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YlTTOKIO TmBRIANI
Editure Domeiiiro Morano
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ALESSANDRO POERIO
VENEZIA
UTTEE E DOCIENTI DEL 1848 IllIlSTRATl
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VITTORIO IMBRUNI
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NAPOLI
DOMENICO MORANO LIBRAJO - EDITORE
Strada Quercia 14, Cisterna deir Olio 36.
M.DCCaLXXXIV.
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HARVARD COLLEGE LIBRARY
H. NELSON GAY
USORGIMINTO COLLfXnON
GOOU06E FUND
1031
S* intendono riservati tutti quanti i diritti di proprietà let-
teraria dell* Editore Domenico Morano, in conformità delle
leggi sulle opere dell* ingegno, essendosi adempito quanto
esse prescrivono.
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TIPOGRAFIA DI V. MORANO
nell'Istituto Casanova.
PREFAZIONE
Nel volume presente, contiensi il carteggio di Ales-
sandro Poerio, dal giorno, in cui lasciava Napoli, con
Guglielmo Pepe (4 maggio 1848), alla sua morte (3
novembre): cioè, quasi, tutte, le lettere indirizzategli;
e, quasi, tutte , le scritte , da lui , alla famiglia. Po-
chissime, invece, (due o tre, appena), di quante egli
ne diresse, ad amici o conoscenti. E si, ch'io non ho
pretermessa diligenza, per rintracciar, anco, queste.
Ma le più sono state , sembra , distrutte, da' destina-
tari , che le reputa van compromettenti o che non vi
annettevan pregio. Altri, a vantarsi , meco o con gli
ambasciadori miei, di possederne , tuttavia , parecchie:
ma par , che sia impresa disperata il mettervi su la
mano , tra le farragini delle lor carte. Me le han
fatte sperare ; ma ho sperato , indarno. Ad un solo
de' corrispondenti del Poerio, che vive, ancora, repub-
blicano, mazziniano, cairolino, non ho avuto stomaco
di rivolgermi, io, che goder di tai bestie non soglio.
Ho volsuto pubblicar questo epistolario, parendomi,
che specchi , ingenuamente, que' tempi. Leggendolo,
o ch^io sbaglio, si rivive, in essi; si penetra, negli ani-
mi degli attori. A Tizio , molta roba sembrerà sover-
chia. E Gajo si meraviglierà: ch'io non abbia soppresse
le missive di minore o nessun conto; ed amputato, qua
e là. Ma, io, il mestiere del Norcino mi piace poco.
E ritengo, che i carteggi non debban ridursi ad opere
d' arte , anzi lasciarsi, come la realtà li ha prodotti: ■
sint ut sunt, aul non sinl. Ogni emenda, ogni pota
ò una falsificazione. Per lo ombre, risaltano i lumi. I
più vili particolari, si trova chi n' è ghiotto, ed a ra-
gione. Se, fra le epistole di Marco Tullio Cicerone o le
lettere della Maria di Rabutin-Chantal , marchesana
di Sévigné , e' imbattessimo in note di bucato , forse,
anzi senza forse, molti eruditi valuterebber quegli elen-
chi, assai più degli sproloqui ad Attico e delle moine
con la contessa Francesca-Margherita di Grignan.
Tre figure campeggiano, in questo quadro: la ba-
ronessa Poerio ed i suoi figliuoli, Alessandro e Carlo.
Non mi s'addice, il lodar l'avola mia materna ed i
zii. Solo , una cosa voglio aver detta. Eran persone,
signoreggiate dal concetto del dovere. Devote alla pa-
tria, pronte a' sacrifizi, non isfoggiavano, teatralmente,
sentimenti ed abnegazione. Ned Alessandro, che, in
età matura, fu sincero cattolico e zelante, che tal mo-
ri, faceva pompa del suo fervor religioso. Davan, con
semplicità, vita e tutto. Nulla, in que' due petti virili,
(spesso , anche , discrepanti) del ciarlatano politico
dello avventuriere. Non eran de' tanti, che pospo
gono l'interesse pubblico al privato; o che (se, pur
servono il paese o gli consacrano tempo , sostanza
6 sangue) son mossi, dalla speranza secreta d'un sala-
rio, ed, 0 prima o poi.vengono a pitoccarlo, sotto una od
altra forma. Nessuna ostentazione di patriotismo, nes-
suna smanìa di pubblicità, in quella donna: non aveva a
I
mendicare un' aureola civica , per obumbrar magagne
della vita domestica. Non che fosse, stupidamente, in-
conscia, lei, che, dal 1799, soffriva, per la virtù de'
suoi. Anzi, era conscia e vereconda. Cosi, conscia,
scriveva, alla cognata, nel 1848: — «Io sono contenta,
« anzi orgogliosa , che tutto ciò , che ha nome Poerio,
€ si adopri, per la buona causa. Vostro marito, Ales-
« Sandro ed Enrico , in Lombardia; Carlo, in Napoli ;
€ e Carlotta, per mezzo di suo marito,.... rappresenta
€ la sua parte. » — Cosi, conscia, non molto dopo, al
figliuol Carlo, sottoposto a processo capitale, ella scri-
veva :
Carissimo figlio,
Spero , che , questa mane , sarai chiamato , per fare il tuo
coitituto; il quale, senza dubbio, sarà quello delPuomo di onore,
come dev*essere il figlio di Giuseppe Poerio e mio. Ti abbraccio
e benedico.
A/f.wa madre
Carolina
Afa, i savi ed i verecondi, la piazza non li ama. Le turbe
concorrono, invece, ad applaudire que' dissennati, che
le adulano e le sovreccitano e le sfrenano; ad applaudire
gli sguajati pagliacci, innanzi a' quaU si batte la gran
cassa. E sia! ned invidierò l'ammirazione del volgo,
ammiserì, ignari delle gioje, che procaccia l'adempimen-
to del dovere. Valga quel vii premio, per castigo loro.
Due anni e mezzo fa, iniziando la stampa di queste
lettere, era intendimento mio lo illustrarle, per benino.
Volevo dar contezza sufficiente d'ogni persona mento-
yata, ancorchò oscurissima; riportare i documenti,
ciUtad ora ad ora, accennano; e testimonianze, per ogni
— n —
fatto ricordato. Arduo lavoro e lungo. Ma creclor
gli epistolari s'abbiano ad illustrare, in tal modo. Credo,
che, sol quando illustrati così, dalla lor lettura, si ri-
cavi e piacere e frutto. Credo, che i più belli, senza
illustrazioni cotali, sfigurino e stanchino: giacché nes-
sun lettore è, mai, in grado di aupplble, del tutto; e,
senz'esse, di frequente, e' brancola fra tenebre fitte.
Ecco, per esempio, neUa prima lettera di questo volu-
me, Niccolò Tommaseo scrive, ad Alessandro Poerio: —
« Salutatemi Donna Lucia. » — Quanti lettori sapranno
od indovineranno, chi fosse questa Donna Lucia? E, per;
chi non la conosce, nulla dice lo inciso. M' industriavo,
insomma, a riunir, qui, tante notizie, che, malagevol-
mente, si raccapezzano, sparpagliate, altrove. E, se non-
altro, queste postille dovevano invogliare altri, a dif-
fonder luce, sul nostro passato aneddotico.
Dunque, nello incominìnciar la stampa, io apponeva
una chiamata, ad ogni nome: nel solo primo foghetto,
ce ne ha settantaseì. Rimandavo le annotazioni
calce al volume, e per decoro tipografico e per aver più
tempo da raccoglier notizie. Ma ( quasi, .
con questa impressione) era cominciata la infermità in-
sanabile, che mi prostra. Disperai di finire, ammodo,
il libro ; e , per pur terminarlo, andai ,
mano a mano , che procedevo , le chiamate : sicché
negli ultimi fogli, non ce n'è punte. Ecco, perchè le note
superano, sol di poco, le quattrocento; ed occupano,
a stento , da censessantotto pagine. E le forze mi
mancarono, afi'atto, quando si trattò di stenderle
per circa un anno , il testo aspettò le chiose. E, se.
I
I
— vn —
ora , ho volsuto , comechessia , abborracciarle , m' è
stato d' uopo dettarle. E , certo , quali avrei bramato
e potuto compilarle, se fossi stato sano e spedito ed
in grado di muovermi, non sono.
Pure, se non mi appagano in tutto, non in tutto
mi rincrescono. Di non aver , mai , errato , di non
aver presa chicchera alcuna , d' aver , ognora , im-
broccato il versaglio, trattando di tante e tante per-
sone, di tanti e tali fatti, io non ardisco affermare. So,
non poter essere. Ma, per rintracciare il vero, io, sem-
pre, ho fatto quanto era in me. Ed ho giudicato, sem-
pre, rigido sì, aspro si, ma sereno: applicando, ad ogni
caso, ad ogni uomo, ad ogni parte, i medesimi criteri
semplici, con logica costante. Ben so, che la esposizione
non fucata de' fatti e che i miei criteri, nel giudicare,
debbono dar noja, a moltisshni. Direi la bugia, se asse-
verassi di non curarmene. Anzi, Tho caro e Y ho cerco
con cura. Primo avviamento al retto giudicare (e con-
dizione sine qua non di esso) è: il narrare senza or-
pellare , chiamando le cose, co' nomi più propri, sen-
z'adornar le miserie moraU, con cenci retorici. Ed il
giudicare, secondo criteri etici ferrei, secondo criteri ra-
zionali, non perdonando a nessuna ipocrisia, a nessun
sofisma, smascherando ogni travisamento, rimprove-
rando ogni traviamento, dichiarando ogni ambage, par-
mi dovere, ne' paesi, com' è il nostro, in pieno sfacelo
morale ed intellettuale. Non è tempo questo d' indul-
genza. Non eh' io mi creda solo buono e solo savio :
nessuno, più convinto, di me, della insufficienza mia.
Ma, qui, non avevo a giudicar me ; e, poi, io, mi do.
— vin —
sempre, per giudicato e condannato. Ma, o che il sen-
so della pochezza mia doveva accecarmi o rendermi
muto, sulla dappocaggine e sulla indegnità altrui? Ci
colpo, forse, io, se molti pretesi eroi e patrioti e gran-
di uomini e venerandi, bene esaminati, a conti fatti, si
trovano d' ingegno scarso e di virtù fiacca ? Quando
glltaliani, abbattuti gì' idoli del fango, cui, ora, si pro-
strano, frugheranno, austeri, vita ed opere di chiun-
que ne ha sollecitato o ne sollecita attenzione o plau-
so, allora, saranno, già, sul rigenerarsi. Tanto vale un
popolo, quanto valgono gl'ideali suoi, gli eroi suoi. G lai,
alla nazione, che venera malfattori ed ammira cap-
pochi ! che erge monumenti, a' falsi profeti ed a' mali
poeti, a' Mazzini ed agli Aleardi!
E, qualche amarezza, me la costerà, per avventura,
r aver parlato, adesso, cosi , franco ed aperto. Ho a
dirla ? Me l'aspetto; e non la temo. Prossimo alla mia
fine, rassegnato a' nessi causali , sola una cosa io pa-
venterei : che altri, mai, credesse , aver io consentito,
ne' vaneggiamenti e letterari e politici , nelle matte
adorazioni, che viziano questa gente nostra, onde au-
guravamo, superbamente, quando s' unificò, che, me-
glio d'ogni altra, incarnerebbe l'idea dello Stato. Poco
sono, letterariamente; e nulla, politicamente. Ma, ora,
dissento, dalle turpi maggioranze ed inette : e me ne
tengo. Dissentir, dalla moltitudine! Gran presunzione è
questa d'avvicinarsi alla buona via, se non di calcarla.
Napoli, Domenica, 18 maggio 1884.
Vittorio Imbriani
I. Niccolò Tommaseo (1) ad Alessandro Poerio
Caro Poerio,
Non vi parlo di versi, né d' ombre o d' acque; vi
parlo d' un vapore da guerra, che ci fa di bisogno.
Vostro fratello (2), consorte mio nella carcere e nel
miìiistero, vegga, se può farcene avere uno in pre-
stito , perchè la Repubblica è povera. I marinai, li
metteremo di nostro. Rispondete presto. E ditemi del-
la ;jfostra salute ; e salutatemi donna Lucia (3) ; e
mandatemi de' versi vostri.
Addio di cuore. Vostro
23 aprile 48, Venezia.
Ad Alessandro Poerio,
Napoli.
Tommaseo.
II. Alessandro Poerio a Niccolò Tommaseo
Napoli, 4 Maggio 1848.
Caro Tommaseo,
La vostra de '25 (scorso Aprile) mi giunse ier l'al-
tro, 2 Maggio. Mi affrettai, non solo, di farne cono-
scere il contenuto agli attuali Ministri (4) ( mio fra-
tello è fuori dal Ministero da più d'un mese): ma, an-
cora, di dare ad essa Lettera la più grande pubbli-
cità, perchè ciò fosse di sprone a'governanti, od al-
manco li facesse vergognare (5). Fin da quindici giorni
fa, il Giornale delle Due Sicilie annunziò pomposa-
1
— 2 —
mente, che una flottiglia napolitana sarebbe subito an-
data nell'Adriatico, per isbarcare quattromila uomini
di truppa di linea in sul Veneto, ed oprerebbe a danno
dell'Austria (6). Poi, non se ne fece altro; ed, invece,
i nostri vapori, che, a quest'ora, avrebber dovuto mi-
nacciare Trieste e Pola, son iti a sbarcar le truppe
a' confini del Regno, donde, per terra, andranno a
prender posizione sul Mincio (7). Oggi, s'imbarca il
Generale Guglielmo Pepe, che ha il supremo comando
di queste truppe (8). Ed io lo accompagno, volendo fare
anch' io il debito mio verso la patria; e sperando anco
guarire o migliorare del mio mal di nervi; ormai chia-
rito incurabile in Napoli, e venuto a tale, da render-
mi disutile ad ogni cosa. Come l'altra volta, che an-
dai a Roma, spero anche questa, uscito che sarò dal
Regno, aver sollievo al mio spasmodico soflfrire (9).
Oh quanto vorrei, non solo, che vi fosse conceduto
un vapore, ma che tutte le forze del Regno si ado-
prassero in sostegno della risorta Venezia e d'Ita-
lia ; che trattasi di causa comune e santissima. Ma
qui abbiamo che fare con un Borbone de' più mal-
vagi ed inetti, che sieno mai stati. Il quale a ma-
lincuore allontana da sé i soldati: poiché teme de' li-
berali; e solo fida ne' cannoni contro il popolo. E ter-
giversa, e crede guadagnar tempo, e fa invece più
grave e pericolosa la condizione sua (10). I più caldi
ed animosi di qua insisteranno molto, perchè i vapori
sieno messi a disposizione del Generale Pepe, il quale,
così, potrebbe accorrere in aiuto de' punti più deboli.
Ma non è certo, che ciò si ottenga, se già non na-
sca una commozione violenta, che forzi il Re. Qui cor-
rono voci contraddittorie. E chi dice Zucchi vittorio-
so (11); chi Nugent entrato in Udine (12). Saprete
— 3 —
il subbuglio di Roma. Iddio protegga la causa d'Ita-
lia (13). Frattanto, perchè il Governo provvisorio, di
cui fate parte, non ha mandato a Napoli un agente
suo, per insistere appresso il Re ? Milano l'ha fatto:
ed i suoi due agenti, Toflfetti (14) e Bossi (15) , si
sono adoperati assai , perchè questa spedizione di
truppe si facesse; anzi desideravano, che una parte
di esse sbarcasse verso le foci dell'Isonzo, in aiuto
del Generale Zucchi. Se a questa promessa il Gover-
no napolitano (ossia il Re) ha mancato, almeno si
dee molto alle loro istanze. Chi sa quanti altri ritardi
vi sarebbero stati, senza loro ed il conte Rignon (16),
incaricato del Re Carlo Alberto ! Non diflferite ulte-
riormente r invio di un agente. Io vi scriverà di
nuovo da Ancona o da Bologna; e voi scrivete colà.
Addio. Caramente vi abbraccia
Il v.o aff.mo,
Alessandro Poerio.
P. S. Poiché, tra tanto turbine di cose, mi parla-
te de' versi miei, sappiate, che gli ultimi, che scrissi,
furono in occasione della prigionia vostra. Li vedrete,
credo , nell' Ausonio (17). Tanti riverenti saluti di
mio fratello.
ni. Versi dì Alessandro Poerio
PRIGIONIA DI NICCOLÒ TOMMASEO
(FEBBRAJO M.DCCC.XLVm.)
Oggi, il sospir del core
Vola, 0 Venezia, a te; ma le memorie
Del vetusto splendore
Non cerca, o donna d* Italiche glorie.
— 4 -
Là vola, ove il mio dolce
Amico, invitto confessor 'dei Vero,
L* empio carcere molce
Con la conscia virtù del suo pensiero.
Per te, cui T esecrato
Tedesco ancor funesta (ahi piii non fosse!)
Come guerriero, armato
Da Dio, lo strai della parola ei mosse.
Ardir, di fede viva.
Senza orgoglio nessun, con larga vena,
Sul labbro a lui veniva:
Quindi, un lieto soffrir lo rasserena.
D' Adria per V onde , guata
I lidi nostri.... il lido, ov' egli nacque:
L' anima innamorata
Sempre d* Italia, come sua, si piacque.
Ei, nel petto profondo,
Più genti abbraccia e più sventure accoglie :
Ma qual terra nel mondo
La gloria del dolore a questa toglie!
Ricca d* antichi affanni,
Feconda or è di rediviva speme
Italia; e s* apre agli anni
Di sua nuova possanza, ed armi freme.
Fulse Roma: e al Toscano
E al Subalpin raggiò celesti cose;
L'uno e T altro vulcano
Foco spirò, che a quel fulgor rispose.
Ma della gioja il canto
Non sbalzi ancora, che saria menzogna;
Né de* fratelli il pianto
( Sarebbe infamia ) in vile obblio si pogna.
— 5 —
Scende e, a stuoli più spessi,
Ingombra Lombardia V irto Alemanno ;
Sui non domiti oppressi
Raggrava il giogo il trepido tiranno.
Venir per V aere io sento
Flebile un grido, che nel cor mi suona:
È funereo lamento
Dal Ticin, dalla Brenta e da V Olona.
Inermi eroi co' petti
Pugnaro e il dritto sigillar col sangue.
Su, su, moviam, costretti
Da queir ira, che puote e mai non langue;
Moviam, da quante il sole
Piagge saluta deir ausonia terra;
Come un sol uom, che vuole.
Moviamo a certa, sacra, ultima guerra !
Quando tutta la bella
Contrada di stranier libera fia,
L' Italica favella
Sarà tutta di gioja un'armonia (18).
IV. La Carolina Poerio-Sossisergio (19) e la Luisa Parrilli-
Sossisergio (20) ad Alessandro Poerio
Mio carissimo figlio,
Dopo che sei partito, ho preso un boccone e sono
andata da tua zia , per vederti partire (21). Sono
stata dietro ie lastre del balcone, fintantoché sei par-
tito. Ti ho accompagnato con le mie benedizioni. II
cielo possa proteggerti ! Tuo fratello è ritornato a
casa, mentre io era ancora assente; ma il domestico
mi ha detto tutte le attenzioni del Generale per te,
di cui lo ringrazierai in mio nome (22). Domani l'ai-
— 6 —
tro , ti scriverò a Bologna. Intanto , ricevi la mia
raaterna benedizione.
Napoli, 4 maggio 1848.
Tua aff.ina madre,
Carolina.
Mio caro Alessandro,
Io ti ho seguito con gli occhi e col cuore, in unione-
di tua madre. Spero, che giungerai bene, e che avre-
mo presto le tue nuove. Ossequio il tuo Generale ;
ed, abbracciandoti, sono
tua aff.ma [da,
Luisa.
Al Nobile Uomo
Signor Barone Alessandro Poerio,
Ancona*
V. Alessandro Poerio alla Carolina Poerio -Sossisergio
ed a Carlo Poerio
Carissima madre, carissimo fratello.
Siccome vi sarà occasione di far partire delle let*
tere da Messina, alla quale ci stiamo avvicinando, co-
si profitto di questa occasione, per darvi le mie nuo-
ve. Appena venuto a bordo, mi sentii sollevato; e con-
tinuo a star benino.
Il Capitano in secondo del Vapore è V uffiziale di
marina Giovanni Vacca (23), ch'è assai gentile per
me. Egli riverisce distintamente Carlino. *
Il movimento del vapore produce il tremolio della
mano, che mi fa scrivere poco intelligibilmente.
Tutt'i miei compagni han portato anche la roba
da paesano; ed, in più d*una occasione, può aversene
bisogno. Abbiate dunque la bontà, di spedirmi a Bo-
— 7 —
logna il bauletto, con dentro: l'abito nuovo nero ed
i corrispondenti pantaloni, due soprabiti, il pantalo-
ne a quadrine e 1' altro bigio con le staffe; infine,
l'abito bleu più vecchio ed il più vecchio de' panta-
loni di colore. Aggiungete a ciò, la cartiera o por-
tafoglio, rimasto sul mio cassettone, ed il volume de'
quattro classici Italiani, e, se v'è luogo, il Tacito di
Elzeviro, legato in bianco, due volumi; esso è nello
scaffale n.*^ 10 od 11. Mandate anche i cappelli nel-
le cappelliere. Il tutto alla direzione di Savino Sa-
vini (24) 0 della Gozzadini (25).
Aspetto vostre nuove in Ancona o Bologna. Scri-
vete in entrambi i luoghi. Il Generale vi riverisce,
e sta bene.
Addio , carissima madre : vi bacio la mano e vi
chieggo la materna benedizione; abbraccio Carlino e
Carlotta (26); saluto caramente Luisa, Antonia (27),
Peppino (28) ed Emilio (29).
Da bordo lo Stromboli, li 5 Maggio 1848.
Vostro aff.mo figlio,
Alessandro.
A. S. E.
La Signora Baronessa GaroUna Poerìo
Strada del Salvatore d.^ 5.
Napoli,
VI. La Carolina Poerìo • Sossìsergio ad Alessandro Poerìo
Napoli, 6 Maggio 1848.
Mio carissimo figlio,
Giovedì stesso ti scrissi; e mandai la lettera ad An-
cona. Ma credo, che tu giungerai prima, perchè il
\
fatto ricordato. Arduo lavoro e lungo. Ma credo, che
gli epistolari s'abbiano ad illustrare, in tal modo. Credo,i
che, sol quando iUustrati cos\, dalla lor lettura, si ri-
cavi e piacere e frutto. Credo, che i più belli, senza
illustrazioni cotali, sfigurino e stanchino: giacché nes-
sun lettore è, mai, in grado di supplirle, del tutto; e,
senz'esse, di frequente, e' brancola fra tenebre fitte.
Ecco, per esempio, nella prima lettera di questo volu-
me, Niccolò Tommaseo scrive, ad Alessandro Poerio: —
« Salutatemi Donna Lucia. » — Quanti lettori sapranno
od indovineranno, chi fosse questa Donna Lucia? E, par
chi non la conosce, nulla dice lo inciso. M' industriavo,
insomma, a riunir, qui, tante notizie, che, malagevol-
mente, si raccapezzano, sparpagliate, altrove. E. se nott'
altro, queste postille dovevano invogliare altri, a dif-
fonder luce, sul nostro passato aneddotico.
Dunque, nello incomininciar la stampa, io apponeva
una chiamata, ad ogni nome: nel solo primo foglietto,
ce ne ha settantasei. Rimandavo le annotazioni , in
calce al volume, e per decoro tipografico e per aver più
tempo da raccoglier notizie. Ma { quasi, ad un tempo,,
con questa impressione) era cominciata la infermità in-
sanabile, che mi prostra. Disperai di finire, ammodo,
il libro ; e , per pur terminarlo, andai , diradando, a
mano a mano , che procedevo , le chiamate : sicché ,.
negh ultimi fogli, non ce n'è punte. Ecco, perchè le note
superano, sol di poco, le quattrocento; ed occupano,
a stento , da censessantotto pagine. E le forze mi
mancarono, affatto, quando si trattò di stenderle ; e .,
per circa un anno, il testo aspettò le chiose. E, se, ..
I
— vu —
ora , ho volsuto , comechessia , abborracciarle , m' è
stato d' uopo dettarle. E , certo , quali avrei bramato
e potuto compilarle, se fossi stato sano e spedito ed
in grado di muovermi, non sono.
Pure, se non mi appagano in tutto, non in tutto
mi rincrescono. Di non aver , mai , errato , di non
aver presa chicchera alcuna , d' aver , ognora , im-
broccato il versaglio, trattando di tante e tante per-
sone, di tanti e tali fatti, io non ardisco affermare. So,
non poter essere. Ma, per rintracciare il vero, io, sem-
pre, ho fatto quanto era in me. Ed ho giudicato, sem-
pre, rigido sì, aspro si, ma sereno: applicando, ad ogni
caso, ad ogni uomo, ad ogni parte, i medesimi criteri
semplici, con logica costante. Ben so, che la esposizione
non fucata de' fatti e che i miei criteri, nel giudicare,
debbono dar noja, a moltissimi. Direi la bugia, se asse-
verassi di non curarmene. Anzi, Tho caro e V ho cerco
con cura. Primo avviamento al retto giudicare (e con-
dizione sine qua non di esso) è: il narrare senza or-
pellare , chiamando le cose, co' nomi più propri, sen-
z'adornar le miserie morali, con cenci retorici. Ed il
giudicare, secondo criteri etici ferrei, secondo criteri ra-
zionali, non perdonando a nessuna ipocrisia, a nessun
sofisma, smascherando ogni travisamento, rimprove-
rando ogni traviamento, dichiarando ogni ambage, par-
mi dovere, ne' paesi, com' è il nostro, in pieno sfacelo
morale ed intellettuale. Non è tempo questo d' indul-
genza. Non eh' io mi creda solo buono e solo savio :
nessuno, più convinto, di me, della insufficienza mia.
Ma, qui, non avevo a giudicar me ; e, poi, io, mi do.
i
fatto ricordato. Arduo lavoro e lungo. Ma credo, che
gli epistolari s'abbiano ad illustrare, in tal modo. Credo,
che, sol quando illustrati cos'i, dalla lor lettura, si ri-
cavi e piacere e frutto. Credo, cbe i più belli, senza
illustrazioni cotali, sfigurino e stauchiuo: giacché ues-
sun lettore è, mai, in grado di supplirle, del tutto; e,
senz'esse, di frequente, e' brancola fra tenebre Atte.
Ecco, per esempio, nella prima lettera di questo volu-
me, Niccolò Tommaseo scrive, ad Alessandro Poerio: —
« Salutatemi Donna Lucia. » — Quanti lettori sapranno
od indovineranno, cbi fosse questa Donna Lucìa? E, par
chi non la conosce, nulla dice lo inciso. M' industriavo,
insomma, a riunir, qui, tante notizie, cbe, malagevol-
mente, si raccapezzano, sparpagliate, altrove. E, se non
altro, queste postille dovevano invogliare altri, a dif-
fonder luce, sul nostro passato aneddotico.
Dunque, nello incomininciar la stampa, io apponeva
una chiamata, ad ogni nome: nel solo primo foglietto,
ce ne ha settantasei. Rimandavo le annotazioni , in
calce al volume, e per decoro tipografico a per aver più
tempo da raccoglier notizie. Ma ( quasi, ad un tempo,
con questa impressione) era cominciata la infermità in-
sanabile, che mi prostra. Disperai di finire, ammodo,
il libro ; e , per pur terminarlo, andai , diradando, a
mano a mano , che procedevo , le chiamate : sicché , ■
negh ultimi fogli, non ce n'è punte. Ecco, perchè le note
superano, sol di poco, le quattrocento; ed occupano, ,
a stento , da censessantotto pagine. E le forze mi
mancarono, affatto, quando si trattò dì stenderle ; e ,
per circa un anno , il testo aspettò le chiose. E, sa,
I
— vn —
ora , ho volsuto , comechessia , abborracciarle , m' è
stato d' uopo dettarle. E , certo , quali avrei bramato
e potuto compilarle, se fossi stato sano e spedito ed
in grado di muovermi, non sono.
Pure, se non mi appagano in tutto, non in tutto
mi rincrescono. Di non aver , mai , errato , di non
aver presa chicchera alcuna , d' aver , ognora , im-
broccato il versaglio, trattando di tante e tante per-
sone, di tanti e tali fatti, io non ardisco affermare. So,
non poter essere. Ma, per rintracciare il vero, io, sem-
pre, ho fatto quanto era in me. Ed ho giudicato, sem-
pre, rigido sì, aspro sì, ma sereno: applicando, ad ogni
caso, ad ogni uomo, ad ogni parte, i medesimi criteri
semplici, con logica costante. Ben so, che la esposizione
non fucata de' fatti e che i miei criteri, nel giudicare,
debbono dar noja, a moltissimi. Direi la bugia, se asse-
verassi di non curarmene. Anzi, Tho caro e Y ho cerco
con cura. Primo avviamento al retto giudicare (e con-
dizione sine qua non di esso) è: il narrare senza or-
pellare , chiamando le cose, co' nomi più propri, sen-
z'adornar le miserie morali, con cenci retorici. Ed il
giudicare, secondo criteri etici ferrei, secondo criteri ra-
zionali, non perdonando a nessuna ipocrisia, a nessun
sofisma, smascherando ogni travisamento, rimprove-
rando ogni traviamento, dichiarando ogni ambage, par-
mi dovere, ne' paesi, com' è il nostro, in pieno sfacelo
morale ed intellettuale. Non è tempo questo d' indul-
genza. Non eh' io mi creda solo buono e solo savio :
nessuno, più convinto, di me, della insufficienza mia.
Ma, qui, non avevo a giudicar me ; e, poi, io, mi do.
-. 12 —
P. S. Questa lettera vi sarà ricapitata dal signor
Leone Serena, veneziano (51), ottimo giovane e cal-
do di amor patrio, il quale riparte domani. Ho fatto
con piacere la sua conoscenza; e Tho pregato, di vo-
lervi consegnar la presente lettera. Egli mi ha rac-
contato, come a Venezia fosse aspettata la flotta, e
quale accoglienza fraterna fosse preparata a'Napoli-
tani; e mi ha proprio trafitto l'anima. Non dimen-
ticate, di mandare un agente presso il Governo di
Napoli; servirà, se non altro, a metterlo sempre più
dalla parte del torto; e, frattanto, aprendosi le Ca-
mere, la cosa potrebbe riscaldarsi di nuovo. Non per-
dete tempo.
IX. Alessandro Poerio aUa Carolina Poerio-Sossisergio
ed a Carlo Poerìo
Ancona, a di 9 Maggio 1848.
Carissima madre.
Sono stato alla posta, ma non ho trovato vostre
lettere; spero averne dimani. Frattanto, non voglio
mancare di scrivere, per rendervi conto del viaggio
e dell'arrivo. Il primo giorno, avemmo bellissimo tem-
po. Ma, nel passare i! golfo di Taranto, il mare in-
grossò; ed il Capitano, prevedendo che vi sarebbe ri-
tardo di cammino, avvedutamente fermò a Brindisi
per rifornirsi di carbone. Il vento durò poi sempre
contrario; e tutti quanti soflfrimmo, chi più, chi meno.
Io però non tanto da render tributo al mare; e man-
giai sempre di buon appetito, ma non digerendo bene.
Finalmente, ieri, alle due e mezzo, toccammo Ancona,
— 13 —
bella e graziosa Città, ma stretta da colli, cosicché
poco spazio piano vi si trova. Il porto, ampio e ricur-
vo, fa di sé magnifica mostra a chi giunge. Trovam-
mo qua le due fregate a vele napolitane, ed i vapo-
ri. Il Generale Pepe col Generale Statella (52), i Bri-
gadieri, il Capo dello Stato Maggiore, ed i due Com-
missari civili (53) abitano in un superbo Palazzo det-
to V Appanaggio (54), che, posseduto da alcuni Prin-
cipi romani, è nobile ed ospitale ricetto a' viaggia-
tori più cospicui per grado. Ulloa, due altri uffizia-
li di Stato Maggiore ed io abitiamo in una buona
locanda, detta la Pace, destinataci per alloggio. Ho
una stanza con ampia veduta sul porto. Sto benino; e
spero andar sempre meglio in salute , inoltrandoci
dentro terra. È doloroso peraltro il vedere, come il Go-
verno contraria in tutt'i modi la spedizione, con mala
fede insigne: non vo' dire ne' Ministri, ma in chi li
nomina. Di ciò il Generale Pepe è dolentissimo : ed io
ne scrivo, per suo desiderio, non solo a mio fratel-
lo, ma al Presidente del Consiglio Carlo Troya (55).
Spero, che voi stiate bene; e cosi Carlotta, Luisa, e
tutt'i parenti. So, che il mio allontanamento ha do-
vuto dispiacervi; ma, tanto, dopo i miei lunghi pa-
timenti, chiaritasi incurabile la mia malattia in Na-
poli, era impossibile che io rimanessi costà; e voi me-
desima soffrivate assai del mio stato, e di rimbalzo
io pativa del dolore, che vi cagionava. Scrivetemi spes-
so. Non so ancora quanti giorni staremo qui, ma non
molto; indirizzate dunque le vostre lettere a Bologna.
Vi bacio la mano; e, chiedendovi la materna benedi-
zione, mi ripeto
Yostro aff.mo figlio,
Alessandro.
— U -
P. S. Mi rimetto alla lettera, scrittavi da Messi-
-na, per quello, che concerne il pronto invio della roba
da paesano a Bologna, comprese le cappelliere e le
cravatte, all' indrizzo Gozzadini o Savini.
Carissimo fratello.
Del viaggio el arrivo ti dirà nostra madre. Il Ge-
nerale Pepe , appena giunto qui , è stato amareg-
giato nel vedere, che il Governo, sotto bugiarde ap-
parenze , contraria la spedizione. Che vituperio ! Il
Generale Nicoletti (56) arrivato a Pescara, è subi-
to tornato a Napoli ; le truppe son senza Generali ;
tutto va con lentezza, ed a nulla si provvede. Pepe
insiste, poiché Nicoletti si è ritirato, per aver Pro-
nio (57), il luogo del quale potrebbe essere occupa-
to da Palma (58). Di più ha bisogno di uno o due
Brigadieri di fanteria, e di uno di cavalleria. Desi-
dera, che io scriva a tal uopo a Carlo Troya; ed io
ti accludo una letterina per lui, che ti prego fargli
ricapitare subito.
Quando si sapranno le definitive elezioni ? Quando
si raduneranno queste benedette Camere? De' legni
austriaci son iti a minacciar Venezia; qui sono dei
Veneti, spediti ad invocar soccorso , ancorché sia
sparsa la voce, che i legni austriaci siano stati ri-
cevuti energicamente, e costretti ad allontanarsi. Di
qui si vede quanto fosse bene indicato uno sbarco
di truppe nostre in Venezia.
Almeno operi la flotta. Si dà per certa una vit-
toria del General Durando su Nugent al Taglia-
mento. Dicono anche assai maltrattati i Tedeschi
— 15 —
in un combattimento sulF Adige co* Piemontesi; ma
nulla vi ò di ufficiale.
Addio, caramente ti abbraccio.
Tuo affezionatissimo fratello,
Alessandro,
P. S. Per maggior sicurezza , porta tu stesso la
lettera a Carlo Troya. Le notizie sono incerte. Oggi,
5e ne aspettano; non potrò scrivertele, prima di do-
mani.
A. S. E.
La Signora Baronessa Carolina Poerio
nata Sossi^Sergio.
Strada del Salvatore , n.° 5
Napoli,
X. La Carolina Poerio -Sossisergio ad Alessandro Poerio
Napoli, 9 maggio 1848.
Quantunque, mio carissimo figlio, si sieno avute le
nuove del vostro arrivo in Ancona, pure, non ancora
ho veduto tuoi caratteri: spero, col prossimo corrie-
re, riceverne. Spero, che tu avrai trovata la mia in
Ancona e troverai l'altra in Bologna. Noi stiamo be-
ne. Le nomine dei Deputati per Napoli son fatte; te
ne darò la nota qui dietro. Quelle delle Provincie non
sono ancora giunte. Mi auguro, che il vostro viaggio
sia stato felice,^ il teApo buonissimo, il legno ottimo;
tutte le persone di mare dicono, che non ci avrete
— 16 —
messo che 84 ore. Tua sorella col suo Giorgio va
bene. Domenica, fui a pranzo da tua zia, dove venne
anche Carlo, dopo finita l'elezione. Ti prego di dire
tante cose alla cara Contessa ed al suo consorte, e
di dare un abbraccio alla bambina (59). Sono ritornati
i nostri diplomatici da Roma (60). Quello, che doveva
andare a Firenze, ha procrastinata la sua partenza
ed il suo giuramento sino all'altro ieri: ma poi V ha
dato e si ha presa una somma. Il giorno di ieri, ha ri-
cevuto notizia, che forse sarà nominato deputato nella
sua provincia: e non vuol più partire (61). Pare, che
le nuove, che ci giungono dall'alta Italia, sieno buo-
ne ; speriamo nella Provvidenza. Certamente , mille
volte l'abbiamo detto, che ciò, che succede da qualche
tempo in Italia, è cosa provvidenziale: ma, finché non
finirà (e ci vorrà tempo) questa tremenda lotta, si
starà agitati. Tua zia fa preghiere per Pio IX e per
la libertà: intendo parlare di Antonia, la quale, dopo
48 ore, voleva lettere tue. Luisa ti abbracQia cara-
mente. Eccoti la nota de' deputati di Napoli: Roberto
Bavarese (62); Brigadiere Gabriele Pepe (63); Dome-
nico Capitelli (64) ; .Giacomo Bavarese (65) ; Fran-
cesco Paolo Ruggiero; Antonio Scialoja (66); Pao-
lo Emilio Imbriani ; Andrea Ferrigni (67) ; Luigi
Blanch (68) ; Colonnello degli Uberti (69) ; Miche-
langelo Ruberti, Brigadiere; Raffaele Conforti (70);
Barone Callotti (71); Camillo Cacace (72); Samuele
Cagnazzi (73); Vincenzo Lanza (74); Carlo Poerio;
Consigliere Cianciulli (Luigi) (75) ; Capitano Giro-
lamo Ulloa ; Conte Ferretti (76). Di questi , però ,
parte non possono entrare per legge, parte vogliono
rinunziare, parte son nomine doppie: non ne reste-
rà neanche la metà; ed allora entreranno altri no-
— 17 —
atri amici. In Puglia hanno nominato Giuseppe Ric-
ciardi (77) ; a Taranto, Vincenzo de Thomasis. Ad-
dio, carissimo figlio. Pironti non mi ha fatto sape-
re altro per le pistole; ci manderò di nuovo. Carlo
ti abbraccia. Enrico mi ha scritto da Modena, il di
30. Stava bene; anzi, mi dice, che la vita del Cam-
po gli ha giovato immensamente. Addio , ca rissimo
figlio; possa il Cielo benedirti come fo io. Tanti sa-
luti al Generale.
Isenza firma]
Al Nobil Uomo
Barone Alessandro Poerio,
Bologna,
O pure al Quartiere Generale,
presso il Generale Pepe^ Napolitano.
XI. Alessandro Poerio alla Carolina Poerio-Sossisergìo
ed a Carlo Poerio
Ancona, a di 11 Maggio 1848.
Carissima madre,
Vi scrissi ier Taltro per la posta; ed il Generale ac-
cluse la mia lettera al fratello, perchè ve la facesse
subito ricapitare. Ieri, egli ebbe lettera di Florestano;
ed io sperava riceverne parimenti da voi. Fui alla
posta, ma non trovai nulla: il che mi dispiacque
tanto maggiormente, in quanto che voi mi avevate
accennato di volermi scrivere la sera stessa di gio-
vedì; ma, ancorché non aveste ciò fatto, e mi aveste
scritto invece il seguente sabato, la lettera avrebbe
ovuto giungermi, poiché quella di Florestano porta
2
— 18 —
appunto la data di sabato, 6 corrente mese. Spero,
che questa mancanza di notizie sia derivata da ri-
tardo neir impostare, non da indisposizione; ovvero,
che abbiate creduto troppo breve il mio soggiorno
in Ancona , ed abbiate perciò indrizzata la lettera
a Bologna. Ad ogni modo, sono impazientissimo di
ricever vostre nuove; e, prima di chiuder la presente,
tornerò alla posta per p^ter, in caso trovi lettere,
accusarvene ricezione.
Vi parlerò di me, della mia salute, e dell' impiego
del mio tempo; le notizie, le scriverò nell'altro mezzo
foglio a Carlino.
Io continuo a star benino. Ed , avuto rispetto ai
tanti e cosi lunghi e feroci patimenti nervosi, posso
contentarmi, ancorché vegga, esservi bisogno di un
po' di tempo , per ripigliar le mie forze. Confido di
andar sempre meglio, soprattutto inoltrandomi dentro
terra.
Ancona é graziosa ed allegra città, e popolosa,
ed animatissima. Le sovrastano colli d' ogni parte ,
cosicché poco spazio piano le resta in riva al mare.
I colli sono ameni e verdeggianti, e solcati da strade
e sentieri. A destra, sopra un' altura, è la Cattedrale;
la fortezza sopra un'altra: entrambe a cavaliere del
porto, ampio e sicuro. Il quale è praticato dentro un
seno di mare, che da un lato termina con esso porto,
ma dall' altro si distende lungo la costiera bellissima,
in cui sono le Città di Sinigaglia , Fano e Pesaro.
Questa è l'ultima, chiudendosi quivi la vista di terra,
perchè la costa si ripiega. Questa via faremo nel-
r andare a Bologna , il che sarà probabilmente do-
mani, ler r altro, fui con gli uffiziali dello Stato
Maggiore a vedere il Duomo e la fortezza; ieri poi
— 19 —
andai solo a passeggiare sul molo, dov'è l'Arco traja-
no tutto di marmo, assai ben conservato, e di svel-
tissime proporzioni (78;.
Vi raccomando il pronto invio, a Bologna, del bau-
letto con roba da paesano, compresi gli scolli, e delle
cappelliere; io sono, fra tanti, che accompagnano il
Generale, il solo, che non abbia abiti borghesi. Ma
confido, che l'invio sarà stato già fatto, poiché que-
sta preghiera vi diedi nella lettera, scrittavi a bordo
e mandatavi da Messina.
Spero, che Carlotta, Luisa, Antonia, Peppino, E-
milio e tutt' i parenti stiano bene; a Carlino scrivo
direttamente.
Vi bacio la mano; e, con filiale tenerezza, chieden-
dovi le materna benedizione, mi ripeto
v.** aff.mo figlio,
Alessandro Poerio.
P. S. Son tornato alla posta ed ho trovato le vo-
stre letterine del 4 maggio, giunte fin da ieri. Vi
scrivo anche due righe pel corriere.
P. S. Se questa lettera sarà recata dal Signor Ca-
pitano Vacca, vi prego ringraziarlo delle gentilezze,
usatemi a bordo.
Ancona, 11 Maggio 1848.
Carissimo fratello,
Quasta lettera ti sarà recata dal Capitano di fre-
gata Giovanni Vacca, fratello del Coadjutore (79),
ottimo giovane, il quale mi ha colmato di gentilezze
a bordo dello Stromboli, vapore da lui comandato in
secondo. Egli mi dice esser tuo amico. Ad ogni modo.
— 20 —
ringrazialo. Vorrebbe esser destinato alla immedia-
zione del Generale Pepe , in caso che la flotta re-
sti neir Adriatico a disposizione di lui. Giunti qua,
abbiamo trovato entusiasmo pe' Napolitani, ma in-
degnazione contro il Governo, per aver abbandonato
i Veneti, dopo che la* spedizione era stata uflScialmente
annunziata. Un giovane Veneto, mandato a pregare
il Generale, di soccorrere Venezia con la flotta, mi
ha raccontato, come si fossero preparate colà grandi
e festose accoglienze a' Napoletani , e come rima-
nessero delusi pel mutato proponimento. ler sera mi
si assicurò, esser partito alla volta di Napoli il signor
Toffoletti (80) , agente del Governo Provvisorio di
Venezia. Frattanto l'Austria, imbaldanzita dalla iner-
zia del Governo di Napoli, ha dichiarato il blocco ;
e, con due fregate e pochi legni minori, impedisce il
commercio. La nostra flotta (sola salute in siffatta
condizione di cose) potrebbe, alquanto rinforzata, ed
unita alla sarda, facilmente distruggere tutta la ma-
rina austriaca, la quale, impotente ad assalire Vene-
zia , le fa peraltro gran danno con V intercettare il
traffico. Il Generale fece fare -subito una comunica-
zione telegrafica a Napoli; e ier sera mi disse, esser
giunta risposta che la flotta soprattenesse in Ancona.
Ciò non basta; bisogna rinforzarla, e sbloccare Ve-
nezia; altrimenti rimarremo con carico ed infamia
grande, di aver tradito la causa Italiana, dopo tanti
pomposi annunzi. La mia lettera del 9 ti giungerà
dimani o diman Y altro. Dà subito la letterina mia
a Troya, la quale è urgente, e scritta per desiderio
di Pepe.
Siamo impazienti di conoscere le elezioni. Spero,
che non fallirà la tua, sia in Terra di Lavoro, sia
— 21 —
in Napoli, od anche in entrambe le Provincie. Spero,
che i Deputati, appena riuniti, si convinceranno: che
le sorti d' Italia si decidono ne' campi lombardi, sui
monti friuliani e tirolesi, e sulle acque dell' Adriatico;
e che ogni altro obbietto divien secondario a fronte
della guerra sacra della Italiana indipendenza. È in-
credibile quante contrarietà, sotto mendaci apparenze
di animo volonteroso , vengano a questa spedizione
dal Ministro della Guerra (81), o più veramente dal
Re. Il Nicoletti, ito a Pescara , se n' è turpemente
tornato a Napoli. Mancano uffiziali inferiori e supe-
riori. Pepe insiste per aver Pronio , invece di Ni-
coletti; e Pronio stesso potrebbe esser sostituito da
Palma nel comando delia fortezza di Messina. La
mezza batteria di artiglieria a cavallo , la quale si
è chiesta, sarebbe utilissima.
Tostochè giungerà il signor Tofifoletti, vallo a tro-
vare; e cerca di agevolarlo presso il Ministero. Il qua-
le (se non ripara al mal fatto) sfigurerà e scapiterà
nella opinione universale molto più dell' altro (82).
Leggerai ne' fogli le notizie del teatro della guerra.
Il Re di Piemonte ha battuto gli Austriaci a Pa-
strengo , a Bussolengo, dove 1500 uomini deposero
in massa le armi, ed a Ponton di là dell' Adige, dove
fu ucciso il Principe Thurn e Taxis (83), ferito gra-
vemente il Generale d' Asper (84) ( lo stesso , che
venne a Napoli nel 1818 e 1821), fatto prigione il
Principe di Lichtenstein (85) e poco mancò che non
restasse preso anche Radetzki (86) con tutto il suo
Stato Maggiore. La perdita degli Austriaci somma,
tra morti, feriti e prigioni, a tremila uomini. Di Du-
rando non si hanno notizie precise ; era giorni fii
«alla Piave, ed aspettava un attacco di Nugent. Ieri,
- 22 —
si sparse voce, ch'egli fosse entrato in Udine: il che
facea supporre, che avesse rotto il nemico; ma la no-
tizia non si è confermata. Anzi, par certo, che anche
Belluno abbia dovuto capitolare ai Tedeschi (87).
Fa subito ricapitar l'acclusa a Peppino del Re (88).
Gli accludo un ordine del giorno, il quale Pepe de-
sidera, che sia subito inserito ne'pubblici fogli. Ca-
ramente ti abbraccia
il tuo aff.mo fratello,
Alessandro,
XII. Alessandro Poerio alla Carolina Poerio ed alla Luisa Parrilli,
nate Sossisergio
Ancona, 11 Maggio 1848.
Carissima madre,
Tornato alla posta, ho trovato la vostra lettera,
scritta, poco dopo la mia partenza, nella sera mede-
sima; ed assai mi hanno commosso le vostre materne
ed affettuose espressioni. Conservatemi la vostra te-
nerezza, che è il più prezioso, anzi il solo e vero be-
ne, che io mi abbia al mondo. La vostra lettera era
giunta ieri, e forse anche prima, ma l' impiegato non
capi bene il mio nome, come mi ha confessato egli
stesso pocanzi. Resto inteso, che il Sabato 6 Maggio
alitiate scritto a Bologna, per dove partiremo /"forse)
domani, al più tardi (credo) domani Y altro. Ora mi
contento di farvi queste due righe, avendovi scritta
più a lungo (ed anche a mìo fratello); e la lettera vi
sarà recata o fatta ricapitare dal Capitan di fregata D»
Giovanni Vacca, fratello del Coadjutore del Ministe-
ro di Grazia e Giustizia, ottimo ufficiale, che mi ha
— 23 —
colmato di gentilezze a bordo. Se viene, fategli buo-
ne accoglienze e ringraziatelo. Tante cose per parte
di D. Guglielmo, col quale ho fatto le parti vostre.
Addio, carissima madre. Vi bacio la mano; e mi ri-
peto, chiedendovi la benedizione,
V.® aff.mo figlio,
Alessandro.
Soggiungo due righe per Luisa.
Cara zia Luisa,
Vi ringrazio dell' afifezione, che mi dimostrate. In
quanto a mia madre, vi farei ingiuria, raccomandan-
dola a voi, che tanto 1' amate. Io sto bastantemente
bene; e, respirando da patimenti cosi lunghi , cosi
atroci e così disperati, debbo contentarmi. Le forze
torneranno a poco a poco; e, quanto più tempo pas-
serà, le conseguenze della mia terribile malattia sul
mio organismo nervoso spariranno , spero , o dimi-
nuiranno di molto. Tante cose a Don Michelangelo (89)
ed a Peppino. Credetemi sempre
\.^ aff.mo nipote,
Alessandro Poerio»
Cara madre,
Vi raccomando il pronto invio della roba da bor-
ghese a Bologna , se non è già partita , poiché vi
scrissi da Messina, dandovi questa preghiera. Per fa-
cilitare, mettete T indirizzo Conte Gozzadini o Sa-
vino Savini. Non dimenticate, di grazia, i cappelli
nelle cappelliere e le cravatte.
A. S. G.
La Signora Baronessa Carolina Poerio.
Strada del Salvatore n.^ 5,
Napoli.
~ 24 —
XIII. La Carolina Poerio-Sossìsergio ad Alessandro Poerio
Napoli, 11 maggio 1848.
Speravo, questa mane, avere tue lettere: ma è tardi
e non ancora si vede la posta. Intanto, voglio farti
un rigo, per dirti, che stiamo tutti in buona salute.
Io, caro figlio , quando penso , che il viaggio ed il
veder le cose più da vicino possono influire al tuo
benessere, mi sento veramente consolata. Non avendo
più veduto Pironti, ho mandato questa mane da lui;
ma era andato in Salerno. Qui sempre i più tristi ed
i più retrogradi fanno più chiasso: V esempio di fare
dimostrazioni si è messo anche nelle Case Religiose.
I Monaca dicono abbasso al Priore, che non li ammi-
nistra bene (90). L' esempio di Emilio è stato seguito
dal Ferretti e dal Ruggiero. Sarai sorpreso di sentire
Manna, Ministro di Finanza (91). Qui ci è stato uno
scandalo: che uno de' fratelli Abatemarco ha prefe-
rito di essere direttore dell'Interno e non accettare
la deputazione (92). Caro figlio, è tardi; lettere tue
non mi son venute. Addio , speriamo domani. Tuo
fratello, le tue zie, sorella, cognato e nipoti ed in
fine tutti gli amici ti salutano. Federico Golia (93)
mi ha detto, di salutarti particolarmente. Ti benedico.
Aff.ma madre,
Carolina.
P. S.'Qui si dicono tante bugie; spero sapere da
te la verità.
Al Nobil Uomo
Barone Alessandro Poerio,
Bologna.
Oppure al Quartier Generale
del Generale Pepe.
— 25 —
XIV. Alessandro Poerio a Niccolò Tommaseo
Caro Tommaseo,
Vi scrivo per mezzo del signor Camillo Campa-
na (94), il quale torna a Venezia. Il General Pepe fece
conoscere, per telegrafo, al Governo di Napoli, la vera
situazione delle cose e l'infamia grande, in cui sa-
rebbe incorso esso Governo, se avesse abbandonato i
Veneti, ossia la causa italiana. Fu risposto anche te-
legraficamente, che la flotta (ch'era partita con l'or-
dine di tornare a Napoli) dovesse soprattenere in An-
cona. Stamani poi è giunto un Corriere, col quale ci
si annunzia, che domattina si avranno istruzioni pre-
cise circa le operazioni della flotta nell' Adriatico, e
che si stanno armando altri legni. Si spera, che il
Governo autorizzerà il Generale, a far partire la flotta
per Venezia; nel qual caso io verrò ad abbracciarvi,
e a discorrere delle cose Italiane; e, dopo tre giorni
di fermata costà, raggiungerò il Generale in Bolo-
gna. Siamo avvezzi a tante contrarietà da parte del
Governo di Napoli, che appena osiamo credere a que-
sta buona nuova. Se poi la flotta ricevesse ordine di
incrociare nell'Adriatico o di avvicinarsi a Trieste o
ad altri posti nemici senza entrare nella laguna, io
non verrei; e resterebbe diflferito il piacere di riabbrac-
ciarci, ch'è uno de'più vivi, che io sappia desiderare
ed immaginare. Si dà per certo, che la guerra sarà
dichiarata solennemente dal nostro Governo all' Au-
stria; anzi il Corriere lo ha affermato, come cosa già
fatta. Ma non abbiamo ancora avviso officiale di ciò ;
speriamo riceverlo domattina (95).
Addio, caro Tommaseo; Iddio protegga la nostra
— 26 -^
Italia ! E voi credete alla inalterabile devozione ed
amicizia del
Ancona, 12 Maggio 1848.
v.° aff.mo,
Alessandro Poerio,
XV. Alessandro Poerìo alla Carolina Poerio -Sossisergio
ed a Carlo Poerio e la Luisa Parrilli-Sossisergio
alla Carolina Poerio- Sossisergio
COMANDO
DEL CORPO d'armata
Napolitano
Ancona, 13 Maggio 1848.
Carissima madre.
Non ho avuto più vostre lettere, poiché ci siamo
trattenuti in Ancona più a lungo, che non. credeva-
mo, e voi mi avete scritto a Bologna; ma, ieri, per
mezzo del corriere straordinario, mandato da Napoli
al Generale, ebbi una letterina di mio fratello, in data
del di 8. corrente mese, dalla quale rilevai con pia-
cere il buono stato della vostra salute.
Al solito, vi parlo di me, sapendo di non tediar-
vi; delle altre cose scrivo a Carlino. Quantunque io
non abbia potuto sperimentare questa volta un su-
bitaneo ristabilimento, come quello dell'anno scorso
in Roma » sto mediocremente : il mio soffrire è più
tollerabile; e, quando m'inoltrerò dentro terra, confi-
do sentirmi anche meglio. Ma è probabile, che, se la
nostra flotta va a Venezia , io vada colà per tre o
— 27 —
quattro giorni, raggiungendo poi il Generale in Bo-
logna.
Stamane, sono stato al telegrafo, ch'è sopra il con-
vento de' Cappuccini, in altura, con orizzonte assai
vasto e be'prospetti del porto, della città, della for-
tezza, e della costiera di Sinigaglia, Fano e Pesaro.
Nel convento, ho fatto la conoscenza di un Padre
siciliano ( propriamente di Caltanissetta ) e di due
altri, che son calabresi ed entrambi del distretto di
Catanzaro : tutti tre molto gentili , e che mi han
fatto gran festa.
Stamane sono partiti i Dragoni, comandati da Cu-
trofiano (96); e domattina partiranno i Lancieri col
Colonnello Caracciolo (97). Stamane, è entrato nel
porto un Vapore inglese. Le forze navali austriache
sono assai scarse ; e la nostra flotta , anche nello
stato attuale, basterebbe a distruggerla.
Qui tutti portano il nastro [?] o la croce tricolore;
dappertutto bandiere tricolori, senz'altro stemma od
insegna, sventolano ne'luoghi più frequentati; financo
le donne ed i bambini parlano della cacciata degli
Austriaci ; a' soldati di Napoli le donne anconitane
distribuiscono corone di fiori; insomma, v'è il più vivo
entusiasmo per la causa Italiana; cinquecento Anco-
nitani son iti a soccorrere i Vicentini.
Si aspettano nuove del quartier generale di Carla
Alberto; e si spera, ch'egli abbia continuato a ripor-
tar vantaggi sul nemico. Il General Ferrari (98) è
con Durando, il cui corpo d'esercito era quasi a vi-
sta di Nugent; e si aspettava ogni giorno, che ve-
nissero alle mani.
Son certo, che, a quest' ora, la mia roba^da paesa-
no, con le cravatte, le cappelliere ed i pochi libri da
— 28 —
me desiderati (cioè, i quattro classici italiani in un
volume ed il Tacito di Elzeviro in due) sono già in
via per Bologna.
È qui uno de'fìgli di Capocci (99), fattosi volon-
tario nei Lancieri; disirapegna le funzioni di foriere:
v'è parimenti uno de' Casanova (100).
Ieri giunse l'Ordinatore Claudio Talva (101) mio
antico conoscente. Questa lettera giungerà presto in
Napoli, poiché parte, fra un'ora o due, cioè, a mez-
zogiorno od all'una, col corriere giunto ieri, il quale
riparte per costà. Saluto caramente Carlotta , Lui*
sa, Antonia e tutti i parenti. Vi bacio la mano; e,
chiedendovi la materna benedizione , con filiale te-
nerezza mi ripeto
vostro affezionatissimo,
Alessandro.
Carissimo fratello,
Ieri, col corriere spedito al Generale, ebbi la tua
del di 8 Maggio. Mi rallegro delle tue doppie no-
mine , e di quelle di Emilio. Fa anche le mie con-
gratulazioni con Ruberti, Silvio Spavento, e de Tho-
masis. Tu, forse, il dì 8, nulla sapevi; ma pare, che
il Ministero, veduto lo stato delle cose e la impor-
tanza del momento attuale , si sia alquanto scosso.
Abbiamo notizie, che altri legni a vele si stanno ar-
mando; la flotta rimarrà nell' Adriatico. Ma temia-
mo sempre, che si prendan mezze misure; pare, che
si voglia mandare i bastimenti in crociera, senz'as-
sediare i porti nemici. Forse i Vapori andranno a
Venezia: nel qual caso andrò anch' io colà, per tre
giorni; e raggiungerò poi il Generale in Bologna. Il
Generale scrive lettere sopra lettere , per iscuotere
la inerzia del Ministero; insistendo per aver Pronio,
— 29 —
e perchè si disponga la partenza di una batteria di
artiglieria a cavallo. Grande è in tutta Italia la a-
spettazione del soccorso napolitano, e non vorrem-
mo riuscire inferiori alle speranze concepite. Dinian
l'altro, ti perverrà una lunga mia lettera, con un'ac-
clusa per del Re : te la reca 1' ottimo Capitano di
fregata Giovanni Vacca. Avrai, certo, già dato la
mia letterina a Carlo Troya. Te ne accludo una del
nostro Ulloa.
Saluto caramente Emilio e Poppino. Enrico, pare
che sia in Bologna col battaglione di RossaroU (102).
Giungono avvisi , che le forze navali austriache
non sono tante da opporsi alle nostre; se il nostro
Governo volesse, distruggerebbe la marina imperiale.
Addio. Caramente abbracciandoti, mi ripeto
tao afTezionatissimo fratello,
Alessandro,
Alla Nobil Donna
La Signora Baronessa Carolina Poerio.
Strada del Salvatore n.^ 5,
Napoli,
Ho letto questa lettera e te la rimando.
[Luisa Parrilli]
XVI. La Carolina Poerio -Sossisergio ad Alessandro Poerio
Napoli, 13 Maggio 48.
Mio carissimo figlio,
Non prima di ieri, ricevetti la tua carissima let-
tera de' 5 maggio, scritta da mare e spedita per terra.
— 30 -.
per la via di Reggio. Puoi immaginare di quale con-
solazione mi sia stato, il sentirti già ristorato nell'in-
cominciato viaggio: da ciò vedi, che i presentimenti
del cuore di madre si verificano sempre. Ti avrei
spedito al momento la roba, che mi chiedi: ma ieri
era tardi, quando ricevetti la lettera; e non credo, che
vi fossero stati vapori. Oggi, non ne partono. Sicché,
prima di domani, non posso spedirla in Livorno, rac-
comandandola al nostro console, per fartela perveni-
re, raccomandata a Savino Savini, in Bologna. Non
posso negarti, che son rimasta dolente di non avere
ancora ricevuto tua lettera di Ancona. Questa è la
quinta, che io ti scrivo: spero, che tutte le riceverai.
Il Contemporaneo, venuto ieri, porta, che siete giunti
e stati benissimo accolti (103). In punto viene l'amico
Pironti; dice, che l'armiere gli ha assicurato, che le
pistole sono buone; ci manca una piccola cosa, che
ora si è portata ad accomodare. Se le avrò per que-
sta sera, te le manderò domani, altrimenti con un'al-
tro vapore, che parte nell'entrante settimana. Questa
mane, sono stata a vedere le Camere. Sono cosi pic-
cole, che pochissima gente ci entrerà; sono elegan-
temente addobbate (104). Mi trovo contenta di aver-
le vedute, perchè difficilmente ci anderò. Lunedi, si
darà il giuramento nella chiesa di S. Lorenzo ; e
credo, che sarà l'apertura della Sessione. Ieri, fui da
tua sorella, per farle leggere la tua lettera : Emi-
lio non vi era. Altri ministri hanno seguito il suo
esempio, come il Ferretti, il Ruggiero e il degli li-
berti... perdo tempo a ripeterti quello, che saprai già
dai fogli. Troya è occupato, a fare il discorso della
Corona (105). Le tue zie ti dicono tante cose , come
ancora gli amici e parenti. Donna Giovanna poi parti-
— 81 —
colarmente fa preghiere per te; ed è dolente, di non
averti baciata la mano, quando partisti. In Catanzaro,
non hanno scelto né il Generale Guglielmo, che era
uno dei primi candidati, né tuo fratello: il primo, per-
chè era partito; e 1 il secondo, perchè avevano saputo
«ssere stato scelto in Napoli ed era candidato di Terra
di Lavoro , oltre essere stato scelto in Napoli. Spe-
rava, che Carlo fosse di ritorno, per aggiungere un
rigo: ma è tardi, né si vede. Ti prego de' miei cor-
diali saluti alla Contessa; e, salutando il Generale,
ti abbraccio. E mi dico, benedicendoti.
aff.ma madre,
Carolina.
Al Nobil Uomo
Barone Alessandro Poerio,
Bologna.
O presso il GM Pepe, al Campo.
XVn. Alessandro Poerio a Carlo Poerio
Carissimo fratello.
Ti scrivo due righe in fretta. Il corriere parte
fra mezz'ora; il Generale lo spedisce per informare
il Governo di un dispaccio del Governo Provvisorio
della Repubblica Veneta, giuntogli questa notte per
espresso, e di cui ti accludo copia (106).
Nel tempo stesso, il Generale ha diretto due ener-
gici uffizi, r uno al Presidente del Consiglio, l'altro
al Ministro della guerra. Bisogna far subito inseri-
re ne' giornali il dispaccio veneto, affinchè il nostro
Ministero si scuota e si vergogni. La flotta parte fi-
nalmente questa notte per .Venezia ; io m' imbarco
— 32 —
sopra di essa per conferire colà coi membri del Go-
verno Provvisorio; vengono anche due ufflziali d'ar-
tiglieria, Musti (107) e Mezzacapo (108), destinati per
istruttori de' volontari veneti. Io non rimarrò in Ve-
nezia che tre giorni ; e raggiungerò il Generale in
Bologna.
Mi duole, non avere oggi il tempo, di scrivere alla
nostra ottima madre, cui bacio la mano;. ma ieri le
scrissi, per mezzo del corriere straordinario del Go-
verno, ripartito per Napoli.
Addio , carainente ti abbraccio ; mi dispiace , che
non troverò nuove della famiglia , se non in Bo-
logna.
Ancona, 14 Maggio 1848.
Tuo affezionatissimo fratello,
Alessandro Poerio,
Urgente.
A. S. E.
Il Signor D. Carlo Poerìo,
Membro della Camera de'Deputati.
Strada del Salvatore n.^ 5,
Napoli.
XVm. La Carolina Poerìo-Sossisergio ad Alessandro Poerio
Napoli, 14 Maggio 1848.
Mio caro figlio,
Questa letterina, la riceverai insieme con le tue
robe, delle quali troverai la nota nel baule. Ieri, ri-
cevetti, per mezzo degli Affari Esteri, la tua lette-
— 33 —
ra, che mi consolò, per sentirti bene. Tuo fratello e
tutti gli altri deputati sono da questa mane in se-
duta permanente : siamo vicino mezza notte e non
si vede nessuno. Pare, che l'imbarazzo sia la formola
del giuramento (109). Questa lettera ti sarà inviata
da Livorno; ed il baule, coi mezzi di trasporto, che
ci sono per Bologna. Ieri, portai io medesima, in casa
Troya, la tua lettera (110). Ora vengo, con tua zia,
da tua sorella, la quale ti abbraccia. Tante cose al
Generale. Ti benedico.
Aff.raa madre,
Carolina,
Al Nobil Uomo
Barone Alessandro Poerio,
Bologna.
RaccomaDdata al Sig. Savino Savini.
XIX. Carlo Poerio e la Carolina Poerio-Sossisergio
ad Alessandro Poerio
Carissimo fratello,
Ti scrivo dalla sala delle nostre adunanze prepa-
ratorie. Da ieri, siamo in seduta permanente. L'in-
qualiflcabile imperizia del Ministero ci ha condotto a
tale, che una collisione tra la Corona e la Camera
è inevitabile , poiché esso Ministero ha dimenticato
nientemeno che stabilire la formola del giuramento.
La Guardia Nazionale ci circonda e ci difende. Le
barricate sono sorte questa notte, come per incanto.
Peraltro , tutto terminerà pacificamente ; poiché la
truppa ha avuto ordine di non tirare. Questa notte
scorsa, il Ministero ha data la sua dimissione; e (il
crederesti?) oggi l'ha ritirata. Sono de'miserabili, che
muovono a schifo ed a pietà (111). La Camera è di-
— 34 —
spostissima a concorrere, virilmente alla guerra di
Lombardia: e troverà i mezzi opportuni ed efficaci e
pronti e potenti. Riverisco il Generale ed abbraccio i
comuni amici. Ti stringo al cuore; e sono, per la vita,
15 Maggio 1848.
tuo aff.mo fratello,
Carlo,
Caro figlio,
Tutto è tranquillo. Speriamo subito essere orga-
nizzati. Don Martino (112), qui presente, ti saluta.
Addio; ti abbraccio e benedico.
Aff.raa madre,
Carolina,
Al Nobile Uomo
Barone Alessandro Poerìo,
Al Campo del G^^ Pepe,
Bologna.
XX. Carlo Poerìo e la Carolina Poerìo-Sossisergio
ad Alessandro Poerìo
Caro fratello,
Ieri, dopo un fuoco vivo di sei ore, tra la Guardia
Nazionale e l'Esercito, furono sciolte le Camere e di-
chiarato lo stato d'assedio. Non posso dirti il numero
delle vittime di questa tremenda collisione. Io sono
salvo ed in luogo di piena sicurezza. Così nostro cogna-
to (113). Non ho rimorsi, poiché ho fatto di tutto, per
aprir gli occhi a'nostri dissennati fratelli. Si dice: che
saranno Ministri Bozzelli (114;, Cariati (115), Carasco-
sa (116); e che il Re dichiarerà, di voler mantenere
la Costituzione, che ha concessa a'suoi popoli. Spero,
che il Governo giungerà a reprimere gli eccessi della
— 85 —
nostra sfrenata plebe (117). Nostra madre sta bene;
©, per suo mezzo, ti rimetto la presente. Addio di nuo-
vo. Ti abbraccio con tutta l'anima.
16 Maggio 1848.
Tuo aff.o fratello.
[^Manca la firma].
P. S. Non pensare in nessun caso a tornare, fin-
ché io non te ne scrivo.
addi 18.
Carissimo figlio,
Questa lettera doveva partire col vapore, che non
partì ieri l'altro; e, sin'ora, non se n'è annunziato un
altro. Per ora, tr scrivo, per assicurarti, che stiamo be-
ne, tutti gl'individui delle tre famiglie (118), che ci ap-
partengono. Io sono stata tranquillissima in casa mia.
Ma, caro figlio, molte famiglie hanno sofferto sacco e
fuoco. Tra i più belli palazzi di Napoli, quelli di Lieto,
di Girella e di Ricciardi sono stati incendiati: ma que-
st'ultimo ha bruciato sino a questa mane. L'apparta-
mento di Donna Lisetta è sfondato, ed essa salva per
miracolo (119). Non ti dico le morti, che si dicono,
perchè, mano mano, quelli, che credevo estinti, mi
vengono a vedere. Dirai al Generale, che Don Flo-
restano sta bene. Il foglio di ieri portava il seguen-
te Ministero : Bozzelli , Interno ed Istruzione Pub-
blica; Cariati, Presidenza ed Affari Esteri; Ruggie-
ro , Finanza e Grazia e Giustizia ; Torella (120) ,
Agricoltura e Commercio ed Affari Ecclesiastici ;
Carascosa , Lavori Pubblici ; Principe d' Ischitel-
Ia.(121), Guerra e Marina. Ieri, pure, vi fu una Pro-
— 36 —
clamazione, con la qaale S. M. convocava una nuo-
va Camera (122). Io spero, che tuo fratello non sarà
scelto; e cosi tenerti quella parola, che ti ho data, pri-
ma che partissi. Quindi, caro mio, non pensare a ve-
nire, ma attendici più tosto, perchè alla mia età ho
bisogno di quiete e qui non se ne puole avere, perchè
spiriti indomiti e scissi. E uscito un racconto molto
veridico, che ti farò pervenire (123). Per ora, tutto è
rientrato nell'ordine; ma poche ore di conflitto hanno
fatto più di una battaglia campale. Ieri, ebbi le tue del-
ril e del 13; ed una del 6, di Enrico. Ti ho spe-
dito tutto quello, che mi avevi chiesto,, all' indirizzo
al nostro Console a Livorno, con l'incarico di spe-
dire il tutto al signor Savino Savini in Bologna.
Dirai ad Enrico, che, da molti giorni, gli ho spedito
i trenta ducati; e la persona mi ha fetto sapere, che
già li aveva ricevuti. Non ti parlo di altro; sabato, ti
scriverò un' altra volta. Addio , caro figlio. Donna
Giovanna ti dice tante cose. Ti benedico, con tutta
la tenerezza materna.
Carolina.
Saluto il Generale.
Al Nobil Uomo
Barone Alessandro Poerio,
Bologna.
XXI. Alessandro Poerio alla Carolina Poerìo-Sossisergio
Venezia, a' 17 Maggio 1848.
Carissima madre,
Vi scrivo assai più brevemente, che non vorrei,
poiché la posta non tarderà a partire; e non voglio
— 37 —
tralasciare, di darvi mie nuove da questa città. M'im-
barcai, la sera del 14, sul Ruggiero (124), un de'va-
pori della flotta; ma non salpammo,, che il 15 alle
otto. Andammo assai lentamente: parte, perchè tre
de'vapori rimorchiavano legni a vela; parte, perchè
il Retro-Ammi raglio così giudicò opportuno. Giun-
gemmo, ieri, alle due e mezzo, a Malamocco, donde
passammo sopra un piccolo vapore veneziano : due
uflSziali d'artiglieria, il figlio dell'Ammiraglio (125),
gli uffiziali Acton (126) e Flores (127), ed io. Non
potrei, ancorché volessi, descrivervi il giubilo di que-
sto buon popolo veneziano, e le accoglienze, e gli ev-
viva, ed il concorso del popolo sotto le finestre del
Palazzo del Governo (128). Ora, essendo venuti al-
tri uffiziali, si sta replicando la stessa scena (129). I
Veneti avean gran bisogno del nostro soccorso, poi-
ché la flotta austriaca, ancorché non mqlto forte, era
tale da impedire il commercio ; ed i bastimenti non
si avventuravano più ad uscire.
Riabbracciai, ieri, con gran piacere, Tommaseo; il
quale, poveretto, è oppresso della fatica. Stamane, mi
sono lungamente tr.attenuto con Manin (130). Tutte
le speranze de' Veneti son nei Napoletani: hanno ri-
pugnanza invincibile per Carlo Alberto , e costui si
conduce male con essi (131). Il Durando , generale
della truppa pontificia , dipendente dal Re di Pie-
monte , non volle soccorrere il Ferrari , che , alla
testa de' volontari, era alle prese co'tedeschi a Tre-
viso (132). Se i quattromila uomini di truppe na-
politano fossero stati spediti , secondo le promesse ,
su'vapori, i Tedeschi sarebbero stati certamente re-
spinti. Non posso oggi scrivere a Carlino , ma lo
farò presto. Il Governo veneto manderà subito un
— 88 —
agente a Napoli. La flotta austriaca si è riparata a
Pola; ed esegue de'piccoli sbarchi di Croati, per al-
tro a molta distanza da Venezia. Questa città è for-
tificata in modo, da renderla sicurissima. I Croati son
pessima truppa, saccheggiatori più che soldati. Sta-
rò qui tre altri giorni; poi andrò a Bologna, dove
troverò il Generale Pepe, e lettere vostre, e la roba,
che vi ho pregato mandarmi. Abbraccio Carlo e Car-
lotta ; saluto Luisa e tutti i parenti. Sto mediocre-
mente ; credo, che Y aria di Venezia mi gioverebbe
più di quella d'Ancona e Bologna; spero stare anche
meglio. Vi bacio le mani: e, chiedendovi la materna
benedizione, sono
v.o aff.mo figlio,
Alessandro.
A. S. E.
La Signora Baronessa GaroUna Poerio,
Strada del Salvatore N.® 5. Napoli.
XXn e XXIII. Alessandro Poerio a Niccolò Tommaseo
e Carlo Ben aparte a Litigi Masi
Desiderava parlarvi; ma, essendo voi impedito, tor-
nerò più tardi. Frattanto, vi lascio una lettera del
Principe di Canino (133) pel Tenente Colonnello Ma-
si (134), che egli vi prega di aprire, leggere e, poi,
mandar subito.
^Venezia'] 17 Maggio 1848.
V.o aff.mo,
Alessandro Poerio.
— 39 —
Ancona, 14 maggio 1848.
Carissimo Masi ,
Sono in Ancona; ed ho avuto lungo colloquio col-
l'ottimo ItalianissJmo Generale Pepe. Parte la flotta
alle quattro col Barone Alessandro Poerio, del quale
tutti possiamo fidarci. Potenti ragioni riterranno an-
cora qualche giorno l'esercito. Intanto, ho ottenuto
dal generale, che la prima divisione si concentri al
più presto in Ferrara con uno dei magnifici reggimenti
di Cavalleria ed una batteria di otto bocche da fuoco:
cosi i nostri Svizzeri potranno passare il Po. Viva
r Italia ! ! ! In piena fretta.
Affmo e dev.mo,
(7. P. Bonaparte.
XXIV. L' Annamaria***** a Paolo***** (135)
Napoli, 17 Maggio 1848.
Io ti ho diretto altre due lettere: una ad Ancona,
come tu mi avevi detto; e l'altra, prima, a Venezia.
Mi son consolata sentirti bene. Ti lagni, che io non
ti ho scritto: io ti scrivo ogni giorno, altra occupa-
zione non ho, che scrivere a te, mio caro ed amato
Paolo. Per mezzo di Don Camillo in Ancona, li ho
scritto una lunga lettera: spero, che ti arrivi, acciò
non ti lagni di me. Io non ho la divagazione dei
paesi ed altro.... Il solo pensiero dei figli e tuo oc-
cupa il mio cuore , caro Paolo. Noi stiamo in una
massima desolazione, per Y accaduto di lunedì: una
immensità di morti, una immensità di arrestati, tutto
Toledo distrutto, tutti i palazzi incendiati; noi stiamo
in una paura terribile. Caro Paolo mio, io son perdu-
ta: la tua lontananza mi ha reso stupida; i figli prega-
— 40 —
no con me, sera e mattina, per la tua salute e pel tuo
ritorno. Ritirati, caro Paolo; venditi tutto, con questa
occasione. Salva la tua vita. Quella povera Mamma
piange sempre la tua lontananza. Tutti i tuoi ed i
miei stanno bene per grazia di Dio. Il timore è per
la Santa Fede. Quanto pagherei stare con te ! I figli
ti baciano, ti cercano, non capiscono il tuo allonta-
namento. Enrico dice: perchè ci ha lasciati il mar^
chese? Paolo mio caro, non ti alienare: pensa a noi!
Non fare, che, dovunque ti trovi, ti adatti. Io capisco
bene , che tu ci ami ; ma V amore alienato diventa
più di minor forza di quello, che era. Tu, in Napoli,
andavi cercando: e poi ti ritiravi e ti si rinnovava
l'amore e mio e dei figli; ma, con tanta lontananza,
quando ti ritiri, chi ti ricorderà di noi? basta, fido
in Dio. I tuoi figli son miserabili, altro non tengono
che te: se tu li saprai amare , saranno felici , uniti
a me; altrimenti, saranno infelici, infelici uniti alla
madre. Son sette anni, da che ti amo; e morirò, col
tuo nome in bocca. Tutti ti salutano: chi sa, se ci
trovi vivi? Achille è tornato. Io q' figli ti baciamo
stretto stretto al cuore ; e ti abbraccio e al cuore
ti stringo fra le mie braccia e mi dico.... Caro Pao-
lo, fiientre scrivo, la truppa, ch'è stata per tre giorni
in piede di guerra, si ritira. I francesi hanno dato
legge al Re, che in tre ore si doveva decidere, che
avesse cacciati i 100 prigionieri: si spera, che sia tut-
to finito. Così spero , che tu ritorni di nuovo. Ad-
dio; ti abbraccio e ti bacio. La tua
aff.ina,
Annamaria,
A Sua Eccellenza •
Il Marchese D. Paolo *****
Capitano del Secondo Battaglione dei Volontarii
Napolitani in Venezia.
— 41 —
XXV. Alessandro Poerìo alla Carolina Poerio-Sossisergio
ed a Carlo Poerìo
Venezia, a' 18 Maggio 1848.
Carissima madre ,
Scrissi, ieri, in gran fretta; oggi, un po' più ripo-
satamente posso raccontarvi l'accoglienza, fatta dai
Veneti a'Napolitani. Giunti che fummo il 16 al porto
di Malamocco, venne da Venezia un piccolo vapore,
che aveva a bordo tre Membri del Governo Prov-
visorio (136): Paolucci (un nipote del Generale e del-
l'Ammiraglio di questo cognome, ma di ben altro
pensare) (137); il signor Castelli, Ministro della Giu-
stizia (138) ; il signor Pinkerle, Ministro del Com-
mercio (139). Essi complimentarono il Comandante
della flotta. Barone de Cosa. Poi, montammo sul pic-
colo vapore : i due uffiziali di Artiglieria , Mosti e
Mezzacapo, mandati per istruttori; il figlio di de Co-
sa; ed altri due uffiziali di marina, Flores ed Acton;
ed io. Secondo che ci avvicinavamo a Venezia, cre-
sceva il numero delle gondole, cariche di gente ; e,
d' isoletta in isoletta, ci venivano incontro festose
grida ; ed , a qualche distanza dalla città , trovam-
mo un altro piccolo vapore con numerosissima ban-
da di suonatori , il quale voltò indietro per accom-
pagnarci. In quella bellissima parte di Venezia, ch'è
tra la piazzetta ed il palazzo Ducale, la chiesa della
Salute e quella di S. Giorgio , Y affollamento delle
barche fu tale, che, camminando di barca in barca,
si sarebbe potuto passare da una riva all' altra , se
non che quello delle persone impediva il muoversi.
— 42 — .
Sbarcati alla fine, con grande stento , non è da de-
scrivere lo spettacolo di quella magnifica piazza di
S. Marco, che voi conoscete, e che so esservi rima-^
sta così profondamante impressa nella memoria ; di
quella piazza, dico, tutta gremita di guardie nazio-
nali, di giovani, vestiti alla Italiana con abito stret-
to di velluto e cappello a piuma, di popolo esultante,
e tutti col nastro , o coccarda , o croce tricolore ;
tre colossali stendardi tricolori in cima alle anten-
ne delle piazze ; e poi, su' balconi delle Procuratìe,
dame elegantissime; ed un fragoroso batter le mani,
ed uno sventolar di fazzoletti , e più di ogni altra
cosa, la gioja sincera, che sfavillava su tutt' i volti.
Condotti al palazzo del Governo , dove ci aspetta-
vano gli altri membri di esso, ad eccezione del Pre-
sidente Manin , eh' era fuori Venezia , fu forza af-
facciarsi, per rispondere a'ripetuti applausi di quella
folla ondeggiante; ed, almeno per tre quarti d' ora,,
quella commozione d'entusiasmo continuò. Ieri, poi,
quanti uffiziali della flotta vollero venire in città ,
si ebbero permesso dal Retro- Ammiraglio; e iersera,
alle otto e mezza , un banchetto di cento coverte ,
settanta in una sala e trenta in un'altra, affratellò
sempre più gli animi de' Veneti e de' Napoletani.
Manin presedeva la tavola più numerosa, Tommaseo
l'altra. Accrebbe la gioja comune l'arrivo di un di-
spaccio al Console , e di un' altro all' Ammiraglio ,
fatti per dissipare i dubbi, nati pur troppo dalle tergi-
versazioni e lungaggini del Ministero: poiché cpnte-
neano 1' ordine , che la flotta rimanesse a disposi-
zione del Governo Provvisorio per tutti quei servi-
gi , che avesse potuto rendergli. Spero , che presto
sarà fiaccata la baldanza di questi tedeschi, che a-
— 43 -
veano già impedito tutto il commercio veneziano, e
non ancora si rimangono dal mostrarsi in sul mare,
come convinti, che la nostra flotta non opererebbe
ostilmente. Confido, che presto saranno disingannati.
Il 22, conto esser in Bologna; o, tutto al più tardi,
il 23. Ivi troverò vostre nuove. Soggiungo due ri-
ghe per Carlino; e, baciandovi la mano e chieden-
dovi la materna benedizione, mi raffermo
vostro aff.mo figlio,
Alessandro.
Carissimo fratello,
Ho trovato i Veneti mal disposti verso Carlo Al-
berto, il quale finora si conduce indegnamente con
loro. Il Generale Durando , piemontese, il quale, ben-
ché comandi le truppe pontificie, nulla fa senza gli
ordini del Re, fu più volte pregato dal nostro Ferra-
ri di soccorrerlo , poiché questi trovavasi , nelle vi-
cinanze di Treviso , con soli volontari a fronte dei
tedeschi ; ma , sotto vari pretesti , lo lasciò in ab-
bandono. I volontari, la maggior parte, si batterono
bene, anzi, in modo superiore a ciò, che poteva aspet-
tarsi da loro; ma, in alcuni battaglioni, vi fu disor-
dine. È ...... . peraltro cosa passaggiera: ed i
nostri han ripreso ardire contro i Croati, che sono da
più di settemila da quella parte ; e, se fosse qui un
polso di truppe di linea ( i quattro mila napolitani
promessi venti giorni fa con la flotta) il nemico sa-
rebbe distrutto.
Ter sera , si dicea , che Durando (il quale è tor-
nato a Mestre) volesse finalmente marciare a Trevi-
so. Le simpatie de' Veneti son tutte pe' Napolitani;
questo convien che sappiano le Camere ed il paese:
aspettano con desiderio grande le truppe sotto Pe*
— 44 —
pe. È necessario , che se ne mettano in moto anche
altre, che possano servire di appoggio e riserva al
suo corpo d'esercito. Confido, che i Deputati avran-
no tanto senno , da comprendere , che i destini
d'Italia si decidono in Lombardia, dove i Piemontesi
bastano a battere gli austriaci , e qui nel Veneto ,
dove, per mancanza di milizie regolari, la cosa è più
dubbia. Forse Nugent perverrà , con qualche mi-
gliajo di uomini, a congiungersi con Radetzki. Du-
rando, finora, par, che si aggiri incerto; ed aspetti,
per operare gagliardamente, che i Veneti si diano in
braccio al Re di Piemonte. Ma il Governo Provvi-
sorio, ancorché volesse, non potrebbe pronunziar que-
sta riunione, tanto il popolo tutto è alieno da quel
Re. Ferrari (come mi disse ieri l' incaricato del Go-
verno sardo Signor Rebizzo) (140) ha lasciato Trevi-
so, affidando ad un altro il comando de'volontari; e
va a trovar Pepe a Bologna. E urgente, che il nostro
Governo lo nomini Generale, e gli dia a comandare
una brigata o anco una divisione. Egli non è uomo
da guidar volontari , ma vera truppa (141). Nella
guerra di partigiani, si distinse assai, presso Treviso,
il tuo amico Zambeccari (142). Il Marchese Alessan-
dro Guidotti, ferito gloriosamente, mentre avanzavasi
alla testa della guardia nazionale di Bologna, mori
poche ore dopo (143). Addio. Caramente ti abbraccio.
Venezia, 18 Maggio.
Tuo affni3 fratello,
Alessandro,
A. S. E.
La Signora Baronessa Carolina Poerio
nata Sossi -Sergio,
Strada del Salvatore N. 5.
Napoli.
— . 45 —
XXVI. Alessandro Poerio a Niccolò Tommaseo
Caro Tommaseo,
Il Colonnello Cresci, inviato degli Anconitani (144),
mi ha detto, aver saputo dal Generale Paolucci (145),
che, questa sera, l'affare de'cannoni sarà proposto in
Consiglio. Egli teme, che, invece del prestito di molti
cannoni, il Governo Provvisorio inclini ad offrirne
pochi in dono: atto di generosità sempre lodevole,
ma che non provvederebbe a' bisogni di quella città.
Vedete, se sia possibile, senza danno di Venezia, con-
tentare gli Anconitani (146).
Ho trovato il libro ed i versi; ed ho cominciato a
legger questi. Mi pajono pieni di alto affetto, vena in
voi larga e profonda; e nell'affetto è poesia vera (147).
Riamate
20 Maggio 1848.
il v.<* aff.mo,
Alessandro Poerio/
XXVII. Alessandro Poerìo a Carlo Poerio
Carissimo fratello.
Due righe, sole per raccomandarti Don Giuseppe del
Balzo da San Martino nella Valle Caudina, il quale,
come maggiore de' volontari napolitani, si è battuto
nel Tirolo con grandissimo valore e tale da eccitar
Tammirazione di tutti (148). Viene ora a Napoli, a
dimandare, a nome di questo Governo Provvisorio,
offiziali istruttori, de'quali è qui gran penuria.
— 46 -
I Tedeschi, da' contorni di Treviso, lasciativi solo
duemila uomini, si son rivolti a Vicenza. Durando
{uomo di Carlo Alberto) dice di volerli incontrare;
« si è mosso verso Bassano. Speriamo, che faccia dav-
vero : ma finora non si è veduto effetto alcuno di
lui, benché abbia cinquemila soldati pontifici. Dicono,
che , se continua a questo modo , il Ministero Ma-
miani lo destituirà.
La nostra flotta, per ora, incrocia tra Lido e Mala-
mocco. Frattanto, gli Austriaci fanno sbarchi a Caor-
le. Frattanto, è urgente, che i nostri legni vadano
ad impedir questi atti di baldanza del nemico. Pel
dippiù mi rimetto alla lettera , scritta per la posta
alla nostra carissima madre ed a te , ed a quella ,
che ti presenterà il conte Dolfin-Boldù (149). Addio.
Venezia, 20 Maggio 1848.
Tuo aff.mo fratello,
Alessandro.
Al Nobil Uomo
n Signo Carlo Poerìo Deputato
in
Napoli.
XXvm. Alessandro Poerìo a Carlo Troya
e Postula di Carlo Troya
Venezia, 20 Maggio 1848.
Carissimo Amico,
Ti recherà questa lettera il signor Giuseppe del
Balzo, il quale, come capitano-aiutante , e poi mag-
giore de'volontarl napoletani , si è battuto nel Tirolo
-- 47 —
<;on valore sommo e tale da eccitare Tammirazione
di tutti. Egli viene ora a Napoli, per chiedere, a nome
di questo Governo Provvisorio , Uffiziali istruttori,
di cui Venezia ha penuria. Piacciati, favorire cosi
onesta dimanda ; e far si , che il Ministro della
Ouerra provveda a ciò prontamente. La nostra flotta,
sulla quale m' imbarcai per venir qua, con animo di
andar fra pochissimi giorni a Bologna e raggiunge-
re il Generale Guglielmo Pepe, fu accolta, come già
saprete, con riconoscente e vivo entusiasmo. Finora,
non ha fatto, che incrociare tra Lido e Malamocco.
Si aspetta molto più; e, dopo l'ultimo dispaccio, che
dicesi giunto al Retro-Ammiraglio, è da credere, che
egli seconderà efficacemente il desiderio di questo
Governo Provvisorio, ed impedirà ulteriori sbarchi
di Croati in Caorle, dove, con incredibile baldanza,
gli Austriaci mandan truppe ed anche artiglieria. Il
Veneto è sempre in grandissimo bisogno di soccorso
eziandio per terra: il Generale Durando (il quale è
uomo di Carlo Alberto) non avendo tìnora renduto
alcun servigio essenziale , e non avendo anzi mai
affrontato il nemico, benché abbia parecchie migliaja
di soldati pontifici sotto il suo comando. Ieri, si av-
viò a Bassano, per incontrare (gl'incontri finalmen-
te) gli Austriaci, che da Treviso par che si rivolgano
verso Vicenza. Molta è la simpatia de' Veneti pei
Napolitani. Il Governo potrebbe trarne gran par-
tito. Scrivo a Carlo Troya; e non occorre, che io
moltiplichi in parole. Qui, tutti mi dimandano di te,
con riverenza ed aflfetto, essendo le tue Storie tenu-
te in quel conto, che meritano. Fa, che come Presi-
dente del Consiglio in Napoli , sia anche benedetto
il tuo nome da queste popolazioni, così ardenti, co-
— 48 —
sì vivaci, cosi veramente Italiane. Oh questa Vene-
zia è un incanto ! È proprio la città della fantasia;
anzi, qualunque più fervida fantasia rimane indietro
alla sua realtà. Amami ; e , ringraziandoti di quel,
che farai pel mio raccomandato, o, per meglio dire,
per Venezia , che aspetta con impazienza uffiziali
istruttori, e pregandoti di porgere i miei distinti os-
sequi a Donna Giovannina (150), mi raffermo
tuo aff.mo,
Alessandro Poerio.
Ultima lettera, scrittami dal troppo caro Alessan-
dro Poerio, mancato alle speranze d'Italia, combat-
tendo , nel di 5 novembre 1848 , in Venezia (151).
Vale, cuor generoso, anima eroica ed Italiana; vale....
Oh Dio ! qual perdita è stata mai questa !
Carlo Troya,
Questa lettera sarà da me custodita come un sa-
cro tesoro (152).
XXIX. 6. Campana (153) a Giuseppe Boscaro (154)
Venezia, 20 Maggio 1848.
Signor Avvocato gentilissimo,
Porgitore di questa mia sarà il signor Poerio , sog-
getto conosciutissimo per i suoi peregrini talenti. Nel
suo passaggio per codesta città, non saprei a chi
meglio raccomandarlo, che a V. S., per tutto quello,
che gli occorre alla sua causa. Sono sicuro, che V.
~ 49 —
S., nel] 'usare al mio raccomandato delle attenzioni,
con quella gentilezza, che La distingue, si troverà El-
la pure contento, di averne fatto la conoscenza. A-
vanzandole pertanto i miei ringraziamenti, mi pre-
gio raffermarmi, con verace stima e perfetta consi-
derazione,
Suo aff.mo servo,
G. Campana.
All'Illrao Signore,
n Sigr Dre Boscaro, *
Avvocato, ai Servi,
Padova,
XXX. Niccolò Tommaseo a Carlo Leoni (155)
Caro Leoni,
Il barone Poerio, autore di caldi versi e pensati,
promotore de' sussidii napoletani, non ha di bisogno
d' esservi raccomandato ; ma raccomanderà egli me
all'amor vostro.
Venezia, 20 Maggio 1848.
Tommaseo.
Al Conte Carlo Leoni,
Porta Savonarola,
. Niccolò Tommaseo a Giovanni GittadeUa (156)
Caro Cittadella,
Le sarà certamente grato, conoscere il Barone A-
lessandro Poerio, uomo d' ornatissimo ingegno e di
cuore Italiano, la cui parola autorevole aflfrettò ver-
— 50 —
so noi i soccorsi di Napoli. La sua raccomandazio-
ne è in questo cenno, e nella persona sua stessa. Mi
creda di cuore
20 Maggio 1848, Venezia.
Suo aff.mo,
Tommaseo.
Al Conte
Giovanni GittadeUa,
Padova.
XXXn. Versi di Alessandro Poerio (157)
0 Venezia , mai più rintimo canto
Sgorgommi, come in te , da vivo affetto !
Mai più sentii la voluttà del pianto ,
Come al tuo dolce aspetto !
Tu occorri a me, quasi benigna amica,
Conscia gentil d'ogni dolor secreto
Dell'anima profonda; e par, che dica:
— " Ancora esser puoi lieto ! „ -
Una quiete nel mio cor s' induce,
Ch* io perduta credei ne* lunghi affanni;
E mi circonda una serena luce
Al tramontar degli anni.
Correva il mio pensier, libero e vago,
Pe' campi, intatti ancor, di Fantasia:
Ma teco, sempre, ogni più dolce imago
Venne, o Venezia mia.
Benchò nato colà, dove più ride
Sotto limpido ciel Tonda tirrena,
E inghirlandata Napoli s'asside,
Città della Sirena:
— 51 -
Ebbi di te, che di Natura sei
D'Arte e Gloria e Sventura eletta cosa,
Desio supremo; e altrove non potrei
Trovar ricetto o posa!
XXXm. Carlo Poerio e la Carolina Poerìo-Sossisergio
ad Alessandro Poerio
Napoli, 20 Maggio 1848.
Carissimo fratello,
Ho ricevuto esattamente le due tue lettere del di
li e 14 corrente. Ma non ho veduto il gentile uf-
fiziale, che ha recato quest'ultima, poiché, dal 15, io
sono a dimorare presso un amico, per cambiamento
diaria (158). Veggo spesso la nostra buona e cara
tnadre, che, ieri sera appunto, si trattenne meco, uni-
tamente a nostra zia. Non ho relazione con alcuno;
quindi non posso eseguire la commissione dell' otti-
mo tuo Generale, che ossequio. Veggo giornalmen-
te l'ottimo Generale Florestano, il quale va alquan-
to meglio. Ti abbraccio affettuosamente; e mi ripeto,
per la vita,
tuo aff.mo fratello,
Carlo.
Mio carissimo figlio,
Il signor Vacca mi ha mandato la tua lettera de-
gli li; e quella del 14, Y ho ricevuta per altro mez-
zo (159). Ti ringrazio dei ragguagli , che mi dai ,
sulla situazione fisica di Ancona e sul!' incontro del
monaco catanzarese. Noi stiamo bene. Carlo, quan-
— 52 —
tunque assente, lo veggo spesso. Ti replico quello, che
ti ho scritto in altra mia, cioè, di non pensare a ve-
nire. Piuttosto ti terrò la promessa: cioè, di raggiun-
gerti. Il giorno 15, ti spedii il baule con la roba.
Spero, che sia giunta in Bologna. Siamo tornati nella
calma; ma il paese, cioè, per meglio dire, le case di
Toledo, di Monteoliveto, di avanti S. Ferdinando han
sofferto. Qui siamo stati tranquilli, come a S. Gio-
vanni Maggiore ed a Chiaja (160). Tante persone, che
si credevano morte, vengono fuori mano mano. Que-
sta mane, ho mandato a vedere, se partono vapori;
e domani forse ne parte uno, o tutto al più doma-
ni l'altro. È tardi: finisco, abbracciandoti e benedi-
cendoti.
AfT.ma madre,
Carolina,
Al Signore
Sigp Alessandro Poerio.
Presso il Generale Guglielmo Pepe, •
in Bologna.
XXXIV. Luigi de Tschudy (161) ad Alessandro Poerìo
Gentilissimo signor Alessandro,
Le rimetto una valigia e due cappelliere, che mi
sono state inviate da Napoli dalla signora Baro-
nessa Carolina Pcerio. Io ho consegnato il tutto al-
l' ufficio di questa diligenza , che s' incarica di fare
ricapitare questi tre oggetti al suo destino. Mi vo-
glio augurare, ch'Ella sollecitamente riceverà i suoi
efietti; della qual cosa mi sarebbe grato esserne in-
— 53 —
formato. E, pregandola a volermi comandare, sono
di Lei
Livorno, li 23 Maggio 1848.
devotissimo servo ed amico
Luigi de Tschudy.
Al Nobil Uomo
Il Sigr Alessandro Poerio,
in Bologna,
Racr;omandata al Signor Savino Savini,
con un baule e due cappelliere.
XXXV. Savino Savini ad Alessandro Poerio
Rovigo. — 23 , ore 1 p. m.
Caro Poerio,
Da questo Comitato (162), imparo: che i Napoletani,
da Ferrara , all'un'ora di questa notte , si ritiravano
verso Bologna fino al Battifrè ; e che vi ritorna-
vano questa mattina. Un foresto , che or ora pas-
sava di Ferrara, mi diceva, che gli Austriaci del For-
te avevano protestato contro il passaggio di qualunque
truppa al tiro di cannone (163). Vi scriverò anche
da Ferrara. Pepe e Statella , mi assicurano altre
persone, che tuttavia trovansi a Bologna.
Vostro,
Savini,
Corre voce, che, a Napoli, non sia definitivamente
la vittoria al Re. Dicesi, persino, che cadesse nelle
mani de' nostri; e che il palazzo ne fosse incendia-
to. Ma non ci lusinghiamo (164), Addio.
— 54 —
XXXVI. Carolina Poerio-Sossisergio ad Alessandro Poerio
Napoli, 24 Maggio.
Mio carissimo figlio,
Non voglio mancare di scriverti con ogni occasio-
ne, che si presenta, per dirti, che stiamo bene, tutte le
tre famiglie. Solo ho inteso con dispiacere dai fogli,
che Enrico è stato ferito. Non ho lettera sua dal gior-
no sei corrente (165). Spero, che, a quest' ora, avrai
ricevuto l'avviso, che le tue robe sono in Bologna.
Domani, avrò occasione di scriverti di nuovo. Tuo
fratello è sempre in campagna, ma vicino: ieri, ci fui;
ed era uscito. Ti raccomando di pensare alla tua sa-
lute. E non pensare di ritornare, perchè, se Carlo
non sarà eletto una seconda volta, faremo anche noi
risoluzione di respirare altr'aria. Tutt'i parenti, gran-
di e piccini, ti salutano: il piccolo Michelangelo ha il
vajuolo anzatìcOj ma assai benigno (166). Il nostro
amico Generale finalmente ha ottenuto di essere tolto
dal comando del forte; cosa, che desiderava arden-
temente (167). Ti abbraccio e benedico.
Aff.ma madre
[manca la firma']
Dà le nostre nuove ad Enrico.
Al Signor
Barone Alessandro Poerio.
Al Campo del Generale Pepe,
— 55 —
XXXVn. Alessandro Poerìo a Niccolò Tommaseo
Carissimo Tommaseo,
Il General Pepe scrive al Presidente Manin, per
mezzo del Capitano Musti, ch'egli rimanda a Vene-
zia, per ottenere da cotesto Governo Provvisorio scar-
pe ed altre cose, necessarie alle nostre truppe. Dipoi, il
Musti andrà a Padova, ad eseguire altra commissione,
per la quale abbisognerà forse di munizioni, che siete
pregati di somministrargli dall'Arsenale di Venezia.
Voi intendete bene, che, oltrepassando il Po, l'esercito
napolitano divenendo veramente italiano, è in aperta
rivolta contro l'amico dell'Austria, l'atroce Ferdi-
nando ; è dunque indispensabile, che la Repubblica a
faccia qualunque sacrificio , perchè nulla manchi ai
soldati, che accorrono ad aiutarla. Vi r|iccomando par-
ticolarmente il Capitano Musti, uomo di animo Ita-
lianissimo e d'intrepidità singolare, come lungamente
mostrò nella guerra, combattuta per la Grecia, che
risorgeva a libertà^» quanto più non farebbe per l'I-
talia, sua patria ! (168) .
Mio fratello è in salvo, grazie a Dio; ma pare, che
stia nascosto, non ancora uscito di Napoli. Scriverò,
insistendo , perchè egli e mia madre non tardino a
lasciar Napoli. Si hanno notizie, che sembran certe,
di essere Avellino in rivolta, con arresto di tutte le
autorità. Salerno già romoreggia, e la Calabria in-
sorge (169). Ora, quel che veramente preme, è, che
la flotta non vada. Avrete veduto il Leopardi (170)
ed il Masi. Non posso scrivere più a lungo; ma di-
mani 0 diman V altro supplirò. Addio.
Bologna, a' 25 Maggio 1848.
V.o Aff.mo
Alessandro Poerio.
— 56 —
XXXVIII. Carolina Poerio-Sossisergio e Carlo Poerio
ad Alessandro Poerio
Napoli, 25 Maggio.
Mio carissimo figlio,
Questa mane, per la posta, ho ricevuta la tua ca-
ra lettera da Venezia, che attendevo con tanta an-
sietà. Grazie al cielo, hai riveduto il tuo caro Tom-
maseo. Io spero, che ora sia di ritorno presso il Gene-
rale; ed avrai ricevuto tutte le mie lettere: dal gior-
no della sanguinosa catastrofe, quasi tutti i giorni ti
ho scritto. Tuo fratello, che è. stato qualche giorno
da un amico, questa mane ha pranzato con me. Il Go*
verno spinge la legge elettorale. Siamo sempre nel-
lo stato di assedio. Godiamo di tranquillità al pre-
sente. Tutti, parenti ed amici, stiamo bene. La tua
roba, spero, che l'avrai trovata in Bologna: se ciò
non è, scrivi subito al nostro console. Di Enrico, do-
po la sua piccola ferita, nulla più ho saputo. Saba-
to, ti scriverò più a lungo. Antonia ti abbraccia: in
questi giorni, ha soflFerto il solito male di orecchio.
Addio, caro figHo mio; scrivimi sempre, che puoi. Sa-
lutami gli amici: il Generale particolarmente , con
la cara Con|:essa, col Conte e col Sa vini. Carlo vuol
farti un rigo. Ti abbraccio e benedico.
Aff.ma madre
Carolina.
Carissimo fratello.
Mi sono assai consolato, nel leggere là tua lette-
ra, datata da Venezia il 17. Spero, che, a quest'ora,
anche costà sia seguito il voto di adesione al Re-
— 57 —
gno Costituzionale dell'alta Italia (171). Ieri, fu pubbli-
cata la legge elettorale; ossia, si è fatto ritorno all'an-
tica, qualificando come sovversivo della Costituzione il
Programma del 5 Aprile (172). Le novelle elezioni a-
vranno luogo il 16 Giugno. Credo, che, in generale,
torneranno i medesimi Deputati. Tutti gli atti del. Go-
verno sono in senso apertamente retrogrado. Ma il
paese è tutto deciso a mantenere la libertà. Riverisco
il Generale e gli amici; e ti abbraccio di cuore.
Tuo aff.o fratello,
Cario.
Al Signore
n Sig. Alessandro Poerio ,
presso il Generale G. Pepe, Comandante
dell'Esercito Napolitano,
in Bologna.
XXXIX. Savino S&vini ad Alessandro Poerio
26 Maggio.
Caro Poerio,
Fra poco, gl'inviati di Milano (173) faranno un gi-
ro in città colla vettura, come intendevi di far tu. E
però, se vorrai essere loro compagno, rispondimi su-
bito.
Tuo
S, Sa vini.
Alloggiano al Pellegrino.
Al Barone Poerio
N.* 40, Grande Albergo,
0 presso S. E. il Generale Pepe.
— 58 —
XL. Giuseppe del Re ad Alessandro Poerio
Mio carissimo Alessandro
Poche parole, per dirti, che io sono a Roma: e puoi
bene intenderne il perchè. Quanti orrori, quante in-
famie, quante sciagure ! Pure, fra tante tristezze, è
venuta ieri a consolarmi la nuova di un'azione gene-
rosa, eroica. Evviva il General Pepe! evviva i no-
stri prodi soldati ! Con te, poi, mi congratulo di cuo-
re assai più , pensando quanta parte hai tu dovuto
avere a cosi magnanima risoluzione. Iddio protegga
ora, con le armi Italiane, le nostre. All' ottimo Ge-
nerale i miei ossequi ed auguri; e porgine altrettan-
ti da parte dell'amico Massari (174). A te, poi, mando
mille abbracci, ed una preghiera ardentissima: di man-
darmi sempre, che puoi, tue nuove e de'nostri soldati.
Pensa con che ansia noi ne aspettiamo, ogni gior-
no , ogni momento. Io ti mando invece una lettera
del nostro Pontefice, pubblicata or ora (175). Non è
quanto desideravasi; ma essa è tale, che ha conten-
tato almeno taluni, ed ha acquetato molte appren-
sioni. Addio ; mio caro Alessandro , addio di cuore.
Salutami Damiano (176) ed Ulloa.
Roma, 27 Maggio.
lì tuo afllroo
G. del Re.
All'Egregio
Signor Alessandro Poerìo.
(Presso il Generale Pepe) Posta Restante,
Bologna:
— 59 —
ZLL Luigi de Tschudy ad Alessandro Poerio.
Pregiat. sig. Barone ,
Le rimetto una lettera della Baronessa, Sua ma-
dre; come pure L'avverto, averle spedito una valigia
e due cappelliere, per mezzo della Diligenza: il tutto,
diretto a Lei, ma raccomandato, pel sicuro ricapito,
al Signor Savino Savini. E , pregandola a volermi
comandare, sono, di Lei,
Livorno, li 27 Maggio.
dev.mo servo ed amico ,
Luigi de Tschudy.
All'Egregio Uomo
n Sig. Barone Alessandro Poerio.
Raccomandate, pel sicuro ricapito,
al signor Savino Savini,
Bologna.
ZLII. La Carolina Poerio -Sossisergio e Carlo Poerio
ad Alessandro Poerio
Napoli, 27 Maggio 1848.
• Mio carissimo figlio,
Spero, che, col tuo arrivo in Bologna, avrai ri-
trovata la tua roba ed una decina di lettere. Io,
caro figlio , specialmente dopo il 15 , ti ho scritto
spessissimo, per farti stare al corrente circa la no-
stra buona salute. Questa lettera, la porterà un a-
- 60 —
mico in Livorno; e la metterà alla posta per Bolo-
gna (177). Son persuasa, che tutti i tuoi godimenti,
a Venezia, sono stati amareggiati dalle nuove del, di-
sastro di Napoli. Qualche volta, temo , che qualche
reazione ci sia stata sii i Napolitani. Qui, la truppa si
è portata da cannibali, tanto la Guardia Reale quanto
gl'infami Svizzeri (178). È vero, che il partito de'pazzi
hanno spinto le cose a tale eccesso; e tutto ciò, per
pochi sciocchi, che hanno creduto, che bastava grida-
re per ottenere, anche le cose al di là del possibile.
Poche centinaja si sono battute per nove ore; e di
quelli che erano più esaltati, rari erano quelli, che si
battevano (179). Il campo di battaglia fu da Palazzo,
S. Ferdinando, Largo del Castello, Fontana Medina,
Monteoliveto. Li finiva la strage. Il palazzo Ricciardi
fu l'ultimo olocausto; il resto di Napoli era tranquil-
lo , meno che S. Lucia, i cui marinari fecero mos-
sa (180). Quando si entrava in una casa , gli Svizzeri
0 la Guardia Reale prendevano tutto il prezioso; e poi
chiamavano i lazzari per la mobilia grossa. Quanto
0 quanto ho ringraziato la Provvidenza di non es-
serti trovato in Napoli! I primi giorni si dicevano
tanti morti , ma man mano vennero risuscitando e
te li vedi comparire. Credo, che ai Veneziani sarà
passata la simpatia verso di noi, quando hanno inteso
questa piccola iS. Barthélémy, con la differenza, che
quella sagrificò i suoi nemici e questa ha trucidato
gl'innocenti ed i suoi propri partigiani. Qui si vo-
ciferano i fatti di Vienna : si spera imminente la di-
soluzione dell' esercito (181). Qui si è molto sdegnati
verso Cosa, perchè dicono, che non aveva ordine di
andare a Venezia (182). La tua descrizione mi ha fat-
to veramente piacere. Nulla mi hai detto però della
— 61 —
strada di ferro. Addio. E mezza notte. Ho dovuto
scrivere ad Enrico. Ti benedico.
A.fr.ma madre,
Carolina.
28 Maggio 1848.
Carissimo fratello,
Ti scrivo due righe, per dirti la posizione delle co-
se. Il paese (mi duole il dirlo) si è mostrato molto al
di sotto della sua situazionp. Le Provincie, dopo vani
clamori e superbe e gonfie minacce, per ora, non
han nulla fatto. Cosenza ha fatto di peggio: poiché
ha sciolto finanche un Comitato di sicurezza, prese-
duto dairintendente e di cui era uno de' membri il
Comandante della Provincia (183). Di Salerno non
ti parlo, giacché i quarantamila uomini di Carduc-
ci sono iti in fumo (184). Lecce poi ha stomacato
tutti, poiché, dopo aver proclamato balordamente la
repubblica, non ha saputo resistere ad una mossa con-
trorivoluzionaria, e, dopo ventiquattro ore, si é sot-
tomessa al Governo (185). Il quale , dal canto suo,
è in aperta reazione di uomini e di cose. Con tutto
ciò , la massa della nazione pare , che voglia final-
mente seguire il consiglio degli uomini sapienti, af-
finché le camere possano riunirsi al più presto, e ri-
guadagnino il perduto ascendente morale, usando con
arte ed opportunamente dei suoi diritti. Io sono, qui,
sulla breccia, con Emilio, con Bavarese (186), con
Capitelli e con tutt'i buoni, che non abbiam voluto
disertare il posto di onore in tanto pericolo. Tutti
abbiam dichiarato aperta guerra al Bozzelli ed al
Ruggiero; e facciam ogni sforzo , perchè il paese si
— 62 —
ricordi di essere Italiano. Se le cose andranno (come
spero) bene nell'alta Italia, persuaditi, che qui risor-
geremo. Ma ci vuole tempo e prudenza. Qui, la opi-
nione liberale è rappresentata da un partito; e parti-
to poco numeroso. Quando io lo diceva , e racco-
mandava la temperanza civile, non mi volevan cre-
dere. Ora rhan veduto, l'han toccato con mano; ed
i più avventati han ricorso alla fuga, come estremo
rimedio, lasciando il paese nella più tremenda posi-
zione, da essi in gran parte provocata con le esor-
bitanze d' ogni maniera. D' altra parte il Governo
s' era preparato da lunga pezza ; ed , in qualunque
evento, al primo atto di energia del Parlamento, si
sarebbe corso alla violenza, al sangue ed alla rapi-
na (187). Addio: cura la tua salute, e non pensare a
venire, per ora. Ti abbraccio di cuore ,
Tuo aff.mo fratello,
Carlo.
Al Signor
Il Sigr Alessandro Poerio.
Presso il Tenente Generale^
Comandante del Corpo Napoletano,
Bologna,
XLm. Alessandro Poerio alla Carolina Poerio-Sossisergio
Carissima madre ,
Finalmente, questa mattina, mi è giunta un' altra
vostra lettera, in data de' 24; lettera, che io aspet-
tava con grande impazienza, perchè, dopo quella del
di 20, non ne avea ricevuto alcuna.
- 63 —
Mi consolo nel sentire, che voi, mio fratello e gli
altri parenti stiate bene. Resto inteso di quanto
soggiungete. E facile, che fra un pajo di giorni io
lasci Bologna col Generale , che è in buona sa-
lute.
Anch'io, lode al Cielo, fra tante contrarietà, pos-
so lodarmi della salute mia. Credo, che saranno con
noi tutt'i nostri compagni di viaggio, od almeno la
. massima parte. Vi scrivo per lo stesso mezzo , pel
quale voi avete scritto a me.
Ebbi la roba puntualmente , e vi ringrazio. Sa-
vino Savini mi dimostra molta amicizia e vi sa-
luta. La Contessa Gozzadini vi dice tante cose; essa
mi colma di attenzioni, se non che mi manca il tem-
po di accettarle tutte. Ieri, desinai da lei.
Abbiate cura della vostra salute, voi e Carlo. Io
credeva ricevere lettere vostre e sue da altro luo-
go. Ad ogni modo, scrivete quanto più spesso po-
tete; ed io esattamente risponderò.
Rassicuratevi sul conto di Enrico. La sua ferita
fn cosa leggiera; e so, eh' è già fuori letto. Trovasi
ora a Coito. Egli si è molto distinto; e più volte è
stato mentovato con meritata lode ne' pubblici fogli.
Il Generale ha ricevuto in questo momento una
lettera del 22; e gli duole molto sentire, che [suo
fratello] non istà bene (188).
Come vi ho accennato di sopra, seguirò il Gene-
. rale, ch'è fermo di varcare il Po: ma, le lettere, piac-
ciavi sempre dirigerle a Bologna, donde mi saranno
fedelmente mandate, dove sarò.
Addio, carissima madre; a rivederci in tempi mi-
gliori ; a me piacerebbe, peraltro, saper voi e Carlo
— 64 —
fuori [Regnò], Serbatemi il vostro afifetto ; e cre-
detemi
Bologna, 29 maggio 1848.
v.o aflfmo figlio,
Alessandro.
Alla Nobil Donna
La Signora Baronessa Carolina Poerio.
Strada del Salvatore n.^ 5.
Napoli,
XLIV. La Teresa Gozzadini-Serego-AUighieri
ad Alessandro Poerio
Pregiat. sig/® ed amico,
Se domani, a 2 ore pomeridiane, Ella è in libertà
d' altre occupazioni, sarò al Suo albergo a prenderla,
per visitare la Contessa Martinetti (189) e la Marche^
sa Mariscotti (190) , come abbiamo concertato ieri.
Mi creda,
(Martedì sera). (191)
Sua aff.ma,
Gozzadini.
XLV. La Carolina Poerio^ossisergio ad Alessandro Poerio.
Mio carissimo figlio,
Dopo la tua del 18 da Venezia, sono al buio sol
tuo conto , essendo anche l'amico Flqrestano privo
di lettere del fratello. Ignoro , se ti sei trovato in
Bologna, allorché la truppa è partita di 11 per pas-
— 65 -
sare il Po, quel fiume, che dev'essere spettatore di
tremende lotte. Io, tuo fratello e la nostra famiglia
ed i conoscenti stiamo bene. Tuo fratello è nel tuo
appartamento , perchè più fresco. Giorni sono , ti
scrissi a lungo, per mezzo di un amico, che partì per
Livorno. Ora, al momento, mi si presenta un'altra
occasione; e ne profitto. Qui, si sta in calma, di quel-
la calma, eh' è de' morti. Tutti gli amici, che di te
s' interessano, ti salutano. Carlo è fuori casa, perciò
non ti scrive. Non so il numero delle lettere, che ti
ho scritte, dal 18 in poi. Addio, ti abbraccio e be-
nedico. Tante cose al Generale. Sono tua
Napoli, 31 Maggio 1848,
Al Sig. Barone
Alessandro Poerìo.
Al quartiere generale
del Generale Guglielmo Pepe,
Bologna.
aff.ma madre,
Carolina,
XLVI. Alessandro Poerio aUa Carolina Poerio-Sossisergio
ed a Carlo Poerio
Bologna, 31 maggio 1848.
Carissima madre,
Dopo la lettera del 20, ho ricevuto le altre due
del 24 e del 25. Alla prima, ho risposto con lo stesso
mezzo, pel quale mi pervenne; mando la presente con
occasione sicura.
Se ho motivo di consolarmi, sentendo, che state
bene, come anche il mio caro fratello e Carlotta e
5
— 66 —
tutt' i parenti , ad eccezione di Antonia , non posso
tacervi, che mi tiene in grande ansietà e non mi la-
scia riposo alcuno , il mutato vostro proponimento.
Secondo quel , che accennavate nella vostra lettera
de' 20 , io sperava riceverne, fra pochissimi giorni,
un' altra da Civitavecchia o da Livorno. A che ri-
maner più a lungo nel Regno? Costà , per legge e-
terna di storia , si prepara una serie inevitabile di
avvenimenti luttuosi. Venite via , per carità , voi e
Carlino , venite via al più presto possibile. Altret-
tanto vorrei, che facessero Emilio e Carlotta. Non vi
giunga invano questa mia lettera ; non isperate tran-
quillità in cotesto paese. Il Generale si unisce meco,
nel darvi questa preghiera. Egli è in una posizione
difficilissima; ma, fra tante contrarietà, mostra forza
d'animo e perseveranza di volere meravigliose. Anco
la salute è migliore, che non dovrebbe poter essere,
in mezzo a cosi vivi e continui dispiaceri. Solo, di
scrivere al fratello, non ha coraggio; se potete, fate
saper voi a Florestano, che Guglielmo sta bene. Con
molti 0 con pochi, tra i quali sarò io, egli passerà il Po
certamente. La prima divisione, datasi alla indiscipli-
na ed incamminatasi a Ravenna, in aperta disubbi-
dienza agli ordini ricevuti, ha forzato il Colonnello e
gli uffiziali a guidarla nella turpe fuga. Parecchi uf-
fiziali sono giunti a mettersi in libertà , e son tor-
n nati a Bologna. Il Colonnello Lahalle (qualunque
; fosse il suo pensare in politica ) indegnato da tanta
turpitudine delle truppe, è morto alla romana, ucci-
l dendosi, per non farsi strumento di così estremo di-
tf sonore. Qui, chi più assicurava il Generale, di esser
1 pronto col suo reggimento a partire, più gli manca
i air uopo ; parlo del dispregevole, del turpissimo 06-
— 67 —
lonnello Cutrofiano, il quale, con subdole arti di rag-
giro, nelle quali è a meraviglia valente , era giunto
a far credere a Guglielmo Pepe, ch'egli fosse il più
volenteroso di passare il Po (192). I volontari non
mancheranno certamente ; e molti uffiziali di caval-
leria e d'artiglieria verranno anch'essi. Potete imma-
ginare quale impressione faccia ai Bolognesi la igno-
minia di questi nostri sgherri, che usurpano il nome
di soldato (193).
La Gozzadini vi saluta caramente: essa mi mor-
tifica, colmandomi di gentilezze. Ieri, fui a pranzo dal
Marchese Calcagnini di Ferrara, da più anni sta-
bilito in Bologna. Egli, sempre memore dell'amicizia
con la felice memoria di mio padre, vi dice molte cose
amichevoli (194).
Vi rammento il ritratto ed il calamajo della felice
memoria , ed un portafoglio di nastri a scacchi , il
quale è nel mio segretario , e dentro il quale è una
carta, che contiene i capelli del mio buon padre. Por-
tateli con voi.
Vi bacio la mano; e, chiedendovi la materna bene-
dizione, mi ripeto,
V.® aff.mo figlio,
Alessandro Poerio,
Carissimo fratello,
Leggerai quel, che scrivo a nostra madre , e saprai
la situazione del Generale e mia. Ad ogni modo, non
mancheremo al certo a noi stessi. Di quella del Re-
gno non ho notizie precise; ma, dagli atti del Governo,
stampati ne'pubblici fogli, e da' pochi cenni delle let-
tere tue, ne raccapezzo abbastanza, per intendere, che
la cosa non va. Che fiducia può esservi più , dopo le
— 68 —
stragi commesse ? Che vuol dire il procedere a nuove
elezioni ? Non sono stati forse i Deputati dispersi dalla
più iniqua violenza, prima che fossero costituiti in ca-
mera effettiva ? Se il paese acconsentisse, ad elegger
di nuovo i Deputati, secondo la legge bozzelliana, da-
rebbe causa vinta al Governo. Dio noi voglia. Tu ed
i buoni serbatevi a tempi migliori. Dammi la consola-
zione, di ricevere presto tue lettere e della nostra otti-
ma e veneranda madre, da Civitavecchia o da Livorno.
Potreste venir qui, dove trovereste amici veri ne'con-
jugi Gozzadini. Anco il Marchese Calcagnini mi mo-
stra benevolenza somma. Addio. Ho scritto oggi ad
Enrico, il quale è a Coito. Si è molto distinto. Della
ferita è quasi risanato ; ma pare, che la sua salute sia
indebolita, come mi dice Leopardi. Ha ricevuto, pel
suo valore, una decorazione da Carlo Alberto. Addio
di nuovo. Ti abbraccia caramente
il tuo aff.mo fratello,
Alessandro,
Alla Nobil Donna
La Signora Baronessa Carolina Poerio.
Napoli,
XLyn. Alessandro Poerio a Niccolò Tommaseo
Bologna, 31 Maggio 1848.
Caro Tommaseo,
Dapprima non vi scrissi, sperando, che presto a-
vremmo passato il Po; in appresso, mi son taciuto,
per vergogna delle infamie di questi sgherri, che usur-
pan nome di soldati; ma la colpa è degli ufficiali, i
più di loro atrocemente devoti alla tirannide, e tanto
— 69 —
stolti, da credere, ch'essa sia per trionfare ultima-
mente. Ricorderete, come io, in Venezia, stentassi a
credere, che questa sbirraglia, contro gli ordini Fer-
dinandei, combatterebbe per la causa Italiana; poi,
le notizie di Bologna, che voi deste, mi fecero spe-
rar meglio ; ora, ogni illusione è svanita. Un de' Co-
lonnelli, forzati dalle truppe ribellate, a guidarle nella
turpe fuga verso Ravenna, sì è (benché fosse tenu-
to un accanito realista) per punto d'onore militare,
ucciso con un colpo di pistola (195). Temo forte, che,
alla fine, il Pepe non avrà seco, per passare il Po,
che i volontari (circa cinquecento giovani) ed un certo
numero di uflSziali e sotto-uffiziali di cavalleria e di
artiglieria , a' quali l' infamia de' loro compagni fa
ribrezzo , ed aggiunge animo per la causa buona e
santa d' Italia.
Non moltiplico in parole: il resto saprete da Za-
netti (196). Ossequio i membri del Governo Prov-
visorio, segnatamente il Manin. Ed, abbracciandovi,
mi raffermo
v.<* aff.mo,
Alessandro Poerio.
P. S. Date, di grazia, l'acclusa al signor Camillo
Campana, nipote del Console napolitano.
XLVIII. Giuseppe Del Re ad Alessandro Poerio.
Roma, 2 Giugno 1848.
Mio carissimo Alessandro ,
Ho ricevuto, stamane, una tua lettera; e puoi bene
immaginare di quanta consolazione mi sieno riusciti.
— 70 —
i tuoi caratteri , come, per contrario , son rimasto
rattristato , sentendo le tante perversità di coloro ,
a'quali più doveva cuocere V onore del nostro di-
sgraziato paese. E quel , eh' è peggio , apprendo or
ora da Sterbini (197), che nessuno de'nostri voglia
più partire per la guerra. Possibile tanta infamia?
Dunque, saremo noi svergognati in faccia all'Italia,
in faccia ali* Europa ? Meno male , che i nostri ma-
rini siansi decisi, sol essi, a non ritornare. Questa,
almeno, è la nuova, giuntaci iersera, per mezzo
di staffetta ; Dio faccia, che sia vera ! (1 98) Dopo
tante sciagure, dopo tante apostasie, l'animo è chiu-
so ad ogni buona speranza. Avrai saputo , a que-
st'ora, le notizie del nostro paese, fino al giorno 30:
che. vi fu, cioè, in quel giorno, una nobile manife-
stazione di più centinaja di persone, vestite a bruno,
per la via di Toledo; che, la sera, voleasi uscir di
teatro alla comparsa del Re ; che , per ciò , non vi
fu spettacolo; che la squadra francese non fece la
salva di onore; che ogni giorno si arrestano nostri
amici; che il povero Alessandro Marini (199) è te-
nuto sotto chiave ; che il General Ruberti è stato
dimesso dal suo posto, per non aver tirato il giorno
15 sopra la città. Come vedi : lo spirito pubblico è
buono; il governo imperversa sempre più. Le Pro-
vincie , poi , sono , presso che tutte , in agitazione :
specialmente le Calabrie, Basilicata e Salerno. Esse
sonosi staccate dalla capitale; e si preparano ad u-
na vigorosa resistenza. Degli Abruzzi , quel , che
so, è questo: che il castello è in mano della guar-
dia Nazionale, e che quattromila uomini erano stati
spediti dal Governo verso Solmona e poi richiama-
ti (200). A quel, che pare, Y in fame fa capitale sulle
— 71 —
forze, che tornano da Bologna, per reprimere i moti
degli Abruzzi. Ma la sbaglia, per Dio!... Ho ricevu-
to, questa mattina, lettera del nostro amico di Aqui-
la (Marchese), il quale mi scrive, che mi attende in
Rieti (201); ed io partirò domani, in compagnia d'un
altro amico. Questa notte, partono sette altri de'no-
stri, per la volta di Sicilia: e tutti con la stessa in-
tenzione. È fra questi mio cognato, il quale ti ab-
braccia caramente (202). I Siciliani sono bene di-
sposti per noi; e. faran causa comune. Or Dio prov-
vegga! Se le nostre condizioni sono triste, quelle del
nostro trucidatore sono anco peggiori; ed, ormai,*
la sua sentenza è firmata (203). Mi consola assai
sentire, che il nostro Enrico facciasi onore. Oh lui
beato, che spende le sue forze per una causa san-
tissima ! Se riceverai altre sue nuove , dammele ;
e così degli amici tutti, che sono ancora per noi e
con noi. Dirigimi le tue lettere a Rieti (posta re-
stante); e non dimenticare chi, abbracciandoti mille
volte, si ripete di cuore
il tuo affezionatissimo
P. Beppino Del i?^]
P. S. Sento or ora le notizie di Milano. Che altra
calamità ! (204) = Mi dimandi nuove degli amici, fug-
giti da Napoli. Eccotene. Son qui: Carducci, SaU-
ceti (205); Bellelli (206); Romeo (padre e figlio) (207);
Salofia (208); Zuppetta (209); Petruccelli (210); i due
Curioni (211); de Agustinis (212); de Vincenzi (213);
Dorotea (214); de Blasiis (215); Porcaro (216); e Mi-
randa (217), di Ariano (218) ecc. ecc. ecc.
Qui, quanti sono Italiani non fanno, che benedire
il nome del Generale Pepe. Io fo altrettanto, con tutti
— 72 —
i nostri. Avevamo preparato un indirizzo per lui :
ma fu opera perduta. Tanti rispetti, intanto, da par-
te di tutti, e specialmente di me , che onoro in lui
r ottimo cittadino. = Mi dimenticavo dirti , che il
nostro Carlo non è stato, fin qui, molestato affatto.
Ricevetti, ier l'altro, lettera di mio padre, il quale
mi diceva di aver ricevuto una sua visita. = L'ot-
timo Massari ti rende tanti carissimi saluti; e si rac-
comanda alla tua amicizia, della quale si onora al-
tamente.
Non iscrivo al mio carissimo Damiano ; per-
chè il tempo è nemico a questo mio desiderio. In-
tanto, abbraccialo caramente, per me, e da parte an-
che di Massari. Fa lo stesso con l'amico Ulloa.
XLIX. Alessandro Poerio alla Carolina Poerio-Sossisergio
ed a Carlo Poerio
Bologna, a di 3 Giugno 1848.
Carissima madre,
Dopo la vostra del 25 scorso maggio, non mi era-
no pervenute altre vostre lettere; ed era molto in-
quieto, quando, stamane, sulle insistenze del mio amico
Savini , fatto diligenza tra le lettere de' militari, ne
ho avuto sette ad un tempo: le altre arretrate, l'ul-
tima in corrente, essendo de'28 maggio.
Se mi consola, da una parte, il sentirvi tutti bene,
mi desola, dall' altra, la risoluzione di rimanere nel
Regno; e più lungamente scrivo di ciò a Carlino. La
Contessa, la quale, unitamente al marito, caramente
vi saluta, s'incarica di far si, che questa vi sia ri-
capitata in mani proprie.
— 73 —
Domattina, partirò per Ferrara con gli uffiziali di
Stato Maggiore; e, forse, anche iji Generale si avvierà
a quella volta, nel corso della giornata. Vi ho già
scritto (parimenti con sicuro ricapito) della ritirata ,
0 piuttosto fuga, della prima divisione verso il Re-
gno: il che è dovuto al contrordine, venuto da Na-
poli, circa il passaggio del Po; ma la cosa è stata
anche più precipitata, per la inettezza del Cardinal
Ciacchi, il quale insistè, perchè quelle truppe uscis-
sero di Ferrara (219). Di cinquemila uomini , soli
trecento circa son riusciti a tornare indietro verso
il Po: molti e molti altri ben disposti, essendo trat-
tenuti dalla massa. Al Colonnello Lahalle, che non
volle sopravvivere all'onta, di esser costretto a capi-
tanare questa turpissima fuga, ieri, il 2.° battaglio»
ne de' volontari celebrò solenni funerali nella Chiesa
di S. Francesco (220).
Cerillo non è ancora tornato (221); siamo in som-
ma incertezza , parlo per gli altri , che , in quanto
a me, non credo sia per venire l'ordine, da noi de-
siderato. Con pochi 0 molti, il Generale e noi altri,
che siamo con lui, passeremo il Po. Chi avrebbe detto,
che i tempi , i quali pareano destinati a riabilitarci
nel cospetto dell'Europa, dovessero, invece, esser tem-
pi di nuova infamia napoletana (222)?
Saprete le nuove del campo di Carlo Alberto; gran
vittoria da lui riportata, a Coito, sopra circa trenta-
mila Austriaci. Cosi furono vendicati i Toscani, che,
il giorno prima, assaliti alle Grazie, sotto Mantova,
da forze quadruple, furono rotti con mortalità gran-
de, specialmente nel battaglione universitario. Il no*
giro Pilla (223) fu ucciso, e ferito il Professor Mossot-
ti (224). Ma , s' è vero, come fermamente si crede ,
— Te-
che sia morto anche il mìo caro Montanelli, è que-
sto uno de' più vivi dolori , che io potessi provare.
La mia salute, in mezzo a tanti dolori, è bastante-
mente buona. Scrivete. Vi bacio la mano; e, chie-
dendovi la materna benedizione, mi ripeto
v.o afT.mo figlio,
Alessandro.
Carissimo fratello,
Resto inteso di quanto mi dici , nella tua lettera
de'28; ma, francamente, ti dirò, che non posso ap-
provare , anzi neppure intendere quel , che tu ed
Emilio e gli altri, che mi nomini, state facendo. Ti
ripeto quel, che ti ho già scritto ; che l'acconsentire
alla nuove elezioni è un darla vinta alla tirannide.
Soli Deputati legittimi della nazione son quelli, che,
il 15 maggio, furono sciolti dalla violenza, prima di
esser definitivamente radunati. Non veggo, che coloro,
i quali si sono allontanati, debbano esser tacciati di
viltà; non veggo, che lo star sulla breccia, come'dici,
sia utile al paese : anzi, l'accettare una rielezione è
lo stesso, che vulnerare i diritti nazionali, fatti salvi
dalla protesta. Vieni via, per carità, con nostra ma-
dre ; lo stesso dico ad Emilio ed alla sua famiglia.
Ti prego e scongiuro, quanto so e posso, di lasciar
cotesto misero paese ; non sarà diserzione, per Dio,
ma più efficace difesa.
Intorno a questo punto, non vi sono due opinioni
dal Garigliano in qua. Ne' campi di Lombardia , si
decidono le sorti di tutta Italia. Fa sapere a Flo-
restano, che il fratello sta bene, e, fra tante contra-
rietà, serba l'animo costante e sereno. Continuate a
- 75 —
scrivermi a Bologna, con raccomandazione di rica-
*pito a Savino Savini, che avrà cura di farmele per-
venire. Di Enrico non ho nuove recenti ; gli scrissi
giorni fa. II 24, seppi da Leopardi, eh* egli era al-
quanto malandato in salute; della ferita era presso-
ché guarito. Spero, riceverne nuove in breve. A Par-
rilli ed Imbriani tante cose amichevoli. Se mi. ami,
fa, che io riceva presto lettere tue e di nostra ma-
dre da fuori Regno. Ti abbraccia
il tuo aff.mo fratello,
Alessandro,
Alla Nobil Donna,
La Signora Baronessa Carolina Poerio,
Strada del Salvatore n.^ 5, 2.° piano
NapolL
L. Carlo Poerio a Raffaele Poerio
Napoli, 8 Giugno 1848.
Carissimo zio,
Mentre, da una parte, mi ha riempito di gioja la
notizia del vostro felice arrivo in Marsiglia, sono ri-
masto estremamente dispiaciuto, nel sentire, che non
vi era pervenuto alcun mio foglio. Io vi ho scritto
non appena mi giunse la vostra cara lettera, in cui
mi annunziavate la vostra determinazione, di accet-
tare l'onorevole invito del Governo Lombardo, e mi
richiedevate, se la vostra famiglia poteva sicuramente
yenire in Napoli. Nel mio foglio , io vi diceva :
che la famiglia poteva liberamente venire; che i vostri
figli avrebber trovato ogni naaniera di ajuti, per i-
— 76 —
struirsi; e prendere una carriera; e che aveva pre-
parato in casa due ottime stanze, per ricevere la cara
zia e la famiglia, con quell'afifetto e quella espansione,
per parte della mia buona madre, che li ama di tutto
cuore... Posteriormente ho tornato a scrivere; e sem-
pre per mezzo del Ministero degli Affari esteri, che,
allora, era occupato dal mio ottimo amico Marchese
Dragonetti. Immaginate dunque il mio cordoglio, nel-
l'apprendere, che, alla vostra partenza da Aìgieri, non
vi erano ancora giunte le mie lettere. Se, come debbo
supporre dietro la prevenzione ricevuta per mezzo
di codesto ottimo console de Martino (225), zia Maria
Teresa è rimasta in Africa, le lettere, a quest'ora, le
saranno certamente pervenute. Ad ogni modo, se la
medesima è in viaggio co' figli, potete ben credere
con quanta premura noi V attendiamo.
Dopo la funesta catastrofe del 15 Maggio, e la
carneficina ed il sacco, che ne seguirono, lo stato del
paese è divenuto spaventevole. Io ho dovuto assi-
stere a tutta l'orrida scena, poiché, nella qualità di
Deputato (per la doppia nomina di Napoli e di Terra
di Lavoro) dopo avere assistito alla seduta prepara-
toria, che si prolungò fino alle 5 dopo la mezzanot-
te, fui destinato con Capitelli, Imbriani e Pica (226), a
trattar col Ministero, per ottenere, che, secondo la pro-
messa, il Re aprisse o facesse aprire, per mezzo di
un Commissario Regio, le Camere, per quello stesso
giorno, alle due. Ci recammo al nostro destino, at-
traverso le barricate, eh' erano state costruite nella
notte; e, giunti in Consiglio ed esposto il nostro mes-
saggio, tutto ottenemmo con un Decreto Reale. Ma
ersL fatale, che si versasse il sangue cittadino; poiché,
in quello stesso momento, cominciò la fucilata e la
— 77 —
mitraglia. Certamente, le barricate furono una im-
perdonabile imprudenza ed una provocazione intem-
pestiva, poiché la Guardia Nazionate, che era scissa,
non rispose in gran parte air appello, ed il popolo
era apparentemente indifferente; e fu poi una osti-
nazione colpevole quella, di non voler togliere le bar-
ricate, disconoscendo la voce del General Comandante
(jabriele Pepe, e de'suoi Colonnelli de Conciliis (227),
Piccolellis (228), Letizia (229; e Gallotti, che tutti fu-
ron trattati da traditori da que' furiosi, che impugna-
rono i fucili per disfarsene (230); e fu doppiamente
colpevole quel rifiuto , quando la Camera , con un
suo aflSsso in istampa, comandò, che le barricate
fossero tolte , giacché tutto era stato accomodato
col Governo (231). Io riconosco tutto questo. Ma,
d' altra parte, osservo: che l'aggressione , per parte
de' soldati, era preparata di lunga mano; ch'essi e-
rano ferocemente aizzati contro la Guardia Nazio-
nale; che nulla si fece per impedire il fuoco, o per
mettervi un termine , o almeno per impedire il be-
stiale furore di quei cannibali ; che il popolo era
già preparato, per dare addosso a' liberali ; che si
eran raccolti in Napoli oltre ventimila uomini ; che
invece e lungi di punire i colpevoli di si nefandi ec-
cessi^ sono stati sfacciatamente premiati con deco-
razioni, promozioni e pensioni. Il peggio si è, che il
novello Ministero, mentre proclama l'inviolabilità del-
lo Statuto, lo fa ogni giorno a brani, e sospende tutte
le guarentigie. Disonora il Paese, richiamando la flotta
e l'esercito spediti in sostegno della causa Italiana ;
conculca ogni principio, sciogliendo la Camera non
ancora aperta; si dà ad ogni specie di reazione, nelle
leggi e nel personale : in somma , prepara a tutta
— 78 —
possa l'anarchia, sciogliendo la Guardia Nazionale, e
lasciando i cittadini a discrezione di una truppa, avida
di sangue , e di -un popolaccio, avido di rapina. Le
novelle elezioni debbono farsi tra otto giorni; ed, in-
tanto, il Governo, con ogni mezzo più inverecondo,
cerca espellere dalla candidatura gli uomini indipen-
denti e capaci, e sostituirvi persone indegne e ser*
vili; e si mette di accordo co'Vescovi, per falsare la
pubblica coscienza. Inoltre, prolunga l'illegale stato
di assedio della Capitale, per impedire la stampa in-
dipendente e non riordinare la Guardia Nazionale.
Atterrisce il Re con mille voci sinistre; e lo tiene as-
sediato in Palazzo. Per conchiudere: il Ministero pre-
para , con tutt' i mezzi, l'estrema rovina di questo
infelice Paese. Nelle Provincie, l'Autorità governa-
tiva è quasi spenta; i tributi non si pagano; i con-
gedati non tornano ; la leva nuova non si fa. Da per
tutto si creano Comitati di sicurezza e poi si disfan-
no. In Calabria s' istituiscono dieci Governi provvi-
sori ; tutto è confusione ed anarchia. Una setta anar-
chica s' impadronisce delle proprietà de' privati, e
quindi irrita ed allarma i ricchi, e li rende devoti
a qualunque governo, che prometta sicurezza. Anche
noi ci siamo capitati; e, mentre la nostra famiglia fa
tanti sacrifici per la patria e tutti a proprie spese,
mentre Alessandro ed Enrico combattono in Lom-
bardia, mentre voi abbandonate la vostra onorevole
posizione per pugnare a prò della indipendenza Ita-
liana, mentre io combatto col coraggio civile contro
un Potere divenuto formidabile, i nostri coloni non
pagano, e la guardia nazionale di Policastro s'im-
padronisce della Sila e la divide tra i suoi abitan-
ti ! Altri, poi, sognano, in mezzo a tanti impuri eie-
— 79 —
menti, di stabilire la repubblica. Altri parteggiano per
Carlo Alberto. Altri aspettano il soccorso de'Siciliani.
I fedelissimi aspettano il Russo ed il Turco ; gli an-
glomani sperano nella Regina Vittoria ; i democra-
tici, nel soccorso francese. Insomma, siamo nella Torre
di Babelle; e, se il pietoso Iddio non ci ajuta, certo
noi non ci ajuteremo. L'animo non regge al crucio
di vedere, che, in mezzo a tanta gloria Italiana, noi
senopre più ci copriamo di vergogna.
Il novello Ministero aveva brutalmente destituito
Luigi Vercillo, Intendente di Chieti (232). La sua sola
colpa era quella, di aver dileguata una manifestazione,
di tre in quattromila persone, con bandiera bianca, a
favore del Re assoluto ; e gli avevano dato per suc-
cessore il celebre Valla, antico gendarme, e rinne-
gato del 1828 (233). Ma quelle popolazioni si sono
opposte; Valla prudentemente non ha voluto andare;
ed il Governo ha fatto di necessità virtù. Salvatore
Ferrari non ha voluto esser Deputato. Il Ministero
ha quindi creduto di doverlo premiare, e l' ha scelto
per Intendente di Catanzaro; ma spero, anzi son cer-
to, che non accetterà (234;.
Mia madre^ in mezzo a tante angustie, sta lodevol-
mente bene. Cosi anche zia Antonia. La famiglia Par-
rilli gode buona salute: D. Michelangelo era nominato
ano de' 50 pari. Imbriani, scelto anch' egli Deputato
in due Provincie, aveva, fortunatamente, rassegnato
il portafoglio, pochi giorni prima della tremenda ca-
tastrofe. Zupi (235), qui presente, vi riverisce; il Go-
verno gli aveva offerto di rientrare nell'esercito da
basso ufficiale. Fra tutti i Ministri il più furioso è
quello della Guerra, Principe d'Ischitella. Carrascosa
ò tornato [?]; il fratello Raffaele è Ministro de' la-
— 80 —
vori pubblici. Bozzelli lo è dell' Interno, e s' immor-
tala. Scrivetemi subito; e ditemi, dove debbo dirigere
la lettera.
V. affez.mo nipote,
Carlo Poerio.
P. S. Vi prego: di riverirmi il Conte Toffetti di
Milano, che è stato inviato del Governo Provvisorio
in Napoli , e domandargli , se ha ricevuto due mie
lettere.
LI. Alessandro Poerio alla Carolina Poerìo-Sossisergio
Ferrara, a di 10 Giugno 1848.
Carissima madre,
Per quanto io possa immaginare le difficoltà, che,
ne' tempi, che corrono, accompagnano la nostra cor-
rispondenza epistolare, non so esser tranquillo, ve-
dendomi affatto pri^vo di lettere vostre e di mio fra-
tello. L'ultima, eh' ebbi, fu la letterina vostra de' 31
Gennaio. Il Generale, oltre quella del 31 stesso, ne
ricevette una di Florestano sotto la data de' 4 Giu-
gno , ma non vi si facea menzione della mia fami-
glia. Io vi ho scritto più volte ; vi ho pregata, stra-
pregata, supplicata e scongiurata, non meno voi che
Carlo, di lasciar cotesto infelicissimo paese. Io me-
desimo non mi valgo del mezzo ordinario della po-
sta, ben conoscendo, come sia rispettato, ad onta del
famoso articolo apposito della costituzione de' 10 Feb-
braio , il segreto delle lettere.
Ma ho scritto più volte, raccomandando le lettere
— 81 —
mie pel ricapito a persone, che, certamente, han tro-
vato modo di farvele pervenire. Non mi fate dunque
stare in ansietà continua ; e datemi, jBnalmente, voi
e Carlo, la consolazione , di veder giungere lettere
vostre da Roma, da Livorno, da Firenze, da qualun-
que città , che non sia Napoli. Il corso delle cose
porta seco, che il Regno debba esser sempre più in-
quieto ; questo è tanto inevitabile, che può dirsi fa-
tale, e la quistione di costi è divenuta quistione Ita-
liana. Frattanto, si spinge vigorosamente la guerra
contro, gli Austriaci. Radetzki con Walmoden (236),
Schwartzenberg (237), Thurn e Taxis, d'Asper, e coi
due figli del Viceré (238), dopo la famosa rotta, avuta,
il di 30 Maggio, a Goito, ha ripassato l'Adige, ed, in
tre colonne, marcia dal Polesine, (ier Y altro era a
Montagnana) mostrando di voler minacciare or Pa-
dova, ora Vicenza;, ma pare, che il suo vero intento
sia, o di rientrare in Verona, se può, o di aprirsi un
varco alla ritirata pel Friuli o pel Tirolo. Il calcolo
più esatto gli attribuisce circa sedicimila uomini.
Se r esercito napoletano fosse già passato di là del
Po, quegli sarebbe già incalzato alle spalle, in modo
da dover forse arrendersi, poiché ha a fronte i Pie-
montesi ed il Generale Durando co 'Pontifici. Ma spe-
riamo, essere ancora in tempo. Il Generale fece, ier
l'altro, varcare il fiume a Francolino (luogo, che voi
ricorderete bene) da due battaglioni di volontari na-
politani, a'quali se ne aggiunse uno bellissimo di Mi-
lanesi, la maggior parte combattenti delle cinque
giornate; e, ieri, furono raggiunti da un battaglione
bolognese. Ma ciò, ch'empiè di gioia le popolazioni
di qua e di là da quel maestosissimo fiume, si fu il
simultaneo passaggio della batteria d'artiglieria na-
6
— 82 —
poletana, con entusiasmo indicibile per la causa Ita-
liana. Io mi trovai presente; e fu spettacolo vera-
mente magnifico. Oggi, (fra poche ore) il Pepe, col suo
stato maggiore, passa anch' egli , per trasportare il
quartier generale a Rovigo ; e , nel tempo stesso ,
dà ordini precisi a' vari corpi di cavalleria e di fan-
teria, che sono sparsi ed alloggiati in luogo diverso,
di recarsi in quella città. Si spera , che non saran-
no sordi alla voce dell'onor militare, e faranno am-
menda delle turpe defezione della prima divisione,
che ormai si avvicina a' confini del Regno. Anco
fra que'disertori sono pertanto molti, che si vergo-
! guano, di esser forzati, ad accompagnare una cosi vi-
j tuperevole fuga. L' artiglieria , soprattutto , ha, più
j volte, tentato, di tornare indietro ; ma la fanteria la
tiene come prigioniera. Sperasi, peraltro, che, prima
di giungere a' confini del Regno, quella turba indi-
sciplinata si sbandi^ e così i buoni restino in 'libertà
di raggiungere la bandiera.
Checché ne sia, il General Pepe avrà fatto il do-
ver suo; e, se mai fosse disubbidito (il che si crede,
per altro, improbabile, ora, che le truppe sono dister-
minate in vari siti e non han seco artiglieria) l'in-
famia sarà tutta de' ricalcitranti ; e, forse, non pas-
serebbero impuniti fra popolazioni irritate ed ener-
giche. Speriamo il meglio, per l'onore del nome na-
poletano e la salute d' Italia.
Lascio detto, che mi mandino le vostre lettere die-
tro ; abbiate l'avvertenza di aggiunger sempre, sulla
sopraccarta: al Campo del General Guglielmo Pepe.
Del ricapito di questa lettera, s'incarica il Conte Roc-
chi (239) il quale ha tutt' i mezzi di far sì , che vi
sìa ricapitata puntualmente. Cercherò, in Rovigo ed
— es-
ili Padova, altra buona occasione; e^ non trovandone,
accluderò. la lettera al Conte o ad altra persona, in
Ferrara o Bologna.
Ho avuto un forte dolore: la nuova della morte
di Montanelli, ucciso nel combattimento delle Gra-
do ; poi , se n' è dubitato ; poi, si è data di nuovo
per certa ; appresso, si è una seconda volta rivocata
in dubbio , asserendosi esser semplicemente ferito.
Quest* alternativa di forti emozioni , trattandosi di
una cosi nobile vita e cosi importante all' Italia ed
a me si cara, potete immaginare, quanto mi abbia
scosso. Ad ogni modo, è conforto il pensare, ch'egli
( s'è morto) è caduto gloriosamente, per la salute e
libertà d' Italia ; e dicono, che, nel cadere , indriz-
zasse queste parole al Capitano Malenchini (240): Fa
fede 9 che muojo con la faccia volta al nemico.
Anima grande e tenera e buona , abbiti pace nel
Cielo, e culto perpetuo nel cuore d' ogni vero Ita-
liant) ! Di Enrico ho saputo, che, rimesso già della
sua ferita, combattè anch'egli alle Grazie; ma, lode
al Cielo, non riportò alcun danno. Cosi mi si rife-
risce, da persona, la quale vien di Toscana. In quella
giornata memorabile, i Toscani, uniti a' Napoletani,
fecero una resistenza eroica ; e non furono sopraf-
fatti, che dal numero esorbitante degli assalitori; ep-
pure , la perdita di costoro fu senza paragone più
grave : i soli morti Austriaci furono duemila. Mori
anche de' nostri il povero Pilla e un Calabrese a
nome Vollaro (241) ; tra i feriti sono il Professor
Biossotti , il Colonnello Laugier (242), e tanti, che
sarebbe lungo a dire.
Rafiaele, mio zio , è giunto in Milano, col grado
di Generale, conferitogli dal Governo Provvisorio di
— 84 —
Lombardia, per assumere il comando di una brigata.
Oggi stesso gli scrivo (243). Aspetto con impazienza
vostre lettere e di Carlo e nuove di Luisa, Carlotta,
e rispettive famiglie. Per carità, scrivetemi; e le let-
tere vostre sieno da fuori Regno. Vi bacio le mani;
e, t;on filiale tenerezza, mi ripeto
▼ostro aff.mo figUo,
Alessandro.
P. S. In mezzo a tanti dolori ed emozioni ed an-
sietà, non posso dolermi della salute.
Ln. La Carolina Poerio-Sossisergio e Carlo Poerìo
ad Alessandro Poerio
Napoli, 10 Giugno 1848.
Mio carissimo figlio.
Mentre meno me Y aspettavo, ho ricevuto la tua
cara lettera del 31, rimessa a mia sorella. Mi sono
assai consolata della tua buona salute. Non ricevo
più tue lettere per la posta; fai male, perchè le oc-
casioni son rare; ed io sono in pena per la tua sa-
lute. Dunque, caro figlio, scrivimi, sempre che puoi,
per la posta, parlandomi solo di tua salute, perchò
le altre cose si sanno dai fogli. Intendo le tue sol-
lecitudini per noi; ma, grazie al cielo, ora, siamo
tranquilli. Tuo fratello non potrebbe lasciare Napoli,
ora, che è candidato; e poi, senza un'assoluta ne-
cessità, senza poter disporre di una forte somma al
momento, non potremmo avventurarci. Ma sta pur
— 85 —
tranquillo: non pensare a noi, ma pensa alla tua sa-
lute. Di Enrico non ho ricevuto più lettere, dal di
20 (scorso mese). Mi spiace sentire, che non si sia
rimesso ancora; spero, che, se si è trovato nell'ultimo
afiare, si sia portato bene. Sono stata assai dispia-
ciuta per Montanelli. Capisco il tuo dolore. Lascio
laogo a Carlo. Questa mia ti serva solo, per sapere
la nostra buona salute, come quella di tutte le nostre
famiglie parenti. Addio. Ti abbraccio e benedico.
Aff.ina madre,
Carolina,
Al generale, tante cose amichevoli.
Carissimo fratello,
Godo, che la tua salute sia buona. Florestano ha
ricevuta la lettera del fratello, del giorno 2. Egli sta
nello stesso modo. La mia salute è ottima. Ti man-
derò, per una occasione, il mio memorandum con-
tro lo scioglimento della Camera, dimostrando la il-
legalità di questa misura, violenta e dissennata (244).
Con tutto ciò , siccome il Ministero , tra gli altri
suoi pregi, ha quello della più matta caparbietà, ed
il paese ha bisogno urgentissimo della Camera, per
non cader neir anarchia, così tutt'i buoni fanno ogni
sforzo , perchè le elezioni abbiano luogo e v' inter-
vengano gli onesti, per rinominare i medesimi Depu-
tati, tranne pochissime meritate eccezioni. Capitelli,
Imbriani, i Bavarese, Pepe, Avossa (245) ecc. ecc.
siamo tutti candidati per invito di parecchi Collegi.
Onesto è il nostro campo di battaglia. Questa mat-
tina, mi hanno letto una lettera, datata da Franco-
— ge-
lino sul Po , dove si parlava di te. La data è del
quattro (246). — La disgrazia di Pilla e di Mon-
tanelli ha afflitto tutti. Riverisco la Gozzadini e il
marito. Dammi, se puoi, nuove di Ferdinando Fonse-
ca (247) , che è prigioniero. Come ancora di un
Regio Giudice, Enrico Amante (248), che milita col
nostro Enrico. Saluto caramente il Generale, Assanti
ed Ulloa. Gl'Imbriani ed i Parrilli stanno bene. Cura
la tua salute; e non pensare ad altro. Ti abbraccio
di cuore.
Tuo aff.mo fratello,
Carlo.
Al Nobil Uomo
Barone Alessandro Poerio
in Bologna
[Roì>igo\
un. Carlo Gazola (249) ad Alessandro Poerio
Di Bologna, a di 16 Giugno 48.
Carissimo Poerio,
Ecco quanto mi scrivono, da Roma, intorno la vo-
stra lettera — « Riguardo alla lettera del signor Ba«*
« rone Poerio, figlio al grande Oratore, le cui dife-
« se criminali furono Tammi razione e lo studio de-
« gli anni' piii cari della mia carriera (250), sappia,
« che fu da me raccomandata pel pronto e sicuro
« recapito, a Monsignor Nunzio di Napoli. » —
Spero , che, a quest'ora , ne avrete ricevuto rispo-
sta. Qui siamo afflittissimi del disastro, accaduto a
Vicenza ; altro danno gravissimo , sofferto per col-
— 87 —
pa delle truppe napolitane , non accorse oltre Po ,
secondo gli ;ordini del General Pepe. Giunse qui ,
ieri sera, da Roma, il General Ferrari, partito que-
sta mattina pel Quartiere Generale di Carlo Alber-
to. Mi disse, che erano giunti a Roma i Deputati
di Napoli , per convenire sui mezzi di sostenere una
rivoluzione, divenuta ormai inevitabile colà (251).
I Reggimenti di Cavalleria Napolitana si provaro-
no, ieri, a partire dalla provincia di Bologna ; ma,
giunti a poche miglia da Minervio , videro cadere
morti otto di loro, trafitti da palle di fucili; e si tor-
narono indietro spaventati. I Bolognesi fremono e
minacciano ; e , senza il Cardinale, ieri V altro sa-
rebbero corsi a costringerli a passare il Po , o a
massacrarli. Il manifesto del Correnti e compagni,
io credo , sortirà pieno effetto , se mai questi vi-
li satelliti della servitù si arrischiano di pigliare la
via di Napoli (252). Degli altri , che retrocessero
pei primi, ne arrivano sempre, ogni di, nuovi drap-
pelli , che , deposta la napolitana , hanno preso la
coccarda pontificia. Si diceva ieri , che tornavano
qui anche tre pezzi d'artiglieria; ma, forse, non sarà
vero. Saprete , che V uniforme , ordinata dal Re
alla Civica di NapoU , è quella , che è sempre sta-
ta usata dalla Guardia d'Interna Sicurezza (253);
e i capi nominati da Lui sono il Principe di Fon-
di (254), il Cavalier D. Antonio Donnorso (255), e
D. Gennaro Pandolfetti (^6). Per la causa Italiana,
si torna a parlare di diplomatiche negoziazioni; e,
ad Inspruck, sono i ministri di tutte le potenze, com-
preso l'inviato di Pio IX, Monsignor Monchini (257).
Si dice, volersi la cessione del Veneto all'Austria,
e sarà ceduto il Milanese al Piemonte. Povera Ita-
^ — 88 —
lia! speriamo, che ciò non avvenga (258). Il Gene-
rale Ferrari mi disse , ieri sera , che , secondo lui ,
distribuendo una trentina di scudi a ciascun milita-
re napolitano a cavallo, sarebbe facile guadagnarli
tutti alla causa d'Italia; e trenta scudi, per cavallo,
armi e soldato, sarebbe una spesa assai mite. Se il
bravo Correnti volesse approvare la cosa , potreb-
be intendersela collo stesso Generale, dopo che sarà
tornato dal Quartiere Generale di Carlo Alberto
costì , a raggiungere la sua divisione (259). Mille
ossequi al rispettabile Generale Pepe , e all' ottimo
Leopardi; tante cose ai chiarissimi signori Assanti e
Ulloa e Correnti e Fabrizi (260) e Zanetti. La con-
tessa Gozzadini sta bene. Addio.
Il vostro e tatto di caore
(7. Gazala.
LIV. La Carolina Poerio-Sossìsergio e Carlo Poerio
ad Alessandro Poerio
Napoli, 18 Giugno 1848.
Mio Carissimo figlio ,
Non prima di ieri , il signor del Balzo venne a
portare la tua lettera del 20 (scorso Maggio). Quel-
la, che dici di aver mandata per mezzo di un Con-
te Dolfin-Boldù , non si è ricevuta. In fine , ca-
rissimo figlio, io so le tue nuove dal Lampo (261),
che ci parla di Pepe e del suo seguito. Ieri, final-
mente, portò, con la resa di Vicenza, episodio spia-
cevole , il passaggio del Po di tutte le truppe Na-
— 89 —
politane; ti assicuro, che allora lo crederò , quando
le sentirò all'altra sponda; e, poi, non ho fiducia nei
capi. Basta , salutami il Generale. Carlo vide Flo-
restano ieri sera : sta al solito. Per quanto mi af-
flìssi per la morte, sebbene gloriosa, del nostro caro
Montanelli, altrettanto mi sono rallegrata, nel sen-
tire smentita la triste nuova. Se mai ti riuscisse di
scrivergli, fagli sapere tutta la parte, che io, mia
sorella , mia figlia , abbiamo preso per lui , prima
affliggendoci, e poi rallegrandoci dei suoi casi. Ma
la povera Parrà ha perduto il figlio, spero che non
sia r ammogliato; quanti dolori, povera donna! Ti
scrìssi, il giorno 13; ti promisi, di scriverti il 20;
ma, ora, mi si presenta Y occasione, per mezzo del-
la Maria Antonietta (262) e ti scrivo di nuovo.
Ieri r altro , fui a trovare le signore del Genera-
le (263), le quaU hanno preso un appartamento nel-
la casa di Pietracatella (264). Il Generale è amma-
lato e non in Napoli : pare , che sarà nominato de-
patato , come quasi tutti quelli , che lo erano stati
altre volte. Sconfitta ministeriale, che avrebbero po-
tuto risparmiarsi , ritenendo la stessa Camera. Ma
i' nostri Franceschi Paoli (265) non veggono al di
là del naso. Fui anche dalla famiglia Ricciardi: Li-
setta mi raccontò la sua miracolosa liberazione, per
cui, salva la vita, non cura la roba. Ti prego, es-
sere tranquillo sul nostro conto. Per tua consola-
zione , ti dico , che tanto io , che Carlino , stiamo
bene in salute; mi sono ingrassata molto. Lascia
fare alla sorte! Speriamo di vederci, sani e conten-
ti Tutte le altre famigUe, nostre congiunte, stanno
bene. Antonia anche sta bene, e così curiosa di nuo-
ve, che mi mette alla disperazione. La lettera del
— 90 —
31 scorso , diretta a mia sorella , gliela mandò il
Nunzio; non so, se fu acclusa a lui, o pure qualche
persona gliela diede, per ispedirla alla suddetta. Io
non lascio occasione, senza scriverti. Ti scrissi due
^ighi, per mezzo del console. Addio; e e, dan-
doti la materna benedizione, mi dico
afr.ma madre
Carolina.
Napoli, 18 Giugno 1848.
Carissimo fratello ,
Ieri, ci giunse l'infausta nuova della resa di Vi-
cenza , e dell' uscita del presidio, comandato da Du-
rando, con r obbligo di non militare per tre mesi.
Stando alle notizie della Patria del 14 , Durando
erasi ritirato ad Este ; ed il General Pepe , era, il
di 11, a Padova. Avevo già letto il suo ordine del
giorno da Rovigo. Quanta truppa è passata ? Dim-
melo con precisione, ed indicami i capi. Qui le co-
se sempre più s' imbrogliano pel Governo. L' oppo-
sizione armata si mantiene nella stretta legalità. In-
tanto, avendo bisogno il paese, ad ogni costo, di un
Parlamento , si son fatte le elezioni con protesta ;
e sono stati rinominati , per la maggior parte , i
medesimi deputati. Lo spoglio della votazione, per
Napoli e suo Distretto, non è ancora ben conosciu-
to; ma i candidati antiministeriali hanno avuto la
maggiorità, e sono: G." Bavarese; Blanch; Ruberti;
Galletti ; Cacace ; Capitelli ;* R. Bavarese ; C. Poe-
rio ; Imbriani ; Lanza ; Ferretti ; e Cagnazzi. I do-
dici candidati del Ministero erano : Gigli (266); Car-
— 91 —
rascosa; Ruggiero ; D' Agostino (267) ; Sannicandro
(268) ; Palermo (269) ; Campagna (270) ; CaBero ;
Lacaita (271); Lefebvre (272); d'Amato (273);
Pagnetti (274) ; e tutti sono andati allo storno.
In punto conosco le elezioni del Distretto di Gae-
ta y dove io e due altri antichi deputati siamo sta-
ti eletti, con gran concorso di Elettori , alla quasi
unanimità, poiché, in 3500 votanti, abbiamo avuto
3400 voti. I candidati ministeriali hanno avuto una
sessantina di voti. Scialoja (275) è stato rieletto a
Pozzuoli; Imbriani ad Avellino; G. Capuano (276) a
Casoria. Probabilmente risulterò anche Deputato a
Caserta, e forse anche in un altro Distretto. Non ti
posso dire tutte le porcherie, che ha fatto il Mini-
stero, per impedire la nostra rielezione. Ora si dice,
che il Sire, vedendo, che si trova sopra un vulcano,
si farà fare delle rimostranze dal Cardinale e dal
Corpo Decurionale e da altri , per tornare al pro-
gramma del 3 Aprile. Allora, tutta la colpa sarà get-
tata sopra Bozzelli, che si farà fuggire. Credo, che
questa buffonata avrà luogo ; ma è troppo tardi.
Ti abbraccio di cuore.
Tuo aff.mo fratello,
Carlo.
Signore
Barone Alessandro Poerio
Bologna [ Venezia ]
— 92 —
LV. Alessandro Poerio alla Carolina Poerio-Sossisergio
ed a Carlo Poerio
Venezia, 19 Giugno 1848.
Carissima madre, carissimo fratello,
Vi scrissi , due volte da Bologna ed una da Fer-
rara , raccomandando il sicuro ricapito a persone ,
che ne aveano il mezzo; e significandovi, nelle due
ultime lettere, il mio dolore, di non ricevere vostre
nuove. E, da questo medesimo lamento, mi conviene
cominciare la presente. Se foste usciti dal Regno ,
come più volte ve ne ho vivamente pregati, sareb-
be stata una vera consolazione per me. Ora, non "so
che pensare; e vivo in somma inquietudine.
La infamia della nostra truppa ha danneggiata
grandemente la causa Italiana, facendo cader Vicen-
za; ma non tanto, che non sia per risorger presto.
Venezia è inespugnabile; Carlo Alberto, stato un pò*
lento per soverchia prudenza , tostochè riceverà i
rinforzi , che aspetta , assalirà con vigore gli Au-
striaci.
Mi rimetto, pel dippiii delle notizie, alla lettera,
che il Generale Guglielmo scrive a Florestano , e
dentro alla quale è acclusa questa mia. Dopo aver
pianto amarissimamente per morto il mio caro Mon-
tanelli, ho saputo, esser egli prigioniero in Mantova, e
ferito , ma senza pericolo. La povera Parrà perde
nel combattimento delle Grazie uno de'suoi figli , il
quale cadde accanto a Montanelli (277). Di Enrico,
non ho potuto avere notizie dirette; ma so, da altra
parte, che, in quel fatto, non sofferse ferite, né pri-
gionia.
— 93 —
Carissima madre, spero ricevere, presto, lettere vo-
stre e di Carlo da Roma. Vorrei, che anche Emilio
e Carlotta colà si recassero. Luisa che fa? Ed An-
tonia ? E Peppino ? Dio buono ! Che pena non potere
aver nuove delle persone più care. Ma la mancan-
za, poi, delle lettere vostre e di Carlino mi è un cru-
cio. Mi auguro, che sia difficoltà di comunicazioni
e di occasioni particolari, non altro. Per incidenza.
Florestano, parlava, in una sua lettera del 7 Giu-
gno, di mio fratello.
Vi ripeto, che non sarò tranquillo, iSnchè non mi
scriverete voi ed egli da fuori Regno.
Vi bacio la mano, chiedendovi la materna benedi-
zione.
Vostro aff.mo figlio,
Alessandro.
P. S. Sono alloggiato in casa del Signor Giusep-
pe Mondolfo (278), amicissimo di Carlino in- Trie-
ste (279), ma stabilito in Venezia dal 1828.
Alla NobiI Donna
La Signora Baronessa Carolina Poerio
Napoli.
L7I. La Carolina Poerio *Sossisergio ad Alessandro Poerio
Napoli, 19 Giugno.
Ti scrissi, carissimo figlio, ieri l'altro, lungamen-
te; ora, profitto del vapore, che parte domani , per
darti le nostre nuove. Per la salute , sono ecce!-
— 94 -
lenti ; perchè stiamo tutti bene. Siamo anche tran-
quilli. Tuo fratello è andato alle elezioni; ed è sta-
to fatto segretario, come l'altra volta. In questo mese,
ti ho scritto il di 6, il di iO, il di 13, Mi pare, che
le mie non ti pervengano tutte; ed è perciò, che le
moltiplico, per non fartene mancare. Il di 10, ti ho
scritto per la posta: questo è il mezzo più infedele.
Questa mia partirà domani , il di 20. Ti scriverò
un'altra volta, col vapore, che partirà il 21. Io, dai
fogli , attingo , almeno , dove ti trovi. Ho ricevuto
lettera del povero Enrico : non si è trovato all' a-
zione, perchè malato. Finisco, perchè voglio andare
da Lisetta Ricciardi ....
Ti benedico.
Aff.ma madre,
Carolina.
Tante cose al Generale.
Al Nobil Uomo
Signor Barone Alessandro Poerio.
Presso S, E, il Generale Pepe
Bologna [Venezia]
Raccomandata, pel sollecito recapito,
al signor Savino Savini,
LVn. La Carolina Poerio-Sossisergio ad Alessandro Poerio
Napoli, 23 Giugno 1848.
Mio carissimo figlio.
Ti scrivo un solo rigo, per dirti , che noi stiamo
bene, tutte le famiglie parenti. Tua sorella, con tut-
ti di sua casa , se n* è andata in campagna (280) :
— 95 —
stanno tutti bene. Si son fatte tutte le elezioni : e
sono stati quasi confermati i medesimi deputati; in
quelle provincie, però, nelle quali si son fatti. Le Ca-
labrie non sono nel numero. Noi siamo tranquilli ,
per quanto i timori de'deboli, le mene della Polizia
ed.i vari pareri dei cittadini facciano correre delle
voci allarmanti, che, disgraziatamente, si propaga-
no nell'Estero. Io non ho ricevuto tue lettere, dopo
quella del 31 scorso Maggio , datata da Bologna ;
dai fogli, ho saputo, che eravate: a Francolino, il di
4; il 10, a Rovigo ; ed, ora, in Venezia. Altri han-
no scritto: ma tu nulla mi fai sapere della tua sa-
lute. Io e Carlo, come già ti ho detto, stiamo bene.
Questa sera, forse, ti scriverò un'altra volta. Ho ri-
cevuto lettere di Enrico: il quale sta meglio con la
febbre, ma la ferita ancora aperta. Io dirigo le let-
tere sempre in Bologna , come mi dicesti : tenta di
mandarmene qualcuna per altri mezzi. Carlo ed E-
milio hanno avuto doppia nomina. Rubarti ha avuto
voti ad esuberanza ; ma è così ammalato , che ha
già rinunziato. Le sue Signore vennero ieri l'altro
a vedermi; esse ti dicono tante cose amichevoli; so-
no contente di aver lasciato il casino solitario (281).
Ho ricevuto lettere di Maria Teresa ; chi sa , se ti
sei già iscontrato con tuo zio. Addio , caro figlio.
Temo, che sia tardi, per mandarti questa mia. Il cie-
lo ti benedica. Tuo fratello , essendo segretario di
un Collegio Elettorale e veduto per nominarsi tra
deputati, che non erano arrivati alla metà più uno
[?]... Si portano tre dei liberali e tre dei ministeria-
li. Speriamo , che sieno battuti come al solito. Di
— 96 -
nuovo tante cose. La gente di servizio ti bacia le
mani, io mi dico
afT.ma madre,
Carolina,
Al Nobir Uomo
Barone Alessandro Poerio
Bologna,
LVin. Alessandro Poerio alla Carolina Poerio-Sossisergio
ed a Carlo Poerio
Venezia, a di 21 Giugno 1848.
Carissima madre,
Finalmente, ieri, ricevetti la vostra lettera de' 10
corrente mese, il che potete immaginare, se dovesse
farmi piacere, dopo essere stato privo di vostre no-
tizie, dal 31 Maggio in poi ; e mi rallegrai molto,
nell'aver certezza della vostra buona salute e di
quella di Carlo e Carlotta , e de' nostri congiunti ;
ma questa consolazione mi fu amareggiata, dal sa-
pervi fermi nel proponimento, di rimanere costà ; e
di ciò più particolarmente scrivo a mio fratello.
La infamia delle nostre truppe è stata cagione della
perdita di Vicenza ; ed ha renduto inutili , per tre
mesi , migliaia di combattenti , 1 capitolati essendo
ripassati oltre Po. Né Padova, che gira sei in sette
miglia, fu potuta difendere, per mancanza di valida
e numerosa guarnigione (282); cosicché le Provincie
venete sono ormai tutte in mano agli Austriaci ad
eccezione di Venezia, la quale è di sua natura (ag^
giuntevi le opere dell'arte) una fortezza tale, ch'essi
— 97 —
sprecherebbero tempo e fatica a volerla tentare. Non-
dimeno , per bravata , il nemico si spinge iSn sotto
Mestre. Se il Generale avesse maggior numero di
truppe di linea, si sarebbe già fatta qualche spedi-
zione; e, su di ciò, molto insiste questo Governo Prov-
visorio ; il Generale, invece, vuole aspettare qualche
rinforzo da Lombardia, ed il decimo di linea, che ha
chiesto a Carlo Alberto ; ma questi difficilmente gliel
manderà. Dentro le lagune, sono circa diciottomila
uomini, divisi tra Chioggia, Venezia, Murano, Lido,
Malghera ed altri luoghi , quasi tutti volontari, al-
cuni battaglioni più esercitati, altri meno. Chi ve-
desse questa città (bellissima, come ben vi ricorde-
rete) tutta dedita alle sue consuete occupazioni, e,
fino ad un certo punto, anco a'divertimenti, non cre-
derebbe mai , che il Tedesco fosse cosi vicino. Ma
ciò devesi alla unica ed inespugnabile situazione di
Venezia, che la rende sicura in modo, da ridersi di
ogni nemica minaccia.
Della salute , attesi i continui dispiaceri , che ho,
86 non posso pienamente lodarmi, non posso neppure
dolermi. In quanto al danaro, avendone dovuto spen-
der molto, quando il Generale mi mandò qui da An-
cona, ed essendo questo paese carissimo, mi avanzano
solo sessanta Ducati, più della metà de' quah sarà
assorbita da spese di vestiario, essendo sprovveduto
di roba da state (ed il caldo di Venezia ne disgrada
quello di Firenze) e di altri oggetti, cosicché presto
rimarrò asciutto. Potrò pregare il Generale di an-
ticiparmi del danaro, di cui sarà rimborsato Flore-
stano ; ma preferirei, che, per la metà di Luglio, mi
mandaste una cambiale sopra questa città, preve-
dendo io troppo bene, che, per molte ragioni, le quali
7
_ 98 —
è inutile, che io dica, ma che voi potete indovina-
re, mi troverò, forse, in una situazione falsa. Raffaele
è in Milano, per comandare una brigata lombarda;
gli scrissi, ma non ancora ho sua risposta. Di En-
ricp, neppure; mi aveano detto, ch'egli era stato al
combattimento dalle Grazie; ma il Maggiore Oliva
del decimo di linea (283), uffiziale giunto ier l'altro
dal campo di Carlo Alberto, mi assicura, che Rossa-
roll ed Enrico, infermi ancora per le ferite ricevute,
non si erano trovati colà. Di Pilla è pur troppo vera
la morte; non così del mio caro Montanelli. Egli
scrive, ad un amico, da Mantova: ch'è prigioniero,
e ferito ; ma senza pericolo. Immaginate la mia eoa-
solazione, per questa nuova, ormai certa. L'ho pianto
per morto; poi, lo davano per vivo; poi, di nuovo,
ne accertavano la perdita ; finché, alla fine, se n^ ò
chiarita la salvezza. Quante emozioni! La povera
Parrà ha perduto un figlio, il quale cadde accanto
a Montanelli. Vi ho scritto il 19, accludendovi la
lettera del Generale a Florestano. Egli vi ossequia,
e cosi pure Damiano. Saluto caramente Carlotta, hwr
sa , Emilio , Antonia , Peppino e tutt' i parenti. Vi
bacio la mano; e, chiedendovi la materna benedizione,
mi ripeto
V. affei-^* figlio
Alessandro.
P. S. Dirigete le lettere : Venezia , presso il
General Pepe.
Carissimo fratello.
Godo, che la tua salute sia buona. Mi è stata graiu
dissima consolazione, ricever tue lettere, dopo tanti
— 99 —
giorni di silenzio, poiché mi mancavano dal 31 Mag-
gio ; ma non ti dissimulo, che il veder te e parec-
chi nostri amici entrati in una via, che, a me ed a
quanti qaà siamo, pare del tutto falsa, mi è stata
cagione di gravissimo dolore. Leggerò volentieri il
tuo memorandum; ma, se lo scioglimento della Ca-
mera, anzi la sua dispersione, fu un atto violento e
tirannico, e se T alterazione della legge elettorale fa
una violazione apertissima dello Statuto, come mai
poter acconsentire alle nuove elezioni? Come mai
potere, senza contraddizione flagrante, da una par
te, sostenere, che il primo mandato era legittimo, dal-
l'altra accettare il secondo ? I Deputati della nazione
sono quelli, che uscirono dalle elezioni, costituzional-
mente eseguite; né i rieletti, in virtù di una legge
incostituzionale , possono accettare, senza implicita-
mente sancire la violenza, contro di essi adoperata.
Leggemmo la protesta: e, del non trovarvi parecchi
nomi conosciutissimi, non ci meravigliammo, poiché
Raggiungeva, che molti Deputati erano stati spediti^
daDa Camera, in missioni, donde non erano tornati
ancora, quando fu stesa la protesta. Ma,,, ora, ve-
diamo battere, da una parte di essi, una via,, eh' è
aflEatto antilogica. Ma si faranno , poi , le elezioni ?
8i.£Euranno in tutto il Regno, o soltanto nelle Pro-
vincie suburbane? Io non resto, dal pregarti, sempre
pib, di recarti, con nostra madre, a Roma.
Contro la nostra cavalleria, avviatasi per tornare
in Regno, furono tirati colpi di fucile vicino Minerbio,
nel Bolognese } ed otto individui caddero. Dicono Ici.
Bomagne in gran fermento; se già le autorità pon-
tiftoie non calmeranno la effervescenza. Quante vèr*
V
— 100 —
gogne sul nome napoletano ! Se le truppe avessero
a tempo varcato il Po, l' Italia sarebbe salva.
Tuo fratello
Alessandro.
LIX. Carlo Poerìo eMa Carolina Poerio-Sossisergio
alla Teresa Poerio-De-Nobili
Napol^ 23 Giugno 1848,
Carissima zia,
La fortuna, che mi contraria in tutto, ha fatto giun--
gere cosi tardi la mia lettera costà. Non v'è, che fare.
Son certo, che ne avrete dato avviso a zio Raffaele.
Io seppi, per mezzo del Console signor de Martino, fl
suo arrivo a Marsiglia, e la sua partenza per Mila-
no. Gli ho scritto colà, e ne attendo risposta. So,
per altro , da' pubblici fogli , eh' egli è stato rice-
vuto onorevolissimamente , che è Generale di Bri-
gata, e comanda otto battaglioni. Alessandro è col
Generale G. Pepe in Venezia, dopo lo sgombro del
Veneto, per parte dell'Esercito Italiano. Questi sono
i supremi momenti, per la causa dell' Indipendenza
Italiana, che finirà col trionfar di tutti gli ostacoIL
Enrico è tuttavia ferito e convalescente, al campo
sotto Mantova. Mia madre ed io stiamo, come si può
stare, in mezzo a tanto tumulto di passioni. Si son-
fatte le elezioni ; e tutti gli antichi Deputati sono
stati confermati. Imbriani ed io lo siamo stati in doe
luoghi. Il parlamento dovrà aprirsi il primo luglio.
La Nazione l'attende con grande ansia; e spero, che-
j
— 101 —
gjastificherà la sua aspettativa. Yercillo era stato
bratalmentd destituito ; ma il Ministero ha dovuto
{negare al grido di tutta la Provincia di Chieti, che
non ha voluto perdere queir ottimo Intendente. Vi
ripeto e confermo , che il piccolo appartamento è
preparato per Voi; ma, con franchezza, debbo dirvi,
che non vi consiglio di venire, per ora. Attendiamo,
die le cose interne prendano un aspetto, meno tristo
e più regolare. La Calabria è minacciata dalla guerra
civile. Faccia il Cielo, che si possa trovare un qual»
che accomodamento ; altrimenti , molto sangue e
grandi sventure ci sovrastano. Curate la vostra sa-
hite, preziosa pe' vostri figli , e cara a tutta la fa-
miglia. Abbracciate- per me i cugini ; datemi spesso
la vostre nuove; e credetemi, per la vita, con la più
sentita affezione,
(Voltate)
vostro aff.mo nipote,
Carlo Poerio.
Mia cara cognata,
Pare, che, nella nostra corrispondenza, da qualche
tempo, ci si sia messo il demonio. Raffaele è cor-
rivo col nipote; ed io son corriva con lui, perchè,
qoando Enrico era in Marsiglia, gli rimisi una lunga
lettera per mio cognato , ma non ci ho avuto mai
risposta. Basta: ora, avrà j*icevuta la lettera di
Carlo e lo sdegno sarà finito. Io mi ero fatta una
festa, di ricevervi in casa mia con la vostra fami-
glia; avreste rianimata la mia solitudine... Ma sarebbe
VI pensiero egoista. Si può dire di Napoli quello, che
&e il Poeta [?]: chi ci è, vi stia, ma non c'entri,
chi non vi è. Per noi è diverso. La posizione della
— 102 -
mia famiglia, senza risorse pecuniarie, sia per la trists
amministrazione, che ne fa don Gregorio (284), ed ora
per le vicende politiche della Calabria,... e, poi, mio
fifflioera deputato e si teneva tale, anche dopo sciolta
la Camera. Ed in fatti, dopo, essendosi fatta una
nuova elezione, son risultati quasi tutti gh stessi, Io
son contenta, anzi orgogliosa, che tutto ciò, che ha
nome Poerio, si adopri par la huona causa. Vostro
marito, Alessandro ed Enrico in Lombardia; Carlo,
in Napoli; e Carlotta, per mezzo di suo marito (che
anche è stato rieletto) rappresenta la sua parte. Fi-
nisco di parlar di politica, e parliamo di quelli, che
t' interessano. Prima di tutto, parliamo della vostra
degna sorella, dalla quale ieri ho ricevuto una lunga
lettera da Chieti (285). Il Governo, come Vercillo è un
galant'uomo, l'aveva ringrazialo. Ma tutta la pop<
lazione chietina ha mandato una deputazione in N;
poli, per pregare il Ministero, di lasciar loro un cof
buono e bravo Intendente. Dunque, per ora, sono sei
pre là, tutta la famiglia, meno che Matteo con
moglie, la quale fi sempre ammalata (386). Con la postati
di domani, le scriverò le vostre nuove. Ho mandato
la vostra lettera a D. Rachele (287) per mezzo di An-
tonia, che si trovava presente, qui da me, quando ri-
cevetti la vostra lettera. D. Emanuele Riso, qui pre-
sente, vi ossequia (2S8). La mia salute e quella di Carlo
è mediocre; dopo tante sofferenze, sembra un mira-
colo specialmente la mìa esistenza. Di Alessandro ed
Enrico, ne avrete notizie da Raffaele.
Carlotta è andata in una sua campagna , vicino
Napoli. Essa è diventata una matrona; per ora, ha
sei figli: ò maschi e una femmina. In dieci anni di
matrimonio, avendoli nutriti tutti da sé, mi pare, che
un I
I
>taH
J
— 103 —
non ci è male. Suo marito sta meglio in salute. Dopo
tanti anni di cure> di cambiamenti di aria, si co-
minciò a rimettere con la cura omiopatica ed idro-
patica. Se fossero state queste o la cessazione di altri
rimedi violenti non lo so , ma certamente si è ri-
messo alquanto , da poter lavorare per la sua cre-
scente famiglia e per la sua infelice patria. Antonia
si lagna sempre/ ma, se la vedeste, non gli dareste
{^i anni, che ha: tutt'i capelli neri, e la solita vi-
vacità di agire e di parlare. Se verranno in tempo la
saa lettera e quella di vostra sorella, ve le rimet-
terò ; in altro caso, sarà con T altro vapore. Mi fa
mille anni, di sentirvi in Italia. Speriamo, che le no-
stre cose prendano una piega più tranquilla e legale;
e, se non potremo dirci felici, almeno, non essere
il ludibrio del resto d'Italia. Mia sorella ParrìUivi
saluta con Raffaele.
Addio , cara cognata. Tanti abbracci ad i vostri
figli, specialmente alla cara Nina. Essa porta il nome
della nostra cara e rispettabile suocera , donna in-
comparabile . e rara. La figlia di mia figlia anche si
chiama Nina, ma è diminutivo di Caterina e non di
Gaetana: la sua ava paterna cosi si chiamava (289).
Tante cose a Raffaele, da parte di tutti. Giuseppino
è sempre al nostro servizio e gli bacia le mani.
A£r.ma cognata
Carolina Poerio.
Signora
Maria Tarssa Poerìo, nata de Nobili.
BUdah.
Algeria.
— 104 —
LX. Niccolò Tommaseo ad Alessandro Poerio
. Caro Poerio,
Vedete, che il Pepe trovi modo, di mettere ad e-
same Tabilità degli uffiziali sinora eletti e gli inde-
gni allontanare. Sospingetelo, a far qualche mossa.
Parlatene con TUlloa. — Vi riprego de' vostri versi.
Abbiatevi cura ; e credete ali* affettuosa mia stima.
Giugno 24, 48, Venezia.
Vostro aff.mo,
Tommaseo.
Al Barone Poerio.
Giuseppe Gatterinetti (290) ad Alessandro Poerio
Chioggia, 24 Giugno 1848.
Carissimo amico,
Ebbi dal Tenente Sabbatini (291), la cordialissima
vostra; la quale mi recò un gran piacere: prima di
tutto, per sapervi in discreta salute , e poi , per a-
vervi cosi a me vicino, dopo tanti avvenimenti Ita^
liani. La Nina Gozzadini mi aveva mandati i vostri
saluti ; mi avea informato , eh* eravate dello Stato
Maggiore, col General Pepe, vostro prezioso amico;
io speravo sempre, di vedervi presto; ma, il giorno
dopo, che Pepe fu in Venezia, il mio secondo Reg-
gimento fu spedito quiy e non ebbi tempo a ricer-
care di voi. Di Chioggia, fui poscia mandato, con un
distaccamento di tre compagnie, al posto avanzato del
— m —
Forte di Brondolo. Son cinque notti , che non mi
spoglio. Questa mane, fui chiamato qui, per un Con-
siglio militare; ma, oggi, ritornerà al Forte di Bron-
dolo. Questa vita, piena di entusiasmo, abbenchè fa-
ticosa e pericolosa, mi garba assai; e vi assicuro,
che, il giorno dodici maggio, eh' ero Capoposto alle
barricate di Treviso, vi stetti con un sangue freddo,
a far maravigliare me stesso. Ora, il battesimo del
faoco, r ho avuto; e mi pare, di esser più degno della
vostra amicizia, appunto perchè ancor voi vi esponete
alla guerra, per amor della santissima causa Italia-
na.— Oh, si ! Napoli deve decidere, colla sua esplo-
sione, deirintera e duratura nostra sorte ! Io aspetto,
però, sempre la presa di Verona, fatta da Carlo Al-
berto; altrimenti, la guerra sarà lunga e maggior-
mente penosa. — Spero, che, fra pochi giorni, potrò
tradurmi a Venezia, e non vedo Fora, per stringervi
caramente al cuore e parlarvi lungamente sul futuro
d* Italia , secondo il mio modo di vedere , che non
credo tanto eteroclito. Addio. Amate e credete
air aff.mo vostro amico
Giuseppe Catterinetti F. Cap.
Al Chiarissimo
Bignor Barone Alessandro Poerio.
Aitaccfito allo Stato Maggiore
del General Pepe in
Venezia.
— 106 —
LXn. Niccolò Tommaseo ad Alessandro Poerio
Caro Poerio,
Leggete. Parlate caldamente al Pepe e airUUoa.
n Ferrari è uomo animoso; e, con l'esperienza e il
senno dello Zucchi , potrebbe far cosa , da salvare
Venezia e mutar faccia alla guerra. Questo è ra-
stremo consiglio, preghiera, speranza. Poi, bisognerà
ire a Malghera, a ricevere una scheggia di artiglieria
austriaca nel petto. (292) Addio.
25 Giugno 1848, Venezia.
Tommaseo.
LXm. Carlo Poerio e la Carolina Poerio- Sossisergio
ad Alessandro Poerio.
Napoli, 26 Giugno 1848.
Carissimo fratello,
Finalmente, mi giunge, con gran ritardo , una tua
lettera, del 3 corrente. Godo, che la tua salute sia
piuttosto buona, in mezzo a tanti travagli di animo
e di corpo. Siamo certi , che sei, ora, in Venezia ;
ma, secondo le tue istruzioni, continuo a spedire le
lettere in Bologna, raccomandandole a Savino Sa-
vini. Le tue riflessioni sono giuste , poichò vedi
le cose da lontano. Ma, chi le vede dappresso, come
noi, porta tutt' altra opinione. Vedi bene, che niuno
degli uomini di conto (a meno, che non siasi cre-
duto fortemente compromesso) si è allontanato dal
— 107 —
Regno; e. come ti dissi, Capitelli, Avossa, Imbriani,
Troya, i due Bavarese, Ferretti, Spaventa, Giardi-
ni (293), Tupputi (294) , Ortale (295) , Giannatta-
sio (296) sono stati tutti concordi, nel rimanere. Né
io potrei separarmi da questi degni Golleghi, senza
dar manifesti segni di pusillanimità; mentre credo,
di aver dato pruove di coraggio civile, in tutta la
mia vita, né voglio smentirla. A questa ragione po-
litica, se ne aggiunge una tutta familiare; poiché,
atteso la mancanza di communicazioni colla Cala-
bria, e la violenta occupazione dei terreni, per parte
de* predoni di comunisti, mi mancano assolutamente
i mezzi; né voglio avere il rimorso, di andare, volon-
tariamente, incontro ad un esìlio, che potrebbe esser
breve, ma potrebbe anche prolungarsi, senza mezzi
sufficienti. Nel distretto di Napoli , le elezioni sono
terminate. Il Ministero é stato completamente disfatto,
poiché nessuno dei suoi candidati ha ottenuta la mag-
giorità. Eccoti i nomi dei dodici prescelti.- I. Giaco-
mo Savarese. - II. Generale Michelangiolo Ruberti. -
m. Barone Giuseppe Gallotti. - IV. Luigi Blanch. -
V. Camillo Cacace. - VI. Domenico Capitelli. - VII.
Carlo Poerio. - VIII. Roberto Savarese. - IX. Paolo
Emilio Imbriani. -X. Vincenzo Lanza.- XI. Conte Pie-
tro Ferretti. -XII. Carlo Troya. Come vedi, gli undici
primi sono tutti antichi Deputati; l'ultimo è l'autore
del programma de' tre Aprile, che è invocato da tutto
il Regno. E questo programma trionferà, mercé
r opposizione legale, che si fa colle armi in Calabria,
e r opposizione parlamentaria, che si farà alla tri-
bona. La posizione è difficile, per noi; ma è molto
jiìx difficile, pel Governo. In Calabria, sono comin-
eiati gli scontri, colla peggio delle truppe Regie. I
— 108 —
Generali sono tutti rinchiusi nelle città, e vi si sono
fortificati. Lanza (297) a Lagonegro e Busacca (298)
a Castrovillari ; Nunziante (299) a Monteleone e
Nicoletti a Reggio. I Generali Longo (300) e Ri-
botti (301) sono sbarcati, con duemila siciliani e con
otto pezzi di artiglieria. Il primo è in Cosenza , il
secondo è in Catanzaro. Emilio è, con la famiglia, in
Pomigliano; è stato rieletto anche in Avellino, come
io a Gaeta. Egli viene ogni giorno in Napoli; e tor-
nerà definitivamente, il primo Luglio, per l'apertura
delle Camere. Riverisco il Generale ; abbraccio gli
amici; e sono, per la vita,
tao aff.mo fratello,
Carlo.
Mio carissimo figlio.
La lettera, qui acclusa, non potè' partire. In-
tanto, ricevei la tua lettera del tre, alla quale ha
risposto lungamente tuo fratello. Ora, so, che sei in
Venezia: il cielo ti assista. La lotta è terribile ed
europea: speriamo, vederne la fine, come noi desi-
deriamo. Molti amici ti abbracciano. Per timore»
di non giungere in tempo, ti lascio. Ti scriverò, tra
pochi altri giorni. Addio. Afif.ma madre, che ti be-
nedice,
Carolina.
Al Signor
n Sig. idessandro Barone Poerìo,
in Bologna.
Raccomandata per ricapito
al sig. Savino Savini.
— 109 —
LXIV. Alessandro Poerìo alla Carolina Poerio-Sossisergio
ed a Carlo Poerio.
Venezia, a di 27 Giugno 1848.
Carissima madre,
Finalmente , ricevo vostre lettere e di Carlo : la
prima, scritta da voi sola; da entrambi, la seconda;
runa, in data de' 15, l'altra, de' 18, corrente mese;
e ciò, dopo lunga privazione, poiché, dopo la vostra
de' 31 maggio , nessun' altra me n' era prevenuta ,
fuorché quella de' 10 Giugno. Potete immaginare,
con quanta consolazione, io abbia avuto buone nuove
della salute vostra e di Carlo e delle famiglie con-
giunte; io stava in grande ansietà, per la mancanza
di lettere. Mi rallegro, poi, sommamente, che le cose
del nostro paese, cosi ìmmeritamente infelice, proce-
dano meglio ; di ciò , io non dubitava , dacché mi
Tenne alle mani un giornale calabrese , e propria-
mente cosentino, de' 12 Giugno. Il 12 é la data del-
l'ultima lettera, scritta da Florestano al fratello; mi
duole, sentire, adesso, da voi, che, nella sua salute,
non si manifesta miglioramento.
Pur troppo, le vostre lettere non mi pervengono
tutte; quindi, fate bene a moltiplicarle. Si aggiunge»
ora, che il servizio della posta ( occupata dagli Au-
striaci la via di terra) si fa in barca , per Comac-
chio e Chioggia, talvolta per Ravenna e tragetti di
strade di montagna, finché, poi, si prenda la via di
mare; insomma, è lento ed irregolare assai. Queste
sono le conseguenze della caduta di Vicenza; cadu*
ta, che devesi unicamente alla infamia dal nostro
— 110 —
Governo, e delle truppe, negatesi (come ormai sa-
pete) a passare il Po, con rivolta aperta contro il
General Pepe, e vergognosa dichiarazione di voler
retrocedere .; la macchinazione fu condotta da . pa-
recchi capi di corpo , fra i quali primeggiò V infa-
missimo Cutrofiano , che , mentre fingeasi animato
da sentimenti di onore, e punto da stimolo di glo-
riosa ambizione militare , avea preparato la turpe
defezione, che sarà incancellabile macchia delle no-
stre milizie. Vi assicuro, carissima madre, ch'essendo
pur Napolitano , mi è durissima cosa , il veder cosi
insozzato il nome delle nostre truppe. Si distingua,
quanto si vuole , tra nazione ed esercito ; bisogna,
pure, arrossire e macerarsi, per tanta pertinacia nella
infamia. Passarono, il di 8 Giugno, coMue battaglioni
di volontarii, una batteria di artiglieria ed una com-
pagnia di minatori; il 10, un battaglione di cacciar
tori. Alla spicciolata, poi, e di varii corpi, son ve-
nuti circa trecento altri. Numerosi drappelli della
prima divisione, che disertò da Ferrara, son rimasti
in varie città della Romagna e delle Marche ; e ,
lasciata la coccarda napolitana , si vanno incorpo-
rando nelle truppe pontificie. Il General Pepe co-
manda, ora, in capo tutte le milizie, raccolte in Ve-
nezia. La quale città è, come vi ho già scritto, una
tale fortezza, per natura e per arte, da sfidare ogni
sforzo degli Austriaci . benché questi si vadan mo-
strando a Mestre, a Fusina , a Brondolo, a Treporti
ed in altri luoghi , più per bravata , che per altro.
Speriamo, che, presto, Carlo Alberto, ricevute le ri-
serve e le nuove leve lombarde, già in marcia per
raggiungerlo, soccorra il Veneto. Il 3 Luglio, sarà
tenuta V adunanza generale , per deliberare intorno
— Ili —
alla unione col Piemonte; e credesì, fermamente, che
questa opinione prevarrà.
Ne' giorni scorsi, feci, col Generale, una escursione
a Malghera (principalissima fortezza, vicinò al ponte
sulla laguna) ed a Treporti. Ieri, fummo a Chioggia
e Brondolo. Il Generale ha, per queste gite , il cui
obbietto è Y ispezionare le fortificazioni , un vapore
piccolo, ma velocissimo, a disposizione sua. Se non
vi è giunta ancora, vi giungerà, in breve, una mia
lettera , che vi porterà personalmente il corriere ,
spedito, giorni fa, dal Generale. Vi rinnovo la pre-
ghiera, di mandarmi del danaro, per la metà di Lu-
glio; scrivete direttamente a Venezia. Il caldo è ec-
cessivo, in questa città; ho preso due bagni, finora.
Ola sarà necessario, che ne prenda spessissimo. Tante
<^se a Carlotta, Antonia, Luisa. Il Generale vi ri-
verisce; egli sta bene in salute. Della mia, sottoso-
pra, non sono scontento. Scrivetemi, quanto più spes-
so potete; serbatemi il vostro affetto. E, baciandovi
la mano, e chiedendovi la materna benedizione, mi
raffermo
vostro aff.mo figlio,
Alessuìidro.
P. S. Pur troppo, mi manca la occasione, di scri-
vere a Montanelli: se mi si presenta, non mancherò,
di far menzione di voi. Di Enrico non ho lettere ,
DÒ di Raffaele, quantunque io abbia scritto air uno
ed air altro.
Carissimo fratello.
Puoi facilmente immaginare, come, dopo lungo
silenzio , mi sia giunta gradita la tua del 18 cor-
— 112 —
rente mese. Godo grandemente, che, nella rielezione
tua, abbi ottenuto la maggiorità in parecchi distretti;,
ed , in generale , godo , che le scelte siano 'cadute
sugli antichi deputati, con esclusione di alcuni, fra
cui r infamìssimo Ruggiero. Mi fa meraviglia, veder
fra gli antiministeriali quel frigido ed inconcludente
Luigi Blanch. A dirti il vero , a me ed a parecchi
altri, sembrava , che V acconsentire alle nuove ele-
zioni , fosse un vulnerare la causa nazionale ; ma ,
poiché le nomine , o , per meglio dire, le conferme
sono state accompagnate da protesta, veggo bene,' che
la nazione, dove non ha potuto prender le armi, ha
voluto dare una lezione al governo, per quelle stesse
vie di costituzionale ipocrisia , alle quali erasi esso
appigliato. Ma non crederò mai, che il nuovo par-
lamento possa adunarsi, atteso lo stato di parecchie
Provincie ; né credo tanto gonza la nazione , che ,
dopo cosi trista esperienza di assoluta incorreggibilità
e d' inaudita perfidia, voglia entrare, di nuovo, nella
pericolosa situazione, dalla quale sta uscendo, con
isforzi magnanimi. In una parola, le nomine de* de-
putati stessi, spiacenti al Governo, come scoppio e
manifestazione della opinion pubblica , sono da lo-
dar grandemente; ma, per Dio, non producano scis-
sione alcuna tra i buoni, ì quali, con unanimità ed
infaticata perseveranza , debbono assicurare la li-
bertà del paese , e riparare V iniqua defezione, che
ha compromesso , almeno per quanto dipendea da*
traditori , la causa della indipendenza d' Italia ! To-
stochè sarà tentata qualche fazione di guerra o qui
0 dalla parte di Carlo Alberto , non mancherò di
tenertene informato. Bellissimo spettacolo ò quello di
Roma, che, come si addice al vero capo della Penisola,
— 113 —
soccorre alle membra, con efScacia. Due milioni di
scudi, per le spese della guerra santa, ed una leva
di ventimila uomini sono un bel contrapposto alla
politica bozzelliana. Mamiani e Bozzelli* viveano esuli
in Parigi, allora concordi nelFamore d'Italia e della
libertà; ma il potere è gran pietra di paragone de-
gli animi. Addio; abbraccio Emilio e Poppino; e sa-
lato i comuni amici. Scrivi spesso. Di a Florestano,
che il fratello sta bene; ma desidera sue nuove più
frequenti. E credimi
tuo aff.mo fratello,
Alessandro.
P. S. Ti prego , nel rispondere, di far due righi
per Giuseppe Mondolfo, ricco banchiere, in cui casa
io sono alloggiato , e che mi colma di gentilezze.
Egli è il tuo antico intimo amico di Trieste. La Pel-
l^rini (302) vive e sta bene.
Mandami del danaro, per la metà di Luglio, affinchè
io non sia costretto, a farmene prestare dal Gene-
rale.
Al Nobile Uomo
n Signor Carlo Poerio.
Strada del Salvatore al Corpo di Napoli, n. 5, 2. piano
Napoli,
8
— 114 —
LXV. Federico Bellazzi (3o3) ad Alessandro Poerio
GOVERNO PROVVISORIO
DELLA. LOMBARDIA
Milano , il 29 Giugno 1848.
Carissimo signor Poerio,
Includo, in questa mia, una lettera, diretta a S. E.
il Generale, che V. S. favorirà trasmettere, al più
presto possibile. — Mi rincresce, di non aver potuto,
finora, scriverle qualche cosa, relativamente alle co-
se nostre di Lombardia; e di non poter far ciò nean-
che adesso, perchè assediato da tutte parti. — Cor-
renti la saluta caramente. Forse, ci rivedremo pre-
sto in Venezia. Mi creda
1* affezionatìssimo sao
Federico Bellazzi.
P. S. Le scriverò di più , un' altra volta. Se le
abbisogna qualche cosa, mi scriva, che la soddisferò
subitamente. Addio. Mi saluti Ulloa, di cui tanto
bene si dice anche qui, Mezzacapo, ecc. ecc.
Dalla Segreteria Generale del Governo Provvi-
sorio.
Al Preg.** Signore
n Sig. Barone Poerio.
Presso S. E. il Generai Pepe.
Yenezia,
— 115 -
LIVI. Alessandro Poerìo alla Carolina Poerio-Sossisergio
ed a Carlo Poerìo
Venezia, a di 1. Luglio 1848.
Par fatale, carissima madre mia, che io non debba
ricevere vostre lettere, se non ad intervalli assai lun-
ghi; quella, che promettevate nella vostra de' 18
Giugno, di volermi scrivere il 20, non mi ò poi giun-
ta; eppure, siamo a Luglio; eppure, altri hanno avuto
lettere del 23^ e, se non erro, anche del 24. Questa
privazione dì vostre nuove mi tiene afflittissimo.
Alla vostra de' 18 , risposi subito. Debbono esservi
state ricapitate altre mie precedenti , fra le quali
una, affidata al corriere signor Longo, che, forse, ve
l'avrà recata personalmente (304).
Benché siano circa 18 mila uomini in Venezia ,
nulla si è tentato contro gli Austriaci, che ci strin-
gono da Fusina, Mestre, Brondolo e Treporti. Ve-
ro ò| che la massima parte son volontari, ne' quali
nò il General Pepe , né il General Ferrari hanno
gran fiducia, per far delle sortite gagliarde; ma, forse,
qualche cosetta si sarebbe potuto tentare. Finora,
non è accaduto, che un cannoneggiamento, per lo più,
vano, e due o tre riconoscenze di poco momento.
Del campo di Carlo Alberto, nulla si sa, oggi, di pre-
dsp; ma, giorni fa, venne avviso, che diecimila (altri
dicono quattordicimila) Piemontesi , avesser passato
r Adige, sopra Rivoli , e combattessero contro gli
Austriaci, nel Tirolo. Si é, poi, sparsa voce, che il
Re voglia assalire il forte di Legnago, anco sul-
r Adige , e così minacciare, anco da un altro lato,
Verona, in cui consiste la somma di tutta la guerra.
Cosi l'avesse fatto prima; od, almeno, lo facesse pre-
— 116 —
sto. Allora, i nemici sarebbero costretti, di allargarsi
da intorno Venezia, o, se non altro, di diminuire
assai le loro forze, da questa parte.
Saprete le novità di Francia; solo rimedio, ammali
interni di quel paese, sarebbe la guerra. Ma il co->
munismo è, dicesi, vinto, si a Parigi che a Marsi-
glia. Ma risorgerà , e nasceranno nuovi disordini ,
flnchò ai pessimi umori non si trovi scolo. La guer-
ra di liberazione della Polonia sarebbe oltremodo
nazionale; e la sola minaccia di volerla fare^ darebbe
occasione, a' popoli di Germania, di forzare i loro
governi, ad intraprenderla. In quanto alla Italia, a-
merei meglio , che fosse preservata da' forestieri ,
anco amici. Purché veramente voglia, farà da sé.
Diman V altro , sarà qui tenuta V adunanza , per
decidere l'unione col Piemonte. L'affermativa pre-
varrà, certamente ; né Venezia, Repubblica isolata,
potrebbe sostenersi. Ma la cosa pò tea farsi piti de*'
cerosamente; ed é indegno il procedere di questa
guardia civica, che va gridando, per le strade: Viva
Carlo Alberto, alla vigilia di un' assemblea nazio-
nale (305).
Il caldo é eccessivo; a me pare il doppio di quello
di Napoli, e, da qualche giorno, spira uno scirocco,
che mi tiene abbattuto. Si aggiungono non poche
amarezze; e vi ripeto quel, che vi ho già scritto,
che mi trovo in una posizione difficile, anzi falsa. Vi
prego, quanto so e posso, di farmi aver del danaro,
per la metà di luglio.
Delle cose politiche dì costà, scrivo, nella facciata
seguente, a mio fratello. Spero, che Luisa, Carlotta,
Antonia , Emilio , Peppino e tutt' i parenti stiano
bene. Di Enrico nulla so , né ho mai ricevuto sua
— 117 —
risposta. Lo stesso debbo dire di Raffaele, se non che,
da' fogli milanesi, rilevo, trovarsi egli in Cremona,
dove sta ordinando la brigata lombarda , affidatagli.
11 Generale vi saluta distintamente. Anche Da-
miano vi riverisce. Per carità, scrivete; bisogna dire
che le persone, le quali voi incaricate, d'impostar le
lettere in Livorno od in Roma, trascurino l'adem-
pimento. Vi bacio rispettosamente la mano; e, pre-
gandovi di custodir con cura la vostra salute, mi
ripeto
v.^' affino figlio,
Alessandro.
Carissimo fratello.
Nostra madre ti dirà, come la mancanza di lettere, sue
e tue, mi tenga afflitto, massime nello stato inquieto,
in cui ora trovasi il Regno, e che non può, se non
crescere. A me pare, che il dado sia tratto. Se Na-
poli e le altre città, che hanno riconfermati , sotto
protesta , i deputati antichi, col rieleggerli, si sono
condotte non senza dignità, meglio assai han fatto
Bari, Foggia e quante han protestato assolutamente,
di non poter rieleggere alcuno, perchè i veri e soli
deputati della nazione sono quelli , • che la violenza
disperse a' 15 maggio. Ottimamente, poi, fanno Te-
roiche e vindici Calabrie. Gran danno sarebbe, se
si adunassero Deputati in Napoli, sotto gli auspici
di un cosi nefando Governo , capace di rinnovare
qualunque eccesso. A me pare , che i Deputati rie- *
letti debbano assolutamente dichiarare, di non rico-
noscersi tali, se non in virtù del primo mandato. Ma
spero, che tutti avranno dignità, senno e costanza.
Non è più tempo di transazioni; ricomincerebbe una
serie infinita di mali. Fa d'uopo, assicurare le sorti
— 118 —
del paese, che sono tanta parte di quelle d'Italia; e
r Italia ciò aspetta , con fiducia , come sola e lar-
ga ammenda alla turpe defezione delle truppe na-
politane, voluta dall' iniquo governo nostro. Questa
lettera ti perverrà in modo sicuro ; tutt' i migliori
Italiani pensano, come io ti scrivo. Ci si fa sapere,
che, nella Puglia e negli Abbruzzi, la viva e potente
agitazione sta per iscoppiare in sollevazione aperta.
In Roma, saprai, che il Ministero e le Camere ga-
reggiano di energia ; e che], malgrado i retrogradi,
che, mettono scrupoli indegni nell'animo del Papa,
le cose andranno bene. Se noi sai già, sappi, che il
Governo Provvisorio di Lombardia ha decretato : — L
Un esercito di riserva. — H. Un comitato d'armamento,
in sussidio del Ministero della guerra. — III. Soccorsi
alla Venezia; ed incorporamento de' profughi veneti
nell'esercito lombardo, ove il vogliano. -^IV. Prestito
di dodici miUoni di lire, con ipoteca sui beni dei
principali signori, a ciò offertisi. — V. Ricognizione de'
militari napolitani, rimasti fedeli alle bandiere d*I-
talia , come militari lombardi. — VI. Mobilizzazione
della guardia nazionale.
Vedi, che il rimanente d'Italia non manca al do-
ver suo; ma, finché essa non avrà sicure le spalle,
vi sarà pericolo. Abbraccio Emilio. Leggiamo il Gior-
nale ufficiale ed il suo degno confratello 1' Omni"
bus (306). Quante menzogne ! Credimi sempre
Venezia, 1 Luglio.
il tuo aff.mo fratello,
Alessandro Poerio.
Alla Nobil Donna
La Sig. Baronessa Carolina Poerio.
Strada à%\ Salvatore al Corpo di Napoli n.^ 5, 2.^ piano
Napoli,
— 119 ^
LXVn. Nicola Fabriz! ad Alessandro Poerio
Amico carissimo,
Ti prego di dire ad Ulloa di regolarizzare la mia
posizione presso Tintendenza Militare , che gliene sa-
rò obbligato, giacché i Tedeschi che a momenti sa-
ranno a Modena mi metteranno al verde, per la se-
conda volta d'ogni mio avere, e chi sa per quanto.
Ti prego pure di vedere^ se mi sia stato portato da
Ferrara un' involto [sic!'] con lettere, e nel caso
raccoglierlo tu stesso, e tenerlo per darmelo al mio
arrivo. Le notizie le dò al Generale. Qui si è nel
terrore, e l'^eccitamento ; e tutto si deciderebbe per
questo se ci fossero uomini a volerlo, e saper cosa
si può farne. Vedremo. Molto si fida per Venezia
sul General Pepe, che ha nome assai confidato nel-
le multitudini [sidl. Qui si manca d'Ufficiali. Che
dico! di Caporali. Addio
Roma 1.** Luglio 1848.
Tao aff.mo
Nicola \Fahrizt\
Bada a ciò che ti dico per Ulloa. Te ne [sic!'\
raccomando.
Barone Alessandro Poerio
Yenezia
— 120 —
LXVni. La Carolina Poerìo-Sossisergio e Carlo Poerio
ad idessandro Poerio
Napoli, 2 Luglio 1848.
Mio Carissimo figlio,
Ho ricevuto la tua , del 19, da Venezia. Già, in
una del venti del Generale, avevo letto il tuo nome
e le tue lagnanze, perchè credevi , che noi non ti
avessimo scritto. Le tue lettere sono giunte, qui, con
ritardo ; ma , finalmente , tutte sono giunte. Spero ,
che, per le nostre, anche sarà cosi. Tutto ciò, che
mi scrivi di affari pubblici, lo sapevo già dai fogli.
Sono adirata, però, con detti fogli, per ciò, che ci
riguarda. Hanno certamente cattivi corrispondenti ;
perchè, essendo mendaci, danno adito al più bugiar-
do giornale del mondo (quale è il nostro) di confu-
tarli; mentre ci sarebbero tante verità a dire ! Ieri,
si sono aperte le Camere per procuratore, o sia de-
legato: tutto riuscì tranquillamente, anzi silenzio^
samente (307). Domani, si raduneranno le Camere ,
qui vicino, dove furono gli scienziati; poiché, ieri, fu-
rono aperte alla gran Biblioteca degli Studi. Di
Montanelli ti ho scritto, in molte mie lettere: il do-
lore, dì quando giacque, ed il contento, di quando
risorse. Pel figlio della Parrà, ho inteso molto do-
lore, pensando a quella infelice madre. Carlotta era
andata in campagna contro sua volontà; ma credo,
che tornerà subito. Mia sorella anche è in Napoli,
giacché D. Michelangelo è Pari. Da Don Grego-
rio, nulla più riceviamo. Intanto, pare, che le cose
sieno confuse, come sempre le cose nostre: Fun dit
— 121 —
blanc , V autre noir. Ma io confido nella Provvi-
denza. Sei in errore, di credere Enrico al campo al-
le Grazie, nell'ultinia azione: esso era ancora con la
ferita aperta , perchè la malattia avuta ne aveva
impedito la guarigione. Mi scrisse, in data del 12
scorso, sempre da Modena. Spero., che ora sia del
tatto sano, e ne attendo lettere. Se mi avessi detto,
dov'è la casa del tuo albergatore, con la fantasia,
ti vedrei al terrazzino o sia pergola : per ora , ti
veggo su la Piazza^ in gondola sul Canal Grande ,
a Palazzo Ducale , e nelle sale delle Procuratie.
Molte volte, ti abbiamo scritto il motivo, per cui re-
stiamo qui. Sta tranquillo sul nostro conto: le cose,
da lontano, non si veggono, come da vicino. I no-
stri domestici, buona gente, ti baciano le mani. Zia
Antonia stanca tutti i Santi del Paradiso. Ma è di
sangue Poerio. Ti dice tante cose. Spero , con la
prima tua lettera, che mi parlerai di tuo zio; spe-
ro, che faccia cose tali, non solo da serbare la sua
riputazione (sia come militare , sia come vero Ita-
liano) ma di accrescerla. Ti abbraccio e benedico.
Àff.ma madre.
Carolina.
P. S. Ti prego, di dire tante cose al Generale, da
mia parte.
Napoli, 3 Luglio 1848.
Carissimo fratello,
Ieri, ebbi, indirettamente, le tue nuove, in una let-
tera , scritta, in data del 25 scorso , dal Generale
— 122 —
Guglielmo a suo fratello. Non so comprendere, co-
me vada la faccenda della mancanza di nostre let-
tere. Io ti ho scritto, spessissimo; e la nostra buona
madre, in ogni ordinario, e, straordinariamente, per
occasioni particolari. Le tue lettere , alla fin fine ,
giungono fino a noi. Come mai le nostre non giun-
gono fino a te? Del rimanente, ogni qualvolta per-
viene al generale una lettera del fratello, fa conto,
di ricevere anche le nostre nuove, poiché io veggo
il Generale Florestano, ogni sera. La presente giun-
gerà immancabilmente, poiché affidata ad un uffi-
ciale del Vapore Francese, che, dopo averci recate
le funeste nuove di Parigi del 25, salpa questa notte
per Venezia (308). Ieri l'altro, primo Luglio, furono
aperte le Camere, nella gran sala della Biblioteca ,
dal Duca di Serracapriola, Regio Delegato. Poteva-
mo essere un cinquanta pari, ed un settanta Depu-
tati; ma, domani, saremo in numero legale (oltre ot-
tantatrè ), poiché ne sono giunti molti in giornata.
Diman Taltro, giungeranno Lanza, Scialoja, del Re,
Dorotea e Bellelli, ch'erano in Roma, poiché sono
stati tutti rieletti. La cerimonia si passò nel più cu-
po silenzio. Il discorso della Corona fu degno del
Ministero Bozzelli ; e fu degnamente accolto dal-
l'assemblea. La risposta non si farà attendere: e sa-
rà linguaggio di uomini liberi, ma dignitoso e calmo.
I forestieri, che sono in Napoli, ammirano la fer*
mezza degli elettori, che ha rieletto i medesimi de-
putati, ed il coraggio civile de' Deputati, che, per
salvare la patria dalla imminente anarchia, non han
temuto di riunirsi, in Napoli, stanza di ventiquat-
tromila uomini di truppe mercenarie, sotto il can-
none di quattro castelli, ed in mezzo ad una plebe
— 123 —
stupida, feroce e rapace. Con la costanza, con la fer-
mezza e con la temperanza, ho fede, che supereremo
tutti gli ostacoli; e, forse, non è lontano il giorno,
in cui , non una o due divisioni , ma la metà del
nostro esercito, potrà varcare il Po, per combatte-
re l'eterno nemico d'Italia.
Ma , per raggiungere questo santissimo scopo , è
indispensabile, che sia ristorata la pubblica tranquil-
lità, e riordinata la finanza, ch'è nerbo di ogni guer-
ra. E la sola vìa legale può condurci alla deside-
rata meta. Tu sai, ch'io ho fatto le mie prove co-
me cospiratore; ma, quando ogni altra via era chiu-
sa. Ora, bisogna invocare la legalità; e chi fa altri-
menti, non ha coscienza del suo buon diritto. Il ri-
correre alla forza brutale, come unico mezzo di sa-
lute, è mettere al repentaglio l'avvenire del paese ,
è un giuocare, al tristo giuoco della guerra civile,
le sorti della patria. Alcuni, accecati dall'odio e da
fiero e giustissimo sdegno, non veggono , che , per
guadagnare questa lite, bisogna guadagnare tempo.
L'iniquo Governo non può distruggere la Costitu-
zione, di fronte ad un'opposizione legale. Ma, s'egli
trionfa della opposizione armata (e con settantami-
la combattenti questo non è difficile) non potrà mai
opporsi, anche volendo, alla tremenda reazione del
suo partito; e questo paese sarà crudelmentò insan-
guinato, peggio della Spagna e del Portogallo. So,
che gli oppressi e le vittime avranno le simpatie e
le lacrime de' fratelli Italiani, che celebreranno per
gli estinti delle messe di requie; ma ciò non impe-
dirà il martirio di sei milioni di uomini. Verrà, poi,
(Dio sa quando) la Spada d'Italia, che libererà noi
dalla tirannide, come ha liberato il Veneto dallo stra-
— 124 —
niero oppressore. In verità, io non comprendo que-
sto grande amore de' nostri fratelli Italiani per noi.
Essi desiderano il nostro aiuto, per cacciar lo stra-
niero; ed, intanto, fanno di tutto, per impedire, che
un Governo, ragionevole e decisamente Italiano, si
formi in Napoli. Bel modo di aiutare la vittima ,
aizzando, di continuo, con le più turpi contumelie, i
potenti sacrificatori! apponendo, al Governo, fatti sup-
posti di bestiale brutalità, come se le sue vere col-
pe non fossero sufacienti, a chiarirlo oppressore, qua-
si per offrirgli una propizia occasione, per gridare
alla calunnia ! ÀI dir de' giornalisti , gli eroi del
giorno sono Mauro il comunista (309) , Ricciardi
r ateo , il socialista Mussolino (310) ed altra gente
di simil fatta. Io non so, che razza di libertà possa
attendersi da costoro; ma so bene, che tutti gli uo-
mini eminenti di Calabria, che stavano formando
una vasta confederazione di tutte le Provincie, per
costringere il governo a rientrare nella via legale,
all'apparire di costoro, si son ritirati e non han vo-
luto più saperne. Lo sbarco dei Siciliani ha, poi, fi-
nito di discreditarli. I Siciliani (come sai) non hanno
mandato un solo uomo, a combattere per la causa
Italiana; poiché non deve tenersi conto di cinquanta
volontari, iti con La Masa (311). Ora, sono stati sol-
leciti, d'inviare quasi tre mila uomini in Calabria; e
ciò , pel triplice vantaggio: di disfarsi dei più faci-
norosi tra' Bonachi; di sovvertire il nostro Regno
ed allontanare ogni tema d'invasione, per parte del
nostro Governo; d' impadronirsi del forte di Scilla,
per dominare lo stretto, impedire, che la cittadella
di Messina sia soccorsa , e farla cadere per fame.
Intanto, il loro arrivo ha dato il carattere della più
— 125 —
truce ferocia a quella guerra civile; e Dio sa, come
la cosa andrà a finire. Questa mattina, si è confer-
mato il sacco del Pizzo, con la morte di due fratelli
di Mussolino (312) , ed il disarmo di Monteleone, che
si era mossa alle spalle di Nunziante. Questa ma-
ledetta ed intempestiva mossa ha reso indispensa-
bile il nostro sacrificio, di andare a sedere in Par-
lamento, poiché il nostro supremo mandato è quello, di
salvare, ad ogni costo, il paese dal despotismo e dal-
l'anarchia. — Fra i nuovi eletti, vi è Carlo Troya,
scelto da tre Collegi, G. Capuano, il Duca Proto (313),
Centola (314), Muratori (315). — Capitelli sarà for-
se il Presidente, perchè la salute di Troya non gli
permette tanta fatica. Donna Lucia saluta Tomma-
seo. Mi congratulo con UUoa, Tenente-Colonnello e
capo dello Stato Maggiore. Lo abbraccio con As-
santi. E riverisco il Generale; e mi congratulo con
lui della bella difesa. EmiUo e la famiglia, i Parrilli,
Zia Antonia e gli amici ti salutano. Io ti abbrac-
cio, con tutto il cuore.
Tao aff.mo fratello
Carlo.
LXIX. Federico BeUazzi ad Alessandro Poerio
Reverbella, 4 Luglio 1848.
Carissimo signor Poerio,
Siamo, per partire di qui , alla volta di Brescia ;
e Correnti m' incarica, di scrivere a V. * S., che lo
saluta caramente, mentre Le raccomandai di riverire,
in suo nome, S. E. il Generale. Quanto prima, o Ce-
— 126 —
sare stesso o alcun altro, delegato da lui, si recherà
a Venezia. Con tutta la stima , mi creda , di tutta
fretta,
l*affos.mo sao,
Federico Bellazzi.
Al Signor
Barone Poerìo
Venezia
preuo S. E. il generale Pepe.
LZX. Girolamo Sfòrza-Bissari (316) ad Alessandro Poerìo.
Milano, Luglio 1848.
Distinto Amico!
Dopo le ultime notizie, raccolte, sul vostro conto,
da un ufficiale napoletano , che io stesso presentai,
in Este, al Generale Durando, mandandovi, per quel
mezzo, i miei più cordiali saluti , io non ho saputo
altro di voi, se non che eravate a Venezia, coU'ot-
timo Pepe. Ora, perdonatemi, se vi distraggo, per
poco, da cose di maggiore importanza, pregandovi,
d'occuparvi d'una cosa affatto personale; ma, abbi-
sognandomi un buon consiglio , in cosa per me di
tutta importanza, non saprei a chi meglio ricorrere,
che al vostro senno e alla vostra preziosa amicizia.
Mio caro, dei fatti di Vicenza non vi parlo, che vi
saranno troppo noti; né del supremo dolore dell'a-
nima mia, quando ho veduto invadere, perfino i pa-
cifici domicili di famiglia, da queir orde barbariche,
che, nella stupida loro ferocia, non sentono, che un
prepotente bisogno, di distruggere tutto ciò, che è
gentile. Compreso nella capitolazione , perchè Offi-
ciale d'Ordinanza del Generale Durando, uscii di Vi-
— 127 —
jjenza; e, con lui, me ne venni a Ferrara. Io sarò
sempre affezionato al Generale, per quanto ha fatto
per la mia Patria ; ed io , che Y ho accompagnato
quasi per tutto , dov' erano maggiori e il bisogno e
il pericolo, non lo potrò certo accusare delle tristis-
sime conseguenze dell'abbandono di tutti quelli, che
hanno tradito la causa Italiana. Durando, abbando-
nato alle sole sue forze, senza materiale da guerra,
cosa poteva fare a Vicenza , contro quaranta mila
austriaci con cento bocche da fuoco ? Io credevo ,
che il Governo Pontificio e Pio IX, rinsennato egli
pure, avesser valutato di più il cuore e la mente di
questo bravo Italiano; e che, approfittando delle ot-
time sue intenzioni, avrebber voluto si organizzasse
un esercito di trentamila uomini almeno, sotto la
disciplina militare più rigorosa e con tutto il
materiale da guerra occorrente^ approfittando, per
r istruzione , dei tre mesi della capitolazione. Il mio
giudizio fu erroneo. A Durando, venne l'ordine, di
trasmettere ad altro il comando d'operazione, senza
né anche un cenno sulla sua destinazione futura, senza
un ringraziamento. Intanto, un mese è passato ; e
nessuna cosa s*è fatta. Ora , Durando , persuaso da
tutti noi , se ne è andato a Roma. Io credo , che
tutte le accuse cadranno , per la parola dell' uomo
giusto. Noi tutti, suoi aiutanti di campo, fummo li-
cenziati , con tali parole di affetto , che di più non
avrebbe potuto dirci ; e colla promessa , di ' richia-
marci , se mai fosse tornato in campagna. E , spe-
cialmente per me , esternava rincrescimento , per la
mia posizione ben più affliggente , in confronto dei
sadditi pontificii. Dietro suo consiglio, mi portava a
Milano, dove sono dall' altro ieri. Qui , mi sembra ,
— las-
che le cose non procedano cosi bene, come sarebbe
desiderabile. Il Governo Provvisorio, accusato di len-
tezza, di poca avvedutezza, anche di ambizioni troppo
personali; il partito repubblicano, più esteso, che mai,
ma diviso in due sezioni. L'una ottima, composta di
tutti quelli, che lo sono di buona fede, che agiscono
per intimo convincimento; e questa meno numerosa,
per disgrazia , dell'altra , composta di gente , che o
velano le proprie passioni, o mercanteggiano Ja pro-
pria coscienza, rendendosi compri strumenti dell'Au-'
stria, nel proclamare, adesso, un principio, che, al-
meno, non è opportuno. Vi aggiungi un altro partito
dell'opposizione, composto di gente, avversa alle per-
sone del Governo, che si valgono di tutti i mezzi,
per suscitar brighe a queste, onde {sic!'} farle cadere.
Io avrei desiderato, di servire ancora la patria; ma,
oltreché io, cosi subito, non potrei, forse, battermi, per
causa della capitolazione (317), a dirvi il vero, vorrei
vedervi dentro un po' più chiaro, prima di dedicare,
il mio braccio a Carlo Alberto, dal quale, inSne, iO'
ripeto, in gran parte, la caduta del Veneto. Perciò,
tornandomi, più di tutto, pesante , il restarmene
ozioso , quando la Patria trovasi nel maggiore biso-
gno, mi è venuta un'idea. E sarebbe: di rivedere il
mio ottimo amico Mariano d'Ayala (318); e, arruo-
landomi alle generose schiere delle Calabrie, combat-
tere l'oppressione e il tradimento dell'iniquo Borbone.
Vi dirò , che questa guerra ha, per me, un partico-
lare attraente, perchè vendicherei, in parte , l'infor-
tunio delia misera Vicenza , di cui , forse , precisa
causa fu la infame diserzione delle truppe napoUta-
ne (319). Ho scritto, perciò, a Gaetano Grano a Messi-
na (320), includendovi una lettera per il bravo Maria-
no. Spero, che avrà mezzo di spedirla, e di farmi tenere
I
I
— 129 —
risposta. Ad ogni modo , voi potreste indicarmi la
strada, che dovrei tenere, per arrivare sicuramen-
te, per quanlo è possibile, fino a lui; e, prima di
tutto , darmi un consiglio in proposito. A me sem-
bra , che la causa dell' Indipendenza Italiana tanto
si tratti sull'Adige e sul Mincio, come in Aquila e
nelle Calabrie. Lo stradale, che io direi di tenere,
sarebbe, di arrivare, prima, a Palermo, o a Messina —
quale vi sembra più adatto ? Nel caso mi decidessi
a questa risoluzione, voi mi sarete compiacente di
qualche lettera, anche per Palermo e per Reggio o
Cosenza. Ho letto la risposta di Mariano alla Cir-
colare Bozzelli. Che mai è divenuto il nostro amico!
Non è vero.^ quanto fa male il dover ritirare la
propria stima, da chi la godeva pienissima ! Abbia-
mo parlato di voi, con la Gozzadini, a Bologna. El-
la si conserva vera Italiana. E il bravo Ruberti!
Viva r onorevole vecchio ! E cosa ne è divenuto ,
prima di tutti, del nostro buon Carlo e dell' ottima
madre vostra ? e di Ruggero Bonghi e di Peppino
del Re e di Gemelli (321) ? E, ditemi, anche, dove si
trova Luigi Scovazzo (322)... ? Mio caro, io non po-
trò mai dimenticare la cordialità di tutti voi, e le
ore beate, che ho passate con voi. Quante volte ab-
biamo inaugurato, co' più fervidi nostri desideri, la
liberazione d' Italia ! ma nessuno di noi , quando ci
siamo separati, credeva, che tanto vicino ne fosse
per essere l'istante. Maledizione a coloro, che han-
no tradito la patria , nel momento più fortunato !
Addio , mio indelebile amico ; non dimenticate un
istante, chi è
tatto vostro,
Girolamo Sforza^Bissari,
Scrivetemi tosto, a Milano, ferma in posta.
9
— 130 —
LXXI. Alessandro Poerìo alla Nina Gozzadini-Serego-Allighieri
[senza data]
Qui sono moltissimi Bolognesi; e meritano somma
lode, per l'alacrità, con la quale disimpegnano il ser-
vizio militare, per l'esatta disciplina, e per l'arden-
te amore alla causa Italiana. Ma nessuna occasione
di combattere si presenta. Noi siamo in mano alla
diplomazia, antica sacrificatrice di popoli. Ma l'Eu-
ropa è troppo mossa, perchè un assetto politico, il
quale non abbia per base la nazionalità, possa riu-
scire durevole. Lunga lotta, nuovi dolori, ineffabili
angosce ; ma Y Umanità dee progredire , è decreto
di Dio.
Mi dia sue nuove ; e scriva, se ne ha occasione,
a mia madre; la quale mi par che mi accennasse, di
averle diretta una lettera, e di essere mancante di
sue nuove ed inquieta sul suo conto.
Suo dev.mo afT.mo,
Alessandro Poerio,
P. S. Se vede Savino Savini, abbia la gentilezza
di rammentarmi a lui. Nulla- ho più saputo di que-
sto comune amico.
— 131 -
LXXII. Alessandro Poerio alla Carolina Poerio-Sossisergio
ed a Carlo Poerio, con postilla di Florestano Pepe
Venezia, a di 10 Luglio 1848.
Carissima madre, carissimo fratello,
Torno in punto della posta , dove , al solito , ho
inutilmente fatto ricerca di vostre lettere. Vi ripe-
to, che l'ultima vostra, pervenutami, è del 18 Giu-
gno. Immaginate , in quale inquietudine ed ansietà
io mi viva. Ieri , acclusi una mia lettera per voi ,
ad un amico mio di Bologna, il quale, tempo fa, ve
ne fece ricapitare; e confido, che, anche questa vol-
ta, si presterà volentieri. Ma, presentandomisi occa-
sione di scrivervi, nel plico del Generale al fratello,
non voglio trascurarla. Non so intendere, come, an-
corché mancasse ogni altra opportunità, voi non vi
appigliate al partito, di consegnar la lettera vostra
a Florestano. Il quale ha mezzi efficaci, di far per-
venire le sue al fratello; e scrive, non molto spesso,
ma, ad ogni modo, ad intervalli, non pivi lunghi di
otto 0 dieci giorni. A me, invece, tocca il rimanere
senza notizie vostre, per mesi.
Vi ripeto,anche, le istanze pel danaro. Esso potrà
bastarmi, tutto al più, fino a tutto luglio ; ma non
ne son certo, occorrendo, massimamente ora, che si
fa qualche cosa , or l'una , or l'altra spesa straor-
dinaria.
Vi ho già descritto il combattimento de'sette corren-
te, dove mi trovai con Ulloa, che dirigeva l'artiglie-
ria, sull'argine sinistro dell'Adige, dirimpetto le Ca-
vanelle. Tutt' i quattro battaglioni di volontari (lom-
- 132 —
bardo, napoletano , bolognese e trevigiano) si con-
dussero con molto valore. Solo, fu dispiace voi cosa,
che i lombardi ed alcuni napoletani, male interpre-
tando l'ordine della ritirata, e messi su da chi vo-
lea dar loro ad intendere , che la presa del forte
Cavanelle fosse facile, trasmodassero fino ad insul-
tare il general Ferrari. Oggi, i Lombardi, venuti a
resipiscenza, preparano un indirizzo di scuse al Ge-
nerale, cui si mostrarono così avversi e sconoscenti.
I Napoletani essendo stati pochissimi , non credo ,
che sia per esservi disdetta del corpo (323).
Ieri, 9, al forte Malghera, cominciò uri cannoneg-
giamento; e, la cosa riscaldandosi a poco a poco, fu
fatta una sortita, nella quale i nostri (soldati di li-
nea, raccozzati da più reggimenti, e volontari ponti-
fici, ma specialmente i primi ) fecero meraviglie. Si
continuò il fuoco dal forte; la cavalleria nemica sof-
ferse molto da bombe e granate; e tre case, occu-
pate dagli Austriaci, fra Mestre e Malghera, furono
riprese, con grave loro perdita, e distrutte. Man ma-
no, questi giovani si vanno agguerrendo; e, sicco-
me si aspettano duemila Piemontesi di truppe rego-
lari , potrà intraprendersi qualche cosa di più. La
notizia, scritta da Ferrara, dell' arrivo di ottomila
Piemontesi, non si avvera. Hanno esagerato il nu-
mero, stranamente. Un forte corpo entrerà nel Ve-
neto ; ma passando V Adige tra Zeno e Legnago :
così scrive Leopardi precisamente. È qui il mag-
giore Rossaroll; il quale verrà, co' residui del suo
battaglione , che sono ora in Brescia , a mettersi
sotto gli ordini di Pepe. Cosi rivedrò Enrico , che
ora è rimesso, come il Rossaroll mi assicura. Questi
saluta te cordialmente , mio caro Carlino ; altret-
— 133 —
tanto fa il mio padron di casa, Giuseppe Mondolfo,
cui vorrei, che scrivessi due righe.
In quanto agli affari politici di cotesto paese, ri-
peterò, per la trentesima volta, che non è possibile,
che sieno accomodati con le buone. Chi crede po-
ter andare, per la via della legalità, con un governo
ferino, espone sé stesso, senza giovar punto alla pa-
tria. Iddio protegga cotesta parte d' Italia, da cui
dipende l'assicurare le sorti di tutta la Penisola.
Vostro affino,
A lessandro.
AUa NobiI Donna,
La signora Baronessa Carolina Poerio.
Napoli.
Con mille ossequi, da F. P, — Ischia, 21 Luglio.
LXXm. La Carolina Poerio- Sossisergio e Carlo Poerio
ad Alessandro Poerio
Napoli, 11 Luglio 1848.
Mio carissimo figlio,
Ho ricevuto due tue lettere, in questi giorni: una,
del 21; e l'altra, del 27. Il dirti quanto sono dolen-
te per le mie, che ti mancano, è indicibile; dal 31
Maggio al 10 Giugno, per lo meno te ne mancano
tre e forse quattro ; dal 10 al 18 , quelle del 13
e del 15 o 16. Infine, viene lo scoraggiamento, quan-
do penso, che tutte le espansioni del cuore di una
— 134 —
madre , e tutti i più intimi pensieri , tutte le cose
più intime della famiglia debbono, forse, essere og-
getto di riso e di scherno , a qualche birbante ! Le
tue, grazie al cielo, mi sono giunte tutte; e le ul-
time, col suggello intatto.
Caro figlio, mi scrivi, essere la tua posizione, ver-
so il Generale, molto delicata e falsa ; vorrei una
spiega di queste parole. In tutti i fogli, tu passi co-
me appartenente allo Stato Maggiore suo. Tu sai,
quanto io e tuo fratello ti amiamo; ora , la nostra
posizione è disastrosa ; pure, faremo tutto ciò, che
potremo , per te. Le nuove di Calabria sono tristi ,
pe' proprietari; tanto più perchè i nostri cari Cala-
bresi hanno interpretata la Costituzione per Comu-
nismo , ed hanno invaso le terre de' proprietari
Per molti, hanno avuto ragione, perchè erano terre
prese da' patrizi \f\ su le Comuni. Ma, per noi, non
abbiamo nulla di nessuno ; e speriamo, che, presto,
si ritorni all'ordine. Intanto, dopo molti mesi. Don
Gregorio mi ha mandato cento ducati : de' quali
quaranta, li ho ritenuti per la famiglia; e sessanta,
avevo disposto di averne cambiale per Venezia. Ma
il fatto si è, che ho fatti girare tutti i negozianti, e
non è stato possibile di averne , essendo chiuso il
commercio. Allora , ti acchiuderò un bigliettino pel
Generale, affinchè ti passi detta somma. Io, già , la
sera, che gli andiedi a dare il buon viaggio, lo pre-
venni , che , forse , poteva darsi il caso, che avessi
bisogno di danaro: e, gentilmente, mi disse , che te
ne avrebbe dato , ed io l'avrei rimborsato al fra-
tello.
Questa mia lettera, l'avrai per via di Roma, man-
dandola li, ad un amico, che avrà cura, di spedir-
— 135 —
la pel corriere militare. Enrico mi ha scritto da
Brescia. Mi scrive, che Raffaele passò la sera prima
da Cremona, dove passò lui dopo ventiquattr' ore ;
lo Zio gli aveva lasciato una lettera; era dolente di
non averlo incontrato. Addio , caro figlio ; fidiamo
nella Provvidenza. Manteniamoci in buona salute ,
perchè le altre cose si possono accomodare. Carlot-
ta, con tutta la famiglia, Luisa, idem^ e Zia Anto-
nia ti abbracciano. Donna Peppina Guaccci è ammala-
ta : sta alla Barra per cambiamento di aria (324).
Addio ti abbraccio e benedico.
Tua afiT.ma madre
Carolina
Caro fratello,
L'ottimo deputato Massari, che è subito accorso,
per seder tra noi, mi ha recato la tua cara lettera
del 27. Io sto bene; ma molto affaticato , pe' lavo-
ri della Camera. Abbiamo già verificato i poteri.
Capitelli è Presidente ; Roberto Savarese è Vicepre-
sidente; Tarantini (325), Devincenzi (326), Imbriani
e Ciccone (327) , Segretari ; San Giacomo (328) e
Cacace , Questori. Si è scelta la Commissione del-
'indirizzo; anche quella della Guardia Nazionale e
del regolamento. Tutte son buone ; ed han posto
mano all' opera. Ieri, vi fu la prima discussione, in
comitato segreto, co' Ministri. Cominciò cupamente;
e fini romorosamente. Il Parlamento è animato da
ottimi spiriti; e potrai leggere le discussioni nel no-
stro foglio uflSziale (se costà giunge), che le ripor-
ta a parola, coli' opera degli stenografi. Tolti tre o
quattro, può dirsi, che non vi è partito ministeria-"
le. Le condizioni del paese sono gravi, specialmen-
— 136 —
te dopo i funesti casi della Calabria. Ma non voglio
rinunciare alla speranza, che le cose possano esser
ricondotte sulla via della legalità; solo, ci vorrà tem-
po, fatica , prudenza ed arte. Ieri , Bozzelli (che io
non vedeva da tre mesi) s' incontrò meco , per la
prima volta, a' piedi della tribuna. Egli parlò lun-
gamente e ( bisogna confessarlo ) con molta arte e
somma industria ; ma schivò affatto, di rispondere,
ad una mia interpellazione, colla quale lo pregavo,
di dichiarare le origini de'moti calabresi. Troya, che
s'intese punto da una frase di Bozzelli, lanciò con-
tro lo stesso una espressione poco parlamentare.
Di qui il tumulto, e la necessità di sciogliere l'adu-
nanza (329). Vorrei, che Troya separasse la causa
del programma del 3 aprile, dalla difesa del suo Mi-
nistero; ma non possiamo spogliarci del vecchio A-
damo. Ho inteso la votazione di Venezia; e me l'a-
spettavo. In verità, con buona pace di codesti signo-
ri , quella repubblica improvvisata ha ritardato e
compromesso il risorgimento d' Italia. Ma è meglio
metter senno tardi, che mai (330). E come va Car-
lo Alberto? Quale è il motivo della sua inazione?
Sono vere le pratiche per la pace? Qui siamo con-
fusi, per tante notizie contraddittorie. Dopo quaran-
ta giorni, ieri, finalmente, giunse la posta di Cala-
bria; e recò la conferma delle tristissime notizie di
Calabria. I Regi sono in Cosenza ed in Catanzaro.
Di RicciaQrdl, de Riso (331), Mussolino, Marsico (332)
e Mauro ''non si hanno nuove. Carducci è prigionie-
ro ed è ferito. Petruccelli è stato arrestato dalla
Guardia Nazionale dì Scalea, mentre fuggiva (333).
Ha subito scritto alla Camera, di cui è membro; noi
l'abbiamo reclamato; ed il Ministero, per telegrafo.
— 137 —
ha dato l'ordine, che fosse condotto in Napoli. Noi
dovremo esaminare, se ci è luogo ad accusa; e, nel
caso affermativo , sarà giudicato dalla Camera de'
Pari. Gli attentati contro la proprietà privata si
moltiplicano, ih modo spaventevole. Campobasso è
venuto, per reclamare alla Camera, sulla illegalità
della sua espulsione dal Regno (334). Il Generale
Ruberti ha rinunziato ad essere deputato. Ciò ha
fatto dispiacere. Ma già conosci, quanto questo otti-
mo amico sia stravagante, in alcune cose. Addio.
Ti abbraccio di tutto cuore.
Napoli, 12 Luglio 1848.
Tuo aff.mo fratello,
Carlo.
Signor
Alessandro Poerio,
presso il Tenente Generale Guglielmo Pepe.
Yenezta.
LXXIV. Alessandro Poerio a Raffaele Poerio
Venezia, a di 12 Luglio 1848.
Carissimo zio ,
Saputo , eh' ebbi il vostro arrivo in Milano , per
prendere il comando di una brigata dell'esercito lom-
bardo , non mancai di scrivervi , per congratularmi
con voi del vostro ritorno in Italia, dopo ventiset-
te anni, ora, che, su* campi di battaglia, si agitano
le sorti della nazione. Così non avesse, da lunga
mano, ordito i suoi tradimenti il Re di Napoli, chè^
— 138 —
passandosi il Po, a tempo, da'dodicimila uomini, de-
stinati a combattere in prò della causa Italiana, Vi-
cenza non sarebbe caduta, ed altro indirizzo avreb-
bero preso le cose, in tutto il Veneto. Per la libe-
razione di queste Provincie, sperasi neirefficace aju-
to deir esercito lombardo e piemontese. Sento , che
le truppe sotto i vostri ordini son raccolte in Cre-
mona; anzi, che, fino airarrivo del General Perro-
ne (335), il comando di tutta la sua numerosa di-
visione, è affidato a voi. Ignoro, se abbiate mena-
to con voi la vostra famiglia, ovvero, se V abbiate
lasciata in Francia. Vi prego , di scrivermi , diri-
gendo la lettera, qui, in Venezia, con l'aggiunta pres-
so il General Pepe, a maggiore sicurezza di reca-
pito. Non avendo ricevuto vostra risposta, alla mia
prima lettera, sospetto, che non vi sia giunta ; ep-
pure la consegnai, perchè vi fosse puntualmente re-
cata, al signor Gonsalez (336), Commissario del Go-
verno lombardo nelle Provincie Venete, da me co-
nosciuto in Ferrara.
Vivo in grande ansietà , per le cose di Napoli.
Sono affatto privo di lettere della mia famiglia; l'ul-
tima, pervenutami, essendo in data del 18 Giugno;
ancorché, in quella, mia madre mi assicurasse, che
solea scrivermi almeno ogni tre giorni. Conosco la
infedeltà della posta, o, per meglio dire, la perfidia,
essendovi ordine di quell'infame di Bozzelli (il qua-
le si vantava, di aver costituzionalmente proclama-
ta la inviolabilità delle lettere) di aprirne, quante
sono dirette a persone, che a lui non piacciono. Ma
mia madre e mio fratello non le impostano in Na-
poli; le mandano ad impostare, in Roma od in Li-
vorno, per mezzo di amici o di viaggiatori. Non so
— 139 —
intendere , dunque , a che si debba attribuire tanta
scarsezza o, più veramente, mancanza di lettere. So-
spetto, peraltro, che, anche nello stato pontificio, es-
sendo r amministrazione delle poste piena d' impie-
gati retrogradi, se ne ritengano molte.
Rilevo, da' giornali , V intervento di mio fratello
nella camera de' deputati, ed il di 1.® ed il di 3 Lu-
glio. A me, sarebbe piaciuto, che i deputati si fos-
sero astenuti , poiché , sotto gli auspici ferdinandei ,
nulla può avvenire di buono. Se i deputati si rico-
noscono tali in virtù del secondo mandato, vengono
a perdere, logicamente, il diritto, d'impugnare quanto
si è fatto , dal 15 maggio in qua ; poiché la legge
elettorale bozzelliana fu per V appunto una delle più
flagranti violazioni, allora commesse. Era cosa più sag-
gia, il tenersi dal canto degli insorti, e tentar di propa-
gare il moto nelle altre Provincie. Quello di Calabria
è certo assai forte; e, dalle stesse relazioni ofBciali,
si raccoglie, che Nunziante è stato battuto e costretto
a retrocedere al Pizzo, tanto più, che Monteleone gli
era insorta alle spalle. Se la Basilicata ed il Cilento
si sollevano, Busacca, che fu battuto a Castro villari,
può esser presto distrutto.
Questa lettera vi sarà recata dal maggiore Ros-
saroll, Comandante il 1.® battaglione di volontari na-
poletani, nel quale Enrico è capitano. Io ve lo rac^
comando quanto so e posso, concorrendo in lui le
migliori qualità, che costituiscono un buon militare
ed uno zelante cittadino; e vi sarò veramente obbli-
gato, di quanto potrete fare per lui.
Il General Pepe vi saluta caramente. La guarni-
gione di Venezia è sufBcientissima alla difesa, ed an-
che a far qualche riconoscenza e sortita^ ma, senza .
— 140 -
l' ajuto piemontese , non può fare sgombrare le Pro-
vincie agli Austriaci. Mi trovai, con Ulloa, alle Ca-
vanelle , sotto il General Ferrari. Se fossimo stati
meglio informati e provveduti di obici, forse, il forte
sarebbe stato preso; dovemmo ritirarci, ma la per-
dita del nemico fu grave , e mori anche il Coman-
dante. Credetemi
v.®aff.° nipote,
Alessandro Poerio.
Al Nobil Uomo
Il signor Raffaele Poerio,
Ufficiale della Legione d'Onore, Generale di Brigata
neir esercito lombardo,
Cremona.
LXXV. Cesare Correnti e Federigo Bellazzi ad Alessandro Poerio
Milano, 13 luglio 1848.
Carissimo Poerio,
Il non avere io scritto a voi, dopo tanti giorni,
forse, vi avrà fatto credere, che mi fossi dimenticato
delle anime generose, che ebbi V indicibile consola-
zione di avvicinare, in Bologna, Ferrara e Venezia.
L' avvicendarsi non interrotto d' avvenimenti , che
richiedevano saggi, pronti, energici provvedimenti,
mi impedì , di render consapevoli i miei amici , di
quanto pur troppo sarebbe stato necessario. Spero,
che questi mi vorranno condonare questa apparente
dimenticanza e negligenza, considerati i motivi, che
ne furono cagione. Ho scritto a S. E. il Generale,
che egli è mestieri, sospendere, per ora, quelle ope-
— 141 -
razioni, di cui anche voi siete consapevole; e ciò, per
una dolorosa necessità, imposta dallo stato poco flo-
rido, a confronto delle ingenti spese, in cui versa-
no le nostra finanze. Ricordatevi di me e credete-
mi sempre
tutto vostro,
Cesare Correnti.
P. S. Abbiatevi, Poerio mio , una parola dall' a-
nima. Io combatto , combatto , combatto. Dio salvi
la patria! Ispirate energia a Pepe; fate, che il suo
nome rimanga storico, come egli desidera. Perdona-
temi, se vi scrivo anche qualche cosa di personale.
In Venezia , sta , da molti giorni , il giovane , ma
espertissimo uflSciale Giovanni Noghera (337). Rac-
comandatelo a Pepe, come fareste di un fratel mio.
♦ ♦
Ricordatevi anche di Bellazzi, che vi ama assai.
Bellazzù
D'Uffizio.
Al Signor
Barone Alessandro Poerio,
Venezia:
LXXVI. Giuseppe del Re ad Alessandro Poerio
Roma, 13 luglio 1848.
Mio carissimo amico.
Latore di questa mia è il signor Luigi Pesce (338),
il quale , vergognando di più servire nelle armi na-
— 142 —
poletane , viene a prendere servizio tra quelle di
Carlo Alberto. E , dove meglio spendere il proprio
valore , che a difesa della infelice Venezia , e sotto
gli ordini dell'ottimo nostro General Pepe? È per
questo, che io V ho consigliato a muovere per costì;
ed, ora, lo raccomando a te caldamente, perchè tu
lo raccomandi all' egregio Generale , procurandogli
cosi un posto neir esercito. Questa mia preghiera
valga pure per il vecchio suo zio , antico ed ono-
rato ufBziale, che tu conoscerai, se non di persona,
certo per nome. È questi il signor Bernardo Rug-
giero (339), il quale è desideroso, ancor esso, di ver-
sare il suo sangue, a prò della santa causa dell'in-
pendenza. E questo nobilissimo desiderio, in un uo-
mo , venuto già innanzi con. gli anni, ma vegeto
ancora e robusto, serva a cancellare, in parte, tan-
te ignominie de'nostri prodi campioni ! Quel, che ora
scrivo a te, volea scrivere ad Assanti ed Ulloa; ma,
poiché tra voi non e' è differenza d' intenzioni e di
opere , cosi bastami essermi rivolto a te solo. Ma
ciò non toglie, che tu abbia a ricordarmi a quegli
ottimi amici , ed abbracciarli caramente , da mia
parte. Io sono tuttavia in Roma; e vi resterò qual-
che altro giorno , sperando poter effettuare alcuni
nostri disegni. Se i Romani vorranno soccorrerci ,
forse, gli Abruzzi si desteranno dal loro vergognoso
letargo. Delle Calabrie, potrei raccontarti cose me-
ravigliose ; ma , con questa mia , ti giungeranno i
giornali ; e il mio racconto tornerebbe inutile. Mio
cognato è in Calabria, all'immediazione di Ribotti.
Il Cilento è tutto in rivolta; e cosi, pure, una por-
zione della Basilicata. La Camera s'è costituita; ed
ha inaugurate le sue tornate con atti, degni di lei.
— 143 —
Intanto , il Governo infellonisce sempre più ; e lo
stato della Capitale è più che desolante. Imagina le
angustie e le oppressioni de' nostri più cari. Questo
pensiero mi tormenta assaissimo; e di questo cordo-
glio, ch'è il maggiore d'ogni altro, faremo sacrifi-
cio, a quella causa santissima, per la quale combat-
tiamo. Addio , mio carissimo Alessandro. Dammi ,
subito , tue nuove e degli amici. Presenta i miei ri-
spetti al signor Generale. Ed, abbracciandoti con Da-
miano ed Ulloa, mi ripeto, di cuore.
Al N. U.
Il Signor Barone Alessandro Poerio,
Venezia .
[^Sconosciuto ai yortalettere\
29. 7.
il tuo afiT.mo,
Giuseppe del Re,
LXXVn. Savino Savini ad Alessandro Poerio
Bologna, 13 luglio 1848.
Caro Poerio,
E credete, ch'io abbia potuto starmi, tanto tempo,
senza scrivervi e mandarvi un saluto? Più volte ho
pregato, nelle mie lettere. Correnti a darmi le vostre
nuove, a ricordarmi a voi. Particolarmente scrissi al
signor colonnello Ulloa (inviandogli l'indirizzo aPepe,
sottoscritto da centinaia di Bolognesi e Ferraresi, il
quale non so d' altronde , se fosse bene accetto) e
pregai quel colonnello, a voler essere cortese, di dir
tante cose per me a voi, mi buon amico. Avrete an-
— 144 —
che ricevuto alcuni opuscoletti, che, per mezzo di
mio fratello , vi ho mandati (340). Anzi, vi racco-
mando questo mio ottimo fratello, che già mi scrive,
di avere per me visitato Uiloa. Egli è, credo, un buon
uflSziale; e il suo colonnello Bignami (341) so che
lo stima. Tuttavia, avrò per alta prova dell' amicizia
vostra, se lo vorrete particolarmente raccomandare
al vostro Tenente Colonnello. Colla marchesa Gozza-
dini, ho pranzato domenica; e si parlò molto cordial-
mente di voi. Mi rallegro, che abbiate assistito al
fuoco delle Cavanelle , sul!' Adige. Mio fratello , che
pure vi si trovò al centro, mi scrive un lungo det-
taglio della ricognizione. In Calabria, sembra, le cose
procedano bene. La Camera di Napoli, nella seconda
seduta, non contava un numero suflSciente di depu-
tati: e pare, che, nel partito stesso della corte, sorga
taluno a metter in dubbio, che la mente del Re sia
più sana. Ma coraggio, coraggio. Perdio! cosi la non
può durare. Il 7.° di linea, tornato da Giulianova a
Pizzo, ha messo a ferro questo povero luogo, come
vedrete dall' articolo del Popolo di Siena , che in-
chiudo. Ricordatemi al Generale ed a quanti sapete,
che m' abbiano conosciuto volentieri. Scrivetemi di
Tommaseo, che ora si è fatto anche più degno del-
l' universale amore. Circa un mese fa , ho trovato,
alla posta, una lettera per voi, alla quale feci la di-
rezione per Venezia , raccomandandola al Comando
in Capo. Era di Napoli; e spero sia quella, che mi
accennate, delli 18 Giugno. Le molte migliaia di pie-
montesi, che vi si annunziano, a Ferrara sono anche
aspettate. Ottocento soli vi erano, tre giorni fa; ma
cresceranno, forse, a soli duemila. Ragguagliatemi
delle cose importanti» che volete siano note, perchè.
— 145 —
delle cose del Veneto, riferisco io all' Italia del Po-
polo, il foglio più severo d' Italia. Mia moglie soffre,
da parecchi giorni, di una tosse forte, che mi tor-
menta r anima. Io sto, qui, ozioso, annoiato; eppure,
mi credo buono a qualche cosa.
Addio, caro Poerio, scrivetemi.
Vostro aff.® amico,
S. Savini.
N.U.
Signor Barone Alessandro Poerio,
Ufflziale dello Stato Maggioro
di S. E. il General Pepe,
Yenezia.
LXXVin. Alessandro Poerio alla Carolina Poerio-Sossisergio.
Carissima madre.
Continuo ad esser privo di vostre lettere ; ed , il
18 corrente, sarà compiuto per V appunto un mese,
dalla data dell' ultima, che ricevetti. Come vada que-
sta faccenda, non so, né posso immaginare. I mezzi ,
che avete, di scrivermi , son tanti e poi tanti , che
non mi cape in mente, come non vi serviate di al-
cuno di essi. Carlino vede spesso Florestano; e perchè
non accludere , nelle lettere di quello a Guglielmo
Pepe, le proprie lettere e le vostre? Né vi mancano
amici in Livorno, né in Roma, né in Bologna; ed,
insomma, é inconcepibile, che, mentre tutti gli altri
Napoletani ricevono lettere dalle loro famiglie , io
solo debba esserne privo affatto. Di Carlino, raccolgo
da' fogli la presenza nella Camera: cosicché debbo
supporre, che stia bene, come anche Emilio. Ma di
10
— 146 —
voi non ho il menomo barlume di notizia. È impos-
sibile lo scacciare pensieri molesti; mi va per mente,
che siate ammalata; e che, non volendo, che io lo sap-
pia , vi attenghiate ad un perfetto silenzio , voi e
Carlo. Per carità, traetemi, presto, d'aiTanno, scriven-
domi, facendomi scrivere , rispondendo alle tante e
tante, che vi ho dirètte. Io , tra questa privazione
di lettere, ed il dolore pel cattivo andamento delle
cose pubbliche costà, me ne vivo in grande angoscia.
Oltre i tanti modi, che avete, di farmi accluder let-
tere da amici , di farle impostare in Roma o Li-
vorno 0 Civitavecchia, vi sarebbe l'espediente, di
scrivermi sotto altro nome. Tentate anche questo.
Dirigetemi le lettere cosi: Al signor Fì^ancesco Bel-
Unga, in Venezia, Volete un altro modo? Acclu-
detele al signor Giuseppe Mondolfo, negoziante e
banchiere, in cui casa io sono alloggiato. Che posso
dirvi altro, che questo, che desidero, con ansietà som-
ma, le vostre nuove ?
Venezia, 15 luglio 1848.
V.o aflf.o figlio,
Alessandro Poerio.
Alla Nobil Donna,
La signora Baronessa Carolina Poerio,
strada del Salvatore al Corpo di Napoli, n.o 5, 8.° piano.
Napoli.
— 147 —
LXXIX. La Carolina Poerio-Sossisergio e Carlo Poerio
ad Alessandro Poerio
Napoli, 18 Luglio 1848.
Mio carissimo figlio,
Ieri sera, ebbi una vera consolazione, nel sentire,
dal Commissario di Guerra Pirella o Pirelli (in fine,
persona, che manca da soli otto giorni da Venezia),
che ti aveva veduto e che stai bene (342). Anzi ,
mi soggiunse, che egli ti aveva dato l'alloggio, dove
sei; e che, dopo qualche giorno, eri andato a ringra-
ziarlo , perchè , nel tuo albergatore , avevi trovato
un amico di tuo fratello. Io , dopo la tua del 27 ,
non ho ricevuto altra tua; solo, ho saputo, dal fra-
tello di Ulloa (343), che aveva scritto il giorno 4;
e che stavate tutti bene. Io, caro figlio, nel leggere
le feste date a Venezia , ti ho veduto in chiesa , ti
ho veduto in Piazza, ti ho veduto nel cafi'è: infine,
nella mia fantasia, è dipinta tutta Venezia; e ti veg-
go da per tutto (344). Ti scrissi una lunga lettera,
con un bigliettino per il Generale , onde ti avesse
passati ducati sessanta. Ti dissi, pure, le circostanze
di Calabria. Noi stiamo, ora, allo scuro di tutto quello,
che accade li, meno che la cattura di cinque o sei
cento, tra signori e militi siciliani, fatti prigioni, nelle
acque di Corfù, per cui ci è stata una nota del Mi-
nistero Inglese, come violazione di territorio. Speriamo,
che saranno salvati e rilasciati. Intanto, l'offerta della
Sicilia al secondo figlio di Carlo Alberto complica,
sempre più, gli affari. I Calabresi sono sempre gli
stessi: molte ciarle e pochi fatti. In mezzo a tutto
— 148 —
ciò, miracolosamente, io e Carlo ed il resto de' con-
giunti stiamo bene. Io sono tanto ingrassata , che,
quasi, mi dà fastidio, Qualche volta, dico a me me-
desima: — « Sarà fortunaì sarà disgrazia questa mia
« buona salute? debbo vedere tristi o buone cose? » —
Pare la guerra generale inevitabile; speriamo, la lotta
tra Popoli e Sovrani sia, alla fine, decisa favorevole,
a chi meritasi la protezione divina, perchè orrori si
commettono da ambo i lati. Io ti scrivo, per mezzo
dell' ambasciata francese : tu potrai scrivere, per lo
stesso mezzo, o addirittura, o pure in Roma al Dot-
tor Vincenzo Lanza; il suo figlio ora ha la bontà
d' incaricarsi di questa mia (345). Verrà in Venezia
il Generale del Giudice, a riprendersi la batteria na-
poletana; dicono, che sarà accompagnato dal Cutro-
fiano. Figlio caro, ogni uomo onesto ha bisogno, di
scendere nel suo cuore, e, sotto 1' usbergo di sen-
tirsi puro, sostenere i mali, che soffre V umanità dai
tradimenti, dai cambiamenti di opinione e dalla man-
canza di fede. Non finirei mai su questo proposito.
Carlo è andato dal Generale Ruberti; e, poi, scen-
derà al parlamento; mi ha detto, che veniva, per farti
un rigo. Tua sorella e tutta la sua famiglia ti ab-
bracciano: i bambini hanno una governante francese
da tre mesi, e già parlano tutti bastantemente bene,
tra gli altri Vittorio. Addio, caro figlio. I nostri do-
mestici ti baciano la mano. Donna Giovanna e Don-
n' Antonia pregano sempre tutti i santi. Di Enrico
nulla so, dopo la lettera del dì 2. Addio; ti abbraccio
e benedico.
Aff.aia madre,
Carolina,
— 149 —
P. S. Ho letto la lettera del caro Montanelli, in
favore dell' ufBziale Boemo, che ha assistito 1 pri-
gionieri; ed ho versato lagrime di tenerezza. Che de-
lizia, quando si trova una bell'anima, in mezzo al fan-
go del mondo (346).
Caro fratello,
Due soli righi, per dirti, che sto bene. Scendo dal
Vomero, dove sono andato da Ruberti, che caramente
ti saluta; ed, ora, vado alla Camera. Le mie previ-
sioni pe' malaugurati moti di Calabria, pur troppo, si
sono verificate. Leggerai, nei fogli, i particolari dei
tristissimi casi. Perchè dare a' nemici del nostro paese
facile occasione di trionfo? Dio perdoni agli autori
de' nostri malanni ! Saluto carissimamente Mondolfo;
gli dirai , eh' io serbo e serberò sempre gratissima
memoria del tempo, passato insieme così fraternamente.
La sua squisita cortesia mi è troppo nota; laonde,
non mi reca punto meraviglia , eh' egli ti colmi di
gentilezze. Lo abbraccio di tutto cuore. La commis-
sione sta lavorando all' indirizzo: esso «ara dignitoso
e fermo, ma prudente e temperato, nella forma; grave,
nella sostanza. Abbiamo notizie da Venezia, fino al-
l' 8 corrente; e sappiamo l'assalto di Brondolo, ener-
gicamente respinto. Ti abbraccio di cuore.
Tuo aff.ino fratello,
Carle.
Air Ornatissimo
Signor Barone Alessandro Poerìo,
in Venezia,
— 150 —
LXXX. Raffaele Poerìo ad Alessandro Poerio
Dal Campo di Pietola, 20 Luglio 1848.
Mio caro Alessandro,
La vigilia della mia partenza da Milano, ho avu-
to il piacere d'intrattenermi, ed a lungo, con Paolo
Correnti (347); speravo rivederlo in Cremona; ma, poi,
non ho avuto più notizie di lui. Dopo aver trasfe-
rito il mio Quartier Generale, da quest'ultima città,
in Bozzolo, la divisione Lombarda mosse, il 13 an-
dante , per investire , unitamente ad una divisione
piemontese, Mantova, sulla riva destra del Mincio.
Il 14, la prima Brigata Lombarda, ch'io. comando ,
si portò sul territorio di Pietola, occupando Laven-
se, la Maddalena, la Martinella e la Parma. La pre-
sa di possessione ci attirò un cannoneggiamento di
più ore; e che ci fu dannoso, più per l'effetto mora-
le , prodotto su giovani truppe , che per la perdita
sofferta. Metà della mia brigata è passata in secon-
da Hnea; e mi è stata rimpiazzata, da quattro bat-
taglioni piemontesi, fcon tre sezioni d'artiglieria, una
compagnia del Genio , una di Bersaglieri ed uno
squadrone di Lancieri. Il nemico costruisce molte
opere avanzate; e piazza delle batterie in avanti. Il
diciannove , dopo aver riconosciuto il terreno, ho
occupato con un battaglione la Virgiliana, dove mi
sto barricadando. Ma il nemico piazza molti mortai
nelle opere avanzate; e mi attendo, da un momento
all'altro, ad un infernale bombardamento, il mede-
simo, essendo incomodato del mio vicinato. Cosi, io
occupo l'estrema dritta, poggiandola sulla Virgilia-
- 151 —
na; e stringo il forte di Pietola, da dove può sol-
tanto eflfettuire delle sortite il nemico sulla riva de-
stra del Mincio. La Parma è il punto principale, su
cui potremo essere attaccati, ed è la chiave di que-
sto sistema: quindi, io mi sono stabilito, a 500 passi
dietro alla Martinella; e la mia sinistra occupa la
Maddalena, e si lega colla 2.* Divisione piemontese,
postata in Cevese , avendo una linea di posti sulla
strada postale, che mena a Mantova. Ieri, è venuto
il Re: ha visitato tutto ed è rimasto soddisfattissi-
mo; ma temo, che saremo costretti, a portare le no-
stre linee più indietro. Le truppe Piemontesi sono
eccellenti ed animate del migliore spirito; ma, all' ec-
cezione di pochi, i Generali sono dei cacadubbi, se«-
za idee pratiche del mestiere, privi d'energia, e non
osando nulla. Non v'è un solo Generale, capace d'un
piano di campagna. Tutti ne convengono; ma niuno
vorrebbe accettare, per Generale in Capo, un Gene-
rale straniero; e la guerra anderà per le lunghe. E,
se l'anarchia non si fosse, per fortuna, impadronita
dell' Impero Austriaco, cosa sarebbe avvenuto ? Ma
basta su ciò , che non ho, né tempo, nò carta, per
dirne di più. Ti spedisco una lettera, che de Mar-
tino, Console di Napoli in Marsiglia, m'ha ricapitato
per te. Ho avuto Enrico due giorni con me, in Cre-
mona. Mi dicono, sia partito per Firenze: a che fa-
re? La mia famiglia è in Genova; Guglielmo ha sem-
pre le febbri. Penso, farla avvicinare di Milano , o
di Cremona. Non ho ricevuto risposta alla lettera,
che ti scrissi da Milano; e neppure di Pepe. Ti pre-
gava, dirmi, dove era Ferrari. Spero, che la tua sa-
lute sia buona. Io sto benissimo. Ti ho raccoman-
dato, colla precedente mia, e ti raccomando di nuovo,
— 152 —
e vivamente, il volontario Giuseppe Vignati di Mi-
lano (348), giovane studente, che s'è arruolato nel
Battaglione della Guardia Nazionale mobile, coman-
data dal Maggiore Novara (349) , a cui bisogna rac-
comandarlo particolarmente dal Generale Pepe, che
salutò. Se ha bisogno di qualche danaro, daglielo; ed
avvisami, per rimborsartene. Addio.
Tuo afT.mo zio,
R. Poerio.
Spedito dal quartiere generale di Valenza
sotto Mantova, dal Signor Generale Poerio.
Al Signor
Il signor Alessandro Barone Poerio.
Venezia,
LXXXI. La Carolina Poerio -Sossisergio ad Enrico Poerio
Napoli, 21 Luglio 1848.
Mio carissimo Enrico,
Rispondo alle due tue lettere, del 22 scorso mese
e del 2 corrente. Ho mandate l'accluse, una a di Ce-
sare (350) e l'altra a tua zia. Sono stata tanto sor-
presa della domanda, che mi fai, nella tua ultima, cioè,
se ne'sessanta ducati, che ti mandai, ci erano inchiusi
quelli del Signor Arditi (351).. Io mandai 30 ducati
per te e 30 per Amen te [?]. Arditi non sapeva che esi-
stesse. Poi, è venuta la madre qui, ma danaro non me
ne ha dato; né io mi sarei incaricata, di fare la spedi-
zioniera di tutt' i crociati. Avranno fatto qualche im-
— 153 —
broglio, mentre D. Luigino (352) era ammalato. Mi
duole assai, che non ti sei incontrato con tuo zio: se
sei tanto scontento de'tuoi compagni, perchè non an-
dartene con Raffaele? Basta, questo è fatto, che ti ri-
guarda. Qui era corsa voce, che tu eri il Brigadiere
Poerio al servizio di Milano. Il crociato delle Mu-
ra (353) è già di ritorno; non ti parlo di tanti altri,
che son venuti per aver nuove de' loro, perchè forse
saranno già ritornati. Caro Eurico, sei nuovo in que-
sto genere di affari ! Tutta l'Europa è in trambusto !
la lotta sarà orrenda , universale e lunga : bisogna
aver coraggio, e fidare alla Provvidenza. Noi, certo,
non istiamo bene; ma le menzogne de'fogli esteri ci
fanno gran male. Le malaugurate cose di Calabria!...
con quelle teste direttrici, con la miseria universale,
un pugno d'oro, in poche ore, ha fatto quello, che i
giornali della insulsa opposizione , non si avrebber
mai creduto. Sono persuasa, che, in ciò, ci colpano
le teste (anzi direi meglio le lingue) riscaldate del
nostro infelice paese. Il Parlamento è tutto unito, ad
agire con prudenza. Le cose nostre dipendono dalle
altre. Le stragi di Parigi, di Praga, di Berlino fan-
no fremere Y umanità ; dunque, ripeto, che solo la
Provvidenza, con la sua assistenza, ci puole aiutare.
Dicono il nostro Don Gregorio Capo della Guardia
Nazionale* di Catanzaro. Dopo un mese, ho ricevuto
tre sue lettere attrassate : mi aveva promesso una
sommetta per te; ma non me ne parla più. Tornerò
a scrivere, perchè il sarto mi assedia di un assedio
più feroce di quello, che abbiamo avuto militarmen-
te. Tua zia sta molto afflitta; voleva risponderti su-
bito: ma, siccome avrebbe mandata una delle solite
lettere sue , grossa grossa , e dovendo io mandare
— 154 —
questa in Roma per mezzo particolare, non ho vo-
luto incaricarmene. La famiglia di d'Ayala è ritorna-
ta in Napoli. Io non l'ho ancora veduta; ma Carlo
ci è andato; io ci anderò, per far loro vedere, che
non sono donnicciuola, come sono esse. Carlotta ti
saluta: sta bene con la mezza dozzina di figli. La
famiglia di mia sorella anche sta bene : non sono
andati in campagna, perchè D. Michelangelo è pari.
Addio , caro Enrico , scrivimi spesso di tua salute.
L'altre cose, le so dai fogli.
Aff.raa Zia,
Carolina.
P. S. Carlo ti saluta: è molto occupato col Par-
lamento.
Al Nobil Giovane,
Signor Enrico Poerio,
Capitano di una Compagnia di truppa napoletana,
volontaria in Lombardia.
Brescia.
LXXXII. Carlo Poerio e la Carolina Poerio-Sossisergio
ad Alessandro Poerio
Napoli, 22 Luglio 1848.
Carissimo fratello.
Riceviamo, quasi contemporaneamente, le due tue
lettere del 1.^ e del 10 corrente. Sono desolato, di
saperti privo delle nostre lettere; ma ti prego, di cal-
marti, e di star di buon animo. Qui, tutto va rego-
larmente, per quanto lo consentono i tempi diflScilis-
— 155 —
simi, ne' quali viviamo. La Camera de'Deputati pro-
cede con dignità e con prudenza; e, doman l'altro, in-
comincerà a discutere il progetto dell'indirizzo, in ri-
sposta al discorso della Corona. La diflScoltà non è
di far cadere il Ministero; ma, sibbene, di comporne
un altro, mentre vi è una feroce reazione sanfedista,
nelle provinole, dove vi era stata mossa. Caro fra-
tello, bisogna veder le cose da vicino, per ben giu-
dicarle. Veggo bene, che tu ritieni, come vere, tutte
le sporche bugie della stampa, sedicente liberale; che
fa di tutto, per finire di rovinare questo misero Regno.
In Calabria (credimi pure) pochissimi han preso le
armi, poiché gli uomini del movimento non avevano,
nò meritavano di avere, influenza. La rapina ed i ri-
catti delle bande armate avevan finito di disgustare
la massa de' proprietari e degli onesti cittadini. Nel
Cilento, poi, gli sciagurati, che si sono mossi, formano
una setta antisociale e bestiale, che non si occupa di
altro, fuorché di mettere a sacco ed a ruba tutto il
paese. Né altrimenti ha proceduto la cosa in Calabria.
Dapprima, le masse, in nome del principio liberale,
invasero e si spartirono mezza Sila; ora, l'altra metà
è stata invasa e suddivisa, in nome dell' assolutismo.
Noi abbiamo perduto tutta la rendita di quest'anno.
A Barracco, sono stati ammazzati diecimila animali,
ed incendiati cinque casini, dopo averli saccheggiati.
L'esercito, poi> compie l'opera, con le sue sfrenatezze.
Reggio ha sofferto il sacco, per parte dei villici, aiu-
tati dalla truppa. Anche le guardie nazionali, in al-
cuni luoghi, si son date al saccheggio. In somma, il
Regno é in tale stato, che, per riordinarsi, ha bisogno
di tempo moltissimo. Assicurati, che, se sparisse que-
sta larva di costituzione, noi torneremmo allo stato
— 156 —
ferino, e daremmo il più miserando spettacolo all' Eu-
ropa civile (354). Ma questa larva, col tempo , può
divenire sostanza. Avrai saputo, dai fogli, la cattura
deìV esercito liberatore, inviatoci dalla Sicilia: cioè,
645 individui. I capi, in numero di trenta, sono stati
condotti in Napoli. Fra questi vi è Ribotti Generale,
il Longo (355) ; il delli Franci (356) ; il Principe
Grammonte (357) ; il Marchese Fardella (358) ; il
Cav. Landi (359); il Cav. Burgio (360); il Principe
del Plico (361) ed altri Colonnelli (362). I rimanen-
ti 615 sono stati condotti a Nisita, ad Ischia, ed a
Gaeta. Ieri notte , fu tenuto il Consiglio di Guerra
subitaneo, pei quattro Napoletani, accusati di diserzio-
ne al nemico, cioè: Longo, delli Franci, Coccione (363),
ed Angherà (364). Il consiglio si è tenuto in Sant'Elmo.
Il castello era pieno di drappelli di tutti i corpi; ed i
Bianchi eran pronti (365). Io mi presentai al consiglio,
come difensore spontaneo del mio amicissimo Longo;
il Marini-Serra (366) fu destinato dalla famiglia di-
fensore di delli Franci; e Tarantino ebbe 1' incarico
di difendere Coccione, che ha per moglie una suddita
Inglese (367). Angherà, antico basso-ufflziale conge-
dato, fu difeso da Egidio (368). Dopo gì' interroga-
tori, che durarono dieci ore , fummo chiamati , alle
cinque, per leggere, in due ore, i processi e presen-
tar le difese : ma questo tempo fu prolungato , per
ordine del Maggiore Nunziante (369). Ci fu anche
concesso, finalmente, di parlare co' clienti. Tutti man-
tennero il più dignitoso contegno. Alle dieci, comin-
ciò il dibattimento , dopo che il Consiglio rigettò la
nostra domanda d'incompetenza, pe' primi tre, giacché
rimandò Angherà al potere ordinario, avendo avuto il
congedo in Dicembre 1847 (370). Il pubblico Mini-
— 157 —
stero chiese la morte per tutti e tre; e, dopo, ci fu
concessa la parola. Credo, che mai vi sia stata una
difesa più difficile di quella di Longo e di deUi Franci;
ma Iddio e' inspirò, e, senza compromettere il loro de-
coro, presentammo una difesa piena e legale (371).
Tarantino aveva assai miglior causa, poiché Coccio-
ne era stato fatto prigioniero alla Mongiana; ciò fu
confermato in dibattimento da Ribotti e da Fardella,
ascoltati come testimoni; né appariva, da alcun pro-
clama 0 ordine del giorno, che egli avesse accettato un
grado, 0 preso servizio. Alle 3 dopo la mezzanotte,
il Consiglio si chiuse; ed, all'alba, fu pronunziata la
sentenza: Coccione posto in libertà; Angherà inviato
alla G. C. Criminale ; Longo e delli Franci a mor-
te (372). Ma, siccome spuntava l'alba del Venerdì,
(giorno , in cui nor^ si eseguono le sentenze capita-
li) furono rimandati i Bianchi e la truppa, che, mor-
morando, discese. Sceso da S. Elmo , affranto dalla
fatica e dal dolore, corsi a casa, per formulare una
supplica in grazia, e chiedere un'udienza al Re (373).
Contemporaneamente, diedi notizia dell' avvenuto al
Presidente del Parlamento. Mentre Marini-Serra ed
io attendevamo 1' udienza, fu spedita a' Ministri una
commissione di Deputati ( cioè Savarese , Imbriani ,
Bellelli e Massari ) per implorare la grazia (374).
Tutti dissero, che la desideravano e la speravano,
ma che dipendeva dal Re. Bozzelli fu più esplicito, e
disse: che, se si voleva versar sangue su'patiboli, il
Ministero si sarebbe ritirato (375). Alle tre p. m.,
fummo ammessi alla presenza del Re, Marini-Serra,
io , il padre di delli Franci ed il fratello di Longo.
Il Re ci lodò e ringraziò della energica e dignitosa
difesa; disse, che, come uomo, aveva già perdonato,
— 158 —
ma, come Re e custode della disciplina, aveva altri
obblighi ad adempiere (376). Alle mie insistenze, per-
chè permettesse, che i condannati vedessero le fami-
glie, rispose: — « Poerio, voi siete maestro; e sapete,
« che, in questi solenni momenti, non bisogna essere
« distratti da affetti mondani, e conviene pensar solo
€ alla salute dell'anima. Mi duole di non poter con-
« sentire. » — Tentai di nuovo, ma fu invano. Il Re,
dopo, abbracciò delli Franci e Longo, che si strugge-
vano in lagrime; ed era visibilmente commosso e com-
battuto. Marini-Serra ed io ci ritirammo alquanto in-
dietro; ma, dopo pochi istanti, fummo tutti congedati.
Io scesi da palazzo, con lo sconforto nel cuore; tanto
più, che seppi, esser decisamente contrario alla grazia
Filangieri (il figlio di Gaetano!), che ora esercita tanta
influenza (377). Ieri sera, poi, ci fu una riunione di
Generali da Selvaggio (378); ed, all'unanimità, deci-
sero: che non era caso di grazia, e che l'esercito chie-
deva la punizione de' traditori, che volevano disono-
rare la nobile divisa militare. Questa mane, però, non
vi è alcun preparativo di esecuzione; ma ciò deve at-
tribuirsi alla ricorrenza della gala, per la nascita di
non so qual Principe (379). Come vedi, tutto è tinto di
nero; ma, con tutto ciò, io he ferma speranza, che quei
carissimi giovani otterranno la grazia. Da questo fat-
to, che ho voluto narrarti a distesa, potrai argomen-
tare il vero stato delle cose, e la precisa situazione del
paese. Cessino, per Dio! i fogli, che io credo in parte
prezzolati dall'Austria, di attizzare continuamente il
fuoco (380). Pensino, che ogni loro parola costa umano
sangue, purissimo e generoso; e che le loro parole, se
producono incendio , lo producono in un senso con-
trario, ed espongono il paese a tale spaventevole rui-
— 159 —
na, che la mente ne rimane spaurita al solo pensarvi.
Verranno, poi, i gazzettieri liberatori, ad assistere ai
funerali di un popolo; e qualche poetastro canterà il
martirio di tutta una generazione. Bisogna persua-
dersi, che, qui, la causa liberale non ha, per sé, né l'e-
sercito, né le masse; colpa, non degli uomini, ma di
tanti secoli di brutale e stupido servaggio. Quindi, ci
vuol tempo , pazienza e perseveranza, per ritornare
questo popolo al senso della umana dignità. In punto,
viene Brocchetti (381), in tutta fretta, per darmi la
lietissima notizia della grazia. Corro a Sant' Elmo ,
per recarla al mio amico. Ti abbraccio di tutta fret-
ta; e sono, per la vita,
tuo aff.mo fratello,
Carlo Poerio.
Carissimo figlio.
Ieri un Tenente, per nome Musti (382), mi ha re-
cato la tua del 1.° Luglio; e, dopo poche ore, Flore-
stano mi ha mandato la tua del 10. Non capisco ,
veramente, come sono disgraziata nella nostra cor-
rispondenza. Ti scrissi col vapore francese; e crede-
vo, che, il di 7 0 8, avresti avuto la lettera. Ti ho
scritto per altri mezzi. Insomma , nel corso di 22
giorni, ti avrò scritto sei lettere. Non potetti trova-
re cambiale per Venezia; scrissi al Generale, di pas-
sarti 60 ducati; ho mandato a dire al fratello, che
ho questa somma alla sua disposizione. Noi siamo
stati in grande afflizione, per questi infelici, che so-
no già salvi; Io ti farò un'altra lettera e la man-
derò a Pepe, per accluderla nella sua; ma spero, che,
a quest'ora, avrai ricevuta qualcuna delle mìe tan-
te lettere. Ti ripeto, che, tanto io, che tuo fratello e
vV'-
_ . 1
— 160 —
tutte le famiglie parenti, stiamo bene. Lo stato del-
le Calabrie è orrendo; e il comunismo , le vendette
sono al loro colmo. Abbiamo avuto un foglio di Ve-
nezia: la sopraccarta della fascia pare tuo carattere
ed è gratis. Ci erano gli attacchi ed un proclama
del Generale. Ti prego, di fare spesso simili spedizio-
ni; e scrivimi di tua salute, anche con la posta; di
sola salute, però, aflSnchè non sia trattenuta la lettera.
Enrico mi scrive da Milano: aspetta risposta di As-
santi, per venire in Venezia; tuo Zio è in Cremona.
Credo, che ti sei ricordata la mia profezia circa la
repubblica francese. Ma credevo una ragazzata , non
il comunismo. Ti benedico.
Carolina.
Al Signor
Barone Alessandro Poerio.
Presso il Tenente Generale Quglielmo Pepe, in
Yenezia
LXXXm. La Luisa Parrilli-Sossisergio ad Alessandro Poerio.
Mio carissimo Alessandro,
Le tue lettere e le nuove, che abbiamo avuto da
varie persone, hanno al sommo consolato tutti noi,
per sentirti ben rimesso in salute, ch'era ciò, che si
desiderava ardentemente. Noi siamo anche bene; e
mio cognato e mio figlio ti dicono tante cose. I
miei piccoli nipotini vorrebbero venirti a vedere, per-
chè dicono, che, da tanto tempo, non ti veggono: e
questa è cosa facile, come vedi. Ti prego far gradi-
— 161 -
re i miei complimenti all'ottimo Grenerale Pepe; ed,
abbracciandoti con trasporto, sono la tua
Napoli, 23 Luglio 1848.
aff.naa zia,
Luisa.
LXXnV. Alessandro Poerìo alla Carolina Poerìo-Sossisergio
ed a Carlo Poerìo
Venezia, a' 23 Luglio 1848.
Carissima madre,
Ho, finalmente, avuto il piacere, di ricevere una
vostra lettera: ed è quella del di 11, continuata da
Carlino il 12, impostata in Roma il 17. Quantun-
que un poco attrassata, mi è riuscita di gran con-
forto, dandomi notizie della vostra buona salute. Per
disperazione, io mi era ridotto, a pregarvi, di scri-
vermi sotto altro nome: Francesco Belltnga, E fa-
telo pure; e, insomma, cercate tutt'i mezzi , perchè io
abbia lettere vostre. Ci è la via di Livorno. Ci è
quella di Genova, di cui si serve il General Flore-
stano; potrebbe egli, accluder le vostre lettere, nel-
le sue al fratello. — Guglielmo, al quale ho dato il
foglioUno vostro e di Carlo , sta bastantemente bene
in salute; e vi riverisce distintamente. In quanto al-
la mia situazione difficile , anzi falsa presso di lui ,
se io volessi specificare i particolari, sarei infinito;
ma la sostanza è questa. Io non son altro, che un
semplice individuo della guardia nazionale di Napoli
(buona memoria!) addetto al suo Stato Maggiore.
11
— 10;^ —
Ma non ho grado alcuno, né soldo, né attribuzioni
speciali. Il Generale mi usa, certamente, molti ri-
guardi; io gli do qualche consiglio, ch'egli non sem-
pre segue; e, frattanto, mi si ascrive, da tutti, in-
fluenza, molto maggiore di quella, che io ho. Ne'dif-
ficili frangenti, ne' quali ci siamo trovati e che po-
trebbero rinnovarsi, io ho sempre detto il vero, se-
condo l'animo mio; né mai spoglierò la mia natura
schietta e sincera. È sperabile , che io possa rima-
nere con lui, salva la mia dignità ; che , a questa ,
io debbo, certamente , provvedere. Della sua amici-
zia non ho, che a lodarmi ; ma , a chi sente , non
ignobilmente , di sé stesso , ciò non può bastare; fa
d'uopo, che vi sia congiunto il decoro. Lungi di a-
busare menomamente della sua bontà per me, io mi
tengo in disparte, il più, che posso; né ho consenti-
to, ch'egli mi nominasse (come volea fare) nell'ordine
del giorno della fazione di Cavanelle, poiché nessu-
na occasione io aveva avuta, di distinguermi. Io ,
come gli altri dello Stato Maggiore, pranzo dal Ge-
nerale; ed ho l'alloggio mihtare. Per dippiù, accetto
da lui , quando si esca in campagna , T uso di uno
de' suoi cavalli, doveché tutti gli altri (senza ecce-
zionfi) hanno il cavallo proprio. Basta così ; al ri-
manente delle spese , che non son poche (massime
per la continua necessità, or di uno, or di un altro
oggetto di vestiario militare) debbo provvedere del
mio. Del resto, io non getto il danaro; l'ho econo-
mizzato in modo, che quello, che ho, mi basterà tut-
to il mese. Non prenderò i sessanta Ducati , di cui
ringrazio voi e Carlo, che a' principii dell'entrante
mese; e di un' altra rimessa di danaro non avrò bi-
sogno, che in settembre.
— 163 —
Lo stato del nostro paese mi tiene inquieto. Fin
dal principio, io aveva compreso tutta la contraddi-
zione , che v' era, da noi, tra il guasto prodotto da
una lunga servitù, ed i tempi rapidi e grossi ed a-
nelanti a libertà piena. Chi crede , peraltro, che si
possa tornare indietro, s* inganna a partito. Questo
è moto europeo. E deplorabile , che si commettano
eccessi contro le proprietà private, triste conseguen-
ze di un sistema di governo, arbitrario e fiacco ad
un tempo. I mali , che Tiniquo Bozzelli ha fatti al
suo paese , saranno scritti dalla storia in caratteri
d'infamia. Io non veggo, come egli e la Camera dei
Deputati possano staile insieme. In tutta Italia, il suo
nome desta un abbominio, maggiore di quejlo di Dei-
carretto.
Godo, che Carlotta, Luisa ed Antonia stieno be-
ne, e così pure i bambini in casa Imbriani e Par-
rilli. Questo clima non mi è avverso; e sto benino.
Abbiate gelosa cura della vostra salute. Scrivete ,
spesso e per molte vie , affinchè alcuna delle molte
lettere mi giunga. Vi bacio riverentemente la mano;
e, chiedendovi la materna benedizione, con filiale te-
nerezza, mi ripeto
v.« affo,
Alessandro.
P. S. Ieri, ebbi anche lettere dall'ottima contessa
Gozzadini.
Caro fratello,
Le notizie , che mi dai del nostro paese , mi ad-
dolorano. Quantunque alcuni , fra i^ capi del Co-
mitato cosentino, fossero uomini più avventati, che
— 164 —
abili , avrei desiderato la prospera riuscita di que'
moti, per una buona lezione alla tirannia. Veggo ^
che la Camera è piena di generose intenzioni ; so ,
che procederà con vigore, con risolutezza, con co-
raggio civile, tanto più raro del militare, tanto più
alto e più degno; ma che ne uscirà? Fa orrore, che
un Bozzelli osi, presentarsi alla Camera, osi, difen-
dere il nefando sistema, che lo ha renduto più ab-
bominevol nome , che non è quello di Delcarretto ;
non so , se Troya sia uscito dai termini parlamen-
tari; a me pare, che Francesco-Paolo l'apostata, ab-
bia trapassato tutt'i termini costituzionali da un pez-
zo. Che vuoi, che io pensi, quando leggo: che Sil-
vio Spaventa è insultato da uflSziali in un caffè ;
che a nome deWesercito si dichiara non volersi li-
bertà della stampa; che i militari entrano nelle stam-
perie e spezzano i torchi (383)? Sta bene, che sieno
nominate le tre Commissioni, che tu dici ; ma tro-
verete appoggio, nella Camera de'Pari ? A me sem-
bra , che abbiate da fare , con chi , assolutamente ,
la libertà, non la vuole. Parli il Bozzelli, con quanta
industria può usare il più artifizioso sofista ; come
potrà giustificare tante infamie? e, segnatamente, il
proditorio abbandono della causa Italiana? Ma, già,
la sua iniqua e stolta politica sta dando i frutti, che
se ne potevano aspettare. I tempi ingrossano; gli av-
venimenti incalzano. Tu mi scrivevi a' 12. Ora, sa-
prai, che ogni pratica di pace è rotta; che gli Au-
striaci han violato il territorio del Pontefice; che co-
stui, se vuole evitare una rivoluzione compiuta, dee
far la guerra con vigore; che il Duca di Genova è
proclamato Re di Sicilia; che il nuovo Regno è rico-
nosciuto solennemente dalla Inghilterra e dalla Fran-
— 165 —
eia (384). Tu dici, che, con tempo, prudenza, arte e
fatica, si camminerà per le vie legali. Ed io ti ripeto:
che avete che fare, con chi non conosce altra legge,
che l'arbitrio; e che, nel risorgimento d' Italia, vi è
solidarietà tra le diverse parti della penisola, si vo-
glia 0 non si voglia. Saluto , caramente, Emilio e
Peppino.
Ieri, è giunto un altro battaglione piemontese. Se
ne aspetta anco un altro; allora, saranno 2400 uo-
mini. Carlo Alberto, par, che voglia uscire dalla sua
inerzia; stringe Mantova, sotto cui dev'essere anche
zio Raffaele ; si fa più vicino a Verona ; minaccia
Legnago. A Governolo, giorni fa, gli Austriaci fu-
rono battuti; e lasciarono 400 prigionieri, in mano
a'nostri. È tempo di muoversi, poiché il nemico riceve
sempre nuovi rinforzi.
Caramente, ti abbraccia
il tuo aff.mo fratello,
Alessandro.
A. S. E.
La Signora Baronessa Carolina Poerio
Strada del Salvatore, n.^ 52.° piano nobile
Napoli
LXXXV. La Carolina Poerio-Sossisergio e Carlo Poerio
ad Alessandro Poerio
Napoli, 23 Luglio 1848.
Mio caro figlio.
Ieri, tuo fratello ti scrisse una lunga lettera; nella
quale ti dava, specialmente, ragguaglio del processo,
fatto ai militari, catturati mentre fuggivano da Ca-
— 166 —
labria, uniti a cinque o seicento siciliani, tra i quali
ci sono gl'infimi del popolo e le cime dell'aristocra-
zia. Sicché^ la plebe è a Nisita o Ischia; e i nobili, a
Sant* Elmo. Si fece una corte militare, per giudica-
re i militari, che erano quattro. Tao fratello si offri
difensore volontario di Longo, suo amico; Marini-
Serra difese Delli Franci (fratello di quelPuffiziale di
Stato Maggiore, che hai conosciuto in Bologna); Ta-
rantini, Coccione; e de Marco, il sergente Arcarà o
un nome presso a poco come questo. Il risultato, per
i due primi, morte; pel terzo, non costa; pel quarto,
delitto comune, rimesso alla Corte Criminale. La sen-
tenza non si esegui, perchè giorno di Venerdi , es-
sendo finita la causa all'alba. Il fratello del signor
Longo, il padre del Delli Franci, gli avvocati cor-
sero a Palazzo. Il Re fece molte carezze; ma disse,
che doveva dare un esempio. Avendo tuo fratello
insistito, aflSnchè avessero veduto gl'infelici (come es-
si desideravano) i parenti, il Re disse: — « che non
« bisognava turbare gli ultimi momenti, con mondani
« pensieri. » — Io, da questo rifiuto, incominciai a
sperare; perchè mi parve essere una inumanità troppo
grande, se non avesse avuto il pensiere di salvarli; e
questa inumanità inutile, con persone, che aveva al-
l'attuale suo servizio, mi parve impossibile. Intanto,
passato il Venerdi senza nessun risultato, anzi con
voci contradittorie, venne l'alba d' ieri, nascita d'u-
na figlia del Conte dell'Aquila: ed era anche inibita
la fucilazione. Ma, con l'alba, si sparsero, per Napoli,
le assicurazioni della grazia. Bozzelli 1' aveva assi-
curata, alla deputazione di deputati, composta da E-
milio, Scialoja e Pisanelli; il confessore, zio di De
Simone (385), l'aveva assicurata, ad un nostro amico.
— 167 —
Finalmente, tuo fratello, ieri, ti scrisse, che Brocchetti
era venuto per dirgliela. Ma Carlo, sempre diffidente
delle voci, andò sopra Sant'Elmo; ed il Comandante,
oltre di avergli mostrato l'ordine, lo fece parlare con
Longo medesimo. Ora, poi, è venuto D. Carlo Lon-
go, per prendere tuo fratello ed andare a ringra-
ziare il Re. Ma D. Carlo già l'aveva veduto; ed il Re
gli aveva detto: Uho fatto a- vostro riguardo. Ora,
Alessandro mio, con voi, ci è l'altro fratello Longo:
ti prego, fargli sapere tutto l'accaduto; e quanto io
mi reputo fortunata, che mio figlio abbia potuto fa-
re qualche cosa, per suo fratello; quando non fosse
altro, che dargli la consolazione, che volontariamen-
te andava a difenderlo. E quell'ora di conversazione,
avuta con lui, dovette essere un balsamo alle sue
ferite. Gli dirai, pure, che D. Carlo, questa mattina,
era tanto contento , che aveva cambiato fisonomia.
Ti replico, che questa è stata una grande gioia, per
tutt'i buoni.
Caro figlio, a quest'ora, avrai dovuto ricevere mol-
te mie lettere; e spero, che il Generale ti avrà pas-
sato i ducati 60. Ieri, fui da tua sorella, la quale sta
bene. L'ultimo bambino è veramente bellino ; se va
di questo passo, il duodecimo sarà un Adone. Tua
zia Antonia ha fatte gran preghiere, per questi in-
felici; ed è contentissima del risultato. Zia Luisa ti
scriverà un rigo. Ad essa, non ho detto, che ti sei
esposto su la batteria. Non ti dico, il mio cuore co-
me palpita . . , . Ieri, ricevemmo l'altro foglio di Ve-
nezia, del 14, con tutti gli ordini del giorno. Abbia-
mo saputo, anche, l'occupazione di Ferrara e la par-
tenza precipitosa dei Tedeschi. Si erano sparse, an-
che, nuove di una battaglia, a Legnago; ma pare.
— 168 —
•ieno ciarle. Non ho ricevuto l'altra tua, per mezzo
del corriere Longo , che , mi passa per mente , sia
quello stesso, che portò la grazia di Antonelli (386); ne
farò fare ricerche, all'uffizio della posta. Ho ricevu-
ta lettera di Enrico, da Genova; partiva per Livor-
no e Firenze. Vuole la sua roba; e pare, che voglia
cercare a fare un altro battaglione volontari tosca-
ni; ma credo, che verrà in Venezia.
P. S. Carlo mi ha tolto tutto il luogo. Addio ,
caro figlio. Saluto il generale; e sono
aff.ma madre
Carolina.
Caro fratello,
Ieri , ti scrissi a lungo, narrandoti le crudeli an-
gustie, in cui mi sono trovato, per salvare la vita di
Giacomo Longo. Ora, ti dico, che torno da Palazzo,
dove sono stato, a ringraziare Sua Maestà col fra-
tello del mio amico. Ti prego, di dirlo all'altro fra-
tello Roberto, che è costà colla batteria. I Generali
tutti erano contrari alla Grazia; ma il Re, loro mal-
grado, ha voluto farla. Qui, nulla di nuovo. Dopo
domani, incominceremo a discutere l'indirizzo. Vuoi
ridere delle umane miserie? Giacomo Savarese ha
preferito di esser Pari, come anche il Barone di Po-
lizzi, Giuseppe de Biasio (387). Per contrarlo, Lavel-
lo e Sangiacomo (388) han preferito di esser deputati.
Abbiamo saputo la fuga precipitosa degli Austriaci da
— 169 —
Ferrara. Spero, che Pio si scuota. Ti abbraccio di
cuore; e sono, per la vita,
tuo aff.mo fratello,
Carlo.
Al Signor
Barone Alessandro Poerio
Presso il Generale D. Guglielmo Pepe
Venezia.
LXXXVI. Savino Savini ad Alessandro Poerio
Bologna, 24 Luglio 1848.
Caro amico,
V'avrete già una mia, raccomandata al fratello,
insieme ad alcuni libretti. Con questa, voglio avvi-
sarvi, che, nel Tempo, giornale di Napoli (18 Luglio),
si legge una lettera di un ufficiale napoletano di
artiglieria, data di Venezia, 28 Giugno, in cui tante
cose contro Pepe e tutti i buoni. Non è di Pedri-
nelli (389). Date nota di ciò ad UUoa. Io credo, che
fareste molto bene, a imbarcare tutta quella carne
guasta e spedirla a Napoli, tenendo le armi. Addio,
caro Alessandro. Vi consiglio, a non leggere, mai,
le sedute delle Camere di Napoli. — Fratellanza.
Tutto vostro,
S. Savini.
-♦Jf Crociato.
N. U.
Signor Barone Alessandro Poerio,
Ntllo Stato Maggiore di S. E. il General Pepe,
Venezia.
— 170 —
LXXXVn. Carlo Gazola ad Alessandro Poerio
Di Bologna, 25 Luglio 1848.
Carissimo Poerio,
Ho spedito, pel solito mezzo, la vostra a Napoli ;
e, spero, sarà stata, a quest'ora, già ricevuta. Saprete,
che Re Sacripante ha doma, coli'armi, la rivoluzione
in Calabria; e minaccia, dai confini d' Abruzzo , gli
Stati Romani. Qui, intanto, si dorme; e il Ministero
Mamiani sta per cedere il potere , a un Ministero ,
che i buoni hanno tutta ragione di temere, sia o es-
ser possa, conforme al Ministero Bozzelli di Napoli. Si
parla di Orioli (390) e Farini ( 391 ). I retrogradi
sono giunti a impedire gli arrolamenti militari, spac-
ciando carte e stampe, dove si dice e s^insinua: che
il Papa non vuol la guerra; e che i liberali grida-
no guerra, contro l'espresso volere del S. Padre.
Dei tre mesi della capitolazione, sono passati già
45 giorni; e, dopo altrettanti, si riaprirà la campa-
gna pei nostri. Or bene, quanti credete, che potran-
no 0 vorranno marciare? I corpi civici e volonta-
rii sono in gran parte sciolti; quelli di linea (eccet-
tuati gli Svizzeri, i Carabinieri e l'artiglieria) sono
vili 0 poco e male istruiti, né conoscono disciplina.
Reclute non si fanno , benché decretate dal Mini-
stero, perché non si presentano persone. Dunque, im-
maginate, come saranno pochi i nostri. E fosser pur
molti! Potrebbero, oggi, ripassare il Po, e ritornare
al campo? Eccovi un problema insolubile. Gli Au-
striaci, intanto, sono al di qua del Po; ed hanno co-
stretto Ferrara, a incaricarsi del mantenimento quo-
— 171 —
tidiano della guarnigione austriaca, residente nella for-
tezza. Il Papa ha protestato; ha conceduto al Ministero,
di usare ogni mezzo di difesa, ma non di portar guerra
oltre ai confini. Le Camere gridano guerra, il Ministero
guerra ; ma, ove non sia voluta dal Papa, difficil-
mente il popolo si condurrà a volerla fare. L'anti-
co entusiasmo è dileguato ; le sofferenze , cagionate
da questo stato penoso di guerra, crescono; gli Au-
striaci insolentiscono. Io tengo, che, senza aiuti fran-
cesi, è impossibile di redimerci; ed, oggi, le cose sono
ridotte a tale, che, pel meglio dell' Italia e per assi-
curarne la indipendenza, conviene implorare soccor-
si stranieri. Se Napoli, se Roma fossero state unite
al Piemonte, forse, potevamo fare da noi; oggi, non è
più possibile, né giova illudersi. L'America, la Gre-
cia, il Belgio acquistarono indipendenza cosi; e, cosi
l'acquisteremo noi pure. E indarno, ricorrere alle ra-
gioni arcadiche di coloro, che chiamano indegno di
libertà quel popolo, che non sa conquistarla da sé.
Sono bei discorsi, ma privi di senso. Oggi, la nostra
salute non può venire da Carlo Alberto solo; con-
vien derivarla pur dall' armi di Francia. A Roma,
sono acquistati i cavalli per un nuovo reggimento
di Cavalleria dragoni, ma si stenta a trovare i sol-
dati; tutto per le gesuitiche arti dei retrogradi. Vi
prego, di ossequiarmi, ben caramente, il General Pepe,
Assanti e UUoa; e sarò gratissimo, se vorrete salu-
tarmi il bravo Pichat (392), che é il Maggiore del 2.*
Battaglione Bignami di Bologna. Egli era l'esten-
sore, qui, del giornale liberissimo Vitaliano, che facea
si caldamente la causa della indipendenza e della li-
bertà. Vedete, di conoscere il bravo Pichat, per mez-
zo del nostro Commissario Aglebert (393), che vi pre-
— 172 —
gherò, pure, di volermi salutare. Se valgo, in cosa
di vostro genio, vi rammenti, che sono, sempre,
tutto vostro di cuore
C. Gazala,
P. S. La Gozzadini, spesso, mi chiede vostre nuo-
ve; e, più di una volta, mi ha imposto di riverirvi,
se mai vi scrivessi. Ella sta bene; ed ha conosciuto
d* Azeglio, per mezzo mio. La ho io introdotta da
questo illustre Italiano, che trovasi qui, obbligato a
letto dalla ferita, riportata a Vicenza, dove una pal-
la gli scheggiò lo stinco- di una gamba (394).
Al N. U.
n signor Barone Alessandro Poerìo
Ufficiale presso S. E. il General Pepe
Yenezia,
LXXXVni. Guglielmo Pepe ed Alessandro Poerìo alla Carolina Poerìo
Sossisergio ed a Carlo Poerìo con postilla di Damiano Assanti
Venezia, il 26 luglio 48.
Rispettabile e cara signora,
Alessandro sta bene ; ammira le rarità di questa
capitale classica; è amato da tutti; e fu battezzato al
fuoco, dirimpetto ad un luogo forte del nemico sul-
l'Adige. Egli, che ha tempo di esser lungo, vi dirà,
almeno in parte, ciò , che concerne questo esercito,
composto di Napolitani, Romani, Lombardi e Piemon-
tesi. Io mi limito a pregarvi , che gradiate i miei
rispettosi saluti.
Guglielmo Pepe,
— 173 —
Mio caro Carlino ,
Le condizioni del Regno sono tali, da affliggere an-
che gli animi, poco suscettivi d'amor patrio. L'ab-
bietta corruzione, che avvilisce gli uomini, altra volta
stimati nella capitale^ addolorare debbe ogni napoli*
tano. Se Talta Italia sarà libera ed indipendente, è
impossibile, che le nostre provincie restino umiliate,
come si vedono in questo momento ; ed io sono
quasi che sicuro, di vedere scacciati gli austriaci ol-
tre le Alpi. Questa idea mi consola, in mezzo alle non
poche difficoltà , che mi circondano , e che non i-
stenteresti a conoscere , ove leggessi la mia corri-
spondenza co' governi di Roma e di Lombardia , e
col Re Sardo.
Leggerò sempre, con sommo piacere, le tue lette-
re; ed, intanto, ti saluto caramente.
Guglielmo Pepe.
Eccovi , carissima madre , carissimo fratello , due
righe di risposta del Generale; profitto di questa oc-
casione, per darvi mie nuove, avendovi già scritto,
a lungo, il 23, cioè, lo stesso giorno, in cui, final-
mente, ricevetti, dopo un mese, una vostra lettera^
arretrata anch'essa, poiché portava la data de' 12.
Siamo a' 28, e non m'è pervenuta altra lettera vo-
stra; il che mi dispiace tanto maggiormente, in quanto
sembrami deplorabile lo stato di cotesto Regno. Co-
stà, come ben veggo, trionfa la forza brutale. Il ci-
vile coraggio non mancherà, ne son certo; ma quale
sarà il risult amento ? Iddio soccorra il nostro infe-
lice paese; e gli dia forza dignitosa, negli animi alti
— 174 —
e severi, che, nel giudizio della storia, lo redimano
dalle tante infamie , ond'è contaminato. Gl'interessi
europei si agitano, cosi vari , così' procellosi e cosi
complicati, ad un tempo, ch'è difficile, prevedere anco
l'avvenire più prossimo. Temo, peraltro, che, anche
questa volta, possa toccare all'Italia l'infausto ajuto
straniero. I Piemontesi e gli Ausfriaci sono alle mani,
da più giorni, a Rivoli, a Somma Campagna, a Vil-
1 afranca, su tutta la linea, dalla parte di Verona; Te-
sito definitivo di questi combattimenti accaniti , ne'
quali importanti posizioni sono state prese e riprese,
non sì conosce ancora. Non mi stendo di più, per-
chè manca lo spazio; e la mia lunga lettera del 23
è stata spedita, per la via di Livorno^ con sicurez-
za di ricapito, dal signor Giuseppe Mondolfo, in cui
casa alloggio; e iiel quale aspetto, sempre, due righe
di Carlino. A mia sorella, a zia Luisa, ad Antonia,
non che ad Emilio e Peppino, tante cose. Vi bacio
la mano, carissima madre.
Vostro &fL9 figlio
Alessandro,
P. S. Raffaele mi scrive da Pietola, sotto Man-
tova, dov'è con la sua brigata.
Damiano Assanti. Mille e mille ossequi , e con
Carlo, Carlotta ed Emilio Imbriani.
Baronessa Carolina Poerio
— 175 -
LXXZIX. La Carolina Poerio-Sossisergio ad Alessandro Poerio
Napoli, 26 luglio 1848.
Mio carissimo figlio ,
Ti ho scritto, nella scorsa settimana, due lunghe
lettere ; ieri V altro, ne inviai un' altra al Generale
Florestano, il quale mi avea fatto pervenire la tua
del 10 ; allo stesso, ho già rimesso i ducati 60, che
ti avrà passato il fratello. Io non ho altro da ag-
giungere a quello già scritto, senonchè stiamo bene
in salute. Tu già saprai, prima di me, come si son
salvati alcuni de' nostri amici , tra' quali il nostro
Peppino. Ieri, fui, con Luisa, a consolarmi con la fa-
miglia; e trovai, che la sua moglie era partita, per
andare a raggiungerlo ad Ancona, lasciando le due
figlie alia Contessa; la quale, per verità, le ama come
sue proprie; ed esse chiamano lo zio e la zia, papà
e mammà (395). Fummo, ancora, dal buon Generale
Ruberti: di aspetto mi parve che stesse bene, ma si
lagna di essere ammalato. Tanto lui che le Signore
ti dicono tante cose amichevoli. Ti scrissi, come il
signor Longo aveva buttato tutte le carte, meno che
i dispacci; e ciò, ad insinuazione del Comandante del
Vapore. Anzi, in talune lettere, ci erano degli oggetti,
come ritratti , spille : questi furono salvati e man-
dati a chi erano diretti. In questo momento, ricevo
lettere di Enrico, da Livorno. Va in Toscana, per
naturalizzarsi; e spera, essere ammesso, ne'Volontari
Toscani. Pare assai disgustato dei suoi compatrioti:
e, veramente, è cosa dolorosa l'accaduto in Calabria.
Aveva ragione Monsieur Guizot ! Del resto, caro
— 176 -^
figlio, ognuno risponde delle sue proprie azioni; an-
zi, è tenuto più meritevole colui, che, in mezzo alla
corruzione , si mantiene puro e non somiglia agli
altri. Io non ho avuto più lettere di Calabria: l'ul-
tima era di 32 giorni fa. Si sono sfrenate tutte le
ire, gli odt e gli sdegni privati; e cercano, col pre-
testo del liberalismo, vendicarsi degl'inimici. A ciò, si
unisce la truppa ladra, invereconda e mal guidata. So,
che i buoni, nel vedere a chi si erano fidati, si sono
assai rammaricati, di essersi uniti a tal gente.
Addio, lascio luogo a tuo fratello; ti benedico.
Aff^ madre
Carolina.
P. S. La persona è venuta a prendere la lettera;
e Carlo non è venuto.
Al Signor
Barone Alessandro Poerio
Presso il Generale D. Guglielmo Pepe
Yenezia,
XG. Nicola Fabrìzi ad Alessandro Poerio
Roma 28 Luglio 1848.
Caro Alessandro,
Impegno la tua terribile perseveranza presso Ul-
loa, ond'egli si sovvenga , e non lasciandolo tran-
quillo sino a che non si sia sovvenuto di intendere
dal Generale, se nel caso che le cose potessero ren-
dere non del tutto inopportuna una mia apparizio-
— 177 —
ne a Messina, egli sarebbe per giudicare di inviar-
mivi, collo spedirmi un passo che me ne autorizzi,
e tale da poter valermene , o no » a secondo che i
casi mi consigliano, cosicché andandovi, possa non
interrompere il mio servizio. Le circostanze sono
queste. Là è sorto un pieno disaccordo tra Sicilia-
ni e Galabri; ciascuna delle parti imputando all'al-
tra responsabilità della rovina. So bensì che a Mes*
Sina i più intelligenti avevano calmata V opinione
contraria a' Calabresi; e qui purè tra' Calabresi in
generale si conviene che le ricriminazioni a nulla
valgono tra' sventurati mentrecchè [sic/I invece
la vera colpa è in chi non agi e molto dell'inerzia
generale si attribuisce al parlamento che si mise a
capo della opposizione legale, e diversa dalla rivo-
luzionaria. Pertanto a Messina si è pur composto
un che di nuova direzione alla propaganda Cala-
brese, mentrecchè \_sic!'] qui pur si vanno racco-
gliendo de* migliori che vi si tengono d' accordo.
Un cento e più Calabresi poi sono in Messina, che
ove si verificasse l'aggressione della truppa napo-
letana, potrebbero anche sul luogo e nella sola di-
fesa del suolo Siciliano rimoralizzare assai la buona
armonia, ed ove le cose in Sicilia si sostenessero
per bene servire a perno d'altra per di qua del fa-
ro. — A Napoli tutto va alla peggio di fatto; ma
lo spirito non vi è si abbattuto che potrebb' essere
fatto r impero della forza fisica , con un tentativo
mancato come quello delle Calabrie, e lo spettaccolo
[^sic /] di una Camera impotente, e mista di servili
(396). — Io non partirei per Messina senzacchè [sidj
apparisse prossima e certa 1' aggressione de' sol»
dati Napoletani e senza essermi bene inteso con co-
12
— 178 —
desti nostri amici che rimarrebbero da questo lato.
Qui sono Ricciardi, due Plotino, tre Romei, Musso-
lino di cui fu massacrata [sic!'\ la famiglia al Pizzo,
Achille Parisi di Napoli, Torricelli che si è assai di-
stinto ne* fatti in Calabria, ed altri molti, la Ceci-
lia etc. etc. (397) — Si manca di Ministero a Roma e
continua il dimissionario, non so se per compiacenza, o
per gusto. Ho creduto e credo utilizzare il tempo di
cui dispongo, specialmente per ciò che tocca la nostra
tendenza nel Regno. Dio ce la mandi buona!
tao
Nicola.
P. S. Neppur per Napoli si può essere ormai re-
pubblicano per ora.
XCI. La Carolina Poerìo-Sossisergio ad Alessandro Poerio.
Napoli, 29 Luglio 1848.
Mio carissimo figlio.
Voglio fare un ultimo tentativo, per farti perve-
nire mie nuove. In pochi giorni, ti avrò scritto quattro
0 cinque lettere; ne mandai, anche, una a D. Flore-
stano, al quale ho mandato i docati 60 sino ad Ischia.
Questa mia letterina, l'accludo al tuo Padrone di casa;
e prendo questa occasione, per ringraziarlo delle cor-
tesie, che ti usa. Carlo ha fatto lo stesso, in una tua
lettera. La mia salute è sempre buona, come quella
di tuo fratello. Non è poco, in questi tristi tempi.-—
Enrico è giunto in Firenze. Mi aveva detto, che sa-
— 179 —
rebbe venuto in Venezia; ma, essendo interrotte le
comunicazioni, si è diretto in quest'ultima città. Pare,
che non abbia più intenzione di essere alla ventura;
né, tampoco, di arruolarsi per anni. Ma, volentieri,
farebbe il volontario, durante la guerra, rimanendo-
gli il grado nella truppa, finito il bisogno. Io gli ho
scritto, che approvo tutto ciò, che farà, inclusivamente
il naturalizzarsi toscano; ma quella di non tornare al
campo mi sembra indegno del suo nome. — In pun-
to, viene persona, che riceve, esattamente, le lettere
del suo fratello: questi ti consegnerà questa mia let-
terina. Martedì, poi, ti scriverò per il mezzo del tuo
padron di casa. Ti prego, poi, di rispondermi, per lo
stesso mezzo, col quale riceverai questa. Sono, già, di-
ciannove giorni dalla data della tua ultima, del 10 cor-
rente; ma i fogli danno, sempre, nuove di Venezia; e,
poi, dal di 13, D. Florestano mi fece sapere, che stavate
tutti bene. Sono tempi angosciosi, sia per il fisico, che
per il morale; fa caldo eccessivo e siamo in pena per
tante cose, ma io, poi, la finisco, dicendo: fidiamo in
Dio! — Abbiamo ricevuto due fogli di Venezia; uno
del 5 e r altro del 14. Scrivimi, anche tu , qualche
volta, per la posta, dirigendo la lettera a mia so-
rella. Ti abbraccio e benedico.
AfT.ma madre,
Carolina.
Tutti i parenti bene.
Al signor
Barone Alessandro Poerio,
Venezia.
— 180 —
XCn. La Carolina Poerìo-Sossisergio ad Alessandro Poerio.
Napoli, 31 Luglio 1848.
Mio carissimo figlio,
In una settimana, ti ho scrito cinque o sei lettere:
spero, che, alla fine, te ne perverranno. Questa, te la
darà Tamico Àssanti, dal quale ho saputo, che sei in
grandissima pena per noi. Grazie al cielo^ noi stiamo
bene in salute, cosa miracolosa in questi momenti:
ma, qualche volta, l'orgasmo morale assorbisce tutto
e la parte animale resta in pace. Tua sorella, che vidi
ieri sera, ti abbraccia, come fanno i tuoi nipoti. Cep-
pino mi consigliò di scriverti in tedesco, perchè, così,
là polizia non avrebbe capito. Noi abbiamo uno spet-
tacolo marittimo: 13 Bastimenti inglesi si sono piaz-
zati a tiro di fucile, per conseguenza , in contegno
ostile. Le cose, che si dicono per Napoli, sono infi-
nite. Iddio solo le saprà! Si crede, per avere inden-
nità , per i guasti di Messina. Si teng ono Consigli
lunghi, lunghi di molte ore; ma, sin'ora, si sta all'o-
scuro. II nostro D. Salvatore Ferrari è Intendente di
Catanzaro. Era stato ammalato, da molti mesi; aveva,
perciò, rinunziato alla deputazione: poi, ha fatto come
Sisto V. Speriamo, che non faccia ulteriore male alla
provincia sua. Sono trentasei giornj, che non ho lette-
ra di D. Gregorio. Gli ultimi 100 ducati, che mi mandò,
te ne mandai 60, pregando D. Guglielmo di passar-
teli; ed io gli ho, già, passati a D. Florestano. Tua
zia Antonia, qui presente, ti abbraccia; Luisa, dove
fui ieri al giorno, per vedere l'imponenza della flotta^
ti dice tante cose.
— 181 —
Caro figlio, ti scrissi, sabato, quello, che avevo detto
o, per meglio dire, scritto ad Enrico, cioè, che non
approvavo, che si fosse ritirato dal servìzio militare;
vuol essere volontario e va bene, ma ritirarsi no. I
fogli portano notizie sino al 20 corrente; ti prego
scrivermi, almeno una volta la settimana, consegnando
la lettera a Fonseca. L'ultima tua era del 10. Addio.
Tuo fratello è cosi impicciato, che non ti scrive. Ti
abbraccia, per mio mezzo ; ed io ti benedico e sono
mff.ina madre,
Carolina.
Al Signor
Barone Alessandro Poerio,
Yenezia»
XGin. La Carolina Poerio-Sossisergio ad Alessandro Poerio.
Napoli, 1 Agosto 1848. — iV.° 1.
Mio carissimo figlio,
Sono, da molto tempo, priva di tue lettere; e, cer»
tamente, non posso dubitare della tua esattezza nello
scrivermi. Dopo tante prove, prendo il mezzo della
posta; e, siccome ti scrissi sabato, per mezzo di Fon-
seca, ieri, per mezzo di Assanti, ti scrivo, oggi, diri-
gendo la lettera al sig. Giuseppe Mondolfo. Domani,
ti scriverò, per mezzo del vapore francese, per via
di Roma. E, per farti conoscere quante volte ti scrivo
in un mese, ho incominciato il numero d' ordine in
questa mia. Da ieri ad oggi, non ho nulla di nuovo
a dirti; solo, che la venuta della flotta inglese è stata
per affari mercantili, per l'indennità delle perdite, fatte
dai negozianti inglesi per i bombardamenti delle di-
— 182 —
verse città delle due Sicilie. Questa mattina, abbiamo
ricevuto, dalla posta, il ragguaglio dell'affare del Forte
Marghera; ma, già, si sapeva dai nostri giornali. Ora,
si attende, con ansia, il risultato della battaglia sotto
Verona. Ieri, mi venne a vedere Àjello; e mi disse di
ringraziarti, in suo nome, della brochure, che crede
essergli stata mandata da te, perchè egli non conosce
nessuno in Venezia, né de* naturali né de' nostri, che
avesse potuto pensare a lui. Mi ha promesso, di por-
tarmela a leggere. Ti prego, di presentare ì miei ri-
spetti al sig. Tommaseo. Io Tamo senza conoscerlo.
Io pregai D. Lucia di scrivergli; ma essa si ricusò,
dicendo, che l'amico aveva finito di corrispondere seco,
da molto tempo: quindi, non voleva essere nojosa. Io ,
se fosse possibile, vorrei avere il piacere di recarle
un bigliettino dell'amico, onde si persuada, che... è
obblio. Io, questa sera, comincerò a scrivere, come, già,
avevo incominciato, le memorie, che tu sai^ salvo a
voi di accomodarle grammaticalmente (397).Carlo ti ha
scritto tante lunghe lettere, e non ti riscriverà, se non
riceve qualche tua risposta; sta affaticato e (quel, che
è peggio) annojato assai, perchè tutti quelli, che vole-
vano essere impiegati al ministero, vogliono esserlo
alla Camera: figurati che assedio ! D. Peppina Guacci
seguita ad essere inferma: le ho scritto varie volte.
Ora , attendo una sua risposta. — Addio , carissimo
figlio. Il cielo ti benedica, come fa la tua
afE.roa madre
Carolina.
Tutti stiamo bene di salute.
Al Signor
Alessandro Poerio,
Venejtia.
— 183 —
XGIV. La Carolina Poerio-Sossisergio ad Alessandro Poèrio
Napoli, 2 Agosto. — N."" 2,
Mio carissimo figlio,
Ti scrissi, ieri; ti riscrivo, oggi, perchè mi si pre-
senta l'occasione; spero, che, finalmente, ti sia capitata
una si gran quantità di mie lettere, che ti sarai messo
al corrente. La flotta inglese, dopo avere incassato
il danaro, è partita. Cosi, ha tolto, a tutti i partiti,
il divertimento di fare delle supposizioni, una con-
traria alle altre. Ieri sera, fui da tua sorella: sta bene
con tutta la famiglia. Tuo fratello, anche, sta bene;
ma la Camera è una tale stufa, che torna come in
un bagno. Prima di andare, va a bagnarsi a mare.
Stiamo con grandissima ansia, aspettando la conferma
della battaglia. Se oggi non si saprà nulla, è segno,
che era una bubbola.
Addi 3 Agosto.
Caro figlio, il mio presentimento si è avverato;
anzi, con la giunta di essere Taffare contrario a quel,
che si diceva. Temo molto, che l'ultimo verso di quella
tua ode non si verifichi. Basta, confidiamo nella Prov-
videnza. Il mondo non è stato, mai, tanto imbrogliato,
come lo è ora. Questa, te la mando per il solito ca-
nale francese. Noi stiamo tutti bene; spero Io stesso
di te. Ora, riuscirà più diflScile il nostro commercio
di lettere; ora, sarà più difficile. Viene la persona a
prendere la lettera. Ti abbraccio e benedico.
Aff.ma madre,
Carolin a.
Al Signor
Alessandro Poerio,
Venezia.
XCV. Alessandro Poerio alla Carolina Foerio-SoBsisergio ed a
Carlo Poerio, eoo postilla di Florestano Pepe.
Venezia, 4 Agnato 1848.
Carissima madre, carissimo fratello,
Scrivo due righe, in fretta, poiché, soltanto pocanzi,
ho saputo, che il Generale scrive al fratello; e voglio
profittare della occasione.
Ebbi le vostre de' 18 e 23 Luglio; inoltre, due let-
tere attrassate: l'una del 26 Giugno, l'altra del 2 Lu-
glio; finalmente, una del 26, la quale mi giunse, ieri.
Mi rallegro, che, fra tanti dolori ed ansietà, la vostra
salute, almeno, sia buona, come anche quella de'aostrì
parenti. Mi rimetto alla lunga lettera, scrittavi, in
data de'28 Luglio, per la via di Livorno. Del danaro
ho indugiato a far uso, restandomi qualche cosa di
ciò, che aveva; cosicché l'altra rimessa non sarà ne-
cessaria, che nel Settembre. Vi ringrazio delle molte
auiorevolezze, che mi dite. Lo stato deplorabile del
nostro paese mi contrista assai. L'orizzonte politico
imbrusca sempre più. Avrete, ormai, sapute le per-
dite, sofferte dall'esercito piemontese, sloggiato dalle
posizioni, acquistate con tre mesi di fatica; e questo
è danno gravissimo, ancorché le perdite degli Au-
striaci, fra morti, feriti e prigionieri, siano di gran
lunga maggiori. In sostanza, nella guerra, il vinci-
tore è colui, che rimane padrone del campo di bat-
taglia. Ma le cose non rimarranno qui. I Francesi
sono stati chiamati; e par, che vadano d'accordo eoa
gl'Inglesi. Abbiamo nuove da Milano, che un agente i
inglese si è recato al campo austriaco, por ottenere*]
nna Bospension d'armi; negata la quale, sarà, subitt^^
- 185 —
proceduto ali* intervento. Milano arma, potentemen-
te; Genova manda guardie nazionali a soccorrerla;
Brescia fa, anche, formidabili preparativi; Tentusia-
smo, che parea freddato, si riaccende sotto la nuova
«ventura. Se l'Austria non cede, (né par, che voglia
cedere, nella ebbrezza de* presenti trionfi ) , avremo
guerra universale.
Io sto mediocremente; Taria di questo paese non
mi è avversa; e starei, anche, meglio, se il caldo non
fosse intollerabile.
Aspetto due righe da Carlo , dirette a Mondolfo
(Giuseppe), mio padron di casa.
^ Saluto caramente Carlotta, Luisa, Emilio. Vi bacio
la mano, cara madre, ti abbraccio, caro fratello, e
jnì ripeto
rostro afif.mo,
Alessandro.
D. S. Raffaele è partito per Brescia, con la sua
brigata.
*
Con gli ossequi di F. P. Ora, in punto, arrivata.
Alla Nobil Donna
La Signora Baronessa Carolina Poerio,
Struda del Salvatore, N.o 5.
Napoli,
XGVI. La Carolina Poerio-Sossisergio ad Alessandro Poerio
Napoli, 5 Agosto 1848. — 2V.*» 5.
Mio carissimo figlio.
Finalmente (esclamo come fai tu) ho ricevuto una
.tua lettera, dopo tanti giorni di angustie. Grazie al
— 186 —
cielo, la tua salute è buona ! questo è, per me, l'affare
principale. Che posso dirti di altre cose? Il mondo
è sottosopra; speriamo, con Tajuto di Dio, che, final-
mente, si quieti. Capisco, ora, tutte le difficoltà della
tua posizione, ma sappi, che il Generale ti stima assai;
in ogni sua lettera, ne parla con vantaggio. Io, questa,
te rinvio alla direzione del sig. Bellinga. Martedì,
ti scriverò per mezzo dello stesso, che mi ha man-
dato la tua, che, se non è giunta celeremente, pure,
mi è giunta. Tu, peraltro, pare, che non mi abbi^scritto^
dal dieci al 23. Il genero di Giuseppino è venuto
come corriere dal Campo di Carlo Alberto, portando
dispacci per il nostro Governo, della non accetta-
zione del Duca di Genova al Trono di Sicilia. E, ve-
ramente, oltre i suoi imbarazzi, mettersi anche que-
sto addosso!... Tuo cugino doveva mandare varie copie
del suo dizionario di Marina: per disperazione, li ha
mandati per la strada di Puglia. Si trovò qui, quando
ricevetti la tua lettera, ieri mattina; ti saluta cara-
mente. Questa mane, è venuto Àssanti. per aver no-
tizia del fratello. Io V ho assicurato, che mi avevi
scritto, che stavate tutti bene, ma non mi avevi par^
lato in particolare di Damiano. — Addio, caro figlio.
Martedì, ti scriverò più a lungo. Carlotta, che vidi
ieri sera, ti abbraccia. D. Giovanna e Zìa Antonia
pregano tutti i santi per la tua salute. Scrivendo
alla Contessa, dille tante cose da mia parte. Sono tua
aff.mii madre,
Carolina.
Tuo fratello ti risponderà martedì.
Al Signor
Francesco Bellinga,
Yenexia*
— 187 —
XCVII. Niccolò Tommaseo ad Alessandro Poerio.
Caro Poerio,
Vi mando, anco, la sopraccarta; veggiate, che fu
stracciato il sigillo un po', non aperto.
Barone Poerio.
XCVin. La Carolina Poerio-Sossisergio ad Alessandro Poerio.
Napoli, 7 Agosto 1848. — iV.^ 5.
Mio carissimo figlio,
Ieri, fu una giornata felice per me; ricevetti due
tue lettere, una del 15 e Tjaltra del 28. La prima,
credo che la rimettesse il sig. Cirillo, perchè una
mia amica mi disse, che costui aveva una lettera per
me, e voleva consegnarla in mani mie proprie. La
seconda, me la mandò l'ottimo General Florestano,
per mezzo del quale ti rimetto questi pochi righi. Non
scrivo al tuo Generale, per non togliergli il tempo,
che, per lui, è prezioso; solo, gli dirai da mia parte,
che non poteva toccare una corda, che avesse risuo-
nato più sonora, per il cuore di una madre, come
quella di fare il tuo elogio. Non conoscendolo per adu-
latore, credo, che siano cose, da te meritate. È molto
dolorosa la dispersione delle mie lettere: in esse, ti apro
tutto il mio cuore, ti dico tutti i miei più intimi pen-
sieri. Ora, spero di avere assodata una corrispondenza
più diretta. Senza che tu me l'avessi scritto, siccome
dovevo dei ringraziamenti al sig. Mondolfo, gli ho
scritto, anche, dandogli una lettera per te; altra ho
— 188 —
diretta, per mezzo di Fonseca; altra, per via di Roma;
questa, per mezzo di Pepe e, domani, un'altra, per mez*-
zo del... negoziante» che mi rimise la tua del 28. In
una delle mie lettere perdute» ci dev* essere quella,
con la quale ti pregavo di dirmi il luogo della tua
abitazione. Ora, mi dicono, che Venezia non ha quasi
più che il Canal Grande. Non posso negarti, caro
figlio, che sono in gran pena, per te. Non ti ripeto
le nuove, che corrono, qui, una contraria all' altra:
ma la certa pare Vintervento. Io sono assediata da
tutte le famiglie de' Crociati, che partirono con En-
rico : ora, è venuta una signora Cicalese , il cui
fratello era in Brescia col Battaglione. Informati cosa
fa; ora, dev'essere con voi. Caro figlio, questa lettera,
la debbo mandar subito al negoziante, perchè è lo
stesso, che manda la lettera del Generale Pepe: e mi
ha fatto dire, che mandassi al momento. Carlo è as-
sente. Ti scriverò, per mezzo del Nunzio, poichò la
lettera del 12, che hai ricevuta, la mandai per suo
mezzo. Tutti stiamo bene: le tre famiglie, Donn' An-
tonia. Addio; ti abbraccio e benedico.
Afif.roa madre
Carolina,
Al Signor
Barone Alessandro Poerìo,
yenezia.
XdX. Alessandro Poerìo alla GaroUna Poerìo-Sossisergio.
Venezia, a di 8 Agosto 1848.
Carissima madre,
Ieri, ebbi due lettere vostre : Y una de' 29 scorso
Luglio, per mezzo del fratello del nostro amico, pri-
— 189 —
gioniero degli Austriaci (ed a lui medesimo» che gen-
tilmente se ne incarica, consegno la presente); 1* al-
tra, poi, mi fu data dal mio buono e cordialissimo
padron di casa, al quale ho piacere^ che abbiate
scritto di ringraziamento per le molte cortesie, che
mi usa.
Mi è di somma consolazione il sentire, che la vo*
stra salute e quella di Carlo, come pure de' nostri
parenti, è buona. Di mio fratello non ho, poi, rice-
vute tutte le lettere, che voi mi dite; Tultìma, che
mi pervenne, in data, se non erro , del 26 Luglio,
parlava della causa, da lui difesa, nel consiglio su-
bitaneo di guerra. Altre sue notizie, le ho lette nel
Giornale Costituzionale de'28 Luglio. Mi duole, che
siate stata 19 giorni senz' alcuna mia lettera. Il che
mi sembra tanto più inconcepibile, che io non sono,
mai, stato più di quattro giorni o cinque, al massi-
mo, senza scrivere; e, sempre, con mezzi, che offri-
vano ogni guarentigia di fedele ricapito; e, segnata-
mente, più volte , accludendo le mie , in quelle del
generale a suo fratello Florestano. Moltiplicherò le
lettere; e scriverò, anche, per la posta, come voi mi
* suggeritef. Frattanto, è una buona idea quella, di
mettere alle vostre il numero d' ordine; cosi, quando
ne viene una, saprò, almeno, quante altre se ne sie-
no disperse.
Obbietto di questa mia è parlarvi, principalmente,
di me, poiché so, che, come madre, e madre affet-
tuosissima, v' interessate a tutto ciò, che mi risguarda.
La mia salute è mediocre. Quest'aria non mi è, punto,
avversa; anzi, credo, che, alla lunga, mi gioverebbe
assai. E, se non ne ho ricavato, ancora, tutto il van-
taggio, che me ne verrebbe, si dee, da una parte.
— 190 —
attribuire a! caldo umido, che, qui, regna la state e
che fa male anco a* sani , dall' altra, alle ansietà di
animo, che non possono non esercitare la influenza
loro sul corpo. Speriamo, per altro, tempi migliori.
Ma vi ripeto, che , della salute , io mi contento ; e
che confido di potermi , a poco a poco , ristabilire
pienamente. Poiché, ad onta di tante vicende, e sotto
gli stessi incomodi, che ho ancora, sento fortificata
la fibra ed i nervi, alquanto, calmati.
Il Generale sta benino; e meglio starebbe, se fa-
cesse una vita più sistemata. Figuratevi , che, alle
volte, si pranza alle undici della sera; mai, prima
delle otto ! Egli lavora molto; ed è, certamente, be-
nemerito di questo paese, per aver introdotto un pò
di disciplina tra i volontari, e migliorati gli ordina-
menti di guerra.
Addio. In quanto al danaro, vi ho, già, scritto, che,
sebbene io avessi urgente bisogno di molte cose ,
avrei indugiato sino a' principi di questo mese , a
prender la somma di ducati sessanta, tirando innanzi,
alla meglio, affinchè non vi fosse necessità di altre
rimesse, che dentro Settembre.
Abbraccio Carlo e Carlotta; saluto caramente Luisa,
Antonia e Peppino; e, baciandovi la mano, con filiale
rispetto , mi ripeto
▼o. affo,
Alessandro»
P. S. In quanto ad Enrico, non mi ha, mai, risposto;
ma ho ricevuto i suoi saluti in una sua lettera ad
Assanti. Sono, anch' io, del parer vostro.
P. S. Sono dolente, che la Guacci continui ad
essere inferma. Fatele dire tante cose, da mia parte.
— 191 —
Ad Ajello direte, che lo ringrazio della memoria,
che serba di me. Ed io, certo, penso, spesso, a lui; ma
non ho avuto parte alcuna nell* invio fattogli. Il suo
nome è conosciuto da molti.
Alla Nobil Donna
La Signora Baronessa Carolina Poerio.
Strada del Salvatore, lu 5.
Napoli
G. La Carolina Poerio-Sossisergio e Carlo Poerio
ad Alessandro PArio.
Napoli, 8 Agosto 1848. — NJ" 6.
Mio carissimo figlio,
Sono, già, sei volte, che ti scrivo, in questo mese:
neirultiraa mia, ti avevo detto, che ti avrei scritto
giovedì, ma non posso resistere al desiderio di trat-
tenermi teco; e, poi, son certa di darti una consola-
zione e non voglio trascurarla. — Noi stiamo bene:
ieri sera, fui da tua sorella. Capisci bene, che lieti
non possiamo essere, nelle posizioni attuali ; non ò
poco, però, di mantenere la salute, in mezzo a tanti
urti morali; ma lasciamo fare alla Provvidenza! —
II mio unico divertimento è la lettura. Questi giorni
passati, ho letto de' numeri del giornale di Parigi la
lllustration. Vi è un bellissimo articolo di un gio-
vane pittore francese, che parla istericamente di Ve-
nezia circa le due fazioni, che servivano a dare i
campioni per la Regata; descrive, poi, Tultima, fatta
al tempo del Congresso, Tanno scorso. Vi è la stampa,
dove vi è un pezzo del Canal Orando; ed io, ad ogni
— 192 —
easa, mi figuro, che sia quella, dóve abiti, e ti veggo
sul pergola (398). Ora, questi fascicoli li ho dati a leg-
gere ai miei nipotini. I quali, non puoi figurarti, in me-
no di quattro mesi, che progresso hanno fatto nella
lingua francese: leggono e parlano, certamente non
benissimo, ma bastantemente bene; Vittorio ha miglior
pronunzia. Mia sorella s' occupa molto de* suoi ni-
potini. I quali non crescono mai; tanto che gì* Im-
briani, che sono cresciuti molto, vedendo i cugini,
esclamarono a coro: come siete diventati piccini!
Di Enrico , dopo che gli ho mandato la roba , non
ne ho avuto più le^ra; se non avessi saputo, che
ha scritto ad altri, sarei in pensiero. In punto, si ri-
tira Carlo dal Parlamento, con la nuova di un ar-
mistizio di due mesi. — Caro figlio, amami e ti be-
nedico.
aff.ma madre
Carolina.
Al Generale, i miei rispetti. »
Carissimo fratello,
Le notizie di Lombardia ci hanno tenuto e ci ten-
gono nella massima agitazione. Questa mattina, final-
mente, si è saputo l'armistizio di due mesi, conchiuso
per mezzo deirinviato Inglese, giacché l'ajuto francese
era condizionato alla invasione, per parte degli Au-
striaci, de*domint della Casa di Savoja, ossia al pa»*
saggio del Ticino. Si aggiunge, per altro, che Milano
è seriamente minacciata, poiché Radetzky si é por-
tato, col grosso dell' esercito , tra Milano e Brescia,
ed impedisce i mutui soccorsi. Qui, le cose vanno
al solito. Se vi fosse senno per parte de* Governanti
— 193 —
e dei governati, le nostre condizioni potrebbero mi»
gliorare. Ma la voce della ragione resta muta, in
mezzo al tumulto delle passioni. Aggiungi la crassa
ignoranza e 1' accidia vergognosa di quella classe,
che, in ogni paese, forma il nerbo della nazione. Per
^òpràssoma , vi è la licenza di alcuni militari , che
disonorano, con le loro violenze, l'onorata divisa del
soldato. Tutto ciò, come vedi, non promette un av-
venire ridente; ma bisogna combattere, virilmente e
sapientemente^ per tema di peggio. Ad onta del vo-
to di censura, il Ministero Bozzelli, che aveva dato
la sua dimissione, resta al potere. Doveva suri*ogarlo il
lilinistero Filangieri, Carrascosa (Michele), Fortunato,.
Nicolini ecc. È il vero caso dei sonetti, presentati a
Nicola Capasso (398). Emilio sta bene; ed è il relato-
re alla commissione per la legge sulla guardia naziona-
le, che sarà discussa quanto prima. Altre importantis-
sime leggi si stanno preparando; e, tra breve, saremo
occupatissimi. Riverisco l'ottimo Generale; e lo rin-
grazio di vivo cuore. Abbraccio, poi, caramente, Da -
miano ed Ulloa. Ti raccomando un milite, che chia-
masi Giuseppe de Giuseppe. Vedi, se il Generale pu ò
prenderlo con sé. Egli (in confidenza) è figlio natu-
rale del March. Giuseppe Ruffo. È istruito e docile. D i
nuovo ti abbraccio di tutto cuore.
Tuo aff.mo fratello
Carlo Poerio
Al Signor
Sig. Francesco BeUìnga
Yenexia.
13
— 194 —
CI. La Carolina Poerio Sossisergio ad Alessandro Poerio.
Napoli, 10 Agosto 1848. iV.^ 7.
Mio carissimo figlio,
Profitto del mezzo del Nunzio, per mandare la pre-
sente in Roma. Ora, che tutto è scombussolato nell'alta
Italia, la nostra corrispondenza sarà più difficile; vo-
glio credere di trovare qualche mezzo per Ancona:
da quella città, sarà più facile arrivare a Venezia.
Puoi figurarti, caro figlio, come io stia intenta. Di
Venezia, su i, fogli, non se ne parla, dopo la intiaia-
zione, fatta dal Generale Austriaco. Qui, si sta tran-
quilli; e di salute stiamo bene, specialmente io: mi-
racolo delia Provvidenza ! Qui, si vocifera, che le no-
stre truppe, che son pronte per la Sicilia, partiranno,
invece, per unirsi ai Tedeschi, sbarcando in Roma-
gna oppure attaccando Venezia per mare. I nostri
fogli ! Il Tempo dice, che i Francesi non interver-
ranno; e La Libertà Italiana dice di si: a chi cre-
dere? Carlo ti scrisse, ieri, per la posta; di tuo zio
nulla si dice. Di Enrico, ieri, ho ricevuto lettera del
4 corrente.- Sta bene; ma, al momento di dover com-
binare qualche cosa sul suo afifare, è caduto il Mi-
nistero Toscano e si sta ricomponendo. È un atroce
destino quello della povera Italia, ma io confido nella
Provvidenza. Tu, intanto, sta pure tranquillo sul no-
stro conto: pensa alla tua preziosa salute. Tutte le
— 195 —
famiglie stanno bene; tutti gli amici ti salutano ; ed
io ti abbraccio e benedico.
Aff.m» madre
Carolina.
Al Signor
Barone Alessandro Poerio
Allo Stato Maggiore del General Pepe
[Servizio Militare)
Venezia
CI. Alessandro Poerio a Carlo Poerio.
Venezia, 10 Agosto 1848.
Caro fratello,
Ieri, scrissi a nostra madre ; ora, ti accludo due
rigbe, nella lettera, che il Generale manda a Flo-
restano. I militari napoletani, spinti dalle continue in-
sistenze del Governo, se ne son voluti tutti andar
via. Si assicura, che il nostro Governo , con ordine
del giorno del 18 passato mese, abbia destituito il
Generale. Fa maraviglia, che di ciò non si sia parlato
nella Camera; dico in quella de' Deputati, poiché Tal-
tra è venduta al Governo.
Il Generale è risoluto a non accettar gradi né
onori; ed a ritirarsi nella vita privata, dopo la guer-
ra della indipendenza: benché, presso Carlo Alberto,
non potesse mancargli il più alto favore. Egli é fer-
mo in questa risoluzione ; ed, ora più che mai, at-
tende alla difesa di Venezia. Par vero, che i Tede-
schi sien entrati a Milano; ma è vero, ugualmente.
— 196 —
che i Francesi calano in difesa d* Italia. La guerra
generale è imminente; né dubito dell'esito. Addio.
Tuo afT.mo fmullo
Alessandro.
P. S. Ringrazia Florestano, di avere scritte tante
cose, in mio favore, a suo fratello.
Al Signor
Sig. Carlo Poerio, Deputato,
in Napoli,
Gn. Alessandro Poerio alla Carolina Poerio-Sossisergiò
e a Carlo Poerio.
Venezia, 14 Agosto 1848.
Carissima madre, carissimo fratello,
Vi ho scritto, oggi stesso, più a lungo, per la via
di Livorno; questa, la mando per la posta, facendo
rindirizzo a Zìa Luisa, la quale caramente saluto e
riverisco. Obbietto della presente è il dirvi, che la
mia salute è mediocre, e che non crediate alle tadte
dicerìe, che vanno attorno. Il Generale sta, anch*e-
gli, benino; come Assanti, che è dolente di sentire^
che Cosimo non avesse ricevuto sue lettere. L' ul-
tima vostra , pervenutami , è quella del 5 corrente.
II caldo è grande; tanto più, che, da un pezzo in
qua , non è caduta una stilla di pioggia. Continue-
remo a stare in questa Venezia, eh' è pur bella. An-
che, in mezzo ad ansietà e sollecitudini, una corsa pel
Canal grande, una visita a grandiosi ediflzt, solleva
— 197 —
e conforta. Godo, che la vostra, salute sia soddisfa-
cente. Ad Antonia, tante cose. Abbraccio Carlotta; e
saluto i suoi. Vi bacio le mani; e mi raffermo, con
filiale tenerezza e fraterno amore,
Y.^ aff.m.o figlio • frauUa
Alessandro.
Alla Nobil Donna
La Signora Baronessa Luisa Parrilli.
Strada Banchi nuovi, N.<> 13.
Napoli.
Cm. Giuseppe Mondolfo ad Alessandro Poerio.
Venezia, 17 Agosto 1848.
Amico Pregiatissimo,
Affari importanti, cioè vari miei crediti in grande
pericolo, mi obbligano allontanarmi, per qualche gior-
no, da Venezia. Quantunque vi dissi, varie volte, che
dovete calcolarvi padrone di casa e non far compli-
menti, pure, ve lo replico, in questa circostanza, or^
dìnando a tale oggetto la servitù di casa, onde vi
riguardino come un altro me stesso. — - Nel deside-
rio di rivedervi presto, vi rinnovo le sincere espres-
sioni di stima ed amicizia.
L* aff.mo amico, •
Oius. Mondolfo.
Pregiatissimo
Barone Sig. Alessandro Poerio
CIV, La Carolina Poarìo-Sassisergìo
ad Alasaandro Poerìo.
Mio carissimo I
In punto, ricevo la tua letterina, in data dell'otto
corrente, vale a dire, ignara di tutta la catastrofe
di Carlo Alberto. Noi ti abbiamo scritto, in data del
13; ti abbiamo detto il nostro sentimento. Qui, stiamo
tranquilli. Non ti dico altro, perchè, forse, questa mia
non ti troverà in Venezia. Spero, subito, ricevere al-
tre tue lettere. Quel, che mi dici della tua salute, ò
veramente miracoloso, in mezzo a tante angustie, come
la tua salute si mantenghi più tosto bene. Sento, però,
che, da ora innanzi, la stanza di Venezia è malsana.
Ieri sera, fui da tua sorella, che è in pena per te;
subito, le farò sapere le tue nuove. Non ti parlo di
nulla, perchè son quasi certa, che questa mia non ti
troverà in Venezia: ad ogni modo, penso questa mia
farla partire per la posta, con la soprascritta al tuo
Padron di casa. Le nuove della Guacci sono meno tri-
sti, da qualche giorno: un'angina sopravvenuta, pare,
che abhia sgombrati un po' i polmoni. Dirò ad ^ello
la tua imbasciata. AI momento, che ti scrivo, sono
assordata dal rimbombo delle carrozze de' Pari, per-
che prendono possesso cinque nuovi nominati. Addio,
carissimo figlio, ti abbraccio e benedico. Tanti com-
plimenti al tuo Padron di casa:. Sono
Zia Luisa, Antonia ti salutano.
— 199 —
Napoli, 17 Agosto 1848.
Carissimo fratello,
* Ci giunge, finalmente, la tua carissima del di otto
corrente; e godo, che la tua salute sia buona. Noi
stiamo bene , come anche gli Imbriani e i Parrilli.
Ti scrissi, in passata, che attendeva conoscere quale
era la tua determinazione, dopo i disastri dell'eser-
citó piemontese; se, cioè, avresti seguito l'ottimo tuo
Generale, ovvero ti fossi condptto in Toscana, per
godere di un: poco di riposo. Colà, hai molti amici; e
potrai utilmente occuparti. Qui , le cose vanno al
solito. La Camera è occupata del di molte leggi
iiàpbftanti, Emilio è relatore di quella sulla Guar^
dia Nazionale. Ma. forse, ìa Camera sarà prorogata.
Leggerai, nel foglio uflSciale, come il Generìale Nun-
ziante abbia creduto di dovere atlaccare me e Mu-
ratori'. Domani, che avrà luogo la prima tornata dopo
la suddetta pubblicazione, risponderò, dalla tribuna,
coti moderazione e dignità. La Guacci sta alquanto
meglio. Non cosi il Marchese Ruffo. Ti ricordo a que-
sto proposito, che ti ho raccomandato il Sig.' Giu-
seppe di Giuseppe, che è figlio naturale del suddetto
Marchese; é ti ho rimessa una lettera per lui. Questo
ottimo giovane serve come volontario. Se hai no-
tizie della Gozzadini, non defraudarmene. Ho saputo,
che la magnifica armeria antica del marito è andata
dispersa. Saluto, caramente, Mondolfo ed i tuoi com-
pagni. Riverisco l'ottimo Generale; ed, abbraccian-
doti di tutto cuore , mi ripeto , per la vita ,
tuo aff.mo fratello,
Carlo.
Signor
Barone Alessandro Poerio
in Venezia
— 200 —
GV. La Carolina Poerio Sossisergio ad Alessandro Potrio.
Napoli, 19 Agosto 1848. — iV.° 10.
Mio carissimo figlio.
Dopo la tua del di 8, non ho avuto più tue nuove;
e pare, 'che gli avvenimenti sieno tali , che avresti
dovuto farmi sapere le tue risoluzioni. Quando gli
avvenimenti umani superano la preveggenza de* più
s^vl, bisogna dire, cristianamente: Iddio così ha vo-
luto ! Nessun foglio parla, se siete usciti o pur no
da Venezia. Non s^, se hai seguito o pur no il Ge-
nerale. Infine, siamo alFoscuro di tutto. Io sarò in-
discreta col tuo Padron di casa, ma gli fo un altro
rigo, accludendogli questi pochi righi per te, che potrà
inviarti, dove ti trovi. Noi stiamo tutti bene. Spero ,
che la tua salute non abbia sofferto. Carlo ti scrisse
in passata. Amami e credimi
tHa aff.tna madre,
Carolina.
P. S. In punto, ricevo la tua del di 14 corrente,
diretta a mia sorella. Scrivimi, sempre, per la posta«
come farò io : avessimo fatto, sempre, cosi ! Addio.
Al Signor
Il Signor Alessandro Poerio.
Yenezia
— 201 —
evi. Enrico Poerio ad Alessandro Poerio.
Firenze, 19 Agosto 1848^
Carissimo Alessandro,
Finalmente, ricevo una tua lettera; degli 11 Luglio;
e vi rispondo, subito, acciocché tu non dica, come ho
sentito da Gas^on, che non ti scrivo mai. Io ti ho
scritto, molte volte; e tu non avrai ricevute le mie
lettere, come io non ho ricevute le tue. In quanto
alle nuove di casa, posso dirti, che Zia Carolina mi
scrive, sempre. Dalle sue lettere, benché apparisca
deploràbilissimo lo stato del paese, pure, si conosce,
che essi non sono tormentati e che stanno in buona
salute. Carlino non mi ha scritto, mai; egli è depu-
tato alla Camera. Hai ragione in quanto dici del
Regno. Per me, vi ho rinunziato; e, se sono venuto
in Toscana, é stato, per trovarvi quel ricovero antico
e vecchio della famiglia nostra. Seppi, che qui si for-
mava una nuova leva; e ci venni, sperando di en-
trarvi, essendo passata alle Camera la leggQ , che
preferisce coloro, che si sono distinti sul campo di
battagha. Ho chiesta, anche, la naturalizzazione to-
scana; e l'otterrò. Credo, che approverai il mio pen-
siero. Voglia Iddio, che la guerra cominci con tutto
Tardore possibile; ed, allora, ritornerò^ come militare
vero, sul campo dell'onore. Non ti parlo dell'esito, che,
finora, ha avuto la guerra; non potrei dirti, che quello,
che tu senti: dolore e vergogna! Misera Italia 1 Ho
saputo, che, dapprima , disapprovasti Y esser io ve-
nuto via dal battaglione, e il non avervi tutti rag-
giunti a Venezia. Ma sento, che, ora, convieni, che
doveva io regolarmi cosi. Infatti, non era più deco-
roso restare fra quella canaglia, che rimaneva del
battaglione. Avrei voluto venire a Venezia; e scrissi
a Damiano, il quale mi rispose, che, se volevo venire,
doveva venire col battaglioDe, non potendo, staccato
da esso, ottener nulla, per il gran numero, che c'era,
a Venezia, d'ufBziatì : quindi, mi sono attenuto alla
risoluzione di rimanermi in Toscana, che per me è
seconda patria. Saluta il Generale , Ulloa, Cosenz e
tutti gli amici ; mentre , abbracciandoti caramente ,
mi dico
tua ftir.iDO cuEÌno • trxmik
Enrico Poerio.
P. S. Ti prego di dare l'acclusa a Roaaroll.
Signor AleBsaudro Poerio,
pres-w il Generale Pepe.
cm. Girolum Sfbnà-BiiMri ad Ueisandro Paarfo.
Vercelli, 21 Agosto 18481 :l
Egregio Alessandro,
I luttuosi avvenimenti di Milano, dei quali fui testi-
mone, (e, per poco, non ne rimasi vittima,) mi getta-
rono nell'anima tanta costernazione, che non avrei
potuto prima d'ora raccogliere due idee per metterle
insieme. Quanto è accaduto, in Vicenza, sotto ai miei
occhi, non 6 che una debolissima imagine dei casi ifi. j
Milano. Già, fino dall'annunzio, avere t'esercito i
ne dei casi <&■
esercito pa»^H
— 203 —
sato TAdda, si sparse tale un terrore per la città, che
quasi tutti i ricchi ed i nobili^ vigliaccamente, pensa-
rono a mettersi in salvo, parte trasportando sé, le
famiglie e gli effetti in Svizzera, parte in Piemonte;
e, ai più atterriti, non parve d'essere garentitì, fino
a che non avessero frapposto, fra loro ed i tedeschi,
i mari e i monti. Tutti i membri del Governo Prov-
visorio, tutti quelli de* Comitati, V istesso Generale
Lochi, perfino due membri del Gomitato di Difesa ,
Maestri e Rastelli, abbandonarono, vergognosamente,
il loro posto. La città rimase in preda al popolaccio.
LMstessa Guardia Nazionale si disciolse; e fece chiu-
dere tutti i corpi di guardia. I Milanesi hanno oscu-
rato, per sempre, la gloria delle loro cinque giornate.
Nel palazzo del Governo al Marino , non si trovò ,
fermo al suo posto, che il Generale Fanti; ed io, che
era divenuto suo ajutante, assieme ai due miei col-
leghi Menotti e Beaufort, non lo abbandonammo. Ti
assicuro, che passammo un brutto rischio, perchè il
popolo, che tu sai come ragioni sempre, se V avea
pigliata, proprio con noi, per non aver altri, su odi
sfogare la giusta sua ira. Si chiamava tradito; e ad-
ditava, in noi, i traditori. Dopo avere trionfato, pella
nostra franchezza, delle minacce, ripetuteci sulla piazza
colla punta della bajonetta, fummo costretti di rima-
nerci, quattr'ore, in Palazzo, mentre quella sfrenata
moltitudine pretendeva, che il Generale assumesse il
poter dittatorio e proclamasse la difesa della Città
ad ogni costo, quando il Re avea capitolato e, quin-
di^ l'esercito non voleva più battersi e tutto era ca-
duto nelFanarchia più completa. Basta, quando a Dio
piacque, ce ne andammo di là, per ricadere in una
prigione, ancora più stretta. Dovemmo trasferirei al
— 204 —
ite di Carlo Alberto; da
fu più permesso l'uscire, per parte di una luoltilu-
dine di gente, tutta dell'infima plebe, e che, certo, non
avea nessun colore politico. La quale, dopo avere tu-
multuato ed invaso , perfino , l' atrio e le scale del
Palazzo, minacciando il Re e chi, innocente o colpe-
vole, s'era, in quel momento, lasoiato cogliere presso
luì, si discìolse, venendo la sera, riducendosi a circa
20 persone. Queste, però, bastarono a cominciare un
fuoco , eccellentemente nutrito, di circa quattr" ore,
cercando, perfino, alla fine, di incendiare la porta dt
strada; e, se non sopragyiungeva un battaglione di
linea , in mezzo al quale ce ne andammo , io non
so altro, se non che sì sarebbe finita assai male.
Presentemente, io mi trovo in Vercelli, dove si ria-
niscono e si riorganizzano t resti dell'armata lon]>-
barda: miserabile cosa in vero; e tanto disordinati,
ohe fa male il vederli. Che si fa rÀ dopo l'armistizio,
non so: ma lo non ho più coraggio dì sperar bene
pella nostra causa. Ora, l'esercito è demoralizzato;
Generali, giustamente discreditati; il Re, incapace dì
levarseli, una volta, d'attorno e circondarsi di pochi
e buoni; l'officiaììtà, minimamente compresa di ver-
gogna per il male esito delle armi, ma, piuttosto,
stolidamente contenta dì aversi finalmente la pace e
dì potere mostrare il bel personcino pei caffè e pei
passeggi; il partito aristocratico, più che mai inca-
ponito a volere la pace. Che vuoi fare con simile
materiale? Impossibile rientrare in campagna, quando
la Francia non intervenga; ma troppo tempo si è
concesso ai maneggi diplomatici , per poter sperare
questo soccorso , certo non molto onorevole per la
nazione, ma, alfine, necessario; e troppo i realisti, ch»J
, ch«H
— 205 —
sono tre terzi dello stato, paventano la venuta dei
francesi repubblicani. Vedremo Tesito della missióne
di Tommaseo: è Tunica speranza rimasta, che Venezia
repubblicana confonda la vecchia diplomazia nelle te-
nebrose sue operazioni. Io, se , qui , non si dovesse
continuare la guerra e se, in qualche maniera, Ve-
nezia si sostenesse , ho intenzione di riparare nelle
sue lagune. Garibaldi, dopo aver messo una contri-
buzione di 14000 franchi ed averne ricevuti metà
dalle Monache di Àrona, risalì il lago, impadronen-
dosi dei battelli a vapore e di tutte le barche; e battè
400 austriaci, a Como o in quelle vicinanze. Io credo,
che, ora, si sia unito con d'Apice, che deve avere sette
mila uomini. Durando è, già, venuto in Vercelli colla
sua truppa, circa 4000 uomini. Tutto, oramai, ha cedu-
to: Peschiera, Brescia, Rocca d'Anfo, tranne Venezia.
Essa è rimasta il propugnacolo della libertà Italiana.
Chi sa, che, da essa, non si estenda, di nuovo, Tindi-
pendenza su tutti gli altri territori; e, questa volta,
per consolidarvisi. Di Napoli hai notizie? e della tua
famiglia ? Tu mi risponderai in Vercelli, al mio indi-
rizzo, ferma in posta... Perdona il cattivo carattere;
e vivi persuaso della stima ed amicizia immancabile
del tao aff.mo
G, Sforza-Bissari.
Mi scriverai dello spirito, dal quale sono animati
i Veneziani e le truppe, che vi si trovano; e, se, anche
nel caso, che la flotta Piemontese si ritirasse, avete
credenza di sostenervi.
Onorevole Signore
il Éarone Alessandro Poerio,
Presso S. E. il Generale Pepe,
Yenesia.
CVm. Alessandro Poeiio alla Caialina Poerio-SosaiBergio
ed a Carlo Foerio.
Venezia, a di 30
Carissima madre, carissimo fratello,
Non avendo occasione particolare di scrivervi, mi
valgo del mezzo della posta, come feci, anche, quattro
0 cinque giorni fa, dirìgendo la lettera a Zia Luisa,
ctie, caramente, saluto. Delle nuove politiche è inu-
tile, che io vi parli, rilevaniiole voi da fogli. Avrete
saputo i disastri dell' esercito sardo e la conven-
zione de' 9 Agosto, ch'equivale ad un abbandono
delle Provincie, insorte contro l'Austria. Venezia, per
altro, è risoluta a difendersi , dovessero anche par-
tire, si la truppa di terra, che la flotta del Re di
Sardegna. Finora , benché la convenzione sia stata
comunicata officialmente, l'ordine positivo non è, aib-
cor, giunto; ma può giungere, da un giorno all'al-
tro. Si spera, che, almeno, qualche vapore francese
sia per venire in queste acque, per impedire il bloc-
co da mare, che la flotta austriaca farebbe, tosto-
chè si allontanasse la sarda. Mu, anche bloccata da
mare, Venezia è atta a resistere più mesi; e , del-
l' armistizio stipulato per sei settimane , sono , già,
corsi dieci giorni. E, poi, impossibile, che le cose non
si chiariscano in breve. Il linguaggio della Francia è
molto energico ; ed, io caso che le sue proposizioni
sieno rigettate dall'Austria, la guerra è inevitabile.
Io credo, che l'Austria non cederà. Lettere del Pift-
monte annunziano grandi armamenti. Da Milano, poi,
l'emigrazione è tanto considerevole, che la città pa^
— 207 —
dirsi deserta. Se Brescia, Como e Bergamo saranno
occupate dagli Austriaci, avverrà lo stesso. È caso
miserando ed unico nelle storie moderne. Noi stiamo,
qui, di buon animo; e, finora, non abbiamo sofferto
alcuna privazione, avendo anco i gelati. Il caldo ò
oppressivo. Ed a questo ed alle ore troppo tarde del
desinare del Generale, attribuisco Tesser poco bene
di stomaco. Ma è piccola cosa; per rimettermi, so-
no , spesso, obbligato, ad astenermi di desinare con
lui, prendendo una zuppa ed un arrosto più per tem-
po. Lo sciupo della biancheria, proveniente dal' mo-
do di lavare in questa città, è incredibile. Dovetti,
poi, prendere i sessanta ducati; e li economizzo, ma
ho di bisogno di parecchi oggetti di vestiario e cal-
zatura. Li farò durare più che posso; dentro Settem-
bre, prenderò una egual somma dal Generale; e voi
avrete la bontà, di passarla a Florestano. Il Generale
vi ringrazia di ciò, che avete scritto per lui. Tutta
Targenteria è stata, qui, depositata alla Zecca. La guar-
dia civica s' istruisce, al servigio de' forti. Gli Au-
striaci, peraltro, da parecchi giorni, nulla hanno ten-
tato. Conservatevi in salute; vi ripeto/ che stiamo
allegramente , per quanto si può , in mezzo a tanti
contrattempi. Saluto Emilio, Peppino, Luisa, Antonia;
abbraccio Carlotta; e mi ripeto, baciandovi la mano,
cara madre, e stringendoti al cuore, caro fratello,
▼.<^ aff.mo figlio e firatellò
Alessandro Poerio,
P. S. n mio padrone di casa ha dovuto assentarsi,
per qualche giorno, a cagion di affari commerciali.
Ha disposto, che la servitù mi considerasse come lai
■ 208 -
. Gli SODO obbligatissìmo di tanta gentilezza; 'itM
potete ben credere, che non ne abuso.
Le ultime vostre sono de! 7 e dell" 8 agosto.
Ij
Alla Nabi! Donna
la Sig.ra Baronessa Luisa Parrilli
Napoli.
.»13.
CIX, La Carolina Poerìo-Sossìsergio e Cario Poerio
ad Alessandra Poeno.
Napoli, 23 agosto '.
-N." 11.
Mio
Sabato, ti ceonai, soltanto, di aver ricevuto la tua
del 14, per mezzo di tua Zia. Carlo ne fece, subito,
consapevole D. Florestano; ed io, Cosimo: perchè sia-
jno in accordo, che, chiunque dì noi avesse nuove
ile' suoi , sia comunicato alle altre famiglie. La tua
lettera mi lece vero piacere, si per sentirti in me-
diocre salute, che per sentirti, sempre, in Venezia.
Aveva ragione Barcher! Del resto, non voglio anti-
cipare il mio giudizio; voglio. In questo, seguire il tuo
consiglio, di non credere alte ciarle, che corrono per^
il mondo. Qui, stiamo tranquilli. Sono assai in penaJ
per la nostra Contessa Gozzadini ; voglio scriverle
e mandare la lettera ad Enrico, Ieri, ho veduto Fon-
seca, il quale mi ha portato tue nuove verbali. Mi
ha detto, che risolvette di partire al momento, che
ti offri di scrivere , ma non ci fu tempo. Ad ogni
modo, ijuesto fu il giorno dieci; ed, avendo tue nuove
posteriori, non m» sono allarmata. Spero, che non
facciate mancare le provvisioni, ora, che potete prov-
1
— 209 —
vedervene, per non fare come Milano. Io non posso
peffsare a quel, che è accaduto, senza rabbrividire !
ma speriamo , che la scintilla elettrica non perisca.
No, non puoi perire: Iddio ha messe queste scintil-
le nel cuore e nella mente dell* uomo ! Di Raffaele e
della sua famiglia nulla so. Non hanno, più, scritto;
di modo , che non so , se Maria Teresa si è mossa
dall' Afifrica , e dove sta , per dirigerle qualche let-
tera. Caro figlio , un bottegajo del nostro vicinato
ha un fratello, impiegato alla segreteria del Generale:
si chiama Crispino Vitale. Mi ha pregato tanto di
raccomandartelo e raccomandarlo anche al Generale.
Io lo fo, con tutto il cuore; perchè tutti quelli del
vicinato sono buona gente, e li ho provati, in tempi
e giorni difficili. Dunque, se potete far cosa per lui, ve
ne sarò obbligato. Un' altra persona vuol sapere, se
Tommaso Pulsinella, volontario, che era in Venezia,
sia vivo 0 morto. Non puoi credere, quante seccature,
che ho, per questi crociati. Caro figlio, ho ricevuto,
per mezzo di Carlo, due tue lettere, del 4 e del 10.
Vedi quante lettere mie hai ricevuto, in pochi giorni?
Ed io pure! Dunque, non ci stanchiamo di scrivere,
per ogni occasione. Quest'oggi, il giornale il Tempo
ha messi degli articoli, con la data di Venezia, ve-
ramente indegni per il Generale. Io credo tutto men-
zogna; e, siccome tu mi dici di non credere alle ciarle
che corrono, non credo, certamente, al Tempo: ma bi-
sognerebbe risponderci, perchè sono delle indegnità.
Domani, soggiungerò qualch' altra cosa. Addio.
Addi 24. — Questa notte , non ho punto dormito,
pensando al Tempo. Son vari giorni, che non veggo
Carlotta; ma so che sta bene. Sabato, ti scriverò ad-
dirittura. Domenica, è il giorno della tua nascita: come
14
— 210 —
passa il tempo! Addio, caro figlio, lascio luogo a tuo
fratello. Le tue zie ti dicono tante cose. Antonia de-
sidera nuove di Raffaele. Addio, ti benedico. Tante
cose al Generale; e tanti ringraziamenti, per l'affetto,
che ti dimostra.
Affezionatissima madra
Carolina.
Carissimo fratello,
Il Tempo (che, come sai, è il foglio semi-officiale)
ci ha dato, ieri sera, un lungo racconto della par-
tenza de' Napoletani da Venezia, e notizie dell'attacco
a Malghera del di 16. Credo, che quel racconto non
sia genuino. Pare , che 1' intervento francese non
avrà più luogo. Io n'era persuaso. Qui, le cose vanno,
sempre, allo stesso modo. Il partito reazionario si agita,
in tutt' i modi; ma spero, che i suoi colpevoli tenta-
tivi riescano infruttuosi. Questa mattina, Imbriani leg-
gerà il rapporto sulla Guardia Nazionale; e, fra tre
giorni, si aprirà la pubblica discussione. Intanto, tutto
è sospeso e paralizzato , con gran detrimento del
paese. Ma come impedirlo, in così tristi condizioni?
La Guacci sta, alquanto, meglio. Manna è stato am-
malato; ma, ora, sta bene e ti saluta. Troyse è di-
venuto Pari; ed è uno dei più retrogradi. Palermo
si è dato, perdutamente, alla reazione; ed ha rotto
con tutti gli antichi suoi amici. Ogni giorno, si hanno
novelli disinganni. Ma non, per questo, bisogna, dispe-
rare. Anche altrove, accade lo stesso; ed è giusto, che
i popoli scontino le colpe degli avi ed i propri errori.
Riverisco il Generale; ed abbraccio Assanti, Ulloa,
— 211 —
Mezzacapo, Cosenz ed il tuo padron di casa. Sono,
per la vita,
tuo afif.mo fratello
Carlo.
Al Signor
Sig. Alessandro Poerio,
Yenezia.
ex. La Carolina Poerio-Sossisergio ad Alessandro Poerio.
Napoli, 26 Agosto 1848. — iV.^ 12.
Mio carissimo figlio,
* Ti scrissi, a lungo; e ti promisi, di scriverti, oggi.
Oggetto della mia lettera è per farti gli auguri, per
domani, giorno tuo natalizio: come oggi, principia-
rono i dolori, e come domani, al mezzogiorno, ti diedi
alla luce. Dopo qualche giorno, venne a vedermi il
•Generale, con D. Titta suo fratello. Ecco, da che e-
poca egli ti conosce, cioè, da che sei nato. Io non
era solita di farti regalo; ma, quest'anno, come sei
lontano, ho pensato di fartene uno. Ti manderò una
cosa di poco costo, ma di gran prezzo per te. La spe-
dirò, il giorno 4 Settembre. Io, dopo la tua del 14
e le due attrassate de' 4 e del 10, non ho ricevute
altre tue; sono certa, che mi hai scritto. Attenderò,
pazientemente, che giungano ; se pure potrò avere
tanto sangue freddo. Basta, farò come meglio potrò.
L'altra sera, vidi tua sorella con tutti i suoi figli, i
quali vanno molto bene; il marito anche sta benis-
simo. Ieri l'altro, ebbi occasione di vedere un mo-
naco della Cava e, precisamente, quello, che ti accom-
pagnò alla gita di Amalfi, insieme con quel letterato
— 212 —
straniero; mi premurò tanto, che ti avessi salutata
in suo nome. Noi, qui, stiamo tranquilli; ma combat-
tuti tra tante nuove contraddittorie. Io finisco, sem-
pre, col dire: lasciamo fare alla Provvidenza! Ad-
dio, caro figlio; ho avute delle lunghe visite, per cui,
se voglio mandare questa lettera, debbo essere breve.
Tuo fratello tornerà tardi. Addio. La zia ti abbrac-
cia, i nipoti ancora. — Sono tua
aff. ma madre, che ti abb.. e ben ed ice-
Carolina.
Al Signor
Sig. Francesco Bellinga,
Venezia.
GXI. La Luisa Parrilli-Sossisergio e la Carolina Poerio-Sossisergio^
ad Alessandro Poerìo.
Mio carissimo Alessandro,
L'altro ieri, fu il tuo giorno natalizio; e ne par-
lammo, molto, con tua madre. Ti auguro gli anni av-
venire meno tormentosi dei passati; ed è tutto ciò, che
posso augurarti di meglio. Godo tanto , di sentirti
bene, dalle tue lettere e da persone, che, da poco, ti
hanno veduto. Io assisto, il più, che posso, la mia
cara e buona sorella, per poterla sollevare; e ti as-
sicuro essere un prodigio, come si trova in buona
salute ed ingrassata. Mio cognato, che si trova Pa-
ri, è molto affaticato ; e ti dice tante cose , come ^
anche, mio figlio. Il quale ti prega di procurargli le
nuove dell'uflSziale di Marina Sig. Luigi Fingati, col
quale era in corrispondenza, mentre, avendogli scritto-
più lettere, non ne ha avuto risposta; come, anche.
— 213 —
d*una scatola, con molti volumi dell'opera sua, che
gli ha diretto, per mezzo d' un trabacolo pugliese:
sicché, ti prega di darti la pena di fargli saper cosa.
Farai gradire al signor Generale i miei complimenti,
assicurandolo della stima annosa, ch'io ho per lui.
Carlo sta bene, ma affaticato assai; come, anche, Emi-
lio. Carlotta sta bene, come i figli; e ti dice tante cose
affettuose. Ed io, abbracciandoti di tutto cuore, mi
dico la tua
aff.ma zia
Luisa,
Napoli, 29 Agosto 1848.
P. S. Le lettere, che mi dirigi, mi vengono esat-
tamente. I miei Bambini domandano spesso di te; e
vogliono venire a vederti.
Mio caro figlio.
Poiché il tuo padrone di casa é partito, mi servo
del solito sig. Bellinga, per farti pervenire questa mia.
Ti scrissi, in data del 26; e, dopo avere mandata la
lettera alla posta, mia sorella mi mandò la tua. Per
quello, che ho potuto interpetrare della tua lettera,
mi sono consolata, che state tanto tranquilli per
quanto si può. Ti dico di non avere tutto interpre-
tato, perché lo scritto é fatto in fretta e l'inchiostro
talmente bianco, da non potersi leggere. Ieri sera,
viddi un chirurgo, che ti vedeva spesso in Venezia.
La notizia non è recente, perché é di 30 giorni fa;
ma, pure, mi ha fatto piacere. Non ti parlo di nuove
pubbliche: esse sono tanto incerte e varianti, come
la fantasia di una bella e capricciosa fanciulla. La
— 214 —
mia salute e quella di tuo fratello sono buone; Io
stesso, domenica, fu a pranzo in campagna. Di D. Pep-
pina, nulla so; ma stava un pochino meglio. Ti ri-
metto una lettera di Cosimo, il quale non riceve più
lettere del fratello. Io ti scriverò, il giorno 3 o 4,
perchè avrò occasione. Spero, aver pronto il regalo
destinatoti , perchè questo oggetto sarà pronto tra
giorni. Antonia fa, sempre, novene per te; come, an-
cora, D. Giovanna. Io ti abbraccio e benedico e sono
la tua
aff.raa madre
Carolina.
Al Signor,
Signor Francesco Bellinga,
Yenezia.
CHI. Alessandro Poerìo ad Enrico Poerìo (399).
Venezia, 29 Agosto 1848.
Caro Enrico,
Ti scrissi, giorni fa, accludendoti una lettera, per
mia madre, pregandoti di procurarle sicuro ricapito
per la via di mare. Profitto della partenza dell'ot-
timo Mordini, il quale viene a Firenze, con incarico
speciale di procacciare soccorsi pecuniari a Venezia,
per accluderti un'altra lettera, per mia madre. Fammi
l'amicizia di spedirla, parimenti, subito e con sicuro
mezzo. Sono stato poco bene, in questi giorni; ora,
mi vo ripigliando. Dammi tue nuove. Dello stato
— 215 —
nostro, qui, non te ne parlo; poiché Mordini ti rag-
guaglierà di tutto, a voce. Addio.
Tuo aff.mo cugino
Alessandro Poerio.
Airornatissimo
Signor Enrico Poerio,
Firenze.
CXni. Alessandro Poerio alla Carolina Poerio-Sossisergio
ed a Carlo Poerio.
Venezia, a' 29 Agosto 1848.
Carissima madre, carissimo fratello.
Vi ho scritto, il 26 e ieri 28, per la posta, facendo
l'indirizzo a Luisa. Nella prima di quelle lettere^ il
General Pepe avea soggiunto due righe, per te, caro
fratello. Fummo, egli ed io e tutti quanti ciò seppero,
assai mortificati, che, in Napoli, si credesse, univer-
salmente, Venezia obbediente alla infame e proditoria
convenzione de' 9 Agosto. Come ? Una città, ch'è una
vera fortezza naturale, rinforzata, egregiamente, dal-
l'arte, una città, dalla Provvidenza renduta alla Ita-
lia, per la cacciata miracolosa degli Austriaci, avrebbe
riammessi i suoi più crudeli nemici, ad un sol cenno
di Carlo Alberto? La fusione, tanto voluta da costui,
era, dunque, un preparamento alla rifusione nell'Au-
stria ? Venezia si terrà ; Venezia sarà saldo e glo-
rioso propugnacolo della Italiana indipendenza. Da
Trieste, son venuti, per mezzo di un uffiziale tedesco,
ordini precisi, sottoscritti dal nuovo Ministero, all'Am-
miraglio Albini, di lasciare le acque di Venezia, im-
— 216 —
barcando le truppe piemontesi e quanti altri voles-
sero andar via ; ma questo generoso Italiano ha in-
terpetrato gli ordini da vero patriotta, ossia non gli
ha eseguiti. Speriamo, che, da parte del Governo Sar-
do, non vi sieno maggiori insistenze: speriamo, che,
ancorché ci siano , V Albini perseveri nel patriotti-
co proponimento. Ma, dovesse, anco, la flotta sarda
ritirarsi, dovesse, anco, l'Austriaca venire e bloccare
la città, da mare, non, perciò, la popolazione e la guar-
nigione si perderanno d' animo. Gli Austriaci, frat-
tanto, costruiscono opere: ma fuori tiro del cannone
delle fortezze; e più (a quel, che sembra) per trince-
rarsi essi medesimi, che con intenzione di assaltar la
Venezia. Pare, che, non ostante le trattative di pa-
ce , si aspettino alla guerra : ingrossano molto sul-
l'Adige; intorno a tutta Lombardia han fatto un cor-
done impenetrabile; e sono spaventati dalla pertina-
cia, con la quale i rifugiati sulle montagne cercano
di organizzare la insurrezione. Quello, di che, qui,
si difetta, assai, è il danaro. Si è data tutta l'argen-
teria alla Zecca; si son fatti e si fanno continui sa-
crifici pecuniari ; ma le spese sono ingenti. Un ap-
pello, a'Governi Italiani (s'intende, già, escluso il no-
stro) ed alle popolazioni, darà, speriamo, larga mes-
se. Oggi , partono diversi incaricati di una speciale
missione, a tal uopo. In Toscana, va il Sig. Antonio
Mordini, giovane d' ingegno e patriottismo grande ;
per suo mezzo , ho scritto a Gino Capponi. Ver-
so il 10 settembre , vi prego passare a Florestano ,
sessanta ducati, perchè io possa farmeli
dal fratello. Degl'incomodi, sofferti in questi ultimi
giorni, mi vado, a poco a poco, ripigliando. Spero, che
la vostra salute sia buona. Mi duole non aver vostre
— 217 —
lettere correnti, V ultima essendo quella de' 19 ago-
sto. Sono inquietissimo, per la Guacci: datemi pre-
sto sue nuove e più rassicuranti. Mi affligge, anche,
lo stato del Marchese Ruffo; scrivetemi, se si è sal-
vato. Abbraccio Carlotta; saluto, caramente, Luisa,
Antonia, Emilio e Peppino. Vi bacio la mano, cara
jmadre, ti abbraccio^ caro fratello, e sono
Vostro
Alessandì'o.
P. S. Questa la mando ad Enrico; cui scrissi, an-
•che, il 24, accludendogli una lettera, per voi.
Alla Ornatissima
Signora Baronessa Carolina Poerio,
Napoli.
GXIV. Errico Poerio ad Alessandro Poerio.
Firenze, 30 Agosto 1848.
Caro Alessandro ,
Ho ricevuta la tua lettera de' 25 corrente. Credo,
con te, che Venezia sia 1' ultimo propugnacolo del-
rìndipendenza d* Italia; ma non credo, disgraziata-
mente, che le trattative diplomatiche vengano sven-
tate. Credo, che la guerra non s'abbia a far più, poi-
ché mi pare, che sia dell'interesse delle potenze, che
-ci sono di mezzo, il far la pace, temendo esse una
guerra generale e temendone, vieppiù, le conseguenze.
Ripeto: questo io credo; e con dolore. L'attitudine
de* governi è molle ed incerta, ne convengo ; ma
Don convengo, che si possa supplire, a questo difetto.
— 218 —
con lo zelo delle popolazioni. Le popolazioni, mio ca-
ro, dopo gli esempi, che ci hanno dato, ci hanno mo-
strato quanto poco si possa contare su loro. I Lom-
bardi, che, a Milano, nelle cinque giornate, han fatto
prodezze , son fuggiti dinanzi al fuoco regolare del
nemico: e, poi, non mi scorderò mai, quando ero al
campo, che i contadini ci vedevano correre contro
il nemico e ci stavano a guardare, come stupidi, allo
stesso modo, che non si trattasse di loro. Qui, si è
chiamati i cittadini ad una nuova sottoscrizione di
volontari: e nessuno ha risposto. Si è detto, di far
la leva forzata: e i contadini han risposto, che avreb-
bero tirato, prima, contro quelli, che sarebbero an-
dati a prenderli. É vero, per esempio, che i Bolo-
gnesi han respinto, col più gran valore , il nemico,
quando era alle porte della città. Ma, scacciato quel-
lo, il popolo armato ha organizzato un vero brigan-
taggio ; e così ha inteso 1* indipendenza Italiana. È
vero , che i Livornesi , di tratto in tratto , fan del
rumore. Ma senza scopo, senza causa e guidati (ciò,
eh' è peggio) da gente ambiziosa, subdola, maligna.
E, poi, i Livornesi furono i primi, a darci, sul campo,
il malo esempio d'un còrpo di volontari, che si scio-
glieva; e gridavano, spaventati: Ohe ! Madonna, tu
vano a mitraglia! parole, udite da me. Di Napoli,
non ne voglio parlare. Bisogna pregare Iddio, che
qualcuno sorga, non ambizioso, né malvagio, a gui-
dar la plebe. Bisogna pregare Iddio, che nasca quel-
l'unione, che non ci è stata, finora; che i partiti per-
sonali cessino: ed, allora, potremo contare sulle po-
polazioni.
Caro Alessandro, io ti dico questo, con le lagrime
agli occhi, col core, che mi sanguina, perchè sento
— 219 —
tutta la vergogna, che pesa sul nome Italiano. E prega
il Signore, che, dopo Tarmistizio, possa ricominciare
la guerra ; ma tale, da vincere o morire tutti sul
campo , affinchè sì cada , almeno , con onore. Ri-
guardo alle collette, in soccorso di Venezia, non ti
saprei dir, precisamente, nulla; ma mi pare, se non
sbaglio, che non ce ne sia il principio. Io, puoi im-
maginarti, farò quel, che potrò, come cerco sempre
di predicare unione, calcando la mano su' malvagi^
che, ammantandosi del santo nome di repubblicani,
vorrebbero soddisfare alle loro particolari mire. Godo,
che tu approvi la mia idea di chiedere, qui, la natu*
ralizzazione. Infatti, a Napoli, che mi aspetterebbe?
Persecuzione, o la necessità di morire di crepacuore»
Ho ricevuto lettere di casa : stanno tutti bene. Ho
mandato la tua lettera a tua madre. So, che Poppino
del Re deve venir, qui, come ci è venuto Ricciardi
(Peppino) e Zuppetta... Mariano è a Pisa. Le condizio-
ni di Napoli, mi dice Zia, sono particolari; ed essi
sono in mezzo ad un mare di contraddizioni. Povero
paese! Le Targioni ti salutano. Giusti, tutti gli amici
di qui; ed, anche, Ruggiero Bonghi, che è qui, da un
mese. Tu, salutami il Generale, Ulloa, Assanti, Ros-
saroll e Cosenz ; mentre io , abbracciandoti cara-
mente, sono
Tuo aff.ino cugino,
Enrico Poerio.
P. S. Ricevei, tempo fa, lettera da Zio Raffaele, da
Vercelli. Gh risposi ; ma non ho avute sue nuove*
Dimmi tu, se ne hai.
Al Signor
Barone Alessandro Poerio,
Venezia.
— 220 —
€XV. Cesare RosaroU-Scorza ad Alessandro Poerìo.
Gentilissimo Signor D. Alessandro,
Profitto della di lei bontà, pregandola di far per-
venire Tacclusa al mio carissimo Enrico; e, siccome
vivo sicuro de* suoi favori, cosi, anticipandole i do-
vuti ringraziamenti , ho V onore dichiararmi di Lei
Signore
Marghera, 2 7.bre 1848.
L* Obb.mo Devotis.mo .Servo
Cesare Rosaroll Scorza.
A. S. E.
Il Signor Barone D. Alessandro Poerìo,
Yenezia»
GXVI. Alessandro Poerìo alla Carolina Poerìo-Sossisergio
ed a Carlo Poerìo.
Venezia, a' 2 Settembre 1848.
Carissima madre, carissimo fratello,
Vi scrissi, il 24; poi, il 26; poi, il 29 Agosto. Son
inquieto, mancandomi lettere vostre; poiché Y ultima
•è de' 19, scorso mese.
Vi scrivo, ora, da un trattore, dove sto facendo
compagnia a Cesare Correnti, passato Segretario del
Governo provvisorio di Milano, il quale parte , fra
mezz'ora, per procurare armi, danaro, munizioni e
■soccorsi d'ogni genere, per Venezia. Del resto, siamo.
— 221 —
qui, tranquilli; né i Tedeschi c'inquietano. Pare, che la
flotta sarda partirà con le truppe piemontesi; ma an-
drà, solo, sino ad Ancona; invece, dicesi, che ver-
ranno, subito, vapori francesi, in apparenza per pro-
teggere i negozianti di quella nazione, ma, in so*
stanza, per impedir il blocco, che la flotta austriaca
potrebbe voler fare. Di salute, sto alquanto meglio,,
che ne'giorni scorsi; il Generale sta, anche, mediocre-
mente. Ha rinunziato alla metà de' suoi soldi, cosa,,
ch'è stata gradita, assai, dal governo e dal pubblico.
Noi stiamo di buon animo. Lo spirito nazionale, che
si va svegliando, specialmente, in Bologna, nella Ro-
magna ed in Liguria, estendendosi, anche, a buona
parte del Piemonte, non che la piccola guerra, che
sta facendo Garibaldi, con tanto successo, contro gli
Austriaci, manderanno a vuoto, appoggiato alla re-
sistenza di Venezia, tutti gl'intrighi diplomatici. Vi
bacio la mano, cara madre; ti abbraccio, caro fra-
tello; saluto tutt' i parenti; e mi ripeto, pregandovi
di non farmi restar, tanto tempo, senza vostre let-
tere,
yo. aff.o
Alessandro.
Alla Nobil Donna
La Signora Baronessa Carolina Poerìo,
Strada del Salvatore, N.o 5.
Napoli.
— 222 —
GKVII. M. A. PapadopoU ad Alessandro Poerio.
Cariss.^ Barone,
Nel ringraziarvi, di avere accettato di venire a
passare un' ora da noi , vi pregherei di cambiare il
giorno di domani in quello di giovedì, perchè, do-
mani, il Papà Mazarachi non può. Scusate questa mia
indiscretezza; e tenetemi, sempre, per
Vostra aff.a amica,
Af. A. PapadopoU,
Lunedi mattina.
Ài signor
Barone Alessandro Poerio^
Casa Mondolfo.
GXVUI. La Carolina Poerio-Sossisergio e Carlo Poerio
ad Alessandro Poerio.
N.^ 1. Questa è la prima lettera di Settembre. Ti
prego, di fare lo stesso, anche tu.
Napoli, 4 7mbre 1848.
Mio carissimo figlio,
Ieri, da tua Zia, ricevetti la tua cara lettera del
di 28; non giunse inattesa, perchè l'aspettavo. Quella,
che dici avermi scritto il 26, non Tbo ancor rice-
vuta: ma so, che, di simile data, ne ha ricevute il
medico de Luca. Infine, mi pare, che la via del cor-
riere sia la più spicciativa, quando non le tratten-
gono alla posta. Oggi, ti scrivo per mezzo del Va-
pore Francese. Per questo istesso mezzo, ti scrissi il
— 223 — .
14 ed il 24 dello scorso mese; questa mane, ho avuto
riscontro, che le lettere sono state mandate. Volevo
mandarti il dono, che ti ho promesso, bielle mie del
26 e 29; ma, se prima non mi assicuro, che, per questo
mezzo, giunge sicuro quel, che si manda, non l'az-
zarderò certo. Il dono, caro figlio, è la copia del ri-
tratto di tuo padre, un pochino più piccolo, per es-
sere più facile a spedirlo; più tardi l'avrò. Me lo ha
copiato l'amico Golia: mi dice, che gli è riuscito dif-
ficilissimo, per la delicatezza de'tratti com'è maneg-
giata la matita. Caro figlio mio , temo , che tu sii
stato più incomodato di quel, che mi dici; allora, non
stiamo più ai patti, di scrivermi, tutto e sempre, il
vero. Non posso nasconderti, che sono in pena per
te; ma, poi, quella speranza, che ho avuto, sempre, in
cuore, mi consola; e, poi. Iddio non puoi lasciar im-
punita la iniquità. Questa mane, ho avuta la visita
de' miei tre nipoti, di mia figlia, D. Rosina e la loro
governante. Carlotta ti dice tante cose; tutti gli al-
tri parenti ti salutano ed abbracciano. Enrico sta be-
ne; solo di Rafl*aele non so nulla. Domani, li scriverò,
per la posta. È partita la spedizione per Sicilia. Chi
dice, che tutto è combinato, con l'intervento della
Francia e l'Inghilterra; altri dicono, che l'Isola sarà
ridotta con la forza: infine, nulla di certo. Non ti
parlo dello nostre cose interne, esse sono al solito.
Di D.* Peppina non so nulla, da qualche giorno, per
che non ho veduto Ajello. Ho mandato a casa, alla
specola: non viene, mai, nessuno in Napoli. Ti rimetto
una lettera, per Damiano, del fratello; un'altra, te l'ac-
clusi giorni fa. Di Enrico ho buone nuove, da Firenze.
Molte persone ti salutano; molte altre hanno dichia-
rato inimicizia: se il mondo è brutto, in generale, il
— 224 —
nostro paese è bruttissimo. Ma dico quello, che ti ho
detto, altre volte; contentiamoci di mantenere il carat-
tere individuale. Al Generale, tante cose, da parte mia»
Pasqualino ti bacia la mano. In punto, ho avuto il
ritratto, al quale, per maggior sicurezza, farò mettere
il cristallo. Addio, caro figlio; farò quel, che dici,
per il danaro. Tutti tutti i parenti, ti dicono tante
cose; la gente di servizio ti fa i suoi rispetti. Sono
la tua affezionatissima madre , che ti benedice , con
tutta la potenza delF anima sua,
Carolina.
Caro fratello.
Abbiamo ricevuto, regolarmente, la tua lettera del
28, spedita col corriere ordinario. Mi piace di sen-
tire, che, costà, tutto vada regolarmente. Dopo gli
accordi coir Inghilterra e le dichiarazioni del Gene-
rale Cavaignac, qui, il Governo ha fermato di ese-
guire la spedizione di Sicilia. Filangieri comanda in
capo 24 mila uomini; e la spedizione è .partita. Spe-
riamo, che si venga ad un accordo, senza effusione
di sangue. Le offerte del Governo sono le stesse del
6 Marzo, cioè: Parlamento ed amministrazione sepa-
rata; lista civile, esercito e diplomazia comune. La
condotta del Governo Francese ha d.Uo baldanza
ai nemici del novello ordine di cose; e tutto è nel
massimo disordine. Il Ministero non ha forza; la Ca-
mera de' Deputati , ad onta del buon volere , è in-
ceppata in tutt' i suoi movimenti. Lo crederesti ? il
Ministero, abitualmente, non assiste alle nostre tor-
nate, se non quando è chiamato per qualche inter-
pellazione. Allora, viene; ma risponde, sempre, evasi-
vamente. Ti prego di leggere il mio discorso del
— 225 —
26 caduto Agosto. Lo troverai, nella Libertà Italiana
del 29. Leggi, ancora, una lettera di Baldacchini, nello
stesso foglio del 28; e la mia risposta, in quello del
31. L'intera tornata, poi, la troverai, per esteso, nel
Giornale Officiale del 2 Settembre. Leggi, ancora,
il rapporto, fatto da Emilio, per la Legge sulla Guar-
dia Nazionale. Ringrazia, per me, l'ottimo Generale;
ma digli, che non ho ricevuta la lettera col suo po-
scritto. Ho letto i suoi proclami; e la Libertà Ita-
liana li ha riportati. E giunto il Conte Griffoii ,
con una missione del Governo Toscano. Lo accom-
pagna il signor Gori-Pannilani, che dice, che io cono-
sceva sua madre. Non ho potuto vederlo, ancora, poi-
ché sono stato occupatissimo. Credo, ch'egli mi con-
fonda con te; poiché suppongo, che, essendo Senese,
la madre ha dovuto conoscerti , quando fosti colà.
Ti rimetto una lettera, pel signor Goffredo, che deve
essere nel forte Malghera. Egli à fratello di Carlotta,
che sta da D.* Lucia. Ieri sera, ci fui, per darle no»
tizia di Tommaseo, che è giunto in Parigi. Questa
degna amica ti saluta, cordialmente. Il Marchese Ruffo
mi assicura, che Giuseppe di Giuseppe (e non di Peppe)
è costà e serve fra' volontari. La Guacci sta meglio;
ma io non l'ho veduta, perchè mi manca il tempo,
nò posso perdere una mezza giornata. Ci andrò» se
saremo prorogati, come credo. Il Generale Florestano
sta molto meglio. Ti abbraccio di tutto cuore.
Tuo aff.roo fratello^
Carlo,
Al Signor
U Sig. Barone Alessandro Poerìo,
Yenezia,
15
— 226 —
Raccomandata, pel sicuro ricapito, al Sig. Direttore delle
Poste della Repubblica Francese in Livorno.
GXEC. Guglielmo Pepe a Carlo Poerio ed Alessandro Poeria
alla Carolina Poerio-Sossisergio.
Venezia, il 5 Settembre 48.
Ti prego , mio caro Carlino , di ossequiarmi tua
madre , di darmi ragguaglio della salute di Flore-
stano, dopo i bagni d'Ischia, ed, infine, di mandar-
mi, sotto fascia, il foglio del Tempo del 23 Agosto,
in cui detto giornale semi-uffiziale diceva orrori di
me. Farò rispondere (non già per desiderio di giu-
stificarmi: ma per dimostrare questa nuova infamia
del governo; ed accrescere, sempre più, la sua rab-
bia contro di me , ) esponendo la situazione attuale
della Venezia, la quale sfida le forze Austriache, ad
onta della partenza della squadra e delle truppe
Sarde, le quali ci abbandoneranno, dimane. Sono
stato, altresì, minacciato dell'abbandono de' quattro
reggimenti Romani; ma spero, che, invece, a dispetto
di quel turpe governo , lungi di partire essi , ver-
ranno, qui, tre battaglioni da Bologna, di quelli, che
avevano incontrato, altra volta, gli Austriaci nella
Provincie Venete. In tutti i casi, quando, anche, ri-*
manessi senza una sola Compagnia pontificia, ho messo
in ordine, talmente, tre brigate venete , compresi i
mille Napoletani, che, (con esso, un battaglione Lom-
bardo e queste guardie nazionali , ) la classica La-
— 227 —
guna resisterebbe agli assalti dello straniero, invi-
tando a libertà le altre provincia della cascante Italia.
Qmo Pepe.
P. S. Ti prego d' inviarmi il suddetto giornale,
sotto fascia, diretto alla Contessa Rachele Soranzo,
Venezia.
« *
Cara madre.
Profitto del luogo, che, gentilmente, mi lascia il
Generale, nella sua lettera, per soggiungere due ri-
ghe, quantunque vi abbia, recentemente, scritto, e lun-
gamente; ed alle molte mie lettere, in tutto, mi ri-
ferisco. Questa, la mandiamo a Roma, affinchè per-
venga, in mano a mio fratello, in modo sicuro; impor-
tando al Generale, com'era naturale, di conoscere le
infamie, fatte pubblicare dal Governo di costà, sul suo
conto, e smentirle; meno per difesa alla sua fama,
che per rispetto alla verità.
Della salute vi ho scritto, che mi andava ripi-
gliando. Son ricaduto alquanto; ma ho fiducia, di ri-
mettermi.
Pel danaro, vi ho pregato di passare a D. Flore-
stano ducati sessanta, che mi farò dare dal fratello.
Di una somma, da tenere a mia disposizione, per ogni
eventualità, in questi procellosi tempi, vi ho scritto,
più particolarmente, per la via di Livorno.
Cara madre, la costanza dell'animo non ci abban-
dona; la coscienza di fare il dover nostro rasserena
noi tutti , in questo difficile frangente. Il Generale
provvede, il meglio, che per lui si può, alla difesa;
è bastantemente secondato dal Governo , ma si di-
— 228 —
fetta di danaro. II Generale ha rinunziato alla metà
del soldo. Ogni Italiano, degno di questo nome, ed,
anche, solo, non indegno, dovrebbe contribuire l'obolo '
sacro, alla difesa di queste classiche lagune.
Veggo, spesso, in casa della Contessa Soranzo,.
dove alloggia il Generale, la Contessa Papadopolr,
figlia deir Angelica Àldobrandini , signora piena di
amabilità e di spirito. Abbracciando mio fratello e
mia sorella; e dicendo tante cose a Luisa, Antonia,.
Emilio e Peppino; sono
V. aff.roo figlio,
Alessandro.
Mi piace, sentir, ch^la Guacci stia meglio. Quanto
desidero, ch'ella si rimetta perfettamente! Fatele
dire, o ditele, se l'andate a trovare, tante cose affet-
tuose, da mia parte.
In quanto alla Contessa Gozzadini, da un pezzo»
non ho sue lettere. Intendo scriverle. So, che, nelle
giornate di Bologna , se n' era andata ad Imola.
Credo, che, ora, sia tornata a Bologna. Scrivetele, che,
certamente , la lettera vostra le farà piacere.
GXX. La Carolina Poerio - Sossisergio e Carlo Poerio
ad Alessandro Poerio.
Napoli, 5 7mbre 1848.
Mio carissimo figlio.
Ieri, dopo spedita la mia lettera, ricevetti la tua
attrassata del 23. Mi consolo della tua migliorata
salute; e non posso pregarti abbastanza di prenderne
— 229 —
trura ed essere sincero meco, perchè sarei infelice, se
pensassi, che tu mi nascondi qualche cosa, riguardo
a ciò. Ti scrissi, ieri, che il dono, che ti facevo, era
la copia dei piccolo ritratto di tuo padre, in un sesto
più piccolo, per avere più facilità d'inviartelo. Carlo,
ora, che sta un po' libero, anderà a respirare un pò*
d^'aria campestre. Questa mane, si è prorogato il Par-
lamento, per Novembre. Tutte le nostre famiglie stan-
no bene; Luisa, anche, profitterà di questa reldche^ per
andare in campagna. Addio, caro figlio; amami e cre-
dimi tua afiezionatissima madre, che ti benedice,
. Carolina*
Carissimo fratello.
Ieri, ti scrissi, lungamente, rispondendo alla tua
del 28. Ieri sera, poi, mi giunse la tua del 25; alla
quale risponderò colla prima occasione. Ti dirò, solo,
da adesso, che l'articolo, dal quale hai desunte le no-
tizie sul mio conto, è un ammasso di stomachevoli
e perfide bugie. Il discredito di quel giornale è giunto
al colmo ; ed il dizionario delle sue ingiurie muove
la nausea, ad ogni onesto. Il tempo, ne son certo,
svelerà grandi cose, sul conto del direttore di quel
foglio. A quest'ora, avrai letto le ultime nostre di-
scussioni ed il mio carteggio col Baldacchini, che
è nella Libertà Italiana del 28 e del 31. Questa
mane, le Camere sono state prorogate, al 30 Novem-
bre. Tutto si è passato colla massima dignità. Non
appena il Commissario del Governo (il Ministro Rug-
giero) ha letto il Decreto Reale di proroga, il Pre»
sidente ha dichiarata prorogata la Sessione , tutt* i
deputati si sono alzati e, silenziosamente, hanno sgom-
brata la sala. Oggi , vi è stata una dimostrazione
— 230 —
di pochi lazzari assolutisti. Dopo aver percorso To-
ledo, impunemente, mentre vi erano molte pattuglie^
sono andati ad assalire i lazzari costituzionali del
quartiere Montecalvario. Ma hanno avuto la peggio;
e se ne sono tornati malconci. Novella gloria pel Mi-
nistero del 16 Maggio! E osservabile, che alla testa
dell'attruppamento (due o trecento persone del vol-
go ) vi erano due Cappellani della Real Marina ed
il celebre Ispettore Cioffi , che è stato rimesso dà)
Ministro Bozzelli. Ora, che son disoccupato, andrò, per
qualche giorno, ad Ischia, dall' ottimo Generale Flo-
restano. Ti abbraccio di tutto cuore.
V»
Tuo affino fratello,
Carlo.
Signore
Francesco Bellinga,
in Venezia,
GXXI. Nicola Attanasio ad Alessandro Poerio.
Napoli, 9 Settembre 1848.
Mio cariss.** Alessandro,
Le premure di un amico mi costringono a pren-
dere la penna, per pregarvi, acciò vi adoperiate in
favore di Eduardo e Ludovico Masoli, Crociati Na-
poletani del 2^ Battaglione, sotto gli ordini di Mata-
razzo ed, ora, a Chioggia. II padre, avanzato in età
e malsano, desidera vedere questi suoi figli, scampati
ad onorevoli perigli. Io, ai suoi voti, aggiungo le mie
preghiere; e, quindi, vi raccomando adoperarvi presso
— 231 —
cotesto Generale Pepe, onde gli sia permesso venire
in Napoli. Ciò, per altro, nelle debite riserve; poiché
io credo raccomandarli solo nei sensi del dovere, vai
dire, quando la causa Italiana non soffrisse di nulla;
poiché, se dessa richiede, che restino, io vi raccoman-
derei farli rimanere. Ma suppongo, che il loro mo-
mentaneo allontanamento sia cosa, che non possa re-
care il menomo pregiudizio alla causa nostra, anche,
pei soccorsi vicini degli stranieri. I ruderi di Mes-
sina, sottoposti alla Cittadella, son caduti in mano ai
regii; e questa occupazione é costata, ad essi, immensi
morti e feriti, che, da 3 fregate a vapore, sono stati
trasportati a Reggio , oltre 4 cannoniere perdute.
L*armata sicula è accampata sulle alture di Messina;
ed i legni da guerra siciliani sono a Milazzo. Pare,
che vogliono chiamare i Regii ad un attacco, fuori
il tiro della Cittadella. Vi abbraccio, cordialmente;
e, nella speranza di poterlo, in breve, fare fra le mi-
gliori fortune d* Italia, mi dico
Tutto vostro,
Nicola Attanasio.
A s. E.
Sig. Barone Alessandro Poerio,
, in casa del Generale Pepe,
Yeriezia»
2° Battaglione Volontario Napoletano.
— 232 —
CXXII. La Carolina Poerio-Sossisergio e Carlo Poerio
ad Alessandro Poerio.
N.** 3.
Napoli, 9 Settembre 1848.
Mio carissimo figlio,
Ho atteso, sin' ora, che son le sei, per prender la
penna per iscriverti, sperando, sempre, di aver tue let-
tere; ora, incomincio a perdere la speranza e non vo-
glio ridurmi più tardi. L'ultima tua era del 28, scorso
mese. Vi è chi ha ricevuta quella del 31; ma io ho
ricevuta, invece, quella del 28. Giorni sono, cioè il
quattro ed il cinque, ti ho scritto per diversi mezzi;
per conseguenza, questa ò la terza lettera del mese. Noi
stiamo bene. Le piccole inquietudini si sono calmate.
Le tue zie, tua sorella, tuo fratello, i tuoi nipoti, tutti
stiamo bene. Passeremo il denaro, come tu dici. Forse,
avrai, già, veduto una persona, che ti deve aver re-
cati i miei saluti: parti di fretta, per un affare pres-
sante, per cui non venne a prendersi la lettera, che
ti avevo destinata. Il povero Poppino Ferrari, dopo
tre anni di consunzione, è morto: i zìi, pare, che non
si siano condotti molto delicatamente verso di lui.
Povera madre! Lascio luogo a tuo fratello, che vuole
scriverti di varie cose. Sento, che le febri terzane af-
fliggono molti, in questa stagione. Puoi credere, se sto
in pensiero ! Ma so, pure, che i nervosi non sono sog-
getti a tali febbri. Basta: mi raccomando ali* Essere
Supremo I Addio , carissimo figlio , ti benedico con
tutte le forze dell'anima mia, le quali crescono, con
gli anni. E ti saluto.
Tiaaff.ma madra,
Carolina.
— 233 —
Carissimo Fratello,
Non abbiamo avuto tue lettere, dopo quella del 28
agosto. Ma ne ho letto una del 31 , scritta da co-
stà. Noi tutti stiamo bene. Non ho potuto andare
dall'ottimo Generale Florestano, in Casamicciola, poi-
ché Gaetano Zyr, col quale ho fissato di andare in-
sieme, non ha potuto, finora. Vi andrò, nella prossi-
ma settimana. Ieri V altro, essendo andato a far vi-
sita, in compagnia de' Capecelatro, al Marchese Dra-
gonetti, che è molto ammalato con gli emorroidi, il
Marchese m'incaricò di pregare l'ottimo Generale Gu-
glielmo, affinchè desse un congedo, di qualche tempo,
a' suoi due figli, per curarsi. Entrambi sono andati
soggetti alla recidiva della terzana; ed il padre teme,
giustamente, che non si sviluppi qualche febbre perni-
ciosa. La nostra città è perfettamente tranquilla ,
dopo due giorni di lievissime agitazioni. Le Camere
sono state prorogate, al 30 Novembre. Emilio, la mo-
glie ed i figli stanno tutti bene ; egualmente i Par-
rilli e zia Antonia. Vidi il padre Tosti, di Monte-
cassino, il quale ha scritto un bel libro, sulla Lega
Lombarda. Egli m' incaricò di salutarti. Se il tuo
ottimo padrone di casa è tornato , ti prego di sa-
lutarlo, caramente. Ti abbraccio, infanto, di tutto cuo-
re; e sono, per la vita,
Napoli, Q Settembre 1848.
Tao aff.mo fratello,
Carlo Poerio.
Signore
Giuseppe Mondolfo, banchiere,
Venezia,
— 234 —
CXXin. Maria-Teresa Poerio-De Nobili ad Alessandro Poeria
Mio caro nipote Alessandro,
Prendo la libertà, di scrivervi pochi righi, onde
raccomandarvi il giovane Olivieri, che viene in Ve-
nezia, figlio d'un amico di mio cognato Vercillo, il
quale ce lo ha raccomandato, come se fosse nostro
figlio. Egli viene in Venezia, per combattere per là
santa causa della Libertà. Ve lo raccomando, dun-
que, caldamente; e ve ne sarò veramente obbligata,
della buona accoglienza , che li farete. Mio marito
vi ha scritto, già, due volte; ed un' altra al nostro
congiunto signor General Pepe. Ma è stato dolente,
di non aver ricevuto vostro riscontro. Amerei, gran-
demente, ricevere vostre notizie; e sentir tanto voi,
come il Generale, in buona salute. Rispondetemi, in
Genova, ove mi trovo, da due mesi. Intanto, vi au-
guro perfetta salute; e che la causa, che voi, santa-
mente, difendete, sia per essere vittoriosa. Tali sono i
sinceri voti, che il mio cuore forma, per l'indipen-
denza del nostro paese. Mio figlio e figlia vi salu-
tano, affettuosamente. Fate le nostre parti, col Ge-
nerale; e credetemi, per la vita,
Genova, li 7 Settembre 1848.
Vostr* aff.ma Zìa
Maria-Teresa Poerio.
Airillmo Signore,
n Signor Alessandro Poerio.
Yenezia.
— 235 —
CXXIV. Alessandro Poerìo alla Luisa Parrilli-Sossisergio
ed alla Carolina Poerio-Sossisergio.
Venezia, a di 10 Settembre 1848.
Carissima zia.
Rispondo alla vostra, de'29 scorso Agosto, piena
di affettuose espressioniv per me, e, proprio, dettata
dal cuore. Vi ringrazio degli auguri ," che mi fate.
In quanto alla salute, io me ne lodava , nelle prime^
settimane del mio soggiorno, in questa città. Dipoi,
essa ha subito qualche alterazione : la bile (e come
non accumularne molta , fra tanti avvenimenti in-
fausti ?) ed un forte catarro, avendomi di nuovo irri-
tato i nervi. Ciò nondimeno, anche nel presente sta-
to, debbo chiamarmi contento, in paragone de' miei
patimenti spasmodici di Napoli. Il singhiozzo^ ch'era
abituale, non si è riaffacciato ; se non che, a* tristi
annunzi, massimamente, se improvvisi, me ne soglioa
venire alcuni colpi. Ma, subito, cessa. Da qualche gior-
no, sto meglio ; e spero, a poco a poco, rimettermi
bene. Godo , che i vostri nipotini crescano sani ed
allegri. Ringrazio D. Michelangelo della memoria, che
serba di me. Non oso congratularmi della sua di-
gnità di Pari. Dio buono ! Che Camera alta! Mai, non
fu veduta la più bassa. Veggo , da' fogli pubblici ,
ch'egli è molto occupato, come relatore, in materie
non politiche, cioè, nella, verifica de' poteri, per le no-
mine de' Pari nuovi. Direte, a Peppino, che ho ve-
duto il Capitano Fingati, UfSzialè molto stimato, qui,,
per coraggio e cognizioni militari. È, anche, pieno di
cortesia. Mi disse, aver risposto, puntualmente, alle-
— 236 —
lettere di mio cugino. Menochè a quella de' 15 o 25
e(non ricordo bene) del mese di Luglio, pervenutagli,
dopo il suo ritorno dalla prigione , sofferta in Lu-
biana. E ciò, in parte, perchè cercava un' occasione
particolare, per iscrivere con sicurezza maggiore di
ricapito, occasione, che non si è presentata. In par-
te, perchè aspettava l'arrivo degli esemplari del Di-
zionario di Marina. Or , questi esemplari non sono
giunti. Peppino ne prenda conto da quel Salimbeni,
per mezzo del quale intendea spedirli, com'egli scrisse,
allo stesso Fingati. Il certo si è , che questi non li
ha ricevuti ; è pronto, tosto che giungano, a farne
la distribuzione, tra quelli Uffiziali, che, dal saggio
veduto, si erano invogliati, di posseder l'opera. Ecco,
guanto posso dire in proposito, al mio caro Peppino,
•circa la commissione datami. Serbo , carissima zia ,
vivissima memoria e gratitudine del vostro affetto.
Il quale vigilò sulla mia infanzia e mi seguì negli
esili della mia giovinezza ; di cui novelle prove mi
deste, negli anni più maturi, passati in Napoli; e che,
ora , in questo declinare della mia vita ed in que-
43ta forzosa lontananza, a cui mi condannano la mia
povera salute e le condizioni de'tempi, mi accompa-
gna, ancora. E, specialmente, vi ringrazio delle tante
cure, che avete per l'ottima vostra sorella e mia ma-
dre, della cui buona salute, (miracolosa, come voi ben
•dite, fra tante avversità) sono riconoscente alla Prov-
videnza, e che accetto, come largo compenso di molti
dolori. Scrivetemi, qualche volta; e dite, a' vostri ni-
potini, che, quando saranno' più grandicelli, zio A-
lessandro li aspetta. Addio. Credetemi, immutabil-
mente.
Vostro aff.mo nipote,
Alessanchv.
— 237 —
Carissima madre,
Sono inquieto, pel vostro silenzio ; Tultima lette*
ra, che ho ricevuta, essendo quella de' 29, scorso mese^
scritta da voi , da zia Luisa e da Carlo. In quanto
alla salute, mi rimetto a quanto scrivo a Luisa. Ri-
spetto a' sessanta Ducati, da passare a Florestano, vr
prego, di consegnarli subito, essendo in fine del da-
naro. Vi ho, anche, scritto del modo, come aprirmi
uh credito di 200 Ducati, per ogni caso straordina-
rio, ne' tempi, che corrono, grossi e difficili : mi ri*
metto al foglio , scrittovi a' 5 Settembre. In quella
stesso giorno, soggiunsi, anche, due righe, in una let-
tera del Generale a Carlino. Vi avea, già, preceden-
temente , scritto , a' 2 del corrente mese. La flotta
sarda, con le truppe di Carlo Alberto, ci ha lasciati,,
per Ancona ; ma è giunto avviso ufficiale, che, pre-
sto, saranno, qui, due vascelli di linea francesi q due
vapori, che li rimorchiano. Una lettera di Tomma-
seo, (giunta ier l'altro, e che leggerete ne' giornali,)
dà buone speranze; ma lascia travedere, che, se Ve-
nezia non avesse resistito , la Francia avrebbe ac-
consentito ad un nuovo trattato di Campoformio. La
resistenza di Venezia può essere, anzi, ho fede, che
sarà la salute d'Italia. La guarnigione, benché assot*
tigliata dalle malattie, è sufficiente; la popolazione,,
ottimamente disposta. Aspettiamo, da Romagna, un
altro migliajo di giovani.
Si sta trattando, co' principali signori di Venezia, un
prestito di cinque milioni di lire, (pel quale sarà e-
messa carta monetata,) oltre le somme, che si racco-
glieranno, da soscrizioni, in altre Città d' Italia, ed
il prestito più considerevole, che quattro Commissari
— 238 —
«tanno procurando. Un recente discorso di Carlo
(cui, per mancanza di spazio, oggi, non scrivo) è sta-
to lodato, da chiunque lo ha letto. Ma non è iute*
ro, la Gazzetta di Venezia avendone, solo, riportato i
brani principali. L' ho cercato , finora , invano, nel
Giornale delle Due Sicilie. Qualche espressione è
piaciuta meno ; ma s' intende , che ne han colpa i
tempi deplorabili e la posizion falsa della Camera.
Una recente promozione è la risposta dell' assoluti-
smo. Con maraviglia, ho veduto il nome di Emilio,
(che, caramente, saluto,) tra quelli de' dissenzienti. Ab-
braccio Carlotta ed i suoi vispi e spiritosi bambini,
massimamente Fra Vittorio ; e mi rallegro de' loro
progressi.
Ringrazio Antonia delle novene , che fa per me.
Qualunque ne sia l'efi'etto , vengon, certo, da afie-
zione per me. Saluto D.* Giovanna ed il domestico
e Giuseppina. Aspetto , con impazienza , il vostro
dono. Immagino, che sia il vostro ritratto. Son cer-
to, che avrete preso ogni precauzione , per la sicu-
rezza del ricapito. Oggi, vi è, qui, gran rivista della
Ouardia civica. Stringo al cuore mio fratello; e, ba-
<jiandovi la mano, mi ripeto,
Vostro aflf.mo figlio,
Alessandro.
Alla Nobil Donna
La Signora Baronessa Luisa Parrilli.
Strada Banchi nuovi, N.*^ 13.
Napoli.
— 239 —
GXXV. Enrico Poerio ad Alessandro Poerio.
Firenze, 11 Settembre 1848.
Carissirao Alessandro,
Ho ricevuta, con molto piacere, la tua de' 5 cor-
rente. Ti assicuro, che le riflessioni, che ti ho, già, fat-
te, le faceva con moltissimo dolore.
Non è, che venga meno la fede in me. Io ho fede
nella causa: ma mi duole, di vedere, che, forse, non
siamo corrisposti, come dovremmo. In quanto a me,
io correrò la mia via, fino in fondo; già, anche la
morte non mi fa senso : Y ho affrontata al campo.
Non negherò, che Firenze siasi alquanto accasciata:
ma spero, che, al momento del bisogno, la si voglia
ridestare, a tutta la vita del Settembre passato. In
quanto a Livorno , assicurati, che coloro, che sono
alla testa di questi movimenti, è feccia: ti basti, che
lo stesso Guerrazzi è stato fischiato, essendovi andato,
per calmare. L'Italia, sono con te, risorgerà; tanto
più, ora, che par certo, essere stata accettata dall* Au-
stria la mediazione anglo-francese. La Francia, sono
sicuro, in tutti i casi, sarà pronta a prender l'armi.
Le cose di Sicilia, par, che non vadano bene. Mes-
sina è stata costretta a cedere. A Napoli, è seguito,
anche, del rumore. Le camere sorìo state prorogate,
al 30 Novembre. I lazzaroni, che tenevano dal Re,
han creduto di fare allegria, per questo avvenimen-
to; e sono andati ad insultare i lazzaroni, che ten-
gono dalla parte liberale. Carlo mi scrive, che il Go-
verno gli ha lasciati fare. Ma, per altra via, si dice,
che il Re, al solito, ha fatto uscire la truppa ed ha
— 240 —
fatto far fuoco, indistintamente, sugli uni e sugli aU
tri. Riguardo alle collette per Venezia , non ti sa
dire nulla, nessuno me ne ha saputo informare. La
mia naturalizzazione par, già, ottenuta ; e ho c^uasi
certezza d*un posto nella milizia. Zio Raffaele mi ha
scritto da Vercelli. Egli si lagna della diversità di
sentimenti, che è fra i capi de' corpi lombardi. Se
egli potrà avere il comando isolato d'un corpo, re-
sterà; in altro caso, anderà in Romagna; o verrà a
Venezia. Da Napoli, mi scrivono, sempre; ed io ri-
metterò, subito, la tua lettera a Zia. Spero, che, a
quest'ora, sarai guarito del tuo accesso bilioso: man-
tienti in salute, mio caro Alessandro. Salutami Ul-
loa, Cosenz, Assanti, il Generale ; mentre io , salu-
tandoti da. parte di Bonghi e di tutti gli amici di
qua, ti abbraccio, caramente, e sono
tuo a£f.mo cugino,
Enrico.
Al Nobil Uomo
n Sig. Bar.ne Alessandro Poerìo,
presso il Generala Pepe,
Yenezia,
GXXVI. Enrico Poerio ad Alessandro Poerio.
Firenze, 12 Settembre 1848.
Caro Alessandro,
Ti ho risposto, già, alla tua del 5 corrente. Ti
scrivo, di nuovo, cogliendo l'occasione, che parte, di
qui, Nicola Pierni per Venezia. Le nuove di Messi-
na sono dolorosissime. Pare, che l'abbiano bombar-
— 241 —
data; e che la Cittadella abbia fatto uii fuoco vivo.
lìa. i Messinesi, (quando han veduto, che non era, più,
possibile di resistere) hanno incendiato ciò, che re-
stava della città, ed hanno emigrato. Così, non hanno
ceduto; ed han rinnovati gli alti esempi della Gre-
cia. Del resto, nella truppa, ci è stata grandissima
strage. Anelo di sapere, quanto più presto si possa,
ciò, che deciderà la diplomazia, dacché è stata ac-
cettata la mediazione anglo-francese dall' Austria.
Le condizioni della pace, Dio voglia sian onorevoli!
Oppure, e questo mi auguro più che altro, possa la
guerra ricominciare, con tutto l'ardore e l'entusia-
smo, di cui è d*uopo. Tanti saluti a tutti gli amici;
mentre, abbracciandoti, caramente, mi dico
Tuo affm.^ cugin<^
Enrico.
Al Signore
Signore Alessandro Poerio,
Venezia,
CXXVn. Alessandro Poerio alla Carolina Poerio-Sossisergio
ed a Carlo Poerio.
Venezia, a di 13 Settembre 1848.— iV.** 4.
Carissima madre.
Secondo il vostro comando, segno, con numero d'or-
dine, le lettere in ciascun mese. In questo, la pre-
sente è la quarta , oltre la mia , soggiunta in una
lettera del Generale a Carlino. Non siate in appren-
sione sul conto della mia salute ; nò crediate , che
io vi taccia cosa alcuna , in tal proposito. Vi ho ,
16
— 242 —
sempre, scritto il vero. Ho sofferto; ora, sto alquanto
meglio. Sotto impressioni cosi dolorose, è un mira-
colo, che io non abbia fatta una grave malattia. La
mia salute ha continui alti e bassi. Ma non sono,
mai, ricaduto in uno stato tanto deplorabile quanto
in Napoli. Cosicché, in pieno, debbo contentarmi, sop-
portare, pazientemente, gl'incomodi e rallegrarmi,
quando i nervi mi dalino tregua. Ma , da qualche
giorno, anche a traverso delle osrillazioni della mia
salute, sento, che vado meglio. Ed, ora, che l'aria è
alquanto rinfrescata , confido , che questa miglioria
voglia progredire.
Dovrò prendere, fra pochi giorni , i sessanti Du-
cati; i quali credo, che abbiate fatto o farete, subito,
passare a Florestano. Per la somma straordinaria ,
di cui abbisogno, vi ho scritto, circostanziamente, il 5
settembre. Fra un mese, bisognerà pensare a vestirsi,
pel verno; e, tra le altre cose, il mio cappotto, fatto in
principio del 1835, è fuori stato di prestare ulterior
servizio, e prende congedo. Economizzo quanto posso;
e vi dirò (con vostra e mia maraviglia), che passo
per molto misurato nello spendere. Poiché dovete
sapere, che, se la vita, in Venezia, non è cara, ne'
tempi ordinari e per chi si stabilisce qui, è carissi-
ma, pe'forestieri e, massimamente, ora. Tutti gli Uf-
fiziaU, venuti con Pepe, non bastando loro il soldo,
sono obbligati a gravare le loro famiglie, tanto più
che alcuni di essi, seguendo l'esempio del Generale,
hanno rinunziato alla metà de' loro averi. Fra que-
sti, è Ulloa.
La mia principale distrazione, in questa città , è
Tandar vedendo gli obbietti d'arte, de'quali abbonda,
ed il visitare le isolette più amene, che fan coro-
— 243 —
na a Venezia. È , certamente , una Città d' incan-
to; ed i riflessi degli edifizi, nelle acque, sono i più
<5hiari e netti, che io mi abbia, mai, veduti. Il canal
grande, poi, ed il Canale della Giudecca, al chiaro di
luna, son cosa, veramente, magica. La sola privazio»
ne, per chi ama la campagna, è quella de'prati, de*
boschi, della verdura e delle acque correnti de'fiu*
mi. Intendo dire, adesso, che le comunicazioni, con
la terra ferma, sono interrotte; poiché, quando la strada
ferrata è in attività, Venezia è il più bel soggiorna
del mondo , le campagne circonvicine essendo della
più ricca vegetazione, e sparse di ville magnifiche,
tanto verso Padova e Vicenza , quanto verso Tre-
viso. Ho la fortuna di conoscere le famiglie Papado-
poli e Galvagno, che posseggono, in Venezia, i due
più belli giardini , vasti abbastanza ; ed , il prima
soprattutto, ben tenuto e pregevolissimo, per un bel-
vedere e per un terrazzo sul Canal grande. Entro in
questi particolari, perchè so, che, al vostro cuore ma-
terno, fa piacere ogni cosa, che mi conforta Tanimo
stanco ed addolorato. Delle cose pubbliche, scrivo a
Carlino. Il Generale e Damiano stanno benino. Ab-
braccio Carlotta; saluto Luisa, (cui scrissi il 10, nella
stessa lettera, in cui scrissi a voi), Antonia, Peppino
ed Emilio co' bambini. Le vostre ultime son quella del
4 e r altra del 5. Vi bacio la mano; e, con filiale
tenerezza, mi ripeto
v.° aff.m.o figlio,
Alessandro.
Carissimo fratello.
Ho avuto le lettere del 4 e del 5 Settembre. L'ar-
ticolo, di cui mi parli, io non l'ho mai letto, né so
indovinare in qual giornale sia; non hqW Omnibus^
— 244 —
che il Generale riceve. Spiegati più chiaro. Del re-
stOy in questi calamitosi tempi, nulla mi fa maravi-
glia. Ho letto la discussione de'26 Agosto. Ed il tuo
discorso mi è piaciuto assai: ed ho avuto la soddi«
sfazione, di sentirlo lodato, da tutti. Ma le tue let*
tere e quella di Baldacchini mi sono perfettamente
ignote, né, qui, viene il giornale La Libertà Italia*
na. Mandami, dunque, piuttosto, quel numero, sotto,
fascia. li deplorabile andamento delle cose , in Nà-
poli, mi tiene afflittissimo, benché mi conforti, dal-
l'altra parte, la buona piega, che piglia le mediazione
di Francia, mediazione, che, ove V Austria non ce-
da, si muterà, infallibilmente, in intervento armato.
Parecchi bastimenti da guerra francesi , diretti a
Venezia, sono sulle coste d'Istria, aspettando venti
favorevoli, per venire in qua; e saranno, in breve^
raggiunti da parecchi altri. Se l'assemblea nazionale
germanica si chiama fuori la quistione Italiana, co-
me dovrebbe fare, l'Austria non può, sola, affrontare
la Francia. Quantunque il Governo della Repubblica
proceda, con minore energia di quel, che, alle circo-
stanze presenti, si richiederebbe, V opinione pubblica
si è manifestata così gagliarda, che non può dispen-
sarsi dall'esigere lo sgombro tleiritalia. Questo è il
vero; e se ci è [chi] crede, che l'Austria possa con-
servare il Regno lombardo -veneto, é nel più com-
piuto errore. Sento i ragguagli di coteste risse, tra laz-
zari. Qui, corrono voci tristissime, sulla sorte di Mes-
sina; si dice la Città occupata da' Regi e, pressoché,
distrutta. Lettere del 6, da Napoli, specificano, sol-
tanto, ch'eran cominciate le ostilità, con accanimen-
to; spero, che il risultamento, che dicesi aver avutOv
luogo, sia una esagerazione.
— 245 —
Aspettiamo nuove in proposito , con somnaa im-
pazienza. È egli vero, come leggo ne'fogli, eh' è u-
scito , a nome dell' esercito , un indirizzo, in cui la
Camera de'Deputati è attaccata, inverecondamente: e
tu, segnatamente, Emilio, Silvio Spaventa e Mas-
sari ? Addio. 11 Generale ti saluta. Ti auguro buona
villeggiatura, presso Florestano, in Ischia.
P. S. Ieri, giunsero, a Chioggia, da Ravenna, otto-
cento volontari de' capitolati di Vicenza e Treviso*
Formano due battaglioni, uno de' quali è comandato
dall' egregio nostro amico Livio Zambeccari. Oggi ^
si aspettano in Venezia.
Tuo Aff.mo fratello
*• Alessandro.
Alla Nobil Donna,
La Sig.ra Baronessa Luisa Parrilli.
Strada Banchi Nuovi, n.^ 13,
Napoli,
CXXVm. Carlo Poerìo e la Carolina Poerìo-Sossisergio
ad Alessandro Poerio.
Napoli, 13 Settembre 1848
Carissimo fratello.
Manchiamo di tue lettere, dopo il 28; ma non di
tue notizie, poiché Ulloa ha ricevuto lettere, dal fra-
tello, in data del 2. Attendiamo, con ansia, tue no-
tizie dirette. Ti scrissi, a nome del March. Dragonetti,
affinchè l'ottimo Generale concedesse, a'due suoi figli,
un permesso temporaneo, per curare la loro salute,
dopo una recidiva di terzana. Ti raccomando questo
— 246 —
afifare , poiché il povero padre è afflittissimo. Dopa
la proroga delle Camere, qui, la reazione continua»
Dicesi: che la Camera sarà sciolta; e che verrà pub-
Wicata una terza legge elettorale, con un censo al-
tissimo, per assicurare, al Ministero, una larga mag-
giorità. Insomma, bisogna, ohe il Paese si accomodi
alle vedute del Ministero, non già questo si unifor-
mi a' desideri di quello. Io non so, se sarò rieletto,
poiché sono in cima della lista di esclusione , tra*
quali Imbriani, Avossa , Troya , Scialoja , Massari,
Spaventa, Pica, Dragonetti, Muratori, Ferretti ecc*
insomma, oltre cinquanta membri. Il Ministero ha per
principio, che non ci dev'essere opposizione. Se sarò
rieletto, continuerò a fare il mio dovere, con coscien-
za , con coraggio e perseveranza. Se no, mi occu-
però, esclusivamente, de' miei rovinati interessi. Ti
abbraccio di tutto cuore.
Tuo aff.mo fratello,
Carlo Poerio.
Mio carissimo figlio,
Sono in grande agitazione, per non aver, più, ri-
cevute tue lettere. Altri hanno scritto. Se ti fosse
accaduto cosa , sarebbe andata su 1' ala dei venti :
questo solo mi tranquillizza. Noi stiamo bene. Carlo
andrà, per qualche giorno, in campagna ; io starò
con mia sorella. Sono sorpresa, che, di tre lettere, in-
viate per mezzo della posta francese, delle due pri-
me, avrei dovuto avere risposta. Questa mia ti sarà
consegnata, da un amico. Attendo la scatolina del
ritratto, per inviartelo, per questo mezzo sicuro, sicu*"
rissimo. Domani, ti scriverò per mezzo di Livorno,
accludendo la lettera ad Enrico. Ho ricevuto lettera
\
— 247 —
attrassata da Maria Teresa, la quale sta, in Genovaj
con la famiglia, senza mezzi. Io non ho potuto far
nulla per lei; le sorelle si son prestate. Qui , si sta
imitando il sistema della Repubblica Francese, ossia
del dittatore Cavaignac. Ma speriamo, che il Cielo
ci prot*^gga. La mia salute e quella di tutti i pa-
renti è, buona. Tutti gli amici, che ci son rimasti, ti
abbracciano. Paladini, qui presente, Anastasio, Fe-
derico, infine, tutti i buoni. In punto, viene il ritratto;
non è, proprio, come l'originale, da cui è preso, ma vi
è molta somiglianza. Mi viene avviso, che debbo spe-
dire la lettera ed il ritratto. Ti abbraccio e bene-
dico , e sono
AfT.ma madre,
Carolina,
P. S. Non posso mandarti né né ritratto ,
perchè non parte , ancora , il vapore per Venezia.
Rimisi il Tempo del 23 , per la posta. Ti rimetto
due fogli della Libertà Italiana,
Al Signor
Signor Alessandro Poerio,
Yenezia,
[con una scatoletta d: latta].
Addi, 22 settembre 1848.
Carissimo figlio,
Questa lettera, scritta il 13, non parti. Partirà, for-
se, domani, per mezzo di un amico, che ti consegnerà
il ritratto e tutta quella roba, di cui ha potuto in-
caricarsi. Ed è: il soprabito forte; due calzoni, uno
\
— 248 —
nero ed uno di colore; tre gilè; ed il paracqua. Ieri,
dopo mandata la mia lettera alla posta , mi giunse
la tua del 13. Lettera carissima, per Taffezione, che
mi dimostri e per i ragguagli, che mi dai. Solo, non
mi dici, dove abiti. Desidero saperlo effettivamente,
poiché, vedendo qualche stampa di Venezia, mi posso
figurare, dove tu sei. Basta, ti veggo, sempre, sul Ca-
nal grande. Questa notte, ho sognato, che eri entrato
nella mia stanza. Ti sei seduto sul mio letto. Mi pa«
revi di perfetta salute; ma, solo, afflitto e piangente,
per una lettera, che avevi in mano. Ti sei accinto a
leggerla, mettendo gli occhiali fissi. Io ti confortavo
a tranquillarti, dicendoti, che, nei tempi presenti, biso-
gnava essere superiore, a qualunque dispiacere. Il mio
discorso è stato tanto energico, che mi ha fatto de-
stare, senza poter sapere, cosa conteneva la lettera:
ma tu stavi bene ed eri curioso, con gli occhiali fis-
si. Ti ho scritto, ieri, di aver passati i ducati 60 al
Generale; e che, nel corso di ottobre, avrai la creden-
ziale. Non ti parlo di cose pubbliche. La strage in
Sicilia è cannibaliana da ambo le parti. Ti accludo
un numero del Finimondo, dove si parla, vantag-
giosamente, di tuo fratello. Carlo, in pochi giorni, ad
Ischia, si è ingrassato molto. Ti benedico.
Aff.ma npadre,
Carolina.
CXXIX. Carlo Poerio, Luigi Scovazzo e Giacomo Tofano
ad Alessandro Poerio.
Caro Alessandro,
Questa lettera ti sarà recata da Gioacchino Ma*
— 249 —
glielta, cugino de'Romano, che recasi, costà, per fug-
gire le dolcezze della Polizia Partenopea. Egli ha un
fratello, costà, che serve come ufficiale de' volontari.
Entrambi sono egregi giovani e miei amici. Non sog-
giungo altro. Ti scrivo, da Ischia, dove mi son re-
cato, da ieri, per passare qualche giorno, con l'egre-
gio Generale Florestano Pepe. L'ho trovato molto
meglio. Ho lasciato benissimo la nostra cara ma-
dre. Ieri la sera, le ho scritto. Io tornerò domenica
o lunedi. Si dicey che le Camere saranno disciol-
4e. Tanto meglio: la posizione sarà più netta.
Ti abbraccio di cuore; e sono, per la vita,
Ischia, 14 Settembre 1848.
Tuo aff.roo Fratello,
Carlo Poerio.
P. S. Luigi Scovazzo, presente, ti abbraccia, con
.tutto il sentimento di amistà. Addio.
D. S. Giacomo Tofano abbraccia il caro Alessan-
dro e tutti i prodi.
Signor
Alessandro Barone Poerio
in Venezia
GXXX. Alessandro Poerio aUa Carolina Poerio-Sossisergio.
Venezia, a' 15 Settembre 1848.— iV.'^ 5.
Carissima madre,
Vi scrissi, ier l'altro, per la posta, dirigendo la
/
— 250 —
lettera a zia Luisa; la presente, Taccludo ad Enrico,
acciocché la faccia pervenire, sicuramente, in mana
vostra. Vi ripeto, di non essere in ansietà, circa la
mia salute. Essa aveva, alquanto, sofferto. Ma, ogni
giorno, va meglio; e, cessato il caldo, spero, adesso,
rimettermi bene. E, se, anco, il mal di nervi, ora, sotto
una forma, ora, sotto un'altra, m'inquieta, non sono,
mai, ricaduto nello stato spasmodico e deplorevole,
in cui era, costà. Fa d'uopo, dunque, contentarsi; ed
io mi contento. E, quando il soffrire non è tale, che
tolga la forza d' animo necessaria a sopportarlo , è
un gran vantaggio. Questo è lo stato mio, questa è
la pura verità; non ho più di quelle irritazioni rab-
biose, di que' sgomenti profondi, di que' tedi, cupi e
terribili, che mi rendeano tanto infelice. Anco sof-
frendo, ho rassegnazione, pazienza, fede di miglio-
rare. Vi ripeto, dunque, che siate tranquilla intorno
a ciò: né crediate, mai, che io voglio tacervi il ve-
ro, avendovi promesso di scrivervelo, senapre. Quel-
lo, a che debbo pensare, si è il premunirmi bene pel
verno.
Finché io non riceva una somma straordinaria ,
non posso vestirmi; oltre abiti e sottabiti, ho bisogno
di cappotto, quello , che feci, in Parigi, nel 1835,
essendo, ormai, divenuto inservibile. Per ora, prov-
vedere, alla meglio, ad alcune cose urgenti, come ad
una giacchetta di casa ed a qualche sottoveste più
forte. Ma, ricordo, che, in Napoli, dev'esser rimasta
altra roba di verno; e, precisamente, parecchie sot-
tovesti, alcune delle quali nuove, ed un abito tur-
chino, con bottoni lavorati, da potersi, ancora, met-
tere. Tutto ciò, ch'é rimasto e ch'è, tuttora, servi-
vibile, fareste bene di spedirmelo, qua, perchè sarà
— 251 —
tanto di risparmiato , a meno che il trasporto non-
costasse eccessivamente. Siccome Damiano ha scritto
a Cosimo, suo fratello, di mandargli la sua roba di
verno: cosi, vi prego, d'intendervela con Cosimo stes-
so, poiché, unita a quella, sia spedita, anche, la mia.
Abbiate la bontà, di far parlare, di ciò, a Cosimo ^
tostochè riceverete la presente. Domani , prenderò
dal Generale i sessanta Ducati, che ritengo, già, pas-
sati a Florestano. Scrissi, nell'ultima mia, a Carlino,,
in risposta alla vostra e sua de*5corr. mese. Non
me n'è giunta alcun' altra; e, più tardi, andrò alla
posta, nella speranza di trovarne; e lascio aperta
questa letterina^ con animo di accusarvene ricezione
e soggiungere due altre righe. A Carlino , questa
Tolta, non iscrivo, poiché, accludendo la lettera ad
Enrico, non ho preso, che un mezzo foglio. Spero,,
che la gita in Ischia, dove volea recarsi, a far com-^
pagnia all'ottimo General Florestano, gli abbia re-
cato sollievo.
Zambeccari e Ceccherini son giunti, con circa un
migliajo di capitolati di Vicenza e di Treviso. Le
nuove erano, ieri, alla guerra. Ma, par, che l'ingresso
de'Francesi sia sospeso di nuovo, avendo, finalmente,
l'Austria accettato la oflFerta mediazione. Ma io ho
pochissima fede, nella diplomazia; né credo; che l'Au-
stria voglia lasciar la sua preda ; nò credo , che la
Francia, ancorché il suo governo fosse a ciò inclinato,,
possa, mai, consentire ad un nuovo trattato di Cam-
poformio. Di Leuchtenberg si parla meno. La voce,
che circola, ora, é: che la Lombardia sarà aggregata
al Piemonte; il Veneto formerà uno stato a parte,
sotto un Arciduca Austriaco italianizzato; e Venezia
sarà uiia Città libera ed anseatica, sotto la prote»
— 252 —
^ione delle grandi Potenze. Sarebbe un pasticcio, che
non potrebbe durare a lungo. Ma nulla v'è di certo.
Che dirvi dello stato deplorabile di cotesto pae-
se ? La Camera prorogata sia come sciolta , se,
nell'intervallo fra e tutto Novembre, la tirannide è
altrettanto fortunata, ne'suoi disegni, quanto è stata,
iinora. Nel caso d'un intervento armato francese, le
cose muterrebbero aspetto. Noi siamo stati tutti e
siamo, ancora, in grave inquietudine, sulla sorte di
Messina. Un vapore francese, giunto, con dispacci
pel Console, e passato pel Faro, assicurò, il giorno 11,
che la Città era stata distrutta da' Regi. Ma la data
non corrispondeva con le lettere di Napoli del 6, anzi
del 7, che nulla dicono di ciò. Speriamo, che non sia
vero. Vado, or ora, alla posta, per saper qualche cosa.
Alcuni legni da guerra francesi son sulle coste
d'Istria, trattenuti dal vento, eh 'è stato contrario, que-
sti giorni. La flotta austriaca si è ritirata a Fola,
di cui vi dovete ricordare, poiché dopo le [tempeste ?]
sofferte, nel 1821, nel!' Adriatico , ci riparammo in
^uel porto.
P. S. La posta non è giunta. È il terzo giorno,
che manca. Attribuiscono questa mancanza al tempo,
poiché, da alcuni giorni, soffia un vento gagliardo e
contrario.
Abbraccio Carlo e Carlotta ; saluto Luisa, Anto-
nia, Emilio e Peppino. Vi bacio la mano; e, con fi-
liale rispetto, mi ripeto
V.o aff.mo
Alessandro
Alla Nobil Donna
La Signora Baronessa Carolina Poerio.
Strada del Salvatore, n. 5. Secondo piano.
Napoli.
— 253 —
CXXXL Filippo Cicognani alla Carolina Poerio-Sossiserglo.
Roma, 16 Settembre 1848.
ViadeTréfettiN.o22.
Signora Baronessa veneratissima ,
Non so esprimerle quanto grata mi riuscisse la
pregiatissima sua, recatami dai padre De Riso : gra-
tissima, perchè vi trovai la prova , che, dopo tanti
anni e tante vicende, io viva, ancora, nella sua me-
moria; e gratissima, pure, perchè mi procurava il pia-
cere della conoscenza di un soggetto, che, essendo
congiunto a lei., non poteva non essermi caro. lo^vrei
desiderato di legare, con lui, una relazione più ìnti-
ma; ma esso, dopo una breve dimora in questa no-
stra città, se ne partì per il Ritiro di Subiaco, e mi
lasciò col desiderio di sé.
Io rammento, sempre, con compiacenza, la sua in-
teressante famiglia ; e mi sono procurato dal padre
De Riso le più minute notizie di tutti. Vorrei, però,
rivedere tutti e, specialmente, Lei, signora Baronessa
veneratissima, per cui nutro e nutrirò, sempre, la più.
viva e rispettosa affezione; né voglio rinunciare alla
speranza di vedere, un giorno, realizzato questo mio
desiderio.
Ella avrà, già, sentito le mie notizie dall'ottima
Don Alessandro. Ed io altro non le dirò, se non che
sono in possesso della domestica beatitudine, avendo
una compagna impareggiabile e nove figli , tutti di
ottima salute ed amorosissimi per i loro genitori ;
onde non posso che chiamarmi contentissimo della
mia sorte.
— 254 —
Faccia gradire gli affettuosi miei saluti, ai cari suoi
'figli ; mi conservi la sua benevolenza ; e mi creda
quale sono e sarò, sempre,
Suo Dev.mo Servo ed Amico Aff.mo
F, Cicognani.
Alla Nobil Donna,
La Signora Baronessa Carolina Poerio,
Napoli,
CXXXn. La Carolina Poerio -Sossisergio ad Alessandro Poerio.
[Bollo postale di Firenze, 18 Settembre 1848.]
Caro figlio.
Ti scrivo, come ti avevo promesso, anche oggi. Ieri,
•ti rimisi il ritratto di tuo padr-e per mezzo partico-
lare. Io ho ricevuto le tue del 20, 26, 28; e, daH9,
4;i ho scritto, in data de' 24, 27, 29. Ieri, ricevetti la
tua del 2. Scrivimi, qualche volta, per la posta. Non
ti parlo di affari politici. Questi cambiano da un mo-
mento air altro. Beati gli abitanti del nuovo mondo!
Essi soli sono uomini, perché uniti. Noi siamo tutti
divisi ; per òui , per nostra disgrazia , saremo op-
pressi. Ho ricevuto lettera di Maria Teresa e di
Enrico. Addio, carissimo figlio. In questo mese, ti
ho scritto, il 4, il 9, il 13 ed il 14. Non mancherò,
mai, nessuna occasione, per farti sapere mie nuove.
La povera Sicilia! Addio, ti abbraccio e benedico-
Tutti i parenti ti salutano.
AtT.ina madre,
Caro Un a.
Al Signor
Barone Alessandro Poerio
^/€nezia
— '^fòo —
CTXYìTì. Alessandro Poerìo alla Carolina Poerìo-Sossìsergio
ed a Carlo Poerìo.
Venezia, a di 18 Settembre 1848.— A".^ 6.
Carissima madre.
Vi scrissi, il 15, per la via di Toscana; oggi,
scrivo, direttamente, per la posta, con Tindirizzo a
Luisa. Mi duole, che il 9 corr. mese (data delPuIti-
ma vostra pervenutami) non avevate ricevuto, che
la mia del 28 agosto. Mi pare ricordarmi, di aver-
vene diretta un'altra, il giorno 30. Ma, in tanta ir-
regolarità di servizio postale, non siamo, al postut-
to, i più disgraziati, essendovi degli ufBziali napo-
*letani, che non hanno lettere , da mesi , e vivono,
perciò, in grande angòscia. Mi affligge assai la no-
tizia, che mi date, della morte di P'eppino Ferrari,
Della indelicatezza de' suoi zii, non mi meraviglio,
punto. Non so intendere, chi sia la persona, venuta
qua, come dite, per affari urgenti, e partita, così di
fretta , che non potè prendere le lettere, a me de-
stinate. Sentii dire , che un mìo carissimo amico ,
tornato, non è molto tempo, da Roma a Napoli, era
intenzionato di venir qua, ma, poi, non ho saputo
altro.
Godo, che in tempi, cosi difficili e dolorosi, alme-
no, la salute vostra e di tutti i parenti sia buona,
il che mi è conforto di molte amarezze. In quanto
alla mia salute, ho, già, scritto quanto basta , per
tranquillarvi. Vado, di giorno in giorno, meglio. Bi-
sogna, che mi premunisca bene contro il freddo. Poi-
ché, qui, la mezza stagione è brevissima; ed il verno
— 256 —
sopravverrà, ad un tratto. Già, in questi giorni, dopo-
un caldo estuante, 1' aria è rinfrescata molto. Fre-
quentissime sono le febbri, per l'aria malsana, ne*^
forti dell' estuario. Ma io, stando presso Pepe ed ia
Venezia, non corro alcun rischio, di prendere di tali
malattie. Il mio amico conte Catterinetti , il quale
è stato, un pezzo, a Brondolo, era ricaduto nella ter-
zana ; ma, ora, mediante il chinino, se n' è libera*
to. Egli mi dimostra, sempre, grande amicizia; è al-
loggiato presso la contessa Mosconi -Papadopoli, sua
concittadina (son Veronesi ambidue), la quale viene
ad esser nipote della Papadopoli- Aldobrandini, di cui
vi ho parlato nell' ultima mia. Questa Signora Ve-
ronese è molto benemerita di Venezia, poiché pre-
siede il comitato delle dame, che provvedono ai bi-
sogni urgenti di vestiario e di altri oggetti de' mi-*
liti, destinati alla difesa delle lagune. Vidi, ieri, una
altra signora, venuta da Verona, la quale raccontò,
dello stato di quel paese , cose , da far piangere e
fremere. Inoltre , stava in continui palpiti , per le
tante menzogne, sparse dagli Austriaci, sul conto di
Venezia: nientemeno che colera, anarchia, omicidi,
saccheggi. Il vero si è , che V ordine , la pace , la
tranquillità e la civiltà somma di questa popolazio-
ne sono mirabili.
Oggi, prendo i sessanta Ducati; che avrete, già,,
passati a Florestano. Una parte, se ne andrà, subito,
per provvedermi di qualche oggetto di vestiario in-
vernale più necessario, mancando, del tutto, di giacca
per casa e di sottovesti. Vi ho pregato , di unire
tutta la mia rimanente roba d' inverno, ancora ser-
vibile, a quella, che Damiano ed il Generale si fanno
spedire, da Napoli. Per ordinare il resto di ciò, che
— 257 —
mi bisogna , aspetterò , che mi venga una somma
straordinaria. Tra le altre cose indispensabili, vi è il
cappotto: quello, che fu fatto, in Parigi, nel 1835, es-
sendo , dopo tredici in quattordici anni di servizio,
passato agi' invalidi. Nulla mi avete, più, accennato
della Guacci. Maria Teresa, eh' è a Genova, mi ha
scritto, per mezzo di un uffiziale, venuto, qua. Il ma-
rito è a Vercelh'; non par certo, ch'egli sia per ri-
manere nell'esercito piemontese-lombardo. Forse (mi
scrive la moglie) verrà in Venezia. Io non gli con-
siglierei di farlo, se, prima, non gli verrà affidato un
comando; nel qual caso, potrebbe rendere eminenti
servigi. Abbraccio Carlotta; saluto, caramente, Luisa,
Antonia, Emilio e Peppino ; e soggiungo due righe
per Carlo.
P. S. Ho riveduto, con gran piacere, Livio Zam-
beccari, ch'è giunto, col suo battaglione. Ve, anche,
il battaglione universitario; comandato dal Ceccherini;
e si aspetta, da Romagna, altra gente.
Carissimo fratello ,
Nel tempo stesso, sono giunte, qua: lettere dell'Am-
basciatore francese in Roma, annunzianti la partenza,
per Venezia, di una flotta, con quattromila uomini da
sbarco; e le notizie del contrordine, dato, in conse-
guenza della mediazione , accettata dall' Austria. A
me, duole, grandemente, che, mentre la guerra stava
per iscoppiare, a salute d'Italia, siamo ricaduti, in mano
alla subdola diplomazia. Se lo sgombro degli Austriaci
non ha luogo, immediatamente, le trattative potranno,
tirando le cose in lungo, dar, all'Austria, il tempo,
di riaversi de'disordini interni, che sono gravissimi,
17
— 258 —
d'intrigare e di conservare, in qualche modo, la sua
influenza, in Italia. In breve, cadranno le nevi; e diffi-
cilissimo sarà il varcare le Alpi. Dicono, che questa
risoluzione dell'Austria, di accettare la mediazione of-
ferta, sia stata motivata, dalla ripugnanza dell'As-
semblea nazionale di Francoforte, a far causa comune,
con essa, nella quistione Italiana.
Parlasi di lega, conchiusa: tra Carlo Alberto, Leo-
poldo ed il Pontefice.
Il nostro misero paese, già, s'intende, è come non
fosse in Italia. Ho saputo le carneficine di Sicilia; se
metà di quell'accanimento fratricida si fosse adoperato
contro gli Austriaci, sarebbero stati, già, cacciati, ol-
tre l'Alpi. Noi siamo, qui, volenterosi e sereni; e fare-
mo il dover nostro.
Crispino Vitale serve, effettivamente, nella Segre-
teria del Comando supremo. Per ora, dice esser con-
tento; e non desidera nulla. Giuseppe di Giuseppe (te
lo ripeto, perchè tu lo dica al xVlarchese Ruffo) non si
è, mai, veduto. Se si presenterà, lo raccomanderò, al
Generale. Ma, siccome egli segue la regola, di non usar
favore, ad alcuno, e di operare le strette regole di
giustizia, cosi vi è poco da fondare su di ciò. In quanto
a'figliuoli dell'ottimo Dragonetti, uno di essi, a nome
Alfonso, assai malandato in salute, chiese un permes-
'so: e l'ottenne. Dev'essere, già, partito, da più giorni.
L'altro, essendosi ristabilito, sufficientemente, non ha
insistito, per andar via. Il Generale mi ha detto, che,
in caso di recidiva e di determinazione di partenza, non
mancherà di facilitarlo; e saluta, caramente, il Marche-
se. Ti dice mille cose amichevoli; e, cosi, pure, Assanti
ed Ulloa. I fogli parlano di agitazione grande, costà,
e di risse sanguinose tra lazzari; tu mi dici esser
— 259 —
stata cosa leggiera. La Gozzadini scrive a Cattarì-
netti, da una, villa vicino Bologna; e si mostra, assai,
sconfortata. Colpa del marito, eh' ella ama molto . .
Addio. Caramente, abbracciandoti, mi
ripeto
Tao Aff.mo fratello
Alessandro.
Alla Nobil Donna
La Sig. Baronessa Luisa ParriUi nata Sossi-Sergìo
Strada Banchi Nuovi, u^ 13.
In casa di D. Michelangelo ParriUi, Pari del Regno.
Napoli,
CXXXIV. Federico Bellazzi ad Alessandro Poerio.
Genova, 19 Settembre 1848.
«
Pregiat.mo Signore e Amico,
Spero, che la S. V. non si sarà dimenticata di me,
-dopo i giorni, che passammo, insieme, a Bologna, a
Ferrara e a Venezia , quand' io era , presso Cesare
Correnti, in qualità di Segretario. In quel tempo, (in
cui le nostre speranze , per la sventurata e tradita
Italia, non vedevano una nube sulforizzonte dell'av-
venire, che ci attristasele e ci facesse fremere d'indi-
gnazione,) io conobbi, in Lei, un'anima tanto generosa
quanto ingenua e cara; e mi fu dolce, allo spirito, il
pensiero, che di Lei grata memoria avrei conserva-
ta. E cosi fu. Ma mi duole, che, per provarle la mia
stima e il mio aflFetto, debba, per la prima volta, ca-
gionarle qualche incomodo. Latori della presente sono:
Achille Correnti, fratello di Cesare, V ingegnere Guar-
— 260 —
sieri e il medico Amadeo, che accompagnano, com«
capi, quei pochi animosi, che a Venezia si recano, co-
me martiri, per la patria, e come apostoli di conforta,
presso i loro fratelli. Io Le raccomando, caldamente^
questi tre ottimi giovani, onde li assista e li proteg-
ga. Certo , che il suo buon cuore non mi negherà
tale favore , non aggiungo altro. Cesare Córrenti
e gli altri della Commissione, per il prestito Nazio-
nale, sono a Torino; e lasciarono me, in questa città»,
come loro Segretario, onde disimpegnare alcune fac-
cende. Genova è ancora Italiana, di azione e di pen-
siero; e farà, quanto è in lei, per soccorrere la so-
rella Venezia. Si dice , questa mattina , che Bedeau
abbia accettato di condurre Tarmata Piemontese, a
patto, però, che il Re, in caso di guerra, stia a casa
sua. Nella speranza, di, presto, rivederla a Venezia,.
La riverisco; e mi pregio sottoscrivermi, di V. S.
A f fez. ino e Devotiss.mo
Bellazzi Federico.
Al Signor
Barone Alessandro Poerio.
Presso S. E. il Generale Pepe,
Yenezia,
GXXXV. Alessandro Poerio alla Carolina Poerio-Sossisergio
ed a Carlo Poerio.
Venezia, a dì 21 Settembre.
^.^ 6 {bis).
Carissima madre,
Vi scrissi, il 18 corr. mese, per la posta, dirigenda
— 261 —
la lettera a zia Luisa; questa Taccludo, per maggior
sicurezza di recapito, ad Enrico, in Firenze. Da due
giorni , manca il corriere ; T ultima vostra è quella
del 9 settembre. Damiano non ha ricevuto lettera
alcuna, dopo quella, in data del 31 agosto. Il Gene-
rale n'ebbe, ier l'altro, una di Florestano, per mezzo
del Console francese, ma senza data, piena di buone
speranze di soccorso, per parte della Francia, e con
l'annunzio positivo, che sarebbe, subito, arrivato, in
Venezia, un incaricato di quel Governo. Finora, nulla
si è avverato. Io la credo, dunque, una lettera attras-
sata, scritta, prima, che, per l'accettazione della of-
ferta mediazione anglo-galla, fosse dato contrordine
alla divisata spedizione nell'Adriatico. Ma, delle cose
politiche, scriverò, nell'altro mezzo foglio, a Carlino.
Non ho ricevuto il ritrattino della felice memoria
di mio padre, che mi diceste avere spedito. Mi dor-
rebbe , infinitamente , che si fosse smarrito. Pren-
dete conto, se, eflFettivamente, sìa partito.
In quanto alla salute , vi ho scritto la verità :
tranquillatevi. Mi vado, sempre più, ripigliando; e con»
fido, di star bene. Ed, anche, gl'incomodi, che si riaf-
facciano, li sopporto, animosamente: certo, come mi
tengo, di non più ricadere, in quello stato spasmo-
dico d'irritabilità nervosa, che m'affliggeva e pro-
strava, costà. Per questa parte, non siate, dunque,
punto, inquieta; e abbiate voi cura della vostra cara
salute, ch'è la cosa più preziosa, che io mi abbia al
mondo.
Parliamo, ora, del danaro, cosa sostanzialissima. Al-
tra novità! Il Generale, nel passarmi, ultimamente, i
sessanta Ducati, mi disse, che, non volendo, io gli re*
cava danno. Poiché, quantunque voi diate, anticipa-
— 2»i2 —
temente, a Florestano, le somme, ch'egli, qui, mi pas-
sa, egli non può ripeterle dal fratello, il quale tanta
largheggia verso di lui, rimettendogli vistosa quan-
tità di danaro. E, così, quel, che io prendo da esso
Guglielmo, viene ad esser tanto di meno, su quel, cho
il fratello gli manda. La cosa è vera. Ma vi confesso^
che la- osservazione, mentre noi procediamo, con tanta
delicatezza, e dopo, che, in Napoli, fu concordato, con
lui, che si sarebbe tenuto questo modo, non ha man-
cato di mortificarmi. Ecco, dunque, la necessità, che
il danaro mi sia rimesso, direttamente. Vi ho scritto
la urgenza, io cui sono, di roba d'inverno. Vi ho
pregato di concertarvi, con Cosimo, perchè io abbia,
qui, tutto ciò, che lasciai, in Napoli, ancora, in tol-
lerabile stato. Ricordo, poi, che le sottovesti inver-
nali eran molte ed, alcune, nuove. Ma ho bisogno di
molti altri oggetti; ed il solo cappotto (più necessa-
rio di ogni altro ) è spesa non piccola. Perciò , vi
ho pregato di una somma straordinaria, per vestir-
mi; oltre la solita, pel mantenimento. Vi ho fatto,
anche, osservare, che, in tempi così procellosi e dif-
ficili, in cui, anche, il prossimo avvenire non si può
prò vedere, il trovarsi sprovvisto di danaro, per qual-
che emergenza subitanea, è ben triste cosa. Dopo il
discorso, fattomi dal Ge/ierale, non posso rivolgermi,
a lui. Soltanto, posso pregarlo, di raccomandarmi, a
qualche banchiere, qui, per trarre a vista su voi e
su Carlino. Ma vorrei evitare, anche, questo; e, s'è
possibile, che mi mandiate, direttamente, una somma
proporzionata alle suddette necessità , sarà molto
megho. So che Cesare Berretta, cui Carlino mi rac-
comandò, Fanno scorso, in Romay ha casa di com-
— 263 —
mercio, eziandio, in Ancona; e quella avrà, certamen-
te, relazioni, anche, a Venezia.
Conosco la deplorabile situazione della famiglia.
Perciò, vi ho pregato di vendere una parte de'libri,
che potrebbero, a me, spettare. Penetratevi della mia
situazione : io non ho soldo , non essendo, neppure,
caporale; di sopra, vi ho esposto quel, che il Gè-»
nerale mi ha detto ; il verno sopravviene; e gli e-
venti, che si preparano, sono incertissimi. Scrivete,
dunque, subito, se i dugento Ducati, che ho chiesti,
potete mandarli, direttamente, o se debbo cercar, di
averli , qui, da un banchiere , traendo a vista. Ab-
braccio Carlotta ; saluto Emilio , Luisa , Antonia e
Peppino. Vi bacio la mano e, con filiale tenerezza,
mi ripeto
Il v.o Aff.mo
Alessandro.
P. S. La posta è, finalmente, giunta. Damiano ha
avuto una lettera del fratello, del di 10; io, nulla.
Carissimo fratello,
I casi di Sicilia mi hanno , assai , funestato. Per
quanto la Inghilterra sia perfida, non parea possi-
bile, ch'ella volesse rimanere spettatrice di tante a-
trocità. È, poi, vero, che la Francia e l'Inghilterra
abbiano interposta, dopo l'eccidio messinese, la loro
mediazione? Io stento, a crederlo; poiché, se avessero
avuto senso di umanità, que' Governi avrebbero im-
pedito il male. Tutto ciò è di pessimo augurio, per
la povera Italia. Tante belle promesse son gite, a
vuoto. La spedizione navale francese, nell'Adriatico,
è contromandata. Circolano voci contraddittorie. Chi
— 264 —
dice, che l'armistizio sarà prolungato di dritto, per le
trattative cominciate. Chi dice , per contrario, che,
(l'Austria insistendo, perchè il Lombardo- Veneto re-
sti aggregato all'Impero, quantunque sotto un' am-
ministrazione separata; e la Francia non potendo, su
ciò, acconsentire,) le ostilità cominceranno, presto. Non
sappiamo più, che pensare. Certo è, che non abbia-
mo veduto un sol legno francese; né la Repubblica
manda un obolo, a Venezia. Dall' altra parte, è un
fatto, che un vapore austriaco , avendo predato un
bastimento, su cui erano imbarcati cencinquanta mi-
liti romagnoli, i legni francesi ed inglesi, che sono
in Trieste, lo forzarono a rilasciare la preda. Eccoci,
in ansietà grande. La città è risoluta a difendersi;
e non teme gli assalti austriaci, ma piuttosto le in-
sidie e perfidie diplomatiche; e, siccome il danaro non
può bastare, alla lunga, il vero pericolo è, che que-
sto Governo dell'unica città, che, ancora, resiste allo
straniero, muoja d'inedia. Lessi la tua animosa mo-
zione, per la immediata presentazione dello stato di-
scusso. La risposta è stata la proroga delle Camere.
Manca la posta , da due giorni. Puoi immaginare ,
quanto ciò tenga contristati gli animi , che vivono,
qui, di continue speranze , di ricevere, di giorno in
giorno, qualche nuova migliore.
Ebbi una lettera di Nicola Attanasio, il quale sa-
luterai, caramente, da mia parte. Gli dirai, che sono
dolente , di non aver potuto far nulla , pe* fratelli
Masoli, suoi raccomandati. H Generale non dà con-
gedo, se non in caso di malattia certificata. L' uno
de'Dragonetti partì. L'altro sta meglio; e non pensa,
ad andar via. Aspetto, con impazienza, tue lettere.
Della mia situazione imbarazzante , ho scritto , lun-
— 265 —
gaiDente, a nostra madre. Provvedete, al più presto
possibile. Ti abbraccia il tuo
Aff.mo firatello,
Alessandro.
Alla Nobil Donna,
La signora Baronessa Carolina Poerio,
Strada del Salvatore N.o 5
Napoli.
GXXXVI. La Carolina Poerio-Sossisergio e Carlo Poerio
ad Alessandro Poerio.
Napoli. 21 Settembre 1848.
Mio carissimo figlio,
Alla tua del 5, risposi; e ti mandai II Tempo, sotto
fascia. Ora, rispondo, brevemente, alla tua del 10, per-
chè domenica ti scriverò a lungo, e ti manderò qual-
che cosa d'inverno, avendone l'occasione. Mi duole, as-
sai, l'agitazione dell'animo tuo. Ed io e tuo fratello
vorremmo fare tutto, dal canto nostro, per contentar-
ti: ma l'imperiosa necessità c'impedisce, di fare tutto
•ciò, che vorremmo. Per altro, nel corso di Ottobre, ti
<5ontenterò, per la credenziale. Ma sappi, che, per Vene-
zia, non è possibile averla; poiché non ci è commercio,
col Regno. Perciò, dimmi, più o meno, le città, su le
quali vorresti essere accreditato. Per il progetto, che
mi fai, di vendere i libri, non ti rispondo altro: che, in
piazza, non si trova, neanche, a vendere argento ed oro,
^1 suo giusto valore. Certo, è un momento di crisi, per
l'intera Europa: dunque, i particolari, bisogna, che se ne
<^vino, come meglio possono. Tuo fratello è tornato
— 266 —
dalla campagna, da dove ti scrisse: ora, soggiungerà
un rigo. Ho fatto capitare i ducati 60, al Generale^
qualche giorno più tardi. Credevo incassare una
somma, qualche giorno prima; ed essere, appunto,
per il di dieci ed, anche, prima, pronta. Ma dimmi, se
i calcoli e i desideri degli uomini vanno, mai, a se-
conda ? Quel, che ti prego, è di tranquillarti, prima di
tutto, sul nostro conto; e fidare nell'avvenire. Qui, ha
fatto un freddo di dicembre, tutto ad un tratto, al-
lorché faceva un caldo di luglio , non di settembre.
Tua zia ti saluta; ed è stata molto intenerita dalla
tua lettera. Tuo cugino ti ringrazia, di quanto hai
fatto , per cavare il netto della spedizione de' suoi
libri. Tua sorella, cognato e nipoti e zia Antonia ti
dicono tante cose. Maria Teresa si lagna , che suo
marito non riceve tue risposte, alle lettere, che ti ha
scritto. Addio , figlio mio, amami; e credimi la tua
afifezionatissima madre, che ti benedice
Carolina.
Carissimo fratello,
Ieri l'altro, sono tornato da Ischia, dove mi son
trattenuto, cinque giorni. Ho trovato l'ottimo Gene-
rale Florestano, molto, migliorato la salute, sebbene
egli non ne convenga. Egli si tratterrà, tutto questo
mese; e, se mi riesce, tornerò a visitarlo. Il mio di-
scorso del 26 si trova, per esteso, con tutta la di-
scussione, nel Giornale Ufficiale del 2 Settembre. Non
mi dici, di aver letto la lettera del Baldacchini e
la mia risposta. Entrambe trovansi nella Libertà
Italiana^ periodico, che si stampa, in Napoli ; e che
credo, che venga costà. Procurati, dunque, i due nu-
meri del 28 e 31 Agosto. In ogni caso , te li spe-
— 267 —
dirò, con un amico, che viene costà. A quest'ora,,
avrai ricevuta una mia lettera, datata da Ischia. Il
Segretariato dell'Assemblea si sta occupando del ren-
di-conto de' lavori della Camera e delle leggi in pro-
posta. Subito, che sarà stampato, te lo rimetterò^
Cicognani scrisse alla nostra buona madre. Ora, egli
è Ministro di Giustizia. Io non gl'invidio la compa-
gnia di Pellegrino Rossi. Saluto, caramente, il tuo
padrone di casa, se è tornato. Ossequio il Generale;
e saluto, aflfettuosamente, i compagni. Dammi notizie
di Cosenz; mi dicono, che sia infermo. L'ottimo An-
druzzi, che accompagnò Enrico, quando fuggiva da
Napoli, un anno fa, è stato ucciso, combattendo, con-
tro i Messinesi. L'ottimo ufficiale Pellegrino ha avuto
la stessa sorte. Deplorabili effetti delle guerre civi-
li! Ti abbraccio, di cuore.
Tuo aff.mo fratello
Carlo Poerio.
Al Signore
Sig. Francesco BeUinga
in Venezia.
[Sconosciuto dai Portalettere]
CXXXVn. Enrico Poerio ad Alessandro Poerio.
Firenze 21 Settembre.
Carissimo Alessandro,
Ho ricevuto la tua diletta, de' 15 corrente mese;
e vi rispondo. Per mezzo di Zanardini non ti scrissi,
avendoti, già, mandata, per la posta, un'altra mia let-
tera. Qui, è accluso un foglio a RosaroU; al quale
ho risposto. La lettera, a tua madre, è andata, come
sono^ sempre, andate, anche, le altre. Eccomi a ri-
— 268 —
schiarare le notizie, che avete intorno a Livorno ed
a Napoli. Livorno è, sempre, staccato dal Governo;
e si governa da sé. Ma non sanno , al solito , quel
che vogliono. Ti ripeto ciò, che mi pare averti detto,
un'altra volta: cioè, che, a Livorno, erano, alla testa
delle cose , gente ambiziosa e perniciosa. Il movi-
mento non era, forse, del tutto liberale; era incerto
e debole. E il governo, (che, da bel prima, avrebbe,
con una certa tal quale energia, potuto sperdere i
cattivi, e che, invece, per paura, è venuto, a patti, con
ruffiani e spie, che venivano in deputazione,) è tra-
scorso, poi, troppo tardi, a misure sciocche ed irrita-
trici, come, per esempio, a quella, di far chiudere i
circoli popolari. Non posso trovare migliore espres-
sione, per dipingere gli affari di Livorno, che quella,
usata da Ruggiero Bonghi, in una lettera, ad un amico;
ed è questa: Allo sbadiglio del moto Livornese,
che non sa essere o non essere, s'apre lo sbadi--
gito del Governo, che non sa vincerlo né ceder^
vi. In quanto a Napoli, saprai, che, dopo la proro-
ga delle Camere , vi fu una zuffa , tra' lazzaroni di
S.* Lucia e quelli del Largo delle Barracche. Ora, (ed
è De Cesare, che me lo scrive), soltanto, sono rima-
sti, al Re, i due quartieri di S.* Lucia e di Mercato:
gli altri dieci sono per la nostra causa e sono pa-
gati da' circoli nazionali. Pare, che preparino qual-
che cosa. Ma voglia Iddio, che faccian bene e dav-
vero; e diano, all'infame Ferdinando, una di quelle
lezioni, che basta per tutte. Si, è vero, si è messa
assieme una somma, per Venezia; anzi, Taltra sera,
ci fu, al Cocomero, una beneficiata, per l' eroica città
di Venezia. Non è vero, per altro, che Firenze sia
fredda, né le altre parti della Toscana. Se hanno
— 269 —
mostrato avversione, al movimento Livornese, è sta-
to , perchè lo vedevano diretto da gente di nessun
costume, di nessuna morale, di nessuna influenza. E,
poi, temevano, che quest' interno agitarsi potesse nuo-
cere, alla causa generale; ed amavano meglio, d'es-
sere tutti uniti, per provvedere alle cose d'una guer-
ra, che, forse, si potrebbe subito ripigliare, termi-
nando in breve l'armistizio. Convengo, con te, che
non si sa nulla, ancora, di quello, che si farà, se la
pace o la guerra. Degli ordini e contrordini, di cui
mi parli, nella tua lettera, se ne parla, anche, qui; né
si sa, a qual giudizio appigliarsi. La mediazione d'una
potenza, come la Francia, che potrebbe, anche, inter-
venire a mano armata , deve imporne all' Austria ;
ma, d'altra parte, l'Austria, ebbra della vittoria, si
piegherebbe, a sgombrare dalle possessioni lombarde?
È un gran problema. Dio voglia , che ricominci la
guerra : questa è V àncora di salvezza. I Gabinetti
mi fan paura. Montanelli è tornato; io non vado a
Pisa, perchè so, che egli, fra giorni, viene a Firenze-
Appena, lo vedrò, l'abbraccerò per te. Sì, egli può
essere, molto, utile. Giusti è occupato alle Camere;
ma non è di quelli, che vi figuri. Sai, che, tra le al-
tre cose, non ha il dono della parola. Per adesso, non
ha scritto altro; almeno, per quello, ch'io sappia. Ho,
sempre, lettere da Napoli; ma, da zio Raffaele, è un
pezzetto, che non ne ricevo. Ho scritto, a Genova
a zia Teresa, perchè mi desse sue nuove. Io ho, già,,
ottenuta la naturalizzazione toscana: ho meco il re-
scritto del Granduca. Vedremo, ora, il Ministro della
Guerra, che farà. Egli mi promise di far caso di me,
per un posto militare, appena fossi stato riconosciuto
toscano. Non mi trovo il numero, che chiedi, della
— 270 —
Libertà Italiana; né, finora, l'ho potuto trovare. Ma
farò di tutto; ed, appena l'avrò, te lo manderò, sotto
fascia. Vieusseux, tutti gli amici di qua, Ruggiero
Bonghi ti salutano; mentre io, pregandoti di salu-
tarmi il Generale, Assanti, Ulloa, Cosenz, t'abbrac-
cio e sono
Tuo aff.mo cugino,
Enrico Poerio.
Al Nobile Uomo
Il Sig. Barone Alessandro Poerìo
presso il General Pepe.
Yenezia.
GXXXVIII. Alessandro Poerio alla Carolina Poerio-Sossisergio.
Venezia, a di 25 Settembre 1848.
N!" 7.
Carissima madre.
Dopo una serie di lettere vostre, giunte, piuttosto,
con regolarità, esse cominciano, di nuovo, a man-
carmi, con mio forte dispiacere. L' ultima, che siami
pervenuta, è del di 9 corr. mese. E sarei in grande
apprensione, se una lettera de'14, dettata, da Flore-
stano, a Carlino, in Ischia, ed un'altra di Cosimo As-
santi, in data del 16, in cui si parla di tutti voi, non
mi avessero tranquillato. Io scrivo, spesso; e vedete,
che la presente è la settima, che vi dirigo, nel corr.
Settembre, oltre due righe, che v'aggiunsi, in una del
General Guglielmo a Carlino, il di 5.
Mi rimetto alle mie antecedenti, per quel, che ri-
guarda: il danaro, che attendo; la spedizione della
roba d'inverno, ancora, servibile; il mandarmi i fondi,
direttamente, qua, (poiché il Generale non può ripe-
— 271 —
tere dal fratello le somme, che gli passate, per conto
mio), ovvero rautorizzazione di trarre a vista, pren*
dendo il danaro, da qualche banchiere, che, sotto le
raccomandazioni del Generale, vorrà anticiparmelo.
Il verno è imminente ; e bisogna, ben, provvedersi.
Della salute, in pieno, vado meglio; e, poi, vi ripeto,
che, anche soffrendo, in paragone di quel, che pa-
tiva in Napoli, debbo chiamarmi contento.
Delle cose pubbliche, carissima madre, che dirvi ?
Circolano mille voci diverse. Stiamo a vedere, che
sia per fare la Diplomazia; io ne auguro poco bene.
Ad ogni modo, ecco il nostro motto, (e credo, che, da
Francia, non avremo altro, per ora): Fais ce que tu
dots, advienne que pourra. Non ostante il preteso
blocco da mare, in Venezia, è grande abbondanza di
tutto; spesso, abbiamo, anche, il gelato. Presto, giun-
geranno seimila fucili. Il Morandi (uomo di valore,
che combattè a Treviso e sul Sile) è venuto, con cin-
quanta volontari, ben ordinati.
RajQfaele è incaricato , con due altri generali ; di
riorganizzare i Lombardi, rimasti in Piemonte. Maria
Teresa mi scrisse , da Genova , per mezzo del pri-
mo tenente Olivieri , giovane napolitano, che si è,
assai, distinto; ha ottenuto, qui, il brevetto, che de-
siderava.
Ho scritto, a Montanelli, che, con immensa gioja,
ho saputo liberato e ripatriato. Non ho avuto, ancora,
risposta.
Credo Carlo tornato, da Ischia ; abbraccio lui e
Carlotta. Saluto, caramente, Luisa, Antonia, Emilio,
Peppino ed i bambini delle due famiglie. Domani,
desinerò in casa della Contessa Papadopoli Aldobran-
dini, la quale ha due bambini, che mi ricordano, prò-
— 272 —
prio, Vittorio e Matteo. Addio, carissima madre; il
Generale e Damiano vi riveriscono. Io, vi bacio la
mano; e, con filiale tenerezza e rispetto, mi rafferma
V.o Aff.mo
Alessandro.
Alla Nobil Donna
La Signora Baronessa Luisa ParriUi nata Sossi-Sergio.
Strada Banchi uuoyì, d.^ 13 2.° piano,
in casa di D. Michelangelo ParriUi^ Pari del Regno.
Napoli,
CXXXIX. Il Circolo Italiano di Venezia ai Socii.
I
Cittadino Socio,
Il Circolo Italiano , nella sua tornata del giorno
25 andante, nominò una Commissione, composta dei
sottoscritti, onde invitare ad alcuna largizione i socii,
che, non essendo presenti, nulla avevano potuto con-
tribuire, per supplire alle spese del cambiamento di
sala. Assunto dalla Commissione l'incarico, ha tro-
vato suo primo dovere quello di verificare, presso
r Amministrazione del Circolo, lo stato della cassa,
mentre non è possibile di incontrare spese, per pas-
sare nelle sale del Ridotto, senza che siano pareg-
giate quelle dell'allestimento della sala CampJoy, per
le quali il Circolo ha emesso un voto 9i piena ac-
clamazione e delle quali, in parte, si spera un sol-
lievo, da chi aspirerà ad ottenere la cessione del no-
stro contratto. Emerse dalla verificazione, che, pa-
reggiata a tutto settembre la contribuzione mensile,
la quale, comunque leggera, unita ai buoni ingressi
di settembre, fu sufficiente, però, a coprire le spese
ordinarie e quelle della prima istituzione, rimangono
— 273 —
insolute correnti lire 3000; e che un altro migliajo
ne occorre, per indispensabili riparazioni ed affìtto
anticipato, al Ridotto. Ora, (ponendo a calcolo: i ri-
sparmi, che possono aver luogo sulFordinaria tassa,
tosto che siasi il circolo, stabilmente, collocato; i van-
taggi, che si cercherà d'ottenere, nella cessione della
sala Camploy ; la sperabile aggiunta di socii, nel
nuovo locale) la Commissione è certa, che, se ogni
socio volesse portare Y oblazione spontanea , a sole
correnti lire otto, la tramutazione, al Ridotto, po-
trebbe avvenire, immediatamente, ed il Circolo sa-
rebbe sicuro di non avere più d'uopo di* suffragare
la Cassa. A tenore di questo progetto, ognuno dei
socii, che si firmò, nel foglio delle oblazioni, al Ban-
co della presidenza, il 23 corrente, per meno di lire
8 , non avrebbe che a supplire alla differenza ; gli
altri firmerebbero V unita oblazione: pagando , ver-
rebbe loro rilasciata relativa ricevuta, firmata da
un membro della Commissione. Se il decoro d' un
Circolo , che ha per iscopo la cooperazione al ben
essere della patria, in appoggio alle sagge mire del
Governo, ha suggerito, ai sottoscritti, la proposizione,
che vi fanno, egregio cittadino; questo, per altro, non
toglie, che la vostra oblazione, appunto perchè serba
il carattere di spontanea , non possa essere meno-
mata. Salute e fratellanza.
La Commissione per le oblazioni :
Giuriaii, presidente
Bollarti,
Rossetti.
Peroni,
18
— 274 —
Venezia il settembre 1848.
II sottoscritto si obbliga di pagare, il giorno
correnti lire per oblazione spontanea, onde pa-
reggiare le spese dei due tramutamenti di sala del
Circolo Italiano per la stabile sua residenza al ridotto.
Cittadino
Poerio Barone A.
presso il Generale Pepe.
CXL. La Garolìjia Poerio-Sossisergio ad Alessandro Poerio.
Napoli, 23 settembre 1848.
Mio carissimo figlio,
Ieri l'altro, dopo averti scritto, al solito indirizzo
del sig. Francesco, ricevetti la tua lunghissima del
13. Ti avevo, già, scritto: di aver mandato il danaro;
e, per la credenziale, che vuoi, di darmi qualche gior-
no di tempo.
Ho pronta una lettera, per te, del giorno 14; ci fe-
ci una soggiunta, ma nemmeno è partita, ancora. Que-
sta, la mando ad Enrico. Il quale mi dice, che il suo
affare della naturalizzazione va a compirsi. Ho rice-
vuto lettera, da Maria Teresa, del di 13, da Genova:
pare che vorrebbe muovere in Regno, ma io non pos-
so consigliarglielo. Tuo fratello ti scrisse. Giovedì; ora,
ti abbraccia e ti saluta. Non ancora ho veduto Car-
lotta, perchè mi sono fatta una legge di non uscire,
quando il tempo è rigido. Ho ricevute tutte le altre
lettere, che mi hai scritto. La tua ultima è stata, ve-
— 275 —
ramente, un balsamo, per me. Ho ricevuto un'affet-
tuosissima lettera, da Cicognani, ora, Ministro; ci sono
tante cose amichevoli, anche, per te. Addio, caro fi-
glio, amami. Ossequia il Generale, da parte di tutti.
Non ti parlo di politica: qui, stiamo al bujo di tutto.
Peppino, tuo cugino, le tue zie ed, in fine, gli amici,
tra i quali Amodio, il Tenente ed altri.... Ti abbrac-
cio e benedico
A ff. ma madre
Carolina.
Ad Alessandro
"Venezia.
GXLI. Da-Bois ad Alessandro Poerio.
Il Distintissimo signor Poerio è riverito, dal signor
Du Bois, il quale si è recato, due volte, al di lui al-
loggio, senza avere l'onore d'incontrarlo. Siccome,
però, avrebbe da conferire, con lui, sopra certo argo-
mento, lo prega, a volergli indicare Tgra ed il luogo,
ove potrebbe avere il bene di trovarlo.
Venezia, S. Polo, 24 settembre 1848.
GXLII. Cesare RosaroU-Scorza ad Alessandro Poerio.
Gent.mo sig. D. Alessandro,
Il latore della presente è il signor D. Peppino Tri-
solini, che io vi raccomandai, quando fusto, qui, onde,
vi avreste cooperato, presso S. E. il General Pepe,
per farlo avanzare. Il mio raccomandato è un ottimo
— 276 —
giovinetto. Ed appartiene, ad una famiglia, che, sempre,
ha pensato bene; ed alla quale io ho delle obbligazioni:
perchè il chirurgo D. Vincenzo Trisolini fu l'unico^
che, finché visse, assistè e soccorse la famiglia del-
l'infelicissimo mio compagno di causa, Angelotti. Perciò^
a voi, che siete tanto buono, raccomando il di Lui ni-
pote, onde saldare un debito, che, fin ora, non ho potu-
to, come avrei voluto, pagare. Se avete notizie del ca-
ro Enrico, datemene; e, pregandovi di darmi dei coman-
di, ed in attenzione de'medesimi, ho l'onore dichiarar-
mi, di voi,
Marghera, li 24 settembre 1848.
L* Obb.ino Devotis.mo Servo
Cesare RosaroU- Scorza.
A. S. E.
n Signor Barone D. Alessandro Poerio,
Venezia,
GXLin. La Carolina Poerio-Sossisergio e Carlo Poerio
ad Alessandro Poerio.
Napoli, 26 settembre 1848.
Mio carissimo figlio.
In data dei 24, ti scrissi una lettera corrente e ti
mandai quella, che doveva partire, per occasione, per-
chè mi dispiaceva, di averti detto tutto quello, che a-
vevo pensato, che sentivo, senza che ti fosse capitata.
Ti mandai, pure, i fogli, che desideravi. Il Tempo, te-
lo mandai, sotto fascia, al signor Francesco, il giorno-
— 277 —
16. Di modo che, a quest'ora, l'avrai, già, ricevuto
tutto.
Il Generale, nel rispondere, alla mia del 21, mi ha
mandato questo bigliettino, che ti compiego; ed una
tua lettera, in data del 5, per la posta: poi, ne ho ri-
cevute due del 15 e 18. Mi consolo, per la tua mi-
gliorata salute; spero che, finito il caldo, starai me-
glio. Per il danaro, prima di ottobre, (e siamo vicini)
non posso servirti. Per il tuo progetto di vendita, non
bisogna pensarci, perchè non si trova a vender nulla;
e, quasi, argento ed oro, ci si perde, se si vuole mo-
neta. Ma non dubitare, che ti compiacerò.
Cosa posso dirti di nuovo ? Certo, nuove de'nostri
vicini, ne saprete più voi che noi; esse sono desolanti.
Feroci, inumani, da ambo i lati. Le potenze sono inter-
venute, quasi, per dileggio. Il Tempo, dice, che son
menzogne, che Messina è intatta Sta a vedere,
che, oggi 0 domani, dirà, che i cannoni e le bombe han-
no fatto sorgere (come per incanto) i belli palazzi, a
Messina. Quel, ch'è certo, è, che il mondo è in tale sta-
to, che qualche cosa ne deve uscire. Buona o cattiva?
Iddio lo sa. Per la tua roba, è pronta. Ho due oc-
casioni. Una, che te la recherà quello istesso, al qua-
le sarà consegnata; Taltra, per mezzo del primo ba-
stimento francese, che verrà, in Venezia.
Mi combinerò, con Cosimo; e vedremo quel, che si
puoi fare. Ti manderò la roba migliore, s'intende. E-
milio è andato, per qualche giorno, in Pomigliano, per
affari; ma la moglie è rimasta, qui, con 4 figli, per-
chè due sono andati, con il padre e la zia. Tua so-
rella, pure, è abbattuta, per le cose pubbliche. Ti pre-
go di dire tante cose amichevoli, al signor Generale.
Se si dasse credito , al bugiardo Contemporaneo ,
— 278 —
già, 4 mila francesi sarebbero in Venezia. Ma , in
Terità, cosa detta da un giornale, tanto discredita-
to, per le sue menzogne, non merita fede. Ora, molti
credono, che sia pagato, per ciò. Giovedì, ti scriverò
addirittura; questa, te la mando, per Enrico.
li buon Enrico à tanto contento di appartenere ad
un popolo civilizzato ! Spera, ora, di aver l'impiego.
Mi sono offerta, se crede, che qualche mia lettera, ad
antichi amici della famiglia, gli potessero essere utili:
subito, gliene farei; gli voglio bene', come un mio terzo
figlio. Tua Zia non puole leggere le tue lettere, per-
chè scritte con un inchiostro tanto bianco, che io, che,
per leggere la stampa, non ho più bisogno di lente, la
prendo, per leggere le tue. Sapevo, già, che la Si-
gnora Contessa Papadopoli sfa una delle più graziose
e vivaci di Venezia. Mi ricordo, di averla conosciuta^
molto bambina; e prometteva, molto. Mentre ero in
Firenze, conobbi il suo dotto e bel cognato, morto, an-
ni sono, per il quale Saverio Baldacchini scrisse quel-
la bella lettera. A proposito di Saverlo, ho, già, ri-
messo, in passata, due fogli della Libertà Italiana^
ad Enrico, affinchè, sotto fascia, te li facesse perve-
nire; vi è, SLUCOfS Araldo.
In Venezia, ci dev'essere il Marchese Montemajor:
ti prego di dirgli tante cose amichevoli, da mia parte.
Tua Zia, Peppino, Antonia,.... D. Giovanna, Giovanni,
Giuseppino, tutti ti baciano la mano. Amami; e sono,
benedicendoti
Affezionatiasima madre,
Carolina.
Caro fratello,
Ci giunge la tua lettera del 18; e godo dell'arrivo
del carissimo Livio Zambeccari, che abbraccio, di tut-
— 279 —
to cuore. Qui, nulla di nuovo. Il Governo non pub-
blica bollettini di Sicilia; ma sembra indubitato, che le
ostilità sieno ricominciate, poiché gli Ammiragli Fran-
cese ed Inglese si sono limitati, ad impedire il bom»
bardamento per mare. La spedizione prosegue, dunque,
per terra; ma (dicesi) con poco frutto. È uno spet-
tacolo straziante quello, di vedere, con che ferocia, si
combatta da Italiani contro Italiani, mentre il comu-
ne nemico insulta, colla sua presenza, tutta la Nazione.
Ti ho mandato i fogli, che chiedi; e spero, che, a que-
st'ora, gli avrai ricevuti. Emilio sta bene; ed è a Po-
migliano. Il piccolo Michelangelo è ammalato, con
riscaldamento viscerale; ed è a cura di latte d'asina.
Ieri, ho scritto, al Generale Florestano, in risposta ad
una sua. Pare, che voglia trattenersi, altri 15 gior-
ni, in Ischia.
Riverisco la Contessa Papadopoli. Non so, se si ri-
cordi di me; ma io sono stato intimo della sua buona
madre. Ti abbraccio di cuore.
Tuo aff.mo fratello,
Carlo.
Al signor
Barone Alessandro Poerio,
presso il General Pepe.
Yenezia.
CXLIV. Ultimi versi di Alessandro Poerio.
VOCE dell'anima
27 Settembre 1848.
Quasi lene aura d'Aprile
Vien, talor, nel mio pensiero.
Fra i silenzi , a quello amico .
Un susurro lusinghiero;
— 280 —
Che Tu' infonde una gentile
Di speranze voluttà :
ProDoiettendo , alle mie chiome ,
Già y canute , allor felici ;
Promettendo eterno il nome,
Fra la gente, che verrà.
Ma terribile una voce,
Come tuon,'che, in valle, echeggi,
Empie r alma ; e , dal profondo ,
A me , grida: — « Che vaneggi ?
« Tutto , qui , passa veloce ;
« Ed il nome , anch' esso , muor >
« E la morte , a Dio , ti chiama ,
« Spirto ignudo e tremebondo !
< Non v' è gloria , non v' è fama ,
« Nel cospetto del Signor !
« A superba vanitade ,
« Non ti dar , perdutamente ;
« Da la vita , che declina ,
« Leva il guardo de la mente,
« Ne la vera eternitade :
« Pensa il carco del peccar. » —
Così, questa , in me , rimbomba
Voce libera e divina ;
E mi preme , inver la tomba ,
Perch' io possa , al Ciel , volar.
GXLV. Enrico Poerio ad Alessandro Poerio.
Firenze, 27 settembre 1848.
Caro Alessandro,
Ti spedisco, in fretta, due lettere di Napoli, che ho
ricevuto, stamane, con 2 numeri della Libertà Ita^
— 281 —
liana ed uno àeW Araldo. Non ti scrivo, a lungo,
perchè ti voglio spedire, subito, ogni cosa, per mezzo
del Conte Marco Sugana, che parte, fra due ore, per
Venezia. Ti scrivo, più a lungo, un'altra volta. Sa-
luto tutti gli amici ed il Generale; mentre, abbrac-
ciandoti, caramente, mi dico
Tuo aff.mo eogino,
Enrico Poerio.
P. S. Ho, già, avuto il rescritto della mia natura-
lizzazione; e pare, che, nella milizia, mi conserveran-
no il grado di capitano. Addio.
Al Nobile Uomo
Il signor Barone Alessandro Poerio,
presso il General Pepe
Yenezia,
Raccomandata, alla boutà del conte Marco Sugana.
CXLVI. La Carolina Poerio-Sossisergio ad Alessandro Poerio.
Mio carissimo figlio,
Ieri l'altro, risposi, a tutte le tue lettere, perchè, in
una giornata, ne avevo ricevute tre. Questa serve,
solo, per dirti, che stiamo bene di salute. Tuo fratello
è andato a fare una visita di S. Michele (al solito,
sopra il Vomero). Quell'amico manda, spesso, a pren-
dere le tue nuove; e ti dice tante cose. Ho scritto, a
Cosimo, per combinare l'invio della tua roba. Per il
denaro, mi rimetto, alle mie antecedenti. Spero, che
abbi ricevuto il giornale desiderato; gli altri, li avrai,
da Firenze. Maria Teresa non mi ha risposto: per cui,
avendo un' altra somma da rimetterle, me ne sono
— 282 —
astenuta, se prima non mi risponde. Qui, si sta in per-
fetto silenzio. Questa mane, è venuto il Solitario di
Molise, per congedarsi. Ha avuto il permesso di as-
sentarsi, sino ali*apertara delle Camere; ti saluta, ca-
ramente. Pare, che il mondo, non sia stato, mai, in
una maggiore agitazione di questa. La mia salute
e quella di tutte le nostre famiglie è buona. Gredo,^
che mia sorella anderà, presto, in campagna; tanto
più, che il piccolo Michelangelo è un poco emaciata
ed ha bisogno di aria campestre. Spero, sabato, aver
tue lettere del 22 e 23. Addio, carissimo figlio. Con-
serva la tua salute; e credimi, dandoti la mia ma-
terna benedizione,
aff.ma madre
Carolina.
Napoli, 28 settembre 1848.
Al Signor
Sig. Francesco BeUinga,
Venezia,
CXLVII. Alessandro Poerio aUa Carolina Poerio-Sossisergio
ed a Carlo Poerio.
Venezia, a di 30 Settembre 1848. -r. N."" 8.
Carissima madre.
Le vostre lettere del 13 e del 14 cadente mese ,.
delle quali fate menzione , in quella de' 21, non mi
sono, mai, giunte. Questa ed un'altra, senza data,
(ma che congetturo scritta il dì 16) sono le sole, che
io abbia avute, dopo la lettera del 9. Veggo, esser,
di nuovo, grandissima la irregolarità della posta: par-
— 283 —
te^ a cagione de* nefandi modi d' inquisizione, tanto
cari, al nostro costituzionalissimo Governo ; parte ,
pe' ritardi . che, ora, il cattivo tempo, ora, la man-
canza di vapori cagiona, facendosi il trasporto della
corrispondenza, di Ravenna a Venezia, per mare.
Della salute, quantunque mediocre, io debbo con-
tentarmi, atteso: i continui dolori e disinganni, che
ci piovono addosso, da Principi Italiani e Repubbli-
che straniere; la mancanza di prati, boschi, colli e
campi (che sono a vista, ma in mano all'Austriaco);
e le forti sciroccate, che, qui, abbattono i «ani, non
che i malaticci. Ma Tanimo è saldo ; ed ho fede in
sorti migliori, per l'Italia. La diplomazia ci venderà;
l'ostinato odio allo straniero ci riscatterà. L'Austria
ha dichiarato il blocco. I bastimenti francesi non si
oppongono. Ma il blocco è nominale: parte, pe* tempi
grossi, che, soprattutto nell' Adriatico, sono Serissi-
mi; parte, per la scarsezza delle forze marittime au-
striache. Il Vulcano^ vapore nemico, alle volte, pre-
da trabaccoli ed altri piccoli legni. Ma, se il Pio IX^
Vapore nostro, gli va sopra, abbandona la preda; e
scappa. Le malattie (febbri intermittenti soprattutto)
continuano ; la mortalità è poca, ma il numero de-
gl' infermi è grandissimo. Si spera , che , nel mese
entrante, spariscano questi tristi effetti della mal'aria.
Le piogge cadute hanno allagato Malghera, in modo,
che le piccole opere, alle quali gli Austriaci atten*
devano, sono state interrotte. Venezia non può rica-^
dere, in mano loro, finchò ha danari. Ma i danari ba-
steranno, appena, due altri mesi, se altri non ne so-
pravvengono. Si ha, peraltro, fondatissima speranza^
che (oltre alle collette, le quali, specialmente, in Ge-
nova, saranno abbondanti) possa conchiudersi il pre-
— 284 —
^tito di dieci milioni, che si sta trattando, per mezzo
di Commissari, spediti dal nostro Governo.
Non ho ricevuto, ancora, il ritratto della felice me-
moria di mio padre. Spero, riceverlo in breve; e ben
condizionato, in modo, che non abbia sofferto. Sulle
cose di Sicilia^ qui, corrono voci diverse. Chi dice le
ostilità sospese, per mediazione della Francia e della
Inghilterra. Chi le afferma interrotte, di fatto, per-
chè le forze regie, occupatrici di Messina e Milazzo,
non bastano ad intraprender altro.
Rispetto a'miei bisogni pecuniari (e per l'inverno
imminente, e per far fronte, alle eventualità di una
posizione così straordinaria,) vi ho scritto parecchie
lettere; ed alcune , mandate per la via di Toscana,
peonie verrà, anche, la presente) non hanno potuto
andare smarrite: cosicché ad esse mi riferisco. Dalle
ultime scrittevi , avrete rilevato , come non sia più
possibile, attenersi al modo, seguito, finora, (cioè, pas*
sare i denari, a Florestano, e farmeli dar, qui, dal Ge-
nerale,) avendomi questi fatto osservare, che, così, egli
viene a perdere queste piccole somme, che non può
ripetere dal fratello, il quale lo tratta, assai, genero-
samente, e con cui non ha conti. Resta, dunque, uno
Ai questi due modi: o rimettermi voi, direttamente,
il danaro (ed, a ciò, non mancano mezzi di comu-
nicazione: ed il Sig. Dubois, p. e., banchiere francese,
qui, stabilito, è corrispondente diretto di Degas, in
Napoli, come egli stesso mi ha detto) ovvero trarre
a vista, facendomi dare il danaro, da qualche ban-i
chiere veneziano, nel che potrebbe agevolarmi, con
le sue raccomandazioni, il Generale medesimo. Aspetto,
con impazienza, la roba d*inverno; c'eran molte sot-
tovesti, c'era un soprabitone, un frac nuovo servi-
— 285 —
bile. Credo, che la occasione, di cui vi varrete, sarà,
la stessa di Cosimo e di Florestano , che mandana
roba, a' rispettivi fratelli.
Fui, ieri l'altro, a desinare dalla figliuola dell'An-
gelica Àldobrandini, che ha due bambini, i quali mi
rammentano Vittorio e Matteo. Abbraccio Carlotta;,
saluto, caramente, Luisa, Antonio, Emilio e Peppino.
Vi porgo gli ossequi del Generale e di Damiano; e,
baciandovi la mano, con filiale tenerezza, mi ripe-
to
Carissimo fratello.
Ho avuto il piacere, di sapere, che molti tuoi ca-
lunniatori sono stati costretti, a disdirsi ed a dichia-
rare, che si eran ingannati, sul tuo conto. Lo scrive,
da Livorno, un nostro amico, al cui figliuolo, eh' è-
in Venezia, consegno la presente, affinchè, per la via
di Toscana, ti pervenga, con sicurezza. Quantunque
cotesto Regno sia tanto infelice, anzi, per l'appunto,.
a cagione della sua tanta infelicità e del tirannico
modo, con cui è trattato, si spera, che (com'è il so-
lito delle cose umane) d^bba, dall' eccesso del male,
nascere il bene. La Sicilia sarà osso duro, a' veltri
e molossi , che vi si son gettati sopra. L' Austria
opprime, sempre più, la Lombardia; perseguita, car-
cera, uccide. Il contadino, spogliato da tutti, cova il
rancore; e l'odio si accumula. Tutte le diplomazie dei
mondo non faranno, mai, che l'Italia acconsenta al gio-
go. Ma la salute d'Italia non verrà, al certo, né da
Re Tentenna, né da Pio IX, fatto strumento de're-
trogradi: sibbene, dal popolo. Venezia terrà, finché le
resti un obolo; il fermento, nel Veneto di terra ferma,
cresce, l'un di più che l'altro. Gli Austriaci hanno
— 286 —
concentrato la massima parte delle loro forze , in
Lombardia; poiché, quantunque la mediazione sia
stata accettata, (non volendo, a niun patto, sgombrar
r Italia , e temendo , che il partito più caldo possa
prevalere in Francia,) si tengon pronti, per la guerra.
Il Generale sta benino; e si rallegra, assai, delle
notizie, che mi dai, circa la migliorata salute dii^'lo-
restano. Cosenz non è punto infermo , come tu sospet-
ti. Lo veggo, ogni giorno; e sta bene. Ti accludo,
anzi, una sua letterina, che ti prego, di far, subito,
pervenire, al suo indirizzo. Ti prego, di dire, in mio no-
me, ad Attanasio, ch'ebbi la sua lettera, con cui mi
raccomandava i due fratelli Masoli , volontari napo-
letani, desiderosi di avere un congedo, per riabbrac-
ciare il padre, in Napoli. Ma nulla potei fare. Il Ge-
nerale non dando licenze a nessuno; e non potendo,
in verità , atteso il bisogno di difensori e V assotti-
gliamento della guarnigione, per le continue malat-
tie. Tanto più è necessario, che i sani rimangano, al
loro posto. Del rimanente , la raccomandazione del
nostro ottimo ed Italianissimo amico (che io, caramen-
te, saluto ed abbraccio) era subordinata, alle esigenze
della causa d' Italia: cosicché, egli non può dispia-
cersi. Non ho potuto, procurarmi il numero della Lj-
bertà Italiana^ contenente le due lettere, tua e di Sa-
verio Baldacchini. Scrissi, ad Enrico, che me lo man-
dasse da Firenze; promise, di farne ricerca; ma, non
ancora, me lo ha spedito. Il discorso, ch'è stato, gran-
demente, lodato (meno qualche espressione, forse, strap-
pata, dalla necessità di questi tempi tristissimi) lo lessi
per intero, nel Giornale Ufficiale. La dichiarazione
d^urgenza, per la presentazione dello stato discusso.
— 287 —
sulla mozione tua, ha tolto al Ministero, il quale ha
prorogato la Camera, lultima maschera, dal volto.
Tuo aflf.® fratello.
CXLVni. Alessandro Poerìo alla Carolina Poerio-Sossisergio.
Venezia, 30 Settembre 1848.
Carissima madre,
Vi ho scritto, oggi, a lungo, perla via di Toscana;
la presente, la metto alla posta, facendo, secondo il
consueto, la sopraccarta, a Zia Luisa.
Per quanto concerne la 'rimessa del danaro, vi ho
detto , quanto occorre , nella summentovata lettera;
ma questa serve, unicamente, per farvi sapere, che il
mio amico , il sig. Capitano Musto (Gaspare) desi-
deroso, di rimettere, al sig. Alessandro Vitale, suo
parente, in Napoli, la somma di Ducati cinquanta,
rha passata, a me, poc'anzi. Piacciavi dunque, tosto-
chè riceverete la presente, far pagare essi Ducati
cinquanta, al sig. Vitale, che abita Strada nuova
Montoliveio, w.^ 29, 2."^ piano. Per regolarità, io
rilascio, al Capitano Musto, un ricevo; e, parimenti,
ne ritirerete voi uno, dal sig. Vitale, Conoscendo, che
lo scrivere, per la posta, va soggetto a dispersione o
ritardi, abbondo in precauzione, consegnando al Ca-
pitano una mia letterina, dirótta a mio fratello Carlo,
la quale egli accluderà, al sig. Vitale medesimo.
Questa somma di Ducati cinquanta, unita a Du-
cati quaranta, che, ancora, mi restano, mi serviranno,
a fornirmi dei vestimenti, più necessari, ed a vivere,
finché mi vengano ulteriori rimesse.
— 288 —
La salute è mediocre; i tempi calamitosi e difficili.
Ma l'animo è saldo; ed, in mezzo a molti dolori, con-
fortato dal saper voi e Carlo ed i congiunti in buona
salute. Le ultime vostre sono del 16 (credo, non es-
sendovi data in quella lettera) e del 21. La posta non
è giunta, ancora, oggi. Addio. Vi bacio la mano; e
mi ripeto, con filiale tenerezza e rispetto.
Il V.o Aff.mo
Alessandro.
Alla Nobil Donna
La Signora Baronessa Luisa Parrilli
in casa di D. Michelaagelo Parrilli.
Strada Banchi Nuovi, N.o 13
Napoli.
GXLIX. Alessandro Poerio a Carlo Poerio.
Carissimo fratello,
La presente ti sarà recata, dal signor Alessandro
Vitale, parente del mio ottimo amico , signor Capi-
tano Musto, il quale mi ha passato Ducati cinquanta,
che tu rimetterai, ad esso sig. Vitale , ritirandone,
per regolarità, un ricevo , come io ne rilascio uno,
al sudd. Capitano Gaspare Musto. Ho avvisato, di ciò,
nostra madre, anche, per la posta; ma, per maggiore
precauzione, ^scrivo questa letterina, affinchè il Mu-
sto l'accluda, al Vitale medesimo. In caso, che la let*
tera, a mia madre, giunga, prima, che il Vitale ti rechi
la presente, ti prego, di andare subito, da lui, per
farle un tal pagamento. Egli abita Strada Nuova
Monioliveto N,^ 29, 2.^ piano. Ho scritto, oggi stes-
— 289 —
so, a lungo, per la via di Toscana. Ti abbraccio, ca-
ramente; e mi ripeto
Venezia, 30 settembre 1848.
Tuo aff.mo firatello,
Alessandro Poerio.
Al Nobil Uomo
n Sig. Carlo Poerio, Deputato,
Napoli.
CL. Federico Bellazzi ad Alessandro Poerio.
Genova, 2 ottobre 1848.
Pregiatissimo signor barone,
Latore della presente è il signor Sedeboni di Bre-
scia, uomo assai benemerito della causa Italiana, rac-
comandatomi da Correnti, onde lo munissi dì qualche
lettera, presso la S. V., e perchè me ne prevalessi^
qualora, alcunché avessi, a far sapere, intorno agli af-
fari del prestito e del modo, con cui procede , qui, in
Genova. Correnti si trova, ancora, a Torino, in compa-
gnia degli altri Membri della Commissione. La quale,
dovendo stare, ancora, per qualche giorno, colà, per la
realizzazione di alcune somme , lasciò me , in Genova ,
quale suo agente, per gFinteressi di Venezia. In questa
qualità, posso dare, alla S. V., alcune nozioni in pro-
posito. Ella saprà, che, appena, si propose, a Genova,
un prestito per Venezia, questa generosa città votò, nel
primo istante d*6ntusiasmo, un milione. Questo voto fa
autorizzato, dal concorso del Municipio , che, subito,
19
— 290 —
scrìsse, al Ministero, per quelle formalità, che, sebbene
inutili in simili faccende , diventano, però, essenziali,
quando un Governo intende, di non favorire l'inten-
zione del popolo. E, poiché l'attuale ministero piemon-
tese è, appunto, di quelli, che sprezzano le intenzioni
popolari, così, fatta riconoscere, per lui, la necessaria
concorrenza delle formalità d'uso, invece di adempirlo,
subito, e di porre, in tal modo, i Genovesi in grado di
passare un milione a Venezia, sta silenzioso, e dà nes-
suna definitiva risposta, al Municipio. Anzi, ha agito, a
Torino , in modo tale, da ingannare i Commissari; e
di far credere, a questi, che la colpa, di non essersi e^
messe le cedole del valore d*un milione, a prò di Ve-
nezia, è tutta del corpo decurionale di Genova.
Quando il conte Freschi mi scrisse tal cosa , da To-
rino, mi recai, colla sua lettera, presso il Municipio. E
questo, sdegnato del procedere del Ministero, mi pre-
sentò, per sua giustificazione, tutti i relativi documenti.
Onde, io, convinto della sua lealtà, mandai, tosto, un e-
spresso, a Freschi, in Torino, per renderlo consapevole
delle cose; e per far si, che non, più a lungo, si lasci
raggirare, dai Ministri. Ora, attendo l'effetto di questa
operazione. Ma ho molte speranze, che riesca a bene;
e che, quindi, il milione passi, all'eroica Venezia.
Fatta astrazione di alcune cedole del prestito, che si
vendettero, la carità pubblica fa di tutto, per soccor-
rere Venezia; ed, anche, il mendico offre il suo obolo,
perchè si conservi qual'è. Egli è vero, che questi mezzi
sono tenui. Ma, siccome, in molte città, si praticano, cosi,
dall' insieme, qualche frutto se ne trarrà. Spero, che.
— 291 —
presto, ci rivedremo a Venezia. I miei saluti di cuore,
a Lei e ad Uiloa. Salute e fratellanza.
Aff.mo De votano suo
Bellazzi Federico
Per favore
Al Signor
Barone Poerìo,
presso S. E. li Generale Pepe
Venezia.
GLI. Antonio Hordini ad Alessandro Poerio (400).
Mio caro Poerio,
Saprete, già, quanto m' è accaduto. Avevo incari-
cato qualche amico, di costà, perchè prendesse, a so-
stenere il mio aflFare. Dalla risposta ricevuta, or
ora , risulta , che non v' è speranza. Pur, tuttavia,
persisto, nel ritenere , che le ragioni , che mi assi-
stono, debbano trovare ascolto. Né so rendermi con-
to, come un Potere Sovrano , sebbene dittatoriale ,
possa punire , con pena straordinaria e arbitraria ,
un cittadino, che ha, solamente, esercitato i diritti, a
lui, competenti, in forza delle leggi vigenti. La libertà
della parola (e, per conseguenza, la facoltà , anche,
di criticare gli atti governativi) è diritto, di cui si
gode, a Venezia. Io sono rimasto, ieri sera, in que-
sti limiti. Perchè debbo essere punito ? Se ho avan-
zato delle calunnie , mi si faccia un processo re-
golare! mi si metta in carcere, anche! sono conten-
to ! Né avrei, per questo, a dolermi, potendomi as-
— 292 —
sumere il carico di giustificarmi. Ma violare il mio
domicilio, di notte , obbligarmi, ad ipibarcarmi , per
Ravenna, sopra un bragozzo, come si trattasse di
un mariuolo o peggio, sottoponendo, così, la mia par-
tenza, da Venezia , alle più sinistre interpetrazioni ,.
mi pare atto indegno di Governo libero , che deve
rispettare la libertà personale e, solamente, limitar-
la, in ragione di quello, che può richiedere l'ordine
pubblico. Per ciò, che mi riguarda, ammettendo, an-
che, che avessi l'intenzione di turbare l'ordine pub-
blico, (ciò, contro cui protesto) il Governo, j«enza di-
venire, allo sfratto , aveva il potere di assicurarlo,
dai miei tentativi, intimandomi l'arresto. Oltre tutto
ciò, perchè , di tutto il Comitato Direttore del Cir-
colo Italiano, egualmente, responsabile, di quanto io
dissi, ieri sera, per l'accordo preventivo e per la pò»
steriore adesione , dobbiamo essere favoriti , collo
sfratto, solamente. Revere ed io ? Questa è un'altra
ingiustizia, contro cui, egualmente, protesto.
V ho scritto la presente , caro Poerio , perchè
prendiate, a cuore, il mio affare; e preghiate il nostro
buon Generale, a spendere una buona parola, per me.
Comunicatela , anche , a chi credete meglio ; e, in-
tanto, credetemi
Vostro aff.mo,
Antonio Mordini.
P. S. Stasera, andiamo a bordo alla Corvetta, che
stanzia davanti il Lido. Domattina, ci vien detto,
che anderemo a Chioggia.
— 293 —
OLII. Angelo Civita ad Alessandro Poerio.
Angelo Civita di Mantova, già, basso ufSciale nel
Reggimento Haugwitz, rifiutato il promessogli grado
di Tenente, per la continuazione del servizio, in quel
corpo, Pofi'ri, al Veneto Governo, con istanza, per es-
sere addetto alla linea, in qualità, almeno, di primo
tenente, carica, di cui spera disimpegnarsi lodevol-
mente, atteso il suo zelo e la sua capacità note,
già, per informazioni e per attestati, all'onorevole
Cittadino, General Cavedalis : ora, bramerebbe il più
sollecito e favorevole riscontro, a sollievo, ancora,
delle noje e dei sacrifici di sì lungo esigilo.
Air onorevole Cittadino Poerio,
presso riUustre Generale Pepe.
CLni. Cesare Rosaroll-Scorza ad Alessandro Poerio.
Gentilissimo signor D. Alessandro ,
Profitto della bontà vostra ; e vi accludo una let-
tera, pel caro Enrico, onde ce la facciate pervenire.
L'amico latore della presente, nostro compatriotta,
desidera conoscervi ; ed io ve lo dirigo, perchè, es-
sendo un bravo giovine, è meritevole di questo ono-
re. Vi ossequio; e, pregandovi darmi de' comandi, ho
l'onore dichiararmi, di voi
Marghera, 3 ottobre 1848.
L'obb.ino Devot.mo serTO
Cesare Rosaroll Scorza.
A. s. E.
n Signor Barone D. Alessandro Poerio
Venezia
— 294 —
CUV. La Carolina Poerio-Sossisergio e Carlo Poerio
ad Alessandro Poerio.
Napoli, 5 ottobre 1848.
Mio carissimo figlio.
Dopo la tua del 18 scorso, nulla ho ricevuto; né
altri hanno avuto nuove, al di là del 19. Intanto le
nuove sono molte contradittorie, su Venezia. Chi dice
stretto il blocco , chi dice di no. A chi credere ? mi
auguro, però, nell'uno e nell'altro caso , che la tua sa-
lute sia buona. D. Florestano è tornato da Ischia.
Ho veduto Cosimo , che ti saluta; ed abbiamo combi-
nato, per fare un invio della robba. Noi non sappia-
mo nulla, di Sicilia: solo, che molti Siciliani, qui, stan-
ziati, hanno avuto ordine di partire. Anche, da.... per-
sone innocue sono state costrette, a partire. Caro fi-
glio, sono tempi tempestosi, per tutti: per chi spera
e per chi teme. Abbandoniamoci, in braccio alla Prov-
videnza. Ma non trascurare di scrivermi, il più spesso,
che puoi; la sola attiva corrispondenza di lettere fa
soffrire, con rassegnazione, la lontananza. Io ti mando
questa, per mezzo di Enrico, poiché veggo bene, che
è il mezzo più sollecito. Dopo la mia del 9 e che è
l'ultima, che hai ricevuta, te ne ho scritto il 13, 14,
16, mandando il Tempo del 23 agosto, il 21, il 23^
24, 26, 28 : sono nove altre lettere, che hai dovuto
ricevere. Di ottobre, questa è la prima. Tu sai, che, il
primo di questo mese, ho finito gli anni: siamo alla
zoppa settanta, come dicono i Toscani, più uno. Sto
bene; e spero vivere, lungamente. Tua sorella ti ab-
braccia, caramente. Ora, sta facendo l'istitutrice asso-
luta: perché é partita quella, che aveva, e ne aspetta
— 295 —
un'altra, ed, in questo intervallo, si occupa lei sola di
tutti i figli. Emilio è andato, per i suoi affari, in cam-
pagna: non ha voluto muovere la famiglia da Napoli.
Addio, carissimo figlio. Quando non ricevo tue lette-
re, non posso abbandonarmi, a scrivere, lungamente.
Addio. Ti abbraccio e benedico.
AfT.ma madre
Carolina.
Mille cose, al Generale, da mia parte.
Carissimo fratello,
• Manchiamo, tutti, di vostre lettere; ma abbiamo no-
tizie di Venezia. del 24. Spero, che avrai ricevuto i
fogli. La mia salute è ottima. Emilio, anche, sta bene:
ieri tornò, da Pomigliano; e, domani, parte, per S. Mar-
tino. Il degno Generale Florestano è tornato, da I-
schia. Egli fa, regolarmente, la sua trottata; e sta, suf-
ficientemente, meglio. Saluto, caramente, il tuo pa-
drone di casa, Assanti, Ulloa, Mezzacapo e Cosenz.
Il March. Dragonetti ti ringrazia; egli è, tuttavia, in-
fermo. Riverisco il Generale; e ti abbraccio di cuore.
Tao aff.o fratello
Carlo Pcerio
CLV. Errico Poerio ad Alessandro Poerio.
Firenze, 5 Ottobre 1848.
Caro Alessandro ,
Avrai ricevuto, a quest'ora, dal Conte Marco Su-
gana, un pacco, che ti ho mandato, contenente i gior-
— 296 —
nali, che richiedevi, e due lettere di tua madre. Avrai
ricevuta, anche, un'altrJ lettera di tua madre , che ho
messa, alla posta. Ora, come ti ho promesso, ti scri-
vo, un poco più a lungo. Comprendo, che le cose di
Sicilia e dltalia, in generale, ti abbiano fatto, molto,
soffrire : ma spero, che, ora starai meglio. Di Napoli,
ricevo, sempre, lettere. Ma i nostri di casa non mi di-
cono, mai, nulla di preciso, intorno ai fatti del paese,
perchè, forse, temono della posta; ed, ai giornali, non
si può credere. Quindi, non so, nemmeno io, nulla di
veramente certo, riguardo alle cose di Napoli. Pare,
però, da quel, che si dice, da tutti, che si aspetti qual-
che movimento popolare di qualche consistenza. Mi
auguro, che facciano ciò, che, solo, può farsi, per sal-
vare Napoli e r Italia : m' intendi. Non mi mera-
viglio della Francia e dell'Inghilterra, per il conte-
gno serbato, nelle vicende Siciliane. Né mi meravi-
glierei, che facessero il peggio, che possono, per le cose
generali d'Italia. Ma spero, che l'Italia, una volta, vo-
glia capire la missione d'un popolo, che anela di ri-
sorgere, interamente; e che mandi, a vuoto, tutte le
mene dei gabinetti. Guerra ci vuole; e guerra di po-
polo, insurrezionale. Qui, in Toscana , si seguita, allo
stesso modo: senza sapere quale sia l'idea politica, che .
vogliano formulare coloro, che fan, sempre , rumore.
A Livorno, si sente il bisogno di avere, per Gover-
natore , Guerrazzi ; e ( quantunque faccian vedere , di
qon voler dipendere , dal Governo Centrale) mandan,
sempre , deputazioni , perchè riconosca il Governo
Guerrazzi, per Governatore. Il movimento, vedi bene,
si fa , per una persona. E questa è, generalmente, la
disgrazia di tutti noi Italiani, che ci scordiamo sem-
pre gli interessi comuni e generali, per servire a pri*
— 297 —
vate ambizioni. Anche, qui, in Firenze, ci è stato del
rumore: ma, senza sapere, al solito, che cosa doman-
dano. Ed è curioso questo fenomeno ! S'urla, si gri-
da; mentre, se, poi, a' Toscani, presi insieme, toccano
il Granduca, pare, che offendano la loro più cara af-
fezione. Che c'è da sperare? Montanelli, l'ho ve-
duto; l'ho abbracciato, per me e per te. Egli ti ab-
braccia; e ti dice tante cose affettuose. Egli ha molte
buone idee; e propende, per una dieta nazionale, che
potrebbe conciliare e riunire l' Italia , in modo che
sia indipendente. Zia Teresa mi ha scritto, da Ge-
nova; e ti abbraccia, caramente. Zio Raffaele è occu-
patissimo, per la riorganizzazione delle truppe lom-
barde. Ti dissi , già , che sono Toscano adesso , per-
chè riconosciuto tale. Ho saputo, indirettamente, ( da
persona del ministero , ) che , nel lavoro , che fanno ,
della riorganizzazione della milizia, vi è il mio nome ;
e che mi hanno conservato il grado. Staremo a ve-
dere. Massari è a Roma ; ma verrà a Firenze. Se
il Generale scrive alla Bruckerte, pregalo, dei miei
saluti, per lei. Tante cose, a Rosaroll, a cui scriverò,
a Pierni, a Cosenz, Ulloa, Assanti, al Generale; men-
tre, abbracciandoti, con tutto lo affetto, sono
Il tuo aff.mo
Enrico.
Al Nobil Uomo
il^Sig. Barone Alessandro Poerlo,
presso il Oenerals Pepe,
Venezia,
CLVI. Alessandro Poerio alla Carolina Poerio-Sossisergio
ed a Carlo Poerio.
Venezia, a di 5 Ottobre 1848.
Carissima madre,
Ieri, ebbi la vostra gradita lettera de'26, non re-
centissima. Avrei potuto riceverne, anche, del 28 o 29;
— 298 —
ma bisogna contentarsi, poiché il ritardo della po-
sta, si è, oramai, fatto frequentissimo; e, parte, il poco
numero de'vapori, parte, i tempi grossi, ne sono ca-^
gione inevitabile. Godo, che la vostra salute sia buo-
na. Mi duole di sentire Carlotta, alquanto, abbattuta;
non vorrei, che la sua salute se ne risentisse. Sperò,
che il piccolo Michelangelo sia, oramai, ristabilito.
Non ho ricevuto, ancora, il ritrattino della felice
memoria di mio padre. Non vorrei* che fosse andata
disperso. Ma, forse, la persona, cui lo consegnaste^
avrà dovuto fare un lungo giro. Resto inteso , che
mi manderete la roba d'inverno, più servibile. Se siete,,
in tempo, aggiungete due camiciuole di maglia di
lana, piuttosto lunghe: affinchè, unite a quelle, che
ho, mi bastino; ed io non sia obbligato, a farne di fla-
nella, la quale costa molto, in Venezia. Ho rimediato,
per ora, alla necessità di danaro ; e , se non avete,,
ancor, ricevuto, riceverete, presto, altra mia lettera,
del 25 settembre, con avviso, di aver preso, dal Ca-
pitano Gaspare Musto, Ducati 50, da pagarsi, imme-
diatamente, in Napoli , al sig. Alessandro Vitale, do-
miciliato Strada nuova Montoliveto n.° 29, seconda
piano. Con questi cinquanta Ducati , provvederò, al
cappotto e ad altri oggetti di vestiario , più neces-
sari; pel rimanente, aspetterò vostre rimesse: vivendo,
frattanto , con quel, che resta , de'sessanta Ducati ,
presi dal Generale, veirso la metà dello scorso mese.
Spero, che la rimessa non tarderà, oltre il 20 cor-
rente. Vi ho scritto, che, tra Venezia e Napoli, non
mancano comunicazioni dirette: Degas, ha, qu), per
corrispondente, il sig. Dubois ; Meuricoflfre è, in re-
lazione commerciale, col conte Giovanni Papadopoli,
marito della sig. Maddalena Aldobrandino Alla quale,.
— 299 —
non mancai, ier sera, di fare i vostri saluti. E m'in-
caricò di contraccambiarli, co'suoi ringraziamenti. Le
pare, di ricordarsi , di avervi veduta, in casa della
madre.
La salute è mediocre; le notizie cosi incerte e con*
tradittorie , che, a tener dietro ad esse, vi sarebbe,
da perder il capo. Le malattie, (non ostante, che la
temperatura sia rinfrescata,) non diminuiscono, punto ;
e , senza esagerazione , più di una metà de' militi è
inferma. Il mio amico Catterinetti è recidivo di feb-
bre. Ciò nondimeno , vi è grande alacrità d* animo,^
per la difesa; e, solo, si desiderai danaro. Se ne sta
raccogliendo, in parecchi luoghi d'Italia e, segnata-
mente, in Genova; ma le collette volontarie non pò*
tranno bastare. Si spera, nella conchiusione d'un pre-
stito. Il Governo sta trattando, anche, l'acquisto di
alcuni vapori: l'Austria ridendosi, delle potenze me-
diatrici, (o, per dir meglio, essendo d'accordo con l'In-
ghilterra, che sta burlando la Francia,) e bloccando^
per quanto le sue scarse forze navali lo consentono^
Venezia, da mare. I viveri incariscono, bastantemen-
te; pure, entrano, di tempo in tempo, piccoli legni^
con bestiame e generi.
Saluto, caramente, Luisa, Antonia, Emilio (che cre-
do tornato, da Pomigliano); abbraccio, caramente, mia
sorella; a Carlo, soggiungo due righe.
Carissimo fratello.
Non ho mancato, di consegnare la tua letterina, ai
Generale, che si è molto rallegrato, di sapere, tanto»
migliorato, in salute, il fratello. Che io, distintamente,
ossequio; e ringrazio della memoria, che serba di me.
Il Governo Provvisorio ha risoluto, di convocar
— 300 —
l'Assemblea, il di 11 Ottobre, atteso la gravità della
situazione, massimamente, per la parte pecuniaria. Si
crede, che l'Assemblea confermerà i poteri dittatoriali
del Governo; ma, nel tempo stesso, darà provvedimenti
e norme opportune. La diplomazia ci nuoce molto ;
la insurrezione delle Provincie venete (le quali son
ben disposte, massimamente il Friuli) potrebbe aju-
tarci, assai. Finora, il Governo ha creduto, di non do-
ver incoraggiare queste disposizioni ed accelerare il
movimento; speriamo, che, a tempo, muti opinione. Sen-
to, con orrore, il procedere della Francia e dell' In-
ghilterra , nelle cose di Sicilia. I Siciliani non deb-
bono sperare, che in sé stessi; e la loro ostinata di-
fesa può salvare l'Italia, come la loro eroica rivolu-
zione fu feconda di costituzioni, in tutti gli Stati I-
taliani. Vidi, ier sera, l'amico, giunto, qua, da pochi
giorni; e lo veggo spesso. Fui, ieri , col Generale, al
Lido; ed a Malghera, dove trovasi Livio Zambec-
cari, col suo bellissimo battaglione; egli ti risaluta,
quanto più affettuosamente si può.
La Contessa Papadopoli-Aldobrandini mi dice, che
le par, di ricordarsi, di averti veduto, in casa di sua
madre; e controcambia i tuoi saluti. Il marito ha, per
corrispondente, in Napoli, il Meuricoffre.
Questa la mando, ad Enrico. Spero ricevere tue let-
tere, in breve; e scriverò di nuovo, per la via di To-
scana.
Tao aff.mo fratello
Alessandro.
Alla Nobil Don Da
La Signora Baronessa Carolina Poerio.
Str&da del Salvatore N.^ 5.
Napoli,
— 301 —
GLVn. Antonio Hordini ad Alessandro Poarìo.
Caro Poerio,
Ricevei, ieri , la vostra lettera , datata del 5 ; e vi
sono grato per le cure, che vi siete date, per Revere e
me. Noi continuiamo, a sperare, che il Governo di Ve-^
nezìa, riconosciuto il proprio errore, vorrà darci quella
intiera riparazione, che^ sola, può cancellare l'offesa,
fatta al nostro onore, che, col mistero e collo sfratto,
è stato compromesso, non tanto in Venezia quanto in
tutta Italia. Più che ci pensiamo e meno sappiamo
trovare la ragione, che ha indotto il Governo, a trat-
tarci,cosi immanemente, pel fatto del primo Agosto,[5ac/'
corrige: Settembre,] di cui, d'altronde, 8, non 2 indivi-
dui soli, erano responsabili, egualmente. Un tal proce-
dere rovescia qualunque idea di giustizia. La sola scu-
sa, che potrebbe avere cotesto Governo, sarebbe que-
sta, che fu male informato , sul conto di Revere e
mio e sulla parte, che prendemmo ^ al Circolo, nella
sera del r corrente. Ma, in questo caso, parrebbe giu-
sto, che, riconosciuto l'errore, venisse il medesimo ri-
parato. Lo che si potrebbe, benissimo, fare, senza che
vi rimanesse impegnato, neppure, troppo grandemente,
r amor proprio di cotesto Triumvirato. E, poi, è così
bello e nobile, riconoscere il proprio errore, soprattutto
quando è stato causa di pena , a uomini di fama inte-
merata e immeritevoli, sotto ogni rapporto, della scia-
gura, in cui sono stati avvolti ! Il consiglio del Gene-
rale Pepe e tuo, intorno alla condotta, che Revere ed
io dobbiamo tenere, nelle circostanze attuali, è ottimo;
e, bene, risponde, ai sentimenti di patriottismo, che vi
— 302 —
distinguono, ambedue, e che, mai, avete smentiti, du-
rante la vostra vita. .
Ho il piacere, intanto, di dirti, che, fino dal primo
giorno del nostro arresto, io e il mio compagno di
sventure abbiamo deliberato, di patire, con religiosa
rassegnazione, Tofifesa e l'onta, che ci ha inflitta il
Governo Provvisorio di Venezia, senza muoverne
querela, per via della stampa; e abbiamo rinunziato e
rinunziamo, a giustificarci, dirimpetto allltalia, pel so-
lo amore del nostro paese e dei nostri principi. Non
ci ridurremo, alla pubblicazione di tutto quello, che ci
è accaduto, se non quando saremo arrivati, alla dura
estremità, ( che non si verificherà, almeno, lo speria-
mo!) di difendere il nostro onore, onde aver modo, di
^vivere tranquilli e senza essere respinti, dalla Società
Italiana. Ti prego, di comunicare la presente, all'ot-
timo Generale Pepe, cui Revere .ed io professiamo la
più alta gratitudine, per l'amorevolezza, che ci ha di-
mostrata, intercedendo, a favor nostro, coi suoi buoni
uffici, nella cui continuazione osiamo, tuttora, sperare.
Saluta gli amici tutti; e credimi, sinceramente , tuo
amico devoto e affìezionato.
A. MordinL
Ravenna, 9 Ottobre 1848.
Barone Alessandro Poerio,
presso il Generale Pepe,
yenezia.
— 303 —
CLVin. Alessandro Poerìo alla Carolina Poerìo-Sossisergio.
Venezia, a di 9 Ottobre 1848. — NJ" 2.
Carissima madre,
Nessuna vostra lettera , scritta in Ottobre , mi è
giunta, finora: avrei dovuto riceverne del 2 o del 3,
almeno. Vi scrissi, per la via di Toscana, il dì 5.
Questa, la mando, per la posta, facendo, secondo il
solito, la sopraccarta, a Zia Luisa. Pare, che, di nuo-
vo, la infedeltà o negligenza della posta si faccia sen-
tire. A quest'ora, ha dovuto giungervi la mia de' 30
Settembre; con l'avviso di aver preso Ducati cinquanta,
dal Capitano Gaspare Musto, per provvedere, agli og-
getti più urgenti di vestiario d' inverno. Somma, da
pagarsi, immediatamente, costà, al signor Alessandro
Vitale, Strada nuova Montoliveto n. 29, 2^ piano.
La salute è mediocre. Dell'andamento delle tratta-
tive diplomatiche, non abbiamo nulla di certo; è un
grande imbroglio. Enrico mi scrive, da Firenze, in
data de'5. Spera far parte dell'esercito toscano, con-
servando il gradò di Capitano. Di Zio Raffaele non
ho notizie dirette; ma sento, eh* è, molto, occupato,
nel riordinare le truppe lombarde. Se si ripiglierà la
guerra, son certo, che si farà onore. Ma di ciò du-
bito assai, non parendo, ohe i preparativi, in Pie-
monte, siano abbastanza gagliardi, a tal fine.
La fiotta Austriaca blocca Venezia, quanto può e
sa; ciò non impedisce, che, tratto tratto, capitino basti-
menti, con viveri. I prezzi , per altro, di ogni cosa,
giàf bastantemente, alti, son saliti, anche, maggiormen-
— 304 —
te. Le malattie non diminuiscono, secondo che il rìn-
frescamento della temperatura fàcea sperare.
Il Generale sta benino. La mia salute è mediocre;
l'appetito mi è tornato ; speriamo, che venga, anche,
il ben essere. Mi sto armando, quanto più posso, di
filosofia. Il mondo è agitato, in sensi cosi opposti, che,
a voler seguire questo turbine e molinello di cose,
ci sarebbe, da perdere il capo.
Aspetto la credenziale, dentro il corr. mese; basterà,
anche, che giunga, verso la fine di esso. Vi ripeto, che
corrispondenze dirette, tra Venezia e Napoli, ve ne
son molte. E, tra le altre, Degas è, in relazione, col
banchiere Dubois; e Meuricoflfre, col Conte Giovanni
Papadopoli.
Son impaziente di ricever vostre nuove; e di aver
certezza della buona salute di tutti voi : essendo io
privo di vostre lettere, da quella Jel 28 Settembre, in
qua.
Mi giunge un plico, da Firenze, con dentro due let-
tere vostre e di Carlino^ bastantemente, attrassate :
runa, de' 13; e l'altra, de' 25 Settembre. Leggendole,
mi rallegravo e meravigliavo, ad un tempo, dell'invio
del ritratto e del non averlo, ancora, ricevuto; ma ho,
poi, trovato, sulla sopraccarta, l'avviso, di non esser
più partito né ritratto, né roba.
In quanto alle premure, che fa il March. Drago-
netti, pe'suoi figli: l'uno è, già, partito, molto, avendo
sofferto, in salute; l' altro, è in molto migliore stato,
anzi, a vederlo, par sanissimo. Il Generale, a malin-
cuore, dà congedi. Con tutto ciò, forse, sopra ulteriori
insistenze del giovane , lo avrebbe compiaciuto ; ma
il giovane stesso ha mostrato desiderio di rimanere»
È, ora, in Venezia; e, forse, sarà messo, alla immedia-
— 305 —
zione del Generale Conte Sanfermo. Pe* fratelli Ma-
soli, ho scrìtto a Carlino, che dicesse, ad Attanasio,
le difficoltà della cosa.
A mio fratello, tostochè riceverò lettere, non man-
cherò di scrivere. Abbraccio lui e Carlotta ; saluto,
caramente, Luisa, Antonia, Emilio e Poppino; vi ba-
cio la mano; e, con filiale tenerezza e rispetto, mi raf-
fermo
V.o Aflf.mo,
Alessandro.
P. S. Ho lettere dalla Gozzadini, che mi chiede vo-
stre nuove.
Alla Nobil Donna
La Sig. Baronessa Lnisa Panilli nata Sossi-Sergio
In casa di D. Michelangelo Parrilli, Pari del Regno
Strada Banchi Nuovi N.<> 13
Nmpoli.
CUX. Maria-Teresa Poerìo-De Nobili ad Alessandro Poerìo.
Genova, il 10 ottobre 1848.
Mio caro nipote,
Ricevo, in punto, una lettera di vostra madre, la
quale si lagna di non ricever vostre lettere né dal
nipote Errico. Vi do le sue nuove, nel caso, che ne
siatiO, da lungo tempo , privo. Il signor Olivieri vi re-
cherà la presente. Egli ci ha veduto, quest'oggi; e,
partendo, ora, medesimo, ho profittato della sua bontà,
per dirvi, che la cognata sta bene, e ringraziarvi, al
tempo medesimo, della bontà, che avete avuto, pel mio
raccomandato. Rafiaele voleva, ancora, scrivervi, que-
20
— 306 —
sfoggi; ma non lo puole, a causa di tanti impicci, che
ha avuto. Ma Io farà, quanto prima.
Pare, che il gran Duchino di Modena sia stato ob-
bligato a fuggire, per la guerra, che si è mossa, tra
gli Ungheresi e Croati, ed a cui il popolo ha preso
parte , per gli Ungheresi , gridando : — « Morte al
Duca !» — Il reggimento Regina, stazionato a Geno-
va^ ha fatto una dimostrazione terribile gridando : o
la guerra, o che volevano ritornare a casa. Se Tar-
mata si rivolta , bisogna , bene , far la guerra , onde
contentarli. Pare, che la mediazione anglo-francese
sia stata, formalmente, rifiutata dalFAustria; stiamo
a vedere. Noi partiamo, oggi medesimo, per Vercelli,
onde raggiungere mio marito. Fate , col signor Ge-
nerale Pepe, i miei complimenti e quelli di Raffaele:
egU gh scriverà , di bel nuovo , quanto prima , spe-
rando, che questa lettera avrà migliore fortuna delle
altre. Speriamo , che il Cielo avrà pietà della sorte
del nostro povero paese; e che risorgerà, dalla catti-
vità, sotto la quale geme, datanti, anni, e che sor-
gerà una , sola ed indipendente, e sarà annoverata
anch'essa, la povera Italia, fra il numero delle grandi
nazioni. Intanto , mio caro nipote, conservatevi , in
buona salute. Dateci vostre nuove , sia a me come a
mio marito. Oggi medesimo, avendo scritto, a vostra
madre, le ho date vostre notizie. Intanto, conservate-
mi il vostro aff'etto ; e credetemi, sempre.
Vostra aff.ma Zia,
Maria Teresa Poerio. •
Airill.mo Signore
Il Signor Alessandro Poerio,
Y erte zia.
— 307 —
CLX. La Carolina Poerio-Sossisergio e la Carlotta Imbriani-
Poerio ad Alessandro Poerio.
Napoli, 10 ottobre 1848.
Mio carissimo figlio,
Rispondo, a due tue lettere, del 25 e del 30, rice-
vute, quasi, contemporaneamente, all'indirizzo di mia
sorella. La tua, rimessa ad Enrico, esso meTha an«
nunziata; ma, non ancora, è giunta la persona, che
deve portarmela.
Mi consolo, che la tua salute ti contenta. Io sto
bene; come, anche, tuo fratello, il quale è assente, per-
chè è andato a fare una campagnata, con vari ami-
ci. Sono andati , ad Airola , a trovare Aceto. In pun-
to, ho consegnato i ducati 50 al Signor Vitale, gen-
tilissima persona, il quale me ne ha fatto il ricevo.
Caro figlio, che posso dirti di affari ? I particolari
vanno molto male; i generali, peggio che mai; chi sa
cosa ne sarà per riuscirne? La mia salute è buona;
quella di tuo fratello, ancora. Tua sorella mi venne
a vedere, ieri, con quattro de'suoi figli. II tuo favo-
rito, Vittorio, è di due dita più alto di Geppino. Oggi,
vado a pranzo, da loro; la giornata è non solo bella,
per Ottobre, ma è, positivamente, estiva. Ieri, mandai
un involto, a Cosimo, contenente il soprabitone, due
calzoni e cinque gilè, una cassettina di latta; con il
ritratto di tuo padre. Questa lettera, la finirò, in casa
di tua sorella ; e la dirigo a Bellinga. Le lettere di
Enrico, le ricevo, esattamente. Ora, tua Zia parte; scri-
vimi, direttamente: se le lettere di Enrico, le ricevo,
perchè non riceverei le tue ?
Ora, sono, da tua sorella, circondata da tutti i miei
— 308 -
nipotini, che mi fanno festa. Ed, in confidènza, non
essendo avvezza, a questo chiasso, non posso conti-
nuare, a scrivere. Tua sorella vuol farti un rigo»
Tua Zia Luisa, Antonia, Peppino, gli amici, i dome-
stici, tutti si ricordano, alla tua memoria. Sono a£fe*
zionatissima madre , che ti benedice.
Carolina.
Carissimo fratello.
Profitto dell'occasione, che mi ofi're nostra madre,
per scriverti due righi. Mi gode Tanimo , che tu sei
stato meglio; e confido, che guarirai, perfettamente.
Io e la mia famiglia godiamo buona salute. Emilio
è, quasi, del tutto, libero del suo incomodo; ma, mo-
ralmente, poi, è assai oppresso : egli è andato, per i
suoi affari, a S. Martino, dove si tratterrà, qualche
giorno. I miei bambini domandano, sempre, del loro
caro Zio; e sono desiderosi di rivederti. Tu, forse, ti
sarai sorpreso, che io non ti abbia, mai scritto. Ma sap*
pi, che il mio pensiero, sempre, ti segue; e che vorrei
saperti lieto e felice, se, nelle presenti condizioni no-
stre, questo è possibile. Io ho il coraggio di resistere^
a tutte le sventure, che ci circondano, pel pensiero,
che mi debbo, a' miei figli, e che mi corre l'obbligo
di educarli, virilmente, di renderli, insomma, uomini:
merce, Mi cui vi è difetto, ne'tempi presenti; tempi di
corruttela e di viltà. Addio, caro Alessandro. Fa dì
star sano e di confidare, nella Provvidenza, che, tosto
0 tardi^ punisce i malvagi; e di amare la
tua aff.ma sorella,.
Carlotta.
— 309 —
P. S. Nostra madre, la Dio mercè, sta, assai, bene;
e questo è un gran conforto, per tutti noi.
Al Signor,
Signor Francesco BeUinga,
Vene^iia,
GLXI. Enrico Poerio ad Alessandro Poerio.
Firenze, 11 Ottobre 1848.
Caro Alessandro ,
Ricevo la tua de^5 corrente, con quella di Rosa-
roll. À tua madre, ho spedito, già, quella, acclusami.
Avrai ricevuto, spero, i giornali, che ti mandai, per
mezzo del Conte Sugana. Qui, ti accludo un mezzo
foglio di lettera, che ti scrivono da Napoli. Le cose
di Livorno durano; ed il Governo segue, a fare er-
rori. Nondimeno, fra tutti questi chiassi. Montanelli
è stato invitato, da una deputazione, ad andare, a Li-
vorno, come governatore; e vi è andato. Il suo pro-
gramma politico è bellissimo. Egli comincia, per dire»
al popolo, che la sua professione di fede politica è
democratica, nazionale, cristiana; spiega, quindi,
queste tre idee, non contraddittorie, ma uniche, nello
scopo e nel sentimento; e finisce, per proporre, come
mezzo solo, ad ottenere nazionalità ed indipendenza
Italiana, una costituente, formata da una dieta gene-
rale Italiana, a cui intervengano non solamente i rap-
presentanti de'governi, ma quelli del popolo. Monta-
nelli, uomo di coscienza, non poteva mancare, a so
stesso ed al paese. I Livornesi vogliono, assoluta-
— 310 —
mente, abbasso il Ministero; e queste grida si sono
incominciate, ad udire, anche, a Firenze. Se il Mini-
stero non sarà buttato giù , i Livornesi intendono
marciare, su questa città. Spero, molto, dalla religione
e dalla politica di Montanelli. Egli, te Tho detto, ti
abbraccia, caramente. È vero, ricevè la tua lettera.
Ma mi disse, che le mille occupazioni, da cui era af-
follato, gì' impedivano, di scriverti ; e che io facessi,
teco, le sue parti. Di Napoli, sempre, buone speranze
e grandi preparativi: ma nulla di positivo, nulla di
effettuato, ancora. Monsignor Code è tornato. In Si-
cilia , seguono a farsi apparecchi. Vedremo, come le
cose anderanno, da quelle parti, che sono interessanti
tanto, nella bilancia della questione Italiana. Ho vi*
sto Spaventa e Massari, di passaggio, che andavano
a Torino, per il congresso politico. Delle cose gene-
rali, non ti dico nulla: possiamo, d'accordo, lamentare
il contegno lento ed incerto delle potenze mediatrici,
che, nel prolungare le effimere loro trattative, ci fanna
un gran danno. Ti dirò, solo, che ho letto un pro-
getto di Costituzione, fatto da una Commissione au-
striaca, per tirare, a se, i lombardi, consoliti zimbelli
ed allettamenti. Esso è un capolavoro di larghezze e
concessioni. Credo , che nessuna repubblica abbia
avuto, mai, libertà più grande, di quella, che si con-
tiene, in quel progetto; e spero, che la Lombardia non
sarà tanto cieca, da farsi prendere, all'amo. Dì Zio
Raffaele non ho avute più lettere. Ma mi ha scrìtto
sua moglie, da Genova, dicendomi, che e stato molto
occupato, per la riorganizzazione dei corpi lombardi.
Ella ti fa tanti saluti. Il Ministero toscano, nel suo
vacillamento, agisce, lentamente: perciò, bisogna aspet*
tare, per la decisione del mio grado, nella milizia. Dirai^
I
— 311 —
a RosaroU, che, quest'altra volta, gli scriverò e gli
manderò il nastro, che mi chiede.
Tanti saluti, al Generale , UUoa, Assanti, Cosenz,
Pierni e Vollaro ; mentre, abbracciandoti, caramente,
sono
Tao aff.aio cugino e fratello,
Enrico Poerio.
Al Nobil Uomo
n Signore Barone Alessandro Poerio
presso il General Pepe
Yenesia,
GLXn. La Lauretta Parrà e Giuseppe Montanelli
ad Alessandro Poerio.
Livorno, 12 Ottobre 1848.
Caro Sandro,
Fu una grande consolazione, per Montanelli e per
me, il ricevere la vostra cara e desiderata lettera.
Eravamo insieme, assestando alcune carte, quando ci
pervenne; e rileggevamo un'antica vostra lettera, con
alcuni bellissimi versi, che ammiravamo, insieme. Mon-
tanelli era per partire, per Firenze, come deputato di
Fucecchio; e avevamo tutto quel gran da fare, che
si ha, il giorno d'una partenza. Era nostra intenzione
di scrivervi, insieme, giunti, in Firenze; ma egli non
ebbe, per sé, un momento di tempo ! Io, per aspettare
lui, ho indugiato, fin ora; e me ne pento. Avrete ve-
duto, dai fogli Toscani, come esso si trova, malgrado
lui, balzato, al posto di Governatore di questa città.
Povero martire, è già dimagrito ! e, di più, la sua fe-
rita li duole, un poco più.
— 312 —
Egli ha, in questo posto, un triplice lavoro; la si-
tuazione di questo paese, tutto eccezionale, è un mon-
do da portare. Egli ha l'intenzione di scrivervi, oggi:
ma è capace di arrivare stanco, rifinito, esaurito, co-
me li succede, quasi sempre! Voi lo saprete compa-
tire; saprete indovinare tutto il suo affetto, per voi;*
e sentirete il suo cuore, che è sul vostro. Quanto ci
contristano le cose di Napoli, non ho a dirlo.
Disgraziatamente, non v'è un angolo di questa pò •
vera Italia, su cui quietare il pensiero! Si piangerebbe,
sempre, se non ci fosse la speranza dell'avvenire. La
costituente Italiana, progettata da Montanelli, può e
deve salvarci, costituendo un'Italia : il resto verrà, da
sé. Scriveteci, su questo particolare. M'immagino, che
leggerete Y Alba, tutt'i giorni. E voi, Sandro mio,
non vi farete vedere, fra noi? come lo desidero !! Scri-
veteci, che venite, presto. Montanelli sarebbe nella
gioja. Intanto, scriveteci; e non aspetterete le rispo-
ste. Godo, che la vostra madre stia bene di salute e
che il vostro fratello non si stanchi mai, mai
La mia Emilia e suo marito sono, per qualche giorno,
a Fivizzano. Mio figlio, in campagna. Essi , tutti , vi
amano. Non vi parlo di me meschina, per non rat-
tristarvi. Addio, aspetto, come una consolazione, una
vostra lettera. Parlateci di Venezia; ma, sopratutto,
venite, presto, qui. Sono, di cuore, l'amica vostra af-
fezionatlssima,
Lauretta Parrà.
— 313 —
Caro Sandro,
Son tanto stanco, che, appena, ho forza, per darti
«n abbraccio.
Tao,
Montanelli.
Al Nobil Uomo
Il Signor Barone Alessandro Poerìo,
presso il General Pepe,
Venezia,
GLXin. Alessandro Poerìo alla Carolina Poerìo-Sossisergio.
Venezia, a di 13 Ottobre 1848. — N."" 3.
Carissima madre,
La mancanza di vostre lettere mi tiene, somma-
mente, inquieto: Tultima, che ho ricevuta, essendo de*
28, scorso mese. Vero è, che, in una del Generale Flo-
restano, al fratello, in data de' 5 Ottobre, si fa men-
zione di voi: e ciò mi tranquilla, un poco. Ma come,
mai, le lettere vostre mi mancano, da tanto tempo ?
Avete molti mezzi, per iscrivermi : accludere la let-
tera, ad Enrico; o far la sopraccarta, a Mondolfo, il
quale, benché sia in Trieste, ha lasciato, qui, gli a-
genti suoi.
Neppure, al nome di Bellinga, ne son, più , venute.
Insomma , trovate modo, che io abbia vostre nuove
dirette.
La recentissima rivoluzione di Vienna , ajuterà ,
speriamo, le cose nostre, tanto declinate.
— 314 —
Aspetto la roba d'inverno ed il ritratto; ed, alla
fine del mese corrente» il danaro.
Scrivo, in fretta : dovendo dare queste due righe,
a Damiano, che le accluderà, a Cosimo.
V.o aff.mo
Alessandro.
CLXIV. La Carolina Poerio-Sossisergio ad Alessandro Pperìo.
Napoli, 14 Ottobre 1848.
Mio caro Alessandro,
Mando questa letterina, ad Enrico, per la vìa di
Livorno, cioè, per mezzo del vapore francese. Ho ri-
cevuto la tua lunga lettera del 30, alla quale, rispon-
derò, per lo stesso canale, a lungo. Questa mia, te la
scrivo, a solo fine, di farti sapere, che stiamo bene.
Carlo, ieri, si ritirò dalla sua piccola gita. Domani
anderà a Santo-Jorio; e, così, cercherà di distrarsi, dal-
le seccature. In punto, è giunto Fonseca. Io ti replico
quello, che ti ho detto, in altra mia: subito che avrò
il danaro, te lo manderò; ma, da Calabria, nulla an-
cora. Ho pagato i ducati 50, al Signor Vitale. Spero,
che possi riparare, al momento. E, poi, cerca di fare,
quanto più puoi, economia , come facciamo noi, qul>
non certo, ma pensa, per quanto puoi, alle nostre cir-
costanze. Godo, che la tua salute è buona. La mia è
buonissima ; tanto, che ne sono spaventata. Accludo
questa, ad Enrico. Spero, che abbi ricevuto tutt'i fo-
gli, che ti ho mandati, e, anche, V Araldo.
Di cose pubbliche, non ti parlo: perchè, qui, tutto è
— 315 —
segreto, vi è una tal qual catena. Mi dispiace, assai^
che, non hai ricevuto le nostre lettere del 13, 14 A-
gosto , perchè ti dicevamo molte cose interessanti
(che, ora, già, non lo sarebbero più). Fonseca è tor-
nato bello e grasso, dai suoi 50 giorni di tappa e
d'ingiurie, ricevute dai Croati, ma, invece, di applausi
e buon volere, delle Croate e Boeme; il sesso debole
è più compassionevole. Ti benedico
Aff.ma madre.
Carlotta, martedì, ti scrisse, nella mia lettera; tutti
quanti ti abbracciano.
GLXV. Alessandro Poerio alla Carolina Poerio-Sossisergio
ed a Ciarlo Poerio.
Venezia, a dì 17 Ottobre 1848. — iV.° 4.
Carissima madre.
Pare, che, di nuovo, una mano dispettosa intercetti
la nostra corrispondenza ! Poiché , se voi, a di 5 Ot-
tobre, non avevate lettere mie , che de' 18 Settembre,
(quando è certo, che io vi ho scritto, spessissimo, e
propriamente, otto volte, nel corso del passato mese,)
io, fino a ieri, era privo di lettere vostre, dal 28 Set-
tembre in poi. Al nome di Bellinga, prima, mi ginn-
geano, con sicurezza; chi sa, che non abbiano capito,
nel gabinetto nero, che il Bellinga son io ! Usava la
prevenzione di dirìgere ( scrivendo, per la posta) le
lettere, a Zia Luisa; e di aggiungere, sulla sopraccarta,
la indicazione: in casa di D. Michelangelo Parrilli.
i
— 316 —
Pari del Regno. Ma sembra, che ciò, a nulla, giovi; e
che, aperte le lettere e trovato, che venivano a voi,
siano state soppreside. Cercate , che (oltre quelle, che
mi spedite, per mezzo di Enrico,) io ne abbia, per I^ via
di Roma, potendo voi farle ricapitare, a Cicognani p,
e. 0 ad altra persona, che me le spedisse, qui. Pierni^
ch'è in Livorno, ha un figlio, in Venezia; ed, a lui, ho
consegnato, due volte, lettere, per voi. Egli mi ha as-
sicurato, che il fratello ve le avrebbe portate di per-
sona ; e mi ha detto, che, incaricando lui del ricapito
delle risposte , sareste sicura, di farmele avere. In-
gomma, trovate modo, che io abbia nuove più fre-
quenti.
Della saluta, mi debbo contentare, benché non sia
quale desidererei. Queste malattie nervose rivestono
tante forme diverse, son veramente indefinibili. Ma,
quando ho patimenti, che non siano spasmodici, io non
mi dolgo; e cerco di darmi coraggio. Dopo la rovina
delle cose Italiane, veramente, mi credea ricaduto in
modo, da non riavermi ; a poco a poco, mi son ve-
nuto ripigliando.
Poiché desiderate sapeTe, dove io abiti, vi dirò, che
sto di casa, due porte dal Generale. Si entra, da un
vicolo, dietro le Procuratie. Le stanze, che io occu*
pò, non danno sulla piazza ; ma T appartamento no-
bile è a mia disposizione, sempre, che voglio entrarvi.
Dalle finestre, si gode tutta la piazza. E propriamente,
la vista infila, direttamente, la piazzetta ; e si vede
r isola e chiesa di S. Giorgio. Questo , come dovete
ricordarvi, è uno de'.piii bei luoghi di Venezia. Mon-
dolfo continua, a stare, in Trieste. Ultimamente, mi
fece dire, che sperava, di tornare, in breve. Ma io ne
— 317 —
dubito, assai; tanto più, che le cose, per quanto pare^
volgono alla guerra.
A quest'ora, avrete pagato, ad Alessandro Vitale, cor-
rispondente del Capitano Musto, i ducati cinquanta..
Questi ho spesi, in parte, per fornirmi di oggetti di
vestiario, di più urgenza. Aspetto, con impazienza, la
roba d'inverno, costà, rimasta; non ho neppure una
sottoveste; insomma ho bisogno di vestirmi. Soprat-
tengo a farmi il cappotto, finché mi venga il danaro,
che non tarderà, certamente, oltre la fine del mese.
Fin là, posso andare, con quel, che mi rimane. Ma, ol-
tre quel termine, mi troverei, nell'imbarazzo. Mi rac^
comando, dunque, sempre più, per le rimesse. Vi ripor-
to, che corrispondenze dirette, tra Venezia e Napoli,
non mancano. Degas ha, per corrispondente, il signor
Dubois ; Meuricoflfre, il Conte Giovanni Papadopoli^
marito dell'Aldobrandini.
Carissima madre, quanto son consolato, nel sentirvi
di buona salute. Iddio vi conservi, lunghi anni, e sce-
vra di acciacchi! Abbraccio Carlotta, di cui sento, con
piacere, le infaticabili cure, pe'suoi bambini. Saluto^
caramente, Luisa ed Antonia. Aspetto il ritratto ; vi
bacio la mano; e mi ripeto
V.o aitmo figlio,
Alessandro.
Carissimo fratello.
Sappi, che, di tante lettere, che nostra madre ac-
cenna aver mandate, io non ho avuto, che quelle del
13 e del 23 Settembre, (giuntemi, con incredibìl ritar-
do, ) un'altra de'28 Settembre e l'ultima de'5 Ottobre.
Dovrei averne avuto di più recenti. Per carità, tro-
vate modo, che io abbia le lettere, facendole impostare.
— 318 —
in Roma o Livorno, od accludendole ad Enrico. Ebbi
i giornali : lessi la lettera di Saverio e la tua , che
mi piacque molto.
Mi gode r animo, che il nostro Montanelli abbia
avuto, subito dopo il ritorno dalla sua gloriosa pri-
gionia, cosi bella occasione d*esser utile, al suo pae-
se; e, con tanta ampiezza di concetto e felicità di pa-
role, abbia fatto la sua professione di fede ed indi-
cata la nuova via, che ^e percorrere l'Italiano . . .
• .... Si spera, che il Gran Duca non aspetterà, che
si venga, agli estremi. Il voto pubblico chiama Mon-
tanelli, al Ministero. Egli è uomo considerato e sag-
gio, ma non da mezze misure , né capace di tran-
sigere su' principi.
Saprai la rivoluzione di Vienna. Jellacic non ha,
per quanto sembra, forze sufficienti a domarla; e gli
Ungheresi gli saranno , presto , addosso.
Tutti gli sforzi della diplomazia, per conservare la
pace, torneranno vani; la prepotente necessità della
guerra è nelle cose e negli uomini. Bisogna, che tutti
gl'Italiani si preparino alla lotta. L'intervento fran-
cese, sarà, forse, determinato dagli avvenimenti, che
si svolgono in Europa. Ma noi dobbiamo farne, pie-
, namente, astrazione; e far conto di esser soli.
Dicon seri disturbi scoppiati, tra Ungheresi e Croa-
ti, in Mantova e Vicenza. Iddio faccia, che ciò si
avveri.
Ieri, si andava, in barca, per la piazza di S. Marco:
spettacolo singolarissimo. Il Generale, Assanti, Ulloa,
Cosenz ti salutano. Io ti abbraccio e mi ripeto
Tuoa£f.mo fratello
Alessandro.
— 319 —
P. S. In quanto al figlio di Dragonetti, qui, rima-
sto, lo raccomandai, al Generale, come tu desideravi;
ma il Generale è alquanto alieno, dal concedere per-
messi a' volontari. Con tutto ciò, si piegava, a farlo
partire, allorché il giovane stesso manifestò volontà
di restare , purché avesse tempo di rimettersi in
salute. E, ora, in Venezia, addetto al Generale Saa-
fermo. Del resto, la sua indisposizione è poca cosa.
Il fratello parti, assai malandato in salate. Mi duole,
che il Marchese sia infermo. Saluto Emilio e Pap-
pino.
Alla Nobil Donna
La Signora Baronessa Carolina Poerio
Napoli.
GLXVI. Carlo Poerio e la Carolina Poerio-Sossisergio
ad Alessandro Poerio.
Napoli, 17 Ottobre a848.
Mio carissimo fratello ,
Ho ricevuto, regolarmente, le tue lettere del 30 scor-
so mese e del 4 fe 9 corrente. Io sono stato, per brevi
momenti, in Napoli; e, per lo più, sono stato in qualche
vicina campagna. Fui, dal collega Giovanni Aceto, in
Airola, in compagnia di Sansone. Venne, anche, Emi-
lio, da S. Martino, e Crisci, da un paese vicino. Di-
modoché, nella numerosissima compagnia, si contavano
cinque deputati. Non puoi credere quanta civiltà sia
in Airola : vi ho passato, piacevolissimamente, otto
giorni. Ieri, fui, ad un eremo, sopra Maddaloni. Que»
sta mane, vado, da Starace; e giovedì, dal Presidantt
— 320 —
Capitelli. A proposito della Camera, ieri la sera, fi-
nalmente, uscì il Decreto di convocazione de* Collegi
Elettorali, per la nomina de' 43 deputati mancanti.
Le elezioni avranno luogo, il 13 Novembre. Vedremo
quali nomi usciranno, dalFurna elettorale. Mi scrisse
Gioberti, invitandomi a Torino; egualmente, ho rice-
vuto lettere da Leopardi, Massari e Spaventa, prima
di muovere a quella volta. Ma io non accetto le basi
stabilite, dal Gioberti, per mascherare Tambizione di un
Principe. Se il dovere non mi ritenesse in Napoli, co-
stantemente, non mi recherei in Torino, ma altrove.
Mamiani, anche, mi ha scritto, da Pesaro, in una let-
tera, diretta, al Generale Florestano; mi dice delle cose
affettuosissime e troppo lusinghiere.
Rilevo, dalla sua lettera, ch^egli ignora, che tu sii^
costà. Il caro Montanelli mi ha mandato a salutare, per
mezzo di un amico. La sua condotta è degna di un
vero Italiano; ma, a me, pare, che il suo generoso prò*
getto non sia eseguibile. L'ambizione Piemontese gua-
sta tutto. Il Generale Florestano va, sempre, meglio;
sebbene, lentamente. Ti prego de'miei rispetti, all'ot-
timo suo fratello, e de'cordiali saluti, per Damiano, Ul-
loa, Cosenz e Mezzacapo. Dirai, ad Alfonso Dragonetti,
che il padre è partito per Aquila, dove è giunto l'al-
tro fratello. Riverisci la Contessa Papadopoli, che io
ho conosciuto graziosissima bambina. Mille saluti, al
tuo Padrone di casa. Ti abbraccio, cordialmente.
Tao aff.mo fratello,
Carlo Poerio.
Mio carissimo figlio,
Ti giuro, che, quando penso, alle quantità di mie let-
tere disperse, mi cadono le braccia. Questa è la quarta
— 321 —
lettera, che ti scrivo, in questo mese. Ho ricevuto, io
pure, tutte le tue lettere, sino al cinque, come ti ha in-
dicato tuo fratello.
Mi consolo, che la tua salute è buona ; e che hai
deciso, di non adirarti, tanto, per gli affari,' in generale:
perchè quello, che la Provvidenza vorrà, quello avver-
rà. E, siccome io fido, assai, nella stessa, così mi sono
abbandonata, intieramente, in essa. Quindi, non leggo
nessun foglio, tenendoli tutti (di qualunque colore essi
siano) mendaci.
Quando, poi, le nuove sono vere, vengono confer-
mate ; ed, allora, le so io. Ma pei^dere il tempo, per
leggere cose, prive di senso comune, non mi ci attrag-
gono, più. Appena, ricevuta la tua, mandai, dal signor
Alessandro Vitale; ma esso veniva, da me. Gli conse-
gnai i ducati cinquanta, come ti scrissi. Per gli altri
denari, gli attendo, da un momento all'altro. Io penso,
mandarli, per mezzo di Meuricoffre, più tosto che di De-
gas. Ieri, oltre la tua lettera del 5, ricevetti quella
del 9; e Tattrassata, per mezzo di Fonseca, il quale sta
benone. Ha avuto la fortuna, che una sua domanda,
fatta, da lui, quattro anni fa, di entrare, come impie-
gato, nel Gabinetto mineralogico, si è decisa, favore-
volmente, nella sua assenza ; e, ieri stesso, prese pos-
sesso. Mi han detto , che si è tolto il blocco, come
cosa inutile. Ma io non lo crederò, se tu non me lo
scrivi. Preparerò le due altre giacche di lana: se non
sono partiti i colli del Generale, partiranno, con essi.
Ho, finalmente, avuto lettera di Maria Teresa, del 10.
Era su le mosse, di raggiungere suo marito, in Ver-
celli, perchè far due case non era cosa. li figlio Pop-
pino è, ancora, in Francia, per fare gli esami: dice, che
è buono, studioso e timido. OuglieUno è stato messo,
21
— 322 —
nel Collegio Militare, in Torino; ma la madre non se
ne loda, perchè poco studioso. Speriamo, che si acco-
modi. Tutti ti abbracciano. Zia Antonia è furente,
per notizie; crede tutto e s'infelicita. Ti abbraccio e
benedico
aff.ma madre,
Carolina.
Signore
Giuseppe Mondolfo, banchiere,
Venejiia,
GLXVn. La Carolina Poerio-Sossisergio ad Alessandro Poerio.
Napoli, 24 Ottobre 1848.
Mio carissimo figlio ,
Ieri sera, ricevetti il tuo fogliolino del dì 13. Io
non ho mancato di scriverti, per tutti mezzi possi-
bili ed, anche, quello della posta. Ieri l\ìltro, ti scrissi,
per occasione; ti mandai una giubba , un soprabito
e due camiciole di maglia, le più lunghe, che ho po-
tuto trovare, per mezzo della persona. Ti scrissi, fred-
damente, perchè, qui, detta persona non persuade trop-
po. Te r avviso, affinchè ne faccia parte, a chi con--
viene. Badate, ai suoi andamenti. Puoressere, che sia
menzogna; ma, in tempi tanto diffìcili, bisogna esser
cauti. Voleva, che io avessi dati de' consigli: ma me
ne sono guardata, bene. Tenete l'avviso, per voi soli.
Caro figlio, speravo, oggi, mandarti il danaro, ma
non l'ho avuto, ancora : promesse, si, quante ne vo-
glio. Ma, certamente, non passerà il mese, senza che
venghino: dunque, si tratta di giorni più o meno. Ci
— 323 —
è chi ama il disordine, affinchè i proprietari si rovi-
nino. I briganti hanno le bandiere costituzionali.
Tuo fratello mi scrive, dalla campagna: si diverto-
no, in buona compagnia ; domani, anderanno, in Bene -
vento. Le nuove , che corrono, sono molto somiglianti,
ai conti di Mille ed una Notte, incredibili ! ed io, col mio
scetticismo^ non credo, ancora, nulla. Ti replico quel-
lo, che ti scrissi giorni fa: la Provvidenza ne sa più di
noi. Ho ricevuto, finalmente, lettera di Maria Teresa.
È curioso: non sapeva, che le lettere si dovevano af-
francare, per cui sono rimaste, alla posta. A quest'ora,
sarà giunta, in Piemonte. Mi promette di scrivermi,
appena giunca, per mezzo della legazione Sarda, mez-
zo, di cui mi son servita, per farle pervenire le mie.
Enrico, ora, è pentito di non essere venuto a Vene-
zia! è, veramente-, un ragazzone, che in Napoli si chia-
ma Maccaro7ie. Dimmi, se potresti ajutarlo, in caso
venisse, ora, che si organizzalo le compagnie ? Luisa
mi ha scritto, in cinque giorni, quattro lettere: stan-
no bene, sopra TEremo di Castiglione. Ora, che non
ci è Carlo né Luisa, ho fatto venire Giuseppino, a
stare, qui, la notte. L'ho fatto, per te, perchè io sto
tranquillissima: il nostro quartiere è pacifico, sempre;
anche, quando non lo sono gli altri. Addio, caro fi-
glio; amami e credimi
tua aff.ma madre,
Carolina.
Di tua sorella, da due giorni, non so nulla. Ti ho
mandato il tuo ombrello.
Al Signor
Sig. Banchiere Giuseppe MondoUò
Venezia
— 324 —
CLXVm. Alessandro Poerìo alla Carolina Poerio-Sossisergio»
Venezia, [23 Ottobre 1848.]
Carissima madre.
Ebbi, pochi giorni fa, la vostra del di 10, col fo-
gliolino, scritto da mia sorella, che ringrazio, assai,
della memoria, che serba di me, e dell'amorevolezza^
che mi dimostra. Le scriverò, separatamente, uno di
questi giorni, accludendo la lettera, a voi. Frattanto,,
caramente, l'abbraccio; e le dico tante cose, pel marito
e pe' bambini.
Ques^ notte, Ulloa è andato, a fare una riconoscen-
za, con cinquanta uomini; e nulla mi ha detto. Tratto
di poca amicizia. Il Generale, (che, pur, sapeva, pregato,
da me, una volta, per sempre, quanto volentieri io sa*
rei andato,) neppure, mi ha avvisato. Non ho saputo
la cosa, che dopo la partenza. Mi tocca, ad avere ogni
specie di dolori. Il Generale ha allegato, esser questa
una piccolissima spedizione; speriamo, che sia augurio
di cose maggiori. Più tardi, sapremo il risultamento;
ma non può essere di molta importanza. Solo, è bene,
che si sia ricominciato, a menar le mani, perchè l'as-
soluta inerzia demoralizza i soldati. Ch^ dirvi, delle
m
cose politiche ? Mille voci contradittorie: guerra, pa-
ce, intervento, abbandono, lega, controlega. Insomma,,
e' è da perdere il capo. Chi afferma, Carlo Alberto
pronto a ripassare il Ticino. Chi dice , che fa viste
e non verrà , mai , all' atto. Frattanto , un con-
gresso di notabilità Italiane, in Torino; la Costituente
proclamata , in Toscana. Molte agitazioni , nessuna
concordia. L'idea di Montanelli è quella, che, più, mi
— 325 —
piace : ma V adunanza torinese le sarà di ostacolo.
Si spera , che il nostro amico possa salire, al Mini-
stero. Io Io desidero: purché si circondi di uomini»
secondo il cuor suo ed atti, ad affiancarlo. Troppo, mi
dorrebbe, che la sua popolarità, come quella di tanti
altri, venisse meno. Ma egli, uomo coscenzioso e retto,
non accetterebbe il potere, che a condizioni onore-
voli; e non Io riterrebbe, se le vedesse violate.
Resto inteso della roba, che mi mandate. Non fate
menzione delFabito bleu, co' bottoni di metallo lavo-
rati; esso era servibile, ancora.
In quanto al danaro, spero, che Io rimetterete, alla
fine del mese. Io ho soprattenuto, a farmi roba da
vestire; non ho comprato, che due paja di pantaloni
di strapazzo , una giacca di casa ed un ombrello: ap-
punto, per non trovarmi sprovveduto di danaro. Indos-
so, ancora, la sottoveste d'estate. Ma, se si entra in
campagna, non posso fare a meno, di comprar, su*
bito, un cappotto, con cappuccio. Io tirerò innanzi, con
grande economia; non credete, che io getti. Ora, se
le vostre rinjesse tardassero troppo, mi troverei a-
sciutto. Fate, dunque, che non tardino, oltre la prima
decade di Novembre.
Aspetto lettere di mio fratello, che, caramente, ab-
braccio; saluto, assai assai, Luisa, Antonia e Peppino.
Vi bacio la mano; e, con filiale tenerezza, mi ripeto
V.o Aff.mo
Alessandro.
P. S. Riapro la lettera, già, suggellata, per accusar-
vi ricezione della vostra de'14, che in punto, ricevo.
— 326 —
Godo, che stiate tutti bene; scriverò, fra giorni, più
a lungo.
Alla Nobil Donna
La Signora Baronessa Carolina Poerio,
Strada del Salvatore, N.<> 5.
Napoli.
CLXIX. Il Governo Provvisorio Veneto ad Alessandro Poerio.
Governo Provvisorio Veneto
Dipartimento della Guerra
Al Barone Alessandro Poerio,
Venezia.
Dietro relazione di S. E. il Generale in capo, che
fa conoscere i servigi, da Lei resi, per Io passato, alla
causa Italiana, ed in considerazione airintrepidezza,
da Lei dimostrata, nella sortita e presa di Mestre ,
il Governo provvisorio le conferisce il grado di Ca-
pitano, concedendole, in pari tempo, lo stato di riposo.
Venezia, li 28 Ottobre 1848.
G. Cavedalts
Fontana
L. S.
xTo 16980
4708
Al Sig. Capitano Poerio
dello Stato Maggiore. Presso S. E. il Generale in capo.
(D*aflElcio.)
(Dal Governo») Venezia.
— 327 —
CLXX. Alessandro Poerio alla Carolina Poerio-Sossisergio
ed a Carlo Poerio; e Guglielmo Pepe alla Carolina Poe-
rio-Sossisergio.
Venezia, 28 Ottobre 1848.
Carissima madre, carissimo fratello,
Dalla lettera del Generale, avrete rilevato quel,ch'è
avvenuto. Come avrei (401) volentieri la mia vita ,
per la patria, cosi non mi dorrò di restare, con una
gamba, di meno. Vi scrivo, perchè veggiate, che sono
fuori pericolo. Abbraccio Carlotta ; saluto Luisa, An-
tonia , Emilio e Peppino; e mi ripeto
V.o aff.mo
Alessandro.
Il nostro caro Alessandro, mia ottima Baronessa
Poerio, si è condotto, con valore ammirabile : il suo
patriotismo ed il suo sangue freddo non si possono
superare. Colpito, leggermente, da una palla di mo-
schetto, alla gamba, continuava, ad avanzarsi, allor-
ché un colpo di mitraglia, al ginocchio, lo stese a terra.
Alcuni infami Croati, onde lasciarlo morto, il ferirono,
alla testa. Allorché, cessato il combattimento, fui a
vederlo, le sue sentenze erano degne di un eroe di
Plutarco; e circondato, come io era, da' miei uffiziali,
non giunsi a trattenere il pianto. Egli soffri l'ampu-
tazione, coraggiosamente; e chiedeva scusa del solo
grido, che gli sfuggiva. Trovasi, ora, nella mia abita-
zione; in ottima camera, che occupava , per Taddietro,
Assanti. La Contessa Soranzo, mia ospite , gli ò quale
tenera madre, quale voi gli sareste; le sue camerie-
re, il mio famiglio parigino, Taltro di Assanti, hanno
— 328 —
tutti cura indefessa di Alessandro, ch'io vedo, contì-
nuamente, raccomandandolo, a due ottimi medici.
La fazione di ieri onora il nome Italiano. La for-
tuna, contro il suo 3oIito, mi ha favorito: senza di
che non avrei potuto superare grandissimi ostacoli ,
sebbene i volontari mostraronsi bravissimi, come se
fossero stati della vecchia guardia di Napoleone. Trat-
tavasi di assaltar gli Austriaci , superiori di nume-
ro , ben fortificati , muniti di artiglieria: mentre io,
per singolari combinazioni della laguna , appena, fui
raggiunto, da un pezzo da sei.
n nemico ebbe trecento, tra morti e feriti, seicento
prigionieri ; e perde sei bocche da fuoco, ammirate,
molto, dal popolo Veneziano, per la loro bellezza, es-
sendo esposte, in questa piazza senza uguale.
Abbraccio Carlino, cui non iscrivo, in questo mo-
mento, perchè oppresso da faccende. Gli direte, che le
condizioni attuali d* Italia mi spinsero, ad eseguire
Tesplorazione di Mestre, onde invogliare i Piemon-
tesi, ad imitare i volontari, nella Venezia. Mi dicono,
che non erasi ottenuto un tanto vantaggio, sul ne-
mico, d'Aprile in qua.
Sono astretto ^di lasciarvi, mia cara Baronessa. Se
potete far leggere questo foglio, che scrivo alla cor-
sa, a Florestano, mi fate un regalo. A lui, scriverò, al
primo momento, che avrò libero.
Abbiamo, a vista, la flotta Sarda; esperiamo, che
sia ciò un segno di buona intenzione, da parte di Carlo
Alberto.
Guglielmo Pepe.
Fui, talmente, sdegnato, al trattamento indegno dei
— 329 —
Croati verso Alessandro, che molto mi costò, il non
vendicarlo sopra i 600 prigionieri (402).
GLXXI. Ordine del giorno di Guglielmo Pepe.
COMANDO GENERALE
ORDINE DEL GIORNO.
I triumviri veneti conoscer fecero, il gioi:no 26, a^
generale in capo, che era, ormai, tempo di lanciar, sul
nemico, i difensori della Laguna, sicchò, con Tesem-
pk), invogliassero gì* Italiani a correre alle armi.
La mattina del 27, avanti Talba, il generale, cir-
condato dal suo stato maggiore, dalla lunetta N. 12,
nel Forte di Marghera , osservava le mosse delle tre
colonne , le quali, in tutto, contenevano duemila ba-
jonette. Quella di sinistra , di 450 uomini della quinta
Legione Veneta, comandata dal suo colonnello d'A-
migo, ed imbarcata su parecchi battelli, era prece-
duta da cinque piroghe e due scorridoje, sotto gli or-
dini del comandante la divisione di S. Giorgio in
Alga, capitano di fregata Basilisco. Questi legni, con
le loro artiglierie, facilitar dovevano lo sbarco de*no-
stri, in Fusina.
II colonnello aveva istruzioni, di occupare quel pó-
sto; e, poscia, dalla parte della Boaria, presso la città
di Mestre, servir qual riserva^ alla colonna del cen-
tro. Questa , di 900 uomini , comandata dal colon-
nello Morandi e composta da* volontari Lombardi e
Bolognesi , aveva il carico, di sloggiare il nemico,
trincerato sulla strada ferrata ; e, quindi, occupar, di
viva forza, Mestre. La colonna di dritta, di 650 uo«
— 330 —
mini, formata dal Battaglione Italia Libera e Cac-
ciatori Alto-Reno , comandata dal colonnello Zam-
beccari, forzar doveva, lungo T argine angusto del
canale di Mestre, una barricata, difesa da due boc»
che da fuoco e da molti fanti , stabiliti nelle vicine
case.
Già, albeggiava. Le piroghe, verso Fusina, non
avevano principiato il fuoco, a cagion della nebbia,
densa , oltre Tusato ; i quattro pezzi di campagna, de-
stinati per le colonne di dritta e del centro « non
erano giunti dall' isola di Lido. Ma ogni ulteriore *
ritardo sarebbe stato nocivo: quindi, bisognò ese-
guire la mossa; e dar principio agli assalti, colla
bajonetta.
Il nemico, forte di 2600 uomini in tutta la linea,
ne aveva 1500 trincerati in Mestre , difesa, da sei
pezzi da campo e da*cacciatori , pronti a far fuoco,
dalle case.
La colonna del centro fu arrestata, da vivi fuochi
di artiglieria e di moschetti, dagli Austriaci. Il gene-
rale in capo vi spedi il colonnello Ulloa, capo del suo
stato maggiore. Egli si fece seguire, da cento gendar-
mi di riserva; e, con questo ajuto, riordinò e spinse
a passo di carica la colonna , la quale penetrò den-
tro la città. Arrestata, una seconda volta, a mal-
grado la forte resistenza, che incontrò , e le gravi
perdite sofiferte, procede oltre. Il nemico, dopo aver
perduto parte delle sue artiglierie, difendevasi dalle
case. Il capitano Sirtori, il maggiore Rossaroll ed
il capitano Cattabene, arditi sino alla temerità» con
un pugno di bravissimi Lombardi, si diedero a scac-
ciare gli Austriaci, casa per casa, ed aprir la via»
a*nostri» che occuparono la città, militarmente.
— 381 —
Fu in questi frangenti, che il barone Alessandro
Poerìo, volontario allo stato maggiore generale, ri-
cevè una palla di moschetto, alla gamba. Continuò
ad avanzare: ne ricevè una seconda, al ginocchio
dritto ; e, steso a terra, i nemici lo ferirono, in te-
sta, colla propria daga. Mentre gli veniva amputata
la coscia dritta , il valoroso Poerio, con calma, di-
scorreva della sua cara Italia ; e ne discorreva, con
lo stesso affetto, che gli eroi di Plutarco avrebbero
usato, parlando di Atene e di Sparta.
Tra queste vicende , la colonna di Zambeccari ,
seguendo Targine costeggiante il canale, incontrava
forte barricata, difesa da due pezzi da sei; e se ne
rese padrona alla bajonetta. Ma il nemico , profit-
tando delle variazioni del terreno a canto e di al-
cune casipole, offendeva, grandemente, la coda ed il
ratroguardo della colonna , in modo che vi fu esita-
zione, tra parecchi volontari. Essi vennero riordi-
nati, dal bravo colonnello Paolucci e dal maggiore
Assanti, i quali, nella mischia, trovavansi, sovente,
a fianco del generale in capo.
Il colonnello d'Amigo , appena le piroghe furono
in misura di far fuoco, sbarcò, a Fusina, si rese pa-
drone di due pezzi da dodici, abbandonati dagli Au-
striaci, di cui fece alcuni prigionieri; ma non giunse
a tempo, da secondare gli assalti su Mestre.
I risultamenti del valore prodigioso delle colonne
del centro e di dritta, furono di oltre 600 prigio-
nieri , 5 cannoni di brobzo , molti cavalli e buona
quantità di munizioni da guerra.
Ma ciò, che vai meglio, è Tessersi provato, che i
volontari d'Italia batterono gli Austriaci, superiori
di numero, ben fortificati, ostinatissimi a difendersi»
— 332 —
preparati, fin dalla notte, a riceverci , e che servi-
vansi delle abitazioni, come seconda linea di difesa.
Desiderava il generale in capo, che coloro, i quali
-sogliono dire, che egli ripone fidanza, più del dovere,
ne' volontari Italiani, avessero veduto combattere i
Lombardi ed i Bolognesi. Avrebbero osservato, che
^ue' bravi impiegavano, di preferenza, la bajonetta;
che disprezzavano ogni ostacolo, come si fa , da chi
è deciso a vincere od a morire. Avrebbero amoìi-
rato, in essi, la calma, l'ordine e Tardire, da onora-
re i più esperti veterani; ed avrebbero ascoltato, an-
che, i più gravemente feriti salutar V imminente li-
bertà Italiana. Allorché una nazione possiede Milano
e Bologna, essa, di necessità, romper debbo le più
jsalde catene.
La guardia nazionale di Venezia, che, al generale
in capo, ripugnò condurre, a si aspri combattimenti,
mostravasi, su' rainpari di Marghera, implorando il
permesso di marciare contr' al nemico.
È ardua cosa il dover far cenno di coloro, che più
si distinsero, nella giornata del 27, dacché, il valore
e l'entusiasmo patriottico furono, nel petto di ognu-
no. Ma il generale in capo ha cercato, per tutte le
vie, di far conoscere coloro, che mostraronsi più va-
lorosi, in mezzo a tanto valore (403).
Venezia, primo novembre 1848.
Guglielmo Pepe,
GLXXn. Damiano Assanti a Carlo Poerìo.
Mio caris.™** Carlo,
Mercoledì, V 9mbre, ti ho scritto una lunga rela-
— 333 —
zione sulla salute di Alessandro, la quale, quantun-
que migliorata , per quanto ci assicurano i profes-
sori , non lascia, perciò, di tenere e loro e noi, in
grave dubbio. In quella, ti dava, come causa finita
e perduta, la sua guarigione; in questa, ti dico, che
ci è permesso di sperare un miglioramento. La sup-
purazione della ferita si è presentata, con leggiero
infiammo e con inclinazione airassorbimento: ciò ci.
fa tremare. Egli soffre, pazientemente e rassegnata-
mente, tutto. Tutte le cure possibili abbiamo, per lui;.
ed egli è contentissimo del modo, come è assistito..
Tutta questa popolazione è interessata, per la sua
disgrazia; e, nella classe alta, che, già, lo conoscevano
nel suo vero merito , sono in continua agitazione.
Ti abbraccio, mio caro Carlo ; e ti prometto scri-
vere tutti i giorni. E bacio la mano, alla Baronessa. .
Venezia, 3 Ombre 1848.
Tao àff.mo Amico
Damiamo Assanti.
CLXXIII. Damiano Assanti a Cosimo AssantL
Mio caris."** fratello Cosimo,
Nella scorsa settimana, ti ho scritto due lettere;
e due ne ho scritte, a Carlo Poerio. In tutte , vi dava
ragguaglio dell' andamento della salute di Alessan-
dro; che, dolorosamente, fini di vivere, venerdì mat-
tina, alle ùndici. Mori, da vero uomo forte e cristia-
nissimo. Io Tho assistito, sino al momento, che tornò
alla terra. Con me, disse le ultime parole, ringrazian-
domi. Non ho , mai , sofferto dolore simile. Il nostro
— 334 —
paese ha fatto una perdita inapprezzabile. Ieri, si fe-
cero le pompe funebri. Il Generale ed i tre del Go-
verno accompagnarono il cadavere. La bara fu por-
tata, da me, da Ulloa, da Carrano e da Cosenz; e
tutti gli altri uffiziali Napoletani attorno. Tutti gli
uftìziali della guarnigione e grimpiegati militari del
Governo e della Piazza facevano corteggio. Una
compagnia di truppa Veneziana accompagnò la pro-
cessione, con due bande militari; e, finita la funzione,
fecero le scariche, dovute al grado di capitano, che
gli conferi il governo, il giorno 28 8bre. Io e tutti
gli uffiziali dello Stato Maggiore l'abbiamo traspor-
tato, al camposanto, in una Isoletta, chiamata S. An-
gelo. Li , ebbe sepoltura , nella cappella di un suo
amico della nobile famiglia Paravia. Le dame Vene-
ziane si hanno assunto il carico di mettere una la-
pide con iscrizione in caratteri d'oro; ed un altro
monumento sarà eretto da'Militari, nel forte di Mal-
ghera, da dove si fece la sortita. È 5<tato pianto, da
tutto il paese, dove si avea fatto apprezzare, e per
mente e per cuore. Fu scritta e letta un' orazione
funebre, ma non mi ha bastantemente piaciuta (404).
La sua morte era inevitabile: mentre, co'suoi incomodi
nervosi, non poteva resistere ad operazione simile,
che, per altro, fu fatta esattissima, da eccellente pro-
fessore. Fu assistito da' sei primari chirurgi, che, in
tutti i consulti, sono stati, sempre, d'accordo. Ti ripe-
to, non si è mancato in nulla, e prima e dopo morto.
I Veneziani sono rimasti edificati deiraflfezione, che
il Generale ed io abbiamo mostrato, per lui. Il mio
cameriere, che lo serviva in vita, lo assisti, senza, mai,
riposarsi , per otto giorni. Questi, insieme col razio-
nale della nostra Padrona di Casa, hanno avuto il
— 336 —
carico, di fare un notamento di tutto ciò, che si avea
d' equipaggio; onde, dopo, tutto riunito, si rimettesse
alla famiglia. Anche, costoro s* incaricarono di fare
tutte le spese necessarie ; e portarne nota al Gene-
rale.
Finisco, abbracciandoti mio caro fratello insieme
con Carlino , insieme con Guglielmo ed Alfonsinello;
e saluto tutti gli amici.
Venezia, 6 9mbre 1848.
Per Cosmo Assanti.
Tuo sff.mo fratello
Damiano.
CLXZIY. H Jtimento di spese e latte par Poerìo.
Esito.
Per funerali , cere, cassa mortuaria ed interro . 551,00
Pagati i chirurgi ed infermieri 207,00
Pagato U farmacista 138,00
Regalia a' domestici di Mondolfo .... 75,00
E^to totale . . L. 971,00
Introito.
Contante rinvenuto nel tiratojo 190,00
Esatto da Du Bois 526,00
Introito totale. L. 716.00
Esito superante Introito. L. 255,00
pari a Ducati. 51,00
— 336 —
GLXZY. Girolamo Sfona-Bissari ad Alessandro Poerio.
Vercelli, 8 Novembre 1848,
Ottimo Alessandro,
Avea, già, stabilito , di rompere il mio silenzio e
mandarvi notizie di qui, per averne in cambio le vo-
stre e quelle della generosa Venezia , quando mi
giunse, a consolare la tristezza di questa inerzia vi-
tuperevole, Pannunzio del brillante successo delibarmi
nostre, nelle vittoriose sortite , operate su Mestre e
Fusina. Se non che , per avvelenare , anche , quella
gioja tanto giusta, dovea queir annunzio portarmi la
nuova della vostra ferita e della amputazione, ope-
ratasi in conseguenza di quella. Credetemi , mio caro
Alessandro , che ne rimasi aiSEiittissimo , come se si
fosse trattato d'un fratello mio; perchè, come ben
sapete, senza ripetervelo, vi professo verace stima e
amicizia ; le quali, ora, se è possibile, più, ancora, si
accrescono, dopo che, in voi, raflSguro un martire della
nostra indipendenza. Si , mio amico , voi avete me-
ritato della Patria, nel maggior modo ; e avete coro-
nate le vostre sofferenze, in una maniera, che non
poteva attendersi, che da chi aveva, fin dall'infanzia»
durati tanti patimenti, per Lei. Mi lusingo, che la vo-
stra cura prosegua di bene in meglio ; e che possa
intendervi, presto, ristabilito. Per mia tranquillità, se
non vi riesce d'incomodo, vi pregherò, di farmi scri-
vere, almeno ogni settimana , due righe, sul vostro
stato. Io mi trovo, in Vercelli, a metà strada tra Mi-
lano e Torino, come officiale d'ordinanza» attaccato
— 337 —
al Generale Fanti, il fu presidente del Comitato di
difesa in Milano , nei giorni dell' estremo pericolo e
dell'eterna onta, pelle armi di Sardegna.
Mi rincresce il non potervi dare notizie troppo
confortanti. Specialmente, dopo una mia gita, a To-
rino, in questi ultimi giorni, ho dovuto convincermi,
che è, quasi, sicuro, che, per adesso, non si farà guer-
ra. La schifosa aristocrazia, da cui è dominato l'o-
sercito, la società, i dicasteri , quattro parti si può
dire della popolazione del Piemonte e massime della
capitale,, è cosa incredibile. Tutta questa oflScialità,
massime nella cavalleria (avvezza a considerare le ca-
riche, nell'esercito, come un patrimonio indubitato dei
cadetti nelle grandi famiglie, i quali, a tutto loro agio,
facendo i soldati da parata, arrivavano al posto di
Grenerale, per aversi dodici mila franchi, all'anno, pas-
sando» una volta all'anno, rivista), odiano la guerra,
nella quale il solo valore e la vera scienza possono
farsi strada, agli avanzamenti, aggiungendo, di piti,
che sono troppo teneri della loro persona, per im-
molarla sull'altare della Patria, parola per loro d'i-
gnoto significato. La popolazione , poi, tutta , in ge-
nere, è tenerissima del suo Re; e, cosa quasi inespli-
cabile, unanimamente animata, dal sentimento nazio-
nale, credendo nulla avere di comune, con noi, cui
apostrofa, col nome di Italiani, chiamando, sempre, i
suoi: Piemontesi. Con tali sentimenti, io domando :
cosa v'è da sperare? Il Re ha protestato, fino adesso,
di volere la guerra. Ma, intanto, ha fatto, costante-
mente, ripetere, ai suoi ministri, che, prima, doveasi
tentare ogni via, di ottenere una pace onorevole ; e
che, ad ogni modo, tale indisciplina regnava, nell'e-
sercito, da non potere imaginare, per adesso, di rien-
22
— 338 —
trare in campagna. Intanto, poco o nulla si opera,
per riorganizzare le truppe; e vi si mantiene, anzi, il
disordine, onde trarre, da questo, argomento, a man-
tenere lo statu quo ignominioso dell'armistizio Sa-
lasco. Noi, poi, lombardi, siamo guardati, con occhio
torvo e, quasi, ci negano quello, che a nessuno uomo
si può, le cose di prima necessità. La povera divi-
sione lombarda, ultimo pensiero del Ministero, ( stre-
mata di numero, per i continui congedi, domandati,
quasi, per forza, attesa la disperazione del soldato,) è
ridotta, ad ottomila uomini, tuttora, laceri e scalzi e,
una parte, senza armi. Il Generale Fanti, uomo, ia
tanta penuria di buone teste, prezioso, distinto oflB-
ciale di Stato Maggiore in Ispagna, stimato, da quanti
hanno il bene di avvicinarlo, è lasciato, tuttora, in un
turpe riposo ; perchè non vuole avvilire la sua di-
gnità , collo strisciarsi davanti a questi rettili.
Quando penso, allo sconvolgimento, ben più formida-
bile del Marzo trascorso, in cui trovasi, ora, la Mo-
narchia Austriaca , agli avvenimenti di Vienna e
d'Ungheria, a più di 20,000 prodi, rinchiusi nella la-
guna; e mi vedo, qui, condannato all'inazione, men-
tre avea, sempre, supposto di essere, presentemente,
coH'esercito, nel di là del Ticino: non so frenare il
mio dispetto; e dubito, d'esser capace, di restarmene,
tutto Tinverno, così.
Io credo, che, facilmente, verrò, a Venezia: almeno,
vi si farà più che qua. Quasi, tutti i miei concitta-
dini sono ritornati, a Vicenza; vergogna a loro, che
vollero, così, macchiare la gloria, di cui s'era coperta
quell'eroica città. Io ho perduto la mia povera ma-
dre, dopo la giornata terribile del dieci giugno : quel-
l'infelice non ha saputo sopravvivere, alla caduta
— 339 —
della sua patria, all'esilio dell'unico suo figlio. Ades-
so, non vi rimane più, che mio padre , vecchio più che
ottuagenario. Sarei stato più compatito di qualunque
altro, se fossi rientrato. Ma, fino a che v'è speranza
di scacciare il tedesco, dalle belle contrade, ho giù*
rato, di chiudere il petto, a qualunque afietto più sa-
cro, che non sia quel della Patria e della nostra In-
dipendenza. La insurrezione di Chiavenna e Val den-
teivi, già, avrete udito, come fini ? Coli' occupazione
delle truppe del Maresciallo Hajnau e colla fuga del
d'Apice e Mazzini: il quale, pure, colle sue poetiche
supposizioni e co'suoi proclami, non lieve danno ar-
recò, alla causa della Nazione. Cosi, si convinceranno
tutti: che, troppo, ci siamo illusi sulla condizione delle
nostre popolazioni, le quali, pur troppo, (parlo delle
campagne) non sono atte alle sollevazioni; e che eser-
cito e cannoni (non parole e poesia) richiedonsi, a li-
berare il nostro paese. Oggi , alle otto di sera , la
Camera dei Deputati, in Torino, si deve riunire, in co-
mitato segreto, per ricevere quelle istesse comunica-
zioni, circa l'operato del Ministero, riguardo alla me-
diazione, da lui fatte, tre giorni fa, alla Commissione
dei quattordici. Vedremo, se tutta la camera vote-
rà, col relatore della commissione, il deputato Buflfa,
polla disapprovazione delle operazioni del Ministero e,
quindi, per la sua caduta. Dio voglia, che se ne formi
un altro, più confacente ai tempi; e che ci mandi, alla
guerra. Avrete veduto d'Ayala, a Firenze. Ho letto,
il suo bel proclama, indirizzato al Gran Duca. Spe-
riamo, che Roma e Toscana faccian soldati , unico
mezzo, per la nostra salute. E, di Napoli e della po-
vera Sicilia, cosa mi dite? e di Carlo e di vostra
Madre avete buone notizie? Sapete chi ho veduto, a
— 340 —
Firenze? Il bravo Ruggiero Bonghi. Vi ricordate la
nostra gita, ad Amalfi? Quante illusioni, non è vero,
si formavano, allora ? Amatemi; fatemi scrivere, tosto;
e credetemi, sempre,
^ Il Vostro
Bissart.
P. S. Ho conosciuto, credo, un vostro Zio, il Ge-
neral Poerio. In questo punto, sua moglie manda, dal
General Fanti, a sapere quale Poerio sia stato ferito^
in Venezia.
II mio indirizzo :
Girolamo Sforza-Bissari in Vercelli. Ibi vel ubù
Al Nobil Uomo
Il Sig. Bar.Dd Alessandro Poerio,
Yenezia,
GLXXVI. Raffaele Poerio ad Alessandro Poerio.
Torino, li 11 Novembre 1848.
Mio carissimo ed amatissimo nipote Sandro,
Ho appreso, con orgoglio, ma con vivissimo dolore,
a un tempo, la parte gloriosa, che tu hai preso, nelle
sortite, che si sono, felicemente, eflfettuite, da cotesta
piazza, con tanto danno del nemico, e le gravissime
ferite, che tu ne hai, disgraziatamente, riportato, le
quali han, poi, per colmo di sciagura, reso indispen-
— 341 —
sabile V amputazione d' una gamba. Non ti parlerò
della profonda afflizione, in cui mi ha immerso que-
sta tritissima nuova, né della desolazione di Maria
Teresa e de* tuoi cugini , che ne sono stati istruiti ,
da un indiscreto, senza esservi preparati. Ma, cono-
scendo l'eccessiva irritabilità del tuo sistema nervo-
so, immagino le tue sofferenze; e sono, nella massi-
ma ansietà ed inquietitudine, sulle conseguenze pos-
sibili d*una così difficile e pericolosa operazione. Giun*
to, oggi stesso, da Si vigliano, dove avea appreso la
trista ed affliggente nuova di quanto t* era accaduto,
ti scrivo questi pochi righi, in fretta, che soccarto,
al buono e degno Generale Pepe, pregandolo, istan-
temente, di darmi, al più presto possibile, de* raggua-
gli precisi e circonstanziati, sullo stato della tua sa-
lute e della tua posizione, e che spero non tarderà
a darmi. Desidero, ardentemente, mio caro nipote,
conoscere, minutamente; quale sia lo stato attuale della
tua ferita, dietro l'operazione subita; il progresso
della miglioria ; le probabilità approssimative della
tua guarigione ; se hai bisogno , se hai desiderio di
qualche cosa, ch'io e la mia famiglia possiamo so-
disfare. Compiaciti , mio caro Sandro , di farmi ri-
spondere , subito , dal Generale Pepe , e da qualche
tuo amico, in particolare, onde toglierci, dalle inquie-
titudini, in cui viviamo , sul tuo conto , ed aver la
certezza, che sarai conservato, alla tenerezza della tua
rispettabile e degna genitrice, alla patria, all'amici-
zia , air affezione ed alle cure amorevoli di tutti i
tuoi. In presenza di tanta disgrazia , che t* ha col-
pito, un'idea, però, mi consola, che il sangue, che tu
hai sparso, che quello , di cui hanno inondato il cam-
po tanti altri bravi Italiani, non sarà, certamente.
— 342 —
perduto; e che contribuirà, potentemente, al trionfa
della libertà ed indipendenza d' Italia. Addio , intan-*
to, mio caro ed amato nipote. Ricevi i saluti affet-
tuosi e le amicizie di mia moglie , di Nina e di Gu-
glielmo , che ti scriveranno , appena , avremo notizie
della tua miglioria; e ciò, per risparmiarti delle emo-
zioni intempestive. Spero, ricevere, presto, tue nuove
rassicuranti, mio caro Sandro. Addio, intanto, pensa
a guarire presto. Abbiti cura e, soprattutto, pazien-
za. Ti abbraccio, affettuosamente, come fa Maria Te-
resa ed i tuoi Cugini. Amami ; e credimi
tuo aff.mo rio,
Raffaele Poerio.
Ainilmo Signore,
Il Signor Alessandro Poerio.
Yenezia,
CliXXVn. Niccolò Tommaseo ad Alessandro Poerio.
Mio caro Poerio,
Vi compiango e v'invidio. Per la libertà deiritalia,
avete combattuto, e con la parola e con l'opera. L'e-
silio, lo spasimo dei cari vostri; da ultimo, le ferite.
Venezia serberà il vostro nome, nelle sue memorie;
io, sempre, o Alessandro, nel cuore. Addio.
12 Novembre 1848, Parigi.
Tommaseo.
— 343 —
GLXXVUI. Niccolò Tommaseo alla Carolina Poerio-Sossisergio.
Parigi, 20 Novembre 1848.
Signora,
Di poche madri il dolore può essere più grande
del suo; di poche, compensato, da si alti conforti. Né
io tenterò consolarla. Ma piangerò, seco, l'uomo, che,
da molti anni, conoscevo; e col quale, ebbi lunga cor-
rispondenza di lettere e di speranze; la cui memoria,
tutti i giorni, ritornerà, al mio pensiero. Venezia, alla
quale egli ha consacrata la vita, conserverà, nel nu-
mero dei cittadini più benemeriti e cari, il suo nome:
e Dio buono rimeriterà, di ben più alta corona, il suo
sacrifizio.
Me le offro, devotamente,
Umilissimo servo
N. Tommaseo.
GLXXIX. Niccolò Tommaseo a Guglielmo Pepe.
Parigi, 22 Novembre 1848.
• Caro Generale,
A voi, che amavate Alessandro Poerio, giungerà,
certo, accetta la mia preghiera. Vorrei, delle cose sue
stampate e non istampate, fare una scelta; e accom-
pagnarla, con qualche mia parola di riconoscenza e
d'affetto. De'fogli, che l'Amico nostro avrà lasciato,
costi, fate, prego, trascrivere versi e prose, anche in-
corrette, che sieno. Spetterà, alla mia cura fraterna.
— 344 —
mettere insieme quelli, che, più, fanno onore, al suo
nome
JV. Tommaseo
GLXXX. La Carolina Poerio-Sossisergio a Niccolò Tommaseo.
Mio carissimo amico, signor Tommaseo ,
Dico, a voi, lo stesso, che ho detto, al signor Gene-
rale Pepe; cioè, che ho incominciate molte lettere di ri-
sposta, alla vostra, e non ho potuto proseguirle. Ma,
questa mane, ho forzata la mia volontà; ed eccomi
all'opera. È un grande ardire, per me, di scrivere, ad
un letterato di primissim'ordine; ma non ho voluto
confidare, a nessuno, la cura di rispondervi. Comun-
que sia la mia Jettera mal scritta, al certo, essa e-
sprimerà i miei sentimenti.
Debbo, però, prima di tutto, chiedervi scusa, se, sen-
za avere il bene di conoscervi, vi scrivo , con troppa
confidenza. Ma voi eravate Tamico di mio figlio; esso,
sempre, mi parlava di voi: ora, lo rappresentate nel
mio cuore ; vi amo, come un altro mio figlio. Tutto
quello, che mi dite, per consolarmi , potrà essere uti-
le , in un altro tempo ; io, però , ve ne sono tenutis-
sima.... per ora, non veggo, che la mia perdita; per
ora, non sono che madre tènera, debole, inconsola-
bile. Il tempo potrà modificare il mio dolore, renderlo
meno atroce ; ed, allora, la memoria del mio Alessan-
dro verrà, come una cosa sagra. Anch'io, dico, spesso,
a me stessa:— «Esso è in cielo». — L'anima sua pura,
scevra da ogni pensiero di utilità propria, veritiera, po-
teva tacersi sopra i suoi sentimenti, ma non mai tradirli.
— 345 —
neanche per celia. Ma voi lo conoscevate, da vicino;
per conseguenza, apprezzavate le sue virtù ; e compa-
tivate i suoi difetti , che , in parte, nascevano, dalla
sua fisica costituzione e dalla sua sensibilità morbosa.
Vi prego, di presentare i miei ringraziamenti, al
signor Manin, per quello, che ha fatto , per la me-
moria di mio figlio. Vi prego, di ringraziare le buone
Veneziane, delle parole, che han messe sotto la tomba
di Alessandro. Vi prego, di andare, a questa tomba; e
baciarla, in mio nome.
Vostra
..... Poerio,
La mia arnica^ D. Lucia, è inconsolabile.
GLXXXI. Guglielmo Pepe a Niccolò Tommaseo.
Venezia, 13 Dicembre 1848.
L'aflfetto, che dimostrate, per la memoria del fu no-
stro caro Poerio, è una novella prova del vostro bel
cuore. Ammirabile fu il suo valore; ammirabile, la sua
modestia ; ammirabili, le sentenze, che profferiva , an*
che, negli ultimi momenti di agonia. È opera degna
della vostra penna, di pubblicare i suoi manoscritti e
far ristampare le sue produzioni, che, già, avevan ve-
dute la luce.
Fra giorni, vi spedirò copia di tutti i suoi lavori.
E chi, meglio, di voi, potrà eseguire le correzioni, che
essi meritano , e che mancò il tempo , all' autore , di
eseguire?
Da ogni angolo dellltalia, qui, giungono notizie de'
preparativi degli Austriaci , contro Venezia. Lascia-
— 346 —
teli fare! Io vorrei, che il nemico intraprendesse, con
tutte le sue forze disponibili, V assedio di Marghera:
aflSnchè spiccassero il valore Italiano e veneto ; e per-
chè si mostrasse, all'Europa, di che sono capaci i po-
chi Italiani, nella Laguna, non traditi da Principi, pri-
vi di patriottismo e di onore. Addio, caro e virtuoso
amico. Scrivetemi, sempre; e credetemi tutto vostro
Guglielmo Pepe.
GLXXXn. Raffaele Poerìo alla Carolina Poerìo Sossisergio.
Torino, li 13 Dicembre 1848.
Mia carissima ed affettuosissima cognata,
Oltre alla mia lettera, che spinsi, in duplicata, a
Carlo, in data del 18 dello scorso Novembre, spero,
ti sia pervenuta, pure, a quest'ora, l'altra mia, che soo-
cartavo, al medesimo, del 29 dello stesso mese, al tuo
indirizzo, onde esprimerti il* vivo e profondo dolore,
in cui ci avea immerso la funestissima nuova del-
la amara ed irreparabile perdita, fatta, dalla nostra
famiglia , nella persona del mio amatissimo nipote ,
del tuo nobile e sventurato figlio Alessandro. Vittima
eletta e volontaria dell'indipendenza Italiana, genero-
so, egli ofifriva, in tributo, la sua esistenza, pella rige-
nerazione.ed il riscatto dell'amata patria. E, combat-
tendo da forte , egli cadea, sai campo dell'onore, uni-
versalmente, compianto, e lasciando cara, ad un tem-
po, e dolorosa memoria, di sé, fra i più distinti figli
d'Italia, un nome glorioso, e, pella sua prematura fine.
— 347 —
delle amarissìnie reminiscenze, alla sua inconsolabile
famiglia. Comprendo, pur troppo, mia degna e rispet-
tabile cognata , che sifiFatte considerazioni scemar non
possono il vivo rammarico , il profondo ed inespri-
mibile dolore del tuo cuore materno; e che tutt'altro
sentimento è pallido, tace o si dilegua, al cospetto di
tanto affanno, d'una sì grande sciagura. Piangi, o
illustre e sventurata madre d'un più degno e nobile
figlio, piangi, che son giuste, necessarie le tue la-
crime, che sole esse potranno alleviare il tuo immen-
so aflfanno, mitigare il tuo santo dolore.
Ti compiego, in questa, una lettera di Maria Tere-
sa, la quale è venuta a raggiungermi, da due settima-
ne, circa, in questa Capitale, ed ha pagato, fin dal suo
giungere in questa, tributo, alla severità del clima*
Nina non sta bene. Ella ti bacia, rispettosamente,
le mani; ed abbraccia, afifettuosamente. Ho ritardato,
di qualche giorno, a dar corso, alla lettera di mia mo-
glie, onde poterti dar nuove d' Enrico, che attendea,
ad ogni istante. Finalmente, è giunto, ieri, a Torino,,
col suo amico e collega Gaston. In quanto ad En-
rico, io avea preso delle misure preventive, a tempo;
e sarà ammesso, nell'armata lombarda, nella quale ia
ho potuto farlo comprendere ; ma non sono sicuro,
per Gaston. Però, spero molto, dalla benevolenza dei
miei colleghi. Conservo, pure, delle speranze di poter
far impiegare, in attività, Errico, prima che cominci
la guerra, se, pure, si realizzano alcune mie previsio-
ni. Io avrò cura di lui.
Spero, che Carlo, Carlotta, Imbriani e la loro fa-
miglia godino perfetta salute. Abbracciali e salutali,
affettuosamente, da parte «mia e de'miei. Non dimen-
ticarmi, presso Luisa, D. Michelangelo e Peppino Par-
— 348 —
rilli, siccome ti pregai^ con la precedente mia. Attendo,
<son ansia, nuove della tua salute e di tutta la fami-
glia. Guglielmo ti bacia la mani ; ed abbraccia i cu-
gini.
Addio, mia buona e rispettabile cognata. Ti abbrac-
<$io, affettuosamente; e ti ripeto l'omaggio del mio ri-
spetto e della mia venerazione, pelle tue tante virtù,
come pella dignità e coraggio, con cui sopporti le tue
«venture.
All'Egregia
Signora Baronessa Poórìo,
N.o 5, Strada del Salvatore, in
Napoli,
Tuo aff.mo Cognato
Raffaele Poerio.
NOTE
(1) Niccolò Tommaseo , nato a Sebenico, il 9 Ottobre 1802;
morto, poi, a Firenze, il primo Maggio 1874. Il dirne poco sa-
rebbe superfluo; il parlarne, ammodo, lungo tema. Alessandro
Poe rio, che, prima del 1830, non lo aveva in gran conto, avvi-
cinatolo , in seguito, molto , a Parigi e Yersaglia , ne divenne
amicissimo, entusiasta. Rimpatriato il Poerio, nel 1836, i due
ebber continuo carteggio ed affettuoso, che, in gran parte, ò sal-
vo. Fra le liiiche a stampa del Poerio, le terzine: Ad un ami"
cOf (che incominciano: Come, indarno, venutOf a questa luce\ ^on
dirette, al Tommaseo. Il quale, senza il permesso e <;ontro il ve.
lere deir amico, ne avea pubblicati larghi squarci, (senza , però,
nominarlo^ nelle sue Scintille, pag. 155.) imperfetti, ancora. Per
esempio, il primo verso vi si legge, cosi: In secol molle, io venni^
a questa luce. In uno stracciafogli del Poerio, ho ritrovato il se-
guente frammento (inedito) abbozzato, appena :
A Niccolò Tojimaseo.
27 Giugno 1847, Napoli.
E salirà tuo canto,
A più veggente altezza:
Perchè Tanima tua, sempre, si schiude.
In più schietta virtude;
Perchè, nudrita di secreto pianto,
Del cor la gentilezza
Spira, sempre, più santo amor di vero,
Al fervido pensiero. -
E volerà, più lunge,
La possente parola.
Che, meditata, nel profondo petto,
Con recondito affetto.
Inaspettata, in sul tuo labbro, giunge ;
E, d* armonia', consola.
Più lunge, volerà, perchè 1 tuo cuore
S^apre, in più largo amore.
— 350 —
E durerà, loDtano,
Il suon di quella voce,
Nel tempo, che prepara ignoti eventi,
A nasciture genti.
Perchè te vii desio di plauso vano ,
Che se ne va veloce,
Non corruppe: e dicesti, ardito e puro.
Sospirando il futuro.
(2) Carlo Poerio juniore nato, in Napoli, il 13 Ottobre 1803.
Il quale, poi, moriva, in Firenze, 11 28 Aprile 1867; ed è se-
polto, in Pomigliano d'Arco, nel sepultuario degl' Imbriani.
(3) Lucia de Thomasis. Nata, nel 1793, in Mola di Gaeta,
dov'era comandante il padre, Enrico Gomez di Paloma; moglie,
nel 1811, dell'abruzzese Giuseppe De Thomasis, (di ben ven-
tisei anni maggiore di lei; ed, allora, procuratore regio alla Cor-
te dei Conti; e ministro, poi, della Marina, nel 1821); morta, il
22 Dicembre 1858 , dopo ventott' anni di vedovanza. Antonio
Ranieri {Scritti Vari) e Niccolò Tommaseo (La Donna, Scritti
vari editi ed inediti) ne hanno stampati elogi, che insospetti-
scono , per la stessa loro esageratezza. Dovrei, farvi una gran
tara ! Ma lasciamola requiescere, in pace ; ed auguriamo , alla
Italia, donne, che vivan solo e tutte, per la famìglia.
(4) Il Ministero di allora era, sempre, quello detto del 3 A-
prile ; composto, cosi:
Carlo Troya, presidente del Consiglio ; ed ebbe, poi, 1* in-
terim della Istruzione pubblica (in surrogazione di Paolo Emi-
lio Imbriani. Vedi, pag. 8.)
Luigi Dragonetti, affari esteri.
Pietro Ferretti, anconitano, (che fu, poi, sostituito da Gio-
vanni Manna,) finanze. (Vedi, pag. 24.)
Gaetano Del Giudice, brigadiere, guerra.
Giovanni Vignale, magistrato, grazia e giustizia.
Raffaele Conforti, (succeduto, a Giovanni Avossa) interno.
Vincenzo degli Ubertj, colonnello, lavori pubblici.
Antonio Scialoja , agricoltura e commercio ; ed ebbe , poi
r interim degli affari ecclesiastici ( in surrogazione di France-
sco Paolo Ruggiero. Vedi, pag. 24.) ^
(5) Procurò questo scopo il Poerio, facendo stampare e gri-
— 351 —
dare e distribuir, per le Tìe, un foglio Tolante dì millimetri 275
per 188, che noi, fedelmente, ristampiamo, qui.
Lettera di Niccolò Tommaseo.
Niccolò Tommaseo, Membro del GoTemo provrisorio della
Repubblica veneta , uomo, il quale, illustre, per ingegno , per
iscienia e (più alta e rara cosa) per Tirtù, mi onora delfami-
cizia sua, credendo mio fratello, tuttora, Ministro, mi scriveva,
a* 25 dello scorso Aprile , una lettera , che ho ricevuta, non
prima di stamane. Mi sono affrettato di parteciparla, a*Mini-
stri attuali, com* era mio dovere. Ma dovere più sacro io sti^
mo, il comunicarla, ali* universale, divulgandola, per le stampe.
Eccola :
e Caro Poerio,
€ Non vi parlo di versi, nò d*ombre o d^acque; vi parlo d*un
€ vapore da guerra, che ci fa bisogno. Vostro fratello, consorte
e mio, nella carcere e nel Ministero , vegga, se può, farcene
€ avere uno, in prestito, perchè la Repubblica è povera. I ma-
€ linai, li metteremo di nostro ».
Oh quanto si racchiude, in queste, così, brevi e semplici pa-
role ! Ed il taciuto rimprovero accresce, ad esse, efficacia, a noi,
vergogna; che, fio da molti giorni, il Giornale officiale delle Due
Sicilie aveva annunziato: che una flottiglia napolitana andreb-
be, subito, a Venezia , con quattro mila nomini di truppe da
sbarco; e rimarrebbe, nell'Adriatico, vigile contro P Austria, anzi
operosa, a danno di quella. Ma, invece, i vapori son iti a sbar-
care le truppe, a'confini del Regno; e tornano, qua. Or, Vene-
zia, che, scacciati gli Austriaci, n*è minacciata, di nuovo, chiede,
a Napoli, quieta e sicura, un vapore, un solo, ed in prestito;
ed, i marinai, li metterà di suo! Chiede, che, agli ozi delle flot-
te napolitane, sia tolto un sol legno, perchè i figli di lei, an-
tica dominatrice de* mari, vi si slancino sopra, a combattere
contro il comune nemico, per la salute della patria risorgen-
te! (Chi, neiranima profonda, non sente la irresistibile potenza
di questa invocazione solenne, non osi chiamarsi Italiano. Se,
come, tuttodì, veggiamo accadere,) non ostante le buone inten-
— 352 —
zioni de* Ministri, quella mano occulta, che, qui. comprime ogni
impeto di magnanimo entusiasmo, impedisce ogni opera gene*
rosa e lascia passare, fra grette dubbiezze e tergiversazioni
codarde, il tempo opportuno e supremo de' redivivi fati d'Ita-
lia, respingerà od eluderà il fidente desiderio de' Veneti, prov-
vegga la pubblica opinione, con un di que* scoppi d* indegna-
zione tranquilla, a cui non si resiste. Altrimenti, l'idiooìa di
Dante non avrà espressioni, abbastanza, energiche, per marchia-
re d'infamia un, cosi, proditorio abbandono.
Napoli, 2 Maggio 1848.
Alessandro Poerio,
(6) Giornale Costituzionale del Regno delle Dice Sicilie. N.® 84
(Sabato) 15 aprile 1848.
É giunto, in questa nostra Capitale, da Milano, il Signor Tof*
fetti, da quel Governo Provvisorio, appostatamente, qui, inviato^
per sollecitare, da questo Real Governo, la pronta spedizione di
una flotta, nell'Adriatico, collo scopo di frapporre impedimento,
a qualunque possibile tentativo di sbarco, per parte di milizie
austriache, sulla orientale costa d'Italia.
L'onorevole Inviato sarà, domani, ricevuto, dalla M. S«
Il Ministero frattanto , informato del fine di tal missione e
compreso di tutta l'importanza della domanda, porrà ogni sua
cura, perchè la stessa venga soddisfatta.
(7) Giornale Costituzionale del Regno delle Bue Sicilie, N.® 8&
(Lunedì) 17 aprile 1848.
Ministero e Real Segreteria di Stato
DEGLI Affari Esteri
Ieri, il signor Conte di Rignon, incaricato d'una missione
speciale del Re Carlo Alberto , ebbe la terza udienza di Sua
Maestà.
La Maestà Sua, prendendo in considerazione le qualità del
Signor Conte, lo ha decorato della Croce di Commendatore del
R. Ordine di S. Ferdinando e del Merito.
— 353 —
Aderendo, alle richieste del Governo Sardo, espresse dal sul-
lodato signor Conte di Rignon, la Maestà Saa ha disposto, che
una squadra della Real Marina, composta di quattro Fregate
a Vapore, con a bordo quattromila uomini delle Reali truppe,
comandate dal Tenente- Generale Guglielmo Pepe, si rechi^ im-
mediatamente, nell* Adriatico, per prender parte, con le truppe
Piemontesi, alla guerra, che si combatte, in Lombardia, per Tln-
dipendenza Italiana. E, per aderire ad altro desiderio del Go-
verno Sardo, spedisce, in Venezia, parecchi Uffiziali e Sotto-Uf-
fiziali esuberanti , che potranno servire, sia per istruire i vo-
lontari Veneti, sia per guidarli alla pugna; e, specialmente, Uf-
fiziali di Artiglieria, capaci di dirigere, all*uopo, le batterie di
campagna, che ne mancassero.
17 Aprile 1848.
(8) Guglielmo Pepe, nato a Squillace, nel 1782, morto a To-
rino, 1*8 Agosto 1855. La vita pubblica n*ò sufficientemente
cognita: e non è irreprensibile. Il pronunciamento del 1820 par-
rà, forse, lodevole, a chi crede, il fine giustificare i mezzi : noi
possiamo, appena, scusarlo in parte, considerando, che la tiran*
nide crea antinomie terribili fra* vari doveri. Ma la sua mag-
gior colpa fu: di non essere una gran mente e di pur credere
d'esser tale e di assumerne le parti.
(9) Questo soffrire spasmodico trovasi descritto, nel seguente
certificato medico:
— « Certifico io, qui sottoscritto, dottore in medicina, come
€ il signor Barone Alessandro Poerio soffre, da più anni, un fe-
€ roce singhiozzo nervoso, contro il quale son tornati fallaci
4L tutti i più vantati rimedi, che V Arte medica gli ha prescritti.
€ Nato da pervertita azion de* nervi pneumogastrici, cotesto suo
« spasmo, non che scemare, per correr di tempo, si è fatto, anzi,
c( più ardito, associandosi, ch*ò peggio, con ogni maniera d*idee
€ tristi. E, siccome, dopo le tante sciagure, le quali han col-
€ pito la sua Famiglia, il soffrente ritrova, fra noi, troppi og-
€ getti e rimembranze, che gli svegliano penose emozioni; cosi
€ avviene: che gli si aggravi, ogni d) più, la malinconia; e per
4L essa, si renda maggiormente inferma e deperisca la sua sa-
€ Iute. Però , a trovar modo di alleviare il suo fiero patire ,
« riuniti in varie consultazioni, con me sottoscritto, i più rmo-
4L mati Professori di questa Capitale, se gli è, di unanime ac-
4L cordo, consigliato, come il più sicuro ed efficace espediente,
23
— 354 —
< che or gli rimanga a tentare, la navigazione ed il viaggiare
€ per lontane contrade ; essendoché il variare interamente di
€ clima, di usi e di cose, può: rompere la morbosa abitudine
€ de' suoi nervi; modificarne, in bene, la condizione vitale; e ri-
« tornarlo, a lungo andare, in lodevole stato di sanità. Onde,
< per il vero.
< Napoli, ventisei gennaio 1847.
< Dottor Alessandro Lopiccoli. » —
(10) Ferdinando II, nato , a Palermo , il 12 Gennsgo 1810,
succeduto al padre Francesco I , sul trono delle Due Sicilie \
rS novembre 1830; morto, nella Reggia di Caserta, il 22 Mag-
gio 1859. Fu soprannominato Re Bomba, nel 1848-49, per a-
ver fatto bombardare alcune città ribelli di Sicilia, il che, cer-
to, nessun giusto uomo gli ascrive, ora, più, a colpa. È dovere
del capo d'uno stato di conservarne l'integrità: ma il capo di
uno stato è inescusabile, se non rende il vincolo politico caro
a' sudditi, pe* benefizi, che ne vengon loro. E Ferdinando non
ebbe alcuna degna ambizione; non comprese alcuno deMoveri,
ch'egli. Re Italiano, avea verso i suoi popoli e Tltalia; e non
seppe rispettare la santità del giuramento. Onde, ha lasciato
fama esecrata; e preparò la caduta della sua dinastia.
(11) Carlo Zucchi, nato in Reggio d'Emilia, nel 1776, servita
la repubblica e l' impero francese ed il Regno d' Italia e lo
impero Austriaco, fu pensionato, col grado di tenente-mare-
sciallo e si ritirò in patria. Nel 1821, imprigionato dagli au-
striaci, rimase, per quattro anni , nelle carceri di Milano. Aven-
do partecipato, nel 1831, a' moti, che represse l'intervento au-
striaco, s'era imbarcato, in Ancona, per emigrare in Francia;
ma, catturato, dagli Austriaci, nell' Adriatico, tradotto a Vene-
zia, quindi a Gratz e condannato nel capo, l'intercessione della
Rtigina de' Francesi gli fece commutar la pena in vent'anni di
prigionia. Li scontava, nella fortezza di Palmanova, quando la
rivoluzione, liberandolo, nel marzo 1848, il trasformò in go-
vernatore di essa fortezza e comandante generale del Friuli.
Sventuratamente, era, allora, un povero vecchio, poco man che
rimbambito, come dimostrò in seguito.
(12) Mcuni membri della famiglia Nugent, oriunda normanna,
emigrarono dalla Gran Brettagna, quando gli Stuardi ne furono
espulsi; e «i stabilirono in Austria. Lavai, conte Nugent di West-
meath, nacque, nel M.DCC.LXXX, in Praga, dove il padre era
— 355 —
comandante. A ventinove anni, era, già, colonnello e capo di
stato maggiore dell* Arciduca Giovanni ; neU*andici, andò in In-
ghilterra, con una missione secreta, per intavolar trattative, col
governo Inglese. Nel tredici, comandava da Maggior*generale
una parte dell'esercito capitanato dallo Hiller; occupò Trieste e
coQchinse la convenzione , che garentiva la corona di Napoli
al Murat. Ristaurati i Borboni, fu nominato , nei diciassette ,
generalissimo dell'esercito napolitano: posto, che dovè lascia-
re, pe'moti del venti. Rientrò, come Luogotenente-Maresciallo
di Campo {Feldmarschalllveutenant) neU*esercito Austriaco; fu
promosso a General d'Artiglieria (Feldzeugmeister}^ ed ebbe, nel
quarantotto, il comando di un corpo, col quale marciò^ al soc-
corso del Radet^ky, posto alle strette dagl'Italiani.
(13) Allude a'torbidi , che seguirono V allocuzione pontificia
del ventinove Aprile. Atto funesto per la causa Italiana, det-
tato, alla coscienza del Papa, da motivi, certo, nobilissimi, ma
che dimostrò, pur troppo, come la qualità di principe tempo-
rale Italiano e di sommo gerarca cattolico, fossero incompa-
tibili.
(14) — € Il Conte Tofifetti era un bellissimo originale; aristo-
€ cratico, liberale e patriota; la sua conversazione fu piena di
< spirito e di brio. Il Conte Giuseppe Durini, che lo stimava
« ed amava, lo propose a' suoi colleghi del Governo Provvi-
€ Borio, per inviato a Napoli. Vi andò ; fece bene quel poco ,
€ che poteva; finché, dopo i disastri , emigrò, con gli altri, \i-
« vendo, molto, a Parigi. Mi ricordo d'avergli sentito raccon-
« tare^ con quel suo fare da grand Seigneur, che, quando l'Au-
< stria, per l'insano tentativo mazziniano del 6 Febbrajo 1853,
< ci sequestrò i beni, a tutti noi, notissimi antimazziniani, i ric-
« chi signori milanesi , il Duca Litta , il Duca Yisconti-Mo-
c drone, il Conte Vitaliano Borromeo, studiando qualche modo
« d'uscire da quel duro passo, pensarono di pregare il Tof-
« fetti d'andare a Vienna, dov'egli aveva non so che alte pa-
« rentele, per dimostrarvi l'iniquità della cosa e procurare, che
< il sequestro fosse levato. Il Borromeo andò, a fargli la pro-
« posta. Ma il Toffetti se l'ebbe a male. Io andare, a Vienna,
€ per questo? Per chi mi si piglici Accettai d'andare, a Napoli^ in
« un interesse generale e patriotico ! ma, a Vienna, per il no-
« stro particolare interesse? ... Fate, anche voi. Signori, quello ,
€ che ho fatto io. Mandai, a Crema, la mia procura, al mio fat^
— 356 —
a tore: e queste materie^ le lascio trattare, dal mio fattore, con
a casa éPAicstria >. — [Comunicazione confidenziale di E. B.]^
(15) — < 11 Bossi fu un patriota, non so bene, se fino dal 21,
< certo dal 31, repubblicano convinto: vuol dire, che non ave-
a va una gran levatura di mente. Fu, anche lui, adoperato, dal
< Governo Provvisorio , in qualche missione diplomatica >. —
[Comunicazione confidenziale di E. B.}.
(16) — € 11 Ministero Sardo spedii a Napoli, il conte Rignon
< con l'incarico di far premura^ a qael governo, perchè man-
< dasse sussidi di uomini e di danari,, alla guerra, che si com-
<x batteva per la indipendenza di tutta Italia. Il governo prov-
€ visorio di Milano, con lo stesso scopo, inviava, dal canto suo,
« il conte Toffetti, diplomatico abile ed esperto e, piii d*ogni
< altro, idoneo all'ardua missione. Il Rignon ed il Toffetti fé-
« cero quanto stava in poter loro , per raggiungere 1* intento
€ desiderato. E rinvennero, nei ministri^ tutta la buona volontà
< possibile , la brama caldissima di far la guerra per davve-
< ro >. — Cosi Giuseppe Massari. Vedi / Casi di Napoli, Cap.
XII. Vedi, pure, l'estratto del Giornale Costituzionale, ripoi tato,
per errore, nella precedente nota settima.
(17) — < L' anno appresso [cioè il 1845] > — scrive Pier Sil-
vestro Leopardi, nelle sue Narrazioni Storiche, Cap. XI — < per
€ cura della principessa di Belgiojoso > — cara gioja ! — < e
<c del Bizio » <— italiano infranciosato , che fu , poi , ministro
della seconda repubblica francese — < si tentò, a Parigi, la pub-
« blicazione di una Gazzetta Italiana , intesa a dimostrare ;ia
4L facilità delle riforme in Italia. Io, che non m'ero, mai, ristato
< dallo scrivere, il più che potevo, ne'giornali francesi, vi con-
< corsi, alacremente... Quella effdmeride non durò molto, a ca-
« gione delle discordie sorte fra gli estensori e della opposizione
« di chi volle sostitairle V Ausonio, ibrido periodico, che nacque
<c e morì senza frutto >. — L' Ausonio fu giornale mazziniano,
con reverenza parlando.
(18) Senza dubbio, in que'mesi d'ambasce e di tumulti, molti
versi avrà cominciati a scrivere il Poerio; ma, senza poterli
condurre a perfezione. Da un libro d'appunti, trascriverò l'ab-
bozzo informe dello esordio di un inno, per le cinque giornate
di Milano, principiato, come si vede, al primo annunzio della
vittoria popolare e, poi, lasciato li imperfetto: la strofa non avea
neppure pigliata forma determinata.
— 357 —
Fra quante altere vanno
Di scacciato tiranno — alme cìttadi.
Tu, con raggio lontano ,
'Generosa Milano ,
Più splenderai ne le future efadi.
Quattro fiate sorse
Su le tue pugne e si nascose il sole;
Poi, recando vittoria,
Cinse d'eterna gloria
La tua rinata prole.
Ond* io, che, intento vate ,
Vigilo l'opre per le vie degli anni ,
Pien de* tuoi lunghi affanni — e dell* ardire ,
Sento il carme venire,
Con novella esultanza,
Vittoriosa de la mia speranza.
(19) La Carolina di Niccolò Sossìsergio^ (magistrato, di una
: famiglia pugliese e, propriamente, del Poggiardo, che ebbe alti
uffici ne' cosi detti Prestata morto prima del 1799) e della Car-
lotta Trompaur da Brusselle (la quale era stata istitutrice in
corte dei Granduca di Toscana, Leopoldo I ; e , dopo il quarto
* figliuolo, ne fece dieci altri morti») Vedi, per qualche notizia
intorno a lei, nelle vite del marito Poerio e del cognato Feli^
ce Parrilli , che contengonsi nel libretto intitolato; Commemo-
. rajsione di Giureconsulti Napoletani. 5 Marzo i882, Napoli,
Cav. Antonio Mw^ano Editore , 37 i , Vìa Roma , 372. i882.
La Carolina Poerio- Sossisergio dava al marito tre figliuoli: A-
lessandro, Carlo e la Carlotta, che fu moglie di Paolo Emilio
Imbriani.
(20) La Luisa Sossisergio, sorella della Carolina, vedova del
Barone Felice Parrilli, al quale die due figliuoli: un Giuseppe,
che ancor vive ; e la Carolina, morta, suicida, (come pare), nel
1840. Vedi, per qualche notizia intorno a lei, nell' opuscolo in-
< dicato nella nota precedente.
(21) I Parrilli possedevano un bel quartiere, nel palazzo, che
porta il numero 13, strada Banchi Nuovi. Fra le altre belle cose,
era ornato da un amenissimo giardino pensile, che si stendeva
sopra tutta la copertura della contigua chiesa. Da alcune sue fi-
. nestre, si ha una veduta magnifica del golfo. — Scrive il Massa-
— 358 —
ri:— «Nel partire alla Tolta della Lombardia, il generale Gnglìel-
« mo Pepe venne accompagnato da Alessandro Poerio , anima
€ generosa e gentile, scrittore di liriche stupende, poeta civile,
€ Italiano caldissimo è sviscerato. Il rammarico , col quale i
€ Napoletani lo vedevano partire , era temperato dal pensiero
€ de* grandi servizi, che, coi suoi lumi e col suo ingegno, egli
€ sarebbe stato per rendere alla causa nazionale. Alessandra
<c Poerio, in tutti i suoi versi, in tutte le sue scritture, predi-
€ co la Italianità : e , quando suonò lo squillo della tromba
€ guerriera, nessuno potè frenare la sua impazienza di accor-
« rere sui campi della guerra santa. Partiva, acclamato e desi.
< derato da tutti, benedetto dalla veneranda madre....»— >Che, mi
sia lecito notare, non dava, però, teatrale spettacolo, come
altre, del suo sacrifizio; i sacrifici, che cercano il plauso plebeo,
non hanno merito vero, non sono sacrifici. Attendite ne mstitiam
vestram faciatis coram hominibus, ut videamini ab eis, alio^
quin mercedem non hdbébiHs apud patrem vestrum, qui in
Coelis est, Cum ergo faeis eleemosynarrij noli tuba canere ante
tey sicut hypocritae fUdunt in Synagogis et in vids, ut honori-
ficentur ab homintbus. Amen dico vobis^ receperunt mercedem
suam. (HLuTTE. VI. 1-2).
(22) Guglielmo Pepe. Alessandro Poerio non aveva altra qua-
lità, se non quella di mìlite della Guardia Nazionale di Napoli,
addetto allo Stato Maggiore del General Pepe. — « Tanto di-
< sinteresse e tanta modestia erano virtii ammirabili, direiv
< quasi, incredibili, in un'epoca, nella quale si correva al pal-
< lio degr impieghi; e la più inetta mediocrità voleva, ad ogni
€ costo, cariche e pubblici uffizi. > — Cosi il Massari.
(23) Giovanni Vacca è stato , poi , nel Regno d*Italia ,. con-
tr*ammiraglio e deputato al Parlamento e Consigliere Comunale
aNapoli. Avrebbe riparato Tesito infausto del primo scontro appo-
Lìssa, dove comandava una divisione, e ricondotta la squadra no-
stra contro Taustriaca, se il Pensano, ricomparendo, non avesse
ripreso il comundo. Sposò una figliuola del General Cardamone;,
un* altra avea sposato Ludovico Bianchini. Lasciò una figliuola
Carolina: ora, maritata con un Rocco, ufficiale de* Pompieri.
(24) Savino Sa vini nacque, in Bologna, il primo Ottobre 1813,.
da Carlo Antonio Savini e dalla Teresa Carate. Fu laureato in
legge ed amante infelice delle belle lettere. Si provò, piti volte^
come autore teatrale: ma fece, sempre, fiasco. Ho letto e po8<^
— 359 —
seggo un suo Simone de Catix \ o \ Scienza nuova e povera. \
Dramma storico in tre atti \ del \ Dott. Savino Savini» \\ Vene"
sia I Tipografia di Alvisopoli \ i845. Scrisse pure un Dada,
un Nuovo Caino, una Emma Liona. Dal Gennajo 1841 al De-
cembre 1844, pubblicò, in Bologna, uà giornaletto, quando eb-
domadario, quando quindicinale, quando mestruo, intitolato la
Parola. Nel 1849, fu membro della Costituente Romana; ed, il
9 Febbrajo, votò le proposte Filopanti (abolizione del poter tem-
porale ed istituzione della repubblica). Cercò, quindi, rifugio in
Piemonte, dove insegnò filosofìa positiva ne* Collegi Nazionali
di Bobbio, Cherasco, Carmagnola, Tortona; e, poi, fu adope*
rato, in Torino, come segretario alla redazione dei Dizionario
del Tommaseo. Rimpatriato nel 1859, ne* primi di settembre,
vi mori. Ne vive, ancora, il fratello Francesco, notajo, la ve-
dova Teresa Mondini ( figliuola delio anatomico Francesco e
moglie del Savini dal 1837 ), tre figliuole ed il figliuolo avvo-
cato, Virginio. Presso i qu^di^ abbiamo fatto fare ricerca delle
lettere del Poerio al Savini: ma nessuna se n'ò ritrovata esi-
stente ancora. Tutte furono abbruciate, per prudenza, ne*tempi
difficili, dal 1849 al 1859.
(25) Intende il Conte Giovanni Gozzadini e la moglie Nina
(Maria Teresa di Serego-Allighieri). Il Gozzadini, nato nel 1810,
archeologo reputato, vive, ancora, in Bologna; ed è senatore del
Regno. Ed egli, testé, commemorava, largamente, la moglie de-
funta, in un grosso volume in sedicesimo, intitolato Maria Tc'
resa \ di Serego Allighieri \ Grozzadini \\ Bologna \ Tipografia
Faiva e Qaragnani] i882. Fanne ricerca.
(^6) La Carlotta del barone Giuseppe Poerio e della Carolina
Sossisergio, sorella di Alessandro e di Carlo Poerio, nata, in
Napoli, il 29 Giugno 1807; moglie, il 2 Maggio 1838, di Paolo E-
milio Imbriani; mancata a* vivi, in Napoli, il 14 Gennaio 1868.
(27) L'Antonia di Carlo Poerio seniore e della Gaetana Poerio,
sorella del barone Giuseppe Poerio.
(28) Per Poppino, intende il cugino Giuseppe Parrilli, (Vedi la
vigesima e la quadragesimaottava di queste note) che, allora,
era vedovo di una figliuola del generale Michele Carrascosa (o-
dioso pe* fatti del 1814 e del 1821), dalla quale aveva avuto due
figliuoli, un Felice ed un Michelangelo. È autore di parecchie
scritturelle e d* un "Vocabolario militare di marineria Francese
Italiano^ in due volumi in quarto (Napoli 1846-47).
— 360 —
(29) Per Emilio, intende il cognato Paolo Emilio di Matteo
Imbriani juaiore (da Roccabascerana) e della Caterina De Falco
(da Pomigliano d*Arco) nato, in Napoli, il 31 Decembre 1808,
mortovi il 3 Febbrajo 1877, senatore del Regno, professore di
filosofia del Diritto nella R. Università, socio della R. Accade-
mia di Scienze Politiche e Morali.
(30) Giorgio Ruggiero Pio di Paolo Emilio Imbriani e della
Carlotta Poerio, nato, in Napoli, il 28 Aprile 1848, morto, sul
campo dì Digìone, il 21 Gennajo 1871, per una causa, che non
era, ahimè! quella del suo paese: tra file, dalle quali i doveri di
cittadino e suddito Italiano avrebbero dovuto allontanarlo. Onde
il dolore, per la perdita immatura d'un giovane d'alto ingegno,
non può, neppure, esser lenito dal pensiero, che egli è caduto
adempiendo ad un dovere, per una causa onesta, come il zio
Alessandro Poerio.
(31) Aveva dato le dimissioni, principalmente, perchò— < la
« guerra contro V Austria era debito e desiderio d* ogni anima
< Italiana ed ufficio impreteribile di ciascun Principe d' Italia;
< e, frattanto, invece di provvedersi, con potente e ben capita-
€ nato esercito, con franco e bene determinato indirizzo, ginn-
a gevasi fino a cavillare sul diritto di farla, quasiché il racqui-
€ sto deir indipendenza e della libertà non bastasse a giusti -
€ ficarla, senza prescrizione di tempo. > — Inoltre, la cerimonia
d'un cosiddetto baciamano, al quale aveva dovuto prender parte,
come voleva V etichetta, con tutti i colleghi, lo avea stomacato
per modo , eh' egli ebbe a starne male e giurò di non pren-
dervi più parte. Non accettandosi le dimissioni, cessò, col fatto,
di andare in ufficio ed al Consiglio. Re Ferrante, che gli avea
usate molte finezze, a* colleghi, che tuttavia insistevano, per-
chò fosse richiamato, rispose:— -€ Non lo posso far condurre
€ qui da' gendarmi. > —
(32) Non si tratta, già, dell'ottimo Michele Pironti, ora Se-
natore del Regno e procuratore generale presso la Cassazione
di Napoli, creato Conte da Vittorio Emanuele. Ma, credo, di
un Francesco Pironti, de' duchi di Campagna, ufficiale di ma-
rina, destituito nel 1820., poi richiamato al servizio e morto uffi-
ciale superiore al ritiro. Bizzarro uomo, che, per un pezzo, si fe-
ce vedere, per Napoli, con due scimmiotti sulle spalle, che avea ri-
portati dall'America, navigandovi, da capitano mercantile, du-
rante la sua destituzione. Giocatore appassionato, si narra, che.
— 361 —
una sera, tornasse da uoa bisca a Foria, con le tasche intera-
mente ripulite. Giunto a Costantinopoli, sotto l'antico arco, ora
rimosso, fu aggredito da un grassatore. Egli, che s'era accorto
dell'assalto, come robustissimo, scosseli ladro, lo stramazzò a ter-
ra, gridando: giusto questo andavo cercando! gli tolse le armi; e
r obbligò a consegnargli quanto aveva nelle saccocce: trenta
piastre, due fazzoletti, un orologio; e lo congedò, poi, con una so-
lenne caudata, come dicono a Napoli.
(33) Chi fosse quest'amica bifronte, ignoro. Ned il Conte
Gozzadini ha saputo ricordarsene.
(34) Intende il cugino Enrico di Leopoldo Poerio e della in-
glese Elisa Merida. Leopoldo Poerio, fratello minore del Ba-
rone Giuseppe Poerio, giunse, nel decennio, al grado di Te-
nente-Colonnello. Catturato, dagl'Inglesi, nel Jonio, passò alcuni
anni prigione sul pontone il Canada, non essendoglisì voluta con-
cedere la libertà su parola d' onore, percbò lo accusavano di
avere fatto avvelenare da quattrocento persone, quando era co-
mandante di Cerigo. Accusa calunniosa. In Inghilterra^ s'inna-
morò della giovine, che, poi, sposò. Moriva esule, in Firenze,
nel 1836. La vedova mori, suicida^ in Napoli, se non erro, nel
1841, gittandosi in un pozzo. Gli sopravvissero due figliuoli: E-
4uardo, morto giovane, ed Enrico. Il quale molto si dilettò di
lettere e scrisse versi e drammi. Enrico era partito luogotenente,
con un battaglione di volontari. Vive ancora.
(35) Questi tutti erano, allora: la Luisa Parrilli Sossisergio
(vedi la 20* di queste note); ed il figliuolo Giuseppe (vedi la 28*
di queste note); ed i nipoti Felice e Michelangelo; ed il vecchio
Don Michelangelo Parrilli, fratello del barone Felice Parrilli ,
avvocato e scrittor d'epigrafi ed impiegato in non so che uffi-
cio araldico, che fu, pure, Pari del Regno, poco dopo. (Vedi la
89* di queste note).
(36) Una camerierai per nome Giovanna Lavizzari.
(37) Male abbiamo, qui, stampato Staffetta in corsivo, scam-
biandolo pel nome di un qualche legno.
(38) Girolamo Ulloa, implicato nel processo Rossaroll (1834).
Fatti voli meritati a Venezia, e scritte opere militari, tenute
in pregio , ricusò il comando di un reggimento de' cacciatori
•delle Alpi, nel 1859, col solo grado di colonnello, risponden-
do al Cavour : — € Chi ha fatto il cuoco , non può rasse-
« gnarsi a fare il guattero. » — E fu spedito a comandare lo
— 362 —
esercito toscano. Si rese impossibile, parteggiando pel principe
Girolamo Napoleone, che vi era stato mandato, dal cugino, con
alquanti francesi e con Tidea, che potesse succedere al granduca.
Tornato a Napoli, divenne, ad un tratto,, borbonico ed autono-
mista. Segui, se non erro, Francesco, a Roma; vivacchiò^ fpoi, a
Firenze, dove, credo, che tuttora si mangi la pensione, ottenuta
dal dabben governo Italiano.
(39) Florestano Pepe, uno dei ventuno fratelli maggiori di:
Guglielmo, nato, nel 1780, in Calabria, era luogotenente^ nel 1799.
Servi la Repubblica Partenopea; e stette, quindi, fino alla pace
del 1801, nella legione Italica; e, poi, rimpatriò. Nel 1806, prese
servizio sotto Re Giuseppe; che segui in Ispagna, capo della
Stato Maggiore della Divisione Napoletana, nel 1810 e nel 1811.
Nel 1812, condusse una Divisione Napoletana in Danzica, che
difese, (dopo aver coperta la ritirata dei Francesi, alla testa della
nostra cavalleria) ammalato e ferito, per quanto potò, contro i
Russi. Liberato dalla prigionia, represse una insurrezione, negli
Abbruzzi; combatto contro gli Austriaci; fu promosso a Luo-
gotenente-Generale; e mantenne l'ordine in Napoli, tra la fuga
del Murai e 1* ingresso degli Austriaci. Rimase estraneo alla
Rivoluzione del 1820, dalla quale fu mandato a reprimere Tin-
surrezione siciliana: ma il Parlamento non ratificò le conces-
sioni, da lui fatte agrinsorti. (Vedi la 63.^ di queste note.) Fu, poi,
escluso dair esercito; e visse, quindi innanzi, da ricco privato, ri-
fiutando, persino, la nomina a Pari del Regno, nel 1848. Ferdinan-
do II, prima di quell'anno, soleva mandargli, sposso, della cac-
cia in dono. Il Pepe abitava, nel 1848, al Palazzo Galabritto.
Francesco Garrano ne ha pubblicato la vita (Genova , fratelli
Ponthenier, 1851).
(40) I fratelli Andrea e Gaetano Zjr erano proprietari della
Albergo della Vittoria a Chiaja. Parenti lontani del March. Dra»
gonetti. La madre n*era sorella dell'albergatore Magatti: e quel-
le due locande eran le sole buone , allora , in Napoli. Andrea
sposò una figliuola del Santoro, da cui si divise. I mprigìonato
più volte per misura di polizia; dopo il 1860, fu nelle poste
come ispettore. Gaetano ebbe due mogli. La prima era figlino-
la del Block , negoziante di oreficerie a Toledo , cui fece il
busto Tito Angelini. E da questa ebbe due figliuole; una, mari-
tata, in Firenze, all' avvocato Carrozzini ; e 1' altra, Eleonora»
che al presente ò moglie del Sacchi, impiegato superiore di Ca-
— 363 —
sa Reale a Napoli. La seconda moglie era sorella del famige-
rato Beneventano del Bosco e vedova di un Marchese Bevila-
cqua. E da questa il Zyr ebbe parecchi figliuoli; fu bravissimo
uomo e liberale (nei due veri sensi del vocabolo), senz'ambizione
personale.
(41) Francesco Paolo Ruggiero di Pietro, medico, da Palo,
nel Barese (1760-1837) e della Matilde Sancio, nacque, in Na-
poli, il 4 Aprile 1798: fu paglietta piii che avvocato. Ministro
degli affari ecclesiastici, nel Ministero del tre Aprile, avversò
ed ostacolò la spedizione militare neirAlta Italia, tenendo il
sacco al Re. Incerta è la sua condotta nel conflitto. Dopo il
quindici maggio, prestò la mano alla reazione; ma Ferdinando,
servitosene ne* tempi dubbi, lo buttò via come un limone spre-
muto. E lo volle persin condannato a morte, in contumacia,
dopo averlo fatto confidenzialmente avvertire del mandato di
cattura , acciocché fuggisse. Ricoverò in Toscana , schivato
come appestato dagli altri emigrati. Egli voleva scusarsi e e* ò
chi vorrebbe scusarlo, rappresentandolo come reo solo di cre-
dulità eccessiva nella buona fede di Ferdinando. E può am-
mettersi, che nò lui, né, forse, alcuno de* ministri del 16
Maggio, credessero, dapprima, il Re fisso a spergiurare: nò,
forse, il Re v' era fisso, e paure materiali e scrupoli religiosi
il trattenevano. Ma potrebbe valer la scusa al Ruggiero , se
si dimostrasse aver egli alacremente atteso a mettere in pra-
tica la costituzione. Ed il contrario è vero. Noto ò, come quel
ministero si conducesse verso la Camera, come non le presen-
tasse nò schemi di legge, nò bilanci a tempo, come non desse
corso alle leggi da essa votate, come non le desse retta, nep-
pur quando chiedeva, che si lasciasse libero il corso alla giu-
stizia verso assassini notori. Ed il richiamo dell* esercito dal
Veneto ? Non fu quell* atto infame, che dio causa vinta alFAu-
stria nel 1848? In Toscana, il Ruggiero diceva essersi rovinato
con una vasta speculazione nel commercio del mercurio e ri-
fatto con Tesercizio di una cava di marmi, presso Serra vezza. Rim-
patriò nel 1860. Trovò un collegio elettorale (Napoli, San Fer-
dinando) per mandarlo anche al Parlamento Italiano , ma non
vi fece figura alcuna. Ebbe anche velleità letterarie. Diede in
luce, nel 1863, il Catalogo di una scelta biblioteca da vendere
(2 voi. in 8.® a due colonne) che, bibliograficamente, non vai nulla.
E, poco prima di morire, pubblicò, nel 1881, per le nozze della fi-
— 364 —
glinola Matilde Margherita col Cav. Carlo Fiorilli, una edizione
del Driadeo di Luca Pulci, senza punta critica, testo scorretto e
note insipienti. Volle, fra le altre cose , impugnare la data della
morte di Luca^ fissata, da Salvatore Bongi, al 1470. Ma aveva
torto marcio. (Vedi Giornale degli Eruditi e dei Curiosi» Fasci-
colo del 15 Dicembre 1883). Un fatto poco noto, ma che io so di
certa scienza: Francesco Paolo Ruggiero fu autore di parecchie
Anacreontiche, scritte sul fare dell*Ingarrica ed in apparenza ia-
Bulse, come le cento di quel povero magistrato; ma, in realtà,
velenosissime. Sue sono, specialmente, quella per la morte della
Maria Cristina, che incomincia Testamento é un atto grande,
e r altra, al principe ereditario, ora ex*Re Francesco II.
0 Francesco, sei piccino
Ma mi sembri tanto grande
Che Golia, quel gran gigande [sic!]
È pigmeo vicino a te.
Possa il cielo, oh possa presto
Farti ascendere sul trono !
Sarà questo il più gran dono
Che può farci il nostro Re.
(42) Nell'autografo, per lapsus calami evidente, è scritto sa-
pere invece di piacere. — Il Generale Michelangelo Ruberti è
rimasto caro a*Napolitani, perchè si crede, che, nel Gennaio 1848,
rifiutasse di tirare, sulla città, dal castello Sant'Elmo, che coman-
dava. Ed, il 15 Maggio, quando gli Svizzeri, nel castello, issarono
bandiera rossa ed ebbero tirati tre colpi a palla, egli minacciò di
far saltare in aria il forte, se non desistevano. Fu destituito. Mo-
ri verso il 1855. Aveva usate, sempre, molte cortesie, a' pri-
gionieri politici; e, nel trattarli, era divenuto liberale anch'egli.
(43) Silvio de Laurentiis Spaventa, da Bomba, noto sotto il
nome di Silvio Spaventa, che, poi, come tutti sanno, è stato
Ministro del Regno d'Italia e vive. Consigliere di Stato, in Ro-
ma. Uno de' pochissimi uomini pubblici d' Italia, che abbiano
mente filosofica e pratica e che possano veramente chiamarsi
uomini di Stato.
(44) Vincenzo de Thomasis fu eletto Deputato dallo Abbruz-
zo Citeriore. Era nipote di Giuseppe (vedi la 3.^ di queste note)
giacché figliuolo del fratello Giacinto. Era nativo di Montenero-
— 365 —
domo. Fu, poi, governatore di Chieti, nel 1860; e Consigliere-
delia Corte de' Conti dal 1862 al 1869 (credo). Morì a Chieti.
(45) Parla del ministero formato dal Mamiani ed annunziato^
dalla Gazzetta di Roma, giornale ufficiale, il 4 Maggio. Era cosi,
composto:
Presidente del Consiglio: il Cardinale Ciacchi; e per interim-
il Cardinale Orioli.
Affari esteri secolari: conte Giovanni Marchetti:
Interno: Conte Terenzio Mamiani.
Grazia e Giustizia: Avv. Pasquale De Rossi, Consultore.
Finanze: Avv. Giuseppe Lunati, Consultore.
Armi: il Principe D, Filippo Doria Pamphili.
Commercio e Lavori Pubblici: D. Mario Massimo, Duca di/
Rignano.
Polizia: Avv. Giuseppe Galletti.
(46) Non mi riesce di ritrovare iu questo momento la data
precisa della dichiarazione del blocco.
(47) Leggesl nel N. 52, Anno I., del Mondo vecchio e mondo
nuovo, Mercoledì, 26 Aprile, 1848: — « La squadra, che partì
« per r Adriatico, era composta di cinque fregate a vapore, due
« fregate a vela ed una corvetta, sotto il comando del De Cosa. >
— E nel N. 94 del Giornale Costituzionale, 28 Aprile 1848, pag.
Il, col. Ili: — « Ieri, fra grandi applausi, lasciarono questo porto
« le nostre navi a vela ed a vapore, con sei battaglioni d'ordinanza
« a bordo ed un settimo di volontari. A Reggio, s'imbarche-
« ranno, su questa flottiglia, un altro battaglione di fanteria ed
« una compagnia di Zappatori. E stato ben doloroso, che il
« prode Generale in Capo, S. E. il Tenente Generale Barone D.
« Guglielmo Pepe, colpito da importuna indisposizione, non abbia
<c potuto, ancora, partire; ma, ben presto, raggiungerà i suoi corn-
ac militoni. A* tre reggimenti di Cavalleria, che per disposizio-
« ne di S. M., avrebbero dovuto passar per Roma, non è stato
« possibile di tener quella via, così perchè il cammino sarebbe
« stato assai più lungo, come perchè non si era sicuri di tro-
« varsi i viveri e foraggi sufficienti nel loro cammino. > — Se-
condo PiERSiLvESTRO LEOPARDI, nelle sue Narrazioni Storiche:
— « La flottiglia » — napolitana , spedita nell' Adriatico —
€ ebbe due fregate a vela: la Regina, da sessanta cannoni; la
€ Isabella, da quarantasei; un brigantino, il Carlo, da sedici; sei
« belle fregate a vapore: il Carlo III, il Roberto, il Guiscardo, i
— 366 —
< Ruggiero, il Sannita, lo Stromboli; e parecchi altri legni mi-
€ nori, sotto gli orcUui del contrammiraglio De-Cosa. > —
(48) n Comandante della flotta era il contrammiraglio Raffae-
le di Leopoldo De Cosa e della Carlotta Cozzolino, nato il 24
maggio 1T78, morto a'29 Febbrajo 1856. Chi ne fosse vago, po-
trà leggerne la vita, scrìtta dal prenominato Barone Giuseppe
Parrillì, che ebbe la malinconia di sposarne, in seconde nozze, una
figliuola; e che dedicava essa vita al Conte di Aquila, nel 1856,
mentre i suoi congiunti ed affini erano in esilio od in galera per
causa di libertà.
(49) Raddoppieremo gli uffict. Non ho potuto procacciarmi es-
si uffici, che, da queste parole, si potrebbero credere minutati dal
Poerio.
(50) Grandissima parte de* mali, che soffrimmo nel 1848, fu
appunto Tessersi ritardata la convocazione delle Camere, la cui
apertura avrebbe posto un fine alla agitazione di piazza ed alla
posizione anormale, in cai si era. Forse, appunto per questo, né
la Camarilla, ned i Tribuni desideravano veder cominciata l'opera
efficace della macchina costituzionale.
(51) Leone Serena, veneziano, israelita. Trovasi, ora, a Londra,
come sensale di noleggio; ha circa sessantasei anni. Nel 1848, e-
gli, fra le altre cose, acquistò, per conto del governo provvisorio
due vapori in Inghilterra, uno de* quali si chiamava il Raven-
na, Intrinseco del Manin, fu agente del governo in molte faccende.
Era del comitato di vigilanza. Fu tra gli esclusi dair amnistia,
dopo la caduta definitiva di Venezia. Un suo fratello è in Vene-
zia e fa il sensale di cambio, sotto le procuratie nuove.
(52)11 Conte Giovanni Statella, fu fratello carnale dello Statella,
principe del Cassare, e ministro degli affari esteri al tempo della
quistione de* zolfi, e rilegato a Foggia, per avere scritto al mi-
nistro inglese Tempie, che il Re era disposto a cedere. Gio-
vanni, luogotenente generale, era stato preposto al comando del*
la prima divisione delle truppe, che dal Regno eran venute ad
Ancona. Egli doveva comandare in secondo, sotto gli ordini del
Pepe. Si buccinavano orrende cose sul suo conto; e che avesse
uccìso d' una pistolettata un marinajo, che lo avea riconosciuto
ed avrebbe voluto ricattarlo: omicidio noto alla polizia ed al Re
e rimasto impunito. Sposò una sua nipote, figliuola del Prin-
cipe del Cassaro: matrimonio infelice. Un nipote di Giovanni,
figliuolo del Maresciallo Enrico Statella, per nome, anch*es8o
— 367 —
Enrico , partito da Napoli con quella cara Belgiojoso , fu
fatto ufficiale dell'esercito piemontese, sulle raccomandazioni
del Leopardi, da Carlo Alberto. Chi crederebbe, che, richiamato
dal padre, desse, pochi giorni dopo, le dimissioni, per andare
in Calabria a combattere contro altri Italiani? e chi crederebbe
che dalle Calabrie, chiedesse una decorazione, per mezzo del
dabben Leopardi, al buon Carlo Alberto, che la concesse? L*ho
visto emigrato a Genova, nel 1849. A Torino non se la faceva
con gli emigrati, ma sposò una titolata ed ho letto il suo nome
nella lista dei componenti una congregazione di spirito, affisso
in una Chiesa. Colonnello, poi, dello esercito Italiano nella bri-
gata Villarey, morì, eroicamente, nella giornata di Custoza, in-
sieme con Nicola Caracciolo di Turchiarolo.
(53) Scrive il Massari: — « Il Dottore Camillo Golia accompa-
«gnava il corpo di spedizione, col titolo di Commissario Civile.
« Un uffizio consimile veniva affidato all'egregio giovane Damiano
« Assanti, nipote del General Pepe, e già compagno di carcere,
« nel 1844, al Bozzelli ed a Carlo Poerio. > — Ed il Leopardi
dice: — « Alla spedizione s'aggiunsero Damiano Assanti e Ca*-
« millo Golia, come Commissari Civili. Questi uffici erano affatto
« superflui. Ma, dei due uomini, il secondo amava tanto di gran
« cuore ritalia, che, quando la spedizione fu richiamata, poco
« mancò che, dal rammarico, non impazzasse; e il primo seppe
€ meritarsi molta lode, cambattendo strenuamente a Venezia. »—
Nel Giornale Costituzionale del 26 Aprile 1848 possono leggersi
le — € parole, che il Commissario Civile Camillo Golia indirizzava
« alle truppe, che andavano a raggiungere quelle degli altri prin-
< cipi in Lombardia. » — Camillo e Luigi Golia, gemelli, alunni
della Nunziatella, ne furono espulsi nel 1821, perchè libera^;
si diedero a studiar medicina ed han pubblicate insieme pa-
recchie versioni dair inglese. Luigi vive, ancora, ottuagenario.
Ed anche 1* Assanti vive ancora: maggior generale al riposo e Se-
natore del Regno. Uomo egregio. Celebri sono i suoi duelli e
soprattutto quello, in cui allogò una palla fra il cranio e la dura
madre ad un tal Soler, che, a Torino, avea stampate villanie con-
tro i Napolitani, difensori di Venezia. 11 Soler sopravvisse, ma
melenso. Celebre anche V altro, che segui i due solenni schiaffi,
da lui dati a Giovanni Nicotera, in Firenze, e che terminò con que-
ste parole del generale Angelini al Nicotera:— cStia almeno otto
€ giorni in casa. > —
— 868 —
^54) — < Il palazzo ora è in proprietà della Banca Nazionale.
a Nei primi anni del corrente secolo, fu chiamato Casa Ducale
a Leuchtenberg, perchè faceva parte dell'appannaggio, dato da
« Napoleone I al Principe Eugenio. In seguito, fu venduto a di-
< versi principi romani. In questi ultimi tempi, fu ceduto alla
« Banca Nazionale; ed, ora, vi risiede il Tesoro Provinciale e Go-
« vernativo. La piazza, ove sorge il palazzo, chiamavasi prima
« Piazza Nuova; ed, oggi, henchò sia stata battezzata per Piajxza
« Garibaldi^ tutti la chiamano Piazza cavalli. » — [Comunica^
zione confidenziale da Ancona"]
(55) Carlo di Michele Troya e dell'Anna Maria Marpacher na-
cque in Napoli, il 7 Giugno 1784; e vi mori il 28 Luglio 1858.
Fu, nel Collegio de' Cinesi, con mio nonno , Matteo Imbria-
ni iuniore. Suo padre, Medico della Regina Isabella (che tenne
Carlo a battesimo e gli diede il suo nome) e devotissimo a'
Borboni, li segui, con la ^simiglia, nella prima fuga in Sicilia;
ma Carlo non volle tornar nell'isola, nella seconda fuga. Nel
1815, ritornati i Borboni, fu nominato Avvocato di Casa Reale
e capo d' un ripartimento del Ministero di Casa Reale e, poi,
per due mesi, Governatore di Basilicata. Cominciò dall'appas-
sionarsi per la storia di Francia: né, mai, alcuno , meglio di
lui, seppe minutamente e raccontò con più garbo quanti fatte-
relli sì sanno intorno alle ganze di Ludovico XIV, del Reggente
e di Ludovico XV; intorno a tutti i cortigiani e le dame dis-
solute di que' due regni e del seguente. Poi , s' invaghì delia
Storia Italiana del Medio Evo. La munificenza di Ferdinando II
( è giusto ed onesto il ricordarlo ) gli permise di pubblicare ,
senza alcuna sua spesa, (e, quel che piti monta, anche dopo il
1848) le opere voluminose, sulle quali poggiala sua fama. Opere,
come pure i suoi due Yeltriy mirabili per dottrina, ma sventu-
ratamente, senza critica alcuna. A Firenze, si gioiva, quando e-
gli e Gabriele Pepe, non meno erudito di lui, nelle Storie I«
taliane del Medio Evo, consentivano, in società a giocare fra loro
al fatto storico. Non vi era piccolo fatto , di oscura repubbli-
chetta Italiana , che ciascuno di loro non indovinasse prima
di aver terminate le quindici domande cornute, che quel giuoco
concede. Italianissimo e sincero amante di libertà, non aveva,
però, nò capacità amministrativa, ned attitudine ad acquistarla:
e però non potò fare alcun bene, mentre fu Ministro costituzio-
nale, dal 3 Aprile al 15 Maggio 1848. Quando egli morì, era mi-
— 369 —
nistro il fratello Ferdinando, dissimile affatto da lui, per pensie-
ri e carattere, che non permise gli si rendessero solini onori fu-
nebri, i quali avrebber potuto credersi dimostrazione politica.
É sepolto, nella Chiesa de' Santi Severino e Sossio, nella cap -
pella a diritta dell* aitar maggiore. Vedi le Brevi Notizie della
vita e delle opere di Carlo Troya, che pubblicò Gaetano Trevi-
sani (Napoli 1858), deputato del distretto di Lagonegro nel 1848,
promettendo un*ampia biografia e TEpistolario di esso Troya.
Vedi, pure, nell'opera, citata nella vigesimaquinta di queste note.
(56) Carlo Nicoletti. — « I brigadieri, Carlo Nicoletti, » — che
comandava la seconda divisione del corpo di spedizione, — « e
€ Ferdinando Lanza, » — Comandante della Cavalleria, — a non
« vollero partire sotto gli ordini del Tenente Generale Pepe; e la
« mancanza dissestò tutto il comando del corpo di esercito. » —
Cosi Piersilvestro Leopardi. Il Nicoletti era cosa del vecchio
Nunziante, che il mise nelle grazie del Re. Valentuomo, aveva
un fratello indegno, che il Santangelo ministro non voleva no-
minar sottintendente. Diceva al Re — < Non si può; > — ed espo-
neva Tindegnità della persona. Ed il Re, insìstendo: facesse que*
sto piacere a lui! Che Re! chiedere in piacere un atto iniquo!
(57) Questo Pronio (figliuolo del celebre partigiano e guer-
rigliero, che il Colletta e gli altri scrittori liberali chiamano
brigante) fu tra* generali più intemerati di Ferdinando II. Di-
fese, eroicamente, la cittadella di Messina, contro gl'insorti si-
ciliani. Il suo intercalare era: Fatalità ! Se il Re lo lodava, per
una bella manovra della sua brigata, s* inchinava, quasi depre-
cando la lode, con un: Fatalità! Avrebbe potuto andar male. Se,
in vece, il Re deplorava qualche irregolarità, ed egli: fatalità!
doveva andar male!
(58) Il Palma veniva dall'esercito murattino: piccolo, corto,
con gli occhiali. Inflessibile , domava le ciurmaglie più triste.
Nella campagna di Russia, ebbe il comando d*un quarto prov-
visorio (battaglione formato dì galeotti). Sotto Francesco I, fu
Colonnello del 12.® reggimento, composto da galeotti siciliani,
nel quale, essendo venali i gradi, il presente Generale Pianell
acquistò, a quindici anni, quello di capitano, rimanendo, tutta-
via, a terminare gli studi alla Nunzìatella. Ed un tal reggi-
mento egli seppe rendere il più ordinato dello esercito.
(59) La Dina Gozzadini, figliuola unica del Conte e della Con-
24
— 370 —
tessa Gozzadini, nata il 1842; maritata, il 30 Maggio 1865, al
Conte Àntoaio Zucchini di Bologna.
(60) Per trattare della lega Italiana, il Troya ed il Drago -
netti — « in sulle prime, prescelsero Alessandro Poerio , V ex
< ministro Giacomo Savarese ed il Principe di Luperano, affi-
« dando T ufficio di Segretario a Ruggiero Bonghi, gìovanis-
« Simo, ma dottissimo filosofo, di acuto e virile intelletto, di
€ senno, per tutti i versi, precoce alla verde età. Il Savarese ed
€ il Poerio non vollero accettare Come il generoso de-
« striero, che, al clangor della bellica tromba, nitrisce, s*ini-
< penna ed esulta e s'infiamma, quell'anima grande e magna-
4 nima di Alessandro Poerio anelava, al fragore delle battaglie,
« al cozzo delle armi; e non curava gli onori diplomatici. Dopo
€ altri tentativi, la legazione.... fu composta dal Principe di
« Luperano, da Biagio Gamboa (Colonnello) , dal Principe di
€ Colobrano, dal Duca dell' Albaneta e da Casimiro de Lieto.
« Al Bonghi, venne aggiunto, in qualità di secondo segretario,
€ Alfonso Dragonetti, ardente e leale giovanetto, ottimo fìgliuo-
a lo dell'onorevole Ministro degli Affari Esteri. Questi diplo-
<( matici furono accreditati presso tutte le Corti d' Italia ; od
< incominciarono il loro viaggio, recandosi a Roma. Furono
« presentati, dal Conte Ludolf, al Cardinale Antonelli. Il quale
€ li accolse, con somma gentilezza; e , quindi, alla sua volta,
« li presentò, al Santo Padre, dal quale vennero, parimenti, ri-
a cevuti con singolare affiibiiità » — Cosi, il Massari. — La no-
mina del Poerio era stata sottoscritta, dal Re, in data del 4
Aprile. Se ci era persona disadatta alla diplomazia , tal era ,
certamente, il Poerio. Ma, almeno, sarebbe stato degno dell'Uffi-
cio, per la coltura, per la mente, pel carattere.
(61) Scrive il Massari: — « Il Barone Gennaro Bellelli fu no-
« minato, invece del Conte Grifeo, Ministro plenipoteuziario« a
^ Firenze » — Sposò una figliuola del banchiere De Gas. — ■ A-
lessandro Poerio, poco prima di partire, l'aveva brutalisé, sul-
l'Uffizio di non so più qual giornale, ritenendolo autore di arti-
coli, ingiuriosi al fratello Carlo. Ne segui una sfida: ma lo scontro
fu rimandato, a dopo la guerra. Il Bellelli ò morto, in Napoli, Sena-
tore del Regno e, se non isbaglio, Direttore Generale delle Poste.
Una sorella sposò il generale Vito Nunziante; e se ne ha un ri-
tratto, dipinto da Giuseppe Mancinelli, che fé' chiasso. Un fra*
tello, Federigo, dopo il quindici maggio, insieme con Guglielmo
— 371 —
De-Sauget — « ufficiali di artiglieria a cavallo.... ebbero il co-
< raggio di dichiarare al loro capitano, non accetterebbero deco-
€ razioni, per aver dolorosamente compiuto il loro dovere mili-
« tare, contro 1 propri concittadini; e, poscia, il Bellelli dava le sue
€ dimissioni. » — Così, Nicola Nisco, nell'opera Ferdinando lied
il suo Regno, E, per caso, stavolta, non nisca.
(62) Roberto Bavarese nacque in Napoli, il 4 Dicembre 1805; vi
morì, il 24 Maggio 1875. Fu Avvocato e Professore privato di
Dritto; e Deputato negli anni 1848-49. Ed esule, quindi, dimorò,
principalmente, a Pisa. Rimpatriato, nel 61, non volle nò cattedre,
nò la Deputazione; e visse tutto al foro ed alla famiglia, quasi te-
nesse il broncio, perchè Napoli aveva perduta la qualità di capita-
le. Nell'opuscolo citato nella decimanona di queste note, si legge
una sua novella in ottava rima ed un'altra ne fu pubblicata nel
Qiomale Napoletano della Domenica^ nell'anno 1882: le quali
mostrano, che, se egli avesse atteso alle lettere, sarebbe, facilmen-
te, ora, annoverato fra i migliori del suo tempo, come fu tra' som-
mi giureconsulti. E sua madre e sua moglie nacquero Winspeare.
(63) Gabriello di Carlo Marcello Pepe e dell'Angela Maria Cuo-
co nasceva, il 7 Dicembre 1779, in Civitacampomarano nel Moli-
se, dove mori, il 26 Luglio 1849. Colonnello e Deputato nel 1820,
propose, che fosse casso il trattato, conchiuso, da Florestano Pe-
pe, co'Siciliani.— «Quel parere»— scrive il Colletta — «seguito dal
« Parlamento, fu decretato dal Vicario; l'arringa diede, all'oratore,
« (diverso dai Generali Pepe, per patria, famiglia, animo, ingegno)
« fama e favor popolare e, poco appresso, sventura.»— Fu bandito
dal Regno e relegato in Moravia; ottenne, quindi, di recarsi a Fi-
renze, dove visse, dando le/ioni. Ne dio, pure, alla principessa Ma-
tilde Bonaparte. E venne in fama, scrivendo n&M^ Antologia e, so-
pratutto, per un duello col Lamartine, (che rimase ferito, T 8
Febbraio 1826, e, poi, sempre, amicissimo al Pepe.) Tornato a
Napoli, visse in disparte e misero. Generale della Guardia Na-
zionale, nel 1848, si mostrò impari all'Ufficio arduo allora, forse
perchò la vecchiaja lo avea reso minor di so stesso. Fu deputato
dei distretto di Larino. Fu il solo a dissertare ragionevolmente
sul Veltro di Dante ed a cogliere nel segno, fra' tanti, che se ne
occuparono, nella prima metà del nostro secolo.
(64) Domenico di Antonio Capitelli nacque in S. Tammapo
(Terra di Lavoro) e mori di colera, in Portici, il 31 Agosto 1854,
di setiant'anni. Rimandiamo, per notizie intorno a lui, a' libri in-
titolati:
— 372 —
i.® Opuscoli I di I Domenico Capitelli | raccolti e nuovamente
pubblicati I per cura del figliuolo \\ Napoli \ Tipografia di Fran-
Cesco Giannini | Strada MagnocavaUo, i5 \ i86i,
ir Bella vita e degU studu \ di \ Domenico Capitelli \ Fresia
dente del Parlamento Napoletano \ del i848 1| Napoli \ StabiU^
mento tipografico di Francesco CHannini \ vi<t Museo Nazionale
31 I i87i.
Yeggansi, pure, Topuscolo citato, nella decimanona di queste
note; ed un altro intitolato: Raccolta \ degli attestati di somma
sUma che U opere dell'Avvocato | e già Professore di Dritto^ SUff.
Domenico Capitelli, hanno \ dalle Accademie e da distinti per-
sonaggi e scrittori dell' Europa riscossi, (s. I. n. d. ma Napoli,
1835). — Fu padre di Guglielmo Capitelli, che ha avuto ronorey
come Sindaco della città dì Napoli, di tenere, al fonte battesi-
male, quel Principe, che, speriamo, più tenero che non si sia
mostrato il padre delle tradizioni dinastiche, abbia, un giorno,
a chiamarsi Vittorio Emanuele III e non già Vittorio Ema-
nuele I.
(65) Giacomo Savarese, fratello maggiore di Roberto, si dette
agli studi economici. Molto più ricco del fratello, specialmente
per un vantaggioso matrimonio, era stato negli uffici pubblici
fin dal 1836; fu Ministro dei Lavori Pubblici, il 6 Marzo 1848. Non
accettò, come abbiamo detto nella sessantesima delle presenti
note, di essere agente diplomatico per la lega Italiana. Nomi-
nato Pari del Regno, il 2Ò Giugno 1848, preferì questa nomina
al posto di Deputato. Rimase, sempre, in Napoli e negli uflSct
pubblici; e fu, successivamente, membro (16 Giugno 1848) e Pre-
sidente della Commissione delle Bonifiche (80 Settembre 1850)
ed Amministrator Generale delle Opere di Bonificazione del
Regno. Caduti i Borboni, ha conservato un atteggiamento o-
stile verso le nuove cose; e lo ha manifestato, in molti opuscoli
e volumi.
(66) Antonio-Giuda-Taddeo-Giuseppe-Mariano Scialoja na-
cque, il 31 Luglio 1817, in S. Giovanni a Teduccio, da Aniel-
lo, Ispettore di Pubblica Sicurezza, e dalla Raffaella Madia. La
famiglia era oriunda spagnuola e stabilita in Precida. Morirà
il 13 ottobre 1877, in Procida. Valente economista, aveva con-
seguita, giovanissimo, una cattedra nella Università di Tori-
no. Fu Ministro, nel 1848, a Napoli; e, più di una volta e di
più di un dicastero, nel Regno d* Italia. Può consultarsi, io-
— 373 —
torno a lui il libro intitolato: La vita, i tempi \ e le Opere \
di I Antonio Scialoja \ per \ Carlo de Cesare \ Senatore del Re-
gno Il Bxìma I Tipografia del Senato \ di Forzani e Comp. \
iS79,
(67) Andrea di Diego Ferrigni -Pisone e della Margherita
Si mi oli, nacque di famiglia barese, in Napoli, il 24 Maggio 1799;
morì il 17 Settembre 1859. Fu dottore in Teologia, Professore
di Teologia Dommatica e di Lingua Ebraica e Greca nel Li-
ceo Arcivescovile , Canonico Teologo della Metropolitana di
Napoli, Professore di Sacra Scrittura nella Regia Università de-
gli Studi e Rettore di essa Università nel biennio 1848-49, Re-
visore Regio ed Arcivescovile dei libri, Componente la Com-
missione Superiore di Revisione nel 48, Membro della Giunta
di Pubblica Istruzione, Consigliere degli Ospizi della Provin-
cia di Napoli, ecc. ecc. Nominato Vescovo e non facendogli conto
di lasciar Napoli, rinunziò. Le sue scritture di maggior mole so-
no: tre volumi in 8.** di Institutiones Btblicae (Napoli, 1844-59);
e quattro volumi in 12.** di Catechismo Liturgico (Napoli, 1857,
3.^ edizione). Egli è morto totus,
(68) Scrive il Massari, che, durante il Ministero Troya, — « ac-
€ canto al Re, continuavano a stare gli uomini, che, coi loro
< consigli e con le loro arti, avevano contribuito, non poco, a
€ tener fermo in sella il Bozzelli; e, vedendolo sopraffatto dal
< flutto popolare, intendevano a guadagnare il terreno perduto,
€ opponendo, agli atti del nuovo Ministero, quella resistenza
€ passiva, che, nella sua stessa inerzia, attinge forza smisura-
< ta e, purtroppo, spesse volte, insuperabile. Fra cotesti Con-
€ siglieri non responsabili del Re e, quindi, estra-costituzionali
« e, però, faziosi, debbo nominare, con gran rincrescimento,
« due uomini, che. per Taltezza deiringegno e per la maturità
€ del senno, erano obbligati ad intender meglio glMnteressi del-
« la patria e quelli della dinastia: Carlo CianciuUi e Luigi
€ Blanch. Entrambi uomini dottissimi, ricchi di lumi e di e-
€ sperienza: ma , per mala ventura, imbevuti della tradizione
€ municipale del 1820 e, quindi, astiosamente, avversi al gran
« movimento nazionale ed Italiano. Il loro intelletto sovrasta,
€ senza alcun dubbio, alla mediocrità: ma ò immiserito dalla
€ grettezza municipale. Una Carta alla francese, una buona Ca-
c mera di Pari, Deputati con pìngue censo; ecco quarè, a sen-
« no loro, Tapice del progresso politico. Il CianciuUi ed il Blanch
— 374 —
< yanno annoverati nella categoria di quegli uomini, tenacissi-
€ mi delle loro idee, i quali pretendono tenere stretto lo spi-
€ rito umano , eternamente , nella cerchia dei loro pensieri ;
€ e fanno delle loro opinioni le colonne di Ercole d'ogni prov-
€ cedimento. Questi due uomini, che io so essere, per ogni ver-
€ so, onesti e ragguardevol!, con la loro pedanteria, con la lo-
« ro boria, nocquero alla causa patria, assai piti che se fosse-
€ ro stati malvagi. » — 11 Blanch, de' Marchesi di Campolattaro,
nato in Lucerà, nel 1784, morto il 7 Agosto 1872, ufficiale sotto
il Murat, escluso dall'esercito^ dopo il 1820, era valente scrii -
tor di cose militari. Ne riempiva il Progresso. Nell'Epistolario del
Giusti, v'ò la minuta di un esordio di lettera, direttagli. Negli
Schizzi di Gius. Ferrarelli, (Napoli, 1871) un capitolo s'intitola:
Lista di molti lavori militari di Luigi Blanch, Ed il Ferrarelli
ne scrisse una necrologia sul Piccolo deU' 8. Vili. 1872.
(69) n Colonnello Vincenzo degli liberti (nato, in Tauraso, di
una famiglia, che pretende discendere dal fiorentino Farinata)
era, come dice il Massari — « d'indole mite e di sensi italiana-
« mente liberali, distinto uffiziale del Genio, scrittore di libri
a accreditati intorno alla Architettura ed all' Idraulica mili-
€ tare. > — Era entrato, come Ministro della Guerra, nel rim-
pasto del 6 Marzo; e faceva parte del Ministero Troja, come
ministro de' Lavori pubblici. Rinunziò alla deputazione. Ha tra-
dotto dallo inglese il Cosmos di Alessandro di Humboldt.
(70) Raffaele Conforti, Avvocato Penale, del Principato Ci-
teriore, era entrato, nel Ministero del 3 Aprile, in surrogazione
di Giovanni Avossa e reggeva il dicastero dell'Interno: impari,
certo, a tanto peso, come ha dimostrato* essendo, poi. Ministro
di Grazia e Giustizia del Regno d' Italia, in uno dei Ministeri
Rattazzi d'infausta memoiia: nel primo, non in quello detto
de* malmaritati. È morto Senatore del Regno e Procuratore
Generale della Corte di Cassazione di Firenze. Dimostrò co-
raggio civile, quando, tenendo fronte al La Marmerà, allora
onnipotente, fece decidere, dalla Corte, il confliti^o di giurisdi-
zione , sorto fra il Tribunale Supremo Militare e la Corte di
Cassazione di Napoli. Il Tribunale Supremo Militare pretende-
va giudicare, quando la legge Pica, avea cessato d' essere in
rigore, su* ricorsi contro le sentenze, profferite da' Consigli di
Guerra in virtù d'essa Legge. Questa enorme pretesa avrebbe,
forse, trionfato, se il Conforti avesse consentito a sostenerla od
— 375 —
almeno a tacere. Ma, confortata e convinta da lui, la Cassazione
Fiorentina, rimise que' ricorsi alla Cassazione Napoletana; e pa-
recchie sentenze, tumultuariamente abborracciate da'Consigli di
Guerra in extremis^ potettero essere, equamente, riformate.
(71) Giuseppe Gallotti, amante non cosrisposto delle Muse ,
ha dato alla luce parecchie novelle, romanzi, ecc. E morto Se-
natore del Regno d'Italia. In Napoh*, era famosissimo, perchè
ritenuto uno de' più terribili jettatori, che immaginar si possa.
Se non che, essendo egli anche spadaccino di prima forza, nes-
suno, per paura del suo braccio, osava più manifestargli, co'
gesti la paura , che inspiravano i suoi occhi. Suo padre era
stato, anche, celebre jettatore: per modo che il Barone Cosenza
aveva creduto metterlo in iscena come tale. Il pubblico rico-
nobbe il personaggio e lo nominò: ed il giovane Gallotti, che
era in teatro, adontato , affrontò e schiaffeggiò T autore della
commedia. Il Gallotti, padre, credendo, forse, anch^egli, alla sua
potenza jettatoria, non abbracciava, mai, i figliuoli. Pure, aven-
do un d' essi, per nome Giovanni, sostenuto, mirabilmente, un
esame diplomatico, si narra, che il padre noi sapesse tratte-
nersi, dallo stringerlo al cuore e dal dargli un bacio. Il gio-
vanetto ebbe a farne una malattia mortale. Riavutosi, imprese
un viaggio per l'Europa; a Ginevra, ritrovò un amico e com-
pagno di Napoli, che vi. era maritato con una francese alsa-
ziana. Costei fece tant' inviti al povero Giovanni, il quale non
volle imitare il casto Giuseppe, da irretirlo. Ma, essendo egli
uomo di alti sensi, gli parve cosa così orribile lo aver tradi-
to lo amico, che impazzò: ed è morto, lì, in Isvizzera, in una
casa di salute. Ogni qual volta quel marito il visitava, egli gli si
buttava piangendo al collo e gli chiedeva scusa e gli diceva : —
« non sono stato io, è stata tua moglie ». — - Eppur, quel dabben
uomo non ha mai capito la cosa, neppure, quando , anni do-
po, sua moglie scappò di casa con un altro amico napolitano,
M***** C*** Principe della R****. — Giuseppe Gallotf i, già sene-
scente , si unì in matrimonio secreto ( solo religioso ) con la
Principessa di Villa Cellammare (Del Giudice Caracciolo).
(72) Camillo Cacace nacque il 3 agosto 1784; moriva, il 2 a-
gosto' 1856, all'età di anni settantadue meno un giorno. Fu va-
lente avvocato, specialmente commerciale, in modo da arricchire.
Coltivò, pure, le scienze economiche, stampando, sulla quistione
del Tavoliere di Puglia un volume di dialoghi (1833), che ebbe
— 376 —
pue edizioni. Fu spedito, dal Governo delle due Sicilie, a Londra
per trattare della quistione de' zolfi. Dopo il periodo costituzio-
naie del 1848, lasciò Tavvocheria e si ritirò in campagna, al Pia-
no di Sorrento: ma mori in Napoli. Il Massari scriveva di lui: —
€ Se Camillo Cacace dimenticasse le consuetudini del foro e fosse
€ più avaro di distinzioni e di sofistiche sottigliezze, sarebbe, an-
€ eh' egli, buono oratore politico ». — Suo fratello Tito è, ora,
Senatore del Regno.
(73) Luca de Cagnazzi Samuele da Bisceglie, Arcidiacono, era
quasi nonagenario. Morì, verso il 1853. Srisse molta roba: p. e.:
una Morale Evangelica, un sistema delle Monete antiche (dedicato
ad Isabella di Borbone), Istituzioni di Statistica, ecc. ecc. Avendo
il Blanch, in un articolo sul Progresso, nominati CHoja e Ca-
gnazzi come economisti e statistici, che onoravano Tltalia, il Ca-
gnazzi se ne risentì, assai; voleva, che si fosse detto Cagnazzi e
Gioja, rivendicando a so la priorità. Nel 1848, deputato per
Altamura, fu intemperante: dicevano, pQr dispetto di avere spera-
to e sollecitato, da* Principi, ricompense, che non aveva ottenute.
(74j Vincenzo Lanza, medico sommo, al quale è stato innalzato
un monumento marmoreo, nella patria Foggia, lavoro di Beniami-
no Cali, con questa iscrizione brodosa, dettata da Antonio Ra-
nieri :
Vincenzo Lanza
di parenti umilissimi
PER SOLA FORZA d'iNGEONO E DI STUDII
SI LEVÒ A NOSOLOGO E CLINICO
NON PIÙ AGGUAGLIATO
PRESIDENTE ALLA SUA FACOLTÀ
NBL CONGRESSO SCIENTIFICO DEL MDCCCXLV
E DEPUTATO NBL MDCCCXLVHI
ESULÒ CONDANNATO NEL CAPO
CON INDEGNAZIONE UNICA
dell' UNIVERSALE.
NATO IN Foggia
A DÌ Vn DI MAGGIO MDCCLXXXIV
MORÌ IN Napoli
A DÌ XI DI APRILE MDCCCLX
(75) Per Luigi Gianciulii, vedi la sessagesimaottava di queste
note. Era stato Uffiziale di Cavalleria del Murat: rinomato pel
— 377 —
suo valore, giunse al grado di Maggiore. Congedato, nel 21,
fu richiamato, al 30: ma non volle sottoporsi ad esami, per essere
riammesso in attività. Nel 1848, fu Pari del Begno e Consultore.
Era figliuolo di Michelangelo Cianciulli, Gran Giudice e Mini-
stro, a* tempi del Murat, e, prima, avvocato fiscale della Gran
Corte di Vicaria.
(76) — e II Conte Pietro Ferretti, Anconitano dopo il 1831,
€ astretto a cercar scampo dalla persecuzione gregoriana, ottenne
« di poter soggiornare in Napoli. Dove, bentosto, la specchiata il*
« libatezza del vìvere, la generosità dei sentimenti, la rara abilità
€ finanziaria gli fruttarono la stima e Taffetto di tutti. » — (Cosi
il Massari). Era fratello al Cardinal Ferretti; e, credo, parente di
Pio IX; certo. Tesser creduto tale contribuì, a renderlo popolare.
(77) Giuseppe-Napoleone Ricciardi fu secondogenito di Fran-
cesco Ricciardi ( fatto conte di Camaldoli e Ministro e ricco ,
dalla benevolenza di Re Gioacchino); e nacque, il 19 luglio
1808, a Capodimonte. Del padre, egli ha vergata una biografia;
ed , inoltre, su di esso, può trovarsi qualche indicazione, nel-
r opuscolo citato nella decimanona di queste note. Ma, quan-
to savio e pien d*ingegno fu il padre, tanto stolto e pazzo si
mostrò, sempre, il figliuolo; tutta la cui vita rappresenta il
contrasto fra le velleità di gloria e di ambizione, ed una im-
potenza ed incapacità assoluta. Scrisse infinita roba , ma non
una mezza pagina a modo. Nulla lasciò d* intentato , per far
chiasso: schiccherò istorie profetiche (nelle quali si faceva tra-
scinar Carlo Alberto, a coda di cavallo, per le vie di Torino, col
cartellone: traditore; e mandar Papa Gregorio sul patibolo ,
dov*ei^ schiafifeggiato, dal manigoldo); scombiccherò tre volu-
metti sulle Bruttezze di Dante^ pretendendo correggerne i ver-
si: ma non fu rimunerato, neppure, con la riputazione di Tersite
o di Zoilo. Cospirò; fece parte di governi provvisori; apparten-
ne, per molte legislature , al Parlamento Italiano : ma , dap-
pertutto, suscitò, solo, le risa e fece la parte buffa. Pur pro-
fessandosi repubblicano e non avendo se non due figliuole dal-
la moglie franzese, alsaziana, nata Noth, figliuola d*un medi-
co militare, implorò, da Vittorio Emanuele, il titolo di Conte.
Stampò, a Parigi , nel 1857, la propria autobiografia, sotto il
titolo: Memorie d'un ribelle. La quale mostra, chiaro, eom*e-
gli mancasse di sale e di pepe. La copertina , in carta luci-
da, bianca, verde e rossa, che, da lungi, sembrava, appunto^
— 378 —
una fetta di cocomero, era simbolo esatto delle mellonaggini
contenute. La maggiore delle sue ridicolaggini fu Tanti conci-
lio, da lui bandito e presieduto, in Napoli, nel 1869. Ed in
Napoli è morto, nel 1882.
(78) Vedi : Ancona \ descritta \ nella Storia \ e \ nei MonU"
menti \ per \ F, de Bosis, C. Ciavarini, C, Gariboldi | G, Bevi~
lacqua, M, Maroni \ \ Ancona \ pei tipi di Guatavo Chericbini. |
1870.
(79). Giuseppe Vacca, nacque, in Napoli, il 6 Luglio 1808 d
Emanuele (che ebbe alti uffizi amministrativi) e della Raffaella
Marzano. Datosi alla magistratura, era, nel 1848, Procurator
Generale della Gran Corte Criminale di Napoli. In queir-anno,
fu Coadiutore: prima, del Ministero dello Interno e, poi, del
Ministero di Grazia e Giustizia. Ed i Coadjutori erano una specie
di Segretari Generali, pel disbrigo delle faccende correnti, re-
si necessari dalPessere i Ministri occupati, interamente, dalla po-
litica, dalla ressa de* petenti; ecc. Pure, la istituzione di questo
uffizio fece scandalo. Scrive il Settembrini, parlando de* Mini-
stri del 6 Marzo; — < Come se dieci fossero pochi, alcuni Mi>
€ nistri si scelsero loro Coai^utori, con centocinquanta ducati
« il mese [L. It. 637,50]; e, poi, tutti vollero un Cencinqtuat'^
€ ta. » -—Però, ch*io sappia, i Coadjutori furon due soli: TÀbate»
marco ed il Vacca. E, certo, i Ministri della Guerra e della Istru-
zion pubblica, non ebber Coadjutori. Fu, poi, destituito, impri-
gionato e, per, alcun tempo, sbandeggiato. Caduti i Borboni,
fece parte di alcun ministero luogotenenziale; resse il dicastero
di Grazia e Giustizia, nel primo periodo del gabinetto Lamar *
mora, pubblicando i codici Civili, di Procedura Civile, di Com-
mercio e della Marina Mercantile, che hanno, con tanta sapienza,
regalati alla Italia. È morto, nelFAgosto 1876, in Napoli, Se-
natore del Regno e Procurator Generale della Cassazione Na-
poletana: ma, pur troppo, colpito, negli ultimi mesi, di vizio
di mente, forse, pel rimorso di aver prestato mano, in Senato,
air imbroglio, con cui si fece passare la legge su* punti fran-
chi. Nobile carattere quello, che tanto può accorarsi d*una colpa
0 d*uno errore! Vedi Alla Memoria \ di\ Giuseppe Toccali
Album I del Giornale giuridico \ il Filangieri \\ Napoli \ Dott,
Leonardo Vallar di — Editore \ Via S, Anna dei Lombardi^ 27
i p. I i876,
(80) Non mi è riuscito procurarmi notizia alcuna intorno a
— 379 -^
costui. DaVenezia, uno mi scrive, che — « nella raccolta di tut-
€ ti gli atti , fatti, eventi, pubblicazioni, ecc. di quei due anni
« 1848-49, questo nome non si trova, » — Un altro: — « Nes-
« sun se ne ricorda Non contò, mai, nulla, evidentemente. > —
(81) Ministro della Guerra era il Brigadiere Raffaele del Giu-
dice.
(82) Per la composizione del Ministero , vedi la quarta di
queste note. Il precedente era quello, uscito fuori dal rimpa-
sto del 6 Marzo, così composto:
Il duca di Serracaprìola, Presidente.
Il Principe di Cariati, Affari Esteri.
Francesco-Paolo Bozzelli, Interni.
Giacomo Bavarese, Lavori Pubblici.
Carlo Poerio, Istruzione Pubblica.
Aurelio Saliceti, Grazia e Giustizia.
Vincenzo degli Uberti, Guerra e Marina.
Delle quali persone tutte, si parla, qua e là, in queste note.
(83) Accenna a^ combattimenti, sostenuti, dal Durando, sotto
Vicenza. Non ho modo di ritrovare il nome e di appurare le
gesta di questo membro della famiglia della Torre e Taxis. La
quale, sebbene oriunda Milanese, è, da parecchi secoli, divenuta
tedesca; e possedeva il privilegio delle poste, come feudo imme-
diato dallo Impero. L*amministrazione postale particolare della
Torre e Taxis non è interamente cessata, se non dopo la Co-
stituzione dello Impero tedesco, e dopo il 1870. Il morto do-
veva appartenere alla linea laterale, che è stabilita in Boemia.
(84) Costantino von Hoobreuck, barone d* Aspre, (e non di
Asper) lu figliuolo d* un tenente-maresciallo di campo, che mo-
rì, nella battaglia di Wagram. Nacque in Brusselle, nel 1789;
entrò, come Alfiere, nell'esercito austriaco, nel 1807; prese par-
te alle piti campagne contro Napoleone. Servì, sotto il Nugent,
(v. la 12.^ di queste note) nel 1815, contro Murat. Nel 1821,
contro i- Costituzionali di Napoli. Nel 1830, comandò un reggi-
mento, contro grinsorti Romagnoli. Nel 1848, era tenente-ma-
resciallo di campo e Comandante del secondo corpo di eserci-
to, in Italia. Nel marzo 1848, cercò di unirsi col Badetzky; ed
entrò, il 28 maggio, in Mantova, dopo che questi ebbe presa la
offensiva sul Mincio inferiore. Era, dunque, falsa la notizia del-
la sua grave ferita, che davano, allora, i fogli. Prese parte im-
portante alle campagne del 1848-49, contro i Piemontesi, alle
— 380 —
cui disfatte contribuì principalmente, guadagnandone il titolo
di Feldzeugmeisier. Felicitò, poi, il ducato di Parma» e partecipò
ali* intervento in Toscana. E , TU maggio , prese di assalto
Livorno, dove commise crudeltà senza fine. Nell'ottobre 1849,
ebbe il comando del 6® corpo di esercito; e moriva, nel quartier
generale di Padova, il 24 maggio 1850. La salma ne è stata
dissotterrata, nel Gennajo deiranno corrente 1884, e trasportata
in Austria, rendendole, eziandio, le truppe Italiane gli onori
militari. Èvn gran pacier la morte! (Manz. Carm. V. 5.) Ma si
avevano da dimenticare e perdonare, anche, le crudeltà ?
(85) Non abbiamo avuto modo di procacciar notizie^ su que-
sto Principe di Lichtenstein.
(86) Giuseppe Yenceslao, conte Radetzky di Radetz, nacque,
il 5 novembre 1766, a Trzebniz, in Boemia; entrò, come cadetto,
in un reggimento ungherese, e prese parte a molte campagne
contro i Turchi e contro i Francesi. Restrìngiamoci a ciò, che
fece in Italia. V'era, nel 1796, capitano di cavalleria ed Ajutan-
te del Beaulieu; e, poi, come Maggiore e Comandante de*Zap-
patori. Nel 1799, pe' suoi meriti, quale Ajutante del Melas, fd pro-
mosso a Tenente-Colonnello. Ritornò in Italia, nel 1805, da Mag-
gior Generale. Nel 1831, era Generale di Cavalleria; e fu man-
dato in Italia e vi prese il comando delle truppe austriache, in-
vece del Frimont. Fu, poi, nel 1836, nominato Maresciallo di
campo. Nel marzo 1848, battuto dal popolo milanese, dovette
abbandonar la città, il 23 marzo, co' suoi; e si ritirò a Verona.
Questa ritirata salvò l'esercito austriaco e l'impero. Battuto, a
Goito, dai Piemontesi, che espugnarono Peschiera, il Radetzky,
rinforzato dal corpo del Nugent ( che sbaragliò i Romani e
non vide i Napolitani ), dopo parecchie abili operazioni, vinse,
il 25 luglio 1848, la battaglia di Custoza, che decise delle sor-
ti della guerra. La battaglia di Novara ( 23 marzo dell' anno
seguente ) rese definitiva la sconfitta del Piemonte : Venezia
gli si arrese, nell'agosto. Gli atti di crudeltà e di barbarie, co*
quali macchiò la vittoria e che resero, per sempre, impossi-
bile il dominio austriaco nel Lombardo-Veneto, tutti li cono-
scono. Il 28 Febbbraio 1857, prese il riposo, dopo settantadue
anni di servizio militare; e moriva, a Milano, il 5 Gennaio del
1858. È noto, con quanto coraggio civile, il Municipio di quella
città si rifiutasse di prender parte alle onorificenze funebri, che
gli rendevano gli oppressori.
— 381 —
(87) Gli Austriaci si accamparono, fuori Belluno, il 4, tementi
di entrare in città; la dimane, il Vescovo e gli Onoraziori si
presentarono al Generale Culoz, pregandolo di occuparla, per sal-
var Belluno dal saccheggio e dalla violenza di molti ladruncoli.
Ed il Generale vi penetrò la sera del 5, con seicento soldati.
(88) Giuseppe del Re, juniore, era de* piti cari ingegni e de*
migliori uomini di Napoli. Cultore delle lettere e figliuolo del
proprietario della stamperia dell'Iride (che, poi, diresse, insieme
col fratello Domenico) pubblicò, per molti anni, quella Strenna,
chiamata Viride: la cui raccolta, ancora, si scartabella, con pia*
cere e frutto; e che Ufissuna strenna posteriore, ha mai, pareggia-
to. Il Settembrini narra, come il Del Re a* incaricasse di fare
stampare, dal Seguin^ nel 1846^ 1& famosa protesta del popolo
delie Due Sicilie. Il Seguin aveva la sua tipografia, nel palazzo
a' Banchi Nuovi, dove era il quartiere dei Parrilli (Vedi la»21.*
di queste note). Ma il Settembrini erra; e la protesta fu fatta
stampare, da Ferdinando Mascilli, a sue spese. Amantissimo di
libertà, corse gravi pericoli. Dopo le catastrofi, emigrò, a Genova
ed in Piemonte ; e , fra le altre cose , vi pubblicò la prima
traduzione Italiana dello Intermezzo dello Heine, ed, a Pineroio,
una versione dei Repubblicani di Napoli , romanzo di Adolfo
Stahr: poiché egli era non men garbato scrittore Italiano, che
conoscitore del francese, del tedesco e dello inglese. Rimpatriato,
nel 1860, fu Deputato, del Collegio di Gioja del Colle, nella Le-
gislatura, che proclamò il Regno d*Italia; imprese, in Napoli, con
Antonio Ciccone e Stanislao Gatti (morto Prefetto di Benevento)
la pubblicazione di una Rivista Napoletana; e potè, finalmente,
compiere il secondo volume de* suoi Cronisti e Scrittori sincroni
Napoletani. Mori, lasciando desiderio sommo di so, negli amici.
Sua sorella era moglie di Constabile Carducci; e non seppe, mai,
la tragica fine del marito, assassinato, a tradimento, dal prete
Peluso. I suoi nipoti mi hanno assicurato di non possedere al*
cuna delle lettere, scrittegli dal Poerio.
(89) Michelangelo Parrilli, avvocato, del quale vedi fatta men*
zione, nelle trigesimaquinta di queste note. Aveva la monoma-
nia di stampare iscrizioni latine, con la versione Italiana, per
ogni avvenimento pubblico e privato di qualche importanza. Ne
riporteremo le due seguenti, che ci sono capitate fra le mani,
concementi fatti del 1848:
— 382 —
FIDE AC VIRTUTIBUS INNIXI
TOTIUS NEAPOLITANI REGNI CIVES
PLUBiES Regem Ferdinandum EXORAVERE
AD FORMAM ItALAE UNITATIS
FOBDERIS FACTUM SPONTE SECUM INIRI
INTER MORAE INDUQAS
PROH MIRUM
OMNIPOTENS LAEVA INTONUIT
ET ILLICO A REGE LUBENTE ANIMO
EXOPTATUM PERENNE FOEDUS
INEFFABILI OMNIUM PLAUSU
DIE in, KAL. FEBR. MDCCCXLVIII. LARGITtM
CONFICI INTRA DECEM DIES SANCITUM EST.
SCITOTB ID POSTERI NAM VESTRA RES AGITUR.
M. A. Parrilli
Devotionis ergo et eoo animo
PATRI AE AC REGI DICAVIT.
»
PVERI AC IVVENES VTRIVSQVE SEXVS
NVLLO CONDITIONIS DISCRIMINE
NE DVM SENIO CONFECTI CIVES
INNOCVA HILARITATE ìESTVANTES
OB PARTAM DIVINITVS ITALI FOEDERIS VNITATEM
DIV NOCTVQVE PER VRBEM GRATES AD ìETERA MITTVNT
jo Fernande Rex JO
TIBI PLAVDVNT ITALAE GENTES
ET PROPERE QVI IMPERANT EIS
MAGNANIMVM lAM TWM /EMVLANTVR EXEMPLVM
SIC REDEMPTiE ItALIìE FOEDVS CONSTITVTVM
FAVENTE DEO
SVB VNICO CRVCIS VEXILLO
FIAT JEB.E PERENNIVS DVRATVRVM
M. A. P.
(90) Per quante ricerche abbìain fatte, ne' giornali del tempo,
per quante domande abbiam rivolte, a chi, allora, era in mezzo
a^ trambusti, nulla abbiamo potuto sapere di determinato, in-
torno alla insurrezione monacale, cui, qui, si accenna.
— 383 —
(91) Giovanni Manna fu, allora, Ministro di Finanza, per pochi
giorni. Uomo profondo nel dritto amministrativo, del quale ha
scritto un trattato reputatissimo. Fu, poi, ingenuo inviato a
Vittorio Eaimanuele, insieme con Giacomo de Martino (che non
era ingenuo) da Francesco II, quando questi, troppo tardi, volle
una lega. Senatore, quindi, del Regno dMtalia e Ministro di
Agricoltura e Commercio, essendo premorto al padre, non lasciò
altra eredità se non lire cento di assegno mensile, fattogli dal
padre, appunto in occasione del suo matrimonio. Non sempre
avviene cosi degli uomini, che sono stati, per lunghi anni, im-
piegati ed hanno esercitati altissimi uffici ed hanno famiglia.
Fu, anche, cultore delle belle lettere; ed ho ritrovato, in un al-
bum, di proprietà della Signorina Carolina Just, figliuola del
Console Sassone a Napoli, poi maritata Giordano, Duchessa
d' Orotino, e morta da lunghissima pezza, il seguente sonetto
di lui:
Il mio ritratto
Pensoso, sempre, e non irato, mai;
Pallido, scarno e nell'andar negletto;
Di rumor schivo e taciturno assai;
La calma in viso e non la calma in petto.
Come la luce 1 mobili suoi rai
Assidua muta di uno in altro aspetto,
Tal, sempre, il suo pensiero, or tristi, or gai
Sembianti move, or uno or altro affetto.
Tra speranza e timor Palma agitata
Fugge il presente e l'avvenire appella:
D'altrui scontento e di so, mai, non pago. — -
Ecco, donna gentil, la vera immago
Del vate ignoto, eh' or teco favella,
Ferse la prima e l'ultima fiata.
1840, 25 Giugno
(92) Domenico e Gabriele furono figliuoli di Angelo Abate-
marco da Montesano sulla Marcellana e della Giovanna Tor-
torella da Lagonegro, dove nacque Domenico. Angelo emigrò,
pe'fatti del 1799; onde la moglie rimase direttrice dell'educazione
de' figliuoli. Poi, rimpatriato, fu magistrato e divenne Giudice
— 384 —
d* Appello. Domenico e Gabriele s* addissero al foro. Ma, nel
1821: il padre, ch'era stato della Giunta di Stìnto, fu destituito;
ed i due figliuoli, emigrando, passarono, da dieci anni, in esi-
lio, fra Malta (doTe furono amicissimi del Rossetti) Parigi (nel
1822), Firenze e Boma. Rimpatriati, nel 1830, attesero al foro
ed alle lettere. Domenico, nel 1848, fu nominato Consigliere
di Cassazione e Pari del Regno. Ma, Tanno dipoi, venne de-
stituito. Nel 1860, reintegrato nella Cassazione, firmò il Pro-
clama del Plebiscito. Nel Gennaio 61, fu Consigliere di Stato
in Napoli; e rappresentò, nel 1.^ Parlamento Italiano, il Colle-
gio di Sala . Soppresso , poi, il Consìglio di Stato in Napoli ,
tornò alla Cassazione, finché V età non V indusse a chiedere il
riposo. Moriva, il Venerdì,, 29 Aprile 1872. Fu uomo colto nel
le lettere e faceto. Ci trovammo seco, compagni di viaggio ma-
rittimo, quando egli si recava al Parlamento, in Torino; e ri-
cordiamo, come, travagliatissimo dal mal di mare e dovendo
pur cedere a*conati del vomito, dicesse, sorridendo, neirafifer-
rar Torinale: — « se é bello morir per la patria, sarà bello, an-
€ che , il vomitar per essa. > — Gabriele fu Direttore dell'In-
terno (Coadjutore) nel Ministero del 3 Aprile 1848. Rimase in
utficio, sino al 7 Settembre 1848. Moriva, il 28 Marzo 18..., nel-
Tetà di anni settantacinque. Uno de* figliuoli di Domenico, a
nome Angelo, è, ora, consiglier di Cassazione, a Napoli; un altro,
Carlo , esercita V avvocheria. E le cose son cosi ben congegnate
in Italia, che, senz' alcun dubbio, i guadagni. dell' avvocato su-
perano d' assai lo stipendio del magistrato.
(93) Federigo Golia di Aversa, fu pittore; stette in carcere,
per motivi politici; mori, a Ginevra. Suo fratello. Cesare, riusci,
sventuratamente, ad insediarsi, nel Collegio Elettorale di Aversa,
invece di Francesco Strongoli-Pignatelli; e, sventuratamente, è,
anche adesso. Deputato della 2.'^ Circoscrizione di Caserta.
(94) Camillo Campana era nipote del Console Napoletano a
Venezia, Altro non sapremmo dirne.
(95) Una formale dichiarazione di guerra, all'Austria, non ebbe,
mai, luogo : salvo che non si voglia considerar, come tale, il
Proclama di Re Ferdinando a' suoi popoli, del 7 Aprile.
96) La vedova del Duca della Torre, bruciato vivo da' laz-
zari, nel 1799, Duchessa ereditiera di Cutrofìano, sposò, in se-
conde nozze, D. Pietro d'Aragon, Conte di Fitou, Uffiziale di
Marina, francese di origine, al quale portò ricchezze molte e
— 385 —
titoli assai. Un loro figliuolo, Giovanni, fu ucciso, in duello,
verso il 1831; Gr.etano, primogenito, fu principe di Squinzano;
il terzo, Raffaele, è quello, di cui, qui, si parla, che, nel 1848,
si trovava colonnello del 1® Dragoni. Egli proveniva dalla Pag-
goria; e fu nominato , come di diritto, Alfiere, al reggimento
Gavalleggierì-Guardia. Ma (scopertasi una sua lettera a quel-
la Principessa Cristina, che doveva, poi, immortalarsi in Ispa-
gna e che, già, faceva prodezze in Napoli, gittando, alla villa,
fiori, a'vagheggiator), e facendo lor cenno, in teatro, dal pal-
chetto, che il padre le aveà date le busse) per castigo, fu man-
dato nella Gendarmeria a cavallo, in Calabria; e vi rimase, fin-
ché la Cristina non fu maritata e Francesco I morto. In Ca-
labria , trattò per la presentazione di nove briganti, che ven-
nero, co' salva-condotto, in casa sua. Ma, non essendosi con-
chiuso r accordo , il Ministro Intontì avrebbe voluto , eh' egli
profittasse dell' occasione e sostenesse que' briganti r voleva ,
insomma, rinnovare l'infamia commessa, nel 1818, dal gene-
rale Amato, contro i Vardarelli (Vedi Colletta, L. Vili). Di
tanta slealtà il Cutrofiauo ricusò macchiarsi; anzi, con passa-
porti e danari, facilitò loro l'uscir dal Regno. Nel 1848, qu in-
do il Pepe, richiamato a Napoli, dopo aver ceduto, in Bologna,
il comando allo Statella, (che, per l'effervescenza popolare, non
osò ordinare la ritirata) l'ebbe, poi, ripreso ed ordinato il pas- '
saggio del Po, il Ritucci obbedì co' suoi cacciatori ed il Cutrofia-
no si preparava ad obbedire ed avea dato gli ordini; ma uffiziali e
sott' uffiziali gli rubaron la bandiera, lo fischiarono, lo sprio-
rarono, ed impresero, per conto loro, il ritorno a Napoli. Tornò
anch'egli, a Napoli, per conto suo; ed accusò, al Re, di ribellione -■
e diserzione il suo Reggimento. 11 Re gli die ragione, a parole; -
ma lo mise alla 4* classe. Nella quale stette, finché il Filan- i
gieri noi volle seco in Sicilia , dove ebbe un cavallo ucciso
sotto. Fu, quindi, Colonnello Comandante de' Carabinieri a caval-
lo, che erano gli antichi Gendarmi scelti; ed, in seguito. Generale
di Brigata. Nel 1861, non fu compreso nella capitolazione di
Gaeta, trovandosi spedito in missione diplomatica a Pietroburgo.
Mori, a Londra, verso il 1868. Ebbe, per moglie, una Madama .
d' Argy, sorella del famigerato^Colonnello de' Zuavi Pontifici.
Molto vagheggiata dallo scultore Tito Angelini, che affermava
aver dovuto alla sua protezione di sfuggire a non so quali per
secuzioui della polizia. Costei, come narra Piersìlvestro Leo-
25
— 386 —
pardi, dopo il 15 Maggio, scriveva al marito: — a Non isp erate,
« che io vi accolga, più mai, nelle mie braccia, se, prima, non
« avrete lavato, col sangue de'nemici d'Italia, le turpitudini, di
« cui si sono macchiate le truppe napolitano e, più ancora, le
« svizzere. » — Bello quel marito, che mostra simili lettere, che
sollevano le cortine dell'alcova! Certo è, che il Cutrofiano tornò,
a Napoli, senza aver nulla lavato, in nessun sangue. Chi sa, se
la moglie avrà tenuto parola?
(97) Questo Caracciolo di Turchiarulo, sendo stato nominato
Tenente-Colonnello, andò (com'era, allora, d'uso e prammatica) a
ringraziare il Re, che gli disse: T*haggio puosto a cavallo ^ncoppa
alli mole. Era fratello di Paolo Caracciolo di Turchiarulo, San-
fedista acerrimo, comandante delle Guardie del Corpo a caval-
lo, e celebre pe'molti suoi spropositi, come quando annunziava
prossima la venuta della flotta svìzzera, in ajuto del Re.
(98) Il colonnello Andrea Ferrari, del Napoletano, era stato
fatto generale e Comandante le guardie Civiche romano ed i
volontari mobilizzati, cioè:
1.* Legione Romana. — Colonnello: Natale del Grande (che
fu ucciso, a Vicenza, il 10 Giugno 1848, e surrogato da quel
Bartolomeo Galletti , celebre per tanti motivi ed, anche , per
un volume, intitolato: Il Giro del mondo | colla Ristori | Note
di Yiaggio \ del Generale \ Bartolomeo Galletti \\ i? ma \ Tipo^
grafia del Popolo Romano \ Via delle Colonnette, 23 \ i876.)
2.* Legione Romana. — Colonnello: Marchese Filippo Pa-
trizi. Questa legione si sbandò, dopo il fatto di CornuJa ; e
qualche avanzo fu incorporato nella terza.
3.* Legione Romana. — Colonnello: Giuseppe Gallieno. I
militi, dopo il combattimento di Vicenza, rimpatriarono.
4.* Legione Romana. — Colonnello: Conte Luigi Pianciani.
Battaglione Universitario. — Colonnello: Angelo Tittoni, che
si ritirò, dopo il fatto di Vicenza; e fu sostituito dal Maggiore
Ceccarini.
1.° Reggimento volontari. — Colonnello: Duca D. Filippo
Lante Montefeltro.
2.° Reggimento volontari. — Colonnello: Cavaliere Luigi
JBartolucci.
Artiglieria cìvica romana. — Capitano: Federico Torre (ora,
luogotenente generale; uomo egregio).
Comandante in capo del corpo di operazione e della Di-
— 387 —
visione di linea romana era il Generale Giovanni Durando, Pie-
montese.
(99) Ernesto Capocci (nato a Picinisco, il 27 Marzo 1798, mop-
to, a Napoli, Senator del Regno, il 6 Gennyjo 1864) astronomo
insigne, ebbe, dairAlmerinda Farina, figliuola di un Consigliere
di Cassazione, numerosa prole: ma, nel 1848, soli quattro figliuo-
li erano in età di portar le armi: Stenore, Oscar, Teucro e
Dermino. Stenore (ora Impiegato di Casa Reale, a Firenze) e
Dtìrmino(Gia Consigliere Delegato, alla Prefettura di Pisa) par-
tirono, con la Belgiojoso (cara gioia!) sul vapore il Virffilio^iì
29 Marzo 1848. Stenore andò, poi, a Venezia e, promosso ser-
gente, fu tra gli ultimi a lasciar Malghera, nella notte del 26 al
27 Maggio 1849. Oscar (ora. Professore airUniversità di Napoli)
parti, due giorni dopo, sul Lombardo, per raggiungerli. Teu-
cro, (che, per avere già, cosi giovane com'era, calcolata l'orbita
di una cometa, fu nominato, da Gioberti, nel Primato come
esempio di virtii d' ingegno ereditaria) si arrolò ne' Dragoni di
Cutrofiano (e non già ne' Lancieri, come, erroneamente, seri re
il Poerio). Quando ebbe luogo la vergognosa ritirata de' Napo-
litani, egli passò il Po, con un Diaz, Luogotenente di Cavalleria;
e segui il Pepe. Fu ferito, a Venezia, il 25 Giugno 1849. Nel
lb66, fu Ufficiale de' volontari, nel Tirolo. Nel 1878, era, in Na-
poli, Direttore dell'Ufficio di Pesi e Misure; ed andava, a pòco
a poco, perdendo la vista. Il 22 Maggio, poco prima del mezzodì,
entrò nel Caffè di Napoli, dov'era cognitissimo; e chiese, al pro-
prietario, cinquanta lire, per poche ore. Comprò, quindi, una pi-
stola a sei colpi; sali in una carrozzella; e disse, al cocchiere, di
condurlo a Fuorigrotta; ma, a metà della Grotta di Posillipo,
si uccise con due rivoltellate. In una lotterà pel fratello Oscar,
che gli si trovò indosso, dichiarava di aver preso le cinquanta lire,
perchè aveva dimenticati, a casa, i suoi denari. Ma torniamo
al 1848, quando Ernesto Capocci era Deputato ed i suoi fi-
gliuoli giovanetti. Dunque, quattro fratelli in età di portar ar-
mi e, tutti e quattro, in guerra, volontari! E parve, a loro ed a
tutti, cosa naturalissima; e che facessero il dover loro, come
molti altri. Se non morirono, non fu colpa loro. Dovevamo ve-
der, poi, menar grande scalpore, da alcuni ciarlatani politici,
come di cosa eroica, singolare, unica, che, in una famiglia, ci
fossero stati tre o quattro volontari; ed eternar, con monumenti,
— 388 —
la memoria del fatto l E si ! che si trattava di buaccioli , e non
già di giovani intelligenti e colti, come i Capocci.
(100) Federico della Valle di Casanova, condotto ad arrolar-
si ne' dragoni, insieme col Capocci, da Ferdinando Carafa, (ora,
duca d'Andria, nipote del Cutrofiano.) Questo Federico era frar
tello di queir Alfonso, che ha lasciato cara memoria di sé, in
Napoli, per le cure spese negli Asili Infantili ed il danaro le-
gato loro: ned il zelo imprudente di chi ne ha pubblicati due
volumi di scritti, immeritevolissimi della luce, ha potuto ren-
derlo ridicolo. Sì copron d' un oblio pudico le sguajataggini,
eh' egli schiccherò , e se ne ricorda la carità. Federico fece ,
poi, un ricco matrimonio; e stette quasi sempre e sta nell'Alta
Italia. Fu, per breve tempo. Colonnello Ispettore della Guardia
Nazionale nella provincia di Benevento, quando lo Spaventa era
segretario generale degl'Interni, nel primo ministero Minghetti.
Volle, quindi, porre la sua candidatura nel Collegio di Monte-
sarchio; ma non entrò neppure in ballottaggio.
(101) Di questo Claudio Talva, Commissario Ordinatore (sus-
sistenza, alloggi ecc.) nulla ho potuto appurare,
(102) Il Tenente Francesco Angellotti, Vito Romano e Cesare
Rossaroll , caporali nel 2.° Reggimento delle Guardie, ordirono
una congiura, per togliere dal mondo Ferdinando Ily il quale^ fa-
cendo sperare liberali istituzioni , avea impedito la rivolta del
1831; e, poi, avea dato il paese in mano allo sterminatore del Ci-
lento. Denunziati dal porta-stendardo Paoletti, che si era infinto
di voler partecipare all'opera nefanda, il Romano ed il Ros-
saroll furon sorpresi, nel Quartiere del Ponte della Maddalena,
mentre si preparavano al regicidio. I due risolvettero di ucci-
dersi. E la pistolettata, preparata dal Rossaroll pel Re, spense,
difatti, il Romano. Ma, dalla pistolettata di lui, il Rossaroll ri-
mase solo ferito; e, quindi, indicò, come complici, molti altri,
fra i quali tre suoi fratelli , caporali anch' essi, e gli ufficiali
di Artiglieria Antonio e Girolamo UUoa, Due de' fratelli eb-
bero il consta che non; un altro ed i due UUoa, il non consta; fu-
ron condannati alla forca l'Angellotti ed il Rossaroll: e, certo,
se la meritavano. Andando il Rossaroll al patibolo, scalzo, come
parricida, diceva: Emo\^sto catarro, pecche me Vhaggioapiglià'f
Graziato all'ergastolo e, poi, liberalo, nel 1848, dovendo partire
come capitano ajutante maggiore di un battaglione di volonta-
ri, per la Lombardia, ed essendo ito a ringraziare il Re, per
^ 889 —
la grazia, questi gli disse: Rossaroll^ mi raccomando; que -
ste sono reclute; bada tu ali* onore del tosone/ Ed il Rossa*
roll , tomo tomo, gli rispose : Vostra Maestà sa^ che io ho, sem-
pre^ fatto il mio dovere ! — Il Rossaroll prese parte al combat-
timento di Curtatone e Montanara, dove rimase ferito; si recò,
poi, a Venezia, e vi mostrò, sempre, un così matto coraggio,
che Guglielmo Pepe il soprannominò V Argante della laguna. E,
pel suo temerario coraggio, rimase ucciso, il 27 Giugno 1849.
Era uomo religiosissimo, devotissimo; praticava, assiduamente,
i Sacramenti : ma, essendo di poca coltura e levatura, per lui
stava, che la religione non vieti, anzi comandi il tirannicidio:
per la fé, per la patria, il tutto lice. Or che giovò la sua congiu-
ra ? Ferdinando II, venuto al trono con non cattive intenzioni,
fu atterrito dalle riforme, dalle congiure di Frate Angelo Pelu-
80, e, spedala. ente, da quella del Bossaroll. E, chi ben guarda,
tutto sommato, la figura bella non la fa il caporale, che vole-
va assassinare il Re, usurpando le funzioni di accusatore, di giu-
dice e di esecutore, e che, malgrado V animo ben temprato, si
avvilisce, si abbioscia e denuncia a drittaed a manca: ma bene
il Re, che risparmia la vita del caporale, giustamente condan-
nato. Ma lo sgoverno borbonico era tale, da far parere, anche
a galantuomini e valentuomini, legittimi e lodevoli i tentativi
di Rossaroll e de* Melano.
(103) Sembra alludere, alla seguente corrispondenza, in data
di Ancona, 6 Maggio, pubblicata, nel Contemporanjso, di Martedì,
9 Maggio, 1848: — « Trovansi, in questo momento, in questo
«porto, quattro fregate a vapore napolitano, il Carlo III, il
< Sannita, il Guiscardo, la fregata il Ruggiero, il Robeì^to, col
«barone Raffaele de Cosa, brigadiere Comandante superiore.
« Sono, inoltre, giunti: il brick PHncipe Carlo di venti cannoni;
« la fregata Isabella^ di quarantaquattro; e la Regina di ses-
« santa. Questi legni portarono un battaglione di volontari ,
« il reggimento del 1.^ e del 12.^ di Linea, un battaglione di
« cacciatori, un battaglione del 5.° di linea, una compagnia di
« Zappatori e minatori; in tutto, un corpo di armata di circa 5000
« uomini. Inoltre, giunse, per la via di terra, il treno di artiglie-
« ria, composto di sei cannoni e due obici , con una quantità di
« munizioni. Una deputazione veneta, è giunta, per chiedere, che
« questa truppa vada, direttamente e subito, a Venezia, ove son
< necessari i soccorsi. Dicesi, che, in seguito di ciò, il comandante
— 390 —
< abbia spedito una staffetta, a Napoli, per istruzioni. In tanto, una
< parte della truppa è, già, partita per la Lombardia; e Taltra sta
€ per prendere la stessa direzione ». — Ma, o la scrittrice ha pre-
so un equivoco, o , forse , alludeva a qualche altro artìcolo , che
chi ci ha favorito non ha saputo ritrovare, nel Contemporaneo:
giacché il Pepe non vi giunse se non V8 maggio, nò di lui e del
suo arrivo si fa parola, in questo articoletto.
(104) Dice il Settembrini : — « Si pensò , lungamente, dove al-
€ legare le due Camere del Parlamentofe, dopo molte discas-
€ sioni, si stabili di allogarle, neirUniversità: la Camera de* De-
€ putati, nella gran sala del Museo Mineralogico; e la Camera
« de* Pari, nella gran sala della Biblioteca. Io mi feci, come un
€ serpente : Ma cotesto significa chiudere V Università/ ma chie~
€ se e conventi non ce ne sono ? Ma non avete la immensa isola
€ dei Gesuiti, dove fu il Parlamento, nel 1820, e dove ce ne poS"
€ sono stare dieci, 'non utw ? Ma i nostri antichi e tutti gì Ita-
€ liani non tenevano, nelle Chiese, i loro Parlamenti? Chiudere,
€ con tavole, gli scaffali, dove sono i minerali, ù, certamente^ un
4L danno: pure, i minerali non si guastano. Mai libri, ma tanti
€ preziosi libri, seppellirli, così, è distmf/gerli,certamente.lo ripe-
€ tevo queste cose, nella sala della Biblioteca, airArchitetto, che
€ dirigeva i lavori e che, levando le spalle , mi disse queste pro*-
« prie parole : È provvisorio! Non dura molto! Ognuno lo capp-
€ sce\ Ed era vero, pur troppo: questo ci era, nella coscienza
« della moltitudine». —
(105) Non sappiamo, se il Troya giungesse a terminare que-
sto discorso, che non fu pronunziato. Sarebbe curioso a leg-
gere.
(106) Di questo dispaccio del Governo Provvisorio della Re-
pubblica Veneta, non ho trovato la copia, che, qui, si dice.
(107) Gaspare Musto combattè, con valore, in Grecia (vedi a
pag. 55 del pr. volume). Ed, essendo, poi, tornato a Napoli, andò,
una sera, in teatro, con Tuni forme di ufficiale greco. Il Re volle
sapere chi fosse; e gli fece offrire di entrare nell* esercito napole-
tano. Era capitano fonditore, nelFartiglieria. L'ho conosciuto
nel 1850. Abitava, in una villa, celebre, perchè, già, ditnora del
Byron, ad Alvaro, presso Genova, insieme con Domenico Car-
dente e con alcuni ufficiali napolitani, stati alle difese di Venezia
0 di Roma; i due Mezzacapo , Camillo Boldoni, il Virgilio, ecc.
Aveva, per moglie, la vedova di un generale, (se non erro, di un
— 391 —
general francese), che, rimasta in Napoli, andava , sempre , a
piangere miserie col Filangieri e col Re. Il Re le fece un asse-
gno; e, poi, permise il rimpatrio del marito , che, però, non fu
riammesso nell' esercito, e si vide precluso Tavvenire brillante ,
che, senza dubbio, gli sarebbe spettato, nel Rtìgno dMtulia. Nella
Cronaca di Carlo Lwoni, (Vedi la 155/'* di queste notule ) si
parla di lui, ma il nome ò storpiato in Morti.
(108) Cario Mezzacapo, che, poi, nel R'.»gno d' Italia ò divenuto
Luogotenente Generale e Senatore del Regno , (come pure il
fratello Luigi, che per giunta ò stato Ministro,) e cui, ora. i gior-
nali danno dfl Conte. I due Me/zacapo furono i soli emigrati, in
Piemonte, che propendessero pel Murattismo. 11 che si spiega,
per essere Luigi cognato di queir Aurelio Saliceti; prima, servi-
tore de'Borboni; poi, ìuì\ 48, Ministro ultra- liberale, e non ulti-
ma cagione, c»)n le sue improvvide avventatezze e con la in-
teozion dichiarata di svolgere la costituzione, prima ancora, che
entrasse in atto e senza il concorso delle Camere (atto inco-
stituzionale in primo grado !), delle catastrofi napoletane; quin-
di, triumviro della Re[)ubblica Romana, col Mazzini : il quale,
venuto a Genova, si era rasa la barba ed avea chiesto al Go-
verno sardo un ufficio diplomatico; rispostogli, aspettaase alcun
po\ essere troppo recenti i fatti di Rorna^ si fé' ricresce re la bar-
ba e ridivenne repubblicano; e, da ultimo, era diventato, a Pa-
rigi, famigliare e lancia spezzata di Luciano Murat. Carlo Mez-
zacapo ha fama di ulRciale dotto.
(109) La formola del giuramento fu, difatti, la quistione, per
cui avvennero dissensi: fra la Camera, non ancora legalmente co-
stituita e,(|uindi, illegalmente adunata; ed il Governo. Questi dis-
sensi serviron di pretesto a quelle barricate, per conseguenza
delle quali scoppiò il conflitto sanguinoso del 15 maggio 1848.
(110) Questa lettera al Troya p.<ir che più non esista, come
tante altre. Di quelle , che il Poerio gli mandò, da Venezia,
sembra essere avanzata, solo, V altra del 20 Maggio. Fra quelle,
che la Vedova ha regalate alla Biblioteca Nazionale di Napoli ,
nessuna è del 1848.
(Ili) In qud' momenti, non ò da stupire se penino un Carlo
Poerio perdesse le staffe. Tutti, più o meno, erano spostati. Certo,
r incapacità del Ministero Troya fu somma: ma si può essere in>
capacissimo, neir amministrare e nel reggere uno stato, mas-
— 392 —
aime in tempo di rivoluzione, senza meritiir, per questo, l'epiteto
di mhcrabUc, Quantunque io non voglia negar essere tra le
colpe più gravi lo stender la mano al potere, quando nc»n si
ha forza e sapienza.
(112) Un certo D. Martino Cafiero, oscura persona, verbosa
nullità, che stava, sempre, in mezzo a'iiberali, facendo chiacchie-
re e portando notizie.
(113) Carlo Poerio si ricoverò in casa di Florestano Pepe. Ma
l' Imbriani non si allontanò pmito dalla casa propria (vico Belle
Donne a Chiaja , palazzo Anfora di Lirignano). — Uopo essere
stato nella Reggia , dove erasi recato in deputazione , durante |il
tempo del confitto, fu, a sera, accompagnato, sino a casa , dal
Generale Raffaele Carascosa, il quale abitava nello stesso pa-
lazzo e che fu de* Ministri della dimane. (Vedi la 116.* di que-
ste notule).
(114) Fraucesco-Paolo Bozzelli aveva conseguita gran fama,
non tanto pe' suoi leggiadri versi, quanto per gli scritti filosofici
(era un sensista) e letterari (specie jìe' tre volumi Bplla Imita^
zione tragica)^ per lo splendido esercizio dell'Avvocheria, per lun-
go esilio e dura povertà, magnanimamente sostenuti. Quando fu
chiamato, dapprima, al Ministero, da Re Ferdinando ed incaricato
di formolare una costituzione, parve, a tutti i buoni , che fosse
stato trascelto T ottimo. Ma , come avn-bbo dovuto prevedersi ,
(giacché, di rado, avviene, che, da un avvocato sessagenario, sfar-
falli, ad un tratto, un legislatore ed un amministratore) si mostrò
incapacissimo. Rimase , inoltre , offuscato dalla grazia regia e,
non volendo piìi soffrire le passate miserie, pensò di mettersi dal
lato del manico della scopa , quando si trattò di spazzare. Fu
adoperato, finché parve necessario; e, poi, buttato da canto; ma
con una pingue pensione, che lo consolò della fama perduta.
(115) — «Gennaro Spinelli, principe di Cariati, vecchio uffiziale
€ di Murat, diplomatico del 1820 e uomo di maniere affabili e
« cortesissime, un cavaliere compito, un vero gentiluomo, un
« accompìished gentleman^ come direbbero gì* inglesi. Non sorti
« dalla natura grande intelletto; ma non difetta di quella sup-
« pellettile di astuzie e di piccole scaltrezze, che soleva fare il
« pregio de* diplomatici della scuola di Talleyrand. Egli posale-
€ de il requisito, in tanto pregio tenuto da cotesti diplomatici ,
« di parlar molto, senza dir niente; e di farvi credere di avere
« risposto alle vostre interrogazioni, senza avere, in realtà, ri-
— 393 —
«sposto hulla. Sceltico ìq tutto e, segnatamonte, la politica ,
« con le labbra, sempre, composte a sorriso, gentile (nel tempo
« stesso) e maliziosamente beffardo, lo direste il tipo della mol-
« lezza Napoletana, il modello della indolenza. > — Così, il Mas-
sari. — Il principe di Cariati avea fatto parte del Ministero del 6
Marzo. Egli mori pazzo; ed avendo, una volta, incontrato Ferdi-
nando II, gli stese contro la mano, dicendogli: Tu ni* hai tradì'
« to/ M'hai fatto credere di esse^^e un galantuomo J Ed io ti ho
« secondato; ed, ora, mi trovo disonorato, per te. Nel 1820, di-
plomatico a Vienna, conferendo col Duca di Portella [Metter-
nich], vedendo questi accavalciar le gambe, ed egli alzò le sue t
le appoggiò al davanzale del caminetto, come per meglio scaldarsi.
Il Metternich, sorpreso, disaccavalcìò le gambe; ed il Cariati^ subi-
to, rimisele sue sul pavimento e si ripose a sedere, con decenza. E,
cosi, fece, più volte; non tollerando, nel Metternich, l'oltraggiosa
disinvoltura e sprezzante, che gli era solita.
(116) Raffaele Carrascosa, fratello di quel Michele C.arrascosa,
che tanto male si condusse, nel 1814 e nel 1821. Anche il Carra*
scosa, forse, non credette, almeno sul principio, che il Re avesse
intenzione di spergiurare; né si accorgeva della gravità degli atti
quotidiani. Era un militaraccio ignorante: onde può, fino ad un
certo punto, valer, per luì, questa scusa, inammessibile pel Rug-
giero (vedi la quadragesimaprima di queste notule). Quando se
ne accorse, volle ritirarsi. Ma, il Re non gliel permise, dicendogli:
Se occort^eyCe ne andremo insieme. Prevedeva un naufragio; e non
voleva, che, nel giorno del rcdderationem, alcuno de' suoi stru-
menti potesse svincolarsi da lui, per salvarsi. Ed il Carrascosa
non era di quegli eroi, che, pertinacemente, fanno getto, anche,
d'uD portafogli e della grazia sovrana, per ossequio al dovere.
(117) Bisogna riconoscere, che, dopo gli eccessi avvenuti il 15
Maggio, la plebe, i lazzari non ne commisero altri. Gli abbienti,
memori del 1799, temevano, che si rinnovassero tutti i guai di al •
lora: ma, cosi, non fu.
(11<^) Cioè, le famiglie Poerio, Imbriani e Parrilli. La tranquil-
lità, goduta, generalmente, nella capitale, da tutte le famiglia
pili invise, certo, a* realisti, mostra, come gli eccessi parziali non
fossero comandati e regolati dall'alto.
(119) Certo, gli Svizzeri, 8opratntto, e parta dalla milv
litane si condussero, in modo feroce e brutale; oarto|<
il saccheggio non sono da Bcnaara, mai! Ma non
■■*
— 394 —
disconoscere, che sono conseguenze necessarie delle guerre ci-
vili. Quindi, rei veri non chiamo coloro, che, materialmente, uc-
cidono, abbruciano e saccheggiano; bensì, quelli, che han reso
inevitabile il conflitto. I veri colpevoli de' guai di Napoli furono
gli sciagurati (come i La Cecilia) e gli sciocchi (come i Luigi
La Vista), che eressero le barricate e che non avevano, nemmanco,
provveduto o pensato, non dico ad assicurarsi la vittoria, ma solo
a procacciarsi una lontana probabilità di vittoria. La maggior
parte de' quali, poi, cansò il conflitto; ed il più i morti, furono
uccisi, non combattendo, ma neir arrendersi o dopo essersi ar-
resi. No, il quindici maggio non fu, neppure, una dissennatezza
eroica! Che diamine, siamo giusti! Niun governo costituito può
tollerare insurrezioni armate; ogni governo, anzi, ha il dovere
di reprimerle. E dell'eccesso, nella repressione immediata, la più
gran parte di responsabilità morale ricade sugl'insort'. Non è da
condannare Ferdinando li, pel 15 majrgio. Ma perchè non fu, poi
leale mantenitore della Costituzione concessa e delle amnistie lar-
gite; perchè fu spergiuro; perchè governò ed amministrò, con mezzi
iniqui. — Questa donna Lisetta era la prima delle figliuole del Conte
di Camaldoli [Vedi la 77* di queste note]. Moglie del principe di
Tricase (Gallone; che la sposò vedovo), sorella della Irene (poe-
tessa e scrittrice, che sposò il Maestro Vincenzo Capecelatro), eb-
be la gentil virtù di non iscombiccherar quadri e di non ischicche-
rar versi. Si salvò, nel 15 maggio, dal palazzo, già. Gravina, allo-
ra, Ricciardi, ora, sede della Posta e de' Telegrafi in Napoli, al
braccio del Cardinal Carafa, morto Arcivescovo di Benevento.
(120) Il Principe di Torella (genero di Cristoforo Saliceti: vedi,
nel Colletta, passim) era, come dice il Massari, — « patrizio, al-
< lora, in Napoli, popolarissimo, già ufficiale di Ordinanza di Re
« Gioacchino e tutto imbevuto della tradizione Murattiana. La
€ sua casa era il ritrovo degli uomini di lettere e di scienze più
« ragguardevoli di Napoli, ed era, sotto Tassolutismo, una casa di
« opposizione. Il suo figliuolo secondogenito, Camillo, era stato im-
« prigionato, prima del 29 gennajo; ed era una delle vere gemme
a del patriziato civile Italiano di Napoli. > — Che razza di gemma!
Dopo breve emigrazione, ritornò a Napoli e strisciò a Corte. Nel
Regno dltalia, ò stato deputato. La deputazione, si sa, dà la
scienza infusa; e fu, quindi, prima, ministro plenipotenziario; poi,
prefetto; e si è sempre dimostrato leggiero ed incapace'. Vive in
Roma, dove una sua figliuola è maritata; ed ò senatore del
Regno.
— 395 —
(121) Dice il Massari: — «1 due nuovi Ministri, Ischitella e Car-
€ rascosa, soldati, niente altro che soldati, rappreRentavano, nei
€ Consigli del Principe, la trionfante forza materiale; ed erano
€ indizio dell'ascendente, il quale, già, cominciava ad esercitar-
« si, dalla truppa. 11 principe d'Ischitella, antico Ufficiale di Mu,
« rat, è soldato coi'aggioso, di carattere impetuoso, di modi av-
«c ventati. Avea fama di patriota, perchè, nel 1821, fu destituito;
« e, dopo il 29 gennajo, la parte liberale lo aveva proposto al
€ Ministero. » — Francesco Finto, sino alla morte del padre (net
1823) portò il titolo di Marchese di Giuliano. Nacque nel 1788.
Ciambellano di Re Giuseppe, il 10 marzo 1808; luogotenente ne*
veliti della Guardia di Re Gioacchino (colonnello Colbert), Tan-
no stesso; capitano e maresciallo d'alloggio del palazzo, nel 1809;
maggiore negli usseri della Guardia (colonnello Roccaromana),
nel 1810; ajutante di campo di Gioacchino, nella campagna di
Russia; ferito, alla battaglia della Moscova, e decorato, quindi,
della legion d'onore e colonnello, il 13 settembre 1812; ufficiale-
delia legion d'onore e gran cordone dell* ordine delle Due Si-
cilie, nel 1813; comandante degli usseri della guardia, nel 1814;
maresciallo di campo, onorario, il primo gennajo 1815; poi, effet-
tivo, accompagnò Gioacchino, da ajutante di campo, nella sua
fuga in Francia. Ma era a Parigi (sollecitando, dal Fouchè, pel
Murat, licenza di passar, liberamente, in Inghilterra), quando il
Re andò in Corsica e, poi, al Pizzo. Reintegrato, nel 1818, nel
grado, col duca di Roccaromana, per grazia speciale, non ebbe
parte a' fatti del 1820, sebbene, poi, destituito; il 20 gennaja
1840, il Principe di Cariati e lui, (che non erano stati richiamati
al servigio, come tutti gli altri, all'esaltazione di Ferdinando II)
furono autorizzati ad indossar V uniforme. Ejrl^ ha pubblicato
un opuscolo, di G4 pag. in 8.°, intitolato: Mé'tnolres \ et souve^
nirs I de ma me\\ Paris \ Imprimcrie lìenou et Mcaulde | Ru€
de Rivoli, i44, i864 \ . (Dovè scriverlo in Italiano; e me ne ac-
corgo dallo errore del traduttore, che, spesso, traduce Giuliano
con luUen, quasi fosse il nome proprio del Finto e non già un
nome di luogo e, quindi, titolo ed intraducibil-f).
In esso, tra le altre cose, dice, che i ministri del 15 maggio
furono, tutti, liberali moderati. — « Le roi fut de bonne foi, ne vou-
€ iut pas abuser de la victoire sur la revolution, conserva la Con-
« stitution; et nous fùmes tous des ministree d*ordre constitu-
« tionel. » — Ma, volendogli mandar buone tutte le cose, che gli ai
— 396 —
rimproverano, una, della quale si accusava, vantaiidosene, nel 1864,
0 che, altrimenti, non conoscerebbe nessuno, non può perdonanù.
Nel 1861, un pozzo dopò la caduta di Gaeta, egli sollecitava, con
lettera, presso il Walewski, l'intervento francese in quello, che egli
chiamava, ancora, il Reame di Napoli.
(122) Questo scioglimento di una Camera, non ancora costi-
tuita (cbè altro non significa Io annullamento delle elezioni), par-
ve, a molti, pratica poco costituzionale. Tale volle dimostrarlo
• Carlo Poerio in un Memorandum. A noi non pare. Il Re può
sciogliere la Camera, o costituita o non costituita che sia, anche
secondo il nostro Statuto Italiano. Certo, se, mai, un tale prov-
vedimento parve scusabile, fu, appunto, allora, trattandosi di Ca-
mera, che poteva sembrar macchiata da velleità rivoluzionarie.
Il male non istette nello sciogliere h prima Camera, non ancora
costituita, bensì: prima, nell" alterare arbitrariamente la legge
elettorale; e, poi, nel non governar costituzionalmente con la
seconda, che, malgrado la legge elettorale mutata, risultò, quasi,
identica alla prima, ed era la più mite Camera del mondo. Basti
dire, che l'estrema Sinistra era rappresentata da Silvio Spaventa.
Disse benissimo Guglielmo Ewart Gladstone: — € La condotta .
« del Parlamento Napolitano, nel tutto insieme, prova aperto, che,
4c sia esso o non sia stato savio in ogni passo, fu, però, lealmen-
« te intenzionato verso la monarchia. Ove, poi, si chiederà in
« futuro, se si avanzò abbastanza ed assunse un'attitudine suffi-
« cientemente ferma nel difendere le franchigie, solennemente
« stabilite, i posteri potranno, forse, risponder meno favorevol-
« mente. Ma, certo, non possono i reazionari rimproverarlo di
€ questa mancanza di ardir virile ». —
(123) Non sapremmo dire quale fosse questo racconto molto
veridico.
(124) La fregata a vapore Ruggiero, costruita in Inghilterra, del-
la forza di 320 cavalli, era comandata dal capitano di vascello,
Giovan Battista Lettieri. Il Comandante in secondo era il te-
nente di vascello, Alfonso Barone. Guglielmo Acton era tra gii
Ufficiali dello Stato Maggiore.
(125) Questo figliuolo del contrammiraglio si chiamava Leo-
poldo de Cosa. Il quale, poi, comandò un bastimento della Re-
gia Marina Italiana, nella giornata di Lissa; e, per la sua con-
dotta, in quella giornata, venne imputato di codardia, per a-
ver tenuta la nave ad una distanza tale, da rendere inefficaci
— 397 —
i tiri delle artiglierie , ed essersi, perfino , opposto alla facile
operazione dello investimento di una piccola cannoniera in le-
gno. Il Pubblico Ministero, capitano Cappuccio, ritirò Taccu-
sa; ed incuorò i giudici, ad assolvere V imputato. Dopo un di-
scorso del capitano di fregata, Ferdinando Acton, Deputato al ^
Parlamento, il quale ( in unione col capitano di vascello, Bal-
disserotto) sosteneva li difesa, il Consiglio di Gui^rra Maritti-
mo, votò, subito, la st itenza, che fu di piena assolutoria. La
pubblicazione della quale, per altro, venne eseguita, solo, nel
giorno successivo, perchè il Consiglio stimò debito suo di ot-
tenerne, ^p rima, r approvazione dal Ministero. (Vedi: Processo \
del capitano di vascello \ Barone Cav. Leopoldo de Cosa \ Co'
mandante la Terribile a Lissa | davanti \ il Consiglio di Guer-
ra Marittimo \ in Venezia \\ Udienza del 22 Luglio 1867 \\ Ve-
nezia i867 I dal preì/i. stubiL tip. di P. Naratvvich \ S. Apol-
linare n. i296). Malgrado questa assolutoria, Leopoldo de Co-
sa fu, però, costretto a lasciare^il servizio.
(12G) Guglielmo Acton è, presentemente. Ufficiale Generale
della Regia Marina e Comandante il dipartimento marittimo di
■ Napoli. Bizzarro spirito, che, s'è, quasi, più occupato di lingue,
di arti e di altro, che del suo stesso mestiere. Vedi, nella Stren-
na Album delV Associazione della stampa periodica in Italia (an-
no li, 1882) la Macchietta Navale, intitolato VAìnmiraglio Artista.
In cui, lo sì piaggia, smaccatamente. Ha fama d'essere il migliore
del suo cognome, il quale, certamente, non può sonar bene agli
orecchi de* Napoletani e degritalidui, quando sì pensa a quel, che
sono stati, ed a quel, elio han fatto, gli Acton ministri, sotto i
Borboni assoluti e sotto i Savoja costituzionali.
(127j Carlo di Francesco Flores e della Vita Montalbano, sici-
liani, nacque, in Napoli, il 2 maggio 1821. Nel 1848, era tenente
di vascello e segretario del Contrammiraglio De Cosa. Nel 1860,
si dimise, per un puntiglio d'onore; e non appartiene più alla Re-
gia Marina Italiana, ned ha liquidato pensione. Ora, ò Direttore,
in Napoli, del Convitto Caracciolo, col quale, ogni anno, imprende,
felicemente, un viaggio marittimo, sopra il Daino, legno ceduto dal
Governo, e che era stato dichiarato inservibile dai nostri Inge-
gneri Navali. E si che la cessione del Daino^ inservibile, al Mu-
nicipio di Napoli avvenne sin dal 1869, essendo ministro della
Marina il Ribotti, per intercessione deiregregio Antonio Cicoo-
ne, ch*era, allorai miDÌstro di Agricoltura e Commercio. Il Flores
— 398 —
Ila un fratello maggiore Giuseppe, nato a Palermo, che, uffi-
ziale di marina anch* egli, nel 1848, non era imbarcato; e che,
nel 18fì0, fu destituito arbitrariamente, con la formola in omaff'
gio alla pubblica opinione^ per non avere arreso il suo legno, in
Palermo, al Garibaldi: ha però potuto, poi, liquidar la pensione.
Un altro fratello, Ferdinando, nato, il 7 decembre 1824, in Napoli,
ò professor ordinario di Letteratura Greca, nella R. Università
di Napoli.
(128) Queste accoglienze sono descritte, più parti colareggia-
mente, dai Poerio, nella lettera del 18 maggio. Neil* opuscolo
intitolato : Fatti | di Venezia \ degli anni 1848-49 \ descritti
con imparzialità e dettagliatamente \ con ordine cronologico \\
Yenezia, co* tipi di Gio. Acchini \ 1850; e firmato N. Forami-
ti, r ingresso della flotta napolitaua, nel poKo di Venezia, è ri-
portato in data del 14 maggio: ma, dev'essere un errore, coma
si vede, chiaro, da questa lettera del Poerio.
(129) L'indole festajuola degl'Italiani, pur troppo, non si smen-
tiva! Mi dispiace di dover notare una porcheria: il Governo Prov-
Tisorio pagò, all' Albergo Danieli, ben tremila lire, per dare un
jfn^anzo alV Ufficialità della flotta napoletana. Denari bene spe-
si , invero , in champagne e sorbetti , in mezzo a tanti e cosi
gravi ed urgenti bisogni della patria. Se il Manin ed 1 suoi
coUegbi avessero pagato del loro, applaudirei! Ma col denaro
pubblico !
(130) Di Daniele Manin ci siamo occupati, a lungo, in un ar-
tìcolo, pubblicato, anni sono, nel Giornale Napoletano di Filoso»
^a e Lettere (1876), a proposito di un insulso libro e sgramma-
ticato dello ebreo Alberto Errerà. Crediamo di essere stati
primi e, sin qui, soli a parlarne senza illusioni e senza ira.
(131) Ingiustissimo questo rimprovero a Carlo Alberto; il
quale fece quanto poteva con le forze, di cui disponeva, impa-
ri all'ardua impresa. Nò 'la reverenza e lo affetto verso Ales-
sandro Poerio c'impediscono dallo scorgere l'errore suo. Se egli
avesse sopravvissuto allo assedio di Venezia, sarebbe diventato,
senza dubbio, un fautore di Casa di Savoja, come tutti quelli,
• che, davvero, amavano V unità ed il bene della patria.
(132) Il Ferrari si lagnava del Durando: il Durando si la-
gnava del Ferrari; il vero si è, che 1' uno e 1' altro eran me-
diocri Generali e che i loro soldati, in massa, salvo la pace
de' pochi buoni, non valevano gran che. Il Durando trovò in
— 399 —
Bologna, chi ne prese le difese, con uno scritto, intitolato: Al'
meno due parole di verità. Egli stesso pubblicò, in Roma, una
apologia: Schiarimenti stilla condotta del Generale Durando ^
comandante la tru^^e pontificie nel Veneto, scritta da lui me-
desimo e dedicata a* prodi di Vicenza (Roma, 1 agosto 1848,
volumetto in 8.^ di GO pagg.). Massimo Tapparelli {vulgo il d'A-
zeglio), Ajutante del Durando, scriveva alla moglie Luisa Blon-
del, da Vicenza, il 22 maggio: — « Mi scrivono, che a Milano pen-
« sano, che non operiamo con vigore. Con Tarmata [sic!], che
« Abbiamo, non sì può far nulla. Si riduce a 3500 Svizzeri. Il
< resto è peggio che niente, perchè imbroglia e mangia. Quando
< ci rivedremo, te ne avrò da dire. Intanto, pensa tu e pensate
< tutti, che, per giudicare, bisogna conoscer tutto; e, perciò, so-
« spendete il giudizio. E credetemi, che Durando non poteva fare
<L più di quel, che ha fatto; e, ritardando il nemico e coprendo il
« Veneto, dov' è Treviso, Padova e Vicenza, ha fatto assai. » —
E'I, il 25: — « La divisione Ferrari, mal condotta, si battè bene, a
« Cornuda; poi, per indisciplina, si ripiegò a Treviso. Durando,
< onde [sic!] appo^^giar la Civica, avea ceduto al Ferrari la metà
<« della Bua liuea: Ferrari si trovava aver, circa, 9000 uomini;
« e Durando non arrivava, in tutto, a 4000. Sciolta la Divisione
< Ferrari, ci slam trovati a dover manovrare, con questa forza,
4 in campagna aperta, a fronte di quindicimila uomini e trenta
« pezzi. Per piii giorni, ho creduto, che, o s'era tagliati a pezzi,
4 0 presi; Durando ha saputo salvare il suo piccol corpo, ripie-
« garsi dietro la Brenta e riannodarsi alla divisione Ferrari,
<( che parte se n* era andata, parte chiusa in Treviso, e parte
« si uni con noi, cioè, circa, 4 battaglioni. Con questa forza,
« siamo, in Vicenza, attaccati da circa 16000 uomini.... I Ve-
« neziani hanno detto, che Durando tradiva in favore di Carlo
« Alberto e mille infamie simili. Per tradire, avrebbe preso
4 un bel mezzo ! Lasciar passare 15000 uomini di soccorso a
« Radetzky! Cedjre la maggior parte delle forze a Ferrari, co-
« nosciuto per repubblicano esaltato ! E restar con meno di 4000
4 uomini ! L' imbecillità di questi governanti popolari è tale da
< far venir voglia della Monarchia. > — E, il 2 giugno, aggiun-
geva: — « Sappiate, ora, quello, che non vi ho detto mai: che
« la linea pontificia è peggio dei Napoletani! Che, a Treviso,
« alla prima cannonata, i cavalli, ch'erano di avanguardia, ti
< soD rovesciati, addietro, sulla fanteria, e tutti sono scappati
— 400 —
« come ladri! Che T ambulanza ha raccolti 60 uomini e non
< Te n* era che sei feriti! Che due sono impazziti, yarì morti
<L del tetano, per paura! Che più di dieci ufficiali, di grana"
€ tieri^ hanno abbandonati i loro posti in faccia al nemico! Che
« un ufficiale, dei dragoni, arrivato a Padova, non fu mai pos-
« sibile farlo venire avanti, ed è ora sotto consiglio di Guerra,
« imputato di.... paura! Che, il giorno della sortita, un pelottone
« di dragoni, posto trecento passi dietro a noi, fu abbandonato
« dall'ufficiale, che lo comandava, il quale andò a prendere posi-
« zione altri trecento passi indietro! Che il Colonnello m'ha detto
« che tre di questi ufficiali, non sa più come maneggiarli, tanta
« è la loro paura! Che i corpi franchi, ecc. abbandonano le
4 posizioni, senz'ordine! e non si è mai sicuri dei posti coperti
« da loro ! Che un colonnello di loro, la sera, in cui si teneva
« per certo di essere attaccati, scrisse, che era troppo esposto
« (ed era falsissimo), e che dava la sua dimissione. E si era in
« faccia al nemico!.... Dunque il General Durando, tutto bene
« spremuto, aveva: tremila e cinquecento svizzeri, duecento ca-
« rabinieri a piedi e un centinajo a cavallo, e otto pezzi. E, con
« questi, ha dovuto operare. » — Prospero Merimèe, in una let-
tera del 5 agosto 1848, ad una incognita, scriveva: — « Un de
« mes amis, qui revient d' Italie, a été pillé par des volontaires
« romainp, qui trouvent les voyageurs de meilleure composì-
« tion, que les Croates. Il prétend qu' il est impossible de
« faire battro les Italiens, excepté les Piémontais, qui ne peu-
« vent étre partout. » — Giudizio, certo, falso, perchè esagerato:
ma, pur troppo, gl'Italiani non fecero tutto il dover loro, e solo
pochi il fecero. (Vedi, anche, pag. 218 del presente volume).
(133) Carlo-Luciano-Giulio-Lorenzo Bonaparte, Principe di
Canino , figliuolo di Luciano Bonaparte , fratello maggiore di
Napoleone I, principe di Canino e Musignano , e della Ales-
sandrina Laurenza di Blcschamp, vedova del banchiere Jouber-
thon , nacque, a Parigi, il 24 maggio 1803. Viaggiò, per isco-
pi scientifici, in America, dopo studiato in Università Italia-
ne. Divenne celebre per le sue opere zoologiche; e prese gran
parte a' Congressi degli Scienziati. Nel 47, avendo fatto allusioni
politiche, in un discorso, tenuto in quello di Venezia, fu espulso
dalla polizia Austriaca. Nel 48, fu, dapprima, zelante di Pio IX;
poi, disse a Carlo Alberto: Sire^ plus de d' Autrichiens, plus de
prétreSj plus de BonrhonSy et r Italie est à vos 2^^^ds; quindi, di-
— 401 —
venne uno de' capi del partito repubblicano e fu, più volte, Pre-
sidente della Costituente Romana. Entrati i Francesi in Roma,
fuggi in Francia. Ma il cugino (allora, Presidente della Repubbli-
ca) ne lo fece espellere; e, solo, l'anno dipoi, ottenne il permesso
di stabilirsi in Parigi. Schiaffeggiato, da un figliuolo di Pellegrino
Rossi, che il riteneva complice dell' assassinio del padre, scam-
biarono due palle di pistola, innocue.
(134) Luigi Masi , mediocre verseggiatore e segretario del
Principe di Canino, divenne Tenente-Colonnello dei volontari
romani. E stato, poi, Generale, nel Regno d' Italia. Morì, Mag-
gior Generale, in Palermo. Gli avanzi del Reggimento Caccia-
tori del Tevere, da lui comandato, hanno formata, in Roma, una
Società di Mutuo Soccorso.
(135) Ho voluto inserir, qui, questa lettera, che ho trovata
tra le carte di mio Zio, pur sopprimendo il nome della scrivente
e del destinatario, perchè, mirabilmente, ritrae, nella sua rozza
eloquenza, i sentimenti di una donnicciuola, che non vede di là
dei suoi cari, sbigottita per gli avvenimenti del 15 maggio.
(136) Il governo provvisorio della prima delle due repubbli*
che Veneziane del 1848 era, così, composto: Daniele Manin,
Presidenza ed Esteri); Niccolò Tommaseo (Culto ed istruzio-
ne) ; Antonio Paolucci (Marina); Jacopo Castelli (Oiustizia);
Francesco Solerà (Guerra); Pietro Paléocapa (Interno e Co-
■truzioni ); Francesco Camerata (Finanze); Leone Pincherle
(Commercio); ed Angelo Toffoli, sarto (Arti e Manifatture), Que
st'ultimo fu ammesso nel governo, per iscimmiottare quel, che
s'era fatto in Francia, nominando uno Albert, operajo, mem-
bro del governo provvisorio, sorto dalle barricate di febbrajo.
Non sapevamo essere originali, neppure nelle scioccherie !
(137) Non mi è riuscito, per quanto ne chiedessi con insi-
stenza, ad avere notizie precise, come le avrei desiderate, in-
torno a questi tre Paolucci. Chi mi afferma, che Antonio, il Mi-
nistro, fosse de' Paolucci della Róncole, figliuolo del Generale
e nipote dello Ammiraglio (morti, prima del 1848). Chi mi nega
ogni consanguineità, parentela od altro rapporto familiare, fral
Ministro e gli altri due Paolucci, uno Ammiraglio e l'altro Ge-
nerale sotto r Austria. Ricevo, altronde, la seguente comunica*
zione: — eli Paolucci, al momento della rivoluzione del 22 marzo,
4c era maggiore , comandante V artiglieria di marina. Fu mini-
26
*-j
— 402 —
« stro della marina, prima di Leone Graziani; e, quindi, Colon-
« nello e Generale d'Artiglieria marina, sotto il Governo ProT-
< visorio. Uomo onesto e valoroso; mediocremente istruito; ca-
« rattere bonario , ma elevato ; disprezzatore di popolarità. Ci
« fu un periodo, nel quale, la furia veneziana , il proclamava,
« quasi, traditore, perchè, comandante a Malghera, aveva proi-
« bito di sprecare munizioni, tirando sul nemico lontano e, quasi,
«fuori di tiro. Se ne rìse: ma passò qualche pericolo. Entrò,
a nel 1855, al servìzio Sardo, capitano di porto alla Spezia. Morì,
a contrammiraglio della Regìa Marina Italiana (pensionato uel
« 18G6), in una villa, presso Firenze. Un giorno, si lagnava, con
« la Rosa Fambri de Toth , della quale era uno degli amici
« proprio più cari , di certi suoi acciacchi. Uno de' presenti
« suggeriva, al solito, de* rimedi. Tutto mutile, diceva il Ge-
« nerale, alludendo alla sua vecchiaja, ^/j^, che ho troppe qua-
cresime sulle spalle. Ed ella, pronta, a soggiungere: Basta ^
€ che no* sia sta\ invece, i carnovali, a rovinarlo. Il Paolucci fu
« suocero del notissimo ufficiale di marina , Racchia ». —
(138) Jacopo Castelli nacque, in Verona, nel 1781. Si dedicò
al foro, in Venezia; sposò la Matilde dall'Acqua. Il 22 marzo
1848, cedette alla ressa, che gli facevano il Manin ed il Tom-
maseo (allora, suoi amici) , di prender parte al Governo. Fin
dal principio della rivoluzione, aveva capito, che Tunica spe-
ranza di salvezza era nella dedizione a Carlo Alberto. E fece
consentire in ciò V Assemblea, il 5 luglio; ed assunse la Pre-
sidenza del nuovo Governo. E quando, con legge del 27 lu-
glio, fu accettata Tunione immediata di Venezia al Piemonte,
egli, co* Piemontesi Vittorio Colli e Luigi Cibrario , fu rap-
presentante del Governo Regio. Ma, sopraffatto Carlo Alberto,
ril agosto, una folla di popolaccio invase il palazzo Nazio-
nale; e, gridando caduto il governo, offese e malmenò i rap-
presentanti di Carlo Alberto. Il Manin s*impossessò del potere.
Poco dopo, il Castelli abbandonava Venezia ed emigrò in Pie-
monte. Carlo Alberto il volle Consigliere di Stato ; e, per con-
fortarlo, soleva dirgli: Castelli, noi avremo giorni felici. Ma, i
giorni felici non vennero, nò pel Castelli, né pel Re. Nel marzo
1849, il Castelli moriva di mal di cuore; poco dopo, il Re, scon-
fitto a Novara, abdicava e partiva per Oporto.
(189) Leone Pincherle, nato, in Venezia, nel 1810, mori, a Pa-
— 403 —
rigi,nel 1882, Segretario delle Assicurazioni Generali.— « Fu ric-
« co uomo di affari, ebreo; amico del Manin; liberale costante,
« come il de Antoni, e prodigo del suo per la causa. Ingegno
« mediocre; operosità e fede assai meglio che mediocri ». — Cosi,
una comunicazione confidenziale. Su lui, scrisse il Pesaro-Mau-
rogonato, suo correligionario ed amico infimo. Questi tre mi-
nistri recavano, al de Cosa, l'ufficio seguente del Governo Prov-
visorio, che il de Cosa donò, poi, alPufficiale Carlo Flores (vedi
la 127* di queste notule) e che la gentilezza del Flores ci ha
comunicato:
Eccellenza,
Mentre questo Governo va a scrivere, a S. M. il Re vostro,
ringraziandolo del soccorso assentitoci, e giunto così a pro-
posito, per liberare, con la sola sua presenza, la nostra città
dalla presenza della squadra nemica, non può a meno di non
esternare, alla E. V., la sua riconoscenza, per 1' ardore vera-
mente fraterno, col quale voleste prender a cuore le nostre
circostanze ed adoperarvi, efficacemente , acciò fossero rimossi
gli ostacoli ed affrettata la vostra venuta a questa parte.
Nò Venezia sola e questo Governo ve ne saranno ricono-
scenti; ma, sì, tutti coloro, che sono devoti alla causa nazio-
nale e, nella liberazione della città, ma, più ancora, nella in-
fluenza morale, che opera la vostra armata in queste acque,
▼edono un sicuro presagio di buon successo e di indipendente e
dignitosa risoluzione delle cose Italiane.
La piccola divisione de' nostri legni da guerra sarà , tosto,
riunita alla vostra forza; ed opererà, congiuntamente, con essa.
Non ò vano lo sperare, che anderà ad aumentarsi, ben presto, col
ricupero di alcuni di que* navigli, che la nostra arte ed il nostro
oro costruivano, ed, ora, sono rivolti contro di noi.
Cos), del carbon fossile, che fosse occorrente ai vostri vapori,
avrete, tosto, quella maggior quantità, che possiamo offerirvi e
valga a sopperire ai vostri bisogni. Larghe ordinazioni di quel
materiale furono fatte; e saranno, quanto prima, in nostra mano.
Tutte, finalmente, le informazioni, che potessero occorrervi,
sopra qualsivoglia soggetto, ti saranno, da noi, somministrate,
per quanto sia nella possibilità nostra, con la maggiore solleci-
tudine ed interezza.
— 404 —
Aggradite, pertanto, le assicurazioni, che amiamo ripetervi,
di particolare gratitudine e considerazione.
Venezia, 17 maggio. 1848.
Bai Goterno Provvisorio della Kepubblica Veneta
21 Presidente
Manin
PlNCHERLE
// SvgretaHo
A, Zanetti
A Sua Eccellenza
Il Signor Retro Ammiraglio^ Comandante Superiore
delle Reali forze Marittime Napoletane
Barone De Cosa
(140) Nel libercolo del Foramiti, citato nella 128* di queste no-
te, è detto, sotto il 12 Aprile: — « S. M. Carlo Alberto, volendo
« stabilire relazioni più intime, con la Repubblica Veneta, spedì,
€ quale Incaricato provvisorio, in Venezia, il Signor Lazzaro Re-
« bizzo. » — Da Genova, mi si scrive esser egli, tuttor, vivente.—
« E che, nel 1848, fu mandato, dal Marchese Pareto (allora Mi-
€ nistro degli Esteri, in Piemonte) legato, in Venezia, a Daniele
« Manin, per ispingerlo ad unirsi al Piemonte. Dicesi, che avesse
€ una fortuna di lire 25000 di rendita annua, sciupata, non si sa
« come, ma poco alla volta; per cui, si ridusse a vivere con Raf-
« faele Rubattino. Attualmente, non saprei dirvi come e di che
K viva. È uomo su' settantacìnque anni circa». — Fu marito della
celebre anzi famosa Bianca Rebizzo, fatta cantare, da Raffaele
Rubattino, sul colascione dell' Aleardi.
(141) Preziosa confessione involontaria, che 1 volontari nulla
valgono contro truppe regolari e fanno più mal che bene.
(142) Ho 8 Ito gli occhi un opuscolo, intitolato Livio Zamhec-
cari I per \ Errico Spartaco 1 1 T(yrino \ Tipografia G. Marzoy^a-
ti 11 iS59, di 70 pagg., in 4.® piccolo, più una tavola, che reca un
riratto litografico, sotto cui si legge;
Livio Zambeccari
Colonnello e Rappresentante del Popolo
della Repubblica Romana.
— 405 —
L'opuscolo (certamente, dettato^ se non iscritto, dal Zambéc-
cari,) è credibile, almeno, pel giorno della sua nascita, che a-
vrebbe avuto luogo, in Bologna, il 30 giugno 1802. — « In quel
€ giorno »— dice Topuscolista— « corre la festa del Piincipe de-
« gli Apostoli; e il cannone tuona, in tutte lejcittà pontificie, in
€ segno di festa. Laonde, chi ricordò, poi, quando il nostro Livio
« fu cresciuto ad opere guerresche , il giorno del suo nascere,
« ebbe ad osservare la curiosa combinazione, cioè, che egli, il
« quale delle cose militari doveva, grandemente, compiacersi,
« aprisse gli occhi alla luce, fra il rimbombo delle artiglierie». —
Buhm! buhm! — A credere questo Spartaco, Livio avrebbe mac-
chinato gran cose, ancor giovanetto, in modo da esser costretto
a fuggire, nel 1823; sarebbe stato, in quell'anno, ufficiale di ordi-
nanza del Generale Riego, in Ispagna; avrebbe, nel 1826, recitato
il Bruto Primo dell'Alfieri, a Buenos-Ayres, con incasso di quin-
dicimila lire, a benefizio de' feriti in un combattimento navale; ed
avrebbe, colà, rifiutato di essere Capitano, per arrolarsi soldato.
A lui, si dovrebbe tutta l'insurrezione del Rio Grande e la procla-
mazione della repubblica. Prigioniero de' Brasiliani, per anni, sa-
rebbe stato liberato ,a patto, che non prendesse più parte attiva,
negli avvenimenti, durante la guerra, e si ritirasse in Europa. Ed
in Europa, che non avrebbe fatlo! Egli avrebbe tenuta l' Italia"
sempre, agitata, fino al 48; e nel 48, poi!.. Fatto sta, che, in quel-
l'anno, fu Capo di un Corpo di volontari; e fece la campagna del
Veneto, sino a Traviso. Nel 49, difese Ancona, come Comandante
della città e fortezza, in nome della Repubblica Romana. Né volle
firmarne la resa al Maresciallo Wimpffen. Emigrò, poscia, a Corfù,
donde si fece espellere; a Patrasso, dove si fece mettere in gat-
tabuia; poi, ad Atene ed a Torino. Mori, nel 18G1. Tolgo, da una
comunicazione confidenziale d'un gentil Bolognese, quanto segue:
^€ Livio pigliava fuoco, al menomo attrito, come un zolfanello
« chimico: non si trovava bene, se non congiurando o in mezzo a
« una rivoluzione. Si esaltava, facilmente, anche, quando non era
« più giovine; e, allora, scomponeva la sua parrucca. Il disordi-
< ne di Hssa annunziava quello del suo animo. Era, però, buono
« e cordiale amico. Fattomi invito di entrare nella Massoneria ,
< non s'irritò del mio rifiuto; e continuò a volermi bene. Nel 47,
« disgustato del non aver avuto il grado militare , che credeva
« competergli, né volendone altri, per fare opposizione, fu am«
« mansato, da mia moglie, e indotto ad accettare il grado di Mag.
— 406 —
« ^ore. Credeva di essere un gran capitaop, e non era se noir
« uno sfuriato capobande. Da fiero repubblicano, dopo il 60 e,
« già, vecchio, essendogli stato riconosciuto il grado di Colon-
€ nello dal governo Italiano, s'infatuò pel Re Vittorio Emanuele^
€ che chiamava, puramente, Vittoi'io, come un amico ». —
(143) Veggasi l'opuscolo dell'Avvocato Filippo Martinelli,
intitolato: 21 Generale Gnidotti; Cenni biografici (Bologna, Tip.
Sassi, 1848). Il Marchese Alessandro Guidetti nacque, a Bo-
logna, da famiglia senatoria , nel 1790. Paggio di Napoleone,
nel 1806; sergente ne' Veliti, nel 1807; in Ispagna, nel 1808
è all'assalto di Girona e promosso ufficiale. Nel 1812, in Bussia,
è ferito ed ha la Corona ferrea. Rimasto ammalato all'ospe-
dale di Marienwerder, nella ritirata, cade in mano de' Russi,
che lo internano ad Argaras, dove si fa b^n volere, insegnando
il francese. Rimpatriato, nel 14 , Gioacchino il nominò capo-
squadrone e suo ajutante di campo; e, vedutolo riuscire in una
spedizione malagevole, ordinò, al Roccaromana, di staccarsi, dal
petto, l'Ordine delle Due Sicilie, per fregiarne il Guidetti. Dopo
le restaurazioni, viaggiò all'estero; ed attese alle arti. Nel 31,
nominato uno de' quattro colonnelli della Guardia Nazionale
di Bologna, ebbe il comando della colonna mobile, che s'inoltrò
fino ad Otricoli. Ed emigrò, poscia. Rimpatriò nel 37, essen-
done moriente la madre. Dieci anni dopo , Pio^ IX gli die ad
organizzare e comandare la Civica di Bologna. Nel 48, nomi-
nato Generale di Brigata , marciò a Treviso. Tribolato da in-
vidiosi e malevoli, nel fatto di Cornuda, diede di piglio ad un
fucile e , prodigando la sua vita in una carica, data agli au-
striaci, fu colpito, da una palla, al cuore, il 12 maggio. Debbo
poi, la seguente^ comunicazione, ad un gentil Bolognese:—» Era
« uomo di alta statura, di maniere dignitose, tutto di un pezzo, ■
« nel fisico e nel morale; una infausta, violenta e lunghissima
<c passione, per una sua cattiva parente, gli fene condurre, ìn-
a felicemente, gran parte della vita. Diventò misantropo e convul-
« sionario. Per questa passione e per tristizia di malvagi , gli
« era diventata insopportabile la vita. Quando si congedò da
« me, baciandomi, il giorno della partenza per Treviso, lo fece
«in modo, che io, tornando a casa, dissi a mia moglie: Non
€ rivedremo pìii Guidoni; egli ha deciso di morire. La sirena,
€ che lo aveva ammaliato, portava, poi, addosso, una palla di
€ fucile, cui diceva esser quella, che aveva ucciso Guidetti >.—
— 407 —
(144) Il Conte Ferdinando Cresci Antiqui di Giuseppe, nacque,
in Ancona, il 31 Agosto 1810. Studiò in patria. Nel 1828, fu
ammesso al magistrato centrale di Sanità di Ancona. Nel marzo
del 1831, fu tenente di Guardia Nazionale. Nel 1835, nominato
Commissario di Sanità marittima, in quel porto. Il 7 settem-
bre 1847, fu fatto colonnello comandante la Civica Anconitana.
Ed, in tal qualità, V anno dipoi, fece parte del Comitato di di-
fesa doUa Città e littorale; e fu spedito a Venezia, per chiedervi
oggetti di difesa ed ottenne pezzi d' artiglieria in ferro. Nel-
l'aprile 1849, dichiarato lo stato di assedio della città dal Com-
missario di Governo Felice Orsini (ilqual potè sembrar buo*
no a paragone di peggiori) fu del Comitato di sicurezza pub-
blica. Durante T assedio, fatto, dagli austriaci, dal 25 maggio
al 25 giugno 1849, rese grandi servigi civili e militari (Vedi
anche V opuscolo^ citato nella centesimaquadragesimaseconda
di queste note). Il 18 giugno 1859, fu chiamato, dal Municipio,
a far parte della Giunta Provvisoria di Governo, per mancanza
di autorità governativa. Ma sette giorni dopo , il 24 , fu co-
st rotto a porsi in salvo, lasciando famiglia o\ impiego; e, per
tale incarico, il Tribunal superiore di Sacra Consulta, con sen-
tL-nza del 10 dicembre 1859, il condannava, insieme con altri,
alla morte di esemplarità ed alla perdita di ogni diritto sul
suo patrimonio. Il Regio Commissario straordinario per le Mar-
che, con decreto del 30 Settembre 18G0, il nominò Colonnello Co-
mandante Provvisorio della G» N. di Ancona ; ed il 3 ottobre
potè ricevere Re Vittorio Etnmanuele, con 500 militi in tunica
e berretto. La dimane, fu crocifisso : vo' dire, eh' ebbe la so-
lita croce de' santi Maurizio e Lazzaro. Riebbe V antico ufficio
di Commissario di Sanità Marittima. Comandò la Guardia Na-
zionale, fino al 6 Giugno 1868; fu Consiglier comunale (dal 1860
al 1869) e, nel 1868, della Giunta. Nello Aprile 1866, fu destinato
Commissario di Sanità, a Brindisi e, poi, a Palermo, come di
prima Classe; ed, in tal qualità, pensionato. Moriva, in patria, il
20 Gennaio 1879.
(145) Il Generale Paolucci, di cui, qui, si parla, d»} v'essere, sen-
za dubbio, il Ministro.
(146) Proprio, Venezia era in condizioni, allora, di regalare can-
noni: e, certo, non era il bisogno più urgente ad Ancona, che nel-
la città della laguna. L' idea , poi , del prestito è più comica che
altro. Per 1' esito della domanda, vedi la 144* di queste notule.
— 408 —
(l 17) Non so a quale libro ed a quai versi del Tommaseo, qui,
sì alluda. La lode è molto generica e, quindi, molto rimessa,
massime se si pensa che il Poerio era proprio fanatico del Tom-
maseo.
(148) Giuseppe del Balzo fu primogenito della numerosa prole
dei coniugi Vincenzo (da S. Martino, Valle Caudina) e della Lui-
sa Tagliatatela (napoletana). Vincenzo, il 1815, nello entrare
delle armi borboniche in Napoli, fu spento a Capodichino, men-
tre, capitano della Pubblica Sicurezza, forse, cercava contenere la
foga della plebaglia. I Borboni ne rimeritarono la famiglia , col-
locando i maschi nel Collegio del Salvatore e le femine nell'Edu-
catorio dei Miracoli. Succedette alla madre, che s* era rimaritata
con D. Onofrio Verna, di Cervinara, nella tutela de' fratelli mi-
norenni. Fu rovinato, da una lite, con l'Amministrazione del Tavo-
liere di Puglia; e gli espropriarono la roba. Nel 1848, s'imbar-
cò co' volontari, reclutati, a Napoli, da quella donnina a modo del-
la Cristina Trivulzio ne' Belgiojoso: il suo nome figura nel n. 118
del primo anno del Lume a GaSy nel notamente — <Ldet prodi e
« generosi nomini partiti volontari^ quesf oggi (Mercoledì, 29
« marzo 1848) sul vapor e^ il Virgilio^ per traì^e^ in Lombardia, a
€ difesa della causa Italiana t*. — Nel n. 145 dello stesso gior-
nale, tra le Varietà Costituzionali^ si legge: — « Ricaviamo, dai
€ giornali di questa mattina, che, in una carica alla bajonetta,
€ avvenuta nel Tirolo , si è, grandemente, distinto il nostro del
€ Balzo, che stava nell' avanguardia ». —Si seppe, che, dopo il
48, andò al Cairo, dove esercitò Tavvocheria: forse, prescelse l'O-
riente, perchè un suo fratello, Beltrano, ci aveva fatto fortuna,
esercitando, praticamente, Is medicina. L'unica figliuola di Giu-
seppe del Balzo , a nome Luisa, sposò un avvocato napolitano,
chiamato Carlo Mausonio. Dopo il 1860, il del Balzo tornò, dal
Cairo, come si disse, molto ricco; e mi affermano esser egli
morto, in Napoli, ove era nato.
(149) Nella Storia della Rivoluzione di Roma e della RestaU'^
razione del Governo Pontificio, dal i^ Giugno 1846 al 18 Lu^
glio 1849, del Comm. Giuseppe Spada^ trovo la seguente noti-
zia: — «La ressa, che facevasi, al Santo Padre, per indurlo a
< dichiarare la guerra all' Austria, non si limitò al Ministero ,
€ al Municipio, alla Civica ed ai Circoli, perchè ci si associa-
< rono i Commissari dei Governi di Sicilia, di Lombardia e di
€ Venezia, i quali ciò fecero, non a voce, ma, ancora, mediante
— 409 —
< un indirizzo , che porta la data del 2 maggio ( vedi V indi-
< rizzo, neir^jtjoca dell'otto maggio 1848). Ecco i loro nomi: —
a Per la Sicilia: Padre Gioacchino Ventura, Pari del Regno;
« Emerico dei Conti Amari, Vice-presidente della Camera dei
« Comuni; Barone Cr^sirairo Pisani, Segretario della Camera
« dei Comuni; Giuseppe la Farina, Membro della Camera dei
« Comuni. — Perla Lombardia: Tommasi Piazzoni; Alberto Quin-
« terio. — Per Venezia : Giovambattista Castellani; Delfin-Bol-
< dù ». — Ho fatto qualche indagine, per aver notizie, intorno
a questo Conte Dolfin-Boldù. Chi mi afferma, molti i Dolfin-
Boldù , ma questo , del quale, a me, preme saper , non esser
pili tra' vivi. Chi lo identifica con un conte Girolamo, ancor
vivo, in Padova. Non ho tempo di assodare il punto.
(150) La Giovanna di Filippo d' Urso, moglie di Carlo Troya,
sposata nel 1834, avendo egli, già, varcati i cinquant'anni. Ella
vive, ancora, vedova fida, in Napoli. Il Troya la istituì sua ere-
de universale, con testamento olografo del 2 ottobre 1851, de-
positato, il 6 Agosto 1858, presso il Notajo Certificatore Gae-
tano Tavassi, facendo, solo, quattro piccoli legati: delle Opere
del Bossuet, al fratello Ferdinando; della sua ripetizione di oro,
alla costui moglie Giacinta Botta; di sei posate di argento, al
cugino Francesco Saverio di Saverio Troya, suo Zio; e di tre
idem, alla costui moglie Amalia. E, finalmente, di parecchi libri
a Gaetano Trevisani, che fu, poi, suo biografo. (Vedi Nota 55.*)
(151) Il Troya scrisse 5 noveìnhre ed io 5 worem tre stam-
po; ma la data è erronea.
(152) Questa lettera, del Poerio al Troya, postillata da esso
Troya, fu donata, dalla vedova di lui, a Paolo Emilio Imbriani. Il
quale, richiesto dal Professore G. Morelli, Preside del Regio Li-
ceo Maurolico di Messina, con lettera del 21 Settembre 1875, di
alcuno scritto inedito del Poerio, perchè il Prof. Bustelli potesse
farne ino prò, nel comporre un discorso sul Poerio, da recitarsi
nella festa scolastica, gli fu liberale di essa. E la lettera si pub-
blicava, dal Bustelli, ommettendo, solo, alcune parole, che poteva-
no sembrare poco rispettose e sono, certamente , ingiuste verso
il Durando e Carlo Alberto.
(153) Il Cav. G. Campana era il Console delle Due Sicilie a
Venezia. Suo nipote di fratello è il vivente Senatore Bart. Cam-
pana, come mi viene assicurato.
(154) L* avvocato Giuseppe Boscaro, nel mano 1848 -
— 410 --
gli austriaci abbandonavano la città di Padova, venne, dal Pode-
stà, invitato, quale Consultore, ad assistere, co' propri lumi, quel
Consiglio Municipale. Ed egli consigliò, sempre, di stare uniti a
Venezia; vale a dire, che, per le sciocche velleità repubblicane,
allora, pur troppo, comuni a molti, era contrario al solo coasiglio
savio ed opportuno, id esty alla dedizione, piena, totale, incon-
dizionata, a Ilo Carlo Alberto. Il Boscaro soleva, anche , affer-
mare, che il Generale austriaco Coroiiini, Comandante la città di
Padova, venuto a conoscenza dclUsua amicizia con Daniele Manin,
avesse ,inutilmente, tentato la sua onestà ed il suo patriottismo,
perchè egli si facesse mediatore verso l'amico per afirettare la
capitolazione di Venezia. Fu un mediocre causidico di poca le-
vatura. Ch'io sappia, n(»n ebbe a sollrir persecuzioni dall'Austria.
Moriva, il 2 febbrajo 1868, di sessantasette anni.
(155) Il Conte Carlo Leoni nacque, in Padova, il 20 gennajo
1812 dal Conte Niccolò e dalla Antonietta Verri, La Antonietta
Verri era figliuola del celebre Pietro e della Vincenza Melzi-
D'Eril (sorella del Duca Melzi, tanto sollevato e beneficato da Na-
poleone); ed ebbe, per sorella, la madre del Palafox. Non partico-
lareggio parecchie altre illustri parentele, le quali, molto pro-
babilmente, accesero, nel Leoni, il desiderio di diventare illustre,
anch* egli, come le pitture del Pecilo, che non facevano dormire
Temistocle. Ma con «guanto impari effetti ! Si accese d'un amore
per le Muse, al quale esse ritrose e gentili mal corrisposero. For-
tunatamente per lui, avendo quattrini assai, potè stampare quan-
to gli piacque e ristampare; e non gli mancarono le lodi. Del
resto, ogni. volta, che si vede uno di questi ricchi quartati pen-
sare ad altro, che giuoco, cavalli e bagasce, va lodato ed in-
coraggiato. Più volte, dimostrò coraggio civile ed amor di pa-
tria, senza spinger, mai, però, il giuoco troppo in là; e senza
soffrire guai prrossi. Ma, avendo poca levatura di mente, fu,
sempre, repubblicano. Morì, dopo atroci sofferenze, il 14 lu-
glio 1874. Lasciò, per testamento, agli eredi, l'obbligo di pub-
blicare i suoi scritti editi ed inediti, indicando gli editori, fra*
quali primeggiava il Tommaseo , che gli premori. Gli altri
tutti ricusarono lo sgradito incarico, che, finalmente, gli eredi
addossarono a quello imbratta-carte di Giuseppe Guerzoni. Vedi
Epigrafi e Proso \ edite ed inedite | del Conte Carlo Leoni \
con prefazione e note \ di \ Giuseppe Guerzoni \\ Un volume Fi-
renze I Gr. Barbera, editore || Ì879. — Il Leoni si credeva sommo
— 411 —
maestro d* epigrafìa, sebbene epigrafista ampolloso, vuoto, pro-
lisso; basti, come saggio della sua valentia, l'epigrafe seguente
per Alessandro Poerio , che sta tutta neirindetermlnato e nel
falso. E, certamente, egli conobbe il Poerio, sebbene questi non
avesse potuto, allora, consegnargli la presente commendatizia
del Tommaseo:
Alessandro Poerio
virginale fiero
sferzò retori e ipocriti
precursore a riscossa
con penna e ferro
guerreggiò tiranni
alla patria tenacemente fido
intenti opre vita
Venezia 1848.
(156) Giovanni Cittadella, nato, a Padova, il 7 marzo 1806,
scrisse versi ed attese agli studi storici. Nel 1848, fu inviato, dal-
la Repubblica di Venezia, al Quartier Generale di Carlo Alberto,
per esporre lo stato delle cose e per sorvegliare V approvigiona-
mento dell' esercito al di qua del Mincio. Sinistrata la fortuna
delle armi Italiane, osservò tale un contegno, che S.M. Imperiale
Reale Apostolica, con decreto del 1851, si benignò di escluderlo
dair istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti, al quale apparte-
neva come Membro effettivo. Sorvegliato dalla polizia, non temè,
però, di far parte, dopo la pace di Viliafranca, del comitato segre-
to, istituitosi, allora, a Padova. È morto, di recente, Senatore del
Regno. Parecchie delle sue pubblicazioni storiche, specie la Sto-
ria della Dominazione Carrarese in Padova (voi. due in 8^, 1842),
sono molte stimate.
(157) Di questi versi a Venezia non posso indicare, con preci-
sione, la data: li ho messi, qui, sembrandomi ritrar della stes-
sa disposizion d'animo, in cui il Poerio era, nello scriver la let-
tera ni Troya. Ma, forse, sono alquanto posteriori, perchè mi
par diffìcile, che, in quella prima e tumultuosa stanza in Yeneziai
egli, che laboriosamente componeva, potesse aver tempo ed agio
di limare queste sei strofe.*
(158) Una o due notti, come abbiamo dettOi le #.?
le non erro, in casa il general FlorettaDo Pq^a^
— 412 —
to. Ma queste pa.'ole avevano per Iacopo di tranquillare il fra-
tello lontano.
^159) Non saprei indicare quale fosse questo altro mezzo.
(160) Cioè: le famiglie Parrilli (che abitava a' Banchi Nuovi,
presso S. Giovanni Maggiore) ed Imbriani (che tornava al vico
Belle Donne a Chiaja).
(161) Luigi de Tflchudv, console napoletano, a Livorno, oltre a
fare il console, negoziava. Ed ha lasciato ricchissimi i figliuoli.
Il che non accade, a chi fa, solo, il diplomatico, rimettendoci del
suo. Uno de' quali figliuoli, Marzio, sposò una Larderei.
(162) Il Comitato Provvisorio Dipartimentale del Polesine ,
costituitosi, a Rovigo, nel maggio 1848, era composto de* si-
gnori :
I. — Conte Domenico Angeli, Presidente.
II. — Giuseppe Maggi, Membro,
in. — Giuseppe Ancona, id.
IV. — Domenico Zona, id.
V. — Avv. Alessandro Cervesato, id.
VI. — Angelo Cavallaro, id.
VII. — Lorenzo Gobbetti, id.
Vili. — Francesco Greggia, segretario.
(163) Gli Austriaci occuparono, fin dal 1815, la cittadella di
Ferrara, in virtù del trattato di Vienna; e, per quarantaquat-
tro anni, cioè, fino al giugno 1859, vi han tenuto, sempre, guar-
nigione. Nel 1848, vi concentrarono le truppe, prima accaser-
mate in città, lasciando solo gli ammalati nell' ospedale, detto
delle Martiri. Moltissimi volontari e regolari passarono per Fer-
rara, recandosi oltre Po. Il Municipio anticipò le spese pe' vi-
veri e trasporti militati; ma (come, ci assicura persona, che
gentilmente s' incaricò di fare ricerche, intorno a questa protes-
ta ): — « da' suoi atti, non costa di alcuna protesta del comando
« austriaco, che, ove pure V abbia fatta, V avrà diretta al Go-
« verno. La Gazzetta Ferrarese^ giornale, che, ancora, dura,
« nacque il 1^ giugno 1848; ed è muta, ne' suoi numeri suc-
« cessivi, intorno a' fatti del maggio. Non trovai, neppure, alla
« Biblioteca Comunale, alcuna memori arelativa. Il signor Dot-
« tore Eugenio Righini, allora Gonfaloniere, vive ancora (1882);
€ e conta, quasi, ottant'anni. Egli, interrogato, disse non aver,
€ mai, saputo di protestazioni, fatte dall' esiguo presidio mili-
ti tare austriaco, nel maggio 1848, allorché i siciliani (dice lui)
— 413 —
« passarono il Po, col Generale Pepe, essendo il Generalo Sta-
« teila retrocesso^ con la maggior parte delle truppe, in obbe-
« dienza agli ordini del Re. Ben si rammenta il Rigliini d*es-
« sersi recato, con V Arcivescovo Cadolini, a perorai'e , presso
4( il Generale Austriaco, comandante la cittadella, affinchè de-
« sistesse dalP atteggiamento minaccioso, mentre, appunto per
« r arrivo de' Napolitani , le bocche de' cannoni della Gitta-
te della erano rivolte contro alla città. Questa, forse, la prote-
<c sta. Il signor Liverani, segretario di questa Prefettura, do-
< pò molte indagini, ha potuto rinvenire, negli archivi, il do-
« cu mento, che mi affretto a trasmettere, in copia conforme »—
i
R. Prefettura della Provincia di Ferrara
N. 4945
:?.? Maggio i818.
Al sig. Comandante la Divisione Napoletana
in ìuarcia per Ferrara.
Malalbergo
Sebbene io ritenga, che V. S. Ill.ma sappia, che la Truppa da
Lei comandata, debba deviar dalla strada postale, per non pas-
sare sotto il tiro del cannone di questa Fortezza, in potere de-
gli Austriaci, pure. Le dirigo questa mia, per farlene la preven-
zione; e, perchè conosca lo stradale da tenersi, incarico il si-
gnor Capitano Avvocato Caroli dello Stato Maggiore di que-
sta Guardia Civica, che n' è V esibitore, a darle ogni nozione
necessaria ed, anche, ad esserle di guida e di scorta.
(Omissis)
Il Cardinale Legato
Ciacchi
(1G4) E pi-oprio il caso di ricordare il proverbio:
Tempo di guerra— piii bugie che terra.
Ma, ecco un galantuomo, il quale, giustamente, imprecava,
al Re di Napoli , per gì* incendi , avvenuti in Napoli ; eccolo
esultare , per la falsa notizia dello incendio della Reggia, che
sarebbe stato, certo, un fatto assai più deplorevole, che non lo
— 414 —
abbruciamento del palazzo Girella o del palazzo Ricciardi. Lo-
gica delle parti !
(165) I giorni 13 e 14 maggio, gli austriaci attaccarono i
due campi toscani d' osservazione di Curtatone e Montanara.
Presor parte, in questo fatto di arme, anche, i volontari napo-
letani, tra i quali furon feriti il Rossaroll (vedi la 102.* di que-
ste note) ed i capitani Giuseppe Cecconi ed Enrico Poerio. (Vedi
la 34* di queste notule). Quest'ultimo, da una scheggia di mi-
traglia alla gamba.
(166) Il piccolo Michelangelo Parrilli, per distinguerlo dal
vecchio D. Michelangelo, suo prozìo. 11 vajuolo, nel dialetto
napoletano , chiamasi, per eufemismo, le bone. E bone nzateche,
(cioè vajuolo salvatico) vale quanto varicelle^ vainolo benigno.
(167) Intende del Generale Michelangelo Ruberti ( vedi la
42* di queste notule).
(168) Nulla possiamo aggiungere a quello, che del Musto ab-
biam detto, nella nota 107*.
(169) Come lavorava la fantasia ! Il rumoreggiare di Salerno
fini con una fetecchia ; e V insurrezione di Calabria con una
cacata. Dico, i! tutto insieme. Ci fu qualche galantuomo e qual-
che fatto non ignobile. Ma che poteva, insomma, essere un
moto, capitanato da un Ricciardi, da un Mauro? una insur-
rezione, i cui capi non si battono e non muojono?
(170) Piersilvestro Leopardi, dell' Amatrice, in Abruzzo, uomo
egregio , che era inviato di Napoli a Re Carlo Alberto. Per
quanto egli fece, allora, veggansi le Narrazioni storiche \ di |
Piersilvestro Leopardi \ con molti documenti inediti \ Relativi
alla guerra dell indipendenza d'Italia \ e alla reazione napoli-
tana \\ Torino \ 1856, 11 Leopardi è morto Senator del Regno
in Firenze; ed è sepolto a S. Miniato. Ne ho ripubblicati alcuni
be' versi , scritti in morte della Malibran , nel Giornale degli
eruditi e dei curiosi, n. 41. Avendo io, però, detto, che il Leo-
pardi avea tradotto in francese la Storia Universale del Cantù,
esso Cantù volle dichiarare, che questo era inesatto, e che il Leo-
pardi era stato, solo, incaricato, da lui, di assistere il traduttore
[Aroux) nei dubbi sulla intelligenza delV Italiano, Se non è zuppa,
è pan bagnato. Ma, il Cantù soggiunge : — « Vero è, che egli
« produsse i venti volumi di quella traduzione, come titolo, per
« essere nominato Senatore ». — Ma questa, con buona pace del
Cantù, è una sciocca insinuazione. Il Leopardi, come antico mi-
— 415 —
Distro plenipotenziario e deputato, tre volte eletto, come uomo,
che avea reso grandi servigi al paese, aveva migliori titoli as-
sai, per esser nominato Senatore; e non si comprende a che a-
vrebbe dovuto giovargli la presentazione della versione di una
indigesta compilazione, il cui originale non è stato, sinora, sti-
mato titolo, per far concedere, alFautore, un posto in Senato.
(171) Gli avvenimenti ed i disinganni avevan, già, pereuaso
ogni avveduto, che l'Italia dovesse stringersi, tutta, intorno alla
dinastia di Savoja. Le velleità repubblicane di Venezia nocque-
ro, pur troppo.
(172) Scrive il Massari: — « Le franchigie elettorali, concesse
€ dal Re, il 3 aprile, furono dichiarate (dal Bozzelli) sacver^
« swe ed anarchiche; e, quindi, annientate. Fu scarabocchiata
« una nuova legge elettorale, poco diverea da quella, già corn-
ee pilata dallo stesso Bozzelli. I Collegi elettorali furono con-
« vocati al di 15 giugno; e l'apertura del Parlamento fissata
« al giorno 1 del seguente luglio ». — Ferdinando II non osava
ancora, distruggere lo Statuto: o, perchè temesse, pur tuttavia,
delle forze rivoluzionarie; o, perchè non aveva, peranco, addor-
mentata la coscienza. Ma, ogni giorno, si andava più addome-
sticando con ridea dello spergiuro.
(173) Fra quest'inviati di Milano, erano: Cesare Correnti e
Federico Bellazzi. Non abbiamo potuto ritrovare tutti i nomi.
Abbiamo fatto fare e fatta richiesta, al Correnti, delie lettere,
a lui scrìtte, da Alessandro Poerio. Ma par, che sia opera di-
sperata il ritrovarle tra la farragine delle sue carte.
(174) Giuseppe Massari, figliuolo di un ingegnere, nacque, in
Taranto, V 11 agosto 1821. Aveva lasciato Napoli, prima del
1848; ed era divenuto amico intimo del Gioberti. Deputato al
Parlamento napoletano, fin d'allora, si affermò, primo e solo,
come Alhertista\ e, chiaramente, diceva: l'Italia non potere esser
salva, se non dalla unità, sotto lo scettro della dinastia Sa-
bauda. Prevedeva, che il Borbone non avrebbe rispettato, né lo
Statuto, nò le prerogative parlamentari; per modo che il De
Vincenzi ed il Leopardi ( co' quali coabitava al Chiatamone )
avevano, scherzosamente, coniato il verbo massareggiare^ nel
senso di temere di essere incarcerato. Emigrò in Piemonte, do-
ve vi^c povero, col lavoro della sua penna. Nominato Diret-
tore della Gazzetta Ufficiale^ nei primordi del Regno dltt^'
con lauto stipendio, rinunziò, per rendersi eleggibile: e air
— 416 —
di que' molti, cui la Deputazione fruttava. E morto, in Roma,
il 13 marzo 1884, quando questa nota era, già, in tipografia.
Ne hanno trasportata, solennemente, la salma in Bari, ond^era
oriundo. In Italia, quando un valentuomo crepa, i suoi fané-
rali , la «uà sepoltura debbono servir di pretesto , perchè mille
naneròttoli si traggano avanti e si presentino al pubblico e fao-
cian parlare i giornali e telegrafino, viaggino e mangino, a spe-
se de' bilanci dello stato e provinciali e comunali.
(175) Si tratta della ingenua lettera, diretta, da Pio IX, in
data del tre maggio (ma pubblicata solo il 27), allo Impera-
tore d'Austria, per esortarlo, in nome della pietà e della reli-
gione— € con paterno affetto, a far cessare le sue armi, da una
« guerra, che, senza potere riconquistare all'Impero, gli animi
« de' Lombardi e de' Veneti , trae con sé la funesta serie di
€ calamità, che sogliono accompagnarla e che sono da Lei, cer-
ee tamente , aborrite e detestate ». — Questa lettera compie il
pensiero, che aveva ispirato V allocuzione del 29 aprile. Onesta,
ma, ripetiamo, ingenua.
(176) Damiano Assunti, del quale vedi nella quinquagesima-
terza di queste note.
(177) Chi era questo amico? Nulla, che lo indichi.
(178) La condotta degli Svizzeri, i quali, pure, avevan giu-
rata fedeltà alla Costituzione, fu cosi scandalosa , che il Con-
siglio Federale credette di dover mandare, a Napoli, una Com-
missione d' inchiesta. La quale, sebbene cercasse di attenuare
U colpe di que' mercenari (e mercenari spergiuri), nondimeno
dovette concedere, nella sua relazione, che molti fatti orrendi
e disonoranti erano stati commessi: assassini ingiustificabili e
rapine.
(179) Così fu, pur troppo: chi più aveva urlato non si bat-
tette. E que' pochi, che si batterono, non sapevano, loro stessi
perchè il facessero. (Vedi la 119^ di queste note).
(180) I lazzari di S. Lucia altro non fecero, se non seguire
la truppa e piluccare nelle case, già vendemmiate , ciò ohe i
soldati lor concedevano. Rammento di aver visto, nelle ultime
ore del pomeriggio, passare, pel vico Belle Donne a Chiaja, al-
cuni lazzari, portando qualche caldaja di rame, di poco valore,
che dicevano di avere avuta donata dagli Svizzeri.
(181) Vana speranza I L'avere resistito alle scosse del 1848
è una delle pagine piìi gloriose per l'esercito austriaco. Piac-
— 417 —
eia a Dio, che, se verranno i giorni della pruova, Tesercito Ita-
liano mostri la decima parte di quella lealtà e compattezza.
Serviva, è vero, contro ogni aspirazione liberale e nazionale:
ma, prima di tutto, un esercito non deve farsi giudice delle
cause, per cui combatte; e, poi, è molto dubbio, che la disso-
luzione dell'Austria potesse, allora, o possa, anche oggi, contri-
buire alla felicità de' popoli, che formano quello stato, od al
bene dell'uman genere. Dove era iniqua, anticivile, impossibile,
la dominazione austriaca? In Italia! Checché ne paresse al Conte
Ferdinando dal Pozzo, il quale osò stampare un libro, intito-
lato: Della Felicità \ che gT Italiani possono e debbono \ dal |
Governo Austriaco \ procacciarsi \ col piano di un associazio-
ne per tutta Italia^ avente \ per og(jetto la di/fusione della pura
lingua I italiana^ e la contemporanea soppressione \ de* dialetti,
che si parlano nei vari | paesi de Ila 2^01 isola \\ Si fa, altresì cenno
in questo piano della inelegante e goffa \ maniera d*indirizjare
il discorso a qualcuno in terza \ persona , così scrivendo^ come
parlaìtdoy la qual \ maniera si dovrebbe, generaH:(zandosi \ il
VOI, abolirsi affatto \\ Del Conte Ferdinando dal Pozzo \ già lie-
ferendario nel Consiglio di Stalo di Napoleone e primo Presiden-
te I della Corte Imperiale di Genova \\ Il giusto, il ver, la libertà
sos2)iro\\ Parigi \ Presso Ab. Cherbuliez, librajo \ Rue de Seine
Saint' Germain, n. 57 \ i833. Il dal Pozzo, però, capiva di a-
verla detta un po' grossa, come può rilevarsi, anche, dalla se-
guente sua letterina, in data di Napoli.
AL BARONE GIUSEPPE POERIO.
Ecco, mio carissimo e stimatissimo baron Poerio, una copia
del mio libretto Della Felicità ecc., che voi amate di leggere; e
che io, pur, amo che leggiate. Ma che vi prego di restituirmi.
fra qualche giorno; nel qual caso, vi farò, anche, qualche al-
tra comunicazione. Potrò, se vi piace, mandarvene, tra qual-
che tempo, una copia, che potrete ritenere. — Ponderatelo, vi
prego. Voi vedrete, che, alla pag. 77 e, quindi, in tutto il capo
XXXVIII, che comincia alla pag. 155 ed è intitolato: Consi-
gli all'Austria (i quali consigli, come è chiaro, si risolvono in
cens^ira) non ho risparmiato il governo austriaco, in ciò, che
ha di riprensibile; e mi sono, anche, ben energicamente, espres-
so. Spero, che voi vedrete, in tutto il libro, un'intenzione bue-
27
— 418 —
na, un fine retto. In somma, se ho sbagliato, posso dire: che,
mai, nessun abbaglio fu più sincero.
Gradite gli atti della mia alta stima.
Dall'Albergo della Gran Brettagna,
Martedì, 17 Febbrajo, 1835.
Ferdinando dal Pozzo
I
(182) Il qui del periodo precedente indica i liberali di Na-
poli. 11 qui di questo periodo indica la Camarilla di Corte,
la conventicola austro- sanfedistica. Intorno alla quale, vedi, nel-
le Narrasioni Storiche dì P. S. Leopardi, passim e, specie, a'ca-
piXXII, XXX, LXXXVI. L'avvicinarsi della flotta oapolitana
aveva costretto gli austriaci a sbloccare Venezia. (Vedi docu-
mento, nella 139* di queste note). Il 22, essa fu raggiunta dalla
flotta sarda; e costrinse T austriaca a rinchiudersi nel porto di
Trieste.
(183) Dice il Settembrini: — « In Cosenza, il 18 maggio, fu
«creato un Governo provvisorio^ di cui fecero parte il Coloa-
« nello Spina, comandante le armi della provincia, e il Mag-
< giore Pianell , che comandava un battaglione di cacciatori :
« e disarmarono i gendarmi. In Catanzaro, il 19, fu stabilito
< un Comitato di ^sicurezza, preseduto dal Barone G. Marsico,
< Intendente della Provincia. E questo fecero, per difendere la
« Costituzione, che credevano manomessa ». — Nel curioso libro,
intitolato: Gioacchino Gaudio \ e \ gli ultimi] rivolgimenti \ in
Calabria Citra \ Note e profili storici e biografici | per \ G, Ro-
7neo Pavone \\ Cosenza \ Dalia Tipografia Migliaccio \ J 876, co-
si si narra de'fatti di Cosenza. — « Un gran numero di citta-
« dini si radunò, nelle sale dell'Intendenza. Ove, per provvede-
« re alla patria in pericolo, si costituì, subitamente, un Comi-
« tato di salute pubblica, sotto la presidenza del signor Tom-
« maso Cosentini. E, siccome piena fede s'avea nel costui pa-
« triotismo, a lui fu lasciata la cura di chiamarsi a colleghi
« quelle persone, che più avrebbe creduto adatte, onde- le co-
« se pubbliche andassero, con la maggiore speditezza. Ed egli
« scelse: il tenentecolonnello Spina; il maggiore Giuseppe Pia-
< nell; ed i Signori Stanislao Lupinacci, Raffaele Vabntini,
« Carmine Mazzei fu Luigi, Francesco De Simone, Domenico
c( Furgiuele, Francesco Federici, Federico Anastasio, Pasquale
— 419 —
€ Palmieri di Cosenza ,' Luigi Martucci , Giovanni Mosciaro.
< (Vedi pag". 255 e seqq.) » —
(184) Il Settembrini narra, come, dopo il 15 maggio, egli fug-
gisse, a Scafati: — « Intanto, correvano molte voci: che alcuni
« paesi vicini si erano levati in armi; che la città di Salerno,
« il Cilento e tutta la provincia avevano prese le armi; e le
€ genti venivano sopra Napoli; e le guidava Costabile Carduc-
« ci, che aveva fatta la rivoluzione in gennajo. E i ragazzi gri-
« davano, per le vie: Ma' vene Don Costabile; e le donne dice-
« vano: i/o' arriva Don Costabile! e povere noi! E, tutto il gior-
< no e gran parte della notte, io non udivo altro, che Don Co-
€ Stabile^ il gracidare dei ranocchi e il rumore dei telai, che,
€ in ogni casa, tessevano tele di cotone, delle quali c'è gran
€ fabbrica in Scafati ». — Il Carducci, Deputato di Principato
Ulteriore e Colonnello della Guardia Nazionale, nella sua pro-
vincia, dopo il 15 maggio, fuggi sulla flotta francese. Andò, poi,
a Roma, quindi a Malta, donde mosse per isbarcare sulle co-
ste del Regno, con pochi compagni. Dice il Settembrini, par-
lando dell'agosto 1848: — < In quei giorni, si vide passeggiare,
« innanzi la reggia, tra i militari, un prete grosso della per-
« sona e vecchio e brutto; ed io lo vidi in mezzo a due uflS-
« ziali della Guardia, che cianciavano con lui e ridevano. Quel
« prete, Vincenzo Peluso di Sapri, aveva ucciso, di sua mano,
€ il Deputato Costabile Carducci, che sbarcava ad Acquafredda,
< tra Sapri e Mara tea; e gli aveva reciso il capo; e, fattolo asciu-
€ gare, in un forno, lo aveva presentato, in un paniere, al Re. E
« non pure non fu punito deirassassinio, ma ebbe una pensione
« e carezze molte. E fu punito il procuratore generale Pasquale
€ Scura, che avea dato ordine di fargli un processo; e, se non
« fuggiva il povero Scura, lo avrebbero arrestato. La moglie del
« Carducci, che era sorella di Giuseppe del Re, non seppe, mai,
€ della morte del marito; ed era una pietà, a vederla e udirla,
< che aspettava lettere dell' America, dove le avevano detto, che
< si era fuggito il Carducci ». — Il visconte di Arlincourt, apo-
logista prezzolato di Ferdinando II, chiama il Carducci un
briffante; e tace la qualità di prete nel Peluso: — « Et quelle fut
« la fin de Carducci? Revenant des Calabres, après une nou-
< velie défaite, et munì, dit-on, de 80000 fr., qu'il avait pris
« de force aux receveurs de la contrée, il fut rencontró dans
« la montagne par un nommó Vincent Peloso. Il y eut de suita
— 420 —
« entre eux, et corps à corps, une lutte effroyable sur l'escar-
4 pement d'un rocher; leur bataille avait lieu sous les ombres»
€ Pelloso terrassa le bandit, et sa dague fut sans pitie. La téte
4 du fameux insurgó fut mise dans un pot de sei, et ironi-
« quement envoyóe a ses corréligionnaires de Naples». — Il Glad»
•ione, dopo avere (e con la semplice esposizione del fatto) mo-
strato quanto fosse orribile l'uccisione proditoria del Carducci
inerme^ la cui testa non era stata messa a prezzo, soggiunge:
— 4 La magistratura, non ancora corrotta, come adesso (1852)
4 dalla intimidazione, si scosse. Il Finto, giudice del circondario,
4 cominciò l'istruzione. Fu rimosso; e Gaetano Cammarota man-
4 dato, in sua vece, a trattar la pratica. Ma, procedendo egli
4 in essa scrupolosamente, fu, anch'egli, revocato. Un terzo giu-
4 dice, il de Clemente, gli era stato aggiunto, dal Procurator
4 Generale, per l'importanza della causa, che pur coraggiosa-
4 mente prosegui l'istruzione, sostenuto, onorevolmente e vi-
4 rilmente, da esso procurator generale Scura. 11 procurator ge-
4 nerale fu destituito; ed è, ora, in esilio. Il de Clemente, solo, in
4 apparenza, più fortunato, fu promosso a giudice regio in Po-
4 tenza, ma, dopo un mese, destituito ». — Due volte, la Camera,
air unanimità, invitò il Ministero a curare la giustizia. Ed il
Ministero lasciò il fatto non investigato e non punito.
(185) Questo fatto e tutti gli avvenimenti del 1848 mostrano
aperto, come il paese volesse ed ordine e libertà, né si trovas-
te, mica, in uno di que' duri frangenti, ne' quali bisogna sa—
grificare uno di questi beni, per salvare, ad ogni costo, l'altro:
Et propter vitam vivendi perdere caussas. Gli elementi rivolu-
zionari eran pochi e di poco valore. Bastava un po' di fermezza,
nel Governo. La dinastia e la Monarchia non erano, punto, in
pericolo. — Un mio vecchio amico di Lecce, mi racconta i fatti ^
come pili minutamente può ricordarseli, riducendoseli a mente,,
dopo tanti anni. Ducimi, che lo spazio non mi consenta di ripor-
tare, integralmente, la sua lettera, che compendio a mio modo.
Dunque, la nuova dello eccidio del 15 maggio giunse a Lecce,
non per via ufficiale, nò pe' giornali o per la posta, la quale
ritardò, da oltre quarantott'ore. La incertezza accrebbe lo spa-
vento della città. Un Nicola Schìavoni, giovane di Manduria, ar-
ringò il popolo, nel cortile del palazzo dell'Intendenza, ora Pre-
fettura; e, mostrando temer, che le stragi si diffondessero per le
Provincie, conchiuse, che: a salvar la Terra di Otrayito^ si aveva
— 421 —
d'uopo e di coraggio e di fermi propositi. La folla scempia, cui
non parve vero di far novità, gridò: al Governo provvisoriol Giu-
seppe Colonna di Stigliano, allora Intendente, chiamato ad in-
tervenire a quelle deliberazioni, rispose: dimetterebhesi , eoe si
volesse permanere in qt^lle idee; ed, infatti, ben presto, si riti-
rò nella capitale. Lo Schiavoni fu portato, in trionfo, sulla piaz-
za. Ed, innanzi al piedistallo della colonna di S. Oronzio, fu
proclamato il Governo Provvisorio e ne furono eletti i membri,
fra' quali, primo, beninteso, esso Schiavoni, che non so quali alte
prove avesse date del valor suo, perchè gli si ponesse in mano
la somma delle cose. Frattanto, manipoli di giovani distrugge-
vano i telegrafi; altri andavano in cerca di cannoni, ne' forti-
ni abbandonati, lungo le rive dell' Adriatico. Ne trascinarono
tre pezzi di artiglieria arruginiti a Lecce; ma la brigata, che,
a tal fine, s' eran recati ad Otranto, per poco non vi rimasero
uccisi. A Manduria ed a Bava, si disarmavano i gendarmi; che,
a Lecce, si asserragliarono nel quartiere, aspettando. Richiesto
il Ricevitor Generale a non ispedir piti denaro alla capitale, si
rifiutò. Il Tribunale domandò, sotto qual nome intestare le sue
decisioni: ma non gli fu dato risposta. Le velleità rivoluzionarie
si estesero, sino a Gallipoli e ad Oria. La maggioranza del Go-
verno Provvisorio, però, composta di buoni patrioti del 1821, ap-
pena riuniti, invece d'intitolarsi dal Governo Provvisorio, si dis-
sero di Pubblica Sicurezza. Sotto pretesto di allargare il movi-
mento, indussero lo Schiavoni a ritirarsi nel suo paese; e, quin-
di, se la intesero con le autorità principali, protestando loro, che,
se, malvolentieri, si erano messi nello imbroglio, l'avevan fatto
per afirenar le plebi. E, cosi, rimasero paralizzati i rivoluzionari;
ed il Comitato fu sciolto, dopo trenta o quaranta ore. Il mio
amico dichiara: menzogna l' asserzione del de Sivo, che il Co-
mitato togliesse danaro dalle pubbliche casse; e svisati i fatti,
in parte, nella decisione della corte speciale di Lecce, con cui,
poi, lo Schiavoni ed altri furono condannati a* ferri.
(186j Intendi Roberto Bavarese (vedi la 62* di queste note); e
non confonderlo col fratello Giacomo. (Vedi la 65* di queste note).
(187) Considerazioni giustissime e degne di chi le scriTeva.
Solo, invece di governo^ leggi Camarilla\, leggi Convenikola
austrosanfedista, leggi il Re, Giacché il governo legale, qxiaiido
avvennero i fatti del 15 maggio, era il Ministero Troja, oh*'
n*ebbe colpa, solo, per la sua incapacitèu
— 422 —
(188) Le parole in corsivo, ho dovuto supplirle io. Il Gene-
rale è Guglielmo Pepe (Vedi V 8* di queste note): suo fratello,
l'altro Generale, Florestano Pepe (Vedi la 39* di queste note).
(189) Detta la bella Cornelia, nata Rossi. Di questa donna,
molto galante, ecco come parla il Gozzadini, trattando delle rela-
zioni di lei, con sua moglie. Maria Teresa: — € Questa, come
4 molti sanno, era stata una celebrità di bellezza, di grazia,
< di spirito; ed, anche, ma non fortunata, romanziera. Ed erasi
a conservata avvenente, fin quasi ai sessant' anni , che, allora
< (1841), appunto, toccava. Così, quando Maria Teresa, a lungo
< andare, e col tenerle compagnia, mentr'era e non voleva es-
« ser cieca, ne aveva guadagnata la confidenza, mettevala sul
< discorso dei molti ed illustri suoi adoratori , piacendosi di
< sentirla parlare e raccontare aneddoti del Foscolo, del Monti,
< del Leopardi, del Giordani, del Byron, dello Chateaubriand,
< dello Scribe e di Canova. Del quale ricordava , non senza
< emozione, questo aneddoto, sfuggito, credo, a' biografi della
« bella Cornelia. Il grande artista aveva detto di volerla ri-
€ trarre; ed ella, che avrebbe posato. Non importa^ soggiunse
< Canova , quando si ha avuta la fortuna di contemplare i
< vostri lineamenti, non é piic possibile dimenticarli. Ma , un
< di, preso da gelosia, entrò nel suo studio, afferi^ il mazzuolo
« e fece in pezzi il busto della Martinetti , che aveva, quasi,
< finito: onde le belle forme di lei non passarono, più, alla tar-
< da posterità. » — Ne esistono parecchie biografie ; tutti gli
scrittori di viaggi, forestieri, del suo tempo ne parlano. Mi di-
cono, che in un libro, intitolato Studii e Ritratti di Ernesto
Masi, pubblicato, a Bologna, dal Zanichelli, nel 1881, ci sia un
lungo ritratto di lei (pag. 567 e ss). Il pronipote ed erede ,
conte Rossi, mi ha fatto assicurare, che, nella sua eredità, non
si ò trovata alcuna missiva del Poerio. Ella distrusse le lettere
tutte, che aveva ricevute, nella sua lunga età, tranne quelle
del Giordani.
(190) La Marchesa Elena Mariscotti, sorella del Duca Laute
di Montefeltro, viveva, ancora, vecchissima, a Bologna, nel 1882.
fi, di là, ci si scrisse: — « Non è donna, che s'occupasse, nò
< di letteratura, nò di politica; e non ci ha meraviglia, che non
< abbia conservate le poche lettere , che può averle scritte il
« Poerio. > —
(191) Dev^essere del 30 maggio, perchè il 23 maggio, anche
— 423 —
esso giorno di martedì, il Poerio era in viaggio, da Venezia a
Bologna, ed il 6 giugno n'era, già, ripartito, col Pepe. Difatti,
nel N.° 100 della Gazzetta di Bologna (Lunedi , 5 giugno
1848), in fine alla prima colonna della 1* pag., si legge:
— € Suir albeggiare di ieri, partiva, da Bologna, per Ferrara,
«e l'ultimo Battaglione dei Volontari napolitani, che qui aveva
€ tenuto, da alcuni giorni, sua stanza. Esso è composto di in-
« dividui pieni, in core, di vero Italiano sentire. Essi passeran-
« no, veramente, il Po. > —
— « Sua Ecc. il signor Generale Guglielmo Pepe , già no-
< minato a Comandante in Capo del Corpo di spedizione na-
€ politano, lasciò, ieri, Bologna, dirigendosi a Ferrara, dove, a
« titolo d'onore, fu accompagnato da diversi Ufficiali della no-
4L stra Guardia Civica. » —
(192) Pel Colonnello Cutrofiano, vedi la 96* di queste note;
e quel, che ne dice il Leopardi, nelle sue Narrazioni Storiche.
(193) Bisogna tener conto de' tempi e di quelle deviazioni
morali, che essi e le passioni impongono, anche a' migliori ed
a' più onesti. A noi, pare, che la posizione non fosse tanto sem-
plice. Certo, il dovere verso la patria, che poteva essere salva,
allora, dalla dominazione straniera, se tutto l'esercito del Pepe
avesse preso parte alla guerra , lo stimolo di gloria , il desi-
derio di cancellare tutte le macchie, che pesavano sulla ban-
diera e sul nome napolitano, avrebber dovuto consigliare, ad uf-
ficiali e soldati, di passare il Po. Stava, però, contro il giura-
mento militare. Il Re richiamava l'esercito; e l'esercito dovea
obbedire, ad ogni modo. Non può ammettersi, che la milizia
discuta gli ordini ricevuti. Non può ammettersi, che neghi di
obbedirvi , ancorché sotto pretesto, che sieno poco onorevoli e
contrari al bene della patria. Ma come potrebbe, d' altra parte,
biasimarsi, chi rifiuta l'obbedienza ad ordini infami ed ingiusti?
Lacerato, fra questa terribile antinomia, il Lahalle (Vedi nota
195*) si uccise; salutiamone, reverentemente, la bara: e, forse,
sarebbe il solo, in tutto l'esercito, la cui condotta potesse chia-
marsi incolpabile, se il suicidio non fosse, anch' esso, una colpa.
La passione non deve, no, dopo quasi quarant'anni, farci velo
agli occhi. Non può, incondizionatamente, lodarsi chi valicò il
Po, mancando alla fede militare; non può, nemmeno, lodarsi
ehi retrocesse, di fronte al nemico della patria, per andare a
casa, a servire di strumento alla tirannide. Ed ò questa, appun-
— 424 —
to , la caratteristica , il contrassegno de' governi tirannici ed
iniqui: creano lo sfacelo morale; creano tali posizioni, in cui
è impossibile regolarsi, come che sia, senza ledere, in qualche
guisa, un dovere. 11 General Pepe era, personalmente, dispen-
sato dal tornare a Napoli, dallo stesso ordine di richiamo; e,
quanto ad Alessandro Poerio, egli non era militare, né vinco-
lato da nessun giuramento, ma, solo, un milite deMa Guardia
Nazionale di Napoli.
(194) Non ho potuto saper nulla, su questo Marchese Cal-
cagnini da Ferrara; e, neppure, quando e dove stringesse ami-
cizia con Giuseppe Poerio.
(195) Carlo Francesco Lahalle nacque, nel 1795, da Carlo
Francesco, (colonnello d'artiglieria, venuto in Napoli dalla pa-
tria Francia, nel 1787, per riorganizzarvi l'artiglieria, e, poi,
naturalizzato) e dalla Teresa Montanaro di famìglia messinese.
Volontario, nell'artiglieria, a 16 anni, fu promosso ufSziale,
dopo se' mesi, jia Re Gioacchino, per la perizia, dimostra in
un simulacro d' attacco della piazza di Capua. Salì di grado
in grado, finché, nel 1841, fu promosso Colonnello, Comandante
il Reggimento Re Artiglieria, ufficio, che tenne sino al 1848.
(In quel corpo, servivano: gli, ora, tenenti generali Cosenz e De
Sauget; Girolamo Ulloa, ec.) Nel 1848, fu destinato al comando
di una delle brigate dello esercito, commesso al Pppe. Quando ne
avvenne il richiamo, quasi tutti i corpi iniziarono, di loro ar-
bitrio, la ritirata, rifiutando obbedienza a' pochi superiori, che
volevan trattenerli (Vedi la 96* di queste note). I soldati della
brigata Lahalle, che, con 1' altra della divisione, già trovavasi
in Ferrara, aizzati da parecchi subalterni e da molti sott' uf-
fiziali, stretti in Comitato, ruppero ogni freno di disciplina; e,
nonché ubbidire al capo ed agli uffiziali superiori, che vole-
vano aspettar la risposta agli uffici, mandati dal Pepe a Na-
poli, li forzarono a seguirli nella ritirata. (Vedi la 97* e 219* di
queste note). Che strazio per un antico soldato! Ritirarsi, quando,
già, presso al nemico ! veder rotti i vincoli della subordinazione!
La mattina del 30 maggio , mentre la colonna trovavasi tra Lugo e
Bagnacavallo, strada, che, altra volta, sotto Gioacchino, il Lahal-
le aveva dovuto percorrere in ritirata, giunto ad un ponte, rup-
pe il cupo silenzio, nel quale era chiuso, esclamando: — € E la
« seconda volta, che passo questo ponte, con disonore! > — Ed,
allontanandosi di pochi passi dal suo ajutante di campo, si pi-
— 425 —
stolettò, sotto il mento. Il cadavere, raccolto da un fido dome-
stico e da pochi soldati , fu trasportato a Bagnacavallo. La
Giunta Municipale gli rese solenni onoranze e lo fece deporre
nella tomba gentilizia della famiglia Montanaro. Nel giorno
istesso della sua morte, era diretto, al Colonnello Laballe, dal
quartier generale di Bologna, un officio, nel quale era ac-
cluso il suo brevetto da Generale. Negli ultimi giorni , avea
distributo parte del suo peculio, a' volontari, aggregati alla
brigata, i quali, sprovvisti di mezzi, si trovarono esposti a pro-
ve difficili, pel contegno ostile, assunto, verso di essi, dalle trup-
pe regolari ed, anche, da' cittadini, che gì' incolpavano de' fatti,
a' quali, invece, era lor forza sottostare. (Cfr. Nota 220).
(196) Non saprei dire chi fosse questo Zanetti. Credo, un Ve-
neziano. Ed ho conosciuto esule, a Nizza marittima, un Ales-
sandro Zanetti , veneziano , parente del Manin (vedi il docu-
mento, pubblicato nella 159* di queste note), che aveva moglie
e tre^ figliuole. La seconda delle quali, per nome Leopoldina,
pittrice, è moglie, ora, del pittore Ulisse Borzino, che dirige
un grande stabilimento oleografico, Via Borghetto, a Milano»
ed una cui figliuola, ha, da poco, sposato il pittore Armenisi.
Ma, se non erro, vi fu, anche, un Zanetti, ufficiale tra' volon-
tari bolognesi.
(197) Pietro Sterbini, da Vico di Frosinone, studiò medicina
e fu laureato in Roma. Attrasse, dapprima, l'attenzione, con un'o-
de, per la' battaglia di Navarino, ed una tragedia^ la Vestale,
rappresentata e proibita, nell'ottobre del 27. La polizia della
Roma papale si dispiacque, che i sacerdoti idolatri fossero rap-
presentati, come impostori fraudolenti; e che un personaggio
li apostrofasse, col verso:
0 furie, vestite col manto di Giove!
che il pubblico applaudiva. Nel 1829, pubblicò un volumetto
di versi, dove sono alcuni inni sacri. Mandato in esilio, in con-
seguenza de' moti del 1831, diresse, a Marsiglia, uno stabili-
mento di bagni; e pubblicò, a Bastia, nel 1835, un volume, con
tre tragedie (la Vestale, il Tiberio e l' Ugolino) e venti liriche:
. roba scadente, massime, per istile e verso. Tornato, per l'amni-
stìa di Pio IX, fermandosi, una notte, in Anagni, vi declamò,
in teatro, l'ode del ritorno:
— 426 —
Tra le sante ruine di Roma,
Ti lasciai, son tre lustri, o mia lira!
Come fiore, che l'alba sospira,
Sospirava, tre lustri, per te!
Pieno di buon gusto quel paragone: del sor medico e diret-
tore di stabilimenti balneari, con un fiore! Per mostrare la sua
riconoscenza al Pontefice, fu a capo di tutti i subbugli, mae-
stro d' eloquenza piazzaiuola; e diresse , con Cesare Agostini ,
il Contemporaneo , giornale immoderato e celebre per le sue
bugìe. Sotto il primo triumvirato, ebbe cariche di polizia e mil-
le altre incombenze. Fu, poi, triumviro, anche egli, in quella car
novalata repubblicana : dove un attore ( il Modena ) era legi-
slatore , ben poteva essere triumviro un mediconzolo ed im-
provvisatore, che si era prodotto sulle scene! Entrati i Fran-
cesi, fuggi» dopo due o tre giorni, in un carro di paglia. Nel
1860, si stabili a Napoli. Vi scrisse un giornalaccio: Roma o
morte; ma, sul conto di Napoleone III, diceva, a tutti: — e Pre-
« ghiamo Dio, che campi il nostro nemico! » — Ammalatosi di cal«
coli orinari, chiese, a Roma, di potere andare alle acque di
Anticoli, scortato da* carabinieri; ma, neppure a questa con-
dizione, ottenne il permesso pontifìcio. Mori, non ricordo, se nel
1863, 0 dopo 0 prima: ma, certo, in quel torno.
(198) La notìzia era falsa. Certo, se la flotta napolitana fosse
rimasta in ajuto di Venezia, le cose avrebber preso altra pie-
ga : ma , come immaginare , che una flotta intera si ribelli,
unanimemente, e venga meno alla fede, dovuta al capo dello
Stato? La flotta napolitana fece, è vero, un tale atto, o qualche
cosa di equivalente, nel 1860; e si può scusare, come un effetto
della demoralizzazione profonda , prodotta dalla tirannide ; si
può ammirare, come efletto della nemesi divina , che una di«
nastia sleale, perisse per la slealtà de' suoi servitori. Ma qual
moralista, quale ufficiale di onore potrà, mai, lodare il conte-
gno della flotta nel 1860? Cui non sarà, sempre, infame il nome
deirAnguissola f
(199) Alessandro Marini, per quanto ho potuto appurare, in-
dagando, era nipote di un Consigliere Marini, Calabrese. Av-
vocato di Professione, mori etico; forse, in seguito agli strapazzi,
sostenuti in prigione. Un Francesco Marini di Alessandro, da
S. Demetrio, nato verso la fine del secolo scorso, fu Profes-
— 427 —
scredi Lettere Greche e Latine, nel Collegio di Cosenza; e morì,
vecchio, nel 1851. Un Salvatore Marini, da S. Demetrio, te-
nendo la Presidenza della Gran Corte Criminale in Cosenza,
a' tempi del Manhòs, venne in lotta con costui, salvando, nella
competenza ordinaria, molti imputati, de' quali il poter mili-
tare avrebbe fatto strazio. Suo fratello, Cesare Marini, fu De-
putato, nel 48. Giureconsulto di polso, morì, a Napoli, Con-
sigliere della Corte de* Conti , ufficio , al quale era stato as-
sunto, nel 1860.
(200) Ammira la credulità del buon Del Re, il quale si beveva
tutte le frottole ed apparteneva a quella classe di liberali, che,
a Napoli, volgarmente, si dicevano: speranzuoli.
(201) L'amico era il Marchese Luigi Dragonetti. Nato, il pri-
mo ottobre del prira'anno dell'ultimo decennio del secolo scorso,
d'illustre famiglia aquilana, studiò nel Collegio Nazareno a
Roma. Esordì nella vita politica e letteraria , celebrando , in
prosa e in versi, in un'accademia, tenuta all'Aquila, l'impre-
sa, così improvvidamente tentata dal Murat per la liberazion
d'Italia. Figurò nel Parlamento napolitano del 18*20; e fu, con
mio avo Matteo Imbriani, di que' ventisei, che, il 19 marza
1821, firmarono la protesta, dettata dall'altro avolo mio Giu-
seppe Poerio. Fu arrestato, per sospetti di congiura, nel 1833 e
nel 1842. Dopo quest' ultima prigionia, che, come la prima, non
fu seguita da condanna giudiziaria, ma che ebbe lo strascico di
quattro anni di domicilio coatto,- nel convento di Montecassino,
si stabilì a Roma, con la famiglia. Nel 1848, era stato sopra*
intendente degli Archivi; e, quindi, ministro degli affari este-
ri, nel Ministero Troya , così detto del 3 Aprile. Nel giugno
1849, fu incarcerato; e, nel 1853, imbarcato, con un passa-
porto per l'America. Ma, giunto a Malta, mutò indirizzo; e
si ridusse: prima, a Tolosa, dov'eran due suoi figliuoli emi-
grati; poscia, a Parigi; e, quindi, in Piemonte e Toscana. Nel
1860, fu restituito alla Soprantendenza degli Archivi Napo-
litani ; fu nominato Senatore del Regno e passò , quindi , al
Consiglio di Stato, nella sezione rimasta a Napoli. E, quando
questa fu abolita , ebbe solo una modesta gratificazione (noQ
contando gli anni di servizio per esser pensionato) e la crood di
uffìziale dei SS. Maurizio e Lazzaro. Moriva il £1 F
1871. Fu molto cattolico: epperò, non yide di biior
tutte le novità , che hanno rimutata 1* Italia (
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meglio) dopo il 1860. Consulta la vita di luì, scritta da P.
Castagna (Firenze 1878); e le Spigolature nel Carteggio lettera-
rio e politico del Marchese Luigi Dragonetti, pubblicate, dal fi-
gliuolo Giulio, nel periodico fiorentino La Rassegna Nazionale^
(Voi. XII e sgg).
Nel proseguo di queste lettere, si parlerà, più volte, di due
ftuoi figliuoli , de' quali, anticipiamo, qui , alcune notizie. Al»
fonso Dragonetti nacque, nell' Aquila, il 6 settembre 1826, da
Luigi e dalla Laura de' Marchesi de Torres. Studiò, in Roma,
nel Collegio Nazareno, dal 1839 al 1843, quando, per un infer-
mità sopraggiuntagli , recossi a Montecassino, presso il padre.
Nel 1844 e 45, compì, in Roma, lo studio delle matematiche
sublimi, nella Sapienza. Nel 1846, fé ritorno all' Aquila, ove
pubblicò le vite degli illustri Aquilani descritte (Aquila, 1847; in
8.^). Nel 1848, fu secondo segretario de' Commissari Napolitani
per la lega (Vedi la 60* di queste note). Partì, quindi, uffiziale
de' volontari per la guerra. A Venezia , contrasse febbri, che,
come si vedrà, indussero il Pepe a concedergli un congedo, per
ristabilirsi. Il quale era accompagnato da una lettera, in cui si
diceva: — < E, veramente, mi conforta il pensiero, che, ben presto,
€ farà ritorno, fra noi, ovunque sia, che si combatterà per la
«« indipendenza e libertà di questa nostra carissima Italia. Io, in-
< tanto, nel darle tale licenza, le assicuro, che, di lei, e come
< caldissimo patriota e come buon milite, avrò eterna stima e
< memoria. » — Rimpatriato, si curò e guarì, quasi, in Paga-
nica. Ma , nella notte di Natale , scossa l' Aquila da violento
tremuoto, prese freddo, correndo, quasi ignudo, per casa, in
cerca de' suoi. Quindi tosse e febbre e tubercolosi e perniciosa,
che lo spensero, in Paganica, il 27 maggio 1849, di ventidue
anni ed otto mesi. Militò, pure, a Venezia, il fratello Giovam'
battista^ vivente, ohe porta il titolo di Marchese di Torres, e-
reditato da' zii materni. Fu ufficiale nel battaglione de' vo-
lontari napolitani, comandato, dallo, ora. General Matarazzo, il
quale parla, vantaggiosamente, della sua condotta in quella con-
giuntura. Nel 1849, rimpatriò, travagliato dalle febbri di ma-
laria, n governo borbonico lo incarcerò sotto una imputazione,
che fu distrutta da un alibi inoppugnabile. Allora, per sot-
trarsi a nuove vessazioni, venne a ritrovare, in Francia, il fra-
tello Giulio (vivente anch' egli), che vi era, già, esule. Nel 1849,
si arruolò nelle milizie dell' Emilia; e fu nominato Commissa-
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rio di Guerra: impiego, che ritenne, nell'esercito Italiano, sino
al 1864, quando si ritirò nella vita privata.
(202) Cognato del Del Re, come abbiam detto, nella 88* di que-
ste note, era Constabile Carducci. Vedi, per lui e per la sua fi-
ne tragica, la 184* di queste note.
(203) Ecco una di quelle frasi infelici, ampollose, che , per
voler parerà aroane, solenni, bibliche, sublimi, potrebbero in-
durre in un concetto falsissimo di chi scriveva. La sua sen-
tenza è firmata! Un procurator generale borbonico avrebbe
tratta, da questa frase, la prova, che il Del Re appartenesse ad
una setta misteriosa, nella quale era stato deciso il regicidio.
Il Del Re era, invece, uomo mitissimo; e non avrebbe ammaz-
zata una mosca. E la frase vuol, semplicemente, dire: che, nei
decreti di Dio, era scritta la caduta de* Borboni; che le necessità
storiche la rendevano inevitabile. Ed, in questo, il Del Re, con
Vagite speme, precorre revento.
(204) Calamità è un po' troppo. Del resto, quando il Del Re
scriveva questa lettera, eran, già, accadute la battaglia di Goito
(30 maggio) e la resa di Peschiera, che compensavano, ad usu-
ra, la calamità di Milano.
(205) Aurelio Saliceti. Veggasi quel, che se n' è detto, nella
108* di queste note.
(206) Gennaro Bellelli. Se n'è, già, parlato, nella 61* di que-
ste note.
(207) Giannandrea e Stefano Romeo, da S. Stefano, pressa
Reggio di Calabria , che erano stati fra' capi della sommossa
di Reggio, del 1847.
(208) — « Il Salafia era un Calabrese , non so , se di Mor-
< naanno o Morano, nemico alla famiglia Mauro; ma, passa-
le va , per ardente liberale. Prima del 1848 , era studente , a
€ Napoli ; e si distingueva per un* alta statura ed una lunga
< zazzera. Non vorrei , che la memoria mi tradisse sul conto
« di lui, ma questo mi pare, eh' egli fosse » — (Da una co-
municazione confidenziale). Anche Cesare Dalbono se ne ri-
corda il nome. Frattanto, avendo pregato il prof. N. P., eh' è
di que' luoghi, di far fare qualche ricerca sulla persona, egli
ha avuto questa risposta: — « Sapete, che, nò in Mormanno né
« in Morano esiste il cognome Salafia >.... — Nò, finora, ho
potuto assodar altro.
(209) Luigi Zuppetta, nato in Castelnuovo della Daunia (Ca-
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pitanata) il 21 giugno 1810. Mediocre paglietta. Autore di un
Progetto di codice penale della repubblica di S. Marino^ di una
Chiave della raccolta delle leggi e di un Corso completo di Di-
ritto Comparato^ opere di nessun conto. Fu tra' più dissennati
agitatori del 1848. Né senno ha messo, ancora; e persevera,
decrepito , a bamboleggiare, repubblicaneggiando.
(210) Ferdinando Petruccelli, (che si fa chiamare Petruccelli
della Gattina, conosciuto, fra' suoi coetanei, col nome di Qui--
busdam; e che altri ha chiamato Pierre Oiseau de la petite
chatte) nato il 1816, a Lagonegro, in Basilicata. Uomo scan-
dalosissimo. Nel 1848, fu tra gli scrittori del Mondo vecchio e
Mondo nMc>uo, giornalaccio, che fece infinito male a Napoli. Dopo
il 1860, Deputato al Parlamento Italiano, faceva viaggiare, col
suo biglietto gratuito, una sua druda, travestita da uomo e
brutta come il peccato: circostanza aggravante. Scrive, come
un cane, in francese ed in Italiano, articolesse, libelli, roman-
zacci, indecenti sotto ogni aspetto, e storie, anche più inde-
centi. Timido come una lepre (Vedi la 301 di queste note).
Quando , a Torino , per servire al Raltazzi infame , stampò i
suoi Moribondi del Palazzo Carignano, chiamò, in quel libello,
vili tutti i Romani. Gli fu fatto rimettere , da un deputato ,
un biglietto anonimo, in cui un collega lo avvertiva dello ar-
rivo di un giovane romano, per chiedergli soddisfazione delle
parole invereconde. Io era in una tribuna, conscio dello invio.
Qutbusdam, nell'aula, riceve il biglietto; si turba; richiama
l'usciere e gli parla, vivacemente; s'alza; va a parlare col pre-
sidente ed a mostrargli il biglietto; poi, infilza la porta; e
la sera stessa, partiva per l'estero!
(211) I fratelli Cùrion (e non Curioni) , per quanto io mi
sappia, eran più di tre: non posso determinare quali due di
essi andassero, allora, a Roma. Uno era nello esercito. Un al-
tro è stato fatto Delegato di Pulblica Sicurezza, dopo il 1860;
e lo credo, ancor, vivo ed in ufficio. Il terzo, che conobbi una
ventina di anni fa, membro dell' associazione costituzionale in
Napoli, era zoppo, ma gentile e colta persona. L' ho perduto
di vista, né so se viva ancora. Di lui e del fratello Delegato,
si. leggono versi ecc. nelle antiche strenne , raccolte , gior-
nali ecc.
(212) Matteo de Augustinis nacque, nel Principato Citerio-
re, ne' primi anni del secolo. Fu avvocato; e si occupò, molto,
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di cose economiche. Nel Progresso, possono leggersene parecchi
de'suoi articoli. Ma c'è chi mi afferma esser egli, già, morto,
prima del 1848; e doversi, qui, trattare d'un suo figliuolo, che,
poi, si fece gesuita.
(213) Giuseppe de Vincenzi fu, nel 1848-49, Deputato del di-
stretto di Teramo, (insieme con Michelangelo Castagna e Bel-
lisario Clemente) ed uno de' quattro segretari della Camera de'
Deputati. Poscia, esulò. Dimorò, prima, alcun mese, a Ginevra,
con Antonio Ciccone e P. E. Imbriani. Poi, si trattenne, prin-
cipalmente, a Parigi ed a Londra, dove la vita elegante non gli
fece trascurare gli studi economici e chimici: ha fatto qualche
scoverta in galvanotipia. Nel Regno d' Italia, è stato Deputato,
Ministro de' Lavori Pubblici e vive, ancora, Senatore del Re-
gno e valente enologo.
(214) Leonardo Dorotea fu, nel 1848-49, Deputato del di-
stretto di Sulmona, insieme con Piersilvestro Leopardi (Nota
170*). Chi mi asserisce, eh' egli sia morto prima del 1860. E
chi , eh' egli sia morto , nel Regno d' Italia , Direttore delle
acque e foreste; e dopo essere stato Segretario Generale del Mi-
nistero di Agricoltura e Commercio. Fu medico e naturalista;
e s' occupò, anche, del Tavoliere di Puglia. Lasciò due figliuo-
li, Sertorio e Scipione, uno de' quali, almeno, è ancor vivo, in
Abruzzo: ma non ho potuto saper, proprio, in che luogo, per
chiedergli maggiori e piìi autentiche notizie.
(215) Francesco de Blasiis fu, nel 1848-49, Deputato del di-
stretto di Penne, insieme con Domenico De Caesaris. Emigrato
negli Stati Sardi , vi sposò , molto attempato , la giovanetta
Diomira di Francescantonio Mazziotti, (che era stato Deputato
del distretto di Vallo.) Si tramutò, quindi, in Toscana. Nel Re-
gno d'Italia, è stato, prima, Deputato; poi, Consigliere di Stato;
in seguito, Senatore del Regno e, persino. Ministro di Agricol-
tura e Commercio , nel detestando e ridicolo Gabinetto Rat-
tazzi, numero due. Gli fu rimproverato, non sappiamo con quan-
ta verità, di aver fatto, allora, raccomandare, con una circolare
del Ministero, l' acquisto di una sua arte di fare il vino.
(216) Il Barone Vito Porcaro fu mescolato, nel 1831, nella
congiura di Frate Angelo Peluso. Vuoisi, che venisse denun-
ziato dal proprio padre. Condannato, non so se ai ferri o all'er-
gastolo, rimase chiuso fino al 1848. Stette, lungamente, nel Ba-
gno di Gaeta; ed, in quella città, quantunque forzato, si ammo-
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gliò; e mi assicurali, che la moglie viva, ancora, ad Ariano. Nel
novembre 48, fu, di nuovo, arrestato; e, senza giudi/io, rimanda-
to in galera. Poi, gli fu fatto il giudizio e condannato, di nuovo,
airergastolo. Delle crudelti\, usate contro il Porcaro, parla, a
lungo , Guglielmo Ewart Gladstone. Fu liberato , insieme col
Poerio e col Settembrini.
(217) Chi fosse questo Miranda, non ho potuto rintracciare.
(218) Forse, anzi senza forse, questo di Ariano non ò, come
s'è creduto nello stampare, un cognome; anzi V indicazione del-
la patria del Miranda e del Porcaro.
(219) Il Leopardi scriveva, il 31 maggio, al Ministro Sardo:
— 4C 11 Colonnello Zola, che comandava le due brigate di fua-
« teria napolitana, a Ferrara, in seguito dell' ufficio, da mo
« direttogli, da Rovigo, s'era atfaticato, di tutto cuore, a far
4L loro valicare il Po , ma indarno. Un sedizioso comitato di
« molti sotto - uffiziali , impadronitosi dallo spirito dei soldati,
€ impediva la marcia. 11 Cardinale Ciacchi, dopo avere ton-
< tati tutti i modi, per far tornare i sediziosi all' obbedienza,
4C apaventato dalla loro ostinata insubordinazione ed, anche,
« per consiglio del general^ Lamarraora , incontratosi colà di
« passaggio, aveva insistito, perchò le due brigate uscissero
« dalla città. A ciò cooperarono, di buon grado, i capi, spe-
4L rando di ricondurle a Bologna; ma, pervenuto ad un bivio,
« presso Malalbergo, il comitato, levando il grido : A Napoli j
« dove ci richiama il Re ! e sostenendo, quasi, in ostaggio, i loro
<c capi, le trascinò verso Lugo. Il Colonnello di artiglieria
« Lahalle, anteponendo alla infamia la morte, si ucciso, da sé.
< Il colonnello di fanteria. Testa, ebbe, dall'angoscia, uu tocco
« apopletico. > — (Cfr. la 195* di queste notule).
(220) Nel N.° 99 della Gazseita di Bologna (Sabato, 3 giu-
gno 1848) leggesi, incominciando in fine alla prima colonna
della 1* pag. e proseguendo per la seconda colonna, l'articolo
seguente:
— « Il Colonnello Lahalle, che, sventuratamente, comandava
< le truppe Napolitane, partite da Ferrara e smaniose di tor-
<K nare nel Regno, al servizio e agli ordini di Ferdinando II>
< avutone comando dal Generale in capo, tentò, invano, di ri-
« condurre quelle truppe al proprio dovere ; e, in presenza
< delle medesime, si dio la morte, presso Lugo. Sono quello
« truppe composte di otto battaglioni di linea , una batteria
— 433 —
« completa, e dne compagnie di zappatori. Il Lahalle era un
« dotto e prode colonnello di artiglieria. Suo padre era, esso
€ pure. Colonnello di artiglieria, francese; ed era stato mandato,
« da Luigi XV J, a ordinare e a istruire le artiglierie di Napoli.
4L Ammogliatosi, in Napoli, nel 1799, prese servizio sotto la Re-
« pubblica Partenopea. Emigrò; e servi la Francia, co' Napo-
« letanì esuli, fino all'avvenimento al trono di Napoli di Giu-
4c seppe Bonaparte; e, allora, tornò nel Regno. Il di lui figlio,
« testé perduto, venne, fra noi, con Gioacchino Murat, nel 1815.
« Sfortunatamente, erasi voluto, che, dall' artiglieria, passasse
« alla linea, assumendo le funzioni di Generale; e gliene era
« promessa la promozione. Banchò stimato dall'armata, la per-
« suasione, in questa, falsamente, insinuatasi, che si avesse a pro-
« pugnare un principio, avverso a Napoli e al Re, rese vani
« tutti i suoi sfoi'zì. Le truppe, rimaste senza il loro capitano,
« marciano in colonna serrata; bivaccano, nei brevissimi loro
« riposi; e vanno a marce forzatìssi me. I soldati hanno, sem-
« pre, carichi i fucili; e gli artiglieri hanno le micce, sempre,
« accese. 11 31 scorso, quelle truppe erano, già, a Cesenatico;
« e si proponevano di arrivare, ben presto, alla Cattolica.
« Il cadavere del generoso Lahalle, trasportato a Bagnaca-
« vallo, vi ebbe i funebri onori, nella parrocchiale di S. Gi-
« rolamo, dove venne recato, preceduto dal clero, da confra-
« ternite con torce, dai civici tamburi, suonanti a lutto. E sor-
« reggevano le nappe funerali del feretro il Tenente-Colon -
€ nello Graziani , già Ufficiale della grande armata, il Mag-
€ giore Bubani e i Capitani Tallandini e Biondi. Dopo i quali,
« veniva uno stuolo di Uffiziali Civici ed una Compagnia di
« Guardie, che, al momento dell'esequie, eseguirono una tripli-
« ce salva di moschetti, secondo le militari costumanze.
« E, qui, pure, in Bologna, il 2.° Battaglione dei Civici Na-
« politani volle, ieri, celebrate solenni esequie, al Lahalle, nel
« grandioso Tempio di S. Francesco de' Conventuali. Vi as-
« sisteva quel Battaglione, colla ufficialità; e v' intervennero il
« corpo degli ufficiali della Civica nostra , con molto popolo.
« Il P. Alessandro Gavazzi, che, da alcuni giorni, ò fra noi,
« disse, colla sua facile eloquenza, le lodi del prode defunto. »—
(221) Dice il Leopardi : — - < Il Generale Pepe , appena io
« lasciavalo a sé stesso, il 23 maggio, facevasi indurre a spe-
« dire a Napoli un suo ajutante di campo, latore, a S. M. Si-
28
— 434 —
« ciliana, di una lettera, con la quale esortavalo a rivocare il
€ richiamo della spedizione. » — Carlo Cirillo, ufficiale mu-
rattino, era stato, in altri tempi, ajutaute del Pepe. Destituito,
dopo il 20, fu richiamato, dopo il 30, ma con lo stesso grado
di Capitano, e destinato alla piazza. Il Pepe il volle, come Mag-
giore, alla immediazione del suo comando.
(222) Pur troppo, sembrava, che un malvagio destino pe-
sasse, sulle armi Napolitane! che tutte le imprese nostre doves-
sero finire, con voi»gogna!
(223) Leopoldo Pilla, nato, a Venafro, nel 1805, valentissimo
in mineralogia e geologia, fu chiamato, dal Granduca di To-
scana, ad insegnare, a Pisa. Nel 1848, divenne Capitano del Bat-
taglione Universitario; e mori, volgendo la faccia al nemico, il
29 maggio, a C urtatone. Non disse: Armàmmoce e jate !
(224) Il Mossotti è morto, Senator del Regno e Pj-ofessore di
Meccanica Celeste, nella Regia Università di Pisa. Gli è stato
eretto un monumento, nel Camposanto vecchio, sulla cui base
v*ò un medaglione, col ritratto del sepolto, fra le due metà penta-
stiche (l'una, a destra, l'altra, a sinistra) della iscrizione seguente:
Alla Memoria
DI Ottavl\no Fabrizio Mossotti
NATO IX Novara il xviii Aprile mdcxci
E MORTO IN Pisa il xv Marzo mdccclxiii
QUI RENDE ONORE l/ ITALIA.
La SCIENZA DA LUI PROFESSATA
ne attesta i meriti eminenti
e la perennità della gloria.
Artefice del monumento
FU Giovanni Duprè.
E, sopra esso monumento, è sdrajata una sgualdrina, seminuda,
di marmo, con una stella in fronte, aggomitata sopra tre vo-
lumacci: che deve significare l'astronomia. La quale ostenta, im-
pudicamente, al pubblico, il petto, le braccia, il ventre ed il
fianco. II resto, chiaramente, traspare, da un panneggio. Queste
figure sconvenienti, questi ignudi muliebri piaceva di mettere
in evidenza, e sulle tombe e sovra i monumenti di gloria, a
Giovanni Dupré, che, pur, faceva il cattolico ed il timorato uomo.
Onde altri ebbe a dire, aver egli piantato, sopra una pir.rza
— 435 —
di Torino, Camillo Benso, tra le bagasce di un lupanare. E
r Italia tollera, anzi applaude, inverecondie siffatte! e dal mal-
nato, che scolpi, per sozza cupidigia, T effigie dello Haynau!
(225) Giacomo de Martino, allora, Console, a Marsiglia, fu,
poi. Ministro, mandato, da Napoli, a Torino, con Giovanni
Manna (vedi la DI'* di queste note) da Francesco II, troppo
tardi. Nel Regno d'Italia, ò stato Direttore Generale delle Fer-
rovie Romane [nel quale ufficio, non può, certo, dirsi, eh' egli
abbia fatto mostra di gran capacità amministrativa] e Depu-
tato al Piirlamento, [pe' Collegi Elettorali: prima, di Sorrento;
e, poi, di Foligno]. E morto, da qualche anno.
(226) Giuseppe Pica nacque, all'Aquila, il 9 settembre 1813.
Cominciò a far l'avvocato, a 18 anni, in quel foro, dove, al-
lora, splendevano il Chiarizia , il Migliorati e Gaetano Giar-
dini (Vedi la 293.'*^ di queste note). Nel 1843, fu arrestato, con
altri, per relazioni, con un emissario, spedito, da Rimini, a
sollecitare un moto, negli Abruzzi: stette in carcere, sette mesi;
e fu, quindi, obbligato, a trasferirsi in Napoli. Deputato , nel
1848, nelle deplorando adunanze preparatorie, tenute aMontoli-
veto, il 13 ed il 14 maggio, propose la formola del giuramento,
(che dovea conciliare la promessa di fedeltà al Re ed alle istitu-
zioni, con lo svolgimento di queste, promesso nel programma
Trova) accettata dalla riunione ed, anche, a mezzanotte, da' mi-
nistri, in nome del Re. Era in deputazione, presso il Ministero,
la dimane, quando cominciò il fuoco. Rieletto deputato, dal di-
stretto dell'Aquila, combattè, strenuamente, il gabinetto Bozzel-
li. Sciolta la seconda Camera, fu arrestato, in giugno 1849.
Implicato nel processo del 15 maggio^ profferì, tra le altre, una
splendida arringa di cinque ore. Non tolse, che fosse condannato
a 25 anni di f3rri. Stette, nel bagno di Procida, a Montefusco,
a ^lontesarchio. Nel 1849, fu liberato, ad una col Poerio e col
Settembrini. É stato, nel Regno d'Italia, deputato nella prima
legislatura; ed è Senatore, dal 1875. Esercita, tuttavia, l'avvo-
catura. Dette il suo nome alla leggo, per la repressione del bri-
gantaggio, che non fu opera sua.
(227) Lorenzo di Donato de Conciliis e della Maddalena Ge-
novese nacque, in Avellino, il 7** di del 7° mese dell'anno 1777.
Fu, prima, soldato, a diciassette anni; poi, cadetto ed alfiere, nelle
campagne, dal 1794 al 1799; fu ferito di sciabola, al femore de-
stro, combattendo, col Roccaromana. Sotto la repubblica par-
■ <
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tenopea, fu capitano. Seguì il Roccaromana, nel 1800, nella spe-
dizione di Roma; il Damas, nel 1801, in Toscana. Capitano de^
Volteggiatori della Guardia e, poi, degli Usseri, sotto Giuseppe,
combattè il brigantaggio, nelle Puglie. Nel 1815, era, sotto il
Macdonald ; dopo il trattato di Casalanza , servì da Tenente-
Colonnello nel reggimento Real-cavalleria; e fu nominato Co-
mandante del Principato Ulteriore. Nel moto del 1820, ebbe
parte; e non ò da lodarne: non ho simpatia pe' soldati, che
promuovono od agevolano i pronunciamenti. Fu, anche, Depu-
tato al Parlamento. Poi, dopo gli spergiuri de'Borboni e l'in-
vaaione austriaca, condannato nel capo, fuggì in Ispagna; e yi
combattè. Riparò , quindi , in Inghilterra , a Malta , a Corfù,
donde si gittò nelle Ro magne , per la rivoluzione del 1831.
Salvato dal Console inglese ad Ancona , riparò , nuovamente,
a Malta ed a Marsiglia , dove perde la moglie , Margherita
Bellucci. — « Dopo quest'acerba dipartita, il de Conciliis,
« chiuso nel dolore, divise il viver suo, col Marchese Nicolai,
« altro esule illustre, in un cenobio di certosini, da più tempo,
€ destinato a pubblico ospizio. » — Mortogli il Nicolai, che il
chiamava erede de' suoi scritti , si ritrasse , a Parigi. Quegli
scritti, ei li affidava a Francesco- Paolo Bozzelli, che, poi, ne
negò la restituzione, dicendo di averli distrutti. Fu Colon-
nello della Guardia Nazionale, nel 1848; e, poi, si ridusse e
chiuse nella modesta sua villa suburbana, pi-esso Avellino. Nel
60, più che ottuagenario, proclamò, in Buonalbergo, un Go-
verno Provvisorio. Sotto il Regno d'Italia, ha avuti i titoli d
luogotenente-generale e di Senatore del Regno. Moriva, in pa-
tria, il 2 ottobre 1866. Vedi Ricordi \ d'illustri passati \ per \
A. Santangelo \\ Napoli \ R, Stab. Tipogr. del Cav, Francesco
Giannini | Via Cisterna dell'Olio, 4 a 7 \ 1883.
(228) Vedi la dichiarazione del de Piccolellis innanzi alla
Commissione istruttoria , ripetuta innanzi alla Corte speciale»
Può vedersi, anche, riportata, nelle Narrazioni Storiche di Pier-
silvestro Leopardi. Ottavio de Piccolellis, Colonnello del Murat,
non trovandosi, durante la campagna di Russia, in una stazione,
pel gran freddo, chi potesse servire di postiglione alla carrozza
di Napoleone, assunse questo uffizio; e si buscò, così, la Legion
d' onore.
(229) Il Marchese Letizia, (capitano della guardia del Murat,
destituito dopo il 20), nel 48, fu Colonnello dello Stato Mag-
— 437 —
giore della Guardia Nazionale. Dopo il 15 maggio, chiese ed
ottenne di rientrare, neir esercito, come Maggiore dello Stato
Maggiore. Fu all' immediazione del Filangieri, nella spedizione
di Sicilia. Ed, asceso di grado in grado, a Generale di Brigata,
firmò la capitolazione di Palermo, col Garibaldi. Era stato un
Don Giovanni, un conquistatore delle belle; e, vecchio, affac-
ciava, ancora, pretese intempestive, tutto lindo e pinto. Onde,
Francesco Puoti, quantunque volte lo incontrasse, soleva apo-
strofarlo, con questo verso: Della flotta d'amor sciabecco antico,
(230) Scrive il Settembrini: — « In questo, vedo avvicinarsi
€ Gabriele Pepe, Generale della Guardia Nazionale. Io gli vo*
« incontro e gli dico: Generale, peìxhà la Guardia Nazionale
€ non ubbidisce^ agli ordini della Camera ? Ed egli: L*ho detto,
€ a questi signori; e non mi vogliono ascoltare. Provate voi!
€ Diteglielo voi! — E che sono io, o Generale, rispetto a Yoiì
€ Qui, entra un giovane, che io conosceva; e, cogli occhi e il
« collo, come di un matto, dice: Chi parla di togliere le barri-
ci cate è un traditore ; ed io gli tiro, E appunta il fucile sul
« petto, a Gabriele Pepe. Il quale, come chi scaccia una mosca,
« lievemente, spinse, in alto, la punta del fucile, dicendo: Non
4L fate sciocchezze ! e voltò le spalle; e, messesi le mani dietro
« le reni , se ne andò via , tranquillo ecc. ecc. > — Domando
un po', se, a questo, doveva restringetesi il Generale della Guar-
dia Nazionale? Se egli non aveva obbligo strotto di mettersi
alla testa de' pochi savi, per far rimuovere le barricate e ri-
stabilir l'ordine? o, se savt non ve n'era più, per farsi am-
mazzare? Il suo posto non era una sinecura, pe' giorni di pa-
rata. Ducimi di dovere adoperare queste gravi parole, verso
un uomo, che, certamente, valeva, in complesso, assai più, che
io non valga. Ma il vero è il vero. (Vedi la 63^ di questo note).
(231) Questo ò, appunto, il tragico. Tutte le difficoltà erano
state rimosse. Il Re, dubitando delle proprie forze, aveva ceduto
sopra punti essenziali. L'apertura del Parlamento doveva aver
luogo. Ma la canaglia facinorosa non volle sgombrare e disfare
le barricate. Perchò? che si proponevano? su quali ajuti, fa-
cevano assegnamento? Non mostrarono, ripetiamo, virtù, nò di
senno nò di braccio. Vana, puerile è la ricerca, donde par-
tisse il primo colpo. Quando due forze armate stanno a fron*
te, un primo colpo deve, sempre, fatalmente, partire. E chi
non vuol, che parta, deve far si, che si rimuoTano le Ibne ar-
— 438 —
Terse» La storia delle contese civili mostra accader^ cost, sem-
pre, dappertutto.
(232) Luigi Vercillo, Barone di S. Vincenzo, in Calabria Ci-
tra, nacque, il 4 maggio 1793, a Cosenza. Educato nella Pag-
geria, fu nominato uffiziale, quando era, ancora, in Collegio;
ebbe, giovanissimo, il grado di capitano, negli ultimi anni del
Decennio; e lasciò, presto, il servizio militare. Fu autore di pa-
recchi scritterelli, fra gli altri di uno, intitolato: L'uomo è un
ente^ per natura^ benino. Aveva sposata una Isabella de Nobili ,
Catanzarese, sorella maggiore della Maria Teresa de Nobili ,
moglie di Raffaele Poerio (Vedi la 285.* di queste note). Nel
48, fu Intendente di Chieti. Dopo, confinato a Catanzaro, col fi-
gliuolo Matteo, (Vedi la 286.* di queste note); mentre un' altro
figliuolo Ferdinando, (o Renato, come si faceva chiamare, dopo
il 15 maggio, per non aver nulla di comune, col Re) tradut-
tore di Cornelio Nepote, emigrava. — « Doveva aver la coda di
« paglia! » — rispose Re Ferdinando, ad un venerando suo pa-
rente, che chiedeva, per esso, licenza di rimpatriare; e negò
concederla. Vedi: Terso periodo \ dei \ pensieri e ricordi | sulla
I storia contemporanea d' Italia \ La reazione dal i849 al
1856 I per \ Ippolito De Riso \\ Catanzaro \ Tipografia dell'Or-
faiXotrofio I 1877, Nel 1860, il signor Garibaldi il fece Gover-
natore della provincia di Calabria Citra; Vittorio Emanuele il
creò Senatore del Regno. Luigi Vercillo è morto, in Napoli,
il 25 maggio 1872. Era cugino del Barone Giuseppe Poerio.
(233) Ho sotto gli occhi le Parole \ pronunziate sul fere^
irò I del Commendatore Giuseppe Valia \ Intendente del Prin-
cipato Citeriore | nel di 8 apnle 1855 in Napoli. \ Dal Cav.
Salvatore Mandarini | Intendente della Calabria Citeriore; gen-
tilmente, favoritemi, dal chiarissimo avvocato e letterato Luigi
Landolfi, che gli fu genero. Il Valia nacque, in Monteleone, il
12 gennajo 1785. Abbracciò la carriera delle armi; e fece la
campagna di Russia, donde tornò capitano e fregiato della Le-
gion d'Onore. Nel 1828, prese parte, molto attiva, alla repres-
sione de'moti, nel distretto di Vallo; e ne fu nominato Sottin-
tendente. Fu, poi. Segretario Generale della Intendenza di Reg-
gio; quindi, Intendente nello Abruzzo Teramano; e, finalmente
dopo essere stato fuori ufficio nel 48, intendente del Principato
Citeriore. Il Landolfi mi assicura, che, in Salerno^ per non n-
sponderg alV intenzione del Peccheneda^ ebbe persecuzioni, che
— 439 —
lo uccisero^ con uno scirro al fegato ; e che lasciò la lunga
famiglia in poverissimo stato; buon documento della inagrita
della vita,
(234) Della famiglia Ferrari da Catanzaro tre membri ven-
gono, specialmente, ricordati, in queste lettere.— I. Antonio, che
*u marito della Maria, sorella del Barone Giuseppe Poerio e di
Raffaele, destinatario della presente lettera, zia, quindi, di Ales-
sandro e dello scrivente Carlo. Mai, non si vide il più pazzo
uomo. Firmava Ferrari-Acciajuoli, pretendendosi discendente de-
gli Acciajuoli fiorentini (pretesa comune a' Ferrerò della Mar-
mora, piemontesi; ma che, in ambo i casi, poggia solo sopra un
bisticcio). La moglie gli spose dieci figliuoli. (L'ultimo superstite
de'quali, Antonino, nato il 17 decembre 1825, venne meno il 13 a-
prile 1842; ed è commemorato nel volumetto: Componimenti \ in
morie \ del cav, Antonino Ferrari \ da Catanzaro \\ Napoli \ al-
Vinsegna di Aldo Manuzio \ 1844; in cui si leggono, anche, ot-
tave della povera madre.) Ma Antonio professava la teorica giu-
daica, che, quando la moglie non fa più figliuoli, s'ha a darle
una supplente. Ed introdusse, nel domicilio coniugale, una fe-
mina, dalla quale ebbe molti figliuoli, alcuni de* quali, da lun-
ghi anni, sono in lite, con la famiglia Ferrari; ed, oggi, una grave
causa è sub judice , presso la Corte di Appello di Catanzaro.
N* ebbe, fra gli altri, una figliuola bellissima, che volle, a forza,
di piota, ventenne, lei ripugnante, affatto ignuda, dal pittore Mi-
chele Lenzi (ora, sindaco, di Bagnoli-Irpina, allora, giovane) che
non sapeva come schermirsi dall'incarico. Ed il padre chiu-
deva pittore e modella ignuda, a chiave, in una camera, dicen-
do: — « So che gli artisti vogliono essere liberi afiatto ! » —
E se ne andava, frattanto, a comporre un sonetto. —II. Salva-
tore. Fu, parecchie volte sindaco di Catanzaro, prima del 48.
U secondo Ministero Bozzelli , come qui è detto , il nominò
Intendente. Gli amici suoi pretendevano scusarlo, dicendo, ch'e-
gli aveva accettato, per risparmiare, a' suoi concittadini, l'eser-
cizio di un potere feroce: come se egli non avesse tenuto, ap-
punto, il sacco, a quella ferocia ed immoralità! Dopo qualche
tempo, la reazione trovò uno strumento migliore; e buttò lui, tra'
ferri vecchi. Fu uomo di qualche studio ; si occupò di ar-
cheologia ed ebbe un museucolo. Attempato, sposò, la CateriiiA.
Gironda. La quale essendogli premorta senza prole, egli im-
pazzò del dolore; o, se non impazzò del tutto^ divenne d*i
— 440 —
melancolico; e mori, dopo poco.— III. Gregorio (Vedi la 284* di
queste note) che amministrava o disamministrava la proprietà
de' Poerio, fu marito della Maddalena Venturi, che lasciò incin-
ta, morendo. Nacque una fanciulla, Checchi na Ferrari, che fa
moglie, in prime nozze, di Pasquale De Caria; ed, oggi, tro-
vasi congiunta, in seconde nozze, a Riccardo De Riso. Relata
refero.
(235) Emanuele Zupi di Pompeo (ucciso, nel 1806, da' bri-
ganti) e della fuscaldese Gaetana Bugilo, nacque, in Fiume-
freddo, nel Bruzio. Era stato uffiziale, al tempo de* Francesi;
e, come tale, nello squadrone sacro^ di guarnigione a Monteforte,
nel 1820. Emigrò, poi, in Inghilterra, Belgio, Spagna e Por-
togallo ; ed iu Portogallo, ebbe il grado di tenentecolonnello
(grosso maggiore). Fu compagno d' armi del Cialdini, il quale
il visitò, poi, neir ospedale militare di Napoli, ov'egli moriva,
dopo il 1860, avendo, appena, da pochi giorni, ricevuto il g^rado
di Colonnello. Emanuele, dopo aver combattuto in Portogallo,
passò a Parigi; e vi sposò la figliuola di un generale Petit: colta
donna e gentile e non priva di vena poetica (in francese), eh* è,
poi, morta tisica. Ritornò, a Napoli, per grazia ottenuta, da Fer-
dinando II; ed implorata dalla sorella Raffaella, moglie delFAI-
dimari, Intendente di Cosenza. Ebbe molti fratelli e sorelle: Lui-
gi, Arcangelo, Giacinto, Francesco, Carolina, Bettina, Raffaella;
e vivono, tuttora , figliuoli di Arcangelo, Giacinto, Francesco e
della Raffaella. Quanto a Luigi o, per dir più pieno, Luigi-Ro-
sario-Michele, (nato in Fiumefreddo, il 27 settembre 1785, e
morto, in Napoli, nel 1865, in una casa, in istrada Dogana,
quartiere Porto) fu Tenente dei Lancieri, nel decennio; con-
trolloro, poi, de* dazi diretti, in Paola, Castrovillari, Rossano e
Nicastro. Morì pensionato, dopo avere sposato una Anna-Maria,
che gli era stata, prima, fantesca. Fu così matto, da venire, a Co-
senza, con un suo compaesano, cui aveva, anticipatamente, fatto
tingere il viso e che chiamava suo schiavo; e da fare, in pubblica
strada, esercizi di lancia. E diceva di aver trovato una nuova lancia.
Mi scrivono di Cosenza: — e Nel 1848, volle, per pura bizzarria,
< seguire il Nunziante, en amateur. Luigi era un pazzo; e,
< tante volte, scendeva a Cosenza, a fare un casa del diavo-
le lo, vestito da tenente deUancieri. Avuto, allora, non so corno,
« i cavalli del Nunziante, scappò (senza passare, come dice il
< Nisco, con una schiera d'uomini agVinsorti) al Pizzo, a dir,
— 441 —
€ che Nunziante era stato stretto, come in una cerchia, e di.
a sfatto. Il paese insorse, a tale notìzia; ed il sottintendente Mazza
« fu ad un pelo di essere ucciso. Questo fatto raccontò il Mazza
a stesso, che fu, poi, intendente, qui! > —
(236) Ludovico-Giorgio-Teodulo, conte di Wallmoden-Gim-
born, nacque, il 6 febbrajo 1769, a Vienna, dove il padre Gian-
Ludovico era ambasciadore della Grambrettagna. Egli entrò, pri-
ma, nell'esercito annoverese; passò, nel 1790, nel prussiano; e,
dopo la pace di Basilea , nelF austriaco. Capo di guerriglie ,
nelle campagne dal 1796 al 1801, fu adoperato, pure, in missioni
diplomatiche: cosi, per esempio, sottoscrisse, nel 1809, il trattato
pe' sussidi, a Londra. Promosso a Tenente - Maresciallo di
campo e Divisionario, passò, come tale, al servizio della Russia,
nel 1813; ed, a capo della legione tedesca, tenne in iscacco il
Davoust ed obbligò i danesi a separarsi da* francesi. Ridiven-
tato austrìaco, dopo la seconda pace di Parigi, surrogò, nel
1817, nel comando delle truppe, rimaste nel Napolitano, il
Nugent, che passò al servizio dì Ferdinando I (Vedi la 12^ di
queste note). Nel 1821, comandò parte dello esercito, incaricato
di ristabilire V assolutismo, nelPItalia meridionale; ed occupò la
Sicilia, dove rimase, fino al 1823. Fu, quindi, comandante dei
primo corpo di esercito, nella Italia settentrionale; e di Milano,
fino al 1848. In quell'anno, fu posto al riposo.
(239) Il Principe Felice-Ludovico-Gian-Federico Schwarzen-
berg nacque, a Krumau, in Boemia, il 2 ottobre 1800. Entrò
nell'esercito ; ed era capitan dì cavalleria , nel 1824 , quando
passò nella diplomazia. Nel 1848, trovavasi, ambasciadore, a Na-
poli. 11 26 marzo , alla nuova delle giornate di Milano , una
dimostrazione, cui presero parte molte guardie nazionali in uni-
forme , fischiò r ambasciata austriaca e ne abbruciò lo stem-
ma. Scriveva, nel 1849, il Massari: — « L* Ambasciatore di
< S. M. I. ed apostolica era, allora, il prìncipe di Schwarzen-
€ berg: già, rappresentante del suo governo, presso il Re Carlo
« Alberto; ed, oggi, uno dei componenti il ministero Stadion,
« a Vienna. Egli aveva, sempre, cordialmente, aborrita V Ita-
€ Ila ed esecrati gU Italiani. Nò dissimulava, nelle conversa^
« zioni pubbliche e famigliari, i suoi sentimenti. La naziona-
€ lità Italiana, per luì, era una gofià utopia; i suoi difensori,
< canaglia; tutti i liberali, gente da capestro. Lo spettacolo
« delle insegne imperiali, buttate, giti, dal popolo» e, quindi,
— 442 —
€ bruciate, lo commosse^ a sdegno grandissimo. Ne domandò
€ riparazione, al governo. 11 quale gliela avrebbe data, volen-
« tieri, se non era rattenuto, non da pudore, nò da n azionai
€ verecondia, ma dalla gran paura, che i liberali, allora, gl'in-
« cutevano. Il principe di Schwarzenberg partì, arrabbiatissimo;
€ e covando, in cuor suo, la vendetta. Nel salire in carrozza,
€ disse , con piglio sdegnato : Je reviendrat di' tei à quelques
€ mois. » — Per ritornare, rientrò nell' esercito , col grado di
maggior-generale, conferitogli dal 1842. (Che il suo avanzamen-
to militare non stato interrotta dal passaggio in diplomazia)
CJombattè a Curtatone ed a Goito; fu promosso a tenentemare-
sciallo; e prese parte alla battaglia di Custozza. Il 22 novembre,
messo a capo della amministrazione austriaca, s'adoprò a salvare
Tintegrità dello Impero. Moriva di gocciola, il 5 aprile 1852. Ce-
lebri sono le parole, che gli si attribuiscono, parlando della Rus-
sia, al cui intervento, in Ungheria, l'Austria andò debitrice della
sua salvezza, nel 1849: Farò stupire il mondo, con la mia in~
gratitudine. Ciniche parole, che dipingono V uomo e ce ne mo-
strano, in riassunto, le virtii e le colpe.
(238) Il Viceré ora l'Arciduca Ranieri, settimo figliuolo dello
Imperadore Leopoldo II e della Maria-Luisa di Spagna, nato
il 3 settembre 1783. Stette nella milizia, finché, nel 1818, fu
nominato Viceré nel Regno Lombardo -Veneto. Buon uomo ,
in fondo , ma inetto ; e , del resto , ridotto a mera comparsa ,
essendo il potere nelle mani dell'autorità militare e della can-
celleria di Vienna. Rimase , cosi , larva di Viceré, ben tren-
t' anni. Per gli eventi del 1848 , lasciò la vita pubblica e la
Lombardia. Morì, nel cosiddetto Tii-olo meridionale, (idest, nel
Trentino) dove, per lo più, si tratteneva, il 16 gennajo 1853.
Avea sposato, nel 1820, la Elisabetta, sorella del nostro Carlo Al-
berto. E, di questo matrimonio, gli sopravvissero cinque maschi
e, per poco, V Adelaide, che fu moglie del nostro Vittorio Ema-
nuele II.
(239) Il Conte Gaetano Recchi nacque, in Ferrara, il 13 de-
cembre 1798. Perde il padre , da fanciullo. Studiò, nel Liceo
di Ferrara, nel Collegio di Bologna ed a Siena. A sedici anni,
fa mandato a Roma, dalla madre, che desiderava farne un av-
vocato. Ma egli non sentivasi inclinato per quella professione;
ed ottenne di poter attendere, in patria, alle pix)prie faccende
ed a riordinare il patrimonio dissestato Nel 1829 , promosse
— 443 —
le scuole popolari e tecniche. Nello istesso anno , rivendicò, al-
ritalia, l'invenzione de' pozzi, cosiddetti artesiani. Nel 1831,
venne nominato: Segretario della Giunta di Governo; e Depu-
tato, al Congresso di Bologna. Nel 1847, consigliò, al Cardinal
Ciacchi, di protestare, con atto notarile, contro l'occupazione di
Ferrara , fatta dagli Austriaci. Protesta , che sorti 1' effetto ;
giacché le truppe austriache ebbero ordine di rincittadellarsi.
Fu, pure, chiamato, da Pio IX, a far parte della Consulta. Fu
Ministro degl'Interni; ma rinunziò, subito dopo T enciclica del
28 aprile 1848. Fu Presidente del Circolo Nazionale Ferrarese.
Cessò di vivere, il 12 aprile 1856, nella casa del Conte Tancredi
Mosti (ora, Vittorio Emanuele); e fu tumulato, al cimitero co-
munale, nell'arco di sua famiglia. E fu l'ultimo di tal prosapia.
Mi assicurano, che il suo testamento ne pruovi l'animo buono.
Molti scritti pubblicò, dal 1829 al 1856.
(240) Vincenzo di Pietro Malenchini, commerciante, e della
Veneranda Chiellini, nacque, in Livorno, 1*8 agosto 1813. Si
laureò in legge, a Pisa. Giovanissimo, si ascris^^e alle sette (del
che, non voglio lodarlo); ed, avendo suscitato qualche sospetto,
mentre era, a Roma, nel 1845, fu chiuso, per breve tempo, in
Castelsantangelo. Emigrò , poscia , in Inghilterra, in Francia e
nel Belgio. Nel 48, capitanando una compagnia di bersaglieri,
mostrò bravura. Rimpatriato, fu Deputato al Parlamento to-
scano. Il Montanelli, (Vedi la 277*^ di queste note) Ministro,
il nominò Maggiore di un battaglione di volontari; ma, egli
preferì recarsi in Piemonte , a combattere , da soldato sem-
plice, nel Reggimento del Cucchiari. Compiutasi, in Toscana,
l'occupazione austriaca, venne a Firenze. Ed, insieme con Fer-
dinando Zannetti , respinsero al Granduca fedifrago , le croci
di Cavalieri di S. Giuseppe, decretate loro, pe' fatti di Curta-
tone. Da quel punto, fu promotore della Unità, sotto la dina-
stia Sabauda ; ed organizzò il moto annessionista in Toscana.
Tacxìio di una piccola parte, ch'egli avrebbe avuta, in Parigi,
nel tentativo di resistenza al colpo di stato del 2 decembre :
cosa c'entrava lui. Italiano, nelle faccenduole interno di Francia?
Vuoisi, che , allora , traesse in salvo il retore Vittorio Hugo.
Nel 1859, organizzato, segretamente, a sue spese, un battaglione
di volontari, in Livorno, il condusse, il 16 aprile, negli Stati
Sardi. Il Cavour nel volle Maggiore; e fu il primo nucleo de*
Cacciatoli degli Appennini. Tornato, dieci giorni dopo, in To-
— 444 —
scana, ebbe parte, nel moto, che determinò la fuga del Grani
duca. Ma non rimase, se non pochi di, membro del GoverncJ
Provvisorio, impaziente di raggiungere i suoi volontari. Dopo
Villafranca, entrò nello stato maggiore deirUlloa; poscia, in
quello del Garibaldi. Deputato di Livorno, alla Costituente To-
scana , propugnò r annessione; e fu, quindi, eletto Deputato
di Livorno al Parlamento Italiano; e, poi, sempre, rieletto,
fino al 1876. Nel 1860, s'imbarcò, il 20 maggio, a Livorno, con
oltre mille volontari; e sbarcò a Trappito, nel golfo di Castellam-
mare, avendo garentito, con le proprie sostanze, i vapori, al Ru-
battino, pel caso, in cui fossero stati danneggiati o calati a picco.
Fece tutta la campagna, fino a Maddaloni. Nel 1866, fu Colon-
nello, ajutante di campo del Generale Nino Bixio, che accompa-
gnò, pure, nella ingloriosa campagna, che ci fruttò Roma, nel
1870. Fu ajutante di campo, onorario, di Vittorio Emmanuele; e,
quando rinunziò alla deputazione, Senatore del Regno. Morì, in
Collesalvetti, nella sua villa di Badia, il 21 febbrajo 1881. Ho
avuto presente, nel compilar questa nota, la breve biografia del
Malenchini, scritta da Ugo Chiellini e pubblicata, pei" incarico
ed a spese del Municipio di Collesalvetti, Di siffatte spese, ese-
guite da consigli comunali, co' denari de'contribuenti, ho, già,
detto quello, che ne penso.
(241) Pare, che questo VoUaro, capitano della 4.* comp.* L^
batt.* voi. non morisse, ma fosse, solo, ferito; e, che si chia-
masse Saverio; e che sia quel Saverio Vollaro, che è stato, sino
air ultima legislatura. Deputato di Reggio al Parlamento. Ap-
parteneva alla Sinistra. Cara gioia!
(242) Cesare de Laugier, conte di Bellecourt, nacque, il 5
ottobre 1789, a Portoferrajo; mori, a Camerata, presso Fiesole,
il 25 marzo 1871. Entrò, sedicenne, nelle truppe toscane, da
cadetto. Uscitone per un duello, si arrolò, due anni dopo, ne'
veliti della guardia imperiale. In ispagna, al combattimento di
Esquirols, guadagnò la Croce di onore. Nel 1811, Luogotenente;
due anni dopo. Capitano. Segnalossi in Russia. Fu prigioniero
degli austriaci. 11 1 marzo 1815, fu, nello esercito del Murat ,
nominato Maggiore. L*anno rientrò in Toscana; e vi rientrò
neir esercito, da semplice Capitano, nel 1819, facendo carriera.
Nel 1848, ebbe il comando delle forze, spedite in Lombardia.
A Curtatone, lottò, con cinquemila uomini e sei cannoncini, per
sei ore, contro lo sforzo di 30000 austriaci. Costretto a riti-
— 445 —
rarsi, fu malconcio e corse pericolo di vita; ma ricondusse a
Goito, gli avanzi del corpo e ne ottenne onorificenze dai Savoja
e dai Lorenesi. Capitolata Milano, si ritrasse, co' suoi, in Toscana.
Nella insulsa rivoluzione dell' anno seguente, tenne pel Gran-
duca, fuggito a Gaeta, contro il Governo Provvisorio. Dichiarato
traditore , riparò , con pochi uomini, presso Leopoldo II. Con
lui, tornò; e no fu creato ^linistro della Guerra: ufficio, dal quale
si dimise, nel 1851. Fu reputato buono scrittore di strategia e
d'altre materie militari. Non so, se, anohe lui, fosse fra que' de
Laugier, le cui pretese, per dritti ereditati, ad una parte,
nella indennità francese di un miliardo agli emigrati, furono
sostenute, con una arguta memoria, compilata dal Barone Giu-
seppe Poerio, quale avvocato consulente, ma firmata, se non
erro, dal Dalloz.
(243J Raffaele di Carlo Poerio seniore e della Gaetana Poerio
(Vedi la 289*^ di quoste note), fratello minore del Barone Giu-
seppe Poerio e del Tenente-Colonnello Leopoldo (Vedi la 34*
di queste noto) , nacque , a Catanzaro , il 29 settembre 1792.
Dopo i fatti del 1821, dovè lasciare il Regno di Napoli ed e-
migrare: nelle isolo Jonie , a Malta, in Francia. Prese, poi,
servizio, in Francia, nella legione straniera; ma ricusò di se-
guirne le sorti, quando la Francia ebbe a venderla alla Spagna.
Riammesso, in seguito, nell'esercito francese, giunse al grado
di Colonnello, combattendo, sempre, in Africa, e meritando, più
volte, di esser posto all'ordine del giorno. Tornò, in Italia, nel
1848; ebbe, dal Governo Lombardo, il comando di una brigata
della divisione, comandaci dal Perrone (Vedi la 335* di queste
note). Mori, da maggior-generale al ritiro, in Torino, il 19
decembre 1853. Dalla Maria Teresa de' Nobili , nata, a Catan-
zaro, il 1.° marzo 1801 (cognata di Luigi Vercillo, vedi la 232.*
e 285*^ di questo noto), e che gli sopravvisse, fino al 25 aprile
1883, ebbo parecchi figliuoli. De' quali sono, ancor, vivi: Giu-
seppe (economo della Regia Università di Napoli ed autore,
fra l'altre cose, d'una grammatica francese stimatissima); Gu-
glielmo (Colonnello di Artiglieria, ora, al riposo); e la Gaetana.
(244) Sono dolente di non aver potuto ritrovar copia di que-
sto memorandum, per inserirlo, qui; tanto più, che, forse, la
lettura d'esso m'avrebbe indotto a ricredermi di quanto ho detto
nella 122.* di queste note.
(245) Giovanni Avossa , avvocato salernitano , era stato no-
— 446 —
minato Ministro deirinterno, nel Gabinetto Trova (3 aprile 1848).
La malferma salute gli tolse di accettare Tincarico; e fu surro-
gato, da Raffaele Conforti. (Vedi la 70* di queste note). Dopo le
catastrofi, si ricoverò a Malta; e vi stette, fino al 60. Fu, quindi,
consiglicr di Luogotenenza, per la Grazia e Giustizia, sotto il
Farini (Vedi 391* di queste note). E morto. Presidente di Se-
zione, alla Cassazione napolitana, e Senatore del Regno.
(246) Credo debba essere una lettera di Damiano Assanti,
al fratello Cosimo; ma è questa una mera supposizione.
(247) Ferdinando Fonseca (e propriamente Fonseca Lopes di
Leone d' Henriquez Chavez Pimentel) di Antonio (Capitano)
e della Emilia Cortese (cugina di Paolo, che è stato ^liuistro
di Grazia e Giustizia, nel ministero Lamarmora) nacque, a Po-
tenza, nell'ottobre 1822. Era fratello di suo nonno Michele quel
Generale Fonseca, che comandò l'artiglieria repubblicana, nel
17<,)9. (Vedine la biografia, in D'Ayala: Vite de' più celebri capitani
e soldati napolekini^ dalla gi'/rnata di Bitonto a* di nostri). Prima
del 1818, egli era uno degli esecutori degli ordini del Comi-
tato, presieduto dal Bozzelli (vedi la 114* di queste note). E,
come tale, istituì, nel 1844, in Basilicata , un sotto-Comitato ,
composto da Emanuele Viggiani , Pasquale Amodio , Diodato
Sansone ed un tal Branca. Il duca della Verdura, Intendenti
della Provincia, volea farlo arrestare. Ed egli ricoverò, a Rionero,
in casa de' suoi parenti Fortunato; e. 11, scrisse la descrizione
geologica del Vulture. Il 14 gennajo 1848, si recò a Sarno,
da Filippo Abignento (allora. Canonico) ed a Salerno , dallo
avvocato Ruotolo: e, li, fu discusso ed ordinato il moto del
Cilento. Andò , col Rossaroll , in Lombardia , Tenente della
Compagnia, onde era capitano Enrico Poerio. (Vedi la 34*
di queste note ). Il battaglione , che era , quasi , aggiunto al
10.^ di linea , fu passato in rivista , sul Molo , dal Re , il 15
aprile; e, 11, ebbe luogo quel colloquio, tra il Re ed il Rossaroll,
del «jual abbiam fatto cenno, nella 102.* di queste note. Ebbe
una palla fredda, sul fegato, a Curtatone. Fu fatto prigioniero,
il 29 maggio; e condotto, in quarantacinque giorni di marcia,
fino a Theresienstadt. Riebbe la libertà, per l'armistizio Salaaco.
Ritornato in Italia, trovò, che il Bozzelli lo aveva promosso, da
primo ajuto all'Università, che egli era, a Professore Coadja-
tore dello Scacchi (Mineralogia e Geologia). Dopo un anno, Fer-
dinando Trova il destituiva , con sedici altri, fra' quali il Ga-
— 447 —
sparrinì, il Melloni, il Costa, il Ciccone, il Tommasi. Dava le-
zioni di geologia applicata agringegneri: ma fu chiamato a dar
esame di catechismo (che, allora, si pretendeva, da chiunque in-
gnasse qualunque cosa) e non si presentò; e dovè, quindi, smet-
tere ogni insegnamento. Avendo saputo, nel 1851, cho stava
per uscire il mandato di arresto, per lui, chiese un passaporto,
ad un Commissario, che gli rispose: A voi, tocca la- forca. Al-
lora, andò, dal Marchese Giustino Fortunato, Presidente del
Consiglio , tristo ed abjetto arnese di reazione, che era stato
giacobino accanito, nel 1799; il quale, essendogli parente, non
gli risparmiò gli ammonimenti triviali (come, per esempio: —
< in politica o si riesce, ed uno è un eroe; o non si riesce, ed
€ uno è un assassino»); — ma gli procacciò un passaporto ed
agevolezza d'imbarco, dicendogli: — « Pensa, ora, a lavorare,
« che i tempi vostri verranno. » — E questo è quel, che, più,
sdegna, contr' a' sozzi strumenti della tirannide borbonica: non
eran fanatici; erano in mala fede. Operavano il male, per trarne
frutto , sapendo , che poco poteva durare e che era male. Il
Fonseca, andatosene a Firenze, v'esercitò Tingegneria; vi tolse
la Giovanna Bucellati; vi arricchì; ed è stato Deputato di Ace-
renza, per la nona, la decima e l'undecima legislatura. Vive ed
ha numerosa prole. In sua casa, via Santa Caterina, numero
otto, abitava, a Firenze, ed è morto Carlo Poerio. Ho sott'occhi
due suoi scritti:
I. Geologia \ della \ Isola d'Ischia \ per \ Ferdinando JPon-
seca I Deputato al Parlamento \\ Riveduta ed accresciuta di una
nuova carta geologica \\ Firenze \ Tipografia Cavour \ \ia Ca-
vour, oiumeì'O 56 \ 1870.
II. Ddlle condizioni agricole \ della \ Pianosa \ e dell'ordina»
mento \ delle colonie agricole penali in Italia \ per Fei'dinando
Fonseca \ ex deputato e già membro del Consiglio superiore di
agricoltura \ con una carta topografico-agricola della Pianosa
Il Firenze \ Tip, e Ut. Carnesecchi \ Piazza d'Aì'ifio \ 1880,
(248) Enrico Amante, Caporale della terza compagnia, che
era, appunto, quella del Fonseca, fu ferito, nel calcagno. E
morto, non ha guari, Senatore del Regno.
(249) Monsignor Carlo Gazola, grande entusiasta di Pio IX,
fu tra' preti, che piìi sbraitarono, nel 1848. Poscia, incarcerato,
fuggì, a Genova, travestito da ufficiale francese. Ridotto in cat-
tive acque , m' assicurano, si rifugiasse presso un Vescovo di
— 448 —
Mondovi. Ma non ho potuto avere nessuna notizia precisa sul
suo conto. Mei farebbe diventar simpatico, il sapere , eh* egli
era antipaticissimo a quel poco di buono di Mauro Macchi, il
quale scriveva, a queir altra buona lana di Errico Cernuscbi«
da Capolago, il 12 ottobre 1850: — «Ho visto a Genova, il
< tuo Gazola; ma, a dirti il vero, benché in collera, con alcuni
« altri preti, non m'è sembrato meno prete degli altri. » — Non
ho potuto procacciarmi T opera intitolata: 21 prelato Italiano,
Monsignor Carlo Gazola^ ed il Yicariato di Roma , sotto Papa
Pio IX, 1849-50. (Torino, 1850, in 12.^).
(250) Ignoro chi sia T autore di questo frammento di lette-
ra: certamente, persona addetta al foro. La più celebre, tra
le difese criminali del barone Giuseppe Poerio, è quella del Lon-
gobucco, accusato di aver fatto assassinare il Sindaco del suo
paese.
(251) Quante stolte illusioni! Chi, poi, fossero questi Deputati di
Napoli yMeV Si pesca. Probabilmente, alcuni di quelli, indi-
cati, a pag. 71 del presente volume.
(252) Par di sognare, leggendo, che un Italiano, che un sa-
cerdote possa, così, rallegrarsi della guerra civile, possa esulta-
re, così, deir assassinio di alcuni soldati, i quali non facevano
se non obbedire, agli ordini del loro sovrano 1 Ma lo spirito di
parte acceca e travia.
(253) La Guardia d' interna sicurezza era una specie di Guar-
dia Nazionale, molto molto anodina, istituita da Ferdinando II,
ne* primi anni del suo Regno.
(254) Il principe di Fondi, per cognome Sangro (non con-
fonda il lettore, col Principe di Sangro), ò morto, poi, senatore
del Regno d'Italia. Egli era figliuolo di quel marchese di Genza-
no, il quale, nel 1799, essendo stato tronco il capo ad un suo
figliuolo, convitò, a lauto pranzo, i membri della Giunta, che lo
aveva condannato.
(255) Il Marchese Antonio Donnorso, che abitava al palazzo
proprio, strada Monteoliveto.
(256) Leggasi: Paudolfelli. Pandolfetti è errore di stampa. —
< D. Gennaro Pandolfelli era un pallon di vento. Non era. spia,
< ma passò per tale, per la smania di agitarsi, di volersi far
« credere potente, presso il Re, presso i Ministri. » — Così, mi
dice uno, che l'ha conosciuto. Morì, nel 1874. Il padre era stato
Intendente (Prefetto); e, poi,Jfu nominato Consigliere della Corte
— 449 --
dei Conti. Il zio era Direttore Generale delle contribuzioni di-
rette. Gennaro non ebbe uffici. Lasciò un figliuolo, morto, pazzo,
da pòco tempo; ed una figliuola, che, mi dicono, abbia sposato un
figliuolo del fisico Luigi Palmieri.
(257) Monsigjiop Monchini era partito, verso la fine di mag-
gio, come Delegato Apostolico straordinario; e recava, airim-
peratore, una lettera (onde abbiamo parlato, nella 175* di queste
note), la quale non potè presentare , se non verso la metà di
giugno.
(258) Le solite scioccherie rivoluzionarie! Già: o tutto, o
nulla! Se la stessa bestialità fosse stata ripetuta, nel 1859, e
Vittorio Emanuele , non potendo aver tutto il Lombardo-Ve-
neto , avesse rifiutato di mangiarsi quella magnifica foglia di
carciofo, che è il Milanese, dove sarebbe, ora, l'unità d'Italia?
Avrebbe egli potuto mangiarsi tutte le altre foglie del carciofo
Italiano ?
(259) Isella idea, che il Ferrari si faceva de' soldati Napo-
litani ! Ma, più bello, ancora, che soldati, i quali egli stimava
capaci di voltar casacca, per trenta jscudi a tosta, fossero, poi,
anche, da lui, ritenuti un prezioso acquisto, per la causa Ita-
liana! Del resto, pare, che questi mezzi, allora, non sembrassero
irregolari e reprensibili, neppure a' migliori. (Vedi, p. e., nelle
yarrazioni Storiche di P. S. Leopardi, e. XVII). Andrea Ferrari,
antico soldato dell'impero, fu ferito, a Provins, nel 1814, e
croci/isso, da Napoleone, sul campo di battaglia. Pugnò, poi, in
Africa ed in Isp.ìgna; dove, nel 1837, succedette, nel comando
della legione straniera, al Colonn-^llo Conrad, ucciso alla bat-
taglia di Hu;^sca. Fu comandante delle Guardie Nazionali e de*
Volontari Romani, nel 1848 (Vedi la 98'^ di queste note). Mo-
riva, a Roma, nel 1849.
{2t\0) Nicola Fabrizi, detto il Venerando Fabrizi, da' dema-
goghi presenti, (ma che di venerando non ha, ch'io sappia,
.se non la lunga barba) modenese, mazziniano sfegatato. Il qua-
le, essondo ministro della Guerra di non so qual Prodittatore,
in Sicilia, nel 1800, si promosse, da sé, Maggior-Genarale. Ora,
percepisce la pensione del grado, cosi seriamente acquistato, e
quella di commendatore dell'Ordino Militare diSavoja, non meno
seriamente ac(£uistata, come capo di stato maggiore del Ga-
ribaldi, nel 1800. Gli stipendi gli sono stati, sempre, a cuore,
come può vedersi, dallo sue lettere, nel presente volume. K De-
2y
— 450 —
putato al Parlamento (dove non ha fatto, mai, mostra, nò di
eloquenza, ne di senno), pur perfidiando a repubblicaneg-giare.
Egli aveva duo fiatelli: Paolo, nv^dico; e Luijri, che conabattè,
valorosaniante, nel 1800, ed è, se non erro, morto, appunto, pel-
le conseguenze di alcune ferite.
(2()\) Il Lampo era uno de' giornali, sorti, a Napoli, dopo la
promulgazione della costituzione.
(i?()i?) La Maria- Antonietta, era un piroscafo commerciale, se
non isbajrlio, «lolla Compagnia Rabattino; e, così, chiamato, in
onore della Granduchessa di Toscana.
(;2G3) Del Generale Michelang<lo Ruberti. (Vedi la 42.'' di
queste note).
(*2(U) Credo trattarsi di un casino di PietracateDa (Ceva-Gri-
maldi) al Vomcro, dirinipotto alla Floridiana; ma, potrebbe, an-
che, essere un (luarticre nel palazzo Pietracatella, in città. Quel,
che ò detto, a pag. 1)5, non escluderebbe la prima interpretazio-
ne: giacché, lì, per casino solitario, evidentemente, s'intende
l'abitazione del Ruberti, in S. Elmo. E quel, che si liig-go, a
pag. 281, la conf-irma.
(205) Cioè Franf osco-Paolo Bozzelli e Francesco -Paolo Rug-
giero (vedi le noto 114"^ e 4P). Quel nome di Francesco-
Paolo divenne infamo e sinonimo di apostata, nel 1848, in Na-
poli, fra' liberali.
(2r)G) Nicola GìltH fu Ministro, dopo il 15 maggio. Ecco come
ne parla il Massari: — «Mancava un ministro di grazia e giu-
« stizia. Nessun magistrato di onore volle assumerne il carico.
« Finalmente, si trovò un tal Nicola Gigli, meschinissimo pe-
« dante e mediocrissimo legulojo, il (juale, oltre ogni dire lieto
« di essere invitato ad ascendere a tanta ed inaspettata al-
< tezza, accettò di ess ^r collega do' ministri del 10 maggio >. —
(2()7j II d'Agostino, morto Generale, era stato Segretario
particolare del Re,, che il volle, anche, membro dell'Accade
mia delle Scienze, riprovando la nomina, fatta in Mariano d'A-
yala. (Vedi la SIS.'"* di queste note). Dicono fosse un uomo di
cattiva lega. La sua vedova sposò, poi, l'avvocato Gennaro
Ciavarria: e corso voce, che il primo matrimonio potesse con-
siderarsi come non avvenuto.
(268) 11 Principe di S. Nicandro, per cognome Cattaneo, era
gentiluomo di camera; e visse, mi dicono, senza infarnia e
senza lodo.
— 451 —
(269) Francesco Palermo, nato ne' primi anni del secolo,
morto prima dell' 80, lasciò Napoli. Datosi agli studi filologici,
divenne bibliotei^ario della Palatina in Firenze. Fra le canto-
nate, eh' egli ha prese, è celebre la pretesa scoperta di fram-
menti della Comedia^ ch'egli, per fas et nefas^ sosteneva esser
di mano di Francesco Petrarca. Una sua prima moglie , l'A-
malia Paladini, fu, anche, letteratessa; e pubblicò imitazioni
Italiane del Sanford and Merton nonché di alcune commediolo
della Contessa di Genlis. Povera roba ! Il Palermo ebbe, per
seconda moglie, la figliuola *del General Trotti.
(270) Giusei)pe Campagna nacque , in Pedace, (come leggo,
nell'opera di Luigi Accattatis: Le Biografie degli uomini il-
lustri delle Cilabric) , villaggio cosentino , verso la fine del
secolo scorso; è morto,, non so se a Parigi od in Austria, nel
1800. Fu mediocre fabbro di versi; ma si notarono, specialmente,
il suo Abate Gìoacchiuo, racconto in terza rima, e le tragedie:
Ferrante ed il Bosco di Dafne. Ma si fregava col nobilume e,
per un suo sozzo matrimonio, con la vedova dello ambasciadore
Lebzeltern, fu scomunicato, da tutti i buoni.
(271) Girtconio di l)Ìpgo Laoaita fu fratello uterino d^^lla mo-
glie di Domenico Capitelli (pel quale, vedila 6P di questo no-
te), e del dottove Alessandro Lopiccoli. (Vedine un certificato,
nella 9*^ di questo noto). Nato, in Manduria, il 4 ottobre 1813.
Orfano del padre, noi 1817, della madre, nel 1828, recossi, a
Napoli, nel 1832, e si diede all' avvocheria. Frequentava, puro,
molto, lo società, specialmente de' forestieri, bazzicando in casa
del principe Luporano (antico amico di suo padre, la cui mo-
glie era figliuola dol maresciallo Jourdan), di K. M. Throop
(incaricato di affari degli Stati Uniti d'America) e di Sir Gu-
glielmo Templi (fratello del Palmerston e ministro inglese in
Napoli). Noi 1818, fu, 'tra' candidati conservatori, che non riusci-
rono, ma di buona fedo. Nell'autunno del 1850, strinse ami-
cizia col Gladstone, ohe svernava, in Napoli, per la saluto di
una sua bambina. Nel decombre, sospettato di essere il distri-
butore de' denari, co' quali Ferdinando II vaneggiava suscitate,
dal Palmerston, Tinsurrezione Sicula o ragitaziono napolitana,
fu arrestato e sottoposto a processo. Puro, ottenne, in breve,
più per valide protezioni che per l'insussistenza del reato, la
libortt\. Ma il Gladstono fu indotto, dalla prigionia dell'amico, a
studiare le condizioni del paese; e, cosi, nacquero le beneficilo
— 452 —
lettere e sante, a Lord Aberdeen. Ma la pubblicazione di esse
rese impossibile la stanza del Lacaita, in Napoli. La intercessione
del Tempie gli ottenne, dal marchese Fortunato, un passaporto,
nel decembre del 1851. Andò, in Inghilterra, dove incontrò. Ac-
compagnò il Gladstone, nella missione nelle Isole Jonie. In In-
ghilterra, pubblicò il Dante Illustrato del Vernon e prese mo-
glie e risiedette. Fu Deputato per Bitonto, nel primo Parlanaento
Italiano; ed, ora, è Senatore del Regno. Vive, gran parte del-
Tanno, a Londra; per alcuni mesi, a Vicenza ed a Leucaspide
(terra di Otranto), in certi suoi poderi. Ha un figliuolo.
(272) Il Lefebvre, fabbricante di carta, francese naturalizzato,
che comprò il titolo di Conte di Balzorano. Amico del Filan-
gieri, fece, poi, nella Camera dei Pari, la mozione per gli affari
di Sicilia. Non so trattenermi dal narrare un fatterello molto
caratteristico, per la società napolitana. Mi ricordo di aver sen-
tito, quando aveva undici anni, uno della più alta nobiltà napo-
litana, narrare, a mio padre, come fosse stato in trattative di ma-
trimonio, con una figliuola del Lefebvre; ma, che aveva preferito
un' altra giovanotta di famiglia calabrese : — « La dote » —
diceva lui— « era la stessa. Ma, con questa, posso buttarmi, an-
< che, se mi piace, con tutti gli stivali, sul letto; e, con la Lefeb-
« vre, educata alla francese, non lo avrei potuto » — Che sin-
goiar criterio, per la scelta della moglie l
(273) Chi fosse questo di Amato, non ho saputo trovare
chi mei dicesse.
(274) Il Pugnetti era Professore della facoltà giuridica, nella
Regìa Università di Napoli. Fu destituito, da' ministri del Ga-
ribaldi , in omaggio alla pubblica opinione : formola comoda ,
per mascherar lo arbitrio! Nò T arbitrio, per esser giusto in
alcun singolo caso, cessa, mai, di esser cosa iniqua. Succeduta,
poi, la luogotenenza, importunava, continuamente, mio padre,
perchè il reintegrasse in ufficio. E mio padre, che nulla poteva
per lui, a dargli dell' erba trastulla. Finché, un giorno, al Pu-
gnetti, scappò detto: — « Vorrei sapere, chi avrà il coraggio
<t di salire, su quella cattedra, eh' è stata occupata, per qua-
« rant'anni, da Gherardo Pugnetti! » — Gherardo o Gaudenzio,
che non ricordo bene il suo nome; ned è di que* nomi, che im-
porta il conoscere. E mio padre: — « Senta I se. in quarant'anni,
« Ella non è stato in grado di faro uno scolare, che sia capace
— 453 —
4 di succederle, è giustificato, pienamente, il decreto, che lo ha
« rimosso ». — L' amico tacque; e, da quel giorno, levò V as-
sedio.
(275) Per Antonio Scialoja, vedi la 66* di queste note.
(276) Gabriele Capuano, di Giulio Cesare e della Angiola
Bordini, nacque, in Napoli, il 28 ottobre 1817: ed è vivo e
sano. Alla sua famiglia, già, scritta al sedile di Portauova,
apparteneva quel Gianluigi Capuano, che, nel 1547, perde la
vita, per essersi opposto alla introduzione della inquisizione
spagnuola a Napoli. Fu tra* discepoli prediletti del marchese
Basilio Puoti. Nelle prime elezioni per provinole , del 1848 ,
entrò in ballottaggio, ma non risultò. Nelle seconde, per di-
stretto, fu deputato di Casoria. Nel marzo 1851, fu imprigio-
nato; ma per pochi giorni. Nel settembre 1860, fu del Decurio-
nato di Napoli, nominato dal Garibaldi in luogo del precedente
disciolto; ed i colleghi lo elessero segretario. Nel novembre, il
Luogotenente del Re Farini il volle de* ventiquattro della Con-
sulta Generale. Il 19 febbrajo 1861, fu nomhiato Giudice della
Gran Corte Criminale di Napoli, destinato a servire nella Gran
Corte Civile. Nel riordinamento della migistratura, con decreto de*
6 aprile 1862, fu Consigliere della Corte di Appello di Napoli;
dal 1876 al 1878 presidente della sezione di accusa; e, dal no-
vembre di queir anno , è Consigliere di Cassazione in Napoli.
(277) Giuseppe Montanelli, nato, nel 1813, in Fucecchio,si lau-
reò, a diciotto anni, in Pisa. Visse, quindi, a Firenze, occupandosi
di lettere ed esercitando l'avvocatura. Nel 1836, pubblicava
un volume di mediocri liriche. Nel 1840, andò professore di Di-
ritto Patrio e commerciale, nello Ateneo di Pisa, dove visse, in
istretta relazione, con la Luisa Parrà. Andò, in Lombardia, col
battaglione universitario pisano. Ferito ai braccio, a Curtatona,
passò per morto. Ma egli era tratto prigioniero, in Austria; e fu
liberato dair armistizio Salasco. Si attuffò, quindi , nella ba-
raonda rivoluziofiaria; e, con le sue intemperanze, con la sua
dissennatezza, con la sua incapacità amministrativa, fu non ul-
tima causa de* mali della Toscana. Dimorò, poi, esule, in Parigi
dove fò gemere i torchi, per certe Memorie^ che dovrebbero essere
Tapologia sua; e per un poema polimetro, drammatico e fan*
tastico, in nove canti, intitolato la Tentazione^ indigaito pol-
pettone. Vi scrisse, pure, per TAdelaide Ristori, più mima che at>
trice,una Camma; e tradusse la mediocre Medea del Legouvé. HUt
— 454 —
1859, rimpatriato e Deputato alla Costituente Toscana, perfidiai!
do in un ridicolo repubblicaneggiare federalista, si oppose al-
l'annessione della^ Toscana agli Stati Sardi; e non assistè alla
seduta del 20 agosto, che la deliberava. Si mise a fare dell'agi-
tazione, nelle Società Democratiche: il che non gli tolse di accet-
tare la cattedra, che gli veniva offerta, a Pisa. Mori, in Fucecchio,
il 17 giugno 1862. Vedi l'opuscolo intitolato: A//a caramemoria \
di I GiuseppeMontanelU\\ Livorno \ Tipor/rafiaMinerva \ iS62.
Il Montanelli e la Parrà, il Montanelli per via della Parrà, furono
amicissimi del Poerio; anzi la Parrà era stata, forse, più che ami-
cissima, di Alessandro, a Parigi, storie vecchie! Se si potessero
ritrovare le lettere^'del Poerio a loro, la pubblicazione di esse,
con quelle, da loro scritte, al Poerio,|formerebbe un importante vo-
lume. Il figliuolo della Parrà, morto a Curtatone, chiamavasi
Pietro. Ecco , come un certo Aristide Provenzal , con triviale
rettorica, descrive questo fatte, in un elogio funebre, letto, nel-
r esequie, celebrate, in Livorno, al Montanelli, nel 21 giugno
1862, nella loggia massonica Unione. — « Nella giornata di
< Curtatone, memoranda per gloria e martirio, ne* fasti toscani
< ed italici, è noto, come egli combattesse, vaiolosamente, in-
« coraggiando, colla parola e con T esempio, i prodi, che lo at-
< torniavano, tra i quali emulava V intrepidità di lui, il gio-
« vane Pietro Parrà, il prediletto dei suoi discepoli, il figlio
< del cuore ; e il maestro gli facea più alto scudo del pre-
ce prio corpo , quando più fitto si faceva il grandinar delle
< palle, rinnovando l'esempio di Socrate proteggente Alcibiade
« a Delio. Ritiravasi uno scarso drappello di quegli eroi, alla
< pericolosissima, anzi disperata posizione, detta del Mulino:
« ad un tratto, il Parrà, che era, sempre, al fianco del Mon-
« tanelli, cade, rotta la fronte, da un colpo di fucile; si prostra
« a sollevarlo il Montanelli, ne abbraccia il cadavere, quando
< un altro colpo atterra lui stesso, aprendogli larga ferita,
< ove il braccio si congiunge alla spalla. Vuol continuare a com-
« battere; ma gli si velano gli occhi. Non potendo vendicare il
« suo diletto , gode,^che, almeno, a lui lo ricongiunga la morte,
< ed esclama a coloro, che erano accorsi ad assisterlo : SentOy
« che, per me^ è finita; mi farete testimonianza^ cKio non cad-
€ di, fuggendo il nemico, ma soccorrendo ramico,. E, a Malen-
€ chini, che lo sorreggeva, ripetè, venendo meno: Cencio mio f„m
a non è vero ?,.,» Attesta tu, che la mia ferita é onorata^ ch'io
— 455 —
« nmt lo fuggia^ il '^lemko. Qual fiamma trememla era neces-
« saria, a dar tanta vigoria, cui la natura era stata sì avara di
< potenza corporea! » —
(278) Giuseppe Mondolfo, israelita, è morto, da lungo tempo.
Ebbe un fratello, a nome Davide. Lasciò una fi;?liuola, Nina, che
mi si dice, brillasse, nella società israelitica, a Torino e Vicenza.
Ella morì giovane; era moglie di Giacomo Levi (della ditta Ja-
cob Levi e figli), ch'è vivo e verde e, sebben fresco in età, nonno i
da parecchio. Non altro ho potuto sapere sul suo conto, sebbene
mi rivolgessi, a'suoi congiunti; uno dei quali mi ha scritto: — « lo
« non conobbi Giuseppe Mondolfo, per'chè m'imparentai, con la
« sua famiglia, quand'egli era, già, all'altro mondo. So, che fu
« uomo dì onestà vera e di credito personale inattaccato e inat-
« taccabile. So, che era caritatevole e filantropo, verso tutti, senza
(( distinzione di partito, nazionalità o religione. Ma nulla cono-
« 8C0 di saliente, da meritare un posto in una biografìa. » — ■
(279) Carlo Poerio era stato, in Trieste, nel 1821, seguendo la
famiglia ed il padre, mandato, dal Governo Napolitano, a domi-
cilio coatto, in Austria. Dopo breve soggiorno a Trieste, il Poerio
fu relegato, insieme con Pasquale Borrelli, a Gratz, in Istiria.
Questo sì, che il Governo Austriaco, se consentiva a far da car-
ceriere, per conto del Governo Napolitano, pretendeva, però, che
questo passasse, a' relegati [Giuseppe Poerio, Pasquale Borrelli,
(magistrati), Pietro Colletta, Luigi Arcovito, Gabriele Pedrinelli,
(Tenenti Generali), Gabriele Pepe, (Colonnello)] gli stipendi, a'
quali avevan dritto. Il che rincrescendo a Ferdinando I, con*
sentì , che que' relegati fossero lasciati liberi di tramutarsi ,
dove piti loro piacesse. Così, il Pepe, il Colletta, il Borrelli, TAr-
coYito ed il Poerio andarono in Toscana; il Pedrinelli, ad impian-
tar non so che fabbrica, in Monaco di Baviera.
(280) La famiglia Imbriani si componeva, allora: Del capo. Pao-
lo Emilio (vedi la 29^ di queste note). Della moglie Carlotta Poe-
rio (vedi la 26* di queste note). De' figliuoli: Giuseppe-Caterino
(nato in Napoli l'il marzo 1839, morto, celibe, in Pomìgliano
d'Arco, il 20 maggio 1868); Vittorio (che detta queste note); Nina
ossia Caterina (nata, in Napoli, il 6 giugno 1842, morta, celibe, in
Pomigliano d'Arco, il 2 ottobre 1860); Matteo (nato, in Napoli, il
28 novembre 1843, vivente); Giulio-Cesare (nato, in Pozzuoli, il 15
febbrajo 1846, morto, in Napoli, il 15 febbrajo 1849); e Giorgio
(pel quale vedi la 30*^ di queste note). E, finalmente, della Rosa
— 456 —
Imbrigli, sorella di Paolo Emilio, nata, in Napoli, il 10 giugno
1807, vivente. Il casino, di cui, qui, si parla, era ed è, in Pomìglia-
no d'Arco.
(281) Vedi la 204* di queste note.
(282) Pe' fatti di Padova, vedi la Cronaca^ che si contiene, nel
volume di Epigrafi e prose di Carlo Leoni (Firenze, 1879), ci-
tato, nella 155.* di queste note. Ben inteso , che non è da cre-
dersi al Leoni, se non con molta prudenza.
(283) Ricordo di aver conosciuto questo Oliva (se non isba-
glio, si chiamava Lorenzo), che viveva, emigrato, a Torino, con
la moglie ed una figliuola. Vecchio capitano, proveniente dallo
esercito murattino, apparteneva al decimo di linea, che mani-
festò sensi Italiani e fu imbarcato, sulla corvetta il Palinuro,
e sbarcato a Livorno. Fu promosso a maggiore, nel 1848, a
Venezia, dal Pepe. Non aveva nulla di comune e nessuna pa-
rentela, con quel Domenico-Simeone Oliva, scombiccherator-
di pessimi versi, che fu padre della scombiccheratrice di pes-
simi versi, Laura-Beatrice (moglie di Pasquale-Stanislao Mane
Cini) e di quel Cesare, soprannominato, neir emigrazione, spi^
lapippe , ma che , pure , abbiamo visto , nel Regno d* Italia ,
Procuratore Generale, (morto, come tale, a Milano, nel 1883.)
Vo* ricordare Domenico-Simeone Oliva, perchè Mariano D' A-
yala, ne' Cenni, che ha scritti, intorno alla Yita di Alessandro
Poerio, dice: — « Studiò il latino, sotto Domenico-Simeone 0-
« Uva, non oscuro letterato, nobilissimo cittadino e. padre egre-
« gio della Laura -Beatrice. » — Di queste tre lodi, impugno
le due prime. L'Oliva era un povero diavolo di poetonzolo, che
scribacchiava, in latino ed in Italiano; e soleva mandare i suoi
versi, (quando a stampa, quando copiati, con bella calligrafìa,
dalla figliuola), a coloro, privati o principi, da' quali si augurava
una mancia. Giuseppe Poerio riceveva, spesso, di queste stoccate.
Come, poi, rOliva fosse adulatore de' principi, può vedersi, nel
poema, il Natale del Messia, (Napoli, 1816); dove, cosi, si rivolge,
a quel mostro del Re Nasone:
E tu, che imperi al bel Sebeto, e mostri
Volti a quel trono i passi e '1 tuo disio,
E, grave ancor de' regi velli ed ostri,
11 pie non senti a' voti tuoi restio;
Tu, ch'invochi la pace a' giorni nostri.
— 457 —
Pace del Ciel, quella, che dà sol Dio;
Mi ascolta. Io ti dirò, dopo aspra guerra,
Com^ella scese ad albergare in terra.
De' pacifici Regni, ov'ella è duce,
Mentre un nume, per me, Talme innammora,
Se a quegli, ancor, l'esemplo tuo conduce.
Canto di Te, pio Ferdinando, ancora.
Albeggia, omai, presso al tuo mar, la luce.
Che '1 mio giorno immortai da prima indora,
E se splendon gli augùri, e s'io di tanto
Favor son degno, a che *ndugiar più il canto ?
Né meno smaccate sono le sue adulazioni latine ed Italiane,
pel nascimento del Principe Ereditario, che fu, poi, per sì breve
tempo, Francesco IL Vedi l'opuscolo: Pel fausto nascimento \
di S, A. R. I // Principe Ereditario delle Due Sicilie, \ Prima
Prole delle Loro Maestà \ Ferdinando IL \e\ Maria Cristina \
di Savofa | Nostri amabilissimi Sovrani, \ Carme Italiano e La"
tino, ed Inno Pindarico \ di Do^nenico Simeone Oliva. \\ Napoli^
I Dal Gabinetto Bibliografico e Tipografico: \ A' 16 Gennajo,
1836. In questi cattivi esametri e pessimi endecasillabi, in
questi ottonari, che di pindarico non han proprio nulla, si ri-
vela il potente, che stende la mano, con l'opuscolo, per ri trarla
a sé, con la mancia.
Io sorrisi alla gioja, infra '1 dolore
D'orrenda infermità, dopo il quint'anno:
E, se qui non abbonda altro, che '1 core,
Sien larghi a perdoniar quanti ciò sanno.
Ricorda, con compiacenza, d'aver cantata la nascita di Fer-
dinando II (cara gioja!):
Ergo age, Fernando quae vovi ego munera nato,
Christina pariente sua, bona Musa, feramus.
Su dunque, o Musa mia, rechiam l'omaggio.
Che al natal di Fernando io, già, sacrai.
Or che la sua Cristina un fior dischiude.
Io comprendo e scuso le colascionate, che la malestiada fa'»
— 458 —
mes detta a*poetastri (i quali, però, veramente, potrebbero met-
tersi a fare un onorato mestiere, invece di perseverare in quella
via senza scopo); ma non comprendo e non iscuso, che, dopo
aver uno fatta ogni viltà e cortigianeria, per mance, o per ciondo-
li, se ne lodi T animo alto e patriotìco. Come ognuno scor-
ge, fral suocero Domenico-Simeone ed il genero Pasquale Sta-
nislao, e* era simpatia: poiché entrambi scribacchiavano cat-
tivi versi adulatori. E nota, ch'io ebbi il piacere di ristampar,
anni or sono , con illustrazioni , Tede del Mancini, per le nozze
di Ferdinando ^I con la Maria-Teresa d'Austria.
(284) D. Gregorio Ferrari, fratello di Salvatore ed Antonio
Ferrari. (Vedi la 234.* di queste note).
(285) La Isabella de Nobili , moglie del Barone Luigi Ver-
cillo; sorella maggiore della Maria-Teresa de Nobili, moglie di
Raffaele Poerio. L'Isabella è morta, in Napoli, nel 1875. (Vedi
la 232.* di queste note).
(286) Matteo Vercillo, ora, barone di San- Vincenzo, figliuolo
di Luigi e della Isabella de Nobili. É stato capo di riparti-
mento al Ministero dell'Interno, dal 1860, fino a che durò, in
Napoli, lo stralcio di quel Ministero, (fine del 1866 o principio
del 1867). Non avendo voluto recarsi alla capitale, rinunziava
al posto. Aveva ed ha, per moglie, la Lauretta Arena, figliuola d*un
cav. Arena. Ora, vive in San Fili, in Calabria Citeriore, con tutta
la famiglia; ed, ivi, attende alle cure domestiche.
(287) La Rachele e l'Amalia Vercillo, eran due figliuole di
Luigi e della Isabella de Nobili. Sono entrambe vive e nubili e
domiciliate in Napoli.
(288) Deve leggersi de Riso e non già Riso. Emanuele De
Riso, del Marchese Girolamo De Riso, ebbe parte nel 15 mag-
gio 1848, come mi scrivono di Calabria. Fu, poi, arrestato,
molti mesi, per misura di polizia; e, quindi, da Napoli, con-
finato, in Catanzaro. Ora, è morto.
(289) La Gaetana Poerio , de' baroni di Belcastro , moglie di
Carlo Poerio seniore, al quale spose numerosa figliolanza. Loro
figliuolo primogenito era stato Giuseppe Poerio, che fu fatto
Barone, da Re Gioacchino. Ecco, perchè, egli e, poi, succes-
sivamente, i suoi due figliuoli, Alessandro e Carlo, hanno por-
tato il titolo di Barone, che Carlo Poerio seniore, mai, non ebbe;
e che si è estinto in Carlo iuniore. Diamo la iscrizione, posta
a Carlo seniore ed alla Gaetana Poerio, nella chiesa del SS. Ro-
. — 459 —
sario, in Catanzaro, sul pilastro a sinistra, fra l'altare del Sal-
vatore e quello di Santa Rosa. Ne curò la collocazione la Ca-
rolina Poerio-Sossisergio, andata, in Calabria, nel maggio 1829,
come Vicaria generale del marito esule. E ci volle il bello ed il
buono, per ottener, dal ministro Intenti, la licenza di appor-
vela, non volendo l'intendente Di Liguori permettere, che si
mentovassero, in essa, i nomi de' due figliuoli Leopoldo e Raf-
faele, banditi dal Regno:
D. o. M.
CAROLO ET GAETANAE POERIO PATRICIIS CATACIENSIBUS
EX BARONIBUS CHIONIEl
QUI AVITUM GENERIS DECUS
OMNIUM VIRTUTUM LAUDE CUMULARUNT
IN PRIMIS OB STRENUAM OPERAM
IN EDUCANDA AD GLORIAM SOBOLE
FELICITER NOVATAM
lOSEPH, LEOPOLDUS, RAPHAEL, MARIA ANTONIA POERIO
FILII AMANTISSIMI
NE AB IPSORUM ANI>nS PATERNA BENEFiaA
EXCIDISSE VIDERENTUR
PARENTIBUS OPTIMIS AC PROVIDENTISSIMIS
LAPIDEM MUTUI AMORIS TESTES
UNANINES P. P.
ANNO M.D.CCC.XXI.
Quanto, poi, alla Nina Imbriani, vedi la 280.^ di queste note.
(290) 11 Conte Giuseppe Catterìnetti-Franco, vive, ancora, nella
sua patria Verona; e sta, per lo più, in villa, a Cologne. 11 Cat-
terinetti era,. nel 1847, a Roma, da parecchi anni], facendo il
paesista; e, lì, conobbe il Poerio, per mezzo della Contessa Goz-
zadiui. (Vedi la 25.*^ di queste note). Capitano della Guardia
Nazionale, parti col General Ferrari. (Vedi la 259.^ di queste
note). Dopo il fiasco di quel corpo , si trovava a Chioggia.
Copio un brano di una lettera, ch'egli ebbe la cortesia di scri-
vermi, due anni fa: — < Io mi strinsi, tosto, in amicizia, col
« Poerio; ed egli mi aprì tutto il suo animo, massime una not-
€ te, nel Colosseo; ed, ivi, mi recitò, declamando, delle sue beile
« poesie liberali e una parte de^ Sepolcri del Foscolo. Mi era,
e quasi, dalla Gozzadini affidato , perchò non solo miope, ma.
— 460 —
« anche, nervoso e bisognevole di un amico, che lo guardasse e
€ ne avesse ogni cura, lo, di tutto cuore, mi prestai, in que*po-
« chi giorni, por lui; Tamai, religiosamente, per le sue doti di
« cuore, di niente e pel gran patriotismo Poi, partii, per
< la guerra, col Ferrari. A Napoli, nacque ciò, che nacque. £
< il Poerio seguì il General Pepe, a Bologna; e , poi , passò il
« Po; e fu a Venezia. Quando io seppi di lui, ero, appunto, a
< Ghioggia; e, da me desideratissimo, gli scrissi la lettera, che
€ Ella pubblica Egli, poveretto, cercò di tutto per veder-
€ mi; e venne, su un vaporetto, da Venezia, per abbracciarmi,
a al forte delle Quattro-Fontane, eh* io comandavo , mentre il
«Maggior Mezzacapo > — (Vedi la 108* di queste note) —
« comandava il forte di Brondolo. Oh! su quella piattaforma*
< in sul tramonto, al cospetto del mare, quanta luce 8*ìrrag-
< giava dalla sua fronte ! Come si espandeva il suo cuore, ad-
« doloratissimo, per le cose di Napoli! E quanto io, mai, Pap-
< prezzavo, perchè il suo dolore lo consentivo io pure , come
« Italiano e come patriota. Purtroppo, fu l'ultima volta, ch'io
< lo vidi Finisco col dirle, che non posseggo di luì let-
« tera veruna. » — Il Catterinetti, eletto Capitano della Guardia
Nazionale, passò nella linea col Ferrari. (Vedi la 259^ di que-
ste note). Dopo un affare, che ebbe a Brondolo, ai posti avan-
zati, fu nominato Comandante un Battaglione, a Lido. Richia-
mate le truppe romane, che eran nel Veneto, a Roma, da quella
repubblica, egli fu nominato Maggiore alla battaglia di Velie-
tri, dove il Garibaldi avrebbe meritato la fucilazione, per la
sua indisciplina ed insubordinazione, se il codardo Re Bomba
non avesse, fuggendo, dopo il vantaggio de' suoi , che trascinò
seco, mutato lo scacco de' repubblicani in trionfo. 11 Catterlnetti
fu, poi, nello Stato Maggiore del Garibaldi; e, con lui, sul Giani-
colo,a S. Pancrazio, a S. Calisto, fino il di, che Roma fu dichiarata
indifendibile. Co'beni sequestrati, a Verona, dal Radetzkj, stette,
a Roma, nascosto, tre mesi; poi, rimpatriò. Visse prudente; ma,
a Milano, nel 1852, fu arrestato, quale compromesso politico;
tradotto a Venezia, nella prigione di S. Severo; e, dopo alcuni
mesi, messo in libertà senza processo. Si occupò di pittura e
di belle lettere, fino al 59, quando si recò, a Torino, per en-
trare neir esercito sardo. Non gli si volle concedere se non
il grado di sotto-tenente; ed egli, per patriotismo, pur di com-
battere, pur di servire l'Italia, accettò, ricominciando la carriera,
— 461 —
a quarantacinque anni. Stette tredici anni, nell'esercito Italiano;
combattè, a Custoza, nel 1866, nella Brigata Re; fu tre anni, ca-
pitano, in Sicilia, Brigata Regina; poi, Ajutante Maggiore, Di-
stretto di Foggia; poi, al distretto di Venezia; ora è pensionato.
Citeremo di lui gli scritti seguenti:
I Scritti Ariisiiri (Roma, 1845, iu 16.° di pagg. 84; delle quali
le ultime tre bianche).
II. U Italia nel 1700, Ca;-me (Verona, 1874, in 8.°, di pagg. 32;
delle quali, le ultime tre bianche).
III. Luce e Omlre, Sfoghi poetici. (Verona, 1874, in I6.° di pagg.
60; di cui lo ultime due bianche).
IV. U età presente, riflessioni sopra la scienza moderna e la Arti,
(Verona, 1880, in 16.°, di pagg. 152; di cui Tultima bianca).
Ha pubblicato, inoltre: Versi di un Veneto^ E?nma, Roman-
zo; il Solitario, Romanzo. Scritture, che non ho viste.
(291) Questo Tenente Sabbatini si trovava nel 2.° reggimento
di fanterìa leggiera col Catterinntti-Franco. Il quale me ne
scrivo : — « Kra Romagnolo e, molto, esaltato. Non deve aver
« fatta carriera. Non so, se sia morto nella difesa di Roma; par-
« mi, che no. Anzi, essendo di qualche setta, sembrami-, che un
« Sabbatini sia nominato, nel furto Parodi di Genova. Forse,
<( sarà lui; ma non conobbi il processo; si voleva, che il furto
« figurasse, come fritto per politica. Non seppi più nulla del sud-
« detto, perchè non l'ebbi, mai, in veruna considerazione. » —
Queste informazioni concordano, con quelle, che ho raccolte, al-
tronde.
(292) Con questa lettera, doveva essere accompagnato un prò
memoria del General Ferrari, con chi sa quali stravaganti pro-
poste. A ricevere la scheggia di artiglieria austriaca, ci andò,
bene, il Poerio; ma (e sia, qui, detto, senza alcuna intenzione di
biasimo) il Tommaseo, no.
(293) Gaetano Giardini fu Deputato, pel distretto dell'Aquila,
insieme con Luigi Dragonetti e Giuseppe Pica. Mori , se non
erro, in emigrazione, a Genova; dove, se non isbaglio, abitava,
in via Portoria, poco lontano dal sasso di Balilla. Il Massari,
passando in ra!«.segna gli oratori del Parlamento Napolitano ,
scriveva : — « Carlo Trova, Domenico Capitelli, Gaetano Giar-
« dini non avrebbero temuto il confronto di nessuno; ma non
<i ebbero, mai, occasione di salirò alla ringhiera >. —
(294) Ottavio Tupputi fu Deputato, pel Distretto di Barletta,
— 402 —
insieme con Saverio Baldacchini , Michele de Paci , Leopoldo
Tarantini e Giuseppe Ugente. È morto, Senatore del Regno e
Luogotenente Generale, Comandante (parmi) la Guardia Nazio-
nale di Napoli. Mio padre ne lesse T orazion funebre. Veggasi,
nel Colletta, libro X, il racconto della sua condanna a morte e
della grazia, nel 1822.
(295) Tommaseo Ortale era nato, in Rogliano , il 2 giugno
1802, di Stefano e della Fiorita (Afrodite ?j Arcuri. S* addisse
air dvvocheria , in Cosenza ; e difese , officiosamente , i fratelli
Bandiera, innanzi alla Corte Marziale, nel 1844. Fu Sindaco di
Cosenza, dal 1842 al 1847. Nella prima elezione del 1848, fu elet-
to Deputato ; e prese parte alla riunione, in Monteoliveto. Il
Bozzelli gli offrì il posto d' Litendente, la dimane del 15 maggio;
ma egli rifiutò. Rieletto Deputato, pel distretto di Cosenza , non
si presentò. Riparò, poi, in Toscana. E venne condannato, in con-
tumacia, a morte, nel 1852, come complice della insurrezione
Calabra, alla quale si era opposto, con tutto l'animo. La moglie,
Rosina Fagli usi, di poveri e oscuri genitori, lo aveva raggiunto
neiresilio. (E, poi, passata, in seconde nozze, col Procurator del
Re, Giuseppe Sarda; ed è, ancor, viva, e domiciliata in Napoli).
Gravemente infermo, si tramutò a Genova, dove moriva, dopo
un mese, il 31 luglio 1854. Ebbe altri fratelli: Giuseppe, mag-
giore; e Pietro e Luigi, minori. Pietro vive, tuttora, in Marzi.
Ebbe, anche, due sorelle, la Saveria e la Teodora. Non lasciò
figliuoli; ma chiamò erede suo nipote, Stefano Ortale.
(296) Domenico Giannattasio nacque, in Salerno, il 15 gen-
najo 1798; è morto, in Napoli, V lì novembre 1809. Era stato
valentissimo avvocato del foro salernitano, dove divise il pri-
mato con Giovanni Avossa (Vedi la 245* di queste noto). Fu
Deputato, nel 1848-49, pel distretto di Salerno. Emigrò, in Fran-
cia ed altrove. Fu, dopo il 1860, presidente della Gran Corte
Criminale di Salerno e , quindi , Consigliere di Cassazione , in
Napoli. — « La provvidenza » — disse di lui Francescantonio
Casella — « aveagli concesso, con raro esempio, che, già vec-
ce chio, si vedesse a lato la vecchissima madre; e quasi, la lunga
« ed amorosa consuetudine lo sospingesse a seguirla in un mondo
« migliore, appena ebbe la sventura di perderla, non fu, più,
« quel desso; ed apparvero i primi segni della sua decadenza. »—
Vedi In morte \ di \ Domenico Giannatta-^io \ Consigliere della
Coìste di Cassazione di Napoli \\ Discor^si ire \ letti' sul feretro
— 463 —
I con I un iscrizione \ pel suo sepolcro \\ Napoli \ Tipografia de
gli accattoncelli \ 1870, Ecco la magra, stecchita, allampanata
iscrizione, che ha per autore Pirro-Giovanni De Luca:
A Domenico Giannattasio
Salernitano
nell' Avvocatura
ne' Magistrati
nell' amor del sapere
della libertà
dell' Italia
de' suoi
ammirabile
che l' undici nov. 18G9
QUI
RAGGIUNSE LA MADRE
POCO INNANZI SEPOLTA.
Però, debbo dire , che non fu, ugualmente, ammirabile, nello
amor di Dante! Giacché, essendo io stato, con altri, in deputa-
zione, da lui, per invitarlo a contribuire, pel monumento a Dante
in Napoli, come capì, che gli chiedevam denari, in modo più
sollecito che cortese, ci congedò, anzi ci mise alla porta, bor-
bottando:— « Farò quel, che farà 1* Avossa! Farò quel, che farà
« r Avossa. » — Ma T Avossa avea sottoscritto; e lui, sebbene
ci sfiatassimo a ripeterglielo, non ci dio né quattrini né firma.
(297) Del Generale Ferdinando Lanza si è detto qualche
cosa, nella 56* delle presenti note. Non godeva fama altissima.
Comandava l'esercito, a Palermo, quando il Letizia (Vedi la 229*
di queste note) capitolò. E , certo , un militare di coraggio e
di onore non avrebbe, allora, capitolato; poteva e doveva bat-
tersi e vincere. Vivono, ancora, suoi figliuoli; e si buccina, che
abbiano in mano curiosi documenti.
(298) Il Brigadiere Busacca fu richiamato, al servizio milita-
re, nello aprile 1848; e nominato Comandante del 4.° e 5.° Reg-
gimento di linea (che stabilivano i loro depositi a Castellammare).
Dalla Basilicata, entrò nella Calabria Citeriore, tendendo a con-
giungersi, con Ferdinando Nunziante, eh' era sbarcato, al Pizzo.
(299) Si tratta del Generale Ferdinando Nunziante, uno de'
figliuoli del Marchese Vito Nunziante, beli' uomo della perso-
— 4G4 —
na, cbo sposò la figliuola del Conte Gaetaai. Fratello consaagni-
neo del troppo celebre Alessandro Nunziante, Duca di Mignano,
pel quale vedi la 369'^ di queste note. Ferdinando era dA primo
letto; Alessandro, del secondo.
(300) Giacomo Lougo nacque, a Napoli, il 9 giugno 1818, dal
messinese Letterio (terzogenito del Barone Giacomo Longo della
Corte) 0 dalla casertana Carolina Diaz (che, suo padre, allora,
tenente di vascello della marina siciliana, avea sposato, in Pa-
lermo, nel 1810.) Per iscriver questa nota, sul suo conto, m'av-
valgo d'un opuscolo (intitolato Giacomo Longo \ Cenn» Biogra-
fici I per I Giovanni Pisani \\ Messina \ Dalla tipografìa Ribe-
ra I 1865 ;) pubblicato , all' insaputa del Longo , in occasione
delle elezioni generali del 1865, da' suoi fautori di Messina.
Il Pisani, che ne fu autore, era stato ajutante di campo del
Longo ; condannato a morte , col fratello Carlo Pisani (ora ,
sottoprefetto di Alcamo) passò undici anni nelle galere di Pre-
cida ed Ischia; ed è morto, il 27 Aprile 1882, consigliere di
prefettura al ritiro. L'opuscolo, però, formicola di esagerazioni
e di errori: ma ne ho sott' occhi, per la gentilezza del Longo,
un esemplare, da lui postillato. E le postille, delle quali ripi^-
durrò parecchie, fanno amare ed apprezzar l' uomo. Dunque ,
Giacomo Longo, dal novembre 1829 all'ottobre 1836, studiò,
nella Nunziatolla. Servì, prima, da soldato, pei, da ufficiale,
noli' ottavo di linea. Dal 37 al 47, appartenne all' artiglieria :
— « secondo il diritto, che gli competeva, per gli studi fatti e
« per lo esame di concorso, con impareggiabile successo soste^
« nuto, nel medesimo collegio, appena finiti gli studi » — scri-
veva il Pisani. Ma il Longo avverte: Fra il di corso y io fui
classificato, soltanto, il sesto; Carlo Mezsacapo (ora, generale co-
mandante VYIIl corpo) ebbe il secondo posto; Orsini (ora, al
ritirò) il settimo; Pianell [ora, comandante il III corpo) il de-
cimo. Nel 47, venne arrestato, come cospiratore, in Palermo.
(Vedi, quanto, in seguito, si dirà, nella 37P di queste note).
Scoppiata, colà, la rivoluzione, quando ebbe luogo la ritirata
da' Quattro Yenti, la notte dal 29 al 30 gennajo 1848, il Longo
e Vincenzo Orsini, tratti fuori dal carcere della Quinta Casa,
riuscirono a fuggire, trovandosi in arresto, nel campo, non senza
gravi pericoli. Il Longo s'unisce agl'insorti; prende parte al-
l'espugnazione di Castellammare; è richiesto nella città di suo
padre da una deputazione, della quale faceva parte il barone
— 405 —
Natoli, suo cugino (che, poi, è stato ministro, nel Regno d'Ita-
lia). Il Comitato Generale di Palermo vel manda. Ed egli
sbarca a Milazzo, dove il forte capitola, in mano sua; e dirige
le operazioni contro la cittadella di Messina. Il 18 febbrajo ,
il Governo provvisorio il nomina Colonnello Direttore delle
Artiglierie; ed, il 20 marzo, Direttore del Ministero di Guerra
e Marina. Divisata la spedizione in Calabria, il Longo la pre-
corre, attraversando lo stretto, sopra una barchetta da pasca,
la sera del 10 giugno, ed approdando a Villa-San-Giovanni.
Egli scrive: — « La barca era guidata, da due soli marinai; ed
« ero accompagnato dallo avv. Macaluso di Giigenti. Mi at-
« tendevano Antonio Fiutino e Casimiro De-Lieto. Fummo a'
« cena, io una villa (credo, del Dc-Lieto); e, subito, ripartii,
« in una leggiera vettura da posta , in compagnia di Achill e
« Parise, noto maestro di scherma, a Napoli. Avvertiti, presso
« Bagnara, eh' eravamo inseguiti, e letto io stesso, sulla porta
« della casa di postii , un manifesto del Nunziante, col quale
« si metteva una taglia di duemila ducati sulla mia testa, la-
« sciammo di correre la posta e e' inselvammo, fra Oppido e
« Seminara. Trovammo ricovero e ristoro, il giorno seguente,
« per qualche ora , in Polistene , presso il barone di questo
« nome; corremmo, di nuovo, i boschi, la notte seguente; ed,
« infine, il 19, giungemmo, dallo Stocco, al campo dell' An-
« gitola. Non fui (come dico il Pisani) proclamato capo di Stato
€ Maggiore: ero utficiale siciliano; e presentai le lettere del mio
€ comandante, generale Ribolti. Soltanto, fui capo di S. M.,
€ dopo la ritirata da Cassano. » ' — Tralasciamo di particola-
re ggiare i fatti di quella breve campagna e misera. Il Lougo
e gli altri venuti di Sicilia furon catturati, nelle acque di Corfù,
come si leggerà, in queste lettere. Il Longo, come si vedrà, fu
condannato a morte. Ebbe la grazia della vita; e fu tradotto,
nel Castel di Sant' Elmo, in Gaeta, do>e rimase, sino alla notte
dal 2 al 3 luglio 1800. Il Pisani parla di sevizie indescrivibili.
Ed il Longo: — « Non ebbi a soffrire sevizie di sorta. » — Di
preti ipocriti o scellerati. Ed il Longo: — « Niente affatto. Tre
« sacerdoti ebbero, in diverso tempo, accesso, nel mio carcere.
< Il vecchio Gallinari, (un vero buontempone e tutt'altro che
< ipocrita e scellerato); — il giovane Antonio Castello, della coUe-
« giale dell' Annunziata, al pari del Gallinari, (persona colta e
< che, da^ 1854 in poi, con mille rischi, mi procurava la let-
30
— 40(5 —
« tura (li gjoni.ili injjlosi, attrassiiti di molti mesi); — e, terzo,
€ il canonico rernarelli. » — Questi fu incaricato di promet-
tergli la libertà, contro una semplice dichiarazione, in cui ri-
conoscesse illegittimo Tatto del 12 aprile 1848, col quale il
Parlamento Siciliano proclamò decaduta la dinastia borbonica;
soggiungendogli, fatta una dichiarazione simile, dal Settimo e
da molti altii e dal Padre Ventura. Ed il Longo: — « Il Per-
« narelli, a quinto mi parve, allora, e come penso, ancora, ese-
< gal la sui commissione, senza perfidia e con ogni riguardo.
« Ned io gli <lissi (come narra il Pisani), che ritenevo calun-
« niosa la sua assertiva, (ili dissi: Che^ poro a punto, conoscevo
« il P. Yen fura, tranne le sue opere^ anteriori al 48^ die avevo
« lette; che conoscevo^ molto, gli altri^ segnatamente^ il Settimo,
^ in co.<a del gitale avevo aiul) domestichezza, essendo il Set'
« tiiiw amicissimo e compagiìo di tnio padre, nella marineria
€ di guerra; che mi pareva difficile, avessero costoro fatto ri'
€ trattaci -ne; ma che, ad ogni modo, seguendo i dettati della
< mia coscienza di uohio e di siciliano, io non conosceva altra
« autorità Icgittlm i, che quella del Parlauiento, rappresentante
€ la nazitìie. Il Pernarelli era od è (non no ho avuto più notizie,
« dappoi ohe seppi, che segui i Horboni in Roma, dopo la ca-
ie pitolazionc di Gaoti, nel febbrajo 1801) un buon prete, assai
« colto, vissuto, lun;jamente, in Toscana. Era di piacevole con-
« versazione. Parlavamo di storia e, specialmente, del niovi-
« mento d ^gli studi storici, in Germania. F'ui dolente del modo,
« come il mio amico Pisani rappresentò un fafto vero; ed avrei
< voluto, se, mai, fosse stato possibile, chiedi-rne scusa, al buon
« Pernarelli.» — Il Longo, liberato ed imbarcato per Marsiglia,
nel 1860, sbarrò, invece, a Livorno; e si recò, quindi, a To-
rino. !Ma poco vi stette a rinfrancarsi della diuturna cattività:
anzi riparli, subito, per la Sicilia. Sbarcò in Palermo il domani
della battaglia di Milazzo (21 luglio); e si trovò nominato Mi-
nistro della Guerra. Dimettevasi, il 28 agosto; e correva sul con-
tinente. E pugnò sotto Capua; ed, il primo ottobre, si buscò una
larga ft;rita, alla fronte. Il mese seguenti, fu promosso maggior-
generale. Noi novembre 1801, gli fu riconosciuto il suo grado,
nel Corpo dei volontari ; ed il 2 febbrajo 02 ( un mese e più
prima della fusione) passò neirartiglieria dell'esercito regolare.
Fu deputato del quartier Montecalvario di Napoli; e non seppe
della canditatura se non ad elezione fatta, da un giornale, nel
I
— 467 —
caffè Fioiio, a Torino. Egli scrive di sé, con rara modestia: -^
« Non sono stato nò sono un uomo politico. Volevo rinunziare
« alla deputazione, ma amici siciliani e napolitani (e, segna-
le tamento, Carlo Poerio) me no dissuasero, dicendomi essere
« utile, che, in quella prima legislatura (l'VlII), si vedesse un
« messinese, fra'dodici rappresentanti di Napoli. Il mio passag*
« gio alla Cameia non lasciò traccia; ne poteva. Feci poco, per-
« che poco sapevo e potevo fare. Poco uso a parlare, ripugnante
« a quelle lotte, mi affaticai, studiai, molto, negli archivi della
« Camera, tanto per apprendere qualche cosa, per adempier me-
« glio il nuovo officio, al quale era chiamato: ma nulla con-
« chiusi. Manc.iva la stoffa. Appartenni ed appartengo, al parti-
le to moderato, che fu vinto e cadde, il 18 marzo 1876. Pochi
« giorni prima (nel fobbrajo), fui nominato senatore. Al Palazzo
« Madama, Topera mia è stata, sinora, e sarà, pur sempre,
« assai modesta. E, la ragione, Tho detta innanzi: scarsezza di
« mez^i; ripugnanza alla parola in pubblico... Votai contro la
« soppressione degli ordini religiosi e l'incameramento dei beni
« delle manimorte: perchè, a mio modo di pensare, misure
« contrarie alla libertà di co.scienza ed al dritto di proprietà.
« Malva quanto volete, ma, da certi principi, non nìi scosterò,
< mai. » — Giacomo Lougo, dopo aver comandato le artiglierie
a Firenze, Piacenza, Napoli e Verona, è rimasto membro del
Comitato, sino al 1877, e Presidente del Comitato di Artiglie-
ria e Genio, sino a tutto r83. Fu promosso a teneniegenerale
nel 1870. Non fece né la campagna del 6G nò quella del 70.
Ora, è pensionato ed abita, a Roma. Vi ha sposato, nel 1R77,
rOlimpia Scibona da Palermo; e ve ne ha avuta una figliuola,
la Carolina, nelT 81.
Di due fratelli di Giacomo Longo, Carlo e Roberto, si par-
lerà, nel prosieguo di queste lettere. E noi ne anticipiamo, qui,
le notizie, con le parole .««tesse, adoperate, nel trasmettercele,
dalla cortesia di Giacomo: — « I. Carlo, nato nel 1812, seguì,
« dopo gli studi fatti nell'Accademia di marina, la carriera
« di nostro padre. (11 quale mori, nel 1843, essendo capitano
« di vascello e comandante del dipartimento di marina in Mes-
« sina, ove era nato, dal Barone Giacomo e da Lauretta dei
« marchesi De Gregorio , il 5 febbrajo 1783 ; giorno , in cui
« avvenne il famoso terremoto.) Carlo era tenente di vascello,
« nel luglio 1848 Nel 18G0, lo trovai capitano di vascello.
— 4G8 —
« Entrato nella marina Italiana, fu, successivamente, contro-
re amiiiii'iJglio e vice-ammiraglio. Fu comandante in secondo, a
4C Genova ed a Napoli; poi, comandante in capo, a Venezia ed
« a Genova; due volte, segretario generale al ministero di ma-
« rina, coi ministri ammiraglio Persano e generale Cugia. Fu
<L aju tante di campo onorario di Vittorio Emanuele. Nel 1869,
« per motivi di salute, chiese ed ottenne il collocamento a ri-
« poso; e mori, in Napoli, nel 1879. Si era sposato, nel 1850,
« con la signora Luisa Finizio di Napoli ; e non lasciò che
« una figlia.» — «II. Roberto nacque, nel IBIO. Fece, con
« me, gli studi nella Nuuziatella. Nel 1848, comandava una
« batteria del corpo del generale Pepe ; e fu tra le truppe ,
« che passarono il Po, prima che giungesse, al Pepe, l'ordine
a della ritirata. Si ritirò, da Venezia in Napoli, con coloro,
« che vollero restare ossequienti, agli ordini del Re. Nel 1849,
« comandò una batteria, nella breve ed infelicissima compagna
« di Velie tri. Morì, in Napoli, nel 1854, col grado di cm) itane
« d'artiglieria, addetto alla fabbrica d'armi. Non ebbe mo-
« glie. » —
(301 j II Ribotti, della contea di Nizza, uomo di coraggio, ma di
poca testa, che fu in mezzo a tutte le agitazioni Italiane, sino
al GO. Nel quale anno, essendo egli, a Napoli, col Garibaldi, e,
standosene, nel Calle di Europa, ecco entrarvi il Petruccelli ed
essere salutalo, per nome, da un conoscente. Allora, il Ribotti
sta su; e va a lui ; e gli chiede: È lei quel Petruccelli, che si
fa chiamare deila Gatlinal L'autore di una Storia della Hivolii^
ziunc yapoUiana del i848ì II Petruccelli rispose di si. Ed il
Ri botti : Oli ! che fortuna! son dieci auìii, clic sospiro d' incon^
trarla^ pcr aniinaz surla. Ella mi ha cahuininto, in quel suo li^
bellu; e, sventuratamente^ c'è stato chi Vha creduto. Ed aggiunse
alle parole, una ingiuria materiale solenne. Il Petruccelli (o
ilella Gattina, o non della Gattina che sia) consenti, a tenei-si
lo sihiallo ed a fare ampia ritrattazione, su'giornali, di quanto
aveva scritto contro il Ribotti. — « Ignazio Ribotti » — mi scri-
vo Giacomo Longo — « nacque, a Nizza; e fu tenente guardia
<i dei corpo di Re Carlo Felice. Nel 1831, si trovava tenente in
<c un reggimento di fanteria, comandato da Eusebio Bava. (Quel
« Kavu, che comandò, nel 1848, l'esercito sardo; e fu vincitore
« degli austriaci , a Coito). Mescolato nelle congiure di quel
a tempo, il Ribotti, dopo essere stato sostenuto in carcere tre-
— 469 —
< dici mesi , venne , co' compagni , esiliato. Fu in Francia ed
< in Inghilterra; ed in Portogallo ed in Ispagna. Nel 1845, si
« trovò (essendo in licenza in Italia) mescolato ne' casi di Ro-
« magna; ma ne usci illeso. Nel 1847, (pur sempre tenen te-
le colonnello al servizio di Spagna) si trovò, di nuovo, in To-
« scana ed a Roma: ma n^azziniano, come, allora, si professava,
« prima di venire in Italia, fu a conferire, con Mazzini, a Lon-
« dra, e co' fratelli Paolo e Nicola Fabrizì, a Malta. Venne,
< da noi, in Sicilia, alla fino di febbrajo 1848, dopo essersi
« trattenuto, in Napoli, ne' giorni delle grandi dimostrazioni,
€ che precedettero la pubblicazione dello statuto costituzionale.
a Auspice il mio amico Giuseppe La Farina da Messina, esule
« sin dal 1837, venne accettato, in servizio, col grado dì gene-
< rale. Buon militare, soldato rotto al mestiere, per la lunga
€ pratica di guerra, in Portogallo ed in Ispagna, perfetto gen-
« tiluomo, mettendo da banda ogni preoccupazione politica, a
« nuli' altro badò, che all'ordinamento dello truppe. Uso alla
< disciplina militare, abituato ai pronunciamentos spagnuoli,
« che presentano, su cento rivoltosi, almen cinquanta militari,
€ credette, dapprima, facile il suo compito di ordinatore di
« truppe. Ma, non trovando, presso noi, alcuno elemento, 8i
« trovò a disagio; e perdette coraggio. Con tale disposizione
< d'animo, passò in Calabria. E non è da fare meraviglia, adun-
< que, se addimostrasse, in quella congiuntura, quella deficienza
€ di energia, anzi di audacia, che sarebbe stato necessario
€ spiegare. Mi affretto, però, a dire, che, a torto, venne, allora,
« accusato, nel bollore delle passioni, da... Giuseppe Ricciardi;
< ed, a maggior torto, di nuovo, fatto segno ad accuse, come
< unica cagione della non riuscita impresa di Calabria, nella
€ pubblicazione , che fece lo stesso Ricciardi, nel 1873 , della
€ Storia documentata della sollevazione delle Calabrie del 1848,..
« Dopo cinque anni di durissima prigionia, in S. Elmo, il Ri-
« botti, mercè l'opera efficace di Camillo Cavour e di Napo-
« leone III, ottenne la libertà. Passò alcuni anni in Francia,
« ed, al 1859, fu, fra coloro, che, accettato il concetto di Ma-
< nin, si diedero, con tutta 1' energia del loro patriotisrao , a
< seguire la politica del gran Re e del grande suo ministro.
< Da Cavour fu inviato, al principio della guerra del testé det-
« to anno, nell'Emilia, co'generali Fanti, Cavalli ecc., per or-
« dinarvi le truppe, levate da quei governi provvisori. Fral
— 470 —
4L maggio od il giugno del 60, fu, dallo stesso Cavour, inviato»
<? in Napoli, por confidenziale missione politica Fu deputato
« alle VII ed Vili legislature, pel collegio di Santarcangelo
<c nelle Romagne. Mori, nel 18G5 (o, forse, alla fine del 1864....)
« col grado di tenente generalo e comandante la divisione ter-
« ritoriale di Modena. Già vedovo di una signora spagnuola,
« lasciò due figlie , delle quali non ho saputo più altro , da
« molto tempo. Egli, nizzardo, fedele alla politica di Cavour,
« nella VII legislatura, votò, per la cessione di Nizza alla Fran-
« eia. Per me, fu superiore benevolo ed amico carissimo. Nelle
« poche oro di ozio, che potevamo avere, in Sicilia, durante
« la guerra, discorrendo di cose militari, eravamo concordi, per
a quanto discordi eravamo, discutendo di politica. Dopo il 1860,
« fummo, concordi, in politica; e militammo nello stesso partito,
< il moderato. » —
(302) Chi fosse questa Pellegrini (probabilmente, qualche anti-
ca fiamma giovanile di Cailo Poerio) non ho potuto appurare.
(303) — € Federico Bellazzi era, nel 184?, entrato , non so
« come, negli uffizi del Governo Provvisorio di Milano ; e te-
« nova il protocollo secreto. Di famiglia povera , era stato
« messo, in un seminario, per dargli educazione; e ne usciva,
« allora. Giovanissimo, pronto, zelante, il Coote Gabrio Casati
« lo vedeva di buon occhio ; e , quando sopraggiunsero i ro-
« vesci, rincaricò di provvedere, alla sicurezza delle carte go-
« vernative, per il giorno della necessaria tuga. Parti, dunque ,
« da Milano, col suo deposito; ma, non so per qual motivo , in-
« vece dì riparare, come avrebbe dovuto, a Torino, passò a Lu-
« gano, dove si era rifugiata tutta la parte repubblicana ed an-
« tipiemoutese dell' emigrazione Lombarda. Costi, circuito da
« costoro, non seppe o non volle resistere; e, tradendo la fiducia
« dei Casati , consegnò tutte quelle carte , a Carlo Cattaneo ,
« che ne cavò una bugiarda sudiceria, stampata sotto il nome di
<c Archivio Triennale. Naturalmente, il Bellazzi fu, per noi, uno
« scomunicato. Appunto, per questo, entrò nelle grazie degli
« altri, che lo presero a proteggere, fino a farne un Prefetto: mi
« pare, a Belluno. Non so, come si comportasse; so, unicamente^
« che s'ammazzò. I giornali, allora, ne avranno parlato; e si pò -
« tià, con di molto ^rano salis, consultarli ». — (Da una comuni-
cazione confidenziale). — Il Bellazzi , deputato al Parlamento ,
nel Regno d* Italia, ancorché spiantato (ma, tra di noi, Tessere
— 471 —
spiautato sembra raccomandare il candidato agli elettori) aveva
preso, per suo cavai di battaglia, la quistione carceraria. E,
sulla riforma delle prigioni, abborracciò volumi, opuscoli e,
soprattutto, articoli: tutta robaccia da dilettante ed orecchian-
te, che, della materia, nulla, davvero, sa. Urbano Rattazzi, quan-
do presedeva il Ministero, detto de' malmaritati^ cel nominò
prefetto. Dimessosi , poi , più o meno volontariamente , vo-
leva ritornare a fare il mestiere di deputato. Ma , battuto ,
sul campo elettorale , dallo , ora , senator Casati ( figliuolo
di Gabrio) , vedendosi senz* arte uè parte , si uccise, con una
pistolettata. Ho saputo , che le sue carte furono vendute ;
e che la maggior parte n'era capitata, in mino ad un Av-
vocato Milanese, il quale fa raccolta di autografi. E me gli ri-
volsi , per chiedergli, se avesse trovato , fra esse , le lettere del
Poerio. Ma egli, gentilmente, mi rispose: di non ayervene rinve-
nuta alcuna. — Giacché m* è accaduto di nominare quel Carlo
Cattaneo, che i democratici Lombardi vogliono infinocchiarci per
una gran mente ed un gran carattere , ed io , perchè il lettore
si faccia una idea del valore intellettuale e morale di questo re-
pubblicanacpio di fango, bramo, ciregli legga un aneddoto, ri-
ferito, nello Memorie à'^ì Senator Giovanni Arrivabeue: — «Dirò,
« ora, cosa incredibile e vera. Ne' momenti di ansietà, in cui si
« era, a Milano, per l'esito della guerra, [1848], incontro Cat-
« tSineo, Arrivabe ne j mi dice, buone nuove! I Pieoiontesi sono
« stati battuti! Ora^sard no padroni di noi stessi! Faremo , noi^ la
« guerra pojìolare. Cacceremo gli Austriaci d* Italia; e faremo la
« repubblica federale. Quale fosse la mia sopresa, il mio dolore,
« all' udire tali parola , non saprei esprimere. Le ho , tuttora ,
« impresse, nella mento. Possibile, dissi a me stesso, che un uo^
< mo di cuore, una bella intelligenza, siu sotto il dominio di una
« idea preconcetta, a segno di porre in oblio i sagrifict, che Ita^
« lUmi facevano per Vltaliaì-» —Possibile, dico io, che un
uomo , capace di porre in obblio tali cose , venga creduto di
cuore e d'intelligenza? Alessandro Manzoni mi raccontava, che
eran venuti, da lui, in deputazione, per chiedergli, che contribuis-
se ad un monumento, da innalzarsi a questo Cattaneo, a Milano.
Ma egli se ne schermi, dicendo, che vi avrebbe sottoscritto, solo^
se, prima, si fosse spianato il monumento al Cavour, pel quale
aveva dato, anteriormente, la sua simbola. Giacché, essendosi
eretto un monumento al Cavour, per aver propugnata l'unità
I
— 412 —
d'Italia, sarebbe stata contraddizione il porne un altro al Cat-
taneo , che r avea , sempre , avversata , professandosi federa-
lista.
(304) Questo Longo, corriere di Gabinetto , non era parente
del Longo, di cui nella 300.'^ di queste note. Si badi, pure, eh' e'
v*fìraiio, in quel tempo, due corrieri Longo, non parenti: V uno
vecchio; Tattro giovane, non napolitano. Questo era il giovane.
(305) Allude, alla dimostrazione, fatta, nel senso della fusione
immediata di Venezia al Piemonte , da me* che milledugento
Guardie Civiche, radunate nel campo di Marte, per una rivista. Il
Manin ed il Tommaseo nicchiavano e perfidiavano, nel ritardare
il momento, nel quale, rientrando le cose in un assetto normale^
il loro potere tiibuuizio sarebbe ritornato nel nulla. La marina
veneta, dovè, personalmente, protestare di non voler più entrare
in Venezia, ove questa persistesse nella forma repubblicana.
Sempre gli stessi 1 democratici , anco i men cattivi ! e dico i
men cattivi^ perchè di buoni non credo ve ne sieno. CJosl, pure, il
Garibaldi, nel 1860, voleva ritardare T annessione di Napoli al
nuovo Regno Italico.
(306) L' Omnibus , fondato dallo albanese Vincenzo Torelli
(che, veramente, avea nome Turiello), il quale ò morto, ne*primi
mesi del corrente anno 1884. Quanto all' Omnibus^ continua,
credo, la sua vita ingloriosa, diretto da uno de' figliuoli di Vin-
cenzo. In quale stima fosse tenuto (od a dritto od a torto) quel
giornale, in Napoli, anche prima del 48, potrà argomentarsi, dal
seguente epigramma vernacolo di Giulio Genoino. Che ripubbli-
chiamo, quantunque un po' indecente: ma l'indecenza può avver*
tirsi, solo, da chi conosce i segreti del dialetto napoletano :
Sse tirano li cunte: e so'mappine
L* auture, che no' pagano lo cienzo ;
E chille, che n' abbadano a carrine ,
Sse sorchiano l'addore de lo 'ncienzo.
Pe' stampa' sti ghiudizie sopraffine,
Nce vo' 'na cape de 'nu si' Vicienzo.
E no' può' di', eh' è cape de cocozza ,
Ca chella cape lo fa ghl' 'ncarrozza.
(307) Scriveva il Massari: — « Non si parlò, più, di formolo di
< giurameato, né di solenne cerimonia. Il Re, che, dopo il 15
— 473 —
(( maggio, non uscì, più, dal suo palazzo , affidò , al Duca di
« Serracapriola (già, Presidente del Ministero del 29 gennajo
« ed, ora, Vice-Presidente del Consiglio di Stato) la cura di apri-
le re il Parlamento, in sua vece. Spuntò l'alba del 1.° luglio,
« non pili desiderata, come quella del 15 maggio, né allegrata
« di soavi speranze, ma, quasi, temuta ed attesa, con sinistri
« presentimenti , con lugubre aspettazione. Forse, si temeva,
« non avessero, in quel giorno, a rinnovarsi gli orrori e le car-
< nefìcine ed i saccheggi. Per buona ventura, niente avvenne.
« La tricolore bandiera sventolò, sul castello di sani' Elmo ; la
« popolosa città fu taciturna e mesta, come per lutto; nell'uni-
« versale squallore, in ogni volto aflfannato e malinconico, leggevi
« la fosca memoria del sanguinoso passito, le ansietà del pre-
€ sente, la trepidazione per l'incerto avvenire. Ognuno interro-
« gava so medesimo e chiedeva, al proprio presentimento, se què*
« deputati, che, per sacro dovere civile, convenivano nel palazzo
« degli studi, fossero le vittime predestinate al macello. La sera,
« per cura del municipio, la città fu illuminata. Ma né sfarzo-
se sa, né lieta fu la luminaria : 1* incerto e scarso chiarore delle
« faci simboleggiava V angosciosa incertezza della nazione. Al-
« Tuna pomeridiana, i deputati ed i pari convennero, nella gran
« sala delFa biblioteca borbonica, nel palazzo degli studi, desti*
« nata alla inaugurale cerimonia. Giunse il regio delegato e,
« dopo aver cavato un pezzo di carta, con pallido viso e con
« fioca voce, lesse il discorso della corona. Terminata la lettu-
« ra, Tadunan/a si sciolse, col medesimo silenzio dignitoso, col
€ quale erasi assembrata. Se il ministero avesse voluto far di-
sc menticar le sue colpe e ravvivar, negli animi, la speranza e
a la fiducia, T occasione era propizia. Egli poteva porre, nella
« bocca autorevole del Principe, una di quelle parole consola-
« trici e solenni , che, distogliendo il pensiero, dalle memorie
a acerbe del passato, lo allegran, con la speranza di un avve-
« nire migliore. Quel discorso, invece, (a cagione delle sue cal-
ce colate reticenze, del suo tuono severo e corrucciato, degl'in-
« sipidi luoghi comuni) esacerbò ed invelenì le piaghe, che do*
a vea rimarginare e guarire. Non una parola di clemenza e di
< pace! non un indizio di amore alle libere istituzionil non un
« cenno degl' intendimenti politici del governo ! Accresceva la
€ universale mestizia, la vista delle verdi uniformi dell' antica
< guardia di sicurezza, rediviva e battezzata, per ironìa, col ti-
— 474 —
« tolo di guardia nazionale. In tal guisa, Bozzelli ed i suoi col-
« leghi si studiavano di conquistare, al trono, Tossequio e Taf-
« fetto degli eletti della nazione ! :& —
(308) Non ho potuto ritrovare il nome di questo vapore fran-
cese. Le funeste nuove di Parigi eran quelle della esecranda
insurrezione socialista, che fu repressa, con efferata barbarie,
dal Generale Eugenio Cavaignac. L'andava da gaelotto a ma-
rinaro, come, quasi, sempre, in Francia. Fra chouans e hleus,
fra comunardi e versagliesi, quali erano meglio ?
Devine^ si tu peux; et choisis^ si tu Voses !
(309) Domenico Mauro (albanese, nato in San Demetrio, nel
1812) dopo Tinconsulta spedizione de' Bandiera, fu sostenuto
in carcere , per due anni. Nel 1848 , si condusse, dissennata-
mente, a Napoli; dissennatissimamente, in Calabria. Fuggi, poi,
in Albania e, quindi, a Roma. Da Roma, ricoverò negli Stati
Sardi. Nel 1860 , prese parte, alla spedizione di Sicilia. Ed è
morto, a Firenze, nel gennaio 1873. La pretendeva, anche, a
scrittore, a dantista, a poeta, a filosofo; ed ha stampato pa-
recchia robaccia, che, a dirla pessima, le si fa un onore im-
meritato. È sepolto a S. Miniato al Monte; e T ora7Ìone fu-
nebre gli fu detta da Francesco Curzio , degno d* essergli a-
mico. Nell'emigrazione e dopo, le persone per bene lo scansa-
van, sempre.
(310) Chi non conosce, almeno, di nome, quel capo ameno di
Benedetto Mussoline , che , quando prendeva ad arringare in
Parlamento, avrebbe fatto smascellar dalle risa gli uditori, se
non si fossero allontanati, per paura di smascellarsi dagli sba-
digli ? Ma è una vera perla d' uomo , a petto del suo nipote
di sorella, Giovanni Nicotera. Vedi, intorno a lui, anche, nel-
Tautobiografìa settembriniana e la 312* di queste note.
(311) Giuseppe La Masa era giunto, a Venezia, il 13 maggio
1848, creatosi, da sé. Colonnello. È quel La Masa, appunto, che,
poi, svenne, alle prime fucilate, a Calatafimi. Onde il Gari-
baldi il repulse ; e, quando si fusero 1 volontari con l'esercito
regolare, fu dichiarato, da un Consiglio di Disciplina, indegno
di star nello esercito Italiano e di portar la medaglia de' Mille.
Venne, in Parlamento, a fare una lunga orazione, prò domo
sua; fortunatamente, pel nostro paese, fu fìato sprecato. Già, il
— 475 —
Ministro dichiarò , in fatto d' onor militare , il giudizio d' un
consiglio di disciplina aver ben altro peso, del voto d' una Ca-
mera de' deputati, che, quindi, ancorché favorevole al La Masa,
sarebbe rimasto sterile. Dichiarazione applaudita , da tutti
i buoni, che la stimarono (a torto, ahimè !) un primo passo nel
negar la competenza universale, V onniscienza e V onnipotenza
parlamentare. Il La Masa sposò, pure, la famosa Contessa
Bevilacqua. Ed è celebre il solenne imbroglio di sei milioni, che
è il prestito a premi Bevilacqua-La Masa. Morì , a Roma, ne*
primi mesi dell' anno 1881 , in una villa , fuori Porta del Po-
polo. E (sebbene avesse, sempre, per quanto i* mi sappia, fatta
professione di ateismo) furon fatti chiamare i frati Agostiniani,
che officiavano la Parrocchia di Santa Maria del Popolo, per ren-
derp^li gli estremi uffici.
(312) Traduciamo, dalla Istoria della Rivoluzione d'Italia del
1848, vergata, in francese, da Peppino Napoleone Ricciardi, la de-
scrizione de' fatti del Pizzo: — «La mattina del 30 giugno, al-
€ cune compagnie di soldati entrano al Piiffeo, (città marittima
« di 8000 anime, tristamente celebre per la morte del Murat e
« che avea fama di devotissima a* Borboni). E, difatti , aveva
« accolto, il 5 giugno, i soldati del Nunziante, che sbarcavano, con
« grida di : Viva il Re. Dalla truppa, si sparò una fucilata sulla
« piazza. A quel segno, i soldati, subito, invadono le case; si sca*
« gliano, furibondi, sugli abitanti; e li scannano in quantità: don-
« ne stuprate ed uccise; fanciulli squ-irtati; vecchi lardellati
< con le bajonette. Il Musolino, deputato al Parlamento e mem-
« bro del comitato di Cosenza, perdette quattro della famiglia, in
« quest' orrido macello: fra' quali, il padre ottuagenario , uc-
a ciso, in letto, da' sicari di Ferdinando. Non contenti di que-
« ste crudeltà , che nulla aveva provocato , i soldati saccheg-
« giarono e bruciarono buon numero di case.» — Ma andaron,
proprio, così, le cose? Non voglio, intendiamoci bene, né giu-
stificare né scusare la condotta de' soldati. Il soldato, difensore
dell'ordine, tutela della sicurezza sicurezza pubblica, non é, mai,
scusabile, quando inveisce contro i cittadini, neppur se trasmo-
dando in una repressione giusta. Ma, da quanto è detto nella
precedente nota 235, può argomentarsi, che qualche provoca-
zione ci sarà stata.
(313) Francesco Pallavicini di Proto, Duca dell' Albaneta (co-
sì, almeno, egli si fa chiamare; ma altri sorride delle sue pre*
— 476 —
tese patrizie) , il quale , come dicemmo nella 60* di queste
note, era stato commissario per la lega Italiana. Fu eletto De-
putato, pel distretto di Casoria, insieme con Gabriele. Capuano
e Carlo Troya. Fu ridicolo ed intemperante : p. e., nella se-
duta del 4 luglio 1848, si rivolse al presidente, con questa
sparata, che il colto pubblico applaudì: — « Signor Presi-
€ deirtè , pregherei il signor segretario redattore De Cesare ,
4L che togliesse, dal bellissimo rapporto, il titolo di duca ap-
« posto al mio nome, amando io, meglio, avere quello datomi
« dalla nazione, che quello datomi da* Re. » — Dopo le cata-
strofi, emigrò. Era, fin d'allora, ridicolo, anche, per le sue
velleità poetiche e, specialmente, drammatiche; e malvisto, per
altre tacce. Mi ricordo della lettura di un suo Andrea d'Un»
gheria, (tragedia), ch'egli fece, a Genova, nel quartierino, abitato
dallo emigrato Domenico Cardenie, in quella rampa, per cui,
da Piazza Fontane- Amorose, si scende in Vìa Luccoli. Pel di-
slivello fra la piazza e la rampa, le finestre del mezzanino del
Cardeute erano a paro di piazza Fontane-Amorose. E ricordo
Gennaro-Maria Sambiase, detto il duca di Sandonato, che, ap*
poggiandosi alla ringhiera di ferro della piazza, circondato da
un nugolo di emigrati, dava, lazzarescamente, la baja, al Proto; e
gli faceva il verso. Che decenza! che contegno! in uomini, che
la pretendevano a seri! in esuli! Dopo non molto, il Proto re-
pubblicano rimpatriò; e venne a piangere i suoi errori, a'piedi di
Ferdinando II. D'allora, fu borbonico. Eletto Deputato al Parla-
mento Italiano, vi andò a fare una professione di fede borbonica,
una profession di devozione a Francesco II. Ed, almeno, qu ella
volta lì, mostrò un certo tal qual coraggio, affrontando intrepido
le fischiate. Vive, tuttora, in Napoli. E vi fa recitare, di tempo in
tempo, opere drammatiche di nessun valore; e stampa, anche, libri.
Fra' quali, va notato un grosso libello contro tutte le cose Italia-
ne, pubblicato in occasione del Centenario di Dante ed intito-
lato: // Conte Durante. Il dicono faceto, nel conversare; e gli
attribuiscono molti epigrammi. De' quali riporterò uno , su
Giovanni Florenzano, che prende le mosse da due versi di quello
imbrattacarte ed allude al soprannome di ciucciarOf onde insu-
perbisce lo animalista Filippo Palizzi:
— 477 —
Se Iddio fu grande, nel crear natura,
Se nel formar la donna, Ei fu poeta.
Quando Ei plasmava te d'umana creta,
Fu Filippo Palizzi, addirittura.
(314) Giovanni Centola fu Deputato del distretto di Salerno.
(315) Domenico Muratori fu Deputato del distretto di Palmi
(Calabria Ulteriore prima).
(316) Il Conte Girolamo Sforza-Bissari, ultimo della sua pro-
sapia, prima della guerra del 1859, si uccise, non so se a To-
rino od a Genova, precipitandosi dalla finestra di un albergo,,
per non avere ottenuto la nomina ad Ajutante del General
Manfredo Fanti, come era stato, nel 1848. Mi sono rivolto, e di-
rettamente ed indirettamente, al signor Cesare Biego, uno tra
gli eredi del Bissari, per aver comunicazione delle lettere, che
il Poerio aveva scritte, a lui, nel 1848. Ma, sventuratamente,
nessuna n'è stata ritrovata.
(317) Incredibile quel forse! Ecco un uomo d'onore, che ha
dimostrato di esser tale, uccidendosi per un puntiglio, il quale
dubita, se la capitolazione sia un ostacolo al combattere, prima
do' tre mesi, pattuiti in essa. Tanto lo passioni accecano i mi-
gliori ! Basta: consoliamoci ! Altrove, lo sfacelo morale è, non-
ché uguale, maggiore. In Francia, è stato ministro ed è tollerato
nello esercito il Thibaudin.
(318) Mariano d'Ayala, nato, sopra un legno, nel porto di
Messina, il 14 giugno 1808. Fu alunno nella Nunziatella; poi,
Ufficiale di artiglieria e Professore, nella Nunziatella stessa.
Dovè dimettersi; e fu in carcere per motivi politici (nel 1844 e nel
1847) e ricordo avercelo visto, visitando mro zio, in S. Maria Ap-
parente , nel 1847. Occupandosi di storia e di lingua militare,
acquistò bella fuma. (Vedine citata un'opera, nella 369* d'està
note. Importante ò il Dizionario \ Militare \ Francese Italiano
I di I M, D' Ayala \ Ufficiale delle artiglierie \ Professore di
Geohìelria descrittiva e di balistica nel real collegio militare —
Socio corrispondente della I. R. Accademia de' Georgofili di Fi-
rcnse, | delU real Accademia Peloritana, e di quella \ de" Lin-
cei in Roìiia. \\ Kapod \ Dalla 'Tipografia di Gaetano No^
bile I Via Concezione a Toledo nwn. 3, 5 e G \ 1841; de-
dicato a Feixlinando li, pio, animoso , veggente). Questa fama
gli fruttò la nomina d'Intendente, in non so bene quale degli Ab-
— 478 —
bruzzi (parmi, neir Aquilano) nel 1848. Colà, mostrò patente
la sua insipienza amministrativa, che, però, rifulse di mag-
gior luce, quando, lasciato il Regno, fu ministro della guerra,
in Toscana, nell'ottobre di quell'anno. È rimasto leggendario
l'ordine del giorno , con cui, annullando la sentenza capitale,
profferita da un Consiglio di Guerra, condannava un soldato,
che avea percosso il superiore, alla vergogna del sito misfatto.
Non sarà, forse, cosa accaduta: ma è piii r<?ra, che se fosse vera.
Fu condannato a morte, in contumacia, nel 1852. Aveva sposata
la Giulia del General Gaetano Costa: e le nozze furon eanta
te dalla Guacci. Neil' emigrazione, visse, stentatamente, con la
numerosa famiglia. Fu Direttore della biblioteca del Duca di
Genova , a Torino, del 1855 al 1859; professore di Storia mi-
litare, nello Istituto di perfezionamento, a Firenze, nel 1860;
comandante la Guardia Nazionale di Napoli, il 7 Dicembre 1860.
Poi, nel Regno d'Italia, è stato Deputato e Maggior Generale:
ma i suoi stessi amici di sinistra , a' tempi del Rattaz/i, non
potettero far meglio per lui , che pensionarlo. Non so qual
giornale di Napoli il paragonasse, allora, a Siccio Dentato: ma
Siccio Dentato aveva le molte ferite in più e la pensione di
meno. Era un gran brav' uomo e probo e pieno di buone in-
tenzioni e di nobili fantasie: ma una testa disordinata e bislacca.
Ha lasciato molte opere, alcune delle quali mi sarebbero state
utilissime a consultare, anche per queste note; ma non si sa
dove trovarle e sono irreperibili in commercio. E sono scritte in
una lingua nuova, in uno stile lambiccato e strano: sicché, per
capirle, uno ha a tradursele, di continuo, in lingua e stile volgare.
A Torino, facean ridere certi suoi articoli militari, a' tempi
della guerra di Crimea, in cui, tra le altre cose, chiamava,
sempre, ^a//o^;o/e lo palle, che i cannoni d'assedio lanciavano
nella città di Sebastopoli. Moriva, in Napoli, il 26 marzo 1877.
(319) Pare un matto, che scriva. Che colpa avevano i poveri
soldati napolitani, nell'obbedire agli ordini ricevuti da' loro prin-
cipi? Come può, giustamente, chiamarsi infame diserzione la lo-
ro obbedienza? Ma le passioni non ragionano.
(320) Di questo Gaetano Grano, nulla ho potuto sapere di certo
e sicuro. Un valentuomo siculo, che ebbe molta parte ne' fatti
del 1848, mi scrive: — «Fu persona aflatto insignificante; ed
« ebbe pochissima parte, nel lavoro di preparazione alla rivo-
— 471) —
« luzioae di Sicilia. Nel 1818, niente fece, ne saprei dirlo
« altro. » —
(321) Carlo Gemelli nacque, nel 1811, in Messina. Nel Bizio^
nario Biografico degli Scrittori Contemporanei, diretto da An-
gelo De Gubernatis , è detto di famiglia patrizia. Figliuolo di
un Commissario di Polizia, fu liberale e cospiratore. Nel 1847,
dovette emigrare. Nel 1848, fu Deputato al Parlamento Sici-
liano e Pari del Regno; e fu destinato a rappresentante della
Sicilia presso il Granduca di Toscana. Nel 1849, esulò. Dopo il
1859 , è stato professor di Storia, nel Collegio Nazionale d'I-
vrea; poscia, preside nel Liceo di Parma, Regio Provveditore
in Ancona e, dal 1806, Vicebibliotecario della Biblioteca Univer-
sitaria di Bologna. Ha scritto molta roba, fra la quale ve n'ha,
che può leggersi, con gusto e con frutto. Un valentuomo siculo
mi ha scritto , mentre T originule di queste note era, già, in
tipografia: — « Il padre di Carlo Gemelli fu, veramente, corn-
ac missario di polizia : questore , come , oggi , diciamo. Ma
a questo fatto accidentale non fa torto a Carlo, il quale fu,
« sempre , un vero liberale , un patriota integerrimo , un' a-
< nima fiera e sdegnosa. Niente ebbe, dalla rivoluzione trion-
« fante ; e nulla chiese. Senza i tanti amici , d' ogni parte
« d'Italia, che ne apprezzano il valore ed il carattere, oggi,
« neppure avrebbe (dopo perduto, per amor di patria, ogni
« suo avere) il modesto posto, che tiene a Modena; e, senza
« il quale, gli sarebbe mancato il pane, (alla lettera: il pane ^
« per sostentarsi, negli ultimi suoi giorni. » —
(322) Questo Luigi Scovazzo, che sì vedi à ricordato, anche,
a pagina 249, fu fratello di Gaetano Scovazzo, Ministro della
Pubblica Istruzione, nel Ministero Serracapriola. Il valentuomo
sicuh) , di cui nelle due note precedenti , mi scrive: — « Più
«insignificante di Gaetano Grano, fu Luigi Scovazzo: li-
« berale a parole. Non fu altro, che il fratello di Gaetano;
«e nessuno si è, mai, occupato di lui ed, oggi, lo rammen-
« terà, fra noi vecchi. Gaetiino fu, veramente, persona di me-
« rito. Impiegato di vaglia , fu consultore di stato , prima
«del 48; e, solo, ebbe il torto (torto, in faccia a noi) di ac-
ce cettare, egli siciliano, un posto, nel ministero del sei marzo.
« Si è, .sempre, .scusato, dicendo, che fu quello un tentativo
« di riconciliazione , che noi pensavamo cosa impossibile , coi
« Borboni. 11 fatto ci ha dato ragione : ma ciò non iscema,
— 480 —
€ punto, i meriti della persona di Gaetano Scovazzo. » — Nel
trascriver questo parole, io, napolitano, sento il debito di ag-
giungervene qualcuna , per deplorare le tendenze autonomi-
sticlie della Sicilia, nel 1848. Pur troppo, nocquero alla causa
Italiana. Bel modo di affrettare l'unità d'Italia: Io scindere il
maggior degli Stati, che v'era! Bel modo di promuoverne l'in-
dipendenza e di favorir la cacciata dello straniero: lo accender
la guerra civile! Se la Sicilia non avesse posto, innanzi ad
ogni cosa, la propria autonomia, piena ed assoluta, ostinan-
dosi a rifiutar qualunque accordo, quanti guai sarebbero stati
risparmiati, ad ossa, alle provincie cisfariane ed a tutta l'Ita-
lia ! Ferdinando II non avea , poi , tanto torto, di ripugnare
allo invio delle truppe in Lombardia , mentre le provincie ai
di là del Faro erano in piena ribellione ed aperta. E chi po-
trà non rammaricarsi, ricordando, che, da Messina, furori can-
noneggiate le navi del De Cosa, che portavano i reggimenti
napolitani ad Ancona? Tanto le passioni ottenebravano le men-
ti ! Di queste tendenze autonomistiche e regionali , la Sicilia
(ed ò splendida gloria sua) mostrossi purgata, nel 1860.
(323) Ecco come, nell'opuscolo di N. Foramiti, si rende conto
del fatto: — « I veneti vollero esplorare la Cavanella d'Adige, lue-
« go di qualche importanza, a sette miglia Ja Brondolo, dove
« avevano ragiono di credere, che gli austriaci si trovassero, con
« presidio non molto numeroso e con opere, ancora, poco inol-
« trate. Le ts'uppe partirono, da Chioggia; e, giunte a Brondolo,
« passarono il canale sopra barche; si avviarono a S. Anna, don-
« de marciarono, in tre colonne, sulla Cavanella. La colonna di
« manca, composta da due bocche da fuoco e dal battaglione
« lombardo, s'incamminò, lungo l'argine sinistro dell'Adige, per
< varcare, poi, questo fiume, alla Portesine. La colonna di mezzo,
4 composta da un battaglione bolognese e da un battaglione na-
« poletano, si diresse per la strada Romeo. Il battaglione trevi-
< giano procedette lungo l'argine del canale della Valle. I fuochi
4 delle tre colonne e deU'artìglieiia obbligarono gli austriaci a
« rientrare nel forte. Gl'Italiani si spinsero innanzi, a meno assai
< di un tiro di moschetto; ma gli austriaci, avendoli vigorosa"
« mente attaccati, dovettero ritirarsi. Di quattro bittaglioni, il
4L trevigiano, sendosi dovuto avanzare in un terreno assai svan-
« taggioso, ebbe le maggiori perdite. Truppa di linea non ci era;
— 481 —
« fuorché gli artiglieri napoletani, i quali furono, assai energi-
< camente, secondati, da parecchi soldati veneti ». — E Mariano
d'Ayala narra, così, la parte, che ebhe, in quel fatto, il Poerio:—
« Suo santissimo ifttendimento fu di versare, alla fìne, il suo
« sangue, alla difesa di quell'antico baluardo [Venezia], contro
« alla tirannide. E, colà, era nella sua letizia, inspirandosi alla
« grandezza dell'arte, di cui fu, sempre, amatore e cultore pre-
« stantissimo , e all' altezza de' sensi magnanimi. Diedesi, con
« alacrità, ad esaminare la maravigliosa monumentale città, che,
« delle sue immense e peregrine bellezze, arricchiva la monte
« di Alessandro, per modo che molto e molto ei scrisse, in pie-
« ciol tempo. Studiava, in tutte le ore del giorno, nelle chiese,
€ nel museo, nell'accademia, nelle private pareti ; rimanendo,
« quasi, estatico, per lungo tempo, nell' osservare i dipinti di
« quella famigerata scuola veneziana , che è maraviglia del
<c mondo civile. Innamorato delle abbondanti tavole e tele del
« Tiziano, si accingeva, a cantare di quel principe nell'arte.
< Nò questo solo; ma, con quell'attitudine straordinaria a im-
« parare le lingue , in meno di tre mesi, avea penato poco a
« saper bene e a raccoglier le bellezze del gentile e seducente
« dialetto veneziano, da confondersi, precisamente, con gli abi-
« tanti medesimi. Ma, se gli eruditi Veneziani assicuravano, ch'ei
€ conosceva, di Venezia, quanto, per lungo studio, sapevan, di
« certo, i più forti studiosi della storia patria; s'era si assiduo
« e infaticabile, ad alimentare il suo puro ed ardente spirito;
« se leggeva, sempre, ne' massimi nostri politici e nella politica
4L degl'innumerevoli diarii: lasciava, pur nondimeno, il libro e
« la penna, al rimbombo del cannone. Anzi, non se ne stava al
« detto; e non mancava, in tutte le mattine, di far la sua vi-
€ sita, al generale , per conoscere, se vi fossero cose nuove; e,
« soprattutto, disposizioni a uscir dalle lagune, per ributtare il
« nemico e distruggere i lavori. E quando seppe, non ostante
« certo segreto per lui , esser pronta una fazione di guerra ,
a volle impugnare lo schioppo; e, senza accettare posti ed of-
« ficii, fece parte delle schiere, spedite, il dì 7 di luglio, contro
« il forte delle Cavanelle dell'Adige, tenuto da' Tedeschi. Ag-
<c giunto alle milizie lombarde, comandate dal tenente-colon-
< nello Ulloa, (le sole, che passarono il fiume, sotto il governo
€ principal del general Ferrari) valicò l'Adige alle Portesine;
€ passò su la sponda destra, a mez/o tiro di moschetto dalla
31
— 482 —
« gola del forte; e si pose, presso i due cannoni, menati colà,
€ i quali non aveano, come gli uomini, il riparo deirargine. Il
« comandante Ulloa, accortosi, che il Poerio avea scelto il posto
« piìi pericoloso e, perciò, più onorevole (qtiello, cioè, de' pezzi,
« dove il fuoco nemico era piii intenso e fitto) lo consigliò di
< trarsi indietro, dicendogli: Non senti tu, Alessandro, come
€ le palle ti fischiano intorno ì Ed egli, sorridendo : No, non
« sento alcun fischio; sai, che io difetto nell'udito. > —
(324) La Mariti -Giuseppina Guacci, maritata allo astronomo
Antonio Nobile, verseggiatrice. Il Settembrini, nelle sue Lezioni,
la dice: — « tra la donne, così, grande, come il Leopardi, tra gli
(( uomini.... Nella sua casa, convenivano, spesso, a udire le sue
« poesie, quanti amavano gli studi e la patria: Paolo-
« Emilio Imbriani, Alessandro e Carlo Poerio, Saverio e Mi-
« chele Baldacchini, Mariano d'Ayala, Giuseppe d^l Re, Ge-
« sare Dalbono, Francesco-Paolo l^ozzellì. Ci andava, talvolta,
« Giacomo Leopardi. Ci venne Giuseppe Giusti; e diede^ a lei.
« scritto di sua mano, il Gingillino. Ricordo quelle sere, quegli
a amici, quei ragionamenti, quella donna ! » — Che pasticcio !
II Leopardi era morto, sette anni prima della gita del Giusti a
Napoli; ed il Giusti non iscrisse il Gingillino, se non dopo essa
gita. Gli elogi, ne' quali il Settembrini si diffonde, sono più che
esagerati. La Guacci, w dir molto, raggiunse, nello arring-o let-
terario, una illaudabil mediocrità, che è la meta più sublime, che
possan toccarvi le femine, a furia di sforzi; mentre, invece, age-
volmente, toccano V eccellenza, nel far crostate e nel rinacoiar
calze. Sia, poi, detto, a lode della Guacci, che, anche, nel far
crostate, nel rinacciar calze ed in tutti gli altri degni esercizi
femminili, riuscì ottima, a detta di quanti i'han conosciuta. Ed io
credo, pure, che nessun'altra Italiana del secol nostro sia, lette-
rariamente, neppur da lontano, da paragonarsi alla Guacci. Ma
parecchie han fatto un maggior numero di buoni figliuoli: ed il
far buoni figliuoli (non già il solo far figliuoli, come diceva
Napoleone I) è il gran compito della donna, il suo vero ufficio.
Nacque, in Napoli, nel 1808; mori, il 25 novembre 1848. Ab-
biamo un Breve discorso \ detto nelle esequie \ di Gius. Gitacci-
Nobile I da \ Bruto Fabbricatoì^e \ [il dì 26 di novembre) (j In
Napoli I dalla stamjjeria del Vaglio \\ 1848, cui è annesso un
sonetto di Francf^sno-Saverio Arabia. Abbiamo, pure, un Dìscor^
so I di I Basilio Puoti \ per la morte \ di \ Giuseppina Gitacci^
— 48S —
Nobile II Napoli \ stamperia dell* Iride \ 1847. Ala di molto mag-
gior serietà e di sommo valore è la serie degli articoli, comin-
ciati a pubblicare, da Pietro Ardito, nel J882, sul Giornale Na-'
poleiano della Domenica, intorno alle lìime di essa Guacci;
pieni di senso critico e di scienza estetica. E chi, in Italia, può
dirsi superiore, all' Ardito, in critica estetica? Sappiamo, pure,
che Giambattista Ajello scrisse una necrologia, per la Guacci.
Le cui rime, come le frondi della Sibilla, si sparpagliavano, per
istrcnne e raccolte. Alcune poche furono pubblicate, in un fa-
scicoletto, nel 1832. Il fascicoletto divenne un volumetto, mercè
molte aggiunte e non ostante alcune detrazioni, nel 1839. E,
finalmente, sdoppiossi in due volumi, con molte molte aggiunte,
malgrado altre detrazioni e parecchie ommessioni, nel 1847.
(325J Leopoldo Tarantini nacque, in Rutigliano, il 25 mag-
gio 1811. Valente e facile verseggiatore; sommo avvocato pe-
nale. Nel 1848, fu Deputato del distretto di Barletta ed uno de'
quattro Segretari della Camera. (Gli altri tre erano: Giuseppe
De Vincenzi , Antonio Ciccone e Paolo-Emilio Imbriani). Nel
Regno d'Italia, è stato, più di una volta. Deputato. Moriva, in
Napoli, il 9 maggio 1882. Non aggiungerò altro, su di lui, perchè
ho manifestato quanto l'amassi e lo riverissi, in uno articolo,
ch'ò stato ripubblicato, nel volume, intitolato: Onoranze \ a \
Leopmdo Tarantini \ Morto il IX maggio MDCCCLXX7ClI\
Napoli I Stabilimento Giannini \ 1882.
(326) Giuseppe de Vincenzi fu Deputato, pel distretto di Te-
ramo. Vedi, intorno a lui, la 213.* di queste note.
(327) Antonio Ciccone, da Saviano, presso Nola , fu Depu-
tato, pel distretto di Nola, appunto, con Gaetano Pesce e Gio-
vanni Semmola. Egli si era dato, dapprima, agli studi giuridici,
che aveva, poi, disertati, per la medicina. Pubblicò due volumi
di Medicina Legale; e, col cognato Felice de Renzis, un Trat-
tato di Operazioni Chirurgiche. Emigrato , prima, a Ginevra,
poi, in Francia, lasciò la medicina, per lo studio dell* agricol-
tura e, spezie, dell'allevamento de' filugelli. Sul qual, poi,
stampò, a Torino, presso la Tipografia Botta, un prezioso trat-
tato. E, con l'ajuto del microscopio , molte scoverte fece , sul
calcino; ed ottenne, per esse^ medaglie, da Accademie francesi
ed Italiane. Gli occhi malandati avendolo costretto ad abban-
donare il microscopio, egli si appigliò agli studi politici ed eco-
nomici. Or, vive, tuttora, Senatore del Regno, Professoro di E-
— 484 —
conomia Politica, nella R. Università di Napoli, e socio della
Regia Accademia di Scienze Morali e Politiche , dopo essere
stato membro di una delle amministrazioni luogotenenziali ,
Deputato al Parlamento, Segretario Generale , alcun tempo ,
nel primo Ministero Minghetti , e Ministro di Agricoltura e
Commercio, nella seconda evoluzione del secondo Ministero Me-
nabrea. Rara è la chiarezza e la felicità del suo ingegno.
(3*28) Francesco Dentice , principe di Sangiacomo , fratello
del Principe Dentice, che era stato Ministro delle Finanze, nel
Ministero Serracapriola. Era molto intelligente, negli affari dì
Commercio. Quando la reazione trionfò, avendo saputo, spic-
cato , contro di lui , il mandato di cattura , si recò , dal Re ,
per dimandargli , come, mai, questo fosse accaduto. Il Be gli
rispose : rincrescergli la cosa. Fj gli offrì alcune stanze , nella
Reggia, dove la polizia non avrebbe osato inquietarlo ; dicen-
dogli, ove rimanesse in Napoli libero: non aggio^ che te fa\ Il
Sangiacomo esulò, quindi, a Parigi, dove è morto.
(329) Questa settima tornata della Camera ebbe luogo, in co-
mitato segreto. Può leggersene il verbale, nella pubblicazione,
fattane da Carlo Colletta. Toìmaie | della | Camera de* Depu-
tati I del I Parlamento Napoletano \ nellasessione 1848- i849 \
con tutti i progetti di legge in essa presentati \ per \ Carlo Col-
letta'W Napoli \ Dalla stamperia dell" Iride \ 20. Strada Magno-
cavallo I 1806.
Il Troya, rispondendo al Ministro di Giustizia (Nicola Gigli,
Vedi Note 55.'* e 260.*) disse: — « A Lei, che parla convenevol-
« mente, non arrogantemente > — Il Ministro dell'Interno,
(Francesco-Paolo Bozzelli, Vedi Nota 114.*), dal suo posto: —
« A chi arrogante? a me? » — Molte voci: — « All'ordine.'
« all'ordine!» — Il Presidente, con forza, suonando il cam-
panello: — « Signori, il Comitato ò sciolto. » —
(330) Il Manin non mise senno, davvero, so non parecchi an-
ni dopo, quando, esule , a Parigi, in nome del partito repub-
blicano, abdicò, nelle mani dì Vittorio-Emanuele.
(331) Eugenio d'Antonio De Riso e Caterina Capocchiani
nacque , in Catanzaro, il 3. V. 15. Fu, nel 48 , membro del
Governo Provvisorio, istituito a Catanzaro. Vedi i Docwmenti
storici rigitardanfi Vinsut^ezione Calabra, stampati, dalla Ti-
pografia dell' Ara/f/o, in Napoli, noi 1840, a cura del Governo
Borbonico. Mori, rimpatriato da quaranta giorni appena, il 10.
— 485 —
XI. 60, giorno dello ingresso di Vittorio Emanuele, in Napoli.
Era d'illustre famiglia catanzarese, cui appartengono,. anche,
i viventi: senator Tancredi De Riso; Ippolito (onde citasi uno
scritto, nella 232* di queste note); e Bernardo (che si troverà,
pur, mentovato in queste lettere) fratel d' Eugenio e d*Ippo-
lito,benedettino. Questi, designato, per merito, alPepiscopato, non
l'ottenne, dicono, per Topposizione della corte Borbonica, anche
a Borboni spodestati. È stato canonico di San Pietro, a Roma; e,
si buccina, confessore della nostra Regina Margherita. Poi, abate
di Perugia. Leon© XIII, V ha voluto vescovo di Catanzaro, in
quest'anno. Nacque, in Catanzaro, il 31. XII. 23.
(332) Vincenzo Marsico, che era stato Intendente, a Catan-
zaro, nel periodo costituzionale. Visse poi, emigrato, a Malta.
Aveva fama di valentuomo e galantuomo. Da non confondersi ,
per nulla, col sedicente barone Gaspare Marsico. Il quale, dopo
essere stato rivelante impunitario, in un processo politico, ha
fatto, per molte legislature, il mestiere di Deputato al Parla-
mento Italiano: beninteso, di sinistra.
(333) Di questo fatto, non n'ho potuto ritrovar traccia, ne' ver-
bali della Camera , stampati dal Colletta (Vedi nota 329.*^).
Duolmi non avere, fra le mani, il libello del Petruccelli, sugli
avvenimenti del 48, nel quale chi sa come lo avrà raccontato.
(334) Era il Campobasso uno de' più tristi ed esosi Com-
missari di Polizia. Uomo, del resto, di pessimi costumi; e gio-
catore appassionato di primiera. Mori, dopo il 1850, nel palazzo,
detto della Prefettura vecchia o del Gesso, a canto della chiesa
dell' Ospedaletto, appunto là, dov'ò, ora, il negozio di Giosuè
de Palma. Eseguendosi alcuni lavori, si trovaron murati un cra-
nio ed ossa. Avvertito il Commissario Campobasso, accorse. Men-
tre osservava il reperto, sprofondò il pavimento; ed egli rimase
schiacciato.
(335) Carlo-Giuseppe-Maurizio-Ettore Perrone di San Martino
nacque, il 14gennajo 1789, in Torino, da un padre, che era Gran
Maestro della guardaroba e Maggior Generale di Cavalleria. La
madre, Paolina Argenterò di Berzezio, fu, poi, Dama di palazzo
delle Imperatrici Giuseppina e Maria-Luisa. A sedici anni, si ar-
ruolò nella legione del Mezzodì, composta, in massima parte, di
piemontesi, e divenuta, poi, il 32* di fanteria leggiera francese. II
12 ottobre 1806, Napoleone il fece hmmettere, nella scuola di
San-Ciro; e, l'I! aprile 1807, ne uscì sottotenente, nel 65* di li-
— 486 —
nea, esordendo nella carriera, colla campagna di Prussia e di Po-
Ionia, liuogotenente nello stesso corpo, prese parte a quel se-
guito di battaglie, in cui rifulse la virtù della grande armata,
nel 1808 e 1809; ed, a Wagram, fu fregiato della croce della
Legion d'onore, sul campo. Passato al 4° cacciatori della Gio-
vine Guardia, fece, con esso, le campagne di Spagna del 1810
e 1811. Ma, subito dopo, venne trasferte, al 1.** reggimento
granatieri a piedi della Vecchia Guardia; e, con questo, fece la
campagna di Russia, quantunque avesse una gamba fratturata,
per una caduta; ma adoperava le grucce ,• quando smontava
di cavallo. Capitano, nel 1813, prese parte a' trionfi di Liitzen e
di Bautzen. Capo di battaglione nel 24° fanteria, nel 1814, fece
la campagna francese; e fu ferito, a Montmirail. La ristorazione
il pose in riserva. Al ritorno deir Imperadore , dall' Elba , il
Perrone fu de' primi a chiedere di essere riammesso in attività:
per cui, nel 1815, venne confermato nel grado di capo -battaglione
e creato ajutante di campo del generale Gerard. Nella giornata
di Ligny, ucciso il cavallo di quest'ultimo, il Perrone gli ce-
dette il proprio; e rimase, nella mischia, a piedi, col rischio di
cader prigioniero de' prussiani. Dopo la seconda ristorazione,
non avendo potuto essere ammesso, col suo grado, neiresercito
sardo, ei si rimase, in aspettativa, in Francia, finché non venne
richiamato al servizio attivo e collocato, come capo- battaglione,
nella legione dipartimentale della Manica. Nel 1818, chiese le
sue dimissioni: e dimorò in Inghilterra e, poscia, in Piemonte,
attendendo all'agricoltura, nel suo podere di Perola. Arrestato
e rinchiuso nella cittadella di Torino , quantunque contrario
a' moti del 1821, ebbe incarico, dal governo costituzionale, di
formare due battaglioni, chiamati Cacciatori d'Ivrea, de' quali
fu colonnello. Fallita la rivoluzione, ritornò in Francia; e venne,
negli stati Sardi, condannato a morte, in contumacia. Riprese
servizio , in Francia , dopo la rivoluzione del 1830 ; e fece la
campagna del Belgio, sotto il Gerard, divenuto maresciallo; e, fu
nominato colonnello, nel 1832. Nel 1839, il promossero generale
di brigata, destinandolo al comando del dipartimento della Loira:
ufficio, che esercitò, per sei anni. Nel 1848, si presentava can-
didato all'assemblea Nazionale. Ma, al primo invito, accorse in Ita-
lia; e fu, dal governo provvisorio di Lombardia, incaricato di orga-
nizzare il novello esercito. In queste sue funzioni, incontrò forti
ostacoli, per parte di chi avrebbe dovuto secondarne gli sforzi.
— 487 —
Duraste la campagDa del 1848, fece il blocco di Mantova, colla
divisione lombarda. La cui prima brigata era comandata , da
Raffaele Poerio (Vedi la 243.* di queste note). Dopo l'armistizio
Salasco, fu fatto ministro degli esteri, nel gabinetto Revel; e,
dimostrando poco senno, bramò la seconda guerra, quantunque
avesse contrari i suoi colleghi di ministero. Non conservò, lun-
go tempo, il portafogli; e, denunciato Tarmistizio coli' Austria,
ottenne il comando della S.*^ divisione dell'esercito, che doveva
entrare in Lombardia. Alla battaglia di Novara, colpito, in fron-
te, da una palla nemica^ si slogò, giunta, la spalla, stramazzando
da cavallo. Raccolto, da due soldati, e posto iu un carro d'ambu-
lanza, volle vedere il Re; e, fattoglisi trascinar dappresso, gli
rivolse queste parole: Sire! fai voué ce dernier bout de ma vie
à vous et à Vindépendance de 7non pays: à presenta mon devoir
est accompli. Spirò, a Novara, il 29 marzo 1849, presso la mo-
glie, nipote di figliuola del Lafayette. Sul Perrone, c'è un libro,
che non ho potuto vedere; Cecini sulla vita del Barone Perrone
di San Martino^ offerti^ agli Italiani^ da G, B. C capitano nelle
ti-nppe lombarde, durante le due campagne 1848-49. Torino
1850, Stabilimento tipografico di Alessandro Fontana,
(336) Mi scrivono, da Milano, che questo Gonsalez passa, per
esser stato un "^o^ guascone. — « Ri usci a farsi mandare, a V«ne-
« zia, quale inviato, dal Governo Provvisorio lombardo ; e, là,
€ pa.sseggiando in piazza S. Marco, con una sciarpa tricolore,
« in cui stavano stampate le sue qualità , distribuiva strette
« di mano, a tutti, spacciandosi per un grande e donando, al-
« la folla, dolci e frutta, per farsi applaudire. Oggi è un X.
« Questi particolari, forse, esagerati, mi provano, che non fu,
< per altro, un personaggio importante. » —
(337) Giovanni Noghera. Mi scrivono, di Milano: — « Alcuni»
« del 1848, ricordano un Noghera, figliuolo di uno, allora, im-
« piegato alla Corte Vicereale. Oggi, questo Noghera sarebbe
« Impiegato, al Ministero dello Interno. » —
(338) Se non erro, questo signor Luigi Pesce era, verso il 1864,
Tenente-Colonnello dello esercito Italiano. E sua moglie fu, per
qualche tempo , Direttrice del terzo de' Reali Educandati di
Napoli, che, allora, stava sopra Materdei, (nel fabbricato, occu-
pato, adesso, da Padre Ludovico), e che, ora, è in Santa Pa
trizia. (Non so, dove il trasporteranno, se avrà luogo lo inau-
spicato trasferimento delle cliniche in Santa Patrizia!) Se non
— 488 —
ftrro. ci furon ^ai. f>er avere essa accolto, neU'<2d acaudato, con
troppa espansione, il mari^>. dopo una lunga assenza. Ma, di
tutto ciò. non ho se non confusa reminisceaza; e potrebbe, an-
che, dariii, che, rotondamente, errassi.
(330) De*fatti di qneato signor Bernardo Ruggiero, nulla ho
ItfìtuU) appurare.
(340; Quali fossero qnesti opascoletci, ignoro. Il fratello di
Savino Savini (vedi la 24.^ di queste note) è, ancor, vivo. Si
chiama Francesco. £ notajo e Direttore dell'Archivio Notarile
di Bologna. E fu, per molti anni, Sindaco di Casalecchio. Ed
appartiene al rAsnooi azione Costituzionale.
(341; Carlo, di Palilo Bignami e della Maddalena Marliani,
nacque, in Milano, il 1809. Ma la sua famiglia si trasferì e
stabili, a Bologna, quando egli aveva, circa, quattro anni. Stu-
diò, nel Collegio di Hofviryl, diretto dal Fellenberg. fino al 1825;
e, poi. Filosofia « Matematica, nella Università di Bologna, ove
sì laureò, nel 1829. Frese parte a* moti del 1831 ; e marciò
nella colonna del Colonnello Guidotti (vedi la 143.^ di queste
notale), col grado di sottotenente; e ripatrìò, dopo la capitola-
zione di Ancona e l'ingresso degli austriaci. Nell'autunno del-
l'anno stesso, riorganizzandosi la Guardia Nazionale, egli fu
Maggiore. Ma, nel febbrajo seguente, rìoccupando gli austriaci
Bologna e le llomagne, emigrò; e rimase fuori, sino al 1836.
Nella formazione della Civica, alFavvenimento di Pio IX, fu
Maggiore, poi Tenente- Colonnello; e, con tal grado, parti, nel
48 , con un battaglione, pel Veneto. Dopo la capitolazione di
Vicenza, ebbe ordine: di ritirarsi a Venezia. Vi fu raggiunto,
da un secondo battaglione bolognese, comandato dallo Scar-
soUi ; 0 , promosso a Colonnello dal Pepe, ebbe il comando della
quarta legione (o legione bolognese), composta di essi due bat-
taglioni e di tre compagnie marchigiane. Prese parte, alla ri-
cognizione verso il forte Cavanella d'Adige (Vedi la 324.* di
queste note); ed alla sortita di Mestre, nella quale fu, mortal-
mente, ferito Alessandro Poerio. Alla fine dell' anno , tutti i
volontail pontifici, comandati dal Ferrari (vedi la 259.* di que-
ste note), che avea, per capo di Stato maggiore, Luigi Mezza-
capo (vedi la 108.* di queste note) , ebbero ordine di rimpa-
triare. Il Bignami andò a Bologna; e, poco dopo, vi fu Co-
mandante della Guardia Nazionale. L'8 maggio 1849, attaccata
Bologna dagli austriaci, non si potò fare se non una resi-
— 489 —
stenza passiva. I reggimenti svizzeri erano stati sciolti; e molta
truppa e cannoni richiamati, a Roma , per la difesa contro i
francesi. A Bologna , per tanto, non rimase se non un can*
none di ferro senza affusto , che venne adoperato , improvvi-
sandogliene uno; oltre a due cannoncini, di cosi piccol calibro,
da sembrar giocattoli. Nel 1859, fu offerto, reiteratamente, al
Bignami, di entrare al servizio; ma la salute, non gli permise
di accettare. E fu delegato, dal Sindaco, alla Presidenza del Con-
siglio di ricognizione , per la Guardia Nazionale in Bologna.
Il Bignami vive, ancora; e, per ragioni di famiglia, si ò stabi-
lito, da lungo tempo, a Lucca. La sua moglie ha, gentilmente,
informato, chi, per nostro conto, la richiedeva di quelle lettere,
che il Poerio avesse potuto scrivere a suo marito, che il car-
teggio di lui fu distrutto, nel 1849.
La Maddalena Marliani. madre del colonnello, aveva, nel 48,
due figliuoli ed il fratello alPesercito. Carlo, come s*è detto, era
a Venezia. Enea, ufficiale d'ordinanza del Duca di Genova, il
segoni, in tutta la campagna del 48; trovandosi, pure, il 23 mar-
zo 1849, alla battaglia di Novara. Marcaurelio Marliani, poi
era, nel 48, ajutante di campo del Generale Durando; e fu
ucciso, VS maggio 1849, alla porta di Galliera, a Bologna. Ma,
nel 1848 , in Italia , non eravamo giunti a questo : di trovare
cosa miracolosa, eroica, degna di monumenti, che più persone
d'una famiglia, volontariamente, combattessero per la patria!
(342) Sopra questo Commissario di Guerra Pìrella o Pirelli,
nulla ho potuto sapere.
(343) Non so arzigogolare di quale de* fratelli di Girolamo
UUoa, qui, si parli.
(344) La Carolina Poerio era stata, a Venezia, solo pochi
giorni, reduce dalla relegazione di Gratz, col marito e con la
famiglia, andando a Firenze. (Vedi la nota 279.*^) Ma ella aveva
moltissima memoria locale.
(345) Non so di quale de' figliuoli di Vincenzo Lanza, (Vedi
la nota 74.*^) qui, s'intenda parlare. Uno, Pompeo, ò, ora,
medico. Un'altro, Carlo, ò Professore di Latino e Greco (nel
Liceo Antonio Genovesi di Napoli) e Direttore del Convitto
Giannone. E, se non erro, non sono i soli.
(346) Non ho potuto ritrovare questa lettera del Montanelli,
per inserìrla qui; ma, per quanto io me ne ricordi, era piena
^ 490 —
dì quel sentimentalismo ed umanitarismo smaccato, che mi rin*
cresce, come lo sciroppo.
{347J Credo, che Paolo Correnti sia, qui, lapstts calami per
Cesare Correnti.
(348) Su Giuseppe Vignati, da Milano , mi scrive un cono-
scente: — « Vignati è nome comune di famiglia milanese; ma
« nessuno mi seppe dire nulla intorno al Vignati , del quale
« Ella mi parla, che avrebbe militato, nel 1848. » —
(349) Il Maggiore Novara (o Noaro ? che non so l'esatta orto-
grafìa del nome). — « Questi » — mi si scrive — nacque, a Bor-
« dighiera, negli Stati Sardi; servì, come furiere, nella brigata
« Aosta; terminata la ferma, ottenne il congedo; ed era codo-
ni: scinto, a Torino, come giuocatore di pallone ecc. ecc. Nel 1848,
« comandò il battaglione della Guardia Nazionale Lombarda,
« in Venezia , come Maggiore. Fu nominato Colonnello, nella
« Emilia, nel 1859; e, finalmente, tenne il comandò di una
€ brigata, come Maggior-Generale, nel Regno d'Italia. > —
(350) Chi sia questo di o de Cesare non saprei dire; e non è fa-
cile indovinare, essendo il cognome comunissimo, non solo neli^
Provincie meridionali, ma in tutta Italia. Forse, si tratta di
quell'Innocenzo di Cesare, che, nel 48, fu deputato, pel distretto
di Potenza; suocero di Luigi d'Egidio (Vedi la SGS.** di queste
note). Fu uomo di gran valore intellettuale.
(351) Questo Arditi deve essere stato un fratello di quel
Giuseppe Arditi, che è, poi, morto, avvelenato, dal proprio fi-
gliuolo. 11 parricida fu difeso da Nicola Amore, con isplendide
orazioni: ma l'evidenza lo schiacciava. Condannato una prima
volta ed annullata, poi, la sentenza, mori, in carcere, prima che
il giudizio fosse, interamente, espletato, di nuovo.
(352) Neppure il cognome di questo D. Luigino ho potuto
scavare!
(353) Di questo crociato Delie-Mura, che rimpatriava, alle-
gramente , prima che il Santo Sepolcro fosse stato liberato ,
lasciando* ad altri, la cura di dare e riceverne, nulla so; né vai,
davvero, la pena di, studiosamente, ricercarne.
(354) Questa lettera di Carlo Poerio, senza la poscritta del-
la madre, e l'altra d'ambo, che segue (pag. 165-169), sotto il nu-
mero LXXXV, furono, già, da me, pubblicate, nella Raccolta \
di I scritti vani | inviati per nozze \ Beltrani-Jatta \ e pubblicati
I dall'Avvocato | Niccola Festa Campanile \\ Trani \ Tipografia
— 491 —
V. Vecchi e C. \ 1880. Le intitolai // Processo Longo e Belli-
Franci. E vi premisi la seguente dedicatoria:
A G. B. BELTRANI.
Caro Amico,
Nel XXIII capitolo delle Ricordanze di Luigi Settembrini,
si legge il paragrafo seguente: — <c Era il giorno xiij Luglio
« f\LDCCC.XLVIII), ed io vidi molte carrozze chiuse, che, cir-
« condate da soldati, a cavallo, con le pistole in pugno, pre-
« sero la via di Castelsantelmo. Erano i capi delle milizie si-
« ciliane, state in Calabria, fatti prigionieri, che andavano ad
€ essere sepolti, in quel castello. Caduta la rivoluzione di Ca-
a labria , i siciliani fuggirono, sopra alcuni piccoli legni. E,
« dopo lunghi travagli, mentre erano a poca distanza da Corfù
« e si tenevano salvi, furono sopraggiunti, dal vapore napole-
« tanó, lo Stromboli y comandato dal Salazar; e furono fatti
« prigionieri. Ed erano circa seicento , tra i quali il Ribotti.
« Menati a Reggio , poi, a Napoli , i capi furono gettati, nei
€ sotterranei di Santelmo; gli altri, mandati in galera. Giaco-
« mo Longo e Filippo [sic^ delli Franci, perchè antichi uffiziali
« delFesercito napoletano, furono sottoposti, al giudizio di un
« Consiglio di Guerra. Carlo Poerio, come avvocato, si presen-
« tò, a difenderli; e, sebbene si vedesse intorno militari , che
<c lo minacciavano e lo schernivano , egli fece il suo dovere.
« Furono condannati, a morte: per grazia, all'ergastolo. Stet-
te tero sepolti, in un sotterraneo di Torre d'Orlando, in Gaeta,
« sino al M.DCCC.LX. Giacomo Longo, come ne uscì, corse, a
a Capua, dove si combatteva. Fu ferito, nella fronte; e cadde.
« Si levò, fasciò la ferita, gridò: Viva V Italia! e seguitò, a
€ combattere, finche fu ritratto, dagli amici. Il Ribotti penò,
a molti anni, in Castelsantelmo: gli altri, nelle galere, prima;
< poi, sulle isole. I deputati Scialoja e Conforti dicevano, ai mi-
ic nistri: Se i Siciliani sono ribelli, giudicateli; se sono prigiO"
€ nierì di guerra^ trattateli come prigionieri. E i ministri ri-
< spondevano, con ingiurie ai Siciliani, ai Calabresi, ai depu-
< tati, chiamandoli stolti e faziosi. » —
Credo , che , a te ed a tutti i lettori delle Ricordanze del
Settembrini, vale a dire, a quanti uomini colti ci ha in Italia,
— 492 —
debba far piacere di leggere tre lettere, dirette, ad Alessandro
Poerio (allora, volontario a Venezia, dove mori, combattendo) dal
fratello Carlo e dalla madre Carolina Poerio Sossisergio, narran»
dogli, minutamente, del processo contro il Longo et il Dalli-
Franci, nonché della parte, sostenutavi, da esso Carlo. Vi si ma-
nifestano menti serene , che non s* illudevano sull^ situazione
e sugli uomini. Io rammento que'giorni; e mia madre, inquie-
ta sul fratello, che s'era andato a metter, volontariamente, in
bocca al lupo (cioè, in mezzo alla soldatesca esasperata), per
difender, piamente, un amico; e quanti bazzicavano in casa, ac-
corarsi del destino de' prigionieri. E, per quanto l'età puerile
il consentiva, partecipavo, a que' sensi: di simpatia, pe* sog-
giaciuti ; di ammirazione , per la loro intrepidezza ; di odio ,
pel tiranno, che faceva assaporar tutte le amarezze della morte
a'condannati e, poi, li graziava, con tanta malagrazia, alPulti-
mo istante, per prolungarne le sofferenze in prigionie dolorose.
Ora, però, m'è molesto il ripensare, a questo fatto ed a molti
altri, che, pure, hanno preparato la fondazione del Regno d'I-
talia, ma che, moralmente, non possono difendersi del tutto. Se
qualcuno, nel nostro paese e contro la dinastia sabauda, fa-
cesse quanto il Longo et il Delli-Franci fecero , nel Regno
delle Due-Sicilie e contr'a' Borboni, mille morti, nonché una,
mille strazi mi parrebbero castigo lieve. Adesso, la via del do-
vere è chiara, aperta; non c'è, più, bivi imbarazzanti. Obbeden-
do e servendo, alla Dinastia ed al Re, si sa di obbedire alla
patria e di servirla: che lo Stato, da noi, è per la Dinastia;
e la Dinastia non ha nò può avere interessi, divergenti o dì-
stinti, da quelli dello Stato. Quindi, dovremmo essere entrati
in condizioni normali: la rivoluzione dovrebb'essere finita. La
jattura somma della patria, la perversità e l'insipienza de'go-
verni, la signoria straniera, Tarbitrio autocratico de' Principi
facevano stimare, se non lodevole, almen, lecito, anche a' buoni,
qualunque mezzo, che sembrasse adatto, a procacciarci l'indi-
pendenza o l'unità 0 la libertà. Bisognava pensar a creare lo Sta-
to, prima di tutto, ad ogni costo; ed a far, che lo Stato fosse
la cosa pubblica, la cosa comune. E, certo, non potremmo, senza
ingiustizia manifesta, applicare, a' fatti di que' tempi, i rigidi
criteri morali, che, giustamente, debbono applicarsi a' con*
temporanei.
A noi, caro Beltrani, i quali fondiamo nuove famiglie, nel.
— 493 —
la nuova Italia, spetta di educare ì fìgliuoli, che desideriamo,
con principi morali rigorosissimi, abborrendo dal lassismo vol-
gare. Un popolo indulgente è un popolo corrotto, anzi perdu-
to. Gli applausi, prostituiti a' Milano ed agli Orsini, suscitano
i Passannante. I monumenti a* Mazzini , a* Cattaneo , a* Pi-
sacane ed altri indegni, proponendo falsi ideali, pervertiscono
le turbe. Gli uffici e gli onori, conferiti a* ribaldi, compiono
r opera. Per questa scarsezza del senso morale, il quale non
ha potuto, del tutto, ristabilirsi, dalle ferite, che tutte le parti
gli hanno inflitte, a gara, Tltalia, pur troppo, chi ben guardi,
pericola. Ed, al pericolo, può, solo, sottrarsi, rinsavendo e pur-
gandosi. Se ne avrà la forza, so saprà por termine, alla baraonda
rivoluzionaria, e stabilire un bell'ordine morale: si salverà e pro-
spererà. Se (quel, che non voglio credere) non sarà da tanto da
rigenerarsi o mancherà chi la metta in carreggiata: cadrà e si
disgregherà. E sarà poco male; ed avrà meritato di cadere e
disgregarsi.
Pomigliano d'Arco, Ognissanti del m.dccc.lxxix.
Vittorio Imbruni.
(355) Per Giacomo Longo, per la sua famiglia, po' suoi fra-
telli Carlo e Roberto, vedi la 300.'' di queste noto.
(356) Mariano Dolli-Franci : e non, già, Filippo, cjxae si
legge nelle Hkordame di Luigi Settembrini (Vedi la 354.* di
queste note). Uscito, poi, dal carcere di Gaeta, segui il Longo,
a Torino ed a Palermo. Ebbe, in Sicilia, il grado di colon-
nello d'Artiglieria. Nel 18G1, fu trasferito, con lo stesso grado,
neir artiglieria dolio esercito regolare; e fu, successivamente,
comandante locale d'artiglieria, a Pavia, e direttore, pur d'ar-
tiglieria , a Bologna. Ma dobbo , con sommo rincrescimento ,
aggiungere, che la sua condotta, dopo la costituzione del Re-
gno d'Italia, non è stata bella e pura. Dovè lasciar lo esercito,
per cagioni , che mi piace lasciar nella penna, nel 1863. Si
tratteneva, da ultimo, ne' dintorni di Napoli, non so più se
alla Cercola od a Sant'Anastasijq ed ò morto, nello Aprile del
corrente anno 18S4» quando qu(;sta nota era, già, in tipogra-
fia. De' tre suoi fratelli, due furon militari, nello esercito delle
Due Sicilie e, poi, nello Italiano; ed, oggi, sono al ritiro. Ne
— 494 —
ignoro i nomi; e quale de' due si trovasse nel Corpo del Pepe,
nel 1848.
(357) Del Principe Grammonte, da Palermo, poco ho potuto
sapere. Apparteneva alla nobile famiglia siciliana ed antichis-
sima de' Ventimiglia. Non era , punto , conosciuto , neir alta
società di Palermo, nel 1846 e nel 1847. Si fece conoscere,
combattendo, sullo barricate. Passato, in Calabria, col grado
di colonnello , segui la sorte degli altri della spedizione Ri-
botti. Dopo la prigionìa, emigrò, in Francia. Mi scrivono, di
Sicilia, che, nel 1861. egli v'era, artritico; e che girava in una
carrettella, sospinta da un domestico; e che somigliava, a
Giuseppe Ricciardi (vedi la 77.* di questo note), come due goc»
ciole d'acqua. Altri mi dice, che morì, a Parigi, dopo il 1871.
(358) Il cavaliere (e non già marchese) Errico Fardella è
fratello minore del vivente Vincenzo Fardella , marchese di
Torrearsa, cavaliere dell'Annunziata e senatore del Regno. En-
rico nacque, in Trapani, il 10 marzo 1821. Prese parte attiva,
alla rivoluzione: prima, a Trapani, poscia, a Palermo. En-
trato nell'esercito, combatto a Messina; e passò, quindi, in
Calabria. Rimase prigioniero, sino al dicembre 1849. Ricordo
di averlo visto emigrato, a Genova, nella fine del 1849 o ne' primi
mesi del 50. Nel 1855, fece parte, non so con qual grado, della
legione anglo-italiana , formata per la guerra di Crimea ; e
che, per l'avvenuta pace, fu sciolta prima d'entrare in cam-
pagna (Cfr. nella 370* di queste note). Nel 1860, tornò in Si-
cilia , non ricordo se con la spedizione Medici o con la spe-
dizione Cosenz. Reintegrato, col grado di colonello, nello eser-
cito meridionale, fece tutta la campagna, da Milazzo a Capua,
dove comandava un reggimento. Non prese servizio, nello eser-
cito regolare, dopo la guerra. Militò, col grado di generale,
porgli Stati -Uniti, contro i poveri secessionisti, che ned a lui
ned all'Italia avevan fatto male alcuno e che chiedevano, per
l'appunto e con molta pili ragione, quel, che i Siciliani pre-
tendevano, nel 1848: l'autonomia, l'indipendenza. Da qualche
anno e dopo aver prrisa moglie, in America, vive, con la sua
famiglinola, in Trapani.
(359) — « Tommaso Landi appartenne, ad un' agiata fami-
« glia della borghesia di Messina. Non fu né unitario, né fe-
ce deralista, né monarchico, né repubblicano. Egli fu liberale
« e tutto dato alle dottrine dei Sansimoniani; ed, al 1848, ia
— 495 —
« Messina, come, nel 1861, 1863 e 1868, a Parigi, giurava per
€ il padre Enfantin , come avrebbe potuto fare un allievo di
< Ménilmontant , nel 1831. Buono amico, integro cittadino, la-
« vorò, molto, per la rivoluzione, non perdonando ned a fati-
« che , ned a spese. Fu uno degl' iniziatori della rivolta del
« primo settembre 1847, in Messina; e combattè, con bravura,
€ nel 1848. Dopo la prigionia in Sant' Elmo (ed ignoro , se
« avesse , pur , passato qualche tempo, a Nisida od a Capua)
« fu esule, in Francia. Si stabilì, a Parigi. E, cagionevole di
€ salute e tutto dato ai suoi favoriti studi , ivi rimase , sin
«dopo l'assedio del 1871. Dopo, per seguire il consiglio dei
«medici, ritornò in patria, ove mori, nel 1874. Io lo rividi,
« per l'ultima volta, a Messina, nel 1872; e Le assicuro, caro
« signor Vittorio , che 1' amico Tommaso , dopo i fatti della
< Comune, era non poco rinvenuto, sulle sue, per lunghi anni,
«. accarezzate dottrine sociali. » — [Da una comunicazione con-
fidenziale.]
(360) — (f Francesco Burgio di Villafiorita, da Palermo, fu,
«in gioventù, ufficiale nelle Guardie Reali. Poi, si dimise
« dal servizio militare ; e fu percettore , a Trapani , verso il
« 1847. Fu tra coloro, che, molto, si adoperarono, prima del
« 1848, per la rivoluzione. Fu membro del governo provviso-
<c rio , dopo il 19 gennajo ; e membro della commissione, per
«la riforma della legge elettorale del 1812, per adattarla ai
« nuovi tempi, prima di procedersi alle elezioni, che diedero
«la Camera dei Comuni del Parlamento, che si riunì, il 25
« marzo 1848. Ebbe il grado di. maggiore d'artiglieria; e, dopo
« la prigionia per li fatti di Calabria, emigrò a Genova, ove
« morì, prima del 1860. i* — [Da comunicazioni confidenziali.]
(361) Di questo Principe del Plico nulla ho potuto sapere,
per quanto ne chiedessi, a destra ed a manca. Persino il ge-
neral Longo noi conosce; o dice: — «È un nome affatto nuovo,
« per me. Deve esserci un equivoco. » —
(36i?) Non c'era male, per un esercito di seicantoquaran-
tacinque individui; anzi di cinquecento soli , se dobbiamo cre-
dere a Don Giuseppe-Napoleone Ricciardi. E parecchi di que'
colonnelli improvvisati non dovevano essere roba molto seria. Il
numero strabocchevole di uffiziali superiori fuori quadro ed
in corca de' rispettivi ipotetici battaglioni, reggimenti, brigato
e divisioni, forma uno de' distintivi caratteristici, de' caratteri
— 496 —
distintivi degli eserciti rivoluzionari, di solito, principalmente,
intesi e destinati, a rivolgere il destino de' propri componenti,
a crear loro una posizione sociale od a soddisfarne Tambi^ione
e la vanità. Salvo, beninteso, la pace de' pochi buoni ! giacché,
alle rivoluzioni più giuste, dan mano, sempre, con pochi otti-
mi, turbe di mediocri e di pessimi.
(363) Vedi la 367.* di queste note. Nota, però, che questo
infelice è chiamato, dal Tarantini, Guccione o Giiggione e non
Coccione,
(364) Per Francesco Angherà, vedi la 370* di queste note.
(365) Congregazione solita , da secoli , ad accompagnare ,
sul patibolo, i condannati a morte. Nel Catalogo | di Mss, della
Biblioteca | di \ Camillo Minieri-Riccio \ volume terzo \ \ Napoli
presso Detken e Rocholl \ 1869^ possono leggersi molte notizie
intorno alla Compagnia di Santa-Maria-succure-miseris de' Bian-
chi della giustizia, che fu fondata, nel 1519, da Ettore Vernaccia,
gentiluomo genovese, e D. Calisto Piacentino dell'ordine de* Ca-
nonici Regolari di S. Agostino. Vi si legge, pure, l'elenco nu-
merico de'giustiziati, dall'anno 1556 al 1789. In questi dugeD^(h
trentaquattro anni, ascesero, in tutto, a 3443. Media: 14, 71 (co-
me ognun vede, discretissima). I maxima furono: nel 1585 (82)^
nel 1584 (76); nel 1674 (75). Non vi furono giustiziati: negli
anni 1562-63-64-93, 1711-18-25-27-31-33-35-67-74-85-86-
88-89. — A questa Compagnia di Santa-Maria-succurre-mi-
seris, detta de' Bianchi della Giustizia, si ascrissero sette papi,
molti cardinali, cinquantadue arcivescovi, ecc. — Questo numero
in sé, scarso e, sempre, decrescente, di condanne capitali, in
Napoli, deve attribuirsi non all'abuso irrazionale del diritto
di grazia, anzi ed alla, sempre, crescente, mitezza de' costumi
e delle leggi ed, in parte, anche, ad una cagione, che indi-
cherò, con le parole del barone Giuseppe Poerio, nella difesa
di Felice De Antonellis (Vedi nota 386.*) — «Uno de' vizi ra-
« dicali del vecchio processo criminale era T uso delle pene
« straord Inarie j che veniva diOlV arbitramento degVindist. L'ac-
« cusato, non del tutto convinto, era condannato, ad una pena
< minore di quella stabilita, dalla legge. E la scala di queste
« pene , invece di progredire in ragione della intensità del
« dolo, si proporzionava, alle pruove, più o meno copiose e strin-
ge genti. Proporzione ingiusta ed incomprensibile, tra cose tan-
« to eterogenee, come, assennatamente, osserva uno de' nostri
— 497 —
« più insigni sentori. Frattanto, questo sistema (assurdo, in
< teorica ) risultava , in pratica , un temperamento, piuttosto,
€ umano: al che, molto, contribuivano i preclari magistrati,
< de' quali, in ogni epoca, è stata superba la nostra patria.
« Ne' giudizi capitali (indipendentemente, dalla scarsezza delle
< pruove) ogni menda, ogni neo del processo impediva l' ap-
« plica/ione della pena ordinaria. E rarissime, pili che in qua-
« lunque altro stato di Europa, erano divenute, fra noi, le
4C condanne, all' ultimo supplizio. » — *
(360) Giuseppe, di Ferdinando Marini-Serra e della Pruden-
za Ameudolara, nacque, in Dipignano , villaggio, prossimo a
Cosenza, il 2 settembre 1801. Si addisse, al foro; e salì, in fa-
ma grande , per 1' eloquenza, spiegata contro quel Nicola de
^latteis, che, Intendente, aveva superate le infamie di Verrà,
iiella Calabria citeriore. Mori, il 2 settembre 18G0. Rimase,
quasi, sempre, estraneo alle agitazioni politiche. Nondimeno,
fci arrischiò a sottoscrivere, in casa de' fratelli Poerio, la pe-
tizione, con cui si domandava la costituzione, a Ferdinando II;
e difese, con zelo, alcuni imputati politici. Ma non ebbe, mai,
molestie, dalla polizia; e non avca, certamente, senso d'Italia-
nità. Vedi il giudizio di Leopoldo Tarantini, sulla sua eloquenza
forense, nella nota seguente.
(oGTj Quau<lo pubblicai, per la prima volta, questa lettera,
mi rivolsi, al Tarantini, per averne notizie, sul processo. E com-
misi l'indiscrezione di stamparne la risposta, e per le notizie,
che conteneva, e per farmi bello della benevolenza, di cui mi
onorava. 11 Tarantini chiama il suo cliente, quando Guggione
e quando Gucciyne. — «Mio caro Imbriani, sissignore, potrei
< darvi molte notizie di quel memorabile giudizio. Ma mi co-
« glieto, in un brutto momento, essendo occupatissimo e sul punto
« di partirò, por liari, ove mi chiama la discussione di una gra*
« vis:>ima causa. Nel processo Dolli-Franci, il Marini-Serra di-
te fose costui: ed egregiamente, com'era suo costume. (Il Ma-
<L rini-Serra dava, proprio, l'immagino di Cicerone, a chi lo
« sentiva discutere: quella niagnilO(iuenza, quel vigore, quel-
< Yacfiis). CdiV\o Poerio difese il Longo; ed io, il tenente Oug-
« gione, unico, che fu assoluta); o, por dir meglio, rimandato
« ad una più ampia istruzione , mentre gli altri due furono
€ condannati: ad csaer fucilati y fra tre ore. Il giudizio, o^sia
« l'istruzione del processo , cominciò , all' alba. Noi avvocati
32
— 498 —
« fummo ammessi, verso il mezzodì; e cominciò il dibattimento,
« che si protrasse, per tutta la notte. E la sentenza fu pub-
« blicata, all'alba seguente. La mia arringa cominciò, mentre
« il campanone di San Martino suonava la mezzanotte, sul
« nostro capo; giacché fu nel chiostro di San Martino, che si
« celebrò il giudizio. Il Tribunale era, in un angolo del por-
« tico ; ed , in mezzo al quadrato scoverto , erano due reggi-
« menti, sotto le armi, che spesso cadevano di mano, ai soldati,
« sopraffatti dal sonno. La mente correva, proprio, al tratto del
« discorso PUÒ milone: Haec novi mdicli nova forma terrei
€ oculos , qui^ qitocumque incidermi^ veterein consuctiidinem
« fori et pristinutn morem iiidicìorwn rcquirunt. Undique ar-
« mail, eccetera. Assisteva, al giudizio, 1' attuale general Xun-
« ziaute , mandato, espressamente, dal Re, per vigilarlo; e so-
« stoneva l'accusa legale il vecchio e bravo maggiore Felicetti,
« che la sostenne, con dignità e son/a mancale di riguardo,
4; agli accusati. Non ricordo, chi era il presidente. Uno dei giu-
« dici era il tenente Gonzoni, ajutante di campo del Miuisitro
« Ischitella, il cui voto decise la parità, in favore del mio Guc-
« cione. Or, vedi fatalità ! Sei mesi dopo, nella ritirata di Vel-
« letri, comandata da Ischitella, e mentre il Guccione serviva,
« da semplice artiglici v?, per riabilitarsi, una palla di cannone
« venne dritta, su lui, .na fu ricevuta, in vece, da Gonzone, che
€ se gli troA^ava a fianco "e che lo ajutava t» far voltare un caii-
« none. Sul Guccione, si potrebbe faro un romanzo: per cui non
« vi formalizzi, se io ho dotto, che voleva riabilitarsi. Era mi-
« rito, era padre; e la moglie era una vera eroina. Quello,
« che più mi restò impresso di quel giudizio , fu il sangue
« freddo del Longo , quando attendeva e quando sentì legger
« la sentenza di morte. Avendo io annunziato, sotto voce, a Guc-
« cione, la sua liberazione, che equivaleva alla condanna del
« Longo, costui, che aveva udito, si rivolse; e, vista la mia
a costernazione, cercò egli di rincorarmi; e, datomi un suo
« biglietto da visita, per ricordo. Prendete, mi disse. Non avrete,
« neppur, la noja di dovermelo restituire, giacché, fra tre ore,
« non sapreste, più, dove trovarmi. L'ultra impressione profonda,
« la produsse, in me, la rabbia si-lv;iggia dei soldati, che, senza
« curar ordini di superiori, avrebbero voluto, al momento, fu-
« cilare i condannati. Il Longo passò, sorridente, in mezzo a
« codesti cannibali, che imprecavan contro di lui ed impugna^
— 499 —
<t vano, ferocemeute, i loro fucili, come se passasse in mezzo
« ad una folla plaudente. Spuntava il sole dietro il Vesuvio,
« quando io e Carlo Poerio scendevamo, per le rampe di San
€ Martino, (giacché il Marini - Serra , dopo le arringhe, era
€ andato via); e ci dividemmo al palazzo Cariati (giacche, al-
« lora, non vi era il Corso) , egli, per audare a preparare la
« domanda di grazia, io, per andare a dar nuova dell' esito,
<( alla moglie del mio cliente , che avea passata la notte, alla
et sua finestra, sul ponto di Chiaja; e che, in vedermi, da
4L lungi, svenne, nò potè saper questo esito, se non dopo, circa,
<c mezz'ora. Questo è quel, che ricordo. I particolari della di-
« scussione non li ho , se non confusamente, presenti ; nò ho
« il tempo di andar a cercar gli appunti, tra la farragine delle
« mio carte. Amate, sempre, il vostro affezionatissimo Leopoldo
<t Tarantini. » —
(368) Luigi d'Egidio, da Montefusco, allora, avvocato, è stato,
dopo il 1860, sostituto procurator generale presso la corte di
appello di Napoli, della quale è morto consigliere, pochi anni
or sono. Lasciò vedova la figliuola d' Innocenzio Du Cesare ,
che, altamente, ò lodata, da quanti conosco, come donna egre-
gia. Il D Egidio mostrò fermezza o coraggio, da presidente della
Corte d'Assisie, nel celebre processo Dei Giudice, che rimarrà
una pagina vergognosa, per la istituzione de' giurati e per la
moralità pubblica, nella storia del foro napolitano. Odiatissimo,
dalla camorra e da' sinistranti d'ogni risma, fu accusato, una
volta, durante le elezioni municipali, di leggere, inesattamente,
le schede, tutto a modo suo e secondo il suo desidciio. Voglio
sperare, che l'accusa non avesse fondamento; e, certo, la par-
te, che la moveva, è quella, appunto, che s'è resa immortale,
per la j^UàUtta ed i blùcchi, arricchendo la lingua di qut-sti be' vo-
caboli. Si è, persino, raccontato, che il D'Egidio, parlando di
Napoleone I, dicesse: — <i Era, così, grande, che il Manzoni ha
€ potuto dir di lui: Li si nutnò Duc-Uccoii.' » — Ma sappiamo,
con quanta facilità, s' inventino e diUbmlauo simili ralunnie.
(369) Si tratta di Alessandro del marchese Vito Nunziante.
Il Tenente-Generale Vito Nunziante fu la piìi notevole figura,
tra'Generali, sorti, nel movimento sanfedista del 1790. Nac<|ue,
in Campagna, nel Principato Citeriore, il 12 aprile 1775; o
mori, il 22 settembre 1830, in Torre-Annunziata (nel decen-
nio: Gioacchinopoli). — Possono vedersi, intorno a lui :
— 500 —
I. 7^ I Tenente Generale | Vito Nunziante \\ In Napoli \
i83G. Opuscolo, che ne contiene l'elogio, dottato da Raf-
faello Liberatore ed illustrato, con documenti.
II. — Le vite I dei piii celebri \ capitani e soldati \ napoletani \
dalla giornata di Bitonto fino a' dì nostri \ scritte \ da \ Ma-
riano d'Ayala \\ Napoli \ Stamperia dell' Iride \ 1843.
III. — yita e fatti \ di Tito Nunziante \ per \ Francesco Pa»
lermo \\ Seconda edizione rimata dalV autore \\ Firenze \ Sta-
bilimento Civelli \ Via Panicale, 39 \ i870.
Alessandro Nunziante fu figliuolo di secondo letto di Vito e
della Camilla Barrcse, da Lipari. (La quale morì, in Napoli, il
10 agosto 1840; ed una cui vita può leggersi, in calce alP ul-
timo de' lavori succitati). Ebbe il titolo di Duca di Mignano,
dalla moglie, Teresa Tuttavilla de'Duclii di Calabritto. Fa tra'
favoriti, maggiormente, da Ferdinando II, nelle cose oneste
e nelle disoneste; e, certamente, il favore era giustificato, dalla
devozione della famiglia, alla dinastia borbonica, e dalla capacità
di lui, la quale si mostrò, spcjcialmente, nell' organamento de'
battaglioni di cacciatori. Ebbe, in dono, un vasto suolo edifica/»-
rio, presso il palazzo Calabritto. E, per somministrarg-Ii mate
rialida costruzione, si cominciò un trafuro della collina di Pino-
falcone, praticamente impossibile, por le differenze di livello, fra'
due orififl; ed i soldati, adibiti a sbavarlo, lavoravano alla co-
struzione della sua c^sa. Ottenne, Qh^^ la ferrovia Napoli-Roma
facesse un gran gomito, per toccar Mignano, ecc. ecc. Dicono,
che s'adontasse, fortemente, per non essere stato fatto maggior'^
domo di settimana^ nel 1850, in occasione del matrimonio del
Duca di Calabria, sebbene la moglie fosse nominata Dama della
Real Corte. Fatto sta, che abbandonò, nel momento del pericolo,
la causa de'Borboni; foce rinunziare, alla moglie, il titolo di DaiZ73
di Corto; e rinunziò gradi e croci. Nel Regno d'Italia, ò stato
Tenente-Generale; e, nel 1866, espugnò Borgoforte sul Po. Ma,
indispettito di vedersi poco stimato, malgrado cho si ricono-
scesse la sua capacità, per via della condotta passata, non
bella, nò patrioticamente, nò dal punto di vista dell'onor mi-
litare, volle acquistiire popolarità. Si buttò alla sinistra. E pub-
blicò un opuscolo sofistico, intitolalo: Ucoìiomia senza ridu"
zione, che i giornali di sinistra vantarono, corno un nuovo van-
gelo amministrativo. Sperava di diventar, cosi, ministro. Ma il
passato ostava. E quando, pur trionfando la sinistra , egli si
— 501 —
vide lasciar da parte, la sua mente si annebbiò. Cosi, moriva,
in Napoli, ne' primi di marzo 1881. Un suo figliuolo sposò,
a Milano, una certa Antonelìi, ricchissima, orfana di un pa-
dre, credo, salumajo. Ella si lasciò abbagliare, dal titolo. I Nun-
ziante tiravano alla dote. E trattarono, padre e figlio, la nuora
e moglie, tanto bene, che una divisione dovette aver luogo; ed
i tribunali occuparsi della faccenda. E lo scandalo durò, un pez-
zo; ed ebbe lungo strascico , anche, per opera d' un giornalu-
colaccio pettegolo torinese, intitolato il Ficcanaso,
(370) Questa decisione fu giusta e legale. Il Settembrini di-
ce: — « Fra' prigionieri era Francesco Angherà, giudicato, col
« Longo e il Delli-Franci, ma assoluto [?], perchè aveva, già,
« preso il congedo dalla milizia, quando si mosse a combattere
« per la rivoluzione. Assoluto, si; ma era tenuto, nel carcere
« di San Francesco, senza speranza di uscirne. Ond'egli, che
a piacevole uomo era, si travesti e sfigurò, in modo, che usci,
a dal carcere, con molta franchezza e senza essere riconosciuto.
€ Lo sdegno della polizia fu grande; e grandissime le risa dei
« liberali. » — L'Angherà nacque, in Potenzoni, nel Monteleo-
nese , il 28 marzo 1820 , di Antonio e della Costanza Stella.
Entrò, nel 1839, da volontario, neir Artiglieria Napolitana; e
sarebbe passato uffiziale, se non fosse stato incolpato, ripetuta-
mente, di cospirazioni. Il 12 febbrajo 1848, fu congedato: per
non convenir al Real servizio. Capitano di una Compagnia,
sotto lo Stocco, combattette all' Angitola. Del processo , da lui
sofferto, allora, ragguagliano queste lettere; della fuga, il brano
surriferito del Settembrini. Entrò, poi, come alfiere, nella le-
gione Anglo -Italiana, assoldata dall'Inghilterra, durante la guerra
di Crimea, (vedi la 358.* di queste note); e vi divenne luogote-
nente. Ed ebbe a correre, anche, qualche pericolo, poiché, quando
ottocento Italiani della sciolta legione furono imbarcati , alla
volta dell'Inghilterra, egli voleva, invece, scendere, in Sicilia, con
un globo di compagni, per promuovere una rivoluzione. Avrebbe
dovuto essere appiccato: ma gl'Inglesi, per salvarlo, il dichiara-
rono matto. E, fingendo tenerlo agli arresti di rigore, il trat-
tavano benissimo, nella cittadella di Plymouth. Entrò, poi, da
luogotenente di Artiglieria , noli' esercito della Italia centrale,
nel 1859: passò, come capitano, nell'esercito sardo, dopo l'an-
neBsione. Si dimise, per correre, dal Garibaldi, in Sicilia; e di-
venne Maggiore di Artiglieria. Ed è, poi, stato Tenente-Co-
^ 502 —
I
lonollo (leir arma stessa, noi Regno d' Italia. Egli pubblicò, a
Malta, se non erro, il racconto della sua fuga, ornato, in quella
prima edizione, del ritratto proprio e di quello di un suo zio
Arciprete, (ohe, poi, pretendeva di avere scoperta la quadratura
del circolo; e si era costituito, in Napoli, d'autorità propria, capo I
di un ordine preteso massonico.) Ne ho sotto gli occhi la secon-
da oiliziono (Napoli, 1H07), col solo ritratto di Francesco.
(*v^l) Altro che difficilissima dovotf essere la difesa! Certo,
quando uomini, che tutta la precedente e tutta la rimanente
vita mostra essere ben temprati, d'onore, generosi, prodi, com-
mettono, senza esitazione, con la compiacenza e col plauso de'
migliori della nazione, quo' peccati orrendi, che sono la cospi-
razione, la ribellione, la insurrezione, la violazione del giura-
mento militare e la diserzione al nemico, noi dobbiamo confes-
sare , di avere, innanzi agli occhi, non un caso di perversità
individuale, anzi un sintomo di sfacelo sociale. R dello sfacelo
sociale, quasi sempre, la colpa massima, penza tema di errare,
è da attribuirsi, a' capi ed a' rettori dello Srato. Una delle peg^
glori e cause e conseguenze delle rivoluzioni è, appunto, lajw^
turbazione generale delle coscienze, che induce 1 buoni e gli
onesti: ad appigliarsi, a mezzi improbi, per conseguire il fttke,
che lor sembra desiderabile; ed a scusare o lodare, chi vi s' ap-
piglia. Ma queste discolpe si possono presentare, con isperanza
di vederlo accolte, innanzi al tribunale dell' Istoria, non innanzi
a' tribunali ordinari, né, soprattutto, innanzi a' tribunali militari.
Sento, però, l'obbligo di stampar, qui, un brano importan-
tissimo di una lettera di Giacomo Longo, in data del 6 Mag-
gio del corrente anno 1884, nel quale egli chiarisce la posi-
zione propria: — «Ella mi permetterà un fatto personale,
« come lo si direbbe, alle Camere. 11 mio carissimo Carlo Poe-
« rio disse il vero, nella sua lettera del 22 luglio 1848, che,
«cioè, arduo era stato il compito della mia dife.sa: ma non
« accennò, alla differenza, che v'era, fra la posizione di Delli-
« Franci e la mia. Delli-Franci , trovandosi, di presidio, a
« Reggio, con la sua compagnia di Artiglieria, nei primi giorni
« di giugno 1848, abbandonò il suo posto, durante lo ostilità
« con la vicina Sicilia. Passò, in Messina. E, pochi giorni dopo
« s'unì, ad altri napoletani, prendendo imbarco, a Milazzo, sui
« piroscafi , che trasportarono , in Calabria , la piccola spedi-
« zione siciliana. Dal Governo Provvisorio, istituito a Cosenzat
— 503 —
« ebbe il grado di Colonnello; e combattè, dbn noi. 11 resto è
« ben conosciuto. Io, invece, fui, nell'agosto 1847 (trovandomi,
«di presidio, a Palermo), incarcerato e sottomesso alla corte
« criminale di quella provincia (secondo il disposto dal de-
< creto del 1844), accusato di cospirare contro la sicurezza
« dello Stato. In Camera di Consiglio e conforme alle conchiu-
« sioni del Procurator Generale , presso quella Gran Corte
« (Roberti), fu emanata sentenza: di non darsi luogo a proce-
« dere, per insussistenza di rento. Ma, dopo che il Cancelliere
« della Corte ebbe letta la sentenza e consegnato, al Direttore
« del Cai'cere, ove io ero sostenuto (Carcere detto della Quinta
« CasUy carcere ordinario e non militare), l'ordine del Procu-
« ratore Generale, par la mia immediata messa in libertà, il
4C Direttore disse: Ora, Ella è libera, secondo la sentenza della
« Gran Corte. Ma continuerà a restare in carcere^ {/insta gli
« ordini di S, E. il Ministro della Poli::ia Generale [Del Car-
« retto]. E, soltanto^ passerà, da tino scompartimento ad un
4L altro di questa stessa prigione. Lo che fu eseguito. Avendo,
« così, termine il processo, io pensai, esser conveniente, dare,
« senza indugio, le mie dimissioni dal servizio militare, facen-
« done domanda, in iscritto, al General Vial, comandante il
« presidio di Palermo. Tutto ciò, alla fine di novembre 1847.
€ Non ebbi alcuna risposta. Ma , secondo i regolamenti , non
« ve ne era bisogno : bastando la semplice domanda , da me
«fatta, e il non presentarmi, al corpo, cui apparteneva, per
« venire cancellato, dai ruoli dell'esercito., notificandosi tal mu-
« tazione air oixiine del giorno dell'esercito stesso. (Oggi, si
€ direbbe , da noi , nel bollettino militare.) E le cose, cosi, si
€ passarono. E Carlo Poerio, nel presentare le sue eccezioni
« per l'incompetenza del tribunale militare, diede lettura del
a detto ordine del giorno. Il tribunale si ritirò , per delibe-
« rare. Ma , nel riprendersi il dibattimento , espresse parere
<c essere competente ; e si procede, oltre. Com' Ella Vede , io ,
< siccome disse il mio carissimo Carlo , potevo , anzi dovevo
« esser condannato a morte, secondo le leggi: perchè uno dei
a capi della rivoluzione, in Sicilia,* perchè membro del Mini-
< stero, che, in applicazione dell'articolo 4.^ della Costituzione
< del Regno, propose ed ottenne il voto, dal Parlamento, per
«la decadenza dei Borboni. (Costituzione, che il Principe E-
« reditario avea giurato, nel 1812, a nome del Re Ferdinan-
— 504 —
a do III -- Ferdhiando IV di Napoli). Non dovevo ; però , né
« potevo essere giudicato e condannato , dal Tribunale Mili-
« tare, ma dalla Corte Criminale. Quanto a me, rimasi, del
« tutto, passivo, nel dibattimento: non potendo riconoscere, nò
€ il governo di Ferdinando , qual Governo di Sicilia , né la
€ giurisdizione di quel tribunale. Poerio si presentò , sponta-
« neamento, per mio difensore. Ma io, abbracciandolo e rin-
« graziandolo, gli dissi, che non poteva accettarlo, per difen-
« sere ; prigioniero di guerra , non poteva oppormi alle vio-
« lenze, che mi si facevano; ma che nessuno atto poteva fare,
< che indicasse la mia sottomissione, al giudizio, che si andava
< ad aprire. Tale dichiarazione avevo , già , fatta , prima , al
a cancelliere del tribunale , che venne a notificarmi essersi
« presentato T avvocato Poerio, qual mio difensore. Quando il
«mio amico tornò, in S. Elmo, per vedermi, l'ultima volta,
« prima della mia partenza per Gaeta, mi raccontò, come s'è-
€ rano passate le cose, nella giornata del venerdì e nella mat-
€ tina del sabato , siccome egli stesso e la madre scrissero ,
€ ad Alessandro, in Venezia, nelle lettere, ch'Ella mi ha me«>
« sott' occhio. Ed aggiunse, che, il ministro inglese a Napoli.
« allorché si trattò di sciogliere il dubbio, se le acquo, prean
€ Corfù, ove fummo catturati dallo Sty^omboli , erano acque
« libere o comprese nella zona delle acque inglesi, nel mentre
4: si decideva, con la scorta dei giornali di bordo, che la cat-
< tura aveva avuto luogo, in acque libere , il Re aveva pro-
« messo, al ministro inglese, che (ove alcuno dei prigionieri
« fosse stato tratto innanzi ai tribunali e che , a giudizio di
« questi, veniva condannato a morte) nessuna pena capitale
« sarebbe stata eseguita. Ciò ho voluto rammentare : non per
«invalidare, in alcun modo, il valore della grazia sovrana;
« ma, solo, per esporre la verità delle cose, siccome me le disse
a il mio amico Poerio , alla presenza del buono e bravo Co-
« lonnello' Simonetti, Comandante il forte S. Elmo. » —
(372) Ed, anche, questa sentenza fu giusta e legale.
(373) Ecco la copia della minuta di questa : Supplica^ alla
Maestà del Re., per la grazia del condannato a morte^ Giaco-
mo Longo, A tergo, v' è scritto, anche, di pugno del Poerio:—
« S. M. air alba del 22 (giorno destinato alla esecuzione), ha
« fatto grazia della vita. » —
— 505 —
— « Sacì^a Real Maestà,
< Signore, quando la Giustizia ha pronunziato, è obbligo di
< ogni buon suddito fedele, chinar la fronte, ai suoi decreti,
< con riverente rassegnazione. Ma, pel difensore del misero ,
€ che vien colpito, da una condanna capitale , sorge, in pari
< tempo, un obbligo santissimo: quello d'invocare, con tutte
a le forze della piti fervida preghiera, la grazia della vita, a
« prò del infelice suo cliente. Perciocché egli non potrebbe ,
« senza irceverenza o senza ingratitudine, dubitare, un solo
« istante, della inesauribile clemenza del Principe. Ed, a que-
« sto sacrosanto dovere, adempie il, qui, sottoscritto, difensore
« spontaneo di Giacomo Longo, dannato all'ultimo supplizio»
< implorando, o Sire, che un raggio della celeste prerogativa
« della Grazia Sovrana si spanda, su quel capo, percosso, dalla
€ inesorabile giustizia degli uomini. Segua la Maestà Vostra
< grimpulsi generosi del suo Real Animo. Risponda, con ripe-
€ tuto, anzi supremo benefìzio, a'traviamenti della cieca passione.
« S'innalzi, sublime, su' tempi e sugli uomini, mostrando, al
€ mondo, nella serena Maestà dell' Imperio: ch'Ella sa vincere ^
« con V autorità delle leggi, ma preferisce di vincere, con la
€ magnanimità e col perdono. Pronunzi la Maestà Vostra,
< anche una volta, quella parola, tanto desiderata, quella pa-
« rola, tutta spirante paterno amore; e prepari il suo generoso
4 cuore, alla ineffabile gioia, di veder rifiorire, ad un suo Re-
« gio cenno, una vita, sì giovane, sì piena di avvenire, di spe-
« ranza, di futura eterna gratitudine.
€ Napoli, 21 Luglio 18^8.
« Avvocato Carlo Poerio ,
« Difensore officioso del condannato a morte
< Giacomo Longo» > —
(374) Roberto Savarese, vice-presidente della Camera do' De-
putati (Vedi la 62.* di queste note); Paolo-Emilio Imbriani
(Vedi la 29.* di queste note) segretario della Camera de' Depu-
tati; Gennaro Bellelli (Vedi la 61.* di queste note); e Giuseppe
Massari (Vedi la 174.* di queste note). Questa commissione fa
cosa, meramente, officiosa; e non ne venne fatta parola, nelle
riunioni ufficiali della Camera (che tenne seduta, il venti ed il
— 506 —
ventuno luglio). Vedi Tornate \ delia Camera dei Deputati \
del Parlamento Napoletano \ nella sessione 1848- d 849 | con
tutti ijìvogettl di legtjc in essa presentati | per \ Carlo Colletta \\
Napoli I dalla stamperia dcW Iride \ 29, Strada Maffnocavallo \
1806. Secondo quanto scrive la Carolina Pocrio (Vedi pag. 166
di questo volume), la deputazione sarebbe stata, invece, composta
da Paolo-Emilio Iiubriani , Antonio Scialoja e Giuseppe Pisa-
nelli. Non ho modo di verificare, adesso, quale delle due ver-
sioni sia es'itta.
(375) \j\\ ministro, il quiile, in circostanze simili, osasse od
avesse osato, di consigliare o di proporre, al Re d'Italia, di far
grazia, o che, anche, solo (cedendo alla irrazionai volontà del Re,
ad un suo impeto capriccioso di misericordia) consentisse od
avesse acconsentito, a controfirmare un decreto di grazia, in un
caso consimile, io lo riterrei e lo avrei ritenuto, per traditore
0 degno di morte, anch' egli, solo per questo consiglio o per
questa arrendevolezza colpevole. Ma il Regno d' Italia è un
Regno costituzionale: libero, cioè, razionale (od, almeno, si pre-
sumo tale.) Ed, invec ', un g.ìvorno assoluto, tirannico , è Ja
negazione della ragione. Contro Tirrazionalità governativa, di-
venta virtù lo insorgere. La razionalità governativa, poi, non
ha il diritto di perdonare, per mero impulso generoso o per
istinto di misericordia, a chi la vorrebbe sovvertire: chò grim-
pulsi <ì gl'istinti, ancorché generosi e misericordiosi, non so-
no razionali.
(37G) Il pensiero, giusto in se, in bocca al Re Bomba, che
non ebbe, mai, altro movente , so non un gretto egoismo , era
pretta ipocrisia. Combattuto dalla ferocia e dagli scrupoli e
dalle paure, egli rifuggiva, dal versar sangue, nella capitale :
ma voleva fare a.ssaporare, a'suoi nemici, tutte le amarezze della
morte. Il Re Umberto, da Principe, a Giuseppe Pisanelli, che
gli faceva ressa, perchè intercedesse in favore d'un condannato
a morte, dicendogli la clemenza esseì" la più bella virtii dei
Re, rispose, degnamente: esserglisi insegnalo, a considevure,
come primo dovere de* Re, il rispettare ed il far rispettare la
legge, AvessVgli conservati questi regi sensi, dopo cinta la co-
rona! Difatti, se è bello e cristiano il rimettere le offese per-
sonali, non è nò cristiano nò bello il perdonare le offese, in-
flitte agli altri. E si diventa, cosi, complici di tutti i reati, che,
0 da*graziati stessi in seguito, o da altri, pel mancato esempio»
— 507 —
BÌ commettono. Chi fu il vero colpevole della morte del Win-
ckelmann ? Forse , V Arcangeli ? No. Ma chi , abbreviando la
prigionia, che scontava TArcangeli, rese possibile, ch'egli s'in-
contrasse, col Winckelmann, a Trieste. La sola grazia al Pas-
sannante fa , davvero , onoro , al Re nostix). Le altre , egli le
avrebbe dovute nt^gar tutte.
(377) Carlo di Gaetano Filangieri e della CattJi'ina Frendel,
unghera, nacque, in Cava, il 10 maggio 1784. Fu educato, in
Francia. Presentato al primo Console, questi, mostrandogli la
Scienza delia legislazìom^ gli disse: Ecc-^ il nostro maestro, ì^e\
1803, fu ufficiale. Fu ferito, ne'combattimenti, lungo i lidi della
Manica, tra francesi ed inglesi; ed a MarienzcU et ad Au-
sterlitz ed in un duello, con un Saint-Simon, che ingiuriava i
napolitani. Tornato, a Napoli, col grado di capitano: fece parte
dello Stato-Maggiore d»-! Dumas, Ministro della guerra; fu
all'assedio di Gaeta; e, nella presa di Scilla, meritò la Croce
di Cavaliere. In Ispagna, alla presa di Burgos, ebbe, due volte»
il cavallo ferito. Nt?ir Escurialo , sfidò il Generalo Franceschi,
Córso, che ingiuriava i Napolitani, chiamandoli botiffrcs; e l'uc-
cise, in ducilo. Dovò, quindi, tornarsene a Napoli: fuggendo so-
pra un cavallo, prestatogli dal suo commilitone e compatriota
Duca di Rivadebro. Fece prirto del corpo di spedizione, con cui
si tentò di conquistare la Sicilia. Nella campagna di Russia, fu
tra' difensori di Danzi ra. Nel 1815, fu ferito al Panaro. (Su-
perfluo, avvertire i bisticci di cattivo gusto, cui diede occasione,
agli sboccati Napolitani, il nomo di quel fiume). Nel 1848, ri-
conquistò la Sicilia; ed ebbe il titolo di Duca di Taormina,
in premio. Ministro di Francesco II, mentre si a.spettavano cose
grandi e prowf^dimenti savi, uscì fuori, ad occuparsi delle inon-
dasioni notturne degli orinatoi. Mori, il IG ottobre 1807. Ebbe,
per moglie, una Paterno. Della quale ha lasciato un maschio,
Gaetano , e le tre Duchesse di Ravaschieri , Bovino e Terra-
nova. Era stimato di carattere falsissimo. Rammento i seguenti
versi di una satira contro di lui :
Questo figli uol d'Angerio
Falso ò dal capo al pie.
Ricco di crino il credi,
E non ha pelo in zucca;
Quel crine, che tu vedi,
L crine da parrucca.
— 508 —
(378) MaBsimo Selvaggio, Napolitano (fratello a D. Gaspare
Selvaggio, liberale, che fu Segretario Generale della Pubblica
Istruzione), fece tutta la sua carriera, da Alfiere a Tenente-Ge-
nerale, nella Guardia Reale: caso unico. Aveva moglie Messi-
nese; e, di essa, un maschio, Michele, o quattro femmine, la
Giulia, TAmalia, l'Elisabetta e la Giuseppina. Qu est* ultime
due sono, ancora, in vita. In casa sua, tutto era melomanìa ed
aoglomauia. É morto centenario.
(379) Di Luigi Maria, credo , figliuol di Luigi Carlo , Duca
d'Aquila, (fratel di Ferdinando li, nato, il 31 luglio 1821, e spo-
sato, il 28 aprile 1844, a Maria Gennara, principessa brasiliana
nata Vìi marzo 1822). Ma V Alm. di Gotha del 1884, fa na-
scere il padre il 19 luglio 1824 ed il figliuolo il 18 luglio 1845.
(380) Massimo Tapparelli, noto sotto il nome di D' Azeglio,
della stessa genia malefica, diceva, presso a poco, lo stesso, in
una occasione consimile, scrivendo, alla moglie, il xxvij set-
tembre M.DCCc.xLVii: — « E questi tribuni de* miei stivali, se
< non son pagati dall'Austria (che non credo), la servono gratis,
€ eh 'è peggio. E il giorno, poi, che avranno tolte, all'Italia, le
a alleanze, che la salvano, e all' ombra delle quali sarebbe ri'
« sorta; il giorno, in che le avranno tirato, addosso, una in-
€ vasione, che ci rimanderà, alle calende greche: quel giorno,
« perdio ! so questi tribuni non si faranno passar le ruote de'
« cannoni austriaci, sulla pancia, voglio, se avrò, ancora, una
< lingua, proclamarli per i più gran canaglia della terra. » —
Nota, che nessuno di que' tribuni, si fece passar le ruote de'
cannoni austriaci, sulla pancia.
(381) Credo, quel medesimo Brocchetti, che abbiamo avuto,
anche, Ministro della Marina, nel Regno d'Italia.
(382) Che sia il Musto, di cui nella 107.* di questa note?
(383) Di queste violenze de'soldati, parla, a lungo, il Massari,
nella XVII delle sue Lettere su : Icasi di Napoli: — a La stampa
< periodica oon poteva fare a meno di non biasimare le im-
«c manità del 15 maggio; e adempì, all' obbligo imperioso. La
« truppa se ne adirò, oltre ogni dire; e, con ogni maniera di
< violenza, sfogò, contro i liberi scrittori, lo sdegno, che ave-
€ vano accumulate, nel suo petto, le sciocche ed insulse diatribe
< di coloro, che, prima del 15 maggio, nell'insultare i soldati,
< non sapevano qua' tristi germi di rabbie civili e di civili
< furori alimontaAsero e condannassero, poscia, i buoni a patire
— 509 —
« per loro. Io sono alienissimo, dairaccagionare tutto T esercito
a napoletano delle colpe e delle infanoie di pochi. I soldati na-
« poletani , checché se ne dica, sanno battCi'si e fare il loro
4: dovere, al pari dei migliori soldati di altre parti d' Italia e
« d'Europa. Il decimo di linea li;i, ben, mostrato, a Curtatone
« ed alle Grazie, che quei soldati, tanto calunniati e cosi stol-
« tamente derisi e vituperati, non son, poi, tanto ritrosi, dal
« sentir 1' odore della polvere; e, quando occorre, menano le
« mani a meraviglia. Gli sciagurati, che, con le loro pazze e
« bestiali violenze, trascinarono, nel fango, l'onore della divisa
« militare, 0 contaminavano la fama delle armi napoletane, non
<L possono e non debbono essere considerati, come rappresentanti
e di tutto l'esercito. L'esercito, lo affermo, con piena cognizione
« di causa, riprovava, in cuor suo. quelle stravaganti e chisciot-
« tesche violenze. Il solo suo torto fu quello, di non aver, giam-
« mai, manifestata questa sua riprovazione. Ciò promesso, io
« dirò,che la persecuzione, moss*ì, da alcuni uffìziali dell'esercito,
« contro la stampa periodica, fu, v^MM^Tiento, ignominiosa e scelle-
« rata. Guai, al giornale, cui toccava la mala sorte, di eccitar il
< loro sdegno! Ad un tratto, la sua officina era visitata, da'non de-
« siderati ospiti, i quali la scompigliavano, rompevano i torchi,
« bastonavano chi, prima, si faceva loro incontro; e non si ri-
« traevano, se non dopo aver manomesso uomini e cose. Il iVa-
< ^ioììfde fu prediletto bersaglio dei soldateschi furori. 11 povero
a Spaventa fu in.sultato, in un caffè; 0 minacciato, parecchie
« volte, della vita, non da uno, ma da molti ufficiali. Alla pre-
« potenza ed al sopruso, il valoroso giovane opponeva il-xon-
« tegno sereno ed imperturbabile di chi sa di patire, per la
« causa del diritto e dt;lla liberta. La narra/ione dei fatti di
a Calabria avea, segnatamente, il privilegio di commuovere,
« a fiero sdegno, quegli uffìziali. Essi non sapevano perdonare, al
« giovane scrittore, la franca imparzialità, con cui egli giudi-
« cava le gr-sta del general ì Nunziante e de' suoi commilitoni.
« Ad ognuno, si spezzava il cuore, rammemorando, che, mentre
« siffatti scandali contristavano Napoli , altri soldati Italiani
€ spargiivano, eroicamente, il sangue, per la Italiana nazionalità.
« Mentre, nella Calabria, ferv+jva la guerra civile», in Lombar-
« dia, i Piemontesi combattevano lo straniero. \ai pensiero ,
« però, leniva, di qualche conforto, il giusto e sacro dolore:
< quello del glorioso decimo di linea, che gareggiava di valore.
— 510 —
« coi soldati di Carlo Alberto; e dei valorosi volontari, guidati
€ dal prode Rossaroll. Ed 1 Napoletani, con amaro compiaci-
< mento, apprendevano, che, fra i martiri della Italiana indipen-
« denza, caduti nella pugna, fosse il loro concittadino, Leopoldo
€ Pilla, ornamento splendidissimo della Italiana geologia. Uomo
€ di nobili atfetti e di rara virtù, che, mortalmente ferito, da
« palla tedesca, periva, a Curtatone, quasi, ad attestare, alTItalia,
« che Napoli, al numero, riparava, con la qualità, e dava, alla pa-
€ tvìii comune, uno de' suoi figliuoli più illustri e più bene-
€ meriti. » —
(384) Un vero e formale riconoscimonto del Regno di Sicilia,
per parte di Francia o d'Inghilterra, non ebbe, mai, luogo. Vero
è, che Mariano Stabile, per indurre il Parlamento Siciliano, ad
eleggere il Duca di Genova, annunziò, che Francia ed Inghil-
terra avevano promes<:o di prontamente riconoscer© il nuovo
Regno ed il nuovo Re. E la condotta equivoca, doppia, degli
Ammiragli Parker e Bandi n, che facevan trafsportare, a Geno-
va, su legni da guerra, inglesi e francesi, gl'inviati a Re Carlo
Alberto ed al figliuolo, doveva, naturalmente, suscitare molte
illusioni.
(385) Giuseppe de Simone nacque , in Napoli, il 6 ApnVe
1811, da Marco, che fu Consigliere della Gran Corte de'Conù
di Napoli, e dall'Olimpia Celebrano, esercitò ravvochoria, pur
attendendo alle lettere. Giovano di sensi libéralissimi , aveva
fatto stampare, per mezzo della Ilaria-Teresa Oozzadini (vedi
l'opera, citata, nella 2ò^ di queste note, a pag. 290-92 della se-
conda edizione, Bologna 1874), suìV Ausonio (Vedi la 17.* di
queste note), un suo scritterello : Dc/la moralità politica^ nel
Regno delle Bue Sicilie. Era membro del comitato liberalo, pre-
sieduto dal Bozzelli ; e fu tra' promotori ed organatori della
dimostrazione del 29 gennajo 1818. Dal ministero Trova, fu
nominato Segretario Generale dell'Intendenza di Bari; e, po-
scia, designato Capodivisione al Ministero dell'Interno. Com-
preso nel processo del 15 maggio , fu amnistiato , con molti
altri. Imprigionato, più volte, da ultimo, nel 1859, benché in-
fermo, fu imbarcato, di notte, per la Toscana. Rimpatriò, nel-
r agosto 1860. Il 19 ottobre , fu nominato consigliere della
Gran Corte de' Conti di Napoli; nell'agosto 18G2, Consigliere
della Corte de' Conti , a Torino; il 27 settembre (non avendo
potuto restare a Torino, per ragion di salute) Consigliere della
— 511 —
Corte d'Appello dì Napoli; il 6 novembre 1872, Sostituto Procu-
rator Generale reggente nella Corte di Cassazione di Napoli ; il
22 dicembre 1872» Consigliere della stessa Corte di^ Cassazione;
il 12 giugno 1881, Senator del Regno. Ha pubblicati molti la-
vori e di vario genere. Suo zio, monsignor Antonio de Simone
(figliuol di Gregorio), Arcivescovo di Eraclea e correttoi'e della
santa casa degf Incurabili, nel 1843, trovavasi antico cappel-
lano di Camera del Re: -ed era stato nominato confessore del
Re, dopo la cacciata di Monsignor Code. Cessò di vivere, in
età molto avanzata, nel 1873.
(386) Felice del barone Giovannantonio de Antonellis, di Pa-
terno (Principato Ulteriore) reo di ussoricidio, commesso il 14
febbrajo 1837 , dopo diciassette giorni di matrimonio , venne
condannato a morte, dalla Gran Corte Criminale del Principato
Ulteriore , nel 1838 : la vittima avea nome Angiolina del fu
Giuseppe de Rosa, legale, e della Marianna Zarrillo ed era dì
Napoli. Respinto il ricorso per annullamento, il Barone Giuseppe
Poerio, suo difensore, sollecitò ed ottenne, per lui, la grazia
della vita, nel 1839. Ferdinando II, nell'udienza, accordata al
Poerio, in un giardino (ma non rammento, in quale residenza
reale) protestossi di far la grazia, perchè il Poerio, caldamente,
la desiderava, senza, però, credere ned alla innocenza (ferma-
mente propugnata e creduta dal Poerio) ued alla scusabilità del
condannato. Vedi le 3egu:mti stampe:
I. -^ Discorso I pronunziati | dall' avvocato barone Giuseppe Poe^
rio I all'udienza | della GranCor te critninale del Principato ul-
tenore \ sedente in Avellino \ nella tornata del io settr,mhre
1838 I in difesa \ di Felice de Antonellis | accusai) di conjiigi-
cidio premeditato. \\ Napoli \ Stabilimento letf erario-tipografico
dell'Ateneo | Sedile Capuano iV:° 2i. \ MDCCCXXXIX.
II. — Derisione \ di | Condanna alla pena di morte \ pronun-
data I dalla G. C. criminale sede i ite in Avellino \ cjntì'o \ Fe^
lice De Antonellis \ come reo di omicidio volontario in perso*
na del conji'.ge \ con note \ ad uso della Corte suprema di
giustizia \\ ....[ut supra].
III.— Mi'morta \ in \ sostegno del ricorso per annullamento \ di
I Felic'j De Antonellis \ condannato alla pena dimorfe | dalla
Gran Corte criminale del Principato ulteriore \\ ...[ut supra].
IV. — Arresto \ della \ Corte suprema di Giustizia \ Pronunzia-
to il dì i9 Giugno 1839 \ nella causa \ di Felice De Antonel-
— 512 —
lis di Patierno \ Condannato a morte \ dalla \ Gran Corte Cri-
minate I di Principato ulteriore |] Napoli \ Presso i fratelli
Manfredi \ 1839.
(387) Invece di Giacomo Bavarese , nel distrati» di Napoli ,
fu eletto Rosario Giura, già. Procuratore generale, naorto, poi,
esule, a Nizza Marittima, nel 1853 o nel 1854. Invece del De
Biasio , nel distretto di Reggio , venne eletto Felice Musitano.
(388) Lavello, cioè: Nicola Caracciolo, Duca di Lavello; cioè:
il figliuolo primogenito del Principe di Torella (vedi la 120.*
d'este note). Ancora, vive; ed è succeduto, da un pezzo, al padre,
nel titolo di principe di o della Torella, che dir si voglia.
(389) Ho incontrato insuperabili difficoltà a procacciarnii co-
pia di questa letteia, pubblicata, allora, sul Tempo, Le colle-
zioni di quel giornale, che si conservano, nella biblioteca mu-
nicipale Gnomo e nella biblioteca Nazionale di Napoli, mancano,
tutt'e due, de' numeri del luglio. Quella della Biblioteca Cjftomo
comincia, col settembre; quella della Nazionale, con l'agosto. —
« Il Tempo (fondato da Carlo Troya, da Ruggiero Bonghi, da
« Camillo Caracciolo, da Achille Rossi e da Saverio Baldarcfii-
« ni) fu il banditore, coscienzioso e sagace, de'yeri principi i/-
a berali, finché i suoi compilatori non V ebbero abbandonato.
« Dopo il 15 maggio, passò nelle mani di un francese. Il quale
« accettò di difendere , con vistoso emolumento , la causa del
« Ministero. E, d'allora in poi , quel periodico fu il Monitore
« Ufficiale di tutte le rabbie reazionarie; l'Omero della Iliade
<L delle incostituzionalità ministeriali. » — Cosi il Massari. —
Questo francese si chiamava Thomas d'Agiout. Non so se lui
od un suo figliuolo è l' autore di certi cattivi versi francesi :
Les Réves \ Premicres Poénies \ par | Alexandre Thcnas d'A-
giout\\NapIes \ Ètablissement Poligraphiquc de V Italie j, 26^
Rue Nilo I i863. Que Thomas è, credo, cognome; e quel d' A-
giout , aggiunto , per fregola di parer nobiluomo , coui' ti^ezzo
volgare in Francia. D'Agiout: non d*AnjoUy come nisca il Nisco.
(390) Fraiicusco Orioli, da Vallerano nel Viterbese, ava,va fi-
gurato, come uno dei capi del moto del 1831, in Bolo£.j.a; e,
come tale , aveva decretato la decadenza del papato. Fù^ vio
dei trentatrè eccettuati, dall' amnistia di que' tempi; ed aveva
vissuto esule, nelle isole Jonie, fino all'amnistia del 1846, quan-
do, trattosi a Roma, vi aveva posto stanza, con la famiglia.
(391) Luigi Farini, da Russi. Ognun sa, quanta parte avessa
— 513 —
ne* rivolgimenti Italiani. Fu dittatore, neirEmilia; e ne procac-
ciò l'annessione, agli Stati Sardi, nel 1859-60. E, quando, allora
l'ass smblea dell'Emilia gli offrì un decente appannaggio, lo re-
spinée, con le superbe parole: Lasciatemi la gloria di morir po-
vero. Ma, quando, dopo essere stato luogotenente del Re, nelle
provincia meridionali , ed essendo presidente del Consiglio de*
Ministri, la sua intelligenza, già, tanto splendida, si fu spenta, la
famiglia gliela invidiò, questa gloria, ed accettò la larga dona-
zione, che fu proposta, al Parlamento, dal Minghetti, suo suc-
cessore, nella Presidenza del Consiglio. Ecco, come e perchè,
ora, il signor Domenico Farini si trova ricco. Il quale , poi,
avendo dato la sua dimissione da Maggiore di Stato Maggiore,
per essere stato saltato, in una promozione, divenne, come suole
accadere, in Italia, di ogni persona di scarto, membro della Si-
nistra. E, nella Sinistra e sotto il governo della Sinistra, è di-
ventato persona importante. Grande Ufficiale del Regno, come
Presidente della Camera de'deputati (Ufficio, che ha, sempre,
retto, con prepotenza e parzialità, ed in modo, che, solo , la pe-
coraggine innata degl' Italiani ha fatto sopportare). Ma poggi
quanfalto vuole! Diventi Presidente del Consiglio! Diventi Pre-
sidente della futura repubblica Italiana! Certo, non varrà, mai,
le unghie di suo padre.
(392) Carlo Berti- Pichat fu Maggiore di un battaglione del
Reggimento Bignami. (Vedi la 341.* di queste note). Le fi-
gliuole dicono, che il suo carteggio fu distrutto, nel 1849. Scrisse
d' agronomia. Fu , Deputato nel Regno d' Italia ; ed è morto ,
Senatore del Regno, nel 1877. Può vedersi il discorso necrolo-
gico , fatto , su di lui , dal Presidente del Senato , Sebastiano
Tecchio. E l'opuscolo, pubblicato, in Bologna, presso i suc-
cessori Monti, 1879, col titolo: In memoriam. Famiglia Berti-
Piehat [sic]. Io non ho potuto procacciarmelo.
(300) Augusto Aglebert aveva, al solito, distrutto il suo car-
teggio, nel 1849. Mori, vecchio, in Bologna, il 29 marzo 1882.
Ho, sotto gli occhi, il discorso, pronunziato, nelle sue esequie, dal
aigno Enrico Panzacchi, che è un mucchio di frasi, dal quale
noL 'ni riesce di raccórre nessuna precisa notizia biografica. Fu
r Aglebert agitatore disordinato, nel 1848; ebbe , poi , inge-
renza molta, nelle amministrazioni locali. L'ho conosciuto, per-
sonalmente, a Firenze, nel I8G4: anticlericale smodato e fa-
33
— 514 —
natico, eli quelli, che ti riconcilierebbei'O, persino, sto per dire,
col governo teocratico.
(394) Massimo Tapparelli d'Azeglio è tanto noto, che, a di-
chiarar chi egli sia, parole io non ci appulcro. Il Tapparelli, co-
me, più esattamente, si avrebbe a chiamare, fu ferito, sul Monte
Berico, il 10 giugno. Nelle sue lettere, al fratello Roberto, che
abbiamo presenti, stampate, a Milano, nel 1882, ce ne ha due,
mandate da Bologna, mentre v' era ferito. Una, del giugno,
dettata alla sua cara moglie, Luisa Blondel; Taltra, dell' 11 lu-
glio. Dopo, si ritirò, per finire di guarire, nella villa Almanzi,
presso Firenze.
(895) Per Lnisa^ intende la sorella, Luisa Parrilli-Sossiser
gio. (Vedi la 20* di queste note). Pel nostro P^ppmo, intende Giu-
seppe Ricciardi. (Vedi la 77.* di queste note). La Contessa è
la moglie di Giulio Ricciardi , Conte de' Camaldoli (figliuolo
primogenito di Francesco) che era figliuola del principe di
Cariati (vedi la 1 15;* di queste note).
(396) Caro questo eroe, libero ed emancipato, soprattutto dal-
le leggi dell' ortografia e della sintassi , il quale osa far rim-
provero di servilismo, alla Camera Napolitana, che dette cosi
memorando esempio del vero coraggio civile, assai più à^^iwr
giare, che non sia il coraggio militare, del quale esso prelo-
dato eroe, malgrado il suo titolo di Generale, non ha, mai, ch'io
sappia, avuta occasione di dare splendide pruove! ^Ma, alle per-
sone temperate, che procedono, secondo coscienza, senno e ra-
gione, è lode, sempre, l'insulto degli sconnessi e dappochi.
(397) [pag. i78^ Giovanni la Cecilia, uno de' piìi disonesti agi-
tatori del 1848 e più intemperanti. Uno di quelli, che. Capitano
della Guardia Nazionale, spinse alla costruzione delle barricate; e
non seppe, poi, difenderle o morirvi. E, come suole accadere, a si-
mil gente, che è mossa da istinti bestiali, da passioni o da cu-
pidigie, non da ragione e da coscienza, dopo aver fatto l'esal-
tato repubblicano, in apparenza, sino alla vecchiaia (non senza
sospetto, però, di appartenere, talora, alla Polizia), è morto, un
tre anni fa, scrivendo gli articoli di fondo, pel giornale clerica-
le-borbonico La Discussione. I servili della Camera sono ri-
masti, sempre, costanti e fermi nelle loro opinioni.
(397 bis) [pag, i82\ Era stato antico desiderio del barone
Giuseppe Poerio di scrivere, minutamente e per esteso, le sue
Memorie , che sarebbero riuscite un libro attraentissimo ed
— 515 —
importantissimo. Morendo, raccomandò, nel testamento, a' fi-
gliuoli, di compiere questo suo desiderio, raccogliendo ogni mi-
nuta notizia, dalla bocca di colei, che gli era* stata compagna,
per quarantaquattro anni, e per la quale non aveva avuto, mai,
pensiero alcuno secreto. Lui morto, il figliuolo Carlo ne scris-
se una breve biografia, che può leggersi, nell'opuscolo, indicato,
nella 19.* di queste note: la quale accende il desiderio di esse
memorie ed il rimpianto , che non sieno state scritte. Ma la
malattia terribile di Alessandro e le ripetute prigionie di Carlo
fecero si, che il pensiero non potesse, mai, incarnarsi. Poi, ven-
ne il 48 : Alessandro mori ; Carlo fu tutto assorto dalla vita
pubblica ed andò, poi, in galera. Quando egli ne fisci, rotto
nel corpo e non piii capace di lavoro assiduo , la madre era
morta, da molti anni.
(398) [pag. 592] Questo articolo , firmato, da Adalberto de
Beaumont, ed intitolato La Regata d'après les dessins de MM.
Eugenio Rosa et Adalbert de Beaumont^ può leggersi, a pag.
250-53 deir XI tomo de V Ilustration (marzo-agosto 1848) e^
propriamente, nel numero di sabato, 17 giugno.
(398 bis) [pag. 193] Si racconta, che, a Nicola Capasso, celebre
giureconsulto e valoroso verseggiatore Italiano, latino, napo-
litano e maccaronico , un tale presentasse due sonetti , scritti
sul medesimo argomento di non so che matrimonio o mona-
cazione, domandandogli, che decidesse, quali dei due aveva da
stampare. Il Capasso , lettone un solo , rispose : — « Stampa
4L l'altro ! > — « Oh! come! o se, Taltro, non Tavete letto? » —
« Peggiore di questo non può essere. » — Onde la frase: stampa
Valtro^ è diventata proverbiale, in Napoli.
(399) Per Enrico Poerio, vedi la 34.* di queste note.
(400) Ho fatto richiedere, or son due anni, al signor Antonio
Mordini, le lettere, scrittegli, dal Poerio. Ed egli rispose, al
mio ambaiciadore, di averle, ancora; ma, nel suo paesello natio,
in Toscana, a Barge, se non erro. Le cercherebbe, tornandovi,
nella state; e, poi, me le farebbe avere, o nell'originale od in
copia. Ma, finora, non ho avuto nulla. E la lunga malattia,
che m'indusse, prima, a diradare il numero di queste note e,
poi, a sospendere, per un anno, l'estensione di esse e, finalmen-
te , mi obbligò a stenderle , per, pur, mandar fuori il volume,
in pili breve forma e men soddisfacente di quella , che aveva
ideato, mi ha tolto di rinnovare le istanze.
— 516 —
(401) Èvideutementa, un dato è rimasto nella penna. La let-
tera, del resto, è scritta, con mano, discretamente, ferma, non
dissimile, da quella delle altre sue precedenti, quando tirava
giù, in fretta, sebbene il Poerio fosse stato, allora allora, ancu
putato e fosse uomo nervosissimo e dovesse, indi a poco, spirare^
nelle atroci sofferenze del tetano. Sulla copertina del presente
volume , è dato un discreto facsimile di questa letterina. Lo
stemma , che vi è, pur, disegnato, è quello, concesso, a Giuseppe
Poerio, da Re Gioacchino, con diploma del 25 marzo 1813; e»
cosi, descritto, in esso : — « Uno steccato rosso, colle punte di
< ferro, in campo azzurro. L'interno dello steccato, diviso, òriz-
« zontalnàente, in due parti ineguali, da una fascia d'oro: nella
€ parte inferiore, un compasso d'oro, aperto; fra le gambe dello
« stesso, una rosa d'argento; dai lati, due stelle ,. parimente,
« di argento. Il Capo dello scudo dei Baroni, scaccato argento
€ e vermiglio. > — Le caselle dello scaccato sono trentanove »
in tutto: tredici, orizzontalmente, e tre, verticalmente; le ango-
lari, d'argento. Ecco, come Mariano d'Ayala, sulle relazioni,
fattegli, da'presenti, narrava il fine di Alessandro Poerio: — tSa-
€ pendo il generale supremo i pericoli, cui Alessandro àespo-
€ neva , temendo, non si perdesse una vita, tanto preziosa ai-
< l'Italia, giudicò risparmiarlo, non facendogli saper nulla della
< seconda uscita del 22 di ottobre, contro il posto, tenuto da'
« Tedeschi, nel villaggio, detto il Cavallino. Poerio, poi che, la
< sera innanzi, l'ebbe saputo, se ne dolse, tanto, con Pepe, che,
< in pubblico ritrovo, ne pianse. Cosicché non ci fu verso a cai-
< marlo; e bisognò promettergli, condurlo seco. Alla domane,
< arrivato il generale, al forte Treponti, da dove, già, la schie-
< ra era mossa, Alessandro, insieme con altri due compagini,
«partirono, per raggiungerla. Ma era tanta la foga di lui,
< perchè giungesse, a tempo, per combattere, cogli altri, che,
€ non guardando il diffìcile terreno , che percorrer dovea , si
€ frettolosamente, s'inboltrò, sopra stretto e cretoso argine, che,
a mancandogli il passo, precipitò, nel fiume Sile : da dove fu
« tratto, in salvo, dai suoi. Deplorava egli tale incidente, poiché
€ \o ritardava; senza, punto, por mente, al passato pericolo. Con-
< tontissimo fu, poi, nel sapersi compreso, fra gli ufiìziali, che
< seguir dovevano, il 27 di ottobre, il supremo capitano, nella
< gloriosa irruzione contro Mestre. E, poiché qualcuno di essi
< domandò, per favore, di uscire e raggiungere la schiera di
— 517 —
< destra, per trovarsi, al primo assalto, Alessandro, profittando
€ di tal permesso, dal generale accordato, lo domandò, anch'e-
« gli. E r ottenne. Cosi , in compagnia di Damiano Assanti ,
€ raggiunsero i combattenti, quando, già, si accendeva, più dav-
< vicino, il fuoco dei posti avanzati. Che, essendo stato di po-
nchi ssima durata, per l'impetuosa violenza de' nostri , Ales-
< Sandro fu, co' primi, a saltar suU'abbarrata nemica, la quale
€ era difesa, da circa 700 Austriaci e da due cannoni, vomi-
< tanti la gragnuola. La steccata fu presa, per bajonetta. Ed
« il nemico, difeso, da serragli e da mura, si salvò, colla fuga^
« lasciando, in nostro potere, i due pezzi d' artiglieria e molti
€ morti e feriti. Ma fiero, sempre, ed ostinato e valoroso, volle,
< in quel giorno, insegnar, coll'esempio, che deve saper morire
€ chi vuol viver libero. Ed ognuno ripeteva, nel vederlo, do-
€ v'era più atdente la zuffa, i suoi versi : Non fiorii non car'
< mi, Ma il suono sia d'armi, Ma i serti sien Vopre, E,
€ in quell'ardimentoso assalto, Alessandro venne, per la prima
« volta, colpito, sotto la rotula del ginocchio destro, da palla
« di moschetto , la quale, perchè fredda , non gli apportò che
€ forte contusione. Il colonnello Zambeccari ed Assanti, che
< lo videro abbassarsi, subito, gli tolsero, lo stivale , per esa-
€ minare, se ferito fosse. Ma egli, vedendo, che non sanguinava,
€ di subito, levossi, gridando: Avanti, compagni! Viva l* Italia \
€ Né valsero le premurose persuasioni di que' due suoi intimi
camici, che, vedendolo soffrire, ogni studio ponevano , per
« farlo rientrare, nel forte. Perocché, sempre, ostinato, rispon-
€ deva: OrOy che superato abbiamo la barricata, sto meglio, di
< prima. Cosi, dicendo, insieme con gli altri, avanzava, celere-
€ mente, verso il punto, dove la zuffa «ra, più, ostinata, doT6
« gli Austriaci, riuniti, resistevano, in modo indicibile, serven-
< dosi de' soli due pezzi, che menavano innanzi , con cui non
€ desistevano di fulminare la scaglia. Gii Austriaci , anche
-€ là , neir ultimo loro ricovero , furono, da' nostri valorosi ,
« snidati, con la bajonetta; e si salvarono, a gambe, precipito-
€ samente, lasciando, in potere de' nostri, artiglierie, munizioni,
«cavalli e molti prigionieri. Ma, là, presso il ponte della
€ piazza di Mestre, il nostro Alessandro, tradito, a prova, dalla
« sua corta veduta e dalla nebbia foltissima notturna, e conti-
€ nuando ad avanzare, intoppò il nemico. E fu colpito, la se-
< oonda volta, da una scheggia, nel medesimo posto, dove l'avea
— 518 —
« contuso la palla di moschetto. Sventuratamente, questa fiata^
€ il colpo non rispettò il prode e sommo Italiano. Egli ne riportò
€ la rottura della gamba destra e la totale fratturazione della
€ giuntura , oltre a una ferita, in testa, per fendente di scia-
€ boia, ch'ei credeva la ferita mortale. Cadde, tra' combattenti,
€ che inseguivano il nemico, gridando: Viva V Italia \ £ si già-
€ ceva, nel suo sangue, per quasi mezza ora, quando venne rac^
€ colto, dal generosissimo colonnello Cosenz,che, in quella splen-
€ dida fazione , grande pruova diede del suo sommo ardire e
«del suo merito militare. Gli furono, subito, intorno tutti i
«compagni d*armi, chd lo amavano, come fratello carissimo.
« E, dolenti, lo circondavano, presso il suo letto. Ma egli, si or-
« ribilmente ferito , confortava gli astanti con lieto aAimo, di-
« cendo: Mi resterà tanto, da montare a cavallo, per combattere,
« sempre, insieme, cori voi, miei cari e prodi compagni. Il chi-
« rurgo maggiore, professore Bologna, consultando altri, opinò
« doversi, immediatamente, operare. E Poerio, senza fare alcuna
« opposizione, si assoggettò, all'amputazione di tutta la coscia
« non permettendo, che alcuno lo tenesse. 11 sangue freddo^ h
« forza inespugnabile e la rassegnazione, che mostrò, in quella
« penosissima e lunga operazione , destarono maraviglia, negli
« animi più forti, che eran, lì, presenti. Appena finito il ta^o^
« che riuscì, mirabilmente , domandò, che gli si portasse la sua
« gamba tronca. Ed avutala, la tenne, per un pezzo, abbracciata.
« Poi, la ripose, al suo fianco; e disse: Riposa in pace. Quin^,
« raccomandò, al chirurgo, che cercasse di ben prepararla, per-
« che intendeva tenerla, con sé, per. tutta la sua vita. E si con-
« tentò, dimandargli: Potrò, cosi, a cavallo, proseguire la guer-
fl^r^\ Dopo che il combattere fu finito, e le nostre armi ripor-
« tjEU^no compiuta vittoria, in quella giornata, passaj.e in ras-
« segna tutte le milizie, che vi avean preso parte, il generale
« sapremOiu dolente della disgrazia, toccata, al suo carissimo A»
a lessandro, si recò, a vederlo, neiralloggio, dove riposava. Ed
« egli, vedendo il generale, gli strinse la mano, con soave sor-
« riso di compiacimento; e gli disse: Ora, che abbiamo vinto,
« generale , son contento di oMer perduto una coscia. Io non
« credo di sopravvivere; ma vi raccomando, generale, non cre^
« dete, mai, a* Re, Il Governo di Venezia, quando seppe la sven-
, « tura di Poerio , gli mandò il brevetto di capitano , eh* egU
« accettò, con molto gradimento; e disse: Non riscuoterò^ mai,
— 519 —
< soldo. Il Governo, in tutte le ore del giorno, mandava un
€ usciere, a prender conto della salute di Poerio. Scrupolosa-
« mente, adagiato sopra una barella, su gli omeri dei vitto-
€ riosi ma esacerbati compagni, fu menato, come in religiosa
€ processione, insino a Venezia. E il generale volle, affettuosa-
< mente, ospitarlo, sotto il proprio tetto, in casa della generosa
€ e illustre contessa, Rachele Londonio-Soranzo di Milano, che
€ gli fu larga d'ogni maniera di conforto e, poi, amaramente
€ e con molte lagrime, lo pianse. I suoi amici e commilitoni,
€ che lo videro, in Mestre, ferito, e in Venezia, si crudamente,
4L smembrato, narrano tutti, che, in mezzo agli spasimi, intre-
€ pido, parlava della sua Patria, con quel forte affetto, col quale
€ gli eroi di Plutarco avrebbero parlato di Atene' e Sparta.
€ Ed ebbe, in fatti, tanta forza d'animo, da scrivere, alla madre,
€ eh' era si degna di cotanto figlio. E, dopo i pochi giorni di
€ dolori atrocissimi, vide avvicinarsi la sua fine, con la serenità
a del filosofo e dell'eroe, che sente aver compiuto i suoi sacri
€ doveri. E morì, nella certezza del vessillo trionfante d'Italia*
< benedicendo il suo sangue, dato alla libertà della sua Patria
a diletta. E quando egli, pubblicamente, confessatosi, ebbe in-
€ teso il sacerdote, che ne accompagnava l'anima, all'altra Pa-
« tria celeste , e gli diceva le parole del perdono , confortane
€ dolo a perdonare altrui , rispose: Ah si / Io amo tutti ! Amo
€ r Italia; odio, soltanto, i nemici di lei\ e spirava, tranquillo, il
« settimo giorno su le undici del mattino del 3 di novembre.
€ La quale tristissima novella, portata di bocca in bocca, com-
« mosse tutto il popolo culto e patriotico di Venezia, dal
€ quale era, universalmente, conosciuto e, grandemente, stimato
€ Alessandro Poerio. Il giorno dopo, fu onorato di esequie tc^
« lenni, alle quali intervennero il supremo capitano, i dita-
€ dini del governo, gli uffizi ali e gran folla di popolo. > —
(402) Questa poscritta è, veramente, indegna.. II Pepe do-
veva conoscere l' alta donna , cui scriveva : al cui dolor ma-
terno, non sarebbe stato sollievo un atto infame, che avrebbe»
del resto, resa esecrata la memoria del suo figliuolo. Ned il Pepe
era uomo, da commettere un' azione cosi nefanda ; nò di pen-
sarvi, sul serio. Ma le nature meno elette debbono manifestar
la qualità della creta loro, almeno, nelle parole.
(403) Segue la lista di coloro, che si erano, più, segnalati:
fra' quali, il Poerio.
— 520 —
(404) Ne fu autore un certo abatino Rambaldi, che, nel 48,
orò, anche, pubblicamente, a Roma, in Campidoglio; e che non
dev'esser morto, da lunga pezza, avendolo io conosciuto, perso-
nalmente , nel 1866 , a Treviso , in casa del Commissario del
Re, Rodolfo d'Afflitto. La sua orazione funebre, ch'io non pos-
seggo, trovasi, nella Marciana; ed ha questo titolo: Sulla salma
del prode Alessandro Poerio di Napoli, cofonlÈlrtò nello Stato
Maggiore, questi cenni recitava Vàb, G. B. Ramhaldi di Tre-
viso, il mezzodì del 4 Novembre 1848, nella chiesa di S. Ste-
fano, {Venezia, coi tipi di P.® Naratovich, 1848), È un discor*
setto di cinque pagine, senza il menomo particolare sul de-
funto. Vi si ripete la frase dell'ordine del giorno, ch'egli mori,
come un eroe di Plutarco (Alessandro Poerio, cristiano !) Del
resto, retorica volgare; le solite generaUtà patriotiche, proprie del
tempo. Alessandro Poerio fu sepolto, nella tomba de'Paravia (che
avevan conosciuto il Poerio, in casa Papadopoli) nel camposanto
di Venezia. E gli fu apposta la iscrizion seguente:
Qui • RIPOSA • accolto • nell' • amica • tomba • i»ei • Paravu •
Alessandro • Bar. • Poerio • di • Napoli • che * dati • all'-Italm •
il • cuore • GLI • STUDI * LO ' ESILIO * PER * ESSA " MILITB *
VOLONTARIO ' MORÌ * DI * FERITE ' TOCCHE ' IN * MeSTRB '
IL • XXVII • Ottobre • mdcccxlviii • di • anni • xlvi •
Alcune • veneziane • sorelle • allo • estinto *
NELL' • AMORE • della * PATRIA * CON * PIETOSO ' DOLORE *
COMMISERANDO * LA * MADRE * LONTANA *
CHE • PIÙ • NON • LO • ASPETTA * POSERO * QUESTA * MEMORIA '
Alessandro Poerio, uno tra' primi lirici del secolo, esempio
raro di virtù cittadine, non ha monumento alcuno o ricordo,
in quella Napoli, che permeate d'innalzarne, nel più cospicuo
luogo della sua marina, ad uno strimpellator di pianoforte stra-
niero (Thalberg). Sarei, quasi, tentato di dir: tanto meglio ! Per-
chè le onorificenze, votate, senza criterio ed a fascio, da co-
siffatti epìgoni, son, quasi, ingiuria. Che dico: quasi? Sono
ingiuria espressa. Reste plutot non plaint, que plaint d^indi'
gnes larmes! I pochi buoni diranno, però, sempre, di lui, che
fece tutto il suo dovere, più che lo stretto dovere formale. Cosa
rara, dovunque ed ognora.
— 521 —
Carlo Poerìo (Vedi la nota 2*) è sepolto, in Pomigliano d'Arco:
ma il cuore di lui 8Ì conserva, nel camposanto di Poggìoreale
a Napoli, dove il Municipio lo ha raccolto, in un monumentino,
E, nel camposanto istesso, riposano gli avanzi de* genitori di en-
trambi. Ma nello ipogeo della cappelluccia Imbriani-Settem-
brini, comune, un tempo, a* Poerìo (i cui dritti son passati, per
eredità, negriàibriani) ed a* Parrilli (che han venduto i dritti
loro, al figliuolo di Luigi Settembrini, portando via i morti loro).
Ivi, si legge r iscrizione seguente, pel barone Giuseppe Poerìo :
HBIC JACET lOSEPH POERIVS, DOMO TABERNA BRVTIORYM,
NOBILI GENERE ORTVS
NOBBLIORE INGENIO ATQVE ANIMO PRAEDITVS
SVI TBMPORIS ORATORVM PRINCEPS CONSTANS LIBERTATlS ADSERTOB
IN SVOS IN AMICOS IN PATRIAM PERPAYCORVM HOBfINVM HOMO
N. POSTRIDIE NON. JAN. A. MDCCLXXV.
DEN. XVin. KAL. SBPT. A. MDCCCXLni.
j DB TANTO NOMINE
HAVD PRIVATVS TESTIS NEDVM BREVE AG RVDE MABMOR
SED FIDES PVBLICA ET TABVLARIA POPVLI
SOLLEMNESQYE SVI AEVI ANNALES CONSVLBNDi:
SCIUGBT PVDET NECESSARIOS DICERB LAVDES
DB MAXVMIS VIRIS DIGNIS VNICE ET POLLENTIBVS
PVBLICI TESTIMCNH HONESTA AVCTORITATE.
PAVLLVS AEMILIVS IMBRIANI SOCERO ABI^iNTISSIMO
SEOVNDO ET TRIGESIMO AB BXITV EJVS ANNO
CIVILIBVS DEMYM VNDIS EMERSVS ITALIA RESTITVTA P. 0.
DBVINCTVS ADMIRATIONE VIRTVTIS ET MEMOR TESTIMONn AMCHtIS
QVOD SVPREMAS CONDENS TABVLAS DE GENERO ET FILIA PERHXBVTr*
E da notare, su quel domo Tabema Brutiorum del primo
verso, che il padre di Giuseppe Poerio era patrizio di Taverna:
ma Giuseppe Poerio nacque, proprìamente , in Belcastro, pa-
tria della madre. Ecco, poi, la iscrizione della Qaroìina Poe-
rio-Sossisergio; ch*ò presso quella del marito, nello stesso ipo-
geo della cappella Imbriani-Settembrini :
— 522 —
HEIC RELLIQVIAE JACENT
KAROLAE SOSSISBBGIAE
DBN. ni IDVS SEPT. A. MDCCCLU
SEPTVAGINTA TEES ANNOS NATAB
VIRVM JOSEPHVM POERIVM
ATQVE EGREOIOS SOBTITAE LIBEROS
ALEXANDBYM KABOLVM ET RABOLIVM
ET voto ET LIBEBIS EGRE6I1S ILLySTRA.TAE
QVAE LAVS ILLICIT ATQVE VNICE DECET
FRVGI MATREMFAMILIAS
PAVLLVS AEBULIVS IMBRIANI
HBCYRAM SANCTISSVMAM
QVAM OLIM
IN EXSILIVM OVM VXSORE ET PimS PEREGBE PROFICISCENS
AEGRE BEUQVERAT
PATRIAE RBDDrrVS
HEV, HOC VNVM ADHVO LICET !
PIE IVXTA VIRVM COMPONIT
A. MDCCCLXXV.
— 523 —
POSCRITTA
La grave infermità, che ha cominciato, a travagliarmi, dopo
iniziata la stampa di questo libro, stremandomi di forze , mi
consigliò di andar diradando il numero delle chiamate, dopo
1 primi fogli. Onde. V illustrazione delle lettere è rimasta in-
compiuta e non uniforme. Ad ogni modo, aggiungo, qui: alquan-
te notizie, sopra persone, ricordate, nelle lettere, al cui nome non
fu apposta chiamata; e qualche supplemento o rettifica, ad al-
cune note. Se, mai, questo Epistolario avrà una seconda edi-
zione , spero potervi aggiungere nuove lettere e , soprattutto ,
compierne la illustrazione. Sarò grato , frattanto , a chi vorrà
favorirmi; notizie, sulle persone, per le quali me ne son man-
cate; 0 maggiori notizie, sulle illustrate; o correggere gli errori,
ne' quali posso esser caduto.
— Il nobile conte Girolamo Bola.ni (e non Bollani) abitava, nel
suo palazzo, a S. Mattia. Caduta Venezia, lasciò quella città; e
stette, nelle sue ville, tra il Vicentino e il Padovano, ma più
presso a Padova. La cagione di questo suo ritiro fu, parte, po-
litica e, parte, domestica; e più domestica cbe politica. La mo-
glie si conduceva, in modo, ch'egli fu costretto a dividersene.
Lei rimase, in Venezia, a darsi buon tempo; e lui prese stan-
za, a Padova. Nell'ultima vita, datisi, tutti e due, a Cristo, si
riunirono; e furono, insieme, a Padova. Quivi, mori, verso il 1870,
senza lasciare gran memoria di sé. Era buon uomo, mi dico-
no; e non incoltissimo. Ma si atteggiava a repubblicano. Anche
le sue finanze erano andate a male, assai, tra il lusso della si-
gnora e le vicende politiche.
— II Du Bois era un banchiere, a Venezia.
— Achille Correnti tornò, da Malghera, in Piemonte, in-
fetto da febbri, che lo lasciarono, solo, tre o quattro anni do-
po; e conviveva, col fratello Cesare. È morto, nel 1883, inge-
gnere delle strade ferrate.
— Pietro Maestri, medico di professione, fece parte del Co-
— 524 —
mitato di difesa, surto, a Milano, neir agosto del 1848, dopo la
disfatta di Custoza. Insieme con Cesare Correnti ed altri, pub-
blicava V Annuario Statistico Italiano (la statistica è la scienza
fatta apposta per chi nulla sa). Nel 1859. diresse l'ambulanza
de*Cacciatori delle Alpi. (Poveri cacciatori feriti! ho paura, che
ne abbiano spacciati più il Bertani ed il Restelli, che le palle
austriache). Mi si ieri ve, sul suo conto:—* Il Maestri valeva ,
< tutto compreso, pochi quattrini. Nel 1848, faceva il repubbli-
< cane. Dopo Custoza, a forza di strillare contro Carlo Alberto
« e il Piemonte, riuscì, a farsi nominare membro del Comitato
< di Salute Pubblica (mi par, bene, che questo fosse il nome
< buffo di quel momento tragico) insieme col Restelli e col Fan-
< ti, due uomini, così, diversamente^ diversi, da lui. Rifugiato, a
< Lugano, vi stampò un'insulsa protesta, vigliacco oltraggio con-
€ tro il vinto Re, che il Restelli ebbe la debolezza di firmare,
< il Fanti, no. A Torino, amicissimo del Correnti, lavorò, con
* lui, all'Annuario di statistica, finché diventò Direttore, diceva
€ lui, della Statistica, ma, in realtà, Capo-Divisione, al Ministero
€ di Agricoltura, Industria e Commercio. Costi, fu coperto di de-
€ corazioni, dalla testa ai piedi, per le sue statistiche : porans-
< simi lavori , che mandava, rilegati in velluto ed oro, a Piiu-
< cipi e Ministri. Pretendeva essere il Pascià della statistica,
* facendo tutto lui. Il Broglio pretese, invece, che dovesse,
< dipendere dal ministro. E, quando luì ricalcitrò, ostinata-
« mente, agli ordini, lo sospese, per un mese, senza stipendio,
< lui e tutte le sue decorazioni, come un applicato di quarta.
< Morì, qualche anno dopo, a Roma, senza odore di santità,
* per quello, che se ne mormorò, poi. » —
— Francesco Restelli, avvocato, partecipò al Comitato di
Difesa di Milano , nel 48 : grave colpa. Poi, tornò in patria
e vi rimase avvocato, sotto gli austriaci: colpa peggiore. Fu
Daputato, parecchie volte, nel Regno d' Italia; ed, anche, Vi-
ce-Presidente della Camera. Tolgo quanto segue, da una co-
municazione confidenziale : — « Non è un uomo , fatto per
€ la politica. Primo: perchè ò un avvocato, il che, salve rare
€ eccezioni, è un impedimento insuperabile. Secondo: perchò
« non ha energia di carattere, tanto che fu il primo lombardo,
e che piegò il capo, all'Austria, dopo il bando del 48, chiedea-
« do il rimpatrio. Ma è un perfetto onest'uomo. > —
— La Sala Camplot, occupata dal Circolo Italiano ^ era a
— 525 —
S. Luca, sul campo S. Paternian (ora, piazza Manin). Non ci è
più, da un pezzo.
— Il Giuri ATI, il Robetti ed il Peroni, membri del circolo
Italiano, sono, tutti, morti. Il dottor Giuseppe Giuriati, dopo per-
corsi vari gradi, fu Generale della Guardia Civica, nel 1849.
Abitava in Calle S. Marco. Fu padre del notissimo avvocato
Giuriati
— Alla nota 243.*, chef concerne Raffaele Poerio (pag. 445)
si aggiunga la iscrizion sepolcrale (dettata, da Paolo-Emilio Im-
briani) che ai legge, sulla tomba del generale, nel camposanto
di Torino.
A Raffaele Poerio Generale
Nato in Calabria nel 1792, mancato in Torino nel 1853.
ESCITO D*UNA TERRA E d' UNA CASA
antiche nei SAGRIFICJ DI PIETÀ CIVILE
FU MIRACOLO d' ARDIMENTO NEI CAMPI
MIRACOLO d'affetto NELLA FAMIGLIA.
Espiò la sua costanza politica
coi travagli di tutta una vita.
Osò IN FIACCHI TEMPI CONFIDARE NELL' ONESTO E NEL VERO
• E FECONDÒ DI SPERANZE E DI FATTI
LA STERILITÀ DELL* ESIGLIO
ARDUO ED USATO INCIAMPO DEI MIGLIORI.
Per NOBILI PROVE DI GUERRA SULLA SPIAGGIA d' AFRICA
COMANDÒ LA MERAVIGLIA
E RINFRESCÒ NEL DIFFICILE STRANIERO
LA REVERENZA DEL SOLDATO d' ITALIA.
Carità di patria e vaghezza di perigli
lo ritrassero ai cimenti nazionali del 1848.
Poscia impaziente degl' ingrati riposi
altero di sventura di povertà di fama
riparò nella tomba.
La famiglia inconsolata p.
— 526 —
— « Papa Mazarachi. Padre Antimo di Cefalonia, cappellano
< in S. Giorgio de' Greci, in Venezia; amico del Tommaseo;
< dotto ; di sentimenti liberali; autore delle Vite de* Cefale-
€ ni illustri, scritte, in greco, da luì, e tradotte, in Italiano, dal
< Tommaseo. Essendosi, nel 1849, compromesso, politicamente,
€ fu arrestato, dagli austriaci, al loro ritorno; e rimandato, a Ce-
€ falonia. Di dove, passò, maestro, a Galee, isoletta, presso Co-
€ stantinopoli. Mori, alcuni anni dopo, Vescovo di Stauropo-
« li. » — Cosi mi scrivono : relata refero.
— «La Contessa Teresa Mosconi-Papadopoli, veronese, mo-
« glie di Spiridione, cugino dei viventi conti Papadopoli, fu dama
« colta, compitissima; ed accoglieva, nella sua società, il fiore dei
€ cittadini veneziani e dei forastieri. Nacque, il 4 agosto 1807;
« mori, il 17 agosto 1854. > — Cosi, mi scrivono, da Venezia.
Noterò, che, nelP Alta-ltalia, stranamente, le signore prepon-
gono il cognome della famiglia di origine, a quello del marito.
— La Contessa Aldobrandini-Papadopoli, fiorentina, fu ma-
dre de* Papadopoli, che sono stati Deputati, nel Regno d'Itaba.
— Alla nota 23 pag. 358 aggiungasi : che Giovanni Vacca
nacque, in Napoli, il 12 marzo 1810, e che mori, in Portici,
il 12 luglio 1879.
— Correggi ed aggiungi, alla nota 92, pag. 383. Angelo Aba-
temarco, seniore, non ebbe fratelli e sorelle : nacque in Mon-
tesano sulla Marcellana, circondario di Sala Consilina, nel 1758;
mori, a Napoli, il 3 novembre 1836. Ebbe tre figliuoli : Do-
menico (1796-1872) e Gabriele (1798-1871), nati in Lagoue-
gro; e Pietrantonio, nato, in Montesano, nel 1803, morto, in
Arienzo, nel 1872. Gabriele e Pietrantonio morivan celibi. Di
Domenico e dell' Adelaide de' marchesi di Montemayor riman-
gono : Angelo, Carlo, V Emilia (maritata in Rosica) e T Olim-
pia (moglie al barone Negri).
— Mi rincresce di non poter avvalermi di preziose comuni-
cazioni, che ho ricevute, troppo tardi, su Giambattista di Gi-
rolamo Cavedalis e dell' Angela Diana, nato, in Ispilimbergo,
nel Friuli, nel 1794, e mortovi, nel 1858, che ebbe tanta parte,
nel governo di Venezia, nel 1848-1849. Ma la importanza stes-
sa di esse mi toglie di compendiarle, in poche parole.
ERRATA-CORRIGE
Pag.
359
ver
. 31 Gennaio 1868
leffgi: Gennajo 1867
>
363
»
4 nei due veri
sensi
leggi: ne' du' vari sensi
366
40 fìglÌTiolo del
leggi: figliuol naturale del
368
14 Regina Isabella
leggi: Regina Carolina
369
25 Fatalità !
leggi: Combinazione L
»
27 Fatalità \
leggi: Combinazione \
>
29 Fatalità \
leggi: Combinazione l
383
31 Perse
leggi: Forse,
394
22 scrittrice
leggi: pittrice
'i
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