola  con  cui  si  riconosca  l'ordine 
presente  di  cose  in  Francia.  Argomentò  ancora  dall'  ordine  delle  sotto- 
scrizioni dei  Principi  posti  secondo  l'ordine  dell'età:  onde  deduceva 
che  i  Principi  d'Orleans  si  riconoscono  ancora  come  legittimi  eredi  del 
trono  francese.  L'OUivier  recò  innanzi  tutto  l'argomento  dell'ordine 
pubblico  che  corre  pericolo  colla  sola  presenza  di  ceì'te  famiglie  che  egli 
chiamò  privilegiate,  senza  presupporre  negl'  individui  di  quella  famiglia 
veruna  mala  intenzione.  Molto  bene  dice  a  tal  proposito  il  Monde  dei  l 
Luglio:  «Il  Governo  francese  era  molto  ben  armato  contro  cpiesta  peti- 
zione. Àgli  amici  degli  Orleanesi  potea  rispondere  che  egli  ancora  era 
stato  proscritto  da  loro  prima  di  ogni  tentativo  di  insurrezione.  Ài  re- 
pubblicani potea  dire  che  egli  applicava  una  legge  fatta  da  loro  stessi. 
Ai  suoi  partigiani  poi,  che  sono  ora  così  divisi,  l' Imperatore  potea  recar- 
si in  esempio  e  dimostrare  che  vi  è  sempre  gran  pericolo  per  i  Governi 
nel  lasciar  rientrar  in  casa  i  pretendenti.  » 


256  CRONACA  COSTEMPORANEA 

3.  Notabile  ancora  fu  la  seduta  dei  30  sopra  il  contingente  militare  pel 
1871.  Il  La  Tour  si  levò  primo  a  lamentare  la  riduzione  del  contingente. 
Egli  sostenne  che  le  forze  della  Francia  sono  ora  interiori  a  quelle  della 
Germania,  e  lo  sarebbero  quand'  anche  si  mantenesse  il  contingente  a 
100,000  uomini.  Entrato  in  una  particolareggiata  esposizione  dell'  or- 
ganamento militare  della  confederazione  del  Nord,  1'  oratore  provò  che 
in  tempo  di  pace  questa  dispone  di  414,000  uomini,  mentre  la  Francia 
non  ne  ha  sul  continente  che  340  mila,  giacche  60  mila  sono  tenuti  or- 
dinariamente in  Algeria.  Ma  in  tempo  di  guerra  l'inferiorità  della  Fran- 
cia è  molto  più  chiara:  l'effettivo  francese  è  di  810,000  uomini,  men- 
tre l'effettivo  federale  è  di  1,608,000  uomini.  Conchiuse  invitando  il 
governo  a  proporre  ai  Governi  esteri  e  segnatamentte  alla  Prussia 
una  'diminuzione  dei  loro  armamenti,  e  nel  caso  che  questa  proposta 
restasse  sterile,  lo  invitò  a  tornare  al  contingente  di  100,000  uomini. 

Il  marescialo  Leboeuf  affermò  che  «  noi  abbiamo  fatto  ciò  che  pote- 
vamo fare.  Abbiamo  ridotto  al  contingente  di  10,000  uomini .  era  un 
invito  alle  altre  Potenze.  Ebbene!  io  devo  dire  che  tino  ad  ora  il  nostro 
esempio  non  ebbe  imitatori  [risa  d'adesione),  i  contingenti  non  furono 
cambiati.  »  Il  discorso  del  Thiers  fu  un  grido  di  all'armi.  «  La  Francia  è 
minacciata,  la  Francia  è  iti  pericolo.  »  Ricordò  il  discorso  da  lui  pronun- 
ciato dopo  Sadowa:  «Fui  applaudito,  è  vero,  ma  non  fui  ascoltato.  Sì 
commise  l'errore  di  permettere  l'ingrandimento  della  Prussia  :  dobbiamo 
scontarlo,  spendendo  molto  per  mantenerci  forti:  «  L'oratore  conchiu- 
se sostenendo  che  «  nelle  condizioni  attuali  un  contingente  di  90,000 
uomini  è  appena  il  necessario.  »  Del  discorso  d' Emil  o  Ollivier  riporte- 
remo il  brano  relativo  alla  condizione  presente  dell'Europa.  «  Rispondo 
alP  on.  Giulio  Favre,  che  il  Governo  non  nutre  inquietudine  di  sorta; 
che  in  nessuna  epoca  il  mantenimento  della  pace  fu  più  sicuro:  da  o- 
gni  parte,  ove  si  guardi,  non  havvi  alcuna  questione  irritante;  daper- 
tutto  i  gabinetti  hanno  compreso  che  il  rispetto  dei  trattati  s'impone  a 
tutti;  e  specialmente  i  due  trattati  più  importanti,  che  più  d'ogni  altro 
mantengono  la  pace  d'Europa,  cioè  quello  del  1856,  che  assicura  la  pa- 
ce in  Oriente,  e  quello  di  Praga,  che  assicura  la  pace  in  Germania,  so- 
no considerati  con  unanime  opinione  come  inviolabilmente  rispettabili.  » 
La  conclusione  fu  che  si  approvò  la  proposta  del  Governo. 

4  Dopo  le  assicurazioni  pacifiche  dell  Ollivier  scoppiò  come  fulmine 
a  ciel  sereno  la  notizia  dell'offerta  del  trono  di  Spagna  ad  un  Principe 
prussiano  che  l'accettò.  Se  ne  parlò  nella  tornata  del  6  Luglio  dovè  il 
Grammont  disse,  che  la  Francia  non  soffrirà  che  una  potenza  estera 
ponga  sul  trono  di  Spagna  un  Principe  che  sarebbe  un  pericolo  all'ono- 
re e  alla  dignità  della  Francia.  11  Governo  spera  nella  saviezza  del  popo- 
lo spagnuolo.  Ma,  se  la  speranza  fosse  delusa,  la  Francia  farà  il  suo  do- 
vere senza  esitazione  e  senza  debolezza  Vede  ognuno  la  oscurità  della 
presente  condizione  politica:  la  quale  del  resto  non  tarderà  a  chiarirsi. 


COSTITUZIONE  DOMMATICA 

PRIMA 

SOPRA   LA    CHIESA    DI   CRISTO* 

PUBBLICATA  NELLA  SESSIONE  QUARTA  ! 

DEL  CONCILIO  VATICANO 


Serie  YII,  voi  XI,  fase.  1*9.  17  23  Luglio  1870. 


258  COSTITUZIONE  DOGMATICA  PRIMA 


PTO  VESCOVO 

SERVO  DEI  SERVI  DI  DIO 

APPROVANTE  IL  SACRO  CONCILIO 

A  PERPETUA  MEMORIA  DELLA  COSA 


II  Pastore  eterno  e  Vescovo  delle  anime  nostre,  per  rendere  perenne 
la  salutifera  opera  della  Redenzione,  decretò  edificare  la  santa  Chiesa, 
nella  quale,  come  nella  casa  del  Dio  vivente,  tutti  i  fedeli  si  mantenesse- 
ro uniti  nel  vincolo  di  una  sola  fede  e  carità.  Per  la  qual  cosa,  prima 
che  venisse  glorificato,  pregò  il  Padre,  non  soltanto  per  gli  Apostoli, 
ma  ancora  per  quelli  che  per  la  parola  loro  avrebher  creduto  in  lui,  affin- 
chè tutti  fossero  una  cosa  sola,  come  sono  una  cosa  sola  lo  stesso  Figlio 
e  il  Padre.  Siccome  dunque  mandò  gli  Apostoli  che  si  era  eletto  per  se 
dal  mondo,  come  egli  era  stato  mandato  dal  Padre,  così  volle  che  nella 
sua  Chiesa  fossero  Pastori  e  Dottori  fino  alla  consummazione  del  mondo. 

Perchè  poi  lo  stesso  Episcopato  fosse  uno  ed  indiviso,  e  la  moltitudi- 
ne universale  dei  credenti,  per  mezzo  dei  sacerdoti,  fra  se  vicendevol- 
mente congiunti,  si  conservasse  nell'unità  della  fede  e  della  comunione; 
preponendo  agli  altri  Apostoli  il  Beato  Pietro,  in  lui  dell1  una  e  dell'altra 
unità  instituì  il  perpetuo  principio  ed  il  visibile  fondamento,  sopra  la  cui 
fortezza  sorgesse  il  tempio  eterno,  e  cosi  la  sublimità  della  Chiesa  da  ele- 
varsi fino  al  cielo,  si  innalzasse  sopra  la  fermezza  di  questa  fede.  E  poiché 
le  porte  dell'  inferno,  per  distruggere,  se  fosse  possibile,  la  Chiesa,  ogni 
giorno  con  maggior  odio,  da  ogni  parte  insorgono  contro  il  suo  fonda- 
mento divinamente  stabilito;  Noi  per  la  custodia,  incolumità  ed  aumento 
del  gregge  cattolico  giudichiamo  essere  necessario,  approvante  questo 
sacro  Concilio,  di  proporre  la  dottrina  da  credersi  e  tenersi  da  tutti  i  fe- 
deli, secondo  l'antica  e  costante  fede  della  Chiesa  universale,  sopra  l'i- 
stituzione, perpetuità  e  natura  del  sacro  Primato  apostolico,  in  cui  sta 
la  forza  e  la  solidità  di  tutta  la  Chiesa;  e  di  proscrivere  e  condannare 
gli  errori  contrarli,  cotanto  perniciosi  al  gregge  del  Signore. 


SOPRA  LA  CHIESA  DI  CRISTO  2o9 

PIVS  EPISCOPYS 

SERVVS  SERVORYM  DEI 

SACRO  APPROBANTE  CONCILIO 

AD  PERPETVAM  REI  MEMORIAM 


Pastor  aeterms  et  epìscopus  animarum  nostrarum,  ut  saluti ferum  re- 
demptionis  opus  perenne  redderet,  sanctam  aedificare  Ecclesiam  decremi, 
in  qua  velati  in  domo  Dei  vkentis  fideles  omnes  unius  fidei  et  charitatis 
rinculo  continerentur.  Quapropter  priusquam  clarifìcaretur,  rogavit  Pa- 
trem  non  prò  Apostolis  tantum,  sed  et  prò  eis  qui  credituri  erant  per  ver- 
bum  eorum  in  ipsum,  ut  omnes  unum  essent,  sicut  ipse  Filius  et  Pater 
unum  sunt.  Quemadmodum  igitur  Apostolos,  quos  sibi  de  mundo  elege- 
rat,  misit,  sicut  ipse  missus  erat  a  Patre:  ita  in  Ecclesia  sua  Pastores  et 
Doctores  usque  ad  consummationem  saeculi  esse  voluit. 

Ut  vero  episcopatus  ipse  unus  et  indivisus  esset,  et  per  cohaerentes  sibi 
invìcem  sacerdotes  credentium  niulfitudo  universa  in  fidei  et  communionis 
unitale  conservaretur,  beatum  Petrum  caeteris  Apostolis  praeponms  in 
ipso  instituit  perpetuum  utriusque  unitafis  princìpium  ac  visibile  funda- 
mentum,  super  cuius  fortitudinem  aeternum  exslrueretur  templum,  et  Ec- 
clesiae  coelo  inferenda  sublimitas  in  huius  fidei  firmilate  consurgeret l. 
Et  quoniam  portae  inferi  ad  evertendam,  si  fieri  posset,  Ecclesiam  con- 
tra  eius  fundamentum  divinitus  positum  maiori  in  dies  odio  undique  in- 
surgunt;  Nos  ad  catholicì  gregis  custodiam,  incolumitalem,  augrnentum, 
necessarium  esse  iudicamns,  sacro  approbante  Concilio,  doctrinam  de 
institutione,  perpetuitate,  ac  natura  sacri  Apostolici  primatus,  in  quo 
totius  Ecclesiae  vis  ac  soliditas  consistit,  cunctis  fidelibus  credendam  et 
tenendam,  secundum  antiquam  atque  constantem  universalis  Ecclesiae 
[idem,  proponere,  atque  contrarios  dominico  gregi  adeo  perniciosos  erro- 
res  proscribere  et  condemnare. 

1  9.  Leo  M,  sera.  IV.  {al.  IH.)  cap,  %  in  diem  Natalis  sixi. 


260  COSTITUZIONE  DOMMATICA  PRIMA 

CAPO  I. 

Dell'  istituzione  del  Primato  apostolico  nel  Beato  Pietro. 

Insegniamo  dunque  e  dichiariamo  che,  secondo  i  testimonii  del  Vange- 
lo, il  Primato  di  giurisdizione  sopra  tutta  la  Chiesa  di  Dio  fu  promesso 
e  conferito  dal  Signor  nostro  Gesù  Cristo  al  Beato  Apostolo  Pietro  im- 
mediatamente e  direttamente.  Giacche  al  solo  Simone  (cui  già  per  V  in- 
nalzi avea  detto:  Tu  sarai  chiamato  Cefa  ) ,  dopo  che  egli  protestò  la 
sua  fede  dicendo  :  Tu  sei  il  Cristo,  il  figliuolo  di  Dio  vivo  ;  il  Signore  vol- 
se queste  solenni  parole:  Beato  sei  tu,  Simone  Bariona;  perchè  non  la 
carne  e  il  sangue  te  lo  ha  rivelato  :  ma  il  Padre  mio  che  è  nei  cieli. 
Ed  io  dico  a  te  che  tu  sei  Pietro  e  che  sopra  questa  pietra  io  edificherò  la 
mia  Chiesa,  e  le  porte  dell1  inferno  non  avran  forza  contro  di  lei  :  e  a  te 
io  darò  le  chiavi  del  regno  de1  cieli:  e  qualunque  cosa  avrai  legato  sopra 
la  terra,  sarà  legata  ancora  nei  cieli:  e  qualunque  cosa  avrai  sciolta 
sopra  la  terra,  sarà  sciolta  ancora  nei  cieli.  Ed  al  solo  Simone  Pietro  Ge- 
sù conferì,  dopo  la  sua  risurrezione,  la  giurisdizione  di  sommo  Pastore 
e  Reggitore  sopra  tutto  il  suo  ovile  dicendo  :  Pasci  i  miei  agnelli  :  Pasci 
le  mie  pecorelle.  A  questa  sì  manifesta  dottrina  delle  sacre  Scritture, 
secondo  che  sempre  fu  intesa  dalla  Chiesa  cattolica,  apertamente  si 
oppongono  le  male  sentenze  di  coloro,  i  quali  pervertendo  la  forma  di 
governo,  dal  Signor  nostro  Gesù  Cristo  stabilita  nella  sua  Chiesa,  nega- 
no che  il  solo  Pietro  sia  stato  da  Gesù  Cristo  fornito  del  vero  e  proprio 
Primato  di  giurisdizione,  a  preferenza  degli  altri  Apostoli  o  presi  sepa- 
ratamente ciascuno  da  se,  o  tutti  insieme  ;  e  quelli  che  affermano  che  lo 
stesso  Primato  fu  conferito,  non  immediatamente  e  direttamente  allo 
stesso  Beato  Pietro,  ma  alla  Chiesa  e  per  questa  a  lui  come  a  ministro 
della  stessa  Chiesa. 

Se  dunque  alcuno  dirà  che  il  Beato  Pietro  Apostolo  non  fu  dal  Signor 
nostro  Gesù  Cristo  costituito  Principe  di  tutti  gli  Apostoli,  e  Capo  visi- 
bile di  tutta  la  Chiesa  militante;  ovvero  che  il  medesimo  ricevette  dallo 
stesso  Signor  nostro  Gesù  Cristo  direttamente  ed  immediatamente  il  Pri- 
mato solo  di  onore  e  non  già  di  vera  e  propria  giurisdizione:  sia  anatema. 

CAPO  II. 

Della  perpetuità  del  Primato  del  Beato  Pietro 
nei  Romani  Pontefici. 

Quello  poi,  che  il  Principe  dei  Pastori,  il  grande  Pastore  del  gregge, 
il  Signor  nostro  Gesù  Cristo,  a  perpetua  salute  e  a  perenne  vantaggio 


SOPRA  LA  CHIESA  DI  CRISTO  261 

CAPUT  L 

De  Apostolici  primatus  in  Beato  Petro  institutione. 

Docemus  itaque  et  declaramus,  iuxta  Evangelia  testimonia  primatum 
iurisdictionis  in  unicersam  Dei  Ecclesiam  immediate  et  directe  beato  Pe- 
tro Apostolo  promissum  atque  collatum  a  Christo  Domino  fuisse.  Unum 
enim  Simotiem,  cui  iam  pridem  dixerat:  Tu  vocaberis  Cephas  I,  post- 
quam  illc  suam  edidit  confessionem  inquiens  :  Tu  es  Chris tus,  Filius  Dei 
vici ,  solemnibus  his  verbis  allocutus  est  Dominus:  Beatus  es  Simon  Bario- 
na:  quia  caro,  et  sanguis  non  revelavit  Ubi,  sed  Pater  meus,  qui  in  coe- 
lis est:  et  ego  dico  tibi,  quia  tu  es  Petrus,  et  super  hanc  petram  aedi  fica- 
io Ecclesiam  meam,  et  portae  inferi  non  praecalebunt  adversus  eam  :  et 
tibi  dabo  claves  regni  coelorum  :  et  quodeumque  ligaveris  super  terram, 
erit  ligatum  et  in  coelis:  et  quodeumque  soheris  super  terram,  erit  solu- 
tum  et  in  coelis  2.  Atque  uni  Simoni  Petro  contulillesus  post  suam  resur- 
rectionem  summi  pastoris  et  rectoris  iurisdiclionem  in  totum  suum  ovile, 
dicens:  Pasce  agnos  meos  :  Pasce  oves  meas  3.  Buie  tam  manifeslae  sa- 
crarum  Scripturarum  doctrinae,  ut  ab  Ecclesia  catholica  semper  intelle- 
cta  est,  aperte  opponuntur  pravae  eorum  sententiae,  qui  constitutam  a 
Christo  Domino  in  sua  Ecclesia  regiminis  formam  percer'entes  negant, 
solum  Petrum  prae  caeteris  Apostolis,  sue  seorsum  singulis  sire  omni- 
bus simul,  vero  proprioque  iurisdictionis  primatu  fuisse  a  Christo  instru- 
clum;  aut  qui  affirmant  eundem  primatum  non  immediate,  direct  eque 
ipsi  beato  Petro,  sed  Ecclesiae,  et  per  hanc  UH  ut  ipsius  Ecclesiae  mini- 
stro delatum  fuisse. 

Si  quis  igitur  dixerit,  beatum  Petrum  Apostolum  non  esse  a  Christo 
Domino  constitutum  Aposlolorum  omnium  pHncipem  et  totius  Ecclesiae 
miiitantis  visibile  caput;  vel  eundem  honoris  tantum,  non  aulem  verae 
propriaeque  iurisdictionis  primatum  ab  eodem  Domino  nostro  lesu  Chri- 
sto directe  et  immediate  accepisse:  anathema  sit. 


Quo 


CAPUT  IL 

De  Perpetuiate  primatus  Beati  Pelri  in  Romanis  Pontificibus. 


)d  autem  in  bealo  Apostolo  Petro  princeps  pastorum  et  paslor  ma- 
gnus  ovium  Dominus  Christus  Iesus  in  perpetuarli  salutem  ac  perenne  bo- 


1  Ioaj.  I.  42. 

2  Matth.  XVI.  16-19. 

3  lo.«.  XXI.  1517. 


262  COSTITUZIONE  DOGMÀTICA  PRIMA 

delia  Chiesa  ha  istituito  nel  Beato  Apostolo  Pietro  ;  per  volere  dello  stes- 
so divino  Istitutore  è  necessario  che  duri  perennemente  nella  Chiesa, 
Ja  quale  fondata  sopra  la  pietra  starà  Cernia  fino  alla  fine  dei  secoli. 
Non  è  dubbio  per  veruno,  anzi  è  cosa  nota  a  tutti  i  secoli,  che  il  santo  e 
beatissimo  Pietro,  principe  e  capo  degli  Apostoli,  colonna  della  fede  e 
fondamento  della  Chiesa  cattolica,  ha  ricevuto  le  chiavi  del  regno  dal 
Signor  nostro  Gesù  Cristo,  Salvatore  e  Redentore  del  genere  umano  : 
e  che  Pietro,  finora  e  sempre,  vive  e  presiede  e  giudica  nella  persona 
dei  suoi  successori,  che  sono  i  Vescovi  della  santa  Romana  Sede,  da  lui 
fondata  e  dal  suo  sangue  consacrata.  Laonde  qualunque  succede  a  Pie- 
tro in  questa  Cattedra,  egli,  secondo  la  istituzione  dello  stesso  Cristo, 
ottiene  il  Primato  di  Pietro  su  tutta  la  Chiesa  universa.  Riman  dunque 
ciò  che  la  verità  ha  disposto,  ed  il  Beato  Pietro,  perseverando  nella  rice- 
vuta fortezza  della  pietra,  non  ha  lasciato  di  tener  la  mano  sul  timone 
della  Chiesa.  Per  questo  motivo  fu  sempre  necessario  che  colla  Chiesa 
Romana,  a  cagione  del  sovraeminente  principato,  convenissero  tutte  le 
altre,  vale  a  dire  i  fedeli  tutti  del  mondo,  affinchè  in  quella  Sede;  dalla 
quale  sgorgano  in  tutti  i  diritti  della  veneranda  comunione,  tutti,  sic- 
come membri  congiunti  nel  capo,  venissero  a  congiungersi  e  rassodarsi 
in  un  sol  corpo. 

Se  dunque  alcuno  dirà,  non  essere  d'istituzione  dello  stesso  Cristo 
Signore,  ossia  di  ragione  divina,  che  il  Beato  Pietro  abbia  nel  Primato 
sovra  la  Chiesa  universale  perpetui  successori  ;  o  non  essere  il  Romano 
Pontefice  il  successore  del  Beato  Pietro  nello  stesso  Primato  :  sia  anatema. 

CAPO  III. 

Della  forza  e  della  natura  del  Primato  del  Romano  Pontefici. 

Per  la  qual  cosa  appoggiati  alle  aperte  testimonianze  delle  sacre  let- 
tere, ed  inerendo  agli  espressi  e  perspicui  decreti  sì  dei  Romani  Pontefici 
Nostri  predecessori,  come  dei  generali  Concilii;  rinnoviamo  la  definizione 
del  Concilio  ecumenico  di  Firenze,  per  virtù  della  quale  da  tutti  i  fede- 
li di  Cristo  si  dee  credere,  che  la  santa  Sede  apostolica  ed  il  Romano 
Pontefice  tengono  il  Primato  nell'universo  orbe,  e  che  lo  stesso  Romano 
Pontefice  è  il  successore  del  Beato  Pietro  principe  degli  Apostoli  e  il  ve- 
ro Vicario  di  Cristo,  il  Capo  di  tutta  la  Chiesa,  il  Padre  e  il  Dottore  di 
tutti  i  cristiani;  e  che  a  lui,  nella  persona  del  Beato  Pietro,  fu  comu- 
nicata dal  Signor  nostro  Gesù  Cristo  la  piena  podestà  di  pascere,  di 
reggere  e  di  governare  la  Chiesa  universale;  siccome  ancora  si  contiene 
negli  atti  dei  Concilii  ecumenici  e  nei  sacri  canoni 

Insegniamo  pertanto  e  dichiariamo  che  la  Chiesa  Romana,  disponendo 
cosi  il  Signore,  possiede  il  principato  dell'ordinaria  podestà  sopra  tutte 


SOPRA  LA  CHIESA  DI  CRISTO  263 

nim  Ecclesiae,  instituit,  id  eodem  alidore  in  Ecclesia,  quae  fondata  super 
petram  ad  finem  saeculorum  nsque  firma  stabit,  iugiter  durare  necesse 
est.  Nulli  sane  dubhim,  imo  saeculis  omnibus  notum  est,  quod  sanctus 
beati ssimusque  Petrus,  Apostolorum  princeps  et  caput,  fideique  collimila 
et  Ecclesiae  catholcae  funclamentum,  a  Domino  nostro  Iesu  Christo  Sai- 
mtore  immani  generis  ac  Redemptore,  claves  regni  accepit:  qui  ad  hoc 
usque  tenipus  et  semper  in  suis  successoribus,  episcopis  sanctae  Romanae 
Sedis,  ab  ipso  fundalae,  eiusque  consecratae  sanguine,  vivit  et  praesidet 
et  indi  cium  exercet l.  linde  quicumque  in  hac  Cathedra  Pelro  succedit,  is 
secundum,  Chris'iipsius  insfitutionem primatum  Pelri  in  universam  Eccle- 
siam obtinet.  Manet  ergo  dispostilo  reritatis,  et  beatus  Petrus  in  accepta 
fortitudine  petrae  perseverane  suscepta  Ecclesiae  gubernacula  non  reti- 
quii 2.  Hac  de  causa  ad  Romanam  Ecclesiam  propfer  potentiorem  prin- 
cipalitatem  necesse  semper  full  omnem  convenire  Ecclesiam,  hoc  est,  eos, 
qui  san!  undique  fideles,  ut  in  ea  Sede,  e  qua  venerandae  communionis 
tura  in  omne<?  dimanant,  tamquam  membra  in  capite  consociata,  in  unam 
corporis  compagem  coalescermt  3. 

Si  quis  ergo  dixerit,  non  esse  ex  ipsius  Christi  Domini  inrtilutione  seu 
iure  diinno  ut  beatus  Petrus  in  primatu  super  unirersam  Ecclesiam  ha- 
leat  perpetuos  successores  ;  aut  Romanum  Ponlificem  non  esse  beati  Petri 
in  eodem  primatu  svccessorem  :  anathema  sit. 

CAPUT  111. 

De  tì  et  ratione  Primatus  Romani  Pontificis. 

Quapropter  apertis  innixi  sacrarum  IWerarum  testimoniis,  et  inhae- 
renfes  tum  Praedecessorum.  Noslrorum,  Romanorum  Ponti fìcum ,  tum 
Conciìinrum  generalium  disertis,  perspicuis^/ue  decretis,  innoramus  oe- 
cumenici  Conci  Hi  Fiorentini  defìnitionpm,  qua  credendum  ab  omnibus 
Christi  fidelibus  est,  sanetam  Apostolicam  Sedem,  et  Romanum  Ponti/i- 
cem  in  universum  orbem  tenere  primatum,  et  wsum  PonHpcem  Romanum 
successorem  esse  beati  Pe-ri  principis  Apostolorum,  et  verum  Christi  Vi- 
carium,  totiusque  Ecclesiae  caput,  et  omnium  Christianorum  patrem  ac 
doctorem  existerp  ;  et  ipsi  in  beato  Petro  pascendi,  reqendi  ac  gubmian- 
di  universalem  Ecclesiam  a  Domino  nostro  Iesu  Christo  plenam  potestatem 
traditam  esse:  quemadmodtm  etiam  in  gestis  oecumenicorum  Concilio- 
rum  et  in  sacris  canonibus  continetur. 

Docemus  proinde  et  declaramus,  Ecclesiam  Romanam  disponente  Do- 
mino super  omnes  alias  ordinariae  polestatis  obtinere  principatum,  et 

1  Cf.  Ephpsini  Conci lii  Aet.  III. 

2  S.  Leo  M.  Sermo  III.  (al.  II.)  cap.  3. 

3  S.  Ires.  Adv.  haer.  1.  HI.  e.  3.  et  Conc.  Aqailei.  a.  381.  inter  epp.  S.  àmbros.  ep.  XI. 


264  COSTITUZIONE  DOMMATICA  PRIMA 

le  altre,  e  che  questa  podestà  di  giurisdizione  del  Romano  Pontefice,  po- 
destà veramente  episcopale,  è  immediata  :  verso  la  quale  i  pastori  e  i  fe- 
deli di  qualunque  siasi  rito  e  dignità,  tanto  ciascuno  in  individuo,  quanto 
tutti  insieme,  sono  astretti  dal  dovere  di  gerarchica  subordinazione  e  di 
vera  obbedienza,  non  solo  nelle  cose  che  appartengono  alla  fede  ed  ai 
costumi,  ma  ancora  in  quelle  che  spettano  alla  disciplina  ed  al  reggi- 
mento della  Chiesa  sparsa  per  tutto  il  mondo;  cosi  che  custodita  col  Ro- 
mano Pontefice  l'unità  sì  della  comunione  e  sì  della  professione  della 
medesima  fede,  la  Chiesa  di  Cristo  sia  un  unico  gregge  sotto  un  unico 
sommo  pastore.  Questa  è  la  dottrina  della  cattolica  verità,  dalla  quale 
niuno  può  sviarsi,  senza  perdita  della  fede  e  pericolo  della  salute. 

Tanto  poi  è  lungi  che  questa  podestà  del  sommo  Pontefice  pregiudichi 
a  quella  ordinaria  ed  immediata  podestà  di  episcopale  giurisdizione, 
colla  quale  i  Vescovi  che,  posti  dallo  Spirito  Santo,  succedettero  in  luogo 
degli  Apostoli,  siccome  veri  pastori  pascono  e  reggono  ciascheduno  i 
singoli  greggi  loro  assegnati  ;  che  anzi  essa  dal  supremo  ed  universale 
Pastore  viene  affermata,  corroborata  e  difesa,  secondo  il  detto  di  S.  Gre- 
gorio Magno:  L'onor  mio  è  l'onore  della  Chiesa  universale.  L'onor  mio 
è  la  solida  forza  de1  miei  fratelli.  Allora  veramente  io  sono  onorato,  quan- 
do ad  ognuno  di  essi  il  debito  onore  non  vien  negato. 

Adunque  dalla  predetta  suprema  podestà  del  Romano  Pontefice  di  go- 
vernare la  Chiesa  universale,  conseguita  aver  esso  il  diritto  di  comuni- 
care liberamente  nell1  esercizio  di  questo  suo  officio,  coi  pastori  e  coi 
greggi  di  tutta  la  Chiesa,  affinchè  essi  da  lui  possano  venire  diretti  ed 
ammaestrati  nella  via  della  salute.  Per  lo  che  condanniamo  e  riproviamo 
le  sentenze  di  coloro,  che  dicono  potersi  lecitamente  impedire  questa 
comunicazione  del  Capo  supremo  coi  pastori  e  coi  greggi,  o  che  la  ren- 
dono soggetta  alla  podestà  secolare,  così  che  sostengono  che  le  cose,  le 
quali  dalla  Sede  apostolica  o  dall1  autorità  di  lei  pel  reggimento  della 
Chiesa  si  stabiliscono,  non  hanno  forza  e  valore,  se  dal  placito  della 
podestà  secolare  non  sieno  confermate. 

E  conciossiachè  pel  divino  diritto  del  Primato  apostolico  il  Romano 
Pontefice  soprasta  alla  Chiesa  universa,  insegniamo  ancora  e  dichiaria- 
riamo  che  esso  è  giudice  supremo  dei  fedeli,  e  che  in  tutte  le  cause  spet- 
tanti air  esame  ecclesiastico  si  può  ricorrere  al  giudizio  di  lui;  il  giudi- 
zio poi  della  Sede  apostolica,  di  cui  non  esiste  autorità  maggiore,  da 
niuno  si  può  ritrattare,  nò  a  niuno  è  lecito  giudicare  del  giudizio  di  lei. 
Onde  si  allontanano  dalla  retta  via  della  verità,  coloro  che  affermano 
esser  lecito  dai  giudizii  dei  Romani  Pontefici  appellare  al  Concilio  ecume- 
nico, come  ad  autorità  superiore  al  Romano  Pontefice. 

Se  pertanto  alcuno  dirà  che  il  Romano  Pontefice  ha  solamente  l'officio 
di  ispezione  o  di  direzione  e  non  la  piena  e  suprema  pode>ta  di  giurisdi- 
zione nella  Chiesa  universa,  non  solo  nelle  cose  che  alla  fede  ed  ai  co- 


SOPRA  LA  CHIESA  DI  CRISTO  265 

hanc  Romani  Ponti '/ìris  iurisdictionis  potestatem,  quae  vere  episcopalis  est, 
immediatam  esse:  erga  quam  cuiuscumque  ritus  et  dignitatis  pastores  at- 
que  fideles,  tam  seorsum  singuli  quam  simul  omnes,  officio  hierarchicae 
subordinalionis  veraeque  obedtenttae  obstringuntur,  non  solum  in  rebus, 
quae  ad  fidem  et  mores,  sed  etiam  in  iis,  quae  ad  disciplinam  et  regi- 
men  Ecclesiae  per  totum  orbem  diffusae  pertinent  ;  ita  ut  custodita  cura 
Homano  Pontifice  tam  communionis,  quam  ciusdem  fidei  professionis 
imitate,  Ecclesia  Christi  sit  unus  grex  sub  uno  summo  pastore.  Haec  est 
catholicae  veritatis  doctrina,  a  qua  deviare  salva  fide  atque  salute  ncmo 
potest. 

Tantum  autem  abest,  ut  haec  Summi  Pontificìs  potestas  officiai  ordìna- 
tiae  ac  immediatae  UH  episcopalis  iurisdictionis  potestati,  qua  Episcopi, 
qui  positi  a  Spiritu  Sancto  in  Apostolorum  locum  successerunt,  tamquam 
veri  pastores  assignatos  sibi  greges,  singuli  singulos,  pascimi  et  regunt, 
ut  eadem  a  supremo  et  universali  Pastore  asseratur,  roboretur  ac  vindice- 
tur,  secundum  illucl  sancii  Gregorii  Magni:  Meus  honor  est  honor  unker- 
salis  Ecclesiae.  Meus  honor  est  fratrum  meorum  solidus  vigor.  Tum  ego 
vere  honoratus  sum,  cum  singulis  quibusque  honor  debitus  non  negatur  1. 

Porro  ex  suprema  illa  Romani  Pontificis  potestate  gubernandi  univer- 
sum Ecclesiam  ius  eidem  esse  consequitur,  in  huius  sui  muneris  exercitio 
libere  communicandi  cum  pastoribus  et  gregibus  totius  Ecclesiae,  ut  ii- 
dem  ab  ipso  in  via  salutis  doceri  ac  regi  possint.  Quarc  damnamus  ac 
reprobamus  illorum  sententias,  qui  hanc  supremi  capitis  cum  pastoribus 
et  gregibus  communicationem  licite  impediri  posse  dicunt,  aut  eandem 
reddunt  saeculari  potestati  obnoxiam,  ita  ut  contendant,  quae  ab  Apo- 
stolica Sede  vel  eius  auctoritate  ad  regimen  Ecclesiae  constituuntur ,  vim 
ac  valorem  non  habere,  nisi  potestatis  saecularis  placito  confirmcntur. 

Et  quoniam  divino  Apostolici  primatus  iure  Romanus  Pontifex  uni- 
versae  Ecclesiae  praeest,  docemus  etiam  et  declaramus,  eum  esse  iudicem 
supremum  fidclium  2,  et  in  omnibus  causis  ad  examen  ecclesiasticum 
spectantibus  ad  ipsius  posse  iudicium  recurri 3;  Sedis  vero  Apostolicae, 
cuius  auctoritate  maior  non  est,  iudicium  a  nemine  fiore  retractandum, 
ncque  cuiquam  de  eius  licere  iudicare  iudicio  4.  Quare  a  recto  veritatis 
tramite  aberrant,  qui  affirmant,  licere  ab  iudiciis  Romanorum  Ponlifi- 
cum  ad  oecumenicum  Concilium  tamquam  ad  auctoritatem  Romano  Pon- 
tifice superiorem  appellare. 

Si  quis  itaque  dixerit,  Romanum  Pontificem  habere  tantummodo  o/fi- 
cium  inspeclionis  vel  directionis,  non  autem  plenam  et  supr emani  potesta- 
tem iurisdictionis  in  universum  Ecclesiam,  non  solum  in  rebus,  quae  ad 

1  Ep.  ad  Eulog.  Alexandria  1.  Vili.  ep.  XXX. 

2  Pii  PP.  VI.  Brere,  Saper  solidiUte,  d.  28  Not.  1786. 

3  Concil.  Oecum.  Lugdun.  II. 

4  Ep.  Nicolai  I.  ad  Michaelem  imperatorem. 


£66  COSTITUZIONE  DOMMATICA  PRIMA 

stumi,  ma  ancora  in  quelle  che  alla  disciplina  ed  al  reggimento  della 
Chiesa  sparsa  per  tutto  il  mondo  appartengono;  o  che  ha  sol  lauto  le  parti 
principali,  ma  non  tutta  la  pienezza  di  questa  podestà  suprema;  o  che 
questa  podestà  di  lui  non  è  ordinaria  ed  immediata,  ossia  sopra  tutte  e 
singole  le  chiese,  ossia  sopra  tutti  e  singoli  i  pastori  ed  i  fedeli:  sia  ana- 
tema. 


CAPO  IV. 

Del  Magisterio  infallibile  del  Romano  Pontefice. 

Che  poi  nello  stesso  apostolico  Primato,  che  esercita  il  Romano  Pon- 
tefice, come  successor  di  Pietro  principe  degli  Apostoli,  sulla  Chiesa 
universale,  si  comprenda  altresì  la  potestà  suprema  del  magisterio;  que- 
sta Santa  Sede  lo  ha  sempre  tenuto,  la  perpetua  consuetudine  della 
Chiesa  lo  conferma,  e  gli  stessi  Concilii  ecumenici,  massime  quelli  nei 
quali  T  Oriente  accordavasi  coir  Occidente  nella  unione  della  fede  e  del- 
la carità,  lo  hanno  dichiarato.  Imperocché  i  Padri  del  Concilio  Costan- 
tinopolitano quarto,  premendo  le  orme  dei  maggiori,  proclamarono 
questa  solenne  professione:  La  prima  salute  è  custodire  la  regola  della 
retta  fede.  E  poiché  non  si  può  obbliare  la  sentenza  del  Signor  no- 
stro Gesù  Cristo,  il  quale  disse  :  Tu  sei  Pietro,  e  su  di  questa  pietra 
io  edificherò  la  mia  Chiesa;  la  verità  di  queste  parole  è  comprovata 
dalla  realità  degli  effetti  ;  giacche  nella  Sede  apostolica  si  è  sempremai 
custodita  senza  macchia  la  cattolica  religione,  e  professata  la  santa  dot- 
trina. Pertanto  non  volendo  per  niuna  guisa  dividerci  dalla  fede  e  dalla 
dottrina  di  lei,  speriamo  di  esser  fatti  degni  di  appartenere  alla  unica 
comunione,  predicata  da  essa  Sede  apostolica,  nella  quale  ritrovasi  l'in- 
tera e  la  vera  solidità  della  religione  cristiana.  Coli1  approvazione  poi 
del  Concilio  Lionese  II.0  i  Greci  professarono  :  Che  la  santa  Romana 
Chiesa  possiede  il  sommo  e  pieno  Primato  e  Principato  sopra  tutta  la 
Chiesa  cattolica,  e  riconosce  veramente  ed  umilmente  di  averlo,  colla 
pienezza  della  potestà,  ricevuto  dallo  stesso  Signore,  nella  persona  del 
Beato  Pietro  principe  e  vertice  degli  Apostoli,  di  cui  il  Romano  Pontefice 
è  successore;  e  siccome  più  delle  altre  Chiese  essa  è  obbligata  a  difen- 
dere la  verità  della  fede,  così  ancora,  ove  insorgano  questioni  intorno 
alla  fede,  si  debbono  terminare  col  giudizio  di  lei.  Finalmente  il  Concilio 
Fiorentino  definì  :  Che  il  Pontefice  Romano  è  il  vero  Vicario  di  Cristo,  il 
Capo  di  tutta  la  Chiesa,  il  Padre  e  il  Dottore  di  tutti  i  crisi  inni  :  e  che  a 
lui  nella  persona  del  Beato  Pietro  fu  comunicata  dal  Signor  nostro  Gesù 
Cristo  la  piena  potestà  di  pascere,  di  reggere  e  di  governare  la  Chiesa 
universale. 


SOPRA  LA  CHIESA  DI  CRISTO  267 

fidem  et  mores,  sed  etiam  in  iis,  quac  ad  disciplina  m  et  regimen  Eccle- 
siae  per  iotum  orbem  d'ffusae  pertinml  ;  aut  cum  habere  tantum  poliores 
,  non  vero  iotam  pleniludinem  huius  supremae  potestatis,  aut  hanc 
eius  potestatem  non  esse  ordinar iam  et  immedi a tam  sive  in  omnes  ac 
singv.las  ecclesias,  sive  in  omnes  et  singidos  pasiores  et  fideles:  anate- 
ma sit. 


CAPUT  IV. 

De  Romani  Pontificis  Infallibili  Magisterio. 

Ipso  autem  Apostolico  primatu,  quem  Romanus  Pontifex  tamquam  Pe- 
tri  principis  Apostolorum  successor  in  universum  Ecclesiam  obtinet,  su- 
premam  quoque  magisterii  potestatem  comprehendi,  haec  Sancta  Sedes 
semper  tenuit,  perpetuus  Ecclesiae  usus  comprobai,  ipsaque  oecumenica 
Concilia,  ea  imprimis,  in  quibus  Oriens  cum  Occidente  in  fidei  charita- 
tisque  unionem  conveniebat,  declaraverunt.  Patres  enim  Concila  Constan- 
Unopo'iUini  quarti,  naiorum  ves-igiis  ini  acrentes,  hanc  solemnem  edi- 
derunt  profcssionem  :  Prima  salus  est,  rectae  fidei  regulam  custodire.  Et 
quia  non  polest  Domini  nostri  Iesu  Christi  praetermitti  sententia  dicen- 
tis:  Taes  Petrus,  et  super  hanc  pelram  aedificabo  Ecclesiam  meam,  haec 
quac  dieta  sunt,  rerum  probantur  effeclibus,  quia  in  Sede  Apostolica  im- 
maculata est  semper  catholica  reservata  religio,  et  sancta  celebrata  do- 
ctriiw.  Ab  huius  ergo  fide  et  doctrina  separari  minime  cupientes,  spera- 
mus,  ut  in  una  communione,  quam  Sedes  Apostolica  praedicat,  esse  me- 
reamur,  in  qua  est  integra  et  vera  Chrislianae  religionis  soliditas  K  Ap- 
probanle  vero  Lugdunensi  Concilio  secundo,  Graeci  professi  sunt:  San- 
etani  lìomanam  Ecclesiam  summum  et  plenum  primatum  et  principatum 
super  universam  Ecclesiam  catholicam  obtinere,  quem  se  ab  ipso  Domi- 
no  Petro  Apostolorum  principe  sive  vertice,  euius  Romanus  Pontifex  est 
successor,  cum  potestatis  plenitudine  recepisse  veraciler  et  humiliter  re- 
cognoscit  ;  et  sicut  prae  caeteris  tenetur  fidei  veritatem  defendere,  sic  et, 
si  quae  de  fide  subortae  fuerint  quaestiones,  suo  debent  iudicio  definiri. 
Florentinum  denique  Concilium  definivit:  Pontificali  Romanum,  vcrum 
Christi  Vicarium,  toliusque  Ecclesiae  caput  et  omnium  Christianorum 
patrem  ac  doctorem  existere;  et  ipsi  in  beato  Petro  pascendi,  regendi  ac 
gubemandi  universalem  Ecclesiam  a  Domino  nostro  Iesu  Chrislo  plenam 
potestatem  traditam  esse. 


1  lx  formula  S.  Hormisdae  Papae,  prout  ab  Efedriano  II.  Patribus  Concilii  Oecumenici  YHI,  Coi- 
stantinopolUani  IV,  proposita  e»  ab  iisdera  subscripta  est. 


268  C0ST1TIZI0XE  DOMMATICA  PRIMA 

A  fin  di  compiere  quest'ufficio  pastorale,  i  Nostri  Predecessori  pro- 
curarono sempre  con  indefesso  studio,  che  la  salutare  dottrina  di  Cristo 
si  propagasse  fra  tutti  i  popoli  della  terra,  e  colla  stessa  sollecitudine 
invigilarono  che  dovunque  fosse  stata  ricevuta,  si  conservasse  sincera 
e  pura.  Per  lo  che  i  Vescovi  di  tutto  Torbe  or  soli,  ed  ora  congregati 
ne' sinodi,  seguitando  la  lunga  consuetudine  delle  chiese  e  la  forma  del- 
la regola  antica,  soprattutto  ne'  pericoli,  che  nascevano  intorno  ai  ne- 
gozii  della  fede,  ricorsero  a  questa  Sede  apostolica:  acciocché  ivi  po- 
tissimamente si  ristorassero  i  danni  della  fede,  ove  la  fede  non  può  pa- 
tire difetto.  I  Romani  Pontefici  poi,  secondochè  consigliava  la  condizio- 
ne dei  tempi  e  delle  cose,  or  convocali  i  Concilii  ecumenici  o  esplorata 
la  sentenza  della  Chiesa  sparsa  sulla  terra,  or  coi  sinodi  particolari,  ora 
usando  altri  aiuti  che  somministrava  la  divina  Provvidenza,  definirono 
doversi  tenere  quelle  cose,  le  quali  coli'  aiuto  di  Dio  aveano  conosciute 
consentanee  alle  sacre  Scritture  ed  alle  apostoliche  tradizioni.  Dappoi- 
ché ai  successori  di  Pietro  non  fu  promesso  lo  Spirito  Santo  per  questo 
effetto,  che  per  sua  rivelazione  essi  palesassero  una  dottrina  novella, 
ma  acciocché  colla  sua  assistenza  santamente  custodissero  e  fedelmente 
esponessero  la  rivelazione  trasmessa  dagli  Apostoli,  cioè  il  deposito  del- 
la fede.  Difatti  l'apostolica  loro  dottrina  abbracciarono  tutti  i  venerabili 
Padri,  e  i  santi  ortodossi  Dottori  venerarono  e  seguirono;  pienissima- 
mente sapendo,  che  questa  Sede  di  san  Pietro  rimane  sempre  illibata  da 
ogni  errore,  giusta  la  divina  promessa  del  Signore  Salvator  nostro,  fatta 
al  Principe  de'  suoi  discepoli  :  Ego  rogavi  prò  te  ut  non  deficiat  fides  tua: 
et  tu  aliquando  conversus  confirma  fratres  tuos. 

Questo  carisma  dunque  di  verità  e  di  fede  non  mai  deficiente  fu  di- 
vinamente conferito  a  Pietro  ed  ai  suoi  successori  in  questa  Cattedra, 
acciocché  esercitassero  il  loro  eccelso  ufficio  a  salute  di  tutti;  acciocché 
tutto  il  gregge  di  Cristo,  allontanato  per  opera  loro  dai  pascoli  velenosi 
deir  errore,  si  nutrisse  del  cibo  della  celeste  dottrina;  acciocché,  tolta 
l'occasione  di  scisma,  tutta  la  Chiesa  si  conservasse  una,  ed  appoggiata 
sul  suo  fondamento  durasse  ferma  contro  le  porle  dell'  inferno. 

Ma  però,  poiché  in  questo  tempo  medesimo,  nel  quale  più  che  mai  è 
mestieri  l'efficacia  salutifera  dell'apostolico  ministero,  s' incontrano  non 
pochi,  i  quali  ripugnano  alla  sua  autorità  ;  riputiamo  al  tutto  necessario 
affermare  solennemente  la  prerogativa,  che  l'unigenito  Figliuolo  di  Dio 
si  è  degnalo  di  congiungere  col  supremo  ufficio  pastorale. 

Quindi  Noi  aderendo  fedelmente  alla  tradizione  ricevuta  dai  primordii 
della  fede  cristiana,  a  gloria  di  Dio  nostro  Salvatore,  ad  esaltazione 
della  religione  cattolica  ed  a  salute  de'popoli  cristiani,  approvante  il  sa- 
cro Concilio,  insegniamo  e  definiamo  esser  domina  divinamente  rivela- 
to: Che  il  Romano  Pontefice,  quando  parla  ex  Cathedra,  cioè  quando, 
adempiendo  l'ufficio  di  Pastore  e  Dottore  di  tutti  i  Cristiani,  in  virtù 


SOPRA  LA  CHIESA  DÌ  CRISTO  269 

Buie  pastorali  muneri  ut  satisfacerent,  Praedecessores  Nostri  indefes- 
sam  semper  opcram  dederunt,  ut  salularis  Christi  doctrina  apad  omnes 
lerrae  populos  propagarelur,  parique  cura  vigUarunt,  ut,  ubi  reccpta- 
esset,  sincera  et  pura  conseroaretur.  Quocirca  totius  orbis  AnAstites  nunc 
singuli,  nunc  in  Synodis  congregati  longam  Ecclesiarum  consuetudinem 
et  antiquae  rcgulae  formam  sequentes,  ea  praesertim  perìcula,  quae  in 
negoliis  fidei  emergebant,  ad  liane  Sedem  Apostolicam  retulerunt,  ut  ibi 
potissimum  resarcirentur  damna  fidei,  ubi  fides  non  potest  sentire  defe- 
dimi *.  Romani  autem  Ponti  fices,  prout  temporum  et  rerum  condicio 
suadebat,  nunc  concocatis  oecumenicis  Conciliis  aut  explomta  Ecclesiae 
per  orbem  dispersae  sententia ,  nunc  per  Synodos  particulares ,  nunc 
aliis,  quae  divina  suppeditabat  promdentia,  adhibitis  auxiliis,  ea  te- 
nenda  definiverunt,  quae  sacris  Scripturis  et  apostolicis  Traditionibm 
consentanea  Deo  adiutore  cognoverant.  Neque  enim  Petri  successoribus 
Spiritus  Sanctus  promissus  est,  ut  eo  revelante  novam  doctr inani  pate- 
facerent,  sed  ut  eo  assistente  traditam  per  Apostolos  revelationem  seu  fi- 
dei  depositum  sancte  custodirent  et  fideliter  exponerent.  Quorum  quidem 
apostolicam  doctr inam  omnes  venerabiles  Patres  amplexi  et  sancti  Do- 
ctores  orthodoxi  venerati  atque  sediti  sunt;  pienissime  scientes,  liane  san- 
eli Petri  Sedem  ab  omni  semper  errore  illìbatam  permanere,  secundum 
Domini  Sakatoris  nostri  divinam  pollicitationem  discipulorum  suorum 
principi  factam:  Ego  rogavi  prò  te,  ut  non  deficiat  fides  tua,  et  tu  ali- 
quando  conversus  confirma  fratres  tuos. 

Hoc  igitur  veritatis  et  fidei  numquam  deficientis  charisma  Petro  eius- 
que  in  Ime  Cathedra  successoribus  divinitus  collatum  est,  ut  excelso  suo 
miniere  in  omnium  salutem  fungerentur,  ut  universus  Christi  grex  per 
eos  ab  erroris  venenosa  esca  aversus,  coelestis  doctrinae  pabulo  nutrire- 
tur,  ut  sublata  schismatis  occasione  Ecclesia  tota  una  conservaretur  atque 
suo  fundamento  innixa  firma  adversus  inferi  portas  consisterei. 

At  vero  cum  hac  ipsa  aetate,  qua  salutifera  Apostolici  muneris  effica- 
cia vel  maxime  requiritur,  non  pauci  inveniantur,  qui  illius  aucloritati 
obtreclant  ;  necessarium  omnino  esse  censemus,  praerogativam,  quam 
unigenilus  Dei  lilius  cum  summo  pastorali  officio  coniungere  dignatus 
est,  solemniter  asserere. 

Itaque  nos  traditioni  a  fidei  Christianae  exordio  perceptae  fideliter  in- 
haercndo,  ad  Dei  Salvatoris  nostri  gloriam,  religionis  Catholicae  exal- 
tationem  et  christianorum  populorum  salutem,  sacro  approbante  Conci- 
lio, docemus  et  divinitus  revelatum  dogma  esse  definimus  :  Romanum 
Ponti ficem,  cum  ex  Cathedra  loquitur,  id  est,  cum  omnium  Christianorum 
Pasloris  et  Doctoris  munere  fungens,  prò  suprema  sua  Apostolica  au- 

1  CX.  S.  Ben».  Epist.  CXC. 


270  COSTITUZIONE  DOMMÀTICA  PRIMA 

della  suprema  sua  apostolica  Autorità,  definisce  una  dottrina  intorno  alla 
Fede  o  ai  costumi,  da  tenersi  da  tutta  la  Chiesa  ;  mercè  dell'  assistenza 
divina  a  lui  promessa  nella  persona  del  Beato  Pietro,  è  dotato  di  quella 
infallibilità,  della  quale  il  divino  Redentore  volle  che  fosse  fornita  la 
sua  Chiesa  nel  definire  la  dottrina  intorno  alla  fede  o  ai  costumi  ;  e  che 
però  cotali  definizioni  del  Romano  Pontefice  per  se  sole,  e  non  già  pel 
consenso  della  Chiesa,  sono  irreformabili. 

Se  poi  alcuno  oserà,  tolgalo  Iddio,  di  contraddire  a  questa  Nostra  de- 
finizione: sia  anatema. 

Dato  in  Roma  nella  pubblica  Sessione,  solennemente  celebrata  nella 
Basilica  Vaticana,  nell'anno  dell1  Incarnazione  del  Signore  MDCCCLXX, 
il  dì  XVIII  di  Luglio,  nell'anno  XXV  del  Nostro  Pontificato. 

Così  è  —  Giuseppe  Vescovo  di  S.  Ippolito 
Secretano  del  Concilio  Vaticano. 


SOPRA  LA  CHIESA  DI  CRISTO  271 

ctoritate  doctrinam  de  fide  vel  moribus  ab  universa  Ecclesia  tenendam 
definii  per  assistentiam  divinarli,  ipsi  in  beato  Petro  promissam,  ea  in- 
fallibilitate  pollere,  qua  divinus  Redemptor  Ecclesiam  suam  in  definien- 
da  doctrina  de  fide  vel  moribus  instructam  esse  voluit  ;  ideoque  eius- 
vnodi  Romani  Ponti  fi  cis  d-efinitiones  ex  sese,  non  autem  ex'consensu  Ec- 
clesiae  irreformabiles  esse. 

Si  quis  autem  huic  Nostrae  defmitioni  contradicere,  quod  Deus  aver- 
taty  praesumpserit:  anathema  sit. 

Dalum  Romae,  in  publica  Sessione  in  Vaticana  Basilica  solemniter 
celebrata,  anno  Incarnationis  Dominicae  millesimo  octingentesimo  sep- 
tuagesimo,  die  decima  octav-a  Iulii,  Pontificatus  Nostri  anno  vigesimo 
quinto. 

Ita  est  —  Iosephus  Episcopus  S.  Hippolyti 
Secretarius  Concila  Vaticani. 


IULIA  AUGUSTA  TAURINORUM 

OSSIA 

L'  ANTICA   TORINO1 


Torino,  nel  giro  di  pochi  anni,  ha  sortito  V  onore  di  due  insi- 
gni storici,  Luigi  Cibrario  e  Carlo  Promis;  i  quali  han  tolto  ad  il- 
lustrare de'suoi  fasti  quelle  parti  appunto,  che  per  l'antichità  e  per 
la  scarsezza  de'monumenti  giacevano  in  maggiore  oscurità,  ed  ab- 
bisognavano di  più  faticoso  e  profondo  studio.  11  Cibrario  si  occupò 
principalmente  del  periodo  del  medio  evo,  del  quale  ognuno  sa  quan- 
to egli  sia  profondo  conoscitore.  Il  Promis,  risalendo  più  oltre,  prese 
a  investigare  soprattutto  il  periodo  romano;  e  nel  dottissimo  libro 
che  qui  annunziamo,  ci  ha  dipinto  così  al  vivo  il  ritratto  di  Torino, 
qual  ella  fu  dalle  prime  sue  relazioni  con  Roma  repubblicana  fino 
al  cadere  del  romano  impero  in  occidente,  che  egli  sembra  descri- 
vere una  storia  contemporanea,  non  già  i  fatti  e  i  costumi  di  quin- 
dici e  venti  e  più  secoli  fa,  da  lui  però  con  arte  e  scienza  mirabile 
diseppelliti,  e  renduli  in  queste  pagine  a  nuova  e  imperitura  vita. 
Noi  ci  proponiamo  di  trarre  succintamente  dal  libro  del  Promis  le 
più  importanti  notizie  che  egli  vi  ha  raccolte  intorno  alla  lulia  Au- 
gusta Taurinorum,  dopo  di  avere  fatto  conoscere  il  merito  e  la 
tessitura  della  sua  opera. 

1  Storia  dell'  antica  Torino,  lulia  Augusta  Taurinorum,  scritta  sulla 
fede  de  vetusti  Autori  e  delle  sue  iscrizioni  e  mura  da  Carlo  Promis  — 
Torino,  MDCCCLXIX,  dalla  stamperia  reale.  Un  voi.  in  8.»  gr.  di  pag.  XX-350, 
con  tre  tavole. 


IULIÀ  AUGUSTA  TAURINORUM  OSSIA  L  ANTICA  TORINO  273 

I. 

Chi  conosce  le  precedenti  opere  del  conte  Carlo  Promis,  coi  rari 
pregi  di  profonda  erudizione,  di  senno  critico,  di  accuratezza  squi- 
sita che  le  adornano,  non  ha  punto  bisogno  che  altri  venga  a  pre- 
dicargli i  meriti  di  quest'ultima;  la  quale  appunto  perchè  ultima  non 
può  non  avvantaggiarsi  anche  di  valore  sulle  precedenti.  Ma  bensì 
gli  gioverà  d' intendere  che  essa,  siccome  per  mole  di  volume  e  per 
vastità  di  argomento  sorpassa  le  altre  elucubrazioni  del  dotto  Au- 
tore, così  anche  soprattutto  primeggia  pel  lungo  amore  di  assidui 
e  solerti  studii  che  egli  vi  ha  posto  intorno,  facendone  quasi  l'oc- 
cupazione principale  nella  sua  vita  scientifica.  «  A  scrivere  la  sto- 
ria antica  della  città  di  Torino  (così  egli  medesimo  ci  narra  nell' In- 
troduzione) io  mi  predisposi  con  treni' anni  di  ricerche  e  spogli  dei 
vetusti  autori,  de'  documenti  del  medio  evo,  degli  storici  universali 
e  locali,  e  soprattutto  diligentemente  indagando  e  notando  luogo  e 
tempo,  ne'quali  trovate  furono,  ed  anche  troppo  sovente  perdute,  le 
tante  epigrafi  illustranti  la  città  nostra,  traendone  sincere  lezioni  dai 
marmi,  quando  fossero  a  noi  pervenuti,  comparandone  gli  apografi 
e  le  copie,  quando  periti  fossero  gli  originali.  11  soggetto  proposto- 
mi richiedendo  l'opera  di  chi  avesse  equamente  atteso  all'architet- 
tonica ed  all'epigrafìa,  giovommi  l'aver  applicato  a  codeste  scienze, 
negli  otto  anni  di  mio  soggiorno  in  Roma,  naturai  sede  di  siffatti 
studii.  1  » 

Queste  ricerche  continuate  per  trentanni,  vennero  mostrando  al 
Promis  con  evidenza,  ogni  dì  crescente,  che  la  storia  di  Torino  an- 
tica non  solo  «  si  poteva  scrivere  »,  ma  di  più,  che  scritta  a  dove- 
re, più  ampia  riuscita  «  sarebbe,  e  di  maggior  interessamento  di 
quanto  parer  possa  a  chi  badi  soltanto  ai  pochi  cenni  che  ne  die- 
der  gli  antichi,  ed  agli  autori  che  sinor  ne  trattarono,  come  Pingo- 
ne,  Tesauro,  Castiglione,  Giroldi,  Paoletti;  dalla  qual  volgare 
schiera  si  scosta  Luigi  Cibrario,  che  le  vicende  della  città  nostra, 

1  Pag.  III. 
Serie  VII  voi.  XL  fase.  489.  18  23  Luglio  1870. 


274  IlLIA  AUGUSTA  TAIMNORUM 

durante  il  medio  evo,  narrò  colla  scorta  della  critica  e  col  sussidio 
de'documenti  1». 

E  tali  infatti  ella  è  riuscita  nelle  mani  del  dotto  Autore  ;  una 
storia  cioè  di  sommo  interessse,  non  solo  pei  Torinesi  e  pei  Pie- 
montesi, che  vi  hanno  interesse  patrio,  ma  eziandio  per  quanti  so- 
no in  Italia  e  fuor  d' Italia  eruditi  lettori,  i  quali  pigliano  diletto  a 
conoscere  sempre  più  intimamente  quel  meraviglioso  mondo,  che 
fu  il  mondo  romano,  del  quale  anche  oggidì  ogni  rovina,  ogni  sas- 
so, ogni  vestigio  attrae  cotanto  la  curiosità  e  l'attenzione  dei  dotti. 
Imperocché  il  Promis,  da  quel  valente  archeologo  che  egli  è,  ini- 
ziato in  tulli  gli  arcani  della  classica  antichità,  nel  risuscitare  le 
memorie  della  Julia  Augusta  Taurinorum,  ci  rinfresca  sotto  gli  oc- 
chi quasi  un'  immagine  di  tutto  quel  mondo  ;  nel  descrivere  i  fasti 
di  Torino  romana,  egli  discorre  altresì  le  condizioni  e  vicende  non 
solo  dei  popoli  vicini  e  di  tutti  la  regione  Transpadana,  ma  anche, 
dove  accade,  della  rimanente  Italia;  e  siccome  ogni  municipio,  ogni 
colonia  romana  era  infatti  quasi  una  piccola  Roma,  giacché  ad  im- 
magine di  Roma  ne  era  modellato  il  governo  e  tutto  il  vivere  cit- 
tadino; così  nella  romana  colonia  di  Torino  egli  ci  fa  vedere  quasi 
una  miniatura  vivente  del  romano  impero;  estendendo  ad  ogni  trat- 
to con  mirabile  copia  e  maestria  di  riscontri,  di  allusioni  e  di  con- 
nessioni storiche  l'orizzonte  sotto  gli  occhi  del  lettore;  nel  quale 
perciò  cresce  tanto  maggiore  il  diletto,  quanto  più  inaspettato  gli 
riesce  di  trovare  nell'angusta  cerchia  di  una  sola  città  così  vasto  e 
nobil  teatro. 

Le  iscrizioni  sono  la  fonte  precipua,  da  cui  il  Promis  ha  fallo 
scaturire  così  ricca  vena  di  storia;  giacché  di  Torino  gli  scrillori 
romani  non  ci  hanno  lasciato  che  pochi  e  leggieri  cenni,  e  scarsi 
sono  i  monumenti  d'altro  genere,  che  ce  ne  abbiano  serbato  noti- 
zie. Le  epigrafi  al  contrario  sono  numerose;  tanto  che  Torino  por 
questo  lato  non  ha  che  poche  città  in  Italia  che  la  sorpassino;  anzi, 
per  copia  di  epigrafi  militari,  quanto  finora  si  conosce,  essa  tutte 
(se  togli  Roma)  le  sorpassa  di  lunga  mano,  secondo  che  i  ragguagli 

1  Pag. IV. 


OSSIA  L   ANTICA  TORINO  2*75 

del  nostro  Autore  dimostrano  1.  Pertanto,  benché  egli  in  questo 
libro  non  si  sia  già  proposto  di  raccogliere  tutte  le  iscrizioni  tori- 
nesi, ma  solo  di  adoperarne,  come  documenti  storici,  quante  gli  bi- 
sognassero all'uopo,  epperciò  abbia  dovuto  tralasciarne  parecchie; 
nondimeno  sommano  a  ben  274  quelle  che  qui  son  da  lui  arrecate 
ed  illustrate. 

Se  non  che,  egli  non  basta  aver  copia  d' iscrizioni  antiche;  ma 
conviene  soprattutto  saperle  leggere,  ricavando  da  esse  e  quello  solo 
che  \i  è,  e  lutto  quello  che  vi  è:  arte  rara  e  difficile,  che  richiede, 
con  un  grande  acume  d'ingegno,  un  corredo  immenso  di  erudizio- 
ne ed  una  vasta  comprensione  di  tutta  la  storia  e  letteratura  antica. 
Quest'arte,  ossia,  per  usare  le  parole  del  Promis,  questo  «  modo 
di  vedere  nella  storia  romana  e  nell'epigrafia,  minuto  ne'  particolari 
e  largo  nel  complesso,  ne'tempi  andati  non  era  possibile;  ma  ben 
lo  è  oggi  dopo  le  fatiche  de'  recenti  scrittori,  e  dopo  la  nuova  via 
aperta  agli  studii  epigrafici  dal  Borghesi,  ampliala  e  rischiarata 
tuttogiorno  dal  Ritschl,  Henzen,  Rénier,  De  Rossi,  Garrucci  e  co- 
piosissimamente dal  Mommsen  2  » .  Ora  il  Promis  possiede  a  ma- 
raviglia quest'arte  di  leggere  e  interpretare  i  marmi,  sviscerandoli  e 
traendone  tutto  quel  succo  di  dottrina  storica  che  essi  contengono  : 
sicché,  dopo  i  gran  maestri  or  ora  nominati,  non  ci  ricorda  d'aver 
letto  tra  i  moderni  verun  interprete  di  lapidi  antiche,  più  di  lui 
profondo  nei  misteri  dell'epigrafia. 

Prima  però  di  volgersi  ad  illustrare  le  epigrafi  torinesi,  egli  ha 
dovuto  sobbarcarsi  ad  un  altra  non  leggiera  e  poco  grata  fatica  ; 
quella  cioè  di  cernere  le  vere  dalle  false ,  le  sincere  dalle  spurie. 
Conciossiachè  la  mania  di  foggiar  lapidi  false,  e  V  altrui  bonarietà 
nell' accoglierle  per  vere,  sono  due  piaghe  antiche  della  letteratura 
epigrafica;  e  specialmente,  dopo  rinnovato  nel  secolo  XV  il  fervore 
degli  studii  classici ,  i  falsarli  ebbero  più  che  mai  bel  giuoco  a  fab- 
bricare la  loro  merce  ed  a  spacciarla.  Pirro  Ligorio,  che  può  chia- 
marsi il  principe  dei  falsarli  eruditi,  è  noto  come  abbia  infettato  nel 
secolo  XVI  tutto  il  regno  dell'  epigrafìa  romana ,  spargendo  a  pie- 

1  Pag.  419.  —  2  Pag.  V. 


276  IULIA  AUGUSTA  TAURINORUM 

ne  mani  nei  volumi  del  suo  Dizionario  della  antichità,  insieme  colle 
antiche  e  genuine,  altre  iscrizioni  di  sua  propria  fabbrica  od  impa- 
sto; le  quali,  pel  gran  credito  in  che  era  l'Autore,  accolte  allora 
ad  occhi  chiusi,  e  disseminatesi  poi  in  cento  altri  libri,  formano  an- 
cora oggidì  l'inciampo  o  il  fastidio  degli  archeologi.  Ora  il  napoli- 
tano Ligorio  ebbe  dappertutto  imitatori  in  questo  sciagurato  mestie- 
re ;  ed  anche  in  Piemonte  non  mancarono  alcuni ,  che  o  per  malin- 
tesa brama  d'ingrandir  le  cose  patrie,  o  per  vaghezza  di  ostentar 
dottrina ,  o  talora  eziandio  per  guadagno  e  per  trai*  danaro  da  qual- 
che ricco  amatore  di  anticaglie ,  componessero  iscrizioni  false  e  in- 
tagliassero marmi  bugiardi.  Il  Meyranesio  fu  nel  secolo  passato 
il  più  fecondo  e  il  più  abile  di  siffatti  falsatori  ;  avendo  con  certe 
sue  invenzioni  tratto  in  inganno,  non  che  il  Durandi  e  il  Vernazza, 
ma  anche  Gaetano  Marini  e  il  Borghesi,  cioè  i  due  più  grandi  epi- 
grafisti dell'  ultima  età  ;  né  essendosi  svelato  finalmente  il  cumulo 
delle  ribalderie  archeologiche ,  ond'  egli  infettò  tutto  il  Cispadano 
superiore ,  se  non  a  questi  ultimi  anni  negli  Atti  dell'Accademia 
delle  Scienze  di  Torino ,  e  nella  Storia  di  Val  di  Maira  del  Barone 
Manuel  di  S.  Giovanni ,  già  altrove  da  noi  lodata.  Al  Meyranesio, 
che  fu  il  Ligorio  del  Piemonte,  era  preceduto,  un  secolo  innanzi,  il 
Malabaila ,  gran  falsario  anch'  esso ,  che  contaminò  delle  sue  bugie 
tutta  la  storia  e  la  regione  di  Asti  ;  e  gli  succede ,  sullo  spirare  del 
secolo  scorso  ,  il  Delevis,  timido  nondimeno  e  lontano  seguace  de- 
gli ardimenti  Meyranesiani.  Costui  prese  per  campo  della  sua  losca 
industria  il  Traspadano  e  specialmente  la  regione  torinese  ;  la  qua- 
le però,  assai  meno  delle  altre  terre  subalpine,  ebbe  a  soffrire  di  co- 
testa  lue  falsaria ,  e  può  chiamarsi  felice  di  tal  povertà ,  ogni  qual- 
volta, come  nota  il  Promis  ,  si  paragoni  colla  copia  smodata  che  di 
siffatti  ingannatori  sorse  altrove  e ,  specialmente ,  nel  reame  di 
Napoli  l. 

Il  nostro  Autore  tuttavia  non  ebbe  a  guardarsi  dal  Delevis  ;  ma, 
atteso  l'ampiezza  del  campo  che  da  Torino,  come  centro  e  capo, 
egli  prese  a  perlustrare ,  e  per  quanto  stavagli  a  cuore  di  non  met- 

1  Pag.  XV. 


OSSIA  L  ANTICA  TORINO  277 

tere  in  esso  mai  piede  in  fallo,  dovette  porsi  in  guardia  altresì  con- 
tro gli  erramenti  e  le  frodi  e  del  Meyranesio  e  del  Malabaila  e  del 
Ligorio  e  di  altri  simili  ingannatori  o  ingannati.  Il  che  quanto  gli 
costasse  di  cure  e  di  studii ,  intenderà  facilmente  chi  percorra  il 
suo  volume ,  ovvero  ne  legga  anche  solo  Y  introduzione ,  dove  egli 
rendendo  ragione  delle  fonti ,  da  cui  derivò  la  storia ,  e  di  cui ,  co- 
me dicemmo,  la  precipua  sono  le  iscrizioni,  tesse  il  catalogo  dei 
Raccoglitori  di  antiche  epigrafi  torinesi,  e  reca  giudizio  dei  meriti 
e  delle  opere  di  ciascuno. 

«  Dopo  il  sussidio  de'  marmi  letterati ,  le  migliori  informazioni 
io  le  attinsi  (  prosiegue  l'Autore  1  )  alle  carte  anteriori  al  XIII  se- 
colo; le  quali ,  scritte  in  barbara ,  ma  sincera  età ,  ci  tramandarono 
non  ancor  guaste  tradizioni ,  unitamente  ad  antichi  nomi  geografici 
e  personali.  Assai  mi  giovarono  gli  scrittori  venuti  dopo  il  risorgi- 
mento, soltanto  perequando  raccolto  avesser  lapidi ,  avvegnaché 
oscitantemente  il  facessero  e  ciecamente  troppo  :  utilissimi  i  primi, 
cioè  Maccanéo,  Pingone,  Guichard.  Nulla  imparai  dagli  scrittori  no- 
stri del  secento,  o  creduli  per  ignavia  od  ignoranza,  o  vantatori  per 
l' età  in  cui  vissero ,  e  tra  le  recenti  e  vetuste  favole  allegramente 
spazianli;  uomini  che  de'  documenti  dell'età  mezzana  e  dell'antica, 
de'  ruderi  che  avevan  sott'  occhio  non  tennero  conto  alcuno.  Sin- 
goiar cosa  è  pure ,  che  di  quanti  dieder  opera  all'  antica  storia  no- 
stra, nessuno  v'è  che  Torinese  sia....  Che  se  i  concittadini  nostri 
non  si  curaron  mai  d' illustrare ,  disegnare ,  notare  i  vetusti  monu- 
menti patrii,  operosissimi  si  mostrarono  nel  cancellarli  dalla  memo- 
ria degli  uomini;  cosicché  in  città  già  folta  di  edifizii,  e  dove  l'an- 
damento delle  vie  è  tuttora  quale  fu  tracciato  da  Ottaviano  Augusto, 
nessun  avanzo  ,  eccetto  la  Porta  Palatina ,  più  sorge  di  romane  fab- 
briche ,  e  se  taluno  se  n'  incontrò  negli  scavi ,  esso  perì  bentosto, 
mai  non  essendovi  stato  chi  ne  lasciasse  descrizione  o  disegno,  on- 
de la  solerzia  de'  posteri  potesse  almeno  supplire  alla  desidia  de- 
gli avi.  » 

1  Pag.  XVII. 


278  1ULIA  AUGI  STA  TAIR1N0RUM 

Fra  colali  difficoltà,  e  coi  presidii  sopra  indicati,  l'Autore  si  ac- 
cinse all'ardua  opera  ed  ebbela  condotta  felicemente  a  termine.  La 
sua  Storia  è  partita  in  venti  Capitoli;  ed  ecconc  in  breve  la  conte- 
nenza, da  cui  sola  già  apparirà  quanta  sia  la  ricchezza  e  Y  impor- 
tanza del  libro.  I  primi  4  Capitoli  sono  strettamente  storici.  Nel  1.° 
si  narrano  le  Origini  dei  Taurisci  o  Taurini  e  le  Successive  varia- 
zioni nel  nome  della  loro  città;  nei  3  seguenti,  si  racconta  la  Storia 
de'  Taurini,  divisa  in  tre  epoche:  la  l.a  Dai  più  antichi  tempi  alla 
guerra  Annibalica;  la  2.a  Dalla  occupazione  Romana  a  Cesare  Dit- 
tatore; la  3."  Da  Augmto  ai  Longobardi.  Gli  altri  l(i  Capitoli  possono 
chiamarsi  descrittivi.  Infatti  l'Autore  comincia  col  descrivere  (Capii. 
Y°)  la  Storia  naturale  dell'Agro  Taurino  e  delle  sue  adiacenze; 
poi  (Capit  VI°)  discorre  delle  Reliquie  della  Lingua  Gallica  in  Pie- 
monte. Passa  quindi  a  descrivere  la  parte  Architettonica  dell'antica 
Torino;  nella  quale,  dopo  avere  ragionato  (Capit.  VII0)  delle  Anti- 
che Piante  di  Torino,  delle  Successive  demolizioni  del  suo  recinto , 
delle  Mura  e  delle  7Torn;  espone  (Capit.  Vili0)  tutto  ciò  che  ri- 
guarda la  Pianta  della  città,  le  strade,  i  selciati,  le  chiaviche,  i 
Fori,  l' Anfiteatro,  il  Teatro,  la  Necropoli,  i  Cunicoli  e  le  Figuline 
doliari;  e  fimdmente  (Capit.  IX°)  Le  Porte  e  specialmente  la  Porta 
Palatina.  Descritta  così  tutta  la  parte  materiale  della  Torino  roma- 
na, viene  poscia  a  descriverne  lo  slato  civile  e  politico.  E  prima, 
sotto  il  titolo  di  Municipio,  tratta  (Capit.  X°)  dei  suoi  Patroni  e 
Curatori;  (Capit.  XI")  dell'  Ordine  P  ossia  dei  Decurioni;  (Capit. 
XII0)  dell'Orane  11°  ossia  degli  Augustali;  (Capit.  XIII0)  dell'Or- 
dine IIP  ossia  del  Popolo  o  Plebe,  dove  pure  parla  di  una  Men- 
zione di  Plebiscito,  dei  Servi  pubblici  della  casa  imperiale  o  di  so- 
cietà pubblicane,  delle  Famiglie  di  liberti,  dei  Collegi  urbani,  delta 
Stazione  Ad  Fines,  limite  d' Italia  e  delle  Alpi  Cozzie,  dell'  Ufficio 
della  Quadragesima  delle  Gallie  ivi  stabilito,  e  finalmente  delle 
Iscrizioni  metriche.  In  secondo  luogo,  sotto  titolo  di  Esercito,  de- 
scrive tutti  i  personaggi  e  gli  ordini  militari,  ricordati  nelle  iscri- 
zioni torinesi;  primamente  (Capit.  XIV0)  Il  Console  Q.  (ìlizio,  Ali- 
lio  Agricola;  poi  (Capit.  XV)  i  Legati,  Tribuni,  Prefetti  d'Ale  e 
di  Coorti,  Primipili,  Centurioni;  (Capit.  XV1°)  i  Pretoriani  ed 


OSSIA  L  ÀSTICA  TORINO  279 

Urbani,  i  Legionarii,  un  Soldato  in  Coorte  ausiliario,  i  Cavalieri 
Bomani,  la  Cavalleria  Ausiliaria.  E  finalmente,  sotto  il  titolo  di 
Giurisdizione  suprema  ed  Amministrazione,  ragiona  (Capii.  XVHC) 
dei  Giudizi  supremi,  della  Coscrizione  militare,  dell'  Assistenza 
alimentaria,  della  Conservazione  de  pesi  e  delle  misure,  delle 
Strade.  Il  Capit.  XV1IP  contiene  ed  illustra  le  poche  iscrizioni, 
riguardanti  Professioni  ed  Arti,  che  all'  Autore  venne  fatto  di  rac- 
cogliere. 11  Capit.  XIX0  abbraccia  le  iscrizioni  delle  Divinità  ro- 
mane o  galliche,  in  Torino  venerate;  ed  il  Capit.  XX0  ed  ultimo,  le 
Iscrizioni  onorarie  d' Imperatori  e  di  Privati,  e  quelle  di  alcuni 
Liberti  della  Casa  Angusta. 


IL 


Tra  le  moltissime  notizie  erudite,  di  cui  tutto  il  libro  è  pieno,  no- 
tìzie in  gran  parte  pellegrine,  e  tratte  ora  per  la  prima  volta  in  luce; 
»e  riferiremo  qui  alcune  delle  più  rilevanti,  per  darne  un  saggio  a 
quei  nostri  lettori,  che  non  potessero  altrimenti  ricorrere  alla  fonte 
medesima  del  libro,  e  per  adombrar  loro  al  tempo  stesso  un  breve 
quadro  della  storia  di  Torino  romana. 

1  popoli  Taurini,  secondo  l'opinione  del  Promis,  trassero  l'ori- 
gine non  dai  Galli,  non  dai  Liguri,  non  dagli  Etruschi,  ma  dai 
Taurisci  Illirici;  i  quali  presso  a  trenta  secoli  fa,  per  le  foci  del  Po 
penetrati  in  Italia,  ne  occuparono  tutta  la  regione  Traspadana;  ma 
poi  combattuti  e  sopraffatti  dai  prepolenti  Etruschi,  si  ristrinsero 
principalmente  alle  due  estremità,  Veneta  ad  oriente,  e  Taurina  ad 
occidente.  Allora  la  tribù  Taurisca,  che  era  a  capo  di  questa  immi- 
grazione illirica,  prese  stanza  ferma  nella  pianura  che  stendesi  tra 
LOcro,  il  Po  e  le  Alpi  vicine:  mentre  altre  tribù  minori  ed  a  lei 
suddite  o  alleate  —  i  Secusini,  i  Salassi,  i  Leponzii,  gl'Ictimuli, 
gli  Agoni,  —  occuparono  le  valli  delle  circostanti  Alpi,  dal  Mongi- 
nevra  fino  a  quelle  che  si  specchiano  nel  lago  Yerbano. 

Le  prime  relazioni  dei  Taurini  con  Roma  furono  ostili;  avendo 
essi,  nell'anno  di  Roma  529  (225  av.  Cristo)  preso  parte  coi  Galli 
Cisalpini  alla  battaglia,  da  questi  combattuta  a  Telamone,  contro  i 


280  II  LIA  Al  GUSTA  TAURIKORIM 

due  Consoli  C.  Atilio  Regolo  e  L.  Emilio  Papa;  i  quali  con  due 
eserciti,  preso  in  mezzo  l'incauto  nemico,  avvegnaché  di  forze  quasi 
uguale,  ne  fecero  agevolmente  macello.  I  Taurini,  come  narra  Poli- 
bio, stavano  schierati  coi  carri  in  prima  fronte  contro  Atilio,  e  non 
ostante  le  perdite,  tennero  pienamente  pie  fermo  tino  all'estremo: 
inferiori  ai  Romani  soltanto  per  la  qualità  delle  armi,  che  erano  lo 
scudo  gallico,  disadatto  a  maneggiarsi,  e  la  sciabola,  inetta  a  ferir 
di  punta.  Dopo  il  fatto  di  Telamone,  i  Taurini  veggonsi  stretti  in 
amicizia  e  federazione  coi  Romani;  amicizia  a  questi  utilissima, 
sia  per  tenere  in  freno  gl'Insubri,  sia  per  assicurarsi  ad  ogni  uopo 
dei  passi  delle  Alpi,  le  cui  chiavi  principali  stavano  in  mano  dei 
Taurini  e  dei  Salassi  e  Secusini  loro  clienti.  E  di  questa  amistà 
diedero  i  Taurini  insigne  prova  indi  a  pochi  anni,  quando  Annibale 
piombò  improvviso  dalle  Alpi  sopra  l'Italia.  Per  qual  via  egli  ese- 
guisse il  famoso  passaggio,  fu  sempre  ed  è  tuttora  gran  controver- 
sia tra  gli  eruditi;  tanto  die,  dice  il  Promis,  non  v'è  niun  varco  al- 
pino, dall'Argentiera  in  vai  di  Stura  fino  oltre  al  GranS.  Bernardo, 
per  cui  egli  non  sia  stato  fatto  passare.  Ma  l'opinione  seguita  dal- 
l'Autore, e  da  lui  corroborata  con  gran  nerbo  di  autorità  e  di  ra- 
gioni storiche  e  strategiche,  si  è  che  Annibale  passasse  per  Mongi- 
nevro,  e  indi  scendesse  per  la  valle  del  Chiusone,  anziché  per  quel- 
la della  Dora  Riparia,  più  difficile  e  tenuta  dai  Secusini  clienti  dei 
Taurini,  epperciò  amici  di  Roma  1.  Certo  ò  ad  ogni  modo,  che  il 
gran  capitano  cartaginese  sboccò  (sul  fin  del  Settembre  del  536) 
nella  pianura  di  Torino,  ed  ivi  trovossi  contrastato  il  passo;  laonde 
dovette  fermarsi  ad  assediar  la  città,  la  quale  dopo  tre  giorni  gli 
venne  espugnata  :  aiutandolo  a  ciò  il  favore  degli  abitanti  del  conta- 
do; giacché,  come  nota  il  Promis,  se  i  cittadini  stavano  per  Roma 
e  per  l'aristocrazia,  i  campagnuoli  al  contrario  eran  per  Cartagine 
e  per  la  democrazia;  e  così  avvenne  allora  in  tulle  le  città  dell'Ita- 
lia romana  e  greca  non  meno  che  della  gallica,  stando  pel  senato 
gli  ottimati,  i  plebei  per  Annibale  che  li  blandiva  2.  Ma  Roma  ren- 
dè assai  tristo  merito  a  Torino  della  sua  fedeltà  e  dell'audacia  da 

1  Pag.  31.-2  Pag.  35. 


OSSIA  L  ANTICA  TORINO  281 

lei  mostrata  Dell'affrontare  le  prime  ire  del  terribile  Africano  ;  im- 
perocché, espulso  finalmente  Annibale  dall'Italia,  ed  occupate  come 
di  conquista  tutte  le  terre  già  da  lui  Tinte  e  lasciate  dai  Galli,  i  Ro- 
mani occuparon  fra  queste,  con  tutto  il  Traspadano,  anche  Torino; 
la  quale  indi  innanzi  (ciò  fu  verso  il  584),  perduta  la  nativa  autono- 
mia, e  trattata  col  crudele  dritto  dei  vinti,  rimase  incorporata  nella 
provincia  Cisalpina  al  romano  dominio,  disteso  ormai  senza  contra- 
sto fino  ai  pie  delle  Alpi. 

Cominciò  nondimeno  a  migliorare  la  condizione  dei  Taurini, 
quando  nell'anno  663,  in  virtù  della  Lex  Pompeia ,  portata  da 
Cneo  Pompeo  Strabone,  padre  del  Magno,  fu  conferito  a  tutti  i  Tra- 
spadani il  ius  Lalii;  per  modo  che  potessero,  e  militare  nell'eser- 
cito, come  ausiliari,  e  andando  a  Roma  chiedervi  i  magistrati,  pur- 
ché avessero  esercitato  per  un  anno  la  magistratura  in  patria.  A 
Torino,  come  ad  altri  municipii  subalpini,  furono  allora  dalla  me- 
desima legge  dati  in  signoria  varii  di  quei  popoli  barbari  e  feroci, 
che  occupavano  il  cuor  delle  Alpi,  ed  erano  tuttora  indipendenti 
dal  giogo  romano.  Con  ciò  questi  municipii  eran  costituiti  come 
baluardo  contro  gli  stranieri,  e  guardia  delle  Alpi,  il  cui  varco 
acquistava  per  Roma  maggiore  importanza,  pel  frequente  passare 
che  doveano  le  truppe  alle  guerre  di  ollremonli.  Dopo  Annibale, 
e  dopo  Asdi  ubale  che  ricalcò  nel  548  la  via  segnatagli  dodici  anni 
innanzi  dal  fratello;  M.  Fulvio  Fiacco  fu  il  primo  dei  Romani  che 
passasse  le  Alpi,  debellando  parecchie  tribù  liguri  ed  inalpine;  e 
dopo  che  Appio  Claudio  Pulcro  ebbe  trionfato  de' Salassi,  il  Senato 
aperse  per  la  loro  valle,  che  per  l'alpe  Graia  metteva  negli  Allobro- 
gi,  la  prima  grande  strada  romana,  piantando  a  tal  fine  nel  654, 
sullo  sbocco  della  valle  medesima,  la  colonia  di  Eporedia,  oggi 
Ivrea. 

La  calata  dei  Cimbri,  discesi  pel  Sempione  in  Italia  un  secolo 
avanti  l'èra  volgare,  e  poi  disfatti  da  Mario  nella  gran  battaglia 
che  lor  diede  non  già  nel  Veronese,  ma,  come  ben  prova  con  nuovi 
argomenti  il  nostro  Autore  t,  presso  Vercelli,  non  recò  ai  Taurini 

1  Pag  53. 


282  ULTA  ALT.LSTA  TAL'RINORCM 

altro  danno  che  il  passaggiero  di  avere  le  campagne  corse  e  sac- 
cheggiale da  quel  torrente  di  bai  bari;  ma  bensì  maggior  parte  e 
più  molesta  dovettero  essi  sostenere  nelle  frequenti  guerre  colle 
indomile  tribù  delle  montagne,  le  quali  colle  loro  continue  incur- 
sioni nel  piano  travagliavano  la  frontiera  romana,  e  vi  rendean  so- 
vente necessaria  la  presenza  di  un  console  con  giusto  esercito. 

Ma  l'età  più  splendida  per  Torino  e  per  tutta  la  regione  Traspa- 
dana devesi  a  Giulio  Cesare.  «  Conosceva  egli  (scrive  il  Promis) 
queste  regioni  come  semenzaio  di  soldati  che  alla  disciplina  di  Ro- 
ma, per  la  quale  militavano  come  sodi,  univano  il  celebrato  impe- 
to gallico;  pel  conquisto  della  Gallia  propria  abbisognavagli  a  spal- 
le una  buona  base  d'operazioni  in  paese  copioso  di  strade,  di  vi- 
veri e  di  soldati  tanto  più  devoti,  quanto  che  a  lui  solo  tutto  doves- 
sero. Codesti  vantaggi  aveali  nel  Piemonte,  favorendo  i  pianigiani 
eon  promessa  di  elevarli  alla  romana  cittadinanza,  favorendo  gli 
Alpini  coll'aggraduirsi  Donno  signor  dei  monti,  cui  mantenne  il  ti- 
tolo regio;  ebbeli  quindi  devotissimi  a  se  ed  asuoi  successori  1.  » 
Avuta  pertanto  che  egli  ebbe  nel  695  la  provincia  Cisalpina  col- 
rillirio,  cioè  tulte  le  Alpi  cingenti  l'Italia,  qui  coscrisse  due  legio- 
ni, e  colle  altre  tre  venutegli  da  Aquileia,  avviossi  alla  conquista 
delle  Gallie,  pel  paese  di  Donno  re  di  Susa  e  per  la  strada  del 
Monginevro,  che  egli  poi  percorse  ben  venti  volte,  andando  e  ve- 
nendo continuamente  dalle  Gallie,  ed  alternando  le  fatiche  della 
guerra  oltre  Alpi  colle  cure  civili  della  sua  provincia,  dove  ogni  an- 
no tornava  a  tenere  i  Conventus  giuridici.  Finita  poi  nel  70i  la 
guerra  Gallica,  Cesare  fu  ricevuto,  al  ritorno,  da'  suoi  Cisalpini  con 
onori  e  feste  incredibili;  ed  egli  a  vicenda  largheggiò  più  che  mai 
con  essi  di  donativi  e  di  grazie.  Tra  le  quali  la  più  cara,  siccome 
la  più  ambila,  fu  il  dare  ch'egli  fece  nel  705  a  tutti  i  Traspadani 
la  romana  cittadinanza,  elevandoli  dal  ius  Latti  al  ius  ritritati*  Ro- 
manae,  che  conferiva  loro  lutti  i  diritti  civili,  politici  e  militari 
del  Romano,  e  spalancava  la  via  ad  ogni  ufficio  e  grado  nella  re- 
pubblica. 

1  Pag.  55. 


OSSIA  L'  AMICA  TORINO  283 

In  quell'anno  pertanto,  o  poco  appresso,  crede  il  Promis  che  Ce- 
sare fondasse  la  Colonia  lidia  Taurinorum,  e  che  il  nome  aggiun- 
tole di  Augusta  indichi  una  seconda  condotta  di  coloni,  fatta  poi  da 
Augusto  :  tenendo  egli  col  Borghesi  che  generalmente  le  colonie 
luliae  Augustae  il  doppio  nome  dovessero  all'essere  state  condotte 
due  volte,  prima  da  Cesare,  poi  da  Augusto,  quantunque  talvolta 
fossero  così  dette  da  Augusto  solo.  Divenuta  città  Romana,  Torino 
dovette  allora  essere  ascritta  ad  una  delle  trentacinque  tribù,  in  cui 
poteva  esercitarsi  il  diritto  supremo  di  suffragio  nei  comizii  della 
metropoli;  e  venne  infatti  ascritta,  come  attestano  ben  40  suoi  mar- 
mi, alla  tribù  Stellai  ina,  una  delle  rustiche  e  meglio  pregiate,  isti- 
tuita nell'anno  387  di  Roma,  ed  a  cui  appartenevano  similmente 
Preneste  nel  Lazio,  Benevento  nel  Sannio,  Urbino  nell'Umbria  ed 
alcune  altre. 

I  Taurini  tuttavia  non  poterono  in  sulle  prime  godere  gran  fatto 
del  beneficio  di  Cesare,  a  cagione  dei  turbolentissimi  tempi  che  al- 
la morte  del  Dittatore  successero,  e  della  guerra  civile  che  straziò, 
colla  rimanente  Italia,  tutta  la  Cisalpina,  corsa  e  lacerata  an- 
ch'essa da  Cesariani  e  da  Antoniani.  Ma,  dopo  la  vittoria  Àziaca  nel 
"723,  Ottaviano  memore  della  devozione  dei  Traspadani  al  nome 
Cesareo,  ristaurò  le  loro  fortune,  e  rialzò  a  nuova  vita  e  splendore 
la  città  dei  Taurini,  la  quale  fu  una  delle  28  colonie,  celeberrimae 
et  frequentissimae,  che  egli  stesso  ricordò  1  avere  o  fondate  di 
pianta  o  ristabilite  in  Italia,  dando  loro  il  proprio  nome  di  Augu- 
stae. E  da  Augusto  infatti  cominciò  a  prendere  stabile  assetto  ed 
a  prosperare  e  fiorire  la  Torino  romana.  Egli  non  solo  la  rinsangui- 
no di  nuovi  coloni,  ma  la  arricchì  altresì  di  pubblici  fondi,  l'ador- 
nò di  edificii,  la  ricinse  e  afforzò  di  mura,  di  torri  e  di  porte,  di  cui 
rimangono  anche  oggidì  nobilissime  reliquie. 


1  Monum.  Ancirano, 


284  IULIA  AUGUSTA  TAURINORUM 

III. 

La  pianta  di  Torino,  ai  tempi  d'  Augusto,  era  un  quadralo  quasi 
perfetto  :  figura  prediletta  ai  Romani,  siccome  imitazione  dei  ca- 
stri, e  di  cui  si  han  molti  esempii,  foggiati,  per  dir  co>ì,  sul  tipo 
primitivo  della  Roma  quadrata  di  Romolo,  in  Aosta,  Pana,  Mila- 
no, Verona,  Bologna,  Pesaro,  ed  altre  romane  città  in  Italia  e  fuo- 
ri. Torino  misurava  circa  720  metri  da  Levante  a  Ponente,  e  660 
da  Mezzodì  a  Tramontana;  e  tutto  il  suo  compreso  giaceva  tra  i  li- 
miti che  oggidì  sarebbero  formati  dalla  fronte  occidentale  del  Ca- 
stello, e  dalle  vie  di  S.  Teresa,  della  Consolata,  e  Giulio.  Tanto  nel 
recinto  esterno,  come  nell'interno  caseggiato,  ella  era,  salvo  qual- 
che leggiera  storta,  tutta  ad  angoli  retti:  undici  vie,  correndo  pa- 
rallele da  Levante  a  Ponente,  e  intersecantisi  ortogonalmente  con 
altrettante  da  Mezzodì  a  Settentrione,  formavano  cento  isolali,  i  cui 
antichi  perimetri  coincidono  perfettamente  cogl' isolati  moderni,  co- 
me le  vie  moderne  esattamente  rispondono  sopra  le  antiche.  Queste 
vie  urbane  aveano  una  larghezza  media  di  4  o  5  metri,  come  quel- 
le di  Pompei;  e  secondo  che  mostrarono  alcuni  scavi  recenti,  erano 
pavimentale  a  gran  poligoni  di  un  gneiss  antibolo,  che  trovasi  a  Va- 
yez  in  vai  di  Susa.  Torino  aveva,  oltre  alcune  minori,  quattro  por- 
te principali:  porta  Fibellona  ad  Oriente,  così  detta  nei  bassi  tem- 
pi forse  da  un  Fanum  Bellonae;  porta  Marmorea  a  mezzodì;  porta 
Secusina  ad  Occidente  ;  e  porta  Palatina  o  piuttosto  come  dovette 
anticamente  chiamarsi,  porta  Romana  a  mezzanotte.  Guest'  ultima 
era  di  gran  lunga  la  più  nobile  e  magnifica  ;  secondo  lo  stile  delle 
antiche  città,  in  cui  la  porta  Romana,  quella  che  conduceva  alla  Me- 
tropoli dell'  Impero,  sempre  primeggiava  per  mole,  per  numero  di 
ingressi,  per  maestà  e  ricchezza  di  fregi.  Ella  si  ammira  in  Tori- 
no anche  oggidì,  non  solo  come  l'unico  monumento  superstite  dei 
tempi  romani,-  campato  per  miracolo  alla  barbarie  distruggitrice 
dei  secoli  passati  ;  ma,  anche  senza  ciò,  come  un  monumento  in 
genere  suo,  essendo  ella,  fra  le  antiche  porle  Romane,  una  delle 
maggiori  per  vastità  di  dimensioni  e  pel  numero  delle  entrate  che 


OSSIA  L  ANTICA  TORINO  285 

erano,  come  a  Nimes  e  ad  Autun,  quattro,  cioè  due  maggiori  pei 
carri  e  due  minori  pei  pedoni;  ed  inoltre  l'unica,  che  fosse  costrui- 
ta in  opera  laterizia,  di  quella  elegante  maniera  che  usavasi  al  se- 
colo di  Augusto. 

Il  recinto  delle  mura  e  delle  torri  che  chiudea  la  città,  era  anche 
esso  tutta  opera  romana,  ma  di  due  epoche  diverse,  come  mostra- 
no, nei  pochi  avanzi  o  vestigi  rimastine,  le  diverse  strutture.  A  Mez- 
zodì e  Ponente,  eh'  erano  i  lati  per  natura  più  deboli,  furono  le  mu- 
ra fabbricate  da  Cesare,  con  queir  opus  incertum  di  ciottoli  spac- 
cati, ch'era  proprio  dell'epoca  repubblicana,  vuote  nel  mezzo  e  a 
doppio  ordine  di  difese,  secondo  che  richiedeva  la  ragione  militare 
del  sito;  laddove  a  Tramontana  e  Levante,  le  mura  son  piene,  a 
un  sol  giro  di  difese,  e  di  magnifica  opera  laterizia,  de'  tempi  d'Au- 
gusto ;  il  quale  nel  ristaurare  la  colonia  dei  Taurini,  continuò  e  com- 
piè l'opera  cominciata  da  Cesare.  Fuor  delle  mura,  il  più  insigne 
edificio  suburbano  era  Y  anfiteatro,  posto  un  po'  a  Ponente  di  porta 
Marmorea,  ed  eretto  probabilmente  nel  II  secolo,  sotto  gli  Antoni- 
ni. Il  Pingone  lo  annovera  tra  gli  edificii  demoliti,  per  la  ragion  di 
guerra,  dai  Francesi  nel  1536;  e  Guido  Panciroli,  il  celebre  com- 
mentatore della  Notitia  Imperli  e  Professore  di  leggi  in  Torino  dal 
1570  al  1582,  ne  vide  ancora  i  vestigi,  che  poi  interamente  dispar- 
vero. La  scellerata  passione  dei  giuochi  antìteatrali,  nota  qui  il 
Promis  1,  avea  sotto  l'Impero,  talmente  invaso  l'Italia,  che  il  più 
sicuro  modo  di  cattivarsi  le  moltitudini  e  di  conseguir  gli  onori  mu- 
nicipali era  il  dar  giuochi  pubblici  o  Y  edificare  anfiteatri.  Quindi  è 
che  il  numero  di  questi  crebbe  a  dismisura,  e  non  vi  fu  città,  ezian- 
dio di  secondo  e  di  terzo  ordine,  che  non  avesse  il  suo.  L'Hlìbner, 
nel  suo  catalogo  degli  anfiteatri  d'Italia,  non  ne  annoverò  che  soli 
36;  e  più  recentemente  il  Friedlànder,  professore  di  Konigsberg, 
trovò  stranamente  esagerato  il  numero  di  62,  che  io,  dice  il  Pro- 
mis, fin  dal  1838,  scrivendo  dell'anfiteatro  di  Lunì,  avea  già  con- 
tato nella  nostra  Penisola,  e  dei  quali  io  aveva  piena  certezza,  o 
per  averli  in  massima  parte  veduti,  o  per  attestazione  di  scrittori, 

1  Pag  189. 


286  IULIA  AUGUSTA  TAUR1N0RUM  OSSIA  L  ANTICA  TORINO 

di  architetti,  o  di  lapidi.  Or  bene  a  quei  62  debbo  ora  aggiungerne 
altri  23  ;  dei  quali,  selle,  allora  da  me  non  conosciuti  o  scordati, 
sono  nel  catalogo  dell'  Hiibner  ;  gli  altri  sedici  furono  da  me,  dopo 
quell'epoca,  accertati;  e  tra  essi. è  quel  di  Torino.  La  somma  per- 
tanto di  tutti  gli  anfiteatri  d'Italia  ascende  oggidì  a  ben  85;  e  non 
dubito  d'asserire  che  una  diligente  perlustrazione  della  parie  men 
percorsa  d' Italia,  qual  è  la  Puglia  e  l'ultima  Calabria,  ne  porte- 
rebbe il  numero  almeno  a  100,  non  contando  quelli  delle  isole.  Il 
solo  antico  Piemonte  ne  conta  cinque  :  e  sono  quei  di  Torino,  Poi- 
lenza,  Libarna  in  Tal  di  Scrivia,  Omelia  ed  Aosta  1. 

Torino  dovette  inoltre  avere  un  teatro,  come  aveanlo  Aosta,  Poi- 
lenza,  Libarna  testé  nominate,  ed  altrettali  città  a  lei  di  molto  in- 
feriori: e  una  delle  sue  iscrizioni  ricorda  infatti  un  Tizio  Bellico 
Choragiarius,  cioè  maestro  e  sopranlendente  dell'apparato  sceni- 
co 2.  Molti  templi  altresì  adornavano  l'Augusta  dei  Taurini;  e  al- 
men  di  nove  Divinità  ivi  venerate  con  pubblico  culto  fanno  ricordo 
i  monumenti  del  Promis  ;  delle  quali  la  maggior  parte,  recondo 
l'empia  adulazione  di  que' tempi,  erano  gl'Imperatori  stessi,  il  Divo 
Augusto,  il  Divo  Claudio,  la  Diva  Faustina  e  simili.  Anche  l'Iside 
egizia  aveva  un  tempio,  e  credesi  per  tradizione  che  sorgesse  ove 
poi  fu  la  chiesa  di  S.  Solutore  nel  luogo  della  cittadella:  come  pur 
credesi  che  la  chiesa  dello  Spirito  Santo  in  Dora  Grossa  sia  sotten- 
trata al  tempio  di  Diana;  il  culto  della  quale  ebbe  gran  voga  a  To- 
rino e  nel  contado,  giacché  il  Vescovo  S.  Massimo,  nel  mezzo  del 
V  secolo,  doveva  ancora  tuonare  contro  le  sanguinarie  e  pizze  su- 
perstizioni dei  Dianatici  delle  campagne,  e  contro  le  arae  ligneae 
et  simulacra  lapidea,  onde  queste  erano  contaminate. 

Sarà  continuato. 


1  Pag.  190. 

2  Pag.  449.  Iscrizione  n.° 


I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

SCENE  STORICHE  DEL  1867 


XCYIH. 

Mentana,  3  Novembre  (continua.) 

«  Erano  circa  le  ore  due,  dice  il  Del  Vecchio,  quando,  secondo 
l'ordine  di  Garibaldi,  ci  ritirammo  in  Mentana.  »  Di  simili  eufemi- 
smi si  accomodano  anche  altri  rapporti  garibaldesehi.  Il  vero  è 
che  l'ordine  della  ritirata  fu  dato  dai  Zuavi,  a  baionetta,  secondo 
che  confessa  il  Guerzoni,  uno  dei  presenti  e  forse  dei  fuggitivi.  I 
provvedimenti  del  Garibaldi  mirarono  a  ristorare  la  resistenza  en- 
tro Mentana.  Quattro  battaglioni  (colonna  Frigyesi)  si  fermarono 
alle  barricate;  l'Elia  con  tre  battaglioni  s'imboscò  nell'altura  che 
copre  il  villaggio  a  levante;  due  altre  poderose  partite,  divise  in 
sei  battaglioni,  si  postarono  più  addietro  in  sostegno  dell'Elia;  mil- 
ledugent'uomini  solto  il  comando  del  Cantoni  si  distesero  alla  stra- 

tda  di  Monte  Rotondo,  come  corpo  di  ricuperazione;  un  pezzo  di 
campagna,  con  alcuni  minori,  si  collocò  sopra  un  rialto  dietro 
Mentana.  Così  il  referto  del  Menotti,  concorde  colle  nostre  in- 
formazioni. 
Non  crediamo  per  verità  Giuseppe  Garibaldi  capace  di  sì  bene 
intese  disposizioni  di  battaglia:  ma  le  desse  o  le  ricevesse,  parve- 
ro eccellenti  ancora  ai  comandanti  alleati,  che  si  apprestavano  a 
combatterle.  Sette  pezzi  d'artiglieria,  dei  quali  due  francesi,  furono 


288  XCVIII.  MENTANA,  3  NOVEMBRE 

comandati  di  aprire  il  fuoco  sopra  il  castello  e  sopra  i  posti  d'ap- 
procciamento.  Si  scagliano  allora  i  prodi  cannonieri,  e  per  fratte  e 
scarpe,  che  pareano  impraticabili,  smaniosamente  piantano  le  bat- 
terie :  pareano  temere  che  la  fanteria  rubasse  loro  l'opera  ;  alcuni 
tra  essi,  come  il  maresciallo  Ignazio  Santi,  che  servì  da  semplice 
puntatore,  aveano  mosso  cielo  e  terra,  dnd' essere  prescelti  tra  la 
piccola  schiera  dei  combattenti.  Tre  bocche  puntavano  da  niente 
Guarnieri,  una  dalla  strada,  tre  da  vigna  Santucci  ;  ed  a  quei  baldi 
garzoni  parea  giuoco  e  festa,  sotto  il  flagello  del  moschetto  nemi- 
co imberciare  ora  nelle  finestre  del  castello,  ora  scoscendere  l'arti- 
glieria garibaldina;  e  i  capitani  loro  accarezzarli  e  commendarli  delle 
felici  volate.  Il  conte  di  Caserta,  come  pure  altri  ufficiali  di  conto, 
prendean  diletto  ad  avvolgersi  tra  i  cannoni,  e  dirizzarne  i  colpi. 
Gagliarda  ed  efficace  riusciva  l' impressione  dell'  artiglieria  ;  giac- 
ché oltre  al  danno,  turbava  d'indicibile  spavento  le  falangi  carni- 
ciotte  :  ma  troppo  presto  si  dovette  rinunziare  a  questo  vantaggio , 
pel  celere  avanzarsi  della  fanteria  pontificia  alle  prese  col  nemico. 
Il  cannone  d'allora  in  appresso  quasi  non  ebbe  più  altro  ufficio  che 
di  molestale  il  castello,  non  volendo  il  Kanzler  altrimenti  aggravar 
le  già  troppo  gravi  sciagure  degl'innocenti  Mentanosi. 

Ai  Carabinieri  esteri  toccò  l'onore  del  principale  attacco,  e  tosto 
la  maggior  parte  del  battaglione  mosse  per  la  valle  e  per  la  strada 
di  Roma,  verso  la  porta  di  Mentana  ;  intanto  varii  drappelli  di  Zuavi 
eran  precorsi  discendendo  parallelamente  sull'alto  piano:  gli  uni  e 
gli  altri  sbarattando  a  ferro  e  a  fuoco  le  reliquie  del  nemico,  rimase 
addietro  nella  fuga  generale.  Un  casamento  grande,  chiamato  il  Con- 
venivo, fu  espugnato  dai  Zuavi  in  passando,  e  similmente  un  casale 
di  fornaci,  di  piò  della  salita  di  Mentana.  Ma  il  forte  punto  era  l'as- 
salto della  porla  del  villaggio  e  della  altura  frondosa  che  la  fian- 
cheggia ad  oriente.  Perciocché  i  Garibaldeschi  valendosi  accorta- 
mente della  posizione,  avevano  quivi  accumulate  le  loro  forze  di 
difesa:  e  soprattutto  dai  fincstrati  del  castello  e  dalle  case  e  dalle 
ripe  a  lato,  spazzavano  con  infinita  grandine  di  ferro  ogni  accesso 
e  lungo  tratto  della  strada  innanzi.  Di  che  le  compagnie  dei  Ca- 
rabinieri, evitando  il  fuoco  della  porta,  girarono  sul  fianco  destro, 


XCVIII.  MENTANA,  3  NOVEMBRE  289 

e  si  congiunsero  ai  Zuavi  sull'alto  piano  orientale.  Colà  adunque  si 
tramutò  il  teatro  dell'ultima  giostra,  in  cui  s'impegnarono  a  ma- 
no a  mano  tutte  le  armi  alleate.  Pei  Garibaldini,  il  castello  diven- 
ne l'ala  destra  di  battaglia,  la  strada  di  Monte  Rotondo  colle  forze 
quivi  schierate  l'ala  sinistra,  e  le  case  di  Mentana,  cambiate  in 
filiera  di  ridotti  vomitanti  fuoco,  il  centro  della  resistenza  1. 

Non  istaremo  a  divisare  per  minuto  le  pruove  di  valore  e  di  te- 
merità, date  dalle  bande  zuave  nella  prima  foga  del  loro  arrivo  so- 
pra Mentana;  solo  accenneremo  l'andamento  generale  del  lungo  e 
ostinalo  assalimene.  Tra  le  prime  punte  di  armati  che  diloggiando 
il  nemico  di  bronco  in  bronco,  trascorsero  ove  il  furore  le  trascina- 
va, era  una  mezza  compagnia  del  de  Veaux  ucciso  a  vista  di  vigna 
Santucci:  nulla  potè  arrestarla.  Prendono  a  salire  la  terribile  co- 
sta; e  tra  gli  ulivi  folli  scorgono  una  nube  di  fumo,  entro  cui  tuona 
il  Viva  Pio  IX,  e  un  gruppo  di  Zuavi  incalza,  preme,  rovescia  un 
grande  stuolo  di  garibaldini:  congiungono  mano  a  mano,  ferro  a 
ferro,  e  rincacciano  il  nemico  sin  déntro  le  barricate.  Udirono  allo- 
ra, dietro  le  mura,  un  urlo  di  Viva  Garibaldi  traversare  la  contrada. 
Forse  il  condottiero  percorreva  un  ultima  volta  le  file  arruffale  delle 
sue  genti,  e  ordinava  (se  pure  alcuna  cosa  ordinò  egli)  la  mossa  di 
buona  tattica,  la  quale  tra  poco  vedremo  eseguirsi.  Poscia  (e  que- 
sto è  certo),  prima  delle  ore  tre,  mentre  accendevasi  il  combatti- 
mento decisivo,  Giuseppe  Garibaldi,  con  picciol  corteggio,  reggen- 
dogli il  cavallo  suo  figlio  Ricciotti,  abbandonava  i  suoi  sul  terreno, 
e  ritiravasi  a  Monte  Rotondo.  Mentana  il  vide  partire,  Monte  Ro- 
tondo arrivare.  Così  cacciava  i  mer cenarti  a  calcio  di  fucile;  così 
il  suo  cadavere  rimaneva  tra  il  Papato  e  l'Italia;  così  compiva  il 
volo  :  0  Roma,  o  morte. 

Il  pugno  di  Zuavi  intanto,  inebbriato  dal  suo  rapido  vantaggio, 
non  pensò  né  il  numero  dei  nemici,  né  V.  insidioso  luogo  in  che  s'av- 
venturava, né  il  cannone  che  il  percolea  di  fronte,  né  il  lungo  fian- 
co delle  case  di  Mentana,  cui  intaccare  non  poteva.  Dalle  finestre 
non  solo,  ma  fino  dagli  abbaìni,  e  di  sotto  le  tegole,  rilevate 

1  Vedi  la  pianta  di  Mentana,  nella  nostra  Carta  corografica  di  cinque 
province  ecc. 

Serie  YJI,  voi.  XI,  fase.  489.  19  26  Luglio  1870. 


290  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

all'uopo,  uscivano  le  bocche  di  moschetto  impostatovi,  e  con  esse  la 
morte  ;  in  niuna  parte  appariva  il  nemico  alla  scoperta.  Adunque  i 
Zuavi  procedettero  sino  a  trenta  metri  in  faccia  al  villaggio  :  quivi 
si  stabilirono  in  mezzo  ad  alquanti  pagliai  come  in  rocca  munita,  e 
quivi  ora  affrontando,  ora  difendendosi,  ora  ritirandosi  a  momenti  e 
a  momenti  riprendendo  il  perduto,  sino  al  fine  della  giornata,  mal- 
grado le  molte  morti,  si  dimorarono.  La  sola  istoiia  di  questo  bran- 
co di  lioni  meriterebbe  una  lunga  pagina,  non  fosse  altro,  per  men- 
tovare i  nomi  di  quelli  che  vi  caddero,  o  morti  o  feriti.  Sulle  loro 
pedate  sopraggiugnevano  con  nuove  forze  il  capitano  Lefebvre,  e  il 
capitano  di  Moncuit,  e  il  capitano  Legonidec,  e  il  maggiore  di  Lam- 
billy  e  altri  ufficiali.  Sopraggiugneva  il  fiero  battaglione  dei  Carabi- 
nieri, compatto,  destro  al  comando,  disciplinato  alle  più  arrischiate 
conversioni;  il  quale  salendo  dalla  valle,  parte  rinforzò  i  Zuavi  im- 
pegnati all'  attacco  immediato  di  Mentana,  e  parte  volteggiò  alla  lar- 
ga a  fine  di  proteggerli  alle  spalle. 

E  bene  conveniva  all'uopo:  perchè  le  masse  garibalde  rigettate 
addietro  non  erano  però  distrutte,  e  col  favore  de'  muri  a  poco  a 
poco  si  riformavano,  e  cercavano  di  riprendere  l'azione  offensiva. 
Almeno  tre  volte  tentarono  sortire  di  dietro  Mentana,  dalla  parte 
settentrionale  cioè,  che  guarda  Monte  Rotondo,  e  piombare  sui  iìan- 
chi  de'  Pontificii,  intenti  a  battagliare  le  case.  Chi  guidasse  quelle 
sortite,  grosse  di  gente,  e  ben  maneggiate,  noi  sappiamo.  Il  Me- 
notti ne  racconta  una  sola,  operante  «  con  valore  ed  entusiasmo;  » 
il  Guerzoni  parimente  le  riunisce  tutte  in  «  una  carica  stupenda  alla 
baionetta,  »  sotto  il  comando  del  Fabrizi,  di  Menotti,  del  Mario, 
del  Bezzi,  del  Canzio,  e  perfino  del  Garibaldi;  e  assicura  inoltre,  che 
per  poco  il  Garibaldi  non  rientrò  vittorioso  sin  dentro  a  vigna  San- 
tucci. Ma  assolutamente  non  fuvvi  una  carica  sola,  sì  bone  più  ten- 
tativi, forse,  d' uno  stesso  disegno  che  dovevasi  eseguire  con  fazioni 
accordato  e  invece  riuscì  a  rotte  successive.  Ne  seguì  un  vorticoso 
torneamento  dei  Pontificii,  i  quali  in  terreno  mirabilmente  vario, 
frastagliato  da  strade,  ripe,  forre,  macchie,  doveano  fronteggiare 
quelle  colonne  soverchiaci,  e  a  grande  opera  di  moschetto  e  di 
daga  volgerle  in  isbaraglio:  fu  un  ora  e  più  di  trepidissimi  combat- 
timenti, in  cui  raramente  i  Garibaldini  si  lasciarono  raggiugnero 


XCVIIL  MENTANA,  3  NOVEMBRE  291 

alla  baionetta,  arma  sempre  decisiva  contro  essi,  e  non  mai' pro- 
vocata. 

Un  solo  vantaggio  momentaneo  guadagnarono  i  Garibaldini,  che 
procacciò  un  vivo  lampo  di  gloria  agi'  intrepidi  Carabinieri.  Men- 
tre due  loro  compagnie  (la  2.a  capitano  Stoeklin,  e  la  5.»  tenente  di 
Buttet)  e  con  esse  un  gruppo  di  Zuavi  marciavan  largo  ad  accer- 
chiare la  sinistra  garibaldina,  e  tagliarle  la  ritirata  su  Monte  Ro- 
tondo, videro  da  quel  lato  stesso  piombarsi  addosso  una  colonna, 
più  largamente  girante,  di  due  o  tre  battaglioni.  I  Pontificii  ordì- 
naron  ratto:  Fuoco  in  ritirata.  Si  maneggiò  adunque  a  ritroso,  sen- 
za stornar  fronte,  anzi  grandinando  di  fuoco  gli  incalzatori,  che 
comperarono  col  sangue  ogni  palmo  di  terra,  e  non  ardirono  metter 
mano  all'arma  bianca.  La  fiera  ritirata  durava  circa  mezz'  ora,  in 
picciol  terreno,  finche  giunse  loro  un  rinforzo  di  altre  due  compa- 
gnie, mandatevi  dal  colonnello  Jeannerat.  Allora  si  tenne  piede,  e 
si  arrestò  il  nemico,  sebbene  la  colonna  pontificia  si  trovasse  ber- 
sagliata orribilmente  dalle  case  di  Mentana  da  una  parte,  e  dalle 
grosse  file  dei  nemici  dall'  altra. 

Contemplavano  dal  quartier  generale  questa  splendida  evoluzione 
i  comandanti  francesi  e  pontificii  ;  e  mentre,  già  il  maggiore  Unga- 
relli  volava  recando  ordine  al  colonnello  D'Àrgy,  di  spingere  alla 
riscossa  la  sua  Legione,  non  poteano  contenersi  dall' applaudirla  vi- 
vissimamente pur  da  lungi,  come  uno  de'  più  eroici  episodii  della 
giornata,  che  tanti  n'ebbe  a  vantare.  Cinque  compagnie  di  Legiona- 
rii,  arrivavano  sul  terreno,  guidate  dal  maggiore  Cirlot,  che  spedi- 
va i  capitani  Sére  e  Vazeille  a  rinfrancare  il  combattimento  dei  Ca- 
rabinieri. Però  come  questi  videro  la  prima  compagnia  della  Legio- 
ne obliquare  destramente  sui  loro  fianchi,  impazienti  di  più  restare 
sulle  difese,  si  scagliano  avanti  colle  daghe  in  canna.  Dietro  loro 
si  forma  la  colonna  d' assalto,  Carabinieri,  Legionarii,  un  pugno 
di  Zuavi  accorsovi  col  capitano  Lefebvre:  avanti,  avanti!  di  palla 
e  di  baionetta,  alla  bersagliera  e  a  compagnie  serrate,  sì  rompe  la 
linea  garibaldina,  che  dapprima  resistette  gagliardamente,  in  fine 
sbarattata  in  fuga  ricevette  la  caccia,  parte  sino  alle  barricate  di 
Mentana,  e  parte  sino  alle  macchie  tra  Mentana  e  Monte  Rotondo  ; 

e  con  tanto  abbandono,  che  una  punta  di  Legionarii,  portata  dalla 


292  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

furia  francese  e  dal  tenente  di  Cereale,  arrivò  sulle  artiglierie,  uc- 
cise gli  artiglieri,  tagliò  i  fornimenti,  e  ritornò  aprendosi  il  passo 
alla  baionetta. 

Se  la  fazione  lampeggiò  di  arte  e  di  bravura,  non  fu  però  senza 
sangue,  specialmente  dei  Carabinieri  che  ne  sostennero  il  peso  prin- 
cipale. Il  loro  maggiore  Castella,  perduto  per  tre  colpi  di  fuoco  il 
cavallo,  era  ferito  gravemente  egli  stesso,  e  strappato  quasi  di  forza 
dal  combattimento ,  per  mano  del  colonnello  Jeannerat  e  del  cap- 
pellano ,  mgr  Bérard  :  lasciava  a  comandare  in  sua  vece  un  soldato 
semplice,  volontario,  che  era  il  colonnello  de  Courten.  Un  altro  uffi- 
ciale, Rodolfo  Deworschek  era  piagalo  a  morte;  presso  a  quaranta 
Carabinieri  giacevano  sul  terreno,  tra  morti  e  feriti.  I  Zuavi  altresì 
aveano  pagato  largo  tributo  di  sangue  nelle  continuate  zuffe  sin  qui 
sostenute  :  circa  sessanta  dei  loro  erano  già  caduti:  e  tra  essi  il  sot- 
totenente Narciso  Dujardin,  che  tuttavia  guarì  delle  ferite. 

Rigettata  la  prima  sortita,  i  Pontificii  strinsero  novamenle  la  bat- 
taglia sopra  i  lunghi  serragli  delle  case,  rincalzando  le  scarse  com- 
pagnie rimase  a  travagliare  il  centro  del  nemico.  Non  poco  erasi 
avanzata  l'opera  dell'attacco,  sebbene  sotto  un  nembo  micidiale 
di  palle.  Invano  i  Garibaldini  mentre  si  disperdeva  la  sortita  della 
sinistra,  aveano  tentato  una  sortita  a  destra,  appoggiandosi  ad  un 
casamento,  la  villa  Cicconetti,  mantenuto  in  loro  potere  :  tre  com- 
pagnie di  Legionarii,  condotte  rapidamente  dal  maggiore  Cirlot, 
gli  avevano  anche  da  questa  parte  circondati  e  battuti,  racquistan- 
do  anche  la  posizione  dei  pagliai,  per  un  momento  invasa  dai  ne- 
mici. Il  capitano  Durostu  spingendosi  oltre  all'  entrata  di  Mentana 
verso  Monte  Rotondo ,  aiutato  dalle  due  bocche  d' artiglieria  collo- 
cate a  vigna  Santucci,  aveva  sgombre  le  prime  case:  il  cacciatore 
Longin  sfondò  una  porta ,  arietandola  con  un  macigno ,  e  vi  saltò 
dentro  col  suo  tenente  di  Kerdrel,  e  il  sergente  maggiore  Vittore 
Yerstraeten  :  in  tre  inlimaron  la  resa  a  trenta  uomini,  e  gli  ebbero 
prigionieri.  Il  Durostu  s'apparecchiava  di  proseguire  di  casa  in  ca- 
sa, finche  si  potesse  dare  assalto  generale. 

E  già  non  pareva  troppo  lontano  il  momento.  Rinchiuso  era  in 
Mentana  il  grosso  dei  nemici,  repressi  con  gravissime  perdite  i  lo- 
ro tentativi  di  offesa,  intaccata  la  sua  linea  suprema  di  difesa:  i 


XCVIII.  MENTANA,  3  NOVEMBRE  293 

Garibaldini  a  frotte  gittavansi  sulla  strada  di  Monte  Rotondo  ;  uno 
squadrone  di  Dragoni,  cavalcato  sino  alle  estreme  posizioni  nemi- 
che ,  chiedeva  ad  alte  grida  di  essere  licenziato  a  dare  la  carica  e 
tagliare  la  ritirata  di  Monte  Rotondo.  Tale  era  il  furore  di  scagliarsi 
neir  arringo,  che  non  badavano  alle  asperità  del  suolo  impraticabi- 
le, e  protestavano  sé  conoscere  i  loro  cavalli,  e  ben  potere  eseguire 
una  carica  tra  le  balze  :  appena  bastò  la  disciplina  militare  a  con- 
tenerli, e  non  tutti,  perchè  alcuni  giltatisi  a  piedi,  si  consolarono 
colle  pistolettate.  Per  giunta,  dal  lato  del  Tevere,  cominciava  a  sa- 
lire la  colonna  Troussures,  cui  vedemmo  spiccarsi  dal  corpo  di  spe- 
dizione, ad  intento  di  operare  una  diversione.  Per  vie  orrende  ed 
inescogitabili  affacciasi  oramai  sulle  cime  dei  colli  a  rovescio  del 
villaggio,  e  minacciava  di  traversare,  come  poi  fece,  le  linee  ne- 
miche da  banda  a  banda. 

In  tali  condizioni  dei  due  campi  affrontati,  si  ebbe  novella  pruo- 
va,  che  nello  Stato  maggiore  garibaldino  comandavano  valenti  uffi- 
ciali, e  che  l'esercito  italiano,  testa  e  braccia,  militava  sotto  la  ca- 
micia rossa.  Si  comprese  allora  tutto  l' ordine  di  battaglia,  fin  qui 
non  rivelatosi  interamente.  Le  due  prime  sortite  non  erano  altro 
che  parte  e  appoggio  d' una  più  vasta  e  bene  intesa  rivoluzione  di 
forze,  donde  attendevasi  la  vittoria,  e  che  in  verità  poteva  almeno 
prolungar  la  battaglia,  se  fosse  stata  eseguita  a  un  tempo  stesso. 
Dall'  estremo  limite  della  ala  sinistra  garibaldina,  che  stendevasi 
sulla  strada  di  Monte  Rotondo  sino  alle  macchie  del  monte  S.  Loren- 
zo, si  scoperse  la  mossa,  assai  bene  dissimulata,  di  due  profonde 
colonne,  che  a  guisa  di  ale  stendevansi  ad  oriente  ed  occidente  di 
Mentana.  Erano  pressoché  tutte  le  forze  garibaldesche,  tranne  un 
sei  battaglioni  lasciati  a  sostenere  le  barricate  di  Mentana.  Del  re- 
sto tale  e  tanto  arruffamento  regnava  tra  i  Garibaldini,  per  le  palile 
sciagure,  che  neppure  il  loro  Stato  maggiore  potrà  giammai  divisa- 
re quali  corpi  impegnasse  in  questo  sforzo  ultimo  e  supremo.  Certo 
comprendevano  la  colonna  Cantoni,  e  quanto  si  era  potuto  raccoz- 
zare degli  sparpagliati  in  altre  fazioni.  Procedeano  serrati,  in  giu- 
ste sezioni,  con  perfetta  disciplina  di  maneggio,  con  manifesto  in- 
tendimento di  serrare  i  Pontificii  e  schiacciarli  contro  la  sempre  vi- 
va e  ardente  fucileria  del  villaggio. 


294  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

Se  questo  fu  il  più  vantalo  concetto  dei  comandanti  garibaldesi, 
fu  però  pronto  ed  efficace  il  riparo  degli  alleali.  Perciocché  il  gene- 
rale Kanzlcr,  che  dall'alto  vegliava  gli  andamenti  del  vasto  conflit- 
to, provocò  allora  il  corpo  di  riserva  a  scendere  in  campo.  Da  circa 
sei  ore  i  Francesi  avevano  caricato  i  chassepots,  e  i  poveri  fucilieri 
sentianseli  bruciare  in  mano,  in  veggendo  dalle  alture  di  vigna  San- 
tucci e  di  monte  Guarnicri  gii  attacchi  e  le  parate,  che  quasi  danza 
marziale  s' intrecciavano  a  loro  piedi  :  e,  meglio  non  potendo,  in- 
coraggivano  colle  gridale  campagnie  entrate  nella  mischia.  Al  cen- 
no del  generale  di  Polhès  parvero  uscire  di  catena.  Il  lenente  co- 
lonnello Saussier,  con  forse  400  fanti  del  29°  di  Linea,  volteggiò 
ad  arrestare  la  colonna  occidentale  :  la  sua  presenza  e  l'arrivo  del 
Troussures  con  tre  compagnie  zuave  ruppero  il  movimento  nemico, 
due  o  tre  volte  superiore  in  numero.  Dal  lato  orientale,  che  è  quan- 
to dire  stili'  alto  piano  della  battaglia,  il  colonnello  Frémonl  entrò 
col  1°  di  Linea  e  tre  compagnie  di  Cacciatoli,  scatenate  alla  bersa- 
glerà. Mosse  largo,  e  s' interpose  come  un  cuneo,  tra  le  spalle  dei 
Pontificii,  e  la  colonna  girante,  che  con  cerchio  amplissimo  saliva 
folta  e  baldanzosa  da  un  fondo  di  valle,  e  ignara  del  castigo  che 
l'attendeva. 

Mentre  si  preparava  il  nuovo  urto,  marciando  ad  incontrarsi  Fran- 
cesi e  Garibaldini  sulle  ale,  non  si  cessava  tuttavia  il  fuoco  nel  cen- 
tro. Pareva  ad  ogni  ora  divampare  allora  cominciata  la  battaglia.  Il 
capitano  Daudier,  soppraggiunto  volontario  alla  sezione  d'artiglieria 
Cheynet,  faccvala  avanzare  di  posto  in  posto,  con  impazienza  crescen- 
te di  fulminare  le  case  dove  più  ardente  romoreggiava  la  fucile  -ria  ga- 
ribalda,  e  tempestava  più  oltre  la  colonna  che  cominciava  ad  esplica- 
re le  sue  quadriglie.  Volle  promuovere  il  cannone  sino  a  trecento 
metri  dal  moschetto  nemico  :  ma  si  stentava  per  l'arduità  del  terreno 
a  recarlo  in  batteria.  11  maresciallo  Bernardini,  che  comandava  il 
pezzo  della  posizione  più  addietro,  spinse  il  cavallo,  e  corse  a  dar 
mano.  «  Ecco  un  prode!  »  gridò  il  capitano,  in  vergendolo  appie- 
dato travagliarsi  alla  carica  sotto  una  grandine  stridente.  Cadevano 
infalli  attorno  a  lui  il  Bacchi,  il  Nunzi,  e  piti  cavalli,  il  servente  Mau- 
rizio Buser  colla  bocca  in  sangue  continuava  il  lavoro ,  gli  ufliciali 
slessi  facean  l'opera  dei  soldati.  Infine  il  posto  diveniva  mortale,  e 


XCYIII.  MENTANA,  3  NOVEMBRE  295 

il  cannone  impossibile  a  governare.  Pare  si  resse  finche  il  tenente 
Cheyneì  non  ebbe  trovati  altri  cavalli  di  ricambio.  Allora  si  ordinò 
la  ritirata  ;  e  il  maresciallo  Ferruti  disse  all'  amico  Bernardini  :  Ba- 
da, non  salire  a  cavallo.  Questi  dispregia  il  pericolo,  balza  in  sella  : 
due  palle,  al  collo  e  al  petto,  ne  lo  rovesciano,  morto  in  sul  punto, 
se  non  in  quanto  potè  prima  di  spirare,  con  un  cenno  di  mano  sa- 
lutare i  camerati. 

La  ritirata  del  pezzo  tornò  disastrosa  agli  Artiglieri,  né  riusciva 
senza  la  protezione  dei  Legionarii  e  dei  Zuavi,  che  assediando  il 
borgo,  copersero  di  fuoco  i  tiratori  garibaldini.  Ma  cacciati  questi 
dalle  finestre  ribollirono  nelle  contrade,  e  animati  dal  vantaggio  ot- 
tenuto, e  più  dal  vedere  la  loro  colonna  girante,  prender  terreno  alle 
spalle  gli  assediatoli,  vociavan  alto,  e  pareano  in  punto  di  sbocca- 
re impetuosi  da  un  viottolo  tramezzo  le  ease.  A  rintuzzarli,  due  uf- 
ficiali legionarii,  il  Kerdrel  e  il  Napoletti,  si  avventano  sul  viotto- 
lo stesso,  seguili  da  un  pugno  di  audaci,  si  coprono  dal  fuoco,  si 
piantano  in  sentinella.  L'ardire  dei  rinchiusi  fu  arrestato  prima  del- 
le mosse.  Al  centro  adunque  cadeva  la  fortuna  nemica  di  momento 
in  momento  :  restava  a  veder  l'esito  dell'ultimo  tentativo,  sull'estre- 
mo corno  orientale. 

E  già  quasi  si  fronteggiavano  le  linee  francesi  e  le  garibaldesche 
queste  svolgendosi  sotto  monte  S.  Croce  e  il  convento  degli  Angeli 
verso  vigna  Santucci,  e  quelle  da  vigna  Santucci  marciando  in 
contraria  direzione,  quasi  parallele,  ma  più  presso  a  Mentana.  Mi- 
rabilmente atroce  fu  il  loro  scontro.  A  seconda  che  il  battaglione 
progrediva  passando  a  fronte  delle  masse  garibalde,  altiere  del  lo- 
ro numero,  e  ben  guidate,  sembrava  passasse  la  procella  sopra  un 
campo  di  spighe,  tanto  era  il  flagello  !  Trecento  metri  prima  che  le 
carabine  italiane  potessero  offendere,  già  le  palle  fitte  tempestavano 
entro  le  file,  diradavano  a  occhio  le  compagnie,  la  morte  era  pre- 
sente a  ciascuno  ne'  compagni,  lo  strazio  e  il  guaio  dei  caduti  sbi- 
gottiva i  combattenti.  E  non  era  solo  a  danneggiarli  la  percossa 
delle  armi  che  sforacchiava  e  lacerava  le  umane  membra,  ma  la 
vista  altresì  del  vivissimo  lampeggio,  lo  scoppiamene  grandinato  e 
incessante,  che  incutevano  terrore  inestimabile.  E  con  questo  si  sma- 
gliavano le  ordinanze,  cercandosi  ciascuno  un  riparo,  molti  voltava- 


296  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

no  le  spalle,  non  v'era  chi  non  vacillasse.  In  breve  le  ini  ere  com- 
pagnie, dirotte  in  iscorapiglio,  si  ritraevano  fuggendo:  ichassepot 
spingevan  oltre,  e  quelle  intopparsi,  rovesciarsi  le  une  nelle  altre  ; 
smarrito  ordini  e  insegne  e  comandi,  la  colonna  diventa  un  torrente 
irrefrenabile  e  sparso  per  la  campagna.  I  comandanti  garibaldini, 
se  crediamo  al  Guerzoni,  scagliavansi  a  dritta  e  a  manca,  esortando, 
minacciando  ;  Frigyesi,  Menotti,  Marani,  Bezzi,  Cella,  Fabrizi  strac- 
ciavansi  per  rabbia  i  capelli,  non  arrivando  a  raccozzare  una  com- 
pagnia, o  a  rifare  un  nodo  di  fanti.  Garibaldi  già  era  in  sicuro  a 
Monte  Rotondo,  ma  il  Guerzoni  lo  involge  nella  fiumana  della  rolla 
universale.  «  Garibaldi,  pallido,  rauco,  cupo,  invecchiato  di  venti 
anni,  ululava  ai  fuggenti:  Sedetevi,  che  vincerete.  Invano!  tutto  ri- 
gurgitava, correva,  precipitava  nella  via  finale  della  ritirala.  » 

Mal  si  potrebbe  ridire  il  disordine  infinito  onde  si  coperse  la  piag- 
gia. Strade,  campi,  boschi  formicolavano  di  sbandati,  guidati  solo 
dallo  spavento.  La  colonna  del  Troussures,  venuta  quasi  a  cavalie- 
re della  strada  di  Monte  Rotondo,  con  pochi  colpi  di  fucile  ne  rac- 
colse a  centinaia  i  prigioni,  tra  gli  altri  il  futuro  storico  mendace, 
Pietro  Del  Vecchio  :  il  colonnello  Saussier,  che  avrebbe  potuto 
moschettarli  a  migliaia  dal  poggio  poco  più  sopra  donde  dominava 
la  strada  stessa,  lasciò  passare  quella  folla  miseranda:  la  qual  com- 
passione cavalleresca  gli  è  rinfacciata  come  paura  dal  Guerzoni,  uno 
dei  fuggiaschi!  Il  capitano  Epp,  con  una  sola  compagnia  di  Carabi- 
nieri, incalzavali  sino  alle  porte  di  Monte  Rotondo,  senza  contrasto. 

Un  solo  punto  restava  intatto  ai  Garibaldini,  sull'  ala  destra,  ed 
era  il  castello  di  Mentana  con  le  case  intorno,  ma  tagliato  fuori  del 
rimanente  corpo.  Poco  danno  avea  risentito  dall' artiglieria*  il  ca- 
stello, perla  solidità  delle  mura;  le  case,  per  la  loro  posizione  pro- 
fonda, mal  si  poteano  battere  col  cannone  ,  fuorché  bombardando  , 
e  ciò  non  si  volca  fare.  Però  i  Carabinieri  genovesi,  e  parecchi 
altre  centinaia  d'  uomini  tuttavia  vi  si  sostenevano.  Assai larono 
questo  ultimo  ridotto  dalla  strada  grande  di  Roma  due  battaglioni 
condotti  dal  colonnello  Bergcr  e  dallo  slesso  gcnciale  di  Polliòs: 
ma,  come  i  Carabinieri  pontificii,  così  la  fanteria  francese  tro- 
vò in ìccessibilc  questo  lato,  donde,  il  nemico  a  man  salva  di- 
struggeva gli  assalitori  con  un  fuoco  infernale  :  piegarono  sulla  de- 


XCVIII.  MENTANA,  3  NOVEMBRE  297 

stra  anch'essi,  e  si  stabilirono  sul  rialto  che  domina  Mentana.  In- 
tanto sullo  stesso  lato  ma  un  po'  più  oltre  Legionarii  e  Zuavi  chie- 
devano ad  alte  grida  di  finirla  alla  baionetta.  Gli  ufficiali  si  consi- 
gliano. V'era  il  Duroslu,  il  Lefebvre,  il  Chappedelaine :  accordano 
la  grazia.  Il  Chappedelaine  sguainala  spada,  e  comanda:  «  E  bene, 
ancora  una  follia:  avanti  alla  baionetta!  »  I  Zuavi,  che  dietro  ai  fe- 
nili e  di  contro  le  case  tenevano  in  rispetto  il  nemico,  si  precipitano 
sulla  casa  più  vicina  :  costernati  i  Garibaldini  cessano  il  fuoco  delle 
finestre  :  la  porta  è  in  breve  sfondata  :  quarantanove  prigionieri  si 
rendono  a  discrezione.  Altre  case  si  agguatavano,  per  isforzarle. 

Ma  non  bastava  ai  più  violenti  il  guadagnare  una  casa  dopo  l'altra: 
Giovanni  Moeller,  veterano  di  Castelfidardo,  già  ufficiale  e  ora  sem- 
plice soldato,  scaglia  dentro  i  serragli  nemici  il  berretto,  e  grida: 
«  Chi  ha  cuore  mi  segua.  »  In  ciò  dire  già  correva  ad  una  barrica- 
ta poco  distante,  vi  saltava  sopra,  e  vi  cadea  mortalmente  percosso 
dal  diluviare  del  fuoco.  A  gran  pena  potè  ritirarsi,  e  ai  compagni 
disse:  «  Sono  ferito  ;  che  fortuna!  »  Temerità,  vera  temerità,  ma 
nobilissima  e  memoranda,  che  già  trascinava  Zuavi  e  Legionarii  a 
generale  assalto  della  barricata  e  delle  case,  quando  dietro  le  spalle 
s'udì  lo  squillo  delle  trombe  :  Cessate  il  fuoco  !  Era  tempo  :  il  bat- 
taglione Frémont  vittorioso,  ripiegava  la  via  su  Mentana,  e  pianta- 
vasi  in  sentinella  tra  il  villaggio  e  la  città  di  Monte  Rotondo;  il  ca- 
stello era  accerchiato  ;  il  grosso  dei  nemici  sterminato  lungi  dal 
campo  di  battaglia,  sbandavasi  in  fuga  spicciolata  e  irreparabile, 
lasciando  sul  terreno  una  perdita  immensa,  tra  morti,  feriti,  prigio- 
nieri: cadeva  la  notte,  e  sull'esercito  crociato  era  discesa  indubita- 
bile e  piena  la  vittoria. 

Giuseppe  Garibaldi,  se  avea  potuto  mettersi  in  salvo  un'ora  e 
mezzo  prima,  non  potè  tuttavia  involarsi  alla  sua  sconfitta;  anzi  do- 
vette amaramente  sorbirla  a  stilla  a  stilla.  Da  Monte  Rotondo  udiva 
il  bombo  del  cannone  e  l'infuriare  della  moschetteria,  e  vedeva  a  oc- 
chio le  circostanze  di  Mentana,  lampeggiare  di  fuochi,  e  annuvolar- 
si di  fumea;  non  sapendo  altro  dei  casi  della  battaglia,  se  non  che  i 
suoi  camiciotti  gli  tornavano  a  frotte,  malconci,  ansanti,  esterrefatti, 
molti  disarmati  e  scalzi  ;  e  che  una  fila  di  giumenti  e  di  carrette  gli 
recava  cataste  di  corpi  scerpati,  rigando  la  strada  col  gocciar  del 


298  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

sangue.  Nò  v'era  modo  di  soccorrere  a  tutti,  massime  in  città  cor-  . 
dialmente  nemica,  e  per  tanti  giorni  esacerbata.  Facea  d'uopo  apri- 
re di  forza  le  case  cittadine,  e  di  forza  intrudervi  i  feriti  alla  rin- 
fusa, minacciando  di  morte  i  casieri,  se  non  porgevansi  a  curarli: 
chiese,  caserme,  abitazioni  private,  tutto  risonava  di  lamenti  senza 
conforto.  E  tali  fuggivano  da  Mentana  sbigottiti  in  guisa,  che  prima 
di  avventurarsi  per  uno  svolto,  informavansi  dai  cittadini,  se  colà 
non  vi  fossero  Zuavi;  e  poscia  buttatisi  nelle  case,  chiedevano  mer- 
cè d'un  nascondiglio,  e  uno  straccio  di  veste  borghese  onde  scam- 
biare la  malvagia  assisa  rossa  del  loro  condotliere. 

Narra  il  rapporto  del  Fabrizi,  che  il  Garibaldi  ordinò  certi  sbar- 
ri alle  vie  e  posti  avanzati  nei  dintorni  di  Monte  Rotondo,  e  che 
il  nemico  fu  fermato.  Vero  gli  sbarri,  e  vero  altresì,  che  il  colon- 
nello Frémont  non  proseguila  caccia  sin  dentro  le  mura:  sareb- 
be stato  follia,  con  cinquecento  fucilieri  impegnarsi  con  le  mi- 
gliaia dentro  le  vie  d'una  città.  Ma  non  è  mcn  vero,  ciò  che  tutti 
videro,  che  il  povero  generale  dei  camiciotti  tra  lo  smarrimento  e 
le  furie  tragittavasi  a  dare  comandi,  che  i  suoi,  dementati  dalla 
paura,  più  non  ascoltavano.  Interi  corpi  di  guardia  giltavan  l'armi 
a  traverso,  e  fuggivano  all'impazzata:  le  posizioni  fuori  le  murafu- 
ron  deserte  al  primo  apparire  dei  Francesi  (che  Legionarii  si  riputa- 
vano), e  le  turbe  raccozzatesi  a  gran  pena,  si  risolvettero  come  neb- 
bia al  sole,  ricoverando  in  città,  sfrenatamente.  Allora  fu  trombala 
la  grida:  «  Ài  castello,  al  castello  !  » 

Ài  castello  giugueva  pure  il  generale  Fabrizi  con  altri  capi ,  i 
quali  unitamente  rappresentarono  al  Garibaldi  le  disperatissime 
condizioni  del  suo  .esercito.  «  E  bene,  ìispose  esso,  subilo  a  Core- 
se.  »  Niun  ordine  diede  mai  il  Garibaldi  o  più  tosto  compreso,  o 
più  prontamente  obbedito.  Sbucava  la  ciurma  (che  di  militari  ordi- 
nanze non  rimaneva  nò  vestigio  nò  ricordo)  dondechò  fosse,  al  buio, 
sotto  la  pioggia  sopravvenuta,  e  si  riversava  per  porta  Romana, 
secondo  che  spronavala  costernazione,  ira,  vergogna.  Nel  flutto  del- 
la ritirata  vorticosa,  s' udiva  palese  il  rammaricare,  e  l'imprecare 
contro  i  condottieri  della  mala  guerra,  soprattutto  contro  il  Garibal- 
di, clic-  awiluppalo  da' suoi  maggiorenti  ne  veniva,  non  guida,  ma 
parte  della  baraonda. 


XCVIII.  MENTANA,  3  NOVEMBRE  299 

Parrà  incredibile!  il  Guerzoni  sceglie  questo  punto  della  narra- 
tiva ,  per  formare  la  più  lepida  caricatura  che  immaginare  si  possa 
cMY  Eroe  leggendario.  «  La  colonna,  racconta  egli,  seguiva,  lun- 
ga, serrata,  taciturna:  non  un  canto,  non  un  grido,  non  un  collo- 
quio. Ognuno  pensava  alfieri,  al  presente,  al  domani  ;  ogni  uomo 
era  un  sogno  ambulante.  Garibaldi  precedeva  a  cavallo,  silenzioso 
anch'  esso,  col  cappello  sugli  oc-chi,  le  braccia  abbandonate,  lugu- 
bre, spettrale.  Avete  veduto  il  Napoleone  diMeissonnier  reduce  da 
Waterloo?  tal  quale.  Egli  non  badava  ad  alcuno,  e  ognuno  sentiva 
che  quell'uomo  voleva  star  solo  colla  sua  sventura,  e  che  ne  aveva 
il  diritto.  Un  istante  parve  accorgersi  che  io  gli  cavalcava  più  dap- 
presso, e  che  guatava  tulli  i  moti  della  sua  fronte,  onde  rotto  per 
poco  il  silenzio,  mi  disse:  —  È  la  prima  volta,  Guerzoni,  che  mi 
fanno  voliere  le  spalle  così,  e  sarebbe  stato  meglio...  —  qui  un 
profondo  sospiro  gli  troncò  nella  strozza  la  parola....  Voleva  forse 
dire:  Sarebbe  stalo  meglio  morire?  —  L'ora  era  fatta  per  simili 
pensieri,  e  taluno  forse  li  covava  come  lui!  » 

Certo  non  li  covava,  crediamo  noi,  il  Guerzoni;  o  almeno  li  co- 
vava troppo  tardi:  come  anche  troppo  tardi  ci  pensava  il  Garibaldi, 
il  quale,  oltre  al  cessarsi  dalla  battaglia  anzi  tempo,  non  fu  mai 
visto  dentro  il  tiro.  Ne  abbiamo  in  fede  la  parola  d'ufficiali  supe- 
riori che  comandarono  la  vanguardia  pontificia,  e  il  rapporto  gene- 
rale. Mentre  che  il  general  comandante  Kanzler,  che  i  referti  gari- 
baldeschi  svillaneggiarono,  con  tutto  il  suo  Stato  maggiore  caval- 
cava con  tale  non  caranzadel  fuoco  nemico,  che  un  colonnello  stra- 
niero, veterano  di  guerra  (il  quale  cel  riferì  esso  stesso)  si  fece  ar- 
dito di  avvisarlo  di  cansarsi,  perche  era  preso  di  mira.  Invece  il 
borioso  Stato  maggiore  garibaldesco  non  sappiamo  quanto  si  ci- 
mentasse di  sua  persona:  solo  sappiamo  che  il  dimani  della  disfat- 
ta, nel  primo  Referto  da  sé  pubblicato,  ignorava  tuttavia  d' avere 
avuto  che  fare  con  un  corpo  di  Francesi  !  Il  che  confermò  eziandio, 
con  formata  confessione,  il  Bertani  in  pieno  parlamento  di  Firenze. 
Garibaldi  poi,  più  ignorante  che  il  suo  Stato  maggiore,  salutato  da 
un  colonnello  italiano,  di  là  dal  confine,  rispose,  non  già  colle  poe- 
tiche ed  eroiche  parole,  che  gì' indossa  il  benigno  Guerzoni,  ma 
con  uno  storico  prosaismo  :  —  Siamo  battuti  ! 


300  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

—  Da  chi?  dai  Francesi? 

—  No,  no  :  battuti  dai  Papalini...  Con  quelle  carogne  non  si  po- 
tea  vincere.  — 

Infelice  gioventù,  che  segui  la  trista  insegua!  Tradita  prima,  vi- 
lipesa poi.  Gli  stessi  capi  della  garibalderia,  nella  rabbia  della 
sconfìtta,  contro  i  loro  soldati  si  rivalevano  della  sciagura,  ond'essi 
più  clic  ogni  altro  erano  colpevoli.  11  Berlani  va  raggranellando  i 
fatli  delle  loro  vigliaccherie,  il  Rapporto  del  loro  Stato  maggiore 
non  rifìu a  di  trovare  trai  volontari!  gl'indocili,  i  fuggitori,  gli 
agenti  malefìci,  e  ehi  loro  dà  iella  ;  il  Guerzoni  canta  spiccicato, 
che  il  grosso  del  corpo  non  si  battè  beneì  Almeno  il  generale  Kanz- 
ler,  nel  raccontare  in  termini,  oltre  ogui  dire  modesti,  la  vittoria 
degli  Alleati,  non  dinegò  una  consolazione  ai  vinti,  confessando  che 
«  i  movimenti  del  nemico  furono  ben  diretti,  che  fidando  sulla  sua 
superiorità  numerica  e  nelle  favorevoli  sue  posizioni,  valorosamente 
si  difese  su  diversi  punti,  ed  in  particolare  dietro  le  mura  eie  bar- 
ricate. » 

Meglio  che  le  alterige  e  le  ire  da  scena  ai  capi  garibaldeschi  sa- 
ria convenuto  il  rimorso.  11  corpo  del  loro  delitto  era  presente;  e 
in  quale  orrido  aspetto!  Migliaia  di  giovani,  strappati  alle  loro  case 
per  forza  di  seduzione  e  aizzati  al  più  esecrabile  dei  misfatti,  erano 
dal  Garibaldi  ricondotti  verso  le  loro  famiglie,  dopo  la  più  sangui- 
nosa e  disonorata  delle  punizioni.  Più  di  ottocento  loro  cadaveri, 
giacevano  sul  campo  di  Mentana,  sui  quali  non  polea  scendere  la 
benedizione  della  Chiesa,  né  l'onoranza  di  alcuna  patria,  nò  il  pub- 
blico lutto  degli  onesti.  Durò  più  giorni  l'opera  del  rintracciarli  e 
seppellirli.  Se  ne  trovava  per  tutto  :  e,  mentre  i  morti  di  parie  pon- 
tifìcia mostravano  a  sembianti  di  avere  agonizzalo  da  cristiani,  i 
garibaldini  si  distinguevano  eziandio  alle  forme  truci,  alle  giaciture 
orribili,  alle  chiome  scarruffale,  agli  occhi  schizzanti  fuori  l'orbite 
e  sanguigni,  ai  volti,  ancora  nel  pallore  della  morte,  pieni  d'inenar- 
rabile disperazione  :  parcano  demonii  percossi  dalla  folgore  divina. 
Ne  dubili  pure  il  profano  :  noi  attestiamo  ciò  che  ci  attcstarono  uo- 
mini gravi,  sacerdoti,  soldati,  ufiìciali  superiori.  Sopra  alcuni  si 
rinvennero  frammenti  di  vasi  sacri,  con  reliquie  dell' Ostia  adorabi- 
le, prova  delle  rapine  sacrileghe  esercitate  :  e,  che  peggio  era,  so- 


XCVIII.  MENTANA,  3  NOVEMBRE  301 

pra  le  membra  di  più  d'uno  si  scopersero  punteggiati  simboli  set- 
tarii,  e  demoniaci,  e  nefandi,  e  immagini  appese  al  collo  da  fare 
invidia  all'inferno.  Chi  fu  parte  di  quelle  bolge  di  empietà  e  di  sco- 
starne, se  leggerà  queste  carte,  dirà:  Pur  troppo  ! 

Di  feriti  poi  non  è  facile  dare  il  computo  esatto.  Ben  è  certo  che 
il  domani  della  battaglia  le  novelle  ne  corsero  al  Governo  di  Firen- 
ze, come  di  un  eccidio.  «  Il  Governo  (  telegrafava  il  legato  La  Vil- 
lestreux  a  Parigi  )  ha  ricevuto  questa  mattina  la  notizia,  che  le  ban- 
de garibaldine,  sono  state  tagliate  a  pezzi.  Si  parla  di  tremila  uo- 
mini uccisi  o  feriti,  Garibaldi  è  riuscito  a  fuggire.  »  Dopo  venne- 
ro le  artificiose  menzogne  composte  nei  referti  garibaldeschi  ;  le 
quali  non  valsero  tuttavia  a  fare  inganno ,  almeno  in  Italia.  Men- 
tana era  ingombra  di  piagati ,  Monte  Rotondo  n'  era  piena ,  le  cam- 
pagne n'  erano  coperte.  Di  quelli  che  si  poterono  carreggiare,  Ro- 
ma ne  accolse  oltre  a  dugento  :  al  torrente  Corese  n  era  ammon- 
tonato  da  novecento  in  mille ,  si  per  giovarsi  delle  acque ,  si  per 
attendere  i  vagoni.  In  un  rapporto  di  un  ufficiale  di  Gendarme» 
ria  pontificia  al  Ministro,  dato  il  15  Novembre,  si  leggeva  :  «  Dal 
punto  di  Corese  fino  a  Terni  e  più  oltre  via  facendo  saranno  morti 
di  ferite  circa  un  migliaro  di  Garibaldini.  »  Durante  molti  giorni 
le  ferrovie  trasportarono  feriti:  ne  riempirono  gli  spedali  di  Poggio 
Mirteto,  Terni,  Narni,  Spoleto,  Foligno,  Perugia,  e  assai  più  in- 
nanzi ne  scaricarono  insino  a  Bologna,  Firenze,  Genova.  E  la  gente 
fare  comparazione  tra  1'  andata  e  il  ritorno  di  quella  stessa  gioven- 
tù, che  ne'  giorni  passati  avea  veduto  irrompere  chiassosa  alla  fer- 
rovia cantando  e  insultando  il  cielo;  e  ora  si  calava  dai  carrozzoni  a 
braccia  altrui,  altri  mal  reggenti  sul  bastone,  altri  colcati  a  traver- 
so i  fiàccheri  o  distesi  sulle  barelle ,  tutti  più  o  meno  storpiati  delle 
membra,  mal  fasciati,  senza  cappello,  colle  camicie  strambiate. 
Cosi  si  risapevano  quasi  cogli  occhi  le  vere  novelle  di  Mentana,  e 
si  accresceva  fede  ai  paurosi  racconti  dei  reduci  alle  lor  case ,  che 
ne  novellavano  come  di  un  macellamento. 

GÌ'  Italiani  che  ricordano  quell'  universale  e  prolungato  spettaco- 
lo di  vendetta  divina ,  che  traversava  le  loro  contrade ,  riconosce- 
ranno per  molto  inferiore  al  vero  il  novero  dato  dal  Rapporto  pon- 
tificio, di  un  migliaio  tra  morti  e  feriti  garibaldini.  Fu  preso  dai 


302  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

primi  e  minimi  ragguagli  dopo  cessalo  il  fuoco.  Il  computo  poi  del 
rapportatore  Fabrizi,  compreso  in  cencinquanta  morti  e  dugento venti 
feriti,  è  sì  manifestamente  fallace,  che  volentieri  lo  trascuriamo. 
Ognuno  scorge  l'intento  di  tale  menzogna.  11  perchè  altri  si  piac- 
quero d'istituire  un  ragionato  ragguaglio  Ira  la  guerra  dell'Italia 
contro  l'Austria  nel  1866,  e  la  guerra  regiogaribalda  contro  Roma 
nell'  anno  seguente ,  ed  affermarono  che  la  sola  giornata  di  Menta- 
na costò  più  perdite  che  l'intera  campagna  precedente.  Nò  noi  di 
questo  sangue  prendiamo  diletto  :  a  Dio  solo  si  appartiene  compia- 
cersi nella  sciagura  dei  colpevoli,  che  egli  punisce;  a  noi  spelta 
inorridire,  e  registrare  nella  storia  gli  esempii  del  celeste  castigo. 

Ma  torniamo  al  campo  di  Mentana,  alla  sera  dopo  la  battaglia.  Il 
generale  Kanzler,  sbaragliato  il  nemico,  provvide  a  proseguire  di- 
mani la  vittoria,  se  mai  la  garibalderia  a  Monte  Rotondo  o  altrove 
rifacesse  testa.  Sul  terreno  conquistato,  cioè  a  vigna  Santucci,  raunò 
il  consiglio  di  guerra.  Fuvvi  risoluto  di  chiamare  da  Roma  alcuni 
battaglioni  di  milizie  fresche,  a  scambio  e  rinforzo  delle  stanche,  in 
evento  di  avere  a  combattere  a  Monte  Rotondo  la  mattina  vegnente. 
Quanto  al  pugno  di  nemici  rimaso  in  Mentana,  piacque  di  rispar- 
miare al  tribolato  popolo  di  Mentana  gli  orrori  di  un  assalto  not- 
turno: tanto  più  che  a  giorno  chiaro  si  sperava  ottenere  l' intento 
per  ispontanea  dedizione,  senza  spendervi  una  goccia  di  sangue.  Si 
inlracchiuse  ai  Garibaldini  ogni  scampo  drizzando  le  tende  tutto  in- 
torno, e  specialmente  dal  lato  di  Monte  Rotondo.  Ogni  corpo  fece 
massa  alla  sua  bandiera,  l'artiglieria  rimase  carica  e  utlelata,  i  po- 
sti frequenti  e  numerosi.  La  colonna  Troussures,  che  ignara  degli 
ultimi  ordini,  era  salita  a  ridosso  del  paese,  vi  entrò,  penetrò  in  va- 
rie case,  vi  fece  gran  copia  di  prigionieri  :  poi  riconosciuta  la  con- 
dizione delle  cose,  traversò  con  raro  ardimento  e  pari  felicità  il  vil- 
laggio, e  si  recò  a  campeggiare  presso  un  battaglione  francese. 

Trattante  i  comandanti  chiamavano  a  rassegna  ciascuno  il  suo  bat- 
taglione; e  al  vedersi  ricomparire  davanti,  vivi,  sani,  esultanti  i  loro 
soldati,  sclamavano  di  maraviglia  e  di  laude  a  Dio.  Avevano  presen- 
te al  pensiero  i  disvantaggi  di  tanti  assalti,  i  contrasti  di  tante  lolle, 
il  ferro  e  il  fuoco  di  quattr' ore  di  battaglia;  e  ognuno  trepidava  di 
avere  forse  comprato  a  carissimo  prezzo  la  vittoria.  Invece  si  aecor- 


XCVIII.  MENTANA,  3  NOVEMBRE  303 

gevano  che,  valutando  solo  il  numero  e  non  la  preziosità  delle  vitti- 
me cadute,  lo  scapito  era  inferiore  alle  ragioni  della  guerra,  e  sem- 
brava che  un  misterioso  scudo  celeste  avesse  protetto  le  milizie  cro- 
ciate. La  brigata  Polhès,  sopra  duemila  uomini  quasi  tutti  entrati  in 
battaglia,  ebbe  due  morti,  uno  scomparso,  trentasei  feriti,  tra  i  qua- 
li ultimi  il  capitano  Marambat  e  il  tenente  Blanc:  la  brigata  Cour- 
ten,  oltre  agli  ufficiali  mentovati  più  innanzi,  contò  Ira  i  Zuavi  ven- 
titré morti  e  cinquantacinque  feriti;  nella  Legione  francoromana,  sei 
;  nellMitiglieria,  un  morto  e  due  feriti  ;  nei  Dragoni,  un  ferito; 
mi  battaglione  dei  Carabinieri  esteri  patì  danni  proporzionalmente 
più  gravi  che  in  niun  altro  corpo,  perche  sopra  cinquecento  venti 
uomini  vi  ebbe  cinque  morti  e  trentasette  feriti.  In  tutto,  il  campo 
alleato  deplorava  censettantadue  perduti,  dei  quali,  morti  trenta- 
<lue:  non  uno  di  meno,  non  uno  di  più. 

Tale  era  l'esito  della  giornata,  alla  sera.  Non  tutto  però  ravvisa- 
vasi  immediatamente,  a  cagion  della  notte:  ma  il  sorgere  dell'auro- 
ra vegnente  il  rischiarò  di  luce  vie  più  fortunata .  Non  v'era  più  ve- 
stigio di  Garibaldini  in  Monte  Rotondo,  tranne  di  feriti:  nella  notte 
si  era  accresciuta  dai  Zuavi  la  turba  de'prigionieri;  all'alba  il  mag- 
giore Fauchon,  francese,  penetrò  dentro  Mentana  e  no  prese  un  al- 
tro gran  numero,  spendendovi  poche  moschettate,  giacche  in  certe 
case,  bastava  bussare  alla  porta,  scendevano  e  si  davano  prigioni; 
finalmente  sul  castello  sventolava  la  bandiera  della  resa.  Quivi  era- 
no rinchiusi  sette  od  ottocento  Garibaldini,  e  ben  si  potea  credere, 
con  poche  munizioni,  senza  cibo,  nò  uscita,  nò  speranza,  e  guardan- 
do le  artiglierie  in  resta,  pronte  a  percuotere  il  castello  sino  a  sep- 
pellirne i  difensori.  Però  quando  il  capitano  Cavo,  loro  parlamen- 
tario, propose  al  generale  Kanzler  di  capitolare  in  mano  di  Fran- 
cesi, e  partire  cogli  onori  della  guerra,  mosse  le  risa  dei  circo- 
stanti. Tuttavia,  per  non  ismettere  la  fin  qui  usata  generosità,  il 
Kanzler  concesse  che  i  rinchiusi  del  castello  (non  i  presi  dentro  il 
villaggio,  come  mentirono  alcuni)  uscissero  inermi,  e  gli  ufficiali 
colla  spada;  una  compagnia  francese  li  scortasse  al  confine.  Della 
quale  condescensione  il  motivo  potissimo  si  fu,  che  le  carceri  di 
Roma  e  di  Civitavecchia  già  contenevano  da  600  prigionieri  gari- 


304  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

baldini,  1400  se  n'eran  presi  a  Mentana;  e  perciò  volentieri  si  ri- 
nunzia va  al  dispendio  e  alla  molestia  di  altre  centinaia. 

A  Monte  Rotondo  il  colonnello  Frémont  aveva  piantato  il  vessil- 
lo del  Papa  e  dell'Imperatore;  e  il  generale  Kanzler  vi  promosse  il 
campo,  con  intendimento  di  avvisare  al  discacciamento  totale  del 
nemico  dall'estremo  lembo  del  confine.  Vi  entrò  col  generale  di 
Polhès  a  fianco,  e  le  truppe  alleate  in  ordinanza.  L' incontro,  e  le 
grida  di  gioia  dell'infelice  popolo  erelino  eguagliarono  in  intensità  i 
dolori  dei  dieci  giorni  d'agonizzamento  sotto  la  tirannia  garibalde- 
sca.  Francesi  e  Pontificii  non  si  ricordavano  di  avere  visto  mai  si- 
migliante  burrasca  di  festeggiamento.  Pareva  una  frenesia  univer- 
sale. Ma  quando  le  milizie  ebbero  veduto  cogli  occhi  proprii  la  de- 
vastazione di  Monte  Rotondo,  e  tutte  cose  sacre  e  profane  orribilis- 
simamente manomesse,  impararono,  che  nella  liberazione  di  sì  atro- 
ce oppressura,  la  frenesia  era  ragione.  E  questo  fu  il  primo  plauso 
ai  vincitori  di  Mentana. 

Non  fu  d'uopo  muovere  l'armi  oltre  Monte  Rotondo  :  i  Garibal- 
dini del  Garibaldi  già  erano  ricoverati  oltre  il  confine,  disarmati, 
spediti  alle  loro  case;  il  battaglione  di  Tivoli,  ritiravasi;  l'Acerbi 
a  Viterbo,  e  l'Orsini  successore  del  Nicotera  in  Frosiuone,  ripiega- 
vano le  insegne;  il  Menabrea,  forzato  dalle  minacce  di  Parigi,  ri- 
chiamava i  battaglioni  reali,  carcerava  il  capomasnada  Garibaldi, 
mal  riuscito  nel  suo  mandato.  La  guerra  romanogaribaldina  era 
terminata. 

Il  generale  Ermanno  Kanzler,  di  sì  grande  lauro  adornato,  non 
pensò  a  ricondurre  con  pompa  il  piccolo  esercito  vittorioso.  Bensì 
diede  ordini  urgenti  per  la  piena  ristorazione  del  Governo  pontifi- 
cio nelle  province,  ove  con  gaudio  mirava  i  popoli  rialzare  gli 
stemmi  del  Papa  Re,  a  mano  a  mano  che  ne  diloggiavano  gli  op- 
pressori; provvide  al  trasporto  e  al  governo  dei  feriti;  rassicurò  con 
nobili  parole  di  conforto  i  poveri  prigioni  ;  questo  e  il  dì  vegnente 
concesse  al  riposo  ;  ed  egli  tornossi  a  Roma  la  sera  del  4  Novembre. 
Un  popolo  fìtto  aspettava  l'arrivo  dei  prigionieri  a  porta  Pia:  e 
quando  vide  invece  di  essi  arrivare  a  cavallo  il  generale  Kanzler, 
con  piccini  sèguito  di  ufficiali,  lui  e  questi  accolse  con  viva  ovazio- 


XCVIII.  MENTANA,  3  NOVEMBRE  305 

ne,  sino  alla  discesa  di  Monte  Cavallo,  ove  la  comitiva  salì  in  vet- 
tura per  rendersi  al  Vaticano. 

Il  giorno  6,  nelle  ore  pomeridiane  le  truppe  si  avvicinavano  ai 
quartieri  della  capitale.  Cavalcava  ad  incontrarle  il  generale  Ranz- 
ler,  con  a  Iato  il  generale  de  Failly ,  sommo  comandante  della 
spedizione  francese,  e  ciascuno  d'essi  circondato  dai  grandi  uffi- 
ciali e  dal  proprio  Stato  maggiore  in  gala,  che  mescolati  insieme 
davano  vista  di  nobilissimo  corteggio.  Le  truppe  avevano  consegna 
di  procedere  unite  sino  alle  Quattro  fontane,  e  quivi,  prima  d'inol- 
trarsi nel  cuore  dell'abitato,  dividersi  alle  proprie  stanze.  Brevi  e 
militari  si  fecero  le  prime  accoglienze  fuori  la  porta  Pia  ;  dopo  di 
che  i  generali  postisi  alla  testa  rientrarono  in  città  e  vennero  a 
far  alto  in  sulla  piazza  dirimpetto  a  Santa  Maria  della  Vittoria , 
nel  qual  tempio  pendono  i  vessilli  musulmani  guadagnati  a  Le- 
panto. Colà  era  convegno  d'eccelsi  personaggi  e  di  principi,  trai 
quali  primeggiava  il  Re  delle  Due  Sicilie,  Francesco  II.  Come  pri- 
ma vi  ebbero  preso  posto  i  Generali  delle  armi  alleate,  le  fanfare 
dettero  negli  stromenti,  e  cominciò  lo  sfilare  delle  due  brigate,  pre- 
cedute dai  proprii  generali  di  Courtenedi  Polhès,  con  bella  corona 
di  ufficiali  di  campo.  Entravano  in  Roma  nello  stesso  ordine  con 
cui  erano  entrate  nella  battaglia. 

Semplice,  come  ognun  vede,  era  la  festa,  che  il  vincitore  di  Men- 
tana destinava  ai  valorosi  cui  avea  condotto  alla  vittoria.  Nulla  si 
poteva  immaginare  di  più  modesto.  Ma  il  popolo,  il  vero  e  grande 
popolo  di  Roma  supplì  di  per  sé  alle  debite  onoranze.  Niun  invito  di 
pubblici  magistrati  1'  avea  slimolato;  noi  chiamava  allettamento  ve- 
runo di  apparati,  di  spettacoli,  di  archi  di  gloria;  solo  quattro  ri- 
ghe sopra  un  giornale  della  sera  antecedente  annunziavano  il  ritorno 
delle  truppe.  E  pure  Roma  avea,  si  può  dire,  diserti  i  suoi  alberghi 
per  iscagliarsi  sulla  via  dei  reduci  di  Mentana  :  il  trionfo  era  decre- 
tato a  cuor  di  popolo,  e  celebrato  con  quella  fiamma  di  entusiasmo, 
con  cui  il  popolo  esegue  i  suoi  decreti.  Dal  Quirinale  a  porta  Pia', 
e  più  innanzi  fino  a  ponte  Nomenlano,  che  è  quanto  dire  per  otto 
o  nove  chilometri  di  strada,  fiottava  una  folla  infinita,  che  ingros- 
sava ad  occhio  veggente,  pel  continuato  sopraggiugnere  di  nuove 
Serie  Y1I,  voi.  XI,  fase.  489.  20  26  Luglio  1870. 


30 G  1  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

Inaiare  di  spellatoli:  finestre,  poggi,  tetti,  ogni  rialto  attorno  era 
gremito,  confondendosi  insieme  tulli  gli  ordini  sociali  da  un  solo 
pensiere:  Salutare  di  persona  i  vincitori,  e  rendere  grazie  ai  salva- 
tori di  Roma  e  di  Pio  IX. 

JNiuna  pompa  lungamente  e  dispendiosamente  architettata  para- 
gonare si  potrebbe  al  solo  accoglimento,  fatto  ai  generali  Kanzler  e 
de  Failly,  allorché  apparvero  tra  la  moltitudine.  Prorompeva  intorno 
ad  essi  altissimo  l'applauso  e  la  gioia  degli  Evviva,  e  l'ebbrezza  del- 
la riconoscenza  cordiale.  Nel  Kanzler  si  onorava  il  fermo  condottie- 
ro della  guerra  felicemente  condotta  a  termine,  l'ordinatore  celere, 
il  soldato  cimentoso,  il  generale  provveduto  e  irremovibile  dell'ul- 
tima giornata  di  Mentana:  nel  Failly  il  popolo  romano  impersona- 
va il  magnanimo  soccorso  deli'  esercito  francese,  V  imperatore  Na- 
poleone III  che  l'avea  mandato,  la  intera  Francia  che  i'avea  voluto; 
ed  il  Failly  potrà  ridire,  se  giammai  un  popolo  può  mostrarsi  più 
ardente  nelle  significazioni  della  sua  gratitudine. 

Non  bastava  ai  Romani  l'acclamare  i  generali;  volea  versare,  se 
cosi  può  dirsi,  il  suo  affetto  di  ammirazione  e  l'animo  riconoscente 
sopra  ciascuno  de'  suoi  difensori.  Però  allo  spuntare  delle  desiate 
insegne  della  vanguardia,  Zuavi  e  Artiglieria,  ancora  lungi  da  Ro- 
ma, la  massa  popolare  venuta  all'  incontro,  levandomi  clamore  fra- 
goroso di  saluto,  aprivasi  in  due  spalliere,  folle  di  teste  umane,  e  le 
abbracciava  in  mezzo,  involgendole  in  un  osanna  continualo  e  ine- 
narrabile di  Viva  i  vincitori  di  Mentana  !  viva  Pio  IX  !  viva  la  Fran- 
cia !  viva  il  Papa  Re  !  e  ciascuno  inventare  nuove  espressioni  e  più 
gentili,  e  più  calde,  e  più  vivaci,  secondo  che  dettavagli  il  cuore 
commosso  di  giubilo  smisurato.  Ed  era  per  verità  spettacolo  da  e- 
leltrizzare,  non  che  i  Romani  si  sensitivi  e  briosi,  ma  ogni  animo 
che  pur  di  umano  tenesse,  l'aspetto  di  quella  gioventù  fiorente,  in 
vaga  ordinanza  e  in  isvariate  assise,  renduta  vie  più  bella  dalla 
polvere,  dal  sudore,  dalle  vesti  lacere,  dall'  armi  spezzate  in  batta- 
glia; circondata  poi  dall'aureola  di  tante  fazioni,  ardue,  moltiplicar 
te,  strenuamente  combattute  e  di  sangue  bagnate,  insino  alla  piena 
sconfitta  di  un  odiosissimo  nemico.  Accresceva  la  riputazione  dei 
vincitori,  nel  cuore  del  popolo,  il  sapersi  che  quei  capitani  e  quei 


XCVIII.  MENTANA,  3  NOVEMBRE  307 

soldati  erano  infine  tutti  volontari^  moltissimi  pellegrinati  da  lonta- 
ne patrie,  e  non  pochi,  ancor  tra  i  gregarii,  nobili  di  chiare  stirpi,  o 
cittadini  agiati,  che  aveano  lasciato  famiglia,  sollazzi,  amici,  spo- 
se, por  venire  a  portare  il  fucile,  altra  mercè  non  vagheggiando, 
che  di  versare  il  sangue  per  Pio  IX  e  la  Religione.  Cotali  grandez- 
ze dimorava»  presenti  e  si  ergeano  brillanti  dinanzi  al  pensiero  di 
ciascheduno  :  quindi  il  rinnovarsi  ognora  più  strepitosa  la  festa  a 
ciascun  corpo  che  appresentavasi,  nuovi  scrosci  di  Evviva  ai  singoli 
comandanti  più  conosciuti,  nuovi  trasalimenti  di  laude  a  chi  si  por- 
tava il  braccio  al  collo,  o  segno  di  ferita. 

La  brigata  francese,  conosciuto  da  lungi  di  che  si  trattasse,  si 
acconciava  alla  mostra:  gli  ufficiali  si  rassettavano,  sguainavano  le 
spade,  i  soldati  si  allineavano,  regolavano  il  passo.  Ma  non  imma- 
ginavano l'un  mille  della  trionfale  esultanza  che  gli  aspettava.  Ap- 
pena credevano  che  tanto  numero  di  abitanti  fosse  in  Roma,  quan- 
to ne  vedevano  cogli  occhi  loro.  Dovunque  volgessero  lo  sguardo,  in 
alto  e  a  lato,  incontravano  volli  ridenti,  e  mani  levate  in  atto  di  ap- 
plaudire, e  cappelli  inchinati  al  saluto;  e  i  buoni  popolani  raccoglier- 
si sulla  punta  delle  dita  un  bacio  e  soffiarlo  a  volo  verso  quei  vol- 
ti marziali,  non  pria  conosciuti,  ed  amati  solo  perchè  amici  a  Roma 
e  a  Pio  IX!  e  con  questo  salve  animatissimo,  in  italiano  e  in  fran- 
cese, di  Viva  la  Francia  !  viva  Y  imperatore!  viva  i  soldati  france- 
si! viva  i  difensori  di  Pio  IX!  viva  i  soldati  della  Chiesa!  E  fu 
notato  che  certi  ufficiali  più  volentieri  ringraziavano  con  saluto 
di  spada  al  grido:  Viva  la  Francia  cattolica! 

Forse  alcuni  dei  veterani  ricordavano  Y  ingresso  in  Parigi,  dopo 
un'altra  e  ben  più  vasta  guerra  vinta  pure  in  Italia  :  ma  se  quello 
fu  più  adorno,  questo  era  incomparabilmente  più  glorioso.  Poiché 
se  gloria  è  un  tributo  di  comune  reverenza  a  contraccambio  di  azio- 
ni egregie,  e  se  la  dignità  dell'  opere  non  dal  numero  degli  esecu- 
tori, sì  bene  dalla  nobiltà  dello  scopo  si  misura;  la  nazione  france- 
se poteva  andare  altera  di  avere  meglio  vinto  a  Mentana  che  a  Sol- 
ferino. Sui  campi  di  Solferino  cataste  di  ossa  francesi  fondarono  una 
Italia,  naturale  nemica  della  Francia,  un'  Italia  cui  dee  tenere  in 
rispetto  col  cannone  in  batteria  sulle  Alpi,  un'Italia  mendica,  abbiet- 


308  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

ta,  rapace,  sacrilega,  tiranncggiatrice  dogi'  Italiani,  i  quali  la  de- 
plorano imposta  sulle  loro  cervici  come  una  pubblica  sventura.  Lad- 
dove i  ehassepol  incignali  a  Mentana,  avevano  ridestate  le  Gesta  Dei 
per  Francos,  e  col  primo  loro  lampo  creato  tanta  luce  di  vera  lau- 
de, quanta  non  ne  produrranno  in  lunghi  secoli  di  fragorose  cam- 
pagne ;  e  dietro  sé  lasciato  una  delle  più  onorate  pagine,  onde  si 
abbellì  la  storia  di  Napoleone  III,  anzi  pure  della  Francia  moder- 
na. Da  Solferino  la  Francia  raccolse  Sadowa;  da  Mentana,  il  plebi- 
scito dell'  8  Maggio  :  Solferino  colmò  di  lutto  principi  e  nazioni  ; 
Mentana  recò  letizia  a  quanti  cuori  onesti  battono  in  petto  agli  uo- 
mini, niun  Re  sentì  vacillare  in  capo  la  sua  corona,  niun  popolo  fu 
propriamente  vinto  a  Mentana,  bensì  solamente  furon  vinti  i  barbari 
fuor  d'ogni  società  e  rigettati  dalla  frontiera  delle  genti  civili.  Ro- 
ma custode  di  ogni  umano  diritto  accoglieva  pertanto  i  soldati  del- 
l'aquila imperiale,  come  i  crociati  di  S.  Pietro,  con  un  applauso  si- 
migliante,  anzi  con  uno  stesso.  E  bene  scorgevasi  a  vista,  che  la 
coscienza  dell'onorata  impresa  diffondeva  un  verace  tripudio  di  fe- 
licità nei  forti  petti  ricoperti  della  assisa  francese. 

Non  mancarono  nel  lungo  tragitto  scenette  ora  pietose,  ora  piace- 
voli a  rifiorire  di  varietà  lo  spettacolo.  Tra  un  gruppo  di  popolani 
stava  ritto,  ed  a  bocca  aperta,  un  vecchio  campagnuolo,  con  a  lato 
una  sua  figliuola,  giovane  sposa  risplendente,  che  si  veniva  divo- 
rando coi  baci  il  più  paffuto  e  rosato  bimbo  che  vedere  si  possa. 
Ora  il  canuto  uomo,  ad  ogni  ripresa  dello  strepitare,  altro  non  sa- 
peva fare,  fuorché  giugnere  le  mani,  e  levar  gli  occhi  al  cielo,  e 
dire:  Viva  la  Madonna!  —  Ma  perchè,  babbo,  non  gridale  come  gli 
altri?  —  Perchè  la  Madonna  ha  fatto  tutto  essa:  per  me,  Yiva  la 
Madonna!  —  Altrove  uno  scoppio  di  risate,  che  si  propagava.  Che 
era?  Una  compagnia  francese,  avea  preso  sul  nemico  un  asino,  e  Io 
traeva  seco,  troppo  lieta  di  fargli  portare  una  parte  del  bagaglio. 
E  i  Romani  gridare:  Ecco  la  cavalleria  di  Garibaldi!  Il  motto  Iacea 
fortuna,  passava  di  bocca  in  bocca,  percorreva  la  contrada:  Allenii! 
passa  la  cavalleria  di  Garibaldi.  —  E  i  soldati  baioni,  reggerlo  per 
la  cavezza,  mostrarlo  in  contegno,  e  pigliare  sollazzo  della  celia. 
Qui  e  là  sorse  talora  un  cominciamcnlo  di  fischiale,  non  già  pel 


XCYIII.  MENTANA,  3  NOVEMBRE  309 

ciucherello  festivo,  ma  per  una  carrettata  di  Garibaldini,  che  ve- 
rnano tratti  prigionieri.  Il  generale  Kanzler,  con  umanissimo  intento, 
avea  provveduto  che  le  filaie  dei  prigioni,  entrassero  in  città  alla 
sordina,  anticipatamente,  perchè  non  servissero  di  spettacolo  al 
popolo  irritato:  perdonava  ai  vinti,  e  a  quali  vinti!  e  dopo  le  sevi- 
zie usate  ai  Pontifìcii  presi  a  Monte  Rotondo!  Solo  questi  entrarono 
in  città  coi  vincitori,  perchè  trovati  dopo  la  partenza  dei  camerati. 
Però  se  essi  ascoltarono  alcuna  volta  acerbe  rampogne,  dovettero 
altresì  notare,  che  subitamente  i  circostanti  davano  sulla  voce  ai 
gridatori,  rammentando  loro  il  rispetto  ai  vinti:  e  allora  a  coro  pie- 
no si  mutava  il  grido  d' insulto  in  un  più  lieto  e  cortese:  Viva  il 
Papa  Re!  Viva  Pio  IX! 

Non  erano  anche  entrati  in  porta  Pia  gli  ultimi  carriaggi  france- 
si, mentre  la  testa  della  soldatesca  già  toccava  alle  Quattro  fontane: 
onde  che  l'ampia,  diritta,  maestosa  contrada  apparve  tutta  ad  un 
sol  gitto  d' occhio  animata  dal  semplice  e  pure  mirabile  trionfo.  La 
folla  assiepata  stringevasi  ai  due  lati,  ai  crocicchi,  agli  sbocchi  delle 
traverse:  laici,  cherici,  artigiani,  donne,  fanciulli,  principi,  conta- 
dini, tutti  affratellati  in  eguale  tripudio.  Interminabili  filiere  di  car- 
rozze in  servizio  di  gala  sovreggiavano  sui  pedoni,  piene  di  signo- 
ria; finestre  e  logge  parate  a  festa,  e  popolate  di  ogni  condizione 
cittadini;  e  tutto  questo  mondo  muovere  in  gaudio,  agitarsi,  e  farsi 
eco  da  un  punto  all'altro,  sventolare  fazzoletti  bianchi,  e  porre  in 
cima  alle  mazze  i  cappelli  ;  e  le  gentili  fanciulle  dalle  ringhiere  dei 
poggiuoli,  o  surte  in  sui  cocchi,  cogli  ombrellini  formare  candide 
bandiere,  e  spargere  fiori  e  corone,  che  i  soldati  prendevano  sulle 
baionette.  Si  ripercoteva  l'esultanza  dai  borghesi  nei  militari,  e 
dai  militari  nei  borghesi,  con  tanta  comunione  di  sentimenti,  che 
pareva  il  corso  di  quella  immensa  strada  divenuto  un  festino  di  fa- 
miglia. E  dire  che  sì  grande  sfoggio  di  pompa  si  effettuava  per  sù- 
bito impeto  spontaneo  de'  Romani  ! 

Molto  più  riusciva  improvvisa  la  festa  ai  soldati,  e  però  più  gio- 
conda. Quanti  cel  testificarono!  Venivamo,  ci  ripetevano  essi,  ve- 
nivamo arsi  di  sete,  stanchi,  spedati,  sospirando  ansiosamente  il 
proprio  quartiere,  e  lontani  le  mille  miglia  dai  pensieri  di  festeg- 


310  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

giamenti  :  la  presenza  di  un  popolo  senza  numero,  sollevato  in  si 
strepitosa  dimostranza  d'  ogni  gentile  affetto  verso  di  noi,  ci  riposò 
ad  un  tratto  più  che  qualsiasi  riposo.  Più  non  ci  pesavan  l'armi  e 
gli  zaini,  il  pie  scivolava  leggero  su  quella  via  infiorata  dall'amor 
cittadino,  e  ci  era  dolce  l' aver  combattuto  per  un  popolo  sì  vivo 
alla  riconoscenza,  e  in  mezzo  al  quale,  lungi  dal  sentirci  stranieri, 
formavamo  una  sola  famiglia,  nella  stessa  casa  paterna,  attorno  al 
nostro  padre,  Pio  IX. 

Pio  IX  solo  mancava  al  trionfo,  in  cui  coli'  onore  de'  suoi  soldati  si 
solennizzava  pure  una  novella  sua  gloria.  Si  riserbava  ad  accoglierli, 
ringraziarli  affettuosamente,  premiarli  e  promettere  loro  più  degni 
premii  nel  cielo;  e  tutto  ciò  esegui  a  suo  tempo,  in  quella  guisa  che 
sa  fare  Pio  IX:  ma  intanto  che  i  suoi  crociati  rientravano  in  Roma 
tra  i  plausi,  egli  più  volentieri  si  avvolgeva  tra  figli  suoi  feriti  o 
moribondi,  negli  spedali.  Tuttavia  era  stato  il  primo  a  rendere  gra- 
zie a  Dio,  come  era  stato  il  primo  a  risapere  la  notizia  del  celeste 
favore  ottenuto.  Appena  il  generale  Kanzler  ebbe  misurato  l'am- 
piezza della  sua  vittoria,  e  il  successo  decisivo  della  guerra,  non  si 
contentò  di  mandare  a  Roma  un  bullettino  di  novelle,  ma  spacciò 
al  S.  Padre  un  legato.  Elesse  a  ciò  un  romano,  il  giovane  principe 
D.  Filippo  Lancellotti,  uno  dei  molti  arrivati  allora  nel  campo  al 
sollievo  dei  feriti,  pontificii  e  garibaldini,  collo  stesso  ardore,  onde 
ne'  giorni  precedenti  erano  accorsi  alle  fazioni  militari  tra  i  Volon- 
tarii  romani.  Giunse  egli  più  colle  ali  che  coi  cavalli  al  Vaticano:  e 
Pio  IX  ascoltò  il  racconto  della  picciola  ma  rilevantissima  giornata, 
coi  sensi  medesimi,  onde  Pio  Y  aveva  ascoltato  i  legati  di  D.  Gio- 
vanni d'Austria,  dopo  la  giornata  di  Lepanto.  Pio  IX,  come  Pio  V, 
aveva  tenuto  le  mani  alzate  al  cielo,  mentre  i  cristiani  combatteva- 
no contro  i  nemici  del  nome  cristiano  :  e  se  il  sangue  sparso  dei  figli 
suoi  dell'  una  e  deli'  altra  parte  non  poteva  non  contristare  il  cuore 
mitissimo  del  comun  Padre;  pure  la  pronta  liberazione  di  Roma,  e 
l'incomparabile  vantaggio  assicurato  alla  cristianità,  colmarono  il 
suo  animo  grande  di  consolazione  esuberante. 

Non  pensò,  ne  siam  certi,  al  suo  proprio  esaltamento.  E  pure  il 
suo  nome,  più  che  altro,  aveva  ratinato  l'esercito,  e  trattovi  i  nobili 


XCVIII.  MENTANA,  3  NOVEMBRE  oli 

alleati  dalla  Francia,  e  condotti  i  comandanti  tra  il  più  vivo  balena- 
re dell'armi,  spronata  la  gioventù  nei  cimenti,  addolcite  le  loro  ago- 
nie, e  rendute  serene  le  loro  morti:  il  suo  nome,  invocalo  perfino 
dai  nemici,  aveva  loro  cento  volte  impetrato  il  perdono,  sotto  le  ba- 
ionette. Però  se  Pio  IX  si  mostrò  più  grande  che  la  sua  gloria,  a 
noi,  come  a  figli,  non  disdice  il  rallegrarci  della  nuova  corona,  ve- 
nuta a  rifulgere  con  tante  altre  sul  suo  capo  paterno.  Non  gliela  im- 
pose già  solamente,  come  avviene  ad  altri  principi,  il  senno  4'  un 
suo  generale  e  il  valore  di  un  esercito  di  sudditi,  comandali  alla 
guerra:  ma  ad  intrecciarla  concorse  a  gara  il  braccio  e  l'amore  dei 
figli  suoi  sparsi  per  tuttala  terra.  A  Mentana,  a  fianco  del  Romano, 
si  operò  gran  numero  di  Italiani  di  svariate  province;  la  nazio- 
ne francese,  oltre  T  arrolare  tanta  gioventù  sotto  lo  stendardo  di 
S.  Pietro,  vi  spiegò  a  nome  pubblico  la  bandiera  del  sovrano;  vi 
combatte  l'Olandese,  il  Belga,  il  Germano,  F  Inglese,  l'Irlandese, 
lo  Spagnuolo,  il  Polacco,  il  Russo,  l'Asiatico,  l'Africano,  l'America- 
no. Qual  Re,  in  un  giorno  solo  vide  tanti  popoli,  unanimi  e  volonta- 
rii,  travagliarsi  per  incoronarlo  di  vittoria?  Quale  vittoria  echeggiò 
fausta,  bramata,  benedetta  a  tanti  popoli?  il  perchè,  senza  dubita- 
zione veruna  affermiamo,  che  nell'avvenire,  quando  già  l'ombra  dei 
secoli  avrà  oscurata  la  nomea  delle  più  smisurate  battaglie  dei  tem- 
po nostro,  la  picciola  Mentana  sopravviverà  nobile  e  chiara  ogni  di 
meglio,  sarà  il  racconto  gradito  ai  figli  dei  cristiani,  e  santo  orgo- 
glio di  chi  potià  nominare  un  antenato  tra  i  vincitori  o  tra  i  morti 
della  santa  battaglia. 


SGUARDO  RETROSPETTIVO 

SOPRA 

V  AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA 

DAL  1860  AL  1870 

IN    ITALIA1 


YIL 


Nel  precedente  quaderno  esaminammo  donde  traesse  il  Governo 
italiano  quella  ingente  somma,  che  fu  da  lui  spesa  dal  1860  al  1870. 
Passiamo  ora  a  fare  qualche  utile  considerazione  intorno  al  dove  la 
spendesse. 

Yi  sono  casi,  nei  quali  la  necessità  estrema  obbliga  un  buon"am- 
ministratore  a  far  grandi  spese,  e  ad  indebitare  per  esse  il  patri- 
monio confidatogli.  Si  dà  anche  caso  che  un  amministratore  ardi- 
to, per  la  speranza  di  grandi  guadagni  avvenire,  non  esita  di  arri- 
schiare tutto  il  suo  capitale  presente,  impoverendosi  oggi  per  ar- 
ricchirsi domani.  La  prima  è  sventura,  la  seconda  è  audacia:  ma 
possono  essere  scusate  quella  dalla  forza  maggiore,  questa  dalla 
maggiore  avidità.  Ma  quando  né  l'uno  nò  l'altro  impulso  vi  è,  lo 
spendere  al  di  là  della  propria  sostanza  chiamasi  scialacquare  :  e 
chi  così  spende  il  suo  dicesi  dissipatore,  chi  spende  l'altrui  dicesi 
barattiere.  Da  simili  tacce  vergognose  non  può  liberare  che  la  ba- 
lordaggine, la  quale  indica  che  la  magagna  non  è  nel  cuore  ma  nel 


1  Y.  questo  volume,  pag.  151  e  segg. 


SGUARDO  SOPRA  L  AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA  ECC.  313 

cervello,  e  se  non  infama  chi  la  merita,  non  vale  certamente  ad 
onorarlo.- 

Or  quale  di  queste  influenze  cagionò  cotanto  sciupio  di  denaro 
in  questi  nove  anni  all'Italia?  La  risposta  conveniente  non  può 
darsi,  se  non  quando  avremo  trascorso  ad  uno  ad  uno  i  capi  prin- 
cipalissimi  delle  spese  fatte. 

Suol  dirsi  che  l'una  delle  cagioni  per  l'aumento  delle  spese  in 
Italia  sia  stata  la  trasformazione.  Per  cacciar  via  i  Principi  regnan- 
ti nei  varii  Stali  d'Italia,  ci  è  voluto  denaro.  Per  unificare  gli  an- 
tichi Stati  in  un  sol  regno,  ci  è  voluto  denaro.  Per  impiantare  la 
libertà  nell'Italia  unificata,  ci  è  voluto  denaro.  Per  conservare  in- 
fine l'unificazione  e  la  libertà  nell'  Italia,  ci  è  voluto  denaro.  Nulla 
di  tutto  ciò  occorreva  nell'antica  Italia  ;  qual  meraviglia  fa  dunque 
che  siavi  ora  stato  tanto  maggior  dispendio  di  prima? 

La  meraviglia  vi  è,  e  vi  è  tanto  se  si  consideri  il  fatto  della  tra- 
sformazione, quanto  se  si  considerino  i  suoi  effetti  naturali  sotto  il 
risguardo  finanziario.  Se  si  consideri  il  fatto  della  trasformazione 
non  s'intende  il  perchè  abbia  dovuto  costar  tanto  denaro.  Giacché 
non  si  dissero  maturi  i  tempi  all'unità,  esosi  i  Principi  ai  popoli, 
spontanee  le  annessioni,  volonterosi  i  plebisciti,  desiderata  la  di- 
nastia di  Savoia?  Stando  alla  storia,  come  ce  l'hanno  fatta  i  trasfor- 
matori dell" Italia,  tutta  la  mercanzia  necessaria  a  questa  impresa 
fu  gratuitamente  offerta,  e  non  dovette  costare  un  soldo  solo.  Vero 
è  che  essi  pure  ammettono  delle  eccezioni  :  qualche  resistenza  qua 
e  colà:  qualche  spedizione  di  volontarii,  e  qualche  invio  di  soldate- 
sche: ma  ciò  potea  generare  un  lieve  dissesto  momentaneo,  per  la 
piccola  cosa  che  fu,  e  non  già  uno  sconquasso  si  grave,  da  rovinare 
le  finanze  d'un  gran  paese. 

Che  se  le  Finanze  furono  rovinate  di  fatto,  allora  quelle  storie  di 
spontaneità,  di  maturità,  di  generosità  van  tutte  a  monte,  e  il  di- 
spendio si  spiega  colla  compera  delle  opinioni,  delle  fedeltà,  delle 
coscienze.  L' unità  d' Italia  diventa  opera  di  ambizione  o  di  fa- 
zione, non  di  utilità  o  desiderio  pubblico:  e  molto  più  ancora  che  il 
fatto  del  dispendio  è  da  condannarsene  la  cagione.  Si  è  sprecato  sì 
gran  denaro  per  corrompere  le  coscienze.  Guai  grideremo  qui  a 


314  SGUARDO  SOPRA  L  AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA 

chi  si  lasciò  corrompere,  ma  molto  più  guai  a  chi  riuscì  a  corrom- 
pere !  La  corruzione  congiunse  le  divise  parli  d' Italia  :  la  cor- 
ruzione sfascerà  questo  corpo  sì  malamente  accozzato. 

Ma  pur  si  mandi  buona  questa  necessità  di  versar  denaro  per  far 
l'Italia  una.  Il  fatto  riuscito  dovea  compensare  l'opera  e  la  spesa. 
Vi  erano  prima  sette  liste  civili:  vi  erano  sette  amministrazioni  cen- 
trali: vi  erano  sette  barriere  politiche  e  doganali  :  vi  erano  sette 
rappresentanze  presso  ogni  Stato  forestiero.  Tutto  ciò  è  caduto  col- 
l'unità:  ed  ora  vi  è  una  sola  lista  civile,  una  sola  barriera,  una  so- 
la capitale,  una  sola  rappresentanza.  Quanta  economia,  e  quanti  ri- 
sparmii  !  Non  dovrebbero  essi  nei  nove  anni  di  mezzo  tra  il  60  ed 
il  70  aver  dato  già  un  compenso  larghissimo  a  quelle  spese,  per  dir 
così,  d' impianto  di  questa  Italia  unificata? 

Indubitatamente  dovrebbero:  e  tanto  ciò  è  manifesto,  che  ad  ac- 
calappiare i  popoli  questo  argomento  appunto  si  recava  loro  per  ec- 
citarli a  volersi  congiugnere  in  uno  Slato  unico;  siccome  quello  che 
più  d'ogni  altro  era  ragionevole,  se  si  sguarda  soltanto  all'  interes- 
se. Ma  quelle  erano  lustre;  le  realtà  sono  state  contrarie  alle  pro- 
messe, e  gli  sparagni  che  dovevano  farsi  si  convertirono  in  fidali 
dissipamenti. 

Né  vogliamo  credere  che  altri  ci  arrechi  come  cagione  plausibile 
di  maggiore  spesa  la  libertà  conceduta  agi'  Italiani  nella  trasforma- 
zione fattasi  dell'  Italia.  Questa  cagione  sta  bene  in  bocca  nostra, 
ma  non  istà  bene  in  bocca  dei  libertini.  Poiché  tutti  i  difensori  de- 
gli ordini  liberi  fanno  a  gara  per  esaltarli,  siccome  i  più  capaci  di 
dare  il  Governo  a  buon  mercato:  e  citano  di  continuo  l' Inghilterra 
e  l'America,  quali  pruove  splendidissime  della  loro  affascinante  teo- 
rica. Perchè  ciò  non  dovea  accadere  in  Italia  ?  E  se  doveva  acca- 
dere, chi  lo  impedì?  0  Y  Italia  libera  adunque  dà  una  mentita  alla 
teorica:  o  la  teorica  dà  una  mentita  all'  Italia  libera. 


Vili 


La  seconda  cagione  delle  spese  straordinarie  di  questi  nove  an- 
ni è  stata  l'armamento.  Distraili  gli  antichi  ordini  militari  dei  sin- 


DAL  18G0  AL  1870  IN  ITALIA  315 

goli  Stati  si  è  voluto  costituire  un  esercito  nuovo,  modellato  in  gran 
parte  sulle  tradizioni  piemontesi:  e  si  è  voluta  creare  una  marina 
consentanea  ai  tempi,  e  proporzionata  a  grande  Stato.  Or  come 
siasi  a  ciò  riuscito  amministrativamente  e  politicamente  parlando, 
tutti  il  sanno  e  tutti  Io  ripetono  in  Italia.  Per  la  marina  ninno  igno- 
ra la  relazione  fattasene  dalla  Commissione  della  Camera,  delegata 
a  fare  minuta  ed  universale  inchiesta  dello  stato  in  che  si  tro- 
vava or  sono  quattro  anni  :  dalla  quale  si  deduce  essersi  più  che 
largamente  speso  il  denaro,  ma  non  essersene  indi  avvantaggiato 
l'armamente  marittimo.  Per  l'esercito  di  terra  ci  basta  il  giudizio 
d'un  uomo  competente,  d'un  Luogotenente  generale,  il  Duca  di  Mi- 
guano,  il  quale  dopo  aver  dimostrato  che  il  soldate  italiano  costa 
allo  S-tato  più  che  non  costi  alla  Francia  il  soldato  francese,  molto 
più  che  non  costava  al  Regno  delle  due  Sicilie  il  soldato  napolita- 
no, tuttoché  il  soldato  italiano  non  sia  nutrito  meglio  che  quei  due 
eserciti,  e  sia  tanto  peggio  calzato,  vestito,  alloggiato,  armato  ;  ne 
arreca  tutta  la  colpa  al  sistema  attuale  di  amministrazione  *.  L'am- 
ministrazione adunque  è  riuscita  a  far  pochissimo  con  molto,  vo- 
lendo armar  la  nazione  :  tutto  al  rovescio  d'ogni  buona  idea  di 
governo. 

Per  rispondere  poi  al  vantaggio  politico  cavatosi  da  cotale  ar- 
mamento, non  vogliamo  dir  nulla  del  nostro.  Ci  contenteremo  di 
citare  le  parole  da  un  illustre  deputato,  caldo  promovitore  e  soste- 
nitore dell'unità  italiana,  dette  1*11  Giugno  di  quest'anno  nell'aula 
parlamentare  in  Firenze.  «  Quanto  alla  rapida  guerra,  vogliate  no- 
tare che  anche  la  Prussia  armò,  ma  senza  sbilanciarsi  e  fece  Sado- 
wa:  e  che  noi  sperperando,  per  nostra  sciagura,  abbiamo  avuto 
Custoza.  Quanto  alla  marina,,  ricordate  che  l'Austria  la  curò  senza 
dissestarsi,  e  sopprimendone  perfino  il  Ministero,  e  per  nostra  scia- 
gura, fece  Lissa.  »  Fin  qui  egli:  e  bastava,  poiché  le  due  sole  pa- 
role Custoza  e  Lissa  dicono  tutto. 

Seguono  in  terzo  luogo  le  spese  profusamente  fatte  per  le  opere 
pubbliche.  Per  questo  capo  sarebbe  degnissimo  di  lode  il  Governo 


1  Vedi  i  due  Opuscoli. :  Economia  senza  riduzione.  Opuscolo  I,  e  Opusc.  II. 
Napoli  1870. 


31 6  SGIARDO  SOPRA  L  AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA 

d'Italia,  quand'anche  avesse  un  po'ecceduto ,  se  la  sapienza  nel 
condurre  quelle  opere,  e  la  prudenza  nel  proporzionarvi  le  spese 
avessero  preparato  agl'Italiani  nuovi  agi  e  nuove  prosperila.  Ma 
così  non  avvenne  di  fatto.  In  primo  luogo  quelle  opere  pubbliche, 
fatte  a  spese  di  tutti  i  contribuenti,  non  si  sono  egualmente  distri- 
buite sopra  tutta  l'Italia:  anzi  quasi  nulla  ne  è  toccato  alla  Sarde- 
gna, agli  Abruzzi,  alle  Calabrie,  e  pochissimo  alla  Sicilia  e  alle  al- 
tre province  meridionali.  Quindi  i  lamenti  giusti  che  siansi  impo- 
verite colle  tasse  alcune  province,  per  arricchirne  colle  opere  pub- 
bliche alcune  altre.  In  secondo  luogo  si  è  speso  in  queste  opere 
pubbliche  non  solo  versandovi  a  larga  mano  per  lo  passalo  le  som- 
me, ma  vincolandovene  delle  maggiori  forse  nello  avvenire.  Pre- 
sentemente l'Italia  paga  ogni  anno  un  sessanta  milioni  per  garanzie 
concesse  ai  capitalisti,  per  lo  più  forestieri,  che  cooperarono  alla 
loro  costruzione:  e  questi  sessanta  milioni  facilmente  col  tempo 
monteranno  presso  a  cento.  Pel  servigio  adunque  che  queste  opere 
pubbliche  porgeranno  all'Italia,  essa  dovrà  pagare  un  giorno  cento 
milioni  l'anno  :  l'interesse  cioè  di  quasi  due  migliardi.  Valgono  tut- 
te insieme  queste  opere  pubbliche  un  migliardo  solo?  Noi  non  du- 
bitiamo di  asserire  che  no,  fondati  sull'autorità  d'ingegneri  e  di 
architetti  peritissimi  dell'  arte  loro  :  ben  inteso  che  non  parliamo 
delle  somme  pagate,  ma  del  valore  effettivo  di  questi  pubblici  edi- 
Ticii.  In  terzo  luogo  si  sono  esse  intraprese  o  senza  unità  di  dise- 
gno, o  senza  costanza  di  esecuzione  :  cosicché  gran  parte  dell'utile 
che  avrebbero  potuto  produrre  è  diminuito  o  dalla  interruzione  lo- 
ro per  necessaria  economia,  o  dallo  slegamento  dell'una  coll'altra 
per  inescusabile  impreveggenza.  Si  spese  adunque,  è  vero,  in  ope- 
re pubbliche  moltissimo  :  ma  si  spese  al  di  sopra  delle  forze,  si 
spese  senza  giudizio,  si  spese  male. 


IX. 


Una  quarta  cagione  di  tanto  eccesso  di  spese  furono  senza  dubbio 
gl'impiegati.  Essi  costituiscono  una  vera  piaga  dell'Italia  :  poiché 
quelli  che  si  trovano  nell'  attività  del  servigio  sono  al  di  là  d'ogni 


DAL  1860  AL  1870  IN  ITALIA  317 

ragionevole  proporzione  col  bisogno  vero  ;  e  quelli  che  sono  o  in 
disponibilità,  o  in  giubilazione,  formano  una  seconda  schiera  di  non 
molto  inferiore  alla  prima.  Secondo  i  calcoli  del  deputato  De  Cesa- 
re idal  solo  ramo  giudiziario,  facendovi  una  riduzione  d'impiegati, 
che  per  nulla  scemi  la  celerità  dei  giudizii,  potrebbero  derivare  die- 
ci milioni  l'anno  di  sparagno.  Molto  maggior  risparmio  fornirebbe 
l'esercito  d'impiegali  che  dipende  dal  Ministero  delle  Finanze,  e 
che  si  consuma  in  alcune  delle  entrate  più  del  quarto  per  ispese  di 
riscossione  e  spesso,  come  ciarlano  certe  male  lingue,  è  più  com- 
plice che  vindice  dei  contrabbandi  e  delle  frodi  gabellarle. 

Un  tal  disordine  fu  necessario  effetto  della  rivoluzione.  Bisognò 
dare  un  premio  a  quanti  aveano  cooperato  a  farla  :  o  almeno  ai  più 
intriganti:  e  il  premio  non  poteva  essere  altro  che  dar  loro  un 
posticino  alla  mangiatoia  dello  Stato,  più  o  men  largo  secondo 
l'appetito  e  l'epa  di  ciascheduno.  Dunque  s'allarghi  la  mangia- 
toia per  far  posto  a  tutti,  e  Pantalone  paga,  direbbe  il  Goldoni. 
Prima  dunque  si  mandino  a  casa  col  soldo  della  giubilazione  tutti  i 
più  onesti  e  fedeli  ufficiali,  sotto  la  coverta  che  a  cose  nuove  non 
eran  buoni  uomini  vecchi.  Poscia  si  creino  ufficii  nuovi,  si  moltipli- 
chino nelle  vecchie  cariche  il  numero  delle  persone,  sotto  il  prete- 
sto dell'ordinar  meglio  il  servigio,  e  sbrigar  più  presto  gli  affari. 
Poi  da  capo  colle  giubilazioni,  per  far  nuovi  vuoti  nelle  file,  e  la  lu- 
stra ne  fu  V  epurazione,  che  dovea  mandar  via  i  cattivi  impiegati,  e 
invece  ne  mandò  i  più  capaci  e  i  più  modesti.  In  breve  ad  ogni 
nuova  fase  della  rivoluzione,  ad  ogni  nuovo  cangiamento  di  Ministe- 
ri, ad  ogni  nuovo  merito  di  rivoluzionarti  s'ebbe  sempre  lo  stesso 
ritornello:  nuovi  impiegati.  Evviva  la  mangiatoia!  Evviva  l'arte 
d'aggrapparvisi!  Evviva  il  coraggio  di  allargarla  sempre  più  alle 
spese  del  popolo  ! 

Finalmente  indicheremo  per  ultima  cagione  di  così  enormi  spen- 
dii le  dilapidazioni,  non  coverte  da  altro  mantello  che  quello  più  o 
meno  trasparente  del  segreto.  Molte  volte  si  è  fatta  menzione  lungo 
il  novennio  scorso  su  pei  giornali  d' Italia  eli  certe  sottrazioni  di 

1  Vedi  il  suo  opuscolo,  intitolato.  Presente,  passato  e  futuro  d'Italia. 


318  SGUARDO  SOPRA  L  AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA 

somme  aiicora  vistose,  di  certe  appropriazioni  non  giustificale,  di 
certi  pagamenti  non  approvali  dalla  Gran  Corle  dei  Conti.  Molte 
volle  s'è  chiesto,  fin  nella  Camera  dei  Deputati,  che  si  facesse  la 
luce  sopra  queste  accuse  :  si  è  chiesto  il  perchè  sui  bilanci  non  ap- 
parisse orma  di  una  certa  ventina  di  milioni,  di  moneta  erosa  sot- 
tratta dalla  circolazione  :  s' è  chiesto  perchè  nessun  conto  si  rendes- 
se degli  ori,  degli  argenti,  dei  gioielli,  degli  arredi  sacri  rapili  alle 
chiese:  che  si  nominassero  commissioni  per  prenderne  indagini: 
che  s' istituissero  almeno  inquisizioni  governative.  Ma  tutte  queste 
istanze  son  cadute  in  vano  :  e  per  evitare  ogni  scandalo  s  è  atteso 
dal  tempo  che  il  buio  coprisse  con  ombre  sempre  più  fìtte  cotesti 
imbrogli  scandalosi.  Ma  il  buio  non  poteva  empire  le  casse  del  te- 
soro del  denaro  sottrattone,  e  queste  sottrazioni  hanno  aggiunto  non 
poche  dozzine  ai  milioni  sperperati. 

Ma  peggior  effetto  di  questa  indennità  conceduta  a  certi  più  for- 
tunati giuntatoli  del  pubblico  denaro  fu  il  malo  esempio  dato  a  tan- 
ti altri  che  aveano  in  custodia  le  casse  dello  Stato.  Per  non  breve 
tempo  l' Italia  ha  dato  un  veramente  strano  spettacolo  d' immorali- 
tà. Non  v*  era  mese  che  non  s' udisse  essere  il  tal  cassiere  della  tale 
amministrazione  sparito,  lasciando  il  vuoto  di  tante  centinaia  di  mi- 
gliaia di  lire  :  e  sebbene  ognuno  di  questi  furti  da  per  sé  non  fosse 
da  tanto,  che  dovesse  gravemente  soffrirne  l'erario:  pur  tuttavia 
uniti  insieme  costituiscono  una  somma,  che  non  può  spregiarsi  in 
questa  nostra  discussione. 

Ma  più  gravi  dilapidazioni  ancora  sonosi  avverate  nelle  vendile 
dei  beni  demaniali  ed  ecclesiastici.  À  fatti  compiuti  lo  ha  confessato 
lo  slesso  Governo  t,  ed  oramai  è  noto  che  in  mezzo  allo  sprofon- 

1  Sarà  bene  udire  questa  verità  dalla  bocca  d'uno  dei  deputati,  il  eli.  sig. 
Bertolucci,  nelf  ottimo  e  coraggioso  discorso  che  fece  nel  Parlamento  na- 
zionale il  4  Luglio  1870.  Ecco  le  sue  proprie  parole,  a  Ditemi:  che  avvenne 
del  famoso  miliardo  di  beni  ecclesiastici  che  voi  con  tanto  furore  vi  appro- 
priaste come  di  cosa  dello  Stato?  Divenimmo  noi  più  ricchi?  E  non  si  avverò 
invece  il  volgare  proverbio  che,  farina  del  diavolo  va  tutta  in  crusca  ?  Ve  lo 
dica  lo  stesso  ministro  delle  finanze,  a  cui  del  resto  io  professo  alta  stima  e 
come  scienziato  e  come  statista.  Egli  nella  sua  esposizione  finanziaria,  mentre 


DAL  1860  AL  1870  IN  ITALIA  319 

darsi  della  pubblica  fortuna  sonosi  improvvisamente  innalzate  in 
Italia  d'ogni  intorno  colossali  fortune  private.  Esse  debbonsi  a  con- 
tratti di  compere,  fatti  legalmente  quanto  alle  forme,  ma  quanto  al- 
la sostanza  così  sproporzionati,  che  d'alcuni  una  porzione  soltanto 
della  rendita  di  pochi  anni  bastò  a  pagare  tutta  la  proprietà  compra- 
ta, e  in  altri  moltissimi  o  la  rendita  sola  o  poco  più  della  rendita  di 
alquanti  anni  coprì  il  costo  intero.  Così  gì'  immensi  tesori  che  quei 
beni  comprendevano,  si  ridussero  per  l'Erario  a  un  piccolo  guada- 
gno ;  e  questo  prestamente  sciupato  ha  lasciato  allo  Stato  la  infa- 
mia di  una  sacrilega  rapina ,  ed  il  peso  perpetuo  di  annue  pensioni 
che  dovrà  pagare. 

Arrestiamoci  a  questo  punto.  Ei  ci  pare  che  basti  una  benché 
così  rapida  enumerazione  per  dare  la  risposta  che  cercavamo  intor- 
no al  giudizio  che  deve  formarsi  degli  amministratori  dell'Italia  uni- 
ficata. Qualche  volta  sbaragliarono  nelle  spese  il  denaro  spremuto 
alle  borse  dei  contribuenti  per  dura  necessità  :  ma  questa  necessità 
fu  fatta  dalla  rivoluzione,  la  quale  per  conseguenza  deve  rispondere 
di  tanto  sciupìo.  Più  spesso  ancora  il  dissipamento  dell'erario  pro- 
cedette da  incapacità:  ossia  di  mente  a  concepire  gli  opportuni  prov- 
vedimenti, ossia  di  volontà  a  resistere  alle  inopportune  passioni:  e 
di  questa  doppia  incapacità  deve  chiedersi  ragione  alla  rivoluzione, 
che  pose  le  redini  del  Governo  in  mano  ad  uomini  più  ambiziosi  che 

intendeva  a  togliere  alla  Chiesa  altri  beni,  non  poteva  dissimulare  che  i  già  ap- 
presi furono  consumati,  e  non  restò  di  loro  che  un  punto  nero;  confessione 
gravissima  che  rimarrà  monumento  eterno  di  ciò  che  valgono  le  ingiustizie 
degli  uomini  !  Ve  lo  dica  la  stessa  Commissione  con  parole  onde  chiude  la  sua 
relazione,  emettendo  un  tardo  rimpianto  sullo  sperpero  di  quei  beni.  —  Sa- 
rebbe rana  opera,  essa  scrive,  il  vedere  oggi  se  con  altre  operazioni  non  era 
possibile  ottenere  per  le  finanze  un  risultato  molto  più  vantaggioso,  e  insie- 
me non  offendere  tante  aspettative,  non  venire  a  tante  asprezze,  non  pertur- 
bare tanti  interessi  e  tanti  sentimenti.  Questo  solo  si  può  dedurre,  che  le 
speranze  di  coloro  che  mossero  e  sostennero  le  leggi  predette  (  cioè  quelle  di 
soppressione  degli  enti  morali  religiosi  e  della  cosi  detta  liquidazione  dell'as- 
se ecclesiastico  ),  finanziariamente  furono  in  parte  frustrate,  e  che  i  risultati 
sono  stati  assai  più  scarsi  di  quelli  sui  quali  nelle  discussioni  della  Camera  si 
faceva  assegnamento.  —  » 


320  SGUARDO  SOPRA  L  AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA 

capaci,  più  parteggiala  che  amatori  del  bene  pubblico,  più  ampollo- 
si di  promesse  false,  che  sperimentali  promotori  degli  interessi  na- 
zionali. Generalmente  ne  è  in  colpa  il  sistema  nuovo  coi  nuovi  prin- 
cipii,  presi  a  norme  di  pubblico  reggimento.  Base  del  governare 
non  il  giusto  ma  l'utile;  e  l'utile  non  della  nazione  intera  ma  del 
partito  prevalente.  Mezzi  di  governare  l'astuzia,  l'inganno,  la  frode, 
la  corruzione;  e  se  non  bastano  il  gendarme  e  la  soldatesca.  Fine 
del  Governo  non  già  l'agevolare  ai  singoli  associati  la  sodisfazione 
dei  proprii  bisogni,  e  l'adempimento  dei  proprii  doveri,  rimovendo- 
ne ogni  ingiusto  ostacolo  :  ma  il  far  servire  le  fatiche,  le  sostanze, 
la  vita  persino  d'ogni  privato  ai  vantaggi  della  comunità,  immo- 
landoli tutti  sull'ara  pagana  del  Dio  Stato,  che  il  più  delle  volle  si 
concreta  nei  guadagni  d'una  piccola  casta,  che  riesce  a  porsi  alla  te- 
sta della  nazione.  Allettativa  al  popolo  governato  non  già  l'onore, 
la  probità,  il  ben  essere  individuale  ;  ma  la  vana  prospettiva  d'una 
grandezza  nazionale,  che  suole  del  cittadino  fare  uno  schiavo,  e  la 
lubrica  promessa  d'una  libertà  licenziosa,  che  fa  del  cristiano  una 
belva  selvaggia.  Un  Governo  che  pone  in  atto  questi  principii  divie- 
ne necessariamente  uno  spenditore  senza  freno,  un  disperditore  sen- 
za riparo. 


X 


Ma  esso  diviene  eziandio  la  rovina  del  suo  paese.  Il  vedremo 
chiaramente,  entrando  nella  terza  indagine  che  ci  eravamo  propo- 
sta, del  come  siasi  trovata  l'Italia  di  così  larghe  spesene  fatte  Del- 
l'ultimo  novennio  scorso. 

Dei  tristi  effetti  generali  da  così  triste  cagioni  scegliamo  sollan- 
to  i  più  gravi,  alcuni  riguardanti  il  popolo,  altri  riguardanti  il  Go- 
verno stesso. 

Il  corso  forzoso  in  permanenza  ci  si  presenta  primo  fra  tulli  in- 
nanzi, col  suo  scarno  volto,  colle  sue  livide  occhiaie,  colle  sue 
adunche  unghie,  col  suo  incesso  minaccioso,  col  suo  conlegno  un 
po'  da  sgherro,  un  po'  da  gabelliere.  Esso  è  là  dinanzi  al  povero 
popolo  smungendolo,  intimorendolo,  sbarrandogli  ogni  uà  alla  prò- 


DAL  1860  AL  1870  IN  ITALIA  321 

spenta,  all'agiatezza.  Figlio  della  rivoluzione,  esso  ne  è  addivenu- 
to il  più  crudele  carnefice,  percotendo  a  un  tempo  slesso  e  chi  gli 
die  vita,  e  chi  l'accolse  in  casa  sua  un  po'  per  necessità,  un  po'  per 
iscapataggine.  Quali  sieno  le  sue  opere,  il  vedemmo  già  nella  prima 
parte  di  questo  discorso,  abbastanza  largamente,  sicché  oraci  basta 
il  solo  enumerarle  di  passata.  Esso  ha  resi  difficili  e  perniciosi  i 
cambii  all'estero,  ha  discreditati  tutti  i  valori  nazionali,  ha  aumen- 
tato con  accrescimenti  Gttizii  i  prezzi,  ha  svilita  la  proprietà,  ha  sce- 
malo il  lavoro,  ha  fugala  la  moneta,  ha  diminuita  l'operosità  dei  ca- 
pitali, ha  gittato  lo  sconforto  e  la  diffidenza,  e  prepara  nei  momen- 
ti di  crisi  pericoli  immensi  alla  pubblica  fortuna.  Il  grido  di  guer- 
ra, levatosi  pur  ieri  nell'Europa,  dove  non  ha  oggi  condotta  di  già 
la  fortuna  d'Italia  ?  L'  aggio  sulla  moneta  è  salito  di  nuovo  al 
dodici  per  %,  e  minaccia  di  montare  ancor  più  allo:  già  varii  istitu- 
ti di  credito  delle  più  fiorenti  città  d'Italia  minacciano  di  sospende- 
re i  loro  pagamenti  :  già  il  prezzo  di  tutte  le  derrate  s'è  istantanea- 
mente accresciuto  :  già  le  industrie  nazionali  si  arrestano,  alcune 
per  paura,  per  impotenza  alcune  altre.  E  se  questa  guerra  si  pro- 
lunga, se  l'Italia  vi  è  trascinata  essa  stessa,  chi  può  prevedere  le 
rovine  che  si  ammucchieran.no,  l'una  più  irreparabile  dell'altra,  sul- 
la misera  popolazione  d'Italia? 

Il  secondo  effetto  micidiale  di  questo  disastroso  sistema  di  ammi- 
nistrazione è  stato  l'affievolimenlo  della  industria  nazionale.  Nel 
campo  delle  gare  industriali  non  è  l'uomo  solo,  l'uomo,  per  dir  cosi, 
ignudo,  che  entra  a  combattere  :  è  l' uomo  armalo  del  suo  capitale. 
Toglietegli  il  capitale  di  mano,  esso  per  quanto  ingegno,  per  quanto 
coraggio  si  abbia,  deve  o  retrocedere  o  soccombere.  Ora  i  quattro 
migliardi  di  più  spesi  dal  Governo,  in  opere  per  la  massima  parte 
improduttive,  costituiscono  in  realtà  quattro  migliardi  tolti  ai  rispar- 
mii,  al  capitale  della  nazione  e  dei  singoli  individui.  Qual  meraviglia 
che  l'industria  se  ne  sia  trovata  rallentata,  anzi  quasi  distrutta? 

Aggiugnesi  che  mentre,  cogl' improvvidi  dispendii,  si  veniva 
disarmando  l'industria  nazionale  della  sua  più  necessaria  difesa, 
colle  leggi  ancor  più  improvvide  si  è  attirala  in  casa  l' industria  fo- 
restiera, armata  fino  ai  capelli,  e  piena  di  vigoria  e  di  ardore.  Le 
Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  489.  21  28  Luglio  1870. 


Sii  SGUARDO  SOPRA  L  AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA 

tariffe  nuove  doganali,  dettate  dal  liboro  scambio,  furono  il  fruito 
degli  aiuti  ricevuti  pel  trasferir:  a  mento  e  pel  riscatta  dell'  Italia:  lo 
sappiamo.  Ma  appunto  per  questo  abbiam  dritto  di  diro  che  un  tal 
riscatto  ha  impoverito  l'Italia,  mentre  che  le  si  promettevano  tesori 
di  prosperità  e  dì  grandezze.  E  vuol  egli  vedersi  fino  a  qual  punto 
questo  illanguidimento  sia  pervenuto?  11  paragone  tra  le  esporta- 
zioni e  le  importazioni  dell'  Italia  ce  no  dà  la  misura  adeguata. 
Ora  la  esportazione  è  appena  un  quinto  della  importazione,  ovechò 
dieci  anni  fa  era  a  mala  pena  una  metà.  Le  manifatture  adunque, 
lo  fabbriche,  i  prodotti  nazionali  sono  scemati  di  altuosilà  e  di  for- 
2a:  e  dopo  il  riscatto  dalla  loro  dominazione  siamo  diventati  tribù- 
tarii  dei  forestieri  peggio  assai  di  prima. 

Ma  più  ancora  che  V  industria  manifatturiera  in  Italia,  ha  sofferto 
e  soffre  l'agricoltura.  Un  molto  giudizioso  opuscolo,  uscito  due  anni 
or  sono  pei  tipi  del  Giachetti  di  Prato  1,  si  distende  tutto  a  dimo- 
strare coi  fatti  e  colle  cifre,  a  stretto  rigor  di  verità  e  di  logica,  appun- 
to questa  pessima  condizione  del  suolo  italiano.  Esso  pruova  ad  evi- 
denza che  «  l'aggravio  del  sistema  contributivo  sulla  proprietà  : 
ria  è  tale  e  tanto,  che  manca  l'equilibrio  necessario  tra  la  potenza 
della  rendita  e  la  resistenza  dei  tributi;  poiché  i  redditi,  sottoposti 
ad  un  quoziente  di  deduzioni  continuo,  eccedente,  progressivo,  ven- 
gono assorbiti  per  intero,  e  non  lasciano  ai  reddenli  che  zero  e  de- 
bito. Le  cifre  regolano  il  mondo,  diceva  Platone,  e  le  cifre  ci  daran- 
no ragione  ». 

E  di  queste  cifre  vien  formando  un  tal  quadro  spaventoso  ed  in- 
sieme evidente,  che  ci  duole  grandemente  che,  per  amore  di  brevità, 
non  possiamo  riportarlo  per  intero.  Non  possiamo  per  altro  passarci 
di  citarne  la  conchiusione,  siccome  quella  che  compendia  in  breve 
tutta  la  dimostrazione,  e  fa  insieme  scorgerò  la  estensione  del  male. 
Egli  dunque  dice  cosi  : 

«  I  fa'ti  esposti  par  che  bastino  a  persuadere  che  sotto  il  bel 
culo  d'Italia  la  proprietà  della  terra,  infarcita  e  macinata  da  tante 

1  La  terra  e  le  sovrapposte  municipali  del  Regno  d'Italia.  Prato,  tip. 
Giuchclli,  libilo  e  C.«  1868. 


DAL  1860  AL  1870  IN  ITALIA  323 

gravezze,  non  sia'più  una  ricchezza  ma  una  rovina,  e  che  a  que- 
st'  opera  nefasta  non  abbiano  piccola  parte  le  reimposte  municipali 
che  vi  concorrono  in  proporzione  del  50  per  cento  sul  tributo  dello 
Stalo.  Ma  per  portare  la  dimostrazioie  Imo  all'evidenza,  ne  piace  di 
darne  qui  un  esempio  pratico  e  sinottico,  in  un  fondo  affittato  e  se- 
menzaio a  grano.  Esso  va  sottoposto:  —  1°  al  tributo  erariate  — 
2°  al  decimo  di  guerra  *—  3°  all'altro  decimo  aggiunto  —  4°  al  dritto 
di  esazione  —  5°  alla  sopraimposta  provinciale  —  6°  alla  comunale 
—  T  al  prestito  forzoso  —  8°  alla  tassa  del  registro  sul  contralto 
di  fitto  —  9°  a  quella  del  linaiuolo  —  10°  al  drilto  di  misura  o  bi- 
lancio —  11°  al  dazio  governativo  sulla  farina — 12°  al  macino  co- 
munale; oltre  ai  danni  del  corso  forzoso,  e  alle  tasse  eventuali  di  do- 
gana, sublocazione,  sequestri,  guidizii,  multe,  successioni,  donazio- 
ni, vendite  ed  altro  che  suole  intervenire. 

«  Dunque  sul  fondo  del  grano,  sul  grano  islesso,  sul  pane  quoti- 
diano, sul  villo  di  necessità  primaria,  sull'unico  alimento  dd  povero, 
pesano  insieme  dodici  tasse,  una  più  grave  e  più  molesta  dell'  altra, 
mentre  nella  Cina  ed  in  altri  luoghi  che  si  dicono  barbari,  non  $e 
i\  esige  che  una  sola  e  consiste  nella  decima  della  rendila  ;  dunque 
al  proprietario  della  terra,  esaurita  nei  reddito  con  la  moltiplicità 
delle  imposizioni  e  reimposizioni,  e  scarnificata  nel  capitale  con  le 
tasse  di  successione,  alienazione  e  code,  non  resta  nemmeno  il  ne- 
cessario fisico  e  il  cespite  di  riproduzione,  ma  rimane  soltanto  un 
senso  d' ira  e  di  cordoglio,  il  dolore  e  la  disperazione  delle  fatiche 
sprecale  e  del  debito  che  lo  incalza;  debito  che  sopra  un  capitale  di 
venti  miliardi,  quanio  è  calcolato  il  suolo  italiano,  rappresenta  una 
passività  ipotecaria  di  dieci  miliardi,  setleccnto  sessantatrè  milioni, 
senza  i  chirografi,  cosicché  l'intero  dei  pesi  pubblici  piomba  sulle 
forze  di  una  sola  metà,  perchè  l'altra  vien  assorbita  dai  creditori 
particolari.  Altro  che  fucili  alla  Cliassepot  e  cannoni  all'Armstrong!  » 

Farà  dunque  meraviglia  che  molli  poveri  proprietarii,  sbalorditi 
e  sopraffatti,  abbiano,  per  bocca  del  deputalo  Amari,  nella  tornata 
dei  3  Maggio  1867,  offerta  alla  Camera  elettiva  la  cessione  dei  loro 
beni,  perchè  non  si  sentivano  più  il  coraggio  di  farla,  nel  coltivare  la 
terra,  da  procuratori  del  fisco  senza  mercede,  giacche  il  prodotto 
totale  andavasene  tutto  tra  le  casse  dell'  Erario,  della  Provincia 


324  SGUATIDO  SOPRA  L  AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA 

e  del  Comune?  A.  tale  misero  stalo  venne  ridotta  dalla  rivoluzione 
la  potissima  ricchezza  degl'  Italiani,  la  proprietà  prediale! 

Ma  la  proprietà  mobiliare,  quella  soprattutto  che  è  costituita 
dalle  cartelle  del  debito  pubblico  d'Italia,  sebbene  non  trovisi  an- 
cora condotta  a  sì  pessimi  estremi,  certamente  non  è  prosperosa. 
Essa,  quando  pur  riésca  a  schivar  la  bancarotta,  ha  due  immense 
piaghe:  lo  svilimento  già  sofferto,  la  riduzione  quasi  minacciala. 
Lo  svilimento  già  sofferto  ha  colpito  disugualmente  due  sorte  di 
possessori:  quelli  che  hanno  immobilizzate  con  vincoli  impostile 
cartelle  stesse,  quelli  che  le  possedono  alla  libera  senza  nessun  le- 
game. Sui  primi  s  è  accumulalo  tutto  il  danno,  giacché  lo  scema- 
menlo  del  valore  è  stato  sopportato  unicamente  da  loro,  e  sempre 
da  loro  :  e  questo  danno  grave  per  tutti,  gravissimo  ò  slato  pei  più 
antichi  possessori  di  titoli  statuali,  i  quali  aveano  comprato  ogni 
5  lire  di  rendita  per  110,  e  fin  118  lire,  e  se  li  son  veduti  discen- 
dere, come  se  li  vedranno  tra  brevi  giorni,  sotto  il  40.  Per  questi 
sventurati  il  danno  è  stato  di  quasi  due  terzi  del  loro  capitale.  Gli 
altri  possessori  hanno  sofferto  meno  :  giacche  colla  mobilità  delle 
cartelle  han  potuto  dividere  con  molli  le  perdile  del  ribasso:  ma  il 
danno  per  la  massa  intera  della  popolazione  è  stato  uguale.  Giacche 
queir  infinito  numero  di  persone  che  han  comprato  e  successiva- 
mente venduto  con  qualche  perdila  quelle  carte  circolanti  e  sempre 
perdenti,  costituiscono  una  vera  massa  di  creditori  perdenti.  Né 
sufficiente  compenso  è  per  gli  ultimi  compratori  la  cifra  elevata  del 
F  interesse  :  giacche,  oltre  che  questo  è  in  parte  roso  dalle  perdile 
dei  titoli  venduti  con  ribasso,  è  continuamente  svilito  dalla  paura 
della  riduzione. 

Questa  parola,  così  spaventosa  per  tutti  i  possessori  di  cartelle 
governative,  fu  già  messa  innanzi  da  parecchi  deputati  e  finanzieri 
d' Italia:  da  alcuni  più  spietati  come  rimedio  agli  sbilanci  annuali 
dell'  Erario,  da  altri  più  accorti  come  conseguenza  non  desiderabile 
ma  necessaria  del  sistema  presente  di  amministrare.  Prescegliamo 
fra  tante  l'autorità  del  eh.  M.  Pescatore,  che  ne  parla  un  po'  nell'uno 
e  un  po'  nell'altro  senso.  Egli  crede  che  se  non  siamo  ancora  giunti 
alla  vera  necessità  di  ridurre  la  rendita,  vi  ci  andiamo  nondimeno 
avvicinando,  un  po'  per  elezione,  un  po'  per  necessità  di  chi  governa 


dal  1860  al  1870  m  Italia  325 

l'Italia.  «Per  arrivare  alla  riduzione,  dic'egli,  bisogna  mascherare, 
confondere,  continuare  a  spendere,  a  spingere,  accrescere  il  debito, 
alienando  ogni  anno  sotto  diverse  forme  un  quindici  o  venti  milioni 
di  rendita  pubblica.  Quando  questa  sia  ridotta  al  valore  commerciale 
di  quaranta  su  cento,  la  batteria  si  smaschera  :  —  Vedete  (allora  si 
dirà)  lo  stato  reale  del  Tesoro!  esso  è  sconfitto  :  oggimai  questa  mas- 
sa enorme  di  debito,  che  sommerge  il  paese,  è  venuta  in  mano  di 
capitalisti,  i  quali  se  l'ebbero  a  bassissimi  prezzi ,  e  già  da  troppi 
anni  si  godono  un  interesse  del  dodici  per  cento  sul  prezzo  effettivo 
dei  loro  acquisti. 

«  Le  vecchie  doti,  i  vecchi  impieghi  privilegiati  oggimai  li  dob- 
biamo credere  liquidati;  gli  impieghi  privilegiati  più  recenti  ebbe- 
bero  pure  il  favore  dei  recenti  prezzi  della  rendita  già  svilita:  i  cor- 
pi morali,  possessori  di  rendita,  comprata  ab  antico  a  prezzi  eleva- 
ti, stanno  nel  dominio  assoluto  della  legge  :  e  quei  pochi  privati, 
rimasti  anch'  essi  possessori  di  titoli  comprati  a  prezzi  maggiori, 
perchè  si  ostinarono  a  non  voler  considerare  l'eventualilà  inerente 
alla  carta  pubblica,  debbono  imputare  il  danno,  che  soffrono,  alla 
loro  imprudenza:  lo  Stalo  non  può  riaversi  allrimenli;  i  prezzi  so- 
no oggimai  fissati  al  quaranta  :  impossibile  che  si  rialzino:  è  tempo 
dunque  di  cessare  un  disastroso  e  indebito  pagamento  di  una  inden- 
nità ai  recenti  compratori  di  una  carta  perdente,  imponendo  tributi 
alla  nazione,  la  vera  danneggiata,  frammezzo  alla  quale  il  danno 
delle  cartelle,  che  già  da  lunghi  anni  scapitarono  a  poco  a  poco,  si 
divise  e  si  sparse:  è  tempo,  in  una  parola,  di  rimborsare  la  carta, 
straordinariamente  svilita,  al  tasso  del  suo  valore  effettivo,  al  tassò 
del  quaranta,  a  cui  stabilmente  discese  ;  e  per  un  valore  effettivo  di 
quaranta  lire  la  rendita  del  due  e  mezzo,  sostiluita  al  cinque  primi- 
tivo, ben  può  considerarsi  ancora  come  un  largo  e  generoso  rimbor- 
so. —  Ed  eccovi,  amici  miei,  in  qual  modo  la  cosa  pubblica  si 
conduca  man  mano  alla  riduzione  del  debito..  » 

Fin  qui  l'accorto  deputalo  1,  e  con  tutta  ragione:  poiché  chi  ha 
oramai  esaurito  lutti  i  provvedimenti  gabellarli  per  far  quattrini,  e 

1  V.  Politica  finanziaria,  e  riduzione  del  Debito  pubblico  nel  Regno 
d'Italia.  Torino  1870,  pag.  56  e  seg. 


326  SGUARDO  SOPRA  L  AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA 

vuol  seguitare  a  spendere  più  di  quello  che  gli  avanza  dopo  il  paga- 
mento dei  suoi  debili,  deve  necessariamente  ricorrere  all'  i:no  dei 
due  spedienli  :  o  dichiarare  la  bancarotta,  o  chiamare  i  suoi  credi- 
lori  al  concorso,  per  ripartir  fra  loro  come  può  il  poco  attivo  che 
gli  rimane.  Or  de'  due  mali  certo  minore  è  questo  secondi),  il  quale 
ha  di  più  per  se  le  apparenze  meno  svergognale.  Né  si  creda  celesta 
una  paura  esagerata,  o  un  progetto  impossibile.  Peggio  della  ridu- 
zione sarebbe  al  cerio  la  bancarotta:  eppure  questa  non  fa  spavento 
a  certi  uomini  di  Stato.  Più  d'una  volta  Cavour,  incalzato  nel  Par- 
lamento sul  crescere  del  debito  pubblico,  gridò  sogghignando  : 
«  Getteremo  al  fuoco  il  Gran  Libro.  »  Lo  slesso,  sebbene  con  frase 
meno  beffarda ,  disse  Cambray-Digny  ministro ,  alle  Camere  nel 
1868:  «  Noi  non  potremo  impedire  l'ultimo  disastro  delle  nostre 
finanze.  » 

Conseguenza  di  tutti  questi  aggravii,  e  pel  minuto  popolo  più  fa- 
tale di  essi,  è  filialmente  l'incarimenlo  sopravvenuto  dei  viveri.  Fat- 
to il  ragguaglio  tra  il  1860  e  il  1869,  può  dirsi  che  la  vita  in  Italia  è 
divenuta  in  questo  periodo  di  tempo  il  doppio  più  cara  che  non  fos- 
se innanzi.  Molti  scrittori  ne  bau  composte  tavole  di  paragone  per 
le  città  dov'  essi  vivevano,  e  ne  potremmo  citare  parecchie  d'  una 
evidenza  troppo  funesta.  Ma  porteremmo  lucciole  in  Alene  :  giac- 
che ognuno  dei  nostri  lettori  il  sa  per  pruova.  Ammesso  adunque 
un  cotal  fatto,  noi  dimandiamo  come  potrà  fare  il  popolo  per  vive- 
re? Guadagnai  ora  l'operaio,  l'impiegato,  il  piccolo  proprietario  duo 
volte  tanto  che  prima?  No,  certamente,  giacche  l'aumento  sui  sa- 
larli e  sui  soldi.,  se  aumento  vi  fu  e  dove  fu,  è  appena  appena 
sensibile;  e  i  proprietarii  prediali,  specialmente  i  più  tenui,  scema- 
rono non  crebbero  di  entrala.  L' interesse  o  lo  sconto  dei  capitali  ò 
ora  in  Italia  diminuito  in  proporzione  dell'aumento  dei  viveri?  Tut- 
to al  contrario;  perchè  ora  non  trovasi  generalmente  denaro  in  pre- 
stito ad  usura  minore  del  10  per  %•  Da  questi  due  fatti  deduciamo 
due  altre  conseguenze.  La  prima  si  è  che  questo  rincaro  di  generi, 
non  essendo  accompagnato  da  proporzionale  aumento  di  Balani,  e 
decremento  d'interessi,  è  il  segno  più  manifesto  di  miseria  pubbli- 
ca. La  seconda  si  è,  che  non  solo  l'agiatezza,  ma  eziandio  il  ben 


DAL  1860  AL  1870  tò  ITALIA  327 

essere,  eziandio  il  sufficiente  è  eliminato  dalle  famiglie  del  popolo, 
con  danno  notabile  delle  complessioni  e  della  salule.  Quante  sven- 
ture accumulate  insieme  sul  capo  degl'  Italiani  ! 


XI. 


Ma  non  minori  ne  accumulò  coi  pessimi  suoi  metodi  il  Governo 
stesso  a  proprio  danno.  Essi  possono  restringersi  in  poche  parole, 
dicendo  che  la  cagione  del  discredito,  della  disistima,  del  malcon- 
tento, deT  impotenza  a  che  esso  è  manifestamente  ridotto  presso  i 
suoi  sudditi  e  presso  gli  stranieri,  dimora  principalmente  nello  sta- 
to delle  sue  finanze.  GÌ'  Italiani  per  tante  guise  aggravati  e  senza 
compenso,  naturai  cosa  è  che  né  pregino,  nò  amino,  nò  secondino 
un  Governo,  nella  cui  incapacità  e  dissennatezza  riconoscono  la  ca- 
gione precipua  di  tante  loro  sciagure.  I  forestieri,  che  quando  trat- 
tasi d'interessi,  poco  si  curano  delle  teoriche,  ma  guardano  ai  fat- 
ti; non  hanno  più  fiducia  nò  sulla  parola  dei  Ministri,  nò  sulle  pro- 
messe degli  uomini  di  Stato,  nò  sul  credito  degli  uomini  d'affari:  e 
quindi  in  ogni  faccenda  domandano  guarentigie  reali,  e  in  ogni  con- 
tratto esigono  mille  cautele,  e  vogliono  per  soprappiù  il  pegno  in 
mano.  Oh  quanto  l'Italia  unificata  e  scaduta  di  credito  nel  mondo! 

Intanto  il  Governo  si  dibatte  nelì'  annuo  disavanzo,  che  cerca  in- 
darno di  pareggiare  ogni  anno,  ed  ogni  anno  mira  sempre  più  di- 
lungarsi. Ai  debiti  non  può  ricorrere  più,  perchè  non  trova  più  chi 
presti.  Alle  imposte  non  può  ricorrere  più,  perchè  colla  legge  testé 
votata  nelle  Camere  ha  toccato,  se  non  valicato  il  massimo  limite  a 
cui  l'Italia  può  ora  essere  ridotta.  Alle  economie  non  osa  ricorrere 
più,  perchè  colle  abitudini  create  dall'una  parte,  e  col  fremito  d' in- 
degnazione che  dall'altra  covasi  in  petto  a  tutti,  non  vuol  alienarsi  i 
pochi  rimasigli  ancor  fedeli,  che  sono  appunto  coloro  che  vivono  a 
spese  dello  Staio.  La  quislione  dunque  finanziaria  è  divenuta  per  lei 
non  solo  la  più  difficile  di  tutte  le  altre,  ma  sopra  tutte  le  altre  pe- 
ricolosa. Essa  è  una  minaccia  perenne  alla  stessa  unità  dell'Italia, 
è  un  precipizio  che  paurosamente  spalancasi  sotto  i  piedi  dei  go- 
vernanti. 


328  SGUARDO  SOPRA  L  AMMINISTRAZIONE  FINANZIARIA  ECC. 

XII. 

Ma  tempo  e  di  conchiudere  questo  nostro  discorso.  Non  fu  certo 
nostra  colpa  se  esso  riuscì  un  continuo  processo  della  rivoluzione. 
Se  in  tutti  gli  altri  risguardi  la  rivoluzione  accumulò  in  Italia  disa- 
stri e  rovine,  nei  drilli,  nella  giustizia,  nella  moralità,  nella  religio- 
ne; in  questo  delle  finanze  non  riuscì  punto  men  disastrosa,  punto 
men  rovinosa.  La  sola  differenza  è  questa  :  che  negli  altri  rispetti 
quelle  che  chiamansi  iatture  dai  più,  vengono  da  alcuni  chiamali  gua- 
dagni :  ma  nel  rispetto  economico  tutti  gì'  Italiani  trovansi  d'  accor- 
do, tutti  gridano  ugualmente,  lutti  sono  al  paro  spaventali.  Noi  adun- 
que, lasciati  da  banda  i  primi,  che  non  han  bisogno  di  nostri  slimoli, 
dimanderemo  ai  secondi  :  valeva  egli  la  pena  di  sconvolgere  da  capo 
a  fondo  l' Italia,  di  distruggerne  tutte  le  tradizioni  più  care,  di  of- 
fenderne tutti  gì'  interessi  più  sacri,  per  ridurli  poi  a  tanta  miseria, 
cui  siete  ora  tanto  inetti  a  riparare,  quanto  foste  incapaci  ad  impe- 
dire? Sarà  dunque  compenso  proporzionato  a  tante  indigenze  da  voi 
create  questa  unificazione,  in  nome  della  quale  le  avele  prodotte? 
Asciugherà  essa  le  lacrime  di  tanti  che  piangono,  satollerà  essa  la 
fame  di  tanti  che  svengono,  ristorerà  essa  le  perdite  di  tanti  cui 
riduceste  alla  mendicità?  Se  voi  ascollaste  non  la  voce  menzognera 
dei  vostri  piaggiatori,  non  la  lode  addormentatrice  dei  vostri  com- 
plici, non  l'approvazione  interessata  dei  vostri  clienti;  ma  bensì  la 
voce  vera  di  tutto  il  popolo  italiano,  dall'Etna  alle  Alpi,  udreste  un 
grido  solo  levarsi,  un  volo  solo  manifestarsi.  Quel  grido  quel  voto  lo 
avete  provocato  voi,  è  tutta  opera  vostra:  poiché  a  voi  de  vosi  questo 
senso  universile  generato  da  universale  sciagura,  che  tulli  ugual- 
mente hi  colpito  n  ciò  che  è  più  accessibile  a  tulli,  gì'  inti 
materiali.  Quel  grido  condanna  il  vostro  passalo:  quel  Noto  chiama 
un  altro  avvenire.  Iddio  faccia  che  questo  avvenire  sia  un  awenire 
ripar  lore:  e  che  l'Italia,  fatta  accorta  degli  errori  fin  qua  commes- 
si, non  gittisi  a  nuove  venture,  che  invece  di  riparare  ai  danni  an- 
tichi, ne  abbiano  ad  accumulare  dei  nuovi,! 


RIVISTA  DELLA  STAMPA 


Wjgrjin^ 


Le  nouveìles  études  sur  les  Catacombes  romaines,  Ilistoire-Peintu- 
res-Symboles,  par  le  C'e  Desbassayns  de  Richemont,  prece- 
dées  d'une  lettre  par  M.  Le  Chevalier  De  Rossi  —  Paris,  li- 
brairie  Poussielgue  frères,  me  Cassette  27,  MDCCCLXX.  Un 
volume  in  8.°  di  pag.  XXY1II  -  508. 

I  due  volumi  pubblicali  nel  1864  e  nel  1867  dal  cav.  Giovanni 
Ballista  de  Rossi  intorno  alla  Roma  sotterranea  cristiana  hanno 
quella  celebrità,  che  era  loro  ben  dovuta  sì  pel  nome  dell'Autore, 
come  pel  soggetto  sul  quale  essi  si  versano.  L'egregio  archeologo 
erasi  prefìsso  nientemeno,  che  di  ricostruire  scientificamente  i  cimi- 
teri sotterranei  de'  primitivi  fedeli  di  Roma  ;  il  che  vuol  dire  rido- 
nare alla  scienza  una  città  (poiché  tanta  è  l'ampiezza  di  quei  cimite- 
ri) ,  tutta  scavata  nel  seno  della  terra  a  guisa  d'intrigatissimi  labe- 
rinti,  gli  uni  sottoposti  agli  altri  ;  ed  in  gran  parte  o  smarrita  affat- 
to, o  almeno  dopo  ripetuti  ed  inutili  tentativi  stimata  inaccessibile. 
Ma  nò  questa  somma  difficoltà  dell'  impresa,  né  questo  comune 
scoramento  de'  precedenti  archeologi  il  poterono  raltenere  dal  man- 
dare ad  effetto  con  alacrità  il  suo  proposito.  Lo  studio  assiduo  dei 
libri  composti  da  tutti  gl'investigatori  di  quelle  venerande  memorie, 
il  continuo  aggirarsi  per  quei  cupi  e  tortuosi  anfratti,  l'esaminare 


330  RIVISTA  DELLA  STAMPA 

atlcntamenle  quanto  ivi  resta,  soprattutto  le  figure  dipinle  sulle  pa- 
reli, e  le  iscrizioni  pure  dipinte  o  solamente  graffite,  il  raccogliere 
ed  ordinare  i  frammenti  anche  minimi  delle  lapidi,  e  confrontarli  co- 
gli allri  frammenti,  portati  via  e  collocali  nei  musei  o  altróve  senza 
veruna  legge  e  senza  niuna  traccia  della  loro  origine,  finalmente  i 
nuovi  scavi  ordinati  dalla  munificenza  dell'  augusto  Pontefice  Pio  IX 
ed  eseguili  con  somma  perizia  dalla  Commissione  di  sacra  Archeo- 
logia, furono  gli  efficaci  presidii,  che  menarono  a  lietissimo  termine 
la  costanza  del  cav.  de  Rossi.  Egli  ne'due  lodati  volumi  ha  descrit- 
ti quei  cimiteri  ad  uno  ad  uno  ;  ne  ha  determinali  i  limiti,  e  gli  ha 
esaminali  e  delineati  in  tutte  le  loro  parli.  Ha  illustralo  le  iscri- 
zioni, le  pitture  e  gli  altri  monumenti  che  quivi  si  rinvengono,  e  ha 
cercato  di  distribuirli  in  classi  secondo  l'ordine  cronologico.  E  la 
luce,  che  egli  ha  diffusa  sulla  storia,  sulla  topografia  e  sulla  crono- 
logia dei  delti  cimiteri,  siccome  ognuno  facilmente  comprende,  si 
sparge  sulle  prime  origini  del  cristianesimo,  sulle  memorie  dei  pri- 
mi Martiri  e  dei  primi  Pontefici  della  Chiesa  di  Roma,  e  sugli  stessi 
dommi  che  si  professarono  e  sugli  stessi  riti  che  si  custodirono  fino 
dai  secoli  primitivi. 

Noi  già  demmo  conto  del  primo  di  questi  volumi  del  de  Ptossi  in 
due  riviste  nel  primo  volume  della  sesta  serie,  a  pag.  107  e  seg. 
ed  a  pag.  327  e  SQg.  Dell'altro  volume  discorremmo  nell'Appendi- 
ce archeologica,  pubblicata  nel  secondo  volume  della  settima  serie, 
a  pag.  470  e  seg.  Qui  intanto  siamo  invitati  a  far  di  nuovo  onorifi- 
ca menzione  di  questo  originai  lavoro  del  celebre  archeologo  roma- 
no, per  ragion  dell'  altro  prezioso  libro  che  abbiamo  annunziato, 
scritto  recentemente  sul  medesimo  tema  de'  cimiteri  di  Roma  dal 
eh.  conte  Desbassayns  de  Richemont.  1  nomi  del  de  Rossi  e  del  de 
Richemont  sono  ornai  con  una  slabile  celebrità  associati  colla  me- 
moria di  questi  sacri  avanzi,  che  attestano  le  sofferenze,  le  lotte  e 
i  trionfi  della  Chiesa  primitiva. 

Il  conte  de  Richemont  passò  in  Roma  varii  anni,  e  furono  quel- 
li appunto,  in  cui  il  cav.  de  Rossi  preparava  i  suoi  volumi.  «  L  ami- 
cizia, cosi  egli  dice,  e  l' impareggiabil  benevolenza  del  eli.  archeo- 
logo romano  mi  permisero  di  vedergli  formare  sotto  i  miei  occhi  i 


RIVISTA  DELLA  STAMPA  331 

suoi  volumi  sulla  Roma  sotterranea  cristiana.  Spesse  volte  io  mi 
trovai  presente  alle  infaticabili  ricerche,  le  quali  servirono  di  base 
ai  eletti  volumi,  ed  allora  io  ebbi  la  sorte  di  raccogliere  dalle  stes- 
se labbra  dell'  esploratore  le  primizie  delle  scoperte,  godendo  in- 
sieme con  lui  all'aspetto  di  un  monumento,  risuscitato  dopo  quindici 
o  sedici  secoli,  e  sempre  più  ammirando  la  scienza  e  l'abilità,  colla 
quale  egli  sa  a  tali  reliquie  carpire  il  secreto  della  loro  origine,  e 
la  data  del  lor  nascimento.  Cosi  dopo  aver  visto  elevarsi  pietra 
sopra  pietra  e  compiersi  l'edilìzio,  io  m'ingegnai  di  disegnarne  al- 
cuni schizzi.  Né  con  essi  io  avea  da  principio  l'intenzione  di  com- 
porre un  tutto  intero;  ma  però  igiudizii  di  uomini  assai  indulgen- 
ti mi  spinsero  a  riunirli  insieme,  ed  io  ho  ceduto  finalmente  alle 
loro  istanze  1.  » 

Ma  coloro  che  gli  consigliarono  la  stampa  de'  suoi  studii  furono 
giudici  competenti,  anziché  indulgenti,  quali  egli  modestamente  li 
chiama.  Chi  meglio  del  cav.  de  Rossi  polea  stimarne  il  merito?  Or 
in  una  lettera  che  il  de  Rossi  scrisse  al  de  Richemont,  e  che  questi 
ha  pubblicato  in  fronte  alla  sua  opera,  è  grandemente  lodata  l'opera 
medesima  pe'  ùm  capi,  che  qui  appresso  soggiungiamo. 

Quando  noi  demmo  conto  dei  volumi  del  de  Rossi,  ne'  quaderni 
del  nostro  periodico  citati  di  sopra,  riconoscemmo  e  confessammo 
la  difficoltà  o  piuttosto  l' impossibilità  di  presentarne  ai  nostri  let- 
tori un  sunto  ordinato  e  chiaro;  e  ciò  per  la  moltiplicità  e  varietà 
delle  cose  in  essi  contenute,  e  tutte  esposte  dal  dotto  archeologo 
colla  più  minuta  esattezza,  affin  di  stabilire  su  saldi  fondamenti  le 
sue  conclusioni.  Ecco  intanto  lo  stesso  de  Rossi,  nella  citata  lettera 
al  de  Richemont,  confermare  quella  difficoltà  e  stendersi  neir  arre- 
carne le  intrìnseche  ragioni.  Vogliamo  riferire  le  medesime  sue  pa- 
role, le  quali  confessiamo  di  aver  lette  non  senza  soddisfazione.  «  È 
un  compito  assai  malagevole,  così  egli  dice,  l'esporre  innanzi  al 
mondo  scientifico  ricerche  sì  ardue,  sì  minuziose  e  sì  complicate. 
Però  non  ostante  tulli  i  miei  sforzi  per  rendere  il  mio  testo  sempli- 
ce, chiaro  ed  anche,  il  più  che  era  possibile,  attraente,  io  non  pre- 


1  Pag.  XXIV. 


332  RIVISTA  DELLA  STAMPA 

lendo  di  esser  riuscito  a  fare  scomparire  le  aridità  inseparabili  dal 
vasto  soggetto  e  dal  sistema  scrupoloso  del  mio  lavoro.  Ma  ciò,  che 
soprattutto  era  impossibile  di  evitare,  è  il  laberinto  topografico,  nel 
quale  il  mio  testo  è  inviluppalo,  per  la  natura  e  per  la  essenza  me- 
desima del  mio  metodo.  L'  analisi  ne  occupa  necessariamente  la  più 
gran  parte,  ed  a  mala  pena  i  sunti  posti  alla  line  di  ciascun  volume 
possono  essere  consociati  alla  sìntesi.  Le  particolarità  son  dissemi- 
nate con  quelf  ordine,  che  è  richiesto  dalla  descrizione  de'  sotter- 
ranei e  dall'  esame  topografico  e  critico  dei  medesimi.  La  serie  cro- 
nologica ed  istorica  dei  fatti,  il  sistema  della  espressione  delle  cre- 
denze religiose  per  via  dei  simboli  e  delle  immagini',  e  coi  mezzi  e 
coi  ripieghi  dell'arte,  il  complesso  e  l'armonia  di  tutte  queste  cose 
posson  certamente  capirsi  ne'  miei  volumi  in  una  maniera  generale 
e  ne'  loro  larghi  contorni;  ma  è  impossibile  che  chiaramente  si  veg- 
gano e  si  comprendano  in  tutti  i  loro  particolari.  » 

Questa  lacuna,  per  confessione  del  medesimo  de  Rossi,  è  stata 
felicemente  riempiuta  nel  volume  del  de  Richemont;  essendo  questi 
riuscito  a  esporre  in  esso  con  ordine  e  con  somma  chiarezza  la  cro- 
nologia e  la  storia  delle  catacombe  romane,  e  tutto  il  loro  svolgi- 
mento logico  ed  artistico,  valendosi  a  questo  effetto  non  solo  dei 
due  grandi  volumi  sulla  Roma  sotterranea,  ma  eziandio  di  quant' al- 
tro avea  già  il  de  Rossi  pubblicato  sullo  slesso  argomento  così  in 
separate  dissertazioni,  come  nei  sette  interi  anni  del  suo  Rulleltino 
di  Archeologia  cristiana.  Questo  è  il  primo  pregio  del  libro,  che 
esso  ha  dato  alla  luce. 

L'altro  pregio  consiste  in  tutto  quello,  che  lo  slesso  de  Richemont 
vi  ha  aggiunto  di  suo.  «  Voi,  così  a  lui  scrive  il  de  Rossi  nella  let- 
tera testò  mentovata,  avete  stabilito  alcuni  principi!  di  interpreta- 
zione; ed  innalzandovi  su  di  ciò,  che  ò  contenuto  nelle  mie  pagine, 
siete  montalo  sino  alla  origine  della  scienza  simbolica,  ove  le  vostre 
ricerche  e  le  vostre  meditazioni  vi  sono  state  di  scorta.  E  però  io 
lon  pretendo,  che  ciascuna  frase  del  vostro  libro  sia  l'epilogo  di 
una  parte  del  mio  testo,  e  ciascuna  vostra  idea  la  riproduzione  di 
una  mia.  V  ha  in  esso  cose  tutto  nuove  e  tutte  vostre;  ed  io  me  ne 
congratulo  con  esso  voi.  » 


RIVISTA  DELLA  STAMPA  333 

II  libro  ha  tre  parti.  Nella  prima  è  raccolta  in  breve  la  storia 
delle   catacombe  romane,  dalla  loro  origine  insino   a  che  ven- 
nero abbandonate  nel  secolo  IX  ;    e  indi  si  parla  delle  ricerche 
e  delle  scoperte,  che  se  ne  sono  fatte  dal  secolo  XVII  insino 
ai  nostri  giorni.  Dà  principio  il  eh.  Autore  a  questi  cenni  sto- 
rici con  esporre  i  costumi  che  osservarono  i  primitivi  cristiani 
nel  costruire  i  loro  sepolcri,  cioè  di  collocarli  lontani  dalle  tombe 
dei  gentili  e  tutti  vicini  fra  loro  in  un  cimitero  comune,  raggrup- 
pandoli intorno  alla  memoria  o  al  deposito  di  qualche  martire.  Asse- 
gna quindi  le  ragioni,  per  le  quali  furono  preferiti  i  sepolcreti  sot- 
terranei ;  e  venendo  a  que'  celebri  di  Roma,  tratta  la  questione  se 
essi  fossero  scavati  dai  cristiani  fin  da  principio,  a  fin  di  collocarvi 
i  loro  defonti;  o  se  fossero  invece  arenarii,  già  lavoro  dei  gentili 
per  estrarne  i  materiali  delle  fabbriche,  i  quali  da  essi  abbandona- 
ti venissero  poi  dai  cristiani  ridotti  ad  ipogei.  Una  tal  questione, 
mercè  degli  studii  incominciati  varii  anni  fa  dal  P.  Marchi  della 
Compagnia  di  Gesù  ed  al  tutto  perfezionati  ai  nostri  giorni  dal 
sig.  Michele  de  Rossi  fratello  dell'archeologo,  è  oggi  pienamente 
risoluta  in  favore  della  genesi  cristiana  di  queste  catacombe.  Dopo 
ciò  domanda  il  de  Richemont  se  noi  dobbiamo  riguardare  la  vasta 
necropoli  come  un  opera  irregolare  e  capricciosa,  o  piuttosto  come 
un  lavoro  eseguito  a  regola  di  arte,  accomodato  alla  natura  del  suo- 
lo, e  condotto  fra  condizioni  or  suggerite  dalla  prudenza,  ed  ora  pre- 
scritte dalle  leggi  civili?  E  se  è  così,  quali  sono,  i  principii  coi  quali 
si  vennero  svolgendo  cotesti  ipogei?  Qual  direzione  essi  hanno,  fin 
dove  si  estendono,  e  quanta  è  la  loro  capacità?  Come  sono  divisi, 
come  sono  limitati  sotterra,  e  quali  rapporti  hanno  cogli  edifizii  fab- 
bricati sopra  essi  all'aria  aperta?  Finalmente  con  quali  industrie  si 
occorse  al  pericolo,  che  non  cadessero  per  diritto  di  eredità  in  mani 
profane?  Il  dotto  Autore  dà  a  tutte  queste  domande  erudite  e  sod- 
disfacenti risposte. 

Premesse  queste  generali  considerazioni,  egli  descrive  le  vicen- 
de delle  catacombe  di  Roma,  pigliando  le  mosse  da  quelle  apparte- 
nenti all'età  apostolica,  costruite,  come  apparisce  dai  loro  avanzi, 
con  isplendore  di  arte  di  un  gusto  classico.  Negli  anni  seguenti  gli 
ipogei  si  moltiplicarono,  non  ostanti  le  persecuzioni  dei  tiranni; 


3U1  RIVISTA  DELIA  STAMPA 

ma  quando  verso  la  melatici  terzo  secolo,  l'Ira  de' gentili  assalì 
questi  ricetti  lasciati  sino  allora  in  paco,  l'arte  cristiana  più  clic  ad 
ornarli  si  rivolse  a  renderli  impraticabili  ed  inaccessibili  ai  profani. 
Segui  la  pace  conceduta  alla  Chiesa  da  Costantino,  e  quindi  la  li- 
bertà d' innalzare  da  per  tulio  lo  basiliche  cristiane.  Molte  se  ne  co- 
struirono sapra  i  cimiteri;  ed  in  esse  si  cominciarono  a  seppellire 
ì  morti.  Il  qual  costume  prevalse  a  poco  a  poco,  tal  che  verso  la 
metà  del  quinto  secolo  le  catacombe  non  erano  altro  che  sa- 
lii, ove  i  fedeli  con  divoti  pellegrinaggi  accorrevano  da  ogni  p 
per  venerare  le  spoglie  de'  martiri.  Ma  l' empietà  Ai  spinse  altri 
sitatoli,  i  barbari  nel  quinto  e  sesto  secolo,  ed  i  longobardi  nel  se- 
colo ottavo  saccheggiarono  di  tempo  in  tempo  la  città,  devastarono 
i  templi,  e  discesero  ne'  sacri  sepolcreti  a  contaminarli  ed  a  metterli 
a  soqquadro.  Ciò  costrinse  i  sommi  Ponteiìci  a  trasportare  in  lloma 
le  reliquie  de'  martiri  più  celebri  :  e  di  qui  avvenne  che  gl'ipogei 
rimasero  abbandonati  nelle  loro  rovine,  se  però  si  eccettuino  li 
grotte  di  S.  Sebastiano,  le  quali  sole  fra  tutte  continuarono  nei  me- 
dio evo  od  essere  aperte  alla  divozione  de'  pellegrini. 

Lo  studio  delle  antichità  cristiane  risvegliatosi  nel  secolo  decimo- 
sesto  foce  sì,  che  le  catacombe  incominciassero  ad  esser  visitale  con 
somma  diligenza  da  esploratori  scientifici.  11  deRichemont  in  que- 
sto sunto  storico  parla  di  tutto  quello,  che  operossi  dopo  quel  tem- 
po fino  ai  nostri  dì,  per  illustrarle  e  ridonarlo  a  novella  vita.  Narra 
in  primo  luogo  le  ricerche  principiate  nel  lb'92  dal  Bosio,  a  cui  si 
dà  meritamente  il  nomo  di  Colombo  della  Roma  sotterranea:  lidi 
enumera  le  scoperte  falle  dal  più  chiari  eruditi,  che  fiorirono  dopo 
di  Uii;  e  termina  con  quelle  recenti  del  de  Rossi,  Il  quale  con 
dritto  può  appellarsi  il  nuovo  e  più  fortunato  Colombo  di  questi  me- 
desimi Battei  r;inei,  mentre  essi  non  erano  mai  stati  da  altri  così  a 
pieno  come  da  lui,  esplorati  o  descritti  in  lutto  il  loro  complesso  ed 
In  ciascuna  delle  loro  parli. 

La  seconda  parte  del  libro  si  versa  tutta  sulla  storia  speciale  del 
Cimitero  di  Callisto.  Chi  percorre  queale  pagine  non  può  non  lodare 
ed  ammirare  il  eli.  Autore,  sì  perchè  In  breve  spazio  egli  è  riusci- 
to u  d^iivcro  secondo  l'ordine  cronologico  i  l'atti  e  le  Aiccnde 
prindp ali  di  questo  insigne  sepolcro!©;  <ed  anche  perche  ci  fa  rileva- 


RIVISTA  DELLA  STAMPA  335 

re  la  gran  luce,  che  da  tèli  notizie  si  rifletto  sulla  storia  generale  del 
cristianesimo  primitivo» 

Più  delle  due  menzionale  si  stende  l'ultima  parte,  ed  in  essa  in- 
contrasi con  più  frequenza  quella  novità  di  considerazioni  archeolo- 
giche, che,  come  abbiamo  dello»  vien  lodala  dal  de  Rossi.  Prende 
quivi  il  de  Richemont  a  descrivere  e  ad  esaminare  l'arte  cristiana 
nei  tic  primi  secoli  della  Chiesa;  restringendo  però  il  discorso  ai 
soli  monumenti  figurati,  e  ira  essi  fermandosi  di  vantaggio,  come 
sul  più  importanti,  sulle  pitture  e  sui  segni  che  trovansi  scolpiti 
nelle  lapidi  insieme  colle  isct  izioni.  E  poiché  in  cotali  monumenti  i 
concetti  e  le  cose  sono  espresse  ordinariamente  per  mezzo  dei  sim- 
boli,  il  eh.  Autore  premette  una  erudita  discussione  intorno  al  sim- 
bolismo, da  lui  considerato  tanto  in  generale,  quanto  in  ispecie  nei 
libri  ispirati  dell'antico  Testamento,  nel  Vangelo,  negli  scritti  apo- 
stolici, ed  in  tutta  la  letteratura  dei  primi  secoli  delia  Chiesa. 

Egli  dislingue  tre  epoche;  la  prima  incomincia  dalla  origine  del 
cristianesimo  e  termina  a  un  di  presso  alla  seconda  metà  del  secon- 
do secolo;  l'altra  si  prolunga  sino  alla  metà  del  terzo  secolo,  e  l'ul- 
timo abbraccia  tutto  il  tempo  rimanente  che  precede  la  pace  di  Co- 
stantino, ì  monumenti  di  ciascuna  di  queste  epoche  sono  similmente 
divisi  in  tre  classi;  cioè  ne'  segni  ideografie!  o  gerogliilci,  nei  sog- 
getti allegorici,  e  finalmente  nei  soggetti  istoricosimbolici.  I  segni 
Ideografici  sono,  per  esempio,  l'ancora,  il  pesce,  l' agnello,  il  vaso 
o  solo  o  circondato  da  agnelli,  la  colomba  e  la  palma.  ì  soggetti 
allegorici  sono  la  vigna,  il  pescatore,  il  banchetto,  il  pesce  ed  il  ca- 
nestro eucaristico.  Gli  storicosimbolici  sono  la  rupe  percossa  dalla 
Terga,  il  battesimo  di  Nostro  Signore,  l'arca  di  Noè,  Daniele  fra  i 
leoni,  le  avventure  di. Giona,  la  risurrezione  di  Lazzaro,  il  sacrifi- 
cio di  Abramo,  e  il  gruppo  di  Adamo  e  di  Eva.  Ogni  segno,  ogni 
allegoria,  ogni  simbolo  è  qui  diligentemente  descritto;  di  ciascuno 
si  riportano  le  molteplici  significazioni,  e  si  espone  come  ne'  loro 
disegni  andò  variando  e  svolgendosi  Varie  cristiana  m  tetto  e  tre  le 
epoche  sopraddette. 

Ma  quuli  furono  le  sorgenti  dell'  arte ,  le  cui  opere  si  osservano 
in  questi  monumenti  cristiani?  Furono  i  puri  concetti  ispirali  dal 
cristianesimo?  0  furono  piuttosto  i  tipi  e  gli  elementi  dell'arte  pa- 


336  RIVISTA  DELLA  STAMPA 

gana  e  soprattutto  quelli  della  scuola  grecoromana,  alla  quale  ap- 
partenevano gli  artisti  adoperali  dai  cristiani  in  quei  primi  secoli? 
il  de  Richemont  risponde  alla  questione,  dimostrando,  che  V  ebbe 
fin  da  principio  un'arte  classica  e  veramente  cristiana,  e  che  essa 
progredì  sempre  con  un  pieno  discernimento,  intendendo  assai  be- 
ne quanto  a  lei  conveniva  allorché  era  libera  di  operare  a  suo  gra- 
do, e  quanto  poteva  concedere  alle  necessità  dei  luoghi  e  dei  tempi, 
ed  alle  consuetudini  ed  a'  precetti  della  scuola  grecoromana,  a  cui 
essa  succedeva.  In  questo,  come  in  tutto  il  rimanente  del  libro,  egli 
segue  le  dotte  orme  del  de  Rossi,  facendo  insieme  servire  a  corro- 
borare la  verità  della  risposta  i  frutti  degli  studii  suoi  proprii. 
E  per  procedere  con  chiarezza  parla  separatamente  delle  differenti 
parti  che  abbraccia  l'arte  cristiana;  cioè  degli  acecssorii  e  dei 
soggetti  principali.  Sotto  il  nome  di  accessorii  intende  gli  ornati 
propriamente  detti,  e  quella  che  egli  chiama  lingua  dell'  arte,  cioè 
le  decorazioni  che  rappresentano  in  forma  di  uomini  o  di  altri  ani- 
mali le  idee  astratte.  Ai  soggetti  principali  poi  riduce  tanto  quelli 
non  eseguiti  da  mani  cristiane,  i  quali  vennero  ciò  non  ostante  per 
un  certo  tempo  e  per  ispeciali  molivi  ammessi  e  tollerati  dalla 
Chiesa,  quanto  quelli  la  cui  esecuzione  fu  diretta  dalla  pura  idea 
cristiana,  e  che  adornano  in  più  gran  numero  i  sepolcri  delle  cata- 
combe primitive.  Non  lascia  il  eh.  Autore  di  confutare  l'opinione 
contraria  della  scuola  di  Raoul  Ruchette ,  la  quale  dà  a  tutte  queste 
pitture  cristiane  una  origine  al  tutto  pagana.  Una  tale  opinione  è 
stata  cecamente  riprodotta  alla  luce  in  un  lavoro  sul  Cimitero  di 
Callisto,  composto  dal  sig.  Boissier ,  e  pubblicato  nella  Revue  de 
Deux  Mondes  il  1  di  Marzo  dello  scorso  anno  1869. 

Ma  bastino  questi  piccoli  cenni  sulla  egregia  opera  del  de  Ri- 
chemont. E  noi  terminando  ci  congratuliamo  con  lui  ben  volentieri, 
non  solo  per  aver  egli  con  tanta  erudizione  illustrato  le  venerabili 
reliquie  di  Roma  cristiana,  ma  anche  perchè  è  riuscito  a  farlo  con 
uno  stile  tutto  pieno  di  ornamenti  e  di  vita,  e,  ciò  che  è  più,  con 
tanta  copia  di  sincera  pietà,  da  accendere  in  chiunque  percorre  le 
sue  pagine,  i  medesimi  sensi  di  venerazione  e  di  amore  verso  la  no- 
stra fede  e  verso  i  primi  cristiani  che  in  questa  città  la  professarono. 


BIBLIOGRAFIA 


AMBROSIA  RAFFAELE  —  Iscrizioni  sacre  e  profane,  antiche  e  moderne,  edita 
ed  inedite,  per  Raffaele  Ambrosini  di  Fabriano,  parroco  del  castello  di  Al- 
bacina,  djve  tuttora  esistono.  Iesi  1870,  tip  fratelli  Polidori  e  comp.  In 
8.°  grande  di  pag.  20. 

Oltre  la  fedele  lettura  di  queste  iscrizioni,  il    menti  quanto  eruditi,  altrettanto  opportuni  a  far- 
ch.  loro  raccoglitore  ci  porge  notizie  e  schiari-    cele  comprendere  e  pregiare. 

ANONIMO  —  Catechismo  di  religione  ad  uso  del  seminario  di  Nola.  Napoli, 
stab.  tip.  dell'Ancora  1867.  Un  voi.  in  16.°  di  pag.  358. 

Col  modesto  titolo  di  Catechismo,  questo  libro  della  carità,  e  quindi  espone  la  dotln'na  cattolica 
offre  alla  gioventù  cattolica  un  trattato  compiuto  intorno  al  culto,  che  è  rarità  verso  D>o,  e  storno 
della  religione  cristiana.  L'ordine  delle  materie  ai  doveri  nostri  col  prossimo,  parlando  della  ea- 
è  molto  logico.  Poiché  nella  prima  parte  cumm-  rità  cristiana  e  dei  vizii  opposti.  Nella  quinta 
eia  a  trattare  della  esistenza  e  delia  natura  di  parte  Analmente  espone  le  feste  principali  di  Gesù 
Dio:  segue  a  parlare  della  creazione  degli  angeli,  Cristo  e  di  Maria  Vergine, 
del  mondo,  dell'uomo;  e  poi  narrato  il  Tatto  della  Da  questa  seconda  sposizione,  si  scorge  quanta 
caduta  di  Adamo  riferisce  le  promesse  fatte  di  materia  abbracci  il  mentovato  Catechismo,  e  come 
un  Redentore,  e  le  mostra  avverate  nella  vita  sia  pieno  e  acconcio  ad  istruire  i  fedeli  intorno 
di  Gesù  Cristo,  mediacre  tra  Dio  e  gli  uomini,  a  no  che  debbono  credere  ed  operare.  La  brevità 
Nella  set-onda  parie  tratta  della  nostra  umone  con  però  delio  stile,  congiunta  a  molta  lucidità  d'idee, 
Gesù  Cristo  per  mezzo  delia  fede,  percorrendo  e  ha  fatto  restringere  tutta  questa  materia  in  breve 
dichiarando  i  misteri  che  essa  ci  svela.  Nella  mole.  Al  che  se  si  aggiunge  la  bontà  della  dot- 
terza  parte  ragiona  della  nostra  unione  con  Gesù  trina,  pregio  essenziale  di  colali  libri,  s'  mien- 
Crisio  per  mezzo  della  speranza,  e  qui  tratta  della  derà  perche  noi  lo  raccomandiamo  allo  studio  di 
grazia,  dell'efficacia  delle  opere  buone,  della  pre-  tutta  la  gioventù  italiana,  siccome  libro  attissimo 
ghiera,  della  meditazione,  dei  sacramenti  sì  in  a  formare  il  toro  cuore  e  la  loro  niente,  ai  sensi 
genere  sì  in  {specie.  Nella  quarta  parte  favella  ed  alla  stima  della  nostra  santa  religione, 
della  nostra  unione  con  Gesù  Cristo  per  mezzo 

—  Fiamme  celesti,  uscenti  dalla  fornace  d'amore,  il  S.  Cuore  di  Gesù.  Torino, 
coi  tipi  di  Giulio  Speirani  e  figli  1870.  In  6ì.°  di  pag.  31. 

—  Fiori  di  paradiso,  raccolti  nel  mese  di  Maggio.  Hl.a  edizione  con  aggiunte  e 
correzioni.  Torino,  coi  tip.  di  Speirani  e  figli  1870.  In  64."  di  pag.  31. 

—  Il  mese  di  Dicembre,  consacrato  air  immacolata  Concezione  di  Maria  san- 
tissima, ed  alla  Nascita  di  Gesù  Cristo;  coll'esercizio  di  altre  mediazioni  a 
compimento  degli  altri  giorni  di  questo  mese.  Foligno,  tipogr.  Tomassini 
1870.  Un  voi.  in  32.°  di  pag.  159. 

■ — Libellus  manualis  ad  usum  cleri,  qui  exercitiis  spiritualibus  vacai.  Venetiis, 
ex  typojraphia  aemiliana  18t>9.  Un  voi.   in  16.°  di  pag.  137. 

L'autunno  è  la  stagione,  in  cui  i  sacerdoti  so-    Esercizii,  e  ritempratovi  l'animo  a  nuovo  fervore, 
gliono  ritirarsi   per  alquanti  dì  negli  spirituali    uscirne  più  gagliardi  di  spirito  alla  santa  opera 

Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  489.  22  28  Luglio  1870. 


338 


BIBLIOGRAFIA 


del  loro  ministero.  Ma  chi  non  sa  un  tal  frutto 
corrispondere  ordinariamenle  alla  maniera,  con 
che  si  fauno  i  Ecco  un  manuale  cliu  può  servire 
all'uopo  di  trarne  gran  frutto.  L'amore  anoni- 
mo divide  il  suo  lavoro  in  tre  parti,  cui  egli  stes- 
so indica,  e  ne  dà  la  ragione  noia  prefazione 
con  queste  parole:  1.°  Proponunlur,  quae  ad 
cxternam  disciplinam  hoc  salutari  tempore  per- 
tinenl,  deinde  quae  respiciunl  exercitaliones  spi- 
riluales,  v.g.  medilaliones,  Examina,etc,  quae 
sic  dieta  Exercilia  spiri tualia  proprie  consti- 
luunt.  2.°  Et  quia  SS.  Exercilia  ad  emendalio- 
nem,  sive  reformalionem  vita»  prucurandam  ten- 
ùunt,  in  secunda  parie  a)  quinque  Reformationum 


argumenla  evolcunlur,  et  quaelibel  Reformali* 
suam  synopsim  sub  finem  adnexam  liabet:  b)  dan- 
lur  regulae  et  schema  Emendai  onis  lolius  iita$. 
Z.°  A  idi l tir  quasi  appenlix  exposilio  praclica 
munerum  Confess  irii  a  S.  Leonardo  e  l'orla  Mau- 
rilio composita,  ut  ehi  rvimi  ad  agno— 
scendos  errorcs  in  adminislralione  huius  sacra- 
menti commissos.  Nel  nteiodo  c^li  segue  dei  tutto 
S.  Ignazio,  di  cui  dà  in  suolo  iv^olc,  ammonimenti. 
ed  addizioni;  nelle  riforme  procede  con  uno  stile 
chiaro,  vigoroso  e  temperato  da  soave  unzione, 
mostr;uidusi  io  genere  uomo  sperimentato  nel— 
1'  opera  di  dare  gli  Esercizi!  ai  sacerdoti  e  nei 
Seminarli. 


BENASSUTI  LUIGI  —  La  Divina  Commedia  di  Dante  Alighieri,  spiegata  alle  scuo- 
le cattoliche  da  Luigi  Benassuti,  arciprete  di  Cerea,  veronese  ;  Paradiso. 
Padova  dalla  tip.  del  seminario  1870.  Un  voi  in  12."  di  pag.  380. 


Non  abbiamo  bisogno  di  dir  altro,  a  proposito 
di  questo  terzo  volume  de' Commenti  sopra  la 
Divina  Commedia  del  chiaro  Benissut»,  salvo  che 
con  esso  si  ha  il  compimento  di  quel  Compen- 
dio, che  il  medesimo  illustre  Autore  avea  pro- 
messo della  sua  Opera  grande.  Del  disegno,  del 
melodo,  de'  pregi,  come  altresì  di  qualche  difetto 
della  delta  Opera,  nonché  del  sommo  vantaggio 


che  di  questo  Compendio  potrebbero  trarrre  le 
scuole,  abbiamo  altrove  ragionato  :.bb..sianza.  Al- 
tro non  ci  rimane  a  fare,  fhe  raccomandilo  viva- 
mente ai  Professori,  co  ■  e  il  più  opportuno,  cfce 
finora  conosciamo  per  introdurre  i  giova»!  stu- 
denti nella  intelligenza  del  divino  Poema,  senza 
penco'o  di  euSer  stravolli  da  false  e  pericolose  in- 
terpretazioni. 


BENETTI  MICHELE  —  Raccolta  di  prose  e  poesie  francesi,  ad  uso  delle  scuole 
tecniche,  corredala  di  note  esplicative  e  d'osservazioni  filolofiche  e  gram- 
maticali; per  cura  di  Michele  Beuetti,  delle  Scuole  Pie.  Firenze,  tip.  Ca- 
lasanziaaa  1870.  Un  voi.  in  16.°  di  pag.  X1V-2' 


Ollima  scelta  dei  testi,  ossia  per  quel  che  ri- 
guarda la  bontà  delle  massime,  ossia  per  quel  ebe 
riguarda  la  bella  dello  siile:  e.  olire  a  ciò  una  do- 
vizia di  note  istruttive,  le  quali  dichiarano  il  te- 
sto, mostrano  le   eleganze  dello  stile    francese, 


fan  cottoscere  gli  aulori,  e  aiutano  grandemente 
nella  versione  italiana:  son  queste  le  due  qua- 
lità che  rendono  que:ta  Mecolla  pregevole  più 
che  tante  altre  che  vanno  per  le  mani  della  gio- 
ventù italiana. 


BERNUZZI  ISIDORO  — Dell'origine  e  del  fine  dell'uomo  secondo  reinografìa.  Os- 
servazioni per  Isidoro  Bernuzzi,  prevosto  della  parrocchiale  di  sant'Andrea 
in  Parma.  Parma,  tip.  Fiaccadori  1870.  In  8.°  di  pag.  126.  Pr.  L.  1,  60. 


Abbiam  letta  con  mollo  piacere  l'operetta  del 
prevosto  Bernuzzi,  e  PaM  iam  trovata  eccellente 
sotto  luti'  i  rispetti.  Il  eh.  Autore  mostra  piena 
coguizione  dei  fatti  della  scienza,  e  ultimi  prin- 
cipii  di  filosofia  e  religione.  Senza  mettere  iu 
dubbio  i  fatti,  egli  saviamente  insiste  ne!  dimo- 
strare come  sia  esagerata  la  latitudine  delle  con- 
seguenze che  se  ne  son  volute  tirare:  e  rome 
quesie  per  lo  più  situo  illogiche  o  contradditto- 
rie e  sempre  più  ampie  delle  premesse.  Quindi 
deduce  che  le  dette  scoperte  non  possono  per  nulla 
pregiudicare  alla  fede.  Il  libro  è  scritto  con  di- 
sinvoltura e  con  brio,  e  talora  è  condilo  di  frinì 
e  di  gustose  ironie,  i'.gli  non  dissimula  il  mistero 


religioso  colà  dove  è  realmente  e  dove  si  deve 
credere;  e  insieme  scientificamente  dimostra  le 
contraddizioni  di  certi  beofifosot,  veramente  de- 
gni dell'età  della  pietra  archeolilicu,  e  che,  al 
dire  d'un  cristiano  geologo  e  pajeoetaojoj 
che  vogliono  dimostrare  in  se  stessi  una  qualche 
probabilità  Bèi  la  Icona  della  IfMfofOtftcieM  delle 
specie.  Intorno  a  che  Ieg«iamo  rlw  ultin  amente 
mentre  un  tal  professore  stabiliva  «  una  grada- 
zione di  gerarchie  fra  le  scimie  antropomorfe,  le 
razze  umane  inferiori  e  le  razze  superiori  »  gli 
uditori  diniandivnnsi,  se  IgH  appartenere  alle 
superiori  od  alle  inferiori. 


BERTELLI  TOMMASO  —  Il  mese  di  Maggio,  sacro  a  Maria  santissima,  santifica- 
to colle  litanie  della  iiKMlcsiina,  del  canonico  Tommaso  Bertelli.  Genova, 
tip.  di  G.  SckenoneìHW.  Un  volumetto  in  ìbsdi  pag.  \ì\. 


BIBLIOGRAFIA 


339 


BR0G1ALDI  ALDO-LUIGI  ■*-  S.  Valentino,  o  il  martire  cristiano,  carme  del  sa- 
cerdote prof.  Aldo-Luigi  P»rogialdi,  Pisa,  tip.  Pieraccini  1870.  In  8.»  di 
pag.  20. 

Candida,  affettuosa,  bella  poesia  contiene  questo 
carme  del  eh.  fcrogialdi.  aitila  V  è  di  affettato, 
ma  neppur  nulli  di  n.-yletto  ;  e  i  soavi  affetti 
che  essi  di  sta  in  cuore  son  tutti  per  la  v  rtii,  |Mr 
lapida,  per  Iddio. Ila  ragione  l'Autore  di  due  che 
non  Tuoi  gradire  ai  carnali:  questi  sensi  caslis- 

CAREGA  FRANCESCO  —  Nozioni  di  agronomia,  ordinate  secondo  i  programmi 
Officiali  degli  istituti  industriali  e  professionali,  dal  commendatore  France- 
sco Carega,  dottore  in  scienze  fisiche  e  naturali,  ecc.  ecc.  ecc.  Empoli, 
edit.  L.  Monti  1870.  Un  voi.  in  16.°  di  pag.  271. 


simi  non  son  per  loro.  Ma  ha  torlo  quando  chiama 
la  su'i  poesia  povera  di  concetti  rari,  e  di  belli 
ornamenti;  poiché  essa  ne  è  ricca  con  quella 
giusta  misura  che  il  buon  gusto  pone  in  mano 
a  chi  fa  Verhi. 


duslrla,  V  economia  agraria.  1  due  uniti  insieme 
formano  un  corso  compiuto  di  agronomia,  e  un 
corso  molto  utile,  perchè  ben  ordinato,  lucida- 
mente esposto,  e  ricco  di  qucgl' insegnamenti 
prattici  che  sono  il  tanto  della  coltura  toscana. 


Quest'  opera  conterrà  le  nozioni  richieste  dal 
programma  ufficiale  pel  primo  i*or<o  agrario  de- 
gl'Istituti industriali  e  profusionali.  11  primo  vo- 
lume svolge  Vagricoilura  generale.  1!  secondo 
volume,  che  è  sul  punto  di  veder  la  luce,  ab- 
braccia Vayrirollura  speciale,  la  pastorizia,  l'in- 

CABNEVALI  RAFFAELE  —  11  Clero  e  il  Parlamento  italiano  dal  1860  al  1870. 
Memoria  eli  Raffaele  canonico  Carnevali  di  Nocera-Umbra.  Foligno,  tip. 
Campitela  1870.  Un  volumetto  in  16.°  di  pag.  120  Vendesi  per  lira  1  in 
Homa  presso  il  libraro  Aureli,  ed  in  Foligno  presso  il  tip.  Campitelli. 

Il  eh.  sig.  can.  Carnevali  svolge  ampiamente 
il  tema  propostosi,  che  è  di  mostrare  con  quanta 
ingiustizia  e  con  quanto  danno  pubblico  e  pri- 
vato abbia  il  Parlamentò  italiano  ordinato  l'inca- 
meramento e  la  conversione  dei  beni  ecclesiastici, 
importa  la  tassa  del  trenta  per  Cento  sulle  mense 
vescovili,  sui  Capitoli,  e  sui  Seminarli,  aboliti 
gli  Ordini  religiosi,  e  fatte  le  altre  leggi  infeste 

CAYRJANI  C0RRADIN0  —  Brevi  considerazioni  sopra  il  divinissimo  Cuore  di 
Gesù,  per  ciascun  giorno  del  mese  di  Giugno,  del  canonico  Corradino  dei 
marchesi  Cavrisni,  dott.  in  sacra  teologia  e  teologo  della  cattedrale  di 
Mantova.  Mantova,  presso  gli  editori  della  biblioteca  ascetica  1870.  Un 
volumetto  in  32.°  di  pag.  143. 

Piene  dei  piò  sani  principii  delli  teologi»,  tutte    apposta  per  infiammare  ogni  anima  di  santo  amo- 
ardore  di  affetto  verso  il  S.  Cuore  di  Gesù,  queste    re,  e  ispirarle  desiderii  efficaci  di  sante  opere, 
brevi  e  spesso  peregrine  considerazioni  son  fatte 

CIAMPI  1GJ4ÀZI0  —Vita  di  Giuseppe  Valadier,  architetto  romano;  scritta  dai 
cavaliere  avvocato  Ignazio  Ciampi.  Roma,  tip.  delle  belle  arti  1870.  In 
1G.°  di  pag.  83. 


al  Clero  cattolico.  Quanto  giuste,  altrettanto  la- 
minose per  forza  di  ragionamento  sono  le  sue 
considerazioni;  cosicché  raccomandiamo  questo 
scritto  a  tutto  il  Clero,  ed  eziandio  ai  laici  di 
retti  seusi  o  almeno  di  buona  fede,  perchè  cono- 
scano gl'inconvenienti  religiosi,  morali  ed  eco- 
nomici di  queste  leggi. 


Nel  Febbraro  del  1839  moriva  in  ltorna  un  ar- 
chitetto celebre  ai  suoi  dì,  Giuseppe  Valadier, 
nella  grave  età  di  seltantasette  anni,  dopo  avere 
multi  operato  nell'arte  sua.  La  vita  che  ne  tesse 
Con   giudizio   grande    e    con  diligenza   inolla  il 


eh.  avv.  Ciampi,  ce  ne  mostrano  i  pregi  non  me- 
no che  i  difetti:  questi  più  del  tempo  che  del- 
l'uomo, quelli  più  del  suo  ingegno  che  della 
sua  scuola. 


COLLANA  PANEGIRICA  —  Nuovissima  Collana  panegirica  di  celebri  oratori 
per  le  feste  di  nostro  Signore,  della  beala  Vergine,  dei  Santi  ecc.  Quarta 
edizione,  aumentata  di  nuovi  lavori  editi  ed  inediti,  e  compilata  per  cura 


340 


BIBLIOGRAFIA 


di  Domenico  Scotti-Pagliara.  Xapoli,  1870.  Gabriele  Rondinella  editore, 
S  Anna  de' Lombardi,  8.  Olio  volumi  in  8.°  grande  a  due  colonne  di 
circa  600  pag.  ciascuno. 

tiene  Notizie,  Sermoni  ecc.  per  le  feste  dell'Immaco- 
lata, della  Natività,  del  Nome,  della  Presentazione, 
(klI'Anoaoziazion**,  della  Visitazione,  della  Purifi- 
cazione, dell'Addolorata,  della  Di-soUia,  dell'As- 
sunzione, del  Patrocinio,  del  Cuore  ere.  Il  quarto 
contiene  Notizie,  Sermoni  ecc.  per  le  fesie  della 
Madonna  del  Cannine,  del  Rosario,  della  Cintu- 
ra ,  del  Buon  Consulto,  della  Porziumola,  di 
S.  Maria  della  N.  ve,  della  S.  Casa  di  Loreto,  del- 
la Madonna  della  Mercede,  delle  Grane,  della 
l'uria,  della  Salute,  della  Consolazone,  della 
Provvidenza,  della  Pietà,  della  Fortuna,  del  Lau- 
ro, del  Popolo  ,  del  Principio,  di  Costantinopoli, 
degli  Abbandonati,  di  Porto  Salvo,  della  Scala, 
della  Divina  Pastora,  della  Misericordia,  degli 
Angeli,  della  Verità,  del  Verd  O'ivo,  del  Pilaro, 
del  Rimedio,  delle  Arque,  del  Po/zo,  della  Tor- 
re, dell'Arco,  delia  Seggiola,  del  Soccorso,  del 
Suffragio  ecc.  I  volumi  quinto  e  sesto  «onlen— 
gono  Notizie,  Sermoni  ecc.  per  le  feslc  degli 
Angeli  e  de'  Santi.  Il  volume  settimo  contiene 
Notizie,  Sermoni  ecc.  per  la  festa  delle  Sanie, 
de'  novelli  Sacerdoti,  delia  Vestizione  e  Profes- 
sione delle  monache,  per  Benedizione  di  Noz- 
ze, di  Bandiere,  di  Campane,  per  l'opera  del- 
la Propagazione  delia  Fede,  degli  ammalati, 
dei  ciechi,  de'sordi  muti  ecc.  L'oliavo  volume 
contiene  Sermoni  per  la  novena  e  oliava  dei 
morti,  e  orazioni  funebri  per  Pontefici,  Principi, 
Cardinali,  Canonici.  Letterati,  Artisti  ecc. 

V  editore,  prendendo  in  considerazione  le 
strettezze,  in  cui  oggi  ai  trova  il  Clero,  rimette 
per  L.  ìV>  fino  a  domicilio,  quest'opera  che  fi- 
nora si  è  data  per  L.  73. 

COSTA  GIUSEPPE  —  Altre  considerazioni  sopra  un  recente  opuscolo  del  cava- 
liere Giuseppe  Costa,  in  difesa  degli  agricoltori  romani;  per  Mario  principe 
di  Campagnano;  risposta  del  cav.  Giuseppe  Costa.  Velletri  1869,  tip.  Co- 
lonnesi.  In  16.°  di  pag.  34. 


Il  nome  del  chiariss  mo  Scotti  Pagliara,  uno 
de'piu  valenti  oratori  sacri,  che  vanti  l"  Italia,  e 
la  migliore  guarentigia  di  ques'a  Collana,  da 
lui  compilata  co'lavori  de'piu  riputali  predica- 
tori, massime  de'nosiri  tempi.  Il  Quo  a  cui  ri 
sembra  che  egli  abbia  miralo,  non  lauto  e  sialo  di 
fom>re  ai  g<ovam  oratori  ottimi  esempli,  stan- 
teche  l'eccellenza,  specialmente  mi  genere  sa- 
cro, è  di  pochissimi  ;  ma  piultuSlo  gran  copia 
di  materia  per  ogni  occasione  di  discorsi  sa- 
cri, acciocché  chi  n<>n  potesse  per  sé  procacciar- 
sela, ne  trovasse  quivi  a  sufficienza  [nesso  va- 
lenti amori  benché  di  mento  diverso.  Per  que- 
sta stessa  ragione  il  saggio  compilatore  non  ha 
compreso  solamente  nella  sua  raccolta  le  0<azioni 
formate,  ma  anche  i  semplici  materiali  per  for- 
marne e  questo  per  ognuno  de'soggetli,  i  qui- 
1  costituiscono  come  altrettanti  anelli  della  Col- 
lana. Da  un  elenco  generale,  che  qui  soggiun- 
geremo di  tulli  questi  soggetti,  compresi  negli 
Otto  volumi;  ognuno  può  argomentare  il  gran 
vantaggio  che  gli  sarà  dalo  di  trarre  da  una 
Raccolta  cosi  vana  e  cosi  ricca. 

Il  primo  volume  contiene  Notizie,  Sermoni, 
Assunti,  Sentenze  scritturali,  figure  della  sacra 
Scrittura  e  sentenze  de'Padri  per  le  feste  del  Na- 
tale, della  Circoncisione,  del  Nome  di  Gesù,  del- 
la Epifania,  della  Trasfigurazione,  di  tult'i  mi- 
steri della  Passione,  dell'Agonia,  della  Croce.  Il 
secondo  contiene  Notizie,  Sermoni  ecc.  per  le  fe- 
ste della  Risurrezione,  dell'Ascenzione,  della  Pen- 
tecoste, della  Trinità,  del  Corpus  Donimi,  delle 
Quaranlore,  della  Messa,  della  prima  Comunione, 
del  Cuore  di  Gesù,  del  Redentore  ecc.  Il  terzo  con- 


ti eh.  cav.  Giuseppe  Costa,  chiaro  letterato 
non  meno  che  molto  sperimentato  economista, 
scrisse  un  opuscolo  in  difesa  degli  agricoltori 
romani,  dimostrando  «he  non  era  mila  loro  la 
colpa  della  condizione  presente  della  campagna 
romaiu,  ma  doversene  una  buona  parte  arrecare 
ai  proorietarn  dell'agro.  L'eccellentissimo  signor 
Principe  di  Campagnano  rispose  al  Costa,  pren- 
dendo le  direse  di  quella  parte  di  proprietaria 
ohe  appartiene  alla   nobiltà  romana.  Il  presente 


egli  sotto  il  nome  di  proprielarli  non  aveva  inteso 
esclusivamente  i  nobili  :  e  che  anzi  parlando 
dei  nobili  avea  fallo  delle  formali  ecce/toni.  Man- 
tenendole ora,  esso  conferma  l'opinione  manifesta- 
la nel  primo  opuscolo  con  nuovi  argomenti.  Questa 
discussione,  conservatasi  lutla  ne'  termini  della 
più  gentile  cortesia,  e  utilissima  :  giacché  desta 
una  gara  vantaggiosa  tra  i  lOluvalori  e  i  pro- 
pnetarii  a  chi  cooperi  meglio  a  ristorare  la  non 
fiorente  agricoltura  nel  suolo  romano. 


opuscolo  e  scritto  dal  Costa  per   dimostrare   che 

CRASSET  —  Il  paradiso  terrestre,  ossia  Gesù  nella  SS.  Eucaristia,  considera- 
zioni  estratte  dalle  opere  del  P.  Crassetd.  C.  d.  G.  Torino,  tip.  dì  (i.  Mar* 
rietti,  tipografo  pontificio  1870.  Un  voi.  in  16.°  di  pag.  279. 

CURI  YINCfcNi.0  —  Marianna  Pacetti  Datli.  Cenni  necrolugici  scritti  dall' IVY. 
prof.  Vincenzo  Curi.  Fermo,  tip.  Paccasassi  1870.  In  8.°  di  pag.  XII. 


BIBLIOGRAFIA  341 

DUBINÓ  LUIGI  —  Epilogo  delle  prose  della  pontifìcia  Accademia  tiberina,  e  re- 
lazione dei  nuovi  socii  e  dei  defunti  nell'aia™  1869,  letto  nsllVunanza  del 
■20  Dicembre  dell'anno  stesso  dal  segretario  annuale  avv.  Luigi  Dubino. 
Roma,  coi  tipi  del  Salviucci  1870.  /nl6.u  di  pag.  61. 

L'accademia  tiberina  ha  per  costume  dj  tratta-  Secchi,  Zantedesehi  e  Volpiceli},  i  due  prelati 
reneUfSue  tomaie  argomenti  gravi,  e  di  wol-  mons.  Roranana  e  mons.  Nardi,  e  i  eh.  lettera- 
gerli  dottamente.  Quindi  essa  nesce  di  vera  utili-  ti.  Coppi  e  Spada.  Quali  niaterie  trattassero  es- 
tà a  quinti  ci  intervengono,  perche. tutti  ci  han- "  si,  e  come  le  venissero  svolgendo,  espone  con 
no  alcun  che  da  apprendere.  Ciò  avvenne  ezian—  molto  appropriala  analisi  in  queso  discorso,  il 
dio  nel  cor<o  del  1 809,  nel  quale  fra  tanti  altri  si?,  avv.  Dubino,  segretario  annuale  dell'Acca- 
•graffi  personaggi  di  Roma  che  vi  lessero  loro  deinia. 
discorsi  divario  soggetto,  nomineremo  i  profess. 

EMMAKUELLI  ANTONIO  —  Del  fine  provvidenziale  del  moderno  spiritismo,  ossia 
il  diavolo  mandato,  suo  malgrado,  a  mettere  in  rivoluzione  la  filosofia  del 
secolo  XIX.  Saggio  critico  Xeofilosofico,  per  Antonio  Emmanuelli,  sacer- 
dote. Parma,  tip.  Fiaccadori,  1870.  In  8.°  di  pag.  XX~-59. 

11  titolo  di  questo  libro  eccita  lacunosità  del  prima  di  giungere  alla  fine:  segno  mani feslissi- 
Jeltore  ;  ma  la  sua  curiosità  ivsta  pienamente  sod-  mo  crei  merito  d'uno  scrino.  Desideriamo  che  es- 
disfatta, compiutane  la  leti  lira  :  tanta  è  la  dna-'  so  venga  alla  mano  di  molti  giovani,  e  soprat- 
rez/.a  «lei  procedimento  e  la  forzi  di  Logica  ad-  tulio  di  quelli  che  ebbero  la  sventura  d'essere 
operata  dall'Autore.  Esso  libro  poi  è  tale ,  che  istituiti  nelle  false  dottrine  dei  moderno  positi— 
preso   una   \o>ta  a  leggere,    non  si  àbbandoua  vismo  e  naturalismo. 

FERRER1  SEVERINO  —  Il  mese  dt  Maggio  in  esempii,  del  sacerdote  Severino 
Ferreri.  Torino,  tip.  di  G.  Speirani  e  figli,  1870.  In  32.°  di  pag.  77. 

FINAZZI  ANTONIO  —  Pellegrinaggio  al  santuario  d1  Einsilden  nella  Svizzera. 
Memoria  del  sac.  Antonio  Finazzi.  Genova,  tip.  della  Gioventù,  18G8.  In 
16."  di  pag.  19. 

FRASSINETTI  GASPARE  —La  divozione  illuminata.  Manuale  di  preghiere  che 
contiene  le  orazioni  del  mattino  e  della  sera,  gli  atti  per  la  confessione  e 
comunione,  altre  orazioni  di  vote  e  pratiche  con  analoghe  istruzioni,  salmi 
ed  inni,  avvertenze  per  varii  generi  di  persone,  e  un  ristretto  di  ciò  che 
deve  sapere  il  cristiano;  per  Giuseppe  Frassineti,  priore  a  S.  Sabina  in 
Genova.  Ediz.  2.  Genova,  tip.  della  Gioventù,  1870.  In  32.°  di  p»g.  382. 

GASTALDI  LORENZO  —  Cenni  necrologici  del  fu  monsignor  Francesco  Gardozo- 
Ayres,  dell'istituto  della  carità,  Vescovo  di  Olinda  e  Pernambuco;  lettera 
di  monsig.  Lorenzo  Gastaldi,  Vescovo  di  Saluzzo  a  mons.  Antonio  De  Ma- 
cedo-Costa,  Vescovo  di  Belem  De  Para.  Roma,  coi  tipi  della  Civiltà  Cat- 
tolica, 1870.  In  8.°  di  pag.  11. 

GIORGI  CALLISTO  —  Due  discorsi  in  onore  della  SS.  Vergine  di  Bonaria,  vene- 
rata in  Cagliari  nella  chiesa  dei  RR.  PP.  della  Mercede;  detti  nel  quinto 
centenario  e  nella  solenne  incoronazione,  da  monsig.  Callisto  Giorgi,  came- 
riere di  S.  Santità  e  canonico  in  Roma  dalla  perinsigne  Basilica  di  S.  Lo- 
renzo in  Damaso.  Cagliari,  tip.  Timon,  1870.  In  8.°  di  pag.  30. 

GOBIO  INNOCENTE  —  Storia  del  culto  di  S.  Giuseppe,  sposo  di  Maria  Vergine, 
del  P.  Innocente  Gobio  C.  R.  barnabita.  Torino,  tip,  dell"  Oratorio  elisati 
Francesco  di  Sales,  1870.  In  32.°.  di  pag.  71. 

G.  R.  —  Esclamazioni  di  zelo  per  ogni  giorno  dell1  anno,  e  associazione  di  ca- 
rità per  l'esercizio  delle  opere  di  misericordia,  aggiuntovi  il  modo  di  ascol- 
tare la  S.  Messa  ed  altre  divozioni.  Milano,  presso  Antonio  Guzzelti.  Un 
volumetto  in  32.°  di  pag.  22i. 


312  BIBLIOGRAFIA 

GUARN1ERI  ANGELO  —  Tributo  d1  ossequio  al  sacro  Cuore  di  Gesù.  Dell'amor 
di  Dio,  contemplazioni  dell1  idiota;  volgarizzale  dal  sae.  Angelo  Guarnieri. 
Prato,  a  spese  dell'  editore,  1870.  In  1G.°  piccolo  di  pag.  ÀTJ-80. 

IACOVACCI  GIOVANNI  —  Nella  festa  del  V  centenario  ed  incoronazione  della 
SS.  V.  Maria  di  Bonaria,  eseguita  il  2i  Aprile  1870.  Parole  del  Delegato 
S.  E.  ftema  monsig.  Don  Giovanni  Iacovacci,  vescovo  di  Eritrea;  ed  epi- 
grafi con  poesie  deh" egregio  avvocato  Fr.  Bertlnelli.  Cagliari,  tip.  di  A. 
Timori,  1870.  In  4."  di  pag.  2$, 

IL  PARAD1SUS  ANMAE,  o  trattato  delle  virtù  di  Alberto  Magno,  recato  la  prima 
volta  in  volgare.  Napoli,  tipografia  degli  Accaitoncelli,  1870.  Un  volume 
in  16.°  di  pag.  200. 

Quesla  elegantissima  versione  della  chiara  si-  Paradisi   al   prezzo  di   lir.  1,    in   Roma  uffizio 

gnorina  Francesca  ^ofìo  fu  da  noi    molto  lodata  della  Civiltà  Cattolica,  ed  io  altre  città  d'  Italia 

e  raccomand.ila  nel  quaderno  485 ,    pag.   586.  presso  i  principali  librai  al  prezzo  di  lir.  1,10. 
L'opera  è  rendibile  in  Nnpoli  presso   Domenico 

LEM0YNE  G.  B.  —  Biografia  del  giovane  Mazzarello  Giuseppe,  pel  sacerdote 
G.  B.  Lemoyne,  direttore  del  collegio-convitto  di  Lanzo.  Torino,  tip.  del- 
VOrat.  di  S.  Frane  di  Sales,  1870.  Un  volumetto  in  32.°  di  pag.  139. 

Nell'eia  di  3G  anni  cessò  di  vivere  nell'O-  come  era  vivulo  con  esempii  di  rare  virtù,  così 
ratorio  di  S.  Francesco  di  ^ales,  cui  si  era  con-  se  n'  è  voluto  perpetuar  la  memoria ,  ad  edi 
secrato,  il  pio  uomo  Giuseppe  Mazzarello;  e  sic-    ficazione  del  prossimo,  col  pubblicarne  la  vila. 

L.  R.  B.  —  Ammaestramenti  dello  Spirito  Santo  alla  Gioventù.  Firenze,  per 

E.  Culi,  1870.  In  32."  di  pag.  48. 
1UXARD0  FEDELE  —  Vita  di  S.  Giovanni  Bono,  vescovo  di  Milano,  scritta  dal 

sac.  professore  Fedele  Luvardo.  Genova,  tip.  Anna  Bocci,  vedova  Faziola, 

1870.  InSsdipag.  16. 

S.  Giovanni  chiamato  Bono  per  la  Insigne  san-  morie  che  rimangono  ancora  di  lui,  trovansi  rac- 
tità  della  sua  vita,  fiorì  nello  scorcio  del  VI  se-  colte  ed  ord  naie  con  ottima  critica  in  questa 
colo  e  nella  prima  metà  del  VII.  Tutte  le  me-    importante  biografia. 

MAGGIULLÌ  LUIGI  —  Monografia  numismatica  della  provincia  di  terra  d'Otran- 
to, e  breve  ragguaglio  storico  delle  città  di  questa  regione,  che  tennero 
Zecca  nei  tempi  del  dominio  greco,  romano,  avevo,  angioino  ed  aragone- 
se, per  Luigi  Maggiulli.  Lecce,  tipografia  editrice  salentina,  1870.  Un 
voi.  in  8.°  di  pag.  108. 

Frutto  di  lunghe  ricerche,  guidale  da  una  cri-  un  ragguaglio  storico  di  ciascuna  delle  delte  citlà, 

tica  molto  sagace,  è  ruest'  opera  del  eh.  signor  il  quale  N  dall' una  parte  giova  moltissimo  per 

Luigi  Maggiulli.  In  essa  egli  chiama  a  rassegna  la  spiegazione  delle    monete,  dall'altra    attinge 

e  descrive  e  class  (Ica  con   bell'ordine  tutte    le  molta  luce  dalle  medesime.  1  numismatici  di  pro- 

momte  in  oro,  in  argento  ed  in  bronzo,  cornili-  ftssione  debbono  essere  mollo  riconoscenti  all'  il- 

ciando  dalle  più  antiche,  e  terminando  nelle  più  lustre  Autore,  che  loro  fornisce  tanta  materia  di 

recenti  delle  singole  città  di  terra  d'Otranto,  du-  utili  s'udii  e  confronti;   ma  più  gli  dev'essere 

ranlc  il  ie  npo  che  furono  autonome  e  batterono  graia  la  provincia   d'Otranto,  la    cui  storia  ne 

monete.  A  qne<lo  studio,  che  e  la  parte  sostati-  riesce  per  quesla  via  mirabilmente  illustrala, 
ziale  e  più  difterie  del    luvoro,  egii    coogiunge 

KER1GHI  PIETRO  — La  Uieciardeide,  ossia  T  anticoncilio  massonico  in  Napoli. 
Deccmbre  18G9;  eia  coda  detta  EUcoiardeide.  Poemetto  del  can.  Pietro  Me- 
rfghl  <li  Ferrara.  Seconda  ediz.  Reggio-Emilia,  tip.  Degani  e  Afa 
1870.  In  ÌG  •di  pag.  10. 


BIBLIOGRAFIA  30 

MOGLIA  AGOSTINO  —  La  tirannia  repressa  dal  Sillabo  di  Pio  IX;  per  A.  Sfoglia. 
Piacenza,  dalla  tip.  F.  Solari,  1870.  Un  voi.  in  16.°  di  pag.  344. 

In  questo  libro  l' Autore  prende  a  chiarire  e  e  sottili  argomentazioni,  ma  per  facili  e  piani  e 
difendere  la  conduuua  data  nel  Sillabo  ad  ottan-  brevi  ragionamenti,  non  avendo  diretto  il  suo 
ta  proposizioni,  seguendo  lo  stesso  ordine  nel  libro  aisoli  scienziati,  ma  a  persone  di  qualun- 
que esse  son  collocate,  e  mostrando  come  la  que  siasi  classe,  comecbè  di  mediocre  o  anche 
loro  condanna  tende  ad  assicurare  la  verace  li-  tenue  coltura,  sicché  tutti  lo  potranno  leggera 
berta  dell'  uomo.   Egli  non    procede  per  lunghe  con  profitto. 

NARDI  FRANCESCO  —  Il  pontificato  romano  nella  storia.  Discorso  di  mons.  Fran- 
cesco Nardi,  uditore  di  S.  Rota.  Rima,  tipogr.  Sinimoerghi,  1870.  In  8.° 
di  pag.  37. 

Questo  discorso,  ledo  da  mons.  Nardi  nell'Ac-  fu  per  tutti  i  tempi  il  custode  doli' ordine  mo- 

cademia  pontifìcia  tiberina  per  festeggiare  l'an-  rale  nella  Chiesa  e  nella  società.  Basti  dire  che 

ni  versano  della  coronazione  di  Pio  IX.,  è  un  vivo  questo  discorso  è  uno  dei  più    vivi,  usciti  dalla 

quadro  storico,  in  cui  600  pennellate  e  scorci  da  penna  e  diremmo  quasi  dal  pennello  di  monsi- 

maestro  ei  fa  vedere  come  il  Pontificato  romano  gnor  Nardi. 

NA VARRÀ  GIUSEPPE  —  Sacra  Novena  di  XII  orazioni  ed  aspirazioni  divote  in 
preparazione  alla  festa  di  Maria  Santissima  ecc.  ecc.;  composta  dal  rev. 
P.  G.  Navarra,  della  Congregazione  dell'Oratorio  di  Fermo.  Camerino,  tip. 
Marchi,  1870.  In  32.°  di  pag.  16. 

PANFILO  DA  RAGLIANO  —  La  Chiesa  greca  e  la  processione  eterna  dello  Spirito 
Santo  dal  Padre  e  dal  Figlinolo,  per  P.  Fr.  Panfilo  da  Magliano,  M.  0.  del- 
l' Ordine  di  S.  Francesco.  Roma,  tip.  di  Propaganda;  Torino,  Marietti, 
1870.  In  16.°  di  pag.  208. 

Piccolo  di  mole,  ma  pieno  di  sostanza  è  que-  nota  del  eh.  Autore.  11  P.  Panfilo  rogalo  già 
Sto  volume,  che  può  dirsi  insieme  un  trattato  all'  Italia  una  bella  versione  della  pia  e  dotta 
storico  polemico  e  teologico.  Il  libro  è  diviso  in  operetta  di  mgr.  Mannmg,  Arcivescovo  di  West- 
tré  capi;  nel  primo,  che  più  specialmente  è  sto-  minster,  intitolata  La  missione  temporale  dello 
rico,  si  discorre  dello  scisma  greco  ;  nel  secondo,  Spirito  Santo:  ed  ora  sentiamo  con  piacere  che 
che  più  specialmente  è  polemico,  si  tratta  la  ì' operetta  originale  del  P.  Panfilo  sulla  Proces- 
controversia  sull'addizione  del  Filioque  al  sim-  sione  eterna  dello  Spirilo  Santo  sarà  presto  volta 
bolo;  e  nel  terzo  più  specialmente  teologico  si  io  inglese.  Veramente  le  due  opere  posson  dirsi 
dimostra  la  dottrina  cattolica  della  processione  complemento  e  perfezione  l'una  dell'altra;  ed  a- 
eterna  dello  Spirito  Santo  dal  Padre  e  dal  Fi-  nsendue  possono  aversi  in  Ptoma  alla  tipografia 
gliuolo;  e  tuito  con  la  dottrina  ed  eleganza  già  di  Propaganda. 

PAVÌSSICH  LUIGI  CESARE  —  Trieste,  XI  Aprile  1869.  Ossia  Omaggio  deiTriesti- 
ni  a  Pio  IX  nel  suo  Giubbileo  sacerdotale.  Trieste,  tip.  C.  V.  lìusenick  e 
comp.  1819.  In  8.°  di  pag.  8. 

P.  G.  M.  —  Breve  memoria  intorno  a  Teresa  Ricci,  morta  il  VII  Marzo  1868, 
del  P.  G.  M.  Modena,  Imm.  Concezione.  In  32.°  di  pag.  36. 

POPPI  AGOSTINO  —  Di  mons.  Gio.  Battista  Ciofi,  Vescovo  di  Chiusi  e  Pienza; 
elogio  funebre  recitato  nella  collegiata,  concattedrale  ùi  Cbianciano,  nelle 
esequie  solenni  del  giorno  settimo  della  sua  morte.  Siena  1870,  tip.  sordo- 
muti di  L.  Lazzeri.  In  8.°  di  pag.  24. 

RAFFAELLI  FILIPPO  —  Alcune  lettere  della  celebre  grecista  Clotilde  Tambro- 
ni,  ed  altre  da  illustri  personaggi  diretti  alla  medesima;  pubblicate  ed  illu- 
strate per  il  marchese  Filippo  Raffaelli,  bibliotecario  delia  Mozziana  Bor- 
getti  di  Macerata,  ecc.  ecc.  Sameverino-Marche ,  tip.  Soc»  editrice,  di- 
retta da  C.  Corradetti  1870.  In  8.°  di  pag.  43. 

Clotilde  Tambroni.  nata  in  Bologna  il  17"J8,  la  sua  classica  erudizione,  specialmente  delle 
e  morta  quivi  il  1817,  venne  in  tanta  fama  per    greche  lettere,  che  meritò  di  succedere  nella  ho- 


344  BIBLIOGRAFIA 

lognese  università  al  eel.  P.  Aponle,  e  insegnar-  corrispondenza  epistolare  di  lei  coi   personaggi 

Ti  pubblicamente  la  greca  letteratura.  Alla  Betta-  più  famosi    del  suo   tempo,    in    occasione   delle 

za  accoppiò  essa  le  più  insigni  vino,  e  Tu  dai  no/.ze    che    una    sua    discendente    contra>se    in 

•onlempuranei    Itmu'a    in    islima  grande  per  le  questi  mesi.  Il  march.  Raffaeli!,  che  ne  è  l'edi- 

doti  del  cuore,  non   meno  che  per  quelle  della  tore,  ti  ha  premessa  una    breve,    ma  suflicunte 

meme.  Fu  dunque  modo  geniil  pensiero  quello  '  ed  esatta  biografia. 
di  pubblicare  alcune   più    insigui    lettere    della 

ROMANZI  DI  ONESTA  ED  UTILE  LETTURA  —  Annoveriamo  qui  unitamente  dei 
Romanzi,  che  possono  fornire  alla  curiosità  pascolo  innocuo,  anzi  ancora 
utile  per  la  istruzione  e  per  la  morale.  Quattro  di  essi  sono  volgarizzamen- 
ti fatti  dal  francese:  due  sono  scritti  originalmente  in  favella  italiana.  Que- 
sti ultimi  hanno  parecchi  punti  di  riscontro,  trattando  entrambi  dei  casti- 
ghi che  la  Giustizia  divina  serba  ai  malfattori  anche  sopra  questa  terra,  e 
della  protezione  che  la  Providenza  fa  trovare  all'innocenza  perseguitata,  e 
metteudo  entrambi  in  iscena  dei  pessimi  feudatari^  flagello  delle  contrade 
a  loro  sottoposte. 

KIITSCHE   DE  LA  GRANGE   ANTONIETTA    — La  rietU,    tip.  pontifìcio,     1870.     Ull 

torre  del  corvo.  Racconto  di  Anto-  voi.  in  16.*  di  pag  221 . 

nietta  Klitsche  de  la  Grange.  Ori-  dutheileuginia— L'espiazione.  Raccon- 

ginale  italiano.  Roma,  coi  tipi  del-  toper  la  contessa  Eugenia  Dutheil 

l'Osservatore  romano    1870.  Un  de  là  Rochère.  Bologna,  presso 

voi.  in  16°  di  pag.  534.  l'Uffizio  del  Messaggere  1870.  Un 

viglieechio Leopoldo — Febo  dei  marche-  volumetto  in  32.°  di  pa^.262. 
si  di  Ceva.  Racconto  storico  del  se-  nyon  euginio  —  Il  figlio  del  governato- 
colo  XVI,  per  il  teol.  cav.  prof.  re,  per  Eugenio  Nyon.  Bologna, 
Leopoldo  Yiglierchio.  Mondovì,  presso  V  Uffizio  del  Mcssagge- 
tip.  di  A.  Fracchia.  Un  voi.  in  re  1870.  Due  volumetti  in  16.°  di 
n:  di  pag.  mi.  paf.'%\*. 

di  livonnière  marino  —  La  stanza  delle  nieritz  gustavo  —  La  chiave  della  fre- 

ombre.  Racconto  storico  del  signor  gata,  per  Gustavo  Nieritz.  Bolo- 

Marino  di  Livonnière;  versione  li-  gna,  presso  l'Uffizio  del  Messag- 

bera  dal  francese,  del  sac.  Severi-  gere  1869.    Un  volumetto  in  16.* 

no  Ferreri.  Torino,  P.  di  G.  Ma-  piccolo  di  pag.^ì. 

R0SIN1I  CAR.  MAR1AE  Episcopi  Puteolani  —  Aegyptii,  Comoedia,  mine  pri- 

mum  recognita  a  Caielano  Barbati,  metropolitanae  neapolitanae  Ecclesiae 
canonico.  Neapoli,  typis  Fibrenianis,  anno  MDCCCLXX.  Un  elegante  vo- 
lume in  i.°  di  pag.  40. 

Grazie  alle  cure  del  dotto  Canonico  D.  Gae-  Orazio.  I  quali  presi,  ed  altri  molli  che  «li  accom- 
tano  tariteli,  possiam  gustare  questa  terza  Com-  pannano,  hanno  grandissimo  rilievo  nella  rappre- 
media  di  quel  luminare  delle  lettere  Ialine,  che  sentanza,  grazie  ad  una  singolare  proprietà  dei- 
fu  Monsignor  Rosini,  Vescovo  di  Pozzuoli;  sic-  l'Autore  di  saper  accoppiare  con  quella  sua  la'.ini- 
come  alcuni  anni  addietro  ne  avevamo  «tubiate  tà  luti' oro  una  facilità  affatto  maravigli!»;».  E 
le  prime  due  per  l'opera  del  compianto  P.  Lui-  però  noi  crediamo,  che  in  que'Cnllegi,  ne'quah  si 
gi  Palumbo  Non  ci  è  possibile  dir  per  minuto  è  inl-odolla  la  consuetudine  di  far  rappresen- 
tull'i  pregi  di  questi  capilavori  lett.rarii:  ma  tare  alcune  volle  fra  l'anno  ai  giovani  alunni 
Taiga  per  ogni  lode  che  esse,  non  a  giudizio  qualche  dramma,  sarebbe  di  grandissima  uhii- 
ncslro  solamente,  ma  di  uomini  'Ionissimi,  riesco-  tà  adoperare  a  tal  uopo  le  Commedie  del  I 
DO  a  ritrarre  ron  'squisita  perfezione  tulio  ciò  ni,  poiché  coli'  onesio  ricreamene  che  rVl- 
che  può  piacere  in  Plauto,  specialmente  la  nili-  no  seco,  sarebbe  congiunto  il  vantaggio  inesli- 
dezza  della  fr..se  e  la  comica  festività,  ed  a  sebi-  mabiie  «li  far  apprendere  con  somma  agevolez- 
▼arne  i  non  pochi  difetti  che  lo  deturpano,  se-  za  le  più  pure  eleganze  del  linguaggio  latino, 
gnatament*  la  frivolezza  e  la  inurbanità  degli  Di  ciò  diedero  l'esempio  qui  in  Ruma  nel  pas- 
w    ni  ,  tanto    severamente    rimproverategli  da  salo    Carnevale  due  Collegi,   il    dementino,  di- 


BIBLIOGRAFIA  345 

retto  dai  RR.  PP.  Somaschi,  e  il   Nazareno,  di-  diletto  di  una  scelta    corona  di   spettatori,   ap- 
retto   dai    RR.  PP.    oeiie    Scuole  Pie,    ne'  quali  punlo  le  due   Commedie    del    Resini    che  etano 
que'  bravi    alunni    produssero   sulle    srene    con  state  pubblicale  dal  P.  Palumbo. 
moltissimo    garbo    e  intelligenza,  e  con   sommo 

SACCHERI  GIROLAMO  PIO  —  Sermones  quos  in  sacello  pontificio  vaticano  ab  an- 
no 1857  ad  annum  1867,  prima  domnnca  Advenkis  et  prima  dominica  qua* 
dragesimae,  vice  P.  M.  Mariani  Spada,  procuratoris  generalis  Ordinis  Prae- 
dicatorum,  Imbuii  P.M.  Fr.  Hieronymus  Pius  Saccheri,  eiusdem  Ordinis, 
bibliothecae  casanatensis  praefectnsetprovincialisromanus.  Romae,  typis 
B.  Mortili  1870.  In  16/'  di  pag. 99. 

Il  vangelo  della  1."  Domenica  dell'Avvento  è  senza    del    S.  Padre   nella    cappella    pontifìcia, 

quello  della  venuta  di  Cristo  a  giudicare  il  mon-  Sono  essi   scritti   in  molto   buon   latino,  e  oltre 

do:  ed  il  Vangelo  della  1.'    Domenica    di  Qua-  alia  varietà   dei    concetti   sopra  lo  stesso  argo- 

resinia  è  quello  delle  tre  tentazioni  di  Cristo  nel  mento,  ci  paiono  notevoli  pel  maneggio  dei  le- 

deseno.  ti  pruno  vangelo  è  commentalo  con  dieci  sii    criiturali   e  patristici,  che  con  molla  spon- 

sernioni,  e  con  altrettanti   il  secondo    dal    dotto  taneità  s'intersecano  al  discorso  dal  eh.  Autore, 
e  eh.  p.  Saccherì,  che  dovè  predicarli  alla  pre- 

SCOLARI  FILIPPO  —  Sopra  lo  stato  presente  della  letteratura  dantesca,  lettera 
critica  al  professore  David  Farahulini.  Roma,  tipografia  delle  belle  Ar- 
ti 1870.  Un  voi.  in  8.°  di  pag.  40. 

Il  ch'aro  cavaliere  Filippo  Scolari   giustamen-  pone  le  opere  e  gli  esempii  di  alcuni   di  coloro, 

te  si  lamenta,  che  la    «lanUsca  letteratura,   min  che  a  suo  giudizio  più    si  sono  segnalati   negli 

essendo  governata  da  princìpi!  comuni,    e  tutti  ultimi  tempi  nella  intelligenza  e  nella  giusti  esti- 

proeacciaiido  di  far  valere  i  proprii  pensieri  ,  è  mazione  della  divina  Commedia.  Gli  Amori  che 

diventata  per  la  moltplicilà  del'e  opinioni  una  nomina  sono  pochissimi  e  a   dir  vero  non  sap- 

matena  sì  scompigliata  e  contraddittoria,  che  a  piamo  trovar  la  ragione,  perche  gli  ò  piaciuto 

volere   argomentare    da   quanto  si  è  scritto  e  si  tacersi  di  molli  altri  che  avevano  il  medesimo, 

scrive  sul  divino  Poema  niuua   cosa   in  esso  si  e  forse  alcuni  maggior  diritto   di   esser  proposti, 

dovrebbe  tenere  per  sicura,  né  anco    il  testo.  Il  Del  pari  non  ci   e  piacimi),   che   ìwu'Elenco  di 

rimedio,  che  l'illustre    Autore  propone,    sarebbe  alquante  pubblicazioni   dantesche  o  contempo- 

senza    dubbio    eccellente;    poiché   consisterebbe  ranee   posteriori  al   Centenario   di  Dante,   sia 

nell'accordo  di  vane  accademie,  stabilitesi  nelle  stata  citala  serua   niuna  osservazione  l'opera  di 

città  principali  di  Europa,   le  quali  di  tempo  in  Fraocesco  Perez  La  Beatrice  svelala,  il  cui  sco- 

tempo  dovrebbero   pubblicare  un   volume  in  cui  pò  e  di  spiegare  in    senso  panieisiico  il  concetto 

fosse  chiarito  ed  affermalo  il   vero   senso   de'di-  di  Dante.   Ma  forse  in   queir  Elenco  il   eh.  Autore 

versi   luoghi  del  Poema.  Ma  nò  questo,  né  altri  non  atlro  ha  inteso  che  dare   una  notizia  siunca 

simili    provvedimenti  sono    possibili:    e  pelò  il  di  alcune  opere,  senile  nel  periodo  di  tempo  da 

eh.  Autore,  per  opporsi  aila  comune  licenza,  la  lui   accennalo,  seuza  entrar  garante  nò  del  loro 

quale  piuttosto  che  conferire  alla  intelligenza  di  spirito  né  del  merito  loro. 
Dante,  riesce  a  sempre  peggio  infoscarla,  pro- 

SC0TT1  -  PAGLIARA  DOMENICO  —Vedi,  Collana  panegirica. 

SERVIZI  RAFFAELLO—  Ode  Saffica  ad  onore  di  Pio  IX,  P.  0.  I.  che  in  pochi 

anni  ha  fatto  opera  di  lunghissimo  tempo,  riempiendo  del  suo  gran  nome 

tutto  il  mondo.  Roma,  tip.  Pallotta  1870.  Un  fot.  in  8.° 
STRAMBI  VINO.  MARIA  —  Il  mese  di  Luglio,  consecrato  al  preziosissimo  Sangue 

del  nostro  divin  Redentore,  composto  dal  servo  di  Dio  M.  Vinc.  Maria 

Strambi,  vescovo  di  Macerata  e  Tolentino,  Torino,  Pietro  di  G.  Marietti. 

tipografo  pontifìcio  1870.  Un  voi.  in  32.°   di  pag.  212. 
TANCREDI  GIUSEPPE  —  L'unione  del  sapere  et  Ineleganza  e  l'unità  della  lingua 

italiana.  Discorso  del  pruf.  Giuseppe  Tancredi.  Roma,  tipografa  delle 

scienze  matematiche  e  fi* > che,  1870.  In  i.°  dipag.  8. 

Il  chiaro   Amore  confuta  con  buone   ragioni,  già  i  vocaboli  formano  la  sostanza  del   discorso: 

elegantemente  esposte,  il  vecchio  sofisma  di  co-  donde  inferiscono  non  dovere  un  pensatore,  dar- 

loro,  i  quali ,  a  S'  usa  della  loro  ignoranza  e  in-  si   alcuna  briga    della   buona   lingua,  nò  della 

fingardaggine  sostengono  che  i  concetti  e  non  scelta  dille  parole.  Contro  a  cosi  rovinoso  prin- 


346  BIBLIOGRAFIA 

cipio  egli  dimostra  quanto  gran  pai  te  ha  e  de-  assai  poste  cor/siderazioni  intorno  alla  quistio- 

ve  aveie  nelii  verace  eloquenza,  e  quindi  nel-  ne,  UCMo  ngtlate  in  questi  ulliuii  tempi,  dell'unt- 

l'iffetto  che  sì  ne  attinie,   lo   stmtio  bene  in-  là  cella  lingua  nell'Italia, 
teso  detl.i  parola.  Da  ciò  prende  occasione  di  fare 

VALDAMERI  ANTONIO  —  Sugli  odierni  sistemi  cVarrministrazione  desìi  istituti 
di  beneficenza.  Osservazioni  del  sac.  prof.  Antonio  Valdameri,  tratte  dai 
rendiconti  economici  delle  opere  pie  di  Crema.  Crema,  tip.  Campani- 
ni 1870.  In  8.°  di  pagAM. 

Le  Opere  pie  sono  slate  per  la  massima  parie  Ciò  infatti  che  evidentemente  mostra  il  eh.  prof, 
secolarizzate  in  Italia,  facendo  succedere  alla  di-  Valdameri  si  è  che,  supposta  pan  onestà  perso- 
lezione  ed  amministrazione  dei  Preti  quella  dei  naie  nei  laici  die  nei  preti;  i  principi!  liberale- 
Laici.  Qual  guadagno  vi  han  fatto  i  poveri?  A  sdii  professati  da  quelli  mirano  a  viziare  que- 
^uesto  quesito  risponde  il  presente  opuscolo.  Esso  st' Istituii  di  carità.  Ottimo  libro,  che  dovreb- 
parte  da  un  caso  particolare,  quello  dell'Ospitai  besi  meditar  molto  da  quanti  in  Italia  amano  di 
Maggiore  di  Crema,  ma  le  sue  conclusioni  sono  preservare  da  corruzione  queste  utilissime  fon- 
genern-he,  siccome  quelle  che  movendo  da  prin-  dazioni  della  carila  dei  nostri  avi. 
•ipii  universali   hanno   universale  applicazione. 

VAL-SECCHI  GIACOMO  —  Orazioni  sacre  del  teologo  Giacomo  Valsecchi,  canoni- 
co della  Chiesa  cattedrale  di  Alessandria,  cavaliere  de1  SS.  Maurizio  e  Laz- 
zaro ecc.  Alessandria,  tip.  dì  P.  Ragazzone  1870.  Un  voi.  in  8.°  di  pa- 
gine 77/1-151. 

Le  dieci  sacre  orazioni  del  eh.  c»n.  Valsecchi  compreso  lo  scopo  vero  dei  panegirici,  che  non  e 
sono  per  la  maggior  parte  del  genere  lodativo;  quello  di  esaltare  con  fiorito  discorso  le  glorie  dei 
ma  cosi  bine  appropriate  ali'  uttliià  pratica  de-  Sunti  che  si  lodano,  ma  riscaldare  i  petii  dei  fo- 
gli ascoltami,  che  sembrano  esortazioni  morali  deli  nel  desiderio  di  imitarli,  e  additarne  loro 
al  tempo  stesso.  Ciò  mostra  che  l'autore  ha  beo  la  via. 

VARII  AUTORI  —  In  morte  del  conte  D.  Giuseppe  Carbonelli,  barone  di  Setino. 

Nàpoli,  tip.  di  S.  De  Leila  1870.  In  8.°  di  pag.  Vò. 
—  Memorie  funebri  e  cecini  biografici  intorno  ad  Ernesto  Palombo,   console 

dalla  Repubblica  del  Salvador  in  Napoli.  Napoli,  tip.  di  S.  De  Leila  1870. 

In  Vài  pag.SS. 
VASARI  GIORGIO  —  Le  vite  dei  più  eccellenti  pittori,  scultori  ed  architetti,  di 

Giorgio  Vasari,  scelte  ed  annotate.  Volume  terzo.  Torino,  tip.  dell' Orat. 

di  S.  Frane,  di  Sales  1870.  Un  voi.  in  32.°  di  pag.  254. 
TEL-ARDITA  ANTONINO  —  Il  sistema  della  natura,  cioè  Dio,  l'uomo,  la  reli- 
gione. Libri  tre.  Opera  cosmologica  del  cav.  Antonino  Velardita.  Volume 

primo.  Napoli,  tip.  di  C  Zamack  18<»9. 

Quest'opera,  a  giudicarne  da  questo  primo  vo-  do  equivoco;  ed  è  c<ò  che  al  numero  53  e  54 
lumetto,  ci  sembra  scritta  con  molta  dottrina  ed  dice  del  nulla,,  a  cui  attribuisce  IVisicnza,  ben- 
erudi/ione  e  sani  pr>neipii.  Una  sola  cosa  non  che  la  chiami  negativa,  e  lo  identillca  collo  spa- 
ci garbeggla  e  ci  sembra  almeno  espressa  in  mo-  zio  puro  e  col  luogo  ove  esistono  1  corpi. 

VIGANO'  FRANCESCO  —  Unità  delle  cedole  e  pluralità  delle  banche,  e  légge  S 
Giugno  186ì,  che  organizza  le  banche  nazionali  degli  Stati  uniti  d'Ameri- 
ca, ed  alcune  idee  finanziarie  (col  progetto  di  legge  del  ministro  Ca>  tagliola) 
proposte  all'Italia  dal  professore  Francesco  Vigano.  Milano,  tip.  arciv. 
di  G.  B.  Pogliani  e  C.  1870.  In  8.*  dì  pag.  68. 

VITA  del  venerabile  P.  Cesare  De  Bus,  fondatore  della  Congregazione  dei  Sacer- 
doti secolari  della  Dottrina  Cristiana,  compilata  da  un  Sacerdote  della 
stessa  Congregazione.  Roma,  tip.  Menicanli,  1869.  In  8.°  di  pè§.  .'»2i;. 

Bacconanllamo  assai  questa  vita  che  si  leg-  riprensibile.  HI.  Vita  penitente.  IV.  Vita  sarer- 
gerà  con  eiificaz'one  insieme  e  diletto.  Ella  è  dolale.  V.  Vita  dottrinaria,  ti  Vi  la  sanla  dd 
distinta  in  sei  libri:  I.  Vita  innocente.  II.  Vita    P.  Cesare  de  Bus. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 


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V  UNANIMITÀ'  MORALE  DEI  PADRI  NELLA  IV  SESSIONE 
DEL  CONCILIO  VATICANO. 

Nella  pubblica  Sessione  del  Concilio,  tenutasi  il  dì  18  Luglio,  nell'at- 
ta del  votare  sopra  i  535  prelati  presenti,  due  soli  dissero  Non  placet, 
e  tutti  gli  altri  dissero  Placet.  Questa  distribuzione  di  voti  deve  essere 
riguardata  come  uno  dei  più  singolari  tratti  della  divina  Provvidenza. 
Si  può  dire  in  effetto  che  vi  furono  tanti  voti  negativi  appunto,  quan- 
ti erano  necessarii  perchè  dai  miscredenti  fuori  del  Concilio,  tanto  al 
predente,  quanto  all'avvenire,  non  si  potesse  dire  die  non  vi  era  stata 
libertà  nei  Vescovi  per  votare  secondo  coscienza  al  cospetto  del  Papa. 
Se  quei  due  voti  negativi  non  ci  fossero  stati,  noi  siam  certi  che  i  ne- 
mici della  fede  cattolica  avrebbero  detto  che  quella  votazione  era  nulla, 
perchè  non  fi  era  stata  libertà  nel  votare  il  NO.  Né  ciò  diciamo  a  caso; 
e  per  provarlo  arrecheremo  qui  un  aneddoto  che  ci  venne  riferito  da 
persona  degnissima  di  fede.  In  una  delle  logge  dell'aula  conciliare,  riser- 
vate ai  laici,  era  riuscito  a  farsi  ammettere  un  forestiere,  corrispon- 
dente d'un  giornale  \  rotestante,  che  ha  sempre,  com'era  naturale,  osteg- 
giata l'infallibilità  dei  Papi,  ed  ha  in  questo  tempo  fatto  eco  a  quanto 
si  stampava  contro  i  Padri  del  Concilio.  Egli  attendeva  con  molto  in- 
teresse alla  votazione,  e  mostravasi  assai  soddisfatto  di  quel  continuo 
succedersi  di  voti  favorevoli.  Se  non  che  al  primo  flfbtt  placet  che  udì, 
si  mostrò  assai  turbato,  e  richiesto  da  un  amico  suo  vicino  di  questo 
non  ispiegabile  suo  turbamento,  non  rispose  che  queste  sole  parole, 
udite  da  chi  sedevagli  accanto:  Questo  colo  negativo  ci  guas'a  tutto. 
àia  che  cosa  potea  guastare,  se  non  solo  la  preparata  eccezione  del- 
la mancanza  di  libertà? 


348  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

Ma  questi  voti  negativi,  se.  fossero  stati  in  gran  numero,  avreb- 
bero esclusa  l'unanimità  morale.  Or  la  divina  Provvidenza  ha  voluto 
appunto  che  questa  definizione  si  facesse  a  voti  unanimi  dei  Padri;;' 
non  perchè  quesia  piena  concordia  di  voti  fosse  necessaria  ad  una  qual- 
siasi decisione  del  Concilio;  ma  perchè  fosse  tolto  ai  Contraddittori 
dell'Infallibilità  quest' ultimo  loro  rifugio.  E  nota  infatti  la  polèmica 
sostenutasi  fuori  del  Concilio  con  opuscoli  e  con  articoli  di  giornali, 
intorno  al  numero  di  voti  necessari!  a  rendere  valido  un  decreto  con- 
ciliare. Gli  oppugnatori  della  Infallibilità  dei  Papi  posero  innanzi  una 
quanto  nuova,  altrettanto  strana. opinione,  cbe  una  minorità  cioè  con- 
traria di  voti  bastasse  ad  invalidare  qualsivoglia  definizione,  che  risguar- 
dasse  un  Domma:  e  che  per  conseguenza  si  richiedesse,  pei  decreti  dom- 
inatici almeno,  quella  che  essi  dissero  unanimità  morale.  Questa  teorica 
è  falsa,  come  fu  dimostrato  appieno  dai  teologi  e  canonisti,  e  come  ancor 
noi  largamente  provammo.  Ma  l'evidenza  stessa  della  verità  non  basta 
per  certi  spiriti,  troppo  ostinati  nelle  preconcette  loro  idee:  e  l'ecce- 
zione della  unanimità  seguitava  a  darsi  su  pei  giornali  e  negli  opu- 
scoli, come  se  quella  fosse  la  più  palpabile,  la  più  sicura  delle  verità. 
La  divina  Provvidenza,  commiserando  la  debolezza  della  fede  e  del- 
la scienza  di  questi  sventurati,  per  via  non  preveduta,  ha  reciso  il 
nodo,  togliendo  via  il  pretesto  stesso  alla  loro  difficoltà,  e  disponen- 
do che  questa  definizione  fosse  realmente  comprovata  dal  suffragio 
unanime  dei  Padri. 

I  voti  infatti  emessi  nelle  Congregazioni  conciliari  non  sono  realmen- 
te definitivi  :  come  non  sono  realmente  definitive  le  Congregazioni  me- 
desime. Sì  le  Congregazioni,  cornei  voli,  sono  preparaloiii  :  giacche 
servono  a  discutere  la  sostanza  e  la  forinola  dei  decreti ,  i  quali  ed  ogni 
nuova  votazione  sono  sottomessi  a  nuove  modificazioni,  finché  dopo 
l'ultima  votazione  generale  preparatoria  non  prendono  quella  forma 
stabile  e  definitiva,  che  si  sottopone  alla  votazione  definitiva  dei  Padri. 
In  queste  Congregazioni  preparatorie  il  voto  negativo  può  bensì  esse- 
re sopra  la  sostanza  medesima  del  decreto,  come  il  voto  affermativo 
condizionato  è  realmente  sopra  la  formola  proposta:  ma  questo  voto 
non  è  f  ultima  parola  dei  Padri ,  e  può  essere  da  loro  o  ritrattala  o  mo- 
dificata nella  sessione,  come  di  fatti  assai  spesso  nei  concilii,  e  in  que- 
sto come  negli  altri,  è  accaduto  di  alcuni.  L'ultima  parola  dei  Vescovi, 
il  loro  voto  definitivo,  e  veramente  irrevocabile  in  quanto  esso  è  atto 
o  sentenza  di  giudici,  è  quello  che  si  dà  nella  Sessione  ultima  e  definiti- 
va, che  nel  Concilio  Vaticano  tiensi  alla  presenza  e  sotto  la  Presidenza 
del  sommo  Pontefice.  In  questa  sessione  si  dà  la  sentenza  dai  Vescovi, 
la  quale  approvata  che  sia  dal  Papa,  passa  in  re  indicata.  A  questa 
sentenza  non  prendono  parte  che  i  soli  presenti,  né  gli  assenti  vi  han 
dritto  alcuno.  Anzi  nel  Concilio  Vaticano  si  è  voluta  rendere  ancor  più 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  3  £9 

severa  del  solito  la  legge  della  presenza,  non  essendo  stato  consentito 
a  nessuno  dei  Vescovi,  qualunque  fosse  stato  il  motivo  delia  sua  assen- 
za, di  manifestare  il  voto  loro  neppur  per  procura.  Tal  è  il  dritto  sì  ge- 
nerale per  tutti  i  concilii ,  sì  particolare  pel  Vaticano.  Or  conforme  a 
questo  dritto  scorgesi  essersi  realmente  conseguita  quella  morale  una- 
nimità, la  quale,  sebbene  senza  giusta  ragione,  pretende/vasi  dagli  av- 
versarli del  magistero  infallibile  del  Pontificato  romano  richiedersi  in- 
dispensabilmente, perchè  la  decisione  del  Concilio  fosse  valida  ed  ob- 
bligatoria per  tutti  i  fedeli. 

Nò  ciò  è  vero  solamente  in  se,  ed  a  punta  di  dritto:  ciò  ammettesi 
altresì  da  questi  stessi  avversarii ,  ed  ammettesi  con  parole  chiare  ed 
esplicite.  Imperocché  essi,  volendo  dimostrare  che  tutte  le  definizioni 
dommatiche  dei  Concilii  furon  fatte  con  questa  loro  pretesa  unanimità 
morale,  fanno  due  distinzioni.  Distinguono  dapprima  le  congregazioni 
preparatorie  dalla  Sessione  pubblica  e  definitiva:  distinguono  dipoi  i 
Vescovi  riuniti  in  Concilio  in  due  parti  :  coloro  che  dettero  il  loro  con- 
senso affermativo  al  domina,  e  coloro  che  per  non  darlo  uscirono  dal 
Concilio  e  rifiutarono  di  sottoscrivere.  Queste  congregazioni  preparato- 
rie e  questi  rifiuti  non  li  mettono  in  conto:  perchè?  Per  la  sola  ragione 
che  i  Vescovi  oppositori  non  trovandosi  a  bello  studio  presenti  il  dì  del- 
la votazione,  non  fanno  più  parte  del  Concilio.  Due  sole  citazioni  ci  ba- 
stano a  convincerci  che  tale  è  la  loro  teorica. 

Nell'opuscolo  intitolato  V  Unanimité  dans  les  Conciles  oecuméniqv.es, 
stampato  dal  Dentu  a  Parigi,  così  leggesi  a  pag.  35. 

«  Le  concile  de  Constantinople,  célèbre  en  381,  se  prononca  à  Tuna- 
nimité  des  cent  cinquante  évèques  presents,  «  fide  consensu  communi 
stabili  (a  »  disent  Ics  actes.  Trente-six  évèques  macédoniens,  qui  s'é- 
taient  volontairement  retirés  want  le  vote,  ne  réussirent  pas  à  infir- 
mer  plus  tard  les  décisions  de  cette  assemblée,  et  leurs  voix  discordan- 
tes  se  perdirent  sans  écho  dans  Tadliésion  de  V  Église  universelle.  » 

Ecco  dunque  una  minorità  di  36  Vescovi  sopra  i  186  riuniti,  la  quale 
si  assenta  volontariamente  per  non  dare  il  voto,  perchè  contrario  alla 
maggiorità  dei  150  rimanenti,  non  essere  calcolata  affatto  come  minorità, 
perchè  sebbene  presente  alla  discussione,  non  si  trovò  presente  alla  vo- 
tazione. E  ciò  si  ribadisce  ancor  più  esplicitamente  nel  periodo  seguen- 
te. Quivi  si  vuol  dare  risposta  all'asserzione  della  Cicìltà  Cattolica  e 
dell'  Unhers,  che  avean  detto  esservi  stata  nel  Concilio  di  Costantino- 
poli una  minorità  opposta  alla  definizione  conciliare  di  quasi  un  quar- 
to: e  per  distruggere  T  efficacia  di  questo  fatto  lo  scrittore  ricorre  a 
questo  rifugio  dell'  assenza.  Eccone  le  parole  :  «  Il  n'y  a  pas  eu  minori- 
le en  381  (epoca  del  Concilio),  mais  bien  unanimité.  Les  trente  six  évè- 
ques macédoniens  n'étaint  pas  une  minorité  dont  on  ne  pril  nul  souci, 
puisqif  ils  avaint  quitte  le  concile  volontairement  et  avant  le  vote.  » 


350  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

E  tre  linee  più  sotto  aggiusne:  «  Les  opposants  ne  se  rencontrent  pas* 
au  concile,  mais  en  demors  du  concile:  là  est  la  differente.  »  Applicando 
questa  teorica  alla  definizione  dommatica  (lell1  infallibilità  poulilìcia,  la 
scuola  rappresentata  da  questo  scrittore  deve  ugualmente  conchiudcre 
che  non  le  mancò  la  tanto  da  lui  desiderata  unanimità,  e  che  essa  dev'es- 
sere da  lui  e  dai  suoi  fautori  venerata  al  pari  del  Concilio  costantinopo- 
litano, e  di  tutti  gli  altri  decreti  conciliari. 

La  seconda  citazione  la  desumiamo  dall'altro  opuscolo,  uscito  coi  tipi 
napoletani  del  De  Àngelis,  e  che  ha  per  titolo:  De  l'unanimité  morale, 
nécessaire  dans  les  concile*  pour  Ics  définitions  dogmatiques.  Quivi  trat- 
tandosi del  famoso  decreto  del  Concilio  tridentino  sopra  il  Canone  dei 
libri  sacri,  e  volendo  rispondere  alla  Cicilia  Cattolica,  la  quale  avea  ri- 
cordato che  la  sanzione  dell1  anatema,  fulminato  dal  Concilio,  avea  avu- 
to quattordici  voti  contrarli  e  solo  venti  favorevoli  ;  cosi  a  pag.  21  ri- 
sponde: «  Elle  (la  Civiltà  Cattolica)  a  confondu  les  divergences  qui  se 
sont  produites  pendant  les  discussions  préparaloires,  avec  T  incon 
ble  unanimité,  obténue  par  le  decret  dans  le  vote  definitif,  en  session 
publique,  le  8  Avril  1546.  Or  toule  la  question  est  là.  »  E  sia  pur  là  nel 
caso  presente  la  questione.  Deve  dunque  esso  concedere  che  il  volo  de- 
finitivo, data  nella  Sessione  pubblica,  fu  anime  qui  pienamente  concor- 
de, fu  anche  qui  più  che  moralmente  unanime. 

E  così  volle  realmente  la  Provvidenza  che  avvenisse,  affinchè  dagli 
occhi  medesimi  di  questi  dissidenti  sparisse  ogni  nebbia  di  solisma,  e 
dalle  loro  stesse  esigenze,  tuttoché  erronee  ed  esorbitanti,  fossero  con- 
dotti a  piegare  con  docilità  la  mente  a  celesta  sì  contrastata  definizione. 
Non  è  egli  vero  che  digitus  Dei  est  hic? 

II. 

RIVISTA  BIBLIOGRAFICA 

I.   Un  pessimo  opuscolo  anonimo. 

La  dernière  ìiewre  du  Concile.  Paris,  Dentu  1870,  pag.  16  in  8/  col- 
r epigrafe  :  Non  moriar  sed  vivam. 

Ecco  un  opuscolo,  secondo  noi,  male  intitolato;  giacché  si  sarebbe  do- 
vuto molto  meglio  intitolare:  La  première  heure  d'un  condonine.  Si  sa 
infatti  che,  secondo  il  proverbio,  si  concedono  ai  condannali  \enliqnat- 
tr'ore  per  maledire  i  loro  giudici  :  e  non  è  maraviglia  che  il  condannato 
gallicano  autore  di  quest'  opuscolo  si  sia  sentito,  nella  prima  ora,  borire, 
eome  naturalmente,  sulla  bocca,  le  maledizioni  peggiori.  Anche  li  sìivIj- 
he  potuto  quest1  opuscolo,  e  forse  anche  meglio,  intitolare  :  La  première 
brochure  de  Salan  tombe.  Infatti,  tranne  lo  stile  e  la  poesia,  ci  pare  leg- 


COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO  351 

gendo  quest'opuscolo  rileggere  le  parole  che  i  poeti  pongono  In  bocca 
a  Lucifero  la  prima  volta  che  neìl' inferno  volge  la  parola  al  suo  esercito 
sconfìtto.  Perfino  sembra  satanica  l'epigrafe  dell'opuscolo:  Non  moriar 
sed  mvam;  testo  d'Isaia  scelleratamente  condotto  ad  esser  in  questa  cir- 
costanza come  im1  imitazióne  del  Nequaquam  moriemini.  Infatti  l'opu- 
scolo è  inteso  a  far  coraggio  ai  ribeili  al  Concilio,  e  dimostrar  loro  che  il 
Gallicanismo,  benché  condannato  a  morte,  non  morirà.  Ma  satanico  so- 
pra tutto  è  l'orgoglio  che  spira  da  ogni  linea  di  quest'opuscolo.  «  Fin, 
d'ora,  ilice  l'arrabbiato  e  vinto  gallicano,  tki  d'ora  noi  possiam  dire  a 
chi  resterà  la  gloria.  Si:  noi  sappiamo  chi  è  che  ha  lottato  pel  diritto  e 
p  r  hi  libertà.  Il  nostro  grido  di  ammirazione  loro  giunga  per  vendicar 
almeno  la  loro  disfatta  !  »  Così  appunto  Lucifero  presso  il  Tasso  : 

a  Fummo  io  noi  nego  in  quel  conflitto  vinti, 
Pur  non  mancò  virtude  al  gran  pensiero: 
Diede  checche  si  fosse  a  Lui  vittoria, 
Rimase  a  noi  d'invitto  ardir  la  gloria.  » 

E  presso  il  Milton: 

o  Fummo  scorni  Iti:  e  che  perciò?  fiaccati, 
Benché  vinti  non  siamo  Una  indomata 
Voglia,  uno  studio  di  vendetta,  un  astio 
Immortale,,  ed  un  cor  che  non  piegarsi, 
Mai  sopporsi  non  può,  che  Cenno  adunque 
Altro  significar  se  non  che  domo, 
Soggiogato  io  non  sono?  Oli  questo  vanto 
Rapir  non  mi  potrà  ne  la  sua  possa, 
Ne  l'ira  sua!  » 

Esegue  l'autore  dell'opuscolo,  per  un  pezzo,  con  orgoglio  veramente 
satanico,  ad  asserire  che  la  scienza,  la  libertà,  l'indipendenza,  tutte  le 
virtù  insomma  furono  oppresse  e  vinte  dalla  sola  forza  brutale  del  nu- 
mero. «  Noi  vedremo,  dice,  se  la  massa  avrà  il  coraggio  di  schiaccia- 
re r  intelligenza,  la  libertà  e  il  valore  ».  Cosi  Lucifero  alla  massa  degli 
angeli  fedeli  attribuì  la  sua  sconfitta.  Ma  non  ai  soli  angeli  :  bensì  a 
Dio  principalmente,  contro  cui  Lucifero  ha  odio  formale.  Or  bene.  Così 
pure  procede  l'autore  di  quest'opuscolo.  Dopo  parlato  della  maggio- 
ranza con  quei  termini  di  disprezzo  che  il  solo  orgoglio  può  suggerire 
ad  un  animo  pieno  di  sé  solo  e  dei  suoi  meriti,  osa  volgersi  diretta- 
mente contro  il  Papa:  e  al  Papa  solo  dà  la  colpa  della  sconfitta.  Il  che  è 
verissimo,  in  senso  ben  diverso  però  dall'  inteso  da  questo  orgoglioso 
caduto.  Infatti  il  Papa  fu  questa  volta,  come  sempre,  la  rocca  della  fe- 
de, il  maestro  indefettibile  della  verità,  il  sostegno  indomabile  del  buon 
diritto,  il  dottore  infallibile  della  Chiesa.  Ma  non  per  questo  egli  tolse 


352  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

punto  nulla  air  onesta  libertà  di  discussione  e  di  voto  ;  ed  anzi  volle  che 
i  termini  di  tal  libertà  toccassero,  si  può  dire,  gli  ultimi  confini. 

Pure  di  questo  Papa,  osa  il  superbo  sconfitto  far  un  ritratto  quale  si 
farebbe  di  un  tiranno.  «  Mentre  tutte  le  potenze  temporali,  dice,  hanno 
questa  volta  scrupolosamente  rispettata  la  libertà  del  Concilio,  un  solo 
potere  l1  ha  impacciato  in  tutti  i  modi,  l'ha  temuto,  1'  ha  annichilato. 
Non  è  bisogno  nominare  questa  potenza  ».  Ma  la  nominò  poco  innanzi, 
parlando  chiaro  del  Papa  e  del  suo  governo.  E  altrove:  «  Mai  non  si 
era  visto  così  da  presso  l'assolutismo  »  e  parla  di  Pio  IX.  Ma  questo  fu 
sempre  il  vezzo  degli  eretici  ;  lodare  se  soli  ;  in  se  soli  trovare  ogni  bene; 
negli  altri  e  specialmente  neir  autorità  che  giudica  e  condanna,  non  tro- 
vare che  ignoranza  e  abuso  di  forza.  Nel  che  appunto  gli  eretici  si  mo- 
strano degni  imitatori  di  Lucifero. 

Vede  ognuno  se,  dopo  che  costui  parla  dei  Vescovi  come  di  genterel- 
la, e  del  Papa  come  di  tiranno,  può  molto  importare  a  noi  che  egli  ci 
giudichi  il  peggio  che  può  e  sa.  Ci  duole  soltanto  di  non  aver  pur  trop- 
po meritato  abhaslanza  f  onore  dei  suoi,  che  egli  crede  insulti,  ma  sono 
in  verità  elogi.  Laddove  invece  crediamo  che  quanti  sono  stati  da  lui 
lodati,  si  terranno  giustamente  per  insultati. 

E  conchiuderemo  colla  nota  terzina  di  Dante  al  capo  7°  dell1  Inferno: 

Poi  si  rivolse  a  queir  enfiate  labbia, 
E  disse:  taci  maledetto  lupo: 
Consuma  dentro  te  con  la  tua  rabbia. 


II.  Fiori  poetici. 

1.  Il  Concilio  Vaticano;  Cantica  del  P.  Luigi  Marii  ci.  C.  d.  G.  Napo- 
li, tipografia  degli  Accantoncelli  1870.  In  8.6  di  pag.  36. 

Due  sono  i  concetti,  che  governano  questa  Cantica  del  chiarissimo 
P.  Marii  :  il  primo  è  la  miserrima  condizione  religiosa  e  morale  della 
odierna  società,  contristala  da  errori  di  ogni  genere;  ed  il  secondo,  il 
supremo  rimedio,  che  a  questa  stessa  società  è  offerto  da  Dio  per  mezzo 
del  Concilio  ecumenico.  (Kiesti  due  concetti  prendono  forma  in  una  or- 
ditura di  molta  semplicità  e  naturalezza,  ma  che  riesce  squisitamente 
poetici  per  le  finzioni  particolari  che  ne  compongono  la  sostanza,  e  per 
le  continue  imm.igini  di  molta  gaiezza  ed  ellicaca  che  le  danno  il  co- 
lorito. Lo  stile  è  proporzionato  al  soggetto  ed  al  metro,  vale  a  dire  no- 
b  le,  vigoroso  ed  elegante,  com'è  quello  che  in  altri  componimenti  di 
simil  ^ene  e  abbaino  altre  volte  rilevato  nel  P.  Marii. 

2.  La  France  a  home.  Album  de  la  Poesie  catholique  a  Voccasion  da 
Concile  oecuminiqae  de  1860;  liecueil  offerì  au  Soucerain  Ponlife  arce 
de  nombreuses  adliésions  épiscopales  sous  la  direction  de  Adrien  Pela- 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  353 

dan.  Lyon,  Bureaux  de  la  Semaine  religieuse  1870.  In  8.°  di  pagi- 
ne XLIV;  588. 

Molti  sono  gli  autori,  che  compongono  questo  magnifico  Album,  inti- 
tolato La  France  à  Rome.  Il  merito  non  può  essere  certo  uguale  in  tanta 
diversità  di  scrittori;  nò  noi,  per  rispetto  ai  componimenti  francesi, 
che  sono  i  più,  potremmo  esserne  giudici  competenti.  Diremo  in  gene- 
rale che  i  concetti  sono  dappertutto  degni  dell'argomento,  cioè  nobili  in 
se  medesimi  e  spiranti  pietà;  ne  ad  essi  è  inferiore  l'espressione  poeti- 
ca. Lode  alla  Francia,  al  cav.  Peladan  e  a'  suoi  cattolici  collaboratori  ! 

3.  Carmina  Vaticano  Concilio  persoluta  a  Rhetoricae  cultoribus  Se- 
minarii  spolettiti.  Spoleti,  ex  Umbriae  typografia  1870.  In  8.°  di 
pag.  32. 

Questa  bella  Accademia ,  tutta  di  poesie  latine,  che  il  venerabile  Se- 
minario di  Spoleto  offre  in  omaggio  al  Sovrano  Pontefice  Pio  IX  ed  al 
sacrosanto  Concilio  Vaticano,  è  una  chiara  dimostrazione,  non  solo  della 
pietà  di  quel  pio  stabilimento,  ma  anche  della  cultura  nelle  lettere  lati- 
ne, che  vi  apparisce  in  grado  non  comune.  Noi  non  possiamo  che  con- 
gratularcene co1  giovani  alunni,  i  quali  con  questi  lieti  principii  fanno 
concepire  cosi  belle  speranze  di  sé  a  vantaggio  e  decoro  della  Chiesa. 

4.  Autori  varii.  Mettiamo  insieme,  come  un  mazzetto  di  fiori,  non  colti 
di  fresco,  ma  neppure  appassiti,  parecchie  poesie,  le  quali  in  diverse 
guise  inneggiano  al  Concilio  Vaticano.  Fra  queste  va  lodato  in  primo 
luogo  un  Carme  latino,  Henrico  Binclio,  Episcopo  Pistoriensium  et  Pra- 
tensium,  politioribiis  lilteris  excultissimo...  dicatum,  dell'ab.  Giovanni 
Bacci,  professore  di  rettorica  nel  Seminario  di  Prato,  il  quale  con  ele- 
gantissimi versi  mette  in  mostra  le  ree  dottrine  del  secolo  presente  che 
il  sacrosanto  Concilio,  confermato  dall'autorità  di  Colui,  al  quale  fu 
promessa  la  divina  assistenza  nel  magisterio  della  Fede,  dovrà  fulmi- 
nare a  tutela  e  salute  del  gregge  cristiano.  E  a  questi  trionfi  appunto, 
che  il  Concilio  Vaticano  apparecchia  alla  Chiesa,  fa  plauso  una  nobile 
Canzone,  di  cui  è  autore  l'ab.  Augusto  Targioni,  uno  degli  alunni  del 
clero  di  S.  Felicita  in  Firenze.  Un  concetto  del  medesimo  genere  forni- 
sce l'argomento  al  bel  Sonetto  dell'  ufficiale  in  ritiro,  sig.  Simone  Vao 
carezza,  il  quale  nella  tarda  età  di  quasi  novantanni  si  è  sentito  come 
rinvigorire  la  fantasia  dal  nobile  soggetto.  Un  altro  Sonetto,  il  cui  ar- 
gomento è  tolto  dalla  coincidenza  del  Concilio  colla  Esposizione  romana 
delle  Belle  Arti,  è  frutto  della  valorosa  penna  del  cav.  Michele  de  Chia- 
ra, il  quale  lo  ha  inoltre  nobilitato  con  una  versione  in  epigramma  lati- 
no. Commendevole  è  parimente  il  Sonetto  del  sacerdote  Domenico  Car- 
tasegna,  il  quale  con  versi  pieni  di  affetto  invoca  il  divino  Spirito,  che 
spanda  largamente  i  suoi  doni  sovra  i  Padri  del  Vaticano  Concilio,  ed 
esalti  il  Successore  di  Pietro,  proclamandolo  a  tutte  le  genti  infallibile 
nel  magisterio  della  Fede.  11  pio  autore  può  consolarsi  che  il  suo  voto» 

Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  489.  23  30  Luglio  1870. 


Zo&  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

è  stato  pienamente  esaudito  dal  divino  Spinto.  Tre  poesie  italiane,  so- 
pra Pio  IX  e  Maria  Immacolata  in  relazione  al  Concilio  generale,  segnate 
da  V.  A.,  prof,  di  teologia  nel  gran  Seminario  di  Carcassona,  sono  rac- 
colte in  un  grazioso  librettino,  stampato  pure  in  Carcassona.  Sono  di 
grande  semplicità  e  naturalezza,  ma  piene  di  affetto.  Affettuosissimo 
insieme  e  spirante  grazie  poetiche  è  YIndirizzo  in  versi  decasillabi,  con 
che  i  giovani  studenti  del  Seminario  di  Ales  in  Sardegna,  licenziandosi 
dal  lor  Vescovo  mons.  Zunnui  Casula,  quand'era  sul  punto  di  partir  pel 
Concilio,  lo  pregavano  che  volesse  testimoniare  alla  sacra  adunanza  la 
lor  fede,  ed  al  Santo  Padre  i  sensi  di  fede,  di  pietà  e  di  divozione 
ta  pruova  alla  Cattedra  di  Pietro  ed  alla  sua  sacra  persona,  offrendogli 
il  tenue  lor  obolo.  Monsignore  Rino  li  compiacque,  e  nella  lettera  di 
offerta  al  Santo  Padre  aggiunse  parole  di  altissima  lode  della  fede  e  pie- 
tà di  que'  giovani,  nonché  dell'intera  Diocesi,  e  segnatamente  del  Clero, 
di  cui  parimente  presentava  un  caldo  Indirizzo  ed  una  Collctta.  Merita 
special  lode  una  vivacissima  ode  francese  delKab.  Desvaux  Du  Moutiers, 
canonico  di  Lucon,  intitolata  Aspirations  sur  le  Concile  oecuménique  du 
Tatican;  che  parte  rassegna  poeticamente  i  fatti  gloriosi  del  Pontificato 
di  Pio  IX,  e  parte  gli  augura  più  nobili  e  universali  trionfi  per  T  opera 
del  Concilio  Vaticano,  da  lui  convocato  e  diretto.  Chiuderemo  questa  li- 
sta annunziando,  benché  troppo  tardi,  un  haW  Inno  popolare,  con  ac- 
compagnamento di  pianoforte,  del  sacerdote  G.  Cagliero,  a  S.  S.  Pio  Pa- 
pa IX  e  ai  Padri  del  Concilio  ecumenico  Vaticano,  pubblicato  bella  Musi- 
ca sacra  della  calcogratia  dell'Oratorio  di  S.  Francesco  di  Sales  a  Torino. 
Altri  più  fiori  poetici  ci  aspettiamo  ora  a  festeggiare  Pio  IX,  il  Conci- 
lio e  la  definizione.  Già  si  e  stampato  un  bell'Inno  militare,  intitolalo  : 
V Infallibilità  del  romano  Pontefice  confermata  dal  Concilio  Valicano  ; 
poesia  del  prof.  G.  B.  Toti,  e  musica  del  maestro  Rollano  :  ed  ora  rice- 
viamo un  Prospetto  di  un'  accademia  poetica,  che  gli  accademici  fiorenti 
del  Sisvi;  icario  Convitto  di  Civita  Castellana,  diretto  dai  Padri  della  Com- 
pagnia di  Gesù,  offersero  al  pubblico  il  20  Luglio  alla  presenza  deirEiùo 
Card.  Monaco  La  Valletta,  a  cui  l'accademia  fu  dedicata.  Essa  s"  inti- 
tola: Fasti  del  Pontificalo  di  Pio  IX  comparati  con  quelli  d'illustri  Pon- 
tefici; ed  è  divisa  in  due  parti:  Avvenimenti  gloriosi;  e  Virtù  piò  illu- 
stri. Nella  prima  parte  tra  gli  altri  campeggiano  questi  titoli  di  va- 
rie poesie  :  Ritorno  glorioso  in  Roma  di  Pio  VII  e  di  Pio  IX  —  S.  Ce- 
lestino vendica  a  Maria  la  divina  Maternità;  Pio  IX  l'immacolata  Con- 
cezione —  Contro  gli  umani  disegni  raccoglie  Paolo  III  il  Concilio  di 
Trento;  Pio  IX  quello  del  Vaticano  —  S.  Pio  V  e  la  vittoria  di  Lepan- 
to; Pio  IX  e  la  vittoria  di  Mentana.  Nella  seconda  tra  gii  altri  titoli 
basti  accennar  questi  due:  Zelo  della  fede  in  S.  Gregorio  M.  che  invia 
i  primi  apostoli  in  Inghilterra;  in  Pio  IX  che  vi  restituisce  la  gerar- 
chia ecclesiastica  —  Eroica  fortezza  cristiana  di  S.  Gregorio  e  di  Pio  IX. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  355 

III. 

NOTIZIE  VARÌE 


1.  V  infallibilità  pontificia  e  l'Ungheria  —  2.  Un  indirizzo  del  Clero  genovese 
eia  Rivista  universale  —  3.  Altri  indirizzi,  specialmente  del  Clero  d'In- 
ghilterra e  di  Scozia  —  4.  Indirizzo  del  convitto  teologico  d' Innsbruek  — 
5.  Offerte  ed  applausi  nel!'  Vnivers  dopo  la  definizione;  protesta  di  som- 
messione  del  Francate;  festa  di  tutti  i  cattolici. 

1.  La  solenne  detìnizione  della  infallibilità  pontificia  ha  tolto  ornai  ogni 
interesse  a  molte  notizie  anteriori;  ma  noi  non  possiamo  tacerne  alcune 
più  rilevanti,  perchè  restino  come  documento  anche  in  queste  pagine. 

Il  Giornale  di  Roma  del  9  Luglio  avea  le  seguenti  parole  assai  gravi 
in  risposta  air  Osservatore  Triestino  ed  al  Lloyd: 

«  Si  legge  neir  Osservatore  Triestino  un  articolo  che  dice:  «  Pest  4  Lu- 
glio: A  quanto  riferisce  il  Lloyd,  i  Vescovi  ungheresi  che  trovansi  a  Ro- 
ma sarebbero  stati  minacciati  delle  più  gravi  pene  della  Chiesa  e  della 
privazione  del  diritto  di  esercitare  funzioni  ecclesiastiche,  qualora  per- 
sistano nell'opposizione  contro  l1  infallibilità.  I  Vescovi,  prima  di  pren- 
dere una  risoluzione,  desiderano  di  conoscere  le  vedute  del  Governo.  Il 
Lloyd  spera  che  il  Governo  non  esiterà  un  momento  ad  eccitare  i  Prela- 
ti a  persistere  animosamente,  senza  riguardo  alle  conseguenze.  Osserva 
che  tutta  la  popolazione  cattolica  dell1  Ungheria  sta  dalla  parte  dei  Ve- 
scovi, cosicché  i  fulmini  del  Vaticano  passeranno  sulla  loro  testa  senza 
lasciare  alcuna  traccia.  » 

«  Quali  siano  i  sentimenti  dei  Vescovi  ungheresi  e  quali  le  idee  del 
Governo  austriaco  non  è  dato  a  noi  di  conoscere.  Quello  che  possiamo  as- 
serire si  è  che  niuna  minaccia  è  stata  fatta  a  quell'Episcopato,  e  neppu- 
re una  osservazione  officiale  qualunque  in  proposito.  Tutto  dunque  nel- 
la esposta  narrazione  si  deve  attribuire  alla  perversa  volontà  di  calun- 
niare, alla  ignoranza  dei  fatti  e  dei  sani  principii,  le  quali  formano  l'ali- 
mento di  certi  giornali  e  investono  certe  persone,  che  si  sono  schierate 
in  battaglia  sia  per  debolezza  di  mente,  sia  per  odio  alla  Chiesa,  sia  per 
spirito  di  orgoglio  e  di  vanità. 

«  Questi  giornali  e  queste  persone  fingono  soprafazioni  che  attribui- 
scono alla  parte  direttiva  del  Concilio,  la  quale  al  contrario  esercita 
continui  atti  di  pazienza  e  di  longanimità.  » 

Fin  qui  il  Giornale  di  Roma  del  9  Luglio.  Ora  la  definizione  ha  posto 
fine  al  tanto  dir  che  si  è  fatto  dell'opposizione  dell'Episcopato  ungarico. 
Ma  merita  di  restare  in  memoria  una  corrispondenza  pubblicata  fin  dal 


356  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

28  Maggio  nel  Vatican,  che  contiene  un  prezioso  documento  di  quattro 
Concilii  provinciali  d'Ungheria,  i  quali  insegnarono  l1  infallibilità  ponti- 
fìcia e  proscrissero  la  dottrina  contraria.  Ci  basti  di  citare  alcune  frasi 
dei  due  ultimi  Concilii,  del  1838  e  del  1863.  —  Il  Concilio  provienile  stri- 
goniensc  del  1838,  celebrato  dall'Arcivescovo  mons.Scitowszki,  a  cui  fu- 
rono presenti  quattro  dei  Padri  del  Concilio  Vaticano,  mons.  Ranol- 
der,  mons.  Simor,  mons.  Kovàcs  e  mons.  Zalka,  tra  l'altre  cose  contie- 
ne queste  parole:  «  Romana  Ecclesia,  quae  semper  immaculata  mansit, 
et  Domino  providente  et  B.  Petro  Ap.  opem  ferente  in  futuro  manchi' 
sine  ulla  haereticorum  insultatione  firma  et  immohilis  omni  tempore 
persistet;  Ecclesia  romana  est  omnium  Ecclesiarum  mater  et  magistra, 
catholicae  ceritatis  et  unitatis  centrum,  in  qua  est  integra  et  vera  cliri- 
stianac  religionis  solidilas,  et  ex  qua  traditionem  fidei  omnes  reliquac 
Ecclesiae  mutucnlur  oportet.  Unde  Petro  in  rebus  fidei  et  morum  per  os 
Pontificis  loquenti  omnes  per  orbem  fideles  et  pastorcs  ci  tra  omne  du- 
Lium  assensum  semper  praebuerunt.  Hanc  erga  cathedram  Petri  obe- 
dientiam,  reverentiam  et  inconcussam  adhaesionem,  sicut  fideles  ita  et 
pastorcs  Ecclesiae  et  provinciae  huius  eo  libentius  profitemur,  et  invio- 
labiliter  nos  servaturos  spondemus,  quo  magis  beatae  memoriae  praede- 
cessorum  nostrorum  exemplo  ad  id  provocamur.  Grata  est  memoria 
Georgii  Szelepesény,  strigoniensis  Archiepiscopi,  qui  quatuor  proposi- 
tiones  cleri  gallicani  anno  1682  editas,  una  cum  ceteris  Hungariae  prae- 
sulibus  eodem  adhuc  anno  ceu  auribus  christianis  absurdas  et  piane 
detestabiles  proscripsit,  ac  universis  istins  regni  Christifidelibus  interdi- 
xit  ne  eas  legere  vel  tenere,  multo  minus  docere  auderent.  (Roskovàny, 
Rom.  Pont.'t.  4,  p.  387-390.) 

Similmente  il  Concilio  provinciale  di  Colocza,  tenutosi  nel  1863  dal- 
l'Arcivescono  mgr.  Kunszt,  al  quale  intervennero  due  Padri  del  Con- 
cilio Vaticano,  mgr.  Ilaynald,  e  mgr.  Bonnaz,  dopo  citate  alcune  nobi- 
lissime sentenze  di  S.  Leone  sul  primato  di  Pietro,  soggiunge:  «  Quem- 
admodum  ergo  Petrus  est  petra  seu  fundamentum  Ecclesiae,  doctrinae 
fidei  magister  irrefragabilis,  prò  quo  Dominus  oravit  ut  non  deficeret 
fides  eius  ;  pari  modo  legitimi  eius  in  Cathedrae  Romanae  culmine  suc- 
cessores,  in  quibus  semper  vivit  et  loquitur  et  praesidet,  nihilo  sunt 
ipso  inferiores,  sed  pari  potestatis  plenitudine  et  omnium  Ecclesiarum 
sollicitudine  caeterorum  Apostolorum  in  episcopato  successoribus  prae- 
valent,  depositum  fidei  summo  et  irrefragabili  oracuìo  cuslodiunt.  Unde 
propositiones  Cleri  gallicani  anno  1682  editas,  quas  iam  piae  memoriae 
Georgius  Szelepesény,  Archiepiscopus  Strigoniensis,  una  cum  caeteris 
Hungariae  Praesulibus,  eodem  adhuc  anno  publice  proscripsit,  itidem 
reiicimus,  proscribimus,  alque  cunctjs  provinciae  huius  fidelibus  inter- 
dicimus,  ne  eas  legere  vel  tenere,  multo  minus  docere  audeant»  (Rosko- 
Tàny,  t.  ì,  p.  482). 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  357 

Con  tali  documenti  sotto  degli  occhi  avea  ragione  il  corrispondente 
del  Vatican  di  non  credere  alla  sì  decantata  opposizione  dei  Vescovi 
d'Ungheria  air  infallibilità.  «  Credete  voi  possibile,  egli  dicea,  che  gli 
stessi  Vescovi,  i  quali  rigettando  di  tutto  cuore  la  dottrina  gallicana 
sette  o  dieci  anni  or  sono,  fecero  una  legge  disciplinare  contro  chiun- 
que de1  loro  sudditi  ardisse  d'insegnarla,  si  sian  poi  in  una  notte,  come 
per  verga  magica,  trasformati  in  gallicani,  ed  abbian  potuto  insegnare 
al  cospetto  dell1  universo  ciò  che  essi  sarebbero  in  dovere  di  punire  se 
fosse  insegnato  dai  loro  teologi  nei  lor  seminarli?  Credete  ciò  che  vi 
piace;  ma  io,  e  quanti  spargono  lagrime  su  quelle  malaugurate  lodi  date 
alla  supposta  opposizione,  non  posso  trovarne  alcuna  ragione  teologica.  » 
Checche  ne  sia,  ebbe  ragione  il  Yatican  di  dire,  che  quello  splendido 
documento  della  tradizione  della  Chiesa  ungarica  prova  ad  evidenza  che 
i  Vescovi  opposti  alla  definizione  avrebbero  ripudiato  le  solenni  decisioni 
conciliari  delle  stesse  loro  Chiese,  ed  avrebbero  insegnato  ai  lor  greggi, 
non  già  che  il  Papa  sia  fallibile,  ma  che  alcuni  Vescovi  possono  con- 
traddire in  un  tempo  apertamente  ciò  che  essi  stessi  hanno  solennemente 
insegnato  in  un  altro,  e  ciò  che  vien  tuttora  insegnato  negli  stessi  lor 
seminarii  e  nelle  loro  parrocchie.  Per  divina  grazia  dopo  la  dogmatica 
definizione  una  tale  incoerenza  non  è  più  possibile. 

2.  Un  altro  documento,  degnissimo  di  restare  in  memoria,  si  è  il  se- 
guente indirizzo  di  grandissima  parte  del  Clero  di  Genova. 

Beatissime  Pater , 

Ad  Sanctitatis  Tuae  pedes  provoluti,  Beatissime  Pater,  subscripti  sa- 
cerdotes  vota  sua  promunt,  ut  ab  oecumenico  Vaticano  Concilio  pontifi- 
cia definiatur  infallibili tas.  Romanum  siquidem  Pontificem  ex  cathedra 
definientem  in  rebus  fidei,  et  morum  infallibilem  esse,  eiusque  dogma- 
tica decreta,  etiam  antequam  Ecclesiae  consensus  accedat,  esse  prorsus 
irreformabilia  ex  sacris  litteris  colligitur,  et  ex  perpetua  Ecclesiae  tra- 
ditione  luculentissime  evincitur.  Eiusmodi  autem  delìnitio,  quam  omnes 
boni  ardenter  exoptant  non  modo  opportuna,  sed  in  praesentibus  rerum 
circumstantiis  necessaria  quoque  videtur.  Sine  igitur,  Beatissime  Pater, 
ut  tot  sacerdotnm  Galliae,  Germaniae,  Italiae,  etc,  votis  iungantur 
et  nostra,  ut  huius  dogmatis  definitione  vehementer  universa  laetetur 
Ecclesia. 

Quidquid  oecumenica  Vaticana  Synodus  statuerit,  nos  humiliter  su- 
scipimus;  quidquid  Romanus  Pontifex  approbaverit,  approbamus;  quid- 
quid  damnaverit,  damnamus. 

Dum  hos  sensus  humiliter  Sancitati  Tuae  pandimus,  silentio  prete- 
rire non  possumus  dolorem,  quo  afiìcimur,  ob  quasdam  ephemerides, 
quae  hic  et  alibi  vulgantur,  quaeque,  licet  erga  Ecclesiam,  et  hanc  San- 
ctam  Sedeni  obsequentissimas  se  esse  profiteantur,  nimium  tamen  novi- 


358  COSE  SPETTANTI  AL  COÀCILIO 

tatihus  adhaercntes,  ia  novas  item  abeunt 

plenas.  Beflemus  polissimum  quac  ab  cphemeride,  cui  titulus  Rivista 
universale,  cvulgatae  sunt  opinioncs ,  quas  iam  celeberrima  romana 
ephemerides,  cui  titulus  Cimila  Cattolica,  pluries  refutavit,  easque 
praesertim,  quas  nuperrime  mense  Maio  huius  anni,  pag.  540  et  se- 
quent.,  in  lucimi  edere  non  dubitavit.  Ad  tuum  autem  oportet  referri 
apostolatum,  Beatissime  Pater,  pericula  quaeque,  et  scandala  emergen- 
tia  in  regno  Dei  ;  tu  enim  es  Petri  Successor  et  Christi  Vicarius ,  cuius 
sana  dcctrina  constai  iudicio  veritatis,  et  fulcitur  munimine  auctoritatis. 
aMos  iste  semper  in  Ecclesia  viguit,  aiebat  Vincentius  Lirinensis,  ut 
quo  quisque  forct  religiosior,  eo  promptius  noccllis  adinvenlioitibus 
coìitraivct.  »  Tiracmus  ne  connivere  sit,  hoc  tacere.  In  huiusmodi  si- 
quidem  causis  non  caret  suspicione  taciturnitas;  quia  occurreret  veritas 
si  falsitas  displiceret.  Speciosum  quidem  est  nomen  paci.  ;  ast  mundi  se- 
da lores  pacem  voce  clamare  consueverunt,  et  opere  destruere.  Xos  au- 
tem pacem  vcram ,  pacem  Christi  volumus;  fugicnda  profecto  sunt  par- 
tium  studia,  et  veruni  non  vincendi,  sed  inveniendi  gratia  quaereiidum. 
Vera  Ecclesiae  catholicae  tessera  est:  charitas  erga  errantes;  hellum  ad- 
versus  errorem.  «  Miserari  licet,  scribebat  S.  Hilarius  Pictaviensis ,  et 
praesentium  temporum  stultas  opiniones  ingemiscere,  quibus  patrocinari 
Deo  humana  creduntur,  et  ad  tuendam  Christi  Ecclesiam  anibitio:;c  sae- 
culari  laboratur.  » 

Nos  semper  Romano  Pontifici  Successori  Beati  Petri  Principis  Àposto- 
lorum ,  et  vero  Christi  Vicario ,  totiusque  Ecclesiae  Capiti ,  et  omnium 
christianoruni  Patri  et  Doctori,  usque  ad  extremum  vitae  spiritimi  fir- 
miter  adbaerere  gloriabimur. 

Sancii  tatis  Tuae, 

Genuae,  die  29  Iunii  1870, 

Humiìlimi  et  obedientissimi 

Famuli  et  Filii 

(Seguono  le  firme.  ) 

Nel  documento  qui  sopra  riferito  si  accenna  specialmente  ad  un  arti- 
colo della  Rivista  universale,  periodico  genovese,  contro  cui  protestano 
i  sacerdoti  sottoscritti.  Perchè  i  nostri  lettori  sappiano  di  òhe  si  tratta, 
diremo  due  parole  di  quell'articolo.  Esso  uscì  nel  N.°  di  Maggio  del  det- 
to periodico;  è  intitolato:  La  Costituzione  dogmatica  del  2i  Aprile  1870, 
ed  è  sottoscritto  da  due  signori  laici,  ordinarli  redattori.  Quest'articolo 
non  contiene  nulla  di  originale:  ed  è  anzi  un  sunto  o  centone  di  articoli 
e  corrispondenze  di  giornali  francesi,  e  l'eco  fedele  e  la  ripetizione  di 
certe  brochurcs  ed  opuscoli  parimente  francesi.  Giacché  pur  troppo  si 
osserva  che  questi  cattolici  liberali,  che  si  vantano  italiani  e  ci  danno 

lekiòni  di  amor  di  patria,  non  fanno  poi  che  copiar  frani 
imitar  francesi,  lodar  francesi.  Ed  almeno  pigliassero  per  maestri  e  pe- 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  359 

dagoghi  i  francesi  veri  e  buoni.  Ma  no:  vanno  proprio  a  scegliere  i 
gallicani  che  sono  pseudo-francesi.  Del  resto,  secondo  il  nostro  modo 
di  yedere,  degli  spropositi  di  cui  ribocca  questo  centone  di  articolo,  con- 
tro cui  protestò  il  clero  genovese,  noi  vediamo  la  cagione,  più  che 
nella  malizia  non  supponibile  in  quei  signori  (benché  essi  la  suppongano 
molto  facilmente  negli  altri),  nell'ignoranza  molto  scusabile  in  laici;  i 
quali  però  dovrebbero  astenersi,  non  diciam  dal  parlare,  ma  almeno  dal 
sentenziare  e  definire  come  dalla  cattedra  di  materie,  di  cui  non  conosco- 
no neanche  i  primi  elementi.  Che  se  invece  di  predicare  la  modestia  agli 
altri,  avessero  essi  avuta  quella  di  non  dare  giudizii  sopra  giornali  esclu- 
sivamente teologici,  avrebbero  evitato  di  far  pomposi  elogi  e  di  racco- 
mandar caldamente,  e  con  viva  simpatia  un  oscuro  giornale  di  Torino,  e 
un  altro  di  Parigi,  che  sono  appunto  i  peggiori  forse  e  certamente  i  più 
maliziosi  e  i  più  acconci  ad  ingannare  la  buona  fede  dei  semplici  laici,  di 
quanti  ne  conosciamo  fra  quei  tanti  che  pullularono  in  questi  mesi  a  ra- 
gionare e  sragionare  sul  Concilio  ecumenico.  Dall'  elogio  caldo  e  simpa- 
tico che  la  Rivista  universale  fa  di  due  pessimi  giornali,  dei  quali  cer- 
tamente essa  non  capì  la  malizia,  e  più,  dall'  essere  il  detto  articolo,  co- 
me dicemmo,  non  altro  che  un  sunto  ed  un  centone  di  giornali  ed  opu- 
scoli gallicani,  intendono  da  se  i  lettori  la  convenienza  e  la  legittimità 
della  protesta  sopra  riferita.  Quanto  a  noi,  rendendo  in  prima  cordialis- 
sime grazie  a  chi  prese  sì  altamente  le  nostre  parti,  crediamo  inutile  di 
protestare  contro  l'insigne  sciocchezza,  più  che  calunnia,  che  si  contiene 
nel  detto  articolo  a  nostro  riguardo,  dove  della  Civiltà  Cattolica  si  parla 
come  «  di  quel  periodico  politico  religioso,  scritto  in  Roma  da  alcuni  ge- 
suiti e  sconfessato  dal  Generale  della  loro  Compagnia.  »  Del  resto  che  la 
Rivista  universale  sia  sconfessata  dal  clero  della  sua  patria  è  ora  ufficial- 
mente evidente.  Quanto  poi  al  «  voto  formale  di  professare  la  dottrina 
deirinfallibilità  »  proposto  da  noi  e  disapprovato  dalla  Rivista  universale, 
ma  approvato  da  Roma  e  fatto  da  infiniti  in  ogni  parte  di  mondo,  ora 
anche  gli  scrittori  della  Rivista  universale  devono,  ci  pare,  approvarlo; 
se  non  vsque  ad  consummationem  sangvinis,  come  essi  dicono ,  almeno 
usque  ad  effusionem,  come  dicevamo  noi.  Prima  di  finire  ci  permettia- 
mo di  rinnovare  alla  Rivista  universale  la  raccomandazione  di  non  ser- 
virsi esclusivamente,  per  mostrar  la  propria  italianità,  di  idee,  di  maestri/ 
di  giornali,  di  padri  spirituali  gallicani.  Sia  di  fatto  e  non  a  parole  ita- 
liana: sarà  allora  meno  liberale  e  meno  gallicana.  Ma  sarà  più  italiana, 
più  romana  e  più  cattolica,  e  non  sarà  sconfessata  dal  patrio  clero. 

3.  È  ornai  troppo  tardi  recare  altri  Indirizzi  venuti  d' ogni  parte  per 
la  definizione  dell  infallibilità  :  tuttavia  ne  accenneremo  ancora  qualcu- 
no. Abbiamo  sotto  degli  occhi  un  recente  indirizzo  del  capitolo  e  del 
clero  secolare  e  regolare  della  diocesi  di  Spalatro,  stampato  in  un  libret- 
to col  titolo  di  ObsequevJissima  vota  capikili  ac  utriusque  cleri  Ecclesiae 


360  COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO 

Spalatensis  alias  Salonilanac  in  Dalmalia.  Similmente  Tediamo  nclP  e- 
gregio  periodico  mensile  di  Lisbona ,  V  Edio  de  Roma ,  nei  numeri  di 
Giugno  e  di  Luglio  fervorosi  indirizzi  per  lo  slesso  line.  Nella  gran  Bret- 
tagna ,  la  diocesi  di  Limerick  in  Irlanda  ha  la  gloria  di  essere  stata  la 
prima  a  darne  l'esempio,  e  T archidiocesi  di  Westminster  in  Inghilterra 
ha  pure  la  gloria  di  aver  mandata  essa  sola  sette  indirizzi  :  ma  oltre  gì1  in- 
dirizzi speciali  venuti  da  varie  diocesi  venne  ultimamente  in  Roma  questo 
breve  indirizzo  del  Clero  secolare  e  regolare  d'Inghilterra  e  di  Scozia. 

«  Nos  infrascripti,  Angliae  et  Scotiae  utriusque  Cleri  Sacerdotes,  sen- 
sus  nostros  quoad  doctrinam  de  qua  definienda  in  sacro  Concilio  Oecu- 
cumenico  nunc  agitur  manifestare  cupientes,  et  nulla  meliori  verhorum 
forma  id  fieri  posse  censentes  quam  illa  quae  a  confratribus  nostris  al- 
mae  Urbis  Parochis  nuper  est  adhibita,  ad  pedes  Beatitudinis  Tuae  hu- 
millime  provoluti  declaramus  :  «  nihil  esse  nobis  antiquius,  nihil  san- 
dius,  nihil  gralius ,  nihil  optabilius ,  quam  ni  per  Vaticani  Condili  de- 
cretum  (si  tamen  ita  Spirititi  Sancto  ac  Patribus  in  codem  Spiritu  con- 
gregatis,  quod  summopere  confidimus,  visum  fuerit  )  infallibile  Sanctae 
Sedis,  hoc  est  Romani  Ponti ftcis ,  in  docendo  magisterium  tandem  ali- 
quando  expresse  slabilialur,  alque  in  universo  qua  late  palet  orbe  catho- 
lica  fide  omnibus  credendum  edicatur.  » 

«  Quam  quidem  declarationem  ad  Beatitudinis  Tuae  pedes  humiliter 
deponentes ,  super  nos  et  super  omnes  Christi  lìdeles  in  hoc  Regno  be- 
nedictionem  apostolicam  peramanter  et  enixe  precamur. 

«  Datum  die  11  Iulii  1870. 

(Subscripserunt  Sacerdotes  839j.  » 

4.  Se  fosse  altrettanto  breve ,  quanto  è  bello ,  pubblicheremmo  anco- 
ra un  indirizzo  al  S.  Padre  dei  giovani  studenti  ty  Teologia  nella  fioren- 
te università  di  Innsbruck,  i  quali  han  trovato  modo  di  essere,  per  quan- 
to potevano,  i  primi  a  festeggiare  la  definizione.  «  Per  riguardo  dovuto 
alle  circostanze  (ci  dice  una  lettera  di  colà  )  non  abbiamo  mandato  in- 
dirizzo, mentre  si  disputava  ancora;  ma  tosto  che  il  dogma  è  proclama- 
to ,  questi  riguardi  non  esistono  più  ;  ed  è  perciò  che  ci  affrettiamo  di 
dare  dalla  longinqua  e  fredda  Germania  il  primo  segno  di  letizia  e  di 
congratulazione  al  sommo  Pontefice;  e  nutriamo  speranza  che  Sua  Santi  là 
ne  riceva  qualche  piccola  consolazione,  dopo  che  alcuni  Tedeschi  Y  hanno 
non  poco  contristato  coi  loro  scritti.  Abbiamo  fatto  adornare  V  indirizzo 
da  un  artista  valentissimo  ed  abbiamo  aggiunto  trecento  franchi  in  oro 
pel  danaro  di  S.  Pietro:  e  il  tutto  sarà  rimesso  al  Nunzio  apostolico,  nel 
giorno  che  sarà  proclamata  Y infallibilità.  L'indirizzo  è  segnato  da  chie- 
rieijdi  29  diocesi  e  da  regolari  di  13  monasteri,  e  sarà,  speriamo,  il  pri- 
mo segno  di  congratulazione  in  Germania  per  questo  grande  evento.  » 

5.  La  notizia  del  grande  evento  per  mezzo  del  telegrafo  rallegrò  ben 
presto  i  cattolici  di  lontani  paesi,  e  i  fogli  cattolici  si  affrettarono  a  dare 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  361 

il  testo  della  Costituzione.  VUnivers  trovò  modo  di  far  comparire  a  Pari- 
gi, colle  ultime  modificazioni  trasmesse  per  telegrafo,  il  testo  della  Co- 
stituzione dommatica  nel  numero  dei  20  di  Luglio.  Quel  numero  uscì  con 
un  nuovo  fregio  a  festa  e  non  parlò  d'altro  che  della  definizione,  aggiun- 
gendovi la  lista  179a  delle  sottoscrizioni  pel  Concilio,  più  ricca  ancora 
delle  precedenti  per  offerte,  e  per  acclamazioni  al  Papa  infallibile.  Dopo 
r  offerte  degli  stessi  Redattori  dell1  Univers ,  viene  un'offerta  di  20,600 
franchi  con  questa  epigrafe:  Actions  degràces  pour  la  définition  de  Vin- 
faillibilité  personelle  des  Pontifes  Romains.  Òffrande  rccueiUie  par  le 
B.  P.  Ludovic,  capucin:  e  seguono  hen  dieci  colonne  di  sottoscrizioni. 
Ma  ciò  che  ci  ha  fatto  ancor  più  piacere  si  è  la  bella  protesta  del  Francais 
del  21  Luglio.  Saputa  appena  per  telegrafo  la  definizione  e  vedutone  il  te- 
sto iì(ì\1  Univers ,  il  Francais  si  affrettò  di  stampare  queste  nobili  parole 
di  sottomissione  completa,  sincera  e  filiale.  Yoilà  donc  termine ,  après 
des  travaux  longs  et  approfondis ,  un  débat  solennel ,  dont  la  place  sera 
grande  clans  V  histoire  de  V  E g lise.  La  décision  rendue  dot  tonte  contro- 
verse: la  liberto  des  opinions  perd  ce  qui  appartieni  désormais  pour  tout 
catholique  au  domaine  de  la  foi.  Puissent  tous  les  ésprils  accueillir  la 
décision  de  VEglise  acce  une  soumission  aussi  complète,  aussi  sincère,  et 
aussi  filiale  que  la  nutre!  Francais  Beslay. 

Oh  sì ,  una  sottomissione  completa ,  sincera  e  filiale  di  quanti  prima 
eran  contrarii,  è  la  più  bella  festa,  il  più  bel  trionfo  che  possiamo  bra- 
mare !  Qui  non  si  tratta  di  vincitori  e  di  vinti  ;  ma  di  fratelli  che  si  uni- 
scono nel  trionfo  della  verità  e  della  fede.  Un  senso  di  delicatezza  ver- 
so quelli  che  furon  contrarii,  più  che  le  circostanze  politiche  della  guer- 
ra, han  suggerito  di  non  fare  certe  dimostrazioni  di  gioia  per  la  definizio- 
ne, che  si  erano  ideate  in  Roma  ed  altrove.  Invece  la  festa  più  degna  al 
cospetto  di  Dio,  degli  Angeli  e  degli  uomini  sia  per  tutti  la  sommissione 
filiale  alla  Chiesa,  e  la  carità  fraterna  nell1  unità  della  fede  ;  e  ornai  tolta 
per  sempre  la  divisione  di  gallicani  e  d' oltramontani ,  alla  guerra  suc- 
ceda la  pace. 


362  COSE  SPETTAMI  AL  CONCILIO 

IV. 

CRONACA  DEL  CONCILIO 

1;  Congregazioni  generali  —  2.  Protesta  degli  Eiìii  Presidenti  —  3.  Sessione  IV 
—  4.  La  maggioranza  e  la  minoranza  —  5.  Partenze  di  Vescovi  --  6.  Ne- 
crologia. 

1.  Tre  Congregazioni  generali  si  tennero  il  Lunedì,  Martedì  e  Saba- 
to, 11,  13,  16  Luglio,  in  preparazione  prossima  alla  quarta  Sessione. 

Nella  Congregazione  deiril,  dopo  la  Messa  celebrata  da  monsignor 
Melano,  Arcivescovo  di  Nicomedia,  si  fece  la  votazione  sopra  tutti  gli 
emendamenti  proposti  nella  discussione  del  quarto  capitolo  dello  schema. 

Nella  Congregazione  dei  13,  dopo  la  Messa  celebrata  da  monsignor 
Cilento,  Arcivescovo  di  Rossano,  si  terminarono  le  votazioni,  e  si  fece 
l'appello  nominale  per  raccogliere  i  voti  sopra  tutto  il  testo  della  Costi- 
tuzione dogmatica.  Il  telegrafo  annunziò  tosto  a  cento  fogli  il  numero 
dei  Padri  601  ;  450  placet;  88  non  placet  ;  6*2  placet  iuxta  modani.  La 
Nazione  del  17,  e  Y  Opinione  del  18,  ed  altri  giornali  diedero  la  lista 
nominale  degli  88  Padri  che  votarono  col  non  placet;  ma  oltre  alcuni 
gravi  errori  nella  lista  dei  nomi,  s'ingannarono  a  partito  mettendo  Del- 
l'opposizione anche  i  62  voti  iuxta  modum,  mentre  i  più  diesai  erano 
siati  proposti  dai  Padri  della  maggioranza,  che  avrebbero  voluto  ancora 
qualche  cosa  di  più  nella  solenne  definizione.  Tutti  questi  voti  condizio- 
nali, che  proponevano  nuove  eccezioni  o  emendamenti,  furono  messi  a 
stampa  e  distribuiti  ai  Padri,  per  venire  ali1  ultima  decisione. 

Nella  Congregazione  del  16,  festa  della  B.  Vergine  del  Carmelo,  do- 
po la  Messa  celebrata  da  monsignor  Giannelli,  Arcivescovo  di  Sardia, 
in  tre  distinte  relazioni  si  espose  ai  Padri  il  giudizio  della  Commissione 
De  Fide  sulle  eccezioni  proposte  nei  voti  iuxta  modum,  prima  sul  proe- 
mio e  sui  due  primi  capitoli,  quindi  sul  terzo  e  poi  sul  quarto  capitolo; 
e  la  Congregazione  approvò  col  suo  voto  il  giudizio  della  Commissione  *. 


1  Pi  questo  voto  parla  il  Giornale  dì  Roma  dei  20  e  27  Luglio  in  una  solenne  mentita  che  di 
all'  Italie. 

«  L'Italie,  del  giorno  2i  corrente,  ha  una  corrispondenza  da  Roma  del  18,  nella   quale  afferma 
che  la  clausola  absque  consensi/,  Ecclesiae ,  trovata  mancante  nella  pubblicazione  della  Costituzione  Da 
Ecclesia  ChrtsU  fatta  dall'  Unità  Cattolica,  fu  aggiunta  nella  Sessione  pubblica  del  giorno  18 
dine  imperino  del  Santo  Padre. 

«  La  venia  t;  che  proposto  lo  schema  nella  penultima  Congregazione  generale,  secondo  il  lesto 
pubblicato  dall'  Uni  Ut  Cattolica,  nei  voti  che  ebbero  luogo  vi  f;irono,  come  già  è  noto,  del  placet 
iuxta  modum.  Preti  ejwiU  in  consideratlone  nella  susseguente  Congregazione  generale,  dne  ne  furo- 
no adottati;  dei  quali  l'uno  dimandava  la  soppressione  di  un  lesto  <n  8  l'altro  la  suin- 
dicata aggiunta,  non  con  le  parole  ab$fué  coment*  Eceletiae,  ma  con  le  altro  non  antan  ex  coti" 
temu  Ecclesiae. 


cose  spettanti  al  concilio  363 

Altro  non  restava  che  la  Sessione  pubblica,  la  quale  non  potendosi  tene- 
re il  dì  appresso,  Domenica  17  Luglio,  per  difetto  di  tempo  a  mettere 
in  is lampa  il  testo  della  Costituzione,  cogli  ultimi  emendamenti,  e  a  ri- 
durre in  assetto  l'Aula  conciliare,  fu  intimata  per  ordine  di  Sua  Santità 
il  Lunedì  seguente. 

2.  Nella  stessa  Congregazione  del  16  Luglio,  dice  il  Giornale  di  Ro- 
ma, «  si  è  distribuita  ai  Reviìri  Padri  in  doppio  esemplare  e  di  poi  letta 
una  protesta  degli  Emi  e  Rini  Signori  Cardinali  Presidenti  delle  Congre- 
gazioni generali  in  disapprovazione  delle  calunnie  sparse  nei  giornali  ed 
in  diversi  opuscoli  contro  il  Concilio,  e  sonosi  invitati  i  Padri,  come  te- 
stimonii  della  verità,  a  voler  signiikare  il  loro  avviso  intorno  alla  me- 
desima. A  questo  invilo  hanno  i  Padri  universalmente  manifestato  la 
loro  pienissima  adesione  a  quell'atto  ;  e  tale  adesione,  dietro  invito  de- 
gli stessi  Emi  Presidenti,  hanno  confermato  i  Padri  coirapporre  la  pro- 
pria firma  ad  uno  degli  esemplari  della  protesta,  che  sono  stati  quindi 
rilasciati  alla  segreteria  per  esser  conservati  negli  atti  del  Concilio  a 
perpetua  memoria  del  fatto.  »  Ecco  la  protesta. 

Reverendissimi  Palres. 

Ex  quo  Sacrosanta  Synodus  Vaticana,  opitulante  Beo,  congregata 
est,  acerrimum  statini  contra  eam  bellum  exarsit;  atque  ad  venerandam 
eius  auctoritatem  penes  iidelem  populum  imminuendam ,  ac,  si  fieri 
posset,  peni  tu  s  labefactandam ,  contumeliose  de  illa  detrahere,  eamque 
putidissimis  calumili ts  oppetere  plures  scriptores  certatim  aggressi  sunt, 
non  modo  inter  heterodoxos  et  apertos  Crucis  Christi  inimicos,  sed 
etiam  inter  eos  qui  catholicae  Ecclesiae  iìlios  sese  dictitant,  et  quod  ma- 
xime doìendum  est,  inter  ipsos  eius  sacros  ministros. 

Q;:ae  in  publicis  cuiusque  idiomatis  ephemeridibus,  quaeque  in  li- 
bellis  absque  auctoris  nomine  passim  editis  et  furtive  distributis,  con- 
gesta hac  de  re  fuerint  probrosa  mendacia,  omnes  apprime  norunt,  quin 
nobis  necesse  sii  illa  singillatim  eclicere.  Veruni  inter  anonymos  istius- 
modi  libeilos  duo  praesertim  extant,  galìice  conscripti  sub  titulis:  «  Ce 

«  La  Ceduazione  così  modificata  dai  Padri  venne  poi  nella  Sessione  pubblica  del  dello  giorno 
notamente  approvata  dai  medesimi.,  e  solennemente  confermata  dal  Santo  Padre;  e  quelle  modifica- 
cazioni  conitene  appunto  il  testo  pubblicato  dal  G'ornale  di  Roma. 

"  Serva  ciò  di  una  novella  prova  della  veracità  dei  corrispondenti,  dei  quali  ama  servirsi  l' Ita- 
lie, che  sembra  avere,  piuttosto  che  altri,  cui  ella  si  compiace  di  accusare,  la  calcolata  abitudine  di 
esporre  ciò   che  non  è  precisamente  vero.  » 

Con  queste  ultime  parole  il  Giornale  di  Roma,  allude  ad  un'altra  solenne  mentita,  data  il  dì 
innanzi  alla  stessa  Italie. 

«  Kel  giornale  di  Firenze  l' Italie,  del  23  corrente,  si  attribuisce  alla  nostra  Redazione  un'abi- 
tudine calcolata  di  esporre  ciò  che  non  è  precisamente  vero.  Così  quando  noi,  nel  dar  conto  della 
quarta  Sessione  del  Concilio  Kcumenico  Vaticano,  tenuta  lunedì  18  di  questo  mese,  dicem.-iiO  essere 
stati  cinquecento  trenta  cinque  i  Padri  che  alla  medesima  furono  presenti,  quel  Giornale  asserisce  che 
il  detto  numero  era  di  mollo  inferiore.  Si  tranquillizzi  l' Italie  e  si  rassegni,  giacché  in  "quella  so- 
lenne circostanza  i  Padri  presenti  furono  realmente  cinquecento  trenta  cinque.  » 


364  COSE  SPETTAMI  AL  CONCILIO 

qui  se  passe  au  Concile,  et  La  dernicre  heure  da  Concile  »,  qui  ob  suam 
calumniandi  artem,  obtrectandique   licentiam  ceteris  palnuun  pracri- 
puissc  videntur.  In  bis  enim  nedinn  huius  Concilii  dignitas  ac  piena  li- 
bertas  turpissimis  oppugnatur  mendaciis,  iuraque   Apostolicae  Sedis 
evertuntur;  sed  ipsa  quoque  SSmi  Domini  Nostri  augusta  persona  gra- 
vibus  tacessi  tur  iniuriis.  Iam  vero  Nos  officii  nostri  memores,  ne  si- 
lentium  nostrum,  si  diutius  protraberetur,  sinistre  a  malevolis  homini- 
bus  interpretari  valcat,  contra  tot  tantasqueobtrectationesvocem  extol- 
lerc  cogimur,  atque  in  conspectu  omnium  vestrum,  Rùìi  Patres,  prote- 
star"! ac   declarare:  falsa  omnino  esse  et  calumniosa  quaecumque  in 
praedictis  ephemeridibus  et  libellis  efì'utiuntur,  sive  in  spretum  et  con- 
tumeliam  SSiìii  Domini  Nostri  et  Apostolicae  Sedis,  sive  in  dedecus  hu- 
ius Sacrosanctae  Synodi,  et  contra  assertum  defectuin  in  illa  legitimae 
libertatis. 
Datum  ex  Àula  Concilii  Vaticani,  die  16  Iulii  1870. 
Piiilippus  Card.  De  Axgelis  Praeses 
Amoninus  Card.  De  Luca  Praeses 
Andreas  Card.  Bizzarri  Praeses 
Alovsius  Card.  Bilio  Praeses 
Hanniral  Card.  Capalti  Praeses 

Iosephus  Ep.  S.  Hippohjli  Secretar ias. 
3.  Toglieremo  a  verbo  dal  Giornale  di  Roma  del  19  Luglio  la  relazio- 
ne della  Sessione.  —  La  Sessione  quarta  del  Concilio  Ecumenico  Vati- 
cano si  tenne  la  mattina  di  ieri,  feria  li  dopo  la  Domenica  VI  di  Pente- 
coste, nella  patriarcale  Basilica  dedicata  a  Dio  in  onore  di  san  Pietro, 
principe  degli  Apostoli. 

Sulle  ore  nove  gli  ErTii  e  Unii  signori  Cardinali,  i  Pimi  monsigno- 
ri Patriarchi,  Primati,  Arcivescovi  e  Vescovi,  gli  Abati  nullius  e  gli 
Abati  generali,  dopo  aver  assunti  gli  abiti  sacri  di  colore  rosso,  in- 
sieme ai  padri  Generali  e  Vicarii  Generali  delle  Congregazioni  rego- 
lari e  monastiche,  ed  a  quelli  degli  Ordini  mendicanti,  adorato  l'au- 
gustissimo Sagramento,  prendevano  il  posto  a  ciascuno  conveniente 
nella  grande  aula  conciliare,  il  cui  ingresso  era  guardato  dai  Cava- 
lieri del  sacro  Ordina  gerosolimitano  e  dalle  Guardie  nobili  di  Sua 
Santità.  Qa'.vi  assistetlero  alla  Messa  dello  Spirito  Santo,  che  fu  ce- 
lebrata dall1  Emo  e  Bino  signor  Cardinale  Barili. 

Il  sommo  Ponie'ice,  avendo  nella  cappella  gregoriana  assunti  gli 
abiti  pontificii!,  recossi  nell'aula,  circondato  dalla  sua  nobile  corte  ed 
anticamera,  da  monsignor  Vice-Camerlengo  di  santa  romana  Chiesa, 
dal  Principe  assistente  al  soglio,  custode  del  Concilio,  da  monsignor 
Uditore  della  Camera  apostolica,  e  dal  Senatore  coi  Conservatori  di 
Roma.  Assistevano  la  Santità  Sua  Y  Emo  e  Rifio  signor  Cardinale  Dc- 
Angelis  come  Prete,  e  gli  Emi  e  Riìii  signori  Cardinali  (ìrassellini  e 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  365 

Mertel  quali  Diaconi.  Monsignor  de  Aviia,  uditore  della  sacra  Rota, 
compiva  le  funzioni  di  Suddiacono  apostolico. 

Seduto  che  fu  in  trono  il  Santo  Padre,  il  limo  monsignor  Fessler, 
Vescovo  di  Santo  Ippolito,  segretario  del  Concilio,  andò  a  porre  so- 
pra il  piccolo  trono  preparato  sull'altare  il  Codice  dei  santi  Evange- 
li. Allora  si  compirono  le  supplicazioni  segrete,  dopo  le  quali  Sua  San- 
tità recitò  le  assegnate  orazioni,  cantandosi  dai  cappellani  cantori  la 
prescritta  antifona.  Seguirono  le  litanie;  e  il  Santo  Padre,  quando  si 
pervenne  alle  invocazioni,  levatosi  in  piedi  ripetè  quelle  che  succes- 
sivamente imploravano  dall'Onnipotente  che  si  degnasse  benedire, 
reggere  e  conservare  il  Sinodo  e  la  ecclesiastica  gerarchia;  e  ripe- 
tendole, sei  volte  segnò  la  croce  sopra  il  venerando  Consesso.  Termi- 
natesi poi  le  litanie,  Sua  Santità  recitò  le  orazioni. 

Dipoi  l'Emo  e  Rino  signor  Cardinale  Capalti,  adempite  le  cerimo- 
nie prescritte,  cantò  solennemente  Y  Evangelio,  che  era  tratto  dal  ca- 
po XVI  di  san  Matteo,  ove  si  narra  la  confessione  che  Pietro  fa  del- 
la divinità  di  Gesù  Cristo,  e  il  premio  che  egli  ne  riporta. 

Alla  lezione  dell1  Evangelo  seguì  il  canto  dell1  inno  Veni  Creator  Spi- 
ritus,  alternato  fra  i  Padri  e  i  cappellani  cantori,  e  che  fu  intonato 
da  Sua  Santità,  che  ne  disse  pure  la  orazione. 

A  quel  punto,  secondo  il  prescritto  dal  cerimoniale,  si  sarebbero 
dovute  chiudere  le  porte  dell'aula,  e  da  questa  avrebbero  dovuto  u- 
scire  quanti  nel  Concilio  non  hanno  parte:  ma,  come  era  avvenuto 
nella  Sessione  terza,  il  Santo  Padre  ordinò  che  gli  estranei  rimanes- 
sero nel  luogo,  ed  i  fedeli  che  erano  al  di  fuori  potessero  vedere  per 
i  rimossi  ripari  la  rimanente  cerimonia,  che  fu  per  tal  modo  compita. 

Il  soprannominato  monsignor  Vescovo  segretario  del  Concilio,  in- 
sieme a  monsignor  Valenziani,  Vescovo  di  Fabriano  e  Matelica,  si  fe- 
cero al  soglio  pontificio,  ed  il  primo  consegnò  la  Costituzione  da  pro- 
mulgarsi al  Santo  Padre,  che  ebbela  subito  passata  nelle  mani  del  se- 
condo. Il  quale,  asceso  l'ambone,  con  alta  voce  lesse  intera  la  prima 
Costituzione  dommatica  de  Ecclesia  Chrisli;  e  terminatane  la  lettura 
interrogò  per  tal  modo  i  Padri  :  Reverendissimi  Patres,  placent  ne  vo- 
bis  Decreta  et  Canones,  qui  in  hac  Constilutione  continentur? 

Allora  successe  l'appello  nominale  dei  Padri,  dovendo  ciascuno  di 
essi  alla  chiamata  del  proprio,  nome  rispondere  con  la  forinola  placet 
ovvero  non  placet.  I  Padri  presenti  ascedevano  al  numero  di  cinque- 
cento trentacinque;  e  di  essi  cinquecento  trentatre  dettero  il  loro  voto 
affermativo,  due  negativo.  I  voti  erano  notati  dai  Prelati  scrutatori 
e  dai  Prelati  protonotarii  apostolici,  coadiuvati  dai  Notari  aggiunti. 

I  Prelati  che  avean  raccolti  i  suffragi,  accompagnati  da  monsignor 
Segretario  del  Concilio,  accederono  al  soglio,  e  ne  presentarono  la 
somma  al  Santo  Padre,  che  nella  suprema  sua  Autorità  sanzionò  i  De- 


B66  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

creii  e  i  Canon?,  pronunziando  solennemente  questa  forinola:  Decre- 
ta et  Canones,  qui  in  Conslitutione  modo  leda  conlincnlur ,  placuerunt 
omnibus  Patri  bus,  cluobus  exceplis  ;  Nosque,  sacro  approbante 
Ho,  illa  ci  illos,  ita  ut  leda  sunt,  definimus,  et  apostolica  Auclorila- 
te  confìrmamus. 

Terminato  appena  Tatto  L-olennissimo  della  sanzione  e  promulgazio- 
ne della  Costituzione,  un'acclamazione  vivissima  dei  Padri  del  Conci- 
lio, accompagnata  da  salve,  si  udì  immantinente  per  la  grande  aula, 
e  da  questa  si  propagò  al  difuori,  e  si  fece  generale  nella  folla  che  ac- 
calcava^ entro  la  chiesa.  Sua  'Santità,  quando  vide  rimessa  la  foga 
di  quello  slancio,  cominciò  a  dir  parole  ai  Padri,  le  quali  furono  in- 
terrotte da  nuova  e  più  prolungata  acclamazione,  dopo  la  quale  po- 
tè il  Santo  Padre  recitare  una  breve  allocuzione  latina,  che  è  la  se- 
guente : 

Summa  isla  Romani  Ponti ficis  auctorilas,  Venerabiles  Fraires,  non 
opprimit  scd  adiucat,  non  dcstruit  sed  acdificat,  et  saepissimc  confirmat 
in  di  fintiate,  unitin  charilate,  et  Fratrum,  scilicet  Episcopo, 
firmai  atque  tuelur.  Ideoque  UH,  qui  mine  iudicant  in  commotione, 
sciant  non  esse  in  commotione  Dominum.  Meminerint  quod  paucis  ab 
Itine  annis,  opposiiam  tenentes  sentcntiam  abmdaverunt  in  sensu  No- 
stro, et  in  sensu  maioris  parlis  Imius  amplissimi  Consessus;  $eà 
iudicarunt  in  spirita  aurac  lenis.  Numquid  in  codem  iudicio  indican- 
do duae  oppositae  possimi  existere  conscienliae?  Absit.  Jlluminet  ago 
Deus  scnais  et  corda;  et  quoniam  Ipse  facìt  mirabilia  magna  solus, 
Uluminet  stnsus  et  corda  ut  omnes  accedere  possint  ad  sinum  P 
Cùrisli  Icjlì  in  ierris  indigni  Vicarii,  qui  cos  amai,  cos  diligit,  et  cxop- 
tat  unum  esse  cum  illis.  Et  ita  simul  in  v'inculo  charilatis  coh 
pradiare  possimus  praelia  Domini,  ut  non  solum  non  irridcant  nos 
inimici  nostri,  sed  timeo.nl  potius,  et  aliquando  arma  malitiae  cedant 
in  conspeciu  verilatis,  sicque  omnes  cum  D.  Augustino  diccre  vai 
«  Tu  measii  me  in  admirubile  lumen  tuum  et  ecce  video  ». 

Dopo  l'allocuzione  prcsentaronsi  al  trono  i  Prelati  proionotari  apo- 
stolici, e  gli  avvocati  concistoriali  De  Dominicis-Tosti  e  Halli ,  i 
promotori  del  Concilio,  e  questi  pregarono  i  primi  a  voler  compila- 
re uno  o  più  Istrumenli  di  tutte  le  cose,  che  erano   avvenute  nella 
Sessione.  £  il  Decano  dei  protonotarii  rispose  che  il  farebbe  im 
do  ad"  esser  tcstimonii  i  monsignori  Maggiordomo  e  Maestro  ci 
mera  di  Sua  Santità. 

Il  sommo  Pontefice  intonò  l'inno  del  ringraziamento,  che  nei  suoi 
versetti  fu  proseguito  a  vicenda  dai  Padri  e  dai  cappellani  cantori 
col  popolo.  E  delta  l'orazione,  Sua  Santità  impartì  solennemenl 
po>l ■■:  fte,  ed  il  Cardinale  Prete  Assistente  pubblicò  la  in- 

dolgenza.  Per  tal  modo  fu  dato  compimento  alla  quarta  Sessione  del 
Concilio  Ecumenico  Vaticano. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  307 

Il  Santo  Padre,  fatto  ritorno  alla  cappella  Gregoriana,  ti  depose  le 
e  vesti,  e  quindi  si  ritrasse  nei  suoi  appartamenti. 

Quando  la  sacra  Assemblea  si  sciolse  era  passata  di  un  quarto  la 
metta  del  giorno. 

Alla  descritta  Sessione  assistè,  in  una  delle  gallerie  che  fiancheg- 
giano Tania,  S.  A.  R.  la  principessa  donna  Isabella,  infanta  di  Por- 
togallo. V1  intervennero  pure  membri  dell'  Eccolo  Corpo  diplomatico 
dilato  presso  la  Santa  Sede,  ed  altri  personaggi  romani  ed  esteri. 

Le  gallerie  superiori  erano  occupate  dai  Procuratori  dei  Vescovi 
dispensali  o  scusati,  dai  Teologi  e  Canonisti  pontifìcii,  e  dai  Teologi 
consultori  dei  Padri  del  Concilio. 

Nella  sera,  a  segno  di  gioia,  si  videro,  illuminati  molti  luoghi  del- 
la città.  — 

4.  Lo  stesso  Giornale  di  Roma  nel  giorno  stesso  della  Sessione  aven- 
done dato  un  cenno,  aggiungeva  questa  osservazione:  «  Crediamo  op- 
portuno notare  che  i  Vescovi  parliti  dal  Concilio  per  diverse  ragioni 

imamente  riconosciute,  e  che  ascendono  pressoché  al  numero  di 
duecento,  nella  grande  maggioranza  ritenevano  la  stessa  dottrina  oggi 
solennemente  definita,  e  che  a  questa  pure  diversi  Vescovi,  che  simil- 
mente per  cause  legittime  non  son  potuti  intervenire  al  Concilio ,  han- 
no anticipatamente  mandato  in  iscritto  la  loro  adesione.  » 

Da  questa  osservazione  può  rilevarsi  di  quanto  sarebbe  cresciuto  il 
numero  dei  5-13  Placet,  se  il  Concilio  fosse  stato  più  numeroso.  Ben  è 
vero  che  V  autorità  del  conciliare  decreto  dipende  solo  dai  S35  presenti, 
tra  i  quali  soli  due  dissero  Non  placet 1. 

Quanto  ai  Padri  della  minoranza,  alcuni  si  unirono  alia  maggioranza 
e  nella  Sessione  pubblica  votarono  col  placet:  i  più  si  astennero  dall'  in- 
tervenirvi, e  quindi  non  pronunziarono  nessun  giudizio  definitivo  2.  Di 
parecchi  di  loro  sappiamo  che  già  hanno  fatto,  nelle  mani  del  S.  Padre, 
piena  adesione  alia  definizione  del  Concilio  :  e  non  dubitiamo  che  gli  al- 
tri tutti  sieno,  in  una  forma  o  in  òtf  altra,  per  farla.  Ce  n1  è  garante  lo 
zelo  che  essi  nutrono  per  la  fede,  e  la  riverenza  che  professano  alle  de- 
cisioni delia  Chiesa. 

5.  Il  Concilio  non  ha  avuto  né  sospensione  ne  proroga:  bensì  nella 
Congregazione  del  16  Luglio  fu  dichiarato  che  poteano  temporaneamen- 


1  Mgr.  Riccio,  Vescovo  di  Caiazzo  (Due  Sicilie)  ;  e  Mgr.  Filzgerald,  Vescovo  di  Liltlc-Rock  (Stali 
uniti  d'America). 

2  Parecchi  giornali  bua  fatto  ragguagli  comparativi  dei  voti  dati  dai  Vescovi  di  varie  nazioni  in 
/.ione  o  in  Sessione.  Il  Monde  del  25  Luglio  dà  la  lista  dei  Vescovi  francesi  che  nella  IV  ses- 
sione votarono  col  placet,  o  che  si  astennero  dal  votare,  o  che  già  erano  assenti.  V  Osservatore  Cat- 
tolico di  Milano  dei  21  Luglio  in  una  delle  sue  egregie  corrispondenze  romane  fa  un  cenno  dei  voti 
In  0.11  jregaziono  o  in  Sessione,  secondo  le  varie  nazioni.  Ne  caviamo  solo  questo  periodo  per  rendere 
a  chi  si  deve  un  giusto  onore:  «  Degli  spagnuoli,  e  di  tutti  gii  americani  spagnuoli-,  settcnlrionali 
e  meridionali,  di  tutti  i  portoghesi,  belgi,  olandesi,  nessuno  mancò  e  volò  conilo.  » 


368  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

te  assentarsi  dal  Concilio,  ma  non  oltre  il  giorno  11  del  futuro  Novem- 
bre, festa  di  S.  Martino,  quei  reverendissimi  Padri  che  erano  chiamati 
alle  loro  diocesi  da  gravi  affari,  o  che  avean  bisogno  di  andar  fuori  di 
Roma  per  motivi  di  salute.  Però  dopo  la  Sessione  molti  Padri  son  già 
partiti  ed  altri  van  partendo  ogni  giorno;  avendo  non  pochi  d'essi  aspet- 
tato già  troppo,  solo  per  aver  la  consolazione  di  dare  il  lor  voto  per  l'in- 
fallibilità. 

6.  Questa  consolazione  non  fu  concessa  a  due  RiTii  Padri,  che  pur  l'a- 
vevano assai  bramata;  il  Vescovo  di  Erbipoli  o  Wùrzburgo,  mgr.  De 
Stàhl,  che  morì  la  mattina  dello  stesso  giorno  13  Luglio,  in  cui  si  dava 
col  Placet  il  voto  nella  Congregazione;  e  il  P.  Domenico  di  S.  Giuseppe, 
proposito  generale  dei  Carmelitani  scalzi,  che  morì  nella  notte  preceden- 
te. In  quella  stessa  Congregazione  l'Eiìio  Card.  Anziano  dei  Presidenti 
annunziò  la  lor  morte,  e  ricordate  le  virtù  di  questi  due  Padri  ne  racco- 
mandò le  anime  ai  suffragi  comuni.  La  santità  non  comune  della  lo- 
ro vita  ci  fa  sperare  che  essi  assisteron  dal  cielo  alla  solennità  della 
IY  Sessione.  Tre  giorni  appresso,  un  altro  piissimo  Prelato ,  il  Vescovo 
di  Barcellona,  mgr.  Monserrat  y  Navarro,  che  avea  pur  avuto  la  conso- 
lazione di  dare  il  suo  Placet  nella  sessione,  passò  a  miglior  vita  la  mat- 
tina del  21  Luglio  in  Frascati  nella  casa  dei  Padri  delle  Scuole  Pie.  Que- 
sti tre  Padri  del  Concilio  han  volentieri  sacrificato  la  loro  vita  per  la  lo- 
ro devozione  alla  Sede  di  Pietro.  L'assiduità  del  Rvfiio  P.  Domenico  di 
S.  Giuseppe  alle  riunioni  conciliari,  malgrado  non  leggieri  incommodi 
di  salute,  accelerò  la  sua  morte,  come  accennò  la  Correspondance  de 
Home  dei  16  Luglio  nell'elogio  di  quel  sant'uomo.  11  Vescovo  di  Erbi- 
poli, consiglialo  dal  medico,  pochi  dì  innanzi,  a  partire  da  Roma,  ri- 
spose che  no:  costi  pure  la  vita;  e  già  da  parecchi  giorni  si  sentiva  sì 
sfinito,  che  disse  al  suo  nipote  che  ogni  sera,  andando  a  letto,  faceva  la 
sua  preparazione  alla  morte.  11  Vescovo  poi  di  Barcellona ,  dopo  detto 
il  suo  Placet  nella  Congregazione  generale  del  13  ,  si  arrese  al  consiglio 
del  medico  di  andare  a  Frascati  ;  ma  la  mattina  della  sessione,  senten- 
dosi meglio,  venne  alla  sessione.  All'appello  nominale,  com'egli  non  era 
al  suo  luogo,  fu  risposto  Abest:  ma  egli  levando  la  voce  dal  luogo  ove 
si  era  seduto,  fò  sentire  alto  il  suo  Placet,  volgendo  a  se  gli  occhi  dei 
suoi  Colleghi,  che  non  si  aspettavano  di  vederlo  nella  sessione.  Torna- 
to subilo  a  Frascati  ricadde  nella  febbre  che  si  dichiarò  perniciosa,  e 
morì,  munito  di  tutti  i  conforti  della  nostra  santa  religione,  in  osculo 
Domini. 


CRONACA 

CONTEMPORANEA 


Roma  30  Luglio  1870. 


COSE  ITALIANE. 

Stati  Pontificii  1.  Visita  di  Sua  Santità  —  2.  Il  Portogallo  e  la  Repubblica 
di  Nicaragua  rappresentati  in  Roma  —  3.  Morte  di  Mons.  Tesoriere  — 
4.  La  cappella  di  S.  Toribio  —  5.  Esercizii  scolastici. 

1.  La  Santità  di  nostro  Signore,  nelle  ore  pomeridiane  di  mercoledì, 
onorò  di  una  visita  lo  studio  dello  scultore  signor  professore  commenda- 
tore Filippo  Gnaccarini,  cattedratico  nella  insigne  pontificia  accademia 
di  belle  arti  denominata  di  san  Luca,  per  osservare  la  statua  colossale  del 
Principe  degli  Apostoli  san  Pietro ,  che  egli  ha  modellata  ed  offerta  in 
omaggio  alla  Santità  Sua  per  esser  quindi  fusa  in  bronzo  e  collocata  so- 
pra la  colonna  monumentale ,  che  dovrà  erigersi  sul  Gianicolo  in  memo- 
ria del  Concilio  ecumenico  Vaticano.  Il  Santo  Padre  mostrò  la  sua  sod- 
disfazione per  sì  nobile  opera,  e  si  trattenne  benignamente  coli1  egregio 
professore  ad  osservare  gli  altri  lavori  esposti  nel  suo  studio. 

2.  Il  dì  4  di  Luglio  le  loro  Eccellenze  il  signor  senatore  Mariano  Mon- 
tealegre  ed  il  signor  commendatore  Giuseppe  de  Marcoleta  furono,  con 
le  formalità  di  uso ,  ricevute  in  udienza  della  Santità  di  nostro  Signore, 
cui  ebbero  l'onore  di  rimettere  le  lettere  credenziali,  con  le  quali  da 
S.  E.  il  signor  Presidente  della  Repubblica  di  Nicaragua  sono  accreditati 
come  inviati  straordinarii  e  ministri  plenitenziarii  presso  la  Santa  Sede. 
Dopo  T  udienza  pontificia  le  LL.  EE.  passarono  a  visitare  Y  Emo  e  Rmo 
sig.  Cardinale  Antonelli,  Segretario  di  Stato,  dal  quale  furono  accolte  con 
le  distinzioni  dovute  al  loro  grado. 

11  dì  27  dello  stesso  mese  S.  E.  il  signor  conte  De  Thomar,  si  è  reca- 
to in  nobile  treno  al  Palazzo  Apostolico  Vaticano,  ed  ha  presentato  alla 
Serie  VII,  voi  XI,  fase.  489.  24  30  Luglio  1870. 


310  CRONACA 

Santità  di  nostro  Signore  le  lettere,  con  le  quali  S.  M.  Fedelissima  la 
accredita  come  suo  Inviato  straordinario  e  Ministro  plenipotenziario 
presso  la  Santa  Sede.  11  Santo  Padre  ha  accolto  S.  E.  con  le  formalità 
proprie  di  simili  circostanze.  Dopo  l'Udienza  pontificia  il  signor  Conte 
si  è  recato  dall'Emo  e  limo  signor  Cardinale  Antonelli,  Secretarlo  di 
Stato,  da  cui  è  stato  ricevuto  coi  riguardi  dovuti  all'alto  suo  grado. 

3.  II  mattino  del  12  Luglio,  dopo  lunga  malattia  sopportata  con  cri- 
stiana rassegnazione,  e  munito  di  lutti  i  conforti  della  nostra  santa  reli- 
gione, è  passato  agli  eterni  riposi  monsignor  Giuseppe  Ferrari,  tesorie- 
re generale  della  reverenda  Camera  apostolica,  ministro  delle  linanze. 
L'illustre  prelato  apparteneva  a  nobile  famiglia  di  Ceprano,  ove  era 
nato  il  dì  26  Dicembre  dell'anno  1811.  Ascritto  alla  prelatura  sostenne 
diversi  onorevoli  incarichi,  e  nel  1854  dalla  Santità  di  nostro  Signore 
gli  fu  affidato  il  tesoro  pubblico,  che  resse  da  quell'epoca  con  tale  inte- 
grità, intelligenza  e  zelo,  da  meritargli  la  stima  universale  in  vita  ed  il 
compianto  in  morte. 

La  sua  salma,  dopo  essere  stata  esposta  per  due  giorni  ncll'  apparta- 
mento che  l'illustre  prelato  abitava  in  vita,  fu  con  la  pompa  prescrit- 
ta trasportata  nella  ven.  chiesa  parocchiale  di  santa  Maria  sopra  Miner- 
va, seguendola  tutti  i  capi  degli  ufiicii  dipendenti  dal  Ministero  che 
fu  retto  dal  defunto,  le  carozze  mandate  dai  Ministri  e  da  altri  rag- 
guardevoli personaggi ,  e  decorandola  drappelli  delle  truppe  di  Marina 
e  di  Finanza.  Celebratogli  nel  detto  tempio  le  solenni  esequie  :  il  ca- 
davere fu  tumulato  nella  chiesa  del  Gesù,  nel  sepolcro  gentilizio  di 
famiglia. 

4.  La  cappella  di  S.  Toribio,  Arcivescovo  di  Lima,  che  esiste  nella 
nave  traversa  della  chiesa  titolare  e  collegiata  di  sant'Anastasia  alle 
falde  del  Palatino,  fu  sul  principio  del  passato  secolo  eretta  dai  nazio- 
nali peruviani,  i  quali  tuttora  ne  conservano  il  patronato.  L'altare  fu 
consagrato  dal  Pontefice  Benedetto  XIII,  che  nel  1726  avea  canonizza- 
to quel  santo  Arcivescovo.  Però  in  occasione  che  nei  fondamenti  di  quel- 
la chiesa  si  scoprirono  avanzi  delle  mura  della  Roma  quadrata  di  Romo- 
lo, e  si  operarono  delle  sostruzioui  per  lasciar  visibili  quei  superstiti 
monumenti  di  romane  antichità,  nel  sacro  edificio,  costruito  in  gran 
parie  sopra  quelli,  si  resero  necessari!  grandi  r istauri,  che  furono  fatti 
eseguire  dalla  Santità  di  nostro  Signore,  coi  mezzo  del  Ministero  dei 
lavori  pubblici  e  belle  arti.  Ed  essendo  stato  inevitabile  in  tal  uì costan- 
za scomporre  l'altare,  in  quei  restauri  fu  compreso  l'altare  stesso,  che 
venne  rifatto  con  sontuosità  maggiore,  in  accordo  alle  decorazioni  ;  onde 
la  chiesa  medesima  crebbe  in  bellezza.  Domenica  pertanto,  3  I 

invito  di  quel  Capitolo,  l'Ululo  e  limo  monsignor  Moreyra,  Vescovo  di 
Ayacucho,  nel  Perù,  fece  la  consagrazione  del  ricomposto  altare,  e  la 
cerimonia  fu  celebrata  con  grandissima  pompa,  prestandovi  il  servizio 


CONTEMPORANEA  371 

gli  alunni  del  collegio  Pio  latino-americano.  Intervennero  alla  sacra 
funzione  Vescovi  dell1  America  meridionale,  ed  illustri  famiglie  peruvia- 
ne che  sono  in  Roma. 

5.  Al  Collegio  Romano  dove  insegnano  i  Padri  della  Compagnia  di 
j&esù,  sono  incominciati  gli  esperimenti  straordinarii,  ai  quali  sullo  scor- 
cio deiranno  scolastico  sogliono  esporsi  gli  studenti  che  nelle  facoltà  su- 
periori hanno  dato  prove  migliori  d'ingegno,  di  studio  e  di  profitto. 

Addi  li  del  passato  Giugno  il  rev.  P.  Alessandro  Sampieri,  della 
Compagnia  di  Gesù,  in  una  conclusione  teologica  si  espose  a  sostenere 
:ìlot:o  tesi ,  tutte  riiereniisi  al  mistero  della  Santisima  Trinità; 
e  la  'eco  alla  presenza  di  coltissimo  uditorio,  in  cui  si  distinguevano 
gli  Emi  e  Rmi  signori  Cardinali  Corsi,  Pecci,  Antonucci,  La  Lastra  y 
Cuesta,  Moreno,  Monaco,  molti  Vescovi  ed  altri  prelati.  Argomentaro- 
no contro  i  Unii  signor  D.  Serafino  Zitelli,  signor  D.  Giuseppe  Delfino, 
professore  di  Teologia  nel  seminario  di  Reggio  di  Calabria,  e  il  Rev. 
P.  Tommaso  Martinelli,  Agostiniano,  professore  di  S.  Scrittura  nella  ro- 
mana Università. 

Il  giorno  4  il  Rev.  signor  D.  Pietro  Le  Talìec,  alunno  del  seminario 
francese,  tenne  atto  pubblico  proponendosi  di  difendere  duecento  qua- 
rantacinque tesi  cavate  dalla  materia  di  tutta  la  teologia  dommalica.  La 
mattina  egli  disputò  nell'aula  massima,  il  dopo  pranzo  nella  chiesa  di 
5.  [gnazio,  sempre  con  grandissimo  concorso  di  Professori  e  di  ama- 
tori delle  sacre  scienze.  Neil' esperimento  pomeridiano,  che  fu  fatto  in 
più  solenne  forma,  levaronglisi  contro  adavversarii  gHllmi  e  Rmi  mon- 
signor Micaleff,  Vescovo  di  Città  di  Castello;  monsignor  Freppel,  Ve- 
scovo di  Àngers  ;  monsignor  Despreaux,  Vescovo  di  Sion;  e  l'onora- 
rono di  loro  presenza  gli  Emi  e  Rmi  signori  Cardinali  Patrizi,  protetto- 
re del  Seminario  in  cui  il  Difendente  è  alunno,  Riario  Sforza,  Donnet, 
Antonucci,  Sacconi,  Pitra,  Moreno,  oltre  a  quaranta  Vescovi  ed  altri 
Prelati. 

11  P.  Sampieri  ed  il  Le  Tallec  si  dimostrarono  assai  profondi  negli 
studii  teologici;  e  diedero  riprova  assai  chiara  di  quanto  abbiano  pene- 
trante r ingegno  ed  abbondino  nella  sacra  erudizione;  sì  che  riscosse- 
ro gli  applausi  della  dotta  adunanza  che  concorse  ad  ascoltarli. 

Il  signor  Raffaele  De  Rossi ,  giovine  studente  nel  terzo  anno  dei 
corso  filosofico,  ha  dato  il  giorno  6  un  saggio  di  Calcolo  differenziale 
ed  integrale  alia  presenza  di  scelto  uditorio.  Egli  espose  171  proposi- 
zioni, che  abbracciano  intero  quel  ramo  di  scienza  difficilissima.  I  si- 
gnori professori  Tortolini,  Chelini,  Respighi,  Azzarelìi  e  Retocchi  ne 
provarono  il  valore,  interrogandolo  sulle  quistioni  più  difficili  della 
scienza,  e  vi  soddisfece  per  modo  da  destar  meraviglia  come  un  gio- 
yane  in  età  sì  fresca  sia  già  tanto  addentro  nella  vasta  ed  ardua  ma- 
teria. 


372  CRONACA 

II. 

COSE  STRANIERE. 


Guerra  Franco-prussiana  1.  Causa  della  guerra  spiegata  dalla  Francia  —  2. 
Spiegazioni  date  dalla  Prussia  —  3.  Proclami  dei  due  Sovrani  ai  loro  po- 
poli —  4.  Dichiarazione  di  guerra  —  5.  Armamenti  —  6.  Attitudine  delle 
Potenze. 


1.  Era  chiaro  a  tutti,  dopo  Sadova  e  il  trattato  di  Praga,  che  né  Prus- 
sia ne  Francia  erano  contente,  e  che  o  presto  o  tardi  quella  avrebbe 
cercato  svincolarsi  dalle  maglie  di  quel  trattato,  e  questa  avrebbe  cer- 
cato invece  di  serrarle  viemeglio.  Niuno  però  avrebbe  pensato  che  la 
causa  o  il  pretesto  del  grande  scoppio  d'ira  lungamente  repressa  tra 
queste  due  grandi  potenze  dovesse  originarsi  proprio  dalla  Spagna. 
Ma  o  causa  o  pretesto  che  a  tanta  guerra  sia  stata  la  candidatura  al 
trono  di  Spagna  del  principe  Leopoldo  di  Hohenzollern,  è  certo  che 
questa,  diciamola  così,  occasione  di  guerra  è  ora,  mentre  scriviamo,  e 
quando  ancora  non  ci  son  noti  altri  fatti  militari  che  le  marcie  dei 
due  eserciti,  ormai  dimenticata;  vedendo  ognuno  che  ben  altra  in  ve- 
rità è  la  causa  ed  altro  lo  scopo  della  guerra  che  il  candidato  al  trono, 
per  quanto  alto  ed  invidiabile,  della  Spagna. 

Ad  ogni  modo  giova  V  accennare  in  breve  il  fatto,  secondo  che  fu 
presentato  all'Europa  in  documenti  ufficiali.  E  in  prima  già  accennam- 
mo nel  fascicolo  passato  la  dichiarazione  del  Grammont  fatta  il  6  Lu- 
glio alle  Camere,  dove  chiaramente  protestò  che,  anche  a  costo  di  guer- 
ra, mai  la  Francia  non  avrebbe  tollerato  un  Prussiano  sul  trono  spa- 
gnuolo.  Cominciarono  allora  le  pratiche  diplomatiche  delle  quali  diedero 
il  sunto  e  la  storia  il  Grammont  al  Senato  e  TOllivier  al  Corpo  legis- 
lativo il  15  Luglio  nei  seguenti  termini. 

«  11  modo  con  cui  il  paese  accolse  la  nostra  dichiarazione  del  6  Luglio 
avendoci  resi  certi  che  voi  approvate  la  nostra  politica  e  che  poteva- 
mo fidarci  del  vostro  appoggio,  noi  abbiamo  tosto  incominciato  delle 
trattative  colle  potenze  estere  allo  scopo  di  ottenere  i  loro  buoni  uflicii 
presso  della  Prussia  perchè  essa  riconoscesse  le  legittimità  delle  nostre 
lagnanze.  In  queste  trattative  noi  non  abbiamo  chiesto  nulla  alla  Spa- 
gna, di  cui  non  volevamo  destare  le  suscettibilità,  nò  irritare  l'indipen- 
denza. Noi  non  abbiamo  agito  presso  il  Principe  di  Hohenzollern,  che 
noi  considerammo  siccome  coperto  dal  Re.  Noi  abbiamo  ugualmente 
rifiutato  di  frammischiare  alla  nostra  discussione  nessuna  recriminazione 


CONTEMPORANEA  373 

o  di  farla  uscire  dal  limite  nel  quale  l'avevamo  circoscritta  sin  da  prin- 
cipio. La  maggior  parte  delle  potenze  furono  piene  di  premura  nel  ri- 
sponderci; ed  esse  con  più  o  meno  espansione  hanno  ammesso  la  giu- 
stizia de'nostri  richiami. 

«  Il  Ministro  degli  affari  esteri  prussiano  ci  oppose  una  scappatoia, 
pretendendo  eli'  egli  ignorava  la  cosa  e  che  il  gabinetto  di  Berlino 
vi  era  restato  estraneo.  Noi  abbiamo  dovuto  allora  indirizzarci  al  Re 
medesimo  ed  abbiamo  ordinato  al  nostro  ambasciatore  di  recarsi  ad  Ems 
presso  S.  M.  il  Re  di  Prussia  mentre  riconosceva  ch'egli  aveva  autoriz- 
zato il  Principe  di  Hohenzollern  ad  accettare  la  candidatura  che  gli 
era  stata  offerta,  sostenne  che  era  rimasto  estraneo  alle  trattatrve  che 
si  erano  condotte  fra  il  Governo  spagnuolo  ed  il  Principe  flohenzollern, 
ch'esso  non  vi  era  intervenuto  che  come  capo  della  famiglia,  e  niente 
affatto  come  sovrano,  e  che  non  aveva  su  ciò  né  radunato  nò  consul- 
tato Consiglio  dei  Ministri.  S.  M.  riconobbe  però  ch'egli  aveva  infor- 
mato il  conte  di  Bismark  di  quanto  accadeva.  Noi  non  potevamo  con- 
siderare questa  risposta  come  soddisfacente:  noi  non  abbiamo  potuto 
ammettere  questa  distinzione  sottile  tra  il  sovrano  ed  il  capo  della  fami- 
glia, ed  abbiamo  insistito  perchè  il  Re  consigliasse  ed  al  caso  impones- 
se al  principe  Leopoldo  una  rinuncia  alla  sua  candidatura. 

«  Mentre  noi  discutevamo  col  Re  di  Prussia  la  rinuncia  del  principe 
Leopoldo,  essa  ci  venne  da  un  lato  da  cui  non  l'attendevamo  e  ci  fu  ri- 
messa il  12  Luglio  dall'ambasciatore  di  Spagna.  Il  Re  di  Prussia  aven- 
dovi voluto  restar  estraneo,  noi  gli  domandammo  di  associatisi  e  di  di- 
chiarare che  se  mai  per  uno  di  quei  rivolgimenti  sempre  possibili  in  un 
paese  che  esce  da  una  rivoluzione,  la  corona  fosse  novamente  offerta 
dalla  Spagna  al  principe  Leopoldo,  egli  non  autorizzerebbe  più  il  Prin- 
cipe ad  accettarla  affinchè  il  litigio  restasse  definitivamente  chiuso.  La 
nostra  domanda  era  moderata;  i  termini  nei  quali  l'esprimevano,  non  lo 
erano  meno.  «  Dite  bene  al  Re,  scrivevamo  al  conte  Benedetti  il  12 
Luglio  a  mezzanotte,  dite  bene  al  Re  che  noi  non  abbiamo  nessun  se- 
condo fine,  che  non  cerchiamo  un  pretesto  di  guerra  e  che  domandia- 
mo solo  di  risolvere  onorevolmente  una  difficoltà  che  noi  non  abbiamo 
creata.  » 

«  Il  Re  acconsentì  ad  approvare  la  rinunzia  del  principe  Leopoldo, 
ma  rifiutò  di  dichiarare  che  per  l'  avvenire  egli  non  autorizzerebbe 
più  il  rinnovamento  di  questa  candidatura.  «  Io  ho  domandato  al  Re,  ci 
scriveva  il  sig.  Benedetti  il  13  Luglio,  a  mezzanotte,  di  volermi  per- 
mettere di  annunziarvi  in  suo  nome  che  se  il  Principe  di  Hohenzol- 
lern volesse  di  nuovo  attuare  il  suo  progetto,  S.  M.  interporrebbe  la 
sua  autorità  e  vi  metterebbe  ostacolo.  Il  Re  ha  assolutamente  rifiuta- 
to di  autorizzarmi  a  trasmettervi  una  tale  dichiarazione.  Io  insistei  vi- 
vamente, ma  senza  riuscire  a  modificare  le  disposizioni  di  S.  M.  Il 


37  i  CRONACA 

Re  terminò  il  nostro  colloquio  dicendomi  che  non  poteva  né  voleva 
prendere  un  impegno  di  tal  fatta,  e  che  tanto  per  quella,  come  per 
qualunque  altra  eventualità,  egli  doveva  riserbarsi  la  facoltà  di  con- 
sultare le  circostanze.  » 

«  Quantunque  quel  rifiuto  ci  paresse  ingiustificabile,  il  nostro  deside- 
rio di  conservare  all'  Europa  il  benefizio  della  pace  era  tale,  che  non 
troncammo  le  trattative,  e  che,  nonostante  la  nostra  impazienza,  te- 
mendo che  una  discussione  vi  mettesse  ostacolo,  noi  vi  chiedemmo  di 
differire  le  nostre  spiegazioni.  Perciò  la  nostra  sorpresa  fu  grandissi- 
ma allorché  ieri  apprendemmo  che  il  Re  di  Prussia  aveva  notificato 
al  nostro  ambasciatore,  per  mezzo  di  un  aiutante  di  campo,  che  non 
lo  riceverebbe  più,  e  che  per  dare  a  quel  rifiuto  un  carattere  non  equi- 
voco, il  suo  Governo  lo  aveva  comunicato  ufficialmente  ai  gabinetti  di 
Europa.  Nel  tempo  stesso  venivamo  a  sapere  che  il  barone  di  Werther 
aveva  ricevuto  l'ordine  di  prendere  il  suo  congedo,  e  che  in  Prussia 
si  andavano  facendo  armamenti.  In  queste  circostanze,  il  tentare  di  più 
per  la  conciliazione,  sarebbe  stato  al  tempo  stesso  il  non  curare  la  pro- 
pria dignità  ed  una  imprudenza.  Noi  non  trascurammo  nulla  per  evi- 
tare una  guerra.  Noi  prendiamo  ora  a  prepararci  a  sostenere  quella 
che  ci  si  olire,  lasciando  ad  ognuno  le  parte  di  responsabilità  che  gli 
spetta.  Da  ieri  noi  richiamammo  sotto  le  armi  le  nostre  riserve,  e  col 
vostro  concorso  ci  accingiamo  a  prendere  i  provvedimenti  necessari 
per  tutelare  gl'interessi,  la  sicurezza  e  l'onore  della  Francia.  » 

2.  Dal  canto  suo  la  Prussia  espose  le  sue  ragioni  e  il  modo  come  in- 
tende la  questione,  il  19  Luglio  nel  discorso  con  cui  il  Re  aperse  il  parla- 
mento federale:  il  quale  dice  così:  «  Onorevoli  signori  delia  Dieta  della 
Confederazione  della  Germania  del  Nord.  Allorché,  nell'ultima  vostra 
adunanza,  da  questo  posto  vi  salutai  in  nome  dei  Governi  confederati, 
potei  affermare  con  vero  gradimento  che  ai  miei  sinceri  sforzi  per  cor- 
rispondere ai  desiderii  dei  popoli  e  ai  bisogni  della  civiltà,  impedendo 
ogni  perturbazione  della  pace,  non  mancò,  coll'aiuto  di  Dio,  il  buon  suc- 
cesso. Se  ciò  nondimeno  minacce  e  pericoli  di  guerra  hanno  imposto  ai 
Governi  confederati  di  convocarvi  in  una  sessione  straordinaria,  saia  in 
voi,  come  in  me  viva  la  convinzione  che  la  Confederazione  tedesca  del 
Nord  era  intenta  a  riordinare  la  forza  del  popolo  a  proteggere  la  nostra 
indipendenza,  e  che  noi  obbediamo  ai  comandi  dell'onore  e  del  dovere. 

«  La  candidatura  spagnuola  di  un  Principe  tedesco,  alla  quale  i  Go1- 
confederati  sou  rimasti  estranei  tanto  nel  proporla  quanto  nel  metterla 
da  parte,  e  nella  quale  la  Confederazione  germanica  del  Nord  aveva  in- 
teresse soltanto  perchè  sembrava  che  vi  si  potesse  collegare  la  spe- 
ranza di  assicurare  a  quella  nazione  amica  e  mollo  f  Ut  un  Go- 
verno ordinato  ed  amante  della  pace,  diede  al  Governo  dell'In.; 
tore  dei  Francesi  il  pretesto,  in  un  modo  da  molto  tempo  ignoto  alle  re- 


CONTEMPORANEA  375 

Iasioni  diplomatiche,  di  mettere  innanzi  un  caso  di  guerra,  mantenendo- 
lo anche  dopo  che  quel  pretesto  fu  allontanato,  con  quella  noncuran- 
za del  diritto  che  hanno  i  popoli  di  fruire  delle  benedizioni  della  pa- 
ce, noncuranza  della  quale  la  storia  dei  passati  dominatori  della  Fran- 
cia porge  analoghi  esempii. 

«  Se  nei  secoli  passati  la  Germania  soffrì  in  silenzio  simili  violenze 
contro  il  suo  diritto  ed  il  suo  onore,  le  soffrì  perchè,  divisa  com'era,  non 
sapeva  quanto  era  forte.  Oggi,  quando  il  legame  dell'unità  morale  e  di 
diritto,  il  quale  cominciò  astringersi  durante  la  guerra  dell1  indipenden- 
za, unisce  le  razze  tedesche  più  intimamente,  oggi  quando  V  armamento 
della  Germania  non  offre  alcun  vuoto  al  nemico,  la  Germania  ha  in  sé 
l  la  volontà  e  la  forza  di  respingere  le  rinnovate  violenze  francesi. 
Non  è  presunzione  quella  che  mi  pone  in  bocca  queste  parole.  I  Go- 
verni confederati,  come  lo  stesso,  agiscono  nella  piena  coscienza  che 
la  vittoria  e  le  sconfitte  stanno  nelle  mani  del  Dio  delle  battaglie.  Noi 
abbiamo  misurato  con  occhio  sereno  la  responsabilità  che  colpisce  in- 
nanzi al  giudizio  di  Dio  e  degli  uomini  colui  che  spinge  due  grandi  e 
pacifici  popoli  nel  cuore  dell1  Europa  e  guerre  devastatrici.  La  nazione 
tedesca,  come  la  francese,  che  entrambe  ugualmente  godono  ed  ambi- 
scono le  benedizioni  della  civiltà  cristiana  e  di  una  crescente  prosperità, 
sono  chiamate  ad  una  lotta  ben  più  salutare  che  non  quella  sì  dannosa 
delle  armi.  Ma  gli  uomini  di  Stato  di  Francia  seppero  sfruttare  i  giusti, 
ma  troppo  suscettibili  sentimenti  del  gran  popolo  nostro  vicino,  delibe- 
ratamente facendoli  fuorviare  per  interessi  e  passioni  personali. 

«  Quanto  più  i  Governi  confederati  hanno  la  coscienza  di  aver  fatto 
tutto  quello  che  consentivano  l'onore  e  la  dignità  per  conservare  al- 
l'Europa le  benedizioni  della  pace,  e  quanto  più  è  evidente  agli  occhi 
di  tutti  che  ci  fu  messa  la  spada  nella  mano,  con  tanto  maggior  fiducia 
noi,  appoggiati  ali1  unanime  volontà  dei  Governi  tedeschi,  così  del  Sud 
come  del  Nord,  ci  rivolgiamo  all'amor  patrio  ed  alla  prontezza  dei  sa- 
crifizii  del  popolo  tedesco,  facendogli  appello  per  difendere  il  suo  ono- 
re e  la  sua  indipendenza.  Seguendo  l'esempio  dei  nostri  padri,  lottere- 
mo per  la  nostra  libertà  e  per  il  nostro  diritto  contro  la  violenza  di 
conquistatori  stranieri,  e  in  questa  lotta,  nella  quale  non  abbiamo  altro 
scopo  che  di  assicurare  all'Europa  una  pace  duratura,  Dio  sarà  con 
noi  come  fu  coi  padri  nostri.  » 

3.  Esposte  così  le  loro  ragioni,  ecco  come  i  due  Sovrani  parlarono  ai 
loro  popoli.  L'imperatore  Napoleone  parlò  così: 

«  Francesi!  Vi  sono  nella  vita  dei  popoli  alcuni  momenti  solenni  nei 
quali  l'onore  nazionale,  violentemente  eccitato,  s'impone  come  una  for- 
za irresistibile,  domina  tutti  gl'interessi  e  prende  solo  nelle  mani  la  di- 
rezione dei  destini  della  patria.  Una  di  queste  ore  decisive  è  suonata 
per  la  Francia.  La  Prussia,  per  la  quale  noi  abbiamo  avuto,  durante 


376  CRONACA 

e  dopo  la  guerra  del  1866,  le  più  concilianti  disposizioni,  non  ten- 
ne alcun  conto  del  nostro  buon  volere  e  della  nostra  longanimità.  Lan- 
ciatasi nella  via  delle  invasioni ,  essa  ha  destalo  tutte  le  diffidenze , 
obbligò  tutti  a  fare  armamenti  esagerati  e  fece  dell'Europa  un  campo 
ove  regnano  f  incertezza  e  la  paura  dell1  indomani.  Un  ultimo  incidente 
venne  a  rivelare  f  instabilità  dei  rapporti  internazionali  ed  a  mostrare 
tutta  la  gravità  delle  cose. 

«  In  presenza  delle  nuove  pretensioni  della  Prussia,  i  nostri  richiami 
si  fecero  udire,  ma  essi  furono  elusi  e  seguiti  da  un  procedere  disdegno- 
so. Il  nostro  paese  ne  risentì  una  profonda  irritazione,  e  subito  un  gri- 
do di  guerra  risuonò  da  un  capo  all'altro  della  Francia.  A  noi  non  re- 
sta più  altro  che  affidare  i  nostri  destini  alla  sorte  delle  armi. 

«  A'oi  non  facciamo  guerra  alla  Germania,  di  cui  rispettiamo  f  indipen- 
denza. Facciamo  anzi  voti  aftinché  i  popoli  che  compongono  la  gran- 
de nazionalità  tedesca  dispongano  liberamente  dei  loro  destini.  Quan- 
to a  noi,  domandiamo  che  si  stabilisca  uno  stato  di  cose,  il  quale  gua- 
rentisca la  nostra  sicurezza  ed  assicuri  f  avvenire.  Noi  vogliamo  conqui- 
stare una  pace  durevole,  fondata  sui  veri  interessi  dei  popoli  e  fare 
cessare  uno  stato  precario,  in  cui  tutte  le  nazioni  impiegano  le  loro 
forze  per  armarsi  le  une  contro  le  altre.  La  gloriosa  bandiera  che  noi 
spieghiamo  ancora  una  volta  innanzi  a  coloro  che  ci  provocano,  è  quel- 
la stessa  che  recò  attraverso  f  Europa  le  idee  civilizzatrici  della  nostra 
grande  rivoluzione.  Essa  rappresenta  gli  stessi  principii  ed  ispirerà  gli 
stessi  affetti. 

«  Francesi!  lo  mi  pongo  alla  testa  di  questo  valoroso  esercito  che 
è  animato  dall'onore  e  dal  dovere  verso  la  patria.  Esso  sa  quanto  va- 
le, perchè  ha  visto  nelle  quattro  parti  del  mondo  la  vittoria  seguire 
i  suoi  passi.  Io  conduco  meco  mio  tìglio,  malgrado  la  sua  giovinezza. 
Egli  sa  quali  doveri  gf  imponga  il  suo  nome.  Egli  è  superbo  di  pren- 
dere la  sua  parte  dei  pericoli  con  quelli  che  combattono  per  la  patria. 
Dio  benedica  i  nostri  sforzi.  Un  grande  popolo,  che  difende  una  causa 
giusta,  è  invincibile.  » 

Il  Re  di  Prussia  pubblicò  pure  un  proclama,  di  cui  i  giornali  ci  recarono 
il  sunto  telegratico  seguente  :  «  Il  Re  ringrazia  per  le  dimostrazioni  così 
numerose  in  favore  dell'indipendenza  e  dell'onore  della  Germania  che 
egli  ricevette  non  solo  da  tutte  le  parti  della  Germania,  ma  anche  dai 
Tedeschi  d'America.  Dice  che  conserverà  sempre  la  stessa  fedeltà  ver- 
so la  Germania;  che  l'amore  della  patria  comune,  lo  slancio  di  tutti  i 
Tedeschi  e  dei  loro  principi  riconciliò  tutti  i  partiti.  Termina  dicendo  che 
la  Germania  nella  sua  concordia  e  diritto  troverà  le  guarentigie  per  una 
guerra  che  produrrà  la  pace  durevole,  nonché  la  libertà  e  l'unità  della 
Germania.  » 


CONTEMPORANEA  377 

4.  Lo  stesso  giorno  19  alle  due  Camere  francesi  fu  dal  Grammont  an- 
nunziata ufficialmente  la  dichiarazione  di  guerra  colle  seguenti  parole  : 
«  Signori  !  11  giorno  1 5  vi  furono  esposte  le  giuste  cause  di  guerra  che  noi 
abbiamo  contro  la  Prussia.  Secondo  gli  usi  e  per  ordine  dell'Imperatore 
io  ho  invitato  l'incaricato  di  affari  di  Francia  di  render  noto  al  gabinetto 
di  Berlino  la  nostra  risoluzione  di  ottenere  coir  armi  le  guarentigie  che 
non  abbiamo  potuto  ottenere  colla  discussione.  Questo  passo  fu  dato,  ed 
io  ho  l'onore  di  farvi  sapere  che  lo  stato  di  guerra  esiste  fra  noi  e  la 
Prussia  dal  giorno  19  Luglio.  Questa  dichiarazione  si  applica  ancora  agli 
alleati  della  Prussia  che  le  prestano  contro  di  noi  il  concorso  delle  loro 
armi.  » 

L'atto  della  dichiarazione  di  guerra  alla  Prussia  è  pubblicato  dal  Gior- 
nale ufficiale  di  Prussia,  esso  dice  così:  «Il  sottoscritto  incaricato  di 
affari  per  la  Francia,  in  esecuzione  degli  ordini  avuti  dal  suo  Gover- 
no, ha  l'onore  di  portare  a  conoscenza  di  S.  E.  il  Ministro  degli  affari 
esteri  del  Re  di  Prussia  la  seguente  partecipazione.  Il  Governo  di  Sua 
Maestà  Y  Imperatore  dei  Francesi ,  essendo  costretto  a  considerare  il 
progetto  d'innalzare  al  trono  di  Spagna  un  Principe  prussiano  come  un 
atto  unicamente  diretto  contro  la  sicurezza  territoriale  della  Francia,  si 
trovò  nella  necessità  di  chiedere  a  S.  M.  il  Re  di  Prussia  la  promessa 
che  questa  combinazione  non  avrebbe  effetto  col  di  lui  assenso.  Essendo- 
si S.  M.  il  Re  di  Prussia  rifiutato  di  dare  questa  guarentigia,  e  avendo 
al  contrario  dimostrato  all'inviato  di  S.  M.  l'Imperatore  dei  Francesi 
che  tanto  per  questa  eventualità  come  per  qualunque  altra  egli  avea 
l'intenzione  di  riserbarsi  la  possibilità  di  prendere  consiglio  dagli  eventi, 
cosi  il  Governo  imperiale  fu  costretto  a  trovare  in  questa  dichiarazione 
del  Re  un  pensiero  nascosto  che  minacciava  tanto  la  Francia  quanto 
l'equilibrio  di  tutta  l'Europa.  La  dichiarazione  di  S.  M.  il  Re  fu  resa 
anche  più  grave  dalla  notificazione  spedita  ai  gabinetti  che  egli  erasi 
rifiutato  di  ricevere  l'inviato  dell  Imperatore,  e  di  entrare  con  lui  in 
qualsiasi  nuova  spiegazione  a  tal  proposito.  In  seguito  a  ciò  il  Governo 
francese  crede  di  avere  il  dovere  di  provvedere  immediatamente  alla  di- 
fesa del  suo  onore  e  dei  suoi  interessi  offesi,  e  decise  a  questo  effetto  di 
ricorrere  a  tutti  que1  provvedimenti  impostigli  dalla  condizione  che  gli 
era  stata  fatta  ;  e  da  questo  momento  esso  si  considera  come  in  stato  di 
guerra  con  la  Prussia.  11  sottoscritto  ha  l'onore  di  esprimere  a  S.  E.  le 
assicurazione  della  più  alta  stima  e  considerazione.  Berlino,  19  Luglio 
1870.  Le  Sourd.  » 

Questa  dichiarazione  di  guerra  fu  del  Bismark  diramata  ai  rappresen- 
tanti della  Confederazione  del  Nord  e  accompagnata  dalla  seguente  circo- 
lare: «  Berlino  19  Luglio.  11  Governo  imperiale  francese,  per  mezzo  del 
suo  incaricato  di  affari,  ci  ha  fatto  consegnare  il  documento  che  le  ac- 
chiudo, in  copia,  contenente  la  dichiarazione  di  guerra.  Questo  è  l'unico 


378  c?,o:;\ca 

docamcnlo  nuziale  che  noi  abbiamo  ricevuto  dal  Governo  imperialo 
cese  in  tutto  questo  affare,  che  occupa  il  mondo  da  li  giorni.  Come  mo- 
tivi dellii  guerra,  nella  quale  ci  si  trascina,  sono  ivi  indicati:  «  il  rifiuto  di 
Sua  Maestà  il  Re  di  dare  rassicurazione  che  col  suo  assenso  non  potrebbe 
Terificarsi  l'innalzamento  di  un  Principe  prussiano  al  trono  spagnuolo,  e 
la  noliiìcazione,  che  si  asserisce  fatta  dai  gabinetti,  del  rifiuto  di  ricevere 
l1  ambasciatore  francese,  e  di  trattare  ulteriormente  con  lui  ».  A  ciò  noi 
rispondiamo  brevemente  quanto  segue  :  Sua  Maestà  il  Re,  rispettando 
pienamente  l'indipendenza  della  nazione  spagnuola  e  la  libertà  delle  ri- 
soluzioni del  capo  della  Casa  principesca  di  ììohenzollern,  non  ha  mai 
pensato  a  voler  innalzare  quel  Principe  ereditario  sul  trono  di  Spagna. 
Le  richieste  fatte  a  S.  Maestà  di  promesse  per  V  avvenire  erano  ille- 
gittime e  pretenziose.  Ascrivergli  in  ciò  un  secondo  fine  od  una  inten- 
zione ostile  contro  la  Francia,  è  un'arbitraria  invenzione.  L'asserita  noti- 
ficazione ai  gabinetti  non  è  mai  avvenuta  e  così  pure  non  è  mai  avvenu- 
to un  rifiuto  di  trattare  coli' ambasciatore  dell'Imperatore  dei  Francesi. 
Al  contrario  quell'ambasciatore  non  ha  mai  cercato  di  avere  pratiche  uf- 
fiziali  col  regio  Governo,  malia  trattato  le  questioni  soltanto  con  S.  Mae- 
stà il  Re,  personalmente  e  privatamente,  al  bagno  di  Ems.  La  nazione 
tedesca,  dentro  e  fuori  della  Confederazione  della  Germania  settentriona- 
le, ha  riconosciuto  che  le  pretensioni  del  Governo  francese  erano  diret- 
te ad  una  umiliazione  che  la  nazione  non  tollera,  e  che  la  guerra,  la  qua- 
le no;:  poteva  essere  mai  nelle  mire  della  Prussia,  ci  viene  imposta  dal- 
la Francia.  Tutto  il  mondo  civilizzato  riconosce  che  i  motivi  addotti  dal- 
la Francia  non  esistono,  ma  sono  pretesti  inventati.  La  Confederazione 
della  Germania  settentrionale  ed  i  Governi  della  Germania  del  Sud  ad 
essa  alleati,  protestano  contro  Tassalimento  della  Confederazione  ger- 
manica, non  provocato,  e  lo  respingeranno  con  tutti  i  mezzi  che  ricevet- 
tero da  Dio. 

«  Vostra...  è  invitata  a  dar  copia  di  questo  dispaccio,  e  dei  suoi  alle- 
gati, al  Governo  presso  cui  è  accreditato  ». 

A  questa  circolare  controrispose  il  Governo  francese.  Ma  a  noi  basta 
l' aver  quinci  e  quindi  recati  alcuni  dei  documenti  che  portano  le  ragio- 
ni delle  due  parti  contendenti.  Da  essi  più  che  da  qualsivoglia  altra  fon- 
te possono  i  lettori  giudicare,  e  formarsi  il  giusto  criterio  delle  cause  e 
dell1  occasione  della  contesa. 

5.  Fin  dai  primi  giorni,  quando  la  contesa  parea  semplicemente  diplo- 
matica, cominciarono  i  giornali  francesi  e  tedeschi  ad  essere  ripieni  di 
notizie  di  armamenti  per  mare  e  per  terra,  di  arruolamenti  di  volontari]', 
di  previsioni  strategiche,  e  di  ogni  sorta  di  aneddoti  militari  più  0  meno 
autentici,  finché  non  venne  sì  in  Prussia  e  sì  in  Francia  la  proibizione 
sotto  severissime  pene  di  dar  notizie  relative  alla  guerra  ed  alla  marcia 
pure  delle  truppe.  Ciò  non  vietò  che  ogni  giorno  tutti  i  giornali  non  se- 


CONTEMPORANEA  379 

guitasscro  a  discorrere  che  di  guerra  e  di  marcie.  Ma  vede  ognuno  qual 
fede  si  possa  dare  a  tali  notizie.  Del  resto  le  relazioni  ufficiali  non  man- 
cheranno pur  troppo  tra  breve  dall'una  e  dall'altra  parte:  e  quelle  che 
potremmo  noi  ora  dare  dalle  relazioni  incertissime  dei  giornali  non 
avrebbero  vcrun  interesse  il  giorno  in  cui  sarebbero  tardivamente  lette 
dai  nostri  lettori.  Basti  il  dire  che  l'ima  parte  e  V  altra  arma  qdàrilo  sa 
e  può,  potendosi  calcolare  che  almeno  un  milione  e  mezzo  di  uomini 
siano  ora  sotto  Tarmi  pronti  a  trucidarsi  a  vicenda.  Se  i  primi  fatti 
d' arme  abbiano  ad  essere  per  mare  ó  per  terra,  sul  Baltico  o  sul  Reno, 
in  Francia  o  in  Prussia,  lo  sapremo  tra  breve  dal  fatto.  Il  voler  ora 
prevedere  qualche  cosa,  mentre  scriviamo,  sarebbe  un  giocare  ad  indo- 
vinare. N 

6.  Tutta  l'Europa  è,  per  così  dire,  involta  in  questa  guerra:  nò  vi  è 
regno  o  grande  o  piccolo  che  non  ne  senta  fin  d'ora  o  non  aspetti  di  sen- 
tirne il  contracolpo.  Per  ora  i  soli  Stati  del  Sud  della  Germania  si  di- 
chiararono per  la  guerra  in  favore  della  Prussia.  Le  altre  potenze  quasi 
tutte  dichiararono  ufficialmente  la  loro  neutralità.  Alcune,  come  il  Bel- 
gio, l'Olanda  e  la  Svizzera,  si  dichiararono  neutrali  per  dovere,  a  così  di- 
re, del  loro  stato.  Altre  per  elezione,  come  la  Russia,  l'Inghilterra,  l'Au- 
stria, l'Italia.  Niuno  però  sa  quanto  tempo  potranno  durare  queste  neu- 
tralità; sì  le  volontarie  e  sì  le  obbligate.  Che  anzi  di  alcune,  come  del- 
l' Italia ,  si  assicura  che  già  sieno  certi  i  patti  di  alleanza  colla  Francia. 
Molti  credono  lo  stesso  dell'Austria  e  della  Danimarca.  E  si  teme  che, 
l'una  potenza  chiamando  l'altra,  la  guerra  non  sia  per  diventar  ge- 
nerale. Tutto  questo  però  è  incerto  :  e  il  solo  certo  si  è  che  ogni  cosa 
è  sempre  diretta  e  volta  dalla  Provvidenza  al  bene  ed  al  trionfo  della 
Chiesa,  anche  quando  scatena  sopra  il  mondo  i  suoi  più  terribili  flagelli. 


380  CRONACA 


Svizzera  [Nastra  Corrispondenza)  —  1.  La  Svizzera  e  la  guerra  franco-ger- 
manica —  2.  La  riforma  della  Costituzione  federale — 3.  La  ferrovia  del 
S.  Gottardo  —  4.  La  banda  Nathan  —  5.  La  definizione  dogmatica  della 
infallibilità  pontificia  —  6.  Le  elezioni  nel  Cantone  di  Berna  —  7.  Le  ele- 
zioni nel  Cantone  di  S.  Gallo  —  8.  Movimento  politico  nel  Cantone  Ticino. 

1.  Sarebbe  egli  mai  possibile  cbe  il  vostro  corrispondente  svizzero 
non  dicesse  verbo  del  conflitto  gravissimo  testò  insorto  tra  la  Francia  e 
l'intera  Germania,  e  che  sta  per  definirsi  col  sangue  di  tante  migliaia  di 
infelici  sulle  rive  del  Reno,  dell' Oder  e  della  Vistola?  Non  è  però  attri- 
buto mio  di  sentenziare  intorno  a  questa  grossa  guerra,  ornai  già  inco- 
minciata e  che  solo  Dio  sa  come  andrà  a  ricscire.  Mi  basterà  farvi  sape- 
re che  la  Svizzera  è  forse  lo  Stato  che,  per  molte  ragioni  che  l'esporre 
è  vano,  trovasi  per  condizione  propria  più  direttamente  involto  ed  inte- 
ressato in  questa  terribile  conflagrazione.  Nessuna  meraviglia  pertanto 
che  tino  dal  17  Luglio  i  supremi  poteri  della  Confederazione  abbiano 
chiamato  sotto  le  bandiere  ben  50,000  soldati  d'ogni  arma  ed  abbiano 
per  giunta  ordinato  ad  altri  35, 500  di  tenersi  pronti  al  primo  appello.  Ve- 
ro è  che  le  nazioni  belligeranti  hanno  esplicitamente  riconosciuta  la  neu- 
tralità del  nostro  paese,  proclamata  dagli  Stati  che  firmarono  i  trattati 
di  Vienna  del  1815  e  novamente  dichiarata  dal  nostro  Governo  federa- 
le. Siccome  si  conosce  pur  troppo  a  prova  quanto  insidiata  e  traditrice 
arte  sia  ne'  tempi  nostri  la  diplomatica,  così  si  è  saviamente  pensato  tor- 
nar meglio  alla  Svizzera  di  provvedere  al  caso  colle  forze  sue  alla  pro- 
pria neutralità  ed  autonomia,  tanto  più  che  il  nostro  territorio  si  offre 
assai  facilmente  alle  scorrerie  d'entrambi  gli  eserciti  contendenti  e  po- 
trebbe prestarsi  a  strategiche  combinazioni.  Le  cinque  divisioni  attual- 
mente in  servizio  d'osservazione  lungo  la  linea  del  Reno  stanno  sotto  gli 
ordini  del  colonnello  d'artiglieria  sig.  Herzog  delPArgovia,  nominato  or 
ora  generalissimo  delle  nostre  milizie  dall'  Assemblea  federale  ;  e  n'  è 
capo  di  stato-maggiore  il  colonnello  Paravicini  di  Basilea.  Sono  due  pre- 
gevolissimi ufficiali  superiori,  che  per  fermo  guiderebbero  con  onore  i 
nostri  prodi  alla  vittoria  in  caso  di  non  soverchiante  urto  di  un  esercito 
d'invasione.  La  Svizzera  è  incrollabilmente  deliberata  a  qualunque  sa- 
crifizio per  proteggere  la  neutralità,  l'integrità  e  l'indipendenza  del  suo 
territorio.  E  perchè  vediate  di  quali  mezzi  militari  essa  può  all'evenien- 
za disporre,  eccovi  lo  specchio  delle  nostre  truppe  di  tutto  punto  orga- 
nizzate: stato-maggiore  generale  805;  attiva  (dai  23  ai  34  anni)  85.:; 63; 
riserva  (dai  34  ai  40)  50,146;  landwehr  (dai  40  ai  44)  66,539.  Abbiamo 
dunque  un  totale  effettivo  di  203,053  uomini  con  16  brigate  d'artiglie- 
ria di  campagna.  Tutte  le  armi  sono  di  perfezione;  l'equipaggiamento 
è  buono  e  insieme  elegante  ;  lo  spirito  marziale  superiore  ad  ogni  elo- 


CONTEMPORANEA  381 

gio.  Tolga  nondimeno  Iddio  che  le  truppe  nostre  siano  costrette  al  sa- 
crifizio del  sangue  per  la  difesa  della  patria  ! 

2.  In  mezzo  però  a  tanto  strepito  di  guerra,  la  Svizzera  non  cessa  di 
volgere  le  sue  cure  al  miglioramento  politico  ed  economico  della  repub- 
blica. Il  Consiglio  federale,  che  è  il  nostro  potere  esecutivo  centrale,  ha 
preparato  uno  schema  di  modificazione  allo  Statuto  federale  del  12  Set- 
tembre 1818,  giusta  il  compito  affidatogli  dalle  superiori  autorità  legis- 
lative. Temcvasi  da  taluno  che  il  risveglio  dello  spirito  riformatore 
suonasse  abbandono  del  sistema. federativo  per  surrogarvi  V  unitarismo, 
e  perciò  il  partito  conservatore,  specialmente  il  cattolico,  s' oppose  a 
qualunque  idea  di  mutamento  costituzionale.  Mi  ricorda  di  avervi  fatto 
notare  a  suo  tempo  che  questo  timore  era  effimero  e  che  sarebbe  stata 
transitoria  la  coalizione  degli  imitarli  coi  federalisti.  Le  proposte  del 
Consiglio  federale  giustificano  appieno  le  mie  previsioni,  giacche  esse 
sono  concepite  in  senso  talmente  temperato,  che  i  conservatori  in  gene- 
rale le  accettano,  fatta  soltanto  qualche  riserva  riguardo  ai  punti  rife- 
renti a  materie  religiose.  Ma  quando  si  ponga  mente  che  nella  patria 
nostra  la  maggioranza  è  protestante,  non  si  dura  fatica  a  comprendere 
che  le  proposte  del  Consiglio  federale  sono  ancora  meno  inaccettevoli  di 
quelle  che  verrebbero  per  avventura  formulate  da  certi  Parlamenti  e 
deputati  cattolici  che  conoscete  benissimo  anche  voi.  La  bisogna  poi 
verrà  tenuta  lì  alcuni  mesi  perchè  maturi,  essendo  consuetudine  nostra 
di  non  procedere  a  capo  chino  nel  fare  e  disfare  le  Costituzioni  e  le  leggi. 
Il  Consiglio  nazionale  ed  i  Consiglio  degli  Slati  hanno  eletto  le  rispettive 
Commissioni  per  esaminare  e  riferire  su  questo  importante  argomento, 
e  intanto  sarà  libero  ai  cittadini  di  presentare  a  queste  Commissioni  i 
loro  voti.  La  trattazione  avverrà  nel  prossimo  consesso  delle  Camere  in 
Dccembre. 

3.  Anche  air  avvenire  economico  del  paese  tengon  fisso  e  vigile  lo 
sguardo  i  nostri  padri  della  patria.  Altra  volta  vi  ho  intrattenuto  della 
colossale  impresa  della  ferrovia  internazionale  attraverso  il  S.  Gottar- 
do, ed  ora  posso  soggiungere  che  un  gran  passo  fu  dato  dacché  quasi 
tutti  gli  Stati  direttamente  interessati  air  opera  gigantesca  han  votato 
le  contribuzioni  in  danaro  ad  essi  assegnate.  L'Italia  era  sul  punto  di 
far  decretare  dal  suo  Parlamento  la  partecipazione  che  si  assunse  colla 
convenzione  internazionale  di  Berna  del  la  Ottobre  1869  ;  ma  temo  che 
la  guerra  franco -germanica  abbia  a  ritardare  chi  sa  fin  quando  la  defi- 
nitiva adesione  delle  Camere  di  Firenze.  E  temo  altresì  che  il  presente 
tramestìo  abbia  a  mandare  in  fumo  le  deliberazioni  già  prese  dalle  au- 
torità della  Germania  del  Nord,  del  Baden  e  del  Wurtcmberg.  A  buon 
conto  i  nostri  Consigli  legislativi  federali  vincendo  con  esito  insperato  le 
rivalità  dei  parti  tanti  dello  Spluga  e  del  Sempione,  ratificarono  alla  qua- 
si unanimità  i  trattati  finora  stipulati  per  la  ferrovia  del  S.  Gottardo. 


382  CRONACA 

Voglia  il  cielo  che  fra  i  danni  incalcolabili  della  guerra,  non  si  debba  an- 
noverare anche  quello  di  privare  il  commercio  intemazionale  di  questo 
più  rapido  e  sicuro  mezzo  a  soddisfazione  di  tanti  pubblici  e  privati 
affari  ! 

4.  Allo  scopo  manifesto  di  viemeglio  favorire  i  suoi  interessi  mora- 
li, politici  ed  economici,  la  Svizzera  s'adopra  parimenti  con  perfetta 
lealtà  ad  osservare  il  diritto  delle  genti  ed  a  tutelare  V  ordine  pubblico 
nell'interno.  11  vostro  corrispondente  della  Svizzera  italiana  vi  ha  fornito 
minuti  ed  esatti  particolari  sulla  banda  repubblicana- demagogica  di  quel 
figlio  di  Mazzini  che  si  fa  chiamare  Giuseppe  Nathan,  ed  io  non  posso 
che  confermarvi  quella  relazione.  Mi  sia  però  concesso  di  soggiunge- 
re che  realmente  il  mazzinianismo  ha  gittate  salde  radici  in  alcune  lo- 
calità del  Cantone  Ticino,  e  che  in  ispecie  vi  stanno  impegolati  fino  al 
collo  certi  magnati  che  tengono  un1  alta  mano  nel  governo  di  quel  Can- 
tone. E  il  peggio  si  è  che  i  mazziniani  hanno  formato  il  loro  nido  nella 
Svizzera  italiana,  nò  le  autorità  federali  verranno  facilmente  a  capo  di 
scovameli.  Il  primo  provvedimento  energico  da  prendersi  sarebbe  lo 
sfratto  perpetuo  di  tutta  la  famiglia  della  cosidetta  vedova  Nathan,  in 
un  colle  relative  appendici.  Ritornando  ora  alla  banda  del  figlio  di 
zini,  saprete  che  essendo  indietreggiati  sul  nostro  territorio  quei  prodi 
rodomonti,  vennero  arrestati  e  sottoposti  ad  inquisizione  legale!  Ma  le 
autorità  giudiziarie  federali ,  giudicando  la  spedizione  Nathan  per  una 
goffa  fanciullaggine,  proposero  di  punirla  con  un  semplice  correttivo 
di  polizia,  e  quindi  di  espellere  dal  territorio  svizzero  i  30  inquisiti.  Il 
Consiglio  federale  accettò  le  concordi  proposizioni  del  giudice  istruttore 
e  del  pubblico  procuratore,  ed  i  fannulloni  della  Bepubblica  univenah 
furono  mandati  in  Oga  Magoga.  Ritenete  tuttavia  che  fatta  qualche  ra- 
ra eccezione,  Mazzini  è  in  abbominio  presso  il  popolo  e  le  autorità  del- 
la Svizzera. 

5.  La  definizione  ca  della  iflfaUibitf  pontiGcia  venne  accolta 
con  filiale  riverenza  e  vivo  giubilo  dalle  popolazioni  cattoliche  della  Sviz- 
zera. Anche  i  protestanti  ortodossi,  che  vedono  quali  ruine  minacci  il 
razionalismo  e  che  assistettero  con  sincero  rammarico  alle  stravaganze 
dei  loro  confratelli  dedicati  al  cristianesimo  libero  o  liberale,  non  senti- 
rono di  mal  animo  la  solenne  decisione  del  Concilio  Valicano,  poiché  vi 
ravvisano  un  potente  conforto  al  principio  cardinale  dell'autorità,  prin- 
cipio di  vita  per  l'umano  consorzio  e  peculiarmente  per  V  associazione 
religiosa.  I  soli  radicali  d'entrambe  le  confessioni  scapitano  di  fronte  a 
questo  splendido  trionfo  della  vera  Chiesa  di  Cristo;  ma  la  stolida  loro 
indegnazione  costituisce  anzi  il  titolo  più  evidente  della  opportunità  del- 
l'avvenuta definizione.  I  cattolici  radicali,  di  conserva  coi  radicali  pro- 
testanti ,  accennano  ad  una  comune  propaganda  per  provocar  ne1  fedeli 
l'apostasia.  State  però  certissimi  che  l'opera  loro  cadrà  a  vuoto,  e  la 


CONTEMPORANEA  383 

Svizzera  cattolica ,  imam" me  col  suo  degno  episcopato,  non  diminuirà 
d'un  iota  P inalterabile  suo  attaccamento  alla  Santa  Sede  ed  al  Capo  an- 
imo della  Chiesa.  Io  spero  eziandio  che  le  nostre  autorità  politi- 
che non  seguiranno  l'infelice  esempio  del  Ministro  del  culto  in  Ungheria, 
ile  ha  dato  il  primo  segno  di  ribellione  contro  F  irrevocabile  e  sa- 
i  ione  dei  Padri  della  cristianità. 

6.  Gli  avvenimenti  politici  nei  singoli  Cantoni  hanno  scarseggiato  al- 
quanto in  questo  ultimo  trimestre.  Devo  nondimeno  farvi  parola  delle 
elezioni  alla  magistratura  legislativa  compiutasi  nello  scorso  Maggio  nei 
Cantoni  di  Berna  e  di  S.  Gallo.  Sapete  che  cinque  sesti  dei  Bernesi  sono 
protestanti,  ma  non  per  questo  la  grande  maggioranza  del  popolo,  pre- 
seduta dalla  colta  aristocrazia  della  capitale,  cessa  di  essere  conservatri- 
ce in  sommo  grado.  I  radicali  tengono  le  redini  di  quella  repubblica, 
ma  il  Governo  loro  è  più  di  nome  che  di  fatto»  poiché  tutte  le  leggi  più 
importanti  non  possono  venir  promulgate  senza  la  ratifica  dei  comizii  po- 
polari. Le  ultime  elezioni  al  Gran  Consiglio,  contro  il  previsto  diedero 
ai  radicali  135  deputati  e  soli  100  ai  conservatori.  Fu  molto  avvertita 
la  circostanza  che  i  quattordici  deputati  della  città  di  Berna,  la  qua- 
le è  altresì  la  capitale  della  Confederazione,  furono  scelti  a  grande 
pluralità  di  suffragi  tra  gli  uomini  più  eminenti  del  partito  conservato- 
re; tanto  ancor  vi  predomina  il  sentimento  di  quella  gloria  del  mondo 
civile  che  fu  l'insigne  pubblicista  Carlo  Luigi  di  Mailer!  Che  se  i  radi- 
cali contano  nel  nuovo  Gran  Consiglio  e  nel  potere  esecutivo  la  maggio- 
ranza, io  tengo  per  fermo  che  la  cosa  pubblica  s'inspirerà  ciò  non  ostan- 
te al  principio  d'ordine  e' di  conservazione,  grazie  al  pratico  senno  del 
popolo  nel  giudicare  de'  suoi  morali  politici  ed  economici  interessi.  La 
qual  cosa  avverrà  tanto  più  sicuramente,  in  quanto  che  i  migliori  pa- 
trioti militano  nelle  schiere  conservatrici. 

7.  Il  Cantone  di  S.  Gallo  poi,  da  quasi  un  decennio,  vive  in  perfetta 
tranquillità,  e  se  v'ha  agitazione  di  partito,  gli  è  soltanto  per  muover 
guerra  e  tenere  lontani  dal  Governo  gli  estremi  radicali,  i  banderai  del 
razionalismo  e  dell'unitarismo.  I  cattolici  vi  sono  in  maggioranza,  e  gli 
affari  lor  proprii  maneggiano  con  egregie  amministrazioni,  le  quali  pro- 
cedono a  meraviglia.  Gli  affari  comuni  invece  sono  condotti  da  un  Gran 
Consiglio ,  in  cui  i  cattolici  annoverano  un  numero  gagliardo  di  rappre- 
si e  siedono  arbitri  fra  i  radicali  moderati  e  gli  estremi.  Il  potere 

esecutivo  è  composto  esclusivamente  di  radicali  moderati  e  di  cattolici, 
e  queste  due  frazioni  politiche  serrano  in  pugno  il  Governo  del  Cantone. 
guesta  è  la  condizione  in  cui  versa  da  parecchi  anni  questo  florido  e  in- 
dusire  paese,  e  le  elezioni  del  Maggio  passato  han  rinvigorito  anziché 
deteriorato  il  predominio  e  l'intervento  attivo  dei  cattolici  nelle  cose 
del  paese. 


384  CRONACA  CONTEMPORANEA 

8.  Mi  rimane  ora  a  compiere  rapidamente  la  relazione  fattavi  dal  cor- 
rispondente della  Svizzera  italiana  circa  il  movimento  costituzionale  nel 
Cantone  Ticino.  Lo  schema  di  statuto  proposto  al  Gran  Consiglio  da  una 
commissione  di  17  deputati  era,  salvo  qualche  pecca,  sommamente  ac- 
concio ai  bisogni  di  quel  paese.  Ma  il  Gran  Consiglio,  rappresentando 
non  già  gli  interessi  dell'intero  Cantone,  bensì  quello  delle  diverse  loca- 
lità, pose  la  falce  nel  disegno  dei  17  e  ne  stralciò  le  più  importanti  e 
proficue  disposizioni  mirando  unicamente  a  toglier  la  capitale  a  Lugano 
per  fissarla  a  Bellinzona;  dovesse  pure  lo  Stato  precipitare  alla  malora! 
Di  qui  asprissimi  guai,  a  segno  che  i  deputati  dei  distretti  meridionali, 
che  formano  quasi  la  metà  del  Cantone  e  ne  sono  la  parte  più  Ibrida, 
abbandonarono  l'aula  legislativa  protestando  contro  l'opera  spogliatrice 
della  maggioranza  dei  deputati  appartenenti  ai  distrettì  settentrionali. 
E  s'andò  più  oltre;  si  espresse  il  proponimento  di  voler  separato  il  Can- 
tone come  Basilea,  Untervaldo  ed  Appenzetto  e  questo  voto  è  partecipato 
da  tutta  la  popolazione  dei  distretti  meridionali.  Gli  antichi  partili  stan- 
no per  ora  in  riserbo,  mentre  il  tentativo  di  separazione  viene  spingen- 
dosi ognor  più  gagliardamente,  e  solo  il  conflitto  franco-germanico  ha 
imposto  la  tregua  al  pertinace  divisamento.  Piacerai  poi  di  constatare 
che  il  concetto  della  nazionalità  svizzera  è  radicato  profondamente  nel- 
l'animo del  popolo  ticinese. 


LA  SOLENNE  PROTESTA 

DEL  SINODO  VATICANO 

CONTRO  DUE  LIRELLI 


I. 


Il  Concilio  di  Trento  nella  sua  durata  e  dopo  la  chiusura  fu  in- 
sultato, calunniato  e  gridato  di  niun  valore  nelle  sue  decisioni, 
per  difetto  della  necessaria  libertà.  Eccovi  rinnovato  lo  stesso  giuo- 
co a  carico  del  Concilio  vaticano  con  questo  divario,  che  gl'insulti, 
le  calunnie  e  le  grida  contro  quello  di  Trento   uscivano  da  penne 
eretiche,  laddove  contro  questo  del  Vaticano  sono  opere  di  scritto- 
ci, che  si  nominano  malamente  cattolici  liberali.  Sì:  da  tali  uomini 
si  scrissero  con  penne  stillanti  amarissimo  fiele  articoli  ne' giornali, 
si  spedirono  corrispondenze  da  Roma,  e  si  pubblicarono  libelli  di 
infamia  contro  la  Sede  apostolica  e  contro  la  più  gran  parte  de'Vesco- 
vi,  denunziando  al  mondo  il  nuovo  Concilio,  quale  raunata  di  gente 
vile  e  codarda  nella  sua  generalità  dinanzi  ad  una  potente  astuzia, 
che  avea  di  buon'  ora  saputo  ordinare  il  tutto  a  suo  prò,  ed  incep- 
pare la  libertà  fino  a  non  lasciarne  filo  a  chicchesifosse  fuori  del 
suo  arbitrio.  Avendo  i  Presidenti  del  Concilio  nella  ultima  Congre- 
gazione dei  sedici  Luglio  segnalato  a'  Padri  cotesto  tristissimo  lavo- 
rio della  calunnia  colla  proposta  del  decreto  di  una  solenne  smenti- 
ta, si  levò  un  grido  unanime  di  adesione  a  tale  decreto,  che  bollan- 
do tutti  i  rei  scritti  in  fascio  col  marchio  dell'infamia,  nominava  in 
Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  490.  25  8  Agosto  1870. 


.« 


/  ^ 


386  LA  SOLENNE  PROTESTA  DEL  SINODO  VATICANO 

particolare  due  libelli:  Ce  qui  se  passe  au  Concile,  e  La  dernière 
heure  du  Concile,  siccome  quelli  che  nella  pessima  arte  dell'  in- 
sulto, della  menzogna  e  della  calunnia  aveano  vinto  tutti  gli  altri, 
sozzi  di  tanta  malvagità. 

Così  doveasi  fare.  Richiedeanlo  le  particolari  qualità  di  tristizia, 
di  che  sono  essi  impregnati  non  meno  a  danno  del  Concilio,  che 
della  fede  dei  popoli.  Conciossiachè  in  generale  non  vi  s'incontri 
furore  di  stile,  insulti  grossolani,  falsità  smaccate,  ma  piuttosto 
procedimento  di  animo  tranquillo,  ostentazione  di  amore  pel  vero 
e  per  la  Chiesa,  arte  nel  dare  sembianza  di  verità  con  audaci  e  mi-, 
surate  affermazioni  a  ciò ,  che  è  il  trovato  della  maldicenza  e  del 
reo  talento.  Cosicché  la  calunnia,  la  falsità,  il  sarcasmo,  presa  sotto 
la  loro  penna  aria  di  verità  e  di  virtù,  giungono  ad  impiagare  inos- 
servati l'animo  del  male  accorto  lettore.  Leggete  il  libello:  Ce  qui 
se  passe  au  Concile,  e  da  un  capo  all'altro  vi  parrà  il  lamento  e  tut- 
to insieme  la  difesa  della  verità  e  del  diritto  oppresso,  in  quella  che 
con  un  cumulo  di  fallacie  e  di  menzogne  tira  a  nimicare  al  Papa , 
al  Concilio  e  segnatamente  alla  dottrina  della  infallibilità  tutta  la 
Francia.  Leggete  un  famoso  articolo  del  Moniteur  universel,  tutto 
su  lo  stile  del  libello  qui  nominato,  e  vi  troverete  espresso  dall'au- 
tore il  convincimento  di  prestar  servigio  alla  causa  stessa  del  Con- 
cilio e  della  Santa  Sede,  con  ciò  che  viene  esponendo  1.  La  calun- 
nia e  la  maldicenza  hanno  di  lor  natura  un  non  sappiamo  che  di% 
appiccaticcio,  che  raro  passano  per  gli  animi  senza  lasciarvi  di  se 
alcun  fiato  pestilente.  Figuratevi,  quanto  debbano  riuscire  perico- 
lose, quando  vengono  da  persone,  che  professano  pietà  e  devozio- 
ne alla  Chiesa  e  sanno  colorire  al  vero  le  invenzioni  della  malva- 
gità. Sia  dunque  lode  alla  saviezza  dei  Padri,  che  smascherò  al 
mondo  la  insigne  tristizia  di  cotali  scritti. 

V'è  un  secondo  motivo ,  che  rendea  questa  pubblica  giustizia 
conveniente.  Siccome  è  provata  ad  evidenza  la  lega  del  liberalismo 
di  lutti  i  paesi,  stretta  sotto  la  maschera  del  gallicanismo,  per  im- 
pedire la  definizione  di  certe  dottrine,  così  a  chi  studia  un  po'  l'an- 
damento dei  giornali  e  degli  opuscoli  conlrarii  al  Concilio  appare 

1  14  Fevrier. 


CONTRO  DUE  LIBELLI  387 

avervi  il  motto  d'ordine  di  assaltarne  anticipatamente  1'  autorità,  se 
mai  fossero  definite,  impugnando  ad  un  modo  la  necessaria  libertà 
della  definizione.  Tanta  è  la  somiglianza  degli  argomenti  e  de' punti 
combattuti  in  cotesti  scritti  del  partilo  !  A  mezzo  Febbraio  uscì  nel 
Moniteur  universel  l'articolo  di  sei  fitte  colonne  sopra  citato  col  tito- 
lo: La  situatimi  des  choses  à  Rome;  due  mesi  dopo  fu  stampato 
il  libello  :  Ce  qui  se  passe  au  Concile;  nel  Maggio  comparvero  nel 
Times,  e  riferiti  dal  Journal  des  Dèbats,  due  lunghi  brani  di  due 
lettere  spedite  da  una  persona  del  Concilio;  da  ultimo  La  dernière 
Jieure  du  Concile.  Confrontate  questi  quattro  scritti,  e  vi  troverete 
piantati  e  difesi  tre  medesimi  punti,  i  quali  sono:  la  libertà  oppres- 
sa dal  regolamento  delle  lettere  apostoliche  MuUiplices  inter  :  la 
libera  discussione  oppressa  dagli  schemi  e  dalla  maniera  stabilita 
pel  dibattimento  :  la  libertà  dei  suffragi  oppressa  da  potenti  influen- 
ze morali.  Passate  nella  Germania  :  leggete  gli  scritti  del  Dollin- 
ger  e  le  corrispondenze  romane  della  Gazzetta  universale  di  Augu- 
sta, e  vi  si  presenterà  la  medesima  forma  di  assalto.  Nulla  diciamo 
dei  giornali  pedissequi  :  il  loro  linguaggio  non  è  punto  differente. 
Tutte  le  pruove  battono  a  questa  triplice  oppressione  :  conveniva 
saturarne  le  menti;  conveniva  farla  credere  universalmente  ad  ogni 
costo.  Ne  andava  la  verità,  ne  andava  la  coscienza  :  non  valse. 
Dovea  vincere  il  consiglio  che  non  si  definisse  l'infallibilità  soprat- 
tutto: nel  caso  poi,  che  fallisse,  la  definizione  dovea  giacere  ne- 
gletta, senza  autorità,  senza  forza.  Il  mezzo  più  acconcio  per  giun- 
gere a  questo  parve  quello  di  rendere  esoso  il  Papa,  quale  usur- 
patore dei  più  sacri  diritti,  d'invilire  la  massima  parte  dei  Vescovi, 
quale  masnada  codarda,  e  di  mostrare  oppressa  sotto  ogni  risguar- 
do la  libertà  del  Concilio.  I  tre  punti  su  indicati  erano  all'uopo  e  si 
presero  di  mira. 

Sembra  ad  alcuno  troppo  fiera  questa  nostra  conchiusione?  Non 
è  così.  Lo  spirito  di  rivolta  trapela  da  tutti  i  loro  argomenti,  vi  è 
insinuato,  vi  è  caldeggiato.  Chi  scrive,  che  «  gravi  doveri  possono 
presentarsi  alle  menti  degli  oppressi!  j^Chi  afferma,  «  che  la  defini- 
zione riuscirebbe  di  peso  intollerabile  alle  coscienze  »:  e  chi  senza 
tanti  riguardi  dice  chiaro:  «  che  i  Vescovi  della  opposizione  sono  sto- 
macati della  maniera,  onde  procedono  le  cose,  e  che  se  il  program- 


388  LA  SOLENNE  PROTESTA  DEL  SINODO  VATICANO 

ma  oscurantista  della  Curia  si  compie  prima  della  proroga  del 
Concilio,  non  hanno  altra  speranza  per  salvare  la  Chiesa  in  perico- 
lo, che  questa:  appellare  dal  presente  concilio,  nullo  di  sua  natura  fi- 
no dal  suo  aprimento,  ad  un  concilio  libero;  da  questa  assemblea  di 
vile  servidorame,  preseduta  da  un  Cesare  e  diretta  da  una  fazione 
monacile  e  settaria,  ad  una  assemblea  di  Vescovi,  preseduta  dallo 
Spirito  Santo  e  retta  dall'  amore  del  bene,  della  verità  e  del  pro- 
gresso. »  Questo  è  il  linguaggio  della  Liberto; eguale  è  quello  delle 
lettere  riferite  dal  Débats;  non  punto  diverso  quello  della  Bernière 
heure  du  Concile.  Eccovi  disvelato  il  terribile  passo  a  cui  tirano. 
Allo  scisma,  alla  rivolta,  al  dilaceramento  della  Chiesa.  Quindi, 
dopo  avervi  incitato  gli  animi,  il  pronunziare,  che  fanno,  cotesti  ma- 
li, il  gridarli  come  sicuri,  e  come  inevitabili  conseguenze  delle  defi- 
nizioni del  presente  concilio.  Così  hanno  operato,  ed  operano  i  ri- 
voltosi moderni:  incitare  con  libri  e  con  articoli  più  o  meno  bugiar- 
di e  calunniosi  i  popoli  alla  rivolta,  e  poscia  gridare  il  principe, 
quale  colpevole  dei  mali,  che  ne  sono  per  derivare. 

La  protesta  solenne  di  tutto  il  Sinodo  contro  le  calunnie  larga- 
mente spacciate  è  venuta  in  buon  punto.  Non  v'ha  dubbio:  essa 
varrà  sommamente  a  torre  dall'inganno  gl'incauti.  Ma  se  basta  a 
ritrarli  dal  consentire  all'  errore,  non  basta  a  rischiararli  circa  i 
fatti  maliziosamente  infìnti  o  travisati.  A  tal  uopo  v'  è  bisogno  di 
argomenti,  che  mettano  a  nudo  la  menzogna,  che  disvelino  la  ca- 
lunnia ,  che  pongano  in  piena  mostra  la  verità.  A  questo  supplire- 
mo, per  quanto  ci  è  dato,  col  presente  articolo.  Tre  sono  i  punti,  a 
cui  sono  rivolte  le  false  pruove  dei  nemici  del  Concilio,  come  ab- 
biamo sopra  indicato.  Rivediamoli  l'un  dopo  l'altro. 


II. 


Stando  agli  accusatori ,  nel  Concilio  vaticano  non  v'  ha  punto  di 
libertà,  tutto  è  oppressione.  Guardatelo  nella  sua  prima  mossa:  voi 
vedete  il  sacro  diritto  dell'Episcopato  manomesso,  sia  pel  regola- 
mento impostogli,  sia  per  le  materie  da  discutersi  già  studiate,  e 
redatte  in  ischemi.  Non  fu  questo  un  calpestare  ogni  concetto  di  as- 
semblea generale?  Non  apparteneva  ai  Vescovi  radunati  e  l' ordì- 


CONTRO  DIE  LIBELLI  389 

narsi,  e  il  disporre  a  grado  le  materie,  e  il  darsi  regole  e  norme  di 
procedimento?  Non  fu  questo  l'uso  di  tutti  i  Concilii  ecumenici? 
Eccovi  invece  nel  Vaticano  i  Vescovi  col  bavaglio  alla  bocca  e  coi 
ceppi  ai  pie  fin  da  principio ,  cosicché  non  possono  parlare  se  non 
di  ciò ,  che  è  loro  permesso ,  ne  possono  andare  se  non  per  quella 
via,  che  è  loro  assegnata  \. 

Tutto  questo  discorso  è  intaccato  di  un  errore  capitale,  il  quale 
si  è  di  avere  scambiato  un  Concilio  con  una  assemblea  sovrana. 
Questa  sì ,  che  ha  il  diritto  di  esser  lasciata  in  piena  balìa  di  so 
quanto  al  comporsi,  al  disciplinarsi  ed  alla  scelta  delle  materie  da 
discutere,  ma  il  Concilio,  no.  I  suoi  rapporti  col  Papa  non  sono  quelli 
di  un  assemblea  sovrana,  ma  quelli  che  corrono  tra  un  corpo  su- 
bordinato ed  il  sovrano.  Tali  furono  creati  da  Cristo ,  quando  nomi- 
nò Pietro  fondamento  della  Chiesa ,  quando  gli  affidò  le  chiavi  del 
regno  del  cielo ,  quando  il  fé  pastore  di  tutto  il  suo  gregge.  Tali 
riconobbeli  il  Concilio  II  di  Lione ,  chiamando  il  Papa,  «  rettore 
della  Chiesa  universale  »  :  tali  ravvisolli  il  Concilio  di  Firenze,  defi- 
nendo il  Pontefice  «  capo  ,  padre  e  maestro  di  tutta  la  cristianità  », 
e  riconoscendo  in  lui,  «  qual  Vicario  di  Cristo,  la  piena  podestà  di 
pascere ,  di  reggere  e  di  governare  la  Chiesa  universale.  »  Volete 
vederli  in  opera?  Leggete  le  gravissime  parole  dette  nel  Concilio  I 
di  Efeso  dal  prete  Filippo,  legato  di  Papa  S.  Celestino,  donde  rile- 
verete avere  il  Pontefice  dato  ordini  e  norme  per  quel  Concilio,  co- 
me prìncipe  e  capo  ,  come  colonna  della  fede,  come  fondamento 
della  Chiesa  cattolica,  come  giudice  supremo,  come  investito  di 
tanta  podestà  dal  divin  Redentore  2.  Quinci  sgorga  il  triplice  di- 
ritto nel  Papa,  notato  da  tutti  i  teologi  e  dai  canonisti:  di  convo- 
care auctoritative  il  Concilio ,  di  presiedervi  auctoritative  per  sé  o 
per  i  suoi  Legati ,  e  di  confermare  pure  auctoritative  le  decisio- 
ni 3.  L' esempio  adunque  di  un'  assemblea  sovrana  è  recalo  a 
sproposito.  Il  Papa  nello  statuire  il  regolamento  non  usurpò  i  di- 
ritti altrui,  ma  esercitò  i  proprii  ;  non  fé'  un  sopruso,  ma  un  atto  della 

1  Ce  qui  se  passe  au  Concile,  pag.  49,  57  e  segg.  ;  La  dentière  heure, 
pag.  4. 

2  Mansi,  v.  V,  col.  1295. 

3  Cf.  Ferraris,  Bibl.  can.  ad  verb.  Concìlium,  art.  I. 


390  LA  SOLENNE  PROTESTA  DEL  SINODO  VATICANO 

sua  autorità  sovrana.  Sapete  invece  chi  è  1'  oppressore  della  liber- 
tà? È  proprio  la  congrega  degli  accusatori,  i  quali  colla  loro  falsa 
teorica  mirano  a  ristringere  i  diritti  di  operare,  che  il  Papa  tiene 
dallo  stesso  Cristo. 

In  prova  che  la  proposta  delle  materie  negli  schemi  offese  gra- 
vemente la  libertà  episcopale,  gli  accusatori  fanno  appello  all'  uso 
dei  Concilii  ecumenici.  Ma  in  ciò  essi  peccano  o  di  grossolana  igno- 
ranza, o  di  insigne  mala  fede.  La  storia  dei  Concilii  è  aperta  per 
tutti.  Scorretela.  Oh  se  il  Papa  avesse  voluto  valersi  del  suo  diritto, 
quanto  più  oltre  sarebbe  andato  nella  sua  proposta!  Avrebbe  potu- 
to legittimamente  proporre  un  decreto  invece  del  semplice  schema, 
coli'  obbligo  ai  Padri  del  Concilio  di  pigliarne  conoscenza  studian- 
dolo e  di  aderirvi.  Tanto  ci  testifica  l'uso  praticato  da  Concilii  ecu- 
menici, a  cui  gli  accusatori  si  richiamano.  Così  infatti  leggesi  aver 
operato  Papa  S.  Celestino,  il  quale  mandò  i  suoi  legati  a  presedere 
nel  Concilio  di  Efeso,  quai  giudici  supremi  ed  esecutori  della  sen- 
tenza, che  egli  avea  pronunziato  1.  Così  S.  Leone,  il  quale  ordinò 
che  la  sua  definizione  fosse  puramente  e  semplicemente  accettata 
dal  Concilio  di  Calcedonia,  reiecta  penitus  audacia  disputandì  2. 
Così  S.  Agatone,  il  quale  impose  ai  Padri  del  Concilio  VI  ecumeni- 
co, che  non  discutessero  intorno  alla  forinola  o  definizione  inviata, 
come  se  fosse  cosa  dubbia,  ma  la  ricevessero  come  cosa  certa  ed 
immutabile  3.  La  stessa  condizione  fu  posta  al  Concilio  Vili  da  Papa 
Adriano  4,  la  stessa  al  Concilio  II  di  Lione  da  Papa  Gregorio  X 
quanto  ai  greci  5. 

Non  altrimenti  si  è  operato  in  più  Concilii  dell'  occidente.  Pi- 
gliate, a  mo'  di  esempio,  i  quattro  primi  Concilii  di  Laterano.  Ci 


1  Epist.  Coelestini  ad  Synod.  Act.  Il,  toc.  cit.,  col.  1287. 

2  Epist.  Leonia  ad  Synod.  part.  l' Concil.  Chalced.  cap.  45,  et  act,  IV. 

3  Personas  praevidimm  dirigere,  quae  suggestione™,  in  qua  et  ap<H 
slolicae  noslrae  ftaei  con  fessionem  praclibavimus,  off  erre  debcant:  non  (a- 
rncn  tamquam  de  incerti*  contendere,  sed  ul  certa  alque  immutabili  a  com- 
pendiosa definitione  proferre. 

4  Sanclissimus  Papa  Iladrianus  potestatem  nobis  dedit...  ut  quae  ipse 
edidit,  confirmemus. 

5  Cf.  Annales  Baronii  ad  ann.  1274. 


CONTRO  DUE  LIBELLI  391 

mancano,  è  vero,  gli  atti,  ma  rimangono  le  decisioni,  donde  è  facile 
dedurle.  Trecento  furono  i  Vescovi,  di  che  si  compose  il  primo,  pre- 
seduto da  Papa  Callisto  II.  In  esso  fu  risoluta  la  gravissima  e  terri- 
bile quistione  delle  Investiture,  ordinata  la  elezione  dei  Vescovi,  san- 
citi ventidue  canoni,  promosse  le  crociate,  rassodato  il  diritto  di  pos- 
sesso della  Chiesa  romana  con  apposita  sanzione.  E  tutto  questo  in 
undici  o  al  più  diciannove  dì  1  !  Nel  secondo,  preseduto  da  Papa 
Innocenzo  II,  si  trattò  degli  errori  di  Pietro  de  Bruis,  di  Arnaldo 
da  Brescia  e  dello  scisma  di  Pietro  di  Leone,  si  statuirono  trenta  ca- 
noni, de'quali  altri  dominatici,  altri  di  disciplina  ecclesiastica,  altri 
di  riforma.  Presso  a  mille  si  annoverarono  i  Prelati  intervenuti: 
eppure  si  conchiuse  il  tutto  entro  il  corto  spazio  di  diciassette  gior- 
ni 2.  Il  terzo  ci  lasciò  ventisette  capitoli,  in  cui  si  die  forma  miglio- 
re alla  elezione  dei  romani  Pontefici,  si  determinarono  i  rimedii  ai 
mali  dello  scisma,  si  trattò  della  repressione  degli  eretici,  della  ele- 
2ione  dei  Vescovi  e  della  pubblica  istruzione  e  di  altre  materie  som- 
mamente gravi.  Trecento  furono  i  Vescovi  presenti,  tre  le  sessioni, 
quindici  i  giorni  della  durata  3.  Che  diremo  del  quarto,  sotto  Inno- 
cenzo III,  del  quale  si  hanno  settanta  capitoli,  e  in  essi  una  defini- 
zione dogmatica  contro  gli  errori  di  quel  tempo,  condanne  di  ereti- 
ci, riforme  di  costumi  e  queste  di  somma  saviezza,  e  ciò  in  tre  ses- 
sioni, nello  spazio  di  venti  giorni,  col  concorso  di  quattrocento  dodici 
Vescovi  ed  oltre  ottocento  tra  Abbati  e  Priori  4?  Il  buon  senso  una 
cosa  sola  ci  suggerisce  di  questo  e  dei  tre  Concilii  antecedenti  :  es- 
ser cosa  impossibile,  che  tanti  Vescovi  in  sì  corto  spazio,  in  sì  poche 
sessioni  abbiano  potuto  proporre,  determinare,  discutere,  statuire 
canoni  sì  numerosi,  e  con  tanta  sapienza;  e  però  doversi  conchiude- 
re, che  furono  preparati  ed  ordinati  prima  dal  Papa  e  proposti  alla 
conoscenza  ed  alla  adesione  del  Concilio. 

Tale  fu  il  modo  di  procedere  tenuto  dai  Papi.  V'ebbero  forse 
querele?  Si  scrissero  libri  in  difesa  della  libertà  oppressa  dell' Epi- 

1  lbid.  ad  arni.  1122,  n.  1  et  seqq.,  et  ad  arni.  1123  in  notis  Pagii  et  Na- 
talem  AiEXANDR.  ad  saec.  XI,  XII,  diss.  IV,  art.  20. 

2  lbid.,  adann.  1139,  n.  4  et  seqq.  etPAGiuM  in  notis^ 

3  lbid.  ad  ann.  1179,  n.  1  et  seqq.  et  in  notis. 

4  Cf.  Annal.  Raynaldi,  ad  ann.  1215,  n.  1  et  seqq. 


392  LA  SOLENNE  PROTESTA  DEL  SINODO  VATICANO 

scopato?  Si  minacciarono  di  nullità  i  nominati  Concilii,  tenuti  in 
oriente?  Tutt' altro.  Il  diritto  che  ha  il  Pontefice  di  operare  di  tal 
guisa  fu  riconosciuto,  e  solennemente  testificalo  dagli  stessi  Padri 
dei  Concilii.  Quelli  di  Efeso  diconsi  strettamente  obbligali  ad  ese- 
guire la  sentenza  di  Papa  S.  Celestino  1  :  quelli  di  Calcedonia  pro- 
testano doversi  tenere  la  definizione  mandata  da  Papa  S.  Leone , 
illecita  qualunque  altra  2.  Nel  Concilio  Vili  si  nega  potersi  offen- 
dere il  definito  dal  Papa,  siccome  cosa  contraria  ai  sacri  canoni  3  ; 
e  nel  VI  S.  Agatone  proclama  altamente,  aver  tutta  la  Chiesa  ,  tut- 
ti i  Padri  ed  i  Concilii  ecumenici  accettato  con  umile  sommessio- 
ne  e  fedelmente  osservalo  i  decreti  di  fede  usciti  dalla  Sede  apo- 
stolica, utpote  Apostolorum  omnium  principi*  4.  Chi  sul  conto 
dei  quattro  Concilii  di  Laterano  citati  osò  tacciare  i  Papi  di  aver 
usurpato  i  diritti  episcopali?  Chi  ardì  appuntarli  di  nullità?  Chi  si 
lasciò  ire  fino  a  minacciare  ribellioni  e  scismi,  come  hanno  fallo  gli 
autori  dei  libelli  riprovati?  No;  non  troviamo  alcuno  fra  quelle  pa- 
recchie centinaia  di  Vescovi,  venuti  ai  Concilii  di  Laterano  dai  più 
lontani  paesi  di  Europa,  nella  stagione  più  rigida,  in  mezzo  a  mille 
pericoli  e  con  innumerevoli  disagi,  non  troviamo  alcuno  che  si  do- 
lesse di  que'  Concilii,  o  come  di  fantasmi  di  assemblee,  o  come  di 
artifizio  papale,  e  gridasse  oppressa  la  libertà  dell'Episcopato.  Tutti 
accettarono  i  canoni,  li  portarono  seco  nelle  loro  diocesi  e  li  pro- 
mulgarono, traendo  dalla  osservanza  quel  miglior  prò,  che  consen- 
tiva la  reità  di  quei  barbari  tempi.  Ecco  qual  fu  l'uso  seguitalo  dal 
più  dei  Concilii.  Gli  accusatori  del  Concilio  Vaticano,  facendo  appello 
ad  essi  in  prova  della  oppressa  libertà  dei  Vescovi  a  cagione  degli 

1  Coacti  per  sacros  canones  et  epistolam  sanctissimi  patris  nostri  et  com- 
ministri Caelestini...  ad  lugubrem  hanc  contro,  eum  [Nestorium)  sentcntiam 
necessario  venimus.  Ad.  Ili,  loc.  cit.  col.  1295. 

2  Super  his  forma  data  est  a  sanclissimo  Archiepiscopo  Romanac  ur- 
bis et  sefjuimur  eum...  alteram  expositionem  non  licet  fieri.  Act.  II. 

3  Nobis  non  licet  rescindere  iudicium  sacrorum  Romanorum  Ponlijtcuin. 
IIoc  enim  conlrarium  canonicis  institutis. 

4  Cuius  (apostolicae  sedis)  aucloritatem,  utpote  apostolorum  omnium 
principis,  semper  omnis  calholica  ChriUi  Ecclesia  et  univcrsalcs  synodi 
fìdeliter  amplectentes,  in  cunctìs  secutac  sunt. 


CONTRO  DIE  LIBELLI  393 

schemi  apparecchiati,  poteano  avere  più  solenne  smentita  da  que' me- 
desimi documenti,  che  hanno  invocato? 

Papa  Pio  IX  tenne  altra  via  assai  più  ampia.  Propose  gli  schemi, 
è  vero,  ma  li  propose  tali,  che  meritassero  la  più  alta  stima  del  Con- 
cilio. Conciossiachè  essi  fossero  l'opera  di  teologi,  scelti  tra  i  più 
dotti  uomini  che  conti  la  Chiesa,  fatti  venire  a  Roma  in  gran  nume- 
ro, di  diverse  nazioni  e  di  studii  diversi.  Né  li  propose,  come  cosa 
compita,  ma  li  rimise  interamente  alla  cognizione  dei  Padri,  anzi  volle 
ed  ordinò  (vohimus  et  mandamus),  che  sottomessi,  nulla  auctoritate 
muniti,  all'esame  ed  al  giudizio  degli  stessi,  radunati  in  Congregazio- 
ne generale,  si  discutessero  con  amplissima  libertà  di  parola  e  di  suf- 
fragio 1.  Dov'è  qui  il  bavaglio  posto  alle  bocche  dei  Padri?  Dov'è  la 
oppressione  della  libertà  di  paiola?  La  esperienza  fé  noto  al  mondo 
esservene  stata  in  sì  grande  abbondanza,  che  fu  riputato  comune- 
mente necessario  doversi  porre  un  qualche  limite  affine  di  venir  a 
capo  di  alcuna  cosa.  Non  così  gli  accusatori,  i  quali  coll'occhio  tutto 
inteso  alla  malignità  della  critica  convertono  in  materia  di  biasimo 
gli  schemi,  come  offensivi  della  libertà,  quando  invece  erano  mezzi 
per  facilitare  ai  Padri  la  via  delle  trattazioni.    ■ 

Non  meno  è  calunnia,  che  siansi  posti  i  ceppi  alla  libertà,  quanto 
alla  scelta  delle  materie.  Imperocché  fu  data  fin  dal  principio  larga 
facoltà  a  tutti  i  Padri  di  proporre,  quanto  essi  giudicassero  ridon- 
dare a  pubblica  utilità.  Fu  quindi  stabilita,  ed  è  tuttavia  in  pie  una 
speciale  Congregazione  coll'offizio  di  ricevere  quali  che  siano  le  pro- 
poste, e  dondechè  vengano,  di  esaminarne  diligentemente  i  vantaggi 
e  la  convenienza,  e  riferire  il  tutto  colla  conchiusione  al  Papa,  affin- 
chè egli  definisca,  se  siano,  o  no,  da  proporsi  in  Concilio  2.  Con  que- 
sto spediente ,  salva  tutta  libertà ,  è  tolto  il  disordine  nel  propor- 
re, è  ovviato  all'inconveniente  delle  proposte  disutili,  sono  rispar- 
miali fastidii  e  noie  ai"  Padri  con  non  piccolo  guadagno  di  tempo. 
Niuno  ignora  quante  volte  siasi  rinnovata  nel  Concilio  di  Trento 
la  quistione  circa  la  forinola:  proponentibiis  Legatis.  Ma  che?  oltre 
il  diritto  del  proporre  inerente  al  Pontefice,  le  ragioni  qui  arrecate, 

1  Cf.  Litt.  app.  Muìtiplices  Inter,  §.  VII,  De  Congregationibus  generali- 
bus  Palrum. 

2  Ibid.  §.  II,  Le  iure  et  modo  proponendo. 


394  LA  SOLENNE  PROTESTA  DEL  SINODO  VATICANO 

congiunte  all'  uso  de  Concilii,  parvero  sì  buone  e  definitive  ai  Pa- 
dri, che  messa  a  partito  due  volte,  l'una  sotto  Paolo  111,  1'  altra,  per 
mera  condescendenza,  sotto  Pio  IV,  ebbe  Y unanimità  dei  suffragi. 

11  Sinodo  protestò  contro  l' accusa  di  violala  libertà  conciliare,  e 
dissela  menzognera.  E  in  vero  tale  ò  apparsa  nel  diritto  e  nel  fatto. 
Nel  diritto,  essendo  una  menzogna  non  meno  il  giure  di  assemblea 
sovrana  supposto  ne  Vescovi  adunati,  che  la  conferma  di  questo 
giure  tratta  dall'  uso  dei  Concilii  :  nel  fatto,  essendo  i  Padri  in  forza 
del  regolamento  liberissimi  tanto  nel  discutere,  quanto  nel  proporre. 


III. 


Sia  pure  quanto  abbiamo  qui  detto  della  libertà  di  proporre  e  di 
favellare.  Ma  con  qual  prò,  se  la  discussione  e  materialmente  e 
moralmente  impacciata?  Che  importa  il  dire  a  Vescovi:  parlate, 
discutete,  quando  poi  togliete  il  modo  di  farsi  intendere,  e  non  date 
alcun  agio  per  mettersi  in  istato  di  discutere?  La  sala  delle  Congre- 
gazioni generali  è  sì  male  ordinata,  che  un  Cardinale  ebbe  a  dire 
(testimonio  l'accusatore),  che  dall' aprimento  del  Concilio  non  giunse 
ad  afferrare  più  di  quattro  parole,  capite!  quatre  mots:  eppure  sta- 
va presso  ai  dicitori!  Era  cosa  facile  il  mutar  sito,  non  mancande 
grandi  sale  in  Roma.  Non  si  sa  intendere  per  quale  ostinatezza  ne] 
primo  divisamento  non  siasi  voluto  a  ciò  pensare  1.  Questo  ostacolc 
materiale  ò  un  nulla  posto  al  confronto  dell'  altro  morale:  gli  sche 
mi  piombano  in  mano  de'  Padri  improvvisi,  tre  o  quattro  dì  avanti 
la  discussione,  con  brandelli  di  quistioni  e  tale  mistura  di  dottri- 
na, di  disciplina,  di  tesi  immense,  di  trattati  diffìcili  da  uscirne  ui 
vero  viluppo.  Come  discernere  l' una  cosa  dall'  altra,  bilanciarne  li 
ragioni,  vederne  il  fondo,  giudicare  con  piena  cognizione  di  causi 

1  La  salle  dans  la  quelle  se  licnt  le  Concile,  par  une  fatalité  tingulière 
a  élé  si  mal  di  spose  e,  qu  a  V  origine  il  élall  littéralement  impossible  d' en 
lendre  un  seul  mot;  aujourd'  Imi  encore,  malgré  des  amélioralions  accor 
dées  non  sans  peine,  la  voix  ne  parvient  pas  au  quart  des  audiieurs.  E  il 
nota:  Un  Cardinal,  asscz  rapproché  de  la  tribune  cepcndanl,  disaìt  dvr 
nièrement,  qu  il  n  avait  entendu  que  quatre  mots,  depuis  l'ouverture  di 
Concile.  Ce  qui  se  passe  au  Concile,  p.  CI. 


CONTRO  DUE  LIBELLI  395 

in  materie  sì  difficili  1?  Unite  insieme  questi  due  ostacoli,  e  dite  se 
vi  può  essere  discussione  libera.  Donde  il  pessimo  effetto,  che  alla 
fine  annoiata  la  maggioranza  precipiti  i  suffragi,  ed  opprima  la  mi- 
noranza. Ma  in  questo  caso  si  dirà,  che  le  decisioni  sono  decisioni 
di  un  valore  conciliare? 

A  chi  vive  in  Roma  parrà  cosa  impossibile,  che  si  spaccino  cose 
somiglianti  :  ma  i  libri  citati  e  non  pochi  giornali  le  hanno  spaccia- 
te, e  non  pochi  le  hanno  credute.  Primo  ostacolo  alla  libera  discus- 
sione :  il  difetto  acustico  della  sala.  Che  questo  vi  fosse  da  princi- 
pio, non  lo  neghiamo.  Ma  egli  è  falso ,  che  non  siasi  procuralo  di 
evitarlo  colla  mutazione  di  luogo.  Furono  fatti  studii  e  nel  Vaticano 
ed  al  Quirinale  e  in  qualche  Chiesa  per  trovarvi  stanza  acconcia  al 
bisogno.  Riuscì  ogni  ricerca  inutile.  11  pensiero  si  rivolse  tutto  a 
rinvenire  alcun  mezzo,  onde  torre  il  difetto  dalla  sala  preparata,  ed 
a  tal  uopo  le  si  die  un  nuovo  ordine.  Rispose  questo  all'  intento?  Chi 
ne  può  dubitare?  Salgono  a  più  centinaia  i  discorsi  fattivi,  e  a  pa- 
recchie decine  le  Congregazioni  generali  tenutevi.  E  che?  tanti  ora- 
tori avranno  parlato  pel  solo  piacere  di  far  vibrare  l'aria  della  sala? 
1  settecento  Padri  avranno  frequentato  quel  luogo  per  la  semplice 
delizia  di  starsene  impancali  le  quattro*  o  le  cinque  ore  ,  o  pel  solo 
prò  di  mirare  chi  si  affatica  in  parlare,  senza  che  altri  ne  capisca 
una  sillaba?  E  poi,  come  va,  che  i  giornali  della  tinta  degli  accu- 
satori han  saputo  riferire  per  filo  e  per  segno  il  grande  successo 
conseguito  dalla  eloquenza,  dalla  sagacia,  dalla  erudizione  di  certi 
discorsi?  Forsechè  questi  erano  inlesi  e  gli  altri  no?  L'anonimo 
ha  spacciato  una  grossolana  falsità. 

1  Les  moyens  cF  informations  dont  les  Pères  du  Vatican  dìsposent  pour 
èclaircr  ìeur  conscience  se  bornent  donc  strictement  a  l'elude  personnelle 
qu  ih:  peuvent  faire  du  schema  pendant  les  quelques  jours,  trois  ou  quatre 
souvenl,  ladt  au  plus,  qui  séparent  la  distribuitili  de  la  discussicn  gene- 
rale. Encore  les  scliemala,  qui  comprennent  tous  une  multitude  de  questions 
desplus  graves  et  desplus  délicatcs,  dogmatiques  et  disciplinaires  a  la  fois, 
ixe  sont-ils  communi qués  aux  évèques  que  par  fragments,  de  Ielle  sorte  qxCil 
leur  est  impossible  d'  en  apercevoir  V  ensemble,  ni  de  voir  oh  on  les  méne; 
et  doctrine,  discipline,  thèses  immenses,  questions  difficiles,  tout  arrive 
plU-méU.  Ibicl.  pag.  59,  e  Monitcur  universel,  14  Fènder:  La  Situation. 


396  LA  SOLENNE  PROTESTA  DEL  SINODO  VATICANO 

Come  slia  il  fatto  l'abbiamo  da  una  lettera  scritta  dall'Àrcivcsco- 

yo  di  Cambiai  al  clero  della  sua  Arehidiocesi.  Riportiamo  qui  le 
sue  parole,  quale  testimonianza  irrefragabile.  «  L' insediamento  ma- 
teriale del  Concilio  ebbe  difetti  da  principio:  niun  lo  nega.  Ma  è  co- 
sa certa,  che  appresso  furono  tolti.  La  sala  conciliare,  a  cui  si  era 
data  soverchia  ampiezza,  è  stata  ridotta  a  convenientissime  propor- 
zioni. Tale  qual  è  al  presente,  qualunque  oratore,  che  è  fornito  di 
voce  ordinaria  e  parla  distintamente,  si  fa  intendere  senza  sforzo 
da  tutto  il  suo  uditorio.  V  ha  una  difficoltà  nelle  gravi  differenze, 
con  che  è  pronunziato  il  latino  dalle  diverse  nazioni,  ma  tale  diffi- 
coltà indipendente  dalla  condizione  acustica  del  luogo,  sarà  portata 
dovunque  dalla  nostra  assemblea.  Ve  n  ha  un  altra  propria  degli 
oratori,  essendovene  alcuni,  che  a  cagione  della  debolezza,  o  di 
qualche  altro  difetto  della  voce  non  possono  farsi  ben  capire  in  qua- 
le che  sia  luogo  1.  »  Ma  queste  due  difficoltà  di  ragione  affatto  par- 
ticolare ed  estrinseche  alla  qualità  della  sala  da  chi  saranno  equa- 
mente stimate  un  ostacolo  materiale,  a  cui  non  si  volle  ostinatamen- 
te provvedere  con  danno  della  libera  discussione ,  come  asserisce 
mendacemente  l'anonimo? 

Trovato  falso  l'ostacolo  materiale,  credete  voi  che  esista  comec- 
chesia  il  morale?  Eccovi  senz'altro  il  regolamento,  che  è  presente- 
mente seguito  nelle  discussioni.  Giudicatelo.  Tre  sono  gli  sladii  per 
cui  debbe  correre  lo  schema  prima  che  venga  definitamente  messo 
a  voti  nella  pubblica  Sessione.  Nel  primo  viene  proposto  dai  Presi- 
denti e  distribuito  ai  singoli  Padri,  affinchè  entro  un  convenevole 
spazio  di  tempo  ognuno  di  essi  lo  studii  profondamente,  e  ne  appunti 
il  tutto  o  le  parli  riputate  difettose  con  debite  osservazioni  in  iscrit- 
to, e  vi  soggiunga  i  concelti  o  le  parole  delle  mutazioni  da  far  visi. 
Cotesto  lavorio  di  osservazioni  ridotto  a  largo  sunto  analitico  da 
scelti  teologi  viene  sottilmente  esaminato  dalla  commissione  o  giunta 
corrispondente  dei  ventiquattro  Vescovi.  La  quale  sul  meglio  di  tali 
osservazioni  riformalo  lo  schema  proposto,  e  fatta  comporre  una  rela- 
zione, in  cui  si  dà  conto  del  perchè  altre  osservazioni  siausi  accettate, 

1  Vedi  Univers,  30  Maggio  1870. 


CONTRO  DUE  LIBELLI  397 

altre  no,  manda  l'uno  e  l'altra  col  sunto  delle  osservazioni  ai  singoli 
Padri.  I  quali  tenendo  sott'  occhio,  ciò  che  hanno  pensalo  prò  o  con- 
tra  allo  schema  proposto  i  varii  membri  del  Concilio ,  e  ciò  che  ha 
deciso  la  commissione,  si  preparano  al  pubblico  dibattimento.  Siamo 
al  secondo  stadio.  In  questa  battaglia  delle  intelligenze  circa  lo  sche- 
ma riformato  ognuno  può  entrare  in  lizza,  ognuno,  secondo  l'ordine 
posto,  può  ragionare  su  tutto  o  su  una  parte,  rigettare,  difendere,  o 
proporre  correzioni,  dandole  poscia  scritte,  perchè  non  ne  cada  sil- 
laba senza  essere  considerata.  La  discussione  di  questa  maniera  va 
oltre  fino  a  che  o  non  v'è  chi  voglia  favellare  di  vantaggio,  o  per  do- 
manda di  dieci  Padri  e  consentimento  dei  Presidenti  posta  a  voti 
la  chiusura,  il  Concilio  la  decide  a  pluralità  di  suffragi.  Le  corre- 
zioni proposte  da  Padri  nel  dibattimento  sono  vagliate  dalla  com- 
missione, ed  uno  della  medesima  ha  l'incarico  di  riferire  in  Conci- 
lio le  conchiusioni  pel  si  o  pel  no  su  ciascuna  di  esse.  Qui  inco- 
mincia il  terzo  stadio,  nel  quale  udito  il  relatore,  prima  sono  messe 
a  voti  per  singolo  le  correzioni  anzidette  ,  poscia  i  varii  capi  dello 
schema  ricomposto  secondo  le  correzioni  volute  ed  approvate  da  Pa- 
dri, in  fine  il  tutto ,  il  quale  non  solamente  si  può  approvare  col 
placet  o  disapprovare  col  non  placet ,  ma  ancora  accettarlo  a  con- 
dizione di  alcun  mutamento  da  presentarsi  in  iscritto  col  placet  iu- 
xta  moclum.  Se  v'  hanno  di  questi  placet  iuxta  modani,  la  commis- 
sione giudica,  decide  e  propone  ai  voti  del  Concilio,  e  questo  si 
è  l' ultimo  passo. 

Dopo  questi  suffragi  la  prova  è  finita  :  lo  schema  così  ricompo- 
sto, corretto,  ritoccato  è  il  decreto,  che  conciliarmento  si  approva 
dai  Padri  col  placet,  o  si  disapprova  col  non  placet  dinanzi  il  Papa 
nella  solenne  Sessione.  Dicalo  il  nostro  lettore.  Può  essere  più  am- 
pia la  libertà  di  esame?  Può  sfuggire  mercè  di  questo  regolamento 
un  concetto,  una  sillaba,  senza  che  sia  da  tutti  i  Padri  in  privato 
e  in  pubblico  severamente  giudicata  e  discussa  ?  Può  egli  uscire 
decreto  dal  concilio,  che  non  sia  passato  perla  pruova  del  più  squi- 
sito raffinamento?  Si  indichi  un'  altra  maniera  di  discussione,  la 
quale  presenti  più  di  maturità  nel  suo  processo,  e  più  di  libertà  nei 
suoi  confini.  E  poi  si  ha  la  fronte  di  spacciare  che  il  Concilio  Vati- 


398  LA  SOLENNE  PROTESTA  DEL  SINODO  VATICANO 

cano  è  un  Concilio  fait  d'avance:  che  il  regolamento  vale  ùì  ma- 
nette serrate  ai  polsi,  che  non  lascia  modo  a  Vescovi  d'intendersi, 
che  la  discussione  non  è  né  studiata,  né  preparata,  nò  circoscrit- 
ta, che  gli  schemi  sono  un  viluppo  di  cose  mal  discernibili?  Con- 
viene proprio  dire,  che  il  mal  talento  sia  montato  al  sommo,  quan- 
do non  trova  altro  sfogo,  che  quello  di  falsità  e  di  calunnie  così 
sfrontate. 

A  che  prò  cotesla  libertà,  soggiungono  gli  accusatori,  se  poj. 
nel  fatto  la  discussione  è  impossibile,  se  i  migliori  e  di  animo  più 
moderato  sono  continuamente  interrotti  nei  loro  dicorsi ,  se  quei 
della  minoranza  sono  costretti  a  scendere  dal  pulpito  senza  aver 
esplicato  il  proprio  concetto  o  difesa  la  propria  sentenza,  se  viene 
loro  spenta  in  sul  labbro  la  parola  dai  Presidenti  quando  si  dipar- 
tono un  tantino  dal  tema,  mentre  alla  maggioranza  è  concesso  di 
scapestrare  a  sua  posta  in  esagerazioni  ed  in  oltraggi  senza  che  al- 
tri le  dia  su  la  voce  1  ?  —  Gli  oratori  della  minoranza  sono  interrot- 
ti continuamente?  Non  è  possibile  la  discussione?  Ma  non  sono 
appunto  gli  oratori  della  minoranza,  i  cui  discorsi,  secondo  i  gior- 
nali del  partito,  rapirono  gli  animi  di  tutto  il  Concilio,  misero  in 
pensiero  di  sé  la  maggioranza,  portarono  le  prime  palme?  Non  fu- 
rono congregazione  per  congregazione  riferiti  i  loro  nomi  con  la 
giunta  della  lode  o  di  aver  battuti  a  meraviglia  gli  avversari!,  o  di 
aver  provata  mirabilmente  la  propria  tesi  ?  Come  si  accorda  tutto 
questo  colle  interruzioni,  coi  tumulti,  e  cogli  abbandoni  forzati  del 
pulpito  ?  E  poi  l'autore  di  Ce  que  se  passe  au  Concile  non  prova 
la  impossibilità  della  discussione  dalla  sbrigliata  libertà  di  parlare 
concessa  a  tutti?  Finiamola:  tutte  coteste  accuse  sono  indegne  ca- 
lunnie: lo  provano  coteste  contraddizioni,  e  lo  testifica  l'Arcivescovo 
di  Cambrai,  esponendo  con  aurea  semplicità  il  fatto. 

«  Queste  discussioni,  egli  scrive,  che  possono  udirsi,  ed  a  bel- 
l'agio seguirsi  colla  mente,  sono  esse  libere?  Sì,  noi  raffermiamo, 
sono  perfettamente  libere:  e  non  dubitiamo  dire  che  l'immensa 
maggioranza  dei  nostri  venerabili  colleghi  sono  di  ciò  convinti. 

1  La  dernièrc  heure,  paj.  4,  16;  Journal  des  Débats,  7  Mai  1870. 


CONTRO  DUE  LIBELLI  309 

>*oi  abbiamo  assistito  a  tutte  lo  congregazioni  generali:  e  come  te- 
stimonii  attenti  ed  imparziali  di  tutto  ciò,  che  è  accaduto,  lo  ripe- 
tiamo: sì,  la  libertà  nel  Concilio  fu  spinta  fino  all'ultimo  confine. 
I  Cardinali,  che  presiedono  alle  nostre  sedute,  Y  hanno  rispettata 
con  un  rigore  tanto  scrupoloso,  che  si  è  potuto  giudicarlo  alcuna 
volta  eccessivo.  Qualunque  ha  domandato  facoltà  di  parlare,  l'ha 
ottenuta,  e  se  ne  valse  per  tutto  quel  tempo,  che  volle.  Se  nello 
spazio  di  cinque  mesi,  che  sono  corsi  dall'aprimento  del  Concilio, 
tre  o  quattro  oratori  sono  stati  interrotti  nello  svolgimento  del  lo- 
ro discorso,  la  ragione  si  è,  che  aveano  fuorviato  dalle  quistioni  a 
segno  da  apparire  evidente  la  necessità  di  richiamarveli  1.  » 

Cosi  parla  il  venerabile  Prelato  al  clero  della  sua  diocesi,  e  col- 
la stampa  della  sua  lettera  a  tutto  il  mondo  :  le  discussioni  sono 
■perfettamente  libere;  la  libertà  del  Concilio  tocca  il  confine  estre- 
mo: i  Cardinali  presidenti  la  rispettano  fino  all'eccesso:  la  facoltà  di 
parlare  è  per  chi  la  vuole  :  il  picciol  numero  di  chiamate  alla  qui- 
stione  fu  evidentemente  necessario.  Così  ha  scritto  mons.  Alzon  in 
una  sua  tetterà  alla  Gaiette  du  midi:  così  il  Vescovo  di  Troyes  in 
confutazione  del  libello  Le  dentière  heure  du  Concile  :  così  ha  pur 
detto  in  generale  il  Card.  Cullen  nella  sua  risposta  ad  un  Indiriz- 
zo di  trenta  Vescovi  di  origine  irlandese,  riunitisi  presso  di  lui. 
Ecco  in  qual  modo  parlano  uomini  venerabili  a  fronte  scoperta,  e 
collo  stile  della  verità,  e  quai  testimonii  di  presenza,  a  confusione 
della  bugia  e  della  calunnia  e  di  chi  ne  fa  spaccio,  celando  vilmente 
il  proprio  nome. 

Ma  v'è  un  altro  capo  di  accusa.  I  Vescovi  in  forza  della  legge 
del  secreto  non  possono  consultarsi  l'un  l'altro;  è  interdetto  il  mu- 
tuo commercio  di  note,  di  scritti  per  la  stampa;  sono  proscritte  le 
riunioni  a  più  insieme  di  modo,  che  non  hanno  altro  mezzo  da  ri- 
schiarare i  dubbii  della  propria  coscienza,  se  non  quello  dello  studia 
strictement  personnelle  su  lo  schema  proposto  2.  Tanto  hanno  corag- 
gio di  scrivere  i  detrattori  del  Concilio,  quando  tutta  Roma  potreb- 

1  Unìvers,  loc.  bit. 

2  Ce  qui  se  passe  au  Concile,  pag.  59. 


400  1A  SOLENNE  PROTESTA  DEL  SINODO  VATICANO 

be  dar  loro  una  solenne  smentita.  Chi  ignora  in  essa  e  le  sale,  dove 
sì  univano  parliti  in  piccoli  gruppi  i  Vescovi  di  un  medesimo  pae- 
se, e  quelle  dove  si  univano  in  gran  corpo  quelli  della  stessa  na- 
zione, e  le  altre  dove  convenivano  mischianze  di  più  lingue  insie- 
me, e  questo  a  grado  dei  singoli,  in  quel  tempo  e  in  quella  manie- 
ra, che  meglio  piaceva?  Si  sono  fatti  postulati  prò  e  contro  la  de- 
finizione della  infallibilità  pontificia,  si  sono  scritte  petizioni  prò  e 
contra  il  differimento  della  medesima,  si  sono  presentati  memoran- 
di, proteste  con  lunghe  sottoscrizioni  di  Vescovi  di  varie  nazioni 
Come  sarebbesi  potuto  far  questo,  se  fossero  state  proibite  le  riu- 
nioni, V  accontarsi  l'un  Y  altro,  il  consultarsi?  E  qui  pure  mentita 
tst  iniquitas  sibi.  Quel  tale  innominato,  che  nelle  sue  lettere,  ripor- 
tate dal  Débats,  scrisse  di  aver  operato  gagliardamente  contro  la 
definizione  della  infallibilà,  ci  fé  anche  sapere  il  come,  vale  a  dire 
istituendo  una  commissione  internazionale  ;  dunque  erano  permesse 
le  adunanze  dei  Vescovi  di  più  nazioni  :  fondando  più  commissioni 
nazionali;  dunque  non  erano  interdetti  i  gruppi  della  medesima 
nazione:  guadagnando  tre  rappresentanze  o  suffragi;  dunque  era  li- 
bero il  consultare,  il  convincere  in  particolare. 

Si  grida  interdetto  il  commercio  di  note  e  di  scritti  a  stampa  :  qua- 
le più  smaccata  calunnia  di  questa?  Piovvero  nelle  case  dei  Vescovi 
tanti  opuscoli  gratis  e  d'ogni  formato ,  di  ogni  lingua  e  di  sentenze 
stranamente  erronee  da  potersene  comporre  un  bel  fascio.  Chi  ne 
impedì  la  distribuzione?  Chi  fu  chiamato  a  render  conto  delle  cose 
contenutevi?  Eppure  non  riempirono  di  se  tutta  Roma?  Non  resero 
incerti  gli  animi,  se  dovessero  gridare  indegnati  contro  la  inespli- 
cabile baldanza,  con  che  spropositavano  in  fede  gli  scrittori  anoni- 
mi, o  piuttosto  facendo  silenzio  ammirare  la  somma  pazienza  di  chi 
in  risguardo  di  più  alto  fine  tollerava  la  libertà  dello  spaccio?  E  poi 
si  dice  interdetto  il  mutuo  commercio  di  scritti  in  stampa?  Non  oc- 
corre di  più.  Quando  si  negano  fatti  così  pubblici,  così  palpabili, 
non  è  no  l'amore  della  verità,  o  il  servigio  della  religione  che  muo- 
ve la  penna,  ma  lo  spirito  di  parte,  ed  il  cicco  furore  della  passione, 
che  mentisce  e  calunnia  senza  regola  e  senza  modo. 


CONTRO  DUE  LIBELLI  401 

IV. 

Teniamo  al  terzo  punto  dell'  accusa:  la  libertà  del  suffragio  fu 
oppressa  da  potenti  influssi  morali.  Donde  uscirono  cotesti  influssi? 
Dal  Vicario  di  Cristo,  il  quale  si  valse  della  sovrana  sua  autorità 
per  trarre  all'  infallibili  là  i  suffragi  de'  Vescovi  e  tenerceli  immoli. 
Se  ne  valse  in  que' tanti  Brevi,  scritti  in  favore  di  tal  dotti  ina:  se 
ne  valse  ribadendola  colla  potente  parola  delle  sue  allocuzioni:  se 
ne  valse  disapprovando  cogli  stessi  mezzi  la  dottrina  contraria  ed  i 
suoi  fautori  1.  Sì,  è  vero;  egli  ha  commendata  la  dottrina  della  in- 
fallibilità. Ma  in  questo  egli  seguì  Y  esempio  di  Papa  S.  Ormisda, 
il  quale  non  solamente  la  commendò ,  ma  ancora  la  impose  in  una 
solenne  professione  di  fede:  egli  seguì  l'esempio  di  S.  Agatone,  il 
quale  a  nome  di  tale  dottrina  ordinò  ai  Padri  del  Concilio  VI  ecu- 
menico di  accettare  la  sua  definizione  dommatica ,  pena  la  scomu- 
nica se  la  rifiutassero:  egli  seguì  1'  esempio  di  Papa  Gregorio  X,  il 
quale  non  accolse  i  Greci,  rinneganti  lo  scisma,  se  non  a  patto,  che 
la  professassero  pubblicamente  nel  Concilio  II  di  Lione  :  egli  affer- 
mò in  ciò  quello ,  che  affermò  S.  Girolamo  nella  sua  lettera  a  Papa 
S.  Damaso,  e  S.  Agostino  e  i  Vescovi  del  Concilio  di  Cartagine  nel- 
la loro  lettera  a  Papa  S.  Innocenzo  I,  ed  i  Vescovi  di  tre  Concilii 
africani  a  Papa  S.  Teodoro  e  da  ultimo  ciò,  che  hanno  affermato 
ottantacinque  Vescovi  della  Francia  nel  1653  nelle  loro  lettere  a 
Papa  Innocenzo  X  sul  conto  della  condanna  del  libro  di  Giansenio. 
Papa  Pio  IX  ha  disapprovato  la  dottrina  contraria  alla  infallibilità. 
È  vero.  Ma  Sisto  IV  non  l'ha  disapprovata  colla  condanna  di  una  pro- 
posizione di  Pietro  d'Osma,  che  intaccava  il  magistero  infallibile 
della  Chiesa  romana?  Leone  X  non  l'ha  gravemente  biasimata  col- 
la condanna  di  una  proposizione  di  Lutero,  che  negava  nel  Papa 
l'autorità  di  stabilire  articoli  di  fede?  Alessandro  Vili  non  l'ha 
appuntata  in  due  altre  proposizioni,  che  diceano  asserzione  di  niun 
conto  e  molte  volte  abbattuta  quella  della  infallibilità  pontificia? 

1  Ce  qui  se  passe  au  Concile,  chap.  V. 
Serie  \H,  voi  XI,  fase.  490.  26  8  Agosto  1870. 


402  LA  SOLENNE  PROTESTA  DEL  SINODO  VATICANO 

Nella  Bolla  dommatica  Auctorem  fidei  non  fu  riprovala  colla  con- 
danna dell'adozione  dei  quattro  articoli  gallicani  falla  dal  sinodo  di 
Pistoia?  Con  quale  giustizia  si  vuole  adunque  condannare  nei  Bre- 
vi e  nelle  allocuzioni  di  Papa  Pio  IX,  ciò  che  altri  Papi  hanno  fatto 
nell'esercizio  più  solenne  del  loro  magisterio  ed  hanno  imposto  a  tut- 
ta la  Chiesa? 

Sì,  egli  ha  sostenuto  la  dottrina  della  infallibilità  e  si  è  mostrato 
avverso  alla  contraria:  così  dovea  fare.  Sono  esaltati  nella  Chiesa 
come  esecutori  fedeli  del  proprio  dovere  quei  Pastori,  i  quali  di- 
fesero gagliardamente  in  faccia  della  podestà  terrena  i  sacri  dirit- 
ti della  loro  cattedra,  e  sono  infamati  quai  traditori  del  proprio 
officio  quelli,  che  per  paura  o  per  condescendenza  non  l'hanno  fat- 
to. Il  sacro  privilegio  della  infallibilità  conferito  da  Cristo  al  suo 
Vicario,  riconosciuto  e  riverito  dalla  pratica  e  dalla  testimonianza 
di  tanti  secoli,  veniva  assaltato  da  ogni  parte  e  gridato  :  opinione 
erronea,  parto  di  una  scuola  di  menzogna,  eresia  da  fulminarsi. 
E  che  ?  Dovea  il  Papa  tacersi  contro  tanta  falsità?  Dovea  starsene 
immobile,  come  se  a  lui  non  appartenesse  punto  la  ruma  di  un 
privilegio  affidatogli  da  Cristo  nell'  assunzione  al  Pontificato  ?  La 
sua  coscienza  non  glielo  consentiva.  Egli  sorse  e  difese  il  sacro 
diritto  della  sua  cattedra  in  quel  modo  e  per  quei  mezzi,  che  la  sua 
saviezza  riputò  migliori.  E  voi  gli  fate  colpa  di  ciò,  che  in  altri 
stimereste  degno  di  altissima  lode  ? 

Ma  egli  mise  in  rivolta  i  cleri  contro  i  proprii  Pastori,  fatto  unico 
nella  storia  della  Chiesa,  approvando  in  Francia  quello,  che  con- 
dannava negli  Armeni  di  Costantinopoli  I.  —  Strana  confusione  del- 
l'ordine disciplinare  coll'ordine  dottrinale  per  cieca  brama  di  calun- 
niare. Il  Papa  ha  condannato  in  Costantinopoli  la  ribellione  del  greg- 
ge contro  il  proprio  pastore,  ha  condannato  la  violazione  delle  pri- 
me leggi  della  disciplina  ecclesiastica,  e  Y  ha  meritamente  punita  : 
laddove  in  Francia  ed  in  altri  luoghi  ha  commendato  la  rettitudine 
della  dottrina,  e  ne  ha  incoraggialo  la  pubblica  professione.  1  dori 
ed  i  popoli  sono  sempre  obbligati  alla  soggezione  dei  loro  Prelati 

1  La  dentière  heure  eie.  pag.  6. 


CONTRO  DEE  LIBELLI  403 

quanto  alle  leggi  della  disciplina,  ma  non  cosi  quanto  alla  regola 
della  credenza.  In  questa  devono  seguirli  fintantoché  sono  d' accor- 
do con  chi  e  il  dottore  e  maestro  universale  della  Chiesa:  nel  caso 
contrario,  no.  Vi  è  chi  ignori  Y  obbligo  strettissimo,  che,  secondo 
la  testimonianza  di  S.  Ireneo,  corre  a  tutti  i  fedeli,  qui  sunt  lindi- 
que,  di  convenire  nella  dottrina  colla  Chiesa  romana,  ossia  col  suo 
capo,  oh  potentiorem  principalilatem?  I  Brevi  adunque  e  le  parole 
del  Papa  non  misero  la  rivolta,  ma  confermarono  Y  ordine,  e  se, 
come  dicono  gli  accusatori,  alcuni  Vescovi  cedettero  ai  moti  dei  cleri 
condotti  dal  Papa,  non  fu  quest'  atto  una  soggezione  del  Pastore  al 
gregge,  ma  sibbene  un  atto  di  ossequio  al  cenno  del  Pastore  su- 
premo. 

V  ha  un  altra  accusa,  o  per  meglio  dire  un  altra  calunnia  senza 
nome.  «  La  maggioranza,  essa  dice,  non  è  libera:  giacché  ella  ri- 
sulta da  una  turba  enorme  di  Vescovi  italiani  e  di  Vicarii  aposto- 
lici; esercito  bello  e  fatto,  guadagnalo  fino  all'ultimo  uomo,  am- 
maestrato a  dovere,  ben  partito,  disciplinato.  Guai  se  tentenna!  è 
minacciato  della  fame  e*  della  disponibilità.  Così  il  Papa  cogli  italia- 
ni; così  la  Propaganda  in  modo  particolare  coi  Vicarii  apostolici,  la 
quale  abusando  dei  suoi  diritti  si  serve  delle  limosine  annuali  per 
operare  efficacemente  sull'animo  dei  Prelati,  e  dar  loro  ogni  setti- 
mana quell'impulso  speciale  che  fa  il  Concilio  1.  »  Papa,  Propa- 
ganda, Vicarii  apostolici,  Vescovi  italiani,  eccoveli  tutti  in  fascio 
gravali  di  un'  orribile  accusa.  Papa  e  Propaganda  sono  accusati  di 
abusare  della  loro  autorità,  di  valersi  di  mezzi,  quanto  vili  tanto  abo- 
minevoli, ai  loro  intendimenti  sul  Concilio  :  Vicarii  apostolici  e  Ve- 
scovi italiani  di  tradire  la  loro  coscienza  per  la  vigliacca  paura  della 
fame  e  della  disponibilità.  V  è  feccia  d'  uomo,  il  quale  possa  accu- 
sarsi innanzi  ai  tribunali  di  violenza  o  di  tradimento  del  proprio  do- 
vere, senza  che  si  producano  testimonianze  o  documenti  irrefraga- 
bili? Quali  sono  le  pruove,  quali  sono  i  documenti,  che  portano  gli 
accusatori  a  sostegno  della  loro  orribile  accusa  contro  il  Vicario 
di  Gesù  Cristo  e  tanti  insigni  Prelati,  tradotti  da  essi  dinanzi  al 

1  La  deridere  heure  eie. ,  Débats,  loc.  cit. 


404  LA  SOLENNE  PROTESTA  DEL  SINODO  VATICANO  ECC. 

tribunale  del  mondo?  Uno  solo:  uditelo.  Il  Papa  e  la  Propaganda 
hanno  il  potere  di  affamare  e  di  metlere  da  canto  a  lor  talento  i 
Vicarii  apostolici  ed  i  Vescovi  italiani  ;  dunque  gli  minacciano  di 
tanto  danno,  se  non  seguono  ciecamente  il  loro  impero  nelle  cose 
del  Concilio.  I  Vicarii  apostolici  ed  i  Vescovi  italiani  possono  veni- 
re affamati  e  cassi  di  uffizio,  se  non  tradiscono  la  propria  coscien- 
za, rendendosi  ciechi  esecutori  degli  ordini  del  Papa  e  di  Propa- 
ganda ;  dunque  all'occasione  la  tradiscono.  Con  un  argomento  sì 
illogico  e  sì  dissennato  trascinasi  empiamente  nel  fango  di  un  or- 
ribile accusa  il  Vicario  di  Gesù  Cristo  e  tanti  Prelati!  Chi  non 
si  sente  rovesciare  lo  stomaco  e  ricolmare  di  sdegno  a  tanta  vil- 
tà di  accusa,  a  tanta  perfidia  di  accusatori,  a  tanta  indegnità  di 
calunnia,  lanciata  contro  il  Capo  venerando  della  cristianità,  contro 
i  generosi  imitatori  degli  Apostoli  di  Cristo  nella  grande  e  difficilis- 
sima opera  della  propagazione  della  fede  tra  i  popoli  barbari,  e  tra 
i  furenti  nemici  del  cristianesimo?  E  poi  cotesti  calunniatori  hanno 
la  fronte  di  chiamarsi  enfants  devoués  della  Chiesa  !  Tristi  che  so- 
no! La  menzogna,  la  calunnia,  di  cui  si  valgono  a  piene  mani,  gli 
assalti  feroci  contro  l'autorità  del  Papa  e  del  Concilio,  sì,  gli  sma- 
scherano, li  mostrano  quali  sono,  cioè:  ipocriti  rivoltosi  della  Chie- 
sa. Dio  voglia,  che  essendo  ora  decisa  la  questione  della  infallibilità, 
contro  cui  hanno  tanto  infuriato,  siansi  ricreduti,  siansi  sottomessi 
di  cuore. 


IULIA  AUGUSTA  TAURINORUM 

OSSIA 

1/  ANTICA    TORINO1 


IV. 


Dalla  topografìa  della  città  tornando  alla  storia  ;  Torino,  richia- 
mata come  dicemmo,  da  Augusto  a  nuova  vita,  fiorì  da  indi  innanzi 
e  godè  profonda  pace  ;  soprattutto  dopo  che  egli  ebbe  domate  tutto 
intorno  le  iiere  tribù  delle  montagne,  perpetue  infestatrici  delle  pia- 
nure subalpine.  Le  alpi  infatti,  nei  primordii  di  Augusto,  erano  tut- 
tora occupate  da  molte  tribù  indipendenti;  e,  cosa  singolare!  men- 
tre la  romana  dominazione  già  si  stendea  tant' oltre  nelle  Gallie, 
nelle  Spagne  e  nelle  Germanie,  quivi  in  sulle  porte  d' Italia  e  nel 
cuor  dell'  Impero,  v'  erano  ancora  popoli  indomiti  e  selvaggi  che  ne 
sprezzavano  il  giogo,  e  a  debellare  i  quali  mai  non  si  erano  seria- 
mente applicati  né  Cesare,  nò  Pompeo,  né  altri  generali  romaniche 
di  qua  valicarono  cogli  eserciti.  Ma  vi  pose  tutto  l'animo  Augusto, 
e  vi  riusci  in  breve  tempo  con  felicissimo  successo.  I  nomi  delle 
43  tribù  inalpine,  cioè  delle  gentes  alpinae  omnes  quae  a  mari  su- 
pero ad  inferum  pertinebant,  da  lui  soggiogate,  leggonsi  nella  ce- 
lebre iscrizione  della  Turbia,  presso  Nizza,  sul  trofeo  ivi  erettogli 
dal  senato  nell'anno  747  :  e  tra  esse  la  più  famosa,  anzi  la  sola  del- 
la cui  guerra  gli  storici  di  Augusto  abbiano  fatto  singoiar  menzio- 
ne, fu  quella  dei  Salassi  nella  valle  della  Dora  Ballea;  sterminali  i 

1  V.  questo  volume,  pag.  272  e  segg. 


406  IULIA  AUGUSTA  TAURIXORUM 

quali  col  Tenderne  schiavi  ben  44,000  capi,  Augusto  pose  a  guar- 
dia perpetua  di  quella  valle  -importantissima  una  colonia  di  3000 
pretoriani,  fondandovi  la  nuova  città,  tutta  romana  e  militare,  di 
Augusta  Preistoria. 

I  soli  alpigiani  che  scampassero  ai  colpi  di  quella  universale 
tempesta,  e  i  cui  nomi  perciò  non  si  trovano  nella  descrizione  della 
Turbia,  furono  i  Secusini  e  le  circostanti  tribù  governate  da  Cozio, 
figlio  di  Donno,  re  di  Susa,  già  sopra  mentovato.  Imperocché  Cozio 
a  prevenire  il  pericolo,  si  fece  spontaneo  cliente  di  Augusto  ;  e 
questi,  memore  dell'amicizia  di  Cesare  con  Donno,  conservò  a  Co- 
zio  la  signoria  paterna,  mutandogli  solo  il  nome  regio  in  quello  di 
Prafectus,  ossia  governatore  romano;  siccome  leggesi  nell'arco  di 
Susa  :  31.  Julius  Regis  Donni  F.  Cottiiis  Praefectus  ceivitatium 
quae  subscriptae  sunt  etc.  Da  questo  Cozio  presero  nome  le  al- 
pi Cozie,  su  per  le  quali  egli  rifece  in  istile  romano  e  compiè 
la  magnifica  strada  del  Monginevro,  già  cominciata  da  Donno. 
Aveva  egli  un  fratello  ,  per  nome  Giulio  Vestale,  che  stette  al- 
cun tempo  alla  corte  di  Augusto  ;  poi  mandalo  a  militare  sul  Da- 
nubio e  sufi' Eusino,  vi  salì  dal  grado  di  Primipilo  a  quello  di  Go- 
vernatore militare  della  provincia  della  Mesia,  e  fu  celebrato  per 
prodezza  da  Ovidio  1,  allora  esule  a  Tomi  e  forse  già  suo  amico  in 
Roma.  Al  vecchio  Cozio  successe  il  figlio  Cozio  il  giuniore,  a  cui 
l'imperatore  Claudio  ampliò  lo  Stato  avito,  e  restituì  il  titolo  regio; 
onde  in  un  marmo  coevo  di  Susa  è  appellato  31.  Iulius  Cottius  Bex. 
Venuto  poi  questi  a  morte,  sotto  Nerone,  verso  Tanno  di  Cristo  66, 
il  suo  Stato,  l'ultimo  che  tra  gli  Alpini  serbasse  un'ombra  dell'anti- 
ca autonomia,  fu  incorporato  definitivamente  all'  Impero  e  costituito 
in  Provincia  Alpium  Cottiarum,  retta  da  un  Preside  o  da  un  Pre- 
fetto, con  due  città  capitali,  cioè  Embrun  capo  della  parte  transal- 
pina, e  Susa,  dalla  Cisalpina.  I  marmi  scopertisi  pochi  anni  fa  pres- 
so Avigliana  in  vai  di  Susa,  e  dottamente  illustrali  dal  Promis  2, 
baro  rivelato  il  confine  preciso  da  cui  cominciava  la  nuova  provin- 
cia, sotlcntrata  al  regno  dei  Cozii,  e  dove  terminava  l' Italia  cioè 

1  F.x  Ponto,  lib.  IV,  epist.  VII. 

2  Pag.  285-291. 


OSSIA  L  ASTICA  TORINO  401 

quell'Italia  legale  dei  Romani,  la  quale  da  prima  non  giungeva  che 
BÌYAesis,  poi  fu  prodotta  al  Rubicone,  indi  al  Po,  ed  ora  finalmente, 
ragguagliandosi  presso  che  interamente  colla  Italia  geografica,  era 
pervenuta  fino  al  pie  delle  alpi.  Questo  confine,  chiamato  nelle  iscri- 
zioni ora  scoperte  Fines  Comi,  trovasi  all'odierno  Drubiogìio,  sulla 
sinistra  della  Dora  Riparia,  ed  a  paro  con  Àvigliana.  Ivi  era  l'antico 
Ocelum,  mentovato  da  Cesare  1;  ivi  la  stazione  Ad  Fines  degl'  Itine- 
rarii;  ivi,  in  sull'ultimo  lembo  della  Gallia,  era  l'ultimo  ufficio  do- 
ganale ove  riscuotevasi  la  Quadragesima  Galliarum,  appaltata  ad 
una  società  di  repubblicani,  di  cui  le  iscrizioni  predette  ricordano 
un  Servus  Contra  Scriba  e  un  Tabularius  ;  e,  come  dalle  medesime 
apparisce,  ivi  pure  terminava  il  culto  delle  Matrone,  galliche  divi- 
nità, ignote  in  Italia;  e  quivi  finalmente,  colf  Italia  finiva  anche  la 
romana  cittadinanza,  prima  che  Caracalla  questa  cittadinanza  non 
estendesse  a  tutto  l'Impero.  Né  guari  lungi  furono  le  celebri  Chiu- 
se dei  Longobardi,  che  fino  ai  tempi  di  Carlomagno  ed  eziandio  per 
più  secoli  appresso  segnarono  il  confine  tra  l'Italia  e  la  Francia. 

La  via  delle  Alpi  Cozie,  frequentatissime  dai  Romani  dopo  Giulio 
Cesare,  dovette  porgere  a  Torino  assai  sovente  lo  spettacolo ,  sem- 
pre bello  e  grandioso  avvegnaché  talvolta  gravoso,  del  passaggio 
d'Imperatori  e  di  eserciti.  Probabilmente  vi  passò  Augusto  con  Ti- 
berio nel  144,  ritornando  pei  moli  Dalmatici  dalle  Gallio  in  Italia: 
poi  Tiberio  vi  ripassò  a  furia ,  quando  udita  in  Pavia  la  morte  di 
Druso,  corse  al  Reno,  facendo  in  tre  giorni  ducenlo  miglia.  Caligola 
vi  passò,  e  fu  allora  che  gli  sorse  in  capo  lo  strano  pensiero  di  fab- 
bricare sulla  cima  delle  alpi  una  città.  Dopo  Nerone,  l'anno  di  Cri- 
sto 69,  quaranta  mila  Yitelliani  venuti  dalle  Gallio,  scesero  per  le 
Alpi  Cozie,  mentre  altri  30,000  piombavano  giù  dalle  Perniine,  per 
combattere  Ottone.  Poco  appresso ,  il  passaggio  di  alcune  truppe 
Ottomane,  che  il  vincitore  Yitellio ,  per  allontanarle  dall'Italia, 
mandava  in  Brettagna ,  lasciò  in  Torino  orme  sanguinose  di  stragi 
e  d' incendii;  a  cagione  di  una  rissa,  accesasi  per  caso  tra  i  soldati 
della  legione  XIV  e  le  coorli  Bataviche  ;  la  quale  sarebbe  riuscita 
ancora  più  esiziale  alla  città,  se  due  coorli  pretorie,  facendo  causa 

1  De  Bello  Gallico,  1, 10. 


408  IULIA  AUGVSTA  TAIRIXORUM 

comune  coi  legionarii  Quartadecimani  e  coi  cittadini ,  non  avessero 
repressa  la  ferocia  dei  Batavi,  e  sgombrato  toslo  dagli  armati  il  pae- 
se. Finalmente,  a  tacer  d' altri,  dalle  medesime  alpi  del  Monginevro, 
discese  nel  312  Costantino  con  circa  40,000  tra  Germani  e  Galli, 
a  combattere  Massenzio  ;  e  dopo  sforzata  Susa  che  volle  resistere , 
presso  Collegno  disfece  in  ordinata  battaglia  i  Massenziani ,  forti 
specialmente  per  la  cavalleria  Clibanaria  o  Catafratta.  Torino  allora 
chiuse  le  porte  ai  fuggitivi,  che  furono  perciò  sotto  le  sue  mura  ma- 
cellati dai  vincitori  ;  e  salutando  la  prima  fra  le  città  italiane  la  sor- 
gente fortuna  di  Costantino ,  fece  sicuro  preludio  ai  trionfi  che  do- 
veano  in  breve  coronarla  sul  Tevere. 


L' epoca  imperiale ,  da  Augusto  fino  a  Valentiniano  III ,  è  quella 
che  viene  principalmente  illustrata  dalle  iscrizioni  del  Promis,  e  in 
cui  si  mostra  nel  suo  massimo  splendore  la  Iulia  Augusta  Taur  ino- 
rimi. Questa  colonia  ossia  municipio  (  giacche  le  due  denominazio- 
ni andaron  ben  presto  confuse)  aveva,  secondo  l'uso  romano,  i 
suoi  Patroni  e  i  suoi  Curatores  Reipublkae,  sotto  la  cui  tutela  era 
il  patrimonio  municipale;  e  di  parecchi  d'  essi  è  rimasta  memoria 
nelle  epigrafi.  I  cittadini  poi  erano  distinti  in  tre  ordini.  Il  primo, 
YOrdo  amplissimus ,  corrispondente  al  Senatus  di  Roma,  era  quel- 
lo dei  Decurioni;  dal  cui  seno  traevansi  i  magistrali  e  i  maggiori 
ufficiali  della  città,  i  giudici,  i  questori,  gli  edili,  i  duumviri,  i  du- 
umviri quinquennales  che  erano  deputati  al  censo  ricorrente  ogni 
cinque  anni,  i  quatuorviri,  i  quatuorviri  aedilicia  potestate  ;  tutti 
titoli  che  si  leggono  nei  marmi  torinesi. 

Il  secondo  ordine  era  quello  degli  Augustali,  e  rispondeva  a  quel 
che  in  Roma  chiamavasi  Ordine  equestre.  Anche  Torino,  come  altre 
città,  contava  alcuni  Equites  Romani,  ma  così  pochi  da  non  poter 
costituire  un  ordine  di  cittadini  come  in  Roma;  e  pare  che  si  con- 
fondessero al  tutto  coi  Decurioni,  all'  apparire  degli  Augustali,  in 
cui  era  il  nerbo  della  classe  media.  Colest' Ordine  degli  Augustali, 
spregiato  e  pretermesso  dai  romani  scrittori,  tutti  più  o  meno  ari- 
stocrali,  ma  ricordato  in  moltissimi  marmi,  ncll'  età  nostra  è  slato 


OSSIA  L  ANTICA  TORINO  409 

messo  dottamente  in  luce  da  valenti  Archeologi,  e  soprattutto  dal- 
l' Egger,  dallo  Zumpi  e  dal  Mommsen;  ai  quali  ò  ora  da  aggiunge- 
re il  Promis,  che  giovandosi  delle  lapidi  torinesi  ha  arricchito  di 
nuovi  lumi  questo  importante  soggetto.  Erano  gli  Augustales  i  mi- 
nistri del  culto  dei  Lares  Augusti,  culto  che  ben  presto  fu  confuso 
coli'  adorazione  dell'  Imperatore  stesso  ;  e  divenuto  quasi  Y  unico,  Au- 
guste appellandosi  tutte  le  divinità  :  ed  istituilli  Augusto  con  finis- 
simo accorgimento  politico,  per  amicarsi  e  legare  a  sé  la  massa  del- 
la plebe,  e  farsene  scudo,  secondo  l'antico  pensiero  di  Mario  e  di 
Cesare,  contro  il  patriziato.  Essi  venivano  scelti  in  ogni  città  del- 
l'Impero  tra  i  popolani  più  grassi  e  danarosi,  venuti  su  dal  poco  o 
dal  nulla  coi  loro  traffichi  e  industrie,  e  perciò  naturalmente  avver- 
si per  1'  una  parte  all'  aristocrazia  del  sangue,  e  per  l'altra  capi  na- 
turali delle  moltitudini  plebee.  Mercè  il  carattere,  politico  insieme  e 
sacro,  impressogli  da  Augusto,  1'  ordine  degli  Augustali  venne  a 
costituire  una  specie  di  nobiltà  plebea,  non  trasmessibile  ma  tutta 
personale,  epperciò  espansiva  e  di  fatto  largamente  eslesasi  nelle 
plebi  urbane,  e  tra  i  liberti  e  i  libertini  assai  più  che  tra  gì'  inge- 
nui: come  il  mostra  l'esempio  di  Torino,  dove,  sopra  40  epigrafi  a 
noi  pervenute  di  Augustali,  15  sole  appartengono  ad  ingenui,  tutte 
le  altre  a  liberti;  e  meglio  il  mostrerebbero  altre  città,  dove  simili 
epigrafi  sono  di  quasi  soli  liberti.  Essi  attenevansi  dunque,  soggiun- 
ge il  Promis,  agli  ottimati  per  superbia  e  ricchezze,  alla  plebe  per 
tendenze  materiali  ed  abbiette,  e  per  tutti  i  vizii  della  schiavitù  ai 
servi  dai  quali  uscivano,  altra  religione  non  avendo  che  1'  adora- 
zione del  Dio  stato  nella  persona  dell'  Imperatore.  L'  Augustale  Tri- 
malcione,  nella  satira  di  Petronio,  è  il  vero  tipo  dell'  arricchito,  in- 
solente e  fradicio  borghese  di  quei  tempi. 

Fuor  di  Roma,  nei  municipii  e  nelle  colonie,  pochi  essendo  e  di 
poca  rilevanza  i  Cavalieri,  costituirono  gli  Augustali  l'ordine  medio. 
Quindi  è  che  nell'epigrafi  municipali  dell'  Impero  ò  frequente  e  so- 
lenne la  formola:  Decuriones,  Augustales,  Plebs  ovvero  Populus, 
per  indicare  tutta  la  cittadinanza.  Ma  non  era  in  tutte  le  città  uni- 
forme il  loro  organamento.  In  Torino,  e  generalmente  nella  Tra- 
spadana, dove  era  assai  grande  la  devozione  agli  Augusti,  e  però 
assai  diffuso  1*  ordine  degli  Augustali,  oltre  i  semplici  Augustales, 


410  IULIA  AUGUSTA  TÀUMXORUM 

ed  oltre  i  Magistri  o  Sexviri  Augustales,  detti  con  più  piena  appel- 
lazione Sexviri  Magistri  Augustales,  o  meglio  ancora  Sexviri  Augu- 
stales Magistri  Larum  Augustalium,  il  cui  ufficio  di  soprantenden- 
za  bene  ancora  non  si  sa  in  che  consistesse  ;  trovansi  altresì  i  Sex- 
viri  Iuniorum  e  i  Sexviri  Seniorum  ovvero  Sexviri  Maiores,  che 
mostrano  una  suddivisione  dell'  ordine  in  Augustali  Giuniori  e  Se- 
niori. Un'altra  diramazione  degli  Augustali,  cospicua  specialmente 
nell'alta  Italia,  fu  quella  dei  Claudiali,  dei  Flaviali,  degli  Adria- 
nali,  che  al  culto  primario  d'Augusto  aggiungevano  come  seconda- 
rio quello  d'altri  Imperatori  deificati:  e  cosi  a  Torino  si  sono  rin- 
venute lapidi  di  Augustali  Claudiali,  ed  altre  di  Augustali  Flaviali 
In  varii  luoghi  del  Piemonte,  ed  in  Acqui  è  recente  la  scoperta  di 
un  L.  Vibullio  Montano  VI.  Vir.  Augustalis  Flavialis.  Agli  Augu- 
stali, come  a  sacerdozio  maggiore,  trovansi  parimente  affigliate,  in 
quei  tempi  di  fanatismo  idolatrico  per  l'Impero,  altre  corporazioni 
politico-sacre,  denominantisi  nelle  singole  città  dal  Dio  patrono  del 
luogo;  le  quali,  secondo  1'  opinione  del  Cavedoni  lodata  dal  Pro- 
mis  I,  stavano  all' ordine  degli  Augustali  puri,  come  i  Cavalieri 
romani  secondarli  ed  a  plebe  ai  primarii  Equites  Equo  Publico. 
Tali  erano  gli  Augustales  Apollinares  di  Modena,  di  Pesaro  ecc.,  i 
Concordiales  di  Padova,  i  Mercuriales,  i  Martenses  o  Martiales,  i 
Minervales,  gli  Herculanei  ecc.  di  altre  città.  In  Piemonte  non  se 
ne  ha  finora  altro  esempio  che  in  Asti,  dove,  siccome  mostrano  le 
lapidi  recate  dal  Promis,  fioriva  il  collegio  degli  Augustales  Miner- 
vales. 

Colle  iscrizioni  relative  agli  Augustali,  il  Promis  ha  non  solo  ri- 
schiarato grandemente  cotesta  classe  della  società  romana,  rimasta 
fino  a  pochi  hanni  fa  poco  men  che  ignota,  ma  ha  apportato  altresì 
molta  luce  da  un'altra  questione,  che  da  tre  secoli  si  agita  tra  gli 
eruditi:  se  cioè  i  liberti  fossero  o  no  inscritti  nelle  tribù  romane, 
il  che  importava  la  facoltà  del  suffragio  nei  comizii.  La  maggior 
parte  degli  autori,  col  Maffei,  col  Marini,  coll'Orelli,  stettero  pel 
no  :  restando  pel  sì  quasi  il  solo  Zaccaria.  Ma  ora  i  monumenti  del 
Promis  confermano  luminosamente  la  sentenza  del  Zaccaria;  col- 

1  Paz.  272. 


OSSIA  L  ASTICA  TORINO  41 1 

raggiungere  ai  pochi,  che  Cinqui  si  avevano,  parecchi  nuovi  esem- 
pii di  Seviri  Àuguslali,  Fluviali  o  Minervali,  tulli  libelli,  e  tutti  ap- 
partenenti alla  tribù  Palatina.  Questa,  come  è  noto,  era  fra  le 
più  ignobili,  cioè  una  delle  quattro  tribù  urbane,  a  cui  era  ignomi- 
nia 1'apparlenere:  ma  per  un  liberto  era  già  gran  favore  Tessere 
ascritto  a  una  tribù  qualsiasi;  e  di  tal  favore  sembra,  dal  numero 
delle  iscrizioni  rimastene,  che  gli  Augusti  specialmente  largheg- 
giassero colla  Traspadana,  siccome  quella  che  agli  Augusti  era,  fra 
tutte  le  ragioni  d'Italia,  singolarmente  devota  e  cara. 

Ma  noi  trascorreremmo  in  troppa  lunghezza  se  volessimo  accen- 
nare tutti  i  punti  più  importanti  e  curiosi  di  erudizione,  che  il  dot- 
tissimo Autore  va  discorrendo  in  questo  suo  volume.  Tralasciando 
adunque  tutto  ciò  ch'egli  nei  capi  seguenti  espone  intorno  al  ter- 
z'ordine  municipale,  cioè  alla  Plebe,  intorno  ai  Servi  pubblici,  ai 
Collegi  urbani,  alle  Professioni  ed  Arti,  ai  diversi  rami  di  Ammi- 
nistrazione pubblica,  alle  varie  divinità  venerate  in  Torino  e  nel 
Piemonte  ecc.  ;  conchiuderemo  con  un  cenno  di  quello  che  egli  dice 
sopra  Y Esercito',  materia,  trattata  dall'Autore  (da  pag.  295  a  pag. 
421)  con  ampiezza  e  con  amore  singolare. 


VI. 


Il  Piemonte  ebbe  in  ogni  età  pregio  di  guerriero,  e  l'epoca  roma- 
na di  cui  parliamo,  dopo  l'illustrazione  ora  fattane  dal  Promis,  dee 
contarsi  tra  le  più  splendide  ne'  suoi  fasti  militari.  Esso  non  fornì  a 
Roma  insigni  letterati,  come  la  Lombardia  e  la  Venezia,  che  diedero 
un  Catullo,  un  Virgilio,  un  Tito  Livio,  un  Plinio;  non  ricordandosi 
tra  i  Subalpini,  giunti  in  Roma  a  qualche  letteraria  celebrità,  che  i 
due  oratori  Albuzio  Silo  novarese,  e  Vibio  Crispo  vercellese,  il  quale 
fu  aitfhe  il  primo  Piemontese  che  si  sappia  esser  salito,  sotto  Ne- 
rone, alla  dignità  di  Senatore.  Ma  egli  diede  bensì  molti  ed  eccel- 
lenti soldati  e  capitani,  tra  i  quali  parecchi  giunsero  eziandio  ai 
gradi  supremi  della  romana  milizia.  Non  parliamo  di  P.  Elvio  Perti- 
nace, nato  nella  villa  di  Marte  presso  Alba  Pompeia;  il  quale  col- 
F  eminenza  del  senno  e  del  valore  si  elevò,  percorrendo  tutta  la 
scala  delle  dignità  romane,  fino  alla  porpora  imperiale.  Di  Giulio 


412  II  LIA  AUGUSTA  TAURINOMJM 

Vestale  di  Susa,  fratello  del  re  Cozio,  e  divenuto  Governatore  mili- 
tare della  Mesia  (l'odierna  Servia  e  Bulgaria)  abbiamo  sopra  già 
parlato.  Tra  gli  altri,  enumerati  in  lunga  schiera  dal  Promis,  ne  ci- 
teremo qui  solo  alcuni  per  mostra. 

C.  Valerio  Clemente,  di  Torino,  fu  alla  guerra  Giudaica,  sotto 
Vespasiano,  Prefetto  dell'Ala  Gelulica;  e  la  sua  iscrizione  onoraria 
merita  d' essere  qui  riferita,  siccome  quella  che,  a  giudizio  del  Pro- 
mis I,  per  maestà  ed  eleganza  di  locuzione  vince  tutte  le  torinesi. 

C.  Valerio  C.  F.  Stel  {latina)  Clementi,  Primipilari,  IL  Yir. 
Quinquennali,  Flamini  Bivi  Aug.  Perpetuo,  Patrono  Coloniae, 
Becuriones  Alae  Gaetulorum  Quibus  Praefuit  Bello  ludaico  sub 
Bivo  Vespasiano  Aug.  Patre,  Honoris  Caussa.  Hicob  dedicationem 
statuarum  equestris  et  pedestris  Oleum  Plebi  utrique  sexui  dedit. 
Desticio  Juba,  d'Industria,  fu  Legato  Pro  Praetore  degli  Augusti 
Valeriano  e  Gallieno  nella  Britannia,  cioè  Governatore  militare  di 
quella  provincia  che  fu  sempre  tra  le  Cesaree  2.  C.  Gavio  Silvano, 
torinese,  fa  Primi pilare,  cioè  comandante  di  quattro  centurie  in  pri- 
ma fila,  nella  legione  Vili  Augusta,  sotto  l' imperatore  Claudio, 
nella  guerra  Britannica  del  43;  nella  quale  segnalatosi,  meritò  da 
Claudio,  oltre  i  doni  minori  dei  torques,  armillae,  phalerae,  anche 
quello  della  corona  aurea,  e  poi  fu  promosso  in  Roma  al  tribunato 
successivo  di  tre  coorti,  nelle  truppe  scelte  dei  Vigili,  degli  Urbani 
e  dei  Pretoriani  3.  C.  Valerio  Celso  comandò,  sotto  Traiano,  la  Coor- 
te I  dei  Breuci,  poi  l'Ala  I  dei  Pannonii  Tampiana;  indi  da  Traiano 
medesimo  fu,  dopo  esercitate  le  cariche  di  Questore,  di  Edile  Ce- 
riate, di  Pretore,  in  amplissimum  Senatus  Ordinem  adlectus:  laon- 
de, siccome  personaggio  per  civili  e  militari  dignità  cospicuo,  fu 
eletto  a  gara  per  Patrono,  non  solo  dal  Municipio  di  Alba,  sua  pa- 
tria, ma  anche  da  quelli  di  Tortona,  di  Genova,  di  Acqui  e  di  Au- 
gusta Bagiennorum,  che  è  l'odierna  città  di  Bene  4. 

Sovra  tutti  nondimeno  illustrossi  il  torinese  Q.  Glizio  Atilio  Agri- 
cola, fiorilo  nell'  età  più  splendida  dell'  Impero,  e  onorato  in  guerra 

1  Pag.  361.  Iscriz.  n.  146. 

2  Pag.  345.  Iscriz.  n.  134. 

3  Pag.  356.  Iscriz.  n.  142. 

4  Pag.  348.  Iscriz.  n.  139. 


OSSIA  i/  ANTICA  TORINO  413 

e  in  pace  dei  più  eccelsi  carichi,  a  cui,  sotto  gli  Augusti,  verun 
Romano  potesse  aspirare.  Di  lui  ci  sono  rimasti,  oltre  un  bronzo  in- 
glese di  diploma  militare,  ben  quattordici  marmi  nostrali,  scampati, 
più  o  meno  interi,  airedacità  di  diciolto  secoli,  con  fortuna  non  solo 
rara,  ma  finora  senza  esempio  di  niun  altro  personaggio  militare, 
che  non  fosse  della  famiglia  dei  Cesari.  Il  Promis,  dopo  illustrata 
con  parecchie  altre  epigrafi  la  famiglia  de'  Glizi,  che  erasi  dalla 
terra  Falisca  trapiantata  in  Torino,  ed  ivi  fu,  con  quella  degli  Ebu- 
zii,  degli  Aurelii,  dei  Gavii,  dei  Valeri!-,  dei  Vennonii,  ecc.  una  del- 
.e  più  illustri;  tesse  un  ampio  e  dotto  commentario  sopra  le  14  iscri- 
zioni di  Q.  Glizio  Atilio,  e  ce  ne  rifa,  per  così  dire,  fresca  e  intera 
le  biografia.  Ecco,  secondo  l'Autore,  l'ordine  degli  onori,  percorsi  da 
Glizio  nella  sua  splendida  carriera;  ed  ai  lettori  meno  famigliari  col- 
l'antichiià  romane  non  sarà  forse  discaro  l'avere  in  esso  un  bel  sag- 
gio di  quel  che  fosse  ai  tempi  dell'  Impero  la  vita  pubblica  e  il  corso 
consueto  dei  gran  personaggi.  Il  nostro  Glizio  adunque  ebbe  in 
prima  il  Flaminato  di  Roma  e  d'Augusto  -  Flamen  Romae  et  Angusti, 
che  era  un  sacerdozio,  elevato  bensì,  non  però  dei  primari!  e  più 
onorifici.  Poi  fu  ascritto  tra  i  Giudici  delle  cinque  Decurie  — ■  In- 
dex Selectus  ex  V  Decuriis  ;  indi  tra  i  Decemviri  delle  liti  X  Vir 
Stlitibus  Iudicandis,  magistratura,  a  cui  bastava  l'età  di  18  an- 
ni. Entrato  poscia  nella  milizia,  lo  troviamo  di  slancio  Tribunns 
Legionis  I.  Italicae,  ossia,  come  oggi  diremmo,  colonnello,  senza 
passare  altrimenti  pei  gradi  inferiori  del  Centurionato  :  privilegio 
non  raro  ne'  giovani  nobili  e  in  gran  favore  presso  il  Principe,  come 
era  allora  presso  Vespasiano  il  giovane  Glizio.  Da  Vespasiano  infat- 
ti fu  egli  indi  a  poco,  nel  fiore  de'  suoi  25  a  30  anni,  promosso  al- 
la Questura,  all'edilità  Curulc,  alla  Pretura  —  Praetor,  Aedilis  Cu- 
riilis,  Quaestor  Bivi  Vespasiani  —  tre  principali  gradi  giuridici  ed 
amministrativi,  che  davano  l'ingresso  al  Senato.  Dopo  ciò,  siccome 
uomo  pretorio,  fu  dal  medesimo  Vespasiano  assunto  alla  Luogote- 
nenza della  Spagna  citeriore  —  Legatus  Citerioris  Hispaniae  — 
che  abbracciava  mezza  la  penisola  Iberica  ;  e  più  tardi  al  comando 
della  Legione  VI  Ferrata  —  Legatus,  Legionis  VI  Ferratae  —  la 
quale  campeggiava  nella  Giudea.  Sotto  Domiziano,  sembra  che  Gli- 
zio, al  pari  di  tanti  altri  egregi  cittadini,  reo  solamente  di  essere 


414  ILLIA  ALGISTA  TÀERINOROI 

stalo  in  favore  presso  Tito  e  Vespasiano,  vivesse  in  disgrazia  e  in 
oscuro  riposo  ;  ma,  ritornati  con  Nerva  e  con  Traiano  tempi  miglio- 
ri, anche  la  sua  fortuna  tornò  a  brillare  più  lieta  che  mai.  Nerva 
gli  diede  il  primo  Consolato  —  Consul  —  ;  e  dopo  gli  onori  dei 
fasci,  lo  mandò  al  governo  militare  della  Gallia  Belgica  —  Legalus 
prò  Praetore  Imperatoris  Nervae  Caesaris  Angusti  Provinciae 
Belgicae  —  che  era  provincia  cesarea  ed  abbracciava  tutto  il  paese 
tra  la  Senna  e  la  Schelda.  Verso  lo  stesso  tempo,  Glizio  aggiunse  al 
Flaminato  altri  due  titoli  sacerdotali,  cioè  quello  di  —  Septem  Tir 
E 'pulonum  e  quello  di  —  Sodalis  Augustalis  Claudialis  —  (cosa  tut- 
to diversa  dagli  Àugustali  Claudiali  semplici,  di  cui  sopra  si  è  parla- 
to) :  due  Sacerdozii  ch'erano  a  quei  dì  tra  i  più  nobili  e  più  ambiti 
in  Roma,  ed  a  cui  ascriveansi  coi  Cesari  e  coi  Principi  del  sangue 
gli  uomini  Consolari.  Sotto  Traiano  finalmente,  Glizio  fu  in  prima 
posto  al  governo  della  Pannonia  —  Legatus  prò  Praetore  Impera- 
toris Nervae  Traiani  Caesaris  Angusti  Germanici  Bacici  Provin- 
ciae Pannoniae  —  provincia  importantissima,  soprattutto  a  quei 
di  per  cagione  della  guerra  Dacica,  ed  allora  non  per  anco  divisa 
in  due:  indi  fu  con  Traiano  stesso  alla  guerra  contro  Deccbalo  co- 
mandandovi un  ala  dell'esercito;  e  vi  si  segnalò  con  tanto  valore, 
che  non  solo  ottenne  dall'Imperatore  il  sommo  dei  premii  militari, 
cioè  quattro  aste  pure  e  quattro  vessilli,  oltre  le  quattro  corone, 
murale,  vallare,  classica,  aurea  —  Bonatus  ab  eodem  (Traia- 
no Angusto)  Bello  Bacico  Bonis  Militaribus  Corona  Murali  Val- 
lari  Classica  Aurea  Ilastis  Puris  MI.  Vexillh  MI  — ,  ma  inol- 
tre ebbe  un  secondo  Consolato  —  Consul  II  —  Tanno  101,  sot- 
tentrando, come  suffetto,  con  Liberio  Massimo  al  Consolato  V  di 
Traiano,  e  finalmente  la  Prefettura  di  Roma,  —  Praefectus  Ur- 
bis —  dignità  ed  ufficio  altissimo,  che  nell'  Impero  non  conferivasi 
se  non  ad  uomini  consolari,  i  quali  sovente  crcavansi  Prefetti  o 
mentre  esercitavano  il  Consolato  secondo,  ovvero,  come  avvenne  al 
nostro  Glizio,  dopo  averlo  compiuto. 

À  queste  glorie  militari  di  Torino  e  del  Piemonte  nei  più  bei 
tempi  di  Roma  imperiale,  il  Promis  fa  in  siuT ultimo  un  bel  riscon- 
tro, paragonandole  colle  recenti  dei  tempi  Napoleonici;  (empi,  per 
grandezza  d'imprese  e  di  guerre  gigantesche,  niente  inferiori  al- 


OSSIA  L  ANTICA  TORINO  415 

l'epoca  dei  Cesari,  e  in  cui  la  bravura  dei  moderni  subalpini  non 
apparve  punto  degenere  da  quella  degli  antichi.  Dopo  ricordata 
adunque  la  straordinaria  dovizia  di  iscrizioni  militari,  per  cui  To- 
rino, come  fin  da  principio  accennammo,  supera  ogni  altra  città  in 
Italia  e  da  Roma  sola  è  superata,  dovizia  che  indica  in  quanto  fiore 
ivi  fosse  la  milizia,  l'Autore  soggiunge  :  «  La  qual  copia  d'  uomini 
militari  fu  sempre  notata  in  Piemonte  ;  e  quando  nell'arco  Parigino 
della  Stella  furon  memorati  gl'insigni  Generali  Napoleonici,  coi  no- 
mi d'un  Romano,  d' un  Romagnuolo,  d'un  Lombardo,  si  posero 
quelli  di  sette  Piemontesi,  Massena  Maresciallo,  Rusca,  Colli,  Cu- 
rial,  Ferino,  Campana,  Seras;  cui  si  potrebbero  aggiungere  il  Par- 
toneaux  di  Monaco,  il  Cervoni,  il  Fresia,  il  Gifilenga  ed  altri  molti. 
Alla  stessa  età  moltissimi  Ufficiali  che  militalo  aveano  per  la  Pie- 
montese patria,  persuasi  che  i  prestali  'giuramenti  non  s' infirmano 
per  sventure  pubbliche  o  di  Principi,  portaron  loro  spade  in  tutta 
Europa,  rifulgendo  negli  eserciti  Russi  i  Generali  Falicon,  Martin 
d'Orfengo,  Venanson,  De  Maistre,  De  Sonnaz,  Paulucci,  Michaud, 
Galaleri,  otto  o  dieci  altri  fra  gli  Austriaci,  cinque  fra  gl'Inglesi,  e 
dando  il  sangue  nei  campi  di  Germania,  Russia,  Spagna,  al  lucro, 
agli  onori,  alla  fama  anteponendo  la  fede,  l'onore  antico,  la  coscien- 
za di  un  dovere  compiuto  fra  mille  ostacoli  1.  » 

Elogio  giustissimo,  e  di  cui  il  Piemonte  può  andare  a  ragiono 
superbo  sopra  le  altre  regioni  d' Italia  !  Così  possa  egli  conservarsi 
in  ogni  tempo  intera  questa,  che  ò  una  delle  più  antiche  e  più  pure 
sue  glorie.  Il  Promis  non  fa  in  tutto  il  suo  volume  niun  cenno,  niu- 
ria  allusione  alle  vicende  politiche  di  questi  ultimi  tempi,  che  il 
Piemonte  trasformarono  in  tutt'  altro  da  quel  di  prima,  e  in  cui 
anche  la  sua  gloria  militare  dall'alito  funesto  della  Rivoluzione  è 
stata  miseramente  in  più  guise  contaminata.  Ma  egli  avea  troppo 
ragione  di  premerle  sotto  alto  silenzio.  Le  tristi  immagini  del  pre- 
sente gli  avrebbero  funestate  le  belle  memorie  del  tempo  antico,  e 
turbate  in  petto  le  pure  gioie  di  quel  nobilissimo  amor  di  patria, 
che  gli  avea  posto  in  mano  la  penna,  e  del  quale  il  suo  libro  reste- 
rà uno  de'  più  splendidi  monumenti. 

1  Pag.  419,  420. 


I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

SCENE  STORICHE  DEL  1867 


IC. 


1  feriti  e  i  morti  di  Mentana. 

Giuliano  Watts-Russell ,  Carlo  d'Alcantara,  Giovanni  Moeller, 

Leone  Brache,  Giuseppe  Rialan,  Carlo  Bernardini,  altri. 

Mentre  in  Roma  si  benediceva  a  Dio  e  si  osannava  ai  valorosi 
ministri  della  divina  possanza,  in  tutta  Italia  sorgeva  un  clamore  di 
maledizione  contro  il  Garibaldi  e  i  suoi  califfi.  Incredibile,  ma  pur 
vero!  Dei  due  partiti  dominanti  nella  tirannia  del  Governo,  ed 
egualmente  odiosi  alla  nazione,  non  si  sapea  ben  dire  quale  più  o 
quale  meno  fosse  accanilo  contro  l'altro.  I  moderati  (così  chiamansi 
coloro  che  consumano  L' Italia  a  fuoco  lento)  rimbrottavano  i  Gari- 
baldini, di  avere  colle  improntitudini  messo  a  soqquadro  la  cosa 
pubblica,  e  chiamato  lo  straniero  in  paese,  e  le  patrie  armi  con  on- 
tosa disfatta  vituperate.  E  i  Garibaldeschi,  di  ripicco:  Alla  ignomi- 
nia ci  spronaste  voi,  che  per  viltà  vi  ritraeste  ;  noi  colla  bravura  e 
col  sangue  tentammo  ciò  ottenere,  che  voi  solo  colla  perfidia  men- 
dicavate dallo  straniero:  su  voi  soli  cada  il  vituperio.  Gli  umori  di 
parte  dalla  piazza  salirono  insino  ai  seggi  del  parlamento,  dove  a 
vicenda  si  chiamarono  felloni  alla  patria,  barattieri  del  decoro  na- 
zionale, ladroni  da  bosco  e  peggio,  gli  uni  agli,  altri  palleggiandosi 
la  vergogna  della  guerra  garibaldina.  Nò  noi,  che  riguardammo  in 


IC.  I  FERITI  E  I  MORTI  DI  MENTANA  417 

silenzio  ncll'  aula  dei  legislatori  quelle  nimistà  di  trecca,  sappiamo 
per  cui  parteggiare;  e  troppo  volentieri  ci  stiamo  col  popolo  italia- 
no, che  entrambe  le  fazioni  coperse  di  meritato  dispregio,  sopra 
tutto  i  reduci  dalla  mala  guerra. 

Cento  volte  più  avventurosi  che  non  i  reduci  da  quel  campo  Mi- 
fausto  furono  i  feriti  che  vi  giacquero,  e  poterono  risentire  Y  influs- 
so benefico  di  quella  Roma  cui  aveano  guerreggiato.  Non  era  bene 
sbollita  l'ira  della  pugna,  e  già  si  accorreva  ad  offerire  loro  la 
misericordia  di  Dio,  e  il  sollievo  dalle  piaghe.  Di  Garibaldini  si 
riempirono  le  infermerie  di  campo  ;  chirurghi  e  cappellani  si  spar- 
sero per  le  case  di  Mentana  e  di  Monte  Rotondo.  E  quanto  riu- 
sciva dolce  ai  derelitti  Garibaldini  l'apparizione  d'un  infermiere 
pontifìcio,  o  d'una  Sorella  della  carità,  e  più  di  tutto,  di  un  sacer- 
dote! Quegli  stessi  Zuavi,  che  ieri  sì  furibondi  si  scagliavano  contro 
le  camicie  rosse,  oggi  presi  da  pietà,  dividevano  coi  prigioni  il  tabac- 
co e  il  cibo,  e  alcuni  ancora  comperare  da  essi  qualche  coserei  la,  e 
lautamente  pagarla,  per  velare  a  questo  modo  la  limosina,  il  capo- 
rale carabiniere  Bugnard,  riarso  per  le  ferite,  die  ad  un  ferito  gari- 
baldino smaniante,  quanto  gli  restava  di  acqua  e  caffè  nella  sua  fia- 
schetta; il  simile  è  riferito  del  sergente  Meyer;  il  simile  del  loro  mag- 
giore Castella,  che  distribuì  ai  nemici  quell'unico  vasello  d'acqua 
che  gli  restava  per  le  sue  ferite.  Gli  Zuavi  a  squadre  erravano  pie- 
tosi colà  dove  si  rammentavano  di  avere  più  insanguinato  le  baio- 
nette; e  i  Francesi  veterani  furono  visti  lacerare  le  proprie  camicie 
per  fasciare  le  piaghe.  Non  si  parlava  più  di  Pontificii  o  di  Garibal- 
dini :  bastava  essere  ferito,  per  impetrare  tutte  le  più  delicate  cure 
della  carità  cristiana. 

Non  solo  dopo  Mentana,  ma  sempre,  i  crociati  depostolo  schiop- 
po mettean  mano  a  soccorrere  amici  e  nem  ci  a  un  modo  istesso. 
Troppo  ce  ne  abbondano  i  fatti  in  pruova.  Sappiamo  di  Zuavi  che 
fecero  da  cappellani,  da  infermieri,  da  sotterratori,  appunto  come 
gli  antichi  baroni  di  S.  Luigi  di  Francia  ;  sappiamo  d'  un  ufficialo 
della  Linea,  che  si  accostò  ad  un  Garibaldino  moribondo  sul  campo, 
e  sì  bene  e  acconciamente  il  venne  confortando  a  confidare  nella  mi- 
serie VII,  voi.  XL  fase.  490.  27  9  Agósto  1870. 


418  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

sericordia  divina,  che  queir  infelice,  il  quale  già  perduta  aveva  la 
favella,  e  come  brulo  si  moriva,  congiunse  ambe  le  mani,  levò  gli 
occhi  al  cielo,  implorando  perdono,  e  in  quest'atto,  penitente  con 
grande  edificazione  dei  circostanti  spirò.  Ma  a  Mentana  poco  rimase 
da  supplire  ai  sold  iti,  perchè  abbondarono  i  sacerdoti,  vuoi  cap- 
pellani di  ufficio,  vuoi  volontarii  trattivi  dallo  zelo.  E  i  mi  itali  ram- 
mentano con  gratitudine  i  nomi  del  Galanti,  del  Daniel,  del  Bararci, 
del  B  istide,  del  Woèlmont,  del  Sacre,  del  Peigné,  del  Ligiez,  del 
Vannutelli,  del  Gerlache,  del  Wilde,  del  p.  Anselmo,  dell'  Akker- 
■\veken  sopranomato  il  p.  Cornelio  ;  i  quali,  specialmente  tra  gli 
orrori  della  disfatta  garibaldese,  raccolsero  nobilissimo  fruito  del 
loro  ministero,  a  prezzo  talora  di  eroici  sacrifizii. 

Tra  le  molte  morti  cristiane  di  Garibaldini,  memorabile  è  quella 
d'un  ufficiale  superiore,  il  giovane  conte  Giulio  Bolis  di  Lugo.  Gia- 
ceva sopra  una  predella  di  altare,  con  una  palla  nelle,  viscere  e  la 
disperazione  nel  cuore  ;  e  rigettava  con  disdegno  le  cortesi  sollecitu- 
dini degli  assistenti,  implorando  invece  dai  Zuavi,  che  lo  circonda- 
yano,  una  pistolettata  che  mettesse  termine  agli  spasimi  suoi,  più 
intollerabili  che  la  morte.  In  quella  arrivava  da  Roma  un  gesuita 
fiammingo,  il  p.  Cornelio,  che  poco  dipoi  morì  egli  stesso,  vittima  di 
carità.  Il  religioso  gli  si  appressa,  gli  dice  parole  di  benigna  com- 
passione, lo  esorta  al  ravvedimento,  e  gli  porge  il  Crocifisso  a  ba- 
ciare: il  povero  ferito  si  arrese  a  quest'  umile  alto;  e  dopo  riflettuto 
un  momento,  rispose:  —  Padre,  confessatemi  subito.  —  Recitò  ad 
alta  voce  il  suo  atto  di  contrizione,  si  atteggiò  divotamenle,  e  pro- 
sciolto digli  anatemi  e  dalle  colpe,  più  non  diede  segno  d' impa- 
zienza tra  suoi  atroci  dolori,  sino  al  momento  in  cui  trapassò  nelle 
braccia  della  divina  misericordia.  Non  lungi  dal  Bolis  un  altro  ri- 
corse pure  al  religioso  fi  immingo,  e  accortosi  che  balbettava  a  sten- 
to la  lingua  italiana,  —  Padre,  gli  disse,  l' italiano  poco  lo  masti- 
cate, parlatemi  in  Ialino.  —  E  con  questo  mezzo  compi  il  dover  suo. 

Somiglianti  tratti  troviamo  in  gran  numero  nelle  memorie  delle 
Infermerie,  dove  si  curarono  i  Garibaldini  ;  e  tali  loro  ritratta/ioni 
e  lettere  abbiamo  vedute  da  magnificarne  la  diviua  clemenza.  Basti, 


IC.  I  FERITI  E  I  MORTI  DI  MENTANA  419 

che  quasi  tulli  coloro  che  poterono  essere  assistili  da  un  sacerdote 
(e  pochi  ne  mancarono)  diedero  segni  di  penitenza  :  i  camerati  stes- 
si dei  feriti  sollecitavano  in  favore  di  essi  gli  aiuti  spirituali.  E  co- 
me quei  poveri  moribondi  giubilavano,  allorché  si  sentivano  sgra- 
vati dal  peso  delle  scomunicazioni  incorse,  e  loro  mette  vasi  al 
collo  uno  scapolare  della  Madonna,  o  potevano  imprimere  le  labbra 
sopra  un  Crocifisso  !  Concorreva  ad  ispirare  loro  cotali  sensi  la  fede 
propria  e  l'altrui  carità:  la  fede  pura,  ardente,  indelebile  che  Iddio 
concesse  in  retaggio  agl'Italiani,  e  con  questa  il  terrore  del  tribuna- 
le divino,  già  quasi  visibile  ai  loro  sguardi  ;  la  carità  sublime  onde 
si  vedeano  fatti  segno,  non  pure  dai  sacerdoti  e  dalle  sorelle  di 
carità,  ma  fino  da  quei  soldati,  la  cui  ira  tremenda  aveano  provato 
sul  campo. 

Sul  mattino  del  4  Novembre  una  lunga  fila  di  carrozze  cittadine 
riportava  a  Roma  molti  Garibaldini  feriti,  e  le  guidavano  i  Volon- 
tarii  romani  e  altri  signori  a  ciò  venuti.  Nobilissimo  esempio  ne  die- 
de il  duca  di  Luynes.  11  venerabile  vecchio,  illustre  in  patria  per  la 
sua  scienza,  per  la  munificenza,  per  la  fedeltà  irremovibile  profes- 
sata agli  antichi  sovrani  della  Francia,  avea  versato  tesori  nel- 
l'esausto erario  pontifìcio,  avea  donato  alla  Crociata  un  suo  nipote 
ed  erede,  il  giovinetto  duca  di  Chévreuse.  Da  ultimo,  nei  più  tre- 
pidi momenti,  volle  di  sua  mano  operarsi  al  servigio  della  più  ec- 
celsa di  tutte  le  cause.  Appunto  in  condurre  a  Roma  un  ferito  Gari- 
baldino, spogliò  sé  per  coprire  lui  dalla  gelida  tramontana.  Così 
contrasse  la  malattia,  che  lo  trasse  alla  tomba.  Cotal  morte  onore- 
rebbe una  vita  dianzi  oscura  :  or  qui  coronava  una  splendidissima 
carriera. 

Gli  spedali  di  Roma  non  bastando  ad  accogliere  tutti  gl'infermi 
agiatamente,  altri  ne  furono  aperti  dalla  carità  romana,  nei  quali  si 
curarono  promiscuamente  gli  amici  e  i  nemici  dei  romani,  facendo 
loro  abbondare  non  che  il  necessario,  ma  persino  le  delizie.  Sarebbe 
qui  luogo  di  castigare  con  dure  verità  le  villane  calunnie  del  Guer- 
zoni,  del  Garibaldi  e  d'altri  siffatti,  che  farneticarono  delle  torture 
pretesche  a  strazio  dei  feriti  di  parte  loro.  Ma  a  che  smentire  una 


420  I  CROCIATI  DI  SAI?  PIETRO 

impotente  dimostrala  di  rabbia  settaria,  che  non  fa  inganno  a  ve- 
runo? Roma,  pienissima  allora  di  forestieri,  vide  il  trionfo  del  per- 
dono, sollenlrato  a  quello  della  fortezza,  ed  entrambi  formavano  un 
trionfo  solo,  il  trionfo  della  vera  e  bene  intesa  religione  di  Gesù 
Cristo. 

E  questo  fu  il  più  dolce  conforto  alle  desolate  lacrime  dei  genito- 
ri, quando  riseppero  la  fine  miseranda  dei  figli  loro  sul  maledetto 
terreno  di  Mentana.  Ci  si  consenta  di  recarne  una  sola  lettera  in 
pinéta,  che  recitiamo  dall'autografo. 

«  Reverendo  Signore 

«  Un  tratto  di  superna  provvidenza  che  su  tutto  veglia  e  a  tutto 
provvede;  un  soffio  di  quell'immensurabile  misericordia  divina  che 
per  salvezza  delle  anime  redente,  allontana  i  colpi  dell'onnipotente 
provocata  giustizia,  offrendo  meriti  superiori  alla  gravezza  dell'uma- 
no peccato  ;  una  predestinazione  che  il  celeste  favore  accorda  a  co- 
loro i  quali  benché  si  dilungassero  dal  retto  sentiero  di  verità,  in 
radice  però  non  lo  sconobbero  o  rinegarono  :  questi  tre  singolaris- 
simi doni  concorsero  avventurosamente  a  confortare  gli  estremi  ane- 
liti del  fu  mio  primogenito ,  mancato  ai  vivi  nell'ultimo  de- 
corso Novembre,  nei  dintorni  di  Mentana,  e  per  sorte  sua,  in  mo- 
menti cosi  decisivi  e  di  completo  disinganno,  assistito  dall'  evange- 
lica unzione  e  carità  della  reverendi  paternità  vostra.  Io  ciò  seppi 
di  certo,  dacché,  quale  desolatissimo  genitore,  non  cessai  dal  ricer- 
care notizie  sulle  ore  estreme  del  compianto  mio  figlio,  e  le  chiesi 
a  pie,  oneste  ed  autorevoli  persone,  a  portata  di  relazionarmene. 

«  Fu  per  questo  appunto  eh'  io  con  certezza  ed  inesprimibile 
consolazione,  appresi  il  cattolico  fine  ch'ebbe  la  fortuna  d'incontra- 
re l'estinto,  sorretto,  rinvigorito,  primieramente  dalla  gratuita  di- 
vina grazia  e  dalla  protezione  di  Maria  santissima  immacolata,  e 
poscia  dagli  umani  e  religiosi  eccitamenti  sovvenuti  opportuni  allo 
spirante  mio  . . .  . ,  in  punto  cosi  decisivo  e  tremendo,  dalla  di  lei 
tenerezza,  erudizione  e  capacità,  lo  non  ho  espressioni  per  ringra- 
ziare di  tanta  clemenza  l'onnipotente  e  misericordioso  Salvatore  del 


IC.  I  FERITI  E  1  MORTI  DI  MENTANA  421 

mondo,  la  sua  Madre  santissima,  ed  in  secondo  luogo  la  stessa  re- 
verenda paternità  vostra,  che  ben  comprendendo  il  sacerdotale  suo 
ufficio,  raccolse  utilmeule  li  ultimi  respiri  in  Mentana  del  moribon- 
do a  me  sì  caro,  ferito  colà  nel  petto  da  un  proiettile  zuavo,  nella 
mal  augurata  lotta  da  fanatici  ed  illusi  provocata  e  sostenuta  contro 
i  difensori  dell'altare,  da  coloro  che  propugnavano  una  mentita  cau- 
sa, nel  terzo  giorno  del  su  ricordato  Novembre. 

«  Ella  rammenterà,  senza  forse,  questa  sua  assistenza  prestata 
nel  luogo  ed  epoca  indicata,  al  mio  primogenito,  insieme  ad  altri 
acciecati,  i  quali  incontrarono  egualmente  prima,  o  dopo,  la  morte, 
e  che  mi  consola  assai  sapere  quasi  tutti  profìcuamente  ricreduti  e 
salutarmente  riconciliati  col  supremo  Giudice. 

«  Che  se  il  mio ....  conseguiva  la  bella,  unica,  rilevante  sorte 
di  salvare  (sperasi)  l'anima  sua,  io  che  per  umana  fralezza  e  qua- 
si ribellata  natura  agli  imperscrutabili  decreti  di  Dio,  mi  querelava 
incessante  per  tanta  perdita,  umilio  il  mio  cupo,  e  bacio  la  sapien- 
te destra  che  mi  ha  colpito,  e  ringrazio  la  divina  misericordia  per 
una  grazia  supcriore  ad  ogn'altra  più  invidiabile,  poiché,  religiosa- 
mente ragionando,  in  seguela  delle  ricevute  consolanti  informazioni 
sul  doloroso  argomento,  concludo  con  animo  cristiano  ed  intimo 
convincimento,  che  mio  figlio  era  morto  mentre  viveva  nel  mondo, 
travolto  da  sue  fallaci  attrattive,  ed  ora  soltanto  vive  d'incorruttibi- 
le spirituale  vita  che  mai  avrà  fine.  Io  pregherò  incessante,  sebbe- 
ne indegnamente,  pel  suo  eterno  riposo,  e  perchè  breve  sia  la  sua 
presumibile  dimora  nel  purgatorio  d'espiazione,  tocche  supplico  vi- 
vamente la  di  lei  carila  di  fare  ella  pure,  a  sollievo  di  quell'anima 
benedetta,  cui  ella,  forse,  fu  sicura  guida  e  valevole  sussidio  di  sal- 
vamento. Che  se  poi,  in  sua  gentilezza,  si  degnasse  relazionarmi 
di  qualche  ulteriore  dettagliata  notizia  relativa  alle  ore  estreme  del 
decesso  ,  alle  ultime  sue  paiole  e  nuovissime  aspirazioni;  io  serbe- 
rei costante  memoria  a  quest'ulteriore  di  lei  condiscendenza,  nò 
avrei  condegni  termini  per  ringraziarla.  Creda  pure  ch'io  amava  as- 
sai l'estinto  mio  figlio,  perchè  datomi  da  Dio  dotato  d'ingegno,  cul- 
tura, urbani  modi,  affettuoso  e  di  sentimenti  filantropici,  né  altro 


422  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

in  esso  era  a  compiangersi  e  censurarsi,  tranne  fantastiche  idee, 
inesperienza  di  mondo,  mal  riposta  fiducia  e  spiegata  debolezza  per 
resistere  ai  lacci  della  seduzione,  dell'  inganno  e  delle  strambe  in- 
congruenze dei  più  illogici  ed  ignoranti  razionalisti. 

«  Ella  intanto  mi  perdoni,  cortese,  l'incomodo  che  ho  azzardalo 
recarle,  e  si  degni  onorarmi  di  suo  imploralo  riscontro,  onde  solle- 
vare il  mio  spirilo,  e  viepiù  confermarmi  nella  rassegnazione,  la 
quale,  sebbene  doverosa,  non  è  senza  l'aiuto  di  Dio  che  si  possa 
ottenere  e  conservare,  e  mi  ritenga  lealmente  quale  con  profondo 
ossequio  ed  inesprimibile  gratitudine,  sono  lieto  di  potermi  di- 
chiarare 

«  Della  reverenda  vostra  Paternità 


«  Umilissimo,  Obbmo  Devmo  Servitore 


Dopo  letta  si  soave  lettera,  non  contristeremo  il  lettore,  rammen- 
♦tando  nominatamente  quei  pochissimi  ostinati,  che  funestarono  le 
infermerie  romane  colle  loro  morti  impenitenti.  Ma  pur  ci  è  forza 
di  confessare,  che  qui  rimase  in  celebre  esecrazione  un  sacerdote 
apostata,  che  fino  all'estremo  anelito  perfidiò  nel  disperare  del  per- 
dono ;  e  un  giovane,  non  sappiamo  bene  se  inglese  o  americano, 
vero  bruto  in  fra  gli  uomini.  Costui  schifosamente  professava,  sé 
non  essere  né  amico  né  nemico  del  Papato,  ma  semplice  soldato 
del  Garibaldi,  e  ammazzatore  per  conto  di  lui.  Munito  di  carabina 
di  gran  passata,  sceglieva  le  sue  vittime  con  un  occhiale  di  contro- 
mira, e  compiacevasi  di  abbatterle,  come  si  allieta  il  cacciatore  di 
avere  dato  nel  segno.  Ferito,  amputato,  ridotto  in  fin  di  morte,  niun 
indizio  seppe  dare  né  di  religione  né  di  sreligione:  come  giumento 
morì,  come  carogna  fu  coperto  di  terra.  Ne  sappiamo  il  nome,  ma 
non  ci  piace  arricchire  la  storia  con  tali  nomi.  A  quegli  stessi  Ga- 
ribaldini, cui  la  infermità  fu  occasione  di  ravvedimento  prima  di  mo- 
rire, basti,  in  cielo  e  in  terra,  l'obblio  del  loro  delitto. 


IC.  I  FERITI  E  I  MORTI  DI  MENTANA  423 

Che  se  tra  i  parricidi,  molli  frutti  e  poche  spine  raccolse  la  re- 
ligione, ben  potrà  ciascuno  fare  ragione  quanto  lieta  messe  germi- 
nasse tra  i  campioni  della  fede.  Gloria  a  Dio!  neppure  uno  di  que- 
sti, tanto  solo  che  desse  indugio  di  pochi  momenti  dopo  la  ferita, 
passò  senza  i  divini  sacramenti:  tanto  sollecito  li  preoccupava  il 
soccorso  dei  sacerdoti,  tra  il  fuoco  del  combattimento!  In  legge- 
re i  ragguagli  de'  cappellani,  nasce  dubbio  se  la  gioventù  crociata 
più  bella  fosse  lampeggiante  nell'armi,  o  dolorante  sul  terreno,  o 
stretta  tra  le  fasciature  dell'infermerie.  Cadeano  i  prodi,  e  senza 
lamento  vedeano  sgorgare  il  loro  sangue  e  con  esso  venir  meno  il 
vigor  della  giovine  vita;  e  guatavano  serenamente  al  cielo.  Comune 
risuonava  sul  loro  labbro  l' acclamazione  Viva  Pio  IX  !  e  il  dare 
animo  ai  commilitoni,  e  le  parole  di  rassegnazione  dolcissima  e  di 
laude  al  Signore,  a  cui  offerivano  sé  stessi  in  olocausto. 

Trasportati  poi  agli  spedali  ambulanti  o  permanenti  sparsero  in- 
torno a  sé  tanta  fragranza  di  virtù  cristiana,  che  ciascuno  in  rimi- 
rarli ne  benediceva  Iddio.  E  i  camerati  intenti  a  raccogliere  l'ulti- 
mo loro  respiro,  rimpiangevanli  (gli  abbiamo  intesi  noi)  dicendo: 
—  Era  sì  buono!  —  Era  un  angelo.  —  Era  lo  specchio  della  com- 
pagnia. —  Era  impromesso.  —  Avea  lasciato  la  sposa  e  i  figli.  — 
La  madre  nell'ultima  lettera  gli  avea  raccomandato  di  battersi  da 
valoroso.  —  A  scegliere  tra  tutti,  non  si  trovava  più  bell'anima  nò 
miglior  soldato.  —  Ah,  lui  si  meritava  la  palma....  e  io,  no!  —  E 
l'afflitto  amico  si  rasciugava  una  lacrima,  affacciatasi  furtiva  alla 
pupilla.  Sì,  Roma  vide  in  quei  giorni  scene  così  sublimi,  che  non 
disdirebbero  nelle  memorie  dei  santi.  Quindi  l'affollarsi  della  signo- 
ria romana  alle  infermerie  militari,  a  confortare  gl'infermi  e  ad  es- 
serne confortati.  Il  Santo  Padre  spesse  volte  vi  compariva,  rasse- 
gnava letto  per  letto  i  suoi  figli,  loro  compartendo  parole  d'ineffa- 
bile dolcezza:  ai  convalescenti  aperse  la  reggia  ed  i  giard'ni  del  Qui- 
rinale :  perfino  agli  infermi  nemici  estese  alcuna  voi  la  le  sue  visite 
paterne.  I  cavalieri  di  Malta,  memori  della  loro  vocazione,  offerse- 
ro spontaneamente  sussidii  e  servigi.  Dame  romane  e  forestiere,  in 
gran  numero,  diventarono  spedalinghe,  diremmo  così,  diprofessio- 


424  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

ne.  La  Reina  di  Napoli  pareva  avere  preso  stanza  all'  ospedale  :  tanto 
spesso  vi  ritornava,  non  isdegnando  di  porgere  la  mano  augusta  al 
servizio  dei  malati:  onde  che  Pio  IX  salutolla  un  giorno,  col  caro] 
nome  di  sua  prima  Suora  di  Carità.  Una  veneranda  matrona  ingle- 
se, Elisabetta  Maria  Winchester,  vi  spese  l'oro,  le  fatiche  e  infine 
ancora  la  vita.  Ma  i  particolari  alti  di  tante  anime  generose  e  del 
regno  dell'amore  evangelico,  fiorente  in  mezzo  alle  piaghe  e  ai  do- 
lori, sfuggono  alle  strettezze  della  storia:  tocca  agli  angeli  descri- 
verli nei  registri  del  cielo. 

Così  ci  è  forza  di  tacere  le  laudi  dei  feriti  sopravissuti;  il  cui  ca- 
talogo, anche  solo,  sarebbe  troppo  in  una  istoria.  Noi  chiamano  a 
gran  voce  le  tombe  dei  morti  di  Mentana:  e  ci  sembra  dolce  dovere 
di  non  chiudere  il  presente  racconto,  senza  deporre,  sopra  alcune  al- 
meno, una  ristretta  corona.  Innanzi  tutti  ci  sorride  un  sepolcro,  ci  si 
passi  la  parola,  un  sepolcro  angelico,  cui  speciali  memorie  ed  affet- 
tuose ci  rappresentano  spesso  al  cuore:  ed  è  quello  di  Giulio  ossia 
Giuliano  Walts-Russell,  del  quale  non  per  la  pi  ima  volta  ci  occorre 
ora  la  menzione.  Riposa  il  suo  corpo  nell'Agro  Verano,  presso  le 
ossa  degli  antichi  cristiani:  ma  il  suo  cuore  è  a  Mentana!  Colà  lo  por- 
tava una  pietosa  comitiva  (  e  ne  eravamo  parte  )  il  giorno  22  Apri- 
le 1869.  Si  cercò  il  luogo  consacrato  dal  sangue  di  Giulio.  A  pochi 
passi  dal  villaggio,  «  Qua,  ci  dissero  i  compagni,  giunse  Giulio,  in- 
calzando a  ferro  e  fuoco  i  nemici  di  Dio,  passando  tra  mille  palle, 
una  delle  quali  aveagli  tolto  il  berretto;  e  qua  fu  spento  da  un  col- 
po a  bruciapelo.  »  Innanzi  a  noi  sorgeva  un  piccolo  ma  deliziale  n-o- 
numcnto,  destinato  a  coprire  il  cuore  di  Watls-Russcll:  un  cippo  di 
candiJo  marmo,  circondato  da  quattro  colonnini  incatenati  da  una 
sbarra  di  ferro,  e  sormontalo  dalla  croce  di  Menlana.  L'iscrizione 
diceva:  «  Qui  cadde  pugnando  prò  Sede  Pelri  Giulio  Watls-Russcll 
zuavo  pontificio,  giovanetto  inglese  d'anni  17  e  10  mesi,  il  più  gio- 
vane caduto  nel  campo  della  vittoria  e  il  più  d'appresso  a  Mentana.  » 

Ci  guatammo  alterno.  Dirimpetto  al  monumento  splendeva,  dora- 
ta dai  raggi  del  sole  di  primavera  la  maestosa  cupola  che  ricuopre  la 
tomba  di  S.  Pietro.  «  No,  dicemmo  tra  noi  stessi,  non  si  poteva  tro- 


IC.    I  FERITI  E  I  MORTI  DI  MENTANA  420 

tare  miglior  silo:  e  se  un  crociato  di  S.  Pielro  potesse  eleggere  libe- 
ramente l'ara  del  suo  sacrificio ,  difficilmente  incontrerebbe  altrove 
luogo  o  più  armonico  o  più  significativo.  »  Intanto  traeva  in  folla  il 
popoletto  di  Mentana ,  e  alcuni  Zuavi  dei  vicino  posto  militare  ;  gli 
operai  avevano  scavato  e  murato  il  terreno;  non  restava  chea  con- 
summare  le  cerimonie.  Eravamo  presenti  più  sacerdoti:  ma  l'onore 
del  rito  espiatorio  toccò  ad  un  venerabile  vecchio  e  pur  sacerdote 
novello,  che  forse  per  la  prima  volta  esercitava  il  funebre  ministe- 
ro. Era  il  genitore  di  Giulio!  Yilfrido,  fratello  e  commilitone  di  Giu- 
lio ,  il  signor  Vansittart ,  venuto  a  prendere  le  armi  in  cambio  del- 
l'estinto  amico,  e  noi  tutti  imprimemmo  le  labbra  sulla  teca  di 
metallo  che  racchiudeva  il  cuore  innocente  e  generoso  del  fanciullo 
crociato,  e  il  deponemmo  nel  suo  luogo.  Quegli  affettuosi  amplessi, 
quelle  mani  fraterne  intese  al  pio  ufficio  ,  e  la.  destra  di  un  padre, 
sacrata  testé  dal  crisma,  e  dislesa  senza  vacillare  sulle  reliquie  di 
un  figliuolo  diletto  non  si  scancelleranno  mai  più  dalla  nostra  ricor- 
danza. Tornammo  parendoci  avere  affidato  alla  terra  una  semenza 
di  martiri. 

All'inglese  crociato  secondi  il  ricordo  di  un  mortorio  gemello. 
Grande  folla  si  adunava  ad  onorarlo,  la  sera  del  10  Dicembre 
1867,  in  piazza  Pia.  I  Romani  si  erano  lungamente  commossi  delle 
ferite  di  due  giovani  amici,  Carlos  d'Alcantara  e  Giovanni  Moeller. 
Aveano  pressoché  eguale  l'età,  comune  la  patria  belgica,  e  la  voca- 
zione alle  armi;  feriti  alla  stessa  battaglia,  trasportati  ad  una  stes- 
sa infermeria  per  cura  di  un  comune  amico,  Mgr  di  Mèi  ode,  tutti 
e  due  lottarono  contro  il  male  26  giorni ,  e  morirono  quasi  alla 
stess'ora,  lasciando  segnalati  esempli  di  pietà  cristiana,  assistili  il 
primo  dal  proprio  padre,  il  secondo  dal  fratello.  Le  due  bare  adorne, 
quella  del  d'Alcantara  della  spada  di  ufficiale,  meritata  a  Mentana , 
quella  del  Moeller  del  tocchelto  di  zuavo  e  della  croce  di  S.  Gre- 
gorio, si  avanzarono  tra  il  popolo  reverente,  e  tra  un  concorso  no- 
bilissimo di  quanto  è  in  Roma  di  più  elevato  tra  i  militari  ed  i  bor- 
ghesi. Sembrava  un  pubblico  lutto  e  un  pubblico  tributo  di  ricono- 
scenza renduto  da  Roma  al  Belgio  cattolico. 


126  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

Il  conte  Carlos  d'  Alcantara ,  nato  a  Gante ,  d'  una  famiglia  di 
Grandi  di  Spagna ,  e  d'  un  padre  benemerito  in  sommo  della  Santa 
Sede ,  aveva  militalo  gli  anni  più  floridi  della  sua  giovinezza,  vivo 
specchio  di  virtù  cristiane  e  militari.  Noi  ne  recitammo  altrove  al- 
cune lettere ,  degne  di  un  santo  crociato.  La  morte  non  ismentì  la 
vita.  In  mezzo  a  slrazii  indescrivibili,  il  suo  più  assiduo  consolato- 
re era  il  suo  padre.  Tra  loro  non  i  agionavasi  di  quelle  vane  lusin- 
ghe, onde  si  confortano  i  poveri  di  cuore:  ma  sì  degli  altissimi  van- 
taggi de'  saerifizii  eroici  ;  del  bene  di  versare  il  sangue  per  Gesù 
Cristo,  il  quale  lo  versò  per  noi.  «  Tu  hai  ricevuto,  diceva  il  degno 
padre  al  degno  figlio,  tu  hai  ricevuto  una  grazia  grande,  quella  che 
più  desideravi.  Dio  sia  benedetto!  »  L'ultimo  alto  di  Carlo  fu  leva- 
re gli  occhi  al  cielo,  e  dire:  «  Papà,  a  rivederci  in  cielo  col  Signo- 
re. »  Giovanni  Moeller,  lovaniese,  figlio  del  famoso  storico  di  tal 
nome,  arse  d' indomabile  amore  per  la  gran  causa  della  religione. 
Fu  il  primo  belga  ascritto  al  battaglione,  che  fé'  le  belle  pruove  a 
Castelfidardo.  Raggiunto  l'onore  di  ufficiale,  tornò  in  patria  chia- 
matovi da  domestiche  sciagure.  Ma  il  pericolo  di  Roma  il  ricondus- 
se all'amato  vessillo,  semplice  soldato.  Le  circostanze  della  sua  fe- 
rita mortale ,  gli  assicurano  un  posto  di  gloria  tra  i  più  rinomati 
martiri  della  crociala. 

E  quante  altre  tombe  visitare  dovremmo  di  illustri  belgi!  Valeran- 
do  d'Erp  gantese,  giovinetto  anch'esso  di  primo  fiore,  di  costumi  il- 
libati, di  valore  maturo,  appena  ebbe  tempo  di  volare  a  Roma,  san- 
tificarsi coi  divini  sacramenti,  marciare  a  Mentana,  e  morire  com- 
battendo. Breve  carriera,  ma  piena,  e  incomparabilmente  più  ono- 
rata di  quella  per  altro  onorarissima,  che  gli  apriva  in  mezzo  al 
mondo  la  sua  nobile  famiglia.  E  gantese  era  pure  il  sergente  Leone 
Bracke,  che  tra  i  feriti  di  Mentana  fu  uno  degli  ultimi  a  raccogliere 
la  sua  palma,  adorna  di  lunghi  patimenti,  essendo  morto  il  6  Mar- 
o  1868.  Ricevute  le  supreme  consolazioni  del  cristiano,  si  rivolse 
al  sacerdote  :  —  Credete  voi,  che  io  debba  morire  dentr'oggi? 

—  Potrebbe  essere,  figliuolo. 

—  Oh,  quanto  ne  sarei  conlento! 


IC.  I  FERITI  E  I  MORTI  DI  MENTANA  427 

Poco  dopo  disse  alla  suora  che  l'assisteva  :  —  Il  Signore  non  mi 
vuole  ancora:  l'anima  mia  non  può  anche  dipartirsi:  —  e  assopito- 
si un  tratto,  cominciò  a  formare  segni  di  croce,  e  sorridere  soave- 
mente. 

—  Che  fate?  gli  domandò  la  suora. 

—  Ah,  sorella,  io  mi  credevo  di  entrare  in  paradiso. 
Ciascuno  degli  astanti,  sacerdoti,  religiose,  infermi,  camerati,  gli 

davano  commissioni  da  trattare  col  Signore  e  colla  Madonna  ;  e  il 
moribondo  accettavate,  e  prometteva  di  non  le  dimenticare.  Infine 
sembrando  già  trapassato,  un  infermiere  lo  chiamò  per  nome.  Leo- 
ne aperse  gli  occhi:  — Ah,  Béchet  (nome  dell'infermiere),  che 
avete  fatto?  Io  mi  moriva  e  andava  al  cielo,  e  voi  mi  avete  turba- 
to!—  Un  ufficiale  che  contemplava  estatico  questa  maravigliosa 
agonia,  si  curvò  sopra  di  lui  e  lo  baciò  in  fronte  :  il  morente  gli 
corrispose  con  sì  dolce  sorriso,  che  l'ufficiale  non  contenne  le  lacri- 
me. Spirò  placidamente.  I  presenti  sclamarono  ad  una  voce: 
«  È  in  paradiso!  » 

Ah,  non  morivano  con  tanta  fiducia  di  salvezza  coloro  che  ave- 
vano portatele  armi  contro  il  Vicario  di  Gesù  Cristo.  Alcuni  rifiu- 
tavano persino  di  udirsi  parlare  dell'altra  vita.  Eccone  un  caso  or- 
ribile, ma  non  disutile  a  risapersi.  Nella  sera  dopo  la  battaglia,  un 
sergente  di  Zuavi  trova  un  ufficiale  garibaldino  ferito  gravemente  e 
quasi  agonizzante.  Gli  si  avvicina  cortesemente,  e  gli  parla.  Quegli 
risponde  in  francese:  Sé  essere  un  parigino,  e  desiderare  un  sorso 
da  bere.  Il  sergente  gli  versa  in  bocca  quel  poco  d'acqua,  che  gli 
restava  nella  fiasca  ;  e  conoscendo  che  il  ferito  non  potrebbe  tra- 
sportarsi vivo  ad  un'ambulanza,  dice  ad  un  soldato  di  andare  pel 
cappellano.  Si  rivolta  invelenito  il  moribondo,  e  grida:  — No!  cer- 
catemi piuttosto  di...  (qui  fece  una  proposta  esecranda):  se  no,  la- 
sciatemi stare. 

—  Ah,  ciacco!  crepa  da  pari  tuo  ;  rispose  il  sergente,  indegnato 
di  si  bestiale  mostruosità  in  ora  sì  tremenda.  E  gli  voltò  le  spalle. 
Alla  dimane  ritornò,  e  lo  vide  crepato.  Così  si  moriva  dai  feriti  di 
Mentana,  diversamente,  secondo  la  causa  difesa.  Anche  le  condizio- 


428  I  CROCIATI  DI  SAX  PIETRO 

ni  dei  difensori  giudicano  la  degnila  delle  cause.  Ma  torniamo  alle 
tombe  dei  giusti. 

Quanto  fiore  di  gioventù  crociata  cadde  anche  nella  sola  po- 
sizione, che  rimase  famosa  sotto  il  nome  dei  fenili  di  Mentana,  e 
famosa  sì  che  chiunque  si  ò  battuto  colà,  viene  dai  commilitoni  ripu- 
tato prode  tra  i  prodi!  Là  morì  il  sergente  Enrico  Pascal,  francese, 
il  quale  aveva  speso  metà  del  suo  scarso  patrimonio  per  redimersi 
dalla  leva  in  patria,  ed  acquistare  la  libertà  di  offerire  la  vita  tra  le 
armi  crocesignate.  Oh  eroico  mercenario  !  Là  morì  il  sergente  di 
Retz,  illustrissimo  nome  tra  la  nobiltà  francese;  e  cadde  colpito  in 
fronte  in  quella  che  raccomandava  ad  un  caporale  di  cessare  dalla 
pugna.  Era  questi  il  peruviano  Giuseppe  Sevilìa,  che  zampillando 
sangue  da  due  ferite,  continuava  a  far  fuoco,  invocando  ad  alta  vo- 
ce la  Regina  del  cielo,  all'uso  patrio,  e  gridando  il  grido  di  guerra 
Viva  Pio  IX!  finche  alla  quinta  piaga  si  lasciò  disarmare  dai  came- 
rati. Pur  sopravisse:  ed  ora  cinge  la  più  splendida  spada  di  ufficia- 
le, che  vedere  si  possa;  finissima  lama  di  Toledo,  offertagli  da  un 
amico  illustre,  con  sopravi  incisi  due  motti:  Maria,  da  mihi  virtu- 
tem  cantra  hostes  tuos,  e  Pio  IX  Pont.  Max.  falli  nescio.  Tanti  so- 
no e  sì  esquisiti  gli  ornamenti  di  quest'arma,  che  sarebbe  tenuta  per 
gioiello  in  un  museo.  Il  Santo  Padre  l' ammirò  e  la  benedisse  nel  dì 
festivo  di  S.  Pietro  in  .Vincoli  e  dei  santi  Martiri  Maccabei. 

Ai  fenili  morì  il  sergente  Pietro  Guérin,  di  una  stirpe  breltona,  la 
quale  da  Castclfidardo  sino  ad  oggi  mantenne  i  suoi  rappresentanti 
alla  crociata,  e  due  n'  ebbe  a  Mentana;  vi  fu  ferito  a  morte  il  ser- 
gente Luigi  Loirant,  nantese,  che  portalo  all'ambulanza  vi  moriva 
tranquillo,  lieto,  ridente,  mentre  un  Carabiniere  (ne  ignoriamo  il 
nome)  lacerato  egli  pure  nelle  viscere,  il  veniva  confortando  con 
queste  precise  parole:  «  Coraggio,  Loirant;  su  via  salva  l'anima  tua: 
tu  voli  diritto  al  paradiso.  »  Là  morirono  Giulio  Iìenqucnet,  ed  Elia 
Chevalier,  francesi;  il  prussiano  Sauér,  il  germano  Ernesto  Haburg, 
l'olandese  Eduardo  Van  Rambost,  e  il  francese  Edmondo  Lalande: 
questi  due  ultimi  già  feriti  e  dislesi  a  terra,  finiti  a  calciate  di  fu- 
cile dai  cannibali  sopravvenuti.  Qui,  ricevettero  le  ferite  mortali 


IC.  I  FERITI  E  I  MORTI  RI  MENTANA  429 

tre  o  quattro  Carabinieri,  i  cui  nomi  non  potemmo  sceverare  nel 
novero  dei  morti;  tra  gli  altri  certamente  un  singolare  mercenario, 
il  quale  da  più  anni  divideva  cotidianamente  la  paga,  metà  per  sé, 
metà  per  Y  obolo  di  S.  Pietro:  e  di  questo  si  conosce  il  nome,  ma  è 
d'uopo  tacerlo,  perchè  egli  si  fece  promettere  il  segreto.  Ma  Iddio 
il  sa,  e  il  sanno  parecchi  suoi  camerati  Carabinieri,  che  vivo  l' imi- 
tavano, e  l' invidiarono  morto.  Ai  fenili  fu  ferito  Luigi  Rouleau,  fran- 
cese che  poi  si  ricuperò  dalle  sue  ferite;  e  non  molto  lungi  il  gio- 
vane conte  Odoardo  Raczynski,  arrotatosi  la  sera  innanzi,  e  Pietro 
di  Beaurepaire,  talmente  lacerato,  che  nei  primi  ruoli  il  vedemmo 
annoverato  tra  i  morti.  Troppo  ci  pesa  il  non  potere  almeno  recitare 
i  nomi  di  tutti  i  gloriosi  feriti,  e  qui  e  altrove:  ma  il  loro  gran  nu- 
mero ce  lo  divieta. 

Egli  è  d'  uopo  che  ci  affrettiamo  a  dare  un  cenno  alquanto  parti- 
colareggiato, di  una  nobilissima  vittima,  caduta  appunto  su  questo 
altare  di  tanti  sacritizii.  Parliamo  del  sergente  Giuseppe  Rialan,  di 
cui  vorremmo,  se  il  potessimo,  scrivere  una  giusta  vita:  giovane 
ammirato  e  pressoché  venerato  dalla  sua  compagnia,  e  da  quanti  il 
conobbero  dalla  prima  puerizia  insino  al  giorno  della  sua  immola- 
zione. Parve  nato  solo  alla  mansuetudine,  alla  pietà,  all'amore  dei 
poverelli;  e  fin  da  suoi  teneri  anni,  vi  fu  chi  previde  in  lui  il  per- 
fetto cristiano  dell'  avvenire.  Basti,  che  corse  opinione  tra  suoi  co- 
noscenti, avere  lui  consacrato  col  sangue  la  stola  battesimale.  Certo 
è,  eh'  egli  riempì  di  santi  esempii  la  casa  paterna  nella  città  di 
Plocrmel  in  Brettagna,  e  il  collegio  di  S.  Salvatore  a  Redon,  ove 
attinse  piissima  educazione,  e  il  reggimento  dei  Zuavi,  dove  fiori  in 
concetto  di  un  giovane  straordinario.  Delle  sue  virtù  e  delle  sue  let- 
tere un  amico,  Roberto  Oheix,  potè  intessere  un  bel  volume,  tutto 
di  religiosi  sensi  imbalsamato. 

Insistendo  presso  i  genitori,  per  ottenere  l'assenso  di  arrotarsi 
tra  i  vinti  di  Castelfidardo,  scriveva  queste  parole:  «  Quando  anche 
nessuno  partisse  per  Roma,  e  fossi  solo,  pure  non  desidero  meglio 
che  di  partire:  perchè  se  vado  a  Roma,  non  vi  vado  per  fare  come 
gli  altri,  sì  bene  per  difendere  Santa  Chiesa,  e  per  vantaggio  mio 


430  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

particolare.  Gli  affari  colà  non  sono  forse  così  disperati,  comesi  di- 
ce: e  se  fossero,  si  potrebbe  ancora  morire  combattendo.  E  appun- 
to sembra  che  si  pensa  tuttavia  a  resistere,  poiché  si  arrolano  quan- 
ti si  presentano.  Non  crediate,  cari  genitori,  ch'io  ciò  scriva  per  e- 
saltamento  dì  spirito  :  ho  tutto  considerato,  e  sotto  tutti  gli  aspetti. 
Mi  sono  detto:  posso  tornare,  ma  è  più  probabile  che  ci  resterò.  E 
ancora  non  è  questo  che  più  mi  fa  impressione.  Ho  pensato,  che  do- 
vrò allontanarmi  da  voi,  forse  per  sempre,  e  morire  da  voi  lontano. 
Queste  sono  le  sole  considerazioni  che  potrebbero  trattenermi.  Ma 
Iddio  mi  darà  virtù  d'  animo  bastevole  per  eseguire  ciò  che  da  me 
esigerà.  »  E  in  altre  :  «  Voglio  andare  in  Italia  per  battermi,  e  non 
per  arrivare  dopo  una  disfatta,  o  anche  dopo  una  vittoria.  .  sono 
in  forze  di  sostenere  una  campagna:  perle  ferite,  squarciature  ecc. 
sono  rassegnato.  » 

Dopo  lunga  espettazione,  nel  quale  intervallo  fu  licenziato  in  leg- 
gi, ritornò  p-ù  ardentemente  che  mai  a  sollecitare  la  permissione  di 
partire.  La  ritirala  dei  Francesi  da  Roma  non  gli  lasciava  aver  pa- 
ce, finché  non  fosse  a  Roma  a  montare  la  guardia  contro  le  perfi- 
die del  Governo  italiano.  Allora  scrisse  ad  un  amico  :  «  Mi  viene 
spesso  in  pensiero  che  l'esercito  di  Pio  IX  potrebbe  divenire  un  nuo- 
vo esercito  di  Gedeone,  ma,  sia  che  vuole,  se  ci  aspetta  la  sorte  dei 
nostri  gloriosi  antecessori  di  Castelfidardo,  almeno  noi  protesterem- 
mo com'essi  protestarono,  cadendo  coll'armi  alla  mano.  »  11  padre 
di  lui  comprese  che  era  tempo  di  offerire  il  sacrifizio:  e  congedato- 
lo colla  paterna  benedizione,  aggiunse:  «  Non  mi  dispiace  di  aver- 
lo lasciato  partire:  ma  di  non  avere  l'età  sua,  per  accompagnarlo!» 
Di  tal  razza  nascono  i  forti.  Giuseppe  Rialan  a  Roma,  visse  tulio 
assorbito  nei  doveri  dell'  armi,  tutto  fervore  di  devozione,  armi  e 
divozioni  non  interrotta  da  altro  fuorché  dalle  lettere  alla  patria  e 
qualche  raro  sollievo  cogli  amici,  coi  quali  era  di  giocondissima 
con\ersazionc.  Cogl' intimi  apriva  interamente  il  cuore:  «  Vi  sono 
molti  modi,  diceva  egli  un  giorno,  di  servire  la  Francia  e  la  Chie- 
sa: prima  di  tutto,  col  sangue.  Nulla  avanza  una  causa  più  effica- 
cemente, che  il  morire  per  essa.  E  per  altra  parte  ,  quale  più  bella 
sorte  per  colui  che  muore  ?  » 


IC.  I  FERITI  E  I  MORTI  DI  MENTANA  431 

Colui  che  dal  fondo  del  cuore  parlava  in  t4»l  guisa,  ben  era  de- 
gno di  riportare  la  corona  nel  più  onoralo  luogo  della  battaglia. 
Una  palla  in  fronte  il  battè  morto,  a  pochi  passi  da  Mentana,  com- 
battendo tra  due  valorosi,  il  sergente  Alfredo  Gerbaud,  e  il  zuavo 
Alessandro  Lienas.  Due  giorni  dopo,  mentre  due  sacerdoti  ne  de- 
ponevano pietosamente  il  cadavere  entro  una  cassa,  i  conoscenti 
ne  chiedevano  le  reliquie,  e  tra  loro  si  divisero  il  suo  scapolare, 
i  galloni  di  sergente,  la  sua  barba,  i  suoi  capelli,  intrisero  panno- 
lini nel  sangue  della  ferita,  tuttavia  liquido  e  vermiglio,  e  la  voce 
comune  dei  camerati  gli  rendette  testimonianza,  la  più  invidiabile 
per  un  crociato:  «  Nel  quartiere  era  il  miglior  cristiano  del  reggi- 
mento, e  nel  campo  era  il  migliore  soldato.  » 

Ultima  tra  le  tombe,  su  cui  inscriviamo  un  breve  titolo,  sia  quel- 
la di  un  sottufficiale  italiano,  ucciso  a  breve  distanza  dal  sottuffi- 
ciale francese.  Tra  i  non  pochi  italiani  che  in  quel  celebralo  campo 
di  gloria  opposero  il  petto  contro  i  nemici  di  S.  Chiesa,  quattro 
soli  caddero  feriti  o  morii,  se  pure  per  quinto  non  vi  aggiungiamo 
il  dragone  Pcrilli,  valorosissimo  giovane  trasteverino,  che  furtivo 
e  a  piedi  corse  a  combattere,  tornò  infermo,  e  morì  dicendo:  «  li 
solo  dispiacere  che  mi  abbia  in  questo  momento  estremo,  è  di  mo- 
rire in  letto,  mentre  la  mia  ambizione  era  sempre  stata  di  morire 
sul  campo,  combattendo  pel  Santo  Padre.  »  Tra  i  caduti  brillò  di 
primo  splendore  Carlo  Bernardini,  che  noi  vedemmo  percosso  quan- 
do già  la  lolla  volgeva  al  fine  ;  quasi  che  l'angelo  di  Dio  atlendesse 
ancora  il  sacrifizio  di  questo  sangue  eletto,  per  calare  sul  campo 
crociato  e  dichiarare  la  vittoria. 

Niuno  per  avventura  senti  affezioni  di  famiglia  più  profonde  che 
il  giovane  Carlo,  e  niuno  più  eroicamente  le  troncò  in  omaggio 
della  religione.  A  scorrere  le  sue  lettere  sembravaci  di  udire  il  can- 
to di  un  idillio  di  tenerezze  verso  i  genitori,  i  fratelli,  le  sorelle,  i 
sassi  perfino  del  luogo  natio:  e  pure  ogni  più  delicato  sentimento 
vi  è  al  fine  immolato  al  dovere,  all'onore,  alla  gran  causa  di  Santa 
Chiesa.  Nel  che  molto  egli  dovette  alla  indole  cavalleresca  del  suo 
gran  cuore,  e  molto  alla  esquisila  sua  educazione,  temperala  colle 


432  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

tradizioni  dell'antico  patriziato  italiano.  Nato  in  Lucca,  Tanno 
1841  di  chiarissima  stirpe,  e  nobile  nelle  patrie  storie,  fu  tenuto 
al  sacro  fonte  dal  Duca  suo  sovrano,  e  da  quella  venerabile  donna 
che  fu  la  duchessa  Maria  Teresa  di  Savoia.  Crebbe  in  mezzo  a 
un'atmosfera  di  religiosi  esempii  ripiena;  e  sembrava  non  trovare 
diletto  che  pure  negli  esercizii  della  fede,  onde  rampollano  e  si 
alimentano  le  veraci  virtù  cristiane.  Ancora  i  pregi  più  rari  e  dif- 
fìcili ad  incontrarsi  nella  giovine  età,  in  lui  fiorivano  a  maraviglia: 
il  non  disagiare  persona,  il  non  presumere  di  se  stesso,  il  pospor- 
re se  agli  altri,  sfuggire  le  laudi  e  la  bella  comparsa,  il  privarsi 
de'suoi  più  cari  sollievi  per  rendere  servigio  a  quei  di  casa.  Fu 
veduto  per  più  mesi  farsi  guida  e  sostegno  d'una  sua  sorella  in- 
ferma de' piedi,  e  rendersi  volonteroso  agli  ordini  di  lei,  come  un 
famiglio.  Era  perciò  la  delizia  della  sua  casa,  com'egli  trovava  tut- 
te le  sue  delizie  nella  casa,  cui,  scrivendo  alla  madre,  paragonava 
al  «  paradiso  terrestre.  » 

Raccontare  d'un  giovanetto  italiano,  eh'  egli  fu  pio,  è  pure  un 
dire  che  fin  dai  primi  anni  fu  singolare  cultore  della  Vergine  divi- 
na. Carlo  in  questo  particolare  riuscì  veramente  esimio.  Ci  è  per- 
venuta autografa  una  sua  lunga  preghiera,  che  egli  compose  il  di 
dell'Assunta  1857,  essendo  in  età  di  sedici  anni;  è  un  inno  di  amo- 
re e  di  fiducia  filiale,  ardente,  poetico  e  pure  sì  rettamente  rego- 
lalo, che  fu  giudicato  degno  di  porsi  a  stampa,  e  il  vedemmo  im- 
presso. Co'suoi  di  casa,  e  specialmente  colla  madre,  contessa  Ma- 
rianna Sardi,  tutte  rivelava  le  impressioni  del  suo  spirito  interno, 
e  i  religiosi  sentimenti  onde  regolava  sua  vita. 

«  Io  non  cesserò  mai,  le  scriveva  da  Roma,  di  ringraziare  il  Signo- 
re di  avermi  dito  parenti  così  pii,  così  religiosi,  che  non  hanno  avuto 
in  mira  che  il  bene,  primo  dell'anima  mia,  e  gelosamente  mi  hanno 
custodito.  »  E  in  un'altra,  quando  fu  improvvisamente  chiamalo  a 
Genazzano,  con  isperanza,  che  poi  svanì,  di  far  qualche  colpo:  «  lo 
andavo  a  battermi  volentieri,  e  quantunque  mi  credessi  vicino  alla 
pugna,  sono  sempre  rimasto  di  buon  animo,  come  se  fossi  a  casa 
mia.  Mi  faceva  pena  di  non  poter  vedere  i  miei  cari:  ma  la  causa 


IC.   I  FERITI  E  I  MORTI  DI  MENTANA  433 

che  sostenevo  mi  avvalorava:  mi  dispiaceva  ancora,  che  non  avevo 
avulo  il  tempo  di  confessarmi,  mentre  alcuni  più  furbi  di  me  si  era- 
no sottraili  al  corvè,  ed  avevano  messo  in  pari  le  loro  partite.  Ma 
non  era  molto  che  mi  ero  confessato,  ed  avevo  la  coscienza  tran- 
quilla, e  confidavo  che  Iddio  avrebbe  avuto  misericordia  di  me, 
pel  sacrifizio  che  facevo  della  mia  vita.  »  0  anima  bella  e  ge- 
nerosa ! 

Gradiva  di  raccogliersi  alcuna  volta,  a  riconcentrare,  com'egli 
diceva,  1'  anima  sua  nel  Signore.  «  Vengo  ora  d  ìgli  esercizii  spiri- 
tuali di  S.  Eusebio,  tutto  consolalo  e  pienamente  contento.  Non 
può  credere  quanta  è  stata  la  mia  consolazione  in  questi  giorni  di 
ritiro  e  di  quiete.  Ringrazio  Iddio  di  avermi  dato  questa  interna 
consolazione,  che  mi  dà  colaggio  di  servirlo  sempre  più  fedelmen- 
te. Questa  mattina  in  particolare  è  stata  assai  commovente  la  co- 
munione generale,  gli  ultimi  ricordi  e  la  benedizione,  tutto  accom- 
pagnato dal  massimo  raccoglimento  e  divozione  di  tutti  (quasi  tutti 
giovani  delle  primarie  famiglie  di  Roma  :  eravamo  58).  Io  ho  fatto 
un  riepilogo  generale  della  mia  vita  al  P...  uomo  di  gran  santità  e 
dottrina,  e  molto  pratico  di  gioventù,  e  ne  sono  rimasto  mollo  sod- 
disfatto. Nella  mia  debolezza  ho  raccomandato  a  Dio,  per  quanto 
potevo,  la  mia  famiglia...  » 

Cosi  intendeva  Carlo  la  pratica  della  religione,  quando  già  era 
soldato;  mentre  che  nell'esterno  conversare  occultava  i  tesori  del- 
l'anima sua,  e  nulla  mostrava  che  snpesse  di  eccessivo  o  di  male 
acconcio  ad  usare  cogli  amici.  Che  anzi,  la  gentilezza  del  tratto  e 
la  franchezza  del  conversare,  il  rendevano  caro  oltre  modo  alle  bri- 
gate. Sapeva  molto  innanzi,  per  giovane,  nella  letteratura,  special- 
mente italiana,  che  fu  il  suo  studio  più  giocondo;  conosceva  la  lin- 
gua latina,  la  greca,  la  francese,  la  tedesca,  di  che  sortì  eccellenti 
maestri  nella  sua  casa  ;  nelle  arti  della  danza  e  della  musica  attinse 
alcuni  principii,  anzi  per  condiscendere  a'suoi  maggiori,  che  per  ge- 
nio che  vi  sentisse;  ma  bene  applicò  l'animo  con  felice  riuscita  alle 
matematiche  e  alla  filosofia:  breve,  all'età  di  21  anno  egli  poteva 
«ssere  additato  come  uno  de' più  compiiti  gentiluomini  della  suapa- 
Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  490.  28  9  Agosto  1870. 


434  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

tria,  che  pure  ne  abbonda.  Avventurosa  l'Italia,  clic  l'ebbe  per  sua 
rappresentante  tra  i  prodi  di  Mentana. 

Recossi  egli  in  Roma,  per  diporto,  nel  1861.  Roma  piena  della 
maestà  di  Pio  IX,  Roma  animata  dalla  gioventù  sceltissima  concor- 
sa a  rilevare  la  bandiera  di  Castelfidai  do,  Roma  minacciata  sempre 
e  pericolante,  adescò  il  suo  cuore  magnanimo;  e  la  fiamma  della 
crociata  sopraffece  in  lui  ogni  altro  palpilo  meno  elevalo.  Ottenne  a 
grandi  istanze  il  consenso  dei  genitori;  e  fino  all'ultimo  fu  crocialo 
e  solo  crociato.  Se  dalle  sue  lettere  si  togliesse  tutto  ciò  cbe  riguar- 
da la  religione,  il  Santo  Padre  e  le  carezze  alla  famiglia,  quasi  al- 
tro non  vi  resterebbe.  Ma  la  prima  risoluzione  del  dislacco  non  fu 
senza  interna  lotta.  Ècco  in  qual  maniera  la  descrive  egli  stesso. 
«  Caro  papà.  Grandemente  mi  angoscia  il  pensiero  di  dover  stare 
separato  alcun  tempo  dalla  mia  cara  famiglia,  di  dover  lasciare 
quella  tranquillità,  quella  pace,  quell'affezione  singolarissima,  que- 
gli usi  nostri,  il  nostro  pranzo,  le  veglie  di  famiglia,  le  colazioni, 
tutti  punti  di  riunione  di  famiglia...  Ah  queste  e  molle  altre  cose 
sono  a  me  per  il  presente,  memorie  carissime,  e  dolorose  assai  in  la- 
sciarle... La  natura  è  impossibile  che  non  si  faccia  sentire:  la  rico- 
noscenza, l'amore  dei  genitori,  della  famiglia  fanno  palpitare  ogni 
cuore,  strappano  lacrime  da  ogni  ciglio  ;  ma  pure  è  d'uopo  farsi  co- 
raggio, superare  sé  stesso...  è  necessario  fondarsi  nelle  buone  opi- 
nioni, servire  una  causa  santa  e  santificante.  »  Altre  sue  lettere 
scritte  in  questi  primi  tempi  di  deliberazione,  riescono  veramente 
eloquenti  in  esprimere  le  gioie  della  vita  domestica,  e  i  vivaci  af- 
fetti che  lo  stringono  a  ciascuna  persona  di  casa,  e  l'acerbità  del 
restarne  privo.  Ma  che?  sopravviene  il  pensiero  della  religione, 
della  Chiesa,  di  Pio  IX,  ed  egli  alla  cruda  battaglia  che  «  gì' impia- 
ga il  cuore,  »  fa  succedere  il  trionfo  della  ferrea  volontà  :  «  Risogna 
che  mi  distacchi  da  tutto:  almeno  il  Signore  gradisca  questo  sacri- 
;_fizio!»  Con  tale  purità  d'intenzione  cingevasi  la  spada  il  nostro 
Carlo  Rernardini ,  non  ispinto ,  non  chiamato  da  altra  voce,  che  da 
quella  del  suo  cuore. 

Intanto  egli  veniva  presentato  al  Ministro  delle  armi,  e  n  era  ac- 
colto con  queste  parole:  «  Sono  molto  contento  di  acquistarvi  per 


IC.  I  FERITI  E  I  MORTI  DI  MENTANA  435 

soldato:  vorrei  avere  diecimila  giovani  come  voi.  »  Il  dimani  fece 
l'equipaggio,  e  parli  pel  quartiere  di  deposito  in  Velletri.  Alcuna 
volta,  durante  la  milizia,  ebbe  agio  di  vedere  e  di  baciare  la  mano 
e  il  piede  al  Santo  Padre:  e  allora  ricordava  la  paterna  bontà,  on- 
d'  era  stato  confortato  nella  prima  udienza;  e  brillando  di  gioia  al 
pensiero  di  potere  un  giorno  scendere  in  campo  a  difesa  di  Pio  IX, 
ne  scriveva  tosto  ai  genitori:  «  Me  felice,  se  potrò  adoperarmi  per 
la  causa  che  servo,  prima  di  ritornare  in  seno  alla  mia  cara  fami- 
glia! Questo  è  il  mio  sogno  dorato.  >>  Più  s' inoltrava,  e  più  la  no- 
bile brama  divampatagli  in  petto.  «  Questo  statu  quo  (1865)  co- 
mincia a  divenire  noioso.  Quanto  sarei  felice  di  esser  utile  alla  cau- 
sa che  serviamo!  Benché  pochi  e  tenuti  a  vile  da  molti,  quando  an- 
che noi  riuscissimo  a  niente,  serviremo  almeno  per  protestare  a  fa- 
vore di  una  causa,  per  cui  è  poco  morire  una  volta  sola...  Chi  nu- 
tre sentimenti  di  attaccamento  alla  S.  Sede,  deve  persuadersi  che 
le  chiacchiere  che  si  fanno  a  tavolino  non  fanno  verun  vantaggio 
alla  causa;  ma  ci  vogliono  dei  fatti,  ci  vuol  del  sangue.  » 

In  famiglia,  dopo  più  anni  di  assenza,  desideravasi  vivamente 
una  sua  visita.  Carlo  rispose:  «  In  oggi  che  tutta  l'Italia  è  in  armi 
potrei  io  starmene  a  casa  inoperoso?  Difendiamo  la  Chiesa!  —  Ma 
non  ci  sarà  niente.  —  E  se  ci  fosse  qualche  cosa,  ed  io  fossi  costà, 
che  cosa  farei  ?  diverrei  pazzo  per  lo  meno.  »  Dipoi,  all'accendersi 
della  guerra,  si  rallegrò  di  non  avere  preso  il  congedo,  giubilò  al- 
lorché seppe  che  il  suo  fratello  Mai  tino  (allora  maresciallo  nei  Dra- 
goni e  ora  ufficiale)  aveva  avuto  tempo  di  accorrere  alla  sua  bandie- 
ra, e  supplicava  i  genitori  di  infondere  sensi  marziali  nel  fratello 
Felice,  più  tenero  di  età,  che  tuttavia  dimoravasi  a  casa  1. 

Carlo  mostrò  all'  opera  la  sincerità  delle  sue  parole.  Perchè,  se 
durante  i  cinque  anni  della  vita  di  guarnigione  egli  destava  di 
sé  ammirazione  coli'  alto  sentire  e  ragionare  della  Crociata ,  col- 
T animare  i  compagni  a  sperare  la  battaglia,  e  col  ripetere  tra  suoi 

1  Vedi  parte  delle  sue  lettere  di  questo  tempo,  riferite  al  capo  XVI,  L'al- 
rarmi  dei  Crociati. 


136  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

più  Ciri,  nulla  esservi  al  mondo  di  più  desiderabile  che  combalte- 
re  e  morire  per  la  religione;  ora,  venuto  il  suo  tempo,  trascinava  i 
camerati  colla  prontezza  ai  comandi,  coli'  ardore  di  combattere,  col 
valore  sul  campo.  Spedito  in  guerra  a  Viterbo,  si  congedò  dagli 
amici,  come  ebbro  di  gioia:  no'  giorni  di  riposo  era  lutto  in  istrui- 
re i  suoi  cannonieri,  ne'  giorni  di  fazione  cavalcava  briosamente  ac- 
canto al  suo  pezzo  rigato,  largheggiando  coi  subalterni  di  danaro, 
tabacco,  liquori,  affine  di  averli  baldi  e  animosi  all'  ora  della  pu- 
gna. Le  sue  prime  armi  a  Bagnorea  le  raccontammo  a  suo  luogo; 
ed  anche  ne'  rapporti  del  suo  colonnello  comandante,  troviam  com- 
mendati con  distinta  ed  onorevolissima  menzione  «  i  marescialli  di 
alloggio  Bernardini  Carlo  e  Ambrosi  Pietro,  per  la  buona  direzio- 
ne al  pezzo  loro  affidato,  e  per  il  coraggio  che  infondevano  nei 
soldati.  » 

Si  sentì  ferire  nel  profondo  dell'anima,  allorché  gli  fu  signifi- 
cato 1'  ordine  di  abbandonare  la  provincia  e  piegarsi  sopra  Roma: 
quando  poi  inlese  che  la  mossa  mirava  a  fronteggiare  il  nemico 
presso  la  capitale,  si  riconsolò  tutto  ;  ed  il  giorno  2  Novembre,  in 
leggendo  il  proprio  nome  tra  gli  eletti  alla  fazione  di  Mentana,  più 
non  capiva  in  sé  per  l'entusiasmo.  Ne  recò  la  notizia  al  maresciallo 
Greggi,  anch'  esso  destinato  alla  partenza,  e  si  annunziò  portatore 
della  più  lieta  novella  che  desiderare  si  potesse;  e  tenutolo  cosi  un 
tratto  in  espettazione:  «  Domani ,  disse ,  a  quest'  ora  avremo  già 
combattuto,  e  vendicato  i  nostri.  »  Assai  prima  dell'ora  posta  eb- 
be dato  asselto  al  suo  cannone,  visitato  le  munizioni,  gli  attrezzi, 
i  fornimenti,  rassegnato  i  suoi  artiglieri;  e  dava  mano  ai  camerati. 
Nella  marciata  notturna  resse  lungamente  le  redini  al  cavallo  del 
Greggi,  il  quale  per  le  moltiplicate  veglie  veniva  sopraffatto  da  in- 
vincibile sonnolenza:  infine  lo  scosse  un  tratto:  «  Amico,  e  tu  dor- 
mendo vai  incontro  alla  fortuna  più  desiderata?  Aspetti  a  destarli  ai 
tuono  del  cannone  ?  » 

Alle  prime  fucilate  sfavillò  di  vivo  fuoco  nel  volto ,  parve  stu- 
diare col  guardo  le  posizioni,  e  cavalcò  ratto  ad  un  gruppo  di  uili- 
ziali,  cui  pregò  di  fargli  capitare  il  destro  di  puntare  pel  primo. 


IC.   I  FERITI  E  I  MORTI  DI  MENTANA  137 

Foco  stante  l'ordine  del  Generale  chiamavalo  appunto  all'onore 
ambito.  Levò  gli  occhi  al  cielo,  salutò  i  compagni,  e  spronò  oltre. 
Trasfondeva  l'ardire  suo  nell'animo  altrui,  lampeggiava  nel  sem- 
biante, ed  esponevasi  innanzi  a  tutti:  non  si  die  un  istante  di  respiro 
durante  le  quattro  ore  di  battaglia,  finché  Iddio  noi  ritolse  a  questa  e 
a  tutte  le  battaglie,  coronandolo  nel  riposo  del  cielo.  Un  suo  came- 
rata ci  disse,  che  cadendo  da  cavallo  per  la  mortale  ferita,  invocò 
tuttavia  il  nome  di  Dio,  e  che  il  cadavere  si  trovò  composto,  come 
d' uomo  che  si  addormenta  col  sorriso  in  sulle  labbra.  Degno  ca- 
valiere della  crociata!  Allora  fu  tutto  esaudito  il  voto  eccelso  della 
tua  ultima  lettera  alla  madre,  a  di  22  Ottobre:  «  Non  dubitino  di 
me,  perchè  il  maggior  male  che  possa  cogliermi  è  la  morte;  e  que- 
sta non  è  da  temere,  ma  bensì  da  invidiare,  quando  invece  di  co- 
gliervi in  un  letto  vi  coglie  sul  campo,  coli' ai  mi  alla  mano,  a  di- 
fesa di  quanto  vi  ha  di  più  caro  e  di  più  sacro.  Spero  che  S.  Pie- 
tro, il  quale  tiene  quelle  somme  chiavi,  non  ci  chiuderà  le  porte, 
allorché  ci  vedrà  morti  in  difesa  de'  suoi  Successori.  » 

Il  corpo  giacque  da  prima  sepolto  in  fretta  nel  cimitero  di  Monte 
Ro'ondo,  distato  solo  dai  fiori,  onde  i  Zuavi  e  il  loro  cappellano, 
monsignor  Daniel,  lo  ricopersero,  prima  d'interrarlo.  Ma  un  caro 
amico,  il  maescialio  Tambini,  volò  da  Roma  a  riscuotere  sì  preziosa 
reliquia,  e  sebbene  con  infinito  travaglio,  pure  il  rinvenne  e  il  ren- 
dette al  fratello  del  defunto,  alla  famiglia,  a  Roma.  Non  riferiremo 
qui  la  commozione  della  città  alla  novella  di  questa  morte.  Il  conte 
Carlo  Bernardini,  sottufficiale  nell'artiglierìa  pontificia,  in  età  di  an- 
ni 26,  e  primogenito  di  sua  famiglia,  godeva  di  notabile  sfera  di 
amici,  non  solo  in  tutti  i  corpi  militari,  ma  eziandio  nelle  più  no- 
bili case  di  Roma:  onde  anche  ai  funerali,  celebratigli  nel  lem- 
pio  dei  Lucchesi,  trasse  elettissimo  concorso;  e  il  tumulo  fu  ono- 
rato dalli  forte  eloquenza  di  monsignor  Nardi.  L'anima  generosa  e 
pur  modestissima  di  Carlo  aspetta  forse  ora  dal  cielo,  che  alcuna 
mano  esperti  racconti  le  sue  virtù  e  i  suoi  meriti,  o  almeno  aduni 
attorno  alla  sua  memoria  le  lettere  sue,  e  quelle  scritte  in  morte  di 
lui  da' suoi  genitori  e  dal  fratello;  e  ciò  per  gloria  duratura  della 
religione  e  della  patria. 


438  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

Perciocché  Terrà  tempo,  giova  sperarlo,  che  il  popolo  italiano 
potrà  laudare  liberamente  coloro  che  ora  tacitamente  ammira.  Al- 
lora coi  rottami  degli  idoli  bugiardi,  profumali,  ahi  troppo!  d' in- 
censo vendereccio,  si  costruiranno  piedestalli  ai  veri  eroi  ;  a  coloro 
che,  come  Carlo  Bernardini,  seppero  colle  ali  dello  spirito  levarsi 
alto,  disdegnando  la  pubblica  viltà  del  tempo  loro,  e  innamorarsi 
della  verità  e  della  virtù,  e  per  queste  dare  il  loro  sangue  inconta- 
minato. Breve  giro  di  anni  basterà  per  confondere  nel  comune  dis- 
pregio i  famosi  che  ora  dei  loro  gesti  intronano  il  paese,  plauditi 
per  le  onte  fatte  alla  patria  :  ma  dopo  lunghissima  età,  vivace  e  gio- 
vinetta dimorerà  la  laude  di  Carlo;  e  niuna  istoria  di  illustri  Lucche- 
si negherà  di  accogliere  il  suo  nome  in  una  pagina  luminosa.  Intan- 
to noi  additiamo  il  suo  sepolcro  all'Italia  come  un  segno  di  conforto 
a  bene  sperare:  udita  è  in  cielo  la  preghiera  del  sangue  sparso.  Alle 
altre  nazioni  lo  additiamo  come  una  scusa,  di  che  l'Italia  abbisogna 
al  cospetto  della  cristianità.  Dalla  terra  italiana,  pur  troppo!  in  gran 
parte  fu  razzolata  quell'orda  sacrilega,  la  quale  col  ferro  e  coll'oro 
del  Governo  mosse  guerra  al  Vicario  di  Gesù  Cristo,  emulando  le 
intenzioni  di  Maometto  II.  Ma,  viva  Iddio!  non  si  deve  estimare  un 
popolo  ne  da'suoi  tiranni,  né  dai  maledetti  del  popolo  istesso.  Niu- 
na nazione  odiò  i  nemici  di  Pio  IX  più  cordialmente  che  la  italiana, 
mentre  i  pubblici  studii  manifestaronsi,  in  tutti  i  modi  possibili 
sotto  la  tirannia,  in  favore  dei  crociati.  E  molti  italiani,  molti  più 
che  non  si  credette  oltre  alpi  e  oltre  mare,  militarono,  e  non  po- 
chi morirono  liberamente  per  la  causa  di  Pio  IX.  Osiamo  dirlo,  e 
all'uopo  oseremmo  giurarlo:  se  i  padri  italiani  e  le  madri  dovesse- 
ro eleggersi  un  tiglio  secondo  il  loro  cuore,  o  come  Carlo  Bernardi- 
ni, o  come  il  suo  uccisore  ;  appena  V  uno  per  mille,  anzi  neppure 
l'uno  per  mille  preferirebbe  al  martire  il  carnefice. 

Ma  se  bella  è  la  corona  del  crociato  italiano,  che  noi ,  con  ambi- 
zione scusabile,  riserbammo  quasi  a  corona  di  tutte  le  altre,  non 
per  questo  la  riputiamo  o  più  eccellente,  o  da  anteporre  alle  sue  so- 
relle. Dio  solo  conosce  i  suoi  santi.  E  forse  tale  mori  ignorato  in 
un  solco,  o  senza  fama  si  spense  sopra  un  letto  di  ospedale,  che 


IC.  I  FERITI  E  I  MORTI  DI  MENTANA  439 

Dio  pose  alla  testa  della  schiera  gloriosa  nel  cielo.  Quaggiù,  come 
i  crociati  di  S.  Pietro  ebbero  comuni  le  aspirazioni,  i  pericoli,  le 
morti;  comuni  altresì  ottennero  le  esequie,  prima  dalla  gratitudine 
di  Pio  IX  nella  cappella  Sistina,  col  concorso  degli  ufficiali  romani  e 
francesi,  e  poi  con  solennissima  pompa  nella  basilica  Lateranense, 
capo  e  madre  di  tutte  le  chiese,  a  nome  dell'universo  cristiano.  Co- 
mune sortirono  l'omaggio  dei  funerali,  in  tutto  il  mondo,  ma  fune- 
rali misti  di  plauso  e  di  festeggiamento,  come  a  riputati  martiri  si 
conveniva:  ei  cenotafii  dei  morti  della  guerra  sacra  si  innalzarono 
adorni  di  lauro  e  di  segni  di  trionfo,  nelle  cattedrali  di  Francia, 
del  Belgio,  dell'  Olanda,  della  Germania,  dell'  Irlanda  e  di  fuori 
T  Europa.  Il  racconto  delle  quali  dimostrazioni  formerebbe  assai 
convenevole  finimento  al  nostro  racconto ,  come  quello  che  asside 
sopra  ferma  base  il  concetto  della  guerra  romanogaribaldina  :  se 
non  che  a  noi  sembra  di  averne  assai  discorso  in  addietro  ;  però 
qui  poniamo  il  termine  della  narrazione,  finendo,  come  finì  la  guer- 
ra, con  Mentana. 


RIVISTA 

DELLA 

STAMPA   ITALIANA 


L 


Analisi  fisiologica  del  libero  arbitrio  umano,  del  Dottore  Alessan- 
dro Heuzen,  seconda  edizione  —  Firenze  1870. 

Pochi  libri  così  bestiali,  come  questo,  ci  è  accaduto  mai  di  dover 
leggere.  E  ciò  non  solo  per  i  gravi  errori  che  contiene,  ma  ancora 
per  la  sciocca  maniera  di  ragionare  che  segue.  Benché  il  suo  tema 
principale  sia  la  negazione  della  libertà;  tuttavia  per  incidenza  ne- 
ga altresì  l'immortalità  e  la  spiritualità  dell'anima  umana,  e  per- 
fino la  esistenza  di  Dio.  Ne  è  meraviglia;  giacché  gli  scrittoli,  a 
cui  egli  si  è  ispirato,  sono  quanto  ci  ha  di  più  abbietto  in  fatto  d'in- 
credulità, di  materialismo  e  di  scetticismo.  D'IIolbac,  Priestley,  Hu- 
me,  Stendhal  e  simigliane.  Che  se  talvolta  gli  accade  di  citare  qual- 
che autore  cattolico,  l'intende  a  rovescio,  o  a  bello  studio  ne  falsifi- 
ca la  dottrina.  Siane  esempio  ciò,  che  riferisce  di  S.  Tommaso.  Do- 
po aver  citato  un  testo  di  Lutero,  il  quale  fu  acerrimo  impugnatore 
del  libero  arbitrio  dell'uomo,  soggiunge:  «  Ma  Lutero  ò  un  eretico, 
dirà  taluno;  verissimo.  Consultiamo  dunque  un  santo,  un  Padre  del- 
la Chiesa,  S.  Agostino  o  S.  Tommaso.  Quest'ultimo  parla  cosi:  Ad 
primum  sic  proceditur:  Videtur  quodhomo  non  sit  liberi  arbitrii. 


RIVISTA  DELLA  STAMPA  ITALIANA  141 

Quicumque  enim  est  liberi  arbitrii,  facit  quoti  vult;  homo  non  facit 
quod  vult.  Dicitur  enim:  Non  enim  quod  volo  bonumJ  hoc  ago;sed  quod 
odi  mainili,  illud  facio.  Pi 'aeterea  liberum  est  quod  sui  causa  est,  ut 
dicitur.  Quod  ergo  movetur  ab  alio,  non  est  liberum.  Sed  Deusmo- 
vet  voluntatem.  Praeterea  quicunque  est  liberi  arbitrii,  estdominus 
suonnn  actuum;  sed  homo  non  estdominus  suorum  actuum  1.  Avendo 
riportate  queste  parole  di  S.  Tommaso,  per  provare  che  il  santo  Dot- 
tore negava  la  libertà  umana,  si  guarda  bene  dall' indicare  il  luogo 
dove  un  tal  testo  si  trova.  E  ciò  accortamente,  aftinché  il  credulo 
lettore  si  adagi  in  esso,  senza  esser  tentalo  di  andarlo  a  riscontrare 
nel  fonte.  Imperocché,  si  crederebbe?  le  anzidette  parole,  che  dal 
nostro  dabben  Autore  sono  recaie  come  esprimenti  la  dottrina  di 
S.  Tommaso,  in  realtà  non  esprimono  che  le  difficoltà  che  il  santo 
Dottore  fa  a  sé  medesimo,  e  quindi  risolve  dopo  aver  dimostrato 
con  invitti  argomenti  il  libero  arbitrio  dell'uomo.  Ognuno  può  con- 
vincersene andando  a  riscontrare  la  sua  Somma  teologica,  parte 
prima,  questione  ottantesima  terza,  articolo  primo.  Quivi  S.  Tom- 
maso si  propone  la  quis'ione:  Utrum  homo  sit  liberi  arbitrii. 
Quindi,  secondo  l'usanza  che  egli  tiene  in  quest'opera  ed  in  altre, 
comincia  dal  recare  le  obbiezioni  che  potrebbero  farsi  in  contrario; 
e  sono  appunto  quelle  riferite  qui  dal  nostro  Herzen,  insieme  a  due 
altre  ohe  questi  omette.  Contro  di  esse  ricorda  da  prima  quel  testo 
della  Scrittura:  Deus  ab  initio  constituit  hominem  et  reliquit  eum 
in  manu  consilii  sui  2.  Quindi  viene  a  rispondere  al  quesito  propo- 
sto in  principio,  e  a  stabilire  la  propria  dottrina  :  Respondeo:  Dicen- 
dum  quod  homo  est  liberi  arbitrii.  Per  dimostrarla  ricorre  in 
primo  luogo  a  prove  a  posteriori,  in  quanto  se  così  non  fosse,  in- 
utili sarebbero  le  consultazioni,  le  esortazioni,  i  precetti,  le  proi- 
bizioni, i  premii  e  le  pene.  Alioquin  frustra  essent  Consilia,  exhor- 
tationes,  praecepta,  prohibitiones,  proemia  et  poenae,  cose  tutte 
che  presuppongono  l'uomo  dotato  di  libero  arbitrio,  in  quanto  il 
presuppongono  padrone  e  causa  determinante  de'  proprii  atti.  Pas- 


1  Pag.  29. 

2  Eccl.  15. 


442  RIVISTA 

sa  poscia  a  provar  la  tesi  a  priori,  dimostrandola  come  conseguenza 
della  natura  stessa  dell'uomo,  in  quanto  è  dotato  di  ragione,  con- 
chiudendo  con  queste  parole:  Necesse  est  quod  homo  sit  liberi  ar- 
bitrii, ex  hoc  ipso  quod  rationalis  est.  11  che  egli  rende  evidente  in 
questo  modo.  Ci  ha  degli  agenti,  i  quali  operano  senza  previo 
giudizio,  per  esser  privi  di  conoscenza,  come  i  minerali  e  le  piante. 
Ci  ha  inoltre  agenti,  i  quali  operano  con  previo  giudizio,  ma  istin- 
tivo e  determinato  ad  unum.  Tali  sono  i  bruti  animali,  i  quali  go- 
dono di  sola  conoscenza  sensitiva.  E  così  la  pecora  veggendo  il 
lupo,  lo  fugge  come  nemico  per  semplice  naturale  istinto.  Ora  l'uo- 
mo, essendo  dotato  di  conoscenza  non  solo  sensitiva  ma  altresì 
razionale,  opera  con  previo  giudizio  formato  dalla  deliberazione 
della  ragione,  e  però  tale  che  non  è  determinato  ad  uno,  ma  ri- 
guarda aspetti  opposti.  Quindi  egli  ha  facoltà  di  eleggere  l'una 
parte  o  l'altra.  1/  indifferenza  del  suo  volere  è  corollario  dell'  in- 
differenza del  suo  giudicare  ;  giacché  la  ragione ,  apprendendo 
l'obbietto  secondo  l'intrinseco  suo  valore,  non  può  non  riferire  co- 
me appetibili  o  disprezzabili  i  beni  particolari  e  contingenti,  riguar- 
dati per  loro  stessi.  Particularia  operabilia  sunt  quaedam  contin- 
gentia  ;  et  ideo  circa  ea  iudicium  rationis  ad  diversa  se  habet,  et 
non  est  determinatimi  ad  unum. 

Dimostrata  così  la  tesi  della  libertà  umana,  passa  il  S.  Dottore  a 
sciogliere  le  difficoltà  proposte  in  principio,  e  che  l'Herzen  con  fro- 
de così  vergognosa,  o  con  errore  così  ridicolo,  ha  portate  quasi 
fossero  argomenti.  E  quanto  alla  prima,  risponde  coli'  interpretazio- 
ne di  S.  Agostino,  cioè  che  l'Apostolo  in  quel  luogo  parla  della  ten- 
denza sensitiva,  la  quale  appetisce  il  contrario  di  ciò  che  prescrive 
la  ragione;  e  in  questo  senso  è  detto:  non  il  bene,  che  voglio,  io 
opero,  ma  il  male  che  abbonisco.  Quanto  alla  seconda  (che  pro- 
priamente nell'articolo  di  S.  Tommaso  è  la  terza)  risponde,  che 
l'uomo  muove  sé  stesso  ad  operare  colla  libera  elezione,  benché  sot- 
to l'influenza  di  Dio,  che  concorre  con  lui.  Di  che  segue  che  V uo- 
mo neir  operare  est  causa  sui,  non  prima  ma  seconda,  e  ciò  basta 
all'  esercizio  della  libertà.  Tanto  poi  è  lungi  che  il  concorso  divino 
tolga  la  libertà  dell'ente  ragionevole,  che  anzi  la  produce;  giacché 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  443 

la  causa  prima  influisce,  secondo  l'esigenza  del  subbietto  in  cui  in- 
fluisce. E  però  siccome  Dio  concorrendo  colle  cause  tisiche  non  fa 
che  l'azione  non  sia  propria  di  queste;  così  concorrendo  colle  cause 
libere  non  fa  che  l'azione  non  sia  determinata  dalle  medesime.  Alla 
terza  risponde  che  l'uomo  non  è  padrone  dei  suoi  atti,  quanto  al- 
l'esecuzione delle  sue  elezioni,  nella  quale  può  ricevere  impedimen- 
to da  esterna  cagione, voglia  o  non  voglia;  non  già  quanto  alle  ele- 
zioni stesse,  le  quali  procedono  da  lui  e  sono  in  lui. 

Or  noi  dimandiamo  :  e  credibile  che  il  sig.  Herzen  nel  legge- 
re quest'articolo  di  S.  Tommaso  fermasse  gli  occhi  sopra  le  sole 
obbiezioni,  riputandole  in  buona  fede  argomenti,  senza  che  trascor- 
resse cogli  occhi  due  righi  appresso,  d'onde  si  sarebbe  tostamente 
accorto  del  preso  abbaglio?  Credat  ludaeus  Apella.  L' accusa  di 
frode  qui  ci  sembra  inevitabile;  e  una  frode  sì  turpe  e  sì  grosso- 
lana non  dovrebbe  coprir  di  vergogna  uno  scrittore  per  guisa,  che 
più  non  osasse  di  comparire  nel  pubblico?  Ma  veniamo  alle  prove 
intrinseche  onde  l'Autore  conforta  1'  assunto  suo. 

Egli  nella  prefazione  si  lamenta  che  finora  le  sue  prove  non  fu- 
rono esaminate  nel  loro  proprio  valore.  «  Le  conclusioni  (son  sue 
parole)  che  ho  cercato  di  appoggiare  con  una  breve  esposizione  dei 
fatti  d'onde  scaturiscono,  sono  state  violentemente  attaccate,  non 
dico  criticate,  giacché  non  vi  fu  vera  critica,  anzi  nessuna  opposi- 
zione seria,  nessun  esame  del  metodo,  nessun  apprezzamento  del  va- 
lore delle  prove  addotte,  nessun  indizio  di  osservazioni  o  di  speri- 
menti,  contrarli  a  quelli  da  me  citati  1.  »  Coteste  querele  ci  mossero 
a  leggere  con  particolare  attenzione  il  suo  libro,  per  intendere  bene 
il  metodo  e  la  forza  delle  sue  piove.  Ma  con  nostra  meraviglia  rin- 
venimmo che  il  metodo  consiste  nel  batter  la  campagna  fuor  di  pro- 
posilo, e  le  prove  sono  riposte  in  gratuite  asserzioni,  o  patenti  sofi- 
smi. Egli  fa  una  lunga  descrizione  del  sistema  nerveo;  del  modo, 
ond'esso  riceve  le  impressioni  esterne  o  reagisce  sulle  medesime;  ci 
racconta  i  fenomeni,  che  si  manifestano  in  una  ranocchia,  a  cui  siano 
tagliate  ora  le  radici  anteriori  ed  ora  le  posteriori  del  nervo  sciati- 

1  Pag.  5. 


444  RIVISTA 

co,  ovvero  in  una  lucertola  in  cui  si  distrugga  il  cervello  o  la  mi- 
dolla spinale  ;  parla  del  modo,  onde  si  genera  lo  starnuto,  il  grido, 
la  tosse,  lo  sbadiglio,  il  vomito  e  non  sappiamo  che  altre;  e  con  ciò 
crede  o  ama  dar  a  credere  di  aver  fondate  nella  fisiologia  le  sue 
conclusioni,  contro  la  libertà  delle  azioni  umane.  Venendo  poi  di- 
rettamente alle  prove,  egli  in  sostanza  non  fa  che  procedere  per 
una  serie  di  confusioni.  Egli  confonde  la  forza  colla  materia,  argo- 
mentando dalla  congiunzione  all'  identità.  La  materia,  egli  dice, 
non  è  possibile  senza  una  forza  ;  dunque  l' una  non  si  dislingue  dal- 
l'altra. Confonde  il  principio  di  vita  e  di  senso  nell'animale  coll'or- 
ganismo,  che  informa  ;  argomentando  dalla  dipendenza  alla  mede- 
simezza. Le  funzioni  vitali  e  sensitive  non  si  esercitano  senza 
alterazioni  organiche;  dunque  non  sono  che  il  risultato  delle  me- 
desime. Confonde  1'  intelligenza  col  senso  ;  argomentando  dalla 
participazione  all'eguaglianza.  Nel  bruto  ci  ha  una  tal  quale  ana- 
logia ed  imitazione  imperfetta  delle  operazioni  razionali  dell'uomo; 
dunque  la  ragione  non  si  differenzia  essenzialmente  dal  senso.  Con- 
fonde la  causatila  colla  necessità  ;  argomentando  dalla  sufficienza 
alla  determinazione.  La  causa  deve  bastare  a  produrre  l'effetto; 
dunque  non  può  non  produrlo.  Eppure  bastava  una  leggera  rifles- 
sione per  fargli  intendere  che  anzi  la  causalità  sarebbe  distratta  nel 
suo  principio,  senza  la  supposizione  della  libertà;  perchè  la  causa 
necessaria  ha  ragione  di  causa  non  principale  ma  islrumentale, 
attesa  1'  esigenza  che  inchiude  di  un'  altra  causa,  da  cui  abbia 
ricevuta  la  determinazione.  Onde  è  impossibile  che  esistano  cause 
necessarie,  senza  che  esista  una  causa  libera.  Confonde  l'aiuto  col- 
la coazione,  argomentando  contro  i  suoi  avversarli  dalla  necessità 
del  concorso  divino  all'  esclusione  del  concorso  umano.  Voi  am- 
mettete che  senza  l' influsso  di  Dio  non  potete  operare  ;  dunque 
dovete  ammettere  che  non  influite  nulla  nelle  vostre  elezioni.  Con- 
fonde la  ragion  motiva  colla  ragione  necessitante,  argomentando 
dall'attraimenlo  d'un  bene  richiesto  nelle  nostre  volizioni,  all'  im- 
possibilità di  resistervi.  Eppur  bastava  osservare  che  qualsiasi  be- 
ne finito,  ravvisato  da  noi  come  non  necess  inamente  connesso 
colla  nostra  felicità,  può  per  questo  stesso  da  noi  disprezzarsi, 


DELLA  STAMPA   ITALIANA  445 

benché  per  esser  bene  possa  da  noi  appetirsi.  Né  la  scelta  del- 
l'una parte,  piuttosto  che  dell'altra,  è  cieca  e  non  ragionata,  sì 
perchè  sta  in  mano  nostra  far  prevalere  nella  nostra  apprensione 
le  ragioni  del  prò  a  preferenza  del  contra;  sì  perchè,  anche  pre- 
scindendo da  ciò,  l'accettazione  o  rifiuto  del  bene  proposto  ha  sem- 
pre sufficiente  motivo  nella  sua  bonlà  e  nella  sua  deficienza,  e  ba- 
sta guardare  all'una  non  curando  dell'altra  per  avverarsi. 

Come  nelle  prove  l' Herzen  è  proceduto  a  via  di  confusioni  ;  così 
ancora  procede  per  confusione  nella  risposta  che  dà  ai  difensori 
del  vero  contrario. 

Il  libero  arbitrio  dell'uomo  è  un  fatto  d'immediata  evidenza. 
Ognuno  sente  da  sé  medesimo  che  nelle  sue  deliberate  appetizioni 
non  solo  egli  è  quegli  che  vuole,  ma  che  egli  è  quegli  che  determi- 
na sé  stesso  a  volere.  L' Herzen  audacemente  asserisce  che  ciò  av- 
viene per  inganno  e  illusione.  Un'  illusione  che  occupa  tutto  il  ge- 
nere umano,  intorno  a  un  fatto  presente  in  sé  medesimo  alla  coscien- 
za, è  cosa  veramente  da  far  ridere  le  telline  !  E  nondimeno  questi 
filosofi  protestano  di  non  seguire  altra  norma,  che  l'esperienza.  Per 
render  credibile  un  tale  ing  inno  del  genere  umano,  l'Autore  ricorre 
all'illusione  dell'immobilità  della  terra.  Ma  il  caso  è  ben  diverso. 
Qui  non  si  trattava  di  un  fatto  d' immediata  esperienza,  ma  di  un 
fatto  da  conoscersi  per  discorso.  Sia  che  si  movesse,  sia  che  non 
si  movesse  la  terra,  1'  apparenza  dovea  esser  la  stessa;  e  all'appa- 
renza appunto  si  fermano  i  sensi.  L'inferire  da  essa  l'una  parte 
più  tosto  che  l'altra  dell'ipotesi,  era  una  temeraria  illazione:  e  in 
cose  tali  la  moltitudine  non  solo  degli  idioti  ma  ancora  dei  dotti 
può  errare,  quando  le  premesse,  a  cui  ricorrono  e  da  cui  dipende  il 
raziocinio,  non  sieno  bene  assodate.  Ma  il  caso  nostro  è  tutt'  altro. 
La  libertà  stessa  della  elezione  costituisce  il  fatto,  sentito  dalla  co- 
scienza. L'Herzen  aggiunge  che  egli  ed  i  suoi  consorti  non  sentono 
nn  tal  fatto.  Sarà.  Ma  se  una  tale  eccezione  bastasse  a  infermare 
la  testimonianza  del  genere  umano;  ogni  manicomio  formerebbe  un 
argomento  ineluttabile  contro  il  valore  della  ragione  nel!'  uomo. 
L'Herzen  da  ultimo  confonde  gli  eretici  coi  cattolici,  dicendo  che 
per  questi  «  è  articolo  di  fede  di  credere  che  l'uomo  non  è  libero 


446  RIVISTA 

che  nel  fare  il  male,  menlre  il  fare  il  bene  dipende  dalla  grazia 
divina,  che  deve  non  solamente  predispone,  ma  anche  addirittura 
determinare  1'  azione  1.  »  A  smentirlo  basta  il  Concilio  di  Trento, 
laddove  defluisce  poter  Y  uomo  liberamente  assentire  o  dissentire 
alla  grazia  in  lui  operanle  2. 

Il  nostro  Autore  confonde  il  pregio  fisico  col  pregio  morale  e  la 
semplice  appartenenza  coli'  imputazione.  Imperocché  movendosi  la 
obbiezione,  che  negala  la  libertà  non  ci  sarebbe  più  merito  né  deme- 
rito nelle  azioni  umane,  risponde  che  «  l'azione  rimane  egualmente 
stimabile  o  spregevole  per  ogni  persona  educata,  astrazion  fatta  dal 
suo  credere  o  non  credere  che  le  azioni  tutte  provengono  oppure  no 
dal  libero  arbitrio  3.  »  E  a  provar  ciò,  reca  l'esempio  del  canto 
dall'usignuolo  e  del  raglio  dell'asino.  Ma  la  cosa  è  ben  differente  ; 
giacché  nessuno  dà  lode  all'usignuolo,  perchè  canta  sì  gradevol- 
mente, né  vitupera  l'asino  perchè  ci  offende  l'udito. 

Una  consimile  confusione  egli  fa,  rispello  ad  un'altra  obbiezione 
cioè  che  secondo  la  sua  teoria  si  perderebbe  il  concetto  di  ricom- 
pensa e  di  pena.  Egli  risponde  che  noi  puniamo  e  ricompensiamo 
anche  i  bruti  animali,  benché  non  li  stimiamo  dotali  di  libero  arbi- 
trio. Quindi  conchiude:  «  Voi  punite  l' uomo  per  la  medesima  ra- 
gione per  la  quale  punite  il  cane,  per  disfarvi  del  pericolo  di  esser 
esposti  alla  sua  traviata  attività;  la  sicurezza  sociale  lo  richiede  in 
modo  imperioso,  senza  preoccuparsi  menomamente  dell'  esistenza  o 
non  esistenza  del  libero  arbitrio  4.  »  Magnifica  dottrina  per  la  digni- 
tà dell'uomo  e  per  la  norma  della  giustizia  distributiva!  Ma  diman- 
diamo a  chiunque  ha  fior  d' intelletto  se  sia  questo  il  concetto  che 
ha  il  genere  umano  nel  premiare  i  buoni  e  gastigare  i  catini? 

E  qui  facciam  fine,  senza  noiare  più  i  lettori  con  la  narrazione  di 
siffatte  stoltizie,  distruggi  tri  ci  di  ogni  ordine  morale  pel  rimuover 
che  fanno  la  distinzione  tra  la  semplice  perfezione  o  difetto  e  la  per- 
fezione o  difetto  di  cui  il  soggetto  stesso  sia  autore,  atteso  il  domi- 

1  Pag.  156. 

2  SessioVI,  De  iustifi catione. 

3  Pag.  157. 

4  Ivi. 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  447 

nio  che  ha  sopra  il  suo  operare.  Simigliante  lordura  di  libri  mostra 
lo  stato  misero  in  cui  son  cadute  e  sempre  più  van  cadendo  le  scien- 
ze nell'Italia  rivoluzionaria. 


II. 


Caroli  àloisii  Morichini  Cardinalis,  Aesinatium  Episcopi,  Petrei- 
dos  libri  III  ad  Pium  IX  P.  M.  —  Accedunt  Carmen  de  Mar- 
tyribus  Sebastenìs  et  epistolae  tres  ad  Auctoris  fratres. 

Un  poema  sopra  S.  Pietro  è  sempre  opportuno,  o  si  consideri 
sotto  l'aspetto  sociale,  o  sotto  l'aspetto  religioso.  E  in  vero  il  cri- 
stianesimo, secondo  l'unica  e  vera  sua  forma,  che  è  la  Chiesa  cat- 
tolica, è  una  grande  società,  sparsa  per  tutto  il  mondo,  e  società 
religiosa,  la  quale  non  solo  ha  origine  da  Pietro,  capo  e  principe  di 
coloro,  che  ebbero  da  Cristo  il  mandato  di  stabilirla;  ma  anche  da 
Pietro,  il  quale  colla  sua  virtù  e  autorità  vive  e  vi  vera  sempre  nei 
suoi  successori,  ha  costantemente  Tessere,  il  modo  e  la  forma  di 
tal  società.  Come  dunque  in  nessun  tempo  i  popoli  cristiani  posso- 
no essere  estranei  a  Pietro,  non  solo  avuto  riguardo  al  loro  passato, 
ma  ancora  al  loro  presente  ;  cosi  in  nessun  tempo  possono  essere 
estranei  alle  sue  glorie  o  indifferenti  ai  suoi  trionfi.  Con  tutto  ciò 
non  sappiamo  se  in  tutti  gli  annali  ecclesiastici  si  possa  trovare  un 
complesso  di  circostanze  più  opportune  di  quelle,  che  al  presente 
offre  l'età  nostra,  per  celebrare  con  epica  tromba  il  Principe  degli 
Apostoli.  Poiché  è  vero  che  il  principato  di  Pietro,  e  vogliam  dire  il 
romano  pontificato,  ha  traversato  i  secoli  lottando  sempre  e  sempre 
vincendo,  obbietto  per  conseguenza  di  odio  per  alcuni,  di  amore  per 
altri,  e  di  ammirazione  per  tutti  ;  che  sono  gli  elementi  della  gran- 
dezza e  dell'interesse:  non  mai  però,  come  nei  nostri  tempi,  la  cau- 
sa del  pontificato  è  stata  tanto  popolare,  né  mai  si  sono  vedute  così 
immedesimate  in  ogni  classe  di  persone  o  sia  le  lotte  che  ha  dura- 
te, o  sia  i  trionfi  che  ha  conseguiti  :  donde  proviene  una  grandezza 
ed  un  interesse  specialissimo.  A  che  si  aggiugne,  che  sebbene  in 
tutti  i  secoli  precedenti  il  romano  pontificalo  è  stato  sempre  consi- 


448  RIVISTA 

derato  come  il  seggio  e  il  centro  delle  dottrine  rivelate,  e  da  esso 
il  mondo  ha  in  ogni  tempo  aspettato  gli  oracoli  della  vera  fede, 
ora  però  per  la  prima  volta  questo  suo  divino  privilegio  ò  slato 
proclamato  da  un  Concilio  universale,  con  un  decreto  così  reciso, 
che  sieno  rese  impossibili  tutte  le  ombre,  con  cui  pel  passalo  si 
cercò  di  oscurarlo.  Il  qual  decreto  non  solo -è  stato  accolto  con 
infinito  amore  dalla  gran  maggioranza  de'  popoli  cattolici,  dopo 
ch'è  stato  pubblicalo,  ma  innanzi  che  fosse  bandito  venne  sollecita- 
to colle  fervide  preghiere  dappertutto  innalzale  a  Dio,  colle  univer- 
sali manifestazioni  della  inconcussa  fede  che  vi  aveano,  e  colle  mo- 
deste preghiere,  inviate  da  ogni  luogo  al  trono  apostolico. 

11  che  così  essendo,  non  potea  incontrare  1'  Eminentissimo  Car- 
dinale Monchini  tempo  più  favorevole  del  presente,  per  dare  alla 
pubblica  luce  la  sua  Epopea  sopra  S.  Pietro,  ch'è  quanto  dire  non 
solo  sopra  colui  che  è  il  primo  della  serie  de'  romani  Pontefici,  ma 
in  cui  si  fonda  la  ragione  di  tulli  i  privilegii  ad  essi  conferiti  da  Cri- 
sto. E  però  crediamo  di  far  anche  noi  cosa  gradita  ai  nostri  lettori 
col  trattenerli  alquanto  di  questo  Poema,  analizzandone  brevemente 
il  tutto  e  le  parti,  e  recandone,  in  saggio  dello  stile,  qualche  tratto 
particolare. 

Il  Poema  è  circoscritto  negli  ultimi  mesi  della  vita  di  Pietro,  ed 
ha  per  fine  principale  il  trionfo  di  lui  per  mezzo  del  martirio,  il 
quale  allo  slesso  tempo  è  trionfo  della  Chiesa  romana,  da  lai  fon- 
data, in  quanto  per  la  sua  morte  diviene  la  Sede  de'romani  Pontefi- 
ci, Capi  della  Chiesa  universale.  Il  nodo  per  conseguenza  è  costi- 
tuito da  ciò  che  Pietro  opera  per  dar  l'ultima  mano  allo  stabili- 
mento della  Chiesa  di  Roma,  e  dall' opposizione  che  incontra  nella 
Roma  pagana,  rappresentata  principalmente  da  Nerone.  Con  questi 
due  elementi  si  rannodano  i  fatti  subalterni,  i  quali  possono  essere 
considerali  come  episodii  sì  veramente,  ma  episodii  assai  stretta- 
mente collegati  colf  azione  principale. 

Il  poeta  dopo  la  proposi/,  one,  in  cui  ò  formolato  il  concetto,  da 
noi  poco  fa  esposto,  del  Poema,  e  fattane  la  dedicazione  al  regnan- 
te Pontefice  Pio  IX,  s'introduce  con  una  spledida  descrizione  della 
pasquale  solennità  celebrata  da  Pietro,  nel  palazzo  del  senatore  Pu- 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  449 

dente,  insieme  co' più  eletti  personaggi  della  Chiesa  romana.  Ecco- 
ne una  parte  solamente  : 

Attalicis  ergo  peplis  floramque  coronis 
Ornatur  paries,  festaque  virentia  myrto 
Marmora  calcanlur,  rubeis  aut  strata  tapetis  ; 
Innumeri  cera  lychni  flammante  coruscant, 
Et  locus  unguentis  arabumque  vaporibus  halat. 
Laevìbus  hic  iignis  triplici  veloque  nivali 
Obtectae,  adsimiles  arcae  tolluntur  et  arae, 
Et  super  effundunt  septem  funalia  lucem. 
Has  prope  sacra  parant  insculptis  aurea  signis 
Vasa;  resurgentis  Christi  quae  facla  retractant. 
Et  vacuum  in  pateris  excisa  rupe  sepulcrum, 
Caelestisque  chori  iuvenes  bine  inde  sedentes  ; 
Et  positum  capiti  velum,  quaeque  unguine  multo 
Condita  obvolvere  sacrum  nova  i ì n tea  corpus, 
Et  stratus  terris  nimia  formidine  custos, 
Mugit  ubi  lelius  tremitìi  et  concussa  dehiscit. 
Orai us  haec,  Christo  peperit  quem  Paulus  Athenis, 
Cornell  iussu  caelato  sculpserat  aere. 
Interea  pia  turba  genu  deflexa  ferebat 
Mimerà  Pontilici,  panebaei  thuris  odores, 
Auratisque  cadis  vinum  et  cerealia  liba, 
Et  parcis  fabricata  apibus  flammantia  dona  1. 

Compiuta  la  celebrazione  dei  divini  misteri,  fra  i  quali  Pietro 
esortò  con  calde  parole  i  fedeli  ed  istituì  parecchi  Vescovi,  sul  faro 
del  giorno  si  scioglie  l'adunanza.  Cominciavano  appunto  allora  in 
Roma  pagana  le  feste  Florali,  solite  celebrarsi  dai  popolo  con  estre- 
ma licenza,  pochi  dì  prima  delle  calende  di  Maggio,  in  onore  della 
dea  Flora,  a  cui  era  sacro  quel  mese.  Le  due  folle  s'incontrano  nel- 
le medesime  vie;  ed  il  Poeta  coglie  questa  occasione  per  mettere 
in  mostra  le  differenze  dell'una  e  dell'altra,  e  fai  e  una  bella  allusio- 
ne alla  pia  consuetudine  de' nostri  tempi  di  consecrare  il  mese  di 

1  Pag.  9,  Lib.  I,  vers.  67. 
Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  490.  29  11  Agosto  1870. 


430  RIVISTA 

Maggio  all'onore  ed  agli  ossequii  di  Maria  Santissima,  quasi  in  ri- 
parazione degli  scandali  di  quelle  feste  gentilesche.  Intanto  Pietro, 
al  quale  era  noto  per  divina  rivelazione  approssimarsi  il  tempo  della 
sua  mortale  peregrinazione,  dà  opera  a  raffermare  sempre  più  i  fe- 
deli nella  legge  di  Cristo;  ed  il  Poeta  enumera  brevemente  varii 
luoghi  di  convegno,  dove,  secondo  le  antiche  tradizioni  il  santo  Apo- 
stolo era  solito  di  recarsi  per  ammaestrare  i  diversi  gruppi  di  quel- 
la fervorosa  cristianità. 

Dall'altro  canto  Simone  il  mago  faceva  ogni  sforzo  per  impedire 
i  progressi  del  cristianesimo,  e  frastornare  dalla  scuola  dell'Apo- 
stolo i  già  convcrtiti.  I  mezzi  più  efficaci  da  lui  adoperati  sono  i  pre- 
stigi, che  gli  acquistavano  fra  il  volgo  fama  sempre  maggiore  di 
uomo  divino.  Ma  le  sue  arti  rimangono  senza  effetto  contro  i  veri  fe- 
deli, e  sono  pubblicamente  sbugiardate  da  Pietro,  il  quale  in  prova 
della  divinità  di  Cristo  risuscita  un  morto,  che  Simone  indarno 
avea  promesso  di  richiamare  in  vita  per  accreditare  la  sua  falsa 
dottrina.  Fruiti  anche  felici,  benché  non  tanto  copiosi  raccoglieva  la 
predicazione  di  Pietro  presso  i  suoi  connazionali.  In  pruovaè  ripor- 
tala la  conversione  di  Gamaliele,  uno  dei  principali  maestri  della 
legge,  il  cui  esempio  è  seguito  da  una  gran  moltitudine  di  Giudei. 

Ma  intanto  Nerone,  che  falsamente  fu  creduto  esser  perito  per 
naufragio,  ritorna  all'improvviso  a  maniera  di  trionfante  dall' Acaia  e 
si  disfrena  in  varii  generi  di  stranezze  e  di  follie.  Nel  medesimo  tem- 
po siccome  Tigellino  ed  Elio,  nimicissimi  di  Pietro  e  della  religione 
di  Cristo,  si  accordano  insieme  di  perdere  l'uno  e  sradicare  l'altra 
dal  mondo:  a  questo  fine  riesce  loro  opportunissimo  il  ritorno  di 
xNerone,  che  Simone  dall'una  parte  procaccia  di  guadagnarsi  coi 
suoi  falsi  prodigii,  e  dall'  altra  tant'egli,  quanto  i  due  suoi  amici  si 
argomentano  per  ogni  via  di  commovere  ad  odio  sempre  maggiore 
contro  Pietro  e  i  cristiani. 

In  questo  mezzo  Nerone  avea  concepito  il  crudele  disegno  d'in- 
cendiare Roma  a  fine  di  rinnovarla.  Egli  ne  tiene  proposito  con  quei 
tristi,  e  da  essi  è  confortato  a  metterlo  subitamente  in  opera,  e  ro- 
vesciarne dipoi,  per  frastornare  da  se  il  pubblico  odio,  tutta  la  col- 
pa sopra  i  cristiani.  Le  scene  dell'incendio,  de'casi  crudeli  de'citta- 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  451 

dini,  e  de'  supplizi!  atrocissimi  del  tiranno  fatti  soffrire  ai  cristiani 
in  pena  del  suo  delitto,  sono  delle  più  belle  del  Poema.  Ecco  come 
comincia  la  descrizione  dell'incendio. 

Nox  erat;  et  nil  triste  timens  Urbs  tota  qiuetos 
Captabat  somnos;  quum  dira  facessere  lussa 
Incipiunt  taciti  pacta  mercede  ministri. 
Hic  alii  sarraenta  ferunt  sulphurque  picemque; 
Hic  alii  rapiunt  ipsis  penetralibus  ignem, 
Coniiciuntque  faces,  et  segnes  Aelius  urget. 
Parte  Tigellious  diversa  congerit  aere 
Multa  cavo,  facilem  prunis  flammantibus  escara, 
Et  stuppara  taedasque  parat  :  Polycletus  et  agraen 
Conscius  et  Simo  iungit.  Tura  nota  Tyrannus 
Dat  signa  e  turri,  subitoque  ad  sidera  fumus 
Erigitur,  laxisque  t'urit  vulcanus  habenis. 
Haud  aliter  si  forte  faces  flaventibus  arvis 
Iactentur  dum  piena  seges,  citus  emicat  ignis, 
Et  sata  carpit  edax  hominumque  boumque  labores: 
Nititur  agricola  incassimi,  nec  viribus  ullis 
linda  potest  tantam  carapis  prohibere  ruinam: 
Sic  volitant  tremuìae  caeli  ad  convexa  favillae...  1 

Ma  lungo  sarebbe  riferire  tutte  le  circostanze  particolari  e  i  di- 
versi episodi!,  che  il  Poeta  tratteggia  per  rappresentare  al  vivo  gli 
orrori  di  quella  notte,  e  fra  le  orride  cose  la  più  orrida  di  tutte,  Ne- 
rone, il  quale  vestilo  da  istrione  contempla  dall'alto  della  torre  di 
Mecenate  il  lutto  e  lo  scompiglio  della  città,  cantando  insieme  al 
suono  della  cetra  alcuni  suoi  versi  sull'incendio  di  Troia.  Alle  quali 
atrocità  tiene  dietro  il  crudelissimo  eccidio  de'  cristiani,  come  si  è 
accennato  pocanzi.  Assai  commovente  è  il  racconto  che  il  Poeta  ne 
fa:  noi  ne  citeremo  la  sola  conclusione,  nella  quale  sono  indicati  gli 
effetti  soprannaturali  che  gli  esempii  di  questi  martiri  ispirano  an- 
che adesso  a  chi  visita  i  loro  antichi  sepolcri. 

1  Pag.  41,  Lib.  II,  vers.  118. 


452  RIVISTA 

f 

Monumenta  tuorum 

Haec  libi,  Roma,  patrum  sint  baud  peritura  per  acvum, 

Mirentur  thermas  alii,  mirentur  et  arcus 

Templaque  pyramidasque  alque  aita  palatia  regis. 

Yos  decus,  o  Hypogaea,  meae  quae  condì lis  almos 

Athletas  fidei,  magnae  vos  gloria  Romae. 

ilaec  mihi  relligio  atque  animi  solamen  amari 

Mortalis  dum  tanta  premunt  incommoda  vitae. 

Has  caveas  penetrare  li  bel,  quam  saeva  tulistis 

Supplicia  excolere  atque  effuso  sanguine  palmas, 

Et  prece  secrelis  venerarier  ossa  sepulcris. 

Haec  ego  dum  re  peto  fluxis  fiducia  rebus 

Mente  cadit:  nec  honos  nec  copia  divitis  auri 

Allicit,  aut  quae  corda  rapit  vesana  cupido. 

Yos  recolo  :  augeturque  fides  tlammisque  renascens 

Corda  fovet  caelestis  amor,  spesque  erigi t  una 

Me  socium  yobis  aeterna  in  luce  futurum  1. 

In  mezzo  a  lauta  desolazione  che  farà  Pietro?  Un  generoso  pen- 
siero lo  invita  a  presentarsi  al  tiranno,  il  quale  o  sarà  mosso  dalle 
sue  parole,  e  desisterà  dalla  strage  de'crisliani;  o  almeno,  se  rimarrà 
duro,  avuto  nelle  sue  mani  il  Capo  de'  cristiani,  e  immolatolo  alle 
sue  ire,  potrà  più  facilmente  risparmiare  gli  altri.  E  già  era  sul 
punto  di  compiere  il  suo  disegno,  quando  gli  viene  incontro  il  suo 
santo  ospite  Pudente,  il  quale  con  gravi  ragioni  lo  dissuade  da  quel 
proposito,  in  quanto  senza  salvare  niuno  de'  suoi  perderebbe  irrepa- 
rabilmente sé  stesso,  principalissimo  appoggio  della  Chiesa  nascen- 
te. A  queste  preghiere  del  Senatore  aggiungono  le  loro  la  sposa  di 
lui  e  le  due  vergini  figlie,  e  finalmente  i  due  coadiutori  di  Pietro 
Lino  e  Cleto,  i  quali  coli' esempio  e  col  consiglio  lasciato  dal  divino 
Maestro,  lo  esortavano  anch'  essi  a  porsi  in  salvo,  per  non  esporre 
la  Chiesa  a  perdere  il  suo  Capo,  quando  ne  è  maggiore  il  bisogno. 

Nel  mentre  che  Pietro,  rendulosi  a  tanle  istanze,  di  notte  tempo 
e  tutto  solo  si  ritira  da  Roma  in  cerca  di  un  sicuro  rifugio.  Satana 

1  l'oc.  16,  Lib.  II,  ve  rs.  286. 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  153 

si  fa  presente  a  Simone  per  avvertirlo  essere  quello  il  tempo  più  pro- 
pizio di  macchinare  l'ultimo  sterminio  della  religione  di  Cristo,  ve- 
dovata de'  due  più  forti  campioni  ;  di  Pietro  cioè,  che  fugge  da  Ro- 
ma per  evadere  dal  pericolo,  e  di  Paolo,  il  quale  da  più  tempo  sta 
chiuso  in  oscura  prigione,  e  presto  sarà  dannato  all'estremo  sup- 
plizio. 

Questi  conforti  accendono  vie  più  il  rio  talento  di  Simone  e  dei 
satelliti  suoi,  per  l'opera  de' quali  la  persecuzione  diventa  più  ge- 
nerale e  più  fiera.  Il  Poeta  nondimeno  interrompe  per  poco  questa 
dolorosa  narrazione,  facendo  cadere  in  questo  tempo  la  venuta  dal- 
l' oriente  di  quel  Cornelio  centurione,  che  fu  il  primo  gentile  aggre- 
gato da  Pietro  alla  religione  cristiana.  Queste  ed  altre  insigni  opere 
dell'Apostolo,  come  altresì  la  prodigiosa  liberazione  del  medesimo 
dalla  carcere  di  Gerosolima,  sono  da  lui  con  molta  commozione  rac- 
contate nella  casa  di  Pudente.  Un  altro  peregrino  giunse  nel  mede- 
simo tempo  da  Milano,  inviato  a  ragguagliare  la  Chiesa  eli  Roma 
dello  stato  della  cristianità  in  que'  luoghi,  durante  la  persecuzione, 
e  delle  illustri  vittorie  conseguite  da'  più  insigni  combattitori  della 
fede.  Descrive  in  particolare  i  martini  de'  due  santi  fratelli  Gerva- 
sio  e  Protasio,  del  loro  padre  Vitale,  di  Nazario  e  del  fanciullo 
Celso. 

Intanto  Simone,  credendo  che  Pietro  fosse  lontano,  ne  potesse 
perciò  impedire  i  suoi  prestigi,  avea  promesso  a  Nerone  di  levarsi 
in  alto  sino  al  cielo  al  cospetto  di  tutto  il  popolo,  e  dare  così  una 
pubblica  pruova  della  sua  origine  celeste  e  della  verità  di  quanto 
avea  insegnato.  Ma  egli  non  sapeva,  che  il  santo  Apostolo  non  si 
era  che  per  poco  allontanato  dalla  città,  indotto  a  tornarvi  dallo 
stesso  divin  Redentore,  il  quale  datoglisi  a  vedere  in  quella  fuga 
colla  croce  sulle  spalle,  gli  fé  intendere  che  fra  poco  lo  dovrebbe 
colà  imitare  col  medesimo  genere  di  morte.  Il  Poeta  descrive  con 
molta  verità  di  espressione  la  gran  folla  del  popolo  accorsa  il  dì 
prefisso  allo  spettacolo  con  gran  rumore  annunzialo,  la  espiazione 
di  tutti,  massime  dell'Imperatore,  gli  scongiuri  fatti  dal  mago,  il 
suo  improvviso  levarsi  al  cielo,  e  poco  stinte  la  miseranda  fadata 
alla  semplice  preghiera  di  Pietro.  Recitiamone  alami  tratti. 


451  RIVISTA 

Qua  Tarpeia  foro  rupes  supereminet  alto, 
Et  Capitolini  propter  Iovis  inclyta  sedes 
Emicat,  inde  Magus  liquidas  se  tollere  in  auras 
Spondei  et  aetherias  enando  vincere  nubes, 
Ergo  luce  stata  vix  caelo  aurora  rubescit, 
Plebs  stipata  frequens  incensa  cupidine  monstrum 
Visendi,  plateas  complet  vicosque  propinquos, 
Turrenum  Tuscumque  et  tetro  a  carcere  dictum 
Mamertis,  sacramque  viam  vicinaque  circum 
Compita 


Ipse  Nero  turri  populo  spectabilis  alta 
Aurata  insidit  sella;  praetoria  circum 
Àgmina  stant  armis  fulgentibus;  Aelius  hinc  et 
Inde  Tigellinus;  tyrio  rex  murice  tincta 
Veste  rubet,  cupido  Simonem  lumine  lustrat. 
Ore  habituque  tumens  comitaniibus  ibat  amicis 
Coniector,  summique  Iovis  delubra  petebah 
Hic  taurum  ingentem  velatimi  cornua  vittis, 
Nigrantem  tergo  solemnes  mactat  ad  aras, 
Sanguinem  et  effundit  patera...  1 

Dopo  questi  sacrifizii  nel  tempio,  e  fatti  gl'incantesimi  nel  bosco 
attiguo  al  medesimo  tempio,  il  mago  si  leva  inailo  sopra  un  cocchio 
infocato: 

Igneus  en  subito  currus  flammantibus  actus 
Visus  equis,  rapitur  Simo  atque  assurgit  in  auras 
Insuetum  vectus  per  iter,  praevertit  et  euros. 
Illum  quadriugis  pronum  dare  lora  luentur, 
Pallia  dum  levibus  volitant  ludibria  venlis  2. 

Ma  egli  non  regge  alla  preghiera  di  Pietro,  il  quale  insieme  con 
Paolo,  fallosi  anch'esso  presente  per  divino  miracolo  in  quel  luogo 


1  Pag.  72,  Lib.  HI,  vers.  217,  244. 

2  V.  269. 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  4o5 

indirizza  una  fervida  preghiera  ai  Signore,  acciocché  frastorni  il 
diabolico  prestigio,  e  non  permelta  la  illusione  di  tanto  popolo.  Il 
Signore  esaudisce  la  domanda  de'  suoi  servi  :  ed  ecco  come  il  poe- 
ta ne  descrive  l'effeilo. 

Haec  in  ter  subito  miscetur  turbine  coeìum, 
Horrenduraque  tonat  ;  nubes  ferrugine  telra 
Ignitos  currus,  aurigara  obvolvit  equosque; 

Praecipitique  ruit  perculsus  fulgure  Simo 

Cruribus  effractis,  attritus  corpore  loto 
Caesaris  ad  soìium  infeìix  ruit:  atra  cruore 
Terra  rubet,  guttis  tegmen  regale  made  cit... 
Sed  sancii  Heroes  casum  ut  novere,  Tonanti 
Persolvunt  meritas  grates  et  poplite  flexo 
Procuuibunt.  Facti  testis  mollescere  visa 
Dura  siìex,  genuumque  Petri  vestigia  ferre  l. 

Questo  trionfo  di  Pietro  sopra  le  diaboliche  arti  di  Simone  acce- 
so vie  maggiormente  gli  amici  di  costui  nel  desideiio  di  perderlo. 
Né  fu  difficile  gettargli  le  mani  addosso.  Il  santo  Apostolo  conscio 
del  divino  decreto,  che  segnava  prossimo  il  termine  della  sua  mor- 
tale carriera,  non  prese  veruna  cura  per  sottrarsi  alle  indagini  dei 
suoi  nemici.  Fu  dunque  preso,  e  carico  di  catene  cacciato  nel  car- 
cere Marne r tino,  per  attendervi  insieme  con  Paolo  la  sentenza  di 
morte.  I  pochi  giorni  che  intanto  rimanevano  furono  da  Pietro  im- 
piegati nel  provvedere  all'avvenire  della  Chiesa,  scrivendo  a  que- 
st'uopo l'ultima  sua  epistola  e  dando  gli  opportuni  ammaestramenti 
a  Lino,  a  Cleto  e  a  Clemente  che  gli  doveano  succedere  nel  ponti- 
ficato, e  consolando  il  resto  de' fedeli,  contriti  tiss'mi  per  la  vicina 
morte  di  lui  e  di  Paolo.  A  questo  fine  il  poeta  finge  che  il  senatore 
Pudente,  ispirato  da  lume  superiore,  rivelasse  a  que'  fedeli  le  glo- 
rie della  Chiesa  romana  e  del  romano  Pontificato  :  Pict  o  poi  rivela 
in  guisa  speciale  i  tratti  principali  dell' illustre  governo  del  regnan- 
te Pontefice  Pio  IX,  e  fra  questi  particolarmente  la  definizione  dom- 

1  V.  290. 


456  RIVISTA 

matica  della  immacolata  Concezione  di  Maria  SS.  e  la  celebrazione 
dell'ecumenico  Concilio  vaticano.  I  quali  passi  reciteremmo  per  in- 
tero, se  non  ci  prendessero  troppo  spazio.  11  Poema  si  compie  col 
glorioso  martirio  de' due  Apostoli,  donde  ogni  ragione  di  grandezza 
e  di  primazia  della  Chiesa  romana.  La  memoria  di  quel  trionfo  è 
rinnovata  ogni  anno  con  solenne  festeggiamento;  ma  lo  fu  massi- 
mamente nel  1867,  compiendosi  in  quell'anno  il  decimottavo  secolo 
dal  memorabile  avvenimento.  Allora  appunto  l'eminentissimo  auto- 
re terminava  di  comporre  il  suo  Poema  :  il  che  gli  fornisce  un  de- 
licato pensiero  per  un'  ultima  conclusione,  che  è  la  seguente  : 

Haec  ego  Romana  Petri  de  sede  canebam, 
Quum  tenet  hanc  Pius,  atqae  decem  post  saecula  et  odo. 
Iam  revoluta  Petro  solemnem  instaurat  honorem 
Plusquam  alias:  Christi  grex  omni  e  litore  Romani, 
Pastoresque  sacri  adproperant,  densaque  corona 
Pontitici  Patres  adstant,  quos  purpura  cingit. 
Hos  inter  1  cet  immeritum  me  maxima  Roma 
Tempore  post  longo,  atque  extorrem  excepit  alumnum. 
Tunc,  Petre,  versiculos  devoti  pignus  amoris 
Quamvis  parva  tuo  referebam  dona  scpulcro  1. 

Diremo  poche  altre  parole  intorno  ad  un  Carme  ed  a  tre  sermo- 
ni che  seguono  dopo  il  Poema. 

Il  Carme  celebra  poeticamente  i  quaranta  Martiri  di  Sebaste  ;  so- 
migliante nello  stile,  nella  espressione  e  nella  virtù  di  muover  gli 
affetti,  alla  Petreide.  I  due  sermoni  che  seguono,  l'uno  intitolato 
Fraga,  l'altro  Arx  Plautina,  ritraggono  buona  parte  delle  bellezze 
delle  Georgiche  virgiliane;  ed  il  primo  descrive  con  molla  proprietà 
varie  specie  di  fragole,  ed  il  secondo  l'ameno  soggiorno  della  villa 
di  Castelplanio,  dove  l'eminentissimo  Autore  suole  passare  alcuni 
giorni  dell'anno. 

L'ultimo  sermone  ha  per  titolo  Carceres  Palatini.  È  scritto  dalle 
carceri  di  Ancona,  dove  1'  eminenlissimo  Cardinale  fu  chiuso  dal 

1  Ultimi  vers.  del  lib.  HI. 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  457 

Governo  usurpatore,  senz'  altra  ragione  che  quella  della  prepotenza 
brutale  e  dell'  odio  sacrilego  contro  le  cose  e  le  persone  sante.  Con 
tutto  ciò  nò  ira  nò  rancore  trasparisce  da  versi  del  piissimo  Autore. 
Egli  si  contenta  di  descrivere  con  somma  tranquillila  le  sue  soffe- 
renze, fra  le  quali  quelle  che  unicamente  gli  giungono  all'animo  sono 
i  pericoli  che  circondano  il  suo  gregge,  e  in  generale  la  persecuzio- 
ne contro  la  Chiesa.  Nel  rimanente  egli  ò  tranquillo  nella  pace  della 
buona  coscienza,  ed  anzi  lieto  di  patire  alcuna  cosa  per  la  giustizia; 
nò  poca  consolazione  gli  forniscono  inoltre  i  libri  santi,  e  la  pietà 
officiosa  di  alcuni  amici  fedeli. 


III. 


Bullettino  di  Archeologia  cristiana  del  commendatore  Giovanni 
Battista  de  Rossi.  Seconda  serie  —  Roma,  tip.  Salviucci  1870. 

Questo  primo  quaderno,  elegantemente  stampato,  apre  una  nuo- 
va serie,  ossia  la  seconda,  del  celebre  Bullettino  di  Archeologia 
cristiana ,  per  cui  l'illustre  sig.  commendatore  de  Rossi  è  giusta- 
mente salilo  in  tanta  fama  di  erudizione  e  di  sagacilà  presso  gì'  in- 
telligenti di  queste  discipline.  La  prima  serie  è  slata  chiusa  con  la 
pubblicazione  degl'  indici  generali  delle  materie  svariatissime  trat- 
tate nel  settennio  1863-69.  Le  ragioni  che  hanno  indotto  l'autore 
a  cominciare  questa  novella  serie,  sono  le  seguenti  che  riferiamo 
colle  sue  stesse  parole.  «  l  primi  due  anni  del  Bullettino  sono  dive- 
nuti irreperibili:  talché  la  collezione  completa  dei  periodici  fogli,  da 
me  fin  qui  pubblicati,  non  può  essere  fornita  ai  nuovi  associati.  La 
forma  poi  in  quarto  di  quei  fogli  li  faceva  assai  sciupare  nel  viag- 
gio per  le  poste;  ed  aveva  molti  altri  difetti,  i  quali  desideravo  far 
scomparire  mutando  tutto  in  meglio.  Perciò  mi  sono  appigliato  al 
partito  di  adottare  la  forma  del  massimo  numero  delle  odierne  ri- 
viste, pubblicando  il  Bullettino  in  fascicoli  di  sesto  ottavo.  L'  edi- 
zione prenderà  aspetto  più  nobile  e  sarà  sostanzialmente  abbellita. 
Migliore  la  carta:  nuovi  i  caratteri  e  di  modulo  più  piccolo,  conve- 
niente a  quello  delle  pagine  ;  i  disegni  in  tavole  separale  dal  testo. 


458  RIVISTA  DELLA  STAMPA  ITALIANA 

Non  perciò  sarà  accresciuto  il  prezzo  dell'  annata,  ma,  a  compenso 
delle  nuove  spese  e  per  dare  tempo  ed  agio  ali'  autore  di  preparare 
i  fascicoli,  quesii  saranno  trimestrali,  non  minori  di  pagine  40  di 
testo  e  forniti  ognuno  di  tre  tavole  di  disegni. 

«  Nella  scelta  degli  argomenti  e  nel  modo  di  trattarli  e  di  svolger- 
li avrò  cura  della  varietà,  per  quanto  le  quotidiane  scoperte  o  i  nuo- 
vi studi  lo  consentiranno.  Imperocché  il  Bollettino  per  cambiare  di 
veste  e  di  statura  non  muterà  l' indole  sua  primigenia  ;  uè  diverrà 
una  rivista  generica  di  storia  e  di  archeologia.  Ma  avrà  sempre  per 
scopo  principalissimo  il  divulgare  prontamente  e  commentare  a  suf- 
ficienza le  più  notabili  novità  e  i  più  pregevoli  acquisti ,  che  anno 
per  anno  arricchiscono  ed  ampliano  il  campo  già  tanto  divozioso 
delle  cristiane  antichità,  massime  dei  primi  secoli.  Del  rimanente 
basta  correre  coli' occhio  gli  indici  dei  sette  passati  anni  del  Bullet- 
taio, per  avere  un'  idea  adequata  della  molliplicilà  e  dell'  importan- 
za dei  punti  svariatissimi  di  archeologia ,  di  storia  od  anche  di  teo- 
logia, illustrati  e  sovente  trattati  a  fondo  in  quei  fogli.  Non  parmi 
dovere  fare  ne  più  nò  diversamente  nella  seconda  serie,  per  ottene- 
re il  successo ,  di  che  gli  amatori  di  questi  studi  sono  stali  soddi- 
sfatti nella  prima.  » 

Stimiamo  superfluo  raccomandare  a  quelli  dei  nostri  lettori  che 
si  dilettano  di  archeologia,  questo  pregevole  periodico,  il  quale,  ol- 
tre che  si  raccomanda  da  se  pel  nome  del  suo  dotto  scrittore,  è  sta- 
to sempre  onorato  dal  plauso  de'  giudici  più  competenti  delle  ma- 
terie che  tratta  1. 


1  Le  associazioni  al  Bullettino  si  prendono  in  Roma,  nella  tipografia  Sal- 
viucci,  piazza  SS.  XII  Apostoli,  a  lire  10,  75  per  annata.  Si  spedisce  franco 
per  la  posta  a  tutta  PItalia  e  all'estero  al  prezzo  di  lire  11, 50.  Fuori  di  Roma 
si  possono  prendere  le  associazioni  presso  i  librai  seguenti  :  Torino  cav.  Pie- 
tro di  Giacinto  Marietti,  Venezia  tip.  Emiliana,  Parir/i  A.  Durami  rue  Cujas 
n.  9,  Londra  C.  J.  Steewart,  11  Ling  William  Street,  West  Strand. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 


— '^s^V^r-^^N^ri»' — 


I. 

RIVISTA  BIBLIOGRAFICA 

I.  Sei  Confutazioni  del  Dóllinger. 

1.  del  Dr.  Hergenròilier  —  2.  del  Dr.  Scheeben  —  3.  del  Dr.  Roth—  4.  di 
J.  Zaini  —  5.  del  Dr.  Friedhoff  —  6.  del  Dr.  Stòckl.  ' 

La  lotta  intorno  alla  infallib  lhà  pontificia  portò  alla  Germania  il  non 
piccolo  bene  di  accendervi  la  stampa  ad  una  robusta  polemica  religio- 
sa. Molti  furono  i  libri  e  gli  opuscoli  prò  e  contro,  di  cui  parlammo 
più  o  meno  largamente.  Ma  ce  ne  rimangono  parecchi  altri,  dei  quali 
pure  non  taceremo,  non  ostante  che  sia  definita  la  grande  quistione, 
riputando  utile,  che  i  nostri  lettori  conoscano  appieno  il  corso  della 
tenzone  e  ne  rimanga  documento  nella  storiai  Abbiano  il  primo  posto 
sei  confutazioni  del  Dóllinger;  e  voglia  Iddio  che  egli  già  non  sia  più  il 
Dóllinger  dei  mesi  passati.  Allora  dopo  che,  gittata  via  la  masche- 
ra, sotto  cui  si  era  nascosto  nel  Janus,  si  fu  messo  finalmente  a  fronte 
scoperta  alla  testa  del  partito  liberale  anticattolico,  la  polemica  in  Ger- 
mania sopra  le  questioni  del  Concilio  prese,  sua  mercè,  un'andatura 
più  risoluta  e  franca.  I  liberali  salirono  bensì  in  maggiore  audacia  e 
baldanza,  veggendosi  avere  dichiaratamente  per  capitano  colui  che  da 
molti  anni  godeva  in  quei  paesi  fama  di  oracolo  e  di  maestro  dei  maestri 
in  teologia;  ma  nel  tempo  slesso  i  cattolici,  sciolti  ornai  da  tutti  i  vin- 
coli di  amicizia  e  da  tutti  i  riguardi  di  riverenza  verso  l'antico  loro  duce 
e  commilitone,  disertato  cosi  turpemente  al  campo  nemico,  poterono 
parlar  più  chiaro  e  più  forte,  e  non  solo  render  vani  gY  inganni ,  in 
cui  molti  venivano  tratti  dal  nome  e  dall'autorità  del  Dóllinger,  ma  di 


160  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIÒ 

quest'autorità  medesima  giovarsi,  come  di  arma" polente  in  prò  della 
propria  causa.  Ciò  appare  specialmente  dai  diversi  opuscoli,  usciti  colà 
alla  luce  in  confutazione  delle  due  più  famigerate  scritture  che,  dopo  il 
Janus,  furono  dal  Dollinger  pubblicate  sopra  la  questione  deli* Infallibi- 
lità; Tuna,  sotto  il  titolo  di  Considerazioni  presentate  ai  Vescoci  del  Con- 
cilio {Ericàgungcn  fir  die  Dischi)  fé  des  Conciliums),  Tal  tra,  sotto  forma 
di  Dichiarazione  o  protesta  contro  la  Unfehlbarkeilsadresse,  cioè  contro 
la  petizione  fatta  da  più  di  400  Vescovi  al  Concilio  per  la  definizione 
dell  in  falli  ori  ita:  Dichiarazione,  in  cui  il  Dollinger  comparve  per  la  pri- 
ma volta  col  proprio  nome,  e  che  diede  occasione  a  parecchi  scanda- 
losi Indirizzi  d' adesione  (Zusllmmungsadresscn)  in  varie  città  di  AJema- 
gna.  Di  cotesti  opuscoli  daremo  qui  un  rapido  ragguaglio,  che  avevamo 
già  da  gran  tempo  in  pronto  per  la  stampa,  ma  non  potemmo  ancor 
pubblicare. 

1.  Die  «  IrrthUmef»  ron  méhr  als  vierhundert  Bischofen  und  ihr  theo- 
logischcr  Censor.  Ein  Beilrag  zar  Wiirdignng  der  con  Hcrrn  Dr.  von 
Dollinger  ter dffenf  Uditeti  «  Worle  iiber  die  Unfehlbarkeitsadresse  »  von 
prof.}.  0ERGENRÒTHER,  (Gli  «  errori  »  di  più  di  quattrocento  Vescovi,  e  il 
loro  censore  teologico.  Un  articolo  del  Prof.  Dott.  I  Hergenròther,  sul 
valore  delle  «  parole  sopra  la  petizione  per  T  infallibilità  »  pubblicate 
dal  Dottor  Dollinger.)  Friburgo  in  Brisgovia,  Herder,  1870.  Opuscolo 
in  8.'  gr.  di  pag.  46. 

L'illustre  Autore  àeìVAntirJanus  ben  merita  d'essere  nominato  in  pri- 
mo luogo  tra  i  confutatori  del  Dollinger.  Senza  entrare  tuttavia  in  espo- 
sizioni più  minute,  poiché  si  tratta  di  materie  ai  nostri  lettori  notissime, 
ci  basterà  il  dire,  come  l' Hergenròther,  togliendo  qui  ad  esaminare  ca- 
po per  capo  le  parole  del  Dollinger,  ne  mette  in  chiarissimo  rilievo  tut- 
ti i  sofismi  e  gii  errori,  e  ad  uno  ad  uno  li  ribatte  con  quella  medesima 
solidità  di  dottrina,  dovizia  di  erudizione  e  potenza  di  logica,  di  cui  già 
lutti  sanno  quanto  splendida  prova  egli  abbia  fatto  nel  confutare  il  la- 
nus:  ma  con  questo  vantaggio  eziandio,  che  laddove  nel  Janus,  a  cagio- 
ne della  sterminata  farragine  di  spropositi  d'ogni  fatta,  onde  quelle  468 
pagine  vanno  gremite,  egli  dovette  restringersi  a  confutarne  di  proposi- 
to i  più  massicci  soltanto  e  di  più  maligna  natura;  in  queste  «  parole  » 
al  contrario,  dove  non  può  negarsi  al  Dollinger  il  merito  della  brevità, 
il  suo  avversario  ha  potuto  avere  più  libere  e  spaziose  le  mosse  ad  una 
piena  confutazione,  la  quale  non  lasciasse,  per  dir  così,  un  solo  apice 
scorretto  senza  la  sua  correzione.  Nò  vogliam  tacere ,  come  ancor  qui 
egli  conserva,  in  mezzo  al  più  vivo  della  battaglia,  quella  inalterabile 
serenità  di  volto  e  placidezza  di  modi  che  già  notammo  w\Y Anti-Janus, 
e  che  dimostra  in  lui,  con  una  singolare  bontà  e  gentilezza  di  cuore,  un 
zelo  schiettissimo  della  pura  verità,  non  avente  altro  di  mira  che  il  ser- 
vigio della  fede  e  della  scienza  cattolica,  e  sommamente  studioso  di  sai- 


COSE  SPETTAMI  AL  CONCILIO  461 

vare  Ferrante  nell'atto  medesimo  di  combatterne  Terrore.  Onde  niuno 
gli  negherà  credenza,  quando  egli  protesta  (pag.  ì)  essergli  tornato 
«  sommamente  doloroso  il  dovere  impugnar  la  penna  contro  di  imo,  cui 
da  lungo  tempo  anch'egli  venerava  come  ornamento  e  colonna  della  Chie- 
sa cattolica  in  Germania,  e  che,  siccome  tale,  è  venerato  da  molti  anche 
oggidì.  »  Ciò  che,  mentre  accresce  il  merito  all'  Hergenròther,  dimostra 
altresì  quanto  la  sua  confutazione  debba  essere  tornata  opportuna  ed  uti- 
le a  quei  cattolici,  che  in  buona  fede  furono  fin  qui  ammiratori  e  idolatri 
del  Prevosto  di  Monaco. 

La  presente  scrittura  può  dirsi  un'appendice  de\Y  Anti-Janus  ;  e  sicco- 
me ù\Y  Anti- Janus  non  sappiamo  che  sia  stata  fatta  finora  niuna  risposta, 
così  siamo  sicuri  che  niuna  parimente  si  farà  alle  trionfanti  ragioni  di 
questa  Appendice.  Il  Dollinger  e  i  suoi  amici  conoscono  troppo  bene  il 
consiglio  del  Tempns  tacendi;  benché  troppo  male  intendano  e  mettano 
ancor  peggio  in  pratica  quello  del  Tempus  loquendi. 

2.  Neue  Erwàgungen  ilber  dieFrage  der  papstlichen  Unfchlbarkeit,  aus 
den  anerkann'en  historischen  Werken  D'óllinger's  urkundlich  zusammen- 
gestellt.  (Nuove  consideraz'oni  sopra  la  questione  dell' infallibilità  papa- 
le, raccolte  autenticamente  dalle  opere  storiche  del  Dollinger.)  Ratisbo- 
na,  Pustet  1870.  Opuscolo  in  8.°  di  pag.  48. 

«  Die  mànnliche  That  »  und  «  die  unwiderleg lìchen  Bemerkungen  » 
des  Herrn  Professors  von  Dollinger  —  E  in  freies  Wort  an  die  besnnnenen 
und  freisinnigen  Mànner  Kolns  und  Deutschlands,  von  Dr.  Joseph  Schee- 
ben  —  (  «  La  virile  impresa  »  e  «  le  irrefutabili  osservazioni  »  del  sig.  Pro- 
fessor Dollinger  —  Una  libera  parola  del  dottore  Giuseppe  Scheeben 
agli  uomini  savi  e  franchi  di  Colonia  e  dell' Alemagna)  —  2a  edizione, 
Colonia,  Mellinghaus.  Opuscolo  in  8.°  di  pag.  51. 

Il  dottore  Scheeben,  uno  dei  buoni  campioni  della  causa  cattolica  in 
Germania,  possiede  a  maraviglia  le  qualità  che  si  richiedono  a  fare  un 
eccellente  battagliere  nella  polemica  religiosa.  Oltre  un  solido  fondo  di 
dottrine  sicurissime,  ed  una  grande  agilità  di  penna  sempre  sguainata  e 
pronta  al  duellare,  egli  ha  una  singolare  destrezza  a  trovare  le  vie  più. 
pronte  ed  efficaci  di  conquidere  l'avversario,  ferendolo  nel  più  vivo, 
sicché  in  pochi  colpi  ei  sia  costretto  a  rendersi  per  vinto,  od  a  ritirarsi 
e  chiudersi  in  un  vergognoso  silenzio.  Noi  già  lo  vedemmo  alla  prova 
in  quella  sua  confutazione  del  Janus,  di  cui  altrove  parlammo;  confuta- 
zione brevissima,  ma  così  bene  ideata  e  condotta,  che  potè  bastare  da 
se  sola  a  rovinare  d'un  trattoli  credito  di  quel  famoso  libro.  Ed  ora  ne  ab- 
biamo un  altro  bel  saggio  nei  due  opuscoli  sopra  annunziati,  che  lo 
Scheeben  pubblicò,  appena  comparvero  le  nuove  scritture  del  Dollinger, 
ornai  non  più  nascosto  sotto  finti  nomi,  contro  l'Infallibili  tà  papale. 


462  COSE  SPETTAMI  AL  CONCILIO 

Nel  primo  di  quest'opuscoli,  lo  Scheeben  prese  a  confutare  le  Consi- 
derazioni presentate  ai  Vescovi  del  Concilio  sopra  la  questione  dell' infal- 
libilitàitevoro  anonimo,  ma  che  subilo  si  sospettò  essere  parto  del  Dòl- 
linger,  siccome  quello  che  portava  troppo  chiari  in  faccia  i  segni  di  fra- 
tellanza col  Janus:  né  quel  sospetto  guari  tardò  a  cambiarsi  in  certezza. 
Il  nostro  Dottore,  al  primo  scorrerle,  subito  le  ebbe  giudicate  per  quel 
che  erano,  vale  a  dire:  «  sotto  un  colai  lustro  di  novità,  non  altro  che 
vecchie  ciarpe  gallicane  e  sferrevecchie  febroniane,  cui  la  scienza  tedesca 
ha  già  da  lungo  tempo  sfatate  e  dichiarate  armi  del  tutto  inette  nella 
guerra  moderna,   in  cui  non  basta  puntare  ma  bisogna  anche  colpi- 
re I,  »  Poi,  risolutosi  di  pubblicare  a  comune  utilità  questo  suo  giudi- 
zio e  di  farne  toccar  con  mano  a  tutti  la  verità,  gli  parve  di  non  potere 
giunger  meglio  al  suo  intento,  che  servendosi  dell'autorità  stessa  del 
Doilinger,  e  contrapponendo  al  moderno  autore  delle  sciagurate  Conside- 
razioni Y  antico  autore  avite  Storia  Ecclesiastica,  del  Cristianesimo  e  Chie- 
sa al  tempo  della  fondazione,  della  Chiesa  e  Chiese,  e  di  altre  opere  prege- 
voli e  già  da  più  anni  in  tutta  la  Germania  accreditate.  Così  appunto  egli 
ha  fatto  nel  presente  opuscolo;  dove,  premessa  una  brevissima Inlrodu- 
sione,  in  venti  paragrafi  egli  distribuisce  e  recita  tutti  i  capitoli  delle 
Considerazioni,  ed  e  ciascun  capitolo  soggiunge  subilo  una  citazione  più 
o  meno  lunga,  tratta  dalle  Opere  antiche  del  Doilinger,  la   quale  dice 
esattamente  il  contrario,  e  confuta  mirabilmente  i  sofismi  e  le  menzogne 
del  Doilinger  moderno:  non  aggiungendovi  lo  Sheeben  del  suo,  se  non 
qualche  osservazione  o  qualche  Nota  appiè  di  pagina  per  mettere  in  mi- 
glior luce  l'argomento.  In  tal  guisa  sono  nate  queste  Nuoce  considera- 
zioni ;  le  quali  pertanto  debbon  dirsi  opera  del  Doilinger  anziché  dello 
Scheeben,  e  non  sono  veramente  nuove,  se  non  in  quanto  che  è  conve- 
nuto dar  loro  nuova  luce  ed  attualità:  rinfrescandole  nella  memoria, 
in  prima  del  loro  padre  ed  autore,  il  quale  dovette  rimanere  non  poco 
stordito  e  confuso  nel  rafiìgurare  questi  suoi  parti  di  anni  più  floridi  e 
più  felici,  e  poi  in  quella  dei  leggitori  alemanni,  avvezzi  da  gran  tempo 
a  venerare  come  oracoli,  le  parole  del  Doilinger.  Ad  essi  avverrà  real- 
mente quel  che  i  nostri  vecchi  buonamente  credevano,  avvenire  ai 
morsicati  dalle  vipere,  di  trovare  cioè  nel  capo  delle  vipere  stesse,  ap- 
plicato in  sulla  ferita,   un  sicuro  antidoto.  Imperocché  se  mai  per  dis- 
grazia hanno  attinto  dalle  recenti  scritture  del  celebre  Prevosto  d 
naco  qualche  veleno,  troveranno  pronto   il  contravveleno  negli  scritti 
anteriori  del  medesimo,  cioè  in  quelli  in  cui  la  sua  scienza  splendeva  tut- 
tavia di  luce  pura  e  serena,  quiisi  in  un  bel  meriggio,  e  non  l'avcano 
per  anco  ofiuseata  né  i  fumi  dell'orgoglio,   né  gli  atri  vapori  di  8 
passioni,  né  le  nebbie  precoci  d1  un  precipitoso  tramonto.  Certo  è  ehe 

1  Neie;  Eriùigungen,  Introduzione. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  4bJ 

a  confutare  il  Dòllinger  non  polca  immaginarsi  metodo  più  compendio- 
so ed  efficace  di  quello ,  che  fu  qui  adoperato  dallo  Seheeben  ;  e  non 
sappiamo  che  cosa  possa  ri .  poudere  il  grand' oracolo  di  Monaco  a  que- 
sto suo  confa  latore,  che  ha  messo  in  cosi  Sagrante  e  luminosa  contrad- 
dizione i  suoi  responsi  d'oggidì  con  quei  di  ieri  l'altro.  Trista  condizio- 
ne, ma  giusta  pena  di  cotesti  ribelli  superbi;  il  doversi  vedere  sconfitti 
colle  proprie  anni  e  convertite  in  materia  di  confusione  e  di  condanna 
quelle  opere  medesime,  che  erano  un  dì,  e  doveano  essere  in  eterno,  la 
loro  gloria. 

Il  secondo  opuscolo,,  sopra  annuncialo,  è  volto  a  caratterizzare  e 
confutare  l'altra  scandalosissima  scrittura  del  Dòllinger ,  cioè  la  Dicìùa- 
razione,  da  lui  pubblicata  nella  Gazze'ia  d'Augusta  del  21  Gennaio, 
contro  la  Petizione  dei  Vescovi  per  l'infallibilità  Negli  Indirizzi  ed  elo- 
gi, con  cui  quella  Dichiarazione  fu  salutata  dalla  fazione  liberalesca  in 
Germania,  ella  venne  celebrata  innanzi  tutto,  come  atto  virile,  come 
nn  tratto  di  gran  coraggio  e  prova  d'animo  libero  e  generoso;  giacché 
ivi  il  Dòllinger,  uscendo  fuori  per  la  prima  volta  col  vero  suo  nome, 
«anifestavasi  al  mondo  autore  e  capo  di  quel  movimento  antipapale 
di  cui  già  da  più  mesi  era  stato  segretamente  l'anima.  Quanto  poi  alla 
sostanza  della  Dichiarazione,  cioè  agli  argomenti  in  essa  recati  contro 
la  dotlri  a  dell* Infallibilità,  essi  furono  gridati  a  pieno  coro  irrefuta- 
bili,  evidenti,  trionfanti,  tali  insomma  che  tutti  insieme  i  400  o  500 
Vescovi  della  Petizione  non  sarebbero  mai  più  bastati  a  strigarsene.  Or 
bene,  lo  Seheeben  ha  preso  qui  direttamente  a  ribattere  queste  due 
enormità  dei  lodatori  del  Dòllinger  ;  e  con  ciò  a  spogliare  la  sciagurata 
Dichiarazione  della  doppia  aureola,  onde  costoro  la  vollero  inghirlan- 
dare, siccome  opera  moralmente  eroica  e  scientificamente  apodittica. 
Cosi  spogliata,  e  ridotta  alla  sua  originale  nudità,  la  Dichiarazione  ri- 
trovasi esser  tale  appunto,  quale  lo  Seheeben  la  dipinge  fin  dal  princi- 
pio, nella  seguente  magnifica  ipotiposi  (pag.  4). 

«  Un'opera  tenebrosa  e  codarda;  un  tessuto  da  capo  a  fondo  di  gros- 
solane falsila  e  di  calunnie  nerissime;  un  peccato  contro  la  Chiesa, 
contro  la  scienza  e  contro  il  popolo  dei  credenti  ;  una  vergogna  per  la 
nostra  patria  alemanna.  Ed  è  (soggiunge  il  medesimo)  una  triste  prova 
del  quanto  siasi  fra  noi  oscurato  il  sentimento  religioso,  il  sentimento 
del  vero  e  del  dritto,  il  vedere  che  cotesta  opera  non  solo  non  provocò 
niun  grido  d' indegnazione  nella  Germania  cattolica,  ma  anzi  si  sono 
trovati  teologi,  i  quali,  niente  curandosi  della  propria  riputazione  di 
iastici  e  di  scienziati,  eccitarono  e  confortarono  il  Dòllinger  a  que- 
sto passo,  e  molti  altri  uomini  colti  tuttora  gli  fanno  ciecamente  plau- 
so. Quello  che  qui  noi  diciamo,  lo  dimostreremo  ,  e  Io  dimostreremo  ad 
evidenza  per  chiunque,  cme  uomo  saggio  e  riflessivo  non  si  lascia  me- 


464  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

nare  e  tirare  qua  e  là  dall'  opinion  pubblica,  e  come  onest1  uomo  cerca 
la  verità  e  nient'altro  cbe  la  verità.  » 

E  la  dimostrazione  qui  promessa,  lo  Scheeben  la  va  svolgendo  nelle 
seguenti  pagine,  con  tal  forza  e  splendore  di  ragioni,  che  niun  leggito- 
re, capace  d'intendere  e  d'amare  la  verità,  potrà  negargli  il  suo  interis- 
simo  assenso,  e  al  tempo  stesso  altamente  non  commendare,  insieme  col- 
la scienza,  l'egregio  zelo  che  gli  ha  pesta  in  mano  e  guidata  la  penna. 

3.  Beleuchlung  der  in  der  v.  Dóllinger'schen  Erklàrung  vom  19  Ia- 
miar  1870  ausgesprochenen  Princìpien,  von  Dr.  Laurenz  Max.  Roth, 
Professor  der  Pastoraltheologie  an  der  Universilàt  nnd  Inspector  des 
Kaili.  theol.  Convicls  zu  Bonn.  (Esame  dei  principii,  espressi  nella  Di- 
chiarazione del  Doliinger  del  19  Gennaio  1870,  dtjl  dottor  Lorenzo  Mas- 
similiano Roth,  Professore  di  teologia  pastorale  nell'Università,  ed 
Ispettore  del  Convitto  teologico-cattolico  di  Ronn.)  Paderborn,  Scho- 
riingh.  1870.  Opuscolo  in  8.°  di  pag.  30. 

Einige  freimiithige  Worte  zur  Orientirung  imd  Beruhigung  in  der 
Vnfehlbarkeitsfrage  an  alle  Frcunde  der  Wahrheil,  von  Dr.  Laurenz 
J\Iax.  Roth,  Professor  eie.  (Alcune  libere  parole,  indirizzate  a  tutti  gli 
amici  della  verità,  per  loro  schiarimento  e  quiete  riguardo  la  questione 
dell'Infallibilità,  dal  dottor  Lorenzo  Massimiliano  Roth  ecc.)  Paderborn, 
Schoningh,  1870.  Opuscolo  in  8.°  di  pag.  52. 

Amendue  questi  opuscoli,  usciti,  a  poco  intervallo  l'un  dall'altro,  dal- 
la penna  di  uno  dei  più  illustri  Professori  di  Ronn,  sono  rivolti  a  con- 
futare il  Doliinger,  e  a  difendere  e  chiarire  la  causa  dell'Infallibilità. 
Ma  nel  primo  l'Autore  si  restringe  ad  esaminare  e  ribattere  i  principii, 
sopra  cui  si  fonda  la  Dichiarazione  del  Doliinger  contro  la  Petizione  dei 
Vescovi,  e  che  sono  da  lui  espressi  nell'esordio  della  medesima  :  atter- 
rati i  quali,  le  difficoltà  ed  accuse  che  il  Doliinger  va  indi  paratamente 
movendo  contro  la  Petizione,  forza  è  che  perdano  anch'esse  gran  parte 
almeno  del  loro  vigore. 

Nel  secondo  invece,  il  Roth  spaziando  più  largamente,  abbraccia 
la  questione  dell'Infallibilità  sotto  i  suoi  varii  e  moltiplici  aspetti;  e  ne 
illustra  opportunamente  ai  bisogni  correnti  del  tempo  la  dottrina;  so- 
pratutto adoperandosi  a  disgombrare  dagli  animi  dei  cattolici  quelle 
false  apprensioni  e  paure,  onde  gli  avversarii,  e  alla  loro  testa  il  Dol- 
iinger, col  quale  anche  qui  egli  è  continuamente  alle  prese,  si  sono 
sforzati  di  intorbidarli,  col  fingere  a  loro  posta  una  intera  iliade  di  fu- 
nestissime conseguenze,  che  dalla  definizione  dommatica  dell'Infallibilità 
pontificia  infallibilmente  proverrebbero  alla  Chiesa,  alla  società,  al  mon- 
do intero.  In  tutti  e  due  gli  opuscoli,  il  Roth  poco  dice  del  suo  ;  aman- 
do piuttosto  di  lasciar  la  parola  a  Prelati^  Teologi  e  scrittori  illustri; 
come  a  dire,  al  Manning  e  al  Dechamps  e  al  Ketleler,  al  Liebermann  e 


COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO  465 

allo  Scavini,  al  Kleutgen  e  al  Ferraris,  all'Hcrgenròther  e  all'Hurter 
e  al  Dipinger  e  al  Dollinger  medesimo  di  tempi  migliori;  dei  quali  fa 
continue  e  lunghe  citazioni,  mirabilmente  giovandosene  al  suo  inten- 
to. Degno  in  ispecial  modo  di  vedersi  è  I1  uso  che  fa,  nel  secondo  opu- 
scolo (pag.  25,  45),  dell'autorità  dell1  Hurter;  e  come,  dopo  avere  re- 
cati due  stupendi  tratti  del  celebre  convertito,  nei  quali  tuttavia  non 
è  punto  parola  dell'  Infallibilità  papale,  egli  ne  trae  all'improvviso,  con 
una  serie  di  quattordici  domande  che  fa  al  lettore ,  una  intera  bat- 
teria, per  dir  così,  di  ragioni  stringentissime  in  prova  e  in  difesa  del- 
l'Infallibilità. 

In  un  solo  punto  ci  pare  che  l'Autore  abbia  inciampato,  ed  è  nostro 
debito  il  porlo  qui,  con  tutta  la  riverenza  che  gli  professiamo,  in  nota. 
Alla  pagina  29  del  primo  opuscolo,  confutando  il  sofisma,  con  cui  il  Dol- 
linger pretende  che  la  definizione  dommatica  dell' infallibilità  papale, 
fatta  dal  Concilio,  inchiuderebbe  un  circolo  vizioso,  perchè  il  Papa 
Terrebbe  a  dar  testimonianza  a  sé  stesso;  il  Roth  concede  all'avversario 
che,  «  se  il  Papa,  nella  sua  qualità  bensì  di  Capo  supremo  della  Chiesa, 
ma  senza  il  concorso  e  il  consenso  dell'Episcopato  rappresentante  la 
Chiesa  intera,  dichiarasse  la  propria  infallibilità,  questa  non  otterrebbe 
perciò  niuna  certezza  »  ;  soggiungendo  poi ,  essere  ben  altro  il  caso, 
quando  il  Papa  tal  dichiarazione  facesse ,  come  uno  dei  fattori  della 
Chiesa  docente  in  unione  con  tutto  l'Episcopato,  che  è  un  altro  fattore; 
perchè  in  tal  caso  entrerebbe  anco  il  terzo  fattore  infinitamente  più  al- 
to, cioè  lo  Spirito  Santo,  il  quale  renderebbe  la  decisione  infallibile. 

Secondo  il  Rolli  adunque,  il  Papa,  almeno  in  questo  caso  dove  si  trat- 
ta della  sua  propria  infallibilità,  non  potrebbe  da  sé  solo  pronunziare 
una  definizione  infallibile.  Se  l'illustre  professore  di  Bonn  si  compiacerà 
di  leggere  quel  che  noi  altrove  *,  confutando  il  medesimo  argomento 
del  Dollinger,  abbiamo  scritto  di  questa  materia,  ivi  troverà  le  ragioni 
dell'opposta  nostra  sentenza,  e  speriamo  che  ne  resterà  soddisfatto,  e  pie- 
namente chiarito  del  come  sia  da  sciogliere  il  sofisma  del  Dollinger,  sen- 
za fare  concessioni  incaute,  e  come  il  Papa,  anche  solo,  potesse  definire 
la  propria  infallibilità,  senza  cadere  in  niun  circolo  vizioso. 

i.  Einige  Bemerkungen  zu  Dollinger* s  Artifici  in  der  «  Avgsb.  Allg. 
Zeitung  »  vom  21  Ianuar  1870,  von  J.  Zahn.  (Alcune  osservazioni  sul- 
l' articolo  del  Dollinger  pubblicato  nella  Gazzetta  universale  di  Augusta 
del  21  Gennaio  1870,  di  I.  Zahn.)  Vienna  e  Gran,  Sartori,  1870.  Opu- 
scolo in  8.°  gr.  di  pag.  22. 

L'Autore  di  queste  osservazioni,  come  egli  stesso  ci  avverte  nel  pro- 
logo è  un  semplice  laico  cattolico  ;  il  quale,  al  primo  leggere  lo  scanda- 

1  Quaderno  478,  del  19  Febbraio  1870,  pag.  391  e  seug. 

Serie  VII,  voi.  II,  fase.  490.  30  11  Agosto  1870. 


466  COSE  SPETTA^ il  AL  CONCILIO 

loso  articolo  del  Dollinger  contro  la  Petizione  dei  Vescovi  per  V  infalli- 
bilità, non  potè  tenersi  alle  mosse,  sicché  non  prendesse  tosto  la  penna 
per  confutare  questa  sciagurata  scrittura,  e  rivendicare  la  dignità  della 
gran  maggioranza  dell'episcopato  cattolico,  co.>ì  iudegnamennic  calpe- 
stata da  un  sacerdote  cattolico.  Alia  vivaci  là  dello  zelo  in  questo  esimio 
laico  risponde  una  solidità  di  scienza  e  un  vigore  di  pernia,  che  molti 
cherici  si  pregerebbero  d'averne  altrettanto  :  ed  è  bello  a  vedere,  in 
queste  brevi  ma  nervose  pagine,  come  sotto  il  dente  critico  dello  Zahn 
la  dichiarazione  del  celebre  Prevosto  di  Monaco  resti  in  pochi  tratti  di- 
laniata, sconfitta  e  ridotta  in  polvere.  Né  meno  belle  sono  e  commoven- 
ti a  leggere  le  ultime  parole,  con  cui  egli,  in  line  della  sua  confutazione, 
deplora  l'articolo  del  Dollinger  come  un  {atto  lag  rime  l'olissimo  non  so- 
lo per  altri,  ma  innanzi  ad  ogni  altro,  per  lui  medesimo,  atteso  l'infelice 
prostituire  che  egli  ha  fatto  a  una  causa  così  trista  la  sua  celebrità,  la 
sua  scienza,  la  sua  fede  antica;  pur  consolandosi  in  ultimo  alla  speran- 
za, che,  al  proclamarsi  che  tosto  si  farà  dal  Concilio  Vaticano  la  definizio- 
ne dommatica  dell'Infallibilità,  «  ogni  cattolico,  qualunque  si  fo 
sua  opinione  intorno  all'opportunità  e  per  quanto  egli  siasi  lasciato  for- 
se trasportare  da  eccessiva  passione  fuor  dei  termini  nel  difendere  una 
preconcetta  sentenza,  si  soggetterà  all'  oracolo  infallibile  della  Chiesa, 
colonna  e  fondamento  di  verità.  » 

a.  Gcgcn-Erwàgungcn  uber  die  pàpstliche  Unfehlbarkeit ,  von  Dr. 
theol.  Franz  Friedhofe,  ausserordcntlichen  professor  der  Moral'hcologie 
an  der  Kòniglichen  Àkademie  zu  JJunstir.  (  Con  tro-consi  de  razioni  so- 
pra P infallibilità  papale,  del  dottor  teologo  Francesco  Friediiofc,  pro- 
fessore straordinario  di  teologia  morale  nella  reale  accademia  di  Mun- 
ster.)  2.a  Edizione,  accresciuta  e  corretta.  Miinster,  Russell,  1870.  Opu- 
scolo in  8.°  di  pag.  33. 

I  dieci  capitoli,  in  cui  è  diviso  questo  bel  lavoro  del  Friedhoff,  forma- 
no due  parti  ben  distinte:  l'una  tutta  dommatica,  l'altra  tutta  polemica. 
Nella  prima  che  abbraccia  i  due  primi  capitoli,  l'Autore,  con  un'arte  e 
maniera  tutta  sua  di  condensare  in  poche  parole  molte  cose,  ed  io  ogni 
cosa  andar  subito  al  midollo,  stabilisce  sopra  basi  di  ragioni  solidissime 
la  dottrina  della  Infallibilità  papale;  primieramente  dimostrando  dalla 
natura  medesima  e  costituzione  della  Chiesa,  coli' infallibilità  di  questa 
essere  necessariamente  e  inseparabilmente  connessa  l'infallibilità  perso- 
nale del  Papa;  e  poi  dalia  storia  ecclesiastica  provando,  questa  infallibi- 
lità papale  essere  stata  in  ogni  tempo  riconosciuta,  creduta,  invocata  ed 
esercitata.  Fra  le  altre  ragioni,  egli  fa  risaltare  con  molta  evidenza  gli 
inconvenienti,  anzi  gii  assurdi,  che  nascerebbero  nella  Chiesa,  dal  ne- 
gare al  Papa  un'autorità  infallibile  nel  decidere  le  quistioni  di  {'ada  e  di 
morale  :  genere  d'argomento  potentissimo  a  convincere  anche  le  intel- 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  467 

ligenze  più  rozze.  Se  il  Papa  può  errare  (dicegli),  nò  si  possono  avere 
definizioni  infallibili  fuorché  da  Concilii  ecumenici,  la  Chiesa  adunque 
sovente  dovrebbe  passare  interi  secoli  neir  errore  o  nel  dubbio  intor- 
no a  questioni  gravissime  e  spesso  anche  urgentissime,  di  domina  o  di 
costumi.  Inoltre,  all'aprirsi  di  un  nuovo  Concilio  ecumenico,  il  primo 
suo  e  più  incalzante  negozio  dovrebbe  essere  quello  di  esaminare  tut- 
te le  decisioni  di  fede  e  morale ,  date  dai  Pontefici  dall'  ultimo  ecu- 
menico in  qua,  e  condannare  quelle  che  trovasse  erronee.  E  così  l'odier- 
no Concilio  Vaticano  dovrebbe  cominciando  dalle  79  proposizioni  di  Ba- 
io, condannate  da  S.  Pio  V  nel  1567,  e  venendo  giù  fino  a  Pio  IX,  at- 
traverso Torrida  foresta  di  quelle  parecchie  centinaia  di  tesi  che  furono 
dalla  S.  Sede  censurate  e  proscritte  nel  Giansenio,  nel  Molinos,  nel 
Quesuello,  nel  Sinodo  Pistoiese  e  in  tanti  altri  più  o  meno  ereticanti  ; 
dovrebbe,  dico,  la  prima  cosa,  rivedere  tutte  queste  decisioni  papali, 
e  assicurare  finalmente  la  Chiesa  con  infallibile  sentenza,  quali  di  esse 
sieno  da  tenersi,  e  quali  da  trasandarsi  [Pag.  4,  5).  E  nuovamente: 
«  Se  il  Papa  può  fallire  in  dottrine  di  Fede  e  di  morale,  la  Chiesa  in  tal 
caso  diventerebbe  o  scismatica  o  fallibile:  sc:smatica,  se  nega  di  ubbidi- 
re alla  decisione  papale;  fallibile,  se  a  tal  decisione  ubbidisce  {Pag.  12.) 
Egregiamente  detto! 

Posta  in  sodo  la  vera  dottrina,  V  Autore  passa  nei  seguenti  capitoli, 
a  confutare  gli  errori  principali  del  Janus,  e  dello  scrittore  delle  Erwa- 
gmgen;  spesso  giovandosi,  e  specialmente  nelle  questioni  storiche,  del- 
l'autorità dell'antico  Dollinger,  cioè  dell'autore  medesimo  e  del  Janus  e 
delle  Erwcig angeli  moderne,  contro  le  quali  soprattutto  sono  indirizzate 
queste  Gegen-Erwàgungen  del  Friedhoft'.  Però  non  è  già  solo  il  Dollinger, 
a  cui  il  Professore  di  Mùnster  indirizzi  i  suoi  colpi;  ma  venendogliene 
il  bello,  dà,  quasi  di  passaggio,  un  po'di  casiigatoia  anche  al  professore 
di  filosofia,  Michelis,  già  da  noi  altrove  lodato  secondo  i  meriti;  il  qua- 
le, come  appare  da  un  suo  recente  opuscolo  intitolato:  Die  Versuchung 
Christi  und  die  Versuchung  des  Kirche  (La  persecuzione  di  Cristo  eia 
persecuzione  della  Chiesa),  vede;  nel  minacciato  domma  dell1  Infallibilità 
papale  lo  spettro  di  una  orribile  e  non  mai  più  veduta  persecuzione  con- 
tro la  Chiesa  di  Cristo.  Parimente  raggiusta  in  capo  le  idee  al  dottore 
Schulte,  professore  di  dritto  canonico  ali1  Università  di  Praga,  il  quale 
da  certi  argomenti  di  mons.  Maret  si  era  lasciato  ingarbugliare  a  crede- 
re che  fosse  assolutamente  impossibile  una  definizione  dommatica  della 
medesima  infallibilità.  Non  accade  soggiungere,  che  il  Friedhoff  si  mostra 
non  meno  valente  nel  confutare  gli  avversarli,  che  nello  stabilire  la  pro- 
pria dottrina;  usando  nell1  una  e  neh" altra  parte  del  suo  lavoro  la  mede- 
sima concisione  di  siile,  quanto  pieno  di  cose,  altrettanto  sobrio  di  pa- 
role; sicché  in  poche  pagine  egli  ha  saputo  condensare  ciò  che  altri  a- 
vrebbe  agevolmente  potuto  stendere  in  un  giusto  e  bel  volume. 


1G8  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

G.  Die  Infdllibilitat  des  Ohe  hauptes  der  Kirche  and  die  Zustimmungs- 
adressen  an  Ilerrn  e.  Dollinger,  namentlich  die  Miinster'  sche  von  Òr. 
Albert  Stòckl,  Professor  der  Philosophie  an  der  Kónigl.  Akademic  zu 
Miinsfer.  [V  Infallibilità  del  Cupo  della  Chiesa,  e  gì1  Indirizzi  di  adesio- 
ne al  sig.  Dollinger,  specialmente  quel  di  Miinster,  del  dolt.  Alberto 
Stòckl,  Professore  di  filosofìa  alla  Reale  Accademia  di  Miinsfer.)  28  edi- 
zione, Miinster,  Russell,  1870.  Opuscolo  in  8.°  gr.  di  pag.  40. 

Ecco  da  Miinster  un  altro  ardito  e  nobile  campione  dell'  Infallibilità, 
contro  il  Dollinger  e  contro  i  suoi  aderenti.  A  questi  secondi  è  vera- 
mente indirizzato  l'opuscolo  dello  Stòckl  ;  e  tutto  il  suo  discorso  ha  di- 
rettamente di  mira,  non  già  la  questione  dottrinale  per  se  medesima, 
ma  piuttosto  la  reità  morale  degl'  Indirizzi  di  adesione  al  Dollinger. 
Ma  ognun  vede,  che  e  la  censura,  fatta  agli  scolari,  prima  di  tutti  va  a 
ferire  in  capo  al  maestro;  e  la  reità  di  quelle  adesioni  non  può  mettersi 
in  chiara  luce,  altrimenti  che  prestabilendo  la  falsità  della  dottrina  da 
esse  approvata.  Ond'  è,  che  questa  requisitoria  dello  Stòckl  contro 
gln  Indirizzi  riesce  anch' ella  una  verissima  confutazione  degli  spropo- 
siti, accumulati  dal  Dollinger  nella  sua  Dichiarazione,  già  più  volte 
nominata;  e  confutazione  tanto  più  pregevole,  in  quanto  che,  oltre  la 
bontà  e  sodezza  della  dottrina,  che  ha  comune  colle  qui  sopra  lodate, 
porta  con  se  una  certa  novità  di  aspetti,  ancor  essi  degnissimi  di  essere 
in  questa  questione  considerati. 

Il  dottore  Stòckl  adunque,  appena  vide  appiccarsi  anche  alla  sua  Miin- 
ster la  febbre  del  liberalismo  antipapale,  e  parecchi  membri  di  quella 
illustre  Università,  rinomata  fino  a  quest'  ora  per  purezza  di  dottrine 
schiettamente  cattoliche,  dietro  lo  sciagurato  esempio  di  alcuni  profes- 
sori di  Breslavia,  di  Bonna  e  di  Praga,  essersi  fatti  anch'  essi  pubblica- 
mente complici  del  Dollinger,  approvandone  con  un  Indirizzo  la  Dichia- 
razione ed  esaltandola  come  irrefutabile  e  opera  di  gran  coraggio;  lo 
Stiickl,  diciamo,  riputò  essere  per  lui  «  un  dovere  e  un  punto  d'onore  il 
contrapporsi  e  protestare  pubblicamente  contro  cotesto  Indirizzo  al  Dol- 
linger »  (Pag.  7);  non  solo  col  fare  solenne  professione  dei  proprii  sen- 
timenti, ma  col  dimostrare  inoltre  l'indegnità  e  malvagità  dell'atto,  a 
cui  que' suoi  colleghi,  forse  senza  pesarne  prima  tutta  l'importanza,  si 
erano  lasciati  condurre. 

E  ciò  appunto  egli  fa  in  queste  pagine;  nelle  quali,  dopo  un  pream- 
bolo storico  dell1  agitazione  che  precedette  e  segui  la  Dichiarazione  del 
Dollinger,  si  occupa  principalmente  a  porre  in  rilievo  due  punti  capita- 
lissimi.  Primieramente,  enumerando  tutte  le  circostanze  che  maggior- 
mente aggravano  la  reità  dell'Indirizzo,  egli  mette  in  evidenza  la  falsità 
ed  enormità  delle  propos;zioni  del  Dollinger  che  ivi  si  approvano;  e 
l'insulto  orrendo  che  in  esso  s' inchiude  contro  l'Episcopato  cattolico  ra- 
dunato in  Concilio,  cioè  non  solo  contro  i  presso  a  500  Vescovi  che  sot- 


COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO  Ì69 

toscrissero  la  Petizione  e  che  formano  del  Concilio  la  maggioranza,  ma 
anche  contro  gli  altri  e  specialmente  contro  i  Vescovi  di  Germania,  tra 
i  quali,  se  alcuni  furono  e  sono  contrarli  all'  opportunità,  ninno  è  però 
che  quanto  alla  dottrina  slessa  dell1  Infallibilità,  approvi  gli  errori  e  le 
esorbitanze  del  Dòllinger,  siccome  i  costui  seguaci  vanno  vantando;  il 
quale  insulto  ai  Vescovi  è  tanto  più  grave,  se  si  consideri  la  qualità  dei 
sottoscrittori  dell1  indirizzo  di  Mtinster,  uomini  la  più  parte  laici,  e  co- 
mechè  dotti  nelle  scienze  profane,  stranieri  nondimeno  alla  teologia,  op- 
pure erigentisi  in  questa  a  giudici  e  maestri  contro  i  Vescovi.  A  cotali 
gagliarde  rimostranze,  piene  d'una  evidenza  spaventosa,  lo  Stock!  mette 
il  colmo,  spiegando  ai  medesimi  sottoscrittori  Y  orribile  condizione,  in  cui 
col  loro  Dòllinger  si  sono  messi,  in  una  condizione  cioè  sostanzialmente 
ereticale;  perocché,  sostenendo  essi  col  Dòllinger  che,  dove  il  Concilio 
definisse  di  lede  l'Infallibilità  papale,  introdurrebbe  nella  fede  un  erro- 
re, vengono  con  ciò  a  negare  il  domma  dell'  Infallibilità  stessa  della  Chie- 
sa, e  a  dichiararsi  anticipatamente  ribelli  a  tutti  i  decreti  del  Concilio, 
che  per  avventura  non  fossero  d'accordo  colle  loro  opinioni. 

L'altro  punto,  in  cui  lo  Stòekl  singolarmente  adopera  contro  gli  ap- 
plauditola del  Dòllinger  la  sua  stringente  eloquenza,  si  è  nel  mettere  in 
chiara  vista  la  vanità  e  sciocchezza  delle  paure  che  costoro,  ad  esempio 
del  loro  maestro,  hanno  o  mostrano  d'avere  dell1  Infallibilità  papale  e 
delle  conseguenze  che  la  sua  definizione  dommatica  porterebbe.  E  qui, 
giovandosi  di  quella  celebre  idea  del  De  Maistre,  che  ogni  autorità  su- 
prema, per  ciò  slesso  che  è  suprema,  dev'essere  in  un  certo  senso  infal- 
libile, si  allarga  sopratutto  a  provare  come  l'Infallibilismo  sia  cosa  ne- 
cessaria, non  meno  allo  Stato  che  alla  Chiesa,  non  meno  a  un  Monarca 
o  a  un  supremo  Giudice  laico  che  al  Pontefice.  E  quindi,  dall'esempio  ed 
analogia  dello  Stato,  trae  un  bellissimo  argomento  d'illustrazione,  che 
fa  toccar  con  mano  la  ragionevolezza,  V  utilità,  anzi  la  necessità  d'  un 
Pupa  infallibile  nella  Chiesa;  con  questa  differenza  però  che  dove  nello 
Stato  il  Giudice  supremo  non  è  infallibile  se  non  che  formalmente,  in 
quanto  che  le  sue  decisioni  legali,  benché  possano  essere  veramente  er- 
ronee ed  ingiuste,  hanno  tuttavia  vigore  assoluto  come  se  non  fossero 
soggette  ad  errore;  nella  Chiesa  al  contrario,  all'infallibilità  formale  si 
aggiunge  anche  la  materiale,  cioè  le  definizioni  della  suprema  autorità, 
non  solo  rispetto  all'obbligazione  morale  che  impongono,  ma  in  se  stesse 
e  nella  loro  materiale  contenenza,  sono  immuni  da  errore;  ciò  esigendo 
e  la  natura  stessa  di  quelle  definizioni,  e  la  natura  della  Chiesa  essenzial- 
mente diversa  da  quella  dello  Stato,  e  le  esplicite  promesse,  fatte  alla 
sua  Chiesa  da  Cristo. 

L1  opuscolo  dello  Stòekl  fece  sì  gagliarda  impressione  nel  pubblico, 
che  gli  autori  dell'Indirizzo  di  Mùnster  si  credettero  in  debito  di  fargli 
una  pubblica  risposta,  pigliando  le  difese  della  propria  condotta.  E  que- 


470  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

sta  risposta  apparve,  in  forma  di  lettera  indirizzata  al  medesimo  Stòck), 
nel  seguente  opuscolo:  A.  Stòckl  fùr  die  In  fai  libili  sten.  (A.  Stòckl  in  fa- 
vore degl'Infallibilisti.)  Ma  in  verità  ella  non  fa  grand"  onore  ne  al  pro- 
fessore che  la  scrisse,  né  a  quelli  che  la  sottoscrissero.  Lasciando  stare  i 
modi  insolenti  e  villani,  con  cui  ivi  è  bistrattata  la  persona  dell'avver- 
sario, il  quale  aveva  pur  dato  loro  tutt1  altro  esempio,  trattandoli  con 
ogni  riguardo  di  civiltà  neir  atto  stesso  del  combatterli,  quanto  alla  so- 
stanza, non  è  da  capo  a  fondo  che  un  tessuto  di  puerilità  meschine,  a  cui 
per  dare  qualche  corpo  ed  apparenza  non  basta  quel  po'  di  belletto  let- 
terario e  brillante,  onde  lo  scrittore  si  è  studiato  di  intonacarla.  La  po- 
vertà delle  ragioni  e  dei  raziocino,  o  piuttosto  dei  sofismi  e  dei  sotterfu- 
gi, con  cui  gli  avversari!  rispondono  alle  gravissime  e  stringentissime 
rimostranze  dello  Stòckl,  è  cosa  che  mette  compassione;  e  per  ciò  che  è 
scienza  teologica,  basti  dire  che  il  Gratry  è  il  loro  gran  teologo,  il  mae- 
stro in  cuius  verbo,  iurant,  citandolo  ad  ogni  pie  di  pagina;  e  che  il  fat- 
to di  Onorio,  maneggiato  alla  Gratry,  è  per  essi  l'argomento  unico,  ma 
argomento  sempre  invitto  e  bastevole  ad  annientare  d'un  solo  colpo  tut- 
te le  ragioni  degl'Infallibilisti.  Laonde  ha  gran  ragione  lo  Stòekl  di  di- 
re, com'ei  fa  m\Y  Appendice  delia  sua  2a  edizione,  che  coteste  Risposte 
de'  suoi  avversarli  presso  ogni  savio  e  intendente  cattolico,  è  riuscita  la 
miglior  difesa  e  conferma  che  egli  potesse  desiderare  al  suo  opuscolo. 

Ma  già  speriamo  che  queste  contese  siano  soltanto  memorie  di  storia 
passata,  e  che  tutti  quei  cattolici  tedeschi  di  buona  fede  che  non  furono 
convinti  dalle  ragioni  dei  lodati  opuscoli,  si  siano  già  arresi  di  tutto  cuo- 
re all'autorità  della  definizione. 

II.  Altri  scritti  in  difesa  dell'infallibilità. 

1.  Altre  difese  di  Onorio  —  2.  Altre  risposte  al  P.  Gratry,  a  mgr.  Dupanloup, 
a  mgr.  Maret,  al  Dr.  Dòllinger  —  3.  Altri  opuscoli  polemici,  teologici, 
istruttivi  —  4.  Opere  più  importanti. 

Se  come  ahhiam  fatto  de*  sullodati  opuscoli  tedeschi,  volessimo  dare 
una  rivista  anche  breve  di  ciascuno  di  tanti  altri  libri  e  libretti  che  an- 
cor ci  rimangono  intorno  all'infallibilità  pontificia,  non  sarebbe  cosa  da 
venirne  a  capo  sì  presto.  D'altra  parte  non  si  conviene  differire  di  più. 
Pertanto  ne  daremo  cosi  in  fascio  un  semplice  annunzio,  riserbandoci  a 
tempo  opportuno  di  tornar  sopra  qualcuno  de'più  importanti. 

1.  La  causa  di  Onorio  è  felicemente  finita  per  la  fede,  dovendosi  ora 
credere  che,  qualunque  sia  stato  il  suo  fallo,  certo  ei  non  insegnò  eresia 
ex  cathedra:  ma  per  la  scienza  la  causa  non  è  ancora  finita:  e  però 
non  vengono  troppo  tardi  due  opere  di  Ringoiar  merito  uscite  testé  in 
luce,  l'una  in  Francia,  l'altra  in  Olanda.  La  prima  s'intitolala  cause  d'Ho- 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  471 

norius.  Documents  originaux  acce  tradiiclion,  notes,  et  conclusion  (Pa- 
ris, V.  Palme.  In  4.°  di  pag.  126).  Le  traduzioni  sono  de  sigg.  Weill 
e  Loth;  le  note  e  la  conclusione  del  sig.  Arturo  Loth.  Àvevam  già 
formato  il  giudizio  di  questo  dotto  lavoro,  quando  ci  venne  sottocchio 
il  giudizio  che  ne  dà  l'egregia  Reme  du  monde  catholique  (10  luillet), 
Ci  e  grato  di  tradurre  le  sue  parole  d'elogio.  «  La  cause  a" Honorius. 
Magnifico,  assai  dotto,  assai  utile  e  decisivo  lavoro  del  nostro  amico, 
sig.  Lolh  :  lavoro  che  sarebbe  degno  della  erudita  e  laboriosa  Germania, 
che  ultimamente  non  si  è  guari  distinta:  lavoro  che  fa  onore  alla  scienza 
francese,  e  mostrerà  a  tutti  gli  avversarli  dell'infallibilità  pontiiìcale  che 
quelli  che  la  di  Tendono  non  temon  punto  la  luce,  che  anzi  la  cercano  e 
non  fanno  che  spargerla  in  abbondanza.  Ecco  la  causa  d'Onorio,  ecco  i 
documenti,  testo  greco,  testo  latino  e  traduzione  francese:  ecco  le  fa- 
mose lettere  del  Papa,  e  i  decreti  dei  Conciiii,  e  il  testo  del  Liber  diur- 
nus,  eie.;  ecco  tutto  l'arsenale  d'onde  il  P.  Gratry  ha  cavato,  ma  con 
iscelta,  i  testi  e  i  fatti,  non  prendendo  altro  che  le  testimonianze  contra- 
rie e  rigettando  le  altre.  Or  qui  tutto  è  completo,  chiaro,  decisivo;  e 
dopo  ciò  è  già  impossibile  alla  buona  fede  di  sostenere  che  Onorio  abbia 
insegnata  un'eresia  ex  cathedra.  » 

L'altro  dotto  lavoro  s'intitola  De  Honorii  Papae  epistolarum  corru- 
ptione,  scripsit  Gasp.  Jos.  Mart.  Bottemanne,  Decanus  et  Parochus  ad 
S.  Io.  Bapt.  in  Soeterwoude,  olim  S.  Theol.  prof  in  sera.  Warmonda- 
no  dioeceseos  Harlemensis  (Bosco-duci,  a  pud  H.  Bogaerts.  In  8.°  di  pa- 
gine 127).  L'erudito  e  critico  autore  sostiene  che  son  veramente  di 
Onorio  quelle  parole  dell'una  volontà  in  Cristo,  da  lui  dette  in  senso 
cattolico,  fraintese  dai  monoteliti,  ed  ottimamente  spiegate  da' suoi  di- 
fensori; ma  che  non  sono  punto  di  Onorio,  ma  intruse  e  falsate  da 
Macario,  quelle  riprovevoli  parole  che  comandano  il  silenzio  alle  due 
parti  :  quindi  Onorio  sarebbe  innocente  anche  di  quella  colpa  per  cui  sa- 
rebbesi  condannato  per  errore  di  fatto.  La  sentenza  del  Dr.  Bottemanne 
non  è  nuova;  ma  è  ornai  andata  in  disuso  e  quasi  antiquata  :  ora  però 
posta  in  nuova  luce  può  chiamare  a  se  novamente  l'attenzione  dei  cri- 
tici: in  ogni  modo  si  legge  assai  volentieri  per  la  luce  che  gitta  sopra 
tutta  la  controversia  monotelitica. 

Alle  tante  altre  difese  di  Onorio,  che  abbiamo  altrove  lodate,  aggiun- 
giamo ancor  le  seguenti  :  quella  dell'ai).  Bélet;  La  chute  du  Pape  Ho- 
7iorius  et  la  mission  de  M.  Vabbé  Gratry  (Tourcoing,  in  8.°  di  pag.  32): 
quella  dell'ab.  Dcfaut  ;  La  verité  sur  le  Pape  Honorius  (Avignon,  in  12.*  ): 
quella  dell'ab.  Rambouillet;  Le  Pape  Honorius  (Paris,  in  8.°)  :  quella 
del  P.  Pététot;  Post-scriptum  sur  Honorius  (Paris,  in  12.°):  quella 
dell'ab.  Rivière;  Le  Pape  Honorius  et  le  gallicanisme  moderne  (Ni- 
mes,  in  8.°)  :  quella  dell'ab.  Larroque;  La  questioni  d' Honorius.  Lettre  à 
M.  Gratry  (Toulouse,  in  8.°  di  pag.  20):  quella  dell'ab    Coldefy;  Le 


Ì72  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

Pape  Honorius  et  M.  Vabbé  Gralry  (Paris,  in  8.°)  :  quella  dell'ai).  Ro- 
ques;  képonse  à  la  lettre  du  P.  Gratry  (Lavaur  in  8.'  di  pag.  53):  quel- 
le dell'ab.  Colin;  Le  Pape  Honorius.  Jìéponse  au  Jì.  P.  Gratry  (Mont- 
real, in  8.°  di  pag.  41  );  oltre  altre  difese  di  Onorio  che  si  contengono  in 
altre  risposte,  specialmente  al  Gratry;  e  ciò  solo  di  libretti  stampati  a 
parte,  per  nulla  dire,  secondo  il  nostro  costume,  di  tanti  articoli  in  difesa 
di  Onorio  che  si  sono  pubblicati  nelle  riviste  cattoliche. 

2.  Daremo  altresì  nulla  più  che  semplici  annunzii  di  altri  opuscoli  di 
controversia  più  generale  intorno  all'infallibilità.  Parlarne  minutamente 
è  ornai  troppo  tardi  :  tacerne  affatto,  sarebbe  troppa  lacuna  nella  nostra 
rivista  bibliografica  intorno  al  Concilio.  Basti  dunque  accennare  l'altra 
lettera  deli'Ab.  Roqies  in  risposta  alla  2.a  lettera  del  Gratry;  Jìéponse 
à  la  2me  lettre,  ecc.  (Lavaur,  Vidal,  in  8.°  di  pag.  107)  :  parimente  l'al- 
tra :  Réponse  a  la  2,ne  lettre  de  M.  Gratry,  par  M.  Larroque  (Carcasson- 
ne,  Pollére,  in  8.°  dì  pag.  36)  :  la  versione  inglese  della  Difesa  della 
Chiesa  Romana  contro  il  P.  Gratry  di  doni  Guéranger,  fatta  da  un  Be- 
nedettino inglese,  il  P.  W.  Woods,  con  una  stupenda  introduzione  di 
un  altro  Benedettino  inglese,  il  P.  R.  B.  Vaughan:  Def enee  of  the  Roman 
Churcli  ecc.  (London,  R.  Washbourne,  in  8.°  di  pag.  56).  D'un  altra 
operetta  parleremo  forse  altra  volta:  Le  chant  du  cygne  Gallicani  Pa- 
roles  ci  musique  du  P.  Gratry  executé  après  jugement  préalablc  par 
/.  Loyseau  (Paris,  Dillet  in  16.*  di  pag.  266).  Un  titolo  somigliante 
ha  un'altro  opuscolo  di  un  Vescovo  nel  Canada  in  risposta  a  monsignor 
Dupanloup  :  Le  derni, r  chant  du  cygne  sur  le  lumulus  du  Gallicanisme  ; 
Réponse  à  mgr.  Dupanloup  par  mgr.  Pinsoneault  Ecèque  de  Byrtha 
(Montreal,  in  8.°  di  pag.  48):  parimente  un'altra  risposta  dell'  abbate 
M.  Magendie:  Sophismes  etc.  (Paris,  A  Rochette,  in  16.°  di  pag.  80). 
E  già  troppo  tardi  di  parlare  e  basta  annunziare  un'  altra  risposta  a 
mgr.  di  Sura:  Mgr.  Marti  et  le  Concile  du  vatican,  ou  simple  coup-d'oeil 
d'un  catholique  sur  le  livre  intilulé:  Du  concile  general  et  de  la  paix 
religieuse,  par  un  ancien  prtfesscur  de  Theologie  (Lyon,  Briday,  in 
8.e  di  pag.  103).  Di  altre  risposte  al  Dr.  Dòllinger,  oltre  le  arrecate 
di  sopra,  e  d'altri  opuscoli  tedeschi,  siccome  per  la  lingua  men  noti  in 
Italia,  daremo  a  suo  luogo  qualche  più  distinto  ragguaglio. 

3.  A  sgombrare  le  solite  difficoltà,  i  tanti  dubbi  e  timori  che  si  oppo- 
nevano alta  definizione,  fu  diretto  un  bel  discorso  inglese,  altrove  da  noi 
accennato,  del  P.  Gallwey  d.  C.  d.  G.  intitolato:  S.  Joseph  and  the  vati- 
can Council  (London,  Burns,  in  8.'  di  pag.  40);  e  allo  stesso  scopo 
principalmente  fu  pur  diretta  con  vittoriosa  polemica  una  Lettera  di 
mgr.  D  Domenico  Arnaldi  al  prof.  D.  Pietro  Jìalan,  in  risposta  ad  un 
articolo  di  Alessandro  Chierici  (Modena,  in  8.°  di  pag.  16).  Abbiamo 
pur  sotto  degli  occhi,  stampalo  a  parte,  un  articolo  estratto  dal  Memo- 
ria! Catholique,  intitolato:  V  opposition  moderne  à  l'au  forile  ponti  fi- 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  473 

cale  chi  chef  de  V Èglise  (Orléans,  Constant,  in  8.°  di  pag.  8),  e  se- 
gnato dal  Can.  Meslè,  Curato  decano  di  N.  S.  di  Rennes;  il  quale  ap- 
pena fatta  i  la  definizione  ha  scritto  alcuni  versi  popolari  francesi  sot- 
to il  titolo  Te  Delira  laudamus  (Rennes,  imp.  de  H.  Vatar). 

Appartengono  pure  alla  controversia  felicemente  or  terminata  intor- 
no all'infallibilità  due  pregevoli  scritti  latini  di  due  Padri  del  Concilio,  il 
Vescovo  di  Mondovì  e  il  Rino  P.  Ministro  Generale  dell'Ordine  dei  Min. 
Cappuccini.  Il  primo  opuscolo  s'intitola:  Refutatio  nonnullorum  ex  prae- 
cipuis  erroribus  de  inerrantia  Summi  Pontifìcis  et  huiusmodi  dogmatica 
definì  (ione,  Opusculum  Fr.  Ioanms  Thomae  Ghilardi  Ord.  Praed.  Epi- 
scopi Jlonlisregalis  (Taurini,  Marietti,  in  8.°  di  pag.  14).  A  questo  e 
ad  altri  suoi  dotti  lavori  l'infaticabile  Vescovo  ha  aggiunto  la  pubblica- 
zione d'un  altro  prezioso  opuscolo  del  Turrecremata  in  prova  insieme  e 
in  difesa  dell1  Infallibilità:  De  inerrantia  Romani  Pontifìcis  ex  cathedra 
definientis  suffragium  praeclarissimi  Card,  lo.  Turrecremata  0.  PP.,  Le- 
gati  Pontificii  ad  Concilium  Basileense,  deinde  ad  Concilium  F  orenti- 
num  Latinorum  oratoris,  ex  aureo  illius  opere:  Summa  de  potestate 
papali,  depromptiim  et  Ree.  Patribus Concili  Vaticani  exhibitum (Tauri- 
ni, Marietti,  in  8  °  di  pag.  42).  L'altro  opuscolo  del  Rino  P.  Generale  dei 
Cappuccini  s'intitola:  Quaedam  absurda  quae  ex  opinione  errantiae  Ro- 
mani Pontifìcis  necessario  exoriun'ur,  per  Fr.  Nicolaum  a  S.  Ioanne, 
Min.  gen.  Capuccinorum  (Romae,  Salviucci,  in  16.°  di  pag.  44);  il  quale 
opuscolo  non  è  solo  polemico  in  difesa  dell'infallibilità  pontificia,  ma 
vuol  portar  insieme  direttamente  1'  offesa  nel  campo  nemico. 

Si  sono  pur  pubblicate  due  erudite  lettere  di  altri  due  Padri  del  Conci- 
lio :  Epistolae  duae  de  infallibitibus  Summi  Pontifìcis  ex  cathedra  loquen- 
tis  in  rebus  fidei  et  morum  dfcretis  sire  iudiciis  (Taurini,  Marietti,  in 
8.°  di  pag.  18),  nelle  quali  l'Arciv.  di  Amadia,  mgr.  Khayatt,  rito  et 
genere  Chaldaeus,  e  il  dottissimo  orientalista  mgr.  Bailles,  già  Vescovo 
di  Lucon,  mettono  in  luce  la  credenza  dei  cattolici  Caldei  nella  dottrina 
dell'infallibilità  pontificia,  specialmente  secondo  il  loro  classico  Manuale 
d'istruzione  o  Specchio  di  dottrina  (Makzitha  mricta)  scritto  dal  loro 
Patriarca  Giuseppe  il. 

La  trad  zione  della  grande  Chiesa  di  Milano  vien  pur  messa  in  luce 
nell'opuscolo:  5.  Ambrogio  e  t' infallibilità  ponti  fu  in  del  sac.  Angelo 
Taglioretti,  0.  51.  D.  R.  (Milano,  Civelli,  in  8.°  picc.  di  pag.  110);  il 
qua!  lavoro  è  una  degna  appendice  ai  suoi  Stuelli  sul  Giansenismo  e  sul 
Gallicanismo,  da  noi  altrove  lodati. 

La  tradizione  dei  Concilii  e  dei  Padri  intorno  all'  incal!ibiltà  pontificia 
fu  pure  raccolta  in  un  opuscolo  di  altro  autore  da  noi  spess  >  odat  -,  il 
P.  Gaspare  Luise  de'pii  Operarii:  De  infalli'n  i  a' e  Romani  Pm'ifìcis, 
supplex  votum  (Neapoli,  typis  Fibrenianis,  in  8.°  di  pag.  XXIX).  Questi 
tradizione  universale  è  pur  brevemente  ricordata  in  uaa  professione  di 


474  COSE  SPETTAMI  AL  CONCILIO 

fede,  stampata  da  un  teologo  del  Concilio,  la  quale,  poiché  fu  segnala 
da  molti  teologi,  e  segreta rii  di  Vescovi  quando  eran  presenti  nelle  tri- 
bune dell'aula  alla  Sessione,  potè  dirsi  fatta  corani  SS.  D.  N.  Pio  PP.  IX, 
come  si  legge  nel  titolo  :  Profemo  [idei  de  penti  fida  infallibilitale,  ctc. 
(Romae,  Salviucci,  un  foglio  in  4.°  gr.) 

4.  Ci  restano  altresì  a  lodare  tre  altri  opuscoli,  per  istruzione  popolare, 
tutti  d'autori  già  da  noi  altre  volte  lodati:  L'infallibilità  del  Papa.  Dia- 
logo del  can.  Or\zio  Bertoni  (Roma,  Monaldi,  in  16.*  di  pag.  51.)  — 
Accogliamo  con  amore  !a  verità,  Dialogo  tra  un  prete  e  un  laico  catto- 
lico, pel  sac.  Liborio  Rossi  (Milano,  Fogliarli,  in  32.°  di  pag.  63.)  — 
La  doctrine  de  V  infaillibilité  brièrement  exposée  aux  gens  du  monde 
$ar  P.  Marin  deBoylesve,  S.  J.  (Poitiers,  Bonamy,  in  16.°  di  pag.  36). 

11  can.  don  P.  Pazzaglia  in  un  suo  discorso  popolare,  intitolato  :  La  in- 
fallibil  là  pontifìcia  (Bologna,  Mareggiane  in  16.*  di  pag.  32),  fa  sentire 
come  la  prerogativa  di  Pietro  si  continua  ne1  suoi  successori  :  e  il  march. 
Ignazio  Vitelleschi  degli  àzzi,  patrizio  di  Foligno  e  di  Roma,  in  una 
sua  prosa  poetica  intitolata  :  Le  due  corone  (Àsisi,  Sensi,  in  8.°  di  pag.  6), 
rappresenta  Pio  IX  coronato  della  definizione  dell' infallibilità,  dopo  di 
aver  coronato  Maria  colla  definizione  dell'  immacolato  Concepimento. 

Non  vorremmo  stancare  i  lettori  eoa  un  più  lungo  elenco  di  titoli;  ma 
forse  sarà  grato  ai  più  di  aver  per  ora  anche  i  titoli  d'altri  libri,  i  qua- 
li per  l'ampiezza  e  profondità  della  trattazione  meritano  una  speciale  ri- 
vista. Sotto  il  titolo  di  Entretiens  théologiques  (Toulous,  E.  Privai,  in 
16.°  di  pagine  430)  uscì  testé  in  luce  un  trattato  del  R.  P.  Antonio  Ma- 
ria, Missionario  Cappuccino,  intorno  al  Conciio  e  all' infallibilità.  Si 
estende  più  oltre  della  controversia  dell'infallibilità  un  altro  volume 
dell'Abbate  Planté,  intitolato  :  Le  (Jallican>'sme  et  le  Jansenisme  com- 
parés,  depuis  1682  jusqii  à  nos  jours  (Nantes,  Maseau,  in  16.*  di  pa- 
gine 448).  Risguarda  insieme  l'infallibilità  dilla  Chiesa  docente  e  del  Pa- 
pa un  libro  intitolato:  De  V infaillibilité  doctrinale  attaché?  au  caraetére 
apostolique  de  VEglise  par  E.  De  Marin  (Paris,  Perisse,  in  8.°  di  pagi- 
ne 102).  Similmente  il  eh.  P.  Semenenko,  rettore  del  collegio  pontificio 
dei  Polacchi  in  Roma,  ha  teste  pubblicato  il  primo  libro  di  una  sua  ope- 
ra teologicofìlosofica:  Quid  Papa  et  quid  est  episcopati^  ex  aeterna  ac 
divina  ratione  nec  non  quae  eorum  partes  in  Ecclesiae  infallibili  ma- 
gistero (Romae,  typis  S.  C.  de  prop.  Fide,  in  8.°  di  pag.  148).  Final- 
mente è  pur  testò  uscita  in  luce,  dai  tipi  dell' 'Osservatore  Romano,  una 
eruditissima  monografìa  teologico-liturgica:  De  authentico  romani  Pon- 
tificis  magisterio  solmne  t  stimonium  ex  monimentìsr  liturgicis  Eccle- 
siae universae  deprompsit  M.  A.  Rampolla  presbyler  (Romae,  in  8.° 
di  pag.  133).  Di  questi  dotti  lavori  parleremo  a  miglior  agio:  intanto  i 
nostri  lettori  da  questi  cenni  possono  arguire  come  la  controversia  della 
infallibilità  abbia  giovato  insieme  alla  scienza  e  alla  fede. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  475 


III.  Risposte  a  due  libelli. 

Ancor  due  parole  intorno  ad  altri  opuscoli  d'interesse  attuale  e  per 
se  e  per  la  polemica  intorno  ali1  infallibilità. 

Benché  di  altro  argomento,  pure  di  fatto  ha  stretta  relazione  colla 
già  finita  controversia  dell1  infallibilità  pontificia  un  erudito  e  stringente 
opuscolo:  De  suffragiorum  plur  alitate  in  Conciliis  oencralibus ,  conlra 
LTunanimité  dans  les  Conciles  oecuméniques,  per  Iosephum  Pennacchi 
in  Romana  studiorum  Vnicer  sitate  hisloriae  ecclesiasticae  professorem 
substitutum  (Romae,  Gentili,  in  8.'  di  pag.  28).  Il  fantasma  della  formi- 
dable  minor  ite  vi  è  ridotto  in  polvere,  con  argomenti  di  diritto  e  di  fat- 
to. L'opuscolo  fu  scritto  mentre  era  ancor  viva  la  controversia ,  ma  per 
varie  circostanze  estrinseche  ne  fu  differita  la  stampa;  e  noi  non  voglia- 
mo ancora  differirne  l'annunzio.  Si  chiedeva  pure  la  stampa  d1  un  altro 
opuscolo  d'un  altro  eh.  professore  sullo  stesso  argomento:  ma,  come 
altri  voti  di  teologi  pontifìcii,  fu  stampato  privatamente  per  uso  del  Con- 
cilio e  non  pubblicato,  ed  ora  possiamo  ben  dire,  la  Dio  mercè,  che  la 
controversia  è  finita  1. 

Colla  medesima  controversia  della  infallibilità  pontificia  ha  stretta  re- 
lazione il  famoso  libello:  La  dernière  heure  du  Concile.  Il  Vescovo  di 
Troyes,  Mgr.  Ravinet,  ha  l'onore  di  essere  stato  il  primo  a  constarlo 
in  una  sua  lettera  a  un  amico  pubblicata  in  varii  giornali  e  stampata 
anche  a  parte:  Lettre  de  Mgr.  V  Éièque  de  Troijes  à  un  de  s?s  amis  au 
sujH  de  la  brochure:  La  dernière  heure  du  Concile  ;  ma  è  grande  di  ono- 
re del  vecchio  Gallicanismo  che  in  questo  opuscolo,  il  quale  può  dirsi  la 
sua  dernière  heure,  esso  sia  morto  nel  fango  da  impenitente,  invocando 
persino  per  disperazione  in  quel!1  ultim1  ora  un  Luigi  XIV  e  un  Giu- 
seppe II.  Questa  circostanza  è  notata  dal  Vescovo  di  Troyes  nel  fine  del- 
la sua  lettera.  Anche  mgr.  Elloy,  Vescovo  di  Tipasa,  coadiutore  del  Vi- 
cario Apostolico  deir  Oceania  centrale,  scrisse  subito  ali1  Univers  una 
bella  lettera,  specialmente  in  difesa  dei  Vicari i  Apostolici  e  della  Propa- 
gandaci indegnamente  trattati  in  quel  calunnioso  libello.  V  Avenir  ca- 
tholique  del  30  Luglio  riporta  questa  lettera  e  insieme  a  titolo  di  docu- 
mento, com'egli  dice,  anche  tutto  il  libello. 


1  II  Genio  Cattolico  ha  impresa  la  versione  dell'opuscolo  del  P.  Steccahella  contro  la  nuova 
dottrina  dell'unanimità,  e  del  P.  Ballerini  contro  la  famosa  disquisizione  morale;  e  1  ha  annun- 
ziata nel  1.°  quaderno  di  Luglio  con  tali  parole  di  lode  per  gli  autori  e  per  la  Civiltà  Cilloli<a, 
che  noi  non  possiamo  a  meno  di  renderne  grazie  pubblicamente,  e  di  ricambiare  con  fraterno  affetto) 
queir  egregio  periodico  che  tanto  onora  V  Emilia. 


476  COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO 

II. 

NOTIZIE  VARIE 

1.  Riflessioni  della  slampa  cattolica  intorno  la  1Y  Sessione  —  2  Quadro  della 
votazione  alla  IV  Sessione  —  3.  Adesione  dei  Vescovi  alla  definizione  — 
*  4.  Osservazioni  della  stampa  cattolica  sui  voti  dei  Vescovi  di  varie  nazio- 
ni —  5.  Opposizione  dell'Austria  e  dell1  ex-padre  Giacinto  —  6.  Indir  zzi 
della  Società  della  Gioventù  cattolica  italiana  al  S.  Padre  e  al  Consilio  — 
7.  Te  Deum  a  S.  Pietro  in  vinciila  —  8.  Preghiere  e  pie  opere  pel  Concilio, 
e  Breve  di  S.  S.  al  Vescovo  di  Verona. 

1.  La  stampa  cattolica  è  stata  unanime  nel  riconoscere  la  mano  di  Dio 
nelle  circostanze  della  IV  Sessione.  Tutti  riconoscono  un  avvenimento 
provvidenziale  nella  più  che  morale  unanimità  dei  suffragi  e  nella  vo- 
lontaria astensione  degli  oppositori.  Chi  mette  in  rilievo ,  qual  una 
qual  altra  circostanza,  che  sembra  provvidenziale;  soprattutto  Tessersi 
tenuta  la  Sessione  appunto  prima  dello  scoppiar  della  guerra  franco- 
prussiana. Pare  che  la  mano  di  Dio  tenesse  a  freno  gli  eserciti  finché  la 
Chiesa  non  avesse  data  la  grande  definizione,  e  che  solo  allora  abbia  la- 
sciato il  freno,  e  ciò  stesso  forse  anche  a  vantaggio  di  quella  stessa  de- 
finizione. Se  la  guerra  fosse  scoppiata  prima,  forse  non  sarebbe  stato 
possibile  di  trattenere  i  Vescovi;  e  lo  scoppio  della  guerra  immediata- 
mente dopo,  ha  lasciato  in  pace  la  Chiesa,  chiudendo,  per  così  dire,  la 
bocca  alla  stampa  anticattolica  e  volgendo  le  menti  a  ben  altri  pensieri 
che  a  spropositare  contro  la  verità  per  sempre  definita.  Nei  fragorosi  e 
devoti  applausi  chi  ha  notato  T  acclamazione  dei  Padri  unita  mirabilmen- 
te alla  più  matura  discussione,  e  chi  ha  osservato  nei  fedeli  il  rinnova- 
mento di  quel  sacro  entusiasmo  col  quale  fu  accolta  la  definizione  del  Con- 
cilio di  Efeso,  pur  combattuta  da  alcuni  come  inopportuna;  e  nello  stesso 
temporale,  che  occorse  appunto  nel  tempo  della  Sessione,  chi  ha  raffigu- 
rato poeticamente  le  ire  impotenti  del  nemico  infernale,  chi  un  tempe- 
stoso funerale  del  gallicanismo,  chi  i  fulmini  del  Vaticano  contro  Terrore, 
chi  la  voce  di  Dio  quasi  da  un  nuovo  Sinai  :  insomma  tutte  ìe  circostanze 
ancor  più  minute  han  dato  pascolo  alla  mente,  al  cuore  ed  alla  fantasia 
per  accogliere  religiosamente  Toracolo  della  definizione.  La  stampa  cat- 
tiva, non  sapendo  ornai  più  che  dire,  si  è  volta  ad  ingrandire  e  gonfiare 
lo  scandalo  dei  Non  placet  nella  Congregazione,  e  degli  Ahest  nella  Ses- 
sione: ma  anche  in  ciò  è  stata  ridotta  a  vergognoso  silenzio  dalla  stam- 
pa cattolica. 

2.  Noi  che  per  giusto  riserbo  non  abbiam  fatto  quasi  mai  parola  della 
minoranza,  or  trattandosi  d'un  fatto  sì  pubblico,  non  l'arem  altro  che 


COSE  SPETTAMI  AL  CONCILIO  477 

copiare  dalla  corrispondenza  romana,  pubblicata  ndY  Osservatore  cattoli- 
co di  Milano,  dei  29  Luglio,  il  Quadro  della  votazione  alla  Sessione  IV, 
clic  possiamo  credere  abbastanza  esatto. 

«  Per  metter  (ine  (se  è  possibile)  alle  ciarle  dei  giornali,  eccovi  il  nu- 
mero dei  Padri  intervenuti,  e  dei  mancanti  alla  IVa  Sessione  solenne  del 
Concilio  vaticano. 

*Emi  lìmi  Cardinali.  Ne  erano  in  Roma  48;  avendola  gravissima  età 
o  altro  insuperabile  impedimento,  trattenuti  dal  venire  a  Roma  gli  al- 
tri tre,  di  Toledo,  di  Compostala  e  di  Cbambery.  Di  questi  48,  4'2  vo- 
tarono col  placet;  2,  i  Card.  Mattel  e  Orfei  erano  e  sono  tuttora  infer- 
mi; 4,  i  card.  Schwarzenberg,  Rauscher,  Matthieu  e  Hobenlohe,  si 
astennero  dalFintervenire,  onde  abbiamo  dei  Cardinali  42  contro  4. 

«  Rmi Patriarchi.  Di  8  presenti  in  Roma,  6  intervennero  e  dissero 
placet;i,  TAntiocheno  di  rito  greco  melchita,  e  il  Babilonese  di  rito 
caldeo,  si  astennero,  o  erano  ammalati.  Ammettendoli  come  contrarli 
abbiamo  dei  Patriarchi  6  contro  2. 

«  Buri  Primati.  Di  8  che  preser  parte  al  Concilio,  6,  cioè  Salisburgo, 
Àntivari,  S.  Salvatore  del  Brasile,  Gnesna  e  Malines  intervennero  e  dis- 
ser  placet l  ;  uno,  quel  di  Salerno,  era  infermo,  e  da  gran  tempo  torna- 
to alla  sua  sede;  i  suoi  sentimenti,  come  è  noto  a  tutti,  erano  favorevo- 
lissimi alla  dottrina.  I  Primati  di  Strigonia  (o  Gran)  e  di  Lione  si  asten- 
nero, onde  abbiamo  nei  Primati  6  contro  2. 

t  Rmi  Arcivescovi,  iscritti  nella  lista  officiale  103,  dei  quali  80  inter- 
vennero e'votarono  col  placet;  quelli  di  Alby,  Quilo  -,  Colonia  e  Lem- 
berg  erano  partili  da  Roma  con  licenza,  e  i  primi  due  da  gran  tempo. 
Si  astennero  o  erano  ammalati  :  1  Tuam  (Irlanda),  2  Babilonia  (rito  la- 
tino), 3  S.  Luigi  del  Missini  (Stati  uniti),  4  Sirace  (Armenia),  5  Naplu- 
sa  (rito  greco),  6  Olmiitz,  7  Nisibi  (mons.  Tizzani),  il  quale  però  lo  stes- 
so giorno  scrisse  una  bellissima  lettera  ai  S.  Padre,  in  cui  dichiarava 
il  suo  dolore  di  non  aver  potuto  intervenire  essendo  ammalato,  e  ade- 
riva pienissimamente  e  fervidissimamente  alla  dottrina  ;  8  Trebisonda 
(mons.  Errington),  9  Monaco,  10  Tiro  e  Sidone  (maronita),  11  Bamber- 
ga,  12  Serta  (rito  caldeo),  13  Halifax  (Nova  Scozia),  14  Parigi,  15  Co- 
locza,  16  Melitene  (mons.  De  Merode),  17  Milano,  18  Iconio  (monsig. 
Pueeher  Passavalli),  19  Nicomedia  (in  partibus  infìdelium  novamente 
nominato  e  assente  da  Roma).  Togliendo,  coinè  giusto,  mons.  Tizzani 
ei  4  partiti  prima;  quindi  supponendo  che  gli  altri  18  siansi  astenuti 
volontariamente  e  fossero  contrarli,  il  che  non  è  per  nulla  provato,  ab- 
biamo nei  Riìii  Arcivescovi  80  contro  18. 


1  L'Osservatore  Cattolico,  il  4  Agosto  fece  questa  correzione.  «  Manca  fra  i  Primati  un  bellissimo 
nome,  e*1  e  quello  dell'illustre  Primate  d'Irlanda,  l'Arcivescovo  d'Armagh,  d  gno  successore  di  S.  Patria 
zio  che  intervenne  e  disse  Placet. 

2  Qui  d?e  esser  corso  un  errore,  perchè  l'Arcivescovo  di  Quito  votò  col  flaceì. 


478  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

«  Degli  Arcivescovi  italiani  con  sede  non  si  astenne  che  Milano.  Tori- 
no era  per  malattia  tornato  da  gran  tempo  con  licenza  alla  sua  sede,  e  in 
una  sua  bella  lettera  pastorale  manifestò  sensi  favorevolissimi  alla  de- 
finizione. Di  Salerno  già  dicemmo  di  sopra  come  fosse  ammalalo  gra- 
vemente. Votarono  parimente  in  favore  tutti  gli  Arcivescovi  francési, 
tranne  Parigi  e  Lione  teste  nominato  e  non  ancora  andato  alla  sua 
sede.  Quello  di  Besanzone  è  il  Cardinale  Matthieu.  È  notevole  che  gli 
Arcivescovi  di  Sens,  Avignone  e  Rheims  erano  stati  per  alcun  tempo 
colla  minoranza.  Parimenti  dissero  placet  tutti  gli  Arcivescovi  dell'Ame- 
rica meridionale  e  settentrionale,  tranne  i  due  di  Halifax  e  di  S.  Lui- 
gi; quindi  quelli  dell'Impero  britannico,  tranne  Tuam;  tutti  gli  spa- 
gnuoli,  belgi,  olandesi.  Dell'Impero  austriaco  dissero  placet  Salisburgo 
e  Zara;  mancavano  da  Roma  Lemberg,  Erlau,  Gorizia. 

«  Mini  Vescovi.  Stavano  sulla  lista  officiale  440,  dei  quali  359  dissero 
placet;  dei  rimanenti  81,  tre  (Dromor,  Southampton,  Marianopoli)  era- 
no assenti  da  gran  tempo,  e  neppure  vennero  chiamati;  circa  20  erano 
tornati  anch'essi,  per  gravissimi  motivi,  con  licenza  del  S.  Padre  e  del 
Concilio,  alle  lorsedi.  Parecchi  degli  altri  erano  ammalati;  però  alcuno, 
come  il  venerando  Vescovo  d'Ischia,  si  fece  portare  nell'aula  benché  am- 
malato, per  dare  il  voto.  Onde  io  credo  che  fissando  a  45  il  numero  dei 
Vescovi  che  volontariamente  si  astennero,  noi  non  restiamo  certo  al  di- 
sotto del  vero.  Supponendo  contrarii  questi  45,  e  aggiungendovi  i  due 
che  dissero  non  placet,  abbiamo  dei  Riìii  Vescovi  359  contro  47. 

«  Miiii  Abbati  con  giurisdizione  vescovile  e 

«  Mini  Generali  di  Ordini.  La  lista  officiale  ne  enumerava  44;  40  vo- 
tarono a  favore.  Degli  altri  4,  uno,  l'Abbate  di  Monte  Vergine,  era  am- 
malato, e  favorevolissimo  alla  definizione;  uno,  il  Presidente  dei  Bene- 
dettini inglesi,  Rmo  P.  Burchall,  era  per  gravissimi  affari  tornato  da  due 
mesi  in  Inghilterra  colla  debita  licenza;  il  Generale  dei  Camaldolesi  era 
ammalato  ;  del  4°,  cioè  quello  di  S.  Ormisda  (caldeo),  non  so  nulla,  e 
forse  è  il  solo  mancato  volontariamente.  Onde  abbiamo  40  contro  1. 

«  Riassumendo,  dove  si  vogliano  considerare  come  assenti  volontaria- 
mente tutti  quelli  che  non  intervennero,  e  quindi  crederli  tutti  contrarii 
(supposizione  per  nulla  giustificata),  noi  avremo  1  : 


\  Cardinali 

favorevoli    42 

contrarii    4 

Patriarchi 

»              6 

»           2 

Primati 

».  '          6 

»           2 

Arcivescovi 

»             80 

»         18 

Vescovi 

»           359 

»         17 

Abbati  e  Generali 

»             40 

»           1 

"533 

74 

1  Diamo  la  lista  secondo  la  correzione    fattavi  dallo    stesso    Osservatore  Cattolico  il  4  Agosto. 
Aggiungasi  ai  553  la  gran  maggioranza  di  circa  200  partiti  assai  prima  dal  Concilio. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  479 

«  Cioè  533  certi  favorevoli  contro  Ti  voti  contrarli,  dei  quali  due  cer- 
ti, eli  altri  incerti  ;  poiché,  secondo  l'uso  di  tutte  le  assemblee  che  furono 
al  mondo,  chi  si  astiene  non  dice  ne  si,  nòno.  Né  s'invochino  ìnon  pla- 
cet, e  i  inxta  modum  (placet  condizionati)  alla  Congregazione  secreta 
per  appello  nominale,  mentre  è  notorio  che  quasi  tutti  questi  ultimi,  e 
non  pochi  dei  primi,  dissero  placet  nella  Sessione  solenne,  posciachè  nel- 
la Congregazione  intermedia  s'era  fatta  ragione  al  loro  desiderio  di  ve- 
dere corretto  il  testo.  Quindi  tutti  sanno,  che  i  voti  delle  Congregazioni 
secrete  non  sono  che  provvisori  e  non  legano  nessuno  ;  sono  piuttosto 
indicazioni  di  volontà,  che  vere  decisioni,  le  quali  non  si  pronunciano 
che  nelle  sessioni  solenni  e  definitive.  » 

3.  V Osservatore  Cattolico  parla  poi  d'una  lettera  diretta  al  S.  Padre 
il  dì  innanzi  della  definizione  da  5S  della  minoranza:  e  nel  num.  176 
reca  dalla  Gazzetta  d'Augusta  un  altro  documento  anteriore:  ma  benché 
tanti  fogli,  buoni  e  cattivi,  rechino  questi  due  documenti,  pure  giacché 
non  sono  un  atto  pubblico  come  gli  abest  delia  Sessione,  noi  tenendoci 
a  quel  rispettoso  riserbo  che  abbiam  avuto  finora,  non  ne  faremo  pa- 
rola. Più  volentieri  recheremo  dallo  stesso  e  da  altri  periodici  varie  no- 
tizie, più  o  meno  autentiche,  intorno  all'adesione  fatta  già  in  varii  mo- 
di da  molti  Vescovi  della  minoranza  alla  definizione.  Noi  già  dicemmo 
fin  dal  passato  quaderno  che  non  dubitiamo  che  tutti  sicno,  in  una  for- 
ma o  in  un'altra,  per  farla.  Qui  rechiamo  solo  i  due  documenti  più  au- 
tentici die  abbiamo  veduti;  il  primo  intorno  a  monsignor  De  Merode  che 
ente  dalla  Sessione;  l'altro  intorno  a  mons.  Riccio,  che  votò  non 
placet.  In  capo  al  Giornale  di  Roma  del  i  Agosto  si  legge  questa  menti- 
la: «Nel  Corriere  delle  Marche  dei  28  del  trascorro  Luglio  si  legge:  — 
Monsignor  De  Merode  non  vuole  aderire  al  dogma  dell' infallibilità, 
perchè  lo  crede  assurdo  e  dannoso.  Io  non  nego  questa  opinione  del 
De  Merode  e  degli  altri  Prelati  che  la  dividono.  —  Sappia  però  il  Cor- 
riere delle  Marche,  che  monsignor  De  Merode  ha  pienamente,  espli- 
citamente e  chiaramente  aderito  al  dogma  suindicato.  Chiunque  ope- 
rasse nel  senso  espresso  in  quel  giornale  non  apparterrebbe  più  alla 
Chiesa  cattolica.  »  Fin  qui  il  Giornale  di  Roma.  Nella  Unità  Cattoli- 
ca poi  dei  29  Luglio  si  legge  una  lettera,  direttale  per  la  pubblicazione 
dallo  stesso  monsig.  Riccio,  Vescovo  di  Caiazzo,  ove  egli  dice:  «  Bra- 
mando che  il  mio  voto  non  lasci  alcun  luogo  a  sinistre  interpreta- 
zioni, mi  affretto  a  dichiarare  che  con  quello  spirito  stesso  di  sinceri- 
tà e  di  sottomissione  con  cui,  chiamato  dalla  Chiesa  a  dare  il  mio  vo- 
to, risposi  non  placet,  appena  confermata  dall'immortale  Pontefice  Pio 
Nono  la  prefitta  Costituzione  m'inginocchiale  dissi  con  tutta  l'anima 
CREDO;  mi  unii  di  gran  cuore  a  Sua  Santità  ed  ai  Padri  del  Conci- 
lio nel  renderne  grazie  a  Dio  col  canto  del  Te  Deum  e  mi  offrii  pron- 
to coll'aiuto  di  Dio  a  sostenere  la  ridetta  Costituzione  ed  in  panico- 


480  COSE  SPETTAMI  AL  CONCILIO 

lare  l'infallibilità  dei  Successori  di  san  Pietro  a  costo  anche  della  mia 
vita.  »  Anche  del  Vescovo  di  Little  Rock,  che  fu  Tallio  che  votò  col 
non  placet,  chi  era  presente  nella  stessa  aula  del  Concilio  afferma  che 
proferite  dal  Papa  le  parole  di  confermazione,  esclamò,  stringendosi 
al  cuore  la  croce  pettorale:  Nunc  credo  et  ego  ;  Sane  et  ego  fìrmiter 
credo.  Poiché  il  Concilio  ha  detto  Visum  est  Spiritili  Sanclo  et  JSobis, 
non  dubitiamo  punto  che  questo  CREDO  sia  già  non  solo  nel  cuore, 
ma  ancor  nelle  labbra  di  quanti  Vescovi  prima  furon  contrarli  o  alla 
dottrina  o  alla  sua  definizione. 

ì.  Non  possiamo  arrecare  le  tante  riflessioni  che  leggiamo  nei  giornali 
della  stampa  cattolica:  basti  accennare  qualcuna  delle  osservazioni  com- 
parative sui  voti  dei  Vescovi  di  vane  Nazioni.  Vediamo  alcuni  fogli 
spagnuoli  rallegrarsi  assai  che  nessun  Vescovo  di  lingua  spagnuola  sia 
mai  stato  contrario  alla  definizione;  così  alcuni  fogli  belgi  e  olandesi: 
così  pure  alcuni  logli  portoghe  i,  sol  lamentando  e  spiegando  come  per 
nn  momento  qualche  Vescovo  portoghese  fosse  indotto  a  tener  la  defi- 
nizione per  inopportuna;  altri  osservano  con  piacere  che  tra  i  Vescovi 
più  distinti  nel  promuovere  la  definizione,  tre  vennero  dai  paesi  più  li- 
beri: monsignor  Manniug  dall'Inghilterra  ;  monsignor  Dechamps  dal 
Belgio  ;  monsignor  Mermillod  dalla  Svizzera  ;  osservano  ancora  che 
monsignor  Manning  non  solo  è  inglese  di  nascita  e  di  spirito,  ma  che 
fu  prima  anglicano;  che  monsignor  Mermillod  è  Vescovo  ausiliare  di 
quella  Ginevra  che  fu  la  Roma  del  Protestantesimo;  e  che  i  più  caldi  so- 
stenitori dell'infallibilità  furono  Vescovi  francesi  e  qualcun  d'essi  edu- 
cato già  nella  scuola  del  gallicanismo.  E  in  vero,  per  dirlo  di  passag- 
gio, anche  adesso  che  la  guerra  assorbe  tutto  l'interesse  della  Francia, 
pure  nella  stampa  cattolica  francese  si  rivela  lo  spirito  cattolico  verso  il 
Papa,  i  Vescovi  e  il  Concilio  ;  sicché  anche  per  questo  si  dimostra  che  il 
gallicanismo  non  fu  mai  francese,  e  chi  abbia  però  meglio  rappresentato 
linora  la  fede  della  Francia.  Come  l'America  d'origine  spagnuola  e  porto- 
ghese, così  l'America  d'origine  inglese  (per  nulla  dire  del  cattolico  Ca- 
nada) si  è  pur  dimostrata  nella  slampa  cattolica  sempre  favorevolis- 
sima alla  definizione,  e  si  è  notato  con  piacere  che  tra  tanti  Vescovi  di 
lingua  inglese,  i  più  d'essi  originarli  della  cattolica  Irlanda,  pochissimi 
sono  slati  contrarli  alla  definizione. 

5.  E  notevole  che  il  primo  atto  di  ostilità  alla  definizione  del  sacro- 
santo Concilio  è  venuto  dal  Consiglio  municipale  di  Vienna,  che  ne  ha 
domandato  al  Governo  austriaco  una  pronta  vendetta.  Dopo  ciò  la 
Gazzetta  di  Vienna  del  31  di  Luglio  puhblicò  la  nota  ufficiale  seguente: 
«  In  seguito  alla  dichiarazione  dell'  infallibilità,  il  Governo  ha  deciso  di 
non  mantenere  più  lungamente  il  Concordato.  Il  Cancelliere  dell'Impero 
ha  fatto  le  pratiche  necessarie  per  notificare  alla  Curia  romana  l'abro- 
gazione formale  del  Concordato.  L1  Imperatore  ha  incaricato  il  Ministro 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  481 

dei  culti  di  preparare  un  disegno  di  legge  a  questo  effetto.  »  Alcuni  di 
innanzi  un  telegramma  avea  annunziato  che  il  Ministro  dei  eulti  dell'lm- 
pero  austro-ungarico  era  chiamato  a  Pestìi  «  per  concertare  le  misure 
da  prendersi  contro  il  dogma  della  infallibilità.  »  Noi  non  diremo  già; 
povera  Chiesa!  ma  povera  Austria!  povera  Ungheria! 

Come  una  piccola  potenza,  si  è  pur  levato  Y  ex-padre  Giacinto,  appel- 
lando dal  Concilio  ad  altro  Concilio,  e  a  Dio,  o  meglio  a  sé  stesso,  in 
una  sua  miserabile  lettera  dei  20  Luglio,  indirizzata  alla  France  ed  al 
Journal  des  Débats,  che  può  vedersi  tradotta  nell1  Osservatore  Cattolico 
del  £  Agosto.  Ci  ricorda  aver  veduta  una  risposta  ad  un'altra  sua  lette- 
ra;, con  questo  titolo:  Pére  Hyacijnthe,  vous  vous  étes  trompé.  Réponse  a 
la  lettre  chi  21  Sept.  par  M.  Vabbé  Bouquet  te  (Toulouse,  Millas  1869. 
In  8.'  di  pag.  23)  ;  ed  ora  basti  questa  risposta:  Pére  Hyacynthe,  vous 
vous  étes  trompé. 

6.  Tra  i  tanti  atti  di  pubblica  adesione  al  Concilio  non  dispiacerà  che 
diamo  la  preferenza  alla  Società  della  Gioventù  cattolica  italiana.  Adun- 
que pubblichiamo  i  seguenti  due  indirizzi,  che  ci  sono  stati  trasmessi  dal 
Consiglio  superiore  della  Società  della  Gioventù  cattolica,  i  quali  si  son 
presto  firmati  ancora  dalle  presidenze  e  dai  socii  attivi  dei  circoli  della 
Società  medesima,  costituiti  nelle  varie  città  d'Italia,  e  dai  socii  corri- 
spondenti. 

I.  Beatissimo  Padre.  Al  grido  universale  di  gioia,  con  che  oggi  il 
mondo  cattolico  Yi  acclama  e  Vi  saluta,  o  Beatissimo  Padre,  con  santo 
giubilo  e  con  certezza  di  fede  divina,  Maestro  infallibile  di  verità,  la  So- 
cietà della  Gioventù  cattolica  d'Italia  non  può  contenere  la  piena  del 
gaudio  ond'è  compresa,  ed  osa  deporre  ai  Vostri  santissimi  piedi  l'espres- 
sione più  viva  e  più  sincera. 

La  divina  Provvidenza,  che  ne*  suoi  imperscrutabili  divisamenti  Voi 
già  prescelse  fra  i  successori  di  Pietro  a  definire  coli1  apostolica  Vo- 
stra autorità  il  domma  dell'Immacolato  Concepimento  della  gran  Madre 
di  Dio,  ha  voluto  altresì,  quasi  a  ricambio  dell'eccelsa  e  novella  onorifi- 
cenza attribuita  dalla  Vostra  parola  alla  Vergine  Madre  del  divin  Re- 
dentore, innalzare  all'apice  della  gloria  e  della  potenza  nella  Vostra  per- 
sona la  sublime  e  divina  dignità  dei  successori  di  Pietro,  dei  Vicarii  di 
Gesù  Cristo  in  terra,  della  quale  Voi  siete  investito. 

Sì,  o  Beatissimo  Padre,  noi  esultiamo  di  santa  letizia  :  e  prostrati 
al  s  olo,  rendiamo  a  Dio  le  umili  nostre  grazie  di  tanto  singolare  be- 
nefizio largito  al  mondo  in  questi  miseri  tempi  di  universale  aberramen- 
to  e  cecità. 

E  qual  dono  più  prezioso  e  più  desiderabile  potea  la  divina  Miseri- 
cordia concedere  agli  uomini  di  una  sì  solenne  confermazione,  che  essi 
posseggono  in  Voi  un  Maestro  infallibile  della  verità*!  della  verità,  che 
è  la  vita  dell'anima  nostra?  della  verità,  senza  cui  la  umana  natura  di- 
Sene  VII,  voi.  XI,  fase.  490.  31  13  Agosto  1870. 


482  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

vagando  scenderebbe  a  peggior  condizione  dei  bruti,  cbe  non  banno 
intelletto?    . 

Noi  con  tutto  l'ardore  dell'età  giovanile  aneliamo  alla  conoscenza  del 
Tero,  del  bello,  del  buono:  ed  una  turba  varia  ed  infinita  di  maestri, 
cbe  si  credono  sapienti  percbè  superbi  ed  orgogliosi,  ci  assorda  d'ogni 
lato,  e  con  abbaglianti  proposte  d'indefinito  progresso  tenta  trascinar- 
ci nel  baratro  del  più  desolante  scetticismo  e  della  più  brutale  corru- 
zione. 

Ma  no,  Beatissimo  Padre!  percbè  non  c'incolga  questa  suprema  sven- 
tura, noi  terremo  gii  occhi  sempre  fissi  in  Voi,  specchio  dell'eterna  Ve- 
rità: li  terremo  del  continuo  intenti  a  questa  Cattedra  apostolica,  d'on- 
de sgorgano  perenni  le  acque  della  vera  sapienza  e  della  eterna  vita. 

Parlate  dunque,  o  infallibile  Maestro,  e  noi  giovani  figli  della  cat- 
tolica Chiesa  ascolteremo  le  Vostre  parole,  come  parole  dell'eterna  Sa- 
pienza; i  Vostri  giudizii  saranno  per  noi,  come  giudizii  di  Dio;  le  Vo- 
stre definizioni,  come  definizioni  di  Dio  ;  i  Vostri  insegnamenti,  come 
insegnamenti  di  Dio.  Noi  veneriamo  nella  Vostra  autorità  di  Vicario  di 
Gesù  Cristo,  l'autorità  di  Dio;  e  assoggettando  ad  essa  la  nostra  mente 
e  il  nostro  cuore  abbiam  fede  di  sostenere  la  dignità  dell'umana  natura 
di  fronte  alle  tiranniche  pretese  della  mente  orgogliosa,  guasta  ed  ac- 
ciecata  da  ree  passioni. 

Degnatevi,  o  Beatissimo  Padre,  di  confermarci  nei  nostri  santi  propo- 
siti coli'  apostolica  Benedizione,  che  da  Voi  con  tutto  l'animo  imploria- 
mo prostrati  al  bacio  dei  sacri  piedi. 

Bologna,  li  19  Luglio  1870. 

Giovanni  Acquaderni,  Presidente  del  Consiglio  superiore, 
Ugo  Flandoli,  Vice  Presidente. 
Alfonso  Rubbiani,  Segretario  delle  corrispondenze. 
Gian-Antonio  Bianconi,  Segretario  delle  adunanze. 
Pietro  Malvezzi  Campeggi,  Tesoriere. 

Mons.  Luigi  cari.  Rovere,  Assistente  ecclesiastico. 

II.  Sanctissimis  Palribus  in  oecumenica  Vaticana  Synodo  congregati^ 
Societas  iucentutis  Italiae  Catholicae. 

Placuit  Deo,  qui  sapicntia  sua  attingit  a  fine  usque  in  finein  forti- 
ter,  et  disponit  omnia  suaviter,  quique  crrantibus  ut  in  viam  possint 
redire  iustitiae,  veritatis  suae  lumen  ostendit,  ut  Vobis  prestantissimi- 
senioribus  populi  christiani,  Episcopis  positis  a  Spiritu  Sancì*»  regere 
Ecclesiam  Dei,  ad  gloriosum  sepulcrum  Principis  Apostolorum  in  oecu- 
menico  Concilio  congregulis,  solemni  ac  infallibili  iudicio  eonlìrmare- 
tur  lìdes,  tamquam  a  Deo  revelata,  quam  plebs  sancta  et  regale  sacer- 
dotium  christianae  Ecclesiae  iam  ab  huius  exordio  usque  in  praesens 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  483 

semper  et  ubique  professi  snnt  de  suprema  potestate  et  de  infallibili 
magisterio  summorum  Ponlifìcum  in  romana  Sede  Petri  successorum. 

Quare  luventutis  catbolicae  Societas  nuper  instituta  per  Italiani,  in- 
tra cuius  fines  Petri  Sedes  expers  erroris  posita  est,  de  hoc  tam  prae- 
claro  et  salutari  beneficio  hac  nostra  aetate  universo  orbi  concesso , 
humillimas  Deo  Uni  et  Trino  grates  persolvit,  atque  libentissimo  corde 
Yobis  gratulatur,  sapientissimi  Patres,  quos  Spiritus  Sanctus  ad  tan- 
tum opus  perficicndum  elegit,  induxitque. 

Quod  sane  cum  iucundissimum  nobis,  tum  et  Yobis  pergratum  fore 
censentes  hanc  tesseram  fidei  et  obsequii  erga  Yos,  sanctissimi  Patres, 
mittere  et  commendare  laetamur. 
Bononiae,  XI Y  calendas  Augusti,  anno  MDCCCLXX. 

Iohannes  Àcquaderni,  Praeses. 
Hugo  Flandoli,  Praesidis  vices  gerens. 
Alphonsus  Rubbiani,  ) 

Iohannes  Antonius  Bianconi,  ) 
Petrus  Malvezzi  Campeggi,  Thesaurarius. 

Àloisius  can.  Rovere,  Adsistens  ecclesiaslicus. 

7.  Il  circolo  della  Società  della  gioventù  cattolica  in  Roma  non  ebbe 
bisogno  di  sprone,  ma  piuttosto  di  freno  nel  festeggiare  la  definizione. 
Poiché  per  varie  circostanze  non  si  vollero  festose  dimostrazioni,  si 
aspettò  almeno  la  prima  festa  di  san  Pietro  al  1  di  Agosto,  nella  Basi- 
lica di  S.  Pietro  in  vincula,  per  un  solenne  Te  Deum  di  ringraziamento  ; 
e  il  circolo  di  S.  Pietro  della  gioventù  romana  fu  il  primo  a  farne  istanza; 
la  quale  rinnovata  da  ogni  ordine  di  persone,  indusse  l'Eminentissimo 
cardinal  Vicario  a  pubblicare  X Invito  Sacro  ai  romani  per  quell'Inno  di 
ringraziamento,  che  fu  cantato  con  grande  devozione  la  sera  d<  Ila  festa 
dopo  i  vesperi ,  colla  benedizione  dell'Augustissimo  Sacramento,  com- 
partita dallo  stesso  Emo  cardinal  Yicario. 

8.  Il  felice  successo  delle  passate  preghiere  dee  ora  animare  i  fedeli 
a  pregar  viepiù  pel  Concilio,  percbè  compia  l'opera  sì  bene  incomin- 
ciata. Chi  sa  quanta  parte  del  felice  successo  si  dee  alle  preghiere,  alle 
comunioni,  alle  pie  opere  dei  semplici  fedeli!  Altra  volta  scrivemmo 
intorno  a  ciò  un  articolo  intitolato  :  Offerte  e  preghiere  ed  altre  pie  opere 
pel  Conci tio  ecumenico  (voi.  XIV,  pag.  717);  nel  quale  parlammo  an- 
cora specialmente  di  alcune  pie  associazioni  in  Verona.  Ora  per  avvivar 
questo  spirito  per  ogni  dove,  ci  piace  di  conchiudere  pubblicando  la 
versione  di  una  lettera  Apostolica,  diretta  testé  da  S.  S.  Pio  IX  a  Mon- 
signor Vescovo  di  Verona,  Luigi  marchese  di  Canossa,  in  relazione  al- 
l'appendice dell'Album  1869  per  le  comunioni  e  alle  molte  oblazioni  ri- 
cevute nel  Luglio  1870  da  Verona. 


4SI  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

PIO  PP.  IX. 

Venerabile  Fratello  salute  ed  apostolica  Benedizione. 

Non  è  mollo  abbiamo  ricevuto  il  Memoriale,  in  cui  vedemmo  registra- 
ti i  nomi  di  que'  che  si  aggiunsero  alla  devota  compagnia ,  che  si  ado- 
pera, mediante  la  sacramentai  comunione,  di  ottenere  il  divino  aiuto  a 
Noi  ed  ai  Padri  dell1  ecumenico  Concilio.  In  esso  abbiamo  parimente 
veduto  F unione  istituita  per  opera  di  pie  donne,  che  ha  per  line,  colla 
recita  della  corona  di  Maria  Vergine  in  giorni  prefissi,  d'impetrarci  il 
patrocinio  della  medesima,  i  pii  affetti  della  qual  compagnia  ed  il  numero 
de1  fedeli  veronesi ,  che  in  essi  stanno  registrati ,  Ci  fece  presentare  il 
diletto  Nostro  figliuolo  religioso  Luigi  Artini.  Abbiamo  inteso  pure,  che 
i  malati,  assistiti  dai  religiosi  Ministri  degli  infermi,  anch1  essi  entra- 
no in  questa  gara  di  pietà,  sforzandosi  di  attestarci  il  loro  affetto  e  l'a- 
more alla  santa  Religione,  coli1  offerire  a  Dio  le  proprie  sofferenze  e  col- 
le pie  oblazioni  a  Noi  mandate.  Ne  possiamo  certamente  lasciar  passare 
la  divota  affezione  degli  altri  tuoi  diocesani ,  che  poco  fa  in  buon  nume- 
ro ci  arrecarono  il  sussidio  delle  loro  largizioni.  Tutte  queste  prove  di 
pietà,  venerabile  Fratello,  in  cui  risplende  il  singoiar  merito  del  tuo  ze- 
lo pastorale,  ci  furon  di  non  lieve  consolazione,  le  quali  mentre  difendo- 
no l'antica  gloria  della  veronese  cittadinanza,  sono  altresì  assai  oppor- 
tune ai  tempi  e  adatte  per  impetrare  gli  aiuti  del  cielo. 

Noi  perciò,  o  venerabile  Fratello,  t'incarichiamo  di  voler  far  noti  a 
tutti  i  summentovati  fedeli  i  sensi  della  Nostra  gratitudine,  e  il  singoiar 
amore  che  ci  arde  per  essi ,  la  cui  sovrabbondanza  non  lasceremo  di 
spandere  dinanzi  l'aitar  del  Signore.  Frattanto,  pregando  ad  essi  dalla 
divina  bontà  copiosissimo  il  guiderdone ,  impartiamo  amantissimamente 
con  tutto  r  affetto  del  cuore  a  Te  ed  a  tutti  e  singoli  i  predetti  diletti  Fi- 
gliuoli ed  agli  altri  Fedeli  della  tua  diocesi  l'apostolica  Benedizione. 

Dato  a  Roma  presso  S.  Pietro,  il  giorno  13  Luglio  1870. 
Vigesimo  quinto  del  Nostro  Pontificato 

PIO  PP.  IX. 

Al  Venerabile  Fratello 
Luigi  Vescovo  di  Verona. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  485 

III. 

CRONACA  DEL  CONCILIO 

1.  Schema  distribuito  ai  Padri  —  2.  Necrologia  —  3.  Solenne  messa  di  requie 
—  4.  Lista  dei  PP.  defonti. 

1.  Dopo  la  quarta  sessione  poco  o  nulla  vi  è  a  dire  della  cronaca  del 
Concilio  in  Roma:  piuttosto  vi  sarebbe  non  poco  da  scrivere  delle  liete 
e  onorifiche  accoglienze  fatte  per  tutto  altrove  ai  Vescovi  reduci  da  Roma 
alle  lor  sedi,  e  delle  loro  allocuzioni  e  lettere  pastorali  :  ma  di  ciò  par- 
leremo altra  volta.  Intanto  pochi  di  dopo  la  sessione  un  nuovo  schema 
di  costituzione  disciplinare  sulle  missioni  fu  distribuito  ai  Padri,  intorno 
al  quale  possono  intanto  scrivere  le  loro  osservazioni.  Lo  schema  fu  in- 
viato con  questo  Monitum. 

,  Distribuitur  Rmis  Concai  Palribus  schema  constitutionis  super  apo- 
stolicis  Missionibus  :  simuique  monentur  Rmi  PP.,  ut  ii  quibus  super 
eodem  schemale  aliquid  observandum  videbitur,  iuxta  Decretum  20  Fe- 
bruarii  anni  currentis,  animadvcrsiones  suas  scripto  tradanl  secretarlo 
Concilii  non  ultra  diem  vigesimum  sequentis  mensis  Augusti. 
Ex  Secretaria  Concilii  Vaticani,  die  26  Tulli  1870. 

Ludovicus  ìacobini,  Subsecretarhis  Concilii  Yatic. 

2.  In  breve  tempo  dopo  la  quarta  sessione,  dopo  brevi  malattie,  son 
passati  agli  eterni  riposi  ben  cinque  altri  Padri:  cioè,  il  Vescovo  di  Bar- 
cellona, mgr.  Monserrat  y  Navarro,  in  Frascati,  come  già  dicemmo  nel 
passato  quaderno;  e  poi,  mentre  erano  in  viaggio  per  la  lor  sede,  il 
Vescovo  di  Ardagli  dell'Irlanda,  mgr.  Mac  Cabe;  e  il  Vescovo  di  Parma, 
mgr.  Cantimori;  e  due  altri  in  Roma;  l'Arcivescovo  di  Buenos-Ayres, 
mgr.  Escalada;  e  il  Vescovo  di  Terni,  mgr.  Severa.  Può  immaginarsi 
qual  senso  abbia  dovuto  produrre  la  notizia  di  queste  morti  nelle  ior 
diocesi,  appunto  mentre  aspettavano  di  rivedere  i  loro  Pastori.  Anche 
in  Roma  esse  han  prodotto  per  le  circostanze  un  senso  non  usi  tato. 

3.  Oltre  le  solenni  esequie  celebrate  per  ciascuno,  volle  il  Santo  Padre 
che  si  celebrasse  una  solenne  Messa  di  requie  per  tutti  i  Padri  defunti 
nel  corso  del  Concilio.  Ne  fu  dato  avviso  ai  Padri  presenti  in  Roma  con 
questo  Monitum. 

Feria  tertia  die  9  Augusti,  de  mandato  Sanctitatis  Suae,  in  Ecclesia 
sancii  Augustini  bora  decima  antemeridiana  fient  exequiae  prò  Episco- 
pis,  qui  tempore  Concilii  oecumenici  Vaticani  obierunt. 

Rùii  Patriarchae,  Primates,  Archiepiscopi  et  Episcopi  ad  praedictam 
Ecclcsiam  accedent  et  adorato  Sanctissdio  Sacramento  cappam  induent 
ac  paratimi  locum  oecupabunt  et  Missae  solemnis  celebrationi  assistente 
Aloisius  Ferrari,  Protonot.  Apost.  Caerem.  Praefectus. 


18G  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

Il  Giornale  di  Roma  del  9  Agosto  così  die  conto  di  questo  funebre  rito. 

«  La  Santità  di  nostro  Signore,  per  suffragare  l'anime  dei  Vescovi  che, 
durante  il  tempo  fin  qui  corso  dell'ecumenico  Concilio  vaticano,  si  sono 
riposati  nel  Signore,  ha  stabilito  che  la  mattina  del  presente  giorno,  vi- 
gilia del  santo  Levita  martire  Lorenzo,  si  destinasse  nella  ven.  chiesa  di 
sant'Agostino  alla  celebrazione  delle  Messe  ed  alla  solennità  delle  sacre 
espiatorie  funzioni,  con  le  quali  si  invocano  le  misericordie  dell'Onnipo- 
tente a  prò  dei  trapassati. 

«  La  Chiesa  venne  decorosamente  all'uopo  addobbata:  all'altare  mag- 
giore spiegavasi  un  ampio  padiglione,  nel  cui  mezzo  trionfava  a  tocca 
d'oro  il  vessillo  della  Redenzione  ;  e  nella  grande  navata  sorgeva  il  tu- 
mulo, ricco  di  ceri,  attorno  al  quale  si  vedevano  collocati  i  seggi  parati 
di  gramaglia  per  i  personaggi  ecclesiastici,  che  a  nome  della  Santità  Sua 
erano  invitati  a  prestare  l'assistenza  alla  funebre  cerimonia;  cioè  i  Rfili 
Patriarchi,  i  Primati,  gli  Arcivescovi  e  i  Vescovi,  che  sono  presenti  in 
Roma,  ed  inoltre  i  due  Prelati  segretari!  della  sacra  Congregazione  di 
Propaganda. 

«  Ha  pontificato  la  solenne  Messa  FU  Imo  e  Rino  Monsignor  Marinelli, 
Vescovo  di  Porfirio,  sagrista  pontificio,  il  quale  ha  fatto  pure  l'assolu- 
zione al  tumulo.  Han  prestato  servizio  all'altare  i  cappellani  e  i  chie- 
rici della  cappella  pontificia,  come  pure  i  cappellani  cantori  pontificii 
hanno  accompagnato  i  sacri  riti  con  gravi  e  mesti  concenti,  e  la  Guar- 
dia svizzera  pontificia  vi  ha  prestato  il  servizio  d'onore. 

«  Con  grande  frequenza  in  tutta  la  mattinata  sono  i  fedeli,  per  corri- 
spondere alle  intenzioni  del  Santo  Padre,  accorsi  a  pregare  la  pace  eter- 
na dei  giusti  ai  sacri  Pastori,  che  mentre  attendevano  ai  gravi  negozii 
della  Chiesa  universale,  spirarono  l'anima  nel  bacio  del  Signore. 

4.  Dall'apertura  del  Concilio  fino  a  queste  solenni  esequie,  cioè  dagli 
8  Decembre  fino  agli  8  Agosto,  sono  passati  a  miglior  vita  3  Cardinali, 
1  Arcivescovo,  16  Vescovi,  e  2  Generali  di  Ordini  religiosi;  cioè  un  Card. 
Vescovo,  un  Card.  Prete  e  un  Card.  Diacono;  l'Arciv.  di  Bucnos-Ayres; 
i  Vescovi  di  Premislia,  di  Foggia,  di  Panama,  di  Vera  Cruz,  di  Tarbes, 
di  Lerida,  di  Huesca  e  Barbastro,  di  Àlbenga,  d'Evreux,  di  Olinda  o  Fer- 
nambuco, di  Southwark,  di  Erbipoli  o  Wurzburgo,  di  Barcellona,  di 
Ardagh,  di  Parma  e  di  Terni;  i  Generali  dei  Premostratensi  e  dei  Car- 
melitani Scalzi.  Di  questi  22  Padri,  16  morirono  in  Roma,  6  fuor  di  Ro- 
ma. Non  si  comprende  in  questa  lista  l'Enio  De  Ronald,  Arcivescovo  di 
Lione,  e  qualche  altro  Vescovo,  che  mori  senza  aver  mai  potuto  venire 
a  Roma,  e  però  senza  esser  di  fatto  membro  del  Concilio;  eccetto  I  Emo 
De  Reisach,  il  quale  sebbene  sia  morto  prima  di  giungere  a  Roma,  fu 
però  considerato  come  principal  membro  del  Concilio  per  la  nomina  a\  Il- 
la tra  i  Presidenti.  Or  ecco  la  lista  funebre  dei  nomi  di  questi  Padri, 
chiamati  dal  seno  del  Concilio,  come  speriamo,  alla  Chiesa  trionfante 
in  cielo. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  487 

SACRI  CONCILII  PATRES 

qui  a  die  8  Deccmbris  1869  ad  diem  8  Augusti  1870 

•  OBIERUNT 

Franciscus  Pentiti  S.  E.  R.  Cardinalis  Diaconus  S.  Mariae  inporticu. 
Carolus  De  Reisach  S.  E.  R.  Cardinalis  Episcopus  Sabinensis. 
Eustachius  Gonella  S.  E.  R.  Cardinalis  Presb.  S.  Mariae  super  Miner- 

ram,  Episcopus  Viterbiensi?  et  Tuscaniensis. 

Marianus  Escalada,  Archiepiscopus  De  Buenos  Ayres. 

Antonius  Manastyrski,  Episcopus  Presmiliensis. 
Bernardinus  Frascolla,  Episcopus  Fodianus. 
Eduardus  Vasquez,  Episcopus  Panamensis. 
Franciscus  Suarez  Peredo,  Episcopus  Verae  Crucis. 
Bernardus  Mascarou  Laurence,  Episcopus  Tarbiensis. 
Marianus  Pdigllat  y  Amigo,  Episcopus  Illerdiensis. 
Basilius  Gill  y  Bueno,  Episcopus  Oscensis  et  Barbastrensis. 
Raphael  Siale,  Episcopus  Albinganensis. 
Ioannes  Devoucoux,  Episcopus  Ebroicensis. 
Franciscus  Cardozo  Ayres,  Episcopus  Olindensis. 
Thomas  Grant,  Episcopus  Southwarcensis. 
Georgius  De  Stahl,  Episcopus  Herbipolensis. 
Pa>taleon  Monserrat  y  Navarro,  Episcopus  Barcinonensis. 
Cor>elius  Mac  Cabe,  Episcopus  Ardagadensis. 
Felix  Cantimorri,  Episcopus  Parmensis. 
Ioseph  Severa,  Episcopus  Inter amnensis. 

Hieronymus  Zeidler,  Abbas,  Praeses  Generalis  Ordinis  Praemonstraten* 

siimi. 
Dominicus  a  Sancto  Ioseph,  Praepositus  Generalis  Ordinis  Carmela arum 

discalceaiorum. 

R.  1.  P. 


CRONACA 

CONTEMPORANEA 


Roma  13  Agosto  1870. 


1. 

COSE  ITALIANE. 

1.  Stati  Pontificii  1.  Visita  del  Santo  Padre  a  Monasteri  —  2.  air  istituto 
dei  ciechi  —  3.  a  S.  Maria  in  via  Lata  —  4.  L'università  della  Sapienza  — 

5.  Atto  pubblico  di  Teologia  in  Collegio  romano,  dedicato  al  S.  Padre  — 

6.  Conservatorio  Pio  di  S.  Spirito  eretto  in  Palestrina  —  7.  Partenza  dei 
soldati  francesi  dallo  Stato  pontificio. 

1 .  La  Santità  di  nostro  Signore,  verso  le  dieci  antimeridiane  del  2  Ago- 
sto, movendo  dall'apostolica  residenza  del  Vaticano  in  treno  nobile,  ac- 
compagnata dalla  sua  corte  ed  anticamera,  recossi  alla  ven.  chiesa  del 
SSnio  Crocifìsso,  a  monte  Cavallo,  appartenente  alle  monache  Cap- 
puccine. Il  Santo  Padre,  ricevuto  alla  porta  dal  Rino  P.  Generale  dei 
Cappuccini,  e  dai  religiosi  di  quest'Ordine  che  prestano  la  spirituale  as- 
sistenza a  quelle  Suore,  ascoltò  la  santa  Messa,  che  fu  celebrata  da  imo 
dei  suoi  cappellani  segreti,  e  compì  la  visita  prescritta  a  lucrare  la  ple- 
naria indulgenza,  detta  della  Porziuncida,  che  nel  predetto  giorno  si  ac- 
quista in  tutte  le  chiese  dei  religiosi  e  delle  religiose  viventi  sotto  la  re- 
gola del  gran  Patriarca  di  Assisi.  Dopo  ciò  la  Santità  Sua  entrò  nel  mo- 
nastero, ed  ammise  al  bacio  del  piede  le  Suore,  che  consolò  dirigendo  lo- 
ro breve  discorso  per  confermarle  nello  spirito  di  perfezione,  al  quale 
sono  chiamate  dallo  stato  che  si  sono  eletto  volandosi  a  Dio. 

Dal  monastero  delle  Cappuccine  Sua  Santità  fece  passaggio  all'altro 
limitrofo  delle  Adoratrici  perpetue  del  SSnio  Sagrameli  lo,  degnandosi 
similmente  di  ammettere  al  bacio  del  piede  queste  suore,  e  confortando- 
le nel  loro  santo  proposilo  con  paterne  toccanti  parole.  Il  Santo  Padre, 


CRONACA  CONTEMPORANEA  189 

poco  dopo  il  mezzodì,  faceva  ritorno  all'apostolico  palazzo  Vaticano  tra- 
versando la  città  fra  le  più  riverenti  ed  affettuose  dimostrazioni  degli 
abitanti. 

2.  La  medesima  Santità  Sua  nelle  ore  pomeridiane  del  3  Agosto,  si 
piacque  onorare  di  una  visita  il  nascente  istituto  dei  giovanetti  ciechi, 
collocato  temporaneamente  in  quello  dei  sordomuti,  ed  assistere  ad  un 
saggio  della  istruzione  quivi  data  ai  medesimi.  Il  Santo  Padre,  ricevuto 
all'ingresso  dall'Emo  e  Rino  signor  Cardinale  Milesi,  presidente  della 
pubblica  Beneficenza  e  degl'istituti  da  essa  dipendenti,  da  S.  E.  Rina 
monsignor  Negroni,  ministro  dell'interno,  dalle  LL.  EE.  il  signor  mar- 
chese Cavalletti,  senatore  di  Roma,  e  signor  Duca  di  Sora,  presidente 
della  Commissione,  entrò  nell'aula  principale  decorosamente  addobbata, 
mentre  gl'infelici  giovanetti  cantavano  un  inno,  musicato  ed  accompa- 
gnato sul  pianoforte  dal  loro  maestro  il  cieco  Oldani.  Dopo  aver  Sua  San- 
tità udita  breve  relazione  sullo  stato  del  nascente  istituto,  fatta  da  uno 
dei  membri  della  Commissione,  ebbe  luogo  il  saggio  che  versò  sulla  dot- 
trina cristiana,  sulla  grammatica  italiana,  sull'aritmetica,  e  sulla  lettura 
eseguita  in  caratteri  a  rilievo  e  a  punti,  e  sulla  scrittura  a  matita  e  a 
punti,  e  terminò  con  concerti  musicali  di  canto  e  di  suono.  Il  Santo  Pa- 
dre ammise  quindi  al  bacio  del  piede  i  giovinetti  e  i  loro  maestri  rega- 
lando ciascuno  di  una  medaglia  in  argento;  e  consegnato  al  Tesoriere 
dell'istituto  un  oggetto  assai  prezioso  per  utilizzarne  il  ritratto  a  vantag- 
gio della  pia  opera,  lasciò  il  locale  manifestando  la  somma  sua  soddisfa- 
zione, e  tutti  facendo  lieti  dell'apostolica  Benedizione. 

3.  Nella  ven.  chiesa  diaconale  e  collegiata  di  S.  Maria  in  via  Lata 
si  celebrò,  il  dì  8  Agosto,  la  festa  dei  S.  Martiri  Ciriaco  Levita,  e  dei 
suoi  compagni  Largo  e  Smaragdo,  in  onore  dei  quali  è  ivi  dedicato 
uno  degli  altari  principali,  in  cui  sono  venerate  le  insigni  Reliquie  del 
primo  dei  nominati  atleti  della  nostra  santa  Religione,  trasportatevi 
dall'antico  tempio  che  fu  già  in  quei  dintorni  consacrato  alla  sua  me- 
moria. E  i  fedeli  vi  accorrono  a  mostrare  la  loro  divozione  verso  un 
Santo,  la  cui  intercessione  fu  sempre  sperimentata  valevole  presso  il 
Signore  contro  le  vessazioni  diaboliche  :  al  qual  line,  per  uso  che  monta 
a  remotissimo  tempo,  sogliono  nel  predetto  giorno  distribuirsi  al  po- 
polo in  larga  copia  pani  con  la  invocazione  di  S.  Ciriaco  benedetti.  La 
Santità  di  nostro  Signore,  che  nei  primordii  del  suo  Sacerdozio  sedè  fra 
i  Canonici  di  quel  Rmo  Capitolo,  ai  molti  argomenti  onde  nella  sua 
munificenza  ha  più  volte  significato  l'affetto  che  conserva  verso  questa 
chiesa  arricchendone  il  sacro  tesoro  con  preziose  suppellettili,  si  è  pia- 
ciuta di  mandare  in  dono,  ieri  mattina,  in  occasione  della  predetta 
festiva  ricorrenza,  due  lampade  di  argento  con  rabeschi  e  riporti  la- 
vorati a  cisello,  belle  per  forma  e  decorate  del  suo  stemma  a  smalti 
colorati,  acciò  ardessero  innanzi  l'altare  del  S.  Levita.  E  nelle  ore  po- 
meridiane vi  si  recò  di  persona,  ricevuta  dal  Rino  Capitolo.  Quivi  ado- 


Ì90  CRONACA 

rò  l'augustissimo  Sagramento,  Teucro  le  Reliquie  del  Santo,  e  passato 
nell'Aula  capitolare  ammise  al  bacio  del  piede  i  componenti  lo  stesso 
Capitolo,  con  gli  altri  addetti  alla  Chiesa,  coi  quali  amorevolmente  si 
trattenne  ricordando  le  memorie  che  si  legano  a  quell'antico  e  vene- 
rando tempio.  E  confortati  tutti  dell'  apostolica  Benedizione,  i  Canonici 
rinnovarono  alla  Santità  Sua  le  proteste  della  gratitudine,  che  serbe- 
ranno perenne  per  i  beneficii  coi  quali  si  è  degnata  distinguere  la  lo- 
ro chiesa. 

4.  L'Emo  e  Rino  signor  Cardinale  De-Angelis,  Arcivescovo  di  Fermo, 
camerlengo  di  santa  romana  Chiesa,  e  arcicancelliere  della  romana 
Università,  la  mattina  del  25  Luglio,  recossi  in  nobile  treno  a  questo 
archiginnasio  per  chiudervi  il  corso  scolastico  1809-70  col  conferimento 
delle  Lauree  e  dei  Gradi  e  con  la  distribuzione  dei  preraii.  L'Emo  Porpo- 
rato fu  ricevuto  sull'  ingresso  principale  dal  Rino  P.  Rettore,  dai  mem- 
bri dei  collegi  scientifici  e  dai  professori,  i  quali  dipoi  fecero  a  lui  coro- 
na nell'aula  massima  ove  ebbe  luogo  la  cerimonia  letteraria.  Le  Lauree 
cbe  si  conferirono  furono  :  in  sacra  teologia  quarantatre  ;  nell'uno  e  nel- 
l'altro Diritto  novantaquattro  :  nella  medicina  ventisette;  nella  chirurgia 
venti;  nella  filosofia  e  matematica  trentasei;  nella  filosofia  ragionale  quat- 
tro; e  i  gradi  di  baccellierato  e  licenza,  dati  nelle  predette  facoltà,  ag- 
giuntavi la  farmaceutica,  ascesero  complessivamente  al  ninnerò  di  quat- 
tro cento  quarantacinque.  Il  libero  esercizio  delle  professioni  fu  conceduto 
in  medicina  a  ventidue;  in  chirurgia  a  quattordici:  in  farmacia  a  sette;  in 
filosofia  e  matematica  a  quarantaquattro  ;  in  agrimensura  e  misurazione 
di  fabbriche  a  quarantatre  ;  in  farmacia  inferiore  a  quattordici;  in  fleboto- 
mia a  nove;  in  ostetricia  a  otto;  in  veterinaria  superiore  a  tre;  in  chi- 
rurgia dentistica  a  due.  Ventiquattro  conseguirono  il  notariato. 

Al  detto  numero  delle  Lauree  e  dei  Gradi,  aggiungendo  il  numero  di 
centossessatituno  studenti,  che  per  potere  attendere  al  secondo  anno  del 
corso  di  teologia,  di  legge  e  di  medicina  subirono  l'esame  di  passaggio, 
si  conosce  che  oltre  a  mille  furono  i  frequentanti  l'Università,  i  quali 
col  mezzo  degli  esami  prescritti  diedero  egregia  prova  del  profitto  ri- 
portato. 

Al  conferimento  delle  Lauree  e  dei  Gradi  segui  la  pubblicazione  dei 
nomi  di  quanti  ne'concorsi  tenuti  sul  terminare  dell'anno  scolastico  nel- 
le singole  scuole  della  facoltà  teologica,  legale,  medico-chirurgica,  filo- 
sofica filologica,  non  che  negli  annuali  esercizii  accademici  furono  repu- 
titi degni  ei  premio,  ed  essi  ascesero  al  numero  di  duecenloventisei.  Fu- 
rono novecenfonove  i  giovani,  che  ai  diversi  concorsi  presero  parte  Ter- 
minatasi la  descritta  cerimonia,  fu  celebrata  nella  chiesa  deli 
la  solenne  Messa  e  si  cantò  V  Inno  di  ringraziamento,  prestandovi  assi- 
stenza il  ricordato  EiTio  Porporato,  i  collegi,  i  professori  e  la  i  fcol  ;esca. 

5.  La  Santità  di  nostro  Signore  benignamente  degnassi  di  permettere 
che  all'  augusto  e  venerato  suo  nome  fosse  intitolato  l1  atto  pubblico  di 


CONTEMPORANEA  491 

Teologia  dommatica,  (che,  nelle  ore  antimeridiane  e  pomeridiane  del  2 
Agosto,  tenne  al  Collegio  romano,  dei  Padri  della  Compagnia  di  Gesù,  il 
reverendo  signor  D.  Giovanni  Guglielmo  Arenhold,  alunno  del  Collegio 
germanico-ungarico.  Il  Santo  Padre  commise  V  onore  di  rappresentarlo 
air  Emo  e  Rino  signor  Cardinale  Antonelli,  suo  segretario  di  Sialo,  il  qua- 
le perciò  nei  pomeriggio  recossi  in  nobile  treno  alla  chiesa  di  sant'Igna- 
zio, ove  si  tenne  la  disputa,  accompagnato  dagf  Illnii  e  Rnii  monsignor 
Marino  Marini,  Arcivescovo  Vescovo  di  Orvieto,  pro-sostituto  di  Segre- 
teria di  Stato,  e  pro-segretario  degli  affari  ecclesia  stici  straordinarii; 
monsignor  Lorenzo  Gizzi,  ponente  della  sacra  Consulta;  e  monsignor 
Nassi,  canonico  della  patriarcale  Basilica  liberiana.  Il  trono  pontificio  er- 
gevasi  alla  metà  della  grande  navata,  che  era  tutta  addobbata,  e  dicon- 
tro, superiormente  alla  cattedra  ove  sedeva  il  Difendente,  leggevasi  la 
iscrizione  dedicatoria.  All'Emo  Porporato  facevano  con  largo  giro  coro- 
na Patriarchi,  Primati,  Arcivescovi  e  Vescovi,  ed  altri  Prelati  in  gran- 
dissimo numero;  ed  inoltre  Superiori  generali  di  Ordini  religiosi,  profes- 
sori e  dottori  di  scienze  sacre. 

Le  tesi,  cavate  dalla  materia  dell1  intera  Teologia,  che  il  Difendente  si 
proponeva  di  sostenere,  ascendevano  al  numero  di  trecento  diecissette,  e 
contenevansi  in  un  libretto  a  stampa,  cui  era  premessa  la  Epigrafe  e  la 
Epistola  dedicatoria,  dalla  cui  lettura  cominciò  l'esperimento.  A  prova- 
re T  ingegno  e  la  dottrina  del  giovine  teologo  levossi  primo  Sua  Eccel- 
lenza Reverendissima  monsignor  Hassun,  Patriarca  di  Cilicia  degli  Ar- 
meni ;  poi  mimo  e  Rino  monsignor  Garcia  Gii,  Arcivescovo  di  Saragoz- 
za ;  da  ultimo  F  ìllmo  e  Rino  monsignor  Iacobini,  Segretario  della  S.  Con- 
gregazione di  Propaganda  per  gli  affari  del  rito  orientale,  e  sotto- segre- 
tario del  Concilio  vaticano.  11  modo  tenuto  dai  Difendente  nel  risponde- 
re e  nello  sciogliere  le  molteplici  difficoltà  che  si  obbiettarono  contro, 
dimostrò  quanto  acuta  abbia  V  intelligenza,  e  come  questa  sia  stata  per 
lui  nudrita  da  lunghi  e  profondi  studii.  La  dotta  assemblea  lo  rimeritò 
con  applausi,  i  quali  avea  pur  conseguiti  con  V  esperimento  dato,  secon- 
do il  costume,  nelìe  ore  antimeridiane  nell'aula  massima,  ove  gli  si  era- 
no levati  a  contraddittori  diversi  egregi  Professori. 

6.  Tra  le  tante  opere  di  beneficenza  promosse  dal  pio  istituto  di  S.  Spi- 
rito a  vantaggio  de'poveri  infermi  ed  esposti  si  deve  ora  annoverare  l'ere- 
zione di  un  nuovo  conservatorio  in  Palestrina  per  collocarvi  quelle  fan- 
ciulle esposte  che  restate  prive  d'educazione  per  morte  de'  loro  conces- 
sionarii  o  da  questi  per  cause  legittime  ritolte,  ritornano  sotto  la  cura 
immediata  di  quel  pio  istituto.  Tornando  queste  da  ville  o  terre  nelle 
quali  erano  state  concesse  a  famiglie  di  contadini,  ed  avendo  ricevuto 
educazione  conforme  al  vivere  villereccio,  facea  mestieri  che  nel  modo 
medesimo  venissero  conseguemente  cresciute  ed  allevate,  siccome  quelle 
che  vanno  per  lo  più  a  marito  con  contadini  e  che  perciò  debbono  esse- 
re buone  madri  di  famiglia  atte  al  disimpegno  di  tutte  quelle  faccende 


492  CRONACA 

che  deve  esercitare  una  donna  secondo  quella  condizione.  Quindi  è  che 
le  occupazioni  di  queste  fanciulle  debbono  principalmente  consisterà, 
oltre  i  doveri  religiosi,  nel  far  pane,  cucinare,  (ilare  cucire,  tessere,  far 
calze,  fare  il  bucato,  in  una  parola  nell'adempimento  di  tutte  le  dome- 
stiche attribuzioni. 

Si  dovea  pertanto  rinvenire  all'uopo  un  locale  che  tanto  per  la  sua 
naturale  postura,  quanto  per  le  opportune  comodità  soddisfacesse 
compiutamente  a  tali  esigenze.  Monsig.  Commendatore  di  S.  Spirito 
umiliò  il  progetto  alla  Santità  di  N.  S.  e  ne  riportò  il  sovrano  benepla- 
cito. Dopo  varie  ricerche  fatte  nei  paesi  circonvicini  fu  rinvenuto  nella 
città  di  Palestrina  un  locale  a  dovizia  fornito  di  tutti  gli  agi  e  i  comodi 
necessari!  per  uno  stabilimento  di  simil  natura,  cioè  una  fabbrica  di  re- 
cente e  solida  costruzione  con  acqua,  terreno  da  coltivare,  granai,  forno, 
ambienti  atti  a  tesser  la  tela,  grotte,  cantine  ecc.  Recati  a  termine 
tutti  i  necessari i  preparativi  fu  disposto  che  si  procedesse  all'apertura 
del  locale  nel  giorno  21  di  Giugno,  anniversario  dell'  incoronazione  del- 
l'immortale regnante  Pontefice  intitolandolo  a  tale  effetto' Conservatorio 
Pio  di  S.  Spirito.  Le  benemerite  suore  della  carità  di  S.  Vincenzo  de  Pao- 
li guidate  dalla  superiora  generale  suor  Carolina  Chambrot,  insieme  al 
rappresentante  del  pio  Istituto  sig.  Pietro  Caldani  commissario  generale 
degli  esposti,  eransi  colà  recate  per  assumerne  la  direzione  loro  affidata. 
Invitata  l'autorità  ecclesiastica  residente  sul  luogo  a  fare  la  benedizione, 
vi  si  prestò  cortesemente;  e  mentre  ciò  eseguivasi  il  Governatore,  il 
Gonfaloniere,  l'intiera  Magistratura  e  le  persone  più  cospicue  della  città 
spontaneamente  si  presentarono  nel  novello  stabilimento,  per  attesta- 
re la  loro  soddisfazione  e  gratitudine  in  vedere  eretto  nella  loro  città 
quell'istituto  caritatevole.  Al  suono  di  quel  concerto  municipale  venne- 
ro innalzati  di  fuori  gli  stemmi  di  Sua  Santità  e  del  pio  luogo  di  S.  Spi- 
rito in  Sassia,  dandosi  termine  con  tale  atto  alla  solennità  dell'  inau- 
gurazione d'uno  stabilimento,  da  cui  altresì  si  scorge  l'interesse  che 
prende  il  Pio  luogo  di  quegl'  infelici  suoi  figli,  interpretando  la  carità, 
lo  zelo,  la  mente  di  quell'augusto  Sovrano,  il  quale  nel  suo  gran  cuore  e 
nella  singolare  sua  munificenza  adempie  sopra  ogni  altro  al  precetto 
espresso  nelle  sacre  pagine  :  Tibi  derelictus  est  pauper,  orphano  tu  tris 
adiu'.or. 

7.  Negli  ultimi  giorni  di  Luglio  e  nei  primi  di  Agosto  si  compì  l'im- 
barco e  la  partenza  da  Civitavecchia  per  Marsiglia  dei  circa  cinquemila 
Francesi  rimasti  nelle  province  dello  Stato  pontificio,  dopo  la  già  av- 
venuta partenza  di  gran  parte  di  quelli  che,  nel  Novembre  del  1867, 
coll'applauso  del  mondo  cattolico,  vennero  a  Roma  a  tempo  per  unirsi 
coi  Pontificii  a  dare  l'ultimo  crollo  all'invasione  garibaldina  e  contri- 
buire finora  alla  sicurezza  di  Roma  contro  la  possibilità  di  simili  at- 
tentati. 


CONTEMPORANEA  3LU«S 

IL 

COSE  STRANIERE. 

Guerra  Franco-Prussiana  1.  Guerra  diplomatica  —  2.  Primi  preparativi  di 
guerra  sul  Reno  e  primi  scontri  di  niun  momento  —  3.  Preparativi  per 
mare  —  4.  Le  Potenze  neutrali. 

1.  Per  quanto  l'importanza  dei  primi  fatti  d'arme  accaduti  tra  Prussia 
e  Francia  colla  peggio  di  questa,  le  cui  notizie  ci  giungono  mentre  scri- 
viamo, e  la  probabile  maggior  importanza  di  quegli  altri  politici  e  mili- 
tari insieme  che  ora  si  preparano  e  saranno  avverati  quando  si  leg- 
geranno queste  pagine  e  per  ora  si  possono  soltanto  congetturare;  per 
quanto,  diciamo,  1'  importanza  di  questi  fatti  paia  togliere  ogni  interesse 
al  racconto  delle  quistioni  diplomatiche  e  dei  primi  preparativi  guerre- 
schi e  fatti  d'arme  che  li  precedettero,  non  crediamo  però  doverne  tra- 
lasciare il  racconto  ;  perchè  sia  noto,  almeno  nelle  sue  parti  precipue,  il 
filo  degli  avvenimenti.  Nel  fascicolo  seguente  narreremo,  a  Dio  piacen- 
do, quello  che  ora  occupa  le  menti  e  le  immaginazioni  di  tutti.  In  que- 
sto ci  contenteremo  di  raccontare  i  principii.  Dunque  prima  che  gli  eser- 
citi venissero  alle  mani,  i  giornali  ufficiali,  e  le  cancellerie  prussiana  e 
francese  vennero  a  parole  assai  amare  ed  a  rivelazioni,  accuse  e  a  difese 
in  cospetto  dell'Europa,  di  cui  ciascuna  delle  parti  contendenti  volea  così 
guadagnarsi  le  simpatie  e  il  suffragio.  Cominciò  la  Corrispondenza  di 
Berlino  a  parlare  vagamente  di  un  progetto  di  trattato  attribuito  alla 
Francia,  secondo  il  quale  questa  non  si  sarebbe  opposta  air  unità  germa- 
nica sotto  la  Prussia,  quando  questa  avesse  cooperato  ad  assicurare  alla 
Francia  l'acquisto  del  Belgio  e  del  Lussemburgo.  Non  negò  ogni  cosa 
il  Giornale  officiale  di  Parigi  :  ma  V  attenuò  molto  pretendendo  che  Y  ini- 
ziativa del  negozio  fosse  venuta  da  Berlino. 

Intanto,  per  comunicazione  fattane  da  Berlino,  il  Times  del  25  Luglio 
pubblicò  il  progetto  di  quel  Trattato  con  queste  parole  : 

«  Ci  venne  comunicato  gentilmente  il  seguente  progetto  di  trattato  : 

«  Sua  Maestà  il  Re  di  Prussia  e  Sua  Maestà  l'Imperatore  dei  Francesi, 
giudicando  utile  di  ristringere  i  legami  di  amicizia  che  li  uniscono  e  di 
consolidare  i  rapporti  di  buon  vicinato  felicemente  esistenti  fra  i  due 
paesi,  convinti  d'altra  parte  che  per  raggiungere  questo  risultato,  de- 
stinato d'altra  parte  ad  assicurare  il  mantenimento  della  pace  generale, 
importa  loro  d'intendersi  su  questioni  che  interessano  le  loro  future  re- 
lazioni, hanno  deciso  di  concludere  un  trattato  a  questo  effetto,  e  nomi- 
nato inconseguenza  per  loro  plenipotenziarii,  cioè: 

«  S.  M.,  ecc. 

«  S.  M.,  ecc. 


19 1  CRONACA 

a  I  quali  dopo  aver  scambiato  i  loro  pieni  poteri,  trovati  in  buona  e 
debita  forma,  sono  convenuti  nei  seguenti  articoli  : 

«  Art.  I.  —  Sua  Maestà  l'Imperatore  dei  Francesi  ammette  e  ricono- 
sce gli  acquisti  che  la  Prussia  ha  fatto  in  seguito  all'ultima  guerra  che 
essa  ha  sostenuto  contro  l'Austria  e  contro  i  suoi  alleati. 

«  Art.  II.  —  Sua  Maestà  il  Re  di  Prussia  promette  di  facilitare  alla 
Francia  l'acquisto  del  Lussemburgo;  a  questo  effetto  la  detta  Maestà 
entrerà  in  negoziati  con  Sua  Maestà  il  Re  dei  Paesi  Bassi  por  determinar- 
lo a  fare  all'Imperatore  dei  Francesi  la  cessione  dei  suoi  diritti  sovrani  in 
questo  ducato,  verso  quel  compenso  che  sarà  creduto  sufficiente  od  al- 
trimenti. Dal  canto  suo  l'Imperatore  dei  Francesi  s'impegna  ad  assumere 
gli  obblighi  pecuniarii  che  può  comportare  questa  transazione. 

«  Art.  IH.  —  SuaMaestà  l'Imperatore  dei  Francesi  non  si  opporrà  ad 
un'unione  federale  della  Confederazione  del  Nord  con  gli  Stati  del  mez- 
zogiorno della  Germania,  ad  eccezione  dell'Austria,  la  qual  unione  po- 
trà essere  fondata  su  di  un  Parlamento  comune,  pur  rispettando,  in  una 
giusta  misura,  la  sovranità  dei  detti  Stati. 

«  Art.  IV.  —  Dal  canto  suo,  Sua  Maestà  il  Re  di  Prussia,  nel  caso  in 
cui  Sua  Maestà  l'Imperatore  dei  Francesi  fosse  indotto  dalle  circostanze  a 
fare  entrare  le  sue  truppe  nel  Belgio  od  a  conquistarlo,  concederà  il  soc- 
corso delle  sue  armi  alla  Francia,  e  la  sosterrà  con  tutte  le  sue  forze  di 
terra  e  di  mare,  verso  e  contro  ogni  potenza  che,  in  tale  eventualità  le 
dichiarasse  la  guerra. 

«  Art.  V.  —  Per  assicurare  l'intera  esecuzione  delle  disposizioni  che 
precedono,  Sua  Maestà  il  Re  di  Prussia  e  l'Imperatore  dei  Francesi  con- 
traggono, mediante  il  presente  trattato,  un'alleanza  offensiva  e  difen- 
siva che  essi  s'impegnano  solennemenle  a  mantenere.  Le  Loro  Maestà  si 
obbligano,  inoltre  e  specialmente,  ad  osservarlo  in  tutti  i  casi  nei  quali 
i  loro  Stati  rispettivi,  di  cui  essi  si  guarentiscono  reciprocamente  l'inte- 
grità, fossero  minacciati  da  una  aggressione,  tenendosi  per  vincolati, 
in  simile  circostanza,  di  adottare  senza  ritardo  e  non  rifiutare  sotto  nes- 
sun pretesto  i  provvedimenti  militari  che  fossero  imposti  dal  loro  inte- 
resse comune,  conforme  alle  clausole  e  previsioni  enunciate  più  sopra.  » 

Era  naturale  che  la  pubblicazione  di  questo  trattato  eccitasse  grande 
commozione  specialmente  io  Inghilterra  dove  subito  fu  interpellato  nel 
Parlamento  il  Governo.  Per  soddisfare  all'ansietà  universale  e  dare  le 
relative  spiegazioni  i  due  Governi  di  Berlino  e  di  Parigi  pubblicarono 
Tarii  documenti.  Ed  in  prima  ecco  la  Circolare  che  il  Bismark  di 
a  tutti  i  rappresentanti  della  Prussia  presso  le  Potenze  neutre,  sotto  la 
data  dei  Vò  Luglio,  in  questo  tenore: 

«  Rispondendo  all'aspettativa  espressa  nel  Parlamento  malese  da  lord 
Granville  e  dal  sig.  Gladslone,  che  ulteriori  comunicazioni  sarebbero 
fatt«v  (1  Jle  due  potenze  interessate  circa  il  progetto  di  trattato,  ho  pre- 
ventivamente risposto  con  una  comunicazione  in  data  del  -27,  diretta  per 


COiNTEMPORAlNEÀ  495 

telegrafo  al  conte  di  Bernstorff.  La  forma  telegrafica  non  mi  permetteva 
che  una  breve  esposizione,  che  compio  oggi  per  iscritto. 

«  Il  documento  pubblicato  dal  Times  non  è  la  sola  proposta  che  ci  sia 
stata  l'atta  nello  siesso  tempo  dalla  Francia.  Già  prima  della  guerra  di 
Danimarca,  agenti  francesi  ufficiosi  e  non  ufficiosi  avevano  fatto  pres- 
so di  me  dei  tentativi  per  un'alleanza  fra  la  Francia  e  la  Prussia  di- 
retta allo  scopo  di  un  reciproco  ingrandimento. 

«  Non  ho  bisogno  di  farvi  osservare  che  la  credenza  del  Governo  fran- 
cese alla  possibilità  di  una  simile  transazione  con  un  Ministro  tedesco,  la 
cui  posizione  è  una  conseguenza  del  suo  accordo  completo  col  senti- 
mento nazionale  tedesco,  non  può  spiegarsi  che  coi  fatto  che  gli  uomini 
di  Stalo  della  Francia  non  conoscono  le  condizioni  fondamentali  dell'esi- 
stenza degli  altri  popoli.  Se  gli  agenti  del  Governo  francese  fossero 
stati  capaci  di  osservare  le  relazioni  tedesche,  a  Parigi  non  si  sarebbe 
mai  dato  corso  alla  illusione  regolare  gli  affari  tedeschi  coli1  aiuto  della 
Francia.  Vostra  Eccellenza  conosce  come  me  Y  ignoranza  nella  quale  so- 
no i  Francesi  circa  la  Germania. 

«  Gli  sforzi  del  Governo  francese  per  attuare  i  suoi  avidi  progetti  sul 
Belgio  e  sui  confini  renani,  coir  assistenza  della  Prussia,  erano  già  giun- 
ti a  mia  conoscenza  prima  del  1862,  per  conseguenza  prima  della  mia 
entrata  ai  Ministero;  ma  non  posso  considerare  queste  comunicazioni, 
affatto  personali,  come  tali  da  potere  entrare  nel  dominio  delie  trattative 
internazionali,  e  credo  dovere  conservare  i  documenti  interessanti  che 
risultano  da  colloqui!  e  da  lettere  private  che  potrei  fornire  per  chiarire 
quest'affare.  Le  tendenze  più  sopra  menzionate  del  Governo  francese  si 
manifestano,  prima  di  tutto,  nell'attitudine  che  esso  osservò  in  nostro 
favore  al  momento  del  conflitto  prusso-danese.  L'irritazione  cbe  la 
Francia  risentì  in  seguito  contro  di  noi  all'occasione  del  trattato  di  Ga- 
stein,  proveniva  dal  timore  che  il  consolidamento  durevole  dell'  alleanza 
prusso-austriaca  non  facesse  perdere  al  gabinetto  di  Parigi  i  frutti  di 
questa  attitudine.  Già,  prima  del  1865,  la  Francia  aveva  fatti  i  suoi 
conti  sopra  una  guerra  fra  noi  e  l'Austria,  ed  essa  si  avvicinò  con  pia- 
cere alla  Prussia  non  appena  cominciarono  ad  alterarsi  i  nostri  rapporti 
con  Vienna.  Prima  che  scoppiasse  la  guerra,  delle  proposte  mi  furono 
fatte  in  parte  da  parenti  di  S.  M.  l'Imperatore  dei  Francesi  ed  in  parte 
da  agenti  confidenziali.  Queste  proposte  avevano  sempre  per  mida  tran- 
sazioni intese  a  produrre  reciproci  ingrandimenti.  Ora  trattavasi  del 
Lussemburgo  o  della  frontiera  del  1814  con  Landau  e  Sarrelouis,  ora  di 
uno  scopo  più  esteso,  nel  quale  la  Svizzera  francese  e  la  questione  di 
sapere  dove  bisognava  tracciare  i  confini  del  Piemonte  relativamente 
alla  lingua,  non  erano  esclusi. 

*  In  Maggio  1866  queste  insinuazioni  presero  la  forma  di  una  proposta 
d'alleanza  offensiva  e  difensiva,  della  quale  rimase  in  mia  mano  l'estrat- 
to seguente: 


496  CRONACA 

1.'  Io  caso  di  Congresso  insistere  d'accordo  per  la  cessione  della  Ve- 
nezia all'Italia  e  l'annessione  dei  ducati  alla  Prussia. 

2."  Se  il  Congresso  non  riesce,  alleanza  offensiva  e  difensiva. 
3.8  Il  Re  di  Prussia  comincerà  le  ostilità  nei  dieci  giorni  che  seguiran- 
no la  separazione  del  Congresso. 

4.°  Se  il  Congresso  non  si  riunisce,  la  Prussia  assalirà  trenta  giorni 
dopo  la  conclusione  del  presente  trattato. 

5.°  L'Imperatore  dichiarerà  la  guerra  all'Austria  appena  saranno  co- 
minciate le  ostilità  fra  l'Austria  e  la  Prussia  (trenta  giorni,  300,000  uo- 
mini). 

6.°  Non  si  farà  pace  separata  coli' Austria. 
7.°  La  pace  si  farà  nelle  condizioni  seguenti  : 

La  Venezia  all'Italia  ed  i  territori!  tedeschi  di  cui  più  sopra  alla  Prus- 
sia (7  ad  8  milioni  d'anime  a  scelta)  ;  più  la  riforma  federale  nel  senso 
prussiano. 

Per  la  Francia  il  territorio  fra  la  Mosella  ed  il  Reno  senza  Cohlenza 
e  Ma  gonza. 

8.°  Convenzione  militare  e  marittima  fra  la  Francia  e  la  Prussia  non 
appena  si  avesse  l'adesione  del  Re  d'Italia. 

«  La  forza  dell'armata  colla  quale  l'Imperatore  doveva  aiutarci,  in  vir- 
tù dell'  articolo  5,  era  fissata  a  3000,000  uomini.  La  cifra  della  popolazio- 
ne, di  cui  la  Francia  voleva  ingrandirsi,  si  elevava,  secondo  il  calcolo 
dei  Francesi  (che  non  è  d'accordo  colla  cifra  reale)  ad  1  milione  800,000 
anime.  Tutti  coloro  che  sono  bene  al  corrente  della  storia  diplomatica 
e  militare  del  1866  scorgeranno  in  queste  clausole  la  politica  che  la 
Trancia  seguiva  nello  stesso  tempo  coli' Italia,  colla  quale  essa  trattava 
ugualmente  in  segreto  e  più  tardi  di  fronte  alla  Prussia  ed  all'Italia. 
Dopo  che  noi  abbiamo  rigettato  in  Giugno  1866  il  progetto  d'alleanza 
sopra  menzionato,  non  ostante  avvertimenti  reiterati  e  pressoché  minac- 
ciosi, il  Governo  francese,  non  sperando  più  che  sul  trionfo  dell'Austria, 
sperava  poterci  invece  sfruttare,  offrendoci  l'aiuto  della  Francia,  dopo 
la  nostra  eventuale  disfatta,  disfatta  che  la  politica  francese  cominciava 
a  preparare  diplomaticamente  con  tutti  gli  sforzi. 

«  \ ostia  Eccellenza  sa  che  il  congresso,  di  cui  è  questione  nel  progetto 
d'alleanza,  e  che  fu  proposto  anche  più  tardi,  avrebbe  avuto  per  risul- 
tato di  porre  termine  alla  nostra  alleanza  coli' Italia,  conclusa  per  tre 
mesi,  senza  che  questa  potenza  avesse  potuto  esserci  utile.  Vostra  Ec- 
cellenza sa  pure  in  quale  modo  la  Francia  si  sforzò  con  ulteriori  comuni- 
cazioni relative  a  Custoza,  di  nuocere  alla  nostra  condizione  e  di  prepa- 
rare la  nostra  disfatta  se  ciò  fosse  stato  possibile. 

«  Le  angoscio  patriottiche  del  signor  Rouher  sono  un  commentario  del- 
la politica  ulteriore  della  Francia.  Da  quel  tempo  essa  non  cessò  di  ten- 
tarci eoo  offerte  a  spese  della  Germania  e  del  Belgio.  Ma  non  ho  mai 
pensalo  che  fosse  possibile  accettare  offerte  di  questa  natura.  Credeva 


CONTEMPORANEA  497 

clic  fosse  utile,  nell'interesse  della  pace,  di  lasciare  ai  diplomatici  fran- 
cesi le  illusioni  che  loro  sono  particolari  quanto  maggior  tempo  ciò  era 
possibile,  senza  neppure  fare  delle  promesse  verbali,  lo  presumeva  che 
r annientamento  delle  speranze  francesi  comprometterebbero  la  pace 
che  era  nell'interesse  della  Germania  e  dell1  Europa  di  mantenere.  Io 
non  era  dell'avviso  di  quegli  uomini  politici,  i  quali  consigliavano  di 
non  impedire  la  guerra  con  tutti  gli  sforzi,  perchè  in  ogni  caso  essa 
era  inevitabile.  Nessuno  può  penetrare  i  disegni  della  Provvidenza,  ed 
io  considerai  una  guerra,  anche  felice,  come  una  sventura  che  la  diplo- 
mazia doveva  sforzarsi  di  risparmiare  ai  popoli,  lo  non  potevo  non 
senza  la  possibilità  di  eventuali  modificazioni  nella  costituzione  e  nella 
politica  della  Francia,  che  farebbero  sparire  la  necessità  d'una  guerra 
fra  due  popoli.  Per  questi  motivi  io  mi  tacqui  sulle  domande  che  mi 
erano  state  fatte,  e  negoziai  dilatoriamente  senza  mai  fare  promesse. 

«  Allorché  naufragarono  le  trattative  col  Re  dei  Paesi  Bassi  per  l'acqui- 
sto del  Lussemburgo,  la  Francia  mi  rinnovò  le  sue  precedenti  proposte 
circa  il  Belgio  e  la  Germania  del  sud.  Allora  ebbe  luogo  la  comunicazio- 
ne del  manoscritto  del  sig.  Benedetti.  Supporre  che  l'ambasciatore  di 
Francia  abbia  formulato  queste  proposte  di  sua  propria  mano ,  me  le 
abbia  rimesse  e  le  abbia  appoggiate  a  più  riprese,  modificando  i  testi 
che  io  faceva  cambiare ,  tutto  ciò  senza  Y  autorizzazione  del  suo  Sovra- 
no, è  completamente  inverisimile ;  e  non  lo  è  meno  che  l'imperatore 
Napoleone  non  abbia  aderito  alla  domanda  della  cessione  di  Magonza, 
domanda  che  mi  fu  fatta  ufficialmente  dall'  ambasciatore  imperiale  nel 
corso  del  1866 ,  con  minaccia  di  guerra  in  caso  di  rifiuto. 

«  Le  diverse  fasi  di  cattivo  umore  e  di  voglia  di  far  la  guerra  per  par- 
te della  Francia,  che  noi  abbiamo  attraversato  dal  1866  al  1869,  coin- 
cidono abbastanza  bene  colla  buona  e  la  cattiva  disposizione  per  le  trat- 
tative che  gli  agenti  francesi  credevano  di  trovare  presso  di  me.  Nello 
stesso  modo  con  cui  io  ero  stato  avvertito,  in  passato,  da  un  per- 
sonaggio alto  locato,  che  non  fu  estraneo  a  queste  trattative,  che  nel 
caso  di  un1  occupazione  del  Belgio,  noi  troveremmo  bene  il  nostro  Bel- 
gio altrove;  nello  stesso  modo  mi  si  diede  ad  intendere,  in  un'occasio- 
ne anteriore,  che,  nella  soluzione  della  questione  d'Oriente,  la  Francia 
non  cercherebbe  punto  la  sua  parte  in  Oriente,  ma  sibbene  sulle  sue  fron- 
tiere immediate. 

«  Io  credo  che  la  convinzione  che  non  si  potrebbe  giungere  per  mezzo 
nostro  ad  un  aumento  di  territorio  francese,  ha  da  se  sola  deciso  l' Im- 
peratore ad  ottenerla  con  una  guerra  contro  di  noi.  Ho  anzi  luogo  di 
credere  che,  se  la  pubblicazione  del  progetto  di  trattato  non  avesse 
avuto  luogo,  la  Francia  ci  avrebbe  fatto,  dopo  il  compimento  dei  no- 
stri reciproci  armamenti ,  Y  offerta  di  mettere  in  esecuzione  le  propo- 
ste che  anteriormente  ci  erano  state  fatte ,  allorché  ci  saremmo  trovati 
Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  490.  32  13  Agosto  1870. 


498  CRONACA 

assieme  alla  testa  di  un  milione  di  soldati  bene  armati ,  in  faccia  al- 
l'Europa  disarmata,  ovvero  di  fare  la  pace  prima  o  dopo  la  prima  bat- 
taglia, sulla  base  delle  proposte  del  signor  Benedetti  a  spese  del  Telaio. 

«  Relativamente  al  testo  di  queste  proposte,  io  faccio  osservare  che  il 
progetto  di  trattato  è  interamente  scritto  di  mano  del  signor  Bene  i»  t  i  e 
sopra  carte  dell1  ambasciata  di  Francia  e  che  gli  ambasciatori  d'Austria, 
d  Inghilterra,  di  Russia,  di  Baviera,  del  Baden,  del  Belgio,  dell'Assia, 
d'Italia,  di  Sassonia,  di  Turchia  e  del  Wùrtemberg,  i  quali  videro  T ori- 
ginale, riconobbero  il  carattere  del  signor  Benedetti.  All'articolo  1°  il 
signor  Benedetti  rinunziò,  fino  dalla  prima  lettura,  alla  clausola  finale 
(e  la  mise  fra  parentesi),  dopo  che  io  gli  avevo  fatto  osservare  che. 
essa  faceva  suppore  un'immistione  della  Francia  negli  affari  interni  nel- 
la Germania.  11  signor  Benedetti  fece  spontaneamente  in  mia  presenza 
una  correzione  meno  importante  all'articolo  2.°  Il  24  informai  verbal- 
mente lord  Loftus  dell'esistenza  del  documento;  e  dubitandone  egli, 
io  lo  invitai  a  prenderne  conoscenza,  ciò  che  fece  il  27,  e  si  co: 
allora  che  il  documento  era  del  suo  antico  collega  francese.  Se  oggi  il 
gabinetto  imperiale  nega  i  tentativi  coi  quali  esso  si  è  sforzato  di  av- 
vicendare con  noi  dal  1864  fin  adesso  le  con  promesse  e  le  minacce,  e 
ciò  senza  interruzione,  la  cosa  si  spiega  facilmente  colla  condizione 
politica  presente.  » 

Alla  pubblicazione  del  Trattato  ed  alla  Circolare  del  Bismarck  il  Go- 
verno francese  rispose  in  prima  con  una  lettera  del  sig.  Benedetti,  che 
confessava  al  ministro  duca  di  Grammont  di  aver  bensì  scritto  quel  trat- 
tato, ma,  in  un  certo  modo,  sotto  la  dettatura  del  Bismark:  poi  con  una 
circolare  del  duca  di  Grammont  agli  agenti  diplomatici  francesi  all'este- 
ra. Essa  è  data  il  5  Agosto  e  dice  così. 

«  Signore...,  noi  conosciamo  oggidì  lo  sviluppo  del  telegramma  indi- 
rizzato dal  sig.  conte  di  Bismark  all'  ambasciatore  di  Prussia  a  Londra  per 
annunciare  all'Inghilterra  i  pretesi  segreti,  di  cui  il  cancelliere  federale 
si  diceva  depositario.  Il  suo  dispaccio  non  aggiunge  alcun  fatto  » 
ziale  a  quelli  ch'egli  aveva  già  esposti.  Noi  vi  troviamo  soltanto  alcune 
inverosimiglianze  di  più.  Noi  non  ce  ne  occuperemo.  L'opinione  pubbli- 
ca ha  già  latto  giustizia  di  asserzioni,  che  non  ricevono  alcuna  autorità 
dall'audacia  colla  quale  si  ripetono,  e  consideriamo  come  definita  amente 
stabilito,  che  giammai  l'imperatore  Napoleone  ha  proposto  alla  frussii 
un  trattato  per  prendere  possesso  del  Belgio.  Questa  idea  appartiene  al 
sig.  di  Bismark;  era  uno  degli  spedienli  di  quella  politica  senza  scrupoli, 
che  speriamo,  volga  al  suo  termine. 

«  Mi  asterrei  dunque  dal  ritornare  sopra  asserzioni  la  cui  falsila  - 
gidì  manifesta,  se  l'autore  del  dispaccio  prussiano  con  una  maacania  di 
tatto  che  \Qdo  per  la  prima  volta  giunta  a  questo  grado  in  nn  documento 
diplomatico,  non  avesse  citato  dei  parenti  dell'  Imperatore  come  latori  di 
messaggi  e  di  confidenze  compromettenti.  Qualunque  sia  la  repugnanza 


CONTEMPORANEA  499 

con  cui  mi  veggo  obbligato,  per  seguire  il  cancelliere  prussiano,  ad  im- 
pegnarmi in  una  via  tanto  contraria  alle  mie  abitudini,  vinco  questo  sen- 
timento, perchè  è  mio  dovere  di  respingere  le  perfide  insinuazioni,  che, 
dirette  contro  membri  della  famiglia  imperiale,  cercano  evidentemente 
di  colpire  l'Imperatore  stesso. 

«  In  Berlino  il  sig.  di  Bismark,  prendendo  l'iniziativa  delle  idee  di  cui 
egli  vuole  oggidì  attribuirci  il  primo  concepimento,  sollecitava  in  questi 
termini  il  principe  francese  che  egli  fa  intervenire  oggidì  ad  onta  di 
ogni  convenienza,  nella  sua  polemica  :  «  Voi  cercate,  gli  diceva  egli, 
una  cosa  impossibile,  voi  volete  prendere  le  province  del  Reno  che 
sono  tedesche.  Perchè  non  annettervi  il  Belgio,  dove  esiste  un  popolo 
che  ha  la  stessa  origine,  le  stesse  relazioni,  la  stessa  lingua?  Ho  già 
fatto  dir  ciò  air  Imperatore;  se  egli  entrasse  nelle  mie  viste,  noi  Io 
aiuteremmo  a  prendere  il  Belgio.  Quanto  a  me,  se  fossi  il  padrone  e  che 
non  fossi  imbarazzato  dall1  ostinazione  del  Re,  ciò  sarebbe  già  fatto.  » 
Queste  parole  del  cancelliere  prussiano  furono,  per  così  dire,  letteral- 
mente ripetute  alla  Corte  di  Francia  dal  conte  di  Goltz.  Questo  amba- 
sciatore ne  faceva  tanto  poco  mistero,  che  è  considerevole  il  numero  dei 
testimoni',  che  1' hanno  udito.  Soggiungerò  che  all'epoca  dell'Esposizio- 
ne universale,  le  trattative  della  Prussia  furono  conosciute  da  più  d'un 
alto  personaggio  che  ne  prese  buona  nota  e  se  ne  sovviene  ancora. 
Non  era  del  resto  nel  conte  di  Bismark  un'  idea  passeggiera,  ma  bensì 
nn  progetto  concertato,  al  quale  si  riferivano  i  suoi  progetti  ambiziosi, 
e  ne  proseguiva  Y  esecuzione  con  una  perseveranza  che  è  provata  abba- 
stanza dalle  sue  numerose  escursioni  in  Francia,  sia  a  Biarritz,  sia  al- 
trove. Egli  non  riuscì  dinnanzi  alla  volontà  irremovibile  dell'  Imperato- 
re, il  quale  rifiutò  sempre  di  associarsi  ad  una  politica  indegna  della  sua 
lealtà. 

t  Lascio  ora  questo  argomento  che  ho  discusso  per  Y  ultima  volta, 
colla  ferma  intenzione  di  non  ritornarvi  più,  e  giungo  al  punto  veramen- 
te nuovo  del  dispaccio  del  signor  di  Bismark:  «  Ho  motivo  di  credere, 
dice  egli,  che  se  la  pubblicazione  del  progetto  di  trattato  non  avesse 
avuto  luogo,  la  Francia  ci  avrebbe  fatto,  dopo  il  compimento  dei  no- 
stri reciproci  armamenti,  l'offerta  di  mettere  in  esecuzione  le  propo- 
ste ch'essa  ci  aveva  fatte  anteriormente,  appena  ci  fossimo  trovati 
insieme  alla  testa  a  un  milione  di  soldati  bene  armati,  di  fronte  all'  Eu- 
ropa non  armata,  cioè  di  fare  la  pace  prima  o  dopo  la  prima  battaglia 
sulla  base  delle  proposte  del  signor  di  Benedetti,  a  spese  del  Belgio.  » 
Non  potrebbe  convenire  al  Governo  dell'  Imperatore  di  tollerare  una 
simile  asserzione.  Di  fronte  all'Europa,  i  Ministri  di  S.  M.  sfidano  il  si- 
gnor di  Bismark  di  addurre  un  latto  qualunque  che  possa  far  supporre 
ch'essi  abbiano  manifestato  direttamente  od  indirettamente,  in  via  uffi- 
ciale o  pel  canale  di  agenti  segreti,  l'intenzione  di  unirsi  alla  Prussia 
per  compiere  con  essa  sul  Belgio  V  attentato  commesso  sull'  Aunover. 


500  CRONACA 

«  Noi  noti  abbiamo  intrapreso  nessun  negoziato  col  signor  di  Bismark 
né  sul  Belgio,  né  sopra  un  altro  soggetto  qualsiasi.  Ben  lungi  dui  cercar 
Ja  guerra,  come  siamo  accusati,  noi  abbiamo  pregato  lord  Clarendon  di 
intervenire  presso  il  Ministro  prussiano  per  provocare  un  disarmo  reci- 
proco, missione  importante  di  cui  lord  Clarendon,  per  amicizia  verso 
Ja  Francia  e  per  devozione  all'idee  di  pace,  consentì  ad  incaricarsi  con- 
fidenzialmente. Ecco  in  quali  termini  il  signor  conte  Dani,  in  una  let- 
tera del  1  Febbraio,  spiegava  le  intenzioni  del  Governo  al  sig.  marche- 
se di  Lavalette,  nostro  ambasciatore  a  Londra:  «  E  certo  cbe  non  mi 
immischierei  punto  di  questo  affare  e  clic  non  chiederei  meglio  dell'  In- 
ghilterra di  non  immischiarsene,  se  si  trattasse  puramente  e  semplice- 
mente d'un  passo  volgare  e  di  pura  forma,  fatto  unicamente  per  for- 
nire al  signor  di  Bismark  l'occasione  di  esprimere  una  volta  di  più  il 
suo  rifiuto.  È  un  passo  fermo,  serio,  positivo  che  si  tratta  di  fare.  Il 
segretario  principale  di  Stato  sembra  prevedere  che  il  signor  di  Bis- 
mark proverà  un  primo  movimento  di  malcontento  e  di  malumore.  Ciò 
è  possibile  ma  non  certo.  In  questa  previsione,  è  forse  bene  di  prepa- 
rare il  terreno,  in  modo  da  evitare  una  risposta  negativa  da  princi- 
pio. Sono  convinto  che  la  riflessione  ed  il  tempo  indurranno  il  cancel- 
liere a  prendere  in  seria  considerazione  il  passo  dell1  Inghilterra;  se, 
sino  dal  primo  giorno,  egli  non  ha  respinto  ogni  trattativa,  l'interesse 
della  Prussia  e  della  Germania  tutta  parlerà  ben  presto  abbastanza  al- 
to per  indebolire  le  sue  resistenze.  Egli  non  vorrà  sollevare  contro  di 
sé  l'opinione  di  tutto  il  paese.  Quale  sarebbe  la  sua  condizione,  infatti, 
se  noi  gli  togliessimo  il  solo  pretesto  dietro  il  quale  egli  possa  rifugiar- 
si, cioè  l'armamento  della  Francia?  » 

«  Il  conte  di  Bismark  rispose  dapprima  eh1  egli  non  poteva  prendere 
fu  di  se  di  far  parte  al  Re  dei  suggerimenti  dei  Governo  britannico,  e 
eh1  egli  conosceva  bene  la  maniera  di  vedere  del  suo  sovrano  e  pre- 
sentare la  sua  opinione  contraria.  Il  re  Guglielmo  vedrebbe  certa- 
mente, diceva  egli,  nel  passo  del  gabinetto  di  Londra,  la  prova  d*  un 
cambiamento  nelle  disposizioni  dell'Inghilterra  verso  la  Prussia.  Insom- 
ma il  cancelliere  federale  dichiarava  «ch'era  impossibile  alla  Prussia 
di  modificare  un  sistema  militare  entrato  profondameute  nelle  tradizio- 
ni del  paese,  che  formava  una  delle  basi  della  sua  costituzione  e  non 
aveva  nulla  di  anormale.  » 

«  Il  sig.  conte  Daru  non  si  fermò  a  questa  prima  risposta.  Il  13  Feb- 
braio, egli  scriveva  al  sig.  di  Lavalette:  «  Spero  che  lord  Clarendon  non 
si  terrà  per  battuto  e  non  si  scoraggirà.  Noi  gli  daremo  prossimamente 
T occasione  di  ritornare  alla  carica,  se  ciò  gli  conviene,  e  di  riprendere 
la  conversazione  interrotta  col  cancelliere  federale.  È  nostra  intenzione, 
infalli,  di  diminuire  il  nostro  contingente;  noi  lo  avremmo  diminuito 
mollo  se  aves*iino  ottenuto  una  risposta  favorevole  del  cancelliere  del- 
la Confederazione  del  Nord;  noi  lo  diminuiremo  meno,  poiché  la  rispo- 


COKTEMPORANEA  501 

sta  è  negativa,  ma  non  pertanto  lo  diminuiremo.  La  riduzione  sarà, 
spero,  di  10,000  uomini;  questa  è  la  cifra  clic  io  proporrò. 

«  Affermeremo  in  questo  modo  con  gli  atti,  che  valgono  sempre  me- 
glio delle  parole,  le  nostre  intenzioni,  la  nostra  politica.  Nove  contin- 
genti, ridotti  di  10,000  uomini  ciascuno,  fanno  una  diminuzione  totale 
di  90,000  uomini.  E  già  qualche  cosa,  è  un  decimo  dell1  esercito  esisten- 
te; deploro  di  non  poter  fare  di  più.  La  legge  del  contingente  sarà  de- 
posta quinto  prima.  Lord  Clarendon  giudicherà  allora  se  è  a  proposito 
di  rappresentare  al  signor  di  Bismark  che  il  Governo  prussiano,  solo 
in  Europa,  non  fa  punto  concessioni  allo  spirito  di  pace,  e  ch'egli  si  po- 
ne così  in  una  situazione  grave  iu  mezzo  alle  società  europee,  perchè 
egli  dà  delle  armi  contro  di  se  a  tutti,  ed  anche  alle  popolazioni  acca- 
sciate sotto  il  peso  dei  carichi  militari  ch'egli  impone  loro.  » 

«  Il  conte  di  Bismark,  vivamente  stimolato,  credè  necessario  di  en- 
trare in  qualche  nuova  spiegazione  con  lord  Clarendon.  Queste  spiega- 
zioni, come  le  conosciamo  da  una  lettera  del  signor  di  Lavalette,  sotto  la 
data  del  23  Febbraio,  erano  piene  di  reticenze.  Il  cancelliere  della  Confe- 
derazione prussiana,  ritornando  sulla  sua  prima  risoluzione,  aveva  par- 
lato al  re  Guglielmo  della  proposta  raccomandata  dall'Inghilterra,  ma 
Sua  Maestà  l'aveva  rifiutata.  In  appoggio  di  questo  rifiuto,  il  cancel- 
liere adduceva  il  timore  d'alleanza  eventuale  dell'Austria  con  gli  Stati 
del  Sud  della  Germania  e  le  velleità  d'ingrandimento  che  potrebbe  ave- 
re la  Francia.  Ma  egli  adduceva  soprattutto  le  preoccupazioni  che  gli 
ispirava,  diceva  egli,  la  politica  della  Russia,  e  s1  impegnava,  a  questo 
proposito,  in  considerazioni  particolari  sulla  corte  di  Pietroburgo,  che 
preferisco  passare  sotto  silenzio,  non  potendo  decidermi  a  riprodurre 
ili;  umazioni  offensive.  Questi  sono  i  rifiuti,  che  il  conte  di  Bismark  op- 
poneva alle  leali  e  coscienziose  istanze  rinnovate  reiteratamente  da  lord 
Clarendon,  per  la  domanda  del  Governo  dell'Imperatore. 

«  Se  dunque  l'Europa  è  rimasta  in  armi,  se  un  milione  d'  uomini  sono 
sul  punto  di  urtarsi  sui  campi  di  battaglia,  non  è  più  permesso  di  con- 
tentarlo, la  responsabilità  d'un  simile  stato  di  cose  appartiene  alla  Prus- 
sia, poiché  essa  ha  respinto  ogni  idea  di  disarmare  allorché  noi  gliene 
facevamo  giungere  la  proposta,  e  incominciavamo  a  dargliene  l'esempio. 
Questa  condotta,  non  si  spiega  essa  del  resto  col  fatto  che  all'  ora  stessa 
in  cui  la  Francia,  fiduciosa,  diminuiva  il  suo  contingente,  il  gabinetto  di 
Berlino  organizzava  all'ombra  la  candidatura  provocatrice  d'un  Principe 
iiano?  Qualunque  siano  le  calunnie  inventate  dal  cancelliere  federa- 
le, noi  siamo  senza  timore;  egli  ha  perduto  il  diritto  d'essere  creduto. 
La  coscienza  dell'  Europa  e  la  storia  diranno,  che  la  Prussia  ha  cerca- 
to la  guerra  attuale  infliggendo  alla  Francia,  preoccupata  dello  sviluppo 
delle  sue  istituzioni  politiche,  un  oltraggio  che  nessuna  nazione  potente 
e  coraggiosa  avrebbe  potuto  accettare  senza  meritare  il  disprezzo  dei 
popoli.  » 


502  CRONACA 

2.  Mentre  così  battagliavano  i  Ministri  e  le  cancellerie ,  il  28  Luglio 
Napoleone  III  abbandonava  la  capitale  della  Francia,  per  recarsi  col 
Principe  imperiale,  al  quartier  generale  del  grande  esercito  di  opera- 
zione, a  Metz.  Un  telegramma  di  Berlino  della  stessa  data  annunziava 
che  il  31  Agosto  il  Re  di  Prussia  lasciava  la  capitale  per  venire  al  cam- 
po. Il  re  Guglielmo  era  accompagnato  dal  primo  ministro  Bismark. 
Coll'arrivo  dei  due  Sovrani  i  due  e.erciti  si  dichiaravano  in  assetto  di 
guerra. 

Già  prima  del  loro  arrivo  le  direzioni  dei  due  eserciti  erano  state  mol- 
to mutate.  Al  primo  muoversi  delle  truppe  francesi,  il  campo  di  Chà- 
lons.  le  guarnigioni  della  Francia  orientale,  centrale  e  meridionale  afflui- 
vano in  grandi  masse  a  Strasborgo.  I  giornali  di  Lione  e  di  Straborgo 
erano  pieni  di  ragguagli  della  gran  quantità  di  truppe  che  si  accumula- 
vano in  quella  città.  Tutto  parea  far  prevedere  che  i  francesi  intendes- 
sero prendere  i  tedeschi  alla  sprovvista,  passare  il  Reno  a  Kehl  in  faccia 
a  Strasborgo  e  dirigersi  fra  Cassel  e  Yurtzborgo  verso  il  Meno,  cioè 
proprio  nel  cuore  della  Germania,  minacciando  a  sinistra  gran  parte 
della  Prussia  Renana,  a  destra  gli  Stati  del  Sud,  e  di  fronte  Berlino.  E 
pare  che  la  Prussia  si  aspettasse  quest'attacco,  perchè  sulle  prime,  riti- 
rate tutte  le  guarnigioni  che  avea  di  qua  dal  Reno,  si  fortificò  nell'an- 
golo sporgente  formato  dal  Reno  e  dal  Meno,  per  aspettare  colà  l'urto 
dei  francesi;  e  i  contingenti  di  Baviera,  "Wurtemberg  e  Badcn  ebbero 
ordine  di  descrivere  un  gran  circuito  per  concentrarsi  al  largo  nella 
bassa  Baviera  verso  le  sorgenti  del  Meno  e  i  monti  della  Boemia,  come 
se  si  temesse  che  potessero  venire  ad  urtarsi  nei  francesi.  La  cosa  era 
così  generalmente  aspettata,  che  la  fantasia  del  telegrafo  ci  regalò  per- 
fino la  descrizione  del  passaggio  dei  francesi  per  Kehl  e  di  un  certo 
campo  trincerato  nei  dintorni  di  Rastadt,  da  essi  preso  sul  nemico.  Ma 
in  breve  si  riconobbe  che  i  piani  dei  movimenti  militari  si  erano  modi- 
ficati ,  giacché  dal  20  e  21  Luglio  le  truppe  che  venivano  da  Parigi  e 
dalla  Francia  occidentale  invece  di  proseguire  fino  a  Strasborgo,  si  fer- 
mavano a  Metz  e  di  là  si  avanzavano  verso  la  frontiera  bavaro-prussia- 
na,  prendendo  posto  lungo  quella  frontiera.  Intanto  le  truppe  accu- 
mulate a  Strasborgo,  si  diressero  esse  pure  verso  il  Nord,  sicché  i 
giornali  e  le  lettere  di  Strasborgo,  annunziavano  il  23  e  il  24  che  q nella 
città  era  di  nuovo  sgombra  di  soldati.  Però  non  rimase  sguernita  a  lun- 
go, perchè  mentre  le  truppe  partite  congiungevansi  alle  altre  in  prima 
linea  alla  frontiera,  he  succedevano  in  Strasborgo  altre  componenti  il 
primo  corpo  di  esercito,  destinato  a  formare  una  prima  riserva  sotto  il 
comando  del  maresciallo  Mac-Mahon,  mentre  una  seconda  riserva  orga- 
nizzava^ più  indietro,  al  campo  di  Chàlons. 

I  prussiani  dal  canto  loro  vedendo  che  i  francesi  non  si  avanzava- 
no, appena  i  corpi  ebbero  ricevute  le  prime  riserve  e  si  furono 
sul  piede  di  guerra,  ripassarono  il  Reno  in  grandi  masse,  sboccando 


COKTEMPORÀEEA  503 

da  Magonza  e  Coblenza  e  si  avanzarono  di  nuovo  fino  alla  frontiera 
francese.  I  bavaresi  del  Palafittato  che  eransi  ritirati  nella  città  murata 
di  Landau,  ritornarono  essi  pure  alla  frontiera  francese.  Altri  corpi 
prussiani  passarono  il  Meno,  entrarono  nel  gran  Ducato  di  Baden,  ri- 
salirono il  Reno  tino  a  Khel,  dove  furono  raggiunti  dai  badesi,  mentre 
bavaresi  e  wurtemberghesi  non  più  minacciati  di  una  sorpresa,  presero 
una  via  più  breve  e  vennero  a  concentrarsi  verso  Wurtzborgo.  Alla  fi- 
ne di  Luglio  all'arrivo  dei  due  Sovrani  al  campo  si  può  dire  che  i  due 
eserciti  belligeranti  fossero  disposti  nel  seguente  modo.  Alla  frontiera 
franco-bavaro-prussiana,  verso  il  Nord  della  Francia,  il  2°  e  4°  corpo 
comandati  dai  generali  Ladmirault  e  Froissard,  formavano  l'estrema  si- 
nistra francese,  nei  dintorni  di  Metz,  e  Thionville,  al  di  là  dei  quali  la 
Francia  confina  cogli  Stati  neutrali  del  Lussemborgo  e  del  Belgio.  Alla 
destra  di  questi  corpi ,  cioè  al  centro  dell'esercito  francese  in  faccia  ai 
con- ini  della  Prussia  e  del  palatinato,  trovavasi  il  3°  corpo  comandato 
dal  maresciallo  Bazaine;  poi  il  5*  comandato  dal  generale  De  Failiy  che 
si  appoggiava  quasi  al  Reno.  Un  po'  indietro  alla  destra,  cioè  a  Stra- 
sborgo,  trovavasi  il  1°  corpo  comandato  dal  maresciallo  Mac-Mahon.  Un 
po' indietro  fra  il  centro  e  l'ala  sinistra,  cioè  a  Nancy,  la  guardia  impe- 
riale. Più  indietro  infine  il  corpo  di  Riserva  al  campo  di  Chàlous,  sotto 
il  maresciallo  Canrobert.  I  cinque  corpi  si  possono  ritenere  forti  di  40 
mila  uomini  caduno,  pronti  al  combattimento.  Più  altri  40  mila  uomini 
fra  la  guardia  imperiale  e  la  Riserva  di  Chàlons.  L'effettivo  sulla  carta 
di  questo  esercito  si  può  calcolare  a  circa  300  mila  uomini;  ma  spediti 
a  combattere,  non  saranno  più  di  240  in  250  mila.  Essi  sono  disisi  in 
23  divisioni  di  fanteria  e  7  di  cavalleria;  cioè  circa  260  battaglioni  di 
fanti  e  150  squadroni  di  cavalli. 

L'esercito  prussiano  si  divide  in  tre  armate:  quella  del  Reno,  quella 
del  Meno  e  quella  di  Riserva.  Quella  del  Reno  comprende  tutto  il  fiore 
dell'esercito  prussiano,  cioè  circa  80  reggimenti  di  fanteria  e  40  di  ca- 
valleria. Posta  sotto  il  comando  diretto  del  \  rincipe  Federico  Carlo,  essa 
si  stendeva  verso  il  fine  di  Luglio  lungo  la  frontiera  francese  in  faccia 
all'esercito  nemico.  Non  si  può  calcolare  esattamente  la  forza  di  quel- 
l'esercito che  il  Times  del  30  Luglio  faceva  ascendere  a  300  mila  uomi- 
ni, ma  forse  con  qualche  esagerazione.  Un  secondo  esercito  composto 
di  poche  truppe  prussiane,  al  quale  doveano  riunirsi  circa  100  mila  uo- 
mini bavaresi,  sassoni,  wurtemberghesi  e  badesi,  e  così  circa  150  mila 
uomini  sotto  il  Principe  ereditario  di  Prussia,  stava  organizzandosi  nel 
Meno,  avendo  per  obietto  Strasborgo,  cioè  il  fianco  destro  dell'eser- 
cito francese.  Infine  un  esercito  di  riserva,  composto  degli  altri  ottan- 
ta reggimenti  di  Landweber  che  la  Prussia  organizza  in  tempo  di 
guerra,  si  formava  fra  il  Weser  e  il  Meno,  sotto  il  generale  De  Bit- 
tenfeìd  col  quartiere  generale  a  Francoforte,  dove  pure  il  re  Gugliel- 
mo venne  a  stabilire  il  quartier  generale  principale  di  tutte  quante  le 


504  CRONACA 

forze  di  operazione  prussiane.  Inoltre  la  Land  weber  organizzata  in  nuo- 
vi reggimenti  secondo  il  sistema  prussiano,  formava  corpi  di  osserva- 
tone per  la  difesa  del  litterale,  minacciate  dalle  flotte  e  dai  corpi  di  sbarco 
francesi,  e  pel  presidio  di  Berlino,  la  cui  vicinanza  al  Baltico,  la  rende 
esposta  a  qualche  colpo  di  mano,  sotto  gli  ordini  di  Vogel  di  Fal- 
kensìein. 

I  due  grandi  eserciti  prussiano  e  francese,  occupavano  prima  della 
rottura  delle  ostilità  una  fronte  assai  ristretta:  il  francese  fra  Thionville, 
e  Strasborgo,  cioè  una  fronte  di  cento  circa  miglia  italiane,  ed  altrettan- 
to il  prussiano  fra  Saareìouis  e  Landau.  Una  catena  di  montagne,  i  Vo- 
sgesi,  che  viene  dalla  Francia  e  penetra  in  Prussia  e  Baviera  Renana,  di- 
vide questo  spazio  di  terreno  in  due  valli  quasi  parallele,  l'una  bagnata 
dal  Reno  e  l'altra  bagnata  dalla  Saar:  queste  due  valli  discendono  dalla 
Francia  verso  la  Prussia  e  Baviera  renana:  i  francesi  lungo  i  due  pendii 
dei  Yosgesi  tendono  a  penetrare  in  Prussia,  nello  spazio  compreso  fra  i 
due  fiumi;  e  i  prussiani  si  dispongono  a  chiuderne  il  passo. Bitcbe  quar- 
tiere generale  del  3°  corpo  cioè  del  centro  francese,  è  una  piccola  città  si- 
tuata sui  Yosgesi;  i  quartieri  generali  della  sinistra  e  della  destra  si  ap- 
poggiano gli  uni  alla  Saar  (a  Sarreguemines  e  Forhach)  e  gli  altri  al 
Reno  (Haguenau  e  Strasborgo).  Pareva  tuttavia  che  lo  sforzo  principale 
dell' esercito  francese  si  portasse  principalmente  verso  la  sinistra,  per- 
chè da  quella  parte  la  vallata  della  Saar,  si  allarga  verso  la  Prussia  e  dà 
il  passo  verso  le  province  renane,  mentre  air  opposto  quella  del  Re- 
no si  restringe  ed  è  quasi  chiusa  dal  Reno  che  volta  a  sinistra  verso 
Spira  e  Magonza. 

Parecchi  piccoli  scontri  si  ebbero  nelle  prime  settimane.  Ma  il  primo 
fatto  d1  arme  di  qualche  momento  avvenne  il  2  Agosto.  I  prussiani 
sembravano  volersi  mantenere  a  Saarbruk,  piccola  città  posta  sulla 
Saar ,  dove  si  incrociano  le  due  ferrovie  che  vanno  da  Metz  a  Man- 
heime  da  Strasborgo  a  Treviri.  La  Saar  in  quel  punto  costituisce  quasi 
la  frontiera,  e  la  città  è  come  la  chiave  delle  pianure  treviresi.  La  de- 
stra dell1  esercito  prussiano  pareva  appoggiarsi  a  Saarbruk  che  è  fra  il 
centro  e  la  sinistra  dell'esercito  francese.  Già  da  parte  dei  francesi  crasi 
fatto  un  tentativo  contro  Saarbruk  li  30  Lnglio;  ma  erano  stati  respinti. 

II  2  Agosto  venne  pertanto  ordinata  una  forte  ricognizione  france- 
se contro  Saarebruk,  comandata  dall'Imperatore  in  persona.  Questa 
aveva  principalmente  due  scopi:  primo  di  riparare  il  leggero  scacco  toc- 
cato dalle  armi  francesi  tre  giorni  prima,  e  secondo  di  tastare  i  prussia- 
ni e  vedere  se  realmente  il  nemico  intendeva  tener  fermo  in  quella  po- 
sizione; se  cioè  si  sentiva  sostenuto,  e  se  il  grosso  dell'esercito  prus- 
siano era  vicino  e  disposto  ad  ingaggiare  una  lotta  di  qualche  importan- 
za. I  francesi  stabiliti  a  Forback  cioè  in  vista  di  Saarbruk,  uscirono  ^er- 
so  le  dieci  del  mattino  dagli  alloggiamenti  e  impegnarono  razione  verso 
le  11.  Dopo  un  combattimento  che  durò  fino  all'una,  i  francesi  occupa- 


CONTEMPORANEA  505 

rono  le  alture  che  dominano  la  citlà,  e  la  loro  artiglieria  ridusse,  a 
quanto  ne  disse  il  telegramma  ufficiale,  al  silenzio  Y artiglieria  nemica. 
Tuttavia  il  corpo  francese  non  proseguì  il  suo  vantaggio  lino  oltre  la 
città  e  contentossi  di  mantenersi  nelle  posizioni  conquistate;  il  che  pare 
significare  che  realmente  i  prussiani  fossero  in  forze  sufficienti,  ma  che 
nessuna  delle  parti  giudicasse  ancora  prudente  di  impegnare  un  azio- 
ne di  maggior  momento. 

È  intanto  da  notare  la  contraddizione  delle  notizie  di  quel  fatto  d'ar- 
me di  origine  francese  e  prussiana.  I  giornali  francesi  parlano  di  una  so- 
la divisione  francese  impegnata  contro  tre  divisioni  prussiane;  in- 
vece il  bollettino  ufficiale  di  Berlino,  4  Agosto,  asserisce  che  i  fran- 
cesi formaronsi  in  tre  divisioni  sugli  avamposti,  obbligando  il  debole 
distaccamento  che  occupava  la  città  ad  evacuarla.  Qui  si  possono  fare 
alcuni  commenti.  Non  possiamo  suppore  che  Napoleone  III  col  suo  fi- 
glio, siasi  voluto  avventurare  in  un  fatto  d'arme  con  poca  truppa,  e 
quindi  ci  par  più  probabile  che  i  francesi  fossero  superiori  di  numero; 
ma  un  debole  distaccamento  di  prussiani  non  poteva  sostenersi  due  ore 
contro  un  corpo  considerevole  di  truppa.  È  infatti  più  ragionevole  di 
supporre  che  i  prussiani  non  avessero  lasciato  senza  un  forte  presidio 
quel  posto  di  qualche  importanza,  che  manteneva  le  comunicazioni  fer- 
roviarie di  Treviri  col  centro  dell'armata  prussiana;  ma  quantunque 
numerosi,  dovettero  cedere  ad  un  nemico  superiore  di  forze,  dopo  una 
buona  ed  onorevole  resistenza  di  due  ore. 

Qui  è  noto  il  rovescio  delle  armi  francesi  succeduto  al  primo  loro 
avanzarsi  alle  offese.  Nel  fascicolo  seguente  ne  racconteremo  i  partico- 
lari. Toccato  così  dei  preparativi  per  terra,  veniamo  ora  a  parlare  dei 
preparativi  per  mare. 

3.  La  Francia  ha  un  grande  impegno  a  valersi  della  supremazia  che 
le  dà  sui  mari  la  preponderanza  della  sua  flotta,  rispetto  a  quella  della 
Prussia.  La  flotta  tedesca  non  ha  disponibili  che  6  grandi  legni  corazza- 
ti, laddove  la  Francia  ne  ha  18  in  attività  di  servizio,  ed  altri  otto  furo- 
no allestiti  o  stavano  compiendo  le  ultime  operazioni  sullo  scorcio  di 
Lugli o.  Inoltre  la  Francia  possiede  270  altri  legni  di  antico  modello  o 
di  minor  portata,  mentre  la  flotta  tedesca  non  arriva  a  possederne  50. 
In  altri  termini,  stando  alle  statistiche  dei  giornali  inglesi,  la  Francia  fa 
su  questo  momento  galleggiare  6784  cannoni  e  la  Prussia  solo  5G3. 

Fin  dalla  rottura  delle  ostilità  un  corpo  numeroso  di  truppe  era  diret- 
to a  Brest  e  a  Cherborgo,  per  essere  imbarcato  e  spedito  nei  mari  del 
Nord.  L'importanza  che  si  dava  a  questa  spedizione  è  rivelata  dall'esscr- 
si  recata  la  stessa  imperatrice  Eugenia  a  Cherborgo  per  assistere  all'ini- 
barco  ed  eccitare  colla  sua  presenza  l'entusiasmo  dei  soldati. 

Dal  canto  suo  la  flotta  prussiana  rinunziava  a  mantenersi  al  largo,  e 
veniva  a  rifugiarsi  nei  posti  militari  che  stanno  all'  imboccatura  dell'El- 


30  G  CRONACA 

ba  e  del  Weser  per  le  divisioni  del  Mar  del  Nord,  e  a  Kiel  pel  naviglio 
del  Baltico. 

Il  secreto  fu  ben  mantenuto  circa  i  movimenti  della  flotta  francese,  la 
quale  del  resto  non  può  mandare  notizie  che  assai  tarde,  perchè  non  ha 
a  sua  disposizione  veruna  stazione  telegrafica,  operando  contro  sponde 
nemiche  che  intercettano  tutte  le  comunicazioni.  Ecco  però  sommaria- 
mente le  notizie  che  si  poterono  raccogliere  dai  giornali  inglesi  e  tedeschi. 

La  flotta  francese  pare  divisa  in  due  squadre  principali.  Una  di  12  le- 
gni corazzati  e  altri  legni  minori  da  guerra  che  serve  di  vanguardia  ; 
l'altra  di  sei  altri  legni  corazzati  provenienti  dal  Mediterraneo  che  scor- 
ta un  convoglio  di  30  grossi  vapori  da  trasporto  carichi  di  truppa,  im- 
barcata a  Brest  e  Cherborgo. 

Già  il  18  Luglio  i  giornali  viennesi  annunziavano  la  comparsa  di  una 
flotta  francese  nei  Mari  dell'isola  di  Helgoland  che  è  di  fronte  alle  im- 
boccature del  Weser  e  dell'Elba,  appartenenti  agli  antichi  Slati  di  Ànno- 
ver  eOldemborgo.  Altro  dispaccio  dell'Aia  20  Luglio  annunziava  che  il 
giorno  precedente  un  legno  da  guerra  francese  erasi  arrenato  presso  l'iso- 
la di  Fielaud,  nelle  stesse  acque;  e  il  Times  del  23  riferiva  come  una  nave 
mercantile,  il  Seahorse,  avesse  udito  un  forte  cannoneggiamento  dalle  par- 
ti di  Sohwenin-gen  in  faccia  alle  coste  olandesi,  che  si  credea  prodotto 
dallo  scontro  di  qualche  legno  prussiano  coi  francesi.  Pare  dunque  che 
verso  il  20  Luglio  la  flotta  francese  si  trovava  alle  alture  della  costa 
germanica  del  Mar  del  Nord. 

La  France  del  24  annunziava  in  seguito  che  una  squadra,  cioè  la  se- 
conda, era  espettata  a  Brest;  e  annunziava  contemporaneamente  che  il 
Corpo  di  spedizione  si  era  tutto  concentrato  in  quella  città  e  a  Cher- 
borgo.  Contemporaneamente  sapevasi  che  i  vapori  delle  Messaggerie 
imperiali  erano  stati  respinti  per  trasporto  di  truppe.  Questa  era  la  se- 
conda squadra  col  corpo  di  sbarco,  che  deve  aver  lasciato  i  posti  fran- 
cesi fra  il  24  e  il  26  di  Luglio.  Dispacci  di  origine  tedesca  annunziava- 
no il  23  che  i  posti  tedeschi  di  Brema,  Lubecca,  Amborgo,  Stellino  e 
Kònigsberg  erano  stati  posti  in  istato  d'assedio  dalla  prima  squadra  e 
che  si  andavano  fortificando  le  coste  coi  famosi  cannoni  giganti  della 
fonderia  Krupp,  i  quali  portano  proiettili  del  peso  di  500  (ettogrammi, 
capaci  di  affondare  una  nave  alla  distanza  di  due  miglia.  Questa  noiizia 
confermava  indirettamente  l'altra  della  comparsa  delle  navi  franti 
vista  delle  coste  tedesche  del  Mar  del  Nord. 

La  prima  flotta,  a  detta  di  un  dispaccio  di  Emdem  (Annover),  ora  an- 
cora il  21  presso  l'isola  di  Borkum  all'imboccatura  dell'Ems.  Ma  la  Gaz- 
zetla  di  Colonie,  annunziava  già  il  2-2  che  navi  francesi,  l'avanguardia 
della  prima  squadra,  avevano  passalo  la  Sonda  e  penetrato  nel  Baltico. 
Un  dispaccio  di  Londra,  21  Luglio  confermava  la  notizia;  e  altro  dispac- 
cio di  Copenaga  del  28  annunziava  che  il  giorno  precedente  tutta  la 


CONTEMPORANEA  507 

prima  flotta  aveva  passato  il  Capo  Skageu,  e  quindi  addentravasi  nel 
Sund. 

Mentre  quella  prima  flotta  penetrava  nel  Baltico,  la  seconda  flotta 
traversava  la  Manica,  seguendo  la  stessa  direzione.  Infatti  un  telegram- 
ma di  Londra  27  Luglio,  diceva  esser  essa  stata  veduta  nelle  acque  di 
Wich  sulla  costa  occidentale  inglese,  navigando  verso  iì  Nord;  e  il 
Gaulois  di  Parigi  annunziava  a  sua  volta  che  il  26  la  squadra  di  Bonet- 
Villaumes  era  passata  in  vista  di  Douvres  il  26  ;  e  un  dispaccio  di 
Vienna,  28  Luglio,  dava  più  minuti  ragguagli,  dicendo  che  essa  si  com- 
poneva di  5  corazzate  a  sperone,  due  corazzate  minori,  e  trenta  grossi 
vapori  da  trasporto. 

Da  cosifatti  ragguagli,  henchè  spesso  confusi  e  contraddittorii,  si  può 
rilevare  che  l'operazione  della  squadra  francese  fosse  combinata  nel  se- 
guente modo.  La  prima  squadra  composta  esclusivamente  di  grossi  le- 
gni da  guerra,  presentandosi  nel  Mar  del  Nord,  forzava  il  naviglio  prus- 
siano a  nascondersi  nei  posti  fortificati;  e  teneva  in  rispetto  quel  navi- 
glio fino  a  che  la  seconda  squadra  colle  truppe  di  sbarco  avesse  salpa- 
to dai  porti  francesi.  La  stessa  squadra  vedendo  che  il  mare  era  spazza- 
to di  squadre  nemiche,  si  avviò  verso  il  Sud,  per  compiere  la  stessa 
operazione  nel  Baltico.  Per  tal  guisa  si  dividevano  le  forze  prussiane, 
le  quali  temendo  sulle  prime  un  attacco  contro  il  littorale  annoverese, 
si  occuparono  a  fortificar  solo  quello,  ma  al  momento  dato  invece  la 
tempesta  parve  volgersi  in  altre  parti  per  andarsi  a  scaricare  sulle  co- 
ste indifese  del  Baltico. 

Per  dare  un'idea  forse  triviale  ma  assai  esatta  del  teatro  di  queste  ope- 
razioni navali,  diremo  che  le  coste  tedesche,  danesi,  svedesi  e  russe  di 
quelle  regioni  danno  ali1  ingrosso  f  immagine  di  una  immensa  bocca  di 
animale,  spalancata  e  munita  di  enormi  denti  veduta  di  profilo.  Il  labbro 
inferiore  è  rappresentato  dalle  coste  germaniche  dell' Ànnover  e  Oldem- 
borgo,  i  denti  inferiori  sono  formati  dalla  penisola  danese,  i  denti  supe- 
riori, che  invece  di  essere  in  fuori  sono  in  dentro,  costituiscono  l'altra  pe- 
nisola della  Svezia  e  Norvegia,  e  in  mezzo  alle  due  dentiere  quasi  come 
due  enormi  bocconi  sono  le  due  isole  principali  di  Fionia  e  Seeland  ap- 
partenenti alla  Danimarca.  La  bocca  seguita  a  spalancarsi  per  molte  cen- 
tinaia di  miglia,  e  disotto  è  rappresentata  prima  dalle  coste  prussiane, 
poi  dal  litorale  russo,  e  il  palato  della  stessa  bocca  è  il  proseguimento 
della  costa  svedese.  La  flotta  francese  venne  a  fermarsi  innanzi  al  labbro 
inferiore  per  minacciarlo,  poi  repentinamente  si  spiccò  di  là  e  passando 
fra  i  denti,  venne  a  posarsi  sulla  parte  inferiore  dell'  interno  della  boc- 
ca. Le  coste  prussiane  sono  in  questa  parte  poco  difese  e  di  facile  ac- 
cesso ad  uno  sbarco.  Tutta  la  costa  è  irta  di  isolette  impossibili  a  difen- 
dere contro  una  flotta  armata  di  grossi  cannoni  che  le  possa  circondare. 
Un  corpo  di  sbarco  assistito  da  una  flotta  superiore  di  forze  può  facil- 
mente impadronirsi  di  una  di  queste  isole  e  sfidare  i  prussiani  che  si 


508  CRONACA 

trovano  dall'altra  parte  del  canale  sulla  terra  ferma.  L1  isola  di  fl 
separata  da  uno  stretto  canale  da  Stralsunda  cui  mette  capo  uno  ferro- 
via di  Berlino,  1"  altra  isola  di  Usedom  posta  di  fronte  a  Stettino  e  ad 
Anklan  sono  a  poche  leghe  da  Berlino,  al  quale  si  può  avere  accesso  sia 
per  ferrovia  sia  pel  fiume  Oden,  navigabile  fino  a  poche  leghe  dalla 
capitale  della  Prussia.  Il  possesso  pertanto  di  questi  punti  di  sbarco, 
poteva  riuscire  fatale  alla  Prussia,  qualora  la  Francia  avesse  potato  am- 
massarvi un  corpo  di  truppe  così  considerevole  da  poter  uscire  all' 
to  e  misurarsi  colle  forze  prussiane.  Infatti  al  primo  annunzio  del  pas- 
saggio della  flotta  francese  nella  Sonda,  i  giornali  berlinesi  si  mostraro- 
no assai  inquieti  di  questa  minaccia  e  da  quanto  si  può  raccogliere,  i! 
Governo  prussiano  ha  ordinato  la  formazione  di  una  riserva  di  osserva- 
zione intorno  a  Berlino,  composta  di  soldati  della  Land-weber. 

Si  ebbero  fin  dal  4  Agosto  per  telegramma  notizie  di  conflitti  navali 
avvenuti  nel  Baltico  ;  ma  troppo  oscuri  e  laconici  da  non  poterne  trarre 
verun  costrutto.  E  prevedibile  che  lo  Stato  maggiore  francese  avrà  calco- 
lato il  tempo  che  la  flotta  dovea  impiegare  per  dar  principio  al  suo  at- 
tacco, in  un  mare  col  quale  i  piloti  francesi  si  sono  familiarizzati  nel  tem- 
pi della  guerra  di  Crimea  quando  venne  espugnata  Bomarsund.  Perciò 
assai  più  che  dalle  incerte  nozione  dei  telegrammi  e  più  che  dalle  rela- 
zioni ufficiali,  le  quali  dovendo  venir  per  mare  saranno  sempre  in  ritar- 
do intiere  settimane,  il  lettore  potrà  trarre  meno  incerti  indizii  delle  o- 
perazioni  del  Baltico  da  quelle  del  grande  esercito  francese  scaglionato 
fra  Strasburgo  e  Thionville  che  devono  coincidere  con  quelle  della  flot- 
ta; l'ordine  di  marciare  da  Nancy  dovea  probabilmente  combinarsi  col- 
F  ordine  di  bombardare  dato  dalla  nave  ammiraglia  della  flotta  del  Bal- 
tico. Ma  è  chiaro  che  la  disastrosa  ritirata  deir  esercito  di  terra  dee  a 
quest'ora  aver  influito  sul  richiamo  in  Francia  dell1  esercito  di  mare. 

4.  È  un  fatto  che  tutte  le  potenze  europee  estranee  al  conflitto  franco- 
prussiano sentono  in  teoria  i  vantaggi  della  neutralità,  ma  in  pratici 
provano  la  grande  difficoltà  di  poterla  conservare.  L'Inghilterra  che 
pure  è  di  tutte  la  meno  minacciata,  baciò  non  pertanto  presi  provvedi- 
menti di  precauzione.  Il  Times  avea  lettere  da  Malta  fin  dal  -2*2  e  Gibilter- 
ra 23  Luglio,  in  cui  si  discorreva  delle  cautele  di  difesa  che  si  stavano 
prendendo  ih  quei  due  grandi  punti  della  strategia  navale  nel  Mediter- 
raneo. L'Arsenale  di  Woolwich  è  in  gran  moto  per  allestire  ordigni  di 
guerra,  e  una  flotta  numerosa  tiene  il  mare  nella  Manica  e  nel  mare 
del  Nord.  Inoltre  fu  ordinata  una  leva  di  20,000  uomini  e  il  parlamen- 
to votò  le  spese  necessarie  per  questi  allestimenti  militari. 

L'Austria  sta  parimente  armandosi  :  un  dispaccio  da  Vienna  già  an- 
nunziava fin  dal  19  Luglio  che  «  fu  deciso  in  un  Consiglio  de' Ministri 
di  ripristinare  lo  stato  di  pace  dell'armala  che  per  le  economie  era  stato 
fortemente  ridotto  e  di  sospendere  i  movimenti  autunnali  di  truppe. 


CONTEMPORANEA  509 

Nella  seduta  segreta  della  dieta  ungarica  del  28  Luglio  il  primo  mini- 
stro Andrassy  domandò  un  impresti to  di  5  milioni  di  fiorini  per  prov- 
vedere a  tutte  le  eventualità  di  guerra.  Venne  pure  concessa  al  Mini- 
stero la  facoltà  di  anticipare  la  leva  di  quesl'  anno.  Il  ministro  degli 
esteri  Andrassy  interpellato  sopra  la  condotta  che  avrebbe  tenuto  l'Au- 
stria, rispose  che  l'Austria  volea  la  neutralità  e  non  pensava  punto  a  ri- 
cuperare I1  influenza  sulla  Germania,  cui  aveva  rinunziato  dopo  il  1866. 
Questa  dichiarazione  venne  accolta  con  applausi. 

La  Russia  ingrossa  il  suo  esercito  in  Polonia  ponendo  l'orti  corpi  di 
truppa  tra  la  Prussia  e  l1  Austria  con  grande  inquietudine  della  stampa 
austriaca  e  specialmente  dell'  ungarese. 

Bei  piccoli  Stati  confinanti  col  teatro  della  lotta  si  capisce  che  gli 
apprestamenti  militari  sono  spinti  con  energia.  L'Olanda  e  il  Belgio 
hanno  chiamato  sotto  le  armi  un  60,000  uomini  ciascuno  e  il  Lussem- 
borgo  ha  messo  in  linea  la  sua  armata  che  si  compone  di  500  caccia- 
tori a  piedi  e  1300  gendarmi!  La  Svizzera  è  però  quella  che  si  mostra 
più  inquieta.  Ha  convocato  cinque  divisioni  di  truppa  cioè  30,000  uomi- 
ni circa  che  ha  accampati  verso  Basilea.  Venne  eletto  dall'Assemblea 
federale  il  19  Luglio,  il  colonnello  Herzog  per  generale  capo.  I  gior- 
nali svizzeri  e  francesi  temevano  assai  che  la  Prussia  non  volesse  ri- 
spettare la  neutralità  di  questa  potenza,  ma  risalire  la  sponda  del  Reno, 
verso  Basilea  e  Neuchàtel  per  entrare  per  la  famosa  valle  di  Dappel 
nel  territorio  francese. 

Al  Nord  della  Germania  stanno  tre  potenze,  la  Russia,  la  Svezia  e  la 
Danimarca.  La  Russia  ha  grandi  simpatie  e  comunanze  di  interessi  colla 
Prussia.  La  Prussia  è  infatti  la  sola  fra  le  grandi  potenze  europee  cui 
poco  importi  della  preponderanza  alla  quale  la  Russia  così  ardentemente 
aspira  in  Oriente.  Inoltre  Russia  e  Prussia  posseggono  la  massima  parte 
della  cattolica  Polonia,  che  soffre  mal  volontieri  il  giogo  tanto  degli 
scismatici  di  Pietroburgo,  quanto  de1  luterani  di  Berlino.  La  Russia  vede 
quindi  naturalmente  di  mal  occhio  le  flotte  francesi  approdare  alle  coste 
prussiane  del  Baltico  a  50  leghe  dal  granducato  di  Posen  (Polonia  prus- 
siana e  cosi  avvicinare  la  miccia  accesa  alla  mina  di  risentimenti  che 
cova  sotto  le  macerie  della  Polonia  soggiogata.  Ed  invero  al  primo  an- 
nunzio della  comparsa  della  squadra  francese  nel  Baltico,  una. flotta  rus- 
sa di  una  mezza  dozzina  di  corazzate  venne  a  gironzolarle  vicino  con  una 
cera  di  neutralità  malevola,  che  è  proprio  il  contrapposto  della  neutra- 
lità benevola  di  Firenze.  Ed  è  da  notare  che  i  giornali  prussiani  non  si 
peritano  di  asserire  che  qualora  nascessero  tumulti  nel  Granducato  di 
Posen,  la  Russia  interverrebbe  militarmente  per  mantenervi  l' ordine, 
per  il  pericolo  che  la  comunanza  di  nazionalità  non  facesse  anche  nascer 
P  incendio  nella  Polonia  russa.  Anche  qui  la  Russia  farebbe  il  rovescio 
della  medaglia,  di  quanto  si  fa  a  Firenze  nella  quistione  romana. 


510  CRONACA 

Le  altre  due  potenze,  cioè  Svezia  e  Danimarca,  sono  invece  assai  pro- 
pense alla  Francia.  Vedendosi  schiacciate  fra  i  due  colossi  del  Nord,  ac- 
colgono volentieri  l'idea  di  mettersi  sotto  la  protezione  di  un'altra 
grande  potenza  interessata  a  sostenerle.  La  Svezia  però  è  meno  diretta- 
mente impegnata  a  dichiararsi.  La  Danimarca  invece,  che  si  vide  spo- 
gliare delle  due  più  belle  sue  province  lo  Schleswigh  e  PHolstein  ;  e  di 
più  non  può  nemmeno  riaver  quella  parte  dello  Schleswigh  che  il  trat- 
tato di  Praga  sembrava  volerle  restituire,  arde  di  desiderio  di  veder 
trionfare  la  Francia.  Tuttavia  il  Governo,  posto  fra  un  nemico  vicino  e 
un  amico  lontano,  protesta  continuamente  della  sua  neutralità  assoluta; 
ma  le  popolazioni  si  manifestano  energicamente  in  favor  della  Francia  ; 
ed  è  facile  immaginare  qual  conseguenza  possa  avere  in  così  critiche  cir- 
costanze anche  una  semplice  imprudenza  di  popolo. 

Ma  di  tutti  gli  Stati  neutrali  il  più  impacciato  è  quello  di  Firenze.  I 
Ministri  hanno  dichiarato  in  pien  parlamento  che  vogliono  mantenersi 
in  uno  stato  di  neutralità  benevola  per  la  Francia.  Questa  neutralità  be- 
nevola non  piacque  agli  arrutfapopoli  e  mestatori  della  demagogia,  i  quali 
organizzarono  dimostrazioni  e  meeting  in  favore  della  neutralità  assoluta. 
Di  queste  dimostrazioni  ve  ne  furono  a  Firenze  le  sere  del  18  e  19  Lu- 
glio, e  a  Torino,  a  Milano,  a  Napoli,  a  Palermo,  quasi  contemporanea- 
mente fra  il  20  e  il  25  dello  stesso  mese,  ma  composte  quasi  esclusi- 
vamente di  monelli  e  mestatori.  Le  popolazioni  sono  seriamente  in- 
quiete e  non  secondano  questi  tumulti.  È  curioso  però  osservare  che  in 
tutte  queste  dimostrazioni,  organizzale  in  onore  della  neutralità  assoluta, 
oltre  al  gridare:  Viva  la  Repubblica!  Viva  Garibaldi!  e  altre  grida  tut- 
t' altro  che  neutrali  quanto  alle  cose  interne;  si  gridò  generalmente:  Viva 
la  Prussia!  Abbasso  Napoleone  HI;  le  quali  grida,  quanto  rispettino  la 
neutralità  all'estero,  ognuno  può  dirlo.  Ma  il  peggio  fu  a  Milano  la  sera 
del  25.  Si  cominciò  lungo  il  Cordusio  e  a  Porta  Garibaldi  a  fare  il  solito 
chiasso  pseudo-neutrale,  ma  quando  fu  fatta  ressa,  e  le  guardie  di  P.  S. 
misero  mano  a  sciogliere  gli  attruppamenti,  presso  al  locale  di  S.  Orsola, 
sbucarono  fuori  un  venti  patrioti  armati  di  fucile  e  fecero  fuoco  sulla  forza 
pubblica.  Anzi  si  tentò  rovesciar  omnibus  e  improvvisar  barricate;  ma 
non  fu  possibile  venirne  a  capo.  Varii  di  questi  dimostranti  a  colpi  di  fu- 
cile, vennero  arrestati,  come  pure  vennero  arrestati  parecchi  redattori 
e  i  gerenti  del  Gazzettino  Rosa  e  dell'  Unità  Italiana,  ma  questi  asseri- 
scono essersi  trovati  per  mero  caso  nel  tumulto.  È  però  da  avvertire 
che  il  Gazzettino  Rosa  portava  nel  numero  di  quel  giorno  in  fronte  un 
disegno,  rappresentante  una  bomba  che  scoppia,  con  una  relativa  iscri- 
zione intorno  alla  festa  che  dovea  far  V  Italia  per  quella  bomba  che  scop- 
piava ! 

Però  dopo  parecchi  giorni  quelle  dimostrazioni  si  calmarono.  Forse  in 
grazia  di  un'  astuzia  della  polizia  che  fé  affiggere  agli  angoli  cartelli  mi- 
steriosi, come  i  seguenti.  Ora  si  vede  scritto  così  :  Biancone  si  muove! 
altra  volta  è  stampato  in  grosse  lettere  1."  Agosto  e  sotto  a  queste  pa- 
role un  ?  colossale.  Con  ciò  la  gente  si  martella  il  cervello,  e  aspet- 
tando T  ignoto  si  dimentica  o  non  si  cura  del  presente.  Ora  si  lavora 
a  gran  forza  a  provare  che  gli  arrestati  di  queste  scene  facevano  per 
burla:  e  forse  i  tribunali  meneranno  buona  la  ragione.  Si  riconosce  che 
nella  casa  da  cui  sboccarono  i  venti  armati  di  via  S.  Orsola  a  Milano, 


CONTEMPO RANEA  511 

furono  rinvenute  casse  di  revolver  e  fucili  perfezionati;  eppure  quei  ta- 
li che  uscirono  in  piazza  aveano  avuto  cura  di  scegliere  dei  fucili  ruggi- 
nosi ed  inservibili  della  guardia  nazionale.  A  Genova,  a  Milano,  a  Pa- 
lermo vennero  scoperti  depositi  d'anni,  e  sequestrati. 

Con  tutto  ciò  il  Ministero  si  siringe  alla  sua  politica  della  neutralità 
benevola.  Interpellato  a  più  riprese  nella  Camera  si  tenne  fermo  a  que- 
sto suo  programma.  Interrogato  se  volea  prolittare  dell'occasione  della 
guerra  in  cui  la  Francia  si  trova  impegnata  colla  Prussia,  per  andare  a 
jftoma ,  rispose  evasivamente  dichiarando  di  attenersi  alla  Convenzione 
di  Settembre.  Messo  alle  strette  per  sapere  se  il  ritiro  delle,  truppe 
francesi  si  adoperava  dalla  Francia  d'accordo  col  Governo  di  Firenze,  i 
Ministri  si  contentarono  di  dichiarare  che  un  tale  avvenimento  non  vio- 
lerebbe in  nulla  le  leggi  della  neutralità.  Questa  dichiarazione  importan- 
te conciliò  al  Ministero  i  voti  di  una  gran  parte  della  sinistra,  e  gli  alie- 
nò quelli  dell'estrema  destra  che  si  unì  all'estrema  sinistra  per  votar 
contro  quella  dichiarazione. 

Ma  la  quistione  romana  pare  debba  avere  una  coda.  Il  20  Luglio  ar- 
rivava in  Firenze  da  Parigi  il  conte  Vimercati,  latore  chi  dice  di  una  let- 
tera dell'Imperatore  al  Re,  e  chi  dice  un  trattato  bello  e  formulato  di 
alleanza  eventuale  tra  Francia,  Austria  e  Italia.  Il  conte  Vimercati  si  fer- 
mò pochi  giorni  a  Firenze,  poi  si  recò  a  Vienna  dove  arrivò  il  27. 1 gior- 
nali più  credibili  asseriscono  che  in  questi  colloquii  del  Vimercati,  si  git- 
tarono  le  basi  dei  detti  accordi,  dei  quali  sarebbe  stato  conseguenza  imme- 
diata il  richiamo  del  corpo  francese  che  occupava  Civitavecchia.  La  Iti- 
forma  di  Firenze  fin  dal  21  così  parlava  dello  sgombro  dei  Francesi  : 
«  Ci  si  afferma  che  le  esibizioni  fatte  alla  Corte  italiana  siano  per  un 
«  ritorno  puro  e  semplice  aila  Convenzione  di  Settembre:  il  Governo 
«  italiano  rimarrebbe  obbligato  a  non  toccare  e  a  difendere  il  conline 
«  pontificio.  »  L'Ambasciatore  di  Prussia  conte  Brassier  di  S.  Simon  ebbe 
sentore  della  cosa  e  corse  dal  Ministro  degli  affari  esteri  Visconti  Venosta 
per  avere  una  spiegazione.  Un  corrispondente  fiorentino  della  Gazzetta 
di  Torino  del  27  asserisce  che  l'ambasciatore  prussiano  «  avrebbe  si- 
gnificato da  parte  del  suo  Governo  al  nostro  Ministro  degli  affari  esteri 
che  la  surrogazione  delle  nostre  truppe  alle  francesi  in  Civitavecchia 
verrebbe  considerala  come  un  l'atto  uscente  dai  limiti  della  neutralità  a 
danno  deila  Prussia  e  quindi  di  natura  tale,  da  sollevare  il  casus  belli  tra 
quest'ultima  e  l'Italia.  »  Fatto  sta  che  dopo  quella  conversazione  l'am- 
basciatore prussiano  partiva  per  Berlino  e  un  dispaccio  di  Vienna  del 
27  Luglio  diceva:  «  Il  Governo  di  Prussia  avrebbe  l'intenzione  di  invia- 
re l'intimazione  di  dichiarare  la  propria  posizione  politica  »,  cioè,  in  ter- 
mini meno  diplomatici,  di  scegliere  fra  una  neutralità  passiva,  e  la  neu- 
tralità benevola  per  Francia. 

Quello  che  è  certo  si  è  che  il  Governo  di  Firenze  pare  avere  come  un 
presentimento  di  non  la  potere  durare  a  lungo  neutrale.  Esso  è  il  solo  dei 
Governi  neutrali  non  confinanti  col  teatro  deila  guerra  che  abbia  richia- 
malo sotto  le  armi  .fin  dai  primi  giorni  delle  ostilità  franco  prussiane  dei 
soldati  in  congedo.  È  vero  cne  le  due  classi  chiamate  erano  state  congeda- 
te prima  del  tempo  prescritto  dai  regolamenti  per  ragioni  di  economia  ; 
ciò  non  di  meno  sono  sempre  65  mila  l  uomini  dì  più  che  venivano  sotto 

1  Classe  del  1844  n.  35,468  uomini,  id.  del  1845  n.  33,114  uomini.  Totale  68  582  uomini. 


512  CRONACA  CONTEMPORANEA 

le  armi  :  sicché  le  truppe  possibili  ad  essere  mobilizzate  in  Italia  ascen- 
dono a  circa  150  mila  uomini  di  tutte  le  armi.  Si  parlò  molto,  ma  senza 
che  nulla  si  sapesse  di  certo,  della  formazione  di  un  corpo  di  osserva- 
zione da  radunarsi  a  Verona.  Si  designavano  i  generali  che  lo  coman- 
deranno: cioè  Cialdini  in  capo,  con  Pianell  e  Cadorna  per  luogotenenti. 
Intanto  numerosi  corpi  di  truppa  si  avviavano  a  quella  volta  fin  dal  20 
Luglio,  quantunque  la  mobilizzazione  di  quell'esercito  non  fosse  ancor 
dichiarata.  Però  gli  accordi  furono  già  presi  fin  da  quell'epoca  colle  am- 
ministrazioni delle  ferrovie,  pel  trasporto  in  tre  giorni  di  60  mila  uomini 
a  Verona,  e  tutti  i  giornali  annunciavano  fra  il  23  e  26  l'ordine  dato  di 
provvedere  10,000  cavalli  e  1500  muli  per  l'artiglieria,  col  qual  rinfor- 
zo si  potranno  mobilizzare  80  batterie  (240  cannoni)  d'artiglieria  di  cam- 
po e  15  batterie  (60  cannoni)  di  montagna.  Verso  la  stessa  epoca  si  pre- 
parava la  chiamata  di  altre  due  classi  di  soldati  in  congedo,  cioè  quelle 
del  1842  e  1843,  onde  portar  la  forza  dell'esercito  suscettivo  di  mobiliz- 
zazione a  200,000  uomini,  e  la  Camera  dei  Deputati  votava  il  30  Luglio 
un  credito  di  16  milioni  pel  mantenimento  del  maggior  numero  di  sol- 
dati pretenti  sotto  le  armi. 

11  31  Luglio  il  conte  Vi  mercati  era  di  ritorno  da  Vienna  seguito  da 
presso  dal  signor  conte  Vizthum ,  confidente  del  ministro  De  Beust, 
uomo,  come  il  Cancelliere,  d'origine  sassone  e  ostilissimo  alla  Prussia. 
Qual*  decisione  siasi  presa  su  queste  conversazioni  diplomatiche  non  si 
sa  bene:  ciò  che  pare  più  probabile  si  è  che  Austria,  Italia  e  fors' anche 
l'Inghilterra,  vorrebbero  convenire  di  un'  azione  comune  nella  neutralità. 

Tuttavia  è  opinione  assai  generale  che  il  Governo  di  Firenze  propen- 
de a  lasciarsi  trascinar  dalla  Francia.  Così  almeno  la  pensano  i  tumul- 
tuanti, i  quali  non  mancano  di  quando  in  quando  di  far  nascere  subbugli 
con  questo  pretesto.  Già  nell'ultima  seduta  delia  Camera  del  1  Agosto, 
un  Deputato  avea  detto  :  faremo  la  rivoluzione!  ci  batteremo  !  Questa 
parola  può  essere  un  segnale  dato  alle  sette  di  agitarsi.  A  Genova,  fu 
colta  la  palla  in  balzo.  Trattavasi  in  quella  città  un  processo  intentato 
a  certi  Stallo1  e  complici,  imputati  di  aver 'organizzato  nella  scorsa 
primavera  una  banda  coli' intento  di  proclamar  la  repubblica.  Gl'impu- 
tati nell'entrare  e  nell' uscire  dalla  sala  delle  udienze  (che  è  posta  nel 
già  Convento  dei  SS.  Giacomo  e  Filippo)  sotto  i  bastioni  dell' Acquarola, 
erano  oggetto  di  ovazioni  da  parte  del  popolaccio.  Finalmente  i  giurati 
avendo  dichiarato  lo  Stallo  e  complici  colpevoli,  quantunque  la  pena 
fosse  untissima,  si  formarono  attruppamenti  allÀcquasola  nelle  salite  di 
S.  Bartolomeo  e  di  S.  Caterina  e  presso  all'  Ospedale  maggiore,  virino 
alla  famosa  via  di  Porteria,  dove  nel  1746  il  famoso  Balilla,  lanciò  la 
prima  sassaia  contro  gli  austriaci,  e  dove  dopo  il  1848  venne  eretta 
una  statua  allo  storico  fanciullo  genovese.  Vi  -fu  pure  tentativo  di  edifi- 
car barricale  nei  luoghi  abitali  dal  basso  popolo.  Ma  grazie  alla  pron- 
tezza della  truppa  e  ad  una  pioggia  dirotta,  la  cosa  fu  quietata  non  però 
senza  spargimento  di  sangue  dall'una  e  dall'altra  parte. 


I  Lo  Stallo  Luigi  era  maggior  garibaldino  a  Mentana,  dove  fu  ferito;  e  tradotto  a  Roma  ove  venne  fatto 
prigione  e  Ti  stette  Quo  alla  perfetta  sua  guarigione. 


IL   DOMMA 
DELL'  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA 

E  LA  BASE  DEI  CONCORDATI 


Nel  numero  dei  17  Agosto  è  stato  dall'  Unità  Cattolica  pubblicalo 
in  Torino  un  dispaccio,  che  dicesi  diretto  dal  signor  Beust,  cancel- 
liere dell'Impero  austriaco,  al  signor  commendator  Palomba  Carac- 
ciolo, consigliere  d'ambasciata  ed  agente  per  gli  affari  ecclesiastici 
nella  legazione  di  Austria  in  Roma.  Noi  non  sappiamo  con  tutta  cer- 
tezza se  questo  documento  sia  autentico  :  e  quantunque  facilmente 
avessimo  potuto  accertare  questo  punto,  non  ce  ne  siamo  dato  alcun 
carico ,  perchè  non  vogliamo  considerarne  l'importanza  politica,  ma 
solamente  la  dottrinale.  A  un  tal  punto  di  vista  per  noi  la  prove- 
nienza del  Dispaccio  è  del  tutto  indifferente.  Ossia  esso  un  atto 
autentico  del  Governo  austriaco,  ossia  un  articolo  d'un  giornalista 
più  o  meno  autorevole,  per  noi  è  tutt'uno.  Noi  non  vogliamo  esami- 
narne che  le  accuse  che  dà  al  Concilio,  i  principii  che  professa,  le 
conseguenze  che  ne  deduce.  Ci  fermiamo  adunque  nel  mero  campo 
speculativo,  e  ci  rivolgiamo  agli  uomini  periti  in  teologia,  abituati  a 
ragionare  secondo  logica,  pratici  della  costituzione  organica  della 
Chiesa.  Ed  il  facciamo  perchè  le  idee  svolte  da  questo  Dispaccio 
sono  slate  messe  fuori  sotto  altre  forme  da  altri  scrittori:  e  benché 
siano  esse  altre  volte  state  da  altri  e  da  noi  stessi  confutale,  non 
bisogna  lasciarle  senza  risposta  nella  forma  nuova,  di  cui  si  presen- 
tano ora  rivestile. 
Serie  VII,  voi  XI,  fase.  491.  33  22  Agosto  1870. 


Olì  IL  DOMMA  DELL'  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA 

11  documento  intero,  prodotto  la  prima  volta  dal  Giornale  di 
Vienna,  è  stato  copiato  da  quasi  tutta  la  stampa  di  Europa:  pos- 
siamo dunque  passarci  dal  riferirlo  alla  distesa  in  questo  luogo. 
Ma  ne  compendieremo  fedelmente  il  discorso,  spogliandolo  di  tulio 
ciò  che  può  riferirsi  alla  parte  politica  che  esso  contiene.  Eccone 
adunque  nei  sommi  capi  il  tenore. 

—  Dal  Concilio  Valicano  i  Governi  aspettavano  una  grande  ope- 
ra di  conciliazione  e  di  pacificazione.  Essi  rispettarono  adunque  la 
libertà  del  Concilio,  e  si  astennero  da  principio  da  ogni  pressione, 
e  perfino  da  ogni  intervenzione ,  sebbene  le  materie  assoggettate 
all'esame  dei  Prelati  dovessero  toccare  in  più  d'un  punto  degl'in- 
teressi che  non  erano  di  carattere  puramente  religioso.  Ma  le  in- 
fluenze preponderanti  del  Concilio  ingannarono  quella  espettazione. 
«  Malgrado  gli  sforzi  di  una  minoranza  imponente,  la  maggioranza 
dei  Padri  del  Concilio,  incoraggiata  dall'altitudine  pronunziata  del- 
la Santa  Sede,  inclinava  ognor  più  verso  le  decisioni  estreme.  » 
Allora  si  commossero  i  Governi ,  e  le  loro  rimostranze  presso  la 
Santa  Sede  si  accumularono.  «  Tulli  questi  avvertimenti  furono  al- 
trettanto vani,  quanto  fu  vana  apposizione  della  minoranza.  »  Il 
domina  del  Primato  e  dell'Infallibilità  dei  romani  Pontefici  venne 
promulgalo. 

—  Questo  fatto  muta  sostanzialmente  i  rapporti  vigenti  finora  tra 
la  Chiesa  e  lo  Stalo  :  perchè  questa  definizione  estende  in  primo 
luogo  la  cerchia  della  competenza  della  Chiesa,  e  concentra  in  se- 
condo luogo  nella  persona  del  Papa,  armalo  di  una  autorità  novel- 
la, tutti  i  poteri  che  la  Chiesa  stessa  pretende  di  esercitare,  a  Un 
cangiamento  cosi  radicalo  rovescia  tutte  le  condizioni  che  hanno 
presieduto  finora  all'  ordinamento  dei  rapporti  fra  lo  Slato  e  la 
Chiesa,  »  dando  loro  una  base  affatto  nuova. 

—  Quindi  vengono  naturalmente  colpite  di  caducità  tulle  le  con- 
venzioni concluse  solto  l'impero  di  circostanze  all'alio  differenti:  e 
però  il  Concordato  del  1855  si  dee  considerare  come  abrogalo.  Né 
ciò  basta.  D'ora  innanzi  «  non  si  possono  senza  inquietudine  man- 
tenere relazioni  con  un  potere  che  si  costituisce  da  sé  quale  potere 
senza  limili  e  senza  sindacato  » .  — 


E  LA  BASE  DEI  CONCORDATI  515 

Questi  sono  i  concetti  del  Dispaccio,  fedelmente  disposti  secon- 
do l'ordine  loro  naturale.  Veniamo  a  considerarli  l'un  dopo  l'altro, 
colla  scorta  della  buona  teologia  e  del  buon  senso. 


T. 


S'attendevano  i  Governi  dal  Concilio  Vaticano  una  grande  opera 
di  conciliazione  e  di  pacificazione,  ma  nella  loro  speranza  vennero 
delusi  dalla  promulgazione  del  Domma  dell'Infallibilità  pontifìcia. 
Questa  è  la  prima  accusa  che  si  lancia  contro  una  tale  definizione. 
Oh  quanto  e  per  quanti  versi  essa  è  ingiusta!  Le  considerazioni  si 
affollano  sotto  la  penna  :  e  per  esser  brevi  bisogna  sceglierne  so- 
lo alcune  delle  principali,  e  queste  accennare  piuttosto  che  svolgere. 

Chi  rammentasi  quelle  parole  di  Cristo  nostro  Signore  presso 
S.  Matteo  :  Non  veni  pacem  mittere,  sed  gladium,  non  troverà  al 
certo  che  mancando,  quando  pure  dovesse  mancare,  alla  defini- 
zione del  Concilio  Vaticano  l'effetto  della  conciliazione,  possa  que- 
sto essergli  attribuito  a  sfregio  e  disdoro:  quasi  segno  che  lo  spi- 
rito di  Gesù  Cristo  sia  in  esso  stato  pervertito.  Quella  conciliazio- 
ne, quella  pacificazione  che  il  secolo  attende  vasi  da  Gesù,  e  che 
Gesù  dichiarò  altamente  non  aver  egli  portato  sulla  terra  :  quella 
conciliazione,  quella  pacificazione  non  doveva  aspettarsi  dal  Conci- 
lio, né  il  Concilio  poteva  proporsi  come  scopo  da  conseguire.  Or 
qual  è  questa  pace,  che  Gesù  ripudia,  che  la  Chiesa,  sposa  sua  im- 
macolata, deve  insiem  con  lui  e  sull'orme  sue  ripudiare? 

Questa  pace  è  principalissimamente  la  conciliazione  della  verità 
coli'  errore,  del  bene  col  male,  del  giusto  coli'  ingiusto.  Come  Dio, 
somma  ed  infinita  Verità,  sommo  ed  infinito  Bene,  somma  ed  infini- 
ta Giustizia,  non  è  che  verità,  bene,  giustizia  assoluta,  in  cui  non 
può  cadere  mescolanza  di  falso,  di  male,  d'ingiustizia;  cosi  il  verbo 
che  venne  Gesù  a  rivelare  al  mondo  è  verità  assoluta,  è  bene  as- 
soluto ,  è  giustizia  assoluta.  Quello  che  con  linguaggio  sacro  chia- 
masi dal  Redentore  medesimo  il  secolo ,  esso  è  sostanzialmente  il 
miscuglio  del  vero  col  falso ,  del  bene  col  male,  del  giusto  coli' in- 
giusto: poiché  alla  ragione  umana  non  puossi  proporre  la  falsità,  la 


516  IL  DOMMA  DELL*  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA 

malizia,  l'ingiustizia  assoluta  con  isperanza  che  essa  universal- 
mente le  accetti,  o  conceda  loro  predominio  largo  e  durevole.  Il 
secolo  ha  sempre  adunque  agognato  alla  conciliazione,  che  sacrifica 
un  po'  della  verità  alle  esigenze  delle  passioni ,  un  po'  di  bene  alle 
richieste  dell'interesse,  un  po'  di  giustizia  all'urto  delle  passioni; 
il  secolo  ha  sempre  chiesta  la  pacificazione  che  camuffa  il  falso 
sotto  le  apparenze  del  vero,  nasconde  il  male  sotto  la  coverta 
dell'utile,  dissimula  l'ingiustizia  sotto  il  pretesto  della  necessità, 
affinchè  gli  uomini  restino  ingannali  dal  bagliore  di  quel  poco  di 
bene  che  lor  si  proponete  non  scoprano  il  mollo  male  a  cui  si  vo- 
gliono menare.  Innanzi  al  secolo  saranno  grandi  coloro  che  posseg- 
gono a  perfezione  quest'arte;  si  attribuirà  loro  il  nome  e  il  vanto 
di  moderati;  si  chiameranno  tutti  in  un  fascio  radicali,  estremi,  fa- 
natici, tanto  coloro  che  gloriosi  della  figliazione  di  Dio  cercano 
senza  debolezza  il  vero  e  il  bene  schietto ,  quanto  coloro  che  spre- 
giatori del  rispetto  umano  non  si  vergognano  che  loro  si  dica  :  vos 
ex  patre  diabolo  estis,  e  osano  dimandare  il  male  come  tale,  e  pro- 
fessare il  falso  senza  reticenze  né  cautele.  Ma  nn  tal  secolo  è  ripu- 
dialo da  Cristo  :  un  tal  secolo  è  appunto  l' opposto  della  Chiesa  fon- 
data da  Cristo  :  un  tal  secolo  non  deve  aspettarsi  pace  da  Cristo  e 
dalla  sua  Chiesa,  ma  spada:  non  veni  pacem  mittere,  sed  gladium. 
L' attendere  dal  Concilio  questa  conciliazione  fu  una  vera  illusione  : 
non  imposta  dalla  Chiesa  che  professa  altamente  il  contrario,  ma 
creatasi  dallo  spirilo  medesimo  del  secolo,  che  non  ha  mai  voluto 
riconoscere  nella  Chiesa  quella  divina  missione  che  ha,  di  non  ce- 
lare al  mondo  tutta  intera  la  verità. 

E  notisi  contraddizione  manifesta  in  che  s'avvolgono  nel  caso 
nostro  concreto  i  Governi  retti  alla  liberale,  aspettandosi  dalla  Chie- 
sa una  tal  conciliazione.  Essi  professano  di  non  avere  nessuna  in- 
gerenza in  lutto  quello  che  è  verità  rivelata,  o  anche  verità  natura- 
le: poiché  professano  libertà  di  coscienza,  non  come  tolleranza  di  er- 
rore per  una  parte  di  loro  sudditi,  ma  come  diritto  di  tutti  i  cittadi- 
ni innanzi  allo  Stalo:  professano  libertà  di  opinione  e  di  stampa  sopra 
:  qualsivoglia  materia,  dando  uguale  diritto  di  propagarsi  alla  verità 
ed  all'errore.  Essi  adunque  ammeltono  che  come  Governo  non  deb- 


E  LA  BASE  DEI  CONCORDATI  511 

bono  insegnare  o  imporre  dottrine  :  anzi  debbono  tutelare  in  cia- 
scuno dei  loro  sudditi  il  diritto  che  in  loro  riconoscono  di  professa- 
re quale  dottrina  meglio  ad  essi  aggrada.  Dovrebbe  adunque  esse- 
re per  essi  indifferente  qualsivoglia  opinione  si  professi  dalla  Chie- 
sa cattolica:  e  se  i  cattolici  vogliono  tenere  il  Papa  per  infallibile, 
tal  sia  di  loro  ,  dovrebbero  essi  dire  :  ciò  non  ci  spelta  né  ci  tocca 
in  nulla.  E  pur  no  :  quando  il  Concilio  è  radunato ,  quando  si  di- 
scute la  infallibilità  dei  romani  Pontefici ,  questi  Governi  non  sono 
più  indifferenti  alle  dottrine,  anzi  hanno  una  opinione  loro  propria; 
questa  opinione  la  giudicano  più  salda  della  opposta,  e  sperano  che 
la  Chiesa  rinuncierà  alla  sua  fede,  almeno  in  parte,  per  accostarsi 
al  loro  modo  di  pensare;  e  perchè  il  Concilio  non  si  adagia  a  que- 
sto partito,  il  Concilio  ha  mancato  all'opera  di  conciliazione,  di  pa- 
cificazione. Or  perchè  non  avete  voi,  la  cui  missione  sulla  terra  non 
è  d'insegnare  il  vero,  modificato  il  vostro  modo  di  opinare,  facendo 
un'opera  di  conciliazione  colla  Chiesa,  un'opera  di  pacificazione?  Per 
qual  diritto  potevate  voi  persistere  nel  vostro  pensiero,  voi  che  dove- 
te professare  di  non  averne  alcuno  come  proprio,  ed  esigere  che  la 
Chiesa  modificasse  il  suo ,  la  Chiesa  che  è  fondata  appunto  sulla 
confessione  d'un  pensiero,  d'una  verità? 

V'è  però  una  pace  che  Cristo  nostro  Signore  dispensò  vivendo  ai 
suoi  discepoli,  e  che  costituiva  anzi  il  suo  saluto  ordinario:  pax  vo- 
bis, pacem  meam  do  vobis.  Ma  questa  pace  non  è  quella  che  il  se- 
colo, che  il  mondo  suol  dare:  non  qualem  mundus  dat,  Ego  do 
vobis.  Questa  pace  non  è  l'amalgama  tra  la  verità  e  l'errore:  è 
la  distruzione  dell'errore  per  mezzo  della  verità;  è  l'unificazione  di 
tutte  le  intelligenze  nello  stesso  vero,  la  più  grande  pacificazione 
delle  intelligenze  umane.  Or  questa  pacificazione  per  mezzo  della 
verità  adempie  sulla  terra  ogni  dì  la  Chiesa;  e  l'adempie  col  continuo 
combattere  gli  errori  che  sorgono  a  dividere  gli  spiriti  e  a  gittare 
la  confusione  fra  gli  uomini.  Da  diciannove  secoli  sta  essa  com- 
piendo questa  missione  :  e  il  Concilio  Vaticano,  non  degenere  da 
tutti  gli  altri  Concilii  ecumenici,  nella  definizione  dell'  infallibilità 
pontificia  ha  veramente  compiuta  mia  grande  opera  di  pacificazione 
nel  mondo.  Né  già  soltanto  perchè  ha  estinto  il  gallicanismo,  il  feb- 


518  IL  DOMMA  DELL   INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA 

bronianismo,  il  giansenismo,  spanditori  di  discordie  deplorabili  nel 
seno  della  Chiesa;  ma  eziandio  perchè  ha  reso  più  visibilmente  effi- 
cace quella  spada  che  il  Signore  confidò  alla  Chiesa,  per  uccidere  gli 
errori  nascenti,  veni  mittere  gladium,  l'autorità  cioè  della  divina 
rivelazione,  secondo  la  parola  di  S.  Paolo  agli  Efesini,  gladium  spi- 
rilus,  r/uod  est  verbum  Bei.  Questa  autorità,  di  cui  interprete  e  de- 
positario è  il  Vicario  di  Gesù  in  terra,  e  con  lui  la  Chiesa,  fu  sem- 
pre dai  successori  di  Pietro  adoperata  in  servigio  della  verità.  Es- 
sa per  la  solenne  definizione  non  ha  acquistato  maggior  vigore  in- 
trinseco, ma  maggiore  estrinseca  efficacia;  perchè  chi  non  la  rico- 
noscerà, non  solo  commette  peccato,  come  anche  prima  della  so- 
lenne definizione  del  Concilio  si  commetteva;  ma  non  è  più  tolle- 
rato nel  suo  seno  dalla  Chiesa,  e  come  ramo  disseccato  dalla  eresia 
Tiene  dalla  mistica  vite  reciso.  Questo  solenne  riconoscimento  del- 
l'autorità dei  Pontefici  è  come  una  nuova  ritempera  di  quella  spada, 
la  quale  distruggendo  l'errore  darà  la  pace  al  mondo.  Questa  spe- 
ranza, la  sola  che  potesse  legittimamente  concepirsi,  non  sarà  dal 
tempo  defraudata:  perchè  la  parola  infallibile  del  romano  Pontefice 
sarà  la  gran  paciera  fra  le  discordie  degl'  intelletti  che  sorgeranno 
nel  modo. 


li. 


«  I  Governi,  pieni  di  rispetto  per  la  libertà  del  Concilio,  furono 
unanimi  nell'astenersi  da  ogni  pressione,  e  persino  da  ogni  inter- 
venzione. »  Ma  questa  astensione  non  fu  costante:  perchè  vedendo 
quali  erano  le  tendenze  del  Concilio,  essi  uscirono  dalla  loro  riser- 
va: e  vi  furono  disfacci  e  memorandum;  osservazioni  ed  avverti- 
menti; consigli  e  rimostranze.  Ma  tutto  fu  indarno. 

Tali  sono  i  fatti  esposti  in  questo  Dispaccio.  Essi  dan  luogo  alle 
seguenti  considerazioni. 

Vi  furono  dunque  due  stadii:  quello  dell'astensione,  quello  della 
intervenzione.  Lo  stadio  dell'astensione,  non  sappiamo  lino  a  qual 
punto  intera,  fondavasi  sopra  tali  principi!,  che  avrebbero  dovuto 
sconsigliare  ogni  intervenzione  posteriore.  Poiché  per  qual  ragione 


E  LA  BASE  DEI  CONCORDATI  1)19 

si  astennero  nel  primo  stadio  i  Governi  dall'intervenire?  Se  fu  per 
rispetto  alla  libertà  del  Concilio,  l'intervenzione  posteriore  era  una 
offesa  a  questa  libertà.  Se  fu  pel  principio  della  separazione  della 
Chiesa  dallo  Stato,  questo  principio  non  fu  abbandonato  dai  Gover- 
ni dinante  il  Concilio,  e  l'astensione  precedente  condanna  l'inter- 
venzione posteriore. 

Se  non  che  a  scusare  una  tal  doppia  condotta  arrecasi  una  ra- 
gione, che  invece  maggiormente  la  condanna.  Essi  videro,  dice  il 
dispaccio  austriaco,  che  le  materie  preparate  toccarono  in  più  d'un 
punto  degl'interessi  che  non  erano  di  carattere  meramente  religioso. 
Or  si  chiede:  quali  sono  state  le  materie  proposte  all'esame  dei  Pa- 
dri che  tocchino  altri  interessi  che  i  meramente  religiosi?  Dalle  co- 
stituzioni già  pubblicate  non  trasparisce  verbo  che  si  riferisca  ad 
interessi  materiali,  civili,  politici:  sono  meri  dommi  di  fede  sta- 
biliti e  riconfermati,  sono  errori  intorno  alla  fede  condannati.  Nep- 
pure si  è  ancor  nulla  decretato  intorno  alla  disciplina,  che  potreb- 
be in  alcuni  punti  trovarsi  in  rapporto  colle  leggi  civili:  anzi  i  dom- 
mi stessi  definiti,  gli  errori  condannati  non  si  riferiscono  per  nulla 
a  materie  miste;  che  potrebbero  dare  un  pretesto  a  quella  scusa.  Ei 
ci  sembra  che  sia  interesse  eminentemente  religioso,  e  nulla  affat- 
to politico,  il  sapere  quale  sia  la  verità  rivelata  da  Dio  intorno  a  un 
qualsivoglia  punto  :  e  non  si  sa  concepire  come  in  queste  defini- 
zioni i  Governi  liberali  alla  moderna  possano  scorgere  dei  punti 
di  conlatto  colla  politica.  Essi  non  pretendono  niente  affatto  di  por- 
re in  armonia  l'ordine  specolativo,  specialmente  il  soprannaturale 
che  è  il  rivelato,  coll'ordine  prattico  :  e  lasciando  quello  alla  Chiesa 
o  alla  scienza,  serbano  per  sé  unicamente  questo.  Quindi  la  loro  le- 
galità differente  dalla  giustizia:  quindi  la  loro  separazione  della 
Chiesa  dallo  Stato  :  quindi  la  loro  libertà  dell'opinione  :  quindi  la  loro 
uguaglianza  di  tutti  i  culti  innanzi  allo  Stato.  Cotali  sistemi  rendono 
impossibile  a  priori  qualsivoglia  rapporto  tra  le  verità  meramente 
dommatiche  e  gl'interessi  di  uno  Stato.  Come  dunque  potè  questo 
rapporto  trovarsi  nel  caso  presente,  e  così  grave  che  costringesse  i 
Governi  di  passare  dall'astensione  alla  intervenzione?  Confessiamo 
che  ciò  supera  la  nostra  intelligenza;  e  quindi  tanto  men  ragionevole 


520  IL  DOMMA  DELL  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA 

ci  sembra  quel  cangiamento  di  attitudine  verso  il  Concilio,  quanto 
più  s' insiste  a  volerla  da  questo  lato  giustificare. 

L'intervenzione  però  dei  Governi  non  giovò  a  nulla:  e  questa 
circostanza  è  molto  bene  da  ricordare  sì  per  lode  del  Concilio,  sì 
per  garanzia  maggiore  della  verità  delle  definizioni.  Poiché  chi  dava 
avvertimenti,  chi  faceva  rimostranze,  chi  suggeriva  consigli,  son 
coloro  che  stringono  nei  loro  pugni  i  destini  di  grandi  nazioni  :  che 
hanno  per  loro  la  forza  e  la  ricchezza:  dai  quali  individualmente  di- 
pendono gì'  interessi  materiali  di  ciascuno  degl'  individui  che  for- 
mavano il  Concilio.  Dall'  altra  parte  quelli  a  cui  si  dirigevano  que- 
ste rimostranze  sono  il  Papa  e  i  Vescovi,  ai  quali,  se  avesse  potuto 
in  essi  tacere  la  voce  del  dovere,  ogni  interesse  temporale  avrebbe 
dovuto  suggerire  docilità  e  condiscendenza  verso  sì  potenti  consi- 
glieri. Se  adunque  resistettero  a  quei  consigli,  questo  è  segno  che 
non  poteano  accettarli,  senza  venir  meno  al  divino  loro  mandalo. 
Qual  altro  elogio  più  grande  può  farsi  a  questa  augusta  assemblea? 
Qual  altro  segno  più  manifesto  può  desiderarsi  per  comprendere 
che  essa  era  mossa  dallo  Spirito  Santo,  che  la  fortificava  contra 
ogni  rispetto  terrestre?  Qual  altra  umana  garanzia  più  rassicurante 
può  cercarsi  perla  verità  che  essa  ha  annunciata  al  mondo?  Questo 
è  il  beneficio  che  l'intervento  dei  Governi  succeduto  all'astensione 
ha  fatto  alla  Chiesa:  somministrare  una  pruova  estrinseca  di  più 
ehe  essa  non  cerca  gì'  interessi  umani,  ma  la  sola  verità. 


III. 


Seguono  ora  accuse  più  dirette  contro  il  Concilio  stesso.  Udia- 
mole colle  stesse  parole  del  Dispaccio:  «  Malgrado  gli  sforzi  di  una 
minoranza  imponente,  la  maggioranza  dei  Padri  del  Concilio,  inco- 
raggiata dall'altitudine  pronunciata  della  Santa  Sede,  inclinava  ognor 
più  verso  le  decisioni  estreme.  » 

Di  tre  cose  si  parla  in  questo  periodo:  degli  sforzi  della  mino- 
ranza, delle  tendenze  della  maggioranza,  e  dell' attitudine  della  San- 
ta Sede.  Di  tulle  e  tre  si  parla  mollo  difformemente  dal  rispetto  do- 
vuto alla  loro  dignità  e  alla  loro  virtù,  e  quello  che  più  monta  molto 
difformemente  dalla  realtà  vera  dei  fatti. 


E  LA  BASE  DEI  CONCORDATI  521 

La  minoranza  non  sarà  contenta  delle  lodi  che  quivi,  se  non  le  si 
danno  esplicitamente,  s'ingeriscono  tacitamente,  secondo  la  mente 
dello  scrittore:  poiché,  in  buoni  termini,  vuol  esso  dire  che  in  lei 
trovatasi  lo  spirito  di  conciliazione,  tanto  da  lui  desiderato  ed  appro- 
vato; in  lei  le  tendenze  moderate;  in  lei  la  vigoria  e  V  ingegno  per 
far  prevalere  le  sue  giuste  opinioni.  Queste  lodi,  nel  senso  com'esse 
son  date,  cioè  in  opposizione  alla  condotta,  alle  intenzioni,  al  valore 
dell'  altra  parte,  verranno,  ne  siamo  sicuri,  respinte  dai  Vescovi 
stessi  ai  quali  sono  impartite.  Poiché  uno  era  lo  spirito  che  doveva 
informare  tutti,  e  di  fatto  informava:  Y  amore  della  verità,  e  il  bene 
spirituale  dei  fedeli.  Se  vi  fosse  stato  chi  diversamente  dirigesse  la 
sua  operazione  nel  Concilio,  oltre  che  sarebbe  stato  altamente  da 
biasimare  innanzi  a  Dio  ed  alla  Chiesa;  a  qucst'  ora  che  lo  Spirito 
Santo  ha  parlato  per  la  bocca  del  Papa  e  dei  Vescovi,  fatto  avvedu- 
to del  suo  deviamento,  avrebbe,  ne  siamo  certi,  vergogna  di  sé  me- 
desimo, e  molto  più  ancora  di  questi  non  competenti  elogi,  come 
di  ingiurie  non  bene  meritate.  Poiché  se  vi  fu  nel  Concilio  diversità 
di  opinione,  non  vi  fu  diversità  d'intendimenti:  e  gli  sforzi  utili  e 
virtuosi  per  far  prevalere  la  verità  non  mancarono  alla  maggioran- 
za, come  non  vennero  mai  meno  alla  minoranza  per  acquistar  cre- 
dito a  quella  opinione  che  essa  credeva  la  verità.  Noi  non  parliamo 
del  fatto  di  altri  sforzi,  anzi  neppure  della  loro  possibilità:  giacché 
solo  di  questi  virtuosi  pare  che  voglia  far  menzione  il  Dispaccio, 
dicendo  che  a  malgrado  di  essi,  il  Concilio  decise  il  domma  della 
infallibilità.  Sarebbe  assurdo  che  si  supponesse  potere  il  Concilio, 
in  questioni  di  fede,  lasciarsi  muovere  da  sforzi  illeciti  e  viziosi. 

Checché  sia  però  della  minoranza,  molto  più  grave  ponderazione 
merita  ciò  che  della  maggioranza  si  assevera.  Quella  parola  di  de- 
cisioni estreme,  presa  in  sé  medesima,  e  applicata  a  questioni  di 
mere  dottrine  di  fede,  non  ha  veramente  senso:  perche  nella  verità 
non  cadono  eccessi,  e  però  non  vi  sono  estremità.  Non  vi  è  una  ve- 
rità poco  vera,  e  una  verità  soverchiamente  vera,  intramezzate  da 
una  verità  moderatamente  vera.  La  verità  nell'ordine  ideale  corri- 
sponde alla  esistenza  nell'ordine  fisico:  o  è  o  non  è,  non  vi  è  mezzo 
Per  dare  adunque  a  quella  parola  un  senso  ragionevole,  bisogna 


522  IL  D0MMA  DELL  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA 

considerarla  in  bocca  a  chi  la  pronunziava:  ed  essa  allora  si  oppone 
a  quella  conciliazione,  sistema  tulio  proprio  dei  liberali,  e  della 
quale  dicemmo  qualche  cosa  innanzi.  Ed  in  tal  senso  fu  vero  che  la 
maggioranza  ripudiava  la  conciliazione  del  vero  col  falso,  la  mode- 
razione di  dire  mezza  verità,  la  prudenza  carnale  di  concedere  qual- 
che cosa  all'  errore  perchè  non  gridasse  troppo,  e  non  negare  qual- 
che cosa  alla  verità  perchè  contenta  dell'  ottenuto  si  stesse  cheta, 
senza  farsi  troppo  scorgere.  Ma  in  colai  senso  nessuno  della  mino- 
ranza vorrà  dire  che  esso  non  inclinasse  alle  decisioni  estreme:  e 
nessuno  della  maggioranza  non  si  glorierà  di  questa  sua  inclinazio- 
ne. Era  essa  certamente  il  più  stretto  dovere  d'  ogni  Vescovo  ve- 
nuto al  Concilio,  e  dobbiam  dire  che  fu  ancora  il  più  facile.  Mara- 
viglia grande  ecciterà  dunque  il  vedere  recato  a  colpa  ciò  che  è 
merito,  e  biasimare  come  tendenza  riprovevole  lo  spirito  proprio 
della  Chiesa  insegnante. 

Un  biasimo  alla  Santa  Sede  corona  questo  famoso  periodo.  Con- 
tiensi  esso  in  due  parole  :  attitudine  pronunciata,  e  nel  contesto  del 
discorso  vuol  dire  l'influenza  esercitata  dal  S.  Padre  sopra  i  Vesco- 
vi radunati  in  Roma.  Non  si  parla  esplicitamente  di  oppressione 
fatta  alla  libertà  dei  Vescovi:  ma  nel  linguaggio  diplomatico  questa 
idea  nascondesi  sotto  il  velame  di  quelle  parole.  Or  una  tale  accu- 
sa ogni  cattolico  la  respinge  e  noi  qui  la  respingiamo  con  lui  te-  le 
forze  del  nostro  animo.  1  fatti  parlano  alto,  parlano  chiaro  in  con- 
trario :  poiché  il  rispetto  alla  libertà  de'Vescovi  fu  conservato  fino 
ali  ultimo  momento  con  tale  e  tanta  longanimità,  che  non  solo  ba- 
stava, ma  a  molli  sembrò  soverchiasse  al  bisogno.  Nel  quaderno 
precedente  abbiamo  largamente  trattato  questo  punto  :  laonde  sa- 
rebbe tempo  sprecato  il  più  olirà  intraltenervisi  sopra.  Noteremo 
soltanto  che  la  dottrina  dell'infallibililà  pontificia  non  fu  proposta  di 
proprio  moto  dal  Papa  all'esame  del  Concilio  :  ma  per  aderire  alla 
richiesta  fallasene  da  cinquecento  e  più  Vescovi.  Ciò  solo  in  che  la 
Santa  Sede  si  pronunziò,  fu  nel  volere  che,  dovendosi  disestere  que- 
sta dottrina,  essa  fosse  seriamente,  largamente,  liberamente  discus- 
sa per  tutti  i  versi  dai  Padri.  Che  se  nel  tempo  che  i  Padri  discu- 
tevano nel  Concilio,  il  Papa  nei  suoi  atti  professava  la  fede  che  per 


E  LA  BASE  DEI  CONCORDATI  523 

diciannove  secoli  avea  sempre  professata  la  Sede  Romana;  faceva 
ciò  che  "fecero  in  tutti  i  Concilii  i  Pontefici,  cioè  dire,  significare 
apertamente  la  fede,  /che,  secondo  l' apostolica  tradizione,  esisteva 
nella  Chiesa.  0  volevasi  in  materia  di  fede  la  neutralità  della  Cat- 
tedra di  Pietro  ? 


IV. 


Ma  tempo  è  di  discutere  la  parte  più  importante  del  Dispaccio, 
quella  cioè  che  enuncia  non  giàdei  fatti,  ma  dei  principii.  L'idea  car- 
dinale di  tutto  il  Dispaccio  è  dunque  questa.  La  definizione  fattasi 
intorno  al  Primato  ed  alla  Infallibilità  dei  Papi  pone  le  relazioni 
della  Chiesa  collo  Stato  sopra  una  base  affatto  nuova:  e  ciò  per  due 
ragioni.  La  prima  si  è  perchè  quella  definizione  estende  la  cerchia 
della  competenza  della  Chiesa;  la  seconda  perchè  essa  concentra 
nello  stesso  tempo  nella  persona  del  Papa  tutti  i  poteri  che  essa 
pretende  di  esercitare.  Per  vedere  se  il  principio  annunciato  sia 
vero,  bisogna  esaminare  se  siano  vere  queste  due  ragioni  che  si  ad- 
ducono per  provarlo. 

È  egli  vero  in  primo  luogo  che  la  definizione  emessa  estende  la 
cerchia  della  competenza  della  Chiesa?  Nel  leggere  queste  parole 
noi  siamo  stati  compresi  della  più  alta  meraviglia.  Due  Costituzioni 
dogmatiche  sono  state  fin  qui  promulgate  dal  Concilio  :  e  in  esse 
neppure  una  sillaba  che  possa,  anche  stiracchiandosi,  storcere  a 
questo  senso;  e  quasi  ciò  sia  poco  neppure  una  sillaba  che  accenni  an- 
che di  lontano  direttamente  a  questo  argomento.  Come  mai  adun- 
que può  asserirsi  che  nel  Concilio  siasi  estesa  la  cerchia  di  questa 
competenza? 

Ma  vi  è  ancor  di  più.  Trattandosi  della  infallibilità  pontifìcia,  as- 
seriscasi cader  essa,  come  cade  eziandio  quella  della  Chiesa,  sulle 
dottrine  che  riferisconsi  alla  fede  e  alla  morale.  Questa  e  non  altra 
è  la  cerchia  della  competenza  che  trovasi  assegnata  ugualmente  al 
Papa  ed  alla  Chiesa.  Ove  puossi  scorgere  in  queste  parole  una  esten- 
sione al  di  là  di  quello  che  prima  si  insegnava  nelle  scuole,  e  si 
credeva  dai  fedeli?  0  fu  altra  mai  la  dottrina  professata,  senza  con- 


524  IL  DOViMA  DELL  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA 

trasto  di  sorte  alcuna,  da  tutta  la  Chiesa?  0  fu  almeno  altra  mai  la 
forinola  adoperata  per  esprimere  questa  dottrina?  Lungi  adunque  dal 
vedersi  in  questa  definizione  estesa  la  cerchia  della  competenza ,  la 
vediamo  novellamente  ricalcata,  in  quel  medesimo  confine  che  fu 
notoriamente  il  suo. 

Se  non  che  a  togliere  l'assurdo  di  questa  asserzione,  non  appog- 
giata alla  verità  del  fatto,  adoperasi  il  seguente  raziocinio,  che  ri- 
porteremo colle  stesse  parole  dello  scrittore:  «  È  vero  che  l'infalli- 
bilità pontifìcia  non  deve  estendersi  che  a  materia  di  fede  e  di  mo- 
rale; ma  è  evidente  che  quegli  che  non  può  fallire  rivendica  a  se 
solo  il  diritto  di  giudicare  ciò  che  dipende  dalla  fede  e  dalla  mora- 
le, e  che  per  conseguenza  decide  da  solo  dei  limili  della  sua  compe- 
tenza. »  Manco  male:  questa  volta  si  adduce  qualche  cosa,  che  può 
parere  una  ragione.  Ma  essa  non  è  che  un'  apparenza  di  ragione, 
non  già  una  ragione  vera.  E  ciò  per  due  capi. 

In  primo  luogo  perchè  quel  raziocinio  è  in  sé  stesso  sofistico  : 
giacché  la  conseguenza  é  più  estesa  delle  premesse.  La  vera  conse- 
guenza è  che  chi  è  infallibile  decide  da  solo  dei  limiti  della  sua 
competenza  in  quelle  materie  in  cui  è  infallibile,  e  non  in  altre. 
Come  vi  sono  dotti  ine  evidentemente  legate  colla  fede  e  colla  mora- 
le, così  vi  sono  dottrine  filosofiche,  vi  sono  dottrine  sociali,  vi  sono 
dottrine  fisiche,  vi  sono  cento  altre  dottrine,  le  quali  evidentemente 
non  si  riferiscono  nò  alla  fede  nò  alia  morale.  E  come  sulle  prime 
dottrine  non  può  negarsi  l'infallibilità  alla  Chiesa  e  al  Papa;  così 
in  tutte  queste  altre  dottrine  nò  la  Chiesa,  nò  il  Papa  si  sono  mai  so- 
gnato, nò  si  sogneranno  mai  di  attribuirsi  l' infallibilità.  Soltanto 
quando  vi  è  dubbio  se  qualche  materia  si  attenga  veramente  alla  fe- 
de e  alla  morale,  il  togliere  questo  dubbio  spelta  unicamente  a  co- 
lui che  è  infallibile  nel  definire  le  dottrine  di  fede  e  di  morale.  In  tal 
caso  non  si  estende  mica  la  cerchia  della  competenza:  ma  restando 
sempre  in  quella  stessa  cerchia,  si  dissipa  la  nebbia  di  chi  non  ve- 
deva i  rapporti  di  una  data  dottrina  colla  fede  e  colla  morale.  Si  af- 
ferma, non  si  estende  la  cerchia  della  competenza. 

In  secondo  luogo,  perchè  quand'anche  quel  raziocinio  fosse  giu- 
sto, esso  non  farebbe  a  proposito.  Esso  si  applica  ugualmente  alla 


E  LA  BASE  DEI  CONCORDATI  52o 

infallibilità  della  Chiesa,  che  è  dottrina  cattolica,  credula  di  fede 
esplicita  prima  del  Concilio  Vaticano,  senza  nessuna  opposizione.  Se 
la  conchiusione  adunque  del  ragionamento  è  retta,  prima  anche  del 
Concilio  era  vero  che  la  Chiesa  decide  da  sola  dei  limiti  della  sua 
competenza.  Come  dunque  può  asserirsi  che  il  Concilio  ha  ora  este- 
sa cotesta  cerchia?  Come  può  quindi  dedursi  che  abbia  esso  intro- 
dotto un  cambiamento  radicale  nelle  relazioni  tra  la  Chiesa  e  lo 
Stato?  ? 

Comechè  si  volga  adunque  questa  prima  ragione,  essa  è  del  tutto 
vana.  Ma  vana  eziandio  è  al  par  della  prima  la  seconda.  In  essa  si 
asserisce  che  pel  Concilio  la  Chiesa  abbia  concentrato  nella  per- 
sona del  Papa  tutti  i  poteri  che  essa  pretende  di  esercitare.  Il  con- 
cetto vero  di  questa  ragione  trovasi  chiaramente  espresso  in  un  al- 
tra frase  incidente  che  leggesi  innanzi,  ove  si  dice  che  il  Concilio 
ha  armato  il  Papa  di  un  autorità  novella,  che  lo  riveste  di  una 
specie  di  onnipotenza.  Da  queste  due  frasi  emerge  chiaro  il  senso 
di  questa  considerazione.  Vuoisi  dire  che  il  Concilio  ha  fatto  una 
nuova  concessione  al  Papato,  dandogli  una  pienezza  di  autorità  di- 
sciplinare e  dommatica,  che  prima  non  aveva.  Or  nulla  è  più  fal- 
so di  questo. 

Il  Papa  dopo  il  Concilio  Vaticano  non  sarà  nella  Chiesa  nò  più  ne 
meno  di  quello  che  era  prima  del  Concilio,  di  quello  che  sono  stati 
tutti  i  suoi  predecessori,  tanto  nella  intrinseca  natura  della  sua  au- 
torità, quanto  nell'estrinseco  riconoscimento  dei  suoi  fedeli.  Cosa 
dunque  ha  fatto  il  Concilio?  Il  Concilio  non  gli  ha  dato  autorità 
nuova  che  prima  non  avesse:  non  ha  riconosciuto  in  lui  autorità, 
che  prima  la  Chiesa  già  non  riconoscesse.  Il  suo  primato,  che  con- 
tiene la  pienezza  di  tutta  la  potestà  nel  reggere  e  l' infallibilità  del 
magistero  nell'  insegnare,  sono  prerogative  del  sommo  Pontificato, 
che  i  Papi  esercitano  da  diciannove  secoli,  che  la  Chiesa  riconosce 
nei  Papi  da  diciannove  secoli,  che  i  fedeli  confessano  nei  Papi  da 
diciannove  secoli.  Il  Concilio  Vaticano  non  ha  fatto  altro  che  ricor- 
dare ,  quasi  sempre  colle  parole  degli  altri  Concilii  precedenti , 
queste  prerogative  :  non  ha  fatto  altro  che  professare  con  forinole 
esplicite ,  ciò  che  sempre  fu  professato  dalla  Chiesa  in  forinole 


526  IL  DOMMA  DELL'  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA 

equivalenti;  non  ha  fatto  altro  che  condannare  quelle  sentenze 
che  sopra  alcuno  di  questi  punti  dipartivansi  dalla  fede  comune, 
e  che  erano  già  stati  le  cento  volte  condannati  dai  Papi  stessi,  dai 
sinodi  nazionali  e  provinciali,  dalle  università  cattoliche,  dai  teolo- 
gi di  tutte  le  nazioni  e  di  tutte  le  scuole.  Non  è  dunque  intervenuto 
nei  Papi  nessun  cangiamento:  nessun  cangiamento  non  è  interve- 
nuto nella  fede  della  Chiesa.  A  chi  per  poco  sappia  di  teologia,  o 
anche  solo  di  latino  ciò  non  deve  dimostrarsi  :  giacché  gli  stessi 
Padri  del  Concilio  il  professano  altamente  nella  loro  costituzione  : 
e  non  vi  è  trattalo  di  teologia  cattolica  che  ciò  non  insegni.  Anzi 
essa  è  quislione  di  semplice  catechismo:  specialmente  in  Germania, 
ove  i  catechismi  furono  sempre  in  questo  argomento  più  espliciti  e 
più  diffusi. 

Nulla  adunque  di  più  falso  quanto  l' asserzione  che  siasi  messa 
dal  Concilio  una  base  affatto  nuova  alle  relazioni  tra  la  Chiesa  e  lo 
Stato.  No,  lo  ripetiamo:  nulla  venne  cangiato,  nulla  venne  aumen- 
tato, nulla  venne  concentrato  più  di  quello  che  fosse  prima  nella 
persona  del  Papa.  La  Chiesa  è  rimasta  qual  era,  il  Papa  è  rimasto 
qual  era.  La  Chiesa  non  si  è  spogliata  di  nulla  per  rivestirne  il  Pa- 
pa: il  Papa  non  si  è  avvantaggiato  di  nulla  a  danno  dell' autorità 
della  Chiesa.  Quando  Galileo  formolo  il  principio  della  gravità,  qual 
balordo  avrebbe  potuto  dire  che  Galileo  avesse  concessa  ai  corpi 
una  nuova  qualità  che  prima  non  aveano?  E  pure  quel  balordo  sa- 
rebbe stato  scusabile:  giacché  a  molti  corpi  quella  proprietà  si  ne- 
gava, e  non  trattavasi  solo  di  formolare  un  principio,  ma  di  scoprir- 
lo. Meno  scusabile  ci  sembra  ora  chi  dice  essersi  al  Pontefice  con- 
ceduta una  nuova  prerogativa:  giacché  questa  fu  sempre  in  lui  rico- 
nosciuta, e  dalle  scuole  formulata  al  modo  stesso  che  il  Concilio. 
Quindi  che  dovremo  dire  delle  conseguenze  che  da  questo  supposto 
mutamento  voglionsi  inferire? 


Ecco  le  parole  testuali  di  queste  conseguenze.  Un  cangiamento 
così  radicale  rovescia  tutto  le  condizioni  che  hanno  presieduto  lino- 


E  LA  BASE  DEI  CONCORDATI  527 

ra  all'  ordinamento  dei  rapporti  fra  la  Chiesa  e  lo  Stato. . .  Le  con- 
tenzioni concluse  sotto  l' impero  di  circostanze  affatto  differenti  non 
possono  più  ritenersi  come  valevoli.  Il  Concordato  del  1855  è  quin- 
di colpito  di  caducità  e  il  Governo  i.  e  r.  lo  considera  -come  abro- 
gato. 

Questa  volta  un  atto  di  si  grave  ingiuria  alla  Chiesa  non  esce 
alla  luce  giustificato  da  qualche  motivo,  che  abbagli  la  vista.  La 
falsità  delle  premesse  è  tanto  manifesta  che  scorgesi  a  prima  vista 
l'eccessiva  assurdità  della  conseguenza.  Il  Concordato  sarà  abro- 
galo: ma  se  non  vi  è  altro  dritto  di  abrogarlo  che  quello  manife- 
stato in  questo  Dispaccio  ;  una  tale  abrogazione  è  irragionevole  e, 
per  dire  la  vera  parola,  è .ingiusta.  Il  Dispaccio  che  si  pretende  sot- 
toscrillo  dal  Beust  è  diretto  tutto  a  giustificare  questa  abrogazione: 
ma  esso  riesce  all'  effetto  del  tutto  contrario  che  è  di  accusarla. 
Talmente  a  rovescio  conchiudono  le  ragioni  da  esso  arrecate  ! 
Gli  uomini  però  passano:  le  loro  passioni  si  calmano:  ed  il  ragio- 
namento contenuto  in  questa  scritta  rimarrà  qual  perpetuo  monu- 
mento della  nuova  ingiustizia  che  è  stata  perpetrata  a  detrimento 
della  Chiesa. 

Noi  crediamo  che  sarebbe  stato  meno  disonorevole  per  la  lealtà 
di  cui  deve  far  mostra  un  Governo,  un'abrogazione  pura  e  semplice, 
che  non  sia  questa  abrogazione  motivata  da  ragioni  così  palesemen- 
te insussistenti.  In  entrambi  i  casi,  l'alto  è  ugualmente  arbitrario  ed 
ingiusto:  ma  nel  secondo  l'arbitrio  e  l' ingiustizia  brillano  in  modo 
troppo  cospicuo,  cosicché  un  poco  di  catechismo  soltanto  basta  a 
comprenderli.  E  forse  questa  è  l'unica,  sebbene  magrissima,  scusa 
per  chi  distese  quella  giustiflcazione:  l'ignoranza  del  catechismo 
cattolico. 

E  questa  stessa  ignoranza  ha  forse  impedito  di  vedere  la  conse- 
guenza legittima  dell'abrogazione  di  un  Concordato.  I  Concordati 
sono  in  sostanza  una  modificazione  speciale  delle  leggi  comuni  della 
Chiesa  entro  i  limiti  di  un  dato  regno,  conceduta  dalla  Santa  Sede 
a  richiesta  di  un  Governo,  che  si  obbliga  di  tutelarne  la  osservanza. 
Abrogato  dunque  un  Concordato,  entra  ipso  facto  in  vigore  il  dritto 
comune  della  Chiesa,  che  ne  veniva  in  alcuni  punti  addolcito  e  tem- 


E 28  IL  DOMMA  DELL'  INFALLIBILITÀ  PONTIFICIA  ECC. 

perato.  Ora,  generalmente  parlando,  in  che  i  Concordati  temperano 
il  drillo  canonico?  Lo  temperano  specialmente  col  dare  ai  Governi 
una  maggiore  ingerenza  negli  affari  della  Chiesa,  che  loro  non  sa- 
rebbe spettato  per  ragione  del  dritto  comune. 

Se  ciò  non  s' ignorava  dal  Cancelliere  dell'  Impero,  invece  di  ti- 
rare per  conseguenza  delle  sue,  benché  false,  premesse  quell'abro- 
gazione, avrebbe  dovuto  piuttosto  invocare  un  Concordato  nuovo, 
che  valesse  a  dare,  secondo  i  suoi  pretesi  dritti,  maggior  balia  e 
maggior  sicurtà  allo  Stato.  Se  non  l'ha  fatto,  se  una  così  facile  de- 
duzione non  l'ha  tirata,  forza  è  conchiudere  che  esso  pensa  che  tutta 
la  economia  del  Governo  della  Chiesa  cattolica  riducasi  al  Concor- 
dato :  cosicché,  cessato  questo,  il  Governo  possa  a  suo  modo  dispor- 
re dell'amministrazione  interna  della  Chiesa  cattolica  nei  suoi  Sta- 
ti. Ma  questa  è  una  mera  illusione:  poiché  la  cessazione  del  Con- 
cordato fa  rivivere  in  tutta  la  sua  pienezza  il  dritto  canonico  :  ed 
il  Governo  che  ha  obbligo  di  tutelare  nel  suo  Stato  i  dritti  di  cia- 
scuna confessione  stabilita ,  il  Governo  che  professa  di  difendere 
nei  suoi  sudditi  la  libertà  di  coscienza,  il  Governo  trovasi  di- 
sarmato in  faccia  ad  una  legge  preesistente,  che  sarà  obbligato  di 
rispettare. 

Che  se  il  Governo  volesse  dar  seguito  a  quella  minaccia,  di  leg- 
gi nemiche  o  almen  sospettose,  cui  velatamente  accenna,  quando 
dice  che  «  non  si  può  senza  inquietudine  mantener  relazione  con 
un  potere  che  si  costituisce  da  sé  quale  potere  senza  limiti  e  senza 
sindacato  »;  allora  noi  non  avremmo  più  nulla  da  aggiungere.  Que- 
sta si  chiama  persecuzione:  e  la  persecuzione  alla  Chiesa  come  non 
è  nuova  per  lei,  così  non  è  nuova  per  tanti  e  tanti  Governi  antichi  e 
moderni.  Essa  non  ha  bisogno  di  chiedere  il  permesso  né  alla  Chie- 
sa, né  ai  cattolici:  essa  non  ha  bisogno  di  essere  preceduta  da  una 
giustificazione  che  le  concilii  l'adesione  delle  menti  riflessive,  e 
dei  cuori  retli.  Essa  si  chiama  forza,  e  non  altro  che  forza:  e  noi 
dobbiamo  confessare  che  innanzi  alla  forza  che  vuol  prevalere  ta- 
ce ogni  dritto.  Tace  ma  non  muore  :  e  il  tempo  è  sempre  un  po- 
tentissimo ed  invincibile  ausiliario  d'ogni  dritto  vivente. 


LA  MASSONERIA  E  LA  GUERRA 


Vi  sono  certi  ladri  domestici,  cotanto  avvezzi  a  servirsi  come  di 
propria,  arbitrariamente  e  impunemente,  della  roba  del  dabben  pa- 
drone, clie  quando  questi  fa  qualche  spesa  per  sé,  si  tengono  come 
rubati  del  proprio,  e  gli  fanno  assalto  addosso  e  gli  gridano  in  te- 
sta T  economia.  E  così  per  l'appunto  ha  fatto,  nell'  occasione  di  que- 
sta guerra  franco  prussiana,  la  massoneria  europea  e  specialmente 
la  peggiore,  che  e  la  nostra  italiana.  Questi  ladri  di  frammassoni, 
usati  da  un  pezzo  a  servirsi  dei  Principi  e  delle  loro  finanze  e  dei 
loro  eserciti  a  proprio  profitto  privato,  non  appena  videro  due  Prin- 
cipi che  voleano  venir  alle  mani  per  loro  contese,  nelle  quali  la 
massoneria  non  aveva  nulla  da  guadagnare,  subito  presero  a  pre- 
dicar la  pace,  dicendo  espressamente  :  «  A  che  tanto  danaro  e  tanto 
sangue?  Se  si  trattasse  di  affari  e  di  interessi  nostri,  la  guerra,  an- 
corché micidialissima,  sarebbe  giusta  e  lecita,  perchè  utile  a  noi:  e  i 
nostri  giornali  e  la  nostra  influenza  si  spenderebbero  a  infervorare 
ed  accanire  alla  guerra.  Ma  che  cosa  possiam  guadagnar  noi  in  que- 
sta contesa  tra  due  nazionalità  già  compite,  tra  due  popoli  già  avvia- 
li nel  cammino  della  nostra  civiltà?  Noi  non  possiamo  che  perdere, 
qualunque  sia  il  vincitore.  Perciò  non  approviamo  questa  guerra.  » 

Ecco  infatti  la  circolare  ai  frammassoni  italiani  teste  publicata  sui 
giornali:  «  Carissimi  fratelli.  Più  di  cento  lettere  delle  principali  log- 
ge della  comunione  nazionale  ci  chieggono  il  nostro  avviso  e  una 
norma  di  condotta  rimpetto  alle  attuali  contingenze  dolorose  di 
Serie  YU,  voi.  XI,  fase.  491.  34  22  Agosto  1870. 


530  LA  MASSONERIA  E  LA  GUERRA 

Europa.  Il  grand'orienle  non  può  sostare  più  olire  ad  inviarvi  una 
parola  di  indirizzo  e  di  conforto.  Due  nazioni  egualmente  potenti  e 
maestre  di  civiltà  stanno  per  scagliarsi  l'una  contro  l'altra  —  e 
molti  fratelli  nostri  sono  per  cadere  da  ambo  le  parli  sulle  zolle  in- 
sanguinate; nò  è  facile  prevedere  verso  chi  sieno  per  volgere  le  sor- 
ti della  vittoria  ingloriosa.  La  Massoneria  non  può  far  voti  più  per 
gli  uni  che  per  gli  altri;  essa  deplora  l'infausta  guerra,  questa  be- 
stemmia del  Dio  che  ognuno  invoca  a  cuoprire  il  fratricidio.  La 
Massoneria  si  adopererà,  quanto  mai  possa,  a  che  la  lolla  rimanga 
circoscrìtta  —  fa  voti  perchè  non  si  prolunghi  —  e  guarda  pietosa, 
e  si  tien  pronta  a  raccogliere  con  soccorrevole  mano  la  vedova  e 
l'orfano  che  gli  si  parino  innanzi,  a  qualunque  razza  essi  apparten- 
gano. In  simile  frangente,  quindi,  e  come  massoni  e  come  cittadini 
pel  bene  dell'ordine  e  dell'Italia  nostra,  noi  abbiamo  dovere  di  con- 
servarci riservati  ed  attenti.  Certo  di  essere  da  voi  compreso,  il 
grande  oriente  vi  invia,  carissimi  fratelli,  il  bacio  fraterno.  11  gran 
maestro  L.  FrapoUi». 

Quando  con  ragioni  non  certo  più  valide  di  quelle  che  ora  si  al- 
legarono, la  Francia  e  la  Prussia  assalirono  l'Austria;  quando  colla 
sola  ragione  dei  ladri  il  Piemonte  invase  Napoli  e  assassinò  il  Papa; 
quando  la  gran  ribalderia  d' Italia,  imitando  illustri  esempii,  tentò 
rimpannucciarsi  a  spese  del  residuo  Stato  pontificio,  allora  la  Masso- 
neria approvò  ogni  cosa  perchè  ogni  cosa  era  a  suo  vantaggio.  E  se 
ora  Francia  e  Prussia  dovessero  spendere  a  mille  doppii  più  sangue  e 
danaro  di  quello  che  abbiano  sparso  e  siano  per  ispargere  nella  loro 
contesa  di  equilibrio,  se  diciamo,  Francia  o  Prussia  dovessero  spen- 
dere a  mille  doppi  più  per  ottenere  alla  beila  Italia,  il  Trentino  o 
l'Istria  o  anche  solo  un  villaggio,  noi  vedremmo  tutta  questa  rugia- 
dosa frammassoneria  sghignazzare  a  tanto  flagello,  e  battere  le 
empie  mani  alla  ruina  ed  al  devastamento  di  mezza  Europa,  purché 
tutta  questa  gente  si  sgozzasse  per  i  begli  occhi  del  siguor  Frapolli 
e  della  sua  civiltà  massonica. 

La  quale  approverebbe  sì  una  guerra  tra  due  nazioni  i ne ijual men- 
te 'potenti  si  che  la  più  debole  ne  dovesse  essere  schiacciata  :  o  tra 
due  popoli  di  cui  un  solo  fosse  maestro  di  civiltà  e  dovesse  perciò 


LA  MASSONERIA  E  LA  GUERRA  531 

portar  al  vinto  i  principii  rivoluzionarii  e  liberaleschi  :  o  tra  due 
paesi  dove  non  ci  fossero  fratelli  massoni  da  trucidare.  Ma,  per  dis- 
grada, in  questo  caso  due  nazioni  ugualmente  potenti  e  maestre  di 
civiltà  stanno  per  iscagliarsi  V  una  contro  l' altra  :  e  molti  fra- 
telli nostri  sono  per  cadere  da  ambo  le  parti:  e  nulla  avendo 
perciò  che  guadagnare,  e  mollo  da  perdere  in  ogni  caso,  la  masso- 
neria, è  naturale  che  essa  non  debba  questa  volta  spingere  alla 
guerra.  L'unico  dovere  dei  framassoni  è,  in  questo  caso,  di  conser- 
varsi riservati  ed  attenti.  Yale  a  dire,  i  framassoni  devono  far  le 
viste  di  esser  neutrali  tinche  non  si  sa  chi  sarà  il  più  forte.  Si  do- 
vrà poi  circuire  colle  solite  arti  il  vincitore  e  procurare  di  spremer- 
ne, a  profitto  della  setta,  il  sugo  della  vittoria. 

Non  dunque  per  filantropia,  ma  per  egoismo,  la  Massoneria  odia 
questa  volta  la  guerra.  Se  vi  trovasse  il  suo  conto,  anche  menomo, 
addio  allora  filantropia,  addio  congressi  della  pace,  addio  tutte  le 
imposture  e  le  ipocrisie  liberalesche.  Si  griderebbe  allora  all'armi 
in  ogni  loggia  ed  in  ogni  giornale  della  consorteria. 

Specialmente  nella  massoneria  italiana,  com'  è  naturale,  si  è  os- 
servato quest'istintivo  orrore  contro  la  presente  guerra,  in  sul  prin- 
cipio, quando  la  guerra  non  era  ancor  formalmente  dichiarata,  e  si 
potea,  assolutamente  parlando,  ancor  sperare  nella  pacifica  solu- 
zione della  contesa,  benché  ogni  uomo  savio  vedesse  che  la  guer- 
ra era  voluta  ad  ogni  modo,  e,  moralmente  parlando,  era  inevita- 
bile, pure  il  giornalismo  liberale  di  ogni  paese,  e  il  nostro  special- 
mente, non  facea  che  portar  ragioni  per  consigliar  la  pace  alle  due 
parti.  Leggendo  in  quei  giorni  \'\Opinione,  la  Perseveranza,  il 
Giornale  des  Dèbats  ed  altri  simili  giornali  che  vanno  per  la  mag- 
giore, ci  pareva  udire  D.  Abbondio  che  voleva  convincere  i  bravi. 
«  Ma,  signori  miei  di  Francia  e  di  Prussia,  si  degnino  di  mettersi 
nei  miei  panni.  »  Ma  Francia  e  Prussia  aveano  altro  da  fare  che 
udire  le  ragioni  dei  giornalisti,  i  quali  ragionavano,  se  volete,  be- 
nissimo, ma  allegavano,  come  si  dice,  le  loro  ragioni  ai  birri.  Que- 
sti, come  i  bravi  a  D.  Abbondio,  poteano  rispondere  alla  stampa 
liberale:  «  Se  la  cosa  avesse  a  decidersi  a  ciarle,  lei  ci  metterebbe 
in  sacco  » .  Se  i  giornalisti  liberali  avessero  avuto  la  calma  e  il 


532  LA  MASSONERIA  E  LA  GUERRA 

sangue  freddo  necessario  per  intendere  la  vera  condizione  delle 
cose,  avrebbero  capilo  subito  che  le  loro  esortazioni  alla  pace  era- 
no fiato  sprecalo.  Ma  chi  è  in  pericolo  si  attacca ,  come  dicesi,  ai 
rasoi;  e  il  meno  che  potessero  fare  i  liberali  per  iscongiurare  que- 
sta guerra,  era  di  scrivere  molti  articoli  con  cui  convincere  i  pro- 
prii  lettori  che  Francia  e  Prussia  aveano  torto  a  voler  combattere 
quando  non  vi  era  nessun  profitto  pel  liberalismo. 

E  questa  fu  come  la  prima  fase  della  stampa  liberalesca  e  mas- 
sonica. I  consigli  cioè  della  pace ,  seminati  con  ricca  profusione 
per  tutto  il  tempo  in  cui  le  due  nazioni,  già  risolute,  come  ogni  sa- 
vio vedeva,  a  combattere  pel  loro  equilibrio,  ossia  per  la  loro  pre- 
valenza, forbivano  le  armi,  senza  aver  tempo  di  leggere  nò  i  Dc- 
bats,  nò  Y Opinione,  nò  la  Perseveranza.  Nella  quale  ridicola  pre- 
sunzione di  voler  influire  sopra  i  consigli  di  due  potenze  rivali  con 
articoli  da  giornale  se  caddero  con  tanta  fatuità  i  giornalisti  più  sa- 
vii  della  massoneria,  pensi  ognuno  con  qual  prosopopea  e  baldanza 
dovettero  cadervi  i  giornalisti  minori  appartenenti  alla  massoneria 
che  il  Frappelli  chiamerebbe  men  riservata  e  meno  attenta.  Tra 
questi  citeremo  il  Diritto,  che,  tra  i  giornali  pazzi,  è  il  più  savio  e 
il  più  riservato  e  attento.  Pure  questi  nel  suo  n.°  dei  17  Luglio  con- 
fessa ingenuamente  di  aver  proprio  creduto  che  egli  coi  suoi  dotti 
articoli  avrebbe  forse  potuto  influire  sopra  la  Francia  e  la  Prussia. 
«  Le  cose  volsero  a  un  tratto  alla  peggio  ;  ma  fino  all'  ultimo  noi  ci 
ostinammo  a  non  disperare,  e  finche  un  filo  di  speranza  rimase, 
non  ci  preoccupammo  che  sui  mezzi  di  mantenere  la  pace  :  profon- 
damente, addolorati  dell'esito  finale  della  questione,  abbiamo  tutta- 
via la  coscienza  di  aver  fatto ,  per  quanto  da  noi  dipendeva ,  il  no- 
stro dovere.  » 

Fece  il  suo  dovere  il  povero  Diritto,  ma  fu  tempo  perso.  Se  non 
che  colla  paura  non  si  ragiona.  E  la  paura  che  i  liberali  aveano 
della  guerra  venuta  così  all'  improvviso  a  guastar  loro  le  ova  nel 
paniere,  e  rompere  le  fila  massoniche  con  lunga  fatica  tessute,  la 
paura,  diciamo,  era  tanta,  che  non  lasciò  loro  considerare  la  va- 
nità dei  loro  articoli,  i  quali  non  dimostravano  altro  che  il  grande 
interesse  che  essi  aveano  questa  volta  alla  conservazione  della  pace. 


LA  MASSONERIA  E  LA  GUERRA  o33 

Fecero  come  quel  notaio  criminale  di  cui  parla  il  Manzoni,  il  quale 
«  era  un  furbo  matricolato  ;  ma  in  quel  momento  si  trovava  coli'  a- 
nimo  agitato.  Ma  è  una  tendenza  generale  degli  uomini  quando  so- 
no agitali  e  angustiati  e  vedono  ciò  che  un'  altro  potrebbe  fare  per 
levarti  di  impiccio,  di  chiederglielo  con  istanza  e  ripetutamente.  E 
i  furbi  quando  sono  angustiati  e  agitati  cadono  anche  loro  sotto 
questa  legge  comune.  Quindi  è  che  in  simili  circostanze  fanno  per 
lo  più  una  pessima  figura.  »  Anche  si  può  dire  che  imitarono  quel 
tale  che,  in  una  tempesta  di  mare,  avendo  quasi  perduto  il  cervel- 
lo, credeva  rimediare  ali*  imminente  pericolo  coli' abbracciare  l'al- 
bero maestro  e  tirarlo  a  sé  con  quanta  forza  aveva  dalla  parte  de- 
stra quando  la  nave  piegava  a  sinistra,  e  dalla  sinistra  quando  pie- 
gava a  destra,  faticando  assai  e  non  approdando  a  nulla.  Benché 
si  può  credere  che  i  dotti  articoli  di  questi  savii  giornali  massoni- 
ci hanno  questa  volta  influito  sopra  F  opinione  dei  Governi  anche 
meno  che  non  sul  piegar  della  nave  la  forza  di  quel  povero  spa- 
ventato. 

Scoppiata  la  guerra  e  venutosi  cosi  alla  seconda  fase,  ci  perdo- 
nino i  cortesi  lettori,  ma  noi  non  sapremmo  meglio  compendiare  gli 
articoli  dei  prelodati  giornali,  organi  della  massoneria  dotta  e  del 
liberalismo  sapiente,  che  ricorrendo  ancor  una  volta  alle  parole  di 
D.  Abbondio  quando,  fuggendo  la  guerra,  si  ricoverava  al  castello 
dell'Innominato.  «Dopo  aver  sospirato  e  risospirato  e  poi  lasciato 
scappare  qualche  interiezione,  Don  Abbondio  cominciò  a  brontolar 
più  di  seguito.  Se  la  prendeva  col  Duca  di  Nevers  che  avrebbe  po- 
tuto stare  in  Francia  a  godersela,  a  fare  il  Principe,  e  voleva  esser 
Duca  di  Mantova  a  dispetto  del  mondo:  con  l'Imperatore  che  avreb- 
be dovuto  aver  giudizio  per  gli  altri,  lasciar  correr  1'  acqua  all' in- 
giù, non  istar  su  tutti  i  puntigli:  che  finalmente  lui  sarebbe  sempre 
stato  l'imperatore,  fosse  duca  di  Mantova  Tizio  o  Sempronio.  Biso- 
gnerebbe, diceva,  che  fossero  qui  quei  signori  a  vedere,  a  provare 
che  gusto  ci  è.  » 

E  a  voler  esser  equi,  non  si  può  negare  che  niun  gusto  può  avere 
il  liberalismo  in  genere  e  l'italiano  in  ispecie  in  questa  guerra. 

Quanto  al  liberalismo  in  generale  è  chiaro  che  questa  guerra 
viene  in  mal  punto  a  rompere  tutti  i  suoi  disegui,  e  contrariare  tutti 


534  LA  MASSONERIA  E  LA  GUERRA 

i  suoi  intendimenti.  Gran  flagello  è  certamente  la  guerra.  Ma  es- 
sendo flagello  di  Dio  è  ordinato  al  bene:  ed  il  cristiano,  mentre  non 
dee  uè  farla  né  procurarla  se  non  che  quando  è  giusta,  inevitabile 
e  doverosa,  quando  però  la  subisce  ha  da  persuadersi  che  anche 
allora  egli  si  trova  nell'ordine  della  provvidenza  di  Dio,  che  ogni 
cosa  dispone  a  sua  gloria  e  nostro  bene.  E  nel  caso  presente,  per 
quanto  i  giudizii  di  Dio  siano  imperscrutabili,  ci  è  però  lecito  di 
osservare  che  il  guasto  delle  idee  che  si  fa  colle  congiure  sotter- 
ranee, coll'istruzione  corruttrice,  coll'arrolamento  della  gioventù, 
col  guasto  specialmente  degli  operai  per  mezzo  delle  società  ope- 
raie ed  internazionali,  tutto  questo  è  scombinato,  confuso,  sconquas- 
sato da  una  guerra  così  colossale.  Il  danaro  stesso,  senza  cui  nulla 
può  ordire  il  liberalismo,  fugge  dalle  sue  casse  di  risparmio  ordi- 
nate anche  esse  a  guerra  pacifica  contro  l'ordine  e  la  religione  nel- 
le mani  dei  settarii  in  molli  paesi.  La  gioventù  studiosa  e  l'operaria 
esce  dalle  congiure  e  dalle  scuole  settarie  per  entrare  nelle  file 
dell'esercito,  dove  i  principii  massonici  e  liberaleschi  sono  sgomi- 
nati dai  contraili  antichi  principii  della  disciplina,  dell'obbedienza, 
del  rispetto  alle  autorità.  Non  vi  ò  infatti  esercito  senza  unità,  né 
unità  senz'  autorità,  né  autorità  senza  obbedienza  all'antica,  e  quale 
appunto  è  odiala  dal  liberalismo.  La  guerra  inoltre  eccila  in  tutti 
cuori  i  principii  religiosi,  fa  pensare  all'anima,  alla  morte  e  a 
prepararvisi,  alla  protezione  di  Dio  e  ad  invocarla,  al  soccorso  del 
sacerdote  e  della  Suora  di  carità  e  a  rispettarli,  al  disprezzo  della 
"vita  pel  dovere,  perla  patria,  per  l'obbedienza:  lutti  sentimenti, 
pensieri  e  principii  generosi,  cristiani  e  morali,  e  perciò  antilibe- 
rali ed  anlimassonici.  Che  se  la  guerra  non  fosse  altro  che  flagel- 
lo, morte,  desolazione  e  rovina,  la  massoneria  ispirata  dal  diavolo 
homicida  ab  initio,  vorrebbe  sempre  la  guerra.  Se  l'odia,  talvolta, 
se  la  detesta,  se,  col  pretesto  di  filantropia,  fa  i  congressi  della  pa- 
ce ossia  della  guerra  settaria  e  sotterranea,  ciò  è  perche  trovan- 
dosi ora  quasi  da.pertutto  in  possesso  del  governo,  intende  che  col- 
la pace  può  pei  -venire,  al  colmo  del  suo  trionfo  meglio  che  colla 
guerra  che  può  essere  la  sua  ro\ina. 

E  ciò  in  generale.  Ma  in  particolare  per  l'Italia  è  chiaro  che  non 
polca  cadérle  addosso  questa  guerra  in  peggior  punto.  Disarmata, 


LA  MASSONERIA  E  LA  GUERRA  535 

screditata,  impoverita,  come  ottener  voce  in  capitolo?  Quanto  a  sim- 
patie ragionevoli  essa  non  può  averne  per  la  Prussia,  cui  dee  Vene- 
zia, senza  offendere  Francia  cui  dee  ogni  cosa;  nò  può  averne  per 
Francia  cui  dee  ogni  cosa,  senza  offendere  Prussia,  cui  dee  la  Vene- 
zia. Inoltre  la  Prussia  sembra  per  ora  la  più  forte,  e  può  far  pagar 
cara  ogni  velleità  d'offenderla.  D'altra  parte  è  poi  certo  che  la  Prus- 
sia sarà  in  fine  la  più  forte? 

Resta  dunque  una  neutralità  benevola  ai  due  contendenti.  Ma  una 
tal  neutralità  è  sempre  interpretata  come  ostilità  dalla  parte  vinci- 
trice. Peggio  poi  se  la  neutralità  è  benevola  ad  una  sola  parte.  Gli 
imbrogli  dell'  Italia  sono  dunque  evidenti.  J)  dir  ani  rec/es  dicea  la 
Perseveranza  dei  27  Luglio  prendendosela,  come  Don  Abbondio,  coi 
due  contendenti  :  e  poi  seguitava  «  La  guerra  non  ci  poteva  arrivare 
in  peggior  punto.  Essendo  condannati  a  governi  fiacchi,  e'  eravamo 
pure  accomodati  a  trarne  per  ora  questo  profitto,  l'aumento  dell'en- 
trata pubblica.  L'operosità  economica  del  paese  si  risvegliava;  noi 
vedevamo  non  lontana  l' ora  in  cui  la  questione  delle  finanze,  la  più 
ostinata  delle  questioni  nostre,  sarebbe  stata  risoluta.  Ecco,  che 
un'  altra  volta,  e  non  per  colpa  nostra  ora,  noi  siamo  ricacciati  in 
giù,  né  possiamo  sapere  quanto  in  giù.  Poiché  è  impossibile  oggi 
indovinare,  se  la  guerra  si  estenderà,  e  se  noi  saremo  sforzati  a 
prendervi  parte.  Niente  è  più  probabile  che  la  Prussia  voglia  sfrut- 
tare 1'  odio  garibaldino  contro  la  Francia,  e  le  smanie  garibaldine 
verso  Roma.  D'altra  parte,  è  evidente  che  ogni  nostro  provvedimen- 
to di  tesoro  c'è  reso  oggi  assai  più  diffìcile,  costoso.  » 

Ed  il  Diritto  del  18  Luglio  diceva:  «  Se  nella  situazione  attuale  il 
Governo  italiano  volesse  uscire  dalla  neutralità  per  chi  dovrebb'  egli 
prendere  parte?  Non  per  la  Francia;  perchè  sposerebbe  la  causa  del- 
la prepotenza ,  una  causa  che  è  la  negazione  del  principio  del  non 
intervento  e  del  principio  della  nazionalità  che  sono  la  base  del  no- 
stro diritto  pubblico  e  la  nostra  principale  condizione  d'esistenza; 
non  con  la  Francia  ancora  perchè  avrebbe  contro  di  sé  il  sentimento 
ormai  non  dubbio  del  popolo  italiano.  Allearci  con  la  Prussia  sa- 
rebbe altresì,  nel  momento  attuale,  sommamente  pericoloso,  molto 
più  avendo,  come  abbiamo,  un  nemico  in  casa,  e  non  essendo  sufi- 


536  LA  MASSONERIA  E  LA  GUERRA 

cientemente  preparati.  »  E  il  21  Luglio:  dicendo  «  Chi  potrà  mai 
levar  di  testa  ai  Francesi  che  gì'  Italiani  non  debban  loro  tutto  quel 
po'  di  bene  che  respirano  ?  Chi  potrebbe  persuadere  ai  Prussiani 
che  essi  non  abbiano  rimediati  i  danni  irreparabili  delle  nostre  scon- 
fitte, coronando,  per  miracolo,  l'unità  della  nostra  patria?  Questo 
diciamo,  pei  che  si  veda  come  la  neutralità,  se  da  un  lato  rende  si- 
curi, non  sia  tale  bensì  che  svanisca  i  pericoli  e  le  incertezze;  ove 
si  pensi  che  due  popoli  amici,  se  non  si  cambiano  in  nemici  aperti, 
non  mancheranno  guardarci  di  traverso  o  tenerci  in  sospetto ,  come 
tepidi  o  irriconoscenli.  E  questi,  ove  porga  il  destro,  non  si  staranno 
dal  vendicarsi  a  cento  doppii.  » 

L'Opinione,  giornale  ora  ministeriale  e  quasi  ufficiale,  dice  nel 
suo  num.  dei  19  Luglio.  «  11  Governo  non  si  trova  su  d'un  letto  di 
rose.  Ogni  partito  che  a  lui  si  presenta,  ha  le  sue  spine.  Se  vi  ha 
qualcuna,  il  quale  non  vegga  che  un  nuovo  Waterloo  sarebbe  fatale 
alla  libertà  ed  al  progresso  sociale  di  cui  la  Francia  sta  sempre 
alla  testa  :  se  vi  ha  tal  altro,  il  quale  non  capisca  che  una  nuova 
battaglia  di  Iena  riuscirebbe  disastrosa  per  il  principio  nazionale 
di  cui  per  forza  la  Prussia  si  dovette  fare  una  bandiera,  quegli  non 
sono  uomini  politici  e  ragionar  con  loro  tornerebbe  inutile.  » 

Ma  niuno  forse  espose  questo  stato  di  perplessità  forzala  del- 
l'Italia  liberale  quanto  la  Rivista  europea,  periodico  fiorentino,  dot- 
to se  volete,  o  meglio  erudito  di  indigesta  erudizione,  ma  empio  al 
tutto,  si  che  non  sappiam  intendere  come  esso  sia  stato  lodato  testé 
senza  restrizioni  e  quasi  proposto  ad  esempio  da  un  periodico  scrit- 
to da  cattolici,  se  non  sapessimo  (e  Dio  volesse  che  non  anche  tal- 
volta per  nostra  esperienza)  che  nella  fretta  e  precipitazione  dello 
scrivere  moderno  non  sempre  i  giudizii  possono  essere  retti  come  il 
cuore  e  l' intenzione.  Or  ecco  come  /liberto  Mario  nel  n.°  3  della  det- 
ta Rivista  espone  il  pericolo  d' Italia  sia  che  vinca  Francia,  sia  che 
vinca  Prussia.  Comincia  col  mostrarsi  favorevole  alla  Prussia,  poi, 
pensando  meglio,  vede  che  la  vittoria  della  Prussia  sarebbe  perico- 
losa e  finisce  col  non  saper  che  augurarsi.  «  Per  le  inflitte  (all'Italia) 
umiliazioni,  e  per  l'occupazione  di  Roma,  e  per  il  sangue  di  Menta- 
na, è  naturale  che  noi  italiani  auguriamo  una  Sadowa  rinterzata  alla 


LA  MASSONERIA  E  LA  GUERRA  537 

Francia  imperiale.  E  se  la  giustizia  sta  tutta  dalla  parte  del  re  Gu- 
glielmo, se  egli  accogliendo  il  guanto  difende  1'  onore  della  Germa- 
nia insultata  in  lui,  se  difende  il  diritto  che  ogni  popolo  ha  di  co- 
stituirsi come  gli  piace,  contestato  alla  Germania  dalla  cieca  gelosia 
francese,  desiderare  ch'ei  vinca  gli  è  desiderare  il  disastro  minore. 
La  libertà  pagherà  in  ogni  caso  i  vetri  rotti. ...  La  \ittoria  napo- 
leonica importerebbe  il  colpo  di  Stato  europeo,  ma  la  vittoria  del 
Re  di  Prussia,  trarrà  seco  l' unità  germanica  o  almeno  la  federazio- 
ne germanica  sotto  l'esorbitante  primato  della  Prussia,  in  balla 
d'un  re  glorioso»  di  razza  guerriera,  e  ambizioso  e  saturo  di  dirit- 
to divino.  » 

E  come  il  sig.  Alberto  Mario  e  la  Rivista  europea,  cosi  la  Mas- 
soneria italiana  in  generale  ha  perduto  il  filo  delle  idee  ;  e  non 
ostanti  le  circolari  del  sig.  Frappolli  che  raccomandano  neutra- 
lità, è  divisa  in  due  partiti,  dei  quali  ciascuno  combalte  per  l'una 
delle  due  potenze  belligeranti  secondo  che  dall'una  e  dall'  altra 
vede  ciascuno  minori  pericoli  soprastare  all'Italia  liberale.  Ten- 
gono per  Francia  la  Gazzetta  d' Italia  e  gli  altri  giornali  più  de- 
voti al  Governo  presente,  che  tutto  in  verità  è  fondato  sopra  la 
Francia.  Tengono  per  Prussia  i  nemici  di  Francia  e  i  pazzi  radicali 
quasi  tutti:  benché  anche  questi  sono  divisi  e  suddivisi,  rimanendo 
certo  soltanto  quel  pericolo  e  timore  generale  che  il  Diritto  del  17 
Agosto  molto  bene  spiega  dicendo:  «  Non  conviene  dimenticare  che 
mentie  da  una  parte  l' Italia  non  avrebbe  nulla  a  guadagnare  da  u- 
na  guerra  nelle  presenti  circostanze,  dall'altra  non  solamente  ne  a- 
vrebbe  a  temere,  come  tutti  gli  altri  paesi,  danni  più  o  meno  gra- 
vi; ma,  per  la  sua  speciale  condizione,  vi  comprometterebbe  la  sua 
stessa  esistenza  nazionale,  la  sua  unità  che  non  ha  cessato  ancora 
di  essere  minacciata.  » 

E  meglio  ancora  1'  Opinione  dei  10  Agosto:  «  Ora  si  è  pensosi 
perchè  anche  indipendentemente  dalla  forte  scossa  che  può  avere 
la  politica  generale  dal  mutamento  improvviso  e  profondo  del  suo 
punto  di  equilibrio,  si  capisce  che  havvi  una  grande  questione  in- 
terna che  sovrasta  ad  ogni  altra  considerazione  ed  a  tutti  gì'  inte- 
ressi particolari.  La  nostra  unità  data  dal  1860;  non  bisogna  mai 


538  LA  MASSONERIA  E  LA  Gì  ERRA 

dimenticarlo.  I  suoi  nemici  son  tulli  vivi,  lutti  operosi,  tutti  rinco- 
rati da  queste  strane  \icende.  11  paese  domanda  se  il  Governo  ha 
forze  sutlicienti  per  difenderlo  contro  gli  assalti  e  gli  agguati  che 
non  possono  mancargli,  pur  conservando  la  forza  che  gli  abbisogna 
per  presentarsi  nei  consigli  europei  e  per  esservi  ascollato.  » 

Al  solito  poi  di  tulli  i  casi  nei  quali  i  liberali  sono  imbrogliati, 
anche  questa  volta  accade  che  se  la  piglino  con  Dio,  siccome  con 
Colui  che  essi  ben  sanno  avere  a  nemico  capitale.  E  non  potendolo 
offendere  direttamente  in  cielo,  cercano  di  offenderlo  indirettamente 
in  terra  pigliandosela  colla  sua  Chiesa  e  con  Roma.  La  sola  con- 
solazione che  paiono  ora  avere  i  liberali  si  è  la  partenza  dallo  Stato 
pontificio  dei  soldati  di  Francia.  11  qual  abbandono  molli  di  loro  in- 
terpretano come  una  licenza  di  venir  avanti  e  di  prender  possesso 
di  ciò  che  resta  al  Papa.  Il  Diritto  e  la  Bi forma,  che  ì  tra  i  giornali 
moderati  sono  i  più  pazzi,  e  tra  i  giornali  democratici  sono  i  più  sa- 
vii,  scrissero  in  questi  giorni  dei  grandi  articoli  per  ispingere  ver- 
so Roma  il  Governo  fiorentino.  Non  essendo  stati  uditi  da  Francia 
e  Prussia  speravano  di  esser  almeno  esauditi  dall'  Italia.  E  fu  note- 
vole il  Diritto,  che  paragonò  se  slesso  a  Catone  (questo  caso  è 
accaduto  il  19  Agosto)  e  Roma  a  Cartagine,  e  quindi  «  a  viso 
aperto:  è  necessario,  disse,  che  Roma  sia  nostra  ».  Ma  non 
ostante  tanta  apertura  di  viso  o  meglio  di  bocca,  il  Governo  fio- 
rentino finora  ha  credulo  meglio  non  ascoltar  Catone  e  avere  giu- 
dizio. Che  anzi  fece  sapere  al  Diritto  ed  ai  suoi,  per  mezzo  del- 
F  Opinione  del  19  Agosto,  che  l'Italia  perora  non  intende  ve- 
nire a  Roma.  E  non  mica  per  isciupolo,  o  per  amor  di  giustizia. 
Ma  perchè  sarebbe  dannoso  all'  Italia  il  far  ora  quest'altro  latro- 
cinio. «  La  sinistra  stessa  dee  intendere  (dice  V Opinione,  quasi 
dicendo:  se  lo  dee  intendere  la  sinistra,  chi  sarà  tanto  scemo  che 
non  l'intenderà?)  la  sinistra  stessa  dee  intendere  che  si  edifiche- 
rebbe sull'arena  se  si  pretendesse  di  andare  a  Roma  con  un  colpo 
di  mano.  »  Crediamo  dunque  che  quei  liberali,  i  quali  pensano  di 
poter  ora  pescare  nel  torbido,  si  illudano  fieramente ,  e  che  anche 
quesla  volta  patiranno  il  supplizio  di  Tantalo,  cioè  «  vedrrc  e  non 
toccare  »,  cosa  crudelissima  per  i  ladri  e  i  ghiottoni  di  professione, 


LA  MASSONERIA  E  LA  GUERRA  539 

E  noi  siamo  certissimi  che  quest'abbandono  in  cui  par  essere  Roma 
e  il  Papa,  questo  essere  come  in  balìa  de'  suoi  nemici,  questa  con- 
dizione di  cose  iu  cui  sembra  che  basti  ai  liberali  dar  un  passo  per 
ottenere  quella  Roma  cui  agognano  da  tanto  tempo  inutilmente,  noi 
siam  certissimi  che  questa  condizione  di  cose  è  permessa  da  Dio 
soltanto  perchè  si  veda  e  si  tocchi  con  mano  che  egli  solo  si  è  inca- 
ricato di  difenderla  da  sé,  e  non  vuole  divisa  con  altri  la  sua  glo- 
ria. Diceva  molto  saviamente  il  sarto  del  Manzoni,  gran  lettore  del 
Leggendario  dei  Santi:  «  Non  ho  mai  letto  che  il  Signore  abbia 
comincialo  un  miracolo  senza  finirlo  bene.  »  E  filosofava  meglio  di 
molti  dotti  e  sapienti,  grandi  lettori  del  Machiavelli.  Se  Dio  ha 
salvata  Roma  da  tanti  barbari  per  centinaia  di  secoli,  se  ha  sem- 
pre voluto  che  vi  tornasse  pacifico  Re  il  suo  Vicario  in  terra,  se 
anche  ieri  raunò  sotto  le  sue  mura  tutta  la  schiuma  della  ribalderia 
italiana  soltanto  per  far  loro  vedere  la  cupola  di  S.  Pietro  e  insegnar 
loro  che  Roma  si  vede  e  non  si  tocca,  poiché  ora  la  lascia  di  nuo- 
vo sprovveduta  di  altro  aiuto  che  del  suo,  questo  è  indizio  chiaro 
che  egli  vuol  finir  bene  il  miracolo  che  ha  cominciato. 

Che  se  anche  ai  liberali  fosse,  per  impossibile,  dato  di  far  ancor 
una  volta  questo  passo  e  d'invadere  Roma,  come  nel  corso  dei  seco- 
li passati  tanti  altri  barbari  l'invasero;  si  dee  tener  per  certissimo 
che  anche  questo  riuscirà  a  gloria  maggiore  di  Dio,  della  sua  Chie- 
sa, di  Roma  e  del  sommo  Pontefice,  e  a  maggior  umiliazione  e 
scorno  del  liberalismo,  il  quale  altre  volte  è  entrato  a  Roma  e  sem- 
pre ne  è  uscito  sconfìtto,  mutando  il  supplizio  di  Tantalo  con  quello 
di  Sisifo  condannato  a  far  sempre  la  slessa  salita  faticosa,  e  poi 
sempre  la  stessa  discesa  precipitosa.  Ma  il  cuor  ci  dice  (e  lo  dice 
pure  agli  stessi  liberali)  che  se  essi  hanno  da  soffiare  questa  volta 
il  supplizio  di  Sisifo,  ciò  loro  accadrà  più  facilmente  precipitando 
da  Firenze  dove  sono,  anziché  da  Roma  dove  non  arriveranno.  E 
così  sia. 


LA  BOLLA  REVERSURUS 

DEL  16  LUGLIO  1867 
INTORNO  ALLA  CHIESA  ARMENA 


Jl  Papa  Pio  IX  felicemente  regnante  diede  alla  chiesa  di  Armenia 
il  fondamento  di  una  santa  prosperità  colla  Bolla  Reversurus,  da 
lui  promulgata  nel  Luglio  del  1867.  Ma  i  nemici  della  pace  eccle- 
siastica, fra  gli  altri  pretesti,  si  valsero  di  questa  Bolla  medesima, 
e  trassero  da  lei  occasione  di  suscitar  turbolenze  in  quella  cristia- 
nità, la  quale,  senza  cotesti  seminatori  di  zizzania,  gusterebbe  al  pre- 
sente i  salutiferi  frutti  dell'  apostolica  provvidenza.  Non  è  nostra  in- 
tenzione di  parlare  di  questi  dissidii  e  di  questi  scandali.  La  storia 
compirà  a  suo  tempo  il  suo  ufficio;  e  se  lascerà  a  Dio  il  giudicare 
delle  intenzioni  occulte,  non  ometterà  certamente  di  porre  in  mani- 
festa luce  la  tristizia  delle  azioni  esterne,  colle  quali  si  è  nel  fatto 
tentato  di  cagionar  quivi  lo  scisma,  cioè  la  rovina  maggiore  che  si 
può  apportare  alle  anime,  rigenerate  col  santo  Battesimo  ed  unite  a 
Cristo  nella  comunione  col  suo  Vicario.  Vogliamo  soltanto  in  questo 
articolo  esporre  il  contenuto  di  quel  documento  della  Santa  Sede,  e 
indi  in  un  altro  quaderno  faremo  vedere  quanto  a  torto  i  mentovati 
perturbatori  l'abbiano  usato  come  mezzo  per  mandare  ad  effetto  i 
loro  perversi  proponimenti. 

Prima  del  1830  versavano  in  un  assai  infelice  condizione  tutti  gli 
Armeni  uniti,  che  dimoravano  nella  città  di  Costantinopoli  e  nei  luo- 
ghi circonvicini.  Essi  non  dipendevano  per  niuna  guisa  dui  Palliar- 


LA  BOLLA  REYERSURUS  DEL  16  LUGLIO  1867  ECC.  541 

ca  cattolico  della  lontana  Cilicia,  a  cui  eran  soggetti  tutti  gli  altri 
Armeni  uniti.  Nelle  cose  meramente  civili  aveano  a  superiore  il  Pa- 
triarca degli  Armeni  scismatici  di  Costantinopoli  ;  giacché  secondo 
la  consuetudine  stabilita  nell'  Impero  ottomano  fin  dal  tempo  di 
Maometto  II,  i  prelati  delle  varie  comunioni  cristiane  hanno  ivi  au- 
torità qfcvile  su  coloro  che  essi  reggono  nello  spirituale.  Or  questa 
autorità  si  arrogarono  indebitamente  i  Patriarchi  armeni  scismatici 
anche  sugli  Armeni  cattolici.  Nelle  cose  religiose,  che  hanno  effetti 
civili,  come  sono  i  battesimi,  i  matrimonii,  le  sepolture,  eran  que- 
sti cattolici  costretti  a  sottomettersi,  per  tutto  ciò  che  riguarda  cotali 
effetti,  al  clero  scismatico.  Nell'amministrazione  delle  opere  pie  e  di 
pubblica  beneficenza,  quali  sono  le  scuole,  gli  spedali,  gli  orfano- 
trofi, non  dovevano  riconoscere  altro  capo,  fuorché  il  nominato  Pa- 
triarca scismatico  e  il  suo  clero.  Finalmente  nelle  cose  strettamente 
religiose  e  per  la  debita  soggezione  alla  Santa  Sede  dipendevano  da 
un  Vicario  apostolico  latino,  residente  in  Costantinopoli. 

Questo  stato  durò  sino  al  1828,  quando  per  ragione  della  guerra 
di  Grecia  vennero  in  uggia  alla  Sublime  Porta  tutti  i  cristiani  di  rito 
orientale,  ma  in  ispecie  i  cattolici.  Allora  gli  Armeni  scismatici, 
mettendo  in  opera  le  consuete  arti,  denunziarono  al  Governo  i  loro 
connazionali  cattolici,  e  riuscirono  a  farli  sbandire  dalla  metropoli 
e  dalle  sue  vicinanze.  Il  bando  fu  accompagnato  da  tratti  d' inau- 
dita ferocia. 

Per  sovvenire  alle  necessità  di  questi  tribolati,  Pio  Vili  scrisse  a 
Francesco  I  imperatore  di  Austria  ed  a  Carlo  X  re  di  Francia,  ec- 
citandoli ad  interporre  i  proprii  ufììcii,  a  nome  della  protezione, 
con  che  quelle  due  inclite  nazioni  aveano  sempre  favoriti  i  catto- 
lici del  Levante.  Queste  pratiche  migliorarono  notabilmente  la  sorte 
degli  Armenti  uniti.  Il  provvido  Pontefice  pensando  altresì  a  libe- 
rarli dal  giogo  del  Patriarca  scismatico  e  del  suo  clero,  costituì  per 
essi  una  gerarchia,  composta  d'un  Arcivescovo  primate  e  di  dieci 
Vescovi  suffraganei;  ed  elesse  a  primo  Arcivescovo  monsignor  An- 
tonio Nurigian.  Alla  morte  del  Nurigian  succede  nel  primato  monsi- 
gnor Boghos  Maniche,  il  quale  ebbe  dapprima  a  Vicario  e  indi  a 
Vescovo  coadiutore  monsignor  Antonio  Hassun.  Morto  poi  nel  1846 
monsignor  Maruche,  ottenne  la  sede  primaziale  monsignor  Hassun. 


542  LA  BOLLA  REVERSURUS  DEL  16  LVJGLIO  1867 

Nella  Bolla  Quod  iamdiu,  colla  quale  Pio  Vili  eresse  la  detta  se- 
de, riservò  espressamente  a  se  ed  ai  suoi  successori  il  dritto  di  or- 
dinare per  l'avvenire  quel  che  sarebbe  tornato  più  utile  alla  stessa 
provincia  degli  Armeni:  Beservantes  Nobis  et  successoribus  Nostris 
in  posterum  sancire  quae  in  hac  sic  constituta  ecclesiastica  pro- 
vincia, prò  temporum,  locorum,  personarumque  rationibu^magis 
in  Domino  expedire  dignoscetur. 

Sotto  il  glorioso  governo  del  regnante  Pontefice  giunse  il  tempo, 
in  cui  il  mutare  la  disposizione  di  Pio  Vili  era  necessario  al  comun 
bene  sì  degli  Armeni  della  provincia  di  Costantinopoli,  come  di 
quelli  della  provincia  di  Cilicia.  Egli  dunque  colla  Bolla  Beversu- 
rus  estinse  ed  abolì  il  titolo  primaziale  ed  arcivescovile,  di  che 
Pio  Vili  avea  decorata  la  Chiesa  armena  di  Costantinopoli  ;  unì  in 
perpetuo  la  provincia  costantinopolitana  ecclesiastica  degli  Armeni 
cattolici  al  patriarcato  armeno  cattolico  di  Cilicia;  e  comandò  che 
tutti  gli  Armeni  cattolici  delle  due  province  di  Cilicia  e  di  Costanti- 
nopoli dipendessero  da  un  solo  Patriarca.  Lasciò  a  questo  il  titolo 
di  Patriarca  di  Cilicia,  ma  gli  assegnò  per  sede  la  città  di  Costanti- 
nopoli, e  gli  diede  il  dritto  di  governare  la  Chiesa  costantinopolita- 
na con  giurisdizione  ordinaria.  Il  primo  eletto  a  tal  dignità  fu  il  no- 
minato monsignor  Antonio  Hassun,  il  quale  allora,  come  già  ab- 
biamo detto,  era  Primate  di  Costantinopoli;  ed  assunse  il  nuovo  ca- 
rico col  nome  di  Pietro  IX  nel  1866,  cioè  dopo  la  morte,  avvenuta 
quel!'  anno,  del  Patriarca  Gregorio  Pietro  Vili,  dalla  cui  giurisdi- 
zione spirituale  erano  di  penduti  fino  allora  i  soli  Armeni  cattolici 
della  provincia  di  Cilicia. 

Dalla  menzionala  ordinazione  dell'augusto  Pontefice  provenivano 
due  vantaggi.  11  p»imo  era  di  raccogliere  in  un  solo  Patriarca  la 
giurisdizione  su  lutti  gli  Armeni  uniti,  la  quale  era  innanzi  divisa 
tra  il  Primate  di  Costantinopoli  ed  il  Patriarca  di  Cilicia.  L'altro 
era  che  potea  quindi  avere  miglior  sesto  l'  amministrazione  degli 
affari  civili  di  tutta  quella  comunità  dei  medesimi  Armeni;  ed  ecco 
in  qual  modo. 

Quando  per  le  provvide  cure  di  Pio  Vili,  ricordate  di  sopra,  gli 
Armeni  cattolici  della  provincia  costantinopolitana  ebbero  a  loro 


INTORNO  ALLA  CHIESA  ARMENA  543 

proprio  Arcivescovo  monsignor  Antonio  Nurigian,  e  così  incomin- 
ciarono a  formare  una  comunilà  al  tutto  indipendente  nelle  cose 
spirituali  dal  Patriarca  e  dal  clero  scismatico  di  Costantinopoli; 
implorarono  dalla  Sublime  Porta  che  una  tale  costituzione  ecclesia- 
stica fosse  riconosciuta,  e  che  il  detto  Arcivescovo  Primate  fosse  in- 
vestito ancora  di  quei  poteri  civili,  che  i  capi  de' diversi  riti  eserci- 
tano sopra  i  loro  sudditi,  giusta  la  consuetudine  vigente  in  tutto 
l'Impero  ottomano.  La  domanda  andò  a  vuoto  pei  maneggi  contra- 
rli del  clero  scismatico,  a  cui  erano  soggetti  nel  civile  quegli  Arme- 
meni  cattolici.  Se  le  cose  si  fosser  mutate,  avrebbe  questo  clero 
perduto  un  numero  considerabile  di  sudditi,  si  sarebbe  ristretta  la 
sfera  della  sua  influenza,  e,  ciò  che  più  era,  gli  sarebbe  venuta 
meno  ogni  utilità  pecuniaria,  che  da  quella  civile  amministrazione 
o  riceveva  legittimamente  o  anche  spremeva  a  torto.  Potè  anche 
dar  peso  al  rifiuto  il  non  essere  il  Nurigian  suddito  ottomano  ma 
austriaco.  Intanto  il  Governo  si  negò  di  concedere  a  questo  Primate 
la  prefettura  civile,  adducendo  per  ragione  che  egli  non  avea  il  ti- 
tolo di  Patriarca.  Alla  Santa  Sede  appariva  mostruoso,  qual  era  ve- 
ramente, il  creare  un  secondo  Patriarca  di  uno  slesso  rito  in  Costan- 
tinopoli, ed  ingiusto  lo  spogliare  di  tale  titolo  la  sede  di  Cilicia. 

I  principali  della  comunilà,  persistendo  nella  loro  domanda,  conse- 
guirono finalmente  dalla  Porta  di  potersi  scegliere  un  capo  civile  col 
tìtolo  di  Patriarca.  Ciò  fu  al  tempo  del  Pontificato  di  Gregorio  XVI, 
il  quale  consentì  che  di  tal  potere  e  di  tal  titolo  fosse  insignito  un 
semplice  prete,  a  patto  espresso  che  non  esercitasse  verun  alto  di 
ecclesiastica  giurisdizione,  senza  speciale  facoltà  concedutagli  dai 
Primate,  e  che  questi  non  glie  ne  comunicasse  più  di  quanto  egli 
slesso  ne  possedea.  Vietò  altresì  che  tanto  il  Primate  quanto  il  Pa- 
triarca civile  s'ingerissero  in  veruna  faccenda  spirituale  delle  altre 
chiese,  che  aveano  già  propria  gerarchia  e  dipendevano  dai  pro- 
pri! prelati,  siccome  erano,  per  esempio,  quelle  della  Georgia  e  del- 
la Cilicia. 

Nel  1845  monsignor  Antonio  Hassun,  allor  Vescovo  coadiutore 
del  primate  Maruche,  venne  eletto  ad  esercitare  questa  prefettura 
civile.  Indi  ad  un  anno  egli  succede  al  defonto  Maruche  nell'arci- 


544  LA  BOLLA  REVERSIRUS  DEL  16  LLGLIO  1867 

vescovado  e  primato  della  provincia  armena  di  Costantinopoli,  ed 
ottenne  dalla  Sublime  Porta  di  conservare  l'autorità  di  Patriarca  ci- 
vile, benché  non  avesse  il  titolo  di  Patriarca  ecclesiastico.  Per  tal 
modo  la  condizione  degli  Armeni  cattolici  di  quella  provincia  finì 
di  essere  inferiore  a  quella  degli  altri  cristiani  dell'  Impero  ;  peroc- 
ché incominciarono  a  dipendere  da  un  capo  solo,  appartenente  alla 
loro  religione  ed  al  proprio  rito,  il  quale  era  ad  un  tempo  investito 
della  giurisdizione  ecclesiastica  e  della  civile  autorità. 

Gli  altri  Armeni  cattolici  dipendevano  nello  spirituale,  come  già 
si  è  detto,  dal  Patriarca  della  provincia  di  Cilicia  ;  ma  negli  affari 
civili  eran  soggetti  al  Patriarca  scismatico,  che  dimorava  in  Co- 
stantinopoli, com'  erano  dapprima  gli  Armeni  cattolici  della  pro- 
vincia costantinopolitana.  Allorché  poi  questi  Armeni  di  Costantino- 
poli ebbero  un  Patriarca  civile,  quei  di  Cilicia  ottennero  di  dipendere 
dallo  stesso  Patriarca  ne'negozii  temporali,  e  si  riscossero  cosi  dal- 
la civile  soggezione  del  Patriarca  scismatico.  Venuta  indi  a  qualche 
anno  la  prefettura  civile  nelle  mani  del  primate  Hassun,  essi  si  val- 
sero per  questi  negozii  dell'  opera  di  lui. 

Senonchè  il  Patriarca  di  Cilicia  immaginò,  che  si  vantaggereb- 
bero gl'interessi  della  sua  comunità,  se  ella  avesse  in  Costantino- 
poli per  la  spedizione  de'proprii  affari  una  persona  indipendente  da 
monsignor  Hassun.  Pertanto  fece  pratiche  presso  la  Sublime  Porta 
affìn  di  avere  a  tal  uopo  un  suo  vicario  nella  detta  metropoli,  e 
l'ottenne  nel  1860.  Ma  infastidito  ben  presto  dalle  difficoltà,  che 
gli  sorgevano  attorno  per  questa  novità,  si  determinò  di  proporre 
in  secreto  ai  suoi  Vescovi  una  convenzione,  la  cui  somma  era  ,  che 
si  unissero  le  due  giurisdizioni  ecclesiastiche  nella  persona  del  Pa- 
triarca di  Cilicia,  e  la  sede  patriarcale  si  trasferisse  a  Costantino- 
poli, conservando  tult'i  suoi  dritti  e  tutte  le  sue  prerogative.  Mon- 
signor Hassun,  avvenuto  questo  cangiamento,  avrebbe  continuato 
ad  esercitare  la  giurisdizione  primaziale  ;  però  sarebbe  nello  stesso 
tempo  nominalo  vicario  del  Patriarca,  e  presterebbe  nelle  mani  di 
lui  il  giuramento  solilo  a  prestarsi  dagli  altri  Vescovi  che  erano 
nel  patriarcato.  Quest'alto  fu  stipulalo  e  sottoscritto  da  tulli  gli  Ar- 
civescovi il  18  Febbraio  del  1865.  Ma  il  colera,  che  l'anno  inedesi- 


INTORNO  ALLA  CHIESA  ARMENA  545 

mo  afflisse  la  città  di  Costantinopoli,  rapì  immaturamente  monsi- 
gnor Michele,  principale  negoziatore  della  nominata  convenzione;  e 
cominciando  appena  il  seguente  anno  1866,  fini  di  vivere  lo  stesso 
Patriarca  di  Cilicia,  Gregorio  Pietro  Vili,  iniziatore  di  quel  trattato. 

La  Santa  Sede  approvava  la  sostanza  della  convenzione,  ed  avca 
provvisto  sì  fattamente,  che,  ove  accadesse  la  morte  del  detto  Gre- 
gorio, nella  scelta  del  nuovo  Patriarca  si  effettuassero  i  desideri! 
delle  due  comunità  degli  Armeni  uniti.  Morto  Gregorio,  fu  scelto  a 
succedergli  monsignor  Hassun.  L'  augusto  Pontefice  Pio  IX  confer- 
mò una  tale  elezione,  e,  come  di  sopra  abbiamo  detto,  decretò  nella 
Bolla  Reversurus  la  riunione  della  sede  primaziale  di  Costantinopoli 
colla  patriarcale  di  Cilicia,  ritenendo  di  questa  seconda  il  titolo  e 
della  prima  la  residenza. 

Dà  quindi  le  norme  per  le  elezioni  future  sì  del  Patriarca  come 
de'  Vescovi  della  chiesa  di  Armenia.  E  dapprima  abolisce  un  certo 
capitolo  che  il  defonto  Patriarca  di  Cilicia  Gregorio  Pietro  Vili  avea 
illegittimamente  eretto  tre  anni  innanzi,  concedendogli  una  indebita 
ingerenza  nella  elezione  de'  Prelati,  insieme  con  alcuni  pretesi  di- 
ritti e  privilegi,  ingiuriosi  non  solo  alla  dignità  episcopale,  ma  al- 
tresì alla  patriarcale.  Con  questo  illegale  capitolo  rimane  anche 
abolito  qualsivoglia  altro  capitolo  della  medesima  specie,  che  per 
avventura  fosse  stato  creato  ne  confini  del  patriarcato  armeno;  e  si 
vieta  che  per  l'avvenire  niun  capitolo  somigliante  si  stabilisca  nello 
stesso  patriarcato. 

Le  norme  della  elezione  del  Patriarca  son  queste.  Vacando  la 
sede  patriarcale  i  soli  Vescovi  abbiano  il  dritto  del  suffragio  nella 
elezione  del  Vicario,  che  dee  governare  ed  amministrare  il  pa- 
triarcato vacante.  Nella  scelta  dello  stesso  Patriarca  similmente  i 
soli  Vescovi  abbiano  il  dritto  del  suffragio,  escludendo  affatto  i  che- 
rici  ed  i  sacerdoti  non  insigniti  del  carattere  episcopale,  ed  altresì 
vietando  che  niun  laico  s' ingerisca  e  pigli  parte  in  tale  elezione, 
sotto  qualsivoglia  colore  o  pretesto.  Il  Patriarca  eletto  non  sia  in- 
tronizzato e  non  abbia  alcun  dritto  o  giurisdizione  sul  patriarcato,, 
nò  anche  a  titolo  o  a  nome  di  vicario  o  di  procuratore;  se  prima  la 
sua  elezione  o  postulazione  non  sia  stata,  secondo  Y  uso,  ammessa 
Serie  Y1J,  voi.  XJ,  fase.  491.  35  24  Aggsto  1870. 


546  LA  BOLLA  REYERSURVS  DEL  16  LLGLIO  1867 

e  confermata  dal  romano  Pontefice,  e  non  siano  state  spedite  le  let- 
tere apostoliche  della  confermazione,  tolta  qualsivoglia  consuetudine 
Incontrario.  11  medesimo] Patriarca,  benché  sia  confermato  nella 
già  detta  guisa  dalla  Sede  [apostolica,  non  possa  lecitamcnle  conse- 
crare  i  Vescovi,  convocare  i  Sinodi,  fare  il  crisma,  dedicare  le 
chiese  ed  ordinarefi  chierici,  prima  che  abbia  ottenuto  il  sacro  Pal- 
lio dalla  stessa  apostolica  Sede.  Dopo  ciò  sono  enumerati  i  giorni 
festivi,  ne'  quali  [il  Patriarca^  può  fare  uso  del  Pallio  nelle  messe 
solenni  e  nelle  chiese,  contenute  fra  i  limili  del  suo  patriarcato. 
Gli  s'impone  l'obbligo  di  visitare  ogni  quinquennio  il  sepolcro  dei 
SS.  Apostoli  Pietrofe  Paolo,  e  di  dare  in  questa  visita  conto  al  ro- 
mano Pontefice  dell'  adempimento  del  suo  pastorale  officio.  Final- 
mente se  gli  prescrivono  alcune  regole  intorno  all'amministrazione 
ed  all'  uso  dei  beni  temporali  e  delle  possessioni  del  patriarcato. 

Quanto  alla  elezione  de'  Vescovi,  1'  augusto  Pontefice  stabilisce, 
che  vacando  una  diocesi|del  patriarcato,  il  Patriarca  convochi  quan- 
to prima  il  Sinodo  de'  Vescovi  ;  dal  quale  si  proporranno  sinodal- 
mente tre  idoneifecclesiastici  al  Pontefice  romano;  e  questi  sceglierà 
il  più  idoneo  tra  essi  al  governo  di  quella  sede.  «  Non  dubitiamo, 
così  soggiunge  iUPonteh'ce,  che  i  Vescovi  procureranno  di  proporre 
persone  degne  e  veramente  idonee,  acciocché  Noi  o  i  Nostri  succes- 
sori non  siano  giammai  costretti  per  l'ufficio  dell'apostolico  mini- 
stero, a  decorare  qualche  altro,  benché  da  loro  non  proposto,  della 
dignità  episcopale,  ed  a  costituirlo  sulla  chiesa  vacante.  » 

Questa  è  la  somma  delle  prescrizioni,  contenute  nella  [Bolla  Re- 
versurus;  della^quale  soggiungiamo  qui  appresso  il  testo  intero. 

PIUS  EPISCOPUS 

SERYUS     8  I  R  V  0  R|U  M     d|e  I 

ad  perpeluam  rei  memoriam. 

Rr versurus  ex  hoc  mundo  ad  Patroni  Unigenitus;  Dei  Filius  Ec- 
clesie suae  divinam  ordinationem  ita  consti tuit,  ut,  quemadmodum 
B,  Leo  PP.  1.  deccssor  Noster  monuit  1,  cum  inter  beatissimos 

1  Epist.  ad  Anaslasium  Thessalonicerf. 


INTORNO  ALLA  CHIESA  ARMENA  541 

Àpostolos  in  similitudine  honoris  quaedam  fucrit  discrelio  potesta- 
tis,  omniumque  par  esset  electio,  uni  tamen,  scilicet  Buio  Petro,  da- 
tum  fuerit,  ut  ceteris  praeraineret.  Huic  enim  soli  a  Christo  Domi- 
no suprema  potestas  fuit  attributa  pascendi  nedum  agnos,  verum  et 
oves;  hoc  est  regendi  et  gubernandi  universam  Ecclesiam;  ut  iam 
in  grege  Christi  non  sit,  qui  Petrum  Pastorem  non  agnoscat.  «  De 
«  qua  forma,  ut  ait  idem  B.  Leo,  Episcoporum  quoque  est  orta  di- 
«  stinctio  et  magna  dispositione  provisum  est,  ne  omnes  omnia  sibi 
«  \indicarent  ;  sed  essent  in  singulis  proYinciis  singuli,  quorum  in- 
«  ter  fratres  haberetur  prima  sententia  ;  et  rursus  quidam  in  maio- 
«  ribus  urbibus  constituti  sollicitudinem  susciperent  ampliorem,  per 
«  quos  ad  unam  Petri  Sedem  universalis  Ecclesiae  cura  conflueret, 
e  et  nihil  umquam  a  suo  Capite  dissideret.  »  Quibus  sane  verbis 
Metropolitarum  ac  Patriarcharum  ecclesiastica  instilutio  aperte  desi- 
gnatur. 

Hinc  factum  est,  ut  in  iis  tantum  amplioribus  urbibus  patriarcha- 
lis  dignitas  antiquitus  constiterifc,  quarum  ecclesias  B.  Petrus  fun- 
daverat.  Hinc  factum  est,  ut  Patriarchis  ipsis  vix  electis  nil  magis 
cordi  fuerit,  quam  confìrmationis  litteras  ab  hac  B.  Petri  Sede  obti- 
nere,  per  quam  sciebant,  largiente  Domino,  omnium  solidari  digni- 
tatem  sacerdotum,  et  ab  eadem  ipsam  patriarchalem  auctoritatem 
promanare.  Hinc  factum  est,  ut  graviores  ac  difficiliores  causae  tam 
fidei  quam  disciplinae  ad  eamdem  Sedem  deferrentur,  quae  sola 
cunctas  haereses,  etiam  ante  conciliorum  generalium  detìniliones,  au- 
ctoritate  sua  interemit,  et  universalis  Ecclesiae  disciplinae,  cum  opus 
fuit,  latis  etiam  legibus,  providissime  consuluit.  Atque  hanc  consti- 
tutionem  semper  in  Ecclesia  fuisse  religiosissime  custoditam,  uni- 
versalium  conciliorum  acta,  SS.  Patrum  institutiones,  atque  uni- 
versae  Ecclesiaslicae  historiae  monumenta  tam  perspicue  demon- 
strant,  ut  nemo  ante  funestissimum  (Mentis  schisma  nraesumpserit 
hanc  supremam  Romanorum  Pontificum  auctoritatem  in  dubium  de- 
iìnite  revocare. 

Etsi  autem  schisma  illud  omnes  ferme  Orientales  ecclesias  ab 
unitatis  centro  divulserit,  haud  tamen  potuit  hanc  veritatem  catho- 
licam  in  Ecclesia  obscurare,  \el  saltem  ex  Orientalium  animis  pe- 


548  LA  BOLLA  REVERSLRUS  DEL  16  LVGLIO  1867 

nitus  eradicare.  Etenim  praetcrquamquod  innumerabiles  gentes  in 
agnilionem  veritatis  ex  idololatriae  vel  haereseos  tenebris  vocatae  ad 
hanc  Romanam  Ecclesiam  propter  potiorem  principalitateni  undique 
convenerunt  aìiaeque  in  dies  conveniunt,  ipsae  eliam  Orientalium 
ecclesiae,  quolies  ad  bonam  frugem,  divina  aspirante  gralia,  rever- 
sae  sunt,  primatum  nedum  honoris  verum  et  iurisdictionis  B.  Petro 
Eiusque  in  Romana  Cathedra  successoribus  a  Iesu  Christo  Domino 
Nostro  attributnm  soìemniter  professae  sunt.  Quem  primatum,  li- 
cet  a  vetustiorìbus  etiam  Conciliis  et  ab  universa  Ecclesia  semper 
agnitum  etsummo  in  honore  habitum,  oecumenica  Synodus  Fioren- 
tina, in  qua  Graeci  sacrorum  Antislites  cum  Latinis  convencre,  so- 
lemni  dogmatico  decreto  asseruit,  ut  magis  magisque  inexcusabiles 
fierent  qui  tam  perspicuam  veritatem  vellent  inficiali. 

Atque  ulinam  hoc  Fidei  christianae  dogma  Orientales  Àntistites 
constanter  tenuissent  !  Neque  enim  eorundem  ecclesiae  in  miserri- 
niam  illam  conditionem  cecidissent,  in  qua  post  contlatum  vel  in- 
stauratum  schisma  versantur.  Siquidem  praeter  asperrimas  calami- 
tates,  quae  earumdem  defectionem  ab  hac  Apostolica  Sede  consecu- 
tae  sunt,  etiam  vigor  canonum,  et  ecclcsiaslicae  disciplinae  hone- 
stas,  et  sacrae  hierarchiae  ordo  et  maiestas  apud  eas  miserrime  dc- 
fecerunt.  Et  inscrutabili  Dei  iudicio  factum  est,  ut  Antislites  earum- 
dem ecclesiarum,  qui  Supremi  Ecclesiae  Pastoris  divinitus  institu- 
tam  auctoritatem  contempserunt,  laicorum  quin  et  infidelium  iugo 
premantur,  ut  neque  ordinaria  atque  immediata  Episcoporum  iuris- 
dictio  in  suas  dioeceses,  neque  Patriarcharum  in  suos  Episcopos 
canonica  auctoritas  sarta  teda  manserit:  quos  contra  monilum  Apo- 
stoli suis  cleris  praeter  canonum  statuta  dominantes,  clerus  ipseac 
populus  contra  eorumdem  canonum  statuta  vel  a  sua  dignitate 
deiiciunt,  vel  eidem  renunciare  nunquam  satis  lugendo  exemplo  au- 
dacter  compellunt. 

Tanlam  infelicitatem  Orientalium  ecclesiarum  miserati  Romani 
Ponti fices  pracdecessores  Nostri  nihil  intentalum  reliquerunt,  ut 
abcrranlcs  oves  in  unicum  Christi  ovile  reducerent.  Quod  asse(|ui 
conati  sunt  plurimis  datis  ad  Orientales  litteris  eliam  encyclicis, 
Conciliis  etiam  generalibus  celebratis,  ac  potissimum  missis  ad 


INTORBO  ALLA  CHIESA  ARMENA  549 

Oricnlales  pìagas  Apostolicis  xiris,  quorum  sudore,  laboribus,  at- 
que  acrumuis  vineae  illae  olim  florenlissimac,  tandem  aliquando  re- 
florescerent.  Ouod  si  curis  atque  laboribus  cumulate  non  respondit 
fruclus,  haud  tamen  res  in  ìrritum  cessiti  siquidem  multi,  agnilo 
errore,  schismate  eiurato,  ad  Ecclesiae  unitatem  reverti  festinaxe- 
runt,  quos  inter,  ut  ceteros  hic  praetereamus,  Armenii  recensendi 
sunt.  Etsi  autem  propter  humanam  infirmitatcm,  hominum  nequi- 
tiam  ac  temporum  acerbitatem  haud  semel  eorum  Àntistites  in  er- 
rorem  riversi  fuere,  ex  ipsis  tamen  Àrmenis  non  defuerunt  praecla- 
rissimi  viri,  qui  divina  ope  suffulli  catholicam  veritatem  et  unita- 
tatem  resliiuendam  curarunt.  Talis  fuit  Àbrahamus  Petrus  Primus, 
quem  multis  aerummnis  prò  catbolica  fide  probatum  Benedictus 
PP.  XIV  decessor  Noster  Patriarcbam  Ciliciae  renunciavit  ;  quem 
deinde  non  interrupta  Patriarcharum  series  huic  Àpostolicae  Sedi 
firmi  ter  adbaerentium  subsequuta  est.  Praeclarum  quoque  fidei  spe- 
cimen exbibuerunt  Armeni  Constantinopolim  fìnitimasque  provin- 
cias  incolentes,  qui  licei  persequutionibus  exagitati,  adduci  tamen 
numquam  potuere,  ut  a  catbolica  fide  recederent,  prò  qua  asperrima 
quaeque  perpeti  non  dubitaverunt. 

Placuit  tandem  Omnipotenti  Deo  hisce  malis  finem  imponere  :  qui 
dans  xocem  xirtutis  inclytìs  chrislianorum  Principum  Legatis,  eam 
mentem  summo  Turcarum  imperatori  iniecit,  ut  catholicos  Armenios 
a  schismaticis  omnino  separaret,  eosque  ab  omni,  qua  antea  teneban- 
tur,  erga  schismaticum  Patriarcbam  subiectione,obedientia,  parendo 
que  obligatione,  xel  sacris  xel  civilibus  in  rebus,  perpetuo  eximeret. 

Tunc  reddita  catholicis  Armeniis  ecclesiastica  liberiate,  placuit 
sa.  mem.  Pio  PapaeOctavo  decessori  Nostro  Primatialem  atque  Ar- 
chiepiscopalem  Armeniorum  Sedem  Costantinopoli  erigere  Aposto- 
licis lilteris  Quod  iamdiu,  die  sexta  Iulii  anno  Domini  millesimo 
octingcntesimo  trigesimo  sub  annulo  Piscatoris  expeditis,  eamque 
huic  Beatissimi  Petri  Cathedrae  arctius  coniungere,  ut  quo  magis 
ìli ì  adhaereret,  eo  iìrmius  et  fructuosius  in  catholicae  xeritatis  pro- 
fessione permaneret  atque  proficeret.  «  In  Petro  enim,  uti  iam  me- 
«  moratus  Sanctus  Leo  l  docuit,  omnium  fortitudo  solidatur,  et  di- 

1  Serm.  3  in  Anniver.  Assumpt.  suae. 


o!)0  LA  BOLLA  REVERSURUS  DEL  16  LUGLIO  1867 

«  vinae  gratiae  ita  ordinatili'  auxilium,  ut  fìrmilas,  quae  por  Chri- 
«  stimi  Petro  tribuilur,  per  Petrum  Apostolis  ceteris  conferatur.  » 

Re  autem  calholica  per  memoratae  Sedis  Primatialis  inslilulio- 
nem  sic  opportune  constituta,  potuimus  Nos  post  aliquot  annos  cpi- 
scopales  quoque  Sedes  erigere  1,  quarum  Antistites  Constanlinopo- 
litano  Armenorum  Archiepiscopo  Primati  suffragarentur.  Quin  eliam 
Hispahanensem  Armenium  Episeopatum,  extra  fìnes  Constantinopo- 
litanae  ecclesiasticae  provinciae  in  Perside  a  Nobis  erectum,  eius- 
dem  Primatis  sumaganeum  prò  visoria  ratione  decrevimus  2,  donec, 
catholicorum  numero,  Deo  iuvante,  adaucto,  opportuniori  ratione 
providere  liceret. 

Etsi  vero  tam  feliciter  Armenis  Constantinopolitanae  provinciae 
consultami  fuisset,  iisdem  tamen  satius  esse  videbatur,  Primatialem 
Constantinopoleos  et  Patriarchalem  Ciliciae  Sedes  in  unum  conìun- 
gi;  quam  unionem  a  fel.  ree.  Gregorio  Papa  Sextodecimo  etiam 
Praedecessore  Nostro  et  a  Nobis  praefati  Armeni  non  semel  efflagi- 
taverunt.  Sed  graves  iustaeque  causae  obstiterunt,  quominus  haec 
eorum  vota  possent  expleri.  Novissime  autem  post  obìlum  bo.  me. 
Gregorii  Petri  Octavi  postremi  Ciliciae  Palriarchae,  Episcopi  eius- 
dem  Patriarchatus  synodaliter  convenienles  ad  Successoris  electio- 
nem  peragendam  in  eamdem  sententiam  devenerunt,  atque  buie  fini 
assequendo  Venerabilem  Fratrem  Nostrum  Antonium  Hassun  ba- 
ctenus  Archiepiscopum  Primatem  Armenorum  Constantinopoleos  in 
Patriarcham  Ciliciae  elegerunt  seu  postulaverunt,  Nos  bumillime 
obsecrantes,  ut  nedum  hanc  electionem  coniirmare,  veruni  et  me- 
moratam  coniunctionem  earumdem  Armeniarum  Sedium  indulgere 
dignaremur,  et  hac  ratione  Catbolicis  Armeniis  decus  atque  ordi- 
nerà unitatis  tam  quoad  iurisdictionem,  quam  circa  disciplinam  tri- 
bueremus. 

Re  itaque  per  Venerabiles  Fratres  Nostros  Sanctae  Romanae  Ec- 
clesiae  Cardinales  Congregalionis  cbrislianae  Fidei  propagandae 
prò  Orientalium  Ecclcsiarum  negoliis  praepositae acculalo  «ramine 
perpensa,  Nos  Armeniorum  volis  annuendum  esse  censuimus. 


1  Litt.  Aposlol.  Universi  30  Aprii.  1850  —  Assidua  9  Maii  1865. 

2  Litt.  Aposlol.  Ad  Supremum  30  Aprilis  1850. 


INTORNO  ALLA  CHIESA  ARMENA  551 

Ouapropter,  exorato  ad  tanti  momenti  negotium  defìniendum  di- 
vinae  gratiae  praesidio,  ad  laudem  et  honorem  Omnipotentis  Dei 
et  SSmae  Genitricis  Dei  Marìae  sine  labe  conceptae  ac  Beatorum 
Apostolorum  Petri  etPauli,necnon  in  catholicae  Fidei  exaltationem, 
Apostolica  qua  pollemus  in  universam  Ecclesiam  auctoritate,  te- 
nore praesentium  extinguimus  et  abolemus  titulum  Primatialem  at- 
que  Archiepiscopalem,  quo  mcmoratus  Pius  Praedecessor  Noster 
supradiclis  Aposlolicis  litteris  Armeniaui  Constantinopolitanam  Ec- 
clesiam decoravit.  Deinde  pari  auctoritate  Constantinopolitanam  Ec- 
clcsiasticam  Armenorum  Provinciam  Patriarchatui  Ciliciae  perpetuo 
unimus;  mandantes,  ut  novus  Patriarcha,  eiusque  successores  li- 
tulo  fruantur  Patriarcharum  Ciliciae  Armenorum  :  ut  iidem  in  Urbe 
Conslantinopolitana  resideant ,  eamclemque  Constantinopolitanam 
ecclesiam  ordinaria  iurisdictione  gubernent.  Volumus  autem  ut 
praedictus  Patriarchatus  iisdem  limìtibus  coerceatur,  quibus  Cili- 
ciae Patriarchatus  et  Primatiatus  Constantinopolitanus  in  praesen- 
tiarum  continentur. 

Quo  vero  haec  ferme  nova  Patriarchatus  Armenii  constitulio  in 
bonimi  cedat  animarum,  atque  ut  gravissima  damna,  quae  ex  in- 
certa vel  mimis  apte  constituta  ecclesiastica  disciplina  solent  deri- 
vali, propulsentur  alque  arceantur,  motu  proprio,  certa  scientia, 
ac  de  Apostoliche  potestatis  plenitudine  praecipua  quaedam  eiusdem 
disciplinae  capita  (salvis  tamen  ritibus  Orientalium  a  Sanctis  Patrì- 
bus  inslitutis  et  ab  hac  Apostolica  Sede  probatis)  in  memorato  Pa- 
triarchatu  perpetuis  fuluris  temporibus  inviolabiliter  observanda  te- 
nore quoque  praesentium  constituimus  atque  sancimus. 

Ac  primo  quidem  praetensum  quoddam  capitulum,  quod  ante  tri- 
ennium  a  nonnullis  Armeniis  praesbyleris  primo  expetitum,  defun- 
ctus  Patriarcha  Gregorius  Petrus  Octavus  anno  Domini  millesimo 
octingentesimo  quinquagesimo  primo,  uti  accepinius,  illegitime  ere- 
xerat,  cui  etiam  quaedam  praetensa  iura  seu  privilegia  attributa  fue- 
rant  episcopali  quin  et  patriaichali  dignitati  iniuriosa,  itemque  alia 
praetensa  capitula,  si  quae  fortasse  intra  fines  eiusdem  Patriarcha- 
tus, uti  supra,  institut a  sint,  praedicta  Nostra  Apostolica  auctoritate 
abolemus;  prohibenles,  ne  in  posterum  similia  capitula  in  Armenio 
Patriarchatu  umquam  inslituantur. 


552  LA  BOLLA  REYERSIRUS  DEL  16  LLGLtO  1867 

Vacante  SedePatriarchali,  nomini  umquani,  qui  episcopali  cliara- 
ctere  non  fulgeat,  fas  sit  suffragium  ferie  in  eleclione  Vicari! ,  qui 
vacantem  Palriarchatum  gubernet  atque  ad  ministre!. 

In  electionc  aulem  Patriarchae  solis  Episcopis  ius  erit  suffragii 
ferendi ,  exelusis  omnino  clericis  et  sacerdotibus ,  qui  episcopali 
charactere  non  polleanl.  Nemo  vero  laicorum  in  eadem  electionc 
semet  inserire,  ullamque  partem  possit  habere  quovis  quacsito  co- 
lore vel  praetexlu. 

Porro  electum  Patriarcham  neque,  uti  aiunt,  inthronizari,  ne- 
que  ulluni  ius  aut  iurisdiclionem,  ne  procuratorio  quidem  aul  vi- 
cario nomine  vel  titillo,  in  Palriarchatum  habere  volumus,  nisi  prius 
eiusdem  electio  seu  postulalo  a  Nobis  vel  a  Romano  Pontiiìce  prò 
tempore  exislenle  fuerit  admissa  et  de  more  confirmata,  alque  Apo- 
slolicae  litterae  confirmationis  eiusdem  fucriut  expeditae,  sublata 
qualibel  contraria  consuetudine. 

Eidem  Patriarchae,  quamvis  ab  Apostolica  Sede,  uti  supra,  con- 
firmato  ,  non  licebit  Episcopos  consecrare ,  nec  convocare  conci- 
lium,  nec  chiasma  conficele,  neque  ecclesias  dedicare,  nec  clericos 
ordinare,  antequam  ab  Apostolica  Sede  sacrum  Pallium  oblinucriL 

Praedicto  aulem  Pallio  Patriarcha  uti  tantum  poleril  in  Missarum 
solemniis  intra  fines  et  in  ecclesiis  sui  Patriarchatus,  sequentibus 
dumtaxat  diebus  ;  videlicet  in  Nalivitate  Domini  Nostri  Iesu  Chri- 
sti,  in  feslis  Sancii  Stephani  Protomartyiis,  Sancii  Ioannis  Apostoli 
et  Evangelistae,  Circumcisionis  Domini,  Epiphaniae  eiusdem,  Domi- 
nicae  in  palmis,  Feriae  quintae  in  Coena  Domini,  Sabbati  Sancii, 
Dominicae  Resurreclionis  cum  duobus  sequentibus  diebus,  Domini- 
cae  in  Albis,  Ascensionis  Domini,  Dominicae  Pentecosles,Sacralis- 
simi  Corporis  Chrisli,  nec  non  in  quatuor  festivilalibus  Realac  Ma- 
riae  semper  Virginis,  videlicet  Puriticalionis,  Annuntiationis,  As- 
sumptionis  et  Nalivilalis  eiusdem;  quibus,  id  humillime  poslulanle 
praefalo  Venerabili  Fratre  Nostro  Antonio  Hassun  cleclo  seu  postu- 
lalo Paliiarcha  Armenorum  Ciliciac,  addimus  festum  Immaculalac 
Conceplionis  eiusdem  Dei  Genilricis  Mariae:  item  in  feslis  Nalivila- 
lis Sancii  Ioannis  Baptistae  el  Omnium  Sanclorum;  nec  non  in  festi- 
vilalibus omnium  Apostolorum,  in  dedieatione  ccclcsianuu,  in  prac- 


INTORNO  ALLA  CHIESA  ARMENA  553 

cipuìs  ecclesiae  suae  feslivitatibus,  in  ordinalionibus  clericorum,  in 
Érasecrationibus  Episcoporum  et  Virginum,  atque  in  diebus  anni- 
versariis  tana  consecrationis  suae,  quam  dedicationis  ecclesiae. 

Sacra  limina  Beatissimorum  Apostolorum  Eetri  et  Pauli  singulis 
quinquenniis  Patriarcha  personaliter  et  per  se  ipsum  visitabit,  Ro- 
manoque  Pontifici  prò  tempore  exislenti  ralionem  reddet  de  loto  suo 
pastorali  officio,  ac  de  rebus  omnibus  ad  Patriarchatus  sui  statimi 
pertinenlibus  ;  eiusdemque  monita  et  mandata  bumiliter  excipiet 
ac  diligcntissime  exequetur.  Posscssiones  vero  pertinentes  ad  ec- 
clesia m  vel  mensam  suam,  sive  ad  alias  quascumque  ecclesias  \7el 
loca  pia  sui  Patriarchatus  non  poterit  idem  Patriarcha  Tendere,  aut 
donare,  vel  oppignorare,  aut  de  novo  infeudare,  vel  alio  quocunque 
modo  alienare,  ncque  assentili,  ut  a  quovis  alienenlur,  inconsulto 
Romano  Pontifice,  secundum  formam  iuramenti,  quod  electi  Patriar- 
chae  Orientalis  ritus  in  sua  promotione  emittere  tcncnlur. 

Yerum  nibil  magis  animum  Nostrum  sollicitat  atque  angit,  quam 
provida  Episcoporum  eleciio,  a  qua  praecipue  pendent  felicitas  po- 
pulorum,  ordo  ecclesiaslicae  disciplinae,  atque  aeterna  animarum 
salus.  Animo  igitur  assidue  recolentes,  quod  sanguine m  ovium 
Christi,  quae  peribunt  ex  malo  regimine  pastorum  negligentium, 
et  sui  officii  immemorum,  de  manibus  Nostris  sit  requisiturus  Domi- 
nus  Noster  lesus  Christus,  qui  humilitati  Nostrae  universae  Eccle- 
siae. quanta  illa  est,  regimen  et  sollicitudinem  demandavit,  ea  quae 
sequuntur,  circa  electionem  Episcoporum  Armenii  Patriarchatus, 
prò  Apostolici  Nostri  ministeri!  officio  ac  de  Nostrae  potestatis  ple- 
nitudine, tenore  praesentium  statuimus  atque  decernimus. 

Quoties  aliquam  dioecesim  memorati  Patriarchatus  vacare  con- 
tinget,  Patriarcha  quamprimum  synodum  indice!  universorum  Epi- 
scoporum eiusdem  Patriarchatus  ;  quo  facto,  ab  codem  Patriarcha 
et  Episcopis  synodaliter  congregatis  tres  idonei  ecclesiastici  viri, 
collatisconsiliis,  Romano  Pontifici  prò  tempore  existenli  proponan- 
lur,  ut  ex  illis  digniorem  et  magis  idoneum  eligere,  et  vacanti  Epi- 
scopali sedi  providere  possit.  Non  dubitamus  autem,  quin  iidem 
Episcopi  dignos  ac  vere  idoneos  viros  proponere  sludeant,  ne  uni- 
quam  cogamur  Nos  vel  successores  Nostri  prò  eiusdem  Apostolici 


554  LÀ  BOLLA  REYERSURrS  DEL  16  LLGLIO  1867 

ministerii  officio  alium,  licetab  eis  non  propositura,  Episcopali  di- 
gnitate  augere,  et  vacanti  Ecclesiae  praeficere.  Ouod  si  propter  in- 
stantem  necessitatem,  aut  itineris  longitudinem  universi  Episcopi  ad 
synodum,  liti  supra,  a  Patriarcha  indictara  accedere  non  potcrunt, 
tres  saltem  Episcopi  propriam  dioecesìm  cura  iurisdiclione  haben- 
tes  una  cura  memorato  Patriarcha  in  eamdem  synodum  omnino  con- 
veniant,  absentibus  ternariam  suam  proposilioncm  scripto  signifi- 
cantibus.  Volumus  autem  et  universa  acta  eiusdera  Synodi  ad  prae- 
fatam  Congregationem  de  Propaganda  Fide  Orientalium  ecclesia- 
rum  negotiis  praepositam  per  Nostrum  et  huius  Sanctae  Sedis  Apo- 
stolicura  Delegatum  transmittantur,  ut  diligenti  primum  trutina  ab 
eadem  Congregatione  cxpensa,  deraum  Nostro  et  successorum  No- 
strorum  iudicio  subiiciantur. 

Dum  autem  haec  prò  Àrmeniorum  Antistitum  electione  deccrni- 
mus,  haud  obliviscimur  reliquoruni  Palriarchatuum  ritus  Orientalis, 
prò  quibus  etiam  hoc  gravissimum  de  Episcoporum  electione  nego- 
tium  quamprimuni  moderandurn  eurabimus,  uli  iam  venerabilibus 
Fratribus  Nostris  Patriarchis  Maronitarum  et  Melchitarura,  aliisque 
Orientalibus  Praesulibus  Piomae  in  praesentia  commorantibus  palam 
ediximus. 

Haec  volumus,  praecipimus,  atque  mandaraus,  decernentes  irri- 
tum  atque  inane,  si  quid  contra  praemissa  a  quolibet  quavis  aucto- 
ritate  scienter  vel  ignoranter  contigerit  attentali:  ac  reservantes  No- 
bis  et  successoribus  Nostris  ea  in  posterum  sancire,  quae  in  memo- 
rato Ciliciae  Patriarchatu  prò  temporum,  locorum  ac  personarum 
rationibus  magis  in  Domino  expedire  dignoscenlur. 

Decernimus  quoque  praesentes  Nostras  litteras  semper  et  quando- 
cumque  validas  et  efficaces  fore,  suosque  plenarios  et  intcgros  effe- 
ctus  sortili  et  oblinerc,  et  ab  omnibus,  ad  quos  spectat,  inviolabili- 
ter  observari  debcre  ;  quin  ullo  umquam  tempore  ex  quoeumque 
capite  vel  causa  de  subreptionis  vel  obreplionis  aut  nullilalis  vilio, 
vel  de  Nostrae  intenlionis  defectu  notari  aut  impugnali  possint; 
sicque  et  non  aliter  per  quoscumque  iudices  ordinario^  vel  delegatos 
quavis  aucloritatc  fungonlos,  sublata  eis  et  eorum  cuilibel  quarls 
aliter  iudicandi  et  inlerprctandi  facultale,  indicali  ci  definiti  debere. 


INTORNO  ALLA  CHIESA  ARMENA  555 

Non  obstanlibus  Nostra  et  Cancellariae  Nostrae  Apostoliche  rega- 
la «  De  iure  quaesilo  non  tollendo  »,  ac  quibusvis  aliis  etiam  in  sy- 
nodalibus,  provincialibus,  generalibus,  universalibusque  Conciliis 
editis  constitutionibus  et  ordinationibus  Apostolicis  ;  dictarumque  ec- 
clesiarum  Patriarchalis  Ciliciae  et  Primatialis  Constanlinopoleos 
etiam  iuramento,  confirmatione  Apostolica,  vel  quavis  fìrmitate  alia 
roboratis,slatutis  et  consuetudinibus,  privilegiis  atque  indultis  etlit- 
teris  Apostolicis  sub  quibuscumque  tenoribus  et  formis  ac  cum  qui- 
busvis etiam  insolilis  clausulis  et  decrelis  concessisi  quibus  omnibus 
et  singulis,  illorum  tenores  praesenlibus  prò  "piene  et  sufficienter 
expressis  habentes,  ad  praemissorum  omnium  et  singulorum  vali- 
dissimum  effectum  latissime  et  pienissime,  ac  specialiter  et  expres- 
se,  nec  non  opportune  et  valide  harum  quoque  serie  motu  pari  de- 
rogami^, ceterisque  contrariis  quibuscumque  etiam  speciali  mentio- 
ne  dignis. 

Nulli  ergo  omnino  hominum  liceat  hanc  paginam  Nostrae  extin- 
ctionis,  unionis,  abolitionis,  constitutionis,  proliibitionis,  exhibi- 
tionis,  praescrlplionis,  praecepti,  mandati,  decreti,  voluntatis,  in- 
tentionis,  rcservationis  et  !derogationis  infingere  vel  ei  ausu  te- 
merario contraire.  Si  quis  autem  hoc  attentare  praesumpserit,  indi- 
gnalionem  Omnipotentis  Dei  ac  Beatorum  Petri  et  Pauli  Apostolo- 
rum  Eius  se  noverit  incursurum. 

Datum  Romae  apud  Sanctum  Petium,  Anno  Incarnationis  Domini- 
cae  millesimo  oclingentesimo  sexagesimo  septimo,  quarto  idus  Iulii,  ) 
Pontifìcatus  Nostri  Anno  vigesimo  secundo. 


I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

SCENE  STORICHE  DEL  1867 


C. 

Conclusione. 
.    I  monumenti  della  Crociata  del  1867. 

Giunti  al  termine  del  nostro  lungo  e  faticoso  cammino,  volgiamo 
lo  sguardo  addietro,  e  misuriamo  dìm'occhiata  la  strada  percorsa. 
Vi  lasciammo  noi  un  orma  durevole  ?  Noi  sappiamo.  Certo  il  ten- 
tammo. E  più  che  segnare  un  orma,  vorremmo  avere  elevato  un 
monumento,  a  perpetuare  ne' posteri  la  memoria  dei  Crociati  di  san 
Pietro.  Forse  nessuno  possederà  mai  più  tanto  marmo,  tanto  metal- 
lo, tante  gemme,  quanto  noi  ne  avemmo  alle  mani  per  costruirlo  : 
ma  non  sarà  difficile  comporre  la  materia  a  migliore  norma  di  ar- 
chitettura. Ad  ogni  modo  ci  consola  la  coscienza  di  avere  sempre 
narralo  la  verità,  e  consegnato  agli  avvenire  molti  nomi,  che  sareb- 
bero forse  periti  col  tempo,  e  pur  sono  meritevoli  dell' eternità. 

Che  se  altri  volesse  tutta  la  nostra  narrazione  abbracciare  d'un 
solo  gitlo  d'occhio,  e  scolpire  in  mente  i  cominciamenti,  il  progres- 
so, il  fine  della  guerra  mossa  contro  Roma  nel  1867,  siam  lieti  di 
potergli  mostrare  tutti  i  cento  capi  del  nostro  libro,  quasi  diremmo, 
ridotti  in  iscorcio,  e  nel  tempo  stesso  autenticali,  in  due  monumen- 
ti, eretti  ai  vincitori  e  ai  morti  della  guerra  dalla  più  irrefragabile 
autorità  che  esista  in  sulla  terra,  quale  ò  quella  di  Pio  Papa  IX.  Il 
primo  di  questi  è  il  breve,  ond'  egli  istituì  la  medaglia  ossia  croce 
di  Mentana. 


C.  CONCLUSIONE  557 

PIO  PAPA  IX. 

A  FUTURA  MEMORIA  DELLA  COSA. 

«  Da  che  i  nemici  infensissinii  del  cattolico  nome,  per  annientarlo 
affatto,  se  fosse  possibile,  hanno  osato  scrollare  il  civile  principato 
della  Santa  Sede,  e  sottrattegli  fìorentissime  province,  appena  al- 
quante ce  ne  lasciarono,  perchè  dentro  contini  ben  ristretti  e  non 
senza  difficoltà  dell'erario  esercitassimo  il  civile  potere,  uomini 
perfidiosi  non  mai  si  rimasero  dal  proposito  di  occupare  le  restanti 
nostre  province,  e  d' invadere  perfino  quest'  alma^citlà,  nella  qua- 
le, per  divino  consiglio,  si  è  stabilita  la  Sede  apostolica,  fonda- 
mento della  religione,  maestra  della  fede,  rocca  e  baluardo  della 
cattolica  verità.  Di  qui  le  macchinazioni  e  le  frodi,  di  qui  1'  aperta 
violenza  testé  adoperata  :  quando  cioè  accozzatesi  masnade  racco- 
gliticce di  infima  plebe  e  ad  ogni  misfatto  prontissime,  si  spinsero 
nelle  province  nostre  ad  alzarvi  bandiera  di  ribellione,  e  col  ter- 
rore, con  le  rapine  e  con  ogni  sacrilega  scelleratezza  funestarono  i 
villaggi,  i  paesi,  le  città,  senza  però  che  dalla  debita  fede  e  dal- 
l' ossequio  verso  di  noi  e  verso  il  Seggio  apostolico  giugnessero  a 
dimuovere  le  popolazioni.  Se  non  che  in  questo  così  gran  frangen- 
te rilusse  il  valor  singolare  dei  nostri  militi  :  imperocché  dietro  le 
orme  dei  loro  duci,  non  isgomenlati  dall'asperità  delle  vie,  non 
isnervati  dalla  lunghezza  delle  marce,  non  isvigoriti  dai  travagli, 
alacri  volarono  a  reprimere  1'  impelo  dei  nemici,  ed  appiccata 
contro  essi  e  in  più  luoghi  rinnovata  la  zuffa,  così  animosamente  e 
gagliardamente  combatterono,  che  sconfissero  e  disfecero  quelle 
turine  efferate,  ed  ai  paesani  ed  ai  cittadini  restituirono  la  quiete 
e  la  sicurezza.  Né  molto  di  poi  una  banda  in  armi  essendo  stata 
osa  di  accostarsi  alle  mura  di  Roma  per  tentarne  l'accesso,  a  fine 
di  sfogare  il  conceputo  furore  con  gl'incendii,  col  saccheggio  del- 
le case,  con  la  ruina  dei  templi  e  col  sangue  de'  virtuosi  cittadini, 
loslochè  dai  complici,  che  vi  si  erano  celatamente  introdotti  e  nuo- 
vi strumenti  di  eccidio  aveano  apprestati,  si  fosse  dato  il  segnale 


1)38  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

della  congiura;  i  nostri  militi  non  fallirono  al  loro  obbligo  :  concios- 
siaehé,  scoperte  le  insidie,  prevennero  la  perfidia  dei  congiurati, 
una  porzione  dei  quali  avendo  sgominata  ed  uccisa  e  una  porzione 
tratta  nei  ferri,  salvarono  questa  sede  della  religione  e  stanza  delle 
arti  belle  dall'  imminente  sterminio.  Alla  milizia  nostra  poi  si  pre- 
sentò un  altra  occasione  di  cimentar  il  valore.  Una  colluvie  di  armali 
raccolti  da  ogni  luogo  nella  prossima  provincia  di  Sabina,  s'  era  im- 
padronita diMonterotondo:  ed  avendovi  commesse  di  molte  indegni- 
tà, ed  accesa  di  sfrenata  cupidigia  meditando  una  nuova  aggressione 
di  Roma,  le  furono  spediti  contro  i  soldati  nostri  insieme  con  fran- 
cesi ausiliarii,  acciocché  1'  assalissero  :  e  di  fallo,  venutosi  a  bat- 
taglia presso  Mentana,  di  tanta  fortezza,  ardore  e  costanza  nel  pu- 
gnare fecero  prova,  che  domarono  quella  moltitudine  di  ladroni, 
benché  per  numero  superiore,  la  sbaragliarono  e  assai  di  loro  feri- 
tine e  morti  ed  assaissimi  fattine  prigioni,  gli  altri  col  loro  audacis- 
simo condottiere  messi  in  fuga,  riportarono  una  vittoria  del  tutto  in- 
signe. Le  vincitrici  legioni  poi,  tornate  in  Roma,  ebbero  una  trion- 
fale accoglienza,  dacché  la  città  sparsasi  ad  incontrarli,  con  le  gri- 
da e  coi  plausi  festeggiò  la  beila  impresa  di  quei  valorosissimi  uo- 
mini. Ma  acciocché  la  ricordanza  di  questa  vittoria,  la  quale  non 
senza  l'aiuto  di  Dio  si  è  conseguita  e  in  ogni  parte  del  mondo  é  sta- 
ta celebrata  con  laudi,  in  tulle  le  età  si  perpetui  ;  abbiamo  ordina- 
to che  si  conii  un  fregio  d'argento  in  forma  di  croce  otlagona,  nelle 
cui  estremità  sia  inscritto:  Plus  PP.  IX.  An.  MDCCCLXVH:  e  in 
mezzo  mostri  una  medaglietta,  la  quale  nel  diritto  rechi  gli  emble- 
mi della  dignità  pontificia  colla  scritta:  Fidei  et  Virtuti;  e  nel  rove- 
scio abbia  la  croce  colla  scritta:  Rine  Victoria.  Ed  a  tutti  e  singoli 
i  presenti  militi  del  nostro  esercito  concediamo  che  possano  porta- 
re questo  fregio  d'argento  nel  sinistro  lato  del  petto,  sospeso  ad  un 
nastro  di  seta  bianca  distinto  con  cinque  righe  di  colore  cileslro  :  e 
per  maggior  compenso  della  fatica  ai  medesimi  concediamo  che  sia 
loro  rimesso  un  anno  del  tempo  stabilito  per  la  giubilazione,  e  per 
ottenere  altri  benefizii  secondo  le  regole  militari.  Inoltre  del  mede- 
simo fregio  d' argento  da  portarsi  alla  sinistra  del  petto  facciam  do- 
no a  tulli  e  singoli  i  soldati  dell'esercito  francese,  che  presso  Mcn- 


C.  CONCLUSIONE  Soft 

tana  combatterono  ai  fianchi  delle  nostro  milizie  contro  le  lurmc? 
nemiche.  Finalmente  acciocché  quei  fortissimi  i  quali,  per  difende- 
re i  diritti  nostri  e  ributtare  da  Roma  il  furor  degli  empii,  offersero 
il  sangue  e  la  vita,  abbiano  da  noi  un  solenne  preconio  di  valore  e 
di  laude;  con  queste  lettere  pubblichiamo  e  dichiariamo  che  eglino 
ben  meritarono  in  sommo  grado  di  noi,  dell'apostolica  Sede  e  della 
cosa  cattolica:  preconio  del  quale  certamente  nulla  è  più  onorifico, 
nulla  più  glorioso,  nulla,  per  l' immortalità  del  nome,  più  illustre. 
«Dato  in  Roma  presso  S.  Pietro,  sotto  1'  anello  del  Pescatore, 
ai  li  Novembre  dell'anno  1867,  del  nostro  Pontificato;^.  » 

«  N.  Card.  Paracciani  Clarelli.  » 

Or  che  altro  abbiamo  raccontato  noi  alla  distesa,  se  non  quello 
che  Pio  IX  attesta  in  brevi  parole?  Non  confessò  anche  il  Ministro 
italiano,  che  sulla  bandiera  del  Garibaldi  era  scritto:  «  Distruzione 

DELLA  SUPREMA  AUTORITÀ  SPIRITUALE  DEL  CAPO    DELLA   RELIGIONE?  »  E 

vi  è  di  più,  che  lo  stesso  concetto  volle  il  Santo  Padre  che  fosse 
scolpito  nel  sasso  e  nel  bronzo,  e  predicato  ai  secoli  seguenti  col 
mausoleo  eretto  ai  caduti  nei  combattimenti.  Sì,  fif'pensiero  di 
Pio  IX,  che  nell'Agro  Verano,  sul  suolo  consacrato  dalle  catacom- 
be dei  martiri  antichi,  sorgesse  la  memoria  dei  Crociati  del  secolo 
XIX.  Fu  pensiero  di  Pio  IX  il  gruppo  colossale  in  marmo,  che  raf- 
figura S.  Pietro,  in  attitudine  di  consegnare  la  spada  ad  un  guerrie- 
ro, accinto  nell'armi  e  sostenente  un  vessillo  crocesignato,  coi  mot- 
to: L'orbe  cattolico.  In  Pietro  è  Pio;  nel  guerriero  e  l'esercito  cri- 
stiano; l'idea  della  missione  brilla  nell'atto  autorevole  del  mandante, . 
e  in  quello  umile  e  generoso  del  mandato,  e  viemeglio  si  illustra 
da  due  scritte  in  sulla  base,  ricavate  dai  libri  de'Maccabei:  Ricevi 
la  spada  santa,  dono  di  Dio,  colla  quale  vincerai  i  nemici  del  po- 
polo mio  Israele.  —  Non  nella  moltitudine  dimora  la  vittoria  del- 
la guerra:  ma  sì  dal  cielo  viene  la  fortezza. 

torreggia  il  parlante  marmo  sopra  un  sodo  di  forma  ettagona, 
di  giusta  elevazione,  surlo  su  basamento  doppiamente  scalinato;  e 
nelle  otto  facce  si  ricordano  i  valorosi  che,  o  sul  campo,  o  di  poi 
per  le  ferite  morendo,  eseguirono  gli  ordini  di  S.  Pietro.  Qui  i  lo- 


560  I  CROCIATI  DI  SA]\T  PIETRO 

ro  nomi  rilevano  in  lucido  metallo  doralo,  ma  troppo  più  belli  deb- 
bono rifulgere  nel  libro  della  vita.  Né  noi  sappiamo  fregiare  l'ulti- 
ma nostra  pagina  di  migliore  ornamento,  che  inscrivendovi  quel 
beato  e  benedetto  ruolo  di  martiri  di  S.  Chiesa  1. 

A  Bagnorea. 

Pietro  Niccolò  Heykamp,  olandese,  zuavo. 

A  Farnese. 

Emmanuele  Dufournel,  francese,  sottotenente  dei  zuavi. 

A  Monte  Libretti. 

Arturo  Guillemin,  francese,  tenente  dei  zuavi. 
Urbano  de  Ouélen,  francese,  sottotenente  dei  zuavi. 
Augusto  Delalande,  francese,  sergente  dei  zuavi. 
Alfredo  Collingridge,  inglese,  caporale  dei  zuavi, 
Uberto  Mercier,  belga,  caporale  dei  zuavi. 
Odoardo  De  Roeck,  belga,  zuavo. 
Goffredo  Van  Ravenstein,  olandese,  zuavo. 
Francesco  Martinaggi,  francese,  zuavo  2. 
Pietro  Jong,  olandese,  zuavo. 
Francesco  Van  den  Boom,  olandese,  zuavo. 
.Giovanni  Crone,  olandese,  zuavo. 
Leopoldo  de  Coesters,  belga,  zuavo. 
Antonio  Bongenaard,  olandese,  zuavo. 
Domenico  Ciarla,  italiano,  zuavo. 

1  II  monumento  è  disegno  del  Vespignani,  le  statue  sono  del  Luccardi, 
illusili  nomi;  gli  ornati  appartengono  a  valenti  artisti,  il  Carimini,  il  Pa- 
lombini,  l'Augusti  ;  le  iscrizioni,  tutte  iu  latino,  al  gesuita  Francesco  Ton- 
giorgi.  Più  ampia  descrizione  è  nel  Giornale  di  Roma,  15  Giugno  1870,  e 
da  questo  nella  Civiltà  Cattolica  contemporanea. 

2  Corso. 


C.  CONCLUSIONE  561 

Antonio  Olten,  olandese,  zuavo. 
Enrico  Scholten,  olandese,  zuavo  1. 

A  Nerola. 

Giuseppe  Trémeur,  francese,  legionario  romano. 
Francesco  Ladavière,  francese,  legionario  romano 
Enrico  Mael,  francese,  legionario  romano, 
Luigi  Yallèe,  francese,  legionario  romano. 

A  Viterbo. 

Antonio  Quadrotta,  italiano,  dragone. 

A  Monte  Rotondo. 

Bernardo  de  Quatrebarbes,  francese,  tenente  degli  artiglieri  2. 
Domenico  Massei,  italiano,  maresciallo  degli  artiglieri. 
Giacomo  Schrama,  italiano,  zuavo  3. 
Giovanni  Sthaele,  svizzero,  carabiniere  estero. 
Giovanni  Dupuy-Lamothe,  francese,  legionario  romano. 
Adolfo  Zecher,  svizzero,  legionario  romano. 

A  Roma. 

Genesio  Coppi,  italiano,  maresciallo  dei  gendarmi  4. 
Francesco  Carrara,  italiano,  brigadiere  dei  gendarmi. 
Luigi  Sandri,  italiano,  gendarme. 
Telesforo  Proietti,  italiano,  gendarme. 
Francesco  Antici,  italiano,  gendarme. 

1  Nei  registri  del  reggimento  si  aggiugne:  Enrico  Bakker,  olandese,  zuavo. 

2  Questo  nome,  nel  marmo,  per  errore  è  noverato  tra  i  morti  di  Men- 
tana: lo  restituiamo  al  suo  posto. 

3  Lo  crediamo  olandese. 

4  Ucciso  a  Casamari  nel  Frosinonese. 

Serie  YII,  voi.  XI,  fase.  491.  36  24  Agosto  1870. 


o62  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

Annibale  Reali,  italiano,  squadrigliere  1. 

Aristide  Cudennec,  francese,  sergente  dei  carabinieri  esteri. 

Alessandro  Jacoppini,  italiano,  della  linea  2. 

Achille  Burli,  italiano,  tromba  dei  carabinieri  esteri. 

Pietro  Rius  de  Torralba,  spagnuolo,  sergente  dei  zuavi. 

Enrico  de  Foucault,  francese,  zuavo. 

Diodato  Dufournel,  francese,  capitano  dei  zuavi. 

Antonio  Huygen,  francese,  zuavo  3. 

Alessio  Desbordes,  francese,  caporale  dei  zuavi. 

Luigi  Carrey,  francese,  caporale  dei  zuavi. 

Emilio  Claude,  francese,  zuavo. 

Giacomo  Poggi,  italiano,  tromba  dei  zuavi. 

Cesare  Desideri,  italiano,  zuavo. 

Pietro  Mancini,  italiano,  zuavo. 

Federico  de  Dietfurt,  francese,  zuavo. 

Andrea  Portanova,  italiano,  zuavo. 

Domenico  Tartavini,  italiano,  tromba  dei  zuavi. 

Fortunato  Chiusaroli,  italiano,  tromba  dei  zuavi. 

Oreste  Soldati,  italiano,  tromba  dei  zuavi. 

Luigi  Flamini,  italiano,  tromba  dei  zuavi. 

Carmine  Carletti,  italiano,  tromba  dei  zuavi. 

Giuseppe  Cerasani,  italiano,  tromba  dei  zuavi. 

Vittore  Viochot,  francese,  zuavo. 

Giovanni  Devorscek,  italiano,  caporale  dei  zuavi. 

Antonio  Partel,  tirolese,  zuavo. 

Odoardo  Larroque,  francese,  zuavo. 

Francesco  Miranda,  italiano,  zuavo. 

Michelangelo  Mancini,  italiano,  tromba  dei  zuavi. 

Stefano  Mélin,  francese,  zuavo. 

Giovanni  Lanni,  italiano,  tromba  dei  zuavi. 

Nicola  Silvestrelli,  italiano,  tromba  dei  zuavi  4. 

1  Ucciso,  per  quanto  crediamo,  a  Vallecorsa. 

2  Leggi:  Jacobini. 

3  È  certamente  belga. 

4  Sotto  il  nome  di  tibicen  sono  compresi  i  concertisti  e  i  trombetti  egual- 


C.  CONCLUSIONE  563 

Federico  Cornet,  belga,  zuavo. 
Edmondo  Robinet,  francese,  zuavo. 

A  Mentana. 

Carlo  Bernardini,  italiano,  maresciallo  degli  artiglieri. 

Alessandro  de  Veaux,  francese,  capitano  dei  zuavi. 

Carlo  d'Alcantara,  belga,  tenente  dei  zuavi. 

Alessandro  de  Retz,  francese,  sergente  dei  zuavi. 

Luigi  Loirant,  francese,  sergente  dei  zuavi. 

Pietro  Guérin,  francese,  sergente  dei  zuavi. 

Enrico  Pascal,  francese,  sergente  dei  zuavi. 

Giuseppe  Rialan,  francese,  sergente  dei  zuavi. 

Eduardo  Van  Bambost,  olandese,  zuavo. 

Gerardo  Erstemeyer,  olandese  zuavo  1. 

Giulio  Henquenet,  francese,  zuavo. 

Maturino  Guillermic,  francese,  zuavo. 

Giuliano  Walts  Russell,  inglese,  zuavo. 

Enrico  Yan  den  Dungen,  olandese,  zuavo. 

Edmondo  Lalande,  francese,  zuavo. 

Agostino  Guilmin,  belga,  zuavo. 

Enrico  Roemer,  olandese,  zuavo. 

Enrico  Yan  Hooren,  olandese,  zuavo. 

Giovanni  Maes,  belga,  zuavo. 

Evcrardo  Heyman,  olandese,  zuavo, 

Ernesto  Haburg,  tedesco,  zuavo. 

Giovanni  Sauér,  tedesco,  zuavo. 

Giovanni  Zandvliet,  olandese,  zuavo. 

Ivone  Jaffrenon,  francese,  zuavo. 

Giacomo  Melkert,  olandese,  zuavo. 

Elia  Chevalier,  francese,  zuavo. 


mente:  noi  abbiamo  tradotto  tromba.  Sulla  lapide  qui  è  anche  il  nome  di 
Carlo  d'Alcantara,  che  noi  rimettiamo  al  suo  posto,  tra  i  morti  di  Mentana. 
1  I  registri  del  reggimento  scrivono:  Erftemeyer. 


564  I  CROCIATI  DI  SAN  PIETRO 

Yalerando  d'Erp,  belga,  zuavo. 

Cornelio  Pronck,  olandese,  zuavo. 

Placido  Meyembcrg,  tedesco,  carabiniere  estero. 

Giovanni  Lclon,  francese,  zuavo. 

Giovanni  Yetzel,  tedesco,  carabiniere  estero. 

Pietro  Tabardel,  francese,  zuavo. 

Enrico  Matlhys,  francese,  zuavo  1  = 

Rodolfo  Deworschek,  boemo,  sottotenente  dei  carabinieri  esteri. 

Emilio  Ladernier,  svizzero,  caporale  dei  carabinieri  esteri. 

Francesco  Grabitzer,  tedesco,  carabiniere  estero. 

Guglielmo  Frankle,  carabiniere  estero. 

Antonio  Albrick,  tirolese,  carabiniere  estero. 

Giuseppe  Scbmidt,  svizzero,  carabiniere  estero. 

Corrado  Scheup,  svizzero,  carabiniere  estero. 

Giacomo  Kramer,  svizzero,  carabiniere  estero. 

Davide  Bonnavaux,  svizzero,  carabiniere  estero. 

Pio  Rebm,  tedesco,  carabiniere  estero. 

Luigi  Rhein,  tedesco,  carabiniere  estero. 

Giorgio  Uehlein,  tedesco,  carabiniere  estero. 

Pietro  Fougères,  cacciatore  francese. 

Giovanni  Binchet,  cacciatore  francese. 

Lodovico  Menetre,  caporale  dei  cacciatori  francesi. 

Osvaldo  Steibli,  della  linea  francese. 

Sulla  fronte  che  riguarda  Roma,  ò  posta  la  intitolazione  del  mo- 
numento ;  le  cui  parole  ci  sembrano  sì  comprensive  di  pensiero,  e 
sì  eleganti  di  dettato,  che  oltre  alla  traduzione,  vogliamo  recarne 
il  testo. 


1  Qui  è  da  aggiugnere:  Giovanni  Moeller,  belga,  zuavo. 
Leone  Bracke,  belga,  zuavo. 
Giovanni  Vlemminx,  olandese,  zuavo. 
Simone  Frankcn,  olandese,  zuavo. 
Giovanni  Metro,  belga,  zuavo. 
Paolo  di  Doynel,  francese,  zuavo. 


C.  CONCLUSIONE  565 

Fortissimis  .  Militibus 

Indigenis  .  Exterisque 

Qui  .  Anno  .  MDCCCLXVII 

Advcrsus  .  Copias  .  Parricidarum 

Pluribus  .  Praeliis 

Pro  .  Religione 

Atquc  .  Urbis  .  ìncoluraitale 

Dimicanles 

In  .  Ipsa  .  Victoria 

Vi  tara  .  Clini  .  Sanguine  .  Profuderunt 

Pius  .  IX  .  Ponlifex  .  Maximus 

Monumentimi  .  Fieri  .  Iussit 

Quo  .  Gratae  .  Ipsius  .  Voluntalis 

In  .  Filios  .  Meritissimos 

Virtutisque  .  Eorum  .  Memoria 

Sancla  .  Atquc  .  Sacrata 

Posleritati  .  Tradatur 

Ai  militi  fortissimi, 

sì  paesani  che  forestieri, 

i  quali  nell'anno  MDCCCLXVII 

contro  le  truppe  dei  parricidi 

in  molti  combattimenti 

per  la  religione 

e  per  la  salvezza  di  Roma  pugnando, 

tra  la  vittoria, 

la  vita  e  il  sangue  versarono 

Pio  IX  Pontefice  Massimo 

volle  si  erigesse  il  monumento  : 

affinchè  della  sua  gratitudine 

inverso  figliuoli  altamente  benemeriti, 

e  del  loro  valore  la  memoria 

santa  e  sacra 
alla  posterità  si  raccomandi. 

Noi,  meglio  non  potendo,  con  simili  sentimenti  all'  onore  dei  vivi 
e  dei  morti  Crociali  di  S.  Pietro  abbiamo  composta  la  nostra  istoria. 

Fine  dei  Crociati  di  S.  Pietro. 


RIVISTA 


DELLA 

STAMPA   ITALIANA 


lllus trazioni  filologi  co-comparatke  alla  Grammatica  greca  del 
dott.  Giorgio  Curtius,  professore  di  Filologia  classica  nella 
Università  di  Lipsia,  scritte  da  lui  medesimo,  con  sua  licenza 
tradotte  dal  tedesco  e  corredate  di  un  proemio,  di  giunte  ecc. 
per  cura  del  dott.  Fausto  Gherardo  Fimi,  prof,  di  lettere  clas- 
siche nel  R.  Liceo  di  Reggio-Calabro  —  Napoli,  stamperia  del 
Fibreno  1868;  R.  de  Ruberlis  editore.  Un  voi.  in  8.°  di  pagi- 
ne CI,  264. 

Il  dottore  Giorgio  Curtius,  professore  di  filologia  classica  nella 
Università  di  Lipsia,  dopo  avere  dato  alla  luce  varie  opere  di  litolo- 
gia e  di  grammatica  greca,  considerata  nelle  sue  relazioni  colle  altre 
lingue,  mise  fuori  nel  1852  una  piena  grammatica  greca,  tradotta 
poi  in  italiano  da  Emilio  Teza,  e  poscia  da  Fortunato  Dematlio,  pro- 
fessore ginnasiale  a  Rovereto.  Nel  compone  la  sua  grammatica  il 
Curtius,  valendosi  dogli  studii  della  linguistica  o  della  grammatica 
comparativa  delle  varie  lìngue,  si  discostò  in  molti  capi  dal  metodo 
seguito  non  solo  dagli  antichi  grammatici,  ma  eziandio  da  quelli 
più  vicini  a  noi  e  che  hanno  levato  di  so  così  grande  fama,  come  il 
Bullmann,  il  Kuhner,  il  Rost,  il  Krugcr,  il  Dubner,  il  Jelf  ed  altri 
molti.  Ma  ciò  rendeva  necessario  un  comentario  o  un*  illustrazione 
della  nuova  grammatica;  mcrcccchò  quei  principi*!  e  quelle  ultime 


RIVISTA  DELLA  STAMPA  ITALIANA  567 

ragioni,  che  servono  come  di  fondamento  alle  mutazioni  introdotte 
dal  Curtius,  appena  potevano  essere  accennati  in  un  libro  elementare 
qual  è  la  grammatica;  e  alcuni  potevano  sembrare  non  abbastanza 
certi,  altri  non  essere  di  tal  pesu  da  richiedere  i  fatti  cambiamenti. 
Per  la  qual  cosa  il  professore  di  Lipsia  avvisò  di  pubblicare  colle 
stampe  alcune  Illustrazioni  alla  sua  Grammatica  {E  rlauter  ungevi 
zu  meiner  Griechischen  S  chulgrammatik,  Prag,  Verlagvon  F.  Tem- 
pskg  1863),  nelle  quali  seguendo  l'ordine  tenuto  nella  grammatica, 
capo  per  capo  vien  dichiarando  i  precetti  specialmente  della  parte 
prima,  cioè  della  Etimologia:  e  mostrando  quali  sienoque  principii 
della  filologia  comparata,  secondo  i  quali  ha  composto  ed  ordinate 
le  sue  istituzioni,  tratta  alcune  delle  principali  quistioni  della  lin- 
guistica generale  in  quanto  spettano  alla  lingua  greca.  Ora  la  tra- 
duzione italiana  delle  Illustrazioni  del  Curtius  forma  la  parte  prin- 
cipale e  diciamo  così  il  corpo  dell'  opera  che  abbiamo  qui  sopra 
annunziata:  ma  è  questo  proprio  il  caso  di  dire,  che  la  giunta  su- 
pera di  assai  la  derrata.  Imperciocché  il  eh.  Fumi  ha  messo  innanzi 
un  proemio  Intorno  agli  studii  linguistici,  specialmente  greci  e  com- 
parativi, che  si  stende  ad  ottanta  e  più  pagine.  Poscia  alla  traduzio- 
ne del  testo  del  Curtius  fanno  seguito  le  osservazioni  proprie  del 
Fumi,  da  lui  chiamate  Giunte  ad  alcuni  luoghi  delle  Illustrazioni. 
Indi  seguono  tre  appendici,  cioè  alcune  Avvertenze  del  dolt.  Er- 
manno Bonitz  sull'  insegnamento  della  grammatica  greca,  una  Pro- 
lusione del  Curtius  sopra  la  Filologia  e  la  Scienza  del  linguaggio, 
ed  un  elenco  bibliografico  di  opere  appartenenti  agli  studii  lingui- 
stici. Tale  è  il  contenuto  di  questo  volume,  del  quale  prendiamo  a 
discorrere,  e  l'avremmo  fatto  assai  prima,  se  una  necessità,  che  spes- 
so non  conosce  leggi,  non  ce  ne  avesse  distolto.  Ma  non  vogliamo 
omettere  di  parlarne  benché  tardi,  sì  per  l' importanza  dell'  argo- 
mento, sì  per  essere  il  libro,  così  com'  è,  opera  di  un  giovine  italia- 
no, che  in  siffatti  studii,  se  cammini  pel  retto  sentiero,  mostra  di 
poter  giungere  ad  assai  nobile  meta. 

Diremo  dunque  alcuna  ^cosa  in  particolare,  prima  del  Proemio, 
poscia  delle  illustrazioni  e  della  Grammatica  stessa  del  Curtius,  a 
cui  queste  si  riferiscono.  Che  se  le  nostre  sentenze  non  consoneran- 


568  RIVISTA 

no  sempre  con  quelle  del  eh.  Fumi  o  del  dott.  Curtius,  che  egli  ha 
preso  ad  interpretare  e  comentarc,  portiamo  fiducia  che  non  saprà 
amaro  al  valoroso  giovane  calabrese. 


3. 


E  cominciando  dal  proemio,  anzi  tratto  ci  conviene  dire  che  esso 
in  generale  è  veramente  un  bel  lavoro,  e  condotto  con  molta  accu- 
ratezza. E  sebbene  il  Fumi,  come  dice^gli  medesimo,  abbia  al  suo 
bisogno  tolte  assai  cose,  dove  compendiando,  dove  liberamente  tra- 
ducendo, e  dalle  letture  di  Massimiliano  Mttller  sopra  la  scienza  del 
linguaggio  (Lectures  on  the  science  of  language.  London,  1865 
I  Series;  1866  li  Series),  e  dalla  prefazione  di  Michele  Bréal  al- 
la traduzione  francese  della  grammatica  comparativa  di  Francesco 
Bopp;  pur  nondimeno  egli  ci  ha  dato  un  lavoro  propriamente  suo, 
compilando  con  molta  erudizione  una  breve  storia  degli  studii  lin- 
guistici. Noi  non  vogliamo  qui  seguire  passo  passo  il  eh.  Fumi,  e 
rifare  quasi  il  suo  lavoro,  non  essendo  questo  l'intendimento  della 
nostra  rivista.  Basti  ai  nostri  lettori  il  sapere  l'ordine  del  proemio 
medesimo.  Esso  si  compone  di  sei  lunghi  articoli:  il  1.°  è  intorno 
alla  manifestazione  e  al  concetto  della  scienza  del  linguaggio  ;  il 
2.°  parla  degli  studii  linguistici  nell' antichità  e  nel  medio  evo,  e  il 
3.°  degli  studii  medesimi  dal  secolo  XYI  al  XVIII;  il  4.°  discorre 
della  Società  asiatica  e  della  lingua  sanscrita,  e  il  5.°  dei  lavori  di 
F.  Bopp,  cioè  del  Sistema  della  coniugazione  e  della  Grammatica 
comparata; finalmente  il  6.°  ragiona  dei  progressi  della  linguistica, 
e  della  riforma  del  Curtius.  Qui  c'intratterremo  solo  di  quest'ulti- 
mo articolo,  ragionando  un  poco  intorno  al  frutto  e  agli  effetti  prin- 
cipali derivati  dallo  studio  della  linguistica,  e  riserbandoci  a  parla- 
re della  riforma  del  Curtius  nella  seconda  parte  di  questa  rivista. 

Che  molti  e  grandemente  utili  siano  i  fruiti  che  si  vengono  co- 
gliendo dallo  studio  comparativo  delle  lingue,  non  ò  chi  possa  du- 
bitarne. E  quelli  fra'  nostri  lettori,  che  non  sono  del  tutto  digiuni 
in  questa  materia,  ben  li  conoscono  senza  che  entriamo  qui  a  divi- 
sarli partitamenterdove  per  soddisfare  a' bisogni  o  a'desiderii  dogli 


BELLA  STAMPA  ITALIANA  569 

allri,  ci  sarebbe  mestieri  convertire  questa  rivista  in  una  ben  lunga 
dissertazione.  Ma  per  avere  dagli  studii  linguistici  quell'utile  che  essi 
possono  recare,  è  necessario  non  lasciarsi  abbacinare  V  occhio  della 
mente  da  bagliori  di  vane  apparenze,  né  impedire  la  chiara  vista 
delle  cose  col  guardare  a  traverso  di  teoriche  anticipate,  né  (ciò  che 
più  monta)  ottenebrarla  col  fumo  cui  solleva  lo  spirito  del  moderno 
razionalismo.  Che  noi  portiamo  ferma  fiducia  che  gli  studii  sopra 
l'umano  linguaggio,  se  vengano  regolati  colle  norme  di  una  vera 
filosofia,  condurranno  a  quelle  conclusioni,  le  quali  o  potranno  scio- 
gliere in  fatto,  o  almeno  spianeranno  la  via  alla  soluzione  degli  alti 
problemi  intorno  all'origine  del  linguaggio,  anzi  dell' uman  genere 
medesimo  :  e  questo  per  siffatto  modo,  che  lo  scioglimento  non  sia 
in  opposizione,  ma  in  confermazioue  di  ciò  che  le  Scritture  sacre 
ne  insegnano.  Diciamo  di  avere  sopra  ciò  una  ferma  persuasione, 
non  solo  per  quel  supremo  principio,  che  la  verità  non  si  può  con- 
traddire, nò  la  parola  dell'uomo  può  rendere  fallacela  parola  di 
Dio;  ma  eziandio  perchè  i  risultali  finora  ottenuti  non  contrastano, 
ma  compruovano  la  verità  rivelata.  E  di  vero  è  reso  già  mani- 
festo che  le  lingue  per  quanto  siano  molteplici  e  svariate,  pure 
si  possono  ordinare  in  tre  principali  famiglie,  l'ariana,  la  semi- 
tica, la  luranica  :  e  benché  molte  ancora  rimangano  poco  cono- 
sciute, delle  quali  nulla  si  può  definire  con  certezza,  pure  egii  è 
possibile  anzi  probabile  che  si  giunga  a  scoprire  que'  legami  che 
le  rannodano  ad  una  di  quelle  famiglie,  le  quali  ben  possono  ri- 
spondere ai  tre  diversi  popoli  discendenti  da  Sem,  Cham  e  Ia- 
phet.  Mentre  poi  da  un  lato  appare  manifesta  la  dissomiglianza 
che  è  tra  l'ima  e  l'altra  delle  lingue  appartenenti  alle  diverse  fa- 
miglie ,  così  che  non  si  possono  confondere  le  une  colle  altre  pel 
loro  diverso  organamento  ;  dall'  altro  è  certo  essere  uniforme  il 
principio  della  loro  costituzione,  cioè  una  radice  fondamentale  con- 
giunta con  altre  variamente  atteggiate.  Fra  tutte  le  lingue  abbiamo 
adunque  una  fondamentale  e  naturale  somiglianza,  ed  insieme  una 
vera  e  sostanziale  dissomiglianza.  Or  qual  altra  miglior  via  a  dare 
di  ciò  ragione  si  può  divisare,  se  non  se  dicendo  che  il  linguaggio 
umano  era  da  principio  uno  solo,  cioè  che  esisteva  da  principio  una 


570  RIVISTA 

lingua  generale,  la  quale  per  un  azione  subitanea  e  di  somma  for- 
za si  è  divisa  e  separata  in  varii  come  frammenti,  che  hanno  poi 
prodotte  varie  famiglie  di  lingue,  suddivise  in  seguito  da  diverse 
cause  naturali?  Ma  non  è  questo  appunto  ciò  di  che  la  Genesi  ne  am- 
maestra colle  parole  spirate  da  Dio,  quando  ci  dice  che  una  sola 
era  la  lingua  degli  uomini  tutti  ;  che ,  pena  della  superbia  dell'  uo- 
mo, quell'unica  lingua  si  confuse  così,  che  gli  uni  non  intendevano 
la  lingua  degli  altri,  onde  si  divisero  e  dispersero  sopra  le  varie  re- 
gioni della  terra  i  figliuoli  di  Sem,  di  Cham  e  di  Iaphet?  La  scien- 
za naturale  della  linguistica  non  può  additare  la  cagione  che  divi- 
se 1'  unità  del  linguaggio  :  essa  attesta  come  può  il  fatto,  e  la  ca- 
gione ci  viene  rivelala  dalla  parola  di  Dio  medesimo.  Questo  ben 
risponde  al  disegno  della  divina  Provvidenza,  la  quale  ha  ordinato 
le  divine  Scritture  non  all'  appagamento  della  nostra  curiosità,  ma 
al  perfezionamento  delie  anime:  onde  spesso  tacciono  o  spiegata- 
mente non  chiariscono  il  fatto,  ma  solo  ne  mostrano  la  ragione;  e 
talvolta  viceversa  nulla  dicono  della  ragione,  ma  narrano  il  fatto,  se- 
condo che  torna  a  nostra  edificazione.  Vero  è  che  gli  studii  lingui- 
stici non  pruovano ,  e  forse  non  possono  provare ,  la  necessità  di 
ammettere  una  sola  e  comune  origine  dell'  umano  linguaggio  :  ma 
certo  dimostrano  che  non  vi  è  necessità  alcuna  di  ammettere  diffe- 
renti origini  per  escluderle.  E  questo  basta.  Intanto  qui  pure  dove 
non  arriva  la  scienza  umana  colle  sue  indagini ,  giunge  la  scienza 
divina  :  questa  ora  ci  rivela  il  fatto  ;  quella  come  ancella  ragionando 
sopra  que'  frammenti,  che  le  sono  messi  in  mano  dalle  lingue  così 
svariate  dell'  uomo,  riconosce  che  sono  o  certo  possono  essere  fram- 
menti di  un  tutto  originario:  e,  lungi  dal  contraddire,  giova  a  confer- 
mare la  verità  rivelata  dalla  parola  di  Dio.  Non  possiamo  qui  trat- 
tenerci a  lungo  entrando  in  minuti  particolari.  Ci  basti  il  conferma- 
re quanto  abbiam  detto  coli'  autorità  di  un  uomo  che  da  una  par- 
te non  può  essere  sospetto,  come  troppo  credulo  o  troppo  rispetto- 
so alle  parole  della  Bibbia,  e  dall'  altra  viene  per  comune  consenso- 
risguardalo  come  solenne  maestro  negli  studii  linguistici.  Intendia- 
mo dire  il  già  lodalo  Massimiliano  Muller ,  il  quale  nella  Lezio- 
ne Vili  del  primo  volume  ha  queste  espresse  parole:  «  Io  confesso, 


DELLA  SAMPA  ITALIANA  571 

che  quando  trovai  l'argomento  usato  e  ripetuto  cosi  frequente,  cioè 
essere  impossibile  parlare  più  a  lungo  di  una  comune  origine  del 
linguaggio,  perchè  la  filologia  comparativa  ha  provato  che  esistono 
varie  famiglie  del  linguaggio ,  io  sentii  che  ciò  non  era  vero ,  che 
in  ogni  caso  era  un'esagerazione  (I  felt  that  this  was  not  trite,  that 
at  ali  events  it  was  an  exaggeration).  Il  problema  propriamente 
considerato  si  presenta  sotto  questo  aspetto:  se  voi  volete  assevera- 
re che  il  linguaggio  ebbe  differenti  principii,  voi  dovete  provare  es- 
sere impossibile  che  il  linguaggio  possa  avere  avuto  una  comune 
origine.  »  E  continua  mostrando  come  una  tale  impossibilità  non  è 
mai  stata  stabilita,  né  per  ciò  che  spetta  alle  lingue  semitiche  ed 
ariane,  ne  per  risguardo  alle  turaniche:  anzi  lo  studio  accurato,  sì  di 
quelle  come  specialmente  di  queste,  conduce  piuttosto  a  rendere  non 
solo  possibile,  ma  probabile  la  sola  e  comune  origine. 

Che  se  si  voglia  investigare  come  sia  nato  il  linguaggio  umano, 
cioè  come  siano  state  trovate  le  radici  elementari,  ossia  quegli  ele- 
menti che  dicono  formativi  dell'umano  linguaggio,  e  come  sia  stato 
determinato  quel  legame  che  è  tra  la  parola  e  il  pensiero  a  cui  ser- 
ve di  veste,  ciò  resterà,  crediamo,  sempre  inviluppato  nell'ombra 
del  mistero.  La  fede  nulla  ci  dice,  e  le  ipotesi  elei  dotti  sono  varie. 
Non  soddisfa  certo  la  ipotesi  della  onomotopea,  la  quale  vuole  che 
il  linguaggio  sia  stato  formato  per  imitazione  de'  suoni  che  l' uomo 
sentiva  emettere  da'  bruti ,  e  dalle  cause  naturali  come  il  tuono  ,  il 
fiotto  del  mare,  ecc.  Non  quella  dall'  interiezione ,  la  quale  sup- 
pone che  le  naturali  interiezioni  dell'uomo  siano  i  naturali  e  reali 
principii  dell' umano  linguaggio.  Non  finalmente  la  terza  ipotesi, 
anzi  meno  delle  altre,  che  il  linguaggio  umano  si  debba  a  una  con- 
venzione artificiale.  Chi  bramasse  di  vedere  spiegate  e  dottamente 
confutate  quelle  ipotesi ,  legga  il  Muller  nella  Lezione  Vili  poc'  an- 
zi citata.  Alle  precedenti  si  potranno  aggiungere  altre  ipotesi  più 
o  meno  verisimili ,  ma  nulla  più  che  ipotesi  :  le  quali  crediamo 
che ,  riuscendo  inutili  a  spiegare  la  grave  questione ,  potranno  con- 
durre chi  le  propone  o  mantiene  (  come  già  avvenne  all'Herder  do- 
po aver  tanto  caldeggiato  l' ipotesi  dell'  onomotopea  )  all'  opinione 
che  il  linguaggio  sia  stato  rivelato  da  Dio.  Certo  è  che  sebbene  nul- 


572  RIVISTA 

la  apertamente  ci  dicano  intorno  a  ciò  le  sacre  Carte,  pure  quell'opi- 
nione è  la  più  conforme  alla  narrazione  della  Genesi ,  e  più  accon- 
cia a  spiegare  come  Adamo  appena  crealo  potesse  dare  il  nome  agli 
animali  :  il  che  vuol  pure  intendersi  in  senso  proprio ,  non  in  senso 
figurato.  Non  è  però  necessario  intendere  quella  rivelazione  o  ma- 
nifestazione così,  che  Iddio  all'uomo  rivelasse  le  singole  parole  bel- 
le e  formate.  Intorno  a  che  ci  pare  degno  di  ascoltarsi  il  P.  Giamb 
Pianciani  della  Compagnia  di  Gesù,  che  nel  suo  ammirabile  lavoro: 
La  Cosmogonia  naturale  comparata  col  Genesi,  parlando  delle 
opere  di  Dio  nella  giornata  sesta ,  così  scrive  :  «  Assai  agitata  tra  i 
filosofi  è  la  possibilità  di  un  linguaggio  primitivo  inventato  e  for- 
mato naturalmente  dall'uomo.  Quanto  al  fatto,  può  non  inverisimil- 
mente  immaginarsi  che  la  cosa  andasse  così.  Iddio,  che  all'  uomo 
avea  data  la  facoltà  di  parlare,  negata  ai  bruti,  diversa  mollo  dal 
potere  di  ripetere  alcune  parole  umane ,  che  troviamo  in  alcuni  uc- 
celli, aggiunse  alla  facoltà  l' istinto  di  farne  uso,  come  tutti  gli  ani- 
mali hanno  per  istinto  di  attuare  le  proprie  facoltà.  Credesi  comu- 
nemente che  il  Creatore  ispirasse  o,  a  così  dire,  insegnasse  all'uo- 
mo il  primo  linguaggio  ch'esso  parlò.  Forse  non  ispirò  un  linguag- 
gio compiuto,  ma  infuse  prima  nell'anima  ragionevole  una  tendenza 
ad  esprimere  con  alcune  determinate  voci  un  certo  numero  d' idee 
generali  di  qualità  e  di  azioni,  che  potesse  poi  quella  applicare  agli 
oggetti ,  i  quali  le  presenterebbero  i  sensi,  e  così  imporre  i  nomi 
agli  animali  e  ad  altri  oggetti.  Forse  tale  tendenza  si  sviluppò  a 
mano  a  mano,  allorché  veniva  occasione  di  attuarla.  Se  così  andò 
la  cosa,  cominciossi  fin  d'allora  a  verificare  in  certo  senso,  ciò  che 
Dante  poi  fìnse  insegnatogli  da  Adamo  (Parad.  XXVI,  130):  Ope- 
ra naturale  è  eli  uom  favella,  Ma,  così  o  così,  natura  lascia  Poi 
fare  a  voi  secondo  che  v  abbella.  »  Ma  comunque  il  fatto  andasse 
intorno  alla  prima  origine  del  linguaggio,  certo  è,  ripetiamo,  che 
la  scienza  della  linguistica  nulla  ha  da  opporre  con  buona  ragione 
alla  narrazione  della  storia  rivelata.  E  come  gli  sludii  comparativi 
non  contrastano,  anzi  chiariscono  possibile,  una  sola  e  comune  esse- 
re l'origine  dell'umano  linguaggio,  così  pure  servono  a  confermare 
il  dogma,  che  una  sola  è  l' origine  del  genere  umano  e  che  tutti 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  573 

quanti  gli  uomini  derivano  da  una  soia  e  prima  coppia.  La  quale 
verità  se  pure  si  voglia  chiamare  opinione  o  idea,  ben  dice  il  Mùller, 
esser  un  idea  così  naturale  e  coerente  con  tutte  le  leggi  umane  del 
ragionare,  che  non  è  stata  nazione  alcuna  sopra  tutta  la  terra,  che 
nelle  sue  tradizioni  intorno  all'  origine  del  genere  umano  non  abbia 
derivato  tutta  quanta  l'umana  famiglia  da  una  sola  coppia  od  anche 
da  una  sola  persona. 

Or  sebbene  dal  proemio  del  eh.  Fumi  siano  messi  in  chiaro  i  buo- 
ni fratti  degli  studii  linguistici,  e  se  ne  deducano  quelle  liete  con- 
seguenze che  abbiamo  qui  sopra  accennate  ;  nondimeno  (e  ci  duole 
assai  il  dirlo;  e  se  non  ci  spronasse  il  desiderio  di  un  bene  mag- 
giore, assai  di  buon  grado  ce  ne  passeremmo  in  silenzio),  nondime- 
no s'  incontrano  in  quel  Proemio  alcune  sentenze,  le  quali  suonano 
assai  male,  ne  facilmente  si  accordano  coi  dettati  dì  una  sana  filosofia 
e  della  stessa  rivelazione  divina.  Quelle  sentenze  ci  giova  credere 
non  siano  frutto  propriamente  dell'  intima  persuasione  del  sig.  Fu- 
mi, ma  si  siano  così  insinuatelo  nell'animo  suo  o  nel  suo  scritto, 
senza  che  egli  medesimo  se  ne  accorgesse,  per  la  lettura  di  libri  di 
linguistica  dettali  da  uomini  di  altro  paese,  ed  eretici  o  razionalisti. 
Pur  troppo  è  vero,  che  chi  bazzica  col  mugnaio  ne  ritorna  imbian- 
cato. Noi,  per  mettere  in  guardia  specialmente  i  giovani  lettori, 
che  non  abbiano  a  trovare  inciampo,  noteremo  alcune  di  tali  sen- 
tenze. Parlando  nel  num.°  ìli  dei  primi  saggi  di  uno  studio  com- 
parativo intorno  alle  lingue,  nota  che  in  essi  abbondano  le  stranezze 
e  gli  errori;  e  poi  soggiunge:  «  Il  che  nasceva  da  quel  pregiudizio, 
da  quel  Eptòtcv  ò-uqoc,  per  cui  l'ebrea  doveva  essere  la  madre  lin- 
gua. Quest'errore  nacque  coi  Padri  della  Chiesa,  i  quali  nel  pri- 
mo entusiasmo  della  nuova  fede  presero  alla  lettera  e  talvolta  male 
interpretarono  le  narrazioni  (  per  altri  leggende)  del  Vecchio  Testa- 
mento e,  nel  caso  nostro,  quei  due  punti  della  Genesi,  ove  si  dice 
che  Adamo  die  il  nome  ai  diversi  animali,  e  dove  si  narra  la  con- 
fusione delle  lingue  nata  nell'  innalzamento  della  Torre  di  Babele. 
Si  concluse  che  come  i  nomi  trovati  da  Adamo  sono  ebrei,  così  fu 
l'ebrea  la  prima  lingua  parlata  dall'uomo.  La  fallacia  dì  queste  de- 
duzioni non  apparve  a  quei  caldi  credenti,  ecc.  »  Ora  noi  permei- 


574  RIVISTA 

teremo  al  Fumi  che  chiami  errore  il  supporre  che  la  lingua  ebrea 
sia  la  lingua  madre.  Ma  come  può  lasciarsi  uscir  dalla  penna  tulio 
ciò  che  aggiunge?  È  il  citato  qui  sopra  un  tratto  che  potrà  stare  in 
un'opera  di  un  razionalista  d'oltre  alpe,  ma  non  può  comportarsi  in 
uno  scritto  di  un  cattolico  italiano.  Quest'errore  nacque  co  Padri 
della  Chiesa.  Notiamo  primieramente  che  pochissimi  tra  i  Padri 
hanno  trattato  una  tale  quistione  ;  e  di  quo'  medesimi  che  hanno 
preso  a  spiegare  YEsamerone  mosaico,  varii  (come  S.  Basilio, 
S.  Ambrogio,  S.  Giovanni  Grisostomo)  non  hanno  parola  intorno  a 
quest'argomonto.  In  secondo  luogo  quelli,  che  come  per  incidente 
ne  hanno  toccato  alcuna  cosa,  non  sono  concordi.  E  se  S.  Agosti- 
no (De  Civ.  Bei,  l.  XVI,  e.  42),  e  Origene  (Num.  Hom.  XI),  ed 
altri  non  hanno  più  che  un  putamus,  quod  creditur,  od  altra  simile 
parola  ;  S.  Gregorio  Nazianzeno  nell'  omelia  XII  contro  Eunomio, 
dice  espressamente,  che  «  Mosè  scrisse  in  lingua  ebraica,  non  per- 
chè quella  fosse  la  lingua  con  che  Dio  parlò  ad  Adamo,  nò  quella 
di  Adamo  stesso,  ma  perchè  si  valse  della  lingua  che  era  comune- 
mente in  uso  a  suoi  tempi  (rf,  covasi  yjp&\*.&oq  ^l^c^):  e  soggiunge 
che  «  per  sentenza  di  uomini  assai  periti  nelle  Scritture  la  lingua 
ebrea  nemmeno  mostra  di  essere  così  antica  come  altre  lingue 

([ayj  Bs  àpycd&w  tyjv  'Ejàpafrov  ^covyjv xaO' òjjLsiÓTYjxa  twv  ac.-mv).  »  Inter- 
zo luogo  i  Padri  hanno  in  tale  materia  seguito  l'opinione  comune, 
diciamo  così,  dei  letterati  di  allora:  che  essi  erano  posti  da  Dio  co- 
me dottori  alla  sua  Chiesa  non  per  le  quislioni  grammaticali  o  filo- 
logiche, ma  per  le  verità  della  fede:  e  a  queste  non  a  quelle  volse- 
ro accuratamente  i  Padri  l'opera  loro.  Vanno  dunque  lungi  dal  vero, 
e  vengono  meno  alla  riverenza  dovuta  a'  maestri  del  popolo  cristia- 
no quelle  parole:  «  Questo  errore  nacque  coi  Padri  della  Chiesa  ». 
Ma  con  qual  fronte  volere  attribuire  all'ardore  della  fede,  il  non 
iscorgere  la  falsità  di  un  principio  e  la  fallacia  delle  deduzioni? 
Quasi  che  fosse  l'ardore  della  fede,  ciò  che  fa  bruttamente  traviare 
gli  umani  intelletti,  o  quasi  che  i  Padri  ne'  primi  secoli  appunto 
della  Chiesa  non  avessero  nel  discutere  le  quislioni  teologiche  dato 
pruova  di  tale  perspicacia  e  vigoria  di  raziocinio,  da  disgradarne 
tutti  i  linguisti  de  nostri  giorni.  Non  sono  poi  i  venerandi  dottori 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  575 

della  Chiesa  quelli  che  malamente  interpretano  le  narrazioni  del 
Vecchio  Testamento,  ma  sì  i  razionalisti  co'  loro  miti,  e  tutti  coloro 
che  baldanzosi  nella  vanità  dell'umana  sapienza  vogliono,  dietro  la 
scorta  di  falsi  giudizi!,  spiegare  ciò  che  non  giungono  ad  intendere. 
E  per  cotali  uomini  ben  intendiamo  che  le  narrazioni  delle  Scrittu- 
re sante  possano  essere  leggende,  ma  per  un  vero  cattolico,  non 
mai.  E  come  osare  eli  porre  tra  i  miti  e  le  leggende  le  narrazioni  di 
quel  libro,  che  è  il  libro  di  Dio,  che  è  la  fonte  della  verità,  che  è 
il  maestro  del  genere  umano,  che  è  scritto  non  a  dilettarci  e  ad  in- 
gannarci persuasibilibus  humanae  sapientiae  verbis,  o  cogli  abbelli- 
menti della  poesia  o  colle  stravaganze  de'  romanzi,  ma  ad  erudirci 
e  confortarci  colla  dimostrazione  della  viriù  divina  ?  Se  qualcuno 
anche  tra  i  cattolici,  sia  ne  secoli  antichi  sia  ne  più  vicini  a  noi,  ha 
voluto  interpretare  solo  come  allegoriche  alcune  delle  narrazioni  del 
Vecchio  Testamento,  è  noto  come  sia. stato  gravemente  ripreso  e 
confutato  dai  Concili!  della  Chiesa.  Ed  è  canone  fermo,  secondo  la 
dottrina  di  S.  Agostino,  nel  lib.  il  De  Genesi  ad  litteram,  che  so- 
lo quod  ad  litteram  non  nisi  absurde  non  possit  inielligi,  procul 
dubìo  figurate  dietim  ob  aliquam  significationem  accipi  deb  et.  Ora 
ci  pruovino  i  razionalisti,  maestri  di  linguistica,  che.  non  nisi  ab- 
surde possit  inielligi  quello  che  la  Scrittura  dice  dei  nomi  dati  da 
Adamo  ai  diversi  animali,  e  della  confusione  delle  lingue  alla  torre 
di  Babele:  e  poi  potrà  il  sig.  Fumi  scrivere  le  parole  che  ha  scrit- 
to. Ma  non  vogliono  le  cose  della  fede  riguardarsi  con  occhio  ter- 
reno: né  si  vuole  interpretare  la  narrazione  delle  Scritture  divine 
come  non  si  oserebbe  d'interpretare  la  storia  dettata  dall'uomo. 

E  dei  dettami  della  scuola  razionalista  sono  pure  informate  quelle 
sentenze  del  n.  VI  (p.  XCIV),  ove  il  eh.  Fumi  discorre  de' grandi 
problemi,  alla  soluzione  de'quali  attende  alacremente  la  nuova  scien- 
za del  linguaggio.  «  11  più  grande  e  più  delicato  problema,  ivi  si 
dice,  è  quello  dell'origine  dell' uman  genere  e  dell'unum  linguaggio. 
Biguardo  al  primo  i  teologi  e  gli  etnologi ,  i  fisiologi  e  i  linguisti, 
disputano  ancora  sull'unità  o  la  molteplicità  delle  razze:  ma  in  ogni 
modo  non  pare  che  le  tradizioni  e  il  detto  biblico  abbiano  troppo 
scapitalo  agli  assalti  della  scienza  moderna.  »  Se  il  dottor  Fumi  vo- 


376  RIVISTA 

lea  parlare  secondo  verità,  dovea  (e  ci  permetta  racconciargli  il  pe- 
riodo )  scrivere  così:  Riguardo  al  primo  i  teologi  cattolici  concorde- 
mente ammettono  l'unità  dell'umana  specie,  secondo  la  narrazione  e 
il  detto  della  divina  Scrittura:  e  la  medesima  verità  riconoscono  gli 
etnologi,  i  fisiologi,  i  linguisti  più  chiari,  non  solo  tra  i  cattolici  ma 
eziandio  tra  gli  eterodossi.  Altri  ne  disputano,  anzi  la  negano  :  ma 
o  sono  della  scuola  de  sedicenti  filosofi  del  secolo  passato,  o  razio- 
nalisti. Ad  ogni  modo  la  tradizione  e  il  detto  biblico,  non  solo  non 
hanno  scapitato  per  gli  assalti,  che,  abusando  della  scienza  moderna, 
alcuni  hanno  voluto  muovere  contro;  ma  invece  hanno  ricevuto  una 
splendida  conferma  e  luminosissime  testimonianze  anche  da  quelli, 
che  prima  amavano  di  contraddire  alla  storia  della  divina  Scrittura. 

Questa  che  noi  abbiamo  espressa  è  la  verità  storica  delle  dispute 
che  si  muovono  intorno  alla  unità  della  nostra  specie.  E  crediamo 
inutile  il  fare  qui  una  vana  pompa  di  molte  citazioni  per  confermare 
quello  che  abbiamo  asserito,  essendo  cosa  nota  a  tutti  che  abbiano 
qualche  pratica  di  questi  studii.  Chi  pur  ne  avesse  mestieri  o  desi- 
derio, può  trovarle,  per  tacere  di  altre  opere  in  tal  materia  assai 
pregiate,  nelle  Lezioni  del  Wiseman  o  nella  Cosmogonia  del  Pian- 
ciani.  Qui  solo  aggiungeremo  che  questa  verità  consolantissima , 
che  di  tutto  l'uman  genere  fa  uua  sola  famiglia,  e  di  tutti  gli  uomi- 
ni tanti  fratelli,  ò  verità  di  fede  ed  è  il  fondamento  della  dottrina 
del  peccato  originale,  propagato  da  uno  solo  in  tutti  gli  uomini ,  e 
del  mistero  della  redenzione  per  cui  tutti  gli  uomini  sono  stali  re- 
denti dal  novello  Adamo  Cristo.  E  una  tale  verità  dovrà  dirsi  un 
problema  intorno  a  cui  disputano  i  teologi  e  i  filosofi  cattolici,  e  la 
cui  soluzione  dee  aspettarsi  dagli  studii  linguistici? 

Ma  ascoltiamo  di  nuovo  il  Fumi.  «  Il  linguista  ha  di  mira  più 
che  questo  problema,  l'altro  dell'  origine  e  del  primo  frazionamento 
del  linguaggio.  Che  sia  una  rivelazione  immediata  della  divinità 
non  si  ammette  più  ,  perchè  non  è  indispensabile  per  iseiogliere  ii 
problema.  »  Che  non  si  ammetta  più  essere  stato  rivelalo  da  Dio  ii 
linguaggio  al  primo  uomo,  se  cosi  in  generale  si  prenda  questa  pro- 
posizione, e  si  guardi  non  ciò  che  può  essere,  ma  ciò  che  fu  di  fatto, 
si  può  negare  secondo  ciò  che  in  queste  stesse  pagine  abbiamo  toc- 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  577 

cato  più  sopra.  E  se  non  si  ammette  più  da  razionalisti ,  de'  quali 
pare  che  qui  si  faccia  discepolo  il  Fumi  ,  tal  sia  di  loro.  Ma  come 
sciogliono  essi  il  difficile  problema?  11  Fumi  ci  addita  il  modo  colle 
parole  che  seguono  immediatamente.  «  Il  linguaggio  altro  non  è 
che  un  amalgama  od  una  riunione  di  radici;  le  quali  sono  emana- 
zioni foniche  dell'anima  umana,  e  da  essa  spontaneamente  prodotte 
per  esprimere  le  idee  generali,  le  concezioni,  mentre  i  suoni  imita- 
tivi od  onomatopeici  esprimono  le  percezioni,  e  i  suoni  interiezio- 
nali  le  sensazioni.  Tutto  ciò  entra  nella  sfera  dell'  attività  umana  : 
quindi  il  linguaggio  può  benissimo  essere  creazione  dell'  uomo.  » 
Ma  e  che  significano  queste  parole?  E  come  si  scioglie  il  problema 
dicendo  che  le  radici  sono  emanazioni  foniche  dell'anima  umana  ? 
Il  Mailer  almeno  nella  sua  Lezione  IX,  cui  pure  il  Fumi  dà  mostra 
di  volere  seguire,  ci  sembra  parli  più  chiaramente  e  secondo  verità. 
«  Le  radici,  esso  dice,  sono  tipi  o  forme  foniche  prodotte  dal  potere 
inerente  nella  natura  dell'uomo:  onde  sono  opere  della  natura  o  me- 
glio della  mano  di  Dio.  Poiché  Iddio  che  diede  all'uomo  la  facoltà 
d'intendere,  diede  pure  la  facoltà  di  dare  un'espressione  articolata 
a  suoi  concetti  razionali,  variando  quell'espressione  secondo  la  di- 
versa impressione  e  quasi  il  diverso  suono  che  quei  concetti  produ- 
cono nell'animo.  La  quale  facoltà  non  è  frutto  dell'  industria  o  del- 
l'opera dell'uomo,  ma  è  dono  di  Dio.  »  Così  il  Mtiller  in  sentenza: 
ed  è  ciò  che  in  altre  paroleabbiamo  sentito  piùsopradalP.  Pianciani. 
Continua  il  Fumi  dicendo:  «  Ma  fu  una  sola  la  lingua  primitiva? 
Ecco  un'altra  quistione  scabrosissima  e  assai  controversa.  Anche 
qui  la  Bibbia  ci  dice:  Erat  autem  terra  labii  unhis  et  sermonnm 
eorumdem  (Gen.  C.  XI,  v.  I);  e  pare  che  tale  asserzione  non  ab- 
bia potuto  esser  combattuta  vittoriosamente  dai  validi  ingegni,  come 
Pott  eSteinthall,  che  hanno  tentato  discuterla.  »  Ricordi  il  lettore 
ciò  che  abbiamo  discorso  poco  prima,  e  vedrà  come  gli  studii  lin- 
guistici anche  per  testimonianza  de' più  valenti  professori,  favorisca- 
no piuttosto  che  contrastare  la  verità,  che  una  sola  fosse  in  origine 
£la  lingua  dell'uomo.  Certo  è  poi  che  sa  di  empietà  il  mettere  in  dub- 
[  bio  ciò  che  espressamente  attesta  la  divina  Scrittura;  ed  è  insieme 
follìa  ed  empietà  il  pur  supporre  che  gli  assalti  della  scienza  mo- 
Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  491.  37  26  Agosto  1870. 


518  RIVISTA  DELLA  STAMPA  ITALIANA 

derna  possano  fare  scapitare  il  detto  biblico,  o  combattere  vitto- 
riosamente le  asserzioni  della  Bibbia.  No,  ciò  non  può  esser  mai, 
perchè  la  parola  di  Dio  è  eternamente  vera.  Una  particolare  inter- 
pretazione, forse  troppo  letterale,  di  un  qualche  tratto  o  di  una  qual- 
che parola  della  sacra  Scrittura,  potrà  essere  mostrata  non  accura- 
tamente vera:  ma  non  potrà  essere  mai  mostrata  falsa  la  narrazione 
e  la  parola  di  quella  Scrittura  che  è  Scrittura  di  Dio.  Se  per  colti- 
vare gli  stuelli  linguistici  fosse  mestieri  anche  solo  in  qualche  cosa 
rinunziare  alle  tradizioni  bibliche  (come  pare  voglia  fare  supporre 
il  Fumi  eziandio  alla  png.  LI  V),  noi  mandiamo  in  malora  e  la  lin- 
guistica e  ogni  altra  scienza,  che  non  può  essere  se  non  se  empia 
stoltezza  quando  non  si  accordi  colla  parola  di  Dio.  Ma  per  buona 
ventura  non  è  così.  Anzi  come  le  narrazioni  della  Bibbia,  conside- 
rate anche  solo  come  testimonianze  di  storia  umana,  ci  valgono  di 
lume  e  di  scorta  fedelissima  neli'  indagare  le  recondite  verità  natu- 
rali; così  viceversa  l'accurata  e  sapiente  indagine  di  queste  riesce 
a  farci  meglio  intendere  le  parole  della  Scrittura  e  a  confermare  la 
divina  veracità  dei  libri  santi.  E  noi  non  possiamo  por  line  dall'am- 
mirare  la  divini  provvidenza  in  ciò,  che  alcune  particolari  scienze  o 
discipline,  lo  studio  delle  quali  era  stato  proposto  e  caldeggialo  da 
nomini  empii  con  intendimento  di  smentire  la  verità  rivelata  colla 
forza  della  verità  naturale,  non  hanno  poi  in  fine,  come  accader  do- 
veva, fatto  altro  che  imprimere  un  evidente  suggello  di  verità  alla 
parola  di  Dio,  cosicché  l'empietà  stessa  ne  è  rimasta  vinta  e  con- 
quisa. Così  per  esempio  è  avvenuto  nel  fatto  della  geologia,  della 
quale  alcuni  nuovi  titani  disegnavano  valersi  come  di  arme  invitta 
a  violare  il  cielo:  così  avverrà,  ne  siamo  certi,  della  linguistica. 

Ora  tali  sentenze  uscite  dalla  penna  del  eh.  Fumi,  ci  giova  il  ri- 
peterlo, non  crediamo  che  veramente  esprimano  i  sensi  dell'  animo 
suo  ;  ma  sieno,  così  come  sono,  state  tolte  dalle  opere  di  uomini 
eterodossi.  La  fallacia  ed  empietà  di  quelle  non  apparve  al  caldo 
ammiratore  della  dottrina  e  della  erudizione  di  celebri  autori  :  ed 
e^so  nel  primo  entusiasmo  della  nuova  scienza  prese  troppo  incaula- 
mente  le  pirole  de'suoi  mieslri.  Ma  di  ciò  basti,  e  veniamo  alla  se- 
conda parte  della  nostra  rivista. 


BIBLIOGRAFIA 


AMBROSI  ALESSANDRO  —Nel  giorno  21  di  Giugno  dell'anno  1870,  anniversario 
della  coronazione  di  Sua  Santità  Papa  Pio  IX;  voti  e  preghiere  dell'  avvo- 
cato Alessandro  Ambrosi,  giudice  del  tribunale  di  Benevento.  Velletri,  tip. 
di  D.  Colonnesi.  In  8.°  di  pag.  6. 

ANONIMO  —  Istruzioni  e  preghiere  per  assistere  divotamente  alla  santa  Messa 
e  accostarsi  degnamente  ai  sacramenti  della  Confessione  e  Comunione  ed 
altre  orazioni.  Modena,  tip.  deW  Imm.  Concezione,  1870.  Un  volumetto 
in  32.°  dipagAU. 

—  La  voce  di  Maria  Madre  del  Buon  Consiglio  al  cuore  della  giovinetta,  ad 
uso  specialmente  dei  Conservatorii  e  delle  pie  case  di  educazione.  7.a  ediz. 
riveduta  dall'Autore.  Mo  lena,  tip.  dell' Imm.  Concezione,  1870.  In  32.° 
di pag. 102. 

—  Mem  rie  di  un  padre  sulla  vita  e  la  morte  di  suo  figlio.  Napoli,  direzione 

delle  lett.  catt.  1870.  Due  opuscoli  in  2i.°  di  pag.  204. 

—  Milano  e  Roma.  Racconto  del  duodecimo  secolo.  Modena,  tip.  dell'Imm. 
Concezione,  1860.  Un  voi.  in  16-.*  di  pag.  206. 

Una  succinta  storia  della  famosa  Lega  lombar-  te  ogni  di  rammentare  quella  lega,  ma  ne  igna- 
ba  Tiene  rapidamente  narrata  in  questo  Racron-  ra  o  ne  crede  a  rovescio  le  cagioni ,  i  fruiti ,  e 
lo:  il  quale  può  essere  utile  al  popolo  che  sen-    soprattutto  lo  spirilo  che  la  suggerì  e  la  animò. 

—  Saggio  di  pratica  pastorale,  ossia  Memorie  sulla  vita  episcopale  di  monsi- 
gnor Giuseppe  Montieri,  Vescovo  di  Sora,  Aquino  e  Pontecorvo  ;  per  un 
ecclesiastico  suo  familiare.  Napoli,  tip.  degli  Accattoncelli  1870.  Un  voi. 
in  8.°  di  pag.  X-618.  Prezzo  lire  5.  Dirigersi  al  sig.  D.  Francesco  Gallo 
in  Napoli,  strada  del  Duomo,  palazzo  Scarpa. 

Volendoci  noi,  tosto  che  ci  sarà  consentito  dal-  Vescovo    di   Avellino,  raccogliendo   essa   sotto 

lo  spazio,  trattenere  un  po'  più  di  proposito  so-  un  sol  punto  di  vista  un  complesso  di  dottri- 

pra  questa  opera,  l'annunziamo  ora  qui  siccome  ne  episcopali,  e  nell'applicazione  di  esse  dan- 

meritevolissima  d'es<ere  non  solo  letta,  ma  stu-  do  per   guida   un    Vescovo   dottissimo   e  santo 

diala   da    ogni    classe  di  ecclesiastici.    Giacché  qual  era  M.  Montieri,   non   può   non   tornare 

per  adoperare  le  parole  autorevoli  di  monsignor  vantaggiosa  a  tutti  i  pastori  di  anime. 

—  Sunto  storico  dell'abbazia  e  del  Pellegrinaggio  alla  beata  Vergine  Maria  de- 
gli Eremiti,  dall'epoca  della  sua  fondazione  ai  nostri  di.  Einseldeln,  1870, 
presso  Carlo  Nicoiao  Benzi ger  fratelli.  In  32.°  di  pag.  62. 

Einselden  è  un  borgo    della  Svizzera    primi-  secolo  nono  dal  santo  eremita  Meinrado.  La  sto- 

liva  nel  Cantone  •di  Svillo;  formatosi  intorno  al-  ria    del    santuario,    dell'abazia,  del  culto  dell» 

l'Abbazia   benedettina,  quivi  costrutta  per  ser-  B.  Vergine  è  narrata   in   questa  graziosa  e  fe- 

vire  ai  pellegrini,  che  andavano  a  venerare  una  dele  monografia, 
statua  della  Vergine  Santissima,  collocatavi  nel 

ANTON  MARIA  DA  VICENZA  —  Vita  di  S.  Diego  d'Alcalà,  minore  osservante, 
scritta  dal  P.  Anton  Maria  da  Vicenza,  minore  riformato  della  provincia  di 
S.  Antonio  di  Venezia.  Bologna,  tip.  Mareggiani  1870.  /n  16.°  di  pag.  63. 


580  BIBLIOGRAFIA 

BADODI  LUIGI  —  Poesie  di  Luigi  Badodi  da  Restio  nell'  Emilia.  Bologna,  via 
dei  Malcontenti  1797,  tip.  Mareggiarti  aW  Insegna  di  Dante,  1870.  Un 
volumetto  in  32.°  grande  di  pag.  126.  Prezzo  lire  2. 

Da  sincero  congratulamento  vogliamo  ch8  renile  la  poesia  strumento  di  buoni  costumi  e  di 
giunga  al  sig.  Badodi  per  queste  sue  poesie,  santo  proponimento.  Da  alquanti  indirti,  qui  e  là 
Esse  sono  foggiale  sul  modello  dei  nostri  mi-  raccolti,  giudichiamo  che  il  eh.  Badodi  sia  in  età 
gliori  classici:  hanno  l'  impronta  del  buon  gu-  ancor  giovanile;  ma  al  tempo  stesso  lutto  dedi- 
sto che  ò  la  nitida  semplicità  dei  concetti  e  del-  to  agli  studii  e  conscio  a  sé  medesimo  della  Ca- 
le frasi:  hanno  il  lavoro  della  lima,  per  cui  Io  tica  (he  dee  costare  anche  ai  più  valenti  una 
stile  è  corretto,  il  verso  elegante;  hanno,  pie-  buona  poesia.  Segua  dunque  con  perseveranza 
gio  veramente  di  pochi,  la  spontaneità  del  pen-  nella  buona  via  che  ha  intrapresa  :  e  così  se  ora 
siero,  del  metro,  della  rima  che  svelano  uu  in-  ha  potuto  dar  fiori  si  gentili,  darà  un  giorno  frut- 
gegno  inchinato  da  natura  a  poetare  :  e  sovra  ti  gustosi  e  sostanziosi  col  suo  ingegno  e  col  suo 
tutto  hanno  quella  onesta  nobiltà  di  pensieri  che  lavoro. 

BALDUZZI  L.  —  Sopra  due  bolli  figulinari  affatto  inediti,  scoperti  a  Bagnaca- 
vallo  nel  1851.  Rimembranze  del  can.  teol.  L.  Balduzzi.  Firenze,  tip.  di 
M.  Ricci,  1870.  In  8.°  di  pag.  12. 

Nella  Pieve  di  Bagnacavallo  furono  trovati  mile  a  quella  del  sepolcro  di  S.  Sergio  Martire, 
due  antichi  mattoni  bollati  con  una  medesima  può  fare  rimontare  quei  mattoni  a  mezzo  il  seco- 
scritta,  sebbene  di  grandezza  e  forma  differente:  lo  V  ;  ma  se  Stintemi  è  il  nome  dtl  fiume,  sono 
f  Santemi  Armentaria.  Santerni  può  indicare  essi  posteriori  a  Teodosio  il  giovine,  quando  il  flu- 
ii luogo  dell'officina,  presso  il  fiume  Santerno  :  me  Vatrenus  o  Vaternus,  divenuto  Satrenus,  prese 
Armentaria  indica  al  certo  il  nome  o  del  pa-  il  nome  stabile  di  Santernus.  Tali  sono  le  opinioni 
dmne  dell' uflìcina,  o  del  campo  coltivato  a  pa-  date  dal  Cavedoni  e  dal  Borghesi  intorno  a  que- 
scolo.  La  forma  della  croce  latina  pedala,  si-  sti  due  mattoni,  rifer.te  qui  dal  can.  Balluzzi. 

BERNABEI  RICCIARDO  —  Novena  in  onore  di  san  Giuseppe,  sposo  di  Maria  Ver- 
gine, del  sacerdote  Ricciardo  Bernabei.  Modena,  tip.  dell'  Imm.  Concezio- 
ne, 1870.  In  16.°  piccolo  di  pag.  32. 

—  S.  Giuseppe  padre  dei  giovani,  pel  sacerdote  Ricciardo  Bernabei.  Modena, 
tip.  dell  Imm.  Concezione.  Un  volumetto  in  16."  di  pag. li^.  Prezzo  cen- 
tesimi 40. 

BERTEU  AGOSTINO  —Mese  del  Cuor  di  Gesù.  Meditazioni  pratiche  ed  esempii 
recenti,  per  tutti  i  giorni  del  mese  di  Giugno,  proposto  alle  anime  pie,  dal 
canonico  Agostino  Berteu.  Seconda  edizione.  Torino,  tip.  di  G.  Spcirani 
e  figli  1870.  Un  volumetto  in  32.°  di  pag.  200. 

—  Una  giornata  con  Maria,  ossia  metodo  di  santificare  la  vita  in  unione  a 
Maria  Vergine,  proposto  alle  anime  pie,  dal  canonico  Agostino  Berteu.  To- 
rino, tip.  di  G.  Spcirani  1870.  Un  volumetto  in  \§.°  di  pag.  157. 

BOURBON  MATILDE  —  La  moglie  di  un  otliciale.  Racconto  della  signora  Matil- 
de Bourdon;  traduzione  dal  francese  per  M.'S.  Modena,  tip.  dell' Imm.  Con- 
cezione, 1869.  Due  volumetti  in  16.'  di  pag.  160,  162.  Prezzo  lire  2. 

Il  Bacconto  della  signora  Bourdon  è  notevole  che  qui  s' intrecciano  assai  Mitralmente.  Per  la 

per  la  semplicità  dei  casi,  la  grazia  della  nar-  educazione  del  cuore,  soprattutto  delle  giovanel- 

razione,  e  la  copia  degli   affetti   più  soavi.  Le  te,  questo  libro  è  acconcissimo:  e  noi  voluntien 

vicende  di  una  modesta   famiglia,  le   passioni  lo  consigliamo  a  chi  cerca  nella  lettura  dei  rac- 

più  comuni  nel  cuore  dei  giovani ,  P  efficacia  conti  un  onesto  e  utile  trattenimento, 
della  virtù  fomentala  dalla  pietà,  formano  i  casi 

CALABRESE-SALVO  FILIPPO  —  Errori  e  menzogne  di  prete  Filippo  Bartolomeo, 
giudice  del  soppresso  tribunale  della  legazia  apostolica  ecc.,  pel  sacerdote 
Filippo  Calabrese  -  Salvo.  Messina,  tip.  dell  Avvenire  1870.  In  8.°  di  pa- 
gine 106. 

Lodammo  poco  tempo  fa  uno  scritto  saWAbi-    Salvo;  ora  ci  congratuliamo  ancor  più  con  lui, 
lo  Clericale,   del  giovane  Diacono  F.  Calabrese    divenuto  giàjsacerdole ,  di    questa  confutazione 


BIBLIOGRAFIA  581 

piena,  vigorosa,  briosa.  Egli  fa  con  essa  vera  za  l'audacia  di  un  Drele  scomunicalo,  e  spende 
opera  buona:  perchè  difende  le  verità  della  no-  l'ingegno  e  il  lavoro  in  servigio  della  Chiesa, 
stra  fede,  difende  la  fonia  di  un  Vescovo,  rintuz- 

CALANDRl  FRANCESCO  —  Epigrafi  che  al  p.  Francesco  Calandri  G.  R.  Somasco 
inspirò  T  alta  estimazione  e  l1  affetto  pel  fratello  Francesco  Felice,  sacerdo- 
te cappuccino,  morto  nel  bacio  del  Signore  nel  1869.  Casale,  1870.  In  8  e 
di pag.  12. 

CEPARl  VIRGILIO  —  Il  beato  giovinetto  Giovanni  Berchmans  della  Compagnia. 
di  Gesù;  vita  scritta  dal  P.  Virgilio  Cepari  d.  m.  C.  Modena,  tip.  dell'Im- 
macolata Concezione  1869.  Un  voi.  in  32.'  dìpag.  288. 

COSELLI  PIETRO  —  Saggio  critico  dei  principii  e  delle  conseguenze  della  ri- 
voluzione italiana,  per  il  sac.  Pietro  Ceselli,  lucchese.  Bologna,  tip.  3Ia~ 
reggiani  1870.  Un  voi.  in  16.°  dìpag.  409. 

Nel  quaderno  447  della  Civiltà  Cattolica  (Se-  parte:  e  le  conseguenze  della  rivoluzione  ita- 
ne VII,  voi.  IV,  pag.  343)  lodammo  un  altro  liana,  le  tristi  nella  III"  parte,  e  le  buone  nel- 
scrilto  del  eh  ab.  Coselli,  intitolato  Assalti  prò-  la  IV  parte.  L'opportunità  dell'argomento,  la 
testanti  e  trionfi  cattolici:  Lettere;  e  pregam-  sanità  della  dottrina,  l'ordine  della  trattazione, 
mo  l'autore  di  continuare  a  rendersi  utile  colla  la  chiarezza  e  la  bella  maniera  tulio  popolare 
stampa  di  altri  somiglianti  lavori.  È  debito  di  dello  stile,  senza  negligenze  nò  bassezze,  racco- 
riconoscenza  il  ringraziarlo  ora  del  nuovo  re-  mandano  altamente  questo  libro  ad  ogni  ordina 
gaio  che  fa  all'Italia  col  libro  qui  sopra  annun-  di  persone,  siccome  uno  di  quelli  che  può  es- 
ziato.  In  esso  si  esaminano  i  principii  rivolu-  sere  efficacissimo  a  dileguare  dulie  menti  gli  er- 
ziouarii,  quelli  riguardanti  la  religione  nella  rori  correnti  ora  nell'Italia. 
1"  parte,   quelli  riguardanti  la  società    nella  li" 

CUNEO  GIUSEPPE  SECONDO  —  Nei- solenni  funerali  celebrati  nella  insigne  col- 
legiata di  Taggia,  per  cura  degli  onorevoli  fabbriceri,  in  suffragio  del  molto 
rev.  parroco  teologo,  Stefano  Semeria,  il  28  Aprile  1870,  trentesimo  dalla 
sua  morte,  orazione  del  rev.  Giuseppe  Secondo  Cuneo,  prof,  di  rettorica 
nel  ginnasio  di  Taggia.  Oneglia,  tip.  Glutini.  In  8.°  di  pag.  22. 

Questa  eloquente  orazione  dettata  dal  cuore  ci  gione,  ma  ancor  per  la  patria,  ben  inteso  in  senso 

dà  un  vivo  ritratto  di  un  zelante  pastore,   qual  cristiano;  e  questo  amoru  abbiam  pur  notato  in 

fu  il  parroco  Semeria;  e  insieme  ci  rivela  nel-  un'altra  orazione  dello    stesso    prof.    Cuneo  per 

l'oratore  un  caldo  amore  non  solo  per  la  reli-  l'inaugurazione  degli  studii  nell'anno  scorso. 

CU0M0  MICHELE  —  Manuale  della  pia  unione  delle  madri  cristiane  sotto  il  pa- 
trocinio del  preziosissimo  Sangue  di  G.  Cristo,  Maria  ausiliatrice  de  cristia- 
ni e  S.  Monica;  canonicamente  eretta  in  Gragnano  (Napoli)  nella  chiesa  del 
Corpus  Domini  ;  del  sac.  Michele  Cuomo.  Castellomare,  stamp.  di  san 
Martino  1869.  Un  voi.  in  1§.°  picc.  di  pag.  207.  Prezzo  lira  1:  e  Vende- 
si presso  D.  Pietro  Pandolfi  in  Castellamare  di  Slabia,  strada  Gesù,  3, 

Associare  !e  Madri  cristiane,  perchè  coltivino  se  queste  associazioni  si  moltiplicassero  in  modo 

nella  pietà  i  loro  cuori,  apprendano  i  loro  do-  che  non  vi   fosse   parrocchia  che  non  ne  avesse 

veri  e  si    confortino  ad  esercitarli,  si  dieno  vi-  la   sua  !  I  parroci  che  volessero  introdurla  po- 

cendevole  aiuto   di  buono    esempio,  di  prudenti  trebberò  saperne  le  regole,  le  pralliche,  i  modi 

consigli  e  di  caritatevole  assistenza,  è  opera  som-  da  questo  Manuale  ,    acconcissimo    all'  uopo  ,   e 

inamente  utile  alle  famiglie ,  alle   cittadinanze,  che  contiene  quanto  può  essere  desideralo  a  que- 

alla  religione.   Oh   qual   bene   se  ne  caverebbe  sto  scopo. 

DALU'  ANTONINO  —  Triduo  in  onore  di  Maria  SSuia,  scritta  pei  divoti  di  lei, 
dal  sac.  Antonino  Dalù  termitano.  Termini-Imerese,  tip.  di  G.  Sodino, 
1870.  Un  voi.  in  8.°  di  pag.  138. 

Il  eh.  autore  tratta  in  questo  triduo  di  tre  esse  è  svolta  in  un  ampio  e  dolio  discorso,  che 
virtù  di  Maria  SSma,  della  modestia,  della  riti-  può  servire  in  pari  tempo  di  guida  per  meditare, 
ratezza,  e  della  canta  verso  Dio.  Ognuna  di    e  di  materia  per  leggere. 


582 


BIBLIOGRAFIA 


DANDOLO  TULLIO  —  Storia  del  pensiero  nei  tempi  moderni,  del  conte  Tullio 
Dandolo.  Nuova  ediz.,  preparata  dall'Autore.  Àsisi,  stab.  tip.  Sensi  1870. 
Edizione  in  8.° 


Abbiamo  soii'oechio  il  Programma  del  tipo- 
grafo Sensi,  editore  di  questa  nuova  ristampa 
della  Storia  del  Pensiero  dell'illustre  coute  Tul- 
lio Dandolo,  rapito  teste  all'Italia  da  morte  im- 
matura. Noi  non  sogliamo  occuparci  mui  di 
Programmi:  ma  qui  sono  due  circostanze  mollo 
capitali  che  ci  consigliano  a  fare  una  eccezio- 
ne. La  prima  si  è  che  l'opera  promessa  dai  Sen- 
si non  è  nuova:  essa  è  gà  nota,  essendo  stata 
tutta  pubblicata  prima  della  morte  del  suo  au- 
tore, e  da  noi  nelle  varie  sue  pa*ti  molle  voile 
esaminata  e  lodata,  come  può  vedersi  nella  1» 
Serie  della  Civiltà  Cattolica,  voi.  IV,  VI,  VII  : 
nella  IL"  Sene,  voi.  VI  e  X;  nella  1V«  Serie, 
voi.  X;  e  nella  VI,  voi.  IV.  Quindi  nou  possia- 
mo nutrire  verun  dubbio  iutomo  alia  qualità  del- 
l'opera che  dovrà  stamparsi  Neppure  possiamo 
dubitar  punto  che  le  promesse  dell'editore  non 
sieno   per  avere  effetto,  che  è  la  seconda  circo- 


stanza particolare  di  queslo  programma.  Giacché 
la  stampa  s'imprende  sotto  fili  auspicai  ed  a  spe- 
se di  Sua  Eccellenza  il  sig.  principe  Torlonia, 
amico  del  Dandolo,  il  quale  col  solo  suo  nome 
dà  p;u  che  ampia  garaulia  del  buono  e  regola- 
re procedimento  della  edizione.  Essa  cotnporras- 
si  di  una  serie  di  studn  storici,  filosofici  e  re- 
ligiosi, falli  dal  Dandolo  col  concetto  ,  quanto 
giuslo  altrettanto  vasto,  che  il  perno  dei  de- 
stini del  genere  umano  è  il  cristianesimo  nelle 
sue  tre  fast  di  aspettazione,  di  apparizione,  di 
svolgimento.  La  verna  dunque  e  gli  errori,  i 
vizit  e  le  virtù,  le  glorie  e  le  ignominie  degli 
Stati  e  degli  uomini  ;  tutto  entra  In  questo  di- 
segno, e  tulto  è  dal  Dandolo  abbracciato.  Il 
suo  brio  poi,  la  sua  facile  vena,  e  quel  non  so 
che  di  attrattivo  che  ha  il  suo  siile,  raccomanda- 
no la  lettura  di  questa  Storia  del  pensiero,  e 
ne  fanno  sperare  buon  frutto. 


DA  VICENZA  ANTON-MARIA  —  Vita  della  venerabile  serva  di  Dio  suor  Maria  di 
Agreda,  francescana  scalza  concezionista  ;  scritta  dal  p.  Anton-Maria  da 
Vicenza,  lettore  teologo  de' Min.  Rif.  della  provincia  di  S.  Antonio  di  Ve- 
nezia. Bologna,  tip.  pont.  Mareggiami,  1870.  Un  voi.  in  32.°  di  pag.  lìl 


La  Mistica  Città  di  Dio  che  narra  la  vita  di 
Maria  Sanissima  è  libro  notissimo  a  quanti  so- 
no versati  negli  sludii  sacri ,  perchè  lodala  a 
Cielo  da  molti  anche  sommi  personaggi,  da  al- 
tri combattuta  con  pari  vivacità.  Questo  libro  ha 
reso  celebre  la  sua  autrice,  la  ven.  Suor  Maria 
di  Gesù,  Francescana  scalza  dell'  Immacolata  Con- 
cezione, eabbadessa  di  Agreda.  Ma  pochi  sanno 
al  di  là  di  questo  fatto:  pochi  han  Ilio  la  vi- 
ta edificantissima  di  questa  Serva  del  Signore  : 


specialmente  in  Italia  ove  non  fu  mai  stampata 
in  un  libro  a  parte.  Sopra  la  vita  spagnuola, 
che  ne  scrisse  il  Vescovo  di  Piacenza,  biodi.  Giu- 
seppe Xunenez  Samaniego,  supcriore  religioso 
dapprima,  poi  Prelato  diocesano  e  contemporaneo 
e  conoscitore  della  venerabile  Suor  Mar. a,  ha  di- 
steso con  buono  stile  e  buon  metodo  questa  vita 
il  eh.  P.  Anton  Maria  da  Vicenza,  scrittore  lodato 
per  la  dottrina  e  la  diligenza. 


DE  CARA  CESARE  ANTONIO  —  Clodoaldo  principe  di  Dania.  Tragedia  lirica, 
del  P.  Cesare  Antonio  De  Cara,  d.  C.  d.  G.  Roma,  tip.  dei  fratelli  Monal- 
do, via  delle  botteghe  oscure  25,  1870.  In  8.°  di  pag.  45. 


Nel  primo  anno  della  guerra  che  Carlo  Ma- 
gno mosse  ai  Sassoni,  il  Principe  di  Dania,  Clo- 
doaldo, pagano  di  religione,  staccalo  da  due 
dei  suoi  figliuoli,  e  in  procinto  di  perdere  il  ter- 
zo, era  dopo  la  disfatta  di  Vitigindo,  signor  dei 
Sassoni,  minacciato  ancora  delia  vita,  non  che 
della  perdita  del  Regno.  Ma  la  appunto  ove  egli 
temeva  di  più  trovò  la  sua  salute.  Poiché  per  ope- 
ra appunto  di  Carlo  Magno  egli  è  salvalo  da  mor- 
te che  minacciavagli  una  congiura  dei  suoi  sud- 


diti, ricupera  il  trono,  ritrova  e  riacquista  i  figli, 
e  si  rende  cristallo  col  fiore  del  suo  popolo,  yue- 
s  o  fallo  dà  il  fondamento  al  Dramma  composto 
dal  eh.  P.  De  Cara,  ij;ià  nido  per  altri  componi- 
menti di  simil  genere.  Il  pregio  che  più  spicca 
in  questo  lavoro  si  è  lo  stile  nobile,  fiorito, 
elegante  :  e  insiem  con  esso  una  certa  altezza 
di  concetti  che  giovano  mirabilmente  alla  edu- 
cazione nella  gioventù,  al  quale  fine  principal- 
mente mirò  egli  nello  scriverlo. 


DE-FAZY  ELDRADO  —  Vita  e  passione  di  S.  Giorgio  M.  protettore  dei  soldati 
cristiani  e  degli  agricoltori,  scritta  dal  sacerdote  Eldrado  De-Fazy,  della 
diocesi  di  Susa.  Torino,  tip.  delV  Orai,  di  S.  Francesco  di  Sale.  1870. 
Un  volumetto  in  16.°  piccolo  di  pag.  102.  Dirigersi  all'Autore  in  Ihv;$ole- 
no  di  Susa. 

Proporre  al  soldato  cristiano  un  esempio  de-    tante  e  tante  migliaia  di   cristiani  debbono  di- 
gnissimo  d' imitazione  è  in  questo  tempo,  in  cui    venire  soldati,  un  santo  ed  utile  pensiero.  Qae- 


BIBLIOGRAFIA  883 

Sta  vita  poi  ha  il  merito  di  non  offrire  ai  gusti  Santo  sono  infarcite  ;  e  non  privare  la  pietà  del 
troppo  s.intìllosi  se  non  fatti  autentci,  ricavati  suo  pascolo,  rifiutando  quelle  traditi**!  più  pro- 
dalle fonti  più  sicure,  senza  la  noia  di  tante  cri-  babili,  che  tanto  edificano  e  consolano. 
tiene  disquisizioni,  onde  le  altre  vite  di  questo 

BE-SEGIU  ANTONIO — Pneumouensimetro  automatico,  per  Antonio  De-Negri, 
assistente  nel  laboratorio  di  eli. mica  generale  della  IL  Università  di  Geno- 
va. Genova,  co'  tipi  del  R.  I.  de*  sordo-muti,  1870.  In  8.°  gr.  di  pag.  46. 

Il  Big.  Bunsen  ideò  un  piccolo  apparecchio  col  se  modificazioni  ha  reso  automatico  lo  strumento, 

quale    determinare    cou  abbastanza    esattezza   il  tale  cioè  che  non  ha  bitogno  di  calcolo  difficile, 

peso  specifico  dei  gas,  anche  quando  non  sene  ne  di  osservatore  perito:  cosicché  d'ora  innanzi 

abbiano  che  appena  quaranta  centimetri  cubici,  lo  strumento  che  il  De  Negri  chiama  pneumo- 

Questo  strumentino  pero,  richiedendo  molta  de-  densimetro,  può  essere  facilmente  usato  non  .solo 

slrezza  nell'osservatore,  non  è  stato   molto  dif-  nel  laboratorio  del    chimico,   ma   eziandio  nel- 

fuso.   Il  eh.  sig.  De  Negri  con  alcune  ingegno-  l'officina  di  chi  lavora. 

DI  PIETRO  STANISLAO  —  Due  mottetti:  0  salu'mris  hostia  per  basso.  Cibavit 
nos  per  soprano  e  contralto,  con  accompagnamento  d'organo,  del  P.  Stani- 
slao di  Pietro  d.  C.  d.  G.  Roma,  litografia  Luciani  al  Corso  N.  282,  1870. 
In  i.°  Prezzo  L.  ì,  50.  Vendousi  in  Roma  neiroHìcio  della  Civiltà  Catto- 
lica, e  nella  tipografia  di  Propaganda. 

Le  opere  di  Musica  sacra  del  eh.  P.  Di  Pietro  egualmente  gradili  che   le  Canzoncine   pel  mese 

sono  pregiate  dai  maestri  o  gustate  assai  dal  pub-  di  Maria,  le  Litanie,  il  Canto   dei    fanciulli  per 

blico.  per  la  semplicità   della   melodia,   per  la  la  Novena  dell' immacolata,  e   gli  altri  Mottetti 

gravità  del  ritma,  e  per  l'appropriala  espressione  e  le  altre  Canzoncine  date  da  lui  alla  luce, 
dei  concetii.  Questi  due  nuovi  Mollotti  saranno 

ELENA  LUIGI  —  Orazione  funebre  nell'anniversario  della  morte  del  nobiluo- 
mo conte  cavaliere  Valerio  Cozza  di  Bolsena:  letta  dal  p.  Luigi  Elena  di  Al- 
benga,  per  le  solenni  esequie  celebrate  in  S.  Maria  del  Giglio  a  di  29  Gen- 
naio, 1870.  Roma,  tipi  del  Salviucci,  1870.  In  8.°  di  pag.  15. 

E.  S.  —  Il  mese  del  sacro  Cuore  di  Gesù,  tradotto  dal  francese  in  italiano,  sul- 
la ventesima  edizione;  da  fra  E.  P.  dei  Predicatori.  Quarta  ediz.  ital.  Mode- 
na, tipi  dell'  Imm.  Concezione,  1870.  Un  voi.  in  32.°  di  pag.  256. 

FAA'  FRANCESCO  —  Sunti  di  fisica,  meteorologia  e  chimica,  con  tavole  ad  uso 
delle  scuole  maschili  e  femminili  pel  eavalieie  Francesco  Faà  di  Bruno,  dot- 
tore in  scienze  presso  le  università  di  Parigi  e  Torino,  ecc.  ecc.  Firenze, 
Torino  e  Milano,  presso  G.  B.  Paravia  e  comp.,  1870.  Un  volumetto  in 
16."  di  pag.  126.  Prezzo  lira  1,  20. 

Piestringf-re  in  sole  126  pagine  le  teoriche  sa  mi ,  sì  perchè  sappiano  davvero  le  cose  più 
principaiissime  di  queste  tre  scienze  pare  cosa  importanti  di  queste  scienze.  Quindi  per  riuscirvi 
appena  possibile,  non  che  difll-ile;  e  pure  il  bene  ha  dovuto  serbare  un  ordine  rigoroso,  ri- 
sig.  cav.  Faà  di  Bruno  vi  è  abbastanza  bene  gettare  le  applicazioni  e  le  eccezioni,  scegliere  i 
riuscito.  Kgli  non  si  è  proposto  di  dare  un  cor-  teoremi  più  vasti  e  più  importanti,  essere  parsi- 
SO  compiuto  a  quei  giovani  che  vorranno  slu-  moroso  al  sommo  di  parole.  E  cosi  veramente 
diario  di  proposito  :  ma  solo  di  fornire  le  più  abbiamo  scorto,  nel  percorrere  il  suo  libro,  che 
essenziali  cognizioni  di  ciascuna  d'esse  a  quei  chi  lo  studiasse,  ne  caverebbe  abbastanza  di  nu- 
tra loro  che  attendono  ad  altri  studii  ,  sì  per-  le  per  la  sua  istruzione. 
ehè  possano  convenientemente  riuscire  negli  e- 

FABBR0NI  MARIA  VIRGINIA  —  Nuovi  versi  di  Maria  Virginia  Fabbroni.  Pisa, 
tip.  Nistri,  1870.  In  16."  di  pag.  37. 

La  Lira  della  signora  Fabbroni,  sacra  al  Cie-  l'animo  senlesi  a  nobili  sensi  sollevato,  e  al  tem- 
lo,  alla  virtù,  ai  casti  afletti  dell'amicizia,  tic-  pò  stesso  dalla  bella  armonia  dei  versi  rallegra- 
ta dalla  mano  esperta  della  sua  simnatrice,  cmet-  lo  e  commosso. 
te  suoni  teneri,  soavi,  armoniosi.  Jn  ascoltarli 


381 


BIBLIOGRAFIA 


FABI  MONTANI  FRANCESCO  —  La  vita  della  Beatissima  Vergine,  esposta  in  al- 
trettanti sonetli  da  Francesco  Fabi  Montani.  Roma,  tip.  Forense,  1870.  In 
8.°  di  pag.  40. 


pio  argomento,  e  l'altro  d'uno  stile  colto,  e  d'u- 
no svolgimento  quanto  naturale,  altrettanto  no- 
bile e  dignitoso. 


I  trcntairè  sonetti  che  sono  qui  riuniti  espon- 
gono i  farti  pnncipalissimi  della  vita  della  bea- 
ta Vergine  Malia.  Essi  hanno  il  merito  di  cor- 
rispondere  tolu»    pietà   dei  loro    sentimenti    al 

FESTA  FRANCESCO  M.  —  Sulla  obbedienza  cattolica.  Dissertazione  per  France- 
sco M.  Festa,  del  clero  napolitano.  Napoli,  lib.  e  stamp.  dì  A.  Festa  1870. 
Jn8.°  di  pag.  48. 

Ottimo  e  utilissimo  è  il  Discorso  del  eh.  sig.    per  l'argomento  tutto  acconcio   alle  circostanze 
Festa  :   ottimo  per  la  forza  del  ragionamene  e    presenti,  in  cui  irovansi  i  fedeli. 
per  la  dottrina  sicura  che  contiene:    utilissimo 

FINAZZI  ANTONIO  —  Pensieri  sull'istruzione,  del  sacerdote  D.  Antonio  Finazzi. 
Bergamo,  tip.  Crescini  1868.  In  8.*  di  pag.  18. 

FORCELLA  VINCENZO  —Iscrizioni  delle  chiese  e  d'altri  edificii  di  Roma  dal  se- 
colo XI  fino  ai  giorni  nostri,  raccolte  e  pubblicate  da  Vincenzo  Forcella. 
Volume  I.  Roma,  tip.  delle  scienze  matematiche,  fisiche  1869.  Un  volume 
in  4.°  grande  di  pag.  XII  -  592. 


Il  eh.  sig.  Forcella  si  è  proposlo  di  raccogliere 
e  pubblicare  tutte  le  iscrizioni  che  scritte  sui  mar- 
mi o  sui  bronzi  nelle  chiese  e  negli  altri  edi- 
fizii  di  Roma,  leggonsi  ora  tuttavia  o  nei  loro 
posti  prim  tivi  o  traslocale  altrove.  Questa  rac- 
colta unirà,  confermerà  o  illustrerà  le  memorie 
gerarchiche,  gentilizie,  civili,  letterarie,  scienti- 
fiche ed  artistiche;  le  quali  si  connettono  colla 
Storia  del  sacro  e  civile  Principato  di  Roma,  dei 
suoi  ordini,  delle  sue  famiglie,  delle  sue  istitu- 
zioni, delle  sue  vicende:  e  sopra  questa  storia 
gitterà  quella  luce  sì  utile  e  sì  necessaria  qual 
è  quella  delle  date  autentiche,  dei  nomi  veri,  de- 
gli uflkii  esercitati.  Laonde  un  tal  disegno  de- 
v'  essere  sommamente  lodato  e  accolto  dal  pub- 
blico con  vero  applauso.  Esso  però  richiede  ac- 
corgimento, lavoro  e  diligenza  somma:  e  spe- 
cialmente una  costanza  di  proposili  a  tutia  pruova: 
giacché  questa  impresa  per  la  sua  mole  è  non 
solo  vasta,  ma  gigantesca.  Vi  sono  è  vero  molle 
e  molle  Rarcolle  d' iscrizioni  romane  sia  mano- 
scritte nei  Codici  delle  Biblioteche  in  Roma,  sia 
stampate  nelle  opere  dell' Alveri,  del  Melimi,  del 
Cancellieri,  del  ben.  Pier  Luigi  e  di  alili  :  ma 
olire  che  queste  sono  spesso  mal  copiale,  o  non 
portano  la  indicazione  indispensabile  del  luogo; 
oltre  che  Irovansi  disperse  qua  e  colà,  con  grave 
difficoltà  di  poterle  trovare  e  consultare;  non  sono 
poi  nò  tutte  nò  la  massima  parte  delle  iscrizioni 
utili  a  registrarsi.  Bisognava  dunque  fare  il  la- 


singolarissima.  E  l'ha  fatto  il  eh.  Forcella,  ed 
ora  comincia  a  darlo  alla  luce,  in  una  magni- 
fica edizione  intrapresa  sotto  gli  auspicii  e  cogli 
aiuti  generosi  del  Principe  Boncompagni,  perso- 
naggio cospicuo  per  dottrina,  e  dei  dotti  mun  - 
fico  mecenate. 

In  questo  volume  raccolgonsi  le  iscrizioni  che 
Irovansi  I.  nella  piazza  e  nei  Palazzi  Capitolini; 
II.  in  S.  Maria  in  Aracoeli  ;  III.  in  8.  Maria  ad 
Marlyres;  IV.  in  S.  Maria  de!  popolo;  V.  in  S.  Ma- 
ria sopra  Minerva.  Ognuna  di  queste  iscrizioni  è 
registrala  colla  più  grande  fedeltà,  e  preceduta 
o  seguita  da  brevi  noie  che  determinano  il  silo, 
la  forma,  gli  stemmi,  i  segni,  gli  accessorii,  tutti 
gli  schiarimenti  ulili  a  far  o  dislinguere,  o  ri- 
trovare, o  dichiarare  ciascuna  delle  iscrizioni.  La 
correzione  poi  dei  tipi  è  fatta  con  perfezione  som- 
ma, e  pari  alla  diligenza  della  stessa  Raccolta. 
Un  copioso  e  minutissimo  indice  di  nomi,  or- 
dinato per  dignità  e  per  alfabeto,  posto  in  One 
del  volume,  agevola  grandemente  l'uso  di  questa 
Raccolta. 

3Soi  adunque  ci  congratuliamo  coli'  autore  di 
questa  Raccolta,  e  gli  auguriamo  lena  perche  possa 
condurre  a  termine,  una  fatica  tanto  utile  e  tanlo 
gloriosa  ai  Romani,  e  nella  quale  non  vi  dovreb- 
be essere  famiglia  romana  che  non  prendesse  par- 
te, siccome  in  realtà  non  vi  e  che  non  ri  dovi 
memorie  del  proprio  casato,  quanto  utili,  altri i- 
tanlo  care. 


voro  da  capo:  e  farlo  con  attenzione  e  pazienza 

FRANZELIN  S10.  BATT.  —  Ioannis  Baplisiac  Franzelin  e  Societate  lésu  in  colle- 
gio Romano  S.  Theologiae  professoris,  tractatus  de  Dei»  uno secundunj na- 
turane Romae,  typis  S.  Congr.  deprop.  Fide  MDCCCLXX.  In  8/ grande 
dì  pag.  722. 

All'  uscire  dell'altro  volume  De  Deo  Trino  se-    che  quel  trattato  era  uno  dei  libri  più  dotti  usciti 
tuwìum persona*  dicemmo,  a  pag.  324  voi.  Vili,    nell'età  nostra.  Altrettanto  diciamo  ora  di  que- 


BIBLIOGRAFIA 


583 


sto.  Certamente  questi  due  volur-ù  De  Deo  Uno  steranno  imperituri,  quai  monumenti  delia  dol- 

et  Trino,  e  gli  altri  tre  già  pubblicai,  De  Sa-  trina  dei  teologi  pontificii  nel  Concilio  vaticano, 

tramentis  in  genere,  De  SS.  Eucharisliaa  Sa-  al  pari  delle  opere  più  famose    dei    teologi  de* 

tramenio  et  Sacrificio,  e  De  Verbo  Incarnato  re-  Concilio  di  Trento. 

GATTI  ARCANGELO  —  Cenno  storico  del  santuario  del  Monte  e  sue  trasloca- 
zioni, compilato  sulle  memorie  degli  storici  bolognesi  da  un  canonico  rego- 
lare lateranense.  Bologna,  via  Malcontenti  n.  76,  tip.  Mareggiani,  1809. 
In  16.°  di  pag.lb. 


Sulla  vetta  del  S.  Benedetto,  collina  presso  la 
porta  di  S.  Maininolo  in  Bologna,  fu  conseerala 
ad  Otior  di  Maria  SSina  nel  1110  una  cappella 
rotonda,  costrutta  in  quel  luogo  prodigiosamente 
indicato  da  una  colomba.  Nel  liìi  vi  si  aggiun- 
se una  chiesi  assai  più  spaziosa,  perchè  la  Roton- 
da non  bastava  più  al  concorso  ogni  giorno  mag- 
giore dei  devoti  visitatori.  Più  tardi  innanzi  al- 
l' antica  Rotonda  fu  posto  un  porticato  di  quat- 
tro archi.  Allorché  nel  principio  di  questo  secolo 
per  ordine  di  Napoleone  I,  vennero  distrutte  le 
cappelle,  gli  alni,  il  cenobio  benedettino,  e  l'o- 


spizio per  edificarvi  uu  palazzo  regio,  fu  in  mezzo 
al  nuovo  edificio  conservala  intatta  la  Rotonda: 
e  Ja  immagine  quivi  venerata  venne:  traslocata 
d'una  in  altra  chiesa  entro  Bologna.  La  storia 
esatta  di  questi  singoli  fatti,  e  soprattutto  la 
pietà  dei  Bolognesi  nel  venerar  Maria  SSrìia,  e 
la  protezione  di  Maria  SSnìa  verso  i  Bolognesi,, 
sono  in  questa  monografia  fedelmente  e  larga- 
mente descritte  dal  rev.  P.  D.  Arcangelo  GattL, 
priore  dei  Canonici  regolari  lateranensi,  e  pro- 
motore zelantissimo  del  culto  della  B.  Vergine. 


GROSSELLI  LUIGI  —  Un  grande  bisogno  dei  nostri  tempi,  del  sacerdote  Grossel- 
li  Luigi.  Milano,  tip.  dell  Osservatore  Cattolico  1870.  In  16.°  di  pag.  24, 


Aderiamo  di  tutto  cuore  alla  proposta  del  eh. 
Sig.  Grosselli,  da  lui  provata  per  indispensabile 
non  che  utilissima  a  punta  di  salde  ragioni  in 
questo  egregio  discorso.  Essa  è  da  lui  così  im- 
molata: «  Noi  abbiamo  studiato  qualche  cosa  nel- 
la profonda  fìlosolia  cristiana  degli  scolastici  e 
soprattutto  di  S.  Tommaso,  che  ne  è  il  più  alto 
rappresentante.  Ebbene,  ne  abbiamo  preso  e  tut- 
todì ne  prendiamo  per  essa  trasporlo,  amore  in- 
tenso; e  vi  abbiamo  trovato  verità  cosi  nuove 
e  stupende,  che  ci  parvero  esse  sole  poter  dare 
il  colpo  mortale  a  tutti  gli  errori  del  giorno.  Noi 


abbiamo  acquistato  l' intima  convinzione,  che  la 
società  presente  non  potrà  essere  riformata  so 
non  venga  ristaurata  con  grandi  sforzi  quella 
mirabile  filosofìa.  Or  ecco  uno  e  forse  il  precipuo 
de' mezzi  con  cui  raggiungere  un  tale  intento. 
Istituire  nei  luogjii  importanti,  Delle  città,  una 
cattedra  pubblica,  dipendente  interamente  dal- 
l'autorità ecclesiastica,  in  cui  si  insegni  laverà 
filosofia  cristiana,  tratta  dai  più  grandi  scolastici, 
colla  quale  filosofia  dimostrare  le  verità  della  re- 
ligione cattolica  ».  Così  l'autore.  Piaccia  a  Dio 
che  questo  suo  voto  abbia  effetto. 


GUALCO  DOMENICO  —  La  religione  e  la  Chiesa  cattolica,  opera  apologetico -po- 
lemica, per  Tab.  Domenico  Gualco,  dottore  in  sacra  teologia,  ed  in  ambe  le 
leggi,  prevosto  della  Collegiata  di  N.  S.  delle  vigne,  socio  della  romana 
accademia  di  Religione  cattolica.  Volumi  12.  Roma,  tip.  della  Gioven- 
tù 1868.  Dodici  volumi  in  16.°  contenenti  complessivamente  4106  pagine. 
Si  vende  in  Genova  presso  il  libraro  Giovanni  Fassi  Como. 

V  illustre  abb.  Domenico  Gualco,  Prevosto  della    rici  del  Dominio  temporale  dei  Romani  Pontefici. 

Il  XI.°  La  Sovranità  temporale  dei  Papi  dimo- 
strata con  invitti  argomenti.  Il  XII.0  Risposta 
alle  obbiezioni  contro  il  Principato  civile  dei 
Papi.  In  breve  è  una  piccola  Biblioteca,  ove  sono 
riuniti  insieme  i  Trattati  più  necessari!  a  chia- 
rire nel  tempo  nostro  le  più  agitate  questioni  in- 
torno alla  Rivelazione,  alla  Chiesa  cattolica,  al 
Pontificato  romano.  Questa  opera  sola  scusa  molti 
libri  :  e  con  essa  un  parroco,  un  professore,  un 
coltivatore  di  questi  sludii  ha  quanto  basta  a 
poter  illuminare  sé  slesso   e   i   suoi   dipendenti 


Collegiata  di  N.  S.  delle  Vigne  in  Genova  è  no- 
tissimo in  tutta  Italia  pel  gran  numero  di  pie, 
dotte,  erudite  opere,  date  alla  luce  in  aiuto  delle 
scienze  ecclesiastiche,  della  pietà  cristiana,  della 
morale  domestica.  Ora  ha  terminato  di  slampare 
questi  dodici  volumi,  opera  di  maggior  lena  che 
le  altre  sue  precedenti.  Ce  ne  occuperemo  di  pro- 
posilo. Per  ora  ci  basterà  il  dirne  solo  l'argo- 
mento. 1  primi  selle  volumi  trattano  della  Divi- 
nità della  Religione  e  della  Chiesa  cattolica.  Il 
voi.  Vili»  è  intitolato  //  Papa.  11  IX0  ha  per  ti- 
tolo Il  Papa  e  il  Gallicanismo.  Il  X.°  Cenni  slo- 


sopra  punii  sì  svariati  e  sì  importanti. 

MANFREDINI  GIUSEPPE  M.  —  Meditazioni  e  divote  pratiche  in  apparecchio  alla 
festa  del  sacro  Cuore  di  Maria,  proposte  da  Giuseppe  M.  Manfredini  d.  CL 


586  BIBLIOGRAFIA 

d.  G.  Terza  edizione.  Modena,  tip.  dell'  Imm.  Concezione,  1869.  In  32  • 
di  pag.  127. 
MARCHI  ALBERTO  —  Duecento  cartelline  aritmetiche  graduate,  per  lo  insegna- 
mento pratico  delle  quattro  principali  operazioni  dell*  aritmetica  negli  asili 
d*  infanzia,  e  nelle  scuole  elementari  diurne  e  serali;  compilate  dall'  arcidia- 
cono Alberto  Marchi,  direttore  degli  asili  infantili  di  Pescia;  con  6  tavole 
mnemoniche  per  l'addizione,  sottrazione,  moltiplicazione  e  divisione,  com- 
pilate dallo  stesso  X.  Marchi.  Pescia,  tip.  Vannini,  1870.  200  tavole  mon- 
tale in  cartoncino  della  dimensione  di  cent.  15" per  11:  e  i  tavole  più  gran- 
di. Prezzo  della  collezione  intera,  sufficiente  per  una  scuola,  lire  6.50 
franco  per  posta. 

Queste  tavole,  utili  per  1'  insegnamento  dei  zione  nei  fanciulli,  risparmia  ai  maestri  quel- 
fanciulli,  fanno  risparmiare  mollo  tempo  ai  mae-  1'  improba  fatica  di  rifar  da  sé  l'opetazione  ese- 
slri  ed  agli  scolari,  facilitano  l'intelligenza  di  gmta  dallo  scolare  per  correggerla,  e  gradua  ac- 
ciascuna  operazione,  giovano  a  destar  lemula-  cortamente  l'istruzione  degli  alunni. 

MARICOURT  E.  —  Vivia  perpetua,  ossia  i  Martiri  di  Cartagine.  Racconto  sto- 
rico di  E.  Maricourt.  Versione  italiana.  Modena,  tip.  deirimm.  Concezio- 
ne, 1870.  Due  voi.  in  16.°  di  pag.  197,176.  Prezzo  lire  2. 

Nella  Collezione   di   buoni  Romanzi  stampata  se,  sia  pel  fondo  slesso  del  racconto,  sia  per  lo 

dal  Casterman  di  Tournay  v'  è  questo  del  eh.  svolgimento,  sia  per  lo  stile.  La  traduzione  che 

E.  Maricourt,  intitolato  Vivia  oh  les  Martyrs  de  qui  aanunziamo   è  fall*  assai  bene,  ed  emula   la 

Carthage:  scritto  con   molto    garbo   in  france-  naturale  semplicità  dell'originale. 

MAZZONI  PACIFICI  EMIDIO  —  Studio  storico  sulla  successione  legittima  dal- 
le XII  tavole  al  codice  civile  italiano,  per  l'avvocato  Emidio  Pacifici  Maz- 
zoni. Memoria  scritta  per  il  concorso  alla  cattedra  d'introduzione  alle  scien- 
ze giuridiche  e  di  storia  del  diritto  nella  11.  Università  di  Bologna.  Volume 
unico.  Modena,  Carlo  Vincenzi,  tip.  editore  1870.  Un  volume  in  8.°  di 
pag.  VJII-rói. 

Questo  studio  storico  sulla  saccessione  legilti-  dai  principii  a  (il  di  logica;  ma  li  subordina  de- 
ma,  è  un  lavoro  mollo  notevole.  Esso  rappresenta  tritamente,  dando  la  preferenza  al  nesso  razionale 
coire  in  un  gran  quadro  tutto  il  dritto  delle  sue-  il  nesso  cronologico.  Il  filosofo  non  meno  che  il 
cessioni  legittime  dalle  XU  tavole  insino  a  nei,  legisperito  accoglieranno  con  plauso  un  lavoro 
passando  per  le  tre  grandi  epoehe,  la  romana,  che  sodisfarà,  ne  Siam  certi,  la  speciale  inclina- 
la medievale  e  la  moderna.  Esso  abbraccia  al  lem-  zione  di  ciascuno:  tanto  è  bene  trattato  e  svolto 
pò  stesso  i  due  svolgimenti:  quello  storico  com-  il  non  facile  argomento, 
provato  dai  documenti,  quello  razionale  dedotto 

MAZZ0TTA  (P.)  DI  FILADELFIA  —  Faro  segnato  da  Pio  IX  vicario  di  G.  C,  on- 
de distinguere  il  naturalismo  dal  catlolicismo,  pel  professore  in  sacro  drit- 
to Padre  Mazzolta  del  fu  Gian  Dome  ùco  di  Filadelfia.  Iloma,  tip.  delle 
Belle  Arti  18G9.  Un  voi.  in  8.°  di  pag.  315.  Prezzo  lire  3,  30  franco  per 
posta. 

11  eh.  e  dotto  P.  Mazzetta  da  Filadelfia  così  derna  armano  cinque  insidiosi  e  potenti  nemici; 
lignifica  lo  scopo  che  esso  si  è  proposto  nel  com-  e  al  dritto  della  vita  sociale  non  resti  che  il 
porre  e  dare  alia  luce  un'opera  di  Y>  volumi,  disarmarli,  il  coglierli  nati*  insussistenza  e  nel- 
intitoliila:  11  Sillabo  di  Pio  li  e  il  Progresso  l'assurdità.  Fine  di  questo  lavoro  é  dunque,  mo- 
de* liberalismo,  di  cui  fa  parte  come  primo  vo-  strare  le  •aatraddiitofti  dal  ti 'ns  otaajM  ehi  <<>s!an- 
lume  (beuchè  opera  clic  fu  Mia  da  se  un  libro  le  ente  combalte  la  vera  filosofia  della  nunte  e 
compiuto)  quello  che  abbiamo  qui  annunziato,  dalla  volontà  tati  ::r,Ma  d«f  panteismo 
Egli  dunque  dice  COSÌ:  L'eresia  odierna  dun-  che  intense  (rame  contro  Dio  autore  del  calloli- 
que  è  una  sola,  è  la  nes.'.zione  del  soprannatu-  etano:  le  insussistenze  del  protestanti!  o  che  cerca 
rale;  ma  per  attuarla  in  seno  alla  società  mo-  sommellere  il  catlolicismo  allo  spirito  individuale: 


BIBLIOGRAFIA 


587 


qui  sopra  indicato  dall'aulore,  giacché  vi  si  scorge 
che  per  salvarsi  o  dal  raz  onalismo,  o  dal  pan- 
teismo, o  dall'indifferentismo,  o  dal  naturalismo 
bisogna  che  il  cattolico  si  attenga  tenacemente 
al  Sillabo  di  Pio  IX.  Per  isvolgcre  questo  ampio 
concetto  l'autore  si  vale  delle  scienze  filosofiche, 
e  teologiche,  nelle  quali  è  maestro:  e  con  ottimo 
ragionamento,  senza  molto  occuparsi  degli  ador- 
namenti o  delle  grazie  dello  stile,  va  dritto  al 
suo  scopo,  pensando  più  a  persuadere  che  a  di- 
lettare. 


gì*  inganni  della  libertà  di  cullo,  con  i  quali  si 
arrovella  per  dare  morte  alla  vita  della  società 
cattolica:  e  le  incredibilità  del  naturalismo,  per  il 
qua!-  aspira  all'emancipazione  dell' uomo  e  del- 
l' ornano  consorzio  da  sud  Creatore.  Colali  nemici 
della  venta  giustamente  furono  condannati  dal 
Sillabo  di  Pio  iX,  e  qui  si  schiudono,  gli  assur- 
di pei  quali  doveano  essere  condannati.  » 

Que.-to  volume  percorre  P uno  dooo  l'altro  gli 
ottanta  articoli  del  Sillabo:  e  mostra  per  quali 
ragioni  ciascuno  dovea  essere  condannalo.  In 
ognuna  di  quesle  trattazioni  svolgesi  il  concetto 

MERÌGHI  PIETRO  —  Il  concilio  di  Berlicche  sugli  affari  d'Italia.  Poemetto  in  sei 
canti  del  can.  Pietro  Merighi  di  Ferrara.  Reggio-Emilia,  tip.  Degani  e  Na- 
sini, 1870.  In  16.°  piccolo  di  pag.  55. 

Il  poemetto  satirico  del  eh  sig.  Merighi  qui 
annunciato  esce  dalia  solita  cerchia  delle  cento 
e  mille  poesie  che  si  stampano  ogni  di  in  Ita- 
lia. Ne  esce  per  l'argomento  suo  del  tutto  ci- 
vile :  d'pignendovisi  a  vivi  colori  la  condizio- 
ne nostra  presente.  Ne  esce  per  la  facilità  della 
vena,  che  fluisce  spontanea  dal  primo  all'ultimo 
verso.  Ne  esce   pel  garbo  dello  stile  pioprio  del 

■ILONE  CRISTOFORO  —  Gli  atti  ed  il  culto  di  san  Vito  martire,  illustrati  dal 
sac.  Cristoforo  Milone.  Napoli,  uffizio  delle  lett.  catt.  1870.  Un  voliti  16. e 
di  pag.  221. 


genere  satirico.  Ne  esce  per  la  festività  non  isbri- 
gliata  della  invenzione  e  por  la  finezza  delle  osser- 
vazioni politiche.  Quindi  può  dirsi  uno  dei  buoni 
e  degli  utili  componimenti  che  meritino  di  esse- 
re propagati  :  rendendo  esso  ugual  servigio  al 
buon  gusto  letterario,  ed  al  buon  senso  politico 
del  popolo. 


B.  Vito  Martire  ha  culto  affettuoso  e  solenne 
nella  Sicilia,  nel  Napoletano,  in  molte  altre  re- 
gioni dell'Italia,  nella  Sassonia,  nella  Boemia, 
nella  Slavonia,  e  fino  nella  Pomerania  :  e  non- 
dimeno poco  si  conosce  delle  sue  geste,  e  una 
vita  criticamente  scritta,  e  al  tempo  stesso  con- 
tenente tulle  le  notizie  che  intorno  al  santo  Mar- 
lin |  ssono  raccogli*  rsi,  mancava  alla  storia  sa- 
cra. V  ha  ora  scritta  con  buon  intendimelo  di 
metodo,  e  con  ottimo  successo  il  eh.  sac.  Mi- 
lone. Nella  prima  parte  espone  gli  Atti  di  san 
Vito  Martire:  nella  seconda  il  Cullo.  Comincia 
la  prima  parte  dallo  stabilire  l'unicità  di  san 
Vito,  discutendo  e  distruggendo  le  opposte,  ben- 
ché autorevoli  opinioni;    poi    passa  a    provare 


che  la  sua  patria  fu  Salinunte  :  finalmente  di- 
mostra l'autorità  dei  suoi  alti.  Fin  qui  è  discusion 
di  critica,  aasai  bene  condotta.  Segue  poi  la  nar- 
razione vera:  la  quale  riesce  tanto  più  importante, 
quanto  p  u  l'autore  vi  connette  la  storia  dell'età 
di  S.  Vito,  e  dà  ragguaglio  dei  costami  di  quel- 
P  epoca.  L'  ultimo  capo  di  questa  prima  parie  è 
tulio  ili  estetica:  giacché  ragiona  del  modo  di  figu- 
rare il  Santo  Martire,  e  dei  simboli  o  segni  che 
soglionsi  o  debb  nsi  porre  accanto.  Nella  seconda 
parte  è  più  agevole  la  fatica:  perchè  trattasi  di 
falli  non  antichissimi,  di  monumenti  descritti 
chiaramente,  o  che  facilmente  possono  conoscersi. 
Tutto  il  lavoro  è  improntato  di  molta  diligenza, 
di  molto  criterio,  e  di  buon  gusto. 


OLMI  G.  —  I  Cattolici  nel  cenacolo  con  Maria  Vergine  e  con  gli  Apostoli  in 
aspettazione  dello  Spirito  Santo  ;  per  G.  Olmi.  Modena,  tip.  dell'  Imm. 
Concezione.  In  16.°  piccolo  di  pag.  72.  Prezzo  centesimi  20. 

—  11  tabernacolo  ossia  l'anima  cristiana  che  vive  con  Cristo  nella  SS.  Eucari- 
stia, per  G.  Olmi.  Modena,  tip.  dell'  Imm.  Concezione,  1870.  In  32.°  di 
pag.  128.  Prezzo  cent.  35. 


Per  ogni  settimana  dell'anno  proponesi  una 
breve  consideratone,  alcune  pratiche  divote, 
un' aspirazione,  un  motto  eucaristico,  e  un  bre- 
vissimo cenno  intorno  a  un  Santo  protettore.  In 


breve  vi  è  in  queslo  caro  libretto  quanto  può 
giovare  a  mantenere  l'anima  fedele  unita  con 
Gesù  nel  santissimo  Sacramento  dell'Altare. 


La  Manna  dell'  anima  amante  del  sacro  Cuor  di  Gesù.  Brevi  meditazioni  per 
tutti  i  giorni  dell'anno,  del  sacerdote  Gaspero  Olmi,  Voi.  l.°  e  2.°  Mode- 


88 


BIBLIOGRAFIA 


«o,  tip.  dell'  Imm.  Concezione,  1870.  Due  voi.  in  3*2.°  di  pag.  38i,  384. 
Prezzo  L.  2. 20  franco  per  posta. 


Talli  gli  scritli  ascetici  del  eh.  al>b.  Olmi  sono 
altamente  da  pregiare:  ma  sopra  lutti  gli  aliti 
a  noi  piace  quest »  sua  Manna.  In  essa  egli  offre 
alle  anime  devote  del  sacro  Cuore  una  medita- 
zione per  ogni  dì  dell'anno,  aftinché  non  passi 
giorno  sen/.a  un  pensiero  consecralo  al  S.  Cuore 
di  Gesù,  senza  un  allo  di  amore  verso  quel 
S.  Cuore.  Le  meditazioni  le  ha  disposte  nel  modo 
seguente  che  egli  medesimo  indica  nella  breve 
introduzione:  «  Riguardo  alle  feste  non  mobili 
te  quali  mi  presentavano  temi  da  sviluppare  in- 
torno al  Cuor  di  Gesù,  ho  tenuto  fermo  il  loro 
giorno,  cosicché  non  ti  deve  far  meraviglia,  se 
talvolta  trovi  interrotta  la  linea  regolare  delle 
meditazioni,  lu  quanto  a  tutto  il  reslo  poi,  dopo 


aver  presentalo  a' miei  lettori  il  Cuor  di  Gesù  e 
mostrala  in  molle  maniere  l'eccellenza  e  la  ne- 
cessità di  tal  devozione,  ho  aperto  davanti  a  loro 
questo  preziosissimo  erario,  invitandoli  a  contem- 
plare le  meraviglie  di  questo  Cuore  nei  diversi 
stati  della  sua  vila;  cosicché  tu  puoi  trovare  in 
queste  meditazioni  i!  pascolo  die  vuoi,  qualunque 
sia  lo  spirito,  col  quale  desideri  avvicinarli  a 
quesla  fontana  di  ogni  grazia  e  di  ogni  bene- 
dizione. »  Così  veramente  tulli  gli  aspetti,  sotto 
cui  puossi  considerare  il  S.  Cuore,  vengono  svolti: 
e  quanto  intorno  a  questo  fecondissimo  argomento 
può  dirsi,  trovasi  qui  riunito  ,  sebbene  con  una 
brevità  e  facilità  grandissima,  che  aggiungono 
pregio  non  piccolo  al  libro. 


0L5II  G.  —  V  Anima  in  solitudine  col  Cuor  SS.  di  Gesù  e  la  B.  Margherita  Ala- 
coque,  del  sacerdote  Gaspero  Olmi.  Quarta  edizione  riveduta  dall1  Autore. 
Modena,  tip.  deWImm.  Concezine.  Un  voi.  in  16.°  piccolo  di  pag.  192. 
Prezzo  centesimi  70. 

-—  V  imitazione  della  beata  Margherita  M.  Alacoque,  proposta  all'anima  aman- 
te del  sacro  Cuore  di  Gesù,  da  Gaspero  Olmi.  Modena,  tip.  dell' Imm.  Con- 
cezione, 1869.  Un  voi.  in  32.°  di  pag.  206.  Prezzo  cent.  50. 


Bel  modo  di  allettare  le  giovanelte  alla  con- 
siderazione dei  proprii  doveri,  ed  alla  pratica 
della  virtù  è  l'adoperato  dal  eh.  Olmi  in  questo 
opuscolo.  Egli  pon  loro  innanzi  la  vila  della 
B.  Margherita  a  piccioli  tratti:  e  ad  ogni  tratto 


fa  le  sue  osservazioni,  dà  opportuni  avvisi, 
esorla,  slimola,  punge  ancora  con  brio.  Cosi 
l'esempio  scolpisce  meglio  le  considerazioni,  e  la 
lettura  riesce  più  gradila  e  più  acconcia  alla 
fantasia  sì  mobile  delle  fanciulle. 


—  L'orto  mariano  e  L  orto  del  mondo.  Pensieri  ed  affetti  per  ogni  giorno  del 
mese  di  Maggio,  per  G.  Olmi,  Modena,  tip.  deli'  Imm.  Concezione,  1869. 
In  16.°  piccolo  di  pag.  36.  Prezzo  centesimi  12. 

—  Quattro  gemme  preziose,  offerte  alla  considerazione  delle  giovanelte,  da  G. 
Olmi.  Modena,  tip.  dell'  Imm.  Concezione,  1869.  Un  volumetto  in  6i.°  di 
pag.  151.  Prezzo  cent.  60. 

Le  quattro  gemme  sono  quattro  opuscoli  dif- 
Jereuti  riuniti  in  questo  grazioso  librettino:  Le 
comunioni  spirituali.  Perchè  non  volete  medi- 
lare.  La  modestia  cristiana.  Siale  gslose  del 
vostro  cuore.  Vi   si   aggiugne   in   ultimo    come 

P.  G.  P.  —  Le  veglie  e  pli  amoreggi  amenti.  Letture  di  campagna.  Torino,  tip. 
di  G.  Speirani  e  figli  1870.  In  32.°  di  pag.  90. 

P1NCELLI  LUIGI  —  11  vero  cattolico,  confermato  nella  verità  e  nella  pratica 
della  fede.  Nuovo  manuale  di  pietà,  per  Luigi  Pincelli  d.  C.  d.  G.,  seconda 
ediz.  con  correzioni  ed  aggiunte  dell'Autore.  Modena,  tip.  dell' Imm.  Con- 
cezione editrice.  Un  voi.  in  32.°  di  pag.  760. 


appendice  l'Alimento  alla  devozione  del  S.  Cuore 
di  Gesù.  Il  eh.  scrittore  e  nolo  per  la  pietà  e  la 
facilità  dei  suoi  scrini  asceti-i,  che  son  sempre 
accolti  di  tutti  con  grande  flducia. 


Allorché  fu  pubblicata  la  prima  edizione  di 
questi)  veramente,  prezioso  libretto,  mostrammo  il 
desiderio  che  MM  fosse  ampiamente  usalo  dalla 
gioventù.  Siam  dunque  conienti  di  vedere  così 
presto  fatta  una  seconda  edizione.  Essa  però  si 
avvantaggia  grandemente  sulla  prima:  non  tanto 
perche  l'edizione  è  mollo   più  elegante,   quanto 


perché  i  miglioramenti  e  le  aggiunte  fattevi 
dall'. nitore  sono  tali  e  tante,  che  il  libro  si  è 
quasi  raddoppiato,  giacché  da  470  pagine  che 
coniava  prima,  e  giunto  ora  a  700.  Il  libro  in 
fonila  tascabile,  legato  a  nano  mam. echino  con 
oro  nel  dorso,  e  impronta  a  secco,  mandasi  franco 
per  posla  con  sole  lire  2,  45. 


BIBLIOGRAFIA  589 

PINCELLI  LUIGI  —  La  divozione  a  Gesù,  Maria  e  Giuseppe,  coltivata  nel  cuore 
de'  giovani,  principalmente  nel  Marzo,  Maggio  e  Giugno,  con  appendice  di 
documenti  per  chi  finiti  gli  sludii  entra  nel  mondo.  Operetta  compilata  da 
L.  Pincelli  d.  C.  d.  G.,  seconda  edizione.  Modena,  tipogr.  edit.  dell' Imm. 
Concezione,  1870.  Un  voi.  in  32.°  grande  di  pag.  VJ7M55. 

—  San  Giuseppe  patrono  universale  della  gioventù  cattolica.  Riflessioni,  esem- 
pii e  pratiche  per  ogni  giorno  del  mese  di  Marzo,  del  p.  Luigi  Pincelli  di  C. 
d.  G.  Terza  edizione.  Modena,  tip.  dell'  Imm.  Concezione,  1870.  In  16.° 
piccolo  di  pag.  VJJ-120.  Prezzo  cent.  40. 

POLI STINA  TOMASO  —  L'accademia  della  gioventù  cattolica  napoletana,  e 
sua  Eminenza  Reverendissima  Sisto  Riario  Sforza  nel  giorno  19  Apri- 
le 1870.  In  8.°  di  pag.  7. 

POMPA  RAFFAELE  —  I  giorni  della  creazione.  Letture  istruttive  ed  educative 
pei  figli  del  popolo,  del  P.  Raffaele  Pompa.  Eboli,  tip.  di  F.  Spara- 
no, 1869.  Un  voi.  in  lb.°dipag.  198. 

A  prima  vista  sembra  che  in  queste  lettere  debba  idee,  sempre  conformi  all'  insegnamento  cristiano, 
trattarsi  esclusivamente  la  tanto  agitata  questione  e  per  la  istruzione  del  popolo  sufficienti.  Cosic- 
del  senso  che  dee  darsi  alla  parola  giorno,  ado-  che  per  la  varietà  sua,  questo  libro  di  lettura 
perata  da  Mosè  per  indicare  i  successivi  spazii  piacerà  molto:  e  sarà  utile  per  diffondere  le  pre- 
della creazione.  Ma  questo  non  è  che  il  tema  di  cipali  cognizioni  delle  varie  scienze.  Ei  sembra 
una  sola  di  esse;  le  ahre  si  occupano  degli  og-  che  il  sig.  Pompa  sii*  preparando  una  seconda 
getti  che  in  quei  giorni  furono  creati,  e  ciò  vuol  edizione.  Siamo  certi  che  essa  riuscirà  più  com- 
dire  che  nelle  ventisette  lettore  il  eh.  sig.  Pompa  piuta  e  più  corretta  sia  nelle  cose,  sia  nello 
abbraccia  ogni  cosa,  e  parla  un  po'  di  tutto.  Di  stile, 
ciascuno  de'  suoi  svariati  argomenti  dà  poche 

—  L'antinaturalismo  o  il  materialismo  moderno,  disaminato  e  confutato  nella 

Zoologia.  Dialoghi  in  dieci  serate  del  prof.  Raff.  Pompa.  Napoli,  tip.  di 
L.  Gargiulo  1869.  Un  voi.  in  16.°  di  pag.  204. 

E  un  breve  corso  di  zoologia,  per  istruzione  dei  Vi  sono  esposte  con  molta  chiarezza  le  notizie 

giovani  che  non  debbono  applicarsi  a  questo  sta-  più  importanti:  e  quello   che  vai   moltissimo  le 

dio  in  particolare.  Viene  esposto  sotto  forma  di  teoriche  cristiane  che   suppone  o   compruova,  o 

dialogo:  e  questo  ne  rende  più  amena  la  lettura,  svolge  sono  di  sana  dottrina. 

RENZONI  GIUSEPPE  MARIA  —  Il  Luglio  del  1870.  Ragionamenti  del  sacerdote 
Giuseppe  Maria  Renzoni,  a  vergogna  degli  spurii  figli  d'Italia,  insultanti  le 
sacre  immagini  della  Madre  di  Do  e  Madre  degli  uomini,  nella  città  di  Ve- 
nezia e  Lugo.  Roma,  tip.  Sinimberghi  1870.  In  16.°  di  pag.  30. 

RISI  FRANCESCO  —  De  baptismo  parvulorum  in  primitiva  Ecclesia  ;  Disserta- 
tio  theologico-historico-critica  P.  Francisci  Risi,  CG.  RR.  Infirmis  Miuistran- 
tium.  Romae,  ex  typ.  1.  Via,  1870.  In  8.°  di  pag.  147.  Prezzo  lire  3. 

Questa  che  il  eh.  prof.  P.  Risi  chiama  Disser-  che,  ne  pesa   le  ragioni,   ne  mostra  secondo  i 

tazioneé  propriamente  una  Monografia  che  esau-  Padri  l'insussistenza,  e  fa  toccar  con  mano  quale 

risce  la  qaistione,  e  che  possiamo  proporre  a' gio-  sia  sialo  sempre  l'uso  e  lo  spirito  della  Chiesa. 

vani  teologi  per  molello   come  trattare  a  fondo  Questa  dotta  monografia  si  legge  assai  volen- 

una  questione  teologica  istorica  e  critica.   Resta-  tieri,  sì  perchè  il  lettore  sente  di  apprendere  da 

va  ancor  qualche  nebbia  sulia  pretesa  consue-  uno  che  possiede  la  materia  da  maestro,  ma  pure 

tudine    della  Chiesa  primitiva    di    differire  più  scrive  con  modestia  senza  darsi  aria  e   autorità 

volentieri  il  battesimo  all'età  adulta  per  pru-  di  maestro;  si  perche  la  materia  è  disposta  con 

denti  ragioni  di  disciplina.    Ora  il  P.  Risi  di-  grande  ordine  e  trattata  con  eleganza  e  con  gra- 

moslra  ad  evidenza  dalle  testimonianze  de' Padri  zia;  e   sì  finalmente  perchè  vi  è  detto  tutto  ciò 

dei  primi  secoli  e  dai  monumenti  dell'antichità  che  si  richiede    e   non  più;    senza   lunghezza  o 

cristiana  che  il  differire  il  battesimo  all'età  adulta  brevità;  senza  ripetizioni  o  episodii;  sicché  il  let- 

non  è  stalo  mai  consuetudine  della  Chiesa,  ma  tore  dopo   lette  tutte   le  147   pagine  senza  sa- 

abuso  sol  di  privali;  ne  addita  le  origini  istori-  zietà  rimati  soddisfatto. 


590 


BIBLIOGRAFIA 


ROMANO  ANTONIO  —  Soluzione  del  problema  sul  moto  perpetuo  o  continuato, 
ossia  disposizione  meccanica  sul  nuovo  sistema  della  leva  per  avere  forza 
e  velocità,  lavoro  importante  del  modo  d'ottenere  una  forza  motrice  per- 
manente, di  Antonio  Romano  da  Como,  con  tavole  litografiche.  Como,  coi 
tipi  di  C.  Franchi  1809.  In  16.°  dipag.  X  -  30. 

—  Esposizione  di  quattro  nuove  scoperte.  11  moto  perpetuo  o  continuato  per 
quattro  leggi  e  per  due  sistemi  diversi,  sviluppo  della  circonferenza  al  dia- 
metro meccanicamente  d'una  data  ruota;  Attrazione  di  forza  dei  corpi  scen- 
denti sui  piani  inclinati;  L'acqua  rotante  su  d'un  asse  ovale,  costituita  in 
un  molino  continuato;  La  luce  perpetua  appoggiala  sul  moto  continuato; 
Nuovo  sistema  di  equilibrio  sulle  bilancie;  La  quadratura  del  circolo  dimo- 
strato a  rigore  di  leggi  naturali,  per  Antonio  Romano  di  Como.  Con  tavole 
litografiche.  Como,  dalla  tip.  di  Carlo  Franchi  1870.  In  16.°  dipag.  41. 

11  modo  onde  1' autore  scioglie  il  problema  è    Varia  l'autore  in  più  guise  il  congegno:  ma  sem- 


pre il  principio  a  cui  ricorre  è  queslo  da  noi  an- 
nunziato. Veggano  i  matematici  se  le  teoriche  del 
eh.  sig.  Romano  reggano  innanzi  ai  primipii  della 
scienza:  e  mollo  più  veggano  i  meccanici  se  pas- 
sando dalla  teoria  al  fatto  non  si  trovi  sfumato 
tutto  il  vantaggio,  siccome  noi  crediamo  che 
possa  accadere,  d.igli  attriti  e  dalla  resistenza  del 
congegno  slesso.  Noi  ci  passiamo  d'ogni  giudi- 
zio: ed  abbiam  solo  voluto  annunziar  l'idea,  per- 
che può  essere  utile  in  qualche  caso;  se  non  a  da- 
re il  moto  perpetuo,  almeno  ad  aiutare  qualche 
altro  meccanismo. 


questo.  Un  peso  che  scendesse  con  maggior  forza 
di  quello  che  salisce,  e  che  potesse  effettivamente 
alternare  di  continuo  le  sue  discese  e  salite,  la- 
scerebbe ad  ogni  ritorno  un  eccesso  di  forza,  che 
può  utilizzarsi.  Questo  salire  e  scendere  è  conge- 
gnato per  via  di  ruote,  il  cui  diverso  raggio  e 
diverso  punto  di  rotazione  permettano  a  un  si- 
stema di  pi.le  di  trovarsi  all' estremità  di  leve 
e  di  lunghezza  differente:  cosicché  quelle  che 
scendono  siando  a  una  maggior  distanza  dal  ful- 
cro, possono  non  solo  equilibrare,  ma  vincere  lo 
sforzo  di  quelle  che  montano,  e  così  lasciare  un 
residuo  di  forza  non  elisa  da  veruna  resistenza. 

SANES1  RANIERI  —  La  buona  Maria,  ossia  la  donna  educata  a  vera  pietà  dal  cul- 
to cattolico.  Racconto,  dell'abate  Ranieri  Sanesi.  Torino,  tip.  dell'orato- 
rio di  S.  Frane,  di  Sales  1870.  Un  voi.  in  32.°  di  pag.  320.  Prezzo  lira  1. 

Questa  è  una  seconda  edizione  d'  un'  operetta 
pregevolissima,  premiata  fin  dal  1854  dalla  So- 
cietà toscana  per  la  diffusione  dei  buoni  libri, 
e  lodala  assai  da  tutta  la  stampa  cattolica,  e  della 
quale  noi  pure  parlammo  con  motto  elogio  allor- 
ché Uscì  alla  luce.  Essa  e  in  sostanza  la  spiega- 

SARRA  DOMENICO  —Vita  del  ven.  card.  Cesare  Baronio,  scritta  dall'ab.  Dome- 
nico Sarra,  eh.  benefiziato  del. a  basilica  di  S.  Pietro  in  Vaticano,  e  Retto- 
re del  Seminario  di  detta  basilica.  Roma,  tip.  Aureli  e  C.  1862.  Un  voi. 
in  8.°  di  pag.  190. 


zione  popolare  delle  principali  cerimonie  del  rito 
cattolico:  ravvivata  dall'innesto  fattone  con  molto 
garbo  in  un  semplice  raccon'o  edificante.  Ora  si 
ristampa  con  i'  utile  Rimila  sul  modo  migliore  di 
assistere  alla  santa  Messa. 


gl'ore  rapidiià  di  stile,  e  più  compiuto  del  se- 
condo per  maggiore  abbondanza  di  materie.  Que- 
sta nuova  Vita  del  Baronio  adunque  sarà  gra- 
dita e  vantaggiosa  a  ogni  sorta  di  persone  ec- 
clesiasiiche,  ricordando  novamente  e  con  più 
luminosi  maniera  gli  esempii  di  un  così  illustre 
personaggio. 


11  Bernabei  più  dist»  samenle  in  latino,  e  il 
Tuzii  più  compendiosameiiie  in  italiano  riferiro- 
no la  storia  della  vita  di]  e  e  le  lire  Card.  Baro- 
nio, lume  splendidissimo  di  virtù  e  di  sapere. 
Sulle  loro  orme  ha  scrino  ora  il  eli.  abb.  Sarra, 
tenendosi  in  neuO  fra  Imo  due:  poiché  mentre 
arricchisce  di  nuove  notizie  quanto  essi  riferi- 
scono, riesce  meri  voluminoso  del  primo  per  mag- 

SCARP1N1  AMBROSIO  —  I  titoli  di  ordinazione  con  riguardo  alle  leggi  7  Lu- 
glio 1866  e  15  Agosto  1867.  Memoria  dell'avvocato  Ambrogio  Scarpini. 
Crema  1870,  tip.  Campanini.  In  8.°  di  pag.  40. 

Importantissimo  argomento  vien  trattalo  nella    guarda  i  titoli  di  ordinazione,  relativamente  alle 
dotta  desolazione  del  eh.  avv.  Scarpini.  Es60  ri-     leggi    nuove  doti'  Italia.  Quattro    quesiti   si    fa 


BIBLIOGRAFIA  591 

l'autore,  che  noi  qui  riportiamo,  aggiugucnJo  la  rentliu  pubblica  pei  beni  stabiliti  che  li  orsi  tui- 

risposta,  che  dopo  la  più  severa  discussione  le-  sconti?  Risposta:  I  titoli   di  Wdijùxkne  puri  e 

-so  dà  a  ciascuuo.  I.°  Quesito.  Sono  sop-  semplici  non   vi  seno  inai  soggetti.:  i  B  niflcii 

pressi  i  Titoli  di  ordinazione  puri  e  semplici?  Ri-  Titoli  vi  sono  soggetti  alla  morte  degP  invititi, 

sposta:  No.  —  li.»  Qui  ito.  Sono  soppiessi  i  titoli  o  alla  c^sa/.ione  del  Beneficio.  —  IV.0  Quesito.  È 

che  si  costituirono  mediante  I*  investitura  di  un  applicabile  a  questi  titoli  la  tassa  del  30  per  %? 

qualche  Beneficio?  Risposta:  No,  lino  alla  morte  Risposta:  Assolutamente  No,  pei  titoli  di  ordi- 

del  .«Mceruote  che  ne  e  investito,  o  alla  cessano-  nazione  puri  e  semplici;  e  No  eziandio  tinche  i 

ne  in  lai  dei  Benefìcio  stosso.  —  III.»  Quesito.  So-  Beneficai  tengon  luogo  di  Titoli   di  ordinazione, 
no  sogg.-tli  questi  due  titoli  alla  conversione  in 

SCHIAVI  L0REKZ0  —  Manuale  didattico-storico  della  letteratura  italiana,  con 
annessi  saggi  di  scelti  autori,  per  esercizio  della  scolaresca.  Testo  ad  uso 
delle  classi  ginnasiali  superiori  e  d'altre  scuole,  compilato  dalFab.  Lorenzo 
Schiavi,  socio  corrispondente  dell'accademia  Raffaello  d'Urbino,  ecc.  ecc. 
Trieste,  tip.  delLloyd  Austriaco  1870.  Un  volume  in  8.°  di  pag.  202. 
Prezzo  lire  2,  SO. 

Ottimo  libro  è  questo  dei  eh.  ab.  Schiavi,  che  lunque  di  componimento,  e  poi  discende  a  dire 

può  servirò  a  un  tempo  e  per  corso  di  storia  let-  di  quelli  che  vi  si  sono  più  segnalati,  narrando 

tararla,  e  per  corso  di  Estetica  italiana.  Giacché  di  loro  e  delle  loro  opere  le   principali  vicende  e 

l'autore  prima  paria  in  genere  d'ima  specie  qua-  qualità,  e  riportandone  lunghi  tratti  per  esempio. 

SILiPìGNI  GIUSEPPE  —  Pr.  loseplii  Silipigni,  in  R.  Neapolis  universitate 
s.  theologia  dogmatica  approbati  ac  flonmontanae  vibonensis  socii.  De  re 
iiteraria  Specimen.  JSeapoli,  typis  S.  deLellalfKQ.  In  8.°  di  pag.  23. 

SPINOLA  FABIO  AMBROSIO  —  Vita  del  B.  Carlo  Spinola,  martire  della  Compa- 
gnia di  Gesù,  scritta  dal  P.  Fabio  Ambrogio  Spinola,  della  medesima  Com- 
pagnia. Novissima  edizione  corretta  ed  accresciuta.  Roma,  coi  tipi  della 
Civiltà  Cattolica  1869.  Un  voi.  in  16.°  di  pag.  248.  Prezzo  lir.  1.  70. 
Vendesi  in  Roma  neW  Ufficio  della  Civiltà  Cattolica,  e  nella  tipografia  di 
Propaganda. 

U  P.  Fabio  Ambrogio  Spinola  descrisse  con  traile  dagli  originali  che  conservare  nell'Archivio 
aurea  semplicità  e  con  molto  naturale  eleganza  del  Gesù  in  Roma.  In  fine  alla  vita,  oltre  i  mi- 
la vita  del  B.  Carlo  Spinola,  Martire  della  Coni-  racoli  operati  da  Dio  a  intercessione  del  suo 
pagnia  di  Gesù.  Questa  vita  esce  ora  alla  luce  Servo,  e  agli  atti  della  Beatificazione  il  P.  Boe- 
ampliala  di  molto  per  opera  del  eh.  agiografo,  ro  ha  aggiunto  alcune  notizie  degli  altri  martiri 
il  P.  Giu-eppe  Boero.  Egli  inserisce,  sulle  trac-  che  insieme  col  B.  Carlo  e  nel  medesimo  giorno 
«e  del  primo  autore,  nuove  lettere  del  B.  Carlo,  confermarono  colla  vita  la  loro  fede. 

TAVANI  II.  —  San  Luigi  Gonzaga  della  Compagnia  di  Gesù,  esemplare  e  protet- 
tore della  gioventù  studiosa,  per  IL  Tavani,  della  stessa  Compagnia.  3a  edi- 
zioneriveduta  dall'autore.  Modena,  tip.  deWImm.  Concezione  1870.  Un 
voi.  in 32.*  dipag.%20. 

T.  B.  C.  I.  —  Isabellina  Maria  da  Rubiera,  rammemorata  ad  esempio  di  virtù 
da  T.  B.  C.  I.  Breve  memoria  intorno  a  Teresa  Ricci.  Modena,  tipi  dell'Im- 
macolata Concezione  1870.  Un  voi.  in  32.°  di  pag.  256. 

TEXIER  P.  CLAUDIO  —  Saggio  di  traduzione  delle  opere  del  P.  Claudio  Texier 
d.  C.  d  G.  per  un  sacerdote  lombardo.  Reggio  [Emilia),  tip.  Bondavallì 
e  compagni  1868.  In  8.°  di  pag.  87.  Prezzo  lire  0.  75. 

Il  p.  Claudio  Texier  d.  C.  d.  G.  uomo   quanto  na,  e  ne  dà  ora  un  saggio  in  sei  orazioni  che 

zelanti-  altrettanto  dotto,  fu  predicatore  insigne  il  pubblica.  La  versione  assai  ben  fatta  sarà  certo 

Francia,   lasciò  stampiti!  più  di  treccino  fra  Pre-  accolta  favorevolmente  dal  pubblico,  e  ci  dà  luo- 

diche,  Panegirici,   Spiegazioni,  Meditazoni,  Di-  go  a  sperare  che  tutte  le  opere  del   Texier  po- 

scorsi  morali  e  via  dicendo.  Tulli  sono  pregevo-  Iranno  essere  lette  e  gustate  dagl'Italiani  fra  non 

li  per  dottrina  e  par  eloquenza.  Il  sacerdote  lom-  mollo  tempo, 
bardo  C.  L.  ne  ha  cominciata  la  versione  Italia- 


592  BIBLIOGRAFIA 

TRASMONDO-FRANGIPÀNI  CAMILLO  —  De  Frangi panibus  ill\  ricis  eorumque  con- 
sanguineis;  commentarium  anctore  dyriàstó  Camillo  Trasmunde-Vrangipane, 
ex  ducibus  Mirabelli.  Romae,  typis  Civilitatis  Cath.  1870.  7?i8.°  clip.  51. 

L'illustre  famiglia  dei  Frangipani  discenderne  sii  Duchi  di  Mirabella  hanno  tulli  i  dritti  che  alla 
dalla  antichissima  stirpe  romana  degli  Anicii,  da  discendenza  dei  Frangipani  sarebbero  «petlati.Que- 
Roma  ove  dimorava  slanziossi  in  Venezia.  Di  quivi  sto  è  l'argomento  del  Commentario  qui  sopra  an- 
trasferissi  nell'Illirico  e  nella  Croazia,  ove  gode-  nunziato,  composto  dal  eh.  Bar.  Camillo  Tras- 
rono  molti  e  nobili  feudi.  Estinti  i  Frangipani  mondo-Frangpani  dei  duchi  di  Mirabella,  sopra 
ebbero  per  eredi  i  Duchi  di  Mirabella,  provenienti  i  documenti  più  autentici,  e  con  copia  grande  di 
da  Girolamo  Gregorio  Terzaz,  uuo  dei  Frangipani  notizie  domestiche,  e  scritto  in  elegante  stile  la- 
illirici  ;  siccome  fu  da  sentenza  del  1052  solen-  tino,  che  all'ordine  del  discorso  aggiugne  ehia- 
nemente  giudicato.  I  discendenti  adunque  di  que-  rezza  e  maestà. 

TRIPEPI  LUIGI  —  Religio.  Carmina  Aloisii  Tripepii,  in  litterariis  Urbis  coeti- 
bus  recitata,  Romae,  ex  typ.  Bonarum  artium  1870.  In  8.°  di  p.  189. 

Molle  volte  dovemmo  nei  nostri  quaderni  en-  per  le  poesie  latine  contenute  nel  presente  volume, 

eo.niare  i  lavori  letlerarii  del  eh.  mons.  Tripepi,  Esse  sono  di  buona  tempera,  sì  pel  concetto  poe- 

che  alla  fecondità  dell' ingegno  accoppia  coltura  lieo  di   ciascun   componimento,  sì  per  lo  stile 

non  volgare.  Aggiugniamo  ora  una  nuova  lode  non  solamente  corretto,  ma  eziandio  elegante. 

VARII  AUTORI  —  Alla  tomba  del  cavaliere  Ferdinando  de  Luca.  Omaggio  di 
parenti  ed  amici.  Napoli,  tip.  di  A.  Trani  1870.  in  8.°  dì  p.  128. 

•  Ferdinando  De  Luca  fu  una  gloria  del  F.egno  di  composti  e  pubblicati.  Le  consolazioni  de/la  re- 
IS'apoli  per  l'eminente  sua  scienza  nella  geogra-  ligione  cattolica,  alla  quale  fu  sempre  ossequio- 
fla,  nella  matematica,  nella  fìsica,  non  che  in  al-  so,  confortarono  gli  ultimi  suoi  momenti.  Tri- 
tri  svariati  rami  dell*  umano  supere.  Ebbe  lun-  buio  a  sì  cara  memoria  offrono  gli  amici  e  con- 
ghissima  vita  di  87  anni,  sempre  laboriosa  o  in-  giunti  suoi  in  questo  libro,  che  sarà  vero  mo- 
segnando,  o  scrivendo,  o  consigliando.  Uà  la-  numento  di  gloria  per  i  suoi  concittadini, 
sciato  una  dovizia  di  libri  assai  pregevoli  da  lui 

VECCHIOTTI  GIAMBATTISTA  —  Dell'educazione  del  cuore.  Discorso  del  dott. 
Giambattista  Vecchiotti,  membro  del  consiglio  scolastico  provinciale  di 
Pesaro  e  delegato  scolastico  del  mandamento  di  Urbino.  Urbino,  tip.  del 
Me  lauro  1870.  In  8.°  di  pag.  43. 

VENTURI  LUIGI  —  Per  F8.0  Decembre  1869  solenneggiato  in  S.  Eufrasia  di  Pi- 
sa, versi  allo  Spirito  consolatore  e  a  Maria  Immacolata.  Pisa,  tip.  di  hit. 
cali.  1869. /«  16.°  di  pag.  15. 

VITELLESCH1  DEGLI  AZZI  IGNAZIO  — Vero  concetto  del  sacro  Cuore  di  Gesù, 
dimostrato,  in  omaggio  al  Concilio  ecumenico  vaticano,  dal  marchese  Igna- 
zio Vitelleschi  degli  Azzi,  patrizio  folignate  e  romano.  Roma,  tip.  Palot 
fa  1870.  In  8.°  di  pag.  27. 

Nella  speranza  che  per  opera  del  Concilio  va-  discorso  a  mostrare  l'istituzione  della  devozione 
ticano  si  accresca  il  cullo  del  divin  Cuore,  il  al  sacro  Cuor  di  Gesù  qual  compimento  delle 
marchese  Vitelleschi  pubblica  questo  splendido    opere  fatte  da  Cristo  a  benefìcio  degli  uomini. 

ZANNINI  ANTONIO  —  Rime  dell'arciprete  Antonio  Zannini,  vicario  foraneo  nel- 
la collegiata  chiesa  di  Pieve  di  Cento,  seguite  da  una  centuria  d1  iscrizioni 
italiane.  Bologna,  società  tip.  dei  Compositori  1870.  In  8.°  di  p.  356. 

Il  eh.  Arciprete  Zinnini  è  as«ai  colto  scrittore,  sunasorle.  V'ha  tra  queste  rime  dei  componimenti 

Le  sue  poesie  sono  ben  pensato,  bene  svolte,  ben  veramente  belli  :  e  come  tali  citeremo  i  quindici 

corrette.  Qnella  facilità,  che  a  prima  vista  sem-  sonetti  in  lode  della  B.  Vergine.  Le  cento  iscri- 

bra  così  naturale,  è  pur  frutto  di  slud  o  e  di  lima  zioni  che  leggonsi  in  fine  sono  pregevoli  molto: 

non  picciola!  La  scuola  c.ii  appartiene  lo  Zan-  e  care  specialmente  quelle  non  poche,  scolpite  so- 

nini,  è  la  classica  scuola  italiana;  ed  il  suo  gu-  pra  urne  funerarie  di  fanciulli  e  fanciulle, 
sto  è  buono,  perche  senza  esaggerazione  di  nes- 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

I. 

RIVISTA  BIBLIOGRAFICA 

1.  Alcuni  cattivi  opuscoli  tedeschi. 

1.  Papsthum  and  Concil.  Antwort  auf  die  21  Canones  als  Mahnruf 
an  des  deufsche  Volk  zur  AbschiUtlung  des  Joches  Rómischer  Herrsch-und 
Habsucht.  Leipzig,  Verlag  von  Otto  Wigand,1870.  (Papato  e  Concilio.) 
In  16.°  di  pag.  72. 

Questo  libercolo  è  un  ardente  appello  alla  rivolta  contro  la  Chiesa. 
Concetti  e  stile  sono  tutti  appropriati  a  quella  maniera  di  scritture,  in 
cui  Podio,  il  furore  e  la  calunnia  dominano  da  un  capo  all'altro.  La  pas- 
sionata cecità  dell'Autore  anonimo  non  incrudelisce  solamente  colla  sto- 
ria, ma  ancora  col  buon  senso.  Figuratevi,  che  egli  afferma  essersi  di- 
vietato da'  Romani  Pontefici  (ino  al  1825  da  Papa  Leone  XII  l'innesto 
del  vaiuolo,  siccome  cosa  empia  (gottlos),  e  dai  predecessori  di  Papa 
Pio  IX  essersi  messe  al  bando  le  ferrovie,  siccome  opera  diabolica. 
Quando  uno  scrittore  sdogana  simili  corbellerie  per  cieco  furore  di  par- 
te, merita  di  essere  compatito  qual  pazzo,  anziché  confutato  qual  ra- 
gionatore. 

2.  Die  Unfehlbarkeit  des  Papstes  in  Widerspruche  rnit  1800  jàhrigen 
Erfahrung  der  Kirche,  der  Yernunft,  and  dem  sittlichen  Gefuhle  desMen- 
schen  von  einen  kalh.  Geist lichen.  Speyer,  Drack  and  Verlag  von  G.  L. 
Laug.  (La  infallibilità  del  Papa  in  opposizione  alla  pratica  della  Chiesa 
di  1800  anni,  alla  ragione  ed  al  sentimento  morale  dell' uomo,  per  un 
prete  cattolico.)  In  12.°  di  pag.  23. 

Il  presente  libretlucciaccio  è  tutto  sul  taglio  dell'antecedente.  Quello 
che  spicca  meglio  e  la  calunnia,  la  ignoranza  nelle  cose  di  religione,  la 
ipocrisia  con  che  l'autore  anonimo  si  spaccia  prete  cattolico.  La  profes- 
sione di  eguale  tolleranza  verso  i  principii  religiosi  di  qual  che  siasi  cre- 
denza, il  disprezzo  delle  definizioni  dommatiche,  come  di  cose  inutili, 
ed  il  gridare  da  forsennato  alle  crudeltà  della  Chiesa,  dicono  alto  che  il 
libercolaccio  è  roba  massonica ,  tale  essendo  il  linguaggio  usato  dai 
massoni. 
Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  491.  38  26  Agosto  1870. 


594  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

3.  Die  Unfehlbarkcitsfrage.  E  ine  Bcleuclilung  dcr  in  der  «  Bres'auer 
Haushlatlcrn  »  cnthaliencn  Glcsscn  suri  Manifest  Dollingers  in  dcr  Unfehì- 
barkeitsfrage,  und  den  Zusnmmungsadressen  deutscher  Gelehrter.  Eres- 
iati, Verlag  von  Joseph  Max  et  Konip.  1870.  (La  quistione  della  infalli- 
bilità. Uno  schiarimento  delle  chiose  contenute  nei  «  Fogli  di  famiglia  di 
Breslavia  »  circa  il  manifesto  del  Dòllinger  ecc.)  In  16/  di  pag.  36. 

L'autore  di  questo  libro  è  un  curato.  Se  sia  stato  o  no  discepolo  del 
Dòllinger  non  consta.  Il  certo  si  è,  che  egli  vedendolo  combattuto  nel  suo 
Manifesto  e  con  lui  i  professori  partigiani,  si  sentì  rimescolare  il  sangue, 
ed  entrato  in  lizza  volle  rompere  una  lancia  in  lor  favore.  Per  lui  i  di- 
fensori della  infallibilità  sono  uomini  passionati,  ingiusti  aggressori, 
lasciatisi  trasportare  dall1  astio  ad  assalti  personali.  E  questo  perchè? 
Per  una  quistione,  che  esaminata  intrinsecamente  ed  estrinsecamente 
appare  di  niun  prò  a  segno  da  recar  maraviglia  il  veder  uomini,  a  cui 
sta  a  cuore  il  bene  e  il  male  della  Chiesa,  accendersi  cotanto.  E  contro 
chi?  Contro  un  Dòllinger,  contro  uomini  che  fedeli  a  un  loro  convinci- 
mento si  mostrano  tali  con  indirizzi  di  adesione.  Dalle  querele  venuto 
al  punto  della  difesa  i  suoi  colpi  riescono  di  si  poco  valore,  che  le  chio- 
se da  lui  volute  confutare  appaiono  la  parte  più  bella  del  suo  scritto. 
Ora  poi,  che  il  Concilio  ha  giudicato  altrimenti  circa  la  quistione  della 
infallibilità,  non  dubitiamo,  che  il  buon  curato  non  abbia  smesso  le  sue 
opinioni  favorevoli  al  Dòllinger  ed  ai  suoi  discepoli. 

i.  Schrìft  und  Tradition.  Bine  Widertegung  der  ròmischrn  Leìire  vom 
unfehibaren  Lehramte  und  der  rbmischen  Einwiirfe  gegen  das  evangeli- 
scìie  Schriftprincip,  mit  besondercr  Beziehung  auf  die  Scrift  drs  Frei- 
herm  von  Ketteler,  Biscìiofs  vonMainz:  «  Das  allgemeine  Concil  und 
seine  Bedeatung  far  unscre  Zeit  »  ven  August  Wilhelm  Dieckhoff,  Doclor 
und  Professor  dcr  TJieologie  zuRostock.  Rostock,  und  Malchin,  Stillersche 
Hofbuchandlung  (Hermann  Schmidt)  1870.  (Scrittura  e  Tradizione.  Una 
confutazione  della  dottrina  romana  circa  il  magistero  infallibile,  e  delle 
romanesche  obbiezioni  contro  il  principio  evangelico  della  Scrittura  ecc.) 
In  16/  di  pag.  170. 

Monsignore  di  Ketteler  Vescovo  di  Magonzanel  suo  bel  libro:  «  11  Con- 
cilio ecumenico  ed  il  suo  significato  pel  nostro  tempo  »,  avendo  provato 
F  infallibile  magistero  della  Chiesa  contro  il  principio  protestanlico,  che 
riduce  tutta  la  dottrina  di  Gesù  Cristo  alla  privata  intelligenza  della  Scrit- 
tura; il  professore  di  telogia  protestantica  a  Rostock  sorge  collo  scritto 
annunziato  a  difendere  il  principio  della  propria  setta,  studiandosi  di  ab- 
battere in  pari  tempo  quello  della  Chiesa  cattolica.  Egli  adunque  non  as- 
salta di  fronte  il  Concilio,  ma  il  principio  di  autorità  su  cui  appo  - 
la  credenza  cattolica,  e  donde  traggono  per  conseguenza  tutta  la  loro 
forza  le  definizioni  dommatiche  del  Concilio.  Il  principio  luterano,  chela 
sola  Scritturi,  basti  di  per  se  al  cristiano,  che  essa  sola  delibasi  pigliare 
a  maestra  e  duce,  che  sia  cosa  aperta  a  tutte  le  intelligenze  si,  che  non 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  595 

occorra  alcuna  autorità,  che  ne  suggelli  il  vero  significato,  è  cosa  vinta 
con  argomenti  irrepugnabili  fin  da  quando  fu  messo  in  corso  dal  suo 
autore,  e  non  v'ha  corso  di  teologia,  in  cui  non  venga  coi  medesimi  con- 
futato. Onde  il  trattenerci  nel  dimostrare  quanto  malamente  venga  pro- 
pugnato dal  professore  DieckholT  contro  gli  argomenti  del  Vescovo  di 
Magonza  e  in  danno  dell'autorità  infallibile  del  Concilio,  sarebbe  tempo 
gittato. 

5.  Schivi  eri  g  keiten  der  Lehre  con  des  papstlichen  Unfelbarkeit,  und 
ihre  Lósung  durch  die  modernm  Infallibilisten.  Von  einen  Priester  der 
Diocese  Padérborn.  Miinster,  E.  C.  Bruns  Verlag,  1870.  (Difficoltà  cir- 
ca la  dottrina  della  infallibilità  pontificia  e  la  loro  soluzione  per  i  moder- 
ni infallibilisti.)  In  16.°  di  pag.  43. 

Porre  nel  miglior  lume  possibile  le  difficoltà  che  occorrono  contro  il 
domma  delia  infallibilità  pontificia,  e  dimostrare  la  debolezza  delle  rispo- 
ste è  il  primo  scopo  dell1  autore  di  questo  opuscolo.  Trattandosi  qui  di 
pesare  il  valore  delle  ragioni  di  due  parti  opponentisi,  ognun  vede, 
che  vi  bisognava  un1  animo  puro  di  qualunque  amore  di  parte  affine 
di  sentenziare  prò  o  contro  Tuna  di  esse  equamente.  11  prete  anonimo 
non  trovandosi,  come  rilevasi  da  tutto  lo  scritto,  in  tale  condizione,  qual 
meraviglia  del  suo  torto  giudizio?  Di  qui  il  seguire,  che  egli  fa  ad  occhi 
chiusi  il  Dollinger  ed  i  suoi  discepoli  professori  e  il  dare  in  quelli  erro- 
ri, in  che  essi  sventuratamente  hanno  inciampato.  Contentiamoci  di  se- 
gnalarne due.  Il  primo  si  è  d:  porre  l'occhio  nelle  difficoltà  e  queste  ma- 
gnificare, senza  curar  punto  la  dimostrazione  che  la  infallibilità  pontificia 
è  una  credenza  rivelata.  Donde  il  prete  anonimo  argomenta  malamente 
così  :  le  difficoltà,  che  si  oppongono  alla  infallibilità  pontificia  sono  gra- 
vi e  per  niun  conto  risolute  dai  difensori  della  medesima;  dunque  non 
esiste  un  tal  privilegio  :  neghiamo,  che  non  siano  sciolte  per  lo  meno 
sufficientemente.  Pognamo  che  per  l'anonimo  la  soluzione  non  tocchi 
l'alto  grado  della  evidenza,  si  dovrà  per  questo  negarla?  In  questo  caso 
quale  credenza  cattolica  rimarrebbe  intatta?  Sfidiamo  a  trovarne  una, 
contro  la  quale  non  siano  state  opposte  gagliarde  difficoltà  e  di  più  for- 
te tempera  che  non  mostrano  quelle  da  lui  raccozzate  contro  la  infallibi- 
lità pontificia.  Le  difficoltà  non  distruggono  il  fatto.  Dalla  scrittura  e 
dalla  tradizione  è  dimostrato,  che  la  infallibilità  pontificia  è  cosa  rivela- 
ta; e  però,  valendo  il  detto  che  contro,  factum  non  valet  argumentum, 
niuna  obbiezione  potrà  mai  distruggere  questo  fatto.  Qui  sta  il  vero 
punto  della  difficoltà. 

I  discepoli  del  Dollinger,  da  cui  il  prete  anonimo  trae  i  suoi  argo- 
menti, negano  la  rivelazione  di  un  tal  fatto.  «  Gl'infallibilisti,  essi  dico- 
no, fanno  incetta  di  testimonianze  dei  Padri,  nelle  quali  viene  indicato 
comecchesia  il  privilegio  della  infallibilità  ne1  Papi,  gì1  interpretano  nel 
loro  senso,  celano  la  possibilità  di  un  altro  significalo,  ed  ignorano  del 
tutto  i  luoghi  contrarii  (pag.  o).  »  E  qui  ridendosi  di  questo  metodo 


596  COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO 

senza  critica,  proprio,  loro  mercè,  dei  gesuiti,  e  sciorinando  tuttala 
loro  erudizione  patristica,  conchiudono  che  per  esso  potrebbonsi  de- 
durre stranissime  cose  dalla  tradizione,  a  mo'  di  esempio,  che  l'Arci- 
vescovo di  Alessandria  ha  il  primato  sopra  tutta  la  Chiesa  colla  giunta 
della  infallibilità  nelle  cose  della  fede,  e  che  S.  Paolo  fu  eguale,  se  non 
superiore,  a  S.  Pietro  in  dignità.  Così  ragionano  i  discepoli  del  Dòllin- 
ger  senza  farsi  coscienza  del  fatto  calunnioso,  che  mettono  a  carico  di 
quelli  che  difendono  la  infallibilità.  Ma  senza  prò:  giacche  cotesti  gran- 
di maestri  di  critica,  commettono  quel  reato  di  che  accusano  gl'iiil'alli- 
bilisti;  e  ciò  nell'atto  stesso  dell1  accusa  ! 

E  in  vero  la  prima  colpa,  che  appongono,  si  è,  che  il  metodo  degli 
infallibilisti  è  illogico:  ebbene  in  questa  colpa  cadono  eglino  stessi.  Ve- 
detelo nel  primo  esempio  succitato.  S.  Gregorio  Nazianzeno,  essi  dico- 
no, dà  a  S.  Atanasio,  Arcivescovo  di  Alessandria,  il  titolo  di  primo  dei 
sacerdoti,  di  colonna  della  fede,  di  norma  della  retta  credenza  :  dunque 
l'Arcivescovo  di  Alessandria,  stando  al  metodo  degl' infallibilisti ,  do- 
vrebbe dirsi  primate  ed  infallibile  al  paro  del  Papa.  —  Vana  deduzio- 
ne. Essa  è  illogica  in  sé:  giacché  attribuiscono  inerente  alla  successione 
nella  cattedra  alessandrina  quello  che  S.  Gregorio  Nazianzeuo  predica 
di  S.  Atanasio,  siccome  proprio  delle  sue  virtù  personali ,  mutando  nel- 
la conseguenza  il  soggetto  dell'antecedente  contro  la  legge  della  logica. 
È  anche  illogica  nell'applicazione:  perchè  gl'infallibilisti  pongono  il  pri- 
mato e  l'infallibilità  nel  Papa,  in  quanto  le  qualifiche  date  dai  Padri  ai 
Papi  sono  fondate  su  le  promesse  di  Cristo,  e  non  su  i  pregi  personali. 

La  mancanza  dì  critica  nel  considerare  le  relazioni)  che  le  testimo- 
nianze arrecate  hanno  col  contesto,  è  la  seconda  colpa,  di  che  gli  avver- 
sarli ci  accusano,  e  di  questa  si  fanno  rei  eglino  stessi.  S.  Giovanni  Cri- 
sostomo nel  Commentario  della  epistola  ai  Galati,  dice  S.  Paolo  pari  in 
onore  a  Pietro:  dunque,  conchiudono,  stando  al  metodo  degli  infallibili- 
sti, la  Chiesa  avrebbe  avuto  da  principio  due  capi.  Ebbene,  leggete  per 
disteso  il  tratto  del  Grisostomo  e  troverete  1."  che  il  senso  di  quel  pari 
in  onore  si  riferisce  non  al  primato,  ma  all' onore. di  essere  stali  tutti  e 
due  istruiti  dalla  bocca  del  Redentore  nelle  cose  della  fede:  2.°  che  lo 
stesso  santo  Dottore  indica  apertamente  il  sovraeminente  primato  di  san 
Pietro  sopra  tutta  la  Chiesa,  osservando,  come  S.  Paolo  si  portò  a  Ge- 
rusalemme non  per  vedere  semplicemente  Pietro  (  £«w  ),  ma  sì  per  ve- 
derlo e  conoscerlo  (  loropraat  )  parlandone  a  modo  di  quelli,  che  visitano 
le  grandi  e  splendide  città,  adeo  ,  conchiude,  iudicabal  operae  predimi 
esse  tanlummodo  ridere  virum.  Chi  non  vede  in  questo  la  cosa  straor- 
dinaria che  dovea  esser  Pietro  dinanzi  agli  occhi  di  Paolo  secondo  il  sen- 
timento del  Grisostomo?  Non  sono  dunque  illogici  nel  loro  metodo  gli 
infallibilisti,  ma  i  seguaci  del  Dollinger:  non  mancano  di  critica  i  difen- 
sori della  infallibilità,  ma  sì  gli  oppositori  e  con  essi  il  prete  anonimo, 
che  se  ne  fece  cieco  discepolo. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  597 

II.  Due  risposte  a  due  libelli. 

1.  Le  suffragiorum  phir  alitate  in  Conciliis  gcneralibus  contro,  L'una- 
nimi té  dans  les  Conciles  cecuméniques,  per  Iosepiujm  Pennacchi,  in  Ro- 
mana stucliorum  Unicersitate  Uistoriae  ecclesiasticae  professorem  substi- 
tutum.  Romae,  typis  Iosephi  Gentili  1870.  In  8.°  di  pag.  28. 

L'ultimo  rifugio,  a  cui,  com'è  noto,  ebbe  ricorso  il  partito  contrario 
alla  Infallibilità  pontificia  per  impedirne  la  solenne  proclamazione  nel 
Concilio  Vaticano,  fu  di  promuovere  per  mezzo  di  giornali  e  di  libercoli 
una  dottrina,  quanto  nuova  altrettanto  assurda,  vale  a  dire  cbe  per  le 
definizioni  dogmatiche  ne'Concilii  generali  fosse  necessaria  la  concorren- 
za di  tutti  o  quasi  tutti  i  suffragi  de  Padri.  Imperocché  trovandosi  nel 
Concilio  Vaticano  un  numero  alquanto  considerevole  di  Vescovi,  i  quali 
ripugnavano  a  quella  definizione,  tostochè  si  fosse  provata  necessaria  la 
unanimità  almeno  morale  delle  sentenze,  pe'decreti  dommatici,  una  tale 
definizione  diventava  impossibile.  Fra  le  molte  e  trionfali  risposte,  che 
furono  rese  e  dagli  stessi  Padri  vaticani  e  da  altri  teologi  a  così  strana 
pretensione,  occupa  un  luogo  onorato  questa  del  eh.  Professore  Pennac- 
chi, di  cui  demmo  solo  un  cenno  nel  passato  quaderno,  diretta  princi- 
palmente a  confutare  un  opuscolo  scritto  in  francese  sul  detto  argomen- 
to, e  che  fu  molto  propagato  in  Roma  stessa  nel  mese  di  Aprile. 

L'illustre  Autore  esamina  da  prima  la  quistione  secondo  il  lato  dom- 
matico.  Conceduto  pertanto  che  l'oppositore  avea  messo  per  fondamen- 
to alla  sua  tesi,  che  cioè  la  Chiesa  non  può  elevare  a  domma  se  non 
quelle  verità,  le  quali  trovano  contenute  nel  deposito  di  detta  Rivela- 
zione, gli  nega  recisamente  la  conseguenza ,  che  per  conoscere  con  cer- 
tezza così  fatta  verità  sia  necessaria  la  unanime  testimonianza  di  tutte  o 
quasi  tutte  le  chiese,  di  tutti  o  quasi  tutti  i  Vescovi.  Perocché,  comedi- 
mostra  con  invitti  argomenti,  dedotti  dalla  ragione  teologica,  dalle  sen- 
tenze de' santi  Padri,  e  dalla  storia,  può  accadere  benissimo,  che  in  mol- 
te chiese  alcune  dottrine  rivelate  siensi  oscurate;  e  può  accadere  altresì, 
com'è  accaduto  pur  troppo  anche  nel  Concilio  Vaticano ,  che  le  testimo- 
nianze di  alcuni  Vescovi  sieno  difformi  dalle  testimonianze  delle  loro 
chiese.  Onde  conchiude,  che  la  differenza  de'suffragi  ne'concilii  non  è 
argomento  per  inferirne,  che  la  sentenza  dei  più  è  falsa,  ovvero  incerta, 
ma  solo  che  alcuni  si  possono  ingannare ,  o  rimanere  dubbii  intorno  a 
qualche  verità  che  è  con  sufficiente  chiarezza  compresa  nelle  scritture  e 
nella  tradizione;  e  per  conseguenza  che  per  definire  cotali  verità  come 
domini  di  fede  non  è  punto  necessaria  la  unanimità  neppur  morale  delle 
singole  chiese  e  molto  meno  deYingoli  Vescovi.  La  qual  dottrina  l'au- 
tore ribadisce  con  un  esame  breve  ma  assai  convincente  di  tutto  il  con- 
testo del  celebre  Commonitorio  di  S.  Vincenzo  lirinese,  di  cui  un  picciol 
brano,  moralmente  stralciato,  fu  la  più  possente  arma  degli  avversarli. 


098  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

La  seconda  parte  dell'opuscolo  si  versa  intorno  alla  quistione  storica, 
che  il  dotto  Professore  anzi  tutto  cerca  di  stabilire  nel  suo  vero  stato. 
Questo  non  è  propriamente  il  latto;  vale  a  dire,  se  nelle  definizioni 
dommatiche  degassati  Concilii  abbia  sempre  avuto  luogo  la  unanimità 
almeno  morale  de1  suffragi;  ma  il  diritto:  vale  a  dire,  se  ne' passali  Con- 
cilii si  è  giudicata  necessaria  pei  decreti  di  tal  genere  una  siffatta  una- 
nimità. Quanto  alla  semplice  q  istione  di  fattovi  ha  non  pochi  csempii 
di  definizioni  dommatiche,  conchiuse  colla  sola  maggioranza.  Per  rispet- 
to poi  alla  quistione  di  dritto,  l'Autore  dimostra  co'documenti  de  primi 
Concilii  la  persuasione  certissima  che  era  in  tutti,  che  non  fosse  necess- 
aria la  morale  unanimità  pei  decreti  di  fede.  Imperciocché  si  osserva 
costantemente  che  le  minoranze  ostinate  ne1  loro  errori,  o  non  prende- 
vano parte  ne1  Concilii ,  ovvero  se  v'intervenivano,  erano  solite  d'as- 
sentarsene  prima  dell'ultima  votazione.  11  che  non  avrebbero  mai  fatto, 
se  avessero  potuto  supporre  che  la  loro  contraddizzione  ne'  Concilii 
avrebbe  la  virtù  d'impedire  la  decisione  della  maggioranza. 

Questa  è  la  sostanza  dell'opuscolo  del  eh.  prof.  Pennacchi,  che  noi 
appena  abbiamo  potuto  adombrare.  Se  esso  è  stato  pubblicato  dopo  la 
solenne  definizione  della  Infallibilità  pontificia,  ciò  non  fu  dipendente 
dalla  volontà  dell'Autore,  il  quale  avealo  preparato  alcun  tempo  innan- 
zi. Intanto  la  tesi  sostenuta  da  lui,  e  da  quanti  in  quella  controversia 
non  si  lasciarono  governare  dalla  passione  o  da  ragioni  di  partito,  ha  a- 
vuto  una  irrefragabile  conferma  non  solo  dalla  maggioranza  del  Conci- 
lio vaticano  con  a  capo  il  sovrano  Pontefice,  ma  dalla  stessa  minoranza. 
L'ha  avuto  dalla  maggioranza;  perchè  questa,  malgrado  la  contraddi- 
zione degli  88  Padri,  quanti  nell'ultima  Congregazione  generale  si  erano 
dichiarati  contrarii  al  decreto,  era  disposta  a  procedere  all'ultima  defi- 
nizione solenne.  E  l'ha  avuto  dalla  stessa  minoranza,  perchè  de'contrad- 
dittori  dell'ultima  Congregaz:one  quei  che  persistettero  nella  opposizione 
credettero  bene  non  intervenire  alla  pubblica  sessione.  Or  se  essi  fosse- 
ro stati  persuasi,  che  al  valore  de' decreti  dommatici  fosse  necessaria  la 
morale  unanimità  de' Padri  presenti  nel  Concilio,  non  avrebbero  certo 
abbandonato  il  campo  nel  meglio  per  dar  valore  a  quella  definizione  fino 
allora  impugnata. 

2.  Esame  critico  dell'opuscolo  a  L'ultima  ora  del  Concilio  ».  Firen- 
ze 1870. 

L'anonimo  autore  di  questo  critico  esame,  indegnato  e  stomacato  pel 
libello  che  insulta  al  Papa  e  al  Concilio,  non  si  è  potuto  tenore  di  repel- 
lere vini  vi,  e  di  rispondere  per  le  rime,  né  contento  delle  difese  hi  cre- 
duto bene  di  venire  alle  offese  con  l'anonimo  calunniatore.  «  Dorrà  cer- 
tamente a  lui ,  così  egli  chiude  la  sua  risposta,  come  duole  a  boi 
di  chiamarlo  ad  ogni  passo  calunniatore;  ma  questo  titolo  infamante 
non  è  di  nostra  invenzione,  ma  deriva  giustamente  dalla  natura  del  suo 
scritto,  e  dai  fatti  che  narra;  ed  egli  non  può  ignorare  che  il  giorno 


COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO  599 

1G  del  corrente  Luglio  con  tal  titolo  appunto  fu  qualitìcato  il  suo  libel- 
lo dai  Padri  Vaticani  die  aderirono  di  buon  grado  e  con  islancio  spon- 
taneo alla  nobile  protesta  degli  Eminentissimi  loro  Presidenti.  » 

A  tal  proposito  non  sarà  fuor  di  luogo  V  aggiungere  che  il  Vescovo  di 
S.  Marco  e  Bisignano ,  Mons.  Parlatore,  insieme  con  due  atVettuosi  in- 
dirizzi a  Pio  IX,  ha  stampato  qui  in  Roma  una  sua  EminentissimGrum 
Praesidum  Sacri  Vaticani  Concilii  prolestalioni  adhaesio  ;  ove  parlando 
della  Damiere  heure,  e  degli  altri  libelli  compagni,  dice,  in  pcrdiioruìii 
sciptorum  insignem  impudentiam ,  incredibilemque  andaciam  animo 
loto  protestor. 

II. 

NOTIZIE  VARIE 

3.  Breve  del  S.  Padre  in  risposta  all' Indirizzo  del  clero  d'Inghilterra  e  di  Sco- 
zia: altri  Brevi  a  privati  —  2.  Altre  notizie  d'Inghilterra  intorno  alla  defi- 
nizione deir  infallibilità  e  al  ritorno  dei  Vescovi  —  3.  Altre  d' Irlanda  — 
i.  Altre  di  Portogallo  —  5.  Altre  di  Dalmazia  —  6.  Accademia  di  Religio- 
ne Cattolica  in  Roma  —  7.  Breve  del  S.  Padre  in  risposta  a  un  Indirizzo 
di  molti  del  clero  di  Genova. 

1.  L'indirizzo  del  Clero  d'Inghilterra  e  di  Scozia  al  S.  Padre  per  la 
definizione  della  infallibilità,  sottoscritto  in  quattro  giorni  da  più  di 
800  sacerdoti  (come  dicemmo  a  pag.  380),  in  breve  ebbe  presso  a  mil- 
le sottoscrizioni.  Il  Santo  Padre  nel  ricevere  l'indirizzo,  presentato  da 
Mgr.  Stonor,  manifestò  singoiar  gradimento  per  quest'atto  collettivo  del 
Clero  d' Inghilterra  e  di  Scozia,  e  pochi  di  dopo  la  definizione  diresse 
loro  in  risposta  il  breve  seguente: 

Dilectis  Filiis  Clero  kngìiae  et  Scoh'ae ,  Plus  PP.  IX. 

Dilccti  Filii,  Saluterò  et  apostolicam  Benedictionem.  —  Licet  gra- 
tulati iam  simus  Westmonasteriensi  Clero  de  unanimi  et  absolutis- 
sima  devozione  sua  huic  Sanctae  Sedi ,  deque  desiderio  ac  studio  quo 
declarari  apertius  expetebat  fìrmiusque  asserì  a  Sancta  Synodo  divinas 
eius  praerogativas,  nequimus  tamen  iisdem  de  causis.novam  animo 
non  concipere  laetitiam,  dum  non  unius  dioecesis,  quantumvis  am- 
plae,  sed  universum  Angliae  Scotiaeque  clerum  in  eamdem  sententiam 
eosdemque  affectus  convenire  perspicimus.  Quod  in  votis  vobis  erat , 
dilecti  Filii,  quod  precihus  implorabatis  a  Deo,  quod  a  sancta  Synodo 
postulabatis,  id  demum,  afflante  Spiritu  Sancto,  factum  est;  et  sicuti 
per  id  dirempta  fuerunt  opinionum  dissidia ,  reiecta  aversa  sophismata, 
et  sancita  praeteritorum  saeeulorum  fides,  sic  confirmatum  fuit  funda- 
mentum  cuiusvis  moralis  ordinis,  auctoritas,  quo  concusso  et  everso 
tanta  in  humanam  societatem  irrepsit  perturbatio.  Quoniam  itaque  vo- 
bis maxime  res  est  cum  illis  qui,  sacrae  auctoritatis  principio  reiecto, 


600  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

in  cam  inciderunt  opinionum  confusionem  et  dissensum  ut  iam  non  au- 
dial  unusquisque  vocem  proximi  sui,  futurum  confidimus,  ut  vos  per 
istam  definitionem  arctius  quoque  coniuncli  cum  visibili  capite  Eccle- 
siae,  dum  praefertis  simul  et  velati  digito  in  hoc  eventu  commonstratis 
unitatem  eius  et  vigorem ,  efficacius  et  utilius,  codesti  iuvante  gratia, 
discutiendis  eoruni  erroribus  animisque  reducendis  ad  veritatem  adla- 
borare  possitis.  Hoc  zelo  et  cantati  vestrae,  hoc  terrae  olim  religione 
clarissimae  toto  corde  ominamur;  et  interim  superni  favoris  auspiccm 
paternaeque  nostrae  benevolenliae  pignus  apostolicam  Benediclionem 
vobis  peramanter  impertimus. 

Datimi  Romae  apud  S.  Petruin  die  28  Iulii  anno  1870 ,  Pontificatus 
Nostri  anno  vicesimo  quinto.  Pius  PP.  IX. 

In  questo  breve,  pieno  di  tanto  zelo  ed  affetto  per  l'Inghilterra,  ci  sem- 
bra di  sentire  l'erede  dell'Apostolo  d'Inghilterra,  S.  Gregorio  Magno. 
Simili  sensi  e  in  voce  e  in  iscritto  il  S.  Padre  ha  espressi  più  volte  in 
questa  circostanza  nelle  risposte  agli  indirizzi  venutigli  d' Inghilterra  da 
varie  diocesi ,  dopo  Shrewsbury  che  diede  prima  Y  esempio,  e  da  co- 
munità religiose,  da  seminari  e  collegi.  Àbbiam  veduto  parecchi  di  tali 
indirizzi  e  di  tali  risposte,  e  vi  abbiamo  notato  con  piacere  un  vicende- 
vole singolare  affetto  dei  cattolici  inglesi  verso  il  Santo  Padre,  e  del 
Santo  Padre  verso  Y  Inghilterra.  Sarebbe  cosa  troppa  lunga  recarne  qui 
degli  estratti  :  più  brevemente  potremo  piuttosto  dar  per  saggio  alcun 
tratto  di  qualche  breve  diretto  a  persone  private,  da  cui  parimente 
traspira  il  medesimo  zelo  ed  affetto  per  l'Inghilterra.  In  un  breve  diret- 
to al  sig.  Rhodes  per  la  sua  opera  sulla  Visibile  unità  della  Chiesa,  da 
noi  già  annunziata  a  pag.  608  del  voi.  IX,  il  Santo  Padre  dopo  aver 
commendata  quell'opera  tanto  giovevole  per  la  conversione  degli  Angli- 
cani di  buona  fede,  che  vorrebbero  esser  cattolici  senza  esser  romani,  e 
ricordato  il  detto  di  S.  Adelmo:  frustra  de  fide  catholica  inaniter  gloria- 
tur  qui  dogma  et  regulam  sancii  Vetri  non  sectahir ;  così  conchiude: 
«  Cum  itaque  tu  docte  solideque  demonstrare  studueris,  solam  visibilem 
catholicam  Ecclesiam  esse  veram  Christi  Ecclesiam,  et  absonum  prorsus 
ostenderis  esse  commentimi  universali?  Ecclesiae  e  variis  conflatae  so- 
cietalibus  visibiliter  seiunctis,  gratili  a  unir  Ubi  quod  ingenium  scientiam- 
que  tuam  contuleris  ad  hunc  etiam  submovendum  errorem,  qui  multos 
adhuc  e  dissidentibus  implicat.  Deum  vero  rogamus  ut  semini  a  te  iacto 
largum  concedat  incrementum,  nobisque  optatissimum  concedat  sola- 
tium  reditus  tot  filiorum,  quorum  discriminis  sollicitudine  iugiter  angi- 
mur.  »  Anche  nella  risposta  al  P.  Bottalla  per  l'opera  su\YFn  fallibilità  f 
parimente  già  nota  ai  nostri  lettori  (V.  p.  204  di  questo  voi.)  il  S.  Padre 
dimostra  uno  speciale  affetto  per  l'Inghilterra  nelle  prime  parole:  «  Aliis 
illustribus  testimoniis  obsequii  ctsincerae  devolionis,  quae  hoc  praeser- 
tim  tempore  e  Britannia  accepimus,  libenter  accensemus  opus  tuum  »; 
e  un  singolare  zelo  nelle  ultime  parole,  augurando  e  pregando  che,  per 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  601 

mezzo  di  tal  opera,  «  lux  affulgeat  iis  qui  versantur  in  tenebris  et  qui 
debiles  in  fide  sunt  contìrmentur  ».  Simiglianti  sensi  il  S.  Padre  fece  es- 
primere dal  suo  segretario  al  P.  Knox,  per  la  sua  operetta  $u\Y Infalli- 
bilità della  Chiesa,  già  sì  nota  in  Italia  (V.  voi.  IX,  pag.  349;  e  voi.  X, 
pag.  729). 

Il  medesimo  Santo  Padre  ha  pur  voluto  ricambiare  di  singolare  bene- 
volenza la  special  devozione  alla  Santa  Sede  di  due  campioni  della  stam- 
pa cattolica  in  Inghilterra,  il  dottore  Ward,  editore  della  Dublin  Review, 
e  il  rev.  dottore  Erberto  Vaughan,  proprietario  direttore  del  Tablet. 
L'onorevolissimo  ed  affettuosissimo  breve  dovè  riuscire  tanto  più  gradi- 
to al  dr.  Ward,  quanto  più  inaspettatamente  gli  fu  diretto  dal  S.  Padre, 
consapevole  de'suoi  meriti  e  della  recente  sua  malattia  ;  e  noi  lo  rechiam 
qui  per  intero,  non  tanto  per  ciò  che  dice  personalmente  del  dr.  Ward, 
quanto  per  lo  zelo  papale,  che  vi  si  vede,  pel  bene  spirituale  dell1  In- 
ghilterra. 

Dilecto  Filio  Georgio  Ward,  Pius  PP.  IX. 

Dilecle  Fili,  Salutem  et  apostolicam  Benedictionem.  —  Gratulamur 
tibi,  dilecte  fili,  quod  in  fìliorum  Dei  lucem  vocatus,  idem  lumen  alio- 
rum  mentibus  ottundere  certes,  et,  in  gremium  sanctae  Matris  Ecclcsiae 
reccptus,  sanctitatem  eius  ostendere  et  illustrare  studeas,  supremique 
ciusdem  Pastoris  divinam  asse'rere  auctoritatem,  vindicare  praerogati- 
vas,  iura  omnia  lueri.  Nobilitatem  in  hoc  videmus  animi,   qui  ad  verì- 
tatem  maturo  compulsus  examine,  eo  incensiore  illius  flagrai  amore, 
quo  maiore  conlentione  illam  est  adeptus;  et  eo  impensiore  nisu  bene- 
ficium  acceptum  latius  porrigere  satagit,  quo  miseriorem,  propria  do- 
ctus  experientia,  censet  errantium  conditionem.  Indefessus  autem  labor 
quo  pluribus  ab  hinc  annis  dona  omnia  ingenii,  scientiae,  eruditionis, 
eloqueutiae  tibi  a  Domino  largita,  confers  ad  religionis  nostrae  sanctis- 
simae  et  huius  Apostolicae  Sedis  causam  propugnandam,  fìdem  perspi- 
cue praefert  inditam  menti  tuae  et  charitatem  in  tuo  corde  diflusam, 
quibus  urgeris  ad  redimendum  praeteritum  tempus,  et  certamen  im- 
prudenter  alias  prò  errore  fortasse  commissum  rependendum  per  ala- 
crem  ac  strenuam  veritatis  defensionem.  Quoniam  vero  merces  lìdelis 
paratur  seminanti  iustitiam,  et  qui  ad  eam  erudiunt  multos  fulgebunt 
quasi  stellae  in  perpetuas  aeternitates,  dum  te  tuum  ita  sertum  texere 
gaudemus,  te  simul  hortamur  ut  instes  proposito  tuo,  et  impigre  prae- 
liari  pergas  praelia  Domini,  quo  et  piures  semper  ad  viam  veritatis  ad- 
ducas  et  splendidius  tibi  compares  aeternae  gloriae  pondus.  Necessa- 
rias  idcirco  ad  hoc  vires  tibi  ominamur,  copiosaque  adprecamur  gratiae 
coeleslis  auxiìia  et  fausta  omnia;  eorumque  auspicem  et  paternae  no- 
strae benevolentiae  pignus  apostolicam  Benedictionem  tibi  peramanter 
impertimus. 

Datum  Romae,  apud  sanctum  Petrum,  die  4  lulii,  anno  1870,  Pontifi- 
calus  Nostri  anno  vicesiino  quinto.  Pius  PP.  IX. 


fiO 2  COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO 

Il  rev.  dr.  Yaughan,  venuto  a  Roma,  potè  presentar  di  persona  a 
Sua  Santità  la  nuova  serie  del  Tablet  ;  e  il  Santo  Padre,  assai  bene  in- 
formato dello  spirito  di  quel  periodico,  non  solo  lo  incoraggiò  a  voce 
uel  preso  impegno,  specialmente  di  dir  tutta  intera  la  verità  a  bene  del- 
T  Inghilterra,  ma  di  più  in  un  breve  direttogli  ai  4  di  Giugno  diceva: 
«  Ignota  Nobis  non  est,  dilecte  fili,  tua  tuorumque  adiectorum  erga  Kos 
et  hanc  apostolicam  cathedram,  omnium  Ecclesiarum  matrem  et  magi- 
stram,  devotio,  pietas  et  observantia  »;  e  lodando  e  congratulandosi  co- 
gli scrittori  delie  loro  fatiche  «  ad  causano  rationesque  calholieae  Eccle- 
siae  sanamque  doctrinam  tuendam  »;  conchiudeva  con  parole  d'incorag- 
giamento e  di  zelo  :  «  dum  vobis  gratulamur,  animos  etiam  addimus  ut 
in  incoeptis  vestris  constanter  maneatis,  et  a  clementissimo  Domino  eni- 
xe  poscimus,  ut  labores  vestros  sua  grafia  adiuvare  velit,  quo  salutares 
et  uberes  ex  iisdem  fructus  et  in  vestros  cives  et  in  omnes  qui  scripta 
vestra  excipiunl,  dimanare  possint.  » 

2.  La  Dublin  Reciew  ed  il  Tablet  hanno  pure  avuto  un  merito  specia- 
le in  Inghilterra  nelle  controversie  dell'infallibilità  :  la  Dublin  Reciew 
coi  suoi  dotti  articoli,  massime  intorno  all'oggetto  dell' infallibilità,  dei 
quali  il  Dr.  Ward  die  un  i>reve  sunto  in  certe  sue  Thts-es  et  quaestiones  De 
■infallibilitatis  estensione,  ristampate  già  in  Roma,  come  appendice,  nel 
fascicolo  XLVII  degli  Acla  ex  iis  decerpta  quae  apud  S.  Seder*  geruntnr, 
che  son  tornate  opportune  in  questa  circostanza:  il  Tablet  poi  in  modo 
più  popolare  co'suoi  articoli  e  massime  col  Valicati,  che  ha  dato,  come 
supplemento,  durante  il  Concilio. 

Ma  ciò  che  più  onora  l'Inghilterra  nella  passata  controversia  dell'in- 
fallibilità, si  è  la  parte  che  la  fama  pubblica  vi  ha  attribuita,  tra  più 
zelanti  campioni,  all'Arcivescovo  di  Westminster,  monsignor  Manning. 
Il  clero  di  Westminster,  nell'indirizzo  ali  Arcivescovo  nel  suo  ritorno, 
vi  ha  l'atto  nobilmente  allusione,  e  facendo  alio  di  perfetta  sommessio- 
ne  al  Concilio,  aggiunse  in  particolare  della  definizione  dell'infallibilità: 
«  Speriamo  che  essa  contribuirà  assai  alla  pace  della  chiesa  col  preclu- 
dere le  interne  controversie,  e  coli1  unire  i  cuori  di  tutti  i  cattolici  in 
sincera  devozione  al  Vicario  di  Cristo.  »  Leggiamo  nei  fogli  inglesi  che 
per  ordine  dell'Arcivescovo  si  cantò  il  Te  Deum  in  tutte  le  Cinese  del- 
l'Arcidiocesi  in  ringraziamento  per  la  definizione;  il  simigliarne  si  fece 
in  altre  diocesi;  e  in  particolare  leggiamo  che  il  Vescovo  di  llexham  e 
Newcastle,  monsignor  Chadwick,  dopo  il  canto  del  Te  Deum,  nella 
sa  Messa  solenne  dopo  il  vangelo,  salì  egli  stesso  in  pulpito  e  proclamò 
l'infallibilità  del  Papa  qual  dogma  di  fede,  e  in  un  discorso  assai  istrut- 
tivo intorno  al  dogma  e  al  Concilio  disse  tra  V  altre  eoe  che  la  libertà 
di  discussione  nel  Concilio  fu  piena,  e  che  i  dibattimenti  erano  stati  liberi 
come  Varia  (the  debales  liad  been  reali y  [ree  as  air).  Troviamo  altresì  as- 
sai lodati  altri  discorsi  l'alti  in  Inghilterra  e  in  Irlanda,  serialmente 
quello  del  dr.  Cleary,  riportato  nel  Waterford  Cilizm  del  a'  Agosto. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  603 

3.  Nel  giorno  stesso  della  definizione  si  ebbe  qui  in  Roma  una  so- 
lenne dimostrazione  della  fede  della  cattolica  Irlanda  e  della  sua  gioia 
per  quella  definizione.  Molti  Vescovi,  che  rappresentano  i  figli  di  san 
Patrizio,  non  solo  in  Irlanda  ma  per  tutte  le  colonie  inglesi,  raccoltisi 
quella  stessa  sera  nel  Collegio  irlandese  presentarono  ali1  Emo  Card. 
Cullen  questo  breve  indirizzo,  che  fu  letto  dal  Primate  Arcivescovo 
d'Armagli,  monsig.  Mac.  Gettigan.  «  AU'Eminentissimo  Card.  Cullen 
Arcivescovo  di  Dublino,  Primate  d'Irlanda.  Eminentissimo!  In  questo 
dì  tanto  memorabile  nella  storia  del  Concilio  Vaticano,  noi  sottoscrit- 
ti Arcivescovi  e  Vescovi,  rappresentanti  la  stirpe  irlandese,  rispetto- 
samente ci  presentiamo  all'Eminenza  Vostra  e  Vi  offriamo  le  più  cor- 
diali congratulazioni  per  la  difesa  sì  splendida  e  sì  felice  che  nell'au- 
la conciliare  faceste  dei  diritti  della  Santa  Sede  e  della  tradizione  del- 
la Chiesa  irlandese  intorno  ad  essi.  Vostra  Eminenza  rappresentò  ve- 
ramente in  quella  occasione  la  fede  e  il  sentimento  del  popolo  irlan- 
dese, e  noi  andiamo  altieri  del  modo  in  cui  Voi  ne  rendeste  pubbli- 
ca testimonianza.  »  L'Eminentissimo  Cardinale  in  una  nobile  risposta 
si  congratulò  vicendevolmente  coi  Vescovi  e  coll'Irlanda,  che  dai  gior- 
ni di  S.  Patrizio  fino  al  presente  tenne  sempre  la  dottrina  dell'infal- 
libilità, e  sì  rallegrò  che  i  tigli  di  S.  Patrizio  sieno  stati  rappresentati 
sì  nobilmente  da  sì  gran  numero  di  Vescovi  nella  grande  assemblea 
dei  Vescovi  di  tutta  la  terra. 

Le  onorifiche  accoglienze,  che  l'Emo  Card.  Cullen  avrebbe  ricevute  in 
Dublino,  furono  da  lui  evitate  col  giungere  privatamente  fuori  dell'as- 
pettato. Grandi  accoglienze  descritte  dal  Freemari  s  Journal,  furono  fat- 
te all'Arcivescovo  di  Cashel,  mons.  Leahy,  uno  dei  Padri  della  commis- 
sione de  Fide,  nel  suo  ritorno  a  Thurles.  La  buona  popolazione  Irlan- 
dese uscì  tutta  incontro  all'amato  Pastore;  le  case  furono  illuminate  la 
sera,  e  fuochi  di  festa  sui  colli  circostanti  a  più  miglia  rendevano  palese 
la  fede  e  l'affetto  del  popolo  della  campagna.  Anche  del  Vescovo  di 
Galway,  mons.  Mac  Evilly,  leggiamo  che  fu  ricevuto  da  clero  e  popolo 
con  tali  liete  e  festive  accoglienze,  che  dimostravano  la  fede  dei  pa- 
dri non  essersi  raffreddata  nell'occidente  dell'  Irlanda  *. 

4.  11  Tablet  del  6  Agosto  riportava  pure  una  corrispondenza  di  Lisbo- 
na, in  cui  si  descriveva  la  festa  fatta  per  la  definizione  della  infallibilità 
dal  collegio  inglese  di  Lisbona.  Fu  una  festa  campereccia  nella  villa  e 
nella  chiesa  del  Collegio,  con  canti,  suoni,  fuochi  e  quanti  altri  segni  di 
gioia  potè  suggerire  insieme  la  pietà  inglese  e  portoghese.  Dalla  mattina 
lino  a  notte  fu  tutto  una  festa  :  alla  Messa  solenne  il  parroco  portoghese 
parlò  nel  suo  discorso  della  ragionevolezza,  utilità  e  necessità  della  de- 
finizione; e  la  sera  prima  del  Te  Deum  un  altro  sacerdote  di  Lisbona 
parlò  della  singoiar  provvidenza  divina  manifestatasi  nel  modo  e  nel 

1  Ci  giungono  ora  altre  notizie  dei  Vescovi  di  Limerick,  di  Down  e  Connor  ecc.,  ma  troppo  tardi 
per  la  stampa. 


604  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

tempo  della  definizione.  I  segni  di  gioia  dati  nelle  colline  intorno  con  fuo- 
chi al  modo  portoghese,  il  festivo  suono  delle  campane,  il  ripetuto  canto 
Tu  es  Petrus,  e  un  campestre  convito  diedero  a  quella  festa  un  tal  ca- 
rattere di  lieta  devozione,  che  la  breve  relazione  terroni  <on  dire  che 
feste  più  splendide  si  sono  potute  sì  celebrare  per  la  definizione,  ma 
non  già  più  sincere  e  più  entusiastiche  di  questa. 

Due  giorni  dopo  la  definizione  veniva  pure  a  Roma  da  Braga  questo 
telegramma:  «  Notizia  della  definizione  dell'infallibilità  ricevuta  con  vi- 
vo entusiasmo.  Fuochi  artificiali  e  concerti.  Fate  felicitazioni  ai  Vescovi 
portoghesi  in  nome  nostro  e  del  popolo  bragarense  ».  Il  Divin  Salvato- 
re lo  pubblicava  nel  suo  num.  33  insieme  con  una  sua  corrispondenza 
di  Braga  del  20  Luglio:  «  In  Portogallo  la  credenza'  nell'infallibilità  del 
romano  Pontefice  era  viva,  come  doveva  attendersi  da  un  popolo  sem- 
pre geloso  della  sua  religione,  e  nei  passati  tempi  il  più  zelante  nel  dif- 
fonderla per  tutto  il  mondo,  e  il  più  fiero  nelfatterrare  gli  altari  delle 
divini  Uà  impure,  innalzati  nelle  più  lontane  contrade  dell'Africa  e  della 
Cina,  ove  i  Portoghesi  fecero  sventolare  lo  stendardo  della  Croce.  Mol- 
te sono  state  le  manifestazioni  in  favore  della  infallibilità,  fatte  quando 
i  nemici  la  combattevano  accanitamente.  Primi  furono  i  Portoghesi,  che  si 
trovavano  a  Roma  nel  Febbraio  passato,  ad  umiliare  ai  piedi  del  Santo 
Padre  quel  bello  ed  espressivo  documento  che  avete  stampato  nel  vostro 
giornale,  al  quale  il  S.  Padre  si  benignò  rispondere  con  una  lettera  af- 
fettuosissima,  che  anche  nel  medesimo  vostro  periodico  veniva  pubblica- 
ta. Dietro  questo  atto  dei  Portoghesi  di  Roma  si  svegliò  un  grande  e 
magnifico  movimento  in  tutta  la  nazione  fedelissima.  11  Vescovo  di  An- 
gra,  decano  dell'Episcopato  portoghese,  impedito  di  assistere  al  santo 
Concilio  dalla  sua  decrepitezza,  ha  fatto  una  solenne  prolesta  di  fede  sul- 
P  infallibilità,  che  ha  indirizzata  all'Emo  Card.  De  Angelis.  Uguali  ma- 
nifestazioni e  proteste  di  pienissima  sottomissione  a  tutte  le  decisioni 
del  Concilio  furono  fatte  da  corporazioni  e  da  particolari  di  tutto  il  Re- 
gno. Né  i  giornali  cattolici  mancarono  al  loro  compito;  e  l'egregio  Edio 
de  Roma  li  precedette.  Molte  adesioni  accompagnarono  la  protesta  del- 
YEcho,  belle  e  degne  di  stamparsi  se  non  fossero  tante.  Una  grande  par- 
te dei  curati  del  Regno  le  hanno  fatte  e  dirette  alla  direzione  deWEcho 
del  pari  che  i  capitoli,  e  specialmente  quello  della  Diocesi  di  Funchal,  il 
quale  era  accompagnato  dalle  firme  di  27  sacerdoti  e  di  461  altri  catto- 
lici insieme  a  molte  nobili  signore.  Le  Figlie  di  Maria  anche  esse  hanno 
diretto  una  animatissima  protesta  di  adesione  alle  sue  decisioni,  eù  a 
quelle  dell'  ecumenico  Concilio.  »  Dopo  ciò,  il  Divin  Salvatore  ha  ragione 
di  aggiungere  che  la  fede  degli  Alfonsi,  ad  onta  delle  mene  della  setta, 
si  mantiene  tuttora  viva  fra  i  popoli  portoghesi. 

Ad  avvivar  questa  fede  nella  infallibilità  giovò  anche  molto  uno  splen- 
dido documento  di  adesione  a  questa  dottrina  dato  dall'università  di 
Coimbra  nel  1717  ad  occasione  della  Balla  Unigenitus,  e  pubblicato  testò 


COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO  605 

dai  Conimbricense,  e  ristampato  poi  per  disteso  in  altri  fogli.  Abbiam 
sotto  gli  occhi  la  Nacao  del  17  Luglio,  che  lo  riporta,  aggiungendo  tra 
l'altre  queste  osservazioni.  «  Questo  documento  più  che  secolare  dovet- 
te influire  assai  nel  rifiuto  dell'attuale  Università  di  acconsentire  all'esi- 
genze del  ministero  Loulé,  che  per  servire  al  sig.  Daru  di  liberalesca 
memoria,  e  talora  anche  agli  ordini  della  massoneria,  cercava  che  l'Uni- 
versità si  pronunciasse  contro  la  definizione....  11  Conimbricense  colla 
pubblicazione  di  quello  splendido  documento  rese  un  servigio  importan- 
tante  alla  religione  e  alla  patria  ». 

Lo  stesso  documento  vediam  riportalo  dall'ilo  de  Roma,  nel  qua- 
derno di  Agosto  in  un  primo  articolo  sull'antica  e  moderna  credenza  del 
Portogallo  nella  infallibilità  pontificia.  Tutto  il  quaderno  è  un  tributo 
alla  infallibilità.  Vi  vediamo  un  tripudio  che  comincia  colle  parole  Glo- 
ria in  excehis  Beo;  e  indirizzi  e  proteste  al  S.  Padre  e  al  Concilio,  e  un 
Breve  del  S.  Padre  ai  Redattori  àeWficho,  e  una  lettera  del  segretario 
delle  lettere  latine  di  S.  S.,  mons.  Nocella,  a  S.  E.  mons.  Oreglia  di 
Santo  Stefano,  nunzio  apostolico  a  Lisbona,  in  risposta  complessiva  ai 
tanti  indirizzi  venuti  dal  Regno  per  la  definizione,  simile  all'altra  lettera, 
diretta  per  lo  stesso  fine  a  S.E.  mons.  Chigi,  nunzio  apostolico  a  Parigi. 
Specialmente  ci  vien  richiesto  di  riportare  una  dichiarazione  dell'Ilo  de 
Roma  a  pag.  151. «  Riguardo  ai  nostri  Riìii  Vescovi  dobbiamo  schiarire  ciò 
che  di  loro  abbiam  detto  altrove,  affinchè  sia  nota  la  verità,  ed  altresì  la 
riverenza  e  il  rispetto  che  abbiamo  verso  di  loro.  Le  LL.  EE.  adunque, 
allorché  sottoscrissero  il  postulato  contro  l'opportunità  della  definizione 
dell'infallibilità,  dichiararono  apertamente  al  Rino  Vescovo  d'Orleans, 
mentre  li  pregava  della  loro  sottoscrizione,  che  essi  teneano  per  l'infal- 
libilità, poiché  questa  era  la  credenza  loro  e  del  Portogallo;  inoltre  che 
appena  S.  Santità  si  fosse  pronunziata  autorizzando  il  Concilio  a  trattare 
questa  materia,  e  con  ciò  avesse  fatto  vedere  che  ne  giudicava  opportu- 
na la  discussione  e  decisione,  le  loro  sottoscrizioni  si  doveano  tenere  co- 
me cassate  da  quel  postulato;  conciossiacchè  il  loro  parere  era  subordi- 
nato al  parere  del  Santo  Padre,  con  cui  erano  e  sarebbero  sempre  uniti. 
Coerentemente  poi  a  questa  riserva  e  condizione ,  e  a  quello  che  essi 
hanno  a  tutti  dichiarato,  cioè,  che  non  avevano  mai  tenuto,  né  tenevano 
altra  credenza  intorno  all'infallibilità,  se  non  quella  di  tutta  la  tradizio- 
ne, di  tutta  la  Chiesa,  di  tutti  i  Papi,  la  quale  dottrina  già  due  di  essi 
avevano  insegnato  mentre  erano  professori  di  teologia,  e  tutti  all'  ora 
della  definizione  confermerebbero  col  'placet  di  tutto  cuore;  coerentemen- 
te (diciamo)  a  tutto  questo,  allora  quando  Mgr.  Dupanloup  si  recò  da 
loro  richiedendoli  di  sottoscrivere  la  protesta  contro  la  chiusa  della  di- 
scussione sulla  infallibilità  in  generale,  eglino  si  ricusarono,  rammentan- 
do allo  stesso  Monsignore  quanto  prima  gli  avevano  aeuo,  e  gii  manife- 
starono ch'ei  non  doveva  più  fare  alcun  assegnamento  sopra  di  loro,  dac- 
ché essi  tenevano  colla  Chiesa,  colla  maggioranza  de' Padri,  e  col  Papa. 


606  COSE  SPETTASTI  AL  CONCILIO 

Belle  risposte;  e  non  altre  poteano  uscir  dalla  bocca  di  Vescovi  di  un  re- 
gno, il  quale  è  sempre  stato  sì  unito  alla  cattedra  di  S.  Pietro,  ancora 

nei  tempi  di  tribolazione Ci  rallegriamo  dunque  coi  nostri  Vescovi 

per  la  testimonianza  che  della  nostra  fede  han  reso  nel  Concilio  ...  Qui 
aggiungeremo  poche  parole  per  ricordare  il  generale  applauso,  col  quale 
si  è  in  Portogallo  ricevuta  la  definizione  dell'infallibilità.  Siccome  nel  no- 
stro paese,  in  fatto  di  religione,  Braixa  è  sempre  la  prima  a  dar  V esem- 
pio, così  appena  la  mattina  del  19  Luglio  ivi  si  ricevette  il  telegramma 
da  Roma  che  annunziava  Tatto  della  definizione,  subito  tutte  le  campane 
della  città  suonarono  a  festa,  e  s1  incominciarono  le  dimostrazioni  di  pub- 
blico giubilo,  le  quali  finirono  la  sera  con  luminaria  generale.  Il  giorno 
seguente  in  una  grande  adunanza  cattolica  si  risolvette  di  scrivere  un 
indirizzo  al  Santo  Padre,  ed  intanto  s'inviò  per  telegrafo  all'Emo  Cardi- 
nale Antonelli  una  congratulazione,  la  quale  fu  presentata  a  S.  Santità, 
che  la  gradì  e  ricambiò  colla  sua  Benedizione.  Il  23  si  cantò  nella  Catte- 
drale solennissimo  Te  Demn,  intonato  da  Mgr.  Arcivescovo,  intervenen- 
dovi gran  moltitudine  di  popolo  ed  anche  non  pochi  magistrati  civili  e 
militari:  la  sera  poi  si  ripeterono  le  illuminazioni,  gli  squilli  festivi  ed 
altre  dimostrazioni.  Simili  sacre  feste  si  sono  fatte  a  Cervaens,  a  Arcos, 
a  Tibaens  ed  in  altri  luoghi,  come  pure  qui  presso  a  Lisbona  nella  villa 
del  Collegio  inglese  a  Luz  ed  in  Campolide.  Abbiamo  udito  che  a  Porto  si 
appresta  pure  un  solenne  rendimento  di  grazie.  Inoltre  qui  nella  capitale 
si  è  istituita  una  commissione,  presieduta  da  IVIgr.  Commissario  gene- 
rale della  Bolla  della  Crociata,  per  celebrare  una  grande  solennità  reli- 
lìgiosa  per  lo  stesso  motivo,  per  la  quale  si  è  scelto  il  giorno  1 8  Agosto.  » 

5.  Potremmo  ora  raccogliere  simigliami  notizie  da  alcuni  fogli  spa- 
gnuoli,  che  abbiamo  sottocchio;  altre  molte  ne  abbiamo  già  in  pronto 
della  Francia  e  del  Belgio;  ma  avendo  già  detto  abbastanza  intorno  a 
questa  materia,  per  questa  volta,  ci  contenteremo  di  aggiunger  piutto- 
sto due  parole  della  Dalmazia.  Abbiam  testò  ricevuto  un  libretto  ov'  è 
stampata  la  lettera  scritta  da  mons.  Nocella  a  mons.  Silvestro  de  Gui- 
na,  canonico  preposito  capitolare  spalatense.  Rescriptum  de  mandalo 
SS.  Domini  Pii  PP.  IX  ad  obsequentissima  vota  capitoli  ac  ntriusque 
cleri  Ecclesiae  Spalalensis,  alias  Salonilanae  in  Dalmatia.  Di  questi 
obsequentissima  vota  per  T  infallibilità  demmo  già  un  cenno  in  un  al- 
tro quaderno.  Un  altro  esempio  della  fede  dei  popoli  dalmati  V  abbia- 
mo nelle  feste  fatte  in  Zara  all' Arcivescovo  nel  suo  ritorno,  le  quali  so- 
no descritte  in  questa  corrispondenza,  diretta  al  Veneto  cattolico. 

Zara,  27  Luglio  1870. 

«  Saprete  come  S.  E.  mons.  Pietro  Doimo  Maupas  propugnasse  nel 
vaticano  Concilio  la  pontificia  Infallibilità,  dimostrandola  verità  catto- 
lica creduta  ab  antico  nella  diletta  nostra  Dalmazia.  Ora  le  feste,  che 
oggi  qui  si  fecero,  espressero  e  riepilogarono  quanto  V  amatissimo  no- 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  C07 

stro  Arcivescovo  operò  in  Concilio.  Difatti  come  il  detto  conciso:  Infatti- 
bilitatis  Propugnatori,  che  oggi  già  sul  far  del  giorno  leggevasi  sulla 
civica  porta  d'  ingresso,  indicava  ad  ognuno  che  cosa  significasse  V  im- 
bandieramento  delie  contrade,  lo  sparo  moltiplice  di  mortaretti  ed  armi 
da  fuoco,  l1  innalzamento  di  palloni  aerostatici  e  simili;  così  l'egual 
detto  riprodotto  la  sera  a  mezzo  di  fitti  lumini  sulla  piazza,  che  prospet- 
ta il  palazzo  arcivescovile,  ricordava  agii  accorsi  per  godere  della  gentile 
illuminazione,  dei  concerti  musicali,  dei  fuochi  d'artifizio  ed  altro,  come 
il  motivo  impellente  di  tanta  gioia  fosse  il  piacere  che  la  dalmata  fede 
sia  stata  sì  bene  esposta  dal  Metropolita  di  questa  nostra  provincia.  Buon 
per  noi  che  compagni  degnissimi  di  viaggio  dell1  ottimo  nostro  Pastore, 
che  giungeva  stamane  da  Roma,  erano  gli  Illmi  e  Rmi  monsignori  Ve- 
scovi di  Spalato  e  Lesina:  giacché  l'omaggio  delle  Autorità  politico- 
comunali,  l'intervento  d'entrambi  i  Cleri  e  Seminari]*,  la  sterminata 
moltitudine  tranquilla  e  devota,  V  osanna  gridatogli  da  un  decenne  fan- 
ciullo, che  arringò  brevemente  Sua  Eccellenza,  il  coro  festoso  intuonato 
sotto  le  vòlte  della  porta  d'ingresso  dai  giovani  alunni  del  Seminario 
Zmajevic ,  dimostrarono  qual  sia  la  fede  di  questa  dominante,  da  ta- 
luno messa  in  credito  di  burocratica  e  fredda.  Ma,  grazie  a  Dio,  il  popolo 
dei  Ss.  Simeone,  Grisogono,  Anastasia,  si  addimostrò,  come  in  passato, 
degno  della  antica  fede  de'  padri  suoi.  Per  me  vi  avrei  voluto  presen- 
te allo  sfilare  fra  la  calca  dell'imponente  corteggio  che  si  apriva  con 
una  infantile  falange  dalla  bianco-gialla  pontifìcia  bandiera  e  guidati  e 
preceduti  da  alunni  del  Seminario  diocesano,  gli  uni  coi  vessilli  Zma- 
jevic *,  gli  altri  con  fiori  che  recavano  e  profondevano  spargendo. . . 
per  avervi  testimonio  della  devozione  di  questi  cittadini,  che  s'affollava- 
no a  render  veritiera  col  fatto  la  iscrizione  latina  posta  di  fianco  alla  Cat- 
tedrale sopra  un  bel  padiglione,  dove  leggevasi  : 

Quem promeru't  absens,  redux  trìumphum  agii.  » 

6.  In  Roma  si  sono  chiuse  coll'Agosto  le  tornate  dell'  Accademia  di 
Religione  cattolica,  cominciate  nel  Maggio;  le  quali  quest'anno  desta- 
roro  anche  maggior  interesse  del  solito,  sì  per  la  presenza  di  tanti  Car- 
diali e  Vescovi  che  v'intervennero  con  frequenza,  sì  per  gli  argomenti 
proposti,  tutti  in  copulazione  del  Janus.  Come  già  altra  volta  si  fece  dal- 
l'Accademia in  riguardo  degli  errori  delNuytz,  così  si  è  fatto  questa  vol- 
ta in  riguardo  degli  errori  del  Janus,  prendendoli  a  confutare  in  una  se- 
rie di  dotte  el  eloquenti  dissertazioni.  Piacerà  ai  nostri  lettori  di  aver 
sottocchio  l'elenco  degli  argomenti,  come  già  fu  proposto  dall'Accade- 
mia. I.  Emo  Card.  Monaco  La  Valletta:  Aprirà  il  corso  accademico  con  un 
discorso  eli  libero  argomento. —  IL RvMoCan.  Gatti:  Falsamente  il  Janus 

1  II  Seminario  Diocesano  di  Zara  duetto  dai  Padri  della  Compagnia  di  Gesù  si  chiama  Seminario 
Zmajevic  dal  nome  di  monsignor  Arcivescovo  Zaìajevic,  che  Io  fondò  nello  scorso  secolo. 


G08  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

attribuisce  ai  Papi  la  corruzione  di  Roma  e  d'Italia  —  III.  Remo  Can. 
Farabulini:  Che  S.  Gregorio  VII,  Innocenzo  III  ed  i  seguenti  Pontefici, 
non  abbiano  falsificato  le  relazioni  della  Chiesa  e  dello  Stato,  siccome 
pretende  il  Janus  —  IV.  Remo  P.  Ilario  da  Parigi  de'  MM.  Cappuccini: 
Dagli  atti  di  Giovanni  XXII  contro  i  Frati  Minori  non  si  può  trarre  argo- 
mento, come  fa  il  Janus  a  danno  della  infallibilità  del  romano  Pontefice. 
—  V.  Remo  Mons.  Manacorda:  E  falso  il  concetto  del  Janus  che  i  Papi 
abbiano  alterato  il  senso  ed  il  concetto  del  primato  attribuito  alla  Sede 
di  Roma  —  VI.  Remo  P.  Vaccaui  Cassinese:  L'inquisizione  e  la  censu- 
ra non  furono  delle  nuove  istituzioni  le  quali  estendessero  e  deturpasse- 
ro l'autorità  papale,  secondo  che  asserisce  Janus  —  VII.  Rumo  Ab.  Bar- 
bato: Della  giurisdizione  papale  nelle  diocesi  contro  gli  errori  del  Janus. 
— Ylll.Rcmo  P.  De  Luise  de'Pii  Operati:  Se  i  decreti  delle  sessioni  lVe  V 
di  Costanza  fossero  conciliari,  autenticati  da  Martino  V,  e  riconosciuti  da 
EugenioIV.  — Remo  Can.  Giampaoli  de7 Canonici  Regolari  Lateranensi: 
A  torto  il  Janus  afferma,  la  dottrina  dell'  infallibilità  pontificia  essere 
stata  introdotta  dalCaietano,  dalCano,  dal  Bellarmino  —X.  Remo  Mons. 
Tripepi:  Quanto  sia  temeraria  ed  erronea  Y  asserzione  del  Janus  che 
S.  Gregorio  VII,  i  prossimi  Papi  e  i  Decretalisti  parafassero  la  libertà 
e  l'autonomia  dei  Concilii  —  XI.  Rimo  P.  Dussot  de'  PP.  Predicatori: 
S.  Tommaso  d'Aquino  ed  il  Papato  contro  le  accuse  del  Janus  — 
XII.  Illmo  e  Rmo  Mons.  Ferré,  vescovo  di  Casale  Monferrato:  Chiuderà 
il  corso  accademico  con  discorso  di  libero  argomento. 

7.  Come  abbiamo  cominciato  queste  varie  notizie  da  qualche  breve 
di  Sua  Santità,  così  le  chiuderemo  con  un  breve  di  grande  importanza 
in  risposta  a  un  Indirizzo  di  molti  del  Clero  di  Genova,  il  quale  Indirizzo 
fu  da  noi  recato  e  commentato  a  pag.  357  di  questo  volume,  ed  ora  re- 
cheremo il  breve  senza  commento,  e  il  recheremo  anche  in  italiano,  per 
que'cattolici  liberali  di  buona  fede  che  non  intendessero  abbastanza  il 
latino. 

Dilectis  Filiis  canonicis  Melropolitanae  Ecclesiae,  parocltis,  professo- 
ribus  et  presbijleris  ianuensibus ,  Pius  PP.  IX. 

Dilecti  Ftlii,  salutem  et  apostolicam  benedictionem.  —  Quamvis  obse- 
quentissimis  atque  amantissimis  verbis  significavissetis  lìdem  vestram 
quoad  divinas  apostolicae  huius  Sedis  praerogalivas,  et  desiderium, 
quo  flagrabatis,  ut  clarius  ipsae  et  firmius  assererentur  ab  oecumenici 
Concilii  auctoritate;  non  inopportunum  tamen  nec  inutile  duximus  rur- 
sum  vos  priora  vota  diserte  confirmasse,  dum  contrariae  vulgabantur 
opiniones  ab  ephemeride,  liberalium,  ut  aiunt,  doctrinarum  propugna- 
trice, ne  ullo  modo  participes  earum,  aut  saltem  incuriosi  lectores  exi- 
stim  iri  possetis.  Quae  sane  reclamatio  vostra  acceptior  etiain  Nobis  in- 
de fui t,  quo d  accesserit  improbationi  egregii  Praesulis  Vicarii  vostri 
capitularis;  quippe  sic  praclulit  eum  sententiarum  et  aflectuum  consen- 
sum,  qui  necessarius  semper,  nunc  praesertim  aperte  est  ostendendus, 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  C09 

cum  dirempta  quaestio  nihil  inter  verità  teca  et  errorem  medium  reli- 
quia et  sublato  fuco  studi  i  concordine,  effugiisque  iuterclusis,  ita  di- 
scriminavi t  aeiem,  ut  unusquisque  cuius  sit  prodere  cogatur.  Iteratas 
itaque  significationes  vestras  perlibenter  excepimus;  easque  futuras  es- 
se confidimus  non  modo  forni  tem  arctioris  inter  vos  et  cum  venerabili 
Fraesule  vestro  nexus,  sed  etiam  illicem  aliis,  qui  noudum  piane  praeiu- 
dicatas  abiecerint  opiniones  suas,  si  qui  sunt,  ut  in  unum  tandem  cor 
vobiscum  coeant  et  in  imam  animani.  Id  a  Patre  luminimi  ex  animo  po- 
scimus,  dum  f'avoris  eius  auspicem,  et  paternae  Nostrae  benevolentiae 
pignus  apostolicam  benedictionem  vobis  peramanter  impertimus. 

Datum  Romae  apud  sanclum  Petrum,  die  28  Iulii  anno  1870,  Ponti- 
lìcatas  Nostri  anno  vieesimoquinto.  Pius  PP.  IX.  » 

Ai  diletti  Figliuoli  canonici  della  Chiesa  metropolitana,  parrochi , 
professori  e  sacerdoti  genovesi.  Pio  PP.  IX. 

Diletti  Figliuoli,  salute  e  benedizione  apostolica.  —  Comechè  aveste 
di  già  con  ossequentissime  ed  amantissime  espressioni  manifestata  la 
vostra  fede  verso  le  divine  prerogative  di  questa  Sede  apostolica,  e 
del  pari  il  desiderio  onde  eravate  accesi,  che  venissero  desse  assev*erate 
più  chiaramente,  e  più  irrepugnabilmente  dall'autorità  del  Concilio 
ecumenico,  nulladimeno  non  reputammo  Noi  nò  inopportuno  nò  inuti- 
le che  voi  abbiate  di  nuovo  confermati  espressamente  i  voti  anteriori 
nel  caso  che  si  pubblicavano  contrarie  opinioni  da  un  periodico  propu- 
gnatore di  dottrine,  come  dicono,  liberali:  acciocché  voi  non  pote- 
ste esserne  per  niuna  maniera  tenuti  partecipi ,  od  esserne  per  lo 
meno  considerati  come  lettori  indifferenti.  Il  quale  vostro  reclamo 
tornò  a  Noi  certamente  meglio  accettevole  da  che  si  unì  in  accordo  colla 
riprovazione  fattane  dall'egregio  Prelato,  vostro  Vicario  capitolare; 
imperocché,  si  ebbe  così  quel  consenso  di  giudizii  e  di  affetti  che,  neces- 
sario sempre,  devesi  ora  in  ispecie  apertamente  mostrare,  mentre  la 
finita  quistione  non  lasciò  mezzo  fra  la  verità  e  Terrore;  e  tolto  via  il 
pretesto  di  adoperarsi  per  la  conciliazione,  e  chiuso  ogni  sotterfugio, 
dipartì  la  schiera  in  siffatto  modo,  che  corra  ad  ognuno  la  necessita  di 
confessare  con  chi  egli  sia.  Noi  quindi  ricevemmo  volentierissimo  le 
reiterate  vostre  significazioni;  e  confidiamo  dover  esse  riuscire  non 
solo  a  fomite  di  più  stretta  unione  fra  voi  e  col  vostro  venerabile  Pre- 
lato, ma  di  allettamento  eziandio  ad  altri ,  se  ve  ne  fossero,  che  non 
avessero  ancora  onninamente  reiette  le  pregiudicate  loro  opinioni  ;  sic- 
ché, in  un  sol  cuore  e  in  una  sola  anima  a  voi  s  uniscano  finalmente. 
Tanto  Noi  supplichiamo  con  tutta  V  anima  dal  Padre  dei  lumi,  mentre 
che,  com'auspice  del  suo  favore,  e  come  contrassegno  della  Nostra  be- 
nevolenza, con  p  eno  affetto  vi  compartiamo  la  apostolica  benedizione. 

Dato  a  Roma  presso  san  Pietro,  il  28  di  Luglio  dell'anno  1870 ,  del 
Nostro  Pontificato  Tanno  vigesimoquinto.  Pio  PP.  IX.  » 
Serie  VII,  voi.  XL  fase.  491.  39  27  Agosto  1870. 


610  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

III. 

CRONACA  DEL  CONCILIO 

1.  Lettera  del  Emo  Card.  Antonelli  intorno  alla  pubblicazione  della  Costituzione 
della  Sessione  IV  —  2.  Indirizzo  al  S.  Padre  di  adesione  al  Concilio  del- 
l'Emo Card.  Mattei,  riportato  dal  Giornale  di  Roma  —  3.  Altri  atti  di 
adesione,  indicati  dallo  stesso  giornale,  di  Vescovi  o  assenti  o  non  inter- 
venuti alla  IV  Sessione  —  4.  Cappella  papale  e  Congregazioni  generali 
—  5.  Monìtum  per  la  nomina  di  10  Padri  per  la  Deputazione  discipli- 
nare —  6.  Nomi  dei  Padri  eletti  —  7.  Monilum  per  la  continuazione  delle 
discussioni  conciliari  —  8.  Errata  corrige. 

1.  Pubblichiamo  una  lettera  deirEffio  Card.  Antonelli,  diretta  ai  Nun- 
zi, e  già  pubblicata  in  parecchi  giornali  —  IlliTio  e  RiUo  Signore  — 
«  Si  è  dato  a  conoscere  alla  S.  Sede  che  qualcuno  tra  i  fedeli,  e  forse 
anche  tra  i  Vescovi,  ritiene  non  essere  obbligatoria  la  Costituzione  apo- 
stolica emanata  nella  Sessione  del  Concilio  ecumenico  Vaticano  il  18 
del  precorso  mese  di  Luglio,  finché  con  ulteriore  atto  della  S.  Sede 
non  venga  solennemente  pubblicata.  Quanto  sia  strana  siffatta  suppo- 
sizione, può  da  ognuno  facilmente  ravvisarsi.  La  Costituzione,  di  cui  è 
parola,  ebbe  la  più  solenne  possibile  pubblicazione  nel  giorno  stesso  in 
cui  nella  Basilica  vaticana  venne  solennemente  confermala  e  promulga- 
ta dal  sommo  Pontefice  in  presenza  di  oltre  cinquecento  Vescovi  :  i 
do  stata  quindi  affissa  con  le  ordinarie  formalità  ne' consueti  luoghi  di 
"Roma,  sebbene  ciò  non  fosse  necessario  al  caso.  In  conseguenza  di  che, 
secondo  la  nota  regola,  si  rese  obbligatoria  per  V  intiero  mondo  cattoli- 
co, senza  bisogno  di  altra  qualsiasi  pubblicazione.  Ho  creduto  dover  co- 
municare a  V.  S.  I.  questa  breve  osservazione,  affinchè  possa  esserle  di 
norma  nel  caso  di  dubbii  che  le  si  muovano  da  qualche  parte.  Roma, 
41  Agosto.  G.  Card.  Antonelli.  » 

2.  Il  Giornale  di  Roma  in  due  numeri  ha  parlato  dell'atto  di  piena 
adesione  al  Concilio  fatto  da  molti  Vescovi  o  assenti  o  non  intervenuti 
alla  IV  Sessione.  Dapprima  nel  num.  dei  12  Agosto  così  diceva: 

«  Molti  dei  membri  dell1  Episcopato,  i  quali  o  per  motivi  di  malferma 
salute  o  per  gli  affari  urgenti  delle  proprie  diocesi  non  presero  parte 
alle  Congregazioni  e  Sessioni  del  Concilio  ecumenico,  bau  fatto  perve- 
nire alla  Santità  di  nostro  Signore,  col  mezzo  di  analoghi  indirizzi,  la 
loro  piena  adesione  alle  risoluzioni  e  definizioni  conciliari.  Fra  questi  vi 
è  stato  T  Eiho  e  Rnio  signor  Cardinale  Mattei,  decano  del  sacro  Collegio, 
Vescovo  di  0.4  a  e  Velletri,  Arciprete  della  patriarcale  basilica  Vaticana. 
il  cui  Indirizzo  è  del  tenore  seguente  : 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  611 

Beatissime  Pater 

Nihil  magis  optabam  quam  ut  oecumenico  Concilio  vaticano,  quod 
aeque  sapientissime  ac  providentissime  Sanctitas  Vestra  celebrandum 
esse  iusserat,  interessem.  Veruni  diuturna  intìrmitas,  quae  non  animi, 
sed  corporis  vires  usque  adhuc  debiles  reddidit,  impedimento  fuit,  quo- 
minus  ferventissimis  meis  votis  satisfacerem.  Utinam  mihi  licuisset  sal- 
tem  ad  solemnes  Sessiones  convenire,  quibus  unanimis  Patrum  consen- 
sus  stultam  rationis  autonomiam  damnavit,  et  divjna  iura  apostolicae 
Sedis,  et  romani  Pontificis  asseruit,  definiens  inter  cetera  infallibile  pror- 
sus  esse  romani  Pontificis  magisterium  circa  divinae  revelationis  doctri- 
nam,  ac  propterea  eiusdem  definitiones  per  se,  non  vero  ex  consensu 
Ecclesiae,  irreformabiles  esse.  Utinam  in  tara  venerabili  totius  Orbis  con- 
sessu,  prò  Sedis  Ostiensis  dignità  te,  primus  inter  Patres  potuissem  de- 
bilem  meam  vocem  extollere,  et  ceteris  omnibus  unanimiter  conclaman- 
tibus,  universo  Orbe  plaudente,  Te  Magistrum  infallibilem  Ecclesiae  ap- 
pellare. Certe  magna  quidem  fuisset  mea  gloriatio  in  Domino  si  omnibus 
praeivissem  in  eo  iudicio  quod  suprema  auctoritate  Tua  fuit  roboratum, 
nt  inter  densissimas  errorum  tenebras  splendidissimam  lucem  in  salutem 
populorum  undequaque  diffunderet.  Quoniam  id  per  me  praestari  non 
potuit,  per  bas  literas,  ad  pedes  Sanctitatis  Tuae  provolulus,  ore  et  cor- 
de profiteor  me  ultro  libenterque  et  amplecti  quaecumque  a  sacrosancta 
Synodo  iam  definita  sunt,  et  Tuam  vocem  in  supremo  Magisterio  obeun- 
do  tamquam  Petri  ipsius  oraculum  venerari.  Ut  autem  nulla  unquam 
aetate  dubium  remaneat  quaenam  Episcopi  Ostiensis,  sacri  Collegii  Car- 
dinalium  Decani,  simulque  Archi presbyteri  Vaticanae  Basilicae  senten- 
za fuerit,  humiilime  rogo  Sanctitatem  Tuam  ut  iubeas  in  ipsis  puhlicis 
Àctis  sacri  oecumenici  Concilii  cum  meae  absentiae  causa  hos  fìrmissi- 
mos  animi  mei  sensus  recenseri. 

Interea  Tuae  benignitati  confisus,  prò  me  et  grege  mihi  commisso, 
et  prò  Vaticanae  Basilicae  Capitulo  et  Clero  apostolicam  Benedictionem 
expostulo  ad  sacros  provolutus  pedes. 
Sanctitatis  Vestrae 

Cryptae  Ferratae  in  Tusculano,  die  2  mensis  Augusti  1870. 
Humilissimus,  Obsequentissimus,  et  Addictissimus  Servus  et  Filius 
Maruis  Cardinalis  Mattei. 

3.  Nel  num.  poi  dei  22  Agosto  il  Giornale  di  Roma  aggiungeva:  — 
«  Facendo  seguito  a  quanto  altra  volta  indicammo  intorno  alle  manife- 
stazioni che  i  Bini  Vescovi  o  assenti  o  non  intervenuti  alla  Sessione  IV 
del  Con -ilio  ecumenico  vaticano  han  fatto  in  riguardo  alla  Costituzione 
dommatica,  sancita  e  promulgata  nella  predetta  sessione,  crediamo  op- 
portuno di  notare  che,  sia  con  verbali  dichiarazioni,  quando  ancora  tro- 
vavansi  in  Boma,  sia  con  indirizzi,  dopoché  furono  tornati  alle  proprie  se- 
di, molti  di  essi  han  manifestato  alla  Santità  di  nostro  Signore  il  pienis- 
simo ossequio  della  loro  mente  e  del  loro  cuore  alla  conciliare  defìnizio- 


612  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

ne.  E  come  già  dicemmo  dell1  Emo  e  PuTio  signor  Cardinale  Mattei,  de- 
cano del  sacro  Collegio,  cosi  ora  ne  piace  aggiungere  i  nomi  degli  Emi 
e  Rnii  signori  Cardinali  Schwarzenberg,  Mathieu,  Rauscher,  d1  iìohen- 
lohe;  come  pure  dell'Arcivescovo  di  Sirace  di  rito  armeno,  e  dei  Vescovi 
di  Yalenee,  Cahors,  Lncon,  Chalons,  Sant'Agostino. 

Inoltre  indirizzi  di  egual  tenore  sono  alla  Santità  Sua  pervenuti  da  altri 
di  quei  RiTii  Vescovi  che  per  ragioni  legittime,  o  trattenuti  nelle  diocesi 
o  tornativi  antecedentemente  alla  sessione,  non  poterono  dare  i!  loro 
voto  per  la  menzionata  dommatica  Costituzione.  Fra  i  quali  ricordiamo 
gli  Arcivescovi  di  Aix,  di  Salerno,  di  Algeri,  e  quelli  di  Andra  e  di  Ce- 
sarea in  parlibus,  ambedue  di  rito  armeno;  ed  i  Vescovi  di  Verdun, 
Pamiers,  Saint  Flour,  Vincennes,  Angola,  Trapani,  Catanzaro,  Cefalù, 
Pozzuoli,  Cava  e  Sarno,  Sant'Angelo  dei  Lombardi,  e  dei  Vescovi  in 
fartibus  inftdelium  di  Poìemonia,  di  Almira  e  di  Columbica. 

Aggiungiamo  poi  che  il  Santo  Padre  prova  grande  consolazione  nel 
conoscere  come  la  parola  dei  Vescovi,  fatta  intendere  nelle  diverse  re- 
gioni al  loro  gregge,  col  mezzo  di  pastorali,  di  omelie  o  di  altri  generi 
di  pubblicazioni  adoperati  ad  annunziare  la  definita  verità  (siccome  han 
fatto,  per  nominarne  alcuni,  l'Arcivescovo  di  Colonia,  il  Vescovo  di  Ma- 
gonza  e  quello  di  Linz)  produce  buoni  Frutti  nei  fedeli,  che  con  la  debi- 
ta sommissione  piegano  docili  gì'  intelletti  in  ossequio  della  lede.  Corri- 
spondenza doverosa,  la  quale,  ad  accrescere  il  gaudio  del  suo  cuore,  ve- 
de la  Santità  Sua  farsi  ancora  più  solenne  con  dichiarazioni  consegnate 
in  affettuosi  indirizzi,  che  quotidianamente  arrivano  al  trono  pontiiicio.  » 

4.  I  Rmi  Padri  del  Concilio  il  li  Agosto  intervennero  alla  Cappel- 
la papale  nella  Basilica  Liberiana  per  la  solennità  dell'Assunta.  Già 
hanno  riprese  le  loro  adunanze  in  Congregazione  generale.  In  quella 
dei  13  Agosto  nominarono  temporaneamente  dieci  altri  Padri  per  la  De- 
putazione disciplinare,  e  in  quella  dei  623  ripresero  le  discussioni  sopra 
materie  disciplinari,  già  dibattute  in  Concilio:  nella  prima  celebrò  Mgr. 
De  Ferrari,  Arcivescovo  di  Lepanto;  nella  seconda,  Mgr.  Jekellalusi, 
Te-covo  di  Alba  Reale.  Daremo  qui  il  Monitum  per  la  nomina  della  De- 
putazione, e  la  lista  dei  Padri  eletti,  come  pure  il  Monitum  per  la  con- 
tinuazione delle  couciliari  discussioni. 

5.  MONITLM 

Cum  ex  Patribus,  qui  Congregationem  seu  Deputationem  prò  rebus 
Disciplinac  ecclesiaslicae  con^tituunt,  plerique,  usi  venia  a  SSmo  Domi- 
no Nostro  concessa,  e  Roma  ad  lem  pus  discesserint,  ne,  perdurante  eo- 
rum  absentia,  susceplum  iam  ab  ipsa  Deputatione  Schematum  examen  in 
suspenso  maneat,  Eminentissimi  ac  RevereudL-simi  Praesidea  Congre- 
galiouufli  generalium  RiTios  Concilii  Patres  rogant,  ut,  loco  absealium, 
ali<^  decem  eligere  velini,  qui  illorum  vices  interim  gerani.  (Juapropler 
proMina  die  Sabbati,  quae  est  decima  tenia  curreutis  mensis  Augusti, 
hora  oclava  cum  dimidio  in  Aula  Conciliari  habebitur  Congregatio  gè- 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  613 

neralis  ad  eiusmodi  electionem  per  schedulas  sccretas  peragendam.  Ro- 
gantur  itaque  Rfiii  Patres,  ut  eorum  quilibet  in  schedula,  que  huic  fo- 
lio adnexa  distribuitur,  adnotare  velit  ex  Patri  bus  Romae  praesentibus, 
decem,  quos  ad  praedictum  temporaneum  munus  seligendos  iudieaverit. 
E  Secretaria  Concilii  Vaticani,  die  9  Augusti  1870. 

Ludovicus  Iacobini,  Subsecretarius  Concilii  Yaticani. 

6.  Nomina  Revcrcndissimorum  Patrum,  qui  in  Congregatane  generali 
dici  13  ìugusti  ad  Deputationem  prò  rebus  Disciplinae  ecclesiasti- 
cae,  loco  absentium,  maiori  suffragiorum  numero  electi  sunt. 

1.  Yincentius  Jekelfalusy,  Epìscopus  Albaregalensis. 
ì.  Michael  Paya  y  Rico,  Episcopus  Conchensis. 

3.  Benvenutus  Mouzon.y  Martins,  Archiepiscopus  Granatensis. 

4.  Iacobus  Quinn,  Episcopus  Brisbanensis. 

5.  Iosephus  Targioni,  Episcopus  Volaterranus. 

6.  Frauciscas  Robertus  Blanchet,  Archiep.  Oregonopolitanus. 

7.  Petrus  Paulus  Trucchi,  Episcopus  Foroliviensis. 

8.  Alexander  Franchi,  Archiepiscopus  Thessalonicensis. 

9.  Iacobus  Bailles,  Episcopus  iam  Lucionensis. 
10.  Yincentius  Moretti,  Episcopus  Imolensis. 

E  Secretaria  Concilii  Vaticani,  die  16  Augusti  1870. 

Ludovicus  Iacobini,  Subsecretarius  Concilii  Vaticani. 

7.  MONITUM 

Mittiturhuic  folio  adiectum  Schema  Constitutionis  disciplinaris  de  Se- 
de  Episcopali  vacante,  rel'ormatum  iuxta  observationes  Patrum,  una 
cum  Relatione  ad  ipsum  pertinente. 

Proxima  Congregatio  generalis  habebitur  Feria  III  sequentis  hebdo- 
madae,  die  23  currentis  mensis  x\ugusti,  bora  octava  cum  dimidio,  in 
qua  post  Relationem  ab  uno  ex  Patribus  Deputa  tionis  prò  rebus  Disci- 
plinae ecclesiasticae  habendam,  fiet  de  eodem  Schemate  discussio  gene- 
ralis, qua  absoluta  procedetur  ad  discussionem  specialem.  Itaque  Reve- 
rendissimi  Patres  qui  de  hoc  Schemate  loqui  voluerint,  poterunt  suum 
disserendi  propositum  modo  solito  significare  ad  normam  Decreti  diei 
20  Februarii  huius  anni. 

E  Secretaria  Concilii  Vaticani,  die  19  Augusti  1870. 

Ludovicus  Iacobini,  Subsecretarius  Concilii  Yaticani. 

8.  Nella  lista,  che  demmo  nel  passato  quaderno  a  pag.  486,  dei  Pa- 
dri defunti  dall'  apertura  del  Concilio  lino  alle  solenni  esequie  celebrate 
in  Roma  agli  8  Agosto,  manca  il  nome  di  mgr.  Derry,  Vescovo  di  Gon- 
ferà che  passò  a  miglior  vita  a  Cams  presso  Roscommon  in  Irlanda,  po- 
che settimane  dopo  il  suo  ritorno  da  Roma  per  motivi  di  salale.  Adun- 
que nella  lista  necrologica,  dopo  il  nome  di  monsignor  Grant,  si  dee  ag- 
giungere :  Iohannes  Derry,  Episcopus  Clonfertensis. 


;  R  0  N  A  C  : 

C ONTE M  P  0 R A  N  E  A 


Roman  Agosto  1870. 


I. 
COSE  ITALIANE. 


Stato  Pontificio  1.  Festa  onomastica  di  S.  M.  F  imperatore  Napoleone  — 
2.  Visita  del  Santo  Padre  a  S.  Luigi  dei  Francesi  —  3.  Preghiere  in  Roma 
per  la  pace  —  4.  Battesimo  di  un'ebrea  —  5  Noterella  del  Giornale  di 
Roma  —  6.  Fatto  deplorabile  di  un  pazzo  in  Roma  e  pazzie  non  meno  de- 
plorabili dei  giornalisti  italiani. 

1.  La  festa  onomastica  di  S.  M.  Napoleone  HI,  imperatore  de  Fran- 
cesi, fu  celebrata  il  15  Agosto,  secondo  il  consueto,  nella  ven.  chiesa 
nazionale  di  S.  Luigi,  che  per  tal  circostanza  vedevasi  splcdidamente 
addobbata  ed  illuminata.  V  Illustrissimo  e  Reverendissimo  monsignor 
Charbonnier,  Vescovo  di  Domiziopoli  e  Vicario  apostolico  della  Codiin- 
china  orientale,  pontificò  la  solenne  Messa,  assistito  dalla  comunità 
ecclesiastica  di  quella  chiesa.  Lo  stesso  prelato,  terminata  la  Messa, 
impartì  la  trina  benedizione  coir  augustissimo  Sagramento.  A  queste 
sacre  funzioni  intervenne  privatamente  PEffio  e  Rino  signor  Cardinale 
Bonaparte.  A  prestarvi  poi  assistenza  in  formalità  recovvisi  in  gran 
treno  S.  E.  il  signor  marchese  de  Banneville,  ambasciatore  di  S.  M.  I. 
presso  la  Santa  Sede,  accompagnato  dagli  addetti  all'imperiale  amba- 
sciata. V'intervenne  eziandio  il  signor  direttore  dell'  imperiali  accade- 
mia di  belle  arti,  coi  pensionati  della  medesima,  e  molti  p 
nazionali  e  stranieri. 


CRONACA  CONTEMPOIUTnEA  615 

2.  La  festiva  ricorrenza  di  S.  Lodovico  IX,  re  di  Francia,  fu  celebra- 
ta, i!  23  Agosto,  nella  suddetta  chiesa  nazionale  dedicata  a  Dio  in  onore 
di  quel  Santo.  Gli  Emi  e  Rnii  signori  Cardinali  vi  tennero  la  consue- 
ta cappella,  assistendo  alla  solenne  Messa  che  fu  pontificata  dall'Illu- 
strissimo e  Reverendissimo  monsig.  Rossi-Yaccari,  Arcivescovo  di  Co- 
lossi. Gli  Emi  Porporati  furono  ricevuti  da  S.  E.  il  signor  Marchese  de 
Banneville,  ambasciatore  di  S.  M.  l'Imperatore  dei  Francesi  presso  la 
S.  Sede,  che  erasi  recato  al  sacro  tempio  in  gran  treno  accompagnato 
dagli  addetti  alla  imperiale  ambasciata,  insieme  ai  quali  assistè  pari- 
mente alla  Messa.  La  Santità  di  nostro  Signore,  nelle  ore  pomeridiane, 
recovvisi  in  treno  nobile,  accompagnata  dalla  sua  corte  ed  anticamera, 
e  nel  discender  di  carrozza  fu  ricevuta  dal  nominato  signor  Ambasciato- 
re, ed  alla  porta  della  chiesa,  dal  Clero  nazionale  che  vi  attende  all'uffi- 
ciatura. Seguito  dai  medesimi  il  Santo  Padre  adorò  V  augustissimo  Sa- 
gramene, ed  orò  dinanzi  Tal  tare  di  san  Lodovico.  Dipoi  nella  sagrestia 
ammise  al  bacio  del  piede  quanti  aveano  avuto  l'onore  di  riceverlo,  e 
molti  altri  signori  e  dame. 

Nella  ricorrenza  della  solennità  del  Santo  titolare  la  sua  chiesa,  che 
è  vestita  tutta  di  marmi  e  decorata  con  nobilissime  pitture  e  lavori  di 
stucchi  e  dorature,  si  è  vista  cresciuta  in  decoro  per  diverse  nuove 
opere  che  testò  vi  sono  state  condotte  a  termine,  coi  disegni  e  la  dire- 
zione dell'architetto  Luca  Carimini.  Fra  esse  opere  va  principalmente 
notato  il  pavimento,  disteso  sopra  un  vespaio  per  liberare  l'edificio  dal- 
l'umidità. Nelle  navate  piccole  si  sono  collocate  ed  ordinate  tutte  le 
lapidi  che  erano  sparse  pel  pavimento,  alla  conservazione  delle  quali  fu 
gelosamente  provveduto,  e  la  parte  della  navata  di  mezzo,  rimasta  li- 
bera da  ogni  lapide  mortuaria,  è  stata  con  marmi,  distinti  per  varietà 
di  colori,  ridotta  a  nobilita  e  bellezza,  che  accorda  assai  bene  colle  de- 
corazioni del  sacro  tempio. 

3.  Il  Cardinal  Patrizi  Vicario  di  S.  S.  pubblicò  il  seguente  Invito  sa- 
cro: «  Una  guerra  devastatrice  miete  al  presente  a  migliaia  le  vite  de- 
gli uomini,  e  porta  la  desolazione  ed  il  lutto  ira  i  popoli  di  due  grandi 
Nazioni.  Questo  terribile  flagello,  con  cui  Dio  nella  sua  giustizia  punisce 
i  peccati  degli  uomini,  è  pure  un  mezzo  per  richiamarli  al  ravvedi- 
mento ed  alla  sincera  conversione,  impegnandoli  a  ricorrere  con  ferventi 
preghiere  all'  infinita  sua  misericordia,  onde  cessi  il  castigo  e  torni  la 
desiderala  pace.  Ad  ottenere  così  importanti  fini  la  Santità  di  nostro 
Signore  ha  ord  nato  che  nelle  infrascritte  chiese,  nei  giorni  di  lunedì  22, 
martedì  23,  e  mercoledì  24  corrente,  si  celebri  un  divoto  Triduo,  in  cui 
con  umili  suppliche  s'impetri  da  Sua  Divina  Maestà  che,  per  l'inter- 
cessione della  SSma  Vergine  e  di  tutti  i  Santi,  si  plachi  la  giusta  ira 
sua,  e  la  formidabile  spada  che  reca  desolazione  e  strage  rientri  nella 


616  CRONACA 

sua  vagina  e  si  quieti:  0  rimerò  Domini,  usqueguo  non  quiesces?  Tngredere 
in  rag inani  tuam,  refrigerare  et  sile.  lerem.  XLVU,  6.  Esposto  pertanto 
il  SSìTio  Sagramento  si  reciteranno  le  Litanie  dei  Santi  colle  consuete 
orazioni  come  nell"  Esposizione  delle  Quaranlore,  e  cantato  quindi  il 
Tantum  ergo  si  darò  la  benedizione  col  SSìTio  Sagramento.  11  Sauto  Pa- 
dre accorda  l'indulgenza  di  sette  anni  per  ciascun  giorno  del  Triduo,  e 
la  plenaria  a  lutti  coloro  che  confessati  e  comunicati  vi  saranno  interve- 
nuti tutti  e  tre  i  giorni.  Le  stesse  indulgenze  si  lucreranno  dalle  Comu- 
nità religiose,  adempiendo  la  prescritta  preghiera  e  pregando  secondo  la 
mente  di  Sua  Santità.  Prescrive  inoltre  il  Santo  Padre  che  in  tutte  le 
Messe  che  si  celebreranno  negli  indicati  tre  giorni  si  aggiunga  la  colletta 
prò  Pace,  in  luogo  dell'altra  A  domo  tua.  Dato  dalla  nostra  Residenza  li 
21  Agosto  1870.  C.  Card.  Vicario.  Placido  Canonico  Petacci  Segretario.  » 

Il  triduo  ha  avuto  luogo  nelle  ore  e  nei  giorni  stabiliti.  Alla  sera 
funzione  e  alla  benedizione  data  col  Venerabile,  la  quale  in  più  luoghi 
fu  impartita  da  eminentissimi  Porporati,  si  fece  straordinario  concorso 
di  persone  di  ogni  grado  e  condizione.  Sua  Santità  ad  assistervi  recossi 
il  primo  giorno  nella  chiesa  del  Gesù,  il  secondo  in  S.  Maria  della  Pace, 
e  l1  ultimo  in  S.  Maria  della  Scala.  Dalla  qual  chiesa  il  Santo  Padre,  pri- 
ma di  restituirsi  alla  residenza  vaticana,  andò  a  S.  Bartolomeo  all'Isola, 
ove  celebravansi  i  primi  vespri  della  festività  di  questo  santo  Apostolo, 
il  cui  sacro  tempio,  ufficiato  dai  religiosi  Minori  Osservanti,  è  stato  testé 
restaurato,  e  nobilmente  decorato  con  marmi,  stucchi  e  pitture  a  buon 
fresco. 

4.  Nella  chiesa  di  S.  Andrea  della  Valle,  il  giorno  di  Domenica  21 
Agosto  F  Mulo  e  Rmo  monsignor  Villanova-Castellacci ,  Arcivescovo 
di  Pietra,  conferì  solennemente  i  santi  sacramenti  del  Battesimo  e 
della  Confermazione  all'ebrea  romana  Gemma  Coen,  dell'età  di  anni  23. 
La  neofita  prese  i  nomi  di  Maria,  Grazia,  Francesca,  Saveria,  Luigia, 
col  cognome  Villa,  ed  ebbe  a  madrina  la  nobil  signora  marchesa  Fanny 
Amat  di  Villa-Rios. 

:;.  Nel  Giornale  di  Roma  dei  23  Agosto  si  legge  quanto  segue:  «  In 
una  corrispondenza  recata  dal  Nord,  nel  suo  numero  di  giovedì  18  cor- 
rente, si  asserisce  essersi  il  Vaticano  gittato  in  braccio  alla  Prussia,  e  si 
scende  a1  particolari.  Possiamo  assicurare  che  queste  asserzioni  sono  af- 
fatto insussistenti.  Il  Vaticano  non  si  getta  che  nelle  braccia  del  divino 
Fondatore  della  Chiesa  cattolica.  » 

6.  Il  giorno  di  venerdì  12  di  questo  mese  avvenne  caso  assai  doloro- 
so in  Roma,  «he  è  stato  in  modo  veramente  strano  travisato  su  pei  gior- 
nali d'Italia.  11  caso  fu  questo.  Era  da  qualche  tempo  venuto  in  Homa  un 
giovane  olandese  per  farsi  zuavo:  ma  poiché  dette  subito  segui  di  accessi 
maniaci  per  soverchia  esaltazione,  non  venne  ascritto  in  quel  corpo, 


CONTEMPORANEA  617 

e  fu  in  vece  consegnato  al  Manicomio  per  farlo  curare.  E  quivi  sembrò 
di  fatto  guarito,  tantoché  ne  fu  rimandato  al  tutto  libero.  Appena  usci- 
tone, eccolo  di  nuovo  attaccato  dal  male,  cosicché  fu  ricondotto  allo 
spedale  ;  ma  non  vi  potè  essere  sul  fatto  ammesso,  per  mancanza  d1  una 
delle  indispensabili  formalità  di  simili  ammissioni.  Nel  brevissimo  tempo 
che  si  attendeva  a  compierla,  riuscì  al  giovane  alienato  di  prendere  nel 
palazzo  Righetti  al  Biscione,  non  osservato  da  veruno,  un  fucile  e  delle 
munizioni,  che  per  guardia  del  Casino  dei  zuavi  olandesi  vi  si  custodi- 
scono in  uno  stanzino  posto  in  cima  a  una  scaletta  a  lumaca,  cosicché 
per  la  strettezza  del  luogo  potè  nel  medesimo  tempo  minacciare  col  fu- 
cile coloro  che  sarebbero  saliti  per  detta  scaletta,  e  sparare  dalla  fene- 
stra  che  apre  sul  Campo  di  fiori. 

Intanto  che  la  forza  pubblica  dei  gendarmi  e  dei  zuavi  accorreva  sul 
luogo,  intanto  che  si  abbatteva  la  porta  di  dentro  per  impadronirsi  di 
lui,  e  di  fuori  gli  si  tiravano  fucilate  per  obbligarlo  a  ritirarsi  ed  a  ces- 
sare; scorse  un  po'di  tempo;  e  questo  bastò  perchè  egli  ferisse  di  palla 
sette  persone,  tra  le  quali  due  zuavi.  Si  riuscì  alla  fine  a  penetrare  ovV 
gli  era:  si  dovè  lottare  con  lui,  né  cedette  se  non  quando  fu  colpito 
in  viso  da  un  colpo  di  rivoltella  tiratogli  da  un  zuavo.  Colla  sua  pre- 
sura tutto  fu  terminato.  Ma  quelle  fucilate,  quei  ferimenti  e  V  ignoranza 
della  cagione  fecero  un  istante  credere  nelle  adiacenze  del  silo,  e  in- 
di di  mano  in  mano  per  la.  città,  che  accadesse  in  quel  momento 
qualche  cosa  di  grosso:  e- la  gente  si  ritrasse  impaurita  nelle  case, 
e  parecchie  botteghe  si  chiusero.  Qualche  ora  dopo  tutto  fu  saputo, 
e  l'apprensione  del  popolo  tostamente  si  dissipò. 

Il  dì  vegnente  il  Colonnello,  con  un  sensatissimo  ordine  del  giorno, 
annunziò  ai  zuavi  il  fatto  del  dì  precedente,  non  imputabile  certamente 
al  corpo  :  e  al  tempo  stesso  aprì  una  soscrizione  per  venire  in  soccorso 
dei  feriti  e  delle  famiglie  di  due  fra  questi  già  trapassati. 

Questa  sventura,  grave  e  dolorosa  al  certo,  ma  senza  colpa  di  veru- 
no, fu  detta  nei  giornali  d'Italia  una  provocazione,  un  insulto  sanguino- 
so al  popolo,  una  rivoltura.  Così  si  scrive  la  storia  da  certe  fazioni  ! 


618  CRONACA 

II. 
COSE  STRANIERE. 


Guerra  Franzo  Prussiana  1.  Combattimento  di  Wissemburgo  —  2.  Battaglia 
di  Worth  —  3.  Combattimento  di  Forbach  —  4.  Ritirata  sopra  Metz  — 
5.  Parigi  e  la  guerra  —  6. 1  neutri. 


1.  Il  fatto  d'arme  di "Wissemborgo,  quantunque  meno  importanle  di  tut- 
ti per  la  scarsità  delle  truppe  cbe  vi  erano  impegnate  da  parte  dei  fran- 
cesi e  per  la  enorme  inferiorità  numerica  in  cui  versavano  rispetto  al 
nemico,  pure  si  può  dire  importantissimo  per  le  conseguenze  che  ha 
avuto.  Sotto  al  rispetto  tattico  fu  cosa  da  poco,  invece  sotto  il  rispetto 
strategico  fu  fatale.  Vediamolo  brevemente: 

La  2.a  divisione  del  1.'  corpo  francese,  staccata  a  Wissemborgo,  tro- 
vavasi  da  15  a  20  miglia  innanzi  al  1.*  corpo  d'armata  raccolto  fra 
Strasborgo  e  Haguenau,  e  a  più  di  20  miglia  sopra  il  fianco  destro  del 
corpo  di  Failly  stanziato  a  Bitche.  Era  quindi  evidentemente  troppo  lon- 
tana da  qualunque  soccorso:  né  poteva  impegnare  un  serio  combatti- 
mento contro  forze  superiori,  perchè  non  poteva  esser  soccorsa  se  non 
dopo  un  giorno  di  pugna.  Appare  dai  documenti  cbe  si  hanno,  che  il 
Douay  non  solo  non  si  avvide  che  i  prussiani  raccoglievano  molte  trup- 
pe di  là  della  Lauter,  ma  sembra  quasi  che  non  volesse  accorgersene,  e 
ciò  nella  speranza  di  poter  battere  i  prussiani  colle  sole  sue  forze,  ed 
aver  così  l'onore  della  prima  vittoria.  Il  sotto-prefetto  di  Wissemborgo, 
più  vigilante  o  meglio  informato,  erasi  avveduto  di  questo  concentra- 
mento  di  truppe  nel  confine  bavarese,  e  mandava,  la  vigilia  del  combat- 
timento, telegrammi  al  Quartier  generale  nei  quali  era  detto,  secondo 
il  Gaulois  del  7,  «  aspettarsi  egli  da  un  momento  all'altro  l'attacco  della 
città.  »  Ed  aggiugeva:  «  Non  per  paura  vi  telegrafo  cosi,  ma  credetemi, 
vi  do  informazioni  esatte!  »  Altri  giornali  interpretano  la  indifferenza  del 
Quartier  generale  principale  francese  in  altro  modo;  dicono  cioè  che  i 
prussiani  eransi  a  bello  studio  lasciati  sorprendere  un  falso  disegno  di 
guerra,  secondo  il  quale  essi  dovevano  fare  un  fìnto  attacco  a  Wisse.n- 
borgo,  ma  realmente  sboccare  per  Sarrebruck  col  grosso  dell'esercito,  e 
marciare  sopra  Parigi.  Ma  questo   pare  assai  improbabile;   giacché 


CONTEMPORANEA  619 

nemmeno  a  Sarrebruck  i  francesi  erano  in  forza,  e  vi  avevano  lasciato  il 
solo  corpo  di  Frossard.  11  più  probabile  si  è  che  lo  stato  maggiore  fran- 
cese erasi  deciso  a  mantenersi  fra  la  Saar  e  la  Moseìla,  nella  convin- 
zione (he  gravi  fatti  d'arme  non  si  potessero  compiere  nella  valle  del  Re- 
no, dove  non  erasi  lasciato  che  il  corpo  di  Mac  Mahon  e  assai  più  indie- 
tro il  corpo  ancora  in  formazione  in  quel  momento  del  generale  Douay 
fratello  di  quello  che  morì  a  Wissemborgo.  Altra  accusa  si  fa  da  taluno 
ai  generali  francesi,  ed  è  quella  di  vivere  in  mala  intelligenza  fra  lo- 
ro. Poco  disposti  ad  aiutarsi  nei  pericoli,  e  troppo  lìdenti  nella  bravu- 
ra delle  loro  truppe,  essi  evitavano  forse  a  bello  studio  di  unirsi  ai  col- 
leghi, per  aver  l'onore  di  vincere  in  nome  proprio.  Questa  mala  intel- 
ligenza dei  Generali  è  cosa  notoria  neh1  esercito  francese,  e  già  alla  bat- 
taglia di  Solferino  erano  avvenuti  gravissimi  inconvenienti  fra  i  gene- 
rali Canrobert  e  Niel,  che  però  furono  sopiti  dalla  vittoria.  Checché  ne 
sia,  è  certo  che  il  gen.  Douay  non  credeva  certamente  di  aver  a  fare  con 
tutto  l'esercito  del  Principe  reale,  e  credendo  di  aver  a  fronte  una  forza 
non  troppo  superiore  alla  sua,  avventurò  la  battaglia. 

La  divisione  Douay  si  componeva  del  16°  battaglione  di  cacciatori, 
dei  50°  e  78°  reggimenti  di  linea,  di  un  reggimento  di  zuavi ,  e  di  un 
reggimento  dei  famosi  turcos.  Non  ci  consta  di  quanta  cavalleria  fos- 
se provvista:  ma  essendo  in  un  posto  d'osservazione,  non  potea  averne 
meno  di  un  reggimento.  Ma  piccola  parte  di  queste  truppe  stava  nella 
città,  o  almeno  ne  uscì  per  combattere  alla  campagna,  fin  dai  primi  mo- 
menti della  pugna.  Le  truppe  stavano  per  la  maggior  parte  attendale 
fuori  della  città,  nei  prati  e  campi  che  la  circondano,  avendo  di  fronte 
a  se  le  macchie  che  avvicinano  la  Lauter.  I  corpi  si  guardavano  appena 
sulla  loro  fronte,  secondo  l'uso  delle  truppe  francesi  che,  come  quelle 
che  si  professano  sempre  pronte  a  ricevere  il  nemico,  tengono  quasi 
come  atto  di  codardia  lo  star  vigilanti  contro  un  assalto. 

Intanto  i  prussiani,  che  da  parecchi  giorni  si  raccoglievano  nelle  bo- 
scaglie che  stanno  sulla  sponda  sinistra  del  fiume,  si  misero  in  movimen- 
to. I  prussiani  pare  non  credano  opportuno  di  insegnare  con  minute  re- 
lazioni al  nemico  i  loro  procedimenti  tattici  ;  da  parte  dei  francesi  il  Ge- 
nerale che  avrebbe  potuto  darle  è  morto  nella  mischia,  e  la  sua  divisio- 
ne schiacciata  ha  pena  a  riordinarsi,  né  può  pensare  a  riferire  le  sue 
sventure.  Dalle  relazioni  però  più  autentiche,  benché  private,  sembra 
che  il  fatto  passasse  così. 

Il  Principe  reale  di  Prussia  aveva  raccolto  al  di  là  della  Lauter  tutto 
il  suo  esercito  composto  dei  5\  6',  11°,  12°  corpi  d'armata  bavarese 
(1 3 6  federale).  Si  ignora  se  il  1°  corpo  bavarese  e  il  contingente  del 
Wurtemberg  che  appartengono  a  quell'esercito,  fossero  sul  luogo.  Il 
2°  corpo  bavarese  formava  la  destra  dell'  esercito  prussiano  e  occupava 
le  alture  che  stanno  a  monte  di  "Wissemborgo;  il  5"  corpo  prese  posizio- 


620  CRONACA 

ne  in  faccia  a  WisfcèmborgD.  L'I  1°  corpo  comparve  di  qua  dalla  Lauler  e 
protetto  dalle  boscaglie,  sorprese  la  destra  dei  Francesi  nei  suoi  allog- 
giamenti; né  è  certo  se  avesse  passala  la  Lauter  a  guado,  oppure  se, 
sboccando  da  Lauterhorgo,  avesse  risalito  la  sponda  destra  del  fiume 
fino  al  convegno  di  battaglia.  Gli  altri  corpi  non  furono  impegnatilo 
almeno  solo  qualche  frazione  di  quei  corpi,  specialmente  la  cavalleria, 
presero  parte  alla  lotta.  Ad  ogni  modo  questi  tre  corpi  che  formavano  da 
60  a  70  mila  uomini  erano  più  che  sufficienti  per  isehiacciare  i  10,000  fran- 
cesi della  divisione  Douay.  Il  Principe  reale,  operando  con  una  pruden- 
za veramente  straordinaria,  e  servito  con  eguale  puntualità  dalle  sue 
truppe,  aspettò  che  il  segno  della  battaglia  venisse  dato  daini9  corpo 
come  quello  che,  avendo  da  l'are  una  lunga  marcia,  era  il  meno  sicuro  di 
essere  esaito  all'appuntamento.  11  successo  di  questa  manovra  fu  così 
pieno,  che  quando  le  teste  di  colonna  prussiane  shoccarono  dalla  selva, 
sorpresero  i  zuavi  di  Douay,  mentre  stavano  preparando  il  rancio  del 
mattino.  La  prontezza  dei  francesi  a  mettersi  in  battaglia  è  nota.  Gli 
zuavi,  appena  visti  spuntare  i  prussiani,  abbandonato  il  rancio,  diedero 
di  piglio  alle  armi  e  messisi  in  ordine  corsero  con  tanto  impeto  contro 
i  prussiani,  che  li  ricacciarono  in  disordine  nel  bosco,  malgrado  la  vigo- 
rosa resistenza  che  questi  opponevano.  Il  rimanente  della  divisione 
francese  mettevasi  in  ordine  di  combattimento,  e  schieravasi  fumi  della 
città  per  far  fronte  all'attacco  dell1  IT  corpo  prussiano.  La  strada  ferra- 
ta Haguenau-Landau,  proprio  al  punto  in  cui  si  scosta  da  AYissemborgo, 
corre  sui  fianchi  di  un  colle  che  è  tagliato  a  picco,  per  dar  luogo  alla  fer- 
rovia. Ài  momento  in  cui  i  francesi  si  ordinavano  per  far  fronte  all'I  1° 
corpo  prussiano,  ecco  comparire  sulla  sommità  del  colle,  il  Principe  ere- 
ditario col  suo  stato  maggiore;  e  quasi  questa  comparsa  fosse  il  segnale 
dell'  impegno  generale  delle  truppe,  tosto  il  2°  corpo  si  presenta  contro 
la  città,  mentre  il  corpo  bavarese  si  avanza  sulle  alture,  a  monte  della  cit- 
tà medesima.  Ognuno  capisce  quanto  fosse  critica  fin  dal  primo  momento 
la  condizione  dei  francesi.  Pare  che  un  sol  battaglione  francese  difendesse 
parecchie  ore  la  città,  contro  gli  attacchi  di  tutto  un  corpo  prussiano;  men- 
tre poche  truppe  si  stendevano  sulle  alture  per  trattenere  i  bavaresi  che 
minacciavano  di  venire  a  prendere  da  tergo  il  grosso  della  divisione 
francese,  impegnato  giù  in  basso  contro  TU"  corpo.  E  contro  questo 
corpo  ferveva  il  grosso  della  mischia,  perchè  qualora  si  fossero  potuti 
ricacciare  da  quella  parte  i  prussiani  di  là  della  Lauler,  era  meno  dif- 
ficile sostener  la  città,  e  proleggere  le  alture  contro  i  bavaresi.  Ma  que- 
sta impresa  era  disperata.  Tre  reggimenti  di  fanteria  e  pochi  squadroni 
avevano  a  lottare  contro  otto  reggimenti  di  fanteria  e  sci  reggimenti  di 
cavalleria.  Il  reggimento  dei  zuavi,  respinto  indietro  dalle  masse  prus- 
siane, che  sempre  ingrossavano,  ripiegavasi  sulla  prima  brigata.  Questa 
entrò  bravamente  in  linea  e  sostenne  il  fuoco.  Si  disse  che  in  breve 


CONTEMPORANEA  621 

mancarono  ai  soldati  le  cartucce,  o  che  i  fucili  chassepol,  le  cui  canne 
sono  leggere  e  sottili,  si  scaldassero  in  breve  talmente,  da  renderne  diffi- 
cile Fuso;  ma  probabilmente  i  francesi  non  ascoltarono  che  la  loro  auda- 
cia, e  vollero  rimaner  fedeli  alla  loro  tattica:  vale  a  dire  che  dopo  alcune 
scariche  si  gitlarono  novamente  colla  baionetta  sul  nemico.  Ma  se  l'at- 
taccare alla  baionetta  il  nemico  che  si  ha  di  fronte  è  quasi  sempre  un 
movimento  che  assicura  la  vittoria,  ciò  diviene  pericolosissimo  quando 
si  carica  un  nemico  troppo  numeroso  che  occupa  una  linea  di  battaglia 
molto  estesa;  perchè  per  lo  stesso  sfondare  che  si  fa  il  nemico  in  un 
punto,  le  parti  non  attaccate,  se  tengono  fermo,  vengono  a  trovarsi  di 
banco  all'assalitore,  lo  crivellauo  di  fuochi  e  in  breve  lo  annientano.  Ma 
ciò  che  più  monta,  i  prussiani  avevano  profondamente  studiata  la  tatti- 
ca francese,  e  avevano  anche  cercato  il  rimedio  a  questo  pericolo.  Infatti, 
mentre  i  francesi  si  mettevano  in  moto  per  la  carica,  cosa  che  produ- 
ce sempre  un  certo  spostamento  delle  file  e  un  tal  qual  disordine,  la 
cavalleria  prussiana,  sbucata  a  sua  volta  dai  boschi,  caricò  vigorosamente 
le  colonne  francesi.  E  mentre  alcune  di  queste  più  fortunate  raggiungeva- 
no il  nemico  e  impegnavano  la  lotta  a  corpo  a  corpo,  le  altre  disordinate 
dalle  cariche  della  cavalleria,  indietreggiavano  in  disordine,  appena  sal- 
vate, grazie  alla  cavalleria  francese,  da  uno  sbaraglio  totale.  D'altra  parte 
le  poche  colonne  che  avevano  riuscito  a  raggiungere  il  nemico,  so- 
praffatte dair  immensa  sua  superiorità,  dopo  brevi  momenti  di   una 
lotta  eroica  ma  disuguale,  furono  costrette  esse  pure  a  retrocedere  in 
disordine.  In  quel  frattempo  una  formidabile  artiglieria  prussiana,  ve- 
niva a  prendere  posizione  sul  pendio  della  collina,  alla  sommità  della  qua- 
le stava  il  Principe  ereditario  e  riduceva  in  breve  al  silenzio  l'artiglieria 
francese  inferiore  in  numero  di  bocche  e  in  posizione.  Sulle   alture  e 
nella  città  i  pochi  francesi  facevauo  alla  meglio  fronte  agli  attacchi  in- 
cessanti di  truppe  sempre  fresche  che  loro  affacciavano  i  prussiani  e 
i  bavaresi,  ma  nella  pianura,  il  grosso  della  divisione  era  disfatto  e  il 
combattimento  perduto.  Se  in  quel  momento  il  gen.  Douay  avesse  ordi- 
nala la  ritirata,  forse  il  risultato  del  combattimento  non  sarebbe  stato 
così  funesto.  I  prussiani  non  ancora  imbaldanziti  da  vittorie,  meravi- 
gliati dell'audacia  con  cui  un  pugno  d'uomini  veniva  intrepidamente  ad 
attaccare  un  esercito  sette  volte  più  numeroso,  temendo  un  soccorso 
vicino,  non  li  avrebbero  forse  di  troppo  inquietati  nella  ririrata.  Ma 
il  generale  Douay,  conscio  forse  del  suo  fallo  di  essersi  lasciato  sor- 
prendere e  di  non  essersi  messo  in  ritirata,  e  desideroso  anche  di  sal- 
vare l'onore  di  tutto  l'esercito,  con  una  sconfitta  eroica,  volle  tentare 
un'  ultima  prova.  I  battaglioni,  protetti  da  alcune  cariche  di  cavalleria, 
si  riordinarono  alla  meglio,  e  furono  di  nuovo  lanciati  all'attacco.  Ma 
intanto  le  masse  prussiane  continuavano  a  sbucare  dalle  boscaglie,  si 


622  CRONACA 

avanzavano  e  si  estendevano  sempre  più  sulla  sinistra  ;  sviluppandosi 
molto  di  là  della  destra  della  breve  linea  francese.  Tuttavia  Furto 
dei  francesi  fu  ancora  una  volta  così  impetuoso,  che  i  prussì 
Jarono  un  istante,  e  qui  nacque  una  mischia  terribile  in  cui  si  IV 
prineipal  macello.  Ma  bastarono  pochi  momenti  per  convincersi  dell  in- 
utili Là  di  quello  sforzo.  Chi  dice  che  in  quel  momento  cadesse  il  gene- 
rale Douay,  chi  dice  invece  che  si  uccidesse  da  se  nella  ritirata.  11 
sta  che  i  francesi  dovettero  ritirarsi,  lasciando  circa  800  morti  sul  cam- 
po di  battaglia.  Intanto  la  scarsa  guarnigione  di  AVissemborgo  era  sta- 
ta sopraffatta  dal  nemico  che  era  riuscito  ad  introdursi  nella  città.  Si 
scambiavano  fucilate  nelle  vie,  ma  senza  speranza  di  successo;  e  le 
scarse  truppe  che  stavano  di  fronte  ai  bavaresi  sulle  colline,  discen- 
devano verso  la  pianura,  voltando  il  tergo  al  resto  della  divisione  fran- 
cese che  faceva  fronte  al  basso  airil0  corpo.  La  divisione  francese  de- 
scriveva pertanto  un  movimento  simile  al  chiudersi  di  un  compasso, 
avente  per  pomo  AYissemborgo.  Al  cominciare  del  combattimento  questo 
compasso  era  aperto  ad  un  raggio  di  60  in  70  gradi,  ma  erasi  andato 
man  mano  restringendo  sotto  la  pressione  delle  forze  nemiche.  Indi- 
zio del  rispetto  che  quella  divisione  incusse  ai  prussiani,  si  è  che  dopo 
essere  stala  disorganizzata  da  tanti  attacchi,  essa  potè  uscire  da  quella 
stretta,  non  abbandonando  che  un  cannone  smontato  e  400  prigionieri; 
i  quali  erano  stati  raccolti  in  gran  parte  nella  città,  oppure  nelle  cari- 
che alla  baionetta,  nelle  quali  i  più  audaci  che  si  sono  spinti  più  avan- 
ti, restano  quasi  sempre  prigioni,  quando  i  loro  compagni  sono  costret- 
ti a  ritirarsi. 

Gli  avanzi  della  divisione,  privi  di  capo,  si  ritirarono  grazie  al  rispet- 
to che  avevano  incusso  al  nemico.  L1  artiglieria  riuscì  a  sottrarsi,  la  ca- 
valleria e  quei  battaglioni  che  avevano  conservati  i  capi,  protessero  alla 
meglio  la  ritirata,  che  i  prussiani  del  resto  non  si  fecero  troppa  premura 
di  inquietare.  Ma  molti  soldati  francesi  si  sbandarono,  e  se  ne  videro 
lino  a  Colmar,  cioè  a  più  di  100  chilometri  più  indietro. 

2.  Tutti  gli  intelligenti  di  cose  militari  furono  altamente  sor; 
segretezza  e  puntualità,  colla  quale  i  corpi  dell'esercito  prussiano  del 
Sud,  dispersi  in  tutta  la  Germania,  vennero  al  convegno  di  Wissembor- 
go.  Giova  pensare  ai  bagagli  che  trascina  seco  solo  un  reggimento  di 
fanteria  o  una  batteria  di  artiglieria,  per  farsi  un'  idea  della  difficoltà  di 
raccogliere  150  mila  uomini  sovra  uno  spazio  di  poehe  leghe,  e  r 
glierìi  senza  che  il  nemico,  solo  discosto  poche  miglia,  se  ne  avveda.  E 
questa  forse  la  migliore  scusa  che  si  possa  addurre  in  favore  di  Mac 
Mahon,  nell'inconsiderato  muoversi  (he  lece  verso  il  nemico,  quando  eb- 
be notizia  del  combattimento  di  AYissemborgo.  Che  se  egli  a^^se  sapulo 
di  certo  di  avere  dinanzi  a  sé  tutto  quanto  Teserei  lo  del  Sud,  non  avreb- 


CONTEMPORANEA  623 

he  certamente  commesso  queir  atto  di  audacia.  Ma  tutto  concorre  nel 
confermarci  nel  concetto  che  i  francesi  fossero  realmente  convinti,  tutta 
la  forza  pru  siana  essere  concentrata  sulla  Saar,  e  l'attacco  di  AYissembor- 
go  non  essere  che  una  forte  diversione,  per  istaccare  i  francesi  dalla  lo- 
ro posizione  di  Metz-Nancy-Bitche.  Il  Principe  reale  aveva  contribuito 
a  mantenere  Mac  Mahon  in  quella  illusione,  non  ispiegando  contro  Do- 
uay  che  due  corpi  prussiani  e  il  corpo  bavarese,  in  tutto  sessantamila 
uomini.  Mac  Mahon  nel  mettersi  in  moto  contava  sui  35  in  40  mila  uo- 
mini che  egli  aveva,  sugli  avanzi  della  divisione  Douay  che  avrebbe 
raccolti  per  istrada,  e  su  qualche  aiuto  che  in  caso  di  bisogno  avrebbe 
potuto  prestargli  il  corpo  di  Failly;  epperciò  credette  di  trovarsi,  quan- 
tunque di  qualche  poco  interiore  al  Principe  reale,  però  in  grado  di 
sconfiggerlo.  Ma  il  Principe  reale,  che  aveva  con  mirabile  sagacia  pre- 
veduta la  mossa  di  Mac  Mahon,  appena  finito  il  combattimento  di  Wis- 
semborgo ,  aveva  fatto  sfilare  avanti  gli  altri  tre  corpi  freschi  del  suo 
esercito,  lasciando  una  mezza  giornata  di  riposo  a  quelli  che  erano  stati 
impegnati  nel  combattimento  del  mattino.  Questi  corpi  freschi  invece  di 
prendere  la  via  diretta  da  Wisaemborgo  a  Strasborgo,  incontro  a  Mac 
Mahon,  presero  la  via  diagonale  verso  Worth,  Niederbronn  e  Sanerne, 
perchè  intendevano,  se  riuscivano  a  battere  Mac  Mahon,  d1  impedirgli  il 
passo  per  congiungersi  al  resto  dell1  esercito  che  stava  alia  sua  sinistra, 
e  di  rispingerlo  di  nuovo  sopra  Strasborgo.  Mac  Mahon,  dal  canto  suo,  e 
con  iscopo  opposto,  invece  di  marciare  direttamente  da  Haguenau  verso 
Wissemborgo,  aveva  deviato  a  sinistra  sulla  strada  di  Niederbronn  per 
avvicinarsi,  mentre  marciava  avanti,  al  centro  dell1  esercito  francese. 
Perciò  i  due  eserciti  marciavano  verso  un  obbiettivo  comune,  ma  per 
due  strade  rispettivamente  diagonali  :  i  francesi  dal  Sud  ali1  Ovest,  e  i 
prussiani  dal  Nord  ali1  Ovest  ;  in  guisa  che  vennero  quasi  ad  urtarsi  di 
fianco,  come  se  in  un  sito,  dove  due  ferrovie  si  congiungono  in  un  sol 
binario,  due  convogli  che  andassero  nella  stessa  direzione  venissero 
a  scontrarsi  sul  punto  di  congiunzione;  le  teste  dei  due  convogli  si  ur- 
terebbero e  il  lato  sinistro  dell1  uno  verrebbe  a  far  fronte  verso  il  lato 
destro  dell1  altro.  Questo  fu  presso  a  poco  il  modo  onde  le  forze  nemiche 
si  scontrarono.  Le  truppe  francesi  facendo  fronte  a  destra  rimasero  in  fac- 
cia alle  prussiane,  e  i  prussiani  si  misero  pure  in  battaglia  facendo  fron- 
te a  sinistra.  Solo  presso  Worth,  dove  le  teste  delle  colonne  nemiche  si 
scontrarono,  si  ebbe  il  cozzo  principale.  Ed  ecco  perchè  i  prussiani  danno 
quel  nome  alla  battaglia,  mentre  i  francesi  la  chiamano  di  Reichshoffen, 
dal  luogo  dove  era  il  comando  del  corpo  francese  combattente.  Di  que- 
sta battaglia,  che  fu  immensamente  più  importante  della  prima,  si  ha 
la  seguente  relazione  più  che  sommaria  da  parte  di  Mac  Mahon.  La  rife- 
riamo per  esteso  accompagnandola  con  alcune  spiegazioni. 


624  CRONACA 

«  Sajuerne  7  Agosto.  Sire,  ho  l'onore  di  esporre  a  V.  M.  che  il  6  A- 
gosto  dopo  essere  stato  obbligato  ad  evacuare  la  città  di  Wisscmborgo, 
il  1.°  corpo,  allo  scopo  di  coprire  la  ferrovia  da  Strasborgo  a  Bitche  e  le 
principali  strade  che  congiungono  i  pendii  orientali  agli  occidentali  dei 
Vosgesi,  ho  occupato  le  seguenti  posizioni:  La  l.a  divisione  era  ordina- 
ta colla  destra  innanzi  a  Freischwiller,  colla  sinistra  nella  direzione  di 
Reichshoffen,  appoggiata  ad  un  bosco  che  copre  questo  villaggio.  Esso 
staccava  due  compagnie  a  Nuenviller  e  Jagerstadt  (due  case  di  campagna 
poste  lungo  la  fronte  di  battaglia).  La  3.a  divisione  occupava  colla  prima 
brigata  un  contrafforte  che  si  stacca  da  Freischwiller  e  termina  in  punta 
Terso  Guersdorf,  la  2.a  brigata  appoggiava  la  sinistra  a  Freischwiller  e 
la  destra  al  villaggio  di  Elsasshausen.  La  4.*  divisione  formava  una  li- 
nea irregolare  a  destra  della  3.a  divisione,  facendo  fronte  colla  1.*  divi- 
sione a  Guustedt  e  colla  2.a  al  villaggio  di  Marsbrònn  che  non  potò  oc- 
cupare per  difetto  di  forze.  La  divisione  Dumesnil  del  7.°  corpo  che  avea 
raggiunto  nella  mattina  del  6  per  tempo,  era  in  riserva  dietro  la  4.a  di- 
visione. La  2.a  divisione  (quella  di  Douay  che  avea  combattuto  a  AVis- 
semborgo)  stava  in  riserva  dietro  l'ultima  brigata  della  3.a  divisione  e 
la  1 .»  brigata  della  4.a  Infine  più  indietro,  era  posta  la  brigata  di  caval- 
leria leggera  del  gen.  Septeuil  e  la  divisione  di  corazzieri  del  gen.  Bonn- 
main;  la  brigata  di  cavalleria  Michel  sotto  gli  ordini  del  gen.  Duhesme 
stava  dietro  all'ala  destra  della  4.a  divisione.  » 

Ci  vorrebbero  carte  corografiche  molte  precise  per  fare  un  esatto  giu- 
dizio della  disposizione  del  corpo  di  Mac  Mahon.  E  però  noto  che  la  ca- 
tena dei  Vosgesi  accompagna  il  Reno  ad  una  distanza  media  di  50  ki- 
lometri  nella  direzione  dal  Nord  al  Sud;  e  da  Belfort  tino  ai  dintorni  di 
Strasborgo  è  così  configurata,  che  nessuna  ferrovia  finora  la  traversa. 
È  invece  contornata  da  ferrovie  alle  due  estremità,  in  cui  le  alture  si 
abbassano  sufììcientemente  per  lasciarle  il  passo.  Di  queste  ferrovie 
una,  la  più  meridionale,  li  contorna  a  mezzodì  e  da  Molosa  per  Belfort  e 
Lure  entra  nel  cuor  della  Francia  e  va  a  Parigi  ;  l'altra,  parte  da  Stras- 
borgo e  li  contorna  al  Nord  e  per  Sauerne,  Sarrebourg  e  Nancy  si  uni- 
sce alla  rete  ferroviaria  del  centro  della  Francia.  Era  quest1  ultima  li- 
nea che  i  prussiani  minacciavano  dopo  le  presa  di  AVissemborgo  e  che 
J\lac  Mahon  tentava  di  coprire  prendendo  posizione  avanti  a  Worth.  In 
quel  luogo  le  alture  dei  Vosgi  sensibilmente  si  abbassano  verso  il  Nord- 
est ed  offrono  posizioni  assai  favorevoli  per  un  esercito,  che,  come  quel- 
lo di  Mac  Mahon,  si  trovi  più  a  monte  del  suo  avversario.  Però  la 
località  favoriva  assai  i  prussiani,  perchè  vi  sono  molti  boschi  prati- 
cabili, i  quali  coprivano  i  prussiani  e  nascondevano  al  nemico  le  loro 
disposizioni  d'attacco.  Le  forze  di  Mac  Mahon  consistevano  in  tre  di- 
Tisioni  fresche  del  suo  corpo,  cioè  36  battaglioni  di  fanteria  e  tre  di 


CONTEMPORANEA  625 

cacciatori,  più  la  l.a  divisione  del  7. 6  corpo  di  tredici  battaglioni,  in 
tutto  52  battaglioni  di  fanteria;  più  la  seconda  divisione  (Douay)  che 
dopo  la  rotta  di  AYissemborgo  non  metteva  certamente  in  linea  più  di 
5000  uomini.  Inoltre  egli  disponeva  di  cinque  reggimenti  di  cavalle- 
ria leggera  e  quattro  di  corazzieri,  cioè  54  squadroni.  Calcolando  ad 
800  uomini  i  battaglioni  di  fanteria  e  a  100  uomini  gli  squadroni, 
noi  avremo  coi  5  mila  uomini  della  seconda  divisione  un  totale  di  52 
mila,  uomini  sotto  gli  ordini  di  Mac  Mahon.  La  disposizione  presa  dal- 
le truppe  francesi  per  affrontare  il  nemico  indica  sufficientemente  che 
esse  lo  avevano  incontrato  mentre  marciavano  di  fianco,  cercando  di  con- 
tornare i  pendii  dei  Vosgesi.  Dallo  stesso  rapporto  si  scorge  che  le 
divisioni  erano  l'ima  dietro  all'altra  in  ordine  di  marcia  e  non  fecero 
che  operare  un  fronte  a  destra  per  respingere  il  nemico  ;  la  prima 
divisione  dando  la  destra  alla  3.a,  la  3. a  alla  4.\  Che  se  Mac  Mahon 
fosse  andato  incontro  al  nemico,  le  colonne  avrebbero  camminato  in 
linee  parallele.  Invece  le  3  prime  divisioni  non  fecero  che  voltarsi  a 
diritta,  e  la  divisione  Dumesnil  e  Douay  non  fecero  che  passar  dietro 
alla  prima  fila,  per  Venirsi  a  fermare  la  prima  dietro  al  centro  e  l'al- 
tra dietro  l'estrema  destra  delle  tre  divisioni  che  stavano  in  prima 
linea.  Una  brigala  di  cavalleria  leggiera  si  avanzò  pure  verso  il  centro 
per  qualunque  cosa  potesse  accadere  ;  ma  la  grossa  cavalleria  si  fermò 
alla  estrema  destra,  perchè,  come  il  rapporto  accenna,  l'estrema  destra 
non  avea  forze  sufficienti  o  non  era  arrivata  in  tempo  (e  questo  ci 
par  più  probabile)  per  fortificare  la  sua  estremità  nel  villaggio  di 
Marsbronn;  sicché  trovandosi,  come  si  suol  dire,  in  armi,  in  mezzo  al- 
la campagna,  le  si  era  lasciata  la  cavalleria  pesante,  per  proteggerla 
contro  gli  insulti  della  cavalleria  nemica,  che  avesse  tentato  di  girarle 
il  fianco  e  venirla  prendere  alle  spalle. 

11  6°  e  12°  corpi  prussiani  che  cominciavano  la  lotta,  contavano  cia- 
scuno otto  reggimenti  di  fanteria  e  due  o  tre  battaglioni  di  cavalleria,  di 
cinque  squadroni,  più  un  reggimento  di  fucilieri,  un  battaglione  di  cac- 
ciatori, e  un  reggimento  di  cavalleria  di  riserva  di  5  squadroni.  In  tut- 
to 50  battaglioni  e  30  squadroni,  i  quali  erano  per  lo  meno  tanto  forti 
quanto  i  francesi,  se  non  anzi  di  più  ;  perchè  i  battaglioni  prussiani 
quando  sono  compiuti,  raggiungono  i  1000  uomini.  Si  può  quindi  ri- 
tenere che  i  due  corpi  prussiani  oltrepassassero  i  50  mila  uomini.  Pare 
che  essi  marciassero  sovra  una  sola  linea,  ed  essendosi  mostrali  quan- 
do già  la  la  divisione  francese  aveva  marciato  avanti,  attaccarono  l'ul- 
tima brigata  di  quella  la  divisione  e  la  prima  brigata  della  3a  divisio- 
ne che  la  seguiva.  Ma  udiamo  prima  di  tutto  la  relazione  ufficiale.  Essa 
prosegue  : 

«  A  7  ore  del  mattino,  il  nemico  comparve  innanzi  alle  alture  di 
Guersdorff  e  cominciò  l'attacco  con  un  cannoneggiamento  seguito  ben- 
Serie  YI1,  voi.  XI,  fase.  491.  40  27  Agosto  1870. 


()ì\ì  CRONACA 

tosto  da  un  vivissimo  fuoco  di  moschettcria  contro  la  la  e  la  3a  divi- 
sione. Questo  attacco  fu  abbastanza  vibrato  da  obbligare  la  la  divi- 
sione a  fare  un  cambiamento  di  fronte  sul  davanti  della  sua  ala  de- 
stra per  impedire  il  nemico  di  girare  la  posizione  generale.  »  Queste 
espressioni  lasciano  capire  sufficientemente,  come  del  resto  la  condi- 
zione dei  luogbi  ne  fa  fede,  che  il  corpo  di  Mac  Mahon  descriveva  una 
curva,  la  cui  parte  convessa  venne  attaccala  dai  prussiani.  La  2a  bri- 
gata della  la  divisione  potè  ancora  resistere  di  fronte,  ma  la  prima 
brigata  che  già  stava  voltando  in  altra  direzione,  dovette  cambiar  di 
fronte,  cioè  avendo  per  perno  la  seconda  brigata,  descrivere  una  con- 
versione a  destra  che  la  portava  sul  fianco  destro  dei  prussiani,  tentan- 
do con  quel  fuoco  di  fianco  di  allentare  l'attacco  che  i  prussiani  mo- 
vevano contro  la  2*  brigata.  Ma  la  posizione  occupata  dalla  la  brigata 
della  2a  divisione  francese  sulle  alture  di  Guersdorff  era  troppo  forte, 
e  i  prussiani  non  erano  abbastanza  in  forze  per  isloggiarli.  I  francesi 
mantennero  le  loro  posizioni,  e  gli  attacchi  dei  prussiani  rimasero  infrut- 
tuosi. Ma  i  prussiani  che  avevano  riconosciute  le  forze  francesi,  e  vole- 
vano assicurarsi  la  vittoria,  capivano  che  bisognava  loro  aspettare  i  tre 
corpi  che  avevano  combattuto  a  Wssemborgo  ;  i  quali,  malgrado  le  per- 
dite del  giorno  precedente,  dovevano  contare  ancora  per  lo  meno  60  mi- 
la combattenti.  Intanto  una  parte  delle  truppe  prussiane  dei  6°  e  11* 
corpo  stendevansi  nella  loro  sinistra,  ingaggiando  la  battaglia  su  tutta 
la  fronte;  ma  senza  tentare  alcunché  di  decisivo.  Così  infatti  appare 
dalla  relazione  molto  laconica  di  Mac  Mahon  che  proseguiamo  a  citare 
in  tutta  la  sua  integrità. 

«  Un  po'  più  tardi  il  nemico  aumentò  considerevolmente  il  numero 
delle  sue  batterie  ed  aprì  il  fuoco  sull'alta  posizione  che  occupavano 
sulla  destra  della  Sauerbach  (fronte  della  4a  divisione  francese).  Ben- 
ché più  seria  e  più  forte  della  prima  che  contemporaneamente  si  conti- 
nuava, questa  seconda  dimostrazione  non  era  che  un  fìnto  attacco  pron- 
tamente respinto.  » 

Era  questo,  come  abbiam  veduto,  lo  stendersi  a  sinistra  delle  truppe 
prussiane  dei  due  primi  corpi.  Ma  il  Principe  reale,  avvisato  per  tempo 
del  movimento  di  Mac  Mahon,  aveva  fin  dal  mattino  per  tempo  messo 
in  moto  il  rimanente  dell'esercito,  il  quale  attirato  dal  cannone  e  sfor- 
zando il  passo,  giunse  sul  campo  di  battaglia  verso  il  mezzodì.  Infat- 
ti Mac  Mahon  prosegue: 

«  Verso  mezzodì  il  nemico  ravvivò  l'attacco  versola  nostra  de-tra. 
Nuvole  di  cacciatori  appoggiati  da  masse  considerevoli  di  fanteria  e 
protetti  da  oltre  sessanta  bocche  da  fuoco  collocate  sulle  alture  di  Gun- 
stadt.  si  slanciarono  sulla  2a  divisione  (che nel  combattimento  preceden- 
te era  forse  entrata  in  linea)  e  sulla  2a  brigata  e  3a  divisione  che  occupa- 


CONTEMPORANEA  627 

Taro  i!  villaggio  di  Elsasheusen.  Nonostante  forti  e  ripetute  riprese  of- 
fensive, e  malgado  il  fuoco  ben  diretto  dell'artiglieria  e  varie  brillanti 
cariche  dei  corazzieri ,  la  nostra  destra  fu  respinta  dopo  molte  ore  di 
una  resistenza  accanita.  » 

Anche  in  questo  caso  non  si  può  disconoscere  la  prontezza  delle  riso- 
luzioni dillo  stato  maggiore  prussiano.  La  direzione  dei  primi  due  corpi 
prussiani  da  Wisseniborgo  a  Wórth  pare  mostrare  con  evidenza  che  es- 
si intendevano  tagliare  le  comunicazioni  di  Mac  Mahon  col  resto  del- 
l' esercito  francese,  attraversandogli  il  passo  e  respingendo  la  sua-estre- 
ma  sinistra  verso  la  destra,  cioè  verso  Strasborgo.  Ma  arrivati  un 
po'  tardi  essi  trovarono  i  francesi  già  troppo  inoltrati.  Si  contentarono 
però  di  trattenerli  attaccandoli  prima  fra  la  sinistra  ed  il  centro  e  poi 
facendo  qualche  dimostrazione  contro  la  destra.  Sopraggiunto  il  Prin- 
cipe reale  col  resto  dell1  esercito,  e  vista  la  diflieoltà  di  ricacciare  in- 
dietro i  francesi,  e  con  prontezza  mirabile,  adocchiato  il  diletto  della 
fronte  francese,  la  cui  destra  finiva  nei  campi  senza  essere  appoggiata 
a  verun  ostacolo  naturale,  subito  stese  lungo  il  centro  francese  un  nu- 
golo di  cacciatori  per  nascondere  il  suo  movimento,  e  sfilando  col  gros- 
so delF  esercito  dietro  i  cacciatori  venne  a  precipitarsi  sub11  estrema  de- 
stra dai  francesi,  tagliando  loro  la  ritirata  di  Strasborgo,  e  ricaccian- 
doli verso  Sauerne  cioè  indietro  un  po'  a  sinistra. 

Tutte  le  relazioni  convengono  nelfammirare  l'accanimento  con  cui  si 
pugnò  da  ambo  le  parti.  I  corazzieri  francesi  eseguirono  a  più  riprese 
cariche  disperale,  lasciando  morti ,  feriti  o  prigioni  oltre  a  120  ufficiali. 
Ognuno  si  farà  facilmente  un'idea  della  strage  che  devono  produrre  una 
dozzina  di  reggimenti  di  cavalleria  che  si  scontrano  disperatamente  in 
un  campo  ingombro  da  quarantamila  soldati  di  fanteria,  che  accecati  di 
furore  si  caricano  a  vicenda.  Ma  alla  fine  la  enorme  preponderanza 
numerica  dei  prussiani  e  l'abilità  delle  loro  mosse  doveva  avere  il  so- 
pravvento sull'eroico  coraggio  dei  francesi.  Sentiamo  per  fui  lima  volta 
Mac  Mahon  : 

«  Erano  le  4.  Io  ordinai  la  ritirata.  Essa  fu  protetta  dalla  la  e  dalla 
2a  divisione  che  spiegarono  molta  fermezza  e  permisero  alle  altre  trup- 
pa di  ritirarsi  senza  troppo  grave  molestia.  La  ritirata  si  effettuò  sopra 
Sauerne  per  Niederbronn  dove  la  divisione  Guyot  de  l'Espare  del  5°  cor- 
po che  vi  era  giunta  allora,  prese  posizione  e  non  si  ritirò  che  a  notte 
inoltrata,  io  trasmetto  il  nome  dei  feriti,  uccisi,  ecc.  Mac  Mahon.  » 

Queste  parole  di  Mac  Mahon  danno  un'idea  del  modo  con  cui  il  suo 
corpo  operò  la  ritirata.  La  estrema  destra  cominciò  il  movimento  pas- 
sando dietro  il  centro  e  la  sinistra  e  proseguendo  la  via  che  già  calcava 
il  mattino,  poi  il  centro  passò  dietro  l'ala  sinistra  nello  stesso  senso,  e 
finalmente  la  sinistra  chiuse  la  ritirata,  continuando  la  stessa  via,  ma 


628  CRONACA 

con  maggior  confusione,  abbandonando  sul  campo  trenta  cannoni,  sei 
mitragliatrici  ,  e  4000  prigionieri  o  raccolti  nei  villaggi  cbe  difende- 
vano, o  tagliati  fuori  all'ala  destra,  quando  si  trovò  avviluppata  dai  cor- 
pi prussiani.  Solo  a  Niederhronn,  cioè  verso  sera,  e  dopo  dodici  ore  che 
il  combattimento  era  cominciato  a  AYòrth,  Mac  Mahon  trovò  la  divisione 
più  vicina  del  5° corpo,  che  De  Failly  mandava  in  suo  aiuto.  Eccola  cau- 
sa di  tanti  rovesci.  Mac  Mahon  Dell'affrontare  tutto  V esercito  del  Princi- 
pe reale,  non  avea  potuto  ricevere  in  tempo  utile  altro  soccorso  che  una 
divisione  dal  7°  corpo  che  stava  alla  sua  destra,  e  dalla  sua  sinistra  un' 
altra  divisione  del  5*  corpo,  ma  dopo  che  la  battaglia  era  stala  perduta. 

Le  cause  di  questo  disastro  furono  adunque:  l.'La  troppa  distanza  in 
cui  si  trovavano  i  corpi  francesi  Timo  dall'altro,  lungo  la  frontiera  del 
Nord  :  2.°  Il  non  sapere  che  l'esercito  tedesco  del  Sud  si  raccoglieva  su 
Wissemborgo:  3."  La  eccessiva  fiducia  dei  superiori  nelle  truppe,  e  la 
poca  cura  di  aiutarsi  a  vicenda,  anzi  lo  studio  di  evitarsi  fintanto  che  le 
condizioni  divenissero  disperale  e  i  soccorsi  inutili. 

3.  Lo  stalo  maggiore  prussiano,  per  divertire  l'attenzione  dei  fran- 
cesi dalì1  attacco  del  Principe  reale,  meditava  una  seria  dimostrazione 
verso  l'estremità  opposta  della  fronte  d'operazioni,  cioè  all'estrema  sini- 
stra dei  francesi.  Probabilmente  lo  stato  maggiore  prussiano  non  aspet- 
tava la  disperata  difesa  che  fece  la  divisione  Douay  a  Wissemborgo,  e 
credeva  che  quella  divisione  ripiegandosi  sul  primo  corpo,  la  battaglia 
fra  il  Principe  reale  e  Mac  Mahon  sarebbesi  impegnata  il  domani  del 
passaggio  della  Lauter.  Il  fatto  sta  che  durante  le  giornate  del  4  e  del  5 
Agosto  i  prussiani  se  ne  stettero  cheti  nei  loro  alloggiamenti  di  Saar- 
bruck, anzi  non  si  mossero  che  assai  tardi  nella  mattina  del  6.  Probabil- 
mente essendo  incerti  del  momento  dell'azione  nella  valle  del  Reno,  as- 
pettavano un  telegramma  del  Principe  reale,  il  quale,  udito  il  tuonar  dei 
cannoni  dei  primi  corpi  aWorth,  ebbe  tempo  a  informarne  per  telegra- 
fo l'esercito  di  Steimnetz  verso  le  9  del  mattino.  Al  mattino  del  6  a  sole 
già  alto  i  francesi  occupavano  tranquillamente  il  terreno  da  essi  preso  ai 
prussiani  nella  precedente  scaramuccia,  nò  si  aspettavano  un  attacco. 

Steimnetz  aveva  fra  il  4  e  il  5  Agosto  raccolto  intorno  a  Saarbruck 
tutta  la  sua  armata  composta  dei  7°  ed  8°  corpo,  cioè  una  sessantina  di 
battaglioni  e  altrettanti  squadroni  di  cavalleria  ;  perchè  a  queir  ora  già 
cominciavano  ad  arrivare  a  Saarbruck  le  vanguardie  dell'esercito  del 
principe  Federico  Carlo,  forte  di  6  corpi  d'armata,  il  quale  avea  risalito 
la  valle  della  Mosella  da  Treviri  verso  la  frontiera  francese.  Il  corpo  di 
Frossard  (2*  dell'  esercito  francese)  che  occupava  le  posizioni  innanzi  a 
Saarbruck,  componevasi  di  12  reggimenti  di  fanteria,  cioè 36  battaglioni, 
tre  battaglioni  di  cacciatori  a  piedi  e 4  reggimenti,  ossia  12  squadroni  di 
cavalleria  leggera,  e  12  di  linea.  Questo  corpo  francese  stendevasi  sopra 


CONTEMPORANEA  629 

un  semicircolo  di  alture  che  dominano  la  città  verso  occidente,  e  teneva 
un  solo  reggimento  attendato  nella  pianura  a  (ianco  della  città.  Relazioni 
ai  giornali  francesi  di  corrispondenti  che  si  trovarono  sui  luoghi  asseri- 
scono che,  air  ora  del  rancio  del  mattino,  le  truppe  di  Frossard  erano 
tranquille  né  appariva  minaccia  di  un  attacco.  Quando  ad  un  tratto  si 
videro  spuntare  sulla  ferrovia  da  Saarbrucka  Saarlouis,  che  in  quel  luo- 
go cammina  sovra  un  terrapieno  e  nasconde  la  campagna  verso  Treviri, 
un  certo  numero  di  bersaglieri  tedeschi,  i  quali  fecero  fuoco  contro  le 
sentinelle  avanzate  dei  francesi,  e  scavalcata  la  ferrovia  si  avanzarono 
contro  il  reggimento  che  stava  ali1  aperto.  Intanto  considerevoli  colonne 
prussiane  seguivano  i  bersaglieri  e  minacciavano  contemporaneamente 
la  città',  il  reggimento  che  le  stava  a  fianco  e  le  allure  che  giravano  alle 
spalle  di  quel  reggimento.  I  francesi,  prese  a  lor  volta  le  armi,  discesero 
in  soccorso  del  reggimento  che  stava  più  vicino  al  nemico,  e  coronaro- 
no le  alture  per  disputarle  all'esercito  di  Steimnetz.  Notisi  che  persone, 
le  quali  dicono  di  essere  state  presenti ,  narrano  diversamente  questo 
combattimento,  del  quale  del  resto  si  hanno  scarsissime  informazioni, 
per:hè  poco  importante  relativamente  all'altro  contemporaneo  della  rot- 
ta di  Wòrth  e  della  ritirata  su  Metz.  Riferiamo  sobriamente  i  soli  fatti 
principali  sui  quali  il  dubbio  è  minore.  Tutti  sono  perciò  d1  accordo  nel 
dire  che  il  combattimento  continuò  senza  essere  vivamente  inpegnato  dal- 
le nove  circa  del  mattino  fino  assai  avanti  nel  pomeriggio.  Infatti  fin  ver- 
so le  tre  di  sera,  lo  stato  maggiore  di  Frossard  teneva  per  certo  che  i 
francesi  avrebbero  mantenuta  la  posizione.  Non  prima  di  allora,  cioè 
quando  le  truppe  francesi  erano  già  stanche  di  un  combattimento  di  sei 
ore,  che  nuovi  e  formidabili  corpi  di  truppe  fresche  furono  messe  in  moto 
dai  prussiani.  Erano  queste  le  prime  colonne  ossia  una  parte  delT eser- 
cito del  principe  Federico  Carlo,  che  attirata  dal  cannone,  era  accorsa 
nel  teatro  del  combattimento.  Queste  truppe  trovarono  i  francesi  già 
sloggiati  dalla  pianura  che  stava  al  centro  dell'azione,  e  raccolti  sulle  al- 
ture che  la  dominano.  Una  prima  carica  fatta  sulla  estrema  sinistra  fran- 
cese verso  Forbach  fu  respinta  dai  francesi ,  ma  quando  si  vide  che  le 
masse  prussiane  aumentavano  da  quella  parte,  minacciando  di  tagliare  ai 
francesi  la  ritirata  sopra  S.  Àvolde  Metz,  fu  dato  il  segno  della  ritirata. 
Questa  si  compì  col  massimo  ordine,  senza  abbandonar  cannoni  o  ban- 
diere, lasciando  pochissimi  prigioni,  e  senza  che  i  prussiani  si  ponesse- 
ro, come  altrove,  ad  inseguire  troppo  vivamente  il  nemico. 

Anche  in  questa  circostanza  si  ebbero  a  deplorare  le  male  intelligenze 
dei  capi,  e  il  loro  desiderio  di  operare  da  soli.  11  Paris  journal  racconta 
a  tal  proposito  un  fatto  assai  significante,  e  che,  portando  nomi  assai  noti, 
ci  dà  qualche  guarentigia  di  verità.  «Al  principio  (dice)  del  combatti- 
mento (di  Forbach)  sapendo  che  il  general  Frossard  stava  per  affrontare 


630  CRONACA 

con  35,000  uomini  un  esercito  di  100,000,  il  maresciallo  Bazaine  gli  fece 
dire  se  volea  de1  rinforzi.  —  È  inutile,  rispose  Frossard:  vinceremo  da 
soli.  E  infatti  fu  a  un  pelo  di  vincere.  Tuttavia,  dopo  parecchie  ore  di 
lotta,  siccome  il  numero  minacciava  di  prevalere,  il  sig.  Jerome  David, 
vice-presidente  della  Camera,  che  è  stato  soldato  e  che  lo  è  ridivenuto 
per  combattere  contro  i  prussiani,  parti  dalla  mischia  alla  volta  di  Ba- 
zaine e  gli  annunziò  che  bisognava  soccorrere  Frossard.  —  Vi  inganna- 
te, gli  fu  risposto;  Frossard  ha  fatto  dire  che  era  in  un'  eccellente  po- 
sizione e  voleva  finire  la  giornata  da  solo.  Il  maresciallo  Bazaine  non  si 
mosse  e  Frossard  fu  vinto.  »  11  sig.  Jerome  David  è  personaggio  assai 
noto,  e  vive.  Finora,  per  quanto  sappiamo,  egli  non  ha  ancora  smentito 
quelle  asserzioni  del  Paris  Journal . 

4.  Ma  quand'anche  Frossard  fosse  riuscito  a  mantenere  la  sua  posizio- 
ne sulla  Saar,  dopo  la  disfatta  di  Worth,  egli  avrebbe  dovuto  ritirarsi. 
La  battaglia  di  Wòrth  aveva  dimostrato  che  il  piano  difensivo  dello  stato 
maggiore  francese  lungo  tutta  la  frontiera,  già  pericoloso  prima,  dopo  la 
disfatta  di  Mac  Mahon  diveniva  impossibile.  Mac  Mahon  non  potendo  più 
dirigersi  verso  Bitche  per  congiungersi  al  5*  corpo,  aveva  dovuto  indie- 
treggiare verso  Sauerne  e  Nancy,  lasciando  aperta  ai  prussiani  tutta  la 
valle  del  Beno.  Il  solo  7  corpo  di  Douay,  che  trovavasi  molto  indietro 
in  quella  valle,  avea  dovuto  indietreggiare  ancor  di  più,  per  evitare  uno 
scontro  contro  un  esercito  di  truppe  superiore  e  animato  dalla  vitto- 
ria. S'ebbero  notizie  di  lui  verso  il  10  Agosto,  ed  era  a  S.  Marie  aux 
Mines,  a  dieci  miglia  alKOvest  di  Schlestadt,  dove  mette  capo  il  tronco 
di  ferrovia  da  Schlestadt  a  S.  Marie;  il  quale,  per  l'asprezza  dei  Yosgesi, 
resta  qui  interrotto,  ed  è  ripreso  sul  pendio  occidentale  a  St.  Die,  donde 
la  ferrovia  prosiegue  per  Luneville  e  Nancy  a  Metz  e  oltre.  Egli  proba- 
bilmente tentava  di  condurre  intatte  le  due  divisioni  che  ancor  gli  ri- 
manevano al  quartier  generale  principale,  traversando  i  Vosgesi  per 
la  strada  carreggiabile  che  da  S.  Marie  va  a  St.  Die.  Questo  Generale 
che,  malgrado  la  distanza,  fece  ancora  pervenire  in  tempo  una  divisio- 
ne a  Mac  Mahon  nel  campo  di  Wòrth  e  poi  diresse  così  saviamente  il 
suo  movimento  di  congiunzione  col  centro  dell'esercito,  si  è  certamen- 
te ben  comportato,  e  forse  meglio  di  qualunque  altro,  negli  avvenimen- 
ti della  prima  quindicina  dell'Agosto.  Le  riserve  di  cavalleria  raccolte 
a  Belfort  si  trovavano  a  poco  meno  di  200  Udometri  da  Metz.  Nella 
confusione  di  notizie  che  si  accumulano  sui  giornali,  non  ci  fu  dato  di 
sapere  che  cosa  siasi  fatto  di  quella  cavalleria.  Probabilmente  ance 
rimontò  al  Nord-ovest,  per  venirsi  a  raccogliere  fra  Metz  e  Cbalons.  Per- 
ciò tutta  la  valle  del  Beno  sulla  sponda  destra  di  quel  fiume  lino  ai  Yos- 
gesi, restava  intieramente  aperta  ai  prussiani.  11  principe  di  Prussia  fe- 
ce immediatamente  minacciare  Slrashorgo  da  qualche  corpo  di  truppa. 


CONTEMPORANEA  631 

Slrasborgo  è  città  murata,  assistita  da  una  buona  cittadella,  e  circondata 
da  un  campo  trincerato,  capace  di  80  mila  uomini.  È  arsenale  di  prima 
classe  specialmente  per  quanto  riguarda  il  genio  ed  i  pontonieri,  che 
possedono  nei  magazzeni  dicesi  fino  a  140  equipaggi  da  ponte.  Però  la 
città  era  affatto  sguarnita  di  truppe  ;  ma  la  sola  guardia  mobile  se  ben 
diretta,  e  l'artiglieria  di  piazza,  possono  facilmente  difenderla  per  qual- 
che settimana ,  e  fino  ai  lavori  preliminari  di  un  assedio.  11  Principe 
reale  di  Prussia  avendo  fatta  intimar  la  resa  alia  città  non  potè  otte- 
nerla. Ma  al  Principe  reale  premeva  troppo  di  congiungersi  coir  altro 
esercito  prussiano  satto  Metz;  ne  volle  trattenersi  innanzi  a  Strasborgo. 
Chiamò  il  geo.  De  Bayer  colle  truppe  badesi  del  13  corpo  per  investire 
la  città,  mentre  le  truppe  wùrtemberghesi,  che  eransi  raccolte  a  Lorrach 
sul  confine  svizzero  presso  Basilea,  passando  il  Reno  in  faccia  ad  Uninga 
e  a  Neu  Brisach,  invadevano  il  territorio  di  Colmar  e  di  Molosa,  che  era 
solo  guardato  da  qualche  distaccamento  di  cavalleria  speditovi  in  rico- 
gnizione da  Bell'ori.  I  due  dipartimenti  francesi  dell1  Alto  e  Basso  Reno, 
che  si  stendono  fra  questo  fiume  e  i  Vosgesi,  meno  Strasborgo  e  qualche 
altro  punto  fortificato,  caddero  dunque  in  poter  degli  invasori  e  si  guer- 
nirono  di  truppe  badesi  e  wùrtemberghesi. 

Intanto  l'esercito  francese  operava  la  sua  ritirata  sulla  Mosella.  Que- 
sto assai  considerevole  confluente  del  Reno  nasce  nel  pendio  occiden- 
tale dei  Vosgesi,  presso  Molosa,  che  però  si  trova  dal  lato  opposto  dei 
monti,  e  descrive  un  immenso  circolo  concavo  al  Nord-est  che  passa  per 
Remiremont,  Épinal,  Toul,  Metz,  Thionville  ed  entra  nel  Lussembor- 
go.  Questa  linea,  che  si  appoggia  da  un  lato  alla  catena  impraticabile 
dei  Vosgesi,  e  dall'altro  al  Lussemborgo  ed  è  sostenuta  da  tre  piazze 
l'orti,  cioè  Thionville,  Metz  e  Toul,  offre  una  posizione  favorevolissima 
per  opporsi  ad  un  esercito  che  dalla  frontiera  del  Nord  volesse  incam- 
minarsi alla  volta  di  Parigi.  Strade  comode  e  numerose  conducono  dai 
punti  ove  si  trovavano  dapprima  i  corpi  francesi  a  tutte  queste  città  in 
cui  potevano  venirsi  a  raccogliere.  Infatti  la  ritirata  di  tutti  i  corpi 
francesi  si  operò  quasi  spontaneamente  su  questa  linea;  Mac  Mahon 
retrocedeva  per  Sauerne  verso  Nancy  e  Toul,  dove  già  trovavasi  la 
guardia  imperiale:  i  corpi  del  centro  e  della  sinistra  venivano  a  racco- 
gliersi fra  Metz  e  Pont  à  Mousson  che  è  sul  fiume  a  mezza  strada  fra 
Metz  e  Nancy.  Il  7°  corpo  da  S.  Marie  aux  Mines  poteva  arrivare  in  tem- 
po per  formare  l'estrema  destra  dell'esercito  a  Nancy,  e  fors'anco  la 
grossa  cavalleria  poteva  giungere  in  tempo  da  Belfort  per  prestare  il 
suo  concorso  ad  un'azione  generale. 

Le  truppe  ancora  intatte,  di  cui  disponeva  l'Imperatore  dopo  i  com- 
battimenti del  4  e  6  Agosto  erano:  2  divisioni  di  fanteria  della  guar- 
dia: 4  divisioni  di  Bazaine  (3°  corpo):  3  divisioni  di  Ladmirault  (4°  cor- 


632  CRONACA 

po)  :  2  divisioni  di  Failly  (5  corpo  :  la  3a  aveva  combattuto  a  Nieder- 
bronn  per  proteggere  la  ritirata  di  Mac  Mahon)  :  4  divisioni  di  Canro- 
bert;  2  divisoni  del  7°  corpo,  cioè  in  tutto  17  divisioni:  68  reggimen- 
ti :  204  battaglioni;  più  32  battaglioni  di  cacciatori  cioè  in  tutto  236  bat- 
taglioni :  lenendo  conto  della  cavalleria  e  le  altre  armi  si  può  calcolare 
FeffetUvp  di  queste  forze  a  circa  250  mila  uomini.  A  questi  aggiungen- 
do 50  mila  uomini  validi  delle  divisioni  già  logorate  dai  precedenti 
combattimenti ,  la  forza  totale  dei  francesi  nella  Mosella  potea  calcolar- 
si a  300  mila  uomini  in  cifra  rotonda.  I  prussiani  invece,  colle  sole 
truppe  della  Confederazione  del  Nord,  avevano  verso  quella  stessa  epo- 
ca fra  i  Vosgesi  e  la  Mosella  la  guardia  e  12  corpi  d'annata,  cioè  26  di- 
visioni di  fanteria  di  9  reggimenti  cadauna,  cioè  117  reggimenti  di  fan- 
teria, 351  battaglioni,  più  18  battaglioni  di  cacciatori,  i  quali  essendo 
più  forti  che  i  battaglioni  francesi,  portano  a  circa  350  mila  uomini  la 
sola  fanteria  ;  più  50  mila  uomini  di  truppe  delle  altre  armi;  più  50 
mila  bavaresi;  più  altri  50  mila  soldati  degli  altri  Stati.  Le  sole  truppe 
della  Confederazione  del  Nord,  coi  bavaresi,  davano  dunque  un  totale  di 
450  mila  uomini.  Ma  riserbiamo  al  seguente  quaderno  il  racconto  dei 
gravi  avvenimenti  succeduti,  i  quali  portarono  la  divisione  dell'  esercito 
francese  e  il  pericolo  sempre  più  serio  della  sua  disfatta. 

5.  Fin  da  quando  l'imperatore  Napoleone  nel  lasciar  Parigi  aveva  ordi- 
nato di  metterlo  in  istato  di  resistere  ad  un  assedio,  i  parigini  eransi 
sinistramente  commossi  di  codesta  precauzione.  Forse  Napoleone  ave- 
va anche  inteso  con  quest'  atto  di  mettere  in  apprensione  la  capitale 
della  Francia  e  collo  spettro  dei  pericoli  della  guerra  attutire  gli  elemen- 
ti repubblicani, di  cui  la  sapea  riboccante,  e  preparargli  animi  alla  pro- 
clamazione dello  stato  di  assedio.  È  noto  che  la  gran  capitale  della  Fran- 
cia, fu,  ai  tempi  del  Ministero  Tbiers,  sotto  il  governo  di  Luigi  Filippo, 
munita  di  una  cinta  bastionata  semplice,  constellata  all'intorno  da  una 
quantità  di  fortini,  che  ne  difendono  gli  approcci.  È  un'opera  stabile, 
ma  assai  semplice,  che  vale  assai  meglio  a  soffocare  i  tumulti  interni  della 
rivoluzione,  che  non  a  respingere  attacchi  esterni  di  un  esercito  regolare, 
munito  dei  mezzi  necessarii  di  procedere  ad  un  assedio.  Ma  la  città  è  così 
vasta,  che,  qualora  avesse  una  guarnigione  di  100  mila  uomini  e  la  po- 
polazione valida  cooperasse  energicamente  alla  resistenza,  un  milione 
d'uomini  basterebbe  appena  ad  investirla  compiutamente.  I  lavori  furo- 
no compiuti  prima  della  caduta  di  Luigi  Filippo:  se  non  che  volendosi 
aver  riguardo  al  comodo  della  popolazione  parigina  non  si  potè  condurre 
a  termine  un  certo  numero  di  opere;  specialmente  rimasero  indifesi  gli 
accessi  alle  porte  della  città,  come  quelli  che  sarebbero  riusciti  insuflìneii- 
ti  all'enorme  carreggio  quotidiano,  se  avesse  dovuto  operarsi  -opra  pon- 
ti levatoi  e  sotto  le  porte.  Perciò  agli  sbocchi  delle  strade  nel  suburbio, 


CONTEMPORANEA  633 

che  è  popolatasi mo,  vi  era  ima  soluzione  di  continuità  nelle  mura  che 
erano  solo  rappresentate  o  da  eleganti  arcate,  o  sostituite  da  cancellate 
di  ferro.  Inoltre  i  fortini  in  molti  luoghi,  per  non  sciupare  terreno  costo- 
sissimo, non  avevano  nò  controforti,  né  glacis (ossia gli  spalti)  e  in  qual- 
che sito  nemmeno  fossati  ;  ed  erano  stretti  all' intorno  dalle  eleganti  vil- 
leggiature dei  parigini,  o  da  edifizii  ingombri  di  gente  che,  pel  rincari- 
mento  delle  pigioni  ali1  interno  della  città,  si  ritirava  nei  sobborghi.  Ap- 
pena rottasi  la  guerra  si  pose  pertanto  mano  al  compimento  di  questi  la- 
vori, adoperandovi  quotidianamente,  a  quanto  dicono  i  fogli  parigini,  un 
30  usila  operai.  Tuttavia  Y  opera  procedeva  rimessamente,  perchè  niuno 
era  ancora  preparato  ali1  idea  di  dover  essere  seriamente  attaccato. 

Ma  il  5  Agosto  la  fiducia  dei  parigini  cominciò  ad  essere  assai  scossa 
dalle  notizie  della  rotta  di  Wissemborgo  ■  e  tanto  più  scossa  quanto  che, 
per  uno  di  quegli  equivoci  tanto  frquenti  in  tempo  di  guerra,  erasi  po- 
co prima  sparsa  la  falsa  notizia  di  una  grande  vittoria  dei  francesi. 
Scene  di  disordine  avvennero  alla  Borsa,  con  veri  spettacoli  di  pugila- 
to; e  il  pubblico  impaziente,  appena  avuto  sentore  delf  altro  scacco  di 
Wòrth ,  recavasi  la  sera  del  6  in  piazza  Vandòme  innanzi  al  Ministe- 
ro dei  culti  per  domandare  schiarimenti  sugli  avvenimenti  del  teatro 
della  guerra.  Il  ministro  Guardasigilli  diede  spiegazioni  intorno  agli 
spacciatori  di  false  notizie  ed  incorò  la  città  ad  aver  fiducia;  ciò  non  per- 
tanto fin  da  quella  sera  la  città  di  Parigi  cominciò  a  prendere  un1  atti- 
tudine pericolosa.  Ma  fu  bene  altra  cosa  quando  nella  giornata  del  7  si 
seppe  in  modo  certo  la  sconfìtta  di  Mac  Mahon  e  la  ritirata  di  Frossard. 
L'agitazione  della  città  divenne  tale,  da  generare  gravissime  inquietudini. 
La  fiducia  dei  giorni  precedenti  era  convertita  nelle  classi  agiate  in  vero 
sbigottimento. Una  moltitudine  di  persone  lasciava  Parigi;  il  lavoro  natu- 
ralmente era  sospeso;  la  classe  operaia  divenne  perciò  oziosa  ed  inquieta. 
Fra  essa  stava  il  ceto  terribile  dei  pescatori  del  torbido,  sedicenti  repub- 
blicani, i  quali  non  desideravano  di  meglio  che  un  subbuglio.  Fin  dagli  8 
i  cambiavalute,  orafi,  gioiellieri,  armaiuoli  e  altri  commercianti  che  e- 
spongono  in  vendita  oggetti  preziosi,  furono  invitati  a  tener  chiusi  i 
loro  magazzini.  Tutto  il  giorno,  ma  specialmente  nella  notte,  masse 
di  popolo  agitato  ingombravano  le  vie  della  città,  con  frequenti  san- 
guinose collisioni  cogli  ufficiali  di  polizia.  Intanto  il  9  il  Ministero 
convocava  le  Camere  per  esporre  loro  lo  stato  delle  cose  e  domandare 
pronti  soccorsi.  Ma  il  Ministero  non  potè  resistere  all'  animosità  del 
Corpo  legislativo.  Vi  furono  parecchie  vive  apostrofi;  il  deputato  Fa- 
vre  dichiarò  che,  non  potendosi  più  aver  fiducia  nelf  Imperatore,  con- 
veniva organizzare  un  Comitato  di  difesa;  vi  fu  chi  propose  perfino  la 
decadenza  di  Napoleone  dal  trono.  Ma  questo  sfogo  di  personali  risenti- 
menti non  trovò  eco  nell'Assemblea;  la  proposta  di  eleggere  un  Comitato 


634  CRONACA 

di  difesa  venne  respinta  da  100  voti  contro  53;  solo  il  Ministero  OUivier- 
Grammont  non  potè  reggere  all'onta  del  disastro  che  aveva  preparato  al- 
la Francia,  e,  silenziosamente,  si  dimise.  Gli  venne  sostituito  in  meno  di 
un'ora  un  nuovo  Ministero,  presieduto  dal  duca  di  Palikao  e  composto 
dei  bonapartisti  più  conosciuti.  Questo  Ministero  prese  subito  in  mano 
con  vigore  gli  affari  della  guerra  e  dell'ordine  a  Parigi.  Lo  stato  d1  as- 
sedio fu  promulgato.  La  turba  che  stanziava  minacciosa  agli  ac 
del  Corpo  legislativo  e  avea  messo  a  repentaglio  la  vita  degli  ex-mini- 
stri Ollivier  e  Grammont  all'uscire  dall'Assemblea,  fu  caricata  e  disper- 
sa dalia  cavalleria.  Vennero  chiamate  a  Parigi  truppe  di  marina,  doga- 
nieri, gendarmi,  per  lasciare  in  libertà  il  più  che  fosse  possibile  di  truppa 
regolare  ,  la  quale  però  nella  Capitale  non  si  volle  mai  che  fosse 
inferiore  ai  40  mila  uomini,  intanto  erano  proposte  ed  approvate  varie 
cautele  straordinarie,  quali  sarebbero  la  chiamala  sotto  le  armi  di  tutti 
gli  uomini  validi  dai  20  ai  30  anni,  il  richiamo  dei  soldati  licenziati  e 
scapoli  delle  ultime  sei  classi  dell'esercito;  il  corso  forzato  dei  Biglietti 
della  Banca  di  Francia,  e  un  credito  di  guerra  di  2,400  milioni.  Fu  an- 
che concentrato  il  comando  dell'esercito  nelle  mani  del  Bazaine,  e  pre- 
si altri  provvedimenti  che  ci  contentiamo  di  accennare  di  volo,  rimet- 
tendo il  racconto  al  futuro  quaderno. 

6.  Fra  le  potenze  neutre,  il  Governo  di  Firenze  è  quello  che  ha  fatto, 
nel  periodo  che  corrisponde  ai  fatti  militari  della  presente  rassegna,  la  più 
cavalleresca  figura.  Non  è  scarso  in  Italia  il  numero  di  coloro  ì  quali  in 
tutti  i  partiti  politici,  dal  generale  Cialdini  lino  al  dep.  Mellana,  avreb- 
bero voluto  che  l'Italia  prendesse  parte  alla  lotta,  a  banco  della  Francia 
contro  la  Prussia,  come  la  Francia  venne  in  aiuto  dei  piemontesi  a  Solfe- 
rino. Ma  questa  politica,  quantunque  abbia  in  sé  qualche  cosa  di  gene- 
roso, viene  ad  infrangersi  coutro  due  ostacoli  potentissimi:  cioè  gli  in- 
teressi materiali  che  sarebbero  capitalmente  danneggiati  dalla  guerra,  e 
le  mire  del  numerosissimo  e  potentissimo  partilo  anarchico,  il  quale  ve- 
de nei  trionfi  della  Prussia  l'anarchia  in  Francia  e  per  conseguenza  l'a- 
narchia in  Italia.  Tuttavia  il  Ministero  di  Firenze  intende  che  egli  ha  bi- 
sogno, se  non  altro,  di  dimenarsi  per  far  vedere  che  qualche  co.-a  fa.  E  il 
suo  dimenarsi,  insieme  a  molto  di  patetico,  ha  qualche  cosa  di  comico. 
È  infatti  cosa  per  lo  meno  assai  strana  il  vederlo  ammassare  con  tanta 
sollecitudine  tanti  corpi  di  truppa  alla  frontiera  del  Patrimonio  di  S.Pie- 
tro, per  proteggere  il  Governo  pontificio  che  non  ha  bisogno  di 
protetto,  o  meglio  per  proteggerlo  contro  sé  stesso.  E  questo  si  dice  un 
modo  di  mostrare  un  gran  zelo  per  la  Convenzione  di  Settembre  e  un 
tratto  d'amicizia  a  Napoleone  111,  per  quanto  le  circostanze  lo  per- 
mettono. 

Ma  in  realtà  questa  condotta  del  Ministero  è  altamente  pericolosa.  Se 
la  Francia  può  riaversi  delle  patite  sventure,  essa  non  avrà  certo  a  ral- 


CONTEMPORANEA  bóo 

legrarsi  di  questo  sfoggio  della  riconoscenza  fiorentina;  e  se  è  vinta,  la 
Prussia  saprà  tenere  a  calcolo  queste  mal  celate  simpatie  del  Gabinetto 
di  Firenze;  il  quale  fa  tanto  da  compromettersi,  ma  non  osa  far  tanto  da 
salvarsi. 

Che  il  Gabinetto  di  Firenze  sia  sopra  una  falsa  via,  lo  mostrano  am- 
piamente i  suoi  atti;  perchè  mentre  si  dimena  a  comporre  e  formolare  la 
famosa  lega  dei  neutri  che  oggi  è  fatta  e  domani  è  da  fare,  per  essere 
disfatta  il  posdomani,  e  cosi  di  seguito;  d'altra  parte  procede  ad  arma- 
menti che  sono  incompatibili  con  una  stretta  e  sincera  neutralità.  Malti 
non  contento  delle  due  classi  chiamate  sotto  le  armi  in  principio  di  Ago- 
sto, esso  ne  ha  richiamate  altre  due,  quelle  del  1840  e  41  verso  la  metà 
del  mese,  accrescendo  cosi  le  iìle  di  circa  50  mila  uomini.  Il  ministro 
Lanza,  nel  presentare  alla  Camera,  il  16  Agosto,  il  progetto  di  credito  di 
40  milioni  per  sopperire  a  quest'  aumento  di  spese  dell1  esercito,  mentre 
insisteva  sulla  neutralità  dell1  Italia  e  sui  motivi  di  ordine  pubblico  inter- 
no, pure  non  potea  nascondere  le  sue  preoccupazioni  anche  riguardo 
agli  avvenimenti  generali  d'Europa;  e  il  linguaggio  del  parlamento  di- 
mostra quanto  siano  grandi  a  Firenze  queste  preoccupazioni.  Infatti  la 
Prussia  ha  subito  profittato  dei  primi  suoi  trionfi,  per  rivolgere  qual- 
che puntura  allltalia,  facendo  sentire,  a  quanto  ne  dissero  certi  giornali, 
che  essa  avrebbe  veduto  volontieri  a  Roma  qualche  corpo  di  truppa  di 
potenza  neutra  cattolica,  come  l'Austria  o  simili,  lasciando  così  inten- 
dere che  quanto  all'  Italia  il  Jamais  di  Rouher  sarebbe  ripreso  dal  Bi- 
smark,  qualora  la  Prussia  venisse  a  sottentrare  alla  Francia  nella  pre- 
ponderanza europea. 

Pare  che  a  Firenze  siasi  lungamente  nutrita  la  speranza  di  stringere 
un'alleanza  tra  Austria,  Italia  e  Inghilterra,  per  intervenire  in  favore 
della  potenza  belligerante  che  fosse  rimasta  perdente;  e  che  il  Visconti- 
Venosta,  dopo  i  fatti  del  4  e  6  Agosto,  avesse  già  invitato  le  due  altre 
potenze  a  fare  un  passo  comune  in  questo  senso.  Ma  pare  che  l'Inghilter- 
ra abbia  declinato  l'invito,  osservando  che  ne  Francia  ne  Prussia  avreb- 
bero accettato  per  ora  i  loro  buoni  uffizii.  Questo  stoicismo  del  Gabinetto 
di  S.  Giacomo  avrebbe  alquanto  messo  in  pensiero  i  Ministri  di  Firenze, 
i  quali  si  cominciano  a  sentire  in  poco  buono  odore  alla  Corte  di  Ber- 
lino, e  temono  che  l'Inghilterra  sia  poco  disposta  a  dar  loro  altro  che 
buone  parole;  ed  in  seguilo  a  questa  risposta  sarebbesi  decisa  la  chia- 
mata sotto  le  armi  delle  altre  due  classi  di  soldati  congedati,  di  cui  par- 
lammo più  sopra. 

Partite  intanto  da  Roma  le  truppe  francesi,  ed  occupata  la  Francia 
nella  guerra  contro  la  Prussia,  il  partito  democratico  italiano  credette 
giunto  il  momento  di  verificare  il  proverbio  che  nell'assenza  del  gatto  i 
topi  ballano.  Se  Roma  si  potesse  prendere  come  Gerico,  a  quest'ora  sa- 


636  CRONACA 

rebbe  caduta  sotto  il  frastuono  delle  trombe  giornalistiche.  Ma  il  (Inver- 
no italiano  pare  che  questa  volta  non  creda  poter  secondare  ne  sopra  ne 
sotto  mano  i  voti  democratici.  Agitatasi  la  questione  nelle  due  Camere, 
il  Governo,  non  ostanti  i  fremiti  della  sinistra,  ottenne  un  voto  di  ap- 
provazione del  suo  modo  di  vedere  nella  qnistione  romana,  che  è  per  ora 
di  rispettare  i  termini  della  famosa  Convenzione  del  15  Settembre  1864, 
secondo  la  quale,  T  Italia  è  obbligata  a  non  venire  a  Roma  e  ad  impedi- 
re sul  serio  che  vi  vengano  i  garibaldini.  Furono  in  tal  occasione  co- 
municati al  Parlamento  i  seguenti  due  dispacci,  corsi  fra  Italia  e  Francia, 
che  crediam  utile  di  riportare. 

«  77  Ministro  degli  affari  esteri  di  Francia  al  Ministro  di  Francia  in 
Firenze. 

«  Parigi,  2  Agosto  1870.  Signor  Barone,  quando  gii  avvenimenti  del 
1867  ricondussero  negli  Stati  romani  le  truppe  francesi  che  ne  erano 
state  ritirate  Tanno  precedente,  il  Governo  dell'Imperatore  ha  fatto  co- 
noscere che  il  suo  scopo  non  era  di  sottrarsi  dalla  Convenzione  del  15 
Settembre  1864.  La  Francia  interveniva  per  supplire  alla  protezione 
stipulata  in  cotesto  atto  a  favore  della  Santa  Sede,  ma  dichiarava  nel- 
lo stesso  tempo  che  non  si  considererebbe  affatto  come  sciolta  dagli  im- 
pegni contratti  coli  Italia.  Il  gabinetto  di  Firenze,  da  parte  sua,  non  ha 
mai  negato  il  valore  di  quelli  che  l'obbligano  verso  di  noi.  Le  dichia- 
razioni che  ci  ha  fatte,  il  linguaggio  elevato  che  risuonò  ultimamen- 
te in  seno  al  Parlamento  italiano,  ce  ne  danno  la  guarentigia.  Noi  ab- 
biamo dunque  richiamate  le  truppe  che  avevamo  mantenute  sinora  a 
Civitavecchia.  Le  due  potenze  si  trovano  cosi  ricollocate  nei  termini 
della  Convenzione  di  Settembre,  in  virtù  della  quale  l'Italia  s*è  impe- 
gnata a  non  attaccare,  ed  a  difendere  al  bisogno  contro  ogni  aggressio- 
ne il  territorio  pontificio.  Rimettendo  in  vigore  le  varie  clausole  di  que- 
sto atto,  i  due  gabinetti  gii  danno  una  nuova  consecrazione,  la  quale 
ne  rassoda  l'autorità.  E  rientrati  sin  d'ora  coi  termini  dell'obbligo  che 
esso  impone  alla  Francia,  noi  riposiamo  con  piena  fiducia  sulla  vigilante 
fermezza,  con  cui  l'Italia  eseguirà  tutte  le  disposizioni  che  la  concerno- 
no. Siete  invitato  a  leggere  questo  dispaccio  al  signor  Visconti- Veno- 
sta, ed  a  lasciargliene  copia,  se  ve  ne  manifesta  il  desiderio.  —  Gramonl. 

«  Il  Ministro  degli  Affari  esteri  al  Ministro  del  Re  in  Parigi. 

«  Firenze,  4  Agoslo  1870.  Signor  Ministro,  il  signor  Inviato  straordi- 
nario e  Ministro  plenipotenziario  dell'Imperatore  è  venuto  a  darci  co- 
municazione di  un  dispaccio,  con  cui  il  suo  Governo  ci  fa  notificare  che 
esso  ritorna  all'esecuzione  della  Convenzione  del  15  Setiembre  1864; 
richiamando  le  sue  truppe  dal  territorio  romano.  Il  Governo  del  He 
prende  atto  di  questa  determinazione  del  Governo  imperiale.  Voi  cono- 
scete, signor  Ministro,  le  dichiarazioni  che  ho  fatte  al  Parlamento  il  31 


CONTEMPORANEA  637 

Luglio  ultimo  scorso.  Vi  prego  di  tenere  lo  stesso  linguaggio  al  Mini- 
stro degli  all'ari  esteri  dell'Imperatore.  Il  Governo  del  Re,  in  ciò  che  lo 
concerne,  si  conformerà  esattamente  agli  obblighi  che  risultano  per  lui 
dalle  stipulazioni  del  1864.  lo  ho  appena  d'uopo  di  aggiungere  che  noi 
contiamo  sopra  una  giusta  reciprocità  da  parte  del  Governo  dell'Impe- 
ratore. Vogliate  dar  lettura  di  questo  dispaccio  a  S  E.  il  Ministro  degli 
affari  esteri  dell'Imperatore,  e  lasciargliene  copia,  se  la  desidera.  —  Vi- 
sconti-Venosta. » 

È  però  chiaro  che  non  in  questi  dispacci,  nò  nelle  promesse,  quali 
che  si  siano,  di  qualsivoglia  Ministero  fiorentino,  ne  molto  meno  nelle 
dichiarazioni  e  voti  delle  Camere,  è  da  porre  niuna  fiducia.  Ma  soltanto 
nella  divina  provvidenza,  che  sembra  ora,  più  ancora  che  pel  passato, 
aver  preso  direttamente  ed  esclusivamente  sopra  di  sé  sola  la  difesa  di 
Roma  e  del  Papa. 

Quanto  all'Austria  vi  fu  un  momento  di  vivissima  commozione,  essen- 
dosi sparsa  la  voce  che  la  Prussia  le  avesse  fatto  offerte  abbastanza  lar- 
ghe per  guadagnarsela.  Si  sarebbe  trattato  nò  più  né  meno  che  resti- 
tuirle il  Lombardo- Veneto  e  permetterle  di  mandare  un  corpo  di  trup- 
pe in  difesa  del  territorio  pontificio.  In  una  parola  renderle  la  preponde- 
ranza in  Italia  in  compenso  di  quella  cui  rinunziava  in  Germania.  Que- 
ste voci  turbarono  talmente  il  pubblico  liberale,  che  ne  fu  fatta  inter- 
pellanza nel  Parlamento  fiorentino,  dove  il  Ministro  degli  Esteri  fece 
una  esplicita  dichiarazione  degli  stretti  vincoli  di  simpatia  e  comu- 
nanza di  interessi  che  univa  i  due  gabinetti.  Ma  in  Austria  come  in 
Italia  i  gabinetti  non  hanno  con  se  le  simpatie  di  tutte  le  popolazioni. 
Mentre  1  Ungheria  e  la  Boemia  vedono  di  mal  occhio  i  trionfi  della  Ger- 
mania ,  il  popolo  delle  province  tedesche  applaude  di  cuore,  e  ne  na- 
scono disordini,  perchè  le  autorità  non  approvano  queste  dimostra- 
zioni. Mentre  scriviamo  tutte  le  grandi  potenze  sono  in  i-tato  di  aspet- 
tativa; e  si  intende  la  necessità  di  aspettare  che  un  nuovo  e  decisivo 
fatto  d1  armi  dia  un  segno  più  evidente  del  tracollo  che  la  fortuna  ri- 
serva all'  una  più  che  all'altra  delle  potenze  belligeranti. 

Dalle  piccole  potenze,  la  sola  Danimarca  ebbe  a  passare,  comedi- 
cono,  una  crisi.  L'  apparizione  delle  flotte  frances  nel  mare  del  nord,  e 
la  speranza  che  F  esercito  francese  avesse  a  riportare  qualche  fausto 
successo  sul  nemico,  avevano  riacceso  gli  spiriti  di  quelle  p  polazi*  ni, 
che  tanto  hanno  sofferto  dalla  Prussia.  Ma  le  notizie  delle  prime  vitto- 
rie prussiane  vennero  a  spegnere  in  un  momento  otti  quei  carboni  che 
ardevano  sotto  le  ceneri.  Dal  Belgio  e  dal  Lussemborgo  !a  ìurras-a  si 
allontana.  Quanto  è  meglio  ora  pel  Lussemborgo,  essere  un  piccol  >  -ta- 
to, che  un  dipartimento  del  Nord  del  grande  Impero  francese,  calpe- 
stato da  un  milione  di  combattenti  e  pieno  di  rovine  e  di  stragi. 


638  cro^ !  e v 


Belgio  (Nostra  corrispondenza)  1.  Tirannia  dei  liberali  —  2.  Loro  errori 
—  3.  Primo  trionfo  dei  cattolici  nelle  elezioni  parziali  —  4.  Divisione 
dei  liberali  —  5.  Secondo  e  definitivo  trionfo  dei  cattolici  nelle  elezio- 
ni generali  —  6.  11  Belgio  e  la  guerra. 


i.  Da  tredici  anni  regnavano  in  Belgio  i  liberali,  che  erano  saliti  al 
potere  nel  1857  in  forza  di  lu multi  fatti  contro  un  disegno  di  legge  so- 
pra la  carità.  Nel  1864  aveano  io  verità  perduta  la  maggioranza  nel- 
la camera:  ma  aiutati  da  varii  errori  di  alcuni  capi  del  partii)  catto- 
lico, poterono  ciononostante  mantenersi  al  Governo  colle  nuove  elezio- 
ni.  Si  credette  per  un  istante  che  all'occasione  dell'avvenimento  al  tro- 
no di  Leopoldo  li,  nel  Dicembre  del  1860,  sarebbe  stata  accettata  la 
loro  dimissione,  in  causa  dell'appello  air  unione  fatto  dal  nuovo  Re: 
ma  non  ne  fu  nulla.  Fin  al  Giugno  del  1870  i  liberali  governarono 
dunque  il  Belgio,  e  con  tanta  sicurezza  dell'avvenire,  che  i  loro  giornali 
profetavano  appunto  allora  l'annientamento  del  partito  cattolico.  Più 
si  credeano  forti  e  più  opprimevano  i  cattolici.  Questo  loro  dispotismo 
fu  la  causa  della  loro  disfatta. 

Sotto  il  regno  liberalesco  i  cattolici  furono  impediti  nei  loro  diritti 
di  associazione,  di  fondazioni  di  carità,  di  amministrazione  delle  borse 
di  studio:  furono  oppressi  nel  libero  esercizio  del  loro  culto,  colla  pro- 
fanazione dei  cimiteri,  colla  soppressione  delle  esenzioni  dalla  leva, 
sempre  fin  allora  concedute  al  clero  :  furono  lesi  nei  loro  diritti  di  cit- 
tadini coiresclusione  sistematica  dagl'impieghi.  Il  Ministro  della  giusti- 
zia si  segnalò  sopra  tutti  in  questa  ingiustizia  e  in  questa  persecu- 
zione dei  cattolici.  Egli  tentò  di  fare  della  magistratura  un  vero  corpo 
politico,  non  lasciando  più  entrarvi  che  membri  delle  associazioni  li- 
berali, ed  affigliati  alle  logge  massoniche. 

2.  Ma  quando  si  è  nella  via  dell'oppressione  non  sempre  si  sa  conte- 
nersi nel  possibile.  Il  signor  Frère,  capo  del  Ministero,  era  giunto  a  tale, 
che  non  gli  era  più  possibile  sopportare  la  menoma  contraddizione  Egli 
dominava  sopra  il  suo  stesso  partito  con  mano  di  ferro,  come  dominava 
sopra  tutti  i  poteri  dello  Stato.  Guai  agi'  impiegati  liberali  che  avessero 
osato  essere  di  parere  diverso  dal  suo.  Egli  obbligò  i  suoi  servitori  li- 
berali a  ritrattar  i  loro  voti,  per  far  passare  la  legge  contro  le  borse 
di  studio:  ej:li  insultò  un  membro  considerevole  del  suo  partito  per- 
chè avea  osato  resistergli  in  una  bagattella.  Il  Senato  stesso  fu  da  lui 
cosi  poco  rispettato  che  un  bilancio,  da  lui  disapprovato  una  prima  vol- 
ta, gli  fu  subito  ripresentato  tal  e  quale  perchè  lo  accettasse,  quasi  sotto 


CONTEMPORANEA  639 

la  sferza  del  maestro  offeso.  Se  egli  tollerava  ancora  che  le  leggi  fossero 
discusse,  ciò  era  quasi  ccl  patto  che  non  fossero  emendate.  Lo  stesso  po- 
tere reale  parea  sparito  dinanzi  a  quello  del  Ministro  che  era  chiamato 
pubblicamente:  //  signore  del  palazzo.  E  cosi  il  potere  legislativo,  che, 
secondo  la  parola  della  Costituzione,  si  esercita  collettivamente  dalle  due 
Camere  e  dal  Re,  era  di  fatto  concentrato  nel  capo  del  Gabinetto;  e  noi 
belgi,  nonostante  il  nostro  reggimento  costituzionale,  teoricamente  sop- 
portammo da  vani  anni  il  capriccio  del  dispotismo  esercitato  da  un  li- 
berale. 

3.  I  Belgi,  che  sono  in  generale  assai  pazienti,  non  aspettavano  che 
una  favorevole  occasione  per  iscuolere  questo  giogo.  L'occasione  venne 
il  14  Giugno,  quando  la  Camera  dovea  rinnovarsi  nella  sua  metà.  Le  cir- 
costanze erano  sfavorevoli  ai  cattolici,  grazie  al  solito  accorgimento  dei 
liberali.  Pure,  con  grande  maraviglia  dei  liberali,  il  risultato  fu  favo- 
revole ai  cattolici ,  che  guadagnarono  abbastanza  voti  da  poter  equili- 
brare quelli  dei  liberali.  Il  Ministro  capì  che  dovea  dare  le  sue  dimis- 
sioni. Le  diede,  e  il  Re  incaricò  il  barone  di  Anethan,  senatore  cattolico, 
di  comporre  un  nuovo  Ministero. 

Si  vide  allora  uno  spettacolo  sempre  curioso,  benché  solito:  cioè  l'ab- 
ono  in  cui  fu  lasciato  il  sig.  Frère  da  molti  di  quelli  che  lo  soste- 
nevano quando  era  al  potere.  Un  giornale,  che  già  era  del  suo  partito, 
scrisse  che  la  sua  caduta  avea  cagionato  un  sollievo  universale.  Ma  non 
per  questo  i  liberali  volevano  un  Ministero  cattolico.  Si  ninnarono  a 
Brusselle  da  tutte  le  parti  :  e  colà,  in  nome  di  non  so  quali  principii 
costituzionali,  instarono  per  conservare  il  potere.  Non  la  vinsero  però 
questa  volta,  e  il  barone  di  Anethan  riuscì  a  formare  il  Ministero  cat- 
tolico. 

Il  2  Luglio  i  signori  d' Anethan,  Kervyn  di  Lettenhove,  Jacobs,  Cor- 
Desse,  Tack  e  Guillaume  fecero  nelle  mani  del  Re  il  giuramento  solito 
ed  entrarono  in  carica.  La  loro  condizione  era  difficile,  perchè  non  avea- 
no  ancora  la  maggioranza  nelle  Camere,  e  non  poteano  che  scioglierle  e 
procedere  a  nuove  elezioni.  Era  la  prima  volta  dopo  il  1830  che  il  parti- 
to cattolico  ricorreva  a  questo  procedimento,  di  cui  i  liberali  aveano  tan- 
to abusato.  L'8  Luglio  fu  decretato  lo  scioglimento,  e  il  Belgio  fu  chia- 
Lo  ad  eleggere,  una  nuova  camera  per  il  2  Agosto. 

4. Intesero  i  liberali  che  il  momento  era  decisivo.  Essi  sono  divisi  in  due 
partiti;  quello  dei  dottrinarti  che  è  il  più  numeroso  e  quello  dei  radicali 
che  è  il  più  attivo.  Hanno  uno  scopo  comune,  ma  i  radicali  più  schietti 
e  più  imprudenti  lo  dicono  chiaro  e  lo  vogliono  ottenere  subilo.  I  dot- 
trinarli più  ipocriti  e  più  furbi  lo  dissimulano  e  si  contentano  di  arrivar- 
vi a  poco  a  poco.  I  radicali  accusano  i  dottrinarli,  che  sempre  finora  fu- 
rono al  potere,  di  non  aver  fatto  abbastanza  :  e  per  un  momento  si  erano 


640  CRONACA  CONTEMPORANEA 

quasi  decisi  di  abbandonarli  e  separarsene  affatto.  Molti  di  loro  si  orano 
uniti  ai  catto'ici  nelle  elezioni  del  14  Giugno,  per  potersi  così  sbarazzar 
più  presto  dei  dottrinaria  Questa  volta  si  pensò  di  unirsi  invece  coi  dot- 
trinarli per  combattere  i  cattolici. 

Intanto  scoppiava  la  guerra  tra  Francia  e  Prussia  con  gran  pericolo 
del  Ministero  e  del  Belgio.  Non  si  pensò  più  che  all'  unione  di  tutti  i 
partiti.  I  liberali  furbescamente  proposero  un  Ministero  nazionale, com- 
posto di  cattolici  e  liberali;  e  la  rivocazione  del  decreto  di  scioglimento 
delle  camere.  Grazie  a  Dio  i  cattolici  questa  volta  non  caddero  nella  rete. 
Il  Ministero  prese  i  provvedimenti  militari  neeessarii  e  man  tenne  il  de- 
creto già  fatto. 

5.  Le  elezioni  ebbero  dunque  luogo  il  2  Agosto,  mentre  alle  frontiere  due 
nazioni  rivali  si  battevano  e  nell'interno  tutti  pensavano  al  pericolo  del 
paese  che  ognuno  volea  salvare  a  suo  modo.  Le  elezioni  furono  lasciate 
libere  dal  Ministero,  che  vietò-agli  impiegati  di  influirvi.  Il  che  i  liberali 
non  aveano  mai  fatto.  Il  risultato  fu  che  furono  eletti  Deputati  50  libe- 
rali e  70  cattolici:  Senatori  25  liberali,  e  34  cattolici.  Nella  camera  vi 
sono  inoltre  4  indipendenti  eletti  col  favor  dei  cattolici,  e  nel  Senato  5 
del  centro  sinistro.  Fu  un  vero  trionfo  pei  cattolici  dovuto  all'  attività 
ed  energia  comune:  e  specialmente  poi  a  quello  dei  cattolici  di  Gand  e 
di  Anversa.  La  rabbia  dei  liberali  si  sfogò  specialmente  in  queste  due 
città,  coi  soliti  argomenti  liberaleschi  di  tumulti  e  di  sassate,  eccitando 
così  sempre  più  contro  di  sé  il  disprezzo  o  1  avversione  comune.  Mai  non 
si  videro  i  cattolici,  ancorché  in  maggioranza,  abbandonarsi  a  tali  ecces- 
si. Essi  seppero  sopportare  degnamente  l'oppressione.  Imparino  ora  i  li- 
berali a  rassegnarsi  almeno  alla  giustizia.  Ma  costoro  non  sanno  nò  ob- 
bedire né  comandare;  non  sanno  che  ribellarsi. 

6.  Nelle  gravi  circostanze  in  cui  era  il  Belgio,  il  Ministero  pen<ò  di  con- 
vocar subito  il  parlamento.  Il  5  Agosto  si  aperse  dunque  la  sessione 
straordinaria,  dove  il  Re  disse  Ira  le  altre  cose,  che  avea  ricevute  assi- 
curazioni dalle  due  nazioni  belligeranti,  sopra  la  neutralità  del  Belgio; 
che  specialmente  si  doveano  grazie  per  questo  air  Inghilterra  ed  alle 
premure  che  essa  porta  per  la  nostra  nazionalità;  e  aggiunse  esortazio- 
ni ali1  unione  di  tutti  per  la  salute  ed  indipendenza  della  patria,  la  cui 
neutralità  e  sicurezza  il  Belgio  era  pronto  a  difendere.  Le  parole  reali 
furon  molto  applaudite. 

Si  seppe  poco  dopo  del  nuovo  trattato  sottoscritto  da  Prussia  e  Fran- 
cia, in  favor  della  neutralità  belga,  per  cura  dell*  Inghilterra.  Ma  tutte 
queste  guarentigie  non  e1  impediscono  dal  prendere  le  nostre  precauzio- 
ni di  difesa  militare.  Speriamo  che  Dio  ci  proteggerà  e  ci  libererà  da 
ogni  flagello  di  guerra,  come  ci  ha  liberati  dal  flagello  dei  liberali. 


I  NUOVI  PROTESTANTI 

CONTRO  IL  CONCILIO  VATICANO 


--sjmrw" 


I 


Non  v'  è  ormai  parte  dell'  Europa  cattolica ,  in  cui  la  definizione 
della  infallibilità  pontificia  non  sia  stata  accolta  da  popoli  con  mo- 
stre più  o  meno  solenni  di  sommessione  e  di  gioia:  incontri  festosi 
di  cittadini  a  Vescovi  tornali  da  Roma,  acclamazioni,  inui,  lumina- 
rie, discorsi,  indirizzi  e  cento  altri  modi,  con  che  il  profondo  con- 
vincimento del  fedele  sa  attuarsi  estrinsecamente,  e  dar  conto  di  sé 
e  della  sua  vigoria  al  mondo  spettatore.  Non  è  possibile,  che  un  a- 
nima  credente,  leggendo  nei  giornali  le  tante  e  sì  svariate  relazioni 
di  cotesti  atti  della  fede,  non  sentasi  dolcemente  commuovere  e  ra- 
pire come  all'  inno  più  sublime,  che  la  creatura  razionale  possa  in- 
viare dal  suo  seno  al  trono  del  suo  fattore.  Dio  ha  parlato  per  boc- 
ca del  Concilio,  ha  rassicurato  le  menli,  che  tale  e  non  altrimenti 
è  la  somma  dei  privilegi  divinamente  posta  nel  suo  Vicario,  e  que- 
sto basta:  il  popolo  fedele  calpestando  1'  umano  orgoglio  s' inclina 
e  dice  all'Altissimo:*  io  credo.  Né  pago  a  tanto,  gli  offre  questo  no- 
bile atto  di  sommessione,  e  questo  splendido  olocausto  della  intel- 
ligenza fra  gli  odorosi  incensi  delle  feste,  dei  tripudii  e  dei  canti. 
Leggesi  nella  Genesi  che  l'olocausto  offerto  da  Noè  dopo  il  diluvio 
tornò  gradito  al  Signore  non  altrimenti,  che  l'olezzo  di  soavissimo 
fiore,  e  fu  ripagato  con  amplissime  benedizioni.  Non  accadrà  altrct- 
Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  492.  41  3  Settembre  1870. 


642  I  NUOTI  PROTESTANTI 

tanto  e  più  di  ricambio  a  questo  nobilissimo  allo  della  fede?  Niuno 
può  dubitarne. 

In  mezzo  però  a  si  grande  armonia  di  tutte  le  intelligenze  catto- 
liche, non  mancarono  alcune  voci,  che  tentassero  di  turbarla  eo- 
mechessia,  e  di  intorbidare  la  pura  gioia  della  Chiesa.  V  ebbero 
de'  suoi  figli,  in  poco  numero  ò  vero,  ma  pur  v'ebbero,  i  quali  inor- 
gogliti di  sé  medesimi  si  dissero  essi  soli  sapienti,  e  rifiatarono  di 
far  ossequio  e  riverenza  alla  verità.  Non  maravigliamoci  :  il  fatto 
moderno  è  la  ripetizione  di  un  altro  antico.  E  quando  v'  ebbe  caro  di 
superbi  in  questo  mondo?  S.  Germano,  Patriarca  di  Costantino- 
poli, scrive,  che  alcuni,  finito  il  Concilio  VI  ecumenico,  misero  in 
opera  tutti  i  loro  sforzi  per  annientarne  la  defìnizioneVFra  i  quali 
v  ebbe  un  tristo  prete,  v'ebbe  un  venduto  sofista,  corsero  libelli 
avversi,  si  raccolsero  sottoscrizioni  contrarie,  ed  una  mano  reale 
giovò  ed  animò  i  ribelli  della  verità  a  grande  prò  della  eresia  ed  a 
grave  danno  della  sana  dottrina  là;  Non  è  punto  diversa  la  opposi- 
zione al  Concilio  vaticano.  Un  misero  prete  anonimo  mandò  a  stam- 
pare un  suo  articolo  nella  Gazzetta  universale  di  Augusta,  un  ex-re- 
ligioso ne  scrisse  un  altro  in  Francia,  un  povero  sofista  die  alla  luce 
un  libello  a  Dusseldorf,  una  protesta  uscì  dalla  Università  di  Mo- 
naco colla  sottocrizione  di  alcuni  professori  :  e  tutto  il  mondo  sa , 
che  qualche  Governo  fieramente  ombrò  all'annunzio  della  definizione 
della  infallibilità,  e  si  mise  in  su  le  difese  de'  proprii  diritU,  creduli 
in  grave  pericolo.  La  somiglianza  tra  le  due  opposizioni,  fatte  al  Con- 
cilio VI  ed  al  Concilio  vaticano,  non  potrebbe  essere  più  spiccata. 
Quello  che  accade  presentemente  è  già  aceadulo  ab  antico ,  e  nel 
futuro  si  rinnoverà  ciò  che  avviene  al  presente.  Niuno  ne  pigli 
scandalo.  Alla  fin  dei  conti  le  opposizioni,  che  sorgono  contro  le 

1  Quamquam  et  postea  nonnulli  enixc  connisi  sunl  sexlam  ipsam  subver- 
tere  sijnodum,  et  libello*  scripserunt,  et  coactas  adversus  cani  subscriptiu- 
nes  fecerunt ,  regìa  manti  eunetos  contro,  synodum  impeli  e  ni  e,  Philippico 
(nani  duplex  nomcn  huic  infausti  nomini*  reptatori 
firit ),  qui  adversus  eam  insurrexit.  Jtem  loanncs  quidam  coloneu*  jpresbn* 
ter,  et  Nicolaus  sophista ,  aliique  quorum  nomina  sponte  praetcrmittum  , 
haereseos  vires  auxerunt,  et  sanum,ecclcsiae  noslrae  dogma  vitiaruni.  Mai, 
Spicilegium  romanum,  v.  VII;  S.  Gekmani  JSarratio  de  synodis  el  Itaeresi- 
:;;\. '.  S5. 


CONTRO  IL  CONCILIO  VATICANO  643 

verità  definite,  sono  come  gli  sbattimenti  e  le  ombre,  le  quali  dan- 
no risalto  e  lume  alle  figure  principali  ne'  quadri. 

Che  pensano-  infatti  tutti  cotesti  uomini ,  che  gridano ,  che  prote- 
stano e  che  impugnano  il  Concilio  vaticano  ?  Forse  di  annientar- 
ne la  forza?  di  spegnerne  la  credenza?  di  farlo  cadere  inonorato 
nel  fango?  GÌ'  ingannati  che  sono!  a  cui  non  serve  di  ammaestra- 
mento la  storia  di  diciotto  Concilii  ecumenici.  Non  v'ebbero  defini- 
zioni in  lutti  questi  Concilii?  Non  sorsero  oppugnatori,  non  li  guer- 
reggiarono potenti  d'ingegno  e  d'impero?  Osservate  in  particola- 
re il  Concilio  niceno  I.  Quanti  sforzi  d' ingegno  non  si  adoperarono 
per  abbatterne  la  definizione  ?  quante  astuzie  non  si  misero  in  ope- 
ra ,  quanti  conciliaboli  di  Vescovi  non  si  tennero  al  medesimo  sco- 
po? Chi  può  annoverare  le  prigioni,  gli  esilii,  le  morti  decretate  da 
un  Costante,  da  un  Valente  per  isterparla  dal  cuore  dei  sacerdoti  di 
Cristo?  Chi  può  pensare  senza  orrore  alle  profanazioni,  ai  saccheg- 
giamenti  ed  alle  uccisioni ,  commesse  da  un'  aizzata  soldatesca  per 
annientarla  nel  popolo  fedele  ?  Leggete  il  Commonitorio  primo  di 
S.  Vincenzo  lirinese.  Ebbene  cadde  un  apice  di  ciò,  che  avea  defi- 
nito il  Concilio?  Tutt' altro.  La  fiera  pruova  non  valse  ad  altro,  che 
a  radicare  vie  meglio  la  credenza  definita  dal  Concilio  e  cingerla 
di  fulgidissima  aureola.  Non  accadde  altrettanto  alle  definizioni  del 
Concilio  di  Trento?  Contro  di  esse  stamparonsi  infiniti  libelli,  mol- 
tiplicaronsi  dovunque  le  proteste ,  usaronsi  mille  arti  e  tutte  raffi- 
nale per  iscreditarle ,  per  rovesciarle.  Ma  tutto  indarno.  Le  verità 
definite  brillarono  invece  di  nuova  luce,  e  continueranno  a  brillare 
infino  alla  consummazione  dei  secoli.  La  verità  del  Signore  rimane 
salda  in  eterno.  Cristo  ha  promesso  di  stare  a  fianchi  della  Chiesa 
per  reggerla  nella  lotta  dell'  errore  contro  la  verità ,  di  cui  essa  è 
universale  maestra,  e  la  sua  promessa,  come  non  ha  fallito  fin  qui, 
così  non  fallirà  mai.  E  cotesti  nuovi  protestanti  del  secolo  decimo- 
nono si  credono  di  renderla  vana  ? 

Stolta  pretensione!  Come  di  tanti  altri  sta  scritto,  che  evannerimt 
in  cogitationibus  suis,  così  può  dirsi  fin  d'  ora,  che  tanto  accadrà  di 
costoro.  Essi  pensano  di  recar  danno  al  Concilio  ed  invece  lo  recano 
a  sé  gravissimo  :  vale  a  dire  lo  recano  alla  propria  unione  colla 
Chiesa,  perchè  ne  vengono  bruscamente  divelti  per  l' anatema  ;  lo  re- 


644  I  NUOVI  PROTESTANTI 

cano  alla  virtù  della  fede,  perchè  ne  patiscono  un  totale  naufragio; 
lo  recano  alla  propria  salute,  perchè  colui  che  non  ha  la  fede  min 
iudicatus  est.  V  ha  di  più.  Chi  non  solamente  ricusa  di  soggettarsi 
ai  donimi  definiti,  ma  ancora  per  giunta  leva  nella  sua  stoltezza  lo 
stendardo  della  ribellione  con  solenni  proleste  e  pubblici  ammae- 
stramenti contrarli  alla  credenza  dei  medesimi,  si  espone  a  certo 
rischio,  che  in  lui  si  adempia  ciò,  che  Cristo  disse  al  cieco  nato  in 
risguardo  dei  Farisei:  In  iudicium  ego  in  hunc  mundum  veni;  ut  qui 
non  vident,  videant,  et  qui  vident,  cacci  fiant  1.  Cristo  a  tempo 
debito  rischiala  le  sue  verità  per  bocca  della  Chiesa  a  vantaggio 
de'  fedeli.  Gli  umili,  che  per  ignoranza  o  per  torta  educazione  le 
contrastavano,  o  non  le  vedeano  limpide,  ne  rimangono  illuminali 
e  soavemente  confortati  dal  loro  lume:  i  superbi  per  contrario, 
piuttosto  che  dare  a  dietro  e  ricredersi ,  chiudono  gli  occhi  per 
non  vederle,  e  così  a  guisa  di  ciechi  continuano  a  negarne  in  lor 
dannazione  il  fulgido  chiarore.  La  Chiesa  ha  testé  parlalo  circa  la 
grande  lite  della  infallibilità  pontifìcia  :  V  ha  decisa.  L' umile  cre- 
dente s' inchina,  il  superbo,  no:  ma  stolto  si  accieca  e  protesta. 

E  in  vero  quale  altro  orgoglio  si  può  immaginare  più  grande  di 
quello,  onde  cotesti  nuovi  protestanti  danno  si  bruito  saggio?  Ec- 
covi qua  oltre  a  cinquecento  giudici  della  fede,  i  quali  con  a  capo  il 
supremo  Pontefice  dopo  di  avere  studiata,  esaminata,  discussa  per 
oltre  a  due  mesi  una  quistione  già  studiata,  esaminata  e  discussa  le 
cento  volle,  definiscono  in  pieno  concilio  esser  domma  di  fede  la  in- 
fallibililà  pontificia.  Eccovi  là  un  pugno  di  professori,  un  religioso 
apostata,  un  misero  prete  anonimo,  e  qualche  altro  di  simile  stam- 
po sorgere  e  gridare:  noi  protestiamo.  Voi  proponete  la  infallibilità 
come  un  domma  rivelalo,  e  noi  «  lo  rigettiamo  come  dottrina  nuo- 
va »:  voi  lo  dite  «  fondalo  nella  sacra  Scrittura  »,  e  noi  lo  neghia- 
mo: voi  ce  lo  date  come  trasmesso  per  la  via  dellatradizionc,  e  noi 
lo  giudichiamo  «  come  apertamente  contrario  alla  tradizione  del- 
l'antichità  cristiana,  e  della  storia  ecclesiastica  ».  Che  vi  pare,  di 
queste  proteste?  Pel  cattolico,  il  quale  sa,  che  il  Concilio  è  retto 
nelle  sue  decisioni  dallo  Spirito  Santo,  il  reato  di  simili  intemperan- 

1  Ioa*.  e.  !X,v.  39. 


CONTRO  IL  CONCILIO  VATICANO  Ò45 

ze  è  quello  dell'  orgoglio  portato  alla  follia.  Sorsero  negli  inizii  della 
Chiesa  uomini,  che  si  diceano  sapienti,  e  tocchi  dallo  stesso  male 
della  superbia  volendo  acconciare  la  verità  al  proprio  senno  venne- 
ro meno  alla  fede.  Ex  nobis  prodierunt,  scrisse  di  loro  S.  Giovanni, 
sed  non  erant  ex  nobis:  nani  si  fuissent  ex  nobis ,  permansissent  liti- 
que  nobiscum,  sed  ut  manifesti  sint,  quoniam  non  sunt  omnes  ex 
nobis  1.  Uscirono  dalla  Chiesa:  ma  l'orgoglio  gli  avea  già  disposti 
al  tristo  passo  :  di  qui  il  dire  di  S.  Giovanni  che  non  erant  ex  nobis. 
Non  altrimenti  i  protestanti  contro  il  Concilio  vaticano,  tronfi  di 
vana  scienza,  gridano:  noi  protestiamo,  noi  rigettiamo.  Gridino 
pure,  e  protestino  gli  sventurati.  Le  loro  proteste,  come  ombre  e 
sbattimenti  del  gran  quadro  del  Concilio,  daranno  risalto  alle  defi- 
nizioni, e  la  loro  memoria  passerà  ai  posteri,  come  quella  di  uomi- 
ni stoltamente  improvvidi,  orgogliosi,  dissennati,  che  si  giltarono 
alla  impresa  di  pugnare  contro  le  decisioni  conciliari  inutilmente  e 
con  estrema  mina  dell'  anima  propria. 


11. 


Se  i  nuovi  protestanti  rigettano  le  decisioni  del  Concilio,  noi  fan- 
no a  capriccio.  Essi  hanno  ragioni  da  vendere.  Figuratevi,  a  mo' 
di  esempio,  il  solo  Pantaleoni  n  ebbe  tante  da  comporre  contro  iì 
domma  della  infallibilità  un  arlicolone  per  X Antologia  italiana,  da 
vedersene  a  grande  stento  la  fine.  E  poi  un  Ministro  non  potò  for- 
mare intorno  al  medesimo  da  undici  quistioni,  ed  un  altro  non 
iscrisse  una  lunghissima  nota?  Cosicché,  come  vedete,  stanno  con- 
tro il  Concilio  ragioni  di  università  e  ragioni  di  governo,  ossia  ra- 
gioni teologiche  e  ragioni  politiche.  E  vero.  Ma,  sapete  che  sono? 
Non  altro,  che  falsità  informate  di  spirito  piolestantico.  Vedetelo 
nel  fondamento,  da  cui  muovono  cotesti  nuovi  protestanti. 

Un  errore  fondamentale  si  è  il  considerare  le  definizioni  conciliari 
a  seconda  del  proprio  senno,  prescindendo  totalmente  dalla  quistio- 
ne  teologica,  di  che  sono  penetrale.  E  in  questo  cade,  o  per  meglio 
dire  vi  si  gitta  il  dottore  Pantaleoni  ;  giacche  egli  si  propone  e  lo 

1  Id.  ep.  I,  e.  II,  v.  19. 


(ÌÌ6  I  NUOTI  PROTESTANTI 

ripete  più  volte,  di  non  toccare  nella  sua  discussione  circa  la  defi- 
nizione della  infallibilità  il  lato  dommatico  o  canonico.  E  fallo  ap- 
punto alla  maniera  del  protestante,  cioè  a  proprio  senno.  Quindi  è, 
che  filosofandovi  attorno  in  questo  modo  ei  la  vede  gravida  di  tanti 
guai  per  la  Chiesa,  che  poco  è  a  petto  di  essa  il  vaso  favoloso  di 
Pandora:  e  perciò  si  diseioglie  lutto  in  lagrime  per  le  ribellioni,  per 
gli  scerpamenti,  per  lo  sterminio  della  Chiesa  e  per  altri  finimondi, 
che  ei  pronostica,  come  sicurissimi  ad  accadere.  Ma,  se  il  ciel  vi 
salvi,  sig.  dottore,  Cristo  ha  costituito  sì,  o  no,  il  suo  Vicario  mae- 
stro infallibile  nelle  cose  del  domma  e  della  morale?  Il  Concilio  ha 
definito,  che  sì.  Adunque  Y  una  delle  due  :  o  dire,  che  Domeneddio 
neir  ordinamento  della  sua  Chiesa  per  difetto  di  sapienza  ha  posto 
un  principio  distruttivo  della  medesima,  o  affermare,  che  il  sig.  dot- 
tore avendo  omesso  collo  spirito  del  protestante  il  punto  teologico 
della  quistione,  ha  parlato  da  insipiente  nelle  sue  deduzioni. 

Il  sig.  dottore  non  considera  la  quistione  sotto  il  riguardo  teolo- 
gico. E  che?  le  decisioni  di  fede  non  sono  cose  sommamente  teo- 
logiche? non  si  appoggiano  al  sacro  codice  della  Scrittura?  non 
escono  dai  Concilii  col  suggello  di  una  suprema  autorità  interpre- 
tatrice  ?  Or  come  mai  il  nostro  dottore  commette  Y  enorme  fallo 
di  gittare  da  canto  il  codice  e  la  interpretazione  autentica  per  ra- 
gionare e  conchiudere  secondo  i  capricciosi  suoi  principii?  Oltre, 
il  principio  protestantico,  che  sta  nel  fondo,  si  affaccia  in  tutto  lo 
scritto  un  altra  ragione  :  ed  è  Y  ardente  brama  di  sfogare  la  bile, 
che  lo  cuoce  contro  di  Roma,  e  di  sfogarla  con  qualche  frutto  del 
suo  partito.  Se  egli  avesse  detto  di  tratto:  il  Concilio  nel  suo  decre- 
to ha  falsato  la  fede,  ha  mentito  nel  Papa  un  diritto  che  non  v'  è, 
sarebbe  comparso  anche  al  più  semplice  de'  suoi  lettori  nella  laida 
figura  di  schietto  protestante.  E  però  infintosi  ipocritamente  rive- 
rente colla  protesta  di  non  toccare  la  quistione  teologica ,  quando 
appunto  doveasi  considerare,  ebbe  modo  d' insinuare  il  veleno  pro- 
testante eccitando  gli  animi  all'  odio  della  definizione  ed  alla  ribel- 
lione contro  il  Concilio  in  nome  del  diritto  manomesso. 

Non  basta  conoscere  la  necessità  della  quistione  teologica  :  con- 
viene ancora  giudicarla  con  sano  criterio.  Così  non  fece,  e  quindi 
errò  nel  fondamento  il  credente  anonimo  di  Dusseldorf.  Avendo 


COLTRO  IL  CONCILIO  VATICANO  647 

egli  messo  innanzi  il  principio  conosciutissimo  del  doversi  credere 
di  fede  soltanto  quello  che  come  tale  fu  creduto,  dovunque,  sempre 
e  da  tutti,  fa  questa  applicazione:  «la  dottrina  della  infallibilità 
pontifìcia  fu  contraddetta  a  tempi  di  Bonifacio  Vili,  poi  nel  Concilio 
di  Costanza  e  più  lardi  dal  quarto  articolo  della  Dichiarazione  gal- 
licana. Onde  chi  non  vede  mancare  a  tal  dottrina  la  condizione 
della  universalità  nella  credenza?  Pognamo,  che  essa  venga  definita 
qual  domma,  sia  dalla  maggioranza  del  Concilio,  sia  dalla  unani- 
mità :  nullo  sarebbe  il  suo  valore,  ed  il  Papa  proclamandola  calpe- 
sterebbe le  leggi  fondamentali  del  cattolicismo  e  darebbe  vita  ad 
una  nuova  Chiesa  ».  Tale  è  il  suo  discorso,  ed  il  principio  prote- 
stantico  v'  è  tutto  dentro  col  suo  veleno.  Ogni  cattolico  non  sola- 
mente è  obbligato  a  credere  i  donimi  già  definiti,  ma  deve  ancora 
essere  apparecchiato  ad  accettare  con  sommessione  tutti  quelli  che 
la  Chiesa,  colonna  e  fermezza  della  verità,  fosse  per  proporre.  Il  cre- 
dente anonimo  dimenticato  Y  obbligo  di  questa  disposizione  dell'ani- 
mo, e  persuaso  dal  proprio  giudizio  esser  cosa  aliena  dalla  fede  il 
dorama  della  infallibilità  a  cagione  della  opposizione  fattagli,  con- 
chiuse alla  maniera  dei  protestanti  doversi  rigettare,  come  contrario 
alla  credenza  cattolica,  quando  anche  venisse  proposto  dalla  Chiesa 
in  concilio.  No,  non  è  la  contraddizione,  fatta  ad  una  dottrina,  che 
dee  servire  di  norma  per  giudicare,  che  essa  non  appartiene  al  de- 
posito della  rivelazione  ;  ma  la  sentenza  definitiva  della  Chiesa,  co- 
stituitane da  Cristo  guardiana  e  maestra  infallibile.  Altrimenti  qual 
domma  rimarrebbe  intatto?  La  stessa  divinità  di  Gesù  Cristo,  essen- 
do stata  in  varie  guise  contraddetta  prima  del  Concilio  di  Nicea,  non 
dovrebbesi  col  criterio  del  credente  anonimo,  disconoscere  e  riget- 
tare come  estranea  al  cattolicismo?  Non  v'è  quindi  scampo:  o  cre- 
dere coi  veri  cattolici  alle  definizioni  del  Concilio  vaticano,  ovvero 
coi  protestanti  accettare  o  negare  a  misura  del  proprio  giudizio 
quelle  degli  altri  Concilii. 

Lo  stesso  veleno  protestantico  porta  seco  l'accusa  di  novità  dom- 
matica  fatta  alla  definizione  della  infallibilità  pontifìcia.  Novità  dom- 
matica  nella  Chiesa  suona  errore,  in  quanto  dinota  una  credenza 
o  malamente  dedotta  dai  principii  di  fede,  o  di  fabbrica  puramente 
umana  e  spacciata  come  cosa  appartenente  al  deposito  della  rivela- 


648  I  NUOVI  PROTESTANTI 

zione.  Tertulliano  colf argomento  della  novità  alla  mano  convinse  di 
menzogna  tutti  gli  errori  de'  suoi  tempi.  L' accusa  adunque  di  no- 
vità, lanciata  contro  la  definizione  della  infallibilità,  importa  che  la 
credenza  contenutavi  è  falsamente  dedotta  dai  principii  di  fede,  ov- 
vero che  è  un  trovato  umano  venduto  quale  oro  di  rivelazione  con 
gravissimo  inganno  del  mondo.  Chiariti  i  termini  dell'  accusa,  ecco 
la  domanda,  che  facciamo  agli  accusatori  :  credete  o  non  credete, 
che  i  Concilii  ecumenici  siano  infallibili?  Il  cattolico  fidalo  nella  di- 
vina parola  lo  crede,  il  protestante  arrogando  il  tutto  al  suo  giudi- 
zio privato  non  lo  crede.  E  voi  che  dite?  La  taccia  di  novità,  che 
date  alla  definizione,  palesa  il  vostro  pensiero:  voi  pensale  alla  ma- 
niera del  protestante.  No,  non  è  la  credenza  della  infallibilità,  a  cui 
si  addice  la  taccia  di  esser  nuova  nella  Chiesa,  ma  sibbene  a  quella 
della  dottrina  contraria.  Qual  è  infatti  il  teologo  sì  povero  di  erudi- 
zione, il  quale  ignori,  che  la  data  de' suoi  monumenti  non  monta 
più  in  su  del  secolo  XV,  e  che  i  suoi  maestri  furono  alcuni  dottori 
sorboniei  fieramente  contraddetti  dal  grido  unanime  della  Chiesa? 
Ma  se  ella  è  di  data  così  recente,  le  quadra  l'irrepugnabile  entimema 
di  Tertulliano  :  tu  se'  nuova;  dunque  sei  falsa. 

Il  Savio  ci  avverte,  che  la  lìsonomia  ed  il  portamento  dell'uomo 
enunciant  de  ilio,  ossia  che  lo  palesano  per  quello  che  è  nell'ani- 
mo. Tanto  accade  alle  ragioni,  che  vengono  portale  contro  il  Con- 
cilio vaticano.  Esse  manifestano  i  proprii  spacciatori  per  quelli, 
che  sono,  vale  a  dire  per  tocchi  di  protestantesimo,  in  quanto  che 
non  sono  diverse  dai  motivi,  onde  i  protestanti  oppugnavano  la  va- 
lidità del  Concilio  di  Trento.  Non  v'  ebbe  libertà  nelle  decisioni, 
gridano  gli  avversarli  del  Concilio  vaticano  :  e  questo  era  pure  il 
grido,  di  che  empievano  la  Germania  i  protestanti  contro  il  Conci- 
lio di  Trento.  V  ebbe  pressione  fisica  e  morale  in  Roma,  dicono  i 
moderni  protestanti;  e  questo  pure  spacciavano  i  protestanti  antichi, 
or  accusando  Trento,  come  luogo  grandemente  sospetto,  ed  or  la- 
mentando l'assoluta  dipendenza  dei  vescovi  dagli  ordini  pontificii. 
La  definizione  della  infallibilità,  scrivono  i  professori  di  Monaco, 
non  è  fondala  nella  sacra  Scrittura,  è  contraddetta  dalla  tradizione, 
è  dimostrata  falsa  dalla  storia  ecclesiastica.  E  non  sono  queste  ap- 
punto le  ragioni,  per  cui  i  protestanti  rifiutavano  le  decisioni  di  Trcn- 


CONTRO  IL  CONCILIO  VATICANO  649 

to  ?  Non  le  cliccano  contrarie  alla  parola  di  Dio  ?  non  le  sentenzia- 
vano avverse  al  sentimento  dei  Padri?  Non  condannavano  il  Conci- 
lio ed  il  Papa  come  sovvertitori  della  pura  dottrina  dell'Evangelo? 
Quindi  conchiudevano,  rigettar  essi  la  dottrina  papistica,  ossia  del 
Concilio,  e  tenersi  fermi  a  quella  del  puro  Evangelo,  affatto  diver- 
sa; sentirsi  a  ciò  obbligati  dalla  propria  coscienza.  Neppure  questa 
concbiusione  manca  a  nostri  dì!  L'ex- Padre  Giacinto  rigetta  il  Conci- 
lio a  nome  del  proprio  cattolicismo,  ed  il  Michelis  col  piglio  dell'ipo- 
crita «  chiamandosi  peccatore,  ma  fermo  nella  santa  fede  cattoli- 
ca »  folgora  di  anatema  il  Papa  «  come  eretico  corrompitore  della 
Chiesa».  Somiglianza  di  ragioni,  somiglianza  di  bestemmie  e  di 
ipocrisie  coi  protestanti  non  enunciant  de  illis,  che  sono  protestanti 
infino  al  midollo  ? 

Il  Concilio  valicano,  ed  il  Sommo  Pontefice  sovvertitori  della  fe- 
de con  definizioni  non  libere,  senza  appoggio  di  Scrittura  o  di  tra- 
dizione? Gli  sventurati  non  si  accorgono,  che  le  pruove  di  tanto 
reato  da  essi  portate  li  convincono  di  sovvertire  eglino  stessi  la 
fede.  E  qual  dornma  definito  nei  Concili  rimarrebbe  in  pie,  se  pun- 
to valessero  le  loro  accuse  ?  Non  quello  definito  dal  Concilio  niceno 
primo:  perchè  contro  di  esso  potrebbesi  indicare,  quale  pressione 
fisica,  la  pena  di  un  crudo  esiglio,  che  stava  sul  capo  degli  opposi- 
tori. Non  quello  del  Concilio  Efesino  primo:  perchè  potrebbesi  ac- 
cusale di  pressione  morale  patita  da  parte  del  Papa,  in  quanto  che  i 
Padri  diconsi  coacti  per  la  sentenza  pontificia  già  pronunziata.  Non 
quello  di  Calcedonia:  perchè  potrebbesi  rigettare,  come  mancante 
della  libertà  di  discussione,  stante  il  divieto  fattone  da  Papa  san 
Leone.  Così  dite  del  sesto  e  dell'ottavo  Concilio  generale,  dei  quali 
potrebbesi  ragionare,  come  i  nuovi  protestanti  ragionano  del  Con- 
cilio vaticano.  Essi  rifiutano  la  definizione  della  infallibilità  pontifi- 
cia, siccome  non  fondata  nella  Scrittura  e  nella  tradizione.  E  qual 
maestro  di  eresia  non  ha  fatto  altrettando  in  risguardo  delle  dottri- 
ne definite  contro  di  sé?  Le  orazioni  di  S.  Gregorio  Nazianzeno,  le 
omelie  di  S.  Giovanni  Grisostomo  e  gli  scritti  di  S.  Agostino  testi- 
ficano con  quanta  apparenza  di  vero  argomentassero  dalla  Scrittura 
gli  Ariani,  i  Pelagiani  ed  altri  eretici  di  que' tempi  in  pio  dell'errore 


€50  I  NUOVI  PROTESTANTI 

contro  la  venia.  Vi  pare  egli,  che  si  possa  dare  sovvertimento  mag- 
giore della  fede?  Se  le  ragioni  degli  oppositori  del  Concilio  vaticano 
valessero  punto,  lutti  i  Concilii,  tutti  i  dommi  delìniti  sarebbero  an- 
nullati. A  tanta  enormità  di  conseguenze  si  giunge  colle  loro  teoriche. 
Così  è.  I  varii  punti,  da  cui  muove  il  loro  rifiuto,  sono  tocchi  dallo 
spirito  protestantico,  e  lo  spirito  protestammo  è  spirito  di  distru- 
zione. Cristo  ha  promesso  alla  Chiesa  fondala  su  Pietro ,  che  non 
prevarrebbe  mai  contro  di  essa  l' errore.  Or  avendo  cotesta  Chiesa 
dichiarato  domma  di  fede  Y  infallibilità  pontificia,  è  mestieri  che  la 
opposizione  sia  la  opposizione  dell'errore  in  fede,  ossia  della  eresia. 


IH. 


Qual  è  alla  fine  il  valore  intrinseco  delle  singole  ragioni,  di  cui 
menano  vampo  cotesti  nuovi  protestanti  ?  Diciamolo  in  una  paro- 
la: nullo.  Eccovi  in  primo  luogo  quelle,  che  escono  della  universi- 
tà, ossia  le  teologiche. 

—  Il  Concilio  vaticano  patì  una  sensibile  pressione  fisica.  — 
Menzogna!  Niuno  dei  Prelati  fu  costretto  per  violenza  a  tacere, 

niuno  fu  tratto  per  violenza  a  dare  il  suffragio  prò  o  contro  la  deci- 
sione messa  a  partito.  Se  v'  ebbe  incommodo  acustico  da  principio, 
vi  fu  tosto  provveduto.  Se  alcuno  fu  interrotto  nella  foga  del  suo 
discorso  dai  presidenti,  la  uscita  dall'  argomento  gliel  meritò. 

—  Essendosi  nel  decreto  di  convocazione  tenuta  nascosa  la  futu- 
ra questione  della  infallibilità ,  mancò  il  tempo  da  prepararvisi ,  e 
con  ciò  fu  resa  fisicamente  impossibile  una  seria  discussione.  — 

Questa  ragione  vale  1.°  una  maligna  insinuazione  di  sospetto  con- 
tro del  Papa,  quasiché  S.  Santità  col  supposto  artificio  del  silenzio 
abbia  tentato  di  carpire  la  definizione  della  infallibilità  per  sorpresa: 
quando  tutto  il  mondo  sa,  che  la  proposta  della  medesima  fu  intro- 
dotta a  petizione  di  oltre  seicento  Padri.  Vale  2.°  un  insulto  sfrontato 
ai  Vescovi ,  quasiché  mal  conoscessero  una  quislione  già  profonda- 
mente dibattuta  e  dentro  e  fuori  delle  scuole  teologiche  :  quasiché 
dopo  una  vivissima  discussione  di  due  mesi,  che  le  spesero  attor- 
no, fossero  venuti  ai  suffragi  in  cosa  si  grave  senza  la  debita  co- 


CONTRO  IL  CONCILIO  VATICANO  631 

gnizionc.  L'artifizio  o  la  ignoranza  non  islà  no  dalla  parte  del  Con- 
cilio, ma  sì  bene  da  quella  de'  suoi  oppositori,  i  quali  con  fronte  si- 
cura fondano  una  ragione  così  insolente  sopra  la  necessità ,  clic  nei 
decreto  di  convocazione  vengano  specificate  in  particolare  tutte  le 
quistioni  da  definirsi,  pena  la  nullità  di  quelle  definite  e  non  spe- 
cificate antecedentemente.  Or  questo  è  menzognero  supposto:  giac- 
che non  ve  legge  che  lo  dica,  e  fuso  dei  Concilii  afferma  il  con- 
trario, testimonio  dalla  prima  all'  ultima  definizione  il  Concilio  di 
Trento. 

—  La  libertà  dei  Vescovi  fu  oppressa  dal  regolamento  imposto.  — 
Ragione  d'insigne  ignoranza  del  diritto,  se  intendono,  che  pel  da- 
to regolamento  i  Vescovi  siano  stati  spogliati  del  diritto  di  ordinar- 
si; stantechè  teologi  e  canonisti  si  accordino  nell'affermare  che  ap- 
partiene al  Papa ,  come  a  capo  sovrano  della  Chiesa,  il  dar  regola 
e  norma  al  Concilio.  Ragione  d'insigne  calunnia,  se  intendono,  che 
in  forza  del  regolamento  la  libertà  de'  Vescovi  sia  stata  inceppata 
nella  discussione;  stantechè  ne  fosse  lasciata  tanta  da  aver  dato 
presa  all'abuso  d'interminabili  discorsi  dentro  il  concilio  ,  e  d'in- 
congrui libelli  spacciati  tra  i  Vescovi  di  fuori. 

—  I  Concilii  antichi  non  avrebbero  tollerato  l' audace  oppres- 
sione della  maggioranza.  — 

A  che  si  riduce  cotesta  audace  oppressione  ?  Ad  aver  interrotto 
tre  o  quattro  oratori  a  cagione  di  un  linguaggio  sbalestrante  in  co- 
se di  fede.  Fu  questo  un'audace  oppressione  della  libertà?  Non  sa- 
rebbesi  tollerato  nei  Concilii  antichi?  Così  parla  chi  ne  ignora  la 
storia.  Nel  Concilio  di  Calcedonia  furono  gridati  eretici  gì'  Illirici, 
perchè  chiedeano  schiarimenti  di  cosa  già  approvata  :  furono  grida- 
ti eretici  gli  Egizii ,  perchè  chiedeano  di  differire  la  sottoscrizione 
al  definito  sino  alla  elezione  del  proprio  Patriarca.  È  noto  a  qual 
reo  termine  fosse  ridotto  Teodoreto ,  perchè  die  sentore  di  scusare 
l'intenzione  di  Nestorio.  E  nel  Concilio  di  Trento,  un  Vescovo  ita- 
liano per  una  proposizione  men  che  giusta  cadutagli  dalla  bocca  non 
dovette  pubblicamente  scusarsi,  disdirsi?  La  libertà  non  è  licenza. 
Che  se  tutti  i  congregali  hanno  il  diritto  di  discutere  la  materia  an- 
cor dubbia,  niuno  ha  quello  di  offendere  quella  già  ferma.  Del  resto 


Co2  I  NUOVI  PROTESTANTI 

chi  ignora  la  somma  cortesia,  con  che  procedette  la  commissione 
sopra  le  cose  della  fede  nel  comporre  la  formula  della  infallibilità? 
Or  ammorbidì  un  concetto,  or  ne  tolse  un  altro ,  e  sempre  guar- 
dossi  da  tutto  quello  che,  salva  la  verità,  potea  offendere  l'ani- 
mo della  minuranza.  Questa  non  si  arrese ,  e  fu  sventura.  Ma  per 
questo  la  verità  non  dovea  fare  il  suo  cammino  nella  Chiesa? 

—  V  ebbe  pressione  fisica  e  morale  in  Roma  dalla  parte  della 
Propaganda  sopra  i  Yicarii  apostolici ,  dalla  parte  del  Papa  sopra 
i  molti  Vescovi  bisognosi.  — 

Si  scrisse,  che  in  forza  dell'assoluta  dipendenza  da  Propaganda 
i  Yicarii  apostolici  riceveano  in  corpo  di  settimana  in  settimana  il 
motto  d'ordine,  con  che  doveano  marciare  nel  Concilio.  Sfrontata 
menzogna.  Non  sussiste  nemmeno  l'ombra  del  fatto.  Spacdossi,  che 
oltre  i  Yicarii  apostolici  molli  altri  Prelati  sotto  l'influsso  del  ti- 
more di  perdere  il  posto  od  i  sussidii  pontificii  aveano  ingrossata  la 
maggioranza.  Nulla  di  più  calunnioso.  Fra  quelli  della  minoranza 
v'ebbe  un  certo  numero  di  coloro,  che  vivcano  a  spese  del  Papa 
od  erano  di  appartenenza  della  Propaganda.  Sfidiamo  i  nuovi  pro- 
testanti a  citarne  un  solo,  il  quale  abbia  avuto  per  ciò  la  menoma 
minaccia.  Cotesti  mezzi  di  accattar  suffragi  non  si  usano  in  Roma,  e 
nel  governo  della  Chiesa.  Per  trovarne  esempii  e  non  pochi  e  nella 
piena  luce  del  dì  conviene  cercare  altrove.  Fate  ora  conto,  che  altri 
osasse  spargere  nel  volgo,  che  molli  della  minoranza  sono  stati  sal- 
di nel  loro  consiglio  per  piacere  a  certi  ministri,  o  per  la  paura  di 
qualche  perdita,  o  pel  fulgore  di  qualche  nuovo  onore  o  lucro.  Le 
tenere  coscienze  dei  contraddittori  del  Concilio  non  griderebbero 
alla  menzogna,  allo  scandalo,  alla  calunnia?  Orbene,  e  perchè  con 
tanta  levità  senza  arrecare  alcuna  pi  uova  dinunziano  al  mondo  Pa- 
pa, Propaganda,  centinaia  e  centinaia  di  Vescovi,  quale  trista  ma- 
snada, della  quale  i  due  primi  abusano  della  propria  autorità  con 
minacce  indegne,  e  gli  altri  con  estrema  viltà  d'animo  vendono  la 
propria  coscienza  e  tradiscono  sacrilegamente  il  deposito  della  fede? 

—  Il  Papa  esercitò  la  pressione  morale  incoraggiando  colle  sue 
lodi  i  difensori  della  infallibilità.  — 
Ecco  quello,  che  avrebberu  voluto  cotesti  signori:  ai  Vescovi  di 

sentenza  contraria  alla  infallibilità  amplissima  libertà  di  scrivere, 


CONTRO  IL  CONCILIO  VATICANO  653 

dire  ed  operare,  checché  fosse  stato  loro  in  grado:  al  Papa  ed  a 
quelli  della  sentenza  favorevole,  silenzio,  inoperosità.  Non  hanno 
fatto  così,  e  perciò  sono  oppressori  della  libertà.  Era  egli  giusto  il 
volere,  che  il  Papa  in  mezzo  alla  lotta  rimanesse  in  silenzio,  indif- 
ferente? Tutt'  altro.  Laudottrina  della  infallibilità  tocca  il  fondamen- 
to della  divina  costituzione  della  Chiesa.  Il  Papa  fu  costituito  da 
Cristo  confermatore  della  Chiesa  nella  vera  credenza,  e  riconosciuto 
solennemente  dai  Concilii  maestro  e  dottore  universale  dei  fedeli,  e 
giudice  supremo  delle  quistioni  circa  le  cose  della  fede.  Or  essen- 
do messa  in  quistione  tale  dottrina,  dovea  egli  starsene  muto  e  non 
curante?  No;  non  dovea  fare  così,  e  noi  fece:  animando  colla  lode  i 
difensori  della  infallibità,  quai  difensori  della  vera  dottrina  della 
Chiesa,  ha  compiuto  un  rigoroso  dovere. 

Finiamola  con  questa  turpe  accusa  della  pressione  fisica  e  mora- 
le. Nella  Congregaziane  generale  del  16  Luglio  da  seicento  Padri 
hanno  protestato  contro  di  essa,  come  di  un'infame  calunnia.  Chi 
non  crede  a  questa  protesta,  non  y'  ha  scampo,  deve  dire  l' una  delle 
due:  o  che  i  secento  venerabili  Prelati  sono  una  massa  d'imbecilli, 
[che  pensano  di  operare  liberamente,  quando  operano  per  oppres- 
sione, ovvero  che  sono  dal  primo  all'ultimo  una  massa  di  perfidi 
ingannatori.  Ma  per  asserire  l'unao  l'altra  cosa,  chi  non  vede, 
che  conviene  avere  spento  ogni  lume  di  buon  senso? 

—  La  dottrina  della  infallibilità  non  ha  alcun  fondamento,  sia  nel- 
la Scrittura,  sia  nella  Tradizione.  — 

Cristo  non  ha  dato  l' autorità  ed  il  privilegio  di  determinare  in- 
fallibilmente il  senso  della  Scrittura,  né  al  frate  apostata,  né  al  pre- 
te razionalista,  né  al  professore  della  università  di  Monaco,  ma  ai 
Vescovi  uniti  al  Papa.  Ora  avendo  questi  autorevolmente  definito, 
che  la  dottrina  della  infallibilità  è  un  domma  rivelato,  ossia  conte- 
nuto nella  Scrittura  e  nella  tradizione,  non  occorre  di  più.  Chiunque 
contraddice,  sia  pure  il  più  dotto  uomo,  si  dichiara  da  sé  un  ribelle 
alla  fede,  un  eretico. 

—  Cinquantaselte  Vescovi  in  una  lettera  al  Papa  dichiararono  di 
restar  saldi  nella  loro  sentenza  contraria  alla  infallibilità,  e  si  asten- 
nero dal  pigliar  parte  alla  sessione  IV.  — 


$54  I  NUOVI  PROTESTANTI 

Trenta  Vescovi  nel  Concilio  di  Costantinopoli  primo,  dichiaratisi 
recisamente  contrarli  alla  definizione,  che  si  era  determinato  di  fai  e, 
se  ne  partirono.  Oltre  quaranta  nel  Concilio  Efesino  primo  negaro- 
no il  loro  suffragio  alla  sentenza  degli  altri,  preseduti  dai  legati  pon- 
tificii. Eppure  le  definizioni  dell'uno  e  dell'altro,  confermate  dal  Pa- 
pa, furono  e  sono  riverite  dalla  Chiesa  ai  pari  del  santo  Evangelo 
secondo  la  formola  di  S.  Gregorio  Magno,  e  giudicati  eretici  quanti 
le  contraddissero  o  fossero  per  contraddirle.  La  dichiarazione  adun- 
que dei  cinquantasette  Vescovi  non  scema ,  no,  la  forza  della  defini- 
zione, ma  impone  l'obbligo  del  disdirsi  ai  contradditori  con  una 
pronta  soggezione. 

—  Il  Concilio  deve  esser  riconosciuto  od  accettato  come  ecume- 
nico dalla  Chiesa,  ossia  dalla  comunità  dei  fedeli.  — 

Così  T ex-frate  Giacinto,  soggettando  con  ciò  le  decisioni  del  Con 
cilio  al  sindacato  dei  fedeli.  Così  pure  anche  Lutero,  il  quale  si  ral- 
legrava di  questo  suo  trovato,  qual  mezzo  facilissimo  per  render 
nulla  tutta  l'autorità  dei  Concilii.  Chi  toglie  a  prestanza,  o  si  appro- 
pria il  linguaggio  di  Lutero,  è  già  confutato. 

Eccovi  la  somma  delle  ragioni,  colle  quali  i  nuovi  protestanti  op- 
pugnano fieramente  il  valore  del  Concilio  vaticano.  Qual  sia  la  loro 
forza,  l'avete  veduto,  è  la  forza  della  ragione  fondata  su  la  falsità,  su 
la  calunnia  e  sulla  eresia. 

IV. 

Veniamo  ai  politici.  La  guerra  e  tutta  contro  la  definizione  della 
infallibilità.  Contro  di  questa  il  Governo  della  Baviera  si  armò  del 
suo  placet,  e  ne  divietò  la  pubblicazione,  quello  dell'  Italia  aizzò  i 
prefetti  all'erta,  e  quello  dell'Austria  finì  di  stracciare  il  Concorda- 
to. Informati  da  principii  eterodossi  essi  mirano  ingiustamente  la 
Chiesa  non  già  come  una  istituzione  divina,  o  come  una  madre  dei 
popoli,  ma  come  un'opera  dell'  uomo,  e  come  una  grande  patema 
morale,  che  cerca  per  ogni  via  di  soppiantare  a  suo  pio'  l' autorità 
politica.  Indi  gelosie  ed  ire  e  persecuzioni.  Il  domina  della  infalli- 
bilità mise  loro  in  corpo  il  rovello:  di  qui  la  furia  dei  mentovali  de- 
creti. Eccovi  le  ragioni,  che  turbarono  loro  il  capo. 


CONTRO  IL  CONCILIO  VATICANO  6j5 

—  Il  domma  delia  Infallibilità  mula -radicalmente  la  costituzione 
(klla  Chiesa,  e  perciò  dinanzi  a  tale  novità  cadono  le  relazioni  tra 
Chiesa  e  Stalo  già  stabilite.  — 

Falso  principio  e  falsa  conseguenza.  Il  domma  della  infallibilità 
non  ha  punto  mutata  la  divina  costituzione  della  Chiesa.  Esso  non 
ha  fatto,  che  affermarla  solennemente  contro  chi  volea  guastarla  e 
ricomporla  a  suo  senno-  Li  costituzione  della  Chiesa  non  può  essere 
altra  da  quella,  che  le  ha  data  il  suo  divin  Fondatore.  Quale  poi 
debba  essere,  ci  viene  rivelato  dalla  Scrittura  e  dalla  tradizione,  fon- 
ti d'infallibili  verità  pel  cattolico.  Leggete  ora  il  decreto  domina- 
lieo  della  quarta  sessione,  in  cui  fu  sancito  il  domma  della  infalli- 
bilità, e  voi  vedrete  come  esso  è  per  l'appunto  fondato  su  la  Scrit- 
tura e  su  la  tradizione.  Non  si  fé'  dunque  mutamento  nella  costitu- 
zione, e  perciò  le  pristine  relazioni  tra  la  Chiesa  e  Stato  non  pos- 
sono cadere  dinanzi  ad  una  novità  che  non  esiste. 

i —  Il  sommo  Pontefice  armato  di  una  autorità  novella,  che  lo  ri- 
veste di  una  specie  di  onnipotenza,  è  istituito  giudice  supremo  in 
materia  di  fede  e  di  morale.  Un  accrescimento  sì  considerevole  di 
potenza  obbliga  i  Governi  a  più  vigilanza  ed  a  più  energia,  — 

Rea  premessa  e  peggior  conseguenza.  È  falso,  che  il  Pontefice 
venga  istituito  giudice  supremo  in  materia  di  fede  e  di  morale  in 
forza  del  domma  della  infallibilità,  come  se  fin  qui  noi  fosse  stato. 
Chi  non  sa  un'acca  di  teologia  e  di  storia  ecclesiastica  può  scrivere 
simile  corbelleria;  giacché  le  tesi  dell' Bua  ed  i  monumenti  dell'al- 
tra dicono  alto,  che  il  Papa  fu  sempre  dalla  Chiesa  riconosciuto 
qual  giudice  supremo  nelle  cose  della  fede  e  della  morale,  e  ciò 
per  istituzione  di  Cristo.  È  pur  falso,  che  in  forza  della  medesima 
definizione  sia  stato  armato  dì  una  autorità  novella.  L' autorità  del 
capo  della  Chiesa  non  può  essere  nò  scemata,  nò  cresciuta.  Essa 
deve  rimanere,  e  rimane  quale  fu  costituita  dal  suo  divin  fondatore. 
E  1'  autore  della  nota  austriaca  ha  tutto  l' agio  di  certificarsene  leg- 
gendo gli  atti  degli  ultimi  sinodi,  tenutisi  nell' Ungheria  e  nella  Boe- 
mia. Il  dire,  che  il  Papa  fu  rivestito  di  una  specie  di  onnipotenza,  non 
e  che  un  misero  equivoco.  Il  Papa  infallibile  non  è  il  Papa  arbitro 
della  fede  e  della  morale.  Ma  il  Papa,  che  nel  dichiarare  e  definire, 


656  I  NUOVI  PROTESTANTI  CONTRO  IL  CONCILIO  VATICANO 

quando  occorre,  il  contenuto  della  rivelazione,  tanto  per  la  parte 
specolativa  quanto  per  la  pratica,  non  può  errare  in  conseguenza 
delle  divine  promesse.  Se  adunque  nulla  v'ha  di  nuovo,  o  di  aumen- 
to neir  autorità  del  Papa,  a  cbe  prò  il  fastidio  di  maggior  vigilanza  e 
di  maggior  energia  nei  Governi?  Essi  metterebbonsi  in  su  le  difese 
contro  le  vane  ombre. 

—  Ad  ogni  modo  i  Governi  negano  il  placet  alla  Costituzione, 
che  sancisce  il  domma  della  infallibilità.  — 

Mezzo  senza  nome.  Giacché  è  un  mezzo  iniquo,  perchè  è  una 
usurpazione  contro  cui  ha  sempre  protestato  la  Chiesa,  e  la  usurpa- 
zione è  sempre  cosa  iniqua  :  è  un  mezzo  tiranno,  perchè  tenta  di 
costringere  la  coscienza  a  certe  credenze:  è  un  mezzo  ridicolo  per- 
chè si  riferisce  ad  atti  meramente  speculativi,  i  quali  sfuggono  alla 
legge  civile.  , 

—  «  Le  dottrine  promulgate  dal  Concilio  pongono  le  relazioni  dello 
Stato  colla  Chiesa  sopra  una  base  affatto  nuova,  dacché  questa  esten- 
de la  cerchia  della  sua  competenza,  e  concentra  nello  stesso  tempo 
nella  persona  del  Papa  tutti  i  poteri,  ch'essa  pretende  esercitare. 
La  prova  dell'estensione  sta  nella  Enciclica  dell'8  Decembre  1864  e 
nel  Sillabo  :  indi  la  necessità  di  ricuperare  la  libertà  di  azione  per 
respingere  le  usurpazioni  di  un  potere  divenute  quasi  certe.  »  — 

La  Chiesa  non  ha  concentrato  nel  Papa  alcun  che  di  potere.  Essa 
ha  dichiarato  quello  che  gli  conviene  per  ordinamento  di  Cristo. 
Voi  ciò  non  ostante  lo  giudicate  un  mezzo  di  usurpazione  a  danno 
dello  Stato,  e  minacciate.  Tal  sia  di  voi.  Anche  gì'  Imperatori  paga- 
ni perseguitarono  i  seguaci  di  Cristo  siccome  usurpatori  dei  diritti 
dello  Stato.  Ma  essi  passarono,  ed  il  Cristianesimo  trionfò.  Ecco  ciò 
che  accadrà  nella  lotta  presente.  Passeranno  i  nuovi  protestanti  po- 
litici e  non  politici,  e  le  decisioni  del  Concilio  vaticano  staranno  sal- 
de in  eterno,  perchè  sono  la  parola  di  Dio. 


UNA  MODERNA  EDUCATRICE 


DELLA 


DONNA   ITALIANA 


In  Italia ,  non  ostante  il  gran  progredire  che  si  fa  nella  «  vita 
nuova  »,  la  femmina  filosofessa,  per  grazia  di  Dio,  continua  ad  es- 
sere uccello  raro;  quasi  più  raro  del  corvo  bianco.  E  diciamo  che 
è  una  grazia  di  Dio  :  perciocché  dalla  prova  che  alcune  pochissime 
di  loro  hanno  data,  si  può  argomentare  che  guai  alla  pubblica  sa- 
nità dei  cervelli ,  se  queste  femmine  abbondassero  !  Il  delirio ,  fra 
noi,  diventerebbe  malattia  nazionale. 

Ma  si  badi  bene  ,  che  non  parliamo  delle  donne  poetesse  ,  delle 
donne  letterate,  delle  donne  ancora  notabilmente  inslrutte  nelle 
scienze  naturali.  Di  codeste  l'Italia,  se  non  è  stata  sempre  copiosa, 
non  è  stata  mai  nemmeno  povera  affatto.  Anche  al  presente ,  per 
non  accennare  che  queste,  vivono  e  vengono  su,  l'ima  in  Toscana 
e  1'  altra  in  Napoli,  due  fanciulle  che,  nell'  arte  del  bello  scrivere  e 
del  gentile  poetare,  già  si  lasciano  indietro  una  turba  di  scrittori  e 
di  maestri  di  rettorica  giovani  e  ad  Iti  :  e,  per  colmo  di  fortuna, 
queste  due  donzelle,  quantunque  abbiano  messi  in  luce  libretti  lo- 
datissimi,  pure  sono  modeste,  sono  pie  e  per  soprappiù  alienissimc 
da  quello  spirito  liberalesco,  che  oggidì  sembra  essenziale  requisi- 
to a  salire  in  fama. 

Parliamo  invece  di  quelle  donne  che  anelano  a  glorie  maggiori, 
che  ambiscono  il  pallio  de'  filosofi  e  che  da  serio  montano  in  catle- 
Serie  Y1J,  voi.  XI,  fase.  492.  42  3  Settembre  1870. 


658  UNA  MODERNA  EDUCATRICE 

(Ira,  per  dare  pubblicamente,  a  voce  o  in  istampa,  lezioni  di  mora- 
le, di  pedagogia,  di  politica  e  di  speculative  discipline.  Sopra  dieci 
che  tentano  questo  volo  prosunluoso ,  nove  precipitano  in  queir  a- 
bisso  che  si  chiama  «  il  ridicolo  »,  cioè  si  rendono  bellamente  la 
favola  del  paese  ;  ed  una  a  fatica  si  regge  tanto  ,  quanto  basta  per 
farsi  compatire. 
Del  resto  la  ragione  viva  e  lampante  sta  nel  proverbio  che  dice  : 

Chi  vuol  far  V  altrui  mestiere, 
Fa  la  zuppa  nel  paniere. 

Or,  si  voglia  o  no,  il  filosofare,  il  politicare,  il  moralizzare,  insom- 
ma il  dottoreggiare  non  è  mestiere  da  donne.  La  madre  natura  non 
le  ha  fatte  per  questo. 

Troppo  bene  sappiamo  che  ogni  regola  generale  ha  le  sue  ecce- 
zioni; e  che  in  niun  tempo  non  mancarono  donne  di  grande  ingegno, 
le  quali,  applicandolo  con  assiduità  ai  forti  studii,  riuscirono  a  un 
grado  di  coltura  intellettuale  che  tiene  dello  straordinario.  Ma  ap- 
punto perchè  tai  «  fenomeni  »  sono  eccezioni,  confermano  la  regola 
generale,  non  la  infermano. 

Abbiamo  premesse  queste  semplici  osservazioni,  per  farci  strada 
ad  informare  i  lettori  nostri  di  una  specie  di  trattatello  pedagogico, 
che  una  certa  signora  Rosa  Piazza  ha  testé  pubblicato,  per  ammae- 
stramento delle  donne  d' Italia.  Noi  ignoriamo  se  questa  signora 
veramente  si  creda  in  cuor  suo,  per  dottrina  e  per  intelletto,  uno 
di  quei  «  fenomeni  »  del  suo  sesso,  che  or  ora  accennavamo.  Stando 
alle  apparenze  ,  sembra  che  non  sia  da  dubitarne  ;  giacché  si  mo- 
stra pienissima  di  sé  :  ed  è  venuta  fuori  assumendo  le  parti  di  so- 
lenne riformatriee  di  nientemeno  che  tutto  il  sistema  educativo  delle 
donne  italiane,  il  quale  ella  pretende  rifare  da  capo;  e  ciò  mediante 
alcuni  suoi  Pensieri,  esposti  prima  da  lei  nel  giornale  La  Donna 
di  Venezia,  e  quindi  raccolti  e  dilatali  in  un  libercolo  di  sessanla- 
nove  paginelte  ,  fiore  di  roba. 

Come  ognun  vede,  basta  l'assunto  preso  da  questa  filosofessa  dom- 
malizzaiilc,  per  muovere  a  riso  e  farla  giudicare.  Noi  tuttavia  amia- 
mo occuparci  del  suo  libercolo,  perchè  i  Pensieri  che  la  signora 


DELLA  DONNA  ITALIANA  659 

Rosavi  esprime,  non  sono  propriamente  suoi,  ma  della  odierna 
scuola  massonica,  la  quale  tende,  col  pervertimento  della  educazio- 
ne, a  corrompere  lo  spirito  e  il  cuore  della  maggiore  e  più  debole 
porzione  del  genere  umano,  in  tutti  i  suoi  stati  di  fanciulla,  di  spo- 
sa e  di  madre  di  famiglia. 

Non  vogliamo  asserire  con  questo  che  la  signora  Rosa  Piazza  sia 
una  Mopsa,  cioè  un  ascritta  a  qualche  loggia  femminile  della  mas- 
soneria. Noi  non  ne  sappiamo  nulla.  Ma  certamente  è  molto  ad- 
dentro nell'arcana  disciplina  della  setta,  e,  come  vedrassi,  ne  ha 
imbevuto  l'animo  quanto  può  averlo  una  Mopsa  matricolala. 

I. 

La  donna  italiana. 

Non  la  donna  in  genere,  ma  in  ispecie  la  donna  italiana,  è  sog- 
getto dei  profondi  studii  di  questa  sua  moderna  educatrice,  o  rifor- 
matrice  che  piaccia  chiamarla.  La  signora  Rosa,  con  una  certa 
prosopopea  da  matriarca,  incanutita  fra  le  sollecitudini  del  perfezio- 
nare il  sesso  gentile  in  Italia,  comincia  subito  dal  bel  principio 
a  riprenderne  i  difetti,  sotto  scusa  di  manifestare  «  il  desiderio 
che  la  incoraggia  e  le  è  di  sprone  »  a  mettere  in  pubblico  i  suoi 
Pensieri. 

Essa  in  primo  luogo  vuol  «  vedere  la  donna  lavorare  con  ardore, 
con  interesse  al  bene  della  patria  e  della  società  »  :  in  secondo  luo- 
go vuol  «  vederla  allevare  deTigliuoli,  che  siano  veramente  gl'Ita- 
liani degni  della  libera  Italia,  di  cui  parla  Massimo  d'Azeglio  e  di 
cui  si  lamenta,  ahi  troppo!  la  mancanza  ».  Ma  né  questo  «  lavo- 
ro »  né  questo  «  allevamento  »  ella  ha  la  consolazione  di  vedere. 
E  perchè  non  si  creda  che  all'acume  del  suo  guardo  penetrativo  ed 
all'esperienza  di  forse  lunghi  anni  di  sua  osservazione  sfugga  la 
ragion  vera  di  sì  capitali  difetti,  soggiunge  subito  che  la  donna  ila- 
liana  non  può  disfarsene  «  senza  migliorarsi  continuamente  »  :  e 
non  otterrà  questo  continuo  miglioramento  «  senza  spogliarsi  di  tanti 
abiti  cattivi,  senza  lasciare  tante  vecchie  ubbie,  tanti  pregiudizii, 


660  UNA  MODERNA  EDUCATRICE 

tante  superstizioni,  che  sono  la  trista  e  fatale  conseguenza  della  sua 
cattiva  educazione  passata  ». 

Capite,  o  donne  italiane,  questo  latino?  La  signora  Rosa  non  vi 
tratta  davvero  coi  guanti  di  velluto.  Da  emola  dell'arcigno  Aristar- 
co, vi  snocciola  in  viso  tutta  la  filza  delle  vostre  miserie  :  e  ciò  in 
fascio,  senza  eccezioni  e  nel  suo  primissimo  esordio,  che  gli  scrit- 
tori avveduti  sogliono  condire  di  grazie,  per  accattarsi  favore  da  chi 
legge.  Ma  con  voi  ella  fa  a  fidanza.  Sente  di  essere  da  più  di  voi 
e  di  potervi  mirare  dall'  allo  in  basso,  perchè  voi  non  sapete  che 
tener  1'  ago  in  mano  ;  ella,  per  di  più,  sa  tenervi  la  penna  e  farsi 
stampare.  Vi  par  poco?  Voi  siete  male  abituate,  voi  ubbiose,  voi 
piene  di  pregiudizii,  voi  infarcite  di  superstizione.  Tenetelo  bene  a 
mente.  Questa,  è  la  velenosa  radice  della  vostra  noncuranza  per  la 
«  patria  »  e  della  vostra  ritrosia  ad  allevare  figliuoli  «  degni  della 
libera  Italia  ». 

Adunque  per  fare  che  una  donna  porti  onoratamente  il  nome  di 
«  italiana  »,  non  basta  che  sia  nata  e  cresciuta  sotto  il  ridente  cielo 
della  Penisola,  che  ne  parli  ancora  con  eleganza  la  lingua  o  i  dia- 
letti, che  viva  secondo  le  usanze  e,  in  tutti  i  suoi  modi  e  procedi- 
menti, sia  e  si  mostri  donna  del  proprio  paese.  Ciò  è  nulla,  se,  nel- 
la misura  delle  sue  forze,  non  si  ingegna  inoltre  di  diventare  donna 
«  lavorante  con  ardore  e  con  interesse  al  bene  della  patria  »,  cioè 
donna  politica;  e  se  non  rivolge  ogni  cura  a  formare  de'  suoi  fi- 
gliuoli buoni  e  bravi  patrioti,  giusta  il  cuore  e  lo  spirito  di  quel 
tipo  santissimo  di  patriotismo  italiano  che  fu  Massimo  d'Azeglio  ; 
vale  a  dire  se  non  si  fa  per  giunta  donna  e  madre  liberale. 

Il  che  si  fa  così  chiaro  in  tutto  il  corpo  del  libercolo  della  signo- 
ra Rosa,  che  ella  insegna  perfino  non  potersi  sperare  vero  progres- 
so e  vera  moralità  nella  donna  anche  popolana  e  «  madre  del  sem- 
plice operaio  e  del  contadino  »,  se  a  lei  «  che  dice  :  una  volta  co- 
mandavano i  Tedeschi  nel  mio  paese,  adesso  ci  son  venuti  gì'  Ita- 
liani, si  lascia  ignorare  cosa  significhi  questo  cambiamento,  come 
sia  avvenuto,  con  quali  mezzi  si  mantenga  ». 

La  forma  pertanto,  ossia  il  costitutivo  caratteristico  della  donna 
italiana,  per  senno  della  signora  Rosa,  consiste  in  ciò  che  ella  di- 


DELLA  DONNA  ITALIANA  661 

venga  una  politichessa  liberale  o,  che  è  il  medesimo,  una  politica 
liberalessa. 

Desiderate  conoscere  praticamente,  o  buone  donne  d'Italia,  quel 
che  avete  a  fare,  per  «  migliorarvi  continuamente  »  ed  assorgere 
alla  (Ugnila  di  donne  veramente  «  italiane  »?  Dovete  impacciarvi 
un  poco  più  degl'  interessi  della  patria.  Neil'  aspettazione  che  si  dia 
corpo  alle  idee  di  quei  rigeneratori  della  società,  che  meditano  ap- 
paiarsi nei  diritti  chili  agli  uomini  ed  abilitarvi  ad  essere  anche 
voi  elettrici,  sindache,  prefettesse,  senatrici  e  (chi  sa?)  pure  mini- 
stresse di  Stato,  dovete  procurare  di  addomesticarvi  alquanto  più 
colle  cose  pubbliche;  di  parteggiare  pei  destri  o  pei  sinistri  del 
Parlamento  nazionale;  di  fortificare  col  vostro,  non  sempre  impo- 
lente appoggio,  questo  o  quel  candidato  nelle  elezioni;  di  arric- 
chirvi la  mente  di  cognizioni  politiche  ed  economiche  sopra  i  gior- 
nali, massime  sopra  quei  più  ponderosi  che  escono  dalle  officine 
dei  Dina,  dei  Civinini,  degli  Oliva  e  dei  Bonghi  di  Firenze  e  di  Mi- 
lano; di  studiare  e  di  farvi  passare  in  sangue  le  dottrine  pedago- 
giche dei  migliori  giornali  educativi  ed  istruitivi ,  sopra  tutto  poi 
della  Donna  di  Venezia,  ingemmata  dagli  scritti  di  quel  miracolo 
del  vostro  sesso  che  è  la  signora  Rosa  Piazza.   Se  poi  in  certi  casi 
riuscisse  ad  alcune  di  voi  d' imitare  quella  famosa  patrizia  lom- 
barda, che  nel  18i8  correva  le  città  italiane,  per  arrotare  truppe 
contro  il  Tedesco,  col  pennacchio  a  tre  colori  nel  cappello  e  uno 
sciabolone  pendente  al  fianco  ;  o  di  rannodarsi  a  squadroni  volanti, 
come  le  celebri  amazzoni  del  campo  del  Garibaldi  sotto  Montero- 
tondo  nel  1867;  esse  toccherebbero  Y  apice  «  dell'italianità  »  e  re- 
sterebbero immortali  tra  le  né  vergini  nò  martiri  del  calendario  li- 
beralesco d'Italia.  Finalmente,  se  non  potete  altro,  dovete  «  lavorare 
con  ardore  »  esercitando  colla  lingua,  che  non  vi  sta  mai  ferma  in 
bocca,  un  apostolato  indefesso  a  prò  dell'unità  d'Italia,  della  sua  li- 
bertà, della  conquista  di  Roma  sua  capitale  «  acclamata  »  e  quindi 
contro  il  poter  temporale  del  Papa,  contro  i  «  clericali  »,  i  «  rea- 
zionarii  »  e  simile  genia. 

—  Ma,  direte  voi,  se  ci  mettiamo  a  fare  le  politichesse  o  le  solda- 
tesse e  ad  impigliarci  nei  negozii  pubblici,  chi  attenderà  alle  no- 


662  INA  MODERNA  EDUCATRICE 

strc  case?  chi  reggerà  le  nostre  famiglie?  chi  si  prenderà  cura  dei 
figliuoli  piccoli  e  dell'  economia  domestica? 

—  0  poveri  cervelli  !  Ecco  «  gli  abiti  cattivi  »  ;  vi  risponderà  su- 
bito la  signora  Rosa  ;  ecco  «  le  vecchie  ubbie  »  della  gente  che  non 
sa  intendere  «  l'avvenire  della  donna  d'Italia  »  ! 

Andiamo  innanzi.  Per  «  migliorarvi  continuamente  »  e  meritare 
l'altissimo  titolo  d'  «  italiane  »,  fa  d'uopo  che  cominciate  di  buon'ora 
a  coltivare  certi  Istinti  nei  vostri  bimbi.  La  «  libera  Italia,  di  cui 
parla  Massimo  d'Azeglio  »,  e  di  cui  voi  dovete  rendere  degni  i  vostri 
figliuoli,  ha  mestieri  di  grandi  virtù.  Le  bisognano  i  nobili  ardi- 
menti di  un  Giuseppe  Garibaldi,  la  scrupolosa  rettitudine  eli  un 
Camillo  di  Cavour,  la  specchiata  lealtà  di  un  Liborio  Romano,  il 
disinteresse  di  un  Carlo  Luigi  Farbi  e  cento  altre  bellissime  quali- 
tà morali,  per  cui  si  son  renduti  gloriosi  i  suoi  fabbricatori.  A  voi 
però  tocca  di  spargere  nei  loro  animi  e  di  fomentarvi  i  semi  di  que- 
sta bontà  tutta  liberalesca.  A  voi  appartiene  di  imprimervi  quelle 
sante  massime  di  onestà  pubblica  e  privata,  che  sono  la  quintessen- 
za del  codice  della  recente  rivoluzione  e  fanno  beato  il  popolo  ita- 
liano sopra  tutti  i  popoli  dell'universo.  A  voi  spetta  in  una  parola  il 
modellare  i  vostri  cari  putti  ad  immagine  e  simiglianza  dei  sommi 
eroi  prenominati  ed  in  particolare  di  Massimo  d'Azeglio,  le  cui  Me- 
morie e  Lettere  edificantissime  vi  somministreranno  esempii  impa- 
reggiabili di  obbedienza  figliale,  di  docilità,  di  modestia,  di  reli- 
gione, di  riguardoso  linguaggio  e  di  immacolato  costume,  quale  si 
avviene  ad  «  Italiani  degni  della  libera  Italia  ». 

—  Tutto  bene;  replicherete  voi;  ma  se  a  noi  le  virtù  di  questi 
santi  del  liberalismo  non  vanno  a  genio  ;  se  la  coscienza  ci  detta 
che  coteste  loro  non  sono  virtù,  ma  scelleratezze  abbominevoli  ;  se 
ci  piace  di  preferire  a  questi  tipi  schifosi  gli  esempii  dei  veri  Santi 
che  la  Chiesa  ci  addita  da  ricopiare,  chi  potrà  farcene  rimprovero? 

—  Oh,  oh!  vi  sogghigna  sotlo  il  mento  la  signora  Rosa;  ecco  i 
«  pregiudizii  »  ;  ecco  le  «  superstizioni  »  ;  ecco  «  la  trista  e  fatale 
conseguenza  della  cattiva  educazione  passata  »  ! 

Queste  esclamazioni  beffarde  non  sono  certo  buoni  argomenti  :  e  le 
donne  savie,  che  rigettano  con  disprezzo  queste  nuove  pazzie  di  chi 


DELLA  DONNA  ITALIANA  663 

vuol  trasformare  le  madri  cristiano  di  famiglia  in  femmine  politi- 
chesse  e  libcralesse,  hanno  ragione  da  vendere.  Perocché  nessuna 
cosa  è  più  aliena  dagli  ufficii  a  cui  la  Provvidenza  ha  naturalmente 
destinata  la  donna,  che  la  politica;  e  niun  veleno  è  più  intima- 
mente pervertitore  del  cuor  suo,  clic  il  liberalesco.  E  in  verità  chi 
dice  donna  politicaste,  è  come  dicesse  donna  dissipata,  donna  al- 
bagiosa, donna  trascurante  la  propria  casa,  donna  che  pensa  a  lut- 
to, fuorché  a  quello  per  cui  è  nata.  Chi  poi  per  soprassoma  dice 
donna  liberaleggiante,  è  come  dicesse  donna  fumosa,  donna  insoffe- 
rente di  giogo,  donna  inchinevole  a  conciliare  il  male  col  bene, 
donna  che  a  tempo  e  luogo  sa  transigere  col  dovere  ed  alle  volte 
fare  di  ogni  erba  fascio.  Però  chi  ha  esperienza  del  vivere,  sa  trop- 
po bene  che  le  donne  di  questa  sorta  non  sogliono  goder  fama  che 
provochi  invidia.  Or  sono  questi  pregi  così  belli,  che  onorino  una 
donna  e  le  accrescano  riputazione  nel  concetto  altresì  del  mondo 
sciocco  e  maligno?  Una  donna  così  fatta  potrà  apparire  una  gemma 
di  sposa  e  un  fior  di  madre  agli  occhi  «  italiani  »  dì  femmine  co- 
me la  signora  Resa  Piazza:  ma  noi  siamo  convinti  che  pur  ella,  se 
avesse  un  figliuolo  o  un  nipote  a  sé  caro  in  cerca  di  collocarsi,  non 
gli  suggerirebbe  mai  di  prendere  in  moglie  una  gemma  di  tale  ac- 
qua, né  un  fiore  di  tale  specie. 

In  una  popolosa  città  dell'Italia,  prima  ancora  che  la  guerra  e  i 
rivolgimenti  del  1859  e  del  1860  mettessero  tutto  a  soqquadro,  vi- 
veva appunto  una  di  queste  donne,  madie  di  due  amabili  giovanetti 
e  di  una  fanciulla,  che  era  un  vaso  di  grazie.  Questa  dama,  rimasta 
vedova  in  età  fresca,  era  assai  ricca,  molto  spiritosa  e  «  italiana»,  al 
modo  voluto  dalla  signora  Rosa,  quanto  poteva  desiderarsi.  Per  don- 
na politica  e  liberale  era  dessa:  ma  lo  era  principalmente  per  ambi- 
zione di  rendersi  singolare,  per  far  parlare  di  so,  per  vedersi  cor- 
teggiata ed  ammirata  ;  in  sostanza  per  vanità  più  che  per  altro.  Nel 
suo  palazzo  convenivano  frequentemente  i  patrioti  più  caldi,  vecchi  e 
giovani,  che  fossero  in  quei  dintorni,  o  vi  si  trovassero  di  passaggio; 
e  in  quelle  sue  sale  si  congiurava  a  mano  salva  contro  le  cose  e  le 
persone  del  Governo.  La  religione  di  questa  dama  era  qual  poteva 
essere  in  una  pari  sua.  Difficilmente  le  si  sarebbe  ricordata  una 


664  UNA  MODERNA  EDUCATRICE 

pratica,  eziandio  fra  le  più  sante  della  Chiesa  cattolica,  che  ella  non 
biasimasse  di  «  pregiudizio  »  e  di  «  superstizione  ».  Frequentava 
però  le  prediche:  ma  per  aver  campo  di  censurare  alla  libera  i  pre- 
dicatori e  mostrarsi  frizzante. 

Alla  casa  non  aveva  tempo  di  dare  un  pensiero.  Questi  rompi- 
capi se  li  erano  addossali  un  ministro  ed  una  governante.  1  figlio- 
letti, sino  a  che  furon  piccoli,  stettero  nelle  mani  di  balie  e  di  came- 
riere: fatti  più  grandicelli,  passarono  sotto  la  disciplina  di  un  mae- 
stro zerbinotto,  scelto  proprio  nel  mazzo,  che  non  tardò  a  conciarli 
per  le  feste.  La  figliuola  fu  attaccata  alla  gonna  di  un'  aia  inglese 
protestante.  Tutto  in  quel  palazzo  andava  a  rifascio  e  il  patrimonio 
entamente  si  disfaceva.  La  signora  non  si  accorgeva  di  nulla.  So- 
pra certi  argomenti  poi  voleva  essere  cieca,  sorda  e  muta.  Lasciava 
correre  e  lasciava  dire.  Che  liberalità  di  donna! 

Sopravvennero  i  mutamenti  politici,  nei  quali  essa,  benché  anzia- 
notta,  diede  dentro  con  tale  ardore,  che  per  poco  non  impazzò.  «  La 
Italia,  di  cui  parla  il  Massimo  d'Azeglio  »,  diventò  l' idolo  suo  e  l'a- 
dorò :  anzi,  novella  Saba,  adorò  anche  i  Salomoni  suoi,  e  i  suoi  so- 
vrani edificatori.  Pellegrinò  a  Torino,  pellegrinò  a  Parigi  e  pellegrinò 
alla  Caprera,  sempre  in  compagnia  de' suoi  tre  figliuoli,  già  grandi 
e  ingranditi  «  degnissimi  »  di  questa  «  libera  Italia  ». 

Ci  sembra  che  questa  dama  corrispondesse  in  tutto  e  per  tutto  a 
queir  archetipo  della  donna  «  italiana  »,  che  la  signora  Piazza  va- 
gheggia ne*'  suoi  Pensieri.  Or  bene,  quale  è  stato  1'  esito  di  tale  e 
tanta  italianità  di  madre  e  di  figliuoli?  Alberto,  il  primogenito,  dopo 
sciupata  la  prima  gioventù  negli  stravizii  e,  per  amore  della  «  libera 
Italia  »,  dato  quasi  fondo  alla  sua  porzione  di  eredità,  s'intruppò 
colle  bande  garibaldesche  nella  spedizione  del  1867  contro  Roma; 
e  ferito  gravemente  in  Mentana,  morì  poco  dipoi,  tra  le  braccia  del- 
la madre,  roso  da  una  cancrena.  Vittoria  in  età  di  diciott'anni,  per 
amore  della  «  libera  Italia  »,  s'incapricciò  di  un  giovinotto  affamato, 
che  campava  scrivacchiando  le  cronache  dei  balli  e  dei  teatri  in 
una  gazzetta.  Lo  volle  ad  ogni  costo  e  se  lo  ebbe.  Ma,  trascorsi  ap- 
pena due  anni,  e  succhiatole  il  meglio  della  dote  la  piantò:  od  ella 
non  molto  appresso,  per  sottrarsi  alla  vergogna,  se  ne  fuggì  in  In- 


DELLA  DONNA  ITALIANA  665 

ghil  terra  con  un  supposto  signore,  che  si  scoprì  poi  essere  un  cava- 
lier  di  ventura.  Carlo,  il  terzo,  per  amore  della  «  libera  Italia  »,  si  ar- 
rotò in  un  corpo  di  lancieri,  da  cui  fu  cacciato  con  infamia,  per  bruite 
colpe,  e  andò  salvo  dalla  galera  in  grazia  unicamente  della  madre: 
onde  vive  inonoratamente,  quasi  nascosto,  lontano  della  sua  città. 

Non  può  negarsi,  che  qual  seme  tal  grano.  La  povera  madre  però, 
messo  giudizio  quando  il  male  dei  figliuoli  era  già  irreparabile,  è 
venuta  meno  può  dirsi  di  crepacuore.  E  buono  per  lei  che,  cedendo 
alle  suggestioni  pietose  di  una  buona  suora  della  Carità,  si  rivolse 
a  Dio  e,  innanzi  di  morire,  pianse  cordialmente  il  malto  suo  libera- 
lismo e  passò  all'altro  mondo  riconciliata  colla  Chiesa  e  coli' eterno 
Giudice  dei  vivi  e  dei  morti. 

Se  la  signora  Rosa  Piazza  si  fosse  trovata  al  capezzale  di  questa 
madre  agonizzante,  martire  sconsigilata  della  «  italianità  »  che  essa 
inculca  alle  donne;  ci  persuadiamo  che  forse  non  avrebbe  dati  a 
luce  i  suoi  Pensieri,  perchè  a  quella  scena  se  li  sarebbe  sentiti  sva- 
nire dalla  fantasia. 

—  Oh  che;  potrebbe  soggiungere  qualcheduno;  pretendete  adun- 
que che  il  «  lavorare  al  bene  della  patria  »  sia  l'ottavo  dei  peccati 
capitali?  Non  ha  la  donna  il  debito  di  rendersi  utile  ancor  essa  alla 
società? 

Alla  doppia  dimanda  risponderemo  prima  un  no  e  poi  un  sì.  No 
signore,  non  è  vero  che  pretendiamo  apporre  a  peccato  il  lavorare 
che  può  la  donna  «  al  bene  »  della  patria.  Anzi  affermiamo  che  sì 
signore,  ella  ha  il  debito  di  rendersele  utile.  Ma  facciamo  a  inten- 
derci sopra  la  parola  «  bene  ».  Noi  non  ammettiamo  punto  che  sia 
un  bene  il  «  lavorare  »  al  consolidamento  della  «  libera  Italia  di  cui 
parla  Massimo  d'  Azeglio  »;  e  mollo  meno  che  sia  un  «  bene  »  l'al- 
levare i  figliuoli  in  modo  che  riescano  «  degni  »di  essa.  Imperocché 
com'è  sorta  quest'Italia,  come  si  regge,  che  frutti  ha  recati  e  a  che 
termine  s'incammina?  Non  è  essa  forse,  al  dire  comune  anche  dei 
liberali  più  caldi,  un'Italia  ladra,  sregolata,  scostumata,  irreligiosa, 
senza  forze,  senza  onore,  senza  germi  proprii  di  vitale  durazione? 
Non  è  definita  generalmente  un  assassinio  dei  popoli  italiani,  a  van- 
taggio di  un  pugno  di  consorti?  Il  servire  pertanto  a  quest'Italia  non 


666  UNA  MODERNA  EDUCATRICE 

è  uu  lavorare  al  «  bene  »  della  patria  ;  ma  un  concorrere  alla  sua 
rovina  ;  e  1'  allevare  i  figliuoli  «  degni  »  di  lei  è  un  guastarli  e  git- 
tarli  in  preda  ad  ogni  corruzione. 

Avvertiamo  inoltre,  così  di  passala,  che  la  donna  non  dee,  per 
legge  ordinaria,  concorrere  al  bene  comune,  direttamente  intrican- 
dosi nelle  pubbliche  faccende  ;  ma  più  tosto  indirettamente  coi  buo- 
ni esempii,  colle  opere  di  carità  e  di  pietà  e  singolarmente  colla  sag- 
gia condotta  della  sua  famiglia  e  coli'  educazione  sodamente  virtuo- 
sa dei  figliuoli,  preparando  alla  patria  probi  e  virtuosi  cittadini. 

Questo  è  il  circolo  entro  cui  ordinariamente  la  donna  può  e  dee 
rendersi  utile  alla  civile  socielà.  Perocché,  come  argutamente  os- 
servò quel  filosofo ,  la  donna  è  animale  domestico  e  dalla  natura 
designato  a  vivere  vita  casalinga;  e,  giusta  la  memorabile  sentenza 
di  Cesare  Balbo,  «  il  regno  delle  donne  è  in  casa  ;  quivi,  se  sono 
belle,  paiono  più  belle;  e  se  sono  buono,  paiono  più  buone  ».  Chi 
dunque  mira  a  trarla  fuori  di  questo  santuario  e  di  questo  regno 
e  ad  implicarla  in  esteriori  maneggi  di  partiti  e  di  imbrogli,  per  cui 
non  è  fatta  e  non  ò  idonea;  la  smove  dai  suo  sito,  la  svia  dalla  sua 
strada  e  stoltamente  la  trasnatura  e  Y  avvilisce.  Di  una  regina  che 
ella  è  nel  seno  della  sua  famiglia,  tenta  farne  che  cosa?  Quel  che 
vediamo  essere  tutte  le  femmine  politicanti,  una  pettegola  e  nulla  più. 

La  signora  Rosa  ha  un  bel  dire,  che  codeste  sono  «  ubbie  »  mes- 
se in  voga  dalla  «  cattiva  educazione  passata  ».  Il  male  è,  che  que- 
ste «  ubbie  »  si  trovano  dettate  dalla  natura  e  confermate  dalla,  sa- 
pienza e  dall'uso  di  tutti  i  secoli.  V  ordine  richiede  che  ogni  cosa 
stia  al  suo  luogo  naturale.  Ma  il  luogo  naturalmente  approprialo  alla 
donna  qual'è?  È  accanto  al  focolare,  è  accanto  alla  culla,  è  accanto 
al  tombolo  o  al  telaio  a  maneggiare,  come  accenna  Dante,  l'ago,  la 
spola  ed  il  fuso  :  non  ò  fra  gli  strepiti  dei  meetings,  o  gli  schiamazzi 
dei  clubs,  o  i  crocchi  dei  politicastri  da  spezierie  e  da  caffè.  Con- 
sulti un  po'  la  brava  nostra  educatrice  moderna  il  modello  della 
donna  forte,  proposto  nella  sacra  Bìbia  e  vedrà  che  le  sue  lodi  pre- 
cipue sono  in  ciò  che:  «  si  leva  per  tempissimo  e  comparte  il  biso- 
gnevole ai  domeslici,  ed  il  cibo  alle  ancelle  sue:  che  considera  gli 
andamenti  della  casa  e  non  mangia  il  pane  consumandosi  nell'ozio: 


DELLA  DONNA  ITALIANA  667 

che  si  procaccia  lana  e  lino  e  lo  adopera  con  grande  perizia  :  che 
imprende  lavori  sodi  e  tratta  il  fuso  e  la  conocchia  ».  Medesima- 
mente studii,  non  diremo  soltanto  le  usanze  dei  Patriarchi,  ma  quelle 
degli  Etruschi,  dei  Romani  e  dei  Greci,  popoli  i  più  inciviliti  dell'an- 
tichità: legga  i  sapientissimi  scrittori  italiani  di  cose  educative  e  do- 
mestiche, Francesco  da  Barberino,  Agnolo  Pandolfini,  Matteo  Pal- 
mieri, Francesco  Tommasi,  Sperone  Speroni,  Torquato  Tasso  e  im- 
parerà da  loro,  se  il  posto  conveniente  alla  donna  sia  sempre  stato 
altrove  che  fuor  del  nido  familiare  ;  e  se  le  occupazioni  a  lei  più 
confacevoli  per  ingenito,  si  siano  giudicate  altre  da  quelle  di  regger 
la  casa  e  di  allevare  i  bambini. 

Una  femmina  che  presume  di  dar  pubbliche  lezioni  di  pedago- 
gia alle  donne  d'Italia  dovrebbe  non  ignorare  almeno  i  documenti  di 
questi  nostri  autori  italiani  riputatissimi ,  e  le  nostre  veramente  na- 
zionali tradizioni  in  così  fatta  materia.  Né  sappiam  con  quai  termini 
bollare  la  ridicola  petulanza  di  costei ,  che  si  arroga  di  condannare 
come  «  cattivo  »  ed  «  ubbioso  »  un  metodo  di  educazione  che,  oltr'es- 
ser  fondato  nelle  esigenze  della  natura  e  nei  dettami  della  parola  di 
Dio,  è  avvalorato  dall'esperienza  di  tutte  le  generazioni  e  illustrato 
dai  migliori  filosofi  di  ogni  età.  La  signora  Rosa  si  ricordi  del  pro- 
verbio : 

Che  chi  barba  non  ha  e  barba  tocca, 
Si  merita  uno  schiaffo  nella  bocca. 


LA   PENA  DI   MORTE 


È  incredibile  a  dire  con  quanto  studio  il  liberalismo  moderno  si 
adopera  per  l'abolizione  della  pena  di  morte.  Non  ci  ha  delitto, 
quantunque  gravissimo,  che  ai  suoi  occhi  ne  apparisca  meritevole;  le 
stesse  nefande  atrocità  del  Troppman  non  potrebbero  legittimarla. 

Qual  è  la  ragione  di  tanto  odio  dei  liberali  per  questa  pena?  A  mi- 
rarne il  fondo  ,  cotesto  odio  è  naturai  sequela  dei  principii  libera- 
leschi e  de'  suoi  interessi  settarii.  Concetto  fondamentale  del  libera- 
lismo è  la  libertà  del  male.  Or  la  pena  di  morte  è  il  più  forte  freno, 
posto  ai  malvagi  per  rattenerli.  Essa  è  tutta  in  favore  dei  buoni,  e 
in  danno  dei  tristi.  I  buoni  non  hanno  nulla  a  paventare  dalla  pena 
di  morte  ;  giacche  per  la  costante  loro  adesione  all'onesto,  essi  son 
lungi  le  mille  miglia  dal  meritarla  giammai.  Ad  essi  può  qui  appli- 
carsi quel  detto  dell'Apostolo:  Insto  lex  non  est  posila.  Anzi  i  buo- 
ni-nella  pena  di  morte  trovano  una  valida  guarentigia,  contro  le  of- 
fese almeno  supreme,  che  potrebbero  incorrere  per  parte  dei  tristi 
costretti  a  rispettare  almeno  l'altrui  vita  per  timor  del  supplizio: 
Oderunt  peccare  mali  formidine  poenae.  Per  contrario  ai  tristi  la 
pena  di  morte  riesce  gravosissima,  siccome  quella  che  arreca  loro 
non  solo  l'estremo  dei  mali,  ma  lo  arreca  altresì  in  modo  irrepara- 
bile. Ogni  altra  pena  ammette  un  rimedio,  almeno  nell'apprensione 
e  nella  speranza.  Sia  pure  il  perpetuo  carcere  o  la  galera  a  vita,  il 
condannalo  non  dispera  di  riacquistare  la  perduta  libertà.  Le  itera- 
te grazie  sovrane,  i  rivolgimenti  politici,  sì  frequenti  oggidì,  e  al 


Li  PENA  DI  MORTE  6G9 

postutto  un  evasione,  procurata  col  denaro  o  coli' arte;  son  tanti 
raggi  di  luce  che  gli  confortano  la  mente  e  gli  scaldano  il  cuore 
Ma  dell'estremo  supplizio  non  è  così.  Tronco  ima  volta  il  capo,  niu- 
no  spera  di  vederselo  di  bel  nuovo  ricongiunto  col  busto.  La  vita, 
con  tutti  i  beni,  di  cui  essa  ò  fondamento,  si  perde  in  guisa,  che  più 
non  resta  fior  di  speranza.  Ciò  accuora  troppo  i  malvagi,  ed  è  un 
ostacolo  troppo  duro  alla  sfrenatezza  del  loro  operare.  Il  principio 
liberalesco  della  libertà  del  male  ne  resta  sommamente  offeso. 

Oltre  a  ciò  la  pena  di  morte  è  nociva  agl'interessi  settarii.  Il  li- 
beralismo si  accentra  nella  setta  massonica.  Or  la  setta  massonica 
nelle  società  secrete  sue  figlie,  si  diletta  assai  del  pugnale,  spe- 
cialmente in  Italia;  e  al  libero  esercizio  del  pugnale  è  di  gravis- 
simo ostacolo  la  pena  di  morte.  Finché  si  tratta  d'inferiori  pene, 
la  setta  può  promettere  ai  suoi  mandatarii,  che  dove  le  incorrano, 
sarà  sua  cura  il  liberameli  e  rifarli  dei  patiti  danni.  Ma  qual  com- 
penso può  ella  dare  a  chi,  per  obbedirlo  ai  suoi  comandi  di  san- 
gue, si  espone  a  certo  rischio  di  perder  la  vita,  e  colla  vita  ogni 
altro  bene?  Sicché  agli  occhi  del  liberalismo  settario  la  pena  di 
morte  non  solo  apparisce  inutile,  attesa  11  equivalente  sanzione  che 
la  setta  ha  nel  pugnale;  ma  apparisce  perniciosa  per  l'atterrire  che 
fa  i  suoi  adepti  dal  prestargli  piena  obbedienza. 

Queste  in  sostanza  son  le  ragioni  per  cui  il  liberalismo  abboni- 
sce tanto  la  pena  di  morte  e  la  vorrebbe  cancellata  da  tutti  i  codici 
dell'universo.  Senonchè  esse  son  tali,  che  egli  non  può  decorosa- 
mente porle  all'aperto,  e  però  ne  mette  innanzi  delle  altre  per  git- 
tar  polvere  agli  occhi  ed  illudere  la  pubblica  opinione.  Egli  elice 
da  prima  che  la  società  non  ha  diritto  d' infliggere  la  pena  di  mor- 
te :  «  Noi  neghiamo  alla  società  il  diritto  di  togliere  la  vita  ad  uno 
de'  suoi  membri.  »  Così  esclamava,  alcun  tempo  fa,  la  giudaica 
Nazione  di  Firenze  1.  Ma  a  quali  pruove  ella  appoggia  questa 
sua  negazione?  E  vano  il  chiederle  ;  i  liberali  non  ne  recano  alcu- 
na, nò  il  potrebbero,  giacché  tali  prove  non  esistono.  L'unica  pruo- 
va,  possibile  a  recarsi,  sarebbe  quella  del  Beccaria;  il  quale  fondan- 
dosi nella  teorica  del  contratto  sociale  del  Rousseau,  argomentava 

INum.  321. 


670  LA  PENA.  DI  MORTE 

non  avere  lo  Stato  il  diritto  d' infliggere  pena  capitale  ;  perchè  l' au- 
torità sociale  non  è  che  la  somma  dei  diritti,  insieme  uniti  dei  singo- 
li cittadini  ;  i  quali  certamente  non  han  diritto  sulla  propria  vita,  e 
però  non  possono  conferirlo  ad  altrui.  E  veramente,  ammessa  quella 
strana  ipotesi  della  origine  della  pubblica  autorità,  la  conseguenza 
dovrebbe  accettarsi.  Ma  il  liberalismo  moderno  non  si  serve  di 
questo  argomento  ;  perchè  pare  che  abbia  vergogna  di  risuscitare 
la  tavoletta  del  sofista  ginevrino  ;  e  benché  proclami  sovrano  il  po- 
polo, nondimeno  gli  conferisce  poteri  sociali  risultanti  dalla  natura. 
Senonchè  ognun  vede  che  con  ciò  egli  si  dà  da  sé  stesso  della  zappa 
sui  piedi.  Imperocché  in  tal  caso  l'autorità  sociale  ha  per  misura  dei 
suoi  diritti  non  già  il  potere  dei  singoli  cittadini,  bensì  il  line  per 
cui  è  costituita  dalla  natura.  Il  qual  line  essendo  il  mantenimento 
della  giustizia  e  la  difesa  efficace  della  società,  i  liberali  per  negare 
all'autorità  sociale  il  diritto  d'infliggere  pena  capitale,  dovrebbero 
dimostrare  che  tal  pena  non  è  da  quel  fine  in  nessun  modo  richie- 
sta. Or  il  contrario  è  anzi  dimostrabile.  Imperocché  vi  ha  dei  delit- 
ti sì  orribili,  a  cui  uhm'  altra  pena  avrebbe  convenevole  proporzio- 
ne; e  la  società  bene  spesso  non  sarebbe  sufficientemente  assicura- 
ta dagli  assalti  di  certi  delitti,  senza  spaventare  i  malvagi  colla  mi- 
naccia dell'estremo  supplizio. 

E  quanto  al  primo  di  questi  due  capi,  prendete,  a  cagion  d'esem- 
pio, il  parricidio.  Yi  parrà  che  esso  sia  abbastanza  punito  col  car- 
cere, quantunque  duro?  0  non  vi  detta  la  ragione  esser  al  tutto  in- 
degno di  vita  chi  la  tolse  all'  autore  stesso  de'  giorni  suoi?  Gli 
antichi  Romani  riputavano  non  bastare  la  morte  a  punire  sì  atroce 
misfatto,  se  non  vi  fosse  aggiunto  lo  strazio.  Onde  chiudevano  il 
parricida  in  un  otre  insieme  con  un  cane,  un  gallo,  una  vipera  ed 
una  scimmia,  e  gittavanlo  in  mare  o  in  un  fiume.  Così  solamente 
riputavano  in  qualche  guisa  soddisfatte  le  ragioni  della  giustizia,  e 
posta  eguaglianza  tra  il  delitto  e  la  pena.  Assai  simile  al  parricida 
è  il  traditor  della  patria;  il  quale  per  fermo  è  indegno  di  goder  più 
quella  vita  che  in  lei  e  cogli  aiuti  di  lei  ricevette.  Lo  stesso  propor- 
zionevolmente  vuol  dirsi  di  chi  con  animo  deliberato  e  con  preme- 
ditazione uccìde  il  suo  simile.  V  eguaglianza,  inchiusa  nel  concetto 
di  giustizia,  richiede  che  egli  altresì  perda  la  vita  per  mano  di  chi 


LA  PENA  DI  MORTE  671 

veglia  alla  tutela  dei  comuni  diritti;  e  però  veggiamo  che  Dio  con 
positivo  precetto  volle  che  l'omicida  fosse  dannato  a  morte:  Qui- 
cumque  fuderit  sanguinem  hominis,  fundetur  sanguis  illius. 

E  tanto  falso  il  dire  di  per  sé  ingiusta  la  pena  di  morte,  che  il 
buon  senno  degli  antichi  non  seppe  altrimenti  simboleggiar  la  giustì- 
zia che  ponendogli  in  mano  insieme  con  la  bilancia  la  spada;  e  la 
nostra  lingua  denomina  dalla  giustizia  l'esecuzione  della  pena  capi- 
tale, dicendola  giustiziare. 

Che  se  poi  si  riguarda  la  ragion  di  difesa,  di  cui  la  società  è  cer- 
tamente dotata,  ci  ha  dei  delitti  così  distruttivi  dell'ordine  pubblico 
e  dei  diritti  de'  cittadini,  che  l' autorità  deve  adoperare  il  massimo 
rigore  a  punirli,  per  impedirne  il  rinnovamento.  Or  massimo  non 
sarebbe  cotesto  rigore,  se  al  delinquente  non  s' infliggesse  la  morte. 
Il  che  ha  luogo  massimamente  negli  Stati  retti  a  liberi  ordinamenti; 
nei  quali  non  essendo  permessi  i  mezzi  preventivi  del  delitto,  è  me- 
stieri che  il  timor  della  pena  sia  più  grave,  che  nei  Governi  non 
liberi.  Fu  ciò  giustamente  osservato  dall'avvocato  sig.  Pietro  Ros- 
setti in  un  suo  opuscolo,  sopra  il  presente  argomento.  «  Io  trovo, 
egli  dice,  in  una  Monarchia  che  il  potere  di  Polizia,  o  sicurezza  pub- 
blica, arrestando  chi  ha  fatto  conoscere  in  qualunque  modo  che  è 
prossimo  a  fare  un  grande  delitto,  quando  la  pena  non  sia  sufficien- 
te ad  atterrire,  la  solitudine  del  carcere  deve  almeno  portarlo  ad  un 
salutare  soliloquio.  Deve  con  seco  dire  chi  è  preventivamente  messo 
in  prigione  :  Io  sono  preso  di  mira,  i  miei  disegni  sono  scoperti;  se 
uccido,  sono  arrestato,  giudicato,  condannato,  la  impunità  non  è  più 
possibile.  Adunque  a  monte  il  delitto.  In  un  Governo  libero  non  po- 
tendo l'autorità  arrestare  e  neanche  richiamare  chi  si  prepara  ad  un 
delitto,  se  non  vi  siano  sentenze  giudiziarie  le  quali  vengono  tardi 
a  colpire  i  malvagi;  bisogna  che  si  limiti  a  dare  opera  ad  una  vigi- 
\  lanza  sopra  colui  che  sa  essere  in  via  di  delinquere,  la  quale,  spe- 
cialmente se  ò  protratta,  finisce  col  rimanere  delusa  e  quindi  inutile; 
ed  il  delitto  può  compiersi.  Da  ciò  ne  levo  la  conseguenza  che  in 
un  Governo  libero  ò  più  difficile  prevenire  i  delitti  di  quello,  che  in 
altro  Governo;  e  da  questa  conseguenza  ne  tolgo  l'altra  che  vi  è  ne- 
cessità in  un  Governo  libero  di  una  remora  o  timore  maggiore  nei 
delitti  gravissimi,  che  non  sia  in  un  Governo  assoluto:  remora  e  ti- 


672  LA  PENA  DI  MORTE 

more,  che  infonde  negli  animi  i  più  rotti  a  malvagità  (dicasi  ciò  che 
si  vuole  in  contrario)  la  pena  di  morte  *.  » 

Né  qui  vale  l'obbiezione  di  coloro,  i  quali  si  sforzano  di  attenuare 
il  valore  dalla  pena  di  morte,  dicendo  che  essa  non  ispira  ai  mal- 
vagi, per  l'attenerli  dal  misfare,  più  orrore  di  quello,  che  qualsivo- 
glia altra  pena.  Questa  gratuita  asserzione  viene  smentita  dal  fatto 
e  dalla  ragione.  Dal  fatto;  perchè  non  ci  ha  nessun  dannato  nel  ca- 
po, il  quale  non  tenga  in  conto  di  somma  grazia  la  permutazione  del 
supremo  supplizio  col  carcere  eziandio  perpetuo.  11  che  mostra  che 
si  abbonisce  la  morte  più  di  qualsivoglia  altro  male,  non  escluso  la 
perdita  perenne  della  libertà.  È  smentita  poi  dalla  ragione  ;  perchè 
essendo  la  vita  il  fondamento  di  lutti  i  beni,  è  massima  la  ripugnan- 
za che  l'uomo  sperimenta  a  perderla  ;  e  una  tal  ripugnanza  è  germo- 
glio necessario  della  nostra  natura.  A  superarla,  convien  che  l' uo- 
mo faccia  il  massimo  degli  sforzi  ;  e  però  il  disprezzare  la  morte 
costituisce  il  supremo  grado  della  fortezza.  L'uomo  nella  privazione 
della  vita,  vede  la  cessazione  assoluta  d'ogni  sorta  di  beni:  senza 
che  rimanga  a  confortarlo  un  sol  filo  di  speranza.  Perciò  la  morte 
gli  apparisce  come  l' estremo  de' mali;  e  tanta  è  l'avversione  ad  essa, 
per  istinto  di  natura,  quanto  è  l'amore  e  la  tendenza,  che  proviamo 
verso  la  felicità. 

Vero  è  che  la  beatitudine,  che  speriamo  nella  vita  avvenire,  ha 
virtù  di  addolcire,  e  talvolta  di  superare  del  tutto  cotesta  avversio- 
ne. Ma  ciò  non  ha  luogo  nel  malvagio;  il  quale  o  non  pensa  all'  al- 
tra vita,  e  se  vi  pensa,  ne  riceve  piuttosto  accrescimento  di  terro- 
re, pei  supplizii  eterni,  che  la  divina  giustizia  gli  tien  preparato  a 
punizione  del  suo  delitto.  Sicché  quale  che  sia  l' aspetto,  a  cui  egli 
si  volga,  la  pena  di  morte  gli  apparisce  formidabile  e  tremenda  in 
sommo  grado. 

Del  resto  la  vanità  dell'  obbiezione  proposta  è  cospicua  per  la  con- 
traddizione, in  cui  cadono  quegli  stessi,  che  la  propongono.  Impe- 
rocché essi  mentre  avversano  la  pena  di  morte  e  la  vogliono  cancel- 
lata dai  codici  pei  cittadini,  l'approvano  poi  e  la  vogliono  mantenuta 

1  La  pena  di  morte,  parole  dell'  avvocato  Pietro  Rossetti  al  popolo. 
Pag.  59  e  60. 


LA  PENA  DI  MORTE  673 

pei  soldati,  affili  di  assicurar  meglio  l'osservanza  della  militar  di- 
sciplina. Ma  lasciando  stare  che  la  pena  di  morie  se  è  ingiusta,  co- 
me essi  dicono,  non  patisce  veruna  eccezione,  non  essendo  mai  lecito 
operare  l'ingiusto  a  riguardo  di  chìchessia; T  argomento  del  non 
esser  il  timor  della  morte  più  valevole  di  qualunque  altra  pena  a 
raltenere  V  uomo  dal  delitto,  cade  per  terra.  Conciossiachè  se,  a  giu- 
dizio di  costoro,  essa  vale  per  quelli  che  fan  professione  di  fortezza 
nel  disprezzare  la  morte,  e  l' affrontano  di  fatto  nei  bellicosi  cimenti; 
quanto  più  non  dee  valere  per  quelli  che  son  di  professione  pacifica 
e  vivono  lontani  da  quei  cimenti?  Piuttosto  il  contrario  potrebbe, 
con  qualche  apparenza  di  verità,  asserirsi:  la  pena  di  morte  essere 
poco  acconcia  al  soldato,  il  quale  è  sempre  in  atto  prossimo  di  espor- 
re la  propria  vita  sui  campi  di  battaglia  e  per  contrario  essere  ac- 
concissima a  spaventare  chi  non  è  addetto  al  meslier  delle  armi. 
Ma  i  nostri  bravi  ragionatori  la  pensano  diversamente  :  pei  secondi 
la  credono  inopportuna,  pei  primi  non  solo  opportanissima  ma 
necessaria.  Segno  manifesto  che  essi  in  tal  quistione  sono  messi  da 
tutt' altro  motivo,  che  quello  della  ragione. 

Ci  ha  degli  altri,  i  quali  impugnano  la  pena  di  morte  sotto  lo  spe- 
cioso pretesto,  che  essa  non  serve  all'emendazione  del  reo.  Perchè 
ciò?  Perchè  l'emendazione  del  reo,  essi  dicono,  è  il  fine  proprio  di 
ogni  pena.  Ma  costoro  in  così  dire  confondono  l'autorità  civile  con  la 
paterna.  Il  padre,  considerato  precisamente  in  quanto  padre,  aven- 
do per  fine  l'educazion  del  figliuolo,  non  può  aver  altro  scopo  nel 
punirlo,  che  l'emendarlo.  Ma  del  Principe  non  è  così.  Il  Principe  ha 
per  fine  la  salute  della  società  e  il  mantenimento  della  giustizia  tra 
i  cittadini.  Egli  è  ministro  di  Dio,  come  dice  l'Apostolo,  vindice 
con  santo  sdegno  contro  coloro  che  operano  il  male  :  Minister  Bei 
est  vindex  in  tram  ei,  qui  malum  agii.  Egli  ha  da  Dio  stesso  il  di- 
ritto di  vita  e  di  morte,  secondo  l'esigenza  delle  eterne  ragioni,  del 
giusto;  e  però  non  porta  inutilmente  la  spada:  Non  sine  causa  già- 
dium  portai.  Egli  la  porta  come  simbolo  del  diritto  che  ha  di  pu- 
nir nel  capo  i  malvagi,  e  per  adoperarla  di  fatto  contro  di  loro, 
quando  la  ragione  il  richiede.  Il  fine  a  cui  mira  nel  punire  è  il  ri- 
sloramento  dell'ordine  violato,  e  la  difesa  della  società,  affidata  ai- 
Sene  YU,  voi.  XI,  fase.  492.  43  6  Settembre  1 870. 


674  LA  PENA  DI  MORTE 

la  sua  -vigilanza.  L'ordine  violalo  dal  delitto  non  può  ristorarsi  al 
trimenli,  se  "non  infliggendo  al  delinguente  una  pena  proporzionata 
alla  colpa;  la  quale  se  è  gravissima,  non  può  altrimenti  espiarsi 
che  con  la  perdita  della  vita.  Se  l'uomo  spogliandosi  moralmente 
della  dignità  di  uomo,  si  è  convertito  in  belva  nociva  verso  i  suoi 
concittadini;  come  belva  nociva  deve  esser  trattato.  La  belva  non 
s'incarcera,  ma  si  uccide:  Quamvis  hominem  in  sua  dignitate  ma- 
nentem  occidere  sit\secundum  se  malum,  lamen  hominem  peccatore™ 
occidere  potest  esse  bonum,  sicut  occidere  bestiam.  Peior  enim  est 
malus  homo  quam  bestia  et  plus  nocet  1.  La  ben  meritata  sua 
morte  servirà  altresì  di  paventoso  esempio  e  salutare  ammonimento 
a  tutti  quegli  altri,  i  quali  per  avventura  si  sentissero  tentati  d'imi- 
tarlo nella  nequizia. 

Vero  è  che  la  pena  eziandio  sociale,  oltre  all'  essere  vindicatrice 
della  giustizia  e  difenditrice  della  società,  deve  procurare,  per  quan- 
to e  fin  dove  è  possibile,  d'essere  altresì  emendatrice  del  reo:  giac- 
ché l'uomo  mentre  vive  quaggiù  è  emendabile,  e  l'autorità  sociale, 
nell'  atto  stesso  del  suo  rigore  convien  che  cooperi  a  svolgere  que- 
sto germe  salutare  della  nostra  natura.  Ma  ciò  altresì,  in  certa  gui- 
sa si  mèi  a  nella  pena  di  morte  ;  giacché  per  gli  animi  sommamen- 
te pervertiti  non  ci  è  mezzo  più  acconcio  per  indurli  a  resipiscenza 
e  a  vergogna  del  male  operato,  che  toglier  del  tutto  dinanzi  alla 
loro  apprensiva  la  scena  dei  beni  presenti,  i  quali  col  loro  falso  ba- 
gliore ne  travolsero  i  passi.  Allora  solamente  essi  rientrano  in  sé 
stessi  e  col  pentimento  del  loro  peccato  si  rimettono  nell'ordine  e 
si  riconciliano  coll'Aulore  del  medesimo. 

Ma,  come  dicemmo,  l'idea  di  emendazione  che  è  fine  precipuo  del- 
la pena  inflitta  dal  potere  paterno;  è  fine  secondario  del  potere  civile; 
e  però  per  accidente  può  mancare,  allorché  non  può  compoisi  col- 
Tassegnimento  del  fine  primario.  Giustamente  adunque  nel  passato 
anno  la  quasi  totalità  della  magistratura  italiana  interrogala  del  suo 
parere  intorno  all'  abolizione  della  pena  di  morte,  dichiarò  espres- 
samente che  ciò  sarebbe  stato  di  sommo  pregiudizio  all'  01  dine  socia- 
le, e  stoltamente  i  giornali  liberaleschi  si  svociarono  a  maledirli. 

1  S.  Tommaso,  Svmma  Ih.  2»  2ae  q.  64,  a.  2  ad  3. 


LA  BOLLA  REVERSURUS 

DEL  16  LUGLIO  1867 
INTORNO  ALLA  CHIESA  ARMENA  1 


Nel  passato  quaderno  esponemmo  il  contenuto  e  riferimmo  an- 
che il  testo  intero  della  Bolla  Reversurus  ;  in  questo  ci  facciamo 
a  dimostrare  con  quanta  ingiustizia  i  perturbatori  della  pace  eccle- 
siastica abbiano  calunniato  queir  atto  di  provvidenza  apostolica, 
e  quanto  malamente  se  ne  siano  serviti  a  far  nascere  tumulto  e 
scisma  nella  Chiesa  degli  Armeni. 


1. 


La  principale  disposizione  di  siffatta  Bolla  fu  confermare  il  con- 
centi-amento della  giurisdizione  ecclesiastica  su  i  cattolici  Armeni,  la 
quale  era  divisa  per  T  innanzi  tra  il  Patriarca  di  Gliela  e  il  Primate 
di  Costantinopoli,  e  fu  indi  raccolta  tutta  nel  solo  Patriarca.  Riten- 
ne questi  il  titolo  di  Patriarca  di  Cilicia,  ma  trasferì  la  sede  dalla 
solitaria  cella  di  un  monastero  della  stessa  Cilicia,  ove  erano  di- 
morali i  precedenti  Patriarchi,  nel  palagio  arcivescovile  eretto  nella 
metropoli  dell'  Impero  ottomano.  Questa  concentrazione  di  autorità 

1  V.  questo  voi.  pag.  540  e  segg 


676  LA  BOLLA  REVBRSDRUS  DEL  16  LUGLIO  1867 

era  il  desiderio  degli  Arcivescovi  armeni,  e  fu  mandata  ad  effetto, 
per  concessione  della  Santa  Sede,  allorché,  morto  il  Patriarca  di 
Cilicia,  Gregorio  Pietro  Vili,  fu  eletto  a  succedergli  monsignor  Has- 
sun,  col  nome  di  Pietro  IX. 

Mentre  poi  la  Santa  Sede  decorava  il  patriarcato  di  Cilicia  col 
detto  aumento  di  onore  e  di  autorità,  volle  essa  prescrivere  le  nor- 
me della  elezione  del  successore  di  Gregorio  Pietro  Vili  ;  tanto  più 
che  costui  avea  stabilito ,  contro  la  volontà  del  Romano  Pontefice, 
un  capitolo  di  semplici  preti,  e  a  due  di  loro  avea  conceduta  la  in- 
debita facoltà  di  prender  parte  in  quella  futura  elezione.  Venne 
per  questo  effetto,  dopo  la  morte  del  medesimo  Gregorio,  spedito 
come  delegato  apostolico  straordinario  monsignor  Giuseppe  Valer- 
ga  Patriarca  latino  di  Gerusalemme.  Egli  raccolse  il  sinodo  dei 
Vescovi  nella  chiesa  dell'Assunta  del  Monte  Libano,  e  inlimate  le 
prescrizioni  di  Roma,  dichiarò  nullo  il  preteso  dritto  di  quei  preti, 
r  Vescovi  radunati  erano  otto,  ed  elessero,  sotto  la  presidenza  dello 
stesso  Valerga,  il  già  menzionato  monsignor  Antonio  Hassun.  Nò  so- 
lamente i  loro  voti  furono  unanimi,  ma  furono  dati  per  acclamazio- 
ne ;  e  quell'atto  fu  messo  in  iscritto,  e  firmato  da  tutti  i  suffraganti. 

Gli  stessi  Vescovi  elettori  andarono  tutti  a  Costantinopoli,  e  si 
congratularono  col  nuovo  Patriarca  da  loro  scelto,  e  gli  prestaro- 
no obbedienza.  Indi  insieme  con  lui  vennero  a  Roma,  ove  erano 
stali  invitati  con  tutti  gli  altri  Vescovi  dell'orbe  cattolico,  a  cele- 
brare il  centenario  del  glorioso  martirio  del  Principe  degli  Apostoli. 
Allora  il  Santo  Padre  tenne  un  concistoro  secreto,  nel  quale  solen- 
nemente approvò  la  domanda,  già  fatta  fin  dal  tempo  del  suo  pre- 
decessore Gregorio  XVI,  di  riunire  la  sede  primaziale  di  Costanti- 
nopoli colla  patriarcale  di  Cilicia,  ritenendo  il  titolo  di  questa,  e 
trasferendo  la  sede  dalla  Cilicia  a  Costantinopoli.  Confermò  la  ele- 
zione di  monsignor  Antonio  Hassun,  sotto  il  nome  di  Antonio  Pie- 
tro IX  ;  e  decretò  le  norme,  colle  quali  si  doveano  fare  per  l'avve- 
nire le  elezioni  del  Patriarca  e  dei  Vescovi  di  quella  cristianità.  La 
Bolla  Iìeversurus  contiene  un  cenno  di  questi  fatti,  e  le  norme  del- 
le elezioni. 


INTORNO  ALLA  CHIESA  ARMENA  677 

II. 

Su  questi  fatti  medesimi  vollero  malignare  i  seminatori  di  zizza- 
nia e  i  nemici  dell'apostolica  Sede.  Incominciarono  dalla  delegazio- 
ne di  monsignor  Valerga,  dicendo  che  fu  allora  la  prima  volta  che 
un  prelato  latino  intervenisse  e  presedesse  alla  elezione  di  un  Pa- 
triarca orientale.  Ma  sbagliarono  grossamente,  poiché  vi  ha  esem- 
pii antichi  e  recenti  di  simili  delegazioni.  Eccone  alcuni.  Sotto  il 
pontificato  di  Benedetto  XIV  mori  monsignor  Giuseppe  Pietro  Pa- 
triarca maronita ,  ed  intanto  i  Vescovi  di  quella  nazione  non  si  ac- 
cordarono nella  elezione  del  successore.  Quindi  avvenne  che  sei  dì 
quei  Vescovi  elessero  a  Patriarca  Elia  Vescovo  di  Acri,  laddove  i 
Vescovi  rimanenti,  che  erano  in  minor  numero,  scelsero  Tobia  Ve- 
scovo di  Naplusa.  In  mezzo  ai  gravi  dissidii  de'  contrarii  partiti, 
ciascuno  degli  eletti  domandò  alla  Santa  Sede  la  conferma  della  sua 
elezione  e  l'uso  del  Pallio.  Il  nominato  Pontefice  volle  meglio  an- 
nullare amendue  le  elezioni,  e  pose  di  moto  proprio  in  quella  Sede 
patriarcale  Simone  Evodio  Vescovo  di  Damasco.  A  ciò  si  opposero 
alcuni  dei  Vescovi,  e  si  costituirono  un  Vicario  patriarcale;  e  il  Pa- 
pa di  presente  depose  il  Vicario,  riprese  acremente  quei  Vescovi  e 
li  ridusse  alla  debita  obbedienza.  In  questo  negozio  Benedetto  XIV 
non  delegò  un  Vescovo,  ma  un  semplice  sacerdote  di  rito  latino,  il 
quale  fu  il  Guardiano  di  Terra  santa.  Il  simile  fece  Clemente  XIII, 
quando  spedì  presso  i  Greci  melchiti,  come  delegato  apostolico,  il 
P.  Domenico  Lanza  semplice  sacerdote  de  frati  Predicatori.  Era 
allora  accaduta  la  morte  del  Patriarca  Cirillo,  ed  i  Vescovi  aveano 
scelto  il  successore,  ma  con  una  forma  indebita.  Clemente  XIII, 
per  mezzo  del  suo  delegato,  annullò  questa  elezione,  e  costituì  il 
nuovo  Patriarca,  il  quale  venne  accettato  dai  Vescovi. 

I  perturbatori  testé  nominati  rappresentarono  la  scelta  di  mon- 
signor Hassun  come  illegale.  Poiché  andarono  spargendo  in  mezzo 
al  volgo  ignorante,  che  i  Vescovi,  a  cui  apparteneva  il  diritto  del 
suffragio,  doveano  essere  dodici;  intanto  due  erano  morti,  un  altro 
fu  trattenuto  in  Costantinopoli,  ed  un  altro  che  trovavasi  in  Ales- 


$78  LA  BOLLA  REVERSURUS  DEL  16  LUGLIO  1867 

sandria  non  fa  aspettalo.  11  sinodo  dunque  si  con  pose  di  so\  )  otto 
Vescovi;  e  i  voli  si  diedero  por  acci  ni  izio;  e.  Cu  sta  formi  <  i  ele- 
zione, essi  aggiungevano,  non  è  ricoiu sciita  per  valili;,  se  non 
quando  il  numero  de'  votanti  è  plenario.  Affermarono  neon,  clic 
uno  di  questi  otto  Vescovi  dopo  aver  dalo  il  suo  \oio  cadd  ;  in  de- 
liquio, e  che  altri  quattro  detestarono  ben  presto  e  continuarono  di 
poi  a  detestare  il  momento,  in  cui  presero  parie  a  quella  elezione. 

Al  solo  volgo  ignorante  si  poteano  vendere  queste  ciance.  1  due 
Vescovi  erano  stati  rapiti  dal  colera.  Ma  se  la  loro  morte  diva  giu- 
sta cagione  a  cordoglio,  non  apportava  peiò  verun  impedimento  alla 
convocazione  del  sinodo  de'  Vescovi  rimanenti,  né  polea  infermare 
punto  la  validità  dei  loro  atti.  Lo  slesso  si  dica  dell'assenza  degli 
altri  due  Vescovi,  i  quali  domandarono  espressamene  licenza  di 
non  recarsi  al  sinodo.  Vero  è  che  uno  di  questi,  cioè  monsignor 
Arsenio,  mutò  consiglio  e  notificò  per  mezzo  del  telegrafo  il  suo 
arrivo  in  Alessandria;  ma  allora  il  sinodo  non  era  più  a  tempo  di 
sospendere  le  sue  azioni. 

È  poi  incredibile  quel  che  i  delti  perturbatori  volevano  dare  ad  in- 
tendere degli  otto  Vescovi  convenuti  nel  sinodo,  cioè  che  tre  solamen- 
te erano  favorevoli  a  monsignor  Hassun  e  cinque  contrarli.  Come  mai 
in  lai  caso  tutti  i  voti,  senza  verun  contrasto,  si  sarebbero  potuti  ac- 
cordare non  solamente  a  scegliere  il  medesimo  Hassun,  ma  altresì  a 
nominarlo  con  acclamazione?  Siccome  poi  niun  indizio  di  questa 
pretesa  diversità  di  opinioni  si  ebbe  nel  sinodo,  celebralo  sul  Mon- 
te Libano  ;  così  né  anche  appresso  ci  fu  ombra  di  pentimento  e  di 
ritratlazione;  né  in  Costantinopoli,  ove  lutti  quei  Vescovi  si  condus- 
sero insieme  a  congratularsi  coli' Hassun,  scelto  da  loro  a  Patriarca, 
ed  a  prestargli  obbedienza  ;  nò  in  Roma,  quando  venuti  in  questa 
città  insieme  collo  stesso  Hassun,  applaudirono  alla  conferma,  che 
il  sommo  Pontefice  diede  alla  loro  elezione. 

Poiché  l'acclamazione,  colta  quale  fu  nominato  il  nuovo  Patriar- 
ca, dimostrava  ad  ogni  evidenza  la  perfettissima  concordia  dei  Ve- 
scovi elettori;  i  calunniatori  di  quella  elezione  si  gettarono  al  di- 
speralo partito  di  persuadere,  che  essa  era  invalida,  appunto  per- 
chè eia  stala  fatta  per  acclamazione.   E  però  proclamarono,  corno 


INTONO  ALLA  CHIESA  ARMENA  679 

abbiamo  dello,  il  principio,  che  le  elezioni  fatte  per  acclamazione 
allor  solamente  sono  valide,  quando  il  numero  dei  suffraganti  è 
plenario.  Ma  essi  trassero  un  tal  principio  dal  loro  stravolto  cer- 
vello, non  già  dal  dritto  canonico,  il  quale  riprova  quelle  sole  ac- 
clamazioni, che  si  fanno  dal  popolo  o  dalla  moltitudine,  che  non  ha 
dritto  al  suffragio  :  Electus  ad  clamor  em  populi  non  debet  per  su~ 
perior&m  con/innari  1.  Se  i  suffragi  sono  dati  da  legittimi  elettori, 
il  diritto  canonico  riconosce  per  valida  la  elezione,  o  essa  si  faccia 
per  acclamazione,  o  cogli  altri  due  modi  più  ordinarli,  cioè  collo 
scrutinio  o  col  compromesso.  E  siccome  non  è  necessario  che  il 
numero  degli  elettosi  o  dei  suffragi!  sia  plenario,  acciocché  sia  va- 
lida la  elezione  fatta  per  via  di  scrutinio  o  di  compromesso  :  così 
ne  anche  è  mestieri  una  tale  pienezza  di  voti  pel  valore  della 
acclamazione. 


III. 


La  Santa  Sede  unendo  in  una  sola  persona  la  giurisdizione  ec- 
clesiastica, che  era  per  Y  innanzi  divisa  fra  due,  avea  ad  un  mede- 
simo tempo  appagato  i  desideri*!  de'  Vescovi  armeni  e  provveduto 
ai  vantaggi  spirituali  di  tutti  i  fedeli  di  quella  nazione.  Con  ciò  non 
avea  essa  inteso  d' imporre  come  capo  civile  il  nuovo  Patriarca  ec- 
clesiastico da  lei  confermato.  Rimaneva  dunque  dal  canto  di  Roma 
pienamente  libera  tutta  quella  comunità  di  Armeni  o  di  dipendere 
dal  patriarca  Hassun  anche  nei  negozii  temporali,  o  dì  ottenere 
piuttosto  dalla  Porta  ottomana,  come  già  avea  ottenuto  peri' innan- 
zi, un  capo  civile  distinto  dall'ecclesiastico. 

Intanto  monsignor  Hassun  ritornato  insieme  coi  suoi  Vescovi  da 
Roma  a  Costantinopoli,  fu  intronizzato  con  liete  e  solenni  feste  e 
cogli  applausi  di  tutti  gli  ordini  di  persone.  Indi  ei  presentò  i  docu- 
menti della  sua  elezione  alla  Sublime  Porta,  la  quale  con  un  beral 
imperiale  lo  riconobbe  come  Patriarca  di  tutti  gli  Armeni  uniti,  e 
al  potere  spirituale  di  cui  era  stato  investito  dal  Romano  Pontefice, 

1  Tit.  V  De  Electione,  etc.  e.  2. 


680  LA  BOLLA  REYERSURUS  DEL  16  LUGLIO  1867 

unì  l'autorità  di  sopraintendcre  nell'amministrazione  civile  della  sua 
comuni  là. 

Ma  ben  presto  cominciò  a  sollevarsi  lo  spirito  della  discordia, 
pigliando  pretesto  da  questa  amministrazione  degli  affari  temporali. 
Né  dall'altro  lato  monsignor  Hassun  tardò  di  sventare  siffatti  pre- 
testi. Dichiarò  innanzi  ai  notabili,  che  pel  bene  della  pace  ci  lasciava 
di  ingerirsi  in  simili  affari  e  rinunziava  ad  ogni  prefettura  di  questo 
genere  :  con  ciò  essi  aveano  pienissima  libertà  di  domandare  al 
Governo  un  altro  superiore  civile.  Però,  come  era  di  ragione,  disse 
di  non  avere  facoltà  di  concedere  o  di  permettere  quello,  che  per 
Taddietro  era  stato  tollerato  dal  Papa  Gregorio  XVI,  cioè  che  il 
capo  civile  fosse  un  ecclesiastico  e  che  assumesse  il  titolo  di  Pa- 
triarca civile. 

Da  questi  cenni  apparisce,  che  gli  Armeni  non  poteano  dall'am- 
ministrazione de'  loro  affari  temporali  prendere  niun  pretesto  ragio- 
nevole per  contrastare  alle  disposizioni  ecclesiastiche,  stabilite  dalla 
Santa  Sede  a  prò  delle  loro  anime. 

IV. 

Le  calunnie  più  ingiuste  che  si  sparsero  contro  la  Bolla  Rever- 
surus,  riguardano  le  norme,  che  essa  prescrive  intorno  alla  nomi- 
nazione del  Patriarca  e  dei  Vescovi.  Si  calunniò  dapprima  come 
ingiusto  il  divieto,  fatto  al  clero  ed  al  popolo,  di  ingerirsi  nella  ele- 
zione del  Patriarca.  Basteranno  le  poche  osservazioni,  che  qui  ap- 
presso soggiungeremo  per  ribattere  questa  prima  calunnia. 

In  tutto  l'Oriente  cattolico  il  popolo  non  piglia  mai  parte  nella 
elezione  dei  Patriarchi.  Per  ciò  che  spellava  al  Patriarca  armeno,  la 
cui  sede  era  in  Cilicia,  la  elezione  facevasi  dai  soli  Vescovi.  Anche 
oggi  nello  stesso  calore  della  disputa  gli  avversarii  della  Santa  Se- 
de 1  confessano,  che  intorno  a  quei  deserti  monasteri,  ove  dimora- 
vano il  Patriarca  e  i  suoi  Vescovi,  non  vi  era  niuna  popolazione  di 
cattolici  armeni,  la  quale  potesse  convocarsi  a  dar  buona  tesUmo- 

1  La  Turquie,  6  Avril  1870. 


INTORNO  ALLA  CHIESA  ARMENA  681 

nianza  sulla  persona  da  eleggere.  Vero  è  che  Y  ultimo  Patriarca  il 
quale  abitò  quelle  solitudini  della  Cìlicia,  cioè  Gregorio  Pietro  Vili, 
come  di  sopra  abbiamo  detto,  stabili  un  "capitolo  di  semplici  preti, 
e  a  due  di  loro  concedè  la  facoltà  di  dare  il  suffragio  nella  elezione 
dei  futuri  Patriarchi.  Ma,  come  anche  di  sopra  abbiamo  avvertito, 
fu  questa  una  strana  novità,  la  quale  venne  tosto  riprovata  dalla 
Santa  Sede,  e  fu  espressamente  dichiarata  priva  di  effetto  da  mon- 
signor Valerga  delegalo  apostolico,  e  come  tale  fu  unanimamenle 
rigettata  da  tutti  i  Vescovi  armeni,  raccolti  in  sinodo  nel  Monte  Li- 
bano per  eleggere  il  nuovo  Patriarca  dopo  la  morte  del  nominato 
Gregorio. 

Il  presente  Patriarca  di  tutti  gli  Armeni  uniti  in  virtù  della  Bolla 
Beversurus  risiede  in  Costantinopoli,  ma  porta  il  titolo  di  Patriarca 
di  Cilicia.  Or  dunque  se  esso  si  considera  soltanto  come  successore 
de'  precedenti  Patriarchi  di  Cilicia,  è  cosa  manifesta  da  quanto  ab- 
biamo accennato,  che  la  sua  elezione  non  appartiene  per  niuna  ma- 
niera né  al  clero  inferiore,  né  molto  meno  alla  turba  dei  laici,  ma 
unicamente  ai  Vescovi.  Senonchè  oltre  al  succedere  al  Patriarca  di 
Cilicia,  egli  succede  ancora  all'Arcivescovo  e  Primate  armeno  di 
Costantinopoli.  Ma  né  anche  per  questo  rispetto  possono  i  semplici 
preti  ed  i  secolari  immischiarsi  nella  sua  elezione.  Pio  Vili,  come 
già  dicemmo  nel  precedente  articolo,  fu  quegli  che  nel  1830,  de- 
corò la  Chiesa  armena  di  Costantinopoli  col  titolo  di  primaziale  ed 
arcivescovile.  Egli  costituì  come  Arcivescovo  e  Primate  monsignor 
Antonio  Nurigian,  e  volle  accogliere  benignamente  in  quella  prima 
elezione  le  commendatizie,  che  fecero  in  favore  dello  stesso  Nurigian 
i  preti  ed  i  laici  armeni  della  provincia  di  Costantinopoli.  Di  qui  in- 
cominciarono questi  a  vantar  dritti  e  privilegi  che  non  aveano,  e 
turbarono  gravemente  colle  loro  pretensioni  la  elezione  del  succes- 
sore del  Nurigian,  che  fu  monsignor  Maniche.  Pertanto  a  fin  d'im- 
pedire i  nuovi  disordini,  che  le  ambizioni  e  gì'  intrighi  avrebber 
cagionato  nelle  elezioni  dei  futuri  Arcivescovi,  la  Santa  Sede  si  ri- 
serbò interamente  la  loro  nomina  ;  e  per  tal  guisa,  essendo  acca- 
duta nel  184G  la  morte  del  Maniche,  essa,  senza  niun  intervento  ne 
di  chierici  né  di  laici,  nominò  a  succedergli  monsignor  Hassun. 


082  LA  BOLLA  JtEVERSURUS  DEL  16  LUGLIO  1867 

Gli  uomini  agitali  dallo  spirilo  di  parie  sì  piegarono  mal  volen- 
tieri alla  debita  soggezione,  né  mai  lasciaron  di  dare  impaccio 
così  al  Primate  Hassun  come  alla  Santa  Sede,  allora  specialmente 
quando  trattatasi  di  provvedere  alle  sedi  vacanti  soggette  allo  stes- 
so Primate. 

Intanto  la  Santa  Sede  volendo  abbondare  in  indulgenza  il  più  die 
era  possibile,  ordinò  nel  1853  con  una  Istruzione  speciale,  che  in- 
comincia Licet  episcopato,  il  modo  di  procedere  nella  nomina  dei 
Vescovi  e  del  Primate  di  questa  provincia  armena  di  Costantinopoli. 
Permise  ebe  vacando  una  sede,  il  capo  civile  radunasse  i  notabili 
ed  il  clero  della  nazione  in  numero  uguale,  a  dar  testimonianza  del- 
la buona  condotta  dei  candidati.  Un  tale  consiglio  ebbe  facoltà  di 
designare  da  sei  a  dodici  sacerdoti,  che  giudicava  meritevoli.  Il 
Primate  poi  se  vacava  una  delle  sedi  vescovili,  o  il  Vescovo  più  an- 
tico se  vacava  la  stessa  sede  primaziale,  dovea  scegliere  dalla  lista 
presentita  dal  consiglio  tre  nomi,  e  proporli  alla  Santa  Sede.  Ove 
nella  prima  lista  non  si  fosser  trovate  persone  meritevoli  di  quella 
dignità,  il  consiglio  del  clero  e  dei  notabili  potea  presentarne  una 
seconda;  e  se  non  se  ne  fossero  trovali  nò  anche  in  questa,  allora 
il  Primate  o  il  Vescovo  più  antico  proponeva  alia  Santa  Sede  tre 
nomi  di  sua  scella. 

Frattanto  due  cose  erano  espressamente  dichiarate  in  quella  Istru- 
zione. La  prima,  che  la  elezione  sì  de'  Vescovi  come  del  Primate 
appartenendo  di  pieno  dritto  alla  Sede  apostolica,  sarebbe  a  questa 
restato  sempre  libero  di  sostituire  un  altro  ai  tre  proposti.  La  se- 
conda, che  tutte  le  nominale  concessioni  siccome  derivavano  dalla 
mera  liberalità  del  sommo  Pontefice,  così  non  erano  se  non  tempo- 
ranee, e  però  libere  a  rivocarsi  ogni  qual  volta  accadessero  nuovi 
inconvenienti,  o  si  mutassero  le  circostanze. 

Le  circostanze  si  mutarono  grandemente,  o,  per  meglio  dire,  si 
mutò  la  natura  slessa  delle  cose,  allorquando,  secondo  i  desiderii 
dell' Episcopato  armeno,  la  Santa  Sede  stabilì  colla  Bolla  lìevcrsurus, 
che  tutti  gli  Armeni  sparsi  nelP  Impero  ottomano  di  pendettero  da 
un  capo  solo,  il  quale  ritenendo  il  titolo  di  Patriarca  di  Cttìcìa,  ri- 
sedesse in  Constanlinopoli.  Il  drillo  di  nominare  questo  Patriarca 


INTORNO  ALLA  CHIESA  ARMENA  68$ 

fu  conceduto  ai  soli  Vescovi,  e  fu  negato,  senza  far  loro  uhm  torlo, 
ai  semplici  preti  ed  ai  laici. 


V. 


GH  antichi  Patriarchi  di  Cilicia,  come  sopra  abbiamo  notato,  era- 
no eletti  dii  soli  Vescovi,  senza  l' intervento  né  del  clero  inferiore 
né  de' secolari.  Però  appesa  eletti  essi  si  facevano  intronizzare,  cioè 
pigliavano  pass  sso  dclh  loro  dignità;  e  poscia  o  recavansi  a  Roma 
di  persona  o  vero  spedivano  suppliche,  per  esser  confermati  e  per 
avere  il  l'ali  o.  In  questo  intervallo  di  tempo  non  si  astenevano  da 
tolti  gli  atti  e,  is  opali,  ma  solo  da  alcuni,  come  per  esempio  dal- 
l'ordlnaie  i  Vescovi,  dal  f.re  il  crisma  e  dal  consecrare  le  chiese. 

Ciò  era  un  gravissimo  abuso,  del  quale  si  lamentava  la  Santa 
Sede  ;  poic'iè  presentandosi  a  domandare  la  conferma  ed  il  Pallio 
colui,  che  s'ava  già  in  esercizio  delle  funzioni  patriarcali,  se  esso 
troviiVc  si  ind  gno,  non  gli  si  poteva  negare  la  domanda,  senza  un 
alto  di  t'ormai"  destituzione  dal  grado  che  occupava. 

Pei  tanto  il  Romano  Pontefice  nella  Rolla  Reversurus  prescrive, 
che  i  nuovi  Patriarchi  eletti  non  sieno  intronizzati,  e  non  abbiano 
vermi  dri'to,  nò  esercitino  veruna  giurisdizione  sul  patriarcato,  né 
anche  come  procuratori  o  vicari],  se  la  loro  elezione  non  sia  stata 
prima,  secondo  l'uso  comune  della  Chiesa  cattolica,  ammessa  e  con- 
fermala di'laS  ntaSede.  Avuta  poi  questa  conferma,  è  loro  vietato 
di  consecrare  i  Vescovi,  di  convocare  i  sinodi,  di  fare  il  crisma,  di 
dedicare  le  eh  ese,  e  di  ordinare  i  chierici,  se  prima  non  abbiano 
ottenuto  il  Pallio. 

Il  duite  della  calunnia  si  avventò  ancora  contro  questi  si  provvidi 
ordinamenti,  accusandoli  come  ingiuste  violazioni  dei  dritti  del  Pa- 
triarca di  Cilicia.  Ma  è  facile  a  dimostrare  la  malizia  e  la  stoltezza: 
di  tali  accuse.  E  dapprima  supponiamo  per  poco,  che  tratlavasi 
veramente  di  un  dritto  de'  Patriarchi  di  Cilicia.  Quale  altra  potea 
essere  stata  la  fonte  di  un  tal  dritto,  se  non  la  benigna  concessione 
della  Sede  apostolica?  Or  dunque  siccome  i  Romani  Pontefici,  nella 
supposizione  che  facciamo,  avrebbero  gratuitamente  conceduta  quel- 


684  LA  BOLLA  REYERSI'RIS  DEL  16  LUGLIO  1867 

la  prerogativa  al  Patriarca  armeno  di  Cilicia,  nel  tempo  clic  questi 
dimorava  in  un  monastero  deserto,  ed  era  soltanto  destinato  a  pa- 
scere un  gregge  sparso  sui  gioghi  del  Tauro  e  per  le  solitudini  del- 
l' Asia  e  della  Siria  ;  così  poteano  ben  ragionevolmente  avocare 
ogni  privilegio,  allorché  al  nuovo  Patriarca  da  eleggersi  essi  conce- 
devano di  risedere  nella  metropoli  dell'Impero  ottomano  e  di  gover- 
nare non  i  soli  Armeni  di  Cilicia,  ma  tutti  quelli  che  erano  nella 
città  di  Costantinopoli  e  nelle  rimanenti  città  della  Turchia  europea. 
Senonchò  non  si  trattava  di  un  diritto  del  patriarcato  di  Cilicia, 
nò  d'una  prerogativa  concedutagli  dalla  Sede  Romana  ;  trattatasi 
invece  di  un  abuso  colà  prevaluto  contro  l'ordine  di  dipendenza,  la 
quale,  secondo  la  divina  istituzione,  si  dee  conservare  in  tutte  le 
chiese  particolari  dal  Romano  Pontefice,  capo  della  Chiesa  univer- 
sale. Di  cotesta  prava  consuetudine,  come  testò  abbiamo  detto,  la 
Santa  Sede  si  era  più  volte  lamentata  ;  e  però  non  potea,  senza  farsi 
colpevole  di  una  grave  negligenza,  più  lungamente  differire  l'oppor- 
tuno rimedio.  Neli'apprestar  poi  questo  rimedio,  essa  volle  proce- 
dere con  una  soprabbondanza  di  soavità  e  di  prudenza,  aflìn  d'im- 
pedire quegli  scandali,  che  pur  vennero  quivi  suscitali  dallo  spirito 
di  sedizione  e  di  calunnia.  Poiché  stabilì  le  nominate  prescrizioni 
della  Bolla  Reversurus,  dopo  averle  prima  fatte  proporre  in  piena 
adunanza  a  tutt'  i  Vescovi  di  rito  armeno,  e  dopo  ottenutone  l'una- 
nime consenso.  Oltre  a  ciò  essa  dichiarò  formalmente,  che  non 
avrebbe  tardato  di  estendere  quelle  medesime  ordinazioni  a  tutt'  i 
Patriarchi  orientali  di  altri  riti. 


VI. 


L'Istruzione  Licei  episcopalis  permetteva,  come  di  sopra  abbia- 
mo riferito,  che  dovendosi  eleggere  un  Vescovo  della  provincia  ar- 
mena di  Costantinopoli,  venissero  interrogali  i  notabili  secolari  del- 
la provincia  medesima  intorno  alla  vita  ed  alla  onestà  de'  candidati. 
Questa  permissione,  benché  non  sia  espressamente  rivocala  nella 
Bolla  Reversurus,  pur  nondimeno  non  é  neanche  confermala;  giac- 
ché in  essa  si  dice  solamente,  che  vacando  una  sede  vescovile,  il 


INTORNO  ALLA  CHIESA  ARMENA  685 

Patriarca  convocherà  il  sinodo  di  tulti  i  Vescovi  del  patriarcato,  e 
che  dal  sinodo  medesimo  si  proporranno  al  Romano  Pontefice  tre 
persone  idonee  a  sostenere  il  carico  pastorale.  Rimane  dunque  libe- 
ro al  Patriarca  ed  ai  Vescovi  il  domandare  o  no  dal  popolo  informa- 
zioni e  testimonianze  sulla  condotta  delle  persone,  che  propongono 
di  nominare  al  vescovado  vacante,  E  se  essi  si  astengono  dal  far- 
lo, non  hanno  i  laici  niun  giusto  titolo  di  querelarsene,  tanto  più 
che  la  tristissima  esperienza  ha  dimostrato  che  quanto  maggiormen- 
te essi  si  sono  ingeriti  in  siffatte  elezioni,  tanto  meno  degne  sono 
state  le  persone  elette. 

Nel  Breve,  con  cui  l'augusto  Pontefice  Pio  IX  spedì  in  Costantino*- 
poli,  nel  Febbraio  del  corrente  anno,  monsignor  Pluym,  per  impe- 
dire lo  scisma,  che  si  erano  attentati  di  eccitare  quivi  alcuni  pochi 
Armeni,  riprova  coteste  pretensioni  dei  laici,  e  ricorda  loro  i  proprii 
doveri,  colle  parole  seguenti:  «  Il  ceto  dei  laici,  egli  dice,  si  contenga 
nel  suo  ufficio,  né  si  mescoli  per  niuna  guisa  nelle  faccende  eccle- 
siastiche. Essi  nella  Chiesa  debbono  essere  ammaestrati,  non  am- 
maestrare; debbono  esser  retti,  non  reggere:  né  fuvvi  mai  niuna 
cosa  così  nociva  alla  Chiesa  di  Dio  e  per  conseguenza  tanto  meri- 
tevole di  essere  riprovata  dai  santi  Padri  e  dai  Concilii  anche  ecu- 
menici, quanto  V  impacciarsi  che  fanno  i  laici  nei  negozii  di  Chie- 
sa, e  l'intromettersi  nel  governo  delle  cose  sacre  :  Laicorum  coetas 
in  officio  suo  maneat,  neque  in  ecclesiasticas  res  se  ullo  modo  im- 
misceat.  Eorum  in  Ecclesia  est  doceri  non  docere,  regi  non  rege- 
re;  et  Ecclesiae  Dei  nihil  unquam  tam  nocivum  futi,  ac  propterea 
a  sanctis  Patribus  et  a  Concilìis  etiam  oecumenicis  nihil  tnagis  im- 
probandum,  quam  ut  laici  in  ecclesiastica  negotia  sese  insererent 
et  in  ecclesiasticum  ordinem  insilirent.  »  ." 


■VII. 


Il  detto  fin  qui  basta  a  far  conchiudere,  che  le  maldicenze  e  le 
calunnie  colle  quali  si  è  tentato,  specialmente  in  questi  ultimi  mesi, 
di  lacerare  la  Bolla  Reversurus,.  non  hanno  avuto  altra  origine,  se 
non  lo  spirito  di  ribellione  e  di  scisma.  In  fatti  questo  spirito  tutto 


686  LA  BOLLA  REVERSURUS  DEL  16  LUGLIO  1867  ECC. 

pieno  di  perversità  odia  al  sommo  e  fa  ogni  sforzo  per  impedire  ed 
estinguere  la  libertà  della  Chiesa,  l'autorità  de'Vescovi  e  l'unità  del- 
la cattolica  religione  ;  cioè  quei  beni  appunto  che  la  Santa  Sede 
mira  di  assicurare  colta  detta  Bolla, nella  chiesi  di  Armenia.  «  Non 
yi  è,  così  dice  lo  stesso  sommo  Pontefice  Pio  IX  nel  Breve  a  mon- 
signor Pluym,  non  vi  è  niuna  cosa,  la  quale  meglio  della  Bolla  Be- 
versurus  possa  difendere  ¥  ecclesiastica  libertà,  vendicare  i  dritti 
e  l'autorità  de'sacri  Pastori,  e  conservare  sempre  più  la  religione  e 
l'unità  cattolica  :  Nihil  ea  opportunius  est  ad  ecclesiasticam  liber- 
tatem  tuendam,  ad  sacrorum  Antistitum  tura  auctoritalemque  vin- 
dicandam,  et  ad  catholicam  religionem  atque  unitatem  mayis  ma- 
gisque  conservandam.  » 

Di  così  preziosi  ornamenti,  senza  i  quali  non  può  sussistere  nella 
verità  nessuna  chiesa  cristiana,  intendeva  il  venerato  Pontefice  di 
adornare  la  cristianità  degli  Armeni  col  mezzo  di  questa  Bolla;  e 
per  tal  ragione,  persistendo  nell'adempimento  del  pastorale  suo  of- 
ficio, egli  dichiara  al  nominato  monsignor  Pluym  di  volere,  che  la- 
Bolla  medesima  rimanga  nel  suo  vigore,  e  che  si  osservi  diligente- 
mente da  tutti  coloro  a'quali  s'appartiene  :  Nostrani  constitulionem 
edidimus  IV  idus  Iulias  an.  MDCCCLXVII,  cuius  initium  est  Re- 
yersurus;  quam  in  suo  robore  manere  volunius,  et  ab  omnibus  ad 
quos  pertinet  diligenter  observari. 


RIVISTA 

DELLA 

STAMPA   ITALIANA 


I. 


Illustrazioni  filologi  co-comparative  alla  Grarnmatica  greca  del 
dott.  Giorgio  Curtius,  professore  di  Filologia  classica  nella 
Università  di  Lipsia,  scritte  da  lui  medesimo,  con  sua  licenza 
tradotte  dal  tedesco  e  corredate  di  un  proemio,  di  giunte  ecc. 
per  cura  del  dott.  Fausto  Gherardo  Fumi,  prof,  di  lettere  clas- 
siche nel  R.  Liceo  di  Reggio-Calabro  —  Napoli,  stamperia  del 
Fibreno  1868;  R.  de  Rubertis  editore.  Un  voi.  in  8.*  di  pagi- 
ne CI,  264  1. 

II 

Entriamo  ora  a  discorrere  brevemente  il  più  che  far  sì  potrà,  in- 
torno a  ciò  che  in  particolare  si  riferisce  alla  grammatica  del  Cur- 
tius e  alle  illustrazioni  voltate  in  italiano  e  arricchite  con  aggiunte 
dal  eh.  Fumi.  Se  la  prima  parte  della  nostra  rivista  potè  essere  di 
qualche  diletto  ai  lettori,  questa  seconda  potrà  sembrare  molesta 
ed  aspra  come  un  ginepraio,  se  non  se  a  que  pochi  a'quali  tornano 
care  le  liti  di  quella  gente  fastidiosa  ed  arcigna  che  sono  i  gramma- 
tici. Mail  fastidio  verrà  consolato  dalla  brevità;  e  a  chi  sembrasse 


1  V.  questo  voi.  pag.  566  e  segg. 


688  RIVISTA 

poca  siffatta  consolazione,  può  procacciarsene  una  maggiore  saltan- 
do a  piò  pari  queste  brevi  pagine. 

Adunque  il  chiarissimo  Fumi  nella  seconda  parte  dell'  ultimo 
articolo  del  suo  Proemio  parla  con  molte  lodi  della  grammatica 
greca  del  Curtius,  e,  sono  sue  parole,  «  dell'ardita  e  feconda  ri- 
forma da  lui  recata  allo  studio  lessicale  e  alla  teorica  grammati- 
cale del  greco.  »  Negheremo  noi  queste  lodi  così  ampie  al  Cur- 
tius? o  gliele  concederemo  senza  più?  Nò  l'uno,  nò  l'altro.  Che 
se  da  una  parte  troviamo  molte  cose  da  lodare  nella  grammatica 
del  Curtius  e  nelle  illustrazioni,  dall'altra  ci  sembra  che  il  Fu- 
mi, innamorato  del  metodo  del  Curtius,  sia  profuso  ed  alcun  poco 
e  forse  più  di  un  poco,  esageralo  nel  lodarlo.  E  di  vero  se  è  giusto 
l'applicare  i  principi!  della  linguistica  comparativa  allo  studio  della 
grammatica  greca,  e  chi  ciò  faccia  merita  lode  :  pur  nondimeno  si 
vuol  adoperare  in  questo  molla  e  molta  parsimonia.  Ben  altra  cosa 
è  il  fornire  ad  uso  delle  scuole  una  grammatica  della  lingua  gre- 
ca; ed  altra  il  volere  comporre  un  libro  che  faccia  vedere  come 
certe  teoriche,  ricavate  dallo  studio  della  linguistica  comparativa, 
potrebbero  servire  a  dare  ragione  della  formazione  e  struttura  del- 
la lingua  greca  e  della  sua  grammatica.  Noi  portiamo  ferma  opi- 
nione che  in  una  grammatica  ad  uso  delle  scuole  non  si  debba  dar 
luogo  se  non  a  ciò  che  ò  certo,  o-  almeno  grandemente  probabile, 
ne  si  debbano  accrescere  le  difficoltà  della  nuova  lingua  diesi 
vuole  insegnare  con  ipotesi  e  teoriche  astruse  e  più  speciose  che 
vere;  nò  si  conducano  gli  scolari  per  ambagi  e  labcrinti,  dove  fa 
duopo  una  via  spedila  ed  aperta  :  e  per  ismania  di  riformare,  so- 
prattutto dove  una  tale  riforma  non  sia  veramente  necessaria,  non 
si  riesca  a  distruggere  ciò  che  è  ben  fatto,  e  ad  innalzare  un  edifi- 
zio  che  forse  non  posa  sopra  stabili  fondamenti,  e  come  oggi  è  sta- 
to costruito,  così  domani  può  essere  abbattuto.  In  una  parola  cre- 
diamo che  i  fatti  e  non  le  congetture  si  debbano  proporre  in  una 
grammatica  per  le  scuole  :  e  le  congetture  più  o  meno  probabili, 
si  possano  riserbare  ad  un  libro  ove  si  vogliano  indagare  sottil- 
mente le  ragioni  de' fatti,  ad  un  libro  diretto  ad  uno  studioso  di 
linguistica  comparata,  il  quale  abbia  sufficiente  contezza  di  una  de- 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  689 

terminata  lingua,  e  qui  diciamo  della  greca,  giacche  di  questa  pure 
si  parla.  Ora  a  noi  sembra  che  la  grammatica  del  Curtius  pecchi 
appunto  in  ciò,  e  sia  anzi  un  libro  per  gli  studiosi  di  filologia  com- 
parata, non  una  vera  grammatica,  quale  si  richiede  a  fare  appren- 
dere la  lingua  greca  così  come  si  legge  negli  scrittori.  Non  tema  il 
eh.  Fumi  che  noi  siamo  venuti  in  questa  sentenza  o  perchè  siamo 
avversi  allo  studio  e  ai  progressi  veri  della  linguistica,  o  per- 
chè siamo  disturbati  e  contrariati  dalle  tradizioni  e  pregiudizio  di 
una  vecchia  scuola,  o  perchè  siamo  digiuni  della  lettura  dei  lavori 
grammaticali  sopra  la  lingua  greca  messi  in  luce,  specialmente  in 
questo  nostro  secolo,  dai  dotti  ellenisti  di  oltremonte.  Quello  che 
abbiamo  discorso  nella  prima  parte  di  questa  rivista,  mostra,  ci 
pare,  più  che  abbastanza  in  qual  conto  noi  teniamo  la  linguistica 
comparata.  E  possiamo  dire  con  tutta  verità  che  le  più  riputate 
grammatiche  pubblicate  in  Germania,  in  Francia  e  in  Inghilterra, 
tutte  le  abbiamo  avute  lungamente  per  le  mani,  e  ne  abbiamo  fatto 
soggetto  de'  nostri  studii,  e  di  esse  ci  siamo  giovati  nell' indirizzare 
alla  lingua  greca  molti  e  molli  valorosi  giovani,  dipartendoci,  quando 
lo  credevamo  necessario,  dall'antico  metodo,  e  accettando  le  nuove 
dottrine.  Ma  egli  è  proprio  quel  poco  di  esperienza  che  abbiamo 
acquistato  ne'  lunghi  anni  dell'  insegnamento,  che  ci  fa  portare  il 
giudizio  da  noi  espresso  sopra  la  grammatica  del  Curtius.  Ci  si 
dica  di  grazia  se  possa  veramente  essere  acconcia  all'insegnamen- 
to delle  scuole  elementari  una  grammatica,  della  quale  il  Fumi 
medesimo  nella  lettera,  con  che  dedica  il  suo  libro  al  Yillari,  con- 
fessa le  difficoltà  assai  gravi,  e  scrive:  «  La  novità  ed  una  certa 
oscurità  della  grammatica  greca  di  Curtius  derivano  dall'ardita  ap- 
plicazione dei  principii  della  linguistica  alla  teorica  delle  forme 
greche:  principii  che  sfuggono  alla  riflessione,  se  manchino  gli 
anelli  intermedii  di  quella  catena,  ove  il  greco  sta  accanto  al  san- 
scrito, allo  zend,  al  latino,  al  celtico,  allo  slavo,  al  goto  ecc.;  » 
una  grammatica,  a  intender  la  quale,  comunque  si  sia,  è  necessa- 
rio un  libro  d' illustrazioni  e  di  giunte  per  poco  più  lungo  della 
grammatica  medesima;  una  grammatica,  per  l'uso  della  quale  so- 
no richieste,  e  non  bastano,  tutte  le  Avvertenze  del  prof.  Bonitz 
Serie  YH,  voi  XI,  fase.  492.  44  6  Settembre  1870. 


COO  RIVISTA 

esposte  in  lo  fìtte  pagine  in  8.'  grande,  e  poi  compendiate  dal  Cur- 
tius medesimo  e  dichiarate  in  ano  scritto  destinato  a  preparare 
il  terreno  alla  sua  grammatica  anco  in  Italia  (Fumi  pag.  22 
una  grammatica  in  fine,  la  quale  per  confessione  del  Bonilz  mede- 
simo (pag.  212)  chi  adoperi,  tal  quale  è,  come  norma  assoluta  del 
suo  insegnamento,  corre  pericolo  che  gli  studenti  ottengano  tut- 
t'altro  che  un  vero  possesso  delle  forme  greche,  e  arrivati  alle 
classi  superiori,  in  luogo  di  avere  imparato  esse  forme   abbiano 
solo  osservato  le  attraenti  singolarità  delle  spiegazioni  e  compa- 
razioni linguistiche,  e  solo  possa  sfuggire  un  tal  pericolo  coll'a/i- 
dare  trascegliendo  ed  ordinando  in  essa  (grammatica)  le  cose  più 
adattate  ai  suoi  allievi,  e  col   tracciarsi  in  precedenza  il  suo 
piano,  cioè  in  buon  volgare  componendosi  una  nuova  grammatica. 
Noi  crediamo  che  il  Fumi  stesso  dirà,  una  tale  grammaiiea  non  è 
per  le  scuole.  Né  ci  si  risponda  che  il  libro  del  Curtius  conta  già  più 
edizioni,  e  almeno  due  traduzioni  italiane,  e  che  è  adoperato  in  mol- 
te scuole:  perchè  noi  dimanderemo  quale  ne  sia  il  vero  frutto;  e 
temiamo  non  sia  quelli»,  e  nulla  più,  accennato  dal  Bonitz  come 
minaccioso  pericolo  nelle  parole  poc  anzi  riferite.  Aggiungiamo 
qui  che  le  osservazioni  critiche  del  sig.  Wolf  sopra  la  grammatica 
del  Curtius,  pubblicate  nel  giornale  dei  ginnasii  austriaci  l'an- 
no 1852,  e  riportate  dal  Bonitz  nelle  Avvertenze,  confermano  la  no- 
stra sentenza.  Alle  osservazioni  del  Wolf  ha  tentato  di  rispondere 
il  Bonitz  in  difesa  della  grammatica  del  Curtius:  ma  lasciando  da 
un  lato  le  molte  parole,  l'unica  risposta  vera  è  quella  che  abbiamo 
già  riferita,  vale  a  dire,  essere  necessario  che  il  maestro  sopra  la 
grammatica  del  Curtius  si  lavori  un'altra  grammatica  da  servire  di 
guida  a  suoi  allievi,  se  vuole  che  questi  imparino  ciò  che  pur  deb- 
bono imparare.  E  una  tale  grammatica  sarà  buona  ed  utile  alle 
scuole?  Sia  detto  con  tutto  il  rispetto,  e  senza  menomare  punto  la 
sliia a  che  abbiamo  pel  Curtius  e  pel  Fumi,  non  mot. 

Da  queste  considerazioni  generali  venendo  ad  alcune  particolari, 
ci  pare  di  poter  dire  che  nella  grammatica  del  Curtius  il  nuovo  me- 
todo e  la  nuova  nomenclatura  impaccia  e  non  aiutalo  l'ap- 
prendimento del  greco;  inoltre  che  la  sintassi  è  soverchiamente 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  691 

oscura,  e  in  alcune  pirli  non  bene  ordinata,  per  essere  condotta  e 
lavorati  sopra  dottrine  ed  astrazioni  incerte  ed  alcun  poco  nebulo- 
se, frullo  di  una  filosofia  soggettiva  non  oggettiva,  volendo  usare 
le  parole  nuove  e  che  ora  procacciano  rinomo.  11  mostrare  ciò  par- 
tita niente  ci  condurrebbe  troppo  per  le  lunghe  :  si  contenti  però  il 
leltore  di  alcuni  brevissimi  cenni. 

Fa  già  notato  dal  Wolf  medesimo  che  manca  di  buon  metodo  la 
grammatica  del  Curtius,  perchè  invece  di  far  imparare  in  un  modo 
breve  e  chiaro  le  forme  correnti  delle  flessioni,  discorre  «  di  quel- 
li accorciamenti  o  mutamenti  fonetici  che  risalgono  ad  un  periodo 
della  lingua  non  più  visibile,  e  quindi,  riguardo  alla  lingua  viva, 
hanno  tutto  il  carattere  di  ardue  astrazioni.  »  Un  tal  metodo  è  ciò 
che  propriamente  ha  di  nuovo  il  libro  del  Curtius,  e  poc' altro  vi  si 
rinviene  che  non  insegnino  pure  le  altre  grammatiche.  Ma  ognuno 
di  por  sé  intende  quanto  per  un  tal  metodo  si  renda  difficile  lo  stu- 
dio della  grammatica,  che  si  dovrebbe  piuttosto  agevolare  con 
ogni  diligenza.  Oltre  di  che  diviene  perciò  necessario  il  ragionare 
di  cose,  che  propriamente  alla  grammatica  non  appartengono,  ma 
sì  all'etimologia  o  alla  storia  della  lingua.  Si  apra  la  grammatica 
del  Curtius,  e  si  vegga  quante  di  tali  materie  s'incontrano  nella 
prima  parte,  anzi  nel  solo  primo  capo,  dove  si  parla  de'  varii  can- 
giamenti a  cui  vanno  soggette  le  lettere  nelle  flessioni  delle  parole 
e  delle  forme  grammaticali.  Eppure  se  v'è  parte  della  grammatica 
in  cui  sia  d'uopo  serbare  una  grande  parsimonia,  è  appunto  questa. 

Ma  osserviamo  alcune  poche  cose  intorno  alle  declinazioni  e  alle 
coniugazioni.  Primieramente  notiamo  che  la  distinzione  fra  tema  e 
termi  nazione,  e  fra  radice  e  quelle  parti  che  si  aggiungono  o  com- 
pongono colla  radice  per  la  inflessione  delle  forme  greche,  non  è 
nuova ,  come  tutti  sanno,  e  molti  grammatici  ne  avevano  già  fatto 
uso,  quantunque  il  Curtius  sembri  nelle  Illustrazioni  darsene  van- 
to come  di  sua  invenzione.  Ma  ciò  sia  detto  di  passaggio.  Parlando 
delle  declinazioni,  il  Curtius  dice  che  originariamente  era  una  so- 
la: ora  si  debbono  distinguere  due  declinazioni  principali,  la  prima 
che  abbraccia  i  temi  in  vocale  aspra  a  ed  o,  la  seconda  quelli  in  con- 
sonante, quelli  in  vocale  dolce  t  ed  o,  in  dittongo,  ed  alcuni  pochi 


692  RIVISTA 

in  e.  Alla  prima  declinazione  principale  appartengono  le  due  secon- 
darie, quella  dei  temi  in  a  che  talora  mutasi  in  yj  ,  e  quella  dei  temi 
in  o.  Quindi  vengono  le  regole  per  le  declinazioni  dei  variì  temi,  e 
sono  date  le  finali  pe'varii  casi  da  aggiungersi  al  tema:  e  al  mede- 
simo tempo  vengono  divisale  le  svariatissime  trasformazioni,  tra- 
sferimenti, sostituzioni,  ecc. ,  che  necessariamente  debbono  aver 
luogo  perchè  si  abbia  quella  forma  che  è  in  uso  presso  gli  scrittori. 
Rechiamone  un  qualche  esempio.  Il  tema  v£ve<;  che  appartiene  alla 
declinazione  dei  temi  in  e,  ha  il  nomin.  -/Ivo?  per  la  mutazione  del- 
l' s  in  e:  il  genit.  è  févtteq,  ma  il  a  quando  sta  tra  due  vocali  si  to- 
glie; onde  si  ha  févso?,  e  poi  févou;  per  la  contrazione.  E  il  tema 
òfcòvr,  che  appartiene  alla  declinazione  dei  temi  in  dentale  ed  ha  il 
nomin.  6&o6^  dovrebbe  avere  l'accus.  ò&Svtjj.,  e  per  la  sostituzione 
del  v  al  ;;.,  zzivr>  :  ma  vi  è  la  vocale  a  che  ha  l'ufficio  di  unire  il  v 
ai  temi  in  consonante,  quindi  si  ha  &86vtav,  e  sparendo  il  v,  ht&nà: 
e  così  nel  plur.  acc.  da  lò^r.-y.z,  ossia  cscvt-v;,  si  ha  &5<5vr*s,  co- 
me nel  latino  dentes  invece  di  dent-e-  ns.  Molli  de'  nostri  lettori, 
che  pur  conoscono  la  lingua  greca,  resteranno,  crediamo,  ammirati 
di  questo  modo  di  spiegare  e  fare  imparare  le  declinazioni  greche: 
or  essi  portino  sentenza,  se  un  tal  modo,  concedendo  pure  che  lo 
possa  tenere  un  etimologo  o  uno  studioso  di  linguistica  comparativa 
nelle  sue  laboriose  indagini,  debba  dirsi  chiaro,  ordinato,  adatto 
insomma  alla  scuole,  così  che  abbia  quasi  da  compiangersi  chi  non 
lo  segue,  come  uno  sceltico,  o  uno  impacciato  da  pregiudizi!  di  scuo- 
la antica,  o  uno  non  amante  dei  veri  progressi  della  scienza. 

Le  medesime  cose  e  forse  con  più  ragione  dobbiamo  ripetere,  se 
esaminiamo  la  maniera  onde  viene  dichiarata  la  coniugazione  greca. 
Ecco  un  saggio  del  metodo  del  Curtius.  Dopo  i  preliminari  si  distin- 
guono per  ogni  verbo  sette  temi,  del  presente,  da  cui  si  forma  il 
pres.  e  l'imperf.;  dell'aor.  forte,  da  cui  si  ha  l'aor.  forte;  del  futuro, 
onde  si  forma  il  futuro;  dell'aor.  debole,  o  sigmatico,  da  cui  si  ha 
l'aor.  debole;  del  perfetto,  onde  si  forma  il  perfetto  e  il  piucchè  per- 
fetto; dell'aor.  forte  passivo,  onde  si  ha  l'aor.  forte  e  il  futuro  forte 
del  passivo;  dell'aor.  debole  passivo,  da  cui  si  forma  l'aor.  debole 
e  il  fut.  debole  passivo.  Tulli  questi  tempi  si  possono  derivare  da 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  693 

quella  forma  che  chiamasi  tema  verbale.  Poi  si  dà  la  coniugazione  a 
parte  a  parte  e  dirò  cosi  smembrata  secondo  la  divisione  del  verbo 
nei  sette  temi  accennati,  rendendo  così  assai  difficile  a  chi  studia  il 
formarsi  un  giusto  concetto  della  coniugazione  del  verbo  greco  (seb- 
bene a  questo  sconcio  procuri  l'Autore  di  porre  un  qualche  rime- 
dio); e  intanto  si  danno  le  regole  per  formare  quei  sette  temi  dal 
tema  verbale.  Date  le  regole  secondo  questi  principii  per  la  coniu- 
gazione (che  del  resto,  tolte  alcune  teoriche  un  poco  arbitrarie, 
nulla  vi  ha  di  nuovo),  si  parla  dei  verbi  in  \u  e  dei  verbi  anoma- 
li in  due  lunghi  capi;  i  quali,  a  dirlo  in  una  parola  sola,  possono 
sembrare  anche  per  la  disposizione  materiale,  pagine  di  calcolo  al- 
gebrico: tante  sono  le  divisioni,  suddivisioni,  trasformazioni,  deri- 
vazioni, supplementi,  richiami,  e  che  so  io;  e  ciò  che  ne  e  conse- 
guenza, molte  incertezze,  molte  ipotesi  prese  per  verità  dimostra- 
te, e  così  via  discorrendo.  E  un  tal  libro  si  deve  encomiare  co- 
me quello,  che  il  solo  o  meglio  di  ogni  altro  può  introdurre  i 
giovani  .alla  conoscenza  della  lingua  greca?  E  si  deve  tentare  ogni 
via  per  farlo  libro  di  uso  nelle  scuole  d'Italia?  No,  se  pure  non  vo- 
gliamo che  lo  studio  della  lingua  greca  nell'Italia  volga  a  peggiore 
stato,  che  non  e  quello  che  tuttodì  vediamo.  Quanto  non  deve  appa- 
rire migliore  il  metodo  p.  e.  del  Buttimann?  quanto  non  è  più  facile, 
dichiarata  la  teoria  non  difficile  dei  verbi  a  doppio  tema,  derivare 
semplicemente  tutti  i  tempi  dal  presente  con  poche  regole  certe, 
tutte  insieme  raccolte,  ben  ordinate  fra  loro,  separando  ciò  che  è 
anomalia  e  particolarità  dei  dialetti;  e  quindi  premesse  alcune  cose 
intorno  alle  varie  specie  dei  verbi  anomali  e  alle  varie  cagioni  del- 
l'anomalia, tessere  un  ben  ordinato  catalogo  per  ordine  alfabetico 
dei  suddetti  verbi,  distinguendo  in  ciascuno  le  forme  comuni  dalle 
proprie  dei  varii  dialetti?  È  necessaria  la  teorica  del  Buttimann 
dei  verbi  a  doppio  tema,  e  basta  nella  sua  verità  e  semplicità  a  spie- 
gare tutte  le  forme  che  non  sono  anomale  nel  più  stretto  senso  :  ma 
perchè  non  contentarsi  di  questa,  e  volere,  a  spiegare  la  formazione 
dei  tempi,  introdurre  tante  diverse  forme  o  temi, e  rinnovare  in  qual- 
che modo  ciò  che  fecero  il  Lennep  e  i  suoi  seguaci,  i  quali  pre lese- 
ro che  ogni  verbo  avesse  nove  forme  diverse,  ridotte  poi  dal 


694  RIVISTA 

Knight  a  sole  otto?  Il  Curtius  medesimo  confessa  nelle  Illustrazioni 
(pag.  6S)  che  V essenziale  nella  teoria  verbale  è  la  unità  di  ogni 
verbo.  Or  vegga  egli  se  il  suo  metodo  giovi  o  no  a  far  meglio  cono- 
scere a  chi  non  sa  il  greco,  ma  vuole  impararlo,  quella  unità.  Ci 
riesce  poi  difficile  l'intendere  perchè  il  medesimo  Autore  (Illustra- 
zioni pag.  64)  dica  come  «  È  a  dolere  che  molte  grammatiche  or- 
dinaric  serbino  tuttora  quel  vano  spcdiente  dei  cataloghi  alfabetici 
dei  verbi  irregolari.  »  Noi  non  troviamo  nulla  a  dolere,  nò  ripulia- 
mo vauo,  ma  utilissimo  il  catalogo  alfabetico.  Quando  si  siano  pre- 
messe quelle  osservazioni,  che  la  scienza  richiede  intorno  alle  varie 
specie  e  cagioni  delle  anomalie  nei  verbi,  il  catalogo  alfabetico 
avrà,  non  fosse  altro,  questa  grande  utilità  per  chi  studia,  che  facil- 
mente e  subito  potrà  vedere  a  quale  tema  si  riporti  una  data  forma. 
Rechiamo  un  esempio  :  se  uno  scolare  s'incontra  nelle  forme  IO-.^sv, 
exiiGa,  ècpav,  lO^pov,  ecosa,  Ip£w,  facilmente  scorge  da  quali  temi 
derivino,  e  cercando  nel  catalogo  alfabetico  troverà  subilo  teff  db*, 
xuvéo),  ecc.,  a  quali  si  riferiscono  quelle  forme.  Senza  il, catalogo 
alfabetico  e  con  la  disposizione  del  Curtius,  è  mestieri  che  lo  sco- 
lare riconosca  che  Sto^ò*  ed  gx*m  appartengono  alla  classe  quinta 
[Nasali):  lòpav  ed  i&cpsv,  alla  classe  sesta  (Incoativi),  e  il  pi  imo 
ai  temi  in  a,  il  secondo  ai  temi  in  ok  e%>aa  alla  classe  setlima  (In 
E):  !p£w  alla  classe  ottava  (Mista)',  e  quindi  ricerchi,  svolgendo 
talvolta  inutilmente  ,  molte  pagine  e  percorrendo  quelle  diverse 
classi  e  tutte  le  loro  suddivisioni,  quale  sia  il  tema  di  quelle  va- 
rie forme.  Veramente  ci  pare  di  potere  ripetere  ciò  che  quel  va- 
lentissimo letterato,  che  fu  il  marchese  Cesare  Lucchesini,  scrisse 
discorrendo  appunto  delle  grammatiche  greche  (Opere,  t.  12,* 
pag  95.  Lucca,  tipogr.  Giusti  1833):  «  Per  soverchio  amore  di 
novità  traviano  bruttamente  certi  uomini  quantunque  dotti.  » 

Riguardo  alla  sintassi,  che  abbiamo  detta  oscura  e  in  alcune  pat- 
ti non  bene  ordinata,  tocchiamo  pure  qualche  cosa  riportando  per 
alcune  regole  le  parole  stesse  della  grammatica  1 ,  affinchè  si  abbia 

1  Non  avendo  qui  il  testo  originale  del  Curtius,  re  ilo  le  parole  della  tra- 
duzione del  Demattio,  che  vuol  riputarsi  fedele  essendo  fatta  di  consenso  col- 
V Autore,  e  tele  io  vero  mi  sembra,  per  quanto  la  memoria  ricorda.  1*  origi- 
nale letto  \arii  anni  addietro. 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  695 

anche  un  saggio  della  esattezza  e  proprietà  con  cui  vengono  inter- 
pretate. Lasciamo  stare  che  nei  preliminari  sono  esposte  regole  le 
quali  dovrebbero  aver  luogo  altrove;  come  la  regola  «  Il  predicato 
deve  concordare  col  soggetto;  cioè  il  verbale  in  numero,  il  nominale 
in  numero,  casce,  quando  sia  aggettivo,  anche  in  genere»,  con  tutte 
quelle  osservazioni  che  seguono.  Ma  lasciando  i  preliminari  nel  Capo 
quartodecimo,  numero  e  genere,  la  prima  regola  che  vi  si  espone  è 
che  «  l!  singolare  usato  collettivamente  indica  talvolta  il  plurale: 
è^0r(;  (abiti),  t:a(vOc;  (mattoni).  Alle  volte  a  sostantivi  collettivi  usa- 
li nel  singolare  tiene  dietro  un  predicato  od  un'apposizione  in  plu- 
rale: 'À8r,vacwv  xè  ;:XyjGc;  ctovcoH  *.  t.  X.  »  La  qual  regola  andava  di- 
chiarata con  opportune  distinzioni  tra  inomi  di  persona  e  di  cosa, 
e  tra  il  valore  che  hanno  quei  nomi  in  sé  e  rispetto  alla  maniera  di 
tradurli  nella  lingua  nostra,  a  quello  che  hanno  rispetto  alla  sintas- 
si nella  .concordanza  di  numero:  affinchè  lo  scolare  non  creda  che 
come  può  dirsi  tfc  TÙ&floq  oiòv-cot,  così  possa  scriversi  p.  e.  ècO-fc  eì<;- 
cizz-nz>..  Un'altra  regola  è:  «  Alcune  parole,  specialmente  astratte, 
hanno  un  plurale  nel  greco  ma  non  nell'italiano  I*)  quando  si  riferi- 
scono ad  una  pluralità:  o«  $oi  tòv  prjxópwv  vitae  oraiorum,  la  vita  de- 
gli oratori  :  11°)  quando  si  voglia  esprimere  la  ripetizione  di  una  idea: 
è^Si  al  g%\  \uL-fi\gn  sò-iì/jai  còse  d^Cròouai,  non  mi  aggrada  la  tua  mol- 
ta fortuna,  in  più  eventi.  »  E  a  questa  regola  si  aggiunge  una  nota, 
di  cui  la  prima  parte  è  questa:  «  Spesso  i  poeti  usano  del  plurale 
quando  noi  ci  serviamo  dell'articolo  indeterminato  col  singolare: 
co-/,  av  7'jvatT.nv  ¥pvofe$  vSkd\ì^  àv,  non  vorrei  esser  detto  schiavo 
di  una  donna.  »  Non  fa  mestieri,  crediamo,  di  aggiungere  nulla: 
che  ognuno  di  per  sé  vede,  che  quelle  parole  così  indeterminate, 
così  vaghe,  così  astratte  non  son  proprie  di  chi  dà  regole;  la  nota 
non  ben  si  collega  alla  regola;  ed  è  falso  che  non  si  possa  dire  in 
italiano  le  vite  degli  Oratori,  o  che  eziandio  non  si  possa  scrivere 
non  voglio  essere  schiavo  di  donne,  intendendo  pure  di  una  donna 
sola.  La  terza  regola  dice:  «  Il  neutro  del  plurale  si  accosta  molto, 
pel  significato,  al  singolare:  di  qui  abbiamo  una  spiegazione  a  quel- 
la proprietà  del  greco  di  accordare  il  neutro  del  plurale  col  singola- 
re del  verbo.  »  Confessiamo  che  così  come  è  esposto  il  principio  di 


696  RIVISTA 

questa  regola  non  lo  intendiamo,  e  mollo  meno,  crediamo,  lo  inten- 
derà un  giovine  scolare  e  giudicherà  che  siano  parole  vuole  di  buon 
senso:  come  certo  non  potrà  chiaramente  conoscere  quando  si  pos- 
sa o  si  debba  col  neutro  plurale  costruire  il  verbo  nel  singola- 
re, il  che  si  vuole  insegnare  nelle  due  note  apposte  alla  regola. 
L'ultima  regola  dice:  «  Il  pronome  dimostrativo  si  accorda  spesso 
in  genere  e  numero  col  predicato  a  cui  si  riferisce:  c!kc(  «oiv  av$pe$ 
(questi  sono  uomini).  »  Qui  lo  scolare  dimanderà:  or  non  si  accor- 
da sempre?  e  se  talvolta  discorda,  quando  è  e  come?  Ora  se  noi 
volessimo  cosi  minutamente  esaminare  gli  altri  capi  come  abbia- 
mo per  saggio  adoperato  intorno  a  questo  primo,  certo  abuserem- 
mo della  pazienza  de'  nostri  lettori.  Ma  al  nostro  intento  non  è  ne- 
cessario :  che  da  quello  che  abbiam  detto  si  fa  chiaro  in  qual  mo- 
do proceda  più  o  meno  tutta  la  sintassi  ;  della  quale  inoltre  alcune 
parti  richiederebbero  una  più  distesa  trattazione,  come,  a  cagione 
di  esempio,  il  capo  decimo  ottavo  che  è  dei  pronomi;  il  capo  ven- 
tesimo terzo  intorno  ai  parlicipii;  e  mancano  per  intero  (salvo  per 
avventura  alcune  poche  sparse  qua  e  là)  le  osservazioni  intorno  ad 
alcune  particolari  maniere  di  costruzione,  che  altre  grammatiche 
con  assai  buon  consiglio  hanno  raccolto  insieme  in  un  sol  capo, 
cioè  le  osservazioni  intorno  all'  ellissi,  al  pleonasmo,  all' anacolutia 
o  inconseguenza  che  dir  si  voglia.  Gli  esempii  poi  che  si  danno  a 
dichiarazione  della  regola,  sono  troppo  scarsi,  essendoché  rade 
volte  se  ne  rechi  più  d' uno  per  quelle  regole  che  più  ne  richiede- 
rebbero, ne  sia  indicato  l'autore  e  il  luogo  onde  son  presi,  il  che 
ci  pare  necessario. 

Delle  cose  sin  qui  discorse  ognuno  di  leggieri  può  intendere  che 
la  grammatica  del  Curtius  non  è  da  volersi  introdurre  nelle  scuole, 
ne  consigliarsi  a'  giovani  che  debbono  ancora  prendere  conoscenza 
della  lingua  greca.  Nò,  a  nostro  avviso  (sia  detto  con  buona  pace 
del  eh.  Fumi),  portava  il  pregio  dell'opera  che  egli  si  sottomettes- 
se alla  grave  fatica  di  tradurre  le  Illustrazioni  e  corredarle  delle 
sue  Giunte,  a  promovere  la  propagazione  e  la  esatta  intelligenza  di 
una  tale  grammatica  presso  gli  insegnanti  italiani  di  lettere  classiche 
(Lelt.  di  dedic.  al  Villari).  Non  crediamo  opportuno  che  gì'  inse- 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  697 

gnanti  italiani  si  attengano  al  metodo  della  grammatica  del  Curtius, 
e  al  modo  onde  sono  dettate  le  Illustrazioni,  e,  ci  dispiace  di  dover 
aggiungere,  anche  le  Giunte.  Un  tal  metodo  sarà  buono  forse  per 
le  scuole  di  oltremonti,  ma  non  è  confacevole  all'indole  deli'  ingegno 
italiano,  veramente  e  squisitamente  classico,  che  suole  accoppiare 
la  sodezza  e  profondità  della  dottrina  ad  una  bella  lucidezza  di  ben 
ordinata  esposizione,  né  ama  di  avvolgersi  fra  le  tenebre  o  di  sfu- 
mare tra  le  nubi.  Queste  doti  mancano  alla  grammatica  del  Curtius 
e  al  libro  delle  Illustrazioni  e  delle  Giunte:  e  mancano  sì  per  altre 
ragioni,  e  sì  precipuamente  per  queste  due:  che  vi  è  confusa  la  di- 
sciplina della  grammatica  con  altre  discipline  o  scienze,  e  che  abu- 
sando di  una  filosofia  non  acconcia  all'  uopo  vi  si  vuole  tutto  rifor- 
mare. E  di  vero  alla  pagina  29. a  delle  Illustrazioni  leggiamo:  «  Il 
fine  precipuo  dei  grammatici  debb'  essere  quello  di  rendere  manife- 
sta, quanto  meglio  si  possa,  per  via  di  esempii  caratteristici  la  stra- 
da tenuta  dall'  istoria  di  una  lingua.  »  Ora  egli  è  manifesto  che  se 
si  voglia  prendere  la  parola  grammatica  non  nel  suo  più  ampio  si- 
gnificalo, ma  in  quel  proprio  e  determinato  in  che  si  usa  quando  si 
parla  di  maestri,  di  scuole,  di  libri  di  grammatica,  la  sentenza  del 
Curtius  non  è  vera;  e  non  è  vera,  perchè  confonde  la  scienza  della 
grammatica  propriamente  detta  colla  scienza  della  storia  della  lin- 
gua, dell' etimologia,  della  linguistica,  o  come  che  altri  la  voglia 
chiamare.  Che  poi  il  Curtius  abbia  voluto  tutto  riformare  noli' inse- 
gnamento della  lingua  greca  e  affetti  sempre  di  parlare  in  nome  del- 
la filosofia  e  dell'  alta  scienza,  lo  dice  egli  medesimo  e  lo  ripete  si- 
no al  fastidio;  e  si  par  chiaro  da  quel  pochissimo  che  abbiamo  ri- 
portato, tolto  dalla  sua  grammatica. 

Ma  ci  si  consenta  di  riferire  qui  due  passi,  uno  preso  dalle  Illu- 
strazioni ed  uno  dalle  Giunte,  affinchè  vie  meglio  il  lettore  resti 
persuaso  della  verità  delle  nostre  parole.  Non  li  trascegliamo  con 
isludio;  ma  come  ci  cadono  sott'  occhio  così  li  trascriviamo,  poiché 
tutto  il  libro  ha  una  sola  forma  e  si  presenta  col  medesimo  aspetto. 
Il  §.  147  della  grammatica,  dove  si  danno  le  regole  per  formare  il 
nominativo  dai  temi  in  consonante  dentale  che  appartengono  alla 
seconda  declinazione  principale  (noi  profani  diremmo  alla  terza,  od 


698  rivist.v 

anche  alla  quinta  secondo  i  più  antichi),  e  può  essere  col  sigma  o 
senza,  è  commentilo  da  un'  illustrazione  di  cui  ecco  il  principio: 
«  Le  due  formazioni  del  noni   sing.  riguardano  due  diverse  specie 
di  temi:  il  nom.  sing.  è  sigmaiico  nei  T.  Gutturali  e  Labiali,  nei 
temi  in  ò  e  0  nel  tema  unico  in  a,  àX,  nei  temi  in  vocale  molle  e  in 
dittongo;  è  asigmatico  nei  temi  in  p  e  ?;  è  oscillante  fra  le  due  for- 
mazioni nei  temi  in  x,  vt,  v,  e  nei  temi  in  o.  Dal  che  si  vede  chiara- 
mente che  la  formazione  sigmatica  è  preponderante  e  la  vera  e  pro- 
pria normale;  ed  è  manifesta  la  intenzione  della  lingua  di  designare 
il  nominativo  singolare  coli' aggiunta  di  una  sibilante  al  tema.  Solo 
quando  per  tale  aggiunta  sarebbe  nato  un  troppo  duro  gruppo  fone- 
tico, dovè  quella  intenzione  cedere  a  favore  della  eufonia:  ma  serbò 
un  modo  speciale  di  distinzione  fra  il  nominativo  e  il  tema.  L'allun- 
gamento vocalico  nel  nominativo  asigmatico,  come  fta-rijp  T.  icaxsp, 
Sa(|jio37  T.  Siqiov  provenne  evidentemente  da  questa  tendenza  di  com- 
pensare il  e.  Onde  a  ragione  la  Grammatica  comparata  dà  come 
forme  originarie:  icorcep^;,  3aiy.cv-r,  c^tz-q.  Però  in  una  Gramma- 
tica greca  speciale,  anzi  per  uso  delle  scuole,  dovevasi  accuratamen- 
te distinguere  questa  formazione  dalla  sigmatica,  la  formazione  p.e. 
del  nom.  jcetpufp  T.  *oi|*ev,  da  quella  del  nom.  e!-;  T.b.  Là  dove  la 
giunta  del  e  produceva  difficoltà,  avvennero  due  specie  di  forma- 
zione le  quali  spettano,  a  nostro  avviso,  a  due  periodi  distinti  dello 
sviluppo  linguistico.  Fin  da  un  antichissimo  periodo  della  sua  vita, 
la  lingua  si  mostra  nemica  dei  gruppi  fonetici  r$,  ss,  ts,  ecc.  » 

Riportiamo  finalmente  un  passo  delle  Giunte  con  che  il  Fumi  di- 
chiara e  compie  la  Illustrazione  del  Curtius  ai  g§.  23  i  e  *v«g. 
che  sono  intorno  all'  aumento.  La  Giunta  comincia  con  queste  paro- 
le: «  Il  segno  del  passato  od  aumento  a  in  sanscrito,  £  di  regola  in 
greco,  do\è  in  origine  essere  a,  strumentale  del  T  pronominale  di- 
mostrativo a  -  quello  -  col  senso  per  quel  tempo,  il  latino  iam 
(che  è  locativo  del  T.  Pron.  Relat.  ja),  il  greco  rrort,  il  cui  primo 
elemento  ò  appunto  lo  strimi,  a  mutalo  in  tj.  Sono  forse  suoi  avanzi 
gli  aumenti  di  r,-£sj>.ó-[rr,v,  r-ouvf-;rr(v,  f-;j.sXXsv .  Ma  si  hanno  an- 
che avanzi  del  più  antico  a  in  a-sfleoGe  -  minò  -  citato  d<i  Lsiehio 
nel  Lessico,  in  £topev  -  spellò  -,  a-fcr/^v  -  risuonò  del  dialetto 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  699 

eolico  ricordati  da  Àkrens.  Offriamo,  con  alcune  nostre  congetture, 
i  raffronti  indo-europei  dei  verbi  citati  in  questi  §§.  originariamente 
comincianti  per  consonante,  nell'  ordine  in  cui  sono  nella  Gramma- 
tica. -  èie»-  L'imperfetto  euav,  aoristo  debole  sueqk,  ecc.  accenne- 
rebbero ad  un  R  eomire.jante  per  una  spirante  seguita  da  e;  il  che 
non  sarebbe  contraddetto  dall'omerico  s?iw,  che  innanzi  la  spirante 
avrebbe  avuto  un  s  protetico.  Inoltre  le  forme,  eolica  efc*a©y,  dori- 
ca egflwcv,  che  sono  aoristi  deboli  colli1  desinenze  primitive  (Cfr.  l'ome- 
rico tgsv,  I; e;,  =  iv l-35-v,  r/-jc-;  della  R.  tx.),  indicano  che  la  R. 
dopo  l's  aveva  u  o  F  dov.  p.  Laonde  non  possiamo  ammettere  Ra- 
dici come  re,  e/7 od  so;,  ma  invece  p.  e.  una  radice  jsu  (supposta 
jav  da  /w  -  congiungere  -,  nel  Causativo  col  senso  di  accordare, 
promettere  ecc.)  da  cui  coli' e  proletico  è-js/'-aw,  h-Fy.uy  sìxw, 
senza  l'è,  jsF-iw,  èF-aw  [onde  su-x-so-v,  i^-x-so-v],  èao>,ed  eiwv, 
si'acrx  =  s-jsx-ov  l—jìa— mi,  ecc.  » 

A  questi  tratti  delle  Illustrazioni  e  delle  Giunte  noi  non  faremo 
commenti ,  né  ci  fermeremo  a  considerare  la  verità  e  l'esattezza  di 
ciò  che  in  essi  viene  esposto.  Ma  avuto  riguardo  alla  ragione  per  cui 
li  abbiamo  riferiti,  concludiamo,  che  un  libro  che  così  procede,  ab- 
usando di  una  filosofìa  astrusa  e  nebulosa,  alternando  del  continuo 
i  dovrebbe,  si  può  supporre,  dev'essere  stato,  si  deve  credere  ecc. 
aggirandosi  per  vie  tortuose  ed  intricatissime,  sostituendo  alle  già 
ricevute  ,  parole  e  denominazioni  malagevoli  a  comprendersi  né 
punto  necessarie,  e  per  soprappiù  adoperando  uno  stile  che  ben  si 
può  rassomigliare  ad  una  selva  selvaggia  ed  aspra  e  forte;  un  sif- 
fatto libro,  ripetiamo,  non  è  lavorato  come  vogliono  essere  i  libri 
di  utile  insegnamento;  né  può  gran  fitto  giovare  ad  imparare  la  lin- 
gua greca,  né  è  punto  da  desiderarsi  che  sia  in  uso  nelle  scuole  d'I- 
talia. Portiamo  fiducia  che  questo  nostre  parole  non  verranno  fi  an- 
tese,  come  se  tutto  riprovassimo  nella  Grammatica,  nelle  Illustra- 
zioni e  nelle  Giunte,  o  se  volessimo  rigettare  il  libro  tra  le  ciarpe. 
La  sarebbe  una  stoltezza  che  in  noi  non  cape.  Molte  e  molte  cose 
buone  ed  ottime  sono  in  quel  libro,  e  può  essere  grandemente  utile 
a  chi  se  ne  possa  e  se  ne  sappia  valere,  e  (  lo  affermiamo  con  sin- 
cera verità)  ci  ha  fatto  ammirare  l'ingegno,  la  dottrina  e  l'erudizio- 


700  RIVISTA 

ne,  non  diciamo  del  Curtius  che  già  ci  era  nota,  ma  sì  del  nostro 
italiano  D.r  Fausto  Gherardo  Fumi.  Il  nostro  giudizio,  se  si  vuole, 
è  più  relativo  che  assoluto:  cioè  diciamo,  che  siccome  uno  che  sap- 
pia la  lingua  greca  può  trarre  vantaggio  ed  anche  non  lieve  dalla 
Grammatica  e  dalle  Illustrazioni,  così  non  possono  libri  cosifalli  ri- 
putarsi opportuni  alle  scuole,  chi  non  voglia  pervertire  l'ordine  pro- 
prio de'varii  gradi  nell'insegnamento,  e  pentirsi  di  avere  consumalo 
molto  e  molto  tempo  faticando,  senza  aver  poi  raccolto  il  frutto  ri- 
chiesto. 

Terminiamo  questa  nostra  rivista,  troppo  lunga,  lo  confessiamo, 
rinnovando  le  nostre  congratulazioni  col  eh.  D.r  Fumi  pel  suo  così 
operoso  amore  agli  studii  linguistici,  e  nello  slesso  tempo  manife- 
stando schiettamente  un  nostro  duplice  desiderio.  Il  primo  è ,  che 
ne'suoi  studii  egli  sia  e  si  mostri  un  poco  più  italiano,  e  non  vo- 
glia prendere  a  guida,  se  non  unica,  certo  principale,  come  dà  vista 
di  aver  fatto,  i  letterati  tedeschi,  la  maniera  de'quali  poco  si  accorda 
col  bello  e  chiaro  ingegno  di  chi  è  nato  sotto  il  limpidissimo  cielo 
d'Italia;  nò  creda  che  tutto  quanto  si  scrive  o  si  fa  nella  dotta  Ger- 
mania in  ordine  agli  studii  filologici,  tutto  sia  oro  di  venti  carati  : 
non  ha  bisogno,  gli  diciamo,  che  spesso  è  orpello,  e  tal  volta  borra 
sotto  l'inviluppo  di  rumorose  parole.  Non  abbiamo  a  vile  i  lavori  de- 
gli estranei,  anzi  li  teniamo  in  gran  conto  e  impariamo  pure  da  loro: 
ma  non  ci  piace  che  il  letterato  italiano  si  renda  loro  adoratore  o 
servile  imitatore.  L'altro  desiderio  ancora  più  vivo  e  acceso  si  è  che 
un  sì  bravo  giovine,  qual  è  il  signor  Fumi,  tenga  fermo  che  la  verità 
è  una  sola,  e  che  sillaba  di  Dio  non  si  cancella.  Non  si  lasci  però 
sedurre  dagli  stolti  ed  empii  divisamenti  di  coloro,  che  hanno  meno 
rispetto  alla  parola  di  Dio  che  alla  parola  dell'  uomo,  nò  vogliono 
dar  fede  se  non  a  ciò  che  toccano  e  palpano  colle  loro  mani  e  veg- 
gono coloro  occhi,  e  ben  sovente  pure  a  quelle  vanità  che  alla  loro 
fantasia  paiano  oggetti  veri  e  reali.  Si  addentri  a  suo  piacere  il  si- 
gnor Fumi  ne'pcnetrali  della  scienza  linguistica,  ne  scruti  quanto 
vuole  i  più  reconditi  misteri;  ma  se  non  vuole  smarrire  la  retta  via, 
tenga  l'occhio  fisso  a  quella  viva  stella  che  ò  la  verità  rivelata.  Così 
adoperando  e  ben  discernendo  dalle  realtà  i  fantasmi,  vedrà  con 


DELLA  STAMrA  ITALIANA  701 

quanto  mirabile  armonia  si  accordino  la  religione  e  la  scienza,  e  non 
vorrà  certo  essere  uno  dell'insensato  gregge  di  coloro  che  si  affan- 
nano ed  arrovellano  per  dare  una  mentita  a  Dio,  ma  si  uno  e  trai 
primi  del  bel  numero  di  quelli,  che  studiano  a  far  manifesto  come 
nelle  cose  create  dell'universo  penetri  e  risplenda  «  la  gloria  di  Co- 
lui che  tutto  aiuove.  » 


II. 


Sul  metodo  scientifico,  quesiti  di  Maurizio  Bufalini  ai  savii  ed 
ingenui  cultori  della  medicina,  in  appendice  alle  Istituzioni  di 
analitica  —  Firenze,  Successori  Le  Monnier  1870. 

«  Non  so  veramente  con  quale  animo  potrete  voi,  o  savii  ed  inge- 
nui cultori  della  medicina,  accogliere  questi  Quesiti,  che  io  vi  indi- 
rizzo, occupato  già  dei  pensieri  estremi  della  vita.  Bensì  questo  solo 
presumo  di  sapere,  che,  mentre  l' uomo  sentesi  ornai  disciolto  del 
tutto  dalle  affannose  cure  delle  caduche  cose  terrene ,  non  può  se- 
guire le  sue  più  forti  e  conscienziose  persuasioni.  E  tali  appunto  af- 
fermo essere  quelle  ,  che  non  mi  permettono  di  dividermi  da  voi , 
senza  esortarvi  a  volgere  una  benigna  considerazione  ai  predetti 
miei  Quesiti.  » 

Con  queste  parole  il  chiarissimo  Bufalini  comincia  il  proemio  di 
questa  sua  operetta.  Dalle  quali  chiaramente  si  scorge  che  l' illu- 
stre vegliardo,  benché  sentendosi  presso  al  fine  della  mortale  car- 
riera, tenga  volti  i  pensieri  alla  vita  avvenire;  pure  non  sa  distac- 
carsi dalla  presente,  senza  manifestare  chiaramente  quali  sieno  sta- 
ti i  suoi  convincimenti  in  ciò  che  riguarda  la  scienza,  e  lasciarli  co- 
me in  testamento  a  coloro,  i  quali  gli  sono,  come  a  dire,  stretti  per 
intellellual  parentela. 

Attesa  la  ben  meritata  fama  di  questo  Nestore  della  medicina  in 
Italia ,  crediamo  di  dover  anche  noi  dire  alcuna  cosa  in  questo  no- 
stro periodico  dei  sensi,  espressi  da  lui  nella  presente  operetta: 
non  già  seguendo  ciascuno  dei  379  quesiti,  di  cui  essa  è  composta 
(il  che  ci  allungherebbe  di  troppo),  ma  sol  rilevando  il  pensiero 


702  RIVISTA 

principale  che  domina  nei  medesimi.  Un  tal  pensiero  sembra  che 
si  riduce  a  queslo:  il  Bufalini  si  dichiara  seguace  e  approvatole  del 
metodo  puramente  sperimentale,  ma  pensa  che  esso  è  valevole  a 
dimostrare  la  spiritualità  dell'  anima  umana  e  l' esistenza  di  Dio:  se- 
parandosi così  del  tutto  dagli  antichi  e  moderni  materialisti,  e  dagli 
scettici  e  dai  panteisti  e  dai  fautori  dell*  empirismo  ateo.  A  chiarir 
ciò  noi  non  abbiamo  a  far  altro  che  riportare  alcuni  lesti  del- 
l' Autore. 

Quanto  al  primo  capo,  egli  si  esprime  in  maniera  indubitabile, 
sì  in  moltissimi  de'  suoi  quesiti,  e  sì  tìn  dal  principio  nel  suo  proe- 
mio. In  questo  disconoscendo  V  oggettività  dei  principii  razionali  e 
riputandoli  meramente  soggettivi,  rigetta  perfino  l' induzione  del 
positivista  Stuart  Mill  ;  intorno  alla  quale  parla  così  :  «  Certamente 
da  un  oggetto  esistente  non  potremmo  mai  indurre  o  argomentare 
l'esistenza  di  un  altro:  metalli  molti  si  conoscevano  da  lungo  tem- 
po; non  per  questo  avemmo  cognizione  del  platino,  finché  non  ci 
venne  discoperto.  Fatti  insieme  collegati  sono  quelli  soli  degli  effetti 
e  delle  loro  proprie  cagioni;  ma  questa  collegazione  medesima,  se 
non  è  da  noi  osservata,  non  è  nemmeno  conosciuta,  e  quando  dopo 
di  averla  appresa  per  osservazione,  dall'esistenza  dell'effetto  argo- 
mentiamo quella  della  cagione,  e  viceversa;  non  formiamo  punto 
un'  induzione,  non  deriviamo  cioè  dalla  cognizione  dell' effetto  quella 
dell'incognita  sua  cagione,  e  viceversa,  ma  affermiamo  sollanto  che 
l'effetto  accenna  a  quella  cagione,  colla  quale  già  lo  abbiamo  os- 
servato collegato.  Senza  dubbio  induzione  o  argomentazione  dì  un 
altro  fallo  ignoto  da  un  altro  fatto  noto  non  è  mai  possibile:  sicché 
l'induzione,  ammessa  da  Stuart  Mill,  ci  è  forza  di  considerai  hi  im- 
possibile 1.  »  Lo  stesso  in  altra  guisa  ripete  più  volte  ne'  suoi 
quesiti.  Coleste  parole  suonano  il  più  rigoroso  positivismo  o  empi- 
rismo assoluto.  Laonde  parrebbe  che  chi  le  pronunzia  si  chiuda  da 
sé  slesso  la  via  a  conoscere  la  spiritualità  dell'  anima  umana  e  l'esi- 
stenza di  Dio.  Imperocché  come  potrebbe  egli  giungere  a  scoprirò 
l'esistenza  in  noi  d'  un  principio  immateriale,  che  certamente  non 

1  Pag.  12. 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  703 

percepisce  per  immediata  esperienza?  Inferendolo  (tagli  effetti,  che 
a  noi  ne  manifesta  la  coscienza.  Dunque,  deducendo  dal  noto  Y  igno- 
to, collegato  con  esso  qual  causa.  Lo  stesso  dicasi  delia  conoscenza 
di  Dio.  Il  Bufai  ini  certamente  non  ha  la  diretta  e  immediata  visione 
di  Dio;  privilegio  dei  soli  ontologi.  Dunque  egli  deduce  Y  esistenza 
di  Dio  dall'  esistenza  e  dall'  ordine  dell'  universo,  in  virtù  del  prin- 
cipio di  causalità.  Dunque  procede  dal  noto  all'ignoto,  e  il  princi- 
pio di  causalità  ha  valore  obbiettivo.  Dunque  la  sua  teorica,  dianzi 
espressa,  è  falsa;  se  vuol  tenersi  ad  essa  deve  rinunziare  alla  cogni- 
zione di  Dio  e  dell'  anima  spirituale. 

Ma  il  buon  senso  dell'  Autore  non  gli  permette  di  appigliarsi  a 
questa  seconda  parte  del  dilemma.  Egli  ammette  amendue  quelle 
verilà:  anzi  pensa  che  esse  si  conciliano  ottimamente  col  suo  me- 
todo sperimentale,  infatti  nell'  epilogo  che  fa  dei  suoi  quesiti  intor- 
no alle  medesime,  dice  così  :  «  Errore  il  credere  non  atta  la  scienza 
empirica  ad  elevarsi  alla  cognizione  della  spirituale  Datura  dell'ente 
che  in  noi  pensa,  ragiona  e  vuole,  e  della  esistenza  di  Dio  ordinatore 
dell' universo:  prove  incontrovertibili  dell'una  e  dell'altra  di  queste 
verità;  supposizioni  erronee  degl'idealisti,  degli  scettici,  dei  pantei- 
sti e  dei  fautori  del  dualismo  empirico:  materia  incile,  e  forza  1.  » 

Ma  come  prova  cotesto  assunto?  Ragionando  dal  noto  all'ignoto, 
in  virtù  di  principii  razionali;  cioè  facendo  il  contrario  di  ciò,  che 
aveva  insegnato  nella  sua  teoria  logica?  E  vaglia  il  vero,  quanto 
alla  spiritualità  dell'anima,  ecco  come  invita  ad  ammetterla,  co'suoi 
quesiti:  «  Non  dovremmo  anzi  cercare  se  gli  attributi  dell' intelli- 
genza manifestino  alcuna  ripugnanza  con  quelli  del  subbietto  da  noi 
denominato  corpo  o  materia?  E  questa  ripugnanza  non  sarebbe  ella 
slata  già  riconosciuta  nel  ravvisare  noi  unità  negli  attributi  del  pen- 
siero, ed  invece  il  molteplice,  l'esteso  ed  il  divisibile  in  quelli  della 
materia?  11  giudizio  non  sarebbe  già  stato  addotto  come  prova  evi- 
de, le  della  prefata  unità?  11  confronto  di  due  idee  ed  il  giudizio  ri- 
cavatone non  si  stimarono  eglino  attributi  del  pensiero,  assoluta- 
mente ripugnanti  coli'  impenetrabilità,  l' estensione  e  la  divisibilità 


1  Pag.  101 


704  RIVISTA 

della  materia  e  le  prerogative  del  moto?....  Questa  sola  considera- 
zione non  sarebbe  dunque  bastevole  a  provare  che  il  subbicllo  del 
pensiero  e  dell'intelligenza  dell'uomo  non  può  essere  materia,  cioè 
gode  di  attributi  assolutamente  ripugnanti  con  quelli  della  mate- 
ria? E  non  sentiamo  noi  forse  che  la  potenza  incommensurabile  del 
pensiero,  che  si  crea,  si  varia  e  si  diffonde  senza  limite  di  luoghi  e 
di  tempo,  è  qualche  cosa  non  possibile  a  circoscriversi  nella  finita 
stabilità  degli  esseri  della  materia  1  ?  » 

Ottimamente;  ma  questo,  ognuno  il  vede,  è  un  sillogizzare  dal  nolo 
all'ignoto.  Imperocché  di  che  si  tratta?  Di  sapere  se  oltre  il  corpo, 
sia  in  noi  qualche  altra  cosa,  cioè  un  principio  immateriale.  Siffatto 
punto  è  un  ignoto,  intorno  al  quale  si  disputa  coi  materialisti.  Ora 
per  accertarlo,  che  fa  il  Bufalini?  Ricorre  ad  un  noto;  cioè  agli  attri- 
buti del  pensiero,  manifestatici  dalla  coscienza ,  e  ripugnanti  cogli 
attributi  della  materia.  Dunque  induce,  o,  meglio,  deduce  dal  noto 
l'ignoto,  contro  i  precetti  logici,  da  lui  stabiliti. 

Più  evidente  è  ciò  nella  dimostrazione  che  fa  per  l' esistenza  di 
Dio.  Dio  certamente  non  è  oggetto  d'  esperienza:  Beum  nemo  vidit 
iiìiquam.  Dunque  rispetto  ad  essa  è  per  noi  un  ignoto.  Che  fa  il  Bu- 
falini per  rendercelo  noto  ?  Ci  trasporta  a  considerare  l'ordine  del- 
l'universo,  e  in  ispecie  l'economia  dei  viventi.  «  Non  si  disse  egli 
essere  manifesto  nell'ordine  dell'universo  un  mirabile  costante  colle- 
gamento di  cause  ed  effetti,  sicché  si  vegga  non  possibile  l'esisten- 
za d'  un  effetto,  senza  quella  d' una  propria  cagione  ;  e  quindi  sa- 
lendo dall'  una  all'  altra,  non  si  giungerebbe  fino  a  dover  credere 
o  eterno  l'universo,  o  invece  originato  da  una  cagione  non  confusa 
con  esso?  Ma  le  grandi  meraviglie  dell'  ordine  dell'  universo  po- 
tremmo noi  credere  effetto  soltanto  delle  cieche  forze  della  mate- 
ria? Che  dire  dovremmo  della  tanto  celebrala  corrispondenza  dei 
mezzi  ai  fini?  I  fini  non  sarebbero  eglino  che  gli  effetti  neces- 
sarii  delle  naturali  cagioni ,  anziché  effetti  voluti  per  un  antipen- 
sato scopo? L'  economia  dei  viventi  non  offrirebbe  por  a\  - 

ventura  ben  soventi  volte  il  fallo  innegabile  di  effetti  coordinati 


1  Pag.  63  e  6G 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  105 

con  uno  scopo  evidentemente  anti pensato,  quali  sono  tutti  quelli  che 
senza  alcuna  reciproca  relazione  possibile  e  senza  provenienza  loro 
possibile  da  una  comune  cagione,  manifestano  tuttavia  di  operare 
insieme  ad  uno  stesso  evidente  scopo?  Ai  pochi  esempii  di  questa 
materia,  da  me  già  accennati,  non  se  ne  potrebbero  eglino  aggiun- 
gere altri  molti,  ed  in  tale  guisa  non  si  giungerebbe  egli  col  mezzo 
della  scienza  empirica  a  dimostrare  la  realtà  ùeW'Ente  assoluto,  eter- 
no, infinito,  onnisciente,  onnipotente,  perfettissimo  1?»  Qui  evi- 
dentemente l'Autore  ragiona  in  questa  forma:  La  costante  e  perpe- 
tua osservazione  ci  mostra  la  dipendenza  di  effetti  dalle  proprie  ca- 
gioni, e  di  queste  da  altre.  Dunque  noi  dobbiamo  giungere  ad  una 
cagione  ultima.  Questa  o  è  fuori  del  mondo  o  è  il  mondo  stesso.  Ma 
la  seconda  parte  della  fatta  alternativa  non  può  ammettersi;  giacché 
l'ordine  portentoso,  che  ammiriamo  nel  mondo  e  specialmente  ne' vi- 
venti, non  può  essere  effetto  del  caso  e  delle  cieche  forze  della  ma- 
teria. Dunque  bisogna  ammettere  la  prima  parte  di  essa  alternativa, 
cioè  1'  esistenza  di  un  ente,  distinto  dal  mondo,  e  da  sé  esistente,  il 
quale  come  causa  effettiva  del  mondo  e  del  suo  stupendo  ordine, 
con\ien  che  sia  onnipotente  e  dotata  di  perfettissima  intelligenza. 
Siffatto  ente  è  Dio.  Or  non  è  questo  un  dedurre  Y  ignoto  dal  noto  ? 
Una  realtà,  ossia  un  fatto  nascoso  ai  sensi,  da  un  altro  fatto,  ai  sen- 
si palese? 

Di  qui  apparisce  altresì  la  falsità  di  ciò  che  l'Autore  sostiene  con- 
tro l'efficacia  del  sillogismo.  «  lo  avevo,  egli  dice,  già  mostrato  nella 
parte  prima  dei  Prolegomeni,  ed  ho  ripetuto  nella  nota  sopracci- 
tata, che  il  sollogismo  non  discopre  veramente  alcuna  nuova  cogni- 
zione; perchè  la  conclusione,  che  si  crede  enunciare  una  tale  cogni- 
zione, non  ripete  per  riguardo  ad  un  particolare  subbietto  che  quella 
medesima,  inchiusa  nella  premessa  maggiore  relativamente  a  tutti  i 
subbietti  dello  stesso  genere  2.  »  Senonchè  questa  ragione  tanto  è 
lungi  che  potesse  autorizzare  il  Bufalini  a  conchiudere  che  il  siilo- 


1  Pag.  67  e  68. 

2  Pag  12. 

Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  492.  45  9  Settembre  1870. 


706  RIVISTA 

gismo  nientissimo  afferma  di  più  di  quanto  f/ià  conosciamo  1  ;  che 
anzi  dovea  condurlo  alla  conclusione  contralia.  Imperocché  lo  sco- 
prire che  un  dato  subbietlo  per  appartenere  allo  stesso  genere  di 
cose,  al  quale  compete  tale  o  tale  attributo,  deve  andare  adorno  del 
medesimo,  è  cei lamento  una  nuova  conoscenza. 

E  così  vediamo  che  S.  Tommaso,  il  quale  assai  meglio  s' inten- 
deva di  Logica,  dall'applicazione  di  verità  generali  a  subbielli  par- 
ticolari ripeteva  lo  scoprimento  di  nuove  verità.  «  11  procedimento 
della  ragione  egli  dice,  allorché  viene  alla  conoscenza  dell'  ignoto 
per  via  d'invenzione,  consiste  Dell'applicare  principi!  universali  a 
subbielli  particolari,  e  quindi  trarre  alcune  particolari  illazioni,  e 
da  queste  dedurne  altre.  Processus  rationis  provenienti*  ad  cogui- 
tionem  ignoti  in  inveniendo,  est  ut  principia  communia  applicet  ad 
determinaias  materias,  et  inde  procedat  in  aliquas  peculiares  con- 
chsiones  et  ex  his  in  alias  2.  »  11  Bufalini  in  quel  suo  discorso  è  si- 
mile a  chi  dicesse,  essere  inutile  1'  applicazion  della  luce  ad  un 
corpo  per  farci  scoprire  di  che  colore  esso  sia,  perchè  la  luce  già 
contiene  in  sé  stessa  tutti  i  colori  speciali.  La  illazione  del  sillogis- 
mo è  inchiusa  nella  promessa  maggiore,  ma  vi  è  inchiusa  in  modo 
astratto.  Or  la  conoscenza,  che  si  cerca,  riguarda  quella  illazione 
in  concreto,  in  quanto  cioè  si  riferisce  a  tale  o  tal  subbielto;  e  que- 
sta conoscenza  si  consegue  per  l'applicazione  di  quella  promessa  al 
detto  subbietto,  il  che  si  fa  col  sillogismo.  Spieghiamo  la  cosa  per 
via  di  esempii.  Nel  principio  generale  :  Ogni  effetto  suppone  la  cau- 
sa, è  inchiusa  l'illazione  che  il  mondo  ha  una  causa  da  sé  distinta; 
ma  vi  è  inchiusa  in  modo  implicito  e  Virtuale,  non  già  esplicito  e 
formale.  Difatti  gli  atei  ammettono  quel  principio,  e  nondimei 
gano  Dio.  Acciocché  io  peneiìg  ;;i  avere  tal  conoscenza  esplici- 
ta e  formale,  convien  che  io  applichi  quel  principio  generale  al  inon- 
do, soggiungendo:  ma  il  inondo  è  effetto,  secondo  che  mi  Manife- 
stano i  suoi  caratteri;  dunque  ha  una  causa;  e  poscia  ragionando 
sopra  i  caratteri  che  deve  avere  siffatta  causa,   giungo  a  con* 


2  Qq.  Disp.  (juaeslio  de  Magistro,  a.  1. 


DELLA  STAMPA  ITALIANA  fiOi 

che  essa  è  Dio.  Del  pari,  quando  io  pronunzio  che  ninna  cosa  può 
dare  ciò  che  non  ha,  io  affermo  implicitamente  che  l'ordine  non 
può  procedere  dal  caso;  ma  non  ho  tal  cognizione  esplicita  ed  in 
sé  stessa,  se  non  quando  soggiungo  :  ora  il  caso  non  contiene  l'or- 
dine, essendo  anzi  negazione  dell'ordine;  dunque  ecc. 

L'errore  del  sig.  Bufalini  in  questa  parte  procede  dalle  false  nozio- 
ni, che  egli  ha  intorno  alla  natura  dei  concetti  universali.  Intorno 
a  tal  punto  egli  segue  la  dottrina  dei  Lockiani  e  dei  Condillachiani; 
giacché,  come  apparisce  da  tutto  il  contesto  della  sua  operetta,  egli 
crede  che  il  concetto  universale  sia  composto  e  risulti  dall'unione 
dei  particolari,  confondendolo  col  collettivo.  Dove  ciò  fosse  vero, 
egli  avrebbe  ragione,  giacché  l' idea  collettiva  contiene  formalmente 
ed  esplicitamente  tutti  i  particolari,  da  cui  risulta.  Ma  tale  non  è 
l' idea  universale,  che  formasi  anzi  per  astrazione  e  non  per  aduna- 
rnento  dei  particolari.  Cosi  l'idea  di  uomo  ex.  gr.  non  mi  rappre- 
senta Pietro,  Antonio,  Francesco  e  va  dicendo;  ma  mi  rappresenta 
la  quiddità  di  uomo,  cioè  di  animai  ragionevole,  prescindendo  dai 
peculiari  soggetti,  in  cui  essa  si  personifica  e  si  rende  concreta. 
Essa  esibisce  la  natura  umana  in  astratto  e  riguardata  da  sé.  Onde 
allorché  nei  giudizii,  che  intorno  ad  essa  si  formano,  si  enunziano 
di  lei  dati  attributi  ;  siffatti  attributi  non  si  ravvisano  appartenere  ai 
singoli  subbietti,  se  non  in  quanto  in  essi  si  scorga  rilucere  quel- 
l' idea;  e  ciò  si  scorge  in  virtù  del  sillogismo. 

Conchiudiamo,  il  chiarissimo  Bufalini  qui  si  è  trovato  in  opposi- 
zione con  sé  medesimo,  perchè  nel  seguire  gì'  impulsi  del  suo  buon 
senso  in  ordine  a  Dio  e  all'anima  umana,  ha  voluto  tenersi  fermo 
alla  falsa  Logica  degl'  empiristi,  da  lui  appresa  nell'età  giovanile. 


BIBLIOGRAFIA 


ANONIMO  —  Amore  e  riparazione.  Raccolta  di  pensieri  ed  affetti  desunti  dal 
Vangelo  e  dai  libri  dei  SS.  Padri,  per  servire  di  preghiera  e  di  consolazio- 
ne agli  amici  del  sacro  Cuore  di  Gesù;  per  cura  di*  ..  Milano,  tip.  di  Gia- 
como Agnelli,  via  S.  Margherita  num.  2,  1870.  Un  voi.  in  \b.°  picc.  di 
pag.  317. 


Può  dirsi  un  picciolo  Manuale,  ma  assai  ben 
fatto,  pei  dipoli  del  S.  Cuore;  perche  dà  le  no- 
tizie più  precise  intorno  all'origine  e>l  alla  na- 
tura di  questo  cullo,  ne  espone  i  misteri,  ne  con- 


siglia la  pratica,  e  suggerisce  le  meditazioni,  le 
forinole  di  preghiere,  gli  esercizii  di  pula,  le  Ta- 
ne orazioni  che  si  possono  fare  in  onore  del 
S.  Cuore. 


—sì  Annotazioni  alle  leggi  criminali  per  V  isola  di  Malta  e  sue  dipendenze,  da 
servire  di  guida  al  giurato  :  per  cura  d'un  giovane  avvocato  maltese.  Jfof- 
ta,  tipo-litografia  anglo-maltese,  1870.  Un  voi.  in  8  °  di. pag.  308. 


Fin  dal  Marzo  183't  fa  introdotta  in  Malta  la 
giudicatura  per  mezzo  di  nn  Giuri  che  siede  in- 
sidile colla  Corte  criminale  di  Sua  Maesià,  per 
qualsivoglia  renio  punibile  secondo  la  legge,  ec- 
cetto alcuni  pochi  ris  rvatt  alla  sola  Corte  della 
Polizia   giudiziaria.    Per    agevolare    ai    giurali 

—  I  trattenimenti  delle  famiglie  cattol 
ed  illustrate  da  cento  fatti  storici 
capi  di  casa,  da  un  sacerdote  della 
Imm.  Concezione  1869  Un  voi.  in 

Insegnare  per  ria  di  discorso  è  via  lunga  e 
difficile:  insegnare  per  via  di  esempii  è  molto  p  u 
breve  e  più  agevole,  soprattutto  pel  popolo. 
L'autore  di  questo  buon  libro  s'è  proposto  ap- 
punto di  condurre  per  qu  sta  strada  i  suoi  Jet— 


l'adempimento  del  loro  ufficio,  il  eh.  autori  di 
queste  Annotazioni  puhblica  il  testo  della  leggi 
criminali  vigenti  nell'isola  di  Malta,  e  ciascun 
articolo  commenta,  spiega,  od  annota  con  molto 
prudenti  osservazioni,  siano  storiche,  siano  giu- 
ridiche.    • 

iché,  ossia  le  virtù  cristiane  confermate 
.  Operetta  raccomandata  al  clero  ed  ai 
diocesi  di  Modena.  Modena,  tip.  della 
16.°  picc.  di  pag.  372. 

tori.  Esso  parla  delle  virtù  teologali,  cardinali  e 
morali,  e  per  ciascuna  dà  brevemente  una  suf- 
ficiente contezza  siorica,  reca  fatti  cavati  dalla 
stona.  Un  tal  libro  e  molto  appropriato  per  la 
lettura  delle  famiglie. 


■—  San  Giuseppe  patrono  della  Chiesa  universale,  proposto  alla  considerazione 
dei  Padri  del  Concilio  Vaticano,  da  una  società  di  sacerdoti  secolari  e  re- 
golari. Considerazioni  teologico  critiche.  Yerona  1870,  tip,  vescovile  di 
san  Giuseppe.  Un  voi.  in  8  °  di  pag.  072. 

Una  scelta  mano  di  degnissimi  ecclesiastici  si  conoscere,  pregiare,  invocare  il  glorioso  Palriar- 

è  costituita  in  Verona  in  Società  promolrice  del  ca.  Il  primo  mieniimenlo  fu  già  messi»  In  opera 

cullo  di  S.  Giuseppe.  E»*h  proponevi    di  colise-  dalla  p-a  Società:  poiché  una  Lettera    circolare 

gu're   dal    Connlio    E.-umenico  Vaticano   la   di-  «  tutti  i  devol  i  di  8.  Qtutlff*  *pnrsi  nel  mondo 

esarazione  solenne   del   S.nto   a   Patrono  della  cattolico  per  invitarli  a  porger.-  sucplidie  al  Con- 

Chies*  universale,  e  di  stampar  libri  atti  a  far  cilto  ottenne  l'universale  approvmioue,  e  da  qua- 


BIBLIOGRAFIA  709 

si  lutle  le  diocesi  giunsero  in  Roma  petizioni  cai-  parti  esporranno  la  maniera  pratica  di  ossequiarlo, 

dissime,  sottoscritte  da    migliaia  e  migliaia  di  e  i   benefizi!   fatti   da    Dio   per  intercessione  del 

fedeli.  Ora  esce  alla    luce    il    primo   volume   di  Santo  ai  varii  ordini  del   cristianesimo.  L'opera 

un'Opera  grave  assai  e  dotta  che  conterrà  quat-  è  scritta  da  penna  dotta  ed  erudita:  ha  concetti 

tro  pani.  Le  due  prime,  racchiuse  in  questo  vo-  nuovi  anche  per  chi  è  abitualo  a    leggere  libri 

lume,  son  destinate  a  far  comprendere  il  disegno  in  onore  di  s.  Giuseppe:   ed  e   lavoro  commen- 

che  questa  pia  Società  si   è   proposto,  e  i  titoli  dabile  ugualmente  per  la  pietà  che  ispira,  come 

che  ha  S.  Giuseppe  ad  essere  proclamalo  Protei-  per  la  istruzione  che  coltiva, 
tore  massimo  del  popolo  cristiano.  Le  altre  due 

BARBIER  —  I  tesori  di  Cornelio  Àlapide,  tratti  dai  suoi  commentarli  sulla  sa- 
cra Scrittura  dall'ab.  Barbier,  per  uso  dei  predicatori  e  delle  famiglie  cri- 
sliane.  Prima  versione  italiana  dal  francese,  del  sacerdote  Francesco  Maria 
Faber.  Voi.  VII.  Parma,  Pietro  Fiaccadori  1870.  Un  voi.  in  16.°  di  pa- 
gine 006. 

BELLARMINO  CARD.  ROBERTO  —  De  gemitu  columbae,  sive  de  dono  lacryma- 
rum;  libri  tres  auctore  Roberto  Card.  Bellarmino,  e  Socletate  lesu.  Ferra- 
rtele, ex  typis  Dominici  Taddei  1869.  Un  voi.  in  32."  dipag.  403.  Prezzo 
lire  %  25. 

BIANCHETTI  LIVIA  —  I  doveri  della  donna  cattolica,  per  Livia  Bianchetti  di 
Livorno,  seconda  edizione  corretta.  Pisa,  tip.  di  Letture  cattoliche  dir. 
da  Gio.  Alisi  1870.  Un  voi.  in  \§.°picc.  di  pag.  XVS-253. 

Ci  rons  la  moltissimo  il  vedere  novamenle  ri-  auguriamo  che  possa  venire  nelle  mani  di  quante 
prodotto  per  le  stampe  quest'ottimo  libro  della  donne  sono  in  Italia  più  coite  e  istruite,  affin- 
ch.  Big."  Bian.-h  tti.  Esso  co1 1' affetto,  colla  viva-  che  apprendano  con  prolìllo  dalla  bocca  di  uua 
ci'à,  colla  semplicità  propria  dei  libri  scritti  da  loro  amica  quelle  grandi  verità,  che  udite  da  ai- 
donne,  tratta  dei  doveri  della  donna  cattolica,  e  tra  bocca  potrebbero  parer  loro  per  io  meno  so- 
ne  tratta  con  sapienza  e  discrezione   grande.  Ci  spelte. 

BORGO  CARLO  —  Novena  in  apparecchio  alla  festa  del  sacro  Cuore  di  Gesù, 
proposta  dal  P  Carlo  Borgo  d.  C.  d.  G.  XV  edizione  riveduta.  Modena, 
tip.  dell' Imm.  Concezione  1870.  Un  volumetto  in  32.c  dipag.  135. 

BUSCaRJNI  GIUSEPPE  —  Dialoghi  politico-filosofici  ai  bagni  di  Tabiano,  per 
monsig.  Giuseppe  Buscarmi,  professore  di  filosofìa  i  azionale,  ecc.  ecc.  Bo. 
logna,  tip.  M areggiani  all'insegna  di  Dante,  via  Malcontenti  num.  1797, 
Un  volumetto  in  16.°  di  pag.  185'. 

Chi  non  si  lagna  dei  mali  onde  geme  ora  op-  pria  del  conversare  e  colla  profondità  di  chi  ha 
pressa  la  nostra  Italia?  Su  questo  punto  sono  tutti  mente  molto  comprensiva,  e  foni  studii  di  fllo- 
d' accordo:  ma  dove  gl'italiani  si  separano  si  è  sofia  razionale  e  sociale,  discute  queste  grandi 
neil'  indicarne  le  cagioni  vere,  e  nel  l'assegnarne  i  questioni,  e  ne  propone  le  pm  vere  e  sapienti 
rimedii.  Se  vuoisi  una  guida,  fedele  che  indichi  le  soluzioni:  I  dialoghi  sono  tre:  La  tirannide,  sua 
une  e  gli  altri,  leggansi  con  uMucia  questi  Dia-  vera  cagione  e  rimedio:  -  La  presente  società  li- 
Ioghi  di  Mons.  Buscariui.  Esso  coli' amenità  prò-  beralesca.-  Le  false  opinioni  salta  obbligazione. 

CATALD1  AUGUSTO  —  Augusti  Cataldi,  sacri  consistorii  advocati,  dissertatio  ad 
legem  secundam  codicis  de  veteris  numismatis  potestate,  hb.  XI,  tit.  X. 
Romae,  ex  typographia  Mugnoz  1809.  In  4.°  di  pag.  51. 

La  dissertazione  del  eh.  giureconsulto,  avv.  Ca-  momento  del  pagamento,  ovvero  se  debban  farsi 

taldi,  può  dirsi  un  compendioso  trattato  intorno  secondo  il  valore  antico,  che  correva  nel  momento 

alla  origine,  al  corso,  all'uso  legale  della  mo-  del  contratto.  Quei  giure. onsulli  che  stimano  tutto 

neta.  E^so  tratta  direttamente  la  questione  giù-  il  valore  delia  moneta  derivare  dal  valore  intrin- 

ridica,  se  lo  svilimento  in'er venuto  per  fatto  del-  seco  del  a  sua  materia,  senza  nessun  rapporto  alle 

1* autorità   legittima  nella  moneta  produca  l'ef-  prescrizioni  delle  leggi  civili,  si   attengono  alla 

fetto  che  i  pagamenti  contrattati  prima  della  legge  seconda  opin  one.  Ma  l'autore  dimostra  che  essa 

debban  farsi  secondo  il  valore  nuovo,  corrente  nel  non  può  sostenersi  :  perche  non  si  può  prescin- 


710 


EIBLIOGIIAFIÀ 


dere  dalle  norme  sibilile    dalla   legge,   sebben  ridiche  intorno  agli  altri   punti   che  riferii 

questa  sia  imprudente  e  dannosa.  Questo  è  il  pun-  alla  mollata.  B  una  dotta  dissertazione,  ele;.'ante- 

to  che  largamente,  svolge  l'autori-:    ma  vi  ag-  meo  te  scritta  in    tingila    Ialina,   o    che  onora  la 

gruppa  intorno,  sebben  quasi  di  p*ssagmo,  M  P*n  Bcleosa  e  la  letteratura  insieme  del  foro  romano, 
notevoli  i:0' .uni  e  notizie  sia  economiche,  sia  giù- 


CENTURIONE  G.  B.  —  Nuova  Filotea,  o 
che  contiene  l'ufficio  di  M.  V.  e  d^i 
le  principali  novene;  molte  laudi  sa? 
turione  d.  C.  d.  G.  Torino,  Pietro 
Un  voi.  in  16.'  piccolissimo  di  pag 

li  eh.  autore  di  questo  nuovo  Mannaie  di  pietà 
dichiara  di  aver  tolto  da  altri  libri,  e  special- 
mente  dal  P.  Pinelli,  dal  P.  Le  Clerc  e  dal  sac. 
Riva,  la  principiti  materia  che  vi  e  riunita  II  suo 
merito  è  tulio  dunque  nella  scelta  e  nclt'ordina- 
mento.  E  >n  questo  è  veramente  da  pregiare.  Poi 
che  nella  prima  parie  trovatisi  le  preghiere  e  le 
pratiche  di  pietà,  usate  dai  fedeli  nella  lor  vita, 
dìrem  co-ì,  d'Ogni  giorno,  inclusivi  i  vani  uflMi 
che  si  cantano  d;i!le  Congregazioni  o  Confrater- 
nite. Seguono  le  meditazioni  per  ogni  giorno  del 
mese  sulla  Passione  di  N.  S.  G.  C.  e  sulla  SSrna 


florilegio  di  preghiere  e  di  meditazioni 
morti;  tre  sene  di  trenta  meditazioni; 
re,  ecc.  ecc.;  comp  lato  da  G.  B.  Cen- 
di  G.  Marietti,  tip.  pontificio  1870. 
.  XV1-702. 

Eucaristia,  altre  trentuna  meditazione  sulla  vita 
di  Maria  SSma;  ed  altre  trentuna  sulle  massime  e 
sulle  verità  p<u  importanti.  Quindi  soli  i>o-te 
quarantasei  Novene  in  apparecchio  alle  princi- 
pali feste  dell' aiiiio:  un  regolamento  di  vita  cri- 
stiana, ed  una  bella  Raccolta  assai  copiosa  di 
laudi  e  canzoncine  sacre  ordinatamente  disposta. 
Ognun  vede  die  questo  libro  solo  s<  us.i  un'  in- 
tiera biblioteca  ascetica:  e  come  ogni  cesa  è  lecita 
tra  le  rrngl  ori  dello  s  esso  genere,  Denteateti  an- 
cora gli  spiriti  più  difficili  e  schifiltosi. 


—  Quattro  decadi  di  panegirici  sacri,  compasti  da  G.  B.  Centurione  d.  C.  d.  G. 
Torino,  tip.  di  Pietro  di  G.  Marietti  1870.  Un  voi.  in  16.°  di  pa<j.  486. 


I  quaranta  panegirici  del  eh. P  Centurione  sono 
mo'to  pregevoli  per  alcune  qualità  loro  proprie,  e 
che  non  è  frequente  l'incontrare  nei  moderni  sa- 
cri Oratori.  In  primo  luogo  essi  più  che  a  un 
concettino  o  ardito  o  nuovo  mirano  a  dar  l'idea 
vera  e  sostanziale  del  mistero  o  del  Santo  che 
celebrano.  In  se  ondo  luogo  sono  brevi,  non  af- 
faticando con  inutili  lungaggini  l'uliioie.  In  ter- 
zo luogo  sono  svolli  cou  quella  naturalezza  che 


è  frutto  di  molla  meditazione  e  di  m..ito  slu  Ho, 
e  che  Unto  agevola  l' intelligenza  di  chi  aM-olia. 
In  quarto  luogo  sono  scritti  in  molto  buona  e 
corretta  favella  italiana.  Final  nenie  non  sono  mai 
scompagnali  da  quelle  appliea'ioni  murali  chi 
giovanu  all' emendazione  dei  costumi  e  ulta  pra- 
tica della  pietà.  Per  questi  titoli  li  r.iecomandia- 
mo  come  utili  esemplari  soprattutto  al  govine 
Clero. 


CICCODICOLA  EDOARDO  —  L1  insocialità,  ossia  la  democrazia  pura,  del  sac. 
Edoardo  Ciccodicola,  membro  di  molte  accademie  scientifiche  e  letterarie, 
italiane  e  straniere  Napoli,  1870.  In  16.°  di  pag.  Ili. 


L'autore  stesso  ci  dice  il  concetto  e  lo  svol- 
gimento del  suo  libro.  «  La  democrazia  a  secon- 
da della  logica  e  della  sana  morate  ha  da  op- 
porsi essenzialmente  alla  società  ecclesiastica 
in  f  r/.a  dei  suoi  pnncipii  antireligiosi,  alla 
società  civile  in  for/.a  delle  tendenze  antisocia- 
li, alla  propria  stima,  non  che  all'onore  di  se 
slesso  iu  forzu  delie  sue  brutali  e  odiose  con- 
quiste. »  Sopra  due  perni  si  aggira  il  ragiona- 
mento del  signor  Ciccodicola  :  la  ragione  che 
indica  quali   sieno    le   conseguenze  logiche  dei 


rei  principi!  delia  democrazia,  ed  i  fatti  che 
mostrano  nella  stona  del  passalo  e  del  pr. sen- 
te avverate  dall'opera  le  deduzioni  del  rasfocl- 
nio.  la  rivoluzione  francese  deli'89,  che  delle 
alla  democrazia  e  forza  e  tempo  d 
tutta  intera  nel  suo  essere,  è  dall'autore  princi- 
palmente esposta  ed  esaminata.  Questi  pochi 
cenni  li. .stano  a  far  conoscere  la  so>i-,n,a  e  l'u- 
tilità morale  dei  I  bro,  il  quale  dal  lalo  letterarie 
n.er  la  ancora  encomio  di  diligente  ed  oidmata 
scn  aura. 


CORREDINI  FRANCESCO  —  Lexicon  totius  latiiiilatis  1.  Far  iolali.  Aeg.  PÒTCel- 
lini  et  1.  Furlanelli,  seminarli  Patavini  alumnorum,  cura,  opera  et  studio 
lucubratum,  nunc  demuin  iu\ta  operali,  lvlolz,  G.  Fremili,  L.  Dotici  iein 
alioruinque  recentionun  auclius,  einentlalius,  melioremque  in  formatn  reda- 
ctum;  curante  doct.  Francis  *o  Corradini,  eiusdem  seminarli  stanino.  To- 
mus  11,  fase.  X  et  XI.  Patavii,  typis  seminar ii  1870.  Due  fascicoli  in  4." 
dapag.nil  apag.m.  Sigiugne  alla  parola  IXSUBDITIVUS. 


BIBLIOGMFIA  711 

BALFI  TEOBORO  —  Viaggio  biblico  in  Oriente,  Egitto,  Istmo  di  Suez,  Arabia 
petrea,  Palestina,  Siria,  coste  dell'Asia  minore,  Costantinopoli  ed  isole, 
fatto,  negli  anni  1857, 18G5,  1866,  dal  sacerdote  D.  Teodoro  Dalfì,  preve- 
sto di  S.  Maria  di  Casanova-Carmagnola  e  missionario  apostolico;  da  Ini 
descritto  specialmente  al  giovane  clero.  Egitto,  tomo  secondo.  Torino,  tip. 
C.  Favate  e  compagnia  1870.  Un  voi.  in  8.°  di  pag.  X-7o3.  Vendesi  lire  5 
presso  la  tipogr.  Monetti  a  Carmagnola. 

Pochi  mesi  fa  un  primo  volume,  edito  dal  eh.  storia  egiziana  in  quattro   periodi:  l'Edilio  pa- 

Autore,  descriveva  il  viaggio   da   lui  fatto  nel-  gano ,   l'Egitto  cristiano,    l'Egiito   musulmano, 

l'Egitto  e  all' (Simo  di  Suez:  e  in  quella  descri-  l'Edito  moderno:  distribuzione  semplicissima  che 

zioue  dipingeva  la  storia  direni  cosi  esterna  e  da  segue  ;.p  unto  i  grandi   cangiai». enti   storici    di 

tutti  visibile  dell' 'Egitto.  In  queslo  secondo  vo-  quei  paese.  Agli  uomini   studiosi,  ai   cupidi  di 

lume  si  compie  lo  studio  sopra  .''Egitto  col  ri-  amene  letture,  a  coloro  che  amano  le  disquisizioni 

ferirne  la  vita  interna;  vale  a  dire  le  credenze,  di  polemica  cattolica,  ai  dediti  alle  ricerche  sto- 

i  pripcipii,  le  leggi  di  questa  ricercatissima  re-  riche  piacerà  moltissimo  i!  libro  del  eh. Prev. Dalfì: 

gione  del  mondo.  SNel  primo  volume  parlava  l'os-  perchè  ciascuno  vi  troverà  appagamento  e  van- 

serva'oie;  nel  secondo  parla  l'antiquario,  il  teo-  (aggio.  Ciascuno   dei  due  vcumi  Vendesi  sepa- 

Jogo,  il  filosofo,  lo  storico,  in  una  parola  l'uomo  ratamente  allo  stesso  prezzo  di  lire  5. 
dolio  e  largamente   dono.  Esso  descrive  luna  la 

DALLA  PIEVE  P.  GIACOMO  —  Predica  sopra  i  trionfi  della  cattolica  Chiesa  dai 
suo  nascimento  fino  a'nostri  giorni,  detta  dal  P.  Giacomo  dalla  Pieve,  cap- 
puccino. Albenga  1870,  tip.  vesc.  di  T.  Craviotto.  In  8.°  di  >>ag.  22. 

DA  ROM 4  P.  GIUSEPPE  —  Vita  del  ven.  P.  Giovanni  Battista  di  Borgogna,  del 
Ritiro  di  S.  Bonaventura  sul  Palatino,  estratta  dai  biografi  coevi  e  dai  pro- 
cessi ordinarli;  pubblicata  per  cura  del  P.  Giuseppe  da  Roma,  già  custode 
provincale,  miss,  apostolico  e p;)stulatore  delle  cause  di  beatificazione  e 
canonizzazione  de'servi  di  Dio  Minori  riformati  nel  sopradde'  o  S.  Ritiro. 
Roma,  tip.  delle  belle  arti  1870.  Un  voi.  in  8.°  di  pag.  XII-822. 

11  ven.  Servo  di  Dio  P.  Fr.  Giov.  Battista  da  poli,  coetaneo  del  venerabile  giovane,  e  mandato 
Borgogna  del  Ritiro  di  S.  Bonaventura  in  Roi.a,  in  Napoli  a  farne  il  processo:  ma  non  venne 
trapas-ò  nel  Signoie  li  22  Marzo  1726  nelui  fre-  ^nai  stampata.  Compendiosamente  fu  anche  scr.lla 
sca  età  di  26  anni.  E^li  può  dirsi  un  vivo  ri-  e  stampata  dal  P.Ludovico  di  Cantatore.  Esistono 
tratto  di  S.  Luigi  Gonzaga:  vero  esempio  dei  gio-  i  processi  fatti  per  la  introdottone  della  sua  cau- 
vani,  dei  religiosi,  di  sacerdoti.  Giacché  nella  sa;  e  negli  archivii  dei  Padri  francescani  del 
vita  nien.ia  per  quattro  I us' ri  nel  secolo  fu  ca-  Ritiro  esistono  molte  memi-rie  relative  alla  vita  e 
stissino  ed  innocente,  fu  obbediente  ai  genitori,  ai  miracoli  di  questo  Servo  del  Signore.  Sopra 
fu  stiHioso  nell'apprendere  le  umane  lettere,  fu  questi  documenti  fu  ora  con  grande  e  minuta 
costantemente  pio  e  divoto.  Divenuto  religioso,  diligenza  compendiata  la  presente  Vita.  Essa  è 
a  queste  grandi  vir*ù  adoppiò  l'osservanza  per-  presa  :n  massima  parte  da  quella  del  P.  An- 
fetta  della  rigida  disciplina  e  dei  voti  def  suo  selmo,  toltane  la  diffusione  dello  stile,  e  aggiun- 
sanio  Ordine,  e  alla  perfezione  religiosa  attese  levi  le  testimonianze  giurate  dei  processi,  le  me- 
con  amor  sommo.  Divenuto  sacerdote,  il  poco  mone  che  alirove  si  conservano,  le  grazie  rice- 
tempo  che  sopravvisse  spese  lutto  alla  prepara-  vute  per  intercessione  del  ven  Gio.  Battista.  Essa 
zione  del  min's'ero  che  avea  assunto,  e  atl'adem-  è  dunque  veramente  compiuta,  fedele,  esatta,  e 
pi  :  ento  fedele,  delle  nuove  e  sucre  obbigazioni  varrà  grandemente  a  far  rivivere,  la  memoria  di 
contratte.  (Mimo  secolare,  ottimo  religioso,  otti-  questo  angelico  giovane  ad  edificazione  della  gio- 
rno prete:  ecco  in  poche  parole  la  vita  del  ven.  venni,  a  conso  azione  dell'Ordine,  francescano, 
P.  Giov.  Battista  di  Borgogna.  Una  tal  vita  fu  ad  onore  della  Chiesa,  e  a  gloria  principalmente- 
scritta  diffusamente  dal  P.  Fr.  Anselmo  da  Na-  del  Signore. 

DRAGO  R4FF4ELS  —  Sulla  relazione  dei  fenomeni  meteorologici  colle  variazio- 
ni del  magnetismo  terrestre.  Teoria  del  P.  Angelo  Secchi,  esposta  dall'av- 
vocato Raffaele  Drago,  membro  della  società  italiana  di  scienze  naturali. 


712 


BIBLIOGRAFIA 


Edizione  seconda.  Genova,  tip.  del 
grande  di  pag.  88. 

Nulla  certo  vai  più  a  comprendere  Io  scopo 
e  l'importanza  di  questo  lavoro  del  eh.  avvo- 
cato Drago,  quanto  il  giudizio  che  ne  ha  por- 
tato il  P.  Secchi  medesimo,  le  cui  teoriche  vi 
si  espongono.  Ecco  dunque  la  lettera  che  il 
detto  Padre  scrisse  all'autore  dopo  la  prima  edi 
zione.  «  Chiarissimo  Signore,  La  ringrazio  del- 
le copie  che  mi  ha  inviato  del  sunto  de'miei 
lavori  meteorologici  e  monetici  :  le  ne  sono 
Obbligato.  Approvo  poi  con  mollo  piacere  il  suo 
progello  di  ristamparlo,  perchè  le  memorie  ori- 
ginali sono    ormai  esaurite,    essendone  slate  ti- 

FABER  FRANCESCO  M.  —  Vedi,  Barbi er. 

FANTOLI  ANDREA  —  Nella  festa  centenaria  di  Maria  Vergine  SS.  Immacolata, 
celebratasi  in  Grignasco  il  1.°  e  2.°  giorno  di  Maggio  1870.  Discorsi  due, 
recitati  dal  parroco  di  S.  Vittore  d'Agnate  -  Conturbìa,  Andrea  Patitoli. 
Novara,  slamp.  di  F.  Merati  1870.  In  8.°  grande  di  pog.  lo*. 

FARABUL1NI  DAVID  —  Sopra  una  sacra  famiglia  di  Federico  Barocci  nell'espo- 
sizione romana.  Ragionamento  del  prof.  David  can.  Farabulini.  Roma,  tip. 
di  Benedetto  Guerra  1870.  In  16.°  di  pag.  53. 


R.  1.  de  Sordo-Muti  1870.  In  8.» 


rate  poche  copie,  e  perchè  sparse  qua  e  là  so- 
no d  incomodo  al  letioie.  Elia  che  ha  avuta  la 
pazienza  e  il  talento  di  riunirle  con  sistema 
ragionato  ha  fallo  a  me.  stessa  un  grande  favore, 
perche  quelle  cose  scritte  per  la  circostanza 
ora  di  una,  ota  dell'altra  osserva/ione  riusciva- 
no troppo  slegate.  La  ringrazio  dell'averne  fat- 
to un  corpo,  che  mentre  riunisce  fedelmente  i 
miei  concetti  dà  loro  una  novella  viU  e  un  lu- 
stro che  esse  non  aveano  nell'originale.  Sono 
con  distinta  stima  —  P.  A.  Secchi.  » 


Questo  scritto  del  eh.  prof.  Farabulini  il  col- 
loca certamente  fra  i  più  notevoli  scrittori  mo- 
derni di  belle  arti.  Egli  mostra  buon  gusto, 
buon  intendimento  ,  varia  erudizione,  e  cnt.ca 
fina  ina  non.  pedantesca.  Come  lutto  ciò  in  sì 
tenue  argomento?  Perchè  l'autore  a  proposito 
di  quel  giudizio  ha  dovuto  trattare  di  tanti  al- 


tri pittori  che  hanno  dipinto  su  tela  Io  stesso 
soggetta:  ha  dovuto  paragonare  quei  dipinti  ira 
lom:  esporre  i  pregi  e  i  difetti  di  ciancino: 
discutere  le  ragioni  che  vi  sono  per  attribuire  il 
dipinto  che  illustra  al  Barocci  e  quindi  scri- 
vere una  bella  e  compiuta  disertazione,  non  un 
semplice  giudizio  di  poche  parole. 


F.  B.  —  Difesa  popolare  delle  principali  verità  cattoliche  impugnate  dogli  er- 
rori moderni.  Òpera  di  F.  B.  Prato,  tip.  di  R.  Guasti  1869.  In  16.°  picco- 
lo di  pag.  302.  Prezzo  L.  1,  30.* 


Sia  lode  al  Signore  che  fa  moltiplicare  que- 
sta specie  di  libri  così  necessaria  in  questi  nostri 
tempi.  Ogni  giorno  da  molte  centinaia  di  fogli 
diffusi  in  migliaia  di  copie  tra  il  popolo  si  pit- 
tano in  mezzo  al  mondo  beffe,  soQsmi  errori  con- 
tro la  fede,  la  morale  cristiana.  È  impossibi- 
le che  qualcuno  di  questi  rei  germi  non  attec- 
chisca. E  chi  sa  dire  allora  i  danni  che  pro- 
durrà? A.  distrugge!  li  non  sono  buoni  i  libri  se- 
rii,  i  libri  dotti,  i  grossi    volumi    di  polemica. 


Chi  ha  più  il  tempo  di  leggerli?  E  quanti  ncn 
se  ne  dovrebbero  leggerle?  Raccogliere  insanie 
i  più  notevoli  di  questi  errori  :  a  ciascun  d'essi 
opporre  una  risposta  breve  ma  calzante,  ma  vi- 
brata, ma  evidente:  questa  è  la  via  più  utile  per 
isnelibtare  tante  caligini.  Fra  gli  altri  libri  di 
questo  genere  il  presente  vuol  essere  racco- 
maialato  assai.  E  piccolo  di  mole,  ma  contiene 
molta  materia,  bene  scella,  bene  «volt»,  bene 
ordinai;!,  e  con  istile  chiaro  e  popolare. 


FÉNÉL0N— Istruzione  di  monsignor  Fénélon  sui  mezzi  più  adatti  per  insegnare 
ai  fanciulli  il  catechismo.  Traduzione  .dell'ai).  Luigi  Nob.  Tinti,  professore 
di  teologia  e  sacra  eloquenza  nel  seni,  di  Concordia.  Modena,  tip.  Im:n. 
Concezione  1869.  In  16.°  di  pag.  65. 


Oh  potesse  questo  piccolo  libretto,  scritto  da 
mano  maestra,  e  volgarizzato  con  molla  diligen- 
za, correre  nelle  mani  di  quanti  debbono  inse- 
gnare il  ratei -bisino  ai  fanciulli!  Quanto  più 
utilmente  adempirebbero  essi  questo  non  facile 
compito  !  I  genitori,  i  maestri,  e  Quo  i  preti  e  i 


parrochi   apprenderebbero    molli  utilissimi  modi 

pratici   di    far    M tendere    le    verna   rivi m 

modo  chiaro  e  agevole  ;  coso-che  il  WOfbltmo 
non  s<a  un  formulato  ripetuto  da  papp.^alii, 
ma  un  libro  studiato  e  capito  da  uomini  ra- 
gionevoli. 


BIBLIOGRAFIA  713 

FERRERI  SEVERINO  —  Istruzioni  sul  Vangelo,  ossia  le  quattro  parti  della  dot- 
trina cristiana  esposte  In  tre  anni  di  spiegazioni  evangeliche,  aggiuntavi  una 
appendice  sulle  leste  di  nostro  Signore,  di  Ilaria  SS.  e  dei  Santi,  del  sac. 
Severino  Ferreria,  untore  del  catechismo  della  buona  settimana.  Voi.  I. 
To  ino  1879,  collegio  degli  Artigianelli.  Un  voi.  in  8.'  di  pag.  WI- 
43G.  Prezzo  del  presente  volume  lire  3.  Dirigersi  al  collegio  degli  Arti- 
gy anelli  in  Torino,  o  al  Rev.  D.  Pietro  Borra,  prevosto  in  ROSELLA 
(Monferrato). 

E  divisamelo  del  «h.  e  dotto  autore  di  co  n-  gcndo  al  popolo  il  Catechismo  nelle  spiegazioni 
premiere  tutta  l'opera  il)  quattro  Volumi.  Ognu-  domenicali  del  Vangelo:  ottimo  il  mescolare  le 
no  dei  primi  tre  contiene  un  corso  compiu-  spiegazioni  collo  applicazioni  morali,  cogli  esern- 
to  d'struz'Oni  sul  vangelo  per  tutte  le  Domeni-  pii  delia  storia,  colle  esortazioni  alla  vita  cnstia- 
che  dell'anno:  e  questi  tre  corsi  d'istruzioni  na;  ottimo  il  porgere  tulio  con  un  tono  di  fami- 
domenicali  svolgeranno  tutta  la  materia  del  Ca  gliare  bonarietà,  senza  frasi  ampollose  e  con- 
teihismo,  con  quell'ordine  che,  i  vangeli  con-  cettuzzi  cfìmeri.  Se  tutti  i  parrochi  facessero  co- 
sentino. Il  quarto  volume  avrà  le  Istruzioni  Sila  Domenica  la  spiegazione  dei  Vangelo,  i 
sopra  le  feste  principali  dell'anno,  e  tutti  gli  loro  parrocchiani  se  ne .  avvantaggerebbero  gran- 
altri  discorsi  che  possono  occorrere  ad  un  par-  demente  nella  isuuzione  e  nella  pietà,  e  ver- 
roco.  Il  primo  volume  qui  da  noi  annunziato  rebbeio  in  folla  ad  ascoltarli. 
è  un  saggio  e  una  garanzia  sufficiente  dell'ope-  V'è  un  altro  motivo  di  raccomandar  molto 
ra  intera:  Dottrina  sicura,  istruzione  adattata  ai  questo  Moro.  L'utile  che  la  sua  vendita  potrà 
nostri  tempi,  stile  facilissimo,  copia  di  fatti  ed  dare  è  destinato  ad  edificare  la  chiesa  della 
esempM,  pietà  affettuosa:  tali  ci  sembrano  le  parrocchia  di  Rohella  nel  Monferrato,  perla 
quotila  precipue  di  queste  nuove  istruzioni  sul  quale  costruzione  l'autore  ha  ceduto  l'opera. 
Cateehismo    Ottimo  e  il  pensiero  di  venire  svol- 

FRANCIOSI  GIOVANNI—  Alcune  poesie  dell'avvocato  Giovarmi  Franciosi,  pro- 
fessore di  lettere  italiane.  Modena,  tipi  delVlmm.  Concezione  1868.  In  32.° 
di  pag.  29. 

Delicate  immagini,  pensieri  di  gentilezza,  no-  altre,  perchè  sieno  sprone  alla  gioventù   di  cerc- 
hile e  puro  stile  trovansi  in  queste  rime  del  eh.  care  nei  classici  nostri  scrittori  il  belio  schietto 
prof.  Franciosi,    le  quali    lasciano  nel  lettore  il  ed  elegante, 
desiderio  di   vederne   uscir  alla  luce  motte  più 

—  Le  ragioni  supreme  dell'istoria  secondo  la  mente  di  Dante  Alighieri  ;  per 
Giovanni  Franciosi,  prof,  di  lettere  italiane.  Modena,  coi  tipi  di  C.  Vin- 
cenzi 1870.  Un  voi.  in  Ili.0  di  pag.  208. 

Tre  Parli  ed  un'appendice   compongono  que-  1°   la  rivelazione  fondamento  della  filosofia  del- 

sto  elefante    libretto.   Ecco  i  titoli    loro  rispet-  la  storia;  11°  rutilila  della  filosofia  nella  storia; 

tivi.  Parte  1.»  L'umana  famiglia  nella  sua  storia,  111°  legame  tra  la  filosofia  della  storia  e  la  scien- 

1°   in    tutti  i  tempi,  2°  innanzi   Cristo.  3°  dopo  za  di  Dio.  Tale  è  la  tessitura  di  ulto  il  lihro.  Lo 

Cristo  —  Parte  II.*  Gli  angeli  cooperatori  de-  svolgimento    poi    della    materia  è  tutto   confor- 

gli  uomini,  1°  in  genere,  2°  in  ispecie  —  Parie  me  alla  mente  dell'Alighieri,    del  quale    espone 

l\lB  Dio'  nella  vita   dell'umana  famiglia,  cioè  le  sentenze   spesso   colle  parole   sue    medesime. 

1°  la  Trinila  di   Dio  nella  sua    provvidenza,  2°  Nob.le  e  lo  stile  del   eh.   autore,  nobili   ne  sono 

la  Provvidenza  di  Dio  e  l'umana  libertà  nell'i-  le  idee,  e  atte  a  ispirare  nei  lettori  vera  nobiltà, 

storia.  L'Appendice   tratta  Ire  begli  argomenti:  di  concepimenti  e  di  fatti. 

MAIORCA  GIACOMO  —  Numismatica  contemporanea  sicula,  ossia  le  monete  di 
corso  prima  de!  1860,  per  Giacomo  Maiorca  Palermo,  tip.  di  Pietro  Pen- 
sanleWit).  Un  voi.  in  16. °  piccolo  di  pag.  100. 

Quando  nell'Agosto   del  1860   fu  decretalo  in  di   Ferdinando   IV,     di   Giuseppe    Napoleone  e 

Sicilia   il  corso    legale   e    forzoso   della   moneta  Gioacchino  Minat,  di   Ferdin.  n  lo  1,    di   France- 

piemontese,   della  forma,    peso  e  valore  della  sco  I,  di   Ferdinando  li,  e  di   Francesco  li.  Cu;- 

Iraneese;  correvano  in  Sicilia  le  monete  Sicilia-  ste  monete  sono  spante  o  pre.-to  sparirai  n  •  dal 

ne  e  napoletane  di  Carlo  III,   di  Ferdinando  HI,  commercio.  È  bene  dunque    ci. e  se  ne  sia  data 


114  BIBLIOGRAFIA 

dal  cb.  sig.  Maiorca  la  più  minuta  descrizione,  un'  altra  che  abbraccia  il  tempo  e  rso  dal  1065 
accompagnila  dalle  notizie  storiche  più  aulen-  fino  al  1735,  indicando  e  spieganti»  le  monete 
tiche.  Così  rimane  illustrato  il  periodo  numi-  vigenti  in  Sicilia  in  questo  peri,  do  precidale 
smalico  della  Sicilia  dal  1735  al  1800.  A  que-  al  Borbonico.  Bel  lavoro,  diligenteii  ente  ari- 
sta illustrazione    ha   aggiuuio    l'autore    ancora  to  ed  elegantemente  impresso. 

MANZO  LUIGI  —  Rituale  orationura  iuxla  missale  romanum.  Editio  prima,  au- 
cta  multis  aliis  orationibus,  a  presi).  Aloysio  Manzo.  i\eapoli,  ex  lyp.  Mar- 
efiese  1870.  in  i.°  di  pag.  48,  stampato  in  rosso  e  nero. 

MARTELLI  PASQUALE  —  Introduzione  allo  studio  della  Bibbia,  del  canonico 
Pasquale  Martelli.  Firenze,  tip.  Cenniniana  1870.  hi  Iti.0  di  pan.  ìì. 

Altra  volta  (a  pag.  471  del  voi.  X)  lodammo  renze.  Il  capitolo  e  il  clero  fece  plauso  a  quel 
un  opuscolo  del  eh.  canonico  Martell»  intitolalo:  primo  opuscolo  ;  siam  certi  clic  farà  altrettan- 
«  sull'  infallibilità  del  Papa  ;  Lettera  ad  un  ami-  lo  a  questo  secondo,  il  quale  vorremmo  che  fosse 
co  ».  Altrettauto  dobbiamo  ora  lodare  questa  dot-  noto  anche  ai  protestanti  fuori  d'Italia,  che  vi 
ta  dissertazione  teologico  polemica  che  fa  ono  vedrebbero  confutati  con  forza  e  chiarezza  i  lo- 
ro al  canonico  teologo  delle  metropolitana  di  Fi-  ro  pnncipii. 

MAZ  ONI  E  FRANCHI  —  Biblioteca  di  sacri  oratori  moderni  italiani  e  stranieri, 
pubblicati  e  tradotti  da  Baldassarre  Mazzoni  e  Leopoldo  Franchi,  canonici, 
della  cattedrale  di  Prato.  Volume  X  della  serie  prima.  Prato,  tip.  di  Ra- 
nieri Guasti  1870.  Un  voi.  in  8.°  di  pag.  321.  Prezzo  L.  ì. 

EI1LLET  P.  —  Gesù  vivente  nel  sacerdote,  considerazioni  sulla  grandezza  e  san- 
tità del  sacerdozio,  del  Rev.P.  Millet  d.  C.  d.  G.  Prima  traduzione  italia- 
na di  Giovanni  Pisanello,  approvata  dall'autore.  Venezia,  tip.  Emilia- 
na 1870.  Un  voi.  in  16/  piccolo  di  pag.  XX-Ì7L  Prezzo  L.  2,  50. 

Posto  per  fondamento  die  la  vita  del  sacer-  riosa  deve  animarlo  nella  speranza  del  premio 
dote  deve  modellarsi  sulla  viia  di  Gesù  Cristo,  riservalo  al  sacerdote  in  cielo.  Tal  è  il  d 
il  P.  Millet  propone  le  cinque  parti  di  questa  di  quest'opera,  accolta  in  Francia  dal  eleio  con 
vita  a  tipo  di  quella.  La  vita  nascosta  di  G.  C.  grande  plauso,  e  sperimcni.ta  utilissima  a  ben 
dev'essere  la  preparazione  al  sacerdozio:  la  vi-  avviare  1  g  ovani  candidali  al  santuario.  La 
la  -pubblica  deve  dirigere  il  ministero  sacerdo-  beila  traduzione  ehe  ora  esce  alla  luce  in  Italia 
tale  :  la  vite  sofferenti!  deve  sostenere  il  prete  estenderà  ancor  di  più  quei  vantaggi,  e  concor- 
dile pruove  e  nelle  persecuzioni  :  la  vita  euea-  rerà  a  formare  una  generazione  nuova  di  pii,  di 
rislira  di-ve  mosir.irgli  come  debba  offrire  il  dotti,  di  zelanti  sacerdoti, 
gran  s  velificio  dell'aliare  al  Signore,  la  vita  glo- 

0FFIZI0  della  Beatissima  Vergine  Maria,  secondo  la  riforma  di  S.  Pio  V,  Cle- 
mente Vili  ed  Urbano  Vili,  sommi  Pontefici,  a  cui  si  aggiungono  gli  of- 
fieii  del  Sj  Natale,  della  settimana  santa,  del  SS.  Sagra  mento  e  dei  defon- 
ti, coi  sette  salmi  penitenziali,  da  recitarsi  dalle  Àrchiconfraternite  e  Com- 
pagnie de1  secolari,  dalla  sacra  Congregazione  de1  riti,  giusta  il  prescritto, 
riveduto.  Roma,  tip.  nell'ospizio  dì  S.  Maria  degli  Angeli  alle  terme, 
Leonardo  Olivieri  tip.  edil.  via  Fraltina  JS.  1,  1870.  Un  va!,  in  i.' 
(Kpag.Hm-m. 

EdiZ'One  in  trrosso  carattere,  con  pagine  a  acquisteranno  10  esemplari  si  rilascia  ciascuna 
dae  colonne,  ord'iiitamente  composta,  e  corretta  copia  sciolta  per  lire  2,25:  e  legata  in  calta 
con  molta  esatti  /./a.  Per  le  confraternite  ebe  ne    pecora  per  lire  3,25. 

OLMI  G.  —  Una  settimana  di  villeggiatura,  ossia  Considerazioni  sugli  ultimi 
tempi  della  Chiesa,  per  G.  Olmi.  Modena,  tip.  dell'  Imm.  Concezione  18(i9. 
Unvolumetlo  in  1G.°  di  pag.  175. 

A  Fongère*  di  Francia  nel  1798  mori  in  con-  no.  Bua  ebbe  In  vita  molte  grazie  straordinarie 
cello  di  santità,  m»  carta  9O0T  Varia  della  Na-  dal  Signore:  fra  le  allre  aawfcla  rivelazioni 
lività,  Religiosa  Urbanista  dell'Ordine  francesca-    sopra  gli  ultimi  tempi  della  Chiesa.  11  eh.  G.  Ol- 


BIBLIOGRAFIA 


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mi  le  riferisce  sommaria  mente  in  questo  libre!-  fine  un  discorso  per  istruzione  e  per  vantaggio 

tino,  ponendovi  accanto  lutto  ciò  che  lesesi  nei  del  popolo  fedele,  il  quaie   dalla   cousiderazione 

libri  sanii  del  nuovo  Testamento,  Intorno  a  que-  degli  ultimi  giorni  del  mondo  può  trarre    frutti 

sto  argomento,  e  quanto  leg^esi    sopra  esso  net  molto  salutari. 
Catechismo  del  Concilio  di  Trento.  Vi  tesse  su  in 

PAGNONS  ALFONSO  SI.  —  Virginia  Anselmi  o  il  modello  delle  vedove  cristiane, 
del  P.  Alfonso M.  Paglione,  barnabita.  Torino,  tip.  dell'Orai,  di  S.Fran- 
cesco di  Saies,  1870.  Un  volumetto  in  32.°  di  pag.  172. 


soluzione  e  conforto  di  molte  anime.  Questa  bre- 
ve vita,  che  il  eh.  P.  Pagnone  ne  ha  scritto  con 
bell'arte,  continuerà  e  allargherà  ancor  di  più 
tale  soave  fragranza,  e  farà  bene  assai  a  quante 
la  leggeranno. 


La  Virginia  Anselmi  fu  buona  donzella,  affettuo- 
sa consorte,  redova  ed  incanì  issi  ma,  savia  madre 
di  famiglia:  e  sempre  pia,  paziente,  zelante,  ca- 
ntatevi.le.  La  sua  vita  fu  nascosa  sotto  l'ombra 
del  tetto  domestico:  e  nondimeno  l'olezzo  delie 
sue  viiìu  spamievasi  largamente  intorno,  a  eon- 

PECGPiuiì  CARLO  —La  Iconologia^  Fisiognomonia  e  la  Frenologia  portate  alla 
comune  inteHigesza  e  studiata  dal  punto  morale-religioso.  Opera  tra  le  più 
istruttive,  piacevoli  e  curiose,  arricchita  di  90  figure  e  ritratti,  utilissima 
in  ispecie  ai  sacri  oratori,  educatori,  pittori,  scultori  ed  amanti  di  belle  ar- 
ti, pel  sacerdote  D.  Carlo  Pecorini.  3filano  1870,  presso  l'edìt.  Carlo  Bar- 
bini, via  Chiaravalle  N.  9.  Un  voi.  in  16.°  di  pag.  310.  Prezzo  lire  2. 


L'interno  dell'uomo  si  rivela  nell'esterno  o  in 
modo  cangiabile  o  in  modo  stabile.  Le  altitudi- 
ni ,  le  m«»e,  gli  sguardi,  i  gesti  svelano  non 
solo  le  tendenze,  ma  spesso  gli  atti:  l' Iconologia 
studia  tal  rapporto  tra  l'interno,  e  la  configu- 
razione, esterna  dell'  uomo.  La  Fisiognomonia 
tratta  dei  rapporti  tra  i  lineamenti  stabili  del- 
l'uomo e  lo  passioni  dell'animo.  La  Frenologia 
studia  i  rapporti  tra  le  diverse  propensioni  in- 
terne colle  diverse  prominenze  del  cervello.  Non 
è  qui  luogo  d'  indagare  sino  a  qual  punto  que- 
ste tre  possano  dirsi  scienze  ;  qual  fede  meriti- 
no le  loro  conclusioni  e  regole  pratiche  ;  quali 
e  quante  eccezioni  debbano  farsi  alle  poche  con- 
clusioni loro  più  probabili,  ^'olo  non  pnO  dissi- 
mularsi essere  esse  state  il  più  delle  volte  stru- 
mento di  inganni  o  almen  di  errori  nelle  mani 


di  chi  prese  a  trattarne  ex  professo.  Lodevole 
adunque  è  stato  il  pensiero  dell'  illustre  abb.  Pe- 
corini di  spogliarle  di  quanto  potea  offendere 
la  fede,  la  buona  filosofia  e  i  costumi  :  dando 
loro  per  così  esprimerci  1'  impronta  cristiana.  Es- 
so ha  svolto  V  Iconologia  per  ordine  alfabetico, 
e  litastrando  molli  dei  suoi  articoliti  con  im- 
magini appositamente  delineate;  offrendo  cosi 
grande  aiuto  ai  pittori,  agii  scultori,  agli  ora- 
tori, agli  studiosi  della  declamazione.  La  Fisio- 
gnomonia, lialt.ita  eoo  molla  brevità,  può  dirsi 
il  compendio  del  celebre  libro  del  Lavater,  con 
aggiunta  di  buone  o  morali  osservazioni.  Fi- 
nalmente la  Frenologia  e  trattala  colle  idee  del 
Gali,  ammesse  dall'autore  senza  dis  imsizioni  : 
ma  però  rou  quelle  riserve  che  la  critica  e  più 
ancora  la  fede  gì'  imponeva. 


PELLICANI  ANTONIO  —  La  famiglia  secondo  la  ragione  e  la  fede.  Opuscolo  del 
P.  Antonio  Pellicani.  Torino,  tip.  di  Giulio  Speiranì  e  figli,  1870.  In  16.* 
di  pag.  39. 

P.  F.  R.  —  Giardino  di  divozione  pei  giovanetti.  Decimasesta  edizione.  Prato , 
tip.  di  R.  Guasti,  1869  Un  voi.  in  32.°  di  pag.  276. 

PIC0KE  GIAMBATTISTA  —  Primalità  di  diritto.  Studii  dell'avvocato  Giambatti- 
sta Picone,  deputato  al  1.°  parlamento  italiano,  dottore  in  filosofia  e  scien- 
ze naturali,  ecc.  ecc.  Girgenti,  E.  Romito,  1870.  In  16.°  di  pag.  39. 


Solto  il  nome  di  primati  là  di  diritto  intende  il 
eh.  e  dotto  autore  di  questa  utilissima  disserta- 
zione certi  principii  universali  di  filosofia,  di 
etica,  di  religione,  dai  quali  scaturisce  il  drit- 
to. Quali  sieno  queste  primalità  di  drillo  che 
l'av.  Picone    incalca  che  vengano   insegnale  al 


popolo,  non  vogliamo  specificare;  perchè  desi- 
deriamo che  i  lettori  nostri  le  apprendano  dal- 
Popu>colo  stesso.  Essi  ce  ne  sapran  grado  pel  gu- 
sto che  troveranno  nel  leggerlo ,  e  pei  saldi 
principii  che  vi  sono  difesi. 


PIZZARDO  GIUSEPPE  —  il  giorno  del  Signore,  ossia  la  santificazione  della  Do- 
menica. Lettere  istruttive  e  familiari  ad  un  giovane,  del  prevosto  Giuseppe 


716  BIBLIOGRAFIA 

Pizzardo  da  Savona.  Bologna,  tip.  31  areg giani,  1870.  Un  voi.  in  32.°  di 
pag.  2?4. 
PIZZARDO  GIUSEPPE  —  Trattato  contro  le  danze.  Versione  dal  francese  con  note 
del  prevosto  G  Pizzardo  da  Savona.  Prato,  tip.  di  Ranieri  Guasti,  1869. 
Un  voi.  in  16."  piccolo  di  pag.  262.  Prezzo  lire  1,  20 

Questo  Trattato,  quanto  nella  sua  dottrina  mo-  lei  lo  da  tutte  le  madri  di  famiglia  cristiana,  e  da 

rale  solido  e  sicuro,  altrettanto  convincente  nelle  tutti  i  direttori  di  coscienza,   e  i   parroehi.    Oh 

dimostrazioni  tratte   dalla  S.  Scrittura,   dai   P.dri  quaHto  bene  i.e  deriverebbe  alle  anine  delia  gio- 

della  Chiesa,  dai  Canoni  ecclesiastici,  dalla  Ah  sofia  venlii,  la  quale  si  gilla  impunemente  neile  dan- 

e  teologia  morale,  dalla  testiti. omanza  degli  auto-  ze,  spesso  col  solo  scopo  di  ricrearsi,  e  ne  riporta 

ri  più  gravi  non  solo  cattolici  ma  eziandio  ere-  ferite  spesso  incurabili  e  mortali  ! 
tici  ;  questo   trattato,  diciamo,  dovrebbe  essere 

PRANZINI  GiO.  RATTISTA  —Le  principali  eresie  antiche  e  moderne  al  cospetto 
dell'unità  della  Chiesa,  raccolta  nel  Concilio  Vaticano,  per  il  sacerdote 
Gio.  Battista  Pranzini.  dei  bagni  della  Por  retta.  Operetta  dedicata  a  Sua 
Eccellenza  reverendissima  mons.  Pietro  Rota,  Vescovo  di  Guastalla.  31  o- 
dena,  tip.  dell' Imm.  Concezione  1869.  Un  voi  in  16.°  di  pag.  18!K 

Il  eh.  abb.  Frassini   stampò  l'anno  scorso  un  provata  dalle  più  autentiche  testimonianze  della 

Quadro   sinottico   delle   varie   eres'e  antiche    e  fede  nella  Chiesa  cattolica.  La  sua  trattazione  è 

moderne,  che  fu  accolto  assai  bene,  dagli  studiosi  preceduta  da  un  Proemio  ben  lungo,   nel   quale 

delle  scienze  ecclesiastiche.  Ora,  rimanendo  nello  tratta  le  principali  questioni  intono  alla  Bibbia, 

slesso  tema,  ne  ha  miglioralo  d'assai  il  lavoro,  dalla  cui  arbitraria  interpretazione  contro  t' in— 

classificando  le  eresie  secondo  le  differenti  ma-  segnamento  delia  Chiesa  rampollano  le  eresie.  II 

tene,  ed  opponendo  a  ciascuna  elasse  di  eresie  questo  un  ottimo  libro,  perchè  di  buona  dottrina, 

le  dotti  ine  cattoliche  ad  esse  contrarie;  mettendo  concisamente  ma  esattamente,  esposta. 
cioè  di  rincontro  ad  ogui  errore  la  verna,  coni- 

SECCHI  ANGELO  —  Descrizione  del  metcorografo  dell'  osservatorio  del  Collegio 
romano,  del  P.  A.  Secchi  d.  C.  d.  G.  direttore  del  med.  Osservatorio.  Ro- 
ma, tip.  delle  belle  arti,  1870.  In  8.°  di  pag.  9ti. 

—  Le  Soleil.  Exposé  des  principale^  découvertes  modernes  sur  la  structure  de 
cet  astre,  son  inlluence  dans  l'univers,  et  ses  relations  avecles  autres  corps 
célestes;  par  le  P.  A.  Secchi  S.  J.  directeur  de  l' Observatoire  do. Collège 
romain,  ollìcier  de  la  legion  d'honneur,  correspondant  de  rinstitui  impe- 
riai de  France,  etc.  Paris,  Gauthicr-Villars,  mprimeur-Ubraire,  du  bu- 
reau des  longiludes,  de  Vécole  imperiale  polytechnique,  successcur  De 
Mallet-Bachelier,  Quai  des  Augustine,  85,  1870.  Un  voi.  in  8.°  di  pag. 
AVM-22. 

—  Sull'ecclisse  totale  del  sole  che  avrà  luogo  ai  22  Decembre  1870.  Notizie 
ed  istruzioni  del  P.  A.  Secchi,  direttore  dell*  Osservatorio  del  Collegio  ro- 
mano. Milano,  dottor  Francesco  Yallardi,  tipografo-editore,  via  Fieno 
N.  3,  1870.  in  8.°  di  pag.  36  e  tre  carte  illustrative.  Prezzo  lira  1,  i2 "* _ 

Di  queste  tre  nuove  opere  dell' illustre  astronomo  P.  Secchi  diamo  ora  semplicemente  l'annun- 
zio, riservandoci  a  parlarne  più  di  proposito  in  miglior  tempo.  • 

SERAFINI  FILIPPO  —  Istituzioni  di  diritto  romano  comparato  al  diritto  civile 
patrio;  dell'avvocato  cav.  Filippo  Serafini,  prof,  ordinario  di  Pandette  nel- 
la R.  Università  di  Bologna,  direttore  dell'archivio  giuridico.  Parte  prima. 
Firenze,  Giuseppe  Pellas,  editore,  1870.  Un  voi.  in  16.°  di  pag.  *26ì. 
Prezzo  lire  4. 

Queste  istituzioni   sono  notevoli  per  l'ordine  proprietà)  potrebbe  essere  soggetta  a  discussione: 

semplicissimo  delle  natene,  la  brevità  delia  trai-  ma  da  queste    piccole   eccezioni  in   fuori,  e  al 

tazione,  e  per  la  semplicità  dello  stile.  Qualche  cerio  di   non   prave  rilievo,  l'autore  chiarissimo 

definizione  e  qualche  teorica  (p.  e.  intorno  alla  segue  le  opinioni  più  accreditale  e  più   sicure. 


BIBLIOGRAFIA  717 

SICA  LUIGI  MARIA  —  Casus  conscientiae  resoluti  in  missione  Nankinensi.  Ro- 
mae,  typis  S.  C.  de  Prop.  Fide,  1870.  Un  voi.  in  16.°  di  pag.VHSIZ. 

La  Teologia  morale  ha  i  suoi  principii  gene-  istruiti  nella  morale,  trovanti  spesso  imbarazza- 
tali chehan  vigore  per  tulli  i  paesi  del  mondo  sali  nello  sciogliere  quei  casi  nuovi  che  loro  si 
e  per  tutte  le  nazioni  :  cosicché  il  miss  onano  offrono.  Ad  aiutarli  nella  pratica  del  loro  mini- 
cattolico  per  dirigere  le  coscienze  non  deve  ini-  siero,  il  eh.  P.  Sica,  antico  missionario  in  dna, 
parare  uua  scienza  nuova  per  ogni  nuova  mis-  pratico  degli  usi  cnesi ,  e  buon  teologo,  ha  rac— 
sione  che  coltivi.  Ma  quei  principii  generali  van  colto  in  questo  libro  moltissimi  casi,  che  sono  oc- 
sottoposti  ad  applicazioni  differenlissime  secon-  corsi  a  lui  o  ad  altri  dei  suoi  colleghi  in  quel- 
do  i  casi  differenti  che  s'incontrano:  eia  dif-  le  missioni,  ed  applicando  loro  i  principe  ge- 
ferenza  dei  casi  procede  dalia  differenza  delle  nerah  deila  teologia  morale  ne  dà  e  ne  ragiona 
leggi,  delle  tradizioni,  degli  usi,  dei  costumi  la  soluzione  concernente,  il  libro  è  stato  rive- 
dei  popoli.  I  moralisti  cattolici  han  cercato  di  duto  anche  in  Roma,  e  approvato  da  lutti  esce 
riunire  il  più  che  loro  è  riuscito  di  questi  casi  ora  alla  luce.  Esso  pei  missionari!  della  dna  è 
pei  paesi  da  essi  conosciuti  :  ma  per  la  Cina,  re-  di  un  vantaggio  tanto  evidente  che  non  occor— 
gione  così  tutta  da  sé  per  ogni  particolarità  del  rono  parole  a  dichiararlo.  Pei  teologi  non  mis- 
viyere,  che  non  v'  è  nessun'allra  che  le  somigli,  sionarii  è  anche  utile,  si  per  ledisqu  sizioni  scien- 
è  stata  poco  fin  qua  studiata  e  conosciuta  da  tifiche  che  contiene,  e  sì  per  la  novilà  dei  casi 
loro.  Quindi  i  missionarii   europei,   anche  i  più  che  espone. 

SPADA  GIUSEPPE  —  Storia  della  rivoluzione  di  Roma  e  della  restaurazione  del 
Governo  pontificio  dal  1  Giugno  1846  al  15  Luglio  1819,  del  commendatore 
Giuseppe  Spada.  Volume  terzo.  Firenze,  stab.  di  G.  Pellai,  18611.  Un  voi. 
in  16.°  dipag.  767.  Prezzo  del  terzo  volume  lire  5:  dell'  opera  intera 
composta  di  tre  volumi  lire  13. 

Questo  terzo  volume  compie  la  Storia  della  Ri-  manifesta  della  sua  cenoscenza  dei  fatti,  e  della 
•voluzione  romana  dal  1  G'Ugno  1846  al  lo  Lu-  veracità  nel  raccontarli.  Lavoro  di  lunghe  e  di— 
glio  1819.  Essa  è  la  più  esalta,  la  più  verilic-  ligenli  ricerche,  di  cure  senza  numero,  e  di  stu- 
ra, la  più  particolareggiata,  la  più  imparziale  dio  indefesso,  questa  Storia  sopravviverà  alle 
che  se  ne  sia  scritta.  I, 'onestà  notissima  dell'au-  tante  altre  passionate,  partegiane,  leggere  o  at- 
tore, la  copia  dei  documenti  originali  da  lui  rac-  meno  inesatte  che  si  sono  compiute  e  divulgate 
colti,  la  presenza  sua  In  Roma,  le  sue  relazioni  intorno  a  quel  gravissimo  avvenimento, 
con  ogni  classe  di  cittadini,  sono  la  garantia  più 

TOMSìSI  G.  M.  —  Sull'esercito  italiano.  Pensieri  e  considerazioni  del  capita- 
no cav.  G.  M.  Tommasi.  Cortona,  tip.  Bimbi,  1870.  In  8.°  dipag.  42. 

TRASMONDO-FRANGIPANI  CAMILLO  —  Fabio  Colonna.  Cenni  biografici  per  servire 
alla  storia  scientifica  del  secolo  XVII,  letti  in  un'adunanza  di  Arcadia  dal 
barone  Camillo  Trasmondo  Frangipani,  dei  duchi  di  Mirabello.  Roma,  tip. 
delle  belle  arti,  1870.  In  8.°  di  pag.  25. 

Fabio  Colonna  illustrò  il  suo  nobilissimo  ca.-    luce  in  una  breve  ma  succosa  biografìa  il  eh 
sato  coi  suoi  studii  e.  colle   sue  scoperte  nelle    professore  barone  Trasmondo-Frangipani. 
scienze  fisiche  e  naturali.  Questo  merito  pone  in 

VALSECCHI  GIACOMO  —  Lezioni  sopra  gli  evangeli  delle  domeniche  per  la  gio- 
ventù studiosa,  del  teolo  ro  canonico  Giacomo  Valsecchi.  Alessandria, 
tip.  di  Luigi  Pagnoni,  1861.  Un  voi.  in  16."°  dipag.  272.  Prezzo  lire  3. 

Le  lezioni  del  eh.  cav.  Valsecchi  sono  appro-  ne  fanno,  sia  pei  consigli  che  se  ne  derivano, 
priate  alla  Gioventù:  sia  per  le  massime  mo-  sia  finalmente  per  la  forma  piana,  affettuosa, 
rali  che  svolgono,  sia  per  le  applicazioni  ebe  se    breve  del  discorso. 

VARII  AUTORI  —  A  sua  eccellenza  reverendissima  monsignore  Luigi  Serafini, 
eletto  Vescovo  di  Toscanella  e  Viterbo,  i  maestri  e  gli  alunni  del  semina- 
rio toscanese,  nel  di  lui  giorno  onomastico,  gratulazioni  e  voti.  Yiterbo% 
presso  Rocco  Monarchi.  In  16.°  dipag.  24. 


718  BIBLIOGRAFIA 

VESPIGNANI  LUIGI  MARIA  —  Un  novello  Elvidio  confutato,  ovvero  la  verginità 
perpetua  della  divina  Madre  dopo  il  parto;  apologia  contro  l'autore  civi- 
ci ano  del  ritratto  di  Maria  nei  cieli  ;  pel  sacerdote  imolese  Luigi  Maria 
Vespisnani.  Bologna,  tip.  e  lib.  Mareg giani,  1870.  Un  voi.  in  Iti. 
pag.XVHI-Wi. 

11  librettucciaccio  intitolato  -  Ritrailo  di  Ma-  vero  di  questi  confutatori  :  ma  si  avvalli 
ria  nei  Cieli  -  stampalo  nel  1857  iu  Tonno  nn-  sopra  essi  per  la  vastità  della  trattazione,  aven- 
novella  la  bestemmi* di  Elvidio  che  Maria  SSma  do  preso  a  combattere  ad  uno  ad  uno  tutti 
non  fu  Vergine  dopo  il  parto  di  Gesù.  Multi  sor-  fismi  di  queir  er  lieo,  dando  loro  non  una  ma 
sero  a  confutarlo:  e  con  ciò  dal  male  la  Prov-  spesso  tre  e  quattro  risposte,  tutte  trionfali, 
videnza  trasse  il  bene  di  r  nnovare  nella  memo-  Lo  siile  buono,  l'ordine  retto,  la  dottrina  pro- 
ria  degli  uomini  le  glorie  della  Gran  Madre  di  fonda,  ecco  le  più  beile  qualità  di  quest'  omino 
Dio.  li  eh.  e  dotto  sac.  Vespign.mi  entra  nel  no-  Trattato,  intorno  alla  Verginità  di  Maria  SSrìia. 

VOGEL  GIUSEPPE  ANTONIO  —  De  ecclesiis  Recanatesi  et  Lauretana  earumque 
episcopis;  commentarius  historicus  losephi  Antonii  Vogel,  s.  iheolog.  li- 
centiati;  canonici  olini  recanatensis.  Voi.  II.  Recineti,  ex  typographia  Leo- 
nardi Badaloni,  1859.  Un  voi.  in  8.°  grande  di  pag.  381. 

Nel  voi.  VI.0  della  IV.8  Serie  lungamente  es-  ce  il  secondo  volume  dei  Documenti;  né  mai 
ponemmo  i  pregi  della  Storia  della  Chiesa  Re-  più  ne  mentovammo  la  stampa,  perché  non  ci 
canatese  e  Lauretana,  scrina  dal  celebre  can.  pervenne  né  il  libro  nò  la  notizia.  Ripariamo  a 
Vogel ,  trapassato  nel  1817  nel  sessanlunesimo  questa  omissione  ora  che  ci  è  capitato  nelle  ma- 
anno  di  sua  età.  Concludemmo  quella  rivista  ni  il  11.0  voiume,  edito  non  guari  dopo  il  pri- 
critica  col  desiderare  che  presto  uscisse  alla  lu-  mo,  «  stampato  con  diligenza  e  nitidezza  somma. 

ZANELLA  GIUSEPPE  —  Sulle  guarentigie  delle  persone  dagli  avvenimenti  nelle 
strade  ferrate.  Memoria  del  cav.  Giuseppe  Zanella,  presidente  del  tnb. 
prov.  di  Padova,  ecc.  Padova,  tipogr.  Salmin,  1870.  In  8.°  di  pag.  77. 
Prezzo  (ira  1. 

Sono  frequenti  i  ferimenti  e  non  rarissime  le  si  è  il  bandire  alto  il  principio  che  la  impresa 

morti  per  infortuna  avvenuti  sulle  strade  ferra-  delle  ferrovie  è  responsabile  del  danno  effettivo 

te:  e  Mila  massima  parte  dei  casi  quest'  infor-  e  del  guadagno  perduto  verso  i  danneggiati  e  i 

lumi  dipendono  da  negligenze  o  colpe  degl'ini-  loro  eredi.  Tale  l'argomento  di  questo  discorso, 

piegali  nelle  stesse  vie.  La  ieg  stazione  civile  e  come  ognuno  vede  di  somma  importanza,  e  svol- 

criminale,  vigente  in   Europa,   per  tuielare   le  lo  dall'autore  con    molla  saviezza   d'idee,  sia 

persone  da  somiglianti    sventure  è  insufficiente,  sono  il    puuto  di   vista  giuridico,    sia   sotto  il 

Bisogna  cangiarla:  e    la  principal    cosa  da  fare  punto  di  vista  civile  e  sociale. 

ZERBI  LUIGI  —  Gli  Angeli.  Lezioni  e  considerazioni,  compilate  sulle  opere  di 
di  S.  Tommaso,  dottore  angelico,  e  corredate  degli  insegnamenti  di  altri 
SS.  Padri  e  Dottori,  dal  sac.  Zerbi  Luigi,  coadiutore  nella  metropolitana  di 
Milano  Milano,  presso  S.  Malòcchi,  1870.  Ih  voi.  in  16.°  di  pag.  ii8. 

Il  mondo  degli  Spirili  é  poco  studiato  in  que-  suo  duce  e  maestro  è  S.  Tommaso,  colle  cui  dot- 
ata eia  nostra  tutta  materiale.  Consola  dunque  trine  e  spesso  anche  colle  cui  parole  svolge  le 
il  veder  comparire  un  libro,  ben  idealo,  bene  più  ardue  questioni.  L'ordiue  generale  della  trat- 
svoilo,  che  in  quel  mondo  appunto  ci  trasferì-  tazione  e  strettamenle  logico,  e  la  maniera  di  ra- 
sce, presentando  alla  contemplazione  le  p  u  belle  giooare  e  di  concludere  cosi  evidente,  che  più 
creature  uscite  dalla  mano  dell'Attissimo,  e  fa-  non  può  desiderarsi.  Ha  poi  un  pregio  tulio  suo 
teo<k>tte  conoscere  le  doti  naturali  e  sopranna-  specialissimo,  ed  e  quello  di  congiugnere 
turali,  le  differenze  dei  gradi,  gli  uflKn,  il  gni  lezione  speculativa  intorno  agli  an.-'cl  «B» 
rappuito  loro  cogli  uomini  e  col  inondo  scusi-  considerazione  di  morale  pratica  pei  cristiani  : 
bile,  e  la  storia  dei  pm  insigni  spirili  celesti,  con  che  etilene  di  editlcure  chi  legge  imi. li  e  I" 
Egli  si  e  servito  di  quanto  la  teologia  indegna  istiuisce,  e  d'un  libro  di  sublime  speculazione 
aopra  si  svariati  argomenti:   ma  l'autor  suo,  il  fare  un  libro  di  pratica  ulihla. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 


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I. 

ÀTTFEPISCOPALI 

1  Del  Card,  di  Napoli  —  2.  del  Vescovo  di  Novara  —  3.  del  Vescovo  di  Mon- 
dovi  —  i.  del  Vescovo  di  Savona  e  Noli  —  o.  dell' Arcivescovo  di  Salerno 
—  6.  del  Vescovo  amministratore  ap.  di  Acquapendente  —  7.  del  Vescovo 
d'Ischia  —  8.  del  Vescovo  di  Bagnorea. 

Per  saggio  delle  tante  lettere  pastorali,  che  lo  zelo  episcopale  ora  va 
dettando  intorno  all'infallibilità  e  al  Concilio,  noi  non  ne  andremo  rac- 
cogliendo dei  tratti  dai  fogli  cattolici,  che  le  riportano  o  in  parte  o  an- 
cor per  intero;  ma,  come  abbiam  fatto  altre  volte,  ci  terrem  paghi  a  da- 
re un  cenno  di  quelle  poche  che  ci  vengono  in  mano  stampate  a  parte. 
Cominciamo  da  alcune  poche  lettere  pastorali  d;  Vescovi  italiani. 

1.  Abbia  il  primo  luogo  la  lettera  del  Cardinale  Arcivescovo  di  iVa- 
poli  al  clero  e  ai  fedeli  della  sua  archidiocesi  in  occasione  della  defini- 
zione data  dal  Concilio  vaticano  dell'  infallibile  magistero  del  Romano 
Pont: [ice.  L'Eminentissimo  Riario  Sforza  subito  dopo  la  definizione,  pri- 
ma di  far  ritorno  alla  sua  sede,  volle  scrivere  questa  istruzione  pa  Umi- 
le che  da  lui  si  compendia  in  queste  parole:  «  Dal  detto  finora  voi  avete 
potuto  intendere,  fratelli  dilettissimi,  la  natura  dell'atto  solenne  emes- 
so dal  sacrosanto  Concilio ,  imparando  che  cosa  è  la  delinizione  di  un 
domina,  ed  in  qual  modo  si  svolga  il  domma  cattolico-  Voi  avete  potuto 
misurare  il  valore,  persuadendovi  come  esso  si  conteneva  nella  parola 
di  Dio  scritta  e  nella  tradizione,  come  da  un  domma  già  stabilito  ne  sia 
derivato  quest'altro.  Voi  potrete  prevedere  i  vantaggi,  che  da  quella 
promulgazione  sono  per  derivare,  ponendovi  sott1  occhio  il  bene  che 
può  aspettarsene  per  la  società  e  per  la  Chiesa  »  (pag.  40).  Chiunque 


720  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

brami  d'intendere  la  natura,  il  valore  e  i  vantaggi  di  questa  definizio- 
ne, legga  questa  dotta  insieme  e  semplice  istruzione  deliquio  Cardinale 
di  Napoli,  e  resterà  soddisfatto.  (Roma,  coi  tipi  della  Civiltà  Cattolica; 
in  8.°  di  pag.  44.) 

2.  //  Vescovo  di  Novara,  mons.  Gentile,  pochi  giorni  innanzi  alla  de- 
finizione, pubblicò  parimente  una  utilissima  istruzione.  L'illustre  prela- 
to, costretto  da  lunga  malattia  a  restarsi  in  diocesi,  non  avendo  potuto 
sostenere  l'infallibilità  colla  voce  in  Concilio,  volle  spiegarla  e  difen- 
derla colla  penna.  A  spiegare  dapprima  che  s'intenda  per  l' infallibilità 
del  Papa,  parlante  ex  cathedra,  egli  dichiara  che  «  la  cattedra  significa 
il  magistero:  quindi  il  Papa,  che  parla  ex  cathedra,  significa  il  Papa 
che  parla  in  qualità  di  maestro  e  dottore  della  Chiesa  universale  »  (pa- 
gina 4).  Dipoi  a  dichiararne  l'ampiezza,  «  l'oggetto  dell'infallibilità 
pontifìcia,  egli  dice,  è  tutto  e  solo  il  deposito  della  divina  rivelazione, 
t  per  conseguenza  esso  comprende  tutte  e  sole  le  verità  spettanti  alla 
fede  e  alla  morale,  ossia  che  queste  si  trovino  formalmente  espresse 
nella  rivelazione,  ossia  che  vi  si  contengano  implicitamente,  ossia  che 
abbiano  anche  solo  qualche  legame  col  domma  rivelato.  Laonde  il  Papa 
è  infallibile  nella  condanna  delle  proposizioni  che  offendono  in  diversi 
modi  la  fede  e  la  morale,  è  infallibile  nei  così  detti  fatti  dommatici,  è 
infallibile  nelle  cose  concernenti  il  culto  divino  e  la  disciplina  generale, 
e  in  tutte  quelle  insomma,  che  lasciate  in  balìa  dell'uomo  metterebbero 
a  repentaglio  il  deposito  divino  alla  Chiesa  confidato  »  (pag.  6).  Così 
chiarito  ^soggetto  e  l'oggetto  dell'infallibilità,  dissipa  altresì  la  strana 
confusione  dell'infallibilità  coll'impeccabilità:  e  quindi  passa  a  stabilire 
e  difendere  il  dogma  colla  scrittura  e  colla  tradizione.  No,  non  è  nuovo 
il  domma,  egli  dice;  ma  è  nuova  soltanto  la  definizione;  ed  avvivando 
la  fede  del  suo  gregge  conchiude:  «  Vi  ripeterò  (che  ben  si  confà  pure 
al  caso  nostro)  la  supposizione  impossibile  fatta  da  S.  Paolo  :  Quand'an- 
che venisse  un  Angelo  dal  cielo  a  predicare  una  cosa  contraria  a  quello 
che  il  Papa  ci  ha  insegnato,  noi  dovremmo  rigettare  le  parole  dell'An- 
gelo, ed  attenerci  a  quelle  del  Papa;  perchè  non  l'Angelo,  non  altri, 
ma  il  Papa  ci  fu  assegnato  per  maestro  infallibile  da  Dio  stesso.  »  [No- 
vara,  tip.  vesc.  in  8.*  di  pag.  16.) 

3.  //  Vescovo  di  Mondooì,  mons.  Ghilardi,  col  suo  solito  zelo  due  dì 
dopo  la  definizione  mandò  al  suo  gregge  una  lettera  pastorale  intitola- 
ta: Annunzio  della  definizione  dommatiea  dell'infallibilità  pontificia. 
«  Noi  non  possiamo  esprimervi  abbastanza,  egli  dice,  l'allegrezza  che 
provammo  in  que'momenti  di  paradiso,  allorché  specialmente,  pronun- 
ciatasi appena  dal  Papa  la  conferma  della  dogmatica  definizione,  uno 
scoppio  generale  di  vi\  issimi  applausi  e  festose  acclamazioni  si  l'è  sen- 
tire nella  grand'aula  conciliare,  e  in  un  baleno  si  diffuse  fra  il  popò- 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  721 

lo  stipato  al  di  fuori ,  echeggiandone  in  modo  mai  più  udito  le  dorate 
Volte  e  la  portentosa  cupola  del  più  gran  tempio  del  mondo.  A.  spie- 
gare la  gioia  da  cui  erano  inondati  tutti  i  cuori,  non  s'è  forse  mai  can- 
tato un  Te  Deum  con  tanta  espansione,  come  in  quel  giorno.  »  Il  ze- 
lante Vescovo  prescrisse  una  novena  e  un  ottavario  solenne  per  la  festa 
dell'Assunta,  nella  cattedrale  e  al  celebre  santuario  della  Vergine,  che 
Tanno  scorso  fu  con  tanta  pompa  e  pietà  incoronata.  (Roma,  tipog.  di 
Prop.  Fide;  in  8/  di  pag.  14.) 

4.  //  Vescovo  di  Savona  e  Noli,  mons.  Cerniti,  in  una  nobile  Omelia 
per  la  solenne  festività  di  Maria  Vergine  Assunta  al  cielo,  espose  al  suo 
popolo  la  somma  e  la  sostanza  della  Costituzione  de  Fide  e  della  pr'm/a 
Costituzione  de  Ecclesia.,  trattenendosi  specialmente  pella  definizione 
della  infallibilità  pontificia  ;  e  intorno  alla  opportunità  del  tempo  per 
questa  nuova  dottrina  sì  antica,  egli  pure  riconosce,  ciò  che  ornai  si  os- 
serva generalmente,  uno  speciaje  consiglio  della  Provvidenza  «  affinchè 
nella  pienezza  dello  splendore,  di  cui  per  tal  modo  si  mostra  in  tutta 
la  sua  bellezza  e  sublimità  la  divina  autorità  della  Chiesa,  che  nel  su- 
premo magistero  del  Romano  Pontefice,  suo  capo,  tutta  come  a  dire 
si  assomma  e  tocca  al  suo  fastigio,  a  poco  a  poco  si  ristorasse  il  con- 
cetto e  la  venerazione  dell'autorità  umana,  sia  di  famiglia,  sia  di  so- 
cietà, non  meno  della  religiosa,  fieramente  oggi  combattuta  dalle  ree 
dottrine  dell'umana  superbia.  »  (Savona,  tip.  vesc;  in  8.°  di  pag.  12.) 

5.  V Arcivescovo  di  Salerno,  mons.  Salomone,  che  nel  Concilio  sede- 
va tra  i  Primati,  come  Primate  della  Lucania  e  delle  Calabrie,  dolente 
di  non  aver  potuto  assistere  per  malattia  alla  IV  sessione,  né  potendo 
ancora  tornare  in  diocesi,  non  si  è  potuto  rattenere  di  dirigere  almeno 
a1  suoi  figli  spirituali  una  lettera  pastorale,  nella  quale  espone  la  som- 
ma della  Costituzione  intorno  alla  fede,  e  della  prima  costituzione  in- 
torno alla  Chiesa.  «  È  qui  dove  l'anima  mia  esulta  in  una  gioia  ineffabi- 
le, egli  dice,  e  dove  non  posso  annunziarvi  senza  una  voluttà  di  pa- 
radiso l' opera  più  grande  del  Vaticano  grandioso  consesso  .  .  .  Non 
taccio  affatto  essere  questa  Costituzione  passata  attraverso  l'opposi- 
zione energica  e  compatta  di  una  piccolissima  frazione  del  gran  con- 
cilio; senza  punto  tener  conto  di  quel  chiasso  di  piazza  che  fuori  di 
esso  si  è  venuto  facendo  con  tutte  le  arti  dai  nemici  e  da'  poco  o  nul- 
al  amici  della  Chiesa;  ma  debbo  dirvi  francamente,  a  rimuovere  lo 
scandalo  dai  pusilli,  che  la  è  stata  eminentemente  provvidenziale  quel- 
la opposizione.  »  L'illustre  prelato  dichiara  specialmente  come  perciò 
la  costituzione  n'è  uscita  raggiante  di  maggior  luce,  come  già  avea  ge- 
neralmente dichiarata  l'opportunità  provvidenziale  di  queste  due  Costi- 
tuzioni per  lo  stato  presente  della  società.  [Napoli;  in  8.°  di  pag.  12.) 

Serie  VII,  voi  XI,  fase.  492.  46  9  Settembre  1870. 


1M  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

6.  //  Vescovo  di  Lislri  e  amministratore  apostolico  di  Acquapen- 
dente, monsìg.  Focacce Ui,  il  giorno  stesso  della  definizione  non  tardò 
un  momento  a  dirigere  al  gregge  da  Roma  un  Invito  sacro  per  una 
lesta  di  ringraziamento.  «  Veniamo,  o  dilettissimi,  dalla  gloriosa  tomba 
di  S.  Pietro,  ali. lo  alla  quale  il  sacrosanto  Concilio  ecumenico  ha  deli- 
luto  pur  ora  solenuemente  la  potestà  suprema  e  l'infallibile  magistero 
del  Pontefice  Romano.  Mentre  l'augusta  basilica  ancor  echeggia  del  fer- 
vido plauso,  ond'è  stata  accolta  dalle  labbra  del  Vicario  di  Cristo  la 
promulgazione  del  sospirato  decreto;  mentre  ci  dura  vivissima  nel  cuo- 
re la  commozione  di  un  atto  e  di  un  momento  sì  grande,  il  nostro  pen- 
silo corre  a  voi in  quella  guisa  che  congiungemmo  le  anime  nostre 

nella  preghiera,  congiungiamole  nel  rendimento  di  grazie,  ed  esaltiamo 
la  Provvidenza  infinita  dell'inestimabil  beneficio  che  ha  largito  alla  ter- 
ra. »  [Roma,  un  foglio.) 

7.  //  Vescovo  d'Ischia,  monsig.  Romano,  comincia  con  dire:  «  Ritor- 
nato dall'eterna  città,  dove  debole  di  corpo  e  prontissimo  di  animo,  mi 
trasse  la  doverosa  ubbidienza  al  supremo  infallibile  maestro  della  Chie- 
sa, per  prender  parte  alla  santa  opera  dell'ecumenico  Concilio  valicano, 
cou  la  pastorale  benedizione  dirigo  a  voi  tatti  il  paterno  saluto.  »  E  se- 
gue con  parole,  veramente  paterne,  a  congratularsi  co'  suoi  figli  della  loro 
fede  e  pietà,  e  si  rallegra  di  aver  potuto  significare  col  placet  la  sua  e 
la  loro  fede,  il  suo  e  il  lor  desiderio.  (Un  foglio.) 

8.  Termineremo  per  questa  volta  colla  Lettera  pastorale  del  Vescovo  di 
Bagnorca,  mgr.  Corradi,  il  quale  ha  avuto  il  felice  pensiero  d'illustrare 
la  dottrina  dell'infallibilità  colle  parole  di  quel  grande  Dottore,  che  è  la 
gloria  di  B  agnorea,  il  serafico  S.  Bonaventura.  Siam  certi  che  i  nostri 
lettori  ne  gradiranno  un  luugo  estratto. 

«  Stimiamo  farvi  cosa  grata,  e  del  pari  vantaggiosa  alla  vostra  pietà 
di  trattenervi  ancor  per  poco,  per  mettervi  in  grado  di  poter  rispondere 
colle  parole  stesse  del  Santo  a  chiunque  tentasse  farvi  tralignare  dalla 
fede  dei  Padri  vostri.  A.  coloro  i  quali  pur  abbindolare  i  semplici  van  fa- 
cendo le  meraviglie,  come  mal  il  Concilio  Vaticano  abbia  potuto  definire 
che  un  uom  >  soggetto  alle  comuni  miserie,  non  possa  sbagliare;  rispon- 
dete che  allora  noi  non  consideriamo  il  Papa  come  una  persona  qualun- 
que, ma  come  dice  il  Serafico,  allora  lo  consideriamo  quale  la  S.  Scrit- 
tura lo  asserisce,  la  fede  lo  insegna,  il  diritto  lo  attesta,  e  ragioni  irre- 
fragabili lo  dimostrano  Capo  unico  e  sommo,  sposo  unico,  il  (piale  co- 
me supremo  Maestro  instruisce  la  Chiesa,  e  tiene  il  luogo  di  Cristo;  e 
perciò  si  deve  curvare  innanzi  a  lui  ogni  ginocchio  e  dei  Principi  <i  dei 
Prelati,  e  dei  Chierici  e  dei  Laici,  ali1  istesso  modo  come  si  curva  innan- 
zi a  Cristo  nei  cieli  o^ni  potestà  celeste,  terrestre  ed  infernale  ia 
depaup.  Chrisli).  A  quelli  che  per  orgoglio  e  per  miscredenza  spargono 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  723 

dubhii  sulla  condanna  emanata  dalla  S.  Sede  di  qualsiasi  libro  od  erro- 
re, rispondete  come  in  simile  caso  diceva  S.  Bonaventura  (Cap.  Ì.Apol. 
paup.)  «.  che  non  senza  nota  di  ribellione  si  sprezza  la  sentenza  del  Pon- 
tefice. Se  nel  tempo  dell1  antica  legge  riputavasi  delitto  degno  di  morte 
contrariare  al  di  lui  giudizio;  molto  più  adesso,  mentre  si  ha  un'aper- 
ta cognizione  della  pienezza  della  potestà  conferita  al  Vicario  di  Gesù 
Cristo,  è  un  gran  peccato  da  non  potersi  in  verun  conto  sopportare, 
Fopporsi  alle  sue  definizioni  in  materia  di  fede  e  di  costumi  ».  Se  ta- 
luni avessero  la  temerità  di  asserire  che  alcuni  Ponletici,  come  Dottori 
della  Chiesa  universale,  avessero  errato  in  materia  di  fede  o  di  costumi, 
rintuzzate  l'indegna  calunnia  colle  eloquenti  parole  del  Serafico  piene  di 
fede  e  di  affetto  alla  sacrosanta  Chiesa  Romana.  Egli  per  difesa  della  ve- 
rità contro  gli  oppugnatori  della  mendicità  volontaria  approvata  dai  som- 
mi Pontefici  così  diceva:  «  Tale  assurdità  abboniscono  di  ascoltare  le  pie 
orexhie  dei  credenti  »  aures  piae  audire  abhorrent....  Sorgi  tu,  o  santa 
Romana  Chiesa  et  indica  causam  tiiam.  Se  V  Ordine  dei  Minori  retta- 
mente professa  la  verità  del  Vangelo,  tuum  est:  se  nella  professione  da 
te  sancita  esso  devia  dalla  verità,  tuum  est  ;  e  perciò  se  si  appone  Y  er- 
rore a  questa  santa  professione,  tu  stessa  che  f  hai  sanzionata  sei  accu- 
sata di  errore;  e  tu  quae  magislra  veritatis  hactenus  exlitisti,  che  sei  stata 
sempre  la  maestra  della  verità,  ora  da  certi  moderni  presuntuosi  sei  de- 
risi come  ignorante  della  legge  umana  e  divina,  et  a  quibusdam  moder- 
nis  praesumptoribus  velut  iuris  divini  et  fiumani  nescia  derideris  (Cap.  2. 
A/?,  paup.) 

Potremmo,  o  dilettissimi  in  Gesù  Cristo,  darvi  altri  ammonimenti  rica- 
vati dalla  sublime  dottrina  del  nostro  S.  Concittadino  per  mantenervi 
saldi  nella  fede,  e  del  pari  premunirvi  contro  i  nemici  di  Dio  e  della 
Chiesa,  che  cercano  ogni  mezzo  per  falsare  il  vero  senso  della  dottrina 
cattolica  definita  dal  Concilio  Vaticano.  Siccome  però  ciò  allungherebbe 
di  troppo  'Otesta  nostra  lettera,  pertanto  sarem  paghi  solamente,  prima 
di  por  fine  alla  presente,  di  accennarvi  e  sciogliere  una  difficoltà,  che  al- 
cuni accampano  per  menomare  Y  importanza  e  necessità  della  definizione 
teste  emanata.  Se  questa  verità,  essi  dicono,  anche  per  lo  innanzi  si  cre- 
deva, e  mettevasi  in  pratica  dai  fedeli,  non  vi  era  dunque  una  necessità 
che  il  Concilio  ne  formasse  un'articolo  di  fede,  senza  del  quale  come 
essi  si  salvarono  nel  passato,  così  potevano  salvarsi  in  avvenire.  Ri- 
sponderemo a  questa  difficoltà  colle  stesse  parole  del  Santo.  Per  difen- 
dere la  processione  dello  Spirito  Santo  contro  dei  Greci,  che  mal  sop- 
pottavano  venisse  aggiunto  nel  simbolo  che  desso  procede  anche  dal 
Fig  io,  così  egli  scrive;  «  È  antico  vezzo  de1  miscredenti,  quando  si  tro- 
vano deboli  di  ragioni,  muovere  accuse  e  rimproveri  contro  i  cattoli- 
ci, perchè  anche  senza  il  dichiarato  articolo  di  fede  si  poteva  conse- 


724  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

guire  l'eterna  salate  «  quia  sine  huius  articuli  professione  salus  erat  » 
(1.  Sent.  d.  il,  art.  I).  Ma  la  professione  di  questoarticolo,  così  egli  pro- 
segue, venne  fuori  per  tre  motivi:  ex  fìdei  ventale,  ex  Ecclesiae  auctori- 
tate,  ex  periculi  necessitate.  Il  medesimo  deve  dirsi  dell1  infallibilità  del 
Romano  Ponteiice.  » 

E  appunto  coir  applicare  al  caso  presente  le  tre  ragioni  accennate  da. 
santo  Dottore,  il  Vescovo  di  Bagnorea  conclude  la  sua  pastorale,  data  da 
Roma  il  giorno  stesso  della  definizione.  (Roma,  tip.  Aureli;  in  8.°  di 
pag.  12.) 

IL 

ACCOGLIENZE  AI  VESCOVI  RITORNATI  DAL  CONCILIO 

1.  Nelle  diocesi  di  Francia  —  2.  in  quelle  del  Belgio. 

1.  Per  la  dichiarazione  della  guerra  e  molto  più  per  l'avversa  fortuna, 
eoe  patì  fin  dal  principio  di  essa  l'esercito  imperiale,  furono  intorbidate 
e  poi  estinte  del  tutto  le  dimostrazioni  pubbliche  di  gioia,  colle  quali  si 
apparecchiava  la  Francia  ad  applaudire  alla  solenne  defrazione,  fatta 
nel  Concilio  Vaticano  della  infallibilità  del  Romano  Pontefice.  Senza  il 
peso  di  così  insperata  calamità,  la  proclamazione  di  questo  domma 
sarebbe  stata  accolta  e  celebrata  con  segni  di  giubilo  pari  all'ardore  del- 
le supplichile,  colle  quali  essa  venne  implorata  dal  clero  e  dal  popolo  di 
quella  illustre  nazione.  Noi  lo  argomentiamo  da  quelle  liete  e  divote  ac- 
coglienze, che  si  poterono  l'are  ai  Vescovi,  allorché  essi  tornarono  dal 
Concilio  in  mezzo  ai  loro  greggi,  agitati  dagli  apparecchi  militari,  e  dal 
passaggio  e  dalla  partenza  delle  truppe. 

I  venerabili  Prelati  giungendo  nelle  loro  città,  incontravano  alla  sta- 
zione delle  vie  ferrate  i  capitoli,  tutto  il  resto  del  clero  ed  il  popolo. 
Tra  le  acclamazioni  festive,  in  mezzo  ai  concerti  musicali,  col  canto  de- 
gP  inni  sacri  erano  condotti  alla  chiesa  cattedrale,  e  quivi,  annunciata 
la  buona  novella,  recitavasi  solennemente  il  Credo,  e  cantavasi.il  Te 
Deum.  Venuta  la  notte,  si  continuava  a  festeggiare  il  loro  arrivo  con 
private  e  pubbliche  luminarie.  Senonchè  codesti  sfoghi  di  santa  letizia 
erano  moderati  dagli  stessi  Vescovi,  i  quali  per  riguardo  della  condizio- 
ne pericolosa  in  cui  versava  la  patria,  avevano  con  avvisi  precedenti  o 
raccomandata  la  sobrietà  o  altresì  vietata  ogni  esteriorità  di  pompa. 

Per  dire  qualche  cosa  in  particolare,  nella  città  di  Àire-sur-l'Adour 
monsignor  Epivent  fu  accompagnato  alla  chiesa  vescovile  in  mezzo  ai 
canti  di  gioia  e  di  trionfo,  al  suono  di  strumenti  musicali,  e  con  acclama- 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  725 

zioni  in  certa  maniera  simili  a  quelle,  che  furono  fatte  in  Roma  a  Pio  IX 
infallibile  nella  sessione  generale  dai  Padri  del  Concilio  e  da  tutta  la 
moltitudine  dei  fedeli  raccolti  nella  Vaticana  Basilica.  Il  popolo  di  Aire 
si  era  proposto  di  rendere  al  suo  Pastore,  il  quale  rappresentava  la  fede 
romana  e  la  persona  del  Papa,  quelle  onorificenze,  che  la  città  eterna 
avea  resi  al  Vicario  di  Gesù  Cristo.  Esso  salutò  nel  proprio  Vescovo  un 
Padre  e  nello  stesso  tempo  un  testimonio  ed  un  messaggero  della  infal- 
libilità, definita  come  domma,  dei  successori  di  Pietro.  Abbracciando  lui 
abbracciò  con  uno  slancio  medesimo  di  affetto  il  Pastore  della  Chiesa  uni- 
versale. Le  vie  erano  illuminate  e  adorne  di  archi  trionfali.  La  chiesa 
cattedrale  splendidamente  parata.  11  Vescovo  vi  fu  condotto  sulle  brac- 
cia del  popolo,  e  quindi  fu  accompagnato  al  palazzo  episcopale.  Nella 
chiesa  e  nel  palazzo  alcuni  oratori  gli  volsero  la  parola,  e  celebrarono 
le  lodi  di  Pietro,  e  magnificarono  il  suo  glorioso  e  divino  magistero,  che 
si  perpetua  nei  suoi  successori. 

In  questo  ritorno  quasi  tutt'i  Vescovi  significarono  di  voler  tosto  pub- 
blicare una  lettera  pastorale,  ove  parlerebbero  delle  definizioni  del  Con- 
cilio Vaticano,  ed  in  particolare  di  quella  intorno  ali1  infallibilità  del 
Papa.  Alcuni  si  contentarono  di  questo  solo;  ma  i  più  aggiunsero  qual- 
che parola  per  consolare  la  pietà  di  quelle  moltitudini  di  fedeli,  accorsi  a 
festeggiare  il  loro  arrivo.  Noi  soggiungeremo  qui  appresso  alcuni  pochi 
tratti  di  tali  discorsi,  i  quali  furono  tutti  dal  popolo  devoto  ascoltati 
con  quella  santa  gioia,  conche  erano  pronunziati  dai  loro  venerabili  Pa- 
stori. 

Monsignor  Guerrin,  Vescovo  di  Langres,  annunziò  la  definizione  della 
infallibilità  del  Romano  Pontefice  sotto  il  concetto  di  una  gloriosa  vit- 
toria, riportata  dalla  verità  contro  tutti  gli  errori  del  nostro  secolo.  Il 
suo  discorso  fu  un  semplice  ed  affettuoso  commento  di  quelle  parole 
dell'Apostolo:  Gratias  Beo,  qui  dedit  nobis  uirforiam  islam  per  Bomi- 
num  Nostrum  Iesum  Christum.  I  preti  della  diocesi  aveano  sottoscritto  ed 
inviato  a  Roma  un  indirizzo  al  Santo  Padre,  implorando  quella  defini- 
zione. Il  venerabile  Pastore  raccontò  con  quanta  soddisfazione  esso  era 
stato  accolto  dall'  augusto  Pontefice  Pio  IX,  allorché  egli  stesso  ebbe 
l'onore  di  deporlo  a'suoi  piedi. 

Il  Vescovo  di  Tulle,  monsignor  Berteaud,  avendo  paragonata  la  defi- 
nizione della  infallibilità  pontificia  ad  un  taro  risplendente  innalzato 
nella  Chiesa,  ne  inferì  che  essa  lungi  dall' apportar  danno  o  fastidio, 
come  alcuni  pretendevano,  e  cagione  di  somma  utilità  e  di  consolazio- 
ne, com'è  ai  viandanti  là  luce  del  sole. 

Monsignor  Jordany,  Vescovo  di  Frejus,  rese  grazie  a  Dio  di  aver  po- 
tuto sostenere  felicemente  nel  Concilio  Vaticano  le  parti  di  giudice  e  di 
testimonio  della  fede.  Come  giudice,  egli  disse,  io  recando  in  mezzo  i 


726  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

frutti  di  cinquanta  anni  da  me  spesi  nello  studio  delle  scienze  sacre,  ho 
afTt-rnìnto  le  grandi  verità  di  cui  il  secolo  ha  bisogno,  e  soprattutto 
quella  della  infallibilità  del  Romano  Pontefice  Vicario  di  Gesù  Cristo, 
ogni  qual  volta  egli  definisce  ex  cathedra  intorno  alla  fede  ed  ai  costu- 
mi. Come  testimonio  ho  attestato  solennemente  al  cospetto  di  Pio  IX  e 
dei  Vescovi  di  tutto  l'universo,  che  la  mia  fede  era  quella  medesima 
del  mio  clero  e  del  mio  popolo:  quella  stessa  che  i  miei  predecessori 
nella  sede  di  Frejus  hanno  costantemente  predicata.  Io  esulto  per  aver 
contribuito  alla  solenne  definizione,  che  in  questo  momento  rallegra  il 
mondo  cattolico,  e  resterà  sempremai  memorabile  nei  fasti  della  Chiesa. 
Con  tale  definizione  il  Concilio  ha  rimediato  ad  uno  dei  grandi  mali  del 
nostro  tempo.  Affermando  in  una  forma  così  solenne  l'autorità  del  suc- 
cessore di  Pietro,  ha  raffermato  sopra  basi  incrollabili  il  principio  di 
autorità,  sul  quale  essenzialmente  riposa  la  felicità  tanto  civile  quanto 
domestica  del  genere  umano. 

Monsignor  de  Langalerie,  Vescovo  di  Belley,  espose  eloquentemente 
i  frutti  di  henedizone  e  di  pace,  che  proverranno  da  questa  definizione 
del  Concilio.  Poiché,  ei  disse,  la  mansuetudine  della  Chiesa  si  unisce 
maravigliosamente  alla  sua  invincibile  possanza.  Essa  parla,  e  alle  sue 
parole,  siccome  a  quella  di  Gesù  Cristo  suo  fondatore,  tacciono  i  venti 
e  le  tempeste,  e  si  spande  e  si  stabilisce  la  pace  nel  mondo  delle  intelli- 
genze. Et  facta  est  tranquillitas  magna. 

Monsignor  Rousselet,  Vescovo  di  Séez,  trovò  alla  stazione  tutto  il  ca- 
pitolo della  sua  cattedrale,  i  direttori  dei  seminarli,  i  cleri  delle  par- 
rocchie, gli  allievi  dei  piccoli  seminari*!,  le  comunità,  i  collegi,  gli  ec- 
clesiastici accorsi  in  gran  numero  dalle  varie  parti  della  diocesi,  le  fa- 
miglie più  cospicue  del  dipartimento.  Fu  trionfalmente  condotto  alla 
cattedrale,  innanzi  alla  cui  porta  era  un  arco  colla  iscrizione:  Ecclesia 
Sagicnsis  Doctori  Infallibili  Fides  et  Amor.  L'ab.  de  Fontenay  vicario 
generale  parlò  in  nome  di  tutto  il  gregge,  congratulandosi  del  fausto 
n'orno  del  Pastore,  che  apportava  il  bramato  annunzio  della  grande  de- 
finizione. Egli  terminò  dicendo,  che  la  definizione  del  domma  della  in- 
fallibilità del  sommo  Pontefice  ha  dissipale  tutte  le  nubi;  che  per  tale 
definizione  la  cattedra  di  Pietro  è  divenuta  come  la  colonna  luminosa,  la 
quale  precede  il  novello  popolo  di  Dio;  e  gl'indica  il  cammino  che  de- 
ve battere.  Questa  colonna,  egli  aggiunse,  non  avrà  punti  oscuri,  se  non 
pei  figli  dell'Egitto,  per  gli  orgogliosi  e  per  gli  empii;  ma  rischiarerà  per 
sempre  i  figliuoli  d'Israele  con  una  pura  ed  immutabile  chiarezza.  Al  che 
rispondendo  il  venerabile  Prelato  disse  tra  le  altre  cose:  Quando  io  sta- 
va nell'Aula  conciliare,  il  giorno  in  cui,  terminata  ogni  discussione,  la 
Chiesa  dovea  rendere  il  suo  giudizio,  provai  in  quel  momento  l'immen- 
sa consolazione  di  vedermi  come  raccolta  intorno  tutta  la  mia  diocesi. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  727 

Non  si  ignorava  qui  ciò  che  io  pensava  intorno  alla  infallibilità  del  Ro- 
mano Pontetice.  Spesse  fiate  io  avea  fonnalniente  dichiaralo  il  mio  ani- 
mo, ricevendo  gl'indirizzi  fatti  e  sottoscritti  da  tulli  voi  nelle  vostre 
riunioni,  lo  allora  palesava  il  mio  gaudio,  vedendo  che  il  mio  gregge 
avea  la  fede  medesima  del  suo  Pastore,  la  grande  fv  de  tradizionale  del- 
ia Chiesa,  la  quale,  sia  pure  che  in  qualche  contrada  si  poneva  in  dub- 
bio, conservava  nondimeno  costantemente  ia  sua  l'orza  e  i  suoi  dritti. 
Oggi  al  line  la  cosa  è  giudicata.  Il  domata  della  infallibilità  del  Papa, 
parlante  ex  cathedra  in  materia  di  fede  e  di  costumi,  è  stato  definito, 
possiamo  pur  dirlo,  ad  unanimità  dai  Padri  presenti  alla  sessione.  Un 
tal  voto  confermato  dal  sommo  Pontefice,  regola  questo  punto  della  no- 
stra credenza,  e  lo  pone  quindi  innanzi  per  tutti  i  cattolici  fuori  di  ogni 
questione. 

La  cattedrale  di  Bourges  era,  come  ne1  giorni  di  Pasqua,  tutta  colma 
di  popolo  plaudente  al  ritorno  del  suo  Arcivescovo,  monsignor  de  La 
Tour  d'Au vergne.  Questi  rispondendo  ai  desiderio  che  si  leggevano 
apertamente  in  tutti  i  volti,  salì  in  pulpito  e  parlò  del  Concilio  Valicano 
e  delle  sue  definizioni,  e  specialmente  di  quella  sì  ardentemente  invo- 
cata della  infallibilità  del  Romano  Pontefice.  Egli  fece  avvertire,  che  la 
sanzione  di  un  Concilio  generale  fatta  dal  Papa,  induce  rigorosa  e  stret- 
ta obbligazione,  e  che  questa  sanzione  suprema  era  già  stata  aggiunta 
da  Pio  IX  agli  atti  del  Concilio  Vaticano;  e  che  per  conseguenza  fin  da 
quel  punto  questi  atti  erano  stati  rivestiti  di  tutti  quei  caratteri,  che  si 
richiedono  a  costituire  le  leggi  della  Chiesa.  La  promulgazione  era  stata 
l'atta  a  Roma.  La  costituzione  concernente  V  infallibilità  era  stata  affissa 
ai  quattro  angoli  della  eterna  città,  e  con  ciò  essa  era  stata  promulgata 
non  solamente  per  Roma,  ma  per  tutto  Korbe  cristiano. 

Monsignor  Bernadou,  Arcivescovo  di  Sens,  ritrovò  al  suo  arrivo  la 
chiesa  cattedrale  piena  di  popolo  e  di  ecclesiastici  non  solo  della  città, 
ma  de1  luoghi  più  lontani  della  diocesi.  Allora  monsignor  Picherot  Ve- 
scovo preconizzalo  di  Tarbes  gli  fece  un  discorso  a  nome  di  tutti,  e  tra 
le  altre  cose  disse  queste:  «  Non  ostante  il  permesso,  che  voi  avevate 
ottenuto  di  ricondurvi  nella  vostra  diocesi,  e  non  ostante  il  bisogno  che 
noi  avevamo  di  voi,  noi  fummo  profondamente  commossi  al  sapere, che 
voi  vi  eravate  deciso  di  non  abbandonar  Roma,  se  prima  non  aveste 
renduto  col  vostro  Placet  un  solenne  e  pubblico  omaggio  alla  verità. 
Voi  ritornate  in  mezzo  a  noi  ricolmo  dei  favori  di  Pio  IX  e  tutto  fragran- 
te delle  sue  benedizioni.  Noi,  monsignore,  ne  siamo  felici,  ne  andiamo 
lietissimi  e  ce  ne  congratuliamo  con  esso  voi.  Voi  sarete  per  ciascun  dei 
vostri  preti  ciò  che  è  stato  per  voi  il  sommo  Pontefice,  ed  i  pastori  di 
second'ordine  saranno  per  le  loro  pecorelle  ciò  che  voi  vi  degnate  di 
essere  per  loro.  Cosi  vanno  ordinariamente  le  cose.  Coir  obbedì  re  si 


728  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

apprende  a  comandare.  »  L'Arcivescovo  rispondendo  parlò  della  defini- 
zione dell'infallibilità  nei  termini  seguenti:  «  Il  principal  frutto, ei  disse, 
de'  lavori  del  Concilio  è  slata  la  donaniaticà  definizione  dell1  infallibilità 
del  Romano  Pontefice.  Non  è  certamente  questa  una  novella  verità.  Con- 
tenuta (in  dal  principio  nel  deposito  della  rivelazione,  essa  era  diven- 
tata, col  volgere  dei  secoli,  sempre  più  palpabile,  mercè  della  pratica  co- 
stante della  Chiesa.  Ma  con  tutto  ciò,  la  verità  medesima  rimaneva  più 
o  meno  velata  agli  occhi  di  certuni;  potea  esser  discussa,  potea  esser 
rivocata  in  dubbio  e  perfino  negata,  senza  incorrere  la  nota  dell'eresia. 
Oggi  finalmente  essa  è  di  fede  cattolica  e  necessaria.  Ieri  questionava- 
mo, oggi  crediamo  e  confessiamo;  e  dobbiamo. tutti  star  pronti  a  difen- 
dere questo  domma,  come  ogni  altro  doni  ma  della  fede,  anche,  occor- 
rendo, a  costo  della  nostra  vita  e  fino  all'ultima  goccia  del  nostro  san- 
gue. Un  Credo  immenso  già  prorompe  da  tutti  i  cuori  cattolici,  e  fa  eco 
alla  grande  voce  del  Concilio  e  a  quella  del  Santo  Padre.  » 

La  piazza  innanzi  alla  stazione  di  Meaux  era  tutta  piena  di  popolo  al- 
l'arrivo del  suo  Vescovo  monsignor  Allou.  Al  primo  suo  comparire  fu  sa- 
lutato con  vivissime  acclamazioni,  e  quivi  stesso  egli  si  vestì  degli  abiti 
di  coro,  si  ordinò  una  lunga  e  splendida  processione,  e  si  andò  alla  cat- 
tedrale. Il  discorso  di  congratulazione-  fu  recitato  dal  decano  del  capito- 
lo, il  quale  terminò  esclamando  in  questa  guisa:  «  Tutti,  preti  e  seco- 
lari, riguardiamo  come  uno  de1  più  beati  giorni  di  nostra  vita  questo, 
nel  quale  stiamo  per  esser  benedetti  da  quella  mano,  diventala  per 
noi  più  degna  di  venerazione  ;  da  quella  mano  che  ha  sottoscritto  il  de- 
creto, col  quale  è  stata  innalzata  a  domina  di  fede  la  dottrina  dell'infal- 
libilità del  Romano  Pontefice!  »  Al  che  l'amato  e  venerato  Pastore  mon- 
tato in  pulpito  rispose  con  parola  di  caldissimo  affetto,  e  dichiarò  che 
egli  stando  in  Roma  e  nelP  aula  conciliare  si  metteva  in  ispirito  in  mez- 
zo allo  stesso  Segno  clero  ed  al  piissimo  popolo,  che  gli  faceva  a  queslo 
suo  ritorno  si  lieta  e  divota  corona.  Il  vostro  Vescovo,  egli  disse,  ha  vo- 
tato senza  niuna  esitazione  pel  trionfo  dell'autorità  e  dell' infallibilità 
dei  Romani  Pontefici  successori  di  Pietro. 

La  città  di  Carcassona  non  fu  da  meno  di  niun'aìtra  nel  festeggiare 
l'arrivo  del  suo  Vescovo  monsignor  Roullet  de  la  Bouillerie,  e  neir  ap- 
plaudire al  santo  ardore  col  quale  in  Roma  egli  avea  proclamato  e  di- 
feso i  dritti  della  Cattedra  di  Pietro.  Ecco  il  sunto  del  discorso,  che  in 
quella  occasione  pronunziò  l'illustre  Prelato.  «  Gli  omaggi,  ei  disse,  che 
voi  mi  fate  in  questo  momento,  non  vanno  solamente  a  terminare  alla 
mia  persona,  ma  assai  meglio  e  con  maggior  diritto  onorano  la  santa 
causa,  che  io  ho  avuto  la  fortuna  di  difendere,  ed  il  glorioso  trion- 
fo, al  quale  Iddio  mi  ha  conceduto  di  assistere,  lo  non  lascierò  di  com- 
piere il  dovere  del  mio  ufficio,  spiegandovi  chiaramente  la  magnifica 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  729 

dottrina,  che  abbiamo  definita  nel  Concilio.  Per  ora  io  mi  contento  di 
ripetere  quel  solo,  che  io  già  vi  diceva  nel  punto  della  mia  partenza; 
cioè  che  la  questione  che  andavamo  a  trattare,  toccava  stella  niente 
alla  costituzione  stessa  della  Chiesa.  Trattavasi  di  sapere  se  Gesù  Cristo 
avesse  detto  al  solo  Pietro:  «  Tu  sei  Pietro,  e  su  di  questa  Pietra  io 
edificherò  la  mia  Chiesa  ...»  Quand'ecco  le  colonne  del  tempio,  non 
tutte  ma  più  di  una,  cominciano  ad  ingelosire  contro  la  Pietra.  Esse 
hanno  avuto  la  temerità  di  dire:  «  Anche  noi  sosteniamo  l'edificio...  » 
Insensate!  Esse  noi  sostengono  altrimenti,  se  non  in  quanto  la  Pietra 
del  fondamento  sostiene  loro.  Se  questa  Pietra  crollasse,  esse  cadreb- 
bero nel  medesimo  istante,  e  diventerebbero  un  miserabile  ammasso 
di  rovine.  Ma  Iddio  non  permette  nulla  di  ciò.  Egli  ha  permesso  le 
lotte,  ha  permesso  i  proponimenti  cattivi,  ha  permesso  i  mezzi  per- 
versi. Egli  ha  permesso  che  gli  angeli  di  luce  si  trasformassero  in  an- 
geli di  tenebre.  Ma  non  permetterà  giammai  che  le  porte  dell1  inferno 
prevalgano  contro  la  Chiesa  e  contro  la  sua  Pietra  fondamentale.  La 
Pietra  dura  immobile,  e  l'edilìzio  resta  in  piedi.  Affermando  irrevoca- 
bilmente l'autorità  della  Sede  apostolica,  abbiamo  messa  in  salvo  la 
Chiesa.  Di  qui  innanzi  non  vi  saranno  dunque  più  discussioni,  non  più 
discordie,  non  più  sentimenti  opposti  intorno  ad  una  quistione,  che 
divideva  da  tanti  secoli  gli  animi  de1  cattolici.  Non  vi  sarà  ornai  che 
una  sola  fede;  quella  fede  che  ostata  definita  nella  costituzione  am- 
mirabile, promulgata  dal  sommo  Pontefice  il  diciottesimo  giorno  di 
questo  mese.  Oh!  come  posso  io  descrivervi  ciò  che  si  passò  in  que- 
sto gran  giorno,  che  resterà  indelebile  e  glorioso  ne'  fasti  della  Chie- 
sa I  Cinquecento  quaranta  Vescovi,  che  proclamano  l'infallibilità  dot- 
trinale del  sommo  Pontefice;  il  Papa  che  dall'alto  del  suo  trono  con- 
ferma la  definizione  del  Concilio  ;  indi  vicendevolmente  i  Vescovi,  che 
acclamano  alla  parola  suprema  del  loro  capo  infallibile;  e  così  a  quel 
primo  voto  si  venne  ad  aggiungere  quest'altro  voto  per  acclamazioue, 
che  era  tanto  pavenlevole  a  taluni;  poi  tutta  la  folla  de'  fedeli  raccolta 
nell'immensa  basilici,  che  accoglie  cogli  applausi  e  colle  grida  di  ec- 
cessiva letizia  la  parola  del  Papa  e  dei  Vescovi;  e  le  volte  di  san  Pie- 
tro che  trasportano  lontano  quest'eco,  come  se  con  un  immenso  con- 
certo esse  cantassero  quelle  sublimi  parole  scritte  attorno  alla  sacra  cu- 
pola: «  Tu  sei  Pietro,  ed  io  edificherò  su  questa  Pietra  la  mia  Chiesa...  » 
Come  mai,  figliuoli  miei  carissimi,  io  potrò  degnamente  rappresentarvi 
tali  cose!  La  parola  mi  manca;  e  questa  è  una  delle  glorie  dell'anima 
cristiana;  che  essa  provi  trasporti  di  gioia  impossibili  a  descrivere  con 
lingua  umana.  » 

2.  Dalla  Francia  passiamo  nel  Belgio,  e  dapprima  nella  città  diMalines, 
ove  monsignor  Arcivescovo  Dechamps  fu  accolto  con  dimostrazioni  di 


730  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

-somma  letizia  dal  clero  e  dal  popolo.  Giunto  alla  chiesa  metropolitana  ei 
recitò  la  seguente  allocuzione:  «  Carissimi  Fratelli.  E  il  nono  mese  da  che- 
io  vi  lasciai,  e  mentre  ora,  benché  il  Concilio  non  sia  prorogato,  io  ritor- 
no in  mezzo  a  voi  col  consenso  del  Santo  Padre,  e  mentre  v'impartisco  la 
sua  benedizione,  qual  atira  parola  vi  posso  indirizzare  se  non  quella  di 
Gesù  Cristo:  «  La  pace  sia  con  voi?  »  La  pace!  Ma  è  questo  il  tempo  di 
parlare  di  pace?  Sì,  miei  fratelli,  è  questo  il  tempo  di  parlare  della  pa- 
ce, sì  perchè  in  questo  momenlo  io  ritorno  da  Roma,  e  sì  perchè  ar- 
rivo in  mezzo  a  voi.  Il  mio  arrivo  da  Roma  richiede  che.  io  parli  della 
pace,  perchè  tutte  le  fatiche  che  ora  sostiene  la  Chiesa  insegnante,  rac- 
colta intorno  al  suo  capo,  sono  fatiche  di  pace  ed  arrecheranno  frutti  di 
pace.  La  sorgente  di  tutte  le  turbolenze  è  Terrore;  e  quindi  il  Concilio 
nel  proclamare  la  verità  arricchisce  il  mondo  della  vera  fonte  di  ogni 
pace  e  di  ogni  salvezza:  Veiitas  liberabit  vos.  Yoi  lo  avrete  già  ben  ri- 
conosciuto, miei  fratelli,  leggendo  le  due  costituzioni  dottrinali  (inora 
promulgate  dalla  Santa  Sede,  sacro  approbante  Concilio.  La  prima  ver- 
sa sugli  errori  degli  ultimi  tempi,  e  specialmente  su  quello  che  è  l'origi- 
ne di  tutti  gli  altri,  cioè  su  quello  il  quale  afferma  che  sono  ostili  fra  lo- 
ro le  due  forze,  le  quali  per  lo  contrario  Iddio  vuole  che  siano  io 
collegate  con  vincolo  di  pace:  la  ragione  e  la  fede.  Questa  prima  costi- 
tuzione del  Concilio  Vaticano  stabilisce  dunque  i  ptincipii  di  armonia 
della  kde  e  della  scienza;  e  li  stabilisce  con  quella  irresistibile  chia- 
rezza, che  ha  ripieno  di  giubilo  tutti  gli  occhi  amanti  della  luce.  L'altra 
costituzione  dogmatica  dissipa  le  nubi,  che  si  vollero  diffondere  fin  do- 
po il  grande  scisma  di  Occidente,  sulla  stessa  regola  della  fede,  sulla 
costituzione  divina  della  Chiesa,  sntfantorità  vivente,  che  Gesù  Cristo 
ha  stabilita  come  custode  della  verità  rivelata,  promettendole  la  sua 
infallibile  assistenza  nella  guardia  di  questo  sacro  deposito,  sino  alla  eon- 
summazione  dei  secoli.  Il  Concilio  ha  fatto  quello  che  non  polca  non  fa- 
re. Dopo  il  Concilio  di  Trento  le  nubi,  di  cui  parlo,  presero  un  corpo 
per  mezzo  di  una  celebre  formola.  Questa  forinola,  più  volte  prov 
non  era  stata  però  finora  dommaticamente  condannata.  Il  primo  Conci- 
lio generale  dopo  il  1682  non  potea  passarla  sotto  silenzio.  Esso  dun- 
que ha  parlato,  tutte  le  nubi  sono  svanite,  tutte  le  tempeste  degli  ani- 
mi si  son  sedate  mercè  della  proclamazione  dommatica  della  credenza, 
che  è  tanto  antica  e  tanto  universa!1,  quanto  la  Chiesa  riessa,  in  torna 
all'autorità  suprema  di  Pietro  e  de'suoi  successori  nelle  definizioni  so- 
lenni delle  dottrine,  che  toccano  alla  fede  ed  alla  morale,  e  nella 
danna  degli  errori  che  feriscono  lima  e  l'altra.  Così,  mici  fratelli,  la  pa- 
ce si  è  fatta  Degli  animi. 

«  Ma,  oimè!  nel  tempo  medesimo  che  si  è  fatta  negli  animi  questa  pa- 
ce, la  guerra  si  è  scatenata  fra  i  popoli  ! 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  ^31 

«  La  guerra  è  un  flagello,  il  più  terribile  forse  fra  tutti,  perchè  si  stra- 
scina dietro  gli  altri;  ed  allorché  la  divina  giustizia  permette  che  esso  si 
scateni,  noi  dobbiamo  unire  le  nostre  preghiere,  affin  di  ottener  da  Dio, 
che  ne  abbrevii  la  durata,  che  vi  metta  un  pronto  termine,  che  tenga 
lungi  le  calamità  che  minacciano  la  nostra  cara  patria.  Non  mancano  se- 
gni della  divina  misericordia  verso  di  noi.  11  contegno  della  nazione  riu- 
nita intorno  al  trono  ed  al  patrio  drappello,  il  rispetto  che  una  tal  atti- 
tudine ispira  ali1  Europa,  le  assicurazioni  che  ci  arrivano  dalle  vicine 
nazioni,  sono  ragioni  valevoli  a  sorreggere  la  nostra  confidenza,  la  quale 
però  dev'  essere  confermata  ed  accresciuta  dalla  preghiera.  Sì  egli  è  me- 
stieri che  la  preghiera  del  Clero,  la  preghiera  delle  anime  consecrate  a 
Dio,  la4  preghiera  di  tutto  il  popolo  fedele,  la  preghiera  comune.,  a  cui 
sono  state  fatte  le  divine  promesse,  ci  somministri  un  titolo  ad  una  fidu- 
cia anche  maggiore.  Dall'altro  canto  noi  abbiamo  un  motivo  da  sperare 
tutto  speciale.  La  Chiesa,  io  V  ho  udito  dalla  bocca  stessa  del  suo  Capo, 
la  Chiesa  è  contenta  del  Belgio.  Dunque  la  santa  Chiesa  nostra  madre  è 
contenta  dell'altra  nostra  madre,  cioè  della  nostra  cara  patria.  11  Belgio 
è  fedele  alla  fede  dei  suoi  maggiori  ;  il  Vicario  di  Gesù  Cristo  benedice 
di  tutto  cuore  questa  fedeltà.  Noi  dobbiamo  nutrire  la  ferma  speranza, 
che  siffatta  benedizione  ci  apporti  felicità,  che  conservi  fra  noi  la  fede 
come  radice  della  vita  cristiana,  e  Y  unione  cittadina  come  radice  del- 
l'unione nazionale.  » 

Appena  comparve  alla  stazione  di  Namur  il  Vescovo  di  quella  diocesi 
monsignor  Gravez,  l'immensa  moltitudine  che  stava  ad  aspettarlo  pro- 
ruppe nelle  acclamazioni  di  Viva  monsignore!  Viva  Pio  IX 1  Viva  il  Pa- 
pa infallibile!  Tra  queste  voci  di  giubilo  egli  fu  accompagnato  sino  alla 
porta  della  cattedrale,  ove  il  decano  del  capitolo  gl'indirizzo  un  breve 
discorso  a  nome  del  clero  e  del  popolo.  Indi  cantando  il  versetto  Sa- 
cerei os  et  Pontifex  si  andò  all'  altare;  e  quivi  giunto  il  Vescovo  intonò 
il  Te  Deum,  che  fu  proseguito  dalla  folla  che  empiva  il  vasto  tempio. 
Allora  ei  sali  sul  pulpito,  e  dopo  le  parole  di  affetto,  colle  quali  salutò 
tutto  il  popolo  quivi  raccolto,  gli  annunziò  la  definizione  del  Concilio 
in  questi  termini  :  Nello  scorso  lunedì  noi  abbiamo  sentito  proclamare 
il  domma  della  infallibilità  del  sommo  Pontefice.  Questa  proclamazione 
fu  accolta  colle  vivissime  acclamazioni  di  tutti  i  fedeli,  che  ricolmavano 
la  vasta  Basilica  di  san  Pietro;  acclamazioni,  le  quali,  ne  siamo  certi, 
avranno  un  eco  potente  nei  vostri  cuori.  Il  domma  della  infallibilità  del 
Papa  è  stato  sempre  generalmente  creduto  nella  Chiesa,  e  soprattutto 
nel  Belgio;  e  se  fu  combattuto,  noi  fu  mai  da  altri  che  da  alcuni  teinera- 
rii.  Il  sommo  Pontefice,  cedendo  alle  premurose  istanze  che  gli  vennero 
fatte,  consentì  d' introdurre  la  questione  nel  Concilia  ;  e  questo  avendola 
definita  affermativamente,  ha  aggiunta  una  nuova  gemma  alla  corona 
del  Vicario  di  Gesù  Cristo. 


T32  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

A  Bruges  monsignor  Faict,  accolto  con  simili  dimostrazioni  di  gioia, 
per  contentare  il  desiderio  ardente  del  suo  gregge,  salì  ancor  egli  sul 
pulpito,  e  cominciò  con  esporre  succintamente  tutte  le  maniere  di  osta- 
coli, che  il  febronianismo  e  il  gallicanismo  aveano  voluto  suscitare  con- 
tro la  proclamazione  solenne  della  infallibilità  pontiticia,  e  racco. ito  co- 
me dall'altra  parte  i  difensori  della  verità  aveano  con  prudenza  e  con 
forza  sventato  i  loro  maneggi.  Dopo  ciò  venendo  a  parlare  della  defini- 
zione della  grande  verità,  fece  chiaramente  vedere  conf  essa  esclude 
qualsivoglia  tergiversazione  e  qualsivoglia  equivoco.  Indi  colla  forza 
della  sua  eloquenza  quasi  trasportò  gli  uditori  sotto  V  immensa  nave  del 
Vaticano.  Mostrò  loro  l'augusta  assemblea  dei  535  Prelati  tutti  in  piedi 
innanzi  al  Padre  comune  della  cristianità,  intenti  ad  ascoltare  la  lettura 
d1  una  costituzione  dommatica,  aspettata  con  tanta  avidità  da  tutto  Y  uni- 
verso, ed  approvando  con  sommo  trasporto  di  affetto  una  definizione 
che  era  l'opera  dello  Spirito  Santo,  e  finalmente  cantando,  insieme  con 
trentamila  fedeli,  il  magnifico  inno  di  sant'Ambrogio. 

A  Liége  venne  con  simile  pompa  festeggiato  il  ritorno  di  monsignor 
de  Montpelier,  Vescovo  di  quella  diocesi.  L'Arcivescovo  di  Tiro  in  par- 
libus,  monsig.  de  Mercy-Argenleau,  parlò  in  nome  di  tutto  il  clero  e  di 
tutto  il  popolo  liegese,  congratulandosi  col  venerabile  Pastore  per  es- 
sersi egli  tanto  adoperato  a  far  proclamare  come  domma  cattolico  la 
infallibilità  del  Romano  Pontefice  nelle  decisioni  ex  cathedra.  Questa  in- 
fallibilità, egli  disse,  è  stata  per  diciotto  secoli  la  base  della  nostra  fe- 
de. Al  che  rispondendo  monsignor  de  Montpelier,  disse  che  era  stata 
soprabbondaute  la  sua  allegrezza,  nel  dare  il  suffragio  favorevole  alla 
grande  definizione;  perchè  nello  stesso  tratto  che  egli  allora  sentenzia- 
va come  giudice,  sapeva  certo  di  essere  il  rappresentante  e  il  testimo- 
nio della  fede  ardente,  colla  quale  la  sua  diocesi  avea  sempre  professata 
quella  divina  prerogativa  de'successori  di  Pietro. 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  733 

III. 

NOTIZIE  VARIE 

1.  Atti  di  adesioni  di  Vescovi  alla  definizione  dell'infallibilità  pontificia;  men- 
tita ad  imposture  contro  l'Arcivescovo  di  Leopoli  —  2.  S  oniilta  di  setta- 
rii  del  Konge;  e  solenne  promulgazione  del  domma  dell'  infallibilità  ponti- 
ficia in  GriUz  ed  in  Lisbona  —  3.  Feste  a  Gibilterra  —  4.  Circolare  del 
Radi,  ministro  dèi  Governo  di  Firenze,  circa  la  promulgazione  della  Co- 
stituzione pontificia  intorno  alla  infallibilità;  articoli  del  Codice  penale, 
onde  sono  minacciati  i  Vescovi  ed  i  parrochi  che  ne  parlassero  in  modo 
spiacevole  pel  Governo. 

1.  Continuano  a  giungere  alla  Santa  Sede  gli  atti  di  adesione  alla  Co- 
stituzione e  definizione  conciliare  pontificia  sancita  e  promulgata  nella 
Sessione  IV  del  Concilio  Vaticano ,'  p^r  parte  dei  Vescovi  che  in  quel 
memorando  giorno  erano  assenti  dall'  aula  vaticana ,  o  che  calunniosa- 
mente furono  messi  in  voce  di  poco  disposti  ad  accettarne  l1  irreforma- 
bile  decreto.  Infatti  ecco  quel  che  leggesi  nel  Giornale  di  Roma,  n.°  197 
del  31  Agosto. 

«  Grillini  e  Timi  monsignor  Arcivescovo  di  Lione,  e  monsignor  Arcive- 
scovo di  Leopoli,  di  rito  latino,  non  che  monsignor  Vescovo  di  Autun, 
han  fatto  pervenire  alla  Santità  di  nostro  Signore,  in  termini  chiari  ed 
espliciti,  Tatto  del  pienissimo  ossequio  della  loro  mente  e  del  loro  cuore 
alla  Conciliare  definizione  sulla  Infallibilità  pontificia,  sancita  e  promul- 
gata nella  Sessione  IV  del  Concilio  ecumenico  Vaticano. 

«  E  qui  è  da  notare  come  il  predetto  monsignor  Arcivescovo  di  Leo- 
poli  ha  energicamente  protestato  contro  la  impudente  calunnia  sparsa  a 
suo  carico  da  alcuni  giornali,  che  bugiardamente  gli  attribuirono  opi- 
nioni sfavorevoli  al  dogma  dell1  Infallibilità  pontificia,  quando  invece  e- 
gli  nello  esporlo  e  dichiararlo  ai  fedeli  avea  anche  difeso  tal  dogma  dalle 
ingiurie  e  dai  cavilli  dei  malevoli.  » 

2.  Nello  stesso  Giornale  di  Roma ,  n.°  195  del  29  Agosto  leggevasi 
un'altra  nota,  intesa  a  smentire  gravi  imposture  spacciate  da  giornali 
dei  frammassoni,  circa  una  supposta  scisma  di  un  numeroso  clero;, alle 
quali  favole  fanno  bel  contrapposto  le  feste  celebrate  in  Gràtz,  dove 
dicesi  avvenuta  la  scisma  in  massa.  Ecco  il  tenore  della  nota  del  Gior- 
nale di  Roma.  i 

«  Dai  giornali  ostili  alla  Santa  Sede  si  è  menato  poc'anzi  gran  rumore 
di  un  apostasia  in  massa,  che  avrebbe  avuto  luogo  in  Gràtz,  in  occasione 
della  pubblicazione  del  domma  dell'Infallibilità  pontificia.  La  verità  è 
che  nella  città  di  Gràtz  si  è  stabilita  già  da  molti  anni  la  sede  dei  cosi 


734  COSE  SPETTAMI  AL  CONCILIO 

detti  «  sema  religione  o  liberi  pensatori  »  sotto  la  condotta  del  noto  a- 
postataRonge.  Questi  infelici,  capitanati  da  un  prete  apostata  prussiano, 
aveano  concepito  il  disegno  di  fare,  nella  circostanza  della  promulgazio- 
ne del  domma,  una  pubblica  dimostrazione,  cui  avrebbero  dato  il  titolo 
di  Apostasia  in  massa.  Se  non  che  la  riunione,  che  a  tale  effetto  erasi 
organizzata,  venne  impedita,  e  i  più  furenti  di  quei  disgraziati  non  po- 
terono sfogare  il  loro  mal  animo  che  con  parziali  dichiarazioni,  le  quali 
raggiunsero  il  numero  di  poche  centinaia,  ben  lontano  dal  migliaio  an- 
nunzialo dai  detti  giornali. 

«  Non  si  tratta  dunque  di  una  nuova  apostasia,  come  gli  accennati  gior- 
nali avrebbero  indotto  a  credere,  ma  di  una  sola  dimostrazione  di  anti- 
chi apostati,  la  quale  per  giunta  non  sarebbe  riuscita  ad  ottenere  che  un 
ben  meschino  ed  insignificante  risultamento. 

«  Della  qual  cosa  è  pure  splendidissima  prova  il  fatto,  che  mimo  e 
Rnio  Mons.  Vescovo  di  Secovia  ha  solennemente  pubblicato,  in  Gì  àtz  sua 
residenza,  il  domma  promulgato  dal  Concilio  Vaticano,  tenendo  egli 
stesso  tre  discorsi  per  ispiegarlo;  e  ciò  non  solo  senza  incontrar  difficol- 
tà, ma  in  mezzo  ad  un  numeroso  concorso  di  popolo  raccolto  e  devoto. 

«  Anche  in  Lisbona,  al  dire  di  siffatti  giornali,  avrebber  dovuto  aver 
luogo  delle  contrarietà  alla  pubblicazione  suddetta.  Ma  i  fatti  a  queste  as- 
serzioni eziandio  hanno  inflitto  una  solenne  e  consolante  smentita,  giac- 
che questa  occasione  ha  dato  invece  luogo,  in  quella  città,  ad  una  pub- 
blica dimostrazione  di  venerazione  e  di  affetto  alla  Santa  Sede,  che  si  at- 
tuò col  festeggiare  nel  giorno  19  corrente  con  istraordinaria  pompa  la 
promulgazione  del  domma  dell' Infallibilità  pontificia.  Questa  festa  che 
riuscì  di  generale  gradimento,  venne  diretta  da  una  commissione  di  varii 
cattolici  e  di  alcuni  ecclesiastici,  che  costituitasi  spontaneamente  sotto  la 
presidenza  di  monsignor  Commissario  della  B  dia  della  Crociata,  aprì  una 
sottoscrizione  per  le  offerte  dei  fedeli,  e  compiè  la  sua  opera  con  la  re- 
dazione di  un  devoto  indirizzo  al  Santo  Padre,  ora  già  pervenuto  al  suo 
augusto  destino.  » 

3.  Belle  dimostrazioni  di  fede  veramente  cattolica  e  di  perfetta  som- 
missione a  quanto  erasi  definito  nel  Concilio  Vaticano  si  videro  pure  in 
Gibilterra,  nella  congiuntura  del  ritorno  colà  del  Vicario  apostolico  che 
regge  quella  eletta  parte  del  gregge  di  Gesù  Cristo;  intorno  alle  quali 
il  Giornale  di  Roma,  n.°  197  del  31  Agosto,  stampò  quanto  segue. 

«  Da  una  lettera  di  monsignor  Giovanni  Rattista  Scandella,  Vescovo  di 
Antinoe,  Vicario  apostolico  di  Gibilterra,  diretta  all' Efilo  e  Rino  signor 
Cardinale  Prefetto  di  Propaganda,  in  data  de' 6  di  questo  mese,  toglia- 
mo quanto  segue:  «  Il  mio  arrivo  in  questa  città,  il  31  dello  scorso  Lu- 
glio, ha  offerto  a  questi  fedeli  una  nuova  occasione  di  far  conoscere  i 
sentimenti  cattolici  dai  quali  sono  animati.  Appena  il  vapore  in  cui  ve- 
nivo, entrava  in  questa  rada,  un  considerevol  numero  di  battelli  con  ban- 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO  735 

diere  ed  altri  ornati,  e  pieni  lutti  di  fedeli  vestiti  a  festa,  ci  circondò,  e 
da  tutti  i  petti  sortivano  ripetute  grida  di  «  viva  Pio  ÌX!  viva  il  Conci- 
lio Vaticano!  »  Tutti  questi  battelli  che  sembravano  una  flottiglia,  scor- 
tarono quello,  in  cui  io  veniva,  nel  quale  guidavano  i  remi  i  principali 
artigiani.  Giunto  al  molo  trovai  tutto  il  clero,  che  vestito  di  cotta,  cap- 
pa, e  pluviale,  e  preceduto  dalla  Croce  parrocchiale  era  venuto  in  pro- 
cessione ad  incontrarmi.  Quivi  pure  m'attendeva  una  Commissione  dei 
principali  cattolici,  scelti  in  una  riunione  generale,  onde  felicitarmi  in 
nome  di  tutti.  La  folla  era  immensa.  Sul  molo  solo  v'  erano  oltre  a  cin- 
quemila persone,  e  questo  numero  non  era  maggiore  per  mancanza  di 
spazio.  In  mez/o  alle  più  entusiastiche  grida  di  «  viva  il  Papa  infallibile! 
viva  l'infallibilità!  viva  il  Concilio  Vaticano  »  ci  recammo  alla  Chiesa. 
Durante  tutta  la  via  si  rinnovavano  le  stesse  acclamazioni,  e  la  folla  era 
tale,  che  a  grande  stento  potè  passare  la  Processione.  Giunti  nella  Chie- 
sa, il  Clero  mi  lesse  un  affettuoso  indirizzo.  Molto  tenero  fu  il  modo,  con 
che  questi  fedeli  mi  congedarono  nella  mia  partenza  pel  Concilio.  La  loro 
fede  fece  versare  molte  lagrime  a  monsignor  Arcivescovo  di  Granata,  a 
monsignor  Vescovo  delle  Canarie,  e  a  molti  Preti  spagnuoli,  che  mi  ac- 
compagnavano. Mi  è  grato  però  assicurare  Vostra  Eminenza  che  assai 
più  espressiva  ed  affettuosa  fu  l'accoglienza,  con  cui  questi  fedeli  saluta- 
rono il  mio  ritorno.  Vostra  Eminenza  può  avere  un'idea  più  esatta  delle 
disposizioni  di  questi  cattolici  dalla  descrizione,  che  della  riferita  acco- 
glienza fu  pubblicata  in  questo  foglio  semi-ufficiale.  Ora  oso  pregare  Vo- 
stra Eminenza  Urna  a  degnarsi  d'assicurare  Sua  Santità  dei  sentimenti 
veramente  cattolici  di  questi  fedeli,  della  loro  gioia  pel  decreto  della  In- 
fallibilità pontilieia,  e  della  docilità  e  sommessione  assoluta,  con  cui  ac- 
coglieranno tutti  i  decreti  del  Concilio.  Oggi  stesso  pubblico  officialmen- 
te  la  Costituzione  menzionata,  e  su  di  essa  domani  predico  nella  Chiesa 
cattedrale.  » 

4.  Il  Governo  di  Firenze  pei  suoi  giornali  giudaici  menava  gran  vanto 
della  magnanimità,  con  cui  avea  permesso  ai  Vescovi  d'Italia  di  con- 
dursi al  Concilio,  e  non  avea  frapposto  verun  ostacolo  alla  piena  liber- 
tà di  questo ,  per  rispetto  al  principio  di  Libera  Chiesa  in  libero  Stato. 
Affinchè  si  vegga  viemmeglio  di  quale  indole  fosse  questa  magnanimi- 
tà, riferiremo  qui  il  testo  d'una  Circolare  risercatissima ,  spedita  dal 
Raeli,minis!ro  di  Grazia  e  Giustizia  e  dei  Culti  circa  la  Costituzione  del- 
l'Infallibilità  pontificia:  la  quale  Circolare  venne  pubblicata  da  quasi 
tutti  i  buoni  giornali  d'Italia,  ed  è  del  tenore  seguente. 

«  Firenze,  15  Agosto  1870.  In  confronto  delle  dichiarazioni  manife- 
stale dal  Governo  nella  circolare  29  Settembre  1869,  num.  13956,  al- 
lorché slava  per  radunarsi  in  Roma  il  Concilio  ecumenico,  avendo  ora 
notizia  della  risoluzione  del  medesimo  intorno  alla  infallibilità  del  Ro- 
mano Pontefice  nelle  materie  di  Fede,  il  sottoscritto,  mentre  si  riser- 


736  COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

va  di  comunicare  le  ulteriori  determinazioni  del  Governo  per  ciò  che 
concerne  la  pubblicazione,  che  dai  Vescovi  e  Parroci  volesse  farsi  del 
decreto  sulla  Costituzione  dommatica  della  delia  infallibilità  personale 
del  Papa,  invila  le  LL.  SS.  ad  esercitare  la  massima  vigilanza,  riferire, 
e,  secondo  i  casi,  procedere  a  termini  degli  art.  268,  269,  471  del  co- 
dice penale,  qualora  in  occasione  della  pubblicazione  medesima  o  per 
commenti  od  esecuzione  del  decreto  anzidetto  si  commettesse  alcuno  de- 
gli atti  delittuosi  preveduti  dai  menzionati  articoli.  Radi.  » 

Questa  Circolare  mette  in  piena  luce  V  indole  della  libertà  ed  indipen- 
denza che  il  Governo  di  Vittorio  Emmanuele  II  dice  di  voler  guarentire 
alla  Chiesa  ed  al  sommo  Pontefice,  e  fa  presentire  a  quali  eccessi  ose- 
rebbero trascorrere  i  suoi  Ministri  quando  regnassero  in  Roma.  Il  che  sì 
fa  più  evidente  dui  tenore  degli  articoli  del  Codice  penale,  onde  sono 
minacciati  i  Vescovi  ed  i  Parrochi  nella  citata  Circolare,  di  cui  trascri- 
viamo il  testo. 

«  Art.  268.  I  ministri  della  religione  dello  Stato  e  dei  culti  tollerati, 
che  nell1  esercizio  del  loro  ministero,  pronuncino  a  pubblica  adunanza 
un  discorso  contenente  censura  delle  istituzioni  o  delle  leggi  dello  Sta- 
to, o  commettano  fatti  che  siano  di  natura  da  eccitare  il  disprezzo  ed  il 
malcontento  contro  le  medesime,  o  coir  indebito  rifiuto  dei  proprii  udi- 
zii  turbino  la  coscienza  pubblica  o  la  pace  delle  famiglie,  sono  puniti 
colla  pena  del  carcere  da  tre  mesi  a  due  anni.  La  pena  sarà  del  earce- 
re  da  sei  mesi  a  tre  anni  se  la  censura  sia  fatta  per  mezzo  di  scritti,  d' i- 
struzioni  od' altri  documenti  di  qualsivoglia  forma.,  letti  in  pubblica 
adunanza,  od  altrimenti  pubblicati.  In  lutti  i  casi  dal  presente  articolo 
contemplati  alla  pena  del  carcere  sarà  aggiunta  una  multa,  che  potrà 
estendersi  a  lire  duemila. 

«  Art.  269.  Se  il  discorso,  lo  scritto,  o  gli  atti  mentovati  nell' arti- 
colo precedente  contengono  provocazione  alla  disobbedienza  alle  leggi 
dello  stato,  o  ad  altri  provvedimenti  della  pubblica  autorità,  la  pena 
sarà  del  carcere  non  minore  di  tre  anni,  e  una  multa  non  minore  di  li- 
re duemila.  Ove  la  provocazione  sia  susseguita  da  seduzione  o  rivolta, 
l'autore  della  provocazione  sarà  considerato  come  Complice. 

«  Art.  471.  Ogni  altro  pubblico  discorso,  come  pure  ogni  altro  scritto 
o  fatto,  non  compresi  negli  articoli  precedenti,  che  siano  di  natura  da 
eccitare  lo  sprezzo  ed  il  malcontento  contro  la  sacra  persona  del  Re,  e 
le  persone  della  reale  famiglia  o  contro  le  istituzioni  costituzionali,  sa- 
ranno puniti  col  carcere  o  col  confino  estensibile  a  due  anni  e  con  multa 
estensibile  a  lire  tremila,  avuto  riguardo  alle  circostanze  di  tempo  e  di 
luogo  e  alla  gravezza  del  reato.  » 


CRONACA 

CONTEMPORANEA 


Roma  10  Settembre  1870. 


GUERRA  FRANCO-PRUSSIANA. 

1 .  Considerazioni  sopra  i  fatti  precedenti  —  2.  Ritirata  dei  francesi  sulla  Mo-» 
sella  —  3.  Movimenti  dei  prussiani  ;  fatto  d'armi  del  14  Agosto  —  4.  Com- 
battimento del  16  Agosto  —  5.  Combattimento  del  18  —  6.  Riordina- 
mento dell'  esercito  prussiano  e  sua  marcia  verso  Parigi  —  7.  Stato  di 
Parigi  e  della  Francia;  orrori  della  guerra  —  8.  Potenze  neutre  —  9.  L'Ita- 
talia  neutrale;  discorso  del  deputato  conte  Crotti  —  10.  Circolare  diplo- 
matica della  Prussia  sopra  lettere  di  Sua  Santità  e  del  re  Guglielmo. 

1.  Abbiamo  riferito  nella  cronaca  precedente  i  fatti  d'arme  che  cam- 
biarono le  posizioni  degli  eserciti  francese  e  prussiano  sul  Reno;  e  come 
l'esercito  prussiano  abbia  preso  l1  offensiva  mediante  i  combattimenti  di 
AYissemborgo,  Wòrth  o  Forbach;  passando  l'esercito  francese  alla  difen- 
siva col  concentrarsi  sulla  linea  della  Mosella  intorno  a  Metz.  Or  prima 
di  raccontare  uli  avvenimenti  posteriori,  ci  sia  lecito  fare  qualche  consi- 
derazione sul  primo  periodo  di  questa  guerra.  Notano  i  pratici  che  fu 
errore  gravissimo  l'aver  disseminato  l'esercito  francese  lungo  la  fron- 
tiera del  Nord,  in  corpi  troppo  distanti  gli  uni  dagli  altri,  da  non  poter- 
si dar  la  mano  in  un  momento  di  bisogno.  Del  che  seppero  profittare  i 
prussiani,  riunendosi  in  due  grandi  masse  alle  due  estremità  della  linea, 
per  battere  con  grandissimo  vantaggio  di  numero  i  due  soli  corpi  di 
Mac-Mahon  e  di  Frossard.  Ma  a  quest'  errore  di  piano  si  aggiunse  la  con- 
fusione al  momento  dell1  azione.  Pare  agli  intendenti  che  il  gen.  Douay. 
Serie  Yll,  voi.  XI,  fase.  4S2.  47  10  Settembre  1870. 


738  CRONACA 

doveva  ritirarsi  da  Wissemborgo  sopra  Haguenau  e  Strasborgo  1,  per 
congiungersi  a  Mac-Mahon  e  al  V  corpo  e  difendere  la  valle  del  Reno 
appoggiandosi  a  Strasborgo.  La  quale  operazione  Mac-Mahon  avrebbe 
ancora  potuto  compiere  dopo  la  disfatta  di  Douay,  invece  di  avventurarsi 
con  45  mila  uomini  a  Wòrth  contro  V  esercito  del  Principe  ereditario, 
che  egli  non  poteva  ignorare  esser  forte  almeno  di  <  Itre  a  100  mila  uo- 
mini. Le  relazioni  prussiane  infatti  sono  unanimi  nelPasserire  che  il  Prin- 
cipe ereditario  non  voleva  sulle  prime  credere  air  attacco  di  Mac-Mahon 
e  lo  riputò  per  qualche  tempo  una  finzione.  Ma  anche  dopo  la  battaglia 
di  "Wòrlh,  a  giudizio  di  persone  peritissime,  potevasi  forse  ancora  ovvia- 
re al  male.  Ma  lo  stato  maggiore  francese  volle  portare  l'esercito  a  Metz 
e  difendere  la  linea  della  Mosella.  La  qual  linea  è  troppo  breve:  ne  le 
truppe  del  maresciallo  Bazaine  erano  sufficienti  per  impedire  ai  prus- 
siani, quasi  doppii  di  numero,  di  girare  la  loro  destra  per  Nancy,  pren- 
derli alle  spalle,  chiuderli  in  Metz  e  incamminarsi  sovra  Parigi  in  for- 
ze tali  da  battere  il  secondo  esercito  francese  che  si  stava  formando  a 
Chàlons. 

Dicesi  che  il  gen.  Changarnier,  venuto  spontaneamente  a  Metz,  alla 
notizia  delle  disfatte  dei  francesi,  desse  il  consiglio  di  battere  lentamente 
?n  ritirata  anche  da  Metz,  e  di  concentrarsi  a  Chàlons.  Tale  era  pure  il 
consiglio  che  gli  strategisti  inglesi  davano  quasi  unanimamente  2.  Ma 
questo  consiglio  traeva  seco  grandissimi  inconvenienti  In  primo  luogo 
una  ritirata  troppo  precipitosa  avea  per  effetto  di  abbattere  il  coraggio  dei 
sei  corpi  di  esercito  rimasti  ancora  intatti;  in  secondo  luogo  non  lasciava 
tempo  al  Governo  francese  di  organizzare  un  secondo  esercito;  in  terzo 
luogo  non  impediva  per  nulla  ai  prussiani  di  unire  tutti  i  tre  eserciti  :  e 
i  tre  eserciti  prussiani  riuniti  sommando  a  circa  400  mila  uomini,  non 
era  possibile  che  si  potessero  raggranellare,  né  a  Chàlons  uè  a  Parigi, 
forze  sufficienti  per  combatterli,  nel  breve  tempo  che  potea  durare  la 
marcia  dei  prussiani. 

Un  altro  partito  era  consigliato  da  persone  peritissime.  Né,  se  ben  si 
considera,  era  più  pericoloso  di  quello  al  quale  si  è  dato  la  preferenza. 
Questo  partito  consisteva  nell'  operare  colla  massima  possibile  celerità 
un  movimento  di  fianco  (sempre  pericoloso  è  vero  in  teoria)  sulla  fronte 
dei  prussiani,  e  portare  dietro  ai  Vosgi  tutto  l'esercito  francese  nella 
valle  del  Reno.  Il  c^rpo  di  Failly  e  quello  di  Douay,  nonché  le  truppe 


1  Essendo  slato  accasato  il  Douty  di  temerità  per  aver  accettata  battaglia  a  Wisseniborfto,  dobbia- 
ino  dire  h<I  onor  del  vero  ch«  Tani  frantali  asseriscono  «ter  egli  aspettato  i  prussiani  prr  or.in, 
si  di  Napoleone,  il  qn,ile  ani-or*  «Ha  vigilia    del   combattimento  gli  comandava  di  resistere    lino  al- 
l'un imo  momento  in  raso  d'aUacco. 

5  Vegiransi  a  tal  proponilo  varii  articoli  pubblicali  dal  Time»  fra  il  10  e  il  15  Agosto  e  scritti  evi- 
dentemente da  abili  ufficiali  deli'  esercito  inglese. 


CONTEMPORANEA  739 

raccolte  a  Sarrebourg  e  la  Guardia  imperiale  che  era  a  Nancy,  vi  si  po- 
tevano portare  comodamente  per  ferrovia  prima  dei  prussiani  ;  e  sareb- 
bero stati  così  oltre  a  100  mila  uomini  in  Strasborgo,  prima  che  i  prus- 
siani avessero  pennato  a  minacciarla.  Il  resto  dell'esercito  poteva  sfilare 
più  comodamente  dietro  la  Mosella,  e  valersi  delle  numerose  ferrovie 
che,  mediante  un  circuito  un  po'  più  lungo,  lo  avrebbe  trasferito  fresco 
sotto  Strasborgo.  Ora  un  esercito  di  200  mila  uomini  a  Strasborgo  ave- 
va sopra  la  posizione  di  Metz  diversi  grandi  vantaggi.  1."  Si  appoggiava 
ad  una  piazza  più  forte  e  meglio  provvista  che  Metz  ;  giacché,  se  non 
altro,  asseriscono  varii  giornali  che  vi  erano  dentro  200  mila  fucili,  dei 
quali  altrove  difettò  l'esercito  francese.  2.°  Minacciava  il  Baden  egli 
Stati  del  Sud  costringendo  i  prussiani  a  mantenervi  grossi  corpi  di  osser- 
vazione. 3.° Operava  in  una  valle  assai  ristretta  che  non  ha  più  di  60  ki- 
lometri  di  apertura,  nella  quale  un  esercito  anche  inferiore  di  numero 
poteva  occupare  tutta  la  linea  di  battaglia  e  far  fronte  ad  un  esercito 
anche  più  numeroso.  4.°  Aveva  alla  sua  destra  il  Reno,  fiume  quasi  im- 
possibile a  passare  se  guardato  da  buone  forze;  e  alla  sinistra  i  Vosgesi 
impraticabili  ad  un  esercito  numeroso.  5.°  Copriva  l'Alsazia  che  invece 
è  rimasta  in  preda  ai  prussiani.  6.'  Copriva  i  quattro  quinti  della  Fran- 
cia e  aveva  le  sue  comunicazioni  libere  con  Lione,  col  Mediterraneo  e 
con  Tolone.  7.°  In  fine  minacciava  talmente  il  fianco  sinistro  e  le  spalle 
del  grande  esercito  prussiano,  che  esso  non  avrebbe  potuto  inoltrarsi 
nella  Lorena  e  nella  Sciampagna,  senza  vedersi  minacciate  e  quasi  anche 
chiuse  le  sue  comunicazioni  colla  Germania;  perchè  appena  1"  esercito 
prussiano  si  fosse  avvicinato  a  Verdun,  i  francesi  erano  più  vicini  a  Saar- 
bruk  che  i  prussiani.  Questo  piano  aveva  però  due  gravi  inconvenienti. 
1.*  la  difficoltà  di  compiere  quell'operazione;  2.6  il  pericolo  di  lasciare 
Parigi  scoperta,  e  forse  questa  seconda  fu  la  diflìcol  à  più  temuta.  Giac- 
ché l'idea  di  lasciar  Parigi,  anche  per  un  momento  in  mano  ai  prussiani, 
non  potea  entrare  in  capo  ad  uomini  che  fìn'allora  aveano  sempre  sacri- 
ficata la  Francia  a  Parigi.  Ma  ritorniamo  al  racconto. 

2.  L'esercito  prussiano  avanzavasi  in  tre  colonne  verso  la  Mosella.  La 
destra,  cioè  V  esercito  di  Steimnetz,  dopo  aver  rioccupata  Saarbruk  e 
costretto  alla  ritirata  il  corpo  di  Frossard,  marciava  direttamente  su  Metz 
per  Forbach,  St.  Avold  e  Pange.  11  grande  esercito  prussiano  del  centro, 
sotto  il  comando  del  principe  Federico  Carlo,  e  col  quartier  generale 
principale  del  re  Guglielmo,  descriveva  un  circuito  a  sinistra  per  Saa- 
rable,  Saarunion,  Albertsoff,  Morhauge,  Delme,  Nomeny,  dirigendosi 
verso  Pont-à-Mousson  sulla  Mosella,  a  mezza  strada  fra  Metz  e  Nancy; 
lanciando  dei  corpi  staccati  specialmente  di  cavalleria,  di  cui  abbonda 
l'esercito  prussiano,  (ino  a  Saarburgo,  Luneville  e  Nancy,  cioè  molto 
avanti  sulla  sua  sinistra.  Il  che  taceva  per  premunirsi  contro  un  assalto 


740  CRONACA 

da  quella  parte  che  restava  esposta  Terso  il  centro  della  Francia,  ed  apri- 
re la  via  al  3°  esercito  del  principe  Federico  Carlo,  che  dopo  la  vittoria 
di  Wórih  inseguiva  gli  avanzi  del  1°  corpo  francese  di  Mac-Mahon,  de- 
scrivendo una  curva  parallela  agli  altri  due  eserciti  prussiani,  ma  assai 
più  vasta,  e  formando  Y  estrema  sinistra  di  tutte  le  forze  tedesche.  Il 
Principe  ereditario,  lasciati  dei  distaccamenti  lungo  la  strada  e  innanzi 
a  Pbaìsboorg,  per  mantenere  le  comunicazioni  col  corpo  badese  che  as- 
sediava Strasborgo,  e  coi  corpi  degli  Stati  minori  che  occupavano  i  di- 
partimenti francesi  dell'alto  e  basso  Reno,  avanzavasi  per  Sarrebourg  e 
Luneville  sopra  Nancy  e  Toni.  I  tre  eserciti  prussiani  eseguivano  per- 
tanto una  grande  conversione  a  destra.  Le  teste  di  colonna  dei  tre  eser- 
citi che  il  3  Agosto  formavano  una  fronte  verso  il  mezzodì,  lunghesso 
la  frontiera  francese  a  Saarbruk,  Due  Ponti  e  AYissemborgo,  avevano 
eseguito  un  gran  movimenta  di  fianco  a  destra  e  trovavansi  rivolti  nel- 
lo stesso  ordine  ad  occidente  innanzi  a  Metz,  Pont-a-Mousson  e  Nancy. 
Solamente  la  destra  di  Steimnetz,  come  quella  che  aveva  dovuto  descri- 
vere il  circolo  più  vicino  al  centro,  fu  in  tre  giorni  innanzi  a  Metz;  il  cen- 
tro del  principe  Federico  Carlo  arrivò  a  Pont-a-Mousson,  tre  o  quattro 
giorni  più  tardi;  e  la  sinistra  che  essendo  più  lontana,  aveva  il  maggior 
circolo  a  descrivere,  da  superare  i  Vosgesi,  e  dovea  guardarsi  con  più 
vigilanza,  arrivò  molto  più  tardi  sulla  Mosella,  cioè  durante  i  fatti  d'ar- 
me che  descriveremo. 

L'esercito  francese  dal  canto  suo  operava  la  propria  ritirata,  prece- 
dendo di  poche  tappe  il  nemico.  Frossard  che  veniva  da  Saarhruk  fu  il 
primo,  perchè  il  più  vicino,  a  rientrare  in  Metz.  Il  corpo  di  Failly,  che  tro- 
vavasi  presso  Bitche,  sentendo  di  avere  l'esercito  di  Steimnetz  sulla  sua 
sinistra,  si  ritirò  indietro  sopra  Nancy,  coperse  la  ritirata  di  Mac-Mahon 
e  segui  gli  avanzi  del  1°  corpo  fino  a  Chàlòns;  la  Guardia' imperiale  e 
gli  altri  corpi  che  già  s%vano  sulla  Mosella  poterono  senza  difficoltà  rac- 
cogliersi intorno  a  Metz  in  posizioni  abbastanza  vicine  da  darsi  co- 
modamente la  mano  in  caso  di  bisogno.  Ma  il  1°  corpo  di  Mac-Mahon 
tutto  disordinato  per  le  enormi  perdite  toccate  a  Wòrth,  non  potè,  co- 
me abbiamo  detto,  recarsi  in  linea  col  resto  dell' esercito.  Per  Saar- 
bourg,  Luneville,  Toul,  Commercy  sfilò  sulla  destra  del  resto  dell'eser- 
cito e  venne  a  raccogliersi  a  Chàlons  cioè  a  80  miglia  dietro  la  Mosella, 
fra  Metz  e  Parigi  (dove  stavano  organizzandosi  in  fretta  altri  due  corpi 
francesi)  per  riordinarsi  e  rimettersi  in  istato  di  tener  la  campagna. 
L'esercito  francese  trovavasi  pertanto,  dopo  la  ritirata,  disposto  nel 
seguente  modo.  Cinque  corpi  d'esercito  e  la  Guardia  cioè  150  a  170 
mila  uomini  sulla  Mosella  fra  Pont-a-Mou^son  e  Metz,  sotto  il  conian- 
do del  maresciallo  Bazaine;  a  Chàlons  sulla  Marna  due  corpi  in  forma- 
zione, quello  di  Failly  e  il  corpo  di  Mac-Mahon  per  riordinarsi,  cioè 


CONTEMPORANEA  741 

altri  100,000  uomini  sotto  il  comando  di  Canrobert.  Più  il  7°  corpo  di 
Douay  che  trovavasì  Terso  gli  otto  Agosto  sui  Vosgesi  presso  Colmar 
colle  riserve  della  cavalleria,  e  che  raggiunse  molto  più  tardi  il  2°  eser- 
cito francese  a  Chàlons. 

In  Parigi  intanto  si  organizzavano  alacremente  i  soccorsi.  Appena 
avuta  contezza  degli  avvenimenti  di  ^Vissemborgo  ,  Wòrth  e  Saar- 
bruk,  r opinione  pubblica  in  Francia  si  mostrò  sbalordita  dell'infe- 
riorità numerica  in  cui  trovavasi  l'esercito  francese,  rispetto  al  prussia- 
no; e  della  imprevidenza  colla  quale  il  Governo  erasi  accinto  alla  guer- 
ra. Il  primo  scoppio  di  questa  irritazione  si  manifestò  colla  cacciata  dal 
Corpo  legislativo  del  Ministero  che  avea  dichiarato  la  guerra.  Gli  venne 
surrogato  un  Ministero  composto  degli  uomini  più  energici  che  si  co- 
noscessero fra  i  più  fedeli  bonapartisti,  presieduto  dal  Duca  di  Palikao, 
ministro  della  guerra.  Primo  aliare  del  nuovo  Ministro  della  guerra  fu 
di  organizzar  nuove  forze.  Parigi  aveva  ancora  una  guarnigione  di  30 
mila  uomini ,  che  si  tenevano  nella  capitale  per  timore  dei  repubblicani 
che  si  sapevano  numerosi  e  disposti  a  qualche  partito  arrischiato.  Il 
Ministro  della  guerra  chiamò  a  Parigi  i  cannonieri  e  le  truppe  di  mari- 
na, le  guardie  di  dogana,  i  pompieri  di  tutta  la  Francia  che  sono  orga- 
nizzati militarmente.  Un  tentativo  insurrezionale  fatto  alla  Villette  venne 
represso  e  punito  coir  applicazione  della  legge  stataria.  Le  truppe  di 
Parigi  rimaste  in  libertà  vennero  spedite  a  Chàlons  chiamando  ad  ingros- 
sarle tutte  quelle  che  erano  disseminate  nei  depositi  e  nelle  guarnigio- 
ni di  tutta  la  Francia.  Con  queste  truppe  si  formarono  a  Chàlons 
due  nuovi  corpi  d'esercito  forti  di  35  mila  uomini  cadono,  i  quali  col 
corpo  di  Mac-Mahon,  con  quei  di  Douay  e  Failly  e  qualche  rinforzo  di 
volontarii,  costituivano  un  nuovo  esercito  di  180  mila  uomini.  Dietro  a 
quest'esercito  organizzavasi  la  guardia  mobile  che  in  un  mese  potea  da-< 
re  un  150  mila  uomini  sufficientemente  formati.  Il  tutto  stava  nel  po- 
ter guadagnar  questo  mese;  e  questo  me^e  appunto  i  prussiani  coli'  e- 
nergia  dei  loro  attacchi  e  colla  rapidità  delle  mosse  intendevano  nega- 
re al  nemico.  ; 

3.  Steimnetz,che  si  era  mosso  il  7  Agosto  da  Saarbruk  colla  sinistra 
prussiana,  fu,  a  quanto  pare,  l'8  a  Forbach,  il  9  a  St.  Avold,  il  10  fra 
Faulquemont  eFouligny  coi  posti  avanzati  a  Pange  eCourcelles  ad  otto 
o  dieci  miglia  di  fronte  a  Metz.  L'esercito  del  centro  prendendo  una  via 
più  lunga  sulla  sinistra  di  Steimnetz  si  avanzò  per  Saarable,  Saarunion, 
Altroff,  Helliwer;  Gros  Tenquln,  Morhange,  Derme,  Sologne,  e  venne 
ad  arrestarsi  fra  Herry  e  Nomeny  sulla  sponda  della  Seille  piccolo  af- 
fluente della Mosella,  dalla  quale  si  scosta  in  media  un  cinque  miglia  e  le. 
è  quasi  parallelo  fin  verso  Metz  dove  si  unisce  al  fiume  principale.  Que- 
sto movimento  del  centro  dell'esercito  prussiano  era  compiuto  fra  il  12 


"42  CRONACA 

e  il  13  Agosto.  Da  questo  esercito  numerosi  corpi  di  cavalleria  span- 
devano a  dieci  o  quindici  miglia  innanzi  e  tal  fiata  anche  più,  minac- 
ciando Nancy,  che  posero  a  contribuzione,  Toni,  Luneville  e  periino 
Bar  le  Due  che  è  a  mezza  via  fra  Nancy  e  Chàlons.  Questi  due  eserciti 
prussiani,  che  conlavano  fra  i  250  e  i  280  mila  uomini,  si  prepararono 
immediatamente  a  restringere  in  Metz  tutto  l'esercito  di  Bazaine  che 
ne  contava  160  mila.  Scopo  evidente  dello  stato  maggiore  prussiano 
era  di  provocare  Bazaine  ad  un  combattimento  definitivo  che  assicu- 
rasse la  superiorità  ai  prussiani  nel  momento  in  cui  Y  esercito  del  Prin- 
cipe ereditario  che  veniva  da  Wdrth,  fosse  arrivato  a  Nancy,  oppure  sfi- 
nirlo tanto  da  poterlo  tener  chiuso  nelle  mura  di  Metz.  E  ciò  perchè,  in 
caso  di  non  riuscita,  l'esercito  del  Principe  reale  venisse  in  soccorso  agli 
altri  due,  e  in  caso  contrario  potesse  inoltrarsi  nella  campagna  senza 
paura  di  essere  molestato  alle  spalle  ed  attaccare  l'esercito  di  Chàlons 
prima  che  si  avesse  avuto  tempo  di  compierne  1'  organizzazione.  E  sic- 
come il  centro  e  la  destra  prussiana,  che  erano  superiori  di  circa  cento 
mila  uomini  a  Bazaine,  non  avevano  motivi  di  aspettare  il  terzo  eser- 
cito del  Principe  reale  per  Y attacco;  quindi  si  disposero  ad  investire 
F  esercito  francese  che,  a  quanto  pare,  il  13  era  ancora  a  cavallo,  co- 
me dicono,  sulla  Mosella,  e  ne  difendeva  il  corso  lungo  quel  tratto  del 
fiume  che  scorre  fra  Metz  e  Pont-a-Mousson,e,  ridiscendendola  sulla  riva 
sinistra  per  Thiancourl,  Gorze  e  Mars-la-Tour,  venire  a  racchiudere 
Teserei to  francese  nel  campo  trincerato  di  Metz.  Questo  piano,  come 
ognuno  vede,  era  formato  su  quello  tanto  celebre  di  Napoleone  1,  quan- 
do nel  1805  racchiuse  Mak  a  Ulma,  e  taglandogli  la  ritirata  lo  costrin- 
se ad  arrenderai  con  tutto  il  suo  esercito,  senza  sparare  un  colpo. 

Dal  canto  suo  il  maresciallo  Bazaine  doveva,  senza  arrischiare  una 
battaglia  decisiva  (nello  stato  di  inferiorità  numerica  in  cui  trovavasi  il 
suo  esercito),  per  una  parte  opporre  una  resistenza  abbastanza  energi- 
ca da  trattenere  tutto  l'esercito  prussiano  sulle  sponde  della  Must  Ila,  e 
tale  d'altra  parte  da  non  lasciarsi  chiudere  adatto  nelle  mura  di  Metz 
ove  sarebbe  stato  difficile  procurarsi  a  lungo  i  viveri  per  sì  gran  quan- 
tità di  truppe  e,  ciò  che  più  monta,  i  foraggi  per  la  cavalleria.  In  tale 
stato  di  cose  era  impossibile  che  non  seguissero  frequenti  e  sanguinosi 
fatti  d'arme,  essendo  nello  scopo  delle  due  parti  contrarie  di  affrontarsi: 
i  prussiani  per  ridurre  affatto  all'impotenza  queir  esercito  ancora  consi- 
derevole, e  i  francesi  per  obbligare  il  nemico  a  perder  tempo  sulla  Mo- 
sella. Pertanto  Bazaine,  fino  a  che  non  ebbe  a  fronte  che  il  corpo  di 
Steimnelz,  mantenne  una  parte  delle  due  truppe  sulla  sponda  destra  fra 
la  Mosella  e  la  Seille;  e  soltanto  al  mattino  del  14,  quando  si  vide  a 
fronte  anche  il  centro  dell'  esercito  prussiano,  diede  ordine  di  passa- 
re sulla  sponda  opposta.  Infatti  forti  ricognizioni  di  cavalleria  prussiana 


CONTEMPORANEA  713 

erano  già  comparse  nei  dintorni  di  Toni  sulla  sinistra  del  fiume,  e  di- 
scendendolo potevano  prendere  1"  esercito  francese  di  fianco  e  alle  spalle 
in  quel  momento  critico  che  è  sempre  il  passaggio  di  un  fiume.  Bazaine 
pertanto,  quando  ebbe  veduto  forze  imponenti  spiegarsi  sulla  sua  fron- 
te, e  minacciare  la  sua  sinistra,  die  ordine  alle  truppe  che  stavano  an- 
cora sulla  sponda  destra  di  passare  sulla  sinistra  per  Pont-a-Mousson. 
Forse  i  prussiani  aspettavano  che  fossero  arrivate  le  truppe  dirette  dalla 
parte  di  Toul,  per  discendere  la  Mosella  sulla  sponda  destra  e  attaccare 
di  fianco  la  posizione  de'  francesi;  epperciò  non  si  erano  mossi  dalle  lo- 
ro posizioni  sulla  Seille.  Infatti  in  tutta  la  mattina  del  14  essi  non  in- 
quietarono i  francesi  nel  loro  passaggio  per  Pont-a-Musson.  Ma  poi 
vedendo  che  la  giornata  si  inoltrava,  che  il  corpo  prussiano  (grazie  alle 
piogge  che  rendevano  le  strade  assai  difficili  )  non  compariva,  si  deci- 
sero ad  attaccare  il  nemico  sperando  di  far  toccare  almeno  un  grave 
danno  alla  retroguardia  francese  che  trovavasi  ancora  alla  destra  della 
Mosella. 

Prima  di  narrare  i  fatti,  per  mettere  in  luce,  in  quanto  potremo,  la 
verità,  conviene  fornire  alcune  indicazioni  topografiche,  la  cui  mala  in- 
telligenza ha  dato  luogo  alle  più  strane  confusioni  nella  massima  parte 
delle  relazioni  che  si  hanno  dei  fatti  d'arme  avvenuti  sotto  Metz.  E 
prima  di  tutto  conviene  aver  ben  presente  che  la  città  forte  di  Metz  è 
posta  a  cavallo  della  Mosella,  e  il  campo  trincerato  che  la  circonda  si 
estende  egualmente  sulle  due  sponde  del  fiume.  In  secondo  luogo  con- 
viene sapere  che  i  francesi  facevano  fronte  verso  i  prussiani  lungo  la 
Mosella,  appoggiando  la  sinistra  a  Metz  e  la  destra  a  Pont-a-Musson, 
con  varii  corpi  che  stavano  ancora  sull'altra  sponda,  ma  che  il  14  passa- 
rono il  fiume  quando  si  videro  a  fronte  tutto  il  centro  dell1  esercito 
prussiano.  In  terzo  luogo  che  questo  tratto  della  Mosella  fra  Metz  e 
Pont-a-Musson  è  brevissimo,  cioè  non  più  di  15  miglia  italiane;  e  che 
perciò  la  Mosella  poteva  essere  passata  senza  grandi  difficoltà  sia  sulla 
destra  dei  francesi  verso  Nancy,  sia  sulla  loro  sinistra  fra  Metz  e  Thion- 
ville.  la  ultimo  bisogna  osservare  che  i  francesi,  sia  il  giorno  14  quan- 
do avvenne  il  primo  combattimento,  nel  quale  i  prussiani  tentarono  di 
sbaragliare  i  corpi  che  tentavano  ripassare  la  Mosella,  sia  nei  giorni 
successivi,  potevano  sempre  sboccare  dal  campo  trincerato  di  Metz 
sulla  riva  destra  del  fiume,  cioè  dalla  parte  ove  stavano  i  prussiani. 
Questi  quattro  fatti  che  son  certi,  serviranno  assai  a  sceverare  la  ve- 
rità nella  confusione  di  tante  relazioni  e  di  tanti  commenti.  Infatti  che 
cosa  dissero  i  dispacci  tanto  francesi  quanto  prussiani,  dispacci  che  fu- 
rono trovati  contraddittori*!,  ma  che  pure  possono  sufficientemente  ac- 
cordarsi, anzi  si  accordano  tanto  quanto  si  possono  accordare  le  infor- 
mazi  ni  di  due  quartieri  generali  che  occupano  due  diverse  località,  han- 
no oggettivi  diversi,  e  procedono  con  diversa  tattica?  Vediamolo. 


744  CRONACA 

Un  dispaccio  di  Parigi  15  dicevache  il  14,  verso  le  2  pomeridiane,  gli 
scorridori  prussiani  erano  comparsi  a  1500  metri  della  città  di  Toul. 
Intimarono  la  resa;  ma  Tennero  respinti.  È  chiaro  che  erano  scorridori, 
e  nulla  più,  perchè  si  ritirarono.  Lo  stesso  dispaccio  li  fa  salire  a  200 
ulani.  Il  prefetto  della  Mosa  annunziava  cohtemporaneamentc  la  com- 
parsa di  prussiani  verso  Vigneulles,  dieci  miglia  di  qua  da  Pont-a  -Mous- 
son,  proprio  dietro  ai  francesi;  ma  anche  qui  non  avvenne  nulla  di  se- 
rio. Indizio  anche  questo  che.erano  scorridori.  Questa  cavalleria  prus- 
siana, fidente  nella  sua  rapidità,  si  spinge  arditamente  frammezzo  al  ne- 
mico, gitta  lo  sgomento  nelle  popolazioni,  ma  precede  sempre  di  dicci, 
quindici,  e  anche  venti  miglia  le  truppe  di  linea.  Questi  ulani  non  po- 
tevano essere  altro  che  i  primi  esploratori  del  corpo  prussiano  che,  co- 
me dicemmo,  avea  passato  la  Mosella  presso  Nancy  e  ora  la  discende- 
va lungo  la  sponda  sinistra  per  attaccare  i  francesi  nell'atto  di  passare 
ì\  fiume  a  Pont-a-Mousson,  mentre  il  grosso  dell"  esercito  prussiano  li 
avrebbe  spinti  con  forza  verso  il  fiume  che  si  apprestavano  a  passare. 
Ma  sentiamo  ora  la  relazione  del  fatto.  Napoleone  telegrafava  la  sera 
del  14:  «  Tarmata  (francese)  incominciò  a  passare  sulla  riva  sinistra. 
Al  mattino  i  nostri  esploratori  non  avevano  segnalato  la  presenza  di 
alcun  corpo  ;  ma  quando  la  metà  dell'armala  fu  passata,  i  prussiani 
Fatlaccarono  con  grandi  forze.  Dopo  una  lotta  di  quattro  ore  furono 
respinti  con  grandi  perdite.  »  Questo  dispaccio  è  datato  da  Longuevil- 
le,  paese  posto  sulla  riva  sinistra  della  Mosella  fra  Metz  e  Pont-a-Mous- 
son,  ove  era  il  quarlie.r  generale  imperiale.  Ciò  significa  che  i  francesi, 
malgrado  gli  attacchi  prussiani,  avevano  compiuto  il  passaggio  della 
Mosella  riuscendo  a  trattenere  i  prussiani  sulla  sponda  opposta  meno 
quel  corpo  che  Tavea  passata  presso  Nancy.  Vediamo  ora  se  i  dispacci 
prussiani  contraddicono.  Ecco  come  parla  re  Guglielmo  :  •  Domeni- 
ca (14)  alle  4  pomeridiane  la  nostra  avanguardia  segnalò  la  partenza  di 
un  corpo  francese.  Immediatamente  la  brigata  Gotz  attaccò  la  retro- 
guardia del  corpo  di  Decaen  con  tale  veemenza,  che  questo  corpo,  o 
il  corpo  di  Frossard,  dovette  soccorrerla.  11  generale  Glimmer  si  avanzò 
colla  2a  brigata  mentre  le  divisioni  Kaineve  e  Wrangel  attaccarono  ì 
nemici  sulla  sinistra  e  respingevano  il  nemico  dietro  i  forti.  »  Questa 
parte  del  dispaccio  dee  riferirsi  al  combattimento  avvenuto  sulla  Mosel- 
la, impegnato  dalla  brigata  prussiana  di  Goltz  quando  si  avvide  che  i 
francesi  si  ritiravano  dalla  Seille  per  andare  di  là  della  Mosella  ;  e 
questo  combattimento  ha  avuto  luogo  fra  la  Seille  e  la  Mosella  in  faccia 
a  Pont-a-Mousson.  11  seguito  del  dispaccio  si  riferisce  ad  un  episodio 
considerevole  della  medesima  giornata.  Il  corpo  di  Ladmirault  che  non 
era  sulla  Mosella,  già  nel  campo  trincerato  di  Metz,  vedendo  che  i 
prussiani  attaccavano  il  corpo  di  Decaen ,  uscì  fuori  dalle  trincee  per 


CONTEMPORANEA  745 

operare  una  potente  diversione  sulla  destra  del  nemico.  Il  dispaccio  lo 
dice  in  termini  assai  chiari.  «  Nello  stesso  tempo  (prosegue  il  dispaccio 
prussiano  e  quelle  parole  nello  sfesso  tempo  paiono  indicare  eviden- 
temente una  differenza  di  luogo)  il  corpo  di  Ladmirault  tentò  prendere 
il  fianco  destro  (cioè  prenderci  di  fianco  alla  destra)  del  1°  corpo  d'ar- 
mata, ma  fa  respinto  nella  città  (il  che  sembra  supporre  che  era  usci- 
to dalla  città)  da  ManteulTel.  Le  nostre  truppe  si  spinsero  tino  ai  forti 
più  avanzati  di  Bellecroix  e  Bonus;  »  che  sono  precisamente  le  opere 
avanzate  del  campo,  sulla  sponda  destra  in  l'accia  ai  prussiani.  La  stessa 
cosa  si  desume  dal  dispaccio  del  re  Guglielmo  della  sera  del  14. 
«  L'avanguardia  del  7  corpo  attaccò  il  nemico  ;  questo  prese  posizione  e 
si  rinforzò  con  truppe  uscite  dalla  fortezza.  »  Il  re  Guglielmo  il  quale  si 
trovava  ad  Heruy  sulla  sponda  destra  e  a  sud-est  di  Metz  assistè  a  que- 
sto fatto  d'arme  e  non  a  quello  che  comhattevasi  in  faccia  a  Pont-a- 
Mousson;  ed  è  pertanto  naturale  che  parli  più  diffusamente  di  questo 
che  di  quello. 

Da  queste  relazioni  si  può  intendere  come  ambe  le  parti  si  siano  at- 
tribuito il  buon  successo  di  quella  giornata.  I  francesi  perchè,  grazie  al- 
la forte  resistenza  opposta,  e  alla  diversione  di  Ladmirault,  poterono 
continuare  il  movimento  di  passaggio  della  Mosella  e  compierlo.  1  prus- 
siani perchè  avevano  respinto  Ladmirault  entro  Metz,  e  compiuto  i! 
primo  passo  verso  1'  investimento  che  disegnavano  del  nemico  sotto  le 
mura  di  Metz,  avendolo  sloggiato  da  tutte  le  posizioni  che  occupava 
ancora  poche  ore  prima  sulla  destra  della  Mosella;  meno  quelle  che 
stavano  nel  campo  trincerato  di  Metz,  dove  appunto  il  re  Guglielmo  as- 
serisce con  verità  di  essersi  spinto  sulla  città;  ma  non  sulla  sponda 
opposta  dove  i  francesi  tenevano  ancora  la  campagna  e  avevano  il  quar- 
tier  generale  a  Longueville  a  5  miglia  al  sud  di  Metz. 

Nella  giornate  del  15  non  vi  furono  gravi  combattimenti.  Le  due  di- 
visioni prussiane  Wrangel  e  Kaineve  che  avevano  passato  la  Mosella  fin 
dal  14,  inquietarono  alquanto  la  destra  francese;  ma  i  prussiani  non  si 
sentivano  forti  abbastanza  da  impegnare  un'azione  sèria;  i  francesi 
d'altra  parte  Volevano  evitare  il  conflitto  per  preparare  lo  sgombero  di 
Metz,  e  la  loro  ritirata  a  Verdun  sulla  Mosa,  un  20  miglia  più  indietro, 

4.  Ma  i  prussiani  non  intendevano  permettere  a  Bazaine  di  ritirar- 
si tranquillamente.  Nella  giornata  del  15  il  corpo  di  Steimnetz  aveva 
disceso  la  sponda  destra  della  Mosella  verso  Thionville  per  passare 
questo  fiume  all'altezza  di  Briey  e  attaccare  le  colonne  francesi  che  per 
Briey  tentavano  allontanarsi,  e  seguendo  la  via  di  Etain  andare  a  Ver- 
dun. L'esercito  del  principe  Carlo,  stilando  per  Pont-a-Mousson,  si  por- 
tava sul  lato  opposto  dei  francesi  e  per  Thiamourt  e  Gorze  cammi- 
nava perpendicolarmente  sopra  Mars-la-Tour,  che  è  là  prima  tappa 


746  CRONACA 

sulla  strada  diritta  fra  Metz  e  Verdun,  dove  intendea  ritirarsi  il  gros- 
so delP  esercito  francese.  Pare  che  il  16  Agosto  già  i  primi  corpi  del- 
l'esercito del  Principe  ereditario  avessero  raggiunto  quello  del  prin- 
cipe Carlo;  giacche,  secondo  racconti  prussiani  che  crediamo  esatti,  i 
corpi  2°  e  12°  che  abbiamo  veduto  figurare  al  combattimento  di  Wis- 
semborgo  si  trovarono  impegnati  nella  battaglia  di  Gorze.  Da  un'occhia- 
ta data  sopra  una  pianta  dei  luoghi,  facilmente  si  scorge  che  l'eser- 
cito francese,  cogli  immensi  suoi  bagagli,  per  facilitarsi  la  ritirata  se- 
guiva tre  vie  quasi  parallele  :  l'ima  è  più  a  mezzodì  che  va  direttamen- 
te da  Metz  a  Verdun  per  Gravelotte,  Mars-la-Tour  e  Manhoelles; 
ma  al  Nord  è  alquanto  più  lunga  che  quella  che  per  Briey  e  Conflaus 
si  va  a  riunire  a  Etain  alla  strada  di  Briey.  Quest'  ultima  strada 
serviva  ai  bagagli;  le  altre  due,  come  le  più  esposte,  erano  per- 
corse dalle  truppe  combattenti.  L'esercito  prussiano  diviso  in  due  cor- 
pi principali  attaccò  i  francesi  sui  due  fianchi:  quello  di  Steiranetz, 
passata  la  Mosella  fra  Mezières  e  Mondelauge,  venne  ad  assalire  di 
fianco  le  truppe  che  marciavano  più  al  Nord  per  Briey  verso  Etain;  men- 
tre Peserei to  del  principe  Carlo,  camminando  da  Pont-a-Mousson  verso 
il  Nord,  moveva  contro  l'altra  parte  dell'  esercito  che  sfilava  fra  Grave- 
lotte  e  Mars-la-Tour.  Se  non  che  questo  secondo  esercito,  come  quel- 
lo che  avea  già  passato  il  fiume  fino  dal  giorno  avanti  e  avea  presa  la 
strada  più  breve,  arrivò  assai  prima  al  convegno  che  non  quello  di 
Steimnetz,  che  doveva  passar  la  Mosella  e  descrivere  un  gran  circuito  fi- 
no a  Briey.  Abbiamo  adunque  ancor  qui  due  battaglie  distinte  in  una 
sola  giornata,  come  avvenne  ai  tempi  di  Napoleone  I  a  Jena  e  Aner- 
stàdt.  I  francesi  nell'uscir  da  Metz  seguivano  due  vie  divergenti  :  una 
allOvest  verso  Verdun  col  grosso  delle  loro  forze;  una  seconda  col  ri- 
manente al  Nord-Ovest  per  Briey.  Vi  furono  adunque  due  combatti- 
menti contemporanei,  ma  distinti;  uno  del  grosso  dell'  esercito  francese 
con  quello  del  principe  Carlo;  e  un  altro  del  resto  dell'esercito  francese 
coll'esercito  di  Steimnetz.  E  cosi,  come  il  14  eranvi  stati  due  combatti- 
menti a  Pont-a-Mousson  e  Boruy,  ve  ne  furono  parimente  due  il  10  a 
Mars-la-Tour  e  a  Briey.  In  tal  guisa  per  lo  meno  si  spiegano  le  appa- 
renti contraddizioni  dei  telegrammi. 

I  francesi  camminavano  con  fiducia  lungo  queste  vie,  non  credendosi 
seriamente  inquietati  dal  nemico.  Relazioni  di  testimonii  narrano  anzi 
la  sorpresa  della  truppa  che  non  sapea  spiegarsi  quel  movimento  retro- 
grado, quando  non  si  vedea  ancora  nessuna  grave  minaccia  del  nemico. 
Ma  ben  presto  si  vide  che  il  maresciallo  Bazaiue  non  avea  peccalo  cerla- 
meiitc  di  soverchia  prudenza;  anzi  avea  di  troppo  ritardata  la  ritirata. 
Infatti  i  prussiani  nella  giornata  del  15  non  aveano  ammassato  pieno  di 
cinque  corpi  intorno  a  Gorze;  i  quali  si  tenevano  nascosti  nella  campa- 


CONTEMPORANEA  747 

gna,  o  dietro  alle  macchie.  Essi  lasciarono  sfilare  gran  parte  dell'eserci- 
to fin  verso  al  mezzodì.  0  speravano  in  tal  guisa  trarlo  tutto  fuori  dalla 
protezione  del  fuoco  del  campo  trinceralo,  o  voleano  dar  tempo  a  Steim- 
netz  di  eseguire  il  suo  movimento  più  difficile  verso  Brey.  Ma  alla  fine, 
vedendo  the  Steimnetz  tardava  e  che  i  francesi  stavano  per  allontanar- 
si, essi  uscirono  fuori  dai  loro  nascondigli  e  attaccarono  i  francesi  con 
tanta  furia,  che  il  nemico  sorpreso  dovè  cedere  un  momento.  Tutte  le 
narrazioni  concordano  nel  dire  che  quella  battaglia  fu  micidialissima. 
Da  ambe  le  parti  si  pugnò  con  furia.  I  francesi  seguivano  le  strade  che 
si  trovavano  protette  dall'alture,  e  attaccavano  con  impeto  il  nemico; 
questo,  più  numeroso  dell'  avversario,  combatteva  con  pari  accanimen- 
to, ma  con  maggiore  accorgimento.  L'artiglieria  prussiana  possiede  un 
gran  nomerò  di  cannoni  di  picciol  calibro,  che  si  possono  colla  massima 
celerità  trascinare  sulla  fronte  dell'esercito:  questi  coprono  il  nemico 
di  granate;  quando  ii  nemico  si  avanza  per  impadronirsi  dei  pezzi,  gli 
artiglieri  attaccano  gli  avantreni  e  fuggono  a  precipizio,  lasciando  le  co- 
lonne nemiche  sotto  il  fuoco  di  nubi  di  bersaglieri  che  le  decimano  riti- 
randosi sempre,  lino  a  che  queste  colonne  decimate  e  spossate  dalla 
caccia  si  arrestano  o  vacillano,  e  allora  si  avanza  la  truppa  fresca  ed 
impegna  la  zuffa  ali1  arma  bianca,  con  molte  condizioni  di  buon  succes- 
so. I  francesi  hanno  anche  le  loro  mitragliatrici  le  quali  producono  ef- 
fetti spaventevoli,  quando  si  scaricano  sovra  masse  nemiche;   ma  i 
prussiani  lo  sanno  e  non  avanzano  contro  di  esse  che  stesi  alla  bersa- 
glici. Tuttavia  queste  regole  tattiche  non  si  possono  sempre  osserva- 
re. Quando  una  fronte  di  battaglia  si  estende  per  venti  o  venticinque 
chilometri,  molta  parte  degli  avvenimenti  è  dovuta  al  caso  o  all'  inizia- 
tiva dei  capi  subalterni  ;  nella  qual  parte  i  francesi  sono  superiori  ai 
prussiani  e  per  risolutezza  personale  e  per  iniziativa  dei  capi  di  corpo. 
Perciò  il  combattimento  del  18  fu  in  molti  p  nti  una  vera  mischia  e  fu 
piena  di  illustri  episodii,  i  quali  riferiti  paratamente  presentano  una  cer- 
ta confusione,  perchè  in  altri  punti  si  combattè  rimessamente.  1  prussiani 
ripeterono  a  più  riprese  gii  attacchi,  specialmente  verso  Mars-la-Tour, 
che  i  primi  corpi  francesi  avevano  già  passato,  dirigendosi  a  Verdun. 
Questi  tornarono  addietro  e  su  questo  punto  la  pugna  fu  terribile.  I  prus- 
siani volevano  ricacciare  indietro  i  francesi  verso  Metz;  questi  volevano 
mantener  libero  il  passaggio  e  proteggere  la  sfilata  dei  bagagli  che  in- 
tanto operavasi  per  l'altra  strada  che  corre  dietro  a  quella  per  Grave- 
lotte,  Conflaus,  Etain.  La  destra  dell'esercito  del  principe  Carlo  attaccava 
contemporaneamente  Gravelotte  che  è  quasi  a  portata  del  tiro  delle  pri- 
me opere  avanzate  del  campo  trincerato  di  Metz.  Anche  qui  l'azione  si 
impegnò  vivissima  e  si  combattè  fino  a  notte  inoltrata.  Ma  i  prussiani  fu- 
rono alla  (ine  respinti  indietro  di  Gravellolte.  A  Mars  la-Tour  il  successo 
fu  indeciso.  I  francesi  si  mantennero  a  Mars-la-Tour  fino  a  notte;  ma  do- 


7Ì8  CRONACA 

Tetterò  poi  abbandonarla,  per  prendere  una  posizione  più  indietro  per  le 
ragioni  che  stiamo  per  dire.  In  primo  luogo  Bazaine,  vedendo  di  essere 
proprio  attaccato  dal  grosso  dell'esercito  prussiano,  non  potea  presumere 
di  continuare  la  sua  marcia  sotto  il  fuoco  di  un  nemico  superiore  di  nu- 
mero, e  quindi  dovea  rassegnarsi  a  mantenere  le  sue  posizioni  dietro  a 
Metz.  In  secondo  luogo  sul  cadere  della  giornata  Steimnetz,  la  cui  marcia 
era  rimasta  ritardata  non  si  sa  perchè,  comparve  finalmente  di  qua  dalla 
Mosella  e  attaccò  i  francesi  che  seguivano  la  via  di  Briey.  Ma  egli  arrivò 
troppo  tardi,  quando  cioè  i  prussiani  avevano  veduti  infruttuosi  i  loro 
atlachi;  le  divisioni  francesi,  che  stavano  su  quella  strada,  soccorse  dal- 
la Guardia  imperiale,  tennero  anche  da  quella  parte  in  rispetto  i  prus- 
siani; i  quali  del  resto,  assai  probabilmente,  non  erano  ancora  arrivati 
sul  luogo  in  numero  sufficiente  da  impegnare  un'azione  di  riguardo. 

Intendendo  così  la  cosa  si  spiega  ancora  come  le  due  parti  si  siano 
attribuita  la  vittoria  nella  giornata  del  16.  I  francesi  avevano  respin- 
ti tutti  gli  attacchi,  presa  in  parecchi  punti  con  buon  successo  l'offen- 
siva: ed  erano  rimasti  padroni  del  campo  di  battaglia.  La  vittoria  tatti- 
ca, direni  così,  era  dei  francesi;  ma  dei  prussiani  era  la  vittoria  strate- 
gica. Essi  avevano  cioè  raggiunto  lo  scopo  di  impedire  la  ritirata  di  Ba- 
zaine per  Mars-la-Tour,  e  costretto  i  francesi  a  sgombrare  quel  villag- 
gio, intorno  al  quale  le  forze  prussiane  vennero  a  concentrarsi  nella  suc- 
cessiva giornata  per  tagliare  affatto  la  ritirata  ai  francesi,  e  dando  bima- 
no alle  truppe  del  Principe  ereditario  che  affluivano  a  Nancy,  mettevano 
da  questa  parte  fra  l'esercito  francese  e  la  Mosella  un  esercite  tale  da 
impedirgli  il  passo  verso  quel  iiume.  Perciò  il  risultato  strategico  fu 
dei  prussiani,  i  quali  tagliarono  la  miglior  linea  di  ritirata  ai  francesi,  e 
li  restrinsero  sotto  Metz;  dove  in  breve  doveano  difettare  di  provvigio- 
ni sì  da  guerra  e  sì  da  bocca. 

5.  Ma  malgrado  questo  successo  strategico,  l' investimento  di  Metz  e 
dell'esercito  di  Bazaine  non  era  ancora  compiuto.  Gli  restava  infatti  an- 
cora libera  la  strada  di  Thionville  e  di  là  per  Longuyon  e  Monlmedy 
verso  Rheims  e  Chàlons.  Il  corpo  di  Steimnetz,  dopo  la  non  riuscita  del 
16,  per  la  difficoltà  delle  posizioni  e  per  non  essere  da  sé  solo  in  forze 
da  poter  reggere  contro  l'urto  di  tutto  l'esercito  francese,  non  investiva 
totalmente  il  nemico.  Ad  ogni  modo  è  chiaro  che  V  investire  intiera- 
mente una  piazza,  che  col  campo  trincerato  ha  più  di  dicci  chilometri  di 
diametro,  ed  è  presidiata  da  140  mila  soldati,  non  è  opera  tanto  facile. 
Bisogna  che  l'esercito  assediantc  si  riunisca  in  grandi  masse  sovra  tre 
o  quattro  punti  del  circuito,  e  l'esercito  assediato  può,  col  cadere  im- 
provvisamente sovra  un  solo  di  questi  corpi,  schiacciarlo  prima  che  ab- 
bia ricevuto  dagli  altri  un  soccorso  di  qualche  importanza. 

Perciò  la  condizione  di  Steimnetz  era,  la  mattina  del  18,  alquanto  peri- 
colosa. Egli  stava  a  cavallo  della  ferrovia  Metz-Tliionville  e  della  Mosel- 


CONTEMPORANEA  749 

la,  come  l'annunziò  un  dispaccio  del  re  Guglielmo;  mentre  l'esercito  del 
principe  Carlo  stava  Ira  Gorze  e  Mars-la-Tour  separato  da  Steimnetz  dal- 
le colline  per  le  quali  passano  le  strade  a  Conflaus  e  a  Briey  che  erano 
ancora  occupate  dai  francesi.  Perciò  il  maresciallo  Bazaine,  lasciate  ripo- 
sare le  sue  truppe  nella  giornata  del  17,  durante  la  quale  pare  siavi  sta- 
to un  breve  armistizio  per  seppellire  i  morti,  si  preparò  a  prendere  di 
nuovo  una  vigorosa  offensiva,  la  quale  consisteva  nell'  attaccare  i  prus- 
siani del  principe  Carlo,  fra  Gravelotte  e  Mars-la-Tour,  per  occupare 
quell'esercito;  ma  portare  contemporaneamente  il  nerbo  delle  sue  forze 
contro  il  corpo  di  Steimnetz  che  aveva  occupate  le  alture  che  si  stendo- 
no al  Nord  di  Metz  in  vista  di  Briey.  Anche  in  questa  giornata,  come  nel- 
le due  precedenti,  il  combattimento  fu  simultaneo  in  due  punti  diversi, 
perchè  i  francesi  possedevano  ancora  quel  tratto  di  terreno  ondulato  e 
abbondante  di  ottime  posizioni  che  si  stende  a  occidente  di  Metz  fra 
Briey  e  Gravelotte.  Sicché  1'  esercito  francese  facendo  fronte  indietro  ad 
occidente  verso  Verdun,  Chàlons  e  Parigi,  dove  teoricamente  era  diretto, 
si  trovava  formare  un  cuneo,  sulla  cui  sinistra  stava  il  principe  Carlo  e 
sulla  cui  destra  stava  Steimnetz  ;  con  questo  divario  che  il  grosso  del- 
l'esercito prussiano  del  principe  Carlo  stava  sulla  sua  sinistra,  mentre 
egli  gittava  il  grosso  dell'esercito  francese  sul  minore  esercito  prussiano 
di  Steimnetz.  Da  questo  nuovo  fatto  d'armi  tanto  sanguinoso  quanto  quel- 
lo del  16,  si  ebbero  i  risultamene  che  si  potean  prevedere.  L'  esercito 
del  principe  Carlo,  molto  superiore  in  numero  ai  francesi,  mantenne  le 
sue  posizioni  e,  dopo  una  serie  di  attacchi,  strinse  sempre  più  i  francesi, 
respingendoli  fino  a  Gravelotte  sotto  il  fuoco  del  campo  trincerato:  ep- 
perciò  avea  ragione  re  Guglielmo  di  telegrafare  che  avea  rinchiuso  i 
francesi  in  Metz,  però  solo  dalla  parte  dove  egli  avea  combattuto.  Ma 
Bazaine  spintosi  sulla  destra  contro  Steimnetz,  con  forze  che  agguaglia- 
vano quasi  il  nemico,  lo  sloggiò  con  tanta  furia  dalle  alture  di  Doncourt 
che  lo  respinse,  dicono,  verso  le  cave  di  Jomond.  Epperciò  avea  ra- 
gione il  Ministro  della  guerra  francese  di  asserire  che  in  quella  giorna- 
ta l'esercito  francese  avea  avuto  un  lieto  successo  ;  perchè  avea  sopraf- 
fatto una  parte  dell'  esercito  prussiano  e  costrettala  ad  abbandonare  le 
proprie  posizioni.  Anche  questa  giornata  avea  dunque  avuto  un  esi- 
to ambiguo.  I  prussiani  si  rallegravano  con  ragione  di  aver  respinto  i 
francesi  tino  al  campo  trincerato  di  Metz  dalla  parte  di  Gravelotte;  ma 
i  francesi  si  vantavano  pur  con  ragione  di  aver  respinto  V  esercito  di 
Steimnetz  dalle  posizioni  di  Doncourt. 

6.  Checché  ne  sia  di  questi  tre  terribili  combattimenti  del  li,  16  e  18 
Agosto,  egli  è  certo  che  furono  micidialissimi.  Per  quanto  si  vogliano 
restringere  alle  giuste  proporzioni  le  notizie  delle  perdite  toccate  dalle 
due  parti,  non  si  può  calcolare  a  meno  di  30  mila  i  morti  delle  due  parti 
che  ingombrarono  il  terreno  nei  dintorni  di  Metz  dal  li  al  18  Agosto* 


*750  CRONACA 

I  feriti  poi  debbono  essere  in  numero  assai  superiore  l.  Di  più  i  francesi 
perdettero  da  5  in  6000  prigioni,  cosa  cbe  si  spiega  facilmente;  perchè 
sempre  i  francesi  combattevano  sovra  una  linea  di  marcia;  sicché  dove 
il  nemico  veniva  a  rompere  questa  linea,  le  teste  di  colonna  dovevano 
restar  tagliate  fuori  e  cadere  in  poter  del  nemico,  se  non  avevano  tempo 
di  tornare  in  dietro  e  congiungersi  al  grosso  dell'  esercito.  Reca  anzi 
meraviglia  che  i  prussiani  non  abbiano  fatto  maggior  numero  di  prigio- 
ni :  il  che  si  può  spiegare  solo  con  due  fatti ,  cioè  coir  accanimento  col 
quale  si  combatteva,  e  colla  vicinanza  di  Metz,  nella  quale  i  corpi  sban- 
dati dalle  cariche  nemiche  potevano  facilmente  ri  fuggi  arsi. 

Ad  ogni  modo  dopo  queste  tre  grandi  fazioni  campali,  e  dopo  cbe  an- 
che Teserei to  del  Principe  ereditario  di  Prussia  avea  raggiunto  gli  altri 
due  eserciti  prussiani,  il  maresciallo  Baiarne  non  potea  più  arrischiare 
altro  fatto  d'arme,  ed  avendo  di  che  vivere  in  Metz,  dovette  aspettare  i 
soccorsi  che  gli  si  stavano  preparando  a  Parigi  e  a  Chàlons.  I  tre  attac- 
chi offensivi  dei  14,  IGetS  avevano  poi  mostrato  ai  prussiani  che  feser- 
cito  di  Metz  era  ancora  formidabile:  il  che  li  costringeva  a  guardarlo 
con  forze  preponderanti  :  sicché  il  Principe  ereditario  non  poteva  mar- 
ciare sopra  l'esercito  di  Chàlons  con  un  numero  di  truppe  sufficienti  ad 
assicurargli  la  vittoria. 

Infatti  vi  furono,  dopo  la  terribile  giornata  del  18,  parecchi  giorni  di 
forzato  riposo.  Di  questo  i  prussiani  profittarono  per  riordinare  tut- 
to quanto  il  loro  esercito,  scomposto  dai  sanguinosi  fatti  d'arme  dei 
giorni  precedenti,  e  da  alcune  rotte  che  è  giustizia  dichiarare  aver  es- 
si toccale.  Ed  invero  la  dissoluzione  dell'esercito  di  Steimnetz  non  può 
essere  che  la  conseguenza  di  quanto  gli  avvenne  a  Doncourt  e  Jomond. 
Non  si  sa  nulla  ancor  di  ben  certo:  ma  non  è  improbabile  ciò  che  da 
molte  parti  si  assicura;  cioè  che  nei  piani  inclinati  di  Jomond  furono 
aperte  negli  anni  addietro  grandi  cave  di  pietra,  che  oltre  al  servire 
per  le  opere  di  fortificazione  di  Metz,  erano  usufruttuate  per  le  costru- 
zioni private.  Pare  che  i  prussiani  non  fossero  bene  informati  della  po- 
sizione di  queste  cave,  che  essendo  continuamente  lavorate,  si  sono  in- 
grandite assai  più  di  quanto  lo  segnassero  le  piante  topografiche  di 
cui  disponeva  lo  stato  maggiore  prussiano.  Essi  perciò  si  avanzarono 
fiduciosamente  sulle  alture,  oltre  le  quali  esiste  l'orribile  precipizio 


1  Gii  slessi  giornali  tedeschi  confessano  aver  i  prussiani  perduto  nella  giornata  del  18,  8000  mor- 
ti, 11  mila  feriti,  7000  dispersi,  invece  i  francesi  che  si  difendevano  in  posizioni  più  coperte  non 
avrebbero  perduio  che  li  mila  uomini  fra  morii  e  feriti  e  3000  prigionieri.  Ma  la  battaglia  del  18 
fu  la  più  micidiale  pei  prussiani  spinalmente  per  l'esercito  di  Stellimeli,  se  è  vero  che  fu  precipizio 
nelle  cave  di  Jom<>nd.  Del  resio  i  rapporti  dede  perdite  sono  sempre  esagerati.  Dopo  la  battaglia  di 
Sadowa  gli  ausirian  ammettevano  di  aver  lascialo  12  mila  morti  sul  campo;  ma  un  anno  dopo  le 
Statistiche  affittali  restrinsero  quel  numero  a  5,500  circa.  Alla  sera  della  battaglia  si  danno  per 
modi  tulli  colori  die  si  videro  combattere,  e  non  sono  presenti  ;  ma  invece  sono  sbandati  nella  mi- 
schia, o  solamente   feriti,  e  fra  gli  stessi   feriti,  molti   lo  souo  soltanto  leggermente. 


CONTEMPORANEA  T51 

prodotto  dagli  scavi  della  pietra.  I  francesi  pratici  dei  luoghi  si  avvide- 
ro del  pericolo  cui  si  erano  esposti  i  prussiani,  li  assalirono  con  furia, 
li  costrinsero  a  indietreggiare  sì  che  molte  centinaia  di  prussiani  furo- 
no precipitati,  dalle  allure  che  occupavano,  in  fondo  alle  cave. 

Checché  sia  di  questo,  il  certo  è  che  le  truppe  di  Steimnetz  furono 
smembrate  e  distribuite  nei  due  eserciti  del  principe  Federico  Carlo  e 
ilei  Principe  ereditario.  L'esercito  poi  di  operazione  prussiano,  che 
non  arrivava  ai  400  mila  uomini  al  rompersi  della  ostilità,  era  certa- 
mente ridotto,  fra  morti,  feriti,  malati,  a  non  più  di  300  mila  uomini. 
Colle  quali  sole  forze  sarebbe  stato  imprudente  il  marciar  innanzi  contro 
i  200  mila  uomini  che  si  raccoglievano  a  Chàlons  e  il  tenere  contempo- 
raneamente in  iscacco  i  quasi  100  mila  uomini  che  stavano  ancora  a 
Metz  sotto  gli  ordini  di  Bazaine.  Vi  fu  dunque,  nei  giorni  che  succedet- 
tero al  18,  un  vero  rimpasto  totale  dell'esercito  prussiano  nei  dintorni  di 
Metz.  Esso  fu  diviso  in  due  grandi  eserciti,  l'uno  sotto  gli  ordini  del  prin- 
cipe Federico  Carlo  destinato  ad  osservare  Metz  e  l'esercito  di  Bazaine, 
l'altro  sotto  gli  ordini  del  Principe  ereditario  destinato  ad  avanzarsi  so- 
vra Chàlons  e  Parigi.  Durante  il  quale  rimpasto  sopraggiungevano  nuovi 
rinforzi  dalla  Germania.  Tutte  le  riserve  della  Landweher  erano  avvia- 
te al  campo,  e  chiamate  sotto  le  armi  varie  classi  della  Landsturn  per 
guernire  le  spiagge  marittime  e  pel  servizio  interno  degli  Stati  confedera- 
ti. Non  si  hanno  argomenti  da  valutare  l'effettivo  di  questi  rinforzi;  ma  è 
molto  probabile  che  essi  vennero  ad  accrescere  di  un  100  mila  uomini  i 
due  eserciti  prussiani,  prima  della  ripresa  delle  operazioni.  Queste  ri- 
serve non  hanno  cambiato  il  numero  dei  corpi,  ma  li  hanno  compiuti; 
sicché  si  può  ritenere,  giudicando  con  moderazione,  che  le  forze  com- 
plessive dei  prussiani  scaglionate  fra  Metz  e  Verdun,  ascendessero,  al 
line  del  riordinamento  dell'esercito,  di  nuovo  a  400  mila  uomini,  come 
erano  al  principio  della  campagna. 

Ma  i  prussiani  copersero  abilmente  questo  respiro  che  lasciavano  al 
nemico  con  marce  e  mosse  che  lo  tenevano  inquieto.  Di  mano  in  mano 
che  un  corpo  era  compiuto  si  spingeva  innanzi  sulla  strada  di  Chàlons 
e  Parigi,  preceduto  da  nubi  di  cavalleggeri  che  gittavano  lo  spavento 
nelle  popolazioni.  Un  altro  corpo  era  contemporaneamente  destinato  a 
hloccare  Verdun,  ultimo  anello  di  congiunzione  fra  Metz  e  Chàlons.  E  in- 
tanto nulla  omettevasi  per  compiere  l'investimento  di  Metz,  afforzando- 
si sulle  alture  che  circondano  la  città  dalla  parte  occidentale.  Bar-le  Due, 
St.  Dizier,Épernay,  e  varie  altre  città  lungo  la  strada  che  segue  la  valle 
della  Marna,  caddero  a  poco  a  poco  in  potere  dei  prussiani,  i  quali  giun- 
sero finalmente  verso  il  25  Agosto  innanzi  a  Chàlons. 

Ma  il  2°  esercito  francese  di  Mac-Mahon  non  aveva  aspettato  i  prus- 
siani in  quel  campo.  Già  fin  dal  18  o  19  Agosto  questo  esercito  erasi 
mosso  verso  il  Nord  passando  per  Rheims.  1  diciotto  battaglioni  della 


152  CRONACA 

guardia  mobile  di  Parigi,  i  quali  non  si  erano  resi  celebri  né  per  disci- 
plina, nò  per  ardor  militare  in  tutto  il  tempo  che  rimasero  al  campo,  la- 
sciate le  armi  e  i  bagagli  al  corpo  di  Mac-Mahon  che  aveva  perduto  il 
lutto  a  AYòrth,  furono  per  la  maggior  parte  rimandati  a  Parigi.  Tre  so- 
li battaglioni  ebbero  l'onore  di  essere  associati  air  esercito  belligerante 
che  si  componeva  di  5  corpi  (1',  5°,  7°,  12°  e  13'),  e  contava  un  160 
mila  uomini  di  truppa  spedita. 

Pertanto  verso  il  25  o  26  Agostola  posizione  degli  eserciti  belligeran- 
ti era  così  fatta.  Dugento  mila  prussiani  erano  accampati  fra  la  Mosa 
e  la  Mosella,  tenendo  in  rispetto  Verdun  sulla  Mosa  e  Metz  sulla  Mosella 
con  100  mila  francesi  di  Bazaine  rinchiusi  in  quest'ultima  piazza;  altri 
dugentomila  prussiani  marciavano  dalla  Mosa  per  la  Marna  sovra  Chà- 
lons  e  Parigi,  mentre  160  mila  francesi  seguivano,  un  cinquanta  miglia 
più  al  Nord,  una  strada  inversa  marciando  da  Parigi  e  Chàlons  verso  la 
Mosa  e  la  Mosella.  E  qui  sarebbe  da  raccontare  la  marcia  di  Mac-Mahon 
combinata  con  quella  di  Bazaine  per  congiungersi  insieme  e  sconfiggere 
i  prussiani  :  la  sconfitta  toccata  invece  ai  due  Marescialli  prima  che  si 
potessero  riunire:  la  resa  dell' esercito  di  Mac-Mahon,  la  prigionia  del- 
l'imperatore Napoleone  III;  la  repubblica  in  Parigi  e  il  resto  dei  memo- 
rabili avvenimenti  che  in  pochi  giorni  si  agglomerarono  in  guisa  inaspet- 
tata e  maravigliosa.  Ma  volendo  noi  raccontar  queste  cose  con  qualche 
diligenza,  siccome  ci  siamo  sforzati  di  farlo  pei  fatti  anteriori,  ci  con- 
tentiamo di  qui  accennarle,  rimettendone  il  racconto  particolareggiato 
al  quaderno  venturo.  In  questo  ci  contenteremo  per  ora  di  compiere  la 
narrazione  di  quanto  si  riferisce  a  questo  periodo  della  guerra,  parlando 
in  prima  di  ciò  che  accadeva  in  Parigi. 

7.  A.  Parigi  dunque  si  lavorava  per  organizzare  compiutamente  la  di- 
fesa dello  Stato  e  della  Capitale.  11  Governo  di  Napoleone  III  non  esiste- 
Ta  più  se  non  nel  tacito  accordo  dei  partiti  di  non  occuparsene,  e  nella 
riputazione  di  bonapartismo  di  cui  godevano  i  Ministri  e  specialmente 
quelli  dell'interno  e  della  guerra.  Napoleone  accompagnava  Mac-Mahon 
col  2°  esercito,  e  si  disse  che  aveva  avuto  dal  suo  Maresciallo  il  co- 
mando di  un  corpo  di  cavalleria.  Chi  diceva  che  avesse  seco  il  figlio,  chi 
invece  lo  dicea  già  partito  per  l'estero.  L'Imperatrice  e  la  principessa 
Clotilde  stavano  a  Parigi  ;  il  principe  Napoleone,  abbandonato  il  campo, 
era  venuto  improvvisamente  a  Firenze,  non  si  sa  per  incombenza  o  per 
antiveggenza  politica.  Il  vero  ed  effettivo  governo  già  cominciava  a 
prendere  un  avviamento  estra  legale.  È  noto  che  Bazaine,  comandante 
l'esercito  di  Metz,  non  passava  fra  i  Marescialli  più  affezionati  all'Impero; 
e  Trochu,  al  quale  venne  affidata  la  difesa  di  Parigi,  aveva  preferito 
l'oscurità  e  il  ritiro  al  servizio  di  Napoleone.*  Changarnier  che  accorse 
al  campo  dopo  la  ritirata  di  Metz  e  verso  il  quale  si  rivolgevano  le  sim- 
patie dei  soldati,  era  in  disgrazia  ancor  il  6  Agosto,  inoltre  nel  comitato 


CONTEMPORANEA  753 

di  difesa  di  Parigi 1  era  stato  ammesso  il  sig.  Thiers,  che  certo  non  do- 
veva avere  gran  fiducia  nella  capacità  militare  di  Napoleone  HI,  sicco- 
me questi  alla  sua  volta  non  doveva  averne  molta  nella  sua  simpatia  al- 
l'Impero.  Lo  spirito  di  quanti  concorrevano  alla  difesa  della  Francia  in 
quei  pericolosi  momenti  significava  dunque  «  Salviamo  la  Francia  messa 
a  repentaglio  da  Napoleone  ». 

I  preparativi  di  difesa  si  dividevano  in  due  rami  principali.  La  difesa 
dello  Stato;  la  difesa  della  capitale.  Per  difendere  Parigi  si  facea  asse- 
gnamento sulle  truppe  di  mare,  sui  doganieri,  sui  pompieri ,  in  tutto 
40  mila  uomini  circa;  e  sovra  100  mila  uomini  di  guardia  nazionale.  Per 
proteggere  Parigi  contro  un  colpo  di  mano  queste  forze  erano  suffi- 
cienti ,  ma  non  per  fermo  per  reggere  contro  un  assedio  regolare. 

Altri  provvedimenti  straordinarii  erano  stati  votati  per  agevolare  la 
difesa  della  città.  Le  magnifiche  piante  del  Bosco  di  Boulogne  erano  state 
atterrate;  chiuse  affatto  le  lacune  delle  mura  ;  armati  i  forti  staccati  del- 
la città.  Per  provvedere  alle  vettovaglie  erasi  disposto  che,  oltre  le 
provvigioni  ordinarie,  si  raccogliesse™  in  Parigi  350  mila  quintali  di 
farina,  150  mila  di  riso,  50  mila  buoi  e  parecchie  centinaia  di  migliaia 
di  montoni.  E  per  non  isprecare  queste  provvigioni,  prima  si  ordinò 
l'espulsione  dalla  città  di  tutte  le  persone  appartenenti  per  nascita  agli 
Stati  tedeschi,  che  sommano  a  molte  decine  di  migliaia  ;  e  poi  di  quanti 
si  trovavano  in  Parigi  senza  mezzi  di  sussistenza,  i  quali  credesi  che  non 
fossero  meno  di  300  mila.  Se  questi  ordini  vennero  eseguiti,  contando 
anche  coloro  che  volontariamente  si  allontanavano  per  isfuggire  agli  or- 
rori dell'assedio,  si  può  ritenere  che  la  popolazione  di  Parigi  restasse  in 
tal  guisa  ridotta  a  meno  di  un  milione  di  abitanti.  Alla. notizia  poi  che  i 
prussiani  si  avvicinavano  a  Chateau-Thierry,  a  poche  leghe  dalla  capi- 
tale, fu  pure  dato  ordine  di  trasportare  in  città  quante  vettovaglie"^ 
bestiami  si  trovassero  nei  dintorni,  abbruciando  tutto  il  resto,  affinchè  i 
prussiani  si  trovassero  in  campagna  rasa.  Inoltre  fu  promossa  e  favo- 
rita la  formazione  di  corpi  franchi,  colla  missione  di  molestare  il  ne- 
mico, nell'Argonne,  nello  Ardenne,  nella  Sciampagna,  nei  Vosgi,  ovun- 
que esso  si  fosse  presentato.  Infine  disponevasi  ogni  cosa  per  trasferire 
i  Ministeri  e  il  Governo  in  una  piazza  forte  dietro  la  Loira. 

Oltre  a  questi  provvedimenti  di  difesa  peculiari  alla  città  di  Parigi, 
il  Ministro  della  guerra  organizzava  un  terzo  esercito.  Il  2.*  esercito  di 
Mac-Mahon  era  composto  di  reggimenti  normali  esistenti  neir  organizza- 
zione dell'esercito  stanziale  francese.  I  corpi  1.*,  5.°  e  7/  già  esisteva- 


1  Questa  specie  di  Governo  estralegale  era  composto  di  Trochu,  comandante  della  città  di  Pari- 
gi, maresciallo  Vaillant,  ammiraglio  Rigault  De  Genouilly,  bar.  Gerol.  David,  vice-presidente  del 
Corpo  legislativo,  gen.  Cbabau.l  la  Tour  che  ha  cooperato  alle  fortificazioni  di  Parigi,  gen.  Guyod, 
membro  del  Comitato  d'artiglieria,  gen.  De  Hautemarre,  già  comandante  la  guardia  nazionale  di  Pa- 
rigi, gen.  Soumani,  comandante  di  piazza  di  Parigi. 

Serie  VII,  voi.  XI,  fase.  492.  48  10  Settembre  1870. 


754  CRONACA 

no  prima  della  guerra;  i  due  nuovi  corpi  12.'  e  13.°  erano  formati  colle 
guarnigioni  di  Parigi  e  delle  altre  città  :  questi  corpi  erano  però  accre- 
sciuti di  numero  con  soldati  tratti  dai  depositi.  11  Ministro  della  guerra 
pensò  a  formare  un  terzo  esercito  coi  depositi  stessi  e  ordinò  la  forma- 
zione di  40  nuovi  reggimenti  di  fanteria  costituiti  dai  sol-iati  in  congedo 
e  richiamati  straordinariamente,  dalle  guardie  mobili  meglio  disposte, 
e  dai  volontarii.  Questi  40  reggimenti,  che  poteano  avere  un  effettivo 
di  60  in  70  mila  uomini,  si  raccoglievano  in  modo  da  poter  raggiungere 
Parigi,  almeno  in  gran  parte,  prima  che  i  prussiani  Y avessero  cinta 
d'assedio. 

Intanto  Strasborgo,  Metz,  Falsborgo,  Verdun,  Toni,  quantunque  in- 
vestite più  o  meno  dappresso  dai  prussiani,  opponevano  forte  resisten- 
za, e  le  piazze  tedesche  si  sfornivano  di  grossa  artiglieria  che  si  avvia- 
va a  battere  le  piazze  francesi.  Strasborgo  si  difendeva  valorosamente, 
facendo  con  vario  successo  frequenti  sortile;  convogli  di  viveri  avean 
potuto  entrare  nella  città,  che  difettava  di  truppa,  ma  non  di  munizio- 
ni. I  prussiani  la  bombardavano  fieramente  recando  danni  anche  alla  ma- 
gnifica sua  cattedrale.  L'artiglieria  della  piazza  aveva  dal  canto  suo 
bombardato  Keehl  sulla  sponda  opposta  del  Reno.  11  Vescovo  (di  cui  si 
annunziò  poi  la  morte  )  avea  domandato  invano  ai  prussiani  che  lascias- 
sero uscire  le  donne  e  i  fanciulli. 

La  flotta  francese  comparsa  in  due  squadre  innanzi  a  Helgoland  e  a 
Kiel  aveva  anch'essa  mandato  qualche  bomba  sulle  città  tedesche,  di- 
chiarandone il  blocco;  aveva  avuto  qualche  scontro  insignificante  col  ne- 
mico, e  catturato  qualche  nave  mercantile. 

Ma  la  parte  più  trista  di  questa  orrenda  carniticina  era  la  scena 
straziante  dei  morti  e  dei  feriti  che  ingombravano  il  Nord  della  Fran- 
cia. In  molti  luoghi  i  morti  rimasero  lunga  pezza  insepolti.  Sul  cam- 
po di  battaglia  di  Forbach  essi  si  putrefacevano  nei  campi  ancora  il 
20  Agosto,  cioè  due  settimane  dopo  la  battaglia.  Sotto  Metz  erasi  usato 
dai  prussiani  lo  spediente  di  gittar  migliaia  di  cadaveri  nella  Mosella; 
e  questi  erano  in  sì  gran  numero,  che  invece  di  essere  trascinati  dalle 
acque,  si  erano  ammassati  in  varii  punti  del  fiume  e  mostravano  ai 
300  mila  superstiti  raccolti  sulle  due  rive  l'orrendo  spettacolo  della  len- 
ta putrefazione  dei  loro  fratelli  di  arme.  I  due  eserciti  si  raccoglieva- 
no amaramente  intorno  a  queste  scene  indescrivibili.  Sessanta  mila  fe- 
riti ingombravano  i  due  campi.  La  città  di  Metz  era  un  vasto  spedale. 
Nell'esercito  prussiano  erano  lasciati  in  piena  campagna  per  difetto  di 
locali.  Molti  feriti  dopo  aver  aspettato  nelle  angosce  dell'agonia,  due 
giorni  intieri  nel  campo  di  battaglia,  una  mano  pietosa  che  li  soccorres- 
se, dovevano  poi  aspettare  due  o  tre  altri  giorni  prima  che  un  medico 
potesse  apprestar  loro  la  prima  assistenza;  le  carni  corrotte  in  questa 
lunga  aspettativa,  andavano  in  cancrena;  e  migliaia  di  uomini  nel  fior 


CONTEMPORANEA  755 

dell'età,  che  una  cura  adoperata  a  tempo  avrebbe  certamente  salvato 
dalla  morte,  dovevano  invece  morire  fra  atroci  spasimi.  Grandi  e  nobili 
episodii  di  generosità  sovrumana  illustrarono  a  dir  vero  questa  terribile 
scena.  I  fogli  parigini  annunziavano  la  partenza  pel  campo  di  oltre  a 
cento  preti  della  città  ordinatisi  in  compagnia  di  infermieri  ;  a  Wòrth 
una  Suora  di  S.  Vincenzo  de  Paoli  ebbe  le  gambe  portate  via  da  un 
colpo  di  cannone  e  spirò  accanto  al  ferito  che  stava  curando.  Da  molte 
parti  drappelli  di  medici  e  volontari^  organizzati  in  ambulanze,  accorre- 
vano in  aiuto:  ma  che  era  tutto  questo  per  tante  migliaia  di  pazienti? 

La  Prussia  aveva  domandato  che  le  leggi  della  neutralità  si  sospen- 
dessero un  momento,  per  lasciar  passare  i  convogli  di  feriti  pel  Belgio 
e  pel  Lussemburgo  ;  ma  la  legge  inesorabile  della  guerra  vi  si  oppose; 
perchè,  dicevasi,  mandando  i  feriti  da  quella  parte,  la  Prussia  aveva 
più  libere  le  ferrovie  della  Germania  che  le  arrecavano  continuamente 
nuovi  soldati  e  nuovi  strumenti  di  morte.  La  fame,  le  malattie  conta- 
giose, le  fucilazioni  di  persone  sospette  e  di  spie,  compievano  quest'or- 
rendo quadro. 

8.  Non  appena  i  prussiani  furono  sotto  Metz,  e  vi  ebbero  confinato 
l'esercito  di  Bazaine,  vedendo  le  sorti  della  guerra  volgere  in  loro  favo- 
re, e  qualche  foglio  avendo  gittato  qualche  timida  proposta  di  pace; 
tosto  i  giornali  tedeschi  cominciarono  a  discutere  le  condizioni  della  pa- 
ce futura.  Oltre  ad  una  forte  indennità  di  guerra,  domandavano  nulla 
meno  che  l'Alsazia  e  la  Lorena,  come  province  tedesche  che  dovevano 
tornare  alla  patria  comune.  E  l'opinione  pubblica  dei  paesi  neutri  mo- 
strandosi avversa  a  queste  idee,  i  fogli  tedeschi  rincarirono  la  dose, 
pretendendo  anche  la  Franca  Contea,  e  domandando  perfino  la  cessione 
alla  Germania  di  mezza  la  flotta  francese  1.È  vero  che  i  giornali  officiali 
tedeschi  diedero  sulla  voce  a  queste  pretese  del  giornalismo  nazionale, 
ma  re  Guglielmo  organizzava  intanto  politicamente  l'Alsazia  e  la  Lore- 
na, annettendole  di  Fatto  al  suo  regno.  Quanto  ciò  dispiaccia  alle  poten- 
ze neutre  è  facile  ad  intendersi.  Le  sconfitte  della  Francia  loro  fanno 
viepiù  desiderare  che  questa  potenza  non  sia  sminuita  di  territorio. 
La  fermezza  dei  soldati  francesi  le  rende  persuase  che,  anche  sconfitta,  la 
Francia  sarebbe  ancora  il  miglior  antemurale  dell'Europa  contro  la  pre- 
ponderanza germanica.  Ma  intanto  esse  vedono  la  Francia  agli  estremi, 
e,  misurando  ben  bene  le  proprie  forze,  non  si  sentono  in  grado  di  far 
valere  i  proprii  consigli  presso  il  Re  vittorioso.  Che  fare  infatti  qua- 
lora il  re  Guglielmo  non  accettasse  le  proposte  di  mediazione?  Ar- 
marsi in  comune  per  imporgliele?  La  Russia,  quantunque  ancor  essa 


1  Venne  stampata  a  Lipsia  una  carta  del  nuoto  impero  germanico.  Essa  comprende  oltre  l'Alsa- 
zia, la  Lorena,  la  Franca  Contea,  anche  la  Svizzera  tedesca,  l'Austria  propriamente  detta  compresa 
Trieste,  e  "varie  province  della  Russia  occidentale  ove  si  parla  il  tedesco. 


756  CRONACA 

malcontenta  dei  buoni  successi  prussiani,  è  lontana;  l'Austria  ha  in  casa 
propria  popolazioni  tedesche  che  applaudono  alle  littorie  dei  confede- 
rati ;  r Italia  stenta  a  sorreggersi,  e,  se  si  dichiarasse  contro  la  Prussia, 
avrebbe  prima  da  vincere  la  guerra  civile.  L'Inghilterra,  come  quella 
che  meno  pericola,  ed  è  più  esperta,  dà  buone  parole  a  tutti,  ma  riufita 
di  prendere  un  impegno,  come  quella  che  teme  di  non  essere  sufficien- 
temente sostenuta  sul  continente.  Ora  si  comincia  a  vedere  quanto  sa- 
rebbe stato  prudente  Tarmarsi  in  tempo,  o  per  dettar  la  pace  prima 
della  rottura  delle  ostilità,  o  per  scendere  in  campo  dopo  i  primi  rove- 
sci, e  trovar  così  ancora  un  valido  appoggio,  negli  avanzi  dell'esercito 
soccombente.  é 

Fin  dalla  ritirata  de1  francesi  sulla  Mosella,  si  fece  qualche  passo  in 
favor  della  pace,  ma  con  grande  riservatezza.  L'Inghilterra  dichiarò  aper- 
tamente di  volersene  astenere,  non  credendo  ancora  venuto  il  momento. 
L'Austria  e  l'Italia  si  trovarono  più  felicemente  d'accordo;  ed  entrambe 
accrebbero  gli  armamenti  per  dar  maggior  peso  alle  proposte;  ma  queste 
vennero  fatte  in  guisa  del  tutto  ufficiosa;  e  la  Francia  le  respinse  per 
amor  proprio,  la  Prussia  per  interesse.  A  questa  infatti  conveniva  scon- 
figgere prima  il  secondo  esercito  francese,  per  ridurre  la  Francia  alla 
impotenza,  prima  di  manifestare  le  proprie  pretensioni.  La  cosa  stette 
in  quei  termini  fino  al  24  Agosto,  quando  il  principe  Napoleone  arriva- 
va a  Firenze.  Egli  si  credea  forse  più  opportuno  sul  campo  della  diplo- 
mazia che  sul  campo  di  battaglia,  e  si  vuole  che  egli  abbia  se  non  altro 
fermato  il  programma  dei  neutri,  facendo  loro  accettare  il  principio  di 
respingere  in  comune  qualunque  proposta  di  pace  che  portasse  uno 
smembramento  della  Francia.  Questa  idea  dicesi  siasi  accettata  come 
base  del  programma  di  pace  da  tutte  le  potenze  neutre.  11  commenda- 
tore Minghetti,  che  era  pienamente  di  questo  parere,  fu  spedito  am- 
basciadore  a  Vienna,  dove  un  inviato  russo  e  il  ministro  inglese  dove- 
vano, a  quanto  affermavasi,  l'ormare  il  programma  dell'azione  comune. 
In  sostanza  la  diplomazia  sentiva  il  bisogno  di  agire,  ma  non  trovava 
ancora  i  mezzi  di  azione  che  le  sembrassero  appropriati  ai  bisogni. 

9.  L'Italia  dal  canto  suo  continuava  ad  armare.  11  16  Luglio  venne 
riconvocata  la  camera  elettiva  per  domandarle  un  credito  di  50  milio- 
ni pei  bisogni  dell'esercito.  Le  Camere  lo  votarono  con  una  maggioranza 
soddisfacente,  ma  dopo  lunghe  e  tempestose  discussioni.  Si  trattò  nei 
due  rami  del  parlamento  la  famosa  questione  di  Roma,  parendo  alla  si- 
nistra che  fosse  venuto  il  momento  di  romperla  colla  Francia  impotente, 
stracciare  la  convenzione  di  Settembre  e  marciare  su  Roma. 

Al  qual  proposito  non  vogliamo  omettere  di  riferire  le  sole  parole 
cattoliche  e  di  buon  senso  perfetto  che  si  udirono  in  quelle  tornate. 
Esse  sono  dell'  onorevole  conte  Crotti,  deputalo,  il  quale  disse  così  : 
«  Molto  si  ragionò  sui  doveri,  sugli  obblighi  e  diritti  della  Francia, 


CONTEMPORANEA  757 

sui  diritti  nostri  verso  Roma  ;è  nessun  però  parlò  dei  doveri  che  ab- 
biamo noi  verso  uno  Stato  limitrofo,  che  è  uno  Stato  sovrano,  indipen- 
dente, riconosciuto  da  secoli  e  da  secoli,  il  quale  è  nei  consorzio  di  tut- 
ti gli  Stati  d'Europa.  Di  quei  doveri  internazionali,  nò  dalla  destra  né 
•dalla  sinistra  sentii  far  parola  ;  eppure  questi  sono  doveri  essenziali  dei 
quali  noi  non  possiamo  liberarci.  A  questi  diritti  e  doveri  si  vuol  sosti- 
tuire un  diritto  nuovo,  il  diritto  delle  aspirazioni  nazionali,  il  diritto 
che  avrebbe  1'  Italia  di  andare  a  Roma.  Questo  diritto  veramente  io  non 

10  posso  riconoscere,  perchè  si  fonda  soltanto  sopra  un'aspirazione.  Ma, 
signori,  le  aspirazioni  non  sono  un  diritto  che  si  possa  ammettere;  se 
ammettiamo  le  aspirazioni,  state  in  guardia,  o  signori,  che  la  logica 
dei  fatti  è  inesorabile ,  ed  avverrà  che  il  popolo  avrà  un  giorno  aspira- 
zioni sulle  Banche,  sui  capitali,  sui  ricchi  palazzi,  e  vorreste  ammet- 
terle? (Si  ride).  Questo  è  molto  grave,  perchè  ogni  cosa  ha  le  sue  con- 
seguenze. Dunque  vi  consiglio  di  pensarci  seriamente... 

«  Voci  a  destra.  Sono  le  aspirazioni  nazionali. 

«  Ma  che  cosa  sono  queste  aspirazioni  nazionali?  Io  dico  che  non  so- 
no nazionali ,  ma  che  sono  le  aspirazioni  di  un  partito. 

«  Io  conosco  il  paese  quanto  qualunque  di  voi ,  e  vi  so  dire  che  que- 
ste sono  aspirazioni  di  un  partito  che  comanda,  di  nn  partito  che  si  è 
imposto,  che  ha  preso  la  direzione  di  tutto  e  che  si  vuol  far  nazionale, 
ma  non  è  nazionale,  è  semplicemente  parziale.  Questa  è  la  verità.  Ieri 

11  onorevole  presidente  del  Consiglio  disse  che  tutti  i  Deputati  aspira- 
vano ad  andare  a  Roma,  e  che  non  solo  lo  volevano  essi,  ma  ne  aveva- 
no il  mandato  dai  loro  collegi  elettorali.  In  primo  luogo  io  risponderò 
che  mandati  i  collegi  elettorali  non  ne  possano  dare.  Poi  vorrei  sapere 
quale  è  quel  collegio  elettorale  che  ha  dato  un  simile  mandato  al  suo 
deputato?  (  Voci  da  molte  parti  della  Camera  !  il  mio  !  il  mio!  ) 

«  Sarà  in  alcuni  :  tranquillatevi,  lo  credo  che,  se  in  qualche  colle- 
gio questo  mandato  sarà  stato  dato,  lo  sarà  stato  dato  dalle  società 
massoniche,  dai  liberi  pensatori,  dai  comunisti;  ma  questi  non  formano 
la  nazione.  La  nostra  Italia  è  cattolica,  epperciò  V  immensa  maggioran- 
za di  tutti  i  collegi  elettorali  è  pure  cattolica,  e  non  può  e  non  vuole 
andare  a  Roma.  Cosicché  voi  non  potete  appoggiarvi  sulla  volontà  na- 
zionale a  tale  riguardo.  Disse  pure  l'onor.  presidente  che  il  non  esse- 
re noi  andati  a  Roma  ha  prodotto  l'infallibilità;  e  gettò  così  leggermente 
la  questione  dell1  infallibilità  nella  Camera.  Io  tengo  per  fermo  che  lo 
stesso  presidente  del  Consiglio  non  ha  ponderato  che  cosa  sia  quest1  in- 
fallibilità. Quest'infallibilità  è  cosa  spirituale,  è  cosa  che  riguarda  uni- 
camente la  fede,  ha  niente  di  materiale;  fu  definita  una  pratica  costan- 
te della  Chiesa  e  nulla  più.  La  questione  dell'  infallibilità  non  ha  che  fa- 
r.e  nel  caso  attuale.  In  essa  non  ha  niente  che  fare  la  Camera.  Circa  i 
40  milioni,  io  debbo  dichiarare  che  non  capisco  come,  al  dire  di  certi 


758  CRONACA 

giornali  e  di  lettere  particolari ,  il  Governo  abbia  messo  lungo  la  fron- 
tiera pontificia  circa  30,000  uomini.  (Voci.  Piùl)  Trentamila  uomini 
mi  pare  che  son  troppi  e  che  3  o  5  mila  basterebbero. 

«  Se  il  Governo  non  vuole  che  si  vada  a  Roma ,  se  non  vuole  che  le 
bande,  che  i  repubblicani  vadano  nello  Stato  romano,  non  ci  andranno. 
L'altra  volta  la  nostra  truppa  aveva,  dissesi ,  la  consegna  di  seguitare 
i  garibaldini,  ma  di  mai  raggiungerli  e  di  non  arrestarli  [si  ride)  :  que- 
sto è  P ordine  che,  si  pretende,  avevano  allora.  Adesso  se  il  Governo 
non  vorrà  lasciarli  penetrare  sul  territorio  romano,  non  andranno,  ne 
sono  sicuro;  dimodoché  questa  truppa  di  30,000  uomini  mi  dà  sospetto 
di  qualche  idea  nascosta,  di  qualche  gherminella  (nuova  ilarità).  Per 
conseguenza  io  domando  al  Ministero  se  esso  non  andrà  negli  Stati  pon- 
tifìcii che  chiamato  dal  sovrano.  In  tal  caso  io  voto  i  40  milioni  e  anche 
di  più;  ma  se  il  Ministero  non  fa  una  dichiarazione  esplicita,  io  gli  nego 
il  mio  voto.  » 

E  lo  negò  di  fatti,  perchè  il  Ministero  fu  ben  lontano  dal  fare  la 
dovuta  dichiarazione.  Però  il  Ministero  tenne  fermo  sull'osservare  la 
Convenzione.  Le  parole  del  Ministro  degli  Esteri  furono  più  del  soli- 
to esplicite  in  questo  senso.  Se  non  che  sempre  si  è  preteso  di  aver 
diritto  alla  Capitale  naturale;  anzi  il  Sella  che  è  il  più  sinistro  dei  Mi- 
nistri, si  espresse  ad  una  commissione  di  sinistri,  che  erasi  recata  ad  in- 
terpellarlo a  tal  proposito,  in  termini  assai  equivoci,  lasciando  intende- 
re che  a  Roma  si  intendeva  andare  con  mezzi  più  efficaci  che  non  i  so- 
li mezzi  morali.  Ma  codesta  conversazione,  riferita  da  giornali,  venne 
poi  sconfessata  dal  Sella  come  infedele.  Intanto  alle  frontiere  pontifi- 
cie furono  mandati  30  mila  uomini  in  pieno  assetto  di  guerra,  coir  in- 
tendimento ufficiale  di  proteggerle  contro  nuove  invasioni  di  garibal- 
dini. Una  flotta  di  corazzate  armate  in  fretta  venne  a  veleggiare  nelle 
acque  di  Civitavecchia.  Garibaldi  era  guardato  a  vista  nell'isola  di  Ca- 
prera; e  Mazzini,  il  grande  agitatore,  arrestato  in  Palermo  nelP  atto  di 
scendervi  per  mettere  a  fuoco  la  Sicilia.  Il  famoso  genovese  venne  tra- 
dotto coi  massimi  riguardi  nella  fortezza  di  Gaeta,  dove  si  custodisce 
senza  saperne  troppo  il  perchè  e  il  per  quanto.  I  grandi  centri  militari 
Torino,  Milano,  Verona,  Genova,  Bologna,  Piacenza  formicolavano  di 
soldati;  le  truppe  disponibili  potendosi  calcolare  a  250  mila  uomini, 
raccolti,  specialmente  la  cavalleria,  nell'alta  Italia  e  di  preferenza  nelle 
antiche  province.  Ma  l'agitazione  continuava.  1  Deputati  della  sinistra. 
appena  rimandati  alle  case  loro.,  si  raccolsero  e  decisero  di  promuovere 
meeting*  per  domandare  al  Governo  l'occupazione  di  Roma.  A  Genova 
i  reduci  delle  patrie  battaglie,  cioè  il  fiore  del  garibaldinismo,  vollero 
radunarsi  illegalmente,  ed  un  Assessore  di  Polizia  avendo  loro  intimato 
lo  sfratto  per  causa  di  parole  ingiuriose  del  Canzio,  genero  di  Garibal- 
di, ne  arrestò,  col  Canzio  stesso,  parecchi.  I  membri  dell' associazione  si 


CONTEMPORANEA  TSl* 

offerivano  di  accompagnare  il  loro  presidente  in  prigione,  ma  il  domani 
erano  tutti  quanti  rimessi  in  libertà.  Anche  lo  Stallo,  condannato  dalle 
assise  di  Genova  a  cinque  mesi  di  prigionia  per  sollevazione  a  mano 
armata  contro  lordine  di  cose  esistente,  essendo  ricorso  in  cassazione, 
fu  ammesso  alla  libertà  provvisoria  con  cauzione.  Il  potere  si  affretta  di 
rimettere  sul  lastrico  tutti  coloro  che  egli  sa  essere  capaci  di  disfare  il 
lastrico  per  erigere  barricate.  Il  solo  caporale  Barsanli,  convinto  di  aver 
promossa  la  famosa  insurrezione  militare  nel  quartiere  di  S.  Lino  in 
Pavia  nella  scorsa  primavera,  malgrado  l'agitazione  fatta  per  ottenergli 
salva  la  vita,  venne  fucilato  la  mattina  del  29  nel  castello  di  Milano. 

10.  Conchiuderemo  questa  cronaca  col  riferire  la  parte  veramente 
pontificale  e  sublime  che  a  questa  guerra  prese  il  Sommo  Pontefice 
Pio  IX.  Né  possiamo  meglio  riferir  la  cosa  che  colle  parole  ufficiali  del 
signor  di  Thiele,  ministro  degli  affari  esteri  della  Prussia:  Ecco  dunque  la 
circolare  eh1  egli  spedì  ai  rappresentanti  della  Prussia.  Noi  la  copiamo 
e  traduciamo  dalla  Gazzetta  di  Losanna  che,  nel  suo  num.  dei  20  Agosto, 
fece  conoscere  il  testo  pervenuto  al  signor  generale  de  Roeder,  incarica- 
to della  Prussia  in  Isvizzera.  11  dispaccio  è  dato  sotto  il  9  Agosto  1870 
e  dice  così  : 

«  Io  credo  dover  far  conoscere  a  Vostra  Eccellenza  che  Sua  Santità 
il  Papa  ha  indirizzato  al  Re  nostro  potentissimo  signore,  sotto  la  data  dei 
22  Luglio,  cioè  dopo  il  cominciamento  della  guerra  colla  Francia,  la  let- 
tera autografa  di  cui  accludo  copia,  allo  scopo  di  offrire  la  sua  media- 
zione. La  stessa  offerta  fece  a  Parigi  il  sommo  Pontefice.  Sua  Maestà  il 
Re  ha  ricevuta  questa  comunicazione  del  Santo  Padre  con  una  viva 
commozione  ed  ha  espressi  i  caldi  sentimenti  da  essa  ispiratigli  in  una 
sua  lettera  dei  30  Luglio,  di  cui  accludo  copia. 

«  L'incaricato  di  affari  del  Re  presso  la  Santa  Sede  ci  ha  avvisati  il 
6  Agosto  che  l'imperatore  Napoleone  ricusò  quest'offerta  di  mediazione 
coll'intermezzo  del  suo  ambasciatore,  dichiarando  che  i  negoziati  erano 
impossibili  dopo  la  dichiarazione  di  guerra,  postala  grande  sopraeccita- 
zione  degli  animi.  Il  tentativo  del  Papa,  sì  rispettabile  nella  sua  sem- 
plicità, è  dunque  fallito.  Ma  vostra  Eccellenza  non  conoscerà  però  sen- 
za interesse  questa  corta  trattativa.  Io  vi  autorizzo  nello  stesso  tempo  a 
comunicare  questi  documenti  al  Governo  presso  cui  siete  accreditato. 

Lettera  del  Santo  Padre  Pio  IX  al  re  Guglielmo  di  Prussia.  «  Mae- 
stà. Nelle  gravi  circostanze  in  cui  siamo,  vi  parrà  forse  insolito  di  ri- 
cevere una  lettera  da  me  ;  ma  Vicario  sulla  terra  del  Dio  della  pace, 
non  posso  non  offrirvi  la  mia  mediazione.  Il  mio  desiderio  è  di  vede- 
re sparire  i  preparativi  di  guerra  e  d'impedire  i  mali  che  ne  sono 
la  conseguenza  inevitabile.  La  mia  mediazione  è  quella  d'un  sovrano 
che,  nella  sua  qualità  di  Re,  non  può  ispirare  alcuna  gelosia,  avuto  ri- 
guardo all'esiguità  del  suo  territorio,  ma  che  nondimeno  ispirerà  fidu- 


760  CRONACA 

eia  per  l'influenza  morale  e  religiosa  ch'egli  personifica.  Dio  esaudi- 
sca i  miei  voti  ed  esaudisca  pur  quelli  che  faccio  per  Vostra  Maestà,  a 
cui  desidero  essere  unito  coi  vincoli  della  stessa  carità.  Pio  PP  IX.  Dal 
Vaticano,  22  Luglio  1870.  PS.  Ho  scritto  egualmente  a  S.  M.  T  Impe- 
ratore dei  Francesi.  » 

Risposta  di  Sua  Maestà  il  Re  di  Prussia.  «  Berlino,  30  Luglio  1870. 
Augustissimo  Pontefice!  Non  fui  sorpreso,  ma  profondamente  commos- 
so leggendo  le  parole  toccanti  tracciate  dalla  vostra  mano  per  far  udi- 
re la  voce  del  Dio  della  pace.  Come  potrebbe  il  mio  cuore  non  ascol- 
tare una  voce  così  potente?  Obbedendo  ai  sacri  doveri  che  Dio  impo- 
ne ai  sovrani  ed  alle  nazioni,  noi  prendiamo  la  spada  per  difendere 
Pindipendenza  e  l'onore  della  patria;  e  noi  saremo  sempre  pronti  a 
deporla  quando  questi  beni  siano  tutelati.  Se  Vostra  Santità  potesse 
offrirmi ,  da  parte  di  colui  che  ha  così  inopinatamente  dichiarato  la 
guerra,  l'assicurazione  di  disposizioni  sinceramente  pacifiche  e  guarenti- 
gie contro  il  rinnovarsi  di  simile  offesa  alla  pace  ed  alla  tranquillità 
dell'Europa,  Don  io  certamente  ricuserò  di  riceverle  dalle  mani  vene- 
rabili di  Vostra  Santità,  unito  come  sono  con  lei  dai  vincoli  della  carità 
cristiana  e  da  una  sincera  amicizia.  Guglielmo.  » 


INDICE 


^C 


L'agitazione  riguardo  all'In  fallibilità  pontificia,  pag.  5 
/  Crociati  di  san  Pietro;  scene  storiche  del  1867. 
XCVI.  Sbarco  dei  Francesi.  Consigli  di  guerra 
degli  Alleati,  20.  -  XCVII.  Disegni  e  forze  del 
Garibaldi  a  Mentana.  Si  allestisce  la  spedizione 
francopontificia,  30.  -  XCVIII.  Mentana,  3  No- 
vembre, 138  e  287.  -  IC.  I  feriti  e  i  morti  di 
Mentana.  Giuliano  Watts-Russell,  Carlo  d'Al- 
cantara, Giovanni  Moeller,  Leone  Bracke, 
Giuseppe  Rialan,  Carlo  Bernardini,  altri,  416. 
-  C.  Conclusione.  I  monumenti  della  Crociata 

del  1867 556 

Un  caso  di  coscienza  a  proposito  dell'  Infallibilità 

pontificia 39 

//  decrescere  del  Liberalismo 129 

Sguardo  retrospettivo  sopra  V  amministrazione  finan- 
ziaria dal  1860  al  1870  in  Italia 151,  312 

La  Definizione  dommatica  dell'  Infallibilità  pontificia.  171 
Costituzione  dommatica  prima  sopra  la  Chiesa  di  Cri- 
sto pubblicala  nella  sessione  quarta  del  Concilio 

Vaticano 257 

Iulia  Angusta  Taurinorum  ossia  l'antica  Torino.  272,   405 
La  solenne  protesta  del  Sinodo  Vaticano  contro  due 
libelli 385 


762  INDICE 

77  domina  dell'  Infallibilità  pontificia  e  la  base  dei 

Concordali pag.  513 

La  Massoneria  e  la  Guerra 529 

La  Bolla  Reversurus  del  16  Luglio  1867  intorno 

alla  Chiesa  Armena 540,  675 

I  nuovi  Protestanti  contro  il  Concilio  Vaticano  ....  641 
Una  moderna  Educatrice  della  donna  italiana  ....  657 
La  pena  di  morte 668 


RIVISTE  DELLA  STAMPA  ITALIANA 

Degli  istituti  di  carità  per  la  sussistenza  e  l'educazione  dei 
poveri  e  de  prigionieri  in  Roma,  libri  tre  del  Cardinale 
Carlo  Luigi  Morichini  di  lesi.  Ediz.  novissima  —  Roma, 
stabil.  tipografico  camerale,  1870.  Un  voi.  in  4.°  di  pag.  816.       52 

Bullarum,  diplomatimi  et  privilegio-rum  sanctorum  roma- 
norum  Ponti ficum  editio,  etc,  quam  SS.  D.  N.  Plus  Papa  IX 
apostolica  benedictiorle  erexit.  Tomus  XVII  l:  Clemens  X  ab 
an  MDCLXX  ad  an.  MDCLXXVl.  Un  voi.  di  pag.XXXIl-752.      64 

Il  Concilio  Vaticano  al  cospetto  dell'  odierna  società,  per 
Fr.  Lodovico  da  Castelplanio  Minore  osservante.  Seconda 
edizione  —  Torino  1870,  tipografia  del  cav.  Pietro  Marietti.     181 

Urania:  Carmen  didascalicum  Petri  Esseiva  Friburgensis 
Belvetii  ;  cui  certaminis  poetici  praemium  e  legato  Henrici 
Hoeufft  adiudicatum  est  in  consessu  publico  Acaderniae  re- 
giae  disciplinarum  Neerlandiae ,  pridie  id.  Mari,  anni 
CID13CCCLXX  —  Amslelodami,  apud  C.  G.  Van  der  Post, 
MDCCCLXX.  In  8/  di  pag.  14 190 

Le  nouvelles  études  sur  les  Catacombes  romaines,  llisloi- 
re-Peintures-Symboles,  par  le  Cte  Desbassayns  de  Ricue- 
mont,  précédées  d'une  lettre  par  M.  Le  Chevalier  De  Ros- 
si —  Paris,  librairie  Poussielguc  frères,  me  Cassette  27, 
MDCCCLXX.  Un  volume  in  8.°  di  pag.  XXVlll-508.     .     .     329 

Analisi  fisiologica  del  libero  arbitrio  umano,  del  dottore 
Alessandro  Herzen,  seconda  edizione  —  Firenze  1870  .     .     440 


INDICE  763 

Caroli  Aloisii  Monchini  Cardinalis,  Aesinatium  Episco- 
pi, Petreidos  libri  III  ad  Piava  IX  P.  M.  —  Accedimi  Car- 
men de  Martyribus  Sebastenis  et  epistolae  tres  ad  Auctoris 
fratres pag.     447 

Bulletlino  di  Archeologia  cristiana  del  commendatore  Gio- 
vanni Bxttista  de  Rossi.  Seconda  serie  —  Roma,  tip.  Sal- 
\iurril870 451 

Illustrazioni  filologi  co- comparative  alla  Grammatica  greca 
del  dott.  Giorgio  Curtius,  professore  di  Filologia  classica 
nella  Università  di  Lipsia,  scritte  da  lui  medesimo,  con  sua 
licenza  tradotte  dal  tedesco  e  corredate  di  un  proemio,  di 
giunte  ecc.  per  cura  del  dott.  Fausto  Ghkrardi  Fumi,  prof, 
di  lettere  classiche  nel  fì.  Liceo  di  Reggio  Calabro  —  Na- 
poli, stamperia  del  Fibreno  1868;  R.  de  Rubertis  editore. 
Un  voi.  in  8  °  di  pagine  CI,  264 566,    687 

Sul  metodo  scientifico,  quesiti  di  Maurizio  Bi  fauni  ai  sa- 
vii  ed  ingenui  cultori  della  medicina,  in  appendice  alle  Isti- 
tuzioni di  analitica  —  Firenze,  Successori  Le  Monnier  1870.     701 

Ribliografia 67,     337,     579,    708 


COSE  SPETTANTI  AL  CONCILIO 

Rivista  Bibliografica  /.  Lavori  eruditi  intorno  air  infallibilità  pon- 
tificia. 1.  di  mgr.  Azarian  —  2.  del  P.  R.  Bianchi  —  3.  del  P.  Fedele 
da  Fauna  —  4.  di  mgr.  Senestrey  e  >ii  mgr.  Freppel 78 

—  //.  Risposte  alle  lettere  di  mgr.  Dupanloup.  1 .  Di  mgr.  Dechamps 

—  2.  del  can.  Sauvé  —  3.  del  P.  Ramière  —  4.  del  bar.  Carbonelli 

—  5.  del  prev.  Messina  —  6.  di  mgr.  Nardi 86 

—  ///.  Della  unanimità  morale.  Opuscoli  1.  di  mgr.  lineili  —  2.  del 

P.  Steccanella 91 

—  /.  Scritti  in  difesa  dell'infallibilità  pontificia.  1.  di  mgr.  Canto- 
ni—  2.  del  P.  Bottalla —  3.  del  P  Gesualdo  da  Bionte  —  4.  di  Dom 
Guéranger  —  5.  dell  ab.  Uccelli  —  6.  del  P.  Schneemann  —  7.  di  mgr. 
Freppel  —  8.  Altri  opuscoli 203 

—  11.  Altri  scritti  in  difesa  di  Papa  Onorio.  1.  di  A  DeMargerie — 
2.  del  P.  Colombier — 3.  di  un  Sacerdote  romano  —  4.  del  P.  Schnee- 
mann— 5.  del  dr.  Fabi  —  6.  di  mgr.  Ghilardi  —  7.  di  un  anonimo  .      212 


764  INDICE 

—  IH.  Un  fascio  di  cattivi  opuscoli.  1.  italiani  —  2.  francesi,  pag.      215 

—  I.  Un  pessimo  opuscolo  anonimo 350 

—  J7.  Fiori  poetici 352 

—  /.  Sei  Confutazioni  del  Dollinger.  1.  del  dr.  Hergenròther  —  2. 
del  dr.  Schecben  —  3.  del  dr.  Rolli  —  4.  di  J.  Zahn  —  5.  del  dr.  Fried- 
hoff—b.deldr.Stoekl 159 

—  II.  Altri  scritti  in  difesa  dell' infallibilità.  1.  Altre  difese  di  Ono- 
rio —  2.  Altre  risposte  al  P.  Gratry,  a  mgr.  Dupanloup,  a  mgr.  Ma- 
rci, al  dr.  Dollinger  —  3.  Altri  opuscoli  polemici,  teologici,  istrut- 
tivi —  4.  Opere  più  importanti 470 

—  HI.  Risposte  a  due  libelli 475 

—  I.  Alcuni  cattivi  opuscoli  tedeschi 593 

—  77.  Due  risposte  a  due  libelli 597 

Notizie  Varie  1.  Munificenza  e  pietà  filiale  dei  Gallicani  verso  il 

Santo  Padre  —  2.  Una  calunnia  nel  Francais  contro  la  Civiltà  Catto- 
lica; minacce  contro  la  Santa  Sede  —  3.  Imputazioni  ingiuriose  con- 
tro  un  illustre  Prelato  francese  —  4.  Dichiarazioni  del  Vescovo  di 
Magonza,  per  V  infallibilità  del  Papa  —  5.  Lettera  del  Vescovo  di 
Angouleme  contro  un  opuscolo  gallicano  sopra  V  unanimità  dei  voti 
per  le  dichiarazioni  dommatiche  —  6.  Indirizzi  al  Santo  Padre  da 
JSizza  e  da  Marsiglia  —  7.  Oblazioni  del  Clero  di  Napoli,  e  sue  di- 
chiarazioni per  V  infallibilità  pontificia  —  8.  Calunnie  divulgate 
contro  il  collegio  dei  Parrochi  di  Roma;  indirizzo  di  questi  al  Santo 
Padre;  mentita  alla  Nazione  —  9.  Ricevimento  dei  Vescovi  di  Stras- 
burgo e  di  Montauban  reduci  nelle  loro  diocesi.     . 92 

—  1.  Breve  del  S.  Padre  al  Clero  italiano  —  2.  Altre  dimostrazio- 
ni del  Clero  italiano  —  3.  Breve  pontificio  alla  cittadinanza  di  Na- 
poli —  4.  Lettere  del  Papa  alle  dimostrazioni  dei  fedeli  —  5.  Udien- 
za data  agli  Stenografi  del  Concilio  —  6.  Protestazione  dell'  Emo 
Card.  Guidi  —  7.  La  Rivista  universale  ed  il  Clero  genovese  —  8.  In- 
dirizzo del  Clero  di  Praga  al  suo  Arcivescovo  —  9.  Soccorsi  da  par- 
te dei  Vescovi  ai  cattolici  di  Pera 222 

—  1 .  L' infallibilità  pontificia  e  Y  Ungheria  —  2.  Un  indirizzo  del 
Clero  genovese  e  la  Rivista  universale  —  3.  Altri  indirizzi,  special- 
mente del  Clero  d 'Inghilterra  e  di  Scozia  —  4.  Indirizzo  del  convit- 
to teologico  d' Innsbruch  —  5.  Offerte  ed  applausi  nell'  Univers  dopo 
la  definizione;  protesta  di  sommessione  del  Francais  ;  festa  di  tutti  i 
cattolici 355 

—  1.  Riflessioni  della  stampa  cattolica  intorno  la  IV  Sessione  —  2. 
Quadro  della  votazione  alla  IV  Sessione  —  3.  Adesione  dei  Vescovi 
alla  definizione  —  4.  Osservazioni  dilla  stampa  cattolica  sui  voti  dei 


INDICE  76& 

Yescovi  di  varie 'nazioni  —  5.  Opposizione  dell'Austria  e  dell' ex-pa- 
dre  Giacinto  —  6.  Indirizzi  della  Società  della  Gioventù  cattolica 
italiana  al  S.  Padre  e  al  Concilio  —  7.  Te  Deum  a  S.  Pietro  in  vin- 
cula  —  8.  Preghiere  e  pie  opere  pel  Concilio,  e  Breve  di  S.  S.  al  Ve- 
scovo di  Verona pag.      476 

—  1.  Breve  del  S.  Padre  in  risposta  all'  Indirizzo  del  Clero  d'In- 
ghilterra e  di  Scozia;  altri  Brevi  a  privati  —  2.  Altre  notizie  d' In- 
ghilterra intorno  alla  definizione  dell'  infallibilità  e  al  ritorno  dei 
Yescovi  —  3.  Altre  d' Irlanda  —  4.  Altre  di  Portogallo  —  5.  Altre 
di  Dalmazia  —  6.  Accademia  di  Religione  cattolica  in  Roma  —  7. 
Breve  del  S.  Padre  in  risposta  a  un  Indirizzo  di  molti  del  Clero  di 
Genova 599 

—  1.  Atti  di  adesioni  di  Yescovi  alla  definizione  dell'  in  fallibi- 
lità pontifici  a;  mentita  ad  imposture  contro  V Arcivescovo  di  teopoli 

—  2.  Sconfitta  di  gettarti  del  Ronge;  e  solenne  promulgazione- del 
domma  dell' infallibilità  pontificia  inGriìtz  ed  in  Lisbona  —  3.  Fe- 
ste a  Gibilterra  —  4.  Circolare  del  Radi,  ministro  del  Governo  di  Fi- 
renze, circa  la  promulgazione  della  Costituzione  pontificia  intorno 
alla  infallibilità  ;  articoli  del  Codice  penale,  onde  sono  minacciati 
i  Yescovi  ed  i  p arrochì  che  ne  parlassero  in  modo  spiacevole  pel 
Governo 733 

In  dubbio  morale  circa  il  placet  ed  il  non  placet,  spettante  alla  in- 
fallibilità pontificia     198 

L'  unanimità.'  morale  dei  padri  nella  IV  Sessione  del  Concilio 
Vaticano 347 

Accoglienze  ai  Vescovi  ritornati  dal  Concilio  1.  nelle  diocesi  di 
Francia  —  2.  in  quelle  del  Belgio 724 

Atti  Episcopali  1.  del  Card,  di  Napoli — 2.  del  Vescovo  di  No- 
vara —  3.  del  Vescovo  di  Mondavi  —  4.  del  Vescovo  di  Savona  e 
Noli  —  lì.  dell  Arcivescovo  di  Salerno  —  6.  del  Vescovo  amministra- 
tore ap.  di  Acquapendente  —  7.  del  Vescovo  d'Ischia — 8.  del  Vesco- 
scovo  di  Bagnorea 719 

Cronaca  del  Concilio  1.  Congregazioni  generali  —  2.  Cappelle 
papali  —  3.  Felicitazioni  al  S.  Padre  —  4.  Preghiere  pubbliche .     .      103 

—  1.  Congregazioni  generali  —  2.  Somma  dei  Padri  che  hanno 
scritto  o  parlato  intorno  all'  infallibilità  —  3.  Cappelle  papali  — 4. 
Partenze  di  Vescovi  e  loro  devozione  alla  Santa  Sede 236. 

—  1.  Congregazioni  generali  —  2.  Protesta  degli  Emi  Presidenti 

—  3.  Sessione  IV  —  4.  La  maggioranza  e  la  minoranza  —  5.  Par- 
tenze di  Vescovi —b.  Necrologia   .    .    . 362 


766  indice 

—  1.  Schema  distribuito  ai  Pa<lri  —  2.  Necrologia  —  3.  Solenne 
Messa  di  requie  —  4.  Lista  dei  PP.  defonti pag.      485 

—  1.  Lettera  del  Emo  Card.  AntoneUi  intorno  alla  'pubblicazione 
della  Sessione  IV  —  2.  Indirizzo  al  S.  Padre  di  adesione  al  Conci- 
lio dell'  Emo  Card.  Mai  tei,  riportato  dal  Giornale  di  Roma —  3.  Al- 
tri  atti  di  adesione,  indicati  dallo  stesso  giornale,  di  Vescovi  o  as- 
senti o  non  intervenuti  alla  IV  Sessione  —  4.  Cappella  papale  e  Coti" 
gregazioni  generali  —  5.  Monitum  per  la  nomina  di  10  Padri  per  la 
Deputazione  disciplinare  —  6.  Nomi  dei  Padri  eletti  —  7.  Monitum 

per  la  continuazione  delle  discussioni  conciliari  —  8.  Errata  corrige.      610 


CRONACHE  CONTEMPORANEE 

DALL  11  AL  25  GIUGNO 

I.  COSE  ITALIANE  —  Stato  Pontificio  1.  Visita  del  S.  Padre 
alla  basilica  di  S.  Lorenzo  al  campo  V erano;  inaugurazione  del  mo- 
numento funebre  pei  morti  in  difesa  deVa  Santa  Sede  nel  1867  —  2. 
Altra  visita  di  S.  S.  alla  chiesa  di  S.  Antonio  dei  Portoghesi  —  3. 
Estinzione  parziale  del  Debito  pubblico  —  4.  Nuovi  acquedotti  a  Ci- 
ciliano,  lentie  e  S.  Oreste 105 

Toscana  e  Stati  annessi  1.  Fata  dello  Statuto—  2.  Agitazione 
mazziniana  —  3.  Lagnanze  e  confessioni  d'un  giornale  ufficioso  pel 
brigantaggio  —  4.  FiUntropia  dei  Frammassoni  di  Ravenna;  suoi 
effetti  per  le  suore  di  Carità 110 

TI  COSE  STRANIERE— Spagna  1.  Decreto  sopra  il  giw  amento  del 
Clero  —  2.  Protestazione  indirizzata  al  reggente  Serrano  dagli 
Arcivescovi  e  Vescovi  —  3.  Schema  di  lejge  contro  il  Cle  o  —  4.  Ri- 
chiami dell'  Episcopato  alle  Cortes  —  5.  Lettera  del  Dica  di  Mont- 
pensier  circa  il  suo  duello  con  don  Enrico  di  Borbone  —  6.  Senten- 
za della  Corte  marziale  contro  il  Montpensier  —  7.  Lettera  dei  figli 
di  IT.  Enrico,  per  rifiutare  l' indennità  Lro  assegnata  dalla  Corte 
marziale 117 

Cose  d'  Oriente  (Nostra  corrispondenza)  1.  Movimenti  per  V  eman- 
cipazione della  Chiesa  bulgara —  2.  Firmano  imperiale  per  un  Esar- 
cato bulgaro  —  2.  Vana  opposizione  del  Patriarca  greco  ....      125 

DAL  25  GIUGNO  AL  9  LUGLIO 

I.  COSE  ITALIANE  —  Stato  Pontificio  1.  Augurii  del  sacro  Colle- 
gio al  Santo  Padre  pel  vigesimo  quinto  anno  delsuo  pontificato;  di- 
scorso di  Sua  Santità  —  2.  Concistoro  dei  27  Giugno  1870  —  3.  Pre- 


INDICE  767 

parativi  pel  Giubbìleo  pontificio  di  Sua  Santità  —  4.  Nuova  loggia 
decorata  dal  Mantovani  nel  Cortile  di  S.  D omaso  al  Vaticano  — 5. 
Pagamento  degli  interessi  del  debito  pubblico pag.      139 

Toscana  e  Stati  annessi  1.  77  parlamento  —  2.  La  giustizia—  3. 
La  linea  del  Gottardo —i.  Religione  del  popolo .      549 

Svizzera  Italiana  (Nostra  corrispondenza)  1.  Mi  forma  costituzio- 
nale—  2.  Fine  miseranda  di  un  prete  scomunicato  —  3.  J  Mazzi" 
niani  nel  Cantone  Ticino 25$ 

II.  COSE  STRANIERE  —  Francia  1 .  La  linea  del  S.  Gottardo  —  2. 
Petizione  de  Principi  d'Orleans  —  3.  Assicurazioni  pacifiche  del- 
l' Ollivier  —  4.  Minacce  guerresche  del  Grammont 254 

DAL  9  AL  30  LUGLIO 

I.  COSE  ITALIANE  —  Stato  Pontificio  1.  Visita  di  Sua  Santità  — 
2.  //  Portogallo  e  la  Repubblica  di  Nicaragua  rappresentati  in  Ro- 
ma—  3.  Morte  di  Mons.  Tesoriere  —  4.  La  cappella  di  S.  Toribio 

—  5.  Esercizii  scolastici 36& 

II.  COSE  STRANIERE  —  Guerra  Franco-prussiana  1.  Causa  della 
guerra  spiegata  dalla  Francia — 2.  Spiegazioni  date  dalla  Prus- 
sia —  Il  Proclami  dei  due  Sovrani  ai  loro  popoli  —  4.  Dichiara- 
zione di  guerra  —  5.  Armamenti  —  6.  Attitudine  delle  Potenze  .    .      37t 

Svizzera  (Nostra  corrispondenza)  1.  La  Svizzera  e  la  guerra  fran- 
co-germanica —  2.  La  riforma  della  Costituzione  federale —  3.  La 
ferrovia  del  S.  Gottardo  —  4.  La  banda  Nathan  —  5.  La  definizio- 
ne dogmatica  della  infallibilità  pontifìcia  —  6.  Li  elezioni  nel  Can- 
tone di  Berna  —  7.  Le  elezioni  nel  Cantone  di  S.  Gallo — 8.  Movi- 
mento politico  nel  Cantone  Ticino 380 

DAL  30  LUGLIO  AL  13  AGOSTO 

I.  COSE  ITALIANE  —  Stato  Pontificio  1.  Visita  del  Santo  Padre 
a  Monasteri  —  2.  all'  istituto  dei  ciechi  —  3.  a  S  Maria  in  via  Lata 

—  4.  L'università  della  Sapienza  —  5.  Atto  pubblico  di  Teologia  in 
Collegio  Romano,  dedicato  al  S.  Padre  —  6.  Conservatorio  Pio  di 
S.  Spirilo  eretto  in  Palestrina  —  7.  Partenza  dei  soldati  francesi 
dallo  Slato  pontificio 488 

II.  COSE  STRANIERE  —  Guerra  Franco-prussiana  1.  Guerra  diplo- 
matica—  2.  Primi  preparativi  di  guerra  sul  Reno  e  primi  scontri  di 

niun  momento  —  3.  Preparativi  per  mare  —  4.  Le  Potenze  neutrali.      48$ 

DAL  13  AL  27  AGOSTO 

I.  COSE  ITALIANE  —  Stato  Pontificio  1.  Festa  onomastica  di 
S.  M.  V  imperatore  Napolenc  —2.  Visita  del  Santo  Padre  a  S.  Lui- 


768  INDICE 

gi  dei  Francesi  —  3.  Preghiere  in  Roma  per  la  pace—  4.  Battesimo 
di  un  ebrea  —  5.  JYoterella  del  Giornale  di  Roma  —  6.  Fatto  deplo- 
rabile di  un  pazzo  in  Roma  e  pazzie  non  meno  deplorabili  dei  gior- 
nalisti italiani , pag.      314 

II.  COSE  STRANIERE  —  Guerra.  Franco-prussiana  1.  Combatti- 
mento di  Wissemburgo  — 2.  Battaglia  di  Worth —  3.  Combattimen- 
to di  Forbach  — 4.  Ritirata  sopra  Metz  —  5.  Parigi  e  la  guerra 
—  6.  i  neutri 617 

Belgio  (Nostra  corrispondenza)  1.  Tirannia  dei  liberali  —  2.  Loro 
errori  —  3.  Primo  trionfo  dei  cattolici  nelle  elezioni  parziali  —  4. 
Divisione  dei  liberali  —  5.  Secondo  e  definitivo  trionfo  dei  cattolici 
nelle  elezioni  generali  —  6.  Il  Belgio  e  la  guerra 637 

DAL  27  AGOSTO  AL  10  SETTEMBRE 

Guerra  Franco-prussiana  1.  Considerazioni  sopra  i  fatti  prece- 
denti  —  2.  Ritirata  dei  francesi  sulla  Mosella  —  3.  Movimenti  dei 
prussiani  ;  fatto  d'  armi  del  14  Agosto  —  4.  Combattimento  del  16 
Agosto  —  o.  Combattimento  del  18  — 6.  Riordinamento  dell'esercito 
prussiano  e  sua  marcia  verso  Parigi  —  7.  Stato  di  Parigi  e  della 
Francia;  orrori  della  guerra  —  8.  Potenze  neutre  —  9.  V  Italia 
neutrale;  discorso  del  deputato  conte  Cretti  —  10.  Circolare  diplo- 
matica della  Prussia  sopra  lettere  di  Sua  Santità  e  del  re  Guglielmo.      737 


ERRATA 

CORRIGE 

'air 

.  190  lin.  21 

E  innanzi 

E  innanzi  tutto 

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191 

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del  Mantovano 

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lasciate  dai  Galli 

lasciate  ai  Galli 

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repubblicani 

pubblicani 

» 

411 

»      9 

ragioni 

regioni 

» 

597 

»    22 

che  l'oppositore 

ciò  che  r  oppositore 

» 

» 

»  ultima  moralmente 

malamente 

Imprimatur  —  Fr.  Marianus  Spada  0.  P.  S.  P.  A.  Maqister.