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Full text of "Analisi storico-topografico-antiquaria della carta de' dintorni di Roma"

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AINALISI 

STORICO-TOPOGRAEICO-ANTIQUARIA 

DELLA 


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AiiiA^IOITM-         MOT-OaiMT^ 


ST0RlC0-T0P0GR4FlC0-ANTieMRIA 

DELLA 

CARTA  DE'  DINTORNI  DI  ROMA 

DI  A.  INIBBY 

già'  pubbuco  professore  di  archeologia 
nelj.a  romana  università* 

EC.    EC. 


TOMO  II. 


EDIZIONE  SECONDA 


ROMA 

TIPOGRAFIA  DELLE  BELLE  ARTI 
1848 


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STORICO-TOPOGRAFICO-ANTIQUARIA  5,1 

DELLA.    '  "   - i       it'oh  , 

CARTA  DE'DINTORNI  DI  ROMA 


EMPVLVM,  AMPIGLIONE. 


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^Ipollomum» 


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Livio  lib.  VII.  e.  XVIII.  dice  che  l'anno  400  di  Roma 
35  dopo  essere  stata  ricuperata  la  città  sopra  i  Galli 
fu  preso  ai  Tiburtini  Empulum  con  un  combattimento, 
che  non  meritava  di  essere  rammentato,  sia  che  ambedue 
i  consoli  ivi  facessero  la  guerra  contro  i  Tiburtini,  sia 
che  il  solo  Marco  Valerio  Publicola  guidasse  contra  loro 
le  sue  legioni.  £  questa  è  la  -sola  memoria,  che  ci  ri- 
manga di  questa  terra  dipendente  da  Tibur,  il  cui  nome 
potè  derivare  dal  pelasgico  PVLE  IIuXvj  Por^a  dalla  cir- 
costanza locale  siccome  più  sotto  vedrassi. 

Una  volta  preso,  e  probabilmente  distrutto  dai  Ro-t 
mani,  questo  castello  fornì  ne'  tempi  susseguenti  luogo 
per  costruire  ville  magnifiche  ,  siccome  più  sotto  mo- 
strerò, le  quali  unite  insieme  ,  nel  secolo  VI  della  era 
volgare  costituirono  una  massa  che  fu  detta  di  Apollo- 
nio dal  nome  del  proprietario  originale,  dal  quale  passò 
in  retaggio  a  s.  Silvia   madre  di  s.  Gregorio.   Questi , 


6 

come  SI  trae  dalla  bolla  dbta  Fanno  594  a  fasore  de'mo- 
naci  SHtblacensi  la  concesse  ,  come  parte  della-  sua  ere- 
dità col  consenso  della  madre  a  quel  monastero.  Dopo 
l'atto  di  tal  donazione  queste  terre  più  non  si  ricordano 
fino  all'anno  958,  allorché  papa  Giovanni  XII  ,  confer- 
mando i  beni  del  monastero  sublacense  con  bolla  diretta 
all'abbate  Leone  riportata  dal  Muratori  nelle  Ant.  Med. 
Aevi  T.  V.  p.  461  nomina  Massam  Apollonia  origine  del 
nome  odierno  Ampiglione,,  che  ha  la  contrada,  e  tutti  i 
fondi  che  allora  la  componevano,  cioè  la  chiesa  di  s.  Mar- 
tino, fundum  Paternum,  quod  appellatur  Pentima,  f.  Bru- 
vanoj  f.  s.  Pamphili,  f.  Danieli,  f.  Merulana,  f.  Paccanoy 
f.  Tospoliano  eum  ecclesia  s.  Mariae  et  s,  Lucentii^  f.  s.  Ci- 
rici,  f.  Cispa,  f.  Romani  cum  ecclesia  s.  Angeli  et'  s.  Fe- 
licis.  Ed  assegna  per  confini  di  essa  il  fiume  Tiburtina 
(l'Aniene),  Papi,  l'Arco  fulgurato,  e  pel  monte  de'cipressi 
scendendo  ed  andando  nel  monte  Bulturella  fino  alla 
chiesa  di  s.  Mari»  y  e  per  essa  scendendo  direttamente 
a  Pisciano.  Così  che  nel  958  questa  massa  di  fondi  com- 
prendeva tutto  il  tratto  che  è  circoscritto  dall'Amene, 
dagli  acquedotti  della  valle  degli  Arci ,  dal  monte  di 
s.  Maria  Nuova,  dal  monte  Mentorella,  Pisciano,  il  Ser- 
rone  e  l'Aniene,  chiudendo  dentro  le  terre  oggi  deno- 
minate Castel  Madama ,  Cerreto  ,  Siciliano,  Sambuci  e 
Saracinesco.  Sul  declinare  dello  stesso  secolo  queste 
terre  furono  occupate  da  Crescenzio  nomentano  ,  come 
può  vedersi  all'art.  CASTEL  MADAMA,  col  quale  eb- 
bero sorte  comune. 

Dal  Chronicon  Sublacense  riportato  nel  tomo  IV.  delle 
Antiq.  Meda  Aevi  del  Muratori  ,  p.  1047  ricavasi,  che 
avendo  i  monaci  ricuperata  questa,  come  altre  terre  dai 
discendenti  di  Crescenzio  ,  circa  V  anno  1090  1'  abbate 
Giovanni  assegnò  suh  anathematis  vinculo,  castellum,  quod 
s,  Gregorius    dedit    Apollonium  ,  totum  prò  vestimentis  et 


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vdlceatnentis  fratrum^  e  questa  è  la  prima  memoria  della 
esistenza  del  castello  ,  il  quale  dee  credersi  eretto  nel 
secolo  XI.  Nella  bolla  di  Pasquale  II  a  favore  del  mo- 
nastero di  Subiaco  data  l'anno  1115,  venne  confermato 
il  possesso  del  Castrum  Apolloni  a  quel  monastero,  sic- 
come si  legge  nel  Chronicon  pag.  1059.  Ma  poco  dopo 
essendo  abbate  di  Subiaco  Pietro ,  e  papa  Callisto  II  , 
circa  l'anno  1124  insorsero  da  tutte  le  parti  guerre  con- 
tro il  monastero,  e  specialmente  dal  canto  de'Tiburtini, 
i  quali  come  più  potenti  s'impadronirono  della  metà  dei 
castello  di  s.  Angelo,  oggi  Castel  Madama,  ehe  apparte- 
neva ai  monaci.  E  cominciarono  tosto  ad  assalire.il  Ca- 
strum ApoUonensem  ,  essendo  papa  Onorio  II  ,  il  quale 
prestò  il  suo  consenso  ,  perchè  i  Tiburtini  unitisi  con 
Gregorio  signore  di  Anticoli  lo  attaccassero  con  maggior 
forza,  e  se  ne  impadronissero  nella  stagione  della  messe. 
Allora  furono  fatti  prigioni  tutti  gli  abitanti,  e  poco  dopo 
vennero  distrutte  le  mura  del  castello.  Veggasi  il  Chron. 
sovraindicato  pag.  1051.  Salito  però  al  soglio  pontificio 
papa  Innocenzo  II,  ricuperò  Ampiglione  e  Buberano,  os- 
sia Barberano  ,  ed  insistendo  i  monaci  per  la  ricupera 
di  questo  castello,  quantunque  distrutto,  il  papa  l'anno 
1143  nella  ultima  sua  malattia  ,  ordinò  che  fosse  loro 
restituito,  Chr.  p.  1052.  Sotto  Eugenio  III  nel  1150  , 
Simone  abbate  lo  diede  in  pegno  ai  Romani^  siccome  si 
narra  nel  Chr.  p.  1053.  Circa  il  declinare  del  secolo  se- 
guente venne  in  potere  degli  Orsini ,  che  riedificarono 
le  mura,  e  ripopolarono  la  terra;  ma  insorta  guerra  fra 
questi ,  ed  i  Tiburtini ,  Castell'Apollonio,  fu  per  la  se- 
conda volta  distrutto  l'anno  1300,  come  si  crede,  e  gli 
abitanti  superstiti  si  ritirarono  fralle  rovine  del  vicino 
castello  s.  Angelo,  oggi  Madama,  il  quale  l'anno  1308 
fu  da  Riccardo  e  Poncello  Orsini  riedificato,  siccome  fu 
notato  a  suo  luogo.  /!<;(»•»," 


'''Uscendo  da  Tivoli  per  la  porla  Arcense,  o  s.  Gio- 
vanni, passata  la  valle  Arcense,  e  gli  acquedotti  antichi, 
seguendo  la  strada  ,  che  oggi  dicono  di  Siciliano  e  di 
Ampiglione,  3  miglia  e  mezzo  lontano  da  Tivoli,  veg- 
gonsi  sopra  un  colle  a  sinistra  gli  avanzi  di  una  conserva 
antica  quadrilunga  ,  la  quale  internamente  ha  58  piedi 
di  lunghezza  e  42  di  larghezza,  ed  è  divisa  da  tré  or- ' 
dini  di  pilastri:  la  lunghezza  è  parallela  alla  strada,  cioè- 
da  sud-est  a  nord-ovest:  e  verso  levante  sono  gl'indizii 
di  una  piccola  fontana  ,  la  quale  era  fornita  di  questa 
conserva  ,  ed  ambedue  appartenevano  ad  xm  casino  di 
antica  villa.  Questa  conserva  è  costrutta  di  scaglie.  In. 
questo  luogo  sulla  strada  sono  colli  tufacei  dirupati:  sui 
monte  a  destra  veggonsi  grotte:  e  sul  colle  erto  a  sini- 
stra sono  gli  avanzi  di  una  fortezza  de'tempi  bassi,  che 
nella  carta  di  Revillas  viene  indicata  col  nome  di  Pog- 
gio, della  quale  si  fa  menzione  in  questa  guisa  nel  Chron. 
Sublacense.  «  Dopo  che  nell'anno  1125  fu  distrutto  il 
»  castello  di  Apollonio  ,  ed  incendiato  Barbarano  dai 
»  Tiburtini,  questi  venuti  a  transazione  coli'  abbate  di 
i)  Subiaco,  domandarono  per  mezzo  di  Milone  loro  ret- 
■»  tore ,  che  fosse  permesso  ai  Geranesi  della  porzione 
i)  di  s.  Lorenzo  di  trasportarsi  con  tutti  i  loro  effetti 
»  ad  abitare  il  Poggio  di  Casa  Populi,,  e  questo  fu  dal- 
»  r  abbate  permesso  di  mala  voglia.  Quindi  i  Tiburti- 
»  ni  vi  ediflcarono  una  torre  alta  e  solida^^  e  munirono 
»  il  villaggio  con  fossa  e  terrapieno ,  e  vi  posero  un 
»  presidio  di  fanti  ed  arcieri  a  danno  della  abbazia.  » 
Poco  però  durò  questo  castello,  che  essendo  stato  pre- 
so nel  1140  da  Innocenzo  II  insieme  colle  altre  terre 
citfconvicine  rimase  smantellato  e  deserto. 

Dopo  le  vestigia  di  questo  castello,  traversati  due 
rigagnoli,  vedesi  a  destra,  rasente  la  strada  un  pilastri- 
no costrutto  con  molta  cura,  di  opera  saracinesca,  il  qua- 


9 

!c  dal  luogo  stesso  si  conosce  essere  stato  sempre  isola- 
to, e  non  aver  mai  servito  ad  altro  che  di  seguale.  In- 
fatti quasi  incontro  a  questo  a  sinistra  si  riconoscono 
^raccie  di  una  via  antica,  che  saliva  in  direzione  di  Ca- 
stel Madama,  rimanendovi  ancora  molti  poligoni  smossi 
di  lava  basaltica  dell'antico  pavimento.  Seguendo  l'anda- 
mento di  questo  diverticolo  antico,  salendo  sul  colle  a 
sinistra  della  strada  di  Siciliano,  dopo  avere  osservato, 
che  ivi  la  rupe  è  tagliala  a  picco,  cominciansi  ad  incon- 
trare gli  avanzi  di  una  villa  antica  ,  consistenti  in  un 
muro  di  sostruzione  di  opera  reticolata  con  legamenti 
di  mattoni  e  parallelepipedi  di  tufa,  una  parte  del  qua- 
le è  rovesciato.  Questo  muro  serve  a  sostenere  un  ter- 
razzo, sopra  il  quale  un  altro  ne  sorge,  che  contiene  i 
ruderi  di  una  chiesa.  Questo  terrazzo  soperiore,  dal  can- 
to che  è  parallelo  alla  strada  di  Siciliano  ,  è  decorato 
di  nicchie:  quattordici  ne  rimangono  ancora,  che  occu- 
pano lo  spazio  di  circa  100  piedi:  e  dinanzi  a  queste  è 
un  eurìpo  largo  3  piedi  e  mezzo.  Quindi  è  chiaro  che 
da  questo  lato  la  sostruzione  era  ornata  di  altrettante 
fontane,  quante  sono  le  nicchie,  che  empievano  Teuripo» 
sottoposto  in  un  modo  analogo  a  quello  che  vediamo  a 
villa  Pamfili.  La  costruzione  del  secondo  terrazzo  ,  io 
parte  è  di  opera  incerta  ,  in  parte  di  opera  reticolata  , 
indizio  che  debba  riguardarsi  come  opera  degli  ultimi 
tempi  della  republica.  È  sopra  questo  secondo  ripiana 
la  chiesa  diruta  ricordata  di  sopra,  consacrata  alla  Ver- 
gine, che  il  volgo  appella  s.  Maria  delle  Cave  per  le  vi- 
cine cave  di  pozzolana  :  essa  fu  de'  Benedettini  e  vien 
nominata  nella  bolla  di  Giovanni  XII ,  dell'  anno  958 , 
dalla  quale  apparisce,  che  il  fondo  a  que'  tempi  forma- 
va parte  della  Massa  Apolonii,  e  che  chiamavasi  Tospo- 
liano:  e  che  la  chiesa  era  dedicata  a  s.  Maria  ed  a  s. 
Lucenzio.  Il  muro   settentrionale  di  questa  chiesa  è  di 


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opera  reticolata,  onde  dee  credersi  che  essa  fu  edifica- 
ta in  una  sala  della  parte  culminante  della  yilla.  Pres- 
so di  questa  vidi  sparsi  per  terra  rocchi  di  colonne  di 
granito  rosso  e  di  travertino  ,  ed  un  capitello  di  mar- 
mo greco  di  ordine  ionico. 

Scendendo  di  nuovo  da  questi  avanzi  alla  strada  di 
Siciliano,  trovasi  tosto  la  osteria  che  chiamano  di  Am- 
piglione  e  di  Siciliano,  situata  a  sinistra  della  via,  cir- 
ca 4  miglia  distante  da  Tivoli,  ed  un  quarto  dal  diver- 
ticolo sovraindicato.  Accanto  a  questo  abituro,  a  sinistra 
della  porta  è  un'ara  sepolcrale  con  rosoni  ne' lati,  e  colla 
iscrizione  quasi  cancellata,  che  dice  così,  in  caratteri  di 
bella  forma: 

P.  VPPVRIVS  PHILEBOS  -u,  ^„xv. 

P.  VPPVRIVS  HELLIX.);./)  .,;,!.  nmi  Ibivfa, 
Sotto  la  iscrizione  sono  altri  rosoni.  Appena  passata  la 
osteria  a  sinistra  è  una  specie  di  nicchìone,  che  serve 
ad  indicare  la  sorgente  che  dà  1'  acqua  al  fontanile  a 
destra  della  via.  Poco  dopo  vedesi  a  destra  una  picco- 
la conserva  di  opera  reticolala,  rivestita  nell'interno  di 
signino,  e  vicino  a  questa  è  un'altro  rudere  incognito, 
r  nn»  Afi  piccola  distanza  però  ,  cioè  circa  un  ottavo  di 
miglio  dopo  la  osteria,  l'occhio  si  arresta  a  sinistra  so- 
pra un  pezzo  di  muro  pelasgico  costrutto  di  poliedri  di 
tufa,  i  quali  sono  lavorati  in  tutte  le  faccie.  I  massi  più 
grandi  hanno  le  dimensioni  di  4  piedi  nella  lunghezza 
e  di  uno  in  altezza:  sono  disposti  in  guisa  da  formare 
un'  arenazione  continuata  a  sacco  ,  riempiuta  di  massi 
della  stessa  specie.  E  di  tal  costruzione  questo  pezzo 
è  il  solo,  che  io  conosca  fatto  di  tufa,  giacché  ordina- 
riamente le  mura  di  massi  poliedri  sono  di  calcarla. 
Dove  questo  muro  è  meno  smantellato  conserva  circa  8 
piedi  di  altezza  ,  e  si  estende  per  500  piedi  lungo  la 
strada,  sempre  però  men  alto:  e  dagli  avanzi  di  opera 


u 

incerta,  che  ivi  rimangono  è  chiaro  che  fu  ristauraloy 
sia  per  uso  di  villa,  sia  per  altro  ne'tempi  sillani.  Ora 
questo  recinto  è  un  avanzo  di  Erapulum,  città  colloca- 
ta sopra  due  fimbrie  dalla  cresta  di  Castel  Madama,  che 
avanzandosi  verso  le  opposte  pendici  restringono  nota- 
bilmente la  valle  di  Siciliano  in  modo  da  formare  qui- 
vi una  gola  ,  della  quale  Empulum  fu  la  porta  ,  o  la 
chiave  ,  circostanza  che  die  origine  al  s.uo  nome  ,  come 
fu  notato  di  sopra.  Di  queste  fimbrie ,  la  prima  dopo  la 
osteria  presenta  le  vestigia  di  tre  recinti  diversi,  ed  i 
poliedri  impiegati  in  questi  sono  maggiori  di  quelli  che 
veggonsi  negli  altri.  La  posizione  di  questa  città  è  bene 
immaginata  per  difendere  il  recesso  della  valle  empula- 
na.  Nel  terzo  recinto  della  prima  sezione  della  città 
veggonsi  avanzi  di  un  muro  di  opera  reticolata,  costrut- 
to sopra  un  muro  di  opera  incerta:  ivi  pur  sono  le  ve- 
stigia di  un  terrazzo  quadrilatero,  che  forse  appartenne 
ad  una  villa  romana  sorta  posteriormente  sopra  le  ro- 
vine di  Empulum.  Questo  terzo  recinto  io  credo  che 
costituisse  l'antica  cittadella.  Lungo  il  lato  meridionale 
di  questo  terrazzo  vedesi  un  acquedotto  inserito  nel  col- 
le, il  quale  diretto  prima  da  mezzogiorno  a  settentrio- 
ne volge  tosto  da  levante  a  ponente.  La  parete  interna 
di  questo  acquedotto  è  di  opera  reticolata  ,  quasi  in- 
certa, la  esterna  è  di  opera  incerta  piuttosto  grossa.  L'al- 
tra fimbria  avea  due  recinti  soli.  ''"' 
-^)n'>'Poco  dopo  aver  passato  il  diverticolo  di  Castel  Ma- 
dama vedesi  sulla  falda  del  colle  susseguente  l'avanzo 
di  un  colombaio  ridotto  oggi  ad  abituro  rurale  ,  entro 
una  vigna  a  sinistra.  Aderenti  ad  esso  sono  gl'indizii  di 
un  altro  colombaio  ,  ed  ivi  dappresso  immediatamente 
più  in  alto  avanzi  di  sostruzioni  a  piccioli  parallelepi- 
pedi con  contrafforti  ,  e  questi  sono  i  primi  avanzi  di 
una  villa  sontuosa  romana,  edificata  dopo  l'  abbandono 


{2 

di  Empulum,  la  quale  die  orìgine  "ad  Ampiglione,  ossìa 
al  castrum  Apollonìs,  o  Apollonii  dc'tempi  bassi.  Le  ro- 
vine di  questa  villa  appartengono  all'ultimo  periodo  del- 
la repubblica  :  essi  sono  di  opera  incerta  bellissima ,  e 
fanno  riconoscere  ancora  la  esistenza  di  due  terrazzi. 
Fra  il  primo  ed  il  secondo  terrazzo  sono  muri  di  opera 
mista,  ruderi  di  opera  detta  saracinesca  con  legamenti 
di  opera  laterizia  ,  e  rivestimento  di  astraco  y  e  dietro 
di  questi  lavori  una  conserva  quadrilunga  di  opera  in- 
certa grossolana  con  legamenti  laterizii.  A  sinistra  sono 
gli  avanzi  della  chiesa  di  s.  Martino,  la  cui  tribuna  ver- 
so occidente  attesta  la  sua  origine  antica  :  i  muri  di  que- 
sta chiesa  sono  costrutti  con  quadrelli  di  opera  retico- 
lata, tolti  da  fabbriche  antiche,  mattoni,  pietre  ec, ,  co- 
me tutte  le  opere  de' tempi  bassi.  Essa  viene  ricordata 
nella  bolla  di  Giovanni  XII  ,  dell*  anno  958  riferita  di 
sopra.  Sull'ultimo  ripiano  di  questo  colle  sono  le  vesti- 
gia del  castrum  Apollonii  ;  nella  costruzione  del  muro 
di  questo  castrum  veggonsi  nel  lato  settentrionale  im- 
piegati massi  tetraedri  di  pietra ,  tolti  da  qualche  fab- 
brica antica  esistente  in  ([uesti  contorni.  Quanto  poi  alla 
villa  antica  ,  la  parte  culminante  di  essa  lascia  travve- 
dere  nel  lato  meridionale  muri  del  tempo  della  deca- 
denza, forse  aggiunti  dall'Apollonio,  che  die  nome  alla 
contrada,  mentre  nel  rimanente  è  di  opera  reticolata  e 
mista.  Verso  la  valle  la  fronte  ,  era  parallela  alla  via 
sottogiacente,  e  presentava  un  ordine  di  occhi,  o  fene- 
stre  rotonde,  che  davano  lume  ad  un  corridore  ,  e  ad 
un  ordine  di  camere  addossate  al  monte,  quattro  delle 
quali  sono  ancora  visibili.  Queste  camere  non  essendo 
ornate  ,  né  presentando  alcuna  traccia  di  esserlo  state 
giammai,  sembra  che  servissero  per  horrea,  magazzini- 


tj 

•Il  o»|i;)|fij^p  tìi-fQjì't  jìsh  .,,  fiifuxn  flìlA  oloyjje  l;>i>  OKfb. 

'1*  p4^  EREtVM  y:  GROTTA  MAROZZAhì  i« >  lei 
e|i«  a»m-'  :  —  ";    (il  oi^d 

-f>/  i?  i;}^5.  EUSEBIO  V.  M^iJCO  SIMONE, ^h  sn\oì 
Eaì  r>nip>l  ul)  ì>^ntjl  ,«j  —  ur^-ua  v;'  raii:;  BiopiiR  oh 
-in<MA   »ÌP<'J'AHIA«^  flocco  D/ Pj4Pi.f  »h  ftbfiil^  rJ 

i-ufìl)  ipirn/l^ii>  cU'iU":,        — ^ :      .  ...i;hI:j  o  ,ohùì 

i)?.f.ì'3ii  'jtdoh'y  oqqoiì  fiilaifiir.')  ini/  ili  fimon  li  B[no.>h 
Mih4  ib  o»<)i.''      FALCOGNANI  rìioU  i.ll»b 

.J3T  ,7  ,0-ojjI  ou;jf(xlC0nUlUUttli '• '^>  toixiiJ  I.b  ùlJb 
ijHii  r.l»  3«i;.ii  r>il  ioq  o^.tificì  ib  loT  ll>  oijnup  il  .aVIMJ 
-  Due  grandi  tenute  dell'agro  romano,  poste  una  Sj 
r  altra  10  miglia  lungi  da  Roma  e  confinanti  fra  loro 
sulla  strada,  che  volgarmente  dicesi  della  Madonna  del 
Divino  Amore,  e  che  dopo  quella  chiesa,  assume  il  no- 
me di  queste  tenute  alle  quali  conduce.  i^^uu 
La  prima  di  esse,  cioè  la  più  vicina  a  Roma v  sì 
compone  delle  tenute  di  Falcognani  vecchi ,  e  s.  Gio- 
vanni in  Campo  di  rubbia  476  di  estensione,  e  di  Fal- 
cognani nuovi  di  rubbia  1097.  Appartiene  ai  Riccardi, 
e  si  divide  :  Falcognani  vecchi ,  ne'  quarti  detti  Lungo , 
de'Preti,  di  Porzia  Cenci,  di  Prisca,  e  Giostra,  coprati 
del  Casale ,  della  Macchiarella  e  de'  Preti  :  Falcognani 
nuovi  poi  è  diviso  ne'quarti  di  Tor  di  Sasso,  s.  Serena, 
porta  Medaglia,  Rocca  Priora,  D.  Olimpia,  e  s.  Giovan- 
ni in  Campo.  Fra  le  suddivisioni,  o  quarti  qui  ricorda- 
ti, merita  particolar  menzione  quello  detto  de'Preti,  per- 
chè appartenne  un  tempo  alla  chiesa  di  s.  Alessio  sul- 
l'Aventino, e  perciò  nella  bolla  di  Onorio  III,  data  l'an- 
no 1217  a  favore  di  quella  chiesa,  e  di  quel  monastè- 
ro, fra  i  fondi  si  ricordano,  la  Turrim  cum  vineis,  ortis, 
canapinis,  silvis  in  Falconiano,  documento  interessante , 
che  dimostra  essersi  la  contrada  cosi  nomata  fin  dal  prin- 


i4 

cipio  del  secolo  XIII,  nome  ,  che  ricorda  qualcuno  de' 
Falconi  celebri  nel  II  secolo  dell'era  volgare,  che  eb- 
bero in  questa  parte  le  loro  possidenze.  E  quanto  alla 
torre  che  nella  bolla  onoriana  si  ricorda^  questa  si  ve- 
de ancora  circa  9  miglia  e  mezzo  lungi  da  Roma  fra 
la  strada  della  Castelluccia  e  quella  di  Casale  Abbru- 
ciato, e  chiamasi  Tor  de'Preti.  Quello  di  Porzia  Cenci 
ricorda  il  nome  di  una  famiglia  troppo  celebre  ne'fasti 
della  storia  romana  nel  secolo  XVII.  Quello  di  Prisca 
e  Giostra  contiene  le  vestigia  di  Tellene  ,  antichissima 
città  del  Lazio,  della  quale  parlerò  a  suo  luogo,  v.  TEL- 
LENE.  Il  quarto  di  Tor  di  Sasso  poi  ha  nome  da  una 
altra  torre  de'  tempi  bassi  8  miglia  e  mezzo  lungi  da 
fioma  a  destra  della  strada  del  Divino  Amore.  Falco- 
gnani  vecchi  confina  con  Falcognani  nuovi ,  Falcognani 
Cenci,  Fiorano,  e  col  territorio  di  Marino:  Falcognani 
nuovi  poi  con  Falcognani  vecchi,  Falcognani  Cenci,  Pe- 
dica  Cavalloni,  Castel  di  Leva,  s.  Anastasia,  Castelluc- 
cia,  Casal  Giudio,  Mandria,  Schizzanello,  Radicelli,  mon- 
te Migliore,  Paglian  Casale  e  Tor  Maggiore,,  ,:;  iaiii  y 
L'  altro  tenimento  di  questo  nome  è  quello  perti-r 
nente  ai  Cenci,  e  confinante  colle  tenute  di  Paglian  Ca- 
sale, Madalene,  s.  Palomba,  Falcognani  Riccardi  e  ter- 
ritorio di  Marino ,  si  estende  per  398  rubbia  e  com- 
prende i  quarti  detti  della  Mola,  della  Capanna,  di  Cas- 
sale Abbruciato,  del  Fico,  e  di  Tor  di  Nona,  ed  i  quar- 
ticcioli  delle  Vigne  e  di  Spregamore,  co'prati  della  Mac- 
chiarella  ,  e  del  Cerqueto.  Fra  questi  quello  di  Casale 
Abbruciato  contiene  vestigia  ragguardevoli  descritte  di 
sopra  nell'articolo  CASAL  BRUCIATO:  quello  di  Tor 
di  Nona  ricorda  il  IX  miglio  dell'antica  via  ardeatina, 
oggi  abbandonata,  ed  una  torre  diruta  de' tempi  bassi: 
e  quello  di  Spregamore  con  vocabolo  più  basso  veniva 
designato  nel  1315  col  nome  di  Pauli  Berardi  Pisciafo- 


re,  siccome  si  trae  dal  documento  n.  LYIII,  riferito  dal 
Nerini,  nel  quale  viene  notato  come  confinante  col  fon- 
do di  s.  Eufemia^  oggi  s.  Fumia. 

«>>        FALERI,  FALERII,  FALISCA,  FALISCI,  ! 

AEQVVM  FALISCVM  -  S.  MARIA  DI  FALLEMy 
CIVITA  CASTELLANA. 

7  .ili]  <y,mM'\]'^(vyuU.'i'3hh)Ui  f(rjt\\)^>ì  %  o)\%iì^  \\  on 

-IJ1Ì9   ni; . .    ,-.,,.,,  ...,:.,,,  ...,,,  ,  oj|ii;oi;g 

odrmfl  m\  hSìr.  :'>      (HflSittUcinft^  *"''"  t»'''>^'^^  '  ''d-)>' 

!  ir  notne  di  questa  città  antichissima  ideila  Etruria 
Cicisminia  in  Festo,  e  nella  Carla  Peutingeriana  viene 
scritto  Faleri;  mentre  in  altri  autori  antichi  più  gene- 
ralmente si  enuncia  Falerii',  ed  io  son  di  parere ,  che 
la  prima  forma  di  esso  sia  corretta,  contro  ciò  che  al- 
cuni pretendono,  e  che  dal  suo  nome  gli  abitanti  fu- 
rono denominati  Falerii:  e  da  questi  a  poco  a  poco  s'in- 
sinuò l'altra  più  commune,  che  confuse  i  due  nomi  in 
uno,  col  quale  vennero  designati  la  città,  e  gli  abitan- 
ti. Ed  a  me  sembra,  che  il  nome  originale  fosse  Pha- 
Usi ,  o  Falesi ,  derivato  da  Halesus  compagno ,  o  figlio 
naturale  di  Agamennone ,  il  quale  ,  dopo  la  morte  di 
quel  re  ,  abbandonata  Argo ,  si  ritirò  in  questa  terra , 
già  de'Siculi,  ed  allora  abitata  dai  Pelasgi  suoi  conna- 
zionali: e  dall'averle  communicato  il  nome,  e  probabil- 
mente dall'  averla  anche  colonizzata,  ebbe  1'  onore  del- 
la fama  di  averla  fondata.  Veggansi  Ovidio  Fast.  lib.  lY 
v.  73.  Solino  e.  VII ,  e  Servio  in  Aeneid.  lib.  VII.  Da 
;PhaÌesi  nome  della  città ,  Falisci  furono  detti  gli  abi- 
tanti, nome  che  si  conservò  nel  popolo  di  tutto  questo 
4istretto  ,  che  ebbe  l' epiteto  di  Aequi  conservatoci  da 
Virgilio  lib.  VII.  ^ff,blt^im  /n<)ì'ìiìi>.iiK  ìiji  9T^gfiiq>oi  t  >m 


16 

i'        Hi  Fescenìnnas  acies  aequosque  Faliscos,  '•  tn>.)i  :  /i^j 
e  da  Silio  lib.  Vili. 

Hos  iuxta  nepcsina  cohors  aequique  Falisci. 
Quindi  alcuni  scrittori  posteriori  confusero  il  nome  del- 
la gente  con  quello  della  terra,  che  chiamarono  Falisco, 
Àequum  Faliscum,  Falisci}  infatti  Diodoro  lib.  XIV,  in- 
dicando la  presa  di  Falerii,  dice,  che  i  Romani  diero- 
no  il  guasto  a  Falisco,  città  de'Falisci;  Strabene  lib.  V. 
facendo  due  '  città  diverse  di  Falerii ,  e  Falisco ,  sog- 
giunge ,  che  alcuni  riputarono  non  tirreni ,  ossia  etru- 
schi, i  Falerii,  ma  Falisci ,  gente  a  se;  altri  poi  anche 
Falisci,  città,  che  avea  una  lingua  propria,  e  che  altri 
chiamavano  Àequum  Faliscum ,  posta  sulla  via  flaminia 
fra  Ocriculum  e  Roma.  D'onde  nacque  l'errore  di  fa- 
re due  città  diverse  di  Falerii  e  Falisci,  nel  quale,  ol- 
tre Strabone,  caddero  Solino  e  Stefano,  seguiti  da  molti 
moderni,  contra  l'autorità  di  Dionisio,  Livio,  Plutarco, 
oc.  dai  quali  evidentemenic  apparisce  che  Falerii  era  il 
liomc  della  città,  Falisci  quello  del  popolo,  nella  stes- 
ila guisa ,  che  Roma  era  il  nome  della  città  ,  Quirites 
quello  de'cittadini,  Ardea  quello  della  metropoli,  Rutu- 
lì  quello  della  gente,  che  costituiva  la  popolazione  dei 
suo  territorio.  ="'*^  8ii«okH  nb  oJRrJiob  f\y.'^\)'\  o  /r  A 

Premessa  questa  distinzione  necessaria,  meglio  s'in- 
tendono i  fasti  di  questa  città.  Dionisio  lib.  I.  e.  XXI 
apertamente  dichiara,  che  Falerio  e  Fescennio  abitate 
fino  a'suoi  giorni  dai  Romani,  aveano  conservato  alcu- 
ne scintille  della  stirpe  pelasgica ,  mentre  antecedente- 
mente alla  occupazione  pelasgica  erano  de'Siculi;  che  in 
èsse  erano  rimaste  molte  delle  antiche  costumanze,  che 
i  Greci  un  dì  ebbero  ,  e  ritennero  per  lungo  tempo  ; 
come  r  ornato  delle  armi  guerresche  ,  e  gli  scudi  e  le 
aste  argoliche;  e  quando,  o  per  cominciar  la  guerra,  o 
per  respingere  gli  assalitori,  mandavano  l'esercito  fuor 


17 

dtì'confini,  lo  facevano  precedere  da  alcune  persone  sa- 
cre, inermi,  feciali;  e  la  forma  dc'templi,  e  le  celle  de' 
numi,  le  espiazioni ,  ed  i  sacrificii ,  e  molte  altre  cose 
di  tal  natura.  Ma  il  più  splendido  monumento  poi  di 
tutti ,  dell'  avere  in  Argo  un  giorno  abitato  quelli  chok 
discacciarono  i  Siculi,  era  il  tempio  di  Giunone  edifica- 
to in  Falerio  come  in  Argo,  nel  quale  simile  era  il  mo- 
do dei  sacrificj,  e  donne  sacre  servivano  il  delubro,  e 
la  così  detta  Ganefora,  donzella  casta  di  matrimonio,  che 
cominciava  il  sagrificio,  ed  i  cori  delle  vergini,  che  can- 
tavano ad  onor  della  dea  canzoni  sacre.  Or  questo  pas- 
so prova,  che  la  originale  fondazione  di  Falerii  si  at- 
tribuiva ai  Siculi:  che  questi  furono  discacciati  dai  Pe- 
lasgi:  e  che  le  traccie  de'costumi  argivi  rimaste  fino  ai 
tempi  di  Dionisio,  cioè  fino  ad  Augusto  appoggiavano  la 
tradizione  ricordata  di  sopra,  che  Halesus  argivo  l'aves- 
se colonizzata  poco  dopo  la  morte  di  Agamennone;  cioè 
circa  12  secoli  avanti  la  era  volgare.  E  circa  il  costu- 
me indicato  da  Dionisio  di  mandare  innanzi  i  Fcciali 
prima  di  uscire  in  campo,  Servio  commentando  il  verso 
virgiliano  riferito  di  sopra,  dice  che  Aequi,  cioè  giusti, 
furono  chiamati  i  Falisci,  perchè  il  popolo  romano  man- 
dò ad  essi  i  decemviri,  i  quali  da  loro  appresero  il  ius 
fecictle,  ed  alcune  altre  leggi,  che  furono,  come  supple- 
menti aggiunte  alle  dodici  tavole,  che  aveano  avuto  dagli 
Ateniesi. 

Dopo  la  fondazione  di  Falerii  ;  per  molti  secoli 
tace  la  storia  sulle  gesta  de'  Falisci ,  i  quali  si  trova- 
vano in  possesso  di  un  territorio  fertile,  confinante  verso 
settentrione  col  Tevere,  e  verso  occidente  coi  Veienti, 
e  coi  Gapenati.  La  prima  volta,  che  compariscono  in  sce- 
na è  l'anno  di  Roma  320,  allorché  avendo  i  Fidenatì, 
coloni  romani,  disertato  a  Larte  Tolumnìo  re  de'Veien- 
ti,  uccisero  i  quattro  ambasciadori  spediti  loro  dal  se- 

2 


48 

nato  a  domandar  conto  della  diserzione.  Accesasi  per- 
tanto una  guerra  atroce  frai  Fidenati ,  i  Veienti ,  e  i 
Romani,  i  Falisci  vennero  in  ajuto  de'Veienti,  e  prese- 
ro campo  con  loro  dinanzi  a  Fidene.  Nella  battaglia  che 
seguinne  schieraronsi  nell'ala  sinistra,  mentre  i  Veienti 
tennero  l'ala  destra,  ed  i  Fidenati  il  centro;  ma  per  la 
morte  di  Tolumnio,  ucciso  colle  proprie  mani  da  Aulo 
Cornelio  Cosso,  tribuno  de'  soldati,  quella  battaglia  di- 
venne per  V  esercito  collegato  una  sconfitta  micidiale. 
Quindi  l'anno  seguente  321  di  Roma,  sendo  console  M, 
Cornelio  Maluginense  ,  e  L.  Papirio  Crasso  ,  i  Romani 
spinsero  il  loro  esercito  nel  territorio  de'Veienti,  e  de* 
Falisci,  e  ne  riportarono  una  gran  preda.  Livio  lib.  IIII. 
e.  XVII.  e  seg.  Tale  fu  però  il  terrore  ,  che  dopo  la 
battaglia  di  Fidene  li  sopraffece,  che  non  osarono  ven- 
dicare queste  depredazioni  nel  322,  allorché  i  Fidenati 
ed  i  Veienti  profittando  di  una  fiera  pestilenza,  che  af- 
fliggeva Roma ,  posero  il  campo  non  lungi  dalla  porta 
Collina:  dice  Livio  su  tal  proposito  e.  XXI,  che  i  Fa- 
lisci  perpelli  ad  instaurandum  bellum  ncque  clade  Roma- 
norunif  neque  sociorum  precibus  potuere.  Ed  infatti  rima- 
sero quieti  fino  al  355 ,  allorché  assediando ,  o  piutto- 
sto bloccando  i  Romani  Veii,  essi  improvvisamente  pre- 
sero le  armi  insieme  co'Capenati  in  soccorso  di  quella 
città,  prevedendo,  che,  perduta  quella,  si  sarebbero  ben 
presto  veduti  esposti  all'assalto  de'Romani,  non  essendo 
dimenticato  il  fatto  di  Fidene.  Dopo  varie  scaramuccio 
insignificanti,  finalmente  nel  358  osarono  ,  uniti  ai  Ca- 
penati  ed  ai  Veienti ,  di  dare  un'  assalto  al  campo  ro- 
mano; ma  furono  respinti  con  grave  perdita.  Due  anni 
dopo,  il  celebre  Camillo  sorprese  i  Falisci,  ed  i  Capo- 
ttati nelle  campagne  di  Nepi,  li  mise  in  rotta,  e  s' im- 
padronì del  campo,  dove  trovò  un  bottino  immenso,  che 
consegnò  per  la  massima  parte  al  questore,  ed  il  rima- 


19 
ncntc  distribuì  ai  soldati.  Livio  lib.  V,  e.  Vili.  XIII. 
e  XIX. 

Caduta  Veii,  Camillo  condusse  l'esercito  contro  i 
Falisci  l'anno  363;  questi  prima  si  rimasero  chiusi  en- 
tro la  città;  ma  non  potendo  più  sopportare  le  stragi  e 
le  depredazioni ,  che  si  commettevano  da'  Romani  nel- 
le loro  campagne,  uscirono  fuori  delle  mura,  ed  accara- 
paronsi  sopra  un  luogo  dirupato,  e  di  accesso  difficile, 
un  miglio  circa  fuori  della  città.  Pervenne  però  Camil- 
lo ad  occupare  un  posto  che  dominava  il  campo  fali- 
sco,  onde  questi  presi  da  timor  panico  si  sbandarono, 
cercando  di  raggiungere  le  mura,  e  così  Falerii  da  Ca- 
-wrillo  venne  assediata.  Traendo  però  in  lungo  l'assedio 
avvenne  l'aneddotto  troppo  noto  del  maestro  traditore, 
che  fu  causa  della  resa  della  città,  alla  quale  venne  im- 
posto soltanto  un  tributo  corrispondente  al  soldo  di 
quell'anno,  e  conchiusa  la  pace,  l'esercito  vincitore  ritorr 
nò  a  Roma:  Livio  lib.  V.  e.  XXVL  e  seg.  In  questo  trat- 
to della  storia  e  da  notarsi,  circa  i  nomi  di  Falerii,  e 
Falisci,  de' quali  come  si  disse  di  sopra,  uno  indicava 
la  città  e  l'altro  il  popolo,  che  Livio,  mentre  fa  sem- 
pre uso  del  secondo  in  tutti  i  fatti  fin  qui  esposti,  al- 
lorché parla  del  tradimento  progettato  dal  maestro,  do- 
po aver  detto  essere  costume  de'  Falisci  servirsi  della 
stessa  persona  e  per  ammaestrare,  e  per  accompagnare 
i  ragazzi,  soggiunge,  che  quello  scellerato  presentatosi 
a  Camillo  gli  disse:  Falerios  se  in  manus  Romanis  tra- 
didisse,  cioè  che  col  consegnare  loro  i  fanciulli  gli  avea 
consegnato  la  città.  Così  i  Falisci  rimasero  in  pace  co' 
Romani,  fino  all'anno  401,  in  che  si  misero  insieme  co* 
Tarquiniesi  alla  testa  della  lega  etrusca  contra  Roma, 
e  si  portarono  alle  Saline  presso  la  foce  del  Tevere.  I 
Romani  elessero  allora  dittatore  Caip  Marcio  Rutilo; 
<|uestì  rimontando  il  corso  del  fiume ,  coli'  ajuto  delle 


20 

barche,  purgò  a  destra  e  a  sinistra ,  dove  fu  di  biso- 
gno, l'agro  romano  da' saccheggiatori  nemici,  e  s'impa- 
dronì ancora  del  campo ,  dove  fece  8000  prigioni.  La 
guerra  però  non  fu  terminata  che  cinque  anni  dopo  , 
allorché  stretti  i  Falisci  da  Quinzio,  ed  i  Tarquiniesi  da 
Sulpicio,  per  non  potere  più  sopportare  i  guasti  dati  ai 
loro  territorii  dai  soldati  romani  domandarono  ed  ot- 
tennero una  tregua  di  40  anni.  Livio  lib.  VIL  e.  XVIL 
e  XXIL  Essi  mantennero  fedelmente  i  patti  per  molto 
tempo,  e  Livio  lib.  X.  e.  XIV.  narra,  che  neiranno  457, 
dubitando  i  Romani  della  fede  degli  Etrusei,  da  Sutri, 
Nepi ,  e  Falerii  andarono  legati  a  Roma  ,  i  quali  assi- 
curarono il  senato,  che  le  adunanze  de'popoU  della  Etru- 
ria  altro  scopo  non  aveano  che  di  chiedere  la  pace.  La 
tregua  durò  fino  all'anno  461  cioè  16  anni  più  del  tem- 
po convenuto:  allora  essendosi  gli  Etruschi  messi  in  mo- 
vimento centra  i  Romani,  impegnati  nella  guerra  san- 
nitica,  i  Falisci  si  unirono  alla  lega,  e  commisero  osti- 
lità ,  onde  i  Romani  dopo  avere  invano  domandato  per 
mezzo  de'feciali  una  soddisfazione  conveniente,  intima- 
rono loro  la  guerra.  Questa  fu  condotta  dal  console  Car- 
vilio,  il  quale  sforzò  ben  presto  i  Falisci  a  domandare 
la  pace;  ma  non  venne  loro  accordata,  se  non  una  tre- 
gua annua  col  peso  di  pagare  cento  mila  nummi  di  bron- 
zo grave,  e  lo  stipendio  di  quell'anno  ai  soldati.  Livio 
lib.  X.  e.  XLY.  XLVL 

-^  Difficile  sarebbe  conoscere  la  causa,  perchè  i  Fali- 
sci ,  dopo  essere  rimasti  quieti  nella  mossa  fatta  dagli 
Etruschi  l'anno  470,  si  rivoltassero  l'anno  512,  in  che 
i  Romani  vincitori  de'  Cartaginesi  diedero  termine  alla 
prima  guerra  punica,  conchiudendo  il  trattato  di  pace, 
che  fece  di  una  parte  della  Sicilia  una  provincia  ro- 
mana. Leggesi  nella  epitome  di  Livio  lib.  XIX  questa 
rivolta,  e  come  entro  6  giorni  furono  ridotti  a  dovere^ 


21 

Faìisci  quum  rebellassent  sexto  die  perdomili  in  deditionem 
venerunt.  Non  altrimenti  Polibio  lib,  I.  e.  LXV.  narra, 
che  dopo  il  trattato  conchiuso  coi  Cartaginesi,  i  Roma- 
ni ebbero  una  guerra  contro  i  Falisci,  la  quale  termi- 
narono vantaggiosamente,  divenendo  in  pochi  giorni  pa- 
droni della  città.  Orosio  poi  lib.  IV.  e.  XII.  nota,  che 
i  Falisci  vi  perdettero  15,000  uomini  che  furono  ucci- 
si ,  ed  Eutropio  lib.  II.  e.  XVI.  aggiunge  che  furono 
multati  della  metà  delle  terre.  Secondo  questo  scritto- 
re ed  i  fasti  trionfali  capitolini  i  consoli  che  condusse- 
ro quella  guerra  furono  Q.  Lutazio  Cercone,  ed  A.  Man- 
lio Torquato  Attico  per  la  se(;onda  volta ,  ed  ambedue 
trionfarono:  Lutazio  il  dì  primo  di  marzo,  e  Manlio  il 
di  4  dello  stesso  mese.  Orosio  però  pone  questa  guer- 
ra 3  anni  dopo  nel  consolato  di  Tiberio  Sempronio  Grac- 
co, e  Publio  Valerio  Paltone;  ma  è  chiaro  che  1'  auto- 
rità de' Fasti  dee  meritare  maggior  fede.  Valerio  Mas- 
simo lib.  V.  e.  3.  §.  1.  narra,  che  volendo  il  popolo  ro- 
mano trattare  con  rigore  i  Falisci,  Papirio  segretario  del 
console,  e  che  per  ordine  del  console  stesso  avea  scrit- 
to l'atto  della  resa,  disarmò  lo  sdegno  del  popolo,  no- 
tando, che  i  Falisci  eransi  resi  non  al  potere ,  ma  alla 
fede  de'  Romani  ;  non  potestati ,  sed  fidei  se  Romanorum 
commisisse.  Zonara  Ann.  lib.  II.  ci  ha  conservato  con 
maggiori  particolarità  i  fatti  di  quella  guerra,  dicendo 
che  nella  prima  zuffa  la  fanteria  del  console  Torquato 
fu  messa  in  rotta,  e  che  questo  disastro  fu  compensato 
dal  vantaggio  che  riportò  colla  cavalleria.  Che  poscia  in 
una  seconda  battaglia  li  sconfisse,  e  tolse  loro  tutte  le 
armi,  i  cavalli,  le  suppellettili ,  gli  schiavi ,  e  la  metà 
delle  terre:  e  che  in  seguito  la  città  stessa  posta  sopra 
un  monte  forte  venne  spianata  e  riedificata  in  luogo  di 
facile  accesso  érspa  S^wxcdo/xvjSvj  suegjcSos.  Questo  passo 
è  molto  importante  per  la  topografia  di  questa  città,  e 


22 

coloro  che  hanno  voluto  riconoscere  in  Fallari  odierna 
la  Falerii  originale  de'  Siculi ,  non  sarebbero  caduti  in 
tale  equivoco,  se  lo  avessero  avuto  presente. 

Trasportata  così  Falerii  da  un  luogo  forte  ad  un 
luogo  piano  ,  i  Falisci  più  non  si  mossero.  Tito  Livio 
lib.  XXII.  e.  I.  ricorda  questa  città  ,  narrando  il  pro- 
dìgio che  ivi  apparve  l'anno  537  in  che  sembrò  vedere 
aprirsi  il  cielo,  ed  uscirne  una  gran  luce.  In  quel  pas- 
so non  viene  designata  come  colonia  ,  bensì  lo  è  nel 
trattato  de  Coloniis ,  che  si  attribuisce  a  Frontino ,  dal 
quale  apparisce  che  vi  fu  dedotta  una  colonia  dai  triam- 
viri  col  nome  di  Colonia  Junonia  Falisci. 

Facilmente  si  conosce  perchè  avesse  il  cognome  di 
lunonia,  riflettendo  al  culto,  che  i  Falisci  più  partico- 
larmente prestavano  a  Giunone  ,  ed  al  tempio  celebre 
di  quella  dea  eretto  in  Falerii  dai  coloni  argivi ,  del 
quale  parla  Dionisio  nel  passo  riportato  di  sopra.  Quin- 
di Ovidio  Fast.  lib.  VI.  v.  49.  chiama  i  Falisci  luno- 
nìcolae  ,  e  nella  elegia  XIII.  del  lib.  III.  Amorwn  de- 
scrive la  festa  che  a'suoi  giorni  continuava  a  celebrarsi 
ad  onor  della  dea  nel  recinto  della  primitiva  Falerii  , 
dove  secondo  il  costume  romano  ,  dopo  lo  smantella- 
mento della  città,  lasciarono  sussistere  il  tempio,  situa- 
to ,  come  afferma  il  poeta  ,  sopra  un  colle  di  accesso 
difficile: 

'        Dijjicilis  clivis  huc  via  praebet  iter. 
E  descrive  i  giuochi  celebri ,  che  in  tal  circostanza  sì 
davano,  e  il  bue  indigeno,  che  dovea  sagrificarsi,  e  un 
bosco  sacro,  nel  quale  era  il  tempio,  e  l'ara  antica  fat- 
ta senza  arte: 

Ara  per  antiquas  facta  sine  arte  manus. 
è  la  pompa  che  a  suon  di  tibia  andava  al  tempio,  pas- 
sando per  strade  velate:  e  le  giovenche,  i  vitelli,  i  por- 
ci, e  gli  arieti  che  doveano  scannarsi  ad  onor  della  dea; 


23 
alla  quale  però  era  invisa  la  sola  capra ,  per  la  tradi- 
zione mistica,  che  avesse  scoperto  dove  nella  selva  Giu- 
none si  era  nascosta,  onde  una  se  ne  lasciava,  che  con 
dardi  era  inseguita  da'  garzoni  ,  e  colui  che  la  feriva 
Tavea  in  dono.  Quindi  aggiunge,  come  spandevansi  dai 
giovani  e  dalle  donzelle  vesti  per  le  strade,  per  le  qua- 
li il  simuiacro  della  dea  dovca  passare,  e  come  le  ver- 
gini canefore  coi  crini  ornali  di  oro  e  di  gemme  e  co' 
calzari  dorati,  involte  in  una  ampia  palla,  velate  secon- 
do r  avito  costume  greco,  con  vesti  bianche  portava»© 
sul  capo  i  panieri  ,  che  contenenano  gli  oggetti  sacri^ 
arcani.  11  popolo  al  passare  delia  pompa  osservava  un 
religioso  silenzio;  questa  seguiva  le  vergini  8acerdote;s- 
;sc.  E  conchiude  il  poeta:  .  i>H'siin'if>'^ì^u 

,     Argiva  est  pompae  facies:  Agamemnone  caeso       iQ§S'] 

Et  scelus  et  palrias  fugit  Halesus  opes.  "'rSì 

lamque  pererratis  profugus  terragne,  fretoque,  ^^i.^ 

Moenia  felici  condidit  alta  manu.    <<  fP  j^^yj   MHrfya  li 
lUe  suos  docuit  Junonia  sacra  Faliscos.         \W   ò\ìyh 

Siiit  mihi  sint  populo  semper  amica  suo.        .<<,,.,, 

Durante  l'impero  romano  una  sola  lapide  io  cono- 
sco ,  dalla  quale  apparisce  che  Falerii  continuava  -,  ad 
essere  nello  stato  di  colonia:  essa  è  riportata  dal  Massa 
nella  opera  che  intitolò  De  Rebus  Faliscorum:  e  da  lui 
la  trasse  il  Grutero  pag.  CCLXXXVIII.  e.  1;  quantun- 
que sia  frammentata  si  conosce  appartenere  alla  classe 
delle  onorarie,  ed  eretta  ad  un  imperadore  del  princi- 
pio del  secolo  III.  dall'  ORDO  ET  POPVLVS  COLO- 
NlAE  FALISCORVM  per  cura  di  Tito  Hyrio  Settimio 
Agizo  personaggio  pretorio,  e  curatore  della  republica. 
I  fasti  de' martiri  ricordano  nello  stesso  secolo  terzo  il 
martirio  sofferto  in  Falerii  da  Graciliano  e  Felicissima 
vergine,  il  di  12  agosto.  Veggansi  i  martirologii  di  A- 
done   colle  note  del  Giorgi  ,  ed  il  Romano  con  quelle 


24 

del  Baronio.  I  loro  corpi  sono  oggi  venerati  in  Civita 
Castellana  ,  dove  furono  trasportati;  città  che  vedremo 
essere  sorta  sulle  rovine  di  Falerii  primitiva. 

La  colotiia  romana  continuò  ad  esistere  almeno  fino 
al  secolo  XI.  della  era  volgare.  In  fatti  l'Ughelli,  ed  il 
suo  commentatore  Coleti  Italia  Sacra  T.  X.  ricordano  i 
nomi  de' vescovi  della  chiesa  Falerina,  Faleritana,  e  Fa- 
leritanense  dall'anno  595  fino  al  1033,  incirca,  cioè:  Gio- 
vanni, che  fu  presente  ai  concilii  romani  del  595  e  del 
601:  Garoso  in  quello  del  649:  Giovanni,  che  sottoscris- 
se gli  atti  del  concilio  romano  del  679  e  la  epistola  si- 
nodica di  Agatone  nel  680:  Tribunizio,  che  interven- 
ne al  concilio  romano  nel  721:  Giovanni  che  segnò  gli 
atti  di  quello  del  743:  Adriano  nominato  in  quello  del- 
l'826:  e  Giovanni  in  quello  dell' 861,  ragunato  contro 
l'arcivescovo  di  Ravenna.  Al  conciliabolo  dell'anno  963 
assistè  un  vescovo  Falarensis,  del  quale  non  si  conosce 
il  nome.  Nel  978  si  ricorda  in  un  privilegio  di  Bene- 
detto VII.  Giovanni  vescovo  Faleritano  :  nel  concilio 
romano  dell'anno  1015  Crescenzio:  e  nel  1033,  da  una 
bolla  di  Benedetto  IX  papa  apparisce  la  unione  delle 
sedi  vescovili  di  Falerii  e  Civita  Castellana  ,  cioè  lo 
spopolamento  della  città  o  colonia  romana,  ed  il  ripo- 
polamento della  primitiva  Falerii;  imperciocché  in  essa 
trovasi  sottoscritto  VBenedictus  s.  Faleritanae  et  Castella- 
nae  Episcopus.  L'ultima  memoria,  che  ho  rinvenuto  del- 
l'essere ancora  abitata  questa  città  appartiene  al  1  lu- 
glio 1064  ed  è  in  un  documento  del  Registro  Farfen- 
se  n.  994  ,  nel  quale  è  sottoscritto  un  Teuzo  di  Cre- 
scenzio giudice  di  Fallari. 

E  circa  a  Civita  Castellana  ,  nel  registro  di  papa 
Gregorio  II.  pertinente  al  primo  periodo  del  secolo.  Vili, 
ed  inserito  da  Cencio  Camerario  nel  libro  dei  Censi,  edito 
dal   Muratori   nelle  Ani.  Med.    Aevi  T.  V.  col   827.  si 


25 
nomina  il  Monastero  di  s.  Silverio  nel  monte  Soratte, 
al  quale  fu  dato  in  enfiteusi  da  quel  papa  un  fondo 
denominato  Canciano  ex  corpore  Massae  Castellianae  pa- 
trimonii  Tusciae.  A  quella  epoca  pertanto  i  fondi  di  que- 
sta contrada,  pertinenti  alla  Chiesa  Romana,  formavano 
una  massa  denominata  Castellana ,  o  Castelliana  per  le 
molte  castella,  che  conteneva.  A  misura  però,  che  la  Fa- 
lerii  romana  si  andava  spopolando,  raccoglievasi  gente 
sulle  rovine  della  Falerii  primitiva  come  luogo  più 
inaccessibile  e  per  conseguenza  più  sicuro  in  que'tem- 
pi  di  scorrerie  continue;  e  questa  a  poco  a  poco  nel 
secolo  IX.  e  X.  formò  una  città,  che  dalla  massa  so- 
vraindicata  fu  detta  Civitas  Castellana  ,  nome  che  an- 
cora ritiene.  Infatti  fin  dall'  anno  997  si  nomina  negli 
atti  de'ss.  Abondio  ed  Abondanzio  un  Crescenziano  ve- 
scovo Civitatis  Castellanae,  che  trasportò  i  corpi  di  que' 
martiri  in  Civita,  dove  oggi  si  venerano:  e  poco  dopo 
nel  1015  un  Pietro,  che  sottoscrisse  il  decreto  di  papa 
Benedetto  IX  a  favore  di  Guglielmo  abbate  Fruttua- 
riense,  dopo  il  quale  le  sedi  di  Civita,  e  Falerii  fu- 
rono sotto  Benedetto  vescovo  unite  insieme  ,  come  fu 
indicato  di  sopra.  Sul  principio  del  secolo  seguente 
Pandolfo  Pisano,  nella  vita  di  Pasquale  II.  presso  i  Ktr. 
Ital.  Script.  T.  III.  P.  I.  p.  355,  narra,  come  quel  papa 
attaccò  colle  sue  genti  Civita  Castellana,  designata  come 
locum  natura  satis  munitum,  e  la  prese.  Era  allora  Ci- 
vita capo  di  un  contado  (Comitatus) ,  che  insieme  colla 
città  e  con  altre  terre  fu  oppignorato  1'  anno  1158  da 
papa  Adriano  IV.  a  Pietro  prefetto  di  Roma  ,  ai  suoi 
figli  Giovanni  ed  Ottaviano  ed  ai  suoi  coadiutori  ec.  per 
la  somma  di  1000  marche  di  argento,  eccettuando  però 
quello  ,  che  un  tal  Malavolta  avea  ricevuto  in  Civita 
dalla  Chiesa  Romana.  Questo  pegno  fu  fatto  per  com- 
pensare le  spese  incontrate  dal  prefetto  a  favore  della 


26 

Chiesa  ,  e  si  stabilì  di  redimerlo  a  cinquanta  marche 
l'anno,  cioè  in  20  anni.  Il  Muratori  nelle  Antichità  del 
Medio  Evo  Tomo  IV,  e.  31  riferisce  1'  istromento  ori- 
ginale di  questa  oppignorazione.  Secondo  que'  patti  il 
pegno  dovea  essere  intieramente  redento  1'  anno  1178; 
ma  non  lo  era  stato  neppure  nel  1195  ;  imperciocché 
da  tre  altri  istroraenti,  appartenenti  a  quell'  anno,  che 
si  leggono  nella  raccolta  muratoriana  sopraindicata  tomo 
I.  p.  143.  tomo  II  ,  pag.  809  e  seg.  si  trae  ,  che  la 
porzione  di  Pietro  de  Atteia  o  Attegio,  nominato  fra- 
gli  oppignora tarj,  fu  svincolata,  e  riceduta  alla  Chiesa 
allora  retta  da  papa  Celestino  III.  dalle  due  sorelle 
Costanza  e  Sibilla  di  lui  discendenti,  e  da  Giacinto  di 
Pietro  Diovisalvi  marito  di  Sibilla  ,  e  da'  suoi  fratelli 
Nicola  ed  Ottaviano,  il  dì  1  febbraio  di  quell'anno:  e 
che  ai  7  e  25  dello  stesso  mese  gli  eredi  delle  ragio- 
ni dotali  e  nuziali  di  Porpora  moglie  di  Pietro  prefet- 
to ,  p  sorella  di  Cencio  di  Romano  di  papa  cedettero 
al  papa  le  loro  porzioni  per  133  marche  e  mezza  di 
argento.  Nella  bolla  di  Onorio  III.  dall'anno  1217  in- 
serita nel  Bollarlo  Vaticano  T.  I.  p.  100.  e  seg.  si  ri- 
corda il  territorio  castellano,  nel  quale  si  pone  Morolo, 
si  unisce  insieme  col  falaritano ,  dove  si  parla  di  Fla- 
janellum. 

Il  passo  di  Zonara  Annoi,  lib.  IL  riferito  di  sopra 
apertamente  dichiara,  che  dopo  la  ultima  resa  di  Fa- 
lerii  la  città  primitiva  posta  sopra  un  monte  forte  ven- 
ne spianata,  e  che  in  sua  vece  un'altra  ne  fu  edificata 
in  un  sito  di  facile  accesso.  D'  uopo  è  pertanto  rico- 
noscere due  citta  di  Falerii  diverse,  una  di  fondazione 
argiva  demolita  dai  Romani  circa  l'anno  di  Roma  512, 
l'altra  di  costruzione  romana  rimasta  in  piedi  fino  al 
secolo  XI.  della  era  volgare.  La  caratteristica  lascia- 
taci   dal  greco  annalista    della  prima  città  è  di  essere 


27 
«opra  un  monte  dirupato  :  quella  della  seconda  di  es- 
sere in  piano.  Ora  tutti  concordemente  riconoscono  uno 
4Ìe  due  Falerii  a  Fallari ,  non  solo  per  la  somiglianza 
idei  nome,  ma  perché  rimane  ancora  in  gran  parte  l'an- 
tico recinto  (con  le  porte  e  le  torri  ,  e  ragguardevoli 
avanzi  del  teatro  e  di  altre  fabbriche  antiche.  Natu- 
ralmente però  si  affaccia  la  questione  a  quale  delle  due 
città  di  Falerii  queste  vestigia  debbonsi  attribuire  :  e 
coloro,  che  non  hanno  badato,  so  non  alla  somiglianza 
del  nome,  ed  alla  esistenza  delle  rovine,  vi  avvisaro- 
no la  primitiva.  Ma  questi  avanzi  sono  affatto  in  una 
pianura  :  le  mura  presentano  il  metodo  romano  di  for- 
tificazione, consistente  in  aver  torri  quadrilatero  equi- 
distanti, e  la  costruzione  di  massi  quadrilateri  di  di- 
mensione non  istraordinaria  di  pietra  vulcanica  locale: 
l'arenazione  delle  porte  è  di  stile  analogo  ad  altre  ope- 
re romane  arcuate  del  V.  e  VI.  secolo  di  Roma,  co- 
me pure  lo  sono  le  sculture  e  le  modinature:  e  final- 
mente il  teatro  e  le  altre  fabbriche  che  racchiudonsi 
da  questo  recinto,  sono  opere  pure  e  prette  romane; 
quindi  d'  uopo  è  conchiudere,  che  gli  avanzi  di  Fal- 
leri  sono  da  attribuirsi  alla  Falerii  romana  e  non  ai- 
l'argiva.  Dall'altro  canto  Civita  Castellana,  posta  in  un 
sito  forte  per  natura  ,  come  viene  descritto  il  Falerii 
primitivo  di  Plutarco  in  Camillo  e  di  Zonara ,  occupa 
certamente  il  sito  di  una  città  antica  ,  poiché  visibili 
in  varii  luoghi  sono  gli  avanzi  delle  mura  antiche  co- 
strutte di  massi  quadrilateri  lunghi  4  piedi  ,  alti  2 , 
cioè  più  considerabili  di  quelli  delle  mura  di  Fallari, 
come  pure  visibili  sono  molte  grotte  sepolcrali  di  ma- 
niera etrusca  di  là  dal  Ponte  del  Terreno  ,  nella  via 
antica  che  menava  verso  la  Falerii  posteriore.  Né  si 
sono  trovati  avanzi  romani  in  Civita,  come  si  veggono 
a  Fallari.  Ora  dunque,  se  Civita  è  in  sito  forte  ed  oc- 


28 

cupa  il  luogo  di  una  città  antica  non  ripopolata  dai 
Romani  ,  altro  non  può  essere  in  questa  parte  che  la 
Falerii  primitiva.  La  falsa  opinione  di  coloro  che  vi 
volevano  ne'  tempi  passati  riconoscere  il  sito  di  Veii 
non  merita  oggi  più  confutazione  ,  e  su  tal  proposito 
leggasi  ciò  che  nell'art.  VEII  ho  dichiarato.  E  quanto 
a  coloro,  che  vi  credettero  situato  Fescennium  ,  altra 
città  argiva  secondo  Dionisio,  e  Strabone,  a'tempi  dei 
quali  era  ancora  abitata,  questa  con  maggior  probabi- 
lità viene  collocata  a  Gallese  ;  che  se  devesi  ricono- 
scere a  Civita  Castellana,  oltre  ciò  che  si  è  notato,  do- 
vrebbe riconoscersi  pur  qualche  avanzo  romano,  sendo 
che  a'  tempi  di  Augusto  e  di  Tiberio  era  ancora  po- 
polata. 

Civita  Castellana  è  distante  da  Roma  per  la  stra- 
da postale  odierna,  detta  del  Furio,  poco  meno  di  mi- 
glia 38.  È  una  città  fortificata,  che  ha  2300  abitanti, 
ed  è  sede  vescovile,  e  di  governo  del  distretto  di  Vi- 
terbo ,  nella  delegazione  di  questo  nome  ,  e  provincia 
del  Patrimonio.  Il  colle  dirupato,  sul  quale  giace  è  iso- 
lato da  tutte  le  parti,  meno  verso  mezzodì,  ossia  ver- 
so Nepi  e  Monterosi ,  dove  si  unisce  ad  una  spianata 
per  mezzo  di  una  specie  di  istmo  :  scorrono  a  pie  del- 
la rupe  i  rivi  detti  Rio  Ricano  e  Rio  Maggiore,  che 
ivi  confluiscono  insieme  e  formano  il  fiume  Treia  che 
non  molto  dopo  cade  nel  Tevere.  Forte  così  per  natu- 
ra è  situata  in  guisa  da  poter  signoreggiare  il  nodo 
delle  strade  di  Nepi,  di  Acquaviva,  di  Ponte  Felice  , 
di  Amelia  ,  e  di  Viterbo.  Non  isfuggì  tale  importanza 
di  sito  a  papa  Alessandro  VI,  il  quale  commise  ad  An- 
tonio da  Sangallo,  fratello  del  celebre  Giuliano,  di  far- 
vi la  fortezza ,  che  oggi  ivi  si  vede ,  e  che  serve  di 
prigione  di  stato.  Oltre  questa  fortezza  e  le  vestigia 
delle  mura  antiche  ricordate  di  sopra,  Civita  non  pre- 


29 

senta  altro  edifizio  degno  di  osservazione,  che  la  chie- 
sa episcopale  ,  opera  del  secolo  XIII.  ed  il  bel  ponte 
fatto  edificare  dal  cardinal  Imperiali  nel  1712. 

Andando  da  Roma  a  Civita  Castellana,  dopo  il  pon- 
te di  Nepi,  che  è  circa  31  miglio  lungi  da  Roma,  la 
strada  postale  di  Nepi  a  Civita  sale  ad  un  ripiano;  pas- 
sa poco  dopo  sopra  un  ponte  un  rivo  influente  del 
fosso  Pozzolo,  al  quale  nella  carta  di  Litta  si  dà  il  no- 
me di  Falisco:  sale  quindi  ad  un'altro  ripiano:  scende 
ad  un'altro  ponte  circa  il  segno  migliare  32,  e  poi  per 
quasi  due  miglia  va  in  piano  attraverso  un  bel  bosco 
di  querele.  Poco  prima  del  miglio  34  si  passa  il  Ri- 
cano,  che  poi  per  quasi  quattro  miglia  costeggia  a  de- 
stra la  strada  incassato  in  ripe  profonde,  ed  imboschi- 
te. La  strada  di  là  fino  a  Civita  va  sempre  sopra  un 
dorso,  e  fino  dal  miglio  35  si  vede  da  lungi  Civita: 
il  Ricano  dopo  il  miglio  36  si  accosta  di  molto  alla 
via,  e  le  rupi  che  coronano  il  suo  corso  offrono  una 
bella  veduta  pittoresca:  dall'altro  canto  a  sinistra  la  vi- 
sta si  spazia  verso  i  gioghi  del  monte  Cimino.  Circa 
il  miglio  37  e  mezzo  si  passa  un  ponte  ed  un  quarto 
dopo  se  ne  tragitta  un'altro,  dove  a  sinistra  si  ha  la 
veduta  imponente  della  fortezza  ,  e  questo  annunzia 
l'ingresso  in  Civita. 

Da  Civita  a  Falleri  la  strada  odierna  per  un  mez- 
zo miglio  circa  è  quella  postale  del  Furio.  Uscendo  dal- 
la città  veggonsi  sulla  ripa  opposta  del  rio  Maggiore 
belle  rupi,  nelle  quali  sono  sepolcri  degli  antichi  Fa- 
lisci  :  a  sinistra  si  vede  un  ponte  :  a  destra  ravvisansi 
traccie  delle  mura  di  pietre  quadrate  dell'antichissima 
Falerii  sulla  sponda  destra  del  rivo.  Il  Soratte  colle 
sue  moltiplici  punte  acuminate  di  calcarla  maestosa- 
mente si  sviluppa  verso  oriente  e  di  là  da  esso  a  mag- 
gior distanza   spiegansi    dinanzi  gli  occhi  i  gioghi  ne- 


30 

vosi  della  Sabina,  frai  quali  vcdesi  spuntare  il  sole.  Poco 
dopo  aver  lasciato  sulla  stessa  mano  il  convento  de'cap- 
puccinj  si  volta  a  sinistra  per  andare  a  Falleri.  La  stra- 
da per  buone  3  miglia  e  moderna,  malagevole,  traccia- 
ta a  traverso  una  boscaglia.  Verso  il  quarto  miglio,  dove 
cominciano  a  travvedersi  le  mura  della  Falerii  romana 
s'incontrano  le  vestigia  della  strada  antica,  demolita  in 
parte  l'anno  1830. 

La  pianta  della  città  si  avvicina  alla  forma  trian- 
golare, col  vertice  troncato  verso  settentrione,  dove  è 
la  porta  detta  di  Giove  e  coU'angolo  orientale  retto  pu- 
re troncato.  Venendo  da  Civita  si  ha  primieramente  di 
prospetto  il  lato  meridionale,  dove  un  sepolcro  romano 
indica  l'andamento  della  via  antica,  ed  una  porta  è  ivi 
dappresso:  un'altra  n'è  nell'angolo  orientale,  oggi  ostrut- 
ta;  una  se  ne  osserva  in  mezzo  al  lato  orientale,  che  è 
quella  per  la  quale  oggi  si  penetra  nella  città,  e  presso 
a  questa  all'ingresso  è  un  tratto  di  pavimento  dell'an- 
tica via,  ed  a  sinistra  sono  ruderi  di  altri  sepolcri  ro- 
mani, uno  de'quali  è  piramidale:  la  quarta  porta  è  quel- 
la del  vertice  ,  detta  di  Giove.  Per  tutto  il  tratto  so- 
vraindicato  le  mura  presenlansi  con  imponenza,  a  segno 
che  presso  la  porta  di  Giove  hfivenne  un  pezzo  di  cir- 
ca 43  palmi  di  altezza  :  conservano  pure  le  torri  qua- 
drilatere ,  che  le  difendevano:  esse  sono  in  gran  parte 
in  piano  perfetto  e  ricordano  l'epiteto  gi>E<po^og  dato  da 
Zonara  alla  posizione  della  Falerii  romana.  Il  lato  oc- 
cidentale ,  che  è  dirupato,  lungo  il  quale  scorre  il  rio 
Miccino,  che  scende  dai  monti  di  Caprarola,  Carbogna- 
no  e  Fabbrica  per  riunirsi  circa  2  miglia  sotto  Falerii 
al  rio  Maggiore ,  questo  lato  ,  dissi  ,  non  conserva  che 
pochi  avanzi  delle  mura,  ma  sibbene  evidenti  traccio  di 
tre  porte,  una  non  lungi  da  quella  di  Giove  testé  no- 
minala rimanendo  il  solco  della  via,  che  si  dirige  verso 


31 

r  abbadia  abbandonala  di  s.  Maria  ,  V  altra  intermedia 
non  lungi  dal  teatro  ,  e  la  ultima  ,  o  la  settima  ha  il 
nome  di  porta  del  Bove  ed  è  presso  T'angolo  meridio- 
nale. Sette  pertanto  furono  le  porte  di  Falerii,  delle  qua- 
li quella  di  Giove  ,  e  quella  del  Bove  hanno  nome  la 
prima  dalla  testa  di  Giove,  l'altra  da  quella  di  un  toro 
scolpite  nella  chiave  dellarco. 

L'interno  della  città  offre  gli  avanzi  di  una  pisci- 
na, e  quelli  di  un  teatro  scavato  negli  anni  1829  o  1830, 
opera  veramente  romana,  e  del  tempo  di  Augusto,  dove 
molti  frammenti  di  statue  si  scoprirono,  ed  una  bella 
di  Livia  ,  fra  queste  ,  sotto  le  forme  della  Concordia , 
insieme  a  due  statue  frammentate  di  Caio  e  Lucio  ce- 
sari. Altri  ruderi  informi  si  veggono  fra  la  piscina  ed 
il  teatro:  e  due  tumuli ,  che  incontransi  fra  la  piscina 
e  s.  Maria  coprono  gli  avanzi  di  qualche  tempio.  Quan- 
to a  s.  Maria,  essa,  e  l'annessa  abbadia  ora  pienamente 
abbandonata  ,  ed  in  rovina  ,  furono  edificate  con  fran- 
tumi antichi  nel  secolo  XIL  La  chiesa  è  a  tre  navi 
divise  da  colonne:  sulla  porta  a  sinistra  vedesi  incas- 
sato un  capitello  antico  ornato  di  trofei  e  di  schiavi  : 
ivi  pure  si  legge  la  epigrafe  seguente  del  secolo  XIIL 

#"'■■  ■■•■' 
-H  LAVBENTI  -f-  HOC  OPVS 

VS.CVMIACO  Q  INTAVALL 

BO  FILIO  SVO.  FIERI  FECI!      # 

FECIT.HOC  OPVS  ^ 

Forse  in  questi  dintorni  fu  un  tempio  antico,  che  for- 
nì i  materiali  alla  chiesa.  Presso  di  questa  è  la  porta 
di  Giove  più  volte  ricordata,  che  è  la  più  conservata, 
essa  è  rivolta  a  nord-est  e  conserva  le  traccie  della  sa- 
racinesca, colla  quale  chiudevasi. 


32 

FANVM  VACVNAE  v.  ROCCA  GIOVANE 

FARA. 

Terra  della  Sabina  circa  35  miglia  distante  da  Ro- 
ma situata  sulla  punta  settentrionale  del  monte  Buzio, 
residenza  di  Governo  nella  Comarca  ,  la  quale  conta 
1152  abitanti.  11  suo  nome  longobardico  chiaramente 
dimostra  essere  sorta  durante  il  loro  dominio.  Imper- 
ciocché Paolo  Diacono  lib.  IL  e.  IX  ci  ha  lasciata  la 
memoria,  che  farà  chiamavano  i  Longobardi  una  fami- 
glia, dicendo  che  Gisolfo  nipote  di  Alboino,  creato  dal 
zio  duca  del  Friuli,  dichiarò  non  volere  assumere  que- 
sto commando  prima  che  non  gli  fosse  stato  permesso 
di  scerre  quelle  fare  ,  hoc  est  generationes  ,  vel  lineas  , 
de'Longobardi,  che  avesse  voluto.  E  questo  passo  di  Pao- 
lo viene  illustrato  dalla  Cronaca  Cassinense  lib.  I.  e. 
XXXIV.  XXXV.  lib.  IL  e.  XXXI  nella  quale  leggonsi 
ricordate  la  Fara  Maionis  ,  la  Fara  Biana  ,  la  Fara  de 
Laento,  e  la  Fara  Ripa  Ursa:  forse  anche  questa  ebbe 
un  cognome  che  coH'andare  del   tempo  si  è  perduto. 

Or  dunque  da  una  di  tali  Fare  de'Longobardi,  che 
in  questo  luogo  si  stabilì  nel  secolo  VII.  ebbe  nome  la 
terra,  che  ivi  successivamente  si  formò,  e  che  dopo  es- 
sere stata  posseduta  da  varie  famiglie  fu  nel  1052  do- 
nata al  monastero  di  Farfa  ivi  adiacente.  Di  tal  dona- 
zione si  legge  un  ricordo  del  Registro  Farfense  n.  858 
riportato  più  volte  dal  Galletti  nel  suo  Gabio,  dal  qua- 
le apparisce,  che  Martino  prete,  col  consenso  di  Rinie- 
ri  di  Crescenzio  suo  avvocato ,  per  rimedio  dell'  anima 
propria  e  di  Giovanni  soprannomato  Tinto  ,  di  Botone 
di  lui  fìglìuolo,  e  di  Gerguisa  moglie  di  Tinto,  e  d'Itta 
vedova  di  Botone  ,  concede  al  monastero  di  Farfa  il 
castello  della  Fara,  cum  muris  terris  ce.  e  se  ne  deter- 


33 
minano  i  confini.  Sembra  però  che  questa  donazione  fosse 
contrastata  da  Rustico  altro  figlio  di  Crescenzio  e  fratello 
di  Rinieri;  imperciocché  troviamo  nel  Reg.  Farf.  n.  1086 
un'altro  documento  riportato  dal  Fatteschi  nell'appendice 
p.  339  dal  quale  apprendiamo  che  nel  1084  Rustico  re- 
stituì col  consenso  di  Gemma  sua  moglie  il  castello  della 
Fara  ai  monaci,  permutandolo  con  altri  beni,  che  Ten- 
gono ivi  indicati.  Questa  restituzione  ebbe  il  suo  adem- 
pimento intiero  l'anno  1104  siccome  si  ricava  da  un'al- 
tro documento  dei  Reg.  Farf.  n.  1168  riportato  dal  lo- 
dato Fatteschi  p.  344.  Contemporaneamente  però  i  mo- 
naci lo  diedero  in  enfiteusi  a  Rerardo  figlio  di  Rustico 
stesso,  e  ad  Agnese  sua  moglie.  Veggasi  il  Galletti  nella 
opera  sovrallodata  di  Gabio,  che  ne  riporta  i  documenti 
estratti  dall'Archivio  Farfense.  In  un  documento  ripor- 
tato dallo  Sperandio  nella  sua  Sabina  Sagra  e  Profana 
p.  324.  leggesi  il  nome  di  un  conte  Corrado  della  Fara 
cavaliere  dell'  ordine  di  Calatrava.  Io  non  so  se  costui 
fosse  conte  della  Fara  stessa,  come  Nerola  ed  altre  terre 
della  Sabina  aveano  i  loro  :  in  tal  caso  sembra ,  che  a 
quella  epoca  i  monaci  eransi  spogliati  del  suo  dominio. 
Comunque  sia  è  certo,  che  dopo,  tornò  di  nuovo  al  pos- 
sesso di  quella  terra  il  monastero  ,  e  poscia  passò  in 
pieno  dominio  della  camera  apostolica. 


'ììf 


FELICE  -  ALEXANDRINA. 


È  una  delle  acque  che  forniscono  Roma,  della  quale 
in  parte  fu  trattato  nell'articolo  ALESSANDRINA  To- 
mo L  p.  119,  dove  notossi  che  venne  condotta  da  Ales- 
sandro Severo  per  uso  delle  terme  da  lui  edificate ,  e 
che  fu  ricondotta  da  Sisto  V.  l'anno  1585,  cioè  nel  pri- 
mo anno  del  ^uo  papato.  vitiq  jih  ,  ...  ni  -  i 
»:;^,,  La  opera  èssendo  vastissima,  per  quanto  grandi  fos- 

3 


34 

sero  le  idee  di  quel  papa,  no  rende  più  sicuri,  che  era 
stata  cominciata  sotto  Gregorio  XIII  suo  predecessore; 
infatti  è  noto  che  sotto  quel  papa  una  compagnia  d'in- 
traprendenti, fatti  gli  esami  e  le  indagini  necessarie  pron 
pose  di  condurla  a  spese  proprie  in  Roma  fino  alle  Ter- 
me Diocleziano  per  poi  venderla.  Tal  progetto  fu  ap« 
provato  da  Gregorio  XIII;  ma  essendo  morto  quel  papa, 
Sisto  V.  salito  al  soglio  die  compimento  al  lavoro,  ma 
a  proprie  spese,  segnandone  il  decreto,  allorché  prese 
possesso  della  Basilica  Laterancnse.  Architetto  ne  fu 
Matteo  da  Castello  adoperato  in  varii  lavori  da  Grego- 
rio XIII.  e  particolarmente  a  rifare  il  ponte  allora  de- 
nominato di  s.  Maria,  ed  ora  Ponte  Rotto.  Quell'  archi- 
tetto non  fu  molto  felice  nelle  opere  da  lui  intraprese, 
e  come  il  ponte  crollò  non  molti  anni  dopo,  così  la  li- 
vellazione dell'acqua,  che  dovea  chiamarsi  gregoriana,  e 
che  poscia  fu  appellata  Felice,  perchè  Sisto  V.  chiama- 
vasi  Felice  Peretti  prima  di  esser  papa  ,  ancor  essa 
mancò. 

Imperciocché  egli  allacciò  soltanto  le  vene,  che  na- 
scono nella  tenuta  di  Pantano,  e  che  formavano  l'acque- 
dotto alessandrino,  unitamente  ad  alcune  altre  scaturi- 
gini, che  sorgono  un  poco  più  oltre  di  valle  Marchet- 
ta, nella  contrada  denominala  Pantanello.  Volendo  però 
a  minorazione  di  spese  profittare  presso  Roma  degli 
antichi  acquedotti  della  Marcia,  e  della  Claudia  ne  ven- 
ne un  difetto  nel  livellamento,  che  impedì  all'acqua  di 
scorrere  ,  e  tornò  indietro.  Matteo  temendo  il  risenti- 
mento di  Sisto,  che  gli  avea  fornito  uomini  e  danari, 
quanti  ne  avea  domandato  ,  fuggi  nel  regno  di  Napoli. 
Il  papa  die  allora  la  cura  di  tale  opera  a  Giovanni  Fon- 
tana, e  questi,  col  ricercare  altre  sorgenti  abbondanti 
più  in  alto,  che  potessero  dare  la  spinta  a  quelle  di 
già   allacciate,  rie  trovò  tante,  che  ài  dire  del  Baglioui 


35. 
accrebbe  di  più  di  due  terzi  il  voJuine.  doli-acquaie  cosi 
ottenne  lo  scopo.  ;•       h    •  .'  i  '-^:    » 

(}f  Le  sorgenti  più  lontane  raccolte  da  Giovanni  Fon- 
tana sbucciano  sotto  la  Terra  della  Colonna  a  destra 
biella  strada  di  Zagarolo,  circa  15  miglia  fuori  di  por- 
ta Maggiore.  Queste  unisconsi  a  quelle  di  Pantanello^ 
allacciate  da  Matteo  da  Castello,  e  dopo  2  miglia  e  mez- 
zo entrano  nel  bottino  maggiore  di  Valle  Marchetta  , 
mentre  per  la  strada  il  rivo  riscuote  il  tributo  di  altre 
scaturigini,  delle  quali  quel  suolo  di  lava  basaltica  ab- 
bonda. Un  miglio  dopo  nel  luogo  denominato  la  Ca- 
ditora  si  unisce  questo  tronco  a  quello  delle  oncie  tre- 
cento venti  raccolte  da  Urbano  Vili,  nella  gran  rifolta 
detta  di  Pantano.  Quindi  per  la  contrada  denominata 
il  Finocchio,  per  Torre  Vergata,  traversata  la  strada  di 
Frascati  si  dirigge  verso  la  Festicciola  di  Marino  dopo 
15  miglia  di  rivo  sotterraneo.  Di  là  sempre  sopraterra 
giunge  a  Roma  passando  per  Roma  Vecchia ,  àom  co- 
mincia la  opera  arcuata,  Tor  Fiscale,  Porta  Furba,  Por- 
ta Maggiore  e  Porta  s.  Lorenzo.  Presso  porta  Maggio- 
re l'acquedotto  è  addossato  alle  mura  della  città  e  cosi 
continua  fino  a  porta  s.  Lorenzo,  dove  entra  in  Roma, 
e  per  la  villa  già  Peretti,  poi  Negroni,  ed  oggi  Massi- 
mi arriva  al  gran  castello  dietro  la  fontana  detta  di 
Termini  e  del  Mosè  dopo  22  miglia  di  corso.     ■''  ■>  Iv 

Presso  porta  Maggiore  una  parte  di  quesl'  acqua 
vien  derivata  verso  il  Celio,  lungo  l'antico  acquedotto 
neroniano  fino  a  s.  Giovanni  Laterano  ,  e  di  là  da  s. 
Giovanni  fino  alla  villa  un  di  Mattei,  ed  il  giardino,  e 
convento  de'ss.  Giovanni  e  Paolo.  ;   n'i'iui"  a 

La  spesa  di  questa  opera  fu  significante:  il  C!as9ÌO: 
dice,  che  il  primo  lavoro,  quello  cioè  eseguito  da  Mat- 
teo da  Castello,  costò  100,000  scudi  compresi  25,000 
dati  in  compenso  ai  Colonna  pe'.  tagli  e  tasti  fatti  per 


36 

le  vene  da  condursi ,  lavoro  eseguilo  da  2000  operai  ; 
e  che  i  lavori,  sotto  la  direzione  del  Fontana,  per  te- 
stimonianza di  Francesco  Fontana  ,  occuparono  4000 
operai.  In  totalità  la  spesa  ascese  a  scudi  300,000. 

Secondo  le  osservazioni  fatte  dal  Vici  l'anno  1809, 
e  riferite  da  Rondelet  nell'  aggiunta  alla  sua  traduzio- 
ne di  Frontino  ,  quest'  acquedotto  forniva  allora  in  24 
ore  1,843,200  palmi  cubici  di  acqua,  cioè  727,344  on- 
eie,  ossia  2978  quinarie  antiche. 

FERENTINAE,  AQVA,  LVCVS  v.  MARINO. 

FERRATÀ-AD  LAMINA»,  AD  LAMNAS 

^'  3lqua  Sttxaia.  '^ttm  òt  Iettata. 

È  un  bel  ruscello  ricco  di  acque  limpide  e  peren- 
ni, del  quale  si  fa  menzione  la  prima  volta  in  una  car- 
ta dell'anno  775  della  era  volgare.  Da  quel  documenta 
apparisce  che  fu  donato  in  quell'anno  al  monastero  su- 
blacense^  insieme  con  altri  fondi  da  Cesario  console,  e 
duca.  Successivamente  se  ne  fa  menzione  nel  placito 
dell'  anno  983  ,  riferito  dal  Muratori  nelle  Ant.  Medii 
Aevi  T.  I.  p.  380,  e  nella  bolla  di  Gregorio  V.  dell'an- 
no 996  riportata  dallo  stesso  scrittore  p.  943.  L'Olste- 
nio  saviamente  opina,  che  il  nome  di  Ferrata,  dato  al 
rivo,  tragga  origine  da  quella  sorgente  di  acqua  mine- 
rale ferruginosa,  che  scaturisce  presso  la  via  consolare 
a  sinistra  poco  prima  di  giungere  al  ponte  e  si  mesce 
col  ruscello  maggiore  poco  dopo.  Le  sorgenti  del  rivo 
probabilmente  hanno  la  origine  primitiva  dai  laghi  di 
Percili,  ma  non  compariscono,  se  non  fra  Colle  Satur- 
no 0  Monte  Peschioso  di  là  dal  villaggio  di  Scarpa:  esso 


18 

va  ad  influire  nell'  Anione  sotto  alla  via  Valeria  fra  le 
osterie  dette  della  Spiaggia  e  della  Ferrata  ,  dopo  un 
corso  di  circa  5  miglia.  Traversa  la  via  publica  circa 
33  miglia  lontano  da  Roma  dove  è  un  ponticello  mo- 
derno. Sembra  ,  che  ne'  tempi  antichi  fosse  in  questo 
luogo  un  arco  monumentale,  di  che  fassi  menzione  nel- 
le bolle  di  Gregorio  IV  dell'anno  833,  e  di  Niccolò  I. 
dell'anno  864,  riportate  nel  tomo  I.  del  Bollarlo  Roma- 
no p.  172.  e  198;  nel  placito  del  983  ,  nella  bolla  di 
Gregorio  V.  del  996,  ed  in  quella  di  Pasquale  II.  del- 
l' anno  1115  conservateci  dal  Muratori  nella  preziosa 
raccolta  delle  Antichità  del  Medio  Evo.     ->ì*^;.;'»m^*.  '*" 

Il  ponte  sovraindicato  è  nel  nodo,  in  che  riuhiscbn^ 
si  il  sentiero,  che  mena  al  villaggio  di  Scarpa,  la  stra- 
da che  conduce  a  Riofreddo,  e  la  via  valerla:  e  per- 
ciò fu  designato  ,  come  confine  de'  beni  del  monastero 
da  questa  parte  ne'  documenti  sovrallegati. 

Nella  carta  itineraria  detta  teodosiana  e  peutinge- 
riana  5  miglia  distante  da  Varia  verso  Subiaco  è  no- 
tata la  stazione  di  Ad  Lamnas  ossia  ad  Lamina»  ,  la 
quale  traeva  nome  da  una  massa,  o  aggregato  di  fon- 
di che  Costantino  donò  al  Battisterio  lateranense  ,  sic^ 
come  ricavasi  da  Anastasio  bibliotecario  nella  vita  di 
Silvestro  I:  in  alcuni  testi  di  quel  biografo  per  errore 
del  trascrittore  leggesi  in  luogo  di  Lamnas,  o  Laminas, 
Laninas,  come  nell'Anonimo  ravennate  Lauinas;  e  quel- 
la massa  ricordata  dal  Bibliotecario  si  dice  parte  del 
territorio  carseolano.  Ma  è  certo  che  Varia  corrisponde 
a  Vicovaro  ,  dunque  le  5  miglia  coincidono  colla  Fer- 
rata, ed  ivi  si  dee  riconoscere  la  stazione  ad  Laminas: 
è  certa  altresì  la  posizione  di  Carseoli  esistendone  i  ru- 
deri nel  piano  del  Cavaliere,  e  perciò  la  Massa  veniva 
costituita  dai  territori!  di  Scarpa ,  Roviano ,  Arsoli  ,  e 
Riofreddo.  La  massa  che  dava  nome  alla  stazione,  sem- 


38 

bjra- averlo  tratto  ossa  stessa  da  qualche  città  preceden- 
temoole  esìstente  e  distrutta  :  e  questa  io  ho  scoperta 
nell'anno  1825  sulla  falda  del  monte  che  sovrasta  alla 
ì(ia.  fràlle  Frattocce  e  Ferrata  ,  dove  vcggonsi  ancora 
Aracele  dell'antico  recinto  costrutto  in  parte  di  poligo- 
ni, in  parte  di  massi  quadrilateri,  e  tutti  di  calcaria  ed 
un  angolo  ancora  facilmente  si  ritrova.  Questa  città,  che 
«ra  Cèrtamente  degli  Equi,  fu  uno  de' 44  oppidi  presi 
e.  disfatti  dai  Romani  l'anno  451  di  Roma,  siccome  nar- 
ra Livio  lib.  IX.  cap.  XLV ,  nel  soggiogamento  defini- 
U*ò  di  quella  nazione  indomita,  ed  il  suo  territorio  ven- 
ne aggregato  a  quello  della  colonia  romana  di  Carseo- 
IL  fondata  poco  dopo  in  luogo  opportuno  a  ritenere  le 

le«r^  «JOnqifiSftatCé.,     ,^;  .... . 

-T»q  a  :  f.ìiAi)r  nìr  f\  "  ..oM»'itV»iH  •;  rr»rn:JOi  'i/?  ;  !;i« 
mvifcunojn  lob  iauò.    FERRONEA.  V  ,|.  u:  ..»:  > 

_.,v  f;;ÌJ.iHn.,tcniqle^to  di  circa  rubbia  37,  pertinente  agli 
^Ijlicri,. chiuso  .entro  i  terrilorii  di  s.  Angelo  in  Capoc- 
jcia  e  di  Monticelli  ,,  e  posto  nella  giunzione  delle  due 
strade  ,  che  da  Roma  per  la  porta  s.  Lorenzo  condu- 
jcono  a  Monticelli  y  circa  14  miglia  distante  da  Roma, 
ih  Jiliv  r.llitfl  ùhn'ìu\\ii\ii'u{  (lUr.ì'^nnl.  lU  i>«iiì)h  '•nurì 
flvmj  'i'Hi      FESCENNIVM  v.  FALERIL 

^atò'uujA  <>  .:-'.■: un. ^..l    iv  !  ■;' 

-loi/p  ')  ;  'AvuVviwi  'jiiUHìi  Fi  ANO.     . 

loh  o]ir,(|  jj-jili  i,^  oiir.'>DlmI(liJ[  Ir.b  iiU,\ri<yn-{  iV-.-r.\n  k' 
Hbnoqy.iTKJt  i:i'ifi7   •     ^j    ♦  >• 

-r,H  Bilu.  oaobÌM,i.  .4APn"»^%.,...      .    ..   . 

:sir)uiwv',.ì    itfi  vnoivf;'^  <^!  0'i'>'v,Ofw>')lT  of*h   i'-   \n   '*'r  .'.Uv 

-ir%  Terra  della  Comarcà,  net  distretto  di  Roma  e  go^ 
Verno  di  Castel  Nuovo  di  Porto  con  591  abitanti  y  di- 
latante da  Roma  circa  24  miglia,  per  la  via  tiberina,  pro- 
;i^i'ietà  con  titolo  dì  ducato    degli    Ottoboni.    Ne'  secoli 


scorsi  volle  derivarsi  il  nome  di  questa  terra  dalla  pa- 
rola latina  Fanum  e  si  volle  alludere  al  Fanum  Fero- 
niae,  celebre  santuario,  coramune  ai  Capenati,  agli  altri 
Etruscij  ed  ai  Sabini,  e  di  questa  opinione  fu  il  Clu- 
verio,  il  quale  aggiunge  in  prova  della  sua  congettura 
di  essersi  trovate  in  Fiano  stesso  alcune  lapidi;  ma  va- 
glia il  vero  questa  sua  asserzione  fu  smentita  dall'  in- 
defesso Galletti  ,\  che  nella  dissertazione  sopra  Capena 
p.  34  notò  la  insussistenza  di  tale  ritrovamento,  ed  inol- 
tre, che  il  nome  de'bassi  tempi  di  questo  fondo,  essen- 
do quello  di  Flaianum  ,  troppo  chiaramente  dimostra 
trarre  origine  da  Flavianum ,  e  dalla  gente  Flavia  che 
lo  possedette,  e  che,  malgrado  la  vicinanza,  non  ha  né 
punto,  né  poco  che  fare  co'  Flaviniaque  arva  di  Virgi- 
lio, o  la  Flavina  del  suo  imitatore  Silio  Italico.'.r;  oìùo 
Quello,  che  non  può  porsi  in  dubbio  è  che  un  do- 
cumento dell'anno  1074,  quale  si  è  la  bolla  di  Grego- 
rio VII.  a  favore  de'monaci  di  s.  Paolo,  dimostra,  che 
a  quella  epoca ,  era  un  castrum  di  pertinenza  di  quel 
monastero.  A  questo  Io  tolse  poco  dopo  Teobaldo  di  Cen- 
cio di  Stefano;  ma  dopo  la  sua  morte  i  suoi  figliuoli  Cen- 
cio e  Stefano  lo  restituirono  al  monastero  l'anno  1099, 
come  risulta  dall'atto  originale  di  tale  restituzione,  edito 
dal  Galletti  nella  opera  testé  nominata  sopra  Capena  p. 
59.  Il  monastero  contemporaneamente  lo  die  in  enfiteu- 
si ai  medesimi  figli  di  Teobaldo ,  come  si  trae  da  liin 
altro  documento  riportato  dallo  stesso  scrittore  p.  62. 
Sembra,  che  costoro  non  adempiessero  i  patti  della  en- 
fiteusi ,  poiché  nel  1139  i  monaci  portarono  i  loro  re- 
clami al  concilio  lateranense  ,  onde  ricuperarlo  insieme 
con  altre  terre  tolte  al  monastero.  Fu  in  seguito  con- 
fermato al  monastero  stesso  da  papa  Innocenzo  III.  l'an- 
no 1203,  come  si  trae,  dalla  sua  bolla  edita  dal  Mar- 
garini T.  I.  Da  altri  documenti  riferiti  dal  Galletti  ap-^ 


40 

parìsce  ,  che  nel  secolo  XIV.  questa  tèrra  venne  per 
metà  in  potere  degli  Orsini,  e  che  T altra  metà  col  fa- 
vore di  Giovanni  Sanguigno  cognato  di  Paolo  Orsino 
circa  Tanno  1405  fu  venduta  allo  stesso  Paolo  per  soli 
1100  fiorini.  Gli  Orsini  col  titolo  di  contea  l'hanno  ri- 
tenuta fino  all'anno  1600,  quando  il  conte  Alessandro 
k  vendette  a  Caterina  de'  Nobili  madre  del  cardinale 
Francesco  Sforza  per  77  mila  scudi  ;  questi  venutone 
al  possesso  ottenne  da  papa  Paolo  V.  che  fosse  eretto 
in  ducato  l'anno  1607.  e  ne  die  il  titolo  a  Sforza  suo 
figlio,  che  Io  godette  fino  alla  morte;  il  fondo  però  fu 
nel  1621  venduto  dallo  stesso  cardinal  Francesco  per 
220  mila  scudi  ad  Orazio  Ludovisi  fratello  di  Grego- 
rio XV.  I  Ludovisi  lo  hanno  ritenuto  col  titolo  di  du- 
cato nel  secolo  XVII.  finché  per  vendita  lo'  cedettero 
agli  Ottohoni.  Veggasi  il  Ratti  Della  Famiglia  Sforza  , 

T.  I.  p.  aia 

u)  ,  i  nCA^A-DRAGONCELLO. 

FestònèHa  voce  Pmi/w  dice;  Puilià  saxa  esse  ad 
portum,  qui  sit  secundum  Tiberini,  ait  Fabius  Pictor:  quem 
locum  putat  Labeo  dici,  ubi  fuerit  Ficana,  via  ostiensi  ad 
lapidem  XI.  Erano  pertanto  chiamate  col  nome  di  Pui- 
lià saxa  certe  rupi  sul  Tevere  ,  presso  una  specie  di 
porto,  che  ivi  il  fiume  formava,  sulla  via  ostiense,  un- 
dici miglia  fuori  della  porta  antica  Trigemina  ,  donde 
usciva  quella  via,  ed  ivi  secondo  Labeone  era  stata  Fi- 
cana.  Ora  il  corso  del  fiume,  la  distanza  di  11.  miglia 
da  Roma,  e  la  circostanza  di  rupi  dominanti  il  Tevere, 
in  un  punto  solo  coincidono,  cioè,  presso  al  casale  del- 
la tenuta  di  Dragoncello,  e  per  conseguenza  ivi  e  non 
a  Trafusa,  o  a  Trafusina,  come  altri  supposero,  fu  con 
molta  *  probabilità  Ficana ,  città  di  cui  non  si  conosce  , 
se  non  il  iiome,  la  posizione,  e  l'eccidio  fattone  da  An- 


41 
eo  Marcio,  ricordato  da  Dionisio  lib.  III.  e.  XXXVIII. 
e  Livio  lib.  I.  e.  XIII.  l'anno  di  Roma  118.  E  quanto 
al  primo  di  questi  scrittori  è  solo  per  equivoco  de*  co- 
pisti, che  si  trova  cangiato  il  nome  de'Ficanesi,  e  di  Fi- 
cana  con  quello  de'Fidenati,  e  di  Fidene,  che  era  in  una 
parte  opposta. 

La  città  probabilmente  fu  fondata  dagli  Aborigeni, 
che  scelsero  la  ultima  lacinia  del  dorso  oggi  conosciuto 
in  questa  parte  col  nome  di  monti  di  s.  Paolo  ,  e  che 
colle  opposte  lacinie  di  Pisciarelli,  e  Ponte  Galera  chiu- 
de il  varco  in  guisa,  che  d'uopo  è  riconoscere  in  que- 
sto punto  la  primitiva  foce  del  Tevere,  nella  stessa  gui- 
sa, che  ne*  tempi  imperiali  la  determinavano  le  città  di 
Ostia  e  di  Porto.  Questo  punto  non  potè  trascurarsi  da- 
gli Aborigeni,  o  dai  Latini,  come  quello  opposto  dagli 
Etrusci,  affine  di  poter  signoreggiare  la  foce  del  fiume, 
che  irrigava  le  loro  terre,  onde,  come  gli  Aborigeni,  o 
i  Latini  fondarono  Ficana ,  anche  gli  Etrusci  doverono 
fondare  una  qualche  altra  terra  sulla  sponda  opposta 
presso  Ponte  Galera.  Anco  Marcio,  che  prese  questa  cit- 
tà ai  Latini,  come  pure  tutta  la  opposta  sponda  ai  Ve- 
ienti-Etrusci,  in  una  epoca,  in  che  non  avea  più  quél- 
la  primitiva  importanza,  perchè  il  Tevere  sboccava  nel 
mare  cinque  miglia  più  oltre  ,  trasportò  gli  abitanti  di 
Ficana  a  Roma  e  popolò  con  essi  e  cogli  altri  popoli  la- 
lini  vinti  il  colle  Aventino,  e  lasciata  deserta  la  città  ne 
assegnò  le  terre  alla  colonia  romana,  che  fondò  a  sosti- 
tuzione di  Ficana  sulla  foce  del  Tevere,  come  allora  tro- 
vavasi  protratta,  e  chiamolla  Ostia.  ■'   l^■.ì■'^ 

-;  Inutile  è  dire,  che  avanzi  di  questa  città  desolala 
fin  da  2472  anni  fa,  non  rimangono,  ma  quello  che  non 
potevano  i  secoli  abolire,  la  natura  de'luoghi  fa  ben  ri- 
conoscere a  chi  ha  l'occhio  pratico  in  tali  ricerche,  che 

'ììì'ìh    i- (;,i>;  '-1(1    j'Li'.    Ì\->o'><^    i'    0    fHW:    huhlm    '•«:»il«0  > 


42 

il  sitò  di  Dragoncello  ù  quello  di  una  città  de'lcmpi  pri- 
mitivi di  questa  parte  d'Italia. 

All'articolo  DRAGONE  notai  essere  stato  questo  il 
nome  commune  di  tutto  il  tratto  dell'Agro  Romano,  fra 
il  Tevere ,  a  partire  del  confluente  in  esso  del  rivo  di 
Malafede,  ed  il  territorio  di  Ostia,  durante  i  secoli  XI, 
XII j  e  XIII,  nome  che  derivò  da  un  qualche  Draco,  che 
ne  fu  il  proprietario,  e  che  perciò  lo  fé  chiamare  Fun- 
dus  Draconis,  come  si  chiamò  Mons  Draconis,  quello  che 
oggi  appelliamo  Monte  di  s.  Paolo j,  perchè  proprietà  de* 
monaci  di  s.  Paolo  fino  dal  secolo  XI.  Ora  questo  si 
suddivise  in  Dragone,  e  Dragoncello  ,  come  avvenne  di 
altri  fondi  dell'  Agro  Romano  suddivisi  in  Tragliata  e 
Tragliatella ,  Solfarata  e  Solfaratella ,  Mandria  e  Man- 
driola  ec.  Dragoncello  stesso  si  suddivise  in  due,  allor- 
ché una  parte  ne  venne  alienata  dal  Monastero  di  s. 
Paolo,  e  questi  due  tenimenti  nel  secolo  XVI.  erano  de- 
signati co' nomi  de' proprietari  rispettivi,  Dragoncello  s. 
Paolo,  e  Dragoncello  Naro.      ììmIìì;  Mi^ìiy;^;^  •  air  'j'itìLnnì 

Dragoncello  s.  Paolo  confina  contenimenti  di  Mala- 
fede, di  Dragoncello  Naro,  e  col  Tevere:  ha  369  rub- 
bia  di  estensione  divise  nelle  riserve  denominate  il  Pra- 
to, Piani  di  Monte  Cunio,  Valle  Porcina,  Fontaniletto,  e 
quarto  di  Monte  Cunio. 

Dragoncello  Naro  sul  finire  del  secolo  XVII.  appar- 
teneva ancora  alla  famiglia  di  questo  nome,  siccome  si 
trae  dalla  Carta  di  Ameti  data  in  luce  l'anno  1693.  Po- 
co dopo  fu  acquistata  dalla  famiglia  Spada,  poiché  nella 
Carta  del  Cingolani  del  1704  a  quella  famiglia  si  asse- 
gna. In  seguito  nel  secolo  passato  fu  acquistato  dai  Ma- 
rescotti,  e  da  questi  venduto  l'anno  1816  ai  De  Ange- 
lis.  Confina  questa  tenuta  col  Tevere  e  col  teniraento 
di  Dragone,  territorio  di  Ostia,  e  Dragoncello  s.  Paolo 
Contiene  rubbia  209 ,  e  2  scorzi  divise  ne'  quarti  delle 


43 

Piscine,  del  Casale,  e  di  Montedoro.  Nel  Diario  ^ anonir 
mo  riportato  dal  Muratori  Rer.  Ital.  Script.  T.  XXVI. 
p.  1030  si  legge  come  ai  14  giugno  1412  nella  ritirata 
dei  conte  di  Carrara  e  di  Sforza,  che  iniiilavano:  icon 
re  Ladislao  si  portarono  questi  verso  Ostia,  e  si  alten?- 
darono  con  padiglioni  e  trabacche  in  loco  qui  dicitur  Dra^ 
goncelli,  e  vi  rimasero  per  2  giorni,  tantO;  è  vero,,  che 
vantaggiosa  è  la  situazione  di  questo  casale,.  Q-»thc  io 
credo  meno  malsana  di  tutto  il  circondario,  e  capjAe&Mda 
potejTvi  odifìcare  imai  borgat^.  >~\.^.,u,  >•■:  .ì.iìi--.ì  é.iJaoj 
-oh  ,f\A/.Z  .q»  .11/  .di!  crM')/  h«  ox'jM-ii  ollon  on<rH»3 
-jiqtì  ili  'r<ftmj  l*in  omjniFIGYLEA  :yf^fi^  mitìfM  eb.p'r 
\'in  fììiiHì^'i!  lì-  \'i  -nfi^r .)  (!;  :ri)j'!,,>i(;i  ,tH\X  fmnp'IIob  al 
;^v.  Dionisio  Atìòariiàsieo  ì&f<h  e.  XVI.  idicey  'éinrl^ 
Aborigeni  fabbricarono  le  città  degli  vAntemnali,  de'Tel- 
lenesi,  e  de'Ficolesi,  dopo  averne  discacciato  i  Sicuiiute 
di  quella  de'  Ficolesi  aggiunge  ,  che  stava  presso  i  coisi 
detti  monti  Gorniculani,  e  che  queste  città  erano  >  anco^ 
ra  abitate  a'  suoi  giorni ,  cioè  ai  tempi  dii  Augusto.;  !  Di 
Ficulea'  poscia  più  non  si  fa  menzione  fino  al  regno  di 
Tarquinio  Prisco ,  il  quale  nella  guerra  conlra  i  Prisoi 
Latini ,  descritta  da  Livio  lib.  I.  e.  XXXVIII ,  la  prese 
•dopo  Corniculum,  insieme  con  Cameria,  Crustumeriim}, 
Ameriola  ,  Medullia  ,  e  Nomentum.  Lo  storico  4atÌB0.  (i 
differenza  delle  altre  città  testò  nominate,  che  Cràho  co- 
ionie latine,  dà  l'epiteto  Ai  Vetus  a  Ficulea,  che»  non  Io 
era:  Ficulea  Vetus.  Quindi  Marziale  Kb.  VL  cpJ  ■  ^^■ISQVIL 
appellandola  Ficeliae  in  luogo  di  Ficulea  yì  aggiùnge  an- 
cora l'epiteto  veteres.  Dionisio  stesso  nota  lib.  V.  e.  .XL, 
che  allorquando  fu  ammessa  alla  cittadinanza  di!  Boina 
la  gente  Claudia  l'anno  252,  le  Vienne  assegnalo  •  il;  ter- 
reno fra  Fidene,  e  Piculia,  ossia  Ficulea,  cioè ,  o  quella 
parte  dell'agro  tolto  ai  Fidenati  di  là  dall'Amene,  che 
confinava  con  quello  di  Ficulea ,  ovvero  quello  i<;hc  era 


44 

parte  dell'agro  ficulonse  stesso,  conquistato  da  Tarqui- 
nio  Prisco.  Varrone  de  Lingua  Latina  \ìh.  V.  p.  56.  nel- 
lo spiegare  la  voce  Poplifugia,  nome,  che  si  dava  al  gior- 
no in  che  il  popolo  era  fuggito  dopo  la  sconfitta  dell'Al- 
lia,  soggiunge,  che  dopo  la  partenza  dei  Galli  i  popoli 
intorno  a  Roma  si  erano  mossi  a  suo  danno  e  fra  quel- 
li sub  urie  nomina  i  Ficuleates,  ed  i  Fidenates. 
t  Dopo  questo  fatto  i  Ficolesi  non  figurano  più  nella 
storia  ,  ed  è  probabile  ,  che  mai  più  non  si  movessero 
contra  Roma.  Si  ricorda  però  il  loro  territorio  da  Ci- 
cerone nelle  lettere  ad  Attico  lib.  XII.  ep.  XXXIV,  do- 
ve da  Astura  scrive  l'oratore  romano  nel  mese  di  apri- 
le dell'anno  708,  intendere  di  essere  il  di  seguente  nel 
sùburbano  di  Sica  ,  e  poscia  nel  Ficulense  :  Cras  igitur 
in  Sicae  suburbano  :  inde  quemadmodum  suades  ,  puto  me 
in  Ficulensi  [ore;  ove  dovea  avere  un  congresso  con  At- 
tico stesso.  Alcuno  potrebbe  credere,  che  essendo  pros- 
simi i  territori  di  Ficulea  ,  e  Nomento  ,  anzi  fra  loro  a 
contatto,  in  questo  passo  si  alluda  al  predio  rustico,  che 
Attico  avea  secondo  Cornelio  Nepote  in  queste  contrade , 
e  che  egli  appella  nomcntano:  Nullos  habuit  hortos,  nul- 
lam  suburbanam,  aut  maritimam  sumptuosam  villani,  nc- 
que in  Italia,  praeter  ardeatinum  et  nomentanum,  rusticum 
praedium.  nf:ir  oj  .r.rìna'nu)/.  o  ^  ì:ìì\i;ìì'.iC  ,;.!:ir,:a/. 
Dalla  raccolta  degli  autori  intitolata  de  Limitihùs  si 
trae  che  il  territorio  ficolense  ,  che  ivi  Faciliensis  ager 
si  appella  fu  ripartito  e  riservato  secondo  la  legge,  col- 
la quale  fu  diviso  e  riservato  quello  di  Curi  de'Sabini. 
Ora  secondo  quella  raccolta  medesima,  il  territorio  di 
Curi  fu  venduto  dai  questori ,  e  con  certi  termini  rac- 
chiuso per  50  iugeri.  Poscia  per  Gommando  di  Giulio 
Cesare  fu  diviso  per  centurie,  e  per  limiti:  furono  ap- 
posti termini  di  travertino,  ed  anche  pietre  rosse  furo- 
no segnate.  In  varii  luoghi,  poi  i  muri,  le  macerie,  i  se- 


48^ 
pólcri,  i  monumenti,  il  eorso  de'riri,  o  de*  fiumi,  alberi 
fissi  o  stranieri ,  e  pozzi  servivano  di  confine  ,  ed  altri 
segnali  che  ne'libri  degli  autori  leggevansi.  In  caso  poi, 
che  non  si  trovassero  tali  segnali,  la  direzione  de' filoni 
degli  alberi  di  olivo  dovea  servire  di  norma  ,  e  così ,  sài 
riconoscevano  i  confini  fralle  possessioni  diverse.  Da  que- 
sti particolari  sembra  potersi  dedurre,  essere  andato  sog- 
getto il  territorio  di  Ficulea  ancora  ad  essere  venduto 
nella  guerra  sillana  ,  forse  perchè  i  Sabini  ,  e  le  altre 
città  fra  loro  e  Roma  seguirono  la  fazione  di  Mario.  E 
che  poscia  andò  soggetto  ad  una  nuova  divisione  dopo 
la  guerra  fra  Cesare  e  Pompeo.  Da  Dionisio  ricordata 
in  principio  apparisce ,  che  questa  città  era  abitata  an- 
cora ai  tempi  di  Augusto.  Seguitò  pure  ad  esserlo  poi 
e  forse  risorse  come  altre  prische  città  del  Lazio  nel 
corso  del  primo  secolo  della  era  volgare  ,  poiché  oltre 
Plinio  che  la  pone  fralle  città  ancora  esistenti,  ed  oltre 
il  passo  di  Marziale  rammentato  di  sopra,  che  appartie- 
ne alla  epoca  di  Domiziano,  é  celebre  la  iscrizione  rin- 
venuta nel  secolo  scorso  nel  tenimento  della  Cesarina , 
presso  il  quale  or  ora  vedrassi  essere  stata  questa  cit- 
tà ,  e  non  già  a  Genzano  come  inesattamente  notò  lo 
Chauby  nella  Decouverte  de  la  Maison  de  Campagne  d'Ho- 
race  T.  IH.  p.  258.  n.  6.  ••   "i'*   >  u« 

Questa  iscrizione  è  ad  onore  di  Marcò  Aurelio  An- 
tonino, r  ottimo  imperadore,  erettagli  l'anno  XVI.  della 
sua  potestà  tribunizia,  ossia  l'anno  162  della  era  volga- 
re, come  principe  indulgentissimo  dai  PVERl  e  PVEL- 
LAE  ALIMENTARI  FICOLENSIVM  II  Marini,  che  la 
riporta  fralle  iscrizioni  albane  (fralle  quali  ancora  ritro- 
vasi) alla  p.  42.  nota,  che  Winckelmann,  che  pur  la  ri- 
porta, dice  T.  II.  della  Storia  dell'  Arte  p.  394,  che  fu 
scoperta  nel  luogo  stesso,  dove  era  stata  collocata  a  prin- 
eipio ,  e  si  querela ,  che  questo  non  vuol  dir   nulla ,  e 


46 

che  si  dovrà  tuttavia  andar  cercando  il  preciso  sito  del- 
la^antioa  Ficolca,  o  Ficulea.  Nelle  aggiunte  e  correzio- 
nipoi  fidandosi  .troppo  ftU'asserzione  erronea  di  Chauby,. 
che  confuse  la  Cesarina  fondo  de'Cesarini,  con  Genzaao 
feudo  loro,  dice,  che  posto  questo,  e  posto  ciò  che  asse- 
ri  il  Winckelinann,  non  incontrerem  più  i  Ficolesi  lungo 
la/via  nòmentana.  Ma  appunto  Ficulea  fu  lungo  la  via 
nomeutana.  E  con  questo  monumento  importante  fu  dis- 
sotterrato uu;  fregio  scolpito  a  bassorilievo,  sul  quale 
erano  rappresentate  tali  donzelle  alimentarie,  e  che  oggi 
s,i',v^de.anch<j  esso  aella  ;VÌUa  Albani,  monumento  che 
fu  con  profonda  dottrina  illustrato  da  Zoega  nella  o- 
pera  de'  Bassorilievi  tav.  XXXII  ,  e  XXXIII.  Quindi 
deducesi,  che  circa  la  metà  del  secondo  secolo  della 
era  volgare,  Eiculea  era  cosi  popolosa,  e  salubre,  che 
vi  era  un  collegio  di  donzelle ,  il  quale  fu  ,  secondo 
Capitolino,  nella  vita  del  divo  Marco  e.  XXVI.  ivi  sta- 
bilito ad  onore  di  Faustina  sua  moglie  defunta:  novas 
puellas  Faustinianas  instituit  in  honorem  tixoris  mortuae  : 
ad  imitazione  di  quello  che  il  padre  suo  adottivo  An- 
tonino Pio  avea  eretto  in  memoria  della  Faustina  se- 
niore», sua  moglie,  e  che  intitolò  PYELLAE  FAVSTI- 
NIANAE  ,  come  si  trae  dallo  stesso  Capitolino  nella 
sua  vita  e.  Vili,  e  dalle  medaglie  edite  dallo  Span- 
heim  e  descritte  da  Eckhel.  E  Marco  Aurelio  non  re- 
strinse solo  la  sua  istituzione  alle  donzelle,  come  avea 
fatto  il  divo  Pio,  ma  ancora  ai  garzoni  PVERI  ET  PVEL- 
LAE  ALIMENTARI  FICOLENSIVM. 

Nelle  note  al  Cluverio  p.  660  1.  35  fu  osserva- 
to dairOlstenio,  che  papa  Innocenzio  I.  nella  lettera  VII. 
nomina  come  una  sola  la  parrocchia  nomentana,  o  fe- 
Uciense,  cioè  ficolense;  è  questo  un  argomento  per  cre- 
dere che  sul  principio  del  secolo  V.  queste  due  ve- 
tuste; città  erano  molto   decadute,  in  modo  che  non  for- 


47 

mavano  che  una  sola  cura;  é  altresì  una  prova  della  lo- 
ro vicendevole  prossimità.  Questo  è  l'ultimo  documento, 
che  di  Ficulea  finora  sia  noto.  «  r,/'>j{ji>no'>  -ul^nyq  i  = 
■fi  Frallc  forme  diverse  con  che  s' incontra  enunciato 
ih  nome  di  questa  città,  la  più  corretta  è  quella  di  Fi- 
culea, o  Ficolea,  nome  ,  che  dovrebbe  avere  la  radice 
coramune  con  vicvs  ,  e  che  in  linguaggio  volgare  tra- 
durrebbesi  ViearcUo  ,  Viculus  :  la  leggerezza  de'  gram- 
matici derivoUo  da  Ficus,  e  quindi  i  copisti  lo  travol- 
sero in  Ficnlnea:  e  da  questo  errore  derivò  l'altro,  che 
trasmutando  il  nome  in  Figulea  ,  ne  volle  derivare  la 
origine  dalle  figuline,  o  fabbriche  di  terra  cotta  ivi  sta- 
bilite.  Quindi  l'autore  degli  atti  di  s.  Lorenzo,  che  co- 
me è  noto,  se  non  apocrifi  ,  sono  molto  interpolati ,  ne 
fece  una  città  di  Figlinae  e  la  trasportò  dàlia  via  no- 
mcntana  nella  salaria.  Ma  basti  su  questo  particolare  : 
egli  è  difficile  dopo  trenta  secoli  rintracciare  la  etimo- 
logia del  nome  di  una  città  ,  e  trattenersi  a  lungo  so- 
pra tali  ricerch»!;  non  reca  utilità  corrispondente.  Molto 
più  a  proposito  è  l'indagare  il  sito,  dove  un  tempo  que- 
sta sorse,  onde  meglio  conoscere  i  fatti  istorici,  che  la 
ricordano.  '  yuti  «-^  «libb  fuinv*  l'MA  ib  ir.iilr/'»^'»  «i  -jì 
Da  quanto  fu  esposto  di  sopra  è  chiaro  che  Fico- 
lea, o  Ficulea  fu  a  settentrione  di  Roma,  nel  suo  su- 
burbano, e  che  il  territorio  fu  a  contatto  con  quello  di 
Fidene,  Noroento ,  e  Corniculum ,  dicendoci  riguardo  a 
quest'  ultima  città  Dionisio ,  che  Ficulea  era  verso ,  o 
presso  ,  o  rivolta  (  npog  )  ai  monti  corniculani.  Inoltre 
Livio  la  mostra  sulla  via,  o  presso  la  via  nomentana  fra 
Roma  e  Nomento,  allorché  lib.  lU.  e,  LIL  narrando  la 
seconda  ritirata  de'  Romani  sul  Monte  Sacro  dice  :  Via 
nomentana,  cui  tunc  ficulensi  nomen  fuit ,  profecti ,  castra 
in  Monte  Sacro  locavere.  Era  pertanto  una  via  medesi- 
ma la  nomentana  de'tempi  posteriori  quella,  che  nc'tem- 


48 

pi  più  antichi  dicevasi  fìculeiise,  e  come  ebbe  nome  di 
nonicntana,  perchè  per  essa  si  andava  a  Nomentum,  co- 
sì perché  conduceva  a  Ficulea  ebbe  il  nome  di  ficulen- 
se.  Unendo  pertanto  insieme  le  circostanze  locali  fin  qui 
esposte,  dell'esser  Ficulea  fra  Fidene,  Crustumerii,  Cor- 
niculum,  e  Roma,  e  presso  la  via  nomentana,  io  credo 
di  averne  potuto  determinare  il  sito  in  quel  colle  della 
tenuta  di  Gasanuova,  che  per  tre  lati  è  difeso  dai  ri- 
vi, che  vanno  a  formare  il  fosso  di  Casal  de'Pazzi  1  mi- 
glio più  oltre  del  casale  della  Cesarina,  e  9  miglia  lun- 
gi da  Roma,  il  quale  prolungandosi  per  circa  un  miglio 
trovasi  a  contatto  della  via  nomentana  verso  il  X  mi- 
glio da  Roma  presso  il  casale  di  Casanuova.  Questo  mon- 
te volgarmente  chiamasi  Monte  della  Creta  e  dà  nome 
ad  un  quarto  di  quella  tenuta,  della  quale  fu  parlato  a 
suo  luogo. 

A  conferma  del  sito  di  questa  città  in  tali  dintorni 
si  aggiunge  la  iscrizione  seguente  trovata  nel  fondo  (con 
quello  confinante)  della  Cesarina  l'anno  1825.  È  questa 
incisa  in  un  masso  di  travertino  scorniciato  alto  4  piedi 
largo  1  e  mezzo  e  grosso  4  piedi  ragguagliati,  la  qua- 
le in  caratteri  di  bella  forma  della  era  augustana  dice: 

•ijf   i  ìì:-.   l-'ff   ,':-■'.  .     ■ 

()   ,  <>-.!'w    f.'io   l'oin   :"     '    ■       ^;ì   ,:.  h'^    (' 

i;iì  iìiwila'jiiiori  j.i;    i'   (>•-••.!     v,  .n,-  •:\-\\y.  f.'i 
y\   (>l)}icru;{i  JLl   .o   .'il    .''"' 
w\    :  O'iib  <>-ru;r,   •''.''' 

-i.'ih'Kn    r.!'"/    f  '  n     f  ini  i'"^'i 


4J 

:,5..-..,-.^        ., M  CONSIVS  M  L 

i  UfvÀ^r^      CERINTHVS  m 

,J  tiìhr.       ACCENSVS  VELATVS 

u^i\>niù  ■■■.<'     IMMVNFS  CVM  SIM  •   yrii^ 

é  «J  .iu;lw  h     «:X  VOLVNTATE  MEA  '  ';  tV--:.. 

'.Jrio-)ob'a'j.!  fv.     ET  IMPENSA  .  MEA 

-ir,  jil  'iff:)  <nr,      CLIVOM  STRAVI  u>,k  a> 

;/.  ri)  olr  LAPIDE  AB  .  IMO  SVSVM  >U 

,)7;nor.  LONGVM  PEDES  €CCXL  >:> 

LaTvM  .  CVM  MARGINIBYS^n  oat# 

PEDES  Vini  FIT  QVOD 
STRAVI  MILIA  PEDVM         .  U 
M  M  M  LX  J^Ai«» 

ItERVM  .  EVNDEM 

clIvom  ab  imo  levavi 

ET  CLIVOM  MEDIVM 
f  REGI  ET  DEPRESSI 

.;vj  r,ii;>l-.  lili       ÌMPENSA  MEA  REGIONE  nn 

ihìv  Ohi  V  FIGVLENSI  PAGO  VLMANO  >^ 

ET  TRANSVLMANO  f^ 

PELEGIANO  VSQVE 
AD  MARTIS  ET  VLTRA 

Da  questa  lapide  importante  apparisce  clie  Marco  Con- 
sio  Cerinto  liberto  di  Marco,  accenso  velato,  essendo  im- 
mune ,  di  sua  propria  volontà ,  ed  a  sua  spesa  lastricò 
con  pietre  una  salita,  o  clivo  per  340  piedi  di  estensio- 
ne dal  basso  all'alto,  e  largo  insieme  co'margini  9  pie- 
di ,  ossia  piedi  quadrati  3060  :  e  questo  clivo  fece  più 
agiato  alzando  le  radici  di  esso  e  tagliando  e  deprimen- 
do la  parte  media,  la  quale  opera  fece  nella  contrada  ^ 
o  territorio  ficulense  nel  pago  Ulmano  e  TransulmanO 
Pelegiano  fino  e  al  di  là  di  una  statua  ,  o  di  un  tem- 

4 


pio  di  Marte.  Chiaro  è  pertanto  da  questa  lapide  in  che 
parte  fosse  Ficulea.  li)  quello  scavo  che  durò  parecchi 
mesi  si  osservarono  gli  avanzi  de'fabbricati  e  delle  yì1=- 
ie,  che  costituivano  i  due  pagi  nominati  nella  lapide,  i 
quali  forse  traevano  nome  dal  rivo  della  Cesarina  che  si 
sarà  detto  Ulmano  per  l'abbondanza  degli  olmi.  La  la.r 
pide  fu  scoperta  fra  gli  avanzi  4i  camere  ben  decorate 
di  marmi,  e  siccome  è  rozza  dietro,  è  chiaro  che  fu  af- 
fissa di  fianco  al  clivo  lastricato  e  fatto  piji  agiato  da  M, 
Conscio.  Frai  marchi  di  mattoni  delle  fabbriche  scoperte 
uno  ne  copiai  colla  epigrafe  seguente: 

HIB  ET  SISIN  COS  EX  PR  SAL  VLP.  VI. 
PIANI 

F"- 
cioè  :  Hibero  et  Sisinnio  consulibus  ex  praedtis   Salviant9 
llìpii  Ulpiani. 

Il  consolato  d'Ibero  e  Sisinnio,  che  ne'fasti  erronea^ 
mente  dicesi  Sisenna,  appartiene  all'anno  133  della  era 
volgare,  durante  il  regno  di  Adriano.  Ivi  dappresso  vidi 
pure  scavate  le  lapidi  seguenti: 

LOCVS  TJ/  1:ì  èjniLDIS.  MANIBVS 
SEPVLCHRI  C.  POPPAEO 

-it^ESGINlS  AVG.  ti:!'>q<:^  ^•-^-  GEMELLO  ^>?  ^'<^ 
-i    AB  GODICILLIS's  "  VIX.ANN.LXXXX    »  «  »^ 

i>-     IN  F  P  CCL  MENSIl.IILDIB.il  « 

-0  IN  A  P  CXXXV  POPPAEVS  PRIMIGENIVS  > 
-9^1  ^  -^'.  ■^'^^^-    PAT.SVO  BEN  M,FEC     >- 

wi  'Vifiì  07Ìi'>  oìi^'.yp  0  :  OOIU^  ì',mhzi'i\!  uvmì{  «i^^o  .  li) 

e  molti  tubi  di  piombo  col  nome  di  Publio  Fabio  Aba^ 
scanto:  P.  FABIVS  ABASCANTVS  FEC. 

I  topografi  di  Roma  e  delle  sue  vicinanze  de'tempi 
passati  supponendo  Ficulea  a  Monte  Gentile  non  ìs*  vOf 


51 

sgannarono,  che  di  circa  un  miglio;  ma  certamente  gra- 
vissimo errore  fu  quello  di  supporre  avanzi  di  teatro 
quelli  di  una  conserva  a  sinistra  della  via:  e  questo  er- 
rore die  maggior  peso  alla  congettura.  V.  MONTE  GEU- 

TIIE.  ■.     •  =  ";,  ■:   ':' 

'•"I  •;■  "'trTinfi  bs 

FIDENA-FJl)ENAE-(;45r^I  GlUBaEO^^n^'^'n 

Poche  antiche  città,  delle  quali,  o  non  riinaiigoào 
siffatto  vestigia  ,  ovvero  scarsissime  rovine  appariscono , 
■hanno  avuto  la  sorte  di  potere  -essere  ben  riconosciute, 
.quanto  al  sito,  come  Fidene.  La  sua  distanza  di  40  sta- 
dii,  o  sia  5  miglia  da  Roma,  fuori  deMa  porta  Collina, 
si  ha  da  Diomsio  lib.  II.  III.  e  X,  il  quale  pure  dichia- 
ra, che  stava  di  là  dall'Amene  relativamente  a  Roma, 
immediatamente  sul  Tevere,  che  le  scorreva  sotto  rapi- 
do, «  vorticoso:  sulla  via  salaria  concordemente  si  pone 
dagli  antichi  scrittori  ,  come  prima  stazione  da  Roma 
Tiene  indicata  nella  carta  peutìngeriana ,  e  come  città 
alta  e  munita  si  descrive  da  Livio  lib.  IV,  e.  XXII.  Po- 
aiendo  pertanto  insieme  tutti  questi  particolari ,  il  sito 
-di  Fidene  si  riconosce  sopra  i  colli  dirupati  a  destra 
della  via  salaria,  circa  5  miglia  fuori  della  porta  odier- 
na, passato  il  casale  di  Villa  Spada,  e  sopra  il  colle  iso- 
Iato  di  Castel  Giubilèo,  in  guisa  che  la  via  salaria  la  tra- 
yersava.  ^  fi  oupvibDiioi  ìaifiiii]' 

Il  suo  nome  si  enuncia  da  Virgilio  lib.  VI.  y.  773 
in  singolare,  allorché  nella  predizione  ad  Enea  dice: 
Hi  libi  Nomentum  et  Gabios,  urbemqtie  Fidenam 
Hi  Collatinas  impomnt  montibtis  arces.  o 

Ed  in  singolare  pure  si  pone  da  Tacito  Ann.  lib.  IV.  e. 
LXII.  più  generalmente  però  si  enuncia  in  plurale,  Ft- 
denae:  incerta  n'è  la  etimologia;  ma  la  iniziale  F  fa  giu- 
stamente dubitare  che  la  forma  primitiva  del  nome  fos- 


52 

se  viD^ENA,  o  VET-ENA.  Dì  Origine  etrusca  la  fa  Livio 
lib.  I.  q.  XV,  seppure  quella  frase  posta  fra  parentesi, 
nam  Fidenates  quoque  Etrusci  fuerunt,  non  è  un'aggiun- 
ta posteriore j  la  u^nione  costante  però,  che  mantennero 
co*  Veienti  fino  alla  ultima  loro  rovina,  mi  fa  inclinare 
ad  ammetter  quella  dichiarazione,  come  autentica,  ed  a 
riconoscere  in  Fidene  un  avamposto,  o  castello  degli  E-» 
trusci-Vejenti,  il  quale  poscia  colonizzato  da  Latino  SiU 
vio  re  di  Alba  fu  riguardato  dalla  pluralità  degli  scrit- 
tori antichi,  come  colonia  albana,  siccome  oltre  Virgilio 
nel  passo  testé  ricordato  lo  riguardano  Dionisio  ed  altri. 
Anzi  Dionisio  aggiunge  ,  che  i  condottieri  albani  delle 
colonie  di  Fidene,  Nomento,  e  Crustumerio  furono  tre 
fratelli;,  e  che  il  maggiore  di  essi  fu  quello  che  condus^ 
se  la  colonia  di  Fidene.  :  ^  A  jini,  -i  ìb  f.iv.ì-.  ';!.!)  ,m 
La  sua  situazione  sul  Tevere  ,  e  la  fertilità  delle 
terre  adiacenti  ne  fecero  tosto  una  città  cospicua ,  che 
lo  storico  testé  nominato  dichiara  grande  e  popolata  ^  fi- 
no dsii  tempi  di  Romulo.  Questo  re  guerriero,  dopo  a- 
ver  soggiogate  le  città  di  Antcmne  e  Crustumerii,  limi- 
trofe di  Fidene,  dopo  avere  stretta  lega  con  Tazio,  ri- 
masto per  la  morte  del  re  sabino  arbitro  delle  forze  di 
Roma  vqlle  assalire  Fidene.  E  ne  tolse  il  pretesto,  ser 
condo  Dionisio  lib.  IL  dall'  avere  alcuni  Fidenati  arre- 
stato e  spogliato  navigli  carichi  di  prQvisioni,  che  i  Cru- 
stumini  mandavano  a  Roma,  e  secondo  Livio  lib.  L  e. 
XV.  da  scorrerie  fatte  sul  territorio  romano.  Rapido  fu 
il  corso  di  quella  prima  guerra:  il  re  di  Roma  li  vinT- 
se  al  primo  scontro  e  l'inseguì  colla  spada  alle  reni  fin 
dentro  alle  mura,  in  modo  che  rimase  signore  della  cit- 
tà, nella  quale  pose  un  presidio  romano.  Questa  prima 
sventura  costò  a  Fidene  la  morte  di  pochi,  e  la  perdio 
ta  di  una  parte  del  territorio ,  che  da  Romulo  fu  riu-r 
uito  a  quello  di  Roma.  Rimase  Fidene  tranquilla  duran;" 


te  tutto  il  regno  di  Numa  ;  ma  sotto  Tulio  Ostilio  nel 
movimento  de'Veicnli  si  rivoltò  ancora  questa  città,  spe- 
rando nel  tradimento  di  Mezio  Suffezio  dittatore  degli 
Albani.  L'esito  infelice  di  quel  tradimento  portò  la  scon- 
fitta de'  collegati  e  nella  primavera  seguente  la  resa  di 
Fidene ,  a  cui  il  re  di  Roma  altre  condizioni ,  secondo 
Dionisio  lib.  Ili,  non  impose,  se  non  quella  di  ritorna- 
re colonia  romana,  dopo  aver  messo  a  morte  gli  autori 
della  rivolta.  Inquieti  sempre  i  Fidenati  sotto  questa 
specie  di  giogo  j  tentarono  di  scuoterlo  dopo  la  morte 
di  Tulio;  Anco  Marzio,  secóndo  Dionisio,  assediò  là  cit- 
tà e  ne  divenne  padrone ,  scavando  un  cunicolo  dentro 
le  rupi  di  tufa,  sulle  quali  era  fondata.  Egli  la  die  in 
preda  al  saccheggio,  fece  battere  colle  verghe  ed  ucci- 
dere gli  autori  di  questa  nuova  ribellione  ,  e  mise  Mn 
forte  presidio  nella  città.  Dopo  la  morte  di  questo  re 
si  rivoltarono  di  nuovo,  ma  ben  presto  deposero  le  ar- 
mi, dando  con  questa  sommessione  esempio  ai  Cameri- 
ni, come  narra  lo  storico  greco  sovraindicato.  Non  tar- 
darono però,  per  tradimento  di  alcuni  faziosi,  di  ribel- 
larsi di  nuovo ,  allorché  nella  mossa  de'  Veienti  contro 
Tarquinio  Prisco  la  città  fu  occupata  dagli  Etrusci  ,  i 
quali  ne  fecero  una  specie  di  piazza  d'armi.  Vinti  que- 
sti sull'Amene,  le  forze  romane  vennero  dirette  contra 
Fidene.  La  città  fu  presa  d'assalto:  gli  autori  del  tra- 
dimento furono  puniti,  altri  col  bando,  altri  colla  mor- 
te: i  loro  beni  messi  a  confisca,  e  divisi  frai  soldati  del 
nuovo  presidio  romano  messo  a  custodia  della  città.  Dioni- 
sio lib.  III. 

Fino  alla  espulsione  de're,  Fidene  si  mantenne  fe- 
dele a  Roma,  ma  dopo  quell'avvenimento,  1  Fidenati  se- 
dotti da  Sesto  Tarquinio  ,  presero  le  armi  insieme  con 
tutti  i  Sabini  a  favore  della  famiglia  reale,  e  fecero  di 
Fidene  il  centro  di  quella  guerra.  I  Sabini  collegati  fu^ 


54 

rono  vinti  dai  consoli  Publio  Valerio  e  Tito  Lucrezio , 
e  Fidene  fu  poco  dopo  presa  da  quella  parte  appunto' 
che  per  essere  credula  più  forte  era  meno  guardata.  I 
Romani  seguendo  la  politica  stabilita  non  distrussero 
questa  città,  malgrado  le  ribellioni  così  ripetute  ma  si 
limitarono  a  multare  gli  abitanti  ne'beni  e  negli  schiavi, 
a  rimproverare  loro  la  ingratitudine  inveterata,  ed  a  fa- 
re tagliare  la  testa  agli  ottimati.  Quindi  messo  un  nuo- 
vo presidio  nella  città,  divisero  ai  soldati  le  terre  con- 
jGscate.  Alcuni  degli  abitanti,  iti  in  esilio  portarono  le 
loro  querele  alla  dieta  de'Lalini  nel  luco  di  Ferentinar 
questi  mantennero  intelligenza  co'  loro  concittadini ,  e 
pervennero  a  far  penetrare  nascostamente  soldati  nella 
città,  i  quali  uniti  ai  partigiani  loro  occuparono  la  roc- 
ca, uccisero  o  cacciarono  i  cittadini  beni  affetti  ai  Ro- 
mani, e  così  di  nuovo  Fidene  fu  in  guerra  con  Roma^ 
e  si  vide  accerchiata  dall'  esercito  romano.- 1  Fidenati 
ricorsero  alla  lega  latina  per  essere  aiutati  e  ne  ebbero 
gente  e  vettovaglie,  onde  rincoraggiti  uscirono  dalle  mura 
ed  assalirono  i  Romani.  Ma  dopo  un  combattimento  osti- 
nato furono  costretti  a  ritirarsi ,  e  di  nuovo  si  videro^ 
stretti  di  assedio:  al  quale  non  potendo  più  resistere,  do- 
mandarono neir  anno  seguente  di  capitolare  ^  e  si  arre- 
sero a  discrezione  al  console  Tito  Largio.  Questi  udita 
la  decisione  del  senato  si  contentò  di  far  mettere  a  mor- 
te i  pochi  istigatori  della  rivolta,,  e  multò  la  città  della 
Baetà  delle  terre ,  che  furono  distribuite  ai  soldati  ivi 
lasciati  in  permanenza.  Yeggansi  Dionisio  lib.  V.  e  Li- 
vio lib.  II,  il  quale  però  si  contenta  d'indicare  l'assedio 
senza  farne  conoscere  l'esito. 

Questa  vicenda  fece  rimanere  i  Fidenati  in  pace  per 
fiù  di  un  mezzo  secolo,  finché  l'anno  315  di  Roma  ad 
insinuazione  di  Larte  Tolumnio  re  de'Veienti  disertar©- 
ila  dai  Romani^  strinsero  lega  cogli  Etrusci,  e  contro  il 


55 
diritto  delle  genti  ucceiscro  quattro  ambasciadori,  che  i 
Romani  loro  inviarono  a  domandar  conto  del  partito  di 
recente  abbracciato.  La  guerra  fu  dichiarata  immantinen- 
te, e  sebbene  1'  esercito  collegato  passasse    arditamente 
l'Aniene  fu  messo  in  rotta  dal  console  Lucio  Sergio,  che 
perciò  ebbe  1'  onore  di  essere  cognominato  il  Fidenate. 
Questa  vittoria  però  non  era  stata  riportata  dai  Roma- 
ni senza  gravi  perdite ,  laonde  non  potendo  discacciarli 
dal  loro  territorio  elessero  a  dittatore  Mamerco  Emilio. 
Questi  li  respinse  di  là  dall'Aniene,  e  pose  il  campo  là 
dove  questo    flume  mesce  le  sue  acque    nel    Tevere.  I 
Fidenati    uniti  ai  Veicnti ,  ed  ai  Falisci  si  attendarono 
sotto  le  mura  di  Fidene.  Si  venne  ad  una  battaglia  de- 
cisiva, nella  quale  i  Fidenati  si  schierarono  nel  eentro, 
i  Veienti  tennero  l'ala  destra,  ed  i  Falisci  l'ala  sinistra. 
Ma  per  la  morte  di  Tolumnio  l'esercito  collegato  fu  mes- 
so in  piena  rotta.  L'  anno  susseguente  che  fu  il  317  i 
Fidenati  e  i  Veienti  uscirono  con  nuove  forze  in  cam- 
pagna e  passando  1'  Anìene  posero  il  campo    dinanzi  la 
porta  Collina  di  Roma.  All'apparire  delle  legioni  roma- 
ne tolsero  il  campo,  e  si  ritirarono  verso  Nomento,  do- 
ve inseguiti  sempre  dai  Romani  si  venne  di  nuovo   a 
battaglia:  i  collegati  furono  sconfitti,  e  sbandati,  ed  ì 
Romani  si  portarono  immediatamente  ad  assalire    Fide- 
ne: non  potendola  prendere  d'  assalto  1'  assediarono ,  e 
dopo  qualche  tempo   penetrarono  per  mezzo  di  un  cu-» 
nicolo  della  rocca.  Presa  la  città  vi  fu  mandata  una  nuo- 
va colonia  romana  per  mantenerla  sotto  la  divozione  di 
Roma.  La  storia  di  questa  guerra  si  legge  in  Livio  lib. 
IV.  e.  XVIL  e  seg.  !»  ^f^*v  o:u?«'l  .UXJ  .-i  .Vi  ..lii  .iUvk 
Rreve  tempo  però  i  Fidenati  rimasero  quieti;  Tan- 
no 327  avendo  i  Romani   sofferto  una  sconfitta  presso 
Veli,  i  Fidenati  amici  ed  alleati  perpetui  de'Veienti  si 
rivoltarono,  e  massacrarono  ferocemente  tutti  i' coloni  ro- 


56 

mani.  I  due  popoli  collegati  scelsero  Fidenc  per  centro 
della  guerra,  ed  i  Romani  elessero  di  nuovo  a  dittatore 
Mamerco  Emilio.  Questi  condusse  l'esercito  1  miglio  e 
mezzo  lontano  da  Fidene,  ed  attaccò  i  collegati  con  tal 
furore  che  furono  ben  presto  messi  in  rotta;  e  malgra- 
do lo  stratagemma  de'Fidenati  di  fare  uscire  un  corpo 
armato  di  faci,  noii  solo  mantenne  il  vantaggio  riporta- 
to, ma  avendo  distaccato  alcune  truppe,  queste  girando 
dietro  i  colli  presero  i  collegati  alle  spalle,  e  tale  spa- 
vento incussero  loro ,  che  i  Veienti  si  misero  in  piena 
fuga,  cercando  di  raggiungere  il  Tevere;  ed  i  Fidenati 
si  rivolsero  verso  la  città,  dove  entrarono  misti  ai  Ro- 
mani ,  e  seguiti  ben  presto  dal  grosso  dell'  esercito  del 
dittatore,  che  si  era  di  già  impadronito  del  campo.  Giun- 
to alla  porta  si  diresse  alla  rocca,  e  la  strage  dentro  la 
città  non  fu  inferiore  a  quella  sofferta  fuori;  fmalmente 
stanchi  i  Fidenati  deposero  le  armi  implorando  la  vita. 
Gessata  1»  strage,  la  città  fu  data  in  preda  al  saccheg- 
gio e  distrutta:  i  cittadini  superstiti  furono  venduti  co- 
me schiavi  all'incanto,  e  così  finì  la  primitiva  Fidene, 
Quantunqite  per  questa  sciagura  la  città  rimanesse 
deserta,,  la  opportunità  del  sito  vi  mantenne  sempre  un 
picciol  numero  di  abitanti ,  servendo  come  di  stazione 
sulla  via  salaria:  e  Strabone  lib.  V.  la  enumera  a'  suoi 
giorni  fra  quelle  città  antiche  de'contorni  di  Roma,  che 
erano  ridotte  allo  stato  di  ville,  proprietà  de'privati. 
-<■■  Ma  circa  Io  stesso  tempo  cominciò  appunto  a  ripo- 
polarsi,^ come  avvenne  di  Veii,  di  Gabii ,  di  Labico  ec. 
Ed  infatti ,  setto  Tiberio  ,  per  testimonianza  di  Tacito 
Ann.  lib.  IV.  e.  LXII.  l'anno  780  di  Roma,  essendo  con- 
soli M.  Licinio  Crasso^  e  L.  Calpurnio  Pisone  vi  fu  data 
una  festa  che  riuscì  fatale  a  coloro,  che  v'intervennero. 
Un  certo  Attilio  di  schiatta  libertina  vi  volle  dare  giuo- 
chi gladiatorii  venali,  ed  a  tale  uopo  costrusse  un  antì- 


^: 


59 

teatro  dì  legno,  che  per  inancansia  di  mezzi  essendo  sta" 
to  costrutto  con  poca  solidità  nei  più  bello  deWo  spetta- 
colo crollò  tutto  intiero,  colla  morte,  o  mutilazione  di 
cinquanta  mila  persone  di  ogni  età,  sesso^  e  condizione: 
Quinquaginta  haminum  millia  eo  casu  debilitata  vel  obtrita 
sunt,  dice  Tacito,  il  quale  va  Ietto ,  tanto  grafica  è  la 
descrizione,  che  fa  di  questa  sciagura,  come  pure-  de' 
provvedimenti  presi  per  evitarne  altre,  ed  alleggerire  per 
quanto  fosse  possibile  il  danno  di  quella.  Svetonio  in  Ti-^ 
berio  cap.  XI.  fa  ascendere  i  soli  morti  a  20,000.  A 
quella  epoca  pertanto  sembra  che  cominciasse  ad  essere 
di  nuovo  una  specie  di  città,  la  quale  per  una  iscrizio- 
ne riportata  dal  Muratori  nel  suo  Tesoro  p.  CCCXVI. 
n.  4.  e  pertinente  all'anno  105  della  era  volgare  si  ri- 
conosce che  avea  il  suo  senato;  e  del  senato  come  pure 
del  dittatore  si  fa  menzione  in  un'altra  lapide  rinvenuta 
l'anno  1767  presso  le  sue  rovine,  e  riportata  dall'Ama- 
duzzi  negli  Anecdota  T.  I.  p.  462,  la  quale  appartiene 
all'impero  di  Gallieno,  circa  l'anno  267. 

Come  città  viene  ricordata  da  Anastasio  nella  vita 
di  Silvestro  I.  a'tempi  di  Costantino,  dicendo,  che  quel- 
l'imperadore  donò  alla  chiesa  di  s.  Agnese  tutte  le  terre 
circa  civitatem  Fidenas.  Anzi  ne'primi  secoli  del  cristia^ 
nesimo  fu  di  tale  importanza,  che  ebbe  sede  vescovile, 
e  dall'Ughelli  Italia  Sacra  T.  X.  si  rammentano  un  Ge- 
ronzio,  che  assistè  al  concilio  romano  dell'anno  502  ed 
un  Giustino  che  si  ricorda  in  quello  dell'anno  680.  E  cir- 
ca lo  stesso  tempo  cioè  nel  secolo  VII.  si  legge  il  suo 
nome  nella  Carta  peutingcriana,  e  nell'Anonimo  ravenna- 
te, come  di  città  ancora  esistente.  Dopo  quella  epoca  pe- 
rò più  non  si  fa  menzione  di  essa,  onde  io  credo  che 
venisse  abbandonala  e  deserta  per  le  scorrerie  de'Lon- 
gobardi,  che  afflissero  e  devastarono  intieramente  i  con- 
-it.fJl^O'ì    f.nrr(ii«.'i    niijiniri    tuni    .j.     ij'imkj   m   ■miì.'i/    r.hi;.  u 


58- 

torni  di  Roma  nel  secolo  seguente,  e  particolarmente  du- 
rante i  regni  di  Astolfo  e  Desiderio. 

Sul  sito  di  questa  città  nel  secolo  XIII.  era  sorto 
tìn  castdlo  detto  il  Monte  s.  Angelo,  il  quale  apparte^ 
tìeva  al  monastero  di  s.  Ciriaco,  siccome  si  trae  da  ear- 
te esistenti  neirÀrchivio  di  s.  Maria  in  Via  Lata  e  tra- 
scritte dal  Galletti  nel  Mss.  Vaticano  8050.  p.  69.  ed  86. 
Dalla  ultima  di  queste  si  trae  che  ai  t  di  decembre  1297 
le  monache  di  s.  Ciriaco  dierono  in  enfiteusi  a  France- 
sco figlio  di  Romano  Cenci,  ed  a  Giacomo  del  fu  Ange- 
lo Cenci  Castrum  stu  Castellarium,  quod  vocatur  mons  s. 
Angeli  insieme  con  tutto  il  suo  lenimento  e  la  Torre  r 
e  si  designa  questo  ad  portam,  seu  pontem  Solarium,  e  se 
ne  assegnano  come  confini  il  casale  Radiciolae,  oggi  Rc- 
dicicoli,  il  casale  Sepiem  Salma,  oggi  Sette  Bagni,  e  la 
terra  Vili  ecosa,  oggi  Villa  Spada,  così  che  non  cade  dub- 
bio che  tal  castello  corrisponda,  almeno  quanto  al  leni- 
mento, all'odierno  Castel  Giubileo. 

È  fama  comunemente  invalsa  da  due  secoli  a  que- 
sta parte,  che  questa  denominazione  derivasse  alla  terra 
dall'essere  stata  acquistata  pel  capitolo  di  s.  Pietro,  ai 
quale  oggi  appartiene,  da  Bonifacio  Vili,  col  danaro  rac- 
colto nel  Giubileo  dell'anno  1300,  e  questa  fama  fu  av- 
valorata dal  Volpi,  e  seguita  come  naturale  congettura 
da  tutti  coloro  che  susseguenlemente  parlarono  dell'Agro 
Romano,  e  particolarmente  dal  Nicolai,  che  tanta  cura 
prese  di  questa  materia.  Nel  mio  Viaggio  Antiquario  ne* 
contorni  di  Roma  seguii  questa  medesima  tradizione  ; 
nuove  ricerche  fatte  posteriormente  dal  Nicolai  e  pub- 
blicate nel  tomo  V.  degli  Alti  dell'  Accademia  Romana 
di  Archeologia  p.  261.  hanno  fatto  emergere  un  docu- 
mento importante  esistente  nell'  Archivio  della  Basilica 
Vaticana,  dal  quale  risulta,  che  nel  secolo  XIV.  questa 
tenuta  venne  in  potere  di  una  famiglia  romana    cogno- 


minata  Giubileo  ,  donde  il  castello ,  o  monte  s.  Angelo 
fu  detto  Castel  Giubileo,  e  che  nell'anno  1391  Pietruc- 
cio  Puccio  Giubileo  del  rione  Pigna  vendè  questo  castel- 
lo a  Lello  Maddaleno  insieme  col  tenimenlo,  di  dominio 
diretto  sempre  del  Monastero  di  s.  Ciriaco,  e  ne  deter- 
mina come  confini  il  casale  dc'Marroni,  Sette  Bagni,  il 
casale  de'Paparoni,  la  tenuta  di  Tuccio  Puccio  PanaIfa^ 
di  Radiciola,  la  tenuta  del  casale  di  f.  Silvestro  in  Ca- 
pite, quella  di  Natolio  Cesario  di  Radiciola,  ed  il  fiume 
Tevere.  Dopo  che  nel  secolo  seguente  Eugenio  IV.  e 
Niccolò  V.  soppressero  il  monastero  di  s.  Ciriaco,  ed  as- 
segnarono i  beni,  che  possedeva  alla  chiesa  di  s.  Maria 
in  Via  Lata,  il  capitolo  di  questa  cedette  i  diritti,  che 
avea  sopra  Castel  Giubileo  a  s.  Stefano  sul  monte  Celt» 
volgarmente  detto  s.  Stefano  Rotondo  ufficiato  allora  dai 
frati  di  s.  Paolo  primo  eremita  della  regola  di  s.  Ago- 
stino; Niccolò  V.  nel  confermare  a  que'  frati  tale  ces- 
sione inibì  loro  di  alienare  Castel  Giubilèo  e  gli  altri 
beni  sotto  pena  di  devoluzione  alla  Basilica  Vaticana. 
Veggasi  il  Bollano  Vaticano  tomo  IL  p.  146.  Archivio 
Segreto  Capitolino  Cred.  III.  Tom.  V.  p.  270.  Quattro 
anni  dopo  però  que'frati  con  istromento  de'16  decera- 
bre  1458  vendettero  per  3000  ducali  di  oro  alla  Basili- 
ca Vaticana,  che  oggi  ancora  lo  possiede,  il  Castel  Giu- 
bilèo col  lenimento  annesso:  in  quell'atto  che  può  con- 
sultarsi nell'Archivio  del  Capitolo  Vaticano  TransumpL 
lit.  C.  f.  177.  e  neir  Archivio  Segreto  Capitolino  Tom. 
51.  p.  270  il  Castello  si  designa  come  diroccato  e  ri- 
dotto allo  sta{o  di  Casale. 

In  questo  periodo  della  storia  di  Castel  Giubilèo 
occorre  il  fatto  ricordato  nel  Dìarum  Romanum  ripor- 
tato dal  Muratori  ne'  Rerum  Italie.  Script.  T.  XXIV. 
p.  978.  che  ai  4  di  maggio  1406  i  Romani  condotti  d» 
Paolo  Orsini  dal  monastero  di  s.  Anastasio  andarono  .id 


60 

accamparsi  a  Castel  Giubilèo ,  e  V  indomane  assalirono 
quel  castello  e  Io  bombardarono  in  guisa  che  una  gran 
parte  delle  mura  venne  abbattuta;  la  notte  seguente  il 
castello  fu  abbandonato  dalle  bande  mercenarie,  che  l'oc- 
cupavano, e  vi  rimasero  solo  i  massari  colle  loro  fami- 
glie. Il  dì  seguente  che  fu  il  6,  venne  occupato  dai  Ra- 
mani,  che  fecero  trasportare  in  Roma  tutto  ciò,  che  ivi 
trovarono,  e  fralle  altre  cose  Paolo  Orsino,  secondo  il 
costume  di  que'tempi,  tolse  come  trofeo  le  campane  del 
castello,  che  portò  nel  palazzo  papale,  ed  una  di  queste 
fu  data  alla  chiesa  di  s.  Maria  di  Araceli,  la  qilale  po- 
co dopo  per  negligenza  de'frati  fu  rotta.  I  Romani  tor- 
narono gli  8  di  quel  mese,  e  Paolo  il  di  10,  e  fecero 
un'ingresso  trionfale.  Narra  Giovanni  Antonio  Campano 
nella  vita  di  Pio  II.  inserita  nella  parte  II.  del  tomo  HI. 
àe'Rerum  Italie.  Script,  p.  989  che  quel  dotto  e  magna- 
nimo papa  imbarcatosi  a  Ponte  Molle  sul  Tevere  per  an- 
dare ad  assumere  il  comando  ad  Ancona  della  gran  spe- 
dizione contra  i  Turchi,  arrestossi  la  prima  notte  a  Ca- 
stel Giubileo,  mostrando  di  aver  molto  sofferto  in  quel 
primo  brevissimo  tratto  di  navigazione,  ed  accagionan- 
done la  difficoltà,  che  presentava  il  fiume;  mentre  di  fat- 
to lo  stato  cadente  della  sua  salute,  come  poco  dopo  si 
vide,  era  la  vera  causa  di  quel  suo  spossamento,  che  fu 
tale  da  non  poter  nemmeno  scendere  a  terra,  passando 
la  notte  nella  barca.  Nella  guerra  poi  fra  Sisto  IV.  ed 
il  re  di  Napoli,  l'anno  1482,  per  testimonianza  del  Nan- 
tiporto  nel  suo  Diario  inserito  nella  raccolta  sovranno- 
tata ,  Castel  Giubileo  fu  preso,  saccheggiato,  e  poi  ab- 
bandonato da  200  fanti  della  fazione  reale,  che  scesero 
fin  là  da  Palombara.  Era  in  quel  tempo  affittato  alla 
eontessa  Riario  moglie  di  Girolamo  nipote  di  Sisto  IV, 
il  quale  essendo  odiato  da  Romani,  accadde  che  morto 
il  papa  il  castello  fu  messo  a  sacco  dal  popolo  ai  12  di 
agosto  1481. 


61 

La  tenuta  di  Castel  Giubileo  confina  con  quello  de- 
nominate oggi  Villa  Spada,  o  la  Serpentara,  Sette  Bagni, 
Malpasso ,  e  col  Tevere  :  contiene  139  rubbia  di  terra. 
Essa  per  la  massima  parte  occupa  il  sito  della  città  pri-^ 
mitiva  di  Fidene  ,  di  cui  può  bene  tracciarsi  tutta  la 
estensione  determinata  da  rupi  o  da  pendici  molto  ele- 
vate: il  suo  giro  è  di  circa  3  miglia;  la  pianta  può  rU 
dursi  ad  un  quadrato  quasi  perfetto,  il  cui  angolo  occi*- 
dentale  è  formato  da  Castel  Giubileo,  l'antica  rocca:  il 
settentrionale  e  meridionale  sono  tagliati  dalla  via  sala»- 
ria:  e  l'orientale  scende  ad  un  rivo  che  viene  da  Sette 
Bagni,  Né  monumenti,  né  edificii  rimangono:  presso  l'an- 
golo meridionale  sul  dirupo  a  destra  della  strada  mo- 
derna sono  vestigia  di  opera  reticolata,  che  appartengono 
al  municipio  imperiale:  ivi  però  è  un  cunicolo  per  con- 
dotto, tagliato  nel  tufa,  opera  forse  de'  tempi  più  anti- 
chi ,  come  certamente  lo  sono  alcuni  sepolcri  di  cui  si 
veggono  le  traccie  ivi  dappresso,  tagliati  anche  essi  nel 
tufa,  e  di  forma  conica,  affatto  simili  a  quelli  de'dintor- 
ni  di  Veli,  indizio  molto  forte  della  verità  del  detto  di 
Livio ,  nam  Fidenates  quoque  Etrusci  fuerunt.  Nel  rima- 
nente la  terra  rigurgita  di  frantumi  di  terra  cotta  e  di 
pietra,  indizii  dell'essere  stata  un  dì  coperta  di  fabbri- 
che. Vilruvio  parla  delle  pietre  fidenali  fra  quelle,  che 
si  tagliavano  intorno  a  Roma;  esse  sono  un  tufa  litoide 
lionato  simile  aiTatto  a  quello  del  Campidoglio:  le  cay^ 
antiche  si  vedono  ancora  sulla  pendice  del  monte  fra  il 
casale  della  Serpentara,  ed  il  colle  di  Villa  Spada,  p  j^&Cj 
Tono  oggi  in  parte  di  grottp.  ..;m)  li 

olì:  f^;-;i  ^'ìLT  (iini:'ì\i)  '»JffO"-jH'.-<  oJcaiisjrjoh  hiì  ijjnb-joji t 
-fiii/jr,  ;-'ì   OìvAiuqk    FILACCIANO:    ,.y\)  \\,  o-iJ.'i^'n  Vm 

piccola  Terra,  proprietà  un  tempo  dc'Muti,  posta  in 
una  situazione  amena  fra  le  ultime  pendici  del  Soratte 


è(l  il  Tevere  netla  Comarca  di  Roma  ,  dipendente  dal 
■Governo  di  Castel  Nuovo ,  e  che  contiene  230  abitanti, 
A  questa  J'crra  si  va  per  la  via  tiberina,  la  quale  dira' 
ina  a  destra  della  flaminia  a  Prinxa  Porta,  e  da  Roma  si 
contano  circa  miglia  30.  Il  suo  nome  vuol  dedursi  dà 
©egli  Effetti  nel  trattato  de'  Borghi  di  Roma  p.  48  da 
Fiscon,  Faliscanum,  Faliseianum,  cioè  da'Falisci,  nei  cui 
territorio  si  trova.  A  me  sembra  però  per  argomento  di 
analogia ,  che  come  le  terre  di  quo*  dintorni  che  hanno 
un  nome  eolla  stessa  desinenza  derivano  dalla  famiglia 
che  le  possedette,  come  Ponzano  dalla  Pontia,  Nazzano 
dalla  Nautia,  Fiano,  o  piuttosto  Flaiano  dalla  Flavia,  Le- 
priniano  dalla  Leprinia,  anche  il  nome  di  Filacciano,  co- 
me la  sua  origine,  d<}bba  dedursi  da  un  qualche  Fiacco, 
che  avendo  un  fondo  in  questa  parte  fu  perciò  detto  que^ 
sto  fundus  Flaccianus,  donde  per  corruzione  Filacciano, 
^^ome  da  Flavianus  si  fece  Flaianus,  e  poscia  Fiano, 

iiloup  n       FINOCCHIO.  ■   i8»  '-'  <.'.'ii'5 

sii    UÌÌjU   ì'iU   iiìÌTM     r-i.fu     'ii.wi     -ilU.-  '/      li)     'i' 

i^  0  «j!o;)  m>  Scissa  Suam0. 

-iìdtir.ì  ih  s*5i>qo')  il}  njj  b|!^!  '  m'  :>;iti:i  ,nii     ; 

È  Una  osteria  posta  sulla  via  labicana,  circa  10.  mi- 
glia distante  da  Roma,  nella  crociata,  che  mette  in  com- 
municazione  la  via  detta  della  Colonna,  che  è  sulle  trac- 
eie  della  labicana  con  quelle  di  Frascati,  e  di  Palestrina: 
«ssa  è  nel  lenimento  di  Pantano,  spettante  ai  Borghese, 
il  quale  in  questa  parte  corrisponde  alla  Massa  Silanis 
ricordata  nel  documento  pertinente  all'anno  720  inserito 
nel  registro  di  Cencio  Camerario  e  riportato  da  Mura- 
tori nel  tomo  quinto  delle  Antiquitates  Medii  Aevi  p.  834. 
Questa  massa  era  composta  dei  fondi  denominati  a  quel- 


63 
la  epoca  Casa  Cantari,  Vivarium,  Laurentum,  Serrulae 
e  Sisinianum,  nomi  oggi  affatto  dimenticati;  allora  quo» 
sta  Massa  era  di  possidenza  della  Chiesa  Romana^ 

.-ifìfì'ò  i-  FIORA  '^^'.m^. 

È  un  rivo  influente  nel  Tevere  il  quale  ha  le  sor^^ 
(genti  principali  sotto  i  monti  corniculani  e  raccoglie  tutr 
te  le  acque  che  scesadono  da  Palombara,  s.  Angelo,  Ca» 
«tei  Chiodato,  e  Cretoni,  e  si  diriggono  verso  occidente, 
sboccando  nel  Tevere  presso  la  osteria  del  Grillo,  a  si»- 
nistra  della  via  salaria,  circa  18  miglia  lungi  da  Roma, 
Alcuni  lo  credettero  ne'tempi  scorsi  il  famoso  fiume  Al- 
ila, ma  la  distanza  assegnata  da  Livio  a  quel  fiume,  e 
fa  provenienza  da'  monti  crustumini,  fanno  per  ogni  rl-^ 
guardo  riconoscere  come  priva  di  fondamento,  anzi  con-^ 
jlraria  alla  verità  quella  opinione. 

il)    itti!  FIORANELLO  '  ^^-^ 

T«nimento  de'sig.  Muti  che  contiene  rubbià  67.' un 
quartuccio,  e  3  scorzi,  posto  fuori  della  porta  s.  Seba^ 
«tiano  7  miglia  lungi  da  Roma,  a  destra  dell'Appia,  il 
q[uale  confina  con  quelli  di  Torricola,  Cornacchiola,  FiO" 
rano,  e  Selce.  - .. .  m^ 

FIORANO 

JFloranum. 

Tenuta  delFAgro  Romano  fuori  della  porta  s.  Se- 
bastiano 8  miglia  lungi  da  Roma,  che  contiene  rabbia 
51.8,  2  quartucci,  e  3  scorzi.  Confina  con  quelle  di  Sel^ 


.'    ( 

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Um'i 

64 

ee,  Fioranello,  Tomcola,  Cornacchiola ,  Castel  di  Leva, 
Pedica  di  Castel  di  Leva,  Pedica  Cavalloni,  Falcognani, 
Territorio  di  Marino  e  Palombara.  Appartiene  all'Annun- 
ziata: viene  costituita  dai  fondi  denominati  Fiorano,  Fio- 
ranello, e  Cornacchiola:  è  divisa  ne'quarti  detti  la  Cor- 
nacchiola,  la  Giostra,  il  Quartaccio,  ed  il  Quarto  Lungo. 
La  prima  memoria  che  ho  incontrato  di  questo  la- 
tifondo è  in  una  carta  dell'archivio  di  s.  Gregorio  per- 
tinente all'anno  961  della  era  volgare,  e  riportata  dagli 
Annalisti  Camaldolesi  T.  L  p.  64.  nella  quale  parlan- 
dosi del  Casale  detto  le  Sei  Colonne  donato  da  Baldui- 
no  conte  a  Benedetto  abbate  del  monastero  de'ss.  Pietro 
e  Martino  sotto  l' Aventino  nella  contrada  denominata 
Horrea,  cioè  i  Granai,  si  pone  come  uno  de'confini  Fio- 
rano, 0  piuttosto  Fiorano,  di  diritto  allora  del  monaste- 
ro Cella  Nuova,  cioè  s.  Sabba.  Non  molto  dopo,  in  un 
altro  documento  della  stessa  raccolta,  e  spettante  all'an- 
no 1024,  che  è  un  istroraento  di  enfiteusi  del  Casale  di 
Massa  Camellaria  ,  si  nomina  come  uno  de'  confini  di 
questo  il  fundus  Floranus  di  diritto  del  monastero  di  s. 
Paolo  fuori  delle  mura;  nell'intervallo  pertanto  fra  il  961 
ed  il  1024  da  s.  Sabba  era  passato  in  proprietà  di  s. 
Paolo.  Quindi  Gregorio  VIL  nella  bolla  del  1074  ,  con 
che  conferma  ed  enumera  i  beni  pertinenti  a  s.  Paolo, 
nomina  fra  questi  la  Massa  Floriana.  Così  Innocenzo  IIL 
Tanno  1203  con  altra  bolla  di  conferma,  torna  a  nomi- 
nare frai  beni  di  s.  Paolo  ,  anche  Floranum  cura  suis 
pertinentiis.  I  monaci  di  s.  Paolo  rimasero  in  possesso 
di  questo  fondo  fino  all'anno  1264,  quando  avendolo  pre- 
cedentemente dato  in  pegno  per  2500  lire  a  Pier  Gio- 
vanni Pizzuti,  a  Jacopo  de  Capite,  ed  altri  di  casa  Vez- 
zosi, non  potendo  restituir  loro  questa  somma  ne' termi- 
ni convenuti,  ottennero  da  papa  Urbano  IV.  di  poterlo 
vendere  per  4000  lire  ai  monaci  di  s.  Balbina,  e  que- 


65 
sta  vendita  fu  ratificata  e  confermata  nel  1268  da  papa 
Cllemente  IV.  siccome  si  ha  dalla  sua  bolla  inserita  nel 
primo  volume  del  Bullarium  Vaticanum  p.  148.  In  ès- 
sa così  si  descrive  questo  fondo:  Casale  quod  vocatur  Flo- 
ranum  cum  Castello,  Turrì,  Palatio,  Domibus,  Casis,  Ae- 
dificiis ,  Casilinis  y  Cassavo  etc.  Cum  loco  seu  Casali  quod 
dicìtur  CastelUon  :  et  cum  omnibus  terris  etc.  A  quella 
epoca  pertanto  v'era  un  castello,  una  torre,  un  palazzo, 
case  etc.  ed  un  recinto  di  mura  intorno  alla  rocca  che 
chiamavano  cassaro.  Di  queste  fortificazioni  del  secolo 
XIII.  si  veggono  ancora  gli  avanzi  sull'alto  del  ripiano, 
ad  occidente  de' casali  moderni.  Dal  breve  dell'antipapa 
Clemente  VII.  diretto  1'  anno  1378  a  Giordano  Orsini  , 
signore  di  Marino,  e  riportato  dal  Ratti  nella  storia  di 
Genzano  n.  V.  ricavasi  che  a  quella  epoca  questo  casa- 
le era  di  dominio  diretto  de'monaci  di  s.  Paolo.  E  pro- 
babilmente a  loro  rimase  fino  all'  anno  lf>27  allorché 
venne  alienato  con  altri  beni  per  pagare  la  contribuzio- 
ne imposta  dagl'  imperiali  a  Clemente  VII.  Quindi  fu 
acquistato  dall' Archiconfraternita  dell'Annunziata  e  dal 
monastero  della  Purificazione,  ai  quali    appartiene. 

Il  nome  di  Fiorano  derivando  da  Floranus  è  pro- 
va che  un  tempo  questo  fondo  fu  patrimonio  di  un  Flo- 
rus,  nome  ben  noto  fragli  antichi,  come  pure  ne' secoli 
IX.  e  X.  si  ricordano  1'  anno  821  un  Floro  legato  di 
papa  Stefano  IV.  alla  corte  di  Lodovico  Pio,  ed  un  Flo- 
ro prete  1'  anno  934  menzionati  dal  Galletti  nel  Primi- 
cero  p.  63.  73.  e  194.  Forse  uno  di  questi  fu  il  pos- 
sessore prossimo  di  questo  fondo ,  od  altri  più  antico. 
Certo  è  però  che  il  ripiano  ,  dove  sono  i  casali  nuovi 
di  Fiorano  era  stato  occupato  da  una  villa  romana  fino 
da'tempi  della  repubblica;  e  n'è  prova  la  sostruzione  di 
opera  incerta  del  VI  secolo  di  Roma,  che  ivi  ancora  si 
vede,  nella  quale  rimane  uno  speco  di  condotto.  Sul  fon- 

5 


66 

tamle  poi  che  è  appiè  della  valle  è  la  iscrizione  seguen- 
te con  un  bassorilievo  di  forma  circolare  rappresentante 
l'Annunziata: 

AQVAM  FLORANI  DIV  INTERCEPTAM 

ET   ABERRANTEM    PVRGATO    FONTE    RESTITVTO    DVGTV 
i      NOVIS   ADIECTIS   VENIS    AD    PRISTINVM   LACVM 
REDVCENDAM   CVRARVNT   HORATIVS   ALBANVS 

CLEMENTIS  XI  GERMANVS  FRATER 

lOHANNES   GAMBA  ì 

BENEDICTVS    DE    ASTE  \      PRIORES 

FRANCISCVS   MARIA   PETRONIVS  ) 

PROSPER   BOCCAPADVLIVS  ) 

I     depvtati 

IVLIANVS   CAPRANICA  ) 

LAZZARVS   LEONETTVS    SEGRETARIVS 
ARCHICONFRATERNITATIS   SMAE   ANNVNTIATAE 
•w   ;..  :    ;      i-        ANNO    SAL.    MDCCIV 

,.{  ■:nùrV  FISCALI 

\ih  ' 

Tenuta  di  rubbia  37.  ed  un  quartuccio  già  perti- 
nente ai  s.  Croce  e  posta  presso  l'Aniene  sulla  riva  de- 
stra del  fiume  a  destra  della  via  salaria.  Confina  con 
quelle  di  prato  Fiscale,  prato  Rotondo,  Valle  Melaina  e 
quarto  di  ponte  Salaro. 

FIUMICINO  V.  PORTO. 


■i 


FOCIGNANO. 


fmimmmC  f^^ 


rmtm 


Tenuta  dell'Agro  Romano  pertinente  ai  Cesarina,  ad 
«oriente  di  Ardea,  donde  è  distante  2.  va.  circa  e  25  da 
Aoma.  ConGna  colie  tenute  di  Campo  del  Fico  y  Buon 
Riposo,  Gogna,  Valle  Lata,  Salzana,  s-  Lorenzo,  Tufel- 
la,  ed  Ardea.  È  divisa  in  tre  quarti  suddivìsi,  il  primo 
ne'  quarticcioli  detti  Valle  Serpentara  ,  Valle  Carmiera , 
Monti  delle  Capanne  nuove  ,  Valle  Solfaratella ,  Monte 
dell'Ara  Nuova,  e  Pantanella;  il  secondo  in  quelli  di  Tre 
Monti,  e  Valle  Gogna:  il  terzo  poi  in  quelli  della  Vitel- 
lara  e  Monte  del  Castellacelo.  Comprende  rubbia  522  ed 
uno  scorzo. 

Il  suo  nome  deriva  da  qualche  Fusinius  o  Fuiìnìns 
che  ne'  tempi  antichi  vi  ebbe  un  fondo ,  che  perciò  fu 
detto  Fusinianus;  ed  infatti  Fusinianum  si  chiama  in  una 
carta  dell'archivio  di  s.  Alessio  pertinente  al  1224  e  ri- 
portata dal  IVcrini  nella  storia  di  questa  chiesa  p.  422. 
Nel  secolo  XIIL  vi  fu  edificato  un  castello ,  che  si  ri- 
corda in  un  altro  documento  riferito  dallo  storico  sovra- 
indicato,  come  confine  del  lenimento  di  Verposa  o  Buon 
Riposo  l'anno  1360:  ab  uno  latere  est  tenimentum  castri 
Fmingiani:  prova  che  a  quel  tempo  quelle  terre  non 
erano  cosi  inabitabili  per  la  insalubrità  come  oggi  si 
credono. 

-i-.  oi  '■•!.•         FONTANA  MURATA.  -nnoh  ^.luf 

Tenuta  pertinente  ai  S.  Croce  ,  e  confinante  con 
quelle  di  Ponton  degli  Elei,  Posta  di  Forano,  Casaccia, 
Quarto  di  s.  Brigida  e  col  territorio  dell' Anguillara.  Essa 


68 

è  traversata  dalla  via  claudia  o  strada  di  Bracciano  cir- 
ca 19.  miglia  lungi  da  Roma.  Comprende  318.  rubbia 
divise  ne'quarti  di  Gannucceto,  Cioccariglia,  Quarticciolo, 
e  Fontanile.  ;  .         •    > 

Uf.r.'    V         FONTANA  DI  PAPA. 
r,\>   '■•^'  •»  ts'*  .■  *■         ,  >•*".■ . 

'■■■■■  È  una  osteria  moderna  nella  strada  di  Porto  d'An- 
zio e  Nettuno,  18  miglia  distante  da  Roma.  Il  suo  no- 
me deriva  dalla  fontana  ivi  costrutta  da  papa  Innocen- 
zio  XII.  per  commodo  de'viandanti  sul  finire  del  secolo 
XVII.  allorché  costrusse  il  nuovo  porto  di  Anzio. 

-i  FONTE  DI  PAPA  v.  MASSA 

FONTANA  DI  PAPA  v.  MONTE  GENTILE 

vi  óh-i-q  'Uh  ,  t,i:  FONTIGNANO 

unti  m  vi'.i!'  >,  [>•  /(iU'if.  ■•  i""..  ■  .^■•i'ir\nrwi-''     r\  ,'<• 

-il   '»   f'i'Vl     'ì;    'J;iV'>\^  ,      , 

±y.i  M  ,   ;  !      jrrontimanum 

-  n    1». 


Q.  Maria  stn  irontignano. 


'  ■'•"Il  nome  di  questo  tenimento  dell'Agro  Romano,  co- 
Ine  è  enunciato  in  una  carta  dell'anno  1068  ricorda  quel- 
lo del  celebre  curatore  delle  acque  di  Roma,  Frontino, 
poiché  in  quel  documento  Frontinianum  si  trova  appel- 
lato. Questo  fondo  apparteneva  l'anno  1068  in  parte  ad 
una  donna ,  Maria  Fusconi  de  Lìuzo ,  la  quale  lo  ven- 
dette insieme  colle  selve  ed  altre  pertinenze  ad  Arnol- 
fo arciprete  di  s.  Maria  in  Trastevere,  secondo  un  do- 
cumento esistente  nell'  archivio  di  quella  basilica,  e  ri- 
|)ortato  dal  Moretti  nella  storia  di  quella  chiesa,  e  più 


69 

correttamente  dal  Galletti  in  un  codice  vaticano  h.  8025. 
£d  in  quella  Carla  appunto  ha  il  nome  di  Frontinianum. 
Da  quella  ejioca  Ano  a'dì  nostri  è  rimasto  sempre  a  quel- 
la basilica,  alla  quale  lo  confermò  papa  Benedetto  XII; 
l'anno  1339  come  si  trae  da  un  altro  documento  dello 
stesso  archivio  trascritto  dal  Galletti  nel  codice  notato 
di  sopra.  Questo  indefesso  raccoglitore  trascrisse  pure 
un'altra  Carta  dell'anno  1427  dalla  quale  apparisce,  che 
in  quell'anno  fu  affittato  dal  Capitolo  di  quella  chiesa  a 
Lorenzo  Angelelli  Mellini  de  Mellinis  del  rione  Regola 
questo  casale  allora  detto  s.  Maria,  o  Frontignano,  e  se 
ne  determinano  per  confini  il  maschio  de'figli  di  Giaco- 
mello  Cenci,  il  casale  di  Antonio  de'Quatracii,  il  casale 
di  Nardello  de  Bondiis,  il  casale  di  s.  Angelo  in  Pesca- 
ria  ,  la  tenuta  delli  Maligni ,  ed  il  casale  di  s>  Cecilia. 
Di  questi  confini  il  maschio  de'figli  di  Giacomello  Cen- 
ci è  la  odierna  tenuta  del  Maschietto ,  la  tenuta  delli 
Maligni  è  Castel  Malnome  di  ss.  Sanctorum,  e  s.  Ceci- 
lia conserva  intatto  il  suo  nome:  gli  altri  fondi  oggi  di- 
consi  Pantanella,  Brava,  Pisana,  Casal  della  Morte,  Pe- 
dica  s.  Rocco j  Massimilla,  e  Castel  di  Guido.  La  tenu- 
ta è  circa  8  miglia  fuori  di  porta  s.  Pancrazio  :  com-. 
prende  405  rubbia  e  3  quartucci:  e  si  divide  ne'quarti, 
detti  di  MezzO)  del  Casale,  Valle  Galera,  Galera,  e  Pi- 
sana, li, 

FORMELLO.  .,   »,.:.£ 


iTormellum, 


(.1 


Terra  della  Comarca  di  Roma  dipendente  dal  Go- 
verno di  Campagnano,  che  contiene  circa  500  abitanti, 
posta  a  destra  della  via  cassia  circa  16  miglia  lungi  da 


7& 

Roma.  La  strada  diretta  per  andarvi  dalla  capitale  ài" 
verge  dalla  Cassia  circa  al  12  miglio  a  destra,  alla  oste- 
ria detta  del  Fosso:  essa  è  in  gran  parte  tracciata  sul- 
l'andamento di  un  antico  diverticolo,  che  saliva  al  mon^ 
te  Musino ,  e  di  là  andava  a  Scrofano  ,  diverticolo  che 
ancora  esiste.  La  sua  origine  è  incerta;  ma  probabilmen- 
te formossi  dopo  l'abbandono  della  terra  di  Capracoro 
esistente  intorno  alla  diruta  chiesa  di  s.  Cornelio ,  che 
il  volgo  appella  s.  Cornelia;  il  suo  nome  deriva  dai  cu- 
nicoli che  furono  aperti  in  tutto  il  tratto  fra  questa  ter- 
ra e  Veii,  onde  condurre  acque  potabili  a  quella  colo- 
nia romana  dalle  viscere  di  monte  Musino.  Il  Nardini 
nell'aureo  suo  libro  dell'Antico  Veio,  egli  che  tanto  be- 
ne conosceva  qliestc  contrade,  afferma  che  maraviglioso" 
è  lo  spazio' fra  Formello  e  l'Isola  ossia  Veii,  quasi  tut- 
to pensile  per  li  tanti  cunicoli  che  ha  sotto  ,  ne'  quali 
hanno  transito  molti  rivi ,  e  da  questi  anche  egli  deri- 
va il  nome  della  Terra.  Egli  pure  osservò  che  tre  tron- 
chi di  antiche  vie  dirigevansi  verso  Formello,  uno  che 
distaccavasi  dalla  Cassia  presso  la  così  delta  Sepoltura, 
di  Nerone  dalla  stazione  ad  Sextum ,  per  s.  Cornelio  , 
l'altro,  che  spiccavasi  dalla  Flaminia  presso  il  monte  del- 
ta Guardia  all'antica  stazione  ad  Vicesimum,  ed  il  terzo 
dal  bosco  di  Baccano,  oggi  distrutto.  Siccome  fu  gran- 
de la  santità  del  monte  Musino  ,  al  quale  tutti  questi 
tronchi  diri ggonsi  passando  per  Formello,  perciò  non  dee 
recar  meraviglia  la  loro  moltiplicità. 

Formello  divenuto  castrum  appartenne  ai  monaci  di 
s.  Paolo:  ed  infatti  l'anno  1203  si  trova  enumerato  nel- 
la bolla  di  Innocenzo  III.  pubblicata  dal  Margarini  in- 
sieme cogli  altri  beni  a  quel  monastero  confermati,  do- 
ve è  da  notarsi  che  antecedentemente  nella  bolla  di  Gre- 
gorio VII.  del  1074.  non  si  trova  punto  ricordato  For- 
mello.   Circostanza  mi  sembra  molto  da  ponderarsi  per 


lì 

sospettare  che  la  fontìazione  di  questo  castello  di  molto 
non  fòsse  anteriore  a  quella  epoca.  Come  castellum  pur 
si  ricorda  nella  bolla  di  Onorio  III.  deiranno  1217,  nel- 
la quale  vengono  enumerati  i  beni  de*pp.  del  Riscatto, 
riportata  nel  tomo  I.  del  Bollario  Valicano.  Sotto  il 
pontificato  di  Niccolò  III.  0  poco  dopo  passò  in  potere 
degli  Orsini,  i  quali  insieme  con  Cesano,  Campagnano , 
e  Magliano  Pecorareccio  lo  vendettero  ai  Chigi  1'  anno 
1661.  per  345000  scudi,  e  questa  famiglia  ancor  lo  pos- 
siede. La  Terra  non  offre  altra  cosa  degna  da  rammen- 
tarsi che  una  statua  paludata.  Presso  di  essa  è  la  de- 
lizia de'signori  del  luogo  che  ha  nome  di  Yersaglia.    ■  > 

FORNO.  iiìv>mtiù:ni 

Stazione  sulla  via  tiburtina  al  biforcàmento  delle 
strade  di  Tivoli  e  di  Monticelli;  7  miglia  lungi  da  Ro- 
ma. Annessa  a  questa  è  una  tenuta  dello  stesso  nome 
di  150  rubbia  di  estensione  ,  confinante  con  quelle  di 
s.  Eusebio ,  Marco  Simone,  Prato  Lungo,  e  Casal  Vec-' 
chio,  divisa  ne'  quarti  dell'Ortaccio,  del  Casale,  e  della 
Strada,  già  pertinente  al  Capitolo  di  s.  Maria  Maggiore. 

FOSSOLA  V.  DECIMO.  '.^ 

FRASCATI  \.  TVSCVLVM."  ''^ 


FREGENA  v.  MACCARESE. 


■ii){»    .0i7 


V.? 


GABII. 

Jpantanusi  ^jo,  ©urna  ^astìUoma*^ 


'ia 


:  "> 


n 


-<\  ./i       1     PANTANO,  CASTIGLIONE.  b 

■*  ,  JUi    v'i.:  ;'.'j<  '.     '.■-■     'j'iA:    .-'iU) 

Dionisio  Alicamasseo  lib.  IV.  c^  LHL  determina  fa 


n 

posizione  di  questa  antica  città  latina  in  questi  terminr^ 
eram  una  città  della  stirpe  latina  ,  colonia  degli  Albani  ^ 
distante  da  Roma  100  stadii,  posta  sulla  via  che  conduce 
a  Premeste ,  Gabii  appellavanla.  Lo  stesso  dichiara  Stra- 
bene nel  lib.  V.  e.  III.  ponendola  circa  100;  stadii  di- 
stante da  Roma,  a  mezza  strada  tra  Roma  e  Prenester 
ora  100  stadii  sono  eguali  a  12.  miglia  e  mezzo  roma- 
ne; e  perciò  l'itinerario  detto  di  Antonino,  non  contan- 
do nrad  le  frazioni  le  assegna  XII.  m.  di  distanza  da 
Homa^  e  fra  Roma  e  Preneste  la  pone  Appiano  nel  li- 
bro V.  delle  Guerre  CiviU.  Laonde  ncm  è  difficile  rintrac- 
ciarne la  situazione,  esistendo  ancora  Roma,  Preneste  e 
le  traccie  della  via  prenestina.  Quindi  concordemente  sì 
riconoscono  come  vestigia  di  questa  città  quelle  che  tro- 
vansi  circa  12.  miglia  fuori  di  porta  Maggiore  ne^teni- 
menti  denominati  di  Castigtìone  e  di  Pantano^  Inoltre  se 
rimaner  poteva  ne'tempi  passati  ombra  di  dubbio,  que- 
sta venne  dileguata  pienamente  dalle  ricche  scoperte  che 
•vi  fece  nel  1792.  il  principe  Marcantonio  Rorghese  che 
fornirono  monumenti  di  ogni  genere,  che  oggi  formano- 
uno  degli  ornamenti  principali  del  museo  di  Parigi^. 

Nulla  può  dirsi  della  etimologia  del  nome  di  que-* 
sta  città;  non  così  della  sua  origine  albana,  poiché  Dio- 
nisio nel  passo  riferito  di  sopra,  Virgilio  Aen^id.  VI.  v.- 
773.  e  Vittore  nel  capo  XVII.  della  Origo  Gentis  Ro- 
manae  lo  affermano  positivamente,  e  secondo  questo  ul- 
timo scrittore  fu  dedotta  da  Alba  la  colonia  di  Gabii  da 
Latino  Silvio,  quello  stesso  re,  che  secondo  Livio  lib.  I. 
e.  II!.  dedusse  parecchie  colonie.  Divenne  questa  colo- 
nia poiiolosà  e  grande  quanto  qualunque  altra,  siccome 
riferisce  lo  stesso  Dionisio ,  il  quale  nel  lib.  I.  mostra 
che  era  una  specie  di  università  per  tutto  il  popolo  la- 
tino, dove  di  soppiatto  furono  da  Numitore  mandati  ad 
educare,  ed  apprendere  la  lingua  greca  ed  il  maneggio 


73 

delle  drmi  i  suoi  nipoti  Romulo  e  Remo;  fatto  che  vie- 
ne confermato  da  Vittore  nella  opera  sovraindicata.  La 
sua  dipendenza  da  Alba,  a  quella  epoca,  sembra  come 
quella  delle  altre  colonie  dedotte  da  essa ,  essere  stata 
più  di  formalità  ,  che  di  fatto,  poiché  Numitore  volen- 
do salvare  i  nipoti  non  li  avrebbe  mandati  in  una  città 
dipendente  direttamente  dagli  ordini  di  Amulio^  che  bra- 
mava di  metterli  a  morte. 

Dopo  la  fondazione  di  Roma  dee  credersi,  che  Ro- 
mulo per  gratitudine,  Numa  pel  suo  carattere  tutto  pa- 
cifico, e  d'altronde  Alba  sempre  restava,  tenessero  buo- 
na armonia  co'Gabini.  La  rovina  di  Albalonga,  metropoli 
di  tutto  il  Lazio  pose  indirettamente  Gabii  in  quella 
dipendenza  da  Roma,  che  avea  da  Alba,  e  forse  i  lega- 
mi erano  anche  più  larghi;  né  Anco  Marcio,  nò  il  pri- 
mo Tarquinio  ,  né  Servio  ebbero  brighe  col  popolo  di 
Gabii;  ma  il  secondo  de'  Tarquinii,  ultimo  re  di  Roma, 
che  amava  di  conquistare  tutto  il  Lazio ,  e  le  contrade 
limitrofe,  volle  impossessarsi  di  questa  città,  che  allora 
reggevasi  a  modo  republicano-aristocratico  e  prevedendo 
di  non  potere  pervenire  al  suo  intento  colla  forza  ,  vi 
pervenne  coli' astuzia  servendosi  per  condurre  la  trama 
di  Sesto  suo  figlio,  siccome  può  leggersi  nel  passo  alle- 
gato di  Dionisio  ed  in  Livio  lib.  L  e.  LIIL  dal  quale 
rilevasi  al  e.  LX.  che  dopo  la  caduta  del  governo  mo- 
narchico in  Roma ,  Sesto ,  che  voleva  ,  come  nel  regno 
suo  ritirarsi  a  Gabii,  fu  ucciso  da  quelli  che  vollero  ven- 
dicare le  ingiurie  passate,  le  sue  estorsioni,  e  le  sue  stra- 
gi. E  qui  debbo  osservare,  che  questo  racconto  di  Li- 
vio, che  è  tanto  naturale,  è  in  aperta  opposizione  con 
quello  di  Dionisio,  il  quale  nel  lib.  V.  nomina  i  Gabini 
fra  gli  altri  popoli,  che  presero  le  armi  a  favore  de'Tar- 
quinii  espulsi  da  Roma,  e  dice,  che  Sesto  fu  ucciso  nel- 
la battaglia  del  Regillo.  Qualunque  di  queste  due  tra- 


74 

dizioni  voglia  seguirsi,  egli  è  certo,  che  dopo  quella  bàt-* 
taglia,  i  Gabini  rimasero  sempre  attaccati  ai  Romani,  e 
la  via  di  che  si  fa  menzione  ne'tempi  più  antichi  è  ap^ 
punto  la  via  gabina,  che  si  ricorda  da  Livio  nel  lib.  IL 
e»  XL  dove  nari'a  i  fatti  della  guerra  di  Porsenna.  Co^ 
ttie  amici  ed  alleati  de'  Romani,  i  Gabini  videro  deva- 
stare le  loro  campagne  dagli  Equi  l'anno  292  di  Roma, 
come  afferma  Livio  nel  libro  IIL  e.  VIIL  e  dai  Prene- 
stini  r  anno  375,  secondo  lo  stesso  scrittore  lib.  VL  e* 
XXVIL  Nella  famosa  lega  latina  dell'anno  415  che  finì 
col  porre  il  Lazio  sotto  la  dipendenza  di  Roma^  mentre 
si  nominano  altri  communi,  che  vi  parteciparono,  Gabii 
non  vi  pi'ese  parte  e  rimase  fedele  agli  impegni  contrat-- 
ti  con  Roma. 

L'anno  543.  Annibale  venendo  contro  Roma  per  la 
via  latina,  itagli  a  vuoto  la  spedizione  di  Tusculo,  scese 
da  Tusculo  a  Gabii:  infra  Tusculum  dexirorsus  Gahios  de-* 
scendit ,  dice  Livio  lib.  XXVL  e.  IX.  e  forse  non  solo 
attendossi  intorno  alia  città,  ma  entrò  in  essa^  poiché  il 
passo  di  Livio  sovraindicato  è  molto  vago.  Frai  predigli, 
che  questo  stesso  storico  nota,  come  avvenuti  nel  578, 
indica  pure  il  tempio  di  Apollo  di  Gabii,  che  fu  fulmi- 
nato insieme  con  parecchi  edificii  privati.  L'  autore  del 
trattato  de  Coloniis  attribuito  a  Frontino  mostra,  che  le 
fortificazioni  di  Gabii  furono  rialzate  da  Siila,  ed  i  cam- 
pi divisi  fra'soldati;  è  questo  un  forte  indizio  che  la  cit- 
tà seguisse,  come  Preneste  il  partito  di  Mario,  e  come 
quella  andasse  soggetta  a  fiere  sciagure.  Quella  legge 
sillana,  ricordata  nel  trattato  sovraindicato ,  fu  emanata 
l'anno  di  Roma  673,  ed  è  una  delle  tante  fatte  da  quel 
dittatore  che  possono  vedersi  raccolte  nell'  Ordo  Histo- 
riae  luris  Civilis  del  Martini  §.  XLIV.  La  prossimità  a 
Roma  e  le  guerre  civili,  che  accompagnarono  il  discio- 
glimento della  repubblica    ridussero  Io  stato   di    questa 


75 

città  ad  Un  grado  tale  di  abbattimento,  che  Cicerone  nel- 
la orazione  prò  Piando  e.  IX.  la  nomina  con  Labico,  e 
Boville,  come  quella  città,  donde  appena  potevano  per  la 
scarsezza  del  popolo  mandar  deputati  alle  Ferie  Latine 
onde  partecipare  della  distribuzione  della  carnea  ed  in 
quel  passo  l'oratore  romano  l'appella  municipio.  Lucano 
parlando  dei  mali  prodotti  dalla  guerra  civile  cesariana 
lib.  VIL  V.  391.  esclama: 

tunc  orane  latinum 

Pabula  nomen  erit:  Gabios,  Veiosque,  Coramque 
Pulvere  vix  tectae  poterunt  monstrare  ruinae. 
Dionisio  pochi  anni  dopo  quella  guerra  fatale  descrive 
nel  libro  IV.  questa  città  come  abitata  soltanto  in  quelle 
parti,  che  toccavano  la  via  prenestina,  che  attraversava- 
la  e  dove  erano  albergati  e  che  poteva  aversi  una  idea 
della  sua  primitiva  grandezza  e  dello  splendore ,  osser- 
vando le  rovine  moltiplici  delle  case,  ed  il  recinto  delle 
mura,  il  quale  era  ancora  in  piedi  in  gran  parte:  quin- 
di Orazio  nella  epistola  XI.  del  libro  I.  la  descrive  co- 
me un  villaggio: 

Scts  Lebedos  quid  sit  ?  Gabiis  desertior  atqUe 
Fidenis  vicus. 
Cosi  Properzio  lib.  IV.  eleg.  I.  dice  che  Gabii  era  una 
città  annichilata: 

Etf  qui  nunc  NULLI  maxima  turba  Gabi. 
L*anno  712  di  Roma,  attesa  la  situazione  intermedia  di 
questa  città  fra  Roma  e  Preneste,  venne  scelta  per  tener- 
vi un  abboccamento  da  Ottaviano,  e  da  Lucio  Antonio, 
che  si  era  trincerato  in  Preneste;  questo  non  solo  non 
ebbe  luogo ,  ma  fini  per  la  diffidenza  reciproca  in  una 
rottura  aperta,  siccome  narra  Appiano  nel  libro  quinto 
delle  Guerre  Civili. 

La  lunga  pace  che  godè  l'Italia  dopo  il  ristabilimen- 
to finale  dell'ordine  pubblico  sotto  di  Augusto,  fece  ri- 


76 

fiorire  molte  città  cadute  in  squallore  ,  fralle  quali  fu 
Gabii)  per  cui  una  ragione  più  forte  si  aggiunse,  quella 
cioè  dc'bagni  freddi,  co'quali  Antonio  Musa  ristabilì  la 
vacillante  salute  di  Augusto,  e  frai  quali  celebri  parti- 
colarmente erano  le  acque  di  Chiusi  e  di  Gabiij  dicen- 
do Orazio  nella  epistola  XV. 

tnihi  Baim 
Musa  supervàcuas  Antonius  et  tamen  illis 
Me  facit  invisum,  gelida  quum  perluor  unda 
Per  medium  friguB.  Sane  murteta  relinquif 
Dictaque  cessantem  nervis  elidere  morbum, 
Sìdphura  contemni^  vicus  gemit;  invidm  aegris 
Qui  caput  et  renes  supponere  fontihus  audent 
Clusinisj  Gabiosque  petunt,  et  frigida  rura. 
E  questa  fama  de'  bagni    gabini   continuava  a  teinpi  di 
Domiziano  ancora  a  segno ,  che  Giovenale  nella  satira 
VII.  V.  3.  dice  de 'poeti  che  erano  poco  applauditi,  che 
tentavano:      -  r> 

Balneolum  Gabiis,  Romae  conducere  furnum. 
I  monumenti  scoperti  nel  1792,  come  quelli  anteceden- 
temente venuti  alla  luce,  sono  tutti  posteriori  allo  sta- 
bilimento dell'impero,  come  il  frammento  de'Fasti  pub- 
blicato da  Fabretti  ed  allora  affisso  nelle  pareti  della 
chiesa  diruta  di  s.  Primitivo,  riprodotto  poi  dal  Mari- 
ni nella  opera  degli  Arvali  p.  24.  b.  il  quale  contiene  i 
consoli  ordinarli  e  suffetti  dall'anno  2  all'anno  6  della 
era  volgare:  quella  di  Lucio  Antistio  Vetere,  pontefice, 
pretore ,  decemviro  pe'  giudizii ,  e  questore  di  Tiberio 
Cesare  Augusto^  oggi  nel  museo  Vaticano;  il  frammento 
edito  dal  Fabretti  sovrallodato  Inscr.  743.  il  quale  ap- 
partiene a  Claudio  :  varie  lapidi  della  epoca  di  Tito  e 
Domiziano ,  che  si  veggono  in  villa  Borghese ,  scoperte 
fino  dal  1792.  e  da  me  illustrate  ne'  Monumenti  Scelti 
di  quella  villa  p.  35.  44-  45.  Molto  però  contribuì  allo 


77 
splendore  dì  Gabii  Adriano,  il  quale  costruì  l'acquedot- 
to dì  che  rimangono  ancora  le  vestigia,  ed  eresse  la  Cu- 
ria Elia  ricordata  dalla  celebre  epigrafe  di  Domizia  fi- 
glia di  Corbulone.  Dopo  quella  epoca  frequenti  memorie 
di  Gabii  si  hanno  ne'tempi  di  Antonino,  e  di  Commodo 
nelle  iscrizioni;  ed  i  ritratti  di  Severo  e  Geta  son  prova 
del  lustro  del  municipio  nel  primo  periodo  del  secolo  III. 
della  era  volgare. 

Cominciò  poscia  a  decadere  a  segno,  che  un  passo 
di  Anastasio  nella  vita  di  Silvestro  I.  indurrebbe  a  cre- 
dere che  a'  tempi  di  Costantino ,  cioè  sul  principio  del 
secolo  IV.  fosse  di  già  ridotta  ad  uno  stato  di  Massa,  o 
tenuta,  che  quel  biografo  appella  Massa  Gaba  territorio 
Gabinensi,  donata  da  Costantino  al  Battisterio  Lateranen- 
se.  Ma  qui  si  affacciano  gravissime  difficoltà;  poiché  esi- 
stè pure,  almeno  ne'  bassi  tempi,  una  terra  di  Gabi  in 
Sabina,  siccome  ha  provato  il  Galletti  con  una  disserta- 
zione erudita ,  scritta  a  tale  uopo  ed  appoggiata  a  do- 
cumenti che  non  ammettono  eccezione  ;  nelle  carte  de' 
tempi  bassi  si  scambia  sovente  il  nome  Sabinensis,  o  Sa- 
vinensis  in  Gabinensis,  o  Gavinensis  e  vice  versa,  e  per- 
ciò riman  dubbio  se  Anastasio  in  quel  passo  abbia  in- 
teso di  GÀbi  in  Sabina ,  o  di  Gabii  nel  Lazio.  Quanto 
a  me  io  non  posso  credere  ,  che  sul  principio  del  IV. 
secolo  Gabii  latina  fosse  affatto  deserta:  poiché  mi  sem- 
bra che  la  frequenza  della  via  prenestina  dovea  porvi 
ostacolo.  Inoltre  pare ,  che  non  possa  escludersi  affatto 
la  esistenza  di  un  vescovo  di  Gabii,  come  di  altre  città 
intorno  a  Roma  ;  ma  fra  questi  vescovi  stessi ,  raccolti 
dairUghelli,  dal  Sarti,  e  dal  Nicolai,  ve  ne  sono  certa- 
mente, che  per  l'equivoco  sovraindicato  di  Sabinensis,  e 
Gabinensis,  appartengono  alla  Sabina  e  non  a  Gabii.  La 
serie  dell'Ughelli  ricorda  Asterio  vescovo  nell'anno  465, 
Andrea  nel  487,  Mercurio  nel  501  e  504,  Martino  noi 


78 

649 ,  Martìniano  o  Marciano  nel  721 ,  Niccta  nel  743 , 
Gregorio,  o  Giorgio  neli'  826,  Pietro  neli'853  ed  861  e 
finalmente  Leone  neir876.  ed  879.  II  Sarti  de  Episcopis 
Euguhinìs  p.  40  vi  aggiunge  un  Pietro  che  viveva  l'an- 
no 1060.  Ed  il  Nicolai  nelle  Dissertazioni  inserite  negli 
Atti  deW Accademia  Romana  di  Archeologia  T.  V.  p.  49. 
ne  ha  scavato  un'altro  di  nome  Teodoro  da  un'istromen- 
to  che  si  conserva  nell'  Archivio  Sublacense  ,  del  quale 
si  ha  copia  nel  codice  vaticano  8054  fol.  27.  Da  ciò  però 
che  sono  per  mostrare  più  sotto,  mi  sembra  chiaro,  che, 
ammettendo  come  probabile,  e  quasi  dimostrata  la  esi- 
stenza della  sede  vescovile  di  Gabii,  la  serie  de'vescovi 
gabini  non  possa  prolungarsi  più  oltre  del  secolo  Vili. 
onde  quelli  che  dopo  quella  epoca  si  ascrivono  a  Gabii, 
più  probabilmente  debbonsi  assegnare  alla  Sabina;  e  che 
come  io  credo  che  la  esistenza  della  città  si  protraesse 
ben  più  oltre  della  era  costantiniana,  così  fosse  cessata 
dopo  la  metà  del  secolo  ottavo. 

La  traslazione  dell'impero,  l'assenza  degl'imperado- 
ri  di  occidente  da  Roma ,  le  invasioni  de'  barbari ,  che 
finalmente  estinsero  l'impero  occidentale  l'anno  476,  se 
furono  fatali  alla  metropoli,  maggiormente  lo  furono  al- 
le sue  vicinanze.  Più  ancora  queste  ebbero  a  soffrire  nel 
secolo  susseguente  per  la  guerra  accanita  che  pose  fine 
al  regno  de'Goti  l'anno  553.  e  per  le  scorrerie  de'Lon- 
gobardi  in  quello  che  allora  appellavasi  Ducato  Roma- 
no. Quindi  r  anno  741  Gabii  era  ridotta  allo  stato  di 
fondo,  il  quale  insieme  con  altre  terre  attinenti,  fu  da 
Zaccaria  dato  in  locazione  ad  un  Cristoforo  nobile  roma- 
no ,  siccome  si  trae  dal  registro  di  Cencio  Camerario 
riportato  da  Muratori  nelle  Antiq.  Medii  Aevi  Tom.  V. 
p.  837  ,  documento ,  che  mostra  essere  Gabii  divenuto 
fin  da  quella  epoca  di  dominio  diretto  della  chiesa  ro- 
mana. Gli  sconvolgimenti  successivi  de'  secoli  IX.  e  X. 


79 

cangiarono  ,  non  si  sa  come,  da  affìttuarìi  in  proprieta- 
rii  i  nobili  romani,  investiti  da  Zaccaria  del  possesso  di 
Gabii,  poiché  nel  1030  Giovanni  di  Giorgio  e  Buona 
mostransi  come  proprietarii  del  luogo,  allorché  fondaro- 
no il  monastero  de'ss.  Primitivo  e  Nicolao,  come  risulta 
dalla  carta  autentica  di  tal  fondazione  esistente  nell'ar- 
chivio  di  s.  Prassede  e  diretta  a  Lioto  monaco ,  ripor- 
tata dal  Galletti  nel  Primicero  Append.  p.  268,  carta  nel- 
la quale  enunciasi  Gabii  come  affatto  deserto ,  ma  che 
ancora  riteneva  il  nome:  in  locum  qm  vocatur  Gabis,  pro- 
peque  lacu  qui  vocatur  Burrano  :  e  quella  donazione  fu 
accompagnata  da  una  metà  di  molino  ad  acqua ,  mosso 
dal  fiume  Osa,  o  dall'  emissario  del  lago ,  e  dal  diritto 
di  tenere  uno  schifo,  o  barchetta,  sandalum  nello  stesso 
lago.  Sembra,  che  questo  monastero  non  prosperasse,  o 
forse  mai  non  potesse  formarsi  in  quel  sito,  poiché  da 
un  altro  documento  conservato  pur  nell'  archivio  di  s. 
Prassede  si  ricava,  che  nell'anno  1060  Giovanni  arcica- 
nonico  di  s.  Giovanni  a  porta  Latina  concedette  in  enfi- 
teusi, col  consenso  de' suoi  preti  a  Luca  abbate  di  Grot- 
taferrata ,  la  chiesa  di  s.  Primitivo  con  tutti  gli  arredi 
sacri  e  terre  attinenti.  Vedasi  il  Galletti  p.  283.  Nel  1148 
però,  insorta  lite  fra  i  preti  di  s.  Giovanni  a  porta  La- 
tina, la  chiesa  di  s.  Prassede,  ed  i  monaci  di  Grotta  Fer- 
rata, fu  deciso  che  due  terzi  della  chiesa  di  s.  Primiti- 
vo colle  loro  attinenze  appartenessero  alle  chiese  di  s. 
Giovanni  a  porta  Latina ,  e  di  s.  Prassede;  ma  nel  do- 
cumento ,  che  riporta  il  Galletti  di  questo  giudicato  p. 
304,  non  si  fa  più  menzione  di  Gabii,  nome  che  sembra 
essersi  insensibilmente  dimenticato  nel  secolo  X.  i  >. 
Nell'anno  1153  Nicolao  abbate  di  Grottaferrata,  in 
presenza  di  Anastasio  papa  IV.  die  in  affitto  perpetuo, 
e  concesse  ad  Ubaldo  cardinale  del  titolo  di  s.  Prasse- 
de a  favore  di  quella  chiesa  la  terza  parte  di  s.  Primi- 


80 

liv©  con  tutte  le  sue  pertinenze ,  onde  mentre  insensi- 
bilracnte  estingucvasi  il  dominio  de'  monaci  di  Grottafer- 
rata  ampliavasi  quello  della  chiesa  di  s.  Prassede  sopra 
Gabii,  ed  il  suo  territorio:  allora  per  la  prima  volta  in 
luogo  di  s.  Primitivo  leggesi  s.  Primo,  nome  del  santo 
titolare  della  chiesa.  Veggasi  Galletti  p.  310.  Erano  per- 
tanto i  monaci  di,  s.  Prassede  e  per  dominio  e  per  lo- 
cazione perpetua  signori  di  due  parti  del  tenimento  di 
s.  Primitivo,  o  Primo  fin  da  quell'anno,  l'altra  parte  spet- 
tando a  s.  Giovanni  a  porta  Latina;  ma  nell'anno  1186 
Gerardo  rettore  di  quella  chiesa,  col  consenso  di  Biagio 
jwete  della  medesima  ,  e  di  Giovanni  priore  della  basi- 
lica del  Salvatore  al  Laterano,  die  in  affitto,  pure  per- 
petuo, quella  parte  restante,  a  Gualtiero  priore  e  rettore 
della  chiesa  di  s.  Prassede  ed  a  Domenico  prete  e  cano- 
nico della  medesima.  Galletti  p.  325.  Allora  la  chiesa  di 
s.  Prassede  era  retta  dai  canonici  regolari  di  s.  Maria 
de  Rheno,  che  la  tennero  dal  911  fino  al  1191;  tolta  loro 
quella  direzione  da  Celestino  III  nel  1191  fu  affidata  al 
cardinale  Siffredo  Gaetani  da  Pisa,  il  quale  la  die  in 
cura  l'anno  1198  ai  monaci  detti  di  Vallombrosa,  che  an- 
cora la  ritengono  :  e  colla  chiesa  que'monaci  ebbero  an- 
cora i  beni,  che  le  spettavano,  e  quindi  anche  il  teni- 
mento di  s.  Primo.  L'anno  1259  Pietro  Capocci  cardinale 
diacono  di  s.  Giorgio  in  Velabro  legò  a  s.  Prassede  cento 
libre  per  la  Torre  di  Castiglione,  e  5000  libre  di  ren- 
dita per  compra  di  terre  da  non  doversi  mai  alienare , 
perchè  ogni  anno  l'abbate  ed  i  monaci  di  s.  Prassede  ce- 
lebrassero un  anniversario  solenne  a  suffragio  dell'anima 
sua.  Di  questo  legato  rimane  memoria  perenne  in  una 
lapide  contemporanea  esistente  nel  chiostro  di  s.  Pras- 
sede :  e  da  essa  apprendiamo  la  epoca  in  che  fu  eretta 
la  torre  di  Castiglione  ancora  esistente,  sulle  rovine  del- 
l'acropoli gabina,  e  l'ingrandimento  delle  jK)ssessioni  del 


81 
monastero  m  quo' (tintomi ,  che  costituiscono  la  tenuta 
odierna  di  Castiglione,  E  intorno  a  quella  torre  formossi 
un  villaggio  di  questo  stesso  nome,  che  Castrum  Castel- 
lionis  si  disse  ,  ricordato  da  Bonifacio  Vili  nella  bolla 
del  1301,  fatta  a  favore  de'monaci  vallombrosani,  il  qua- 
le, come  pertinente  alla  chiesa  di  s.  Prassede,  castrum 
s.  Praxedis  ancora  si  disse,  come  dalla  bolla  medesima 
cippariscc,  «sistent<;  Tìell'archivio  vaticano  e  pubblicata  dal 
chiarissimo  Fea  nella  memoria  in  litolata  Discussione  ec. 
sulla  città  di  Gabio  e  suo  lago,  Tanno  1824.  E  siccome  , 
dopo  la  fondazione  della  chiesa  di  s.  Primitivo,  il  teni- 
mcnto  a  quella  spettante  avea  fatto  dimenticare  insensi- 
bilmente il  nome  di  Gabii,  così  quella  del  Castrum  Ca~ 
stellionis  fece  andare  in  obblio  quello  di  s.  Primitivo  , 
onde  assunse  il  nome  ,  che  ancora  ritiene  di'  tenuta  di 
Castiglione.  ■;        4 

Si  fa  menzione  di  questo  Castro  in  una  bolla  di  Gio^ 
vanni  XXII  del  1322  dalla  quale  apparisce  che  era  stato 
occupato  dal  prefetto  di  Roma  in  grave  praeiudicium  se- 
dis  apostolica^  :  e  nella  vita  del  celebre  Cola  di  Rienzo 
lib.  IV.  e.  XX,  dove  si  narra  come  nell'  anno  1353  il 
tribuno  mosse  la  oste  contra  i  Colonnesi  di  Palestrina,  e 
partendo  da  Tivoli  accampossi  a  Castiglione  di  s.  Pras- 
sede, e  di  là  il  giorno  seguente  si  mosse  contro  Palestri- 
na. Un  documento  riportato  dal  Pelrini  nelle  Memorie 
Prenestine  p.  436,  mostra  che  nel  1401  Bonifiacio  IX 
ordinò  la  demolizione  di  una  parte  della  torre  di  Casti- 
glione ,  che  è  forse  quella  che  manca  ,  come  pure  in 
quella  circostanza  venne  smantellato  il  castello,  e  ridotto 
Castiglione  allo  stato  di  casale.  Il  lenimento  di  Castiglio- 
ne rimase  in  proprietà  de'monaci  di  s.  Prassede  fino  al- 
l'anno 1327,  allorché  venne  compreso  nella  vendita  dei 
fondi  ecclesiastici  per  pagare  i  400  mila  scudi  d'oro,  pro- 
messi da  Clemente  VII  alle  orde  di  Carlo  V   onde  es- 

6 


82 

sere  liberato  dall'assedio.  In  tal  frangente  Castiglione  fu> 
venduto  a  Luigi  Gaddi  per  7500  scudi,  come  apparisce 
da  una  nota  esistente  nella  biblioteca  chigiana,  Mss.  G, 
III.  58.  fatta  estrarre  per  ordine  di  Alessandro  VII  da^ 
gli  archivii  camerali  :  ed  in  quella  nota  viene  indicato, 
non  più  come  castrum^  ma  come  casale.  Dai  Gaddi  il  ca-^ 
sale  di  Castiglioi^e  colla  tenuta  annessa  venne  in  potere 
degli  Odescalchi,  e  da  questi  passò  agli  Azzolini  di  Fer-^ 
mo,  che  l'hanno  posseduto  fino  al  1822,  in  che  fu  ven-- 
duto  ai  Mencacci ,  che  di  recente  lo  hanno  venduto  ai 
Borghese. 

A  Gabii  si  va  da  Roma,  tanto  per  l'antica  via  ga^^ 
bina,  detta  pur  prenestina,  e  modernamente  di  Tor  Tro 
Teste  e  dell'Osa,  quanto  per  la  labicana  oggi  di  Torre 
Nuova  e  della  Colonna.  La  gabina  è  la  più  diretta  e  la 
più  breve,  ma  di  poco  varia  la  distanza,  essendo  la  dif- 
ferenza di  circa  1  miglio  :  andandovi  per  la  labicana  si 
lascia  questa  alla  osteria  del  Finocchio,  e  volgendo  a  si-> 
nistra,  entrasi  in  una  strada  rurale ,  che  é  parte  dell'  an-^ 
tico  diverticolo,  che  legava  le  vie  collatina,  gabina,  la- 
bicaqa  e  tusculana  :  un  miglio  dopo,  si  passa  dinanzi  una 
torre  semidiruta  del  secolo  XII  che  ha  il  nome  di  s.  An-. 
tonio  ed  1  altro  miglio  dopo  raggiungesj  la  via  gabina 
circa  al  X  miglio  da  Roma,  di  sotto  ed  a  lato  della  oste-^ 
ria  detta  dell'Osa  ,  perchè  situata  sulla  sponda  sinistra 
di  quel  fiume  :  questo  ivi  traversasi  sopra  il  ponte,  che 
ricorda  quello  delle  ss.  Degna  e  Merita  indicato  nella 
bolla  di  Gregorio  VII  riferita  dal  Margarini  e  pertinente 
all'anno  1074,  così  denominato  per  qualche  chiesa,  o  cap=> 
pella  ivi  dappresso  esistente  e  consacrata  ai  meriti  di 
quelle  due  sante  martiri. 

Al  Ponte  dell'Osa  la  via  gabina  o  prenestina  torce 
a  destra:  a  sinistra  poi  si  distacca  la  strada  moderna  di 
Poli  che  raggiunge  il  tramite  antico  di  communicaziono 


83 
fralla  via  collatina  e  la  tihurtitia  ,  andando  a  sboccare 
presso  il  ponte  Lucano.  La  via  gabina  pertanto  volgen- 
do a  destra  conserva  traccio  molto  patenti  dell'antico  la- 
stricato di  poligoni  di  lava ,  ed  é  incassata  nel  masso 
della  pietra  dagli  antichi  designata  col  nome  di  lapis  ga- 
binus.  Nel  percorrere  lo  spazio  fralla  osteria  della  Osa 
e  le  rovine  di  Gabii,  è  singolare  fenomeno  il  rimbombo 
assai  forte  ,  che  si  ode  sotterra  :  ora  Plinio  Hist.  Nat. 
lib.  IL  e.  XCIV.  §.  XGVI.  nota,  che  quaedam  vero  ter- 
rone ad  gressus  tremunt,  sicut  in  gabinensi  agro  non  pro- 
emi urbe  Roma  iugera  ferme  ducenta  equitantium  cursuu 
indizio  della  esistenza  di  vuoti  profondi  che  in  questa 
parte  il  suolo  eminentemente  vulcanico  racchiude.  La 
strada  passa  dinanzi  la  osteria  di  Pantano,  e  quindi  tra- 
versa r  emissario  del  lago  :  dopo  passa  dinanzi  un  tu- 
mulo sepolcrale  che  lascia  a  destra,  e  finalmente  entra 
in  Gabii. 

Dall'aspetto  del  suolo  si  riconosce,  che  la  città  anr? 
tica  copriva  tutta  la  striscia  che  domina  da  una  parte 
il  lago,  e  dall'altra  il  tenimento  di  Pantano:  che  era  di 
forma  molto  allungata,  in  modo  che,  mentre  presenta  il 
circuito  di  circa  3  miglia,  difficilmente  avea  nella  mag- 
giore ampiezza  un  mezzo  miglio  di  diametro.  E  parmi 
che  i  limiti  della  lunghezza  si  possano  determinare  dal 
tumulo  sovraindicato  ,  che  rimaneva  fuori,  fino  ai  din- 
torni della  torre  di  Castiglione.  E  siccome  questa  torre 
é  appunto  nel  sito  più  culminante  di  tutta  la  contrada^ 
perciò  io  credo,  che  ivi  fosse  la  cittadella  antica,  e  che 
ivi  la  colonia  primitiva  di  Latino  Silvio  ponesse  i  suoi 
alloggiamenti.  Di  là  successivamente  si  andò  allungando 
sul  ciglio  del  lago  ,  assumendo  così  una  forma  ed  una 
posizione  strettamente  analoga  a  quella  della  metropoli 
Albalunga,  cioè  lunga  e  sul  ciglio  dì  un  lago.  tmlìt 
!   11  primo  avanzo  dell'  antica  città ,  e  che  è  visibile 


84 

in  tutta  questa  pianura  del  Lazio  è  quello  del   tempio 
di  Giunone  Gabina ,  così  bene  accennato  da  Virgilio  in 
queVersi  del  libro  VII.  della  Eneide: 
'   '  quique  arva  gahinae 

lunoniSf  gelidumque  Aniencm,  et  roscida  rivis 
Hernica  saxa  colunt,  quos  dives  Anagnia  pascti. 
Il  tempio,  come  i  più  antichi  del  Lazio  era  rivolto  ver- 
so sud-ovest:  la  cella  è  sufficientemente  conservata,  me- 
no il  tetto,  che  manca,  ed  il  lato  meridionale  che  è  il 
più  diroccato.  Questo  tempio  come  quello  di  Diana  Ari- 
cina ,  col  quale  ha  una  grande  analogia  per  la  forma  e 
per  la  costruzione,  avea  colonne  nella  fronte  e  ne'fian- 
chi,  ma  non  nella  parte  posteriore,  dove  il  muro  della 
cella  dilatandosi  a  destra  e  sinistra  chiudeva  il  portico 
laterale.  I  muri  della  cella  sono  di  massi  bene  squadra- 
ti, e  perfettamente  commessi,  di  pietra  locale,  o  gabina, 
grossi  ciascuno  circa  2  piedi,  larghi  altrettanto,  lunghi 
circa  A:  questi  massi  sono  disposti,  ora  in  lungo,  ora  in 
largo,  ma  non  regolarmente,  o  per  conseguenza  credo, 
che  la  costruzione  possa  ascriversi  circa  al  secolo  V.  di 
Roma.  L'interno  della  cella  ha  45  piedi  di  lunghezza  e 
27  e  mezzo  di  larghezza:  in  fondo  rimangono  le  vesti- 
gia del  sacrario,  il  quale  veniva  chiuso  da  cancelli  fissi, 
di  che  veggonsi  sul  suolo  le  impronte:  e  questa  cancel- 
lata era  interrotta  in  tre  luoghi  ad  egual  distanza,  do- 
Te  sembra  che  fossero  specie  di  porte  cancellate ,  che 
siccome  apparisce  dal  battente  e  dalle  traccio  de'cancelli 
fissi  aprivansi  indentro.  Il  sacrario  ha  6  piedi  di  profon- 
dità. Il  pavimento  della  cella  è  di  musaico  bianco  com- 
posto di  tasselli  grossi  ciascuno  circa  una  mezza  oncia: 
è  però  da  osservarsi  che  nel  sacrario  tal  pavimento  non 
si  ravvisa,  se  non  nel  recesso  sopra  cui  era  la  statua  di 
Giunone  Gabina ,  ed  è  questo  un  indizio  patente ,  che 
quel  recesso  dovea  servire  a  contenere  oggetti  sacri  e 


85 
preziosi,  come  in  altri  templi  della  antichità.  La  soglia 
del  sacrario  ha  circa  2  oncie  di  altezza.  Le  parti  della 
cella  più  conservate,  a  partire  dal  pavimento  interno  di 
musaico  sono  circa  25  piedi  alte,  ma  non  conservano  in 
alcun  luogo  l'altezza  primitiva.  Il  vano  della  porta  è  di 
8  piedi  di  larghezza.  La  parte  postica  della  cella  è  or- 
nata esternamente  da  una  specie  di  basamento,  o  podio 
con  modinature,  alto  5  piedi  e  4  digiti,  tutto  compreso. 
Le  ale,  che  partono  dal  muro  posteriore  della  cella  han- 
no da  ciascuna  parte  5  piedi  e  tre  quarti  di  larghezza 
e  servono  a  determinare  la  larghezza  de' peristilii  late- 
rali del  tempio.  Delle  colonne  che  circondavano  per  tre 
lati  la  cella,  non  rimangono  che  pochi  frantumi  sul  luo- 
go ,  dai  quali  si  conosce ,  che  erano  di  pietra  gabina  -, 
scanalate,  con  listelli  larghi  1.  oncia  e  mezza,  e  per  con- 
seguenza di  ordine  ionico,  e  non  dorico  (  come  erronea- 
mente asserì  l'illustratore  de'monumenti  gabini  borghe- 
siani  )  e  che  erano  rivestiti  di  stucco.  Dagli  avanzi  esi- 
stenti del  tempio ,  pure  apparisce  ,  che  innalzavasi  in 
mezzo  ad  un  area,  la  quale  di  fianco  avea  54  piedi  di 
larghezza ,  e  di  fronte  soltanto  8 ,  poiché  ivi  addossato 
ai  gradini  del  tempio  era  il  teatro,  di  che  si  veggono 
ancora  le  traccie  informi  ,  come  nel  .recinto  di  fianco 
appariscono  chiare  vestigia  delle  camere,  che  servivano 
ai  sacerdoti ,  le  quali  sono  ancor  più  visibili  lungo  il 
lato  orientale.  ìì;!|«;i  ->ìj'j  /ì'ìsjIUi 

Del  foro  scoperto  Tanno  1792.  non  rimangono  più 
Testigia,  e  solo  può  dirsi,  dalla  pianta  pubblicata  dall' 
illustratore  de'  monumenti  gabino-borghesiani  ,  che  era 
quadrilatero,  e  che  verso  la  estremità  meridionale  veni- 
va attraversato  dalla  via  prenestina  :  secondo  quell'illu- 
stratore era  circondato  da  un  portico  sostenuto  da  co- 
lonne di  ordine  dorico ,  meno  verso  la  via  prenestina , 
dove  aprì  vasi:  e  quel  portico  entrava  nella  categoria  de- 


86 

gli  areostìlì:  e  dietro  quel  portico  erano  camere  ed  edi- 
ficii;  e  come  quelle  poterono  servire  di  taberne,  o  bot- 
teghe ,  fra  gli  edificii  si  credette  alla  epoca  della  sco- 
perta di  avere  riconosciuto  la  curia,  e  l'auguslèo,  o  tem- 
pio sacro  agl'imperadori.  Nel  centro  dell'area  del  foro  fu 
la  statua  di  Tito  Flavio  Eliano  protettore  del  municipio, 
«iccome  apparve  dal  piedestallo  scoperto  colla  iscrizione 
onoraria  al  suo  posto. 

Dal  tempio  di  Giunone  Gabina,  seguendo  per  un 
tratto  l'andamento  della  via  prenestina  verso  oriente, 
veggonsi  nel  tenimento  di  Pantano  gli  avanzi  dell'acque- 
dotto che  Adriano  costrusse,  onde  la  città  potesse  ave- 
re acque  perenni  e  pure:  della  quale  opera  di  Adriano 
è  un  documento  la  iscrizione  frammentata  riferita  dall' 
autore,  che  spiegò  i  monumenti  gabini,  p.  14.  e  la  co- 
struzione di  reticolato  e  laterizio,  sebbene  sdrucita,  fa 
riconoscere  que'ruderi,  come  contemporanei  di  quelli  del- 
la villa  Adriana. 

Ritornando  alcun  poco  indietro,  e  prendendo  il  sen- 
tiero, che  guida  a  Castiglione,  veggonsi  a  destra  ne'cam- 
pi,  ruderi,  che  anche  da  lontano,  mostrano  appartenere  ad 
una  chiesa  de'tempi  bassi:  questi  appartengono  alla  chie- 
sa de'ss.  Niccolò^  e  Primitivo,  o  s.  Primo:  sono  privi  af- 
fatto di  tetto:  e  presso  l' ingresso  si  riconosce  ancora  il 
campanile  diroccato  ;  la  tribuna  conserva  traccie  delle 
pitture,  che  rappresentavano  varii  santi,  frai  quali  anco- 
ra ravvisasi  s.  Niccolò,  uno  de'protettori;  la  costruzione 
de'muri  è  del  secolo  XI  e  si  compone  di  ogni  sorta  di 
frantumi,  consolidati  di  tratto  in  tratto,  ma  irregolarmen- 
te  con  pezzi  di  opera  laterizia. 

Dalia  chiesa  rovinata  di  s.  Primitivo ,  andando  a 
Castiglione,  il  sentiero  siegue  una  specie  d'istmo,  che  a 
destra  ha  una  serie  continuata  di  latomie  a  strato  aperto, 
•le  quali  fornirono  le  pietre,  prima  per  Gabii ,  e  poscia 


87 
aiicoi'à  per  Roma:  a  sinistra  poi,  segue  l'andamento  del 
cratere  dirupato  del  lago.  Castiglione  conserva  ancora  le 
vestigia  del  recinto  de'tempi  bassi,  e  la  torre  diroccata 
insieme  con  quello  fino  dal  1401.  Notai  di  sopra ,  che 
questo  castello  sorse  nel  secolo  XIII.  quando  le  terre 
appartenevano  ai  monaci  di  S.  Prassede,  e  che  vi  con- 
tribuì il  cardinale  Capoccio  :  le  mura  di  questo  castro 
evidentemente  vennero  costrutte  co'massi  delle  antiche, 
ed  in  parte  furono  anche  fondate  sopra  le  antiche  stes- 
se ,  delle  quali  fortunatamente  rimane  un  angolo  verso 
nord-ovest  di  circa  5  o  6  strati  di  pietre  quadrilatere , 
che  essendo  di  costruzione  analoga  a  quella  delle  so- 
struzioni del  Tabulano,  d'uopo  è  conchiudere ,  che  ap- 
partengano alla  epoca  di  Siila,  che  secondo  Frontino  al- 
legato di  sopra,  rialzò  le  fortificazioni  di  Gabii.  Il  cra- 
tere del  lago,  essendo  da  questa  parte  tagliato  a  picco, 
indica  evidentemente  il  giro  delle  mura,  che  cingevano 
l'acropoli  gabina.  Da  Castiglione  per  la  strada  di  Poli,  si 
raggiunge  il  ponte  dell'Osa,  e  la  via  gabina  :  in  questa 
parte  a  destra  continuano  per  un  certo  tratto  le  latomie 
indicate  di  sopra.  1;  >•:  'm    tu/   r.i .  tdfih 

La  pietra  gabina  ,  tanto  impiegata  nelle  fabbriche 
di  Roma,  e  di  che  specialmente  sono  costrutte  le  sostru- 
zioni e  le  parti  interne  del  Tabularlo,  è  una  specie  di 
peperino  di  color  bigio  bruno,  che  esposto  all'aria  as- 
sume un  tuono  piìi  pallido  del  peperino  ordinario,  o  sia 
della  pietra  albana;  essa  resiste  al  fuoco,  ed  è  un  com- 
posto di  ceneri  vulcaniche  miste  a  frantumi  piccioli  di 
lava  nera,  bruna,  e  rossastra,  con  frammenti  di  anfige- 
ni  e  pirosseni,  squammette  di  mica,  e  pezzi  di  calcarla 
appennina. 

Dal  registro  di  Cencio  Camerario  più  volte  ricor- 
dato apparisce,  che  Gabii,  ed  il  suo  territorio  più  vici- 
no nel  primo  periodo  del  secolo  Vili,  costituiva  la  Mas- 


sa  Galli,  o  Massa  Gallorum,  composta  de' fondi  denomi- 
nati allora  Digitorum,  Gabii,  Mctionum,  Barhulianum^  o 
Sentianum,  Lucretianum,  detto  pure  Musta,  Lampadiorum, 
o  Formellus,  Flavianum,  ovvero  Casa  Monachorum,  Me- 
dianum ,  Formicis  (  forse  Fornices  per  l' arenazione  deir 
acquedotto  )  Aurefilis,  e  Marcianum.  La  contrada  in  eh» 
erano  appellavasi  Bursano,  che  io  credo  per  errore  del 
trascrittore  così  scritto  in  luogo  di  Burrano ,  che  con- 
servò il  lago  per  varii  secoli  prima  che  venisse  in  po- 
tere de'monaci  di  S.  Prasscde,  siccome  vedrassi  nell'ar- 
ticolo seguente.  E  tutti  questi  fondi  diconsi  posti  terri- 
torio gabiìiate  ew  vorpore  patrimonii  lahicani.  Oggi  la  città 
di  Gabii,  e  le  sue  più  immediate  attinenze  costituiscono 
i  lenimenti  di  Castiglione  e  di  Pantano  ,  ambedue  pro- 
prietà de'Borghese.  Castiglione,  che  come  ho  notato  di 
sopra  appartenne  in  ultimo  luogo  ai  Mencacci  compreui- 
de  270.  rubbia  di  terra,  divise  ne'quarti  denominati  di 
s.  Primo ,  della  Osteria: ,  degli  AlbuccL ,  e  di  Gorsanoi 
Quanto  al  tenimento  di  Pantano,  si  £a  menzione  di  un 
Pantano  de  Azo  in  questa  contrada  fino  dall'anno  1030; 
della  era  volgare  nella  carta  dcU'arcliivia  di  S.  Prasse- 
de  ricordata  di  sopra;  ma  quello  era  più  verso  il  Te  ve- 
rone, come  dalla  stessa  carta  apparisce,  onde  io  credo> 
che  quello  sia  Pantan  di  Guazzo  indicato  nella  carta  di 
Ameti  e  posto  nella  tenuta  di  Corcolle,  presso  il  confi- 
ne di  Lunghezzina  al  confluente  del  fosso  di  S.  Cesario 
nell'Amene,  pantano  oggi  disseccato. 

Ma  certamente,  di  questo  tenimento,,  che  anche  oggi 
ha  il  nome  di  Pantano  fa  menzione  nel  1353  1'  autore 
della  vita  di  Cola  di  Rienzo  e  lo  designa  come  una  selva 
posta  fra  Tivoli  e  Palestrina  presso  Castiglione,  dove  i  Cor 
lonnesi  nascosero  la  preda  fatta ,  che  trasportarono  poi 
chetamente  a  Palestrina,  centro  allora  della  loro  potenza. 
E  questo  tenimento  fu  venduto  dai  Colonnesi  al  cardi- 


89 
naie  Scipione  Borghese  nel  primo  periodo  del  secolo  XVII. 
Vastissima  è  questa  tenuta  ,  che  entra  ne'  territorii  di 
Monte  Porzio  ,  e  di  Monte  Compatri,  in  modo  che  dal 
Cingolani  si  calcola  a  rubbia  1525  e  2  scorzi  ;  ma  la 
parte  inclusa  entro  i  limiti  deirAgro  Romano  dal  Nicolai 
si  restringe  ad  840  rubbia ,  1  scorzo  e  2  qu.  Essa  di- 
videsi  nella  parte  compresa  nell'Agro  Romano  in  quarto 
dell'Incastro,  Pedica  di  Rocca  Cenci,  quarto  della  Casetta 
di  Campotosto,  Pedica  di  Tor  Carbone,  Pedica  di  Ponte 
Nono,  quarto  di  Torre  lacova,  quarti  di  Finocchio,  Pi- 
scare,  Valle  s.  Elmo,  Tor  Forame,  Padiglione,  Padiglion- 
cino,  la  Pedichetta,  Pescara,  Pedica  delle  Grotte,  S.  An- 
tonio, la  Pelosetta,  e  Pedica  delle  Cappelle  ;  nomi  che 
non  hanno  alcuna  relazione  né  cogli  antichi,  né  con  quelkì 
ricordati  di  sopra,  pertinenti  al  secolo  VIII.  xjir«ui  oi» 
,       ,  =  flttjo'jnlfi'. 

ivMr>l««  i-K»  GABINVS  LACVS  ìM 

•ifi  ')«'!»* ^Jtl9  f>h     ^  ^  »)^;n?i>  il- 

.„,,,,„,^,;„i  Cacu0  6urranu0    . ,,, ,,«^,>,.. 
Cag0M0.|pra05eòe:i;':::1^"^ 

LAGO  DI  PANTANO,  LAGO  DI  CASTIGLIONE 

Questo  articolo  è  per  la  parte  storica  legato  così 
strettamente  con  quello  antecedente ,  che  per  evitare  il 
tedio  di  ripetere  ciò  che  fu  detto  su  tal  proposito  mi  re- 
stringo a  quelle  osservazioni  soltanto  che  sono  partico- 
lari al  Iago  ,  ed  alle  varie  denominazioni  che  ebbe.  È 
questo  lago,  come  quelli  di  Albano,  Nemi ,  ec.  un  cra- 
tere di  vulcano  spento,  che  avea  in  origine  un  buon  mi- 
glio di  circonferenza  ,  ma  che  si  e  successivamente  ri- 
stretto a  segno,  che  essendo  sul  punto  di  divenire  una 
vera  palude,  il  principe  Francesco  Borghese  lo  fa  dissec- 
care per  mezzo  di  una  forma  che  farà  scaricare  le  acque 


90 

nel  fiume  Osa,  onde  così  liberare  da  ogni  esalazione  pe- 
stilenziale i  dintorni,  e  rendere  alla  coltivazione  un  ter- 
?'eno  ubertoso.  Egli  è  certamente  degno  di  rimarco^  che 
mentre  più  e  più  volte  ne'classici  s'incontra  menzione  di 
Gabiì,  di  questo  lago,  che  immediatameute  era  sotto  la 
città,  non  si  trovi  alcuna  memoria  ne'tempi  antichi^  e  solo 
per  la  prima  volta  ricordisi  nel  secolo  V  della  era  vol- 
gare ;  imperciocché  negli  alti  di  S.  Primitivo  esistenti 
nella  Biblioteca  Vaticana,  riferiti  dal  Bosio  Roma  Subterr. 
lib.  III.  e.  XXXVI,  e  ricordati  dal  Boldetti  Osservai,  so-' 
pra  i  Cimiteri  di  ss.  Martiri  pag.  568  ,  atti  scritti  circa 
quella  epoca,  leggcsi  che  quel  santo  fu  condotto  nella  via 
prencstina  presso  la  città  di  Gabii^  che  ivi  fu  decollato, 
e  che  il  suo  corpo  venne  sommerso  in  lacum  Gabiis^  don- 
de Esuperanzio  lo  estrasse  ,  dandogli  sepoltura  in  una 
catacomba  ai  26  di  aprile. 

Ma  se  grande  è  il  silenzio  degli  scrittori  anteriori 
su  questo  lago,  frequenti  sono  le  memorie  che  se  ne  in- 
contrano nelle  carte  de'tempi  bassi.  E  primieramente  nel 
registro  di  Cencio  Camerario  si  legge,  che  circa  Tanna 
741  era  divenuto  proprietà  della  Chiesa  Romana  insieme 
col  fondo  denominato  Gabii,  et  fundum  Gabiis,  cum  lacu, 
e  che  circa  quella  epoca  papa  Zaccaria  lo  die  in  affitto 
ad  un  nobile  romano  di  nome  Cristoforo,  siccome  fu  ve- 
duto nell'articolo  precedente.  Nel  1030  erano  padroni  di 
esso  Giovanni  di  Giorgio  e  Buona,  nobili  romani  anche 
essi,  forse  discendenti  di  quel  Cristoforo  ricordato  poc*^ 
anzi,  quando  venne  fondato  il  monastero  de'ss.  Primitivo 
e  Nicola  in  locum  qui  vocatur  Gabiis,  propeque  lacu  qui 
vocatur  Burrano.  È  qui  è  da  notarsi  che  fin  dal  741  la 
contrada  in  che  trovasi  questo  lago  nel  registro  di  Cen- 
cio appellasi  Bursano,  o  piuttosto  Burrano  forse  da  qual- 
che predio  di  Afranio  Burro  prefetto  del  pretorio  sotto 
Nerone,  o  di  Lucio  Antistio  Burro,  console  nell'anno  181, 


91 
attempi  di  Commodo.  Giovanni  testò  ricordalo  fece  do- 
nazione del  lago  al  monastero  di  s.  Primitivo  da  lui  fon- 
dato, il  quale  essendo  venuto  meno  pochi  anni  dopo,  ac- 
cadde, che  la  chiesa  di  s.  Primitivo,  come  pure  il  lago, 
ed  i  pascoli  di  Pantano,  venuti  in  proprietà  della  chiesa 
di  s  Giovanni  a  porta  Latina,  furono  ai  13  di  febbraio 
dell'anno  1060  dati  in  enfiteusi  perpetua  a  Luca  abbate 
di  Grottaferrata ,  siccome  ricavasi  da  carte  esistenti  nel- 
l'archivio di  s.  Prassede,  pubblicate  dal  Galletti  nel  Pri- 
micero.  L'anno  1074  Gregorio  VII  concedette  la  metà  di 
questo  lago,  sempre  detto  Burrano  ai  monaci  di  s.  Paolo 
fuori  delle  mura,  siccome  si  trae  dalla  sua  costituzione 
inserita  nella  lioUario  Cassinense  ,  e  questa  concessione 
fu  successivamente  confermata  da  Innocenzo  III  nel  1203, 
Onorio  III  nel  1218,  e  Gregorio  IX  nel  1236.  Deiraltra 
metà  un  terzo  era  di  s.  Giovauni  a  porta  Latina  ed  i\ 
resto  era  in  potere  de'monacì  di  Grottaferrata  ,  i  quali 
ai  29  di  agosto  dell'  anno  1153  cedettero  i  Foro  diritti 
alla  chiesa  di  s.  Prassede,  come  fece  ai  20  di  marzo 
1186  Gerardo  rettore  di  s.  Giovanni  a  porta  Latina,  per 
la  parte  spettante  a  quella  chiesa,  riservandosi  un  cano- 
ne, siccome  risulta  dalle  carte  dell'  archivio  di  s.  Pras- 
sede pubblicate  dal  Galletti  nella  opera  sovrallodata  e 
ricordate  nell'articolo  antecedente.  Ed  essendo  fin  dal 
1198  passata  quella  chiesa  in  potere  de*monaci  vallom- 
brosani,  questi  ,  fabbricato  il  castello  di  Castiglione  nel 
secolo  susseguente  circa  l'anno  1259,  acquistarono  il  ri- 
manente del  lago,  onde  Bonifacio  VIII,  nella  bolla  data 
l'anno  1301  in  favore  di  que'monaci  nomina  il  Castrum 
Castellionis,  quod  dicitur  castrum  s.  Praxedis  cum  foto  ìacu 
qui  dicitur  de  Burrano.  Sicché  fino  a  quella  epoca  il  lago^ 
riteneva  il  nome  di  Burrano;  ma  la  edificazione  del  ca- 
stello, ed  il  dominio  dc'monaci  fecero  insensibilmente  di- 
menticare quel  nome,  e  dopo  quel  tempo  trovasi  il  lago 


92 

più  coinmunemente  denominato  di  Castiglione ,  e  di 
s.  Prassede.  Con  questo  ultimo  nome  vien  designato  ap- 
punto nell'atto  con  che  Leone  Strozzi  lo  cedette  nel  1578 
per  3000  ducati  al  card.  Marc'Antonio  Colonna.  Imper- 
ciocché il  lago  rimase  in  pieno  dominio  de'  monaci  di 
s.  Prassede  fino  all'anno  1541,  in  che  questi  lo  diedero 
in  enfiteusi  perpetua  a  Pietro,  Roberto,  e  Lorenzo  Stroz- 
zi. Dopo  pochi  anni  da  che  era  divenuto  proprietà  de' 
Colonna,  il  duca  Francesco  erede  del  cardinale  Marc'An- 
tonio ricordato  di  sopra  lo  vendette  al  cardinale  Scipione 
Borghese  l'anno  1614  il  quale  lo  redense  dal  canone 
che  pagavasi  a  s.  Prassede,  mediante  270  scudi]  :  ed  è 
la  casa  Borghese  che  continua  a  possederlo  insieme  co' 
fondi  adiacenti  di  Pantano  e  di  Castiglione. 

GALERIA  —  GALERA. 

Una  delle  tribù  rustiche  romane  fu  la  Galeria,  ri- 
cordata da  Livio  lib.  XXVII  e.  VI ,  da  Plinio  e  nelle 
iscrizioni  sovente,  come  può  vedersi  in  Panvinio  Civitas 
Romana,  in  Grutero  p.  CD  VI.  n.  9.  CDXVIII.  n.  7. 
CDXXXI.  n.  1.  ec.  La  sua  etimologia  è  incerta  :  alcuni 
trar  la  vorrebbero  dal  fiume  Galeso  ,  che  essendo  nell' 
agro  tarentino ,  sebbene  sia  stato  celebrato  da  Virgilio 
Georg,  lib.  IV.  v.  126  per  la  feracità  delle  terre  ,  che 
bagna,  da  Orazio  lib.  IL  od.  X,  e  da  Marziale  lib.  XII. 
epigr.  LXIV,  per  la  morbidezza  e  la  candidezza  delle 
lane  delle  pecore,  che  pascolavano  sulle  sue  rive  e  ne 
beveano  l'acqua,  nulladimeno  è  troppo  distante  da  Roma 
per  aver  dato  nome  ad  una  delle  tribù  rustiche  di  Ser- 
vio Tullio.  A  me  sembra  più  probabile  e  più  naturale, 
che  il  rivo  Galera,  che  traversa  una  gran  parte  dell'agro 
vciente  conquistato  da  Anco  Marzio  quarto  re  di  Roma, 
e  che  nasce  sotto  Cesano,  ed  influisce  nel  Tevere  presso 


93 

alla  stazione,  perciò  denominata  ponte  Galera  9  miglia 
e  mezzo  circa  fuori  di  porta  Portese,  desse  nome  alla 
tribù,  come  quello  che  era  il  più  considerabile  frai  rivi 
eha  bagnavano  le  terre  di  qnel  distretto.  Né  si  creda 
già  che  il  nome  di  quel  fiume  sia  recente,  e  che  derivi, 
come  qualche  moderno  scrittore  balordamente  asserì, 
delle  galere,  che  rimontavano  il  Tevere  fino  al  suo  con- 
fluente, ai  tempi  di  Sisto  Y;  imperciocché  se  ne  ha  me- 
moria fin  dall'anno  1019  nel  privilegio  di  papa  Benedet- 
to Vili  a  favore  del  vescovo  portuense ,  riportato  dall' 
Ughelli  Italia  Sacra  T.  I.  in  quello  di  Giovanni  XIX  a 
favore  del  vescovo  di  Selva  Candida  dell'anno  1026,  di 
Benedetto  IX  del  1033;  e  nella  conferma  del  privilegio 
del  vescovo  di  Porto  del  1049,  fatta  da  Leone  IX,  do- 
cumenti che  si  leggono  nel  sovrallodato  Ughelli  ,  nella 
bolla  dello  stesso  papa  data  l'anno  1053,  edita  nel  Bul- 
lar,  Vat.  T.  I.  ec.  sempre  appunto  come  confine  di  varii 
fondi  della  contrada,  tanto  nella  parte  superiore,  quanto 
nella  inferiore  del  suo  corso.  :    lU'ni-^J  t'uih  i.iriy» 

Ora  ,  come  ne' tempi  più  antichi  il  rivo  die  nome 
alla  tribù,  così  circa  l'anno  780  della  era  volgare  lo  die- 
de! ad  una  Domus-cuUa,  o  colonia,  che  per  testimonianza 
di  Anastasio  Bibliotecario  papa  Adriano  I.  fondò  sulla 
via  aurelia  (dee  leggersi  Cornelia)  circa  10  miglia  lungi 
da  Boraa  presso  s.  Rufina ,  e  ad  un'  altra  dello  stesso 
nome  che  quel  papa  fondò  sulla  via  portuense,  circa  12 
miglia  lontano  da  Roma,  in  maniera  che  due  Domus  ctd- 
tae  di  questo  nome  vi  furono ,  dette  ciascuna  Galeria , 
una  sulla  via  Cornelia,  e  l'altra  sulla  portuense.  Ho  no- 
tato doversi  leggere  in  luogo  di  Aurelia,  Cornelia,  quanto 
alla  prima,  perchè  s.  Rufina  sta  sulla  Cornelia,  oggi 
strada  di  Boccèa,  e  non  sull'Aurelia,  oggi  strada  di  Ci- 
vita-Vecchia :  che  è  quanto  dire  ,  che  il  trascrittore  di 
Anastasio  mise  un  nome  per  l'altro.  Qui  poi  aggiungerò. 


94 

che  la  Galeria  sulla  via  portuensc  corrisponde  presso  la 
odierna  stazione  di  ponte  Galera  sulla  strada  moderna 
di  Fiumicino,  la  quale,  se  oggi  si  trova  soltanto  9  mi' 
glia  e  mezzo  fuori  della  porta  Portesc,  anticamente  era 
circa  al  duodecimo  miglio  a  destra  della  via  portuense. 
La  differenza  della  distanza  nasce  dalla  direzione  diversa 
delle  strade,  poiché  la  strada  moderna  è  più  incommoda 
dell'antica,  ma  più  breve,  giacché  scavalca  5  colline  , 
mentre  l'antica  andando  lungo  il  Tevere  seguiva  il  lembo 
di  queste  medesime  colline,  e  perciò,  sebbene  più  com- 
moda, era  considcrabilmente  più  lunga,  't  xit^tóV  lìhd^i 
Di  queste  due  Domus  cultae  ,  la  Galeria  della  via 
portuense  era  nell'anno  1019  una  curtis  contenente  una 
chiesa  di  s.  Maria,  varii  fabbricati,  un  ponte,  che  è  l'o- 
dierno, detto  ponte  Galera,  sebbene  più  volte  rifabbri- 
cato, ed  un  villaggio,  vicus,  ed  in  tale  stato  fu  confer- 
mata da  papa  Benedetto  YIII  al  vescovo  portuense  Be- 
nedetto de  Pontio,  con  una  bolla,  ricordata  di  sopra  e  ri- 
ferita dairUghelli  T.  I.  Andò  però  sempre  decadendo  , 
poiché  nel  privilegio  di  Leone  IX  a  favore  di  Giovanni 
vescovo  portuense  si  ricorda  col  nome  di  curtisyinaL  senza 
menzionare  più  il  villaggio.  Veggasi  l'Ughelli  L  n.  E  do- 
po non  trovandosene  altra  memoria  ne'  privilegii  poste- 
riori é  d'uopo  dire  che  rimanesse  affatto  deserta.  Molto 
diverso  fu  il  fato  dell'altra  Galeria,  la  quale  andò  suc- 
cesivamente  crescendo,  ma  dal  sito  suo  primitivo  venne 
traslocata  sopra  di  un  colle  dirupato  ed  isolato  un  miglio 
a  sinistra  della  via  Claudia,  oggia  strada  di  Bracciano, 
15  miglia  distante  da  Roma  sulla  sponda  sinistra  del 
fiume  Arrone  che  le  scorre  sotto.  Questa  era  di  già  un 
castello,  castellum  molto  considerabile,  e  feudo  imperiale 
col  Comes  suo  particolare  l'anno  1033  ,  siccome  si  trae 
dalla  bolla  di  Benedetto  IX  a  favore  de' vescovi  di  s.  Ru- 
fina,  o  Selva  Candida  riferita  dall' Ughelli  ,  nella  quale 


96 
6Ì  ricorda  una  chiesa  di  s.  Nicola,  che  è  quella  dell'ar- 
ciprctura,  che  si  dice  in  quel  documento  dedicata  e  con-» 
sarcata  dal  vescovo  Pietro,  al  quale  la  bolla  è  diretta , 
ed  una  pieve  di  s.  Gregorio.  E  perchè  siamo  certi  che 
di  questa  Galeria  si  tratta,  nella  bolla  poco  posteriore  a 
questa,  di  papa  Leone  IX  riportata  nel  Bullarium  Vatir' 
canum  T.  I.  e  pertinente  al  1053  ,  si  nomina  il  fiume 
Arrone,  come  esistente  in  territorio  Galeriae,  territorio  di 
che  si  fa  poscia  successivamente  menzione  nelle  bolle  di 
Adriano  IV  del  1158,  di  Urbano  III  del  1186,  e  d'In- 
nocenzo  III   del  1205.  j.  m.ruvH^  ,KunMi 

Si  ù  notato  poc'anzi  che  Galeria  aveà'  fino  dal  sé^ 
colo  XI  i  suoi  conti  imperiali  :  infatti  il  Marini  Papiri 
Diplomatici  n.  XLV  mostra,  come  nel  1027  era  conte  di 
Galeria  Giovanni  Tocco,  il  quale  fu  presente  al  sinodo 
tenuto  in  Roma  da  papa  Giovanni  XIX  per  giudicare 
alcune  vertenze,  che  esistevano  fra  il  clero  delle  chiese 
di  s.  Niccolò  e  di  s.  Andrea;  ed  in  quel  documento  si 
mostra  che  in  quel  luogo  vi  era  una  popolazione  nota- 
bile, A  costui,  o  immediatamente,  o  poco  dopo  successe 
jin  Gerardo,  il  quale  avendo  favorito  la  elezione  di  papa 
Benedetto  X,  l'anno  1058  insieme  col  conte  di  Tuscolo 
Gregorio  di  Alberico,  e  con  altri  potenti  romani,  si  vi- 
de esposto  nell'anno  seguente  al  risentimento  del  papa 
Niccolò  H ,  eletto  in  vece  di  Benedetto  ;  imperciocché 
quel  papa  per  testimonianza  del  card,  di  Aragona,  nella 
sua  vita  inserita  dal  Muratori  no' Rerum  Italicarum  Script. 
T.  III.  P.  I.  p.  301  si  rivolse  ai  Normanni  che  si  erano 
impadroniti  del  regno  di  Napoli  ;  i  quali  raccolta  una 
oste  poderosa,  traversando  la  Campagna,  invasero  e  de- 
vastarono i  territorii  di  Palestrina,  Tusculo ,  e  Nomen- 
tana,  come  terre  ostili  al  papa,  e  passato  il  Tevere  die- 
rono  il  guasto  a  Galeria  ed  a  tutti  gli  altri  castelli  del 
conte  Gerardo,  fino  a  Sutri.  Ecco  le  parole  di  quel  hio^ 


96 

grafo,  che  descrivono  questa  scorreria:  Normanni  vero 
ad  ipsius  common itionem,  collecto  exercitu  subsequuti  sunt 
eius  vestigia  et  transcuntes  Campaniam,  ,  Praenestinorum 
oc  Tusculanorum  et  Num^ntanorum  terras  hostiliter  inva- 
dentes,  eis  tamquam  contumacibus  et  domino  suo  rebellan- 
tibus  damna  gravissima  inttderunt.  Deinde  fluvium  Tibe- 
ris  cum  immensa  militia  et  fortitudine  armatorum,  peditum 
€t  sagittariorum  copiosa  multitudine  transeunte» ,  Galeram 
tt  universa  comitis  Gerhardi  castella  usque  ad  Sutrium  de- 
vastarunt.  Soggiunge,  come,  dopo  molli  mali  di  questa 
natura,  pervenne  a  domare  la  caparbietà  de' magnati  di 
Roma  ed  a  liberar  la  città  dalla  loro  tirannia  e  rimet- 
tere cosi  la  Chiesa  in  potere  de'suoi  stati.  Pertanto  è  da 
credersi  che  allora  Calerla,  per  qualche  tempo  restasse 
direttamente  in  potere  de'  papi  in  guisa  che  Gregorio 
VII.  la  concesse  insieme  co'coloni  ai  monaci  di  s.  Paolo 
l'anno  1074,  siccome  si  trae  dalla  bolla  de'privilegii  da- 
ta da  lui  a  favore  di  quel  monastero,  riportata  nel  se- 
condo volume  del  Bullarimn  Cassinense  del  Margarini  , 
nella  quale  però  in  luogo  di  Galeriam,  come  è  nell'ori- 
gipale,  si  legge  Gallasiam. 

\)\wj<l  conti  di  Galera  però  non  abbandanarono  così  fa- 
cilmente le  loro  pretensioni  ,  ed  il  Galletti  nella  disser- 
tazione sopra  Capena  riporta  su  tal  proposito  un  docu- 
mento molto  importante,  il  quale  spetta  all'anno  1139. 
Da  questo  apparisce  ,  che  il  Castrum  Galeriae  era  stato 
occupato  dal  conte  di  Galeria,  che  io  credo  Benedetto, 
di  cui  fa  menzione  una  carta  dell'archivio  di  s.  Maria 
Nuova,  dell'anno  1154,  il  quale,  come  un  detentore  in- 
giusto fu  denunziato  nel  concilio  lateranense  tenuto  in 
quello  stesso  anno  1139.  da  Azzone  abbate  di  s.  Paolo. 
Malgrado  questo  passo  i  conti  tennero  saldo,  ed  i  mo- 
naci sembrano  avere  ,  o  abbandonato  i  loro  reclami ,  o 
fatto    qualche   accommodamento ,  poiché  Innocenzo    III 


97 
■confermando  lutti  i  beni  al  monastero  di  s.  Paolo  con 
una  bolla  del  1205  riportata  dal  Margarini  nel  tomo  pri- 
mo ,  di  questo  fondo  non  fa  menzione.  Due  documenti 
esistenti  nell'archivio  di  s.  Maria  Nuova  Tom.  I.  ed  In- 
vent.  fol.  32.  sono  una  prova  ulteriore,  che  questo  ca- 
stello durante  il  secolo  XII.  continuasse  ad  essere  pos- 
seduto dai  conti  che  ne  traevano  il  nome.  Possedeva  quel- 
la chiesa  una  massa  detta  Carda  ,  la  stessa  che  dava 
nome  alla  stazione  ad  Careias  menzionata  da  Frontino, 
<3  dagl'itinerarii  antichi,  come  esistente  circa  15.  miglia 
lungi  da  Roma  sulla  via  Claudia.  Ora  questa  massa  ven- 
ne occupata  sul  principio  del  XIL  secolo  dai  conti  di 
Galcria  ,  riguardandola  probabilmente  come  dipendenza 
di  questo  castello  :  i  canonici  però  ricorsero  a  papa  Cal- 
listo II ,  che  la  fé  loro  restituire  nel  1119  ,  malgrado 
che  i  monaci  di  s.  Sabba  pretendessero,  che  apparteneva 
a  loro.  Conoscendo  però  i  conti  di  Galera  la  importanza 
di  questa  massa  cercarono  ad  ogni  modo  di  averla ,  on- 
de nel  1154  la  ottennero  dai  canonici  suddetti  in  enfi- 
teusi, e  r  atto  fu  fatto  a  nome  di  Guido  figlio  del  de- 
funto conte  Benedetto,  di  cui  si  è  parlato  di  sopra,  dai 
suoi  curatori.  I  confini  assegnati  a  quella  massa  sono  il 
corso  dell' Arrone,  la  via  Claudia,  il  corso  della  Galeria, 
ed  i  territorii  di  Cesano,  e  di  Anguillara.  Quindi  si  ri- 
conosce che  tutta  intiera  giaceva  a  destra  della  Claudia 
fra  le  miglia  12  e  14 ,  o  per  meglio  dire  fra  il  casale 
Nuovo  e  la  Osteria  Nuova,  Cesano  ed  Anguillara. 

Questa  enfiteusi  fu  confermata  ai  conti  di  Galera 
nel  1226,  ultimo  periodo  della  loro  dominazione  in  que- 
sta parte.  Imperciocché  poco  dopo  troviamo  in  possesso 
di  Galera  gli  Orsini,  che  ne  riconoscevano  l'utile  domi- 
nio dal  monastero  di  s.  Sabba,  che  ne  avea  il  diretto; 
quindi  io  credo ,  che  estinguendosi  la  famiglia ,  o  per 
donazione,  o  per  altro  titolo,  il  monastero  di  s.  Sabba 

7 


98 

di  già  proprietario  di  altre  terre  ne'dintorni  ne  ottenes- 
se il  dominio.  Dal  Galletti  nella  dissertazione  sovraindi- 
cata  di  Capena  apprendiamo  che  fin  dall'anno  1256  n'era 
signore  Matteo  Rosso  Orsini,  senatore  di  Roma,  sempre 
però  dipendente  pel  dominio  diretto  da  s.  Sabba.  Nel 
1267  il  suo  figliuolo  Napoleone  donò  a  Giovanni  cardi- 
nale diacono  di  s.  Nicola  in  Carcere,  suo  fratello  la  quar- 
ta parte  del  castello  e  della  rocca  di  Galera ,  come  si 
trae  da  un  documento  esistente  nell'  archivio  della  Ra- 
silica  Vaticana  Caps.  61.  fol.  225.  Rertoldo  e  Raimon- 
do Orsini  ebbero  da  s.  Sabba  la  investitura  delle  tre 
parti  del  castello  di  Galera  1'  anno  1276,  siccome  si  ha 
da  un  documento  esistente  nell'archivio  di  quella  Casa, 
investitura  che  si  trova  rinnovata  nel  1337  a  favore  di 
Giovanni,  Napoleone  e  Giordano  Orsini,  siccome  ricava- 
si dal  cod.  vat.  7997.  Ronifacio  IX.  nel  1393  restrinse 
il  canone  di  questa  investitura  a  tre  libre  di  cera:  veg- 
gasi  la  pergamena  n.  565  nell'archivio  Orsini  ed  i  mss. 
vat.  7926,  e  7997.  Continuò  sotto  gli  Orsini  durante  il 
secolo  XV;  e  nel  1485  a  dì  20  di  luglio  fu  saccheggia- 
ta dai  Colonnesi ,  siccome  leggesi  in  un  diario  contem- 
poraneo inserito  dal  Muratori  Rerum  Italie.  Script.  T. 
III.  P.  II.  p.  1195.  Frattanto  è  da  notarsi  che  a  quel- 
la epoca  era  un  castello  considerabile,  poiché  nell'avvi- 
cinarsi  del  Fortebraccio  a  Roma  ,  Galera  fu  tassata  di 
mandare  20  uomini  armati  a  Rracciano.  Così  .nel  1536 
ai  18  di  aprile  die  alloggio  all'imperadore  Carlo  V.  re- 
duce da  Roma.  Allorché  Pio  IV.  nel  1570  eresse  in  du- 
cato Rracciano  vi  comprese  anche  Galera.  Veggasi  la  me- 
moria di  A.  Coppi  negli  atti  dell'Acc.  di  Archeologia,  T. 
VII.  il  quale  ha  raccolto  uno  stato  della  sua  popolazio- 
ne, che  nel  1636  giungeva  a  300  abitanti,  nel  1660  a 
170,  nel  1667  a  130,  nel  1700  a  150,  e  nel  1809  do- 
po essere  andata  sempre  cadendo  rimase  affatto  deserta. 


99 
Gli  Orsini   essendo  grarati  da  debiti  ali  enarono   Galera 
l'anno  1670  con  facoltà  di  papa  Clemente  X.  e  da  quel 
tempo  non  fu  più  soggetta  a  feudo.  \  ;       ■> 

La  via  per  andare  a  Galera  diverge  a  sinistra  della 
Claudia  circa  le  miglia  15  e  mezzo  ;  subito  dopo  aver 
passato  sopra  un  ponte  il  fosso  denominato  Rosciolo,  in- 
fluente dell'  Arrone  ,  nel  quale  cade  prima  di  giungere 
a  Galera.  La  strada  scende  fra  colli  dirupati  vestiti  di 
alberi  e  di  vigorosa  vegetazione  ad  un  ponte  circa  un 
miglio  dopo  il  diverticolo:  nel  giungere  a  questo  ponte 
sono  a  destra  le  rovine  di  una  casa,  a  sinistra  quelle 
della  chiesa  di  s.  Maria  degli  angeli  che  era  in  rovina 
fin  dal  principio  del  secolo  passato,  come  si  ha  dal  Piaz- 
za. Il  sito  del  ponte  è  pittoresco  e  romantico:  il  fiume 
Arrone,  che  passa  sotto  di  esso  e  lambisce  il  lato  occi- 
dentale della  rupe,  sulla  quale  sorge  il  castello,  forma 
in  questo  luogo  una  picciola  caduta  che  col  suo  romo- 
rìo  ravviva  alquanto  lo  stato  solingo  del  luogo.        "  % 

Appena  passato  il  ponte,  la  strada  volgendo  a  sini- 
stra sale  pian  piano  ad  una  porta,  sulla  quale  sono  an- 
cora le  arme  di  casa  orsina  :  dopo  questa  prima  porta 
seguitando  a  salire,  volge  a  destra,  dove  trovasi  una  se- 
conda porta,  e  finalmente  una  terza  dà  ingresso  alla  ter- 
ra, la  quale  non  è  accessibile,  e  con  molta  diflìcoltà,  se 
non  da  questo  lato  che  è   quello  rivolto  a  settentrione. 

Sorge  la  terra  sopra  un  colle  di  tufa  vulcanico  ta- 
gliato a  picco  da  tutte  le  parti,  e  di  forma  rettangolare 
coi  lati  rivolti  ai  quattro  punti  cardinali  :  le  mura  che 
la  cingevano  presentano  due  epoche  diverse:  la  parte  più 
antica  ,  che  è  quella  più  prossima  al  suolo  è  di  massi 
squadrati  di  tufa  locale  ma  di  picciola  mole,  e  ricor- 
dano la  costruzione  del  secolo  XI:  sopra  questa  costru- 
zione se  ne  alza  un'altra  tutta  irregolare  e  propria  del 
secolo  XV:  e  queste  mura  ricorrono  sul  ciglio  della  ra- 


100 

pe.  Le  case  sono  generalmente  di  opera  saracinesca  del 
secolo  XIII,  e  sembrano  essere  state  rifatte  dopo  che  gli 
Orsini  divennero  signori  della  terra:  esse  però  sono  tutte 
abbandonate  e  in  rovina,  abitate  da  rettili,  e  coperte  di 
erba  e  di  arbusti:  alcune  hanno  fenestre  gotiche,  altre 
sembrano  essere  state  ristaurate  sul  principio  di  questo 
secolo,  e  fra  pochi  anni  la  intiera  terra  presenterà  l'aspetto 
di  un  ammasso  di  rovine.  La  piazza  è  presso  1'  angolo 
occidentale:  ivi  è  la  chiesa  arcipresbiteriale  dedicata  a 
s.  Nicola,  la  quale  conserva  alcune  parti,  la  cui  costru- 
zione essendo  opera  del  secolo  V ,  dimostra  che  fin  da 
quel  tempo  vi  era  una  popolazione  in  questo  luogo:  ed 
infatti  esso  è  tale  che  sembra  impossibile  che  sia  stato 
trascurato  dagli  antichi,  e  forse  fu  uno  degli  oppidi  de* 
Vejenti:  alcune  grandi  pietre  quadrate  impiegate  ne'muri 
di  una  delle  case  della  ultima  strada  verso  occidente  av- 
valorano questa  congettura.  Ai  lati  della  porta  moderna 
della  chiesa  sovraindicata  sono  due  are  sepolcrali  di 
marmo  tolte  forse  alla  vicina  via  Claudia:  quella  a  sini- 
stra manca  d'iscrizione  come  quella  che  è  stata  cancel- 
lata e  conserva  il  loculo  per  le  ceneri:  sopra  quella  a 
destra  si  legge  la  epigrafe  seguente. 

CERCENIAE 

TRYPHERAE 

MAIRI  OPTIMAE 

T  FL  CERGENIANVS 

i  caratteri  sono  di  buona  forma,  ed  il  nome  di  Tito  Fla- 
vio Cerceniano  mostra  che  fu  di  poco  posteriore  al  re- 
gno de'FIavii,  essendo  quello  un  figlio  di  qualche  liberto 
di  Vespasiano,  di  Tito,  o  di  Domiziano. 


-101 
GALLICANO  v.  PEDVM. 

AD  GALLINAS  v.  PRIMA  PORTA. 

GATTACIECA. 

È  il  nome  di  una  osteria  fra  Mentana  e  Grotta  Ma- 
rozza,  a  destra  della  via  nomentana  antica,  circa  16.  ni. 
lontano  da  Roma,  all'ingresso  di  un  diverticolo  che  con- 
duce a  Monte  Rotondo. 

GELARDL 

Così  volgarmente  si  appellano  certe  rupi  di  tufa  ta- 
gliate a  picco ,  che  s' incontrano  circa  18  m.  fuori  di 
porta  del  Popolo  sulla  sponda  sinistra  della  via  detta 
dagli  antichi  tiberina,  ed  oggi  strada  di  Fiano:  esse  un 
tempo  fornirono  materiali  da  fabbricare.  Ivi  dappresso 
sono  ruderi  di  sepolcri  antichi.  Il  nome  forse  derivò,  o 
da  qualche  individuo  di  nome  Gerardo ,  o  da  qualche 
famiglia  Gerardi ,  che  vi  ebbe  possidenze.  Queste  rupi 
sono  le  ultime  falde  del  monte  Tufello,  fralle  quali  apresi 
la  convalle  detta  Valle  Lunga. 

GENAZZANO: 

(&tnna}amrn-  ©inajanum. 


f 


Terra  nel  distretto  di  Tivoli  nella  diocesi  prene- 
stina,  che  contiene  2396  abitanti,  posta  un  miglio  a  si- 
nistra della  strada,  che  da  Palestrina  conduce  a  Paliano 
sette  miglia  distante  da  Palestrina  e  30  da  Roma;  feudo 
u^iempo  di  quel  ramo  dc'Goloonesi,  che  distinguevasi 


appunto  col  nome  di  signori  di  Gena  zzano ,  che  era  la 
stesso  di  quello  detto  de'  ss.  Apostoli ,  perchè  avca  le 
case  contigue  a  quella  chiesa  in  Roma. 

Il  nome  indica ,  che  la  terra  sorse  ne'  tempi  bassi 
sulle  rovine  di  una  villa  della  gente  Genucia,  onde  da 
fundus  Genucianus,  o  praedium  Genucianum  se  ne  fece  per 
alterazione  di  pronuncia  nella  bocca  del  volgo  Genucior- 
num,  Genutianum,  GennazanuiUf  Ginazanum}  che  noi  m 
idioma  volgare  abbiamo  fatto  Genazzano.  Ed  a  quella  fa- 
miglia appartengono  i  ruderi  della  villa  romana  ancora» 
ivi  esistenti,  che  dal  Cecconi  e  dal  Petrini  si  sono  vo- 
luti attribuire  alla  villa  degli  Antonini,  applicando  a  que- 
sti il  passo  di  Capitolino  nella  vita  del  divo  Marco  c^ 
XXI:  Sub  ipsìs  profectionis  diebus  in  secessit  praenestino^ 
agens  filium  nomine  Verum  caesa/rem  exsecto  suo  aure  tu- 
bere  septennem  amisit.  Costoro  però  non  considerarona  y 
che  ivi  si  tratta  della  villa  imperatoria  prenestina,  della 
quale  veggonsi  vaste  rovine  a  s.  Maria  della  Vili».  Era 
la  gente  Genucia  plebea^  ed  in  essa  si  distinse  partico- 
larmente Lucio  Genucio  tribuno  della  plebe  autore  de' 
plebisciti  famosi  dell'anno  415  di  Roma  ricordati  da  Li- 
vio lìb.  VII.  e.  XLII.  centra  gli  usurai,  ne  foenerare  li- 
ceret,  centra  gli  ambiziosi,  ne  quis  eumdem  mugistratunv 
intra  decem  annos  caperei;  neu  duos  magistratus  uno  anno 
gereret,  ed  in  favore  della  plebe,  perchè  fosse  permesso 
creare  ambedue  i  consoli  di  quell'ordine;  utique  liceret 
consules  ambos  plebeios  creari. 

La  prima  volta  che  apparisce,  come  castello  ne'tempi 
bassi  è  in  una  denazione  scritta  l'anno  1022  da  Benedette 
Scriniario  di  Palestrina,  inserita  nel  Registro  Sublacense, 
nella  quale  un  Giovanni  di  Pier  Domenico,  e  Franca  sua 
moglie  vengono  designati  come  abitanti  in  castello  qui  ap- 
pellatur  Gennazano.  E  siccome  in  que' tempi  questo  ca- 
stello era  parte  del  feudo  di  Palestrina  istituito  da  papa 


103 
Giovanni  XIII  a  favore  di  Stefania,  «enatrice  Tanno  970 
della  era  volgare,  perciò  possiamo  essere  certi,  che  ne 
seguisse  tutte  le  vicende.  Quindi  fino  dall' anno  1033 , 
essendosi  sposata  in  seconde  nozze  Emilia  sorella  di  Gio- 
vanni, e  nipote  di  Stefania,  ed  erede  del  feudo  di  Pale- 
strina  con  un  De  Columna^  ed  avendone  avuto  prole  ma- 
schile, Genazzano,  come  Palestrina  divenne  retaggio  de* 
Colonnesi^  che  ancora  lo  ritengono.  Nello  Spicilegium  Hi- 
storiae  Ravennatis  inserito  dal  Muratori  ne^  Rerum  Itali- 
carum  Scriptores  T.  I.  p.  579  leggesi  come  agli  11  di 
novembre  del  1290  Stefano  da  Genazzano,  de  Ginazano, 
della  casa  Colonna,  venne  preso  e  spogliato  dai  Raven- 
nati. L'  anno  1356  Pier  Giordano  Colonna  donò  ai  pp. 
agostiniani  la  chiesa  parrocchiale  fin  d'allora  dedicata  alla 
vergine  sotto  il  titolo  di  Madonna  del  Buon  Consiglio. 
Nel  1378  i  cardinali,  che  favorivano  papa  Urbano  VI  si 
ritirarono  in  Genazzano,  come  può  leggersi  in  Rainaldi. 
Il  Petrini  crede,  che  in  Genazzano  nascesse  Martino  V 
ossia  Oddone  Colonna,  allegando  la  vita  d'Innocenzo  VII 
riportata  dal  Muratori  ne' Rerutn  Italicarum  Scriptores  T.  III. 
P.  II:  il  Cecconi  segue  piuttosto  l'altra  tradizione,  che  lo 
dice  nato  a  s.  Vito:  quello  però  che  non  può  mettersi 
in  dubbio  è  che  quel  papa,  a  cui  tanto  debbe  Roma  e 
la  Chiesa,  ne  amava  appassionatamente  il  soggiorno,  ed 
ivi  trovavasi  a  villeggiare  l'anno  1426  allorché  ricevè 
l'ambasciatore  del  conte  di  Armagnac,  che  venne  ad  ab- 
biurarvi  a  nome  del  suo  signore  lo  scisma,  siccome  leg- 
gesi nella  sua  vita  scritta  dal  Cirocchi  e  dal  Platina. 
Morto  papa  Martino  l'anno  1433,  fu  trucidato  barbara- 
mente in  Genazzano  Stefano  Colonna  signore  di  Pale- 
strina. L'  anno  seguente  Niccolò  Fortebraccio  occupò  la 
terra,  sovvertì  Lorenzo  Colonna;  che  dominava  in  Pale- 
strina, e  costrinse  papa  Eugenio  IV  a  fuggire  da  Roma, 
fatto,  che  portò  nel  1437  la  rovina   di  Palestrina.  Nel 


104 

1461  fu  visitato  Genazzano  da  papa  Pio  li  nel  ritornoi 

da  Subiaco  a  Tivoli,  siccome  riferisce  il  Gobellino. 

Narrano  il  Coriolano  ed  il  Canncsio ,  storici  co»- 
temporanei,  come  nell'anno  1467  rinnovandosi  la  chiesa 
della  Madonna  del  Buon  Consiglio  uffiziata  dagli  Ago- 
stiniani, li  25  di  aprile  scoprissi  sopra  un  muro,  che  do- 
vea  essere  demolito,  la  immagine  della  Madonna  che  va 
sotto  questo  titolo  ,  e  che  per  la  venerazione ,  che  ri- 
scuote, le  grazie  fatte,  ed  i  donativi  ricevuti  è  uno  dei 
santuarii  più  celebri  e  più  frequentati  di  questa  parte 
d'Italia.  Nella  guerra  fra  Sisto  IV,  e  Prospero  Colonna 
questa  terra  ebbe  molto  a  soffrire,  ma  finalmente  l'anno 
1485  i  Colonnesi  la  ricuperaronov  e  là  diedero  in  mano 
al  papa,  come  si  ha  dai  Diarii  dell'Infessura  e  del  Nan- 
tiporti  dati  dal  Muratori  nella  parte  II  del  tomo  III  de' 
Rerum  ItiiUcarum  Scriptores.  Nel  1557  vi  pose  campo  il 
duca  di  Alba ,  e  poco  dopo  segui  la  pace  di  Cave  coi 
Caraffeschi. 

Oltre  le  rovine  sovraìndicate  della  villa  romana,  que~ 
sta  terra  principalmente  merita  di  essere  visitata  per  la 
cappella  sovraindicata  della  Madonna  del  Buon  Consiglio^ 
cappella  ricchissima  per  arredi,  sacri  e  per  doni. 

M.  GENNARO^ 

È  questo  il  contrafforte  più  alto ,.  e  più  vicino  a 
Roma  del  dorso  che  gli  antichi  chiamarono  monte  Lu- 
cretile,  e  che  fu  celebrato  da  Orazio;  esso  fu  da  alcu- 
ni confuso  co'  monti  Ceraunii  ricordati  da  Dionisio  nel 
lib.  I.  ma  que' monti,  che  si  distinguevano  per  le  loro 
punte  acuminate  percosse  sovente  dai  fulmini,  erano  solo 
80  stadii,  o  10  miglia  distanti  da  Rieti  nelle  vicinanze 
di  Vesbola,  cioè  fra  i  fiumi  Velino  e  Turano,  onde  cor- 
rispondevano alle  montagne,  che  oggi  chiamano  di  Nu- 


103 

ria  non  lungi  da  Capradosso,  presso  cui  dee  rintracciar- 
si il  sito  di  Vcsbola.  II  nome  di  Gennaro  lo  ebbe,  non 
come  il  volgo  pretende  dal  freddo,  che  vi  si  prova ,  poi- 
ché più  fredde  e  nevose  sono  altre  cime  a  settentrione 
di  esso;  ma  per  altre  cause.  Una  chiesa  di  s.  Gennaro 
esisteva  alle  sue  falde  verso  Marcellina  fin  dal  secolo 
X  della  era  volgare ,  e  di  essa  fa  menzione  una  carta 
spettante  all'anno  956,  esistente  nella  biblioteca  Barbe- 
rini, dalla  quale  apparisce,  che  Giovanni  vescovo  di  Ti- 
voli concedeva  un  fondo  Caniniano  cum  ecclesia  s.  lanua- 
rii.  Forse  da  questa  chiesa  ebbe  nome  il  monte,  ovve- 
ro da  un  lanuariusy  a  lanuaria,  che  vi  ebbero  possiden- 
ze dappresso;  ed  infatti  tre  lapidi  si  conoscono,  una  di 
Settimio  Sabino  lanuario,  Taltra  di  Scanzia  lanuaria,  e 
la  terza  di  Rosela  lanuaria,  che  furono  scoperte  alle  sue 
falde,  e  che  l'autore  del  Viaggio  a  Tivoli.,  edito  l'anno 
1828  riporta. 

Dopo  la  cresta  del  monte  Vulturella  ,  oggi  Mento- 
rella,  sopra  Guadagnolo,  questa  è  la  punta  più  alta  dei 
monti  che  immediatamente  coronano  la  pianura  dove 
Roma  si  asside;  quindi  fu  scelta  da  Boscovich  e  da  Le 
Maire  per  le  loro  osservazioni  astronomiche  e  trigono- 
metriche, tendenti  a  determinare  la  misura  del  grado  del 
meridiano  di  Roma.  Servi  pure  a  sir  William  Geli  per 
la  triangolazione  della  mappa,  che  è  il  soggetto  di  que- 
st'analisi. Boscovich  determinò  la  distanza  fra  la  punta 
di  monte  Gennaro,  e  la  croce  della  cupola  di  s.  Pietro 
a  22  miglia  e  935  passi  :  e  1'  altezza  perpendicolare  ad 
837  passi  =  654  tese  e  mezza  =  4185  piedi  inglesi, 
che  sono  quasi  geometricamente  identici  ai  piedi  romani. 
L'  autore  sovraindicato  del  viaggio  di  Tivoli  sulla  fede 
del  quadro  geografico  storico  dello  Stato  Pontificio  di 
Luigi  Antonio  Senes  di  Trestour  estolle  l'altezza  di  que- 
sta punta  dal  livello  del  mare  a  4430  piedi  romani.  Le 


106 

osservazioni  poi  publicale  l'  anno  1824  dagli  astronomi 
della  specola  del  Collegio  Romano,  Conti  e  Ricchebach 
stabiliscono  la  sommità  di  questo  monte,  che  essi  desi- 
gnano col  nome  di  punto  più  elevato  di  Monte  Gennaro  a 
3955  piedi  parigini  ed  8  pollici  ==  4285  piedi  inglesi 
e  3  pollici. 

Da  tre  lati  si  può  ascendere  a  questa  punta  serven- 
dosi di  cavalli)  altri  èenlieri  vi  sono  per  coloro  che  vanno 
a  piedi:  i  lati  per  scendervi  sono:  quello  verso  Palom- 
bara,  strada  che  se  è  la  più  breve  è  ancora  la  piìi  ri- 
pida: quello  di  s.  Polo  che  almeno  fino  alla  Terra  di 
questo  nome  offre  l'accesso  più  commodo:  e  quello  dal 
canto  di  Licenza.  Le  cime  principali  di  questo  monte 
sono:  il  pizzo  che  è  quella  che  domina  immediatamente 
la  falda  rivolta  a  Roma,  e  che  si  presenta  sempre  come 
una  punta  acuminata:  la  Morra  nocciuolo  particolare  che 
sovrasta  immediatamente  alla  terra  di  s.  Polo,  e  che  da 
Roma  ha  l'apparenza  di  un  ginocchio:  ed  il  monte  della 
Guardia  che  è  una  specie  di  dorso  verso  settentrione 
che  si  dilunga  nella  direzione  da  occidente  ad  oriente  , 
e  serve  come  di  barra  alle  due  cime  sovraindicate  da 
quella  parte.  Di  queste  tre  punte,  tutte  altissime,  il  Ro- 
seo vich  prescelse  la  prima  per  le  sue  osservazioni,  per- 
chè il  monte  della  Guardia,  quantunque  abbia  un  oriz- 
zonte vastissimo  verso  occidente  ,  e  verso  settentrione , 
ha  la  veduta  di  Roma  velata  appunto  da  questa  cima, 
denominata  il  pizzo;  e  la  Morra,  sebbene  abbia  la  veduta 
completa  di  Roma  e  di  tutta  la  pianura  romana  senza 
alcun  impaccio,  è  così  difficile  a  salirsi,  che  le  osserva- 
zioni sarebbero  state  soverchiamente  protratte.  Il  Pizzo 
non  presenta  ne  l'inconveniente  del  monte  della  Guardia, 
né  le  difficoltà  della  Morra ,  e  gode  d'  altronde  i  van- 
taggi di  ambedue.  Quindi  fu  scelto  dal  Boscovich  come 
da  Geli  per  le  loro  osservazioni. 


107 
Solinga  ed  amena  è  la  sommità  di  questo  monte  im- 
ponente e  vestito  di  boschi  di  alberi  secolari,  meno  nel 
vasto  ripiano  denominato  il  pratone,  ove  i  bestiami  ne' 
mesi  estivi  trovano  fresco  e  pastura.  E  quanto  al  Pizzo 
è  degno  di  osservazione  il  gran  cumulo  di  pietre  rozze 
che  ivi  si  vede  ammassato,  il  quale  ricorda  que'mucchi 
di  sassi  consacrati  a  Mercurio  e  di  cui  fanno  menzione 
gli  antichi  scrittori,  e  soprattutto  Esichio.  La  veduta  che 
da  quella    cima  si    gode  è  non  solo  vastissima  ma  così 
bene  composta,  che  diresti  di  essere  in  mezzo  ad  un  im- 
menso teatro,  la  cui  cavea  viene  formata  dai  monti  etru- 
schi, sabini,  e  latini,  ed  il  di  cui  centro,  o  la  scena  viene 
determinata  dalla  zona  argentea  del  mare  tirreno  :  ivi , 
rammentando  l'epoca  primitiva  della  storia  di  Roma,  d'uo- 
po è  riconoscere  il  fatto,  che  le  genti,  che  in  quel  punto 
si  riunirono,  da  queste  contrade  discesero,  fatto  ricono- 
sciuto dagli  antichi  scrittori,  ed  invano  da  una  smodata 
critica  travolto ,  e  negato  :  è  di  là  che  si  commenta  la 
primitiva  divisione  del  popolo  romano  in  Luceres  (etru- 
schi) Titienses  {  Sabini  )  e  Ramnenses  (Latini) ,  nomi  co* 
quali  si  designarono  le  genti  condotte  da  Lucumone,  da 
Tazio,  e  da  Romulo.  Volgendosi  indietro,  questa  veduta 
viene  temperata  dalle  orride  selve,  che  vestono  i  monti 
sabini ,  e  sotto  apronsi   spaventevoli    precipizii    verso  i 
monti    corniculani ,  che  da  quella  sommità    appariscono 
come  leggiere  colline,  e  picciole  ondulazioni  di  terreno. 

S,  GENNARO  v.  SVBLANVVIO 

GENZANO. 

Città  del  distretto  e  comarca  di  Roma,  sede  di  go- 
verno, situata  sulla  strada  postale  di  Napoli,  dove  que- 
sta raggiunge  l'antica  via  appia,  circa  18  miglia  lontano 


108 

da  Roma,  la  quale  secondb  la  statistica  di  Leone  XII 
contiene  3994  abitanti.  Secondo  le  tavole  pubblicate  da- 
gli astronomi  Conti  e  Ricchebach  l'anno  1824  è  situata 
al  grado  di  latitudine  41,  42\  2r\  ed  al  grado  di  lon- 
gitudine 30,  20\  44  ^  7. 

Il  Ratti,  che  compilò  la  storia  di  questa  città  l'anno 
1797,  corredandola  di  documenti  autentici ,  mostra  che 
la  origine  sua  non  rimonta  più  indietro  del  secolo  XIII 
cioè  circa  l'anno  1255,  nel  quale  essendo  enumerate  e 
confermate  da  papa  Alessandro  IV  le  possidenze  del  mo- 
nastero di  s.  Anastasio  alle  Tre  Fontane  presso  Roma, 
in  due  bolle,  nella  prima  di  queste  in  data  de' 12  gen- 
naio si  nomina  il  Fundura  Genzani,  e  nell'  altra  de'  18 
febbraio  si  ricorda  questo  stesso  fondo  col  nome  di  Ca- 
struniy  Terra  murata,  castello,  insieme  con  Gavignano  e 
Fusano.  Queste  bolle  leggonsi,  la  prima  presso  l'Ughelli 
Italia  Sacra  Tomo  I  e  la  seconda  estratta  dall'  archivio 
vaticano,  presso  il  Ratti  p.  102.  Una  bolla  di  papa  Lu- 
cio III  data  il  di  2  aprile  1183  pure  ai  monaci  di  s. 
Anastasio,  in  conferma  de'beni  del  loro  monastero,  e  ri- 
portata dal  Ratti ,  fa  conoscere,  come  circa  la  metà  di 
quel  secolo  ,  cioè  il  duodecimo ,  essendo  insorta  una 
lite  fra  il  monastero  e  la  chiesa  di  s.  Maria  in  Aquiro, 
super  possessione  cujusdam  Costae  mentis  qui  dicitur  Gen- 
zano  ec.  fu  questa  decisa  a  favore  de'monaci;  e  tal  do- 
cumento è  il  primo,  che  dia  questo  nome,  che,  se  de- 
riva dall'antico,  potrà  trarsi  da  un  fundus  Gentianus ,  o 
Gentiani ,  nome  del  possessore  originale  ,  non  mai  da 
Cynthia  Diana,  dea  venerata  particolarmente  in  queste  con- 
trade ,  parte  del  territorio  aricino ,  come  credettero  gli 
scrittori  del  secolo  XV,  i  quali,  poscia  furono  seguiti  da 
tutti  i  topografi  superiori.  In  quella  bolla  si  fa  pure 
menzione  delle  cave  di  pietra,  cioè  di  peperino  esistenti 
in  eadem  costa  ipsius  montisy  e  di  una  torre  edificata  so- 
pra quello  stesse  monte,  che  era  stata  demolita. 


109 
Questa  torre  era  stata  edificata  dai  Gandolfi  signo- 
ri del  castello  di  questo  nome,  siccome  ricavasi  dal  pat- 
to di  rinuncia ,  che  Pietro  e  Nicola  figli  di  Angelo ,  e 
Rustico  figlio  di  Cencio  Gandolfi  fecero  a  papa  Onorio 
III.  l'anno  1218  di  tutte  le  loro  pretensioni  per  la  de- 
molizione di  quella  torre ,  avvenuta  durante  le  dissen- 
siotii  civili  fra  Alessandro  III.  ed  il  popolo  romano,  me- 
diante un  compenso  in  danaro.  Veggasi  il  documento  di 
questa  rinuncia  riportato  dal  Ratti  p.  99.  Il  medesimo 
storico  con  ogni  probabilità  asserisce  che  i  Gandolfi  in 
que'  tempi  di  sconvolgimento  abusando  del  loro  potere 
aveano  occupato  il  fondo  di  Genzano  appartenente  ai 
monaci  di  s.  Anastasio,  e  vi  aveano  fabbricato  quella  tor- 
re, e  che  ad  essi  per  quel  giudizio  fu  restituita.  Rima- 
sero i  monaci  possessori  pacifici  di  questo  loro  feudo 
fino  all'anno  1378,  o  per  dir  meglio,  non  si  conosce  al- 
cun documento  in  contrario  fino  a  quella  epoca.  Ma  in 
quell'anno  l'antipapa  Clemente  VII.  volendo  rimunerare 
Giordano  Orsini  signore  di  Marino  dell'appoggio  che  gli 
avea  prestato,  con  bolla  data  in  Fondi  IV.  Non.  Decem- 
br.  fra  gli  altri  castelli  gli  concedette  ancora  quelli  di 
Nemi  e  di  Genzano:  item  castra  Nemi  et  Genciani  Alba- 
nensis  Dioeceseos.  Veggasi  questa  bolla  estratta  dall'  ar- 
chivio vaticano ,  presso  il  Ratti  p.  104  e  seg.  Questa 
concessione  fu  a  titolo  di  enfiteusi  a  terza  generazione, 
e  nella  bolla  sovraindicata  si  ricorda  il  dominio  diret- 
to di  s.  Anastasio.  Poco  però  durò  il  dominio  di  Gior- 
dano, ma  poco  tempo  pure  rimasero  i  monaci  possesso- 
ri pacifici  di  questa  Terra,  poiché  circa  l'anno  1393  Ni- 
cola Colonna,  figlio  di  Stefano  della  linea  di  Palestrina 
la  invase,  e  la  ritenne  fino  al  1399  in  che  avendo  tra- 
mato una  congiura  contro  papa  Bonifacio  IX.  questa  sco- 
pertasi, egli  dovè  fuggirsene,  lasciando  a  Buccio  Savel- 
li suo  compagno  questa  terra  medesima.   Questi  abusò 


110 

talmente  del  suo  potere,  che  i  Genzanesi  ricorsero  a  Pie- 
tro Passcrello,  capitano  di  Marino  per  la  Chiesa  Romana; 
e  riconoscendo  sempre  il  dominio  diretto  de'monaci  di  s. 
Anastasio,  ottennero  da  papa  Bonifacio  di  essere  eman- 
cipati dalla  signoria  di  Buzio,  e  posti  sotto  la  immedia- 
ta dipendenza  e  protezione  della  Sede  Apostolica  con 
ana  bolla  contenente  i  capitoli  da  loro  richiesti  ed  a  lo- 
ro accordati  ai  15  di  novembre  di  quello  stesso  anno 
1399.  Allora  la  terra  di  Genzano  fu  distaccata  dalla  ca- 
stellanìa  di  Lariano ,  ed  unita  a  quella  di  Marino.  Fino 
air  anno  1410  rimasero  le  cose  su  questo  piede,  quan- 
do salito  sul  soglio  papale  Giovanni  XXIII.  tornò  Gen- 
zano sotto  il  dominio  di  Nicola  Colonna,  il  quale  ne  fu 
investito  per  un  triennio  ,  mediante  il  censo  di  un  fio- 
rino d' oro  r  anno,  da  pagarsi  il  di  di  Natale,  o  quello 
della  sua  ottava.  Spirato  quel  triennio  Genzano  fu  oc- 
cupato da  Antonello  Savelli  che  lo  ritenne  fino  al  1417. 
Martino  V.  lo  fece  restituire  ai  monaci,  e  questi  nel  1423 
lo  affittarono  a  Giordano  Colonna,  che  fu  dichiarato  go- 
vernatore di  Genzano  e  di  Nemi.  Finalmente  nel  1425 
V  abbate  ed  i  monaci  di  s.  Anastasio ,  con  facoltà  del 
papa  vendettero  ai  Colonna  definitivamente  questa  Ter- 
ra insieme  con  quella  di  Nemi,  e  col  casale  di  Monta- 
gnano,  per  la  somma  di  15,000  fiorini  a  ragione  di  bai. 
47.  r  uno,  con  istromento  stipolato  il  dì  28  ottobre.  Il 
protonotario  Giovanni  Colonna  nel  1479  vendette  questa 
Terra  insieme  con  quella  di  Nemi  al  card.  Guglielmo 
di  Estouteville  per  13,  300  ducati ,  il  quale  donolle  ai 
suoi  figli  naturali  Girolamo  ed  Agostino  l'  anno  1481. 
Narra  l'Infessura  come  nell'anno  1485  i  Colonnesi  s'im- 
padronirono di  Genzano  sopra  i  Tuttavilla,  ossia  gli  E- 
stouteville  nella  guerra  che  ebbero  con  quelli,  come  al- 
leati degli  Orsini.  Innocenzo  Vili,  nell'atto  di  concordia, 
che  eome  mediatore  volle  fare  fra  quelle  famiglie  riva- 


IH 

li  si  fece  consegnare  le  terre  di  Nemi,  di  Genzaiio ,  « 
Frascati  dai  Colonnesi;  e  dopo  la  conclusione  della  pace 
si  trova  che  nel  1486  Genzano  venne  di  nuovo  in  po- 
tere dei  Colonna,  ai  quali  fu  tolto  da  papa  Alessandro  VI, 
che  nella  divisione  de'beni  di  Lucrezia  Borgia  sua  figlia, 
fra  Roderico  e  Giovanni  da  lei  nati  assegnò  al  primo 
Genzano,  che  lo  ritenne  fino  all'anno  1503  in  che  quel 
papa  morì.  Appena  morto  Alessandro  VI  i  Colonnesi  rien- 
trarono in  possesso  de'beni  che  erano  stati  loro  tolti,  e 
ritennero  Genzano  fino  al  1563.  In  quell'  anno  Marcan- 
tonio Colonna  vendette  a  Fabrizio  Massimi  Genzano  per 
15,200  scudi,  e  questi  l'anno  seguente  lo  rivendette  a 
Giuliano  Cesarini  per  la  stessa  somma,  unendovi  la  te- 
nuta delle  due  Torri ,  alcune  case  da  lui  comprate  ,  e 
tutti  i  miglioramenti  fatti  al  feudo.  Dai  Cesarini  per 
eredità  passò  agli  Sforza  che  lo  ritengono.  Queste  fasi 
diverse  possono  leggersi  tutte  presso  il  Ratti  nell'opera 
summenzionata  che  inserisce  gli  autentici  documenti,  sui 
quali  si  appoggiano. 

Fu  notato  di  sopra ,  che  nel  secolo  XIII  Genzano 
fu  il  nome  della  costa  del  monte,  sulla  quale  poscia  fu 
edificata  la  Terra  di  questo  nome:  super  possessione  cuius- 
dam  Costae  Montis  ,  qui  dicitur  Genzano  :  questo  passo 
dimostra  da  per  se  stesso  la  giacitura  di  questa  città , 
la  quale  dal  ciglio  meridionale  del  cratere  dal  lago  ne- 
morense  discende  per  la  falda  fino  alla  via  appia  antica. 
E  dapprincipio  i  monaci  di  s.  Anastasio,  che  come  si  vide 
fondarono  il  castello,  occuparono  la  parte  superiore  del 
monte,  dove  è  il  palazzo  baronale  de'Gesarini,  ed  il  Duo- 
mo vecchio ,  la  qual  suol  designarsi  col  nome  di  Gen- 
zano vecchio,  conservando  ancora  in  parte  il  recinto  tur- 
rito e  merlato  di  quella  epoca,  posteriormente  dai  baroni 
a  varie  riprese  ristaurato.  Ma  dopo  il  secolo  XVII  a  poco 
a  poco  l' abitato  si  diresse  verso  1'  andamento  della  via 


112 

appia.  Era  però  fino  al  declinare  del  secolo  passalo  una 
pìcciola  Terra,  quando  il  disseccamento  delle  Paludi  Pon- 
tine, e  l'apertura  della  nuova  strada  postale  di  Napoli 
non  solo  portò  molti  nuovi  abitanti  lungo  il  corso  di 
questa,  ma  ancora  vi  fece  discendere  la  parte  principa- 
le degli  antichi;  onde  oggi  Genzano  vecchio  è  cadente, 
ed  in  luogo  di  quello  si  è  formata  un'  amena,  e  polita 
città  a  destra  e  a  sinistra  della  nuova  strada,  alla  qua- 
le magnifici  viali  di  olmi  conducono  per  chi  va  da  Ro- 
ma o  dall'Ariccia,  mercé  le  cure  del  duca  Giuliano  Ce- 
sarini  circa  la  metà  del  secolo  XVII.  Questi  viali  hanno 
il  nome  di  Olmata,  ed  al  punto  della  loro  unione  ,  che 
piazza  della  Olmata  si  dice,  mezzo  miglio  circa  distan- 
te da  Genzano  formano  come  il  vertice  di  un  triangolo, 
dove  il  viale  a  sinistra  conduce  al  convento  de'pp.  cap- 
puccini ,  quello  di  mezzo  al  palazzo  Cesarini ,  e  quello 
a  destra  a  Genzano.  Magnifica,  pittoresca,  ed  amena  è 
la  veduta  che  dal  palazzo  Cesarini,  e  dalla  piazza,  che 
lo  precede  si  gode  sì  del  lago  nemorense  e  del  cratere 
imboschito  che  lo  circonda,  che  della  immensa  pianura 
del  regno  de'  Rutili  che  verso  mezzogiorno  si  distende 
fino  al  mare  Tirreno.  Il  palazzo  poi  fu  edificato  verso 
l'anno  1643  da  Giuliano  Cesarini,  quello  stesso  che  pian- 
tò r  Olmata  :  e  che  edificò  il  Duomo  Vecchio  sul  sito 
dell'  antica  chiesa  parrocchiale,  sotto  il  titolo  di  s.  Ma- 
ria della  Cima:  e  rifabbricò  la  chiesa  e  convento  de'cap- 
puccini  eretta  in  origine  l'anno  1579.  Il  nuovo  Duomo 
cominciato  sul  finire  del  secolo  passato  con  architettura 
del  Camporesi  è  dedicato  alla  Triade  Santissima,  e  tor- 
reggia lungo  la  strada  postale  sulla  piazza  maggiore.  Un 
buon  quadro  è  suU'  altare  maggiore  rappresentante  la 
Trinità  e  le  anime  che  dal  purgatorio  passano  alla  vita 
celeste. 

Celebre  è  la  festa  annuale  che  si  celebra  in  questa 


113 

fcittà  il  dì  dell'ottava  del  Corpus  Domini^  alla  quale  cou- 
.-corre  un  popolo  immenso  dalla  capitale^,  e  dai  paesi  cir- 
rconvicini.  Consiste  questa  nella  processione,  che  fassi  ad 
.ora  di  yespero  col  Sagraniento ,  passando  per  le  strade 
rprincipali,  le  quali  vfiggonsi  tutte  -coperte  di  tappeti  di 
iìori,  co' quali  rappresentansi  arabeschi,  ornati,  targhe, 
scudi,  arme,  figure  ,ec.  che  hanno  un  effetto  vivissimo, 
£  che  ammirabili  divengono  per  la  rapidità  con  che  so- 
no eseguiti;  e  perciò  chiamasi  questa  festa  la  Infiorata 
di  Genzano. 

Il  territorio  di  questa  città  è  feracissimo  special- 
mente di  uve,  colle  quali  si  fa  un  vino  eccellente,  che 
potrebbe  rivaleggiare  co'migliori  di  Spagna,  se  si  usas- 
sero i  modi  opportuni. 

La  strada  postale ,  che  traversa  Genzano  non  è  la 
via  appia,  la  cui  direzione  ritrovasi  dietro  il  Duomo  Nuo- 
vo ,  e  quindi ,  tagliando  un  fondo  privato ,  interseca  la 
postale  alla  es.tremità  di  Genzano  servendo  di  norma  per 
riconoscerla  un  sepolcro  antico.  Appena  intersecata  la 
strada  moderna,  la  via  appia  si  dirige  a  sinistra  ed  è  oggi 
ridotta  allo  stato  di  strada  rurale. 


.vn  ,  GERANO. 


(3xxamm. 


Terra  del  distretto  di  Subiaco  di  1046  abitanti,  si- 
tuata sopra  un  colle  isolato  ed  ameno,  a  pie  del  quale 
sono  le  fonti  del  Giuvenzano,  rivo  che  in  questa  parte 
determina  il  limite  fra  i  Latini  e  gli  Ernici,  come  l'A- 
niene  dove  questo  va  ad  influire  è  il  confine  fra  questi 
e  gli  Equi.  È  distante  31  miglia  da  Roma,  12  da  Ti- 
voli, e  6  da  Subiaco.  La  strada  più  diretta  per  andar- 

8 


114 

vi  da  Roma  è  quella  di  Tivoli:  uscendo  da  questa  città 
si  prende  la  strada  degli  Arci,  e  vi  si  perviene  passan- 
do per  Tuccianello. 

Ne'tempi  bassi  fece  parte  dapprincipio  della  Massa 
luvenzana  che  da  papa  Zaccaria  fu  donata  alF  ahbadi£| 
di  Subiaco  verso  la  metà  del  secolo  Vili,  od  a  quella 
confermata  da  Gregorio  IV,  nell'anno  833,  p  da  Nipco-t 
lo  I  neir  anno  864.  siccome  si  raccoglie  da  un  placito 
del  983  inserito  dal  Muratori  nel  tomo  I.  delle  Antichi-! 
tà  del  Medio  Evo  p.  379;  e  da  Giovanni  XII.  pur  con- 
fermata nel  958  con  up'altra  bolla,  e  da  Ottone  I.  con 
diploma  Tanno  967,  dociimenti  che  furono  riportati  da| 
Muratori  nel  tomo  V  della  stessa  Opera  p.  461.  e  seg, 

Di  Gerano  propriamente  però  la  prima  memoria,  che 
ho  incontrato  spetta  all'  anno  978 ,  ed  è  nella  bolla  di 
Benedetto  VII.  riportata  dal  Marini  rìé'Papiri  Diploma- 
tici p.  229.  Ivi  frai  fondi  dipendenti  dal  vescovo  di  Ti? 
voli  si  nomina  Trellanus  idest  Giranus  eum  fundis  suisy 
allora  però  non  era  ancora  un  castello,  o  villaggio.  Non 
così  l'anno  1030 ,  quando ,  secondo  il  Chronicon  Suòla- 
cense  era  non  solo  un  villaggio,  ma  così  popolato,  che 
1  suoi  abitanti  andarono  a  fondare  il  Podium  CasapopuLi 
onde  secondare  i  Tiburtini,  malgrado  il  volere  dell'ab- 
bate sublacense,  che  perciò  fece  edificare  una  torre  so- 
pra Gerano.  Non  molti  anni  dopo ,  cioè  circa  il  1061 , 
essendo  papa  Alessandro  II  si  trova  di  già  in  potere  di 
Landone,  signore  di  Civitella,  sul  quale  venne  nel  1075 
ripreso  dall'abbate  Giovanni,  secondo  il  Chronicon  sovra- 
indicato.  Nel  1100  venne  furtivamente  occupato  da  un 
tale  Bertraimo,  il  quale  per  commando  di  papa  Pasqua- 
le II,  dovè  restituirlo;  quindi  fra  gli  altri  beni  del  mo-- 
nastero  si  conferma  ancor  questo  Castrum  nella  bolla  data 
dallo  stesso  papa  Pasquale  l'anno  1115  ed  inserita  nella 
Cronaca  sovraindicata.  '*''''   '*'■  ' 


115 

':,-.//{ £j  iii^hd  ••:  GERICOMIO.    •  o^-wO  IdU  .1  ofi;;.i 

Casale  abbandonato  distante  da  Tivoli  4  miglia  a 
■destra  della  strada,  che  da  quella  città  conduce  a  s.  Gre- 
gorio, posto  sopra  un  colle,  che  domina  il  sito  dell'an- 
tica Aesula ,  e  che  sfalda  dal  dorso  intermedio  fra  la 
catena  del  Mentorella,  e  quel{«  dell'AiSliano.  Esso  giace 
In  un  luogo  selvoso ,  aperto  soltanto  verso  mezzodì  ed 
occidente,  e  che  veramente  offre  un  ritiro  a  chi  vuol  se- 
pararsi dal  mondo,  onde  a  ragione  il  card.  Prospero  Pu- 
blicola  Santacroce,  che  acquistò  il  fondo  dal  conte  Gior- 
dano Orsini,  e  che  nell'anno  1579  ne  fece  il  suo  ripo- 
so, riducendola  a  villa  sontuosa,  scrisse  sopra  una  lastra 
Ai  marmo  già  sulla  porta  principale,  ed  oggi  sconvolta, 
&  ridotta  ad  una  specie  di  tavola  rurale  : 

HIC  TIBI  lAM  LICEAT 
CVRIS  PROGVL  VRBE 

SOLVTO  / 

DVCERE   SOLLICITAE 
IVCVNDA  OBLIVIA 
.     '■■^-.  ,  •  VITAE  -^  >!'],  ■i\) 

'.  liJ'Xj'JOij    f:il  t:"i   ó'^l.viT  IH    i-H'u    nj-   ;!;> 

Egli  fu  che  costrusse  il  casino,  oggi  casale,  e  die  a  que- 
sto ritiro  il  nome  di  Tiopo-noiiztov,  cioè  ospizio  della  vec- 
chiaia per  l'oggetto  a  che  destinollo,  e  che  dai  moder- 
ni si  volle  derivare  da  re/joxsfxstov  quasi  ospìzio  de'sa- 
cerdoti,  ospizio  sacro,  e  se  ne  volle  immaginar  l'allusio- 
ne ad  un  convento  di  monaci  greci  che  qui  mai  non  e- 
sistette,  e  peggio  ancora  ad  un  collegio  di  sacerdoti  an- 
tichi qui  stabilito,  o  ad  una  loro  villa.  :<)  .i  .  ,i  j<.ì  ip 
Di  questa  villa  il  cardinale  fece  battere  una  meda- 
glia col  suo  busto  nel  dritto,  e  col  prospetto  della  vil- 
la nel  rovescio,  grossolanamente  riportata  dal  Cassio  nel 


116 

tomo  I.  del  Corso  delle  Acque,  la  quale  lascia  travvedew 
re  che  il  casino  era  posto  in  fronte  ad  un  recinto  tur- 
rito con  portici  interni ,  e  che  avea  dinanzi  una  yasta 
peschiera,  un  giardino  diviso  in  varii  riquadri,  con  fon-» 
tana  in  mezzo,  e  con  parco,  o  vivaio  per  animali  ed  uc- 
celli rari.  Magnifica  delizia  era  questa  in  un  luogo  così 
solitario;  ma  morto  il  cardinale,  la  villa  fu  abbandona- 
ta, quindi  venduta  ai  Conti,  duchi  di  Poli,  e  da  questi 
ai  Barberini ,  e  dai  Barberini  alla  casa  Pio  di  Savoja, 
Oggi  è  ridotta  a  vignato.  A  destra  dell'ingresso  al  ca- 
sino, 0  casale,  è  la  lapide  infranta  che  io  origine  stava 
sul  portone ,  e  determinava  il  nome  e  la  epoca  di  chi 
costrusse  la  villa:  e  questa  lapide,  come  l'altra  antecq-. 
dentemente  riportata,  serve  di  mensa  rurale; 

PROSPER  PV 

SANCTACRVCIVS    .    j^.r;u    .     , 

GEROCOMIO.  f.  VI  .  .  . 
ANNOSALVTIS        ,    ,    .     ,     , 

AETATISSVA         ,     .     .     , 

Or  questo  cardinale  Prospero  Santacroce ,  che  io 
questa  villa  si  ritirò  fu  insignito  della  porpora  da  papa 
Pio  IV.  dopo  la  nunziatura  di  Francia  a  Carlo  IX.  e 
dapprincipio  ebbe  il  titolo  di  s.  Girolamo  de'Schiavonij 
dopo  successivamente  quelli  di  s.  Maria  degli  Angeli , 
di  s.  Adriano,  di  s.  Clemente,  e  finalmente  essendo  ve^ 
scovo  di  Albano  morì  in  Roma  l' anno  1588  io  età  di 
76  anni,  siccome  si  ha  dalla  sua  lapide  sepolcrale  esi- 
stente in  s.  Maria  Maggiore  e  riportata  dal  Ciacconio  : 
quindi,  siccome  la  medaglia  sovraindicata  porta  la  data 
del  1579,  la  penultima  linea  ANNO  SALVTIS  dee  sup- 
plirsi col  millesimo   MDLXXIX.  e  la  ultima  linea  AE- 


117 

tATIS   SVA può  supplirsi   AETATIS   SVAE 

LXVII. 

Sulla  porta  della  casa  della  vigna  a  destra  è  tina 
statuìna  muliebre,  priva  di  testa,  lavoro  de'tempi  della 
decadenza,  assisa  sopra  un  trono  retto  da  leoni,  onde 
iion  cade  alcun  dubbio,  che  rappresenti  Cibele,  la  qua- 
le, sebbene  sia  certo,  che  era  in  fondo  la  stessa  divi- 
nità, che  la  Bona  Dea  de'Romani,  è  però  temerità  l'as- 
serire, che  fosse  predsamente  sotto  le  stesse  forme  rap- 
presentata j  siccome  si  legge  in  alcuni  scritti  modemL 
Molto  meno  poi  e  vero  che  sia  questo  pìccolo  simula- 
cro conosciuto  col  nome  di  Buona  Dea  di  Gericoiflio.  In 
questa  vigna  medesima  l'anno  1824  io  vidi  un  pilastro 
di  acquedotto,  costrutto  di  opera  reticolata^  indizio  di 
una  villa  antica  in  queste  vicinanze.  '    •    •    "^"^  ffiBotaj 

GINNETTIi.  fORRBCCHIOlA^^  ^  '^'^^ 

ì*J"'p  5  GIOSTRA  V.  TELLENÈ  *  ^^«  ^^  *>^^'^*« 

'       ;    h%mi 

S.  GIOVANNI.  -^"^^^^ 

È  utì  picciolo  lago  di  acqua  minerale  acidula  posto 
Cirta  16  miglia  distante  da  Roma,  e  2  a  settentrione  di 
quello  delle  Acque  Albule  descritto  a  suo  luogo,  fra  la 
tiburtina  primitiva  e  la  strada  attuale  di  Monticelli.    •" 

I  j^.  GIOVANNI  IN  CAMPO  t.  PALCÙGNAìn.'^^^ 

i  S.  GIOVANNI  IN  CAMPORAZIO.        '-^^^; 

tenitoèiitò  delfkèro  Bomano  ^  irtAbia  M2  ìjttjfc 
tacci  2,  scorzi  3,  oggi  appartenente  ai  Barberini  e  situa- 
to  dentro  i  territorii  di  Poli  e  di   Gallicano.   È  diviso 


118 

ne'quarti  detti  del  Casale,  del  Tragiione,  e  della  Mura-»- 
la.  Da  Roma  è  distante  circa  21  miglio  per  la  strada  di 
Gallicano  che  è  la  più  breve. 

,,ij.,|,  L'anno  970  Giovanni  XIII.  infeudò  a  Stefania  se- 
natrice la  città  di  Palestrina:  in  quell'atto  che  è  ripor-- 
tato  dal  Petrini  p.  394  frai  confini  del  territorio  di  queP 
la  città  viene  indicato  a  sexto  latere  valUs  de  Caporatie. 
Pochi  anni  dopo  questo  nome  ritrovasi  di  nuovo  nella' 
bolla  di  papa  Benedetto  VII.  data  l'anno  978  ed  indi- 
cata dall' Ughelli  nel  tomo  primo,  e  dal  Marini  riportata 
né'Papiri  Diplomatici  p.  235.  Ivi  fralle  terre  dipendenti 
dal  vescovo  tiburtino  nello  spirituale  si  nomina  il  Fun^ 
dusy  seu  Massa  Caporacie  cum  mons,  uhi  est  in  cacumine 
ecclesia  s.  Angeli  qui  dicitur  Faianu.  Le  rovine  di  questa 
chiesa,  che  nel  secolo  XI.  die  nome  ad  un  castello,  si 
veggono  ancora  sulla  cima  del  monte  che  a  questa  te- 
nuta di  Camporazio  sovrasta,  e  suol  designarsi  col  nome- 
di  s.  Maria  del  Monte.  Fino  a  quella  epoca  non  si  fa 
motto  di  un  castello  nella  tenuta  in  questione,  il  quale^ 
però  non  tarda  a  comparire  nelle  carte  dfi  quello  stesso 
secolo.  Imperciocché  l'anno  998  un  tal  Stefano  donò  per 
testamento  al  monastero  de'ss.  Andrea  e  Gregorio  in  cli- 
vo Scauri  di  Roma  la  metà  di  due  castelli  posti  nel  ter- 
ritorio tiburtino  e  prenestino  cioè  di  PoU,  e  di  s.  Gio- 
vanni fra  loro  vicini.  Veggasi  l'atto  della  esecuzione  da- 
ta a  !  quel  testamento  e  riportato  nel  tomo  IV.  degli  An- 
nali de'Gamaldolesi  p.  606.  e  seg.  Non  so  se  anteceden- 
temente l'altra  metà  di  quel  castello  appartenesse  a  quel 
medesimo  monastero;  certo  è  però  che  nel  1051  tutto 
intiero  appartenevagli ,  poiché  negli  stessi  Annali  poco 
dopo  s'inserisce  un  altro  documento,  dal  quale  apparisce 
che.  in  queir  anno  l'abbate  Benedetto  die  in  enfiteusi  a 
t|erza  generazione  casteUum  integrum,  quod  vocatur  s.  Io- 
hannesj  insieme  con  quello  intiero  di  Poli ,  al  quale   si 


119 

«lice  Ticino,  e  coii  tutte  le  loro  pertinenze.  Non  molto 
dopo  fu  assegnato  da  papa  Gregorio  VII.  1'  anno  1074 
al  monastero  di  s.  Paolo  fuori  delle  mura,  leggendosi 
registrato  fra  gli  altri  fondi  nella  bolla  da  lui  emanata 
a  favore  di  quel  monastero  e  riportata  dal  Margarini 
ètdl.  Cassin.  T.  II.  In  quella  bolla  si  nota  la  rocca  di 
S;  Giovanni,  qui  vocatur  Carriporacii  con  tutte  le  sue  per- 
iinenzCi  II  nome  di  s.  Giovanni  Io  ebbe  questo  castella 
da  una  chiesa  a  quel  santo  dedicata,  come  quello  di  Cam- 
po Orazio  la  contrada  per  un  qualche  fondò  che  vi  pos- 
sedette là  gente  Orazià^  sènza  ricorrere  al  cantore  vè- 
nosino  ,  il  quale  è  noto  per  lui  medesimo  ,  che  altro 
fondo  o  villa  non  ebbe  che  quella  della  YaUé  Ustica 
{uresso  Licenza^ 

il,  Dal  tempo  di  Gregorio  VII.  fino  al  secolo  XIIL  non 
iio  incontrato  altre  memorie  dirette  di  questo  castello; 
che  è  molto  probabile  che  seguisse  le  vicende  della  vi- 
cina Terra  di  Poli.  Ma  dopo  che  i  Colonnesi  signori  di 
Palestrina  estesero  la  loro  potenza  in  queste  contrade, 
occuparono  ancora  questa  terra,  la  quale  particolarmen- 
te si  ricorda  nell'atto  di  divisione  conchiuso  frai  varii 
tnembri  di  quella  famiglia  l'anno  1252,  e  riportato  dal 
Petrini  p.  411.  Quell'atto  mise  in  potere  di  Pietro  Co- 
lonna Castra  GaUicani,  s.  lohannis,  et  s.  Caesarei.  Que- 
sto medesimo  Pietro  seguendo  la  via  ecclesiastica  fu  cap- 
pellano di  papa  Niccolò  IV.  ed  alla  sua  morte  lasciò  l'an- 
no 1290  per  testamento  alle  monache  di  s.  Silvestro  in 
Capite  di  Roma  per  intiero  il  castello  di  s.  Giovanni  in 
Campo  Orati,  il  quale  vien  designato  come  posto  nella 
diocesi  tiburtina,  e  con  esso  la  rocca,  il  territorio,  le 
tenute  e  tutti  gli  altri  diritti  dello  stesso  castello.  Que- 
sto documento  importante  che  esiste  in  originale  in  per- 
gamena nell'archivio  delle  monache  di  s.  Silvestro  in  Ca- 
pite, si  riporta  in  intiero  dal  Petrini  p.  415.  Ora  sapen- 


120 

do,  che  le  monache  di  quel  monaistcro  doveàUo  Fa  Ibrt>« 
fondazione  alla  beata  Margarita  parente  di  Pietro,  si  co- 
noscerà, come  questi  lasciasse  a  favor  loro  questo  eoa: 
altri  fondi.  Rimase  Camporazio  proprietà  di  quel  mona- 
stero fino  all'anno  1633  in  che  fu  venduto  ai  Barberini' 
il  di  26  di  aprile  per  gU  atti  del  Fontia. 

-.,   ;;    .■>■'■  .>  :,  r;/.-^*-.  /:  ;rf  rA: 

£  un£t  delle  acque  condottate  a  Roma  ne^tempi  an- 
tichi, la  quale  ebbe  nome  da  Augusto,  che  dopo  la  mor- 
te di  Cesare  come  suo  erede  avea  adottato  i  nomi  di 
Caio  Giulio  Cesare  Ottaviano.  Frontino  narra,  che  Mar- 
co Agrippa,  essendo  edile,  nel  secondo  consolato  di  Au- 
gusto, che  ebbe  per  collega  Lucio  Volcazio,  Tanno  di 
Roma  719  raccolse  le  vene  di'  un'acqua  2  miglia  a  de- 
stra del  XII.  miglio  della  via  latina,  la  unì  insieme  al 
rivo  della  Tepula  allacciata  fino  dall'anno  627,.  e  le  die 
il  nome  di  Giulia,  dividendone  però  la  distribuzione  ia 
modo,  che  rimase  il  nome  pur  della  Tepula. 

Questo  acquedotto  avea  15  miglia  e  426  passi  di 
giro ,  in  modo  che  per  7  m.  veniva  sopra  terra ,  cioè 
528  passi  sopra  sostruzioni,  e  6  m.  472  passi  sopra  ar- 
chi fino  a  Roma.  Per  lungo  tempo  i  fontanieri  per  fro- 
de vi  mescolarono  la  Crabra  ,  che  A  grippa  avea  esclu- 
so ,  e  che  nasceva  al  di  sopra  della  Giulia  ;  per  opera 
poi  di  Frontino  tolte  le  erogazioni  fraudolente  della  Giu- 
lia, fu  esclusa  affatto  la  Crabra  e  lasciata  tutta  in  uso 
de'Tusculani  per  ordine  delTimperador  Nerva.  In  ordi- 
ne di  altezza,  secondo  lo  stesso  scrittore  questa  era  la 
terza ,  cioè  veniva  dopo  V  Aniene  Nuova  e  la  Claudia. 
Era  insieme  colle  due  acque  predette,  e  colla  Tepula, 
Marcia ,  ed  Aniene  Vecchia  circa  il  settimo  miglio  di- 
stante da  Roma  raccolta  nella  sua  propria  piscina  lima- 


f21 

#ia',  onde  depurarsi,  e  dove  si  misurava  di  nutovtì.  Ivi 
essa  suddividevasi  in  Tepula  e  Giulia,  e  sopra  gli  archi 
della  Marcia  diriggevasi  verso  Roma ,  in  guisa  che  gli 
archi  medesimi  entro  tre  spechi  diversi  portavano  que- 
ste tre  acque,  cioè  la  Giulia  sopra ,  la  f  epula  in  mez- 
zo ,  e  la  Marcia  sotto,  siccome  st  osserva  pressa  il  ca- 
sale di  Roma  Vecchia  ai  IV.  miglio  delta  via  latina,  ed 
a  sinistra  nelF  uscire  da  porta  Maggiore.'»*!  "  *^-  ^**^^* 

Quest'  acqua  cosi,  insieme  colfó  altre  diie  soprain- 
dicate, giunta  a  livello  del  Viminale  entrava  entro  ter- 
ra e  fino  alla  porta  Viminale  continuava  sotterranea,  do- 
ve emergeva  di  nuovo.  Ma  prima  di  toccare  il  Vimina- 
le, nella  contrada  detta  ad  Spem  Veterem^  la  quale-  coin- 
cide ne'dintorni  della  basilica  di  s.  Croce  in  Genisalem-^ 
me  e  di  porta  Maggiore,  essa  in  parte  si  spargeva  en- 
tro i  castelli  del  monte  Celio.  Ed  in  que'dintorni  mede- 
simi ,  dietro  gli  Orti  Pallanziani  ricevea  162  quinarie 
dalla  Claudia  le  quali  unite  alle  1206  che  Frontino 
trovò  alla  piscina  della  via  latina  ,  costituivano  1368 
quinarie,  che  da  questo  acquedotto  si  fornivano  a  Roma. 

Ora  per  avere  una  idea  comparativa  colle  acque 
attuali  di  Roma  sappiasi  che  la  Felice  ne  dà  307 ,  la 
Vergine  1109,  e  la  Paola  1569.  Lo  stesso  Frontino  no- 
ta, che  di  quest'acqua  distribuivansi,  prima  che  egli  ri- 
vendicasse 557  quinarie  che  si  dissipavano,  85  quinarie 
a  nome  dell' imperadore  fuori  di  Roma,  e  121  ai  priva- 
ti; e  che  dentro  Roma  nelle  regioni  II.  III.  V.  VI.  Vili. 
X.  XII.  in  17  castelli,  cioè  18  quinarie  a  nome  dell'im- 
peradore ,  e  196  ai  privali  :  383  agli  usi  publici ,  cioè 
67  a  tre  castra^  o  alloggiamenti  militari,  182  a  10  ope- 
re pubbliche:  67  a  tre  luoghi  per  spettacoli:  e  65  a  28 
laghi,  o  fontane  versanti. 

Finora  strettamente  si  espose  ciò  che  Frontino  ha 
notato  su  questo  acquedotto,  ed  appoggiandomi  a  que- 


122 

sto  scrittore  ardisco  assetire ,  che  sebbene  qaest'  acqitat^ 
sia  fra  quelle  per  Roma  smarrite,  nulladimeno  se  ne  pos- 
sono rintracciare  le  sorgenti  ed  il  corso.  La  prima  sta- 
zione della  yia  latina  indicata  dagl'Itinerarii  fu  ad  Decir 
mum,  così  detta  perchè  situata  al  X  miglio:  ora  la  de- 
cima colonna  milliaria  di  questa  via,  col  nome  di  Mas- 
senzio che  l'avea  risiaifrata  fu  scoperta  sul  finire  del  se- 
colo XVII.  presso  Ciampini  dove  vedesi  diramare  un  di- 
verticolo di  coramunicazione,  a  destra  coU'Appia,  ed  a 
sinistra  la  via  tusculana  aperta  da  Messala  Corvino.  Il 
miglio  X.  essendo  così  stabilito  di  fatto,  ne  segue  che 
il  XII  coincide  presso  a  poco  dove ,  dalla  via  latina 
che  ivi  oggi  ha  il  nome  di  strada  della  Molara,  distac- 
casi a  destra  la  strada  di  Grotta  ferrata.  Seguendo  que-' 
to  diverticolo  che  è  tracciato  suU'  antico ,  e  rimontando' 
la  valle  di  Grotta  Ferrata  stessa,  si  giunge  sotto  le  fai-  ' 
de  di  Rocca  di  Papa,  dove  molte  scaturigini,  o  vene  di 
un'acqua  limpidissima  vanno  a  perdersi  nel  rivo  della  Cra-* 
bra:  la  distanza  coincMÌe  con  quella  determinata  da  Fron-- 
tino  per  le  sorgenti  della  Giulia,  come  pure  la  circostan-^ 
za  del  passare  al  disopra  di  queste  sorgenti  l'acqua  Cra- 
bra;  praeter  caput  Juliae  transfluit  aqua  quae  vocatur  Cra- 
óra:  havvi  inoltre  la  coincidenza  della  direzione  di  un 
antico  diverticolo  a  quella  volta  dalla  latina,  che  serve 
a  spiegare  le  due  miglia  di  distanza  dal  duodecimo  di 
quella  via,  che  non  dee  intendersi  in  linea  retta  come 
fece  Chaupy  che  credette  riconoscere  il  caput  Juliae  nel 
capo  d'acqua  di  Marino,  ma  di  deviazione  dalla  conso- 
lare. Determinate  così  le  sorgenti  di  quest'acqua,  ed  al- 
lacciate ivi  pel  loro  rivo  si  diressero  lungo  la  sponda  si- 
nistra del  corso  della  Marrana,  e  di  là  quest'acqua  ten-' 
dendo  insensibilmente  sempre  verso  la  via  latina,  perve- 
niva a  raggiungerìla  circa  il  VII.  miglio  dove  dopo  la 
piscina  limarla  peir  gli  archi  della  Marcia  passando  dalla 


m 

destra  della  latina,  alla  sinistra  di  essa,  pel  tenimento 
di  Roma  Vecchia,  e  quindi  per  le  vigne  di  Roma,  nell' 
andamento  della  strada,  che  è  intermedia  fra  quelle  eh* 
oggi  escono  dalla  porta  s.  Giovanni  e  da  porta  Maggio- 
re,  giungeva  alla  contrada  detta  ad  Sferri  Veterem,  do- 
ve oggi  si  trava  collocata  questa  porta.  Di  là  in  origi- 
ne l'acquedotto  si  diriggeva  alla  porta  Viminale  antica, 
il  cui  sito  si  riconosce  entro  la  villa  Negroni,  siccome  si 
trae  da  Frontino;  ma  dopo  Frontino ,  sul  principio  del 
terzo  secolo  della  era  volgare,  da  Settimio  Severo  si  fe- 
ce una  deviazione  di  questo  dagli   archi  della  Marcia^ 
presso  la  porta  tiburtina  odierna,  detta  di  s.  Lorenzo, 
diriggendolo  sopra  nuovi  altissimi  archi  di  opera  lateri- 
zia ad  una  magnifica  fontana,  che  i  moderni  chiamano 
Trofei  di  Mario  pe'due  trofei  trasportati  da  Sisto  V.  in 
Campidoglio,  che  ne  ornavano  i  lati,  e  ne'  quali  si  vol- 
lero riconoscere  quelli  dell'arpinate  rivale  di  Siila,  che 
questi  distrusse,  e   Cesare  rialzò.  Ma  quelli  erano  tri- 
plici poiché  erano  stati  innalzati  a  Mario  per  le  vittorie 
sopra  i  Cimbri,  i  Teutoni,  e  Giugurta,  e  questi  non  fu- 
rono mai  più  di  due,  non  essendovi  posto  pel  terzo  : 
quelli,  rifatti  da  Cesare,  erana  di  uno  stile  assai  diverso 
da  quelli  attualmente  ammirati  sul  Campidoglio.  Ivi  dun- 
que, sulla  sommità  delle  Esquilie,  dirimpetto  all'antica 
porta  esquilina  ,  che  stava  presso  a  poco  dove  oggi   è 
l'arco  di  Gallieno  quell'acquedotto,  dopo  la  epoca  di  Se- 
•  fero  faceva  un  magnifico  prospetto  con  questa  fontana 
situata  nel  biforcamento  delle  vie  consolari  prenestina, 
e  labicana,  cadendo  l'acqua  per  cinque  bocche,  tre   di 
fronte  e  due  ne'fianchi,  entro  un  bacino  che  la  versava 
in  un  recipiente  inferiore.  ,.z.   x.l.  i.-^.  >^r  »;u{4) 

.       ,    .  r  ,     ,  ^        ......   ...     rSi'i  Oi'.:  >}-fi.'.i  .ili 

i,:        ',    Ir  oii\iU')ò  o-=  ;>;  o'  i»..u;>!n  ,i»)^'KÌ  il»  iiooiVob 
mi    .'  ij^J^liìì  it  *     ■<!>    :  I;  >•:    i.\    <•■>   il)  oil^n 


124 

GIULIANELLÓ  —  GIULIANO     '*'*'  *  "^^'^ 

Fu  questo  il  nome  di  un  lago  posto  4  miglia  at( 
oriente  di  Velletri  a  sinistra  della  strada  di  Cora,  che 
ne  lambisce  il  cratere,  nome  che  ehbe  dàlia  vicina  Ter- 
ra di  Giuliano,  posta  un  miglio  più  oltre,  a  destra  delFa 
stessa  strada  come  più  sotto  vedrassi.  Questo  lago  di  ori- 
gine vulcanica  avea  circa  un  terzo  di  miglio  di  diame- 
tro maggiore  ed  un  quinto  di  diametro  minore,  poiché 
era  di  forma  ellittica:  esso  é  stato*  di  recente  disseccato' 
dai  Borghese  signori  di  Giuliano. 

La  Terra  poi  che  poi  dà  nome  al  lago  posta'  sicieoi- 
hre?  si  è  indicato  di  sopra  circa  5  m.  distante  da  Velie- 
tri,  e  quasi  altrettanto'  da  Cora,  è'  situata  sopra  wrt  |»ic- 
ciolo  colle  e  contiene  304  abitanti  che  dipendono  dal  Go- 
verno e  dalla  Legaziowe  di  Velletri.  Il  suo  nonie  derivò 
probabilmente  da  un  Fundus  Juliarms^  poiché  non  sussi- 
ste ciò  che  asserì  il  Piazza,  che  Io  traesse  d'a  s.  Giu- 
liano suo  protettore,  il  quale  piuttosto  fu  assunto  come 
protettore  della  Terra  per  la  somiglianza  del  nome. 

Esisteva  questo  castello  sul  principio  del  secolo  XI J. 
giacche  in  un  codice  dell'archivio  vaticano  veduto  dallo 
scrittore  testé  nominato  si  legge  che  essendo  vescova 
veliterno  Leone^  circa  l'anno  1101  fu  in  questo  castello 
trasportato  il  corpo  di  s.  Marco  papa,  e  vi  riposò  fino 
alla  metà  dello  stesso  secolo,  quando  durante  il  papato 
di  Eugenio  III.  i  Romani  iti  contro  questo  castellò  la 
incendiarono  e  trasportarono  il  corpo  di  questo  santo  in 
Roma  nella  chiesa  a  s.  Marco  evangelista  dedicata.  Do- 
po quella  devastazione  risorse ,  e  sembra  che  sul  prin- 
cipio del  secolo  susseguente  XIII  fosse  da  Innocenz'o 
III.  infeudato  alla  sua  famiglia ,  che  era ,  come  é  noto 
de'Conti  di  Segni,  ritenendo  però  sempre  il  dominio  di- 
retto di  esso  la  sede  apostolica.  Infatti  essendosene  im- 


125 

|)osscssato  dopo  la  metà  di  quel  secolo  medesimo  Gìof' 
dano  monaco  di  Fossa  Nuova,  papa  Urbano  IV.  con  bre- 
ve dato  in  Orvieto  1'  anno  IL  del  suo  papato  il  dì  18 
jdecembre  ingiunse  all'  usurpatore  ed  ai  suoi  fratelli  di 
restituirlo  dicendo  che  era  castrum  spectans  ad  Romanam 
Ecclesianif  e  chje  veniva  ritenuto  in  ipsius  ecciesiae  prae" 
iudicium.  Veggasi  il  Casimiro  Memorie  Ljtoriche  ec.  p.  156. 

<BSeg.  >\%V  ■   /  \;f 

Ritornò  in  potare  de*  Conti ,  e  nei  1301  Bonifacio 
Vili,  ne  investì  i  figli  e  gli  eredi  di  Adinolfo  Conti,  si- 
gnore di  Valmontone ,  mediante  il  censo  annuo  di  20 
solài  provisini.  Quiudi  si  trova  avere  appartenuto  per 
metà  ai  Conti  e  per  metà  ai  Colonna  :  e  dal  Notaio  di 
Nantiporto  presso  il  Muratori  Rer.  Jtal.  Script.  T.  III.  p. 
JJ.  si  trae  .che  nel  1482  Jacopo  Conti  lo  saccheggiò  e 
distrusse  sopra  i  Colonna,  che  l'aveano  occupato  intiera- 
mente. Cessate  le  fazioni,  e  toruato  tutto  intiero  in  po- 
tere della  famiglia  Conti,  fu  dato  in  dote  a  Costanza  ma- 
glie del  duca  Salviati,  e  così  pervenne  al  card.  Antonio 
Maria,  che  molta  cura  ne  prese  sul  declinare  del  seco- 
lo XVI.  ed  adornoUo  di  fabbriche,  I  Salviati  lo  hanno 
posseduto  fino  a  questo  secolo,  e  da  loro  per  successio=- 
ne  venne  ai  Borghese  che  ne  sono  i  siguori  odierni. 

L'aria  insalubre  di  questa  contrada  ha  mietuto  la 
popolazione  di  questa  Terra ,  che  va  ogni  dì  più  de-- 
cadendo,  e  fa  prevedere  che  col  tempo?  come  Galera, 
v^rrà  abbandonata.  Il  villaggio  che  in  parte  conserva  fab- 
briche di  costruzione  saracinesca,  che  rammentane  il  se- 
colo XIII.  é  generalmente  ben  fabbricato,  e  soprattutto 
la  chiesa  merita  particolare  menzione.  Questa  è  ampia, 
e  dalla  iscrizione  apparisce  che  fu  eretta  dal  duca  Ja- 
copo Salviati  ad  onore  de'  ss.  Giovanni  Battista  e  Gio- 
vanni Evangelista  l'anno  1650  dopo  aver  demolito  la  vec- 
chia:   e   che  il  suo  figlio  Francesco   Maria   ne  ampliò 


126 

i'apside  Tanno  1690.  Il  palazzo  è  oggi  ridotto  a  granaio, 
e  sulla  sua  porta  è  il  nome  del  cardinale  Anton  Maria 
Salviati.  Ivi  nel  1823  osservai  alcuni  quadri  non  ispre^- 
gevoli,  residuo  di  quelli  che  un  di  l'adornarono.       ■'■'■ 

GJUSTINIANA  v.  BORGUETTO 

GOGfiA  y.  5.  APPETITO  V 

.K,i!siO  ^r-r^^^.  \l  FREGNA 

Tenimento  delTAgro  Romano  composto  delle  Tenu^ 
te  dette  Posticciola,  Casale,  e  Monte  della  Criccia,  che 
comprende  circa  rubbia  102  divise  ne'quarti  denominane 
ti  Gasale ,  Pedica  della  Criecia  e  Grottoni.  Questo  fon^ 
do  si  estende  a  destra  e  sinistra  della  via  latina  da  oc- 
cidente ad  oriente  a  partire  dalla  vecchia  strada  di  Ma- 
rino fino  alla  moderna  strada ,  fra  il  miglio  VI.  e  IX, 
della  via  latina.  *  o  .  ;  ,:    r  ;r  :  :::>n  •  I  >     ')il- 

Il  suo  nome  moderno  deriva  da  quello  che  i  To-^ 
scani  appellano  un  fascio,  o  mucchio  di  biade  secche 
formato  da  molti  covoni  uniti  insieme,  quasi  alludendo 
alla  riunione  di  varie  tenute  che  lo  formano.  Nel  seco^ 
Io  X. ,  e  precisamente  l'anno  955,  sappiamo  per  una  bol- 
la di  Agapito  II.  data  a  favore  del  monastero  di  s.  Sil- 
vestro in  Capite  ed  esistente  in  quell'  archivio ,  copiata 
dal  Galletti  ed  inserita  nel  codice  vaticano  8043 ,  che 
questi  fondi  generalmente  appartenevano  a  quel  mona- 
stero, designandosi  uno  col  nome  generico  di  cesina  al 
VI.  miglio,  nel  quale  si  riconosce,  almeno  in  parte  quel- 
lo di  Posticciola  ;  1*  altro  col  nome  di  Ponte  di  Nono , 
perchè  adiacente  al  ponte  presso  il  nono  miglio  della  via 
latina,  i  cui  confini  si  determinano,  da  un  lato  la  forma 
dèlia  Claudia,  ed  il  ponte  suddetto,  dall'altro  la  stessa 


127 
forma  Claudia,  che  avea  il  nome  di  Àòeberatorium  cioè 
Abbeveratoio,  dal  terzo  la  corte  de  Moreni,  e  dal  quarto 
\\  limite  che  ricorreva  presso  Cripta  Ardenda  :  e  questo 
coincide  colla  tenuta  di  Monte  della  Criccia:  finalmente 
il  terzo  dicevasi  Dompnicaria,  e  corrisponde  colla  tenuta 
di  Casale  :  ed  i  confini  di  questo  nel  quale  viene  indir 
cata  una  chiesa  deserta,  e  la  contiguità  con  quello  an- 
tecèdente di  Ponte  de  Nono,  sono  il  rivo  Papatj,  che  è 
la  Marrana,  che  si  dirige  a  porta  s.  Giovanni,  la  via  la- 
tina, la  forma  maggiore  che  sono  gli  archi  della  Clau- 
dia, ed  il  fondo  di  Sette  Bassi.  '  '  M"''-  ^'^' 
II  quarto  de'Grottoni  nella  tenuta  di  Monte   della 
Criccia  trae  nome  da  vastissime  rovine,  che  ivi  rimango- 
no, indicate  confusamente  negli  scritti  di  Kircher,  VoIt 
pi ,  Eschinardi  ec.  ed  in  genere  da  tutti  coloro  che  han- 
no illustrato  i  contorni  di  Roma.   Circa  il  IX.  m,   dell* 
antica  via  latina,  a  sinistra  è  un  gruppo  dirupato,  irrcr 
golare  di  lava  basaltina;  e  sopra  questo  per  mezzo    di 
sostruzioni  solide  fu  formato  un  piano  eguale ,  capace  da 
contenere  un  fabbricato  regolare  :  queste  sostruzioni  sono 
costrutte  di  scaglie  della  stessa  lava,  tanto  nel  masso,  quan-? 
to  nel  rivestimento:  e  secondo  l'altezza  del  greppo  sono 
ad  uno,  o  a  due  ripiani:  ed  in  qualche  luogo  dove  non 
faceva  di  bisogno  non  appariscono  affatto.  Sopra  questa 
spianata  sorge  un  fabbricato  vasto,  composto  di  molte  ca- 
mere, che  per  la  forma,  pianta,  e  mancanza  di  luce  mo- 
strano aver  servito  di  pianterreno,  o  basamento  di  una 
villa  antica,  il  quale  nella  parte  che  guarda  Roma  pre- 
senta una  linea  di  riquadri  curvilinei ,  a  guisa  di  archet- 
ti chiusi,  in  parte  costrutti  di  opera  laterizia,  in  parte 
di  scaglie  di  selce,  come  il  rimanente  della  fabbrica,  for- 
mando una  specie  di  decorazione  esterna:  sopra  ciascu- 
no di  questi  riquadri  è  un  ampio  foro  rotondo,  che  seb- 
J)ene  per  le  degradazioni  apportate  dal  tempo,  e  dagli 


128 

uomini,  esternamente  si  presenta  come  aperto  posteriore- 
mente  a  forza,  nell'interno  si  vede  essere  stato  aperto 
in  costruzione,  onde  dar  lume  ad  un  corridore,  che  ri- 
corre in  tutta  la  linea  ed  è  rivestito  di  uno  stucco  gros- 
solano, prova  che  non  servì  per  usi  nohili.  Parallelo  a 
questo  corridore,  o  crittoportico,  verso  mezzodì  havvene 
un  altro  illuminato  da  abbaini  che  si  aprono  sopra  la 
imposta  4ella  volta.  Intorno  a  questa  gran  rovina  rigur- 
gita la  terra  di  frantumi  di  ogni  specie,  avanzi  di  que^ 
sta  fabbrica  stessa,  che  sebbene  demolita  mostra  ancora 
da  lungi  la  sua  imponenza,  avendo  circa  3000  piedi  di 
circuito.  liBL  pianta  corrisponde  ad  un  parallelogramma, 
la  cui  lunghezza  è  nella  direzione  da  occidente  ad  orien- 
te: questo  quadrilungo  poi,  nella  direzione  della  via  la- 
tina prolungasi  verso  mezzodì  con  un'ala,  quasi  per  rac- 
chiudere uno  spazio  destinato  a  giardino  ,  il  quale  era 
scoperto  soltanto  verso  mezzodì  e  verso  oriente.  In  que- 
sto prolungamento,  o  ala  ravvisansi  fra  altre  camere  due 
ambienti  xon  essedra  curvilinea  in  fondo.  Forse  fu  que- 
sta una  villa  dell'agro  lucullano,  che  da  Frontino  si  co- 
nosce da  questa  parte  essersi  esteso  almeno  fino  al  X. 
miglio  della  via  latina;  aè  la  costruzione  di  opera  incer- 
ta in  gran  parte,  disconviene  a  quella  epoca.  ^  a  f . • 
11  casale  di  Gregna  è  circa  7  miglia  ed  un  terzo  fuo- 
ri dell'  antica  porta  Capena ,  circa  6  e  mezzo  fuori  di 
porta  s.  Giovanni  ed  è  fondato  sopra  un'antica  conser- 
V/a.  Esso  non  dee  confondersi  con  quello  di  Grotta  di 
Gregna,  detto  pure  Casale  Abbruciato,  del  quale  parlossi 
altrove. 

..,,;^  \  S.  GREGORIO,  |,  .  !^,, .  :j 

Terra  del  distretto  di  Tivoli  nella  Gomarca  di  Ro-- 
ma ,  8  miglia  distante  da  Tivoli  verso  oriente ,  situata 


129 

■sul  ripiano  di  una  fimbria  deHa  cre«ta  occidentale  di 
Mentorella.  Questo  ripiano  vedesi  tagliato  ad  arte  intor- 
no da  tutte  le  parti ,  meno  verso  oriente ,  dove  trovasi 
congiunto  con  una  specie  d'istmo  alla  falda  di  un  mon- 
te del  gruppo  di  Casape.  Tal  lavoro  mostra  ad  eviden- 
za che  ne' tempi  antichi  questo  punto  non  fu  trascurato, 
e  che  forse  come  Empulum  «  Saxula  fu  uno  degli  op- 
pidi  eretto  dai  Tiburtini  a  difesa  delle  loro  terre  da  que- 
sta parte  verso  i  Prenestinì.  Niuna  memoria  n'è  fino  a 
noi  pervenuta,  e  solo  tal  congettura  deriva  dal  fatto. 

Gessato  lo  stato  di  ostilità  di  queste  contrade  co* 
Romani,  alt'oppido  successe  probabilmente  una  villa,  poi- 
ché il  suolo  non  è  ingrato,  ed  amenissima  è  la  situazio- 
ne, a  segno  che  ne'mesi  estivi  è  una  delizia  il  dimorar- 
vi. Ma  declinato  l'impero,  queste  contrade  andarono  sog- 
gette alla  devastazione  ed  all'abbandono,  e  spacialmen- 
te  dopo  le  scorrerie  de'  Longobardi  guidati  da  Astolfo 
che  misero  a  ferro  e  fuoco  njel  secolo  Vili  tutti  i  con- 
torni di  Roma  e  particolarmente  il  paese  fra  Tivoli  e 
Palestrina  come  nella  storia  di  queste  due  città  ho 
notato. 

Il  Cassio  crede ,  che  questa  Terra  si  formasse  di 
nuovo  nel  secolo  XII  dagli  abitanti  di  Castel  Faustinia-* 
no,  che  ivi  si  ritirarono,  ed  io  non  so  disconvenirne.  In- 
fatti comincia  a  comparire  dopo  quella  epoca,  e  col  no- 
me di  Castrum  s.  Gregorii  leggesi  un  documento  dell' 
anno  1250  riferito  nel  tomo  IV.  degli  Annali  dei  Camal- 
dolesi, dove  vien  designato,  come  confinante  col  territo- 
rio di  un  altro  castello  denominato  Morella.  Poco  dopo 
venne  in  potere  degli  Orsini  ,  che  lo  ritennero  fino  al 
declinare  del  secolo  susseguente,  in  che  si  trova  in  pos- 
sesso de'Colonnesi.  Questi  lo  ebbero  fino  alla  morte  di 
Martino  V  avvenuta  l'anno  1431.  Nelle  vertenze  insor- 
te fra  Eugenio  IV.  suo  successore,  ed  i  Colonncsi  signo~ 

9 


130 

ri  di  Palestrina ,  questa  Terra  fu  occupata  dalle  genti 
di  quel  papa,  che  l'anno  1439  la  concedette  a  Rinaldo 
Orsini,  onde  rimunerarlo  del  suo  attaccamento.  Così  s, 
Gregorio  tornato  in  potere  di  quella  famiglia  andò  sog-^ 
getto  a  tutte  le  vicendp  che  derivarono  dalla  potente  ini- 
micizia fra  gli  Orsini  ed  i  Colonnesi.  Sul  declinare  del 
secolo  XVI.  Gio:  Giordano  Orsini  vendè  questa  Terra  al 
card.  Prospero  s.  Groce,  del  quale  si  parlò  nell'art,  GE-> 
RICOMIO,  Dopo  la  morte  di  quel  porporato,  Tarquinio 
Santacroce  vendè  l'anno  1599  s.  Gregorio  per  130,000 
scudi  ai  Conti,  i  quali  l'anno  1637  lo  vendettero  insie-r 
me  con  Casape  a  Taddeo  Barberini.  Ma  non  corsero  mol-t 
ti  anni,  che  dai  Barberini  passò  alla  casa  Pio  di  Savo-r 
ja,  che  ancor  la  possiede.  Imperciocché  nel  1655  il  card, 
Carlo  Pio  acquistò  dai  Barberini  questa  Terra  e  Casa-» 
pe,  come  avea  comprato  Gericomio  dai  Conti,  aprì  una 
strada  magnifica,  ombreggiata  da  olmi,  e  da  quercie  pel 
tratto  di  4  miglia,  fra  Gericomio  e  Casape,  ornò  di  giar-» 
dini  il  subborgo  della  Terra,  e  chiamò  ad  accrescerne  la 
popolazione  90  famiglie,  accordando  premii,  e  franchigie. 
Il  Cassio  raccolse  dalle  visite  episcopali ,  che  nel  1574 
vi  erano  1800  abitanti,  i  quali  nel  1744  si  erano  ristret^ 
ti  a  1400:  oggi ,  secondo  le  ultime  tavole  di  censimen-! 
to,  redatte  l'anno  1828  per  ordine  di  Leone  XII,  la  po- 
polazione di  questa  Terra  è  ridotta  a  soli  750  individui? 
diminuzione  fortissima  è  questa,  in  men  di  un  secolo; 
cioè  dal  1744  al  1828 ,  la  quale  deesi  a  mio  credere 
particolarmente  attribuire  alla  lunga  assenza  de' signori, 
alle  devastazioni  del  1799,  ed  a  varie  malattie  epidemi- 
che, che  han  mietuto  la  vita  a  molti  abitanti  di  essa  ne' 
primi  quattro  lustri  di  questo  secolo. 

Da  Tivoli  andando  a  s.  Gregorio  si  siegue  la  stra- 
da di  Carciano  e  di  Gericomio,  la  quale  fino  a  Gerico- 
piio,  è  stata  descritta  a  suo  luogo  all'art.  AEFLIANVS» 


131 
«  GERKOMIO.  Circa  un  quarto  di  miglio  dopo  Geri- 
xomiO)  vcdesi  a  destra  un  fontanile  che  yiene  fornito  di 
acqua  da  una  sorgente  vicina  che  sgorga  a  sinistra  del- 
la strada,  e  qnindi  si  emtra  nella  bella  alberata  pianta- 
ta dal  cau-d.  Carlo  Pio,  che  araenissiraa .«  ombrosa  ren- 
.de  questa  strada ,  aperta  con  grandissima  arte  e  grave 
.-dispendio  jieUe  falde  di  vl%  monte  «aleareo,  e  che  a  de- 
stra oQre  una  vasta  e  magnifica  veduta  della  campagna 
.romana,  soprattutto  dopo  la  seconda  svolta:  sotto  si  ve- 
Ae  il  colle  Faustiniano,  e  si  ravvisa,  sebbene  in  distan- 
za il  ponte  s.  Antonio  del  quale  i»  fece  menzione  nel- 
l'articolo AESVLA.  Entrasi  poscia  nella  olmata  ricorda- 
ta di  sopra.  Due  miglia  e  mezzo  circa  dopo  Gericomio 
^lasciasi  a  destra  una  cappella  diruta;  ed  un  mezzo  mi- 
glio dopo  si  domina  immediatamente  la  torretta  che  ser- 
ve di  segnale  deirantico  Castello  Faustiniano.  Non  mol- 
io  dopo  si  vede  dirimpetto  in  distanza  la  chiesa  di  s. 
•Salvatore  ombreggiata  da  belli  cipressi,  e  quindi  si  pas- 
«a  dinanzi  un'altra  cappella  in  rovina.  Verso  3  miglia 
«  mezzo  dopo  Gericomio,  7  e  mezza  da  Tivoli  si  mo- 
stra la  Terra  di  s.  Gregorio  sopra  le  rupi,  che  le  ser- 
vono di  mura,  e  quindi  passata  una  terza  cappella  a  si- 
nistca.,  ed  un  fontanile,  si  discende  al  rivo,  che  trae 
nome  dalla  Terra  sovraindicata,  perchè  la  bagna  verso 
occidente  scendendo  dalle  pendici  del  Mentorella. 

Passato  questo  rivo  sopra  un  ponte  moderno,  vici- 
410  ad  un  ponte  vecchio  rovinato ,  si  arriva  sotto  alla 
Terra,  che  da  questo  canto  ha  un  solo  accesso.  Nell'in-' 
terno  presenta  l'apparenza  di  un'antico  vico,  ma  non  vi 
fio  ravvisato  alcuna  traccia  di  colonne,  od  altro  avan- 
zo di  antichità:  le  case  presentano  generalmente  la  co- 
struzione de'secoli  XI.  XII.  XIII.  e  XIV.  le  strade  in- 
teme sono  tagliate  nella  rupe:  nella  chiesa  nulla  vi  ha 
che  sia  degno  di  particolare  osservazione.  La  porta  prin- 


132 

cipale  è  verso  oriente,  dove  questa  falda  isi  léga  al  grup- 
po de'monti  di  Casape,  detto  la  Rocchetta,  con  una  spe- 
cie d'istmo,  come  fu  notato  di  sopra:  una  lapide  ivi  si 
legge  posta  dal  commune  ad  onore  di  Gisberto  V.  Pio 
di  Savoja ,  r  anno  1758  perche  concesse  il  ius  haeredi' 
tatis  agli  abitanti  del  commune  mediante  la  corrisposta 
annua  di  scudi  otto. 

,/  o    :U  GROTTA  FERRATA.  ,>   «  i?  . 

■■',"  '■""",""■    (ìrepta  levtatCL    '  "  :';.'•.: 

f)Uti<-    ■■.,.-     :-^  '       ■ 

.'f  Borgo  della  Gomarca  di  Roma,  distante  dalla  capi- 
tale circa  12  miglia  e  mezzo,  a  destra  della  via  latina, 
e  circa  3  a  sud  di  Frascati  presso  la  celebre  ed  antica 
Badia  di  monaci  basiliani ,  il  solo  monastero  di  quest* 
ordine  negli  Stati  Romani,  che  s.  Maria  di  Grottaferra- 
t^;' si  appella.  La  sua  popolazione  ascende  a  614  abitanti 
appodiati  al  Governo  di  Frascati.  Gli  astronomi  Conti  e 
Ricchebach  ne  hanno  determinato  l'anno  1824  la  latitu- 
dine a  41°.  47'.  6".  8  e  la  longitudine  a  30°.  19'.  24".  8. 
La  sommità  de]  campanile  della  chiesa  abhaziale  secon- 
do i  medesimi  è  1127  piedi  e  3  pollici  sopra  il  livello 
del  maicp. 

..;  ;  11^ ^ome  di  questa  Badia,  communicato  alla  Terra 
si  fa  derivare  d%  una  grotta  ivi  esistente  e  chiusa  con 
ferrata,  dove  vedevasi  dipinta  sul  muro  la  immagine  del- 
la Vergine,  che  oggi  si  venera  nella  chiesa.  Questa  tra- 
dizione, alla  ijuale  si  appoggia  la  origine  del  monastero, 
non  presenta  alcuna  cosa  d'improbabile,  e  d' altronde  è 
una  chiara  spiegHzione  di  un  nome  ,  che  ne'  documenti 
s'incontra  fino  dalla  metà  del  secolo  XI;  imperciocché, 
il  Galletti  riporta  nel  Primicerio  p,  283  un'istromento 


133 

estratto  dall'archivio  di  s.  Prassede  e  pertinente  all'  an* 
DO  1060,  dal  quale  apparisce,  che  Giovanni  arci-canonico 
della  canonica  di  s.  Giovanni  a  porta  Latina ,  col  con- 
senso de'suoi  colleghi  concedette  in  enfiteusi  a  Luca  ab- 
bate del  monastero  di  s.  Maria  quae  ponitur  in  locum  quod 
nuncupatur  Criptaferrata  la  chiesa  di  s.  Primitivo  di  Ga- 
bii  ec.  Quel  Luca  abbate  ivi  rammentato  fu  il  settimo, 
che  resse  questo  monastero,  siccome  ricavasi  da  un  mo- 
numento marmoreo  esistente  ancora  nella  chiesa  di  Grotr 
taferrata  e  che  qui  sotto  io  riporto.  '*> 

Narrasi  nelle  storie  di  questo  monastero,  come  sul 
finire  del  secolo  X,  essendo  le  coste  della  Italia  meridio- 
nale continuamente  esposte  alle  stragi  de' Saraceni,  che 
erano  padroni  della  Sicilia,  i  monaci,  che  vi  si  trovava- 
no furono  costretti  a  ritirarsi  nell'interno,  e  verso  la  par- 
te più  settentrionale  del  tratto  oggi  noto  col  nome  di  Re- 
gno di  Napoli.  S.  Nilo ,  egumeno ,  cioè  capo  di  uno  di 
questi  monasteri  si  ritirò  dapprima  verso  Gaeta ,  dove 
incontrossi  con  Ottone  III  imperadore,  il  quale  invitollo 
a  venirsene  co'suoi  monaci  a  Roma.  Quel  santo  abbate 
venuto  alla  capitale  del  mondo  cristiano,  dopo  la  morte 
di  quell'imperadore  accaduta  l'anno  1002  ritirossi  in  que*> 
sta  parte  del  territorio  tusculano,  ed  ottenne  permesso, 
e  terre  da  Tolomeo  conte  di  Tusculo,  signore  della  con- 
trada, onde  poter  eriggere  un  nuovo  monastero  pi'esso  la 
grotta  sovraiudicata:  suoi  compagni  più  insigni  furono  i 
monaci  Paolo,  Cirillo,  e  s.  Rartolommeo,  i  quali  imme- 
diatamente l'uno  dopo  l'altro  gli  successero  nel  governo 
di  questo  nuovo  monastero,  che  ben  presto  per  la  pietà 
de'conti  tusculani,  e  di  altri  signori  ricchi  e  potenti  fu 
di  molti  beni  dotato,  in  guisa  che  questa  Badia  contos- 
si fino  al  secolo  XV.  fralle  più  insigni  dei  contorni  di 
Roma,  pareggiando  quelle  di  Subiaco,  di  Farfa,  di  s.  Pao- 
lo, e  di  s.  Anastasio.  Sul  declinare  però  del  secolo  XYa, 


•'V,- 


134 

fa  da  Sisto  IV  data  in  commenda  ad  un  cardinale ,  c(£ 
il  primo  abbate  commendatario  fu  il  cardinal  Giuliano^ 
della  Rovere,  suo  nipote,  poscia  papa  Giulio  II. 

Durante  il  governo  degli  abbati  basiliani  abbiamo* 
nella  cronaca  di  Riccardo  da  s.  Germano  riportata  daF 
Muratori  Rer.  Ital.  Script.  T.  Vili,  come  Federico  IL 
Tenuto  contra  Roma  mise  il  campo  a  Grottaferrata  V 
anno  1241  e  die  il  guasto  ai  contorni  della  città,  onde' 
forzarla  alla  resa- Nel  giugno  poi  dell'anno  seguente  1242, 
dovendo  abbandonare  l'assedio ,  portò>  via  da  Grottafer- 
rata due  simulacri  di  bronzo^  che  fino  allora  erano  stati 
ivi  ad  ornamento'  di  una  fontana,  cioè  di  una  statua  di 
uomo^  ed  una  vacca^  la  «piale,  aquam  p9r  sua  foramina 
artificiose  fundebat,  e  li  fé  come  bottino  trasportare  a  Lu- 
cerà, dove  erano  acquartierati  i  saraceni  che  avea  as- 
soldato. Questi  due  simulacri  mi  fan  sospettare  che  po- 
tessero essere  de'capo  lavori  dell'arte  antica,  sia  traspor- 
tati dai  conti  tusculani  da  Roma,  sia  rinvenuti  nelle 
ville  antiche  del  territorio  tusculano  r  e  soprattutto  la 
vacca  poteva  ben  essere  una  di  quelle  celebri  di  Mi- 
rone ,  che  si  vedevano  a'  tempi  di  Properzio  dinanzi  al 
tempio  di  Apollo  Palatino ,  o  quella  che  Procopio  vide 
ancora  esistente  nel  Foro  Roario  nella  prima  metà  deF 
sesto  secolo  della  era  volgare.  Sul  decfinare  del  secolo^ 
XIV  alloggiò  in  Grottaferrata  nel  suo  viaggio  ad  Ana- 
gni  papa  Gregorio  XI,  e  vi  dimorò  due  giorni  allettato» 
dall'  amenità  del  sito ,  descritta  dal  Massonio  scrittore 
contemporaneo  riportato  dal  Muratori  Rer.  Ital.  ScripL 
"Tl'ÌIL  P.  IL  in  questi  termini: 
i/i  ■  .n- 

Situs  hic  est  in  montibus  supra  mare  in  lucis  densosis  : 
Conventus  iste    est    Coenobitarum  graecorum  fundatus    in 

honorem  Mariae  Virginis. 
Jjdcus  est  valde  amoenus.  Distat  ah  urbe  decem  milliaribus 

eircumdatus  lympkit. 


185 

toomus  est  bene  fundata  supra  firmam  petram^  licet  in  locis 

aquosis: 
tn  ea  mansit  serena  sanctitas  praesularis  gemmata  diaetti 

propter  amoenitatemé 

Durante  poi  il  pontificato  di  Sisto  IV  narra  il  Nàn*- 
tiporto  nel  Diario  riportato  dal  Muratori  1.  n.  che  ai  5. 
di  giugno  1482  vi  allogiò  il  duca  di  Calabria  con  3000 
fanti  e  20  squadre  di  cavalli.  Questo  stesso  scrittore,  e 
rinfessura  raccontano,  che  nella  notte  de'9  a  10  di  giu- 
gno 1484  fu  sorpresa  la  Terra  e  l'abbadia  dai  Colon- 
nesi  a  danno  degli  Orsini,  e  non  furono  discacciati  co- 
storo, se  non  dopo  aver  recato  molti  guasti.  E  sotto  Si- 
sto IV  medesimo  per  attestato  dell'anonimo  autore  della 
8ua  vita  presso  il  Muratori  nella  raccolta  sovrallodata , 
dopo  questi  guasti  fu  ristaurato  il  castello ,  e  ridotto 
nello  stato  attuale  per  opera  del  card.  Giuliano  suo  ni- 
pote, che  poi  fu  papa  col  nome  di  Giulio  IL 

Da  Roma  si  va  direttamente  a  Grottaferrata ,  se- 
guendo la  strada  di  Frascati  fino  a  Tor  di  mezza  via , 
situata  circa  6  m.  fuori  di  porta  s.  Giovanni:  ivi  è  il 
bivio:  la  strada  a  sinistra  conduce  a  Frascati ,  quella  a 
destra  raggiunge  circa  2  m.  dopo  la  via  latina  al  Ca- 
salotto  di  Gregna,  e  per  Morena,  Ciampini  e  Borghetto 
sale  a  Grottaferrata. 

Da  Frascati  poi  si  va  a  Grottaferrata  seguendo  la 
strada,  che  conduce  a  Marino,  e  poco  prima  del  ponte 
de'SquarciarelIi,  cioè  2  m.  dopo  Frascati  si  volge  a  de- 
stra ;  nello  scendere  verso  questa  Terra ,  passasi  vicino 
ad  un  fontanile,  che  si  lascia  a  sinistra,  sul  quale  una 
iscrizione  ricorda,  che  Alessandro  Farnese  cardinale  co- 
strutto quel  vaso,  raccolse  l'acqua  Tepula  per  l'uso  pu- 
blic© l'anno  1567.  Errore  certamente  è  quello  di  chia- 
mar Tepula  questa  acqua,  che  non  è  che  la  Crabra  me- 


136 

scolata  colla  Giulia:  la  Tepula,  secondo  Frontino  sorger» 
due  miglia  più  sotto  verso  Roma.  Un'  altra  strada  più 
commoda ,  più  brève ,  e  più  amena  conduce  a  questa 
Terra  da  Frascati ,  quando  può  traversarsi  la  villa  già 
Peretti,  poscia  Odescalchi ,  ed  ora  di  Propaganda  Fide  ^ 
e  che  suol  designarsi  co'nomi  di  villa  Montalto,  e  villa 
Bracciano ,  dalla  patria  de'  Peretti ,  e  dalla  Terra  un  di 
feudo  degli  Odescalchi.  Questa  strada,  dopo  aver  traver- 
sato quella  villa,  entra  nel  bosco  delizioso  di  Grottafer- 
rata ,  e  dopo  un  ponticello ,  tagliata  la  via  latina ,  che 
viene  da  Morena,  entra  ne' viali  magnifici  di  olmi  e  pla- 
tani secolari,  che  conducono  alla  Badia. 

All'  avvicinarsi  ad  essa,  il  ponte,  il  fossOy  le  mura 
merlate  ,  le  torri ,  e  la  porta  tatt'  altro  annunciano  che 
l'abitazione  tranquilla  di  pochi  cenobiti,  che  passano  la 
vita  in  salmeggiare  in  lingua  greca,  ed  orare;  ma.  con- 
viene ricordarsi  che  Giulio  li.  ossia  il  card.  Giuliano 
della  Rovere  nipote  di  papa  Sisto  IV.  che  siccome  in- 
dicossì  fu  abbate  commendatario  di  questo  monastero , 
seguendo  1*  uso  di  que'  tempi  ne  fece  una  fortezza.  Le 
arme,  ed  il  nome  suo  ripetutamente  si  veggono  frammi- 
schiati agli  ornati  dell'architettura,,  e  la  rovere  domina 
perfino  ne' capitelli  delle  colonne  del  palazzo  abbaziale, 
nel  quale  oltre  la  bella  architettura ,  altro  oggi  non  si 
ammira,  se  non  alcuni  frammenti  di  scultura  antica,  ri- 
trovati in  queste  vicinanze ,  e  che  si  dicono  appartene- 
re alla  villa  di  Cicerone:  fra  questi  meritano  particola- 
re menzione  due  bellissimi  bassorilievi,  e  soprattutto  quel- 
lo rappresentante  una  figura  assisa  con  una  pantera  sot- 
to, opera  certamente  di  esimio  scalpello  greco.  Ho  det- 
to che  questi  frammenti  si  attribuiscono  alla  villa  di  Ci- 
cerone; poiché  è  noto,  come  fin  dal  secolo  XVI.  si  vol- 
le collocare  in  questa  parte  quella  villa  famosa  tuscula- 
na  dell'  oratore  romano;  e  nel  secolo  passato  il  monaca 


137 
basiliano  Sciommari  con  una  erudita  dissertazione  cer- 
cò di  provarlo;  ma  a  questa  con  ragioni  più  convincen- 
ti rispose  il  gesuita  padre  Gio.  Luca  Zuzzcri,  mostran- 
do, che  quella  villa  era  nella'  parte  più  alta  de'eoUi  tu- 
sculani,  e  non  nella  falda  bassa,  cioè  sopra  la  Rufìnellai, 
e  non  a  Grottaferrata.  La  opinione  di  questo  gesuita  si 
trova  appoggiata  dall'  autorità  di  Cicerone  stesso ,  e  da 
scoperte  di  monumenti,  onde  io  non  esito  punto  a  por- 
mi dal  canto  suo ,  e  nell'  articolo  TVSCVLVM  tratterò 
questa  questione  più  di  proposito.  Qui  mi  giova  però  di 
notare  )  che  certamente  il  sito  di  Grottaferrata  non  po- 
tè essere  trascurato  dagli  antichi  per  collocarvi  una  vil- 
la: che  questo  si  trova  confermato  dai  ruderi  esistenti, 
e  dai  frammenti  scoperti;  che,  se  i  passi  di  Cicerone  e 
dello  scoliaste  di  Orazio  si  oppongono  a  ravvisarvi  quel- 
la di  Cicerone,  questi  certamente  non  possono  esclude- 
re di  riconoscervi  una  delle  tante  ville  tusculane  ,  che 
vestivano  queste  falde  sul  declinare  della  republica ,  e 
nel  primo  secolo  dell'impero,  siccome  chiaramente  si  leg- 
ge in  Strabone  ed  in  Frontino  ;  e  nel  1127.  ancora  sì 
conservava  il  nome  di  fundum  Ponpegii,  cioè  Pompei  ad 
ima  terra  posseduta  presso  Grottaferrata  dai  monaci  di 
s.  Alessio  di  Roma.  Veggasi  il  Nerini  p.  234 

Dentro  il  recinto  sovraindicato  del  card.  Giuliano 
della  Rovere,  oltre  poche  case  ed  il  palazzo  dell'abbate 
commendatario,  altro  non  v'ha  di  particolare  che  il  mo- 
nastero, e  la  chiesa.  Il  monastero  non  presenta  oggetto 
degno  di  speciale  menzione:  la  biblioteca  è  povera  e  male 
ordinata.  Non  cosi  la  chiesa,  la  quale  io  credo  doversi 
dividere  in  tre  parti:  vestibolo,  chiesa  propriamente  detta, 
e  cappella  de'  ss.  Nilo  e  Bartolommeo.  E  quanto  al  ve- 
stibolo, la  sua  porta  esterna  è  ornata  con  stipiti  antichi 
tolti  da  qualche  fabbrica  del  III  secolo  della  era  volga- 
re: e  r  architrave  venne  folrmato  coli'  orlo  superiore  di 


13» 

un  sarcofago  antico,  che  si  direbbe  lavoro  de'terapi  set-' 
timiani:  nella  chiave  di  questo  architrave  medesimo  è  in- 
castrato un  toroy  scultura  de'tempi  bassi.  A  sinistra  dell» 
porta,  è  la  protorae  di  Faustina  Terenrj  di  Nettuno,  la 
quale  come  dalla  lunga  iscrizione  ivi  apposta  apparisce^ 
essendo  venuta  a  visitar  questa  chiesa,  dopo  aver  fattoi 
le  sue  divozioni  in  Albano ,  nello  scendere  da  cavallo 
rimase  improvvisamente  estinta  dinanzi  a  questo  vesti- 
bolo nella  età  di  35  anni.  Questa  memoria  fu  posta  dal 
padre  e  dallo  zio  suo  l'anno  1619. 

Da  questo  vestibolo,  che  è  di  una  data  più  antic-at 
del  rimanente  della  chiesa,  e  che  forse  è  la  parte  unica 
che  rimanga  della  chiesa  primitiva,  si  entra  nella  chiesa 
propriamente  detta,  la  quale  fu  riedificata,  e  messa  nello* 
stato  presente  nell'anno  1754  dal  card.  Guadagni,  abbate 
commendatario.  La  porta  conserva  gli  stipiti  e  1'  archi- 
trave della  chiesa  orignale  eretta  nel  secolo  XI.  Gli  sti- 
piti sono  ornati  di  pampani  e  grappoli,  simbolo  comune 
ne'primi  tempi  del  cristianesimo,  onde  denotare  la  Chie- 
sa, come  si  legge  nella  tribuna  di  s.  Clemente  in  Renna; 
ECCLESIAM  CHRISTI  VITI  SIMILABIMVS  I&TI ,  ec, 
e  suir  architrave  in  una  sola  linea  in  lettere  greche  ài 
quel  secolo,  cioè  lunate,  come  si  legge: 
OIKOr  MEAAONTEG  EICBENEIN  nTAHN  :  EEQ- 
TEN  OIC0E  THC  ME0HC  TÙIS  OPONTIAON  :  IN 
ErMENQC  ETPOITE  TON  KPITHN  ECS:  cioè:  Voi 
che  siete  per  entrare  nella  porta  della  casa ,  portate  fuori 
l'ebbrietà  de'pensieri  onde  benigno  troviate  il  giudice  dentrot 
quanto  bello  e  religioso  è  il  concetto  di  questa  epigrafe, 
altrettanto  rozza  è  la  forma  de'caratteri,  inattesa  la  or- 
tografia e  basso  lo  stile.  Sulla  stessa  porta  espresso  i» 
musaico  si  vede  Gesù  Cristo ,  che  ha  a  sinistra  la  Ma- 
donna ,  a  destra  s.  Basilio  in  abito  monacale:  fralla  fi- 
gura della  Madonna,  e  quella  del  Redentwe  è  espresso 


139f 
firn  monaco  di  minore  sCatura,  che  secondo  il  costume  di 
^e'tempi  indica  quello  che  ordinò,  o  fece  il  lavoro,  il 
quale  è  in  ogni  parte  coevo  alla  formazione  della  porta. 
Entrando  in  chiesa,  sull'arco  dell'aitar  maggiore,  ia  mu- 
saico dello  stesso  tempo  di  quello  antecedentemente  de- 
scritto, veggonsi  rappresentati  i  dodici  apostoli,  che  as- 
sistono, sei  per  parte  al  trono  di  Dio.  Nella  navata  a  de- 
stra ,  di  chi  entra ,  giacché  in  tre  navi  questa  chiesa  è 
divisa,  è  la  seguente  iscrizione  greca  affissa  nel  muro 
presso  la  porta  che  introduce  nella  cappella  di  s.  Nilo: 
essa  è  in  caratteri  barbari,  con  sigle,  e  gira  intorna  ad 
una  specie  di  ornato  di  musaico  di  smalto  e  pietruzze, 
nella  massima  parte  perduto.  Era  dapprima  situata  net 
fondo  del  Pesehio,  ed  il  volgo  la  chiamava  la  pietra  di 
Salomone,  donde  i  monaci  la  fecero  trasportare  dove  oggi 
si  vede.  Questa  iscrizione  è  importante,  poiché  dà  i  nomi 
de^primi  12  egumeni ,  o  abbati ,  e  non  13  come  in  al- 
cuni scrittori  si  legge  i  quali  presero  per  nome  proprio 
quello  di  HFOYMENOC  ossia  egumeno,  cioè  abbate,  ag- 
giunto a  quello  di  Paolo  che  fu  il  secondo  dopo  s.  Nilo  che 
ressero  questo  monastero,  cominciando  da  s.  Nilo,  che  fu 
il  primo:  e  ricorda  il  nome  dell'abbate  Nicolao  Uster, 
che  fu  il  decimo  fra  questi ,  il  quale  costrusse  l' aula 
della  chiesa:  le  due  linee  superiori  dicono  così:  1.  lin. 
EKOIMH0H-  O  AIIOG  NHAOG-  ETOC  /3<f.ir-  HAT- 
AOC.  B.  HrOTMENOC  KTPIAAOG.  F.  A  O  AIIOC 
BAP0O 

2.  lin.  AOMEOC.  E.  AEONTIOC  <r  APCENIOG  Z 
AOTKAC.  H  0EOAQGIOC.  0  IQNAC-  I  NIKOAAOG- 
lA  NIAOG  IB  0EOAQPITOG  :  cioè  :  Riposò  s.  Nilo 
Vanno  6513.  Paolo  IL  egumeno:  Cirillo  HI.  IV.  s.  Bar- 
tohmmeo ,  V.  Leonzio ,  VI.  Arsenio ,  VII.  Luca ,  VITI. 
TeodosiOy  IX.  Giona,  X.  Nicolao,  XI.  Nilo,  XII.  Teodo- 
rito.    Sotto  a  sinistra ,  in  latino  è  scritto    CONSTRVIT 


140 

HANC  AVLAM  NICOLAVS  VSTER  DECIMVS  ABKAS. 
A  destra:  nAPEAABON  THN  HrOTMENIAN  ETQ 
NIKOAAOC  TOnAIAIN-  THC  KPTnTO$EPAC  KAI 
TOT  POT^PATTOT  ETOG  jSXM  INAI  I  +  Ricevei 
l'abbazia  (l'egumenia)  io  Nicolao  Topaidin  di  Grottafer^ 
rata  e  di  Rufratio  l'anno  6640,  indizione  X.  L'anno  6513. 
ivi  indicato  corrisponde  alla  data  dell'anno  1005.  della 
era  volgare  in  che  s.  Nilo  morì,  giacché  i  Greci  conta- 
vano allora  secondo  il  calcolo  della  creazione  del  mon- 
do: l'anno  6640.  per  conseguenza  corrispondeva  al  1132, 
al  quale  questo  monumento  appartiene. 

Un  altro  monumento  importante  de'  bassi  tempi  è 
nella  navata  sinistra,  cioè  una  pietra  sepolcrale,  che  con- 
tiene per  arma  gentilizia  un'aquila  di  musaico,  stemma 
de'conti  tusculani,  la  quale  si  erede  per  aver  servito  di 
sepolcro  a  papa  Benedetto  IX,  che  era  appunto  di  quel- 
la famiglia,  e  che  è  celebre  nella  storia  dall'anno  1033. 
fino  al  1048.  Sopra  questo  monumento  scrisse  una  dis- 
sertazione il  Piacentini.  Oltre  questi  monumenti,  altro  la 
chiesa  di  particolar  rimembranza  degno  non  contiene,  che 
la  immagine  molto  venerata  della  Vergine  titolare  della 
chiesa  medesima,  posta  sull'altar  maggiore. 

La  cappella  dedicata  ai  ss.  Nilo  e  Bartolommeo  , 
abbati  di  questo  monastero  è  ornata  di  pitture  a  fresco, 
che  giustamente  riguardansi  come  capolavori  del  Dome- 
nichino  ,  il  quale  fu  particolarmente  raccomandato  per 
questa  opera  dal  suo  maestro  Annibale  Caracci  al  card. 
Farnese.  Era  allora  quel  valente  artefice  in  età  di  soli 
anni  29.  e  fece  questo  prodigio  dell'  arte  moderna:  in- 
fatti sul  soffitto  si  legge  la  data  dell'  anno  1610,  ed  è 
noto  che  Zampieri  nacque  nel  1581.  Siccome  per  la  in- 
curia, e  per  la  umidità  questi  dipinti  aveano  molto  sof- 
ferto il  card.  Consalvi,  abbate  commendatario,  commise 
al  pittore  Camuccini  di  farli  ripulire,  e  ristaurare  sotto 


141 

la  sua  direzione,  e  questo  venne  eseguito  l'anno  1819: 
allora  vi  fu  posta  una  iscrizione,  ed  un  ritratto  dell'ar- 
tista in  marmo.  Sotto  di  questo  è  un  antico   vaso   bat- 
tesimale del  secolo  XI,  o  XII.  intorno  al  quale  è  scol- 
pita la  pesca  ,  allusiva  alla  conversione    delle    genti.  Il 
quadro  dell'altare  di  questa  cappella,  dipinto  ad  olio  dal 
Caracci,  rappresenta  i  ss.  titolari  Nilo  e  Bartolommco  , 
che  pregano  la  Vergine.  Meno  questo,  tutti  gli  altri  di- 
pinti, che  sono  a  fresco,  rappresentanti  i  fatti  di  s.  Ni- 
lo, e  le  immagini  di  varii  santi  e  sante,  sono  del  Do- 
meaÌchÌQO.>'i;»'->;;p  il»  ««(j-f-in-..,.--.!  £tìU;li   ;-;l./V  BÌ'mi:i\)simi 
E  cominciando  dall'altare  stesso,  sulla  parete  a  si- 
nistra è  il  miracolo  dell'indemoniato,  liberato  per  le  pre- 
ghiere di  s.  Nilo  coU'olio  della  lampada  accesa  dinanzi 
la  immagine  della  Madonna.  Il  fanciullo  invasato  mena 
bava  dalla  bocca,  imbrividisce,  tende  e  contorce  i  mu- 
scoli, come  agitato  da  convulsioni  violente,  travolge  gli 
occhi,  e  drizza  i  capelli  in  modo  da  eccitare  ai  riguar- 
danti compassione  e  terrore:  ammirabile  è  la  compostez- 
za e  r  affetto    del   santo ,  che   prega   fervorosamente  e 
sembra    col    suo   raccoglimento  e  col  suo  fervore   esig- 
gere   quasi   la   grazia;   mentre    dall'altro   cauto    s.  Bar- 
tolommeo    imperturbabile  nel   suo   officio   intinge  le  di- 
ta nella   lampada,    onde   liberare   l'ossesso:  il   padre   e 
là  madre  deirinfelice  ragazzo  ondeggiano  sbalorditi  fra 
il  timore  e  la  speranza.    Sopra   nella   lanetta  è  rappre- 
sentata  con   figure   più  picciole   la   morte   di   s.  Nilo , 
pianto    da'suoi   monaci,  che  gli  fan   corona   intorno   al- 
la bara.  Dirimpetto  alla   pittura    dell'indemoniato   è  ef- 
figiata la  Vergine,   che  assisa  in  mezzo  alla  gloria  de- 
gli angeli  porge  un  pomo  di  oro  ai  due  santi  monaci, 
i  quali   ginocchioni   distendono   le   mani   per  riceverlo. 
Fuori  dell'  altare  sulla  parete  sinistra  è  il  gran  quadro 
rappresentante   l' incontro   di  Ottone   III  con  s.   Nilo , 


142 

allorché  questi  si  era  rifuggiato  presso  Gaeta.  L*  im- 
peradore  rivestito  di  manto  azzurro  con  fiori  d'oro, 
sceso  da  cavallo  estende  riverente  le  braccia  al  santo , 
il  quale  «nche  egli  volge  umilmente  le  braccia  all'  Au- 
gusto ,  spirando  nel  volto  santità  ed  affetto  :  egli  è  se- 
guito dagli  altri  monaci  colla  croce,  ed  il  turibolo:  Tira- 
peradore  è  accompagnato  iia  una  schiera  di  soldati  a  pie- 
di e  a  cayallo,  da  valletti  ed  altri  ministri,  e  fralle  te- 
ste più  visibili,  Domenichino  ritrasse  se  stesso,  ed  i  suoi 
compagni  di  studio  Oujdo,  e  Guercino:  è  veramente  me- 
ravigliosa la  verità  della  espressione  di  que'che  dm  suo- 
no alle  trombe,  ed  a^  altri  stromenti  militari,  ne*  qua- 
li si  legge  dipinta  sul  volto  la  inflessione  della  cadenza, 
Dincontro  a  questo  dipinto  è  un'  altro  miracolo  de'  due 
santi;  mentre  s.  Nilo  stassi  intento  a  guardare  il  dise- 
gno e  la  pianta  della  nuova  fabbrica  di  Grottaferrata  , 
si  rompono  i  canapi,  che  reggevano  una  colonna  che  s'in- 
nalzava, e  sul  punto  in  che  questa  cadendo  avrebbe  in- 
franto molti  operai,  s.  Bartolommeo  colla  mano  la  reg- 
ge ,  volgendosi  a  s.  Nilo ,  quasi  in  atto  di  domandargli 
soccorso;  incredibile  è  il  numero  degli  aceessorii  e  de- 
gU  episodii,  co'quali  il  pittore  arricchì  ed  animò  questa 
composizione,  e  bellissime  sono  le  architetture,  e  le  pro- 
spettive. Gli  ultimi  due  dipinti  veggonsi  sulle  pareti  a 
destra  e  sinistra  del  vaso  battesimale:  e  a  sinistra  di  chi 
guarda  il  vaso,  cioè  dal  Iato  del  quadro  testé  descritto 
è  effigiato  s.  Nilo,  che  ottiene  colle  sue  orazioni  che  si 
dilegui  un  terribile  temporale  che  minacciava  la  distru- 
zione delle  messi  sul  punto  di  essere  riposte  ne'granai. 
E  dirimpetto  a  questo  lo  stesso  santo  ginocchioni,  in  se 
raccolto  pregando  vien  benedetto  da  Gesù  Cristo  che  di- 
stacca dalla  croce  la  destra.  Ne'sesti  dell'arco  dell'alta- 
re è  espressa  l' Annunziazione  della  Vergine. 


143 


GROTTA  DI  GREGNA 
V.  CASALE  ABBRUCIATO- 
GROTTA  MAROZZA-EmTYU 

©rjjpta  Jtlaroja, 


.  i,» 


Tre  buone  miglia  più  oltre  di  Lamentana  I*  antica 
Kementum,  ed  altrettante  da  Monte  Rotondo,  che  é  quan* 
to  dire  circa  17  m.  e  mezzo  fuori  di  porta  Pia  ,  o  di 
porta  Salaria,  dove  si  uniscono  le  due  vie,  che  da  que^ 
fite  escono,  in  una  sola,  la  quale  si  dirige  a  Monte  Li^ 
bretti ,  Mons  Brtifiorum ,  si  vede  sorgere  a  sinistra  un 
colle  isolato,  difeso  intorno  da  un  ciglio,  e  piano  sulla 
sommità,  it  quale  ha  poco  meno  di  un  miglio  di  circon-^ 
ferenza,  ed  a  prima  vista  si  presenta  come  il  luogo  di 
on  antico  oppidum,  o  terra  fortificata.  É  questo  il  col-' 
le  detto  di  Grotta  Marozza ,  nome  commune  a  questa 
contrada  e  che  deriva  da  una  grotta  scavata  nel  tufa. 
Nelle  carte  de'tempi  bassi  sovente  s*incontra  il  nome  di 
Marozia,  o  Maroza  che  é  un  vezzeggiativo,  di  quello  di 
Maria,  e  che  per  la  prima  volta  si  rese  celebre  sul  prin- 
cipio del  secolo  X  per  la  figlia  di  Teodora,  la  quale  spo^ 
sala  ad  Alberico  conte  tusculano  portò  dalla  madre  in 
dote  il  potere  e  le  arti  di  signoreggiare,  onde  fu  arbi- 
tra per  varii  anni  di  Roma  e  del  suo  distretto.  E  se  que-^ 
sta  sola  avesse  portato  un  tal  nome  ,  io  non  esiterei 
neppure  un  momento  per  dichiarare,  che  lo  avesse  com-' 
municato  alla  contrada  in  questione,  ma  ho  notato,  che 
altre  donne  e  non  poche  ebbero  questo  stesso  nome  ne* 
secoli  bassi,  e  soprattutto  neH'XI  particolarmente  in  Sa- 
bina; onde  eonvieu  confessare,  che  l'azzardare  qualun* 
que  congettura  su  tal  proposito  sarebbe  un  ardire. 


144 

Quello  però  che  con  sicurezza  posso  asserire  circa 
Grotta  Marozza  è  che  tal  denominazione  conta  più  di 
sei  secoli  almeno ,  imperciocché  nella  bolla  di  papa  In- 
nocenzo III  data  l'anno  1203  a  favore  de'  monaci  di  s. 
Paolo  e  riportata  dal  Margarini  nel  BuUarium  Cassinen- 
se T.  I  fra  gli  altri  beni  di  quel  monastero  si  nota  il 
Castrum  Numentanae  e  la  Cryptam  Marozam,  terre,  che 
furono  confermate  a  quel  monastero  da  Onorio  III  nel 
1218 ,  e  da  Gregorio  IX  nel  1236.  Queste  non  molti 
anni  dopo,  per  testimonianza  di  Gentile  Delfino  del  Dia- 
rio riportato  dal  Muratori  Rerum  Ital.  Script.  T.  Ili  P. 
II.  p.  843  vennero  in  potere  degli  Orsini,  che  le  riten- 
nero fino  al  secolo  XVII.  Nel  Diario  sovrannotato  in  luo- 
go di  Grotta  Marozza  per  errore  del  trascrittore,  o  del 
tipografo  leggesi  Grotta  Manezza.  iu    .<-..  '.u;    Jin  * 

Non  senza  grave  motivo  ho  indicato  con  molta  pre- 
cisione, la  distanza  di  Grotta  Marozza  da  me  stesso  ve- 
rificata, imperciocché  stabilita  questa,  ne  segue  diretta- 
mente di  poter  determinare  il  sito  di  Eretum  ,  prima 
città,  o  borgo  de'Sabini  da  questa  parte,  immediatamen- 
te confinante  con  la  colonia  latina  di  Nomentum.  Stra- 
bone  lib.  V.  e.  III.  §.  11.  dice  che  nella  pianura,  per 
la  quale  scorre  1'  Aniene,  scorrevano  pure  le  così  dette 
acque  Albule,  fredde  e  da  molte  sorgenti,  salubri  per 
que'che  le  beveano,  o  vi  si  bagnavano,  per  varie  malat- 
tie; simili  erano  pure  le  Labane  non  lungi  da  queste,  le 
quali  erano  nell'agro  nomentano,  e  presso  Ereto:  passo 
che  mostra  la  prossimità  di  questo  luogo  al  territorio 
di  Nomento,  e  la  esistenza  di  acque  minerali  sulfuree, 
che  ivi  pure  oggi  esistono ,  e  che  portano  il  nome  di 
bagni  di  Grotta  Marozza.  Questo  medesimo  scrittore  por- 
co prima  §.  1.  avea  notato,  che  nella  via  salaria  cade- 
va la  via  nomentana  presso  Ereto  ,  borgata  della  Sabi- 
na ,  la  quale  stava  al  di  sopra  del  Tevere  :  e  la  giun-» 


145 
zione  delle  due  strade  si  vede  prima  di  Grotta  Marez- 
za: giacché  il  corso  della  via  salaria  antica,  dopo  il  pon- 
te di  Malpasso  all'VIII.  miglio  non  era  quello  della  sa- 
laria odierna  fralle  colline  ed  il  Tevere,  ma  entrando  a 
destra  ne'campi,  traversando  le  tenute  della  Inviolatella, 
della  Marcigliana ,  e  di  Massa ,  entrando  nel  territorio 
di  Monte  Rotondo ,  lasciava  a  sinistra  questa  Terra  ,  e 
dopo  aver  ricevuto  la  Nomentana  prima  di  Grotta  Ma- 
rozza,  passando  sotto  Monte  Libretti,  che  lasciava  a  de- 
stra, entrava  nella  Salaria  attuale  circa  al  miglio  28  da 
Roma,  cioè  alla  osteria,  che  trovasi  prima  della  scesa 
di  ponte  Mercato.  E  questa  strada  antica  si  traccia  tut- 
ta ancora,  e  se  ne  conosce  la  causa,  riflettendo,  che  il 
corso  antico  del  fiume  accostandosi  alla  riva  sinistra ,  nel 
tratto  fra  i  colli  di  Monte  Rotondo,  e  quelli  della  Mar- 
ciliana  fino  al  ponte  di  Malpasso  non  lasciava  luogo  ad 
una  via  consolare.  Questo  pertanto  è  un  nuovo  documen- 
to per  fissare  a  Grotta  Marezza  il  sito  di  Erctum:  che, 
se  la  espressione  di  Strabene  ùntp  tou  Tr^SjSSCjg  x£Jjtjt,£v>jy, 
che  descrive  la  borgata  al  di  sopra  del  Tevere  faccia  al- 
cun'ombra,  si  rifletta  che  il  colle  di  Grotta  Marezza,  an- 
che secondo  il  cor^o  attuale  del  fiume  non  è  3  miglia 
distante  da  esso,  ed  anticamente  era  molto  più  vicino, 
ed  a  coloro,  che  scendono  pel  Tevere  da  Correse  sem- 
bra che  quasi  sia  immediatamente  sul  fiume  stesso  :  e 
nella,  stessa  guisa  che  si  dice  oggi  star  Piano  sul  Teve- 
re, mentre  in  linea  retta  è  più  di  A  miglia  distante,  po- 
tè jdir  Strabene  di  Ereium  ossia  Grotta  Marezza,  che  star 

ri 

va  sul  Tevere.  r 

^,1-^ij^èr' veduto  che  Strabene  ai  tempi  suoi  lo  indica 
come  borgata  :  xwfxvj  :  vice  le  chiama  Valerio  Massimo 
lib.  II.  e.  IV.  §.  5.  che  pure  ne  mostra  la  vicinanza  al 
Tevere:  noktg,  e  città,  ripetutamente  la  dice  Dionisio  lib. 
Ul^'^y.^ed  XJ:  oppidum  Servio  negli  scolj  a  Virgilio  Uh£ 

10 


146 

VII.  denominazioni  che  comparate  con  altri  luoghi  no^ 
minati  dagli  antichi  scrittori,  e  colla  mediocre  estensio- 
ne di  Eretum  potevano  egualmente  convenirgli,  D'altron-' 
de  Strabone  slesso  dichiara  più  sopra,  che  Trebula,  E-^ 
reto ,  ed  altre  Terre  di  tal  fatta ,  frai  borghi  piuttosto 
che  città  dovrebbero  enumerarsi.  Finora  sj  è  veduto,  cor^ 
me  per  la  vicinanza  delle  acque  minerali  sulfuree ,  per 
la  prossimità  del  territorio  nomentano  a  quello  di  Ere» 
io,  per  la  giunzione  della  via  salaria  colla  nomentana , 
per  la  vicinanza  al  Tevere ,  e  per  la  mediocrità  della 
estensione  della  Terra  non  cade  dubbio  onde  riconosce^ 
re  Ereto  a  Grotta  Marozza.  A  tutti  questi  argomenti  si 
aggiunge  l'altro  e  positivo  della  distanza  da  Roma.  Dio-» 
nisio  lib.  XI.  e.  III.  mostra  come  i  Sabini  l' anno  307 
di  Roma  dopo  aver  dato  il  guasto  alle  terre  limitrofe^ 
de'Romani  si  accamparono  in  E  reto,  città  che  stava  140 
stadii  distante  da  Roma,  vicino  al  Tevere:  ora  il  nume^ 
ro  non  è  espresso  in  cifra;  ma  scritto  distesamente  con 
letterte  e  140  stadii  equivalgono  a  miglia  17  e  mezzo, 
che  è  precisamente  la  distanza  di  Grotta  Marozza.  VU 
tinerario  di  Antonino  conferma  la  esattezza  di  questo 
numero,  poiché  non  notando  mai  le  frazioni,  con  nume-r 
rb  tondo  pone  Ereto  come  prima  stazione  sulla  via  sa-- 
laria  al  XVIII  miglio  da  Roma:  altrettanto  si  ricava  dal- 
la  Carta  peutingeriana,  che  nota  per  primo  luogo  Fide-r 
ne,  dove  mancando  il  numero  facilmente  si  supplisce,  es-» 
sendo  stabilita  la  posizione  di  quella  città  al  quinto  mi-^ 
glio  da  Roma,  e  poi  Ereto  che  segna  XIII,  distante  da 
Fidene,  ossia  XVIII.  da  Roma.  Ora  per  tutte  le  ragio- 
ni sovraìndicate  può  asserirsi  che  pochi  luoghi  antichi 
presentano  tanta  certezza  di  posizione  quanto  Ereto,  seb» 
bene  spariti  siano  tutti  gli  avanzi.  Questi  medesimi  ar- 
gomenti in  gran  parte ,  ma  soprattutto  la  distanza  da 
Boma  escludono  affatto  la  situazione  di  Eretum  a  Mon- 


147 
te  Rotondo,  come  ciercò  di  stabilire  il  CluTorio,  seguita  ^ 
poscia  troppo  ciecamente  da  altri  scrittori  posteriori,  sen- 
do  che  Monte  Rotondo  non  è  dopo  la  giunzione  delle 
due  strade;  ma  prima,  non  é  nella  direzione  della  via 
salaria  antica,  ma  di  fianco;  che  se  è  a  contatto  col  téé^ 
ritorio  nomentano,  e  sopra  un  monte  presso  il  T^YerèJ 
la  sua  distanza  da  Roma  appena  giunge  a  15  miglia  e 
non  a  IStf^ob  n ,,  rj  f.Tt'jw.  -i  ^ 

Ereto  fu  città  di  antichissima  data ,  gl«icchè  se  né 
ascriveva  la  fondazione  ai  Pelasgi,  i  quali,  secondo  So- 
lino e.  Vm.  così  la  chiamarono  perché  sacra  particolare 
mente  ad  H/9«,  o  Giunone:  e  questa  etimologia  si  cotta' 
ferma  da  Servio  nel  luogo  notato,  aggiungendo,  che  quel- 
la dea  ivi  si  venerava:  oppidum  est  dictum  uno  tvjj  Hoag 
idest  a  lunone  quae  illic  colitur.  Tale  antichità  si  confei<i 
ma  da  Virgilio,  ^en««V/.  lib.  VII.  v.  711  che  fratte  Ter-» 
re  sabine  che  presero  le  armi  nella  guerra  contro  di 
£nea  nomina  la  Ereti  manus  omni&.  E  come  sabina  que- 
sta città  costantemente  viene  indicata  da  Dionisio,  StriF 
bone,  e  Valerio  Massimo,  ne'passi  testé  ricordati,  e  dà 
Stefano,  che  nolcg  Ix^ivav  la  dice.  Oltre  la  parte  pre- 
sa nella  guerra  contro  di  Enea  non  ci  rimangono  altri 
fatti  particolari  di  questa  Terra.  Livio  libro  I.  e.  XXX. 
parlando  della  guerra  fra  Tulio  Ostilio,  e  i  Sabini,  di- 
ce, che  si  diede  una  battaglia  atroce  frai  due  popoli  ad 
Sylvam  Malitiosam,  nella  quale  i  Sabini  furono  vinti.  Dio- 
nisio lib.  III.  e.  XXXII.  narrando  i  fatti  di  quella  guer- 
ra con  maggiori  particolari  dice,  che  antecedentemente 
si  die  una  battaglia  non  lungi  da  Ereto,  ossia  nel  ter- 
ritorio di  quella  città  107  stadii ,  cioè  circa  13  miglia 
«  mezzo  distante  da  Roma  ;  e  questo  numero  come  si 
Tede ,  non  può  essere  in  opposizione  diretta  con  quello 
che  determina  la  distanza  propria  di  Ereto  stesso  a  140 
stadii,  quindi  senza  ricorrere  a  correggerlo,  senza  nep- 


m 

pure  assicurare!  che  sia  esatto,', giacche  il  codice  ratica-t 
no  dà  160  in  luogo  di  170,  giova  soltanto  riflettere  che 
mostra  la  distanza  da  Roma  del  liiogo  dove  fu  datala 
battaglia  e  non  della  Terra  nel  cui  territorio  si  diede.' 
Dallo  stesso  storico  poi  lib.  III.  cap.  LIX,  conosciamo 
che  l'anno  166  di  Roma  presso  Ereto  ritiraronsi  gli  E- 
trusci  nella  speranza  di  essere  soccorsi  dai  Sabini  du- 
rante la  guerra  centra  Tarqainio  Prisco,  e  dopd  la  rot- 
ta riportata  presso  Fidene;  ma  la  rapidità  del  re  di  Ro- 
ma prevenne  ogni  tentativo  su  tal  proposito,  e  gli  Etru- 
sci  furono  compiutamente  disfatti.  Ed  in  quella  batta- 
glia Servio  Tullio  ancor  giovanetto  die  prove  di  gran 
valore,  come  narra  lo  stesso  Dionisio  lib.  IV.  e.  III.  Al-; 
tra  battaglia  ivi  dappresso  die  Tarquinio  il  Superbo  ai 
Sabini,  descritta  dallo- storico  sovrallodato  lib  IVv  e.  LI, 
ed  altra  poco  dopo  la  espulsióne  de'  re  1*  anno  253  di 
Roma  ne  diedero  ai  Sabini  stessi  i  consoli  Postumio  Tu-, 
berto  e  Menenio  Agrippa.  Ed  ivi  pure  si  pugnò  frai  Ro-i 
mani  ed  i  Sabini  1'  anno  299.  Livio  lib.  III.  e.  XXYI, 
^  seg.  In  Ereto  si  accamparono  i  Sabini  contro  i  Roma- 
ni durante  il  reggimento  decemvirale  l'anno  307.  guer- 
ra descritta  da  Livio  lib.  III.  e,  XXXVIJL  e  seg.  Que- 
sti successivi  Campi  e  battaglie  in  que'din torni  dimostra- 
IH)  la  importanza  della  posizione  di  ^reto,  e  la  località 
propria  al  muovimento  degli  eserciti,  fatto  che  si  rico- 
nosce a  priiria  vista  gittando  l'occhio  sulla  mappa,  e  ri- 
cordandosi, che  il  Tevere  radeva  allora  le  falde  del  Col- 
le di  Monte  Rotondo,  ossia  phft.  si,  stringeva  più  verso 
Ereto.  r'-<)    no:',   ■:'■ 

xì ss. "Livio  lib.  XXVI.  e.  XI.  ha  conservato  la  memoria 
che  Celio  narrando  la  spedizione  di  Annibale  centra  Ro- 
ma le  diede  un'  altra  direzione  mostrando,  come  il  ca- 
pitano cartaginese  dalla  Campania  si  volse  verso  il  San- 
zio, di  là  ne'Peligni,  quindi  ne'Marruccini,  e  poscia  per 


_         m 

Araitefno,  Fornii,  Ctitilia,  e  tteate  sen  Vetìhe  ad  Ef^fÒ} 
donde  portandosi  Terso  Roma  deviò  a  saccheggiare  i!  lu- 
co di  Feronia  sotto  il  Soratte,  ritornando  poscia  per  la 
strada,  che  Livio  avea  di  sopra  descritta,  nella  Campa- 
nia, cioè  facendo  fare  ad  Annibale  tale  marcia  in  modo 
inverso.  Comunque  però  voglia  prendersi  è  certo  che  sia 
nell'andare  verso  Roma,  sia  nel  tornare  Ereto  fu  da  quel 
gran  capitano  riguardata  come  una  posizione  militare  da 
porvi  il  campo.  Nello  stesso  libro  cap.  XXIII.  Livio  me- 
desimo narra,  come  l'anno  543  fra  altri  prodigii  notoà-' 
si  quello  di  esser  piovute  pietre  in  Èreto  :  et  Ereti  la- 
pidibus  fluisse.  Presso  Ercto ,  secondo  Valerio  Massimo 
lib.  IL  e.  IV.  ebbe  una  villa  quel  Valesio ,  o  Valerio  -, 
al  quale  i  Romani  dovettero  la  istituzione ,  de'giuocbi  se^ 
coìSLTÌ,  'àmxi  &ìhu  o^m^A  «Jtoq  n'ihb  iwu'tilm  ts'fi 
Stando  alla  Carta  peutingeriana  d*  uoj^d  é  credere 
che  almeno  Ano  al  secolo  VII  della  era  volgare,  qilesta 
città  restasse  in  piedi,  o  qualche  ombra  almeno  di  esi- 
stenza e  di  stazione  conservasse.  Le  fiere  scorrerie  pc-^ 
rò ,  alle  quali  questa  parte  de'  contorni  di  Roma  andò 
soggetta  in  quello  stesso  secolo  e  nel  susseguente  la  fe- 
cero abbandonare  affatto,  e  soprattutto  poscia  contribuì 
a  non  farla  mai  più  risorgere  la  nuova  direzione  data 
alla  via  salaria  lungo  il  Tevere  dal  ponte  di  Malpasso 
fino  a  Correse.  ■        •     •.  i  i  i'  iliH 

GROTTA  PERFETT1ì:'>^-^ 

i^orfi  JJraefectt, 

Tenimcnto  suburbano  fuori  della  porta  s.  Paolo  per- 
tinente ai  CoUigola ,  che  contiene  rubbia  135  e  confina 


:150 

colle  vigne  di  Roma,  e  colte  teirafe  di  Tor  Marancia,  s. 
^iefsio,  Tre  Fontane  e  Pedica  di  Tre  Fontane. 
,f  Una  carta  dell' archivio  di  s.  Gregorio  e  riportata 
dagli  annalisti  camaldolesi  T.  IL  pertinente  all'aniK)  1073 
mostra  che  a  quella  epoca  la  contrada  occupata  da  que- 
sto tenimento  avea  il  nome  di  Ilortis  Praefectis,  che  per 
errore  dell'  amanuense  è  scambiato  in  Perrectis,  e  que- 
sta denominazione  successivamente  si  rinviene  l'anno  1192 
nella  bolla  di  Celestino  III.  e  l'anno  1217  in  quella  di 
Onorio  III.  riportate  nel  Bullarium  Vaticanum  T.  I.  nel- 
lei'  cairte  inserite  dal  Nerini  nella  Storia  di  s.  Alessio  e 
pertinenti  all'anno  1266,  1277,  1279,  e  1284.  Il  Conte- 
lori  nel  suo  trattato  de  Praefectis  Urbis,  pag.  82.  parlane 
do  di  Pietro  prefetto  di  Roma  nelfanno  1198  dice  che 
avea  orti  fuori  della  porta  s.  Paolo  nella  contrada  de-^ 
nominata  il  monte ,  e  da  questo  vuol  far  derivare  il  no- 
me di  Horti  Praefecti,  origine  del  moderno  di  Grotta  Per^ 
fetta.  La  insussistenza  però  di  questa  congettura  si  ri- 
conosce facilmente  dalla  carta  sovraindicata  del  1073  , 
anteriore  di  125  anni  alla  prefettura  di  quel  Pietro.  Noa 
si  esclude  però  con  questo  ,  che  in  origine  tale  deno- 
minazione fosse  data  a  questa  contrada  per  avervi  avu- 
^ft-i  suoi  orti  un  qualche  prefetto  di  Roma.      X  ima  v 

itèéSiiìl    '  ;     :' 

GROTTA  SCROFÀNA  v.  5.  PALOMBA. 
GROTTONE  v.  PONTE  FRATTO. 


GROTTONIy.  VANNINA. 

ti  .-.  r,   ir-  '■■   ■•     ,■     '  *  •■  ff 

GROTTONL 

j^„u-  ,Tenimento  dell'Agro  Romano  che  trae  nome  da  grot- 
te e  cave  dì  pozzolana  e  di  tufi  ivi  aperte,  situato  cìr- 


151 

ca  6  miglia  distante  da  Roma  sulla  via  ostiense,  ed  ap- 
partenente ai  beneficiati  innocenziani  della  basilica  di  s. 
Pietro.  Comprende  84  rubbia  di  terreno  e  confina  col 
Tevere,  e  colle  tenute  di  s.  Ciriaco,  Decimo,  Torraccio, 
Mostacciano,  e  Tor  di  Valle.  ji^  ^i  m%>ì  Ju-.ì^x» 

'    «■■»    -5oJÌJ,,aìe?lBp 

GUàDAGNOLO.  f  é  oeoh 

"'*^      ®uaÌramaÌum-®uabagrtÌDlum.      "^^ 

-fUiwp  ^  óM'.ì  j  imi  o  ^fùià^tsj'ìom 

■jhii  Villaggio  della  Comarca  di  Roma  nella  diocesi  e 
distretto  di  Tivoli^  appodiata  a  Poli,  e  che  contiene  220 
abitanti.  Esso  è  situato  sopra  una  delle  cime  del  mon- 
te Vulturella  o  Mentorella,  più  alta  di  quella  di  mo»- 
te  Gennaro,  e  per  conseguenza  è  la  punta  più  elevata 
dì  quelle  che  dominano  immediatamente  la  campagna  di 
Roma.  Cosi  aspra  è  la  cima,  così  incommodo  il  salir- 
vi, e  miserabile  il  prodotto  delle  terre,  che  certamente 
non  potè  offrir  attrattiva  agli  uomini  che  nelle  circo- 
stanze più  disastrose^  come  un'  asilo  sicuro,  onde  io  cre- 
do che  il  villaggio  siasi  formato  nel  vortice  delle  de- 
vastazioni, che  coprirono  di  stragi  e  di  rovine,  non  so- 
lo la  campagna  romana ,  ma  le  montagne  circonvicine , 
e  certamente  non  prima  del  secolo  X.  Non  è  distante 
che  30  miglia  circa  da  Roma ,  e  da  tre  parti  diverse 
vi  si  può  salire,  cioè  da  s.  Gregorio,  che  è  la  strada 
più  diretta,  più  breve,  ma  di  una  difficoltà  tale  da  im- 
porre anche  ai  più  animosi:  da  Poli,  che  è  la  più  lun- 
ga, e  la  più  agiata:  e  da  Siciliano,  o  Pisciano. 

I  suoi  fasti  van  sempre  uniti  con  quelli  della  sot- 
toposta Terra  di  Poli,  e  coloro  che  hanno  dominato  in 
questa  hanno  pure  signoreggiato  in  Guadagnolo.  L'an- 
no 1137  per  la  prima  volta  s'incontra  il  suo  nome  nell« 


152 

querela  mossa  dai  monaci  de'ss.  Andrea  e  Gregorio  sili 
monte  Celio  ad  Innocenzo  II.  contro  Oddone,  come  de- 
tentore violento  delle  Terre  di  Poli,  Faustiniano,  e  Gua- 
dagnolo  ;  era  costui  de'conli  tusculani ,  che  avendo  oc- 
cupata Poli  fu  designato  col  nome  di  Ottone  di  Poli,  e 
questo  titolo  fu  ritenuto  ancora  dai  suoi  successori.  Cu- 
rioso è  leggere  l'atto  di  quel  litigio  che  fu  inserito  da- 
gli annalisti  camaldolesi  nel  tomo  IV.  p.  615  ,  e  come 
dopo  molte  tergiversazioni  e  dilazioni  fu  costretto  a  con- 
segnar Faustiniano,  il  quale  poco  dopo  sembra  avere,  o 
rioccupato,  o  riottenuto.  Adriano  IV  che  cercò  per  quan- 
to era  possibile  in  que'  tempi  di  disordine  ,  di  rivendi- 
care o  per  forza,  o  per  conciliazione  le  terre  invase  dai 
potenti,  ottenne  l'anno  1157,  che  Oddone  donasse  a  s. 
Pietro  ed  alla  Chiesa  Romana  tutto  il  suo  stato  ,  com- 
posto delle  terre  di  Poli ,  Faustiniano ,  Anticoli ,  Rocca 
de'Nibli,  Monte  Manno,  Guadagnolo,  Sarracenisco,  Roc- 
ca de'  Muri ,  e  Castel  Nuovo  :  ma  Oddone  contempora- 
neamente si  fece  dare  la  investitura  di  questi  stessi  feu- 
di a  se  ed  ai  suoi  successori.  Veggasi  l'atto  originale  ri- 
portato dal  Muratori  nel  tomo  I.  delle  Antichità  del  Me- 
dio Evo  p.  675. 

-OH  V.  Guadagnolo  pertanto  rimase  feudo  di  questo  ramo 
de'Conti  tusculani  fino  al  principio  del  secolo  seguente^ 
in  che  passò  nelle  mani  de'  Conti  di  Segni.  Impercioc- 
ché morto  Oddone  e  succeduto  a  lui  Gregorio  suo  fi- 
glio, si  trovarono  molto  disestate  le  cose  della  famiglia: 
a  Gregorio  successe  il  figlio  di  nome  pure  Oddone  ,  il 
quale  volendo  riparare  questi  mali  trattò  di  collocare  in 
matrimonio  la  sua  figlia  Costanza  nella  casa  di  Riccardo 
conte  di  Sora  fratello  di  papa  Innocenzio  III.  Ma  poscia 
pentito  si  rivoltò,  eccitò  tumulti  in  Roma,  ne'quali  per- 
dette tutte  le  sue  terre ,  che  da  quel  papa  stipite  de' 
Conti  di  Segni  furono  date  in  deposito  al  suo  fratello  : 


15^ 

q[aesti  nell'atto  di  riceverlo,  ranno  1208  prestò  fedeltà 
alla  Chiesa:  prò  Polo,  et  alia  terra,  quae  olim  fuit  Oddo- 
nis  de  Polo ,  che  come  la  più  vicina  probabilmente  fu 
Guadagnolo.  Veggasi  il  Muratori  Tomo  V.  Antiq.  Med. 
Aevi  Diss.  LXIX.  Venuto  però  Oddone  a  concordia  die 
la  sua  figlia  in  moglie  a  Giovanni  secondogenito  di  Ric- 
cardo ,  e  così  Poli ,  e  Guadagnolo  dalla  linea  de'  Conti 
tusculani  passarono  in  quella  dei  Conti  di  Segni,  un  ra- 
mo de'quali  che  è  stato  l'ultimo  superstite  l'ha  ritenuto 
fino  alla  estinzione  della  famiglia  avvenuta  a' giorni  no- 
stri. Dopo  quella  epoca  Poli  e  Guadagnolo  venne  per  com- 
pra in  potere  de'  Torlonia,  duchi  di  Bracciano ,  ed  è  il 
titolo  del  primogenito  della  famiglia.  Veggasi  inoltre  *«& 
RaLtii  Storia  della.  Famiglia  Sforza  T.  II.  "^ 

iéiéfemiiàHO»  ^t*{HÌl)'        lENNE.  dduiBhiqeiM 

-ùo  111  9t«?)*HWÌiRi)80  .   .   -      <  .     .i^  ..    =w.AjO  iiiir^ap^^  B  aii'j 
nomtmó'^ii  i>hmdù&  ^^%Ì(>ifM*É%^  '^^^*^  ^^^  *^*  oiiMfirj 

''*'  '<JasteIIò  posto  sopra  lin  bólle  dipendente  dal  monte 
Pallascoso,  sulla  via  destra  dell'Aniene,  circa  55  miglia 
distante  da  Roma  e  8  da  Subiaco  verso  oriente,  con  953 
abitanti.  La  strada  per  andarvi  ha  un  sentiere  tracciato 
sulla  falda  del  monte  di  s.  Scolastica  poco  prima  di  giun- 
gere a  quel  monastero ,  il  quale  ha  sulla  riva  opposta 
dell'Aniene  il  monte  Carpineto  alto  e  tetro  per  le  bosca- 
glie che  lo  ricoprono,  e  va  sempre  in  pendio  fin  che  non 
raggiunge  la  sponda  del  fiume  ;  da  quel  punto  diviene 
amenissima,  avendo  sempre  a  fianco  il  corso  del  fresco 
e  limpido  Aniene  ed  essendo  ombreggiata  da  folti  bòs- 
chi. Un  mezzo  miglio  dopo  aver  raggiunto  la  riva,  in- 
contrasi un  ponte  di  legno  per  commodo  de'contadini  e 
'de -pastori,  e  quindi  la  strada  traversa  una  rupe  formata 


154 

di  depositi  fluviali  e  di  stalattiti,  indizio  del  lÌTello  alto 
che  ne'tempi  passati  ivi  ebbero  le  acque  ritenute  dei  la- 
ghi della  villa  neroniana  sublacense  :  un  miglio  dopo  il 
ponte  si  apre  a  sinistra  un  recesso  di  monti,  e  2  miglia 
più  oltre  un  rivo  limpido  ed  abbondante  di  acque  attra- 
versa la  via  per  iscaricarsi  nell'Aniene,  che  corre  indo- 
mito per  questa  valle,  e  forma  picciolo  cadute  fralle  qua- 
li bellissima  è  quella  presso  la  mola  di  lenne  vicino  a! 
confluente  di  questo  rivo ,  che  die  nome  di  monti  dell* 
Acquaviva  a  quelli  dirimpetto. 

lenne  che  si  vede  torreggiare  sul  colle  é  distante* 
da  questo  punto  quasi  una  ora  di  arduo  cammino.  Il  suo' 
nome  è  di  origine  incognita,  e  ne'tempi  bassi  costante- 
mente trovasi  scritto  Genna.  Come  dipendenza  dal  mo- 
nastero sublacense  viene  enumerato  questo  villaggio  sul- 
la lapide  sublacense  del  1(©2.  Quindi  dee  eonchiudersi 
che  a  quella  epoca  di  già  esisteva.  Posteriormente  fu  oc-' 
cupato  da  altri,  onde  l'anno  1090,  secondo  il  Chronico» 
Sublacense,  l'abbate  Giovanni  portossi  ad  espugnarlo  co» 
molte  macchine,  e  presolo  vi  costrusse  una  torre.  E  quel- 
r  abate  lo  die  verso  il  1100  in  beneficio  al  vescovo  di 
Alatri ,  e  da  un  familiare  di  questo  vescovo  fu  ceduto 
ai  Trebani.  L'abbate  tornò  ad  assediarlo,  ma  non  poten- 
do riuscire  ad  espugnarlo  invocò  1'  autorità  di  Pasqua- 
le II,  che  non  potè  ottenere  il  rilascio,  giacche  i  Tre- 
bani allegavano  che  era  il  castello  di  loro  diritto  e  noa 
di  s.  Benedetto.  Bimessa  questa  questione  dinanzi  Man- 
fredi vescovo  di  Tivoli,  di  consenso  commune,  quegli  de- 
cise a  favore  de'monaci,  e  perciò  nella  bolla  di  confer- 
ma di  papa  Pasquale  II  si  nomina  Genna  fragli  altri  be- 
ni del  monastero.  I  Trebani  però  non  abbandonarono  ì& 
loro  pretensioni,  e  colto  il  momento  delle  turbolenze  av- 
venute nel  pontificato  di  Eugenio  III.  verso,  la  metà  de^ 
lo  stesso  secolo  1'  occuparono  di  nuovo  ;  ma  ne  furono» 


155 

tosto  discacciati  dall'abbate  Simone,  e  da  quel  tempo  il 
monastero  ne  rimase  in  possesso.  Tutte  queste  notizie , 
si  traggono  dal  Cbronicon,  dal  quale  pure  ricavasi  che 
nel  1355.  vi  si  ritirò  come  in  luogo  sicuro  1'  abbate 
Ademario.  i  JH*i<*ii^><^Ai 

■■■  .     :  ,>-(*3   ^'.^  -'.'r  ;.-,,,    •■•■':      .      -     ■  ,        ,'.■•'; 

È  il  fiume  più  considerabile  che  sbocchi  nel  mare 
dopo  il  Tevere,  andando  da  Roma  fino  all' Astura,  im- 
perciocché è  formato  in  origine  dallo  scolo  del  lago  ne- 
morensC)  e  raccoglie  tutte  le  acque,  che  scendono  dalle 
pendici  meridionali  di  Albano,  Ariccia,  e  Gcnzano,  e  che 
si  raccolgono  insieme  sotto  Ardea.  Da  alcuni  fu  preso 
pel  Numico;  ma  quel  fiume  era  fra  Lavinio  ed  Ardea , 
al  limite  de'due  territorii,  e  questo  immediatamente  pas- 
sa sotto  Ardea  stessa.  Il  suo  nome  suol  derivarsi  dall' 
incastro  della  rifolta  della  mola  di  Fonte  di  Papa  ;  ma 
oltre  che  questo  è  lontano  dal  tronco  suo  principale  che 
è  sotto  Ardea,  tal  circostanza  è  commune  a  molti  altri 
rivi  che  bagnano  l'Agro  Romano,  i  quali  nondimeno  non 
vengono  designati  con  quel  nome.  Io  sono  di  opinione, 
che  derivi  da  un  fatto  più  antico;  imperciocché  questo 
fiume  scorre  sotto  le  pendici  dall'  antica  Terra  di  Ca- 
strum  Invi,  la  quale  era  situata  non  lungi  dalla  sua  fo- 
ce,  cioè  fra  Ardea  ed  il.  mare:  veggasi  l'articolo  CA- 
STRVM  INVI  ;  onde  si  disse  il  fiume  dell'  Invi-castro , 
6; poscia  dellJIftGasteos.        .  >  ^  «ir  •    a  .^  j,  ^  . 

ib  iìr.ysi^  i-i  ì,.  "'l'in    t'SiitfT.^i    r)lv   ii'ìOfBÌn  ìld 

.  8ùi^  hii  J.ÌÌ  INFERMERIA  e  RISARÒ:., b  ZfaaoKi 

'•  Tenuta  dell'Agro  Romano^  die  appartiene  al  mona- 
stero de'  ss.  Domenico  e  Sisto ,  posta  fuori  di  porta  s. 
Paolo,  circa  8  m.  lontano  da  Roma,  e  confinante  col  Te- 


156 

yere  e  colle  tenute  di  Spinacelo,  s.  Ciriaco,  Traifusìfi  é' 

Malafede.  Essa  comprende  circa  84  rabbia  ,  ed  occupa 
in  parte  l'antico  SOLONIVM.  _,^ 

INSUGHERATA.  (MmuibA 

Tenintcnto  dell'Agro  Rònraho,  clie  spetta  AH^òspe-^ 
dale  di  s.  Spirito,  e  comprende  circa  165  rubbia.  Con- 
fina con  quelli  di  s.  Agata,  Marmo,  Acqua  traversa,  Monte 
Arsiccio,  e  Sepoltura  di  Nerone.  Esso  è  situato  circa  5 
miglia  fuori  di  porta  del  Popolo  fra  le  vie  trionfale  e 
cassia.  •  ''^  •■''''■' 

Il  suo  nome  deriva  dai  sugheri,  che  particolarmen- 
te Io  vestono,  circostanza  che  non  è  nuova,  poiché  fin 
dal  principio  del  secolo  IV,  della  era  volgare,  trovasi  ia 
Anastasio  Bibliotecario  nella  vita  di  papa  Silvestro^  I , 
ricordato  col  nome  di  fundus  Surorum,  che  io  credo  do- 
versi leggere  Suberum,  e  si  nota  come  situato  sulla  via 
Claudia,  che  è  nel  principio  identica  colla  cassia,  e  nel 
territorio  veientano,  e  che  da  Costantino  fu  donato  alla 
basilica  da  lui  eretta  in  Ostia  ad  onore  de' santi  Pietro, 
Paolo,  e  Giovanni  Battista.  In  seguito  questo-  fondo  pas- 
sò in  potere  del  monastero  di  s.  Lorenzo  detto  in  pala- 
tini ,  presso  la  basilica  vaticana ,  e  col  nome  di  Casale 
Sttèereta  si  nomina  nella  bolla  di  Leone  IV  data  Fanno 
854  a  favore  della  basilica  vaticana  ,  ed  in  quella  di 
Leone  IX  dell'  anno  1053  ,  ambedue  inserite  nel  prim» 
volume  del  Bollarlo  Vaticano.  Elstinto  quel  monastero  è 
probabile  che  fosse  riunito  ai  beni  della  basilica  vatica- 
na; e  quindi  forse  fin  da' tempi  d' Innocenzo  III ,  asse- 
gnato all'ospedale  di  s.  Spirito  in  Sassia.      cjììj  .ojVì,*! 


157 
r>ii*  ,f>mÌJNVIOLATA  ed  INVIOLATE LLà.^:ì  i'im&iti\ì 

'Vii  ùh'-<   :  ^,  ■■ 

>  Tèniité  deir  Agro  Romano,  oggi  riunite  in  un  sol 
€orpo,  che  trassero  nome  dalla  chiesa  di  s.  Maria  in  Via 
Lata  che  un  giorno  le  possedeva,  e  che  oggi  apparten- 
gono ai  Borghese.  Esse  sono  situate  presso  la  via  cas- 
sia, circa  5  miglia  fuori  della  porta  del  Popolo  :  divise 
in  tre  quarti  detti  da  Capo,  della  Torre,  e  della  Casetta, 
comprendono  220  rubbia.  Confinano  con  quelle  di  Ospc- 
daletto,  Yalchetta,  Cresceoz^^,  Muratella,  Sejpoitu^ca  ^i-JIe» 
jrone,  ed  Acquatraversa.  vib^  hofi  >f<A;nKjo  {i^^idiìhipiiji^ 
^0l  isii*aii:>3  sìì-'h  fj.  ,àìh'M  iél!'4.xtttOiinhl9b  nòo  obn»! 
^sl  mr  »ì  r,ào,Ì  MVIOLÀTELLA:  •      '  iùq 

Ómo^  ',  <'(n'  ii    !^    \'..'"  <«' 

èo*»  È  un' altra  tenuta  che  ritiene  il  nome  della  chiesa 
4i  s.  Maria  in  Via  Lata  che  la  possiede,  la  quale  con- 
tiene £irca  82  rubbia.  Essa  è  posta  nell'  Agro  Romano, 
sulla  via  salaria,  circa  7  miglia  lontano  da  Roma,  e  con^- 
fina  col  Tevere,  e  colle  tenute  di  Radicicoli,  Malpasso, 
Ciampiglia,  Settebagni,  e  Marciliana.  È  divisa  ne'quarti 
4/&tU  (klla  fiQsoiina, .di^'Prataroni,  ^  del  Laghetto.  .      :^ 

4t  ni.  (ìhnìncXSOLA  FARNESE  v.  VEaqot  nvr-».  me 

-u..        ^     150X4  54Cfi4  y.  PORTO. 

^b  rm^Tymìì  'ì  òhàmm  filt^tu^]  ;  Mì'vifl,  hA  taili^fSfsJa  fr.f 
-ostiùfc  »M^Ì^  LABIGVM-LAVIGVM.  i^  d  o  mmùìnA 
jym  /j  *  '     .  '•      "  «n  ffc  '}ì 

'ih\'.  LA  COLONNA.  ^  .< ^òk  \h 

i:Tif-'j!>  B  «ofl  ?  ^riHilisk  R  f*  t?s1yi*l  ha  ;>£iois6k  i^kb  «1 
Molte  terre  sorte  ne'tempi  bassi  frallé  vie  prenesli- 
na  e  labicana  dalle  15  alle  26  miglia  di  distanza  da  Ro- 
ma, sonosi  disputate  ne'  secoli  scorsi  l'  onore  di  essere 
succedute  all'antico  Labico,  e  tutte  hanno  avuto  forti  dì- 


158 

fensori;  commune  era  nel  secolo  XVI  la  opinione ,  che 
fosse  a  Valmontone  :  Cluvcrio  e  Kircher  nel  secolo  se- 
guente lo  situarono  a  Zagarolo:  Olstenio,  Fabretti  e  con 
loro  i  moderni  io  credono  corrispondere  alla  terra  della 
Colonna:  ed  il  Ficoroni  scrisse  appositamente  una  opera 
per  persuadere  che  fosse  sul  Colle  de'  Quadri  presso  Lu- 
gnano  sua  patria,  insinuando  cosi  che  questa  fosse  sor- 
ta  sulle  rovine  di  Labico.  Se  però  ad  un  malinteso  a- 
more  di  patria  si  fosse  sostituito  un  più  maturo  esame- 
de'luoghi,  ed  un  rispetto  maggiore  all'autorità  de'classi^ 
ci  antichi ,  la  opinione  non  sarebbe  andata  tanto  oscil- 
lando con  detrimento  della  verità,  e  della  scienza.  Im- 
perciocché leggesi  in  Strabone  nel  lib,  V,  che  la  via  la- 
bicana ,  partendo  dalla  porta  Esquilina  di  Roma ,  come 
la  prenestina,  dopo  aver  percorso  più  di  120  stadj,  cioè 
più  di  15  miglia  romane,  accostandosi  all'antico  Labico, 
allora  di  già  distrutto,  posto  sopra  una  eminenza,  lascian- 
do questo ,  e  Tuscolo  a  destra ,  finiva  alla  stazione  ad 
Pietas,  dove  fondevasi  nella  Latina.  Da  questo  passo  si 
ìtrae  chiaramente ,  che  la  distanza  di  Labico  da  Roma 
per  la  via  labicana ,  che  era  la  più  retta ,  era  di  poco 
più  di  15  miglia,  che  la  via  non  l'attraversava,  che  La- 
bico stava  sopra  un  colle,  che  stava  non  lontano  da  Tu- 
scolo a  destra  della  via  labicana ,  fra  questa  medesima 
via  e  Tuscolo  stesso,  finalmente  che  trovavasi  prima  del- 
la stazione  Ad  Pietas ,  la  quale  secondo  l' Itinerario  di 
Antonino  e  la  Carta  peutingeriana,  era  25  miglia  distan- 
te da  Roma.  Quindi  escludesi  Valmontone,  perchè  è  più 
di  26  miglia  distante  da  Roma ,  e  per  conseguenza  di 
là  dalla  stazione  ad  Pietas,  e  a  sinistra,  e  non  a  destra 
della  vera  labicana  :  per  la  medesima  ragione  della  di- 
stanza soverchia  escludesi  il  colle  de'Quadri,  che  in  luo- 
go di  15  è  22  miglia  distante:  escludesi  Zagarolo,  che 
oltre  l'essere  21  miglia  distante  da  Roma  è  precisamen» 


159 
te  a  sinistra  e  non  a  destra  della  Labicana ,  e  non  ha 
alcuna  relazione  con  Tuscolo.  Rimane  ora  la  Colonna: 
in  questa  tjerra  si  riuniscono  insieme  tutte  le  circostan- 
ze sovraindicate,  enumerate  da  Strabene:  essa  è  15  mi- 
glia e  mezzo  circa  distante  dalla  porta  esquilina  ;  anti- 
ca: 6  un  poco  fuori  della  strada  consolare:  sta  sopra  un 
«alle,  che  è  dominato  da  Tuscolo  a  destra:  6  fralla  via 
^labicana  e  Tuscolo:  e  Analmente  trovasi  prima  della  sta- 
zione ad  Pietas,  la  quale  per  la  distanza  da  Roma  con- 
cordemente oggi  si  pone  nel  luogo  denominata  U  Ma-' 
cerie  ,  nome  derivato  dalle  macerie  ,  ossia  dalle  rovine 
frantumate  della  stazione  medesima.  *^'t**^'**M  *^  /^Ai*^^ 
E  quel  colle,  sul  quale  è  oggi  la  '  ttìrta  "é  atóéitìfssi-^ 
mo,  ed  è  l'ultimo  contrafforte  de'raonti  tusculani  verso 
settentrione ,  sotto  il  quale  spalancansi  vaste  campagne 
fertili ,  e  sinuose  ,  che  ricordano  l'  ager  laòicanus  degU 
antichi  ;  quindi  non  poteva  isfuggire  ai  primi  coloni  di 
^questa  parte  d' Italia.  Il  nome  variamente  si  scrive  ne- 
gli antichi  scrittori  colla  R,  e  colla  V,  leggendosi  egual- 
mente Labieum ,  e  Lavicum,  Lahicani  e  Lavicani  per  la 
strietta  analogia  di  suono  che  passa  fra  quelle  due  let- 
tere e  Ja  iscrizione  mortuaria  di  Partenio,  rinvenuta  ne' 
dintorni  della  Colonna,  sul  declinare  del  secolo  XVIII, 
riferita  dal  Fabbretti  nella  sua  opera  degli  Acquedotti 
Diss.  Ili  n.  XXXI  ed  oggi  esistente  nella  vigna  di  Ge- 
sù e  Maria  1  m.  distante  dalla  Colonna  lo  dice  arca- 
wo,  cioè  tesoriere  reI.  pvblicae  lavicanorvm   qvinta- 

NENSIVM. 

L'onore  della  fondazione  di  Labico  sembrerebbe  do- 
versi  dare  ai  Tusculani ,  così  vicini ,  e  così  potenti  :  «è' 
questa  congettura  potrebbe  avvalorarsi  col  noto  verso  di 
Virgilio  lib.  VII  V.  796  quasi  che  esistesse  prima  della 
fondazione  di  Albalonga.  -■*^^^  ^'^ 

•  Et  Sacranae  acies  et  picti  seuta  Lc^Mif^''-  -^f*^  ^^-'^ 


160 

Ma  Tusculo  stesso  alla  epoca  della  A'enuia  di  Enea 
non  esisteva,  poiché  fu  fondato  da  Telegono  figlio  di  U- 
li^se  e  di  Circe ,  quindi  tale  supposizione  cade  da  per 
se, stessa.  Dall'altro  canto  Dionisio  la  fa  posteriore  alla 
guerra  di  Enea  ,  dicendola  colonia  degli  Albani  nel  libro 
Vili ,  e  perciò  io  credo  ,  che  come  tante  altre  venisse, 
fondata  da  Latino  Silvio,  e  che  Virgilio  solo  per  prole- 
psi  la  nomini  colle  altre  città  che  presero  le  armi  con- 
tro di  Enea,  onde  indicare  gli  abitanti  di  quella  contra- 
da dove  poi  sorse  Labico.  Durante  il  governo  de' re  di 
Roma  non  si  ricorda  mai  questa  città  nella  storia;  ma-, 
dopo  la  loro  espulsione  Dionisio  nel  lib.  V,  enumera  i 
Labicani  frai  popoli  che  presero  le  armi  a  favore  de' 
jArquinii;  e  ciò  non  poteva  non  accadere  per  la  influen- 
zila e  la  possanza  della  vicina  Tusculo,  di  cui  era  dit- 
tatore il  genero  del  re  profugo.  Avvenuta  la  battaglia 
(lescritta  cosi  graficamente  da  Livio ,  fatta  la  pace  frai 
Bomani  e  i  Latini  collegati,  i  Labicani  la  mantennero 
con  tanta  vigorìa  che  fecero  una  forte  resistènza  agli 
assalti  di  Coriolano,  allorché  quell'lcsule  andò  centra  le 
città  suddite,  od  alleate  della  sua  patria:  presa ,  dopo 
molta  fatica,  fu  saccheggiata,  e  gli  abitanti  vennero  po- 
siti in  schiavitù  secondo  Dionisio  nel  libro  Vili,  Livio^ 
però  lib.  IL  e.  XXXIX  non  fa  che  indicarne  |la  pre- 
sa l'anno .  265  di  Roma,  senza  entrare  in  altri  particorl 
lari.  Riavutisi  da  quella  sciagura  i  Labicani  videro  de- 
vastare le  loro  campagne  dagli  Equi,  commandati  da 
Gracco:  Livio  lib.  III.  e.  XXVI.  Nel  339  però  si  col- 
legàrono  essi  stessi  cogli  Equi,  si  posero  a  devastare 
l'agro  tusculano  e  misero  campo  sull'Algido.  Il  dittato- 
re Q.  Servilio  Prisco  vinti  in  battaglia  i  due  popoli  col- 
legati si  volse  centra  Labico  stesso,  circondò  la  città, 
la  prese  di  assalto,  e  la  die  in  preda  al  saccheggio;  af-_ 
Jfìne  poi  di  tenerla  in  dovere  per  l'avvenire  vi   fu  de- 


161 
4olta  una  colonia  dì  1500  cittadini  frai  quali  tennero 
divisi  3000  iugeri  dell'  agro  labicano,  dandone  due  per 
ciascun  colono,  indizio  della  vastità  del  territorio:  veg- 
gasi  Livio  lib.  IV.  e.  XLV.  e  seg.  Tre  anni  dopo  però 
i  nuovi  coloni  furono  soggetti  alle  devastazioni  de'Bola- 
ni,  il  cui  territorio  dicesi  da  Livio  confinante  col  labi- 
cano: Excursiones  inde  in  confinem  agrum  labicanum  fa- 
ctae  erantf  novisque  colonis  bellum  illatum.  L'anno  375  por- 
tarono lamenti  in  senato  insieme  co'  Tusculani  e  co'  Ga- 
bini  contra  i  Prenestinij  ma  i  loro  ricorsi  non  furono 
riconosciuti,  come  fondati,  al  dire  dello  stesso  storico  lib. 
VL  cap.  XXL  Nella  scorreria  di  Annibale  contra  Roma 
l'anno  543  dopo  la  fondazione  e  211  avanti  la  era  vol- 
gare, soggiacque  l'agro  labicano  a  nuove  desolazioni,  di- 
cendo Livio,  che  quel  feroce  cartaginese,  per  la  via  la- 
tina, per  frusinatem,  ferentinatemque,  et  anagninum  agrum 
in  lavicanum  venit.  Lib.  XXVL  e.  IX. 

Sul  declinare  della  repubblica,  forse  a  cagione  del- 
la guerra  sillana,  Labico  era  venuto  in  tale  decadimen- 
to ,  che  Cicerone  nella  orazione  prò  Piando  e.  IX.  no- 
mina questa  città  insieme  con  Boville  e  Gabii,  come  u- 
na  di  quelle,  così  esinanite,  da  trovare  appena  qualcuno 
che  potesse  rappresentarle  nelle  ferie  latine:  e  non  mol- 
ti anni  dopo  Strabene  nel  passo  riferito  di  sopra  la  di- 
ce affatto  diruta  e  deserta.  A  quella  epoca  nel  suo  ter- 
ritorio era  una  villa  imperiale,  nella  quale  Cesare  avea 
fatto  il  suo  testamento,  secondo  Svetonio  e.  LXXXIII, 
sei  mesi  innanzi  la  sua  morte,  e  questa  villa  contribuì 
a  farla  risorgere,  come^pure  la  stazione  prossima  sulla 
via  labicana,  che  per  testimonianza  dell'Itinerario  di  An- 
tonino, e  della  Carta  si  disse  ad  Quintanas,  probabilmen- 
te perchè  era  al  XV.  mìglio  da  Roma.  Quindi  io  credo, 
che  poco  dopo  Strabone ,  questa  città  cominciasse  a  ri- 
fiorire, e  come  municipio  trovasi  indicata  nella  lapide  no- , 

11 


162 

tata  di  sopra  col  tìtolo  di  RESPVBLICA  LAVICANORVM 
QVINTANENSIVM  e  per  maggior  commodo  in  luogo  di 
stare  fuori  della  strada  sul  colle,  avrà  occupato  la  fal- 
da di  esso  che  domina  iramediatamante  la  via  consolare 
presso  la  odierna  stazione  detta  la  Osteria  della  Colon^ 
na,  la  quale  è  succeduta  all'antica  detta  ad  Quintanas. 

La  frequenza  della  via  mantenne  prospera  questa 
nuova  città  anche  per  una  parte  de'  secoli  bassi ,  a  tal 
segno,  che  era  sede  vescovile,  rimanendoci  ancora  i  no^ 
mi  di  nove  di  essi,  dall'anno  649  fino  a  circa  il  1100} 
e  sono  Luminoso ,  che  sottoscrisse  al  Concilio  Romano 
nel  649,  Pietro,  che  sottoscriisse  in  quello  del  761,  Lu- 
nisso  che  vivea  nel  964,  Benedetto  del  998,  Domenico 
del  1026,  Pietro  IL  del  1059,  Minuto  del  1089,  Bobo- 
ne  del  1095 ,  e  finalmente  Bonone  che  fioriva  ai  tempi 
di  Pasquale  II  ne'primi  anni  del  secolo  XI I.  Dopo  quel 
tempo  non  se  ne  incontrano  altri,  onde  credo  che  quel- 
la sede  cessasse  verso  quella  epoca.  Veggasi  su  tal  pro- 
posito il  tomo  X.  della  Italia  Sacra  dell' Ughelli  p.  119, 
Intanto  però,  che  andava  spopolandosi  il  Labicum  Quin- 
tanense ,  ripopolavasi  sul  colle  il  Labicum  primitivo  ,  e 
siccome  per  qualche  colonna  superstite,  il  colle  avea  no- 
me di  Columna,  perciò  anche  la  terra  lo  ricevè.  E  qui 
debbo  notare,  che  non  dee  confondersi,  come  qualcuno 
ha  preteso,  questa  località  con  quella  che  leggesi  ricor- 
data da  Livio  lib.  III.  e.  XXIII,  col  nome  di  ad  Colu- 
inen,  giacché  essendo  quella  per  testimonianza  dello  stes-' 
so  storico  in  Algido,  stava  per  conseguenza  sulla  via  la- 
tina ,  dove  questa  esce  dalle  gole  dell'  Algido  circa  20 
miglia  distante  da  Roma  per  la  via  latina,  ed  almeno  7 
più  oltre  della  Osteria  della  Colonna. 

La  prima  memoria,  che  abbia  trovato  di  questa  ter- 
ra sotto  tale  denominazione  appartiene  all'anno  1053,  in 
ch«  una  contessa  Emilia,  signora  di  Palestrina,  passò  in 


163 
seconde   nozze  con  un  personaggio  de  Columna ,  che    è 
il  più  antico  rampollo  noto  della  celebre  casa  Colonna, 
che  essendo  originaria  di  questa  terra  ne  assunse  il  no- 
me. L'anno  1074  papa  Gregorio  VII.  concedette  la  metà 
di  questo  castello,  giacché  castellum  lo  chiama,  colle  chie- 
se di  s.  Salvatore,  di  s.  Maria  in  Oliveto,  e  di  s.  Lo- 
renzo, detta  Marmorio  al  monastero  di  s.  Paolo:  vegga- 
si  la  bolla  di  tale  investitura  inserita  dal  Margarini  nel 
Bullarium    Cassinense  Tomo  II.  Poco  dopo  però  ,  fu  in- 
vasa da  famiglie  potenti,  e  faziose,  onde  il  papa  Pasqua- 
le II.  nel  1101  uscito  ad  oste  ricuperolla   insieme   con 
Cave ,  e  con  Zagarolo ,  siccome  si  legge  nella  sua   vita 
scritta  da  Pandolfo  Pisano  presso  il  Muratori  Rerum  I~ 
talk.   Script.  T.  III.  P.  I.  pag.  355.    Anacleto  II.  nella 
bolla,  con  che  confermò  i  beni  del  monastero  di  s.  Pao- 
lo Tanno  1143,  nomina  di  nuovo  la  metà  della  Colonna, 
e  le  chiese,  come  Gregorio  VII;  non  cosi  Innocenzo  III. 
in  quella  dell'anno  1203,  nella  quale  ricorda  soltanto  le 
chiese  di  s.  Lorenzo  Marmorio,  e  di  s.  Maria  in  Olive- 
to, indizio,  che  a  quella  epoca  la  Terra  era  stata,  o  a- 
lienata,  o  incorporata  nel  dominio  pontificio;  e  questa  se- 
conda opinione  mi  sembra  piìi  probabile ,  poiché  nella  sto- 
ria di  Riccobaldo,  inserita  dal  Muratori  ne'iJer.  Itul.  Scri- 
pt. T.  IX.  leggesi   alla  p.  144.  che  circa   questi    tempi 
Nepi,  e  la  Colonna  furono  assediate  e  prese.  Come  Cc^ 
strutn,  senza  notare  in  mano  di  chi  fosse,  ricordasi  nel- 
la bolla  del  1217 ,  data  da  Onorio  III ,  ed  inserita  nel 
primo  tomo  del  Bollarlo   Vaticano.  Un  documento  però 
pubblicato  dal  Petrini  nelle  Memorie  Prenestine  p.  411 , 
ed  esistente  nell'archivio  della  Casa  Colonna  è  una  pro- 
va positiva,  che  nel  1252  i  Colonnesi  ne  erano  in  pos- 
sesso pacifico,  e  che  in  quell'anno  ai  7  di  febbraio,  nel- 
la divisione  de 'beni  di  Oddone  e  Giordano  CoIoana,  si- 

•  fI0Ìo3  .  IsliOi)-  t.U'i^>   ìm."  JU-i-^h*-»   hi   »«A:>'Jt^  >i>yw    i»?hbu^ 


164 

gnori  di  Palestrina,  fatta  sotto  l'arbitrio  di  Gioraniii  Co- 
lonna ,  frate  domenicano ,  Pietro  figlio  di  Oddone  ebbe 
Gallicano,  s.  Cesario,  e  Camporazio;  ed  Oddone  figlio  di 
Giordano  ottenne  Palestrina,  Capranica,  Zagarolo,  e  la 
Colonna  oltre  varie  altre  possidenze.  Nel  determinare  i 
confini  del  Castrum  Columnae  s'indicano  i  territori  di  Za- 
garolo, s.  Cesario,  Rocca  Priora,  Monte  de  Compatris, 
Monte  Porcio,  Prati  Porae,  Passarano,  e  Castiglione,  che 
sembra  essersi  fin  da  quella  epoca  cominciato  a  popola- 
re. Torna  a  ricordarsi,  come  proprietà  de'Colonna  in  un* 
altra  carta  del  1292   riportata  dallo  stesso  Petrini   alla 

pag.     418.    ./j:>i»     'J-c'ì^-'l     ■  iuiiii;!-.!.  '■■?'    5 

Nella  guerra!  fi'a  Bonifacio  Vili;  ^é  ì  Colonnesi  fit- 
nel  1297  presa  dai  pontificii,  dopo  Palestrina,  e  nell'an- 
no seguente  diroccata,  siccome  può  leggersi  in  Tolomeo 
Lucense  presso  Muratori  nella  raccolta  de' Rerum  Italie. 
Script.  Tom.  XI.  p.  1219,  e  nel  reclamo  avanzato  dai 
Colonnesi  dopo  la  morte  di  papa  Bonifacio  tratto  dall' 
archivio  di  Castel  s.  Angelo  dal  Petrini  pag.  429.  Ma 
come  tornò  poco  dopo  a  risorgere  Palestrina,  fu  ristau- 
rata  ancora  questa  terra  ,  che  vien  ricordata  nella  vita 
di  Cola  di  Rienzi  pubblicata  dal  Muratori  Ant.  Med.  Ae- 
vi Tomo  IH.  Pi  535,  nella  quale  si  afferma,  che  il  tri- 
buno l'anno  1353  vi  pose  un  presidio  di  fanti  e  di  ar- 
cieri, allorché  andò  contra  i  Colonnesi  di  Palestrina.  Nul- 
l'altro  sappiamo  di  questa  Terra  dopo  quella  epoca,  fino 
air  anno  1448,  in  che  venendo  i  Colonnesi  alla  divisio-' 
ne  de'  feudi ,  questo  rimase  a  Lorenzo  Colonna ,  la  cui 
linea  si  estinse  con  tutta  quella  di  Zagarolo  in  Marzio 
Colonna  nel  secolo  XVII.  Poscia  venne  in  potere  de'Ro- 
spigliosi,  insieme  con  Zagarolo  e  con  Gallicano. 

Di  antico  non  ho  potuto  rinvenire  alla  Colonna  al- 
tro che  qualche  frantume  fuor  di  luogo.  La  strada  per 
andarvi  devia  presso  la  Osteria  così  detta  della  Colon- 


165 

na  dalla  Labicana,  od  é  1  miglio  lunga,  e  piuttosto  sco« 
scesa-  Vi  si  può  andare  ancora  da  Frascati ,  passando 
da  Monte  Porzio  ,  sotto  Monte  Compatri  ,  e  questa  gi- 
rando intorno  alle  lacinie  de'monti  tusculani  è  più  lun-<- 
ga  per  chi  vi  va  da  Roma,  contandosi  da  Frascati  alla 
Colonna  buone  5  miglia.  Questa  terra  è  in  uno  slato  di 
spopolamento  contandovisi  appena  223  abitanti:  dipende 
dal  Governo  di  Frascati,  come  pure  per  lo  spirituale  dal 
vescovo  tusculano. 

Due  miglia  sotto  la  Colonna  é  un  piccolo  lago  en-i 
tro  un  cratere  di  lava,  di  poca  profondità,  e  di  acque 
quasi  palustri  ,  che  certamente  influisce  di  natura  sua 
alla  insalubrità  dell'aria  ne'dintorni,  accresciuta  poi  dal- 
l'uso di  macerarvi  la  canapa,  che  dovrebbe  assolutamen- 
te interdirsi.  È  quasi  aderente  alla  Tia  labicana  a  sinii» 
stra,  circa  13  miglia  e  mezzo  lontano  da  Roma;  la  sua 
circonferenza  è  appena  di  un  terzo  di  miglio,  calcolan- 
do le  irregolarità  delle  ripe  :  ed  ho  molto  dubbio  che 
le  acque  siano  nutrite  da  sorgenti  perenni.  Nulladime- 
no  questa  pozzanghera  per  lungo  tempo  è  stata  credu- 
ta il  famoso  lago  Ragillo  ,  dove  i  Romani  vinsero  per 
sempre  i  Tarquinii,  e  consolidarono  la  forma  republica- 
na.  Prima  che  io  avessi  occasione  di  perlustrare  con  tail4 
to  scrupolo  l'agro  romano,  era  caduto  nello  stesso  erro- 
re, poiché  di  fatto  altri  laghi  oggi  non  esistono  da  que- 
sta parte  ,  dove  è  certo  per  la  testimonianza  di  Livio , 
che  la  battaglia  avvenne,  se  non  il  lago  Gabino,  e  que- 
sto detto  della  Colonna;  ora  siccome  sul  Gabino  non  po- 
trebbe formarsi  alcuna  supposizione  ragionevole,  non  re- 
stava che  questo  al  quale  si  potesse  applicare  il  nome 
di  Lago  Regillo;  mi  stava  però  sempre  fitta  in  mente  u- 
na  difficoltà  di  sommo  peso,  che  Livio,  parlando  di  que- 
sta pugna  nel  libro  IL  e.  XIX.  apertamente  dice  ,  ch« 
i  due  eserciti  si  accozzarono  ad  lacum  Regillum  in  mgro 


166 

tusculano:  ora  tirar  fin  qui  l'agro  tusculano'  con  Labico 
frammezzo  era  alquanto  difficile;  nulladimeno  non  cono- 
scendo la  esistenza  di  altri  laghi  da  questa  parie,  d'uo- 
po era  accordare  l'autorità  di  Livio  col  fatto,  ed  anda- 
re mendicando  ragioni ,  o  quasi  ragioni  per  spiegare  , 
come  quel  ricettacola  di  acque  potesse  stare  entro  i  li- 
miti dell'agro  tusculano  col  labicano  cosi  imminente.  L'an- 
no 1822  stando  a  villeggiare  in  Frascati,  ed  avendo  di 
già  cominciato  a  far  ricerche  per  la  Carta,  volli  ripe- 
tutamente perlustrare  il  tratto  fra  la  strada,  che  con- 
duce da  Frascati  a  Monte  Porzio,  e  la  via  labicaiva,  e 
con  grandissima  mia  sorpresa  e  piacere  rinvenni  il  cra- 
tere di  un  lago  che  fu  disseccato  soltanto  nel  secolo 
XVIL  dai  Borghese  proprietarii  del  fondo,  che  perciò 
suol  designarsi  col  nome  di  Pantano  Secco,  che  eerta- 
mente fu  tanto  considerabile  per  estensione  quanto  il 
lago  Gabino,  e  che  è  nell'agro  tusculano,  e  di  cui  l'e- 
missario artificiale  può  ancora  percorrersi  da  chi  non 
abbia  ribrezzo  de'rettili,  e  soprattutto  delle  vipere  che 
vi  annidano  allettate  dalla  frescura.  Ivi  pertanto  dee  ri- 
conoscersi il  Regillo,  ed  i  dintorni  mostrano  bene,  come 
quella  battaglia  avvenne  siccome  noterò  a  suo  luogo,  v. 
REGILLO^ fi ji'iii'i^q  '^  eiioi- i-j .ij  !•-,/*.  jì  jU-  ì,ì  ;/i  ..:.;. 

-o'i.->    M^.uiK    r""'    .U-h,..   .  w.     .........    ..-.  .:'?    nf.    -.M'^.'    o! 

-?)«p  ih  oa'lAMENTÀNA  v.  NOMENTVM.-  ; 

^  oItìJ  ib  exfifìv'notrrirKOl  ol_iii(|  o'o*  b  Hfoh  ,  •    ì;.]   a)?. 

-ynp  0  ,<)iTuhifl)  LAltfINAS  v.  FERRATA.  '  «l  y.i:^ 
■ùq  non  ó;  '■';  '  '"*'">  <>^' 

«il  no.i  MNVVIVM  -  CIVITA  LAVINIA,  ariaì  »d<i  it 

rtrtfóa  li  3TxìJi1qq<i    ouv^hk]  i*.  aipijp  ìb  oi.-v-.    u!)  f,/;;i.. 

-;,      Teira! della  Comarca  di  Roma,  dipendente  dal  Gd* 

"vetno  di  Genzano,  donde  è  distante  circa  2  miglia  e  mez- 

ui^  a  dèstra- della   strada   postale  di  Napoli  un  mezzo 


167 
miglio,  e  20  miglia  distante  da  Roma,  la  quale  appar- 
tiene con  titolo  di  marchesato  ai  Gesarini ,  e  contiene 
830  abitanti.  Gli  astronomi  Conti  e  Ricchebach  ne  han- 
no determinato  l'  anno  1824  la  longitudine  a  30°.  21'. 
15".  5.  e  la  latitudine  a  41°.  40\  25'.  0-  Essa  corona 
r  ultimo  scaglione  ,  o  contrafforte  della  lacinia  sud-est , 
che  discende  dal  ciglio,  o  cratere  del  lago  nemorense, 
ed  occupa  una  parte  dolPantica  città  latina  di  Lanuvium 
la  quale  per  analogia  di  pronunzia  in  varie  lapidi  an- 
tiche de'tempi  imperiali  si  trova  indicata  col  nome  di 
Lanivium  ,  come  ne'  Fasti  Trionfali  capitolini  si  legge 
LAVINEIS  in  luogo  di  LANVVINEIS  all'  anno  415  di 
Roma.  Quindi  ne'tempi  della  decadenza  fu  detta  Civi- 
tas  Lanivina  e  nel  medio  evo  Civitas  Lavina,  Civitas  La- 
binia,  e  per  corruzione  Civita  Nevina,  Civita  Innivina, 
come  ne'tempi  moderni  Civita  Lavinia,  nome,  col  qua- 
le oggi  si  conosce,  e  cagione  dell'equivoco  preso  da  mol- 
ti che  la  confusero  colla  città  di  Lavinio  ,  fondata  da 
Enea  in  un  luogo  ben  diverso  da  questo  corrisponden- 
te con  la  moderna  borgata  di  Pratica. 

La  posizione  di  Lanuvio  da  Strabonc  nel  libro  V. 
si  determina,  come  di  là  dall'  Aricia,  a  destra  dell'  Ap- 
pia;  da  Appiano  poi  nel  secondo  libro  delle  Guerre  Ci' 
viliy  come  150  stadi,  ossia  circa  19  miglia  lontano  da 
Roma.  Di  sopra  ho  notato  che  attualmente  si  contano 
20  miglia  da  Roma  a  Civita  Lavinia  per  la  strada  po- 
stale di  Napoli;  ma  d'uopo  è  ricordarsi,  che  il  XX  mi- 
glio attuale,  che  s' incontra  poco  dopo  Genzano  corri- 
sponde al  XVIII  antico  della  via  appia ,  per  la  quale 
8Ì  andava  a  Lanuvio,  e  che  ivi  si  distacca  a  destra  un 
diverticolo  antico,  pel  quale  dopo  un  miglio  si  pervie- 
ne alle  falde  del  colle,  che  domina  Civita  Lavinia,  sul 
quale  fu  l'antico  tempio  di  Giunone  situato  nell'acropo- 
li lanuvina  ;  quindi  come  ,  da  un  canto  si  riconosce  in, 

/ 


168 

esattezza  di  Appiano' ,  dall' altro  d'uopo  è  riconoscere' 
anche  per  questa  circostanza  la  situazione  di  Lanuvio 
in  questo  luogo.  D'  altronde  le  rovine  raoltiplici ,  ed  i 
monumenti  esistenti  non  lasciano   luogo  ad  alcun  dubbio. 

La  etimologia  è  ignota  ,  ma  è  da  osservarsi  ,  che 
la  iniziale  LA  è  commune  a  varie  altre  terre  latine 
eome  Lavicum  o  Labicum,  Lavinium  ec.  onde  sembra  es- 
sere la  radice  del  nome  ,  come  la  seconda  parte  V  ag- 
giunto; e  questo  in  Lanuvium  avendo  una  grande  ana- 
logia con  novum,  potrebbe  guidare  a  conoscere  il  signi- 
ficato originale    della  parola.  a  f»/«o;i   f  uui.vìujU 

Lasciando  però  da  banda  queste  ricerche  y  pierché 
involte  in  profonda  oscurità ,  veniamo  alle  notizie  sto- 
riche di  questa  città.  Appiano  nel  luogo-  ricordato  di 
sopra  apertamente  dichiara  averla  fondala  Diomede  tra- 
sportato su  questi  lidi  dai  flutti,  dopo  la  distruzione  di 
Troia  :  ed  il  culto  di  Giunone  ,  che  ivi  osservavasi ,  e 
varii  usi,  erano  pe'  Romani  una  dimostrazione  positiva 
di  questo  fatto:  or  mollo  più  debbono  esserlo  a  noi  che 
tanto  pili  lontani  siamo  da  que'  tempi;  nò  parmi  esiste- 
re ragione  di  alcun  peso  per  riguardare  come  favoloso 
l'arrivo  di  Diomede  in  queste  contrade,  quando  era  un 
fatto  riconosciuto  da  tutta  1'  antichità,  che  egli  avesse 
girato  attorno  alla  penisola  italica.  Ammesso  pertanto,  che 
Lanuvio  fosse  fondato  da  Diomede,  secondo  le  tavole  di 
Petit  Radei  questo  fatto  può  stabilirsi  circa  l'anno  1230 
avanti  la  era  volgare,  o  secondo  le  tavole  communi  cir- 
ca  l'anno  1282. 

Per  la  prima  volta  dopo  la  fondazione  della  Ter- 
ra ì  Lanuvini  compariscono  nella  storia,  circa  700  anni 
dopo.  In  questo  lungo  intervallo  parmi  di  poter  conget- 
turare, che  attesa  la  posizione  sua  nell'ultimo  limite  del 
territorio  latino  e  volsco,  Lanuvio  restasse  indipendente, 
«  come  Ardea  formasse   un  distretto  particolare,  il  qua-. 


169 
le  seppe  conservare  la  sua  importanza  col  mantenere  da 
questa  parte  la  bilancia  frai  due  popoli  limitrofi.  I  La- 
tini specialmente,  considerando,  che  poteva  loro  servire 
di  punta  entro  l'agro  volsco,  da  paralizzare  la  impor- 
tanza di  Corioli,  e  di  Velitrae  accarezzarono  talmente  i 
Lanuvinì,  che  questi  finalmente  entrarono  nella  lega  lo- 
ro, allorché  la  potenza  romana  andava  estendendo  le  sue 
conquiste.  E  come  federati  Ialini  presero  le  armi  per 
rimettere  i  Tarquinii  sul  trono  ,  ed  insieme  cogli  altri 
furono  rotti  nella  battaglia  del  Lago  Regillo.  Conchiu- 
sa dopo  quell'avvenimento  la  pace  co' Romani,  manten- 
nero la  loro  indipendenza,  poiché  l'anno  298  di  Roma, 
cioè  41  dopo  quella  pugna,  narra  Livio  lib.  IIL  e.  XXIX. 
che  M.  Volscio  Fictor,  condannato  come  falso  testimo- 
nio, scelse  per  luogo  del  suo  esilio  Lanuvio.  Era  però 
nel  tempo  stesso  in  pace  co'Romani,  e  questo  stato  con- 
tinuava r  anno  326  di  Roma  in  guisa ,  che  T.  Quinzio 
console,  secondo  lo  storico  sovrallodato,  lib.  IV.  e.  XXYII, 
vi  pose  il  campo  nella  guerra  contro  i  Volsci.  La  vici- 
nanza di  questi  nemici  permanenti  di  Roma,  e  le  loro 
insinuazioni  finirono  collo  scuotere  la  fedeltà  de'  Lanit- 
vini,  i  quali  l'anno  375  finalmente  presero  le  armi  in- 
sieme co'  Volsci  contro  i  Romani.  Livio  lib.  VI.  e.  XXI, 
che  parla  di  questa  mossa  dichiara,  che  anche  i  Lanu- 
vini,  quae  fidelissima  urbs  fuerat,  subitamente  insorsero, 
sttbito  exorti.  L'esito  infelice  che  ebbe  pe' Volsci,  quella 
guerra  avrà  portato  i  Lanuvini  a  venire  ad  un  accom- 
modamento  co'Romani,  nel  quale  si  rimasero  fino  all'an- 
no 417,  in  che  come  parte  della  lega  latina  si  uniro- 
no co'  loro  confederati ,  onde  scuotere  se  era  possibile 
la  supremazia,  che  i  Romani  esercitavano  sopra  i  La- 
tini. E  in  quella  guerra  furono  gli  ultimi  a  deporre 
le  armi  insieme  cogli  Ariani,  co'Velitemi,  e  cogli  An- 
zitii,  cioè  l'anno  419,  dopo  aver  sofferto  una  rotta  de- 


170 

cisira  sul  fiume  Astura,  siccome  narra  Livio  nel  libro  VII. 
Nella  pace,  che  seguì  quella  guerra,  i  Romani,  secondo 
lo  storico  sovrallodato  lib.  Vili.  e.  XVI.  trattarono  men 
duramente  i  Lanuvini ,  accordarono  loro  la  cittadinanza 
romana,  resero  loro  le  feste  nazionali  ed  i  riti  sacri,  a 
condizione,  che  il  tempio,  ed  il  luco  di  Giunone  Sospita 
fosse  commune  ai  due  popoli  :  Lanuvinis  civitas  data, 
sacraque  sua  redatta  cum  eo  ut  aedes  ,  lucusque  Sospitae 
Junonis  communis  Lanuvinis  municipibus  cum  populo  ro- 
mano esset.  Così  Lanuvio  pacificamente  colle  proprie  sue 
leggi  municipali  si  resse,  e  solo  dipendente  fu  da  Roma 
nel  partecipare  ai  pesi  pubblici,  come  partecipe  era  de- 
gli onori  della  metropoli.  L*  anno  543  ,  nella  mossa  di 
Annibale  contro  Roma  ,  Fulvio  Fiacco  mandò  messi  a 
Lanuvio,  come  agli  altri  municipii  che  erano  lungo  la 
via  appia,  perchè  pronte  avessero  le  vettovaglie  nelle  città^ 
e  quelle,  che  trovavansi  ne*  campi,  fuori  di  strada,  le  por- 
tassero sulla  via,  onde  provvedere  al  suo  passaggio:  che 
raccogliessero  i  presidii  nelle  città,  e  ciascuna  prendesse 
a  se  le  redini  del  governo.  Appiano  nel  libro  primo  delle 
Guerre  Civili  ci  ha  conservato  la  memoria,  che  Mario,  sa- 
pendo, esser  Lanuvio  una  delle  città,  che  servivano  di  gra- 
naio per  l'approvvigionamento  di  Roma,  se  ne  impadronì 
per  sorpresa,  come  fece  pure  dell'Aricia,  di  Anzio,  e  di 
altre  città.  Questa  occupazione  la  fé  soggiacere  a  gravi 
disastri,  onde  caduta  in  debolezza  grande  fu  da  Cesare 
colonizzata  siccome  afferma  l'autore  del  trattato  de  Colo- 
niis  attribuito  a  Frontino,  dal  quale  apparisce  che  era 
cinta  di  mura.  Poco  prima  di  questa  deduzione  di  colo- 
nia, Cicerone  la  qualifica  nel  fine  della  orazione  a  favor 
di  Murena  come  municipio  onestissimo:  e  come  munici- 
pio si  raggeva  allora  ancora  colle  proprie  sue  leggi  e  creava 
il  suo  magistrato  supremo  annuale  col  nome  di  dittatore, 
officio  diche  era  rivestito  Milone,  come  apprendiamo  dalla 


171 

orazione  delta  dallo  stesso  oratore  a  favore  di  quel  per- 
sonaggio. Nel  tempio  lanuvino  conservavansi  tesori  ,  i 
quali  secondo  Appiano  nel  lib.  V.  delle  Guerre  Civili  fu- 
rono da  Ottaviano  tolti  ,  onde  servirsene  nella  guerra 
contro  Lucio  Antonio.  E  nella  divisione  che  fece  delle 
terre  ,  per  testimonianza  di  Fortino  sovraindicato  ,  una 
parte  dell'agro  lanuvino  fu  da  lui  assegnata  ai  veterani , 
ed  un'altra  alle  vergini  vestali,  divisione,  che  poscia  fu 
abrogata  da  Adriano,  il  quale  restituì  ai  coloni  le  terre. 
Svcfonio  nella  vita  di  Augusto  e.  LXXII.  dice  che  quel- 
l'imperadore  frequentava  particolarmente  per  suo  diporto 
fralle  città  prossime  a  Roma,  Lanuvio,  Preneste,  Tibur  ce. 
È  stato  di  già  notato  da  altri  ,  che  sebbene  in  origine 
ben  diverso  fosse  lo  stato  di  municipio  da  quello  di  co- 
lonia, sebbene  durante  la  repubblica  per  le  \icis$iludini 
de'  tempi  dallo  stato  di  municìpio  si  passasse  a  quello  di 
colonia,  dopo  lo  stabilimento  dell'impero  questi  due  no- 
mi si  trovano  sovente  scambiati  negli  scrittori,  quasi  fos- 
sero fra  loro  indifferenti,  e  sinonimi:  e  questo  avvenne 
appunto  ai  Lanuvini,  che  mentre  da  quanto  si  espose  era 
almeno  fin  da'  tempi  di  Giulio  Cesare  divenuta  colonia, 
sotto  Tiberio  da  Tacito  Annoi,  lib.  III.  e.  XLVIII.  si 
dice  municipio,  e  da  Frontino,  o  chiunque  pur  sia  l'au- 
tore del  libro  de  Coloniis^  si  dice  sotto  Adriano,  di  nuovo 
colonia. 

''*''  Lanuvio  per  la  sua  situazione  e  pel  tempio  di  Giu- 
none si  era  sempre  sostenuta;  crebbe  però  in  splendore 
dopo  che  Antonino  Pio,  che  vi  avea  avuto  i  natali  l'an- 
no 86  della  era  volgare,  secondo  Capitolino  e.  I.  adot- 
tato da  Adriano  pervenne  all'  impero.  Quell'  ottimo  au- 
gusto, il  suo  figlio  adottivo  Marco  Aurelio,  e  l'indegno 
successore  di  questo,  Commodo,  nato  anche  egli  presso 
questa  città,  secondo  Lampridio  e.  I,  ne  amarono  parti- 
colarmente il  soggiorno,  e  vi  ebbero  una  villa  magnifica, 


172 

la  quale  nel  secolo  passalo  die  alla  luce  yarii  monumenlì 
insigni,  come  il  busto  di  Elio  Cesare  ,  quello  di  Annio 
Vero,  quello  di  Commodo  giovanetto,  la  statua  conosciuta 
col  nome:  di  Zenone,  il  gruppo  di  Amore  e  Psiche,  ee. 
che  si  ammirano  nel  Museo  Capitolino.  E  Commodo  per 
tostimonianza  di  Lampridio  nominato  di  sopra  ebbe  il 
nome  di  Ercole  Romano,  quod  feras  Lanuvii  in  amphi- 
thecUro  occidisset  :  erat  enim  haec  illi  consuetudo,  ut  domi 
bestias  inter/iceret.  Egli  forse  vi  coslrusse  l'anfiteatro,  ed 
il  teatro  ,  giacché  vedremo  più  sotto  che  le  rovine  di 
esso  scoperte  1'  anno  1832  alla  epoca  di  Commodo  ap- 
partengono. Due  iscrizioni  riporta  il  Volpi  nel  tomo  V. 
dal  suo  Latium  p.  23.  25.  dalle  quali  apparisce,  che  ai 
tempi  di  Alessandro  Severo  fu  due  volte  curatore  della 
repubblica  de'  Lanuvini  Caio  Cesonio  Macro  Rufiniano 
e  che  Ottacilla  moglie  di  Filippo  fece  qualche  beneficio 
a  questa  città:  ed  è  da  osservarsi  in  queste  la  ortogra- 
fia Lanivium  aver  di  già  preso  piede.  La  caduta  del  pa- 
ganesimo portò  un  colpo  fiero  a  Lanuvio,  poiché,  chiuso 
il  tempio  di  Giunone  ,  che  era  uno  de'  santuari  princi- 
pali del  Lazio,  dìsper -il  i  sacerdoti,  cessate  le  feste,  cessò 
ancora  il  concorso,  e  por  conseguenza  la  sorgente  prin- 
cipale delle  ricchezze.  A  questa  prima  causa  immanti- 
nente tenne  dietro  l'altra  delle  scorrerie  de'  barbari,  che 
devastarono  le  terre,  che  si  trovavano  a  destra  e  sinistra 
della  via  appia;  e  quindi  quelle  de'  Greci,  e  de'  Goti  nel 
secolo  VI;  de'  Saraceni  ne'  secoli  IX.  e  X;  e  de'  tiranni 
che  scesero  da  tutte  lo  {«irti  ne'  secoli  susseguenti,  che 
facendosi  vicendevolmente  fra  loro  la  guerra  devastavano 
le  possessioni  usurpate.  Lanuvio  sembra  ,  che  in  qual- 
cuna di  queste  scorrerie  rimanesse  deserta  affatto,  almeno 
fino  al  secolo  XIII,  poiché  non  solo  non  se  ne  incontra 
mai  la  memoria  negU  scrittori  del  tempo ,  e  ne'  docu- 
menti, ma  neppure  ho  trovato  sul  luogo  alcun  avanzo  , 


173 

che  possa  assegnarsi  all'  intervallo  che  passò  fra  il  se- 
colo V.  ed  il  secolo  XIII.  e  questa  circostanza  partico- 
larmente mi  fa  supporre  che  di  poco  posteriore  al  prin- 
cipio di  quel  secolo  di  devastazione,  io  voglio  dire  del  V. 
fosse  l'abbandono  di  questa  città. 

Nel  fabbricato  della  Terra,  messo  da  canto  l'anti- 
450,  ed  il  moderno  io  ravviso  due  sole  epoche,  la  opera 
saracinesca  del  secolo  XIII ,  che  è  la  più  commune  ,  e 
quella  informe  del  secolo  XV.  Quindi  io  credo  che  nel 
secolo  XIII.  tornasse  a  risorgere,  e  che  gli  abitanti  si 
annidassero  sulle  rovine  delle  auliche  fabbriche,  che  co- 
ronavano il  colle  meridionale  della  città  antica.  Il  Ratti 
nella  Storia  di  Genzano  p.  47.  48.  ec.  mostra,  che  nel 
secolo  XIII.  era  del  monastero  di  s.  Lorenzo  fuor  delle 
mura,  e  siccome  Onorio  III  Savelli  molto  fece  per  quel 
mionastero  ,  e  ristaurò  ed  abbellì  la  basilica  tale  quale 
oggi  si  vede  ,  quindi  io  credo  ,  che  a  lui  si  debba  il 
ripopolamento  di  Lanuvio,  come  pure  il  nome  attuale, 
e  questa  opinione  viene  avvalorata  dalle  pretensioni,  che 
ebbero  su  questa  terra  i  Savelli  nel  secolo  XIV.  i  quali 
sotto  la  condotta  di  Cristoforo  la  occuparono  l'anno  1378. 
Veggasi  il  Casimiro  p.  193.  Un  atto  riportato  dal  Ne- 
rini  nella  storia  di  s.  Alessio  p.  526  appartenente  all'an- 
no 1358  è  la  memoria  positiva  più  antica,  che  io  abbia 
trovato  di  questa  terra  sotto  il  nome  odierno,  poiché 
in  esso  si  ricorda  un  Cencio  Palgiciae  de  Civitate  Lahi- 
niae  :  e  nel  1360  in  un  altro  documento  riferito  dallo 
stesso  Nerini  si  ricorda  il  tenimentum  Civitatis  Labinie 
come  uno  de'confini  del  Castrum  Verpose,  oggi  Buonri- 
poso.  Sul  finire  di  quel  secola  Bonifacio  IX  conservan- 
do sempre  il  diritto  del  monastero  di  s.  Lorenzo  fuor 
delle  mura,  la  die  a  Cecco  Durabile  in  vicariato  ad  be- 
neplacitum.  Giovanni  XXIII  con  bolla  data  l'anno  1410 
a  favore  di  Giovanni  e  ^"iccolò  Colonna.,  investì  questi: 


174 

due  nobili  romani  del  possesso  del  Castrum  Civitatis  La- 
vinte,  ricordando  sempre  il  dominio  diretto  di  s.  Loren- 
zo fuor  delle  mura.  Veggasi  il  Ratti  Storia  di  Gemano 
p.  124:  e  questa  è  la  prima  volta,  che  i  Colonna  com- 
pariscono nel  dominio  di  questa  Terra,  la  quale  secon- 
do la  bolla  sovraindicata  allora  apparteneva  a  titolo  di 
commenda  ai  card.  Giordano  Orsini,  ed  Oddone  Colon- 
na, che  poi  fu  papa  Martino  V.  I  Colonna  la  ritennero 
pacilicamente  fino  all'  anno  1436  ,  quando  per  testimo- 
nianza dell'  Infessura  nel  Diario  riportato  dal  Muratori 
Rer.  Italie.  Script.  T.  HI.  P.  LI.  p.  1127  fu  presa  dal  Vi- 
telleschi.  Sul  finire  di  quel  secolo  ebbe  questa  Terra  mol- 
to a  soffrire  nella  guerra  di  Sisto  IV.  descritta  dal  Nan- 
tiporto,  e  da  un  Anonimo,  scrittori  contemporanei  inse- 
riti dal  Muratori  nella  raccolta  sovraindicata  T.  III.  P.  IL 
p.  1075  ,  1094 ,  1100 ,  ec.  Da  questi  scrittori  ricavasi, 
che  nel  1482  fu  assediata,  e  presa  dal  duca  di  Calabria 
al  primo  di  agosto,  e  che  tre  giorni  dopo  fu  presa  an- 
che la  rocca.  Partito  il  duca  di  Calabria  fu  occupata  dal 
papa  e  data  agli  Orsini  l'anno  148;ì.  I  Colonnesi  si  pre- 
sentarono poco  dopo  sotto  la  terra,  l'assalirono  e  la  pre- 
sero con  grave  strage  de'  loro  avversarii.  Essi  la  riten- 
nero fino  ai  19  febbraio  dell'anno  seguente  1486,  allor- 
ché con  gran  strage,  dopo  molta  fatica  venne  espugnata 
dalle  genti  del  papa,  alle  quali  si  rese  a  discrezione.  Da 
quella  epoca  in  poi  communi  furono  le  vicende  di  Ci- 
vita Lavinia ,  Genzano ,  ed  Ardea.  Rimasta  la  Terra  ai 
Colonna,  fu  questa  venduta  da  Marcantonio  a  Giuliano 
Cesarini  l'  anno  1564 ,  e  nel  1586  eretta  in  marchesa- 
to; ed  i  Gesarini,  come  notossi  in  principio,  ancora  la 
ritengono.  ^-wc...  .■•, 

Da  Genzano,  poco  dopò  aver  passato  il  segno  mi- 
liario XXI  ,  che  appartenendo  alla  vecchia  strada  di 
Pio  VI.  corrisponde  al  XIX  e  mezzo  della  strada  attua- 


175 

lo,  un  ditcrticolo  a  destra  conduce  a  Civita  Lavinia,  os- 
sia l'antico  Lanuvium.  Questo  diverticolo  eccede  di  po- 
co un  mezzo  miglio;  la  via  sebbene  sia  tortuosa  è  però 
certamente  sulle  traccie  di  una  strada  antica,  che  anda- 
va da  Lanuvio  a  sboccare  nell'Appia  presso  la  stazione 
di  Sub  Lanuvio,  oggi  s.  Gennaro:  dopo  circa  200  passi 
vedesi  a  destra  un  masso  di  muro  costrutto  di  scaglie 
di  selce,  fatto  per  reggere  le  terre  sovrapposte,  ed  ivi 
la  strada  comincia  leggermente  a  salire:  diviene  poco  do- 
po la  salita  alquanto  più  sensibile  ,  e  dopo  una  breve 
spianata  comincia  a  discendere  presso  ad  una  chiesuola, 
accanto  alla  quale  è  il  casino  già  de'Bonelli,  ed  ora  dei 
Dionigi.  Dinanzi  a  questo  è  un  cortile  ornato  di  fram- 
menti di  sculture  antiche,  e  di  lavori  moderni:  frai  fram- 
menti antichi  sono  degni  di  osservazione  un  pezzo  di 
statua  ben  panneggiata  a  destra  della  porta  d'ingresso: 
ed  i  bassorilievi  a  sinistra ,  rappresentanti  Genii  sopra 
delfini,  altri  che  si  battono,  Bacco  sdrajato,  ec.  Lo  stato 
del  casino  mostra  in  generale  un  certo  abbandono  ;  di 
fronte  una  lapide  ricorda,  come  l'anno  1723  Carlo  Bo- 
nelli  co'  suoi  nipoti  vi  riceverono  Jacopo  III  e  Maria  Cle- 
mentina sua  moglie.  Nel  portico  del  casino  è  una  sta- 
tua togata,  posta  sopra  un  piedestallo  non  suo,  che  ha 
la  epigrafe  seguente  la  quale  rammenta  il  nome  di  Caioj 
Domazio  Rufo  pretore:  ^liio.rli  .^'i 

-i^i.»  li  oqod •  ,9J'4Kq  iVì?5rrp  ni  sh'him  uì  sluiolv  ,  f*oon 
it^ai9^''>h  iii'm  nGkk  DOMATIVS  .  C  .FvRÌ/  ui  ogaoi  ,orf 

Questo  casino  è  tutto  fondato  sopra  sostruzioni  antiche 
di  muri  costrutti  di  scaglie  di  selce.  Sotto  di  esso  dal 
cauto  rivolto  ad  oriente  uell'oliveto  furono  fatti  scavi 
l'anno  1826  e  si  rinvennero  armi  di  ferro  di  ogni  genere, 
-«»¥»  il^  i?.nog>i37  ««¥tiq  iii>;>iq  in  <>ì>41K'i>»?»  ,i}bfi*t  ùhh 


176 

laiicie,  spade,  veruti,  molti  uteasiK  e  la  lapide  seguen- 
te di  marmo  lesbio  : 

-«h«f^  ,1  A  .CASTRICIVS.MYRIO 
TALENTI  .  F  .  TR  .  MIL.PRAEF.EQ 

i    ,  ET   .   CLASSIS  .  MAG   .  COLLEG 

',i!>^fiM  i  LVPERCOR  .  ET  .  CAPITOLINOR 
In  i)y  ,   ET  .  MERCVRIAL  .  ET  .  FA..  A....   />,l'j.  iì, 
oh  o-io  ;  NOBa.   AVENTIN    .    XXVI    .    VIR  a,fir»?  b! 
■  ^r'nù  r.n«   uph    MONI   .   PER   .   PLVRES  .  ' 

.dow^-oid:).  i;u!;  Ur.  .     .     .    SORTITIONIBVS  . 
hh  ino  1u>  ^illftijoa  -*!-     DIS  .  REDEMPTIS  . 

Qttesla  lapide  é  particolarmente  importante  per  i  molti 
oflScii  che  ebbe  quest'Auto  Castricio,  il  cui  padre  Ta- 
lento gli  die  il  cognome  di  MYRIO:  ora  è  noto  che  se 
un  Talentum  valeva  1000,  Myria  equivaleva  a  10,000; 
quindi  sembra  che  questa  famiglia  si  compiacesse  de'co- 
gnomi  derivanti  dalle  ricchezze.  E  questi  fu  tribuno  mi- 
litare, generale  di  cavalleria,  ammiraglio  ,  in  Roma  mae- 
stro, cioè  capo  del  collegio  de'Lupcrci,  de'CapitoIini,  de* 
Mercuriali  palatini  ed  aventinensi,  e  XXVI  viro:  la  ul- 
tima linea  sembra  doversi  supplire  PRAEDIS  REDEM- 
PTIS, e  dimostra,  perchè  ottenesse  questo  monumento. 
Essa  probabilmente  era  nel  vicino  tempio  e  luco  di  Giu- 
none ,  donde  fu  rotolata  in  questa  parte.  Dopo  il  casi- 
no, lungo  la  via,  sulla  stessa  mano  è  una  casa  de'tempi 
bassi,  che  presenta  un  portichetto  in  parte  murato,  pel 
quale  servironsi  di  rocchi  di  colonne  antiche  scanalate 
di  ordine  dorico,  di  pietra  locale  vulcanica,  simile  a  quel-  ' 
la,  che  chiamano  sperone,  i  quali  appartennero  ad  un  por-  » 
tico,  che  or  ora  verrà  indicato.  ^ 

Dirimpetto  al  casino  Dionigi,  sulla  sponda  opposta  > 
della  strada,  entrando  in  predii  privati  veggonsi  gli  avan- 


177 

li  delle  sostruzionì,  che  a  scaglioni  reggevano  il  ripia- 
no sulla  cima  del  quale  sorgeva  il  tempio  di  Giunone 
Lanuvina.  Il  primo,  ed  il  secondo  muro  ,  che  fiancheg- 
giano il  colle,  sono  di  opera  incerta,  ed  il  primo  va  a 
legarsi  verso  mezzodì  con  un  fabbricato  antico  dello  stes- 
so lavoro,  ridotto  a  montano  e  pertinente  ai  Dionigi.  Que- 
sto edificio  è  addossato  alla  falda,  e  nell'interno,  quan- 
tunque sia  orribilmente  deformato,  rimjmgono  traccie  di 
uno  stucco  solidissimo  dipinto  a  compartimenti  a  fondo 
rosso;  forse  questa  fabbrica  è  parte  delle  abitazioni  de* 
sacerdoti ,  ovvero  servi  di  sacrario ,  o  di  archivio.  Nel 
punto  in  che  la  sostruzione  si  lega  con  questo  edificio 
sono  gl'indizii  di  una  porta,  la  quale  introduceva  nel  ri- 
piano fra  le  due  sostruzioni.  Dinanzi  questa  fabbrica  poi, 
verso  mezzodì,  veggonsi  le  traccie  di  un  condotto  e  di 
una  conserva  de'tempi  della  decadenza,  e  presso  questi 
un  muro  di  opera  incerta.  Seguendo  l'andamento  di  que- 
sta prima  sostruzione  1'  anno  1826  fu  scoperto  un  nic- 
chione  ,  o  sedile  rettilineo  colla  iscrizione  seguente  in- 
cisa sui  peperino:  GVRIA  CLODIA  FIRMA  in  caratteri 
di  forma  non  bellissima.  Sembra,  che  in  questa  parte  in 
luogo  di  una  sostruzione  si  aprisse  un  colonnato  di  or- 
dine dorico,  al  quale  appartengono  i  rocchi  indicati  di 
sopra:  due  delle  basi  esistono  sul  luogo,  ed  hanno  cir- 
ca 4  piedi  antichi  di  diametro  maggiore.  Sopra  la  nic- 
chia, o  sedile  testé  indicato,  il  secondo  muro  di  sostru- 
zione forma  un  angolo  ottuso.  Il  terzo  scaglione  che  è 
il  più  erto  di  tutti,  e  che  regge  il  ripiano  proprio  del 
tempio ,  ha  verso  mezzodi  un  pezzo  di  muro  di  opera 
incerta,  verso  oriente  poi  la  falda  è  retta  da  nicchioni 
di  opera  reticolata,  e  contrafforti;  e  sopra  questo  ripia- 
no una  leggera  elevazione  determina  il  sito  del  tempio, 
che  come  tutti  gli  altri  templi  principali  del  Lazio  anti- 
co avea  la  fronte  rivolta  verso  sud-ovest.  Dinanzi  ad  cs- 

12 


178 

so  è  una  conserva  a  tre  aule ,  rette  da  cinque  pilastri 
ciascuna^  la  quale  servì  per  le  abluzioni  e  per  gli  altri 
usi  sacri.  E  circa  a  questo  tempio,  la  fondazione  si  ascri- 
ve a  Diomede  fondatore  di  Lanuvio:  gli  avanzi  però,  che 
oggi  se  ne  veggono,  e  che  principalmente  riduconsi  a  so- 
struzioni, in  parte  sono  dal  settimo  secolo  di  Roma,  in 
parte  del  primo  secolo  della  era  volgare:  alla  prima  epo- 
ca appartengonoi  muri  di  opera  incerta,  alla  seconda 
quelli  di  opera  reticolata.  Livio  nel  passo  notato  di  so- 
pra ricorda  il  tempio,  ed  il  luco  di  Giunone  Sospita,  ed 
Eliano  Storia  degli  Ammali  lib.  X.  e.  XVI.  così  ne  ra- 
giona: In  Lanuvio  pertanto  si  venera  un  bosco  sacro  gran- 
de e  folto,  ài  quale  è  vicino  il  tempio  di  Giunone  Argo- 
lide:  nel  bosco  è  una  caverna  grande,  profonda,  tana  di 
un  dragone:  le  vergini  sacre  in  giorni  stabiliti  entrano  nel 
luco,  portando  nelle  mani  una  focaccia,  e  cogli  occhi  ben- 
dati da  striscie  di  cuoio.  Uno  spirito  divino  le  guida  di- 
rettamente alla  tana  del  dragone  :  esse  a  passo  lento  si 
avanzano  e  tranquillamente,  e  senza  inciampo,  come  se  te- 
nessero gli  occhi  aperti.  Che  se  sono  vergini  il  dragone 
accoglie  i  nudrimenti  casti,  convenevoli  ad  un  animale  ami- 
co della  dea;  se  poi  noi  sono,  avendo  egli  conosciuto  pri- 
ma la  loro  contaminazione,  resta  senza  mangiare,  e  le  for- 
miche trasportano  fuori  del  luco  ridotta  in  briccioli,  così 
minuti  quanto  si  possono  da  loro  portare,  la  focaccia  di 
quella  che  ha  perduto  la  verginità,  purgando  il  suolo.  Si 
osserva  dai  naturalisti  del  paese  questo  fatto,  e  le  vergini 
entrate  vengono  sottoposte  ad  esame,  e  quella  che  ha  mac- 
chiato la  sua  verginità  è  punita  secondo  le  leggi.  Questo 
rito  è  descritto  ancora  da  Properzio  lib.  IV.  el.  Vili. 
Continuò  ad  osservarsi  fino  ai  tempi  di  Teodosio,  e  s. 
Prospero  nel  libro  de  Promiss,  et  Praed.  Dei  P.  III.  prom. 
XXXVIII.  così  ne  narra  la  fine:  Presso  la  città  di  Ro- 
ma fu  una  spelonca,  nella  quale  un  dragone  di  grandez- 


179 

xa  meravigliosa,  formato  meccanicamente,  portando  in  boc- 
ca una  spada,  cogli  occhi  scintillanti  per  le  gemme,  spa- 
ventevole, e  terribile  appariva.  A  questo  vergini  ornate  di 
fiori,  consagrate,  ogni  anno,  in  tal  maniera  si  davano  in 
sagri  fido,  che  non  consapevoli  della  cosa,  portando  doni, 
toccando  un  gradino  della  scala  da  cui  con  tutta  quelV 
arte  del  diavolo  pendeva  il  meccanismo,  il  colpo  della  spa- 
da si  scaricava,  onde  si  spargesse  il  sangue  innocente.  E 
questo  fu  in  tal  modo  distrutto  da  un  monaco  ben  cono- 
sciuto pel  suo  merito  da  Stilicone:  tastando  col  bastone  in 
mano  ci4iscun  gradino,  come  toccando  quello  si  accorse  del- 
la frode  diabolica,  lo  saltò,  e  scendendo  tagliò  in  pezzi  il 
dragone,  mostrando  non  essere  ivi  numi ,  che  si  fan  colle 
mani.  E  questo  passo  io  credo,  che  vada  inteso  in  njio^ 
do,  che  non  tutte  quelle  vergini,  che  scendevano,  rima;; 
ncssero  vittima  di  quell'  orribile  macchina ,  ma  soltanto 
quelle  che  si  trovavano  colpevoli ,  e  questo  ^  ciò  chq 
£liano  appella  esser  punite  secondo  le  leggio  e  perciò 
Properzio  disse:  .   r  t     v.m»    i  ujuuì  uu  un 

Si  fuerint  castae  redeunt  in  colla  parenfuni^iUniiS. 
Clamantque  agricolae  fertilis  annus  erit..\  jvAì 
Indizio,  che  tal  cercmonia  compievasi  nella  primavera^ 
>€  che  scopo  di  essa  era  l'ottenere  fertile  l'anno.  La  im- 
magine della  dea  viene  descritta  da  Cicerone  nel  primo 
libro  de  Natura  Deorum  e.  XXIX  ,  cuìn  pelle  caprina , 
•cum  basta,  cum  scutulo,  cum  calceolis  repandis:  e  si  vede 
così  rappresentata  nelle  medaglie,  specialmente  della  gen- 
te Procilia  ,  che  traeva  la  origine  da  Lanuvio  ,  e  nella 
bella  statua  della  sala  rotonda  del  Museo  Vaticano.  An- 
nesso al  tempio  era  un  cenacolo:  vedasi  Varrone  de  Lin- 
gua Latina  lib.  IV.  E  Plinio  lib.  XXXV.  e.  VI.  ricor- 
da fralle  pitture,  antiche  più  di  Roma,  un'Atalanta  ed 
una  Elena,  che  vedevansi  a  Lanuvio,  rappresentate  nu- 
de ,  di  bellissima  forma  ,  che  non  aveano  sofferto  nella 


180 

ruina  del  tempio,  e  che  Caligola  avrebbe  voluto  torre, 
se  l'intonaco  lo  avesse  permesso.  Il  dire  Plinio,  che  que-^ 
ste  non  aveano  sofferto  nella  rovina  del  tempio  può  gui-^ 
darci  a  conoscere,  perchè  si  trovino  tanti  avanzi  di  rau^ 
ri  del  secolo  VII.  di  Roma  fralle  attuali  rovine,  vale  a 
dire,  che  questi  furono  fatti  precisamente  dopo  la  rovi- 
na, della  quale  parla  Plinio,  vale  a  dire  circa  la  epoca 
villana,  quando  il  tempio  venne  riedificato.  Cicerone  pure 
ci  ha  conservato  la  memoria,  che  i  consoli  andavano  a 
sagrificare  in  questo  tempio,  come  pure  andavano  a  quel- 
lo di  Ercole  a  Tivoli,  della  Fortuna  a  Preneste,  di  Dia- 
na Nemorense  ec.  Veggasi  la  orazione  Pro  Murena  sul 
fine.  Circa  al  luco  poi,  questo  si  estese  sulla  pendice  oc- 
cidentale ,  dove  forse  qualche  ricerca  potrebbe  portare 
alla  scoperta  del  famoso  antro  del  dragone. 

Ritornando  sulla  via ,  dopo  il  casino  Dionigi ,  e  la 
casa  con  portichetto  de'  tempi  bassi,  scendendo  sempre 
si  giunge  dinanzi  la  Terra,  ed  a  destra  attira  l'attenzio- 
ne un  lungo  e  bizzarro  fontanile ,  che  si  attribuisce  al 
Bernini.  Qui  debbo  notare  che  io  credo,  che  la  città  an- 
tica comprendesse  non  solo  il  colle  di  Giunone,  che  ne 
era  l'  acropoli ,  ma  ancora  tutta  la  falda  orientale  del 
monte  fino  dal  principio  della  discesa  della  strada  roma-r 
na  ,  ed  ancora  una  gran  parte  delle  vigne  ed  oliveti  a 
sinistra;  altrimenti,  ristretto  entro  i  limiti  della  Terra  o^- 
dierna,  Lanuvio  non  poteva  anticamente  presentare  quel- 
la importanza  e  quella  potenza  di  far  fronte  ai  Romani 
ad  una  epoca  così  avanzata. 

La  Terra  attuale  è  cinta  di  mura  rifatte  dai  Colon- 
na nel  secolo  XV,  ed  in  più  luoghi  si  mostra  ancora  il 
loro  stemma.  La  sua  pianta  è  quasi  un  quadrato  dife- 
so negli  angoli  da  quattro  torri  circolari  ,  delle  quali 
quella  che  difende  1'  angolo  orientale  è  più  grande  ed 
ha  una  torricella  sovrapposta:  essa  dall'anonimo,  che  de- 


181 

scrisse  là  guerra  di  Sisto  IV.  citato  di  sopra  vien  desi- 
gnata col  nome  di  Rocca,  allorché  narra  la  occupazione 
fatta  di  Civita  Lavinia  dal  duca  di  Calabria  l'anno  1482. 
Entrando  per  la  porta  romana  è  a  destra  il  piedistallo 
colla  iscrizione  seguente  ,  la  quale  è  così  malmenata 
che  d'uopo  è  riportarsi  alla  copia  pubblicata  dal  Volpi: 

C.  MEVIO  .  C  .  F  .  DONATO 
LANVINO  .  CONSVLI 
PROCONSVLI  .SICILI 

.     PROVINCIAE  .  P  .  R 

.     HONORI    SI   .  .  . 

.    PROVINCIAE 

.     SVIL  ATI  VM 

.     .     .     .    V  M  R  R  O 

.    AELI    .    C   .    AVG. 

A  sinistra  è  un  sarcofago  ornato  di  maschere  e  bo- 
€ranj  ,  anche  esso  riportato  dal  Volpi ,  e  che  serve  di 
fontana:  esso  presenta  il  lavoro  del  secolo  III.  Poco  do- 
po incontrasi  a  sinistra  un  vicolo,  e  quindi,  quasi  dirim- 
petto a  questo  entro  una  osteria  è  un  pezzo  di  muro 
di  massi  quadrilateri ,  il  quale  ha  una  direzione  paral- 
lela alle  mura  odierne.  A  sinistra  si  apre  tosto  la  piaz- 
za ,  dalla  quale  si  gode  verso  oriente  una  veduta  ma- 
gnifica delle  colline  velitérne  e  della  catena  de'  monti 
lepini  da  Rocca  Massima  e  Cora ,  fino  a  Terracina  :  la 
vasta  pianura  veliterna  e  pontina  si  spalanca  tutta  in- 
tiera sotto  gli  occhi  fino  al  mare,  presso  cui  vedesi  tor- 
reggiare il  promontorio  Circeo  ,  e  più  lungi  il  gruppo 
delle  isole  Ponzie  sembra  nuotare  in  mezzo  alle  onde. 
Su  questa  piazza,  nel  lato,  che  è  dirimpetto  alla  chiesa 
colleggiata,  havvi  il  piedestallo  colla  iscrizione  seguente, 


182 

la  quale  è  riportata,  ma  con  inesattezza  dal  Volpi:  essa 

fu  da  me  trascritta  con  diligenza,  e  dice:- 

T  .  AVRELIO 
AVG  .  LIB 
APHRODISIO 
PROC  .  AVG 
.  A  RATIONIBVS 
S.P.Q.L 

DEDIG    Q    VArInIO    Q    F 
MAEG  .  LAEVIANO  AED 

È  questa  ad  onore  di  un  liberto  di  Antonino  Pio, 
il  quale  fu  gran  ragioniere  di  quell'  imperadore  ,  e  fu 
eretta  dal  senato  e  popolo  lanuvino,  e  dedicata,  essen- 
do edile  Quinto  Varinio  Mecio  Leviano,  figlio  di  Quin- 
to. Accanto  a  questa  è  un'altra  fontana,  a  cui  serve  di 
yasca  un  gran  sarcofago  del  terzo  secolo  della  era  vol- 
gare, in  mezzo  al  quale  è  rappresentata  la  porta  semia- 
perta dell'Orco  con  quattro  figure  ne'due  lati,  due  cioè 
muliebri,  e  due  virili,  poste  sotto  edicole  rette  da  co- 
lonne scanalate  a  spira:  e  queste  quattro  figure  alludo- 
no probabilmente  a  quattro  persone  sepolte  in  questa 
urna,  delle  quali  questa  è  certo  capace.  La  chiesa  attua- 
le non  presenta  oggetto  degno  di  particolare  rilievo:  es- 
sa fu  edificata  1'  anno  1675  da  Filippo  Ccsarini  ultima 
stipite  di  questa  casa,  la  quale  si  estinse  in  Livia  di  lui 
nipote.  Uscendo  dalla  piazza  e  proseguendo  la  via  versa 
la  porta  della  campagna,  addossato  al  fianco  della  chie- 
sa è  1'  altro  piedistallo  di  statua  onoraria  ,  spezzato  in 
due,  la  cui  iscrizione  è  riportata  più  intiera  dal  Grute- 
ro  p.  CCCXXX.  n.  3  e  dal  Volpi,  ma  meno  esattamen- 
te di  quello  che  qui  si  fa;  essa  dice  così,  notando  in 
lettere  minuscole  le  parti  mancanti. 


183 
M  .  AVREL  .  AVG  .  LIB 
AGILIO   SEPTENTRIO 
NI    PANTOMINO.SVI 
TEMPORIS  PRIMO  .  SACERDO 
TI  .  SYNHODI  .  APOLLINIS  PA 
RASITO  .  ALVMNO  faustinae 
aug.  PROducto.  AB  .  IMP  .  M 
AYREL  .  COMMODO  ANTONI 
NO  .  PIO  .  FELICE  AVGVSTO 
ORNAMENTIS  .  DECVRIONAT 
DECRETO  .  ORDINIS .  EXORNATO 
ET  .  ALLECTO  .  INTER  .  IVVENES 
S  .  P  .  Q  .  LANIVINVS 

Di  fianco  nell'esemplare  del  Grutero  si  pone 

'  ...      IDVS    COMMODAS 

.       .       .       ELIANO    GOS 

■       ^'i*     :  -    ■■  .(   f 

È  noto  che  Conimodo  volle  che  col  suo  nome  si  chia- 
masse il  mese  di  Agosto  secondo  Lampridio  nella  sua 
vita  ,  e  questo  monumento  n'è  una  prova  :  come  pure 
che  Eliano  fu  console  durante  il  suo  regno  l'anno  184, 
e  187  della  era  volgare,  onde  ad  uno  di  questi  due  anni 
ed  io  credo  piuttosto  al  secondo,  questo  piedistallo  ap- 
partiene. In  questa  iscrizione  apparisce,  che  Marco  Au- 
relio Agilio  Settentrione  fu  liberto  di  Commodo  ',  che 
primieramente  gli  si  fa  l'elogio,  come  primo  pantomimo 
del  tempo  suo  ,  e  siccome  il  monumento  gli  fu  eretto 
in  Lanuvio  è  prova  ,  che  in  questa  città  mostrò  la  sua 
bravura  :  in  secondo  luogo  che  fu  sacerdote  del  sinodo 
di  Apollo  :  e  finalmente  che  il  nome  di  Commodo  fu  raso 
e  restituito  con  lettere  di  forma  ineguale  ne'  tempi  di 
Settimio  Severo,  che  rialzò  le  memorie  di  quel  pessioio 


\ 


184 

imperadore  ,  del  quale  cliiamavasi  fratello.  Il  Ficoroni 
nella  opera  sulle  Maschere  Sceniche  e.  XXI:  riporta  un'al- 
tro piedestallo  eretto  ad  onore  di  questo  stesso  M.  Au- 
relio Agilio  Settentrione  in  Preneste  coi  titoli  di  PAN- 
TOMIMO SVI  TEMPORIS  PRIMO,  HIERQNICAE  SOLO 
IN  VRBE  CORONATO  DIAPANTON  LIB.  IMP.  DD. 
NN.  SEVERI  ET  ANTONINI  AVGG.  PARASITO  APOL- 
LINIS.  ARCHIERI  SYNOD,  IIII.  VIR:  ec.  E  da  questa^ 
monumento  apparisce,  che  era  di  patria  prenestino. 

Nel  resto  l'interno  di  questa  Terra  pFCsenta  da  ogni 
parte  lo  squallore,  la  rovina,  la  sporcizia,  e  l'aspetto  di 
un  castello  de'  tempi  bassi  ,  con  viottoli  ,  piuttosto  che 
strade,  tortuosi,  ed  irregolari,  ingombri  di  polli  e  di  altri 
animali  domestici. 

Uscendo  per  la  porta  occidentale  si  ravvisa  a  sini- 
stra un  piccolo  tratto  delle  mura  antiche  costrutte  di 
massi  parallelepipedi  di  pietra  vulcanica  come  quelle  di 
Ardea,  e  costeggiando  per  poco  le  mura  si  giunge  alla 
torre  angolare  di  costruzione  del  secolo  XV.  alla  quale 
è  attaccato  un  anello  moderno  di  ferro,  che  dai  terraz- 
zani si  mostra  ai  creduli  come  quello,  al  quale  Enea 
sbarcando  attaccò  la  nave  ,  come  se  Lanuvio  e  Lavinio 
fossero  una  stessa  cosa,  il  mare  a  quella  epoca  giungesse 
fin  su  questa  altura,  e  l'anello  si  potesse  essere  conser- 
vato sino  a  noi,  supponendo  antichi  esso  e  la  torre,  che 
d'altronde  sono  moderni.  A  questa  torre  comincia  il  lato 
meridionale  del  recinto,  il  quale  ,  è  certamente  fondato 
sull'antico,  siccome  si  dimostra  da  un  bel  tratto  di  muro 
di  parallelepipedi  di  tufa  come  quello  testé  accennato. 
Ivi  è  inserito  un  mascherone  con  vasca  sotto ,  che  un 
tempo  servì  di  fontana.  Ritornando  per  un  momento  alla 
porta  occidentale,  e  seguendo  l'andamento  delle  mura, 
poco  prima  della  torre  angolare  settentrionale  veggonsi, 
a  traverso  la  costruzione  del  secolo  XV.  che  li  fascia  , 


185 
gli  a'vanzi  di  uq  bel  basamento  di  qualche  tempio  ,  di 
stile  del  tempo  più  antico,  con  una  gola  sodissima.  Ivi, 
dappresso  a  quell'angolo  medesimo,  Tanno  1832  furono 
scoperti  due  cunei  del  teatro  lanuvino  con  una  gran 
quantità  di  frammenti  di  architettura  appartenenti  alla 
scena,  e  che  mostravano  per  lo  stile  la  era  commodiana, 
monumento,  che  se  si  sgombrasse,  sarebbe  importantis- 
simo ,  e  produrrebbe  certamente  molti  ritrovamenti  di 
statue,  e  di  altre  sculture.  Da  ciò  ,  che  si  scoprì  si  ri- 
conobbe che  la  cavea  era  addossata  in  parte  al  tufa  stesso 
del  monte,  in  parte  ad  un  ordine  di  archi;  e  che  era 
rivolta  ad  occidente  ,  in  guisa  che  gli  spettatori  gode- 
vano la  veduta  della  spiaggia  latina.  Dai  frammenti  della 
costruzione  parmi  poter  dedurre,  che  Commodo,  che  era 
nato  a  Lanuvio  ,  e  che  frequentava  la  sua  villa  avita  , 
amante  come  era  degli  spettacoli  lo  ergesse,  ed  in  esso 
il  pantomimo  celebre  ,  M.  Aurelio  Agilio  Settentrione  , 
del  quale  si  é  riferita  di  sopra  la  iscrizione  onoraria  avrà 
mostrato  il  suo  talento. 

Lasciando  il  teatro  di  Civita  Lavinia  e  tornando  sul 
ripiano  presso  il  lato  meridionale  del  recinto,  vedesi  da 
questo  stesso  distaccarsi  un  muro  di  massi  quadrilateri 
di  peperino,  disposti  a  strati  alternati  ,  come  quelli  del 
Tabularlo  capitolino  di  Roma:  parallello  a  questo  invito 
di  muro  è  un  altro  pezzo  della  stessa  costruzione  che  si 
trova  nello  scendere  per  la  via  antica  a  ponte  Loreto,  quasi 
dirimpetto  alla  torre  angolare  di  Civita  Lavinia.  Di  maniera 
che  parmi  potere  asserire,  che  l'juno  e  l'altro  apparten- 
gano ad  una  fabbrica  cospicua  eretta  circa  i  tempi  di 
Siila,  la  quale  comprendeva  tutto  il  ripiano  che  è  dinanzi 
al  lato  meridionale  della  Terra  odierna. 

E  dirimpetto  alla  torre  angolare  meridionale  comin- 
cia una  via  antica,  che  per  ponte  Loreto  in  linea  retta 
si  dirige  verso  il  mare  a  Nettuno  traversando  il  tenimento 


186 

vastissimo  di  Campo  Morto.  E  questa  via  teneva  Cice- 
rone neli'  andare  e  tornare  da  Astura  ,  siccome  mostra 
egli  stesso  nelle  lettere  ad  Attico  ,  lib.  XII.  Ego  hinc  , 
ut  scripsi  antea,  postridie  idus  Lanusium,  deinde  postridie 
tu  Tuscuìano  :  ed  altrove  :  Asturam  veniam  Vili.  Kal.  lur- 
ìias,  vitandi  enim  caloris  caussa  Lanuvii  tres  horas  acquie- 
veram.  Questa  strada  è  fiancheggiata  a  destra  da  ima 
sostruzione  ,  la  quale  in  alcuni  luoghi  conserva  ancora 
massi  di  pietra  albana  ossia  peperino  ,  che  hanno  alle 
volte  fino  ad  8  piedi  di  lunghezza,  e  3  e  mezzo  di  al- 
tezza :  e  sopra  questi  massi  rimangono  avanzi  di  un  muro 
di  opera  reticolata.  Il  pavimento  antico  è  ben  conser- 
vato, e  dove  la  sostruzione  sovraindicata  finisce  ,  slar- 
gasi per  ricevere  un'altra  strada,  che  pure  discende  da 
Civita  Lavinia,  e  forse  antica  ancor  essa.  La  via  antica 
scendendo  il  monte  va  leggermente  torcendo,  e  di  tratta 
in  tratto  mostra  i  poligoni  dell'antico  pavimento  al  loro 
posto.  Un  mezzo  miglio  dopo  Civita  Lavinia  si  trova  la 
chiesa  rurale  della  madonna  delle  Grazie,  la  quale  non 
presenta  oggetto,  che  meriti  di  essere  ricordato;  è  però 
da  notarsi  che  fin  là  il  pavimento  antico  è  più  conser- 
vato. Dopo  si  trova  a  destra  una  strada  che  si  dirige 
verso  la  mola  di  Fontana  di  Papa  e  verso  Genzauo  :  e 
circa  1  miglio  distante  da  Civita  si  ha  un'altro  pezzo  di 
strada  antica.  Quindi  un  viottolo  viene  ad  intersecare  la 
strada  :  a  sinistra  scende  al  fontanile  di  Stragonella  ,  a 
destra  raggiunge  la  strada  di  Campo  Morto,  e  di  Conca. 
Un  miglio  e  mezzo  dopo  Civita  terminano  le  vigne  :  a 
sinistra  è  la  contrada  di  Fontana  Torta.  Entrando  nei 
campi  a  destra  2  miglia  circa  dopo  Civita  sono  gli  avanzi 
di  una  .villa  romana  della  era  augustana  ,  costrutta  di 
opera  reticolata,  non  regolare,  che  presenta  la  pianta  di 
un  quadrilungo^  di  circa  2000  piedi  di  circonferenza.  Ivi 
si  vede  un  muro  di  sostruzione  con  contrafforti  nel  lato 


187 
settentrionale,  e  presso  questo  un  pozzo  circolare,  e  più 
oltre  sul  ciglio  verso  1'  angolo  boreale  un  nicchione  ,  o 
essedra  :  nel  ripiano  poi  sono  due  muri  paralleli  nella 
direzione  da  nord  a  sud  ,  quadrilunghi  presso  il  lato 
orientale.  Ritornando  sulla  via  un  mezzo  miglio  dopo  si 
giunge  a  Ponte  Loreto,  nome  che  derivò  da  un  Laure- 
tuniy  o  bosco  di  lauri ,  che  ivi  un  tempo  esistè  :  presso 
questo  ponte  a  sinistra  è  un  rudere,  forse  di  sepolcro. 
Ponte  Loreto  è  2  miglia  e  mezzo  distante  da  Civita  La- 
vinia :  ha  circa  40  piedi  di  grossezza  :  è  alto  17  :  è  co- 
strutto di  massi  enormi  di  peperino  alcuni  de'  quali  hanno 
fino  ad  8  piedi  di  lunghezza  e  2  di  altezza  ;  ed  ha  15 
piedi  di  larghezza;  perenne  ma  povero  di  acque  6  il  rivo 
che  vi  scorre  sotto,  col  quale  il  ponte  per  seguire  l'asse 
della  strada,  non  trovasi  ad  angolo  retto,  ma  a  sbieco:  esso 
conserva  parte  del  pavimento,  e  de'  parapetti. 

Da  questo  ponte  fino  alla  Torre  di  Campo  Morto 
sono  5  miglia  e  mezzo  ;  la  strada  è  in  linea  retta  ,  e 
piana;  meno  qualche  traccia  dell'  antico  pavimento  però 
non  offre  grandi  oggetti  degni  di  memoria  :  al  IV.  mi- 
glio da  Civita  è  a  sinistra  un  avanzo  incognito  di  opera 
incerta  :  da  lungi  veggonsi  successivamente  i  casali  di 
Cacalasino  ,  Prisciano  ,  e  Lazzaria  :  e  destra  da  questo 
punto  fino  alla  torre  di  Campo  Morto  si  costeggia  la 
macchia  di  Casal  della  Mandria.  Circa  Campo  Morto  veg- 
gasi  ciò  che  notai  a  suo  luogo. 

LAVRENS-LAVRENTVM. 

TOR  PATERNO— CAPOCOTTA.  -Mf      il 

Laurens  e  Laurentura  i  Latini,  Aaupsvrcv  e  Acòpvjrov 
i  Greci  chiamarono  quel  distretto  marittimo  del  Lazio  , 
che  si  estende  dalla  foce  ostiense,  a  sinistra  del  Tevere 


188 

fino  al  confine  del  territorio  anziatc,  e  donde  trasse  rio* 
me  r  antichissima  città  di  Laurentum.  La  etimologia  di 
questo  nome  concordemente  derivasi  dagli  scrittori  an- 
tichi dai  lauri  che  particolarmente  vi  abbondavano  ,  e 
che  continuavano  ancora  a  vestir  questa  spiaggia  sul 
finire  del  secondo  secolo  della  era  volgare  per  testimo^- 
nianza  di  Erodiano  lib.  I.  e.  XII.  Questo  storico  nar- 
rando la  fiera  pestilenza  che  afflisse  Roma  circa  l'anno  189 
della  era  cristiana,  dice  che  Gommodo  per  consiglio  di 
alcuni  medici  ,  e  forse  di  Galeno  che  allora  fioriva  in 
Roma  ,  andò  a  ritirarsi  in  Laurento  villa  freschissima  , 
adombrata  di  grandissimi  alberi  di  lauro  ,  donde  essa 
traeva  nome,  la  quale  sembrava  essere  un  luogo  salubre 
ed  opporsi  al  corrompimento  dell'  aria  pel  buon  odore 
che  tramandavano  i  lauri  o  per  la  ombra  piacevole  che 
gli  alberi  davano.  L'autore  della  Origo  Gentis  Romanae^ 
parlando  dell'arrivo  di  Enea  in  Italia  dice,  che  approdò 
ad  eam  Italiae  oram  ,  quae  ah  arbusto  eiusdem  generis 
LAURENS  appellata  est.  Oggi  però  su  questa  spiaggia  i 
lauri  sono  presso  che  affatto  spariti ,  e  mentre  il  suolo 
è  coperto  da  immense  boscaglie  di  ogni  specie  di  alberi 
e  di  arbusti ,  rari  sono  gli  allori ,  i»  guisa  che  se  non 
fosse  certo,  che  il  laurus  de'  Latini  corrisponde  al  nostro 
lauro,  da  questa  circostanza  nascerebbe  il  dubbio  della 
identità  di  tal  pianta.  Documenti  moltiplici  e  superiori 
ad  ogni  eccezione  mostrano  ,  che  1'  Agro  Laurente  si 
estese,  come  indicai  dapprincipio,  fra  la  foce  del  Tevere 
ed  il  territorio  anziate,  in  guisa  che  comprese  ancora  il 
ristretto  regno  ,  o  cantone  de'  Rutuli  ;  quindi  Virgilio 
lib.  VII.  chiamò  Turno,  laurente  : 

quo  pulchrior  alter 
Non  fuit,  excepto  laurentis  corpore  Turni. 
e  Stazio  Sylv.  lib.  I.  §.  III.  appella  laurentia  iugera  il  regno 
de' Rutuli  :  S  '       >?•• 


189 
^  .  .  cedant  laurentia  Turni  iugera 
Questa  contrada  veduta  da  un  luogo  elevato  si  pre- 
senta da  lungi  come  una  vasta  pianura  coperta  lungo 
il  mare  da  selve,  e  più  indentro  nuda  di  alberi ,  meno 
picciole  eccezioni  di  ristrette  boscaglie^  simili  a  macchie, 
effetto  che  die  origine  al  vocabolo  macchia  ,  col  quale 
il  volgo  appella  ogni  sorta  di  foreste,  e  perfino  i  boschi 
di  lusso  nello  ville  de 'grandi.  Ma  quando  poi  si  va  sui 
luoghi  quest'apparente  pianura  eguale  si  cangia  in  una 
successione  continuata  di  colline  ora  leggiermente  sfal- 
date, ed  ora  erte  e  scoscese,  più  communemente  nude, 
019  non  di  rado  ancora  vestite  nelle  pendici  da  arbusti, 
e  solcale  ai  piedi  in  varie  direzioni  da  rivi  e  torrenti 
che  hanno  formato  valli  variate  per  estensione ,  ed  alle 
volte  amene  e  ridenti.  Questo  sistema  di  colline  deesi 
principalmente  alle  acque  che  vollero  aprirsi  uno  scolo, 
o  nella  gran  valle  del  Tevere ,  o  verso  il  mare  :  verso 
la  spiaggia  però  esso  va  a  terminare  in  una  barra  di  du- 
ne, che  quanto  più  si  appressa  alla  foce  tiberina,  più  si 
pioltiplicano ,  formando  linee  parallele  di  tumuli  di  sab- 
bia ,  che  i  naturali  appellano  il  tumoleto.  Queste  dune 
furono  prodotte  dal  ritrarsi  successivo  che  fece  il  mare 
forzato  dalle  terre,  che  il  Tevere  specialmente  nelle  sue 
piene  trascina,  e  che  l'impeto  delle  onde  riversa  sul  li- 
do. Ed  è  pur  bello  vedere  come  queste  arene  che  pro- 
lungano la  spiaggia  laurente,  dapprincipio  sterilissime  si 
vanno  a  poco  a  poco  vestendo  di  piante ,  e  come  que- 
sta novella  vegetazione  varia  a  misura  che  il  mare  più 
si  allontana,  osservazione  che  non  isfuggì  al  celebre  Lan- 
cisi, il  quale  nelle  sue  animad versioni  fisiologiche  sulla 
via  laurentina  di  Plinio  notava  un  secolo  fa  ,  come  le 
prime  a  sbucciare  sono  V  eruca  maritima  ed  il  gramen 
spicatum,  e  come  a  queste  succedono  l'eryngium,  il  cri- 
thmumf  il  parthenium,  il  polium,  il  tithymakis  ec.  Più  en- 


190 

tro  terra  poi  crescono  il  iuniperus,  V  arbutus,  V  erica,  o 
myrica,  la  sabina  baccifera,  Voleaster,  il  myrthus,  il  rosma- 
rimum ,  arbusti  frammischiati  alla  stoechas  citrina ,  alla 
medica  marina,  alla  medica  echinata,  aìVannonis  lutea,  al- 
la cistus  foemina,  aìVasphodelus,  alla  lychnidia,  alla  vicia, 
alla  soldanella,  aWheliantheum ,  al  periclymenus  ec.  E  fi- 
nalmente dove  la  sabbia  col  volger  de'  secoli ,  e  per  la 
decomposizione  de'  vegetabili  è  divenuta  terreno  sodo , 
sul  suolo  coperto  di  erbe  pratensi  crescono  alberi  gi- 
ganteschi, il  pino,  l'elee,  la  quercia,  il  sughero,  il  fras- 
sino, l'orno,  l'olmo  ec.  piante  che  Virgilio  ancora  ricor- 
da, come  esistenti  nella  selva  laurente,  lib.  XI.  v.  133 
e  seg. 

Bis  senos  pepigere  dies,  et  pace  sequestra, 
Per  sylvas  Teucri  mixtique  impune  Latini, 
Erravere  iugis:  ferro  sonai   icta  bipenni 
Fraxinus:  evertunt  actas  ad  sidera  pinus,  ;        <t 

Rohora,  nec  cuneis  et  olentem  scindere  cedruin, 
Nec  plaustris  cessant  vcctare  gementibus  ornos. 

E  siccome  questa  vegetazione  successiva  è  un  effet- 
to prodotto  dalla  natura  del  terreno  e  dalla  circostanza 
del  ritiro  del  mare,  perciò  possiamo  esser  certi  che  l' a- 
spetto  di  questa  spiaggia  ai  tempi  di  Enea  era  lo  stes- 
so di  quello  di  oggi;  se  non  che  allora  presso  la  foce 
del  Tevere  era.  di  circa  3  miglia  più  indentro  quello  che 
oggi  veggiamo  accadere  3  miglia  più  in  fuori;  non  cosi 
presso  Lavinio  ed  Ardea  dove  il  mare  è  presso  a  poco 
rimasto  nello  stesso  limite. 

Laurentum  però  non  fu  soltanto  il  nome  della  con- 
trada entro  i  confini  sovraindicati,  lo  fu  ancora  di  una 
città  antichissima,  che  ivi  trovavasi,  e  che  per  un  tem- 
po fu  la  metropoli  degli  Aborigeni,  e  de'Latini,  la  quale 


191 

è  ricordata  dagli  scrittori  greci  e  latini,  e  che  die  nome 
ad  una  via ,  che  laurenlina  si  disse ,  della  quale  come 
delle  altre  strade  consolari  che  uscivano  da  Roma  fa- 
rò un  articolo  particolare  a  suo  luogo  :  reggasi  1'  arti- 
colo VIE. 

Dopo  avere  esposto ,  che  Laurcntum  fu  un  nome 
dato ,  non  solo  ad  una  contrada  marittima  del  Lazio  e 
delle  regioni  adiacenti,  sulla  riva  sinistra  del  Tevere  ma 
ancora  di  una  città  ,  che  fu  la  sede  del  regno  latino , 
parmi  dovere  istituire  ricerche  sul  sito  di  questa  città 
medesima,  tanto  più  opportune,  perchè  tendono  a  rischia- 
rare la  storia  della  origine  di  Roma.  Polibio,  è  lo  scrit- 
tore più  antico,  che  ricorda  il  commune  de'Laurenti,  al- 
lorché riferisce  il  trattato  di  amicizia  e  di  commercio, 
conchiuso  frai  Romani  ed  i  Cartaginesi  subito  dopo  la 
espulsione  de'  Tarquinii.  In  quel  documento  insigne  ed 
antichissimo  della  diplomazia,  i  Romani,  volendo  mostra- 
re la  loro  supremazia  sopra  tutta  la  spiaggia  latina  e  li- 
mitrofa, compresero  tutti  i  popoli  marittimi  fra  Roma 
e  Terracina.  Imperciocché  figurano  in  esso  gli  Anziatì , 
i  Circeiati ,  ed  i  Terracinesi,  che  abitavano  immediata- 
mente sul  mare,  e  gli  Ardeati  ed  i  Laurentini,  che  era- 
no a  piccola  distanza  del  lido,  cioè  di  3  e  4  miglia.  A 
questo  documento  coerente  è  il  passo  di  Strabone  che 
nel  lib.  V.  descrivendo  la  parte  marittima  del  Lazio  no- 
mina in  primo  luogo  Ostia  ed  Anzio,  e  quindi  le  città 
intermedie  entro  terra  a  picciola  distanza,  Lavinio,  Lau-' 
rento,  ed  Ardea.  E  che  Laurento,  città  del  Lazio  marit- 
timo non  fosse  bagnata  immediatamente  dal  mare,  come 
neppure  stesse  a  pochi  passi  da  quello,  é  chiaro  pel  poe- 
ma immortale  di  Virgilio,  nel  quale  si  ricorda  la  situa- 
zione di  Laurento,  e  se  ne  descrivono  le  adiacenze  con 
caratteri  vivi:  e  mai  non  si  parla  di  vicinanza  immedia- 
ta col  mare.  Laonde,  se  Laurento  fosse  stata  bagnata  dal 


192 

mare,  o  ad  una  distanza  di  pochi  passi,  quel  poeta,  che 
\ivea  mentre  Laurento  non  era  ancora  scomparsa ,  non 
avrebbe  trascurata  una  circostanza  che  poteva  fornirgli 
episodii  ed  immagini  luminose. 

Queste  considerazioni  escludendo,  che  Laurento  stas- 
se immediatamente  sul  mare,  non  escludono  affatto,  che 
fosse  in  quella  parte  del  Lazio  marittimo,  che  si  esten- 
de fra  Ostia,  e  Lavinio  (oggi  Pratica) ,  essendo  su  que- 
sto punto  concordi  le  testimonianze  degli  scrittori  anti- 
chi ,  come  Dionisio ,  Livio ,  Strabone  ,  Pomponio  Mela  , 
Plinio,  e  specialmente  quella  della  Carta  Peutingeriana, 
che  è  un  documento  geografico.  Circa  il  sito  di  Lauren- 
to Virgilio  lo  mostra  collocato  sopra  una  eminenza  che 
avea  sotto  una  pianura,  e  dietro  questa,  una  palude  va- 
sta, e  più  oltre  in  distanza  il  mare. 

Atque  hinc  vasta  palus,  hinc  ardua  moenia  cingunt. 
Si  notino  gli  epiteti  di  vasta  data  alla  palude,  e  di  ar^ 
dua  dato  alle  mura.  Altrove  il  poeta  mostra,  che  Lau- 
rento era  eminentemente  distante  dal  mare  ,  e  che  fra 
questa  città  e  la  foce  del  Tevere  il  suolo  era  vestito  da 
selve  estese  in  modo,  che  gli  fornirono  la  idea  dell'epi- 
sodio decantato  dello  smarrimento  di  Niso  ed  Eurialo. 

La  distanza  da  Roma  a  Laurento  viene  determinata 
dall'  Itinerario  di  Antonino  a  16  miglia.  E  la  giustezza 
di  questo  numero  si  conferma  col  passo  di  Plinio  il  gio- 
vane, il  quale  dice,  che  la  sua  villa  laurentina  era  17 
miglia  distante  da  Roma  fra  Ostia ,  e  Laurento ,  sulla 
spiaggia  del  mare:  che  vi  si  poteva  andare  per  ambe- 
due quelle  vie,  cioè  per  la  ostiense  e  la  laurentina:  che 
dalla  ostiense  deviavasi  a  sinistra  all'  undecimo  miglio , 
e  dalla  laurentina  a  destra  al  decimo  quarto  :  le  due 
vie  sono  ben  note  ,  conservano  le  traccie  del  pavimen- 
to antico,  ed  alcuni  ponti,  in  modo  che  la  direzione  non 
può  smarrirsi  in  una  distanza  cosi  limitata  :  e  la  lau- 


193 
reatina  parlìcblarnìenlè  "consèrva  àncora  '{^'esso  i!  casa- 
le di  Decimo  al  posto  suo  la  colonna  millìaria  antica' 
col  num.  XI.  come  fu  notato  all'articolo  DECIMO  T.  1; 
p_  551.  ''"''  >^'  '•*"■  »■*  ''^**j  '*  «-ii'i»i^i> 

Con  questi  dati  positivi ,  e  quasi  óSo'  dtfe  géOttie- 
trici ,  seguendo  sempre  le  traccio  della  via  laurentina , 
che  nella  macchia  dopo  il  casale  di  Decimo  sono  molto" 
visibili,  credo  di  avere  riconosciuto  il  sito  di  questa  me- 
tropoli primitiva  del  Lazio  ne'dintorni  del  casale  di  Ca-' 
pocotta ,  che  dà  nome  ad  un  lenimento  vastissimo  de'* 
Borghese,  fertile,  ameno  ,  e  fra  quelle  boscaglie  riden-^ 
le,  circa  16  miglia  distante  dalla  porta  antica  di  Roma' 
per  la  via  laurentina,  2  dal  mare  ,  sito  ricco  di  acque, 
che  oggi  sono  inalveate,  ma  che  ne'  tempi  primitivi  ri- 
stagnando davano  origine  alla  vasta  palus  di  Virgilio.  È 
il  casale  in  un  sito  eminente  relativamente  ai  campi  sot- 
toposti verso  occidente:  il  suolo  rigurgita  di  cementi  stri- 
tolati dall'azione  dell'aratro  e  del  tempo,  ed  in  un  pun- 
to così  solingo  questa  è  una  prova  di  fatto  della  popo- 
lazione che  un  tempo  Io  coprì. 

Autori  gravissimi  ne'  tempi  passati  credettero  che. 
Laureato  fosse  a  Tor  Paterno,  opinione,  che  ha  tale  ap-' 
parenza  di  verità,  che  io  medesimo  ne  rimasi  convinto, 
prima  di  conoscere  bene  i  luoghi,  quantunque  debba  con- 
fessare ,  che  mi  faceva  sempre  nella  mente  un  ostacolo 
forte  quel  silenzio  perpetuo  di  Virgilio  ,  che  mai  noa 
parla  di  vicinanza  immediata  del  mare,  quella  pianura, 
che  presso  Tor  Paterno  si  riduce  ad  uno  spazio  troppo 
ristretto;  e  soprattutto  gli  avanzi  superstiti  in  quel  luo- 
go ,  certamente  vestigia  di  una  villa  ,  piuttosto  che  d? 
una  città;  ma  privo  di  altre  cognizioni  locali  mi  sotto- 
metteva alla  opinione  di  coloro  ,  che  in  queste  ricerche 
mi  aveano  preceduto.  Dopo  che  per  la  formazione  della 
Carta  ho  percorso  quelle  selve  in  tutte  le  direzioni,  cioè 

13 


194 

da  Ostia  al  mare,  e  per  la  spiaggia  a  Tor  Paterno  e  den- 
tro e  fuori  la  selva:  da  Ostia  a  Castel  Fusano  e  per  la 
selva  a  Tor  Paterno,  e  Porcigliano;  da  Malafede  a  Por- 
cigliano,  e  per  la  selva  ad  Ostia:  da  Porcigliano  a  De- 
cimo: da  Decimo  a  Tor  Paterno:  da  Tor  Paterno  per  la 
Palombara  a  Tor  s.  Michele;  da  Decimo  per  Tor  Pater- 
no a  Capo  Cotta:  da  Decimo  per  Trigoria,  e  per  Castel 
Romano  a  Santola,  e  da  Capo  Cotta  per  Petronella  a  Pra- 
tica: dopo  tutti  questi  giri  incommodi,  e  pericolosi ,  di 
che  le  difficoltà  si  possono  calcolare  solo  da  chi  cono- 
sce i  luoghi,  non  limitandomi  ai  sentieri  battuti,  ma  en- 
tro la  selva  a  traverso  gli  spini,  le  paludi,  e  le  sabbie, 
sono  rimasto  persuaso,  che  niun  altro  luogo  di  tutta  quel- 
la contrada  presenta  meglio  il  sito  di  Laurento,  che  Ca- 
pocotta,  secondo  la  distanza  assegnata  dagli  antichi  scrit- 
tori, e  la  località  descritta  da  Virgilio,  Trattandosi  del 
sito  della  città  più  antica  del  Lazio,  ed  una  delle  più 
antiche  d'Italia,  parrai  che  queste  ricerche  non  possano 
venire  tacciate  come  superflue.  Quanto  poi  a  coloro,  che 
privi  della  cognizione  de'luoghi  e  men  scrupolosi  nello 
allegare  le  autorità  degli  scrittori  classici,  e  molto  me- 
no ancora  in  torcerle  a  seconda  delle  idee,  che  aveano 
adottato;  o  che  abbagliati  dalla  somiglianza  del  nome  cre- 
derono che  a  Laurento  corrisponda  la  odierna  Tor  s.  Lo- 
renzo, questi  non  meritano  oggi  una  confutazione  di  pro- 
posito, poiché  agli  argomenti  di  fatto,  e  di  autorità  fi- 
nora allegati,  si  aggiunge  quello,  che  in  luogo  di  stare 
fra  Ostia  e  Lavinio,  Tor  s.  Lorenzo  sta  fra  Lavinio  ed 
Anzio ,  ed  invece  di  essere  entro  i  limiti  del  territorio 
Latino  è  nel  confine  di  quello  de'Rutuli  co'Volsci. 

Nella  Carta  Peutingeriana  il  numero  XVL  indican- 
te la  distanza  di  Laurentum  da  Roma  è  posto  in  guisa, 
che  a  prima  vista  direbbesi  messo  ad  indicazione  della 
lontananza  fra  Ostia  e  Laurento,  distanza  che  sarebbe 


195 
eccessiva;  ma  chiaro  è  l'abbaglio  dopo  tutto  quello,  che' 
si  espose  finora,  donde  risulta,  che  se  Laurento  fu  16- 
miglia  distante  da  Roma,  e  fra  Ostia,  e  Lavinio ,  non 
potè  essere  16  miglia  distante  da  Ostia.  Questa  negli-, 
genza  è  una  di  quelle  che  s'incontrano  nella  Carta  Peu-» 
tingeriana,  e  che  non  sono  poche,  specialmente  in  qu^, 
sta  parte;  imperciocché  ivi  poco  dopo  emerge  un'altre», 
errore  di  cifra.  Dopo  Laurento  si  vede  notato  il  nume-, 
ro  «i  ,  come  indicante  la  distanza  fra  Laurento  e  Larf 
TÌnio;  ma  posto  per  gli  argomenti  allegati  di  sopra  chel 
Laurento  fu  a  Capocotla:  ed  essendo  provato,  e  concor-j 
demente  ammesso  che  Lavinium  corrisponde  a  Pratica^, 
fra  Capocotta  e  Pratica  non  vi  sono ,  che  tre  miglia  ,i 
seguendo  l'andamento  della  via  antica;  dunque  dee  diivi 
si,  che  colui,  il  quale  copiò  Tesemplare  della  carta  ori*> 
ginale  confuse  il  num.  HI  con  ni-  '' 

Dopo  Decimo  la  via  laurentina  ,  che  come  notai 
di  sopra  è  sempre  visibile  quanto  alla  direzione,  pe'pow' 
ligoni ,  ora  smossi  dalle  radici  degli  alberi  secolari  di' 
quella  selva,  ora  al  posto,  ora  continuati,  ora  interrot-'i 
ili  per  circa  un  miglio  si  costeggia  la  macchia  di  Por*'- 
cigliano.  A  destra  una  strada  conduce  direttamente  al* 
casale  di  Porcigliano,  che  è  circa  A  miglia  distante  d« 
quello  di  Decimo  per  questa  strada.  La  natura  areno- 
sa, ineguale  del  suolo,  la  piena  trascuratezza  della  stra-*' 
da  vengono  mitigate  dalla  veduta  magnifica,  che  si  apre 
a  sinistra,  la  quale  è  coronata  in  fondo  della  catena  del 
monte  Lepino  ,  che  per  la  distanza  mostrasi  a  guisa  di 
una  striscia  di  nubi  frastagliate.  Volgendosi  alquanto  in- 
dietro un'altro  spettacolo  si  presenta,  ed  è  quello  della' 
falda  meridionale  del  monte  Laziale,  sulla  quale  vég-'. 
gonsi  disseminate  le  città  e  le  borgate,  che  la  vestono:» 
il  candore  de'fabbricati,  le  cime  delle  cupole,  e  de'cam- 
panili  miste  alla  verdura  delie  terre  coltivate,  ed  al  bfu- 


1% 

no  delle  selve  fanno  un  contrasto  che  incanta,  sotto  un 
ciclo  così  puro  come  questo  d'Italia.  '    e 

Passato  questo  primo  miglio  dopo  il  casale  dì  De- 
cimo, insensibilmente  si  entra  nella  selva  laurentina,  la 
quale  poi  si  mostra  in  tutta  la  sua  imponenza  ,  e  per 
quattro  miglia  circa  si  percorre  :  ora  questa  si  stringe 
densa,  tetrissima,  ora  dilatasi,  e  qualche  volta  pure  si 
apre  in  campi ,  che  sono  popolati  di  armenti  numerosi 
di  buoi,  e  di  cavalli.  Carattere  che  questa  parte  del  suo^ 
lo  latino  avea  ancora  all'  apice  della  grandezza  romana 
per  la  descrizione  che  ne  ha  lasciato  Plinio  il  giovano 
alla  epoca  di  Trajano  ,  colla  differenza  grandissima  che 
passa  fra  lo  spopolamento,  e  la  frequenza,  fralla  trascu-^ 
ratezza  e  la  industria,  fra  selve  purgate,  e  macchie  in- 
colte, impraticabili,  armenti  custoditi,  e  bestiami  abban^- 
donati  in  loro  balia, 

fi;!  Quest'abbandono  è  più  sensibile  ancora  per  rincom- 
modo  a  chi  percorre  la  strada;  imperciocché  la  via  an« 
tica  bellissima  ,  in  un  terreno  arenoso  come  è  questo  j 
lastricata  con  gran  dispendio,  da  poligoni  di  lava,  fu  la- 
sciata così  derelitta,  che  quasi  direbbesi  essere  stati  pian- 
tati alberi  a  bella  posta,  dove  questa  per  qualche  inter^ 
vallo  poteva  offrirne  il  luogo  ,  onde  venisse  meno  ogni 
memoria  di  essa.  Quindi  è  che  manca  ogni  direzione;  ed 
ora  si  passa  sopra  l'antico  lastricato,  ora  gli  alberi  che 
vi  hanno  radicato  impediscono  ogni  passaggio  a  segno 
che  le  pietre  sono  mosse  e  divelle.  Immaginiamo  per  un 
momento,  che  si  avesse  avuta  cura  di  mantenere  il  pa-^ 
vimento  aptioo ,  quanto  amena  sarebbe  questa  via ,  om« 
breggiata  da  alberi  maestosi,  sotto  un  cielo,  che  tanto 
soffre  dai  dardi  del  sole,  ed  in  un  suolo  così  arenoso, 
come' questo?  ÌJ^oJ(ììi^i*.i(i  ni  .0  tì\h  in  y)«uuij*j<!i'.ib  i^npji 

:    Due  miglia  dopo  Decimo  entrasi  nel  lenimento,  detto'    \ 
la  Santola,  pertinente  al  Collegio  Alberoni  di  Piacenza, 


197 
te  che  si  traversa  per  un  trailo  assai  lungo.  Circa  il  mi- 
glio XIV.  dalla  porla  antica  di  Roma  si  perviene  ài  puntp 
più  aiUo  del  ripiano  formato  da  questa  striscia  di  dune,  re- 
litti antichissimi  del  mare,  ma  non  così  remoti,  da  dover 
risalire  alla  storia  de'  primi  tempi  del  nòstro  globo.  Di 
là  si  ha  una  veduta  magnifica  della  marina,  che  dopo  la 
noia  sofferta  nella  traversa  della  macchia  riesce  tanto 
più;  aggradevole,  come  quella  cke  annunzia  prossimo  il 
tarmine  degP  incommodi  fino  allora  incontrati.  Ivi  up 
sentiero  a  destra  guida  a  Tor  Paterno,  dove  communi^ 
mente,  si  pone  Laurento,  siccome  fu  notato  di  sopra,; e 
di  c^ie  parlerò  più  sotto.  A  sinistra  le  traccie  delle  ruote 
de*  carri,  che  hanno  antecedentemente  solcato  la  sabbia 
guidano  dopo  circa  altre  due  miglia,  cioè  al  XVI.  dalla 
pofta  antica  al  casale  di  Capocotta ,  dove  fu  Laurento, 
siccome  venne  indicato  in  principio  di  questo  articolo  , 
del  quale.^lt^gi  a\^a^qi  Qoa.^iiDaoe.cjlke.il  sito,  d(j>ve.UB 
di  sorse»  ;.  ..  ?  'f-,;  ,mi.  [•  r:.'-'  '■''•-  '  ,n,.,\:'-.':  .  '-  ■'■• 
vvq  La  origine  di  Laurento  si  confonde  nella  storia  del 
Lazio  primitivo ,  del  quale  fu  la  metropoli  più  antica. 
Dopo  che  gli  Aborigeni  uniti  a  Pelasgi  discesero  dagli 
Appennini  e  discacciarono  i  Siculi  dalla  pianura  ,  che 
per  lungo  tempo  aveano  occupato,  Pico  loro  condottiero  , 
che  si  dice  figlio,  cioè  discendente  di  Saturno ,  fondò  non 
lungi  dal  mare  Laurento,  circa  80  anni  avanti  la  presa  di 
Troja,  cioè  quasi  13  secoli  avanti  la  era  volgare.  Dopo  un 
regno  di  37  anni  lasciò  il  governo  a  Fauno  suo  figliuolo  , 
il  quale  tolta  in  moglie  Manca  n'  ebbe  Latino  che  gli  suc- 
cesse nel  regno  :  giacché  monarchica  era  la  forma  del  go- 
;yerno  di  quelli  abitanti  primitivi  del  Lazio,  e  succedevansi 
i  re  da  padre  in  figlio.  Latino  dopo  un  regno  tranquillo  di 
,roplti  .anni  si  riposava:  ;,,....., A    r,)w.i;r,.i 

..,.,[,;,)       Rex  arva  Latinus  et  utbe$)\-^r\  \;l.  «^ffiùpo-)  tiifi 
ifn   .-/awi  senior  longa  placidas  in  pace  regebat  :  (.(lomU   .  -1 


198 

allorché  compaire  su  questa  spfciggki  la  flotta  «Te' '!PrfgB 
profughi  condotti  da  Enea.  E  questa  approdò  presso  la 
foce  del  Tevere  :  e  rimontando  il  fiume  i  Trojani  pOr 
sero  campo  sulla  sponda  sinistra  di  esso  un  mezzo  mi- 
glio lungi  dal  mare,  dove  poscia  Anco  Marzio  fondò  la 
colonia  romana  di  Ostia.  Esplorato  il  terreno,  ed  infor- 
matosi chi  vi  abitasse,  chi  fosse  ih  re,  En(>a  non  ottenne 
dapprincipio  uè  ospitalità  ,  né  sussidii.  Fòrza  fu  quindi 
venire  a  violenze^  ed  i  Frigi  si  diedero  a  scorrere  e  de- 
predare il  paese  ,  onde  ottenere  viveri  ,  e  di  necessità 
gì'  indigeni  difendendo  le  loro  proprietà  Si  azzuffarono 
co'  profughi,  e  ne  venno  una  guerra  aperta  ,  alla  ijuale 
presero  parte  principalmente  da  un  canto  i  Frigi  daK 
l'altro  i  Laurentini  ed  i  Rutuli ,  loro  limitrofi.  l>àl  con- 
fronto degli  scrittori  antichi  che  ci  rimangono,  e  parti- 
colarmente da  Dionisio ,  Livio^  Aurelio  Vittore  ,.  e  Vir- 
gilio ,  i  quali  attinsero  a  sorgenti  più  antiche  ,  sembr» 
potersi  conchiudere  che  Enea  dopo  q^ualche  scaramucci» 
parziale  venne  a  trattare  con  Latino,  che  gli  assegna  per 
dimora  il  colle  oggi  detto  di  Pratica,  e  gli  accordò'  ii* 
moglie  Lavinia  sua  figlia,  ed  crede  per  mancanza  di  prole 
maschile  de'  suoi  diritti.  Cosa  ne  seguisse  si  narra*  cfove 
si  dà  il  saggio  storico  di  Lavinio,  dove  si  nota  ,'  cottle- 
morto  Latino,  Laurent©  cedette  a  Lavinio  il  suo  grado  di 
metropoli  del  Lazio,  e  come  poscia  morto  Enea,  trenta  anni 
dopo  la  fondazione  di  Lavinio,  Albalonga  divenne  là ''cA- 
pitale  de'  Latini.  La  comune  origine  e  la  vicinanza  contri- 
buì a  mantenere  stretta  la  fede  e  l'amicizia  fra  Laurento 
e  Lavinio,  ed  i  successi  dell'  una  furono  communi  all'  al- 
tra: ed  a  vendetta  dell'affronto  de' Laurentini,  i  Laviniati 
ùcdsero  Tazio. 

Distrutta  Albalonga  Laurento  come  le  àflti*©  '  città 
più  cospicue  del  Lazio  divenne  un  communc  indipenden- 
te, almeno  di  nome.  Ivi  si  ritirarono  due  de'  Tarquinii, 


199 
l^ublìo  cioè  e  Marco,  e  di  là  vennero  in  Roma  a  svelar 
la  cx)ngiura  tramata  da  Mamilio  e  dal  tiranno  espulso , 
siccome  riferisce  Dionisio  nel  lib.  V.  e*  LIV.  1'  anno  di 
Roma  256.   Ed  i   Romani   nel  trattato  famoso  deir  an^ 
no  247  conchiuso  co'  Cartaginesi  compresero  ancora  come 
si  vide  di  sopra  il  comune  de'  Laurentini,  nel  quale  inte- 
sero comprendere  ancora  quello  de'  Lavignati.  Laurento 
pochi  anni  dopo  insorse  insieme  cogli  altri  popoli  latini 
in  favore  de'  Tarquinii  contro  Roma,  e  Dionisio  enume- 
rando tutti  i  comuni,  che  presero  parte  in  quella  guerra 
sociale,  nomina  separatamente  i  Laurentini ,  i  Lanuvini'j 
ed  i  Laviniati.  Finita  quella  guerra  colla  pugna  presso  il 
lago  Regillo  i  Laurentini  furono   compresi  nel    trattato 
generale  di  concordia  e  di  alleanza,  nel  quale  i  Romani^ 
che  erano  i  vincitori   mostrarono   una   moderazione  de- 
gna di  alto  encomio.  Laurento  dopo  quella  epoca  non  fi- 
gurò più  fralle  città  rivali  di  Roma  e  non  entrò  neppure 
nella  lega  dell'anno  417,    quando  tutti  i  Latini  presero 
le  armi  contro  di  essa.  Infatti  Tito   Livio  dichiara,  che 
dopo  la  sconfitta  dell'  esercito  collegato  presso  il  Vesu- 
vio ,  e  presso  il  fiume  Astura  ,   i  Romani  misero  fuori 
di  causa  ,   come  sul  dirsi  ,   i  Laurenti  ,  perchè    non  si 
erano  rivoltati  ,  e  rinnovarono  con  loro  il  patto  sociale 
(foedus),  e  ne  ordinarono  la  rinnovazione  ogni  anno  dopo 
il  decimo  di  delle  ferie    latine  :  Extra  poenam  fuere  La^ 
tinorum  Laurentes  ....  quia  non  desciverant  :  cum  Law- 
rentibus  renovari  foedus  iussum,  renovaturque  ex  eo  quotannis 
post  diem  decimum  latinarum. 

La  prossimità  di  Lavinio  ,  la  vicinanza  di  Ostia  a 
poco  a  poco  ne  diradarono  la  popolazione  talmente,  che 
nell'anno  565  di  Roma,  i  Laurentini  furono  dimenticati 
nella  distribuzione  della  carne,  che  si  faceva  nelle  ferie 
latine ,  dicendo  Livio  ,  che  a  questa  omissione  vennero 
attribuiti  i  prodigii,  che  in  quell'anno  avvennero,  e  che 


200 

fallo  le  espiazioni  doTute  si.  celebrarono  di  nuovo  le  fe- 
rie Ialine  ,  considerando  ,  come  irregolari  ,  quelle  ante- 
cedenlemcnle  celebrate  ;  Ea  (  prodigia  )  procurata  ,  lati- 
nacque  instauratae  quod  Lawrentibus  earnis  quae  dari  de- 
bet  data  noti  fuerat.  Sopragginnsera  nel  secolo  seguente 
i  tempi  luttuosissimi  e  le  stradi  della  guerra  sillana  , 
e  Laurcnto  andò  soggetta  insieme  colle  altre  città  ma- 
rittime del  Lazio  ar  guasto»  delle  orde  sanniticbe  condotte 
da  Telesino  a  soccorso  di  Maria»  E  da  quella  epoca  Lau- 
rento  sempre  più  decadde  ,  onde  Augusto:  vi  dedusse 
una  colonia,  che  in  una  lapide  gruteriana  CCCCLXXXIV 
n.  3.  trovata  circa  il  XIV.  miglio  sulla  via  flaminia  e 
communicala  da  Lipsio  a  Grulero,  porta  il  nome  di  Colonia^ 
Augusta  Laurmtum. 

-'jh  .'Ujoi.vdiobofH  trio  Kìu-.auiVrMiu  Ì'v.wm-'ij  i  (  :i;  •■j*  /'(■ 
-a  iKM  1.-ÌS  T  .  VENNCmiO .  T  .  F .  STELL  n!f<;  \i,  y.u. 
o»i.{<(mór.  AEBVTIANO.PATRONO.Er  ,j  ni  <n.r, 
oT)Mì^{  idi  MVmCIPI .  COL.AVG.LAVR  f- u  tlhi. 
'ìd.  .«indi:  EQ.R.EQ.P.IVD.EX.V.DEC  ..  bu*;  u 
-Uiri^r  lì  (  SELECTO  .  CVR  .  R  .  F.  ALB  .  ,1  <«,.  ? 
houi  ovj?.  POMPEIANORVM  .  L  .  L  >i..  »  ,  . ., 
ì^  non  ^i{  PONTIF.EIVSDE.  SACERD  ,  fc..iMi'»  l: 
nlriKM  olii  MVMA.Q.F.CELERINA.VXOR  iwJr  mn;.  , 
oqnU  oflflfi  iu^     MARITO  .  RARISSIMO   .  ni  -►  A^.«V >u^^ 

-\n  Ma  non  potè  sostenersi,  e  di  colonia  divenne  villag- 
gio ,  e  come  vicus  la  indica  Plinio  il  giovane  nella  sua 
lettera  XVII.  del  libro  II.  diretta  a  Gallo,  il  quale  sembra 
essere  il  medesimo  ,  cbe  una  iscrizione  gruteriana  pagi- 
na CCCXGVIII.  n.  7.  appella  VICVS  AVGVSTVS.  Quella 
lapide  esisteva  nel  palazzo  Cesi,  fu  data  a  Grutero  da 
F.ultio  . Orsini  e.  dice  ^^  ,  ,  .  .,  .  ; -;,  .;.... 
oi'UUL'tf  oiu)i'''.rMii(i  s.ta'jiip  n  •d'i  ,  oi/i.I.  oiuhr.:!!»  ,  '{uii.' 
•ih    n  .oion»'»<YS  oiiaii;'ll->iij.!  n\  'hJ  >  .ii^ibo'Kf   f   siiti  in. Ir 


201 

JK».  C^mEU^m  .W  .  PAL  .  VALERI  ANI  ,  EPAGATI;4Nl,.?^^C! 
DECVRIOM  .  SPLENDIDISSIMAE  .  COJUOMAE  .  O^i^  V»}^yjj  .|.<j 
FLAMINI    .   PRAETQRI  ;.    H  .  SAGRA    .    VOLCANI  ^4   1,^  >n«\s-\ 

ENQVE  .  SODALI  .  ARV v.l»mjm)Mt^ 

©ECVRIONI  ,  I^VRENTIVM    ^  VICI  .  AVG  .  Élt*,  .,  .^  ,;  ,.  J^sfg:\ 

FATRONO  .  CORPORIS   .  LENVNCVJ^RIORVM    ,)„^.  ,^«««5^44^^ 

4.ìft>«p    t^lUi    0*VXILIARIORVM  .  OSTIENSI VBH,r')fe    ohmtm^ 

<!lti{-»;/jf     :  VIX;  •  ANNOS  ,  XLI  .  ME  .  I  -  ^  -    ' -op 

,  ||f^fiqiiNi^iy>  ,^fl)[  ,,  f,}r  PALAT  .  YALERUNVS  .    D)£CyR|pp 

•  FìhalmeriteTrajaiio  ani- insieme  i  due  oommum  dì 
Laurento  e  Lavinio  in  questa  uhima  città  che  chiamò 
Lauro-Lavinio ,  siccome  noto  nel  saggio  istorilo  di  La- 
vinio. Dopo  quella  epoca  Laurcftto"  distintamente  da  La- 
vinio ricordasi  nell'Itinerario  di  Antonino  e  nella  Carta 
Peutingeriana  ,  e  probabilmente  il  vico,  sebbene  per  le 
scorrerie  de'  barbari,  nel  Vv  e  VL  secolo  divenisse  an- 
cora più  debole  ,  qualche  popolazione  però  vi  si  sarà 
mantenuta  che  ne  avrà  conservato  il  nome,  onde  meri- 
tasse di  venire  indicata  in  un  libro  postale,  quale  è  l'Iti- 
nerario di  Antonino  ,  ed  in  una  carta  itineraria  come  è 
la  peutingeriana.  Circa  l'anno  750  papa  Zaccaria  volle 
rianimarla  formandone  una  DomuscuUa  ,  alla  quale  ag- 
gregò tutta  la  massa  Fonteiana  cioè  il  tenimento  di  Campo 
Ascolano,  e  parte  di  quello  di  Campo  Selva,  fino  al  Va- 
janico  descritti  di  soprat,  siccome  apprendiamo  da  Ana- 
stasio Bibliotecario  nella  vita  di  quel  papa^  e  probabil- 
mente a  quella  epoca  appartiene  quella  fabbrica  ,  che 
sembra  essere  stata  una  chiesa  della  grandezza  di  quella 
di  Pratica,  e  che  oggi  fa  parte  del  casale  di  Capocotta: 
Hic  domumcultam  Laurentum  naviter  ordinavit  adiiciens  et 
massam  FonUianam,  qìiae  cognominatur  Paunana.  E  quc- 


202 

sto  fatto  si  conferma  da  Cencio  Camerario  nel  registro 
inserito  dal  Muratori  nel  tomo  V.  Antiq.  Ital.  Med.  Aevi, 
nel  quale  però  per  inesattezza  de'  copisti  leggesi  Lau-^ 
return  in  luogo  di  Laurentum,  e  Fontismanam  invece  di 

Fontetanam  :    Zacharias  pontìfex consti-^ 

tuit  .  ...  et  domum  cultam  Lauretum ,  et  massam  Fon," 
tismanam  ,  quae  dicitur  Paonaria.  Né  secoli  IXv  e  X.  le 
scorrerie  de*  Saraceni  finirono  di  devastare  tutta  questa 
contrada  e  di  allontanarne  ogni  popolazione  ,  riducendo 
questa  bella  parte  d'Italia  in  quello  stato  di  desolazione^ 
dal  quale  mai  più  dopo  non  è  potuta  risorgere. 

Nel  determinare  la  situazione  di  Laurento  a  Capo- 
cotta  notai,  che  ivi  non  rimangono  vestigia  antiche  ap- 
parenti; ma  di  là  non  è  distante  più  di  2.  miglia  verso 
occidente  Tor  Paterno,  dove  suol  più  communemeiite  col- 
locarsi Laurento.  Prendendo  una  guida ,  e  traversando 
il  vicino  bosco^  che  in  parte  spetta  al  tenimento  di  Por- 
cigliano,  al  quale  pure  appartiene  la  torre  suddetta,  si 
giunge  dopo  circa  1.  miglio,  seguendo  strettamente  la 
direzione  di  ponente  in  un  campo  aperto ,  in  fóndo  at 
quale  è  la  torre  verso  mezzodì.  Ivi  tracciasi  l'andamen- 
to di  un  diverticolo  antico,  lungo  il  quale  veggonsi  avan- 
zi di  una  opera  arcuata ,  che  nella  carta  di  Cingolani , 
ed  in  altre  suol  notarsi  col  nome  di  acquedotto  lauren- 
tino:  dalla  direzione,  sembra  che  prendesse  l'acqua  nel 
lenimento  detto  la  Santola,  e  probabilmente  dal  rigagno- 
lo che  va  ad  influire  nel  fosso  di  Piastra.  Queste  vesti- 
gia di  arcuazione  vanno  a  terminare  in  una  sostruzione 
giacché  il  terreno  avvicinandosi  al  mare  va  insensibil- 
mente salendo,  e  questa  sostruzione  finisce  in  una  con- 
serva, 0  piscina  dove  l'acquedotto  metteva  capo:  che  ha 
circa  100  piedi  di  lunghezza  e  15  di  larghezza.  Aderen- 
te alla  sostruzionc  dell'  acquedotto  verso  oriente  è  una 
specie  di  ricettacolo  di  deviazione,  o  altra  conserva,  qua- 


dlrUunga  che  ha  15  piedi  di  larghezza  e  30  di  Tutìghes^-' 
za:  l'acquedotto  e  la  piscina  sono  costrutti  di  opera  la^- 
terizia  di  mattoni  sottili,  con  calce  piuttosto  abbondan- 
te, costruzione  analoga  per  ogni  riguardo  ad  altre  opere 
antiche  contemporanee  di  Commodo,  e  di  Severo ,  cioè 
(deirultimo  periodo  dal  secondo  secolo,  e  del  primo  deJ 
terzo  della  era  volgare:  ambedue  le  conserve  o'rifcètla- 
éofi  erano  internamente  rivestite  di  signin(y  o  asIrabW'r 
là  prima  dì  queste  conserve  non  ha  rinfianchr:  T  àltfk 
ossia  quella  in  che  terminava  I' acquedotto' ha- dstema'- 
menfe  verso  settentrione  cinque  pilastri,  ed  'ihtei'h'aTnferi-' 
(è  sette  per  parte.  Plinio  ir  giovane  deScirfverido  la  stia 
TÌlìa  lauren  ina  nella  lettera  XVII.  del  librò  II.  nota  e'hfe 
mancava  di  acqua  saliente,  cioè  condotta,  Bsa  che  avea 
p©2zi  o  piuttosto  fonti,  poiché  non  erano  profondi  ,  ma 
a  fior  di  terra,  e  loda  la  natura  mirabile  di  quel  Fido» 
che  dovunque  muoveasi  la  terra  scaturiva  acqua  pura  to 
sincera,  e  quantunque  vicinissima  al  mare  sènza  ombra 
di  salsedine  :  haec  utilitas ,  haec  amoenitas  defìcitur  aqua 
salienti;  sed  puteos  ac  potius  fontes  liabet ',  sunt  enimin 
summo.  Et  omnino  litoris  illius  mira  natura ,  quocàmque 
ioco  moveris  hmnum  ,  obvius  et  paratus  humor  occurrit , 
isque  sincerus  ac  ne  leviter  quidem  tanta  maris  vicinitate 
salsus.  La  costruzione  di  questo  acquedotto  è  evidente- 
mente posteriore  alla  epoca  di  Plinio^  la  direzione  di 
esso  tende  alla  odierna  Torre  Paterno,  dove  sono  rovi- 
ne di  una  villa,  forse  quella  imperiale,  dove  Commodo 
andò  a  ritirarsi  nella  peste  di  Koma  :  ora  siccome  os- 
servo nelle  rovine  di  quella  villa  due  costruzioni  diver- 
se, una  appartenente  ai  tempi  neroniani,  l'altra  a  quelli 
degli  Antonini,  e  questa  è  analoga  a  quella  dell'acquiì- 
dotto,  credo  che  non  sia  improbabile  riferire  a  Commo- 
do l'opera  di  questo  acquedotto,  onde  fornire  la  villa' di 
acqua  corrente.  Quanto  poi  alla  Verità  di  «6  ch«  Plinio 


204 

asserisce  sulla  natura  di  questa  spiaggia,  i  pozzi  di  Tor 
Paterno,  Tor  s.  Michele,  e  quello  presso  Tor  Bovacr 
ciana  nelle  rovine  di  Ostia  ne  s<)i»o  una  evidente  dimo- 
strazione..    ;,,.  <A-i:-,y'^n  if;v')  Ti'!  .;;;(,!<;;:;;    •^f:^' -,  m-:  (,,;;•>   ,')! 

Il  easatc  che  ha- dome  di  Tor  Paterno,-  poiché  la 
;torre  propriamente  detta  fu  smantellata  dagl'Inglesi  nel 
18,09i  è,  uno  de'posti  militari  che  guardano  la  spiaggia 
del  mare,  mediterraneo.  Esso  è  costrutto  sopra  i  ruderi 
della  villa  testé  nominata,  una  di  quelle  che  nel  primo 
e  secondo  secolo  della  era  volgare  coprivano  la  spiaggia, 
servendo  di  diporto  nella  stagione  invernale,  e  di  pri- 
mavera. JBsaminaudo  queste  vestigia  a  parte,  a  parte,  rir 
conobbi,  che  l'  edificio  più  centrale,  che  si  direbbe  una 
.gran  sala,  è  il  solo  che  offra  utfa  costruzione  originale 
del  secolo  primo  della  era  volgare^  di  opera  laterizia  ana- 
loga a  quella  neroniana  del  Palatino:  il  resto  si  compof 
ne  di  diversi  ambienti  di  costruzione  del  tempo  degli 
Antonini,  travisati  da  mutilamenti  e  fabbriche  posterio- 
ri, moderne.  Dopo  la  conserva  in  che  metteva  capo  f'acque- 
dotto,  presentasi  primieramente  un  recinto  che  fu  pro- 
babilmente un'  area ,  o  giardint:^  di  forma  rettangolare  , 
che  nel  lato  che  guarda  settentrione  offre  vestigia  di  ope- 
ra mista  ,  il  solo  esempio  che  oggi  si  abbia  in  tutta  la 
fabbrica,  e  che  direbbesi  appartenere  al  secolo  IV.  del- 
la era  volgare:  quest'area  verso  mezzodì  sembra,  che  ve- 
nisse interrotta  da  un  ripiano  particolare,  che  ne  occu- 
pava due  sesti,  rimanendo  ancora  ne'muri  laterali  trac- 
cio della  separazione.  In  fondo  a  questa  area  verso  orien- 
t»  è  il  salone  di  costruzione  primitiva,  cioè  di  mattoni 
triangolari  grossi  circa  due  oncie  ,  arrotati ,  legati  con 
poca  calce  e  perfettamente  ordinati.  Verso  occidente  è 
un'altra  sala  a  forma  di  triclinio,  rivolta  al  mare,  ed  at- 
tinente a  questa  a  destra  una  camera,  che  per  le  costru- 
zioni moderne  ha  cangiato  forma,  la  quale  però  chiude- 


va  da  questa  parte  la  fabbrica.  A  mezzodì  del  snionb, 
verso  oriente  ,  dove  oggi  è  la  caserma ,  distaccasi  unàì^ 
specie  di  torre  rinfiancata  verso  oriente  e  mezzodì  da 
contrafforti,  ed  appoggiata  verso  occidènte  ad  un  muro, 
che  è  il  prolungamento  di  quello  dell'area,  e  che  verso 
il  mare  si  vede  troncato.  Fra  questo  muro  ed  il  tricli- 
nio ricordato  di  sopra  6  la  chiesuola  dedicata  a  s.  Fi- 
lippo, dinanzi  alla  quale  un  capitello  ionico  de 'buoni  tem- 
pi ricorda  la  decorazione  primitiva  della  fabbrica:  altri 
se  Àé  veggono  a  Porcigliano  trasportati  di  qua.  Questa 
chiesuola  è  in  fondo,  ossia  verso  settentrione,  appoggia^- 
ta  al  salone,  ed  occupa  un'antico  recesso,  o  camera,  fian-- 
cheggiata  a  sinistra,  e  a  destra  da  altri  due  recessi,  o 
camerette  per  parte  :  verso  occidente  queste  camerettijf 
sono  separate  dal  gran  triclinio  da  una  sala  oggi  ridotta'- 
a  stalla.  * 

"'^?'lQue^i  sono  gli  avanzi,  che  veggonsi  a  Tor  Patera-* 
fio,  e  che  sono  tutti  insieme  uniti,  e  legati  fra  loro,  on-' 
de  per  la  disposizione  mostrano  appartenere  ad  un  sol 
fabbricato  costrutto  in  origine  nel  primo  secolo,  ingran- 
dito nel  declinare  del  secondo,  ed  allora  fornito  di  acqua 
corrente,  ristaurato  verso  settentrione  nel  quarto.  Il  com-' 
plesso  di  questi  ruderi  ed  il  riparto  delle  camere  facil-" 
mente  dimostra   che  fu  una  villa,  la  quale  ha  qualche 
analogia  ccn  quella  di  Plinio  il  giovane,  ma  non  è  la  me-' 
desima.  Investigando  lutti  i  dintorni  non  ho  potuto  rih*-' 
venire  alcuna  analogia  di  topografia,  fra  quella  che  Vir- 
gilio» assegna  a  Laurento,  e  questa  di  Tor  Paterno;  mani- 
ca la  difficoltà  dell'accesso,  la  palude  vasta,  la  distanza 
dal  mare;  poiché  è  evidente  che,  se  oggi  Tor  Paterno  è 
circa  I  di  miglio  distante  dalla  spiaggia  lambita  dalle  on- 
de, 15  secoli  fa  que'ruderi  erano  a  contatto  immediato: 
colie  ac^e,  e  che  l'allontanamento  di  queste  è  seguita. 


20(5 

per  le  cause  altrove  esposte,  comoiuai  a  tutta  la  spiag-. 

già  presso  le  foci  del  Tevere.  (,^3,,,  ,,,,0],  .  ai«'>iio  mi-^^ 

»>Ì»     lli'JW'lMl  ..      ■•\'Hiì.  )\t    '/ff^tY' 

.,l,i,,  ii  {,.,       LAVINIVM-Piìir/C^.        ,,  i,  ,,„,,  .: 

...,  ,  Fra  Ostia,  ed  Anzio,  da  Strabone,  Pomponio  Mela 
e  Plinio ,  seguiti  nel  secolo  Vili,  dall'  anonimo  di  Ra- 
venna, pougonsi  prima  Laurento,  poi  Lavinio,  quindi  il. 
luco  di  Giove  Indigete,  il  fiume  Numico,  Ardea,  ed  in 
ultimo  luogo  Afrodisio,  L'Itinerario  di  Antonino  ,  come 
si  legge  nel  testo  di  Aldo  situa  Lavinio  XVI.  miglia  lun- 
gi da  Roma,  e  la  Carla  Peutingeriana  al  XVII.  Dioni- 
sio poi  mostra  nel  libro  I.  come  questa  città  fu  edifica- 
ta da  Enea  nel  luogo  dove  si  riposò  la  celebre  troja , 
che  egli  sagrificò  insieme  co'suoi  trenta  porcelli,  e  pre- 
cisamente sopra  un  colle  distante  24  stadii  dal  mare,  os- 
sia 3  miglia  romane.  Strabone  nota,  che  era  vicino  ad 
Ardea:  e  precisamente  può  stabilirsi  dalla  Carta  Peutin- 
geriana che  fosse  3  miglia  distante  da  Laurento,  poiché 
essendo  quella  città,  come  si  vide  poc'anzi  nell'articolo 
LAVRENTVM  a  Capocotta,  ne  siegue  che  III.  e  non  VI. 
era  il  numero  originale  che  per  imperizia  de'copisti  fu 
tramutato ,  raddoppiando  così  la  distanza.  Tutte  queste 
circostanze  di  luogo  e  di  misura  coincidono  nel  colle , 
sul  quale  è  la  borgata  di  Pratica,  ne'tempi  bassi  detto 
Patrica ,  feudo  de'  Borghesi ,  e  per  conseguenza  ivi  fu 
l'antico  Lavinium.  Infatti  quel  colle  isolato  ha  un  buon 
miglio  di  circonferenza,  è  circa  17  m.  distante  da  Ro- 
ma per  la  strada  moderna,  3  dal  mare,  e  non  più  di  5 
da  Ardea.  Ed  a  maggiore  conferma,  oltre  varie  vestigia, 
e  molti  frammenti,  vi  si  veggono  ancora  parecchie  iscri- 
zioni, che  escludono  qualunque  dubbiezza ,  e  mostrano 


267 
tulla  la  insussistenza  delle  opinioni  di  coloro  che  ne'tem- 
pi  passati  la  vollero  credere  a  Civita  Lavinia,  a  Pctro- 
nella,  ed  a  Monte  di  Leva.  .i  'ttuon  lo» 

La  strada,  che  oggi  da  Roma  conduce  a  Lavinium, 
o  Pratica  esce  dalla  porta  s.  Paolo,  e  fino  al  ponticello 
dopo  quella  basilica  è  la  stessa  che  la  laurentina  primi- 
tiva, e  la  laurentina  ed  ostiense  posteriore.  Essa  fin  pres- 
so Pratica  ò  la  stessa  di  quella  di  Ardea,  passando  per 
le  Tre  Fontane,  Ponte  Buttero,  Acqua  Acetosa,  Schizza- 
nello.  Monte  Migliore  e  Solfarata,  luoghi,  che  si  notano 
ciascuno  all'articolo  rispettivo.  ifiriin.l 

Poco  meno  di  un  miglio  dopo  la  Solfarata  si  ha  utt 
bivio:  la  strada  a  sinistra  continua  ad  essere  l' ardeati- 
na  che  prima  della  Solfatara  si  raggiunge,  quella  a  de- 
stra conduce  a  Pratica,  cioè  a  Lavinio.  Seguendo  questa 
si  costeggia  per  qualche  tratto  a  destra  il  tenimento  di 
Monte  di  Leva,  dove  alcuni  posero  ne'  tempi  scorsi  La- 
vinio ,  credendo  il  nome  moderno  una  corruzione  dell' 
antico;  ma  la  carta  più  volte  indicata  del  1330  dell'ar- 
chivio di  s.  Maria  in  Via  Lata  mostra  bene  la  etimolo- 
gia del  nome  Leva  che  non  é  s«  non  un'  abbreviatura 
di  OUbanum,  poiché  in  quella  leggesi  frai  confini  di  Pe- 
tronella  ricordato  il  tenimentum  montis  Olibani.  A  sini- 
stra seguita  il  tenimento  della  Solfarata.  Circa  il  mi- 
glio XVIL  la  strada  traversa  il  latifondo  di  Petronella- 
Rovere  da  non  confondersi  con  quello  di  Petronella-Na- 
ro,  dove  alcuni  degli  antiquarii  posero  Lavinio ,  ed  al- 
tri, frai  quali  1'  Olslenio ,  il  luco  ,  e  fano  di  Anna  Pe- 
renna nel  sito  precisamente  della  cappella^  o  cona  di  s. 
Petronilla;  ma  e  gli  uni  e  gli  altri  sV  ingannarono,  poi- 
ché si  è  di  già  dapprincipio  veduto,  che  Lavinium  fa  a 
Patrica  o  Pratica,  ed  essendo  secondo  Ovidio  e  Silio  Ita- 
lico il  fano  di  Anna  Perenna  sul  fiume  Numico,  fu  moU 
to  distante  da  PetroncUa-Naro,  siccome  fra  poco  vedre- 


208 

rao.  La  Petronctla-Hovcre  poi  che  qui  si  traversa  è  quel- 
la ricordata  nella  carta  del  1330  più  volte  accennata  j 
col  nome  di  Peronile,  ed  alla  quale  assegnansi  per  con- 
fini appunto  i  tenimenti  di  Patrica ,  di  monte  Olibano , 
di  un  casale  detto  la  Masone,  oggi  Magione,  e  della  Sol- 
farata,  che  sono  quelli  che  circoscrivono  anche  oggi  tal 
tenimento.  Entrasi  quindi  nella  selva  laviniate,  che  av- 
vicinandosi a  Pratica  prende  l\aspetto  di  mi  viale  fian- 
cheggiato da  quertie,  sugheri,  elei,  olmi,  ed  allori,  i 
quali  in  questo  sito  ricordano  la  etimologia  dell'  agro 
laurentc.  Nelle  carte  di  Ameti  e  di  Cingolani  sono  in- 
dicate lungo  il  viale  a  sinistra  vestigia  dell'  acquedotto 
di  Lavinio,  oggi  però  quasi  intieramente  diroccato.  Cir- 
ca al  miglio  XVIII.  si  volge  a  destra  per  entrare  in  Pra- 
tica, e  l'accesso  n'è  ameno,  considerando  lo  stato  di  ab- 
bandono in  che  si  trova  tutta  la  contrada  per  mancan- 
za di  popolazione  :  le  vigne  che  appariscono  dietro  la 
spalliera  di  alberi  annunziano  una  coltivazione  più  accu- 
rata ed  una  riunione  di  uomini  vicina:  Plinio  nel  libro 
XIV.  e.  HI.  nomina  una  uva  particolare  ai  Sabini ,  ed 
ai  Laurentini,  che  chiama  vinaciola:  Vinaciolam  soli  no- 
minaverunt  Sabim  et  Laurenti,  cioè  Laurentini,  come  cor- 
regge Cluverio,  o  Laurentes ,  come  io  credo  più  proba- 
bile. Varii  frammenti  di  colonnette  di  marmo  impiegate 
in  usi  communi  fanno  testimonianza  che  il  luogo  fu  an- 
ticamente abitato. 

Entrasi  in  Pratica  per  una  porta  moderna  aperta 
sotto  il  palazzo  baronale;  avanti  però  d'indicare  la  sua 
topografia  credo  conveniente  premettere  un  breve  saggio 
storico  di  Lavinio,  e  come  sorse  ,  scomparve  ,  e  ricom- 
parve di  nuovo  sotto  nuove  forme  e  nome  nuovo. 

Tutti  gli  antichi  scrittori  che  ci  rimangono,  latini, 
e  greci  si  accordano  a  riguardare  la  fondazione  di  La- 
vinio, come  opera  di  Enea;  niuno  però  con  maggior  lu- 


209 
me  di  storia  e  con  particolari  più  estesi  ne  parla  di  Dio- 
nisio il  quale  io  credo  di  seguire  non  solo  per  queste 
ragioni,  ma  ancora,  perchè  i  più  accurati  scrittori  lati- 
ni non  difTeriscono  da  lui  ne'  fatti ,  ma  sembrano  quasi 
averlo  compendiato:  egli  avvalora  d'altronde  il  suo  rac- 
conto e  coll'autorità,  e  co' monumenti  che  ancora  esiste- 
vano, e  che  mostra  di  aver  esaminalo  co'  proprii  suoi 
ecclù.  E  incomincia  con  saviezza  dal  dichiarare,  che  tut- 
ti i  Romani  ammettevano  la  venuta  di  Enea  e  dei  Tro- 
jani  in  Italia ,  e  che  questa  veniva  confermata  dai  riti 
che  osservavano  ne'sagrificii  e  nelle  feste,  dagli  oracoli 
sibillini ,  dalle  risposte  delfiche ,  e  da  molti  altri  fatti 
che  niuno  potrebbe  avere  in  dispregio  come  inventati  per 
convenienza.  Or  questa  dichiarazione  era  necessaria  a 
premettersi,  poiché  senza  ammettere  la  venuta  di  Enea, 
inutile  sarebbe  stato  inoltrarsi  in  una  storia  che  l'  am- 
mette per  base  :  che  se  lo  era  per  Dionisio  lo  è  anco- 
ra per  noi,  i  quali  viviamo  in  tempi  che  alcuni  per  trop- 
po volere  usare  di  critica  ne  fanno  un  abuso,  formando 
sistemi  sopra  supposizioni  fantastiche ,  che  vorrebbero 
torci  ancora  quel  poco  di  gloria  che  ci  rimane  per  le 
memorie  degli  avi  nostri;  ma  io  tomo  a  protestare,  che 
amo  meglio  ingannarmi  cogli  antichi  in  cose  di  loro  per- 
tinenza di  quello  che  divenire  indovino  co'  moderni  che 
tanto  più  lontani  sono  da  que'  tempi  in  che  potevano 
aversi  lumi  di  fatto  sopra  tante  cose  che  oggi  sembrano 
questione.  Enea  dopo  una  lunga  navigazione,  della  quale 
Dionisio  ricorda  le  leggende  moltiplici  che  correvano  , 
giunto  nella  spiaggia  laurente,  conobbe  essere  questo  il 
luogo  destinato  a  termine  de' suoi  travagli.  Frai  segni, 
che  notò  ,  vi  fu  pur  quello  di  una  troja  gravida  che 
isfuggi  ai  suoi,  ed  inseguita  andò  a  riposarsi  sopra  un 
colle  24  sladii,  o  3  miglia  distante  dal  mare  ;  ivi  una 
voce  uscita  dal  luco  vicino  ingiunse  al  trojano  di  arro- 

14 


aio 

starsi,  e  fondare  una  cillà,  nella  quale  tanti  anni  sareb- 
bero rimasti  i  suoi,  quanti  fossero  stati  i  porcelli  che 
sarebbero  venuti  alla  luce,  ed  allora  sarebbero  partiti  a 
fondare  un'  altra  città  felice  e  grande.  La  dimane  la  troja 
4iè  alla  luce  30  porcelli  ,  i  quali  da  Enea  vennero  in- 
sieme colla  naiadre  immolati  agli  dii  patrii  noczpcooti 
0£e?5  ,  cioè  agli  dii  penati  di  Troja.  11  luogo  in  che 
avve«ne  questo  sagrificio  si  vedeva  ai  tempi  di  Dionisio  , 
eà  era  una  specie  di  capanna  ,  nella  quale  i  Laviniati 
non  permettevano  ad  alcuno  straniero  di  entrare,  stiman- 
dola sacra.  E  Varrone  nel  lib.  11.  de  Re  Rustica  e.  IV. 
dopo  Aver  riferito  il  parto  straordinario  di  questa  bestia, 
dice,  che  si  vedeva  ancora  il  simulacro  e  quello  de'  figli 
jeffigiato  in  bronzo  in  Lavinio,  e  che  il  corpo  della  ma- 
dre posto  sotto  sale  conservavasi  dai  sacerdoti  :  Hujus 
suis  ac  porcorum  etiam  nunc  vestigia  apparent  Lavimi  quod 
£t  siimUacra  eonum  aÀenea  etiam  nunc  in  publico  posita  , 
et  corpus  matris  ah  sacerdotibus  quod  in  salsura  fuerit  de- 
monstratur.  Dopo  questo  fatto  Enea  fece  muovere  il  campo 
ai  Trojani  ed  ordinò  loro,  che  occupassero  il  colle,  sulla 
-cui  sommità  incominciò  a  costruire  i  templi  degli  dii  : 
e  con  grande  impegno  si  pose  ad  edilicare  la  città  »  e 
mancando  di  certi  attrezzi  e  di  materiali  fece  far«  scor- 
rerie intorno  nel  paese,  onde  procacciarsi  ferramenti,  le- 
ignami,  ed  attrezzi  di  agricoltura. 

.  Una  occupazione  di  stranieri  incogniti  così  imjM^v- 
^isa^  accompagnata  da  depredazioni,  durissima  riuscì  agli 
indigeni,  che  corsero  con  lagnanze  esaggerate  al  campo 
di  Latino  che  era  allora  in  guerra  co'  Rutuli,  tribù  con- 
.finajDte  verso  sud-est.  Latino  sospese  la  guerra ,  e  mo- 
vendo il  campo  contra  i  Trojani  ,  attendossi  sul  far  della 
sera  firesso  la  nuova  città  di  Enea  coll'animo  di  assalirlo 
allo  spuntare  jdel  giorao.  La  ragione  porta  a  credere , 
-che  si  prea4.€Ssero  frattanto  informazioni  da  ambedue  le 


21il 
parti)  e  che  gli  animi  si  disponessero  a  trattative  ,  che 
poi  nei  di  seguente  finirono  in  un    trattato  positivo  ,   a 
condizioni  eque  per  ambedue  le  parti.  Ma  lo  spirito  dei 
tempi   volle  dare  a  questo  un'apparenza  straordinaria,  e 
Dionisio  riferisce  ,    che  nella  notte  apparve  a  Latino   il 
Genio  del  luogo  (  Fauno  )  il  quale    gì'  ingiunse  di  dare 
asilo  agli  stranieri,  poiché  grandi  vantaggi  ne  sarebbero 
derivati  agli  Aborigeni  :  e  nello  stesso  tempo  apparvero 
ad  Enea  gli  Dii  Patrii  (  i  Penati  ),  i  quali  lo  esortarono 
a  muovere   Latino  ad  accordar   loro   la    sede    che  volc-^ 
yano,  0  ad  averli  piuttosto  come  alleati ,  che    come  ne- 
jnipi:  all'  uno  ed  all'altro  poi  venne  proibito  '  di  comini- 
ciar  la   ptigna.   All'apparire  del  giorno    si  presentarono 
araldi  ne' due  campi  invitando  reciprocamente   un  capi*- 
tano  l'altro  a  parlamento^  ed  Enea  e  Latino  convennero 
in  questi  patti  :  che  gli  Aborigeni  avrebbero  accordato 
ai  Troiani  il  terreno  ,  che  domandavano,  cioè  40  stadii 
partendo  dal  colle  ,  che  non  convien   prendere   come  a 
prima  vista  si  crederebbe   intomo  ,  poiché    verso   occi- 
dente avrebbe  assorbito   Laurento,  verso  mezzodì  man- 
cava di  fatto  ,    ma  40   stadii  in   giro  intorno  al    colle  ;, 
e  non  di  raggio  :  che  i  Troiani  avrebbero  in   questa  ie 
nelle  successive  guerre  prestato  pieno  soccorso  agli  Abo- 
rigeni: che  i  due  popoli  colla  mente  e  colla  opera  si  sa- 
rebbero data  la  mano  per  il  vantaggio  commune.  I  Tfo- 
jani  uniti  agli  Aborigeni  si  portarono  ad  attaccare  i  Rii- 
tuli  che  rimasero  pienamente    sconfitti  ,  e  quindi  torna- 
rono a  fabbricare  la  città  che  aveano  lasciata  imperfetta, 
alla  quale  Enea  pose  nome  Lavinio,  onde  onorare  Lavi- 
nia figlia  del  re   Latino  ,   che    ebbe  in  isposa.    E   sulla 
origine  del  nome  Lavinio  indicata  ,  per  testimonianza    di 
Dionisio  medesimo,  tutti  i  Romani  andavano  di  accordo  ; 
non  così  i  Greci  avvezzi  a  foggiar  favole,   frai   quali  se- 
condo lo  stesso  storico  alcuni  pretendevano,  che   deri- 


212 

vasse  da  una  Launa,  o  Lavinia  figlia  di  Anio  re  di  Delo 
indovina  e  sapiente  insigne,  che  Enea  domandò  ed  ot- 
tenne dal  padre  perchè  l'accompagnasse  nella  sua  pere- 
grinazione, e  che  caduta  ammalata  morì  in  questo  luo- 
go, mentre  i  Trojani  attendevano  alla  edificazione  della 
città,  e  fu  sepolta  dove  morì ,  ed  ebbe  per  monumento 
la  città  stessa  che  ne  portò  il  nome.  Ma  la  critica  sana 
vuole  che  in  cose  italiche  si  segua  non  solo  la  tradizio- 
ne più  ricevuta  dagli  storici  nazionali  ,  ma  ancora  appog- 
giata a  monumenti  e  ceremonie  religiose,  e  non  impro- 
babile per  modo  alcuno  :  onde  io  non  credo  di  essere 
tacciato  di  parzialità,  se  seguo  piuttosto  tutti  gli  storici 
italici  antichi,  ed  i  greci  più  insigni,  che  qualche  mito- 
grafo. 

o»'tn. Nella  edificazione  di  Lavinio  avvenne,  secondo  Dio- 
nisio ,  un  prodigio ,  che  appiccatosi  il  fuoco  spontanea- 
mente  nella  selva  vicina,  un  lupo  portando  in  bocca  un 
pezzo  di  legno  secco  ve  lo  gittò  sopra  per  animarlo,  ed 
un'aquila  accorsa  col  battere  delle  ale  accresceva  la  fiam- 
ma; quando  una  volpe  macchinando  il  contrario,  inzup- 
pata la  coda  nel  rivo  prossimo,  cercava  di  estinguere  il 
fuoco:  ed  ora  superavano  quelli,  ora  questa,  ma  infine 
la  vinsero  il  lupo  e  l'aquila,  e  la  volpe  non  potendo  fa- 
re altro  fu  costretta  ad  allontanarsi.  Enea  che  era  sta- 
to spettatore  di  questa  lotta  ne  trasse  buon  augurio  per 
la  nuova  colonia;  e  Dionisio  soggiunge  che  in  memoria 
di  questo  avvenimento  vedevansi  a'suoi  giorni  nel  foro 
di  Lavinio  i  simulacri  di  bronzo  degli  animali  sovrain- 
dicati  che  da  lungo  tempo  si  conservavano.  Non  è  im- 
possibile che  la  leggenda  del  preteso  prodigio  fosse  in- 
ventata ne'tempi  posteriori  per  dare  una  spiegazione  ar- 
cana di  que'simulacri,  che  erano  le  insigne  de 'Lavina  ti, 
adottate  poscia  ancor  da'  Romani ,  che  discendevano  da 
loro.  flvk  «litttJ?  «^^^5^  <;1  •  ot etto 


213 

La  epoca  della  fondazione  di  Lavinio  si  discute  con 
molta  dottrina  da  Dionisio,  il  quale  la  determina  al  se- 
condo anno  dopo  la  presa  di  Troja:  ora  Ilio  secondo  Io 
stesso  storico  fu  preso  17  giorni  innanzi  al  solstizio  di 
estate,  corrispondente  al  dì  8  di  Targelione  spirante,  me- 
se degli  Ateniesi ,  che  è  quanto  dire  secondo  il  nostro 
computo  il  dì  3,  o  4.  di  giugno  1200  anni  avanti  la  era 
volgare  :  quindi  Lavinio  fu  fondata  verso  la  medesima 
epoca  nell'anno  1198,  cioè  445  anni  prima  di  Roma.  Nel 
primo  anno  dopo  la  fondazione  di  Lavinio  non  si  ricor- 
da alcun  fatto  degno  di  memoria;  ma  nell'anno  seguen- 
te che  fu  il  IV.  dopo  la  distruzione  d'Ilio,  Lavinio  di- 
venne la  capitale  del  Lazio.  I  Rutuli  insorsero  di  nuo- 
vo contro  Latino ,  guidati  da  Turno  cugino  di  Amata 
moglie  di  Latino,  che  avuto  ad  onta  il  matrimonio  con- 
chiuso fra  Lavinia  ed  Enea  da  Latino,  al  quale  egli  aspi- 
rava, abbandonò  la  corte  di  Laurento  e  ritirossi  presso 
la  tribìi  allora  irrequieta  de'Rutuli.  Essendo  i  due  eser- 
citi venuti  alle  mani,  la  battaglia  fu  grandemente  acca- 
nita, poiché  da  una  parte  cadde  Latino,  e  dall'altra  Tur- 
no: la  vittoria  però  rimase  agli  Aborigeni  ed  ai  Troja- 
bì.  Enea  per  i  dritti  di  Lavinia  successe  a  Latino  e  tra- 
sportò la  sede  del  governo  a  Lavinio;  ma  per  unire  viep- 
più i  due  popoli ,  ed  accattivarsi  meglio  1'  affetto  degli 
Aborigeni  li  fuse  insieme  sotto  il  nome  di  Latini,  onde 
onorare  la  memoria  dell'  es  tinto  re  nazionale.  Egli  so- 
pravvisse due  anni  alla  morte  del  suocero;  imperciocché 
nel  IV.  anno  dopo  la  fondazione  di  Lavinio ,  i  Rutuli 
prese  di  nuovo  le  armi,  assistiti  da  una  mano  di  Tirre- 
ni guidati  da  Mezenzio  re  de'Ceriti  vennero  ad  una  fie- 
ra battaglia  coi  Latini  nelle  vicinanze  di  Lavinio ,  sui 
fiume  Numico,  nella  quale  Enea  disparve:  onde  altri  lo 
credettero  assunto  al  cielo,  altri  e  con  maggior  sicurez- 
za perito  nel  fiume,  sul  quale  si  diede  la  pugna.  E  per- 


214 

eiò  i  Latini  costrussero  e  dedicarono  un  Eroo  in  suo 
onore  colla  iscrizione  :  PATRIS  DEI  INDIGETIS  QVI 
FLVVII  NVMICII  AMNEM  TEMPERAI:  e  questo  eroo 
veduto  da  Dionisio  consisteva  in  un  tumulo  artificiale , 
non  molto  grande,  con  fila  di  belli  alberi  intorno.  Altri 
però  attribuivano  questo  eroo  ad  Anchise,  che  secondo 
una  pàrticolar  tradizione  era  morto  in  Lavinio  un  anno 
prima  di  Enea;  ma  la  prima  leggenda  era  più  univer- 
salmente ricevuta.  Morì  pertanto  Enea  l'anno  1194  avan- 
ti l'era  volgare. 

~n;iV,:0L  lui  successe  il  figlio  Eurileonte  soprannomato  Asca- 
nio,  ed  lulo,  il  quale  ebbe  a  continuare  la  guerra  con- 
tra  Mezenzio.  Dionisio,  e  l'autore  dell'opuscolo  intitola- 
to Origo  Gentis  Romanae,  attribuito  ad  Aurelio  Vittore, 
che  è  una  compilazione  degli  storici  più  antichi  del  La- 
zio e  specialmente  delle  Origini  di  Catone,  narrano,  che 
avendo  Ascanio  stabilito  di  non  dar  posa  a  Mezenzio , 
il  figlio  di  costui  Lauso  pervenne  ad  impadronirsi  del 
colle  presso  la  rocca  di  Lavinio:  onde  essendo  stretta  la 
città  da  tutte  le  parti  i  Latini  inviarono  ambasciatori  a 
Mezenzio  domandandogli^  a  quali  condizioni  li  avrebbe 
ammessi  alla  resa,  e  siccome  quel  re  fra  altri  gravosis- 
simi  patti  vi  aggiunse  quello  ,  che  tutto  il  vino  che  si 
faceva  nelle  terre  latine  gli  venisse  per  alcuni  anni  con- 
segnato, per  consiglio  e  per  autorità  di  Ascanio  dichia- 
rarono di  volere  morire  piuttosto  per  la  libertà ,  che  sot- 
tomettersi così  vilmente  alla  schiavitù;  e  primieramente 
consagrarono  a  Giove  il  vino  di  ogni  vendemmia,  e  po- 
scia fatta  una  generale  sortita  misero  in  rotta  gli  asse- 
dianti,  uccisero  Lauso,  e  forzarono  Mezenzio  alla  fuga, 
onde  dopo  si  vide  costretto  ad  implorare  la  pace  dai 
Latini.  E  da  ciò  ebbero  origine  le  feste  Vinalia,  secon- 
dò Pesto:  /ovM  dies  festus,  (dice  egli  nella  voce  Rustica 
■^malia)  quia  Latini  bellum  gerentes  adversus  Mezentiumj 


215 

omnis  vini  Ubationem  et  deo  dedicaverunt.  Verrio  Fiacco 
però  nel  suo  calendario  dice  ,  avere  Mezenzio  imposto 
questa  coudizione  ai  Katuli  per  prezzo  dol  s-tio  soccor- 
so ;  imperciocché  così  si  legge  in  data  de'  23  di  aprile 
nella  tavola  marmorea  frammentata  esistente  nel  palaz- 
zo Stoppani ,  e  da  me  supplita  :  VIN  f  lovis  .  is  .  dies  . 
dicitur  .  sed  .  festum  .  est .  veneri»  ....  iovis  .  autem  .  fe- 
»tum  .  est  .  quod  .  eo  .  consecratvi»  .  est  .  iom  .  vinum  . 
ex  .  exuviis  .  quae  .  daKEUTYR .  ab  .  rvtvlis  .  qvia  .  me- 

ZENTIVS  .  REX  .  ETRV5C0rVM  .  PACISCEBATVR  .  SI  .  SVBSI- 
DIO  .  VENISSIT  .  OMNIVM    .    ANNORVM    .    VINI    .    FRVGTVM   ^ 

Ed  a  questo  segmento  serve  di  chiosa  il  passo  di  Pli^ 
nio  lib.  XIV.  e.  XIV.  che  allega  Varrone  :  IH.  Varrò 
auctor  est  Mezentium  Etruriae  regem  auxilium  Rutilis  con- 
tra  Latinos  ttdisse  vini  mercede  quod  tum  in  latino  agro 
fuisset  :  cioè  che  Mezenzio  conchiuse  coi  Rutuli  il  trat- 
tato di  soccorrerli  nella  guerra  contro  i  Latini  col  patto 
che  gli  si  desse  tutto  il  vino  che  allora  trovavasi  nel- 
l'agro latino  ,  il  quale  perciò  fu  dai  Latini  consagrato 
a  Giove,  onde  rendere  nulla  tal  condizione.  Ovidio  nel 
quarto  de'  Fasti  v.  879  cantando  questo  stesso  fatto  lo 
dice  avvenuto  sotto  di  Enea  non  sotto  di  Ascanio.  Sono 
queste  leggiere  varianti  di  un  fatto  riconosciuto  ,  cioè 
che  Mezenzio  prese  le  armi  contro  i  Latini  a  favore 
de'  Rututi  ,  e  che  fralle  condizioni  del  trattato  vi  fu 
quella  della  cessione  di  tutto  il  vino  che  ritraevasi  dalle 
terre  latine.  Lavinia  dopo  la  morte  di  Enea  ,  temendo 
di  avere  a  soffrire  duri  trattamenti  dal  figliastro,  quan- 
tunque si  trovasse  incinta,  ritirossi  presso  un  guardia- 
no di  porci,  che  Dionisio  dice  semplicemente  di  nazione 
tirreno  ,  cioè  etrusco  ,  ma  che  Vittore  appella  Tyrrhus  , 
Tirro  ,  il  quale  era  stato  molto  famigliare  a  Latino  :  e 
presso  di  lui  die  alla  luce  il  figlio  postumo  che  colui 
appellò  Silvio  dalla  circostanza  della  sua  nascita  ,  entro 


216 

una  selya  avvenuta.  Ora  il  popolo,  veduta  sparire  Lavi- 
nia ,  cominciò  a  sospettare  di  Ascanio  ,  e  dai  sospetti 
passò  alle  mormorazioni,  e  da  queste  ad  aperti  clamori  e 
quasi  a  sedizione,  quando  il  Tirreno  espose  ai  Latini  la  ve- 
rità del  fatto,  e  presentò  loro  il  neonato. 

Lavinia  pertanto  tornò  ad  abitare  col  figliastro ,  e 
vi  rimase  fino  al  XXX.  anno  dopo  la  fondazione  di  La- 
vinio  ,  cioè  fino  al  1168  avanti  1'  era  volgare  e  415  pri- 
ma della  fondazione  di  Roma.  In  quest'  intervallo  fralla^ 
pace  di  Mezenzio  e  l'anno  1168  sembra  che  Lavinio  go- 
desse una  pace  perfetta  :  in  qucU'  anno  però  ,  sia  che 
Ascanio  volesse  dare  compimento  alle  predizioni,  sia  che 
volesse  in  certa  guisa  liberarsi  dalla  influenza  che  avea 
la  matrigna  sul  popolo,  sia  che  credesse  più  opportuno 
di  trasferire  la  sede  del  governo  in  un  punto  più  im- 
portante ,  è  certo  che  andò  a  fondare  una  nuova  città 
alle  falde  del  monte  albano,  fra  questo  ed  il  lago  e  le 
impose  il  nome  di  Alba-longa  ,  come  quella  che  dilun- 
gavasi  di  molto  nel  dorso  che  cinge  il  lago  albano  verso 
oriente  a  pie  della  punta  culminante  del  monte  :  e  la- 
sciato Lavinio  alla  madrigna  ed  al  fratello  Silvio  ,  tra- 
sportò nella  nuova  metropoli  tutti  que'  Latini  che  Io 
vollero  seguire  :  e  vi  volle  pur  trasferire  le  cose  sacre, 
e  soprattutto  i  Penati  riposti  da  Enea  in  Lavinio  ,  edi- 
ficando a  tale  uopo  un  tempio  con  adito  :  ma  questi 
aveano  scelto  per  loro  sede  Lavinio  ,  e  benché  traspor- 
tati ritornarono  nella  primitiva  loro  dimora,  onde  Asca- 
nio ,  per  non  opporsi  alla  volontà  degli  dei  si  vide  co- 
stretto, non  solo  a  lasciarli  in  Lavinio,  ma  a  mandar- 
vi ancora  seicento  persone  colle  loro  famiglie  che  ne 
avessero  cura  :  tale  è  il  racconto  di  Dionisio,  e  con  lui 
nella  sostanza  concordano  Livio  e  Vittore.  Morta  Lavi- 
nia cessò  per  Lavinio  qualunque  apparenza  d' indipen- 
denza e  divenne  un  cantone  del  regno  albano  ,  onde  la 


21T 

sua  storia  con  quella  di  Alba  confondesi.  Se  non  che  una 
certa  importanza  avea  per  gli  dei  penati  che  conteneva, 
onde  era  una  specie  di  metropoli  religiosa  de'  Latini  co- 
me Alba  n'  era  la  capitale  politica  :  e  questa  importanza 
continuò  ad  ottenere  anche  sotto  i  Romani.  Dopo  la  morte 
di  Numitore,  estintasi  la  dinastia  de'  re  di  Alba,  Romula 
come  suo  discendente  ne  reclamò  i  diritti  ,  e  eoa  lui 
Tazio  associato  nel  regno.  Erano  sei  anni  che  questo  re- 
gnava con  Bomulo,  quando  alcuni  suoi  amici  fecero  una 
scorreria  ne'  campi  laurentini ,  e  portarono  via  con  loro 
roba  e  bestiami  ,  ed  a  quelli  che  vollero  opporsi  rispo- 
sero con  ferite  e  con  morti.  Vennero  messi  in  Roma  da 
parte  de'  Laviniati  a  reclamare  contro  questo  saccheg- 
gio, e  Romulo  fu  di  sentimento  di  consegnare  i  rei  agli 
ambasciatori;  ma  Tazio  vi  si  oppose,  allegando  ,  che  se 
non  era  mai  giusto  di  dare  in  mano  alcuno  ai  suoi  ne- 
mici, molto  meno  lo  era  di  dare  cittadini  in  potere  di 
forestieri.  E  i  messi  sen  tornarono  pieni  d'ira  verso  La- 
vinio;  ma  alcuni  de'  Sabini  li  seguirono  ,  e  coltili  nella 
notte  ,  li  attaccarono  mentre  dormivano  ,  li  spogliarono 
di  ciò  che  portavano,  e  quelli  che  sorpresero  ancora  a 
letto  uccisero  :  alcuni  che  prevedevano  questo  tradimento 
pervennero  ad  entrare  in  Lavinio.  Destò  questo  fatto 
atroce  lo  sdegno  ,  non  solo  de'  Laviniati ,  ma  ancora  di 
molte  altre  città,  e  vennero  ambasciatori  a  Roma  a  do- 
mandare riparazione  solenne ,  altrimenti  aveano  ordine 
di  dichiarare  la  guerra.  Romulo,  che  sempre  avea  mo- 
strato inclinazione  perchè  i  rei  venissero  puniti  li  con- 
segnò ai  legati  malgrado  le  opposizioni  di  Tazio  :  que- 
sti divampando  d'  ira  e  credendo  di  essere  vilipeso  dal 
collega  ,  e  volendo  d'  altronde  salvare  un  suo  parente  , 
che  era  frai  rei,  messosi  alla  testa  de'  suoi  soldati,  tol- 
se di  viva  forza  le  persone  consegnale.  Non  passò  mol- 
to tempo  ,   però  che   portatosi  insieme    con  Romulo  in 


218 

Lavinio  pel  sagrificio  prescritto  degli  dei  penati  ,  egli 
venne  ucciso  coi  coltelli ,  e  cogli  spiedi  di  che  facevasi 
uso  ne'  sacrificii ,  sull'ara  stessa ,  dagli  amici  e  dai  con- 
giunti degli  ambasciatori  trucidati.  Ed  è  questo  il  solo 
fatto  rimarchevole  della  storia  laviniate  durante  il  go- 
verno de'  re.  E  però  da  notarsi  che  in  questo  intervallo 
avvenne  sotto  Tulio  Ostilio  la  distruzione  di  Alba,  onde 
Lavinio  ,  come  gli  altri  cantoni  dipendenti  da  quella  , 
riacquistò  la  indipendenza. 

Espulsi  i  Tarquinii  da  Roma,  e  creati  consoli  Bru- 
to e  Collatino,  quest'ultimo  dopo  avere  abdicato  l'auto- 
rità consolare  andò  a  flssare  la  sua  sede  in  Lavinio  con 
tutti  i  suoi,  e  con  tutte  le  cose  sue  l'anno  247  di  Ro- 
ma, dove  terminò  i  suoi  giorni,  secondo  Dionisio  lib.  V. 
e.  XIL  e  Livio  lib.  IL  e.  IL  È  molto  probabile  che  per 
i  suoi  consigli  i  Laviniati  si  lasciassero  trascinare  nella 
celebre  lega  latina  ,  che  prese  le  armi  per  ristabilire  i 
re;  ma  soggiacquero  alla  rotta  del  lago  Regillo  ed  alle 
conseguenze  che  ne  derivarono.  E  merita  osservazione , 
che  Dionisio,  parlando  delia  emigrazione  di  Collatino  a 
Lavinio  dà  a  questa  città  il  titolo  di  metropoli  de'Lati- 
ni:  T//,v  jy-vjTpTTsXjv  xcu  Aa:r«vwv  yevovg.  La  rimembran- 
za di  Enea,  i  Penati  communi,  mantennero  dopo  quella 
guerra  per  lungo  tempo  la  pace  e  la  buona  armonìa  fra 
Lavinio  e  Roma  ,  anzi  nella  scorreria  di  Coriolano ,  se- 
condo Dionisio  nel  lib.  Vili,  i  Laviniati  furono  i  soli, 
che  osarono  resistere  a  quell'avventuriere,  ma  doverono 
arrendersi.  Non  mantennero  però  questo  attaccamento  nel- 
la ultima  lega  latina  dell'anno  415.  di  Roma;  impercioc- 
ché essi  si  unirono  agli  altri,  e  spedirono  il  loro  contin- 
gente all'esercito  collegato,  sotto  il  pretore  Milonio;  ma 
questo  non  avea  appena  lasciato  le  mura  patrie  che  in- 
contrò i  messi  colla  notizia  della  disfatta  completa  de- 
gli eserciti  collegati  sannite  e  latino,  presso  le  falde  del 


219 

Vesuvio ,  onde  costretto  a  tornare  indietro ,  il  pretore 
disse,  che  per  un  poco  di  strada  dovea  pagarsi  una  gra- 
ve mercede:  prò  paullula  via  magnam  mercedem  esse  sol- 
vendam.  Livio  lib.  Vili.  e.  XL  Non  si  conosce  che  fa- 
cessero altro  in  quella  guerra,  e  nelle  disposizioni  the 
il  senato  prese  sopra  ciascun  popolo  della  lega,  dopo  la 
battaglia  al  fiume  Astura  l'anno  417,  i  Laviniati  non  so- 
no particolarmente  nominati,  onde,  o  furono  affatto  per- 
donati ,  ovvero  furono  compresi  nella  categoria  di  noi* 
potere  avere  connubio,  commercio,  e  consiglio  cogli  al- 
tri popoli  ìaiinì:  Ceteris  Lattnts  populis  connubia,  commer- 
ciaque,  et  concilia  inter  se  ademerunt:  che  fu  la  più  mite. 
Strabone  nel  lib.  V,  nominando  i  luoghi  del  Lazio 
marittimo  dice  ,  che  i  Sanniti  devastarono  i  luoghi ,  e 
che  a'suoi  giorni  rimanevano  soltanto  le  vestigia  di  quel- 
le che  un  tempo  erano  città ,  vestigia,  soggiunge,  glo- 
riose per  la  venuta  di  Enea  ,  e  per  i  riti  sacri  fin  da 
quei  tempi  tramandati.  Ma  è  gran  questione  sulla  epo- 
ca di  questa  devastazione  sannitica,  poiché  non  si  ricor- 
da dagli  antichi  scrittori  che  trattano  di  quella  guerra 
sannitica  del  V  secolo  di  Roma ,  che  i  Sanniti  scorres- 
sero queste  contrade:  onde  io  credo  che  Strabone  volle 
indicare  i  guasti  della  guerra  sillana  che  furono  in  que- 
ste parti  atrocissimi,  ed  in  tal  caso  convicn  credere  che 
Laurento,  Lavinio  ,  Ardea  ec.  la  tenessero  per  Siila ,  e 
perciò  si  portasse  una  qualche  mano  di  Ponzio  Telesi- 
no  che  commandava  i  Sanniti  venuti  in  favore  di  Ma- 
rio, a  depredare  e  manomettere  queste  contrade.  Certo 
è  però  che  Lavinio,  come  le  altre  città  sovraindicate  era 
venuto  ai  tempi  di  Tiberio,  sotto  il  quale  Strabone  scri- 
veva in  una  gran  debolezza,  onde  di  questa  come  di  al- 
tre città  men  distanti  da  Roma  ebbe  ad  esclamare  Lu~ 
cano  nel  I.  della  Farsaglia:  ^' 


220 

Gobio»,   Veio$que,  Coramque 

Albanosque  lares,  laurentinosque  penates 
■   Rus  vacuum  quod  non  habitet  nisi  nocte  coacta 

JnvituSf  quaestusque  Numam  iussisse  senator.         /.iiV!.  -, 
\  Non  aetas  haec  carpsit  edaXy  monumentaque  rerum 

Patria:  destituii  crimep,  civile:  videmus 

Tot  vacuas  urbes. ^ *  Il    <  vs      !  i . ,  »     ^ 

Il  penultimo  verso  mi  sembra  una  dichiarazione  della 
devastazione  sannitica  di  Strabonc  ,  come  accaduta  du- 
rante la  guerra  civile  siilana  :  I  laurentini  penati ,  sono 
quelli  che  in  Lavinio  continuavano  ad  onorarsi  per  ri- 
to ,  e  per  le  prescrizioni  di  Nuraa  :  essi  debbono  aver 
mantenuto  una  certa  popolazione,  sebbene  scarsa  in  que- 
sta città,  per  la  stessa  ragione,  che  frequentavasi  Ardea  a 
cagione  del  tempio  di  Venere  fondato  da  Enea  nel  ter- 
ritorio laviniate,  ma  che  secondo  Straboap  da  lungo  tempo 
era  sotto  la  direzione  degli  Ardeati.    ^^ .  -  •  - 

La  vicinanza  però  della  metropoli,  l'aria  non  salu- 
bre nella  state  ,  oltre  la  devastazione  sannitica  ,  aveano 
contribuito  altamente  all'  abbandono  di  tutte  queste  città 
marittime,  che  di  tempo  in  tempo  andavansi  sostenendo 
con  colonie  di  veterani  ,  come  per  Lavinio  fece  Vespa- 
siano. Ma  allo  spirare  del  primo  secolo  della  era  vol- 
gare, ad  onta  di  tutte  le  premure  degl'imperadori,  Lau- 
rent© e  Lavinio  erano  caduti  in  tale  desolazione  ,  che 
fu  di  bisogno  unire  in  un  solo  i  due  communi,  e  con- 
siderare l'ultimo,  cioè  Lavinio  ,  come  rappresentante  di 
ambedue  ,  che  perciò  Lauro-Lavinium  dopo  quel  tempo 
si  appella  dagli  scrittori  e  nelle  lapidi,  come  Laurentes- 
Laviniates  gli  abilanti.  Difficile  è  determinare  la  epoca 
precisa  della  riunione  de'  due  communi:  può  per  argo- 
mento negativo  asserirsi  che  non  accadesse  prima  di  Tra- 
jano,  come  per  argomento  positivo  è  certo  che  avvenne 


221 

prima  della  epoca  di  Adriano  ,  imperciocché  il  Fabretti 
Inscr.  e.  X.  p.  682.  riporta  un  brano  di  lapide  eretta  ad 
onore  di  Trajano  e  trovato  a  Pratica,  che  dice  :    )m»  oJW'»^ 

-.Mt  uS  i.'i  jl;  I  >;  J^tjJT;r>  ■■■>■■'■  0lS 

ijo-    M.  IMP .  CAES .  divi  U   «i 

-dtij  il  fuii'       NERVAE.F.ner  ,   ,t*J;;o*r 

>s.ìl;,i{M|  «f/II  VAE  .  TR Alano  ;  «  *{>si>jJy«ìl  ^>  <4^»^w 
f,  ou'j.v'wi;         AVG.GEBAM  .  dac:    ^-rs'ua  '■■  'iùy 

Mi  iìivwvx  . ,      PONTIF  .  Max.  *■  '^'^y-  ;  .  -    ■^■^' 

-mml^&vi        TRIBVN  .  POt  .  vi.  «;?;*  ^^  otóif^Sil 

-in-i  dt  9ff5  IMP  .  Ili .  COS .  iilTiì J  0  <>'';;>g«f  i  ii>  iiitìliif 
tel>  LAVRENTES  .  LAviaoSHS' r. 

ol  DEC  Dee  .n  .'*! 

,  ilf.iiiijrtyJl'  >Jfl?riii''>;pVBLIce  *>ì»ìb»|>  óa«.lMi'ji<i'^^iiì*aj^ 
lofj  f.ioh  obii;>3«"i  '«i>,up  xjÌ  ,ot*i  cniuoiiiA  ilv  -olKLilmr/)  é 
it  qtialé  appartiene  àfl*  anni)  102  dèìla  era  totgare  V  jri 
che  Trajano  fu  per  la  III.  volta  acclamato  imperatore  , 
come  neir  anno  seguente  103  lo  fu  per  la  quarta  ;  ed 
in  questo  già  il  popolo  di  Lavinio  si  appella  Laurentes, 
Laviniates.  L'autore  de'  due  trattati  intitolati  de  Coloniis, 
che  si  crede  communemente  un  Frontino  ,  e  che  non  è 
certamente  quello  degli  acquedotti,  è  il  primo  degli  scrit- 
tori a  designare  questa  città  col  nome  di  Lauro-Lavi- 
nium  :  e  fra  gì'  imperatori  ,  che  posero  mano  nel  suo 
territorio  nomina  olire  Vespasiano  e  Traiano  ,  anche 
Adriano.  Quello  scrittore  pertanto  ,  secondo  il  Poleni  , 
direbbesi  contemporaneo  di  Adriano  :  né  nomina  mai  al- 
cuno degli  Antonini  mentre  ricorda  le  leggi  republicane 
e  imperiali  sul  riparto  pubblico  delle  terre  fino  ed  in- 
clusivamente  ad  Adriano.  Quindi  io  credo  che  Trajano 
nel  riordinare  l'impero  malmenato  dall'ultimo  de'Flavii, 
portò  le  sue  cure  sopra  questa  città  ancora  considerata 
come  la  culla  di  Roma,  e  nel  dedurvi  una  nuova  colo- 
nia, unì  in  uno  ì  due  communi  di  Laurento  e  Lavinio. 


222 

E  questo  piuttosto  che  semplicemente  Lavinio  si  disse 
Eauro-Lavinio,  perchè  laurente  era  il  territorio,  e  Lau- 
reato era  stata  prima  di  Lavinio  la  metropoli  del  La- 
zio :  ed  essendo  trasferita  l'amministrazione  communale 
in  Lavinio  si  volle  rendere  men  dura  a  que'  di  Lau- 
rento  quest'  assenza  coli'  associare  il  loro  nome  e  pre- 
metterlo a  quello  di  Lavinio  dove  risiedeva.  Che  poi  La- 
vinio e  non  Laurento  fosse  la  residenza  del  governo  è 
chiaro  ,  perchè  i  monumenti  sono  Stati  tutti  trovati  in 
Lavinio  e  non  in  Laurento.  La  mia  opinione  che  i  com- 
muni di  Laurento  e  Lavinio  fossero  uniti  insieme  da  Tra- 
jano  si  conferma  ancora  per  la  iscrizione  riportata  dal 
Muratori  p.  MGXV.  n.  6.  eretta  dai  Volsiniesi  a  Sesto 
Aurelio  Terenziano  quatuorviro  de'  Laurenti  Laviniati  , 
e  candidato  di  Antonino  Pio,  la  quale  essendo  ricca  per 
titoli,  e  cariche  civili  e  militari  ottenute  da  quel  perso- 
naggio, voglio  qui  riportare  per  intiero  ,  servendo  d' al- 
tronde alla  illustrazione  storica  di  Lavinio  : 

«Vrvo^r  SEX  .  AVRELIO  .  TERENTIANO  .  V  .  G.  yvV  i.\ 
à  non  ini  VIR  .  LAVR  .LAVINATIVM  lilT.  VIRÌ^  ''^ 
-m--  i  COLON  .  PVTEOL .  PATRONO  .  NOLAN.'^'^'" 
^  PRAEF  .  FABR  .  TRIB  .  LEG  .  VÌTTaVG  .  TRIB  .'' 
"'f  LEG  .  XI .  CL  .  P  .  F .  CANDIDATO  .  ANTON 
'^']  AVG  .  PII  .  TRIB  .  LATICLAVIO  .  FLAM  .  DIVI  f 
',j  jNERVAE  .  TRAIAN  ."x  .  VIR  .  STILITIB  .  IVDIQ  ^^j^ 

*  '*!,  ,  CVRAT  .  GRAVISC ANORVM  .  ET  .  INTE 
.  t         RAIVJNATIVM.NARTIVM, 

-HI'  l>3  ,OiV         ■  :.'":-!r-r    ') 

c:™HTo,i,tìOPTIMO  PATRONO  ,., 

,:  „,u4,,Y0IvSINIENSES 


A  Sesto  Aurelio   Terenziano  personaggio  chiarissimo,   qua- 
tuorviro de*  LaurerUi   Lavinati ,  quatuorviro  della  Colonia 


223 
Puteolana  ,  protettore  della  Nolana,  prefetto  de'  fàbri ,  tri- 
buno della  legione  VII.  augusta^  tribuno  della  legione  XI 
Claudia  Pia  Felice,  Candidato  di  Antonino  Augusto  Pio  , 
tribuno  laticlavio,  flamine  del  divo  Nerva  Traiano^  decem- 
viro per  giudicare  le  liti,  curatore  de'  Graviscani,  e  degl'In- 
teramnati  Naarti,  all'  ottima  protettore  ,  i  Volsiniesi.  Con- 
temporanea quasi  a  questa  ,  e  precisemente  spettante 
all'  anno  140  ,  cioè  al  II.  di  Antonino  Pio  è  quella  ri- 
portata dal  Volpi  Lib.  X.  e.  IV.  che  è  una  dedicazione 
a  Giove  Ottimo  Massimo  di  D.  Aurelio  Frontone  Paollino 
flamine  laurentinale  lavinate  Inculare,  e  protettore  della 
Colonia  di  Lauro-Lavinio.  Di  pochi  anni  posteriore  è  l'al- 
tra che  leggesi  sopra  nn  piedistallo  esistente  ancora  in 
Pratica  nel  primo  ripiauo  della  scala  del  palazzo  Borghese: 

DIVO  .   ANTONINO   .    AVO  ,> 

SENAT VS  .  POPVLVSQVE  .  LAVKENS  ^ 

'^^    . ,    QVOD  .  PRIVILEGIA  .  EORVM  .  NON  , , 

i-ruymn     MODO .  CVSTODlERiT  .  SED  .  ETIAM  ìvì  /a 

:hu  ih    AMPLIAVERIT.CVRATORE  ti" 

-ì:     >      M  .  ANNIO  .  SABINO  .  LIBONE  .  G  .  V  .  ìob  >  • 

CVBANTIBVS.TI.IVLIO.NEPOTIANO  u>"v*i 

iHirji    ET.P.AEMILIO.EGNATIANO.PRAET  r,!.  n 

, Hiii.HK    n  .  Q  Q  '.  L  A  V  R  E  N  T  I  V  M    "'sup 

.  ..„,..;   .  .   ,>..a>..  :'r,   i!,.; 

Questo  piedestallo ,  che  avrà  sostenuta  una  statua ,  di 
Antonino  Pio,  a  lui  innalzata  dopo  la  morte,  a  nome  del 
Senato  e  Popolo  Laurente,  per  avere  non  solo  custodi- 
to, ma  ancora  ampliato  i  loro  privilegi!,  fu  eretto  essen- 
do curatore  Marco  Annio  Sabino  Libone,  chiarissimo  per- 
sonaggio, e  coir  assistenza  di  Tiberio  Giulio  Nepoziano, 
e  Publio  Emilio  Egnaziano  pretori  per  la  seconda  vol- 
ta ,  quinquennali ,  de'  Laurenti.  Cluverio  la  riferì  nella 
pagina  888.  della  sua  Italia  Antica  con  qualche  inesat- 


224 

tezza:  io  V  ho  trascritta  sul  luogo  :  egli  la  dice  trovata 
in  Trastevere,  ed  io  non  saprei  indicare  come  sbalzasse 
a  Lavinio:  è  certo  però  che  è  un  monumento  locale,  e 
che  indica  avere,  il  primo  degli  Antonini,  fatto  a  favo^ 
re  de'Laurenti  propriamente  detti,  qualche  decreto,  ten- 
dente a  mitigare  ,  o  spiegare  in  loro  favore  quello  che 
li  riuniva  ai  Laviniati.  Il  Marco  Annio  Sabino  Libone  , 
che  in  questa  iscrizione  si  nomina  é  probabilmente  lo 
stesso  che  fu  console  sotto  Adriano  insieme  con  Aspre- 
nate  V  anno  128  della  era  volgare  e  perciò  ha  il  titolo 
di  clarissimo  viro.  Un'altra  iscrizione  riferita  dal  Fabret- 
<i  Inscr.  p.  686,  e  dal  Muratori  p.  MLIII.  n.  2.  perti- 
nente all'anno  213  della  era  volgare,  ed  eretta  ad  ono- 
re di  Caracalla  dai  Laurenti  Lavinati  indica  qualche  be- 
neficio singolare  da  quell'imperadore  compartito,  poiché 
fra  altri  titoli  onorifici  gli  si  danno  quelli  di  avere  per 
benevolenza  ed  indulgenza  sorpassato  tutti  i  principi  suoi 
predecessori;  omnfvm  principvm  r.  .  .  .  benivolentia  .  m- 
DVLGENTiA  EXVPERANTissiMO.  Moltc  altre  lapidi  ancora 
esistenti ,  o  riportate  dai  raccoglitori  sono  state  da  me 
vedute,  copiate,  e  raccolte,  ma  nessuna  di  queste  è  an- 
teriore agli  Antonini:  esse  mostrano  Lauro-Lavinio  esse- 
re stato  un  municipio  e  colonia  insieme  che  avea  i  suoi 
quatuorviri,  i  pretori,  i  cavalieri,  i  pontefici,  il  flamine, 
gli  auguri,  i  patroni,  o  protettori,  i  difensori,  e  i  cura- 
tori, in  sostanza  tutti  i  magistrati  e  sacerdoti  che  avea- 
no  le  città  più  cospicue  dell'  impero,  indizio  di  popola- 
zione e  prosperità.  Così  Sesto  Aurelio  Terenziano  nella 
lapide  muratoriana  riportata  di  sopra  era  quatuorviro 
de'Laurenti  Lavinati,  Tito  Cornasidio  Vesennio  Clemen- 
te in  una  iscrizione  vaticana  ha  il  titolo  di  eqvo  pvbl. 
LAVR.  LAviN,  C.  Nascunio  Marcello  Seniore  figlio  di  Caio 
in  un'  altra  lapide  vaticana  inserita  pure  nella  raccolta 
di  Muratori  viene  qualificato  perpetvo  praetori  et  pon- 


225 
TIFICI  LAVRENTiVM  LAviNATiVM ,  D.  Aurelio  Frontone 
Paollino  si  qualifica  flamine  laurentinalc  layinate  ,  Tito 
Gornasidio  Sabino  figlio  di  Tito,  e  della  tribù  Fabia,  pa- 
dre dell'altro  Gornasidio  sovramnienzionato,  si  dice  nel- 
la stessa  lapide  augure  lavr.  lavin.  Valerio  Frumen- 
zio  in  un'  altra  epigrafe  vaticana  che  si  riporterà  più 
sotto  viene  designato  per  Patrono  o  protettore  e  difen- 
sore dello  stesso  popolo  ,  Marco  Ànnio  Sabino  Libone 
nel  monumento  testé  riportato  ad  onore  di  Antonino  e 
Giunio  Prisciliano  Massimo  in  quello  che  si  riferirà  ad 
onore  4Ìi  Galerio  figurano  come  curatori  de'Laurenti  La- 
viaiati.  Al  principio  del  secolo  IV.  appartiene  il  piede- 
stallo innalzato  a  Galerio  Valerio  Massimiano  Gesare  da 
Giunio  Prisciliano  Massimo  personaggio  chiarissimo ,  e 
curatore  de'Laurenti  Laviniati.  Questo  piedestallo  si  ve- 
de a  sinistra,  entrando  nel  foro  della  odierna  Lavinio: 
le  lettere  sono  d'  intaglio  irregolare  ,  quale  si  conviene 
alla  epoca ,  e  nella  quarta  linea  havvi  BAEATISSIMO 
invece  di  BEATISSIMO. 

D.N. GALERIO.  VAL. 

MAXIMIANO 
FORTISSIMO     .    AC. 
BAEATISSIMO.GAES. 
PRINCIPI.  IVVENTVTIS 
IVN .  PRISCILIANVS .  MAXIM  VS 
V    G.GVR.LAVR.LAV 
DIG.N.M.EIVS. 

Questo  piedestallo  servì  antecedentemente  ad  altro 
uso,  o  per  altro  personaggio,  poiché  di  fianco  rovescia- 
ta si  legge  la  dedicazione  originale  così: 

.' 15 


226 

S03  •  omiiAòv  •  xa  •  omxvK 
Haai  •  ivM  •  aaa 

cioè  dedicata  il  primo  di  Febbraio  essendo  Massimo  ed  Aqui- 
lino consoli ,  V  anno  286  della  era  volgare.  Allora  però 
Galerio  era  ancora  privato,  e  siccome  in  quella  riferita 
di  sopra,  che  è  la  principale,  si  leggono  dati  a  lui  i  ti- 
toli di  cesare  e  di  principe  della  gioventù  ,  perciò  non 
può  essere  anteriore  all'anno  292  in  che  fu  da  Diocle- 
ziano associato  all'  impero,  né  posteriore  al  30  di  aprile 
dell'anno  305,  poiché  il  1.  di  maggio  dello  stesso  anno 
per  la  rinunzia  iì  Diocleziano  diventò  Augusto.  Di  que- 
sto medesimo  cesare  sono  due  altri  piedestalli,  onde  mi 
sembra,  che,  o  qualche  singolare  beneficenza  compartisse 
a  Lavinio,  della  quale  si  è  perduta  ogni  memoria  ,  ov- 
vero che  questi  monumenti  venissero  eretti  in  occasione, 
che  egli  sarà  ito  a  compiere  il  sagrificio  annuale  agli 
Dei  Penati  di  Roma.  Quanto  poi  a  Giunio  Prisciliano 
Massimo  che  innalzò  questi  monumenti,  egli  ebbe  il  pre- 
nome di  Marco,  ed  ha  il  titolo  di  V.  C.  vir  clarissimusy 
essendo  che  era  stato  console  nell'  anno  286,  e  prefetto 
di  Roma  nello  stesso  anno  e  nel  seguente,  siccome  può 
vedersi  nel  Corsini  Series  Praef.  Urb.  p.  157,  che  sospettò 
potesse  essere  morto  nel  287  ,  solo  per  non  conoscere 
questa  lapide^  che  certamente  è  posteriore  a  queiranno. 
A  questo  M.  Giunio  Prisciliano  Massimo  gì'  imperadori 
Diocleziano  e  Massimiano  diressero  la  legge  contro  i  pla- 
giami, il  dì  8.  decembre  287.  che  si  ha  nel  codice  lib.  IX. 
tit.  XX.  leg.  7.  Un'  altra  iscrizione  simile  a  questa  ad 
onore  di  Costanzo  Cloro  collega  di  Galerio  nella  dignità 
di  Cesare  vien  riportata  dal  Ligorio  ,  come  attesta  il 
Volpi  T.  VI.  p.  101.  Sul  finire  del  secolo  IV.  il  cele- 
bre Simmaco  scrivendo  a  Celsino  Tiziano  ,  che  fu  suo 
collega  nel  consolato  1'  anno  391  ,  della  era  volgare  gli 


227 
annunzia  che  Ceciliano  personaggio   onesto   raccomanda- 
vasi  da  se  stesso  per  1'  officio    assunto  di  difensore  dei 
Laurenti  Lavinati  :  Caecilianum  virum  honestum,  Lauren- 
tium  Lavinatium  defensorem  susceptum  commendat  ojjicium, 
ed  aggiunge  Ama  ergo  hominem  placititm  mihi  et  religio- 
sae   civitatis  commodis   obsequentem^  Questa  lettera  che  è 
puramente  commendatizia,  nella  edizione  di  Jureto  è  la 
65  del  primo  libro,  in  altre  è  la  71  e  mostra  come  Sim- 
maco riguardava  con    benevolenza  Lauro-Lavinio  da  lui 
considerata  come  città  religiosa.    E  ben  noto  lo  zelo  di 
queir  illustre  romano  del    secolo  IV  in  sostenere  la  ca- 
dente religione  pagana  ,  quindi  non  dee  recare  meravi- 
glia, che  tanto  impegno  ponesse  a  raccomandare  chi  per 
la  parte  sua  avea  assunto  l'incarico  di  proteggere  la  città 
che  conservava  i  Penati  di  Roma.    Ricavasi  inoltre  che 
a  quella  epoca  questa  città  conservavasi,  e  che  avea  di 
già  introdotto  l'uso  di  avere  un  protettore  pubblico  col 
nome  di  difensore,  perchè  difendeva  la  vita  ,  le  sostan- 
ze, e  gli  interessi,  tanto  de'  magistrati  municipali  quanto 
de'  cittadini  contro  la  insolenza  de'  malvagi,  siccome  si 
ha  nel  codice  teodosiano  lib.  I  tit.   IX  leg.  I  II  e  III  , 
leggi  appunto  che  sono  contemporanee  di  Simmaco,  es- 
sendo state  promulgate  da  Valentiniano  II.  Teodosio,  ed 
Arcadio,  negli  anni  della  era  volgare  386.  392.  Macro- 
bio  contemporaneo  ed  amico  di  Simmaoo,  Saturn.  lib.  III. 
e.  IV.  mostra  che  durava  ancora  in  quel  tempo  il  costu- 
me, che  i  consoli,  i  pretori,  o  i  dittatori  municipali  la- 
tini, neir  entrare  in  magistratura  andassero  a  Lavinio  a 
sagrificare  agli  Dei  Penati  ed  a  Vesta  :  adeo  ut  et   con- 
sulesy  praetores  seu  dictatores  quum  adeunt  magistratum  La- 
vimi  rem  divinam   faciant  Penatibus  pariter ,    et    Vestat. 
Circa  questi  tempi  medesimi,  predecessore,  o  successore 
di  Ceciliano,  fu  difensore  de'  Laurenti-Laviniati  un  Va- 
lerio Frumenzio  ,    del   quale    conservasi    una  iscrizione 


228 

onoraria  nel  museo  vaticano,  affìssa  come  le  altre  indi- 
cate di  sopra  nel  corridore  delle  lapidi.  È  una  specie 
di  piedestallo,  informe  per  le  proporzioni  e  per  le  mo- 
dinature  che  sono  grossolanissime  ,  e  con  lettere  che  si 
direbbero  tracciate  da  uno  che  appena  sappia  scrivere  , 
senza  dir  nulla  della  sostituzione  della  B  per  la  V,  de- 
gli errori  di  ortografia  ec.  ec.  che  mostrano  la  decadenza 
totale  delle  letterq  e  delle  arti  :  essa  dice  : 

VALERIO    FRVME 

NTIO  .  V  .  P.PATRO 

NOETDEFESORI 

ABITATORI    CIBITATIS 

QVIPOSMVLTVM 

TEMPORIS  AE  D  I  T  I  0 

N  E  M   .    DEBOTIONIS 

RENOBABIT    ET    I  T  E 

RABIT  P  R  O  ME  RI 
,        ;  tis  benevolETIE 

SVE     ORDO    C  I  B  E  S 

QVE  LAVRENTVM 
-■.X    .  L.   L. 

cioè:  a  Valerio  Frumenxio,  uomo  preclaro,  protettore  e  di- 
fensore, abitatore  della  città,  che  dopo  un  lungo  andare  di 
tempo  rinnovò  e  raddoppiò  dimostrazione  di  devozione,  pei 
meriti  della  benevolenza  sua,  l'ordine  decurionale  ed  i  cit- 
tadini de'Laurenti  Laviniati  dedicarono. 

Questi  sono  gli  ultimi  documenti  positivi  che  ho 
potuto  trovare  della  esistenza,  popolazione  e  quasi  direi 
splendore  di  Lauro-Lavinio ,  i  quali  come  ho  mostrato 
appartengono  alla  fine  del  secolo  IV  della  era  volgare. 
Imperciocché,  se  dopo  ancora  il  nome  di  Lavinio  s'incon- 
tra nella  carta  peutingeriana,  che  io  non  credo  di  moN 


S29 

to  anteriore  al  secolo  Vili,  e  nell'Anonimo  ravennate  che 
appartiene  presso  a  poco  allo  stesso  tempo,  queste  testi- 
monianze altro  non  provano,  se  non  che  una  rimembran- 
za e  non  mai  la  esistenza  di  questa  città,  mancando  in- 
tieramente i  fatti.  E  riflettiamo    per  poco  ,  che  fin   dal 
principio  del  secondo  secolo  della  era  volgare  Laurento, 
Lavinio,  come  tutta  quella  costa  cransi  molto  spopolate, 
così  che  circa  i  tempi  di  Trajano    dovettero    unirsi  in- 
sieme i  due  communi:  che  la  popolazione  di  Lavinio  so- 
stenevasi  principalmente  per  le  cerimonie  sacre  degli  dei 
penati,  che  ivi  aveano  fissata  la  loro  sede:  che  queste, 
come  gli  altri  riti  antichi  vennero  affatto  soppresse,  e, 
sotto  pene  gravissime,  interdette  precisamente  l'anno  391 
in  che  furono  consoli  Simmaco  e  Taziano:  quindi  rapi- 
damente Lauro-Lavinio  cadde  in  squallore.  Le  successi- 
ve scorrerie  di  Alarico  nel  409 ,  di  Genserico  nel    455 
le  guerre  civili,  e  i  tumulti  che  accompagnarono  la  ca- 
duta dell'  impero  occidentale,  che  finì  in  Augustolo  l'an- 
no 476,  le  devastazioni ,  che  per  18  anni  travagliarono 
i  contorni  di  Roma  nella  lotta  ferale  con  che  i  Goti  ed 
i  Greci  si  disputarono  il  dominio  dt-questa  parte  d'Ita- 
lia a  puro  suo  danno,  compierono  l'opera  di  distruzione, 
così  che  Lavinio  che  nel  391  era  ancora  città  ragguar- 
devole nel  553  era  presso  a  poco  ridotta  come  oggi  la 
veggiamo.  E  per  una  circostanza  fatale  mai  più  fino  ad 
oggi  potè  questa  riaversi,  per  le  ragioni  medesime  com- 
muni a  tutto  il  rimanente  della  parte  marittima  del  La- 
zio ,  cioè  della  insalubrità    dell'  aria  e  delle   scorrerie  , 
prima  de' Saraceni,  poscia  de'  Barbareschi.  V-    wi      ;  '    *  \ 
Ora  veniamo  alla  terra  moderna  di  Patrica  o  Pra- 
tica ,   che  è  sorta  dalle  rovine    dell'  antico  Lavinio.  Fu 
notato  di  sopra,  che  Enea  dopo  la  morte  venne  onorato 
col  nome  di  Patris  Dei  IndtgetiSf  ed  a  lui  fu  consacrato 
per  Eroe  un  tumulo  piantato  intorno  di  alberi ,  che  fu 


\ 

230 

denominato  luco  del  Padre  Dio  Indigete  :  e  questo  eroo, 
e  questo  luco  erano  prossimi  a  Lavinio  :  ed  il  tumulo 
da  alcuni  vuol  riconoscersi  in  quello  che  ancora  si  vede 
sotto  la  città  antica,  verso  occidente,  sulla  sponda  destra 
del  rivo  di  Petronellaj  più  sotto  però  vedrassi,  che  que- 
sto era  realmente  sul  Numico,  cioè  fra  Lavinio  ed  Ar- 
dea^' sulla  sponda  destra  di  quel  fiume  presso  lo  stagno. 
Questo  die  nome  al  latifondo  attinente  che  si  sarà  detto 
fundus  praedium,  ed  anche  possessio  Patris,  dal  quale  de- 
rivò il  nome  della  moderna  Lavinio  che  civitas  Patrica 
ne'  tempi  bassi  venne  appellata.  Infatti  nella  vita  di  Sil- 
vestro I,  dice  il  Bibliotecario,  che  Costantino  assegnò  alla 
basilica .  sessorìana  di  s.  Croce  in  Gerusalemme  la  pos- 
sessione di  Patras  sotto  la  città  de'  Laurenti  :  sub  civi- 
tàte  Laurentum  possessionem  Patras ,  che  forse  dovrà  leg- 
gersi Patris.  Anastasio  vivea  nel  secolo  IX  e  le  vite  dei 
p3pi,  che  vanno  sotto  il  suo  nome,  o  sono  sue ,  o  sono 
estràlte  da  autori  più  antichi  :  comunque  voglia  credersi 
di  questa  di  s.  Silvestro,  che  probabilmente  va  fra  quelle 
scritte  da  s.  Damaso  ,  da  questo  passo  chiaramente  ap- 
parisce ,  che  nel  IV  secolo  ,  come  nel  IX  il  fondo  atti- 
nente a  Laurò-Lavinio  ebbe  il  nome  di  Patre.  Nella  bolla 
di  Gregorio  VII  dell'anno  1074  con  che  conferma  i  beni 
alla  basilica  e  monastero  di  s.  Paolo,  inserita  dal  Mar- 
garini nel  secondo  tomo  del  Bollarlo  Cassinense,  leggesi, 
che  conferma  la  città  di  Patrica  con  tutte  le  appendici, 
e  colla  chièsa  di  s.  Lorenzo  siccome  era  stata  conceduta 
al  monastero  di  s.  Paolo  dal  beato  Marino  papa  ;  civi- 
tatem  vero  Patricam  cum  omnibus  appendiciis  et  cum  tota 
ecclesia  s.  Laurentii  sicuti  beatus  Marinus  papa  concessit 
monasterio  tuo.  Questo  papa  Marino  morì  nell'anno  884, 
quindi  dopo  la  metà  del  secolo  IX  già  il  nome  del  fon- 
do Patre  erasi  communicato  a  Lavinio  ,  che  essendosi 
popolato,  di  nuovo,  forse  nel  secolo  VIII,  si  disse  civi- 


231 

tas  Patrica.  E  si  è  veduto  di  sopra  ,  che  anche  nella 
carta  peutingeriana  e  nell'Anonimo  ravennate,  ambedue 
documenti  non  posteriori  all'  anno  750 ,  Lavinio  è  indi- 
cato col  nome  suo  antico,  ne  incontrasi  vestigio  dell'al- 
tro prima  di  papa  Marino  cioè  dell'anno  884,  quindi  in 
questo  intervallo  dee  porsi  la  fondazione  della  terra  sorta 
sopra  Lavinio.  Una  carta  esistente  nell'archivio  di  s.  Pao- 
lo ,  pubblicata  dal  Galletti  nella  sua  dissertazione  sopra 
Capena  p.  65  e  seg.  mostra,  come  nell'anno  1139  Azone 
abbate  del  monastero  si  querelò  nel  concilio  lateranense 
tenuto  avanti  Innocenzo  II,  de'  Baronzini  che  ritenevano 
una  porzione  nel  castello  di  Patrica  ,  pertinente  al  mo- 
nastero :  quamdam  partem  in  castro  nostro  quod  vocetur 
Patrica  :  indizio  che  allora  Patrica  era  murata,  e  riguar- 
data come  Castrum.  Un'  altra  bolla  dell'  anno  1203,  colla 
quale  si  confermano  i  beni  a  s.  Paolo  ,  ed  inserita  dal 
Margarini  nel  tomo  I  nomina  Patricam  cum  ecclesiis  et 
pertinentiis.  Nella  carta  menzionata  più  volte  dell'  archi+ 
vio  di  s.  Maria  in  via  Lata,  pertinente  al  1330  frai  con- 
fini del  castro  o  casale  di  Peronile,  oggi  Petronilla,  in- 
dicasi il  tenimentum  castri  Patricae.  Gli  sconvolgimenti  , 
ai  quali  andò  soggetta  Roma  per  una  buona  parte  di 
quel  secolo  a  cagione  dell'assenza  de'papi  riverberarono 
ancora  sui  dintorni  ,  e  perciò  nel  principio  del  secolo 
seguente,  e  precisamente  nell'anno  1403,  la  metà  di  que- 
sto castro  trovasi  non  più  in  potere  del  monastero,  ma 
di  un  tal  Gocio  di  Nardo  di  Godo  de  Granellis  della 
Regola,  il  quale  ne  vendette  ^je  ^^  nobil  uomo  Jaco vel- 
lo figlio  del  quondam  Branca  di  Gianni  Giudice  ,  pure 
del  rione  Regola  per  537  fiorini:  questo  ricavasi  da  un 
istromento  dell'archivio  di  s.  Angelo  in  Pescaria,  ed  in 
esso  ancora  designasi  Pratica,  come  castro:  cuiusdam  cor 
stri  quod  vocatur  PATRICHA.  Nell'archivio  de' signori 
Capranica  esiste  un'istromento  dell'anno  1432,  nel  qua- 


23*2 

le  annoverandosi  i  confinì  del  lenimento  di  Ardea ,  in- 
dicasi il  tenimentum  casalis,  quod  vocatur  Patrica  illustris 
Bartholomaèi  de  Capranica  et  aliorum  eius  consortium  : 
dove  è  da  notarsi  che  Patrica  in  quella  epoca  apparte- 
neva principalmente  ai  Capranica,  e  ad  altri  possidenti, 
fra'  quali  saranno  stati  i  Branca,  e  che  non  era  più  ri- 
guardato come  Castrum,  ma  come  Casale;  forse  in  quel 
tempo  questi  erano  sinonimi  nella  lingua  notarile ,  poi- 
ché in  un'altra  carta  del  1499,  che  si  legge  nel  codice 
vaticano  ottoboniano  2550,  e  che  è  un  atto  di  concor- 
dia fra  Gabriele  Cesarini  ed  Antonio  Frangipani  circa 
un  terreno  del  tenimento  di  Pratica,  questa  terra  viene 
indicata  col  nome  di  Castrum  :  in  tenimento  castri  Pra- 
ticai E  questo  è  il  primo  esempio  ,  che  finora  ho  rin- 
venuto della  ortografia  attuale  del  nome  di  Pratica,  nei 
tempi  antecedenti  sempre  detta  Patrica  con  maggior  con- 
venienza etimologica.  Il  Piazza  nella  Gerarchia  Cardina- 
lizia p.  324  dice  ,  che  questa  terra  fu  dei  Massimi ,  e 
da  questi  passò  ai  Borghesi  ;  quindi  conviene  supporre 
che  nel  secolo  XYI  venisse  in  potere  dei  Massimi,  sen- 
do  che  fin  dal  principio  del  secolo  seguente  XVII  diven- 
ne proprietà  de'Borghesi,  che  pur  or  la  ritengono  dopo 
averla  quasi  riedificata  di  pianta.  La  popolazione  di  que- 
sta terra  non  e  stabile  componendosi  principalmente  di 
contadini  e  pastori  che  non  sono  nativi  del  luogo:  dal- 
le indagini  che  ho  fatto  ,  nna  dozzina  di  famiglie  può 
dirsi  permanente.  È  parte  della  diocesi  e  del  governo 
di  Ajbano. 

Lavinio,  a  cui  è  succeduta  Pratica  è  al  grado  41. 
30'.  46".  2  di  latitudine  ed  al  grado  30.8'.  15".  1.  di 
longitudine  ,  secondo  le  osservazioni  fatte  1'  anno  1824 
degli  astronomi  del  collegio  romano  Conti  e  Bicchebach. 
Essa  copriva  due  fimbrie  del  ripiano,  che  si  prolunga  di 
sotto   a  Castel  Savello  per  la  Solfarata  fino  al  mare,  ed 


233 
il  quale  verso  occidente  si  frastaglia  in  varie  lacinie , 
che  vanno  bruscamente  a  finire  in  una  valle  profonda , 
imboschita,  solcata  da  un  ruscello  di  acqua  perenne,  cho 
ha  le  scaturigini  presso  la  cona  di  Petronilla,  e  ricevu- 
ti i  rigagnoli  anche  essi  perenni,  che  scolano  dalle  con- 
valli di  Pratica ,  segue  sempre  col  corso  la  direzione  d« 
settentrione  a  mezzodì  servendo  di  limite  ai  latifondi 
di  Campo  Ascolano,  e  Campo  Selva,  ed  entra  nel  mare 
dopo  una  forte  svolta  da  oriente  ad  occidente,  circa  8. 
m.  lungi  dalle  sue  più  lontane  sorgenti. 

Il  fondo  del  suolo  è  un'arenaria  grigiastra  coperta 
di  terra  vegetale  ,  eh'  è  un  composto  di  sabbia  lasciata 
dal  mare,  rottami  di  fabbriche,  materie  vegetali  disciol- 
te, e  frantumi  vulcanici  trasportati  dalle  acque.  Il  colle 
di  Pratica  spicca  quasi  isolato  fra  due  altre  frastaglia- 
ture del  ripiano  commune,  con  due  eminenze,  una  più 
elevata  dell'  altra:  e  sopra  la  più  alta  si  distende  verso 
oriente  il  villaggio  coprendone  una  buona  metà:  il  rima- 
nente della  superficie  del  colle  è  nudo  di  fabbriche  ed 
è  ridotto  ad  un  pascolo  cinto  da  siepe.  È  di  forma 
oblonga  e  somiglia  tutto  insieme  compreso  ad  una  ellis- 
si, nella  direzione  da  oriente  ad  occidente,  che  volge  la 
sua  estremità  occidentale  verso  il  meriggio.  Girando  at- 
torno alla  base  si  percorre  uno  spazio  di  circa  5000  pie- 
di, nel  ripiano  superiore  se  ne  contano  4000,  indizio  che 
molto  ripido  è  il  declive,  specialmente  verso  la  valle  prin- 
cipale che  è  la  più  bassa.  Gli  astronomi  ricordati  di  so- 
pra hanno  riconosciuto  che  la  cima  della  torre  del  pa- 
lazzo Borghesiano ,  è  407  piedi  e  5.  pollici  parigini  so- 
pra il  livello  del  mare,  cioè  circa  440  piedi  romani,  os- 
sia soli  90  piedi  minore  della  sommità  della  croce  della 
cupola  di  s.  Pietro.  Ora  l'altezza  del  palazzo  compresa 
la  torre  è  di  circa  100  piedi:  la  distanza  da  Pratica  al 
mare  è  di  tre  miglia  circa  in  linea  retta:  dalla  base  del 


234 

eoll«  verso  occidente  al  lircllo  del  mare  difficilmente  so- 
no altri  150  piedi;  quindi  benché  più  vicino  al  mare,  il 
colle  sul  quale  sorse  Lavinio  è  molto  più  alto  del  Pin- 
cio  alla  piazza  del  Popolo.  Ho  indicato,  che  la  differen- 
za fra  il  circuito  del  ciglio  superiore  e  quello  della  fal- 
da più  bassa  non  essendo,  che  di  1000  piedi  di  pendio 
dovea  essere  ripido:  infatti  verso  nord  e  nord-est  è  qua- 
si a  picco,  verso  occidente  e  mezzodì  è  appena  accessi- 
bile :  e  solo  verso  oriente  offre  un'  adito  strettissimo  ai 
carri,  dove  con  una  coda  a  guisa  d' istmo,  che  si  direb- 
be artificiale,  riattaccasi  al  ripiano  generale  dipendente 
dalla  Solfarata:  ed  è  per  questo  istmo  che  si  entra  co' 
carri  in  Pratica  tanto  venendo  immediatamente  da  Ro- 
ma per  la  via  ardeatina,  quanto  seguendo  la  via  lauren- 
tina,  passando  per  Decimo  e  Gapocotta,  che,  come  si  vi- 
de^ era  la  primitiva. 

Dell'antico  recinto  rimangono  traccie  non  solo  nell' 
andamento  del  ciglio,  o  nel  taglio  artificiale  della  rupe 
verso  nord-est;  ma  in  questo  medesimo  punto  sono  al- 
cuni massi  parallepipedi  di  pietra  locale,  che  sembrano 
al  posto,  ed  altri  verso  nord-ovest  se  ne  incontrano  ro- 
vesciati. Ora  essendo  il  sito  di  natura  sua  forte  ,  cinto 
da  mura  di  questa  specie,  si  riconosce  come  potè  difen- 
dersi contro  Lauso  a' tempi  di  Enea,  e  come  potè  resi- 
stere alla  scorreria  di  Coriolano,  siccome  fu  notato  nel- 
la storia.  I  frantumi  di  terra  cotta  informe ,  di  tegole , 
di  vasi  coperti  di  vernice  negra,  e  di  manifattura  simi- 
le a  que'che  diconsi  etruschi,  che  muovendo  per  poco  la 
terra  nella  parte  non  abitata  di  Lavinio  appariscono  ad 
ogni  tratto,  non  solo  dimostrano  essere  stato  questo  luo- 
go coperto  di  fabbriche,  ed  abitato  da  uomini,  ma  ri- 
salire la  sua  popolazione  a  tempi  antichissimi  :  siccome 
i  frammenti  di  marmi  bianchi  e  colorati,  i  graniti,  i  por- 
fidi ec.  che  pure  via  via  s'incontrano  sono  testimonii  di 


235 
fatto  che  questa  città  fiorì  ancora  sotto  gllmperadori,  e 
fu  nobilmente  adornata.  Indarno  però  si  cercano  soprat- 
terra avanzi  di  cdiGcìi ,  poiché  sono  tutti  spariti  :  solo 
sulla  piazza  odierna,  osservando  attentamente  il  suolo, 
si  ravvisa  ancora  la  pianta  di  una  vastissima  cisterna,  o 
conserva  di  acqua  antica  costrutta  con  mattoni  di  forma 
triangolare  e  rivestita  di  astraco,  o  signino,  nella  quale 
forse  metteva  capo  l'acquedotto  del  quale  feci  menzione 
di  sopra.  Così  nell'  angolo  sud-ovest  fuori  dell'  abitato, 
odierno,  pare  che  esistesse  un  edificio,  e  forse  un  tem- 
pio, riconoscendosi  un  ripiano  tagliato  nel  .masso  natu- 
rale. A  sinistra  di  chi  entra  in  Lavinio  per  la  porta  orien- 
tale è  sulla  piazza  il  piedestallo  colla  iscrizione  a  Ga^ 
lerio ,  nella  quale ,  come  di  già  notai  dee  osservarsi  la 
ortografia  della  parola  BAEATISSIMO  in  luogo  di  BEA- 
TISSIMO: ivi  dappresso  è  un  pezzo  di  statua  togata  che 
mostra  essere  stata  bene  eseguita,  ma  lavorata  con  fred- 
dezza ,  e  perciò  mi  sembra  del  tempo  degli  Antonini. 
Dopo  la  iscrizione  di  Galerio  è  un  altro  piedestallo  fis- 
so in  terra  ma  capovolto  colla  epigrafe 


-»f   »  i-^f  1  a  u  R  E  N  T  V  M 

VALCOMMAGENTS 

P.  VITAENIVS  M  A  R  T  I  A  L  I  S 

AELIVS    BENEDICI  V  S 

-       AEMILIVS    EVTYCIANVS      ui-'ii.,, 

iì      >      A  V  R  .  F  0  R  T  V  N  I  V  S 

if,  ili*       CAESIVS    DVLCITIVS    VV    PP 

^h  ^    a       PATRONO  DIGNISSIMO  GVRR 

Questo  fu  riportato  dal  Volpi  p.  118  con  molti  errori; 
ma  vi  lesse  di  più  in  principio: 


236 

LYPO  C.  V.  CONSTL  n.  o»]  i 

ARI  SACRAE  VRBIS  i    .r  i,: 

REGIONIS  limi  CVR 

il  qual  Lupo  uomo  consolare ,  credo ,  che  sia  il  Giulio 
Lupo  che  ebbe  l'  onore  de'  fasci  insieme  con  Massimo 
l'anno  232  della  era  volgare. 

;  Havvi  un'altro  piedestallo  con  iscrizione  pur  di  Ga- 
leno, ma  con  disposizione  diversa  nelle  linee  dell'ante- 
cedente, nel  resto  eguale,  e  presso  questo  un'altro  fram- 
mento di  statua  togata  simile  all'altra.  Quindi  vidi  un'al- 
tro piedestallo  rovesciato  sotto  sopra  ,  e  presso  questo 
un'altro  piedestallo  a  Galerio,  rotto,  ma  che  riconoscesi 
simile  ai  due  precedenti ,  se  non  che  apparisce  essersi 
scolpita  la  epigrafe  di  Galerio  dopo  aver  cancellata  una 
iscrizione  precedentemente  esistente  ,  esempio  non  raro 
specialmente  noi  IV.  e  V.  secolo  ,  e  che  vieppiù  dimo- 
stra ciò  che  fu  osservato  di  sopra  circa  l'altro  piedestal- 
lo di  Galerio  colla  dedica  rovesciata  di  sei  anni  anterio- 
re al  suo  innalzamento  alla  dignità  di  Cesare. 

Questi  monumeii'.i  trovansi  sul  lato  della  piazza  che 
è  sotto  il  palazzo  :  in  quello  verso  il  mare  è  un  capi- 
tello corintio  informe,  e  nella  via  che  è  l'ultima  a  sini- 
stra delle  cinque  che  partono  dalla  piazza  osservai  due 
rocchi  di  colonne,  uno  di  breccia,  l'altro  di  marmo  ca- 
ristio:  un  altro  capitello  corintio  de'tempi  della  decaden- 
za è  ne'dintorni  della  piazza,  come  pure  una  base  attica 
ben  modinata,  alcuni  frammenti  di  colonne  di  pietra  al- 
bana scanalata  ec.  ec.  indizii  degli  edificii  che  in  varii 
tempi  nobilitarono  Lavinio.  Havvi  poi  un  piedestallo  che 
nelle  proporzioni  e  modinature  somiglia  a  quelli  di  Ga- 
lerio, sul  quale  è  la  epigrafe  sospetta: 


337 
SILVIVS  AENEAS 
AENEAE  ET  LAVI 
NIAE  FILIVS 

quasi  che  avesse  sostenuto  la  statua  di  quel  re,  stipite 
delia  dinastia  di  Alba  ,  onde  tutti  i  suoi  successori  as- 
sunsero il  prenome  di  Silvio.  La  chiesa  non  offre  per 
l'arte  alcun  oggetto  degno  di  osservazione:  girando  at- 
torno ad  essa  di  fuori  si  riconosce,  che  la  tribuna  ori- 
ginale opera  del  secolo  VI,  ristaurata  poi  nel  secolo  XIII. 
è  nella  direzione  dell'  oriente  vernale  secondo  1'  antico 
costume  ,  e  per  conseguenza  io  credo  che  fosse  eretta 
dopo  l'efimera  pacificazione  di  questa  parte  d' Italia  ot- 
tenuta per  le  vittorie  di  Belisario  e  Narsete,  e  che  fos- 
se ristaurata  verso  i  tempi  d'Innocenzio  III.  che  confermò 
il  possesso  di  Pratica  ai  monaci  di  s.  Paolo;  questa  chie- 
sa era  molto  più  ristretta  dell'  attuale  ,  e  perciò  se  fu 
sola,  come  è  oggi,  potrebbe  arguirsi  che  la  popolazione 
di  Lavinio  nel  secolo  VI.  era  ridotta  a  molto  piccola 
cosa.  Il  palazzo  è  opera  de*  Borghesi  e  non  offre  altra 
cosa  degna  di  essere  ricordata  che  il  magnifico  panora- 
ma della  torre,  che  lo  sormonta,  dalla  quale  può  dise- 
gnarsi la  pianta  della  città  e  delle  colline  che  la  circon- 
dano, le  adiacenti  vastissime  campagne,  il  mare,  Castel 
Romano,  Decimo,  Ostia,  Roma  co' suoi  palagi  e  le  sue 
cupole  smisurate,  il  dorso  gianicolense,  che  a  poco  a  po- 
co sale  e  si  confonde  coi  monti  della  Etruria  suburbi- 
caria ,  sormontati  dal  Cimino  :  e  a  questi  succedono  i 
gioghi  nevosi  della  Sabina ,  che  si  frammischiano  alle 
punte  de'  contrafforti  dell'  Appennino  abitati  dalle  tribù 
latine  :  e  più  dappresso ,  coperti  dal  gruppo  del  monte 
Albano,  di  là  dal  quale  il  monte  Lepino,  sede  principa- 
le de'Volsci,  distende  le  sue  braccia,  terminando  la  ve- 


238 

data  nel  mar«  colle  rupi  di  Anxur,  e  la  vetta  isolata  di 

Circeii. 

Il  circondario  di  Lavinio  comprendeva  luoghi  clas- 
sici che  furono  soggetto  d'investigazioni  erudite  da  cir- 
ca tre  secoli.  E  primieramente  debbono  visitarsi  le  adia- 
cenze verso  occidente ,  dove  alcuni  pongono  il  tumulo 
di  Enea,  il  luco  del  Padre  Dio  Indigete,  ed  il  fano  di 
Anna  Perenna  ingannati  dalla  supposizione  che  il  rivo 
di  Petronella  sia  il  Numico.  Uscendo  pertanto  dalla  por- 
ta orientale  e  prendendo  la  via  a  destra,  che  è  la  lau- 
rentina,  costeggiando  il  villaggio  verso  mezzodì,  si  os- 
serva che  la  convalle  fra  Pratica  ed  il  colle  meridionale 
si  presenta  nell'  attaccatura  come  un  teatro ,  onde  non 
sarebbe  improbabile  credere  che  ivi  fosse  stato  di  fatto 
il  teatro  di  Lavinio.  Il  colle  sovraindicato  ha  le  falde  ve- 
stite di  alberi,  ed  il  ripiano  coltivato  a  vigne  ed  a  gra- 
no. Lungo  la  via  incontrasi  di  tempo  in  tempo  qualche 
poligono  di  lava  basaltica,  ora  smosso,  ora  conflccato  al 
suo  luogo,  che  sono  una  prova  dell'andamento  della  via 
antica  proveniente  da  Roma  :  e  sotto  il  villaggio  havvi 
qualche  pietra  quadrilatera ,  avanzo  dell'  antico  recinto. 
Seguendo  questa  via,  dopo  circa  un  terzo  di  miglio,  a 
sinistra  è  una  sorgente  ,  la  quale  ,  come  oggi  fornisce 
l'acqua  ad  un  fontanile  rustico,  in  origine,  che  sarà  sta- 
ta anche  più  abbondante,  la  forni  ai  Laviniati;  lo  scolo 
di  questa  fonte  traversa  la  via  e  va  a  cadere  nel  fosso 
di  Pratica.  Non  molto  dopo  si  perviene  sotto  la  falda 
occidentale  del  colle  di  Lavinio  che  ivi  si  presenta  in 
tutta  la  sua  imponenza  ;  dove  il  ruscello  del  fontanile 
mescesi  con  quello  detto  della  valletta  ed  ambedue  van- 
no ad  influire  nel  rivo  di  Petronella.  Alcuni  ne'  tempi 
passati  hanno  creduto,  che  questo  fosse  il  Numico,  opi- 
nione che  oggi  non  può  più  tenersi,  imperciocché  essen- 
do stabilito  che  Lavinio  è  a  Pratica,  il  Numico  dee  rin- 


239 
tracciarsi  fra  Lavinio,  ed  Ardea,  doY«  concordemente  si 
pone  dagli  antichi  scrittori  latini,  e  greci,  cioè  ad  orien- 
te e  non  ad  occidente  di  Lavinio.  Al  confluente  di  que- 
sti rivi  lasciasi  a  sinistra  la  via  laurentina,  che  per  Ca- 
po-cotta, e  Decimo  si  dirigge  a  Roma;  e  traversando  un 
cancello  rustico  ed  il  rivo  entrasi  nel  lenimento  di  Pe- 
tronella  Naro,  al  quale  in  questo  luogo  il  ruscello  è  di 
confme  verso  quello  di  Pratica.  Ora  in  questo  punto,  sul- 
la sponda  destra  del  ruscello,  si  presenta  un  tumulo  iso- 
lato da  tutte  le  parti,  ed  imboschito,  che  ricorda  quel- 
lo del  Patris  Dei  indigetis;  imperciocché  è  immediatamen- 
te sotto  Lavinio,  è  di  mediocre  estensione,  e  lascia  rav- 
visare in  qualche  parte  la  mano  degli  uomini ,  e  se  si 
eccettuano  le  fila  regolari  di  belli  alberi,  ai  quali  è  suc- 
ceduta una  boscaglia  informe  ,  ninno  meglio  di  questo 
tumulo  corrisponderebbe  alla  descrizione  lasciataci  da 
Dionisio,  riferita  di  sopra;  ed  essendo  accaduta  una  forte 
battaglia  non  lungi  da  Lavinio,  e  molti  periti  da  ambe  le 
partii  gli  eserciti ,  sopraggiunta  la  notte  si  disciolsero ,  ed 
il  corpo  di  Enea  non  essendosi  piti  in  alcuna  parte  vedu- 
to ,  altri  supposero  che  fosse  stato  trasportato  fra  gli  dei , 
altri  che  fosse  perito  nel  fiume  lungo  il  quale  si  era  data 
la  battaglia ,  e  a  lui  i  Latini  edificarono  un  eroo  ornato 
con  questa  iscrizione  :  DEL  PADRE  DIO  TERRESTRE 
CHE  DEL  FIVME  NVMICO  IL  CORSO  GOVERNA . . . 
Ed  è  un  tumulo  non  grande ,  ed  intorno  vi  sono  piantati 
alberi  in  fila  degni  di  essere  veduti.  Ma  la  grave  diflìcol- 
tà,  insormontabile,  a  riconoscerlo  per  quello  testé  accen- 
nato é  che  il  rivo,  non  è  il  Numico,  e  Livio  lib.  I.  e. 
IL  nel  Numico  pone  l'eroo  di  Enea:  situs  est,  quemcum- 
que  eum  dici  ius  fasque  est  super  Numicium  flumen ,  Jo- 
vem  Indigetem  appellant  ;  e  con  Livio  in  sostanza  si  ac- 
cordano Ovidio,  Vittore,  e  gli  altri  antichi  scrittori,  e 
Dionisio  stesso  pcfc'anzi  allegato.  "• 


240 

D(^o  aver  visitato  questo  tamulo  ,  continuando  a 
rimontare  il  rivo  di  Petronclla  verso  settentrione,  incon- 
transi  di  tempo  in  tempo  rigagnoli  che  scendono  dalle 
falde  vicine  ad  ingrossare  il  tronco  principale  ,  e  dopo 
circa  due  miglia  di  cammino  si  giunge  sotto  il  ripiano 
di  Petronella  nel  così  detto  Prato  del  Gasale.  Di  già 
notai  a  suo  luogo  ,  che  alcuni  posero  Lavinio  a  Petro- 
nella Naro,  ed  altri  vi  collocarono  il  Fanum  Ànnae  Pe- 
rennae ,  frai  quali  figura  principalmente  V  Olstenio  ',  ma 
che  ambedue  le  opinioni  sono  erronee  ,  poiché  Lavinio 
era  a  Pratica,  e  quel  fanum  fu  sul  Nuraico.  Impercioc- 
ché Ovidio  nel  terzo  de'Fasti  v.  647  e  seg.  chiaramen- 
te si  esprime  di  costei  così: 

;   Corniger  hanc  cupidis  rapuisse  Numicius  undis 
Creditur  et  stagnis  occoluisse  suis. 
Sidonis  interea  magno  clamore  per  agros 

Quaeritur:  adparent  signa  notaeque  pedum. 
Ventum  erat  ad  ripas:  inerant  vestigia  ripis; 

Sustinuit  tacita^  consci  US  amnis  aquas. 
Ipsa  loqui  risa  est:  Placidi  sum  nympha  Numici: 
Àmne  perenne  latens,  Anna  Perenna  vocor. 

E  Silio  nel  lib.  Vili.  v.  28  e  seg.  fa  chiamare  Anna 
dagli  stagni  laurenti  del  Numico,  limitrofi  al  bosco  del 
Padre  Indigete: 

Namqtie  hac  adcitam  stagnis  laurentibus  Annam 
Adfatur  voce  et  blandis  hortatibus  implet. 

Tum  Diva  (Anna)  Indigetis  castis  contermina  lucis. 
Haud,  inquit,  tua  ius  nobis  praecepta  murari. 

E  dopo  aver  narrata  la  origine  degli  onori  che  si  rea- 


241 
devano  a  questa  semidea,  ed  una  apparizione  di  Didone 
sua  sorella  v,  179.  e  seg.  soggiunge 

Haud  procul  hinc  parvo  descendens  fonte  Numicus 
Labitur  et  leni  per  valles  volvitur  amne. 
Httc  rapies,  germana,  viam  tutosque  receptus: 
Te  sacra  excipient  hilares  in  flamine  Nymphae, 
Àeternumque  Italis  numen  eelebrabere  in  oris 

Anna  novis  somno  eoccutitur  perterrita  visis, 

Prosiluit  stratis,  humilique  egressa  fenestra 
Per  patulos  currit  plantis  pernicibus  agros; 
Donec  arenoso,  sic  fama,  Numicius  illam 
Suscepit  gremio,  vitreisque  abscondidit  antris. 

E  poco  dopo  Io  stesso  poeta  mostra  la  prossimità  del 
Fano  di  Anna  Perenna  al  territorio  de'  Rutuli  ,  e  al 
mare: 

Quum  nuUam  Aeneadae  thalamis  sidonida  nacti, 
Et  Rutulum  magno  errantes  clamore  per  agrum 
Vicini  ad  ripas  fluvii  manifesta  sequuntur 
Signa  pedum:  dumque  inter  se  mirantur,  ab  alto 
Amnis  aquas  cursumque  rapit:  tum  sedibus  imis 
Inter  caeruleas  visa  est  redire  sorores. 
Sidonis  et  placido  Teucros  adfarier  ore. 
Ex  ilio  primis  anni  celebrata  diebus 
Per  totam  Ausoniam  venerando  numine  eulta  est. 

Chiunque  per  poco  conosca  i  luoghi,  dee  conveni- 
re ,  che  in  niun  modo  il  Fano  di  Anna  Perenna  potrà 
collocarsi  presso  il  casale  di  Petronella ,  a  meno  di  di- 
ehiarare  gli  antichi  scrittori  tutti  insieme  falsi  e  bugiar^ 

16 


242 

di.  Il  nome  di  PetroncUa  suol  derivarsi  da  s.  Petronil- 
la, quasi  che  questo  fondo  fosse  in  alcun  modo  consa- 
crato a  quella  santa  :  la  carta  però  di  s.  Maria  in  Via 
Lata ,  ricordata  di  sopra  ,  spettante  al  1330  lo  appella 
Peronila  :  e  da  Peronila  si  sarà  prima  detto  Petronila  , 
poi  Petronella,  e  per  analogia  di  nome  s.  Petronella.  Il 
casale  fu  da  me  visitato  nel  1823  :  è  situato  sopra  un 
colle  dirupato  di  tufa  di  forma  quasi  circolare,  che  so- 
lo verso  nord-ovest  ha  un'accesso  meno  difficile  e  pres- 
so questo  un  antico  antro ,  sacro  al  Genio  del  luogo  e 
alle  ninfe.  Sembra  che  circa  il  secolo  XIII.  fosse  cinto 
di  mura,  poiché  si  veggono  ancora  vestigia  della  forti- 
ficazione, che  lo  avrà  fatto  un  Castrum.  Amenissima  è 
la  situazione  di  questo  colle,  dinanzi  al  quale  dispiega- 
si verso  mezzodì  la  linea  argentea  del  mare  coronata  da 
boschi  e  di  tratto  in  tratto  interrotta  dalle  torri  di  guar- 
dia :  quindi  non  v'ha  bisogno  di  situarvi  il  Fanum  di 
Anna  Perenna  per  riconoscere  che  anticamente  non  fu 
trascurato  ,  e  ne  fanno  testimonianza  rocchi  di  colonne 
di  granito  impiegati  ad  usi  moderni,  e  frantumi  che  qua 
e  là  si  rinvengono  i  quali  io  credo  ,  che  appartengono 
a  qualche  villa.  Nella  carta  del  p.  Innocenzo  Mattei  in- 
titolata Nova  et  exacto,  Chorographia  Latti,  riportata  da 
Kircher  nel  suo  Lazio  1'  anno  1671  presso  M.  di  Leva 
è  indicato  un  laghetto  colla  iscrizione  Lago  di  Turno, 
da  cui  parte  un  ruscello  che  va  ad  influire  nel  rivo  dal- 
la Solf arata:  in  quella  di  Ameti  del  1693  si  ritrova  que- 
sto lago  fra  monte  di  Leva,  Castel  romano,  e  Petronel- 
la; ma  il  rivo  che  ne  esce  ha  il  nome  di  Rio  di  Torno 
e  va  verso  il  mare:  in  quella  del  Cingolani  del  1704.  spa- 
riscono lago  e  rivo,  e  solo  fra  Petronella  e  Monte  di 
Leva,  nel  tenimento  di  Petronella  è  notato  un  piccolis- 
simo stagno  senza  nome  e  senza  emissario.  Maire  e  Bo- 
scovich  non  lo  mettono  affatto,  Cassini  non  mette  il  la- 


243 

go,  ma  segna  il  rio  di  Torno  nella  mappa  generale  del- 
lo Stato  Ecclesiastico  1'  anno  1805.  Nicolai ,  Michel ,  e 
Sikler,  e  tutti  gli  altri  che  più  recentemente  hanno  se- 
guito Ameti  l'hanno  riprodotto,  e  ne  hanno  fatto  uno  sta- 
gnum,  o  Lacus  luturnae,  e  vi  hanno  applicato  i  versi  di 
Virgilio  Aeneid.  1.  XII.  v.  134.  e  seg.  e  di  Ovidio  Fast. 
lib.  II.  V.  585.  e  seg.  Con  questa  prevenzione  percorsi 
tutte  quelle  campagne  per  ritrovarlo ,  ma  indarno ,  ne 
interrogai  i  contadini,  e  mi  assicurarono,  che  non  esiste- 
va ,  e  solo  il  più  vecchio  mi  disse  ,  che  sul  ripiano  di 
un  colle  che  sorge  dirimpetto  al  Casale  di  Petronella  do- 
ve oggi  é  l'ara  ,  vi  era  ,  una  piscina  ,  cioè  una  piccola 
conca  di  acqua  dove  vanno  a  tuffarsi  le  bestie,  la  qua- 
le era  stata  disseccata:  dunque  il  preteso  lago  di  Giutur- 
na  è  una  bella  invenzione.  D'  altronde  Servio  commen- 
tando il  passo  della  Eneide  ricordato  di  sopra,  e  preci- 
samente i  versi  139  e  40 

Diva  deurriy  stagnis,  quae  flununibusque  sonoris 

Praesidet.  ,     y     3    ^  : 

dice  che  Giuturna  era  una  fonte  saluberrima  in  Italia 
presso  il  fiume  Numico,  alla  quale  era  stato  imposto  tal 
nome  perchè  giovava,  a  iuvando:  che  di  là  portavano  a 
Roma  l'acqua,  che  serviva  ne'sagrificii:  e  ad  essa  sole- 
vasi  in  caso  di  penuria  di  acque  sagrilicare  :  a  Giutur- 
na era  stato  eretto  da  Lutazio  Catulo  un  tempio  in  Ro- 
ma nel  Campo  Marzio  :  ed  in  onor  suo  celebravansi  le 
feste  giuturnali  da  coloro  che  esercitavano  mestieri  di 
acqua.  Or  se  questa  era  una  fonte  non  fu  un  lago  ,  e 
se  era  iuxta  Numicum  fluotum  non  potè  essere  ne'dintor- 
ni  di  Petronella  e  Monte  di  Leva,  ma  sibbene  in  quel-; 
li  di  s.  Procula  e  Maggione  distanti  buone  6  miglia  dal 
casale  di  Petronella. 

Verso  oriente  il  tempio  di  Venere,  Aphrodisium  ed 


244 

il  Numico  sono  stati  descritti    negli    articoli    rispettiri. 

V.  APHRODISIVM,  CAMPO  SELVA,  NVMICVS, 

LEPRIGNANO. 

Cepronianum. 

Terra  della  Gomarca  di  Roma  nel  Governo  di  Ca- 
stel Nuovo  di  Porto,  che  contiene  838  abitanti.  Essa  è 
distante  circa  21  miglia  da  Roma  andando  per  la  vìa  ti- 
berina, volgarmente  detta  la  strada  di  Piano,  dalla  qua- 
le si  diverge  a  sinistra  verso  le  16  m.  e  mezzo:  ed  un 
miglio  dopo  il  diverticolo  sotto  il  monte  Tufello  si  tro- 
ya  un  bivio  :  la  strada  a  sinistra  conduce  a  Morlupo , 
quella  a  destra  a  Leprignano. 

Il  suo  nome  nella  bolla  di  Gregorio  VII  dell'anno 
1074  riportata  dal  Margarini  nel  Bullarium  Cassinense 
T.  II  si  scrivea  allora  Lepronianum  e  questa  è  la  prima 
volta  che  s'incontra:  forse  derivò  da  Apronianum  fondo 
della  gente  Apronia.  A  quella  epoca  era  di  già  un  castrum 
ed  apparteneva  al  monastero  di  s.  Paolo,  al  quale  ha  poi 
sempre  appartenu  o.  Da  due  documenti  riportati  dal  Gal- 
letti nella  sua  dissertazione  sopra  Capena  rilevasi ,  che 
sul  finire  dello  stesso  spcolo  XI  era  stato  occupato  in- 
sieme con  Piano  e  Vaccareccia ,  altre  terre  del  mona- 
stero medesimo,  da  un  tale  Tebaldo:  i  suoi  figli  Cencio 
e  Stefano  lo  resero  al  monastero,  ed  ottennero  la  enfi- 
teusi ,  la  quale  poi  rimasta  estinta ,  il  castello  tornò  in 
pieno  potere  de'  monaci ,  che  lo  hanno  ritenuto  fino  al 
secok)  presente. 


245 
u:  LICENZA. 

DIGENTIA. 

È  un  rivo  ricordato  da  Orazio  nella  epistola  XVIII 
del  primo  libro  in  que'versii 

Me  qttoties  reficit  gelidus  Digentia  rivus, 
Quem  Mandela  bibit  rugosus  [rigore  pagm 
Quid  sentire  putas?  ec. 

come  quello,  che  bagnava  la  sua  villa  sabina,  nella  qua" 
le  avea  la  sorgente:  Epist.  XVI  lib.  I. 
Fons  etiam  rivo  dare  nomen  idoneus,  ut  nec 
Frigidior  Thracarn,  nec  purior  ambiat  Hebrus 
Infirmo  capiti  fluit  aptus  et  utilis  alvo, 
e  che  gravi  danni  come  tutti  i  torrenti  di  montagna  ar- 
recava al  prato  in  occasione  di  pioggia:  Epist.  XIV  lib.  I. 
Addit  opus  pigro  rivus,  si  decidit  imber. 
Multa  mole  docendus  aprico  parcere  prato. 
E  questo  rivo  conserva  tutti  i  caratteri  sovraindicati,  e 
solo  basterebbe  a  determinare  il  sito  della  villa  orazia- 
na, che  è  certo  per  altri  argomenti  siccome  vedrassi  nel- 
r  articolo    VILLA  DI  ORAZIO.  Il  suo  nome  poi  ha  di 
poco  variato  dicendosi  oggi  Licenza.  Nasce  questo  rivo 
principalmente  dal  monte  Pennecchio  da  varie  sorgenti, 
una  delle  quali  nella  villa  di  Orazio  è  nota  pel  nome  di 
Fons  Bandusiae  datole  dal  poeta  nella  ode  XIII.  del  li- 
bro IIL  Questo  rivo  argentino  scorre  serpeggiando  per 
la  valle  Ustica  e  serve  di  limite  in  quella  parte  ai  Sa- 
bini ed  agli  Equi  :  e  dopo  circa  12  miglia  di  corso  va 
a  mescere  le  fredde    sue    acque    nell'  Aniene  presso  al 
convento  di  s.  Cosimato  circa  29  miglia  lontano  da  Ro- 
ma. Questo  rivo  da  nome  ad  una  Terra  che  fin  dal  se- 


246 

colo  XIII  fu  feudo  degli  Orsini;  oggi  appartiene  ai  Bor- 
ghese. Essa  è  nella  comarca  di  Roma  nel  Governo  di 
Arsoli  e  contiene  812  abitanti.  Posta  sopra  un  monte  , 
che  a  prima  vista  sembra  più  scosceso  di  quello  che  è 
di  fatto,  è  abitata  da  gente,  che  pel  carattere,  disinte- 
resse, e  semplicità,  per  la  giovialità,  e  l'amore  ospitale, 
ricorda  quelli  antichi  Sabini,  da'quali  discende. 

La  strada  per  andarvi  è  a  sinistra  della  Valeria  pres- 
so il  convento  di  s.  Gosimato,  e  segue,  rimontandolo,  il 
corso  del  rivo  Digenlia  per  buone  quattro  miglia,  finché 
presso  alla  mola  traversa  quel  rivo,  ossia  il  tronco  prin- 
cipale di  esso ,  ed  ascende  alla  Terra.  E  questa  strada 
nella  primavera  avanzata  e  nella  estate  è  deliziosa;  or- 
rida però  è  nell'inverno,  e  ne'giorni  piovosi  presso  che 
impraticabile.  I  monti  che  coronano  la  valle  Ustica,  che 
questa  strada  percorre  sono  coperti  da  selve  annose  ,  e 
le  falde  piìi  basse  non  rendono  frutto  equivalente  alla 
industria  penosa  degli  abitanti  che  le  coltivauo. 

LONGVLA.  V.  BUONRIPOSO. 

S.  LORENZO  FUORI  LE  MURA. 

Celebre  ed  antica  suburbana  basilica  dì  Róma  po^ 
sta  a  destra  della  via  tiburtina  un  mezzo  miglio  fuori 
della  porta,  detta  anche  essa  tiburtina  in  origine,  e  po- 
scia più  nota  pel  nome  di  s.  Lorenzo,  col  quale  più  com- 
munemente  si  appella,  appunto  perchè  per  essa  si  esce 
a  questa  basilica.  Da  Anastasio  Bibliotecario  nella  vita 
di  Silvestro  I  apprendiamo,  che  fondatore  ne  fu  Costan- 
tino, il  quale  la  edificò  nella  via  tiburtina,  nell'agro  yc- 
rano,  sopra  una  cava  di  pozzolana,  ossia  arena  da  fab- 
bricare, e  che  la  prolungò  fino  al  sepolcro  di  s.  Loren- 
zo martire,  dove  fece  scale  per  iscendere  e  risalire:  gra~ 
dum  ascensionis  et  descensionis:  ed  ivi  costrusse  un'  apsi- 


247 

da  che  adornò  con  porficìi:  tri  quo  loco  cohstruxit  absidam 
et  exornavit  marmoribus  porphyreticis.  Quell'  impcradore 
l'arricchì  di  ornamenti  preziosi,  e  la  dotò  di  fondi,  frai 
quali  meritano  di  essere  particolarmente  ricordati  la  pos- 
sessio  Cyriacctis  religione  femìnae,  posta  nello  stesso  sito 
dove  fu  eretta  la  basilica,  e  che  era  stata  confiscata  du- 
rante la  persecuzione:  il  fundus  Veranus  che  dava  nome 
alla  contrada:  la  possessio  Aqua  Turia:  quella  detta  Au- 
gusti nel  territorio  sabino  :  e  quella  detta  Sulfuratarum 
ossia  delle  acque  Albule.  Questi  particolari,  i  ristauri, 
gli  abbellimenti  e  le  successive  riedificazioni,  delle  qua- 
li Anastasio  ed  altri  ci  han  conservato  la  memoria  sem- 
brano dovere  escludere  ogni  dubbio  ragionevole  circa  la 
fondazione  primitiva  di  questa  basilica ,  malgrado  che 
oggi  non  rimangano  più  avanzi,  e  quasi  direi  traccie  di 
quella  fabbrica  primitiva. 

Sisto  III:  il  quale  fu  creato  papa  l'anno  432  secon- 
do il  biografo  testé  ricordato  fece  la  Confessione,  ornan- 
dola di  colonne  di  porfido,  ed  arricchì  la  chiesa  con  mol- 
ti ornamenti  di  argento:  ora  essendo  la  Confessione  una 
parte  integrale  delle  chiese  antiche,  d'uopo  è  supporre 
che  ,  o  la  primitiva  fosse  molto  più  semplice  di  questa 
edificata  da  Sisto  III,  ovvero  che  nella  scorreria  di  Ala- 
rico la  chiesa  fosse  andata  soggetta  a  qualche  devasta- 
zione; onde  fosse  necessario  rinnovare  questa  parte.  Nel- 
r  anno  455  i  Vandali  condotti  da  Genserico  entrati  in 
questa  basilica  depredarono  gli  ornamenti  e  gli  utensili 
sacri  di  maggior  valore,  onde  il  papa  s.  Ilario  li  rinno- 
vò ,  come  in  altre^basiliche  avea  fatto  il  suo  predeces- 
sore s.  Leone  I.  Veggasi  Anastasio  nelle  vite  di  questi 
due  papi.  E  quel  pontefice,  cioè  s.  Ilario,  fondò  presso 
questa  chiesa  varii  monasteri,  costrusse  un  bagno,  ed  un 
pretorio,  o  palazzo.  Circa  la  fine  di  quel  medesimo  se- 
colo Anastasio  II,  secondo  il  Bibliotecario,  fece  la  Con- 


248 

fessione  di  argento ,  di  100  libre  di  peso  ,  e  alla  sua 
morte  \enne  nell'arenario  annesso  a  questa  basilica  se- 
polto presso  il  corpo  di  Sisto  III.  Simmaco  successore 
di  Anastasio  II  vi  edificò  un  ospizio  pe'poveri;  pauperi- 
bus  habitcLCìda  dice  Anastasio. 

Poco  dopo  sopraggiunta  la  guerra  gotica,  nella  qua- 
le i  dintorni  di  Roma  ebbero  a  soffrire  orribili  guasti, 
è  molto  probabile,  che  la  chiesa  di  s.  Lorenzo,  situata 
fuor  delle  mura  ,  molto  avesse  a  soffrire  :  e  questa  mi 
sembra  la  ragione  principale ,  perchè  papa  Pelagio  II 
eletto  l'anno  578  si  trovasse  nella  necessità  di  rinnovar- 
la ,  conservando  la  direzione  primitiva  ,  che  secondo  il 
rito  guardava  1'  oriente  ,  cioè  precisamente  opposta  alla 
odierna.  Hic  fecit,  dice  Anastasio  nella  sua  vita,  supra 
corpus  beati  Laurentii  martyris  Basilicam  e  fundamento 
constructam,  et  tabulis  argenteis  exornavit  sepulcrum  ejus. 
Si  noti  la  espressione  basilicam  e  fundamento  indicante 
una  riedificazione  di  pianta.  Ed  in  prova  di  questa  edi- 
ficazione nell'arco  grande  della  basilica  allor  rinnovata^ 
ed  oggi  parte  del  presbiterio,  fra  le  altre  figure  di  mu- 
saico f  che  a  suo  luogo  descriverò  è  ancora  la  immagi- 
ne di  questo  papa  col  nome  scritto.  A  questa  riedifica- 
zione riferivasi  la  iscrizione  seguente  riportata  dal  Gru- 
tero  p.  MCLXXII  già  esistente  nell'  arco  sovraindicato^ 
secondo  il  Severano  Memorie  Sacre  p.  651. 


lìr     'i 


249 

DEMOVIT  DOMINVS  TENEBRAS  VT  LVCE  CREATA 

HIS  QVONDAM  IJITEBRIS  SIC  MODO  FVLGOR    INEST. 
ANGVSTOS  ADITVS  VENERABILE   CORPVS  HABEBAT 

HVC  VBI  NVNC  POPVLVW  LARGIOR  AVLA  CAPIT. 
ERVTA  PLANICIES  PATVIT  SVB  MONTE  RECISA 

ESTQVE  REMOTA  GRAVI  MOLE  RVINA  MINAX. 
PRAESVLE  PYLAGIO  MARTYR  LAVRENTIVS  OLIM 

TEMPLA  SIBI  STATVIT  TAM  PRETIOSA  DARI. 
MIRA  FIDES  CLAVDIVS  HOSTILES  INFERET  IRAS 

PONTIFICEM  MERITIS  NEC  CELEBRASSE  SVVM. 
TV  MODO  SANCTORVM  CVI  CRESCERE  CONSTAT  HONORES 

FAC  SVB  PACE  COLI  TECTA  DICATA  TIBI. 
MARTYRIVM  FLAMMIS  OLIM  LEVITA  SVBISTI 

IVRE  TVIS  TEMPLIS  LVX  VENERANDA  REDIT. 

Questa  iscrizione ,  che  dal  settimo  verso  apparisce 
essere  posteriore,  ma  di  poco  a  Pelagio  II,  ricorda  i  la- 
vori da  lui  fatti  per  la  nuova  basilica  ,  e  fra  questi  il 
taglio  del  monte  sovrastante.  Benché  così  importante  scom- 
parve nei  ristauri  fatti  alla  chiesa  nel  secolo  XVII.  con 
danno  gravissimo  della  storia  e  dell'  archeologia  sacra. 
Grutero  nel  riportarla  premette  per  equivoco  i  due  ver- 
si dell'  arco  detto  di  Placidia  in  s.  Paolo  fuori  delle 
mura. 

Nella  riedificazione  di  papa  Pelagio  narra  s.  Gre- 
gorio Magno  Epistol.  lib.  III.  n.  XXX.  1'  aneddotto  se- 
guente; Sanctae  memoriae  decessor  meus  ad  corpus  s.  Lau- 
rentii  quaedam  meliorare  desiderans,  dum  nescitur  ubi  ve- 
nerabile corpus  eius  esset  collocatum,  et  efjbditur  exquiren- 
do,  subito  sepulcrum  eius  ignoranter,  apertum  est:  et  ii,  qui 
praesentes,  erant,  atque  laborabant,  monachi  et  mansionarii, 
qui  corpus  eiusdem  martyris  viderunt,  quod  quidem  minime 
tangere  praesumpserunt ,  omnes  intra  decem  dies  defuncti 
tunt;  ita  ut  nullus  superesse  potuisset  qui  sanctum  et  tu- 


250 

stum  corpus  illius  viderai.  Secondo  questa  testimonianza 
fin  dall'  anno  578  v'  erano  già  monaci  addetti  a  questa 
basilica,  i  quali  furono  certamente  dell'ordine  di  s.  Be- 
nedetto ,  che  poi  per  lungo  tempo  ,  cioè  fino  al  secolo 
XV.  la  ritennero:  e  questa  testimonianza  medesima  con- 
ferma ciò,  che  dice  Anastasio  nella  vita  dollaro,  indica- 
to di  sopra,  che  egli  fondò  varii  monasteri  presso  que- 
sta basilica.  ..  ,  . 

Que'  tempi  però  erano  infelicissimi  :  ai  guasti  della 
guerra  gotica  succedettero  le  stragi  fatte  da'  Longobar- 
di, che  desolarono  spietatamente  tutte  le  terre  intorno 
a  Roma  ,  come  lo  stesso  pontefice  s.  Gregorio  attesta  : 
quindi  la  opera  di  Pelagio  rimase  trascurata  ;  e  papa 
Gregorio  11.  dovè  risarcire  il  tetto,  che  avea  sofferto  in 
guisa  da  minacciare  una  ruina  imminente,  e  ricondusse 
dopo  molto  tempo  1'  acqua  alla  chiesa  col  ristaurare  i 
tubi  di  piombo.  Veggasi  Anastasio  nella  vita  di  questo 
papa.  Ma  ancor  queste  cure  andarono  ben  presto  a  vuo- 
to per  le  micidiali  scorrerie  di  Astolfo  re  de'Longobar- 
di ,  che  mise  a  soqquadro  specialmente  le  contrade  fra 
Roma,  Tivoli,  e  Prencstc  negli  anni  752  e  seguenti.  Que- 
sta basilica  fu  allora  in  tale  stato  miserando  ridotta,  che 
rimase  affatto  priva  di  tetto  ed  ingombra  di  rovine. 

Adriano  I ,  che  cercò  di  rimediare  quanto  meglio 
potè  ai  terribili  effetti  di  queste  vicende  lagrimevoli  ri- 
volse ancora  gli  occhi  a  questa  basilica,  e  circa  I'  anno 
775 ,  volendo  accrescere  decoro  alla  santità  del  luogo , 
ridusse  la  basilica  di  Pelagio  li.  a  presbiterio  ,  e  voltò 
la  direzione  della  chiesa,  aggiungendo  l'aula  grande  co- 
me oggi  si  vede  colla  porta  verso  occidente,  mentre  la 
precedente  era  rivolta  ad  oriento.  E  quest'  aggiunta  es- 
sendo molto  maggiore  della  basilica  primitiva  fu  da  A- 
uastasio  Bibliotecario  nella  vita  di  quel  papa  designata 
col   nome  di  Basilica   Major.  Egli  così   parla  di  questi 


251 
lavori  nam  et  tectum  eiusdem  beati  Laurentii  martyris  ha- 
silicae ,  quod  iam  distectum  erat  et  trabes  eius  confractae 
noviter  fecit  .  .  .  Hic  idem  almi  ficus  pater  eatndem  basilicam 
s.  Laurentii  martyris,  ubi  sanctum  corpus  eius  requiescit, 
annexam  basilicae  maiori ,  quae  dudum  idem  praesul  con- 
struxerat ,  nitro,  citroque  a  novo  restauravìt.  La  povertà 
de'tempi  non  gli  permise  di  abbassare  la  falda  del  col- 
le, come  avea  fatto  precedentemente  Pelagio  II,  sicco- 
me fu  notato  di  sopra  :  e  perciò  prolungando  sopra  que- 
sta la  chiesa,  ne  venne,  che  la  nave  trovavasi  superiore 
al  piano  della  basilica  di  Pelagio,  che  egli  voleva  ridur- 
re a  presbiterio,  mentre  il  rito  csiggeva  l'opposto.  Quin- 
di il  suolo  della  basilica  di  Pelagio  fu  alzato  a  segno 
che  le  colonne  rimasero  sotterrale  per  quasi  due  terzi. 
Questo  medesimo  motivo  fece  rialzare  il  tetto  di  quella 
parte,  e  così  tutte  le  proporzioni  architettoniche  rimase-' 
ro  alterate.  Tale  interramento  artificiale  è  visibile,  e  di- 
mostra apertamente  che  la  parte,  che  oggi  serve  di  aula 
alla  basilica  è  una  giunta  posteriore  alla  costruzione 
di  quella,  che  è  ridotta  a  presbiterio,  che  d'  altronde 
si  mostra  come  edificata  in  una  epoca  meno  cattiva  per 
le  arti.  ''■  Ih   oùtCn''i.,o')   ir:  e-  ol'J;  i'ìÌììjoo)  r;\)> 

i  Oltre  questo  ristauro,  e  questo  grande  accrescimen- 
to ,  Adriano  I.  arricchì  questa  basilica  di  paramenti  e 
vasi  sacri,  come  nel  secolo  seguente  fecero  Leone  III, 
Leone  IV,  e  Benedetto  III,  E  malgrado  lo  stato  di  bar- 
barie e  di  anarchia,  in  che  la  Ilalia,  e  particolarmente 
Roma  erano  cadute,  pure  la  venerazione  de'  fedeli  per 
questa  basilica,  e  per  le  reliquie  che  conteneva  la  so- 
stenne a  fronte  della  sua  situazione  estramuranca,  che 
più  la  esponeva  alle  devastazioni  ed  all'abbandono.  Cir- 
ca l'anno  952  papa  Agapito  II.  volendo  provvedere  al- 
la conservazione  e  decoro  di  questo  tempio  lo  pose  sot- 
to la  cura  de'monaci    cluuiacensi  che  per  lungo  tempo 


252 

la  possederono.  Veggasi  il  Panvinio  L  e.  e.  Vi.  I  papi  al- 
lora sovente  vi  andavano  ad  uffìziare ,  e  da  Guiberto 
arcidiacono  nella  vita  di  Leone  IX.  lib.  IL  e.  IIL  ripor- 
tata dal  Muratori  ne  Rerum  Italie.  Script.  T.  III.  P.  L 
p.  295  si  narra  che  quel  papa  vi  celebrò  la  pasqua  e. 
vi  guarì  una  donna  energumena.  Neiranno  1148  stan- 
do ancora  sotto  la  cura  di  que'monaci,  l'abate  Ugone 
rifabbricò  la  Confessione  quasi  come  ancora  rimane,  ed 
il  suo  nome  insieme  con  quello  degli  artisti  Pietro, 
Angelo,  e  Sassone  figli  di  Paolo  si  legge  nell'architra- 
ve interno. 

Nel  secolo  seguente  circa  l'anno  1216  papa  Ono- 
rio IIL  la  ristaurò  siccome  si  afferma  da  Martino  Ful- 
dense  nella  cronaca  riportata  dall*  Eccardo  T.  L  page 
1706  da  Ermanno  Corner  presso  lo  stesso  T,  IL  pag. 
845,  da  Amalrico  Augerio,  ivi  pag.  1759,  e  da  Fran- 
cesco Pipino  presso  il  Muratori  Ber.  Italie.  Script.  1\ 
IX.  p.  664.  Alcuni  attribuiscono  a  questo  papa  l'ag- 
giunta fatta  come  si  vede  da  Adriano  I;  ma  oltre  che 
gli  scrittori  suoi  contemporanei,  o  di  poco  posteriori  te- 
sté nominati  non  fasuio  punto  menzione  di  un  lavoro 
così  considerabile  e  si  contentano  di  dire  che  quel  pa- 
pa renovavit  rinnovò,  cioè,  ristaurò  la  basilica  di  s.  Lo- 
renzo, secondo  il  frasario  di  quel  tempo,  il  passo  po- 
sitivo di  Anastasio  riportato  di  sopra,  e  lo  stile  esclu- 
dono una  opinione  siffatta.  Ad  Onorio  IIL  però  cer- 
tamente si  dee  attribuire  il  portico  ancora  esistente , 
poiché  oltre  lo  stile  vi  si  vede  espressa  in  musaico 
la  sua  immagine,  e  vi  si  legge  il  suo  nome:  opere  del 
suo  tempo  sono  pure  le  pitture  semi  cancellate  che 
nel  portico  stesso  si  vedono ,  le  porte  e  gli  amboni. 
Dopo  aver  ristaurata  la  basilica,  quel  papa  vi  celebrò 
r  anno  1217  la  coronazione  di  Pietro  di  Courtenay , 
conte  di  Auxerre,  nipote  di  Luigi  il  Grosso  in  impera- 


253 

dorè  latino  di  Costantinopoli,  secondo  Amalrico  Augerio 
ed  Ermanno  Corner  ricordati  di  sopra,  Martino  Fulden- 
se  però  dice  che  morto  Balduino  1'  anno  1217,  Onorio 
nell'anno  secondo  del  suo  pontificato  costituì  senza  le  for- 
malità della  elezione  Pietro  conte  di  Auxerre  in  impe- 
radore  costantinopolitano,  e  lo  coronò  nel  Laterano.  Nic- 
colò V.  vi  fece  nuovi  ristauri  l'anno  1451,  siccome  nar- 
ra il  Mannetti  nella  sua  vita  presso  il  Muratori  Rerum 
Jtalicarum  Script.  T.  III.  p.  II  col.  931. 

Sisto  IV.  eresse  questa  Abbadia  in  commenda,  e  la 
die  in  cura  ai  canonici  regolari  di  s.  Salvatore,  oggi  riu- 
niti ai  lateranensi.  Poco  dopo  il  card.  Oliviero  Caraffa, 
abbate  commendatario  rifece  il  soffitto ,  e  perciò  sulla 
facciata  della  basilica  veggonsi  le  sue  armi  unitamente 
a  quelle  del  papa  allora  regnante,  e  del  re  di  Napoli, 
onde  mostrare  la  sua  origine  napoletana.  Nel  secolo  se- 
guente il  card.  Alessandro  Farnese  vi  costrusse  alcune 
cappelle.  Sul  principio  del  secolo  XVII.  il  soffitto  costrut- 
to dal  card.  Caraffa  ,  minacciando  rovina  fu  rifatto  dal 
card.  Francesco  Buoncompagni,  siccome  afferma  il  Seve- 
rano.  Finalmente  i  canonici  regolari  di  s.  Salvatore  do- 
po avere  nell'anno  1619  messo  le  navi  minori  nello  sta- 
to in  che  oggi  si  veggono ,  cempierono  nell'  anno  1647 
il  rista  uro  generale  della  basilica  e  con  una  iscrizione, 
che  ancora  si  legge  perpetuarono  la  memoria  del  loro 
operato,  ^ 

Dopo  aver  percorsa  brevemente  la  storia  di  questo 
antico  monumento  cristiano,  credo  opportuno  di  descri- 
verlo. Dinanzi  la  chiesa  è  una  piazza,  inferiore  oggi  per 
livello  alla  strada  consolare^  la  quale  fu  aperta  nell'atrio 
di  Adriano  I.  In  mezzo  è  una  colonna  di  granito  rosso, 
la  quale  sostiene  lo  stemma  di  Clemente  XI.  sormonta- 
to da  una  croce:  le  stesse  insegne  veggonsi  ripetute  nei 
due  angoli  di  questa  piazza.  Questi  stemmi  ricordano , 


254 

che  essendo  papa  Clemente  XI.  ed  abbate  commendata- 
rio il  card.  Pietro  Ottoboni,  l'abbate  ed  i  canonici  re- 
golari nell'anno  1704  aprirono  quest'area  ai  voti  de'viag- 
giatori  eriggendo  la  colonna  sovraindicata,  e  distruggen- 
do i  muri,  che  la  ingombravano,  e  di  tali  fatti  si  man- 
tiene la  memoria  nella  iscrizione  ivi  apposta.  E  circa  i 
muri  allora  distrutti  è  da  notarsi,  che  il  Panvinio  scri- 
veva ai  suoi  giorni,  essere  stata  tutta  questa  basilica  un 
tempo  circondata  da  muri,  a  modo  di  un  castello,  e  ve- 
dersene ancora  a'  giorni  suoi  una  gran  parte  a  contatto 
della  via  tiburlina. 

Appressandosi  al  portico  ,  opera  come  fu  di  sopra 
indicato  di  papa  Onorio  III  dell'anno  1216,  questo  ve- 
desi  retto  da  sei  colonne  tolte  da  edifizii  anteriori,  alle 
quali  furono  sovrapposti  capitelli  di  ordine  ionico:  Di 
queste  le  quattro  centrali ,  che  sono  di  marmo  bianco 
sono  scanalate  a  spira  :  le  due  estreme  sono  di  marmo 
bigio  e  liscie.  E  a  dimostrare  quanta  cura  in  que' tem- 
pi si  avesse  della  proporzione  basti  uno  sguardo  alle  basi 
delle  due  colonne  di  mezzo,  che  hanno  il  diametro  mi- 
nore di  quello  de' fusti  che  sostengono.  Nel  fregio,  che 
è  ornato  di  musaico  veggonsi  espressi  due  agnelli  che 
vicendevolmente  si  guardano  ,  tutti  e  due  entro  un  di- 
sco :  è  sotto  questi  a  sinistra  la  protome  del  Salvatore 
fra  quelle  di  due  sante  martiri ,  che  il  Ciampini  Vet. 
Mon.  T.  II,  e.  XIII,  crede  rappresentare  s.  Cirilla  e  s. 
Trifonia,  sepolte  nel  cemeterio  di  s.  Ciriaca,  sul  quale 
fu  eretta  la  basilica:  a  destra  poi  è  la  immagine  del  san- 
to levita,  titolare  della  basilica  accompagnata  del  nome: 
s.  LAUR.  scritte  in  lettere  gotiche,  e  dietro  questo  è  ef- 
figiato papa  Onorio  III  mitrato  pure  accompagnato  dal 
nome  honoris  pp  hi:  e  finalmente  appresso  in  atto  umi- 
le, l'abbate  di  questo  monastero,  o  l'artista  del  musaico. 
La  «ornice  presenta,  come  altri  monumenti  conterapora- 


255 
nei,  uno  stile  barbaro  unitamente  ad  una  esecuzione  pe- 
nosa. Sotto  il  portico  le  traccio  delle  pitture  che  l'or- 
navano, poiché  ormai  appena  queste  rimangono,  fanno 
compiangere  Io  strazio  che  ne  fece  ne'tempi  andati  la 
incuria  degli  uomini  in  conservarle  ,  e  la  barbarie  di 
quelli,  che  osarono  di  ristaurarle:  così  andò  perduto  un 
monumento  che  era  di  somma  importanza  per  la  sto- 
ria della  pittura  italiana  sul  principio  del  secolo  XIII , 
e  per  la  storia  de'fatti  di  quella  epoca  stessa.  Imper- 
ciocché i  soggetti  si  riferiscono  in  parte  alla  vita  ed 
ai  miracoli  de'ss.  Stefano  e  Lorenzo,  i  cui  corpi  riposa- 
no in  questa  basilica,  in  parte  poi  ai  fasti  di  Onorio  III 
stesso  ,  frai  quali  ancora  può  riconoscersi  quello  della 
communione  amministrata  da  quel  papa  a  Pietro  di  Cour- 
tenay  conte  di  Auxerre,  che  siccome  notossi  fu  corona- 
to in  questa  basilica  stessa  da  Onorio.  Sulla  porta  mi- 
nore a  destra  è  una  parte  del  nome  del  pittore,  che  fu 
un  Filippo  e  sembra  aver  lavorato  queste  pitture  insie- 
me col  padre: 

.  .  .  PPLS  FILIVS  FJVS  FECE 

Tre  porte  introducono  nella  basilica:  ai  lati  di  quel- 
la di  mezzo,  che  fu  pubblicata  dal  Giampini  Vet.  Mon. 
T.  I  p.  29  veggonsi  i  due  leoni ,  come  in  altre  chiese 
de'tempi  bassi:  quello  a  destra  tiene  fralle  branche  una 
lìgura  umana,  e  quello  a  sinistra  un  istrice;  essi  furo- 
no dati  dal  Giampini;  ma  pone  a  destra  quello  che  sta 
a  sinistra  ed  a  sinistra  quello  che  sta  a  destra.  Sulla 
porta  poi  è  scolpita  in  mezzo  un'  aquila  che  tiene  fra 
gli  artigli  un  serpe.  Lo  stile  di  queste  sculture  è  iden- 
tico a  quello  della  cornice  descritta  di  sopra  e  forse  del- 
lo stesso  artista. 

Entrando  in  chiesa,  notai  di  sopra,  che  viene  com- 
posta di  due  basiliche  diverse  per  livello  e  per  direzio- 
ne, cioè  di  quella  di  papa  Pelagio  II  eretta  circa  l'anno 


256 

578,  e  di  quella  aggiunta  da  Adriano  I  dopo  l'anno  772. 
E  queste  due  costruzioni  diverse  ben  si  ravvisano  ester- 
namente dal  lato  di  mezzodì,  dove  si  osserva  che  la  fab- 
brica di  Adriano  I,  è  di  frantumi  di  mattoni  con  molta 
calce,  e  quella  di  Pelagio  II,  è  di  opera  mista;  ed  in 
questa  vedesi  essere  stato  rialzato  il  tetto,  dopo  che  A- 
drìano  I  la  fece  servire  di  battisterio.  Ora  l'aula  che 
prima  si  presenta  entrando  dal  portico  è  appunto  la  ba- 
silica di  Adriano  ì  che  Anastasio  designa  col  nome  di 
maior  a  distinzione  di  quella  di  papa  Pelagio  che  è  mol- 
to minore.  E  divisa  in  tre  navi  da  due  file  di  colonne, 
undici  per  parte,  con  capitelli  ionici.  La  irregolarità  che 
regna  nelle  basi,  nelle  colonne,  e  ne' capitelli  dimostra 
che  furono  prese  da  edificii  più  antichi:  questa  irrego- 
larità è  così  sensibile  nel  diametro,  che  da  2  piedi  e  8 
digiti  romani  sale  fino  a  3  piedi  e  6  digiti.  Irregolari 
sono  ancora  gli  intercolunnii  variando  quasi  di  3  piedi. 
Generalmente  i  fusti  sono  di  granito,  non  sofierendo  ec- 
cezione che  la  V  VI  e  VII  a  destra  e  a  sinistra  che 
sono  di  marmo  caristio,  o  cipollino.  Tutte  le  basi  han- 
no un  plinto  meno  quella  della  prima  colonna  a  destra. 
Il  capitello  della  ottava  colonna  a  destra  presenta  un 
ornato ,  che  ha  dato  molto  a  parlare  agli  scrittori ,  di 
antichità  e  belle  arti:  nell'occhio  della  voluta  sinistra  è 
una  rana,  ed  intorno  alla  rosetta  è  voltata  una  lucerto- 
la. Plinio  lib.  XXXVI,  e.  IV  dice  che  Sauro  e  Batraco 
architetti  de'  templi  di  Giove  e  di  Giunone,  poscia  rac- 
chiusi entro  il  portico  di  Ottavia  posero  come  emblemi 
de'  loro  nomi  una  lucertola,  ed  una  rana  in  spiris  cólu- 
mnarumy  cioè  ne'  tori  delle  basi,  tale  essendo  il  signifi- 
cato della  parola  spira  in  latino,  adottata  dal  greco  Imipoc: 
Winckelmann  nelle  Osservazioni  sull'  Architett.  degli  Ant. 
e.  I  §.  46  inclinò  a  riconoscere  in  questo  capitello  l'ap- 
plicazione del  passo  di  Plinio ,  e  sul  suo  esempio  altri 


257 
dissero  in  modo  più  positivo  lo  stesso.  Ma  vaglia  il  ve- 
ro ,  oltre  il  significato  della  parola  spira  usata  da  Yi- 
truvio  lib.  Ili  e.  Ili  pel  toro  della  base,  a  segno  che 
io  communicò  a  tutta  la  base  stessa,  secondo  Pesto,  lo 
stile  basso  troppo  si  oppone  alla  epoca  in  che  fiorirono 
que'due  architetti  ricordati  da  Plinio. 

Il  pavimento  di  questa  parte  della  basilica  ,  è  a 
compartimenti  di  varia  forma  ;•  e  di  effetto  molto  vago 
di  quella  opera  tassellata  di  marmi  di  vario  colore  e 
particolarmente  di  porfido  e  serpentino,  detti  dagli  an- 
tichi, marmor  porphyreticum,  et  lacaedemonium,  inventato 
secondo  Lampridio  in  Alexandro  Severo  e.  XXV,  da  Ales- 
sandro Severo,  e  perciò  detto  opus  alexandrinum.  Sicco- 
me veggonsi  in  esso  impiegati  marmi ,  che  precedente- 
mente servirono  per  iscrizioni  cristiane  nel  cemeterio 
annesso,  perciò  può  riconoscersi  come  fatto  per  questa 
chiesa,  e  non  già  trasportato  da  edifizj  più  antichi:  ora 
essendo  stabilito,  che  Adriano  l  fu  autore  di  quest'au- 
la, e  che  il  pavimento  fu  fatto  per  essa,  d'uopo  è  con- 
chiudere che  esso  sia  opera  del  secolo  Vili ,  quando 
questa  parte  della  basilica  venne  costrutta.  Nel  compar- 
timento centrale  di  quest'aula  veggonsi  espressi  in  mu- 
saico due  cavalieri  armati  di  lancie  con  banderuole  e 
di  scudi  triangolari,  che  hanno  per  insegne  ripetutamen- 
te due  leoni  separati  da  una  barra  traversa  ;  Panvinio 
p.  228  e  dopo  lui  Baglioni  Le  nove  chiese  di  Roma  p. 
150  ed  altri  supposero  da  ciò  ,  che  il  pavimento  tutto 
intiero  fosse  fatto  circa  la  metà  del  secolo  XIII  a  spe- 
se di  questi  due  nobili  romani.  Ma,  se  il  lavoro  di  que- 
sto compartimento  ed  i  costumi  in  che  ivi  si  veggono 
rappresentati  sono  di  quel  tempo,  come  da  altri  monu- 
menti di  data  certa  può  rilevarsi ,  non  può  asserirsi  Io 
stesso  del  resto  del  pavimento^  che  sembra  di  un'epoca 
molto  anteriore;  onde  credo  che  debba  conchiudersi,  che 

17 


258 

si  i  cavalieri,  che  gli  ornamenti  che  gli  accompagnano, 
per  la  parte  antica  che  ne  rimane,  fossero  sostituiti  ad 
una  lastra  di  porfido,  o  serpentino,  che  precedentemen- 
te yì  esisteva,  giacché  dalla  ispezione  locale  è  manifesto, 
che  questo  musaico  fu  incassato  nel  pavimento ,  e  non 
legato  con  esso.  Due  figure  simili  a  queste  per  costu- 
me e  per  lavoro  vedevansi  sul  pavimento  della  nave 
grande  della  basilica  di  s.  Maria  Maggiore  verso  la  por- 
ta centrale,  che  dalle  iscrizioni  appostevi  mostravano  rap- 
presentare Scoto  e  Giovanni  Paparoni,  e  che  sono  ripor- 
tato da  Ciampini  Vet.  Mon.  T.  I.  p.  XXXI;  perii i  i  mu- 
saici, dopo  essere  stati  ristaurati  più  volte,  questi  due 
cavalieri  nello  stesso  luogo  furono  grafiti  sopra  una  ta- 
vola di  marmo,  che  ne  conserva  la  memoria,  e  benché 
moderna  da  una  idea  dello  stile  dell'originale.  Panvinio 
seguito  dal  De  Angelis,  credette  anche  egli  che  i  Papa- 
roni fossero  autori  della  opera  tassellata  del  pavimento 
di  quella  basilica,  che  è  certamente  più  antico;  ma  di- 
cendo che  essi  vissero  durante  il  pontificato  di  papa 
Eugenio  III,  che  tanto  spese  in  ristaurare  ed  abbellire 
la  basilica  di  s.  Maria  Maggiore,  quest'asserzione  da  nor- 
ma a  riconoscere  la  epoca  de'cavalieri  espressi  nel  mu- 
saico del  pavimento  di  s.  Lorenzo.  Il  compartimento  di 
questo  musaico  fu  dato  in  luce  dal  Ciampini,  come  al- 
lora trovavasi,  cioè  anteriormente  ai  ristauri  moderni, 
che  hanno  alterato  la  forma  degli  elmi  e  qualche  altra 
parte  del  costume;  e  perciò  quella  stampa  per  quanto 
sia  informe,  dee  preferirsi  a  qualunque  altra,  che  voles- 
se darsi  alla  luce,  quantunque  meglio  eseguita. 
ofroiA  mano  destra  presso  la  porta  è  un  sarcofago  di 
gran  dimensione  posto  entro  una  specie  di  edicola,  se- 
condo il  costume  del  secolo  XIII,  sostenuta  da  due  co- 
lonne. Questo  monumento  fr  pubblicato  più  volte  ,  e 
specialmente  da  Pietro  Sante  Bartoli:  è  da  tre  lati  ador- 


^1^ 

no  <li  sculture  a  bassorilievo,  lavoro  della  era  degli  An- 
tonini: quelle  di  fronte  sono  finite,  quelle  de'lati  soltan- 
to abbozzate,  indizio  che  il  sarcofago  fu  destinato  ori- 
ginalmente ad  essere  contenuto  entro  una  nicchia.  Il  sog- 
getto rappresentato  nella  fascia  dell'  arca    allude  ai  riti 
nuziali:  quello  del  coperchio  alla  vita  ed  alla  morte:  dal- 
l'ampiezza  di  questo  sarcofago,  e  dal  soggetto  eflSgiato 
parmi  potersi  conchiudere  che  fosse  destinato  in  origi- 
ne a  servire  di  ultima  dimora  a  due  conjugi.   Essendo 
questa  arca  appoggiata  addosso  al  muro  occidentale  del- 
la basilica,  il  lato  meridionale  presenta  tre  figure;  quel- 
la a  sinistra  virile,  succinta  porta  un  paniere  di  frutta: 
quella  di  mezzo  muliebre,  co'crini  annodati  indietro,  co- 
me veggonsi  effigiate  le  immagini  di  Faustina    giuniore 
e   Crispina   tiene  un  festone  :  e  la  terza  è  un  popa ,  o 
vittimarlo  espresso  nell'atto  di  menare  la  troia,  simbolo 
della  fecondità  ,  al  sagrifizio.    Sulla    faccia  di  mezzo  è 
espresso  il  soggetto  principale,  cioè  il  rito  nuziale,  sog- 
getto che  può  dividersi  in  tre  sezioni;  nella  prima  a  sF- 
nistra  ravvisansi  tre  figure  nelle   quali   riconosconsi   la 
Terra  o  Rea  personificata  sotto  la  forma  di  una  donna 
coronata  di  torri,  con  cornucopia:  l'Imene:  e  la  Pronu- 
ba; nel  segmento  centrale  è  un  tempio  in  fondo,  ed  avan- 
ti ad  esso  una  donzella  velata,  con  un  paniere  di  frut- 
ta dinanzi,  e  presso  questa  un  garzone  che  mena  un'a- 
riete, simbolo  della  generazione,  animale  che  in  tale  cir- 
costanza sagrificavasi:  due  persone  rappresentanti  i  con- 
jugi sono  in  mezzo;  barbato  e  velato  è  l'uomo:  la  don- 
na tiene  nelle  mani  una  tortora ,  simbolo   della   fedeltà 
conjugale;  nel  terzo  segmento  è  espresso  l'atto  in  che  i 
conjugi  stringonsi  la  destra  sul  capo  di  un  Camillo  che 
tiene  la  face  e  figura  il  Genio  dell'Imene  :  dietro  l'uomo 
sono  altre  figure  togate:  e  due  donne  dietro  la  sposa^ 
indicanti  i  parenti  di  ambedue.  Il  lato  settentrionale  pre- 


260 

senta  tre  donzelle  che  portano  gli  arredi  della  sposa  , 
cioè  la  cassetta  degli  odori ,  la  pyxis  o  custodia  degli 
unguenti,  ed  un  gran  specchio  rotondo.  Ho  notato,  che 
sul  coperchio  il  soggetto  rappresentato  allude  alla  vita 
ed  alla  morte  ;  come  antefissc  angolari  veggonsi  sculte 
due  maschere  barbate:  presso  quella  a  sinistra  è  il  sole 
in  atto  di  sorgere,  presso  l'altra  la  luna  in  atto  di  tra- 
montare; e  dinanzi  a  lei  la  notte  stende  il  suo  velo:  so- 
no questi  gli  emblemi  del  nascere  e  del  morire;  coeren- 
ti a  questi  simboli  sono  in  mezzo  la  immagine  di  Plu- 
tone ,  accompagnata  dal  Cerbero ,  fra  quelle  di  Venere 
e  Proserpina ,  di  Castore  e  Polluce.  Questo  sarcofago 
avendo  riveduto  la  luce  nel  secolo  XIII,  servì  di  tom- 
ba a  Guglielmo  Fiescbi  nipote  d'Innocenzio  IV,  il  qua- 
le, essendo  cardinale  diacono  di  s.  Eustachio,  morì  l'an- 
no 1256.  Sul  listello  leggesi  la  iscrizione  seguente  di- 
sposta in  due  linee:  è  da  notarsi  la  ortografia  di  DOM- 
MINI  e  PAPE:  (1)  HIG  REQUIESCIT  CORPUS  .  DOM, 
MINI  GUILIELMI  SANCII  EUSTATHII  DIACONI  GAR- 
DINALIS  NEPOTIS  QUONDAM  FELIGIS  RECORDA- 
TIONIS  DNI  INNOCENTII 

(2)  PAPE  QUARTI  EX  PROGENIE  COMITUM  LA- 
UANI  ORTI  CUIVS  ANIMA  REQUIESGAT  IN  PACE 
L'angolo  entro  cui  è  il  sarcofago  contiene  pitture  del 
secolo  XIII  contemporanee  al  pontificato  d'Innocenzo  IV: 
a  sinistra  è  rappresentata  la  Vergine  :  di  fronte  sono  i 
santi  Ippolito,  Lorenzo,  papa  Innocenzio  IV.  il  Salvato- 
re, s.  Stefano,  e  s.  Eustatio,  od  Eustachio,  figure  accom- 
pagnate dai  nomi  così  scritti  ;  S,  IPOLITVS  .  S.  LAU- 

RENTIU  INNOGENTIU  PAPA  IIII  Ih'C  XPC  dns  S. 
STEFANU  S.  EUSTATH.  Una  lunga  iscrizione  poi  in 
versi  leonini  contiene  1'  elogio  del  defunto  cardinale  in 
;sette  linee  così:  ^  a  ,r;,sj-  v  jyr  a.  i!i!i^')ii  i.i 


261 
(1)  SISTE  GRADU  .  CLAMA  .  QUI  PERLEGIS  HOC 
EPIGRAMA  .  GUILIELMU  PLORA  .  QUE  SUBTRA- 
XIT  BREUIS  HORA  (2)  NOBIS  PER  FUNUS  .  DE  CAR- 
DINIBUS  FUIT  UNUS  .  PRUDENS  .  VERIDICUS  -v 
CONSTANS  .  ET  FIRMUS  AMICUS.  (3)  VERE  CA- 
THOLICUS  .  JUSTUS  .  PIUS  .  ADQUE  PUDICUS  . 
CANDIDIOR  CIGNO  .  PATRULS  QUARTO  FUIT 
INNO.  (4)  CENTIUS  ILLIUS  .  MORES  IMITANS  NEC 
ALIUS  .  ROME  .  NEAPOLI  .  QUOS  IMPROBA  MORS 
PHARISEAT.  (5)  REGIA  SANCTA  POLI  .  lUNGITE 
OSQUE  BEAT  .  LAVANIE  .  DE  PROGENIE  COMI- 
TUM  FUIT  ISTE.  (6)  REX  VENIE  .  DE  SIN  REQUIE  . 
SEDEM  SIRI  XPE  .  ANNI  SUNT  DATI  .  DNI  SUPER 
ASTRA  REGENTIS.  (7)  QUINQUAGINTA  DATI  .  ET 
SEX  CUM  MILLE  DUCENTIS  i.  nìr  i;    ,     id 

Sulla  mano  manca  dove  oggi  è  collocato  il  Fonte 
fu  ne'  tempi  passati  un  altro  gran  sarcofago ,  ora  posto 
dietro  la  tribuna ,  e  che  il  Panvinio  crede  aver  conte- 
nute le  ossa  di  papa  Damaso  IL  Anche  ivi  le  pareti  so- 
no coperte  di  pitture  dello  stesso  secolo  XIII.  Andando 
quindi  verso  la  confessione  un  gradino  s*  incontra  che 
determina  il  limite  dell'antico  Chorus,  che  era  separato 
con  un  recinto  dall'  aula ,  siccome  osservasi  in  s.  Cle- 
mente. Aderenti  a  questo  recinto  oggi  tolto  sono  gli  am- 
boni: quello  a  destra  è  nell'interlocunnio  fralla  ottava  e 
la  nona  colonna,  quello  a  sinistra  è  appoggiato  alla  no- 
na. Questi  amboni  essendo  in  tutte  le  parti  di  lavoro 
analogo  ai  chiostri  di  s.  Paolo,  e  di  s.  Giovanni,  d'uopo 
è  crederli  opera  di  Onorio  III,  epoca  che  corrisponde  a 
quella  de'due  chiostri  sovraindicati,  e  tanto  più  proba- 
bile in  s.  Lorenzo,  conoscendosi  i  grandi  ris tauri  che 
quel  papa  fece  a  questa  basilica.  ;  Ir):.';: 

-i':    Qui  insorge  una  questione,  vedendo  che  questi  due: 
amboni  stanno  in  luogo  contrapposto ,  ciojè  che  a  cornU' 


262 

epistolae  trovasi  collocato  quello  che  dovrebbe  stare  a 
cornu  evangelii',  forse  ciò  dee  ascriversi  alla  ignoranza 
de'tempi,  che  guardando  solo  ad  imitar  la  forma  che  di 
tali  amboni  vedeva  in  altre  chiese  non  badò  a  collocar- 
li nel  luogo  proprio,  quando  già  la  liturgia  era  stata  in 
occidente  variata.  Sotto  l' ambone  a  destra  erano  stati 
posti  ad  ornamento  i  marmi  appartenuti  ad  un  bel  fre- 
gio, sul  quale  erano  stati  rappresentati  utensili  sacri,  e 
marittimi,  forse  parte  un  dì  di  qualche  tempio  di  Net- 
tuno. Questi  ammiransi  oggi  nella  camera  de'Filosofi  nel 
Museo  Capitolino ,  dove  vennero  trasportati  per  ordine 
di  papa  Benedetto  XIV.  Lo  stile  è  de'tempi  adrianèi,  e 
non  sarebbe  improbabile  che  venissero  dalle  rovine  della 
villa  tiburtina  di  Adriano.  10  (^ì  M'^ 

Fu  indicato  di  sopra  che  le  navi  minori  vennero 
ridotte  nello  stato  odierno  l'anno  1619.  In  quella  a  de- 
stra sono  tre  altari:  sul  primo  fu  espressa  la  sepoltura 
de'ss.  martiri  Ippolito  e  Giustino,  secondo  il  Baglioni  da 
Sottino  bolognese:  sul  secondo  s.  Ciriaca  che  fa  sotter- 
rare i  martiri,  è  di  Emilio  Savonanzio  ,  che  nell'  altare 
seguente  espresse  il  battesimo  amministrato  da  s.  Loren- 
zo a  molti  catecumeni.  Pitture  sono  queste,  come  tutte 
le  altre  di  questa  basilica  di  mediocre  importanza  per 
r  arte. 

Nel  primo  altare  della  nave  sinistra  Giovanni  Se- 
rodine di  Ascona  espresse  s.  Lorenzo  che  distribuisco 
elemosine  ai  poveri;  nel  secondo  il  Sottino  dipinse  una 
Sacra  Famiglia:  e  finalmente  nel  terzo  la  decollazione  di 
s.  Giovanni  fu  fatta  dal  citato  Serodine.  Veggasi  Baglio- 
ni, Vite  de  Pittori  p.  199.  Nove  Chiese  p.  151.  Si  scende 
quindi  ad  una  cappella  sotterranea  arricchita  di  molte 
indulgenze,  per  la  quale  si  ha  un  adito  al  cemeterio  di 
Ciriaca:  i  due  depositi  che  vi  si  veggono  furono  archi- 
tettati da  Pietro  da  Cortona ,  uno  di  essi  appartiene  a 


263 
Bernardo  Guglielmi,  al  quale  fu  eretto  dal  cav.  France- 
sco Barberini:  il  suo  ritratto  è  opera  di  Francesco  Que- 
snoy  detto  il  Fiammingo.  Ai  pilastri  che  servono  di  te- 
stata all'odierno  presbiterio  sono  appoggiati  due  altri 
monumenti  sepolcrali:  quello  a  sinistra  siccome  ricavasi 
dalla  lunga  iscrizione  ivi  scolpita,  fu  posto  da  Livia  Ca- 
pranica  al  suo  consorte  Michele  Bonelli  pronipote  del 
pontefice  s.  Pio  V,  dal  canto  di  una  sorella,  morto  ca- 
pitano generale  di  s.  Chiesa,  il  quale  molta  lode  ripor- 
tò nella  battaglia  di  Naupatto,  o  Lepanto,  onde  ottenne 
il  commando  della  milizia  della  flotta  pontificia,  e  quel- 
lo delle  galere  di  Emmanuelle  duca  di  Savoja;  egli  mo- 
rì ai  25  di  marzo  dell'anno  1604.  Il  monumento  a  de- 
stra ornato  di  trofei  turchi  appartiene  a  Giuseppe  Ron- 
dinini Romano  erettogli  dalla  figlia  Felice  Zacchia  Ron- 
dinini^ il  quale  dopo  aver  fatto  le  sue  prime  campagne 
nella  guerra  dalmatica  contro  i  Turchi  in  servizio  de'Ve- 
neziani  ebbe  dal  Senato  Veneto  il  commando  delle  ope- 
re esterne  di  Gandia  in  difesa  delle  quali  perì  in  un 
assalto  dato  dai  Turchi  ai  13  di  settembre  1649.  In 
fondo  al  coro  stabilito  da  Adriano  I  si  discende  alla  con- 
fessione nella  quale  conservansi  i  corpi  de'  ss.  Stefano, 
Lorenzo,  e  Giustino  collocativi  da  Pelagio  IL 

Quindi  per  otto  gradini  divisi  in  due  rampe  ai 
lati  della  Confessione  si  ascende  al  presbiterio,  che  se- 
condo ciò  che  si  è  mostrato  di  sopra  occupa  tutta  l'au- 
la della  basilica  di  Pelagio  II  che  perciò  Tenne  rial- 
zata rimanendo  le  colonne  interrate  per  due  terzi  :  la 
prima  delle  colonne  a  mano  sinistra  di  chi  sale  fu  sca- 
vata ai  tempi  di  Clemente  XI  sul  principio  del  se- 
colo passato,  siccome  narra  Ficoroni  nelle  Vestigia  di 
Roma  Antica  lib.  I.  e.  XVII.  p.  118,  ed  allora  fu  ri- 
conosciuto che  il  piano  antico  della  chiesa  corrisponde- 
va a  quello  del  cemeterio   di  Ciriaca  :  le  altre   colonne 


261 

sono  state  scavate  in  questi  ultimi  anni,  e  si  è  in  que-* 
sta  circostanza  osservato  che  il  pavimento  primitivo  era 
stato  tolto  nel  rialzamento  del  piano  ,  e  forse  è  quello- 
stesso  che  veggiamo  riportato  nel  presbiterio  attuale;,  mol- 
to analogo  pel  lavoro  a  quello  dell'aula  grande  di  Adria- 
no I.  Il  peristilio  di  questa  parte  della  basilica  è  for- 
mato da  un  portico  a  due  piani,  di  dodici  colonne  cia- 
scuno, cioè  due  di  fronte  e  cinque  per  parte  ne'lati,  ed 
è  con  s.  Agnese  fuori  delle  mura  un  altro  esempio  per- 
manente della  forma  delle  basiliche  profane:  la  volta  o 
soffitto  che  separava  il  portico  inferiore  dal  superiore 
fu  troncata  quando  questa  basilica  di  Pelagio  II  fu  ri- 
dotta a  presbiterio  dell'altra  maggiore  da  Adriano  I.  Le 
colonne  dell'ordine  inferiore  sono  di  marmo  frigio  o  pa- 
vonazzetto:  di  queste,  dieci  hanno  capitelli  corintj  e  due 
che  sono  le  prime  per  chi  vi  sale  dall'altra  basilica  han- 
no capitelli  ornati  di  trofei  e  di  Vittorie;  sì  gli  uni  che 
gli  altri  possono  credersi  per  lo  stile  opera  del  tempo 
degli  Antonini.  Esse  sostengono  un  intavolamento  com- 
posto di  pezzi  di  stile  ed  ornato  diverso ,  indizio  che 
vennero  tolti  da  altri  edificj  per  impiegarli  in  questa  chie- 
sa alla  rinfusa.  Le  colonne  del  portico  superiore  sono 
di  pavonazzetto  e  di  marmo  bianco,  meno  le  due  di  fron- 
te che  non  sono  di  serpentino  come  volgarmente  si  di- 
ce, ma  di  quel  porfido  che  gli  scalpellini  chiamano  por- 
fido verde.  Stando  in  questa  parte  rialzata  e  guardando 
verso  la  porta  vedesi  sull'arcone  una  parte  del  musaica 
fatto  da  Pelagio  II,  autore  di  questa  parte  della  basili- 
ca ,  prova  ulteriore  che  questa  un  tempo  fu  la  basilica 
stessa,  essendo  costume  di  ornare  di  tali  musaici  e  pit- 
ture la  parte  rivolta  al  popolo,  come  si  osserva  in  s.  Pao- 
lo ed  in  altre  chiese  antiche,  e  come  la  ragione  esigge- 
va.  Rimane  ancora  una  parte  della  iscrizione  sull'archi- 
volto .  .  .  TMA  .  . .  MLEVITA  STBISTI   ~  IVRE  TVIS 


265 
TEMPLIS  LVX  ben  ...  e  sulla  faccia  sì  sono  conser- 
vate tutte  le  figure  coi  loro  nomi  originali:  in  mezzo  è 
il  Salvatore  che  siede  sopra  una  sfera  in  atto  di  bene- 
dire colla  croce  nella  mano  sinistra  :  a  destra  di  esso , 
cioè  a  sinistra  di  chi  guarda  sono  un  santo  pure  con 
croce,  forse  s.  Pietro,  mancante  di  nome,  s.  Lorenzo  che 
colla  sinistra  tiene  la  croce  ed  un  libro  aperto  che  mo- 
stra il  testo  DISPERSI!  DEDIT  PAVPERIBVS  e  colla 
destra  la  sua  basilica  :  egli  si  riconosce  alla  iscrizione  : 
SCS  LAVRENTIVS  che  è  sul  suo  capo:  dietro  a  lui  e 
di  statura  minore  è  il  papa  Pelagio  II  col  suo  nome 
PELAGIVS  EPISC.  A  sinistra  del  Salvatore  sono  s.  Pao- 
lo ravvolto  nel  pallio  colla  epigrafe  PAVLVS:  s.  Stefa- 
fano  col  suo  nome  SCS  STEPHANVS  che  tiene  il  vo- 
lume aperto  col  testo  ADESIT  ANIMA  MEA  ;  e  final- 
mente S.  Ippolito  che  tiene  una  specie  di  coppa,  il  suo 
nome  ivi  è  scritto  SCS  YPOLIT.  Sotto  questo  santo  nel 
sesto  dell'  arco  è  rappresentata  come  in  molti  altri  mo- 
numenti cristiani  una  porta  torrita  colla  epigrafe -f- BE- 
THLEEM.  Sotto  Pelagio  dovea  essere  una  rappresenta- 
zione simile  col  nome  di  HIERVSALEM,  ma  oggi  è  pe- 
rita. Ciampini  pubblicò  il  primo  questo  musaico  Vet.  Mon. 
T.  II.  Tab.  XXVIII,  che  è  stato  poi  ripetuto  da  Guthen- 
son  e  Knapp  recentemente  nella  interessante  raccolta  de' 
monumenti  cristiani  che  ora  stanno  pubblicando.  Questo 
musaico  è  un  monumento  prezioso  sì  per  la  storia  del- 
le arti  che  per  quella  di  questa  insigne  basilica.  Il  san- 
tuario o  altare  principale  é  ornato  di  quattro  belle  co- 
lonne di  porfido  rosso  che  sostengono  una  piccola  cupola: 
le  quattro  colonne  sono  forse  quelle  medesime  che  sic- 
come fu  osservato  di  sopra  vennero  poste  alla  confessio- 
ne dal  pontefice  s.  Sisto  III;  ma  come  oggi  si  trovano, 
insieme  col  loro  architrave,  furono  poste  nell'anno  1148 
da  Ugone   Abbate  ,  e  gli  artefici  furono  un  tal  Giovan- 


266 

ni  insieme  con  Pietro,  Angelo,  e  Sasso  figli  tutti  di  Pao- 
lo, scalpellini;  questa  notizia  ci  venne  conservata  dalle 
iscrizioni  esistenti  sull'architrave  nella  parte  interna;  im- 
perciocché ivi  nel  lato  che  guarda  la  tribuna  odierna  leg- 
giamo in  una  linea: 

+  ANN  D.  M.  G.  XL.  Vili.  EGO  HUGO  HUMILIS 
ABBS.  HOC  OPUS  FIERI  FECI 

e  da  quella  che  guarda  la  porta  pure  in  una  linea: 

+  lOilS . PETRUS .  ANGELUS .  ET  SASSO  FILII  PAULI 
MARMOR  .  HUrOPERIS  MAGISTRI  FUER 

La  piccola  cupola  che  queste  colonne  sostengono  è  mo- 
derna. Il  soffitto  di  questa  parte  della  basilica  fu  fatto 
rifare  dal  cardinal  Buoncompagno. 

Intorno  al  presbiterio  veggonsi  appoggiati  alle  co- 
lonne sepolte  sedili  di  marmo  alle  cui  testate  sono  due 
mezzi  leoni  di  marmo  :  in  fondo  è  la  sedia  episcopale 
alla  quale  si  ascende  per  parecchi  gradini:  sì  questa  che 
i  sedili,  ed  i  mezzi  leoni  sono  opera  di  Onorio  III,  es- 
sendo analoghi  per  lo  stile  alle  altre  cose  di  quel  pon- 
tefice,, e  particolarmente  i  leoni  sono  affatto  simili  a  quelli 
che  abbiamo  descritto  innanzi  la  porta  principale.  A  de- 
stra di  chi  guarda  la  sedia  é  una  lastra  di  marmo  fo- 
rata sulla  quale  la  tradizione  vuole  che  il  corpo  di  s. 
Lorenzo  fosse  posato.  Uscendo  dal  presbiterio  nel  corri- 
dore che  gli  gira  attorno  ,  a  sinistra  di  chi  entra  per 
la  porta  principale  trovasi  un  accesso  moderno  alle  ca- 
tacombe di  Ciriaca j  dove,  oltre  il  corpo  di  s.  Lorenzo 
ivi  deposto  dai  ss.  Giustino  prete  ed  Ippolito  ,  furono 
ancora  sepolti  lo  stesso  s.  Ippolito  co'suoi  compagni  mar- 
tiri, ed  i  santi  Romano,  Concordia,  Ciriaca,  Trifonia,  e 


267 
Cirilla.  E  dall'esservi  stato  sepolto  s.  Ippolito  una  par- 
te di  questo  cemeterio  ebbe  il  nome  di  questo  santo,  e 
r  altra  quello  di  s.  Ciriaca.  Una  descrizione  grafica  di 
quella  parte  detta  di  s.  Ippolito  fa  Prudenzio  nel  Peri- 
stephanon  Hymn.  XI  v.  153  e  seg.  Il  Boldetti  nella  sua 
opera  àeCemeterj  de'ss.  Martiri  lib.  II.  e.  XXVIII,  no- 
tò che  quello  di  Ciriaca  è  vastissimo,  a  tre  ordini  di 
vie,  ed  ha  oltre  questo  della  chiesa  altri  accessi  nel- 
la vigna  adjacente.  Tre  ordini  pure  di  vie  secondo  Io 
stesso  scrittore  ha  quello  di  s.  Ippolito,  il  quale  par- 
ticolarmente diramasi  sulla  mano  sinistra  della  via  pu- 
blica   sotto   la  vigna  de'Golonnesi. 

Presso  questa  basilica  esistevano  secondo  Anasta- 
sio tre  chiese,  quella  di  s.  Agapito  eretta  da  Felice  III, 
quella  di  s.  Stefano  dedicata  da  Simplicio ,  ristaurata 
da  Adriano  I,  ed  arricchita  da  Leone  IV,  e  finalmen- 
te quella  di  s.  Maria  arricchita  pure  dallo  stesso  pon- 
tefice Leone  IV.  Non  rimangono  più  avanzi  di  queste 
chiese,  e  forse  erano  di  già  in  rovina  ai  tempi  di  0- 
norio  III,  il  quale  avrà  fatto  uso  de'materiali  di  que- 
ste onde  ristaurare  ed  abbellire  la  chiesa   principale. 

Fin  dall'anno  1812  il  governo  che  allora  reggeva 
Roma  avea  scelto  il  campo  a  sud-ovest  di  questa  basi- 
lica per  uno  de'cemeterj  pubblici  di  Roma,  ed  in  par- 
te era  stato  di  già  ridotto  a  tale  uso:  rimasta  la  ope- 
ra interrotta  fino  all'anno  1834  fu  di  nuovo  intrapre- 
sa, e  per  decreto  sovrano  l'anno  1836  ha  cominciato  a 
servire  all'uso  destinato. 

A  questa  basilica,  come  a  quella  di  s.  Pietro,  e 
di  s.  Paolo  conduceva  anticamente  un  portico,  il  quale 
cominciava  alla  porta  s.  Lorenzo,  e  seguendo  la  dire- 
zione della  strada  a  destra  dirimpetto  a  quella  porta 
medesima  conduceva  direttamente  alla  facciata  primiti- 
va della  basilica.  E  di  questo  portico  fa  menzione  A- 


268 

aastasio,  come  quello  che  fu  ricostrutto  da  Adriano  ly 
e  da  Benedetto  III  nel  secolo  IX  e  dopo  quella  epoca 
non  se  ne  trova  più  memoria,  in  guisa  che  oggi  non 
si  conoscerebbe  la  sua  esistenza  se  Anastasio  non  l' a- 
vesse  ricordato. 

5.  LORENZO 

lenimento  dell'  Agro  Romano  di  circa  705  rubbia 
di  terra,  il  quale  confina  colla  spiaggia  del  mare,  col 
territorio  di  s.  Appetito,  Gogna,  Focignano,  e  Solfarata. 
Esso  è  distante  circa  27  miglia  da  Roma,  e  vi  si  va 
direttamente  per  la  strada  di  Ardea  ,  dalla  qual  terra 
è  lontano  circa  4  miglia. 

Il  casale  ed  il  procoio  di  questa  tenuta  meritano 
di  essere  particolarmente  notati,  e  soprattutto  il  pro- 
coio, il  quale  può  dare  agli  stranieri  una  idea  più  giu- 
sta de' costumi  pastorizii  della  campagna  di  Roma,  so- 
vente cosi  travisati  dagli  scioli  che  trascinano  nelle  lora 
false  opinioni  gli  stranieri,  che  non  volendo  le  van  pro- 
pagando. Alcuni  avanzi  di  opera  mista  che  si  osserva- 
no sotto  il  casale  attestano  la  esistenza  di  qualche  fab- 
brica in  questo  punto  ,  lungo  la  via  severiana  e  pro- 
babilmente di  una  stazione  costrutta  nel  secolo  IV.  Po- 
co più  oltre  si  traversa  un  rivo,  e  quindi  a  destra  si 
vede  il  granaio  del  tenimento  fondato  ancora  esso  so- 
pra ruderi  di  opera  mista ,  ed  in  parte  di  opera  sara- 
cinesca. Di  là  da  esso  è  la  chiesa  ad  onore  di  s.  Lo- 
renzo che  dà  nome  al  tenimento  ed  a  tutta  la  contra- 
da, e  fu  causa  ne'  tempi  passati  del  gravissimo  errore 
prodotto  dalla  somiglianza  del  nome,  che  fece  credere 
in  questo  punto  il  sito  di  Laurento,  il  quale  era  alme- 
no undici  miglia  più  verso  Roma  ,  a  Capocotta  sicco- 
me   fu  notato  nell'articolo  LAVRENTVM.  Questa  chic- 


S69 
sa  che  è  moderna  ricorda  quella  che  l'anno  1074  era 
in  questo  luogo  ed  apparteneva  ai  monaci  di  s.  Paolo 
per  metà,  siccome  ricavasi  dalla  bolla  di  Gregorio  VII. 
riferità  dal  Margarini:  et  iuxta  mare  medietatem  ecclesiae 
s.  Laurentii  positam  in  territorio  ardeatino.  Di  là  da  que- 
sta chiesa  è  una  imponente  torre  littorale  dello  stesso 
nome  costrutta  dopo  la  metà  del  secolo  XVI.  sui  dise- 
gni del  Buonarroti  per  testimonianza  dell'Eschinardi.  .'^i 
Il  tenimento  di  s.  Lorenzo  nel  secolo  XVII.  appar- 
teneva in  parte  ai  Caffarelli,  in  parte  ai  Bartoli:  nel  se- 
colo XVIII.  divenne  proprietà  dei  Di  Pietro ,  ed  oggi 
appartiene  ai  Pallavicini  di  Genova  che  in  questi  ulti- 
mi anni  l'hanno  acquistato  dai  Di  Pietro,  i     m  <  ?.;>  =  ;. 

h.lOm\M—BOTTACCJÀ  e  CASTEL  DI  GUIDO:  .h 

y^!^\,'„,-f  èastrum  he  ©ùiìro  ,"m 

"1.  T""    qlaetram  ©utòonterr'  "'"'''" 

-igT  i;l  i>.oo  i•.o7f^ri^.T<TTf^.  •.r^-*?'>r"T*r?ft  RJèocp  .c.-.n-):-? 
OÌ^--  ■    '■   ''-'■■■^■■:-     ••'■■■     ■  ■■  •     •    •     .'       •- 

-"^  Lorium,  o  Laurium,  giacché  in  ambedue  i  modi  tal 
nome  si  trova  scritto,  fu  una  stazione  sulla  via  aurelia, 
concordemente  posta,  secondo  Sesto  Aurelio  Vittore  epit. 
e.  XX,  l'Itinerario  di  Antonino,  e  la  Carta  Peutingeria- 
na,  al  XII.  miglio  da  Roma,  ed  è  un  fatto,  che  11  XII. 
miglio  dalla  porta  gianicolense  antica ,  che  fu  presso  a 
poco  dove  è  la  porta  s.  Pancrazio  odierna  si  contano 
circa  12  miglia  al  ponticello  fra  i  casali  di  Bottaccia  e 
Castel  di  Guido.  Ivi  gli  antepati  di  Antonino  Pio  ebbe- 
ro una  villa  nella  quale  per  testimonianza  di  Capitoli- 
no e.  I.  e  e.  XII.  quell'ottimo  augusto  fu  educato  e  mo- 
rì. Egli  vi  edificò  un  palazzo,  e  la  frequentò  come  fe- 
ee  Marco  Aurelio  durante  la  sua  vita,  siccome  appren- 


270 

diamo  dalla  corrispondenza  di  Frontone  con  lui:  tib.  I. 
ep.  I.  e  III.  Lib.  IL  ep.  XVIII.  lib.  III.  ep.  XX.  lib. 
V.  ep.  VII.  E  in  quelle  lettere  particolarmente  si  nota 
come  Lorio  era  luogo  di  diporto,  o  come  oggi  direbbe- 
si  di  villeggiatura  per  la  famiglia  imperiale,  e  come  la 
via  aurelia,  allora,  come  pure  adesso  era  pel  continuo 
salire  e  scendere  sdrucciolevole  :  Feci  dice  Frontone  nel- 
la epistola  III.  del  I.  libro ,  compendium  4tinens  Lorium 
usque,  compendium  viae  lubricae,  compendium  clivorum  ar- 
duorum.  La  villa  imperiale  attrasse  in  quel  luogo  una 
popolazione,  che  per  la  circostanza  locale  vi  si  manten- 
ne,  malgrado  che  dopo  la  morte  di  Antonino  Pio  non 
sembra  che  fosse  la  villa  più  frequentata,  a  segno,  che 
secondo  Capitolino  ai  suoi  giorni,  cioè  circa  il  principio 
del  IV.  secolo  della  era  volgare,  vedevansi  le  rovine  del 
palazzo:  ttbi  postea  palatium  extruxit  cuius  hodieque  reli- 
quiae  manent.  Onde  io  credo,  che  dopo  la  morte  di  Com- 
modo, quando,  secondo  Lampridio  nella  sua  vita  e.  XX. 
esisteva  ancora  un  procuratore,  ossia  amministratore  lau- 
riense,  questa  villa  rimase  abbandonata.  Non  così  la  Ter- 
ra, che  ivi  si  era  formata,  poiché,  malgrado  il  guasto 
dato  a  questa  parte  dei  dintorni  di  Roma  da  Alarico  cir- 
ca Tanno  409  per  testimonianza  di  Rutilio  Itiner.  lib.  I. 
un  vescovo  vi  si  manteneva  nel  V.  secolo  sotto  Felice 
III.  nominandosi  Pietro  vescovo  di  Lorio  che  sottoscris- 
se al  concilio  romano  tenuto  l'anno  487.  Ma  dopo  quel- 
la epoca  non  se  ne  fa  più  menzione,  e  forse  rimase  de- 
serta nella  guerra  gotica  del  secolo  seguente. 

L'anno  1824  la  principessa  Doria  Pamphili,  signora 
della  tenuta  della  Sottaccia  apri  uno  scavo  lungo  la  via 
aurelia ,  e  nella  valle  che  V  attraversa  :  lungo  la  strada 
trovò  sepolcri^  e  fra  questi  fu  notato,  che  molti  sepol- 
cri cristiani  orano  stati  fatti  sopra  le  rovine  di  sepolcri 
pagani ,  prova  che  continuò  Lorio  ad  essere  abitato  nel 


271 

IV.  e  V.  secolo.  Le  rovine  nella  yalle  furono  rinvenute 
così  detrite  che  gli  scavi  non  diedero  alcun  risultato  : 
esse  sembrarono  appartenere  nella  parte  superiore,  ossia 
a  destra  della  strada,  a  varii  casini  lungo  la  valle,  de- 
moliti però  quasi  fino  al  piantato:  uno  era  quasi  aderen- 
te alla  sponda  della  strada  prima  del  ponticello  :  due 
erano  uno  incontro  all'altro  sulle  due  sponde  del  fosso, 
un  terzo  di  miglio  più  sopra;  un  altro  casino  si  scopri 
sotto  una  falda  di  monte  dirimpetto  al  confluente  di  un 
fosso  che  sbocca  nella  sponda  destra  del  principale.  La 
fabbrica  però  sontuosa  era  sul  ripiano  di  un  colle  che 
si  vede  dominare  in  fondo  alla  valle  alla  distanza  di  un 
miglio  dal  ponticello,  e  che  sembra  essere  stata  il  prae- 
torium.  Altri  scavi  furono  fatti  nella  valle  medesima  a 
sinistra  della  strada,  ed  in  questa  parte  le  fabbriche  era- 
no così  dislocate,  che  io  credo  che  ivi  fosse  il  Lorium 
villaggio;  tanto  più  che  fra  que'ruderi  molti  ve  ne  era- 
no del  IIL  IV.  e  V.  secolo  della  era  volgare  quando 
già  la  villa  degli  Antonini  era  abbandonata  ;  mentre  i 
ruderi  a  destra  della  strada  presentavano  tutti  la  costru- 
zione di  laterizio  e  reticolato  del  carattere  proprio  del 
tempo  degli  Antonini,  meno  nel  Praetoriumy  dove  osser- 
vai avanzi  del  primo  secolo  dell'  impero  inviluppati  fra 
quelli  degli  Antonini:  e  che  appartenevano  al  predio  ori- 
ginale della  famiglia  di  Antonino  Pio,  nel  quale  fu  edu- 
cato, e  che  servì  come  di  nucleo  alla  sua  villa  imperia- 
le. Queste  fabbriche  riconoscevansi  come  spogliate  da 
lungo  tempo,  e  se  si  eccettuino  frammenti  insignifican- 
ti di  lastre  di  marmi  fini  che  aveano  servito  ai  pavimen- 
ti ed  ai  rivestimenti  de'muri  non  si  rinvenne  altro.  Frai 
ruderi  di  Lorio  stesso  si  trovarono  musaici  grossolani , 
che  fecero  ricordare  la  scoperta  fatta  ai  tempi  di  Pio 
VI.  ne' dintorni  appunto  della  tenuta  di  Castel  di  Guido 
entro  ì  limiti  di  quella  detta  Porcareccio-Paola,  del  bel 


272 

musaico  della  sala  delle  Muse  del  Vaticano,  che  rappre- 
senta attori  tragici  e  comici  nel  loro  costume  teatrale. 

Il  sito  di  Lorio  è  oggi  compreso  in  due  tenute:  la 
prima  ha  nome  Bottaccia  per  essere  il  casale  di  essa  co- 
strutto presso  una  botte,  o  ricettacolo  di  acqua,  che  ser- 
ve ad  un  fontanile,  e  che  forse  è  l'antica  conserva,  che 
serviva  alla  stazione.  Il  casale  è  sulla  sponda  sinistra 
della  strada  poco  più  oltre  il  X  miglio  attuale  quasi  XII. 
antico:  la  tenuta  comprende  333  rubbia  divise  ne'quar- 
ti  detti  della  Bottacciola ,  o  Casale  ,  della  Torre ,  delle 
Streghe,  e  di  Cecanibbio:  confina  con  quelle  di  Selce, 
Paola ,  e  Castel  di  Guido.  Essa  fu  già  del  card.  Ales- 
sandro Peretti ,  detto  il  card.  Montalto  e  quindi  venne 
in  potere  de'Doria-Pamfili,  ai  quali  ancora  appartiene. 

L'altra  dicesi  Castel  di  Guido,  ed  il  casale  a  sini- 
stra della  via  aurelia  trovasi  11  miglia  e  mezzo  lungi 
da  Roma.  Essa  appartiene  all'ospedale  di  s.  Spirito,  con- 
fina colle  tenute  di  Maccarese,  Castel  mal  nome,  Fonti- 
gnano,  Massimilla,  Massa  Gallesina,  Selce,  Bottaccia,  Buc- 
cea ,  Paola ,  e  col  fiume  Arrone.  Comprendeva  rubbia 
3069,  delle  quali  560  furono  date  in  enfiteusi  al  prin- 
cipe Rospigliosi  l'anno  1820;  e  questi  nel  1831  redense 
il  canone,  in  guisa  che  oggi  sono  ridotte  a  2509,  divi- 
se ne'quarti  di  Cecanibbio,  di  Torricella,  Valle  del  Ba- 
gnatore,  Cioccati  vecchi,  Cioccati  nuovi.  Valle  Mancina, 
Olmo  del  Poltrone ,  Selce ,  Grotte  ,  Chiesa  ,  Polledrara , 
Olivella,  Monte  dclli  Bovi,  Casale  bruciato,  Colonnaccia, 
la  Vigna,  e  Monte  bruciato. 

La  denominazione  di  questo  fondo  non  è  recente , 
e  dai  documenti  esistenti  è  certo  che  di  già  così  noma- 
vasi  nel  secolo  XI.  né  credo  possa  dichiararsi  affatto  im- 
probabile una  mia  congettura ,  che  avendo  Guido  mar- 
chese di  Toscana  e  marito  della  celebre  Marozza  occu- 
pata la  signoria  di  Roma  l' anno  928,  fondasse  in  questo 


273 
luogo  un  castello,  che  perciò  ritenne  il  nome  di  Castrum 
o  Castellum  de  Guido,  Guidonis,  e  Widoms,  donde  deri- 
va il  nome  moderno.  La  prima  volta ,  che  io  l'abbia  in- 
contrato è  nell'atto  di  appodiazione  di  un  tal  Roberto  a 
Balneo  Mucino  dell'anno  1073,  riportato  negli  Annali  dei 
Camaldolesi  T.  II.  App.  p.  251  dal  quale  apparisce,  che 
quel  Roberto  donò  in  perpetuo  al  monastero  di  s.  Gre- 
gorio di  Roma,  col  consenso  di  Adohara  sua  moglie  ca- 
strum, quod  cognominatur  de  Guido,  posto  fuori  di  por- 
ta s.  Pancrazio,  e  contemporaneamente  se  ne  fece  dare 
la  investitura  a  titolo  di  enfiteuta  col  canone  di  3  sol- 
di e  dieci  some  di  legna.  Vale  a  dire  ,  che  secondo  il 
costume  di  que'tempi,  per  godere  della  immunità  eccle- 
siastica finse  di  donare  al  monastero  il  fondo,  e  median- 
te la  tenue  corrisposta  sovraindicata  ne  conservò  l'utile 
dominio.  I  nomi  normanni  di  Roberto  d  di  Adohara  mi 
fanno  inclinare  a  credere,  che  fossero  di  que'Normanni 
che  nel  1059  furono  chiamati  da  Niccolò  II.  contra  i 
conti  di  Tusculo  e  di  Galeria ,  alcuni  de'  quali  saranno 
restati  nel  paese.  Il  nipote  di  questo  Roberto,  che  avea 
\o  stesso  nome ,  e  che  avea  avuto  per  padre  Rainuccio 
cedette  questa  enfiteusi  al  monastero  suddetto,  l'anno 
1124  come  si  ricava  dall'atto  riportato  negli  Annali  so- 
vraindicati  Tomo  III.  p.  309.  Tre  anni  dopo  due  altri 
documenti  della  stessa  raccolta  p.  319,  320  ne  insegna- 
no, che  nello  stesso  giorno  fu  Castel  di  Guido  locato,  e 
rifiutato  dai  tutori  e  curatori  di  Giovanni  e  Stefano  figli 
di  Stefano,  e  Leone  ed  Alberto  figli  di  Giovanni  di  Ste- 
fano. Sembra  che  poscia  Giovanni  figlio  di  Stefano  Io 
riaccettasse,  poiché  si  trova,  che  l'anno  1177  fu  rinno- 
vata a  favore  di  Gaita  sorella  di  Giovanni  di  Stefano 
defunto  la  locazione,  che  questi  avea  di  Castel  di  Gui- 
do, e  insieme  con  Gaita  a  Stefano  suo  figliuolo  ed  a 
Giovanni  suo  nipote,  figlio  di  Benedetto.  Ann.  Camald. 

18 


274 

T.  IV.  App.  p.  85.  Nel  1193  fu  data  di  questo  fondo 
la  investitura  a  Normanno,  a  Giovanni  suo  nipote,  ed  a 
Stefano  ed  Alberto  figli  di  Stefano  pur  Normanno,  fi- 
no a  terza  generazione.  Forse  questo  Stefano  Norman- 
no è  lo  stesso  che  quello  Stefano  figlio  di  Gaita  ricor- 
dato di  sopra.  Questo  atto  si  legge  nella  raccolta  so- 
vraindicata  p.  185.  È  chiaro  da  questi  documenti  che 
sul  finire  del  secolo  XII.  erano  enfiteuti  di  questo  ca- 
stello i  Normanni ,  famiglia  celebre ,  che  trasse  il  co- 
gnome dalla  nazione,  donde  derivava,  e  che  fu  potente 
ne'secoli  XIII.  e  XIV.  in  queste  contrade.  Le  bolle  di 
papa  Innocenzo  IV.  e  di  Bonifacio  Vili,  dell'anno  1249 
e  1299  confermarono  il  diretto  dominio  di  questo  fon- 
do ai  monaci  di  s.  Gregorio,  siccome  può  vedersi  nel 
tomo  V  degli  Annali  p.  342.  I  Normanni  però  ne  pos- 
sedevano l'utile  dominio,  e  nel  codice  vaticano  814.  B. 
si  ha  la  vendita  che  1'  anno  1377  fece  Stefano  Nor- 
manno del  diritto  di  caccia  in  questa  ed  in  altre  te- 
nute circonvicine.  Poscia  dai  monaci  fu  trasferita  la 
enfiteusi  a  terza  generazione  a  Giovanni  di  Stefano  de- 
gli Alberteschi  che  era  della  stessa  famiglia  de'Norman- 
ni,  ma  forse  di  un  ramo  diverso  da  quello  di  Stefano 
sovrallodato;  questi  però  morì  senza  prole  maschile,  on- 
de, con  atto  che  si  conserva  nell'archivio  capitolino  T. 
LXIV.  n.  XI.  ne  furono  investiti  l'  anno  1426  i  conti 
dell'  Anguillara  come  discendenti  per  via  di  donne:  in 
quell'atto  il  castello  viene  indicato  come  diroccato.  Nel 
1448  il  monastero  rivendicò  il  possesso  integro  e  pie- 
no di  esso  come  si  ha  negli  Annali  T.  VII.  p.  325  , 
e  lo  ritenne  fino  all'anno  1573.  Dopo  quella  epoca  fu 
acquistato  all'  ospedale  di  s.  Spirito,  al  quale  come  si 
disse  appartiene. 

Il  Casale  è  posto  in  amena  e  meno  insalubre  situa- 
zione di  altri  luoghi  dintorno;  ma,  ne  esso,  né  la  chic- 


275 
sa  presentano  oggetto  degno  di  particolare  menzione;  e 
del  castello  de'  tempi  bassi  diroccato  fin  dal  1426  non 
appariscono  neppure  le  rovine.  Vedasi  inoltre  MALA- 
GROTTA.  ;ì:> 

LUCHINA  T.  MONTE  ARSICCIO.  vjq 

,-m1  ■;,;:  .  '.hi    I) 

LVCRETILIS  V.   VILLA  DI  ORAZIO.  I 

—  ...1 
LVGVS  FAVNl  v.  SOLFARATA.            «al 

r,    ,    ■   :  —  rihh 

LVCVS  INDIGETIS  v.  NVMICVS.     i-itólol) 

LUGNANO  V.  BOLA.:;     ];. 

LUNGHEZZA— LUNGHEZZINA.  ;■.  u 

.::  firn 

Castellum  Congejjae,  €astrum j:';^:| 
Congitìac,   Casale  Congueja. 

È  un  tenimento  esteso  dell'Agro  Romano  pertinen- 
te ai  Strozzi  e  posto  sulla  riva  sinistra  dell'Aniene,  ad 
oriente  di  Roma.  Esso  confina  col  fiume  Aniene  ,  e  co' 
tenimenti  denominati  Cerronc,  Benzene,  Pantano,  Casti- 
glione, e  CorcoUe,  il  quale  unito  insieme  comprende  980 
rubbia  di  terreno.  La  parte  di  questo  tenimento  cono- 
sciuta col  nome  di  Lunghezza  racchiude  le  rovine  di  Col- 
latia,  città  latina,  di  che  fu  parlato  a  suo  luogo:  v.  COL- 
LATIA. 

Il  tenimento  è  suddiviso  ne'quarti  denominati  della 
Osteria  dell'Osa,  del  Perazzato,  del  Castellacelo,  di  Scan- 
sasaccbi,  di  Lunghezzina,  di  Valle  s.  Giuliano^  di  Colle 


276 

Saponaio  ,  dell'Olmo  ,  Spalletta  de' Selci,  e  comprende 
inoltre  una  vigna  presso  il  casale.  Lunghezza  è  distan- 
te da  Roma  circa  10  miglia  ,  Lunghezzina  12.  Ambe^ 
due  questi  casali  ,  stanno  sopra  colli  dirupati  di  tufa 
sulla  sponda  sinistra  dell'  Aniene  :  si  perviene  a  questi 
per  una  strada  informe,  tortuosa  moderna,  che  fu  aperta, 
o  piuttosto  seguita  ne'  tempi  bassi  a  traverso  de'  campi, 
la  quale  dirama  dalla  via  collatina  antica  presso  a  Sa- 
lona,  cioè  7.  miglia  e  mezzo  fuori  di  porta  Maggiore. 
Lunghezza,  che  è  il  casale  principale,  è  al  confluente 
dell'  Osa  nell'  Aniene  ,  cioè  due  miglia  al  di  sotto  di 
Collazia:  esso,  come  tutti  i  Castra  de'  tempi  bassi  sorge 
sopra  il  ripiano  di  un  colle  imponente  ;  ed  analoga  alla 
situazione  di  questo  casale  di  lunghezza  è  quella  di 
Lunghezzina,  casale  molto  posteriore  al  precedente.  Il 
nome  di  Lunghezza  deriva  dalla  forma  oblonga  del  ripia- 
no, su  cui  è  situato  il  casale,  il  quale  è  la  estremità  set- 
tentrionale di  una  lunga  lacinia  che  può  riguardarsi,  come 
l'ultima  fimbria  del  dorso  di  Tusculo. 

Non  si  ha  memoria  di  questo  casale  antecedente- 
mente all'  anno  1074,  quando  papa  Gregorio  VIL  con- 
fermando con  una  costituzione  i  beni  al  monastero  di 
s.  Paolo,  ed  aggiungendone  altri,  dice  di  concedere  al 
monastero  il  castellum  quod  vocatur  LONGEZZAE,  con 
tutte  le  sue  pertinenze:  di  nuovo  venne  compreso  nella 
conferma  de'  beni  data  allo  stesso  monastero  da  Inno- 
cenzo III.  r  anno  1203  ,  ed  in  essa  vien  designato  col 
nome  di  CASTRUM  LONGITIAE.  Questi  due  docu- 
menti leggonsi  in  Margarini  Bullarium  Cassinense  T.  I, 
e  II  ,  e  da  essi  apprendiamo  che  il  castello  di  già  esi- 
steva nel  1074  ,  e  che  da  quella  epoca  fino  al  1203  , 
continuando  ad  essere  fortificato  ,  e  nello  stato  di  ca- 
stellum e  di  Castrum  apparteneva  ai  monaci  di  s.  Paolo. 
Nel  1217  Onorio  III.  emanò  una  costituzione  in  favore 


277 
della  chiesa  di  s.  Tommaso  in  Formis  sul  monte  Celio, 
la  quale  leggesi  nel  primo  tomo  del  Bollano  Vaticano 
p.  100.  In  essa  fra  altri  beni  ricordansi  tres  uncias  Ca- 
salis  ,  quod  dicitur  Longueza  con  tutte  le  pertinenze  di 
questa  frazione.  Quantunque  i  documenti  de'  tempi  bassi 
non  siano  sempre  strettamente  precisi  nelle  denomina- 
zioni ,  e  sovente  confondano  le  voci  che  non  sono  af- 
fatto le  stesse,  ma  che  hanno  un'analogia  di  significato, 
pure  non  accade  ciò  sempre  in  modo  da  poter  credere 
positivamente  che  lo  stato  di  Lunghezza,  come  castelliim 
nel  1074,  come  castrum  nel  1203,  e  come  casale  nel  1217, 
fosse  lo  stesso  ,  e  che  questi  tre  nomi  diversi  debbano 
considerarsi  come  puri  sinonimi.  Infatti  le  discordie  ci- 
vili che  agitarono  Roma  ed  il  suo  contado  nel  ponti- 
ficato d'  Innocenzo  III.  discordie,  che  furono  fierissime, 
durante  le  quali  Giovanni  di  Pier  Leone  Ranieri  invase 
una  parte  del  territorio  tusculano  ,  possono  avere  arre- 
cato danni  gravi  al  tenimento  ed  al  castello  diLunghezza  in 
modo  da  ridurlo  allo  stato  di  puro  casale,  al  nostro  modo 
d'intendere;  veggasi  la  storia  di  que*  tempi  assai  più  lut- 
tuosi de'  nostri,  redatta  dall'autore  della  vita  d'Innocen- 
zo III.  e  riportata  dal  Baluzio. 

-•:,  Peggiore  fu  lo  stato  di  questa  parte  d'  Italia  nei 
tempi  susseguenti.  Negli  ultimi  anni  del  secolo  XIII  si 
ritirarono  a  Lunghezza  i  cardinali  Giacomo  e  Pietro 
Colonna  e  di  là  appellarono  al  futuro  concilio,  siccome 
si  trae  dall'  atto  ,  che  si  legge  nel  cod.  vaticano  8259 
p.  397  e  seg.  A  quella  epoca  n'era  padrone  o  enfiteuta 
un  tal  Pietro  de  Comite  o  Conti  fratello  probabilmente 
di  Stefano  de  Comite,  contro  il  quale  i  monaci  di  san 
Paolo  portarono  lagnanze  a  papa  Giovanni  XXII  ,  per 
avere  costui  usurpata  wna  parte  del  tenimento  di  Lun- 
ghezza a  danno  del  monastero;  onde  il  papa  scrisse  nel 
1326  una  lettera    da  Avignone   a  Niccolò  de  Comite  , 


278 

forse  suo  figlio  ,  insistendo  per  la  restituzione,  ed  una 
altra  pure  ne  scrisse  a  proposito  ad  Angelo  vescovo  di 
Viterbo  suo  vicario,  siccome  ricavasi  dal  Bollano  Cassi- 
nense, Da  un  istromento  esistente  nell'  archivio  dell'Ospe- 
dale di  Sancta  Sanctorum  si  trae  che  li  30  di  decem- 
bre  1411.  la  famiglia  de  Tartaris  che  altri  beni  posse- 
deva in  questi  dintorni  cede  ai  monaci  di  s.  Paolo  la  metà 
del  Castrum  Lunghes,  e  quelli  così  tornarono  nel  pieno 
possesso  del  tenimento,  che  poscia  sarà  stato  alienato^ 
come  altri  beni  delle  corporazioni  religiose,  onde  appia- 
nare il  vuoto  de'  400,000  scudi,  che  nel  1527,  si  dove- 
rono pagare  alle  orde  di  Borbone. 

MACC  ARESE —  FUEGEl^AE, 

Tenuta  dell'  Agro  Romano  sulla  sponda  destra  della 
foce  minore  del  Tevere ,  ma  non  a  contatto  con  essa  , 
e  presso  la  foce  dell'Arrone  ,  distante  circa  14  miglia 
da  Roma  e  posta  fuori  delle  porte  Portese,  s.  Pancra- 
zio ,  e  Cavalleggieri.  A  questa  tenuta  conduce  diretta- 
mente una  strada  antica,  che  diverge  a  sinistra  dalla 
Aurelia,  dopo  Malagrotta,  8  miglia  lungi  da  Roma.  Essa 
contiene  2260  rubbia  divise  ne'  lenimenti  di  Villa  s.  Gior- 
gio, Cortecchia  e  Vaccaresc,  e  ne'  quarti  de*  Tre  Denari  , 
Monte  dell'Ara,  le  Capanne,  e  Tre  Cannelle;  appartiene  ai 
Rospigliosi.  Confina  colle  tenute  di  Castel  di  Guido,  Poli- 
doro, Torrinpietra,  ed  il  Mare. 

Velleio  lib.  I.  e.  XIV.  scrìve  ,  che  20  anni  dopo 
il  principio  della  prima  guerra  punica,  cioè  1'  anno  508 
di  Roma  fu  dedotta  una  colonia  a  Fregenae,  nome  che 
in  alcuni  testi  fu  scambiato  in  quello  di  Fregellae.  Dissi 
anni  20  poiché  ne'  testi  la  somma  ascenderebbe  a  XXV, 
leggendosi  così  :  At  initio  primi  belli  punici  Firmum  et 
Castrum  colonis  occupata ,  et  post  annum  Aesernia  ,  post- 


279 
que  XXIt  annos   Aesulum  et   Aìsium  :   Fregenaeque   anno 
post  biennium,  ;  proximoque  anno  Torquato  Semprotiioque 
coss.  Bruììdisium  :  ora  è  certo  che  la  guerra  punica  co- 
minciò l'anno  489   di  Roma  :  è  certo    altresì  che   Tor- 
quato e  Sempronio   furono  consoli   nell'anno  509j    dun- 
que nel  consolato  di  questi  posteriore  di  un  anno  a  quella 
deduzione  di  colonia  ,    coincideva    1'  anno  XXI.  dopo  il 
principio  della  prima  guerra  punica,  e  per  conseguenza 
un  errore  è  trascorso  nella  cifra  XXII  della  colonia  di 
Aesulum  ed  Alsium  ,   che  dee  correggersi  in  XVII  per 
lo   scambio    solito   del  numero   X  in  V  e  del  V  in  X. 
Sendo  pertanto  stabilito   che  la  colonia  di  Fregenae   fu 
d  edotta  l'anno  di  Roma  508  ,  questo  fatto  vien  confer- 
mato dalla  epitome  di  Livio  lib.  XIX  nella  quale  si  leg- 
ge, coloniae  deductae  sunt  Fregenae:  et   in  agro  Salentino 
Brundusium.  Livio  stesso,  come  colonia  marittima  la  ri- 
corda   r  anno  563  di  Roma   quando    pretese  esenzione 
dalla  leva  marittima    ne'  preparativi  contro  di  Antioco  e 
Filippo,  pretensione  non  attesa  dal  senato  ,  il  quale  se- 
condo quello  storico  lib.  XXXVI.  cap.  Ili  ordinò  ,  che 
Ostia,  Fregenae,  Castro  novo,  Pyrgi,  Anzio  ,  Terracina, 
Minturnae  e   Sinuessa^  tutte   piazze  marittime   della  co- 
sta del  mediterraneo   da  s.  Severa  (Pyrgi)  fino  a   Mon- 
dragone  (Sinuessa)  somministrassero  il  loro  contingente. 
Strabone  pure  la  nomina  lib.  V.  e.  II.  pag.  9.  come  luogo 
marittimo  fra  Pyrgi  ed  Ostia  descrivendo  la  costa  della 
Etruria:  e,  dice  egli,  da  Pyrgi  ad  Ostia  sono  260  stadii 
(32  m.  e  mezzo):  nel  tratto  intermedio  sono  Alsio  e  Fre- 
gena.    Plinio  lib.   III.  e  V.  §.  Vili    nella   enumerazione 
de'  popoli,  e  de'  luoghi  della  Etruria  ricorda  anche  Fre- 
genae dopo  Alsinm  fra  questa  ed  il  Tevere;  ora  essendo 
Alsium   a  Palo  ,  d'  uopo  è  conchiudere  che  Fregenae  fu 
una  colonia  marittima  fra  Palo  e  Fiumicino.  Inoltre  fu  in 
un  luogo  paludoso  dicendo  Silio  lib.  Vili.  v.  575. 


280 

et  ob$essae  campo  squaUnte  Fregenae 
Nel  tratto  sovraindicato ,  la  posizione  della  villa  di  s. 
Giorgio  presso  la  torre  di  Maccarese,  e  che  commune- 
mente  si  chiama  il  casale  di  Maccarese,  presso  lo  stagno, 
il  mare,  e  sulla  sponda  destra  dell' Arrone,  è  la  sola,  che 
essendo  quasi  ad  egual  distanza  fra  Palo  ed  il  Tevere 
offra  i  caratteri  sovraindicati  per  riconoscervi  il  sito  di 
Fregenae.  Ma  una  prova  più  positiva  se  ne  ha  nell'Iti- 
nerario di  Antonino,  nel  quale  si  pone  Fregenae  Villi. 
miglia  distante  dalla  città  di  Porto,  e  IX  da  Alsium,  e 
per  conseguenza  non  rimane  alcun  dubbio  ragionevole  per 
non  ravvisare  a  Maccarese  il  sito  di  quest'antica  colonia 
romana.  Ed  è  l'Itinerario  di  Antonino  la  ultima  memo- 
ria, che  io  ne  conosca:  esso  però  serve  a  supplire  una 
laguna  della  Carta  Peutingeriana  nella  quale  vedesi  dopo 
Porto  il  numero  Villi  senza  nome  di  stazione,  e  quin- 
di Alsium  senza  numero;  perciò  al  Villi  debbe  aggiun- 
gersi Fregenae  o  Fregenis  secondo  l'uso  della  Carta,  ad 
Alsium,  IX. 

Dopo  la  fondazione  di  Porto,  Fregenae  andò  sem- 
pre decadendo;  ed  io  credo ,  che  fino  dal  secolo  V  ri- 
manesse deserta ,  né  le  circostanze ,  che  sopraggiunsero 
erano  tali  da  farla  ripopolare,  anzi  nel  secolo  VI  era  di 
già  parte,  come  allora  dicevano,  di  una  massa  chiamata 
Claudiana,  e  Decimo,  perchè  cominciava  al  decimo  mì- 
glio della  via  aurelia  e  si  estendeva  fino  al  mare,  com- 
prendendo tutte  le  terre.  I  nomi  de'fondi,  che  costitui- 
vano quella  massa  si  leggono  in  un  atto  riportato  dagli 
annalisti  camaldolesi,  T.  I.  p.  297  dell'appendice,  attri- 
buito al  secolo  VII.  cioè  all'anno  603  della  era  volgare, 
il  quale  sebbene  non  sia  leggittirao,  come  notano  quel- 
li raccoglitori,  ma  interpolato,  nulladimeno  come  essi  stes- 
si dimostrano,  è  di  tale  antichità,  che  almeno  fin  dall' 
anno  1115,  come  genuino  riguardavasi,  a  segno  di  esser 


281 

prodotto  in  giudizio  contro  la  communità  de'  pescatori 
dello  stagno,  avanti  papa  Pasquale  IL  Fra  que' fondi  si 
legge  quello  di  Arteule,  che  direbbesi  aver  dato  origine 
a  quello  di  Cortecchia,  e  quello  di  Nymphule  origine  di 
s.  Ninfa.  Fra  tanti  nomi  però  non  apparisce  affatto  trac- 
cia di  quello  di  Fregenae,  indizio,  che  era  affatto  dimen- 
ticato, come  neppure  di  s.  Giorgio,  o  Vaccarese,  nomi 
che  ancora  non  erano  sorti.  'joj  iu.. ;/>? 

Il  documento  testé  ricordato  mostra  coifee  questa 
massa,  nella  quale  era  compreso  il  sito  di  Fregenae,  fu 
da  s.  Silvia  donata  tutta  intiera  l'anno  603  al  monaste- 
ro di  s.  Andrea  in  clivo  Scauri  :  questo  continuava  a 
possederla  nel  secolo  XI,  quando,  come  notossi  all'arti- 
colo Lorio ,  una  parte  di  quella  massa  ,  oggi  nota  col 
nome  di  Castel  di  Guido  fu  occupata  da  particolari,  e 
quindi  data  nel  secolo  XII.  in  enfiteusi  ai  Normanni,  fa- 
miglia, che  si  trova  nel  secolo  XIV.  in  possesso  ancora 
di  un  castello  ne' dintorni  dell'odierno  Maccarese,  detto 
Villa  s.  Georgii,  quando  la  quarta  parte  di  esso,  colla 
porzione  di  tenuta  adiacente  fu  venduta  l'anno  1308  da 
Mobilia  moglie  di  Stefano  Normanni,  a  Giovanni  Norman- 
ni figlio  emancipato  dello  stesso  Stefano.  Estintosi  il  ra- 
mo de'Normanni  degli  Alberteschi  l'anno  i42G  sembra, 
che  il  tenimento  della  Villa  s.  Giorgio  ,  il  cui  castello 
era  già  diroccato,  come  si  trae  da  un  documento  esisten- 
te nel  cod.  vaticano  n.  7961,  divenisse  proprietà  di  di- 
versi poiché  nel  1469  almeno  in  parte  spettava  ad  Ales- 
sandro degli  Alessandrini,  il  quale  ne  vendette  una  metà 
ai  Mattei  per  1200  scudi,  e  questa  famiglia  successiva- 
mente ne  venne  all'intiero  possesso  in  guisa  che  l'anno 
1513  la  parte  di  Maccarese  conosciuta  col  nome  di  Vil- 
la s.  Giorgio  era  d'intiera  proprietà  loro. 

La  parte  che  appellavasi  Baccarese,  ed  oggi  Vacca- 
rese,  onde  derivò  il  nome  moderno,  anche  essa  proprie- 


282 

tà  dc'Normanni  nel  1377,  come  si  ricava  da  un  istro- 
mento  esistente  nell'archivio  di  s.  Angelo  in  Pescaria, 
e  nel  cod.  vaticano  8014,  passò  come  Castel  di  Guido, 
dopo  la  estinzione  di  quella  famiglia  ai  signopt-dell'An- 
guillara  l'anno  1426,  i  quali  continuarono  a  riten&rlo 
fino  all'anno  1527^  in  che  Gio.  Battista  dcirAnguilléra 
la  vendette  ai  Mattci  pel  prezzo  di  14  mila  ducati  di 
earlini,  come  si  trae  da  documenti  esistenti  nell'archivio 
Maltei:  ed  allora  essendo  ambedue  le  tenute  di  questa 
famiglia  ,  si  perde  il  nome  di  s.  Giorgio  in  questa  più 
vasta  di  Vaccarese,  dove  1'  anno  1569  Paolo  Mattei  co- 
strusse  attorno  al  casino  quattro  piccioli  bastioni,  sicco- 
me si  ha  dalla  iscrizione  esistente  nella  cortina  rivolta 
a  mezzogiorno. 

Anche  Cortecchia  era  dai  Normanni  passata  ai  con- 
ti dell'  Anguillara,  i  quali  nel  1457  ne  vendettero  la 
metà  ai  Massimi  :  e  questi  ne  rivendettero  nel  1506 
una  terza  parte  ai  Giustiniani:  il  resto  era  dei  Del  Bu- 
falo, i  quali  successivamente  a  pezzi  a  pezzi,  come  fe- 
cero gli  altri  condomini  la  vendettero  durante  il  secolo 
XVI.  ai  Mattei,  che  i:i(ine  l'anno  1603  la  ebbero  tutta 
e  la  unirono  ai  due  fondi  sovraindicati  di  s.  Giorgio,  e 
Baccarese.  Dopo  quella  riunione  tutto  il  lenimento  ebbe 
il  nome  di  Maccarese,  sotto  il  quale  l'anno  1083  Ales- 
sandro Mattei  lo  vendette  270000  scudi  a  Stefano  Palla- 
vicini. Per  eredità  è  passata  da  questi  ai  Bospigliosi  che 
tuttora  la  posseggono,  e  che  nel  1820,  e  nel  1832  l'han- 
no accresciuta  di  560  rubbia  acquistate  prima  in  enfiteusi, 
e  poscia  in  diretto  dominio  dall'  ospedale  di  s.  Spirito 
per  43,680  scudi. 

Questa  tenuta  è  destinata  al  pascolo  delle  vacche 
e  delle  bufale,  ed  è  ubertosissima  :  in  parte  è  coperta 
da  selve  :  il  principe  attuale  ne  ha  di  molto  migliorato  lo 
stato. 


283 
Del  vecchio  castello  di  s.  Giorgio  ,  come  pure  di 
quello  di  Cortecchia  non  rimangono  avanzi  ,  come  nep- 
pur  di  Fregenae.  A  questa  tenuta  va  unito  lo  stagno  , 
del  quale  si  fece  menzione  all'articolo  CAMPO  SALINO 
T.  I. 

MADALENA 

E  il  nome  di  un  picciolo  lenimento  dell'  Agro  Ro- 
mano ,  di  circa  22  rubbia  ,  confinante  col  territorio  di 
Marino  ,  e  colla  tenuta  di  Falcognani  Riccardi.  Essa  è 
fuori  di  porta  s.  Sebastiano  circa  12  m.  lontano  da  Ro~ 
ma.  Il  suo  nome  deriva  come  io  credo  da  quello  della 
famiglia  de'  Maddaleni ,  i  quali  nel  secolo  XIV,  e  XV.  si 
distinsero  in  Roma.  i'  '-^^^^ 

MAGGIONE,  e  MAGGIONETTÀ  .  i   oi 

JHasone.  -'■\^:"-^ 

Tenuta  dell'  Agro  Romano  pertinente  ai  Riccardi  , 
situata  a  destra  della  via  ardeatina  19  m.  lungi  da  Ro- 
ma :  comprende  154  rubbia  divise  ne'  quarti  denomi- 
nati del  Casale,  del  Sughereto^  e  Terzo  Quarto  :  e  con- 
fina colle  tenute  di  Pratica,  s.  Procula,  Solfarata  e  Petro- 
nella.  Questo  fondo  col  nome  di  Masone  è  ricordato  in  un 
istromento  esistente  nell'archivio  di  s.  Maria  in  Via  Lata, 
appartenente  all'anno  1330,  nel  quale  apparisce  essere  sta- 
to allora  proprietà  di  s.  Maria  Aventina.  <••*' 

Nelle  vicinanze  di  questo  casale  è  una  sorgente  che 
si  scarica  nel  fiume  Numico,  la  quale  è  la  famosa  fons 
luturnae,  di  cui  si  è  trattato  di  sopra  nell'  articolo  LA- 
VIMVM.   Sembra,  che  ivi  formasse  un  piccolo  stagno  , 


284 

il  quale  viene  indicato   da  Ovidio  nel   lib.  II.  de'  Fasti 
V.  603.  e  seg. 

Quae  simul  ac  tetigit  luturnae  stagna  sororis       , 
V  ,/       /  Effuge  ait  ripas  :  dieta  re fertquelovis.        ;  k; 

MAGLIANA 

,     ,   . .    /    itlaltana. 

Cinque  miglia  fuori  di  porta  Portese,  suU' andamen- 
to dell'  antica  via  portuense,  presso  il  Tevere  è  un  le- 
nimento, che  spetta  al  monastero  di  s.  Cecilia,  il  quale 
ha  circa  190  rubbia  di  estensione  divise  in  due  quarti 
detti  delle  Quaranta  rubbia  ed  il  Quartaccio,  ed  in  pa- 
recchie altre  frazioni,  e  confinante  colle  tenute  di  Mon- 
te delle  Piche,  Casette,  Muratella,  Prati  di  Tor  Carbo- 
ne, e  Tor  Carbone.  Esso  dicesi  la  Magliana,  nome  che 
ricorda  l'antica  gente  Manila,  che  ivi  ebbe  un  fondo  det- 
to Fundus  Manlianus,  Praedium  Manlianum,  e  semplice- 
mente Manlianum.  La  prima  volta,  che  io  ne  abbia  in- 
contrato il  nome  è  nella  bolla  di  Benedetto  Vili,  data 
a  favore  del  vescovo  portuense  l'anno  1019,  nella  qua- 
le quel  papa  conferma  fra  gli  altri  beni  a  quella  se- 
de vescovile  un  Malianum  presso  un  altro  fondo  del- 
lo stesso  nome  del  monastero  di  s.  Pancrazio:  e  questo 
medesimo  si  ripete  nella  bolla  del  1049  data  da  Leo- 
ne IX,  ed  ambedue  riportate  dall' Ughelli  nella  Italia 
Sacra  Tomo  I.  Si  ricorda  di  nuovo,  ma  col  nome  di  Malia- 
na,  come  quello  della  contrada,  nella  quale  era  una  chiesa 
di  s.  Giovanni  detta  perciò  de  Maliana  in  una  carta  dell'ar- 
chivio di  s.  Cecilia  dell'anno  1184,  che  si  legge  trascrit- 
ta nel  codice  vaticano  8025.  Quella  chiesa  allora  comin- 
ciò ad  aver  possidenze  in  que'  dintorni,  e  successivamente 


285 
ottenne  tanto  la  parte  spettante  a  s.  Pancrazio,  quanto 
quella  del  vescovo  di  Porto. 

Il  sito  sul  Tevere  è  ameno  e  gode  di  una  veduta 
molto  vasta:  ed  essendo  attorniato  da  colline  in  parte 
imboschite  ,  perciò  è  molto  atto  alla  caccia.  Quindi  sul 
declinare  del  secolo  XIV.  papa  Sisto  IV.  vi  fondò  un 
palagio  magnifico,  presso  il  quale,  narra  il  Volaterrano 
nel  Diario  edito  dal  Muratori  Ber.  Ital.  Scr.  T.  XXXIII. 
p.  103  che  il  card.  Girolamo  Riario  diede  l'anno  1480 
una  caccia  sontuosa  ad  Ernesto  duca  di  Sassonia ,  cioè 
quegli  che  fu  soprannominato  il  Religioso  ,  e  che  mori 
l'anno  1486.  Questo  palazzo  fu  poscia  accresciuto  ed  or- 
nato da  Innocenzo  VIII.  il  quale  secondo  l'  Anonimo 
del  Muratori  htr.  Ital.  Script.  T.  III.  p.  II.  pag.  1190 
lo  diede  al  card.  Parmense  ;  e  da  Giulio  II  ,  servendo 
loro  di  villeggiatura  nella  primavera.  Ma  sopra  ogni  al- 
tro ne  amò  il  soggiorno  Leone  X.  che  vi  tenne  conci- 
storo e  vi  contrasse  la  malattia,  che  in  poco  tempo  por- 
toli© al  sepolcro  con  danno  gravissimo  delle  lettere  e 
delle  arti.  Ne  dopo  la  sua  morte  fu  abbandonato  afiatto, 
poiché  il  nome  e  le  armi  di  Pio  IV.  che  si  veggono  in 
varie  parti,  e  soprattutto  sulla  fontana  magnifica  da  lui 
ristaurata  sono  prova  delle  villeggiature  che  quel  papa 
vi  fece  durante  l'inverno.  Anche  Sisto  V.  frequentò  que- 
sto palazzo,  ed  è  questo  l'ultimo  frai  papi,  che  vi  abbia 
dimorato, 

Ma  dopo  il  secolo  XVI.  fu  abbandonato  ai  bifol- 
chi ,  i  quali  in  due  secoli  lo  hanno  talmente  rovinato, 
che  può  fornire  una  idea ,  come  in  pochi  secoli ,  tante 
antiche  fabbriche  cadessero  in  rovina;  imperciocché,  se 
questo  palazzo  non  è  ancora  caduto  si  debbe  all'  uso , 
che  se  ne  fa  di  granaio  ,  e  di  dormitorio.  Rimangono 
traccie  delle  pitture,  che  lo  adornavano,  e  la  cappella , 
o  chiesa  di  s.  Giovanni  ne  conserva  qualcuna ,  sebbene 


286 

mutilata,  che  dimostra  essere  slata  dipinta  dalla  scuola 
di  Perugino.  Queste  circostanze,  e  le  memorie  storiche 
indicate  di  sopra  debbono  incitare  a  visitarlo,  e  la  stra- 
da non  ò  né  lunga,  né  incommoda,  né  fastidiosa,  aven- 
do sempre  una  bella  veduta  a  sinistra  e  traversando 
terre  coltivate.  Un  miglio  e  mezzo  circa  dopo  la  porta 
Portese  nel  luogo  denominato  Pozzo  Pantaleo  è  un  bi- 
vio :  la  strada  a  destra  è  quella  di  Fiumicino,  quella  a 
sinistra  conduce  alla  Magliana,  passando  per  s.  Passera, 
Pian  due  Torri,  e  Monte  della  Pica  :  questa  strada  che 
è  nell'andamento,  come  notossi ,  della  via  portuense  ,  a 
Pian  due  Torri  conserva  ancora  i  massi  degli  antichi 
sepolcri  che  la  fiancheggiavano  ,  ed  a  s.  Passera  le  so- 
struzioni che  la  reggevano  verso  il  fiume,  e  che  la  di- 
fendevano verso  i  colli  dalla  caduta  delle  terre.  Esse  so- 
no di  opera  reticolata,  e  furono  probabilmente  costrutte 
dairimperador  Claudio,  autore  della  via. 

,     ...    r  MÀGLIANELLA. 

È  una  tenuta  pertinente  al  Capitolo  di  s.  Angelo 
in  Pescaria,  posta  fuori  di  porta  s.  Pancrazio  e  Caval- 
leggieri,  sulla  sponda  destra  della  via  aurelia,  circa  5 
m.  distante  da  Roma,  la  quale  ha  nome  dal  rivo  Ma- 
gliano  che  ne  forma  il  confine  verso  settentrione.  Es- 
sa comprende  circa  116  rubbia  di  terra  divise  ne'quar- 
ti  detti  della  Torre,  da  una  torre  de'  tempi  bassi,  che 
la  distingue  e  che  vedesi  dalla  strada,  dell'Ara,  da  Ca- 
po, e  Sotto  strada.  Confina  colle  tenute  di  Selce,  Mas- 
sa Gallesina ,  colla  strada  di  Civitavecchia  ossia  la  via 
aurelia,  e  rimontando  il  rivo  Magliano  colle  tenute  di 
Acquì^ft-edda  e  Porcareccio. 


287 
MAGRI 

Tenuta  di  circa  156  rubbia  posta  nell'Agro  Roma- 
no fuori  di  porta  s.  Sebastiano ,  circa  6  m.  lungi  da 
Roma  a  destra  della  strada  delta  del  Divino  Amore. 
Confina  con  quelle  di  Cecchignola,  s.  Anastasio,  Castel 
di  Leva,  Fiorano,  e  Cornacchiola:  appartenne  ai  Lepri, 
e  poscia  ai  Valenti:  ed  è  divisa  ne'quarti  detti  del  Fon- 
tanile^ della  Calandrella,  e  delle  Grotte. 

MAGUGLIANO,  e  MAGLIANO. 

È  un  rivo  perenne,  che  traversa  la  via  tiburtina 
al  quinto  miglio,  non  molto  prima  di  cader  nell'  Ame- 
ne. Le  sue  scaturigini  più  lontane  sono  sotto  le  pen- 
dici di  s.  Angelo  in  Capoccia  ,  quindi  ha  un  corso  di 
sopra  a  12  miglia  traversando  i  lenimenti  di  Pilo  Rot- 
to, Tor  Mastorta,  Caputo,  Monte  del  Sorbo,  Marco  Si- 
mone, Casal  vecchio,  Forno  Casale,  e  Pratolungo,  entro 
i  limiti  di  questo  passa  sotto  la  via  tiburtina  e  conflui- 
sce quindi  nell'Aniene. 

La  più  antica  memoria  di  tal  rivo  è  in  una  Car- 
ta dell'archivio  di  s.  Maria  in  via  Lata  dell'anno  1030 
riportata  dal  Galletti  nel  Primicero  p.  273,  nella  quale 
come  confine  di  un  fondo  della  contrada  di  Pratu  lon- 
gUf  di  là  da  ponte  Mammolo  si  pone  il  rivo  qui  vocatur 
de  Maguzzano.  Ma  questa  medesima  Carta  riportata  dal 
Galletti  nel  codice  vaticano  8048  dà  in  luogo  di  Maguz- 
zano, Magugliano,  nome  che  è  più  corretto,  e  che  con- 
serva ancora,  e  che  si  ritrova  in  un'altra  Carta  dello  stes- 
so archivio  riportata  dal  Galletti  nella  opera  del  Primi- 
cero  p.  302  in  data  dell'anno  1141.  La  etimologia  è  in- 
certa :  ma  il  moderno  nome  di  Magliano  è  certamente 
un'  abbreviazione  di  quello  più  antico.    Il   suo  corso  si 


288 

distingue    da    lungi  a  traverso  i  campi    dagli   alberi    di 

pioppo  che  lo  seguono. 

(  MALAFEDE. 

Tenuta  dell'Agro  Romano  al  X.  miglio  della  via 
ostiense  la  quale  ha  nome  dall'  essere  situata  presso  la 
selva  ostiense  in  un  luogo  un  tempo  male  sicuro^  e  che 
lo  communica  ad  una  osteria,  che  è  presso  la  strada  dove 
è  una  chiesuola  rurale  sacra  alla  Vergine  del  Carmine. 
Confìna  col  Tevere,  e  colle  tenute  della  Infermeria,  Tra- 
fusa Mandosi ,  Trafusina ,  Dragoncello  e  Fusano ,  e  col 
territorio  di  Ostia.  Comprende  390  rubbia. 

MALAGROTTÀ. 

itlolarupta. 


Osteria  a  sin.  della  via  aurelia,  o  strada  di  Civita- 
vecchia ,  8  miglia  lungi  da  Roma  ,  posta  nel  tenimento 
di  Castel  di  Guido,  poco  prima  del  diverticolo  di  Mac- 
carese.  Essa  è  nella  valle  del  rivo  di  Galera,  che  si  tra- 
versa sopra  un  ponte:  ivi  dappresso  è  un  casale,  un  gra- 
naio, la  chiesa,  ed  un  fontanile  fornito  di  acqua  da  una 
sogente  condottata,  i  cui  bottini  veggonsi  a  destra  del- 
la strada. 

Il  nome  di  Mala  grotta  suol  derivarsi  da  una  grot- 
ta che  vedesi  sul  colle  a  sinistra;  a  me  sembra  però  che 
sia  un  travolgimento  del  nome  Mola  Rupta  ,  che  alme- 
no fin  dal  secolo  X.  questo  fondo  portava:  dico  fin  dal 
secolo  X,  poiché  non  voglio  fare  uso  della  Carta  di  do- 
nazione di  s.  Silvia  per  le  ragioni  che  furono  indicate 
nell'articolo  MACCARESE. 


269 
Or  diltìqué  negli  annali  de'Camaldolesi,  nc'quali  si 
riporta  quell'atto  di  donazione,  si  trova  pure  riportata 
una  Carta  genuina  pertinente  all'anno  995  ,  (  leggasi  il 
tomo  I.  p.  p.  126  )  nella  quale  si  ricorda  la  cessione  e  per- 
muta fatta  da  Costanza  nobilissima  donna  di  una  metà 
di  un  suo  casale  denominato  Casa  Nob«la ,  posto  circa 
l'ottavo  miglio  fuori  della  porta  s.  Pietro  nella  contrada 
denominata  Mola  Rupia,  contrada  che  corrisponde  ap- 
punto con  quella  di  Malagrotta.  E  questa  contrada  si 
ricorda  ancora  in  altre  Carte  degli  stessi  annali ,  come 
in  una  dell'  anno  1014,  nella  quale  si  pone  fuori  di  porta 
s.  Pancrazio  nella  via  aurelia  ,  e  si  nomina  come  casale  : 
in  un'  altra  del  1067  nella  quale  si  nomina  come  affine 
il  rivo  Galeria:  e  nel  secolo  XIII.  col  nome  di  castrum 
Molarupta  colle  chiese  di  s.  Maria  e  di  s.  Apollinare 
si  designa  nelle  bolle  di  papa  Innocenzo  IV.  nel  12^9 
e  di  papa  Bonifacio  VIII.  nel  1299,  colle  quali  furono 
confermati  i  beni  di  s.  Gregorio  :  come  pure  in  due 
atti  pertinenti  all'anno  1280  e  1296,  documenti  che  sono 
tutti  inseriti  nell'  appendice  del  tomo  V.  degli  Annali 
suddetti.  Quindi  il  nome  di  Molarupta  rimaneva  sul 
principio  del  secolo  XIV.  E  quanto  a  questa  denomi- 
nazione così  antica,  che  rimonta,  come  si  vide,  almeno 
al  secolo  X.  facile  è  derivarne  la  etimologia  da  una 
mola  ivi  sul  fiume  Galeria  esistente  ,  la  quale  rottasi , 
oe  derivò  al  fondo  ed  alla  contrada  il  nome  di  Mola- 
rupia,    /o:;     '.k:>-,'.'j    .ì-ì;;;\^:, -:;,;•    i::    h. 


J  i    irj:>(,t 


,        MàLBORGHETTO  V.  BORGHETTACCIOiìmvyi 

MALPASSO. 

Tenuta  dell'  Agro  Bomano  che  si  estende  a  destra 
-della  via  salaria  7  m.  circa  lungi  da  Roma,  la  quale  trae 

19 


290 

nome  dalla  diflìcollà  che  presentava  ivi  il  ponte  sotto  cui 
passa  l'Allia,  che  fosso  di  Malpasso  perciò  si  appella,  e  che 
poco  dopo  entra  nel  Tevere.  E  dell'Allia  si  è  trattato  a  suo 
luogo  nell'art.  ALUA,  come  pure  del  ponte  oggi  rinnovato 
e  reso  più  agiato. 

•  Il  teniraento  comprende  circa  64.  rubbia  e  mezzo 
e  .confina  colla  strada  consolare  di  Rieti  tracciata  sulla 
via  salaria,  e  colle  tenute  di  Castel  Giubilèo,  Sette  Bagni 
ed  Inviolatelln.  £9»>  appartiene  alle  monacM  4»  «^  Silvestro 
in  Capite,  iti  r»,f9l*'.  •if5i«»h  nlt^rv  ?inlif.  ni  fiìi*».-^»!;  shnr  ii« 
È  probabile  che  questo  fondo  corrisponda  a  quello 
detto  Pelaiolum  ricordato  nella  bolla  di  conferma  dei 
beni  di  s.  Silvestro  in  Capite  esistente  nell'  archivio  di 
quel  monastero,  ed  illustrata  dal  Marini  ne'  Papiri  Di- 
plomatici p.  46  ,  imperciocché  in  quella  bolla  ,  che  fu 
data  da  Agapito  II.  1'  anno  955  si  designa  quel  fondo, 
come  di  là  dal  ponte  Salario,  vicino  al  Tevere  e  ad  uq 
fondo  denominato  Sex  Columnarum  ,  e  ad  un  monte 
MoUarium,  i'jUiy>:ji,i.  ,0^,^,*   t»  v,i-ii.«.  onuài»:.  Iìììjìù.ui  ìw^ 

.      -,,..     ,     ,.{>    .Y    or;    ■'    '    -  "'■'  ■ne'ihlì     iìÌTMui  iWiSi 

IwÈiomnm  fiJqr .  MALVICJNO.  ì\  ihumi)  .iBobku . 
Aiiun.tìh  fiì^oun  r,  olnci/p  d  /yiX  oJoaoéi  lob  ciqòaìjij 
Tenuta  dèli*  Agro  Romano  pósta  fralle  vie  Claudia 
e  Cornelia,  oggi  note  col  nome  di  strada  di  Buccea,  cir- 
ca 19  miglia  lontano  da  Roma,  alla  quale  si  va  per  una 
via  traversa,  che  dirama  a  sinistra  della  Claudia  al  XVI. 
m.  e  dicesi  la  strada  di  Cornazzano,  perchè  conduce  a 
quel  casale.  Essa  comprende  127  rubbia,  e  confina  colle 
tenute  di  Tragliata,  Testa  di  Lepre,  Buccea,  Gentrone, 
e  Cornazzano.  — 

i.iì'tiìh  li  sl'ii'jisa  i«  oda  onBmoft  oi^A 'ibfe  Uuml 
•i/i''!  'ji;vi?jp  rJ  ,F.iiwH  ih  T^n«l  boiìj  .«i  T  jjnsin*  bì?   nilob 


291 
mr  ùimihi)  i;J.MANDELLA  v,  BÀRDEllAiihmhiU  .lu  Ut 

.fiìiy>ii  .  ..1}    .'ì?tVyìr,\dnA 

ohnpl   ^^iì^\    MÀNDRIA  e  MÀNDRIOLA.  a 

!(  t)4i(yi  '>4:>  t^ìi'jhn  ìì.m]  tiAir-i'  >:-.if:ì(.  «su  hi-  '^Hiiv-ìUrty^ti 
-i  Tenimehta' dell'Ago  Romano  sitaatò  fuori-di jjort* 
4»;  Paolo,  traversato  dalla  strada  luoderoa  di  Ardea  dal 
VII.  al  IX.  miglio  circa  ,  e  pertinente  ai  monastero  di 
s.  Paolo  fuori  delle  mura,  almeno  fin  dall'  anno  1203  , 
jioichè  nella  bolla  d'  Innocenzo  III.  data  in  quell'  anno 
e  riportata  dal  Margarini  nel  BuUarium  Cassinense  T.  I. 
frai  beni  confermati  a  quel  monastero  si  nomina  Man- 
dram  colla  chiesa  e  colle  altre  sue  pertinenze  :  ed  ai 
monaci  si  debbe  la  costruzione  nel  secolo  XII.  della 
torre  detta  del  Sasso,  che  semidiruta  sì  vede  a  sinistra 
presso  la  strada,  nello  scendere  verso  il  ponte  di  Schiza- 
nello,  discesa  che  suol  designarsi  col  nome  di  Scesa  o 
Salita  della  Mandrìola,  secondo,  che  si  va  da  Roma  o  si  ris- 
torna da  Ardea.  .  osii^a&Wii?  iOJ 
Le  tenute  riunite  cotoprendono  174  rubbia,  e  confi- 
nano con  quelle  di  Selcia,  Pinzarone,  Trigona,  Monte  Mi- 
gliore, Schizzanello ,  Casal  Giulio  ,  e  Vallerano.  Esse  non 
debbono  confondersi  con  quella  denominata  Casal  della 
Mandria  descritta  a  suo  luogo ,  nella  quale  fu  la  piccola 
«città  di  Pollusca  più  volte  ricordata  nella  .vita  di  Goriolano* 
Yeggasi  CASAL  DELLA  MANDRIA,  h  non  auoip  fiiJawp 

MARANO. 


.tè 


.01   ^ 


iJlaranuiUv  Moxùxtm. 


Castello  di  circa  923  abitanti  nel  distretto  di  Su- 
biaco  posto  sopra  un  colle  che  domina  la  riva  sinistra 
dell'Amene,  quasi  dirimpetto  a  Gervara  ed  Augusta,  circa 


292 

40  m.  distante  da  Ronia,  al  quale'  si  va  per  la  odierna  via 

sublacense,  traversando  l'Aniene  sopra  un  ponte. 

Il  suo  nome  potrebbe  derivarsi  da  qualche  fondo 
appartenuto  ad  un  Mario  senza  pretendere,  che  fosse  il 
famoso  rivale  di  Siila,  in  modo  che  da  fundus  marianus 
per  corruzione  di  nome  si  fece  Maranum.  Egli  è  certo 
òhe  fino  dall'  anno  864  si  nomina,  come  castellum  nella 
bolla  di  Niccolò  I.  Dall'altro  canto  nell'anno  958  gli  si 
dà  il  nome  di  forido  nella  bolla  di  conferma  dc'beni  del 
monastero  sublacense,  data  da  Giovanni  XII,  come  pu- 
re in  quella  di  Benedetto  VII.  del  978:  la  prima  legge- 
si  in  Muratori  Ant.  Medii  Aevi  T.  V.  p.  461.  1'  altra  è 
riportata  da  Marini  Papiri  Diplomatici  p.  229.  Nell'anno 
1052  era  un  castrum  che  apparteneva  al  monastero  su- 
blacense, poiché  vien  ricordato  nella  lapide  di  s.  Scola- 
stica colle  altre  possidenze  del  monastero;  circa  1'  anno 
1065  ,  questo  castello  era  stato  invaso  da  un  Ranieri , 
come  si  trae  dalla  cronaca  sublacense ,  il  quale  venne 
espulso  dall' abbate  Giovanni.  Viene  ricordato  di  nuovo 
nella  bolla  di  Pasquale  II.  dell'  anno  1115  inserita  in 
quella  cronaca,  come  parte  delle  possidenze  del  mona^ 
stèro.  Circa  l'anno  1150  fu  dato  da  Eugenio  III.  a  Rai- 
mone  abbate  sublacense  da  lui  dimesso.  Nel  1360  l'ab- 
bate Corrado  lo  die  in  feudo  al  suo  fratello ,  e  dopo 
quella  epoca  non  si  hanno  memorie  degne  di  rimembran- 
za, appartenendo  sempre  al  monastero. 

MARCELLIN4 

È  una  contrada  fra  Palombara  e  s.  Polo,  4  m.  di- 
stante da  ambedue  queste  terre,  che  occupa  la  falda  più 
bassa  de'monti  Peschiavatore,  Morra,  e  Gennaro,  e  che 
è  designata  da  una  stazione  dello  stesso  nome ,  il  qua- 
le data  almeno  dal  secolo  XIII.  della  era  volgare,  e  for- 


293 
se  deriva  da  quello  di  qualche  prèdio  spettante  ad  uu* 
Marcellina;  nome,  che  spesso  s'incontra  nelle  lapidi.  Esir, 
sa  è  sopra  la  strada  da  Palorabara  a  Tivoli,  chV;  è  Ift  piùr 
diretta.         ;>a  diinoloo  ib  ìiJL-:*r>T  ^oiJiìiioar  'untine  ìb  c\ht 

Andando  (Igt ' Pélombara  a  'quésta  stazione,  primìc-' 
ramente  dee  notarsi^  che  dopo  2  miglia  si  trovano  gli 
indi  zìi  chiari  di  un  diverticolo  antico,  sul  quale  è  trac- 
ciata la  strada  attuale,  che  legava  la  via  tiburtina  colla 
salaria  passando  per  Palombara  e  Stazzano  ,  comincian- 
do al  ponte  detto  dell' Acquoria,  e  terminando  sotto  Mon- 
te Libretti.  A  destra  tre  m.  dopo  Palombara  sopra  un 
colle  sono  gli  avanzi  di  un  castello  diroccato ,  il  quale 
nelle  carte  viene  indicato  col  nome  di  Monte  Verde:  a 
sinistra  sotto  il  monte  Gennaro,  sul  principio  dell'arduo 
e  tortuoso  sentiero  detto  la  Scarpellata,  sono  le  vestigia 
di  una  città  antica,  di  forma  triangolare  colla  base  ri- 
volta verso  la  via  ed  il  vertice  sulla  sommità.  Un  gran 
pezzo  del  muro  inferiore  rimane  ancora:  esso  è  costruir: 
to  di  massi  irregolari  di  gran  dimensione,  de'  quali  al- 
meno quattro  strati  rimangono.  Sembra,  che  sul  vertice 
fosse  la  cittadella  con  un  tempio.  L'estensione  di  queste 
mura  è  di  circa  un  m.  di  circonferenza,  onde  sembpa„ 
che  la  città  fosse  di  qualche  rimarco ,  e  forse  fu  una 
delle  città  sabine,  situata  come  Eretum,  quale  avampo- 
sto verso  i  Latini,  che  occupavano  i  monti  corniculani. 
Senza  osare  di  sostenerla,  io  credo,  che  non  sia  impro- 
babile la  opinione,  che  ivi  fosse  Regillum  patria  de'Glaur, 
dii,  che  secondo  Livio  e  Dionisio  trasmigrarono  a  JRoma 
poco  dopo  la  espulsione  de're,  e  che  tanta  influenza  ;eb-, 
bero  durante  la  republica,  e  nel  primp  periodo  dell'ùii^ 
pero.  ■     ,;  -'.''ii^^ 

Il  sito  di  Marcellina  è  cosi  amenQ  d.^/ritnle  la  .^ar> 
gione  estiva,  che  non  potè  sfuggire  a  quelU(  ip^giu^j^ 
del  primo  periodo  dell'  impero,  che  popoIju-Qiio  4i,,jvtl}p 


294 

sontuose  i  contorni  di  Romav  particolarmente  da  questa 
parte,  e  di  ciò  fanno  testimonianza  i  bei  frammenti,  che 
ivi  vidi  dispersi  l'anno  1825,  frai  quali  notai  un  capi- 
tello di  ordine  corintio,  rocchi  di  colonne  scanalate  del- 
lo stesso  ordine,  pezzi  di  pavimenti  di  musaico,  alcu- 
ni de'  quali  molto  iGini,  e  colorati.  Un  miglio  e  mezzo 
più  oltre  a  destra  sono  le  rovine  di  un'altra  terra  an- 
tichissima con  vestigia  di  mura  a  poligoni  nel  luogo  de- 
nominato Scocciasanto,  e  Ciano,  nelle  quali  alcuni  vo- 
gliono riconoscere  quelle  di  Genina,  non  calcolando  la 
picciolezza  della  Terra,  e  la  distanza  soverchia  da  Ro- 
ma per  crederla  attaccata  nella  prima  guerra  di  Romu- 
lo.  Presso  di  questa  sopra  un  colle  è  un  castro  de'tem- 
pi  bassi  detti  Torrita ,  e  poco  dopo  nella  contrada  de- 
nominata Scalzacane  sono  le  sostruzioni  ed  il  pianterre- 
no di  una  villa  romana,  consistenti  in  parecchi  anditi^ 
dietro  i  quali  ricorre  un  corridore  molto  stretto:  queste 
sono  di  opera  reticolata  con  legamenti  or  laterizii ,  ora 
di  parallelepipedi  di  tufa.  Tornando  all'antica  Terra  di 
Ciano,  io  credo,  che  possa  essere  stato  uno  degli  oppi- 
di  de!Tiburtini,  verso  i  Sabini,  come  in  altra  direzione^ 
erano  Empulum  e  Saxula  verso  gli  Ernici.  "ff? 

-ó^c7/>5^1^V>"''''' MARCIA. . 

■^*'  Una  delle  acque  condottate  a  Roma  e  riguardata 
dagli  antichi  come  la  più  pura  e  salubre  fra  tutte  quelle, 
che  erano  state  portate  a  Roma.  E  sopra  questo  acque- 
dotto, apprendiamo  da  Frontino  che  l'anno  608  di  Roma, 
cioè  146  avantt  la  era  volgare  ,  essendo  consoli  Servio» 
Sulpicio  Galba  ,  e  Lucio  Aurelio  Cotta  ,  trovandosi  gli 
acquedotti  dell'acqua  Appia  ,  e  dell'  Aniene  molto  dan- 
neggiati dal  tempo  ed  in  parte  abusivamente  intercettati 

dai  privati,  il  senato  commise  a  Marcio  allora  pretore 


295 
nelle  cause  frai  cittadini  ed  i  forasticri  di  ristaurare  tali 
acquedotti,  e  rivendicare  le  acque  usurpale:  e  siccome 
l'accrescimento  della  città  sembrava  richiedere  una  mag- 
gior quantità  di  acque,  fu  a  lui  ancora  ordinato  dal  se- 
nato di  cercare  di  condurre  tutte  le  altre  acque  che 
avesse  potuto  per  mezzo  di  condotti  più  ampli  nella  cit- 
tà. E  questi  per  mezzo  di  rivi,  e  di  opere  sopra  terra 
portò  queir  acqua,  che  da  lui  ebbe  il  nome  di  Marcia. 
Fenestella,  secondo  il  lodato  Frontino,  avea  conservato 
la  memoria  ,  che  per  questi  lavori  il  senato  decretò  la 
somma  di  8,400,000  sesterzj,  ossia  210,000  scudi;  ma 
siccome  questa  non  bastava  per  compiere  l'opera,  gli  fu 
prorogata  la  carica  per  un  altro  anno.  In  quel  frattem- 
po però ,  mentre  i  Decemviri  sacris  faciundis ,  per  altre 
cagioni  doverono  consultare  i  libri  sibillini,  dicesi,  che 
trovassero  non  doversi  l'acqua  Marcia,  ma  l'Aniene  por- 
tare sul  Campidoglio;  e  facendosi  pel  collegio  de*decem- 
viri  la  proposizione  di  quest'affare  in  senato  da  Lepi- 
do, essendo  consoli  Appio  Claudio  e  Q.  CeciliOy  1'  anno 
609,  e  di  nuovo  3  anni  dopo  riproducendosi  da  L.  Len- 
tulo,  superò  sempre  il  favore  del  pretore  Quinto  Mar- 
cio Re,  e  cosi  l'acqua  Marcia  fa  condotta  sul  Campi- 
doglio. 

Quest'acqua,  secondo  lo  scrittore  sovrallodato  si  al- 
lacciava al  miglio  36  della  via  Valeria,  volgendo  a  de- 
stra, per  chi  partiva  da  Roma,  e  seguendo  per  3  mi- 
glia un  diverticolo:  per  la  via  sublacense  poi  al  36  m. 
a  sinistra  dentro  100  passi  vedovasi  traversare  sopra 
sostruzioni  ed  archi,  di  color  argentino,  tendente  al  ver- 
de. Avea  il  condotto  dalle  sorgenti ,  fino  alla  città  60 
m.  e  710  i  passi  di  corso,  cioè  54  m.  247  |  sotter- 
ra, e  7463  sopra  terra:  de 'quali,  più  lungi  da  Roma  in 
molti  luoghi  per  le  valli  del  Popolo  Romano  sopra  ar- 
chi 463  passi,  e  più  vicino  sopra  sostruzione  728  passi 


296 

e  quindi  fino  al  termine  sopra  archi  6472  passi:  parti^- 
colari  preziosi  sono  questi  lasciatici  da  Frontino,  che  mo- 
strano quale  opera  gigantesca  fu  la  intrapresa  di  Marcio, 
dalla  quale  si  potrebbe  dubitare,  se  gli  avanzi  incontra- 
stabili che  ne  rimangono  non  ne  facessero  fede  da  loro 
stessi. 

?  E  circa  la  origine  di  quest'acqua  assegnata  da  Fron- 
tino, essa  è  di  tale  esattezza,  che  essendo  nota  la  dire- 
zione della  via  valerla  e  della  via  sublacense,  seguendo 
la  distanza  ricordata,  si  trova  ancorar  nella  valle  di  Ar- 
soli tale  da  potersi  riallacciare  di  nuovo ,  e  ricondurre 
in  Roma;  ed  una  chiesa  rurale  a  destra  della  strada  dì 
Arsoli,  oggi  abbandonata  ha  il  nome  di  s.  Maria  dell'a- 
cqua Marcia  da  tempo  immemorabile.  E  da  quel  punto 
in  poi  l'acquedotto  interrottamente  si  traccia  fino  a  Roma. 
Ho  notato  questo,  perchè  Plinio  Hist.  Nat.  lib.  XXXI, 
e.  Ili,  §.  XXIV,  facendo  l' encomio  di  (piest'  acqua  che 
riguardavasi,  come  dissi,  essere  la  più  limpida,  fresca  e 
salubre  di  quelle,  che  venivano  in  Roma,  le  vuol  dare 
una  origine  molto  più  remota,  e  vuole  attribuire  il  suo 
acquedotto  al  re  Anco  Marcio:  ecco  le  sue  parole:  Cla- 
rissima  aquarum  omnium  in  toto  orbe,  frigoris,  salubrita- 
tisque  palma  praeconio  urbis ^  Marcia  est,  inter  reliqua  Deum 
munere  urbi  tributa.  Vocabatur  haec  quondam  Aufeia,  fons 
autem  ipse  Pitonia.  Oritur  in  ultimis  montibus  Pelignorumz 
transit  Marsos  et  Fucinum  lacum,  Romum  non  dubie  pe- 
tens.  Mox  in  sp^tus  m^rsa  in  tiburtina  se  aperit  novem  mil~ 
libus  pass,  fornicibus  structis  perducta.  Primus  eam  in  ur- 
bem  ducere  auspicatus  est  Ancus  Marcius  unus  e  regibus 
p&stea  Q.  Marcius  Rex  in  praetura.  Rursusque  restituit  M^ 
Agrippa.  Io  non  voglio  per  un  momento  escludere  la  pos- 
sibilità, che  del  Lago  Fucino  per  filtrazione  derivino  le 
sorgenti  della  Marcia,  ma  è  molto  difficile  il  provarlo: 
quanto  poi  a  farla  nascere  ne'monti  estremi  de'Peligniy 


297 
ed  a  farle  traversare  il  Fucino,  per  poi  uscirne  pura,  e 
sbucciare  nella  valle  di  Arsoli,  sono  questi,  prodigi  che 
sorpassano  ogni  credenza ,  meno  quella  di  Alberto  Cas- 
sio, che  li  ammise  come  una  cosa,  quasi  direi  dimostra- 
ta. Inesattezza  certa  è  nelle  9  m.  di  archi  che  Plinio 
assegna  a  questo  acquedotto,  il  quale  non  ne  avea  cer- 
tamente più  di  quasi  7 ,  quante  Frontino  che  più  di  pro- 
posilo lo  avea  esaminato  gliene  assegna.  Che  poi  Anco 
Marcio  pel  primo  la  condottasse,  è  un  puro  sogno,  poi- 
ché, secondo  Frontino,  Roma  non  ebbe  dalla  sua  fonda- 
zione fino  all'anno  441  altr' acqua  per  bere,  che  quella 
che  aut  ex  Tiberio  aut  ex  puteis^  aut  ex  fontibus  haurie- 
bant.  D'altronde  il  territorio  romano  da  quel  re  fu  lascia- 
to dopo  le  sue  conquiste  entro  un  raggio  così  ristretto, 
che  Tibur  a  20  miglia,  Gabii  a  poco  più  di  12,  Tuscu- 
lum,  Aricia,  ed  Ardea  erano  città  affatto  indipendenti,  e 
serravano  il  territorio  romano  sulla  riva  sinistra  del  Te- 
vere, per  non  dir  nulla  di  Veìi,  e  Csere  sulla  destra; 
ed  i  Sabini,  gli  Equi,  i  Marsi  i  Peligni,  non  so  se  avreb- 
bero permesso  in  quella  epoca  cosi  remota  una  opera  di 
questa  natura  nel  loro  paese.  iA 

Egli  è  però  vero  il  fatto,  che  poco  più  sotto  Plinio 
asserisce  ,  che  Agrippa  lo  ristaurò  ,  fatto  che  è  confer- 
mato da  Frontino,  e  dalla  iscrizione  del  monumento  di 
quest'  acqua  medesima  alla  porta  s.  Lorenzo,  il  quale  ha, 
ó  vero,  il  nome  di  Augusto,  come  quello,  che  essendo 
il  capo  del  governo  avea  l'onore  di  tutte  le  opere  ;  ma 
è  vero  altresì  che  il  suo  ministro  Agrippa  fu  quello  che 
di  tale  opera  fu  incaricato,  e  che  con  impegno  eseguilla. 
Questo  ristaurò  degli  acquedotti  da  Frontino  si  stabilisce 
l'anno  719  di  Roma,  essendo  Augusto  console  per  la  se- 
conda volta,  ed  avendo  per  collega  Lucio  Volcazio  ;  le 
sue  parole  sono  chiare  :  eodem  annóy  cioè  719,  Agrippa 
ductus  Appiae  ,  Anionu,  Marciae,  pene  dilapsos,  restituii 4 


298 

La  iscrizione  sovraiudicata  però  ha  la  data  della  pote- 
stà tribunizia  XIX  ,  e  ricorda  il  XII  consolato  di  Au- 
gusto ,  e  la  XIIII  acclamazione  imperatoria  :  Augusto 
entrò  nella  potestà  tribunizia  XIX  l'anno  746  di  Roma, 
ed  in  queir  anno  pure  fu  console  insieme  con  Lucio 
Cornelio  Sulla,  per  la  duodecima  volta  ;  la  XIV  accla- 
mazione imperatoria  poi  a  lui  fu  fatta  l'anno  745,  e  la 
XV  Tanno  759,  periodo  entro  il  quale  fu  eretto  il  mo- 
numento a  porta  s.  Lorenzo  :  sopra  questi  dati  può  sta- 
bilirsi che  esso  fu  edificato  certamente  fra  il  dì  27  giu- 
gno 749  ed  il  dì  26  giugno  750  di  Roma,  circa  7  anni 
dopo  la  morte  di  Agrippa.  Tutto  questo  prova  che  la 
iscrizione  di  quel  monumento  attribuisce  ad  onone  di 
Augusto  quello  che  Agrippa  riguardo  agli  acquedotti  avea 
fatto  30  anni  prima,  e  che  certamente  quell'arco  non  fu 
eretto  prima  dell'  anno  749.  Nella  riparazione  dell'acque- 
dotto della  Marcia  da  Agrippa  non  fu  aggiunta  alcun 
rivo  a  supplimento  dell'  acqua  medesima  ,  e  questo  fu 
fatto  da  Augusto  medesimo,  secondo  Frontino ,  il  quale 
tutte  le  volte,  che  per  la  siccità  fosse  d'uopo,  unì  alla 
Marcia  un'acqua  di  eguale  bontà,  che  condusse  per  mezzo» 
di  un'acquedotto  sotterraneo  vicino  al  rivo  della  Marcia,  e 
chiamollo  col  nome  di  Augusta.  Nasceva  questa  di  là  dalt* 
sorgente  della  Marcia  e  per  800  passi  di  condotto  raggiun- 
geva il  rivo  di  questa.  Questo  medesimo  rivo  di  supplimen- 
to, dopo  l'apertura  dell'acquedotto  Claudio,  l'anno  803  ser- 
vì secondo  il  bisogno  per  la  Claudia  e  per  la  Marcia.  Forse 
questa  opera  di  Augusto  fu  contemporanea  del  monumento 
di  porta  s.  Lorenzo.  «'">  in! 

3"  In  quel  monumento  medesimo  si  ricorda  un  altra 
ristauro  fatto  all'acquedotto  dell'  acqua  Marcia  da  Tito 
in  questi  termini  ;  RIVOM.  AQVAE.  MARCIAE  VETV- 
STATE.  DILAPSVM  REFECIT.  ET.  AQVAM.  QVAE. 
IN«*¥SV.  ESSE.    DESIERAT.    REDVXIT  ;   e    di    tali 


guasti  e  ristauro  Frontino  non  fa  menìrione.  La  memo- 
ria di  Tito  porta  la  IX  potestà  tribunicia,  la  XV  accla- 
mazione imperatoria  ,  il  VII  consolato  assunto  e  V  Vili 
designato,  dati,  che  si  riuniscono  tutti  nell'anno  832  di, 
Boma,  79  della  era  volgare.  Sotto  Trajano  Frontino  mi- 
surò la  quantità  di  quest'acqua  alla  sorgente  e  la  trovò 
di  4690  quinarie  :  di  queste  erogavansi  a  nome  delFina- 
peratore ,  fuori  della  città  169  :  ai  privati  568^^:  entro 
Roma  poi  1098  quinarie  distribuivansi  in  10  delle  quat- 
tordici regioni,  cioè  in  tutte  meno  la  II ,  la  XI  ,  XII , 
e  XIII  per  mezzo  di  51  castelli  :  vale  a  dire  116  a  nome 
dell'  imperadore,  543  ai  privati,  439  agli  usi  pubblici, 
divise  cosi  :  a  quattro  alloggiamenti  41  :  a  15  edificj 
pubblici  41  :  a  12  luoghi  di  spettacolo  e  di  divertimento 
pubblico  104  :  ed  a  113  fontane  versanti  [lacus)  253. 
Trajano  però  secondo  lo  stesso  Frontino  fornì  di  que- 
st'  acqua  ancora  i  monti  Celio  ed  Aventino  cioè  le  re- 
gioni He  XIII  che  ne  mancavano,  e  la  riservò  soltanto 
all'uso  di  bere,  togliendola  da  ogni  altro  uso,  e  soprattutto 
dai  vili. 

L'  acquedotto  fu  di  nuovo  purgato  e  ristaurato  da 
Garacalla,  come  si  legge  nella  iscrizione  apposta  al  mo- 
numento di  porta  s.  Lorenzo  e  riportata  di  sopra  nel- 
l'art. ANTONINIANA  :  da  questa  apprendiamo,  che  vi 
aggiunse  una  nuova  fonte  antoniniana,  che  diramata  pres- 
so Roma,  onde  servire  alle  sue  terme  j  è  quell'  acqua 
Antoniniana  che  si  ricorda  dai  regionarii.  Ecco  la  espres- 
sione con  che  si  rammenta  quel  ristauro:  AQVAM  .  MAR- 
CIAM  .  VARIIS  .  KASIBVS.  IMPEDITAM  .  PVRGATO  . 
FONTE  .  EXCISIS  .  ET  .  PERFORATIS .  MONTIBVS  . 
RESTITVTA  .FORMA  .ADQVISITO.  ETIAM  .  FONTE  . 
NOVO  .  ANTONINIANO  .  IN  .  SACRAM  .  VRBEM  . 
SVAM  .  PERDVCENDAM .  CVRAVIT.  >lls*lr  .^  :  wvw. 
-       Diocleziano   nel   costruire   le  sue  tentìe   prcfsso   le 


300 

quali  faceva  capo  il  tronco  principale  dell'  acqua  Mar- 
cia se  ne  servì  per  uso  di  quelle,  come  può  riconoscersi 
dalle  rovine  della  conserva  ancora  esistenti  presso  1'  an- 
golo orientale  di  quelle  terme  medesime.  É  molto  pro- 
babile, che  egli  facesse  lavori,  e  ristauri  all'  acquedotto, 
onde  r  adulazione  fece  dare  a  quest'  acqua  il  nome  di 
lovia  da  lui  adottato,  nome,  che  si  conservò  almeno  fi- 
no al  secolo  Vili  alquanto  alterato  in  lobia  ,  e  lopia  ,  e 
che  communicò  pure  all'  Aiitoniniana.  Imperciocché  in 
Anastasio  Bibliotecario  nella  vita  di  Adriano  I.  circa 
r  anno  780  della  era  volgare  si  legge  ,  che  formam  quae 
lobia  vocatur  ,  che  per  20  anni  era  rimasta  caduta,  ven- 
ne da  lui  riformata,  cioè  ristaurata ,  dai  fondamenti.  E 
circa  lo  stesso  tempo  1'  anonimo  di  Mabillon  dà  il  no- 
mo di  Forma  lopia  all'  acquedotto  antoniniano  presso 
la  porta  s.  Sebastiano  ,  detta  pure  porta  Appia.  Dopo 
quella  epoca  non  ho  trovato  memorie  ulteriori  di  que- 
sto acquedotto ,  il  quale  credo  che  rimanesse  interrotto 
fin  dal  secolo  IX.  sia  per  le  scorrerie  de'  Saraceni  nel 
distretto  di  Tivoli,  sia  per  qualche  rovina  accidentale  avve- 
nuta al  Ponte  sul  quale  sotto  s.  Cosimato  passava  l'Aniene, 
0  a  qualche  parte  della  opera  arcuata.  fmvy^  ^r.WmmtJ 
L'  anno  1823  tracciai  questo  acquedotto  lungo  la 
falda  del  monte  Ripoli  ,  e  del  monte  Affliano  :  1'  anno 
1825  lo  tracciai  dalle  sorgenti  fino  al  monte  Ripoli  ,  e 
dal  colle  Faustiniano  ,  fino  a  Cavamonte  :  1'  anno  1826 
poi  da  Cavamonte  fino  alla  via  latina ,  e  per  la  via  la- 
tina fino  a  Roma.  Quindi  credo  potersene  determinare 
il  corso  ,  avendo  i  punti  fissi  .*  1  delle  sorgenti  sotto  s. 
Maria  dell'  acqua  Marcia  nella  valle  di  Arsoli  :  2.  dello 
speco  della  osteria  della  Ferrata  :  3.  dello  stesso  sotto  s. 
Cosimato  e  negli  avanzi  del  ponte,  dove  traversava  l'A- 
niene  :  4.  delle  sostruzioni  a  sinistra  della  strada  da 
Vicovaro  a  Castel  Madama  :  5.  dell'arcuazione  al  ponte 


^  301 

dègti  Arci  :  6.  dello  speco  e  conserva  nell*  olivete  di 
Carciano  :  7.  del  ponte  detto  della  Mola  al  colle  Fau- 
stiniano,  e  quindi  di  quello  detto  Lupo  ,  dopo  il  quale 
eosteggiava  V  acquedotto  della  Claudia  in  guisa  che  si 
riuniva  alle  piscine  communi  ai  sei  acquedotti,  dell'Aniene 
Vecchia,  Marcia,  Tepula,  Giulia,  Claudia,  ed  Aniene  nuo- 
ra, che  si  trovavano  secondo  lo  stesso  Frontino  entro 
il  VII.  miglio  sulla  via  latina  :  e  finalmente  de'  ruderi 
dell'arenazione  dell'acquedotto  stesso  presso  la  via  latina 
vicino  il  casale  di  Roma  Vecchia,  a  Tor  del  Fiscale,  nel 
tratto  fra  porta  Furba,  e  porta  Maggiore,  ed  a  Porta  Mag- 
giore, e  porta  s.  Lorenzo.  «» 
Oggi  r  acqua  Marcia  si  perde  noli'  Aniene  à  dè- 
stra della  via  sublacense  circa  35  m.  lungi  da  Roma.  Il 
suo  livello  relativamente  alle  altre,  che  venivano  a'  tempi 
di  Frontino  teneva  il  quinto  posto  essendo  superiore  a 
quello  delle  acque  Alsietina,  Appia,  Vergine  ,  ed  Anie- 
ne vecchia  :  ed  inferiore  a  quello  della  Tepula  ,  Giulia 
Claudia  ,  ed  Aniene  nuova.  Dopo  la  piscina  della  via 
latina  sovraindicata  veniva  sempre  sopra  archi,  che  por- 
tavano pure  la  Tepula  e  la  Giulia,  entro  spechi  sovrap- 
posti uno  all'altro.  Il  suo  termine  in  Roma  era  alla  porta 
Viminale  entro  la  villa  Negroni,  dove  si  divideva  per  le 
varie  contrade  della  città.                             .       - 

^iiliiS  ai  .'jmHm-m  :^i    MARCHIANA  -  ■'  o«ft<33£iA 

Tenimento  dell'  Agro  Romano  posseduto  oggi  dai 
Carpegna  posto  fuori  di  porta  Salaria  circa  8  m.  lungi 
da  Roma  a  destra  della  via  salaria  odierna  ,  il  quale 
comprende  circa  940  rubbia  di  terra  divisi  ne*  quarti 
denominati  del  Casale,  del  Cannetaccio,  di  Forno  Nuo- 
vo ,  di  Tor  Madonna ,  di  Campo  grande  di  sopra  e  di 
sotto ,  del  Gallinaro  ,  di  Capaccio  ,  e  della  Torretta  :  e 


302 

ne' prati  detti  della  Vignacela,  degli  Aquiloni,  deH'Ara, 
della  Lungarina,  del  Fontanile,  dell'  Orlacelo,  dell' Olmo 
bello  e  Prato  Scudella ,  delle  Pantanclle  delli  Cioccati, 
e  del  Rimessone.  Confina  col  Tevere ,  col  territorio  di 
Lamentana  ,  e  colle  tenute  di  Massa  ,  Fonte  di  Papa  , 
s.  Colomba,  Inviolatella,  Ciampiglia,  Casal  delle  Donne, 
e  Capitignano.  ^.vé.^viVt  \\\  obnoot»»  oiicyb/oi)  iv.  •>;:  ^  ,r,f 
Il  suo  nome  sembra  derivare  da  un  fundus  Mar- 
ceUianus,  o  praedium  MarcelUanum ,  perchè  appartenente 
ai  Marcelli,  i  quali  essendo  un  ramo  dei  Claudii  ci  ram- 
mentano le  terre  date  ai  Claudii  dal  ;  Senato  e  Popolo 
Romano  fra  Fidene  e  Ficulea,  secondo  Dionisio  ,  tratto 
che  in  parte  è  compreso  dentro  questa  tenuta.  Tal  no- 
me si  ricorda  nella  bolla  di  Stefano  IV.  pertinente  al- 
l'anno 817,  con  che  quel  papa  confermò  i  beni  del  mo- 
nastero di  Farfa ,  dove  si  legge  Fundum  Marcilianum  : 
e  di  nuovo  in  una  carta  dell'  anno  1003  ,  nella  quale 
si  legge  come  un  tal  Relizone  figlio  di  Palombo  rice- 
v«tte  in  enfiteusi  da  Ugone  abbate  di  Farfa  alias  rei 
ubi  dicitur  Marcilianum  insieme  con  altri  beni.  Docu- 
menti sono  questi  che  il  Galletti  estrasse  dall'  archivio 
tli  Farfa  e  publicò  nella  sua  opera  del  Primìcero  p.  174 
e  232;  ed  essendo  il  primo  di  questi  del  principio  del 
secolo  IX  darebbe  forza  alla  mia  opinione  ,  che  possa 
derivare  tal  nome  dai  Marcelli }  ma  quel  Marcilianum 
secondo  i  confini,  che  ivi  si  additano,  sebbene  in  Sabi- 
na, era  molto  lontano  da  questo  lenimento,  poiché  era 
presso  Gavignano ,  ed  il  rivo  Galantino ,  ivi  chiamato 
rivus  Calentinus.  Forse  però  di  questo  fondo  si  tratta 
in  un  documento  ricordato  dal  Casimiro  nel  Storia  di 
Araceli  e  pertinente  ai  30  di  Settembre  dell'  anno  985, 
dal  quale  apparisce ,  che  Pietro  abate  di  s.  Maria  de 
Gapitolio  avvertì  Martino  abbate  di  s;  Cosimato  in  Mica 
Aurea   di    dare  ad   affitto  il  casale   de'  Marcelli.    Man- 


303 
cano  però  ,  pef  quante  ricerche  io  abbia  fatto  ,  notizie 
ne'  tempi  bassi  sopra  questa  terra.  Dalle  rovine  esistenti 
a  MarcigUana  vecchia  apparisce,  che  fosse  uno  di  quei 
tanti  castra  dell'Agro  Romano,  wifimrui*.  ài  ouioii  lu;» 
Il  casale  di  Marcialiana  è  in  nna-sitiiazioite  ntb^ 
nissima,  posto  sopra  un  colle  alto,  coperto  di  alberi,  do- 
minante la  via  salaria  moderna  e  tutta  la  valle  del  Te- 
vere  alla  quale  sulla  riva  opposta  fanno  corona  i  monti 
di  Prima  Porta  già  Rubrae.  Ivi  in  lettere  de'  buoni  tem- 
pi lessi  la  seguente  iscrizione  sopra  un  cippo  scornicia- 
to, alto  3  p.  e  mezzo  largo.  2, 

d»\i,' .  ili -Mi 

D  .  M 
CAELIAE 


hn^ÀP 


r\ 


GAI  .  FIL 


U^ 


.    .  SECVNDILLAE 

Ivi  pure  notai  un  pezzo  di  architrave  curvilineo,  un 
fregio  dorico ,  che  nelle  metope  presentava  alternativa- 
mente armi  e  rosoni:  una  bocca  di  pozzo  di  travertino, 
frantumi  di  colonne  di  marmo  ec.  indizii  chiari  di  una 
fabbrica  anticamente  esistente  nel  medesimo  sito.    ,5)0.1 

Nella  tenuta  si  fecero  scavi  lungo  l'andamento  del- 
la via  salaria  antica,  presso  la  Rufalotta  l'anno  1825  e 
1826  e  si  trovarono  avanzi  di  bagni  del  tempo  degli  An- 
tonini: una  lapide  greca  di  Atticilla  figlia  di  una  madre 
dello  stesso  nome  e  di  un  padre  re:  un'  altra  latina  di 
Elia  Cecilia  Filippa  madre  di  Serio  Augurino  :  una  ur- 
netta  che  contenne  le  ceneri  di  Nevia  Spendusa  morta 
di  anni  30:  un  peso  col  consolato  di  Tiberio  Claudio  Au- 
gusto, e  Lucio  Vitellio  per  la  terza  volta,  pertinente  al- 
l' anno  47  della  era  volgare:  molti  frammenti  di  basso- 
rilievi ed  ornati  di  terra  cotta,  quattro  piedi  di  bronzo 
di  sostegni  di  un  letto,  eh*  furono  rinvenuti  riposti  en- 


304 

tro  una  vcttina ,  portanti  le  immagini  delia  Vittoria,  e 
le  zampe  di  leone,  ed  un  gran  rhyton  di  marmo,  orna- 
to di  pampini  ed  edera  insieme  intrecciati.  Varii  marchi 
col  nome  di  Aproniano  e  Petino  consoli  dell'  anno  123 
della  era  volgare,  ne'tempi  di  Adriano,  sembrano  dover 
determinare  che  i  ruderi  frai  quali  si  fecero  queste  sco- 
perte non  erano  anteriori  a  quella  epoca.  Altri  scavi  fat- 
ti nel  1833  fecero  scoprire  un  gran  pavimento  di  mu- 
saico bianco  e  nero  rappresentante  Tritoni  e  Nereidi,  an- 
che esso  parte  di  una  fabbrica  destinata  a  bagni. 

MARCO  SIMONE 

Oolagoi-fiolagai-fiolagari 
éasttmi  0.  inonesti. 

Tenuta  dell'Agro  Romano  posta  fralle  vie  tiburtina 
e  noraentana,  circa  9  m.  lungi  da  Roma,  pertinente  ora 
ai  Borghese,  la  quale  si  compone  di  quattro  distinte  te- 
nute, cioè  di  s.  Eusebio,  Marco  Simone,  Caputo,  e  Pe- 
dica  Croce.  Comprende  rubbia  633  e  mezzo  divise  ne' 
quarti  di  Capalto,  P edica  delle  Ginestre,  Fonte  Massa- 
rola,  s.  Eusebio,  Pisciarello,  Marco  Simone  vecchio,  e 
Pediche  della  Fornace,  dell' Acquaviva,  e  del  Casale.  Con- 
finano Marco  Simone  e  Caputo  con  Forno  Casale,  Torre 
Rossa,  Castell'Arcione,  Monte  del  Sorbo  e  Pilorotto,  Ca- 
sanova ,  Casal  vecchio ,  col  territorio  e  colla  strada  di 
Mentana.  S.  Eusebio  e  Pedica  Croce  poi  col  Teverpne, 
Torre  Rossa,  Prato  lungo  e  Forno  Casale.  ^ -t 

Ne'  secoli  bassi  questa  tenuta  fu  nota  col  nome  di- 
castrum  ,  o  castellum  s.  Honesti ,  e  la  contrada  si  disse 
Volagai,  Bolagai,  Bolagari,  denominazione  certamente  an- 


305 
teriore  al  secolo  Xli.  come  sono  per  mostrare,  ma  d'in- 
certa etimologia.  L'archivio  di  s.  Maria  in  Via  Lata  è 
quello  che  fornisce  lumi  sopra  questa  contrada;  veggan- 
si  i  cod.  vat.  n.  8049,50.  Il  nome  posteriore  sorse  nel 
secolo  XVL  'f- 

Nel  registro  di  Cencio  Camerario  inserito  dal  Mu- 
ratori nel  tomo  V.  delle  Antiquitates  Medii  Aevi  si  leg- 
ge, come  Gregorio  giuniore  papa,  cioè  Gregorio  IL  die 
in  enfiteusi  ad  Anna  religiosa  ,  ed  a  due  altre  persone 
i  fondi  denominati  Argenti,  Verclanum,  Lugeranum,  Col- 
li vercorum,  e  Toleranum  per  due  soldi  di  oro,  ed  i  fon- 
di Tuci,  Trasis,  Sananum,  e  Possessianum  per  50  soldi 
bizantini  d'oro,  e  che  questi  fondi  erano  parte  del  cor- 
po della  Massa  Sabincnse,  e  stavano  sulla  via  tiburtina, 
circa  il  X  miglio,  più,  o  meno,  formando  parte  del  pa- 
trimonio tiburtino.  Tali  particolari  coincidono  bene  in 
parte  colla  tenuta  di  Marco  Simone,  in  parte  coi  fondi 
adiacenti,  e  forse  da  quella  epoca  deriva  il  dominio  che 
sopra  alcuni  di  essi  ebbero  prima  il  monastero  delle  mo- 
nache di  s.  Ciriaco,  e  poscia  il  capitolo  di  s.  Maria  in 
Via  Lata.  L'anno  1116  si  ricorda  il  nome  di  Volagai  in 
una  Carta  esistente  nell'archivio  del  monastero  sovrain- 
dicato,  nome  che  poscia  più  communemente  Bolagai,  e 
Bolagay,  ed  alle  volte  anche  Bolagari  s'incontra  in  mol- 
te altre  Carte  di  quello  stesso  archivio  fino  all'anno  1351, 
cioè  negli  anni  1168,  1179,  1191,  1201,  1204,  1209, 
1226,  1230,  1234,  1259,  1262,  1264,  e  1351. 

Ora  in  quelle  carte  si  fa  menzione  l'anno  1179,  e 
l'anno  1261  della  Fontana  Massaroli,  e  Massarole,  sor- 
gente, che  esiste  ancora  entro  la  tenuta  di  Marco  Simo- 
ne e  dà  nome  al  quarto  di  Fonte  Massarola;  come  pure 
in  quella  del  1262  di  una  terra  di  Capo  ad  Alto,  e  Ca- 
palto  è  il  nome  odierno  di  un  altro  quarto  della  stessa 
tenuta;  per  conseguenza  non  può  rimaner  dubbio    sulla 

20 


306 

ìdentilà  delia  contrada  di  Bolagai,  o  Yolagai  col  (ratto 
occupato  da  questo  lenimento  e  da  qualche  parte  di  quel- 
li attinenti.  La  sorgente  Massarola  formava  un  laghet- 
to, il  quale  d'uopo  è  riconoscere  per  quello  indicato  col 
nome  di  Massalori,  o  Massaia  uri  nella  bolla  di  Callisto 
II  dell'anno  1124,  presso  il  quale  era  una  chiesa  di  s. 
Onesto,  donde  trasse  nome  un  castello,  che  poscia  yì  fu 
costrutto.  Questo  castello ,  che  castrum  s.  Homsti  viene 
chiamato  nelle  carte  de'  tempi  bassi  passò  per  enfiteusi 
in  mano  de' Capocci ,  e  Giovanni  Capocci  nel  1287  no 
vendette  la  metà  a  Gentile  di  s.  Martino  a'Monti:  Cod. 
Vat.  n.  8048.  Nel  1310  Giovanni  cugino  del  preceden- 
te vendette  pel  prezzo  di  1500  fiorini  d'oro  la  sua  por- 
zione. Nel  1343  apparisce  da  un  atto  esistente  nell'ar- 
chivio di  s.  Angolo  in  Pescarla  e  nel  cod.  vat.  7934,  cho 
la  metà  di  esso  era  stata  data  dalle  monache  in  enfiteu- 
si ai  figli  ed  eredi  di  Annibale  di  Cave  ed  a  Stefania 
sua  consorte,  e  l'altra  metà  fu  allora  data  pure  in  en- 
fiteusi a  Celso  di  Processo  Capoccio  de'  Capoccini.  Gli 
eredi  di  Annibale  di  Cave  venderono  nel  1364  la  loro 
porzione  agli  Orsini ,  mentre  1'  altra  metà  fu  nel  1379 
confermata  in  enfiteusi  ai  Capocci:  Cod.  Vat.  7972.  Per 
successivi  acquisti  dell'anno  1422  e  1425,  come  si  trac 
da  Atti  esistenti  nell'archivio  Orsino,  lutto  intiero  que- 
sto castello  di  s.  Onesto,  ed  una  quarta  parte  delle  te- 
nute di  Capo  d'  alto  e  Capo  di  vecchio  divennero  pro- 
prietà degli  Orsini.  Nel  1452  ne  aveano  di  già  alienata 
una  metà,  mentre  l'altra  metà  del  diroccato  castello  era 
tuttora  in  loro  dominio:  Cod,  Val.  2553.  Ma  poco  dopo, 
nel  1457  era  passata  tutta  intiera  questa  tenuta  ai  mo- 
llaci di  s.  Paolo,  che  la  vendettero  allora  per  6500  fio- 
rini a  Siitione  de'  Tebaldi  dottore  in  medicina ,  vendita 
confermata  da  Callisto  III.  Gli  alti  si  leggono  nel  cod. 
\at,  n.  8029  e  nell'  Archivio   Capitol.  Cred.  XIV.  toro. 


307 

LI.  Non  è  improbabile  cbe  da  questo  Simone  avesse  ori- 
gine il  nome  attuale  della  tenuta,  vale  a  dire,  che  chia- 
mandosi egli  secondo  l'uso  di  que'tempi  come  Magister 
Artiurriy  Maestro  Simone,  il  volgo  ne  fece  la  tenuta  di 
Mastro  Simone:  e  siccome  in  que' dintorni  fece  acquisti 
r  anno  1327  un  Marco  Simone  si  confuse  il  nome  di 
questo  vicino  con  quello  del  fondo  in  questione,  e  que- 
sto nome  poscia  non  si  è  più  mutato.  Successivamente 
passò  in  potere  de'Gesi,  duchi  di  Acquasparta,  ed  i  lo- 
ro stemmi,  le  loro  memorie,  ed  il  nome  del  celebre  du- 
ca Federico  Cesi  rimangono  ancora  nel  casale,  il  quale 
fu  da  me  visitato  l'anno  1830.  Rimase  questa  famiglia 
in  possesso  di  questo  fondo  fino  all'  anno  1678 ,  in  che 
lo  vendette  ai  Borghese,  che  ne  sono  i  signori  attuali. 
Neil'  esaminare  questa  tenuta  in  varie  parti  1'  anno 
1830  vidi  giacente  per  terra  presso  il  fontanile  nel  quar- 
to denominato  il  Pisciarello  un  piedestallo  di  marmo  con 
iscrizione  mutila  in  parte  e  generalmente  corrosa ,  spe- 
cialmente nelle  prime  sei  linee,  la  quale  in  caratteri  o- 
blonghi,  che  aveano  il  tipo  del  primo  periodo  del  secolo 
HI.  dice  così: 


308 

SEr  .  Calpurnio  Domitio  •   '    '-  •  - 

DEXTRO  G  M  V 
cos  .  ORD  XV  VIR  SAc  .  Fac 
leg  .  PROV  ASIAE  cur  .  r  .  p.  •^-  .*       v? 

MINTVRNENSIVM 

ITEM  CALENORVM  CVR  .  V  .  AEM 
.      pr  .  aliMENTORVM  PRAET  TVTEL 
pontifici  CANDIDATO  -i  m 

tRIVM  VIRO  MONETALI 
cALPVRNIA  .  RVFRIA 
AEMTLIA  .  DOMITIA 
SEVERA  C    F  .  FILIA  - 

PATRI  .  PIISSIMO 
SECVNDVM  VOLVNTATE  EIVS 

Questa  medesima  lapide  fu  poi  publicata  insieme  colle 
altre  due  seguenti  ivi  posteriormente  trovate,  nel  bullet- 
tino  di  Corrispondenza  Archeologica  dell'  anno  1833  p. 
64  con  note  de'ch.  archeologi  O.  Kellermann  e  R.  Ror- 
ghesi;  e  meno  qualche  variante  insignificante  quella  co- 
pia è  concorde  con  questa  ad  eccezione  delle  lettere  C 
M,  iniziali  di  Clarae  memoriae,  cioè  viro  che  si  leggono 
dopo  il  cognome  DEXTRO,  e  che  nel  buUettino  ripor- 
tansi  CRI  quasi  iniziali  di  un  secondo  cognome  CRISPO, 
o  CRISPINO,  o  come  piace  al  Rorghesi  CRISPINIANO, 
o  CRITONIANO  ;  della  quinta  riga ,  che  io  lessi  MIN- 
TVRNENSIVM  ed  essi  MINTVRN  .  HISPEllatiVM;  e 
della  ottava,  nella  quale  chiara  mi  apparve  la  sillaba  CI 
ultima  della  parola  Pontifici,  ed  essi  credettero  leggervi 
QVAE STORI.  Ma  è  fuor  di  dubbio  che  importantissima 
è  questa  lapide,  come  quella,  che  determina  bene  il  pre- 
nome del  console  Destro  che  fu  SER  ,  cioè  Servio ,  e 
non  Caio,  come  ne'  Fasti  communemente  riportasi.  Giu- 
stamente poi  il  Rorghesi  in  quella  dottissima  illustrazio- 


309 
ne  notò  indubitati  essere  i  nomi  suppliti  di  Calpurnio 
Domizio,  appoggiandosi  ad  un  marmo  barberiniano,  ri- 
portato dal  Fabbretti ,  nel  quale  leggonsi  i  nomi  stessi 
delle  femmine  qui  ricordate,  alle  quali  CALPVRN  .  DO- 
MITIVS  .  DEXTER  .  COS  .  XV  .  VIR  .  SAC  .  FAC  .  pose 
un  monumento,  ed  ivi  il  nome  di  Severa  sua  figlia  vie- 
ne accompagnato  dalle  sigle  G  .  F  cioè  darà  [emina.  Or 
dunque  da  questa  lapide  apprendiamo,  che  Servio  Cal- 
purnio Domizio  Destro  (figlio  probabilmente  di  Caio  Do- 
mizio Destro,  che  fu  console  per  la  seconda  volta  l'an- 
no 196),  uomo  di  chiara  memoria  fu  console  ordinario 
(l'anno  225)  quindicemviro  per  le  cose  sacre,  legato  del- 
la provincia  dell'Asia,  curatore  della  republica  de'Min- 
turnesi,  de'  ....  ed  anche  de'Caleni,  curatore  della  via 
Emilia,  prefetto  degli  alimenti,  pretore  della  tutela,  pon- 
tefice candidato,  e  triumviro  monetale;  e  che  a  lui  que- 
sto monumento  forse  troppo  semplice  fu  eretto  da  Cal- 
purnia  Rufria  Emilia  Domizia  Severa  chiara  femmina 
sua  figlia.  Probabilmente  in  questo  luogo  era  una  terra 
del  defunto,  dove  secondo  il  costume  commune  fu  a  lui 
eretto  il  monumento. 

Le  altre  due  lapidi  dicono,  la  prima: 

SEX  .  PEDIO 

SEX  .  F  .  ARN 

HIRRVTO 

PRAET 

^  SEX  .  PEDIVS 

HIRRVTVS 

LVCILIVS  .  POLLIO 

FIL  .  PRAET 

cioè  a  Sesto  Pedio  figlio  di  Sesto,  della  tribù  Arniense, 
Hirruto ,  pretore ,  Sesto  Pedio  Hirruto  Lucilio  PoUionc 


310 


suo   figlio    pretore  pose.  La  seconda  è  ad  onore  del  fi- 
glio di  questo  ed  è  frammentata: 

SEX  .  PEDIO  .  SEX  .  F 

ARN  .  HIRRVTO 

LVCILIO  .  POLLION 

COS  .  PRAEF  .  AER  .  MILITAR 

II  Q  AVG  IVRIDIC  PICEN  ET 

VAL.  .  .  .  PR.  .  .  . 


A  Sesto  Pedio  figlio  di  Sesto  dell'Arniense  Hirruto  Lu- 
cilio Pollione  console  ,  prefetto  dell'  erario  militare  per 
la  seconda  volta,  questore,  augure,  iuridico  del  Piceno 
e  della  Valeria  ....  pr  ...  .  Sulla  interpretazione 
della  quinta  linea  il  Rorghese  emette  molti  dubbj:  l'an- 
no preciso  del  suo  consolato  è  incerto  :  il  titolo  di  iu- 
ridico del  Piceno  e  della  Valeria  lo  mostra  certamente 
non  anteriore  a  M.  Aurelio^  che  istituì  tale  officio.  Que- 
ste due  lapidi  conducono  a  credere ,  che  anche  i  Pedii 
avessero  in  queste  parti  un  fondo. 

S.  MARIA  DI  CELSANO  v.  CELSANO 

5.  MARIA  DEL  MONTE 

€astellum  Q.  ^Ingeli 

MONTE  S.  ANGELO. 

È  un  castello  diruto  de'tempi  bassi  posto  sopra  la 
punta  di  un  monte  da  che  trae  nome,  fra  Casape,  e  Po- 
li formando  con  queste  due  terre  un  triangolo  equilate- 
ro, di  circa  3  miglia  per  ogni  lato.  Vi  si  va  da  Tivoli 


311 

e  da  Poli.  Anilaudoyi  dalla  parte  di  Tivoli  la  strada  più 
coraraoda  è  quella  di  Cardano  passando  por  Gericomio, 
s.  Gregorio  e  Casape,  terre  descritte  negli  articoli  rispet- 
tivi e  da  questa  parte  è  distante  da  Tivoli  circa  12  mi- 
glia. L'altra  pure  da  Tivoli  è  quella,  che  passando  per 
la  valle  degli  Arci,  scavalca  il  dorso  del  monte  Allliano 
presso  s.  Maria  Nuova,  e  di  là  scende  a  s.  Gregorio  e 
risale  a  Casape;  questa  senza  essere  più  breve  è  molto 
più  scoscesa ,  essendo  nel  tratto  del  monte  Alfliano  un 
sentiero  faticoso  di  montagna.  Lo  stesso  può  dirsi  del- 
la strada  che  vi  conduce  da  Poli)  sia  che  si  devii  a  si- 
nistra della  strada  romana  presso  la  villa  Catena ,  sia 
che  vi  si  vada  da  Poli  direttamente. 

I  Andandovi  da  Casape  si  siegue  la  direzione  di  un 
sentiero,  che  uscendo  dal  villaggio  torce  a  destra;  i  ru- 
deri del  castello  veggonsi  torreggiare  da  lungi  sulla  ci- 
ma del  monte:  e  primieramente  si  sale  un  dorso,  e  quin- 
di scendesi  ad  una  piccola  conserva  antica)  si  risale  di 
nuovo,  onde  valicare  un  secondo  dorso,  e  quindi  si  scen- 
de :  sulla  punta  del  terzo  sono  le  rovine  del  villaggio. 
Le  prime  ad  incontrarsi  sono  quelle  di  una  chiesa  già 
dedicata  a  s.  Maria,  e  perciò  dicesi  questa  punta  s.  Ma- 
ria del  monte  :  annesso  a  questa  è  un  convento  ancor 
esso  cadente;  la  costruzione  di  questo,  come  pur  quel- 
la della  chiesa  è  del  secolo  XVII:  e  sono  fuor  del  vil- 
laggio, quantunque  siano  entro  un  recinto  difeso  da  tor- 
ri. La  chiesa  è  divisa  in  due  navi,  e  l'aitar  nàaggiore  é 
come  separato  dal  resto,  ed  é  coperto  da  una  cuppola* 

II  convento  poi  è  a  due  piani,  de'quali  il  superiore,  com- 
ponesi  di  un  corridore  con  celle.  Il  villaggio  abbandona- 
to e  diruto  ,  che  trovasi  dopo  il  convento  ha  la  pianta 
di  un  parallelepipedo ,  come  gli  altri  castelli  de'  tempi 
bassi,  e  sì  il  recinto,  che  le  case  sembrano  edificate  nel 
secolo  XII ,  o  XIII  ;  la  fortezza  occupava  il  lato  orieur 


312 

tale,  e  verso  l'angolo  occidentale  era  la  chiesa  dedicata 
a  s.  Michele  arcangelo,  ricordata  fin  dall'anno  978  nel- 
la bolla  di  Benedetto  A'^II.  edita  dal  Marini  ne'  Papiri 
Diplomatici  come  situata  entro  la  Massa  di  Camporazio 
sulla  cima  del  monte,  sotto  la  denominazione  di  chiesa 
di  s.  Angelo,  onde  GASTELLVM  S.  ANGELI  si  disse  il 
castello,  nome  che  communicò  ne'tempi  passati  al  mon- 
te stesso,  che  nelle  carte  de' secoli  decorsi  viene  appel- 
lato Monte  s.  Angelo  :  ecco ,  come  viene  in  quel  docu- 
mento indicata:  Fundus  seu  Massa  Caporacie  cimi  mons, 
ubi  est  in  cacumine  ecclesia  s.  Angeli,  qui  dicitur  Fadanu. 
Questo  segmento  ci  dà  nello  stesso  tempo  il  nomo,  che 
allora  portava  il  monte,  cioè  Paiano,  forse  corrotto  da 
Fabiano.  La  facciata  di  questa  chiesa  è  pure  rivolta  ad 
occidente  ;  nell'  interno  rimangono  vestigia  delle  pitture 
che  l'adornavano,  lavoro  del  secolo  XIIL 

Da  s.  Maria  del  Monte  volendo  andare  a  Poli ,  si 
scende  versa  oriente  ad  un  riganolo,  e  quindi  alla  Ma- 
donna soprannomata  del  Pisciarello  per  un  antro,  da  cui 
trapela  acqua,  che  ivi  ristagna.  Costeggiando  una  valle 
dominata  a  sinistra  da  un  colle  ,  e  quindi  da  rupi  che 
prenderebbonsi  facilmente  per  mura  formate  da  enormi 
poligoni,  si  sale  finalmente  alla  Terra  di  Poli^ 

Siccome  non  molto  lungi  da  questo  Castel  s.  An- 
gelo è  l'altro,  che  ne'tempi  bassi  portò  lo  stesso  nome^ 
che  oggi  appellavasi  Castel  Madama,  e  che  è  nello  stes- 
so distretto  di  Tivoli,  come  questo,  perciò  è  stato  so- 
vente dagli  scrittori  de'tempi  andati  confuso  uno  coU'al- 
tro.  L'unica  memoria  però  che  ci  sia  rinìasta  di  questo 
è  nell'archivio  sublacense  dalla  quale  apparisce,  che  l'an- 
no 1053  Emilia  abitante  e  contessa  di  Palestrina,  vedo- 
va di  Donadio,  e  figlia  di  Giovanni  e  di  Hitta,  pronipo- 
te del  celebre  Crescenzio  prefetto  di  Roma  fra  altri  fon- 
di donò  ancora  la  metà  di  questo  castello  ai  monaci  su- 


313 

blacensi.  L'abbandono  di  esso  non  è  certamente  anterio- 
re alla  guerra  del  1557.  detta  de'  Caraffeschi ,  come 
quello  della  chiesa  e  convento  debbesi  alle  vicende  del 
1799.  Ja>*.i= 

i     i  S.  MARINELLA -V\mCYM. 

Ultima  tenuta  dell'Agro  Romano  verso  il  territorio 
di  Civitavecchia,  pertinente  all'  ospedale  di  s.  Spirito  e 
confinante  col  territorio  suddetto  ,  e  colla  spiaggia  del 
mare.  Essa  comprende  circa  313  rubbia  divise  ne'quar- 
ti  denominati  Punton  del  Castrato ,  Pian  della  Vacche , 
e  s.  Maria  Morgana  e  Campo  Rosso.  La  ristrettezza  del 
rame  non  ha  permesso  che  potesse  includersi  nella  Map- 
pa, poiché  è  6  m.  più  oltre  di  s.  Severa. 

Nell'appressarsi  a  questo  casale  dal  canto  di  Roma 
d'uopo  è  riconoscere  che  la  sua  situazione  sopra  un  pic- 
ciolo promontorio  ,  che  domina  tutta  la  spiaggia  è  così 
ridente  ed  amena,  che  certamente  non  potè  rimanere  nei 
tempi  antichi  trascurata,  come  quella  che  d'altronde  tror 
vavasi  a  contatto  colla  via  aurelia  ,  e  gli  avanzi  di  un 
ponte  antico  di  essa  sul  rivo  detto  Gastrica  attirano  an- 
cora per  la  mole  de' massi  che  ne  compongono  l'arco  1' 
ammirazione  de'viaggiatori.  Sotto  il  promontorio  il  mare 
forma  una  picciola  baia  ,  che  sebbene  di  poco  fondo  è 
molto  utile  almeno  ai  battelli  in  una  spiaggia  cosi  pri- 
va di  ricovero  come  questa.  Neil'  Itinerario  marittimo , 
come  in  quello  della  via  aurelia,  che  va  sotto  il  nome 
d'Itinerario  di  Antonino,  dopo  Pyrgi  corrispondente  a  s. 
Severa  si  ha  Castronovo,  otto  miglia  distante,  verso  Cen- 
tumcellae,  o  Civitavecchia:  e  le  rovine  di  Castronovo, 
ricordato  da  altri  scrittori  antichi  furono  riconosciute 
per  le  scoperte  fatte ,  due  miglia  più  oltre  di  s.  Mari- 
nella presso  la  torre  della  Cbiaruccia.  Nella  Carta  Peu-^ 


314 

lingeriana  poi  fra  Pyrgi  e  Castronovo  si  pone  la  stazio- 
ne ad  Punicum  VI.  ra.  distante  da  Pyrgi  ;  quindi  mi 
sembra  con  molta  probabilità  riconoscere  in  s.  Marinel- 
la il  sito  di  quella  stazione  ,  poiché  coincide  la  distan- 
za di  Pyrgi,  e  la  località  vi  si  accorda.  E  tale  denomi- 
nazione avrà  tratto  origine,  come  pure  oggi  accade  ne' 
nomi  delle  stazioni  postali ,  o  dalla  circostanza  di  un 
qualche  albero  di  melogranato,  o  da  qualche  insegna,  che 
questo  albero  medesimo  portasse.  Non  cosi  corretto  poi 
nella  Carta  Peutingeriana  é  il  numero  della  stazione  se- 
guente di  Gastronovo,  la  quale  stando  di  fatto  due  mi- 
glia di  là  da  s.  Marinella  fa  correggere  necessariamen- 
te il  numero  Villi  in  II  quello  delle  miglia,  che  dopo 
Punicum  accompagna  Castronovo. 

MARINO  -  CASTRIMOENI VM. 

Plinio  Irb.  III.  e.  V.  §.  IX.  nomina  fralle  colonie 
nel  Lazio  esistenti  a'  suoi  giorni  i  Gastrimonienses  ,  co- 
Ionia  che  direbbesi  derivata  dai  Moenienses,  o  Munien- 
ses  primitivi,  che  poco  dopo  enumera  frai  53  popoli  del 
Lazio,  che  perirono  senza  lasciar  vestigia:  interiere  sine 
vestigiis.  L'autore  del  trattato  de  Coloniis  attribuito  a  Fron- 
tino mostra  che  era  un  oppidum  ,  che  per  la  legge  di 
Siila  fu  munito,  il  cui  territorio  prima  era  stato  tenuto 
per  occupazione ,  e  poscia  fu  da  Nerone  assegnato  ai 
tribuni,  ed  ai  soldati:  Castrimonium  oppidum  lego  sullana 
est  munitum:  iter  popolo  non  debetur:  ager  eius  ex  occupa- 
tione  tenehatur  :  postea  Nero  Caesar  tribunis  et  militibus 
eum  assignavit:  non  può  pertanto  porsi'  in  dubbio  la  esi- 
stenza di  un  luogo  di  questo  nome,  il  quale  d'altronde 
è  ricordato  ancora  in  molte  lapidi,  che  ne  determinano 
la  ortografia  vera  in  Castri-moeniam,  come  in  Castri-moe- 
nienses,  quella  del  popolo.  E  dal  passo  sovraindicato  ap- 


315 
parisce,  che  fu  munito  per  la  legge  sillana,  siccome  dal- 
le iscrizioni  riportate  dal  Grutero  pag.  CCCXCVII.  n.  3 
e  dal  Fabretti  p.  688  risulta,  che  avea  il  suo  principe, 
i  suoi  patroni,  e  decurioni  come  altre  colonie  e  munìci- 
pj,  e  che  fioriva  ancora  sotto  Antonino  Pio. 

Queste  lapidi  furono  rinvenute  tutte  presso  Marino, 
e  per  conseguenza  ivi  quella  colonia  dee  collocarsi,  tan- 
to più  che  il  sito  di  Marino  pel  suo  isolamento  si  an- 
nunzia per  quello  di  una  città  antica.  Si  esclude  pertan- 
to la  opinione  del  Volpi,  che  supponeva  Castromoenium 
essere  il  campo  di  pretoriani  stabilito  nel  sito  dell'odier- 
no Albano.  Quando  però  dopo  Antonino  si  estinguesse 
questa  colonia  è  incerto ,  come  incerta  pure  ò  la  epoca 
in  che  per  la  prima  volta  il  nome  di  Marino  si  desse 
al  luogo  della  città  odierna;  vero  e  che  Anastasio  nel- 
la vita  di  Silvestro  I.  parlando  della  chiesa  o  basìlica  di 
s.  Giovanni  Battista  edificata  da  Costantino  in  Albano  , 
frai  doni,  che  le  assegnò,  vi  fu  quello  di  una  possessio 
Marinas,  che  rendeva  50  soldi;  ma  quel  nome  non  è  si- 
curo, poiché  in  altri  testi  diversamente  si  legge,  Mari- 
tanas,  Marianam,  e  Mariana.  Da  molte  carte  de'  tempi 
bassi  riportate  dagli  annalisti  camaldolesi,  e  da  altre  esi- 
stenti negli  archivii  privati,  sembra  potersi  stabilire,  che 
ne'secoli  X  ed  XI.  tutta  la  falda  settentrionale  del  mon- 
te fra  le  vie  appia  e  latina  si  dicesse  Moreni,  e  questo 
nome  io  credo  aver  data  origine  a  quello  che  ebbe  la 
Terra,  che  poscia  formossi  sul  sito  dell'antico  Castrimoe- 
nium,  il  quale  dapprima  Moreni,  poi  Mareno  ed  in  fine 
Marino,  e  Marini  si  disse. 

E  questa  terra  per  quanto  io  conosco  non  si  formò 
prima  del  secolo  XIII.  e  forse  fu  tutta  opera  degli  Or- 
sini ,  che  in  quel  secolo  cominciarono  ad  emergere.  La 
prima  memoria,  che  ne  ho  incontrato  è  nel  supplemento 
alla  storia  di  Federico  II.  di  Niccolò  de  lamsilla  ripor- 


316 

tata  dal  Muratori  Rerum  Ital.  Script.  T.  Vili.  col.  613. 
Ivi  si  narra  come  l'anno  1265  vi  si  ritirò  Rainaldo  Or- 
sini, e  vi  si  difese  eontra  Enrico  senatore  di  Roma.  Era 
dunque  a  quella  epoca  di  già  un  castello  ,  ed  apparte- 
neva agli  Orsini,  che  lo  ritennero  fino  al  secolo  XV.  Fer- 
reto  Vicentino  scrittore  contemporaneo  riportato  dal  me- 
desimo Muratori  T.  IX.  e.  1002  narra,  che  nel  1302  ivi 
stava  Sciarra  Colonna,  allorché  Filippo  il  Bello  aprì  con 
lui  trattative  eontra  papa  Bonifacio  Vili.  Durante  il  reg-* 
gimento  di  Cola  di  Rienzi  questa  Terra  degli  Orsini  at- 
trasse a  se  l'occhio  di  quel  tribuno,  e  nel  1347  Giorda- 
no Orsini  da  lui  bandito  da  Roma  ivi  andò  a  ritirarsi, 
e  raccolta  molta  gente  uscì  irt  campagna  :  e  dopo  aver 
messo  a  ferro  e  a  fuoco  i  dintorni  di  Roma  di  nuova 
si  ritirò  in  quella  Terra  di  suo  dominio.  Sembra  ,  che 
questo  Giordano  grandi  servigi  recasse  all'antipapa  Cle- 
mente VII.  poiché  questi  diresse  ai  2  di  dicembre  1378 
un  breve  in  suo  favore,  come  signore  di  Marino,  in- 
vestendolo del  dominio  di  Nemi,  Genoano  ed  altre  ter- 
re. In  quell'anno  medesimo  Marino  era  stato  assalito  dai 
Romani ,  i  quali  conchiusero  con  Giordano  un  accordo. 
Veggansi  per  questi  fatti  relativi  a  Giordano  il  Chron. 
Estense  presso  il  Muratori  Op.  cit.  T.  XV.  p.  443.  il 
Ratti  nella  Storia  di  Genzano  n.  V.  de'documenti,  e  l'In- 
fessura  presso  il  Muratori  Op.  cit.  T.  III.  P.  II.  col. 
1115. 

Nel  secolo  seguente  durante  il  pontificato  di  Marti- 
no V.  Marino  divenne  proprietà  de'Colonna,  ed  ivi  quel 
papa  trovavasi  l'anno  1424,  quando  secondo  l'Infessura 
sovrallodato ,  venne  a  morte  Giordano  Colonna  suo  fra- 
tello. E  nota  la  guerra ,  che  dopo  la  morte  di  Martino 
V.  insorse  frai  Colonnesi,  e  papa  Eugenio  IV.  suo  suc- 
cessore. Questi  ai  18  dicembre  1431  fulminò  una  bolla 
contro  Prospero  Colonna  cardinale,  e  frai  motivi  si  alle-r 


317 
ga  quello  che  in  luogo  di  fare  restituire  alla  Chiesa  i 
castelli ,  e  le  fortezze  occupate  dalle  genti  di  Antonio 
Colonna ,  al  contrario  le  avea  animate  co'  suoi  scritti  a 
non  renderle,  ed  avea  disposto  a  danno  di  Roma  il  ca- 
stello di  Marino  a  lui  lasciato  in  testamento  da  papa 
Martino.  Voggasi  la  vita  anonima  di  Eugenio  IV.  ripor- 
tata dal  Baluzi  nella  Miscellanea  p.  331.  Pertanto  l'anno 
1436  fu  Marino  assalito,  preso,  e  disfatto  dall'arcivesco- 
vo di  Pisa  Giuliano  Ricci  legato  di  Eugenio,  siccome  si 
ha  nel  Diario  riportato  dal  Muratori  T.  XXIV.  p.  1114. 
Ritornò  dopo  in  potere  de'Colonna,  che  lo  riedificarono 
e  visi  fortificarono  nella  guerra  insorta  sotto  Sisto  lY, 
G  nel  1482  i  Marinesi  fecero  una  scorreria  fin  dentro 
Roma  ai  30  di  maggio,  portando  via  un  tal  Pietro  Sa- 
vo  Macellaio,  come  narra  il  Nantiporto  presso  il  Mura- 
tori T.  III.  P.  II.  p.  1071.  Nello  stesso  anno  ai  5  di 
giugno  entrovvi  il  duca  di  Calabria  e  vi  alloggiò  ;  ma 
pochi  mesi  dopo  ai  24  di  agosto  questa  Terra  fu  forza- 
ta ad  arrendersi  alle  genti  del  papa.  Veggasi  il  Nanti- 
porto sovrallodato.  Nell'accordo  poco  dopo  seguito  l'an- 
no 1483  fu  restituito  ai  Colonnesi;  ma  l'anno  seguente 
ai  26  di  giugno  fu  preso  ad  istigazione  di  Luca  Anto- 
nio da  s.  Gemini ,  dal  contestabile  delle  truppe  papali 
Andrea  da  Norcia,  meno  la  rocca  che  continuò  a  difen- 
dersi; veggansi  il  Nantiporto  e  l'Infessura  presso  il  Mu- 
ratori. Tornò  dopo  in  potere  de'Colonna,  i  quali  tuttora 
Io  ritengono.        1     •  ■>•     r        > 

Marino  è  una  città  di  4442  abitanti ,  circa  12  m. 
distante  da  Roma,  alla  quale  si  va  per  una  strada,  che 
diverge  a  sinistra  da  quella  consolare  di  Napoli  circa  10 
m.  fuori  della  porta  s,  Giovanni,  e  dopo  aver  traversa- 
to i  campi  per  2  m.  comincia  a  salire  la  falda  dipenden- 
te dalla  cresta  di  Alba  longa,  sopra  il  cui  ripiano  è  si- 
tuata questa  città  che  gode  aria  purissima,  ed  un'ampia 


318 

veduta  della  campagna  romana.  La  sua  longitudine  fu 
nell'anno  1824  determinata  dagli  astronomi  Conti  e  Ric- 
chcbach  a  gradi  30,  18',  59',  2:  e  la  latitudine  a  41", 
46',  10%  2,  e  la  sua  altezza  dal  livello  del  mare  ,  mi- 
surata alla  sommità  della  facciata  del  duomo  è  di  1210 
piedi  e  3  poli.  La  città  è  ben  fabbricata;  la  strada  del 
Corso,  che  la  traversa  nella  lunghezza,  la  piazza,  ed  il 
Duomo  sono  degni  di  particolare  menzione.  La  vecchia 
Terra  degli  Orsini  e  de'Colonnesi  conserva  gli  avanzi  del 
suo  recinto,  e  qualche  torre  rotonda  del  secolo  XV,  sul- 
la quale  ancora  sono  gli  stemmi  de'Colonnesi  che  le  in- 
nalzarono. Nel  Duomo,  che  è  dedicato  all'apostolo  s.  Bar- 
naba ,  il  quadro  dell'  altare  maggiore  rappresentante  il 
santo  titolare  è  di  scuola  guercinesca,  distinguendosi  spe- 
cialmente per  la  forza  del  colorito  e  del  chiaroscuro  : 
sull'altare  della  crociata  poi  a  mano  sinistra  di  chi  en- 
tra è  un  quadro  del  Guercino  stesso  rappresentante  s. 
Bartolommeo}  pittura  di  gran  merito  originale,  e  di  gran 
pastosità  specialmente  nella  figura  del  santo  ,  ma  molto 
ritoccata  e  guasta  dai  ristauri  moderni.  Un  altro  quadro 
pregevolissimo  è  nella  chiesa  della  Trinità  a  sinistra  del- 
la strada  del  Corso,  il  quale  rappresenta  la  Triade  san- 
tissima: il  Padre  Eterno  tiene  sulle  sue  ginocchia  il  Fi- 
glio immolato  e  nel  petto  lo  Spirito  fiammeggiante:  que- 
sto è  opera  di  Guido  Reni:  bello  è  il  disegno,  ma  la  com- 
posizione è  fredda,  e  la  espressione  ed  il  carattere  del- 
le figure  è  troppo  triviale  e  basso  per  la  subblimità  del 
soggetto. 

Marino  ha  molto  perduto  dopo  che  papa  Pio  VI  , 
disseccando  le  paludi  pontine  ,  riaprì  la  via  appia  per 
andare  a  Napoli;  imperciocché  antecedentemente  per  que- 
sta città  passava  la  strada  postale  diriggendosi  a  Velie- 
tri,  e  di  là  a  Terracina  girando  intorno  alle  pendici  de' 
monti  lepini. 


319 
A  pie  di  Marino  verso  oriente  fra  questa  città  ed 
Albalonga  s'inforca  una  convalle  solinga,  ombreggiata  da 
un  bosco,  che  chiamano  il  Parco  di  Colonna,  luogo  ce- 
lebre nella  storia  latina,  come  quello,  che  era  destinato 
a  tenere  le  assemblee  nazionali  durante  la  indipendenza 
del  Lazio  negli  affari  più  importanti  della  confederazio- 
ne ,  e  del  quale  col  nome  di  Ferentinum ,  Lucus  Feren- 
tinae,  Caput  Aquae  Ferentinae  fanno  menzione  Dionisio  e 
Livio.  Il  primo  di  questi  Scrittori  lib.  IIL  e.  XX,  mo- 
stra ,  come  avendo  Tulio  Ostilio  dopo  la  distruzione  di 
Alba  messo  fuori  la  pretensione  di  essere  succeduto  an- 
cora nella  primazia,  che  questa  esercitava  sulle  altre  ter- 
re latine ,  queste  convocarono  la  dieta  nazionale  ev  $s- 
^éVTtvw,  in  Ferentino,  decretarono  di  non  sottomettersi, 
ed  elessero  per  duci  colla  facoltà  della  pace  e  della  guer- 
ra Anco  Publicio  Corano,  e  Spurio  Vecilio  Laviniate.  Di 
nuovo  ivi  si  radunarono ,  secondo  lo  stesso  storico  lib. 
IIL  e.  LI,  a'  tempi  di  Tarquinio  Prisco,  onde  porre  ar- 
gine alle  conquiste  di  qael  re.  Quello  stesso  storico  lib. 
IV.  e.  XLV,  narra  a  lungo  la  dieta  ivi  tenuta  a'  tempi 
di  Tarquinio  il  Superbo,  ed  i  fatti,  che  l'accompagnaro- 
no, seguiti  dalla  morte  ivi  data  a  Turno  Erdonio  depu- 
tato aricino,  per  i  maneggi  infami  del  re  di  Roma.  Do- 
po la  espulsione  de're  vi  tennero  generale  adunanza  i  La- 
tini l'anno  254  di  Roma,  nella  quale  si  decise  di  muo- 
ver guerra  ai  Romani ,  onde  rimettere  i  Tarquinii  sul 
trono  :  Dionisio  1.  V.  e.  L  :  e  di  nuovo  due  anni  dopo 
nell'assedio  di  Fidene:  ivi  e.  LII,  e  finalmente  l'anno  258, 
poco  prima  della  battaglia  al  lago  Regillo  :  Dionisio  e. 
LXI.  Livio  ricordando  gli  stessi  fatti ,  cioè  la  morte  di 
Turno  Erdonio  lib.  I.  e.  L.  e  seg.  e  la  lega  latina  per 
ristabilire  i  Tarquinii  lib.  IL  e.  XXXVIII  chiama  il  luo- 
go dell'adunanza  Lucus  Ferentinae,  e  Caput  Aquae  Feren- 
tinae quello  del  supplizio  di  Turno  ,  e  di  nuovo   Caput 


%■: 


320 

Fermtinum  quello  dell'adunanza.  Egli  stesso  poi  rammen- 
ta ,  come  r  anno  402  di  Roma  ,  cioè  poco  prima  della 
ultima  lega  latina  vi  tennero  la  ultima  dieta. 
'■■  Da  tutti  questi  passi  insieme  uniti  apparisce,  che 
tali  diete  si  tennero  successivamente  dalla  distruzione 
di  Alba  fino  alla  ultima  lega  latina,  cioè  durante  tutto 
il  tempo  della  indipendenza  de'  Latini  da  Roma:  che  si 
tenevano  in  un  bosco  sacro  ad  una  dea  indigena,  det- 
ta Ferentina,  la  quale  probabilmente  è  identica  colla  Fe- 
ronia  de'  Sabini,  degli  Etrusci,  e  de'  Volsci,  che  questo 
luco  o  bosco  sacro  conteneva  una  sorgente,  caput  aquae, 
nel  quale  fu  gittato  ed  annegato,  {orate  superne  iniecta 
saxisque  congestis)  il  misero  Turno  Erdonio  vittima  del- 
le trame  di  Tarquinio:  d'altronde  è  noto,  che  questo  era 
sotto  il  monte  Albano.  Queste  circostanze  riunisconsi  nel 
bosco  sovraindicato,  sotto  Marino,  che  è  un  luogo  de'più 
interessanti,  e  de'  più  pittoreschi  de'  contorni  di  Roma, 
dove  nel  parco  Colonna  circa  I  miglio  entro  la  conval- 
Ic  si  vede  ancora  il  Caput  Aquae,  che  non  presentan- 
do una  profondità  sufficiente  per  annegare  forzò  a  git- 
tare  sopra  Turno  un  graticcio  e  sassi  per  farlo  morire. 

MARIO  MONTE  v.  MONTE  MARIO,    r 

MARMORELLA 

Tenimento  dell'  Agro  Romano  distante  da  Roma 
circa  15  miglia,  e  situato  a  sinistra  della  via  labicana, 
oggi  strada  della  Colonna.  Confina  co'territorii  di  Mon- 
te Compatri,  e  della  Colonna,  e  comprende  rubbia  107 
e  mezzo.  Appartiene  ai  Pallavicini,  e  perciò  suole  anche 
chiamarsi  la  Pallavicina.  Si  divide  ne'quarti  di  Valle  Pi- 
gnola, Valle  Canestra,  e  le  Pantanelle  :  e  quest'ultimo 
viene  così  denominato  dall' impantanare,  che  ivi  facevano 


32il 
le  acque  prima  di  essere  allacciate  nell'acquedotto  Feli- 
ce. Il  casale  è  situato  in  un  ripiano  ameno,  dal  quale 
ai  gode  una  veduta  vastissima.  Nell'anno  1833  percor- 
si questo  fondo  nel  perlustrare  il  tratto  fra  la  via  pre- 
nestina  a  Cavamonte  e  la  labicana  alla  Colonna,  e  npa 
vi  rinvenni  oggetto  degno  di  particolare  menzione.,  jji'),; 
'  Mrj  bfi  (iìoiyyyìt)  imÀu-xu)  ilnoo'oh  f:ì!->';ni  c-soqo  «Hoii 
OS  omAsiA'lkMARRANÀ  v.  CRABRA.  .li  .ìi.? 

-lir.roiO  n 'Oii-hivyf  MARTJGNANO.  <i  ib  r.:'OiS'jv  fixnfiJà 
Tjq  ftiunovriq   ifjl  b  Aìib&io  fi!  inn^nnoVl   onsìsJS  è  in 

nn-hBb  rn      ,<  ;  ..  ^^ -/iJ  ,^?i:Tnqr:iin>.  191» 

Tenuta  dell'  Agro  Romano  che  è  situata  a  destra 
della  via  Claudia ,  o  strada  di  Bracciano ,  ed  a  sinistra 
della  cassia,  alla  quale  si  trova  più  vicina,  presso  Bac- 
cano ,  20  m.  circa  lontano  da  Roma ,  la  quale  ha  dato 
nome  al  lago  adiacente  detto  dagli  antichi  Alsietinus,  del 
quale  parlossi  nell'articolo  proprio:  ALSBETINVS  LACVS. 
Appartiene  al  Collegio  Crivelli.  Confina  col  lago  sovrain- 
dicato ,  e  con  quello  di  Stracciacappa ,  col  territorio  di 
Campagnano,  e  colla  tenuta  di  Polline.  E  comprende  cir- 
ca 108  rubbia  di  terra  divise  in  tre  parti. 

Il  nome  naturalmente  deriva  da  quello  del  suo  pos- 
sessore originale  Martino,  e  la  prima  volta  apparisce  l'an- 
no 910,  quando  Sergio  III  con  una  bolla  riportata  dall' 
Ughelli  T.  I.  p.  91.  lo  concesse  al  vescovo  di  Selva  Can- 
dida, che  era  allora  un  Ildebrando.  A  quella  epoca,  in- 
sieme co'fondi  Furctdae,  e  Tondilianum  costituiva  la  Mas- 
sa Caesarea.  A  quella  chiesa  fu  confermato  da  Giovan- 
ni XIX  nel  1026  e  da  Benedetto  IX  nel  1033,  siccome 
si  trae  dalle  bolle  riportate  dallo  scrittore  sovraindicato. 
Divenne  poscia  in  parte  proprietà  della  famiglia  de'Nor- 

21 


322 

mannì,  in  parte  de  Curtabraca,  e  circa  il  principio  del 
secolo  XIII.  era  sorto  ivi  un  castrum  dello  stesso  no- 
me, anche  esso  diviso  fralle  due  famiglie  sovraindicate. 
Il  Galletti  nella  dissertazione  sopra  Gabio  p.  142  mostra 
con  documenti  autentici,  come  nel  1258  i  Curtabraca  pos- 
sedevano una  parte  di  quel  castello  :  e  dall'  altro  canto 
nella  opera  inedita  de' conti  tusculani  esistente  nel  cod. 
"vat.  n.  8043  riporta  un  Atto  esistente  nell'Archivio  se- 
greto capitolino  T.  LXIII.  dal  quale  ricavasi,  come  Co- 
stanza vedova  di  Pandolfo  Normanni  vendette  a  Giovan- 
ni e  Stefano  Normanni  la  eredità  a  lei  pervenuta  per 
la  morte  de' figli  della  porzione,  che  aveano  in  Cere,  Ca- 
stel Campanile,  Civitella,  e  Martignano,  che  ivi  designa 
col  nome  di  castrum  Martingiant.  Nel  secolo  XV,  comin- 
ciossi  ad  abbandonare  il  castello ,  che  oggi  è  ridotto  a 
semplice  casale.  ■■■" 

■  J-iCf    l'i'"'    f: '/'■';    ♦■'    '^l?-?J'>    /'■*.i*';    •fi!'- 

t;b  rAi  "■    MASSA  e  FONTE  DI  PAPA.    '  ^''  • 

Sul  nome  Massa  commune  a  questa  e  ad  altre  te- 
nute e  luoghi,  non  solo  dell'  Agro  Romano,  ma  ancora 
di  altre  parti  d'Italia,  veggasi  il  discorso  preliminare, 
dove  fu  notato ,  che  per  masse  intendevansi  le  rendite 
di  fondi  insieme  riuniti,  e  che  questa  definizione  si  die- 
de dal  Borghini  nello  scritto  sui  vescovati  fiorentini,  al- 
lorché disse,  che:  navea  ancora  la  chiesa  di  $.  Pietro  di 
Roma  assai  buone  e  ricche  pezze  ,  e  come  le  chiamavano 
masse.  Questo  nome  rimase  ad  una  tenuta  di  circa  518 
rabbia  fuori  della  porta  salaria  intersecata  dalla  strada 
moderna  di  Rieti  e  posta  sul  limite  dell'Agro  Romano 
verso  settentrione,  circa  13  m.  lontano  da  Roma,  con- 
finante col  Tevere,  co' territorii  di  Monte  Rotondo  e  Men- 
tana, e  colle  tenute  di  Marcigliana  e  s.  Colomba.  Essa 
appartiene  ai  Ruspoli.  Si  divide   ne'  quarti  detti  Mezzo 


323 
de' Monti,  Capo  de' Piani,  Pantanelio,  Osteria,  Barca,  s. 
Filippo,  e  Pie  de' Piani.  Un  rigagnolo,  che  io  solca,  da 
alcuni  fu  creduto  l'AUia,  perchè  influisce  nel  Tevere  cir- 
ca 11  miglia  fuori  della  porta  salaria,  distanza  che  coin- 
cide presso  a  poco  con  quella  indicata  da  Livio ,  come 
punto  dello  scontro  fra  l'esercito  romano,  ed  i  Galli;  ma 
oltre  che  questo  fosso,  piuttosto  che  fiume,  è  quasi  in- 
significante, e  l'Allia  era  un  flumen,  che  scendeva  entro 
un  letto  profondo,  j9raeaZ/o  defluens  alveo  dai  monti  cru- 
stumini,  Crustuminis  montibus,  il  che  poco  si  accorda  coi 
rigagnolo  di  Fonte  di  Papa,  il  sito  manca  ad  un  nume" 
ro  cosi  considerabile  di  gente  come  fu  quello  che  com- 
battè in  quella  giornata,  e  d'altronde  non  può  facilmen- 
te accommodarsi  la  descrizione  di  Livio  collo  stato  fisi- 
co de'luoghi.  Veggasi  ciò  che  fu  notato  all'articolo  ALLIA. 

MASSA  QALLESINA. 

v.jcjM  ir.  ùivùì-nìH']?,  'làovìU  .nìnnm<m9h.i<fm  *>ìui  :  . 

È  una  tenuta  fuori  delle  porte  s.  Pancrazio  e  Ca- 
valleggieri  a  sinistra  della  via  aurelia ,  la  quale  appar- 
tiene a  s.  Rocco  ed  al  principe  Massimi,  e  va  unita  col- 
l'altro  fondo  detto  Pedica  Maglianella.  Comprende  rub- 
bia  147,  e  confina  colle  tenute  di  Pedica  Maglianella  s. 
Ambrogio,  Fontignano,  Casal  della  Morte,  Massimilla,  Ca- 
stel di  Guido,  Selce,  e  Maglianella.  È  divisa  ne'  quarti 
di  Pedica  Maglianella,  Casale,  Ara,  e  Monte  rotondo.  Il 
nome  suo  attuale  è  di  origine  incerta;  ma  forse  una  par- 
te di  essa,  se  non  tutta,  fu  compresa  ne'fondi  denomi- 
nati nel  secolo  Vili  Gratiniano,  Rosario,  Canneolo,  e  Ca- 
sale Milliarolo,  esistenti  secondo  Cencio  Camerario  pres- 
so la  via  aurelia  5  m.  distante  da  Roma,  circostanza  che 
col  sito  della  tenuta  di  Massa  Gallesina  si  accorda. 


324 

MASCHIETTO  v.  PISANA  e  BRAVA 

>,\}   ,(;'>'"■'    •  — 

li»  3     MASSIMA  ossia  ACQUASORGENTE. 

••nxo z»  '.•        .  ;; 

:'  Tenàta' dell' Agro  Romano  posta  circa  5  m.  fuori 
di  porta  s.  Paolo  sulla  strada  moderna  di  Ardea,  la  qua- 
le trasse  nome  dal  monastero  di  s.  Ambrogio  della  Mas^: 
sima,  a  cui  appartiene,  e  che  comprende  circa  54  rub-^ 
bia,  confinanti  colle  tenute  dplla  Cecchignola,  Tor  Pagnotta, 
Tre  Fontane,  Gasa  Ferratella,  ed  Acquacetosa.  Essa  avea 
il  nome  di  Maxima  fin  dall'anno  1349,  siccome  appari-, 
sce  da  una  Carta  riportata  dal  Nerini.  Quanto  a  quello 
di  Acquasorgente ,  deriva  questo  da  ijna  sorgente  iri 
esìstente,  •  Mo'j  cr/i!  ih  ruiuiM-j  (v;(:  ni  ifc-i/.uc^jnin.;:  ;;;  ■ 
.ivàviJii  <>UK)i.»'r  'il  .ìihfìi^t'ui)  '.'■■ 

MASSIMILLA, 
Kf-V  ■  '''y'ìV. 

Tenuta  cosi  denominata,  perchè  appartiene  ai  Mas^ 
simi  alle  Colonne,  e  posta  6  m.  circa  fuori  di  porta  Ca- 
valleggicri  a  sinistra  della  strada  di  Civitavecchia,  ossia 
della  via  aurelia,  la  quale  comprende  rubbia  87  e  con-r 
fina  colle  tenute  di  Pedica  Maglianella,  Fontignano,  Ca-; 
stel  di  Guido,  e  colla  strada  consolare.  ^ 

ihu^'i  .V.' 

i!ifiu{)  'on  '•iuih  :      5.  MATTEO.  ^^:'1^Ì  .obiih    -i. 

'  Fondo  posto  sull'ultimo  limite  dell'Agro  Romano, 
confinante  col  territorio  di  Frascati  e  pertinente  ai  Ga'« 
votti,  il  quale  comprende  52  rubbia  e  mezzo. 

;-,'iq  Olili  «;;;;ì  li. .   o:uìì..J   u:ì..^v..,  .  J,.i^ ...:.  ^  ,!. 
:t--i    /;SHtókO0*Ì:»  ,fì/nO;ì.    sù     r;;!:   "ii   -iti  V  {\V"j . 

sArio:)Ofi  li'  it'.U.'ìin^^  i"-  ' 't   ih  ■ii.i'ìvì'!  (.l'i' 


325 
MAZZAUJPETTO  v.  MOI^TE  ARSICCIO, 

MAZZALUPO.  > 

Tenuta  che  comprende  rubbia  74  j  posta  fuori  di 
porta  Angelica  5  m.  circa  lontano  da  Roma  e  pertinen- 
te al  Capitolo  vaticano.  Essa  confina  con  quelle  di  Lu- 
china,  Porcareccio,  e  s.  Nicola- 

MEDVLLIA. 

Dopo  il  ratto  delle  Sabine,  Romulo  diresse  le  sue 
genti  contro  quelle  città  circonvicine,  che  le  prime  pre- 
sero le  armi  per  vendicare  l'affronto  ricevuto,  come  An- 
temne,  Cenina,  e  Crustumerio,  e  vi  dedusse  colonie  ro- 
mane. Medullia^  che  ogni  ragion  porta  a  credere,  che 
fosse  nella  stessa  direzione,  cioè  verso  il  confine  sabino, 
già  colonia  fondata  da  Latino  Silvio  terzo  re  di  Alba , 
apri  volontariamente  le  porte,  ricevette  anche  essa  una 
colonia  romana ,  e  tale  fu  la  fiducia  ispirata  dal  re  di 
Roma,  che  Ostilio  uomo  nobile^  e  per  ricchezze  poten- 
te, trasmigrò  in  Roma  e  sposò  Ersilia,  quella  stessa,  che 
insinuò  alle  Sabine  di  farsi  mediatrici  frai  Romani  ed  i 
Sabini  loro  parenti.  Venuta  la  guerra  sabina  contra  Ro- 
ma, Ostilio  cadde  nella  pugna  data  a  pie  del  Palatino, 
ed  ottenne  l'onore  di  un  sepolcro  nel  luogo  più  cospicuo 
del  Foro  con  una  colonna  che  ricordava  il  suo  valore. 
Questi  lasciò  morendo  un  figlio,  che  poi  fu  padre  di  Tul- 
io Ostilio  terzo  re  di  Roma. 

Tali  notizie  si  debbono  a  Dionisio  lib.  II.  e.  XXXVI. 
lib.  III.  e.  I.  e  servono  a  farci  conoscere  l'  antichità,  i 
primi  fasti,  e  la  situazione  approssimativa  di  questa  cit- 
tà, che  alcuni  hanno  voluto  trasportare  nelle  campagne 
del  Lazio  marittimo.  Nel  regno  di  Numa  Medullia  non 


326 

ebbe  occasione  di  muoversi  ;  ma  in  quello  appunto  dì 
Tulio  Ostilio ,  che  ne  era  oriundo ,  dopo  la  distruzione 
di  Alba  riguardata  dai  Latini  come  loro  metropoli,  que- 
sta città  voleva  entrar  nella  lega  latina  stretta  per  non 
riconoscere  il  dominio  di  Roma.  Tulio  però  si  rivolse  a 
bloccarla  e  pervenne  a  persuadere  gli  abitanti  a  non  far 
novità.  Dionisio  lib.  III.  e.  XXXIV.  Ma  la  guerra  scop- 
piò più  forte  sotto  il  successore,  Anco  Marzio,  il  quale 
dopo  la  presa  di  Tellene,  Ficana,  e  Politorio,  e  la  di- 
struzione totale,  di  questa  ultima  città  incalzò  i  Latini 
fin  sotto  MeduUia,  li  mise  in  piena  rotta  per  testimonian- 
za di  Livio  Ub.  I.  cap.  XXXIII,  e  posto  1'  assedio  alla 
città,  che  tre  anni  innanzi  era  stata  occupata  dai  Lati- 
ni nel  quarto  anno  se  ne  impadronì  per  assalto.  Dioni- 
sio lib.  III.  cap.  XXXVIII.  Riaccesasi  la  guerra  sotto 
Tarquinio  Prisco  frai  Romani  e  i  Sabini,  questi  tiraro- 
no al  loro  partito  tutte  le  città  latine  a  settentrione  di 
Roma,  fi-alle  quali  anche  Medullia,  che  fu  insieme-  col- 
le altre  presa  dal  re  di  Roma.  Livio  lib.  I,  e.  XXXVIII. 
Dopo  quella  epoca  Medullia  rimase  fedele  ai  Ro- 
mani fino  all'anno  262,  in  che  avendo  i  Sabini  mossa  la 
guerra  a  Roma,  i  Medullini  defezionarono  e  si  collega- 
rono coi  Sabini.  Dionisio  lib.  VI.  e.  XXXIV.  Non  si  co- 
nosce bene  come  andasse  a  terminar  quella  guerra,,  poi- 
ché circa  quel  tempo  avvenne  la  famosa  ritirata  sul  Mon- 
te Sacro;  sembra  però  che  terminasse  amichevohnente ^ 
né  poscia  più  si  ricorda  Medullia.  Ma  sibbene  apparisce 
che  come  di  là  derivava  la  gente  Ostilia ,  così  pure  di 
là  venne  l'altra  non  meno  illustre  famiglia  Furia,  il  cui 
stipite  Sesto  Furio  Medullino  Fuso  ebbe  l'onore  de' fa- 
sci l'anno  266,  cioè  soli  4  anni  dopo  la  ritirata  al  Mon- 
te Sacro,  E  questo  stipite  poscia  si  suddivise  ne' rami 
de'Pacili,  de'Camilli,  de'Phili,  de'Crassipedi,  de'Purpu- 
reoni,  e  de'Brocchi, 


327 
Questi  fatti  mostrano,  che  Medullia  era  in  quella 
parte  del  Lazio  superiore,  che  è  limitrofa  co'Sabini.  In- 
fatti nella  spedizione  di  Romulo  descritta  geograficamen- 
te da  Dionisio,  si  pone  prima  Antemne  sulla  riva  sinistra 
dell'  Aniene  al  confluente  di  questo  fiume  col  Tevere , 
poscia  Genina  fra  Roma  e  Nomento,  quindi  Crustumerio 
fra  Genina  e  Nomento,  ed  in  ultimo  luogo  Medullia.  Go- 
sì  Livio  nell'enumerare  le  città  prese  dal  primo  de'Tar- 
quinii  nomina  Comiculum,  Ficulea,  Cameria,  Grustume- 
rìum,  Ameriola,  Medullia  e  Nomentum.  E  Plinio  Hist. 
Nat,  lib.  in.  e.  V.  §.  IX ,  la  pone  con  questo  ordine 
fra  le  città  antiche  del  Lazio,  che  erano  ai  suoi  giorni 
scomparse:  Grustumerium,  Ameriola,  Medullia,  e  Gorni- 
culum.  Le  rovine  pertanto  di  Medullia  debbonsi  rintrac- 
ciare nelle  vicinanze  di  Nomento  e  de'monti  Gornicula- 
ni:  debbono  inoltre  presentare  l'apparenza  di  una  città, 
che  secondo  Livio  era  tuta  munitionibus,  e  questi  carat- 
teri si  trovano  bene  in  s.  Angelo  in  Gapoccia,  dove  fuo- 
ri dell'abitato  attuale,  presso  la  chiesa  e  convento  di  s. 
Liberata,  5  miglia  distante  dall'antica  Nomentum,  e  tre 
da  Gomiculum,  sono  considerabili  avanzi  di  un  recinto 
a  poliedri  irregolari ,  che  evidentemente  si  riconoscono 
per  quelli  di  una  città  delle  più  antiche  d' Italia ,  alla 
quale  il  villaggio  attuale  serviva  di  cittadella,  e  perciò 
ivi  nella  carta  sotto  il  nome  moderno  vedesi  notato  l'an- 
tico.  Sir  William  Geli  riconoscendo  questi  avanzi  anche 
egli  per  quelli  di  un'  antica  città  del  Lazio  li  attribuì 
piuttosto  a  Gomiculum,  e  portò  Medullia  fra  Palombara 
e  s.  Polo  troppo  lungi  da  Nomento  e  Grustumerii.  Veg- 
gasi  la  sua  opera  The  Topography  of  Rome  and  its  vtci- 
nity  negli  articoli  s.  Angelo  e  Medullia.  Girca  la  Terra 
di  s.  Angelo  in  Gapoccia  sorta  presso  le  rovine  di  Me- 
dullia veggasi  al  suo  luogo  1'  art.  5.  ANGELO. 


328 

MENTANA  v.  NOMENTVM. 

3IENT0RELLÀ 

fiultuilla,   fiulturella.    Oulturelia, 

■■^    .\  :,.k:ì-l*  i.iì 

È  la  punta  più  alta  del  dorso  detto  di  Guadagno- 
Io  a  nord -est  di  Roma,  distante  circa  25  miglia,  alla 
quale  si  sale  per  le  \ie  indicate  ncH'  articola  GUADA- 
GiVOX(X  Uo' antica  tradizione  riferita  dal  Cassio  nelle 
Memorie  di  s<.  Silvia  p.  34,  accreditata  presso  que'mon^ 
tanari ,  porta ,  che  ivi  sulla  rupe  apparve  il  cervo  a  s. 
Eustachio,  e  che  nella  grotta  a  pie  di  essa  ritirossi  nel 
primo  periodo  del  secolo  VI.  della  era  volgare  s.  Bene^ 
detto,  prima  di  andare  a  fondare  l'ordine  monastico,  che 
porta  il  suo  nome  a  Subiaco.  Ciò  che  però  è  fuori  di 
ogni  questione  è  che  una  chiesa  di  s.  Maria-  ivi  era  sta-^ 
ta  di  già  eretta  l'anno  594,  allorché  s.  Gregorio  I.  do- 
nò all'abate  sublacense  tutto  intiero  questo  monte,  che 
era  proprietà  della  sua  famiglia  ,  e  che  egli  chiama  in 
quella  donazione  con  termine  gotico  Wultuilla,  nome  cho 
successivamente  andò  volgendosi  in  Bulturellay  e  Vultu- 
rella,  come  si  trae  da  Carte  del  secolo  X.  e  donde  poi 
è  derivato  con  njiova  alternazione  il  moderno  di  Men- 
torcila.  Che  però  il  primo  sia  l'originale  fra  tutti  que- 
sti si  dimostra  dalla  iscrizione  in  tavola  di  legno  già 
esìstente  nella  chiesa  di  s.  Maria,  e  fin  dal  secolo  scor- 
so trasportata  in  Poli  nel  palazzo  ducale,  la  quale  mo- 
strava che  la  chiesa  era  stata  dedicata  ai  24  di  ottobre, 
e  che  il  luogo  chiama  vasi  Wultvilla. 

Nel  secolo  X  l'anno  958,  sembra  ch«  i  monaci  su- 
blacensi  l'avessero  alienato,  poiché  nella  bolla  di  papa 
Giovanni  XII.  riportata  dal  Muratori  Ant.  Medii  Aevi  p» 


329 
461,  colla  quale  si  confermano  i  beni  di  quel  monaste- 
ro, questo  monte  non  viene  indicato,  che  come  confa- 
ne. Infatti  poco  dopo  nel  984  apparisce,  come  proprie- 
tà di  una  Rosa  nobile  dama  romana,  la  quale  fra  mola- 
ti fondi   che  donò  al  monastero  di  s.  Gregorio  di  Ro- 
ma nomina  pure  il  monte    per  intiero-,  qui  dkitur  Yul- 
turellaf  in  quo  est  ecclesia,  s.  Marine,  e  questo  con   tut- 
te  le  sue  indipendenze  yiene   determinato,  come  pósto 
circa  il  miglio   24   lontano  da  Roma  nel   territorio  ti- 
burtino   entro  i  confini  del  casale  Biscian»,  oggi  Piscia- 
no,  del  casale  Ilice  poi  Rocca  de'Ilice,  oggi  distrutto, 
di  un   fondo   pertinente    ai   sublacensi,   del  fondo  Prct- 
talcy  del  fondo  SarianQ,  e  della  chiesa  di  s.  Angelo  in 
Paiano.  Un  castello  detto  castrum  Morellae  ,  forse    fon- 
dato dai  signori  di  Poli,  in  questi  dintorni  fu   lascia- 
to per  testamento  nel  secolo   XIII.   ai  monaci   soprad- 
detti, e  questi  ebbero  perciò  a  sostenere  una  lite  cir- 
ca Tanno   1250.  Negli  Annali  de'Camaldolesi  si  riporta- 
no la  donazione  di  Rosa  T.  IV.  append.   IL   p.  603,  e 
l'esame  de'  testimonii  per    la   questione  insorta:    T.  IV. 
app.  I.  p.  596.   La  chiesa  di  s.  Maria,  che  per  la  sua 
architettura  gotica  è  uno  de'monumcnti  più  importanti, 
che  ci  rimangano ,  e  che  si  direbbe   riedificata  circa  il 
secolo  X.  insieme  col  monastero  annesso,  cadde  in  abban- 
dono, secondo  il  Cassio  dopo  l'anno  1390,  ed  era  in  pie- 
na rovina  nel  1660,  allorché  per  le  premure  del  celebre 
Kircher  fu  ristaurata  dall'Imperadore  Leopoldo  I,  e  po- 
scia nel  secolo  passato  ebbe  doni  della  imperatrice  Ma- 
ria Teresa. 

Circa  cinque  miglia  distanti  da  Mentorella  sono  gli 
avanzi  di  una  villa  romana  y  che  dicesi  la  villa  di  »►  Eu- 
stachio, ed  ivi  fu  nel  secolo  VII  edificata  una  chiesa  ad 
onore  di  s.  Silvia  insieme  con  un  ospizio  pe' monaci;  ma 


330 

circa  l'anno  1386  appiccatovisi  il  fuoco   rimasero   Tuna 

e  l'altro  consunti. 

La  punta  di  Mcntorclla  è  la  più  alta  di  tutte  quel- 
le dalla  catena  degli  Appennini  che  immediatamente  do- 
mina la  campagna  romana^  quindi  di  là  si  gode  una  ve- 
duta vastissima^  non  solo  di  tutta  la  pianura,  ma  ancora 
di  tutti  i  monti  che  la  circondano,  come  pure  verso  orien- 
te di  tutte  le  cime,  che  coronano  la  valle  dell'  Anicne. 
II  clima  è  freschissimo  nella  estate,  e  1'  aria  fina  e  sa- 
Jobre  ;  ma  incommoda  oltremmodo  è  la  sua  situazione. 

■  nìHnt'-ìii   '■  '-■' 
,v,  ^  MERLUZZA. 

E  il  nome  di  un  casale  già  osterìa  sulla  via  cassia 
a  sinistra,  circa  16  m.  fuori  di  porta  del  Popolo  nel  di- 
verticolo a  Cesano.  Questo  diverticolo,  la  difficoltà,  che 
naturalmente  presenta  la  strada  per  la  lunga  salita ,  il 
bosco  un  tempo  esistente ,  noto  col  nome  di  bosco  di 
Baccano,  aveano  reso  infame  questo  punto  della  strada 
postale  pe'latrocinj:  e  fresche  memorie  rimangono  degli 
orrori  commessi  in  que'dintorni  dalle  bande  degli  assas- 
sini. Ma  dopo  che  è  stato  abbattuto  il  bosco,  e  stabili- 
to un  posto  militare  ,  non  presenta  questo  luogo  alcun 
pericolo.  La  situazione  sua  alta  domina  tutti  i  contorni. 
Il  nome  deriva  da  una  insegna,  che  un  dì  ebbe  questa 
osteria  di  una  picciola  merla. 

:.U    :  ^^.>,.,uu  :.    MEZZA  SELVA. 

Stazione  moderna  della  via  latina  22  miglia  fuori 
della  porta  s.  Giovanni  odierna,  nella  strada,  che  dalla 
gola  dell'Algido  tende  a  Valmontone;  essa  è  così  deno- 
minata, perchè  posta  un  tempo  in  mezzo  alla  selva  già 
algidensc,  e  ne' tempi  bassi  detta  algiarc. 


m 

MIMOLl  f: 

Tenuta  dell'  Agro  Romano  situato  fuori  di  porta 
Gavalleggicrì  circa  6  miglia  distante  da  Roma  a  destra 
della  via  Cornelia,  oggi  strada  di  Buccèa,  confinante  col- 
le tenute  di  Porcareccia,  Marmo,  e  Torrevecchia,  la  qua- 
le comprende  164  rubbia.  'i»-«<v. 
-::  Il  nome  suo  attuale  deriva  da  quello  di  casale  Chi- 
minuli,  o  Ciminuli,  che  portava  fino  dal  secolo  XI,  il 
quale  fu  donato  da  Pietro  vescovo  di  Selva  Candida  al 
monastero  de'santi  Bonifacio  ed  Alessio  circa  l'anno  1043, 
come  apprendiamo  da  una  Carta  riportata  dal  Nerini  ; 
e  quel  nome  ri  tene  vasi  ancora  da  questo  fondo  nel  pri- 
mo periodo  del  secolo  XIII;  imperciocché  nella  bolla  di 
Onorio  III  riportata  dal  Nerini  medesimo ,  ed  apparte- 
nente all'anno  1217,  frai  varii  beni  dallo  stesso  Onorio, 
confermati  al  monastero  sovfaindicato ,  nominasi  ancora 
la  torre  colle  case,  vigne,  orti,  ec.  in  loco  qui  vocatur 
Ciminuli,  Contemporaneamente  però  già  cominciavasi  ad 
introdurre  il  nome  attuale,  cioè  di  Memoli  in  luogo  di 
Mimoli,  con  che  si  ricorda,  come  in  parte  spettante  già 
al  Capitolo  vaticano  nella  bolla  d'Innocenzo  III,  dell'an- 
no 1214  riportata  nel  primo  tomo  del  Bollano  di  quel- 
la basilica,  e  questo  nome  fece  dimenticare  a  poco  a  po- 
co il  primo. 

MOLARA-ViOmViXmx. 

itlolaria.  ^ 

Castello  diruto  del  secolo  XIII,  situato  nella  valle, 
che  separa  il  dorso  tusculano  dal  gruppo  de'  monti  al- 
bani, quasi  dirimpetto  alla  cittadella  di  Tusculo,  al  XV- 


332 

mìglio  della  via  latina  ,  coFrisponde  a  circa  14  miglia 
fuori  della  Porta  s.  Giovanni.  II  suo  nome  derivò  da 
una  cava  di  pietre  molari ,  che  si  vede  ancora  sotto  il 
castello  a  nord -ovest:  esso  viene  communicato  ad  una 
moderna  osteria ,  che  poco  più  oltre  si  vede  a  sinistra 
della  via  medesima:  ed  alla  strada  che  in  questa  parte 
corrisponde  all'antica  via  latina.  Questo  castello  formos- 
si  dopo  l'abbandono  della  stazione  di  Roboraria,  la  qua- 
le fu  cosi  detta  dal  bosco  di  querele,  roboray  presso  cui 
trova  vasi,  che  nell'Itinerario  di  Antonino  viene  indicata 
come  al  miglio  XVI,  della  via  latina.  Esso  è  sopra  un 
colle  isolato  di  lava  basaltica  a  destra  della  via,  e  con- 
serva ancora  le  vestigia  del  recinto  fortificato,  con  tor- 
ri rotonde  e  quadrate  di  costruzione  saracinesca  del  se- 
colo XIII  formata  con  piccioli  parallelepipedi  di  tufa  e 
di  lava.  Nella  parte  più  alta  era  la  rocca ,  e  verso  oc- 
cidente la  chiesa  y  della  quale  rimangono  ancora  gli 
avanzi. 

Ho  detto  che  la  sua  origine  devesi  all'  abbandono 
di  Roboraria:  il  sito  poi  è  di  tale  importanza  nello  stret- 
to della  valle  già  detta  albana,  che  probabilmente  non 
fu  trascurato  dai  conti  tusculani  durante  la  loro  poten- 
zaj  imperciocché  nel  Chron.  Subì.  an.  1090  narrasi,  co- 
me Agapito  conte  tusculano  ebbe  due  figlie:  ed  una  ne 
die  in  moglie  ad  Oddone  Frangipani ,  alla  quale  lasciò 
.  castra  Mareni ,  Turricellae  ,  montis  Albani  et  Nemoris  et 
suam  partem  castri  Montis  Compatri,  V  altra  poi  ad  An- 
nibale Annibaldi ,  a  cui  lasciò  i  castra  Arcis  Periuriae , 
Montis  Porculi  et  Molariae  etc.  Veggasi  il  Nerini  nella 
Storia  di  s.  Alessio  p.  528.  Ma  quel  documento  non  va 
esente  da  dubbii  gravissimi  d'interpolazione,  per  que'ca- 
stra  Mareni,  ec:  sebbene  non  si  ponga  affatto  in  questio- 
ne il  dominio  degli  Annibaldi  sopra  questo  castello,  i 
quali   perciò   ebbero  il  nome  di  Signori   della  Molara. 


333 

Quello  che  è  eerto,  è  che  le  rovine  superstiti  presenta- 
no in  tutte  le  parti  la  costruzione  del  secolo  XIII ,  o 
che  non  prima  di  quella  epoca  se  ne  hanno  documenti 
sicuri.  Infatti  la.  prima  memoria,  che  ne  ho  trovato  ap- 
partiene all'anno  1254,  quando  Riccardo  degli|Annibal- 
di  cardinale  diacono  di  s.  Angelo  n'  era  in  possesso,  e 
vi  accolse  papa  Innocenzio ,  lY.  con  molta  magnificenza, 
come  si  ha  da  Bernardo  Guidone  nella  vita  di  quel  pa- 
pa presso  il  Muratori  R.  I.  S.  T,  III.  P.  I.  p.  592.  Quel 
cardinale  l'avea  comprato,  sebbene  non  si  sappia  da  chi: 
ed  una  prova  di  tale  acquisto  si  ha  nella  Storia  di  Ma^ 
liispina  riportata  dal  Muratori  R.  I.  S.  Tomo  VIII.  alla 
quale  p.  798  si  legge,  che  il  card.  Riccardo  degli  An- 
uibaldi  condusse  Carlo  di  Angiò  usque  ad  castrum  Mo- 
lariae ,  quod  idem  cardinalis  proprio  impenso  peculio  prò 
sua  hasreditate  quaesierat.  E  quel  cardinale  fu  che  costrus- 
se  le  fabbriche,  e  le  mura,  che  oggi  ivi  veggonsi  diroc- 
cate ;  e  fino  al  secolo  XV  *  rimase  in  potere  della  sua 
famiglia.  L'anno  1265.  accompagnò  egli  stesso  a  proprio 
spese  fin  là  Carlo  di  Angiò  nella  spedizione  che  questi 
intrapese  contro  Manfredi.  Veggasi  Niccolò  de  larasilla 
presso  il  Muratori  Op.  cit.  T.  Vili.  p.  597,  Narra  To- 
lomeo da  Lucca  Hist.  Eccl.  presso  i  R,  L  S,  T.  XI.  p. 
1155  di  essere  stato  testimonio  oculare  della  guarigio- 
ne istantanea  operata  ivi  da  3.  Tommaso  di  Aquino  in^- 
fermo  di  febbre  terzana ,  sul  suo  compagno  Raimondo 
malato  di  febbre  continua,  mentre  dimoravano  presso  il 
card.  Riccardo  sovraindicato.  Nel  1328  agli  11.  di  giu- 
gno essendo  stato  questo  castello  occupato  dalle  genti 
del  re  Roberto,  dovette  arrrendersi,  dopo  qualche  gior- 
no di  assedio  per  mancanza  di  viveri  ai  Romani  ed  al- 
le truppe  di  Lodovico  il  Bavaro.  Giovanni  Villani  Storie 
lib.  X.  e.  LXXVI.  Dal  Chron.  Estense  riportato  dal  Mu- 
ratori ne'R.  I.  S.  T.  XV.  e.  444  apprendiamo,  che  nel-t 


334 

la  battaglia  contro  Rienzi  fu  ferito  ed  ucciso  Niccolò 
degli  Annibaldi  signore  della  Molara  nell'anno  1351.  Sul 
principio  del  secolo  seguente  1'  anno  1405  si  legge  nel 
Diario  Romano  anonimo  riportato  dal  Muratori  ne'  ^e- 
rum  Italie.  Script.  T.  XXIV.  p.  975  come  il  dì  15  di 
aprile,  che  fu  il  mercoledì  santo,  cominciò  ad  uscire  in 
campagna  l'esercito  del  Popolo  Romano  contra  1  figli  di 
Tebaldo  della  Molara,  e  si  accamparono  presso  quel  ca- 
stello: dierono  il  guasto  a  molte  terre  intorno  a  questo 
ed  a  quella  di  Rocca  di  Papa  ,  e  vi  rimasero  undici 
dì.  Innocenzo  VII,  che  allora  reggeva  la  chiesa  vi  spe- 
di come  ambasciadore  il  priore  di  s.  Maria  Aventina , 
onde  fosse  mediatore  frai  Romani ,  ed  i  signori  della 
Molara  \  ma  questi  si  condusse  in  modo  che  ritornato 
in  Roma  gli  fu  tagliata  la  testa ,  e  sepolto  in  s.  Pie- 
tro. Dal  Diario  dell'  Infessura  poi  si  trae ,  che  la  pace 
venne  conchiusa  precisamente  il  giorno  di  s.  Marco:  Mu- 
ratori R.  I.  S.  T.  III.  P.  II.  p.  1116.  Queste  sono  le 
memorie  che  ho  potuto  ricavare  della  Molara,  castello, 
che  nel  corso  dello  stesso  secolo  XV  fu  abbandonato, 
e  che  a  poco  a  poco  è  andato  in  rovina. 

La  valle  sovraindicata,  nella  quale  questo  castello 
fu  edificato  è  certamente  quella  stessa  che  Livio  desi- 
gna nel  capo  VII.  del  libro  III.  col  nome  di  Albana 
vallis,  della  quale  fu  parlato  nel  tomo  I.  pag.  80  nel- 
l'articolo ALBANA  VALLIS. 

*  'Il  tenimento  annesso  alla  Molara  appartiene  fino  dal 
secolo  XVII.  ai  Borghese,  e  comprende  circa  345.  rub- 
bia  :  esso  confina  co'  territori!  di  Monte  Porzio ,  Monte 
Compatri,  Rocca  di  Papa,  e  Frascati. 

Ui  ìt:.}    luiium. 

^-  ^       MONASTERO  COLONNELLO. 

Tenuta  dell'  Agro  Romano ,  di  circa  146  rubbia  e 


335 
mezzo,  posta  circa  6  miglia  lungi  da  Roma  presso  la 
via  nomentana,  e  pertinente  al  Capitolo  di  s.  Pietro.  Con- 
fina con  quelle  di  s.  Basilio,  Casal  vecchio.  Prato  Lungo, 
e  Scorticabove.  i^uiil  »  **  ,y,.u\..l.  ■.  i  .  -■  ■  *'  - 
Questa  tenuta;  die  in  origine  àpparteiieVa' al  C^jiii^ 
tolo  sovraindicato,  fu  nel  1526  venduta  al  card.  Puc- 
ci insieme  con  quella  di  Pietra  Aurea  :  allora  era  di- 
visa in  due  fondi,  chiamati  il  Casale  de'  Monasteri,  e 
Colonnella ,  come  si  ricava  da  un  documento  della  Bi- 
blioteca Chigiana  G.  III.  58.  Poco  dopo  il  Pucci  ven- 
dette queste  tenute  a  Niccolò  de  Jacovazzi  per  3750 
scudi.  Da  questi  passò  ai  Savelli  signori  dell'Ariccia,  i 
quali  nel  1607  vendettero  di  nuovo  al  Capitolo  Vati- 
cano il  Casale  dei  Monasteri  e  della  Colonnella  per  17,700 
ducati  di  oro,  siccome  si  ricava  dal  Bollano  Vaticano 
Tom.   Ili,  p.  58  e  seg.   Append.  ^.   37#      ■      ::  -  —    r 

MONITOLA. 

Nel  Chronicon  Sublaccnse  inserito  dal  Muratori 
nelle  Antiquitates  JHedii  Aevi  T,  IV.  alla  pag.  1060  leg- 
gesi  frai  beni  confermati  da  Pasquale  II.  sul  principio 
del  secolo  XII  al  monastero  sublacense  nominato  il  Mori- 
tem  qui  vocatur  Monicula ,  o  piuttosto  Monitula.  Questo 
colle  ha  ancora  l'antico  nome,  e  si  trova  circa  2  miglia 
e;  mezzo  distante  da  Tivoli  presso  il  bivio  delle  strade 
di  Ceciliano  e  Castel  Madama,  a  sinistra  di  questa  ul- 
tima, fra  essa  e  l'Aniene.  Il  sito,  atto  ad  essere  un  ca- 
stello fu  fortificato  dagli  antichi  Tiburti,  i  quali  vi  co- 
strussero  mura  a  poligoni,  che  ancora  si  ravvisano,  e 
fu  uno  de'loro  oppidi  ricordati  da  Livio  nel  capo  XIX 
del  lib.  VII.  come  pure  Empulum,  e  Saxula  posti  in 
questa  medesima  direzione.  Credere  però  che  questa 
sia  la  città,  il  cui  popolo  da  Plinio  lib.  III.  e.  V.  vie- 


336 

ne  indicato  col  nome  di  Munienses ,  non  mi  sembra 
probabile,  poiché  i  Munienses,  ed  i  Castromoenienses 
par  die  fossero  uno  stesso  popolo ,  e  Castromoenium , 
come  si  vide,  fa  a  Marino,  ben  lungi  da  Tivoli.  Me- 
no  improbabile  sembra,  che  i  Venetulani  nominati  da 
Plinio  medesimo  frai  communi  latini  estinti  a'suoi  gior- 
ni avessero  stanza  in  questo  luogo ,  e  che  invece  di 
Monitola  il  nome  originale  di  questa  città  fosse  Ve- 
netula.  Come  altri  castelli  del  Lazio  primitivo  fu,  ne* 
tempi  della  potenza  romana ,  occupato  il  suo  sito  da 
una  villa,  ed  a  questa  appartenne  la  conserva  di  acqua, 
ehe  ivi  ancora  si  vede.  V'ha  chi  pretende,  che  ne'tem- 
pi  bassi  vi  fosse  un  castello  feudale  -,  ma  questo  non 
si  ricorda ,  né  in  carte  particolari ,  e  d'  altronde  non 
ne  rimangono  vestigia.  Non  è  però  improbabile,  che 
quando  gli  Orsini  erano  signori  di  Castel  s.  Angelo, 
oggi  detto  Castel   Madama  vi  sì  fortificassero. 

MONTÀGNANO. 

€ttsole  bf  ittontmnt- "*""' 

^M.  il  :,nnvu.a  jiiontangianum. 

j^f-j Tenuta  pertinente  ai  Teodoli,  confinante  con  quel- 
le di  Torricella,  Valle  Caia,  Tor  di  Bruno,  Campoleo- 
ne  e  col  territorio  dell' Ariccia^  posta  circa  18  m.  fuo- 
ri di  porta  s.  Giovanni  a  destra  della  strada  detta  di 
Porto  d'Anzio   e  Nettuno.  ,  :  ,;;a.   ;  i^ 

La  prima  memoria  di  questo  fondo  si  ha  nella 
bolla  data  da  Lucio  IIL  l'anno  1183  a  favore  del  mo- 
nastero di  s.  Anastasio  alle  Tre  Fontane ,  riportata  dal 
Ratti  nella  Storia  di  Genzano  pag.  93,  ed  esistente  nel- 


miì 


337 
l'Archivio  Vaticano,  nella  quale  frai  fondi  rìcOnosciuti 
come  di  pertinenza  di  quel  monastero  si  nomina  il  Ca- 
sale di  Monteiani  con  tutte  le  sue  pertinenze.  Ma  nell'an- 
rio  1378  1'  antipapa  Clemente  VH ,  volendo  'rimunerale 
Giordano  Orsini ,  che  era  stato  di  lui  fautore  nel  por- 
tarlo al  trono  pontificio,  gli  concedette  a  terza  genera- 
zione molte  terre  e  castella ,  e  fra  queste  infeudazioni 
si  ha  ancora  quella  del  Casale  quod  Montangiano  vulga- 
niter  nuncupatur,  notando  che  apparteneva  al  monastero 
di  s,  Anastasio:  Tatto  di  tale  concessione  si  ha  nell'Ar- 
chivio Vaticano ,  e  vien  riportato  dal  Ratti  nella  opera 
sovraindicata  p.  104.  Ritornato  poscia  in  pieno  dominio 
de'moaaci  di  s.  Anastasio,  da  questi  fu  venduto  l'anno 
1427  insieme  con  Genzano  ,  e  con  Ne  mi  ad  Antonio, 
Prospero,  ed  Odoardo  Colonna  per  15,000  fiorini  da  bai: 
47  r  uno,  come  si  ha  dal  breve  di  papa  Martino  e  da 
altri  documenti  esistenti  nell'  Archivio  Sforza  e  pubbli- 
cati dal  Ratti  p.  134,  e  seg.  Nel  secolo  XVI  fu  dai  Co- 
lonna alienato,  e  venne  poscia  in  potere  de' Teodoli,  che 
iéi ritengono,?  s^d  ucìu  cuùì,  ]  .oU.a  ,oU<;^:  uil.^,  ai--i^ij 

MONTARSICCIO—LUCHINA—MÀZZALUPETTO.  '* 

Sono  tre  tenuiie  dell'Agro  Romano  distinte  fra  loro 
e  segregate  ,  ma  contigue  ,  e  siccome  tutte  e  tre  sono 
pertinenti  alla  famiglia  Pallavicini,  perciò  in  un  solo  ar- 
ticolo vanno  comprese.  Montarsiccio  confina  colle  tenute 
della  Sepoltura  di  Nerone,  e  d'Inzuccherata,  e  colla  stra- 
da di  Monte  Mario}  Luchina  con  quelle  di  Castelluccia, 
Mazzalupo,  Marmo,  Palmarola,  e  Sepoltura  di  Nerone; 
e  Mazzalupetto  con  quelle  di  Palmarola,  Porcareccia,  e 
s.  Nicola.  Tutte  e  tre  unite  insieme  si  estendono  a  rub- 
bia  184  circa:  e  sono  cinque  miglia  distanti  da  Roma, 
fuori  di  Porta  Angelica,  per  la  strada  di  Monte  Mario. 

22 


/ 


338 

Qualunque  sia  la  origine  del  nome  di  Monte  arsiccio , 
questo  fondo  non  dee  confondersi  colla  Terra  de  Mon- 
te Arsitia,  o  Arsitio,  ricordata  nelle  bolle,  di  Giovanni 
XIX  data  l'anno  1026.  e  di  Benedetto  IX.  data  l'aona 
1033,  e  riportate  dall' Ughelli  tomo  I.  yUiAttvt'ò 

ìiv)>^r,hivì\m    ùw-jiMONTE   CASALE.  .,tio)  oiloin  ')t:;t>'v 

"■';!;."""" €o0trum  itlontis  (Ìasali0,  "''"'''■r 

ipoqo  :'•!?';■!  iì!<:#"f{;^  '^?';'-mv^H -fi';:?  '-^  yr-T^^'j-V  '>•-;??=; 
oinJffTerra,  oggi  distrutta  dell'abbazia  di  Subiaco,  po- 
sta sopra  un  colle,  che  ritiene  lo  stesso  nome,  fra  Roc- 
ca s.  Stefano  e  Gerano.  Il  Chronicon  Sublacense  mostra, 
che  Pietro  abbate  acquistolla  pel  monastero ,  dando  ia 
cambio  la  Rocca  de  Incam^erata  verso  l'anno  1030,  e  che 
nel  1115,  Pasquale  IL  ne  confermò  il  possesso  al  mo- 
nastero medesimo.  Poscia  venne  distrutta,  e  come  diru- 
ta si  ricorda  1'  anno  1167  dalla  cronaca  sovrallodata  e 
perciò  nelle  bolle,  date,  1*  anno  1189  da  Clemente  III. 
e  1217  da  Onorio  III.  viene  indicala  soltanto  col  nome 
di  |fon«,Cas^|wj,  non  più  come  un  Castrum.       _  _ 

ino\  ni  uUnì       MONTE  COMPATRL  .,)  ..,.  ono> 

-ir,  .Terra,  che  appartiene  ai  Borghese,  posta  entro  i 
limiti  della  Comarca  di  Roma ,  dipendente  dal  governo 
e  dalla  diocesi  di  Frascati  la  quale  contiene  1893  abi- 
tanti. È  17  miglia  distante  dalla  metropoli:  e  secondo 
le  osservazioni  degli  astronomi  Conti  e  Ricchebach  la 
sua  latitudine  è  41°,  48',  32'',  6,  la  longitudine  30°,  23', 
39",  8:  l'altezza  sul  livello  del  mare  piedi  2200,  3:  ser- 
vendo di  segnale  la  torre  de^  palazzo  Borghese,  come 
punto  culminante.  i^nU  'vX  i^q  >>il^^nA  .»''io^l  il*  )v;.;ì 


339 

Questa  terra  io  credo,  che  si  formasse  dopo  la  ro* 
vina  di  Tusculo  fatta  dai  Romani  Tanno  1191,  giacché 
non  ho  potuto  trovare,  né  memorie,  né  indizii  di  fab- 
briche anteriori  a  quella  epoca.  Vero  è ,  che  se  ne  fa 
menzione  fin  dall'  anno  1090  nel  Chronicon  Sublacense  ; 
ma  siccome  trovasi  insieme  con  altre  terre  di  origine 
certamente  posteriore  alla  rovina  di  Tusculo,  apparisce 
evidente  la  interpolazione.  Veggasi  l'art.  MOLARA^  >  '4 

La  strada  da  Monte  Porzio  a  Monte  Compatri,  seb- 
bene sìa  io  gran  parte  montuosa,  é  amena,  passando  a 
traverso  un  bellissimo  castagneto  :  essa  è  lunga  circa  2 
miglia-  Nel  salire  alla  Terra  volge  a  sinistra.  Questa  non 
offre  oggetto  degno  di  particolare  menzione:  è  collocata 
sulla  punta  di  una  lacinia  che  dirama  dal  dorso  tuscu--' 
iano  verso  nord-est  la  chiesa  è  dedicata  all'  Assunzione! 
^ella  Vergih&Juoai  iyw  yi^usa  »';iivi>  ^**i  **>  Mhlsik  hi  oì^ 

.J,,  '■■:'•''       <s'-iì:  -'ili'-      /i<!f;uv;':      'JU      -il'..,     A     •>'«JflOm>a 

-ni-  MONTE   CRESCENZIO  y,  CRESCENZIO,  i^\hh 

'Vi    ìm    OJKl'Jg    OiilOé^    ifii)   f)    ,4k.fi()!  iJH-jtiaa   iint)7'9|>  r^«QJ4!«q 

'\ì[:immmt)ELLACmCCIA\yì  mBGNA:^  obx«i 

ohc-jlà   ':■!•::      '''  —  '':    •:■>.'■  ' .  "  .';  IW^rA 

-ohpAmONTE  DUE  TORRI  v.  DUE  TORRI., ihim^ 
sììhmd  pHoé  fcj'i'jfù.  — :•;   a  luiiànc  iihòìiq  'ab  0« 

iÀìtih  3mì]ifvvioi  nìì^ONTE  FIORE. ,  iisa'iinoffl 'oup  sh 
yi  ..,^rr  ?:if-r;f'.  ?>v  ohK;'Io=:   <-■  ■;•-   r\hh  àfcficvj^ni 

È  un  monte  ad  oriente  di  Rocca  Priora  diciotto 
miglia  distante  da  Roma  a  sinistra  della  via  latina,  che 
colle  sue  falde  stringe  da  quella  parte  la  valle  albana, 
come  dall'altra  parte  fa  il  monte  Algido,  formando  co- 
sì la  gola ,  che  i  moderni  corrottamente  chiamano  la  ca- 
va dell'Aglio  in  luogo  di  cava,  o  gola  dell'Algido.  Esso 
è  l'ultimo  mamellone  del  dorso  tusculano,  ed  ha  nome 
dal  ginestreto,  che  in  gran  parte  lo  copre,  e  che  co'suoi 
fiori  di  color  d'oro  ne  rende  l'aspetto  piacevole  ne'mesi 


340  ^ 

di  primavera.  A  pie  di  esso  presso  la  Cava  sono  le  sor- 
genti deir  acqua  algidense  o  algenziana,  delia  quale 'fu 
parlato  a  suo  luogo.  ..v;^ 

0  ba  òr  Oih  :^  3  otj7  .r.ooTjfl'  cfl'yM^i  i.  i'Tuhyfnp  anjlif' 
Itm'iiv^k^Z  iw-^^txojff ONTE' FLAVIO,  ''-.h  nW  onoisn-jm 

"•>;  i>È  la  Teira  più  recentemente  fondata  di  tutte  quel- 
le comprese  entro  i  limiti  della  mappa,  poiché  fu  edifi- 
cata circa  la  metà  del  secolo  XVII.  dal  cardinale  Fla- 
vio Orsini  che  le  diede  il  suo  nome  ;  non  molto  dopo 
la  sua  fondazione  passò  ai  Barberini,  che  la  posseggono 
ancora.  Essa  è  parte  della  Comarca  di  Roma ,  dipende 
dal  governo  di  Palombara,  e  contiene  circa  554  abitan- 
ti ,  i  quali  nello  spirituale  appartengono  alla  diocesi  di 
Sabina.  Sanissima  e  ridente  n'è  la  situazione,  stando  so- 
pra la  falda  di  una  delle  creste  del  monte  Pennecchio, 
e  mentre  è  sopra  un  ripiano  altissimo  degli  appenninì 
dalla  cresta  sovraindicata  viene  difesa  dalle  bufere  tem- 
pestose de'venti  settentrionali,  e  dal  soffio  gelato  ed  u- 
mido  dei  grecali.  Gli  abitanti  come  tutti  quelli  de'  vil- 
laggi della  Sabina  che  non  sono  a  contatto  colle  strade 
grandi,  conservano  il  carattere  semplice,  morale,  laborio- 
so de'  prischi  Sabini  :  il  lusso  e  la  miseria  sono  banditi 
da  que'  montanari ,  e  contrastano  colla  corruzione  della 
metropoli,  dalla  quale  distano  soltanto  28  miglia  per  la 
strada,  o  piuttosto  sentiere,  che  vi  conduce  da  Monco- 
ne, che  è  la  più  diretta  per  chi  vi  va  da  Roma.  Le  case 
sono  ben  fabbricate,  riflettendo  alla  località:  ed  il  villag- 
gio è  tenuto  con  maggior  pulizia  che  tante  altre  Terre 
anche  più  considerabili.  Forse  questo  si  deve  alla  epo- 
ca recente  della  sua  fondazione.  In  questa  Terra  morì 
r  anno  1819  il  card.  Lorenzo  Litta  vescovo  di  Sabina , 
personaggio  distintissimo  per  nascita,  per  dignità,  e  per 
meriti ,  il  quale  accoppiava  ad  una  dottrina    profonda , 


341 

una  affabilità  e  modestia  singolare:  egli  fu  rapito  da  moi^ 
te  immatura  in  adempire  religiosamente  le  sue  core  &^ 
vangeliche,  visitando  la  diocesi  affidatagli.        >"j  vm-ìU 

.  >  f)  nm   :  o:  MONTE  DEL  FORNO.  r  «1  i .  y  -Mh 

■eiì\t  ùif  6  f^o  ■'''   -*':?-!' 

ih  Piccola  tenuta  del  Capitolo  Lateranense  posta  sulla 
strada  di  Bracciano ,  già  via  Claudia  a  sinistra  ,11  m. 
distante  da  Roma,  e  confinante  colla  strada  suddetta  e 
colle  tenute  di  s.  Nicola  ed  Acqua  Sona.  Comprende 
circa  84  rabbia  e  mezzo.  ;oj| 

■li-I.}    .ii;-.^;,  ■ 

VAI  min  MONTE  FORTINO  v.  ARTENA.  iifl 

ih   rofiiìr^a   sii    MONTE  GENTILE.  Ai  i«b  >>« 

Due  monti  di  questo  nome  sono  compresi  nella  map- 
pa: il  primo  è  quella  punta  coronata  di  pochi  alberi,  la 
quale  si  vede  da  tutta  la  pianura  latina ,  come  quella , 
che  si  erge  sul  dorso  che  separa  il  cratere  del  lago  al- 
bano  da  quello  del  lago  nemorense ,  fra  V  Aricia  ed  il 
monte  Laziale,  oggi  Cavi,  dove  alcuni  ruderi  di  opera 
reticolata  ricordano  la  villa  albana  di  Domiziano  ,  che 
fin  là  si  estendeva,  secondo  Marziale 

L'altro  è  un  colle  a  destra  della  via  nomentana  11 
miglia  distante  da  Roma ,  fuori  di  Porta  Pia ,  il  quale 
fu  ne'  tempi  bassi  un  castello  fondato  dagli  Orsini  nel 
secolo  XUL  e  sovente  ricordato  nelle  loro  carte  esisten- 
ti nell'archivio  della  famiglia.  Questo  dà  nome  ad  una 
tenuta  dell'  Agro  Romano  detta  pure  Fontana  di  Papa 
di  rabbia  54  di  estensione,  la  quale  appartiene  al  mo- 
nastcro  di  a.  Caterina  di  Città  Ducale.  >■  ' 

.'>;  Ne' tempi  passati  molti  degli  antiquarii  collocarono 
a  Monte  Gentile  l'antica  città  di  Ficulea,  il  cui  sito  og- 


342 

gi  è  determinato  non  lungi  da  Torre  Lupara,  come  fiF 
notato  nell'articolo  FICVLEA,  e  spacciarono  per  avanzi; 
di  un  teatro  quelli  a  sinistra  della  strada,  che  sono  evi- 
dentemente di  una  conserva  di  acqua,  spettante  a  qual- 
che villa  romana ,  che  occupò  questo  sito  :  essa  è  co- 
strutta di  ciottoli,  e  frantumi  di  calcaria,  ed  è  un  qua- 
drilungo, che  ha  45  piedi  romani  di  lunghezza  e  40  di 
larghezza:  nell'interno  è  divisa  in  tre  aule,  che  commu- 
nicano  fra  loro  per  mezzo  di  quattro  archi.  Il  casale  6 
sul  colle  proprio  di  monte  Gentile  e  non  presenta  og- 
getto degno  di  essere  ricordato.  in  i'6  fó»uu 
Ho  indicato  di  sopra,  che  il  castello  di  monte  Gen- 
tile fu  fondato  dagli  Orsini:  la  tenuta  però  era  in  par- 
te loro,  in  parte  poi  della  famiglia  Capocci ,  e  si  cono- 
sce dal  De  Angelis  nella  Descrizione  della  Basilica  di 
s.  Maria  Maggiore  p.  128 ,  che  nel  1309  Giovanni  Ca- 
poccio detto  Mezzopane  donò  a  quella  chiesa  20  rubhia 
annue  del  frumento,  che  si  sarebbe  raccolto  nella  tenuta 
di  Monte  Gentile.  Da  un  documento  esistente  nella  Bi- 
blioteca Vaticana  cod.  7972  apprendiamo,  che  nel  1374 
Buccio  di  Giordano  di  Poncello  Orsini  promise  per  dote 
di  Giovanna  sua  sorella  ,  moglie  di  Giovanni  Capoccia 
de'  Capoccini  la  metà  di  questo  castello  congiunta  pra 
indiviso  coll'altra  metà  pertinente  ai  Capoccia.  Così  Mon- 
te Gentile  divenne  intieramente  proprietà  de'  Capoccia. 
Poco  dopo  passò  in  parte  agli  Stefancschi ,  e  nel  codice 
ottoboniano  esistente  nella  Biblioteca  Vaticana  sotto  il 
num.  2551  si  legge,  come  nel  1403  Paolo  degli  Stefa- 
ncschi donò  la  metà  di  questo  castello  a  Cola  di  Mare- 
no;  al  quale  tre  anni  dopo  fu  venduta  l'  altra  metà  d» 
Paola  vedova  di  Giovanni  de  Capoccini,  come  si  nota  m 
una  Carta  dell'Archivio  Orsini^  n.  4.  Un'altro  documen- 
to esistente  nello  stesso  archivio  n.  1001.  ne  apprende, 
come  nel  1408  Giacomo  Orsini  conte  di  Tagliacozzo  co- 


343 

slitnì  un  procuratore  per  comprare  una  quarta  ed  una 
terza  parte  del  castello  di  Monte  Gentile  pel  monastero 
di  s.  Agnese.  Nel  1435  Giovanni  Antonio  Orsini  conte 
di  Tagliacozzo  e  Rainaldo  suo  fratello  furono  da  Euge- 
nio IV  investiti  del  vicariato  di  questo  castello  ,  come 
pur  di  quello  detto  Castello  Arcione ,  i  quali  si  dicono 
nei  breve  emanato  a  tal  proposito,  ed  esistente  nell'ai*' 
chivio  Orsini,  di  proprietà  della  Chiesa  Romana.  In  quel 
documento  si  parla  degli  abitanti  di  questi  castelli,  che 
dovevano  essere  governati  e  custoditi  dagli  Orsini  so- 
vraindicati.  Ritornò  così  Monte  Gentile  in  mano  agli  Ot>-' 
sinij  e  nel  1454  Napoleone ,  Roberto ,  e  Latino  fralcHi' 
Orsini  lo  comperarono  da  Giovanni  Antonio  Orsini  tonte 
di  Tagliacozzo,  come  si  trae  da  un  documento  esistente 
nella  Biblioteca  Vaticana  n.  7997.  Questo  è  l'ultimo  dò-' 
cumento,  che  si  ha  del  castello,  degli  abitanti,  e  degli 
Orsini,  come  signori  della  Terra  :  dopo  comparisce  ab- 
bandonata, ed  a  poco  a  poco  ridotta  nello  statò  attua[lè!.' 
Sul  finire  del  secolo  XVIII  era  de' marchesi  Abbati,; è* 
da  questi  passò  al  monastero  sovraindicato  di  s.  ^alèrf-*-' 
na.  Naira  il  Nantiporto,  che  nel  1486  Roberto  Sànsevef- 
rino  gonfaloniere  delle  armi  pontificie  in  «na  scorreria 
giunse  da  ponte  Lucano  a  Monte  Gentile  e  vi  prese  mol- 
to legname.  Questo  stesso  notaio  racconta,  contie  ai  4  di 
gennaio  di  quell'anno  le  genti  del  papa  Oiisére  campo  d 
s.  Agnese,  ed  il  dì  seguente  a  Mónte 'Grèntìll6;*e' che  Ifi-M 
nalmente  alli  11  dello  stesso  mese ,  dòpò'àfetini-  giòrtìi' 
di  scaramuccia  presero  ja  Mentana.  VeggaSi' il  Murs(t<o- 
ri  Rerum  lialic.  Scripél  T.  III- Pr  II:  p;'1099.  '  '>  tOif' 
iti  iJu  jKÙvHi  wliii4|iD>i4,  fiTiTiia  'jhaoiJlc  (J  .oiliinh-xn  ol 
/iKiln.)  ai  9iuhr.vjq«!Ì 'Il'mp  fi  oih  JIIZJ^  .a  oibfl6e«')lA 
o'j^lcKjQ?,  im  bomì\nd  yil')fi  otbìl<»rm  au  ahom  bI  oqob 
>v.  !jì>uu»4\.  ^»\VW^,.,$^ì^  ì«»w\^^J)VjìV3'v)  :caiofl  ni  oHii«2ÌÌqair> 
■:ii[}  in  oih'jniuflom  li  «riO  .Vuawv  «iumVvi»,f\c^i«ft  wwtoUin^ 


344 

c.i.yl«RfloiB  s^QjVt^)  ^tì>!^iS-  JiQÌ6J.0yi)  ùìtui  «sv>t 
olfWK)  inii'/tO  ojrfoirf/.  irf^?r?T^tO  t'IM  ['.»>![  .?)*^flgA  .'é  ih 
^opt:A  tìh  om'  MONTE  DEL  GRANO.,  «sso^bìI^bT  ìb 
•MiHr\  ,■;*■■-  .-■■.'■■''   (.!;( 

.  ,  JÈ.  u»  tumulo  vastissimo ,,  coperto  di  terra  ,  ed  i||». 
di  coltivato  a  grano,,  phe  ha  circa  200  p.  di  diamretro- 
d,ia  base,  il  quale  è  tutto  costrutto,  e  fu  un  antico  se-> 
polcro  ,  che  suol  chiamarsi  di  Alessandro  Severo  senza, 
alcuna  ombra  di  probabilità..  Era  sopra  uà  diverticolo ,. 
che  legava  la  yiajlatina  alla  via  labica«a,.  e  che  partiva 
dalla  latina:  verso  il  II;  m.  per  raggiungere  1'  altra  al 
III:  oggi  è  circa  alili  m.  fuori  di  porta  s~  Giovanni  a 
sinistra  della  , via  di  Frascati,,  poca,  dopa  aver  passata 
l'arco  dell'acquedotto  Felice,  communemenle  dietto  Por-'- 
ta  Furba.  ,  ,    snai 

.  In  questo  monumento  sepolcrale  sul  fioiire'  àelysé^ 
colOv.XVI  non  conoscendosi  ancora  la  porta  >,  perchè  era 
sepolta.,,  fu  penetrato  dalla  sommità  del  tumula,;  come 
narra  il  Vacca  testimonio  oculare,  e  dopo  aver  forata 
la  volta  si  trovò  intatta  la  camera  sepolcrale ,  contenen- 
^>ii|.s magnifico  sarcofago  di  marmo  ornato  di  bassorilie- 
vi, e  conosciuto  col  nome  di  Urna  di  Alessandro  Seve- 
ro, oggi  esistente  nel  pianterreno  del  museo  Capitolino. 
Ma  la  origine  del  nome  dato  alla  urna  e  communicato 
poscia  a  tutto  il  monumento  ,  fu  una .  soìnigUanza ,.  che 
ne'  primi  momenti  s,i  credette  di  ravvisare  nelle  figure 
coricate  sopra  il  coperchio  con  quelle  di  Alessandro  Se- 
vero, e  Manimea,  somiglianza  esclusa  dal  confronto  del- 
le medaglie.  D'  altronde  narrra  Lampridio  nella  vita  di 
Alessandro  e.  LXIII.,  che  a  quell'  imperadore  fu  eretta 
dopo  la  morte  un  cenotafio  nelle  Galiie  ed  un  sepolcro 
amplissimo  in  Roma:  Cenotaphium  in  GcUlia,  Romae  se- 
ptilcrum  ampUssimum  meruit.  Ora  il  monumento  in  que-> 


345 
stione ,  cioè  il  tumula  entro  il  quale' ir  isarcofago  ven- 
ne scoperto  è  di  costruzione  bene  anteriore  ad  Alessan- 
dro, poiché  rimane  ancora  intatta  una  gran  parte  del- 
la cortina  interna,  la  quale  è  lavorata,  come  quella  del 
Mausoleo  di  Adriano  e  di  altre  opere  di  quella  epoca: 
ed  i  bassorilievi  della  urna,  rappresentanti  i  fatti  prin- 
cipali della  vita  di  Achille,  cioè  la  sua  partenza  da  Sci- 
ro,  la  contesa  eoa  Agamennone,  il  ritorno  alla  guerr'a 
per  vendicar  la  morte  di  Patroclo,  e  la  restituzione  del 
corpo  di  Ettore  a  Priamo ,  sono  certamente  lavori  del 
tempo  più  bello  degli  Antonini  ;  non  così  il  coperchio 
che  si  ravvisa  fatto  posteriormente  e  forse  sotto  Ales- 
sandro Severo  stesso.  Entro  il  sarcofago  fu  rinvenuto 
il  bel  vaso  di  vetro  colorato  ornato  anche  esso  di  bas- 
sorilievi rappresentanti  il  connubio  di  Giove  sotto  le  for- 
me di  dragone  con  Prosperina ,  donde  derivò  il  Bacco 
più  antico,  ossia  Zagreo,  messo  a  brani  poi  dai  Titani. 
Questo  vaso  fu  per  lungo  tempo  ornamento  del  palaz- 
zo B^erini ,  ma  sul  finire  del  secolo  passato  fu  ven- 
duto al  duca  di  Portland  e  trasportato  in  Inghilterra , 
dove  è  conosciuto  col  nome  di  vaso  di  Portland,  sebbe- 
ne per  munificenza  di  quel  signore  oggi  si  ammiri  nel 
museo  britannico  di  Londra. 

Esternamente  questo  gran  monumento  non  presen- 
ta alcuna  traccia  di  costruzione,  mentre  è  tutto  costrut- 
to, quindi  io  credo,  che  anticamen  te  presentasse  l'aspet- 
to che  oggi  offre,  quello  cioè  di  un  tumulo  ad  imitazio- 
ne de'sepolcri  de'tempi  eroici,  e  forse  come  il  Mausoleo 
di  Augusto  anche  questo  fu  esternamente  piantato  dì 
pioppi,  o  di  cipressi,  e  coronato  nel  vertice  dalla  statua 
del  defonto,  che  originalmente  vi  era  racchiuso^  in  luo- 
go del  quale  poscia  furono  collocati  nell'  urna  i  due 
soggetti  che  si  veggono  effigiati  sul  coperchio,  jlfi^fi^ 
-Ì9qqj>  r>Y')J  ih  ainoK.  lin  ogojtt  ni  itr.«i«Bq  iqrnyjNjìfl 


346 
.:;     (C3*.        MONTE  DELLA  GUARDIA.   ^^  f«wi''^' 

Atih  'il-i.'.j   ncT-  (    ADVIGESIMVM.       "f-i  3^f'JÌ<>q  <olI> 
i')b  all'tii  'ii  'j    j'ivijj»  IV'  fiMivA'.ì'i  fifiiJiOD  si 

Per  la  via  flaminia,  Oggi  strada  di  Castel  imbVóvM 
m,  XIX  attuale,  XX  antico  si  vede  dominare  a  destra 
un  colle  con  ruderi  antichi,  al  quale  si  dà  il  nome' 
di  Monte  della  Guardia,  forse  per  qualche  guardia  ivi 
posta  a  protezione  de' viandanti:  presso  di  esso  a  de- 
stra dirama  la  via  antica,  che  oggi  conduce  a  Morlu- 
po,  ma  che  anticamente  si  diriggeva  a  Capena.  La  lo-^ 
calità,  questa  circostanza,  e  la  distanza  di  20  miglia 
dalla  porta  antica  di  Roma  non  lasciano  luogo  a  du- 
bitare per  riconoscere  in  questo  luogo  la  stazione  aé 
Vicesimum  ricordata  nella  Carta  Peutingeriana  e  nell'Iti- 
nerario Gerosolimitano ,  come  posta  al  XX.  miglio  da 
Roma,  ossia  XI  m.  dopo  quella  di  Ad  Rubras.  La  circo- 
stanza poi  di  vederla  ricordata  nell'Itinerario  Gerosoli- 
mitano sovraindicato  mostra,  che  almeno  fino  al  seco- 
lo XI  non  avea  perduto  il  nome  antico.''-  '  • 
,:!;'"  ,f;:-r  >ini')aoiìO')  5  ovoÌj 

MONTE  DJ  LEVA,    'yAWimm  ijq  oii 
iì^A  ih  ;v)iflrtntrid  m>viti 

'    '  '  dlasttìxm  Mmlis   èìtbdrir ';'*,„  , 

,  ;  ì')  ^obOTi^^ot  ibniup  ,ol 

Vasto  lenimento  dell'  Agro  Romano'  pertinente  ai 
Gavotti  circa  13  m.  distante  da  Roma  fralle  strade  di 
Decimo  e  di  Ardea ,  colla  quale  confina ,  come  pure 
polle  tenute  di  Castel  Romano,  Monte  Migliore,  Solfa- 
rata,  Petronella,  e  Capocotta.  Comprende  i  quarti  det- 
ti da  Capo,  Lucernari,  Fontaniletto,  e  Valle  Lupara  e 
Casale  e  si  estende  per  rubbia  640.  '  h  '»f!6 iM'itiji'- 
Ne'tempi  passati  in  luogo  di  Monte  di  Leva  appel- 


347" 

lavasi  questo  fondo  Monte  di  Levano,  perchè  ne'  tempi 
bassi  avea  il  nome  di  Mom  Olibani:  ed  il  castello,  che 
\i  era  stato  edificato  Castrum  Montis  Olibani  viene  ap- 
pellato' in  una  Carta  deirarchivio  di  s.  Maria  in  Via 
Lata,  nella  quale  si  determinano  i  confini  delle  tenute 
adiacenti  di  Solfarata  e  Petronella:  veggasi  il  manoscrit-^ 
lo  vaticano  n.  8050  :  carta  che  rimonta  dtea  V  anno 
1330.  Ora  Olibanum  fu  nome  ne' tempi  bassi  commtt- 
ne  a  molti  fondi ,  e  derivò  da  Olibanum  voce  barbata 
significante  incenso,  ed  adottata  ancora  nella  lingua  ita- 
liana, e  forse  fu  dato  a  tali  fondi  perchè  originalmen- 
te furono  assegnati  alle  chiese  per  la  spesa  degl'incen- 
si. Chiara  essendo  la  etimologia  di  questo  fondo,  fu  nul- 
ladimeno  tanto  trascurata  dai  topografi  de'  tempi  scor- 
si, che  per  la  vicinanza  di  suono  fra  Levand,  e  Lavi- 
nìo,  vi  collocarono  il  sito  di  questa  città  che  oggi  é 
<;erta  essere  stato  a  PraUca.  v.  LAVINIVM.  •''^ 

.3  ih  oni.^u  ho  i-jobuo:    iJ'oui  o  ,  fgoix'nq  ioiiBiu  iilo«i 
-msqm  MOI^TE  LIBRE TTK^^U'^I   nìfM 

■  V.  (  '-■■  .        ;  :.  *-;  '  ti:  li*  ò-ihmi  ,yiob 

...Ili  -yAAì])  Vi  o^ì}-'  .•■A- 
'"'■  Terra  della  Comarca,  nel  distretto  m  Tivoli, ^e  nel 
governo  di  Palombara  ,  distante  da  Roma  circa  m.  24 
p^Vla  via  salaria  propria,  ossia  per  la  strada  che  vi 
conduce  direttamente  da  Mentana  per  Grotta  Marezza, 
strada,  alla  quale  circa  3  miglia  dopo  si  riunisce  quel- 
la moderna  di  Rieti.  Contiene  672  abitanti ,  ed  ap»- 
partiené  ai  Sciarra  Colonna,  come  parte  del  patrimonio 
Rarberini  entrato  ia  quella  famiglia.  La  situazione  dì 
questo  castello  è  bella  e  le  sue  vicinanze  sono  pittore- 
sche.  La  chiesa  principale  è  consagrata  a  s.  Nicola  $ 


348 

Bari:  essa  fu  dedicata  ai  16  di  aprile  1535  e  ristaura- 
ta  nel  1773  come  da  iscrizioni  ivi  esistenti  raccogliesi, 
fj;;  Poche  terre  hanno  dato  luogo  circa  alla  loro  ori- 
gine, e  nome  a  tante  congetture  moderne,  come  questa, 
nella  quale  il  Cluverio  volle  riconoscere  il  mons  Lucre- 
iilis  di  Orazio,  ed  il  mons  Lucretius  di  Anastasio  nella 
vita  di  Silvestro  I.  Altri  ne  derivarono  la  etimologia  dai 
Brettoni  ingannati  dal  nome  di  Mons  Brictonum,  campus 
Brictonum  e  Brictonorum ,  col  quale  ne'  bassi  tempi  si 
trova  indicato ,  altri  come  1'  Olstenio  lo  confusero  col 
mons  Àliperti  ricordato  in  un  atto  del  1048  del  codice 
farfense.  Le  scoperte  però  fatte  in  questo  secolo  pres- 
so monte  Calvo  hanno  rischiarato  ancor  questo  dubbio; 
imperciocché  l'anno  1825,  nelle  rovine  di  una  villa  ro- 
mana magnifica  del  tempo  degli  Antonini,  furono  trova- 
te molte  sculture,  frallc  quali  le  statue  delle  Muse,  il 
Sileno,  ed  altre  che  si  ammirano  nella  villa  Borghese, 
molti  marmi  preziosi ,  e  molti  condotti  col  nome  di  C. 
BRVTTI  PRAESENTIS,  suocero  di  Commodo  impera- 
dore,  padre  di  Bruzia  Crispina  augusta,  personaggio  ri- 
vestito di  molti  onori  e  di  dignità  somme  durante  Tim- 
pero  di  Antonino  Pio,  di  Marco  Aurelio,  e  di  Commo- 
do, sotto  il  quale  morì. 

Egli  pertanto  fu  il  signore  delle  terre  di  questa 
contrada,  nella  quale  sorse  poi  il  castello,  di  che  si  trat- 
ta; quindi  il  campo,  ed  il  monte,  furono  denominati  Cam- 
pus e  Mons  Brutta,  e  poscia  Campus  e  Mons  Bryttii,  giac- 
ché ne'tempi  bassi  quel  nome  trovasi  scritto  Bryttius  in 
luogo  di  Bruttius,  e  così  venne  Mons  Bricti,  Monte  Lo 
Britti,  Monte  Lo  Bretti,  e  finalmente  Monte  Libretti.  La 
via  salaria  ancora  in  questa  parte  fu  detta  via  Bricta , 
e  così ,  come  confine  è  indicata  in  un  documento  del 
codice  florigcro  farfense  spettante  all'anno  1036  e  ripor- 
tato dal  Galletti  nel  Gabio  p.  12.  E  del  castello,  castel- 


349 

lum  quod  vocatur  Bricti  si  trova  menzione  in  un  conlràti* 
to  dell'anno  1018  citato  dal  Galletti  p.  44.  Era  pertan^ 
to  fin  dal  secolo  X  sorto  questo  castello,  che  or  col  no- 
me di  oppidunij  ora  con  quello  di  castrum  si  ricorda  in 
più  Carte  del  secolo  XI,  e  XII,  quando  di  già  era  sot-^ 
to  di  un  conte.  L'anno  1272  n'era  signore  Pietro  Senio^- 
rile  figlio  di  Oddone,  e  questi  in  quell'anno  lo  vendet- 
te ai  30  di  ottobre  a  Giovanni  Margani,  siccome  ricà^ 
vasi  dall'  istromento  originale  esistente  nell'  archivio  di 
s.  Spirito  in  Sassia  e  ricordato  dal  Galletti  Primicero  p. 
332.  Passò  nel  secolo  XIV  in  potwe  degli  Orsini,  i  qua- 
li' circa  duecento  anni  dopo  lo  vendettero  ai  Santacró*i 
ee:  Da  questi  passò  ai  Barberini,  nel  secolo  XVII  e  dai 
Barberini  sul  principio  del  secolo  presente,  per  eredità 
agli  SciaiTa;3Ì'irtH ;i«a»d  iqm3Ì5'oa:fifo«oq  ìy I \s^ìi^  ih l»J 

•fiìÌT  JsU^fl  iBJt^^B«Aj||l9iV9li^>iltólllO&'>9^-  a'Hjq  ivi  t«\«i»A 

:zm^..  ®auì>ii-i«oitB  jHaiitc:;:; 

*i^  ''Ha'-il^  ttoitìe  di  monte    Mario  la   parte   culminante 
del  dorso  gianicolense  la  quale  domina   immediatamen^! 
te  Roma,  e  che  è  coronata  dalla  villa  Mellini,  oggi  Fal- 
conieri ,  donde  si  gode  una  veduta  magnifica  ,  vastissi- 
ma, di  Roma,  di  tutta  la    pianura,  che  la  circonda,  ^i 
de'  monti,  che  la  coronano.  Gli  astronomi  Conti  e  R»c»*'> 
chebaèh  ne  determinarono  l'altezza  al  piano  del  casinò' 
della  villa  sovraindicata  a  piedi  408  e  4  pollici ,  sopra 
il  livello  del  marei>?«^*»^>«  ih  lipìi#f  jìl  i*  Vé^Ji*  jiJl'jn  '  éai«i> 
Il  suo  nome  è  moderno,  ma  non  tanto   quanto  sii 
crede ,  poiché  fino  dall'  anno   1409  si  trova  nel  Diario 
inserito  dal  Muratori  nella  sua  raccolta  de  Rerum  Itali- 
carum  Scriptores  Tomo  XXIV.  col.  1006.  Sul  principio 


350 

del  secolo  XII  dicevasi  mons  Gaudii  e  mons  Malus,  co- 
me si  trae  da  Pandolfo  Pisano  nella  vita  di  Pasquale 
II.  riportata  dal  Muratori  1.  n.  T.  III.  P.  I.  p.  361.  Mon- 
te Malo  pure  lo  chiama  il  card,  di  Aragona  nella  vita 
di  Alessandro  III.  1'  anno  1167.  Muratori  ivi  p.  458  ; 
come  monte  Gaudio  si  dice  da  Ottone  di  Frisinga  nel- 
la storia  di  Federico  Barbarossa,  e  da  Ottone  da  s.  Bia- 
gio, ambedue  editi  dal  Muratori  nella  raccolta  sovrain- 
dicatà  T.  VI.  col.  724  e  1149.         oSnontuiid  hnh  . 

La  sua  posizione  lo  fece  sempre  nn  punto  *impocr 
tante  a  tutti  quelli,  che  vollero  dominar  Roma  ne'tem- 
pi  antichi,  ma  molto  più  ne'  tempi  bassi,  dopo  il  pro^ 
lungamento  della  città  nel  Vaticano,  e  ne'tempi  moder-» 
ni:  ivi  ne'tempi  antichi  attendossi  Lepido  dopo  la  mor- 
te di  Siila,  ivi  poscia  ne'  tempi  bassi  Enrico  IV.  impe- 
radore  secondo  Pandolfo    Pisano   mandò   signiferos  cum 
bandis:  ivi  pure  secondo  il  card,  di  Aragona   nella  vita 
di  Alessandro  III.  l'imperadore  Federico  andò  ad  accam- 
parsi ai  19  di  luglio  l'anno  1167,  dopo  la  rotta  ripor- 
tata dai  Romani  ne'  prati  di  Monte  Porzio;  ivi  ancora 
secondo  Ottone  di  Frisinga  era  accampato,  quando  av- 
viossi  verso  Roma  ed  entrò  nella  città    Leonina  per  la 
porta   Aurea   colle  sue  genti.  Una    iscrizione    riportata 
dal  Grutero ,  e  dai  topografi  di  Roma  ,  e  specialmente 
dal  Nardini  T.  III.  pag.  372.  ricorda  il  clivo  di  Cinna 
fra  il  secondo,  ed  il  terzo  miglio  a  sinistra,  come  una 
delle  salite  di  questo  monte  cioè  particolarmente  quel- 
la che  vi  conduce    dalla   porta   angelica  ,  poiché  ivi  fu 
rinvenuta.  Ora  è  noto  che  1'  anno  666  di  Roma   Cinna 
entrò  nella  città,  e  la  riempi  di  strage:  è  probabile  che 
prima  di  entrarvi  si  accampasse  su  questo  monte,  don- 
de scendendo  verso  Roma  da  questa  parte  fu  causa  che 
tale  discesa   col    nome  di  Clious    Cinnae    venisse    desi- 
gnata, hfjlij'^   .(^! 


351 
,„,       MONTE  MARIO  e  MONTE  MAR10lO*,,uy\^m 

Cosi  chiamansi  due  tenute  dell'  Agro  Romano,  di- 
stanti da  Roma  circa  14  miglia  e  poste  fralle  vie  Clau- 
dia e  Cornelia,  confinanti  con  quelle  di  s.  Nicola,  Cen- 
trone,  Casal  di  Galera,  Buccèa  e  Bucceola.  Appartengo- 
no ora  al  Collegio  germanico,  e  contengono  344  rubbia 

di  terra^.rioinr.Lì  atm^4'^i€^ìvì^^omiì&  ?i*wii4»»;  Isì^'?*  i?  < 
Anastasio  Bibliotecario  nella  yita  di'ZacdEiria  narra 
come  quel  papa  verso  la  metà  del  secolo  Vili  formò  in 
questi  dintorni  utìa  domuscuUa  che  assegnò  agli  usi  del- 
la Chiesa  Romana;  e  quella  domuscuUa  sembra  che  fos- 
se costituita  da  varii  fondi  indicati  nella  bolla  di  Leo- 
ne IX  dell'  anno  1053  ,  colla  quale  confermansi  i  beni 
del  monastero  di  s.  Stefano  Maggiore  situato  presso  la 
basilica  vaticana,  assegnati  al  Capitolo  di  s.  Pietro,  bol- 
la che  si  riporta  nel  Bollario  della  Basilica  Vaticana  to- 
mo I.  p.  39:  e  quelli  fondi  designati  co'nomi  di  Came- 
lianum,  Olibula,  Agellum,  Pinum  Cameranum,  Lauretum 
ec.  s'indicano  posti  fra  il  territorium  de  Buccege  (Buccea), 
il  Casale  Celisanum  (Celsano)  il  rivo  Galeria,  e  l'Arro- 
ae,  confini  che  precisamente  circoscrivono  questi  du,e 
tenimenti,  ed  alcune  altre  adiacenze.  E  questi  fondi  fu?: 
rono  poscia  dati  in  enfiteusi  al  monastero  di  s.  Saba^^J 
ed  in  tale  stato  vengono  indicati  nelle  bolle  di  Adria-^, 
no  IV  dell'anno  1158,  e  di  Urbano  III  del  1186  come 
possessiones  terrarum,  quas  a  canonica  vestra  monasterium 
s.  Saòae  tenet  in  territorio  Galeriae.  Il  monastero  di  s. 
Sabba  fu  dato  in  commenda  nel  secolo  XV.  e  questa 
fu  dà  Paolo  IV  concessa  l'anno  1556  all'ospedale  di  s.. 
Spirito:  veggasi  il  Saulnier  de  cap.  ord,  s.  Spiritus  etc. 
p.  51.  Gregorio  XIII.  però  nel  1574  diede  al  collegiq, 
germanico   tutti  i  beni  di   quella   commenda,  e  questui 


collegio  fin  da  quella  epoca  possiede   queste  due  tenu- 
te insierae   unite. 

-il>  „(>.':ij(ir;   ;;ij.'A '?!♦»!♦  'fsifflyf'  MOT)  i^afìumid':  ikolì  : 
-«Kb  1)1  ;  •»lir.  il    MONTE  MÀSSIMO. ,  f^moìlié  hiifiU 

Nel  celebre  manoscritto  di  Cencio  Camerario  esì-' 
stente  nella  Biblioteca  Vaticana  riportasi  una  locazione 
perpetua,  o  come  noi  diciamo  enfiteusi  della  città  pre- 
nestina,  e  delle  sue  pertinenze,  fatta  Tanno  970  da  pa-* 
pa  Giovanni  XIII  a  Stefania  senatrice  ;  e  come  confinì 
di  quel  territorio  vengono  indicati  il  Rìvùs  latus,  la  via 
lavicana,  il  MONTICELLVS  DE  MAXIMO,  iì  pons  de 
Cicala,  VÀqtia  Alta,  la  valle  di  Camporazio,  ed  il  Mons 
de  Folianii.  Parecchi  di  questi  limiti  conservano  l'anti- 
co nome ,  come  il  ponte  Cicala ,  Camporazio  ec  ',  e  fra 
questi  anche  il  MONTICELLVS  DE  MAXIMO  che  Mon- 
te Alassimo  oggi  si  dice,  njrii  ,!1ijìHm?|4  ,Mntti!U  ,Bi|jm.il 
''  Questo  monte  facilmente  si  riconosce  fra  ponte  Ci^ 
c»!a,  che  è  al  XIV:  miglio  della  vìa  prenestina  fuori 
di  porta  Maggiore,  e  la  stazione  di  s.  Cesario  che  é  al 
XVIII  sulla  via  labicana  quasi  ad  e  guai  distanza  da  am-" 
bedue,  ossia  2  miglia  di  là  dal  primo  punto,  e  due  di 
qua  dal  secondo  sulla  riva  sinistra  del  fosso  di  ponte 
Cicala,  servendo  di  separazione  fra  quello,  ed  il  fosso 
di  Ponte  del  Fico^  ìj  j^jioìiì}'.»  a  rww^  ,jì%\V\IsS'<^ì  f.òjvovi«e<:.-i>.>^^ 
Incerta  è  la  étiitiòrógia'  di  IMfàsSihiO,  clìiB  ha  quésto 
colle,  potendosi  derivare  egualmente  da  qualche  Massi- 
mo, <;hte  ne  sarà  stato  proprietario  ne'  tempi  antichi,  o 
dall'  essere  in  que'  dintorni  il  più  alto  tumulo.  Oggi  è 
incluso  nel  territorio  di  Zagarolo;  nel  secolo  Vili,  però 
faceva  parte  della  Massa  Alliana ,  siccome  ricavasi  dal 
registro  di  Cencio  Camerario  inserito  dal  Muratori  nel 


353 
iomo  V  delle  Antiquitates  Medii  Aevi^  massa,  che  seb- 
bene fosse  sulla  via  prenestina ,  era  inclusa  in  .quella 
epoca  jiel  Patrimonium  Tihurtinum,  come  chiaramente 
sì  trae  dal  documento  indicato,  nel  quale  si  legge, 
che  Gregorio  II.  circa  1'  anno  720  die  in  enfiteusi  a 
Marnalo  Fundum  Funianum  via  praenestina  milliario  plus 
minus  XV.  cioè  non  lungi  dal  monte  Massimo,  ex  cor- 
pore  Mdssae  Alienae  patrimonio  tiburtino.  Essa  veniva 
/ormata  dalle  terre  ,  che  trovansi  a  sinistra  ed  a  de- 
stra della  via  prenestina,  fra  il  milUarc  XV.  e  XVII. 
,e  che  ne'  tempi  più  antichi  costituivano  principalmente 
il  patripiQjiio  della  tribù  Scaptia.  kìv>1)  hhì.ìJ'Ì 
1.»;  ì;ì.j:;  ;.i;  h  '      -Oj;'t   nrisoll  fib 

»r.(j  0  osì!  noJ     MO^TE   MIGLIORE  o    riniiiiRlì 

-t)f)b  .'.?iwij}*f)n  fM>(YÌ!)  eÌ'I'Ìui  ìi\Y  u'j-\h  '.I  >  »o>,mn 

Vasta  tenuta  dell'  Agro  Romano  di  rubbia  657  ;, 
posta  fuori  della  porta  s.  Paolo  sulla  strada  attuale  di 
Ardea,  circa  12  miglia  lontano  da  Roma,  la  quale  per 
conseguenza  comprende  i  fondi ,  che  nella  bolla  di  s. 
Gregorio  I.  esistente  in  marmo  nella  sagrestia  de'  ss. 
Giovanni  e  Paolo  sul  monte  Celio ,  vengono  designati 
col  nome  di  Fimdus  Lausianus,  e  Fundm  Fausiantis.  Nei 
tempi  passati  era  divisa  in  due  tenute ,  che  si  distingue- 
vano col  nome  di  Monte  Migliore  piccolo,  e  Monte  Mi- 
gliore grande  :  il  primo  più  verso  il  ponte  di  Schizza- 
nello,  r  altro  più  verso  la  Solfarata.  Questa  tenuta  og- 
gi uiuta  insieme,  e  considerata  come  un  corpo  solo  con- 
fina con  quelle  denominate,  Mandriola,  Castel  Romano, 
Monte  di  Leva,  Solfarata,  Solfaratella,  Radicelii,  Schiz- 
zanello,  e  Pedica  della  Osteria.  È  divisa  ne'quarti  del- 
la Selvotta,  del  Gore,  di  Monte  di  Leva,  Schizzanello, 
e  Pedica  della  Osteria. 

Non  ho  potuto  trovare,  né  la  epoca,  né  la  etimolor 
già  del  nome ,  che  oggi  questo    fondo  porta ,  né  come 

23 


354 

dalia  chiesa  de' ss.  Giovanni  e  Paolo,  alla  quale  sui  fi- 
nire del  secolo  YI.  apparteneva  passasse  in  altre  mani. 
:Sul  declinare  del  secolo  XYII.  era  de'  Girard ,  i  quali: 
i'hanno  posseduto  fino  al  principio  del  secolo  attuale , 
in  che  venne  venduto  al  principe  di  Piombino,  che  n'.è 
TaU^de  possessore. 

MONT^  MUmO  V.  AJIAE  MVTIAE, 

MONTP  OLIVIERO, 


Tenuta  dell'Agro  Romano  situata  circa  8  m,  lungi 
da  Roma  fuori  di  porta  del  Popolo  a  sinistra  della  via 
flaminia,  e  pertinente  al  Capitolo  de'  ss,  Lorenzo  e  Da;? 
maso.  Comprende  circa  405  rubbia  divise  ne'quarti  detr 
^  del  Casale,  deXucemarj,  dellì  Montarozzi,  e  delle  setr 
taptà  rubbia.  Confina  con  le  tenute  di  Pietra  Pert|isa| 
S«)«22a  Mazza^  s.  Cornelia,  e  Yaccarecc^a. 

MONTJS  DELLE  PICHEr      ■>  <  'o       ; 

Una  delie  ultime  lacinie  del  dorso  di  Monte  Yerde, 
la  quale  va  a  terminare  sul  Tevere,  circa  4  miglia  fuo=- 
ri  dj  porta  Portese,  ed  è  causa,  che  la  via  portuense  an-» 
tica  sia  costretta  a  fare  la  unica  salita,  che  abbia  da  Bo? 
ma  fino  al  mare,  salita  che  torse  anticamente  non  face> 
va,  ma  che  è  stata  cagionata  da  qualche  sfaldamento  avr 
venuto  ne'tempi  bassi,  e  dalle  irregolarità  successivamenr- 
te  occorse  nella  direzione  dell'alveo  del  Tevere,  che  in 
questa  parte  anticamente  radeva  più  la  ripa  sinistra.  Que-t 
sto  monte  communica  il  suo  nome  ad  un  piccolo  teni* 
piento  di  circa  12  rubbia  e  mezzo  pertinente  a  famiglie 
j)rivate. 


355 
MONTE  PORCARO.  i» 


.!' 


Mom   parconu0. 


Castello  antico  diruto,  tre  miglia  circa  di  là  da  Su- 
^iaco  verso  oriente,  posto  fra  Subiaco^  Jenne  ,  e  Valle 
pietra.  Esso  fu  per  la  prima  volta  fortificato  l'anno  1090 
■dall'abbate  Giovanni ,  secondo  il  Chronicon  StMacense  , 
mentre  stava  assediando  Jenne  :  allora  vi  fu  eretta  una 
torre,  un  palazzo,  una  chiesa  di  s.  Maria,  ed  un  <;a«^rum 
^on  grave  dispendio.  Verso  la  metà  del  secolo  seguente 
fu  occupato  dai  Trebani,  e  poco  dopo  ripreso  dai  monaci 
sublacensi,  «ssia  da  Simone  abbate.  Poscia  andò  decar 
Jendo,  e  fino  dal  secolo  XV  rimase  abbandonato,  e  suc- 
cessivamente al  ridusse  nello  stato  attuale  di  rovina.  Alla 
«poca  in -che  venne  edificato  poteva  sostenersi,  come  punte 
di  difesa  e  di  guardia  per  parte  de' monaci  sublacensi, 
sebbene  con  grave  disagio  e  dispendio.  Gessati  que'mo- 
livi  dovè  di  necessità  venir  meno  per  l'asprezza  del  sit© 
<e  la  deficienza  delle  acque. 
.Ml^l.  . 
mu  Ri\  Vi  MONTE  PORZIO 

.k\ìì\   ih   ib't     '         .       >  q    ;  :• 

••  terra  della  Comarea  dì  Rotaa  pOàta  IH  miglia  fuori 
^  porta  s.  Giovanni  nel  distretto  di  Roma,  nel  governo 
«  diocesi  di  Frascati  ,  la  quale  contiene  1180  abitanti. 
Essa  è  situata  sopra  un  colle  amenìssimo  scoperto  verso 
«ettentrione  ed  oriente  ,  dove  gode  una  bella  ed  ampia 
veduta  della  campagna  di  Roma,  e  della  catena  degli 
Appennini,  che  la  coronano.  Gli  astronomi  Conti  e  Rie» 


856 

chebacfa  ne  hanno  determinato  la  latUudInc  a  41"  48'  55" 
5  e  la  longitudine  a  30°  22'  15"  0:  l'altezza  poi  sul  Ut 
vello  del  mare  calcolata  dalla  sommità  della  tribuna  della 
chiesa  è  di  piedi  parig.  1460,  4.' 

Nell'andare  a  questa  Terra  da  Frascati,  donde  è  dir 
stante' . circa  3  miglia,  la  strada  costeggia  per  un  buon 
trìktto  la.  YÌlIa  Borghese  e  la  villa  Mondragone  ,  quindi 
passa  a  traverso!. vigne  chiuse  da  siepi  verdi,  e  fiorite: 
i  poligoni  di  selce,  che  ivi  s'incontrano  fan  prova  di  es- 
sere questo  uri  diverticolo  antico,  che  manteneva  le  com- 
municazioni  f ralle  Vie  tusculana  e  labicana  ,  diramando 
dalla  prima  presso  la  odierna  città  di  Frascati ,  e  rag- 
giungendo l'altra  sotto  la  Colonna.  Queste  traccie  ,  che 
si  osservano  fra  Frascati,  e  Monte  Porzio  sono  ancor  più 
-visibili  e  chiare  fra  Monte  Porzio  e  la  Colonna,  dove  ol- 
tre i  poligPOi  sHneontrano  ancora  sepolcri.  Circa  la  metà 
di  questa  strada  nel  sito  denominato  le  Cappelletto  veg- 
gonsi  sostruzioni  magni|iche  a  nicchioni,  che  danno  orir 
gine  ^1  nome  volgare  della  contrada,  le  quali  apparten- 
nero ^d  ypa  vijla  sontupsa  di  quelle  tante,  che  coprivano 
i  colli  tusculani  :  queste  sostruzioni  Sono  di  opera  reti- 
colata con  legamenti  di  opera  laterizia  :  gli  archi  delle 
nicchie  sono  costrutti  di  mattoni,  ed  i  pilastri  fra  una 
nicchia  e  l'altra  sono  fasciati  di  parallelepipedi  di  tufa, 
caratteri,  che  fan  riconoscere  queste  costruzioni  per  opera 
degli  ultimi  tempi  della  repubblica,  o  de'primi  dell'im- 
pero. Esse  proseguono  sull'alto  del  monte,  dove  sono  in- 
terrate, ma  ivi  non  sono  più  a  nicchioni,  ma  a  nicchie 
strette,  ossia  ad  angoli  rientranti  e  salienti,  ed  a  due  oi*- 
dini.  Incerto  è  il  nome  di  questa  villa ,  la  qu^le  però 
non  fu  certamente  né  di  Lucullo,  né  di  Cicerone;  forse 
potè  essere  di  Catone  il  giovane,  di  quello  cioè,  che  si 
yccise  in  Utica,  e  la  vicinanza  di  Monte  Porzio  dà  qualr 
che  peso  a  questa  congettura,  che  trovasi  dall'altro  canx 
io  di  accordo  colla  epoca,  che  presenta  la  costruzione. 


35? 
;  li  nome  di  (jaesto  villaggio  è  almeno  da'tempibasr" 
ài,  il  villaggio  stesso  però  e  moderno.  Nella  bolla  di  Gre^ 
gorio  VII  a  favore  del  monastero  di  s.  Paolo  fuori  delle 
mura,  data  l'anno  1074,  e  riportataì  dal  Margarini  Bull. 
Cassin.  T.  II,  fralle  altre  pessidenze  di  quel  monastero 
vien  nominato  aitcòra  il  Montem  Porculi  :  così  nella  Cro- 
naca del  Monastero  Cassinense  riportata  dal  Muratóri  R. 
I.  S.  T.  IV.  p.  248  si  ricorda  una  chiesa  di  s.  Antonio 
in  Monte  Porculo  territorio  tusculano.  E  nella  Crònaca  di 
Sicardo  riportata  dallo  stesso,  T.  VII.  pag;  599,  parlando 
della  disfatta,  che  i  Romani  riportarono  l'anno  1167  dai 
Tttsculani  utiiti  ai  Tedeschi,  dice  che  1' incontrò  seguì 
apud  Montem  Portium.  Quindi  è  chiaro  che  il  luogo  già 
cbiamavasi  Mons  Porculi,  ò  Poroulus  nel  secolo  XI  e  che 
allora  spettava  ai  monaci  cassinensi  di  s.  Paolo,  che  que- 
sto era  una  corruzione  di  Mons  Porcii,  a  Porcius,  nome 
che  non  si  era  ancora  dimenticato  nel  secolo  XII;  laondis 
nott  è  affatto  knprobabile  ,  che  lo  avesse  fino  da'  tempi 
anticlù  per  la  villa,'  che  ivi  ebbero  i  Porzii,  ossia  i  Ca- 
toni. Ma  la  Terra  non  sorse  ,  se  non  nel  pontificato  di 
Gregorio  XIII,  e  perciò  sulla  porla  veggonsi  i  draghi  , 
stemma  di  quel  papa  :  e  la  chiesa  principale  in  memoria 
del  suo  nome  e  dedicata  a  san  Gregorio^  Magno  ,  come 
pure  a  S;  Antonio  antico  protettore  del  luogo  ,  secondo 
a  Chron.  Cassinense  citato  di  sopra.  E  questa  chiesa  è 
l'oggetto  ,  che  la  Terra  contiene  ,  degno  di  particolare 
memoria.  Essa  fu  riedificata  dalle  fondamenta  circa  l'an- 
fao  1666  dal  principe  Giovanni  Rattista  Rorghese  signore 
della  Terra,  ed  un  secolo  dopo  fu  ampliata  ed  ornata 
dal  principe  Marco  Antonio,  padre  del  principe  Rorghese 
attuak,  e  consagrata  di  nuovo  il  iprioK)  di  giugno  1766 
dal  card.  Enrico  Stuart  detto  il  duca  di  York.'  Nell'ai^ 
tare  della  crociata,  a  sinistra  di  chi  cnt^ra,  eoiisérvaisi  il 


358 

corpo  di  s.  Laconilta  trovato  nelle  catacombe^  di  Ciriaca 

Tanno  1783  colla  iscrizione  originale  che  dice: 

LACONILLAE  QVAE  viXIT  AN.  XXX. 
BENEMERENTI  IN  PACE. 

Pocd"  prima'  di  salire  a  Monte  Porzio  diverge  a  de- 
sCra  della  strada  descritta-  di  sopra  un  viottolo^  che  per 
i  Camaldoll  raggiunge  una  delle  grandi  strade,  che  con- 
ducevano a  Tasculo  ,  entrando  per  la  porta  orientale  , 
presso  cui  rimane  ancora  la  colonna  migliaria  col  num. 
XY,  che  detennina  la  distanza  da  Roma  a  Tuscuk)  per 
quella  strada, 

MONTERONI 

■     ■■  .  ^    ;»  ■<>  -^ 

È  una  stazione  postale  sulla  strada  di  Civitavecchia^^ 
22  miglia  circa  distante  da  Roma,  la  quale  ha  nome  d» 
parecchi  tumuli,  o  monterozzi  di  terra,  che  ivi  si  veg- 
gono, probabilmente  sepolcri  degli  antichi  Alsiensi.    < 

MOmE  ROSI  —  ROSSVLVM. 

Terra  della  Comarca  di  Roma  nel  Governo  di  Cam- 
pagnano,  distante  circa  25  m.  da  Roma;,  sulla  gran  stra- 
da postale^  presso  al  bi£orcamento  delle  due  vie,  cioè  di 
Viterbo,  e  di  Civita  Castellana,  e  per  conseguenza  posta 
in  un  punto  molto  importante.  Nulla  nel  rimanente  ivi  si 
scorge,  che  meriti  particolare  menzione,  né  di  antico,  né 
di  moderno  ,  quantunque  non  sembri  probabile  essere' 
stato  il  sito  ne'tempi  antichi  trascurato.  Molli  credono  ^ 
che  ivi  sorgesse  un  luogo  di  nome  Rossulum^  donde  de- 
rivasse il  Mons  Rossultis  ricordato  nella  bolla  d'Innocen- 
zo III  dell'anno  1203  come  pertinente  al  monastero  di 
s.  Paolo:  reggasi  il  Margarini  Bull.    Cass.  T.  I.  Né  ia 


359 
so  trovare  i  obbiezione^  qttanttmqtfe  neoclassici  antichi  non 
Tenga  affatto  ricordato.  L'Ortelio  cita  in  favore  di  Rps- 
snlum  Antonino,  cioè  Tltinerario,  che  va  sotto  }\  suo  no* 
me,  ma  in  Antonino  non  ho  potuto  trovarlo.  Certo  è  pe- 
rò, che  Mon»  ÈosstUu»  è  T origine  della  Terra  odierna, 
e  che  di  già  esisteva  nel  secolo  XiJI  pel  documento  inr' 
dicato  d'Innocenzo  IH.  E  perchè  non  si  prenda  equivo- 
co ,  in  quello  stesso  documento  a  Montem  Rossidum  si 
unisce  ancora  il  lago  esistente  a  pie  della  Terra,  efae 
Iago  di  Monte  Rosi  oggi  si  dice,  ed  ha  appena  un  mezzo 
miglio  di  circonferenza^  e  che  in  quella  bolla  vien  desi- 
gnato col  nome  di  Lacum  qui  vocatuf  lanulay  nome  che 
pure  si  legge  in  quella  di  Gregorio  VII  dell'anno  1074. 
Quel  Iago  ebbe  il  nome  di  lanula  dal  fondoy  nel  quale 
era  ccmipreso,  che  fundu»  lanula  viene  appellato  in  un* 
altra  bolla  di  papa  Innocenzo  III  esistente  neirArchivio 
di  s.  Paolo,  e  riportata  dal  Galletti  nel  Primieero  p.  333. 
E  questo  fondo  medesimo  Villa  lanula  si  dice  nella  bolla 
di  Onorio  III  riportata  nel  Eullarium  Vaticanum  T.  I* 
p.  103,  dove  apparisce,  che  era  in  parte  allora  proprietà 
della  chiesa  di  s.  Tommaso  in  Formis  sul  monte  Celio. 
Altre  memorie  su  questa  Terra  non  ho  potuto  rinveni- 
re; dai  documenti  citati  risulta^  che  nel  secolo  XI  non 
era  ancora  una  terra,  e  che  almeno  6no  al  secolo  XIII 
fu  de'monaci  di  Sv  Paolo,  quindi  per  gli  sconvolgimenti 
de'secoli  susseguenti  tornò  sotto  il  dominio  immediato 
della  s.  Sede. 

MONTE  ROTONDO. 

Terra  sopra  una  collina  amenissima,  posta  a  destra 
della  strada  di  Rieti,  comunemente  detta  via  Salaria, 
ma  che  ivi  non  é  la  stessa,  poiché  quella  via  antica  di- 
verge dalla  moderna  prima  del  casale  di  Marcijiana.  Essa 
contiene   1853  abilanti,  appartiene  al  principe  di  Pioni'' 


3t;o 

bino,  ed  é  circa  15  m.  distante  da  Roma,  e  così  pros- 
sima air  antico  Nomenlum  oggi  Mentana ,  che  ne  dista 
appena  un  miglio  e  mezzo. 

Molte  volte  ho  visitato  questa  Terra,  come  quella, 
che  per  la  sua  situazione  poteva  occupare  il  luogo  di 
qualche  città  antica,  e  soprattutto  perchè  la  volgare  opi- 
nione, anche  in  questi  ultimi  tempi  riprodotta,  vi  colloca 
Eretum;  ma  altrove  ho  mostrato  le  difficoltà  insormon- 
tabili, che  si  oppongono  a  questa  congettura  ,  la  quale 
d'altronde  non  ha  neppure  una  tradizione,  che  l'appoggi: 
vcggasi  l'art.  GROTTA  MAROZZ A.  lo  stesso  sarei  stato 
inclinato  a  riconoscervi  Crustumerii  ;  ma  poscia  ho  do- 
vuto convincermi,  che  è  troppo  lontana,  e  che  per  altre 
ragioni  quell'antica  città  de'  Prischi  Latini  non  potè  es- 
sere ivi  situata:  veggasi  l'art.  CRVSTVMERII.  Inoltre 
é  un  fatto  positivo ,  che  in  Monte  Rotonda  non  rimane 
vestigio  di  fabbriche  anteriore  al-  secolo  XIII  ;  ma  solo 
qualche  frantume  di  marmo,  e  qualche  iscrizione  sepol- 
crale fuor  di  luogo,  trasportata  dalle  vicinanze.  Quindi 
d'uopo  è  riconoscere  questa  Terra,  come  sorta  ne' tempi 
bassi  ,  forse  dalle  rovine  di  qualche  villa  romana  ,  alla 
quale  appartennero  i  frantumi  e  le  iscrizioni  sovraindicate. 
Siede  questa  terra  sopra  un  colle  di  mediocre  al- 
tezza, ma  non  come  afferma  l'autore  della  opera  intito- 
lata Monumenti  Sabini  a  livello  del  Quirinale  ,  essendo 
molto  più  alto.  La  memoria  più  antica,  che  ne  he  tro- 
vato appartiene  all'anno  1074,  Quando  Gregorio  VH  nella 
bolla  a  favore  del  monastero  di  s.  Paolo  fuori  delle  mu- 
ra, la  nomina  fralle  possessioni  di  quel  luogo  pio  insie- 
me con  Lamentana,  chiamandola  Castrum  Rottmdim  e  vi* 
unisce  una  chiesa  di  s.  Reparata  ed  una  selva  dello  stess» 
nome.  Una  iscrizione  che  si  conserva  nella  sagrestia  della 
collegiata,  che  enumera  le  reliquie  ivi  collocate  appar- 
tiene all'anno  1152.  Nel  secolo  seguente  venne  in  potere 


361 
degli  Orsini  ,  ed  una  Carta  riportata  dai  Galletti  nella 
opera  del  Primicero  pag.  350^  esistente  nell'  archivio  di 
san  Paolo  ne  fa  menzione  col  nome,  che  oggi  conserva 
di  Mons  Rotundus.  Gli  Orsini  la  ritennero  fino  al  pon- 
tificato di  Urbano  Vili  nel  secolo  XVII.  Durante  il  loro 
dominio  questa  terrà  ebbe  molte  peripezie  nel  secolo  XV; 
imperciocché  l'anno  1432  fu  presa  da  Niccolò  Fortebracci 
coH'ajuto  de'Colonnesi^  secondo  che  narra  Nero  di  Gino 
Capponi  presso  i  Rerum  Italie.  Script.  T  XVIII.  p.  1179; 
nel  1485  fu  dagli  Orsini  stessi  incendiata  il  dì  6  di  à&- 
cembre,  come  narra  il  Nantiporto  :  ivi  Tom.  III.  P.  II, 
^g.  1097  :  e  poco  dòpo  occupata  dai  soldati  del  papa, 
secondo  l'Anonimo,  che  descrive  quella  guerra,  e  che  si 
legge  nella  stessa  raccolta  p.  1201  ,  dal  quale  pure  ap- 
prendiamo, che  r  anno  seguente  1486  ai  2  di  luglio  fu 
presa  dal  duca  di  Calabria.  Dagli  Orsini  circa  l' anno 
1640  passò  per  vendita  ai  Barberini ,  e  da  questi  nel 
secolo  passato  alla  famiglia  del  Grillo,  la  quale  nel  1825 
la  vendette  al  principe  di  Piombino.     ,;  h^-'tihti    i 

Allorché  venne  in  potere  de 'Barberini  furono  edifir 
cate  le  mura  attuali  e  le  porte,  che  attualmente  vi  danr 
no  accesso,  cioè  la  Romana,  detta  pur  di  s.  Rocco ,  la 
Canonica,  e  quella  di  Palazzo.  Fuori  della  porta  Romana 
fu  edificato  il  borgo,  le  cui  case  distinguonsi  per  la  co- 
struzione recente  da  quelle  della  Terra  ,  le  quali  gene- 
ralmente sono  di  opera  saracinesca  del  secolo  XIII.  Quat- 
tro sono  le  chiese;  la  collegiata  dedicata  a  s.  Maria  Mad- 
dalena contiene  un  quadro  di  Carlo  Maratta  rappresen- 
tante i  ss.  Filippo  e  Giacomo  protettori  della  Terra:  un 
Salvatore  di  Ciro  Ferri:  ed  un  Purgatòrio  di  scuola  del 
Zampieri;  la  chiesa  parrocchiale  di  s.  Ilario  dove  il  mar- 
tirio di  s.  Stefano  si  reputa  opera  del  Mantegna.  Presso 
questa  chiesa  é  un'  ara  sepolcrale  con  loculo  sopra  per 
contenere  le  ceneri  della  estinta  Cocceia  Giusta,  alla  quale 


362 

questo  raonuttrenta  fu  eretto  dai  genitori  Kicolao  e-  Pan- 
nichide  ?  sembra  che  questa  ara  fosse  collocata  in  mezzo 
ad  UQ  bivio,  poiché  ha  la  medesima  iscrizione  da  tre 
lati)  e  disposta  nello  stesso  modo,  con  caratteri  dì  beli» 
forma  :  e  vi  si  osserva  la  particolarità  di  un  punto  nella 
ultima  parola  PI.ISSIMAE,.  il  quale  è  tutte  e  tre  le  voltai 
ripetuto.  Questa  iscrizione  mal  riportata  dallo  Sperandia 
nella  sua  Sabina  Sacra  e  Profana  p.  421  si  riporta  purer 
scorretta  dall'  autore  dei  Monumenti  Sabini  :  essa  dice^ 
così  : 

DIS  MANIB  in 

COCCEIAE  >  :    V 

IVSTAE 

NICOLAVS  EST 

PANNYCHIS 

PARENTES  FILIAK 

PI .  ISSIMAE 

ti  palazzo  baronale  è  magnifico  ;  esso  fu  ediffcatciP 
dagli  Orsini ,  ed  il  loro  stemma  si  vede  in  più  parti  , 
eome  pure  quello  de' Barberini  loro  successori  ,  i  quali 
viemmaggiormente  lo  abbellirono  :  in  esso  sono  pitture 
non  ispregevoli,  ed  una  torre  altissima  che  scopre  un  im- 
menso orizzonte,  e  servìf  per  la  triangolazione  della  mappa^ 

Uscendo  dalla  Terra  nella  vigna  Cristaldi  si  legge 
ta  lapide  seguente  : 

D  .  M 
IVLIAE  FORTVNATAE  M.  IVLIVS 
MARTIALIS  FILIAE  DVLCISSIMAE 
QVAE  VIX.  ANN.  VII.  MENS.  III. 

FECIT 

Questa  iscrizione  si  riporta  anche   essa   dallo  Spc" 


363 
randìo,  e  male  r  egli  dice,  che  stava  allora  avanti  la  oste- 
ria Mei  sulla  strada  consolare,  donde  poi  fu  trasportata 
recentemente,  dove  og^i  si  vede,  quindi  ha  torto  l'autore 
àe' Monumenti  Sabini  di  trarne  argomento  per  dichiarare 
essere  stato  il  terreno  Cristaldi  la  villa  del  poeta  Mar- 
ciale. Imperciocché  é  certo,  che  quel  poeta  avea  un  pre- 
dio nel  territorio  nomentano,  che  sovente  ricorda  ne'suoi 
epigrammiy^  è  possibile,  che  egli  sia  il  Marco  Giulio  Mar- 
ciale di  questa  iscrÌ2Ìone>  ma  è  vero  altresì  che  la  iscri- 
zione non  si  sa,  dove  originalmente  fosse  :  che  se  real- 
mente fòsse  stata  rinvenuta-  ne'dintorni  dei  luogo  ove  si 
trova,  sarebbe  una  induzione  di  più  per  credere  che  iF 
sito  di  Monte  Rotondo  era  parte  del  territorio  nomen- 
tano, come  io  credo  y  e  perciò  non  era  compreso  né  in 
qaello  di  Ereto,  né  in  quello  di  Crustumerii.  L'  autore 
de'Monumentì  Sabini  narra,  che  nel  luogo  detto  il  Casal 
di  s.  Matteo  vennero  disotterrati  busti  e  statue  fram- 
mentate, minori  del  vero  j  egli  riporta  inoltre  la  iscri- 
zione seguente,  che  si  legge  sopra  un  cinerario,  la  quale 
dice  cosi? 

D.      M. 

POMPONIAE    APHRODISIAE 

TI.  CLAVDIVS  ATIMETVS  CONIVGI 

BENEMERENTI 

Sopra  questa  iscrizione  merita  osservazione  il  nome 
di  Pomponia,  discendente  di  un  qualche  liberto  del  ce- 
lebre Tito  Pomponio  Attico  ,  imperciocché  è  un  nuovo- 
indizio,  che  il  sito  di  Monte  Rotondo  fosse  parte  del 
territorio  nomentano,  sapendosi  da  Cornelio  Nipote  nella 
vita  di  quell'illustre  romano,  che  Pomponio  non  ebbe  in 
Italia  altri  fondi  praeter  ardeatinum  et  nomentanum ,  tu-' 
9ticum  praedium. 


364 

MONTE  DEL  SORBO  e  PILO  ROTTO     '     ^ 

flalagai  -  JpUu0  Huptus    '    ^  '  | 
illonte  òt  éen)0. 

Tenuta  dell'Agro  Romano  fuori  di  porta  s.  Lorenzo 
circa  10  ni.  lontano  da  Roma,  pertinente  fino  dal  seco- 
lo X  alla  chiesa  di  s.  Maria  in  Via  Lata,  che  comprende 
rubbia  311  e  mezzo  divise  ne'quarti  del  Campanile,  del 
Torraccio,  del  Pilo  rotto,  e  del  Casale.  Confina  colle  te- 
nute di  Tol*  Mastorta,  Castel  Arcione,  Marco  Simone,  e 
Tor  de'Sordi,  e  co'territorii  di  s.  Angelo  e  Monticelli. 

Nel  registro  di  Cencio  Camerario  riportato  dal  Mu- 
ratori nelle  Antiq.  Medii  Aevi  T.  V.  si  trova  notato  come 
Gregorio  li  affittò  ad  Anna  religiosa  e  a  due  altre  per- 
sone circa  l'anno  720  i  fondi  denominati  Argenti,  Ver- 
clanum,  Lugeranum,  CoHivercorum,  Toleranum,  per  due 
soldi  d'oro  l'anno  :  e  quelli  detti  Tuci,  Trasis,  SenanUm, 
e  Possessianum,  per  50  soldi  bizantini  di  oro,  tutti  del 
corpo  della  massa  sabinese,  ai  quali  si  andava  per  la  via 
tiburtinà,  e  che  erano  distanti  10  m.  da  Roma.  La  di- 
ifezione  e  la  distanza  da  Roma  di  questi  fondi  coinci- 
dono colla  tenuta  in  questione,  e  perciò  ,  se  non  tutti , 
almeno  parte  di  essi  possono  credersi  compresi  entro  i 
suoi  confini.  Il  Martinelli  nella  opera  intitolata  Primio 
Trofeo  della  Croce  p.  57.  riporta  tradotta  in  italiano  una 
relazione  esistente  nella  Biblioteca  Palatina  in  latino  nel 
cod.  n.  5516,  dalla  quale  apparisce,  che  Maroza,  insie- 
me con  Stefania,  e  Teodora  sorelle  del  celebre  Alberico 
console  romano  donò  alla  chiesa  e  monastero  di  s.  Ciria- 
co, oggi  s.  Maria  in  Via  Lata  i  fondi  denominati  Selva 
Maggiore,  Bolaga,  e  Reatina  con  molti  altri  luoghi,  cir- 


365 
ca  l'anno  950.  fondi,  che  il  Martinelli  riconosce  in  quel- 
li di  Torricella  di  s.  Giovanni,  Monte  del  Sorbo,  e  PjIq 
Rotto  :  ed  il  Martinelli  in  questa  parte  è  giudice  com? 
petente,  avendo  avuto  il  campo  di  svolgere  tutto  Tgrchi- 
vio  di  s.  jftfaria  in  Via  Lata,  ed  essendo  egli  stesso  un 
diligente  raccoglitore  di  notizie.  Mi  sembra  pertanto  po- 
tersi conchiudere,  che  queste  terre  nel  secolo  Vili,  era- 
no della  Chiesa  Romana ,  che  Gregorio  II.  le  affittò ,  o 
come  allora  si  usava  le  die  in  enfiteusi ,  che  passarono 
in  seguito  in  potere  della  potente  famiglia  di  Alberico, 
console  romano  ,  la  cui  sorella  Maroza  donolla  a  s.  Ci- 
riaco^ chiesa  con  monastero  unita  poscia  a  quella  di  s. 
Maria  in  Via  Lata,  dalla  quale  queste  terre  furono  sem- 
pre fino  ai  giorni  nostri  possedute.  Dai  documenti  esir 
stenti  nell'archivio  di  s.  Maria,  che  copiati  dell'indefesr 
so  Galletti  si  possono  consultare  nella  Riblioteca  Vatica- 
na cod.  n.°  8048-50  si  rileva,  che  nel  1134  Maria  ab- 
badessa  di  s.  Ciriaco  fece  edificare  una  torre  a  difesa 
della  terra  di  Monte  del  Sorbo,  e  questa  rimane  ancora 
presso  la  strada  di  Monticelli  e  dà  nome  al  Quarto  det- 
to del  Torraccio:  che  nel  tenimento  propriamente  detto 
di  Pilo  Rotto  era  un  villaggio  ,  il  quale ,  insieme  con 
altre  terre  adiacenti  pertinenti  al  monastero  fu  nello  stes- 
so secolo  occupato  circa  l'anno  1124  dai  signori  di  Mon- 
talbano,  Terra  oggi  deserta  presso  Monticelli;  che  il  no- 
me di  Monte  del  Sorbo ,  Monte  de  Sorvo  comparisce  la 
prima  volta  nel  1186  :  che  quello  di  Pilm  Ruptus  che 
si  legge  per  la  prima  volta  in  una  bolla  di  Callisto  IL 
dell'anno  1124,  ricordasi  di  nuovo  in  una  Carta  dell'an- 
no 1202:  che  in  Monte  del  Sorbo  esisteva  un  villaggio 
nel  1236,  ed  un  palazzo  che  fu  devastato  dai  Tiburti- 
ni  circa  la  metà  di  quello  stesso  secolo,  onde  per  risar- 
cirlo, Artemia  abbadessa  di  s.  Ciriaco  concesse  a  dì  15 
Ottobre  1254  a  Giorgio  di  Egidio  Cardelli  per  anpi  29 


3  66 

«ina  easa  nel  rione  di  Campo  Marzio;  e  finalmente,  che 
nel  1321  il  villaggio,  o  castello  di  Monte  del  Sorbo  non 
4}ontaya  più  di  10  abitanti. 

Avendo  percorso  queste  terre  nella  formazione  del- 
la mappa  ho  rilevato ,  che  anticamente  sorgevano  ville 
in  questi  luoghi,  e  particolarmente  una  verso  Pilo  RoU- 
to ,  dove  neir  anno  1822  furono  scoperti  pavimenti  dì 
musaico  bianco  e  nero,  rappresentanti  Tritoni  e  Nereidi^ 
avanzi  di  antiche  camere  di  bagno. 

MONT^  SPACCATO  v.  AEFLIANV& 

r        ^>MONTE  VERDI?  v.  MARCELUNA. 

■■'■?'t-  ita  ■'  — 

-aitili;.      MONTICELLI-COmiCYlWM, 

Terrà  situata  nella  Comarca  16  hu  a  nord-«st  41 
Soma,  sopra  la  punta  più  orientale  delle  tre  principali 
(de'monti  corniculani,  dipendente  dal  governo  di  Tivoli, 
€  parte  di  quella  diocesi,  pertinente  ai  Borghese,  e  che 
contiene  1353  abitanti.  Ad  essa  si  va  da  Roma  per  due 
vie;  per  la  tiburtina,  uscendo  da  porta  s.  Lorenzo,  e  di- 
vertendo a  sinistra  al  settimo  miglio  presso  la  osteria 
à.eì  Forno:  e  questa  strada  è  una  via  antica,  che  i  mo- 
derni più  communemente  chiamano  via  corniculana;  e 
per  la  via  nomentana,  divergendo  a  destra  circa  al  se- 
sto mìglio  alla  tenuta  di  s.  Basilio,  e  che  suol  chiamar- 
si la  strada  delle  Moiette.  Ambedue  queste  strade  sono 
mal  conservate  ,  incommode  ,  e  non  presentano  oggetto 
degno  di  particolare  rimarco.  Più  amena  è  quella  che 
vi  conduce  da  Tivoli,  lunga  circa  6  miglia,  la  quale  per 
la  porta  del  Colle  e  pel  ponte  dell' Acquoria  segue  la  di'» 
rezione  della  Valeria  primitiva,  ed  a  mano  destra  1.  m, 
dopo  il  ponte  sovraindicato  a  non  molta  distanza  presene 


36T 
la  le  rovine  di  Vitriano,  ed  altre  pel  tratto  di  circa  8 
m.  quindi  valicati  due  ponticelli  comincia  a  salir  le  pen» 
.dici  del  monte,  sul  quale  è  la  Terra,  e  clie  in  gran  par*- 
t,e  è  piantato  di  olivi.  1  loi: -Hoa  iv  ii^ritó<?«a' iiviojti 

La  chiesa  principale  é  dedicata  a  s.  Giovanni  E van-r 
gelista  fi  fu  riedificata  l'anno  1710;  dinanzi  a  questa  è 
la  piazza.  Le  case  generalmente  presentano  la  costruzio^ 
^e  saracinesca  del  secolo  XIII  e  XIV.  Nella  strada  per 
la  quale  si  sale  alla  rocca  incontransi  pochi  frammenti 
.antichi,  cioè  una  colonnetta  ed  un  capitello,  una  testa 
di  marmo  incastrata  sopra  una  porta  ec. ,,  indizii  di  fab» 
briche  ed  ornamenti  de'tempi  imperiali.  Nella  rocca  stes-»- 
sa,  che  è  di  costruzione  del  secolo  XIII.  rimane  anco» 
fSL  sulla  sommità  un  tempietto  laterizio  ornato  di  pila» 
stri  corintj,  analogo  per  lo  stile  e  per  la  eostruzione  ad 
altre  edicole  del  primo  secolo  dell'impero  esistenti  pres» 
so  Roma,  com«  quelle,  che  si  veggono  sulla  via  latina, 
ed  il  tempio  preteso  del  Dio  Redicolo  nella  valle  di 
€affar4ella,  tempio  eretto  forse  da  qualche  ricco  romano 
€he  occupò  questo  colle.  Altri  avanzi  non  esistono  né 
nella  Tejrra,  né  nel  suo  circondario,  almeno  alla  distan-* 
7a  di  un  miglio.  Presso  Monticelli  è  un  convento  di  fra- 
ti minori  con  chiesa  consacrata  a  s.  Michele  Arcangelo, 
anche  esso  sopra  una  punta,  della  quale  parla  il  Casi^ 
miro  nelle  Memorie  de' Conventi  della  Provincia  Homana^ 
ricordaijdo ,  che  nel  fondare  una  parte  del  convento  si 
rinvennero  molti  ossami ,  che  io  credo  appartenere  ad 
individui  de*  tempi  di  mezzo  e  forse  stranieri ,  per  le 
jjrmi  ed  ajtri  attributi,  che  li  accompagnavano. 
-'  Or  venendo  alla  storia  di  questa  Terra,  è  noto  che 
più  generalmente  ivi  suol  collocarsi  Corniculum,  ricorda- 
to da  Dionisio,  Livio,  Plinio,  Floro,  e  Stefano.  E  quan- 
to alla  posizione  di  quella  città  de'prischi  Latini,  come 
li  appella  Livio,  debbo  fare  osservare  che  Dionisio  Uh, 


368 

|.  e.  XVI.  pone  i  monti  Corniculi  fra  Ficulca  e  Tibur, 
e  perciò  non  cade  quistionc  ,  che  con  tal  nome  gli  an- 
tichi riconobbero  le  tre  punte  acuminate  del  gruppo  de' 
monti  calcarii  a  nord-nord-est  di  Roma,  sulle  quali  sor- 
^ono  le  Terre  di  s.  Angelo  in  Capoccia ,  e  Monticelli , 
ed  un  dì  quella  di  Poggio  Cesi  intermedia  delle  due 
testé  ricordate.  Corniculum  pertanto,  che  dava,  o  tracr 
va  nome  da  questi  monti,  di  necessità  dee  cercarsi  so? 
pra  una  di  queste  punte.  Ora  Dionisio  lib.  III.  e.  XLIX 
e  seg.  narrando  la  spedizione  famosa  intrapresa  da  Tar- 
quinip  Prisco ,  contra  i  Latini  mostra ,  come  quel  re 
primieramente  si  mosse  contra  gli  Apiolani,  e  dopo  a? 
yer  presa,  incendiata,  e  smantellata  la  loro  città,  si  rir 
Tolse  contra  i  Crustumerini  ed  i  Nonientani,  che  si  ar-- 
resero  a  discrezione,  e  furono  con  umanità  trattati^  por 
scia  andò  contra  Collazia,  .città  la  cni  situazione  è  nor 
ta,  siccome  fu  mostrato  a  suo  luogo,  v.  COLLAZIA, 
posta  cioè,  sulla  riya  destra  dell'Osa,  fra  questo  fiu- 
me e  rAJiiene,;  10  m.  ;  circa  lungi  da  Roma  al  Castel-r 
laccio  dell'Osa;  prese  ancor  questa  e  la  die  in  ispecie 
di  feudo  ad  Arupte  Tarquinio  suo  nipote,  che  diven-r 
ne  così  lo  stipite  della  famiglia  de' Collatini;  e  quindi 
inarciò  immediatamente  contro  di  Corniculum,  e  dopo 
aver  dato  ìi  guasto  alle  terre  appressò  1'  esercito  alla 
città,  clje  presentò  per  la  sua  fortezza  una  valida  di-» 
fesa,.  Ma  dopo  molti  assalti,  il  re  di  Roma  la  espugnò 
colla  forza,  ed  in;  tale  espugnazione  perì  il  fiore  de'cit- 
tadini:  i,l  resto  colle  donne  e  co'fanciulli  fu  venduto,  e 
la  città  dopo  essere  stata  saccheggiata  venne  data  alle 
fiamme.  Stando  pertanto  a  questa  narrazione,  e  cono- 
scendo la  situazione  di  Collazia ,  d'  uopo  è  riconoscere 
Corniculum  sulla  punta  di  Monticelli;  imperciocché  il 
re  di  Roma,  passato  1'  Aniene  presso  Lunghezzina  tror- 
ypssi  immediatamente  nelle  terre  de'  Corniculaai.  D'  al- 


369 
Ironde  la  forma  della  punta  di  Monticelli  è  quella,  che 
presenta  la  etimologia  più  diretta  del  nome  Corniculum^ 
dividendosi  appunto  come  in  due  corna,  quella  cioè,  su 
cui  è  posta  la  Terra,  e  quella,  sulla  quale  è  il  conven- 
to de' frati  minori.  La  storia  di  -Gorniculum  e  scarsisisi- 
ma,  poiché  oltre  questo  fatale  avvenimento  testé  ricor- 
dato, cioè  della  presa  e  distrazione  di  «ssa  fatta  da  Tar- 
quinio  Prisco ,  altro  non  se  ne  legge  ;  imperciocché  Li- 
vio lib.  L  e.  XXXVIIL  solo  la  ricorda  fralle  città  pre- 
se da  Tarquinio ,  e  la  nomina  per  la  prima  :  ed  egli  e 
Dionisio  poscia  riportano  la  tradizione  ,  che  in  quella 
presa,  fatta  prigione  la  moglie  del  principe  di  Cornicu- 
lum  morto  nella  pugna ,  fu  portata  in  Roma  incinta  e 
venuta  nella  reggia  di  Tarquinio  ivi  partorì  Servio  Tul- 
lio, poscia  sesto  re  di  Roma.  Plinio  poi  Hist.  Nat.  lib. 
IIL  e.  V.  nomina  Gorniculum  fra  quelle  città  primitive 
del  Lazio,  che  erano  perite  senza  lasciar  vestigia. 

È  naturale  credere  ,  che  una  posizione  cosi  eleva- 
ta, amena,  e  salubre  non  venisse  trascurata  dai  Roma- 
ni nel  tempo  del  loro  lusso,  e  dalla  loro  magnificenza, 
e  che  circa  i  tempi  augustani  sul  sito  della  distrutta 
Gorniculum  fosse  edificata  una  villa,  come  Strabone  af- 
ferma essere  ordinariamente  accaduto  di  altre  città  an- 
tiche ne'dintorni  di  Roma,  distrutte,  e  come  se  ne  han- 
no molteplici  esempj  di  fatto;  e  a  questa  villa  appar- 
tengono i  frammenti,  che  ancor  si  veggono  nella  Terra, 
notati  di  sopra  ,  ed  il  tempietto  che  è  sulla  rocca.  E 
perito  poscia  il  gran  colosso  del  romano  potere  ,  come 
pure  in  altri  luoghi  avvenne,  di  villa  privata  tornò  ad 
essere  una  Terra  abitata,  metamorfosi,  che  tanto  più  di 
buon  ora  si  fece,  che  il  sito  offriva  una  non  commune 
fortezza;  ed  il  suo  nome  che  attualmente  porta  si  tro- 
va fin  dal  secolo  XL  allorché  la  Terra  si  era  di  già 
formata  ed  apparteneva  al  monastero  di  s.  Paolo   fuori 

24 


870 

delle  mura,  al  quale  fu  sul  principio  del  secolo  mede- 
simo usurpata  da  alcuni  potenti  abitatori  del  luogo,  che 
circa  l'anno  1001  vi  racchiusero  nella  rocca  Pietro  ab- 
bate di  Subiaco ,  e  ve  lo  fecero  morire ,  siccome  si  ha 
dalla  cronaca  sublaccnse  presso  il  Muratori  R.  I.  S.  Tom, 
XXIV.  p.  931.  Nel  secolo  seguente  ,  narra  il  card,  di 
Aragona  nella  vita  di  Eugenio  III  presso  lo  scrittore  so- 
vrdllòdato  T.  JU.  :P»  I.  p.  4^39,  che  quel  papa  uscì  di 
Roma',  nel  silenzio  della  notte  e  ricoverossi  ad  arcem 
Montis  Celia  per  sottrarsi  dal  senato  romano,  e  non  ve- 
dersi costretto  a  confermarlo:  dove  è  da  notarsi  il  mo- 
do  con  eh©  Tiene  enunciato  il  nome  di  questa  Terra, 
quasi  derivasse  da  un  Celio  che  vi  avea  avuta  la  villa 
ne'tempi  antichi.  Non  mollo  dopo,  cioè  l'anno  1159,  da 
un  atto  riportato  dal  Muratori  R.  I.  S.  T.  II.  p,  678 , 
apparisce,  che  quésta  Terra,  come  Tusculo,  Palombara, 
e  Tivoli  avea  il  suo  conte,  che  Comes  Monticellensis  di- 
cevasl.  Nel  1241.  fu  occupata  contra  il  papa  ed  i  Ro- 
mani dal  cardinale  Giovanni  Colonna,  insieme  con  Pre- 
Qeste  e  Ponte  Lucano ,  per  testimonianza  di  Riccardo 
da  «.  Germano,  Chron.  presso  il  Muratori  R,  I.  S,  T, 
VII.  p.  1047.  Ritornò  però  ben  presto  in  potere  de'Ro^ 
mani,  poiché,  secondo  Niccolò  di  lamsilla  nella  storia 
riportata  dal  citato  Muratori  R.  I.  S.  T.  VIII.  p.  612, 
Enrico  senatore  di  Roma  vi  fece  chiudere  Napoleone  e 
Matteo  Orsini ,  ed  in  quello  storico  si  dice  di  questa 
Terra  :  yworf  est  castrum  foriissimum  prope  Tibur  ;  anzi 
sembra,  che  circa  quel  tempo  la  rocca  fosse  ridotta  nel» 
lo  stato  attuale.  Circa  l'anno  1307  sembra  che  ne  fosse 
conte  un  Gottifredo  ,  la  cui  moglie  Aldruda  si  ricorda 
nel  necrologio  di  s.  Ciriaco  in  Via  Lata,  stampato  dal 
Martinelli  nel  Primo  Trofeo  della  Croce  p.  148. 

Ho  notato  di  sopra  ,  che  questa    Terra  era  in  ori- 
gine del  monastero  di  s.  Paolo  fuori  delle  mura^  ma  il 


37t 
fatto  è  che  essi  per  circa  tre  secoli  non  ne  ebbero  che 
il  solo  titolo.  Ricuperata  però  con  altre  terre  sotto  Eu- 
genio IV  dal  card.  Vitelleschi  venne  restituita  ai  mona- 
ci che  col  beneplacito  di  quel  papa  la  vendettero  noi 
1436  insieme  con  monte  Albano ,  terra  contigua  ,  oggi 
deserta,  per  10,000  fiorini  a  Gio.  Antonio  Orsini,  con- 
te di  Tagliacozzo.  Alla  sua  morte  avvenuta  l'anno  1455 
insorse  guerra  fra  Everso  dell'Anguillara,  e  Napoleone, 
ambedue  Orsini ,  per  la  successione  di  questo  castello  , 
guerra  funestissima  per  la  campagna  di  Roma ,  che  si 
sedò  alcun  poco  per  le  premure  di  Pio  II,  ma  che  per 
la  malafede  di  Everso  si  riaccese  di  nuovo  nel  1458  , 
quando  questi  si  rese  padrone  della  Terra  e  la  ritenne 
fino  alla  sua  morte  avvenuta  l'anno  1464.  I  suoi  figliuo- 
li usando  ogni  sorta  di  violenze  contra  i  pacifici  abitan- 
ti delle  campagne  ,  e  contra  i  viandanti  attiraronsi  Ì9 
sdegno  di  Paolo  li,  che  colla  forza  delle  armi  nel  1465 
tolse  loro  in  pochi  giorni  tredici  castella ,  fralle  quali 
fuvvi  ancora  Monticelli  che  si  arrese  ai  22  di  giugno.. 
Veggasi  il  Casimiro  p.  172  e  seg.  Così  tornò  Monticel- 
li sotto  il  dominio  diretto  della  Sede  Apostolica  >  ed  in. 
tale  occasione  il  di  primo  di  settembre  di  quell'anno  il 
papa  emanò  un  breve,  che  si  riporta  dallo  scrittore  so- 
vrallodato ,  nel  quale  non  solo  confermò  agli  abitanti 
tutti  i  privilegj,  che  aveano  fino  a  quel  giorno  goduto, 
ma  per  qualche  tempo  diminuì  ancora  le  gabelle.  Sisto 
VI.  nel  1472  impegnò  Monticelli  per  6000  fiorini  ài 
celebre  cardinal  Guglielmo  d'Estouteville,  e  dopo  la  mor- 
te di  questo  a  Pietro  di  Vicenza  pef  3000  ducati.  Il 
suo  successore  Innocenzo  VIII.  nel  1484  lo  donò  insie- 
me con  Frascatello,  e  s.  Angelo  a  Giovanni  Balva  car- 
dinale, la  cui  arma  si  vede  sfcolpità  soprai  una  porta  del- 
la rocca.  Morto  il  Balva,  Alessartdi»©  VI.  die  Monticelli 
al  card.  Giovagli  Battista  Orsini:  aììòt»  hi  tìtirtòvàtSL  là 


372 

chiesa>  che  è  dentro  la  rocca,  dove  si  veggono  ancora 
pitture  di  quel  tempo,  e  fra  queste  il  ritratto  di  Jaco- 
po Alzina  Barcellonese,  castellano  e  governatore  di  Mon^ 
(icelli,  rappresentato  ginoccbiohe,  di  cui  ricordasi  il  no- 
me in  un  epitaffio  esistente  nella  chiesa  di  s.  Giovanni, 
che  < ha  la  data  de'16  aprilo  1497.  Al  card.  Orsino  do-, 
pò  là  morte,  successe  nel  dominio  di  questa  Terra  Nic- 
colò della  Rovere  nipote  di  Giulio  II.  à  cui  dal  zio  fu 
confermata  in  perpetuo  tale  infendazione.  La  famiglia 
della  Rovere  lo  ritenne  fino  all'anno  1550,  allorché  Giu' 
lio  figlio  idi  Niccolò  sovrammenzionato  lo  vendette  a  Fe- 
derica Cesi  cardinale  per  5000  scudi  pagabili  una  vol- 
ta soli»,  e  400  scudi  annui  durante  la  vita  di  Giulio.  I 
Cesi  hanno  ritentito  il  dominio  di  questa  Terra  fino  ai 
3  .4*  [Hiarzo  1673  .in  che  la  vendettero  ai  Borghese  che 
UO  souQ  i  signori  odierni. 

:::[  Queste  ultime  notizie  furono  raccolte  dall'erudito 
1^  Casimjrpi  menzionato  più  volte ,  il  quale  illustrando 
il  convento  del  suo  ordine  edificato  presso  questa  ter- 
ra nota,  che  la;  punta  sulla  quale  questo  convento  è  col- 
locato è  quella  che  aic'tepttpi  bassi  appellavasi  Mons  Al- 
banus ,  del  quale,  si  ha  la  prima  mepioria  nel  1124  in 
luna,  bolla  di  Callisto  II  ;  allora  vi  era  un  castello  del 
quale  era  signojfe  un  tal  Gregorio,  che  insieme  con  Gio- 
yaijni  di  -Oddone  signore  probabilmente  di  Monticelli  in- 
festava, le  terre  del  monastero  di  s.  Ciriaco,  e  singolar- 
mente lai;  villa  di  Pilo  Rupto.  Verso  la  metà  dello  stes^ 
so  secolo  dice,  che  n'era  signore  un  tal  Giovanni.,  pres-- 
so  il  quale  ritirossi  Giovanni  de  Struma  antipapa;  ma 
ivi  il  Casimiroi  ipi  sembra  avere  preso  un  equivoco  con- 
fondendo questo  castello  con  Albano.  Egli  è  certo  però 
che.  come  Monticelli  anche  Monte  Albano  era  de' mona- 
pi;  di  s.  Paolo,  lai  quali  lo  confermarono  con  bolle  In- 
nocenzo IH  nel  1203,  Onorio  III.  nel  1218  e  Gregorio 


à73 

IX  nel  1236.  Ma  nel  1241  per  testfmènianza  di  Riccar- 
do da  s.  Germano  nella  cronaca  riportata  dal  Muratori 
R.  I.  S.  Tomo  VII.  col.  1047  fu  preso  ed  incendiato 
da  Federico  II  imperadore,  e  quindi  rimase  per  sempre 
deserto*  La  compagnia  del  Gonfalone  edificò  in  questo 
luogo  nel  secolo  XVI.  una  chiesa  di  s.  Maria,  nella  qua- 
le pose  i  pp.  conventuali  per  officiarla:  questi  T  abban- 
donarono nel  1636.  A  questa  communità  religiosa  suo* 
cedette  sul  finire  del  secolo  XVII.  medesimo  quella  de* 
pp.  minori  che  sul  principio  del  secolo  passato  edifica- 
rono il  convento  e  la  chiesa  di  s.  Michele  come  oggi 
si  vede,  -i' iifi  aì  'ì'»^  ^/feriiKKi  i>;>  «uiia-j  t-iììa  ihU  oIJsv 
.  _,irr  illaòhno'ì  -i  .^H  ;  I  .  ,  ?  :U  tw.}'  'A  oììùìi  Ó5 
/  n,  fjv^ìm   .    MONTORIO  ROMANOfif^r^^'f  ^  ^^ 

.  uìoi 
Villaggio  della  Comarca  nel  distretto  di  Tivoli  e 
nella  diocesi  di  Sabina ,  posto  sotto  il  governo  di  Pa- 
lorabara  circa  28  m.  lontano  da  Roma  verso  settentrio- 
ne ,  ed  il  quale  comprende  circa  600  abitanti.  A  diffe- 
renza di  un  altro  castello  dello  stesso  nome,  che  è  pu- 
re in  Sabina,  ma  che  è  più  discosto  da  Roma,  questo 
come  più  vicino  sruol  chiamarsi  Montorio  Romano.  Seb- 
bene sia  posto  sopra  una  delle  vette  più  alte  del  mon- 
te Lucretile,  ed  ardua  sia  la  salita,  che  vi  conduce  on- 
de è  poco  frequentato ,  nulladimeno  é  ben  fabbricato , 
e  come  altre  Terre  sabine  distinguesi  per  una  ospitali- 
tà cordiale.  Dapprincipio  fu  un  tenimento,  e  poscia  un 
castrum,  che  dovè  la  sua  origine  agli  Orsini,  e  che  più 
volte  è  ricordato  nelle  Carte  de 'secoli  XIV.  e  XV.  che 
si  conservano  nell'archivio  di  quella  famiglia  in  Roma. 
Essi  lo  ritennero  fino  al  secolo  XVlI.  e  poscia  Io  ven- 
derono ai  Barberini.  •  .  i' >.'^  .i-j 
-*;;'  La>étrada  da  •Ròina  a  questa  Terr»  è  1»  Noraenta- 
na  fino  al  suo  congiungimento  colla  salai^f  antica:  a  Grot-^ 


374 

ta  Marozza,  quasi  18  m.  fuori  di  porta  Pia:  ìri  distac- 
casi a  destra  un'antico  diverticolo,  che  conduce  diretta- 
mente a  Castel  Chiodato,  Cretone,  e  Stazzano:  di  là  que- 
sto diverticolo  antico  conduce  a  Palombara  ,  e  quindi 
per  Marcellina  va  ad  entrare  nell'  antica  Valeria  poco 
prima  del  ponte  dell'  Acquoria.  Ma  per  andare  a  Mou- 
torio ,  dopo  Stazzano  dee  seguirsi  la  strada  a  sinistra  , 
che  va  a  Moncone ,  e  da  Moricone  per  tre  m.  seguen- 
do il  ciglio  sinistro  della  profonda  convalle  del  ramo 
orientale  del  rivo  Corrose ,  si  aggiunge  a  Montorio.  Da 
Montorio  poi  per  un  sentiero  alpestre  si  scende  nella 
valle  dell'altro  ramo  del  Correse,  per  la  quale,  passan- 
do sotto  le  Terre  di  Scandriglia  e  Ponticelli  raggiunge- 
sì  la  via  salaria  t  o  strada  di  Rieti  alla  osteria  di  Ne- 
rola. 

-fi'i  il,  orna/O^  :■     MORANELLA. 

-'»Ìl!a  jlt'J?,     Of/l'J/      :.ii!!>,»,     il 

Tre  fondi  possiede  il  monastero  di  s.  Maria  Nuo- 
i»a  di  Roma  fuori  delle  porte  s.  Giovanni  e  s.  Sebastia- 
no ,  neir  Agro  Romano  5  in  6  miglia  circa  lontano  da 
Roma,  denominati  Moranella,  Statuario  e  Selce,  i  quali 
costituiscono  insieme  una  tenuta  di  rubbia  53  e  mezza. 
Questi  fondi  però  sono  fra  loro  separati  e  distinguon- 
&\  eoi  nome  medesimo  in  tre  quarti:  il  quarto  di  Mora- 
nella (M)nfina  colle  tenute  di  Tor  di  Mezza  Via,  Postic- 
eiola,  e  Casal  Rotondo:  quello  di  Statuario  colle  tenu- 
to di  Roma  Vecchia,  Capo  di  Bove,  e  Pedica  di  Cleria: 
e  l^nalmeiitQ  quello  di  Selce  colle  tenute  di  Casal  Ro- 
tondo, Tofrìcola,  Fioranello,  Fiorano,  Barbuta,  e  Palom- 
baro, (.eggesi  neir  Infessura ,  ed  in  altri  scrittori  con- 
temporanei, come  neir  anno  1485  nel  mese  di  marzo  i 
monaci  fecero  uno  scavo  presso  il  loro  casale  di  Statua- 
rio ^uUa  via  appia  5,  o  6  miglia  lontano  da  Roma,    • 


J75 

distruggendo  un  sepolcro  che  era  ivi  sulla  yia,  neli'ul-' 
timo  luogo  del  fondamento  trovarono  una  cassa  mar- 
morea impiombata,  ed  jin  quella  rinvennero  intatto  a  se- 
gno che  avea  conservato  il  color  naturale,  un  corpo  di 
donzella  ,  il  quale  fu  giudicato  essere  quello  di  Tullia 
figlia  di  Cicerone,  che  certamente  era  stato  sepolto  al- 
trove. Comunque  sia ,  questo  corpo  fu  trasportato  in 
Campidoglio,  e  per  l'azione  dell'aria  cangiò  colore,  e  di- 
venne negro  ;  laonde  papa  Innocenzo  Vili  ,  che  allora 
regnava  lo  fece  trasportare  di  notte  fuori  di  porta  Pin- 
ciana ,  ed  ivi  lo  fé  seppellire  in  una  fossa  fatta  entro 
un  vicolo  presso  la  porta;  il  sarcofago  rimase  allora  nel 
portico  de'Conservatori:  e  forse  é  quello  che  ora  si  ve- 
de a  destra  nel  cortile  dei  Museo  Capitolino  colla  epi- 
grafe male  tracciata:  {yivruil  .i.i(^.]A  i  oiijniij  oicùmui 
I ,  ;-    '  'no)  M/itt.'i  ii  A.-'iìi'ft  -ìm 

■f    iU:r'     M  M     uanìiji'il   fìj  Ut;  o)r,vii« 
.:iìf->l,  \-  AVREL  .jjuq  if)  huui  unh  .ai 

EXTRICATE      j, ;  il»  K/nyl>on«  r,h 

cioè  Manibus  o  Memoriae  Aureliae  ExtriccUae.  La  rotzet" 
za  della  epigrafe  accresciuta  dal  tartaro  che  la  copriva 
la  fece  inintelligibile  alla  epoca  della  scoperta,  onde  cad- 
dero neir  error  madornale  di  attribuire  il  sarcofago  ed 
ii  corpo  alla  figlia  di  Cicerone,  che  fu  sepolta   altrove,, 
e  che  di  quasi  tre  secoli  fu  anteriore  ai  soggetto  depo- 
sto in  questo  sarcofago  :  essa    dalle   maschere    tragiche 
scolpite  sotto  il  ritratto  sembra  essere  stata  una  attrice 
tragica.   i;ni;iii  ;  nf/ioP  ih  oJ'ioq  ?)Uk  i;li;>i;p  y  ,o)iu35Ì5 
<,iiuiii  ftujTt/M  ii»  puum  li  uth  ^r.tì^'i(p  ìfitn  iì  ^Aìntìti 
!ii  ';ii>  tl«;«ifi»  hm  ^tAiiiu  t>h'u\P.Ì  uilad  ììhu  ixiir.  i;nr  ,■« 
.    ah  "■  voijoy!  ÌUi  cjjuvf/if   i?i3f)5T.»  f>')b  'iUi mìioi pfiirn^ 

■i'oo  i)jib  .^iiiijJtMjfeii  6l»au 


Au'll.Hi  ,niy  tilUr^,  iv^  MORENA.  . '-i  '-«^  uhuv^yinJ^il 
-iiuu  ivy.i.r»  fUiu  «)(»«)'»« /«ni  u!u',>M}|;Iwi<»"ì  bd  oìjJmjI  iìtnU 
"0«j  ii  oìJiUiii  OTjnnv       /itrtrom  'ì»hu:juu  t, nota 

i4(i;r!    ih   ii\">tìi    MT«-'"ì   <''':'''^!ir!r    "'!    ''1- ;•  •    •'    .  ;'U';^''> '■ 

■\'  Da  molte  Carte  de' tempi  bassi,  che  furono  ripor- 
tate in  appendice  dagli  annalisti  camaldolesi ,  e  che  ri- 
montano in  parte  fino  al  secolo  X ,  cioè  agli  anni  961 , 
992,  ec.  si  ricava  evidentemente,  che  tutta  la  contrada 
fra  le  vie  appia,  e  latina,  fuori  delle  porte  s.  Sebastia- 
no e  s.  Giovanni  dal  miglio  VII  al  IX,  chiamavasi  Mo- 
reni,  e  che  in  questa  trattOf  si  comprendeva  un  casale  j 
ed  una  curtù  di  questo  nome  r  e  frai  fondi  confinanti  si 
nominano  quello  di  Sex  Colnmnae,  di  Fiorano,  e  di  Pa- 
lombaro lungo  l'Appia.  Incerta  n'è  la  etimologia;  ma  co^ 
me  vedesi,  il  nome  conta  circa  9  secali;  esso  si  è  con- 
servato ad  un  tenimento  di  moderati  confini  situato  8 
m.  circa  fuori  di  porta  s.  Giovanni  a  destra  della  stra- 
da moderna  di  Grotta  Ferrata ,  che  coincide  colla  via 
latina  antica.  Comprende  quasi  130  rubbia  di  terreno 
divise  ne'quarti  denominati  la  Torre,  quarta  di  Mezzo, 
e  quarto  da  Piedi.  Confina  col  territorio  di  Marino ,  e 
colle-  tenute  di  Gregna,  Grattaferrata  e  s.  Andrea^ 

Si  è  pur  troppo  spacciata  per  la  somiglianza  di  suo- 
no, che  il  nome  di  Morena  traesse  origine  da  una  villa 
di  Murena ,  celebre  cliente  di  Cicerone  ,  ma  oltre  che 
troppo  vasto  sarebbe  stato  un  tal  fondo,  se  come  si  vi- 
de comprendeva  una  superficie  di  circa  12  miglia  di 
circuito,  e  questa  alle  porte  di  Roma;  ninna  memoria 
affatto  è  mai  apparsa,  che  il  nome  di  Murena  ricordas- 
se, ma  anzi  una  bella  lapide  murata  nel  casale  che  ra- 
gionevolmente dee  credersi  trovata  sul  luogo ,  e  che  è 
un'ara  sepolcrale,  dice  così: 


377 

-!iii.iiji.<ì  ìt.if  &iftteiij|        AELIAE    4"'*i«iJ  9  ^ku-u^hìJ  .1 
RHODILLAE       ^  iv^w^J  yi 

ANTALCIDIS 
quest'ara  è  alta  circa  5  piedi  romani  larga  31,  11  fatto 
e  che  il  casale  attuale  realmente  è  edificato  sopra  una 
fabbrica  antica  costrutta  di  bel  reticolato  del  tempo  di 
Adriano,  che  forse  è  una  conserva,  od  un  crittoportico, 
che  presenta  sopra  a  90 'piedi  di  estensione,  e  presso  a 
questa  fabbrica  sono  altri  frammenti  antichi  di  marmo, 
indizio,  che  qui  fu  anticamente  una  villa  almeno  ne' tem- 
pi di  Adriano,  ma  senza  che  perciò  risulti  che  Murena 
avesse  antecedentemente  anche  egli  una  villa  in  questo 
luogo,  onde  il  nome  moderno  debba  derivarsi  da  lui. 

Io  non  oso  affermare,  che  l'attuale  casale  di  More- 
na sia  quella  stessa  porzione  del  vasto  lenimento  di  que- 
sto nome,  la  quale  da  Costanza  nobilissima  donna  fu  ai 
26  di  aprile  dell'  anno  992  donata  al  monastero  di  s. 
Gregorio  sul  monte  Celio,  siccome  ricavasi  dall'  atto  ri- 
portato dagli  Annalisti  Camaldolesi  ;  come  neppure  che 
esso  comprenda  quell'altra  porzione,  che  fu  soggetto  di 
una  permuta  fra  lo  stesso  monastero,  ed  Adelaide  figlia 
di  Jannetto  l'anno  1073,  come  si  trae  da  un  altro  do- 
cumento riportato  negli  annali  medesimi.  Certo  è  però 
che  que'monaci  possederono  una  parte  del  tenimento  al- 
lora chiamato  Moreni,  e  che  quella  tenuta  che  oggi  por- 
ta un  tal  nome  viene  indicata  fin  dall'anno  1229  in  un 
documento  riportato  nel  codice  vaticano  7937  ,  che  ri- 
corda pure  un  Castellarlo,  una  Camminata  ivi  esistente, 
un  pantanello  formato  dall'  acqua  della  Marrana;  e  che 
questa  tenuta  fu  in  quell'anno  venduta  da  Biagio,  Pie- 
tro, ed  Andrea  Antaldi  figli  di  Andrea  Rubei  pel  prez- 
zo di  950  lire  provisine.  Poscia  Morena  fu  acquistata 
dai  Cenci ,  e  nel  secolo  XVII  dai  Giraud  che  1'  hanuo 
ritenuta  fino  al  principio  del  secolo  attuale.  Dopo  per 
poco  tempo  apparteoue  a  Marianua  di  Savoja  duchessa 


0" 


378 

di  Chablais,  e  finalmente  venne  acquistata  dal  banchie- 
re Lavaggi. 

ilfO/i/COiVJ?— REGILLVM 

Terra  della  Gomarca  nel  distretto  di  Tivoli ,  sotto^ 
posta  al  governo  di  Palombara,  e  nello  spirituale  al  ve- 
scovo di  Sabina.  Essa  è  distante  da  Roma  circa  25  m. 
e  la  strada  diretta  per  andarvi  è  la  Nomentana  fino  a 
Grotta  Marozza  ,  cioè  fino  quasi  al  18.  m:  ivi  si  volge 
a  destra  e  per  Castel  Chiodato,  Cretoni ,  e  Stazzano  si 
giunge  a  questa  Terra:  strada  tracciata  fino  a  Stazzano 
sopra  una  strada  antica  di  communicazione  fra  la  Sala- 
ria»  e  la  Valeria,  ossia  fra  Eretum,  oggi  Grotta  Maroz- 
za e  Tihur.  Gli  abitanti  secondo  la  ultima  statistica 
sono  613. 

La  Terra  è  ben  situata  sopra  una  pendice  di  cal- 
carla a  pie  delle  punte  della  catena  di  monte  Genna- 
ro, e  sembrerebbe  antica  per  la  sua  posizione,  ma  non 
ho  trovato  in  essa  alcun  vestigio  ;  bensì  un  miglio  più 
verso  oriente  sopra  un'  altra  pendice  rimangono  avanzi 
di  mura  di  un'antica  città  nel  luogo  denominato  /  Pedi- 
cati,  le  quali  più  communemente  si  attribuiscono  ad  Or- 
vinium,  città  degli  Aborigeni,  o  a  Cameria  città  de'Pri- 
schi  Latini:  ma  che  io  riconosco  per  quelle  di  Regillum 
città  sabina  ,  di  cui  più  sotto  terrò  discorso.  Moncone 
per  la  prima  volta  sul  finire  del  secolo  XI.  si  legge  col 
nome  di  Mons  Moreco  nel  Chr.  Farfense  presso  il  Mura- 
tori R.  L  S.  Tom.  IL  P.  IL  p.  622.  Il  castello  perù 
sembra  essersi  formato  nel  secolo  XIII  dopo  che  i  Sa- 
velli  signori  di  Palombara  occuparono  tutta  questa  par- 
te del  distretto  di  Roma  :  e  se  ne  fa  menzione  in  un 
atto  dell'anno  1272  esistente  nell'archivio  di  s.  Spirito 
in  Sassia  e  ricordato  dal  Galletti  Primaro  p.  332  :  es- 


379 

si  vi  edificarono  il  palazzo  baronale  ,  che  come  quello 
di  Palombara  stesso  conserva  ancora  gli  stemmi,  prova 
del  loro  dominio:  nel  secolo  XVII  passò  dai  Savelli, 
come  le  terre  vicine  di  Palombara  e  Stazzano  ai  Bor- 
ghese ,  i  quali  ancora  la  ritengono.  Nei  rimanente  Mo- 
ncone non  presenta  oggetti  degni  di  particolar  rimarco. 
Ho  detto  poc'anzi,  che  le  rovine  esistenti  ai  Pedi- 
cati  appartengono  piuttosto  ,  che  ad  Orvinium  e  Carne- 
ria,  all'antico  Regillum.  E  quanto  ad  Orvinium  che  più 
generalmente  si  colloca  in  questo  sito  è  da  notarsi,  che 
Dionisio  d'  Alicarnasso ,  il  solo  fragli   scrittori    antichi 

che  la  ricorda    così  ne  parla,    lib.  1.  e.  XIY 

»  Delle  città  ,  nelle  quali  primieramente  gli  Aborigeni 
»  abitarono,  poche  erano  rimaste  in  piedi  a'tempi  miei 
»  ma  la  maggior  parte  di  esse  dalle  guerre  e  da  altri 
»  mali  micidiali  afflitte ,  sono  rimaste  deserte.  ERANO 
M  NEL  TERRITORIO  REATINO  non  lungi  dagli  ap- 
»  pennini ,  come  Terenzio  Varrone  scrive  nella  opera 
»  sulle  Antichità^  e  distanti  dalla  città  di  Roma  per  lo 
»  meno  un  giorno  di  viaggio:  delle  quali  io  enumererò 
»  le  più  illustri  secondo  che  quello  storico  le  descrive». 
Quindi  nota  come  Palatium  e  Trebula  erano  distanti  da 
Rieti  l'una  25  stadj  presso  la  via  Quinzia,  l'altra  circa 
60  sopra  un  tumulo  di  giusta  grandezza  :  e  come  Ve- 
sbola  n'era  distante  quanto  Trebula,  cioè  60  stadii,  vi- 
cino ai  monti  Ceraunii:  e  Suna  40  da  Vesbola,  e  Mefi- 
la  30  da  Suna  :  e  soggiunge  :  »  quaranta  stadj  poi  di- 
»  stante  da  Mefila  era  Orvinium,  città  illustre  e  gran- 
»  de  quanto  alcun' altra  di  quella  contrada:  della  quale 
ì>  visibili  sono  le  fondamenta  delle  mura ,  ed  alcuni  se- 
»  polcri  antichi  magnifici  :  e  recinti  di  cemeterii ,  che 
»  si  dilungano  come  alti  tumuli  :  e  dove  è  ancora  una 
»  cella  di  tempio  antico  di  Minerva  eretta  sopra  la  som- 
j|,:mità  della  cittadella.  »  Dionisio  pertanto  ^tabllLsce  co- 


380 

me  punti  fissi  :  che  tutte  quelle  città  che  ivi  nomina , 
fralle  quali  anche  Orvinium,  erano  nel  territorio  reatino: 
che  le  meno  distanti  da  Roma  erano  lontane  un  giorno 
almeno  di  cammino:  che  Orvinium  per  Mefila,  Suna,  e 
Vesbola  era  distante  da  Rieti  ossia  Reate  170  stadj  , 
pari  a  miglia  romane  21  e  due  ottavi:  e  finalmente,  che 
Orvinium  era  una  delle  città  più  nobili ,  e  conservava 
vestigia  ragguardevoli  delle  mura,  de' sepolcri ,  e  del 
tempio  di  Minerva.  Rieti  è  distante  circa  49  m.  da  Ro- 
ma, che  è  quanto  dire  una  forte  giornata  di  viaggio;  e 
Moncone  ,  o  piuttosto  i  Pedicati  sono  26  m.  distanti , 
da  Rieti,  e  poco  meno,  che  altrettanto  da  Roma,  stan- 
do fuori  della  strada  diretta  di  Rieti,  quindi  non  sono 
per  alcun  modo  con  la  situazione  de' Pedicati  di  accor- 
do le  circostanze  assegnate  da  Dionisio  per  Orvinium  , 
poiché  non  è  territorio  reatino  quello  di  Moricone,  ma 
molto  distante  da  esso ,  non  è  un  giorno  di  distanza 
lontano  da  Roma,  ma  appena  una  mezza  giornata:  non 
è  21  m.  ed  un  quarto  distante  da  Rieti  ma  26:  non  pre- 
sentano le  rovine  de'  Pedicati  l'apparenza  di  grandezza 
che  Dionisio  descrive  in  Orvinium.  Il  fatto  é  che  oggi 
è  ben  stabilito  dagli  avanzi  esistenti,  che  le  quattro  cit- 
tà degli  Aborigeni  nominate  di  sopra,  Vesbola,  Suna, 
Mefila ,  ed  Orvinium  erano  nella  valle  del  fiume  oggi 
denominato  Salto,  nel  distretto  chiamato  il  Cicolano  en- 
tro i  confini  del  regno  di  Napoli.  Le  montagne  di  Nu- 
ria  sono  i  Ceraunii  di  Dionisio  ,  e  senza  entrare  per 
ora  nella  discussione  di  Vesbola,  Suna,  e  Mefila  pos- 
siamo esser  lieti  di  ritrovare  le  rovine  di  Orvinium  pre- 
cisamente tali,  quali  le  descrive  lo  storico  di  Alicarnas- 
so ,  in  Civitella  di  Nesce  e  nel  suo  distretto ,  e  sulla 
sponda  sinistra  del  Salto.  Imperciocché  il  Martelli  na- 
tivo di  que'luoghi,  e  che  li  ha  particolarmente  illustra- 
ti con  varii  scritti ,  e  particolarmente  con  quello  ititi- 


381 

tolato  Le  Antichità  de*  Sicoli,  narra,  che  ivi  »  si  vede 
»  ancora  al  presente,  un  vastissimo  recinto  di  fabbri- 
y>  ca  ciclopica  con  la  sua  area  in  mezzo  di  figura  qua- 
»  driiatera,  lungo  palmi  architettonici  romani  398 ,  e 
»  sei  oncie  alla  parte  di  mezzogiorno ,  palmi  250  a 
»  ponente  congiungendosi  questi  due  lati  ad  angolo 
*  retto,  palmi  260  al  Iato  di  tramontana,  e  415  al  la- 
».  tjO  di  Levante.  I  sepolcri  nelle  roccie  de'monti,  eret- 
))  ti  sui  scogli  di  pietra  viva,  che  tuttora  risaltano  a- 
»  gli  occhi  de'passeggieri  nelle  logore  incisioni:  la  mul- 
ti' tiplicità  di  essi  lungo  le  vie  pubbliche  ,  che  guida- 
)»  no  a  Teschio  Rocchiano,  Valle  Varia,  Poggio  di  Val- 
i)  le,  ed  al  ponte  del  monumento,  così  chiamato  per 
»  un  vetustissimo  mausoleo,  le  cui  basi  ciclopiche  an- 
ìt  cor  durano  ec,  l'accertano  per  una  potente  metro- 
fi  poli  de'  vetusti  secoli.  »  In  queir  area  quadrilatera 
io  credo  di  ravvisare  quella  del  tempio  di  Minerva  nel- 
l'acropoli di  Orvinium,  come  ne'sepolcri  quelli  nomina- 
ti dall'Alicarnassèo,  quali  caratteristiche  di  quella  città 
degli  Aborigeni  ancora  superstiti  a'suoi  giorni.  Il  Mar- 
telli attribuì  quelle  vestigia  a  Mefila,  ed  in  questo  mi 
sembra  avere  errato,  poiché  oltre  che  le  rovine  hannp 
un'  analogia  strettissima  con  quelle  notate  da  Dionisio , 
la  distanza  da  Rieti  ancora  vi  si  accorda ,  che  è  di 
circa  22  miglia  risalendo  per  la  riva  destra  il  corso 
del  Salto,  analoga  a  quella  che  egli  assegna  fra  Rea- 
te  ed  Orvinium. 

Ciò  sia  detto  per  mostrare  non  potersi  riconosce- 
re Orvinium  presso  Moricone  ;  quanto  alla  opinione , 
che  inclina  a  riconoscere  Cameria  alli  Pedicati ,  a  suo 
luogo  nell'art.  CAMERIA  si  vide,  dove  fu  quella  crt- 
tà,  cioè  circa  8  m.  distante  da  Moricone  verso  orien- 
te fra  Tibur ,  e  Varia ,  e  perciò  neppur  Cameria  può 
ivi  ravvisarsi.  Non  così  può  dirsi  di  Regiilum  città  sa- 


382 

bina  ricordata  da  Dionisio  lìb.'V/c.> XI,.  Livio  lib.  II. 
e.  XVI.,  e  Svetonio  in  Tiberio  e.  I.  scrittori,  che  con- 
cordemente dichiarano,  che  fu  una  città  de'Sabini,  dal- 
la quale  Atta  Clauso ,  dai  Romani  detto  Appio  Clau- 
dio!^ "stipite  della  gente  Claudia  ,  trasmigrò  in  Roma , 
pòco  dopo  la  espulsione  dei  re,  cioè  l'anno  252  di  Ro- 
ma, insieme  con  una  gra^  turba  di  parenti,  amici,  e 
clienti,  calcolati  a  circa  5000  atti  alle  armi,  rinforzo 
utilissimo  a  Roma  in  que'  primordii  della  libertà,  on- 
de per  dimostrare  la  gratitudine  a  quel  condottiero  i 
Romani  concedettero  ai  Claudii  tutte  le  terre  fra  Fi- 
dferid  «  Ficulea,  e  di  loro  formarono  una  nuova  tribù 
riastica,  che  perciò  Tribus  Claudia  fu  detta.  Ora  quel- 
la citfà  di  Regillum  era  fra  le  sabine  una  delle  più 
vicine  a  Roma:  e  siccome  tre  sole  da  questa  parte  se 
ne  ricordano  dagli  antichi  scrittori,  cioè  la  notata  Re- 
gillum, Eretum,  e  Cures:  e  di  queste  il  sito  di  Ere- 
tura  è  determinato  a  Grotta  Marozza,  e  quello  di  Ctt- 
res  presso  Arci;  ne  siegue,  che  non  esistendo  altre  ro- 
vine di  una  città  entro  i  confini  sabini  da  questa  par- 
te, se  non  quelle  presso  Moricone  alli  Pedicati,  d'uopo 
è  ravvisare  in  esse  gli  avanzi  dell'antico  Regillum.  Di 
questa  città  dopo  il  fatto  di  Appio  Claudio  non  si  fa 
ulteriore  menzione,  e  da  essa  ebbe  origine  il  cogno- 
me di  Regillensis ,  che  assunse  il  ramo  principale  di 
questa  famiglia  ricordato  ne'  fasti ,  ed  insensibilmente 
abbandonato,  dopo  che  ne  assunse  altri,  da  altre  cir- 
costanze introdotti.jii  »   azwììU'in  \ìì]   oìiyù   •:!;.    «.j 

j  .....;..>ji^ ,/jsup   ^  oiio.iìiolf   òic'jiq    mmavnU   -n 

oue  s  t^fi-'i^'»*"  ^''^  GÌi3inB3  9i£»óeoiio'Hi  n  Kitìluffi  'xh 
Ah  clbnp  lii  9fof>  \')bÌT  u  AUIHMA:)  Jte'ihjf  r>^oiJÌ 
~n'»no  oe-i'i/  aflOoiioM  fib  9)fi!J?ib  .ni  8  15  >TÌ'>  'wh  ,ji) 
óuq  ùvjmtò  nuqqyn  òhi^)(\  ;>  ,  f.hsY  j  «  ifuiiT  r.Yl  '>t 
■-■t>\  iìù'i  mirlli^jflH  ih  h-iih  óoq  i:0:>  n-o»!  .vizzbivi  i  : 


S83 

,,^,  }.,.;         MORLUPO.  i 

dastrum  iHorilnpa  Moxlnpo.  ^  ,,^^ 

'  ì 

Terra,  che  conta  1007  abitanti,  posta  nella  Comar- 
ca  e  distretto  di  Roma ,  dipendente  dal  Governo  di 
Castel  Nuovo  di  Porto,  circa  21  m.  distante  da  Roma 
a  destra  della  via  flaminia  per  una  strada  che  diver- 
ge da  questa  a  Monte  della  Guardia ,  che  è  V  antica 
stazione  ad  Vicesimum,  e  che  per  un  tratto  è  l'antica 
via  ,  che  portava  a  Capena.  Essa  é  situata  sopra  una 
delle  ultime  pendici  del  monte  Musino,  come  la  vicina 
Terra  di  Castel  Nuovo ,  e  forse  un  tempo  era  uno 
degli  oppidi,  che  formavano  la  lega  dei  Capenates  Foe- 
derati,  della  quale  si  fa  menzione  nelle  lapidi  antiche, 
imperciocché  il  modo  particolare  con  che  sono  cavate 
le  rupi ,  che  ne  precedono  l' ingresso ,  ridotte  oggi  a 
grotte  per  usi  communi,  insinua  facilmente  che  furo» 
no  un  tempo  sepolcri,  e  per  conseguenza,  che  ivi  esi- 
stè una  popolazione  fin  da'tempi  remoti.  Qualche  fram- 
mento poi  di  architettura  sparso  per  la  Terra  dimo- 
stra, che  neppure  ne'tempi  imperiali  fu  trascurata  que- 
sta situazione,  come  noi  fu  ne'tempi  bassi,  poiché  nel 
secolo  XI  era  ivi  di  già  un  castrum ,  che  nella  bol- 
la di  Gregorio  VII  dell'  anno  1074  data  a  favore  del 
monastero  di  s.  Paolo,  a  cui  apparteneva  vien  designa- 
lo col  nome  di  Castrum  Mori  lupo  ,  come  con  quello 
di  Castrum  Morlupo  lo  è  in  quella  d' Innocenzo  III 
data  r  anno  1203  a  favore  dello  stesso  monastero,  ed 
inserita  come  l'altra  nel  Bollarlo  Cassinense  del  Mar- 
garini. Nel  secolo  XIII  ,  questa  terra  ancora ,  come 
altre  poste  sulla  riva  destra  del  Tevere  vicino  a  Ro- 


m 

ma  divenne  proprietà  degli  Orsini,  e  nel  secolo  XVIT 
passò    in  quella  de'Borghesc. 

Incerta  -è  la  origine  del  nome,  poiché  non  posso- 
no adottarsi  le  opinioni  raccolte  ,  o  immaginate  sopra 
tale  argomento  dal  Degli  Effetti,  e  dall'Eschinardi,  co- 
me quelle  che  ad  efimerc  congetture  e  speciose  si  ap- 
poggiano ,  le  quali  io  non  giudico  di  riferire  perchè 
crederei  abusare  della  pazienza  del  lettore.  Giovi  sem- 
pre di  ricordare  la  massima,  che  nelle  ricerche  anti- 
quarie y  quando  non  si  può  dare  una  opinione  proba- 
bile ,  è  meglio  di  confessare  non  conoscersi  la  cosa. 
E  questo  è  il  caso  circa  la  etimologia  di  Morlupo. 
.  V  i  Una  bella  iscrizione  scorniciata  di  travertino  pro- 
veniente dalle  cave  antiche  del  monte  Soratte  ricorda- 
te.  da  Vitruvio,  la  quale  leggesi  a  destra,  nell'ingresso 
^ella  Terra  dinanzi  il  muro  di  una  casa ,  mostra  co- 
Bie  varii  liberti  della  gente  Popillia  ebbero  sepoltura 
«elle  sue  vicinanze,  indizio  che  quella  famiglia  roma- 
na possedette  terre  in  quelle  contrade.  I  caratteri  so- 
no di  bella  forma^  e  per  argomento  di  analogia  direb- 
boQsi  appartenere,  al  primo  secolo  dell'impero*  <  :<;     ,v 

-9ifp  fihC  .  POPILLIO  .  ^  .  L  .  EROTI»'^^  ff^^^ 
foa  Arf'Moq  ,r<^y-E\  .  TESTAMENTO  ^u.^Giina  ti\?. 
Aod  f  i?G  .  POPILLIVS  .  C  .  L  .  CINNAMV^  ^^^  "^^ 
hb  oiov,  POPILLIAE  .  C  .  L  .  TERTIAE  '^-  i^*  -'^ 
-fin?»i?f>liC";JPOPILLIO  .  C  :  3  .  L  .  TERTIO^  *'^»«^'" 
olljMJp  nfto  amo*  ,  «M]nìraijLu-.<  :ii  i'^fi)  ii>  huoiì  lo.)  o! 
in  osfi'ioonnl  'h  B!i'j«;p  ni  6  o\  oqnhol/[  minl^fiD  ib 
ho  ,on5l2pnom  o?.?.<}t?5  ofbb  sioyr.l  n  Wkl  cu;tk '1  B)f.l> 
-icM  ''ih  n'fnonh?R3  oi-ir.lIoH  ha  .Mtl,r.'l  e.'no;j  c'.hazr.ì 
sfRoo  ,  sionr,  etisI  «Je'iL'p  ,  MI/  oloo;>?,  hK  .fOÌif.j; 
--fi   «  oniùv  819V9T   lob   r>'i)'f.ùb  Brh  nV.m  qì?.0(\  «ìt»!» 


HOROIO.  Vi  (>>'>iMv\ 

O/I 

illorolum» 


Itlaurormn.  ^aatrum  Mém^' 


:  Tenimcnto  oggi  posseduto  dai  Borghese,  che  ÌT9M 
ii(Mne  da  un  castello  diruto  de'tempi  bassi  situato  pres- 
ta via  flaminia  a  sinistra,  23  miglia  e  mezzo  fuori  di 
porta  dei  Popolo ,  cioè  circa  24  e  mezzo  fuori  della^ 
porta  antica  di  Roma  sotto  il  Campidoglio,  onde  com-* 
prese  la  stazione  della  Villa  Rostrata ,  la  prima  suU* 
via  flaminia  ricordata  dall'Itinerario  di  Antonino  a  tale 
distanza  da  Roma.  Questa  stazione  non  si  ha  neiritine'<> 
rario  Gerosolimitano,  e  non  si  nota  neppure  nella  Carta' 
Peutingeriana.  Indizio  per  credere  ,  che  almeno  nel  se- 
colo VII,  al  quale  quella  Carta  appartiene  fosse  di  già 
deserta.  .'>-:^iiì//^url  ;&  ujic  fiàns^iì'  oì 

E  incerta  la  etimologia  del  nome  Rostrata ,  poiché 
quelle  allegate  dagli  scrittori,  che  parlarono  di  queste 
contrade  nel  secolo  XVII  sembrano  troppo  ricercate.  E 
fra  queste  è  pur  quella  che  vuol  derivarsi  dalla  Domus 
Rostrata  di  Pompeo:  quasi  che  avendo  quel  capitano  in 
Roma  presso  il  tempio  della  Tellure  nel  Carine ,  una 
casa  ornata  di  rostri,  Domus  Rostrata,  per  testimonian- 
za di  Capitolino,  nella  vita  de' Giordani  capo  III,  avesse 
pure  una  Villa  Rostrata  poco  meno  di  25  miglia  lonta- 
tano  da  Roma. 

;;>  ^.  Lo  stato  di  villa,  e  di  s^tazionc  indica  da  per  se 
stesso  la  opportunità  del  sito:  e  forse  non  sarebbe  im- 
probabile supporre,  che  almeno  nella  decadenza  dell'im- 
pero vi  fosse  acquartierata  qualche  tarma  di  cavalieri 
mauri,  che  militavano  negli  eserciti  romani,  donde  de- 

25 


d86 

rivasse  il  nome  (li  Mauroro  che  fin  dall'anno  996  ebbe 
la  contrada,  siccome  si  trae  dal  diploma  di  Ottone  III 
a  favore  del  monastero  di  s.  Alessio  sul  monte  Aventi- 
no riferito  dal  Nerini ,  nel  quale  ricordasi  una  cella  s. 
Stephani  in  Mauroro.  Poscia  sulle  rovine  della  stazione 
formossi  un  castrum^  che  nella  bolla  di  Onorio  III,  con 
che  confermò  i  beni  a  quel  monastero  1'  anno  1217,  al 
quale  apparteneva,  si  nomina  Castrum  Morori  ed  a  quel- 
la epoca  medesima  per  alternazione  di  pronuncia  s'  in- 
trodusse il  nome  odierno  di  Morolo,  poiché  in  un'altra 
holla  dello  stesso  papa  Onorio  III,  data  a  favore  de'fra- 
ti  della  Redenzione  degli  Schiavi ,  che  oggi  appelliamo 
del  Riscatto  e  riferita  nel  Bullarium  Vaticanum  T.  I.  p. 
100  cosi  vien  designato  questo  castello,  come  pure  in  un 
atto  dell'anno  1252  inserito  dal  Nerini  nell'Appendice, 
nel  quale  si  rinnova  la  memoria  della  chiesa  di  s.  Ste- 
fano. Dai  monaci  di  s.  Alessio  questo  fondo  passò  ai 
Savelli^  signori  di  Rignano,  e  questi  circa  1'  anno  1503 
lo  venderono  ai  Borghese. 


MORRA  M.  V.  GENNARO  M. 


illJO 


iiii  ov\  MORRONE  V.  DECIMO.  i>  ^   ^ 

?,'uj   :  ..  MOSTACCIANO.   -?  !=  '^^■-■r;    iuk  ■' 


>«  Tenuta  dell'Agro  Romano  pertinente  al  Capitolo  di 
8.  Nicola  in  Carcere  posta  fuori  di  porta  s.  Paolo  circa 
5  m.  distante  da  Roma  a  destra  della  via  laurentina  an- 
tica, oggi  strada  di  Decimo,  la  quale  confina  con  le  te- 
nute di  Decimo,  Acquacetosa,  Torraccio,  e  Grottone.  Com- 


387 
prende  circa  105  rabbia  divise  in  quattro  quarti.  Il  suo 
nome  come  pure  la  pertinenza  del  Capitolo  sovraindica- 
lo  rimontano  al  secolo  X  della  ora  volgare  ;  impercioc- 
ché Sergio  III.  l'anno  905  enumera  in  una  bolla  ripor- 
tata dal  Marini  ne  Papiri  Diplomatici  p.  30  i  beni  della 
colleggiata  di  s.  Nicola  in  Carcere,  e  fra  questi  nomina 
appunto  il  fondo  di  Mostacanum ,  che  è  il  presente ,  il 

quale  non  ha  mai  più  cangiato,  né  nome,  né  padroan 

pel  corso  di  932  anni.     f»,i.  -.fi  .nr;'!!   i  u.     >Min. 

'■•      '.  ■■'■!--   o!V)h    '-    ;   !ì    o~:/r'|    tUfK.v^&j 

./  (1140UMVGILLA  —  MOriAAA  MOEFIA AA. oihHmh 

Una  delle  famiglie  della  gente  Papiria  ,  o  Papisia 
ebbe  il  cognome  di  Mugillana:  e  questo  cognome  per  la 
prima  volta  apparisce  ne*  Fasti  l'anno  310  di  Roma,  al- 
lorché narra  Livio  lib.  IV.  e.  VII.  che  Tito  Quinzio 
Barbato  interré  creò  consoli  Lucio  Papirio  Mugillano 
e  Lucio  Sempronio  Atratino  :  Dionisio  lo  chiama  lib. 
XI.  cap.  LXII.  Agvìitog  Ilocnipiog  Mc^rXXovs?.  Questi 
comparisce  console  per  la  seconda  volta  l'anno  327:  Li- 
vio lib.  IV.  e.  XXX.  e  tribuno  de' soldati  l'anno  332: 
lo  stesso  lib.  IV.  e.  XLII.  Il  suo  figlio  Marco  collo 
stesso  cognome  fu  tribuno  de'soldati  quattro  anni  dopo 
Livio  lib.  IV.  e.  XLV:  e  di  nuovo  nel  338,  Livio  ivi 
e.  XLVII.  e  console  nel  343:  lo  stesso  e.  LIL  Un  lo- 
ro discendente  fu  il  console  Lucio  Papirio  Mugillano 
ricordato  da  Livio  lib.  Vili.  e.  XXIII,  che  ottenne  i 
fasci  nell'anno  428.  e  questi  é  l'ultimo  che   si  ricorda. 

Questa  famiglia  tolse  il  cognome  da  una  città  del 
Lazio  antico,  come  i  Tarquinii  Collatini  da  Collazia, 
i  Sulpicii  Camerini  da  Cameria,  ec.  la  quale  si  chia- 
mò Mugilla,  ed  é  ricordata  da  Dionisio  lib.  VIIL  e. 
XXXVI.  Questi  narrando  la  scorreria  di  Coriolano  di- 
ce, che   quell'esule,  dopo  la   presa   di   Pollusca,    s'im- 


388 

padroni  delle  città  degli  Albieti,  e  de' Moegillani  baf-' 
tendone  le  mura:  Al^tvjrag  /xsv  cw  y.at  MoiyiXoctvcvg  ex 
Z£[)(^o[xaxtag  ai  psi  nomi  alquanto  corrotti  dai  copisti 
dovendo  leggersi  Ax^moczag  e  Moyiklocuovg:  e,  che  do- 
po la  espugnazione  di  Mugilla,  attendossi  circa  4  m. 
lungi  da  Roma  sulla  via  latina.  Era  pertanto  Mugilla 
Una  delle  città  del  Lazio  più  vicine  a  Roma,  e  forse, 
come  rovine  di  essa  dcbbonsi  riconoscere  quelle  sul 
limite  del  territorio  di  Marino  verso  la  tenuta  di  Fal- 
cognani  presso  il  così  detto  ponte  delle  Streghe ,  di- 
rimpetto à  quelle  di  Apiolae  descritte  a  suo  luogo  v. 
APIOLAE.  Mugilla  dopo  la  impresa  di  Coriolano  sva- 
nisce affatto  dalle  pagine  della  storia. 

-ir,  .imoìi  tèi  dì       MURÀTELLA.       «({j^ti  fcjiov  Bmk*( 

'  f"  MTre  tenute  diverse  nell'Agro  Romano  sono  designa- 
le, con  questo  nome,  come  quelle,  che  forse  un  tempo 
furono  circondate  di  muro.  La  prima  è  fuori  di  porta 
del  Popolo  a  sinistra  della  via  flaminia,  ossia  strada  di 
prima  Porta  ,  la  quale  si  lascia  verso  il  quarto  miglio. 
Essa  appartenne  al  monastero  di  s.  Apollonia  e  si  esten- 
de per  rabbia  35  e  un  quarto.  Confina  con  quelle  del- 
la Inviolata,  e  della   Crescenza. 

La  seconda  è  fuori  di  porta  Portese  ed  è  attraver- 
sata dalla  strada  di  Fiumicino  circa  7.  m.  lungi  da  Ro- 
ma. Appartenne  ai  Lepri:  si  estende  per  quasi  204  rab- 
bia di  terra,  e  confina  colle  tenute  di  s.  Cecilia,  Caset*- 
ta  Mattei,  Pantanella,  Campo  di  Merli,  Magliana,  Prati 
di  Tbr  Carbone,  e  Capo  di  Ferro  e  Pisciarello.  iXt,A 
-'.ìjS  >  La  terza  già  de'  Borgia  di  Velletri  è  circa  18  m. 
fuoiì  di  pòrta  s.  Paolo  sulla  via  di  Ardea  a  sinistra. 
Confina  colle  tenute  di  s.  Procula,  Pian  de'Frassi,  Ca- 


389 
stagnola,  e  Fossa:  e  si  divide  ne'quarti  detti  della  stra- 
da di  Ardea»  del  Casale,  e  di  Pian  de'Frassi. 

'   ^  -    à   oKc.'-;? .     uivu     »;rn    51 

.;[h;  '  NAZZAISO.■■,\^^;^  u   .  'n'n'io 

-cjaLfi  )f!il»  ,;:»no'Ì  ih  oirriJisii)  ì  noiÈitiol}  eAiQti  ffiofjRK  ih 

>   ,?rfn'!*'i'^^ì^<Kf!';l   IV  ■vììììvuI)  yfHon  il  - 

;:Mp  lab  ,  r.n«iC[  ib  o-iuB?  o^aoni 

Terra  situata  fra  colli  ameni ,  e  boscosi  sulla  riva 
destra  del  Tevere  a  picciola  distanza  del  fiume.  Essa  è 
posta  entro  i  limiti  della  Comarca  nel  distretto  di  Ro- 
ma e  sotto  il  governo  di  Castelnuovo  di  Porto ,  e  con-r 
tiene  532  abitanti.  La  strada  per  andarvi  da  Roma  di- 
cesi volgarmente  della  Teverina,  e  si  distacca  a  destra 
della  via  flaminia  al  settimo  miglio  da  Roma  a  Prima 
Porta:  essa  è  tracciata  nell'andamento  dell'antica  via  ti- 
berina. Da  Roma  a  Nazzano  si  contano  28  m. 

Questa  Terra  apparteneva  ai  monaci  di  s.  Paolo 
fin  dai  secolo  XI.  ed  allora  era  di  già  un  villaggio,  poi- 
ché un  Giovanni  di  Nazzano  si  ricorda  in  due  atti  ri- 
portati dal  Galletti  :  il  primo  (  Primicero  p.  281  appar- 
tenente all'  anno  1059,  1'  altro  al  1062  (  Gobio  p.  45  ): 
e  come  pertinenza  de'monaci  di  s.  Paolo  si  ricorda  col 
nome  di  Castellum  Nazani  nella  bolla  data  da  Gregorio 
VII.  l'anno  1074.  Veggasi  il  Bullarium  Cassinense.  Cir- 
ca l'anno  1280  si  trova  nominata  di  nuovo  fralle  altre 
possidenze  di  s.  Paolo  in  una  bolla  riportata  dallo  stes- 
so Galletti  Primicero  p.  348,  come  un  castrum.  Finalmen- 
te r  anno  1471  fu  riunito  al  suo  territorio  la  metà  di 
quello  di  Meana,  Terra  diruta  posta  nelle  sue  vicinanze. 
Veggasi  il  Galletti   Capena  p.  196^1^^  M  t,jo  ,i)aoir.qq«^ 

'  <)!>'>itn  •Hiun  '»  u)nììi/iì\ol  o^to(f  no  bu  ois'xn  ni  <»■' 


390 

È  una  Terra  circa  20  m.  distante  da  Roma  v^rso 
oriente  ,  posta  a  sinistra  della  via  appia  e  della  strada 
di  Napoli,  nella  Comarca  e  distretto  di  Roma,  dipenden- 
te dal  Governo  di  Genzano>  che  contiene  846  abitanti. 

11  nome  direttamente  deriva  dal  famoso  Nemus,  o 
bosco  sacro  di  Diana ,  del  quale  così  parla  Strabono  L 
V.  e.  III.  §.  12.  «  Ed  il  tempio  di  Diana  che  chiama- 
))  no  Nemus  è  nella  parte  sinistra  della  via  ,  che  esce 
»  dall'Aricia  per  coloro  che  salgono  al  tempio  dell'Ari- 
»:  cina.  Dicono  che  questo  sia  una  derivazione  della  Tao- 
»  ricav imperciocché  è  circa  il  tempio  in  vigore  un  co- 
»  stume  barbarico  e  scitico;  poiché  é  stabilito  come  sa- 
»  cerdote  quello,  che  di  propria  mano  ha  ucciso  colui 
»  che  antecedentemente  lo  era,  cioè  un  fuggiasco;  egli 
»  pertanto  va  sempre  armato  di  spada  >  guardingo  per 
»  le  insidie,  e  pronto  a  difendersi.  Il  tempio  è  nel  bo- 
»  «co:  e^  dinanzi  a  questo  é  un  lago  profondo.  Dintorno 
»  lo  corona  un  ciglio  continuato  di  monti,  molto  alto, 
»  il  quale  in  sito  concavo  e  profondo  contiene  il  temr 
»  pio  e  Tacqua.  E  le  sorgenti  possono  vedersi,  che  em- 
»  piòno  il  lago,  fralle  quali  é  ancor  quella,  che  chiama- 
»  si  Egeria ,  che  trae  nome  da  una  divinità.  Lo  scolo 
i)  però  d^l  lago  ivi  non  si  vede,  ma  di  fuori  e  lontano 
»  mostrasi  dove  sgorga  all'aperto.  »  Questo  passo  è  chia- 
ro baStànteinenté  per  determinare  il  sito  del  tempio:  la 
dea  a  cui  era  consagrato  :  la  origine  del  culto  :  il  rito 
barbaro ,  che  a'suoi  giorni  continuava  sulla  scelta  del 
sacerdote:  il  lago  che  avea  dinanzi:  le  fonti  perenni  ed 
apparenti,  che  lo  formavano,  e  T  emissario  visibile  solo 
nella  esterna  pendice  del  cratere. 

E  quanto  al  tempio,  questo  era  nel  cratere  del  la- 
go in  mezzo  ad  un  bosco  foltissimo:  e  come  questo  bo- 


391 

SCO  designavasi  col  nome  di  Nemus>  la  yicìna  Alicia  p(H 
sta  anche  essa  in  mezzo  a  que' boschi  ebbe  T epiteto  di 
fietnoralis  da  Ovidio.  Il  bosco  ebbe  pure  il  nome  di  E- 
geria ,  Virgilio  lib.  VII.  y.  763  e  seg.  come  la  fonte , 
da  una  ninfa  locale,  fonte  che  si  vede  ancora  abbondan- 
te, perenne,  e  limpida,  sgorgare  sotto  il  villaggio  odier- 
no ,  il  quale  annicchiato  sopra  il  ripiano  di  una  rupe 
altissima  tagliata  a  picco  è  succeduto  al  tempio ,  oggi 
sparito  affatto.  Strabene ,  come  si  vide  non  indica  chi 
fondò  il  tempio,  ma  solo,  che  la  tradizione  lo  riguarda- 
va come  derivato  da  quello  della  Tauride:  Servio  però 
commentando  il  VI.  della  Eneide  dice ,  che  Oreste  do- 
po la  uccisione  di  Toante  fuggì  colla  sorella  Ifigenia 
dalla  regione  Taurica ,  e  collocò  non  lungi  dall'  Ariccia 
il  simulacro  di  Diana  tolto  di  là.  Pausania  lib.  II.  g. 
XXVII.  dice  che  Ippolito  ritornato  in  vita  rìtirossi  in 
Italia  presso  gli  Aricini,  dove  regnò,  e  dedicò  un  recin- 
to sacro  a  Diana,  e  ricorda  il  costume  indicato  da  Stra- 
bene circa  il  sacerdote,  del  quale  tornerò  a  parlare  più 
sotto.  Sia  pertanto  che  vogliasi  credere  fondato  da  Ore- 
ste, sia  che  lo  fosse  da  Ippolito,  é  certo  che  antichissi- 
ma n'era  la  origine:  ed  il  costume  barbaro  per  la  scelr 
ta  del  sacerdote  n'  è  una  prova  ulteriore,  come  quello» 
che  risentivasi  della  fierezza  de'  costumi  primitivi  degli 
abitanti  quasi  selvatici.  L'architettura  di  questo  tempio 
è  stata  descritta  da  Vitruvio  per  la  particolarità  di  pre- 
sentare colonne  a  destra  e  sinistra  ai  fianchi  del  pronao: 
item  argutius  Nemoriy  Dianae^  columnis  adiectis  dextra  oc 
sinistra  ad  humeros  pronai,  lib.  iV.  e.  Vili  oi^iììrRtr A  ih 
H  rito  descritto  da  Strabone  sulla  scelta  del  sacer- 
dote della  dea,  continuava  ancora  ai  tempi  di  Pausania 
sotto  Marco  Antonino,  e  Gommodo:  ed  egli  aggiunge  a 
quanto  dice  Strabone  particolari,  che  dimostrano,  esser» 
servi  fuggitivi,  che  venivano  condannati  al  dueUo,  che 


392 

decideva  del  sacerdozio.  Un  bel  bassorilievo  di  stile  ar- 
caico alto  2  piedi,  largo  3  e  mezzo  fu  rinvenuto  pres' 
so  la  mola  di  Genzano  in  Vallericcia  1'  anno    1791  dal 
prelato  Despuig,  poscia  cardinale,  che  lo  mandò  a  Pal- 
ma nella  isola  di  Majorca,  sua  patria,  per  te^timoniaur- 
za  di  Lucidi  Storia  dell'  Ariccia  p-  97,  il  quale  fu  pre- 
sente alla  scoperta  e  questo  monumenta  fu  dai  prelato 
dato  ad  incidere  per  la  rarità  del  soggetto  ed  il  meri- 
to di  arte   a  Pietro   Fontana  all'epoca  del  suo  ritrova- 
mento ,  e  poscia  riprodotto  da  Geli  nella  sua  Topogra- 
phy  of  Rome  and  its  vicinity.  Rappresenta  questo  basso- 
rilievo r  esito   del  combattimenti  frai  due   competitori: 
il  sacerdote  in  possesso ,  ferito  a  morte  dal  suo   rivale 
giace  per  terra  reggendosi  colla  destra  le  intestina,  che 
gli  escono  fuori  dalla  ferita:  il  vincitore  rivale  ,  vestito 
di  clamide,  tiene  la  spada  in  nKino:  quattro  antistiti,  o 
sacerdotesse  sono  presenti  alla  scena,  due  stanno  in  at- 
to di  supplichevoli,  alzando  le  mani  al  cielo:  delle  al- 
tre due,  una  pone  la  destra  sull'omero  del  vincitore  in 
atto  di  calmarlo ,  o  di  accarezzarlo.  Da   Svetonio    d^lla 
vita  di  Caligola  e.  XXXV.  apprendiamo,  che  questo  sa- 
cerdote avea  il  nome  di  Rex  Nemoremis,  come  rappre- 
sentante il  re  Toante.  Tal  rito  cessò  nel  quarto    secolo 
definitivamente  l'anno  391  della  era  volgare,  allorché  fu- 
rono inibiti  affatto  i  riti  della  religione  pagana,  e  chiu- 
si i  templi,  per  la  legge  di  Valenliniano  II.  e  Teodosio. 
Cessato  il  culto  di  Diana,  il  bosco  sacro  costituì  la 
Massa  Nemus,  la  quale  nel  secolo  IX.  per  testimonianza 
di  Anastasio  Bibliotecaria  apparteneva  alla  basilica  di  s. 
Giovanni    Battista  di  Albano  e  per    tradizione    dicevasi 
a  quella  assegnata  fin  dai  tempi  di  Costantino ,  quando 
cioè  ancora  esisteva  il  culto  della  dea.  Rendeva  a  quel" 
la  epeca  solidos  ducentos  et  octoginta;  ma  non  era  anco- 
ra un  castrurìiy  o  una  Terra  abitata.  Né  puà  dirsi  con 


393 
sicurezza  che  Io  fosse  neppure  anticamenfe,  come  suol 
credersi  per  un  passo  di  Appiano.  Questo  storico  nel 
lib.  V.  delle  Guerre  Civili  racconta,  che  nella  guerra  fra 
Ottaviano  e  Lucio  Antonio,  il  giovane  Cesare  raccoglieva 
danaro  da  templi  promettendo  di  renderlo  con  usura ,  in 
Roma  dal  Campidoglio,  e  da  Anzio,  Lanuvio,  Nemore,  e 
Tiòur,  nelle  quali  città  anche  oggi  sona  specialmente  tesori 
abbondanti  di  ricchezze  sacre.  Osservando  attentamente  il 
senso  di  questo  passo  è  chiaro,  che  ivi  intcndesi  parla- 
re de'tesori  espilati  da  Ottaviano,  che  si  conservano  ne* 
templi,  in  Roma  del  Campidoglio,  in  Anzio  della  Fortu- 
na, in  Lanuvio  di  Giunone,  in  Nemore  di  Diana,  ed  in 
Tibur  di  Ercole:  or  siccome  nella  massima  parte  i  tem- 
pli denominati  erano  in  città  ad  eccezione  di  quello  di 
Nemore ,  Appiano  ne  ha  fatto  un  carattere  generale. 
D'altronde  il  rito  poco  accordavasi  con  una  riunione  ài 
uomini. 

-fi-  Ma  torniamo  alla  storia  di  questa  Terra  :  essa  ri- 
mase una  Massa,  cioè  una  proprietà  costituita  di  mol- 
ti fondi  insieme  uniti,  fino  dal  secolo  IX.  Ma  la  posi- 
zione fortissima  e  segregata  dell'antico  tempio  non  po- 
teva rimaner  trascurata  in  epoche  come  quelle  de'tem- 
pi  di  mezzo,  e  perciò  fin  dal  secolo  X  fu  occupata  dati 
conti  tusculani ,  i  quali  vi  formarono  un  Castrum  ,  o 
Terra  fortificata,  che  nell'anno  1090  per  testimonianza 
della  Cronaca  Sublacense  fu  da  Agapito  conte  tuscula- 
no  assegnata  in  dote  alla  figlia  data  in  matrimonio  ad 
Oddone  Frangipane,  e  così  i  Frangipani  divennero  si- 
gnori di  Nemi.  Circa  la  metà  del  secolo  seguente,  cioè 
l'anno  1153,  fu  da  papa  Anastasio  IV.  conceduta  ai  mo- 
naci di  s.  Anastasio  ad  Aquas  Salvias,  e  questa  dona- 
zione venne  confermata  l'anno  1183  da  Lucio  III,  co- 
me si  ha  da  una  bolla  riportata  dal  Ratti  in  Appen- 
dice alla  Storia  di  Genzano  n.    I.    L'antipapa    dementa 


394 

VII.  nel  1378,  volendo  ricompensare  i  servìgi  prestati- 
gli da  Giordano  Orsini,  signore  di  Marino  gli  concedet- 
te questo  castello  insieme  con  altri  formando  una  enfi- 
teusi fino  a  terza  generazione,  siccome  si  trae  dal  bre- 
Te  riportato  dal  Ratti  citato  di  sopra,  al  N.  V.  Questa 
medesimo  scrittore  riporta  al  n.  XI.  un  atto  del  142S 
fatto  nel  monastero  di  s.  Anastasio  dal  quale  ricavasi 
che  Tebaldo  degli  Annibaldi  avea  invaso  il  castrum  Ne- 
mi  colla  sua  fortezza,  e  dopo  la  sua  morte  i  suoi  fi- 
gli Riccardo  e  Giovanni  lo  aveano  continuato  a  ritene- 
re, finché  Giovanni  lo  restituì  all'abbate  di  s.  Anastasio: 
e  tale  restituzione  si  fece  ai  5  dicembre  nell'anno  1412y 
come  si  legge  nel  Diario  Romano  riportata  dal  Murato- 
ri R.  I.  S.  Tomo  XXIV.  p.  1033.  Ritornato  pertanta 
in  pieno  dominio  de'monaci  di  s.  Anastasio  questo  ca- 
stello nel  1412 ,  secondo  il  documento  ricordata  di  so- 
pra, ncir  anno  1423,  1'  abbate  lo  die  per  un  triennio 
in  affitto  a  Giordano  Colonna  per  50  fiorini.  Finalmen- 
te nel  1428  i  monaci  col  beneplacito  apostolico  la  ven- 
derono insieme  con  Gcnzano  e  col  casale  di  Montagna- 
no  ai  Colonna  per  15,000  fiorini  del  valore  di  47  ba- 
iocchi l'uno,  siccome  si  ha  dagli  atti  originali  riportati 
dal  Ratti  n.  XIII.  e  XIV. 

Nel  1479  fu  venduto  insieme  con  Genzano  al  card, 
d'  Estouteville  ,  e  dopo  tornò  ai  colonna.  Nella  famosa 
divisione  de' feudi  fatta  da  Alessandro  VI.  l'anno  1501 
fra  i  figli  di  Lucrezia  Borgia  ,  ed  inserita  dal  Ratti  n» 
XIV,  Nemi  fu  assegnato  a  Roderico.  Morto  Alessandra 
tornò  in  potere  de'Colonna,  che  nel  1559  lo  venderono 
a  Silverio  de  Silveriis  Piccolomini.  Quindi  venne  in  po- 
tere di  Francesco  Cenci,  il  quale  nel  1572  lo  vendette 
a  Muzio  Frangipani.  Questa  famiglia,  che  come  si  vide 
Io  avea  posseduto  nel  secolo  XI.  lo  ha  dopo  l'anno  1573 
ritentilo  fino  all'  anno  1781 ,  in  che  lo  vendè  al  nipote 


\  593 
di  papa  Pio  VI.  Luigi  Braschi;  il  suo  figlio  Pio  Braschi 
Io  ha  nel  1835  venduto  al  duca  Giulio  Cesare  Rospiglio- 
si che  n'è  il  signore  attuale. 

»,J  La  situazione  di  questa  Terra  è  pittoresca:  e  ma- 
gnìfica è  la  veduta  che  ivi  si  gode  del  cratere  e  del  la- 
go sottoposto  ,  che  assomiglia  ad  uno  specchio  vastissi- 
mo. Nel  resto,  meno  la  rimembranza  del  tempio  di  Dia- 
na, nulla  presenta  degno  di  particolare  osservazione.  Il 
palazzo  baronale  ha  tutto  l'aspetto  di  un  antico  castel- 
lo feudale,  ed  è  opera  in  gran  parte  de'Colonna,  un  tena- 
po  signori  della  Terra,  come  pure  la  torre  rotonda,  che 
Io  corona.  Salendo  sulla  falda  del  monte  ,  che  domina 
immediatamente  la  Terra,  apresi  un  panorama  molto  e- 
steso  del  Lazio  marittimo  e  delle  terre  adiacenti  de'Bu- 
tuli,  e  de'Volsci.  Dal  promontorio  Circeo  l'occhio  spazia- 
si sopra  tutto  il  littorale  del  mar  tirreno  fino  al  di  là 
delle  foci  tiberine:  Astura,  Anzio,  Ardea,  Lavinio,  Lau- 
rentò.  Ostia  e  Porto  sollevansi ,  come  altrettanti  pùnti 
più,  ó  meno  sensibili  secondo  la  distanza  e  la  grandez- 
za loro.  ì'j.-iy  : 

Il  Iago  più  cemmunemente  detto  dagli  antichi  ne- 
morense^  è  come  quello  di  Albano  il  prodotto  di  un  vul- 
cano estinto,  di  che  fan  prova  le  materie  che  lo  circon- 
dano, in  parte  lava  durissima  basaltina,  in  parte  ceneri 
ammassate  dall'  acqua  ed  indurite  dal  fuoco ,  in  parte 
ceneri  e.  scorie  disciolte.  Il  perimetro  è  di  circa  5  mi- 
glia: il  livello  è  supcriore  a  quello  di  Albano.  Celebre 
è  la  pretesa  nave  ,  da  altri  detta  di  Tiberio  ,  da  altri 
di  Trajano,  esistente  sott'acqua,  della  quale  parlano  il 
Biondo ,  Leon  Battista  Alberti ,  e  più  particolarmente 
Francesco  Marchi  celebre  architetto  ed  ingegnere  mili- 
tare del  secolo  XVI.  il  quale  vi  calò.  Nuove  ricerche 
su  tal  proposito  si  fecero  a'giorni  nostri,  alle  quali,  es- 
sendo stalo  presente  ed  avendo  esaminato   attentamente 


396 

quanto  venne  estratto,  od  udito  da  coloro,  che  vi  era- 
no calati  ciò  che  .iveano  veduto,  parmi  poter  ricavarsi, 
che  la  prelesa  nave  altro  non  sia  che  la  ìntelaratura 
de'  fondamenti  di  un  fabbricato  :  che  i  travi  di  questa 
Ìntelaratura  ,  sono  di  larice  ,  e  di  abete  :  che  i  chiodi , 
che  li  univano  insieme  sono  di  metallo  ,  e  di  varie  di- 
mensioni: che  il  pavimento,  o  almeno  lo  strato  inferio- 
re [di  esso  era  formato  di  grandissimi  tegoloni  posti  so- 
pra una  specie  di  graticole  di  ferro  sopra  le  quali  hav- 
vi  il  marchio  CAISAR  in  lettere  di  forma  assai  antica: 
e  queste  graticole,  come  pure  i  tegoloni,  alcune  travi, 
ed  i  chiodi ,  possono  vedersi  nella  Biblioteca  Vaticana. 
Il  marchio  CAISAR  sovrannotato  sembra  spiegar  V  uso 
di  questa  fabbrica.  Imperciocché  narra  Svetonio  nella 
vita  di  Cesare  e.  XLVI.  che  quel  dittatore  Villam  in  iVo- 
morensi  a  fundamentis  inchoatam,  magnoque  sumptu  aòso- 
lutam,  quia  non  tota  ad  animum  et  responderat,  totam  di- 
ruisse  quamquam  tenuem  adhuc  et  obaeratum  :  cominciò 
pertanto  Cesare  una  villa  magnifica  ,  suntuosa  nel  Ner 
morcnse,  e  la  disUussc  dopo  averla  quasi  finita,  perchè 
non  corrispondeva  intieramente  alle  sue  idee,  e  questa 
villa  era  stata  fatta  con  gran  spesa  :  magnoque  sumptu  : 
ora  il  marchio  CAISAR  è  appunto  quello  di  Cesare,  per- 
chè è  solo,  isolato,  non  accompagnato  dal  prenome  TI. 
cioè  Tiberius,  o  dal  cognome  TRAIANVS:  quindi  io  cre- 
do, che  la  pretesa  barca  altro  non  sia,  che  il  fondamen- 
to di  questa  villa  medesima  fatto  dentro  il  lago ,  onde 
dar  luogo  al  fabbricato  superiore:  e  questo  essendo  sta- 
to distrutto  da  Cesare  stesso,  il  fondamento  sott'  acqua 
rimase,  come  pure  sott'acqua  si  trovano  avanzi  sconvol- 
ti della  fabbrica  demolita.  II  punto  scelto  per  questa 
villa  era  opportuno,  essendo  collocata  dirimpetto  al  tem^- 
pio  della  dea,  in  riva  al  lago.  o;i«o<]oiq  hi  l\>- 

JinuìA  Nemi  si  va  da  Genoano  per  due  strade:  la  pri- 


397 
ma  è  a  sinistra  di  chi  guarda  il  palazzo  ducale  ,  cioè 
dal  canto  dc'Cappuccini.  Essa  discende  al  lago,  e  lo  co- 
steggia più,  o  meno  dappresso,  a  sale  a  Nerai  dal  can- 
to della  Mola  e  del  Montano.  Questa  strada  nella  prima 
parte  è  antica:  conserva  per  qualche  tratto  il  pavimen- 
to che  ha  8  piedi  di  larghezza  e  le  crepidini:  ed  è  fian- 
cheggiata da  muri  di  opera  reticolata.  L'altra,  parte  dal- 
la piazza  vecchia  di  Genzano,  e  salendo  al  ciglio  del  cra- 
tere lo  segue  fino  al  villaggio  di  Nemi.  Questa  e  la  più 
communemente  seguita  ,  perchè  è  la  più  commoda  ,  ed 
è  anche  essa  un  diverticolo  antico,  che  distaccavasi  dal- 
l'Appia  a  sinistra,  dove  oggi  è  il  nuovo  duomo  di  Gen- 
zano. 

Andando  per  la  strada,  che  scende  al  lago  dai  Cap- 
puccini può  vedersi  il  bel  capo  d'  acqua  della  fonte  di 
Egeria  ,  che  dopo  aver  fatto  girare  la  mola  sbocca  nel 
lago.  Questa  è  quella  descritta  da  Strabone,  e  celebra- 
ta da  Ovidio  Metam.  lib.  XV.  v.  485  e  seg.  il  quale 
cantò  la  tradizione ,  che  Egeria  ,  essendo  una  ninfa  fu 
sposata  da  Numa,  e  dopo  la  morte  di  quel  re  ritiratasi 
inconsolabile  nel  bosco  aricino  fu  da  Diaj^a  cangiata  in 
una  fonte:  .i<iinl6i»»q^  ^mnìjtrA  n  am'jhoKu  /^Ld  :  8uf4 
f;rv  omoJiiA  ih  ciyWDJirbifl  iRj.)  ^iRoilibti'  lUivi'X  il)  «>rH*q^ 
i^eh  póstqUaià  sèrUér  rkgnwmqùe  àèvumque  peregtt  Tf.S 
Extinctum  latiaeque  nurus,  populusquc,  patresque  ii 

Deflevere  Numam:  nam  coniux  urbe  relieta   jjfu'jafioa  ftnti«f 
Vallis  aricinae  densis  latet  abdita  sylvis:  fJ   jììÌ'j^^*^  pt» 

Sacraque  Oresteae  gemitu,  quaestuque  Dianac  ■    -  -  '  tb 

Impedii.  Ah  quoties  nymphae  nemorisque  lacusque  i^ 

Ne  faceret  monuere  et  consolantia  verba   ìiUjtq  a-iqoi  aii:^, 

Dixere ......'  '      '  ♦#, 

Non  tanien  Egeriae  luctus  aliena  levare  ,>•? 

Datntta  valent:  montique  iacens  radicibus  imis        "A  i  ÌM  -ol 
Liquitur  in  lacrymas:  dome  pietate  dolentis   yt'not  >*&  ot(«'' 


398 

Mota  soror  Phoebi  gelidum  de  corpore  fontem      um  e  •»  uxd 
Fecifj  et  aeternas  artus  tentavit  in  undas.  -  ^  ■•  ■'       '■ 

iV^P/— NEPETE,  NEPE.        M  i.ll  h  oi 

'  Città  vescovile  della  delegazione  di  Viterbo  dipen- 
dente dal  governo  di  Civita  Castellana,  circa  30  miglia 
distante  da  Roma  sulla  strada  postale  del  Furio,  la  qua- 
le contiene  1507  abitanti.  Essa  è  situata  sopra  il  gran 
ripiano,  che  si  apre  fra  la  catena  del  Tapino,  il  Teve- 
re, e  la  catena  del  Cimino,  in  un  punto  dove  questo 
è  solcato  dal  rio  Pozzolo  ,  che  discende  da  Sutri ,  e 
dal  Falisco  che  in  esso  influisce  :  ripiano  ondulato ,  in 
parte  coperto  da  belli  boschi  di  querele, 
ih  ^Le  mura  che  la  circondano  appartengono  a  tre  epo- 
che diverse:  le  antiche  di  cui  si  vede  un  tratto  presso 
la  porta  Romana  sono  di  massi  quadrilunghi  di  tufa  lo- 
cale, disposti  regolarmente  a  strati  alternati,  come  nelle 
mura  di  Falerii  ed  in  altre  opere  romane  della  repub- 
blica: quelle  de' tempi  bassi,  fra  le  quali  contasi  ancora 
la  rocca  che  porta  le  arme  di  Callisto  III.  morto  nel 
1458  :  e  le  moderne  a  bastioni ,  specialmente  verso  la 
porta  di  Civita  edificata  con  architettura  di  Antonio  da 
Sangallo  verso  la  metà  del  secolo  XVI.  da  Paolo  III.  La 
città  è  ben  fabbricata;  la  parte  di  essa  presso  porta  Ro- 
mana conserva  ancora  le  traccie  dell'incendio  a  che  an- 
dò soggetta  nel  1799.  La  chiesa  è  un  bel  monumento 
de'tempi  bassi:  essa  ed  il  palazzo  municipale  sono  sulla 
piazza  ,  sulla  quale  pur  veggonsi  statue  antiche  togate 
poste  sopra  piedistalli.  Uscendo  dalla  porta  di  Civita  si 
vede  il  magnifico  acquedotto  a  due  ordini  di  archi  tra- 
versare il  rio  Falisco,  edificato  anche  esso  da  papa  Pao- 
lo III:  le  rupi  tagliate  di  tufa  che  ivi  fiancheggiano  il 
letto  del  torrrente  sono  di  un  effetto  pittoresco  sorpren- 


399 
dente  frammischiandosi  il  color  rosso  del  tufa  al  verde 
delle  erbe  e  degli  arbusti  che  lo  ricoprono. 

Nepi  era  sulla  via  amcrina  antica ,  come  ricarasi 
dalla  Carta  Peutingcriana  che  così  la  indica,  cioè:  BAC- 
CANAS,  Baccano;  NEPE,  Nepi  IX  m.  più  oltre:  FALE- 
RIOS,  Fallari  V.  m:  CASTELLVM  AMERINVM,  Bas- 
sano  XII:  AMERIAM,  Amelia  IX:  TVDER,  Todi  XVI: 
BETTONIAM,  Bettona  XIV:  PERVSIAM,  Perugia  X. 
Le  traccio  di  questa  strada  antica  rimangono  ancora , 
quantunque  oggi  a  Nepi  si  vada  per  una  strada  affatto 
moderna.  La  via  amerina  distaccava  a  destra  dalla 
cassia  alla  osteria  di  Settevene ,  ed  ivi  si  vede  ancora 
un  arco  del  ponte  antico,  sul  quale  varcava  il  fosso  Tri- 
glia: di  là  direttamente  andava  a  Nepi  passando  per 
Monte  Gelato  :  e  dopo  Nepi  andava  verso  Fallari  ossia 
l'antica  Falerii,  tratto  che  in  parte  ancor  si  conserva  e  \ 

che  fu  visitato  dall'  Olstenio:  e  da  Falerii  per  Corchia- 
no  si  dirigeva  ad  Orte ,  dove  passava  il  Tevere ,  e  per 
Orte  ad  Amelia  che  le  dava  il  nome.  A  Corchiano  un 
altro  ramo  di  essa  diriggevasi  verso  Castellum  Ameri- 
num,  oggi  Bassano  ed  è  quello  particolarmente  indicato 
nella  Carta  Peutingcriana,  e  sotto  di  esso  passava  il  Te- 
vere, donde  per  la  Terra  di  Giove  perveniva  ad  Ameria. 

La  prima  volta  che  si  trova  menzione  di  questa 
città  nella  storia  è  in  Livio  lib.  VI.  e.  IX.  e  seg.  allor- 
ché r  anno  371  di  Roma  ì  Nepesini  spedirono  insieme 
con  quei  di  Sutri  legati  a  domandar  soccorso  contro  gli 
Etrusci  ai  Romani.  Quindi  a  quella  epoca  si  mostrano 
e  gli  uni  e  gli  altri  alleati  di  Roma,  fatto  che  non  dee 
recar  meraviglia  riflettendo,  che  dopo  le  recenti  impre- 
se contra  Veii  e  contra  Falerii,  queste  città  per  la  loro 
picciolezza  e  per  la  vicinanza  al  confine  romano  facil- 
mente si  misero  sotto  la  protezione  della  potenza  allor 
dominante.  Quella  guerra  fu  condotta  da  Camillo,  ehe  do- 


400 

mandò  per  collega  Valerio  :  nel  primo  incontro  disfece 
gli  Etrusci  presso  Satri,  ed  occupò  quella  città,  che  re- 
stituì agli  alleati:  quindi  si  diresse  contra  Nepi,  che  si 
era  arresa  ai  nemici  per  tradimento  di  una  parte  de'cit- 
tadini.  Ivi  presentavasi  una  impresa  più  difficile ,  non 
solo  perchè  era  in  potere  pieno  de'  nemici ,  ma  ancora 
perché  una  parte  de'cittadini  era  d'accordo  con  essi.  Fu- 
rono pertanto  spediti  messi  ai  principali  personaggi  del- 
la città,  perchè  si  separassero  dagli  Etrusci,  e  che  di- 
mostrassero quella  fedeltà  che  imploravano  dai  Roma- 
ni; ma  essi  risposero  di  non  poter  più  far  nulla,  sen- 
do  che  gli  Etrusci  occupavano  le  mura  e  guardavano 
le  porte.  Camillo  dapprincipio  procurò  d'incuter  terrore 
agli  abitanti  col  dare  il  guasto  alle  terre;  ma  dopo  ve- 
dendo che  più  saldi  stavano  nella  fede  data  per  la  re- 
sa, che  in  quella  dell'  alleanza  co'  Romani,  colmò  con 
fasci  di  sarmenti  le  fosse  e  data  la  scalata  alle  mura 
s'impadronì  di  primo  assalto  della  città.  Allora  ordinò 
ai  Nepesini  di  deporre  le  armi,  ed  ai  suoi  di  salvare 
gl'inermi:  gli  Etrusci  armati  od  inermi  furono  egual- 
mente trucidati  :  agli  autori  della  resa  fu  troncata  la 
testa  colla  scure:  ed  alla  moltitudine  innocua  furono 
restituite  le  cose ,  e  consegnata  la  Terra ,  lasciandovi 
però  un  presidio  romano.  L'anno  375  narra  lo  stesso 
Livio  lib.  YL  e.  XXL  che  il  senato  creò  triumviri 
per  dedurre  una  colonia  a  Nepi:  questa  secondò  Vel- 
leio  Patercolo  lib.  L  cap.  XIV.  vi  fu  dedotta  1'  anno 
384,  cioè  17  anni  dopo  la  presa  di  Roma  fatta  da'Gal- 
li ,  ed  a  quella  epoca  io  credo  che  furono  costrutte 
le  mura  che  ancora  si  veggono,  presso  la  porta  roma- 
na delle  quali  fu  parlato  di  sopra,  poiché  la  loro  co- 
struzione si  accorda  perfettamente  con  quella  data,  es- 
sendo analoga,  come  indicossi  a  quella  delle  mura  del- 
la nuova  Falerii,  edificate  non  molto  tempo  dopo.  Ne- 


401 
pi  dopo  quella  epoca  si  mantenne  fedele  ai  Romani,  in 
guisa  che  nell'anno  457,  dice  Livio  lib.  X.  e.  XIV.  che 
ab  Sutrio,  et  NEPETE  et  Faleriis  vennero  legati  in  Ro- 
ma per  avvertire  il  senato  che  si  tenevan  congressi  dai 
popoli  della  Etruria  per  domandare  la  pace. 

L'  anno  545  Nepi  fu  una  delle  dodici  colonie  che 
dichiararono  ai  consoli  di  non  aver  mezzi  da  fornire  trup- 
pe e  danari,  onde  continuare  la  guerra  punica.  Livio  lib. 
XXVIL  e.  IX;  quindi  cinque  anni  dopo,  secondo  lo  stes- 
so storico  lib.  XXIX  e.  XV.  andò  soggetta  al  decreto 
coramune  colle  altre  di  fornire  il  doppio  del  maggior 
numero  di  truppe  che  avea  dato  durante  tutta  quella 
guerra,  e  120  cavalieri,  o  tre  fanti  per  ogni  cavaliere 
che  non  avesse  potuto  fornire,  e  queste  truppe  fossero 
scelte,  e  servissero  a  completare  gli  eserciti  fuori  d'Ita- 
lia: in  caso  di  rifiuto  si  ritenessero  in  Romani  magistra- 
ti e  gli  ambasciadori  della  colonia,  senza  poter  ottenere 
udienza  dal  senato  prima  che  non  avessero  adempito  a 
tali  ingiunzioni  :  finalmente  che  si  esigessero  ogni  anno 
mille  assi  di  stipendio  per  ciascun  uomo:  ed  il  censimen- 
to si  facesse  secondo  quella  formola  stessa,  dai  censori 
adottata  pel  popolo  romano.  Silio  Italico  lib.  Vili.  v.  489 
pone  la  Nepesina  cohors  e  gli  Aequi  Fedisci  fra  i  contin- 
genti dell'esercito  romano  che  furono  presenti  alla  bat- 
taglia di  Canne. 

. ,.  Ho  notato  di  sopra  che  questa  come  Sutri  era  una 
città  piccola:  e  Sutri  probabilmente  fu  sempre  soggetta 
a  Veii  fino  alla  presa  di  quella  città,  come  Nepi  a  Fa- 
lerii;  e  perciò  dopo  la  presa  di  Veii  e  la  dedizione  di 
Falerii  rimaste  distaccate  da  quella  metropoli  formaro- 
no due  piccioli  stati',  che  si  doverono  assoggettare  alla 
forza  predominante  di  Roma  sotto  lo  specioso  titolo  di 
alleate ,  e  poco  dopo  sotto  quello  di  colonie.  Esse  non 
cangiarono  mai  ne'  tempi  antichi  questo  stato  di  medio^ 

26 


4è2 

crit<^,  e  Strabene  ai  tempi  dì  Tiberio  nel  libro  V.  e.  II, 
§.  9  nomina  Nepi  che  scrive  Nsttìtoc  fralle  piccole  città 
della  Etruria  mediterranea  suburbicaria  (  noh.yVY}  )  :  dor 
pò  di  lui  la  ricordano  Plinio  lib.  III.  e.  V.  §.  8.  e  To- 
lomeo, ma  senza  aggiungere  alcun  particolare.  E  qui  deb-^ 
bo  avvertire  quanto  alla  ortografia  del  nome,  che  Livio 
Io  scrive  Nepete,  Patercolo  iVepe,  Plinio  Nepetj  Strabene 
Nsmra,  e  Tolomeo  NsTrsTa.  '"wnrJnoD  «b^ra  .nmBh  »  •.  j 
La  origine  della  sede  vescovile  di  Nepi  risale ,  se^ 
tondo  rUghelli,  fino  alla  epoca  di  s.  Pietro;  meno  però 
la  successione  de'vescovi  non  si  hanno  memorie  partico- 
lari di  Nepi  fino  al  principio  del  secolo  VII.  della  era 
volgare,  quando  s.  Gregorio  ne'dialoghi  lib,  I.  e,  VII  la 
Hcorda.  Sembra  però  che  a  quella  epoca  fosse  in  auge. 
E  quindi  andò  sempre  crescendo  a  segno  di  divenire 
pentro  di  un  ducato  possente,  che  grande  influenza  eser- 
citò sopra  Roma  medesima  nel  secolo  Vili.  Infatti  nar- 
ra Anastasio  nella  vita  di  Stefano  IV  creato  papa  l'anno 
768,  che  negli  ultimi  momenti  della  vita  di  Paolo  I  suo 
predecessore  immediato ,  Totone  dux  nepesinae  civitatis , 
che  da  qualche  tempo  abitava  in  Roma  co'  suoi  fratelli 
Costantino,  Passivo,  e  Pasquale  raccolse  una  gran  quan- 
tità di  gente  dal  suo  ducato,  e  da  altre  città  della  Tor 
scana,  ed  una  caterva  di  contadini,  i  quali  entrarono  in 
Roma  per  la  porta  s.  Pancrazio,  e  ragunatisi  nella  casa 
di  Totone  crearono  papa  Costantino  suo  fratello,  che  era 
affatto  secolare,  é  prese  il  nome  di  Costantino  II.  Que- 
sta turba  d'insorgenti  lo  fece  consacrare  di  viva  forza, 
"e  lo  mantenne  sul  soglio  per  un  anno  ed  uh  mese.  A^ 
nastasio  descrive  con  vivi  caratteri  quello  scisma,  che 
finì  colla  morte  di  Totóné  medesimo,  e  colla  formale  de- 
posizione di  Costantino  per  opera  di  que'  di  Rieti,  e  di 
'Furconio,  e  di  altri  Longobardi  del  ducato  spolctano,  e 
■poirassensò  dèi  re  Desiderio.  Ciò  mostra  la  importanza 


403 
di  Nepi  in  quel  tempo ,  che  sembra  essersi  come  una 
meteora  innalzata,  e  con  rapidità  essere  tornata  allo  sta- 
to primitivo.  È  però  da  notarsi  che  questa  città  dopo  il 
duca  Totone  _|sovrammenzionato  non  ebbe  altri  signori, 
e  mai  non  fu  la  Terra  feudale,  ma  immediatamente  di- 
pendente dalla  sede  apostolica.  Essa  andò  soggetta  alla 
fiera  devastazione  de'  Normanni  nel  secolo  XI.  chiamati 
in  soccorso  della  Chiesa  da  Niccolò  II.  contro  il  conte 
di  Galera  e  da  Alessandro  II.  l'anno  1063.  Verso  la, me- 
tà del  secolo  XIII.  fu  assediata  e  presa  dalle  genti  di 
Federico  II.  come  narra  il  Riccobaldi  nella  sua  storia 
presso  il  Muratori  R.  I.  S.  T.  IX.  p.  144.  E  recente- 
mente nel  1799  fu  durante  il  governo  republicano  di 
Roma  presa,  saccheggiata,  ed  in  parte  incendiata,  comò 
oltre  le  memorie  contemporanee  fan  tesdmonianza  le  «a- 
se  ancora  rovinate,  che  si  veggono  presso  la  porta  Ro- 

Ab'  'f»3uhi<o;i      NEROLA.  ,3^ij,''j,fxnÌ  l^'etniifl 
-AMJ  ;?.  iC  o;\f>il  i.ù  oJiìsl'i-..-  ohiìanttA  -/myT  nlariii-p  b  9!- 

il)  iJìi).  i  ijjLJ<!n  -OilòhJdcl  ih 

•    .'■•.■     r  ('■  .  :•.•■■.      :  •-.;-(.■;■■•*    -t 

Ani  b*,hi\!j xjo  &(} ili  'tf!;,;  ^mixiiìoiu.q  i,]]'^h  s))uì  iixibni  ^  .30 

Terra  sabina  nella  Comarca  dì  Roma  a  destra  det- 
la  strada  di  Rieti,  distante  dalla  metropoli  circa  30  mi- 
glia posta  nel  distretto  di  Tivoli  e  sotto  il  governo  di 
Palombara,  la  quale  contiene  526  abitanti.  Essa  è  sopra 
un  colle  molto  elevato  e  boscoso,  e  nulla  conserva  che 
sia  degno  di  particolare  osservazione ,  sebbene  sia  di 
antica  origine,  poiché  il  suo  nome  deriva  dalla  voce  sa- 
bina Nero  che  secondo  Svetonio  nella  vita  di  Tiberio 
e.  I.  significava  fortis  ac  strenuus:  onde,  come  Neriene, 
dea  degl'Itali  primitivi  corrispondeva  aìì^.  Virtm  de'Ro- 
{Oilo*!  (i  non  Cf^l,^  'jìhb  d  t'.)bn)?;  rtìhb  oJJoqSfi'l  rilniìlids- 


404 

mani,  cioè  alla  forza  coraggiosa,  così  Nerula  equivale- 
va a  piccola  fortezza. 

Meno  il  nome  niun'altra  memoria  antica  ci  rima- 
ne di  questa  Terra.  Ne'tempi  bassi  si  ricorda  nella  Cro- 
naca di  Farfa  fin  dall'anno  1051,  veggasi  il  Muratori 
R.  I.  S.  T.  II.  P.  IL  p.  592.  Nel  secolo  XIV.  come 
altre  Terre  delle  vicinanze  fu  occupata  dagli  Orsini  e 
die  il  nome  [di  conti  di  Nerola  ad  un  loro  ramo.  Nel 
secolo  XVII.  questi  la  vendettero  ai  Barberini  che  ne 
sono  i  signori  attuali, 

;■■'''■■■"•;.  ; '  NETTUNO. 

''"''"'Terra  della  Comarca  di  Roma  sul  mare,  distante 
dalla  metropoli  circa  38  m.  e  da  Porto  d'Anzo,  l'an- 
tica Antium,  poco   più   di  uno. 

Fino  al  Porto  d'Anzio  la  strada  da  Roma  è  quasi 
la  stessa ,  e  credo  doversi  preferire  a  quella  che  poco 
prima  di  Anzio  diverge  a  sinistra  e  conduce  direttamen- 
te a  questa  Terra.  Andando  pertanto  da  Anzio  a  Nettu- 
no tutta  la  spiaggia  vedesi  coperta  da  rovine  imponenti 
di  fabbriche ,  residui  di  astraco ,  pavimenti  di  musaico 
ec. ,  indizii  tutti  della  popolazione  che  avea  occupata  tut- 
ta questa   costa. 

A  destra  presentasi  la  fortezza  di  Nettuno  fondata 
da  Alessandro  VI,  e  successivamente  ristaurata  da  Urba- 
no VIII.  e  da  Alessandro  VII.  come  si  riconosce  dagli 
stemmi  esistenti  di  questi  due  papi.  Oggi  ò  in  uno  sta- 
to di  decadenza  e  di  squallore,  e  d'altronde  ad  altro  non 
può  servire,  che  a  guardia  della  costa  contra  i  pirati  ed 
a  preservazione  della  sanità.  Dopo  avere  oltrepassata  que- 
sta fortezza  entrasi  in  quello  che  chiamano  borgo ,  e 
quindi  nella  Terra  di  Nettuno,  che  racchiude  circa  1000 
abitanti:  l'aspetto  delle  strade,  e  delle  case  non  è  bello, 


405 

mentre  la  situazione  sarebbe  amenissima:  somiglia  ad  un 
forte  senza  averne  le  difese  opportune  ;  pochi  marmi 
frammentati  antichi,  rocchi  di  colonne,  e  capitelli,  sono 
le  sole  memorie  dell'antichità,  che  ivi  si  veggano:  avan- 
zi forse  del  tempio  di  Nettuno ,  o  trasportati  dalle  ro- 
vine della  vicina  Anzio:  la  chiesa  principale  dedicata  ai 
due  ss.  Giovanni,  il  Battista  e  l'Evangelista  è  l'edificio 
più  ragguardevole;  il  così  detto  palazzo  Doria  e  la  ca- 
sa soprannomata  della  Camera  non  offrono  alcuna  cosa 
degna  di  rimarco. 

Il  costume  delle  donne  di  questa  terra,  specialmen- 
te pe* corsaletti,  che  sovrappongono,  e  per  la  ricchezza 
delle  stoffe  e  degli  ornamenti  tessuti  in  oro  ed  in  ar- 
gento, discostasi  affatto  dalle  circonvicine  contrade  e  non 
fa  improbabile  la  opinione ,  che  la  popolazione  annida- 
tasi in  questo  sito,  dopo  la  rovina  di  Anzio,  provenga 
dall'  oriente.  Poiché  circa  la  origine  di  questa  terra ,  è 
fama  presso  i  moderni,  che  sia  dai  Saraceni,  non  dico- 
no se  prigionieri,  o  vincitori,  o  pirati  ivi  raccoltisi  nei 
tempi  bassi:  ora  è  possibile  che  nelle  scorrerie  de'seco- 
li  IX.  e  X.  fatte  da  que'  pirati,  spopolatasi  Anzio  e  la 
costa  attinente,  una  qualche  masnada  di  essi  si  riduces- 
se in  questo  sito ,  e  che  da  questa  traesse  principio  la 
Terra  odierna:  è  però  altresì  vero,  che  il  costume  degli 
uomini  non  ha  nulla  di  orientale,  ed  è  identico  a  quel- 
lo di  tutta  la  contrada,  come  sempre  lo  fu:  quindi  l'ar- 
gomento tratto  dal  costume  zoppica  almeno  per  questa 
parte,  ed  al  più  potrebbe  asserirsi,  che  i  primitivi  abi- 
tanti di  questa  Terra  derivino  dalle  isole  del  golfo  di 
Napoli,  cioè  Procida,  Ischia,  ec. ,  che  nell'abbandono  to- 
tale della  costa  anziate,  attirati  dalla  pesca  di  questo  li- 
do ,  profittarono  di  questo  punto  per  formarvi  un  rico- 
vero, giacché  il  costume  delle  donne  di  Nettuno  non  si 


406 

allontana    essenzialmente  da   quello    de'  luoghi    sovraiu" 

dicati. 

Communcmente  poi  si  crede  dagli  eruditi,  come  fu 
notato  di  sopra  che  dove  oggi  è  Nettuno  fosse  in  orì- 
gine r  arsenale  degli  Anziati  Volsci,  che  Livio  e  Dioni- 
sio appellano  Caeno;  ma  questa  opinione  non  si  accorda 
col  fatto,  poiché  il  luogo  non  è  atto  in  moda  alcuno  ad 
un  porto:  e  d'altronde  avendo  gli  Anziati  la  rada  Matu- 
rale, coperta  dal  promontorio  sarebbe  veramente  strano, 
che  avessero  voluto  creare  un  arsenale  in  un  luogo  sen- 
za ricovero  :  Y  equivoco  naturalmente  nacque  dalP  aver 
preso  le  rovine  della  villa  imperiale  di  Anzio  per  quel- 
le di  Anzio  volsca  ,  che  sebbene  vicina  non  era  posta 
immediatamente  sopra  il  mare  ,  dove  questo  offriva  un 
ricovero,  onde  gli  Anziati  furono  portati  a  fare  un'  ar- 
senale distaccato  dalla  città,  coperto  dal  promontorio,  e 
questo  è  il  Caeno  di  che  fanno  menzione  gli  scrittori 
sovraindicati.  Quanto  poi  alla  opinione,  che  Nettuno  ab- 
bia tratto  origine  da  un  tempio  sacro  al  Dio  del  mare 
è  più  probabile  per  ogni  riguardo,  sì  per  la  località  co- 
me pure  pel  nome;  per  la  qual  cosa  io  credo,  che  es- 
sendo rimasta  la  città  di  Anzio  deserta  per  le  scorrerie 
e  pel  timore  dei  Saraceni  nel  secolo  XI ,  e  X ,  cessato 
quel  timore  una  qualche  colonia  delle  isole  napolitane 
attirata  dalla  pesca  ubertosa  di  questo  littorale  sceglies- 
se  per  ricovero  le  rovine  del  tempio^  e  del  suo  recinto 
sacro,  ritenendo  il  nome  di  esso  che  si  communicò  alla 
Terra, 

La  memoria  più  antica  di  questo  castello ,  che  io 
abbia  trovata  spetta  all'anno  1163,  e  leggesi  in  una  car- 
ta riportata  dal  Nerini  p.  403.  nella  quale  si  fa  parola 
della  misura  di  grano  ad  esso  particolare,  che  avea  per- 
ciò il  nome  di  moggio  di  Nettuno  :  modius  Neptuni ,  il 
quale  serviva  di  norma  agli  abitanti  di  tutta  questa  riviera. 


407 
Sembra ,  che  circa  quel  tempo  appartenesse  ai  monaci 
di  Grottaferrata,  ma  non  ne  ho  veduto  alcun  documen- 
to positivo,  sebbene  si  asserisca  dal  Fea,  Voto  ec.  pag. 
10;  all'incontro  trovandosi  posteriormente  sempre  com- 
presa nel  dominio  de'signori  di  Astiira,  prima  i  Frangi- 
pani e  poscia  i  Colonna,  ed  essendo  Astura  fino  dal  se- 
colo X  proprietà  de'monaci  di  s.  Alessio  sull'Aventino, 
che  erano  possidenti  di  molte  altre  terre  in  questa  par- 
te ,  propendo  a  credere ,  che  anche  Nettuno  sia  stata 
proprietà  di  quel  monastero,  che  poscia  è  certo  che  fu 
di  un  ramo  della  famiglia  Frangipani,  e  nel  secolo  XV 
pervenne  ai  Colonna:  questi  rimasero  signori  di  Nettuno 
colle  stesse  vicende  di  tutta  questa  costa  notate  nella 
storia  di  Anzio  fino  all'  anno  1594  in  che  Marcantonio 
giuniore  lo  vendette  a  Clemente  Vili,  ed  alla  Camera 
Apostolica ,  la  quale  nel  1831  lo  ha  rivenduto  per  la 
somma  di  400,  000  scudi  col  vastissimo  suo  territorio 
ai  Borghese.  Neil'  anno  1498.  Nettuno  fu  confiscato  da 
Alessandro  VI.  ai  Colonna  e  con  la  bolla  del  1.  ottobre 
1501  assegnato  a  Roderico  Borgia,  bolla  che  si  conser- 
va nell'archivio  Sforza,  e  che  nella  parte,  che  concerne 
la  divisione  de' beni  fatti  dal  papa  fra  Roderico  e  Gio- 
vanni Borgia  suoi  nipoti  figli  di  Lucrezia  fu  data  in 
luce  dal  Ratti  Storia  di  Genzano  Doc.  XIV.  È  fu  nel 
1498  appunto  che  da  lui ,  onde  tener  meglio  a  dovere 
la  contrada  venne  edificata  la  rocca.  Ma  poco  dopo  la 
casa  Colonna  riebbe  il  dominio  delle  sue  terre.  Due  uo- 
mini insigni  ha  dato  Nettuno  Andrea  Sacchi,  pittore  di 
gran  fama  nato  nel  1600  e  Paolo  Segneri ,  fiore  della 
eloquenza  italiana  nato  Tanno  1624. 

Da  Nettuno  ad  Astura  sono  circa  7  miglia  seguen- 
do la  spiaggia:  il  viaggio  per  terra  offre  rovine  interes- 
santi, per  mare  è  più  dilettevole,  quando  il  vento  non 
sia  contrario;  ma  naturalmente  è  meno  istruttivo.  Meglio 


408 

è  seguire  una  via  e  tornare  per  l'  altra ,  onde  godere  i 
vantaggi  di  araendue.  Ora  andando  per  terra  seguesi 
per  tutto  il  tratto  la  spiaggia,  e  nell'  uscir  da  Nettuno 
si  traversa  il  rivo  che  i  dotti  communemcnte  suppongo- 
no essere  il  Loracina  nominato  soltanto  da  Livio  Irb.  XLIII. 
e.  IV.  dove  narra  il  giudizio  del  pretore  C.  Lucrezio 
avvenuto  circa  1'  anno  di  Roma  584:  in  quello  affare  i 
tribuni  del  popolo  accusarono  quel  magistrato  dì  estor- 
sioni, ed  esso  facevasi  credere  assente  per  afiPari  pubbli- 
ci, mentre  si  conobbe  al  contrario  che  se  ne  stava  nel- 
la sua  villa  anziate,  conducendo  T  acqua  del  fiume  Lo- 
racina ad  Anzio  :  sed  iam  adeo  vicina  etiam  inexplorata 
erant,  ut  is  eo  tempore  in  agro  suo  antiati  esset,  aq%tam- 
que  ex  manubiis  Antium  ex  flumine  Loraeinae  ducerei:  e 
questo  passo  mi  sembra  quasi  decidere  ,  che  realmente 
il  rivo  odierno  di  Nettuno  sia  il  Loracina,  sì  per  la  vi- 
cinanza ad  Anzio,  come  per  la  bontà  delle  acque.  Dopo 
questo  rivo  passasi  quello  meno  considerevole  della  val- 
le di  s.  Rocco,  diramazione  di  questo,  e  quindi  tre  mi- 
glia discosto  dalla  terra  di  Nettuno  il  più  grande  di  tut- 
ti quelli  fra  Nettuno  ed  Astura. 
Ritornando  a  Nettuno  e  riprendendo  la  strada  di- 
retta di  Roma  può  andarsi  ad  osservare  un  magnifico 
monumento  antico  sepolcrale ,  che  volgarmente  chiama- 
no la  torre  del  monumento,  o  il  Torraccio.  Questo  è  3 
miglia  circa  a  settentrione  di  Nettuno  ,  lasciando  dopo 
il  primo  miglio  la  strada  romana  a  sinistra,  e  seguendo 
l'andamento  di  una  via  antica  di  communicazione,  della 
quale  incontransi  di  tratto  in  tratto  vestigia,  e  che  pro^ 
babilmente  era  quella  che  andava  a  raggiungere  l'appia 
presso  Tres  Tabernae ,  dove  ancora  si  vede  la  dirama- 
zione. II  monumento  appartiene  agli  ultimi  tempi  della 
republica  ed  è  costrutto  di  un  reticolato,  analogo  a  quel- 
lo di  Astura,  con  legamenti  di  tegole  alternate  come  fa 


409 
notato  in  Anzio  alla  villa  Corsini.  Esso  presenta  tre  cor- 
pi diversi  uno  sovrapposto  all'  altro:  il  basamento  è  un 
gran  dado  quadrato  di  20  piedi  per  ogni  lato,  sul  qua- 
le sopra  un  zoccolo  innalzasi  una  mole  rotonda,  e  sopra 
questa  una  specie  di  tempietto,  pure  rotondo,  esterna- 
mente decorato  di  mezze  colonne  :  esso  terminava  in 
una  callotta ,  o  cupola  sferica  :  tutto  era  intonacato  di 
stucco  in  modo  da  indicare,  come  se  fosse  costrutto  di 
pietre:  nel  lato  occidentale  poi,  dove  passava  la  via,  ri- 
mane ancora  la  incassatura  della  iscrizione,  che  avca  3 
piedi  antichi  di  lunghezza  e  2  di  altezza.  É  affatto  in- 
cognita la  persona,  alla  quale  fu  eretto;  che  se  per  la 
costruzione  della  mole  può  dirsi  contemporanea  di  Ci- 
cerone, non  oserei  mai  dire  essere  della  sua  figlia  Tul- 
liola,  da  lui  tanto  amata,  mancandone  affatto  le  prove, 
anzi  dalla  serie  delle  lettere  ad  Attico  del  libro  XII. 
e  del  libro  XIII.  potrebbe  desumersi  il  contrario. 

NOMENTVM. 

Cbìtas    Kotmntana  -  €a0trum 
numcntanoc. 

MENTANA— LAMENTANA. 

Lamentana  o  Mentana  è  una  Terra  della  Comarca 
di  Roma  nel  distretto  di  Tivoli  e  governo  di  Palomba- 
ra  la  quale  contiene  472  abitanti,  ed  è  situata  sulla  an- 
tica via  nomentana  circa  14  m.  e  mezzo  lontano  da 
Roma. 

Essa  è  succeduta  all'antica  città  di  Nomentum,  co- 
sì sovente  ricordata  negli  antichi  scrittori,  dai  quali  ap- 


410 

parisce,  che  fu  una  colonia  albana,  ossia  de'prischi  La- 
fini  fondata  nel  territorio  sabino  conquistato  da  Latina 
Silvio  terzo  re  di  Albalonga.  Imperciocché  Virgilio  nel- 
la famosa  predizione  fatta  da  Anchise  ad  Enea  ,  Aen^ 
lib.  VL  V.  773,  parlando  delle  città,  che  i  suoi  discen-- 
denti  avrebbero  fondato  dice: 

Hi  tibi  NomentUm,  Gabios,  urbemque  Ftdenam.  tic; 
L'  autore  della  Origo  Gentis  Romanae  poi  al  e.  XXIL 
nota,  che  fu  Latino  Silvio  che  dedusse  le  colonie  alba- 
ne:  fralle  quali  ricorda  Nomentum:  e  Dionisio  lib.  IL  e. 
LUI.  parlando  di  Fidefie  scrive  :  w  ed  era  una  colonia 
»  degli  Albani  fondata  nello  stesso  tempo  che  Nomento 
))  e  Crustumeria,  essendone  condottieri  tre  fratelli,  dei 
»  quali  il  primo  fu  quegli  che  edificò  Fidene  ».  Quin- 
di Fidene ,  Nomento  e  Crustumeria  furono  fondate  da 
tre  fratelli  nello  stesso  tempo,  cioè  sotto  Latino  Silvio. 
Nella  guerra  di  Tarquinio  Prisco  contra  le  colonie  al-' 
bane  del  distretto  denominato  de'prischi  Latini,  si  trovò 
involta  anche  Nomento,  la  quale  si  arrese  supplichevo- 
le, e  perciò  fu  con  somma  clemenza  trattata:  Livio  lib. 
L  e.  XXXYIII.  Dionisio  lib.  III.  e.  L:  poiché  sembra, 
che  il  re  di  Roma  si  contentasse  di  far  riconoscere  lo- 
ro la  supremazia  della  metropoli,  ritenendo  essi  la  for- 
ma del  governo  stabilito. 

Espulsi  i  re  pel  misfatto  di  Sesto  Tarquinio  i  La- 
tini pe'maneggi  degli  esuli  sostenuti  da  Mamilio  genero 
di  Tarquinio  si  dichiararono  sciolti  da  ogni  legame  con 
Roma,  e  strinsero  la  famosa  lega  per  ripristinare  il  go- 
verno monarchico  :  frai  popoli  che  si  ricordano  da  Dio- 
nisio lib.  V.  e.  XLI.  come  partecipi  di  quella  lega  si 
nominano  ancora  i  Nomentani.  Ma  come  è  noto,  le  spe- 
ranze de' Tarquinii,  ed  i  tentativi  della  lega  furono  ab-< 
battuti  dal  valore  romano  nella  battaglia  del  lago  Re- 
gillo.   Ivi  stabilitasi   dopo   quella   giornata  la  concordia 


411 
frai  popoli  belligeranti,  i  Nomenlani  rimasero  slretlanien- 
te  attaccati  dopo  quella  epoca  ai  Romani  fino  all'ultimo 
general  movimento  del  Lazio  sul  principio  del  quinto 
secolo  di  Roma ,  descritto  da  Livio  nella  prima  parte 
del  libro  VIIL  Questo  storico  stesso  al  capo  XIV.  di 
quel  libro  narrando  le  diverse  categorie ,  in  che  i  Ro- 
mani posero  i  popoli  vinti,  dice,  che  i  Nomentani  furo- 
no messi  in  quella  de'  Lanuvini ,  come  gli  Aricini  ed  ì 
Pedani,  cioè  i  Romani  li  affiinrisero  alla  cittadinanza,  e 
dall'altro  canto  tollero  essere  ammessi  ai  loro  sacrificii^ 
come  se  fossero  stati  un  medesimo  popolo.  Quindi  No- 
mento  fin  dall'anno  417  di  Roma  fu  un  municipio,  che 
ebbe  i  diritti  della  cittadinanza  romana.  La  vicinanza 
alla  metropoli  influì  certamente  all'  insensibile  suo  spo- 
polamento successivo,  ed  alla  oscurità  in  che  venne,  poi- 
ché di  Nomento  non  si  hanno  altre  memorie  che  quel- 
la della  esistenza  durante  la  republica  e  sotto  gl'impe- 
radori.  Veggansi  Ovidio  Fast.  lib.  IV.  Strabone  Kb.  V. 
Seneca  Ep.  CIV.  Columella  lib.  III.  e.  III.  Plinio  lib. 
III.  e.  XII.  e  lib.  XIV.  e.  IV.  e  Marziale  Epigram.  lib. 
I.  ep.  LXXXV.  lib.  VI.  ep.  XLIII.  lib.  X.  ep.  XLIV. 
lib.  VII.  ep.  LVII.  Ed  Ovidio,  Seneca,  e  Marziale  eb- 
bero fondi  nelle  sue  vicinanze,  che  erano  celebri  parti- 
colarmente per  la  bontà  de' vini.  Questa  circostanza,  co- 
me pur  quella  dell'essere  questa  città  attraversala  dalla 
via  nomentana ,  ed  il  riflusso  continuo  del  popolo  che 
dalla  capitale  spandevasi  nelle  Terre  dintorno  fece  du- 
rante l'impero  risalire  Nomento  a  segno  che  sembra  che 
essa  crescesse  a  misura  che  la  metropoli  decadeva.  In- 
fatti questa  città  era  fin  dal  finire  del  secolo  III.  sede 
vescovile ,  essendo  negli  atti  di  s.  Reslituto  nominato 
Stefano  come  vescovo  nomentano:  e  dopo  di  lui  una  se- 
rie quasi  continuata  di  vescovi  nomenlani  si  ha  nell'U- 
ghelli  Italia  Sacra  T.  X.  dal  secolo  V.  fino  al  X.  cioè 


412 

Orso  nell'anno  415,  Scrrusdei  nel  465,  Cipriano  nel  487, 
Sereno  nel  495,  Romano  nel  501,  Felice  nel  551,  Re- 
dento nel  553,  Grazioso  nei  593,  quando  alla  sede  no- 
mentana  il  papa  s.  Gregorio  unì  quella  di  s.  Antimo 
di  Cures,  divenuta  per  le  scorrerie  de'Longobardi  qua- 
si deserta:  reggasi  la  epistola  XX  del  libro  III.  del  Re- 
gistro d>  quel  pontefice:  Costanzo  nel  600,  Generoso  nel 
601,  Sapienzio  nel  649,  Paolo  nel  679,  Benedetto  nel 
743,  Villano,  o  come  meglio  il  suo  nome  leggesi  nella 
Cronaca  Cassinense  Vulgario  nel  753 ,  Cosma  nel  826 , 
e  Giovanni  nel  964.  Circa  quella  epoca  sembra  che  que- 
sta sede  si  estinguesse,  siccome  vedremo,  che  verso  la 
fine  di  quel  secolo  questa  Terra  andò  rapidamente  de- 
cadendo. 

Poche  memorie  di  Nomento  abbiamo  ne*  tempi  bas- 
si, allorché  al  suo  nome  primitivo  insensibilmente  si  so- 
stituì quello  prima  di  Civitas  Nomentana,  poscia  quello 
di  Castrum  Nomentanae,  donde  deriva  il  nome  moderno 
di  Mentana,  o  Lamentana.  Merita  però  particolare  men- 
zione il  fatto  ricordato  dagli  Annali  Bertiniani  presso 
il  Muratori  R.  I.  S.  Tomo  II.  P.  I.  p.  504,  da  Anasta- 
sio nella  vita  di  Leone  III,  e  da  altri  scrittori,  cioè  che 
Carlo  Magno  l'anno  800  venendo  a  prendere  la  corona 
imperiale  in  Roma  tenne  la  via  di  Sabina ,  onde  il  pa- 
pa Leone  III  andò  ad  incontrarlo  col  senato  romano,  col 
clero ,  e  con  tutte  le  corporazioni  di  Roma  fino  a  No- 
mento, dove  pranzò  insieme  col  futuro  impera  dorè,  e 
col  quale  entrò  in  Roma.  In  Nomento  pure  nel  secolo 
seguente  ebbe  i  natali  il  famoso  Crescenzio  Nomentano, 
che  per  qualche  tempo  regolò  i  destini  di  Roma  col  no- 
me di  console  e  duca,  che  fortificatosi  nella  Mole  Adria- 
na volle  far  fronte  ad  Ottone  III.  dal  quale  nel  996 
fu  fatto  morire.  Sembra  che  dopo  quella  epoca  Nomen- 
to per  la  malignità  de'tempi  andasse  talmente  cadendo, 


che  si  cstinse  la  sede  episcopale,  ed  essa  stessa  ridotta 
allo  stato  di  castello,  castrum  passò  in  potere  de'mona- 
ci  di  s.  Paolo ,  ai  quali  fu  confermata  con  bolle  da 
Innocenzo  III.  nel  1203,  da  Onorio  III.  nel  1217,  e  da 
Gregorio  IX.  nel  1236.  Veggasi  il  Bollario  Cassinense 
T.  I.  Leggesi  nel  Diario  di  Gentile  Delfini  presso  il  Mu- 
ratori R.  I.  S.  T.  III.  P.  II.  p.  843.  che  sotto  Inno- 
cenzo III  divenne  feudo  de'  Capoccia:  questo  dee  in- 
tendersi però  colla  clausola  di  dipendenza  dal  monaste- 
ro suddetto ,  come  apparisce  dalle  bolle  sovraindicate. 
Corto  fu  il  dominio  di  questa  famiglia  sopra  Lamenta^ 
na,  poiché  nel  declinare  dello  stesso  secolo  Niccolò  III. 
die  Lamentana  ad  Orso  Orsini  suo  nipote,  nò  si  fa  più 
menzione  dopo  quella  epoca  del  diritto  de'  monaci  di 
s.  Paolo.  Gli  Orsini  ritennero  il  dominio  di  questa  Ter- 
ra durante  i  tre  secoli  seguenti.  L'anno  1484  per  testi- 
monianza del  Nantiporto  ai  20  di  gennaio  andò  sogget- 
ta ad  un  fortissimo  terremoto  :  veggasi  il  suo  Diario 
presso  Muratori  R.  I.  S.  T.  III.  P.  II.  p.  1083:  e  due 
anni  dopo  pur  nel  gennaio  venne  spianata  per  ordine 
di  papa  Innocenzo  Vili,  come  troppo  partigiana  degli 
Orsini:  Infessura  presso  lo  stesso  p.  1202.  L'anno  1594 
questa  Terra  fu  venduta  per  scudi  250000  con  tutte 
le  sue  dipendenze  da  Fabio  e  Virginio  Orsini  a  Mi- 
chele Peretti  principe  di  Venafro;  e  non  molti  anni 
dopo  passò  in  potere  dei  Borghese ,  che  ne  sono  i  si- 
gnori attuali. 

La  Terra  è  posta  sopra  il  ripiano  di  un  colle  che 
la  domina  dal  canto  di  oriente,  ma  che  non  vi  ha  al- 
cuna communicazione  diretta,  e  dove  probabilmante  era 
stata  edificata  la  città  primitiva.  La  direzione  però  del- 
la via  nomentana,  che  seguì  questo  ripiano  fece  a  poco 
a  poco  edificare  case  ed  alberghi  lungo  questa  via  me- 
desima, 0  queste  fecero  insensibilmente  abbandonare  la 


414 

situazione  più  incommoda  del  colle,  portandosi  gli  abi- 
tanti in  questa  pianura  ,  occupando  inoltre  la  fimbria , 
che  si  dilunga  ^erso  occidente,  dove  gli  Orsini  edifica- 
rono il  loro  castello ,  fimbria  che  non  presenta  se  non 
tre  accessi  uno  dal  canto  di  Roma,  o  di  mezzodì,  l'al- 
tro dal  canto  di  settentrione,  ambedue  per  la  via  no- 
mentana,  ed  il  terzo  intermedio  dal  canto  di  occidente 
per  un  diverticolo  antico  della  salaria,  che  distaccavasi 
dopo  Tor  s.  Giovanni  dal  tronco  principale.  La  Terra 
può  distinguersi  in  Lamentana  vecchia ,  e  Lamentana 
nuova:  la  prima  copre  la  fimbria  sovraindicata ,  e  pre- 
senta nelle  case  generalmente  la  costruzione  del  secolo 
XIII:  essa  comprende  il  palazzo  baronale,  che  si  rico- 
nosce appartenere  a  tre  epoche  diverse,  cioè  l' originale 
del  secolo  XIII.  opera  probabilmente  degli  Orsini:  mol- 
te parti  del  secolo  XV.  e  XVI,  ingrandimenti  del  pri- 
mitivo. Da  tutto  ciò  apparisce  quanto  esaggerato  sia  l'In- 
fessura  riferito  di  sopra  dove  dice  ,  che  Lamentana  fu 
spianata  da  Innocenzo  Vili,  nel  1486.  Questa  parte  di 
Lamentana  si  riduce  al  palazzo  sovraindicato,  e  ad  una 
linea  di  case  che  lo  circonda  separate  da  esso  da  una 
strada.  Attinente  al  palazzo  è  la  chiesa,  e  dinanzi  am- 
bedue una  piazza.  Per  tutta  la  Terra  veggonsi  sparsi 
frammenti  di  marmo,  di  colonne,  di  bassorilievi  residui 
dell'  antica  Nomento  e  de'  sepolcri  che  erano  lungo  la 
via  nomentana.  Tali  frammenti  antichi  particolarmente 
abbondano  sulla  piazza,  dove  specialmente  attrae  l'atten- 
zione un  alto  rilievo  di  grandezza  naturale,  del  tempo 
degli  Antonini ,  al  quale  danno  il  nome  di  s.  Giorgio  : 
presso  r  arco  poi  della  porta  gotica  dell'  antico  castello 
vicino  alla  casa  Santucci  è  una  statua  togata  provenien- 
te forse  dal  Foro  dell'antico  municipio.  Lamentana  nuo- 
va poi  consiste  in  un'ampia  e  lunga  strada  retta  che  è 
neir  andamento  dell'  antica  via,  fiancheggiata  a  destra  e 


415 

a  sinistra  da  case  edificate  per  la  maggior  parte  nel  se- 
jcolo  passato  :  lungo  questa  via  sotto  il  campanile  della 
chiesa  sopra  cinque  massi  di  marmo  lessi  le  iscrizioni 
seguenti  forse  appartenenti  a  qualche  sepolcro  :  tre  ap^ 
partengono  alla  gente  Erennia  ,  e  due  alla  Bruzia  :  le 
prime   dicono:  ■■■■■■•■  - 


HERENNIVS  L.  F.       l       HERKNNIA  L.    F. 
HOR  ,  GALLVS  MERVLA  MAlOR 


HEREJtNIA  L.  F, 
MERVLA  MINOR 


le  altre  due  poi:  iggo  uiìj  olf.irn  6  oìsbJ 

ìjii!}  fìì  :^'i  otj;:e.  i"'i'i  '■■)..  .  -  .b->A  L» 

^'nhiì.ìf.  Ji-u:.  HOR  !(J;jL'r-<>ptn  'n-)'! <;(«,■-  ,orii"<  oue  bb 
.(Vii  b«  (AhuO  db/io  fO'tlhnìfib  ihìc^iìHtàq  ou>  i»  od-ì  a 
:0'',>r  Sì  gli  Erennii,  che  i  Bruzii  erano  della  tribù  Orai 
zia ,  alla  quale  probabilmente  era  ascritto  il  municipio 
nomentano  ed  è  degno  di  osservazione  vedere  che  i 
primi  amavano  torre  i  cognomi  dai  volatili,  ^aZ/ws,  me-r 
rula:  i  Bruzii  poi  sembra,  che  fossero  originarii  di  qué' 
ste  contrade,  e  della  loro  villa  presso  Monte  Libretti  fu 
parlato  a  suo  luogo.  Dall'  altra  parte  della  strada  sono 
in  bassorilievo  le  protome  di  tre  individui  della  gente 
Appuleia  come  apparisce  dalla  epigrafe  seguente  a  loro 
sottoposta; 
f'Off^i'.ìi    ojjdii    ix-ìHiù  o?ji  li  9Yob  «10  on&i  oai  li  shm» 

J,.APPVLEIVS.L.L.L.APPVLEIVSL.F.APPVLEIA.L.L, 
ASCLEPIADES  ,  TR.  MIL.  SOPHANVBA 
DE  SVO  FEGIT    ' 

;  is<(ri  »5\\i.)ia!j  ì4Vfc't?va"»  <5i.B<:^n  ^  ioti  mitVjiaf . 

Ancor  questo  monumento  fu  sepolcrale:  il  cognome 
di  Sophanuba  che  ebbe  quell'Asclepiade  tribuno  de' sol' 
dati  che  fece  il  monumento  è  affricano,  e  ricorda  quel- 
lo della  celebre  Sofonisbaj  come  d'  altronde  è  notò  cho 


416 

un  ramo  degli  Appuleii  erasi  stabilito  almeno  fin  dal  se- 
condo secolo  della  era  volgare  a  Madaura  città  dell'Af- 
frica, al  quale  appartenne  il  celebre  scrittore  e  filosofo 
platonico  che  fra  le  altre  opere  ci  ha  lasciato  quella  del- 
le Trasformazioni  volgarmente  nota  col  nome  àeìVÀsino 
d'oro. 

NVMICVS -i?/0  TORTO 

Questo  rivo  così  celebre  nella  storia  primitiva  del 
Lazio  è  quello  che  oggi  dicesi  Rio  Torto  fra  Lavinio 
ed  Ardea,  come  più  sotto  dimostrerò,  perchè  fra  tutti 
i  rivi  di  questa  contrada  si  distingue  per  la  tortuosità 
del  suo  corso,  carattere  conosciuto  anche  dagli  antichi, 
e  che  è  suo  particolar  distintivo ,  onde  Ovidio  nel  lib. 
XIV.  delle  Metamorfosi  v.  598.  e  seg.  così  lo  descrisse: 
Litus  adit  laurenSf  ubi  tectus  arundine  serpit 
In  (reta  flumineis  vicina  Numicius  undis. 

Questo  fiume,  quando  è  presso  alla  foce  forma  uno 
stagno  assai  vasto ,  se  si  considera  il  volume  ordinario 
delle  sue  acque,  ed  è  quello  indicato  dallo  stesso  poe- 
ta nel  terzo  de'Fasti  v.  647.  e  seg. ,  dove  Anna  Peren- 
na disparve: 

Corniger  itane  cupidis  rapuisse  Numicius  undis 
Creditur  et  stagnis  occoluisse  suis. 
onde  il  suo  fano  era  dove  il  rivo  entra   nello   stagno , 
così  proseguendo  Ovidio: 

Sidonis  interca  magno  clamore  per  agros 

Quaeritur  adparent  signa  notaeque  pedum. 
Ventum  erat  ad  ripas,  inerant  vestigia  ripisj 

Sustinuit  tacitas  conscius  amnis  aquas. 
Ipsa  loqui  visa  est,  placidi  sum  nympha  Numici:         *' 
l^i,^  Amne  perenne  latens,  Anna  Perenna  vocor.  <:i. 

.  H  )   E  perciò  Silio  nel  lib.  Vili.  y.  28.  e  seg.  fa  chia- 


Hi 

mare  da  Giunone  Anna  dagli  stagni  laurcnti  del  Numi- 
co,  presso  il  luco  del  Padre  Dio  Indigete: 

Namqm  hoc  adcitam  stagnis  laurentibus  Annam     '  oiiz 
Adfatur  voce  et  blandis  hortatibus  implet:  o^'  :^«j 

..;  i '   .'     ;f"  i'' \  Ji^».  oiolyn.T 

Tum  diva  Indigetis  castts  contermina  lucis  '  joir 

Haud,  inquit,  tua  ins  nobis  praecepta  morari.  O*)?! 

E  più  sotto  quando  le  apparisce  in  sogno  Didonc:  i'f? 
ffaud  procul  hinc  parvo  descendens  fonte  Numicm  o#!i 
Labitur,  et  leni  per  valles  volvitur  amne.  oio^ 

Huc  rapies,  germana,  viam,  tuosque  receptus  ih  us* 

Te  sacra  excipient  hilares  in  flumine  Nymphae^       ìì  oh 
Aeternumque  itaiis  numen  eelebrabere  in  oris.  1 

Sic  fata  in  tenuem  phoenissa  evanuit  auram.  b 

Anna  novis  somno  excutitur  perterrita  visis,  tmì 

Itque  timor  totos  gelido  sudore  per  artus.  l; 

Tunc  ut  erat  tenui  corpus  celamine  tecta,  A 

Prosiluit  stratis,  humilique  egressa  fenestra. 
Per  patulos  currit  plantis  pernicibus  agros;  .\ 

Donec  arenoso,  sic  fama,  Numicius  illam 
Suscepit  gremio  vitreisque  abscondidit  antris. 

Nel  tratto  pertanto  di  Campo  lemini  furono  questi 
luoghi,  e  santuarii  decantati  del  prisco  Lazio,  il  luco  di 
Giove  o  Padre  Indigete,  il  fano  di  Anna  Perenna,  ed  il 
tempio  nazionale  di  Venere,  cioè  TAfrodisio:  il  luco  fu 
presso  la  foce  del  Numico  nello  stagno ,  il  fano  ed  il 
tempio  presso  lo  stagno  medesimo  del  Numico.  Ho  dap- 
principio asserito  essere  il  Numico  l' odierno  Rio  Torto, 
e  che  Io  avrei  più  sotto  dimostrato;  ora  eccone  le  pro- 
ve: Plinio  dove  parla  de'luoghi  marittimi  del  Lazio  Hist. 
Nat.  lib.  IIL  e.  V.  dopo  l'  oppidum  Laurentum  pone  il 
Incus  lovis  Indigetis-,  Vamnis  Numicus,  Ardea,  e  più  sotto 
Aphrodisium.  Secondo  questo  passo  pertanto  il  Numico 
era  fra  il  luco  di  Giove  Indigete  ed  Ardea:  ora  in  que-. 

27 


418 

sto  spaziojdue  solijrivi  solcano  la  spiaggia ,  V  uno  che 
scorre  immediatamente  sotto  Ardea  detto  Rio  dell'Inca- 
stro :  r  altro  denominato  Rio  Torto  pel  suo  particolare 
serpeggiamento,  come  si  disse,  quasi  a  mezza  strada  fra 
Lavinio  ed  Ardea;  e  siccome  né  in  Dionisio,  né  in  Li- 
vio, né  in  Virgilio,  né  in  Ovidio,  né  in  alcun  altro  an- 
tico scrittore ,  che  parla  del  Numico ,  e  della  battaglia 
che  mise  fine  alla  vita  di  Enea,  si  dice  mai,  che  quel 
rivo  bagnasse  le  mura  di  Ardea ,  circostanza ,  che  non 
poteva  isfuggire;  siccome  il  Numico  era  per  testimonian- 
za di  Ovidio  particolarmente  serpeggiante;  siccome  pres- 
so il  mare  secondo  Vittore,  Virgilio,  Ovidio,  e  Silio  Ita- 
lico impaludava  in  uno  stagno  di  una  estensione  consi- 
derabile, e  nel  suo  corso  determinava  il  limite  frai  La- 
tini ed  i  Rutuli,  perciò  conviene  riconoscerlo  precisamen- 
te nell'odierno  Rio  Torto,  fiume  di  acque  limpide,  col- 
le rive  vestite  di  oleastri,  orni,  olmi,  e  pioppi  frammi- 
schiati a  canne,  che  continuamente  serpeggia,  e  termi- 
na presso  il  mare  in  uno  stagno  molto  vasto  nella  sta- 
gione piovosa,  ma  che  nella  estate  si  ristringe  di  molto. 
Questo  ha  le  più  lontane  origini  in  Valle  Caja  ,  traver- 
sa questo  tenimento  e  quello  di  Cerqueto,  serve  di  li- 
mite fra  questo  e  quelli  di  Cerquetello  e  Sugareto,  ba- 
gna quello  di  s.  Procula,  nel  quale  riceve  un  altro  ri- 
vo ,  e  la  sorgente  di  Gìuturna ,  e  quindi  passando  tra 
questo  di  s.  Procula  e  quelli  di  Pratica  e  Castagnola 
del  Bufalo,  e  fra  questo  e  Castagnola  Cesarini  e  Cam-, 
pò  Selva ,  dove  forma  lo  stagno  più  volte  menzionato , 
sbocca  nel  maro  dopo  un  corso  di  circa  18  m.  mentre 
in  linea  retta  ne  avrebbe  appena  11.  Considerando  la 
brevità  del  corso  di  questo  rivo  e  la  scarsa  quantità  di 
arque  che  porla  ordinariamente,  alcuno  potrebbe  mera- 
vigliarsi, come  gli  antichi  fossero  venuti  nella  persua- 
sione, che  Knea  vi  si  fossp  annegalo.   Aurelio  Vittore 


*19 

però,  o  chiunque  sìa  l'autore  del . trasunto  di  storia  lati- 
na intitolalo  Origo  Gentis  Romanae,  compilato  corno  più 
Yolte  si  disse  da  storie  e  tradizioni  antichissime ,  oggi 
perdute,  mostra,,  dbie  la  battaglia  fra ^nea  e  Mezenzio 
si  combattè  presso  lo  stagno  del  fiume  Numico:  circ^ 
Numici  fluminis  stagnum:  che  sopraggiunse  un  temporale 
spaventevole  accompagnato  da  tuoni  e  da  lampi,  di  que' 
tali  temporali,  che  non  sono  rari  in  questa  parte  d'Ita- 
lia nella  primavera  e  nella  estate,  che  Enea  non  avve- 
dendosi della  vicinanza  del  fiume  vi  cadde,  e  che  rischia- 
ratosi il  cielo,  non  fu  più  trovalo  ,  che  però ,  e  questo 
certamente  è  ,una  giunta,  fu  da  Ascanio  e  da  alcuni  al- 
tri veduto  comparire  sulla  ripa  con  quelle  medesime  ar- 
mi e  vestito  come  era  uscito  in  campo.  Quantunque 
questo  passo  sia  lan  poco  lungo,  io  credo  di  doverlo  ri- 
ferire ,  perchè  sempre  più  si  allontani  dai  padri,  nostri 
la  taccia  di  soverchia  credulità  ,  che  i  raocierni  troppo 
sovente  lor  danno;  Tum  Aeneam  .  .♦....'»,..  castra 
Mub  Lavinio  collocas$e::{p,'Jù*  ♦ii<;l{ÌM,inA  •!  fiA'r  l«wV  •  •  • 
copias  in  aciem  produxisse^  circa  Numici  fluminis  stagnum: 
ubi  quum  acerrime  dimicaretur  subitis  turbinibus  infuscato 
aere,,  repente  e  coelo  tantum  imbrium  effusum,  tonitrtbus 
etiam  consecutis,  flammarumque  fulgoribus,  ut  omnium  non 
oculi  modo  perstringerentur ,  verum  etiam  mentes  quoque  con- 
fusae  esscnt:  quumque  universos  utriusque  partis  dirimendi 
praelia  cupiditas  inesset,  nihilominus  in  iìla  tempestati»  su- 
bitae,  confusione  interceptum  Aeneam  nusquum  deinde  ^om- 
paruisée.  Traditur  autem  non  proviso  quod  propinquus  flu' 
mini  esset,  ripa  depulsus,  forte  in  fluvium  decidisse,  atqt^ 
ita  praelium  diremtum:  de  in  post  apertis,  fugatisque  nuhfr 
bus,  quum  serena  facies  effulsisset  creditum  est  vivum  eun^ 
coelo  adsumtum.  Idemque  tamen  post  ab  Ascanio  et  qm- 
busdam  aliis  visu^  affirmatur  super  Numici  ripam  eo  habi- 
tu  armisque  quibu^  in  proeliufn  processerat.  Qum  res  im- 


420 

immortalitatis  eius  famam   conflrmamt.   Itaque  UH  eo  loco 
templum  consecratum  appellarique  placutt  Patrem  Indigetem. 
Ed  Ovidio  nel  XIV.  delle  Metamorfosi  v.  581  e  seg.  ve- 
stendo questa  tradizione  storica  di  ornati  poetici  fa  im- 
plorare a  Venere  da  Giove  la  deificazione  di  Enea  e  ne 
fa  ministro  il  Numico,  così  dicendo  v.  596  e  seg; 
Perque  leves  auras  iunctis  invecta  columbis 
Litus  adit  laurens,  ubi  tectus  arundine  serpit    {"'"'  »^   ■ 
In  freta  jlumineis  vicina  Numicius  undis.  J  '^''^"  "'' 

Hunc  ìvhet  Àenecie  qziaecumque  obnoxia  mortì^*-'  *<^f">«y* 
'   Abluere  et  tacito  deferte  sub  aequora  cursuA'^^''  ''  »f<>ffi" 
Corniger  exequitur  Veneris  mandata:  suisque       aniniìliy  > 
'    Quidquid  in  Aenea  fuerat  mortale  repurgat.        ojubtx  hi 
Et  respergit  aquis.  Pars  optima  restitit  illi.    ^>^«Jf">''^  o  ini 
Lustratum  genetrix  divino  corpus  odore      0'«fe«<|  oJgoirj» 
'    Unxit  et  ambrosia  cum  dulci  nectare  mixta     f'^v^'l  v'^'^ÌT'' 

■  Contigit  OS,  fecitque  deum:  quem  turba  Quiritum   f>i'>'^^  j^f 

■  Nuncupat  Indigetem;  temploque  arisque  recepit.  ■  '•♦nT^<»-: 
•  ."  •  Versi  che  1'  Anguillara  elegantemente  tradusse  in 
quattro  ottave,  ma  non  fedelmente,  poiché  piuttusto  che 
traduzione  quel  suo  lavoro  dovrebbe  dirsi  parafrasi.  Or 
dunque,  per  ritornare  all'assunto  della  probabilità,  che 
questo  rivo  possa  mai  ingojare  alcuno,  poiché  nel  suo 
stato  ordinario  merita  giustamente  1'  epiteto  di  placido f 
che  gli  dà  Ovidio  nel  III.  de'Fasti  ho  preso  informazio- 
ni locali  da  tutti  i  contadini  ?  ed  in  anni  diversi ,  e  mi 
hanno  costantemente  assicurato,  che  questo  rivo  si  gon- 
fia in  modo  in  occasione  di  temporali,  e  cosi  rapidamen- 
te, che  non  passa  quasi  anno,  che  non  si  abbia  da  com- 
piangere qualche  vittima ,  che  disprezzando  la  sua  pìc' 
ciolezza  ordinaria  arrischia  di  passarlo  a  cavallo.  E  chia- 
ri sono  i  segni  sulle  ripe  dell'  altezza  a  che  giungono 
le  acque  e  della  loro  violenza  vedendosi  torti  gli  arbu-' 
siti  che  si  trovano  lungo  il  suo  corso,   "'«y  9»!^ww'n  »i 


42^ 

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:.;  ©libanum.  (JDlip^Wim.  (HHebonuntt'''*' 

.n;-  ■  •  •■■■■    ■-■     ■■:•■■-   >-,:•■.  ;.'-■'    '  ■'-^^■ 

■  '  Terra  del  distretto  di  Tivoli ,  che  coata  2624  abi;* 
tanti,  e  che  nello  spirituale  dipende  dal  vescovo  prene-; 
stino.  Essa ,  come  altre  terre  ,  e  come  altri  fondi  che 
portarono  lo  stesso  nome,  fu  cosi  detta,  perchè  la  rea-*, 
dita  era  assegnata  al  consumo  degl'incensi,  che  serviva!» 
no  alle  chiese,  dalle  quali  queste  terre  .dipendevano;  e 
nell'agro  romano  stesso  abbiamo  un  monte  di  Leva,  che 
era  Mons  Olibani,  un  castello  di  Leva ,  che  era  uà 
Castrum  Olibani,  de'quali  si  trattò  a  suo  luogo.  Impera 
ciocché  oUbanum  nella  bassa  latinità  significa  incenso,  e 
questa  voce  fu  pure  adottata  nella  lingua  italiana.  -j. 

Questo  castello  è  in  parte  situato  sopra  un  coUCi^ 
che  dirama  dal  monte  del  Cotso  ultima  lacinia  orientale 
della  punta  di  Colle  Celeste:  in  parte  poi  sì  dilunga  per 
la  falda  di  questo  colle  medesimo.  Da  Subiaco  è  distante 
4  ore  di  cammino  andandovi  per  Affile  e  Rojate,  un  po- 
co meno  andandovi  da  Civitella:  da  Palestrina  altrettaii4^ 
to  traversando  le  Terre  di  Cavi,  e  Genazzano:  per  con- 
seguenza é  circa  36  m.  lontano  da  Roma,  andandovi  di- 
rettamente. I  dintorni  di  questa  Terra  sono  freschi,  ame- 
nissimi,  coperti  di  alberi  secolari,  e  variati  da  rupi  ma- 
giche, e  perciò  sono  la  delizia  de'pittori  di  paese  ,  che 
ivi  raccolgonsi  nella  stagione  estiva  a  fare  i  loro  studii. 
oìf  Nella  lapide  esistente  nel  chiostro  di  s.  Scolastica 
in  Subiaco,  che  appartiene  all'  anno  1052,  e  contiene 
la  nota  delle  possidenze  del  monastero  medesimo,  man^ 
ca  il  nome  di  Ole  vano;  né  si  dica  che  rimane  cela^ft 
in  quello  de'fondi  Opinianum  e  Trelanum  ivi  rammenta 
ti,  poiché  la  bolla  di  Giovanni  XII  dell'anno  ^8  ed  il 


422'  ^ 

diploma  di  Ottone  I.  dèlranno  967  nominano  il  fundum 
Olcbano,  che  era  pur  questo,  ma  che  allora  non  era  an- 
cora una  Terra  popolata.  Questi  documenti  possono  leg- 
gersi in  Muratori  Antiq.  Medii  Aevi  Tomo  Y.  p.  463 
465.  Ma  dopo  quella  epoca,  vale  a  dire  nel  secolo  XII. 
formossi  il  castello;  imperciocché  nella  bolla  di  Pasqua- 
le II.  dell'anno  1115  riportata  nel  Chronicon  Sublaceme 
presso  lo  stesiso  Muratori  si  nomina  Olivanum  cum  omni* 
bus  fundis  ,  et  casalibus  eorum.  Dalle  lettere  di  Alessan- 
dro III  ricavasi,  che  nell'anno  1169  Giovanni,  Leone,  e 
Pietro  Frangipane  ritenevano  questa  Terra  in  custodia, 
cioè  l'aveano  occupata  con  armatile  che  la  perniutaror 
no  col  castrum  Tyberiae;  oggi  Tivera  presso  Velletri:  que-» 
sta  notizia  importante  ci  fornisce  il  Nerini  con  un  do- 
cumento inserito  nella  Storia  di  s.  Alessio  p.  220.  Il  posW 
sesso  di  questa  Terra  venne  confermato  in  seguito  ai 
monastero  sublacensc  dalla  bolla  emanata  da  papa  Cle- 
mente III.  nell'anno  1168  e  da  quella  di  Onorio  III  del 
1217.  Dopo  quella  epoca  passò  nelle  mani  de'Colonaesi,; 
ed  un  Oddone  de  Columna  signore  di  0\e\ diuo,  dominus 
OZeòant  è  ricordato  in  una  bolla  di  papa  Innocenzio  lY. 
dell'anno  1243,  là  quale  viene  riferita  dalI'Ughelli  Ita-- 
Ita  Sacra  T.  L  p.  210.  I  Colonnesi  ritennero  il  posses-; 
so  di  questa  Terra  fino  al  secolo  XVII.  quando  la  ven- 
derono ai  Bòr^ese,  che  la  rit^isagono  col  titolo  di  niar^ 
chesatp.  f^l*  II.'Ù'ìb/  o  .Ìib(o39«  iiodlfì  ih  iiioqo5  Jfflièplii 
9ii'>  Andando  da  Subiaco  ad  Olevano,  fino  a  Rojate  ìar 
strada  è  commune  ad  ambedue  queste  Terre  ,  e  perci6^ 
ne  parlo  all'articolo  ROJATE y  onde  per  non  ripetere 
troppo  le  cose  può  consultarsi  quell'articolo  da  chi  brà'^ 
nla  conoiscere  i  particolari.  Da  Rojate  poi  piuttosto  che 
striadà  direbbesi  per  alcun  tratto  un  sentiero  irregolare^ 
che' scende  da  balia  in  balza  per  un  buon  miglio  fino 
W'wille   Ricattra,  dove  è  una  cappella. '  Ivi  bi  volge  « 


423 
destra,  e  sì  sale  il  collo  di  una  fìmbria  intermedia  fra 
Rojate,  ed  Olevano,  che  ha  il  nome  di  colle  del  Corso. 
In  questo  tratto  traversa  un  castagneto,  che  oggi  è  in 
parte  tagliato  con  danno  grave  della  pittura  de'paesi. 
Verso  il  secondo  miglio  da  Rojate  si  perviene  ad  un 
bivio,  dove  fa  d'uopo  seguire  il  senti  ere  a  destra;  men- 
tre traversasi  il  dorso  del  colle  sovraindicato  il  casta- 
gneto dilatasi,  e  sul  punto  di  uscirne  presentasi  da  lun- 
gi la  Terra  di  Olevano.  Quindi  costeggiando  la  falda 
occidentale  del  colle  del  Corso  si  discende  alla  Terra; 
le  prime  case  di  essa  presentansi  poco  più  di  una  ora 
dopo  avere  lasciato  Rojate.  Lasciasi  a  destra  una  chie- 
sa rurale  destinata  a  cemeterio  communale,  e  quindi 
si  perviene  alla  piazza  maggiore  :  in  questo  tratto  il 
castello  presenta  una  magnifica  veduta  pittorica,  essen- 
do posto  sopra  una  rupe  di  calcarla  appennina,  la  cui 
bianchezza  mista  al  colore  giallognolo ,  contrasta  col 
grigio  bruno  delle  mura  e  delle  case  che  la  corona- 
no. Questa  rocca  per  la  sua  costruzione,  che  è  del  se- 
colo XIII.  credo  che  debba  ascriversi  ai  Colonnesi  si- 
gnori allora   della   Terra. 

i  j  Sulla  piazza  maggiore  è  una^  fontana  di  acqua  pu- 
rissima :  una  iscrizione  oggi  mutila ,  ma  da  me  veduta 
intiera  1'  anno  1825  ricordava,  come  essendo  stata  con- 
dotta l'acqua  sotto  Pio  VI.  ed  essendosi  per  le  vicende 
de' tempi  perduta  fu  nell'anno  1820  ristaurato  l'acque- 
dotto a  tutte  sue  spese  da  Benedetto  Greco  nativo  della 
Terra  per  solo  amore  della  patria,  esempio  raro  ne'gior- 
ni  nostri  e  che  pure  dovrebbe  essere  imitato.  La  chie- 
sa parrocchiale  di  questa  Terra  è  ampia,  e  ben  man- 
tenuta: ha  dieci  altari  ed  è  dedicata  a  s.  Margherita: 
la  chiesa  più  antica ,  oggi  demolita  era  stata  dedicata 
a  s.  Pietro:  questa  ha  un  capitolo  di  quattro  canonici. 
Narra   il   Piazza ,    Gerarchia  Cardinalizia,  p.  243 , 


424 

che  ad  oriente  di  Olevano  sono  avanzi  di  una  villa  an- 
tica, detta  Villa  Magna,  dai  quali  scavavansi  marmi  no- 
bilissimi di  varii  colori ,  e  colonne  ,  e  condotti  :  e  che 
in  un'  altra  contrada ,  che  ritiene  il  nome  di  Pretorio, 
perchè  forse  appartenne  agli  imperadori  si  trovarono  mu- 
saici, pietre  preziose,  tronchi  di  statue,  medarglie,  catc-' 
ne  di  oro  ec  :  ed  aggiunge  che  nel  1660  si  scopri  una 
grande  urna  di  marmo  con  tre  corpi,  intagliata  di  figu- 
re a  mezzo  rilievo,  lunga  7  piedi  larga  3  e  mezzo,  ed 
alta  quasi  4.  la  quale  conservavasi  n^l  cortile  del  palaz- 
zo dei  Colonnesi  in  Genazzano. 

-St'Ui'J    hiili    fcl;  .: Jf.i-A     tXi-.tiii    Ot|.t(f» 

ihinui^   r/  'OLEVÀJfO^TORRI€ELLÀ:<yh  sbiui  m 

lì     oJJfjt  iì     •  <--;nì-;;'--,  f  ^">Ì"'«<7     \f> 

-na?  È  una  tenuta  dell'  Agro  Romano  posta  circa  8  m.> 
fuori  di  porta  Salaria  confinante  con  quelle  di  Boccon- 
cino, Capitiniano  e  Cesarina,  e  col  territorio  nomentano. 
Appartiene  ai  Borghese  e  comprende  rubbia  107  e  un 
quarto.  'Jih  «yaoixuiiaoa  bus  rI  si'^q  ììì-joi  iAìCìuìj  .oh 
Questa  '  tenuta  un  '  tempo  fu  'delta  ancor  Torricella' 
già  proprietà  de'Capoccia-Gapoccini,  i  quali  nel  1370  la 
vendettero  a  Perna  moglie  di  Pietro  Bobone  de'Bovesci 
pel  prezzo  di  1500  fiorini  di  oro ,  come  si  trae  da  un 
atto  esistente  nel  cod.  vaticano  n.  7972.  Verso  la  metà 
del  secolo  XVII  era  degli  Astalli ,  che  nell'  anno  1666 
k  vendettero  a  Marcantonio  Borghese.  Alcuni  scavi  fat- 
ti nel  1826  entro  i  limiti  di  questa  tenuta  dierono  alla 
luce  alcune  sculture  antiche  e  varie  lapidi  sepolcrali  del- 
la gente  Vallia ,  due  urne  pur  sepolcrali  de'  tempi  cri- 
stiani, ed  una  iscrizione,  che  ricorda  un  Fanum  Bonat 
Deac.  .^i.>ì.^   .:.  i>  i.;./.  ,wL.   Ti^.t-  -...  :;.:-ii.'ji 

,;)Ì:i04ifi">  OTJhiiip  i!.'  oU))!.'5n.>  no  juJ  kMìwms  \<nìfvi9L  .;•-  r. 
4  '^itXTenimento  oggi  spettante  ai  Chigi ,  pósto  futfri  di 


425 
porla  del  Popolo  circa  10  migKa  lungi  da  Roma  fralle 
vie  Cassia  e  Claudia  ,  confinante  con  quelli  della  Isola 
Farnese  e  di  Celsano ,  colla  strada  di  Bracciano  e  col 
territorio  dell'  Anguillara.  Comprende  quasi  472  rubbia 
divise  ne' quarti  denominati  delle  Cerquettej  d^JIa  To5i 
retta,  di  Cesano,  e  del  casale.  ■■u.  <  •»  <{ 

ih  ;  In  origine  fu  in  gran  parte  del  territorio  di  Cesa-^ 
no ,  ed  in  parte  della  Isola  ',  ma  nell'  anno  1566  Paolo 
Giordano  Orsini  duca  di  Bracciano  separò  queste  terre 
da  que'  territorii  e  le  vendette  ad  Alessandro  Olgiatì , 
come  da  un  atto  esistente  nell'Archivio  Orsini  apparisce: 
allora  fu  che  questo  tenimento  venne  denominato  1'  Q\- 
giata,  nome  che  ancora  ritiene,  quantunque  gli  Otgiati 
più  non  lo  posseggano,  mentre  fin  dal  secolo  XVII.  pas- 
sò ai  Franceschi,  e  posteriormente  con  altri  fondi  vicini 
è  divenuto  proprietà  de'Chigk.  .  i.  /  .ì.    ,ihih.i7  vu^i  ;  i 

i>iu\uh  iK-i  S.  ORESTE  v.  SORACTES.,  -WK}  a  r>iUO:- 

-aufliivi.  —  i/'.iy'i  oìiùit  0  ^l 

ORVINIVM  V.  MORICONE.  Àìti(H(obiì  ot 

—  :  m^oia  si/  ivi 

H(j  o)BJljir  OSPEDALETTO.   mi(n  fnniiq  ^1  » 

ii'i  •  V 

Due  tenute  di  questo  nome  esistono  nell'Agro  Ro^ 

mano  ed  ambedue  sono  fuori  di  porta  del  Popolo,  e  di 

moderata  estensione ,  circa  6  miglia  lontano  da  Roma , 

a  destra  della  via  cassia. 

La  prima  già  proprietà  del  Collegio  Romano,  e  poi 
de'  Marziale,  comprende  48  rubbia  di  terra,  confinanti 
colle  tenute  della  Crescenza  e  della  Sepoltura  di  Nerone. 
L'  altra  della  prelatura  Giustiniani ,  comprende  65 
rubbia  e  mezzo  ,  e  confina  colle  tenute  di  Tor  Verga- 
ta, Buonricovero ,  Inviolata,  Valchetta ,  e  Sepoltura  di 
Nerone.    Ì«  oìIcz-au   yn'jJfsjMjniQu   imi^  ^mu^sj    ji-ihiin^r^'i 


i<*  >  Celebre  città  antica,  ridotta  a  squallido  borgo,  pres-' 
s«  la  foce  orientale  del  Tevere ,  distante  da  Roma  15 
m.  e  quasi  tre  dal  littorale  odierno  del  mar  tirreno.  II 
borgo  attuale  é  circa  un  mezzo  miglio  più  vicino  a  Roma 
delle  rovine  della  città  antica,  quindi  sembra  straordi- 
naria, e  inconcepibile  la  questione  mossa  dagli  antiqua- 
rii  de'  tempi  scorsi  sulla  distanza  precisa  di  Ostia  da 
Roma,  trattandosi  di  punti  cosi  determinati,  come  que- 
sti: Roma  è  un  punto,  sul  quale  non  può  cader  dubbio, 
e  la  porta  antica,  che  conduceva  ad  Ostia,  cioè  la  Tri- 
gemina ,  è  pur  essa  concordemente  riconosciuta  presso 
l'arco  odierno,  detto  della  Salara  a  Marmorata:  Ostia  è 
un  punto  fisso  pur  esso,  poiché  le  rovine  dell'antica  cita- 
ta sono  visibili,  circa  un  mezzo  miglio  più  oltre  del  bor- 
go attuale  ,  come  si  disse  :  la  via  antica  fra  Roma  ed 
Ostia  è  pur  essa  determinata  dallo  stato  fisico  del  suo- 
lo, e  dalle  vestigia  ancora  superstiti  dell'antico  pavimen- 
to e  de'ponti:  quindi  altro  non  rimane  che  misurare  per 
la  via  stessa  la  distanza  fralla  porta  Trigemina  di  Roma 
e  le  prime  rovine  dèllst  città  antica;  ed  il  risultato  por- 
ta a  16  miglia  romane  antiche  la  distanza  fra  Roma  ed 
Ostia  antica  ,  come  infatti  la  indicano  Plinio  Hist.  Nat. 
lib.  III.  e.  VI.  l'Itinerario  di  Antonino  pag.  301.  Eutro- 
pio Brev.  Hist.  Rom.  lib.  I.  cap.  V.  Marziano  Capella 
Art.  Lib.  lib.  VI.  Cassiodoro  Chron.  e  Cedreno  Comp. 
delle  Storie  T.  I.  Eusebio  seppure  non  è  un  errore  de* 
copisti  pose  13  in  luogo  di  16,  e  questo  computo  fu  se- 
guito dai  cronografi  s.  Girolamo,  Freculfo,  e  l'anonimo 
Altisiodorense,  ingannati  certamente  da  quel  numero  me- 
desimo. Volpi  che  a  torlo  usurpò  la  fama  d'illustratore 
delle  Antichità  del  Lazio ,  ma  che  dovrebbe  piuttosto 
riguardarsi   come   un   compilatore   inesatto  di  memorie 


427 
concernenti  il  Lazio,  riman  perplesso  a  quale  partilo  ap- 
pigliarsi sulla  distanza  di  Ostia,  e  cerca  di  trovare  una 
via  per  accordare  le  16  miglia  degli  uni  colle  13  mi- 
glia degli  altri ,  terminando  con  dire  le  16  miglia  do- 
versi contare  dalla  porta  di  Roma  al  mare  in  guisa,  che 
mentre  fra  Roma  ed  Ostia  correvano  13  miglia  calco- 
lando la  distanza  dalla  porta  Trigemina  alle  prime  fab- 
briche di  Ostia  ,  16  ne  correvano  fra  Roma  ed  il  ma- 
re, ossia  fra  Roma  ,  e  la  ultima  linea  delle  fabbriche 
ostiensi  sul  mare.  Ma  oltre  che  non  si  usò  mai  questo 
metodo  per  calcolar  le  distanze  ,  aggiungerò  che  fra  le 
prime  fabbriche  di  Ostia  e  l'antico  littorale  non  tre  mi- 
glia, ma  difficilmente  se  ne  conta  uno.  Ma  lasciamo  da 
banda  tali  questioni  oziose  ,  e  riconoscasi  di  fatto  esr 
sère  stata  Ostia  16  miglia  distante  dalla  porta  Trige- 
mina di  Roma. 

Della  via  ostiense  in  particolare  tratterò  ali*  artico- 
lo delle  vie;  quanto  alla  strada,  per  la  quale  oggi  si  va 
da  Roma  ad  Ostia,  essa  esce  dalla  porta  s.  Paolo,  pas- 
sa dietro  la  tribuna  della  basilica  di  questo  apostolo , 
traversa  i  prati  ubertosi,  che  hanno  pure  il  nome  di  s. 
Paolo ,  e  quindi ,  stretta  a  sinistra  dai  monti ,  a  destra 
dal  fiume  più  o  meno  dappresso,  per  Tor  di  Valle,  s. 
Ciriaco ,  Malafede  ,  salendo  a  tre  riprese  il  dorso  delle 
dune  di  Decimo ,  placidamente  poi  ed  insensibilmente 
scendendo  a  traverso  il  bosco  ostiense  perviene  all'argi- 
ne moderno  costrutto  entro  le  paludi ,  che  col  nome 
di  stagno  ostiense  coprono  Ostia  dal  canto  di  settentrio- 
ne, e  che  ricordano  le  antiche  saline,  stabilite  per  la 
prima  volta  dal  re  Anco  Marcio,  e  che  in  parte  anco- 
ra oggi  sono  in  esercizio.  i  •       •      -.'     ^ 

Gli  antichi  scrittori  si  accordano  à  ficòhó9Òe¥é' cò- 
me fondatore  di  Ostia  il  re  Anco  Marcio  testé  ricor- 
dato, il  quale  dopo  aver  disfatto  le  città  latine  di  Po- 


428 

litorio,  Tellene,  Ficana,  e  MeduIIia,  e  forzalo  i  Vejenti 
a  cedergli  la  Selva  Mesia  ampliò  così  i  limiti  del  domi- 
nio romano  fino  al  mare  sulle  due  rive  del  fiume.  Livia 
lib.  I.  e.  XIII  :  Dionisio  dice  che  quel  re  edificò  la  nuova 
città  in  un  angolo  che  formava  il  fiume  col  mare  lib.  III. 
e.  XLIX.  onde  Floro  lib.  I.  e.  IV.  si  espresse  che  Anco? 
edificò  Ostia  in  ipso  maris  fluminisque  gonfinio,  cioè 
nello  stesso  luogo,  dove,  secondo  Virgilio,  Dionisio,  Livio, 
e  Servio,  Enea  prese  terra  nel  Lazio,  e  che  fortificato  dal 
pio  trojano  ebbe  il  nome  di  Troia  nova.  Dall'essere  que- 
sta città  secondo  Livio  in  ore  Tiheris  fu  detta  Ostia,  quasi 
porta  della  navigazione  del  Tevere  secondo  Dionisio.  Que- 
sta etimologia  derivandosi  dalla  località,  da  scrittori  di 
prim'ordine,  come  Livio  e  Dionisio,  e  che  si  conferma  co* 
nomi  dati  ad  altre  città  poste  alla  imboccatura  de'fiumì^ 
sembra  doversi  preferire  ad  altre  più  ricercate  che  si  af- 
facciano da  »C4rittori  meno  crUjciy,  e  da  ignoranti  gramma- 
tici, p''';'^  '■!;•';')  r;^  Y'sf?  .^''ù'ttv  «'fFr  ol'f»'-J'!-  ^  0^ 
^u\n  n  suo  nome  più  communemente  si  scrisse  senza  aspi- 
razione, ma  non  mancano  esempli  desunti  da  lapidi  e  da 
scrittori  de'tempi  posteriori  che  vi  appongono  un  H,  ed 
HOSTIA,  HOSTIENSES  in  luogo  di  OSTIA,  OSTIEN- 
SES  si  trova  scritto.  Dalla  sua  fondazione  fino  alla  epoca 
della  seconda  guerra  punica  non  ho  trovato  memorie  di 
questa  città;  ma  durante  quella  guerra  nell'anno  di  Ro- 
ma 538,  appunto  all'epoca  della  battaglia  di  Canne,  leg- 
giamo in  Livio  lib.  XXII.  e.  XXXI  che  vi  era  stazionata 
una  flotta  romana:  literis  consulis  propraetorisque  lectis, 
M.  Claudium,  qui  classi  ad  Ostiam  stanti  praee»set,  Ganu- 
sium  ad  exercitum  mittendum  etc.  Nel  capo  seguente  poi 
si  soggiunge  :  placatis  satis  ut  rebantur  deis,  M.  Claudius 
Marcellus  ah  Ostia  mille  et  guingentos  milites  quos  in  clas- 
sem  scriptos  habebat,  Romam  ut  urbi  praesidio  essent  mittit 
etc.  Cinque  anni  dopo  (543  di  Roma)  salpò  da  Ostia  eoa 


A29 
30  quinqueremì  per  la  Spagna  il  primo  Scipione  Affri- 
cano  ,  secondo  che  narra  Io  stesso  scrittore  lib.  XXVI. 
e.  XIV  la  qual  spedizione  può  giustamente  considerarsi 
come  il  principio  della  salvezza  e  dell'ingrandimento  del 
potere  di  Roma.  Nell'anno  547,  lib.  XXVII.  e.  XXXI. 
ci  narra  che  Ostia  ed  Anzio,  fra  le  città  marittime  presso 
Roma,  che  domandarono  esenzione  dal  fornir  truppe,  fu- 
rono le  sole  ad  ottenerla  :  Ea  die  hi  populi  ad  senatum 
verter unt;  Ostiensis  ,  Alsiensis ,  Àntias  ,  Anxuras,  Mintur- 
nensis,  Sinuessanus,  et  a  supero  mari  Senensis.  Cum  voca- 
tiones  suas  quisque  poptdus  recitaret,  nullis  quum  in  Italia 
hostis  esset  praeter  Antiatem,  Ostiensemque  vocatio  observata 
est,  etc.  Quindi  può  dedursi  ,  che  Ostia  fosse  un  posto 
così  importante  e  da  esiggere  tale  custodia,  che  malgrado 
il  bisogno  urgente  di  completare  le  legioni,  fu  una  delle 
due  sole  colonie  marittime  che  vennero  eccettuate  da  tal 
servizio.  Nello  stesso  luogo  si  aggiunge,  che  i  giovani  di 
queste  due  città  doverono  giurare  di  non  pernottare  in 
più  di  quaranta  fuori  della  loro  colonia,  finché  il  nemico 
rimaneva  in  Italia  :  et  earum  coloniarum  iuniores  iureiu- 
rando  adacti  supra  quadraginta  non  pernoctaturos  se  extra 
moena  coloniae  suae  donec  hostis  in  Italia  esset.  Questa  con- 
dizione può  fornire  qualche  lume  sulla  popolazione  di 
Ostia  ed  Anzio  durante  la  seconda  guerra  punica,  la  qua- 
le perciò  non  sembra  essere  stata  molto  numerosa.  Nella 
guerra  civile  fra  Mario  e  Siila,  Mario  prese  Ostia,  e  la 
mise  a  sacco,  secondo  che  riferisce  Appiano  nel  primo 
libro  delle  guerre  civili  :  Mocpiog  $£  xa£  Oaxta  sìXc  xar 
^ty)p'na^c  etc.  E  Mario  prese  Ostia  e  la  saccheggiò.  Questo 
tratto  di  Mario  indica  che  Ostia  era  del  partito  sillano: 
Infatti  dopo  la  vittoria  di  Sacriporto  lo  stesso  Appiano 
riferisce,  che  Siila  nello  spedire  truppe  per  occupar  Ro- 
ma, ingiunse  loro  che  se  venissero  respinte  si  raccoglies- 
sero  in  Ostia  é£  de  ancyipovaQetsv  zm  Oazta  X<"P''^-  ^^^ 


430 

che  negli  ultimi  tempi  della  repubblica  vi  era  stanziata 
una  flotta  romana,  siccome  si  rileva  da  Cicerone,  Pro  lege 
Maniliay  allorché  narra  che  per  sorpresa  fu  dai  pirati  ci- 
licii  predata  e  distrutta  :  Namquid  ego  ostiense  incornino- 
dum  atque  illam  lahem  atque  ignominiam  reipublicae  quae- 
rar,  quum  prope  inspectantibus  vobis  classis  ea  cui  comul 
populi  romani  praepositus  esset  a  praedonibus  capta  atque 
oppresia  est.  Questa  sorpresa  che  punse  l'orgoglio  de'Ro- 
mani  nel  momento  della  loro  maggiore  possanza,  die  im- 
pulso alla  spedizione  di  Pompeo  contro  i  pirati,  e  alla 
debellazione  piena  della  Cilicia.  In  questo  luogo  però  è 
d'uopo  riflettere,  che  il  porto  ostiense,  o  la  rada  in  che 
stavano  ancorate  le  navi,  non  era  fortificato,  onde  i  cor- 
sari poterono  corre  il  momento  d'impadronirsene,  ed  in- 
cendiarle. 

Non  molto  dopo  tale  avvenimento,  Dionisio  libro  III. 
e.  XLIV.  fa  questo  quadro  del  porto  ostiense ,  seppure 
con  tal  nome  vogliamo  appellarlo,  allorché  narra  la  fon- 
dazione di  Ostia  fatta  da  Anco  :  imperciocché  il  fiutne  Te- 
vere scendendo  dai  monti  appennini  e  scorrendo  lungo  Roma 
stessa^  sboccando  in  lidi  privi  diporti  e  continuati,  che  fa 
il  mare  Tirreno,  poca  utilità,  e  questa  di  niun  riguardo  , 
arrecava  a  Roma;  conciossiachè  niun  castello  avesse  alla  fo^ 
ce,  che  servir  potesse  a  ricevere  e  a  rendere  ai  mercatanti 
ne  le  navi  che  v  imboccavano  dal  mare,  ne  quelle  che  pel  fiu- 
me vi  discendevano.  Imperciocché  il  fiume  può  navigarsi  da 
barche  fluviali  assai  grandi  fin  dalle  sorgenti ,  e  dall'altro 
canto  può  fino  a  Roma  rimontarsi  da  grandissime  navi  ma- 
rine da  trasporto.  Quindi  decise  di  costruire  un  arsenale 
alla  sua  foce  servendosi  per  porto  della  bocca  stessa  del  fiur 
me;  giacché  dove  questo  entra  nel  mare,  molto  si  dilata  ed 
ha  seni  ampli  simili  a  quelli  che  hanno  i  migliori  porti  ma- 
rittimi. Ognuno  però  sarà  giustamente  sorpreso  che  non  si 
vedrà  accadere  a  questo  ciò  che  a  molti  grandi  fiumi  avvie' 


431 

M,  che  la  foce  chiusa  rimanga  da  una  barra  di  sabbia,  o 
che,  errando  fra  stagni  e  paludi,  la  corrente  si  consumi, 
prima  di  toccare  il  mare;  ina  al  contrario  sempre  alle  navi 
é  accessibile^  e  con  una  sola  foce  naturale  sbocca,  taglian- 
do i  cavalloni  delle  onde  marine,  e  malgrado  che  ivi  spiri 
con  gran  forza  il  vento  che  soffia  da  ponente,  le  navi  a  re- 
mi per  quanto  grandi  siano  e  quelle  da  trasporto  della  por- 
tata perfino  di  tremila,  entrano  nella  foce  e  vanno  fino  a 
Roma,  condotte  o  a  remi,  o  colle  funi.  Quanto  ai  vascelli 
pili  grandi  si  tengono  all'ancora  in  alto  mare,  dove  dalle 
barche  fluviali  vengono  alleggeriti.  Malgrado  però  tutte  le 
proteste  dello  storico,  contro  l'interramento  del  fiume,  e 
i  belli  colori  con  che  dipinge  la  foce  ,  si  ricava  da  lui 
medesimo  ,  che  era  la  bocca  riempiuta  in  guisa  da  ob- 
bligare le  navi  più  grandi  à  tenersi  in  alto,  mare.  Più 
chiaramente  si  esprime  Strabone  nel  capo  III  del  lib.  V. 
Le  città  sul  mare  sono  :  Ostia  città  priva  di  porto  per  l'in- 
terramento che  vi  fa  il  Tevere  ingrossato  da  molti  fiumi,  per- 
ciò U  navi  tengonsi  con  rischio  ancorate  in  alto  mare:  l'utile 
però  la  vince,  sendo  che  la  copia  delle  barche  sussidiarie  che 
licevano  i  carichi  e  li  trasportano  fa  pronta  la  loro  par- 
tenza prima  che  tocchino  il  fiume,  cosi  che  alleggerite  di  una 
parte  entrano  nella  foce  e  vengono  fino  a  Roma  tirate  per 
190  stadi.  Questo  incommodo  ,  che  tanto  sensibile  alle 
volte  si  rese  a  Roma  da  apportarvi  la  carestia,  qon  po- 
tendo le  navi  cariche  di  viveri  approdarvi,  avea  mosso 
Cesare  a  pensar  seriamente  alla  costruzione  di  porti  sul 
littorale  ostiense,  secondo  che  riferisce  Plutarco  nella  sua 
vita  e.  LVIII,  ma  questo  come  tanti  altri  progetti  del  dit- 
tatore rimase  troncato  dalla  sua  morte.  Claudio  però , 
forzato  anche  egli  dalla  trista  esperienza  della  carestia, 
lo  mise  in  esecuzione,  secondo  che  vedrassi  trattando 
delle  rovine  di  Porto.  Quantunque  la  fondazione  di  un 
emporio  così  vicino  ad  Ostia,  e  l'abbandono  dcll'ancorag- 


432 

gio  presso  di  questa,  scemasse  il  suo  commercio ,  pure 
Ostia  non  decadde  sì  rapidamente  dal  suo  splendore,  tanto 
per  la  vicinanza  al  nuoYO  stabilimento  marittimo,  che  per 
le  cure  che  ne  mostrarcelo  sempre  gl'imperadori,  fino  alla 
malaugurata  traslazione  della  sede  dell'imperio.  Né  poco 
contribuì  al  fiorire  di  Ostia  il  tempio  di  Castore  e  Pol- 
luce, detto  JEdes  Castorum  da  Ammiano  lib.  XIX.  e.  X. 
dove  ogni  anno  nel  mese  di  maggio  concorreva  il  popolo 
romano  in  folla  a  celebrare  le  feste  Majumae  secondo 
Etico  nella  Cosmogr.  e  Snida  in  Matou/xag,  e  dove  pure 
in  caso  di  penuria  di  viveri,  cagionata  da  venti  contra- 
rli, portavansi  a  sagrificare  gl'imperadori  (Tacito  Annoi. 
lib.  XV.  e.  XXYI.  )  ed  il  prefetto  di  Roma  (  Ammiano 
1.  e.  ).  Inoltre  il  suo  soggiorno  amenissimo  vi  attirava 
continuamente  gente,  specialmente  per  prendervi  i  bagni 
di  mare,  secondo  che  si  ricava  da  Minucio  Felice,  che 
citerassi  a  suo  luogo.  E  Claudio  stesso  che  costrusse  il 
ricino  Porto  e  che  partì  da  Ostia  per  la  spedizione  bri- 
tannica, secondo  Vittore  de  Caes.  e.  IV.  volontieri  vi  di- 
morava, e  vi  stabilì  una  coorte  di  vigili  per  estinguere 
ed  evitare  gl'incendj  :  veggasi  Svetonio  in  Claudio  cap. 
XXV.  indizio  di  molta  popolazione.  Anzi  trovavasi  ap- 
punto in  Ostia  sia  per  sagrifizj,  come  vuol  Tacito  ,  sia 
per  provvedere  all'annona,  secondo  che  narra  Dione,  sia 
per  occupazioni  men  serie,  come  pretende  Vittore,  allor- 
ché Messalina,  profittando  della  sua  lunga  assenza,  si  die- 
de in  preda  alle  maggiori  dissolutezze  ,  il  che  indusse 
Narciso  a  rovinarla,  tragedia  a  lungo  e  con  vivi  colori 
descritta  da  Tacito. 

^  '' v'Che  sotto  Nerone  fosse  città  popolosa  e  ricca,  Ta- 
cito stesso  lo  mostra  knnal.  lib.  XV.  e.  XXXIX.  nar- 
rando, che  dopo  il  fatale  incendio  di  Roma  quell'insen- 
sato tiranno  mandò  a  cercare  in  Ostia ,  e  ne'  municipii 
vicini  gli  utensili  necessari  per  riparare  i  danni  incalco- 


433 
labili ,  che  quella  catastrofe  avca  recato  ai  cittadini ,  e 
per  evitare  così  V  odio  incorso  :  suòvectaque  utensilia  ab 
Ostia  et  propinquis  municipiis.  Intanto  la  religione  del  Naz- 
zareno predicata  in  Roma  dai  suoi  discepoli  ben  presto 
si  propagò  pure  in  Ostia,  che  fralle  città  suburbane  più 
vicine,  la  prima  fu  ad  avere  un  vescovo  ,  circostanza  , 
che  principalmente  influì  nell'uso  da  epoca  immemorabile 
stabilito,  che  il  vescovo  ostiense,  come  primo  frai  subur- 
bicarj,  consacri  il  nuovo  pontefice  romano,  uso  del  quale 
parla  l'insigne  padre  della  Chiesa  S.  Agostino  come  già 
fisso  ai  suoi  giorni  Brev.  Carthag.  Coli.  lib.  III.  e.  XVI. 
Maroni  Comment.  de  Eccl.  et  Episc.  Ostiens.  et  Velit.  Il 
primo  vescovo  certo  di  Ostia,  che  finora  si  conosca  ,  è 
S.  Quiriaco,  o  Ciriaco  citato  nel  martirologio  romano,  il 
quale  secondo  il  Maroni  fiorì  sul  principio  del  terzo  se- 
colo. Una  iscrizione  ora  mutila,  ma  che  Grutero  vide  in- 
tiera, la  quale  esiste  nel  chiostro  di  s.  Paolo,  ci  mostra 
che  la  colonia  di  Ostia  venne  da  Adriano  CONSERVA- 
TA ET  AVCTA  OMNI  INDVLGENTIA  ET  LIRERALI- 
TATE  EIVS.  Il  suo  successore  Antonino  Pio  vi  costrusse 
un  lavacro  il  quale  viene  enumerato  fralle  fabbriche  eret- 
te da  quell'ottimo  augusto  da  Capitolino  nella  sua  vita 
cap.  VIII.  ciò  mostra  che  non  solo  Ostia  veniva  protetta 
e  abbellita  dagl'imperadori,  ma  ancora,  che  malgrado  la 
vicinanza  di  Porto  la  popolazione  non  era  punto  scema- 
ta. E  che  infatti  fosse  città  frequentata,  salubre,  e  ame- 
nissima  sotto  i  primi  successori  di  Anfonino,  ce  ne  of- 
frono prova  Aulo  Gelilo  Noct.  Att.  lib.  XVIII.  e.  I.  e  Mi- 
nucio  Felice  Octav.  e.  II.  il  quale  secondo  il  De  Hoven 
Epist.  ad  Meermann  Longosalissae  1773.  fiorì  prima  di  Set- 
timio Severo,  contro  la  volgare  opinione  che  lo  fa  con- 
temporaneo di  Alessandro.  I  moltiplici  monumenti  tro- 
vati in  Ostia  contemporanei  dell'impero  di  Settimio,  quelli 
a  questo  imperadore  allusivi  ,  e  la  via   Uttorale    da  lui 

28 


434 

costrutta,  che  ebbe  il  nome  di  Severiana,  la  quale  co- 
minciando ad  Ostia  raggiungeva  l'Appia  presso  a  Terra- 
cina,  ci  rendono  certi  che  non  solo  Ostia  fioriva  sul  prin- 
cipio del  secolo  III.  ma  ancora  che  Settimio  Severo  molto 
la  favori  :  veggonsi  ancora  in  Ostia,  trasportati  dalle  ro- 
vine, piedestalli,  che  sostennero  statue  di  lui,  di  sua  mo- 
glie, e  della  Vittoria,  con  iscrizioni  che  verranno  ripor- 
tate a  suo  luogo. 

Gl'imperadori  susseguenti  non  si  arrestarono  dal  be- 
neficarla ed  ornarla  di  fabbriche  sontuose ,  indizio  che 
la  decadenza  generale  dell'imperio  non  si  era  ancor  fatta 
sentire  in  Ostia.  Di  Aureliano  ci  narra  Vopisco  e.  XLV. 
che  cominciò  ad  eriggervi  un  foro  sul  mare  :  questo  ne 
dovea  portare  il  nome,  ed  ivi  fu  poi  stabilito  il  pretorio 
pubblico  :  Forum  nominis  sui  in  Hostiensi  a  mare  fundare 
coepit  in  quo  postea  praetorium  publicum  constitutum  est.  Ta- 
cito suo  successore  gareggiò  con  lui  in  adomarla,  donan- 
dole cento  colonne  di  marmo  numidico,  o  giallo  antico 
di  23  piedi  di  altezza:  columnas  centum  numidicas  pedum 
vicenum  ternum  Hostiensihus  donavit ,  secondo  lo  storico 
sovraindicato  nella  vita  di  Tacito  al  capo  X.  Due  iscri- 
zioni simili  fra  loro  esistono  ancora  nella  casa  rurale  di 
Castel  Fusano,  una  intiera,  l'altra  frammentata,  riportate 
già  dal  Fabretti,  dal  Volpi,  dal  Maffei,  dal  Marini,  e  dal 
Fea,  nelle  quali  si  tratta  di  un  ponte  di  pietra  ricostrutto 
per  uso  degli  Ostiensi  e  de'Laurenti  da  due  imperadori, 
i  cui  nomi  veggonsi  cancellati  per  odio  del  successore  ; 
il  titolo  però  che  vi  si  legge  di  Persici  Maximiy  lo  stile 
delle  lapidi,  la  forma  delle  lettere,  la  ortografia  e  qual- 
che traccia  del  nome  Carino  che  pure  trapela  malgrado 
le  cancellature,  le  fanno  con  sicurezza  riferire  a  Caro, 
e  Carino  Augusti,  benché  Volpi  per  errore  le  attribui- 
sca a  Caracalla  ed  Alessandro  Severo,  che  mai  non  re- 
gnarono insieme,  Marini  a  Diocleziano  e  Massimiamo  che 


435 
ebbero  il  titolo  di  Persici  Maximi  nel!'  anno  289  ossia 
nella  tribunicia  potestà  V.  non  nella  prima;  ed  altri  ad 
altri.  Costantino  vi  eresse  una  basilica  ad  onore  degli 
apostoli  Pietro  e  Paolo,  e  di  s.  Giovanni  Battista,  e  no- 
bilmente dotoUa  di  sacri  utensili  e  di  possessioni^  fra  le 
quali  si  nomina  l'Isola  Sacra  fra  Ostia  e  Porto,  che  A- 
nastasio  appella  Arsis  nome  corrotto  dai  copisti  che  ci 
ricorda  la  selva  Arsia  menzionata  da  Livio.  Veggasi  Ana- 
stasio nella  vita  di  Silvestro  I.  Quindi  può  giustamente 
conchiudersi  che  Ostia  era  florida  ancora  e  protetta  da- 
gli augusti,  anche  in  concorrenza  di  Porto^  fino  alla  tra- 
slazione dell'impero.  Ma  dopo  non  troviamo  più  indizio 
della  cura  degl'imperadori  in  adornarla,  né  in  sostenerla, 
€  da  quanto  or  ora  dimostrerò  sembra ,  che  un  gravis- 
simo colpo  soffrisse  per  quella  fatale  traslazione.  <  ^ 
Nel  secolo  IV  si  rileva  da  Ammiano,  che  continua- 
vasi  a  sagrificare  ai  Castori,  onde  ottenere  la  tranquil- 
lità del  mare,  siccome  nel  359  fece  il  prefetto  di  Roma 
Tertullo:  Ammiano  l.  e.  Sul  principio  del  secolo  V.  ai 
tempi  di  Onorio,  Rutilio  descrivendo  il  suo  viaggio  ne 
indica  già  la  decadenza  in  que' versi  Itin.  lib.  I.  v.  179: 

Tum  demum  ad  naves  gradior  qua  fronte  bicorni  ^.j;-: 

Dividuus  Tiberis  dexteriora  secat. 
Laevus  inaccessis  fluvius  vitatur  harenis 

Hospitis  Aeneae  gloria  sola  manet. 

E  certamente  la  presa  di  Roma  e  la  invasione  gotica  in 
Italia  molto  nuocer  dovettero  ad  Ostia,  quantunque  nel 
tempo  stesso  secondo  la  Cosmografia  attribuita  ad  Etico, 
il  prefetto  di  Roma,  o  il  console  continuassero  a  cele- 
brarvi i  sacrificii  ad  onore  de' Castori  nelle  feste  JUaiu- 
mae  concorrendovi  il  popolo  romano  :  Hic^  cioè  il  Tevere, 
iterum  circa  sextum  PMlippi  quod  praedium  missale  appel- 


436 

latur  geminatur  et  in  duobus  ex  uno  effectus  insulam  fa- 
cit  inter  Portum  urbis  et  Ostiam  civitatem  :  ubi  populus  ro- 
manus  cum  urbis  praefecto  vel  consule  Castorum  celebran- 
dorum  caussa  egreditur  sohmnitate  iucunda.  Le  leggi  im- 
peratorie che  spensero  ogni  scintilla  dell'antico  colto  abo- 
lirono ancor  questa  festa  ,  e  questo  potè  pure  in  certa 
guisa  influire  al  totale  decadimento  di  Ostia.  E  benché 
Cassiodoro  Var.  lib.  VII.  ep.  IX.  parlando  di  Ostia  e  di 
Porto  dica  :  duo  quippe  tiberini  alvei  meatus,  ornatissimas 
civitates  tamquam  duo  lumina  susceperunt,  può  credersi  che 
riguardo  ad  Ostia  si  riferisca  piuttosto  all'  antico  suo 
splendore,  che  a  quello  de'giorni  suoi.  Imperciocché  un 
quadro  molto  triste  ne  fa  Procopio  Guerra  Gotica  lib.  I. 
e.  XXXVI,  circa  l'anno  540  dal  quale  può  riconoscersi 
quanto  fosse  di  già  abbattuta  :  a  sinistra  dinanzi  V  altra 
foce  del  Tevere  nel  mare  è  Ostia,  città  che  oltre  la  riva  del 
fiume,  fu  cospicua  un  giorno,  ma  oggi  priva  affatto  di  mu- 
ra ..  ,  andando  da  Ostia  a  Roma  la  via  è  coperta  di  selve, 
e  nel  resto  trascurata,  e  neppur  passa  vicino  al  Tevere,  non 
essendovi  il  tiro  delle  barche.  Da  questa  autorità  due  cose 
rileviamo,  che  Ostia  era  decaduta  già  da  molto  tempo, 
e  che  era  poco  frequentata,  così  che  l'aspetto  della  via 
corrispondeva  presso  a  poco  all'attuale.  Quindi  può  sta- 
bilirsi che  il  gran  crollo  e  quasi  abbandono  di  Ostia  suc- 
cedette nel  V  secolo.  È  pure  da  rilevarsi  che  Procopio 
nello  stesso  luogo  dice  la  foce  ostiense  ancor  navigabi- 
le :  è  il  Tevere  navigabile  da  aìnbe  le  parti.  E  che  molto 
di  buon  ora  cessasse  di  essere  città  popolosa  può  trarsi 
dalle  rovine  ancora  esistenti  della  città  antica,  fralle  quali 
non  ho  ritrovato  fabbriche  posteriori  al  secolo  III.  e  la 
chiesa  stessa  di  s.  Ercolano  che  è  fuori  del  recinto  della 
città  antica  non  è  per  la  sua  costruzione  posteriore  al 
secolo  V.  Ora  se  Ostia  era  già  sì  decaduta  nel  secolo  VI 
non  dee  recar  meraviglia,  se  ne'secoli  seguenti  VII  e  Vili, 


437 
secoli  di  ferro  per  questa  parte  d'Italia ,  cadesse  in  un 
quasi  totale  abbandono  e  squallore,  ed  infatti  un  docu- 
mento si  ha  in  Anastasio  che  nell'  anno  827  era  diruta 
affatto. 

Le  incursioni  de'Saraceni  finirono  di  spopolarla,  on- 
de Gregorio  IV  per  salvare  i  pochi  abitanti,  che  vi  erano 
restati  da  tali  piraterie  costrusse  un  nuovo  borgo  più 
dentro  terra,  cioè  presso  il  sito  di  Ostia  attuale,  e  a  que- 
sto die  il  suo  nome  chiamandola  Gregoriopoli  :  veggasi 
Anastasio  nella  vita  di  Gregorio  IV.  De  quibus  quoque 
insólitis  atque  cavendis  periculis  misericordissimus  praesul  ma" 
gnum  habens  timorem  ne  populus  a  Deo  sibi  et  beato  Petra 
commissus  apostolo  qui  in  portuensi  vel  ostiensi  civitatibus  a 
Saracenis  nefandissimis  tribulationis  oc  depraedationis  senti- 
rent  iacturam  intimo  trahens  ex  corde  mspiria  coepit  prthk  • 
denter  inquirere  quomodo  civitatem  ostiensem  adiuvaret  oc 
liberare  potuisset.  In  ejus  statim  omnipotens  Deus  hoc  dedit 
corde  consilium^  ut  civitatem  ibidem  qua  populum  salvare  vel' 
let  a  fundamentis  noviter  construere  debuisset  :   quoNlAM 

EA  qUAE  PRIORI  TEMPORE  AEDIFICATA  FUERAT  LON- 
GO  qUASSATA  SENIO   NUNC  VIDERETUR   ESSE   DIRUTA. 

Fecit  autem  iuxta  quod  ei  fuerat  divinitus  inspiralum  :  in 
praedicta  enim  civitate  ostiensi  civitatem  aliam  a  solo  valde 
fortissimam  muris  quoque  altioribus,  portis  simul  ac  seris 
et  catarrhactis  eam  undique  permunivit ....  cui  etiam  no^ 
viter  civitati  constructae  hoc  nomen  in  sempiternum  statuii 
permanendum,  scilicet  ut  ab  omnibus,  site  Romanis ,  sive 
aliis  nationibu^  a  proprio  quod  ei  erat  nomine  idest  Grego- 
riopolis  vocaretur.  Ad  alcuno  potrebbe  imporre  quel  passo 
di  questo  squarcio  di  Anastasio  :  in  praedicta  enim  civi- 
tate ostiensi  civitatem  aliam  a  solo permunivit  : 

quasi  Gregoriopoli  sorgesse  sulle  rovine  di  Ostia  antica; 
ma  siccome  Ostia  moderna  non  è  più  di  un  mezzo  mi- 
glio distante  dall'antica ,  ed  è  in  parte  fabbricata  sopra 


438 

edificj  de'sobborghi  di  Ostia,  non  dèe  recar  sorpresa  cHe 
uno  scrittore  de'bassi  tempi  abbia  detto  Gregoriopoli  eret- 
ta in  Ostia  :  è  poi  un  fatto ,  che  mentre  alcuni  abituri 
di  Ostia  attuale  mostrano  per  la  loro  costruzione  il  se- 
colo IX.  e  che  la  chiesa  di  s.  Aurea  occupa  il  silo  di 
quella  che  era  pur  cattedrale  nel  secolo  XII  dedicata 
alla  stessa  santa,  niun  frammenta  del  secolo  IX  si  trova 
fralle  rovine  di  Ostia  antica.  Questa  borgata  eretta  da 
Gregorio  lY  per  poca  tempo  conservò  il  suo  nome,  anzi 
poco  dopo  sotto  Leone  IV  si  trova  dallo  stesso  Anasta- 
sio detta  Ostia,  allorché  i  Napoletani  batterono  nelle  sue 
vicinanze  alla  foce  del  Tevere  una  squadra  di  Saraceni^ 
soggetto  reso  immortale  dalla  mano  di  Raffaello  che  mi- 
rabilmente la  dipinse  nella  ultima  delle  quattro  stanze  che 
portano  il  suo  nome  nel  Vaticano.  Nuove  fortificazioni 
fece  ad  Ostia  moderna,  secondo  il  più  volte  citato  Ana- 
stasio, il  pontefice  Nicolò  I,  che  salì  al  soglio  pontificio 
r  anno  858.  Da  Riccobaldo  Ferrarese  presso  i  R.  I.  S- 
Tom.  IX.  p.  310  apprendiamo  che  nell'  anno  917  Àbel- 
cayto  saraceno  venuto  alla  foce  del  Tevere  presso  Ostia» 
ed.  ito  verso  Roma  la  pose  in  istretto  assedio. 
^V  4 -Dopo  troviamo  sempre  menzionata  Ostia,  come  luogo 
dove  approdavano  coloro  che  per  mare  venivano  a  Ro- 
ma, o  ne  partivano,  quindi  sembra  che  le  cure  del  pon- 
tefice Leone  IV  per  ripopolare  Porto  riuscirono  infrut- 
tuose, onde  quella  città  rimase  poco  dopo  abbandonata, 
e  mancata  la  popolazione  ,  interratosi  il  porto  e  resasi 
men  praticabile  la  foce  destra ,  le  navi  furono  forzate 
a  rimontare  il  Tevere  per  la  foce  sinistra.  Questo ,  a 
mio  credere,  fu  il  motivo  che  più  di  ogni  altro  contri- 
buì a  mantenere  qualche  popolazione  in  Ostia ,  mal- 
grado la  infelicità  de'tempi.  Circa  1'  anno  1086  Vittore 
III  nel  venire  a  Roma  passò  il  Tevere  presso  Ostia:  iu- 
xta  civitatem  Hostiensem  Tyherim  cum  omnibus   transiens^ 


439 
quum  gravi  infirmitate  detineretur  extra  porticum  s.  Petri 
tentoria  fixity  come  narrasi  nella  cronaca  cassinense  presso 
il  Muratori  R.  I.  S.  T.  IV.  p.  477:  più  sotto  dalla  stessa 
Cronaca  Cassinense  si  nomina  Ostia  come  in  potere  dello 
stesso  papa,  del  quale  avca  riconosciuta  l'autorità,  segno 
che  era  un  luogo  di  qualche  importanza.  In  una  carta 
pubhlicata  dal  Muratori  Ant.  Med.  Aev.  T.  I.  p.  675,  e 
riprodotta  dal  Maroni  Op.  cit.  App.  n.  II.  si  vede  che 
il  popolo  ostiense  ai  26  di  maggio  dell'anno  1159  pro- 
mise di  dare  a  titolo  di  tributo  ogni  anno  in  Roma  a 
Marmorata  ,  o  a  Ripa  Romaea  ,  che  è  la  odierna  Ripa 
Grande,  due  carri  {platratas  o  piuttosto  plaustratas  )  di 
legna  al  papa,  una  nel  dì  di  Natale,  l'altra  in  quello  di 
Pasqua,  sotto  pena  di  pagare  cento  lire  provesine.  In  tal 
circostanza  i  deputati  del  commune  di  Ostia  furono  Ca- 
pascià  procuratore.  Romano  Boccapassa,  Nicola,  Azzo, 
Amato  Sassone,  Giovanni  Bezone,  ed  Adelmaro  Peregri- 
no- Si  aggiunge  che  sottoscritto  l'atto  il  di  31  di  maggio 
venne  letto  avanti  la  chiesa  di  s.  Aurea  ,  allora  ,  come 
pure  oggi ,  cattedrale  di  Ostia ,  alla  presenza  dell'  arci- 
prete e  de'chierici  ostiensi  al  popolo  convocato,  onde  ot- 
tenere personalmente  il  consenso  da  ciascun  individuo  : 
il  nome  di  quelli  che  lo  prestarono  vi  si  legge  in  nu- 
mero di  14 ,  ma  non  sono  tutti,  poiché  si  termina  con 
un  etc.  Questo  documento  ci  fornisce  una  idea  dello  stato 
della  popolazione  di  Ostia  circa  la  metà  del  secolo  XII. 
Il  Maroni  nella  opera  citata  prova  con  buone  ragioni  es- 
sere stato  verso  quella  stessa  epoca  unito  il  vescovato 
di  Ostia  a  quello  di  Velletri  dal  pontefice  Eugenio  III 
appunto  per  la  poca  popolazione  di  Ostia  :  egli  mostra 
che  Guidone  morto  nel  1150  fu  l'ultimo  vescovo  avanti 
la  unione  e  che  il  primo  a  reggere  le  due  chiese  unite 
fu  Ugone  il  quale  morì  nel  1158.  Il  pontefice  Alessan- 
dro III  asceso  alla  cattedra  di  s.  Pietro  nell'anno  stesso 


440 

dell'atto  surriferito,  entrò  venendo  da  Messina  nella  foce 
del  Tevere  l'anno  seguente  1160  il  dì  di  santa  Cecilia 
(  22  novembre  )  et  Ostiam  vói  ea  nocte  ductore  Domino 
cum  fratribus  suis  quievit,  sanus  et  incolumis  pervenit,  scrive 
il  card,  di  Aragona  nella  sua  vita  presso  i  Rerum  Ita- 
licarum  Scriptores  T.  III.  P.  I.  p.  457.  Sul  finire  dello 
stesso  secolo  una  bolla  di  Celestino  III  d^la  ai  30  di 
marzo  1191  e  riferita  nel  Bollano  Vaticano<  T.  I.  p.  75 
nomina  varj  fondi  urbani  e  suburbani  di  Ostia  ,  il  che 
può  fornirci  una  idea  dello  stato  di  questa  città  :  tres 
dom€s  quas  intra  civitatem  Hostiensem  hahetis  intrante  por- 
tam  ipsius  civitatis  manu  dextra  iunctas  muro  eiusdem  civi- 
tatis,  terras  et  vineolas  in  eodem  territorio  positas  non  longe 
a  stagno  et  bucina.  Quatuor  casalinos  et  duas  crypias  cum 
curte  ante  se  et  ortis  post  se  cum  introitibus  et  exitibus  eo- 
rum  extra  portam  eiusdem  civitatis  non  longe  ab  eadem  Ho- 
stiensi  civitate  sita  in  loco,  qui  vocatur  Calcaria.  Sul  prin- 
cipio del  secolo  seguente  il  vescovo  di  Ostia  Ugolino  , 
poi  papa  Gregorio  IX  fortificò  la  città  dopo  averla  tolta 
dalle  mani  di  alcuni  invasori:  civitatem  Ostiam  turribus 
munivit  et  muris  sumptibus  et  laboribus  magnis  de  manibus 
occupantiurn  potenter  erepta,  scrive  Bernardo  Guidone  pres- 
so i  Rer.  Ital.  Script.  T.  III.  P.  I.  pag.  575.  Che  Ostia 
continuasse  ad  esser  popolata  almeno  mediocremente 
verso  la  metà  dello  stesso  secolo  n'è  prova  un  passo  della 
storia  ecclesiastica  di  Tolomeo  da  Lucca  lib.  XXII.  cap. 
XVII  presso  il  Muratori  Rer.  Italie.  Script.  T.  X.  p.  1150, 
nel.  quale  si  narra  di  Alessandro  IV  eletto  papa  nell'an- 
no 1254,  che  essendo  vescovo  di  Ostia  e  Velletri  andava 
or  nell'una,  or  nell'altra  città  a  predicarvi  la  parola  di 
Dio,  o  a  farvela  annunziare  alla  sua  presenza:  et  inter- 
dum  ibat  Ostiam  et  Veletrum  ibique  praedicabat  verbum  Dei 
vel  coram  se  praedicare  faciebat.  Mentre  così  raggevasi 
Ostia  dopo  la  riedificazione  di  Gregorio  IV,  malgrado 


441 

lo  stato  lagrimevole  in  che  era  caduta  Roma  ed  il  La- 
zio, ai  5.  di  Agosto  1327.  i  Genovesi  alleati  dal  re  Ro- 
berto di  Napoli  fatta  una  discesa  sul  littorale  ostiense 
presero  e  saccheggiarono  la   città,    e   la   ritennero  mal- 
grado il  tentativo  fatto  dai  Romani  per  discacciameli,  i 
quali  accorsi  senza  alcun  ordine  e  a  furia  di  popolo  fu- 
rono da  loro  messi  in  piena   rotta.   Costretti   questi   a 
fuggirsene  a  Roma,  i  Genovesi  prevedendo  di  non  po- 
tervisi  mantenere,  misero  fuoco  alla  terra,  e  sen  ritor- 
narono  alle  navi.  A  questa  sciagura    tenne   dietro  l'al- 
tra dell'anno  seguente  che  ai  13.  di  maggio  fu  di  nuovo 
presa  dai  nemici  di  Roma  essendosene   impadronite  le 
galee  del  re  Roberto  stesso  ,  ed  invano  i  Romani  uniti 
ad   800.    cavalli  del  Bavaro   tentarono  ritorta  ,  siccome 
leggesi  in  Giovanni  Villani  Storie  lib.  X.  e.  XX.  e  LXXII. 
Questi  disastri  però  non  spopolarono  affatto  la  città,  poi- 
ché  si   rileva  da  una  bolla  di  Benedetto  XII.    data   ai 
19   luglio  1335.  e  riportata  dal   Maroni   nell'Appendice 
n.   III.  che  vi  era  ancora  una   considerabile  popolazio- 
ne, ingiungendo  il  pontefice,  che  oltre  l'arciprete,  i  die- 
ci  canonici   annessi   alla   cattedrale  di   Ostia   dovessero 
personalmente  risiedervi   ed  officiarvi,  ovvero  sostituire 
persone  idonee  in  altrettanti  vicarj.  La   lunga    assenza 
de'papi  da  Roma,  se  fu  gravemente  risentita  dalla  me- 
tropoli ,  molto  più    dovea   esserlo   da   questa   terra ,   la 
quale  solo  per  la  capitale  e  pel  debolissimo  commercio 
fra   questa  e  il    mare   si   sosteneva.    Infatti   al   ritorno 
della  .«ede  pontificia  in   Roma,  l'  autore  dell'  Itinerario 
di   Gregorio   XI,  pontefice  che  secondo  una  vita  ripor- 
tata dal  Baluzio   ed  inserita  dal  Muratori  nella  raccol- 
ta dei  Rerum  Italicarum  Scriptores  T.  III.  P.  II.  p.  660 
e  seg.  approdò  al  porto  di  Ostia  ai  14.  di  gennaio  1377. , 

descrive  questa  città  come  fortificata ,  venerabile ,   ma 

di  nessuna  esistenza: 


442 

Ostiam  ingressi  fuimus 

Murale  praesidium  mirabile  est: 

Civita»  venerabilis  nullius  existentiae: 

Ibi  caenavimus 
Come  piazza  forte  era  ancora  importante  e  perei* 
Ladislao  re  di  Napoli  scn  rese  padrone  nell'aprile  del- 
l'anno 1480.  secondo  l' Infessura  R.  I.  S.  Tom.  III.  P. 
II.  p.  705r  DeW  anno  1408^.  in  tempo  di  papa  Gregaria 
(XIL)  venne  lo  re  Ladislao  da  Napoli  nel  mese  d'apri- 
le a  di  18.  e  mise  cainpo  ad  Ostia  per  mure  et  per  ter- 
ra et  ebbela  per  battaglia  et  stavaci  per  castellano  messer 
Paolo  di  Battista  di  Govio.  Un  altro  Diaria  pur  rife- 
rito dal  Muratori  nella  stessa  raccolta  Tom.  XXIV. 
pag.  900.  riportando  questo  stesso  fatto  narra  che  Ostia 
fu  presa  il  dì  18.  e  che  ai  20.  il  re  mossosi  verso  Ro- 
ma pose  campo  a  s.  Paolo.  Ma  nella  Cronaca  di  Rolo*- 
gna  presso  il  lodato  scrittore  T.  XVIII.  p.  894.  si  di- 
ce che  Ostia  fu  presa  il  23.  Le  genti  che  in  quella 
occasione  seguirono  il  re  leggonsi  enumerate  in  un  ma- 
noscritto vaticano  riportato  dal  Muratori  T.  III.  P.  IL 
p.  845.  14.  ...  re  Lanzilao  con  ben  da  12000.  caval- 
li et  molti  fanti  da  piedi  cioè  10000.  fanti ,  et  etiam  con 
armata  per  mare  de  60.  fuste  venne  a  campo  a  Velletri 
doi  dì  et  pigliao  Ostia  per  forza.  Nell'anno  1410.  questa 
città  si  tenne  fedele  al  papa  Alessandro  V ,  siccome  si 
narra  da  Sozomeno  Pistoiese  Specimen  Hist.  presso  i  R. 
I.  S.  Tomo  XVI.  p.  1197.,  ma  ai  26.  di  Giugno  1413. 
fu  ripresa  da  Ladislao,  secondo  il  Diario  riportato  nel- 
la raccolta  sovraindicata  T.  XXIV.  p.  1036.  Dopo  que- 
ste vicende  sotto  Martino  V.  ne  vennero  ristaurate  le 
fortificazioni  siccome  si  riconosce  dallo  stemma  di  que- 
sto papa  oggi  esistente  sulla  torre  ma  non  al  suo  po- 
sto primitivo.  Continuò  però  durante  tutto  quel  secolo 
a   servire  di  luogo    di  sbarco  per  quelli  che  dal  mare 


443 

tenivano  a  Roma ,  siccome  si  legge  nella  vita  di  Pio 
II.  scritta  da  Giovanni  Antonio  Campano  presso  i  Re- 
rum Ital.  Script.  T.  III.  P.  II.  p.  981.  di  Carlotta  regina 
di  Cipro:  Carlottam  quoque  reginam  Cypri  regno  deturbatatn 
a  fratre  atque  ad  socerum  allobrogem  navigantem ,  descen" 
dere  ad  Ostiam ,  oc  Romae  excipi  datis  equts,  quibus  iter 
reliquum  terra  conficeret  viatico  eiiam  prosequutus  etc.  Pio 
II.  pure  ,  secondo  che  narra  lo  stesso  Campano  poca 
dopo  nelle  sue  escursioni  archeologiche  pertossi  anche 
ad  Ostia  dove  corse  un  grave  pericolo  da  una  improv- 
visa inondazione:  Viam  quoque  Appiam,  et  aquaeductum  et 
Ostiam  et  Traiani  portum  diversis  secessibus  inspexit  .... 
Ostiae  vero  in  discrimine  fuit  gravissima  exorta  procella 
compuhus  metu  inundationis  nocte  media  cubiculo  excedere. 
Nel  1472.  vi  s'imbarcò  il  card.  Roderico  Borgia  per  la 
legazione  ispanica  ai  24  di  maggio  dopo  esservisi  tratte- 
nuto parecchi  giorni  a  causa  de'tempi  contrariit  veggasi 
il  Volaterrano  Diario  dì  Sisto  IV.  presso  i  Rer.  JtaL 
Scrip.  T.  XXIII.  p.  88,  Verso  quella  stessa  epoca  il 
celebre  card,  d'  Estouteville  vescovo  ostiense  ristaurà 
la  città,  e  forse  sotto  di  lui  fu  dato  principio  alla  co- 
struzione della  torre  attuale,  la  quale  fu  innalzata  e  for- 
tificata dal  card,  della  Rovere  poi  papa  Giulio  II.  sic- 
come or  ora  vedremo:  sopra  di  questa  le  armi  di  Si- 
sto IV.  sembrano  le  originali:  Idem  quoque  Hostiam  jam 
pridem  eversam  magna  impensa  restituita  ducto  circumqua- 
que  muro,  vicisque  directis  ac  domibus  aedificatis  ad  decor- 
rem  loci  et  utilitatem  incolentium:  veggasi  la  Raccolta  più 
volte  citata  T.  III.  P.  II.  p.  1064.  È  ^da  notarsi  in 
questo  passo,  che  Ostia  prima  di  quel  cardinale  era  da 
qualche  tempo  rimasta  abbattuta,  jam  pridem  eversam. 
Le  sue  armi  gentilizie  veggonsi  affisse  intorno  al  recin- 
to, il  quale  è  di  una  costruzione  analoga  a  quel  seco- 
lo, siccome  pur  sono  molte  case    della  odierna  Ostia. 


AH 

Egli  fece  ancora  fare  a  Baccio  Pinlclli  il  modello  del- 
la  nuova  chiesa  di  s.  Aurea,  siccome  narra  il  Vasari 
nelle  Vite  de  Pittori  T.  III.  p.  350.  ediz.  senese^  il  qua- 
le  fu  eseguito  sotto  il  suo  successore,  il  card.  Giulia- 
no della  Rovere.  Sotto  questo  vescovo  nel  1482.  due 
volte  Ostia  fu  visitata  dalle  galee  del  re  di  Napoli , 
le  prime  furono  in  numero  di  sette,  ed  erano  capita- 
nate da  Villamarina,  le  altre  erano  dodici,  ed  aveano 
con  loro  quattro  fuste.  Ambe  le  volte  però  furono  for- 
zate ad  allontanarsi,  sendo  la  rocca  presidiata  da  fan- 
ti commandati  da  un  tal  Majannino  da  Firenze  che  tras- 
se contro  la  squadra  un  passavolante.  Veggasi  la  parte 
seconda  del  tomo  III.  de'  Rer.  Ital.  Script,  pag.  1072 , 
e  1075.  Morì  il  d'Estouteville  nell'anno  seguente  dopo, 
un  lunghissimo  cardinalato,  e  gli  successe  nella  sede  o- 
stiense  il  card.  Giuliano  della  Rovere  citato  di  sopra, 
nepote  del  papa  regnante ,  ed  il  quale  poi  dovea  illu- 
strare il  romano  pontificato.  Egli  riconoscendo  la  impor- 
tanza del  sito  si  diede  a  fortificare  validamente  Ostia  ^ 
servendosi  della  opera  di  uno  de'più  rinomati  architetti 
militari  del  suo  tempo,  cioè  Giuliano  da  Sangallo,  man- 
dandolo a  cercare  a  Firenze  e  ritenendolo  in  Ostia  per 
ben  due  anni,  siccome  narra  il  Vasari.  Sue  opere  per-, 
tanto  sono  la  torre  attuale  e  le  fortificazioni  che  la  co- 
ronano, siccome  viene  attestato  dallo  stile  del  monumen- 
to ,  della  moltiplicità  delle  sue  armi ,  e  dalle  iscrizioni 
che  vi  si  leggono.  Imperciocché  sull'architrave  della  por- 
ta esterna  della  rocca  fra  due  ramuscelli  di  quercia,  al- 
bero emblematico  della  famiglia,  leggesi: 

IVL  .  SAÓnENSIS    .    EPISCOPVS 
CARD  .  OSTIENSIS  .  FVNDAVIT 

e  questa  epigrafe  trovasi  pur  ripetuta  sulla  pwla  inter- 


U5 

na.  Battute  pur  furono  in  memoria  di  tal  costruzióne 
medaglie ,  delle  quali  non  rimangono  che  esemplari  di 
bronzo,  sebbene  non  si  possa  assicurare  che  non  ne  ve- 
nissero coniate  in  metalli  più  nobili.  Una  di  esse  offre 
nel  rovescio  la  rocca  ostiense  colla  leggenda:  ivl  .  card  . 
^EPOs  .  IN  .  osTio  .  tiberino:  l'altra  conscrvavasi  nel  mu- 
seo Borgia ,  ed  è  riportata  dal  Maroni  :  essa  nel  dritto 
ha  la  protome  del  cardinal  Giuliano  colla  iscrizione;  ivl  . 
EPisc  .  osTiEN  .  nel  rovescio  la  rocca,  presso  a  poco  co- 
me ancora  rimane  colla  leggenda,  compimento  della  pre- 
cedente ,  CARD  :  s  :  p  :  AD  vinc.  Sembra  che  il  cardinal 
Giuliano  invitasse  lo  zio  pontefice  Sisto  IV.  a  vedere  i 
suoi  lavori,  poiché  leggiamo,  che  nello  stesso  anno  1483, 
Sisto  IV.  imbarcossi  in  Roma  a  Ripa  Grande  allora  det- 
ta Ripa  Romèa  sopra  un  legno  bene  adorno  e  correda- 
lo, detto  il  Bucentoro:  veggansi  i  Rer.  Ital.  Script.  Torn- 
ili. P.  II.  p.  1083:  e  T.  XXIII.  p.  191.  Questa  rocca 
servì  di  ricovero  nel  1492  allo  stesso  cardinale  Giulia- 
no nel  pontificato  di  Alessandro  VI:  R.  I.  S.  T.  III.  P. 
II.  p.  1245.  e  seg.  egli  dopo  esscrvisi  sostenuto  fino 
al  1494,  ed  averla  fornita  per  tre  anni  di  viveri  e  mu- 
nizioni, imbarcossi.  Dopo  la  sua  partenza  Alessandro  VI. 
il  dì  26.  di  aprile  la  mandò  ad  assalire:  e  nello  stesso 
anno  si  arrese  ai  Francesi,  che  non  vi  si  poterono  reg- 
gere lungamente ,  poiché  vennero  discacciati  dal  cardi- 
nal Giuliano.  Siccome  si  è  finora  veduto,  questo  perso- 
naggio contribuì  molto  al  ristauro,  ed  all'abbellimento 
di  Ostia,  e  divenuto  papa  non  abbandonò  punto  la  ope- 
ra incominciata  ,  quindi  le  sue  armi  e  come  cardinale , 
e  come  papa  sono  sparse  per  la  torre,  e  pel  recinto:  ed 
opera  sua  è  la  chiesa  di  S.  Aurea  ordinata  dall' Estou- 
teville,  come  lo  sono  la  rocca,  e  la  torre  di  difesa  sul 
Tevere  detta  di  Bovacciano.  Innocenzo  Vili,  successore 
di  Sisto   IV.    Leone  X.  successore  di  Giulio   sembrano 


446 

aver  fatto  qualche  ristauro  alla  rocca  vedendosi  ivi  le 
loro  armi.  Ma  dovè  molto  sofferire  nella  invasione  bar- 
barica del  1527,  poiché  nell'ingresso  della  torre  a  sini- 
stra della  porta  esterna  leggesi  una  iscrizione,  nella  qua- 
le dicesi  che  a  spese  di  Paolo  III.  Stefano  Cansaco  a- 
merino  rifece  la  rocca  quasi  diruta  ai  27.  di  giugno 
1537: 

ÀRCEM.HANC 
PROPE.DIRVTA 
I MPENSA . PA VLI 
III  .  PONT  .  MAX  .  ST 
EPHANVS.CANS 
ACHVS.AMERIN 
VS  .  RESTIT  .  V  .  KL 
IVL  .  M  .  D  .   XXXVII 

Non  vuol  starsi  alla  stretta  significazione  delle  parole 
di  questa  epigrafe ,  poiché  la  torre  in  tutta  la  sua  co- 
struzione si  mostra  sempre  del  secolo  XV.  e  le  armi  dei 
pontefici  anteriori  a  Paolo  III.  vieppiù  lo  confermano; 
ma  é  ben  vero  che  guasti  gravi  ricevè  nella  invasione 
del  1527.  per  aver  bisogno  di  essere  ristaurata  da  Pao- 
lo III,  il  quale  era  vescovo  ostiense  mentre  accadde  quel- 
la barbarica  incursione  ,  ed  avea  già  fatti  ristauri  alla 
torre,  poiché  le  sue  armi  come  cardinale  ancora  vi  ri- 
mangono. Le  cure  che  i  sommi  pontefici ,  ed  i  vescovi 
ostiensi  prendevano  per  la  rocca  dimostrano  quanto  con- 
to si  facesse  di  Ostia  nel  secolo  XV.  e  possono  pur  for- 
nire la  idea  che  non  fosse  allora  una  città  abbando- 
nata. Né  Paolo  III.  é  1'  ultimo  esempio  che  possiamo 
citare  di  tale  sollecitudine  per  questa  città;  impercioc- 
ché le  armi  di  Pio  IV.  e  quelle  soprattutto  del  card. 
Alfonso  Gesualdo,  che  si  veggono  sulla  porta  della  Ter- 


447 

ra  e  sopra  quella  della  chiesa  cattedrale,  mostrano  che 
almeno  fino  all'anno  1603,  nel  quale  morì  questo  vesco- 
vo ostiense,  secondo  il  Maroni  continuavasi  a  sostenere 
questa  città.  Ma  come  si  è  veduto  che  Tantica  avea  ri- 
cevuto il  primo  colpo  dall'  apertura  del  porto  di  Clau- 
dio ,  cosi  la  moderna  Ostia  pel  riaprimento  della  fo- 
ce destra  del  Tevere  fatto  da  Paolo  V.  nell'anno  1612. 
cadde  in  abbandono,  e  appena  si  sostenne  un  picciol 
numero  di  abitatori  per  la  continuazione  delle  saline , 
per  la  pesca,  per  la  coltivazione  dei  terreni,  e  la  guar- 
dia de'  bestiami.  Uno  stato  della  popolazione  di  Ostia 
nel  1765.  ci  viene  fornito  dalla  relazione  manoscritta 
della  visita  episcopale  fatta  sotto  il  card.  Guidobono 
€avalchini ,  dalla  quale  ricavasi  che  allora  questa  città 
contava  ancora  49  famiglie  e  156  anime,  che  vi  resta- 
vano ancora  durante  la  state.  Ma  l'abbandono  delle  sa- 
line avvenuto  sul  finire  del  secolo  scorso,  1'  essere  sta- 
ta contemporaneamente  ridotta  Ostia  in  asilo  di  fuoru- 
sciti ,  finirono  di  deprimerla  ,  ed  oggi  nella  state  non 
contiene  50  individui,  che  sono  i  soli,  i  quali  possono 
dirsi  permanenti,  ed  ancor  questi  in  gran  parte  si  com- 
pongono degl  operai  delle  saline  novellamente  riaperte. 
Delle  rovine  di  Ostia  antica  Lipsio  De  Magnit.  Rom. 
lib.  III.  che  le  vide  nel  secolo  XVI.  ci  ha  lasciato  il 
quadro  seguente  ;  vidimus  ipsi  apud  Ostiam  et  Ardeam 
rudera  et  per  sylvas  illas  ac  vepreta  quot  columnae  aut 
earum  fragmenta,  cryptae,  porticus  et  disjecta  aedium  mem- 
bra. Questi  indizii  e  la  celebrità  del  luogo  diedero  im- 
pulso sul  declinare  dello  scorso  secolo  a  varii  amatori 
di  antichità  di  aprirvi  escavazioni ,  che  pei  loro  felici 
risultamenti  animarono  il  pontefice  Pio  VII.  ne'  primi 
anni  del  secolo  attuale  a  caldamente  proseguirle.  Come 
parte  anche  esse  della  storia  ostiense  credo  opportu- 
no di  riferìre  in  questo  luogo  le  scoperte  di   antichi 


448 

monumenti ,  de'  quali  mentre  é  certo  che  furono  rinve- 
nuti in  Ostia ,  ignorasi  però  il  luogo  preciso  del  loro 
ritrovamento.  In  questa  notizia  farò  uso  principalmente 
dell'  opuscolo  più  volte  citato  del  Fea.  Quanto  poi  ai 
monumenti  rinvenuti  in  luoghi  determinati  ne  farò  men- 
zione allorché  parlerò  de'  ruderi  fra'  quali  furono  sco- 
perti. Riferisce  pertanto  quello  scrittore  che  prima  del- 
l'anno 1803.  gli  scavi  non  furono  eseguiti  con  ordine, 
ma  che  fin  dal  1783  erano  stati  intrapresi.  I  primi  fu- 
rono quelli  del  sig.  di  Norogna,  ministro  di  Portogallo 
presso  la  s.  Sede  :  egli  trovò  parecchi  busti ,  fra'  quali 
uno  creduto  di  Alessandro  ,  un  gruppo  di  tre  figurette 
in  piedi,  colonne  di  granito  alte  circa  18.  palmi,  pavi- 
menti di  musaico,  de'quali  uno  rappresentante  Marte  e 
Rea  Silvia  passò  in  casa  Altieri,  ed  il  più  bello,  insie- 
me col  gruppo  sovraccennato  fu  mandato  a  Lisbona;  inol- 
tre vennero  scoperti  da  30  antichi  dolii  di  terra  cotta 
in  una  cella  vinaria,  capaci  di  circa  21  barili  e  mezzo 
romani ,  i  quali  in  parte  furono  acquistati  dal  principe 
Chigi  che  li  pose  ad  ornamento  del  piazzone  di  Castel 
Fusano  dove  ancora  si  veggono,  in  parte  trasportati  in 
Roma  servirono  allo  stesso  uso  in  villa  Borghese,  villa 
Negroni  ec.  Nello  stesso  anno  un  altro  scavo  fu  aperto 
dall'  incisore  Volpato ,  che  continuò  ancora  negli  anni 
susseguenti;  in  esso  emersero  dalla  terra  alcune  statuet- 
te di  bronzo  di  buona  maniera,  molte  monete,  e  mol- 
te bandelle  pure  di  bronzo  a  cerniera  a  tre  ordini,  le 
quali  aveano  un  mezzo  palmo  di  altezza  con  le  lettere 
AN.  Nel  1788.  nel  sito  denominato  la  capanna  de' Bassi 
dal  pittore  Gavino  Hamilton  fu  trovata  una  Venere  se- 
minuda di  buona  maniera,  un  Antinoo  colossale,  ed  un 
tripode.  Altri  scavi  intraprese  nel  1796  Roberto  Fagan 
il  quale  vi  trovò  due  o  tre  statue,  una  delle  quali  rap- 
presentante un  Apollo  passò  in  Inghilterra  presso  il  sig. 


449 

Thornhill,  e  varii  pezzi  di  condotto  di  piombo:  nel  1797, 
e  1798  egli  proseguì  gli  scavi  presso  Tor  Bovacciana  e 
vi  rinvenne  oggetti  insigni,  i  quali  verranno  enunciati, 
dove  si  descriverà  il  luogo  dello  scavo  medesimo.  Ne- 
gli stessi  dintorni  presso  il  Tevere  furono  fatte  ricerche 
nel  1800  e  queste  riuscirono  molto  felici,  secondo  ciò 
che  a  suo  luogo  sarà  indicato.  Nel  1801  fu  scoperta  la 
statua  di  un  preteso  console  ,  un  torsetto  e  frammenti 
di  condotti  di  piombo  colla  epigrafe: 

jCNASENNIVSMVSAEVSFACIT  :,ij    yj 

JttAVACLEM  ,„    r,[(i(iij 

cioè  Cairn  Nasennius  Musaeus  facit  forse  per  fecit:  Mar- 
ci Aurelii  Clementis.  Fu  nel  1803.  che  cominciarono  le 
grandi  escavazioni  per  ordine  del  pontefice  Pio  VII.  E 
queste  durarono  fino  all'anno  1806:  esse  hanno  fatto  ri- 
tornare alla  luce  insigni  monumenti ,  oggi  raccolti  nel 
museo  Vaticano,  ed  hanno  fornito  nuovi  lumi  sulla  to- 
pografia dell'  antica  città.  Sarebbe  a  desiderarsi ,  che 
fossero  continuate,  non  solo  per  riacquistare  oggetti  in- 
volati alle  arti  dalla  barbarie  e  dalla  miseria  de' tempi, 
ma  ancora  per  avere  una  idea  più  circostanziata  delle 
fabbriche  di  questa  illustre  colonia. 

Fin  dapprincipio  si  è  indicato  che  la  odierna  Ostia 
é  circa  un  mezzo  miglio  più  verso  Roma  dell'  antica  : 
essa  si  compone  di  una  fortezza  costrutta  ai  tempi  di 
Sisto  IV.  dal  suo  nipote  il  card.  Giuliano  della  Rovere 
vescovo  di  Ostia,  e  poi  papa  Giulio  II,  di  poche  case 
rustiche  generalmente  del  secolo  XV,  e  della  chiesa  cat- 
tedrale dedicata  a  s.  Aura  riedificata  nello  stesso  seco- 
lo dallo  stesso  card,  della  Rovere.  È  cinta  di  un  debo- 
le muro  merlato  difeso  da  qualche  torre,  opera  in  gran 
parte  del  card.  d'Estou  te  ville  secondo  che  si  vide  nella 

29 


storia  è  secondo  che  mostrano  le  amii  :  una  parte  di 
questo  recinto  serve  di  parete  e  sostegno  alle  case,  e 
verso  oriente  1'  autore  di  esso  profittò  di  una  fabbrica 
antica.  La  forma  della  terra  murata  può  ridursi  ad  un 
quadrato ,  di  cui  il  Iato  settentrionale  ha  la  porta ,  il 
meridionale  la  chiesa,  e  l'occidentale  viene  presso  che 
Mitieramente  occupato  dalla  fortezza  volgarmente  detta 
ia  Torre  di  Ostia,  mentre  l'orientale  è  coperto  da  case. 
La  popolazione  nella  state,  ora  che  le  saline  sono  state 
riaperte  non  giunge  a  40  individui  e  questi  generalmen- 
te non  indigeni^  nell'inverno  viene  accresciuta  da  cen-: 
tinaja  di  contadini  ed  altra  gente  rustica  ,  che  non  è 
stazionaria.  Quantunque  la  torre  sia  oggj  abbandonata 
ed  in  parte  cadente,  ed  il  fossato  ricolmo,  pur  rifletten- 
do at  secolo  della  sua  costruzione,  a  Giuliano  da  San^ 
gallò,  che  secóndo  il  Vasari  l'architettò,  ed  alla  resisten- 
za che  fece  ai  tempi  del  card,  della  Rovere,  può  giu- 
stamente riguardarsi  come  una  delle  più  belle ,  e  più 
celebri  fortezze  di  quel  tempo.  Su  di  essa  sono  le  ar- 
mi di  Martino  V.  Sisto  IV.  Innocenzo  Vili,  del  card. 
Giuliano  della  Rovere,  e  come  cardinale,  e  come  papa, 
di  Leone  X.  di  Paolo  III.  e  di  Pio  IV.  altre  insieme 
riuniteV  gltré  in  varie  parti  della  torre  stessa  disposte  ; 
queste  servono  ad  indicare  la  origine,  la  fondazione,  e 
i  riSta^ri  si  di  essa  che  delle  opere  attinenti.  Che  pe- 
rò là  torre  attuale  sia  incontrastabilmente  opera  de'tem- 
pi  di  Sisto  IV.  oltre  lo  stemma  del  papa  in  luogo  prin- 
cipale, e  le  iscrirzioni  sulle  porte,  e  lo  stile,  lo  mostra^ 
ilo  1«  medaglie  già  riferite  nella  storia ,  sul  cui  rovescio 
si  legge  in  una  ivu  card  .  nepos  .  in  .  ostio  .  tibe- 
rino colla  rappresentazione  della  cittadella  di  Ostia  :  e 
nétràltrà  riportata  dal  Maroni  tratta  dal  museo  Borgia, 
da  un  lato  e  l'immagine  del  cardinale  della  Rovere:  e 
iiJaH'altro,  colla  epigrafe  card  :  s  :  p  :  ad  :  viinc,  e  la  cit-- 


i51 

tadella  ostiense.  Queste  due  medaglie,  non  solo  la  epo- 
ca, ma  anche  1'  autore  della  torre  ci  mostrano:  è  per- 
tanto da  conchiudersi  che  gli  stemmi  posteriori  a  que- 
sta epoca  ad  altro  non  possono  alludere  che  a  ristau- 
ri,  secondo  che  nella  storia  fu  notato.  Entrandovi,  ol- 
tre le  iscrizioni  di  Giuliano  della  Rovere  e  di  Paolo 
HI.  riportate  di  sopra,  leggonsi  a  sinistra  i  motti:  ho- 
SPES  IN  ARGE-soLviTO  metvm:  a  destra  cvstos  fidei-ga- 
VETO  DOLis.  Sopra  questi  ricorre  una  lunga  iscrizione, 
che   cominciando   a  sinistra   dice:  sixto    .  mi  .  font  , 

MAX  .  PATRVO  .  S  .  P  .  IVLIANVS  SAONAS  CARD  .  OST  , 
ARGEM    ET      PROC    .    OSTIA    TIB    ET    .    VRB    .    OST    .    MVN    . 

Sulla  porta  interna  si  ripete  l'epigrafe:  ivllanvs  .  sAO- 

KENSIS     EPISG  -  CARDINALIS    .    OSTIENSIS     .    FVNDAVIT.    Ncl 

maschio  Baldassarre  Pe ruzzi  dipinse  in  chiaro  scuro 
storie  bellissime.  Vasari  loda  specialmente  una  batta- 
glia romana,  ed  un'assalto  di  rocca:  ivi  pure  il  Peruz- 
zi  rappresentò  macchine  antiche  di  guerra ,  ed  armi  : 
ed  i  fatti  da  lui  dipinti  in  una  sala  passano  per  l'o- 
pera migliore  che  dipingesse.  Cesare  da  Sesto  Milane- 
se ,  scolaro  del  Vinci  ajutò  il  Peruzzi  in  tutti  questi 
lavori,  siccome  narra  il  Vasari.  È  inutile  dire  che  per 
la  incurie  queste  opere  oggi  sono  perdute.  <      . 

Che  poi  la  chiesa  di  s.  Aurea  sia  opera  del  cardi- 
nale della  Rovere  ne  son  documento  le  armi  gentilizie 
miste  co'trofei  delle  sue  vittorie,  deesi  però  eccettua- 
re la  porta,  sulla  quale  leggesi  il  nome  del  card.  Ge- 
sualdo menzionato  di  sopra ,  il  quale  trovasi  ancora 
sulla  porta  del  villaggio.  Incerta  è  1'  origine  precisa 
di  questa  chiesa  \  ma  che  già  esistesse  sul  finire  del 
secolo  XVII.  se  ne  hanno  le  prove  in  Anastasio  Biblio- 
tecario ,  il  quale  nella  vita  di  Sergio  I.  che  fu  papa 
dal  687.  al  701.  dice  che  quel  pontefice  la  rinnovò,  ed 
ia  tal  circostanza  le  dà  il  nome  di  basilica:   Eie    ba&i~ 


452 

licam  sanctae  Aurae  in  Ostiis  quae  similiter  fuerat  distecta, 
vel  disrupta  cooperuit ,  suoque  studio  renovavit.  Lo  stesso 
poi  fece  sul  principio  del  secolo  IX.  Leone  II L  come 
dallo  stesso  scrittore  apprendiamo.  La  carta  del  1159, 
fa  pure  menzione  di  questa  chiesa,  ed  innanzi  ad  es" 
sa,  come  chiesa  allora  primaria,  fu  convocato  il  popo- 
lo. In  quale  stato  fosse  nel  secolo  XV.  non  ci  è  noto; 
ma  forse  minacciando  rovina ,  mosse  il  card.  Giuliano 
della  Rovere  a  riedificarla  come  oggi  si  vede  con  ar^ 
chitettura  di  Baccio  Pintelli,  per  testimonianza  del  Va-» 
sari,  e  perciò  vi   si  veggono  le  sue  arme. 

Pochi  monumenti  eransi  osservati  in  Ostia  modera 
na  dei  tanti,  che  erano  stati  scavati  fralle  rovine  del-> 
l'antica;  ma  dopo  che  il  card.  Bartolommeo  Pacca  ven- 
ne al  governo  di  questa  Chiesa  raccolse  nelle  camere 
dell'episcopio  tutti  i  monumenti,  che  potè,  e  formò  co-^ 
si  un  picciolo  museo  ostiense,  come  avea  fatto  a  Por- 
to mentre  era  vescovo  portuense.  Fra  que'  monumenti 
meritano  particolare  menzione  il  sarcofago  di  Gaio  Co-r 
mino  Successo  fattogli  fare  dal  figlio  Gaio  Cominio  Re-r 
sto  Quieto;  e  sotto  l'episcopio  l'ara  sepolcrale  di  mai^ 
mo  bianco  con  vuoto  sopra ,  nel  quale  contenevasi  il 
vaso  cinerario,  colla  epigrafe  dì  Lucio  Lepidio  Eutico, 
seviro  augustale,  e  quinquennale  in  Ostia  e  Tusculo,  co- 
inè pure  quinquennale  perpetuo  del  corpo  de'fabri  ^9r» 
vali  ostiensi; 


453 

L.  LEPIDÌO  EVTHYCHO  ,j{ 

SEVIRO  AVG.  IDEM  ;    ì,    .,j 

QVINQ    »    IN  COLONIA  j  f      |,,f, 

OSTIENSI  'i.'(y<V)h 

ET    IN    MVNICIPIO 
TVSCVLANORVM 
ET  QVINQ  PERPETVO  CORPOR 
FABRVM  NA VALIVI» 

osTiENsiVM  w);,;;, 

teRTVNATVS  LIB  .  ET  ALEXA  .  ACT  ,  .,  j; 

Le  rovine  dell'antica  città  si  riconoscono  a  tanti  tu- 
muli, o  collinette,  talvolta  coperte  di  cespugli,  di  bron- 
chi ,  e  di  arbusti  talvolta  sormontate  da  ruderi  infor- 
mi^ frai  quali  torreggia  la  cella  quadrata  di  magnifico 
tempio.  Esse  si  estendono  dalla  chiesa  di  s<  Sebastia> 
no  alla  torre  detta  Bovacciana  per  un  tratto  di  circa 
un  miglio  ed  un  quarto  di  lunghezza:  e  dal  fiume  alla 
così  detta  Torretta  per  poco  meno  di  tin  miglio  in  lar- 
ghezza. Non  tutte  però  appartengono  alla  città  propria- 
mente detta,  essendosi  negli  anni  scorsi  trovato  un  co- 
lombaio fra  il  teatro  ed  Ostia  moderna,  molto  dappres* 
so  alla  chiesa  citata  di  s.  Sebastiano,  cioè  nella  dire- 
zione della  lunghezza  >  onde  la  lunghezza  dell^  cit^à 
credo  che  vada  ristretta  ad  un  dipresso  fra  il  teatro  e 
tor  Bovacciana,  cioè  a  circa  un  miglio  in  linea  retta;  e 
la  larghezza  non  oltrepassò  di  molto  lo  spazio  fra  il 
fiume  e  la  così  detta  Porta  Marina ,  cioè  fu  di  circa 
mezzo  miglio,  sempre  in  linea  retta.  Dalla  disposizione 
visibile  delle  rovine,  risulta  che  la  città  aprivasi  in  una 
specie  di  semicircolo  intorno  al  Tevere  presso  al  cubi- 
to^ che  questo  fiume  ivi  forma^  appunto  come  Dionisio 
la  descrive,  in  un  angolo  fra  questo  ed  il  mare.  Di  là 
da  tor  Bovacciana,  e  dai  ruderi  della  così  detta  Por- 
ta Marina,  verso  il  mare  non  rimangono  traccie  di  fab- 


454 

briche;  anzi  può  con  sicurezza  riconoscersi  ivi  il  rìmf- 
te  dell'antica  spiaggia,  che  oggi  per  chi  siegue  la  ripa 
del  Tevere  si  è  prolungata  di  ben  due  miglia  per  i 
depositi  accumulati  del  fiume  ,  che  ha  ivi  distesa  una 
specie  di  lingua.  Il  fiume  dopo  essersi  volto  ad  oriente^ 
nel  giungere  presso  il  teatro  di  Ostia  torce  strettamen- 
te ad  occidente,  formando  il  cubita  sopraccitato^  e  fi- 
no alla  foce  continua  sempre  nella  stessa  direzione  oc- 
cidentale. Dai  limiti  indicati  della  città  propriamente 
detta,  e  dalla  forma  semicircolare  che  le  rovine  conser- 
vano, può  approssimativamente  calcolarsi  l'estensione  del' 
recinto  di  Ostia  a  due  miglia  e  mezzo  circa  ,  e  questa 
calcolo  può  darci  lume  sul  numero  dc'suoi  abitanti,  i 
quali  tolte  le  fabbri(;he  pubbliche,  le  strade,  le  aree,  le 
piazze,  ed  i  tempj  ec.  non  sembrano  avere  ecceduto  l 
'20,000.  Benché  non  rimangano  avanzi  riconosciuti  del- 
le mura  ostiensi ,  sulla  loro  esistenza  non  può  cader 
dubbio,  sì  per  l'uso  costante  de' Romani  nel  fondar  le 
coionie,  che  per  la  importante  posizione  di  questa:  inol- 
tre espressa  menzione  sen  fa  negli  atti  de'  martiri  ad 
Ostia  Tiberina  illustrati  dal  De  Magistris  ,  e  da  questi 
rìstìUa  che  esistevano  ancora  nel  secolo  III,  come,  che 
fossero,  nel  secolo  VI  smantellate,  si  trae  dal  passo  di 
Procopio  riferito  nella  storia. 

Uscendo  da  Ostia  moderna,  e  prendendo  a  isinistra 
il  sentiere  che  costeggia  le  fortificazioni  della  torre,  si 
giunge  ad  un  bivio:  seguendo  la  strada  a  destra,  dopo 
un  quarto  di  miglio  dalla  porta  di  Ostia  si  giunge  alla 
Fiunione  di  tre  sentieri;  qualunque  di  questi  viottoli  vo- 
glia seguirsi  egualmente  si  arriva  alle  rovine  di  Ostia; 
ma  per  tenere  un  certo  ordine,  e  non  essere  esposti  ad 
andirivieni,  meglio  è  battere  quello  di  mezzo,  il  quale 
fascia  a  destra  la  chiesa  oggi  abbandonata  di  S.  Sebastia- 
no che  fu  edificata  Tanno  1637.  dal  cardinal  Ginnasi  il; 


^ualc  vi  uni  uo  ospizio,  Oggi  pure  in  rovinaci  rude- 
ri si  cominciano;  ad  incontrar  poco  dopo;  pia  i  primi 
furono  fuori  del  recinto  di  Ostia^  poiché  fra  e^i  si  è 
trovato  un  colomtbaio,  oggi  ancora  riconpscibile,  benché 
in  gran  parte  ricoperto.  Meno  questo  gli  altri  ruderi 
che  dapprincipio  incontransi  sono  di  uso  incerto,  tutti 
però  di  buona  costruzione  ,  che  richiama  il  primo  pe- 
riodo dèi  secondo  secolo.  Ed  è  qui  da  premettersi  dhe 
le  fabbriche  ostiensi  sono  generalmente  costrutte,  b  rdi 
opera  laterizia,  o  di  opera  reticolata  con  legamenti  e 
testate  di  laterizio;  ;  che  la  opera  laterizia  è  generalmen- 
te formata  di  mattoni  di  argilla  rossa  e  giall^^  non  mol- 
to lunghi,  e  piuttosto,  ^t^-etti  ;  ,i  c^n^i  pvii.4i[ijreti^i*tcr 
sono  di  tufa.  nt^    0Ar,tuo-i  O'hi.')!  n»  oJRt?   f>T>?>'» 

^8-.  Un  mezzo  quarto  di  .miglio  distant0;;?i  ministra  vfi- 
desi  culminare  l'avanzo  di  un'antica  piscjn^o  conserva 
dove  probabilmente  andava  a  finire  l'acquedotto  ostien- 
se; rimane  ancora, la  sua  sostruzione  o  pianterreno ^  tH 
parte  del  piano  superiore  che  conserva  ancora , un  pezzo 
deWopus  signinum  od  astraco  che  lo  rivestiva.  Quésta  pi- 
scina verso  oriente  era  rinfiancala  da  tre  contrafforti:  es- 
sa trovavasi  quasi  in  linea  re;tt&  eofta  chiesa;. dir &•■  Se- 
bastiano, ri'  ,  •,]    ,'•;,.•:,    i,)y)>\^v^    ■',    hinÙj     .•..'!;»>'! 

Passato  il  colombaio  àiénzionato'  più  vòlte,-  frovansi 
i  ruderi  del  Teatro  ostiense  come  può  riconoscersi  dal- 
la direzione  "semicircolare  !. che  ;  ancora  iconservano,  e  da 
qualche  rimasuglio,  della- scena.  Di  questo  teatro.' si  Ha 
memoria  negli  atti  citati  de'màrtiri  ad  Ostiay  et  iussitS. 
Quiriacum  episcopum  et  S^  Maximum  presbyterum  et  Ar>- 
chelaum  diaconum  et  omne&  -milites  lod  ^arcum^ante  THEAr 
T RUM  capite  ca«É?/;  nel  testo  greco  di-questi  stessi  atti 
Varcum  ante  theatrum  si  esprinie.  con.Tvgii  xajaajsav  c/Ji7rpcr 
C0ev  •Tcu  ^soctpsu.  La  costruziotìG  di  quésta  fabbrica,  par- 
te laterizia  di  mattoni  gialli  e  rossi  misti  insieme,  par-' 


456 

te  Fotieolata  con  legamenti  laterizìi^  non  sembra  lonfa^ 
na  dal  tempo  di  Adriano,  il  quale  secondo  ciò  che  nel- 
^a  storia  si  vide  conservò-  ed  accrebbe  la  colonia  di  Ostia. 
Esteriormente  è  rinfiancato  da  contrafforti  legati  insie- 
me da  archi ,  e  forse  era  circondato  da  nn  ambulacroi 
Ora  malgrado  la  sua  forma ,.  che  è  evidentemente  di 
teatro,  nella  icnografia  delle  fabbriche  ostiensi  di  Zajv- 
pàti  pubblicata  da  Guattani  ne  Monumenti  Antichi  dell'an- 
no 1805  si  (fice  Anfiteatro.  Secondo  questa  stessa-  pian- 
ta la  sceuff  aTCv*  35.  canne  romane  o-  350  palmi  di 
lunghezza,  presa  però*  la  mi-sura  d»  una  estremità  all'al- 
tra :  il  semidiametro  poi  preso-  pure  da  una  estremità 
esterna  all'  altra  ne  avea  200.  Dalla  sua  forma  sembra 
essere  stato  un  teatro  romano.  Queste  rovine-  sono  qua- 
si parallelb  alla  celta  del  tempio  m^izionatò  di  sopra , 
e  diriggendosi  ad  essa  traversasi  ii*  solco  di  una  via 
antica  della  città  già  fiancheggiata  da  taberne,  delle  qua- 
K  sono  evidenti  gli-  avanzi:  questa  via  va  retta  verso  il 
Tevere-  nelk  direzione  da  mezzogiorno  a  settentrione. 
Quindi  avvicinandosi  vieppiù  ai  tempio  traversansi  gran- 
tli  rovine  di»  fabbriche  di  uso  incerto,  le  quali  continua- 
no fino  al  muro  di  recinto  del'  tempio  stesso,  e  se  la 
pianta  citata  è  corretta  esse  legano  col  muro  di  recin-^ 
to;  ma  oggi  sono  troppo  riempiute  di  macerie  e  imbo- 
schite per  poterne  essere  certi. 

(  11  temjfùo  sorge  entro  un'area  quadrilunga,  in  fon^ 
dò  ad  essa,  rivolto  v-erso  mezzodì;  quest'  area  da.  tre 
lati  veniva  determinata  da  un  muro  di  recinto  che  auT- 
cor  può  tracciarsi,  il  quale  separava  il  terreno  sacro  dai 
profani  edificii  ;  verso  mezzogiorno  però  terminava  ad 
una  via^  della  quale  negli  ultimi  scavi  fu  scoperto,  il 
pavimento  di  poligoni  di  lava  basaltina ,  e  che  andava 
nella  direzione  da  oriente  ad  occidente.  La  lunghezza 
di  questa  area  è  di  piedi   200 ,  la  larghezza  non  com.*- 


457 
presi  i  portici  di  90.  Ne'due  lati  lunghi  fra  il  muro  di 
recinto  ed  il  tempio  stesso  ricorre  uno  spazio  di  circa 
30  piedi:  70.  ne  corrono  dall'ultimo  gradino  del  pronao 
alla  via  pubblica  menzionata  di  sopra:  15  dalla  parete 
posteriore  della  cella  al  muro  di  recinto  verso  il  fiume. 
La  metà  dello  spazio  frai  lati  lunghi,  ed  il  tempio  era 
occupata  da  un  portico  sostenuto  da  colonne  di  granito 
bigio  e  di  marmo  caristio  o  cipollino  ,  forse  alternate  ^ 
di  2  piedi  ed  uà  quarto  di  diametro,  delÌ€  quali  ancO' 
ra  rimaagona  frammenti,  che  non  debbono  confondersi 
con  quelli  di  granito  pur  bigio  di  circa  1  piede  e  mez- 
zo di  diametro,  i  quali  negli  ultimi  scavi  sono  stati  riu- 
niti presso  il  tempio,  ma  non  vi  appartennero  avendo 
fatto  parte  di  un'  altra  fabbrica  non  molto  distaile  in- 
sieme co'frammenti  di  colonne  di  marmo  bigio  lumachel- 
lato  del  medesimo  diametro.  Ancor»  nel  lato  occidenta- 
le si  ravvisa  una  parte  del  muro  di  basamento,  sul  quale 
ricorrevano  le  colonne^  e  cbe  il  Zappati  dà  per  gradini. 
Così  queste  due  ale  di  portici  rendevano  questi)  tempio 
molto  simile  per  ìst  pianta  al  Foro  Palladio  e  tempio  di 
Pallade  in  Roma,  variando  solo  ne 'particolari.^  e  nell'es- 
sere qui  le  colomie  di  un  uso  più  ragionato  che  nel  fo- 
ro citato.  EstemanMnte  il  muro  di  recinto  veniva  inter- 
rotto da  nicchie  alternate  curvilinee  e  rettilinee ,  delle 
quali  alcune  furono  porte  di  comunicazione.  Il  tempio 
propriamente  detto  è  di  una  costruzione  laterizia  di  mat- 
toni rossi,  più  accurata  di  qualunque  altra  delle  fabbri- 
che che  ci  rimangono  di  Ostia  antica  :  essa  è  analoga 
a  quelk  del  Foro  Trajano  e  della  Villa  Adriana.  Innal- 
zasi sopra  ttna  sostruzione  elevata  come  generalmente 
tutti  i  tempj,  onde  potere  avere  di  fronte  i  gradini  in-- 
dispcnsabili  alle  Aedes  sacrae:  questa  sostruzione  essen- 
do un  poco  più  ampia  formava  una  risega  corrisponden^ 
te  al  pavimento  del  tempio,  e  lasciava  sotto  di  esso  un 


45a 

penetrale,  o  sotterraneo,  egualmente  che  tìn  sotterraneo" 
esisteva  sotto  il  portico  e  sotto  i  gradini.  La  parte  sot- 
terranea corrispondente  alla  cella  veniva  illuminata  da 
quattro  feritoie  per  parte  ne'lati  lunghi  all'altezza  di  12 
piedi  dal  livello  dell'area:  entravasi  nel  sotterranea  per 
la  parte  postica  del  tempio  ed  il  suo  pavimento  è  di 
opera  a  spiga.  Il  tempio  era  prostilo-esastilo,  cioè  avea^ 
un  portico  solamente  di  fronte,  con  sei  colonne  di  fac- 
cia: erano  queste  scanalate,  di  marmo  lunense ,  e  non 
giallo  antico,  come  si  dice,  del  diametra  di  tre  piedi  e 
mezzo ,  rimanendone  ancora  un  frammento  ne'  dintorni 
del  tempio  verso  mezzodì.  Oltre  le  sei  colonne  di  fron- 
te, tre  ne  avea  di  fianco  contandovi  sempre  la  colonna 
angolare.  Al  portico  si  saliva  dall'area  per  una  scala  di 
19  gradini ,  ì  quali  secondo  che  negli  ultimi  scavi  si 
vide  erano  di  marmo  lunense,  marmo,  che  in  lastre  lun» 
ghe  quattro  piedi  rivestiva  pure  il  pavimento  del  por- 
tico. Del  medesimo  marmo  fu  pure  esteriormente  rivcr 
slita  la  cella,  la  quale  com|>resa  la  grosse/za  de'  muriy 
ma  non  la  risega  del  sotterraneo  è  un  rettangola  lun- 
go piedi  64,  largo  54.  È  molto  probabile  che  esterna- 
mente essa  fosse  decorata  di  pilastri,  i  quali  seguendo 
l'intercolunnio  del  portico  erano  sette  ne'lati  e  sei  nel- 
la parte  postica:  basamento  di  questi  pilastri  era  la  ri- 
sega del  sotterraneo.  La  porta  era  amplissima  come  ge- 
neralmente le  porte  de'tempj  romani:  benché  manchi  og- 
gi di  stipiti  ed  architrave,  conserva  ancora  la  soglia,  del 
marmo  così  detto  affricano  ,  solida ,  e  in  origine  di  un 
sol  pezzo,  ma  oggi  screpolata  e  si  riconosce  aver  sof- 
ferto il  fuoco:  essa  ha  27  palmi  e  mezzo  di  lunghezza. 
L'interno  era  rivestilo  di  nobilissimi  marmi,  come  il  nu- 
midico,  o  giallo,  il  chio,  o  affricano  ec.  degli  stessi  marmi 
uniti  al  caristio,  o  cipollino,  frigio,  o  pavonazzetto,  ed 
al  così  detto   portasaata  era  pure  formato  il  pavimenta 


459 
diviso  in  compartimenti  rettangolari  contenenti  rombi  va- 
riando i  colori  de'  marmi  diversi.  Frammenti  di  questi 
marmi  ancora  vi  esistono,  ma  la  soverchia  premura  di 
chi.  lo  visita  a  raccoglierli  rende  ogni  giorno  più  rare 
le  testimonianze  di  siffatta  decorazione.  In  fondo  alla 
cella  rimane  ancora  il  rialto,  basamento  o  tribunal,  sul 
quale  erano  le  statue  delle  divinità,  alle  quali  era  con- 
sagrata if  tempio  :  a  questo  basamento  è  probabife  che 
si  ascendesse  per  scaflette  laterali.  Da  ambedue  i  lati  so-- 
no  nella  cella  tre  nicchie,  quella  di  mezzo  è  curvilinea, 
ìe  laterali  sono  rettilinee  :  esse  servirono  a  contenere 
statue:  è  molto  probabile  che  sotto*  di  queste  ricorresse 
un  basamento  di  marmo  il  quale  reggeva  pilastri,  e  que- 
sti sostenevano  un  intavolamento  ,  sul  quale  era  impo- 
stato il  lacunare  7  giacché  non  resta  indizio  alcuno  -^ 
volta:  né  vi  erano  affatto  fenestreii:<o  9  ojxi;q>!  bìK'jnp  o*. 
Si  è  di  già  notato  che  la  costruzione  di  Queste  cdìi 
fizio  sorpassa  in  accuratezza  le  altre  fabbriche;  ora  é 
d'aggiungersi  che  i  frantumi  che  rimangono  dell'  archi- 
trave e  del  fregio,  di  proporzione  analoga  a  quella  delle 
colonne,  ci  rendon  sicuri  che  l'ordine  era  corintio,  e  che 
per  lo  stile,  che  è  assai  buono,  il  tempio  può  attribuir- 
si alla  epoca  di  Trajano  o  di  Adriano:  nel  fregio,  come 
in  quello  di  Giove  Tonante  in  Roma,  erano  espressi  bu- 
eranj  e  istromenti  da  sacrificio;  un  pezzo  che  ancor  ne 
rimane  conserva  oltre  un  bucranio  coronato  da  tenie 
il  principio  di  un  aspergili©:  è  questo  a  poca  distanza 
dai  gradi  del  tempio  verso  mezzodì.  Rimane  pure  ben 
conservato  un  pezzo  della  cornice  nell'area  presso  l'e- 
stremità del  lato  occidentale  della  cella,  coperto  di  spi- 
ni, e  di  arbusti,  di  stile  analogo  al  resto.  Quindi  rac- 
cogliendo tutti  gì'  indizj  per  giudicare  dell'  uso  e  della 
epoca  di  una  fabbrica,  può  conchiudersi,  senza  tema  di 
errare,  che,  dalla  pianta,  dallo  stile,' e  dalla  costruzio^ 


460 

ne  di  questo  edificio  risulta,  essere  un  tempio  entro  s«-' 
ero  recinto,  fatto>  o  ricostrutto  da'fondamenti  nel  primo 
periodo  del  secondo  secolo  della  era  volgare,  o  da  Tra- 
jano,  o  da  Adriano)  può  piuttosto  propendere  il  giudi- 
zio per  questo  ultimo,  giacché  di  lui  abbiamo  documen- 
ti di  aver  molto  fatto  per  Ostia,  ed  inoltre  presso  que- 
ste rovine  si  è  scoperto  un  brano  d'iscrizione  di  marmo 
bianco  a  questo  stesso  imperadore  spettante*  Due  obje- 
zioni  ricavò  il  Guattanì  contro  la  opinione  y  ebe  questa 
fabbrica  sia  un  tempio,  e  perciò  ne  vuol  fare  la  Curia* 
La  prima  è  per  lui  di  gran  peso,  cioè  che  se  fosse  tem- 
pio, rivolto  sarebbe  al^  Bume,  cioè  supponendo  che  il  fiu- 
me radesse  il  recinto  del  tempio>  ma  è  un  fatto  che  non 
solo  il  fiume  è  almeno  500  piedi  distante  in  linea  retta 
dal  tempio,  ma  che  dalia  ripa  dei  fiume  al  tempio  stes- 
so questo  spazio  è  occupato  da  edifizj  urbani,  onde  inu- 
tile sarebbe  staio  rivolgere  il  tempio  al  fiume ,  perché 
la  veduta  in  gran  parte  n'  era  da  questi  edifizj  stessi 
tolta.  D'altronde  avendo  sul  lato  opposto  la  direzione  di 
una  via,  probabilmente  preesistente,  a  quella  come  più 
vicina  piuttosto  che  al  fiume  vollero  diriggere  la  fronte 
della  fabbrica.  Vitruvio  nel  capo  V.  del  IV.  libro  dove 
parla  della  direzione  che  aver  doveano  i  tempj  ((tede» 
sacrae)  dice  che  si  nulla  ratio  impebieuit  ,  liberaque 
fuerit  potestas  aedis ,  signum  quod  erit  in  cella  coUocatum 
spectet  ad  vespertinam  coeli  regionem  etc^  quindi  che  sin 
autem  loci  natura  interpellaverit ,  tum  convertendae  sunt 
earum  aedium  constitutiones  uti  quam  plurima  pars  moe* 
nium  e  templi»  deorum  conspiciatur.  Item  si  secundum  flu-^ 
mina  aedes  sacrae  fient  ita  uti  in  Àegypto  circa  Niìum,  ad 
fluminis  ripas  videntur  spectare  debere.  Similiter  si  circum 
mas  publicas  erunt  aedificia  deorum,  ita  constituantur  uti 
praetereuntes  possint  respicere  et  in  conspectu  salutationes 
faeere.  Ora  questo  non  ò  seeundum  flumenf  ma  eireum  viam 


461 

publicamf  quindi  non  al  fiume,  ma  alla  via  doTca  esser 
rivolto;  come,  benché  più  vicini  al  Tevere,  non  essen- 
done più  di  250  piedi  distanti ,  i  tre  tempj  ,  sui  quali 
trovasi  eretta  la  chiesa  di  s.  Nicola  in  carcere  in  Roma, 
al  fiume  volgono  le  spalle  per  rivolgere  la  fronte  alla 
via  pubblica  che  traversava  il  Foro  Olitorio  in  che  si 
trovavano.  Dì  minor  peso  è  V  altra  che  il  tempio  sia  a 
due  piani;  egli  non  riflette  che  non  rari  sono  i  tempj 
romani,  che  abbiano  un  pianterreno,  o  sotterraneo  rela- 
tivamente al  piano  del  tempio,  più  o  meno  elevato  se< 
eondo  la  località.  Questa  stessa  opinione  tenne  preceden- 
temente il  Verani  autore  della  pianta  topografica  di  Ostia 
più  volte  citata  e  diretta  dalle  cure  del  Fea.  Quanto  a 
questa  denominazione  essendosi  con  positivi  argomenti 
provato  che  é  un  tempio  potrei  dispensarmi  dal  confu- 
tarla; ma  per  essere  la  Curia  di  una  colonia,  converreb- 
be provare  che  sta  nel  Foro:  ora  il  fatto  dimostra  che 
lateralmente  la  pretesa  Curia  è  stretta  dai  portici  del 
recinto  in  modo  che  il  Foro  non  avrebbe  che  15  piedi 
circa  di  estensione,  e  di  fronte  dove  senza  altri  riflessi 
potrebbe  supporsi  una  piazza  ,  questa  non  sarebbe  che 
80  piedi  larga  e  65  lunga,  Foro  invero  troppo  ristretto. 
Finora  però  nulla  si  è  detto  del  nume,  al  quale  questo 
delubro  era  stato  consacrato.  Che  in  Ostia  fino  da'tem- 
pi  della  repubblica  fosse  una  Aedes  o  tempio  di  Giove, 
forse,  a  somiglianza  della  metropoli,  il  principale  della 
città,  lo  mostra  Livio,  quando  narra  che  fu  percosse  dal 
fulmine:  una  iscrizione  riportata  dallo  Spon  die  motivo 
al  Volpi  di  credere  che  il  tempio  di  Giove  menzionato 
da  Livio  fosse  lo  stesso  di  quello  eretto  a  Giove  Patul- 
cio,  e  a  Giunone  Patulcia  da  Lucio  Calpurnio  Messali- 
no,  essendo  consoli  Cajo  Cesio  Longino,  e  Sesto  Domi- 
zio  Calvino  ;  ma  costoro  sono  di  gran  lunga  posteriori 
alla  epoca,  della  quale  parla  Livio,  quindi  quello  nomi- 


462 

nato  dal  Patavino  ,  e  quello  eretto  da  Lucio  Calpurnio 
furono  due  tempj  diversi.  È  però  probabile  che  quello 
di  Giove  ,  del  quale  parla  Livio  fosse  a  Giove  Ottimo 
Massimo  e  a  Giunone  Regina  eretto  ,  siccome  ricavasi 
da  un'altra  iscrizione  ostiense  riportata  pure  dallo  Spon. 
Un'altra  lapide  fa  menzione  di  P.  Annio  Caro  sacerdote 
di  Nettuno  ai  tempi  di  Vespasiano,  patrono  della  colo- 
nia ostiense  ,  dalla  quale  giustamente  si  arguisce  che 
questo  nume  avesse  culto  in  Ostia,  il  che  d'altronde  è 
tanto  più  probabile  che  Ostia  era  una  città  marittima. 
Vi  si  unisce  pure  un'  altra  iscrizione  frammentata  che 
riporta  il  Fabretti,  rinvenuta  in  Ostia,  la  quale  è  voti- 
va a  Nettuno  conservatore  dell'  ordine  equestre.  Sopra 
gli  altri  fu  celebre  il  tempio  di  Castore  e  Polluce  men- 
zionato più  volte  nella  storia,  e  che  generalmente  si  col- 
loca nella  così  detta  isola  sacra  senza  ben  ponderare  lo 
parole  della  Cosmografia  attribuita  ad  Etico,  dalle  qua- 
li si  distingue  bene  il  tempio  di  Castore  in  Ostia,  dalla 
isola,  amenissima  allora,  che  le  foci  del  Tevere  forma- 
no fra  loro  e  il  mare.  Pertanto  dalle  autorità  allegate 
può  dedursi  che  in  Ostia  esistevano  quattro  tempj,  quel- 
lo di  Giove^  quello  di  Giove  Patulcio,  quello  di  Nettu- 
no, e  quello  di  Castore  e  Polluce.  Le  iscrizioni  ligoria- 
ne  citate  dal  Volpi,  le  quali  parlano  del  culto  prestato 
in  Ostia  a  Venere  Feconda ,  al  Padre  Tiberino  ,  e  alle 
Ninfe,  se  non  vogliono  dirsi  apocrife,  sono  molto  dub- 
bie: d'altronde  la  grandezza,  magnificenza,  e  situazione 
del  tempio  in  questione  escludono  la  dedica  di  esso  ad 
alcuna  delle  divinità  allegate  nelle  iscrizioni  suddette. 
Restano  pertanto  i  numi  che  aveano  certamente  tempio 
in  Ostia;  quanto  a  Nettuno,  e  a  Castore  e  Polluce  gli 
ebbero  questi  più  prossimi  e  rivolti  al  mare  come  risul- 
ta dalla  natura  e  carattere  di  tali  divinità  ,  protettrici 
dè'navigaati.  A  loro  appartiene  la  iscrizione  che  Grute- 


463 
ro  riporta  pag.  XCIX  n.  2.  come  avuta  da  Appiano,  ed 
^esistente  allora  in  Ostia,  dalla  quale  confermasi  che  fos- 
se il  tempio  de'due  gemelli  presso  al  lido: 

^TORIBVS  *.  NOSTRIS  .  QVONIAM  .  CERTÀMINA  .  LAETVM 

EXHIBVISSE  .  IVVAT  .  CASTOR  .  VENERANDEQVE  .  POLLVX  '• 

MVNERE  .  PRO  .  TANTO  ,  f  ACIEM  .  qERTAMINIS  .  HVIVS  • 
MAGNA  .  IO  VIS  ,  PROLES  .  VESTRA  .  PRO  .  SEDE  .  LOCAVI 

VRBANIS  .  TATIVS  .  GAVDENS  .  ME  .  FASCIBVS  .  AVCTVB^  '! 

NEPTYpfOQVE  .  PATW  .  LVDOS  ,  FECISSE  .  SABINOS      '.'  !f*/  Il 

Ricavasi  pure  da  *  questa  iscriiiioh^  che  quésto  Tazio,  pre^ 
fetto  di  Roma  diede  innanzi  al  tempio  di  Castore  e  Pol- 
luce giuochi  ad  onore  di  Nettuno:  presso  la  foce  ed  il 
mare  pur  dovettero  averlo  Giove  e  Giunone  Patulci,  il 
cui  cognome  alludeva  al  tenere  aperta  la  bocca  del  Te-? 
yere,  come  Patulcio  cognominavasi  Giano,  perchè  le  por- 
te del  suo  tempio  in  tempo  di  guerra  restavano  aperte, 
secondo  che  riferisce  Macrobio  nel  primo  de'  Saturnali. 
Quindi  può  con  molta  ragione  credersi  essere  questo  il 
tempio  di  Giove  Ottimo  Massimo  e  Giunone  Regina,  o 
con  queste  divinità  di  primo  ordine  si  accorda  bene  la 
magnificenza  delia  opera,  la  quale  potè  a  maggior  lustro 
della  città  esser  rifatta  da  Adriano.  Né  vi  si  oppone  Tor- 
nato che  vedesi  sopra  un  frammento  di  base,  il  cui  plin- 
to è  fregiato  di  rami  intrecciati  di  quercia  ed  edera,  la 
qual  base  é  di  lavoro  analogo  al  resto  e  potè  apparte- 
pere  alle  colonne  che  decoravano  e  reggevano  il  taber- 
nacolo esistente  nella  cella  entro  cui  erano  poste  le  due 
divinità  sul  già  descritto  basamento.  Infine  è  da  ricor-i 
darsi  che  il  sito  dove  sorge  il  tempio  ostiense  corrispon- 
de bene  alla  Troja  nuova  di  Enea  secondo  le  testimo- 
(lianze.  di  Dionisio,  Livio,  e  Virgilio  citate  a  suo  luogo 


464 

nella  storia,  essendo  fralle  altre  partìeolarità  circa  quat- 
tro stadj  distante  dal  littorale  antico. 

Dietro  il  tempio  ma  non  corrispondente  esattamen- 
te all'asse  del  tempio  stesso,  si  apre  verso  il  fiume  una 
via  ancora  riconoscibile  dal  solco,  scavata  sul  principio 
di  questo  secolo,  e  fiancheggiata  da  fabbriche,  da  taber- 
ne,  e  da  portici;  un  bel  pezzo  di  tali  taberne  e  portici 
si  vede  presso  il  fiume,  quantunque  ora  dai  bronchi  sia 
presso  che  reso  impraticabile  ,  ed  è  quello  a  cui  si  dà 
il  nome  di  scalo  antico ,  denominazione  che  non  soffre 
obbjezione ,  che  trova  appoggio  nella  pianta  e  località 
delle  rovine ,  ma  che  d'  altronde  non  ha  prove  dirette. 
Altre  rovine  di  uso  incerto  costeggiano  il  fiume.  Dal 
canto  opposto  il  gruppo  di  rovine  che  sorge  a  sud-est 
della  facciata  del  tempio  si  appella  palazzo  imperiale , 
ma  non  se  ne  allegano  altre  prove,  che  la  loro  magni- 
ficenza. 

A  sud-ovest  del  tempio  furono  trovati  gli  avanzi 
di  una  sala  mistilinea  con  nicchioni,  e  di  un  peristi- 
lio quadrato,  scoperti  sul  principio  di  questo  secolo  e 
descritti  da  Guattani  nel  luogo  indicato ,  dove  ne  dà 
una  pianta.  Dalla  sua  descrizione,  e  dalla  pianta  rile- 
vasi che  la  sala  ed  il  peristilio  erano  parti  di  una 
fabbrica  stessa  ricca  e  magnifica  :  l'  analogia  che  passa 
tra  la  forma  di  questi  avanzi,  e  le  rovine  delle  terme 
degli  antichi  può  fornirci  il  sospetto  di  crederli  parte 
del  lavacro  ostiense ,  il  quale ,  secondo  che  fu  notato 
nella  storia,  venne  al  dir  di  Capitolino  eretto  dall'otti- 
mo principe  Antonino  Pio.  La  sala  mistilinea  che  è  la 
più  meridionale  era  formata  da  quattro  nicchioni  curvi- 
linei e  due  essedre  rettilinee  fra  essi ,  con  otto  piede- 
stalli posti  fra  i  nicchioni  e  le  essedre  per  statue  :  era 
rivestita  di  marmi  di  vario  colore  e  di  alabastri  ;  il 
pavimento  poi  era  di  marmo   bianco.  Dietro  i  due  nic- 


465 
«hioni  che  giacevano  più  dappresso  al  fiume  si  trovaro- 
no due  scalette  a  chocciola  per  ascendere  alla  sommità 
dell'edifizio  onde  ripararne  il  tetto  o  la  terrazza  che  Io 
copriva:  i  gradini  di  queste  scalette  furono  trovati  mol- 
to consunti  dall'attrito,  essendo  formati  da  tegoloni.  Si 
è  indicato  poc^anzi  che  questa  sala  era  composta  di  quat- 
tro nicchioni  che  chiudevano  due  essedre  rettilinee  fra 
loro,  cioè  ne'  lati  orientale  ed  occidentale:  il  lato  meri- 
dionale frai  due  nicchioni  avea  soltanto  un  rientramen- 
to  della  forma  di  un  segmento  di  circolo:  il  settentrio- 
nale poi,  o  quello  verso  il  fiume  serviva  di  communica- 
zione  ad  un  corridore  ornato  di  pilastri  con  pavimento 
rivestito  di  marmo ,  e  da  questo  nella  stessa  direzione 
della  porta  della  sala  mistilinea  scendevasi  per  alcuni 
gradini  di  marmo  bitinco  in  un  peristilio  formato  da  36. 
colonne  di  granito  bigio  e  di  bigio  lumachellato  del  dia- 
metro di  un  piede  e  mezzo,  molti  pezzi  delle  quali  estrat- 
ti dalle  rovine  del  peristilio,  veggonsi  oggi  qua  e  là  di- 
spersi presso  il  tempio,  onde  da  alcuni  si  confondono  a 
toyrto  con  quelle  del  peribolo  del  tempio  medesimo  che 
aveano  un  diametro  maggiore.  Il  pavimento  del  portico 
di  questo  peristilio  e  quello  dell'area  circoscritta  da  es- 
so era  di  lastre  di  marmo  bianco  lunghe  piedi  4  1/2  e 
larghe  2  1/4.  D'intorno  sotto  il  portico  corrispondevano 
agl'intercolunnj  nel  muro  altrettante  nicchie  curvilinee  : 
in  mezzo  a'iati  orientale  ed  occidentale  ve  n'erano  due 
più  ampie  a  maggior  magnificenza:  in  mezzo  del  lato 
meridionale  era  la  indicata  communicazione  col  corrido- 
re e  colla  sala  mistilinea,  ed  in  mezzo  del  lato  setten- 
trionale era  la  porta  che  corrispondeva  colla  via  pubblici 
ca  ,  della  quale  si  è  detto  che  passava  dinanzi  al  tem- 
pio. Per  tre  gradini  che  ricorrevano  intorno,  scendeva- 
si jdal  peristilio  nell'  arca  scoperta  circoscritta  da  esso  , 


la  quale  senza  comprendervi  i  gradini ,  ave  a  60.   piedi 
per  ogni  Iato. 

Andando  più  oltre  verso  occidente  si  mostra  il  si- 
to, in  che  fu  ritrovata  nel  1788.  da  Hamilton  una  cal- 
cara formata  con  marmi  antichi  ma  non  ancora  arsi , 
frai  quali  furono  rinvenuti  in  pezzi  i  quattro  gruppi 
delle  forze  di  Ercole  oggi  esistenti  ne'  quattro  angoli 
della  sala  degli  animali  nel  museo  Pio-Clementino.  Altre 
calcare  furono  ti'ovate  dallo  stesso  Hamilton  pure  di  mar- 
mi antichi ,  altre  incendiate  ,  altre  ancora  intatte  frallo 
rovine  ostiensi ,  e  di  un  luogo  detto  Calcara  presso  0^ 
stia  attuale  si  fa  menzione  nella  bolla  citata  di  Celesti-» 
no  HI.  del  1191  :  questo  sombra  essere  stato  ne'dintor- 
ni  delle  calcare  trovate.  Continuando  a  tenere  la  dire^- 
zione  verso  occidente,  s'incontra  una  linea  di  ruderi  che 
vanno  da  mezzodì  a  settentrione,  confusamente  indicati 
nella  carta  topografica  delle  rovine  di  Ostia  di  Verani. 
Negli  scavi  che  vi  furono  fatti  nel  1800.  vi  furono  tro- 
vate quattro  o  cinque  statue,  due  piccoli  torsi,  un  roc- 
chio di  colonna  di  giallo,  una  Diana  Efesia,  un  monu- 
mento mitriaco,  un  Eone  in  bassorilievo,  e  colonne  di 
affricano,  di  bigio,  e  di  giallo:  ma  soprattutto  meritano 
di  essere  citate  una  statua  eroica  colla  iscrizione  matri 
nel  plinto,  ed  il  Ganimede  del  nuovo  braccio  del  Museo 
Vaticano  col  nome  0AIAIM02  dell'artefice:  questa  ulti- 
ma statua  servì  di  ornamento  ad  una  fontana,  come  può 
trarsi  dal  tronco  di  albero,  sul  quale  era  appoggiata  che 
è  vuoto.  Queste  scoperte  servono  a  dimostrare  la  ma- 
gnificenza delle  fabbriche  di  questo  tratto,  le  quali  van- 
no a  raggiungere  il  Tevere  senza  però  che  i  ruderi  la- 
scino (ravvedere  a  quale  uso  fossero  destinate;  né  la  mi- 
nima apparenza  havvi  che  qui  fosse  un  tempio  come  si 
vuole  insinuare  nella  indicazione  della  pianta  topografi- 
ca di  Verani  ;  imperciocché    secondo  il  vecchio  metodo 


46T 

■si  diede  il  nome  di  tempio  ad  una  piccola  fabbrica  ro- 
tonda, della  quale  ancora  se  ne  rintraccia  una  parte,  già 
decorata  di  colonne,  col  pavimento  di  musaico  bianco  e 
nero  con  figure  di  varii  animali,  il  quale  riunito  ad  al- 
tri indizj  che  vi  si  osservano  fanno  inclinare  a  creder- 
la ad  uso  di  bagno.  Il  volgo  chiama  qnesti  avanzi  arca 
di  Mercurio  da  qualche  statua  di  quel  nume  ivi  trovata 
ne'tcmpi  andati  o  dalla  vicinanza  di  qualche  area  dello 
stesso  nome:  alcune  sale  rettilinee  di  questo  gruppo  di 
rovine  conservano  l'antico  intonaco  dipinto  ad  arabeschi 
in  fondo  giallo.  .  uniU'.S 

Mi  i>  A  mezzogiorno  di  queste  rovine  torreggiare  si  veg- 
gono gli  avanzi  di  un  fornice ,  che  volgarmente  dicesi 
porta  marina f  porta  del  corvo,  i  quali  trovansi  sulla  linea 
«strema  delle  rovine  verso  l'antico  littorale.  Che  questo 
fornice  sia  un'antica  porta  è  probabile  dalla  situazione 
in  che  trovasi,  ma  non  è  certo:  che  se  fu  porta,  è  que- 
sto il  solo  avanzo  visibile  del  recinto  ostiense,  del  qua- 
le secondo  che  fu  veduto  di  sopra  si  hanno  memorie 
almeno  fino  alla  metà  del  terzo  «ecolo  della  era  volga- 
re. Il  nome  moderno  di  porta  marina  nella  supposizione 
che  sia  una  porta  non  le  è  male  applicato. 

Seguendo  1'  orlo  dell'  antico  littorale  bene  indicato 
dai  tumuli  delle  rovine,  ed  avviandosi  verso  il  Tevere 
a  tor  Bovacciana,  poco  prima  di  giungere  a  questa,  pres- 
so il  fiume,  in  una  specie  di  valletta  formata  dalle  ro- 
vine stesse  trovansi  frammenti  di  colonne  ed  un  capitel- 
lo corintio  di  stile  della  epoca  di  Settimio  Severo ,  il 
quale  essendo  la  metà  a  foglie  di  acanto,  e  l'altra  me- 
tà a  foglie  di  acqua,  indica  di  aver  servito  ad  una  co- 
lonna addossata.  Gli  avanzi  di  fabbriche  in  questi  con- 
torni e  le  grandi  scoperte  che  vi  sono  state  fatte  dall' 
anno  1797.  in  poi,  e  che  saranno  indicate  fra  poco,  que- 
sto capitello,  i  frammenti  delle  colonne,  cil  i  piedestalli 


468 

di  statue  onorarie  de'quali  darò  le  iscrizioni  non  lascia-' 
no  luogo  a  dubbio  per  credere  in  queste  vicinanze  uno 
degli  edificii  più  cospicui  di  Ostia.  I  piedestalli  vedevan-r 
si  sul  luogo  stesso ,  dove  erano  stati  trovati  ;  il  card, 
Pacca  li  ha  fatti  trasportare  in  Ostja  moderna  ,  onde 
non  venissero  lasciati  in  balìa  de' pescatori  e  de'bifolchi, 
e  forse  ancora  involati  per  la  facilità  che  offrono  V  ah-. 
bandono  de'luoghi,  la  prossimità  del  fiunje,  e  la  vicinan-- 
za  dei  mare.  ]S  sopra  tre  di  essi  leggonsi  le  iscrizioni 
seguenti.  La  prima  è  alla  Vittoria  degli  Augusti ,  cioè 
Settimio  Severo  e  Caracalla,  come  può  trarsi  dallo  stile 
delle  modinature»  e  dalle  altre  due  iscrizioni,  presso  le 
quali  si  trova,  che  a  quella  stessa  epoca  appartengono? 
pssa  dice; 

VICTORIAE  .H/i  .. 

AVGVSTOR 

la,  seconda  è  ad  onore  di  Giulia  Domn^i; 

IVIIAE 

AVG 

MAIRI  .  CASTRORVM 

la  terza  poi  è  per  Settimio  stesso: 

IMP     .     C AES     .     DI  VI 

,,,,  M    ,    ANTONINI    .  PII 

,^,,,;     GERMANICI. SARMATICI. FILI. DIVI      -   u:^, 

,  r« ,  COMMODI  .  FRATRI  -.r.i  e 

.,,..  PIVI .  ANTONINI .  PII .  NEPOTI 

b  DIVI,HADRIANI.PRONEPOTI  ,  ari, 

Ir  ^   V     filVI.TRAIANI.PARTUICI.ABNEPOTl  ,  u.  V  ^  ! 

iin  sTtfn'F  Piyi   .    NERVAE    ,   ADNEPOTI       ,  ->i«i5]. 

,,  ,,^  e,,        h  ,  sePtimio 

-vmii^^  SEVERO,  PIO  i 

|.  ^»v .    PERTINACI    ,    AVG    .    ARAR 
1^  ,'     ADIABENICO.P.M.TRIB,POT.im 

JMF   ,   VIII   .   COS  .  II  .  P  .  P   ,,!.,      .5« 


469 

la  quarta  potestà  tribunicia  di  Settimio  Severo  indica- 
ta in  questa  lapide  coincide  parte  nell'anno  196.  parte 
nel  197.  della  era  volgare,  onde  a  quella  epoca  appar- 
tiene questa  e  le  altre  iscrizioni  citate.  In  questa  parte 
furono  nell'anno  1797  aperti  scavi  dall'inglese  Roberto  Fa- 
gan,  il  quale  vi  trovò  un  busto  di  marmo  di  Lucio  Ve- 
ro, un  altro  di  Tiberio,  una  testa  di  Commodo,  una  Pal- 
ladc  di  proporzione  poco  maggiore  del  naturale  di  mar- 
mo pentelico  con  testa  riportata,  occhi  di  avorio  e  pen- 
nazzc  finissime  di  lastre  di  ottone,  una  Igica,  varie  al- 
tre statue  di  un  merito  inferiore,  un  rocchio  di  colon- 
na di  giallo  antico ,  varii  capitelli,  basi  di  statue,  con- 
dotti di  piombo ,  ed  una  bocca  circolare  di  pozzo  con 
bassorilievo  rappresentante  la  favola  di  Narciso,  che  die 
motivo  a  cercare  acqua  in  questo  luogo,  la  quale  trova- 
tasi, si  formò  quel  pozzfo  con  cupolino  chiuso  per  com- 
modo de'lavoranti,  che  esiste,  poco  prima  di  giungere  a 
tor  Bovacciana.  Nello  stesso  luogo  fu  pur  rinvenuta  la 
iscrizione  relativa  al  corpo  de'Lenùncularj  Pleromarj  Au- 
siliari Ostiensi  pubblicata  da  Ennio  Quirino  Visconti 
nella  lettera  su  due  monumenti,  ne' quali  è  memoria  di 
Antonia  Augusta^  e  ripubblicata  da  Fea  nella  relazione 
del  viaggio  ad  Ostia.  Nel  1798.  vi  fu  trovato  l'Antinoo 
in  piedi  di  12  palmi  oggi  nel  nuovo  btaccio  del  museo 
Vaticano,  oltre  tre  ermi  di  Mercurio  clamidati  trasferiti 
nello  stesso  museo,  ed  un  gran  priapo  esistente  già  nel- 
la raccolta  del  sig.  Albaccini;  vi  furono  scoperte  inoltre 
due  teste  colossali  di  Claudio  ed  Antonino  Pio  ,  varj 
frammenti,  e  la  bellissima  statua  della  Fortuna  pure  esi- 
stente nel  nuovo  braccio  del  museo  Vaticano ,  insieme 
con  parecchi  rocchi  di  colonne  di  granito,  di  marmo  co- 
si detto  afifricano  e  di  bigio.  Tor  Bovacciana  s'erge  sul- 
la sponda  sinistra  del  Tevere  all'ultimo  angolo  di  Ostia 
verso  il  fiume,  presso  il  sito  dove  questo  si  tragitta  so- 


470 

pra  una  barca  per  passare  nella  Isola  Sacra.  Essa  è  di 
stile  e  di  costruzione  identica  colla  torre  di  Ostia  mo- 
derna, quindi  couvien  crederla  opera  anche  essa  del  tem- 
po di  Sisto  IV.  eretta  per  difesa  della  foce  orientale. 
Si  vede  costrutta  sopra  un  masso  di  pezzi  di  marmi  ed 
altre  materie,  pur  esso  eretto  sopra  i  ruderi  del  tempo 
della  decadenza,  ma  antichi:  questo  masso  probabilmen- 
te è  un  residuo  della  torre  eretta  da  Martino  V.  pres- 
so la  imboccatura  orientale  del  Tevere,  menzionata  da* 
Biondo. 

Presso  la  torre  rimontando  il  fiume  rimangono  an- 
cora visibili  le  traccie  di  una  rada  oggi  quasi  tutta' 
riempiuta  da  sabbia,  dove  stava  probabilmente  ancorata 
una  parte  della  flotta  romana  allorché  venne  dai  corsa- 
ri cilici  rapita,  secondo  che  fu  uelia  storia  osservato.  La- 
vicinanza  della  rada  al  mare,  e  la  forma  che  ivi  conser- 
va la  ripa,  sono  argomenti  di  qualche  peso  per  credere 
essere  quel  memorabile  avvenimento  in  questo  luogo  ac- 
caduto. Imperciocché  é  naturale  che  i  Cilici  non  osasse- 
ro troppo  inoltrarsi  nel  fiume ,  poiché  avrebbero  corso- 
un  rischio  evidente  di  rimaner  prigioni  ,.  o  almeno  di 
non  potere  eseguire  il  colpo  di  mano  che  tentavano. 

Neil'  anno  1824.  avendo  il  sig.  Cartoni  intrapreso 
uno  scavo  ad  occidente  di  Ostia  moderna  fuori  dell'an- 
tica città,  molti  sepolcri  furono  trovati  frai  quali  copiai 
le  iscrizioni  seguenti  come  più  interessanti: 

.  M  . 

L    .    VALERIVS    .    L    .    FIL    .    FYRMVS 

SACERDOS    .    ISIDIS    .    OSTENS 
ET    .    M    .    D    .    TRASTIB    .    FEO    .    SIBI 

Questa  è  sopra  un'  ara  sepolcrale,  sulla  quale  sono  gli 
emblemi  del  culto  d'Iside  e  della  Mater  Deum,  al  quale 
Lucio  Valerio  Firmo  era  sacro.  Per  la  ortografia  merita 
osservazione  la  parola  fyrmvs  invece  di  firmvs,  ostens 


471 

invece  di  ostiens  cioè  ostiensù  e  trastib  invece  di  TRAif- 
STiB  cioè  transtiberini  o  transtiberinae.  Da  questo  marmo 
come  da  altri,  e  specialmente  dalla  epigrafe,  che  si  leg- 
ge sul  sarcofago  della  morte  di  Alceste  nel  museo  Chia- 
ramonti  conosciamo  che  Iside  avea  sacerdoti  in  Ostia  , 
né  infatti  è  strano  che  la  divinità  tutelare  della  naviga- 
zione fosse  in  una  città  marittima  onorata.  Questo  mo- 
numento basterebbe  inoltre  a  farci  sospettare  che  altri 
numi  egizii  (rywaoi,  o  consenti  d'Iside  ottenessero  pure 
onori  in  Ostia;  e  di  Serapide  ne  abbiamo  certezza  in 
quel  passo  di  Minucio  Felice,  dove,  dopo  avere  enco- 
miato il  clima  amenissimo  di  Ostia,  ed  aver  narrato  es- 
sersi avviati  al  mare  Cecilio  ed  Ottavio,  il  primo,  simu- 
lacro Serapidis  denotato  (ut  vulgus  super stitiosus  solet) 
tnanum  ori  admovens  osculum  labiis  impressit.  Conoscia- 
mo inoltre  da  questo  monumento  che  Cibele  ebbe  culto 
sulla  opposta  riva  del  Tevere,  cioè  nella  Isola  Sacra.  Le 
altre  lapidi  dicono;        i-u-     ;   .!  ti.  .vi   ìmt/k 


DOMITIA  .  ROGAT  (sic) 

A  .  FECIT  .  VALERIAE  .  VE 
VENVSTE  .  (sic)  MATRI .  DV 
LCISSIME  .  (sic)  BENE  ME 
RENTI 


D.    M  C 

ROMANIAE  .  STRATOnIc 
QVAE  .  VIXIT  .  AN  .  XI  .  M  .  Ili 
D    .    VI    .   ROMANI  VS 
CRESCENTILIANVS 

ALVMNAE     -J     '•  '     '-U"-. 


D  m 

CLEVONICO   AGATHO 
NICO  CLEVONICVS 
RHILOPI  .  ET    DEVO 
NICA     SOTERIS    .    PA 
RENTES    FIL    DVLCIS 
SIMO    QVI    VIX    ANN 

;.;  ;.....  M  .  VI  '.  .i 

.    CESTIVS    .    FORTVNATVS  i 
AEDICVLAM  .  SIBI    CONCES 
SAM    .    COMPARA VIT   ET       l 
LIBERTIS  .  LIBERTABVSQ. 
SVIS    .    POSTERISQVE 
•' «•»»)'  '  EGRVM        '• 


472 

sopra  un  sarcofago  striato. 


TLORIAASC 
,.    LEPIODO 

TE    ET    GLYGE- 
RA. 
MATM! 
©VLGISSI 
ME  (sic) 

sopra  un.  sarcofago- 


.Ju^wx!.    VL    .    STORAX  f.ffvt 

^   .    .    .    VS    .    MACELLVM    ET 
.    .    .    .    DERA    .    TARRENSIBVS- 
.    .    .    .    DEMQVE    .   DEDICAV 

!;;    :ù   ti:;.   ;ì    iHiol" 
M.  e  I.  O  D  t  V  » 
GRESCENS 
QVIvVIXlT-.ANN.XXII 
]H    .    Ili    .    D    é    XXI 
LOCVS    .    CONCES 
SVS  SIBI    A    MINDIO 
^'     .    i.;  FAVSTa  './'.^■'   i 


EX  LOCA  DVA  CONCESSA 

MATER  FECIT    FILIE    (sìc)    BENR 

MERENTISSIME    (sic)    QVE    (sic)    VIXIT' 

ANNIS  X  MENSIBVS    .    VII. 

DIEBVS    XVII    .    EX    LOCA   DVA    CON 

CESSA    SIVE    MATER    SIVE 

PATER   SVPRAPONATVR 


HOC  VIGILIARIVM 

PERTINET   AT    (sic);  HEREDEM 

L    .    GETTIVM   AMANDVM 

IS   L.    GETTIO  HILARIA 
(sic)    ANO   FILIO  ET  HEREDI 

ET    .   LIB  .  LIB  .  POST  .  EOR 
IN    F.P.XXVI.IN.AG.P.XXXII 


DIS    MANIB 
T.    FLAVI    CLD 
DIANI   T.  FLA 
VIVIS   (sic)    CLAV 
DIA-NV*  FILI 
VS   PATRI   ET 
MAGISTRO 
CLARO    DED 


Dal  greppo,  sul  quale  sorge  tor  Bov-acciana  si  gode 


47^ 

la  veduta  imponente  della  foce  orientale  del  Tevere,  al-- 
la  quale ,  costeggiando  il  fiume  si  gitmge ,  dopo  due 
buone  miglia  di  strada.  Essa  mirabilmente  corrisponde 
alla  descrizione  che  ne  fa  Virgilio  nel  libro  VII.  della 
Eneide  v.  24  e  seg.  quantunque  ai  giorni  di  qacl  poe-" 
ta  molto  pJtì  vicina  fosse  a  lor  Bovaccìana;  tìia  il  terre- 
no aggiùnto  dal  Tevere  ha  preso- il  carattere  di  quello, 
dote  Virgilio  suppone  che  Enea  approdasse:' 


osi 


Samqm  rubescebat  radits  ma^e,  et  aefheré  (tb  alt& 

Aurora  m  roseis  fulgebat  lutea  bigis: 

Quum  venti  posuere,  omnisque  repente  resedit  '^ 

Flatus,  et  in  lento  luctantur  marmare  tonsae: 

Atque  hic  Aenea»  ingentem  ex  aequore  lucum 

Prospicit:  hunc  inter  fluvio   Tiberinus  ammno,      "'■'•  '•■  '>*' 

Vorticibus  rapidis,  et  multa  flavus  arena 

In  mare  prorumpit:  variae  circumque  supraque 

Assmtae  ripis  volucres  et  fluminis  alveo 

Aethera  mulcebant  cantu  lucoque  volahant^ 

Flectere  iter  sociis,  terraequae  advertere  prora» 

Imperai  et  laetus  fluvio  succedit  opa€o>. 

Un  mezzo  mìglio  di  là  da  Tor  Bovaceiana  verso 
il  mare  ,  il  terreno  a  sinistra  trovasi  fino  alla  spiaggia 
imboschito:  questo  bosco  lega  cm  quello  di  Castel  Fu^ 
sano  o  laurentino,  e  così  col  laviniate,  coli'  ardeatino, 
ec.  Dentro  questo ,  un  miglio  distante  dalla  foce ,  fra 
acque  stagnanti  residui  delle  acque  pluviali  e  delle  inon* 
dazioni  invernali ,  è  una  torre  ettagona  costruita  con 
molto  sapere  per  difesa  della  spiaggia,  che  porta  il  no- 
me di  Tot  S.  Michele  ,  visibile  da  Ostia ,  la  quale  se- 
condo la  iscrizione  sulla  porta  ancora  esistente  venne 
edificata  nelKanno  1569.  da  s.  Pio  V.  e  per  conseguen- 


474 

za  è  posteriore  alla  morte    di   Michelangelo ,  al   qual«r 

coQimuQemen te  si  .attribuisce. 

,M.i. 'ir'    -.-io    PÀGLIAN  CASALE 

''■>'  ' 

Teniaiento  di  circa  rubbìa  282  e  mezzo  posto  nel- 
l'Agro Romano  fuori  di  porta  s.  Sebastiano  circa  13  mi- 
glia lontano  da  Roma,  confinante  in  parte  co'  territori! 
di  Albano  ed  Aricia.  Esso  è  diviso  in  tre  corpi  separa- 
ti e  distinti;  il  primo  confina  colle  tenute  di  Montagna- 
no,  Valle  Caia,  e  Torricella:  il  secondo  co'  Colli  di  s. 
Paolo,  e  col  territorio  di  Aricia:  il  terzo  finalmente  col 
territorio  di  Albano,  e  colle  tenute  di  Falcognani,  Tor 
Maggiore,  e  Tor  Tignosa.  Dividesi  tutto  insieme  il  fon- 
do in  tre  quarti,  denominati  di  Roncigliano,  della  Grot- 
ta ,  e  del  Torraccio.  Appartiene  alla  Badia  di  s.  Paolo 
di  Albano. 

PALAZZOLA   V.  ALBALONGA, 

PALAZZO  MARGANO. 

Tenuta  dell'  Agro  Romano  pertinente  alla  compa- 
gnia dell'Annunziata  ed  al  monastero  della  Purificazione 
di  Roma,  situata  fuori  di  porta  s.  Sebastiano  circa  13 
miglia  lontano  da  Roma  e  confinante  con  quelle  di  Tor 
del  Vescovo,  e  Grotta  Scrofana,  e  col  territorio  di  Al- 
bano. Comprende  rubbia  100  e  mezzo,  divise  ne'quarti 
detti  di  Mezzo,  del  Casale,  e  delle  Vigne. 

.  Il  Nerini  riporta  un  atto  dell'anno  1310,  nel  qua- 
le come  confine  di  una  terra  posta  nella  contrada  di 
Tor  del  Vescovo,  si  nomina  un  baltiolum  Margani  spet- 
tante allora  a  Lorenzo  de  Candulfis ,  ed  al  monastero 
di  s.   Paolo  di  Albano:  fondo,  che  corrispondendo   con 


475 

(fucilo  teste  descritto  serve  a  far  conoscere  la  etimolo- 
gia del  suo  nome,  che  rimonta  fino  al  secolo  XIV. 

PALESTRlNA—VRAEÌiESTE. 

tftoitas  Ipraenesfina-jpellestrind 
Pnestrina-pnestre. 

Città  situata  ad  oriente  di  Roma  alla^  latitudine  di 
41°,  50',  18"  7,  ed  alla  longitudine  di  30°,  32',  55'V 
"I;  alta  dal  livello  del  mare  piedi  parigini  1628,  5.  Es- 
sa è  sede  vescovile,  una  delle  sei  suburbicarie,  distan- 
te da  Roma  24  miglia ,  posta  nella  Comarca ,  e  partc^ 
del  distretto  di  Tivoli  :  racchiude  4378  abitanti.  È  ap- 
poggiata alla  falda  di  un  monte,  che  è  uno  degli  ultimi 
contrafforti  dell'Appennino,  nel  quale  va  a  terminare  il 
monte  Glicestro. 

Negli  scrittori  elassici  leggonsi  tre  etimologie  del 
suo  nome  antico:  Plutarco  Parali,  n.  41.  e  Servio  ad  Àen. 
lib.  VII.  v.  678  lo  derivano  dalla  voce  greca  npivot,  (À- 
ci,  per  l'abbondanza  di  tali  alberi:  Festo  dall'essere  di- 
nanzi, o  addossata  ai  monti,  quia montibus  praestet , 

e  la  stessa  etimologia  per  testimonianza  di  Servio  avea 
dato  Catone:  finalmente  Solino  e.  VII.  e  Stefano  in  Upoc- 
«vetTToj  da  Prenesto  figlio  di  Latino,  nato  di  Ulisse  e  di 
Circe.  Fondatore,  secondo  Virgilio  I.  e.  ne  fu  Ceculo  fi- 
glio di  Vulcano,  stipite  della  gente  Cecilia;  stando  a  tal 
tradizione  d'uopo  è  stabilire  che  questa  città  fu  fonda- 
ta circa  i  tempi ,  in  che  Enea  venne  in  Italia ,  poiché 
Ceculo  insieme  cogli  altri  princìpi  latini  prese  le  armi 
contro  quel  profugo.  Altrove  però  lib.  Vili.  v.  560  e 
scg.  lo  stesso  poeta  fa  dire  ad  Evandro  di  aver  ucciso 


476 

nella  sua  gioventù  il  re  Erìlo  Praenéste  suh  ipsa  ;  tM 
quel  passo  induce  a  credere  che  Erilo  regnasse  in  que- 
ste contrade  prima  di  Ceculo,  senza  però  che  di  neces- 
sità segua  che  prima  di  Ceculo  Frenesie  fosse  stata  fon- 
data ,  da  che  deriverbbe  una  contradizione  in  Virgilio| 
imperciocché  il  monte  e  la  selva  di  elei,  che  lo  copri-' 
va  poteva  avere  di  già  presso  gli  Aborigeni  e  J^elasgi 
il  nome  di  Frenesie  ,  che  poi  Ceculo  die  alla  città  ivi 
fondata.  Debbo  inoltre  fare  osservare  la  moltiplice  for- 
ma del  nome  Erilo  che  per  testimonianza  del  dottissimo^ 
Heyne  si  trova  ne'manoscritti  di  Virgilio^  cioè  Hferilum, 
Erilum,  Erylum^  Erulum,  Elinum,  Cerilum,  Acerilum,  He- 
hnum,  Athericum.  Solino  ricorda  un'altra  tradizione  se- 
guita da  ZenodotOy  dalla  quale  appariva  che  Preneste 
era  stata  edificata  dal  nipote  di  Ulisse:  aggiunge  però, 
che  i  libri  prenestini  davano  per  fondatore  Ceculo  fan- 
ciullo rinvenuto  presso  fuochi  fortuiti,  apudignes  fortuitos^ 
donde  derivò  la  tradizione  che  Ceculo  era  figlio  di  Vul- 
cano. 

Strabone  lib.  V.  e.  III.  §.  II.  dice  chtì  Tibur  e  Prae- 
néste credevansi  ambedue  città  greche  ,  e  che  Frenesie 
dapprima  fu  chiamata  WokvQXi^^ocJoq,  cioè  di  molte  coro- 
ne ,  nome  che  potrebbe  derivarsi  dai  varii  recinti  di 
mura  che  la  cingevano.  Latino  Silvio  terzo  re  di  Alba 
la  ridusse  sotto  il  suo  dominio^  come  si  apprende  dall' 
l'autore  dell'Ondo  Gentis  Romanae,  e  vi  mandò  una  co- 
lonia, la  quale  rimase  fedele  alla  metropoli^  finché  que- 
sta non  fu  soggiogata  e  distrutta  da  Tulio  Ostilio.  Do- 
po quella  epoca  si  resse  da  se,  né  si  ricorda  più  il  suo 
nome  fino  all'  anno  255  di  Roma ,  in  che  i  Frenestini 
pongonsi  da  Dionisio  lib.  V.  e.  LVI.  frai  popoli  latini 
che  si  collegarono  insieme  per  ristabilire  i  Tarquinii. 
Due  anni  dopo  però,  poco  prima  della  battaglia  al  laga 
Regillo  Livio  lib.  II.  e.  XIX.  narra,  che  Frenesie  si  di- 


477 

Sitaecò  dalla  lega  e  riaccostossi  ai  Romani  Praencsle  ab 
Latinis,  ad  Romanos  descivit.  E  questo  loro  ravvicina- 
mento fu  così  sincero,  che  le  loro  terre  andarono  sog- 
gette alle  depredazioni  degli  Ernici,  e  dc'Volsci  Tanno 
291.  siccome  narra  Livio  lib.  III.  e.  Vili.  Venuta  pe- 
rò meno  la  forza  romana  per  la  invasione  de'Galli,  i  Pre- 
nestìni  si  lasciarono  sedurre  dai  Volsci,  e  si  collegarono 
/con  loro  a  danno  di  Roma  l'anno  372.  facendo  scorrerie 
nel  territorio  de'Tusculani,  de'Gabini,  e  de'Lavicani.  Dap- 
principio i  Romani  non  volevano  credere  a  questa  defe- 
ziona; ma  nell'anno  374,  essa  divenne  aperta,  poiché  i 
Prenestini  spedirono  truppe  ausiliarie  ai  Volsci,  le  qua- 
li combatterono  contro  i  Romani  sotto  Velletri  con  tale 
accanimento  da  superare  i  Veli  terni  stessi ,  secondo  la 
relazione,  che  ne  fecero  i  tribuni  militari  al  senato;  quin- 
di fu  loro  colle  formalità  più  solenni  dichiarata  la  guer- 
ra. Livio  dice  su  tal  proposito  lib.  VI.  e.  XXI.  XXII. 
Senatus  consulto,  popuUque  iussu  bellum  Praenestinis  in- 
dietum.  Ma  i  Prenestini  non  si  sbigottirono,  poiché  uni- 
ti ai  Volsci  assalirono  e  presero  Satrico ,  colonia  roma- 
na, e  vilmente  usarono  della  vittoria  sopra  i  coloni.  Ca- 
millo, scelto  a  diriggere  le  legioni  contro  di  loro,  mal- 
grado la  sua  età  avanzata  li  ruppe  presso  le  mura  del- 
la colonia  stessa,  da  loro  testé  conquistata,  ma  non  per- 
venne ad  ultimare  la  guerra.  Imperciocché  l'anno  seguen- 
te ,  profittando  i  Prenestini  delle  dissensioni  intestine 
de'Romani  uscirono  in  campo,  devastarono  le  terre  ne- 
miche, ed  osarono  attendarsi  presso  la  porta  Collina,  e 
quindi  sulle  ripe  deU'Allia;  essi  credevano  che  quell'in- 
fausto fiume  dovesse  esser  sempre  testimonio  della  scon- 
fitta dei  Romani,  e  frattanto  misero  a  sacco  tutte  le  ter- 
re circonvicine.  T.  Quinzio  Cincinnato,  che  fu  eletto  al- 
lora a  dittatore,  in  venti  dì  li  mise  in  rotta,  e  gl'inse- 
guì  fino  a  Prcneste,  espugnò  otto  terre  fortificate  dipeq- 


478 

denti  da  loro,  prese  Velletri  sui  Voìsci,  e  forzò  Pre- 
neste  ad  arrendersi:  di  là  trasportò  in  Roma  sul  Cam- 
pidoglio la  statua  di  Giove  Imperadore  ,  che  come  tro- 
feo fu  collocata  entro  il  tempio  di  Giove  Capitolino  fraU 
la  celle  di  Giove  e  di  Minerva,  con  una  iscrizione  che 
denotava  le  castella  da  lui  concquistate. 

Rimase  ambigua  la  loro  fede  poiché  nel  376  corse 
fama,  che  si  erano  ribellati  di  nuovo,  e  che  mettevano 
in  movimento  gli  altri  popoli  latini. 

Mantennero  i  Prenestini  la  pace  fino  all'anno  416, 
in  che  si  collegarono  coi  Tiburtini  e  coi  Veliterni  a  di-- 
fesa  de'Pedani  contra  i  Romani.  Livio  lìb.  VII.  e.  XII. 
Furono  vinti  sotto  Pedo  stesso  l'anno  seguente  da  Lu^ 
ciò  Furio  Camillo,  e  nelle  disposizioni  preso  dai  Roma-^ 
ni  in  quello  stesso  anno  a  riguardo  de' popoli  della  lega 
latina,  che  aveano  preso  le  armi  contro  dì  loro,  fu  sta-^ 
bilito,  che  i  Prenestini,  come  i  Tiburtini  venissero  mul^ 
tati  di  una  parte  delle  terre.    *v^tkv\ovi,  ^oVW^si'^'x  ^m^wv;?. 

I/anno  di  Roma  473,  Pirro  avanzandosi  per  la  via 
latina  verso  Roma  ,  dopo  aver  devastato  la  Campania , 
le  rive  del  Liri,  Fregelle,  ed  il  paese  degli  Ernici,  salì 
sulla  cittadella  di  Preneste,  onde  incutere  timore  ai  Ro- 
mani, e  prendere  una  idea  giusta  delle  vicinanze  della 
città:  Floro  lib.  I.  e.  XVIII:  Eutropio  lib  II.  Spaventa- 
to però  dalla  difficoltà  della  impresa,  ricondusse  le  sue 
genti  nella  Italia  meridionale.  Narra  Zonara,  che  in  quel- 
la circostanza ,  i  principali  de'  Prenestini  furono ,  come 
ostaggi,  trasportati  in  Roma,  e  chiusi  dentro  l'erario,  e 
che  così  avverossi  un  oracolo ,  il  quale  diceva  ,  essere 
di  mestieri,  che  l'erario  romano  fosse  occupato  dai  Pre- 
nestini. Dopo  quella  epoca  fino  all'anno  536  non  si  ri- 
cordano più  nò  i  Prenestini  né  Preneste ,  ad  eccezione 
dell'aneddoto  riferito  dal  Valerio  Massimo  lib.  I.  e.  IV, 
che  il  senato   proibì  al  console   Lutazio,  quello   stesso, 


479 
che  vìnse  ì  Cartaginesi  alle  isole  Egati  e  pose  termine 
alla  prima  guerra  punica  ,  di  consultare  le  sorti  della 
Fortuna  Prenestina,  giudicando  doversi  amministrare  la 
republica  cogli  auspicii   patrii,   e  non  cogli  stranieri, 

Neir  anno  536  i  Prenestini  non  giunsero  in  tempo 
a  pertecipare  della  battaglia  di  Canne  :  appena  avcano 
oltrepassato  Casaline,  che  incontrarono  i  corrieri,  i  qua- 
li apportavano  quella  infausta  notizia,  quindi  tornarono 
indietro  per  acquartierarsi  in  Casìlino,  insieme  con  altri 
distaccamenti  di  Romani  e  Latini,  che  si  trovavafao  di 
passaggio:  Livio  Uh.  XXII L  e,  XVII,  che  narra  questo 
fatto ,  dice  che  i  Prenestini  erano  in  numero  di  600 , 
comniandati  da  Manicio.  In  quel  terribile  frangente,  av- 
vedutisi, che  gli  abitanti  avrebbero  aperte  le  porte  al 
vincitore  furono  portati  dalla  necessità  ad  ucciderli  ,;e! 
si  fortificarono  nella  parte  cis-voltumina  della  città,  dò^ 
ve  si  ridusse  pure  la  coorte  perugina  di  460  uomini.  E 
circa  il  numero  de'  Prenestini ,  Livio  dhe  nel  e.  XVII. 
lib.  XXIII.  dice  che  erano  500,  nel  capo  XIX  dice,  che 
erano  570:  Strabone  llb.  V.  e.  IV.  narra  che  erano  540: 
Valerio  Massimo  poi  lib.  VII.  e.  VI.  §.  3  ne  restringe 
il  numero  a  300.  Questo  pugno  di  soldati  arrestò  le 
conquiste,  e  le  vittorie  di  Annibale,  fece  per  varii  me- 
si una  difesa  eroica ,  e  forzato  dalla  fame  ottenne  dal 
vincitore  patti  onorevoli.  I  Prenestini  ridotti  a  metà,  mie- 
tuti in  parte  dal  ferro,  in  parte  dalla  fame,  tornarono 
liberi  a  Preneste  col  loro  pretore  Manicio,  nome  che  io 
dubito  doversi  leggere  piuttosto  M.  Anicio,  cioè  Marco 
Anicio,  essendo  d'altronde  molto  probabile,  the  preni^- 
stina  fosse  quella  illustre  famiglia  romana,  che  tanto  fi- 
gurò ne' tempi  della  decadenza  dell'impero.  Ora  a  Ma- 
nicio, o  piuttosto  M.  Anicio  fu  eretta  nel  foro  prenestii-' 
no  una  statua  loricata,  avvolta  nella  toga ,  e  velata:  il 
senato  romano  volendo  ricompensare  il  valore  di  que'pro- 


480 

di  assegnò  loro  stipendio  doppio ,  cinque  anni  di  esen^ 
zione  dal  servizio  militare,  ed  i  diritti  della  cittadinan- 
za romana;  onore,  che  da  loro  fu  ricusato,  preferendo 
piuttosto  la  indipendenza  patria,  che  appartenere  ad  un 
municipio  estraneo,  malgrado  i  privilegii  ed  i  vantaggi 
che  ne  avrebbero  potuto  ritrarre. 
u  Neil'  anno  543.  a  Premeste  si  unirono  gli  eserciti 
de'due  consoli  Marco  Livio,  e  Caio  Claudio  Nerone,  on- 
de andare  ad  opporsi  ad  Asdrubale  sul  Metauro,  dove 
quel  fratello  di  Annibale  venne  disfatto  ed  ucciso.  Con- 
chiusa la  pace  co'  Cartaginesi,  pace,  che  pose  fine  alla 
seconda  gaerra  punica,  e  fu  la  base  della  potenza  roma- 
na, Prcneste  nel  557  corse  grave  periglio,  per  la  cospi- 
razione tramata  dagli  schiavi,  e  ricordata  da  Livio  nel 
libro  XXXII,  la  quale  finì  C0Ìla  morte  di  500  colpevoli. 
Neil'  anno  581.  narra  Livio  lib.  XLII.  e.  I ,  che  Lucio 
Postumio  Albino  console,  volendo  vendicarsi  della  fred- 
dezza mostratagli  dai  Prenestini ,  mentre  era  privato  , 
allorché  andò  a  fare  un  sagrificio  alla  Fortuna ,  prima 
di  uscir  da  Roma,  mandò  lettere  a  Preneste,  perchè  gli 
venisse  incontro  il  magistrato,  gli  preparasse  un  pubbli- 
co alloggio,  e  tenesse  pronti  i  trasporti  allorché  partiva, 
esigenza  strana,  imperiosa,  ed  alla  quale  secondo  le  leg- 
gi avrebbero  potuto  ricusare  di  sottomettersi  ;  nuUadi- 
meno  modestamente  vi  si  adattarono. 
'^ti\r  Nella  guerra  sillana  Preneste  andò  soggetta  ad  un 
eccidio  j  imperciocché ,  essendosi  ritirato  in  essa  il  gio- 
vane Mario  dopo  la  battaglia  di  Sacriporto  coi  rimasu- 
gli della  sua  gente.  Siila  affidò  a  Lucrezio  Ofelia  la  cura 
di  circonvallare  la  piazza.  Malgrado  i  tentativi  di  Car- 
bone ,  e  di  Ponzio  Telesino  per  liberarlo ,  ed  il  valore 
da  lui  e  dalle  sue  genti  mostrato  nelle  sortite,  l'  asse- 
dio non  fu  tolto:  e  dopo  la  rotta  de'Mariani  e  de' San- 
niti collegati,  avvenuta  presso  la  porta  Collina,  e  la  pro^ 


481 

scrizione  atroce  che  ne  fu  la  conseguenza ,  non  rima- 
nendo allro  scampo,  Frenesie  si  arrese  a  discrezione; 
onde  Mano  procurando  di  salvarsi  per  mezzo  di  uno 
deHanli  cunicoli,  che  foravano  il  monte,  trovandosi  stret- 
to dalla  necessità  ,  si  fece  uccidere  dal  suo  servo ,  o 
secondo  altri  si  uccise  da  se  medesimo,  o  fu  dai  sol- 
ilati  sillani  spento.  E  dopo  questo  fatto  Siila  assunse 
il  cognome  di  Felice.  Veggansi  Livio  Epit.  1.  LXXXVIII. 
Vellejo  lib.  II.  e  XXVII.  Strabone  ,  Plutarco ,  Dione 
«e.  Siila  avuto  l'avviso  <la  Ofelia  della  resa  della  cit- 
tà ,  si  portò  direttamente  a  Frenesie ,  dove  si  mise  a 
j)rocessare  ciascun  abitante  circa  la  condotta  antece- 
dentemente tenuta ,  e  molti  ne  punì  :  ma  stanco  della 
formalità  de'giudizii,  fé  raccogliere  insieme  i  12000  cit- 
tadini che  rimanevano,  e  spietatamente  li  mandò  a  mor- 
te ;  onde  Lucano  Phars.  lib.  ILiiy»;  193  ebbe  ad  escla- 
mare: .-.  < ,/  ;' 
-o)  "jf)!!  >  •  thVt^iV-    Vida   Fortuna   colonos       «K    ìV/,  (ni 

i;    Praenestirui  suos  cunctos  simul   ense  recepto      ,>ft./»H 
Unius  populum  pereuntis  tempore  mortis. 

•i  In  tal  circostanza  si  narra,  che  volendo  accordare 
la  vita  ad  uno,  che  era  stato  suo  ospite,  questi  ìsde- 
gnando  di  dovere  la  vita  allo  sterminatore  della  patria, 
postosi  nella  turba  si  fece  uccidere  volontariamente.  Egli 
distrusse  la  città,  ed  ingrandi  sulle  rovine  di  questa  il 
tempio  della  Fortuna.  E  ne  fondò  una  nuova  nella  pia- 
nura sottogiacente,  che  mise  nel  rango  delle  colonie,  e 
«he  popolò  di  soldati  veteirani ,  e  de' rf^gf zzi  pjrenestiai 
scampati  dallo  scempio.  ,  .ji.j,  r^iiùf.  iw?»»  «,i  h-r  •i.r.ffnT 
E  come  coionia  la  nominarono  Cicerone  e  Fronti- 
no ;  al  primo  di  questi  scrittori  si  dee  la  notizia  ,  che 
Catilina  se  ne  voleva  rendere  padrone,  considerandola 
come  luogo  di  molta  importanza.  Nella  guerra  fra  Ot- 
tavio, e  Lucio  Antonio,  la  colonia  prenestina  abbracciò 

31 


482 

il  partito  di  quest'  ultimo ,  che  vi  si  ritirò  insieme  con 
Fulvia  e  co'figli  del  suo  fratello  Marco.  Frenesie  però 
non  ebbe  a  soggiacere  a  nuove  disgrazie  per  questo;  che 
anzi  Augusto  divenuto  possessore  pacifico  dell'  impero, 
amò  molto  il  soggiorno  di  questa  città ,  siccome  si  trae 
da  Svetonio  nella  sua  vita  e.  LXXII;  e  questo  biogra- 
fo de'Cesari  narra  phe  quell'imperadore  vi  andava  ordir 
nanamente  in  lettiga  e  di  notte  e  con  tanta  lentezza , 
che  faceva  la  strada  in  due  giorni:  onde  è  da  credersi, 
che  probabilmente  la  prima  sera  si  fermasse  a  Gabii  che 
era  a  mezza  strada.  Molto  |a  frequentò  ancors(  Orazio, 
il  quale  la  nomina  fra  ì  luoghi  prediletti,  insieme  colla 
sua  villa  sabina ,  con  Tibur  e  con  Baja  :  Qdar.  lib.  Ili, 
Od.  ni.  e  dove  rilesse  la  Iliade,  siccome  afferma  nella 
seconda  epistola  del  libro  I.  s»  Lollio.  Tiberio  essendosi 
risanato  da  una  malattia  mortale  ne|  territorio  di  que- 
sta città,  la  portò  di  nuovo  al  grado  di  municipio.  Gel- 
lio  Noct.  Att.  lib.  XVI.  e:  XIII.  Sotto  Nerone,  per  te- 
stimonianza di  Tacito  lib.  XV,  e.  XLVI ,  i  gladiatori 
ivi  stanziati  cercarono  di  sollevarsi,  naa  furono  repressi 
dalla  guarnigione,  che  li  custodiva.  Ponaiziano  si  porta- 
va in  Prer^este  ogni  anno  neU'  anniversario  del  suo  im- 
pero, onde  consultare  le  sorti  prenestii^e.  Adriano  vi  edi- 
ficò una  villa  di  che  ancora  si  conservano  le  rovine  pres- 
so la  chiesa  rurale  di  s.  Maria  denominata  perciò  della 
'Tuia,  dove  Marco  Aurelio  secondo  Capitolino  nella  sua 
vita  vi  perde  Vero  cesare  suo  figlio  in  età  di  sette  an- 
ni. Grande  affluenza  di  gente  accorreva  a  Frenesie  per 
consultare  le  «orti  della  dea,  e  da  questa  molle  ricchez- 
ze ne  ricavava;  ma  dopo  che  le  leggi  di  Costanzo,  e 
Teodosio  proibirono  con  pene  severe  questo  rito,  e  fe- 
cero chiudere  il  tempio,  la  città  necessariamente  de-: 
'cadde.       ''♦"'^  r>\\'ì7.   .v.yni'.-uMuvA    ì-.ì'jv 

'*'■  l,a  storia  di  Frenesie   dalla  fine  del  secolo  IV  fi-? 


483 
no  all'anno  752  non  presenta  memorie  degne  èì  vn  ri- 
lievo particolare.  In  quell'anno  però  Astolfo  re  de 'Lon- 
gobardi si  mosse  contro  Roma  con  sei  mila  soldati  ed 
occupò  per  capitolazione  Tivoli,  e  Preneste,  siccome  ri+ 
cavasi  da  un  documento  originale  inserito  dal  Petrini 
nelle  sue  Memorie  Prenestine.  Frattanto  la  città  andava 
insensibilmente  cangiando  nome,  ed  al  primitivo  si  an^ 
dava  sostituendo  il  derivativo  per  l'uso  che  nella  deca- 
denza dell'  impero  prevalse  ;  imperciocché  in  luogo  di 
Praeneste  dicevano  Civitas  Praenestina,  come  in  luogo  di 
Lanuvium,  Civitas  Lanuvina:  da  Praenestina  facilmente 
per  corruzione  scambiossi  il  nome  in  Palestrina ,  del  qua- 
le ho  trovato  memorie  fin  dall'anno  873  della  era  volga? 
re  nel  codice  farfeuse.  -^orirf, 

Neil'  anno  970 ,  questa  città  fu  infeudata  da  papa 
Giovanni  XIII.  a  Stefania  sua  sorella  madre  di  Bene- 
detto conte  tusculano,  col  canone  di  dieci  scudi  di  oro, 
siccome  si  ha  dalla  bolla  emanata  a  tale  proposito,  nel- 
la quale  si  determinano  per  confini  del  territorio,  il  Rio 
Largo,  la  vìa  labicana,  il  monte  Massimo,  il  ponte  Cica- 
la, l'Acqua  Alta,  la  valle  di  Camporazio,  ed  il  monte 
Folinario ,  o  piuttosto  Faustiniano.  A  Stefania  successe 
il  figlio  Benedetto,  il  quale  ebbe  per  successori  i  due 
figli  suoi  Giovanni  e  Crescenzio  l'anno  1010:  questi  in- 
corsero nello  sdegno  di  Benedetto  Vili,  e  Giovanni,  che 
s'intitolava  marchese  e  duca,  si  vide  costretto  a  ritirar- 
si nella  rocca  di  Preneste  ,  dove  fu  stretto  di  assedio 
nell'anno  1012,  e  non  fu  liberato,  se  non  dopo  che  eb- 
be promesso  di  cedere  la  rocca  al  papa,  siccome  si  trae 
dalla  cronaca  farfense  inserita  ne'Rer.  Ital.  Script.  T,  H. 
P.  II.  col  552.  La  pace  fu  conchiusa  l'anno  1055  defi- 
nitivamente, ed  il  marchese  Giovanni  rimase  possessore 
pacifico  di  Preneste.  Papa  Damaso  IL  nel  1018  non 
istiroaudo    cosa   sicura  l'  entrare  in  Roma   per   timore 


484 

degli  aderenti  dell'  antipapa  Benedetto  IX.  si  ritirò  in 
Preneste,  dove  poco  dopo  morì. 

i  Nell'anno  1043,  morto  il  marchese  Giovanni,  Emi- 
lia, sua  sorella,  che  ebbe  il  titolo  di  contessa  e  che  gli 
era  succeduta  nel  dominio  di  Palestrina  essendosi  ma- 
ritata in  seconde  nozze  con  un  personaggio  della  fami- 
glia de  Columna ,  che  è  lo  stipite  noto  della  famiglia 
di  questo  nome ,  trasferì  in  esso  e  nella  discendenza , 
che  ebbe  la  infeudazione  di  questa  città,  malgrado  le 
condizioni  poste  nel  970  da  Giovanni  XIII.  allorché  la 
infeudò  a  Stefania  sua  sorella  ,  cioè  che  non  dovesse 
trascendere  i  suoi  nipoti,  vale  a  dire  che  la  linea  ve- 
niva ad  estinguersi  appunto  in  Emilia.  Lo  sconvolgi- 
mento, che  regnava  in  quella  epoca  in  tutto  il  distretto 
di  Roma  non  permise  subito  di  rivendicare  questa  usur- 
pazione; sebbene  nel  1059,  papa  Nicola  II,  volendo  ab- 
bassare la  potenza  de'  conti  tusculani  e  de'  signori  di 
Lamentana,  e  di  Galera,  loro  affini  e  collegati,  chiamas- 
se in  suo  soccorso  i  Normanni ,  che  si  erano  annidati 
nella  Puglia ,  e  questi  mettessero  a  ferro  e  fuoco  il  ter- 
ritorio de'Prenestini,  de'Tusculani,  de'Nomentani  e  del 
conte  di  Galera,  siccome  attesta  il  card,  di  Aragona  nel- 
la vita  di  quel  pontefice,  presso  il  Muratori  Rerum  Ita- 
licarum  Scrtptores  T.  III.  P.  I.  pag.  301.  Morta  nell'an- 
no 1080  la  contessa  Emilia,  ed  estintasi  in  lei  la  infeu- 
dazione di  Giovanni  XIII.  a  favore  di  Stefania ,  papa 
.Gregorio  VII.  incluse  1'  agro  prenestino  nella  bolla  di 
scommunica  contro  chi  tentasse  di  usurpare ,  o  ledere 
le  terre  della  Chiesa  Romana ,  bolla  che  è  inserita  dal 
Platina  nella  sua  vita. 

Ma  Pietro  della  Colonna  figlio  di  Emilia  e  parente 
de'  conti  tusculani  non  si  sottomise  tanto  volentieri  a 
cedere  la  investitura  ottenuta  da  Stefania  sua  bisavola, 
e  dopo  la  morte  di  Gregorio  VII.  I' anno  1101  insorse 


485 
contro  Pasquale  II.  ed  occupò  Cave,  che  fu  a  lui  ritol- 
ta dal  papa.  Nel  1108  però  unitosi  Pietro  con  Tolomeo 
conte  tusculano  assali  e  prese  Preneste  stessa,  imprigio- 
nò Berardo  Marsicano  spedito  contro  di  lui ,  facendolo 
chiudere  in  una  cisterna:  ed  egli  ritenne  la  città,  circa 
un  anno.  Dopo  questo  fatto  tornando  papa  Pasquale  II. 
dal  regno  di  Napoli  ricuperò  Preneste  e  nel  1117  vi  de- 
dicò la  cattedrale  ad  onore  dì  s.  Agapito  martire.  In 
(ale  circostanza  furono  da  lui  ricevuti  in  questa  città 
gli  ambasciadori  dell'  imperadore  di  Oriente.  Veggasl 
Pandolfo  Pisano  nella  vita  di  Pasquale  II.  presso  i  Re- 
rum Italicarum  Scriptores  T.  III.  P.  I.  col  356.  e  359, 
e  Giovanni  da  Segni  nella  vita  di  Berardo  Marsicano 
presso  rUgbelli  Italia  Sacra  T.  I.  col.  896.  L'anno  se- 
guente però,  dopo  la  morte  di  Pasquale  II,  Pietro  rioc- 
cupò la  città  di  Preneste ,  secondato  sempre  dai  conti 
tusculani,  e  profittando  de'torbidi  di  Roma,  che  accom- 
pagnarono la  elezione  di  papa  Gelasio  II. 

Leggendosi  nella  storia  di  Milano  e.  XI.  publicata 
ne' Rerum  Italicarum  Scriptores  T.  V.  p.  512,  che  l'an- 
tipapa Anacleto  IL  elesse  per  vescovo  prenestino  un 
Giovanni,  d'uopo  è  credere,  che  i  Colonnesi  almeno  ta- 
citamente seguissero  le  parti  di  quell'  antipapa:  ma  nell' 
anno  1137  le  abbandonarono  ,  e  papa  Innocenzo  IL  si 
fermò  in  Palestrina  insieme  coU'impcradore  Lottarlo  IL 
Ristabilissi  nel  1143  in  Roma  il  governo  popolare ,  e 
di  nuovo  fu  istallato  il  senato  per  opera  di  Arnaldo  da 
Brescia:  una  delle  prime  operazioni  di  quelli,  che  era- 
no stati  posti  a  governare  la  nuova  repubblica ,  fu  di 
muovere  guerra  ai  popoli  del  Lazio,  onde  riconoscesse- 
ro il  nuovo  reggimento,  e  Preneste  non  andò  esente  da 
guasti;  non  pare  tuttavia,  che  fosse  soggiogata.  Imper- 
ciocché nel  1149  ritornato  in  Italia  papa  Eugenio  IH. 
e  cercando  di  sottomettere  di  nuovo    colle   armi  il  pò- 


486 

polo  romano ,  si  andò  trattenendo  pcF  qualche  tcmptf 
nelle  città  circonvicine  ,  che  aveano  conservata  la  loro 
indipendenza  e  particolarmente  in  Preneste,  di  che  era 
signore  Oddone  della  Colonna  figlia  di  Pietro.  I  Roma- 
ni continuarono  interrottamente,  ma  sempre  con  accani- 
mento la  guerra  contra  le  città  ci-rconvicine,  particolar-^ 
mente  del  Lazio ,  e  finalmente  pervennera  nel  1184  af 
prendere  di  assalto  Preneste^  e  la  incendiarono^  Vegga- 
si  la  cronaca  di  Fossa  Nuova  presso  i  Rerum  Italicarum 
Scriptores  T.  VII.  Venuti  poscia  a  concordia  nel  1188^^ 
con  papa  Clemente  III.  dichiararono ,  che  il  popolo  ro- 
mano non  avea  dominio  diretta  sopra  la  città  di  I^le- 
strina. 

Ritornò  tosto  sotto  i  Cdonnesi,  e  nel  1201  a'era- 
no  signori  Giordano  ed  Oddone,  figli  di  Oddone  senio- 
re, ricordato  poc'anzi,  i  quali  nel  1203  accaisero  papa 
Innocenzo  III ,  che  disgustatasi  de'  Romani  si  portò  in- 
Palestrina.  Nella  cronaca  genovese  inserita  i^Ua  raccol- 
ta sovrallodata  de'jRer.  Ital.  Script.  T.  IX.  e.  LVI.  leg- 
gesi ,  che  circa  V  anno  1209  i  Colonnesi  si  ripararona 
nella  città  prencstina,  che  avea  fama  di  essere  fortissi- 
ma. L'anno  1241.  il  cardinale  Giovanni  Colonna,  abban- 
donando il  partito  papale  si  volse  a  sostenere  quello  di 
Federico  IL  il  quale  spedì  a  di  lui  sostegno  alcune  trup- 
pe: quindi  il  territorio  prenestino  andò  esente  dalle  de- 
vastazioni, alle  quali  quel  cesare  sottopose  le  altre  ter- 
re de'^contorni  di  Roma.  Narra  Rernardo  Guidone  nella 
vita  di  Martino  IV.  inserita  dal  Muratori  nella  sua  rac- 
colta de  Rerum  Italicarum  Scriptores  T.  IH.  P.  I.  p.  609, 
che  accesasi  in  Roma  la  guerra  civile  nel  1280  fra  gli 
Orsini  e  gli  Annibaldesi ,  i  primi  si  ritirarono  a  Pale- 
strina: gli  Annibaldesi  pertanto  l' inseguirono  fino  sotto 
alle  mura  di  questa  città,  mettendo  a  sacco  tutto  il  con- 
tado e  facendo  strage  di  molti.  Questo  medesimo  fatto,» 


fecondo  Albertino  Miissaio  nella  vita  di  Enrico  VII.  in- 
serita nella  raccolta  sovràllodata  T.  X.  col.  455.  si  ascri- 
ve all'anno  1281.  [■      > 

Frattanto  una  tempesta  terribile  sovrastava  a  que- 
sta città:  ad  Oddone  II.  fin  dal  1252  era  succeduto  per 
atto  di  concordia  Oddone  III.  figlio  di  Giordano  di  lui 
fratello,  ed  a  questo  il  figlio  suo  Giordano  II.  :  a  que- 
sti nacquero  cinque  figli:  Giacomo  cardinale,  Giovanni, 
Oddone^  Matteo,  e  Landolfo.  Di  Giovanni,  che  morì  pri- 
ma dell'anno  1297,  furono  figli  Pietro  cardinale,  Stefa- 
no^ Giovanni,  Giacomo,  soprannomato  Sciarra,  Oddone 
ed  Agapito.  Questi  essendo  eredi  diretti  del  dominio  di 
Palestrina  si  appoggiarono  ài  loro  zio  Giacomo  cardina- 
le: ed  al  contrario  Oddone,  Matteo,  e  Landolfo,  preten- 
dendo avere  parte  nella  successione  di  Giordano  IL  si 
rivolsero  a  papa  Bonifacio  VIII.  Ma  volendo  il  papa  ob- 
bligare i  primi  ad  una  concordia  co'loro  zii,  e  nello  stes- 
so tempo  mettere  un  presidio  in  Palestrina  per  timore 
dell'  aderenza,  che  i  Colonnesi  aveano  con  Federico  di 
Aragona  re  di  Sicilia,  ne  seguì  una  rottura  formale.  I 
Colonnesi  sovraindicati,  compresi  i  due  cardinali  Giaco- 
mo e  Pietro ,  si  ritirarono  in  Palestrina  e  si  posero  in 
piena  insurrezione  centra  il  papa,  e  questi  dal  canto  suo 
publicò  contro  loro  in  data  de'  14  decembre  1297  una 
bolla  di  crociata,  accordando  indulgenza  plenaria  a  chiun- 
que avesse  preso  le  armi  contra  i  Colonnesi ,  e  centra 
Palestrina  ;  e  questa  bolla  come  mdlte  altre  in  quella 
occasione  pubblicate  si  legge  nel  Petrini,  Memorie  Pre- 
nestine  pag.  419  e  seg.  Bonifacio  avea  dichiarato  capi- 
tano contra  i  Colonnesi  insorti  Landolfo  Colonna  ,  uno 
de'  pretendenti  ;  ed  avendo  raccolto  un  esercito  grande 
per  que'tempi,  ed  ottenuto  ajuti  da  Firenze,  da  Orvie- 
to, e  da  Matelica,  nel  1298  occupò  tosto  tutte  le  terre 
de'Colonnesi,  meno  Palestrina,  dove  sì  ridussero  Agapi- 


to  e  Sciarra  insieme  co'cardinaU  Giacomo  e  Pietro.  Do- 
po una  difesa  ostinata  e  valorosa ,  i  quattro  Colonnesi 
si  videro  costretti  alla  resa  ,  e  portatisi  a  Rieti ,  dove 
il  papa  allora  dimorava  si  presentarono  vestiti  a  bruna 
dinanzi  a  lui  in  pieno  concistoro;  il  papa  ad  insinuazio- 
ne  del  coote  Guido  da  Montefeltro ,  che  ave»  vestito- 
t'abito  francescano,  non  solo  li  perdona  e  gli  assolvette 
dalle  censure ,  ma  ancora  fece  Icwro  sperare  di  m^Mite- 
nerli  in  possessa  della  città.  Dante  che  fu  contempo- 
raneo a  questo  avvenimento  fa  con  gravi  caratteri  nar- 
rare a  Guido  stesso  questa  fatto  nell'  Inferno^,  canta 
XXVIL  V.  67.  Veggasi  inoltre  su  tal  proposito  quello, 
che  narrano  Ferretto  Vicentino  ne'Rer.  Ital.  Script.  T. 
IX.  p.  970,  e  Giovanni  Villani  nelle  Storie  lib.  Vili, 
e.  XXI.  e  seg.  Tenne  Bonifacio  il  consiglia  datogli  da 
Guido:  lunga  promessa  con  Vattender  corto;  imperciocché 
ordinò  a  Teodorica  Ranieri  da  Orvieto,  vescovo  eletto 
di  Pisa,  allora  camerlengo  di  santa  Chiesa,  che  andasse 
a  prender  possesso  della  città,  e  la  facesse  smantella- 
re e  distruggere  fin  dalle  fondamenta,  ad  eccezione  del- 
la chiesa  cattedrale.  Quest'  ordine  venne  eseguita  cou 
tutto  il  rigore,  e  secondo  l'antico  rito,  l'aratro  solcò  le 
rovine  della  città  distrutta,  e  vi  fu  sparso  sopra  il  sale; 
e  a  maggior  pena  i  beni  degli  abitanti  vennera  confi- 
scati, accordando  loro  per  grazia,  che  potessero  ricove- 
rarsi ivi  dappresso  nella  pianura,  ne' dintorni  della  Ma- 
donna dell'Aquila.  \ 

La  borgata  di  tugurii ,  che  si  formò  in  tale  occa- 
sione ebbe  il  nome  di  Civitas  Papalis;  ma  nel  1300,  ap- 
pena nata,  per  disposizione  dello  stesso  papa  venne  at- 
terrata, ed  arsa,  siccome  si  legge  in  un  documento  ri- 
ferito dal  Petrini  p.  426,  ad  eccezione  della  cattedrale 
e  di  poche  case  a  quella  adiacenti.  Con  altra  bolla  del 
22  aprile  1301  Io  stesso  papa  dichiarò,  che  i  Colonne-r 


48» 
sì  da  lungo  tempo  possedevano  ingiustamente  questo, 
feudo,  essendo  spirato  il  termine  della  investitura,  e  che 
per  pubblico  istromento  aveano  riconosciuto  questo  fat- 
to Matteo,  Giovanni,  e  Francesco  Colonna.  Questa  bol- 
la esistente  nell'archivio  segreto  vaticano  fu  pubblicata 
dal  Petrini  alla  pag.  428. 

Morto  però  Bonifacio  nel  1303,  e  succedutogli  Be* 
nedctto  XI.  questi  ai  23  decembre  assolvette  i  Colonnesi 
da  molte  di  quelle  pene,  che  avea  contra  loro  fulmina- 
te il  suo  antecessore,  restituì  loro  tutti  i  beni  perduti, 
e  solo  restrinse  tale  indulto  col  proibire  loro  di  riedi- 
ficare Palestrina.  Veggansi  i  documenti  notati  dal  Pe- 
trini p.  153.  Morì  quel  papa  dopo  aver  governato  la 
chiesa  8  mesi  e  17  giorni.  Nel  lunghissimo  conclave 
che  seguì  la  sua  morte,  i  Colonnesi  Tanno  1304  si  pre- 
sentarono in  Campidoglio  e  domandarono  a  Pietro  Cae- 
tani  la  riparazione  de' danni  sofferti  per  opera  di  Boni- 
facio Vili,  suo  zio.  Questa  loro  istanza  si  conserva  nel- 
l'archivio vaticano,  e  si  riporta  dal  Petrini  alla  p,  429. 
in  questi  termini.  Relatio  super  facto  Domtnorum  Colum- 
pnensium ,  et  Dominorum  Cajetanorum.  Domini  Colum- 
ptienses  petunt  quae  sequuntur.  Prima  petunt  restitutionem 
tittdi  Cardinalatus.  Item  dicunt  in  Civitate  Penestrina  quae 
totaliter  supposita  fuit  exterminio  et  ruinae  cum  Palaciis 
suis  nobilissimis  et  antiquissimis ,  et  cum  Tempio  magno 
et  solemni  quod  in  honorem  Beatae  Virginis  dedicatum 
erat  aedificatis  per  JuUum  Caesarem  Imperatorem ,  cuius 
Civitas  Penestrina  fuit  antiquitus  et  cum  scalis  de  nobi- 
lissimo mar  more  amplis,  et  largis,  per  quas  etiam  equi- 
tando  ascendi  poterai  in  Palacium^  et  Templum  praedicta, 
quae  quidem  scalae  erant  ultra  centum  numero.  Palacium 
autem  Caesaris  aedificatum  ad  modum  unius  C  propter 
primam  literam  nominis  sui  et  Templum  Palatio  inhaerens 
opere  sumptuosissimo  et  nobilissimo  aedificatum  ad  modum 


490 

S.  M.  Rotundae  de  urbe.  Qude  omnia  per  ipstim  Boni- 
factum  et  eius  tyrampnidem  exposita  fuerint  totali  exter- 
minio)  et  ruinae,  et  cum  omnibus  aliis  Palaciis,  et  aedi- 
ficiis  et  Domibus  eiusdem  Civitatis,  et  cum  muris  antiquis-' 
simis  opere  Sarra^enico  factis  de  lapidibus  quadris  et  ma-' 
gnis,  quae  sola  dampna  tam  magna,  et  inextimahilia  sunt, 
quod  multa  et  magna  bona  non  sufficerent  ad  refectionem 
ipsormn,  nec  aliqua  ratione  vel  summa  pecuniae^  ut  fue- 
runt  fefici  pfopter  magnam  antiquitatem  et  nobilitatém  ope- 
rum  praedictorum.  Item  in  Castro  Montis  Penestrini,  quod 
similiter  totaliter  dirui  fecit,  ubi  erat  Rocca  nobilissima, 
et  Patacia  pulcherfima ,  et  muri  antiquissimi  opere  Sar-* 
racenico ,  et  de  lapidibus  nobilibus  sicut  muri  praed.  Ci- 
vitatis  f  et  amplius  erat  Ecclesia  nobilissima  sub  vocabula 
Beati  Petri,  quae  quondam  Monasterium  fuit,  quae  omnia 
cum  omnibus  Palaciis  aliis  et  Domibus  quae  erant  in  Co-' 
stro  circa  ducenta  numero  exposita  fuerunt  totali  extermi- 
nio  et  ruinae. 

Ho  giudicato  opportuno  d'inserire  questo  ìmpoftan-' 
tissimo  documento  ,  pen^hè  si  ha  in  esso  uno  stato  de*^ 
monumenti  dell'antica  Preneste  sul  finire  del  secolo  XIII. 
ed  una  idea  della  terribile  devastazione  a  che  andaro- 
no soggetti.  Domandarono  inoltre  i  Colonnesi  la  rifa- 
zione de'  danni  per  la  distruzione  delle  altre  loro  terre 
della  Colonna,  Torre  de'Marmi,  Zagarolo  ec.  Il  Caetani 
fu  condannato  a  pagare  ai  Colonnesi  100,000  fiorini  d'oroy 
e  questa  sentenza  fu  inserita  nello  statuto  di  Roma;  ma 
non  si  sa  che  avesse  mai  esecuzione.  I  Colonnesi  venne- 
ro poscia  da  papa  Clemente  V.  con  bolla  de'2  febbrajo 
1306,  non  solo  assoluti  pienamente  ma  abilitati  a  riedi- 
ficar Palestrina,  ed  il  vescovo  cominciò  di  nuovo  ad  ap- 
pellarsi Prenestino  in  luogo  di  Episcopus  Civitatis  Papa- 
lis,  come  ne  apprendono  varj  documenti  inseriti  e  nota- 
ti dal  Petrini  p.  154,  e  439.  La  città  e  la  rocca  si  an- 


491 
darono  sollevando  dalle  rovine  per  opera  di  Stefano  Co- 
lonna fin  dall'anno  1307.  Nel  1327  era  già  sufficiente- 
mente fortificata  in  guisa  da  poter  resistere  se  si  fosse 
presentata  la  occasione   alle  genti  di  Ludovico  il  Bava- 
ro,  essendovisi  per  testimoftianza  Aeì  Villani  lib.  X.  cap.. 
LXIX^   ricoverato  lo  sfesso  Stefano   Colonna  che  affRsse 
contro  di  lui  il  processo  fattogli  da  papa  Giovanni  XXII. 
Nel  1332  poi  lo  stesso  Stefano  die  compimento  al  ristau- 
ro  ed  alle  fortificazioni  di  Palestrina  e  della  rocca,  sic- 
come ricavaisi  dalla  iscrizione  esistente  sulla  porta  della 
rocca  medesima,  e  che  riporterò  più  sotto,  come  io  lai 
copiai  nel  1825.  Vi  si  ritirò  di  nuovo  nel  1346   insie-' 
me  con  altri    Colonnesi    onde    sottrarsi  allo  sdegno  del 
celebre  Nicola  di  Rienzo,  e  vi  si  trattenne  per  tutto  I  an-- 
no  seguente,  finché  durò  il  potere  di  quel   tribuno.  Ora 
essendo  costui  di  nuovo  salito  al  tribunato  nel  1350  spe- 
dì Buccio  de  Giubilèo  ,  e  Giovanni  Caffarello  a  Stefano 
in  Palestrina,  perchè  prestasse  il  suo  omaggio:  ma  que- 
sti non  solo    non  li  ricevette  ,  mai  li  fece    arrestare ,  e 
mandò  le  sue  genti  a  far  scorrerie  sul  territorio  roma- 
no. Onde  il  tribuno  infierito  mosse  Toste  contro  Palestri- 
na e  si  attendò  presso  la  chiesa  di  s.  Maria  della  Vil- 
la ,  nel  laogo  che    poscia  fu  detto  il  Campo.    Vedendo 
però  di  non  poterla  prendere  né  per  assalto  né  per  fa- 
me si  ritirò    con    animo  di  tornare  ad  assalirla.   Ed  in 
fatti  nel  1354  incaricò  di  questo  assedio ,  come  capita- 
no del  Popolo  Romano,  Riccardo  degli  Annibaldi,  signo- 
re di  Montecompatri,  ma  neppure  esso  pervenne  ad  im- 
padronirsene ;  e  poco  tempo  dopo ,  il  tribuno  fu  ucciso 
particolarmente  per  le  trame  de' Colonnesi  e  delle  altre 
famiglie  potenti.  La  storia  di  questi  fatti  si  legge  nella 
vita  di  Cola  di  Rienzi  inserita    dal    Muratori  nel  tomo 
III.  delle  sue  Antiquitates  Italicae  Medii  Aevi. 

Nello  scisma  famoso  di  occidente  i  Colonnesi  si  at- 


492 

taccarone  al  partito  di  Pietro  de  Luna ,  e  vollero  far 
scorrerie  nel  territorio  romano  ;  ma  cinti  dalle  truppe 
romane,  pontificie,  e  napoletane,  e  posti  sotto  l'interdet- 
to da  Bonifacio  IX.  furono  forzati  a  sottomettersi  e  nel 
1401  fu  conchiuso  l'atto  di  concordia.  Palestrina  venne 
assediata  da  Ladislao  re  di  Napoli  nel  1414,  che  si  ri- 
tirò per  convenzione.  Altro  assedio  ebbe  a  soffrire  nel 
1417,  allorché  vi  si  ritirò  Niccolò  Piccinino,  per  parte 
dell'esercito  roniano  e  napoletano  collegato  condotto  dal 
celebre  Sforza ,  ma  papa  Martino  V.  di  casa  Colonna 
portato  al  soglio  pontificio  dal  concilio  di  Costanza  cal- 
mò tutti  questi  mali. 

Ricominciarono  i  torbidi  fra  i  Colonnesi  ed  il  papa 
dopo  la  morte  di  Martino  V.  avvenuta  nel  1431,  torbi- 
di che  finirono  con  un  trattato  dì  concordia  conchiuso 
nel  1433  con  papa  Eugenio  IV.  Tornarono  ben  presto 
i  Colonnesi  in  discordia  col  papa  nel  1434 ,  essendosi 
dichiarati  per  Niccolò  Fortebraccioj  nell'  anno  seguente 
però  si  venne  ad  un  nuovo  atto  di  concordia ,  che  fu 
egualmente  di  effimera  durata ,  poiché  avendo  i  Colon- 
nesi mostrata  opposizione  ai  voleri  del  papa,  questi  sde- 
gnato contro  di  loro  ne  decretò  lo  esterminio  e  dichia- 
rato capitano  dell'esercito  papale  il  cardinal  Vitelleschi 
patriarca  di  Aquileja  la  fece  assediare  nel  1436,  e  que- 
sti dopo  un  assedio  ostinato  sen  rese  padrone  a  patti. 
Dapprincipio  contentossi  di  porre  un  forte  presidio  nel- 
la piazza;  ma  nell'  anno  seguente  1437  per  sospetti  di 
nuova  ribellione  ,  il  patriarca  determinò  di  eguagliarla 
al  suolo  :  prefisse  agli  abitanti  sette  giorni  di  tempo 
per  isloggiare ,  permise  loro  di  trasportare  tanto  le  sup- 
pellettili quanto  ancora  i  materiali  delle  case  a  loro  ar- 
bitrio, scelse  dodici  capimastri  dai  rioni  di  Roma,  e  il 
di  20  di  marzo  die  principio  al  suo  smantellamento,  fa- 
cendola spianare  col  ferro  e  col  fuoco,  e  questa  opera- 


493 
2Ìone  continuò  per  quaranta  giorni  continui.  Gli  abitan- 
ti si  dispersero  ne'paesi  circonvicini,  e  molti  si  traspor- 
tarono in  Roma.  La  cattedrale  ancora  fu  smantellata  : 
le  campane,  le  porte,  e  le  reliquie  de'santi  vennero  dal 
Vitelleschi  trasportate  nella  sua  patria  a  Corneto:  e  co- 
sì scorsi  appena  139  anni  dopo  la  prima  distruzione , 
Palestrina  trovossi  di  nuovo  ridotta  ad  un  mucchio  di 
rovine  informi.  Rimase  però  per  quell'anno  in  piedi  la 
rocca;  ma  anche  questa  nel  1438  venne  distrutta  colla 
opera  di  Niccolò  da  Roma  del  rione  Colonna,  e  di  Pao- 
lo Petrone  del  rione  di  Ponte.  Costui ,  essendo  autore 
di  una  cronaca  de'  tempi  suoi ,  narra ,  come  esso  ed  il 
suo  collega  si  portarono  alla  fortezza,  vi  si  trattennero 
un  mese  e  la  fecero  spianare  fino  al  livello  della  piaz- 
za, lasciando  il  posto  abbandonato  e  senza  guardia.  11 
Vitelleschi  ebbe  nel  1440  la  pena  degna  delle  atrocità, 
che  commise  per  suo  male  animo.  Papa  Eugenio  IV. 
che  Io  avea  innalzato  alla  porpora,  e  gli  avea  dato  l'ar- 
civescovato di  Firenze  ,  venuto  in  gravi  sospetti  contro 
di  lui  lo  fece  improvvisamente  arrestare  e  condurre  in 
Castel  s.  Angelo,  dove  finì  di  vivere  il  dì  2  di  aprile, 
compiendo  il  triennio  dello  scempio  da  lui  fatto  di  Pa- 
lestrina. 

Morto  questo,  cominciò  ad  annidarsi  qualcuna  del- 
le famiglie  profughe  ne'  dintorni  del  demolito  palazzo 
baronale:  è  probabile  che  questo  nucleo  di  popolazione 
si  andasse  successivamente  aumentando,  finché  nel  1447 
da  Niccolò  V.  fu  dato  pieno  permesso  ai  Colonnesi  di 
riedificare  Palestrina,  ma  senza  fortificazioni:  prescrizio- 
ne che  sembra  essere  stata  rimossa  quasi  contempora- 
neamente poiché  nel  1448  Stefano  Colonna  che  si  pose  a 
riedificare  la  città  la  munì  di  un  muro  merlato,  di  al- 
cune torri,  e  vi  aprì  tre  porte,  dette  di  s.  Cesario,  del 
Murozzo ,  e  del  Truglio.  Petrini   Mem.  pag.  180.  181. 


494 

Dopo  questa  epoca  Palestrina  cominciò  a  prosperare  ed 
estendersi  in  modo  da  occupare  tutti  i  ripiani  dell'  an- 
tico tempio  della  Fortuna.  Nel  1527  andò  soggetta  al- 
le devastazioni  delle  truppe  di  Carlo  V.  e  poco  dopo 
alla  pestilenza.  Nella  guerra  de' Caraffeschi  fu  occupata 
y  anno  1556  dagl'  Imperiali  venuti  in  soccorso  di  Mar- 
cantonio Colonna  contro  papa  Paolo  IV.  e  finalmente  nei 
1630  da  Francesco  Colonna  fu  venduta  ai  16  di  genna- 
io a  Carlo  Barberini  fratello  di  Urbano  Vili,  per  775,000 
scudi  insieme  con  la  tenuta  di  Mezza  Selva  e  di  Cor- 
collo  ,  e  dopo  quella  epoca  si  ritiene  da  questa  stessa 
famiglia  con  titolo  di  principato. 

La  città  attuale  è  intieramente  fondala  sulle  rovi- 
ne del  magnifico  tempio  della  Fortuna;  dell'  antica  cosi 
parla  Strabone  lib.  V.  e,  III.  §.  II,  «  Alla  vista  di  quei 
«  di  Roma  sono  Tibur,  Preneste,  e  Tusculo:  Tibur   è 

((  quella,  in  che  è  l'Eraclèo,  e  la  cataratta 

«  Preneste  poi  è  quella  dove  è  il  tempio  celebre  della 
«  Fortuna ,  che  dà  oracoli  ',  ed  ambedue  queste  città 
tf  sono  addossate  alla  stessa  falda  di  monti;  sono  fra 
«  loro  distanti  circa  100  stadii  (  12  miglia  e  mezzo  )  ; 
«  e  da  Roma  Preneste  lo  è  il  doppio,  Tibur  meno.  Di- 
ce cono  essere  ambedue  di  origine  greca,  e  che  Prene- 
((  ste  in  principio  si  appellasse  Polistefano  (  di  molti  re- 
«  cinti).  Ora,  ambedue  sono  forti,  ma  molto  più  forte 
«  è  Preneste;  imperciocché  ha  per  rocca  sopra  la  città 
<i  un  monte  alto  il  quale  è  unito  alle  montagne  conti- 
«  gue  con  un  collo ,  e  domina  ancor  questo  ,  salendovi 
«  direttamente ,  due  stadii  (  1250  piedi  ).  Oltre  1'  esser 
«  forte  si  aggiunge  che  è  da  ogni  parte  forata  da  ca- 
«  nali  coperti ,  che  vanno  fino  alla  pianura ,  altri  per 
«  condurre  l'acqua,  altri  per  sortite  nascoste:  ed  in  uno 
«  di  questi  Mario  assediato  lasciò  la  vita.  Per  le  altre 
«  città  r  essere  ben  munite  si  pone  a  bene;  ai  Prene- 


495 
«  slini  però ,  per  le  sedizioni  de'  Romani  fu  una  cala-r 
«  mità;  imperciocché  rifuggiandosi  ivi  coloro,  che  tenta- 
<c  no  cose  nuove  ,  dopo  essere  presi ,  avviene  che  alH 
«  guasti  che  soffre  la  città  si  aggiunga  ancora  lo  smem- 
K  bramento  del  territorio,  cadendo  la  pena  sopra  quel- 
ut  li  che  non  ne  hanno  colpa.  Scorre  pel  territorio  di 
u  essa  il  fiume  Veresi.  Le  suddette  città  stanno  ad  o- 
a  riente  di  Roma  ».  È  questa  descrizione  così  esatta , 
che  non  può  negarsi  avere  il  geografo  visitato  i  luoghi 
egli  stesso.  Il  nome  di  Polistefano ,  che  egli  ricorda  , 
piuttosto  che  significare  materialmente  di  molte  corone 
di  fiori,  significa  di  molte  cinte,  o  corone  di  mura,  che 
tale  infatti  è  il  caso  di  Preueste,  nella  stessa  guisa  che 
Orfeo  Argonaut.  v.  895  dice  che  il  vello  di  oro  custo- 
divasi  entro  un  luogo  circondato  con  sette  corone  di 
torri  e  bjBn  polite  pietre: 

-u  f^povpcìroct  nvpyoiai  itoci  z^^iarctat  iJ^v^pciant  d'""fi^ 
<"■'•    'ETtrà  mpi  orsipóys^or?  xuxX5Vju,£V5V.  v?».,,-, 

Essendo  pertanto  la  città  attuale  fondata  sulle  rovine 
del  tempio  ,  la  sua  pianta  si  accosta  molto  al  rettango- 
lo, e  s'innalza  su  varii  ripiani  in  modo  piramidale,  co^ 
me  un  dì  innalzavasi  il  tempio.  1  principali  di  questi 
ripiani  si  distinguono  ancora,  e  sono  quello  del  giardi- 
no di  sotto  de'  Barberini ,  quello  del  giardino  di  sopra 
e  della  via  del  Corso,  quello  della  via  del  Borgo,  quel- 
lo di  strada  Nuova,  e  quello  della  Cortina. 

La  città  moderna  non  presenta  alcun  edificio  degno 
di  esser  particolarmente  ricordato,  e  la  Cattedrale  stes- 
sa è  una  chiesa  ordinaria  :  le  case  della  parte  inferiore 
sono  sufficientemente  ben  fabbricate;  il  giardino  Barbe- 
rini però  in  essa  compreso  è  ridotto  ad  un  orto ,  che 
non  ricorda  la  primitiva  magnificenza,  se  non  per  le  sta- 


496 

tue  mutile  e  tronche  qua  e  là  abbandonate,  per  un  bas- 
sorilievo bacchico ,  e  per  varii  piedestalli  con  antiche 
iscrizioni  di  cui  le  più  importanti  sono  quelle  di  Cneo 
Voesio  Apro  pubblicata  dal  Petrini  p.  313 ,  di  Decimo 
Vello  Trofimo  riportata  dallo  stesso  p.  318,  di  Manilla 
Lucilla  id.  p.  364 ,  e  quella  votiva  della  Pietà  e  della 
Fortuna  id  p.  299.  Le  case  della  parte  superiore  sono 
piuttosto  tugurii:  ed  il  palazzo  baronale  stesso  che  è  in 
questa  parte,  ed  è  fabbricato  sulle  rovine  dell'emiciclo 
nel  ripiano  della  Cortina ,  sebbene  sia  di  architettura 
corretta  del  declinare  del  secolo  XV  è  in  rovina.  \i,lu 
Contiene  però  oltre  il  celebre  musaico,  di  che  si 
farà  menzione  più  sotto,  molti  frammenti  antichi  di  scul- 
tura, e  varie  iscrizioni,  fralle  quali  la  famosa  della  For- 
tuna,  che  incomincia  TV  QVAE  TARPEIO  COLERIS 
VICINA  TONANTI,  una  alla  Pace  Augusta:  l'altra  alla 
Sicurezza  Augusta  eretta  dai  decurioni  e  dal  popolo  pre- 
uestino.  Vaga  è  la  chiesa  baronale  di  s.  Rosalia  tutta  in- 
crostata di  alabastro  e  marmi  fini ,  nella  quale  si  mostra 
un  gruppo  della  Pietà  ricavato  nel  masso  vivo  della  ru- 
pe, ma  non  finito,  che  dicesi  di  Michelangelo,  ma  che 
piuttosto  risente  lo  stile  di  Bernini.  Più  squallido  an- 
4;ora  è  l'aspetto  della  contrada  denominata  lo  Scacciato, 
dove  sembra  essersi  rannodata  la  popolazione  dopo  la 
catastrofe  sofferta  per  opera  del  feroce  Vitelleschi. 
IO  Nelle  rovine  del  tempio,  delle  mura,  e  di  altre  fab- 
briche antiche  primeggiano  principalmente  la  costruzio- 
ne a  poligoni  grandi  ben  politi,  e  della  terza  specie,  e 
quella  a  poligoni  piccioli  ;  non  mancano  parti  costrutte 
di  opera  quadrata,  e  di  opera  laterizia,  così  che  quat- 
tro distinte  epoche  si  ravvisano,  quella  di  Preneste  in- 
dipendente da  Roma  nella  prima ,  quella  di  Siila  nella 
seconda,  quella  delle  guerre  puniche  nella  terza,  e  quel- 
la degl'imperadori  nella  ultima.  Verso  mezzodì  alle  due 


497 
«stremila  della  città  sono  le' porte  denominate  di  s.  Mar- 
tino e  del  Sole  :  verso  oriente  sono  la  porta  dello  Mo*' 
nache,  la  porta  Portella  e  la  porta  de'  Cappuccini:  ver- 
so settentrione  finalmente  è  la  porta  s.  Francesco ,  in 
tutto  sei  oltre  due  porte  antiche  chiuse,  una  nel  recin- 
to di  pietre  quadrilatere  presso  la  porta  s.  Martino,  l'al- 
tra nel  recinto  a  poliedri  presso  la  porta  Portella  e  che 
ha  9  palmi  di  larghezza.  Il  recinto  antico  originale  con 
minciava  alla  porta  del  Sole,  dove  se  ne  veggono  i  pri- 
mi avanzi  a  polìgoni,  di  là  dirigevasi  direttamente  alla 
sommità  della  cittadella,  oggi  detta  Monte  s.  Pietro,  ed 
in  questo  tratto  si  veggono  alcune  torri  quadrilatere  co- 
strutte di  opera  incerta  fra  la  porta  delle  Monache  ,  e 
la  porta  Portella.  Ivi  pure  il  muro  a  poliedri  conserva 
15  piedi  di  altezza,  e  sopra  un  masso  in  lettere  di  for- 
ma antichissima  leggesi  PED  XXX.  Dopo  aver  corotia- 
to  la  sommità  del  monte  riscendeva  di  nuovo  fin  pres- 
so la  porta  s.  Martino  dove  fuj'raflbrzato  circa  la  epoca 
<li  Annibale  con  mura  di  pietre  quadrilatere,  e  dove  ve- 
desi  una  delle  porte  antiche  chiuse ,  indicate  di  sopra , 
e  di  là  quasi  in  linea  retta  andavano  nella  direzione 
del  giardino  Barberini  di  sopra,  e  della  via  di  s.  Giro- 
lamo a  raggiungere  la  porta  del  Sole.  Questo  ambito 
di  circa  tre  miglia  veniva  intersecato  almeno  da  tre  al- 
tre cinte  al  di  sopra  della  contrada  della  Cortina,  e  per- 
ciò la  città  potè  dirsi  poliste fano  ,  o  di  molte  corone , 
formando  come  quattro  città  diverse,  oltre  i  varii  ripia- 
ni del  tempio,  che  pateyanQ  Mcbe..«s3Ì.rigua]:darsi  com^ 
altrettante  cinte,  -^lìii  U.  '>»!•>  f^^'y>?.  'fho?'  •'  n!-^'<«tiv  o>< 
■;  .  Del  tempio  stesso  io  pubblicai  una  memoria,  l'an- 
no 1825  ,  allorché  illustrai  il  ristauro  fatto  di  esso  da 
un  architetto  russo  ,  intitolata  II  Tempio  della  Fortuna 
Prenestina  ec;  siccome  questa  memoria  fu  pubblicata  a 
spese  di  Alessandro  I.  imperadore  delle  Russie  e  si  di- 

32 


^lingue  per  la  splendidezza  della  edizione,  e  per  la  gran- 
dezza delle  tavole,  ma  è  dall'altro  canto  difficile  ad  a^ 
versi  ,  perchè  la  edizione  venne  esaurita  ,  perciò  credo 
opportuno  di  riepilogarla  in  questa  opera ,  onde  possa 
aversi  una  giusta  idea  della  forma  e  delle  parti  di  quel- 
la fabbrica  portentosa,  che  attrasse  gli  studii  degli  ar-r 
phitetti  e  degli  antiquarii  di  tutti  i  tempi,  che  ne  fog- 
giarono ristauri  fin  dal  secolo  XV  :  ed  uno  se  ne  con- 
serva nella  Biblioteca  vaticana  n.  3439  :  più  noti  sono 
quelli  di  Pirro  Ligorio,  Pietro  da  Cortona,  e  Costantino 
Thon,  architetto  russo,  e  quest'  ultimo  è  quello  che  io 
illustrai  colla  memoria  sovraindicata.  I^a  fondazione  pri- 
mitiva di  questo  tempio  è  ignota,  ma  certamente  è  an- 
tichissima, come  lo  dimostrano  le  imponenti  sue  sostru-. 
zioni  a  poliedri ,  ed  il  passo  di  Cicerone  De  Divin  lib. 
II.  e.  XLI.  dove  narra  come  Numerio  Suffucio  perso- 
naggio onesto  e  nobile  di  Preneste,  ammonito  ripetuta- 
mente da  sogni,  in  ultimo  luogo  ancor  minaccevoli,  an- 
dò a  tagliare  una  selce,  dalla  quale  spiccarono  fuori  in- 
cise in  legno  di  quercia  le  famose  sorti  prenestine,  scrit- 
te in  lettere  antiche.  E  questo  luogo  a'  suoi  tempi  ve- 
fievasi  chiuso  e  religiosamente  custodito  pel  gruppo  del- 
la Fortuna  assisa ,  allattante  Giove  e  Giunone.  E  nello 
stesso  tempo  scorse  miele  da  un  olivo  piantato  nel  luo- 
go dove  a'suoi  dì  vedevasi  il  tempio  della  Fortuna:  vói 
JFortunae  nunc  sita  est  aedes;  del  quale  olivo  per  ingiun- 
zione degli  aruspici,  che  predissero  la  futura  celebrità 
di  quelle  sorti,  fu  fatta  la  cassetta,  nella  quale  venne- 
ro deposte  le  sorti  stesse  ,  che  si  ritiravano  per  ordine 
della  Fortuna  :  quae  hodie  Fortunae  monitu  toUuntur.  E 
soggiunge  che  la  bellezza  e  la  vetustà  del  Tempio,  avea 
fatto  ritenere  fin  allora  presso  il  volgo  il  nome  di  sor- 
ti prenestine.  Era  quest'oracolo  in  tale  celebrità  sul  fi- 
nire della  prima  guerra  punica,  che  il  console  Lutazio, 


499 
che  poi  la  finì  presso  le  ìsole  Egati ,  ebbe  divieto  dal 
senato  di  consultarlo,  perchè  con  savio  divisamento  giu- 
dicava doversi  amministrar  la  republica  con  auspicii  ro- 
mani e  patrii  non  con  es tranci:  Auspiciis  enim  patriis  non 
alienigenis  rempublicam  administrare  oportere.  Valerio  Mas- 
simo lib.  I.  e.  IV.  E  tale  fu  la  fama,  tanta  la  venera- 
zione, che  riscuoteva  il  tempio  della  Fortuna,  che  Ovi- 
dio Fast.  VI.  V.  61  e  seg.  designa  Preueste  col  nome 
di  mura  sacre  della  dea  prenestina ,  e  Lucano  Phars.  II. 
y.  193  e  seg.  chiama  i  Prenestini,  coloni  della  Fortuna: 
Vidit  Fortuna  colonos  ;, 

Praenestìna  suos  ec. 
II  tempio  primitivo  copriva  la  parte  inferiore  della 
£Ìttà  compresa  entro  le  strade  odierne  del  Corso  e  del 
Borgo,  e  la  città  primitiva  lo  circondava,  e  particolar- 
mente innalzavasi  verso  la  rocca;  ma  dopo  che  Siila  di- 
strusse la  città,  siccome  fu  notato  di  sopra,  ampliò  gran- 
demente sulle  rovine  di  essa  il  tempio,  di  sotto  portan- 
dolo fino  alla  odierna  contrada  degli  Arconi,  e  di  sopra 
elevandolo  fino  alla  contrada  dello  Scacciato  dietro  il 
palazzo  baronale ,  e  questa  grande  ampliazione  indusse 
alcuni  a  credere  il  tempio  della  Fortuna,  come  edifica- 
to primitivamente  da  Siila.  Da  quella  epoca  la  fama  di 
questo  tempio  andò  sempre  crescendo  ,  e  viemmaggior- 
mente  salirono  in  credito  le  sorti  prenestine,  che  essen- 
do Preneste  divenuta  colonia  romana  non  solo  cessò  ogni 
gelosia  per  parte  del  senato  di  lasciar  consultare  il  suo 
oracolo  dai  magistrati,  ma  sovente,  dopo  la  caduta  della 
repubblica,  gì'  imperadori  stessi  lo  favorirono.  Svetonio 
in  Domitiano  e.  XV.  Lampridio  in  Alexandro  Severo  e. 
IV.  La  legge  però  di  Costanzo  emanata  l'anno  353  del- 
la era  volgare  contro  il  culto  antico,  e  soprattutto  quel- 
la dì  Valentiniano  IL  e  Teodosio  promulgata  nel  391 
posero  termine  alla  celebrità  di  questo   antico   delubro 


500 

del  Lazio,  e  col  farlo  chiudere,  e  lasciarlo  in  abbandona 
ne  prepararono  la  rovina.  Le  successive  scorrerie  de'bar- 
bari  mossero  gli  abitanti  a  riparare  fralle  sue  rovine:  i 
portici,  ed  i  delubri  furono  ridotti  ab  abituri  moderni, 
ed  a  poco  a  poco  questa  mole  immensa  scomparve.  Ri- 
maneva però  ancora  intatta  una  gran  parte  delle  ma- 
gnifiohe  sue  sostruzioni,  le  antiche  scale  marmoree  ser- 
vivano ancora  per  le  communicazioni  degli  abitanti ,  e 
conservano  la  loro  magnificenza,  e  vedevasi  ancora  tor- 
reggiare sulla  sommità  de'ripiani  il  tempio  rotondo  della 
dea,  allorché  nel  1298,  come  già  si  notò  di  sopra,  per 
ordine  di  Bonifacio  Vili,  furono  smantellate  le  sostru- 
zioni, distrutte  le  scale,  atterrato  il  portico  semicircola- 
re ,  e  demolito  il  tempio  rotondo.  E  quello  che  per  la 
solidità  resistette  al  piccone  ed  al  fuoco  di  Bonifacio 
fu  deformato  dagli  abituri  della  popolazione  e  dalla  suc- 
cessiva distruzione  del  1437  fatta  per  opera  del  Vitel- 
leschi.  La  riedificazione  ulteriore  della  città  sugli  avan- 
zi del  tempio  apportò  nuovi  guasti,  e  prova  di  fatto  è 
lo  stato  in  che  vedesi  ridotta  una  delle  magnifiche  sale 
chiusa  oggi  nel  seminario  vescovile,  e  della  quale  si  avrà 
da  ragionare  j)iù  sotto.  ?  >  ii 

L'  altezza  verticale  del  tempio  dal  piano  della  via 
antica ,  che  lambisce  la  gran  conserva  occidentale  fino 
alla  sommità  del  tolo  del  tempio  rotondo  è  di  450  pie- 
di antichi,  pari  a  palmi  romani  moderni  600,  e  di  que- 
st' altezza  totale  sono  ancora  in  piedi  i  ruderi  per  510 
palmi,  ossia  piedi  382  e  mezzo,  cioè  non  mancano  che 
soli  piedi  67  e  mezzo  per  la  totalità.  Di  fronte  poi  ha 
nella  base  piedi  1275  di  larghezza^  pari  a  palmi  1700: 
questa  larghezza  si  restringe  a  palmi  500  alla  base  del 
corpo  superiore,  ed  a  120  nell'area  del  tempio  propria- 
mente detto.  L'  edificio  era  rivolto  a  mezzodì  come  al- 
tfi  fra  i  templi  più  antichi  del  Lazio,  e  particolarmeu-j 


501 
te  quelli  ancora  esistenti  di  Diana  Aricina  e  di  Giunca 
ne  Cabina,  e  quelli  distrutti  di  Giunone  Lanuvina  e  di 
Giove  Capitolino; 

Essendo  il  tèmpio  addossato  alla  falda  del  monte 
Y6nne  innalzato  sopra  varii  ripiani  a  guisa  di  scaglioni, 
o  terrazzi:  questi  ripiani  sono,  come  ò  naturale  paralle- 
li fra  loro  «  prova  che  tutti  furono  eretti  per  uno  sco- 
po medesimo  ;  ma  la  loro  costruzione  è  diversa  in  tal 
modo  che  d'uopo  è  riconoscere  quattro  epoche  diverse: 
imperciocché  vi  si  trova  la  costruzione  a  poliedri ,  che 
è  quella  del  tempio  primitivo ,  quella  a  parallelepipedi 
pertinenti  alla  epoca  della  guerra  annibalica ,  quella  a 
piccioli  poliedri,  o  ciottoli,  spettante  ai  tempi  di  Siila, 
e  quella  laterizia  della  prima  era  imperiale;  Ho  notato 
di  sopra,  che  cinque  sono  i  terrazzi  o  ripiani  principa- 
li: quello  del  giardino  Barberini  che  io  appello  delie 
Piscine:  quello  del  Corso  che  io  chiamo  delle  Aule:  quel- 
lo del  Borgo  che  può  designarsi  col  nome  di  medio:  e 
quello  della  Cortina,  ossia  dell'  Emiciclo.  Precedeva  di- 
nanzi la  base  di  questa  mole  un'area  grande  circoscritta 
da  termini,  onde  dividere  la  parte  sacra  dalla  cOmmu- 
ne  ,  o  pubblica  ,  a  destra  della  contrada  degli  Arconi  : 
di  questi  termini ,  o  cippi ,  simili  a  quelli  del  pomerio 
di  Roma,  due  ne  furono  scoperti  nel  risarcire  la  strada 
l'anno  1824.  E  quest'area  era  circoscritta  ne'lati  da  due 
amplissime  cisterne  ,  delle  quali  quella  verso  occidente 
rimane  intatta;  quella  verso  levante  è  sotterrata.  In  fon- 
do all'area  frai  due  avancorpi  delle  conserve,  erano  29 
fornici,  de'quali  i  cinque  centrali  formavano  una  specie 
di  avancorpo,  ed  i  12  per  parte  andavano  a  riunirsi  al- 
le conserve  :  e  di  questi  uno  a  sinistra ,  ed  i  dodici  a 
destra  rimangono  intieri ,  e  per  la  loro  costruzione  si 
riconoscono  come  una  giunta  fatta  da  Siila ,  onde  pro- 
trarre il  piede  del  tempio  verso  la  pianura  e  profittare 


502 

de'fornici  per  abitazione  de'ministrr  inferiori  inservienti 
al  tempio.  Le  duo  conserve,  che  fiancheggiavano  1'  area 
furono  posteriormente  aggiunte  ,  come  si  riconosce  per 
la  costruzione  laterizia:  esse  furono  edificate  per  racco- 
gliere lo  scolo  delle  fontane  e  delle  piscine  superiori , 
e  formare  un  deposito  di  acque  in  servizio  della  cilt» 
sottoposta.  La  conserva  occidentale,  che,  come  si  disse  è 
intiera,  per  Fa  vastità,  per  1»  belle/za  della  opera  late- 
rizia, e  per  la  conservazione  è  uno  degli  esempj  più  ri- 
marchevoli, che  riinangano  di  tali  opere.  Il  ricettacolo, 
compresa  la  grossezza  de'rauri  è  un  corpo  quadrilungo 
che  ha  320  piedi  dì  fronte  e  100  ne'lati:  internamente 
è  suddiviso  in  10  aule  ,  o  corridoi  ,  ciascuno  de'  quali 
communica  coll'altro  per  tre  vani,  ed  era  illuminato  da 
due  spiragli,  oggi  ostrutti,  meno  uno  esistente  nei  quar- 
to corridore,  il  quale  è  aperto,  e  conserva  nell'  esterna 
il  pluteo  circolare  di  travertino  a  guisa  di  bocca  di  poz- 
zo, il  quale  mostra  come  fossero  tutti  gli  altri.  Questi 
corridori  sono  rivestiti  di  finissimo  astraco  a  stagno,  ed 
hanno  ciascuno  circa  80  piedi,  o  palmi  107  di  lunghez- 
za, e  24  piedi  o  32  palmi  di  larghezza.  Solo  tre  corri- 
dori rimangono  pratticabili ,  poiché  gli  altri  sono  pieni 
di  acqua  pluviale^  e  di  quella  che  vi  filtra  da  una  mo- 
derna fontana  sovrapposta.  Esternamente  il  lato  occiden- 
tale di  questa  conserva  è  ornato  di  sette  nicchie  :  di 
queste  la  quinta  per  chi  giunge  da  Roma  è  più  ampia 
e  rettilinea ,  mentre  tutte  le  altre  sono  curvilinee  :  nel 
lato  meridionale  se  ne  contano  24  ,  delle  quali  la  duo- 
decima è  pur  rettilinea,  e  più  ampia.  Quest'anomalia  nel 
sistema  generale  di  tali  nicchie  mi  porta  a  credere,  che 
queste  nicchie  rettilinee  servissero  d'  incassatura  per 
contenere  la  iscrizione  di  chi  edificò  la  conserva,  e  su 
tal  proposito  giova  di  ricordare,  che  nella  vigna  Petruc- 
cìui  circa  la  metà  del  secolo  passato  fu  trovato  un  mar- 


503 
ino  aitò  piedi  3,  largo  9,  colla  iscrizione  seguente  fram- 
mentata, che,  se  non  voglia  credersi  quella  posta  in  que- 
sti rincassi,  almeno  è  analoga  ad  essa:  e  questa  lapide 
dicea: 
....  I .  F  *  DIVI  .  IVLII  .  N  .  AVGVSt .... 

IG  .  III  .  IMP  .  Vili  .  TRIB  .  POTEST  .  XVII  . . . 

la  quale  io  credo,  possa  supplirsi  nel  modo  seguente: 
TI.CAES.DIVI.AVGVSTI.F.DIVI.IVLIÌ.N.AVGVSTVS 
COS.II.DESIG.III .  IMP  .  VIII .  TRIB  .  POTEST  .  XVIII. 
Questa  lapide  corrisponde  all'  anno  18  della  era  volga- 
re in  che  Tiberio  si  designò  console  per  la  terza  volta, 
e  la  costruzione  laterizia  di  questa  conserva  essendo 
analoga  a  quella  dei  Castra  Praetoria ,  si  trova  affatto 
di  accordò  con  questa  epoca.  Il  lato  orientale  non  ha 
nicchie^  ma  circa  la  estremità,  una  porticina,  che  mette 
in  una  scala  rivestita  anche  essa  di  astraco^  per  la  qua- 
le discendesi  al  fondo  della  conserva.  Il  muro  presso 
questa  porticina  è  ancor  meglio  costrutto  del  rimanente, 
che  pure  è  bellissimo,  ed  offre  una  precisione  di  strut- 
tura, superiore  ad  ogni  altra  parte  del  tempio:  esso  è 
ornato  di  due  mezze  colonne,  laterizie  anche  esse,  e  di 
ordine  dorico. 

I  Per  le  scalèe  di  Siila  ascendevasi  dall'  area  fralle 
due  conserve  al  primo  ripiano  detto  delle  piscine,  per- 
chè aprivansi  sopra  di  esso  due  vasti  recipienti  di  acqua, 
rettangolari,  lunghi  ciascuno  250  piedi,  larghi  90,  i  qua- 
li servivano  per  le  sacre  abluzioni.  E  questo  ripiano 
avea  1275  piedi  di  lunghezza  e  260  di  larghezza  :  era 
lastricato  di  grandi  poligoni  di  calcaria,  siccome  ricava- 
si da  due  tratti  considerabili ,  che  ne  rimangono  ,  uno 
sotto  la  casa  Tommasi,  l'altro  sotto  la  casa  Petrini.  Del- 
le piscine  poi,  visibile  ancora,  sebbene  riempiuta  dalle 
macerie,  è  quella  verso  occidente  nel  giardino  Barberi- 
ni: di  quella  verso  oriente  si  trovano  vestigia  nella  casal 


504 

Fiumara  :  il  pTuteo  ,  che  le  cingeva  era  vestito  di   mu'-' 
saÌQO  bianco. 

')'';•  Dal  ripiano  delle  piscine  ascendevasi  per  due  scale 
a  doppia  rampa  a  quello  delle  aule  :  anche  esso  ave  a 
1275  piedi  di  fronte^  ma  ne  avea  soli  82  e  mezzo  di 
fianco;;  e  veniva  pure  coperto  da  massi  poliedri  di  cal- 
carla, de'quali  una  ttaccia  ancora  rimane,  lungo  la  stra- 
da detta  il  Corso,  ad  occidente  della  cattedrale.  In  fon- 
do a  questo  secondo  terrazzo,  erge  vasi  sopra  molti  gra- 
dini un  edificio  ben  decorato  e  di  stile  purissimo ,  che 
da  Siila  venne  addossato  alla  sostruzione  primitiva  àeì 
ripiano  superiore.  E  questo  corpo  di  fabbrica  fu  appel- 
lato dagli  scrittori  moderni  il  delubro  inferiore ,  nome 
che  non  può  dirsi  improprio,  ma  che  neppure  è  sicuro; 
Malgrado  il  guasto  apportato  dagli  uomini  a  questa  par- 
te, ancora  si  conserva  la  traccia  della  sua  forma  e  de- 
corazione. L'edificio  si  componeva  di  due  sale  oblonghe, 
fralle  quali  aprivasi  un'area:  delle  due  sale  quella  ver- 
sa occidente  è  presso  che  intieramente  scomparsa:  quel- 
la verso  oriente,  ridotta  all'uso  vilissimo  di  cantina,  cu- 
cina, e  dispensa  del  Seminario,  andò  soggetta  a  graTis- 
simi  guasti;  nulladimeno  una  parte  della  decorazione  si 
è  salvata,  e  questa  serve  a  far  riconoscere  non  solo  lo 
stato  suo  primitivo  ,  ma  ancora  quello  dell'  altro  :  essa 
compresi  i  muri  ha  100  piedi  di  lunghezza  ,  e  55  di 
larghezza  :  e  la  sua  fronte  ancora  in  parte  conservasi 
sulla  così  detta  piazza  Tonda  presso  la  cattedrale  ;  essa 
era  ornata  di  quattro  mezze  colonne  di  ordine  corintio, 
i  cui  capitelli  rimangono  ancora  sul  posto  ,  e  sono  di 
purissimo  stile.  Queste  mezze  colonne  e  gli  archi  era- 
no costrutti  di  massi  di  tufa:  i  capitelli  e  le  basi,  come 
pure  tutti  gli  ornati  interni  sono  di  calcaria:  il  rimanen- 
te è  di  ciottoli,  o  di  opera  incerta.  Neil'  interno  erano 
sette  riquadri  per  parte,  determinati  alternativamente  da 


505 
ftiezze  colonne  e  pflastri,  e  questi  riquadri  probabilmen- 
te servirono  a  contenere  statue:  innanzi  ad  essi  ricorse 
un  magnifico  podio,  ornato  a  guisa  di  un  fregio  dorico 
di    triglifi  con  patere  e  rosoni  fra  loro ,  di  uno  stile  e 
di  un  taglio  così  puro ,  che  pochi  avanzi  dell'  antichità 
possono    gareggiare  con  questo  :  è  molto    probabile  che 
sopra  questo  podio  fossero  co^Uocate  piccole  colonne,  le 
quali  determinavano  la  imposta  della  volta,  ornata  for- 
se di  cassettoni.  In  fondo  aprivasi  un  nicchione   rettili- 
neo   contenente  tre  nicchie  per  statue.  II  pavimento  di 
questo    era  di  musaico    figurato ,  ed  è  quello    che    ora 
conservasi  nel  palazzo  Barf>crini,  conosciuto  sotto  il  no- 
me di  musaico  di  Palestrrna  ,  il  quale  rfa  questo  luogo 
fu  trasportato  dove  oggi  si  vede  l'anno  1640  per  ordi- 
ne del  card.  Francesco  Barberini  colla  direzione  de'mi- 
gliori  artefici,  e  de'più  insigni  eruditi  del  tempo,  e  spe- 
cialmente di  Pietro  da  Cortona.    Lungo  sarebbe  volerlo 
qui  descrivere,  e  d'altronde  lo  è  stato  da  molti;  ma  non 
sarà  fuor  di  luogo  di  ricordare  le  opinioni  di  quelli  che 
ne  hanno  parlato,  e  nel  tempo  stesso  azzardarne  anche 
una,  che  sembri  meno  allontanarsi  dal  vero.  Kircher  che 
fu  il  primo   che  io  conosca  a  trattarne  di  proposito    vi 
credette  espresse  le  vicissitudini  della  fortuna,  il  card, 
di  Polignac  il  viaggio  di  Alessandro  all'oracolo  di  Am- 
mone,  Volpi  un  fatto  di  Siila  a  noi  incognito,  Montfau- 
con  il  corso  del  Nilo,  Du  Bos  una  carta  geografica  de' 
paesi  intorno  a  quel  fiume,  Winckelmann  V  incontro  di 
Elcna    con    Menelao   in  Egitto ,  secondo  la  tragedia    di 
Euripide,  Chaupy  l'imbarco  de'grani  dall'Egitto  per  Ro- 
ma ,  Barthelemy  il  viaggio  di  Adriano    ad   Elefantine  , 
l'avv.   Luigi  Cecconi  gli  eventi  fortunati  di  Siila,  ed  in- 
fine Fea  l'Egitto  conquistato  dall'imperadore  Cesare  Ot- 
taviano   Augusto  sopra    Cleopatra  e  Marco    Antonio.  È 
da  osservarsi  che  non  può  cader  dubbio  sulla  scena  rapr- 


506 

presentata  in  questo  musaico,  perchè  chiaramente  tì  si 
vede  effigiato  l' Egitto,  poiché  egizj  sono  gli  edificii,  le 
piante,  e  gli  animali;  non  è  neppure  da  dubitarsi  delle 
circostanze,  giacché  è  cosa  manifesta,  che  è  nel  momen- 
to della  inondazione  nilotica;  i  costumi  della  gente  bas- 
^a  e  de'sacerdoti  sono  egizj,  quelli  al  contrario  de'prin- 
cipali  personaggi  e  de'soldati,  sono  macedoni;  e  neUHn- 
sieme  veggonsi  tripudj,  banchetti,  caccio  e  sagrificj;  dun^- 
qile  parmi  doversi  riconoscere  in  questo  musaico  espres-- 
si  gli  lisi  che  accompagnavano  la  inondazione  del  Nilo 
durante  il  regno  de'  Tolomei.  Alcuni  degli  animali  sono 
accompagnati  dal  loro  nome  scritto  in  greco,  come  il  ri- 
noceronte PINOKEPwC,  il  pofrco  scimmia  XOIPOI1I0H2, 
le  enidri  ENYAPIC,  i  toanti  0OANTEC,  lo  xifi  SIOIG, 
la  sfinge  C^INElA,  il  crocota  KPOKOTAC,  l'iabu  YA- 
BOTC,  la  giraffa  KAMEAonAPAAAiG ,  i  ceiti  KHI- 
TIEC  la  leonessa  AEAINA  la  lucertola  cubitale  CAYPOC 
DHX  ...  la  lince  ATNS  l'  orso  APKTOG  e  per  errore 
dell'artista  APKOC,  la  tigre  TIEPIC,  l' asino-centaures- 
sa  H  ONOKENTATPA  ,  il  coccodrillo  terrestre  KPO- 
KOAIAOC  XEPCAIOC  il  coccodrillo  pantera  KPOKO-' 
AlAOnAPAAAIG. 

E  questo  musaico  sembra  essere"  copia  di  un  mo- 
numento più  antico,  poiché  il  lavoro,  e  la  forma  lunata 
djelle  lettere  ne  inducono  a  crederlo  eseguito  circa  il 
tempo  de'Flavj,  e  la  cosa  sarebbe  dimostrata,  se  come 
si  sostiene  da  Leonardo  Gecconi  nella  storia  di  Palestri- 
na  vi  era  scritto  PINI  OPVS;  imperciocché  Gornelio  Pi- 
no pittore  fu  appunto  impiegato  da  Vespasiano  a  dipin- 
gere il  tempio  dell'  Onore  e  della  Virtù,  siccome  narra 
Plinio  lib.  XXXV.  e.  X.  Giò  che  però  non  va  soggetto 
a  dubbio  é  che  questo  musaico  non  può  confondersi 
affatto  coi  lithostrota,  o  pavimenti  lastricati  di  marmo , 
uno  de'quali  a  scudetti  o  piccole  lastre  fu  fatto  da  Sii- 


507 
la  nel  tempio  della  Fortuna,  secondo  Plinio  lib.  XXXVI. 
e.  XXV  ;  poiché  non  può  in  modo  alcuno  applicarsi  it 
parvulis  crustis  di  quello  scrittore  a  tasselli  del  musai- 
co. Il  resto  dell'  aula  era  lastricato  di  musaico  bianco , 
e  ne  rimangono  ancora  le  vestigia.  L'altra  aula  come  di 
già  venne  indicato  di  sopra  è  presso  che  intieramente 
scomparsa  ;  e  le  poche  vestigia  ,  che  Ite  rimangono  non 
si  oppongono  a  crederla  della  forma  di  questa^  ma  for- 
se però  nel  nicchione  non  vi  erano  le  nicchie  piccole 
per  le  statue.  È  pur  probabile  ,  che  il  pavimento  fosse 
ornato  con  musaici  analoghi  all'  altra.  Fra  queste  due 
sale,  l'area  rettangolare  esistente  avea  190  piedi  di  fron- 
te e  70  di  profondità:  ne'  lati  era  circoscritta  dai  muri 
delle  due  sale:  di  fronte  poi  v'era  una  fila  di  colonne, 
delle  quali  tre ,  sebbene  troncate  sono  ancora  al  posto 
loro,  e  visibili,  inserite  nel  muro  della  cappella  del  ce- 
meterio ,  che  separa  questa  da  quella  del  Sagrameuto 
nella  cattedrale.  Ed  a  queste  colonne  pure  apparteneva- 
no alcuni  capitelli ,  già  abbandonati  ne'  dintorni  della 
cattedrale  ,  ed  oggi  riposti  nel  palazzo  municipale.  In 
fondo  a  quest'  area  ricorreva  un  corridore  ornato  nella 
faccia  esterna  di  mezze  colonne  ,  fra  le  quali  riccorre^ 
vano  nove  fenestre  con  riquadri  fra  loro  ornate  di  mo- 
dinature  molto  gentili;  di  queste  fenestre  due  rimango- 
no ancora  intiere,  e  tre  sono  dimezzate,  che  si  veggo- 
no nel  cortile  del  Seminario.  Il  pavimento  di  questa 
area  era  di  lastre  quadrilatere  di  travertino  circoscritte 
da  una  fascia  di  musaico  bianco.  E  prima  che  Siila  edi- 
ficasse questo  corpo  sorgeva  in  questa  parte  una  spia- 
nata lunga  810  piedi  e  larga  90,  sostenuta  da  muri  co- 
strutti di  massi  poliedri,  de'quali  una  parte  rimane  an- 
cora intatta  nel   rimessone  Lulli. 

A  destra  e  a  sinistra  di  questa   spianata    aprivansi 
scale  a  due  rampe,  sostenute  pure  da  muri  di  poliedri. 


508 

e  dietro  a  questa  è  il  gran  muro  di  sostruzione  del  ri-' 
piano  medio,  costrutto  nell»  stessa  maniera,  ed  il  qua- 
le nel  punto  denominato  la  Rifolta  conserva  1'  altezza 
sua  originale.  Il  ripiano  medio  corrispondeva  almeno  in 
parte  all'odierna  contrada  del  Borgo:  verso  oriente  era 
aderente  al  muro  di  recinto  della  città  ,  dove  rimane 
ancora  la  porta  antica,  oggi  chiusa  presso  quella  deno- 
minata Portella.  Dietro  questo  ripiano  una  sostruzione 
pUre  a  poliedri  reggeva  il  ripiano  superiore  dove  credoy 
che  in  origine  fosse  il  tempio,  prima  che  Siila  lo  por- 
tasse ad  una  elevazione  molto  più  considerabile  sopra 
il  palazzo  baronale.  Di  questo  ripiano,  oltre  il  muro  di 
sostruzione  già  indicato ,  rimane  ancora  in  più  luoghi 
il  pavimento  di  poligoni  di  calcarla,  sì  nella  via  publi- 
ca^  che  nella  casa  Tommasi.  In  mezzo  alle  due  rampe 
che  da  questo  ripiano  conducevano  a  quello  delle  esse- 
drc  ,  opera  sillana  come  tutto  il  rimanente  della  parte 
superiore,  sporgeva  in  fuori  una  edicola  con  recesso 
sotto:  del  quale  è  ancora  in  piedi  l'àfco  interno. 

Il  ripiano  delle  essedre  ò  sostenuto  da  un  muro 
solido  di  opera  incerta,  alle  cui  estremità  sono  due  gran- 
di archi  più  vasti  ancora  di  quello  centrale,  i  quali  era- 
no ornati  di  statue,  e  di  fontane,  delle  quali  rimane  an- 
cora nell'orto  Petrelli  lo  speco,  che  conduceva  l'  acqua 
a  quella  verso  occidente.  Il  ripiano  delle  essedre  ,  che 
sostiene  quello  della  Cortina  trae  nome  da  due  essedre, 
o  diete  semicircolari,  magnifiche  ,  che  ne  formavano  la 
decorazione ,  delle  quali  quella  verso  oriente  è  ancora 
riconoscibile  ,  e  si  chiama  la  grotta  Petrelli ,  essendo 
proprietà  di  questa  famiglia,  essa  è  ornata  nell'  interno 
di  quattro  colonne  di  calcarla  d'  ordine  corintio  ,  e  di 
cassettoni  quadrati  nel  soffitto  ,  che  conservano  ancora 
in  cinque  fori  le  traccie  de'cassettoni  di  bronzo,  che  li 
adornavano.  Queste  essedre  furono  erette  probabilmea- 


5d9 
(e,  onde  potessero  servire  di  trattenimento  e  di  riposo 
a  quelli  che  venivano  a  consultare  le  sorti:  ed  è  proba- 
bile che  il  recesso  in  mezzo,  immediatamente  posto  nel- 
l'asse del  tempio,  sìa  quel  luogo  chiuso  religiosamente, 
ricordato  da  Cicerone,  dove  eransi  rinvenute  da  Nume- 
rio  Suffucio  le  sorti  prenestine  ,  e  dove  a'  suoi  giorni 
vedovasi  la  Fortuna  effigiata  in  atto  di  allattare  Giove 
e  Giunone  ,  siccome  fu  notato  di  sopra  ;  come  pure  è 
probabile  che  ivi  si  conservassero  le  sorti.  Infatti  che 
fosse  un  luogo  più  riguardato  si  riconosce  dall'osserva- 
re  che  era  preceduto  da  una  specie  di  vestibolo  e  chiu- 
so da  porta.  Fra  questo  recesso  e  le  essedre,  fra  le  es- 
sedre  ,  e  le  estremità  del  tempio  si  riconosce  una  fila 
di  camere  separate  una  dall'altra,  che  esternamente  of- 
frivano l'aspetto  di  un  bel  portico,  arcuato,  ed  mterna- 
mcnte  furono  altrettante  celle  di  abitazione  per  i  sacri 
ministri ,  e  gli  interpreti  delle  sorti.  SuU'  estremità  di 
questo  ripiano  erano  le  scale  ,  che  si  dirigevano  alla 
sommità  di  tutta  la  mole,,  cioè  al  tempio  rotondo. 

Dal  ripiano  delle  essedre  passavasì  a  quello  del 
tempio  propriamente  detto:  la  sostruzione  che  lo  regge- 
va avea  ancor  essa  una  fila  di  celle  arcuate  di  fronte , 
pure  per  abitazione  de'sacerdoti.  Il  ripiano  racchiudeva 
un'  area  quadrilunga  di  300  piedi  di  fronte  e  150  di 
fianco,  area  che  era  destinata  ai  sagrificj,  e  che  veniva 
fiancheggiata  da  un  portico  doppio  di  colonne  di  ordine 
corintio:  di  fronte  era  aperta  onde  poter  godere  la  vi- 
sta imponente  delle  campagne  latine,  e  solo  vi  ricorre- 
va un  pluteo,  o  parapetto:  in  fondo  poi  fra  due  portici 
rettilinei  che  erano  una  continuazione  di  quelli  di  fian- 
co ,  aprivasi  in  mezzo  una  magnifica  gradinata  semicir- 
colare ,  per  la  quale  salivasi  ad  un  portico  di  colonne 
pur  semicircolare ,  oggi  ridotto  a  palazzo  baronale.  E 
sopra  questo  emiciclo  entro  un'  area  rettangolare    largu 


510 

75  piedi,  lunga  90  sorgeva  a  guisa  di  corona  il  tempio 
rotondo,  che  era  V Aedes  Fortunae,  dove  secondo  Cice- 
rone nel  luogo  notato  avea  esistito  l'olivo,  dal  quale 
era  scorso  miele,  e  di  che  erasi  fatta  l'arca  che  conte-» 
ne  va  le  sorti  prenestine,  Una  iscrizione  frantumata,  che 
ancora  si  legge  al  suo  posto  nel  fregio  de'  due  recessi 
arcuati  sottoposti  all'  emiciclo  mostra ,  che  uà  tempo , 
questa  parte  fu  fatta,  e  le  statue  che  conteneva  furono 
ristaurate  dai  Decurioni  e  dal  Popolo  Prenestino:  DEC. 
POPvlvsqve  ,  praenesTINvs  .  FAcivndvm  COER  .  ET  .  SI- 
GNA  RESTII.  Del  portico  dell'  emiciclo  non  rimango- 
no traccie:  di  quelli  dell'area  sotto  di  esso  una  base  si 
vede  nel  pianterreno  della  casa  del  sagrestano  di  s.  Ro- 
salia, e  due  colonne  e  mezza  nelle  carceri  publiche.  Dell' 
emiciclo  non  si  conserva  che  la  forma.  E  del  tempio  ro-- 
tondo  non  rimane  più  alcuna  traccia  essendo  stato,  co-r 
me  si  vide  ,  intieramente  distrutto  da  papa  Bonifacio 
Vili,  nel  1298. 

Oltre  gli  avanzi  del  tempio  entro  il  recinto  antico 
della  città ,  ed  immediatamente  presso  di  esso  trovansi 
rovine  importanti.  E  primieramente  uscendo  dalla  porta 
s.  Francesco  incontrasi  a  sinistra  uno  speco  che  ha  un 
piede  e  mezzo  di  capacità ,  del  quale  conservasi  soltan- 
to il  masso.  Di  là  scendendo  e  costeggiando  il  recinto 
del  chiostro  de'  pp.  riformati  si  veggono  le  mura  di 
massi  poliedri  dell'antica  città,  ed  un  mezzo  miglio  do- 
po sull'altura  sono  i  ruderi  di  una  conserva.  Seguendo 
Io  stesso  viottolo  ve  desi  a  destra  un'altra  vasta  conser- 
va lunga  piedi  240.  larga  204 ,  di  forma  quadrilatera , 
parte  rivestita  di  ciottoli,  parte  di  reticolato,  con  lega- 
menti ,  e  tutta  intonacata  di  astraco ,  o  opus  signinum. 
Evidentemente  mostra  essere  stata  divisa  internamente 
in  varie  sezioni  determinate  da  pilastri:  i  muri,  che  la 
circoscrivono  conserrano   nel  lato  interno  le  traccie    di 


511 

12  pilastri  ne*  lati  lunghi,  10  ne'  Iati  minori,  onde  può 
.credersi  che  nove  sezioni  erano  quelle  da  nord  a  sud 
ed  11  da  oriente  ad  occidente.  Di  queste,  traccio  visi- 
bili sono  i  10  pilastri  attaccati  al  lato  settentrionale  9 
di  quelli  addossati  all'orientale,  e  7  di  quelli  addossati 
all'occidentale:  di  quelli  del  meridionale  non  rimane  trac- 
/cia  veruna.  Questa  conserva  trovasi  in  una  situazione 
più  alta  di  quella  prossima  ad  essa  verso  oriente  ,  la 
quale  è  con  maggior  Regolarità  costrutta  di  scaglie  ed 
intonacata  di  astraco  ,  e  cogli  angoli  interni  smussati , 
con  scala  per  iscendcrvi  larga  piedi  115,  lunga  150  con 
nove  pilastri  nel  lato  maggiore,  ed  otto  nel  minore. 

Dentro  la  città  stessa  nell'  orto  Scavalli  sotto  la 
chiesa  di  s.  Antonio  è  una  schola  di  opera  incerta,  ade- 
rente alla  quale  verso  oriente  è  una  parete  di  opera 
mista  con  tre  nicchie,  due  rettilinee  ed  una  curvilinea 
che  forse  è  un  avanzo  di  cella  di  un  tempio  del  secon- 
do secolo  della  era  volgare,  separato  affatto  e  fuori  del 
recinto  del  tempio  grande.  ...raiii        ;  li  ^.^i- 

La  cittadella  antica,  oggi  Monte  s.  Pietro  è  aWi^'lèPr 
titudine  di  AV  SO'  44"  ed  alla  longitudine  di  30"  33' 
4",  5:  essa  è  alta  sul  livello  del  mare  piedi  parig.  2145, 
4.  e  non  conserva  di  antico  altro  che,  una  parte  delle 
mura  a  poliedri ,  ed  un  piedestallo  nella  chiesa  di  s. 
Pietro ,  che  serve  oggi  di  vaso  per  T  acqua  santa ,  su^ 
quale  leggesi  una  iscrizione  a  Publio  Elio  Tirone  figlio 
di  Publio,  della  tribù  palatina,  salio  dell'arce  albana,  a 
cui  l'imperador  Commodo  nella  età  giovanile  di  soli  an- 
ni 14  accordò  il  commando  de'  cavalieri  Brauconi  (  di 
^rummt  presso  Strasbourg  ) ,  ed  a  cui  avendo  i  decu- 
rioni decretata  una  statua ,  il  padre  P.  Elio  Blando  ne 
assunse  le  spese.  La  chiesa  stessa  sebbene  di  vecchia 
(lata,  polche  ne  fa  menzione  s.  Gregorio  ne'Dialoghi,  è 
^utta  moderna  essendo  stata  riedifica ti^  nel  secolo  Xyil. 


312 

,e  ristaurata  nel  pontificato  di  Clemente  XII.  In  essa  è 
.un  buon  quadro  di  Pietro  da  Cortona  rappresentante 
Gesù  Cristo  ,  che  dà  a  pascere  il  suo  gregge  a  s.  Pie- 
tro: ed  una  statua  dello  stesso  santo  titolare  di  stile 
berninesco.  Come  luogo  fortificato  la  cittadella  è  un  po- 
sto assai  vantaggioso,  poiché  domina  tutte  le  terre  din- 
torno ,  e  perciò  Pirro  ,  secondo  Floro  vi  salì  nel  venir 
contro  Roma:  a  destra  in  fondo  si  vede  Roma:  si  ricono- 
scono Collazia,  Gabii,  Scaptia,  e  Querquetula:  dirimpetto 
si  schierano  Tusculo,  e  Monte  Porzio,  Monte  Compatri,  La^ 
bico  o  la  Colonna,  Corbio  o  Rocca  Priora,  la  selva  algi- 
dense,  l'arce  Carventana,  e  Velitre;  a  sinistra  Artena  o 
Monte  Fortino,  Valmontone,  Signia  o  Segni,  Anagni,  Pa- 
liano,  Genazzano  e  Cave;  di  dietro  poi  Rocca  di  Cave, 
Capranica ,  Poli ,  e  Tivoli.  E  questo  sito  fu  scelto  dai 
Colonnesi  come  centro  del  loro  dominio  ne'tempi  bassi: 
ancora  conservasi  la  loro  fortezza,  sebbene  diroccata,  co- 
strutta di  opera  saracinesca:  e  sulla  porta  è  il  loro  stem^ 
ma  fra  le  iniziali  S  C,  cioè  Stephanus  Columna,  il  quale 
riedificò  la  città  col  monte  e  la  rocca  nel  1332  sicco- 
me si  legge  nella  lapide  sotto  lo  stemma  sovraindicato 
in  caratteri  gotici:  ;  >-  *  !. 

Mhih  .immi    MAGNIFICUS  DNS  STEFAN^••.•;  ,....;  v   .r 
/   ib    tóf^iJ    DE  COLUMNA  REDIFICAVIT       jì  *na 
CIVITATEM  PENESTRE  CU       ,0fJaiÌ 
MONTE   ET  ARCE  .  ANNO      fd  jI  r^sp 
>^jmB)lk:  *).'>ifiMiÌ9b  tìiiiì»:  ,  1332        iiinl  t^Ùah  .oii'du'l  ii> 
Nétta  contrada  degli  Arconi,  a  déàtra  di  chi  va  da 
Roma  a  Preneste  é  un  orto   detto  di  porto ,  nel   quale 
aderente  quasi  alla  via  è  un  bel  castello  antico  di  acqua 
con  fontana  di  opera  laterizia  del  I.  secolo  dell'impero: 
questo  per  analogia  di  costruzione  e  per  livello  si  rico- 
nosce essere  stato  fornito   dalla  gran  conserva    detta  il 
Mìa  ■  cDt  hirfiU^jAthim  ì'MAi'.  t^riWfm  cni'jbu:!:  ui'v. 


513 

Sotterraneo:  dietro  questa  fontana  ò  il  recipiente  diviso 
in  due  piani  e  rivestito  di  opera  fina  di  aslraco:  ciascun 
piano  si  suddivide  in  tre    camere.  ' 

All'esterno  per  tre  lati  e  semplicissimo  ed  altra  interru- 
zione non  presenta  che  una  risega  dove  coincide  la  di- 
visione de'  due  piani  interni;  nel  quarto  lato  però  cioè 
verso  oriente  era  il  prospetto  della  fontana,  il  quale  ve- 
niva ornato  con  tre  nicchioni  rettilinei,  e  sotto  ciascun 
di  questi  rimane  lo  speco,  donde  sgorgava  l'acqua.  Nel 
nicchione  di  mezzo  sono  lateralmente  due  nicchiette  per 
statue,  sebbene  danneggiate  e  rotte  esistono  ancora  en- 
tro l'orto,  e  sono  di  buono  stile:  una  rappresentava  un 
Fauno,  e  di  questa  non  rimane  che  una  parte  del  tor- 
so ,  r  altra  una  Ninfa  seminuda.  Presso  questo  castello 
sono  pezzi  di  corniciami  bene  eseguiti  del  tempo  degli 
Antonini.  L'  emissario  poi  di  questo  castello  si  ravvisa 
scendendo  nel  piano  inferiore  del  recipiente,  poiché  ester- 
namente rimane  sotterra.  Questo  castello,  come  tutti  gli 
altri  ruderi  da  questa  parte  appartengono  alla  seconda 
Preneste,  ossia  alla  colonia  sillana,  la  quale  estendevasi 
fino  alla  contrada  delle  Quadrelle  1  miglio  e  mezzo  sot- 
to le  prime  sostruzioni  del  tempio,  dove  furono  rinve- 
nuti nel  1773  per  opera  del  card.  Stoppani  i  frammen- 
ti de'Fasti  di  Verrio  Fiacco  ricordati  da  Svetonio,  illu- 
strati con  dotta  opera  dal  Foggini,  e  da  me  per  ordine 
del  card.  Vidoni,  che  n'era  il  proprietario,  dati  alla  \ìf- 
ce  ristaurati  l'anno  1825. 

Oltre  gli  avanzi  del  castello ,  entro  i  limiti  della 
seconda  Preneste,  1  miglio  circa  distante  da  Palestrina 
sono  le  grandi  rovine  della  yilla  imperiale  edificata  da 
Adriano  circa  l'anno  134  della  era  volgare  come  si  ri- 
cava da'marchi  de'mattoni  che  portano  il  terzo  consola- 
to di  Serviano,  dove  stando  a  villeggiare  Marco  Aure- 
lio vi  perde  il  figlio  Vero   Cesare  in  età  di  sette  anni. 

33 


514 

Questi  avanzi  danno  nome  ad  una  chiesa  rurale  detta 
s.  Maria  della  Villa  e  si  estendono  per  circa  tre  quar- 
ti di  miglio:  sono  di  opera  reticolata  con  legamenti  la- 
terìzii,  simile  affatto  a  quella  della  villa  Adriana.  Ri- 
mangono in  gran  parte  gli  anditi  del  pianterreno ,  ma 
questi  non  sono  tutti  pratticabili ,  in  quelli  però  in  che 
può  penetrarsi  si  riconosce,  che  furono  destinati  a  conser- 
ve, come  si  prova  per  gli  angoli  smussati,  per  le  trac- 
eie  ancora  esistenti  della  opera  signina  di  che  erano  ri- 
vestiti, e  dei  contraflTorti  arcuati  di  opera  mista  che  al- 
l' esterno  le  consolidavano.  Due  fontane  ancora  possono 
tracciarsi ,  una  di  forma  rotonda  verso  nord  ovest ,  e 
l'altra  col  suo  recipiente  dietro,  ad  oriente  della  chiesa. 
Frai  ruderi  di  questa  villa  fu  dissotterrato  il  bello  An- 
tinoo  di  Braschi ,  nuova  conferma  della  epoca  adrianèa 
in  che  venne  costrutta  la  villa. 

Sulla  strada  vecchia  di  Palestrina  e  Cave  un  mi- 
glio distante  dalla  porta  del  Sole  è  il  ponte  detto  dello 
Spedalato  ,  di  là  dal  quale  entro  la  vigna  adiacente  è 
un  edificio  di  forma  ottangolare,  rovinato,  di  costruzio- 
ne del  IV.  o  V.  secolo  della  era  volgare ,  coli'  ingresso 
rivolto  verso  la  via  ,  e  nicchie  alternate  rettilinee  sotto 
e  fenestre  sopra ,  corrispondenti  a  queste.  Ora  questa 
fabbrica  ha  molta  analogia  col  preteso  tempio  della  Tos- 
se a  Tivoli  sì  per  la  pianta  ,  come  pure  per  la  costru- 
zione materiale,  e  forse  come  quella  fu  una  chiesa  cri- 
stiana del  IV.  o  V  secolo.  Più  communemente  lo  cre- 
dono il  Serapèo  edificato  da  Gaio  Valerio  Ermaisco  se- 
condo una  iscrizione  riportata  dal  Suarez  nella  sua  Prae- 
neste  antiqua  p.  51  :  altri  Io  hanno  supposto  un  tempio 
del  Sole  :  altri  la  Schola  Faustiniana ,  e  questa  ultima 
opinione  è  affatto  contraria  alla  forma,  ed  alla  struttu- 
ra della  fabbrica. 

.   Il  Foro  della  Preneste  sillana  si  colloca  commuuc- 


51;> 

mente  a  pie  della  conserra  occidentale  del  tempio  del- 
la Fortuna  Prenestina  fra  la  chiesa  di  s.  Lucia,  e  quel- 
la della  Madonna  dell'  Aquila  per  molti  monumenti  ivi 
trovati,  e  specialmente  per  le  iscrizioni  ad  onore  di  Ti- 
berio ,  di  Giuliano  ,  di  Postumio ,  di  Anicio  Auchenio 
Basso ,  per  due  colonnette  consagrate  dai  pretori  Caio 
Magulnio  Scato ,  e  Gaio  Saufenio  Fiacco ,  e  per  le  are 
della  Pace  e  della  Sicurezza  ricordate  di  sopra;  sembra 
però  fare  ostacolo  a  questa  opinione  il  ritrovamento 
de'Fasti  di  Verrio  Fiacco  fatto  nella  contrada  delle  Qua- 
drelle  molto  di  là  distante ,  mentre  Svetonio  nella  bio- 
grafia di  quel  grammatico  dice  che  ebbe  una  statua  in 
Preneste  in  inferiore  Fori  parte  contra  hemicyclium  :in 
quo  fastos  a  se  ordinatos,  et  marmoreo  parieti  incisos  pu- 
blicarat.  Ma  dall'altro  canto  le  moltiplici  scoperte  ricor- 
date di  sopra  debbono  preferirsi  a  quella  di  frammenti 
che  poterono  andar  soggetti  a  traslocazione. 

Presso  Preneste  furono  ville  sontuose  degli  antichi 
Romani;  una  ve  n'  ebbe  Plinio  il  giovane  da  lui  stesso 
ricordata  lib.  V.  epist.  VI.  una  ve  ^'ebbe  pure  il  <;ele- 
bre  Simmaco  lib.  III.  epist.  L  lib.  VII.  ep.  XXXV.  Seb- 
bene si  attribuisca  a  quest'ultima  una  lunga  sostruzio- 
ne a  colle  Martino ,  nulladimeno  è  finora  incerto  dove 
si  questa  come  l'altra  fossero  collocate  ..  ,      .         , 

■-^.ùm.m^U-         PALIANO.  ■■; 

ìpalltanum.  :'^* 

È  uno  de'capiluoghi,  o  governi  del  distretto  di  Ti- 
voli, situato  ad  oriente  di  Paicstrina,  e  nella  sua  dio- 
cesi ,  entro  il  territorio  degli  Ernici ,  e  che  racchiude 
3402.  abitanti.  Forte  per  natura  fu  successivamente  in 


516 

varie  epoche  questa  Terra  rafforzata  da  mura,  torri,  e 
bastioni,  e  da  una  cittadella,  o  castello,  specialmente  nel 
secolo  XVI;  uno  solo  è  l' accesso,  pel  quale  vi  si  può  en- 
trare ,  ed  ancor  questo  è  per  mezzo  di  un  ponte  le-* 
vatojo. 

La  memoria  più  antica  di  Fallano  rimonta  al  'sé-* 
condo  periodo  del  secolo  VI.  giacché  nella  Cronaca  Su- 
blacense  riportata  dal  Muratori  si  ricorda  la  chiesa  di 
s.  Sebastiano  acquistata  da  Giovanni  abbate  in  Palliano, 
la  quale  rifabbricata  ancora  conservasi  a  destra  della 
via  che  dalla  osteria  della  Buffala  conduce  a  Piglio.  La 
origine  del  nomo  deriva  da  un  fondo  della  gente  Follia, 
e  da  Fundus  Follianus  per  transizione  di  pronuncia  si 
fece  Fallianus,  L'  anno  1184.  erasi  certamente  formato 
un  villaggio,  poiché  nella  cronaca  di  Fossa  Nova  ripor- 
tata dall'  Ughelli  Italia  Sacra  Tom.  X.  e  dal  Muratori 
Rerum  Italicarum  Scriptores  Tom.  VII.  si  legge,  che  i 
Romani  il  dì  19  di  aprile  lo  presero  e  l' incendiarono. 
Il  card,  di  Aragona  nella  vita  di  Gregorio  IX.  riferisce 
come  quel  papa  nel  1232  affine  di  porre  un  termine 
alle  discordie  intestine  ,  che  laceravano  questa  Terra , 
come  quella  di  Serrone,  donjinate  da  pochi  individui,  la 
occupò,  ordinò  che  fosse  custodita ,  la  cinse  di  fosse  e 
di  un  alto  muro,  e  la  munì  di  una  torre  altissima:  ca- 
ptunij  dice  il  testo  publicato  dal  Muratori  nel  tomo  III. 
àe  Rerum  Italicarum  Scriptores,  decrevit  ad  opus  sedis  Or 
postolicae  custodiri,  eodem  fossatis  praeruptis  muro  sublimi 
et  excelsae  turris  praesidio  comm/unito.  Gli  atti  di  questa 
vendita  per  parte  de'condomini  e  dell'acquisto  per  par- 
te di  papa  Gregorio  IX.  possono  leggersi  nel  tomo  pri- 
mo delle  Antiquitates  Medii  Aevi  di  Muratori  p.  681.  e 
seg;  in  essi  si  nomina  la  Rocca  e  Castro  Paliani,  la  Roc- 
ca e  Castro  Serronis  :  e  i  condomini  sono  Oddone  Co- 
lonna signore  di  Ole  vano,  Trasmondo  de  Tineto,  Luca 


517 

da  Fallano,  Pietro  Finto,  Bartolomraeo  Finto,  Pietro  da 
Paliano,  Jacopo,  ed  Ungaro,  Pietro  Vecchio,  Tommaso  di 
Niccolò  da  Miro ,  Teobaldo  di  Gregorio ,  e  Nicolò  Ma- 
caranno,  che  s'intitolano  tutti  signori  di  Palliano  domini 
de  Paliano.  A  questa  prima  cessione  e  vendita  accedet- 
te nel  1236  Guidone  di  Giovanni  Rolando  ,  come  rica- 
vasi dall'altro  documento  riferito  dallo  scrittore  sovral- 
lodato  p.  701.  e  seg.  Nel  1378  erano  feudatarii  di  Fa-; 
liano  i  Conti  di  Segni  Ildebrandino  ed  Adinolfo  ,  e  fu- 
rono come  tali  riconosciuti  da  Urbano  VI.  ma  nel  1389 
vennero  dallo  stesso  papa  discacciati.  Bonifacio  IX.  suo 
successore  li  rintegrò  dichiarandoli  vicarj  di  quella  ter- 
ra per  29  anni.  Giovanni  XXIII.  estese  tal  investitura, 
a  favore  d'  Ildebrandino  fino  alla  lerza  generazione.  I 
Conti  da  quella  epoca  ne  rimasero  in  possesso  fino  al 
pontificato  di  Martino  V.  Colonna,  il  quale  mentre  con- 
fermò loro  tutte  le  terre  che  possedevano  dispose  di 
Paliano  e  Serrone  a  favore  di  Antonio,  e  Odoardo  suoi 
nepoti  ,  dichiarandoli  vicarj.  Veggasi  il  Ratti  nella  Sto- 
ria della  Famiglia  Sforza  T.  II.  p.  222.  e  seg.  Da  quel 
tempo  il  titolo  anche  oggi  rimane  ai  Colonnesi.  La  vi- 
cinanza di  tanti  possedimenti  della  famiglia  Colonna^  che 
attorniavano  questa  Terra  dovea  condurre  tosto  o  tardi 
sotto  il  suo  intiero  dominio  Fallano,  che  dapprima  non 
era,  se  non  in  parte  posseduta  da  loro.  Nelle  vertenze 
fra  Sisto  IV.  ed  i  Colonnesi,  le  genti  del  papa  l'assedia- 
rono: Prospero  Colonna  chela  difese  valorosamente,  te- 
mendo di  qualche  tradimento,  mandò  i  figli  de'principa- 
li  abitanti  come  ostaggi  a  Genazzano ,  accompagnando 
questo  fatto  colla  terribile  minaccia  di  farli  trucidare. 
Terminata  quella  angustia,  sopraggiunse  nel  1526  1'  al- 
tra di  Clemente  VII.  che  irritato  fortemente  contro  i 
Colonnesi  devastò  la  contrada.  Eransi  appena  rimargina- 
te le  piaghe  di  questo  disastro  che  nel  1541.  Pier  Lui- 


518 

gi  Farfense  la  prese.  Nel  1553  Marcantonio  Colonna-  oc- 
cupolla  con  le  truppe,  che  a  soccorso  del  regno  di  Na- 
poli portava,  e  con  gravissimo  scandalo,  poiché  occupol- 
la  contro  il  padre  suo  Ascanio.  Ma  nel  1556  insorte  fra 
Paolo  IV.  e  Marcantonio  Colonna  gravissime  vertenze, 
il  papa  privò  Marcantonio  di  tutti  i  suoi  feudi  e  cre6 
duca  di  Palliano  il  suo  nipote  Giovanni  Caraffa,  quella 
stesso  al  quale  poscia  per  ordine  di  Pio  IV.  fu  molla- 
ta la  testa  :  in  tal  circostanza  i  Caraffeschi  ridussero  le 
fortificazioni  della  terra  come  oggi  ancora  si  veggono,. 
in  modo  da  renderla  per  que'tempi  quasi  inespugnabile. 
Nella  convenzione  dell'  anno  1557  fra  papa  Paolo  IV.. 
ed  il  duca  d'  Alba  venne  deciso  che  Paliano  fosse  con- 
segnato ad  una  terza  persona,  ovvero  smantellato  rima- 
nesse al  duca  Giovanni  Caraffa.  La  vittoria  riportata  da 
Marcantonio  II.  a  Lepanto  fece  restituire  PaMano  a  que* 
sto  erede  insieme  con  tutti  gli  altri  beni  paterni,  e  da 

quella  epoca  la  casa  Colonna  ne  gode  il  pacifico  pos- 
ggjjg^j^  '.■il  Vi  ì.uj:j5ji*7*  .jiwiv  Hobfl^iei.'Iyjh  ^  i^ffion 

'^*'i' Ne'dintorni  di  Paliano  fu  il  Fundus  Cjesaria^ 
nÒs  donato  da  s.  Gregorio  alla  chiesa  de'  ss.  Giovanni 
e  Paolo  ,  e  ricordato  nella  lapide  di  Costantino  papa  , 
esistente  presso  la  sagrestia  di  quella  chiesa,  nella  qua- 
le tal  fondo  si  pone  al  XXX.  m.  della  via  prenestina  , 
distanza,  che  coincide  al  bìvio  che  a  sinistra  conduce 
direttamente  ad  Olevano,  radendo  il  colle  del  Corso,  e 
a  destra  mena  a  Paliano.    '  ^^^  ^^nv<Hn:}^y^'HY>m^.  u,am 

•  ir^i  )  :!-!f|  yi;    iI;:ì\   i     ;    ;  "''■Ti    uihknji   ih   oheotfi 

oIiUv«i2fif|nKw;Mi  r:^^^'^^  PALIDORO.  '"-ot  90103 -  f^fietidr.  H 
.sniibfoijfJ  Wiià  ih  «iobBr»iar  ^ÌUlhi^ì  ^m  oU&%  (^K'^q) 
-le  -l  0§Ci  ìsù  mur'vr      ^        ^  ^fHG^p•  str.ntf(m> 

i  «/iJ'.oD   o$nBi{tahi>i|j(UltOnUtn.. ,    f)jii8tìi.'>D  Ih  F,iì 

Vasto  lenimento  dell'Agro  Romano  traversato  dalla 


519 

via  aurelia,  ossia  strada  di  Civitavecchia,  il  quale  com- 
prende circa  rubbia  685.  Appartiene  ali'  ospedale  di  s. 
Spirito:  confina  colle  tenute  di  Torrimpietra,  Ceri,  Palo, 
Maccarese,  e  Castel  Campanili  e  colla  spiaggia  del  ma- 
re: è  diviso  ne'quarti  denominati  Valle  Romana,  Osteria; 
Ortaccio,  o  Mentuccia,  Grottoni,  o  Statua,  Palo,  e  Cam- 
posanto, gtlifi'i    >  i<ifiiìi>  ìmh,  rM 

Il  suo  nome  è  una  leggiera  alterazione  di  quello 
di  Paritorium  col  quale  viene  designato  nelle  bolle  di 
Benedetto  Vili,  dell'anno  1019  e  di  Leone  IX  dell'an- 
no 1049,  riportate  dall'  Ughelli,  Tomo  I,  come  confine 
del  vescovato  portuense,  nome  che  sebbene  abbia  qual- 
che somiglianza  di  suono ,  nulla  ha  di  comune  con  la 
città  latina  di  Politorium  come  alcuno  credette.  Nel 
1480  era  un  castrum  che  viene  ricordato  in  un  atto  esi- 
stente nell'archivio  Capitolino  Tomo  LXVI.  fol.  12.  Nel 
secolo  seguente  venne  in  potere  de'Muti,  ed  allora  era 
diviso  in  tre  casali  denominati  di  Palidoro ,  s.  Angelo  , 
e  Castel  Lombardi ,  i  quali  furono  insieme  venduti  per 
scudi  80,000  alla  sorella  di  Sisto  V.  Camilla  Peretti  sul 
finire  del  secolo  XVI.  siccome  si  legge  nel  Ratti  Storia 
della  Fam.  Sforza  T.  IL  p.  352.  Dai  Peretti  nel  secolo 
seguente  questa  tenuta  venne  in  potere  dell'ospedale  di 
s.  Spirito  che  né  il  proprietario  attuale. 

'  Il  casale  è  a  destra  della  via  poco  più  di  18  m. 
lontano  da  Roma  ,  ed  è  composto  di  un  gran  fabbrica- 
to, di  una  chiesa,  e  di  qualche  casa.  Il  lato  del  casale 
propriamente  detto,  che  guarda  la  via,  è  fondato  sopra 
un  ponte  antico  della  via  aurelia  primitiva,  ponte  a  due 
archi  oggi  quasi  interrati,  sotto  il  quale  un  tempo  pas- 
sava il  fosso  di  Palidoro  che  però  almeno  fin  dal  seco- 
lo XIII.  in  che  venne  costrutto  il  casale  attuale  la  pri- 
ma volta,  teneva  già  un  altro  corso.  La  fronte  di  questo 
monumento  presenta  63  piedi,  e  15  ne  ha  di  grossezza: 


520 

i  massi  sono  grandi,  irregolari,  tendenti  però  alla  figu- 
ra di  parallelepipedi,  il  più  lungo  de'quali  da  me  misu- 
rato ha  quasi  9  piedi  di  lunghezza  e  2  e  un  quarto  di 
altezza,  in  essi  ravvisansi  le  morse  o  addentellature  per 
legare  uno  strato  coll'altro,  mentre  dall'altro  canto  non 
si  è  avuta  eura  per  evitare  il  ribattimento  delle  com- 
mettiture fra  uno  strato  e  l' altro,  caratteri  di  un'  antir 
<;hità  assai  remota  da  far  credere  il  poute  anteriore  an- 
cora al  dominio  romano  da  questa  parte  ed  opera  etru- 
sca.  I  massi  che  compongono  gli  archi  sono  cuncati ,  e 
rotondati  :  alcuni  hanno  mediocri  dimensioni ,  ma  tutti 
mirabilmente  sono  insieme  connessi.  Questo  ponte  era 
fiancheggiato  da  sostruzioni ,  le  quali  vennero  coperte 
dai  contrafforti  ed  altre  costruzioni  del  moderno  casale. 
Nella  chiesa  è  1'  arma  di  papa  Pio  VI  :  nel  casale  veg- 
•gonsi  qua  e  là  frantumi  di  colonne,  indizio  di  qualche 
ff^\)hrìcsL  antica  in  questi  dintorni. 

, vi-  Di  là  dal   casale  è  la  osteria  di  Palidoro  :  al  XX. 

<  ^*  • 

miglio  poi  nell'ultimo  confine  di  questa  tenuta,,  dove  a 
destra  distaccasi  il  diverticolo  di  Ceri  veggonsi  le  rovi- 
,pe  del  castello  di  Statua  eretto  nel  secolo  XIII.  presso 
^avanzi  antichi  di  opera  reticolata  appartenenti  probabil- 
,mente  ad  una  villa  e  non  all'  antica  città  marittima   di 
Alsium  ,  come  alcuni  ingannati  da  queste  rovine  prete- 
sero, e  della  quale  si,  parlerà  più  sotto  all'articolo  PALO. 
Qtì^^tP;  I  castello  fu  de' monaci  di  s.  Anastasio  alle    Tre 
•Fontane  fino  all'anno  1404  in  che  lo  vendettero  per  ri- 
staurare  il  loro  monastero  alla  Camera  Apostolica ,  sic- 
come prova  c»n  documenti  il  Ratti  nella  Storia  di  Gen- 
zanoy  riportando  nell'Appendice  al  n.  Vili,  il  beneplaci- 
to di  Bonifacio  IX  per  l'alienazione  di  tal  fondo ,^  che 
-  ?poi  rimase  incluso  nel  vasto  lenimento  di  Palidoro  e  die 
/nome  ad  una   parte  di  esso;  ed  al  num.    IX.  il  breve 
diretto  a  Corrado.vescovo  di  Malta  dallo  stesso  papa  per 


521 

venirne  all'acquisto  per  la  Camera  Apostolica,  dal  qua- 
le apparisce,  che  nel  secolo  precedente,  era  questo  ca- 
stello per  le  guerre  propter  guerrarum  discrimina,  ed 
altri  inconvenienti  rimasto  diruto,  e  disabitato,  onde  i 
monaci  da  30  anni  poco,  o  nulla  ne  aveano  ricavato,  e 
che  era  in  tal  decadimento  da  non  rimanere  più  speran- 
za di  riparazione  :  etiam  spe  cessante  quod  Statua  repor 
retur.  Quindi  si  conosce  la  epoca  dell'  abbandono  e  ro- 
vina di  questo  castello  coincidere  con  quella  in  che  i 
papi  rimanevano  ancora  in  Avignone.  Quasi  dirimpetto 
alle  torri  smantellate  di  Statua  sulla  mano  sinistra  è  un 
sepolcro  antico.  .       .,„.,!  i.  1; 

Io  credo  che  la  villa  sovraindicatai ,  ed  il  sepolcro 
appartengano  a  Verginio  Rufo,  villa  che  poi  fu  della  suo- 
cera di  Plinio  il  giovane,;e  della  quale  egli  stesso  par- 
ia lib.  VI.  epist.  X.  E  la  magnanimità  di  Verginio  si 
attesta  da  Dione  lib.  LXIII.  narrando ,  come  ricusò 
l'imperio  offertogli  dai  soldati  dopo  la  morte  di  Nerone, 
onde  ordinò  che  si  scrivessero  sul  suo  monumento  que- 
sti due  versi  riportati  da  Plinio  l.  e.  e  lib.  IX.  ep.  XX; 

HIC    SITVS    EST    RVFVS    PVLSO    QVI    VINDICE    QVONDAM     • 
, V)1aOf{;' IMPERI VM   ADSERVIT    NON    SIBI  SED  PATRIAE. 

Della  virtù  di  questo  capitano,  che  due  volte  ricusò 
r  imperio,  che  tre  volte  fu  console,  ed  ebbe  da  Nerva 
l'onore  di  un  funerale  publico ,  e  di  essere  lodato  ne' 
Rostri  da  Tacito ,  veggasi  oltre  Plinio  nella  prima  epi- 
stola del  libro  secondo  ,  anche  Tacito  Histor.  lib.  I.  e. 
Vili.  IX.  LXXVII:  lib.  II  e.  XLIV.  LI.  LXVIII.  Il  suo- 
lo in  questa  parte  è  formato  da  una  specie  di  grès  con- 
chilifero, il  quale  fornì  i  materiali  non  solo  per  la  vil- 
la villa  antica  di  Statua,  ma  ancora  per  tutte  le  fabbri- 
che antiche  di  questo  tratto  Ano  al  mare.  Infatti  a  si- 
nistra veggonsi  le  antiche  cave  di  questa  pietra  a  stra- 
to aperto,  abbandonate  da  lungo  tempo:  ed  altre  se  ne 


5^2 

reggono  a  destra  poco  prima  di  entrare  nella  tenuta  di 
Palo.  Alcuni  potrebbero  credere  che  a  questa  pietra 
alluda  Vitruvio  lib.  II.  e.  VII.  allorché  parla  delle  pie- 
tre di  natura  molle,  che  cavavansi  ne'contorni  di  Roma 
e  nomina  le  Pallienses,  parola  che  i  commentatori  han- 
no voluto  correggere  in  AlUenses,  e  che  in  questo  caso 
dovrebbe  emendarsi  in  Alsienses;  ma  la  distanza  da  Ro- 
ma mi  sembra  apertamente  opporsi  a  simile  congettura., 

'  -^'  -■  ".;-"i>.'i>''»  .  /-^  "■-' 

oìPjiimÌjHV  kntfi)     PALIAVICINA. f«^'i  H'^ì 

ni?  >5*  A^t^ins-»' o«fti«i  Mrtfffix   ijttc,'    ih  r.ì^Ì^*tUìn(iVr  i^'fiiì '*Mii 

É  il  nome  di  un  casale  e  di  un  lenimento  ,  posto 
sul  lembo  del  territorio  di  Zagarolo  fra  il  fiume  Osa  ed 
il  fosso  di  ponte  del  Fico.  Il  casale  è  sopra  un  ripiano 
di  un  colle,  in  una  situazione  ridente,  quasi  dirimpetta 
alla  Colonna  dal  canto  di  sud-ovest,  ed  a  Monte  Massi- 
mo verso  nord-est.  Tediasi  l'articolo  MONTE  MASSIMO. 
II  nome  lo  trae  dalla  famiglia  Pallavicini  che  possedet- 
te il  fondo.  La  strada  per  andarvi  parte  a  sinistra  del- 
la via  labicana  al  XV  miglio  da  Roma  presso  la  oste- 
ria della  Colonna,  e  traversando  le  terre,  raggiunge  do- 
po 4  miglia  la  via  prenestina  antica  presso  Cavamonte, 
lasciando  a  sinistra  il  Monte  Massimo.  Notai  a  suo  luo- 
go ,  che  questo  tratto  già  pertinente  alla  tribù  Scaptia 
venne  compreso  nel  secolo  Vili,  nella  Massa  Aliana.  Io 
percorsi  questa  strada ,  e  spaziai  a  destra  e  sinistra  in 
modo  da  rimaner  convinto ,  che  non  rimangono  traccio 
di  fabbriche  antiche.  Il  tenimento  sovraindicato  è  nella 
massima  parte  entro  i  limiti  dell'  antico  agro  labicano , 
sul  confine  però  del  gabino,  del  pedano,  e  del  preoe- 


523 
1  PALMÀROLA,  s 

.  le-  ouri  ufi^uH 

Tenuta  dell'Agro  Romano,  posta  fuori  di  porta  An- 
gelica circa  5  m.  lontano  da  Roma,  pertinente  al  capi- 
tolo di  s.  Pietro  in  Vaticano ,  e  confinante  con  quelle 
dette  del  Marmo,  Mimoli,  Luchina,  Mazzalupo  e  Porca- 
réccio,  divisa  in  tre  quarti.  Comprende  rubbia  226  ed 
un  quarto.  Nella  bolla  di  Leone  IV.  a  favore  del  mo- 
nastero di  s.  Martino  adiacente  alla  basilica  vaticanj^i  1 
cui  beni  poscia  furono  riuniti  ad  essa,  bolla  che  appar- 
tiene all'anno  854  della  era  volgare,  fra  le  altre  possi- 
denze a  quel  monastero  assegnate  si  trova  notato  un 
fundus  PcUmis,  come  posto  5.  m.  lungi  da  Roma  per  la 
via  Claudia,  o  Clodia,  che  è  la  stessa  della  Cassia,  nò^ 
me  che  a  quella  epoca  davasi  tanto  alla  strada  di  Acqua 
Traversa,  quanto  a  quella  di  Monte  Mario,  che  si  con- 
giunge con  questa  alla  Giustiniana.  La  distanza  da  Ro- 
ma coincide  ,  onde  può  credersi  il  nome  attuale  della 
tenuta  derivare  da  quello  del  fondo  il  quale  col  nome 
ài  Palmìs,  o  Palmi  si  designa  ancora  in  altre  bolle  po- 
Siériori  riportate  nel  Bullarium   Vaticanum  T.  L 

ùJ'i     .  .  .  -  "Si 

W'^òìÓiì/'àùùiir  PALO— ALSIYM      ^'   ^^^f^'^^'^>  ^' 

-#fe*)6'  fflftifp  Yt  ^(iiuihnimffi  uA'àuU^  ih  o-txeq    Ji  ic-!ii§f»l 

t'Itiherarió  marittimo  dèscritenao  la  strada  da  Por- 
to a  Centumcellae  assegna  9  miglia  di  distanza  fra  Por- 
to e  Fregenae,  9  da  Fregenae  ad  Alsium,  4  da  Alsium 
alla  stazione  Ad  Turres  ,  12  da  questa  a  Pjrgi ,  8  da 
Pyrgi  a  Castrum  Novum ,  ed  8  finalmente  da  Castrum 
Novum  a  Centumcellae.  La  posizione  di  Fregenae  a  Mac- 
carese  è  determinata ,  come  pure  lo  è  quella  da  Pyrgi 


$24 

a  s.  Severa.  Or  partendo  da  Maccarese  e  seguendo  lai 
strada  di  Torre  Perla,  o  della  marina  si  hanno  circa  9 
miglia  fino  a  Palo:  da  Palo  seguendo  la  strada  della  ma- 
rina verso  s.  Severa  si  trova  dopo  4  miglia  Torre  Fla- 
via, che  perciò  convien  riconoscere  per  la  stazione  Ad 
Turres.  A  Torre  Flavia  la  strada  in  luogo  di  continuar 
per  la  spiaggia  andava  a  raggiunger  la  via  aurclia,  e  quin- 
di andava  insieme  a  Pyrgi,  che  trovavasi  7  miglia  dopo 
Turres  ;  perciò  d'  uopo  è  ravvisare  il  sito  di  Alsium  a 
Palo,  quello  di  Turres  a  Torre  Flavia:  e  dall'altro  can- 
to il  numero  XII.  dell'Itinerario  va  corretto  in  VII:  so- 
stituzione commune  negli  Itinerarii  antichi  per  ignoranza 
de'copistì  che  cangiarono  il  X  in  V,  e  viceversa.  Nella 
Carta  Peutingeriana  Alsium  è  notato  sul  mare  come 
Villi,  m.  distante  dalla  prossima  stazione  che  è  sparita, 
come  è  sparito  il  numero  fra  questa  e  Porto.  Dall'altro 
canto  sulla  via  aurelia  fra  Lorium  ed  Alsium  è  notata 
la  stazione  di  Bebiana ,  la  quale  ^i  pone  6  m.  distante 
da  Alsium,  mentre  manca  il  numero  di  distanza  fra  Lo- 
rium e  Bebiana,  che  necessariamente  fu  III.  essendo  Al- 
sium per  la  via  aurelia  9  miglia  distante  da  Lorium , 
luogo  determinato  presso  Castel  di  Guido.  Se  pertanto 
Alsium  fu  sul  mare,  come  dimostrasi  dall'Itinerario  ma- 
rittimo, e  dalla  Carta  ,  esser  non  poteva  a  Statua  come 
alcuni  pretesero,  perchè  distante  dal  mare  3  miglia.  Ed 
a  conferma  di  tal  situazione  affatto  marittima  vuole  al- 
legarsi il  passo  di  Rutilio  Numaziano,  il  quale  descri- 
vendo il  suo  viaggio  per  mare,  dopo  aver  narrato  di  es- 
sersi imbarcato  a  Porto  soggiunge  lib.  I.  v.  223: 

Alsta  praelegitur  tellus^  Pyrgique  recedunt:  ^  l, 
Nunc  villae  grandes,  oppida  parva  prtus. 

Dionisio  lib.  I.  e.  XX  dice  che  Alsio  fu  una  città 
fondata  dai  Pelasgi,  e  da  loro  insieme   cogli    Aborigeni 


525' 
abitate.  Il  suo  nome  da  Silio  Italico  lib.  Vili.  v.  476  e* 
vuol  dcdursi  da  Aleso  argivo: 

Nec  nan  argolico  dilectum  Utus  ffaleso 

Àlsium  et  obsessae  campo  squalente  Fregenae. 

Questa  città  non  figura  nella  storia  romana  prima 
dell'  anno  di  Roma  506 ,  allorché  per  testimonianza  di 
Velleio  lib.  I.  e.  XIV.  vi  fu  dedotta  una  colonia  roma- 
na. E  come  una  delle  colonie  marittime  vien  ricordata 
da  Livio  lib.  XXVII  e.  XXVIII.  fra  quelle  che  non  po- 
terono ottenere  l'anno  547  di  essere  esentate  dal  servi- 
zio militare.  Strabone  lib.  V.  e.  II.  §.  8.  ne  fa  soltan- 
to menzione  insieme  con  Fregenae,  come  città  interme- 
die fra  Pyrgi  ed  Ostia ,  lungo  il  mare;  come  tale  pure 
la  nominano  Plinio  Hist.  Nat.  lib.  III.  cap.  V.  §.  8.  e 
Tolomeo.  Una  iscrizione  rinvenuta  fralle  sue  rovine ,  e 
pertinente  all'  anno  della  era  volgare  208,  mostra,  che 
qualche  beneficio  ottenesse  da  Antonino  Caracalla  ,  poi- 
ché i  decurioni  della  colonia  gli  eressero  una  statua.  La 
decadenza,  che  si  fece  sentire  in  tutti  i  luoghi  de'con- 
torni  di  Roma  nel  secolo  III.  e  che  sul  principio  del 
IV  fu  ancor  più  sensibile  per  la  traslazione  fatale  del- 
la sede  dell'  impero ,  più  particolarmente  si  vide  nelle 
terre  poste  lungo  la  spiaggia:  la  prima  scorreria  de'Go- 
ti  infieri  specialmente  lungo  la  via  aurelia  per  testimo- 
nianza di  Rutilio  Numaziano,  il  quale  nel  passo  ripor- 
tato di  sopra  nomina  Alsio  e  Pyrgi  come  quelle  che  di 
città  picciole  erano  divenute  ville  grandi: 

Nunc  viUae  grandes  oppida  parva  prius. 
^^i'  Nulladimeno  Alsio  si  sosteneva  ancora  nella  metà 
del  secolo  VI.  sendo  che  Agatia  lo  ricorda  fra  i  luoghi 
interessanti  di  cui  Narsete  s'impadronì  da  questa  parte. 
Ed  una  prova  ulteriore  è  vederla  notata  nella  Carta 
Peutingcriana.  Ma  poco  dopo  infierirono  su  queste  con- 
trade nuove  sciagure:  e  prima  i  Longobardi  per  terra, 


526 

ne'  secoli  VII.  ed  Vili ,  poscia  i  Saraceni  dal  canto  di 
mare  ne'  due  secoli  susseguenti  devastarono  talmente 
queste  contrade  che  ancora  Alsio  scomparve. 

Non  è  nota  la  epoca  precisa ,  ma  certamente  non 
fu  avanti  il  secolo  XIV.  che  gli  Orsini  ebbero  questo 
fondo,  e  Bertoldo  Orsino  fu  il  primo  a  possederlo,  ot- 
tenutolo, anteriormente  all'  anno  1330  dai  monaci  di  s. 
Sabba ,  i  quali  vi  avevano  edificato  un  castrum  ed  una 
rocca ,  ed  allora  per  la  prima  volta  comparisce  sotto  il 
nome  odierno  di  Palo.  Neil'  anno  1370  fu  da  Niccolò 
Orsino,  conte  palatino,  trasferito  il  dominio  di  Palo  ad 
Anastasia  di  Orso,  moglie  di  Giordano,  anche  esso  de'fi- 
gli  di  Orso,  siccome  si  ha  in  un  codice  vaticano  n.  7997. 
Non  si  era  però  il  monastero  di  s.  Sabba  spogliato  af- 
fatto del  dominio  di  Palo,  poiché  nello  stesso  codice  ap- 
parisce che  nel  1389  ne  possedeva  ancora  una  terza 
parte.  Nelle  guerre  del  secolo  XV.  questo  castello  fu 
diroccato,  e  come  tale  viene  indicato  in  una  carta  del- 
l' archivio  Orsini  spettante  all'  anno  1509 ,  allorché  fu 
venduto  da  Giulio  Orsini  a  Felice  Orsini  per  8000  du- 
cati. Nel  1521  la  parte  rimasta  al  monastero  di  s.  Sab- 
ba fu  data  in  enfiteusi  agli  Orsini.  Questi  nel  1573 
vendettero  al  card.  Guido  Ascanio  Sforza  la  tenuta  di 
Palo  per  25,000  scudi  col  patto  di  poterla  redimere. 
La  redensero  in  fatti  e  nel  1662  molto  lavorarono  per 
ristaurare  ed  ampliare  il  castello  come  ricavasi  dai  do- 
cumenti esistenti  nell'  archivio  Orsini.  Ma  i  debiti  che 
gravavano  sopra  i  beni  di  questa  famiglia,  la  forzarono 
ad  alienare  ancor  questo  fondo ,  e  nel  1693  il  giudice 
deputato  dalla  congregazione  de'baroni  vendette  Palo  a 
Livio  Odescalchi  per  120,  000  scudi.  Gli  Odescalchi  la 
vendettero  ai  Grillo  ,  e  questi  nel  1663  ai  Loffredo  e 
dai  Loffredo  ritornò  nel  1780  agli  Odescalchi ,  che  an- 
cora la  ritengono,  ^ro.f    1    !•;<:;  ■K.l^hlìr    Tf(»US^      i.D 


527 

Palo  è  un  picciolo  borgo  distante  da  Roma  circa 
22  miglia,  preceduto  da  un  bel  bosco,  popolato  da  po- 
chi individui,  e  questi  avventizj,  ed  incluso  nella  dele- 
gazione di  Civita  Vecchia.  Uscendo  dal  bosco  sovraindi- 
cato ,  che  lo  precede  entrasi  in  una  pianura  ,  ed  i  pri- 
mi oggetti  che .  si  presentano  sono  i  casini  di  casa  Ode- 
scalchi.  H  .Vi'f3-  k'ffièìm 

Il  castello  è  formato  da  un  forte  di  costruzione 
del  secolo  XV:  il  recinto  esterno  semidiruto  è  difeso  da 
torri  quadrate  e  da  un  parapetto  sporgente  fuori  del 
muro ,  opera  anche  esso  dello  stesso  tempo.  Verso  il 
mare  però  il  muro  è  bastionato,  ed  è  opera  del  secolo 
XVII.  Nella  costruzione  di  queste  fortificazioni  veggon- 
si  impiegati  i  materiali  delle  fabbriche  antiche.  Dentro 
questo  recinto  è  un  palazzo  ampio  difeso  negli  angoli 
da  quattro  torri  rotonde,  opera  de'tempi  di  Pio  II.  Di- 
nanzi al  castello  sul  mare  sono  i  moli  del  picciolo  por- 
to interrato  edificati  anche  essi  nel  secolo  XVII:  e  ver- 
so oriente  una  picciola  darsena  :  la  pianta  di  questo 
molo  è  una  mezza  ellissi  tagliata  nell'  asse  maggiore. 
Di  là  dal  porto  verso  ponente  è  una  linea  di  case  per 
abitazione  di  marinai ,  e  dinanzi  a  questa  una  spiaggia 
arginata  con  muri  laterizj  dello  stesso  tempo  del  porto. 

Da  Palo  seguendo  la  spiaggia  e  dirigendosi  verso 
levante,  trovansi  lungo  il  lido  pel  tratto  di  un  buon 
miglio,  vestigia  di  fabbriche  antiche  che  sembrano  a- 
vere  tutte  appartenuto  ad  una  stessa  villa  magnifica , 
essendo  tutte  insieme  connesse,  e  dove  non  appariscono 
sopra  terra  costruzioni  rimangono  calcinacci.  Queste  ro- 
vine sono  tutte  di  opera  reticolata,  più  o  meno  regola- 
re. Nel  recinto  de'  due  casini  Odescalchi  lungo  il  mare 
apparisce  un'antica  piscina  costrutta  di  scaglie  di  selce 
e  tagliata.  Seguendo  sempre  queste  traccie,  trovasi  do- 
po ì  casini  un  ampio  spoco  o  Cftmdo^o  rivestito  di  opera 


528 

signina ,  e  presso  questo  appariscono  vestigia  costrutte 
di  opus  incertum  appartenenti  a  qualche  fabbrica  ante- 
riore chiusa  dopo  entro  la  villa.  Frai  frantumi  de'muri 
è  degno  di  osservazione  un  pezzo  di  opera  reticolata 
mista  a  laterizio  in  guisa  che  fra  un  cubo  e  l'altro  di 
pietra  è  un  mattone ,  metodo  che  non  ho  osservato  in 
alcuna  fabbrica  antica.  A  misura  però  che  si  procede 
più  verso  oriente  gli  avanzi  sono  meno  sconvolti,  e  s'in- 
contrano frantumi  di  colonne  di  ordine  dorico  rivestite 
di  uno  stucco  lucido  e  candido  fatto  con  polvere  di 
marmo  e  solidissimo.  Incontransi  poscia  frammenti  di 
pavimenti  di  musaico  bianco  e  dopo  questi,  dove  havvi 
una  specie  di  scoglio,  dentro  terra  domina  una  collina 
formata  colle  rovine  dell'edificio  principale  della  villa;  e 
tosto  di  là  da  esso  sulla  spiaggia  è  un  bel  crittoporti- 
co  lungo  250  piedi  illuminato  da  22  fenestre,  o  piutto- 
sto lucernai  verso  il  mare,  di  forma  rettilinea.  Questo 
crittoportico  è  rivestito  di  uno  stucco  finissimo  e  ter- 
mina in  un  lunghissimo  corridore  che  ivi  fa  angolo  nel- 
la direzione  da  sud-ovest  a  nord-est.  Questo  corridore 
può  praticarsi  per  circa  120  piedi,  ma  non  fu  mai  de- 
corato, e  fu  illuminato  da  abbaini  circolari  nella  volta. 
Paralello  a  questo  corridore  havvene  un  altro  lungo  so- 
pra a  400  piedi.  Il  fabbricato  finisce  presso  la  foce  del 
fiume  Cupino,  e  di  là  da  essa  fino  a  Torre  Perla  non 
rimangono  altre  rovine.  Gli  avanzi  testé  descritti  sono 
generalmente  analoghi  per  la  costruzione  ad  altre  fab- 
briche dell'  ultimo  periodo  della  republica.  Questa  cir- 
costanza ,  la  magnificenza  del  fabbricato,  e  la  certezza 
dello  essere  stato  una  villa  mi  fanno  credere  che  ivi 
debbansi  ravvisare  gli  avanzi  della  villa  alsiense  di 
Pompeo.  Narra  Cicerone  nella  famosa  arringa  in  favor 
di  Milone  e.  XX.  che  Clodio,  il  quale  aspettava,  come 
suol  dirsi  Milone  alla  posta,  uscì  dalla  sua  villa  albana 


529 
sul  far  della  sera  e  deviò  per  andare  nella  villa  di  Pom- 
peo: e  soggiunge  Pompejum  ut  videret?  sciebat  in  Alsien- 
■si  esse.  Da  questo  passo  chiaramente  apparisce  che  Pom- 
peo avea  una  villa  nel  territorio  di  AlsiUm.  Or  questa 
villa  dopo  la  sua  morte  divenne  parte  de'  domimi  di 
Cesare,  e  perciò  ivi  quel  capitano  voleva  sbarcare  redu- 
ce dalla  guerra  di  AÉfrica  l'anno  707  di  Roma  come  ne 
apprende  Cicerone  nella  lettera  a  Varrone  che  è  la  VI. 
-del  libro  IX.  delle  Familiari.  Neil'  Agro  Alsiense  ebbe 
pure  una  villa  Marco  Emilio  Porcina,  siccome  apprendia- 
mo da  Valerio  Massimo  lib.  Vili.  e.  I.  §.  7.  e  Verginio 
Rufo  ricordata  da  Plinio  Epistol.  lib.  II.  ep.  I.  lib.  VI 
ep.  X.  lib.  IX  ep.  XIX.  Forse  questa  ultima  fu  a  .Sta- 
tua, siccome  fu  osservato  all'art.  PALIDORO.        al^if;. 

PALOCCO. 

Fondo  esistente  nell'ultimo  limite  dell'agro  romano 
verso  il  territorio  e  lo  stagno  di  Ostia,  circa  14  m.  fuo- 
ri di  porta  s.  Paolo,  confinante  verso  occidente  colla  Te- 
nuta di  Ostia ,  verso  mezzodì  ed  oriente  con  quella  di 
Fusano,  e  verso  settentrione  con  quella  di  Malafede.  Ap- 
partiene alle  monache  de'ss.  Domenico  e  Sisto.  Il  Mar- 
tinelli nella  Storia  della  Immagine ,  che  si  venera  in 
quella  chiesa  ci  ha  conservata  la  memoria,  che  nell'an- 
no 1529  le  monache  suore  Agata,  Lucia,  e  Giulia  In- 
fessura  donarono  la  metà  di  questa  tenuta  a  quel  mo- 
nastero: l'altra  metà  venne  posteriormente  acquistata  co*, 
fondi  del  monastero  medesimo.  >v,"fiiih 

S.  PALOMBA  .4 

Vasta  tenuta  dell'agro  romano  posta  fuori  di  por-., 
ta  s.  Sebastiano  15  m.  lontano  da  Roma  per  la  strada 

34 


530 

di  Falcognano  e  Paglian  Casale,  composta  di  quattro  fon-r 
di  fra  loro  distinti,  cioè:  l 

S.  Palomba  confinante  con  la  tenuta  di  Grotta  Scro-^ 
fana,  Valle,  e  Tor  Cancelliera.  (.  «  ;.; 

Grotta  o  Torre  scrofana  confinante  colla  tenuta  ter 
stè  descritta,  e  con  quelle  di  Palazzo  Margano,  Tor  del 
Vescovo,  Tor  Maggiore  e  Cerqueto.  » 

Capannone  confinante  collp  tenute  di  Solfara ta ,  s.t^ 
Procula,  e  Sughereto. 

E  finalmente  Cerquetello  chiusa  fralle  tenute  di  Cerr  ; 
queto  e  Sughereto.       •'  "  •    .dì\  <  .;b  oi 

Questi  quattro  fondi  uniti  insieme  comprendono  387 
rubbia  e  mezza ,  e  ciascuno  di  essi  forma  un  quarto 
4ist^ntQ. 

PAL0MBAR4 

Grossa  terra  nella  Gomarca  di  Roma,  posta  nel  dir 
stretto  di  Tivoli  e  residenza  di  governatore,  distante  da 
Roma  22  m.  per  una  strada  che  diverge  a  destra  del-'! 
la  nomentana  poco  dopo  il  sesto  miglio  da  Roma,  e  che 
dicesi  la  strada  delle  Moiette.  La  sua  popolazione  ascen-r 
de  a  2263  abitanti  secondo  l'ultimo  censimento. 

Il  nome  di  Palomhara ,  detto  ne  ■  tempi  bassi  PA-  '■ 
LUMBARTA  è  commune  a  molti  luoghi,  e  forse  derivò 
dall'abbondanza  de'palombi.  Quando  poi  questa  terra  si 
formasse  è  incerto,  e  sebbene  sia  situata  sopra  un  col- 
le isolato ,  conico ,  che  si  direbbe  rotolato  dalle  vette 
del  vicino  monte  Gennaro,  e  per  conseguenza  probabil- 
mente non  trascurato  nelle  epoche  primitive  della  popo- 
lazione italica,  nulladimeno  niun  avanzo  ho  potuto  trova-^ 


531 
re  nella  Terra  sia  della  epoca  della  indipendeuza ,  sia 
di  quella  della  dominazione  romana  ;  quindi  debbono 
mettersi  da  canto  le  pretensioni  di  coloro  che  diedero  a 
questa  i  nomi  di  Antemnae,  Crustumerii,  Cameria,  città 
d' altronde,  delle  quali  a  suo  luogo  ho  notato  la  situa- 
zione rispettiva.  > 
Forzati  pertanto  a  dimettere  ogni  lusinga  di  poter- 
la illustrare  con  autorità  de'  classici  antichi ,  d'  uopo  è 
ricorrere  a  quella  de'documenti  de'tempi  bassi,  allorché 
essa  cominciò  a  figurare.  Né  io  ho  trovate  memorie  dì 
essa  anteriori  al  principio  del  secolo  XII.  della  era  vol- 
gare ,  quando  si  era  di  già  formata  e  veniva  signoreg-^ 
giata  da  una  famiglia  che  per  tre  secoli  vi  si  mantenne, 
e  della  quale  il  nome  proprio  s'ignora:  ma  che  avea  as- 
sunto quello  di  signori  di  Palombara ,  sotto  il  quale  è 
nota  in  que' secoli  di  anarchia.  II  primo  a  comparire  ò 
un  Oddone,  che  chiamerò  Oddone  I.  per  distinguerlo  da 
altri  dello  stesso  nome  ,  suoi  discendenti ,  il  quale  nel 
Chronicon  Sublacense  riportato  dal  Muratori  apparisce 
essere  stato  in  guerra  sul  principio  del  secolo  XII.  con 
i  figli  di  Oderico  signore  della  Rocca  di  Camerata:  que- 
sti venderono  per  30  lire  il  loro  castello  a  Giovanni , 
XXXII  abbate  di  Subiaco ,  esiggendo  che  egli  avesse 
prestato  loro  ajuto  contro  di  Oddone  ;  ma  prima  che 
l'abbate  venisse  in  possesso  della  Rocca  fu  quella  Ter- 
ra occupata  da  Landone  ,  figlio  di  Gregorio  signore  di 
Anticoli,  e  questi  entrò  in  trattative  con  Oddone  per 
vendergliela.  Pietro  abbate  che  in  questo  frattempo  era 
succeduto  a  Giovanni  volle  guadagnare  Oddone  promet- 
tendogli la  metà  della  Rocca,  se  lo  avesse  ajutato  a  n*t 
torla  dalle  mani  di  Landone;  e  questi  accettò  la  propo- 
sizione, e  la  Rocca  fu  presa,  e  l' abbate  die  inoltre  60 
lire  di  argento  al  signore  di  Palombara  in  compenso 
delle  spese. 


532 

Ad  Oddone  successe  nella  signoria  di  Palombara  Ot- 
taviano, che  in  un  decreto  di  Ottone  conte  Palatino  del- 
l'anno 1159  viene  chiamato  comes  Palumbariae  :  veggasi 
il  Chr.  Farfense  presso  Muratori  R.  I.  S.  T.  II.  P.  II. 
p.  678.  Di  Ottaviano  nacquero  Filippo  ed  Oddone  II.  i 
quali  nel  1180  consegnarono  l'antipapa  Landone,  che  avea 
assunto  il  nome  d' Innocenzo  III ,  e  che  si  era  ritirato 
nel  loro  castello.  Nel  1198  a  loro  era  succeduto  Oddo- 
ne III  figlio  di  Filippo,  il  quale  prestò  in  quell'anno  giu- 
ramento di  fedeltà  a  papa  Innocenzo  III,  come  ricavasi 
dalla  vita  di  questo  papa  pubblicata  dal  Baluzio.  Nipote 
di  costui  sembra  che  fosse  quel  Niccolò  da  Palombara, 
il  quale  nel  1279  andò  podestà  in  Siena  ,  officio  che  a 
persone  ragguardevoli  allora  si  concedeva.  Il  suo  figlio 
Cecco,  signore  di  Palombara ,  ebbe  guerra  cogli  Orsini 
e  fece  prigione  Carlo  fratello  di  Francesco  Orsini,  onde 
Giovanni  XXII  s'interpose  per  la  sua  liberazione. 

Fino  dal  secolo  XIII  nel  testamento  del  cardinal 
Giacomo  Savelli  fatto  nel  1282  ,  e  riportato  dal  Ratti 
nella  Storia  della  Famiglia  Sforza  Tomo  II  ,  e  che  poi 
essendo  papa  col  nome  di  Onorio  IV  confermò,  appari- 
sce, che  molti  beni  possedevano  i  Savelli  in  questa  Ter- 
ra, la  quale  poi  divenne  loro  feudo  nel  secolo  XIV  e  co- 
stituì la  linea  detta  di  Palombara  che  fu  la  ultima  ad 
estinguersi  di  quella  famiglia  siccome  può  vedersi  nel 
Ratti.  Il  padre  Casimiro  raccolse  i  fasti  principali  de'Sa- 
velli  signori  di  Palombara  nella  erudita  sua  opera  delle 
Memorie  Istoriche  delle  chiese  e  conventi  de'Frati  Minori 
nella  provincia  romana.  Si  rileva  da  questi,  che  tremendo 
fatto  avvenne  nel  1455,  allorché  avendo  Jacopo  Savelli 
bandito  alcuni  suoi  vassalli  da  Palombara ,  rei  di  gravi 
misfatti,  questi  entrarono  nella  Terra  colle  armi  alla  mano 
e  barbaramente  tagliarono  a  pezzi  due  suoi  figli  inno- 
centi. Poscia  credendo  isfuggire  la  pena  di  tali  orrori  of- 


533 
frirono  la  Terra  a  Callisto  III,  che  lungi  dairaccettarla, 
spedì  il  card.  Colonna  per  rimetterla  nelle  mani  di  Ja- 
copo. E  quel  cardinale  unito  alle  genti  de'  Savelli  fece 
ritirare  gli  Orsini  che  erano  venuti  ad  assediarla,  e  pre- 
stò mano  forte  perchè  venti  fra  que'scellerati  che  erano 
stati  motori  principali  del  tumulto  venissero  uccisi.  Nel 
1460  Jacopo  si  arrendette  spontaneamente  a  Niccolò  Pic- 
cinino ;  ma  Tanno  seguente ,  come  partigiano  degli  An- 
gioini fu  da  papa  Pio  II  spogliato  di  sette  castella.  Morto 
Jacopo  Savelli,  nel  1482  Palombara  fu  occupata  dai  sol- 
dati di  Ferdinando  re  di  Napoli;  quindi  assalita  dagli  Or- 
sini, e  da  alcuni  de'Savelli  che  seguivano  la  parte  orsi- 
na, fu  da  Troilo  che  difendeva  la  rocca  incendiata. 

Cacciati  così  gli  Orsini,  per  le  discordie  trai  Savelli 
stessi,  vennero  dal  papa  occupate  le  loro  Terre  ,  e  fra 
queste  Palombara  che  fino  al  1503  riconobbero  il  domi- 
nio diretto  ed  indiretto  della  Sede  Apostolica;  ma  poscia 
furono  restituite  ai  loro  signori.  Nel  1556  fu  incendiata 
dai  soldati  del  duca  di  Alba ,  ai  quali  non  avea  voluto 
accordare  ricetto.  La  decadenza  in  che  successivamente 
vennero  i  Savelli  portò  la  Camera  Apostolica  nel  1576 
ad  impossessarsi  della  metà  di  Polombara  per  guarentire 
i  creditori  di  quella  famiglia  :  e  finalmente  ai  7  di  Gen- 
naio 1637  fu  insieme  col  castello  di  Stazzano  venduta 
questa  terra  a  Marcantonio  Borghese  per  la  somma  di 
385,000  scudi,  ed  i  Borghesi  sono  ancora  i  signori  di 
Palombara. 

Ho  notato  in  principio  che  Palombara  sorge  sulla 
cima  di  un  colle  isolato.  Essa  è  distante  circa  5  m.  da 
Monticelli  :  ed  un  miglio  prima  di  entrar  nella  Terra,  a 
destra  è  il  convento  de'frati  Minori  eretto  dopo  la  metà 
del  secolo  XV,  e  detto  di  s.  Francesco.  Nella  chiesa  sono 
quattro  altari  :  nell*  aitar  maggiore  è  una  bella  tavola 
rappresentante  la  Vergine  ai  cui  piedi  stanno  s.  France- 


354 

SCO ,  e  s.  Antonio  di  Padova  ed  una  cartella  in  cui  é 
scritto  :  VIRGO  precor  valeat  lvstris  domvs  alma  sa- 
BELLA.  Neil'  oliveto  che  si  traversa  andando  da  questo 
convento  verso  la  Terra  havvi  un  olivo  il  cui  tronco  mi- 
surato da  me  nell'  anno  1823  avea  42  palmi  di  circon- 
ferenza. 

La  parte  bassa  del  castello  è  affatto  moderna  :  la 
parte  superiore  però  è  generalmente  fabbricata  nel  se- 
colo XIII  e  XIV.  La  rocca  contiene  il  palazzo  de'Savelli 
che  fu  edificato  nel  secolo  XV,  ed  una  torre  molto  alta, 
lavoro  del  secolo  XIII.  E  questo  palazzo  presenta  da  tutte 
le  parti  lo  stemma  di  quella  famiglia,  e  belle  modinature 
nelle  porte  e  nelle  fenestre  ,  le  quali  sono  costrutte  di 
una  pietra  arenaria  compatta  locale  che  apparentemente 
sembra  marmo,  specialmente  per  la  patina  che  il  tempo 
le  ha  dato. 

Andando  da  Palombara  verso  settentrione  é  2  mi- 
glia distante  la  contrada  detta  Botavelle,  dove  sono  molti 
avanzi  di  reticolato,  laterizio,  ed  incerto,  appartenenti  ad 
una  villa  romana,  e  varie  conserve  di  acqua,  fralle  quali 
una  nel  luogo  chiamato  Martini  è  di  forma  circolare  di 
tal  mole,  che  presenta  67  piedi  e  mezzo  di  diametro. 
Questa  conserva  è  presso  l'andamento  dell'antica  strada, 
che  legava  la  nomentana  alla  Valeria,  e  della  quale  si  è 
fatta  menzione  di  sopra. 

Nella  strada  da  Palombara  a  Tivoli  per  Marcellina 
sono  altre  rovine,  delle  quali  ho  parlato  all'articolo  MAR- 
CELLINA. 

PALOMBARO 

Jpalumbarium, 

Tenuta  dell'Agro  Romano  fuori  di  porta  s.  Giovanni 
situata  circa  8  miglia  distante  da  Roma  traversata  dalla 


355 

strada  postale  di  Albano,  ed  in  parte  dalla  via  appia  an^ 
tica,  confinante  colle  tenute  di  Tor  di  Mezza  Via,  Bar- 
buta, Fiorano^  e  col  territorio  di  Marino.  Comprende  cir- 
ca rubbia  14  e  niezzo  ed  appartiene  à  s.  Sebastiano. 

Gli  annalisti  camaldolesi  riportano  nel  tomo  primo 
una  Carta  dell'anno  954  della  era  volgare ,  nella  quale 
non  solo  si  fa  menzione  di  questo  fondo  col  nome  di  Pa- 
lumbario  ,  ma  ancoi'a  si  apprende  ,  come  fino  a  quella 
epoca  era  appartenuto  al  monastero  di  s.  Lorenzo  fuori 
delle  mura  ,  e  che  allora  Costantino  abbate  di  esso  lo 
permutò  con  un  altro  fondo  posseduto  dai  monaci  di 
s.  Gregorio,  e  detto  di  s.  Genesio,  situato  fuori  di  porta 
s.  Lorenzo.  E  di  questo  fondo  negli  stessi  annali  altre 
volte  si  fa  menzione  come  confine  di  altre  terre  ,  cioè 
Moreni  ec.  Ora  da  quel  documento  apprendiamo  che  por- 
tava già  questo  nome  nell'anno  954^  e  che  dal  monastero 
di  s.  Lorenzo  passò  per  permuta  a  quello  di  s.  Grego- 
rio ;  ed  in  esso  si  descrive  in  qilesti  termini  :  casale  una 
in  integro  qui  appellatur  Palumbario  ...  cum  fontana  sua 
aquae  vivae  cum  ecclesia  deserta  in  honore  s.  Mariae  Dei 
genitricis  cum  monumento  suo  quod  est  crypta  rotunda  ... 
posito  foris  portam  Appiam  milliario  ah  urbe  Roma,  plus 
minus  octavo  vel  nono,  et  inter  ajflnes^  ab  uno  latere  via 
carraria  publica  quae  pergit  ad  AlbanUm,  et  ab  alio  latere 
limite  salvineum  qui  dividit  inter  subscripto  fundo  Palum- 
bario et  casale  ....  redeundo  in  via  carraria  publica  in 
primo  affine.  E  quel  monumento  rotondo  ancora  rimane 
a  sinistra  della  via  Appia  quasi  sul  limite  della  tenuta 
da  quella  parte.  In  questo  lenimento  circa  l'anno  1792 
dal  pittore  scozzese  Gavino  Hamilton  fu  scoperto  il  bel 
discobolo  che  oggi  si  ammira  nel  museo  Vaticano  presso 
a  quello  che  è  copia  del  famoso  discobolo  di  Mirone. 


53t; 

5.  PANCRAZIO. 

Chiesa  suburbana  di  Roma  situata  un  mezzo  miglia 
circa  fuori  della  porta  dello  stesso  nome  sulla  riva  de- 
stra del  Tevere,  presso  l'antica  via  Aurelia,  che  in  que- 
sta parte  univasi  con  quella  strada  che  usciva  dalla  porta 
Gianicolense  di  Servio  situata  poco  più  indentro  delta 
porta  s.  Pancrazio  odierna.  Quindi  per  la  vi»  Aurelia 
che  è  la  stessa  di  quella  che  esce  dalla  porta  Cavalleg- 
gieri  di  oggi,  e  si  riunisce  a  quella  di  Villa  Pamfili,  la 
chiesa  di  s.  Pancrazio  era  al  secondo  miglio  dell'antica 
via,  mentre  dall'altro  canto  era  circa  due  terzi  di  miglio 
fuori  della   porta  Gianicolense  di  Servio. 

Secondo  il  martirologio  di  Adone,  s.  Pancrazio  fu 
decollato  l'anno  304  della  era  volgare  ai  12  di  maggio, 
giorno  in  che  la  Chiesa  cattolica  ne  celebra  la  festa^  nel- 
l'età di  anni  14  e  regnando  Diocleziano:  Rem  via  aure- 
lia milliario  II  natalis  s.  Pancratiì  martyris  qui  quum  es- 
set  annorum  XIV  sub  Diocletiano  martyrium  capitis  de- 
truncatione  complevit.  Soggiunge  lo  stesso  martirologio 
che  il  suo  corpo  venne  tolto  occultamente  di  notte  da 
OttavUla  donna  illustre  e  con.  aromi  sepolto  il  quarto  di 
avanti  gl'idi  di  maggio  :  Cuius  reverendum  corpus  Oda- 
villa  illustris  (emina  occulte  nocte  sublatum  aromatibus  con- 
ditum  sepelivit  IV.  idus  mali.  Tal  sepoltura  avvenne  nel 
cemeterio  denominato  di  s.  Calepodio,  prete^  che  ebbe  il 
martirio  ai  tempi  di  Alessandro  Severo  e  che  fu  gittato 
nel  Tevere,  e  poscia  ripreso  dai  pescatori  e  sepolto  da 
Callisto  prete  nel  suo  cemeterio  3  miglia  fuori  di  Roma 
ai  10  di  maggio.  Quindi  deducesi  che  il  cemeterio  di 
Callisto  e  di  Calepodio  erano  uno  stesso,  che  stava  di  là 
dal  Tevere,  e  che  la  chiesa  eretta  poscia  ad  onore  del 
martire  san  Pancrazio  sorse  sul  sepolcro  di  quel  santo 
martire  non  prima  dell'anno  304  della  era  volgare.  Que- 


537 
sto  é  degno  di  nota,  perchè  leggendosi  in  Anastasio  nella 
vita  di  Felice  I  creato  papa  l'anno  267  e  morto  nel  275 
che  fece  una  basilica  nella  via  Aurelia,  dove  fu  sepolto 
2  m.  lontano  da  Roma,  non  si  confonda  come  alcuni  fe- 
cero questa  chiesa  con  quella  poscia  innalzala  sulla  stessa 
strada  ad  onore  di  s.  Pancrazio. 

Lo  stesso  biografo  poi  nella  vita  di  Felice  II  che 
morì  nell'anno  366  narra  come  questo  papa,  essendo  an- 
cor prete  fece  una  basilica  nella  via  aurelia,  e  comprò 
un  campo  ivi  dintorno  che  donò  alla  stessa  chiesa  al  se- 
condo miglio  della  via  aurelia,  dove  fu  poscia  sepolto , 
sendo  stato  decapitato  insieme  con  molti  chierici  e  fedeli 
occultamente  per  ordine  di  Costanzo  presso  le  mura  di 
Roma  accanto  all'acquedotto  trajano.  Or  questa  basilica 
eretta  da  Felice  II  si  crede  questa  medesima  di  s.  Pan- 
crazio né  v'ha  luogo  a  dubitarne,  poiché  non  molto  dopo 
trovasi  evidentemente  esistente,  e  tale  da  dar  nome  alla 
vicina  porta  della  città,  almeno  fin  dal  principio  del  se- 
colo VI,  siccome  si  legge  in  Procopio,  nella  stessa  gui- 
sa, che  quelle  di  s.  Paolo,  e  di  s.  Pietro  aveano  avuto 
nome  dalle  basiliche  fuori  di  esse  innalzate  ad  onore  di 
questi  apostoli.  Simmaco  che  fu  papa  fino  all'anno  514 
in  che  morì  la  ricostrusse  e  vi  fece  un  arco  di  argento^ 
che  pesava  15  libre,  e  secondo  il  costume  de'  tempi  vi 
uni  un  bagno  :  Anastasio  colla  sua  fraseologìa  ordinaria 
così  ne  parla  :  Fecit  quoqtie  basilicam  beati  Pancratii  mar- 
tyris,  ubi  et  fecit  arcum  argenteum  pensantem  lib.  XV.  Fe- 
cit autem  in  eodem  loco  balneum.  Su  questo  passo  del  bi- 
bliotecario non  dee  recar  meraviglia  il  verbo  fecit  per  re- 
fecitf  giacché  quello  scrittore  usa  continuamente  di  espri- 
mersi in  questa  guisa.  Non  molti  anni  dopo  ,  cioè  nel 
537,  sendo  Roma  assediata  da  Vitige,  in  uno  degli  as- 
salti perì  da  questa  parte  uno  spatharius,  cioè  scudiere 
di  Belisario,  onde  ebbe  sepoltura  nell'annesso  cemeterio^ 


538 

e  la  sua  lapidò  trasporlata  poscia  nel  pavimento  dellaf 
chiesa  leggevasi  ancora  ai  tempi  delI'Ugonio  nel  pontifi- 
cato di  Sisto  V  :  oggi  però  più  non  esiste.  Cessata  la 
guerra  gotica  ,  papa  Pelagio  I.  1'  anno  555  di  concerto 
con  Narsete  unì  in  questa  chiesa  una  processione  solen- 
ne ,  che  allora  chiamavano  litania  ,■  e  di  là  si  condusser 
cantando  inni  e  cantici  sacri  a  s.  Pietro,  dove  publica- 
mente  dichiarò  di  non  aver  fatto  alcun  male  contra  Vi- 
gilio, come  gl'imputavano  i  suoi  avvei'sarii. 

11  papa  s*  Gregorio  I.  sul  finire  dello  stesso  seco- 
lo vi  lesse  la  omelia  XXVII.  sul  testo  :  Hoc  est  praece^ 
ptum  meum  ut  diligatis  inDìcem  sicut  dilexi  vos,  il  giorno 
di  s.  Pancrazio.  Egli  stesso  nella  epistola  XVIII.  del  li- 
bro III.  diretta  al  monaco  Mauro  che  ivi  dichiara  ab- 
bate di  s.  Pancrazio,  mostra,  che  la  chiesa  fino  a  quel 
tempo  era  stata  sotto  la  cura  di  preti,  i  quali  però  con- 
ducevansi  con  molta  trascuratezza  a  segno  di  far  man- 
care perfino  la  messa  ne'  giorni  di  domenica  j  Quoniam 
vero  ecclesiam  s.  Pancratii  quae  erat  commissa  presbyteris 
freguenter  neglectam  fuisse  cognovimUs,  ita  ut  vmientes  d(H 
minico  die  populi  missarum  solemnia  audituri,  non  inven- 
to presbytero  murmurantes  redirent.  Laonde,  soggiunge,' 
concedere  questa  chiesa  ai  monaci  di  s.  Benedetto  in- 
sieme con  tutte  le  rendite  che  godeva,  e  creare  abbate 
di  questo  nuovo  monastero  Mauro  sopraindicato.  Ivi  egli 
parla  ancora  del  corpo  di  s.  Pancrazio.  Nella  lettera  poi 
LXXXVI.  del  libro  VII.  dice  di  mandare  a  Costanzo 
vescovo  di  Milano  le  reliquie  di  questo  santo  insieme 
con  quelle  di  s.  Giovanni. 

La  incuria  in  che  la  chiesa  era  stata  tenuta  fino  a 
quel  tempo,  e  lo  stato  misero,  in  che  Roma  trovavasi, 
r  aveano  ridotta  a  tal  grado  di  squallore  e  di  rovina  , 
che  papa  Onorio  I.  circa  l'anno  625,  ossia  soli  anni  21 
dopo  la  morte  di  s.  Gregorio,  dovette  riedificarla  dal  suo- 


539 
lo,  come  narri»  Anastasio,  dal  quale  pure  si  conosce,  che 
ornò  il  sepolcro  del  santo  martire  con  120  libre  di  ar- 
gento, ed  eresse  un  ciborio  sopra  l'altare  ,  pure  di  ar- 
gento di  187  libre  di  peso  ,  e  vi  fece  cinque  archi  di 
argento  del  peso  di  15  libre  per  ciascuno,  tre  candela- 
bri di  oro,  ciascuno  di  una  libra  di  peso,  e  molti  altri 
doni  offerì.  Questa  nuova  chiesa  durò  circa  un  secolo 
e  mezzo  poiché  da  Anastasio  medesimo  si  trae  nella  vi- 
ta di  Adriano  I.  che  questo  papa  non  solo  ornò  di  ar- 
redi questa  chiesa,  ma  trovando  la  fabbrica  nimia  vetur 
state  dirutam  atqm  ruinis  praeventam  la  ristaurò  a  nuo- 
vo, insieme  col  monastero  di  s.  Vittore^  forse  edificato 
dallo  stesso  Onorio  I.  presso  la  medesima  chiesa.  Nuo- 
vi arredi  vi  fece  e  nuovi  doni  Leone  III.  per  testimo- 
nianza del  Bibliotecario  medesimo.  In  questa  chiesa  fu 
nel  secolo  X.  sepolto  il  famoso  Crescenzio  nomentano 
signore  di  Roma  ,  poiché  fino  al  terminare  del  secolo 
XVI.  ivi  leggevasi  il  seguente  epitaffio,  che  è  riportato 
dallo  Schradero: 

VERMIS  .  HOMO  .  PVTREDO  .  CINIS  .  LAQVEARIA  .  QVAERIS 

HIS  .  ARCTANDVS  .  ÈRIS  .  SED  .  BREVIBVS  .  GYARIS 
QVI  .  TENVIT  .  TOTAM  .  FELICI  .  TEt^PORE  .  ROMAM 

HIS  .  LATEBRIS  .  TEGITVR  .  PAVPER  .  ET  .  EXIGVVS 
PVLCHER  .  IN  .  ASPECTV  .  DOMINVS  .  CRESCENTIVS  .  ILLE 

INCLYTA  .  PROGENIES  .  QVEM  .  PEPERIT  .  SVBOLEM 
TEMPORE  .  SVB  .  CVIVS  .  VALVIT  .  TIBERINAQVE  .  TELLVS' 

IVS  .  AD  .  APOSTOLICVM  .  VALDE  .  QVIETA  .  STETIT 
NVNC  .  FORTVNA  .  SVOS  .  CONVERTIT  .  LVSIBVS  .  ANNOS 

ET  .  DEDIT  .  EXTREMVM  .  FINIS  .  HABERE  .  DIEM        Auì 
SORTE  .  SVB  .  HAC  .  QVISQVIS  .  VITAE  .  SPIRAMINA  .  CARPIS 
DA  .  VEL  .  HVIC  .  GEMITVM  .  TE  .  RECOLENS  .  SOCIVM 

L'  anno  1204  ai  4  di  novembre  fu  unto  in  questa 
basilica  da  Pietro  vescovo  di  Porto  e  coronato  da  papa 
Innocenzio  III.  il  re  di  Aragona  Pietro  II.  Continuò  ne' 
tempi  bassi  a  stare  questa  chiesa  sotto  la  cura  de'mona- 


540 

ci  benedettini ,  ed  essendone  abbate  un  Ugone  V  anno 
1244 ,  sesto  di  Innocenzio  IV.  fu  da  lui  ristaurata  ed 
ornata  di  due  nuovi  amboni  distrutti  poscia.  La  figura 
di  questi  amboni  ci  è  stata  conservata  dal  Ciampini  To- 
mo I.  tav.  XIII.  fig.  3.  4.  il  quale  riporta  la  epigrafe 
seguente ,  che  ne  determinava  la  data,  e  che  leggevasi 
Bella  fascia  superiore  del  basamento  :  IN  NOIE,  BNL 
ANNO  DNICE.  iNCARNATIONIS  MGCXLIIII  SE..  TO 
PONTIFICATVS  DNL  INNOCENTII  IIII  INDICI,  SE- 
TTIMA MENSE  lANVARII  DIE  XV  DET  TIBI  PAN- 
CRATI  CELESTIS  GRATIA  DONI  HOC  OPVS  ABBL 
FIERI  QVI  FECIT  HVGONI:  nella  fascia  poi  dell'am- 
bone opposto  era  la  iscrizione  seguente:  HIC  LAVS  DI- 
VINA LECTOR  CANITVR  .  QVI . LEGIT  ADTENDAT 
AD  QVID  SACRA  LEGTIO  TENDAT  AD  CVLMEN.... 
HIT  OMNES  VOCE.  Nel  secolo  XV.  fu  concessa  ai  re- 
ligiosi di  s.  Ambrogio  ad  Nemus,  e  sotto  di  essi  venne 
da  papa  Innocenzio  Vili,  riedificata  la  facciata.  Leone 
X  ne  fece  un  titolo  di  card,  prete,  che  poscia  fu  con- 
fermato da  Sisto  V. 

Sul  finire  del  secolo  XVI  la  vide  l*  Ugonio ,  che 
nella  opera  sulle  Stazioni  di  Roma  la  descrive  come 
preceduta  da  un  prato  spazioso ,  dove  fu  una  fontana 
di  acqua  derivata  già  dall'acquedotto  traiano  (era  que- 
sto probabilmente  l'atrio)  e  di  questa  fontana  vedevan- 
si  i  rottami  del  vaso  presso  il  convento.  Dal  prato  en- 
travasi  in  un  andito  lungo  scoperto.  Sulla  facciata  era- 
no le  armi  d'Innocenzo  VIII,  che  come  notossi  l'avea  ri- 
fatta. Nell'interno  riconoscevansi  le  traccio  delle  due  na- 
vi laterali  che  erano  state  abbandonate  :  il  pavimento 
conteneva  molti  frammenti  di  lapidi,  fralle  quali  quella 
riportata  di  sopra  pertinente  a  Crescenzio,  e  quella  del- 
lo Spatario  di  Belisario,  e  varii  pezzi  dell'antico  primi- 
tivo lastricato  di  opera  alessandrina.  V'erano  gli  ambo- 


541 

hi  sovraindicati.  L'altare  isolato  e  rivolto  secondo  il  co- 
stume antico  ad  oriente  sorgeva  sopra  cinque  gradini , 
ed  era  ornato  di  quattro  colonne  di  porfido:  dietro  que- 
sto era  il  muro  divisorio  pur  fasciato  di  tavole  di  por- 
fido con  sedili  dinanzi,  parte  dell'antico  chorus:  rimane- 
vano pure  i  sedili  del  presbyterium  ed  il  trono  dell'an- 
tistite,      .fff  R  jBrt'ib  tuìdtmn  t)t;<,i.'\\!ut>  v-T'-iMi  aìumì'ì 

L'anno  però  1609  fu  intieramente  rinnovata  questa 
chiesa  dal  card.  Ludovico  Torres,  ed  allora  si  fece  man- 
bassa  di  tutte  le  antiche  memorie.  Soppressi  i  religiosi 
di  s.  Ambrogio  ad  Nemus  1'  anno  1645 ,  questa  chiesa 
per  qualche  tempo  fu  data  in  commenda ,  finché  soUqj 
Alessandro  VII.  venne  concessa  ai  frati  carmelitani  scaln. 
zi  che  ancora  la  ritengono.  u 

ojj;  L'anno  1798  soffrì  una  nuova  devastazione  e  rima-'l 
se  fino  al  1815  affatto  deserta ,  allorché  fu  ristaurata 
e  ridotta  nello  stato  attuale,  spogliata  di  tutti  i  porfidi, 
e  che  altro  non  presenta  d'interessante  che  l'antica  me- 
moria, e  r  accesso,  che  porge  alle  catacombe,  o  cerne-' 
terio  di  s.  Calepodio,  molto  celebre  negli  atti  de'marti- 
rìf  e  nella  storia  della  Chiesa. 

.•,„«]..',■:      PANTANELLA.     .  .jth  ìjÌìuìI  ì  ..,  , 

...        .      :.  ;...    .,  t,     .  ;......     ....,,.     ;.(., 

.  - .  Tenuta  dell'  agro  romano  pertinente  ai  Santacroce, . 
e  confinante  con  quelle  di  Pisana,  Fontignano,  s.  Ceci-| 
lia^  Casetta  di  Mattci,  e  Muratella.  Essa  è  posta  fuori 
delle  porte  s.  Pancrazio,  e  Portese  circa  6  m.  distante.: 
da  Roma:  contiene  66  rubbia  divise  in  due  quarti  de-.l 
nominati  di  sopra  e  di  sotto,  h  ^  sanf»ìl<i  i*  .1  uiì^m^^ 
.ui-. ........  ■     ■      T  .li.c--.-   ■      ■.'7 

ili  ;'i:,, i;ibb  ^t<•  '^  ■•.        ^   ./iì^ 

~:^f  h  ìy^o  i)}cirp  ff.ltKV  i^ì^^ìli'ìh 

fiìiir^toh  ^ofih  ;o)fi'  <.)«p  mì^r,  ,')^ 


-...  li  obif(..->v,    PANTANO  V.  GABII,  -o^  u 

.  ìiùhn-i's,  ■<s!'k'  ■  —  !,  ì>ìr 

^^ii^  m.Vh PAOLA  ACQVA  y.  TRAIANA. 

Tenuta  posta  nell'agro  romano  circa  8  m.  distanto 
da  Roma ,  situata  fralle  vie  Cornelia  ed  aurelia  fuori 
di  porta  Cavalleggieri ,  la  quale  comprende  274  rubbia 
divise  ne'  quarti  della  Paola  vecchia ,  della  Strada ,  del 
Gasale^  e  della  Strega,  Un  tempo  fu  parte  della  tenuta 
di  Porcareccio;  oggi  è  separata.  Appartiene  all'ospedale 
di  s.  Spirito.  Confina  con  le  tenute  di  Porcareccio,  Ca- 
stel di  Guido  ,  Porcareccina,  Selce,  Buccèa  e  s.  Bufina 
Entro  i  limili  di  questa  tenuta  verso  Castel  di  Guido 
fu  trovato  il  musaico  oggi  posto  nella  Sala  delle  Muse, 
e  rappresentante  attori  tragici  ^  e  comici ,  che  forse  fu 
ornamento  di  qualche  parte  della  villa  di  Lorio  degli 
Antonini:  veggasi  l'articolo  LORIVM. 

5.  PAOLO  FUORI  LE  MURA. 

I  limiti  che  mi  sono  preffsso  in  questa  opera  non 
mi  permettono  di  estendermi  molto  nella  descrizione  di 
quest'  antica  basilica,  la  quale  d'  altronde  fu  con  opera 
parlicolare  illustrata  da  Niccola  Maria  Nicolai.  Solo  fa- 
rò osservare  che  trovasi  sulla  via  ostiense  un  miglio  ed 
un  terzo  fuori  della  porta  di  questo  nome:  che  essa  fu 
fondata,  come  da  Anastasio  Bibliotecario  nella  vita  di 
Silvestro  I.  si  afferma  ,  da  Costantino  :  con  decreto  di 
Valentiniano  II.  Teodosio,  ed  Arcadio,  diretto  a  Sallu- 
stio prefetto  di  Roma  l'  anno  383  della  era  volgare  fu 
riedificata  sopra  una  pianta  più  vasta,  quale  oggi  si  ve- 
de, meno  qualche  leggiero  cangiamento:  viene  descritta 


343 

dal  poeta  cristiano  Prudenzio,  che  fu  testimonio  di  que-' 
sta  riedificazione:  Onorio  le  die  compimento,  come  nel-* 
la  iscrizione  del  grande  arco  fatta  in  musaico  si  legge- 
va :    THEODOSIVS   CAEPIT   PERFECIT   HONORIVS 
AVLAM  :  Placidia  madre  di  Valentiniano   HI.    ad   insir- 
nuazioue  di  s.  Leone  I.  fece  fare  il  gran  musaico  di  quef- 
V  arco  medesimo:  Simmaco  papa  circa  l' anno  500  ornò 
l'atrio  di  un  cantaro  versante  l'acqua,  rinnovò  la  tribu- 
na e  dietro  di  essa  fece   un  bagno ,  dappresso  un  ospf- 
zio:  san  Gregorio  Magno  ai  25  gennajo  dell'  anno  604 
le  assegnò  molte  possessioni:  Adriano  I.  e  Leone  HL  la 
ristaurarono;  Gregorio  VIL  mentre  era  ancor  monaco  é' 
legato  di  papa  Alessandro  IL  a  Costantinopoli  fece  fare 
la  porta  di  bronzo  intarsiata  di  argento  l'anno  1070,  a 
spese  Ai  Pantaleone  console:  verso  il  1217  sotto  Onorio 
III,  essendo  abbate  di  s.  Paolo  Giovanni    Gaetano  Orsiw 
ni ,  e  sagrista   Arnolfo ,  fu   ornata    del  musaico  ancora' 
esistente  la  tribuna:  circa  l' anno  1290  fu  cominciato  il 
musaico  della  facciata,  il  quale  fu  poi  terminato  sotto' 
Giovanni  XXII.  nel  1325.    Finalmente  dopo  esser  stata 
successivamente  ristaurata    da    Eugenio  IV,  Niccolò  V. 
Gallisto  III.  Sisto  V.  Benedetto  XIII.  e  Pio  VII.  la  nòt^^ 
té  del  15  al  16  luglio  1823.'  fri  con  gravissimo   danno' 
delle  memorie  ecclesiastiche,  e  delle  arti  da  un  fortui- 
to e  fatale  incendio  consumala.  Le  cure  benevole  di  Leo- 
ne XÌL  Pio  Vili,  e  Gregorio  XVI.  la  pietà  de'principi/ 
e  de'  privati  han  gareggiato  con  nobile  e  santa  emulai 
zione   a  farla  risorgere  ,  malgrado  la  malignità  de'  temi»^' 
pi,  e  le  angustie  del  publico  erario,  in  modo  che  l'Apo-*^ 
stolo  delle  genti  s.  Paolo,  fra  pochi  anni  avrà  un  tem-^^ 
pio  che  per  splendore  e  per  gusto  farà  dimenticare  quel-' 
lo   perito:  le  alpi   italiche    hanno   supplito  ai  marmi  di- 
Paros,  e  della  Frigia:  i  monumenti  più  insigni  dell'  an-^^ 
tichità  hanno  fornito  i  modelli  degli  ornamenti:  e 'gli 'aì*4* 


544 

tefici  più  rinomati  del  secolo  XIX  con  usura  ripareran- 
no la  perdita  delle  mediocri  pitture  e  sculture  che  un 
tempo  adornavano  questa  basilica. 

Presso  questo  tempio  si  apre  a  sinistra  la  via  del- 
le sette  chiese,  la  quale  si  va  ad  unire  all'Appia  accan- 
to a  s.  Sebastiano ,  dopo   circa  2  miglia.    Narra  il  Boi- 
detti  che  nel  1688  a  piccola  distanza  di  s.  Paolo  sfon-  , 
datasi  la  terra  lungo  questa  via ,  sotto  il  monte  incon- 
tro la  vigna  Mandosi,  si  sco|)ri  un  antico  cemeterio  cri- 
stiano a  due  piani,  ben  conservato,  del  quale    pubblicò 
la  pianta  e  diede  la  descrizione  nel  capo  I.  del  I.  libro; 
della  sua  opera  sui  cemeterj  de' santi  martiri.  Nel  capo 
poi  XVIII.  del  secondo  libro  soggiunge,  come  nel  1720 
facendosi  in  questo  cemeterio  nuove  ricerche  furono  sco-f 
perte  casse  e  pitture  entro  una  cappella,  ed  alcune  iscri-  . 
zioni  dipinte,  e  molte  lapidi,  che  fedelmente  riporta,  dal- 
le quali  scoperte    deduce  con  sana  critica ,  che    questo 
ramo  di  catacombe  sia  una  parte  del  cemeterio  di  Com- , 
modilla,  che   gli  scrittori  ecclesiastici  situano  presso  la 
via  ostiense  2  m.  lungi  da  Roma,  nel  quale  furono  se-, 
polti  i  ss.  Felice  prete  ed  Adautto  morti  nella  persecu- 
zione  di   Diocleziano ,  e  le  ss.  Degna   e  Merita ,  i  cui 
corpi  conservansi  nella  chiesa  di  s.  Marcello    entro  una 
urna  di  porfido,  depostivi  da  papa  Paolo  I.  nel  757  ai 
12  di  maggio.  Più  oltre    1'  anonimo  di  Mabillon    indica 
le  cappelle,  o  oratorii  di  s.  Petronilla,  e  de'  ss.    Nereo 
ed  Achilleo,  de'  ss.  Marco  e  Marcelliano,  di  s.  Solerò, 
di  s.  Sisto,  e  di  s.  Cornelio,  fra  questo   cemeterio  e  s. 
Sebastiano  Inde  ad  s.  Felicem  et  Adauctum,  et  Emeritam: 
deinde  ad  s.  Petronillam  et  Nereum  et  Àchilleum:  inde  ad 
s.  Marcum  et  MarcelUanum:  inde  ad  s.  Soterum:  inde  ad 

s.  Sixtum inde    ad    s.   Corneliam  : 

inde  ad  s.  Sebastianum.  E  sembra  che  queste  fossero 
tutte  sotterra  entro  catacombe,  e  che  sotterra  si  faces- 


545 

se  il  sacro  viaggio  dai  pellegrini  fra  s.  Paolo  e  s.  Se- 
bastiano ,  di  cemeterio  in  ceinetl^pp ,  come  oggi  si  fa 
sopra  terra.  .,  •  V  '■. 

Ma  tornando  alla  via  consolare,  presso  s.  Paolo,  che 
come  notai  è  1  m.  ed  un  terzo  fuori  della  porta,  que- 
sta viene  stretta  a  destra  dalla  tribuna  della  basilica , 
ed  a  sinistra  da  un  colle  alto  e  dirupato  di  tufa,  taglia- 
to a  picco  nel  quale  viene  a  terminare  la  lacinia  di  Tor 
Marancio.  Questo  rammenta  il  sito  prescelto  da  Remo 
per  fondarvi  la  sua  città,  che  avrebbe  avuto  nome  Re- 
muria;  imperciocché  Dionisio  Alicarnassèo  afferma,  che 
era  un  colle  non  lungi  dal  Tevere  distante  circa  30 
stadii  dalla  Roma  quadrata  di  Romulo ,  e  certamente 
sulla  sponda  sinistra  del  fiume  (  giacche  la  destra  era 
in  potere  de'  Veienti  )  e  verso  mezzodì,  circostanze  che 
si  uniscono  solo  in  questo  punto.  Nel  1163  chiama  vasi 
di  già  Baniaria  cioè  Balneariaf  come  si  trae  da  una  car- 
ta dell'archivio  di  s.  Alessio,  perchè  ne'tempi  più  anti- 
chi vi  sarà  stato  un  qualche  bagno:  ed  ivi  infatti  coin- 
cide quello,  che  secondo  il  Bibliotecario,  Simmaco  papa 
fece  circa  1'  anno  500  dietro  l'  apside  o  tribuna  di  s. 
Paolo:  Et  post  apsidem  aquam  introduxit,  uhi  et  bcdneum 
a  f andamento  fecit.  E  questa  forma,  ossia  condotto  pel 
bagno  die  nome  di  Formello  alla  contrada  indicata  nel- 
la stessa  carta  in  questi  dintorni,  come  pure  avanzo  del- 
la fabbrica  di  Simmaco  sarà  stato  il  muro  antico  ricor- 
dalo in  quel  medesimo  documento.  E  nell'inventario  dei 
beni  dello  stesso  monastero  di  s.  Alessio  fatto  l'  anno 
1390  si  nominano  vigne  poste  in  monte  della  Vagnaria: 
e  neppure  oggi  questo  nome  è  venuto  meno,  dicendosi 
ancora  questo  colle  monte  della  Bagnaia. 

Uscendo  da  questa  gola  la  via  solca  il  vastissimo 
prato,  che  prende  nome  dalla  vicina  basilica,  e  ricorda 
la  descrizione  che  ne  fa  Plinio  il  giovane  nella  epistola 

35 


546 

XVII.  del  II.  libro,  dove  mostra,  che  la  via  ora  veniva 
stretta  da  selve ,  ora  aprivasi  in  larghissimi  prati  :  nam 
modo  occurrentibus  sylvis  via  coarctatur ,  modo  latissimis 
pratis  diffunditur  et  patesctt.  Imperciocché  i  luoghi  con- 
servano pienamente  il  carattere  e  l'aspetto  che  in  quel- 
la epistola  vengono  descritti,  e  ben  lungi  da  presentar- 
si in  questo  tratto  squallidi,  ed  orridi,  quali  li  descris- 
se il  Bonstetten  per  dare  un  colorito  più  romanzesco  e 
sentimentale  al  suo  libro ,  sono  amenissimi ,  e  mancano 
solo  di  una  popolazione  più  numerosa.  A  destra  disten- 
donsi  sulla  sponda  opposta  del  Tevere  i  colli  gianico- 
lensi  che  quantunque  distanti  offrono  lo  spettacolo  di 
una  l'egetazione  vigorosa ,  ed  assistita ,  frutto  della  in- 
telligenza e  della  industria.  A  sinistra  il  prato  restriu- 
gesi  in  una  valle ,  che  separa  la  lacinia  di  Tor  Maran- 
cia  da  quella  di  Grotta  Perfetta^  e  che  sempre  più  strin- 
gendosi va  a  terminare  dietro  il  circo  di  Romulo,  vol- 
garmente detto  di  Caracalla  nel  dorso  commune  di  capo 
di  Bove.  Questa  valle  nella  parte  più  vicina  alla  via 
ardeatina  ,  che  è  quanto  dire  più  dappresso  al  dorso , 
neir  anno  1163  chiamasi  nella  carta  sovraindicata  di  s. 
Alessio  Vallis  Cupula  nome  che  le  sarà  stato  dato  per 
la  sua  forma  particolarmente  cupa  e  incavata  ,  che  ne 
faceva  un  ricettacolo  di  acque  nella  stagione  piovosa  , 
poiché  cupula  in  buon  latino  significa  botticella.  La  con- 
trada adjacente  allora  appellavasi  Horti  Praefecti,  sia  per- 
ché un  tempo  fossero  stati  posseduti  da  un  qualche  pre- 
fetto di  Roma,  sia  piuttosto,  perché  una  parte  di  quel- 
le terre  era  assegnata  al  mantenimento  del  prefetto /?ro 
tempore.  Di  questa  denominazione  il  monumento  più  an- 
tico che  io  conosca  è  una  carta  dell'archivio  de' Camal- 
dolesi dell'anno  1073:  veggasi  l'articolo  GROTTA  PER- 
FETTA. Ma  tornando  a  Valle  Cupula,  questa  nel  seco- 
lo XIII:  cominciò  a  chiamarsi  ancora  valle  di  Giovanni 


547 

Giudice,  dopo  che  fino  dall'anno  1163  un  personaggio 
di  questo  nome  ebbe  terre  in  questa  contrada,  e  a  lui 
ed  ai  figli  suoi  fu  data  in  enfiteusi  da  Riccardo  abba- 
te di  s.  Alessio  tutta  questa  valle,  siccome  si  ha  dall'istro- 
mento  originale  riportato  dal  Nerini  ;  e  questo  stesso 
scrittore  riporta  altri  documenti,  dai  quali  apparisce  chà 
nel  1243  di  già  appellavasi  Valle  di  Giovanni  Giudice  < 
e  che  negli  anni  1271  e  1274  Crescenzio  e  Pietro  ul- 
timi discendenti  di  quel  Giovanni  restituirono  al  mona- 
stero di  s.  Alessio  le  terre  date  dall'  abbate  Riccardo:; 
ed  allora  la  valle  cominciò  a  chiamarsi  la  Valle  del  Mot 
nastero.  La  torretta  che  ancora  rimane  ,  in  fondo  alla 
valle,  opera  del  secolo  XIII.  ^si  ^icQrda  nel  documento 
del  1274.  citato  di  sopra.  ,  'iiiuUh  ;'ì(i  v 
•moha'iìf.ùo  ih  fi^oh'ji\  asmtì^hnm  e1  Tjq  ajfii/  iMoh 
s-MAp  d  r,.ibJ^55J?^^jy^,v.SCAPTIA<,UiA    ìioihhiib 

•  •       '"    •-'    ,  •^•'■•;'  ■  ,,    olfii>-j'*n«l..«:llKÌ   ih 

5.  PASTORE,  ih  obiioì  li  r,;n;j,'6ìJ 
S-j  )  ((!!i  I  'di'-  :o  ;.noi<!fio)?'j    iMìii  Bti  obuo'ì    f>)?jjuQ 

È  un  fondo  fertile,  ed  ampio  nel  territòrio  di  Galr 
licano ,  che  si  dilunga  sopra  il  ripiano  di  una  fimbria  , 
che  dipende  dalla  falda  del  monte  di  Palestrina,  e  ver- 
so occidente  va  a  terminare  al  confluente  de'  fossi  di 
Zagarolo  e  di  Gallicano,  posto  circa  19  m.  lungi  da  Ro- 
ma. Esso  non  occupa  però  tutta  intiera  la  fimbria  so- 
vraindicata,  poiché  verso  occidente  termina  alla  strada, 
che  diverge  dalla  via  prenestina  antica,  e  conduce  a  Gal- 
licano, presso  Gavamonte.  Appartenne  un  tempo  al  con- 
vento de'pp.  domenicani  di  Roma,  e  fu  destinato  come 
appanaggio  del  generale  dell'ordine,  ma  dopo  la  occupa- 
zione militare  di  Roma  dell'  anno  1809  passò  in  altre 
mani. 

Dopo  Cavamonte,  appena  passato  il  diverticolo,  che 
conduce  a  Gallicano ,  seguendo   l'  andamento   della    via 


548 

prenestina  antica,  riconoscibile  pel  pavimento  di  poligo- 
ni di  lava  basaltica  che  ancora  conserva,  si  discende  ad 
un  ponte,  sotto  il  quale  passa  il  torrente  di  Zagarolo. 
Questo'  ponte  è  costrutto  di  grandi  massi  quadrilateri 
di  pietra  gabina,  alcuni  de'quali  hanno  circa  8  piedi  di 
lunghezza,  disposti  a  strati  alternati,  ora  nella  lunghez- 
za, ora  nella  profondità:  11  strati  si  contano  di  queste 
pietre  fino  alla  imposta  dell'  arco ,  il  quale  ha  45  pie- 
di di  altezza ,  22  di  grossezza ,  e  30  di  larghezza.  La 
lunghezza  del  ponte,  comprese  le  testate  è  di  235  pie- 
di (sempre  intendendo  de  piedi  romani  antichi,  che  han- 
no una  insensibile  differenza  col  piede  inglese).  Questo 
ponte  venne  costrutto  per  lo  stesso  uso  di  quello  di 
Nona,  cioè  per  ridurre  più  facile  la  communicazione 
della  via  ;  e  per  la  somiglianza  perfetta  di  costruzione 
direbbesi  fatto  nello  stesso  tempo,  cioè  circa  la  epoca 
di  Siila.  Duecento  passi ,  dopo  questo  ponte ,  la  strada 
traversa  il  fondo  di  s.  Pastore. 

Questo  fondo  ha  una  estensione  di  36  rubbia  ed 
è  ben  coltivato  ;  trae  nome  da  una  chiesa  dedicata  al 
martire  Pastore,  prete  romano,  che  die  il  titolo  alla  chie- 
sa di^-s»  Pudcnziana  in  Roma.  La  chiesuola  di  s.  Pasto- 
re fu  rinnovata  dal  p.  Boxadors,  generale  de' domenica- 
ni nel  secolo  passato  che  molto  spese  in  essa  e  nel  ca- 
sino contiguo:  la  pianta  è  a  croce  greca,  e  contiene  tre 
altari:  quello  di  fronte  all'  ingresso  dediètìito  ai  ss.  Do- 
menico e  Caterina  da  Siena  è  ornato  di  due  colonne  dì 
marmo  frigio:  quello  a  destra  è  consacrato  ad  onore  di 
s.  Pio  V.  e  s.  Rosa  di  Lima  :  e  quello  a  sinistra  a  s. 
Pastore,  prete  e  martire  di  cui  conservasi  il  cranio. 

'  Attinente  alla  chiesa  è  il  casino;  la  stanza  pianter- 
rena  di  questo  ,  che  precede  la  grotta  è  una  conserva 
antica;  indizio  forte,  che  un'antica  villa  fosse  in  questo 
iuogOk  '  La  grotta  nel  suo    genere  è  magnifica ,  essendo 


549 

tutta  scciYata  nel  tufà,  e  a  forma  di  un  parallelepipedo,; 
tagliato  in  mezzo  da  un  andito  ;  intorno  ad.  essa  a  de- 
stra e  sinistra  sono  cento  nicchie^  pure  iscavate  nel  tu- 
fa  atte  a  contenere  100  botti  di  vinci  6no«  n  •nt^minh 
Questa  delizia  venne  visitata  più  volte  dai  papi  del 
secolo  passato,  come  da  Benedetto  XIV  e  Pio  VI.  sic- 
come testificano  le  iscrizioni  che  si  leggono  nel  casino. 
La  veduta  che  si  gode  dalle  fenestre  di  questo  è  vera- 
mente magnifica,  specialmente  verso  oriente  e  settentrio- 
ne. Da  s.  Pastore  a  Palestrina, sono  circa  .4  nùgUa  e  si 
segue  sempre  la  via  antica.  \ft  ><  Vv^Hj  i  »  ^ /moiA^Ì  ' 
ci,    HliìuPói    .iìt    ó  fi-hi*)  -i'^  .K  fihoi]    ih    hfM 

■umì  •»!  no-y  otrsr.nlììso^l'-^FOiVJS'.     vìUAì  f;i:>.'5rb  b  ,«rimW 

È  il  nome  dì  una  osteria  posta  21  miglia  distante 
da  Roma  sulla  via  cassia,  o  strada  di  Monte  Rosi,  de- 
rivato dalla  insegna  che  un  tempo  ivi  era,  rappresentan- 
te un  pavone. 

Ajfi.!?    -  /'»   j  hnìniììr.mm  yM.tiùfit  tu  'ùnnuì 

PEDICA.  -h 

Nome  derivante  da  pes  ed  usato  ne'tempi  bassi  per 
indicare  un  terreno  di  una  superficie  determinata  di  un 
certo  numero  di  piedi ,  e  che  nell'  Agro  Romano  si  è 
conservato  a  parecchi  fondi  che. qui. per  ordine  alfabe- 
tico sono  per  enumerare,  i ; i ; s  i^l»  ■é:vOv  v  ito  ."ì-ì-ìL  ìA 
,-  Tre  di  essi  hanno  soltanto  il  nome  di  Pedica,  sen- 
za altro  aggiunto,  cioè:  uno  fuori  di  porta  Cavalleggie- 
ri  sulla  strada  di  Buccèa  e  confinante  colla  strada  sud- 
detta e  colla  tenuta  di  acquafredda  :  questo  appartiene 
ai  Massimi  e  comprende  11  rubbia.  L'altro  è  parte  del- 
la tenuta  di  Aguzzano.  Il  terzo  è  fuori  di  porta  Pia 
circa  4.  m.  distante,  confinante  con  le  tenute  di  Bocco- 
ne,  Serpentara,  Redicicoli,  e  Yallemelaina ,  si  estende 


550 

per  circa  5.  rubbia  ed  appartiene  alla  cappella  dì  s.  An- 
drea in  s.  Maria  in  Via. 

Le  altre  hanno  l'aggiunta  di  un'altro  nome,  che  le 
distingue  e  sono  le  seguenti:  moii o'^n^'ì  r.  'ni:  rA 

''■  '■  Pedice  di  Acqu acetosa  v.  Acqu acetosa. 

•  f  edica  Cavalloni  di  rubbia  66  e  mezza  posta 
fuori  di  porta  s.  Sebastiano  sulla  strada  detta  del  Di- 
vino Amore  circa  9  m.  distante  da  Roma ,  ed  apparte- 
nente ai  Capizuccbi.  Confina  colle  tenute  di  Castel  di 
Leva,  Falcognani,  e  Fiorano. 

Vedica  Cleri  a  e  Ricci  di  rubbia  M  circa,  posta 
fuori  di  porta  s.  Sebastiano ,  circa  6.  m.  distante  da 
Roma,  a  destra  della  via  appia,  confinante  con  le  tenu- 
te di  Casal  rotondo.  Terricola,  Tor  Carbone,  Roma  Vec- 
chia, e  s.  Maria  Nuova. 
-  )v,  Pedica  Croce  v.  Marco  Simone. 
"  Pedica  Croce  detta  la  Casetta  degli  Angeli  posta 
fuori  di  porta  Maggiore  2.  miglia  lontano  da  Roma,  per- 
tinente ai  monaci  camaldolesi  e  confinante  colle  vigne 
di  Roma  e  colle  tenute  del  Quadrato  e  Tor  s.  Giovan- 
ni. Comprende  rubbia  45. 

Pedica  Mach an ella  v.  Massa  Gallesina. 
(il!  Pedica  Magli anella,  o  di  s.  Ambrogio,  perchè 
appartenente  al  monastero  di  questo  nome  comprende 
21  rubbia  di  terra,  confinanti  colla  tenuta  di  Casal  del- 
la Morte,  colla  strada  di  Civita  Vecchia,  e  colla  pedica 
Maglianella  Gallesina  e  pedica  Quarantaquattro.  E  circa 
4  miglia  e  mezzo  fuori  di  porta  Cavalleggieri. 

Pedica  Marra  nella  comprende  11  rubbia  di  ter- 
ra pertinenti  al  capitolo  di  s.  Giovanni  in  Laterano ,  e 
confinanti  colle  vigne  di  Roma  e  colla  tenuta  di  Tor  s. 
Giovanni,  2  miglia  circa  fuori  di  porta  Maggiore. 

Pedica  Pontenono  posta  2  miglia  fuori  di  por- 
ta Maggiore  per  la  via  prenestina  antica,  confinante  col- 


551 

le  tenute  di  Acqua  Bollicante,  Portonaccio,  Pietra  Lata, 
e  Tor  Sapienza.  Comprende  quasi  14  rubbia. 

Dedica  Ricci  v.  Pedica  Cleri  a. 

Pedica  Spi n aceto  v.  Spin aceto.  ;-  u  .  -,,-_. 

Pedica  Tre  Fontane  trae  nome  dalla  vicina 
cbiesa  di  s.  Paolo  alle  Tre  Fontane,  alla  quale  appartie- 
ne: confina  colla  tenuta  dello  stesso  nome  e  con  quella 
di  Grotta  Perfetta  e  comprende  quasi  23  rubbia. 

Pedica  di  Tor  Carbone  sulla  riva  destra  del 
Tevere  circa  2  miglia  più  oltre  della  Magliana ,  cioè 
circa  7  miglia  distante  da  Roma  fuori  di  porta  Porte- 
se:  essa  appartiene  ai  beneficiati  innocenziani  del  capi- 
tolo vaticano,  comprende  rubbia  8  ed  un  quarto,  e  con- 
fina con  una  pedica  dello  stesso  nome,  pertinente  un  dì 
ai  Lepri  e  che  comprende  9  rubbia  di  terra ,  coi  prati 
pur  detti  di  Tor  Carbone  e  col  fiume  Tevere. 

Pedica  di  Valchetta  v.  Valchetta. 

Pedica  di  s.  Marta  picciolo  fondo  di  rubbia  7 
in  un  angolo  circoscritto  dalla  tenuta  di  Grottaferrata  e 
dalla  strada  e  territorio  di  Frascati ,  circa  11  miglia 
lontano  da  Roma. 

PEDVM  —  GALLICANO. 

€aBtxnm  ©alliram. 

Terra  di  889  abitanti  nel  distretto  di  Tivoli  e  nel- 
la diocesi  di  Palestrina,  appartenente  ai  Pallavicini,  po- 
sta sopra  un  colle  dirupato  di  tufa  litoide  di  colore  lio- 
nato, che  ha  tutta  l'apparenza  di  avere  occupato  il  sito 
di  una  città  antica;  imperciocché  il  colle,  su  cui  giace 
è  dirupato  da  tutte  le  parti,  e  simile  alla  pianta  di  un 
piede  si  unisce ,  come  con  un  istmo  verso  oriente  alla 


552 

lacinia,  che  si  prolunga  da  Preneste  verso  occidente  fi^ 
no  all'Aniene  frastagliata  in  varie  guise  da  numerosi  sco- 
gli. Aggiungansi  a  questo  fatto  le  caverne  sepolcrali  ta- 
gliate nel  tufa,  simili  per  lo  stile  e  per  la  forma  a  quel- 
le de'dihtorni  di  Lugnano  (BOLA),  e  Valmontone  (TO- 
LERIA),  i  tagli  artificiali  delle  rupi,  onde  aprire  le  vie 
e  le  memorie  storiche  che  ci  sona  rimaste  di  queste  con- 
trade, parmi  di  potere  stabilire  con  sicurezza,  che  nel* 
sito  di  Gallicano  sorgesse  PEDVM,  città  latina,  che  per- 
venne ad  un  grado  di  potenza,  a  segno  di  dar  nome  ad 
un  territorio,  e  che  viene  ricordata  dagli  antichi  scrit- 
tori sempre  come  intermedia  fra  Labico,  Boia,  Preneste 
e  Tibur. 

Stefano,  o  piuttosto  il  suo  epitomatore,  appella  Us^oc 
questa  città,  e  la  dice  ausonica,  o  italica:  Livio  costan- 
temente la  chiama  Pedum  :  ora  Peda  in  latino  equivale 
a  vestigium ,  pedata  ,  ed  in  tal  caso  direbbesi  la  città 
aver  tratto  nome  dalla  forma  simile  alla  pianta  del  pie- 
de ,  come  Boia  ,  o  Vola  da  quella  della  mano  :  che  se 
vuol  trarsene  la  etimologia  piuttosto  da  Pedum ,  pusto- 
rale,  nome  del  bastone  ricurvo  de'pastori,  che  veggiamo 
in  mano  de'Fauni,  ancor  questo  può  dirsi  avere  alluso 
alla  sua  apparenza  esterna,  estremamente  stretta,  lunga, 
e  nella  estremità  rivolgente  in  tondo.  Caratteri  sono 
questi  che  combinano  assai  bene  polla  forma  del  colle 
1  Gallicano. 

Dionisio  lib.  Vili.  e.  XXVI  l'appella  piccola  città, 
e  forse  in  origine  sarà  stata  dipendente  dalla  vicina 
Preneste  ;  ma  posteriormente  essendosi  emancipata  ,  fu 
capo  luogo  di  una  tribù ,  o  distretto  del  Lazio,  Tale 
rango  occupava  di  già  l'  anno  258  di  Roma  ,  allorché 
comparisce  la  prima  volta  nella  storia  prendendo  parte 
nella  famosa  lega  latina  stretta  per  riporre  i  Tarquin} 
sul  trono.  Dionisio  lib.  V.  e.  LXI.  Divenuta    amica  de" 


353 

Bomani  dopo  la  rotta  sofferta  al  Iago  di  Regillo,  que- 
sta città  si  conservò  fedele  nella  scorreria  di  Coriolano 
contro  le  città  latine  alleate  di  Roma,  onde  quell'esule 
condusse  ancora  contro  di  essa  l'esercito  de' Volaci.  Veg- 
gansi  Dionisio,  Livio  e  Plutarco;  frai  quali  Dionisio  lib. 
Vili.  e.  XIX.  narrando  con  particolari  più  lunghi  quel- 
la impresa,  dice  che  Marcio,  impadronitosi  di  Labico, 
si  volse  contro  i  Pedani ,  prese  di  assalto  la  città ,  ed 
assoggettolla  alle  medesime  tristissime  condizioni  delle 
altre  città  prese  antecedentemente:  e  di  là  condusse  la 
oste  contro  Corbione.  Livio  lib.  II.  e.  XXXIX  dice,  che 
Coriolano,  dopo  Labico  prese  Pedo,  e  che  di  là  condus- 
se immediatamente  l'esercito  contra  Roma.  Passato  quel 
turbine ,  Pedo  ritornò  nella  primiera  sua  indipendenza. 
L'anno  397  i  Galli  reduci  da  Preneste  vi  si  accamparo- 
no, e  vennero  messi  in  rotta  dal  dittatore  C.  Sulpicio  : 
Livio  lib.  VII.  e.  XII.  e  seg.  Susseguentemente  nel  prin- 
cipio del  secolo  seguente  strinse  lega  coi  Prenestini  e 
coi  Tiburtini  contro  i  Romani,  e  sì  fermamente  la  osser- 
vò che  fu  una  delle  ultime  città  latine  ad  essere  sotto- 
messa. Il  console  Lucio  Furio  Camillo  ,  a  cui  era  stata 
affidata  quella  guerra  prese  nel  417  di  assalto  questa 
^  città  e  ne  ebbe  l'  onore  del  trionfo  ,  come  si  trae  da 
Livio  lib.  Vili.  e.  XII.  e  seg.  e  dai  Fasti  Capitolini. 
Dopo  tale  vicenda  andò  sensibilmente  così  decaden- 
do, che  il  territorio  soltanto  ne  conservò  il  nome,  e  re- 
gio pedana  fu  detta,  senza  che  di  Pedum  mai  più  si  fa- 
cesse menzione.  Cicerone  nella  lettera  ad  Attico  lib.  IX. 
ep.  XVIII,  scritta  ai  29  di  marzo  dell'anno  704  di  Ro- 
ma, rendendogli  conto  del  suo  abboccamento  con  Cesa- 
re a  Formie  ,  tendente  a  rappacificarlo  con  Pompeo  ed 
evitare  cosi  la  guerra  civile,  dice,  che  terminata  la  con- 
ferenza. Cesare  immantinente  andò  nella  sua  villa  peda- 
na, ed  egli  ad  Arpino:  continuo,  ipse  in  Pedanum,  ego  Ar- 


554 

pinum.  Ebbe  pertanto  Cesare  una  villa  nel  territorio  pe- 
dano, come  Cicerone  una  ne  avea  nell'arpinate.  Una  pu- 
re ne  avea  nella  regione  pedana  Tibullo,  siccome  si  ri- 
cara  da  quel  verso  di  Orazio  lib.  I.  epist.  IV.  v.  2. 

Quid  nunc  te  dicam  facere  in  regioue  pedana  ? 

E  lo  scoliaste  antico  commentando  le  ultime  due  paro- 
le dice,  che  quella  regione  fu  fra  Tibur  e  Frenesie ,  la 
cui  etimologia  altri  traevano  dal  monumento  di  un  tal 
Pedano  che  dicevasi  ancora  esistente  ,  altri  da  Pedo , 
città  fortificata,  non  lungi  da  Roma,  ma  che  allora  non 
esisteva  più;  vel  ab  Italiae  oppido  Pedo ,  qtiod  non  longe 
fuit  ab  urbe,  sed  modo  non  est.  Che  se  il  silenzio  unani- 
me degli  scrittori  antichi  sopra  questa  città  dopo  1'  an- 
no 417  di  Aoma,  e  1'  asserzione  positiva  dello  scoliaste 
non  vogliano  tenersi  come  argomenti  positivi ,  che  Pe- 
dum  non  esisteva  più  fin  dagli  ultimi  tempi  della  repu- 
blica,  non  potrà  certamente  negarsi  fede  a  Plinio,  che 
apertamente  inserisce  nel  catalogo  delle  città  estinte  del 
Lazio  ancora  Pedum.  Feslo  ne  apprende  che  Scaptia , 
piccola  città  di  questi  stessi  dintorni ,  distante  circa  4 
miglia  da  Pedum,  siccome  vedrassi  a  suo  luogo  (v.  SCA- 
PTIA) era  abitata  dai  Pedani. 

Strabone  notò,  che  molte  città  primitive  del  Lazio 
a'suoi  giorni  erano  divenute  fondi,  proprietà  di  privati, 
e  fra  queste  conviene  porre  anche  Pedum.  Il  nome  di 
Gallicano  ,  che  porta  la  terra  sorta  sulle  rovine ,  e  che 
certamente  di  già  esisteva  l'anno  992  della  era  volgare, 
m'inducono  a  credere  che  un  qualche  personaggio  di 
questo  nome  possedesse  ne'tempi  antichi  quel  fondo  che 
fundus  Gallicani  si  sarà  detto.  E  di  Gallicani  la  storia 
imperiale  non  va  scarsa,  poiché  parecchi  consoli  di  que- 
sto nome  s'incontrano,  come  quello  dell'anno  127.  e  Ro- 


555 
mulo  Gallicano  dell'anno  150,  e  Cneo  Messio  Gallicano 
del  237,  e  Caio  Rutiiìo  Gallicano,  di  cui  non  si  cono- 
sce r  anno  preciso,  e  finalmente  Oyinio  Gallicano,  pre- 
fetto di  Roma  nel  316,  console  nel  317,  e  nuovamente 
nel  330,  il  quale  fu  celebre  ancora  ne'  fasti  ecclesiasti- 
ci, come  può  leggersi  in  Anastasio  nella  vita  Silvestri  I. 
in  Adone  nel  Martyrol.  XXV.  lunii,  e  nel  Martirologio 
Romano;  martire  che  la  Chiesa  cattolica  venera  col  no- 
me di  s.  Gallicano.  Ma  quale  di  tutti  questi  personag- 
gi abbia  dato  nome  alla  terra  odierna  ,  è  affatto  incer- 
to, e  forse  nessuno  di  essi,  potendo  essere  stato  un  Gal- 
licano a  noi  ignoto,  e  grave  indizio  è  che  noi  fosse  Ovinio 
Gallicano,  poiché  certamente  non  mancherebbero  memo- 
rie sacre  in  suo  onore,  e  d'altronde  sembra  che  lo  sue 
possidenze  principalmente  fossero  nel  littorale  ostiense 
e  presso  Suessa^,  oggi  Sessa,  presso  Magliano  in  Sabina, 
presso  Pietas  sulla  via  latina  ,  e  presso  la  Insugherata 
sulla  Claudia. 

Qualunque  però  sia  il  Gallicano,  che  die  nome  al- 
la terra  odierna  ,  egli  è  certo  che  questa  esisteva  fin 
dall'anno  992,  poiché  Ottone  III,  confermando  in  quel- 
l'anno il  castello  di  Poli  al  monastero  di  s.  Andrea  sul 
clivo  di  Scauro  nomina  frai  confini  del  territorio  da  un 
lato  la  terra  prenestina,  dall'altro  Gallicani: '\\  documento 
esiste  nell'archivio  de'Camaldolesi  e  fu  pubblicato  nel  T. 
IV  degli  Annali  p.  605.  L'  anno  1010  Giovanni  e  Cre- 
scenzo Conti  figli  di  Benedetto  donarono  all'abbate  Gio- 
vanni ed  al  monastero  di  Subiaco  in  espiazione  dell'ani- 
ma del  loro  padre  e  della  loro  madre  Teodorada  una 
chiesa  per  edificarvi  un  monastero  ad  onore  di  s.  Ma- 
ria, posta  iuxta  Castrum  Gallicanum,  indizio  del  dominio 
di  quella  famiglia  sopra  questa  terra  che  era  di  già  un 
Castrum.  Veggasi  il  Muratori  Antiq.  Med.  Aevi  T.  V. 
pag.  774.   Nella   locazione  di  quello   stesso   castello  di 


556 

Poli,  che  l'abbate  Benedetto  di  quel  itionastei'o  fece  si 
Giovanni  Conte,  1'  anno  1051  trovasi  di  nuovo  il  nome 
di  Gallicano^  come  confine.  Allora  il  castello  di  Gallica- 
no era  posseduto  da  un  Teodoro  de  Rufino,  il  quale  lo 
concesse  al  monastero  di  s.  Paolo  fuori  delle  mura,  ed 
a  questo  fu  confermato  da  Gregorio  VII.  nella  Costitu- 
zione del  1074  riportata  da  Margarini  Bull.  Cassin.  T. 
IL  II  successore  però  di  Gregorio  VII.  dopo  Vittore 
III.  ed  Urbano  II ,  cioè  papa  Pasquale  II.  nella  bolla 
del  1115  inserita  nel  Chronicon  Sublacense  p.  1055 , 
concedette  Castellum  Gallicanum  cum  ecclesiis  fundis  et 
casalibus  et  omnibus  pertinentiis  suis  al  monastero  di  Su- 
biaco.  Frattanto  i  Colonnesi  estesero  da  questa  parte  le 
loro  possidenze ,  e  divennero  anche  padroni  di  Gallica- 
no, sia  per  usurpazione,  come  pur  troppo  in  quei  tem- 
pi lagrimosi  avveniva,  sia  per  acquisto,  o  per  donazio- 
ne. Un  documento  esistente  nell'Archivio  Colonna  e  ri- 
portato dal  Petrini,  Memorie  Prenestine  n.  19.  mostra  che 
nella  divisione  de'beni  dell'anno  1242  Gallicano,  S.  Ce- 
sario ,  e  Camporazio  divennero  partaggio  di  Pietro  Co- 
lonna, e  formò  un  ramo  particolare,  che  fu  detto  de' si- 
gnori di  Gallicano.  Le  suddivisioni  e  successive  incorpo- 
razioni ,  che  vennero  di  questo  feudo  possono  leggersi 
in  Petrini ,  come  pure  varii  piccioli  fatti  avvenuti  nel 
1414,  1424,  ec.  Nella  celebre  spedizione  del  card.  Vi- 
telleschi ,  cornetano ,  questa  terra  fu  presa  per  penuria 
di  acqua,  come  narra  il  Cecconi  p.  301.  Passò  nel  1448 
a  Stefano  Colonna,  siccome  si  trae  da  un  documento  in- 
serito dal  Petrini  n.  58.  Nel  1526  fu  posta  a  sacco  dal- 
le genti  di  Clemente  VII.  Cecconi  p.  319.  Estinguendo- 
si il  ramo  de'  Colonna  di  Gallicano,  venne  questa  terra 
in  potere  de'Ludovisi,  ed  il  papa  Gregorio  XV.  di  quel- 
la famiglia  la  visitò  nell'  anno  1622.  come  ricavasi  dal 
libro   parocchiale  di  quella   chiesa.    Divenne  in   seguito 


557 
proprietà  de'Pallavicini,  e  pel  matrimonio  di  Maria  Ca- 
milla Pallavicini  con  Giovanni  Battista  Rospigliosi  passò 
a  questa  famiglia;  dopo  la  morte  però  di  Giovanni  Bat- 
tista ne  fu  investito  il  suo  secondogenito,  nella  cui  li- 
nea rimane  ancora. 

A  Gallicano  sì  può  andare  per  la  via  prenestina  an- 
tica, ed  è  distante  da  Roma  circa  19  miglia;  per  la  stra- 
da di  Poli  passando  per  Corcolle  e  Passarano,  la  distan- 
za ascende  a  22  miglia  ,  ma  la  strada  è  oltremodo  più 
commoda ,  e  carrozzabile  ;  per  la  moderna  strada  della 
Colonna,  ossia  l'antica  via  labicana,  la  distanza  di  19  m. 
è  eguale  che  per  la  prenestina,  ma  vi  sono  circa  3  m. 
che  debbonsi  traversare  a  piedi,  o  a  cavallo  fralla  oste- 
ria della  Colonna  e  Cavamonte  per  sentieri,  che  serpeg- 
giano entro  la  tenuta  denominata  la  Pallavicina.  Di  que- 
ste strade  diverse  ,  il  tratto  che  lega  quella  della  Co- 
lonna, ossia  la  via  labicana  colla  prenestina  a  Cavamon- 
te è  il  più  monotono.  I  monumenti  che  incontransi  sul- 
la via  labicana,  e  sulla  via  prenestina,  come  pure  i  pon- 
ti presso  Gallicano  vengono  descritti  al  loro  luogo ,  se- 
condo la  indicazione  della  Carta  ,  essendo  superfluo  ri- 
petere ciò  che  negli  articoli  distinti  è  stato  indicato. 


PERNA i 

e  PERNUZZA  v. 

DECIMO. 

'fifì^h'tì, 

— 

■  ) 

ìiwlni'ji 

'e:»  -  ,0r«. 

PESCARELLA. 

.!> 

Vasta  tenuta  dell'  agro  romano,  circa  20  m.  lungi 
da  Roma,  posta  frallc  strade  di  Ardea  e  Porto  d'Anzio, 
la  quale  comprende  circa  424  rubbia.  Confina  co'  teni- 
menti  di  Campoleonc,  Tor  di  Bruno,  Valle  Caia,  Cerqueto, 
s.  Procula,  Pian  de'Frassi,  e  Casalazzara.  Appartiene  al- 
la prelatura  Banchieri.  Ne'  tempi  antichi  fu  parte  del 
territorio  di  Corioli ,  e  trovandosi  come  intermedio  fra 


558 

quelli  di  Aricia  ed  Ardea  ,  forse  è  lo  stesso  tenìmenlo 
che  die  motivo  alle  dissensioni  fra  gli  Aricini  e  gli  Ar- 
deati,  delle  quali  parla  Livio  e  che  furono  così  indecen- 
temente risolute  dal  popolo  romano  che  era  stalo  scelto 
per  arbitro.  Veggasi  l'articolo  ARDEA.  j^;-<  j,.„j 

PESCHIAVATORE.  .mi 

È  un  gran  contrafforte  del  monte  Gennaro ,  che 
strìnge  colle  ultime  sue  falde  meridionali  l'Aniene  ver- 
so il  monte  Ripoli,  ed  insieme  con  questo  forma  la  bar- 
ra che  forza  quel  fiume  a  fare  la  famosa  catarratla  co- 
nosciuta col  nome  di  cascata  di  Tivoli.  Peschio  è  la  for- 
ma volgare  data  al  nome  pesculus,  e  pesclus,  che  negli 
scritti  de'tempi  bassi  sovente  s'incontra  ed  indica  mon- 
te dirupato,  e  distaccato  quasi  da  un  monte  più  allo  ; 
quindi  sembra  che  il  carattere  di  questo  monte  abbia 
dato  origine  alla  prima  parte  del  suo  nome  ,  che  oggi 
unita  e  fusa  si  trova  colla  seconda  di  Valore  forse  de- 
rivante da   Vulture. 

PE  TRIS  CHE. 

È  una  tenuta  dell'  agro  romano  di  r ubbia  230  si- 
tuala fuori  di  porta  Cavalleggieri  circa  35  m.  distante 
da  Roma,  confinante  con  quella  di  Sasso,  e  co'territorii 
di  Manziana  e  della  Tolfa.  Appartiene  all'ospedale  di  s. 
Spirito. 

PETRONELLÀ.  ,:,v,  -.tj,.,  ;,! 

Due  tenute  di  questo  nome  esistono  nell'  agro  ro- 
mano circa  15.  m.  lontano  da  Roma  presso  l'antico  La- 
vioium  oggi  Pratica:  una  appartiene  al  marchese  Naro- 


559 

Palrizj,  l'allra  al  conte  Bonarelli  della  Rovere,  ambedue 
sono  confinanti  fra  loro.  E  Petrouella-Naro  che  è  la  più 
occidentale  confina  con  le  tenute  di  Monte  di  Leva,  Ca- 
pocotta.  Campo  Ascolano,  Pratica,  e  Petronella  Bonarel- 
li; comprende  240  rabbia,  divise  ne'quarti  di  Montedo- 
ro,  Muracciola,  e  Macchia.  E  di  questa  tenuta  si  trat- 
tò pure  nell'articolo  LAVINIVM  p.  240,  dove  si  parlò 
■del  Luco  di  Giove  Indigete  ,  e  del  Fano  di  Anna  Pe- 
renna da  alcuni  ivi  mal  collocati. 

L'altra  confina  con  Monte  di  Leva,  Petronella  Na- 
ro, Pratica,  Maggione,  e  Solfarata:  è  divisa  in  quattro 
quarti,  che  non  hanno  un  nome  particolare:  comprende 
circa  rubbia  257  e  mezzo,  e  non  conserva  oggetto  de- 
gno di  particolare  menzione. 

II.    irsìr.t'  :' 

PIAN  DETRASSI.  ;y-r 

•ì     lo 

Tenuta  dell'agro  romano  pertinente  ai  Cesarini,  la 
quale  si  estende  per  rubbia  523  ed  un  terzo.  Il  suo 
nome  deriva  dai  frassini  che  un  tempo  ne  coprivano  il 
suolo.  È  distante  da  Roma  m.  22  per  una  strada  par- 
ticolare che  si  distacca  a  destra  da  quella  moderna  di 
Porto  di  Anzio  dopo  la  osterìa  di  Fontana  di  Papa. 
Confina  colle  tenute  di  Pescarella,  Muratella,  Castagno- 
la, Randitella  e  Casalazzara.  £  divisa  ne'  quarti  di  Ca- 
stagnola, da  Capo,  Rinforco,  e  Casalazzara.  ■< 
-.:.:  ^:.^.  :.  n 
k!                 PIETRAy.  aurea  S.  agata.  ^ 

PIETRA   LATA. 

Tre  tenute  di  questo  nome  esistono  fuori  di  porta 
s.  Lorenzo  dal  secondo  fino  a  quasi  il  quarto  miglio 
della    via    tiburtina  :  la  più    vicina  a  Roma   comprende 


rubbia  37  e  tre  quarti  e  confina  immediatamente  colle 
vigne  di  Roma,  colla  strada  di  Tivoli,  colla  pedica  di 
Ponte  Nono,  e  colla  prossima  tenuta  di  Pietra  Lata. 

!i*'*  La  seconda  appartenente  ai  Daste  comprende  qua- 
si 49  rubbia  e  me/zo,  e  confina  coli'  antecedente,  colla 
pedica  di  Ponte  Nono,  colla  tenuta  di  Casale  Brugiato, 
e  con  quella  di  Pietra  Lata  de'Lante. 

>*t  La  terza  è  appunto  quella  de'Lante,  confina  colla 
precedente  ,  colle  Vigne  ,  colla  strada  di  Tivoli ,  e  col 
fiume  Aniene.  Si  estende  per  rubbia. 319  circa, .  . 

PIETRA  PERTIJSA. 

Vasto  tenimento  dell'Agro  Romano,  posto  circa  10. 
miglia  distante  da  Roma  a  sinistra  della  via  flaminia , 
oggi  detta  strada  di  Prima  Porta,  la  quale  va  parallela 
al  confine  di  esso  sul  ciglio  che  domina  la  valle  del 
fosso  di  Scrofano,  e  che  n'è  il  limite  verso  oriente.  Ap- 
partiene al  Capitolo  di  s.  Pietro  in  Vaticano,  e  confina 
colle  tenute  di  Monte  Olivieri,  Valchetta,  e  Malborghet- 
to  ,  e  co'  territorj  di  Scrofano  ,  e  di  Riano.  Si  estende 
per  circa  rubbia  745,  divise  ne'  quarti  della  Torre,  di 
Pantano,  del  Gasale,  di  Vezzano,  Statua,  e  s  Marcello.; 

Aurelio  Vittore  de  Caesar.  dice  che  Vespasiano  fra 
gli  altri  grandi  lavori  fece  pur  quello  di  scavare  mon- 
ti per  la  via  flaminia,  onde  agevolarne  il  transito;  e  mo- 
numento ancora  esistente  di  questa  opera  è  il  taglio  vol- 
garmente denominato  il  Furio ,  sul  quale  si  legge  la 
iscrizione  seguente: 

IMP  .  CAESAR  .  VESPASIANVS  .   AVGVSTVS 
PONT.  M  AX.TRIB.POTEST .  VII .  IMP .  XVII .  COS .  Villi. 

CENSOR  .  FAGIVND  .  CVRAVIT, 
Così  Claudiano  VI.  Cons,  Hon.  v.  500  la  descrive; 


561 
Qua  mons  arte  patena  vivo  se  perforat  arcu, 
Admittitque  viam  sectae  per  viscera  rupis. 
Ora  Procopio  Guerra  Gotica  lib.  UH.  ripetutamente 
chiama  quel  foro  ITsipa  IlsjOTouaa,  Petra  Pertusa,  facen- 
do uso  della  denominazione  latina;  mentre  dall'altro  can- 
to la  Carta  Peutingeriana,  e  l'Itinerario  Gerosolimitano 
chiamano  con  voce  analoga  Intercisa  la  stazione  po- 
stale ivi  esistente  fra  Cales,  oggi  Cagli,  e  Forum  Sem- 
pronii,  oggi  Fossombrone.  Quindi  deduco  con  tal  nome 
dai  Latini  appellarsi  una  rupe  forata,  e  facile  è  trovar- 
ne la  etimologia  nel  verbo  pertundo.  Tale  etimologia  si 
applica  ancora  a  questo  tenimento  ed  al  castello,  che  un 
tempo  ivi  era,  detto  anche  esso  Petra  Pertusa  negli  scrit- 
ti de'  tempi  bassi,  ed  oggi  rappresentato  da  una  torre 
diruta  ancora  esistente.  Imperciocché  circa  2  m.  più 
oltre  della  moderna  stazione  di  Prima  Porta  distaccasi 
a  sinistra  della  via  flaminia  una  strada  antica,  che  con- 
serva in  parte  l'antico  suo  pavimento  di  poligoni  di  la- 
va e  le  sue  crepidini,  o  margini,  la  quale  tendeva  a  Veii. 
E  questa  strada  a  mano  a  mano  si  vede  incavarsi  nel- 
la rupe  di  tufa  litoide,  che  domina  quella  valle  e  fini- 
sce col  penetrare  entro  la  rupe  medesima  ivi  forata, 
come  quella  del  Furio,  quantunque  l'opera  sia  eseguita 
sopra  una  scala  minore.  La  volta  dell'arco  è  piana,  e  di 
là  dall'arco  medesimo  la  strada  va  discendendo  al  fosso 
di  Scrofano  per  varcarlo,  e  quindi  si  perde,  ma  più  ol- 
tre ritrovasi  nella  direzione  di  Veii,  ed  un  tumulo  an- 
cora esistente  nella  valle  del  Cremerà,  circa  4  m.  pri- 
ma di  giungere  sotto  l'acropoli  veiente  determina  il  pun- 
to, dove  questa  strada  scendeva  in  quella  valle  medesi^ 
ma  a  raggiungere  la  via,  che  risalendo  il  còrso  del  Cre- 
merà andava  a  Veii.  Di  questo  taglio  artificiale  riman- 
gono ancora  più  di  145  piedi  :  e  segue  una  direzione 
alquanto  tortuosa,  onde  rendere  la  discesa  più  agiata  che 

36 


562 

fosse  possìbile.  In  quel  luogo  le  rupi  sono  bellissime  e 
quasi  a  picco,  vestite  più  o  meno  di  arbusti.  La  torre 
poi  dove  era  l'antico  castrum  è  di  opera  saracinesca  co- 
strutta a  strati  alternati  di  scaglie  di  selce  e  di  marmo 
formando  così  come  tante  fascie  bianche  e  brune:  e  que- 
sta torre  sorge  sopra  un  colle  di  forma  triangolare  che 
conserva  verso  settentrione  poche  vestigia  del  recinto 
del  castrum.  ^'■''  «à^--  .."'ì"^^  -'j*  >;;.  >:  ..-^  ivi  '>.-.:■. 
La  prima  volta^'ch'é  Si'rieòTfffà'^ttèstcy  càStellb  co! 
nome  di  castello  di  Pietra  Pertusa  è  nel  secolo  IX  al- 
lorché secondo  Cencio  Camerario ,  papa  Bonifacio  VL 
aflittollo  per  10  soldi  di  oro  l'anno.  Si  ricorda  di  nuo- 
vo nella  bolla  di  Adriano  IV,  data  l'anno  1158  a  favo- 
re della  Basilica  Vaticana ,  nella  quale  si  nomina  una 
Terram  de  Macerano  positam  ad  Petram  Pertusiam.  Si 
ripete  questo  stesso  nella  bolla  di  Urbano  III.  dell'  an- 
no 1186;  ed  in  quelle  d'Innocenzo  III.  del  1205  e  di 
Gregorio  IX  del  1228,  tutte  riportate  nel  tomo  primo 
del  Bollano  Vaticano.  Il  castello  stesso  col  fondo  nel 
secolo  XIII.  apparteneva  per  una  terza  parte  al  mona- 
stero di  s,  Gregorio ,  poiché  gli  annalisti  camaldolesi 
nel  tomo  V.  riportano  nell'appendice  n.  CXLV.  una  prò- 
testa  fatta  dal  sindaco  di  quel  monastero,  Giovanni  da 
Cerchiara  contra  Pietro  Scotto  affittuario  o  enfìteuta  di 
tale  porzione  per  avere  alienalo  contra  i  patti  stabiliti 
-tale  parte  a  favore  del  Capitolo  di  s.  Pietro.  Questa 
vertenza  terminò  1'  anno  1284,  in  che  con  beneplacito 
apostolico  di  papa  Martino  IV.  i  monaci  di  s.  Gregorio 
riceverono  a  titolò  di  permuta  per  questo  fondo  la 
terza  parte  del  castello  di  s.  Vito.  Da  una  nota  del- 
r  editore  del  Bollano  Vaticano  suddetto,  Tomo  II.  p. 
366  apparisce,  che  l' acquisto  di  tutto  questo  fondo  a 
favore  del  Capitolo  Vaticano  ai  fece  nell'anno  1279;  on- 
de  io  credo,  che  avendo  il  Capitolo  in  quell'anno  acqui-- 


563 
stato  (lue  terzi  di  Pietra  Perlusà  da  altri  proprietari! , 
il  terzo  che  rimaneva,  e  che  era  quello  di  dominio  di- 
retto di  s.  Gregorio,  venne  comprato  dall'enfiteuta  Pie- 
tro Scotto  irregolarmente,  e  poscia  nel  1284  per  conven- 
zione definitiva,  onde  fin  da  quella  epoca  divenne  pro- 
prietà della  Basilica  Vaticana,  che  ancora  lo  ritiene.  Da 
un  necrologio  esistente  nell'  archivio  di  quella  basilica 
si  trae  che  continuò  il  castello  ad  essere  abitato  dopo 
quella  epoca,  poiché  ivi  si  leggono  i  nomi  di  varie  per- 
sone che  essendo  abitanti  dei  castello  di  Pietra  Pertu- 
sa  lasciarono  pii  legati  alla  medesima.  '^'^^    '^l^^"^    onsjiiJl 

PIGNETO.        .    .^v  LidJn-f  -'>q 

Tenuta  suburbana  dì  Roma ,  denominata  cosi  dai 
pini  che  un  tempo  la  coprivano,  confinante  colle  vigne 
di  Roma  e  colla  tenuta  di  Prima  Valle,  la  quale  com- 
prende 93  rubbia  di  terra.  Essa  è  circa  3  miglia  fuori 
di  Roma  fra  la  strada  che  lega  la  via  Cornelia  a  quella 
di  monte  Mario ,  a  destra  per  ch;i  esce  dalla  porta  Ca- 
valleggieri.  ■'> 

{^ì>ii'm  .tiì  ,fifnb    ''ìiii^/ì^iiiioj   .'.nnìmrì  -jìì:  'A 

PILO  ROTTO  Y.ìfONTE  DEL  SÒRBO,  -'m^ 

PINO. 

Aj'ni.i-'-'cVì 

Tenuta  spettante  già  ai  Pallavicini  di  Parma  posta 
fuori  di  porta  del  Popolo  a  destra  della  via  cassia  8  m. 
lontano  da  Roma.  Comprende  rubbia  162  divise  ne'quar- 
ti  dell'  Ara,  delle  Grotte,  e  della  Sugara.  Confina  colle 
tenute  della  Isola,  s.  Nicola,  Giustiniana,  Buon  Ricove- 
ro, e  Vaccareccia.  ,  u;r;i»Yo-> 
■lh'-\  f,!ir''.i;Mqifj  '?!}o'-)  i3iJ  fi-5<i«>i5  i;)f<u|  ^JloviT  uh  uiaclaib 
■  >ì»  nU'»h  i-fii  5;!hje  uìr^l-Kt  (Ah.')  ì!'jìO-jih  yd:>  'juvì  -A 


564 

PINZàRONE. 

È  parte  della  tenuta  di  Decimo:  vedasi  l'articolo 
DECIMO, 

PISANA  e  MASCHIETTO 

Tenute  insieme  unite  dell'Agro  Romano  poste  fuo- 
ri di  porta  s.  Pancrazio  circa  5  m.  a  destra  della  stra- 
da, che  si  crede  corrispondere  all'antica  yia  vitellia.  Con- 
finano colle  tenute  di  Fontignanoi  Pantanelle,  Casetta, 
Torretta,  e  Brava,  e  si  estendono  tutte  e  due  insieme 
per  rubbia  74. 

b'i    i  PISCIAMOSTO.      U.e.,,AuKii 

Il  nome  di  questa  tenuta  4eriva  probabilmente  dal- 
la ubertà  del  suolo  in  produrre  le  uve,  quando  in  luo- 
go di  essere  lasciata  a  sodo,  o  seminata  soltanto  a  gra- 
no, era  piantata  di  viti.  Essa  è  poco  più  di  2  miglia 
distante  da  Roma  sulla  strada  di  Ardea  detta  pure  deU 
le  Tre  Fontane.  Comprende  circa  15  rubbia  di  terra  : 
appartiene  ai  Gabrielli,  e  coniìna  colle  tenute  delle  Tre 
Fontane  e  della  Valchetta. 

PISCIANO, 

^  p0c atmm,     ,,  ,r 

•il,!!-  ^  j-nvìh  r, 

TerM  dfellà  diocesi  di  t^àlé^trina ,'  dipendènte  dal 
governo  di  Subiaco ,  che  ha  1145  abitanti ,  12  miglia 
distante  da  Tivoli,  posta  sopra  un  colle  dipendente  dal- 
le cime  che  diconsi  Colle  Celeste  sulla  riva  destra  del 


GiuYenzarto^  e  non  molto  lungi  dalle  stie  sorgenti.  Dap- 
principio questo  fondo  fu  parte  della  Massa  luventiana 
donata  da  papa  Zaccaria  al  monastero  sublaccnsc  verso 
la  metà  del  secolo  Vili,  donazione  che  venne  conferma- 
ta da  Gregorio  IV.  nell'anno  833,  da  Niccolò  I.  nell'an- 
no 864.  siccome  si  ricava  dal  placito  riferito  del  Mu- 
ratori Ant.  Meda  Aevi  T.  I.  p.  379,  e  pertinente  all'an- 
no 983.  Come  molti  altri  castelli  di  questo  distretto,  sem- 
bra che  fosse  fondato  nel  primo  periodo  del  secolo  XI. 
poiché  nella  bolla  di  Giovanni  XII.  pertinente  all'  anno 
958  si  nomina  solo  come  fondo ,  Fundum  Piscano.  Ma 
pare  altresì ,  che  ben  presto  fosse  occupato  da  privati , 
onde  l'abbate  Giovanni  lo  ricuperò  circa  l'anno  1090.  e 
Io  rinconsegnò  al  monastero  cinque  anni  dopo.  Successi- 
vamente se  ne  trova  menzione  come  terra  pertinente  ai 
Sublacensi  nel  1189  nella  bolla  di  Clemente  III.  e  nel 
1217  in  quella  di  Onorio  III.  Negli  sconvolgimenti  del 
secolo  XIV.  venne  in  potere  de'Colonnesi:  questi  lo  ri- 
tennero nel  secolo  XV.  tino  all'  anno  1484 ,  in  che  fu 
espugnato  dai  soldati  di  Sisto  IV.  come  si  legge  ne'dià- 
rii  di  Nantiporto,  e  dell'  Infessura.  E  questi  lo  ricupe- 
rarono ben  presto  dopo  la  morte  di  quel  papa  e  lo  ri- 
tennero fino  al  secolo  XVII.  in  che  passò  ai  Teodoli. 

Questa  terra  non  dee  confondersi  col  Casale  Biscia- 
num  donato  da  una  Rosa  nobilissima  Foemina  al  mona- 
stero di  s.  Gregorio  l'anno  984,  di  che  leggesi  il  docu- 
mento nella  II.  appendice  degli  Annali  de'  Camaldolesi 
T*  IV.  né  col  fondo  Biscianus  menzionato  nella  bolla 
di  Marino  IL  del  945  riferita  dal  Marini  Papiri  Diplo" 
matici  p.  236.  giacché  quel  fondo  era  molto  più  dap- 
presso a  Tivoli: 


566 

PISCI ARELLO  V.  CAPO  DI  FERRO, 

POLI 

^astellum  s.  JJauli- 
€a0trum    JJoltB-JJolum. 

Terra  situata  nella  Comarca  di  Roma  e  nel  distret- 
to di  Tivoli,  che  racchiude  1190  ahitanti,  e  per  la  stra- 
da diretta  è  lontana  da  Roma  circa  24  miglia.  Quan- 
tunque sia  probabile  che  ne'  tempi  antichi  ivi  sorgesse 
un  oppido  dipendente  da  Preneste  come  città  più  vici- 
na, s'ingannarono  que  moderni  che  per  una  somiglianza 
di  nome  più,  o  meno  approssimativa  credettero  che  ivi 
sorgessero  Politorium,  Empulum,  Polusca,  e  Rola;  im- 
perciocché Politorium  fu  una  città  latina  prossima  a  Ro- 
ma, le  vestigia  di  Empulum  rimangono  ancora  nella  val- 
le Erapulana,  come  si  vide  a  suo  luogo,  cioè  fra  Tivo- 
li e  Ceciliano  o  Siciliano:  v.  EMPVLVM;  ed  il  sito  di 
Polusca  molto  più  lungi  fu  nel  tenimento  di  Casal  del- 
la Mandria  nella  direzione  di  Anzio:  v.  CASAL  DEL- 
LA MANDRIA;  finalmente  Boia  o  Vola  fu  probabilmen- 
te a  Lugnano:  v.  BOLA.  Ma  il  suo  nome  moderno  ebbe 
origine  da  quello  di  s.  Pauli,  Pauli,  e  poscia  Polis,  Po- 
lum,  che  ebbe  ne'tempi  bassi. 

Imperciocché  in  una  carta  riportata  dagli  annalisti  ca- 
maldolesi che  è  il  documento  più  antico  che  io  conosca 
e  pertinente  all'  anno  992 ,  viene  indicato  appunto  col 
nome  di  Castellum  s.  Pauli  ;  e  quel  documento  è  una 
conferma  dell'imperadore  Ottone  III.  emanata  alle  none 
di  decerabre  di  quell'anno  a  favore  del  monastero  di  s. 
Andrea  in  Clivo  Scauri ,  di  questo   castello  e  dei  fondi 


567 
che  ivi  andavano  uniti,  cioè  Caporali,  Toranula,  Carni- 
nata,  Plagiano,  Froziano,  Monte  Fruita,  e  Poma:  i  con- 
lini ivi  determinati  sono  il  territorio  prenestino ,  Galli- 
cano, Faustiniano,  Paviano,  e  Casa  Coriculi,  cioè  Casa- 
pc.  Un'  altro  documento  riportato  dagli  stessi  annalisti, 
in  data  de'  13  di  agosto  998  ci  fa  conoscere  la  lascila 
fatta  da  un  tal  Stefano  della  intiera  metà  del  castello 
di  Paulo ,  che  è  questo  medesimo ,  la  quale  io  credo  , 
che  quello  Stefano  avea  ritenuto  durante  la  vita  o  per 
violenta  occupazione,  o  per  affitto  o  enfiteusi,  e  questa 
lascila  si  fece  a  favore  del  monastero  di  s.  Andrea  da- 
gli esecutori  testamentarii  Leone  tesoriere  della  Sede 
Apostolica ,  Giovanni  de  Primicerio ,  Sergio  conte  del 
Palazzo ,  Rozzone  abbate  di  s.  Paolo ,  Leone  abbate  di 
s.  Silvestro,  e  Teofìlatto  abbate  di  s.  Lorenzo,  indizio 
del  rango  di  questo  Stefano  affatto  incognito.  È  notabi- 
le trovare  fra  gli  esecutori  testamentarii  medesimi  l'ab- 
bate di  s.  Paolo,  poiché  da  ciò  è  chiaro,  che  a  quella 
epoca  il  monastero  di  s.  Paolo  non  avea  alcun  dominio 
sopra  questo  castello,  come  sembrerebbe  doversi  ricava- 
re dal  nome. 

Era  pertanto  Poli  nel  principio  del  secolo  XI  di  già 
soggetto  intieramente  al  monastero  di  s.  Andrea  ,  ossia 
di  s.  Gregorio.  L'anno  1051  fu  dato  dai  monaci  in  en- 
fiteusi a  Giovanni  conte  ,  con  tutte  le  formalità  legali 
'  che  si  leggono  nell'  Atto  riportalo  nei  codice  valicano 
n.  6168,  insieme  col  castello  contìguo  di  s.  Giovanni  in 
Camporazio,  i  confini  sono  i  medesimi  di  quelli  ricorda- 
ti di  sopra,  se  non  che  in  luogo  di  Paviano  leggesi  Sa- 
riano, ed  in  luogo  di  Casa  Coriculi,  Casa  Corbuli.  Dif- 
ficile dopo  queste  carte  ed  altre  che  più  sotto  si  ricor- 
dano ,  è  conoscere  come  fralle  possidenze  di  s.  Paolo 
trovisi  inserita  anche  questa  terra,  et  castrum  quod  voca^ 
tur  Polis,  nella  bolla  di  Gregorio  VIL  dell'  anno  1074. 


568 

riportata  dal  Margarini,  la  quale  non  saprei  spiegare V 
se  non  perchè  forse  s.  Paolo  qualche  pretensione  sopra 
di  esso  affacciava.  Certo  è  però  che  questo  è  il  solo  do- 
cumento da  me  rinvenuto  del  dominio  di  s.  Paolo  sopra 
Poli.  Dall'altro  canto  però  nell'anno  1139  trovo  essersi 
affacciata  da  Pietro  abbate  di  s.  Gregorio  una  querela 
contra  Oddone  di  Poli  al  concilio  tenuto  da  papa-  Inno- 
cenzo II  nel  Laterano,  come  invasore  e  detentore  di  Po- 
li, Faustiniano,  e  Guadagnolo  terre  tutte  del  monastero- 
di  s.  Gregorio.  Di  quella  querela  ancora  gli  Annalisti 
Camaldolesi  ci  hanno  riportato  il  documento,  dal  quale 
apparisce  che  dopo  molte  tergiversazioni  Oddone  finì  col 
consegnare  Faustiniano.  Ritenne  però  Poli  che  conservò 
fino  al  pontificate  di  Adriano  IV.  il  quale  circa  1'  anno 
1158  lo  rivendicò  alla  Chiesa  Romana  alle  condizioni 
stesse,  colle  quali  avea  rivendicato  Rocca  s.  Stefano  sic- 
come si  ha  dalla  sua  vita  presso  il  Muratori  R.  I.  S. 
Tomo  III.  P.  I.  p.  445.  Ma  poco  dopo  comparisce  ài 
nuovo  in  potere  di  questa  famiglia,  che  io  ho  gran  dub- 
bio fosse  un  ramo  de'  conti  tusculani ,  a  cominciare  da 
quel  Giovauni  conte,  che  l'avea  avuta  primieramente  in 
enfiteusi  dal  monastero  l'anno  1051  come  si  vide  di  so- 
pra. Oddone  nipote  del  precedente  n'  era  in  possesso  o 
come  proprietario,  o  come  enGteuta  l'anno  1208,  allor- 
ché gravato  di  debiti  verso  la  sede  apostolica  ,  e  non 
avendo  altra  prole  che  una  figlia  di  nome  Costanza,  con- 
venne con  papa  Innocenzo  III  ,  che  allora  governava  la 
Chiesa  di  darla  in  moglie  ad  uno  de'  figli  di  Riccardo 
conte  di  Sora ,  fratello  di  quel  papa ,  purché  Riccardo 
estinguesse  i  suoi  debiti.  Pentitosi  però  del  partito,  non 
solo  annullò  il  trattato  ,  ma  sollevò  il  popolo  di  Roma 
e  mise  Poli  sotto  il  dominio  del  senato.  Vinto  però  dal- 
le forze  del  papa,  vide  occupar  Poli  da  Riccardo  me- 
desimo, onde  tornò  al  primitivo   trattato,  e  cosi   questa 


569 
terra  divenne  retaggio  de'  Conti  di  Segni,  come  chiara- 
mente espone  il  Ratti  nella  storia  della  famiglia  Sforza 
T.  II.  p.  232.  In  questa  guisa  Poli  rimase  ai  Conti  fi- 
no alla  estinzione  di  questa  famiglia  nel  secolo  presen- 
te ,  e  da  loro  acquistolla  Giovanni  Torlonia  ,  duca  di 
Bracciano,  formando  un  ducalo  di  che  porta  il  titolo  il 
primogenito  della  famiglia,  e  cosi  succcessivamente. 

Il  colle  sul  quale  sorge  questa  terra  è  di  tufa  li- 
toide di  color  lionato  che  presenta  la  pianta  di  un  trian- 
golo, il  cui  vertice  è  verso  la  strada  romana,  e  la  base 
è  occupata  dal  palazzo  de'Gonti,  oggi  Torlonia,  grandio- 
so come  tutti  i  palazzi  baronali  delle  Terre  intorno  a 
Roma,  il  quale  in  gran  parte  fu  ridotto  nello  stato  at- 
tuale nel  secolo  XVI.  ed  è  adorno  di  pitture  ad  arabe- 
sco della  scuola  di  Giulio  Romano.  Innocenzo  XIII.  che 
fu  l'ultimo  papa  di  questa  famiglia  amava  il  soggiorno 
di  Poli ,  ed  a  lui  si  debbe  la  strada  che  da  Roma  vi 
conduce,  la  quale,  sebbene  precedentemente  esistesse  fu 
però  molto  migliorata  :  egli  pure  rislaurò  ed  abbellì  il 
palazzo.  La  parte  di  questo  ,  che  guarda  verso  oriente 
è  la  più  antica  superstite  e  si  debbe  probabilmente  al 
principio  del  secolo  XIII ,  in  che  i  Conti  di  Segni  di- 
vennero signori  di  Poli:  essa  è  di  opera  saracinesca,  ed 
ivi  nel  muro  è  inserita  un'aquila  de'lempi  bassi,  che  è 
io  stemma  di  questa  famiglia,  sotto  il  quale  si  legge  in 
caratteri  moderni  il  nome  di  Oddone  da  Poli  colla  data 
del  MCXV.  Le  strade  non  sono  ampie  se  si  eccettui 
quella  di  mezzo:  le  case  sono  per  la  maggior  parte  ope- 
ra de' tempi  bassi,  e  conservano  traccie  di  quella  inter- 
capedine fra  loro  che  ne  formava  altrettante  isole.  Sa- 
lendo per  la  strada  di  mezzo  verso  il  palazzo  ,  poco 
prima  di  pervenire  alla  piazza  vedesi  un  frammento  di 
scultura:  sulla  piazza  stessa  poi  adattati  all'uso  di  fon^ 


570 

tana  sono  due  sarcofagi  di  marmo:  in  quello  a  sinistra 

ornalo  di  baccellature  a  stria  è  la  iscrizione  seguente: 

D  .  M 

M  .  ACILIO  .  HILARIANO 

ANTISTIA. PRIMA 

MARITO 

■:u      :       b  e  n  e  M  E  R  E  N  T  I 

quello  a  destra  é  simile  al  primo  ;  ne'  lati  però  ha  cli- 
pei con  bipenni  frammezzo ,  e  di  fronte  presenta  due 
colonne  negli  angoli  e  in  mezzo  la  porta  semiaperta  del- 
l'Orco con  quattro  teste  di  leone  negli  specchi  di  essa* 
Questi  sarcofagi  sono  del  terzo  secolo  e  probabilmente 
furono  trovali  nel  tratto  di  strada  antica  fra  s.  Giovan- 
ni in  Camporazio  e  Poli.  Nel  rimanente  questa  Terra 
non  presenta  affatto  vestigia  antiche,  sebbene  io  per  tre 
volte  r  abbia  visitata  ed  abbia  fatte  le  ricerche  oppor- 
tune in  tutti  gli  angoli  ;  nulladimeno  per  la  località , 
credo,  come  da  princi^ijo  asserii,  che  probabilmente  vi 
sia  stato  un  oppido  dipendente  da  Preneste. 

La  strada  da  Roma  a  Poli  e  la  via  prenestina  an- 
tica fino  al  ponte  dell'  Osa:  dopo  sebbene  antica  non  é 
più  la  via  prenestina  :  poiché  questa  volgendo  a  destra 
tende  a  Gabii,  e  quindi  per  Cavamente  a  Preneste:  quel- 
la di  Poli  torcendo  a  sinistra  dopo  due  miglia  lascia 
Gabii,  o  Castiglione  a  destra,  quindi  per  le  Gapannelle 
che  sono  al  XVI.  m.  Corcolle,  e  Porta  Nevola  raggiun- 
ge il  vasto  ripiano  oblongo  sotto  s.  Vittorino  e  lascian- 
do a  sinistra  al  XXI.  e  XXII.  miglio  due  antiche  con- 
serve, e  la  villa  detta  Catena,  ossia  già  Conti,  ed  oggi 
Torlonia  giunge  a  Poli.  Altre  strade  vi  conducono  da 
Tivoli  per  Porta  Nevola  già  ricordata:  da  Tivoli  per  Ge- 
ricomio  s.  Gregorio,  e  Casape:  da  Gallicano  per   Ponte 


571 
Lupo  e  Villa  Catena  :  da  Prencste  ossia  Palestrina  per 
Monte  s.  Pietro,  e  le  montagne.  Da  Tivoli  è  distante  12. 
miglia  :  da  Gallicano  8  :  da  Palestrina  per  le  monta- 
gne 8. 

POLITORIVM. 

Dionisio  lib.  III.  e.  XXXVII.  XXXVIII.  narra,  che 
Anco  Marzio  dopo  avere  ordinato  gli  affari  interni  di 
Roma,  lusingandosi  di  vivere  in  pace,  ebbe  a  muovere 
le  armi  contro  i  Latini,  e  primieramente  si  rivolse  con- 
tra  Politorio,  la  quale  città  costrinse  ad  arrendersi.  Non 
fece  allora  alcun  male  agli  abitanti  ma  li  traslocò  con 
tutti  i  loro  averi  in  Roma ,  e  li  divise  come  cittadini 
fralle  tribù:  e  più  sotto,  e.  XLIII.  mostra,  che  li  pose 
ad  abitare  sull'Aventino.  Ma  l'anno  seguente,  che  fu  il 
117  di  Roma  i  Latini  mandarono  coloni  nella  città  ab- 
bandonata e  si  posero  a  coltivare  le  terre  ,  onde  il  re 
di  Roma  mosse  di  nuovo  le  armi ,  e  dopo  aver  vinti  i 
Latini  prese  la  città,  ne  arse  le  case,  e  ne  distrusse  le 
mura  onde  i  Latini  non  potessero  più  stanziarvi  a  dan- 
no de'Romani.  Livio  narra  presso  a  poco  lo  stesso  lib. 
I.  e.  XXXIII.  onde  da  ambedue  questi  storici  sommi 
apparisce  essere  stata  questa  la  prima  delle  città  latine 
prese  da  Anco  ,  ed  essere  stata  disfatta  ,  né  dopo  più 
si  ricorda  negli  scrittori  antichi,  se  non  in  Plinio,  che, 
lib.  III.  e.  V,  la  enumera  fralle  città  latine  perite  sen- 
za lasciar  vestigia:  ed  in  Stefano  che  la  nomina,  come 
indicata  da  Dionisio.  Ora  questa  città  ,  come  quelle  di 
Ficana  e  Tellene  ,  che  dopo  furono  prese  da  Anco  in 
quella  medesima  guerra  era  nel  Lazio  fra  Roma  ed  il 
mare  ,  e  siccome  Ficana  non  era  più  di  11  miglia  di- 
stante da  Roma  sul  Tevere  a  destra  della  via  ostiense, 
come  mostra  Festo,  perciò  nella  stessa  direzione  io  ere- 


572 

do  che  fosse  ancor  questa.  Infatti  presso  Decimo  a  sini-' 
stra  della  via  laurentina  circa  11.  m,  distante  da  Ro- 
ma è  un  colle  di  tufa  dirupato,  ed  isolato,  che  ha  tut" 
ta  l'apparenza  del  sito  di  una  delle  città,  o  borgate  più 
antiche  del  Lazio ,  che  dicesi  la  Torretta  da  una  torre 
de'  tempi  bassi,  che  vi  fu  edificata,  dove  io  congettura 
che  fosse  questa  città  latina  conquistata  due  volte  e  di- 
strutta dal  quarto  re  di  Roma.  Il  suo  nome  che  risen- 
te la  origine  pelasgica,  mi  fa  supporre  che  potesse  essere 
stata  edificata  dai  Pelasgo-aborigeni  dopo  la  espulsione 
de'Siculi. 

POLLINE  V.  STRÀCCIACAPPE 

S.  POLO. 


Casfrum  0.  poli 


È  una  Terra  di  circa  lOOO  abitanti  posta-  7  m.  di-- 
stante  da  Tivoli  e  26  da  Roma  nella  Comarca ,  dipen- 
dente dal  governo  di  Tivoli,  e  situata  sopra  un  ripiano 
altissimo  della  cima  denominata  la  Morra  di  s.  Polo  ^ 
che  è  una  delle  punte  del  monte  Gennaro,  v.  GENNA- 
RO. La  Terra  moderna  non  offre  oggetto  degno  di  men- 
zione. Essa  fu  fondata  nel  secolo  XII.  dai  monaci  di  s. 
Paolo,  che  le  diedero  il  nome  di  Castrum  s.  Pairii,  po- 
scia mutato  in  Castrum  s.  Poli,  e  finalmente  in  s.  Polo. 
E  frai  beni  di  quel  monastero  si  nomina  nelle  bolle 
d'Innocenzo  III.  del  1203,  di  Onorio  IH.  del  1218,  e 
di  Gregorio  IX  del  1236  riportate  dal  Margarini.  Sul 
finire  del  secolo  XIV.  fu  dai  monaci  conceduta  a  Jaco- 
po di  Giovanni  Orsini;  e  nel  principio  del  secolo  XVIL 
venduta  ai  Borghesi^  che  ancor  lo  ritengono. 


573 
POLVSCA  V.  CASAL  DELLA  MANDRIA. 

PONTE  CJPOLLARO 

Picciolo  ponte  sulla  strada  di  Albano  10  m.  distan- 
te da  Roma  costrutto  sopra  il  rigagnolo  denominato  il 
Fosso  de'Monaci.  Il  suo  nome  deriva  dalla  fermata  che 
ivi  facevano  un  tempo  quelli,  che  da  Marino  portavano 
a  vendere  le  cipolle  a  Roma. 

j  ^  PONTE  FRATTO.  ?  e.rJ»Kf  d 

Picciolo  ponte  sulla  via  ostiense,  sotto  il  quale  pas- 
sano le  acque  Salvie ,  che  poco  dopo  vanno  ad  influire 
nel  Tevere.  Esso  trovasi  2  miglia  e  mezzo  lontano  da 
Roma  fuori  della  porta  s.  Paolo.  Il  suo  nome  se  non 
antico ,  è  almeno  molto  vecchio  ,  derivando  dal  latino 
Pons  Fractus,  cioè  Ponte  Rotto.  Presso  il  ponte  Fratto 
fu  il  vico  di  Alessandro  ricordato  da  Ammiano ,  e  del 
quale  si  farà  menzione  a  suo  luogo:  ivi  pure  la  via  lau- 
rentina  distaccavasi  a  sinistra  dalla  ostiense,  e  le  traccie 
ancor  ne  rimangono  sul   colle  a  piccola    distanza    della 

strada.'  in,    :ij;;uif    »■■!'  '^    n'"/   i-ìr-^M  ■ 

Ponte  Fratto  da'pur  notne  al  tehimènto,  che  chia- 
masi anche  Grottone  per  le  cave  della  pozzolana  che  ivi 
si  trovano:  esso  comprende  rubbia  42  e  mezzo,  appar- 
tiene al  Collegio  Germanico,  e  confina  col  Tevere,  colle 
JteaQte  denominate  Valchetta,  e  colle  vigne  di  Roma. 

.  J-'ì'ìi/l    il    t     'ì  ■:■'■■     1:  '     ^"lii    Olii 


574 

,  PONTE  GALERA.        -7 j     , 

Ponte  sulla  odierna  strada  di  Porto,  e  Fiumicino  9 
miglia  e  mezzo  distante  da  Roma  fuori  di  porta  Portese, 
che  ha  nome  dal  rivo  sul  quale  si  trova,  di  che  si  fe- 
ce menzione  in  altri  articoli ,  e  specialmente  in  quello 
di  GALERIA  :  rivo  che  con  questo  nome  ricordasi  per 
la  prima  volta  l'anno  1019  nella  bolla  di  Benedetto  Vili 
a  favore  del  vescovo  di  Porto ,  riferita  dall'  Ughelli  T. 
I.  p.  114  ,  e  successivamente  in  altre  carte  del  secolo 
XI.  Anzi  nella  bolla  menzionata  di  sopra  di  Benedetto 
Vili,  ed  in  quella  di  Leone  IX  dell'anno  1049  si  ricor- 
da precisamente  anche  questo  ponte  ,  o  per  dir  meglio 
un  ponte  esistente  su  questo  fiume  ,  al  quale  è  succe- 
duto il  porite  attuale.  E  l'antichità  di  tal'nome  esclude 
la  supposizione,  che  in  molti  scritti  moderni  s'incontra, 
cioè  che  derivasse  dalle  galere ,  che  rimontavano  fin  là 
il  corso  del  Tevere,  o  dall'avere  Sisto  V.  fatte  fabbri- 
care ivi  alcune  galere.  u:  ";  '     r:  '>'- 

Questo  ponte  dà  nome  ad  una  tenuta  detta  pure 
Chiesuola  per  la  picciola  chiesa  ivi  esistente  ,  la  quale 
appartiene  ai  Serlupi,  confina  con  quelle  di  s.  Cosimato, 
Campo  Salino,  e  Capo  di  Ferro,  e  si  estende  per  quasi 
rubbia  80.  Dalle  bolle  ricordate  di  sopra  del  1019  e  del 
1049  si  trae  che  allora  questa  chiamavasi  Curtis  Gale- 
ria,  che  ivi  era  una  chiesa  di  s.  Maria  ed  un  villaggio, 
vicuSf  e  che  appartenevano  tutte  al  vescovo  di  Porto. 

PONTE  LAMENTANA   v.  PONTE  NOMENTANO. 


575 
PONTE  LUCANO. 

Ponte  suir4.nìene  16  miglia  dislanlc  da  Aoma  per 
la  strada  di  Tivoli.  Ne'  tempi  passati  volle  derivarsene 
il  nome  dai  luci,  o  boschi  sacri,  o  dai  Lucani,  popolo 
della  Italia  meridionale ,  solo  seguendo  X  impulso  delle 
etimologie  ,  e  senza  avere  autorità  classica  ,  alla  quale 
appoggiarsi.  La  esistenza  però  della  mole  de'Plauzii  sul- 
la testata  sinistra  del  ponte  medesimo:  la  certezza  della 
origine  tiburtina  di  quella  gente,  conformata  da  Tacito: 
e  la  scoperta  della  colonna  milliaria  portante  il  num. 
XIV.  fatta  presso  le  acque  Albule  circa  la  metà  del  se- 
colo passato,  co'  nomi  di  Marco  Plauzio  Lucano,  e  Ti- 
berio Claudio  Nerone,  edili  curulì,  pretori,  censori,  e 
duumviri  quinquennali  a  Tibur ,  mi  portano  a  credere 
che  la  diramazione  della  via  tiburtina  attuale,  dalle  acque 
Albule  verso  l' Aniene  a  destra  fosse  fatta  dagli  edili 
sovrammenzionati ,  ed  il  ponte  che  necessariamente  do- 
vea  costruirsi  fosse  fatto  da  M.  Plauzio  Lucano  stesso, 
come  tiburtino  di  origine,  onde  Pom  Lucani,  si  disse  od 
anche  Pons  Lucanus,  nome  che  tuttora  conserva. 
;,iì  Questo  ponte  fu  in  origine  composto  di  tre  archi 
di  travertino ,  i  quali  hanno  il  nucleo  costruito  di  sca- 
glie di  tufa.  Di  questi  tre  archi ,  intatto  rimane  quello 
prossimo  alla  riva  sinistra  :  quello  di  mezzo  vedesi  ta- 
gliato ad  arte  e  risarcito  con  costruzione  analoga  a  quel- 
la de'  ponti  Nomentano  e  Salario  nel  secolo  VL  della 
era  volgare,  e  quello  prossimo  alla  riva  destra  tagliato 
an^she  esso  e  grossolanamente  risarcito  nei  secolo  XV. 
è  stato  di  recente^  insieme  con  tutto  il  ponte  ristaurato 
di  nuovo.  Tutti  e  tre  gli  archi  poi  si  trovano  seraise- 
polti  sotto  le  macerie,  che  vi  ha  agglomerato  il  fiume, 
in  modo  che  l'acqua  quando  è  bassa  è  superiore  di  mol- 
to alle  imposte    originali.    Scorrendo  il  fiume  in  questo 


576 

punto  in  modo  da  formare  un'  angolo  acuto  colla  via 
tìburtina  1'  architetto  fu  necessariamente  portato  a  tor- 
cere leggermente  il  ponte  verso  la  via  ,  formando  cosi 
un  angolo  ottuso  verso  Roma:  e  siccome  questo  avreb- 
be potuto  recar  nocumento  al  ponte  nelle  grandi  allu- 
vioni, perciò  ampliò  l'alveo  del  fiume  da  questa  parte, 
formando  una  specie  di  seno  rivestito  di  massi  di  tra- 
vertino, il  quale  in  parte  ancora  conservasi.  Dei  ristauri 
dei  due  archi  di  questo  ponte  si  conosce  la  causa,  ram- 
mentandosi ,  che  Totila  per  testimonianza  di  Procopio 
tagliò  tutti  i  ponti,  che  erano  suU'  Aniene  fra  Tivoli  e 
Roma:  e  sul  Salario  fino  all'anno  1798  rimasero  le  iscri- 
zioni di  Narsete,  che  dopo  tale  rovina  lo  ristaurò;  on- 
de io  credo  che  1'  arco  di  mezzo  del  Lucano  fosse  da 
lui  tagliato  e  da  Narsete  rifatto,  e  con  questa  opinione 
si  accorda  la  costruzione;  quanto  poi  al  ristauro  del  se- 
colo XV.  che  si  scorgeva  nel  primo  arco,  io  credo  che 
sia  una  conseguenza  delle  guerre  civili,  che  afflissero  in 
quel  secolo  i  dintorni  di  Roma,  e  forse  Niccolò  V.  che 
tanto  operò  pel  risorgimento  di  Roma  ,  rifece  pure  la 
volta  di  quell'arco. 

i'I  Più  volte  questo  ponte  viene  ricordato  nelle  storie 
de*  tempi  di  mezzo,  e  primieramente  dal  card,  di  Ara- 
gona nella  vita  di  Pasquale  II.  apprendiamo ,  che  gli 
Alemanni  venuti  con  Enrico  IV.  imperadore,  dopo  esse- 
re stati  discacciati  dai  Romani ,  scorsero  la  Teverina , 
passarono  il  Tevere  di  là  dal  Soratte  ,  e  devastando  la 
Sabina  vennero  a  questo  ponte,  e  da  esso  poi  andarono 
al  ponte  Mammeo ,  oggi  Mammolo ,  dove  si  conchiuse 
fra  il  papa  e  l'imperadore  un  accordo.  Veggasi  la  rac- 
colta del  Muratori  R.  I.  S.  T.  IH.  P.  I.  p.  362.  Lo  stes- 
so scrittore  nella  vita  di  Adriano  IV.  inserita  nella  me- 
desima raccolta  p.  444.  narra  come  l'anno  1155,  solle- 
vatosi   il  popolo    romano    contro   Federico   Barbarossa, 


577 
quésti  ÌTisicmc  col  piàpa  usci  dalla  cillà,  e  per  la  Tcvc- 
rina  ,  passato  il  Tevere  incontro  a  Magliano  percorsero 
la  Sabina,  e  nella  vigilia  di  s.  Pietro  giunsero  al  ponte 
Lucano,  dove  a  cagione  della  solennità  decretarono  di 
rimanere.  Ivi  il  dì  seguente  celebrata  la  messa  vennero 
i  legati  de'Tiburtini  a  presentare  le  chiavi  ed  il  domi- 
nio della  loro  città  a  Federico,  cercando  cosi  di  sottrarsi 
da  quello  della  Chiesa  ;  Federico  però  non  accettò  tale 
offerta.  Lo  storico  soggiunge,  che  l'aria  calda  e  insalu- 
bre di  quella  pianura  fece  gran  strage  degl'  imperiali. 
Nella  cronaca  di  Riccardo  da  s.  Gennaro  riportata  dallo 
stesso  Muratori  T.  VIL  p.  1047.  leggesi ,  che  il  card. 
Giovanni  Colonna  occupò  contro  il  papa  questo  ponte 
l'anno  1241.  e  nel  Diario  del  Nantiporto  presso  il  me- 
desimo. Tomo  in.  P.  II.  p.  1093  si  narra,  che  fu  oc- 
cupato da  Paolo  Orsini  l'anno  1485.  Queste  varie  occu- 
pazioni fan  prova  della  importanza  strategica  del  sito  , 
per  la  quale  fu  pure  fortificato  a  guisa  di  fortezza  il 
contiguo  sepolcro  de'Plauzii  ne'  tempi  bassi,  ed  in  ulti- 
mo luogo  da  papa  Paolo  II  nel  secolo  XV. 

PONTE  LUPO.      ^' 

Magnifica  sostruzione  arcuata  eretta  da  Claudio  per 
mantenere  il  livello  del  suo  acquedotto ,  dove  traversa 
il  rivo  detto  da  Strabone  Veresis,  e  da' moderni  Acqua 
Rossa,  circa  2  m.  a  nord-est  di  Gallicano  e  21  da  Roma. 

La  via  più  diretta  per  andarvi  da  Roma  è  quella 
di  Gallicano.  Dopo  aver  lasciato  quella  Terra  si  entra 
dapprincipio  in  una  strada  tagliata  nel  tufa ,  e  quindi./ 
passato  un  ponticello,  ed  una  cappella,  si  traversano  canì- 
pi  seminativi ,  e  si  costeggiano  vigne  ',  siccome  però  di 
tratto  in  tratto  incontransi  buhroni  imboschiti,  è  fiecetir< 
saria  una  ^ttida.  mxj  yjh  «  l«,»u|»    ;m  >  oqìj  i^inì*  <}      ■. 

3Z 


578 

Il  ponte  cosi  detto,  o  piuttosto  l'acquedotto  è  for- 
mato da  due  archi,  che  compresa  l'altezza  dello  speco, 
che  vi  passava  sopra,  presentano  circa  75  piedi  antichi 
di  alte/za  e  400  piedi  di  estensione.  In  origine  era  tutto 
costrutto  di  pietre  quadrilatere  ,  meno  Io  speco ,  e  che 
era  di  opera  reticolata ,  dopo  fu  ristaurato  con  opera 
laterizia,  e  gli  archi  grandi  per  maggiore  solidità  furo- 
no chiusi ,  e  lasciati  due  vani  per  dare  passaggio  alle 
acque  del  rivo.  Verso  oriente  la  ripa  destra  è  sostrutta 
a  più  ripiani  con  muri  di  opera  reticolata  e  laterizia.  I 
due  acquedotti  della  Claudia,  e  dell'Ani enc  Nuova  scen- 
dendo dal  monte  Affliano  si  uniscono  sotto  il  colle  Fau- 
stiniano  dopo  il  ponte  delle  Mole ,  e  ponte  s.  Pietro  e 
passano  insieme  sopra  questo  ponte,  dopo  il  quale  uniti 
rimangono  sempre  sopra  gli  stessi  archi  o  sostruzioni 
fino  a  Roma,  separati  in  due  spechi,  uno  all'  altro  so- 
vrapposto,  . 

■>irM;  ìfì    'i>ln»p  ni  T.' 
■lin    ni   h'i    .:         PONTE    MAMMOLO,(n'Anny?,oirA},:: 


Pom  Mammatm. 


Ponte  della  via  tiburtina ,  sull'Amene  circa  4.  m. 
distante  da  Roma,  il  quale  presenta  due  costruzioni  di- 
verse nella  massa,  e  varii  risarcimenti  posteriori.  E  chia- 
ro dalla  ispezione  locale,  che  in  origine  fu  costrutto  con 
massi  quadrilateri  di  tufa ,  e  che  era  composto  di  tre 
archi  uno  maggiore  in  mezzo  e  due  minori  con  archi- 
volti di  travertino  :  questa  costruzione  appartiene  agli 
ultimi  tempi  della  republica:  e  di  essa  appariscono  ve- 
stigia nella  testata  verso  Roma.  L'  arco  principale  però 
fu  ricostrutto  nel  secolo  FV,  ed  è  di  travertino:  esso  pre- 
senta lo  stesso  tipo  che  quello  del  ponte  nomentano   e 


579 
del  ponlc  salario,  onde  non  cade  dubbio  che  tale  rico- 
struzione appartenga  a  Narsete,  come  quella  de'due  pon- 
ti testé  ricordati  ,  dopo  la  distruzione  di  Totila ,  della 
quale  parla  Procopio:  della  stessa  costruzione  è  uno  de- 
gli archi  minori,  meno  l'archivolto  che  è  stato  posterior- 
mente ristaurato  a  mattoni.  Frai  travertini  impiegati  da 
Narsete  uno  nella  faccia,  che  guarda  verso  mezzodì  por- 
ta le  lettere  ENTVL  di  bella  forma,  provenienti  da  qual- 
che monumento  antico  distrutto.  Rimangono  traccie  de' 
parapetti  rifatti  pur  da  Narsete  in  marmo,  come  al  pon- 
te salario ,  e  parecchi  ristauri  eseguiti  nel  secolo  XY:\ 
probabilmente  dà  Niccolò  V.  ,.  .'turalo; 

Niun  antico  scrittore,  nessun  monumento  antico- ri-l- 
mane  che  ricordino  questo  ponte,  ovvero  il  nome.  La 
prima  memoria,  che  ne  ho  incontrato  appartiene  all'an- 
no 1030  della  era  volgare  in  un  ìstromento  esistente 
neir  archivio  di  s.  Maria  in  Via  Lata  ,  e  riportato  nel 
codice  vaticano  8046  ,  il  quale  riguarda  un  prato  ,  che 
ivi  si  dice  posto  foris  ponte  Mammi:  col  nome  di  Mam- 
maeum  che  sembra  il  più  corretto  si  ricorda  circa  l'an- 
no 1100  dal  card,  di  Aragona  nella  vita  di  Pasquale  IL 
riportata  dal  Muratori  R.  L  S.  T.  IIL  P.  I.  p.  362,  al- 
lorché narra  1'  accordo  ivi  conchiuso  fra  quel  papa  ed 
Enrico  IV.  imperadore,  essendo  accampato  il  primo  coi 
Romani  sulla  sponda  sinistra  del  fiume,  l'altro  cogli  Ale- 
manni sulla  destra.  Quindi  parmi  poter  supporre  ,  che 
Mammea  madre  di  Alessandro  Severo  lo  rifacesse,  e  per- 
ciò ne  portasse  il  nome,  poscia  alterato  in  Mammulus, 
e  da  noi  detto  Mammolo.  Ancor  esso  fu  occupato  da 
Paolo  Orsino  nel  1485  ,  come  il  Lucano,  v.  PONTE 
LUCANO.  iAu:.:>.  :.^y:'^  ,;i.  o;:;.^^!, .  ì;-:  .-,-<)  '::;,:><  ^ìh) 
i.  .!]}  .  ih  ni  c08l  <!;•!!>.'!!  euljt  et«jq'*'ll')iil)  ud 
^M.'U'jc'.'riqqtn    yjnyyo»'  iijyJJji  oJiiJr,  ol^on  x>Hnh 

5  )i)i;   ftHji .  oiyvB    pJJ^  i*'  od^  .  Bqnifilift  Iti  b'i    mifUi'   '\' 


580 

PONTE  MOLLE.  '  ,   '  * 

PONS  MOLVIVS  —  MVLVIVS  —  MILVIVS.       '« 

'  :v>.      :<iH\\ì  .V'.'i.  i>i'i*H^-  !:<i«i'|.' 

Ponte,  sul  quale  si  passa  it  fitfrne  tevePè,'  tóé'mf-' 
glia  fuori  della  porta  odierna  del  Popolo;  dove  si  riu-f 
niscono  le  vie  Pia  a  sinistra,  Cassia  o  Claudia  in  mez- 
zo ,  e  Flaminia  a  destra.  Il  suo  nome  moderno  è  una 
corruzione  patente  dell'antico  Molvius;,  e  Mulvius,  alte- 
rato dai  copisti  latini  e  greci  in  Molbius,  Mulbius,  M&X- 
^log ,  Moki^ioq ,  secondo  le  oscillazioni  della  pronunzia 
volgare,  per  non  dir  nulla  del  nome  lulii  che  viene  in- 
dicato nella  carta  peutingeriana.  La  memoria  più  antica 
di  esso  appartiene  all'  anno  di  Roma  546  ,  siccome  più 
sotto  vedremo  per  testimonianza  di  Livio.  Esso  è  soste-' 
nuto  da  quattro  archi  grandi  e  tre  piccioli,  oltre  quat- 
tro fornici  intermedii  agli  archi  grandi,  i  quali  sebbene 
ristaurati  conservano  indizii  chiari  di  essere  antichi.  Gli 
archi  piccoli  sono  tutti  e  tre  moderni ,  uno  sulla  spon- 
da sinistra,  e  due  sulla  destra  alle  testate  del  ponte:  i 
grandi  però  sono  antichi ,  sebbene  in  parte  anche  essi 
siano  stati  ristaurati  in  varie  epoche,  poiché  i  primi  due 
verso  Roma,  che  sono  di  massi  quadrilateri  di  peperino 
meno  gli  archivolti  e  le  volte ,  che  sono  di  travertino, 
mostrano  evidentemente  un  ristauro  antico  nella  volta , 
forse  opera  di  Marco  Scauro  censore.  Identica  a  questi 
è  la  costruzione  della  parte  inferiore  degli  altri  due,  ma 
nella  parte  superiore  furono  goffamente  ristaurati  nel 
secolo  XV.  dopo  che  troncati  nel  1405  dai  partigiani 
di  papa  Innocenzo  VII.  furono  secondo  il  Platina  risar- 
citi, come  oggi  si  veggono  da  papa  Nicolò  V. 

Da  quell'epoca  fino  all'anno  1805  in  che  venne  ri- 
dotto nello  stato  attuale  fu  cosi  sovente  rappresentato 
in  pittura   ed  in  istampa  ,  che  si  può   avere   una   idea 


581 

perfetta  come  esso  era  stato  antecedentemente  ridotto  : 
oltre  di  che  non  mancano  le  descrizioni.  Da  tali  docu- 
menti apparisce  ,  che  di  legno  erano  le  due  testate  ,  e 
che  dove  cominciava  la  parte  solida  sulla  riva  sinistra 
era  una  statua  di  s.  Giovanni  Nepomuceno,  scolpita  nel 
secolo  XVII.  la  stessa  che  oggi  è  collocata  sul  pilastro 
destro  all'ingresso;  che  poco  più  oltre  a  destra  era  una 
rozza  edicola  sacra  alla  Vergine,  nella  quale  si  venera- 
va un'  antica  immagine:  una  iscrizione  ivi  esistente  che 
il  Galletti  riporta  fralle  Iscrizioni  Romane  Tom.  I.  Glas. 
I.  n.  224.  e  che  oggi  più  non  si  vede ,  dichiarava  che 
le  limosine  che  la  pietà  de'fedéli  ivi  lasciava  erano  sta- 
te erogate  da  papa  Innocenzio  X.  in  sussidio  delle  po- 
vere convertite  penitenti,  allora  racchiuse  nel  monastero 
di  s.  Maria  Maddalena  al  Corso,  detto  perciò  delle  Con- 
vertite. Verso  la  campagna  la  testa  del  ponte  veniva  di- 
fesa da  una  torre  di  costruzione  del  secolo  XV.  la  qua- 
le cominciata  da  Niccolò  V.  fu  terminata  da  Callisto  III. 
suo  successore,  del  quale  rimangono  ancora  le  armi  nel- 
r  arco  di  transito.  E  questa  torre  chiudendo  il  passo 
forzava  ad  una  svolta  a  destra,  che  oggi  più  non  si  vede. 
Antecedentemente  vi  era  un  propugnacolo  costrutto  in 
gran  parte  di  legno  ed  opera  de'  bassi  tempi ,  il  quale 
era  chiamato  Tripizon ,  siccome  ricavasi  da  Albertino 
Mussato  nelle  Gesta  di  Enrico  VII.  lib.  IV.  e  dai  Com- 
mentarii  di  Leonardo  Aretino,  opere  inserite  dal  Mura- 
tori ne'  Rerum  Italicarum  Script,  la  prima  nel  tomo  X. 
l'altra  nell'XI.  In  questo  stato  trovavasi  il  ponte  Molle 
l'anno  1805,  allorché  essendo  rimasto  danneggiato  dalla 
inondazione  straordinaria  del  Tevere  avvenuta  a  dì  2 
febbraio,  dovendosi  risarcire  le  parti  lignee  di  esso,  e 
togliendo  occasione  dal  ritorno  di  papa  Pio  VII.  che  era 
ito  ad  incoronare  in  imperadore  de'  Francesi  il  primo 
console  della  republica  Napoleone  Buonaparte ,  fu  data 


582 

commissione  all'architetto  Giuseppe  Valadicr  di  rìslaurar- 
lo  e  di  abbellirlo  per  quanto  Io  permettevano  i  tempi. 
Egli  adunque  fece  costruire  di  materiali  solidi  la  porta 
già  di  legno,  addrizzò  la  testata  destra,  e  forando  la  tor- 
re le  die  la  forma  di  un  arco  monumentale,  come  per 
testimonianza  di  Strabonc  uno  ve  n'  esisteva  ne'  tempi 
antichi  ad  onore  di  Augusto.  Sopra  quest'arco  leggonsi 
due  belle  iscrizioni  latine  con  lettere  di  rilievo:  la  pri- 
ma sulla  faccia  rivolta  a  Roma  dice: 

PIVS  .  VII  .  PONT  .  MAX. 

PARTEM  .  PONTIS  .  SVBLICIAM  .  IMPETV  .  AQVARVM  .  VEXATAW 

STRVCTORIO  .  LAPIDE  .  REFICIEND  .  CVRAVIT 

IDEM  .  TYRRI  .  PERFOSSA  .  RECTA   .  AD  .  ALTERAM  .  RIPAJML 

ITER  .  APERVIT  .  A   .  CIOIOCCCV 

CVRANTE  .  ALEXANDRO  .  LANTE  .  PRAEF  .  AERARl- 

Taltra,  verso  la  campagna: 

i  ;•  i   -Ili.;. 

K  :        PlVS  .  SEPTIMVS  .  PONT  .  MAX. 

PONTEM  .  ET  .  TVRRIM  .  OPERIB  .  AMPLIATIS  .  RESTITVltl  ' 
ANNO  .  DOMINI  .  CIOIDCCCV. 

ili     ')-'■'■■    .;  )  . 

'•f  '  La  statua  di  s.  Giovanni  Nepomuceno  fu  allora  tra- 
sportata sulla  testa  del  parapetto  destro  :  e  demolita  1» 
edicola,  fu  innalzata  sull'altra  una  statua  della  Concezio- 
ne di  travertino,  opera  di  Domenico  Pigiani.  Sulle  altre 
due  venne  divisato  di  porre  le  statue  dagli  apostoli  pro- 
tettori di  Roma  s.  Pietro  e  s.  Paolo  :  e  questo  divisa- 
mento  era  buono  ,  giacché  le  statue  per  la  mossa ,  pel 
soggetto,  e  per  la  circostanza  locale  sarebbero  state  un 
bell'ornamento  all'ingresso  del  ponte  verso  la  campagna; 
ma  in  luogo  di  queste  nell'anno  182S  vi  furono  colloca- 
te quelle  di  s.  Giovanni  Battista  in  atto  di  battezzare 
il  Redentore ,  le  quali  erano  state    destinate  in  origine 


583 

ad  essere  unite  insieme  a  formar  gruppo ,  mentre  oggi 
necessariamente  sono  disgiunte:  esse  furono  fatte  da  Fran- 
cesco Mochi  per  l'aitar  maggiore  della  chiesa  di  s.  Gio- 
vanni de'Fiorentini}  ma  furono  trovate  così  difettose  per 
ogni  riguardo,  che  non  vennero  mai  esposte  al  publico 
e  si  giacquero  abbandonate  e  neglette  per  più  di  due 
secoli  ne'pianterreni  del  palazzo  Falconieri,  quando  ven- 
ne in  mente  al  tesoriere  Cristaldi  di  comperarle  per  100 
doppie  di  oro,  onde  collocarle  così  impropriamente  in 
questo  luogo.  Veggasi  su  queste  statue  il  Passeri  nelle 
Vite  de'Pittori  p.  119. 

Notai  di  sopra,  che  la  forma  originale  del  nome  di 
questo  ponte  è  quella  di  Molvius,  o  Mulvius,  e  che  da 
questa  trae  origine  la  volgare  odierna  di  ponte  Molle. 
Tal  nome  derivò,  o  dal  suo  fondatore  finora  incognito , 
o  dalla  prossima  lacinia  de'  colli  gianicolensi ,  la  quale 
forse  sarà  stata  chiamata  ne' tempi  più  antichi  mons  Mol- 
vius, o  mons  Mulvius.  E  circa  l'essere  nome  di  famiglia 
ne  fan  prova  le  lapidi  riportate  da  Grutero ,  e  Valerio 
Massimo  lib.  Vili.  e.  I.  §.  5.  onde  può  bene  uno  di 
questa  gente  aver  dato  tal  denominazione  al  ponte;  quan- 
to poi  alla  congettura  che  lo  traesse  dal  prossimo  mon- 
te, va  questa  di  accordo  coU'esempio  de'ponti  Palatino, 
Gianicolense,  e  Vaticano  di  Roma,  cosi  detti,  perchè  si 
trovavano  dirimpetto  ai  colli  dello  stesso  nome.  Aurelio 
Vittore  de  Viris  Illustr.  e.  LXXII.  dice,  che  Marco  Emi- 
lio Scauro  censore,  viam  Aemiliam  stravit ,  pontem  Mul" 
vium  fecit.  Stando  strettamente  a  questo  passo  dovrebbe 
ascriversi  la  fondazione  di  questo  ponte  all'anno  644  di 
Roma ,  in  che  fu  censore  Scauro  il  vecchio ,  poiché  di 
esso  e  non  del  giovine  si  tratta,  dicendo  Ammiauo  nel 
lib.  XXVII.  e.  III.  nel  riferire  questa  stessa  tradizione, 
che  fu  lo  Scauro  superior.  Ma  contro  questa  asserzione 
di  due  scrittori  del  secolo  IV.  della  era    volgare  si  af- 


\ 


584 

faccia  il  passo  di  Livio  lib.  XXVII.  e.  LI.  indicato  di 
sopra,  il  quale  mostra  ii  ponte,  come  esistente  circa  un 
secolo  prima  di  Scauro,  cioè  l'anno  546.  A  concordare 
però  queste  testimonianze  così  in  opposizione  fra  loro 
mi  sembra  opportuno,  non  di  ricorrere  alla  spiegazione 
che  Livio  indicasse  il  ponte  come  esistente  un  secolo 
prima ,  per  figura  di  prolepsi ,  ma  bensì  di  credere  che 
in  origine  fosse  di  legno,  e  probabilmente  cosi  fu  co- 
strutto da  Flaminio  nell'  aprire  la  via  di  questo  nomcy 
e  che  poscia  nel  644  Scauro  essendo  censore  lo  rifaces- 
se di  pietra:  e  con  quella  epoca  si  accorda  la  costruzio- 
ne originale  che  ancora  resta.  Ora  esistendo  un  ponte 
in  questo  luogo  fino  dall'anno  546  col  nome  di  Molvius 
non  può  in  alcun  modo  derivarsene  la  etimologia  da  Ae~ 
milius  Scaurus,  come  volgarmente  si  suppone  da  colobo, 
che  abbracciando  la  forma  erronea  di  MìItìus  piuttosto 
che  la  corretta  di  Molvius  vogliono  stiracchiarla  da  Ae- 
milius.       '  --iiaf*..   ^-j.'  -,  :       -;■•  '/.  ,.,w'/ "^ìA.-  ->*.- 

Dalla  origine  e  dialla  etimologia  passando  alle  noti- 
zie istoriche  ho  notato  di  sopra  che  la  prima  volta  che 
si  ricorda  questo  ponte  è  appunto  quella  dell'anno  546t 
di  Roma  207  avanti  la  era  volgare  ,  allorché  il  popolo 
di  Roma  accorse  in  folla  fin  là  ad  incontrare  i  legati 
Lucio  Veturio  Filone,  Publio  Licinio  Varo,  e  Quinto  Ce- 
eilio  Metello  apportatori  del  fausto  annunzio  della  vit- 
toria riportata  presso  il  Metauro  sopra  Asdrubale  dai 
consoli  C.  Claudio  Nerone  e  M.  Livio  Salinatore.  Nel- 
l'anno 675  questo  ponte  ed  i  colli  gianicolensi  adiacen- 
ti furono  occupati  dal  console  Quinto  Lutazio  Catulo  ^ 
e  da  Pompeo  per  opporsi  alle  mosse  di  Lepido,  che  si 
era  fitto  in  mente  di  rescindere  gli  atti  di  Siila,  e  che 
fu  costretto  di  fuggire  in  Etruria,  e  di  là  in  Sardegna^ 
dove  mori.  Floro  lib.  III.  e.  XXIII.  Su  questo  ponte 
medesimo  nell'anno  690.  per  ordine  di  Cicerone  furono 


585 
arrestati  i  messi  degli  Allobrogi  implicati  nella  congia- 
ra di  Catilina,  siccome  Cicerone  stesso  Catti.  III.  e.  II. 
e  Sallustio  Catti,  e.  XLIV.  attestano.  Verso  fa  metà  del- 
l'anno 708  di  Roma  Capitone  fece  in  senato  la  proposi- 
zione d'ingrandire  l'abitato  della  città  occupando  il  Cam- 
po Marzio,  e  di  voltare  a  tale  uopo  il  corso  del  fiume 
dal  ponte  Molvio  lungo  la  pendice  de*  monti  Vaticani , 
riducendo  così  all'uso  del  Campo  Marzio  il  Campo  Va- 
ticano. Cicerone  ad  Attic.  lib.  XIII.  epist.  XXXIII.  La 
situazione  amenissima  di  questo  ponte^  la  riunione  di  due 
strade  consolari ,  la  prossimità  della  metropoli  attiraro- 
no il  concorso  de'Romani  antichi,  come  de'moderni:  quin- 
di come  oggi ,  così  anticamente  vi  erano  osterie  ed  al- 
berghi. Infatti  Tacito  ne  apprende  che  circa  l'anno  812 
di  Roma,  ossia  59  della  era  volgare,  Nerone  prenden- 
do parte  agli  stravizzi  che  ivi  facevansi  corse  pericolo 
della  vita  per  le  insidie  tramategli  da  Cornelio  Sulla 
Annoi,  lib.  XIII.  e.  XLVII.  Maggior  celebrità  poscia  ot- 
tenne questo  ponte  per  la  vittoria  riportata  da  Costan- 
tino sopra  Massenzio  6  miglia  di  là  da  esso  sulla  via 
Flaminia  l'anno  312  della  era  volgare,  e  che  suol  desi" 
gnarsi  col  nome  di  vittoria  del  ponte  Molvio.  In  quella 
giornata  memorabile,  che  fece  cangiar  faccia  al  mondo, 
perì  Massenzio,  il  quale  volendo  traversare  il  fiume,  do- 
po la  rotta,  vi  rimase  annegato:  e  questo  fatto  die  ori- 
gine alla  favola  che  Massenzio  tagliasse  il  ponte  Molvio. 
L'anno  367  si  ricoverò  presso  questo  ponte  il  prefetto 
di  Roma  Lampadio,  allorché  in  un  tumulto  popolare  la 
plebaglia  incendiò  la  sua  casa  posta  presso  le  tenne  co- 
stantiniane :  Ammiano  lib.  XXVII.  e.  III.  La  importan- 
za strategica  di  questo  luogo  venne  riconosciuta  da  Vi- 
lige,  che  nell'assedio  di  Roma  dell'anno  537  lo  ritenne 
in  suo  potere  :  Procopio  Guerra  Gotica  lib.  I.  e.  XIX. 
Un  decennio  dopo  Tolila  altro  re  de'Goti  mentre  distrus- 


586 

se  tutti  gli  altri  ponti  intorno  a  ÌRoni.i,  questo  solo  ser^ 
bò  illeso:  Procopio  lib.  III.  e.  XXIV.  Da  Anastasio  nel- 
la vita  di  Sabiniano  si  narra  che  nel  trasporto  funebre 
di  quel  Papa  dal  Laterano  al  Vaticano  l'anno  606  la  pom-^ 
pa  passò  su  questo  ponte.  Cosi  fin  là  il  senato  romano, 
e  la  corporazione  dc'Greci  stabilita  in  Roma,  detta  Scho- 
la  Graecorum^  andarono  a  complimentare  Arnolfo  Tanno 
896  allorché  venne  a  prendere  in  Roma  la  corona   im- 
periale: Annales  Bertiniani  presso  i  Rer.  Ital.  Script.  T. 
II.  Par.  I.  p.  574.  Da  quella  epoca  fino  all'  anno  1312 
niuna  altra  memoria  storica  su  questo  ponte  s*incontra, 
se  non  quella  che  1'  utile  dominio  di  esso  spettava    fin 
dall'anno  955  al  monastero  di  s.  Silvestro  in  Capite,  co- 
me ricavasi  da  una  bolla  di  papa  Agapito  II.  L'anno  1312 
fu    occupato  e  fortificato    dalle    genti  di  Roberto  re  di 
Napoli  che  furono  poscia  messe  in  rotta  dalle  truppe  di 
Enrico  VII  ai  7  di  maggio,  secondo  Albertino  Mussato 
ricordato  di  sopra.  Nel  1405  fu  presidiato  dai  partigia- 
ni d'Innocenzo  VII.  ed  assalito  dai  Romani  della  fazio- 
ne ghibellina:  Stefano  Infcssura  racconta  nel  suo  Diaria 
riportato  dal  Muratori  Rerum  Ital.  Script.  Tom.  III.  Par- 
te II.  p.  833,  1116,  1139,  che  in  quella  circostanza  il 
ponte  fu  incendiato,  quindi  ragionevolmente  s'inferisce, 
che  una  parte  di  esso  era  già  di  legno;  e  che  fatto  l'ac- 
cordo frai  Romani  ed  i  papalini ,  fu  da    questi    ultimi 
tagliato.  Ben  presto  venne  risarcito,  poiché  per  testimo- 
nianza di  uno  scrittore  contemporaneo  inserito  dal  Mu- 
ratori T.  XXIV.  p.  986,  fino  dall'anno  1408  era  di  già 
in  pieno  uso.  Nel  1433  venne  per  poco  tempo  occupa- 
to da  Niccolò  Fori  ebraccio  come  si  riferisce  dall'Infes- 
sura.  In  questo  sito  del  Tevere  papa  Pio  II.  imbarcos- 
si  ai  18  di  giugno,  allorché  portossi  in  Ancona  per-«)m- 
mandare  la  crociata  contro  i  Turchi.  Nella  guerra  civi- 


587 
le  accesa  durante  il  pontificato  di  Sisto  IV.  fa  nel  1485 
occupato  e  poscia  reso  da  Virginio  e  Paolo  Orsini. 

Affacciandosi  al  parapetto  destro  del  ponte  vedesi 
sulla  sponda  del  fiume  fissa  sul  luogo  la  pietra,  o  ciop- 
po  terminale  di  travertino,  alta  circa  3.  piedi,  larga  2, 
e  grossa  1  ed  un  quarto,  notata  dal  Fabretti  sul  decli- 
nare del  secolo  XVII.  Inscript.  Class.  VI.  num.  167,  e 
riscoperta  di  nuovo  il  dì  20  ottobre  1819:  essa  fu  po- 
sta come  r  altra  incontro  ,  che  oggi  si  conserva  nella 
villa  Albani,  e  che  fu  riportata  da  Fabretti,  ed  illustra- 
ta dal  Marini  Jscriz.  AUane  p.  21.  come  limite  fra  l'a- 
gro privato,  e  l'agro  publico.  La  iscrizione  in  caratteri 
di  forma  antica  ricorda  la  censura  di  Marco  Valerio  Mes- 
sala figlio  di  Marco  ,  nipote  di  Manio,  e  di  Publio  Ser- 
vilio  Isaurico  figlio  di  Caio,  la  quale,  secondo  il  Mari- 
ni dee  stabilirsi  nell'anno  699  di  Roma  o  55  avanti  la 
era  volgare.  Essa  dice  così: 

M  .  VALERIVS  .  M  .  F 
M  .  N  .  MESSAL 

P  .  SERVEILIVS  .  C  .  F  . 

ISAVRICVS  .  CES 
EX  .  S  .  C  .  TERMIN 
cioè  Marcus  Valerius  Marci  Filius  Manti  Nepos  Messala, 
PMius  Sercilius  Caii  Filius  Isauricus  Censores  Ex  Se- 
natus  Consulto  Terminaverunt.  Il  cippo  vedesi  incassato 
entro  una  specie  di  gradinata  costrutta  di  massi  di  tu- 
fa,  che  quando  le  acque  del  Tevere  sono  al  livello  or- 
dinario mostra  essere  stata  di  otto  gradini.  La  iscrizio- 
ne differisce  da  quella  del  termine  di  villa  Albani  nel- 
la sola  trasposizione  de' nomi  de'  censori  per  la  vecchia 
ambizione  di  non  sembrare  uno  da  meno  dell'  altro.  È 
noto  che  prima  di  Cesare  la  cura  delle  ripe  del  Teve- 
re come  quella  delle  vie,  delle  acque,  e  di  altre  opere 
pubbliche  più  ordinariamente  era  affidata  ai  censori;  ma 


588 

dopo  la  morte  del  dittatore  negli  sconvolgimenti  che  la 
seguirono,  questi  ordinamenti  si  trovarono  in  tale  disor- 
dine, che  si  legge  in  una  iscrizione  riportata  dall'Ubal- 
dino  nella  vita  di  Angelo  Colozio  p.  93,  e  dal  Fabretti 
Inscript.  e.  X.  409,  affidata  ad  un  Quinto  Cornelio  Le- 
vino Flamine  Diale.  Nel  nuovo  ordine  però  che  Augu- 
sto diede  agli  affari  publici,  la  cura  dell'alveo,  delle  ri- 
pe del  Tevere  e  delle  cloache  fu  data  come  quella  del- 
le strade  e  delle  acque  a  personaggi   indicati  col  nome 

di   GVRATORES    RIPARVM  ET  ALVEI    TIBERIS  ET  CLOACARVM, 

officio  che  in  molte  iscrizioni  antiche  s'incontra  in  pro- 
va di  ciò  che  asserisce  Svetonio  in  Octavìo  e.  XXXVII, 
Di  là  da  questo  termine  il  masso  informe  di  un  monu- 
mento sepolcrale  serve  di  norma  onde  tracciare  l'anda- 
mento della  via  flaminia ,  la  quale  era  molto  più  ade- 
rente al  fiume  che  la  strada  attuale  che  ne  siegue  le 
traccie. 

'  ^  :  V 
TONTE  NOMENTANO. 

Ponte  suH'Auiene  che  trae  nome  dalla  via  nomen- 
tana  sulla  quale  si  trova  3.  m.  circa  fuori  di  porta  Pia , 
e  che  il  volgo  appella  ponte  Lamentana.  In  orìgine  co- 
me il  Mammolo  ed  il  Salario  era  costrutto  di  massi  qua- 
drilateri di  tufa ,  meno  gli  archivolti  che  erano  di  tra- 
vertino, e  veniva  formato  di  tre  archi  uno  grande  in 
mezzo  e  due  piccioli.  Poscia  fu  distrutto  come  gli  al- 
tri ponti  suH'Aniene  da  Totila,  secondo  Procopio  e  rie- 
dificato da  Narsete,  come  si  trae  dalle  iscrizioni  già  esi- 
stenti al  parapetto  del  ponte  Salario,  e  dall'analogia  di 
costruzione  ,  ed  allora  fu  tutto  rivestito  di  travertini 
come  oggi  si  vede.  La  torre  che  lo  copre  fu  costrutta 
nel  secolo  VIIL  e  poscia  ristaurata  e  fortificata  con  al- 
tre opere  nel  secolo   XV.  da  Niccolò  V.  di  cui  rimane 


589 

lo  stemma  e  si  legge  il  nome.  La  costruzione  laterizia 
appartiene  al  secolo  Vili,  quella  irregolare  di  ciottoli , 
al  XV.  I  parapetti  erano  in  origine  di  marmo  come  al 
ponte  Salario  ed  al  Mammolo.       q  iitu.Ui  mm!;J  j.-'k  j   o, 

Narra  l'Infessura  nel  Diario  riportato  dal  Muratori 
R.  I.  S.  T.  III.  P.  II.  p.  1125,  che  questo  ponte  fu 
insieme  con  quello  detto  Molle,  e  col  Salario  preso  da 
Niccolò  Fortebraccio  1'  anno  1433  ai  25  di  agosto,  ma 
rimase  in  sue  mani  per  poco  tempo. 

Nella  guerra  degli  Orsini  sotto  Innocenzo  VIII  que- 
sto ponte  fu  occupato  insieme  col  Salario,  col  Molle,  e 
col  Lucano  da  Paolo  Orsino  nel  marzo  dell'anno  1485, 
e  le  sue  genti  lo  ritennero  fino  ai  28  di  dicembre  del- 
lo stesso  anno,  in  che  si  dovettero  rendere  a  discrezio- 
ne. Veggasi  il  Nantiporti  presso  il  Muratori  1.  e.  p. 
1093  e  1097  e  l'Infessura  ivi  p:  1193. 

Col  nome  di  ponte  Lamenlana  si  conosce  pure  un 
foudo  che  va  unito  con  quelli  di  s.  Agnese,  e  di  Tufel- 
li,  posti  tutti  e  tre  fuori  di  porta  Pia,  fra  loro  distin- 
ti ,  ma  che  tutti  insieme  hanno  il  nome  di  tenuta  di 
Ponte  Lamentana.  Appartengono  al  monastero  di  s.  Silve- 
stro in  Capite  e  comprendono  poco  meno  di  rubbia  126. 
Formano  altrettanti  quarti  sotto  la  stessa  denominazio- 
ne :  quello  di  ponte  Lamentana  è  di  là  dall'  Aniene  e 
confina  coU'Aniene,  con  Casal  Fiscale,  e  Casal  de'Pazzi, 
e  racchiude  il  celebre  monte  Sacro  ,  del  quale  parlo  a 
suo  luogo  :  quello  di  s.  Agnese  è  di  qua  dal  fiume  e 
confina  colle  vigne  di  Roma,  colla  via  nomentana,  colla 
tenuta  di  Sacco  Pastore,  e  coU'Aniene:  finalmente  quel- 
lo detto  Tufelli  è  di  là  dall'Aniene  ed  è  a  contatto  con 
le  tenute  di  Cocchina,  Val  Melaina,  Casal  Fiscale,  Pra- 
ti Fiscali,  e  colle  Vigne  Nuove.  E  di  questi  fondi  il 
primo  trae  nome  dalla  prossimità  del  ponte:  il  secondo 
dall'  essere  stato  un  tempo  posseduto  dalle  monache  di 


590 

s.  Agnese  fuori  delle  mura,  dalle  quali  nel  secolo  XVI. 
passò  a  quelle  di  s.  Silvestro  :  ed  il  terzo  finalmente 
dalla  natura  tufacea  ,  del  suolo.  Ho  detto  che  il  fondo 
di  Ponte  Lamentana  propriamente  detto  spetta  a  s.  Sil- 
vestro in  Capite:  ora  nella  bolla  di  Agapito  II.  dell'an- 
no 995,  nella  quale  si  enumerano  i  beni  di  quel  mona- 
stero si  trova  ricordato  questo  fondo  col  nome  di  Lam^ 
pari.  ic  v'jtsf  ! 

il',    uiir.    isf  :..:.ì,:i,ì; 

->  ;P  llì'f  ouuy^ir.PONTE  DI  NONA,  .adui^  dhr: 


È  un  lenimento  di  circa  37  rubbia  di  terra  ^  che 
ha  nome  da  un  magnìfico  ponte  antico  sulla  via  prene- 
stina,  cosi  denominato  ne'  tempi  bassi,  perchè  è  situato 
circa  il  miglio  IX  dell'  antica  via ,  il  quale  corrisponde 
alle  miglia  8  ed  un  quarto  dalla  porta  Maggiore  attua- 
le. Appartiene  al  monastero  di  Campo  Marzo.  Confina 
col  lenimento  di  Benzone ,  e  Pantano ,  colla  via  prene- 
slina  antica,  e  colla  tenuta  di  Salone.  Questo  lenimento 
col  nome  di  casale  ponte  de  Nona  fu  da  Gregorio  VII. 
nell'anno  1074  dato  al  monastero  di  s.  Paolo  fuori  del- 
le mura,  siccome  ricavasi  dalla  bolla  inserita  nella  rac- 
colta del  Margarini  Tom.  II.  Ora  essendo  fin  da  quel^ 
la  epoca  divenuto  proprietà  de'  monaci  benedettini ,  si 
può  conoscere  ,  come  posteriormente  venisse  in  potere 
del  monastero  di  Campo  Marzo ,  occupato  da  monache 
dello  stesso  ordine.  Di  questa  contrada  fa  pure  menzio- 
ne Onorio  III.  nella  bolla  emanata  l'anno  1217  e  ripor- 
tata jiel  Bollano    Vaticano    Tomo  I.  p.  100.  ricordando 


591 
le  Possessiones  extra  portam  Maiorem  iuxta  ponte.m  de 
JVone,  et  ubi  dicitur  Loretum,  che  appartenevano  all'  or- 
dine del  Riscatto.  ■' 
Ho  notato  che  il  ponte  che  die  origine  al  nome  del 
fondo  attinente  è  8.  miglia  ed  un  quarto  distante  dalla 
porta  Maggiore  ossia  circa  9  dalla  porta  Esquilina  an- 
tica f  sulla  via  prenestina ,  che  fino  a  Gabii  ebbe  pure 
il  nome  di  via  gabina.  Nel  far  questo  ponte  i  nostri 
maggiori  altro  scopo  non  ebbero,  che  quello  di  mante- 
nere per  quanto  più  fosse  possibile  la  via  in  piano,  co- 
me pur  fecero  nell'appia  con  quella  magnifica  sostruzio- 
ne che  eccita  ancor  meraviglia.  La  vallata  in  che  si  tro- 
va, sebbene  in  questo  punto  sia  molto  profonda  non 
porta  e  non  potè  giammai  portare  molte  acque,  poiché 
non  raccoglie  altri  scoli ,  che  quelli  di  poche  lacinie ,  i 
4]uali  percorrono  circa  3  miglia  prima  di  giungere  al 
ponte  ',  e  per  poterli  passare  al  varco  della  via  ,  ogni 
piccolo  ponticello  sarebbe  stato  sufficiente ,  ed  a  tale 
uopo  io  credo  che  originalmente  venisse  costrutto  l'ar- 
chetto medio  che  poscia  si  trovò  chiuso  nella  fabbrica 
magnifica  posteriore.  È  costrutto  intieramente  di  pietra 
gabina  all'  esterno  ,  meno  le  testate  che  sono  di  pietra 
rossa  o  tufa  locale,  tagliata  in  massi  parallelipedi,  i  qua- 
li sono  disposti  a  strati  alternati,  e  non  di  rado  presen- 
tano 10  e  12  piedi  romani  di  lunghezza  :  il  masso  poi 
è  costrutto  al  solito  di  scaglie  di  pietra  e  calcina:  i  mas- 
si quadrilateri  sono  mirabilmente  commessi  fra  loro,  ma 
senza  calce  affatto.  Sette  archi  lo  compongono,  e  questi 
non  sono  geometricamente  parlando  eguali  uno  all'altro, 
né  per  altezza,  né  per  larghezza:  l'altezza  va  crescendo 
a  misura  che  gli  archi  slontanansi  dalle  ripe;  della  ine- 
guaglianza poi  della  larghezza,  difiìcilmente  potrebbe  as- 
segnarsene altra  causa  che  a  una  certa  incuria  nella 
esecuzione:  vero  é  però  che  questa  differenza  è  piccola, 


§92 

e  che  se  non  si  misura,  difficilmente  l'occhio  la  conce- 
pisce, lanla  è  la  vastità  della  mole  e  l'armonia  genera- 
le !  Avendo  misurato  io  stesso  questo  ponte  ho  trovato 
che  per  chi  parte  da  Roma  il  primo  arco  ha  19  piedi 
e  mezzo  antichi  di  vano:  il  II.  III.  e  IV.  ne  hanno  18 
e  tre  quarti:  il  V.  ne  ha  24  e  tre  quarti^  il  VI,  ed  il 
VII.  21  e  tre  quarti  :  queste  misure  furono  prese  nel 
basso  da  pilastro  a  pilastro.  Ciascun  pilastro  è  rafforza- 
to da  contrafforti  :  ed  ha  10  piedi  di  fronte  ,  e  38  di 
profondità;  sopra  i  contrafforti  la  profondità  diminuisce 
di  circa  7  piedi.  L'altezza  dell'arco  centrale  è  di  48  pie- 
di. Questo  racchiude  1'  archetto  originale  del  ponte  più 
antico,  il  quale  non  è  parallello  affatto  al  ponte  poste- 
riore ,  ed  ha  dal  suolo  attuale  circa  17  piedi  di  altez- 
za, 2  ed  un  quarto  di  grossezza,  e  21  e  un  quarto  di 
profondità.  Questo  ponte  conserva  il  pavimento  dell'an- 
tica via  prenestina  lastricato  di  poligoni  di  lava  basal- 
tica ,  in  molto  buono  stato ,  il  quale  ha  da  crepidine  a 
crepidine  21  piedi  di  larghezza  ;  i  parapetti  però  ,  da 
lungo  tempo  sono  periti.  Misurando  la  lunghezza  intie- 
ra del  ponte  da  testata  a  testata  1'  ho  trovato  di  320 
piedi. 

La  grandezza  di  questa  opera,  la  dimensione  delle 
pietre  che  la  compongono,  la  diligenza  posta  nello  squa- 
drarle e  nel  disporre  in  modo  che  le  commetiture  de- 
gli strati  diversi  fossero  sempre  disposte  a  sacco:  il  tra- 
vertino impiegato  con  parsimonia  ,  e  solo  nelle  chiavi 
degli  archi,  mi  sembrano  indizii  sufficienti  per  riguar- 
dare questo  monumento  come  pertinente  a  quella  epo- 
ca, in  che  i  Romani,  giunti  al  vigore  supremo  della  po- 
tenza, facevano  opere  grandi  per  la  utilità  pubblica,  ma 
non  per  isfoggiare  in  lusso ,  usando  i  materiali  meno 
costosi,  e  componendo  la  parsimonia  di  questi  colla  so- 
lidità del  lavoro.  Lo  stile  è  analogo  a  quello  del  Tabu- 


593 
lario  di  Roma  costrutto  da  Catulo  conttìmporaueo  di  Sii- 
la, edificio  nel  quale  vedesi  pure  usato  con  gran  rispar- 
mio il  travertino,  mentre  in  genere  vedesi  posta  in  ope- 
ra la  pietra  gabina  tagliata  a  grandi  massi  quadrilateri. 
Ora  mancando  di  autorità  positive,  che  dichiarino  l'au- 
tore di  questo  ponte  magnifico,  riconoscendo  V  analogia 
con  altre  opere  della  era  sillana,  quale  fu  il  Tabulario, 
sapendosi  quanto  Siila  accrebbe  il  tempio  della  Fortuna 
prenestina  al  quale  questa  via  e  questo  ponte  conduce- 
vano, non  sarà  temerità  supporre  che  egli  per  agevola- 
re la  via  a  quel  tempio  facesse  ancora  questa  opera , 
che  dopo  oltre  20  secoli  ancora  serve  di  tramite  alla 
via  prenestina.  E  seppure  non  voglia  supporsi  fatto  da 
Cajo  Gracco  che  per  testimonianza  di  Plutarco  nella  sua 
vita,  tanta  cura  prese  delle  vie  consolari  l'anno  631.  di 
Roma.  Dii^i'V»    »t\'>wtI  lùioo  ou^n-tuTÌ    ennn  oaioo 

■|»;  .YIXX 
PONTE  SALARIO.  A  amomè 

l'ijìT  sb  y  ,  ».>JX')ia  ji»  ìt1f>qi,ifiq 
Ancor  questo  come  il  Nomentano  trae  nome  dalla 
via,  sulla  quale  si  trova,  cioè  la  Salaria,  circa  3.  m.  di- 
stante da  Roma,  ed  è  1'  ultimo  di  quelli  che  cavalcano 
l'Aniene  il  quale  poco  dopo  mesce  le  sue  acque  sulfu- 
ree nel  Tevere.  Or  questo  ponte  di  tutti  quelli  che  so- 
no sull'Amene  è  il  solo  che  sia  ricordato  negli  antichi 
scrittori,  e  ciò  fino  dall'  anno  di  Roma  394.  Impercioc- 
ché Livio  lib.  VII.  e.  IX  e  seg.  narra  che  i  Galli  pre- 
cisamente in  queir  anno  si  accamparono  al  terzo  miglio 
salaria  via  tram  pontem  Anienis  ^  ed  i  Romani  condotti 
dal  dittatore  Tito  Quinzio  di  qua  dal  fiume:  che  fra  le 
due  armate  era  il  ponte ,  il  quale  né  dagli  uni  né  da- 
gli altri  era  rotto  per  non  incontrare  la  taccia  di  timi- 
dezza; ed  inoltre  che  dagli  uni  e  dagli  altri  si  combat- 
teva per  occuparlo:  Pons  in  medio  erat  neutris  eum  rum," 

38 


594 

pentibus ,  ne  timoris  indicium  esset.  Praelia  de  occupando 
ponte  crebra  erant  ec;  e  che  questo  die  origine  alla  di- 
sfida del  Gallo ,  ed  alla  vittoria  del  giovane  Tito  Man- 
lio, il  quale  lo  uccise,  e  gli  tolse  il  torquesj  che  asper- 
so di  sangue  pose  intorno  al  suo  collo ,  onde  ebbe  dai 
soldati  il  cognome  di  Torquato,  che  poi  communicò  al 
suo  ramo  della  gente  Manlia.  Forse  a  quella  epoca  il 
ponte  era  di  legno:  certo  è  però  che  sul  finire  della  re- 
publica  fu  costrutto  di  massi  quadrilateri  di  tufa  liona- 
to tagliato  dalle  vicine  rupi  fidenati,  cogli  archivolti  di 
travertino,  e  di  questo  ponte  primitivo,  se  così  possia- 
mo chiamarlo ,  rimangono  ancora  molte  parti  e  special- 
mente gli  archi  minori,  poiché  questo,  come  il  Nomen- 
tano  ed  il  Mammolo  era  pure  formato  di  un  arco  gran- 
de e  due  piccioli.  Ma  anche  esso  fu  rotto  da  Tolila  , 
come  narra  Procopio  nella  Guerra  Gotica  lib.  III.  e. 
XXIV.  allorché  ritirossi  da  Roma  e  rifatto  da  Narsete, 
siccome  leggevasi  nelle  epigrafi  seguenti  scolpite  sui  due 
parapetti  di  mezzo  ,  e  da  varii  scrittori  di  antichità  e 
raccoglitori  di  lapidi  riportate,  le  quali  vi  sono  rimaste 
fino  all'anno  1798  in  che  i  Napoletani,  che  allora  occu- 
pavano Roma  inseguiti  dai  republicani ,  tagliando  i  pa- 
rapetti e  troncando  parte  del  ponte  le  gittarono  nel  fiu- 
me, dove  ancora  rimangono: 
.  '  Lato  destro. 

-''*OÌ  -     IMPERANTE  .  D  .  N  .  PIISSIMO  .  AC  .  TRIVMPflALI  .  SEMPER 
IVSTINIA»0  .  AVGVST  .  ANNO  .  XXXVUII  .  NARSES  .  VIR  .  GLORIOSISSIMVS  .  EX 
.PRAEPOS  .  SACRI  .  PALAIII  .  EXCONS  .  AXQTB  .  PAXRICIVS  .  POST 
.  ,  ,^^    VICTORIAR  .  GOTHICAH  .  IPSIS  .  EORVM  .  RE6IBVS  .  CELERI 
TATE  .  anRABItl  .  CONFIICTV  .  PVBLICO  .  STPERATIS  .  ATQVE 
'     '  PBOSTRATIS  .  LIBBRTATB  .  VRBIS  .  ROMAB  .  AC  .  XOTIVS  .  ITA 
'  "      LIAE  .  RESTITVTA  .  PONTBM  .  VIAE  .  SALARIAR  .  VSQTE  .  AD 
"i"^'  AQVAM  .  A  .  NEFANDISSIMO  .  TOTIIA  .  TYBANWO  .  DESTRVCTVM 
-If.di       PVRGATO  .  PLVWNIS  .  ALVEO  .  IN  .  MELIOBEH  .  BTATVM 
►^W.vn   mUTAM  .  QTONDAM  .  FVERAT  .  REHOVAVIT  .  POSVITCVE 


595 
Lato  sinistro  ■  ^  ^'"^ 

QVAM  .  BBNK  .  CVRVATI  .  DIRBCTA  .  EST  .  SEMITA  .  PONTIS  U|    O)?. 

ATQVB  .  INTBBBVPXVM  .  COHXmVATVR  .  ITBR  j  SqiJO&O     tìì 

CALCAKrS  .  RAPIDAS  .  SVBIBCTI  .  GVRGITIS  .  VlfDAS       -,j;;ji3fj|)    }{>    g| 

BT  .  LIBBT  .  IRATAB   .   CERNERE  .  MVRMVR  .  AQVAf_,,_  •        „  | 
ItB  .  IGITTR  .  FACILES  .  PBB  .  GAVDIA  .  VKSTRA  .  QV1RITB9L .  , 

lidBzomofìì 

BT  .  SPARSIM  .  RBSOMAIfS  .  PLAVSTS  .  VBIQVE  .  CAMAT 
QVI  .  POTVir  .  RIGIDAS  .  GOTHORVM  .  SVBDERB   .  MEKTBS     ''    ^  '  .  ®^""f{ 
HIC  .  DOCVIT  .  DVRVM  .  FLVBHNA  .  PBRRB      IVQYIl  *^     * 

Anche  sopra  di  questo  fu  nel  secolo  Vili,  eretta 
una  torre  di  difesa ,  poscia  ristaurata ,  e  fortiflcata  di 
nuoTo  nel  secolo  XV.  da  Niccolò  V.  e  nel  1829  distrut- 
ta. Di  là  dal  ponte  è  il  nucleo  di  un  antico  sepolcro  , 
sul  quale  nel  secolo  XIII.  fu  eretta  una  torre.  Quanto 
poi  alla  torre  demolita  del  ponte  che  dissi  essere  stata 
costrutta  nel  secolo  VIII.  credo ,  che  appartenesse  alle 
fortificazioni  fatte  su  questo  ponte  dai  Longobardi  che 
nell'anno  728  vennero  in  soccorso  di  Gregorio  IL  con- 
tro le  genti  di  Paolo  patrizio  ed  esarco  ;  imperciocché 
Paolo  Diacono  storico  contemporaneo  de  Gestis  Longo- 
bard.  lib.  VI.  e.  XLIX.  narra  che  quel  patrizio  mandò 
da  Ravenna  gente  per  uccidere  il  papa  ,  qui  ponti ficem 
interimerent }  ma  vi  si  opposero  i  Longobardi  del  duca- 
to spoletano  nel  ponte  salario:  sed  Langobardis  prò  de- 
fensione  pontificis  repugnantibm  spoletanis  in  Salario  pon- 
te: e  da  altre  parti  quelli  della  Toscana,  onde  la  trama 
di  Paolo  fu  sventata:  et  ex  aliis  partibus  Longobardi»  tu- 
scis  resistentibus,  consilium  Ravennatium  dissipatum  est. 

Nel  1378  per  testimonianza  dell'  Infessura  presso 
il  Muratori  R.  I.  S.  T.  IH.  P.  IL  p.  1115.  ai  16  di  lu- 
glio i  Brettoni  avventurieri  fecero  presso  a  questo  pon- 
te una  strage  grandissima  de'  Romani.  Questo  stesso 
scrittore  più  sotto  p.  1125  racconta,  come  ai  25  di  ago- 


596 

sto  1433  fu  occupato  da  Niccolò  Fortebraccio  e  ritenu- 
to per  poco  tempo.  Nel  1485  per  testimonianza  di  que- 
sto medesimo  scrittore  e  del  Nantiporto ,  ponte  salario 
fu  occupato  nel  marzo  dagli  Orsini  e  ritenuto  fino  ai 
18  di  decembre  di  quell'anno  medesimo. 

La  pianura  dintorno  al  ponte  salario  ricorda  fatti 
memorabili  della  storia  romana;  imperciocché  di  là  dal 
ponte  si  diede  da  Tulio  Ostilio  la  gran  battaglia  contra 
i  Fidenati  e  i  Vejenti,  nella  quale  fu  decisa  pel  tradi- 
mento di  Mezio  Sufezio  la  distruzione  di  Alba  Longa  : 
ivi  pure  fu  vinta  quella  contra  i  Sabini  da  Tarquinio 
Prisco;  ivi  rifulse  il  valore  di  Manlio  contra  il  Gallo, 
r  anno  394  di  Roma,  come  fu  notato  di  sopra,  azione 
che  forzò  i  Galli  a  torre  il  campo  e  ritirarsi  nelle  ter- 
re de'  Tiburtini:  ivi  accampossi  Annibale  contra  Roma: 
ivi  le  genti  sannitiche  condotte  da  Telesino  furono  di- 
sfatte da  Crasso  luogotenente  di  $illa,  ultimo  crollo  del- 
la fazione  mariana.        lu.^i  .?:.?»!>  u.  »  ;  -i   i~ 

Ponte  Salario  dà  nome  ad  una  tenuta  che  è  posta 
di  qua  dal  ponte  ed  appartenne  all'ospedale  di  ss.  San- 
ctorum,  confinando  colle  vigne,  col  Tevere,  coU'Aniene, 
e  co'prati  di  Acqua  Acetosa.  Essa  racchiude  il  sito  del- 
l'antica  città  di  Antemne,  della  quale  fu  parlato  a  suo 
luogo. 

.u^  ov,  PONTE  SCUTONICO. 

crac 

È  un  ponte  antico  costrutto  di  massi  quadrilateri , 
eretto  sopra  un  rigagnolo  che  scende  dai  colli  di  Ro- 
viano,  circa  35  miglia  lontano  da  Roma  sulla  via  Vale- 
ria, un  miglio  dopo  il  bivio  dove  questa  diverge  dalla 
via  sublacense.  L'Olstenio  nelle  note  al  Cluverio  lo  dis- 
se Stratonico:  il  Fabretti  ed  il  Revillas  col  volgo  lo  ap- 
pellano Scutonico  :  ignota  è  la  etimologia.  Nella  crona- 


597 

ca  sublacense  ricordasi  un  ponte*  Mara,  che  sembra  es- 
sere questo  medesimo ,  dove  nell'  anno  1183  fu  tenuto 
un  giudizio  dinanzi  Milone  vescovo  tiburtino ,  fra  Od- 
done economo  del  monastero  sublacense  e  Ricere  da 
Arsoli  sul  possesso,  o  dominio  diretto  della  Terra  di 
Arsoli,  nel  quale  la  sentenza  fu  favorevole  al  monaste- 
ro. Esso  è  lungo  22  piedi  e  mezzo ,  largo  18  ;  e  poco 
dopo  questo  ponte  andando  verso  Arsoli  vedesi  un  mu- 
ro di  sostruzione  costrutto  di  massi  poligoni,  lungo  qua- 
si 250  piedi ,  eretto  per  opporsi  allo  sfaldamento  delle 
terre  de'colli  sovraggiacenti  che  avrebbero  potuto  ingom- 
brare la  via  Valeria.  E  questa  è  una  delle  prove  molti- 
plici,  che  si  hanno,  dell'  essere  stata  in  uso  questa  co- 
struzione anche  presso  i  Romani,  Ono  alla  metà  almeno 
del  quinto  secolo  di  Roma.  >i 

i>  PONTE  SODO  V.  VEIL 

.i,niii;ii    .''  0  fOrnonii'VioU  ^o'»{Vf' .«  ,  wioB^  , 
ijtnjmoii  >l.        PONTON  DEGLI  ELCL 

Tenuta  dell'Agro  Romano  di  rubbia  116  e  mezzo, 
e  pertinente  ai  Massimi  per  successione  de'  Palombara: 
essa  è  circa  22  m.  distante  da  Roma  per  una  strada 
che  dirama  da  quella  di  Rracciano  a  sinistra  di  Crocic- 
chia.  Confina  colle  tenute  di  Fontana  murata,  Spanoro, 
Terra  di  Lite,  Tragliatella,  e  Riccia.  Dividesi  ne'quarti 
del  Fontanile,  delle  Capanne,  e  della  Grotta.  Il  suo  no- 
me sembra  derivare  dagli  alberi  che  un  tempo  la  co- 
privano, ^nijì  ,f! :'>(;<■!  jf A  M.ìjfftitfy ■}}''.  ,-ini  iiiiil<'il  .màfiél 
wMijio  1  r>'ym   ouiu  ,  .       '«i 

.    ::''^-flA   .'e.  ih  th. PONZANO.  PJ 

«      Terra  della  Comarca  nel  distretto  di  Castel  Nuovo 
di  Porto ,  sulla  riva  destra  del  Tevere  sotto  il  Soratte 


598 

33.  m.  distaili^  da  Roma,  e  circa  uno  dal  fiume  sovrain-^ 
dicalo,  la  quale  conlicne  665  abitanti.  La  sua  situazio- 
ne è  deliziosa,  e  la  contrada  selvosa.  Il  nome  deriv» 
da  un  fondo  della  gente  Ponzia,  il  quale  fino  dal  seco- 
lo X  apparteneva  ai  monaci  benedettini  del  vicino  mon- 
te Soratte,  che  fondarono  il  monastero  di  s.  Andrea  cir- 
ca due  miglia  distante,  detto  perciò  s.  Andrea  de  Pon-. 
zano,  e  de  Pontiano  nelle  carte  delenipi  bassi.  E  di  que- 
sto monastero  rimangono  vestigia;  la  chiesa  poi,  sebbe- 
ne cadente  esiste  ancora  in  una  pianura  amenissima. 
-moyfli  o)uK>q  o-jkIi! j  .  ^,gJi'ivo.-'.  ii{o:j')l)  ?)ti;)ì 

ilio.n  t)yov|  AW  PORCÀRECCINA.  ,U-y  ^\,  ,;[  .m-ut 

-U')      ;-'?    -jiii»     .-■-•.r     i    .  -1.:  ■'  :■■  ...fif 

Dji'wiTenuta  dell*  Agro  Romano  pertinente  ai  Borghese 
posta  fuori  di  porta  Cavalleggieri  a  destra  della  via  Cor- 
nelia, oggi  strada  di  Buccèa,  circa  8  m.  distante  da  Ro- 
ma, e  confinante  colla  strada  predetta  e  colle  tenute  di 
Mazzalupo,  Paola,  s.  Nicola,  Porcareccio,  e  s.  Rufina. 
Si  estende  per  rubbia  383  divise  ne'  quarti  denominati 
s.  Rufina,  Monte   Cetrolo,   Mazzalupo   e  Lanciafave. 

Questo  medesimo  nome  ha  pure  un'altra  tenuta  ap- 
partenente ai  Borghese  unita  a  parecchie  altre  che  fu 
scritta  all'art.  ACQVAVIVA. 

Quella  sovraindicata  sembra  in  parte  almeno  esse- 
re la  medesima  ricordata  nella  bolla  emanata  da  Cele- 
stino III.  l'anno  1192^  a  favore  delle  chiese  di  s.  Maria 
soprannomata  Domina  Rosa  e  di  s.  Lorenzo  in  Castella 
Aureo,  sotto  il  nome  di  Porcaritia,  Caput  Cabalum,  Ga- 
lerìam,  Rofanione,  Servilianum,  Arcionem,  Furnum  Sar- 
racenum  ec.  ;  che  si  dice  posta  appunto  circa  I'  ottavo 
miglio  sulla  via  Cornelia ,  fra  la  terra  di  s.  Angelo  in 
Pescaria,  i  casali  del  monastero  di  s.  Andrea  delle  An- 
celle del  Signore,  il  fondo  Vivarolo,  la  terra  dell'episco- 
pio di  s.  Rufina,  ed  i  fondi  di  Memolo  e  Priscello.  Va- 


599 

le  a  dire  che  essa  tu  parte  di  quella  confinante  detta 
Porcareccio.  Sembra  che  Innocenzo  III.  nel  dotare  l'ospe- 
"dale  di  s.  Spirito  di  terre  gli  assegnasse  ancor  questo 
fondo,  il  quale  secondo  il  Saulnier  rimase  a  s.  Spirito 
fino  all'anno  1527,  quando  pel  sacco  di  Borbone  fu  ven- 
duto ai  Massimi  insieme  con  altre  terre  per  27,600  scu- 
di siccome  si  trae  da  documenti  esìstenti  nell'  Archivio 
Chigiano,  e  nell'Archivio  Massimi.  Ritennero  i  Massimi 
questa  tenuta  fino  al  principio  del  secolo  XVIII.  e  po- 
scia passò  ai  Borghese.  -"^^'r^ 

Hìn'vg     (iibh     qIììimÌ  ,iO^     ^iitl'J    b9,i;'^>"'^ 

maih  io  o!  PORCARECCIO.      '  '  "'       -"      !<! 

'.{il  Tenuta  confinante  colla  precedente,  ma  oggi  è  di- 
visa in  due  dette  di  Porcareccio,  e  di  Paola,  ambedue 
pertinenti  all'  ospedale  di  s.  Spirito.  E  quanto  a  Porca- 
reccio, comprende  questa  894  rubbia  divise  ne'quarti  di 
Mazzalupo  e  s.  Lucia:  Fontanile  e  Montespaccato:  Fon- 
tanile Arenato  e  Campo  Santo  :  e  Pantan  Monastero. 
Confina  colle  tenute  di  Paola,  Primavalle,  Acquafredda, 
Maglianella,  Selce,  e  s.  Rufina.  Secondo  il  Saulnier  fu 
questo  fondo  donato  all'  ospedale  di  s.  Spirito  da  Gio- 
vanni di  Balluès  cardinale  francese  l'anno  1491.  Il  ca- 
sale è  certamente  fondato  presso  le  rovine  di  qualche 
villa  antica,  poiché  molti  frammenti  di  marmo  veggonsi 
ivi  sparsi  d'intorno.  Leggesi  in  alcuni  scritti  che  a  Por- 
careccio fu  scoperto  sul  finire  del  secolo  passato  il  mu- 
saico, che  oggi  adorna  il  pavimento  della  sala  delle  Mu- 
se al  Vaticano:  esso  propriamente  venne  alla  luce  nella 
parte  smembrata  di  questa  tenuta ,  oggi  nota  col  nome 
di  Paola,  e  precisamente  nel  confine  di  quella  di  Castel 
di  Guido,  dove  fu  la  villa  di  Lorio  degli  Antonini. 


600 

(,.i-.i»    y;ofiia!i!0'.    =  PQ&CIGLJÀNO*  -«•>  !>.]■:  o-jib  n  <  i 

oMónVasto  ienimento  dell'Agro  Romano  posto  fralle  vie 
ostiense  e  laurentina  il  quale  con  titolo  di  baronìa  ap- 
partenne ai  Del  Nero ,  ed  oggi  al  Barone  Grazioli  e 
comprende  rubbia  2102.  Confina  colla  spiaggia  del  ma- 
ircjè.eolle  tenute  di  Fusano,  Trafusa,  Decima,  Tor  dfe* 
Cenci,  Trafusino  e  Capocotta. 

Il  casale  è  un  picciolo  castello ,  situato  sopra  un 
diverticolo  antico,  che  univa  la  via  ostiense  alla  lauren- 
tina, ed  ebbe  nome  da  un  qualche  fondo  della  gente 
Procilia,  gente  di  origine  lanuvina,  della  quale  ci  riman- 
gono frequenti  medaglie  battute  neir  ultimo  periodo 
della  Republica,  onde  da  fundus  Procilianus  i  moderni 
fecero;  Porciliano ,  e  Porcigliano.  La  forma  di  questo 
castello  si  accosta  alla  quadrangolare  :  il  suo  recinto  è 
difeso  da  torri  costrutte  verso  la  metà  del  secolo  XV. 
Due  colonnette  di  granito  bigio  dinanzi  la  porta  attesta- 
no antiche  fabbriche  avere  occupato  questo  luogo.  II 
palazzo  è  in  parte  opera  del  secolo  XIII.  in  parte  del 
secolo  XV.  e  la  torre  altissima  costrutta  di  scaglie  de* 
poligoni  di  selce  dell'antica  via  spezzati  è  forse  ancora 
anteriore  al  XIII.  secolo.  Sulla  piazza  vidi  addossato  al 
muro  delle  case  un  bassorilievo  del  tempo  della  deca- 
denza rappresentante  un  Eques  Singularis^  e  presso  di 
esso  capitelli  di  ordine  jonico  ben  lavorati.  Ivi  pure  è 
l%<jfipidesepalcral«  seguente:  -  ^i..  ■,„..-  .... 

-lìlt  'jV.'i' .   -n>-   i'i^'':      ■  ,  ri !Ui\  Vi  uruòi'.  i^go/*ib  fOvii^c 
f4l9fl  9^uì  fÀ\%  'ìttm'i  o)a9tT;i^iiqvrH{  <;>''&9  :<3<ic:>iiiCf  m>  .9« 
•^raoit  J4>')  JiJo9  hy%o  ,  «stun'ìl  aj«;'iiip  ih  KlBidfU'Miii  ej-iiiq 
l'iJfcfi^  ih  ftll9i||ì  il>  màm-ì  ha  ')ìiKmii:iv>'ni\  ^i ^kiovH  il 
.ÌJiiflOlJiA  il<;^b  lOhoJ  Hi  felli:/  tìl  là  y/oh  ^i\\t\ìì%\  if 


601 

D.  M.  .    ii 

T  .  TERENTivS  .  SECVNDVS  ^    J 

-  i,.  FECIT  .  SIBI  ,  ET  .  TERENTIAE 

-39l»  ir.     AMPLIATIANAE .  FILIAE .  SVAE        i  '  iq  •  »' 
ET  . VLPIAE  .  FAVSTINAE  .CON 
IVGI .  CARISS .  ET  .  TERENTIAE 
!  I  FAVSTINAE .  FILIAE  .  DVLCISS       1   i^*i}u<. , 

ET  .  LIB  .  LIBERTABVSQ  .  SVIS    i  i»iiJo?20ifj 
POSTERISQ  .  EORVM  '     ^ 

La  chiesa  è  sotto  l' invocazione  della  Vergine  del 
Soccorso,  e  sembra  per  la  costruzione  opera  del  secolo 
XIV:  sull'altare  maggiore  vidi  l'immagine  della  Vergine 
titolare  rappresentata  col  fulmine  nella  destra.  Molti  al- 
tri frammenti  di  marmo,  rocchi  di  colonne,  capitelli  di 
ordine  composito  del  tempo  de'  Flavii  sono  sparsi  pel 
casale.  Grandi  scavi  si  fecero  entro  questo  tenimento 
dal  principe  Sigismondo  Chigi  negli  anni  1777  e  seg. 
fino  al  1784^  e  la  nota  degli  oggetti  trovati,  che  furo- 
no molti  può  leggersi  nell'opera  postuma  di  Fea  intito- 
lata Miscellanea  Filologica,  Critica,  Antiquaria  Tomo  II. 
p.  214.  e  seg.  testé  publicata,  come  pure  nella  Raccol- 
ta intitolata  Monumenti  Antichi  Inediti  del  Guattani,  an- 
no 1784.  Dagli  oggetti  trovati  pare  potersi  dedurre  che 
quella  villa  appartenesse  alla  epoca  degli  Antonini. 

Da  Roma  a  Porcigliano  può  andarsi  per  la  via  ostien- 
se ,  deviando  a  sinistra  alla  stazione  di  Malafede  circa 
10  m.  2  distante  da  Roma:  le  vestigia  dell'antico  pavi- 
mento di  poligoni  di  lava  basaltica,  mentre  la  fanno  ri- 
conoscere per  una  via  antica,  mi  fanno  inclinare  a  rav- 
visarvi il  diverticolo  ricordato  da  Plinio  il  giovane  nel- 
la epistola  XVII.  del  lib.  II.  pel  quale  andava  alla  sua 
villa  laurentina.  Or  seguendo  questa  strada  si  sale  la 
pendice  meridionale  del  dorso  di  Decimo  e  sul  ripiano 
si  ha  una  veduta   amplissima   della  valle  sottoposta  :  a 


mi 

destra  la  selva  ostiense  lambisce  quasi  la  via.  Poco  più 
di  un  miglio  dopo  trovansi  entro  il  lenimento  di  Por- 
cigliano  ruderi  rivestiti  di  signino,  avanzi  forse  di  an- 
tica piscina:  a  destra  un  sentiero  conduce  alla  così  det- 
ta capanna  dell'  Inferno.  Due  miglia  dopo  Malafede  si 
gode  una  veduta  magnitica  della  spiaggia,  e  quindi  in- 
contrasi la  cappella  rotonda  di  s.  Croce  ,  e  dirimpetto 
presentasi  il  castello  di  Porcigliano. 

Un'altra  strada  conduce  a  Porcigliano  dal  canto  di 
Decimo  e  distaccasi  a  destra  della  via  laurenlina  dopo 
quel  casale,    jijo  :Mrl\ifti'iO''  r.i  vx]  r,**dfp"'-:  ^  .ono-^nofi 

Da  Porcigliano  una  strada  arenosa  di  4.  m.  condu- 
ce al  mare  a  Tor  Paterno,  raggiungendo  l'antica  via: 
questa  traversa  una  parte   della  selva  laurentina.    '1  ni 

i.-i.  '   i'ib  oi.  ifth'w 

^,:riHmit'i-     :ì:mì:    PORTA  NEVOLÀ.ni,^  Ihauiu   Mt^a:. 

..;  Taglio  eseguito  nel  tufa  nella  strada,  che  da  Tivo- 
li per  le  Capannelle  conduce  a  Poli  passando  fra  s.  Vit- 
torino e  Corcolle ,  e  che  perciò  fu  indicato  nella  carta. 
Esso  dicesi  ancora  1'  Arco  di  Olevano.  Il  lavoro  credo 
che  debba    ascriversi  ai  tempi  bassi.  '    r^v.ioVtìm  ti^ 

'■{fìii    >  ■  -Isf^VI  o/i 

.n;,.Min'/.   Ì^O&TO  e  FIUMICINO.  ''     '^'""M' 

Gli  astronomi  Conti  e  Ricchebach  determinarono 
definitivamente  la  latitudine  del  segnale  della  Torre  di 
Fiumicino  a  41°.  46'.  14.''  6  e  la  longitudine  a  29°.  53'. 
4."  9.  È  Fiumicino  il  nome,  che  si  dà  alla  foce  destra 
del  Tevere,  [foce  siccome  vedremo  artificiale,  alla  torre, 
che  la  difende  ,  ed  alla  borgata  che  negli  anni  scorsi 
ivi  fu  edificata  per  le  cure  di  Belisario  Cristaldi  teso- 
riere generale  della  Camera  Apostolica,  bii'ii::  'dìIihìu 
fc      Questa  borgata  è  succeduta  all'antica  città  di  Por- 


to  la  quale  trova  vasi  due  buone  miglia  più  entro  ter- 
ra, cioè  circa  16  m,  fuori  di  porta  Portuenseprimitiva. 
Infatti  Procopio  Guerra  Gotica  lib.  I.  e.  XXI.  calcola 
la  distanza  di  Porto  dalla  porta  Portucnse  oi>riana  che 
era  un  poco  più  in  fuori  dell'antica,  a  stac  126,  pari 
a  in.  romane  antiche  15  e  tre  quarti,  sempe  ntenden- 
do  per  la  via  portuense  antica,  poiché  per  à  stiada  mo- 
derna che  scavalca  i  monti  invece  di  lanroirnc  la  base 
sono  circa  14.  m.  e  mezzo  moderne,  alquanto  più  lun- 
ghe delle  antiche,  fra  la  porta  Portcse  atualee  le  pri- 
me fabbriche  dell'antica  città.  Quindi  il  nimer(  XVIIII 
dell'Itinerario  di  Antonino  va  corretto  in  XVI, tale  es- 
sendo di  fatto  la  distanza  di  questa  città  dah  porta 
antica  di  Roma  per  la  via  antica.  D'  altronde  ;  vide  , 
che  Ostia,  città  posta  dirimpetto  a  Porto  sull'alti  spon- 
da del  fiume  era  egualmente  16  m.  distante  d  Roma 
per  la  via  ostiense  antica  che  era  parallela  aa  Por- 
tuense. ili  '«is\i,iVj  ?.viVjii\\  fc>ai33')»«"»  .%wy^  . 

Ho  detto  poc'anzi  che  la  foce  destra  del  Ivere  è 
artificiale,  e  questa  e  chiamata  co)  nome  di  Fiuicino, 
o  canale  di  Fiumicino.  È  nota  la  questione  agita  an- 
cora in  questi  ultimi  tempi,  se  il  Tevere  sboccasi  sem- 
pre nel  mare  con  due  foci,  ovvero,  se  sboccand< origi- 
nalmente con  una,  l'altra  sia  stata  aperta  dalla  mio  de- 
gli uomini ,  onde  agevolare  lo  scarico  delle  ac(]e  nel 
mare,  ed  avere  al  tempo  stesso  un  alveo  più  rjolare 
e  più  adatto  alla  navigazione,  questione,  che  presnden- 
do  dall'autorità  degli  antichi  scrittori,  e  da'monnenti, 
potrebbe  anche  risolversi  dalla  ispezione  locai»  Oggi 
però  può  dirsi  decisa  irrevocabilmente  dopo  qujto  ne 
scrissero  l'illustre  avv.  Fea  in  due  opuscoli  che  enne- 
ro  alla  luce  l'  anno  1824 ,  ed  il  chiaris.  Rasi ,  nsole 
emerito  del  re  di  Sardegna,  nella  dissertazione  s  Por- 
lo Romano,  di  Ostia  e  di  Fiumicino.    Tutti    gliantichi 


scrittori  :  greci  che  latini,  anteriori  al  secondo  secolo 
della:  era  i'olgare,  i  quali  parlano  del  Tevere,  della  sua 
foce .,  e  dlla  edificazione  di  Ostia  ,  non  solo  mai  non 
fan  mottodi  più  di  una  foce,  ma  se  con  qualche  mag- 
giore parLoIarità  trattano  della  imboccatura ,  aperta- 
mente la  ^eludono.  Una  sola  foce  riconobbe  Dionisio 
lib.  III.  :.  ^LIV,  una  ne  riconobbero  Cicerone  de  Repu- 
blica  lib  II.  i.  III.  e  V  ,  Livio  Uh.  I.  e,  XXXIII.  lib. 
XXIX.  z.  XV,  Virgilio  Aeneid.  lib.  VII.  v.  31,  Strabo- 
ne  lib.  L  e.  Ili,  e  Messala  Corvino  De  Prog.  Augusti^ 
né  Pomjonio  Mela,  né  Plinio,  né  alcun  altro  scrittore 
che  ci  iman^a  parlano  mai  di  due  foci,  prima  di  Ru- 
tilio  Nmaziano,  che  scrisse  il  suo  viaggio  burdigalen- 
se  poc(  dopo  l'anno  409  della  era  volgare,  il  quale  co- 
sì si  epresse:  Itin.  lib.  I.  v.  179  e  seg.  li  ,inìA>  jìÌ  . 
Ì.J,  Im  demum  ad  naves  gradior,  qua  fronte  bicorni 
_.j,  Dividuus  Tiberis  dexteriora  secat.        .       ..-.        j 

levus  inaceessis  fluvius  vitatur  arenis  ,y<AVìi}\ 

Hospitis  Aeneae  gloria  sola  manet.  lì'th  (..til 
E  doj  lui  frequentemente  le  due  foci  si  ricordano,  co- 
me d  Elico  nella  sua  Cosmografia ,  scritta  anche  essa 
nel  s.olo  V.  da  Procopio  Guerra  Gotica  lib.  I.  e.  XXVL 
nel  s;olo  seguente,  ec.  Ma  chi  scavò  questa  foce  arti- 
ficiali Certamente  da  ciò  che  si  è  notato,  niuno  prima 
di  Vpasiano ,  poiché  Plinio  ,  che  scrisse  la  sua  opera 
veracnte  classica  della  Storia  Naturale  sotto  quell'im- 
pera(re ,  non  parla  allatto  delle  due  foci ,  siccome 
poc'a'i  osservai:  dunque  non  è  anteriore  a  lui.  Fea  fu 
il  prio  a  riconoscere  autore  di  essa  Trajano  appoggian- 
dosi! un  passo  di  Plinio  il  giovane,  nipote  di  quello 
testèiominato,  il  quale  descrivendo  nella  lettera  a  Ma- 
crinoche  è  la  XVII.  dei  libro  Vili,  la  grande  inonda- 
zioaelel  Tevere  avvenuta  sotto  Trajano  dice  :  Tiberis 
alveur.  excessit  et  demissioribus   ripis   alte   super funditur. 


^5 
Quamquam  FOSSA,  quam  providenlissimm  imperatoìecity 
EXHAUSTUS,  premit  valles,  innatat  campis,  quoque  ptum 
solum  prò  solo  cernitur.  Quantunque  in  questo  pas  non 
si  determini  precisamente  il  sito  dove  Trajano  lesse 
scavar  la  fossa  per  esaurire  le  acque  del  fiume,  to- 
pografia del  corso  del  Tevere  necessariamente  p-a  a 
riconoscerla  nella  vasta  pianura  che  si  apre  fraiionti 
di  s.  Paolo  sulla  riva  sinistra,  e  quelli  di  Ponte  alerà 
sulla  destra;  ora  in  tutto  questo  tratto  altra  fos  arti- 
ficiale antica  non  apparisce  che  l'alveo  del  canale  Fiu- 
micino, d'  uopo  è  conchiudere  che  questo  sia  fossa 
della  quale  parla  Plinio.  E  d'altronde  grandi  l^ri  fe- 
ce queir  ottimo  imperadore  da  questa  parte,  crecisa- 
mcnte  a  Porto ,  dove  aggiunse  al  porto  di  Cldio  un 
porto  interno  di  un  miglio  e  mezzo  di  circonfe^za  che 
ancora  ne  conserva  il  nome  ,  e  lungo  il  qua  si  apre 
appunto  il  canale  di  Fiumicino.  L'anno  scorsdcendosi 
scavi  fralle  rovine  di  Porto  si  scoprì  una  grie  iscri- 
zione di  Claudio,  che  riporterò  più  sotto,  ne!  quale  si 
nota,  come  quell'imperadore  per  la  costruzio  del  suo 
porto  scavò  fosse  dal  Tevere ,  e  che  fatte'  sboccare 
nel  mare ,  liberò  Roma  dal  pericolo  della  indazione  : 
iscrizione  pregevole  è  questa  per  ogni  riguio,  e  che 
conferma  quanto  asserii  di  sopra ,  che  solia  questa 
parte  potevano  aprirsi  canali,  onde  liberare  oma  dalle 
inondazioni ,  ma ,  che  appunto  non  allude  quello  di 
Fiumicino  che  è  una  sola  fossa  e  non  più  aie  dice  la 
iscrizione  e  che  sembra  dal  silenzio  di  Pio  seniore 
non  poter  far  parte  di  uno  di  que'tali  canaii  Claudio, 
ma  essere  posteriore  a  quelli,  e  forse  fattoon  più  av- 
vedutezza da  Trajano  ad  imitazione  di  que  che  furo- 
nu  scavati  solo  alla  circostanza  de'lavori  deiorto,  OPE- 
RIS  PORTV  CAVSSA  e  non  furono  affatl^ìermanenti, 
come  poi  rimase  questo:  servirono  cioè  pt  quella  sola 


606 

volta  iranle  il  lavoro.  Conchiudesi  pertanto  non  poter- 
si ricoscere  nel  Tevere,  che  una  sola  foce  originale  : 
esser^uella  di  Fiumicino  artificiale  ed  opera  di  Tra- 
jano,  tta  ad  imitazione  di  quelle  fosse  un  tempo  sca- 
vate <  Claudio  ed  essere  stata  aperta  nel  doppio  sco- 
po di  Ivar  Roma  dalle  inondazioni,  e  di  agevolare  la 
naviga)ne  del  fiume.  Inoltre  gittando  lo  sguardo  sulla 
carta  1  corso  del  Tevere ,  a  prima  vista  si  riconosce 
essere  canale  di  Fiumicino  un  taglio  artificiale  aper- 
to sulUponda  destra  del  fiume  dal  tronco  principale 
delle  s  acque.  Da  Procopio  citato  di  sopra  si  trae  , 
che  circl'anno  540  della  era  volgare  le  due  foci  era- 
no eguqente  navigabili.  Io  credo  che  quella  di  Fiu- 
micino tmantenesse  tale  fino  a  tanto  che  i  porti  di 
Claudio,  ii  Trajano  rimasero,  essendo  necessaria  onde 
manteneite  communicazioni  dirette  fra  i  porti  mede- 
simi ed  ilime.  Ma  dopo  che  il  porto  Claudio  colmos- 
si  di  sabl,  ed  il  Trajano  precluso  dal  mare  divenne 
uno  stagr,  almeno  fin  dal  secolo  X.  giacché  tale  lo 
mostra  unoolla  di  Giovanni  XVI.  data  V  anno  992  e 
riportata  d'Ughelli,  ancor  questa  foce  cominciò  insen- 
sibilmente l  abbandonarsi ,  e  si  tornò  a  frequentare 
quella  di  (ia  come  ne'tempi  primitivi:  e  l'ultima  me- 
moria che  iabbia  trovato  della  navigazione  del  canale 
portuense  aartiene  all'anno  1118,  quando  per  testimo- 
nianza di  Pdolfo  Pisano  presso  il  Muratori  R.  I.  S. 
Tomo  III.  H.  p.  385  Gelasio  II.  volendo  lasciar  Ro- 
ma discese  i  Tevere  fino  alla  città  di  Porto  con  due 
galere,  e  doj  avere  aspettato  a  cagione  di  una  tempe- 
sta entrò  nemare.  Dopo  quella  epoca  fino  al  secolo 
XVII.  trovo  aipre  ed  unicamente  seguita  la  foce  ostien- 
se da  quelli  e  entravano,  o  uscivano  dal  Tevere.  Pio 
II.  nel  secolo  V.  descrivendo  le  rovine  di  Porto  ne'suoi 
commentarli  istra  apertamente  che  a'suoi  giorni  que- 


607 
sto  canale  non  era  pratticabllc ,  quantunque  però  possa 
dirsi  che  sussisteva,  poiché  si  vede  tracciato  in  una  car- 
ia dell'anno  1557  data  in  luce  in  occasiono  della  guer- 
ra fra  Paolo  IV  ed  il  duca  di  Alba.  Ora  questa  foce 
artificiale  nelle  bolle  riportate  dall'Ughelli,  pertinenti  al- 
l'anno 1026  e  1049  ed  emanate  da  Benedetto  Vili,  e 
Leone  IX.  si  designa  col  nome  di  Focem  Micinam  la  fo- 
ce picciola,  a  differenza  di  quella  di  Ostia  che  è  molto 
più  larga:  e  da  ciò  derivò  il  nome  moderno  di  Fiumi- 
cino del  quale  in  Fulvio  s'  incontra  il  primo  esempio. 
Frattanto  l'abbandono  in  che  durante  i  tempi  bassi  era 
rimasta  la  navigazione  del  Tevere  portò  a  tale  stato  di 
decadimento  1'  altra  foce  ,  che  sul  declinare  del  secolo 
XVI  r  ing^resso  nel  fiume  dal  canto  di  mare  erasi  reso 
altamente  pericoloso.  Quindi  nel  duro  frangente  di  per- 
dere affatto  la  navigazione  del  fiume  ,  la  fossa  Trajana 
fu  ripurgata  per  ordine  di  papa  Gregorio  XIII.  essendo 
vescovo  di  Porto  il  card.  Corneo,  ed  architetto  di  que- 
sto lavoro  secondo  il  Baglioni  fu  Giovanni  Fontana  ,  il 
quale  munì  questo  canale  di  una  palificata  alla  foce. 
Questa  opera  ebbe  corta  durata ,  e  forse  causa  ne  fu 
la  straordinaria  inondazione  del  Tevere  avvenuta  nel 
1598.  11  canale  fu  ripurgato  di  nuovo  sotto  Paolo  V. 
per  opera  dello  stesso  Fontana  1'  anno  1612,  e  di  que- 
sto lavoro  una  memoria  si  legge  nella  iscrizione  affissa 
nella  dogana  di  Capo  due  Kami  incontro  al  biforcamen- 
lo  del  fiume,  nella  quale  fra  le  altre  cose  si  dice  esse- 
re pericoloso  l' ingresso  per  la  foce  naturale  ,  essersi 
aperto  il  canale  verso  1'  occaso,  e  munito,  cioè  rinfian- 
cato  da  palizzate.  Il  punto  del  biforcaraento  del  fiume 
si  distingue  per  un  gruppo  dì  pioppi.  Nel  quinto  secolo 
per  testimonianza  di  Etico  il  Cosmografo  la  ripa  destra 
del  Tevere  presso  la  diramazione  appcilavasi  Sextum  Phi- 
lippi  e  Praedium  Missaìe:  ivi  secondo  il  Boldetti  p.  540 


608 

fu  un  cemeteria  cristiano  detto  di  Generosa,  che  io  vi- 
di scavare  1'  anno  1822 ,  allorché  cercavansi  materiali 
per  la  nuova  strada  di  Porto:  i  corpi  erano  posti  l'uno 
sopra  r  altro  a  molti  strati ,  coperti  di  tegole,  in  tante 
fosse  diverse,  capaci  ciascuna  di  un  solo  corpo. 

Dalla  epoca  però  in  che  Trajano  scavò  questa  fos- 
sa il  canale  per  gl'interrimenti  successivi  del  Tevere  si 
è  prolungato  per  1735  metri  ;  e  siccome  vi  sono  punti 
fissi  di  diversi  tempi,  questi  interrimenti  possono  calco- 
larsi colsi:  dalla  epoca  di  Trajano  all'  anno  1450  metri 
150  :  dal  1450  al  16G2  metri  950  :  dal  1662  al  1774 
metri  150:  dal  1774  al  1837  metri  185.  I  punti  fissi 
sono  la  estremità  del  porto  di  Claudio,  la  torre  di  Nic- 
colò V.  del  1450:  quella  di  Alessandro  VII.  del  1662; 
e  quella  di  Clemente  XIV.  del  1774. 

.  :  Ora  veniamo  alle  memorie  storiche  di  Porto.  Nel 
trattato  di  pace  conchiuso  frai  Latini  e  gli  Etrusci  cir- 
ca 400  anni  avanti  la  fondazione  di  Roma  si  convenne 
che  l'Albula,  poscia  chiamato  Tevere  servirebbe  di  fron- 
tiera ai  due  popoli:  Livio  lib.  I.  e.  III.  Fragli  Etrusci 
i  Vejenti  erano  i  più  vicini  al  fiume  verso  il  mare,  e 
perciò  a  loro  appartenne  tutta  la  sponda  destra  di  esso 
dal  confluente  del  Capena,  oggi  Gramiccia,  fino  al  ma- 
re ;  in  guisa  che  quel  tratto  ancora  di  terra  che  dopo 
l'apertura  della  fossa  trajana  diventò  isola,  e  che  ritie- 
ne il  nome  antico  di  Sacra,  fu  in  origine  parte  del  ter- 
ritorio vejente.  La  guerra  che  essi  ebbero  a  sostenere 
con  Romulo  li  privò  delle  terre  sulla  sponda  destra  del 
fiume,  che  immediatamente  dominano  Roma,  nelle  qua- 
li sette  pagi  o  borgate  sorgevano  che  facevano  dare  il 
nome  di  Sette  Pagi,  o  Settempagio  al  distretto,  siccome 
ricavasi  da  Dionisio  lib.  II.  e.  LV.  e  da  Plutarco  nella 
vita  di  Romulo  e.  XXV.  Quest'ultimo  scrittore  vuol  de- 
rivarne la  etimologia  dall'essere  la  settima  parte  dell'a- 


609 
grò  Ycjente,  ed  aggiunge  concordemente  a  ])ionisio  che 
i  Vejcntì  dovevano  allontanarsi  dalle  saline  che  avcano 
formato  lungo  il  fiume,  e  che  diedero  inoltre  50  ostag- 
gi. Questo  trattato  fu  segnato  V  anno  38  di  Roma ,  e 
tale  cessione  fu  consolidata  per  la  vittoria  ,  che  Tulio 
Ostilio  riportò  sopra  gli  stessi  Vejenli  l'anno  88  descrit- 
ta da  Dionisio  lib.  III.  e.  VI.  e  seg.  e  da  Livio  lib.  L 
e.  XXVII.  Le  vittorie  di  Anco  estesero  il  dominio  ro- 
mano sopra  tutte  le  terre  vejenti  lungo  il  Tevere ,  da 
Roma  fino  alla  foce  del  Tevere  :  allora ,  secondo  Livio 
lib.  I.  e.  XXXIII.  furono  tolte  ai  Vejenti  la  selva  Me- 
sia,  e  le  Saline:  e  tutte  le  terre  fra  il  Gianicolo^  l'Ar- 
rone,  il  Tevere  ed  il  mare.  Questa  grande  amplia/ione 
di  territorio  sulla  riva  destra  del  fiume  ,  e  sopra  tutto 
il  dominio  su  tutto  il  corso  del  Tevere  fino  al  mare,  por- 
tò il  re  di  Roma  ad  edificare  la  città  di  Ostia  sulla  riva 
sinistra  del  fiume  presso  alla  foce:  il  gomito  che  il  Te- 
vere ivi  formava  servì  di  porto  a  Roma,  secondo  Ero- 
diano  lib.  I.  e.  XI  :  ed  esso  serviva  di  ancoraggio  alle 
navi  da  guerra  ed  a  quelle  da  carico  della  portata  di 
3000  pesi:  veggansi  Livio  lib.  XXII.  e.  XXXI.  Cicero- 
ne prò  Lege  Manilla  e.  XII.  Dionisio  lib.  III.  e.  XLIV. 
Quanto  alle  navi  di  maggiore  portata  fermavausi  dinan- 
zi la  foce,  dove  accorrevano  ad  alleggerirle  barche  da 
trasporto.  Ma  lo  imboccare  ne'  fiumi  dipende  essenzial- 
mente dal  vento,  e  dalla  giacitura  de'  banchi  di  sabbia 
che  si  vanno  formando  ogni  giorno,  e  che  ad  ogni  mo- 
mento a  seconda  delle  correnti  del  mare  e  del  soffio  dei 
venti  cangiano  forma  e  direzione,  ed  or  si  prolungano, 
or  si  dilatano  ,  ora  si  torcono ,  ora  si  affilano.  Laonde 
accadeva  spesso  che  l'entrar  nella  foce  tiberina  era  in- 
terdetto per  più  e  più  giorni,  e  le  navi  che  portavano 
le  vettovaglie  a  Roma  doveano  o  prendere  il  largo  o 
diriggersi  ad  altri   ponti.  Or  quando  si  rifletta  al  biso- 

39 


«10 

gno  che  sul  declinare  della  Republica  avca  la  popola- 
zione di  Roma  de'grani  della  Sicilia,  dell'Affrica  roma- 
na^ e  dell'Egitto,  può  aversi  una  idea  del  pericolo  a  che 
trova  vasi  ogni  giorno  esposta  di  soggiacere  a  fierissime 
carestie.  Cesare ,  secondo  Plutarco  e.  LVIII.  fra  tanti 
disegni  che  macchinava,  concepì  pur  questo  di  porre  un 
rimedio  finale  a  questo  male  col  purgare  dalle  sabbie 
agglomerate  i  dintorni  del  littorale  ostiense,  onde  poter 
formare  porti  e  stazioni  capaci  da  poter  dare  asilo  al- 
le navi  senza  che  venissero  forzate  ad  entrare  nel  fiu- 
me. Ma  questo  come  tanti  altri  progetti  fu  troncato 
dalla  sua  morte.  Svetonio  nella  vita  di  Claudio  e.  XX. 
espone  che  la  formazione  di  un  porto  ostiense  era  sta- 
ta più  volte  agitata  e  sempre  abbandonata  per  la  difli- 
colt^  della  impresa.  Frattanto  per  la  natura  del  fiume, 
ed  il  continuo  infuriare  de'  venti  di  lebeccio  nella  sta- 
gione invernale  la  foce  del  fiume  ogni  giorno  diveniva 
meno  accessibile,  come  può  trarsi  da  ciò  che  dicono 
Dionisio  e  Strabone,  che  la  descrivono  a'  loro  giorni,  e 
per  conseguenza  il  pericolo  delle  carestie  diveniva  più 
urgente:  e  di  una  fortissima  che  si  fece  sentire  ai  tem- 
pi di  Augusto  ne  ha  conservato  la  memoria  Patercolo 
lib.  II.  e.  XCV.  Assai  più  frequenti  si  resero  a'  tempi 
di  Claudio,  come  può  vedersi  nel  Pagi  Critica  in  Ann. 
Baronii  an.  XLII.  il  quale  pose  ogni  studio  a  rimediar- 
vi accordando ,  secondo  Svetonio  e.  XVIII.  esenzioni  e 
premii  e  rifacendo  i  danni  a  quelli  che  facevano  giun- 
gere in  Roma  le  vettovaglie  durante  l' inverno. 

Ma  conoscendo  ,  che  il  male  non  poteva  vincersi 
conquesti  mezzi,  fin  da'primi  anni  del  suo  regno,  pren- 
dendo occasione  da  una  forte  penuria  di  grani  che  infie- 
riva in  Roma ,  propose  in  senato  di  fare  un  porto  ad 
Ostia,  secondo  Dione  lib.  LX.  e.  XI;  e  Quintiliano  Inst. 
Orai.  lib.  III.  e.  Vili,  ci  ha    conservato  la  formola   di 


mi 

quella  proposizione:  An  Portm  fieri  Ostiae  possit  ?  EgU 
die  libero  corso  ai  dibattimenti,  udì  pure  il  parere  de- 
gli architetti  che  vollero  sgomentarlo  colla  enormità  del- 
la spesa,  e  finalmente  decise  di  aprire  il  porto  sulla  ri- 
va destra  del  fiume  circa  2  m.  distante  dalla  sua  foce. 
Ma  di  quella  gigantesca  impresa  non  ci  rimangono,  che 
le  vestigia ,  e  la  memoria  che  ce  ne  hanno  conservato 
Svetonio,  Dione,  e  Giovenale:  e  la  sorte  invidiocci  per- 
fino quella  parte  degli  Annali  di  Tacito  che  ne  parlava. 
Svetonio  così  si  esprime:  Portum  Ostiae  extruxit  circum- 
ducto  dextra  sinistraque  brachio,  et  ad  introitum,  profundo 
iam  salo,  mole  ohiecta,  quanti,  quo  stabilius  fundaret,  navem 
ante  demersit^  qua  magnus  obeliscus  ex  Aegypto  fuerat  ad- 
vectusy  congestisque  pilis  superposuit  altissimam  turrim  in 
exemplum  alexandrini  phari,  ut  ad  nocturnos  ignes  cursum 
navigia  dirìgerent.  Dione  aggiungendo  qualche  particola- 
re, soggiunge,  che  scavando  da  una  parte  un  tratto  non 
picciolo  di  terra  ferma ,  lo  cinse  intorno  di  una  crepi- 
dine, e  quindi  vi  fece  entrare  il  mare:  dall'  altro  canto 
giltando  nel  mare  medesimo  aggeri  grandi,  chiuse  con 
questi  un  vasto  seno ,  e  fondò  una  isola  ih  mezzo  che 
sostenesse  una    torre    con    faro.    Finalmente    Giovenale 

XII.  V.  75  e  seg:  così  io  descrive; 

....      ,.j, 

Tandem  intrai  positas  inclusa  per  aequora  moles, 
Tyrrhenamque  pharon  porrectaque  brachia  rursus 
Quae  pelago  currunt  medio,  longeque  relinquunt 
Italiam.  Non  sic  igitur  mirabere  portus 
Quos  natura  dedit. 

Queste  tre  testimonianze  mostrano,  che  i  moli  del  por- 
to propriamente  detto  furono  gittati  in  allo  mare  :  che 
una  parte  di  esso,  cioè  la  più  interna  venne  scavata,  e 
cinta  con  una  crepidine,  o  margine:  che  dinanzi  la  boc- 


612 

ca  si  fondò  una  isola  a  somiglianza  del  faro  alessandri- 
no con  torre  e  fanale.  Svetonio  dice,  che  la  nave,  che 
portò  r  obelisco  vaticano  servì  di  fondamento  a  questa 
isola:  Plinio  però  lib.  XVI.  e.  LXXVI.  lib.  XXXVI  e. 
XIV.  che  fu  testimonio  oculare  dell'affondamento  della 
nave,  la  dice  gittata  onde  servisse  di  fondamento  al  molo 
sinistro  :  discrepanza  che  non  saprei  accordare  se  non 
supponendo  che  Plinio  riguardasse  la  isola  come  un  pro- 
seguimento del  corno  sinistro  del  molo,  dal  quale  infat- 
ti non  veniva  separata  se  non  da  un  picciolo  tratto  di 
mare.  Notai  di  sopra  che  uno  deìavori  di  Claudio  fu  di 
scavare  una  specie  di  Porto  interno  :  questo  non  potè 
essere  che  fra  il  porto  grande  ed  il  fiume,  ma  non  im- 
mediatamente a  contatto  con  questo;  forse  in  tal  circo- 
stanza si  scavarono  quelle  fosse  delle  quali  parla  la  iscri- 
zione seguente,  e  Claudio  profittò  momentaneamente  di 
esse  per  ricevere  in  una  piena  una  parte  del  fiume  e 
così  scaricarlo  nel  mare.  Ecco  la  lapide,  la  quale  sem- 
bra aver  servito  di  monumento  di  tal  beneficio  ed  esse- 
re stata  collocata  sopra  un  qualche  arco  :  le  lettere 
essendo  incavate  mostrano  aver  contenuto  quelle  di 
bronzo: 

TI .  CLAVDIVS  .  DRVSI .  F  .  CAESAR 

AVG      .      GERM.1NICVS      .      PONTIF      .     MAX. 
TRIB .  POTES  T.  VI.COS.III .  DESIGN .  IIII .  IMP .  XII.P.P. 
FOSSIS  .  DVCTIS  .  A  .  UBERI  .  OPERIS  .  PORTV 
CAVSSA  .  EMISSISQVE  .  IN  .  MARE  .  VRBEM 
INVNDATIONIS  .  PERICVLO  .  LIBERAVI! 

La  sesta  potestà  tribunizia  coincide  neir  anno  799  di 
Roma,  ossia  46  della  era  volgare,  ed  in  quell'anno  pu- 
re coincidono  gli  altri  titoli  di  console  designato  per  la 


613 
quarta  volta,  e  d'imperadore  per  la  XII.  D'uopo  è  per- 
tanto conchiudere,  che  circa  que'tempi  Roma  fu  minac- 
ciata da  una  inondazione ,  dalla  quale  fu  liberata  per 
l'apertura  delle  fosse  verso  il  mare,  fosse  di  già  scava- 
te per  la  costruzione  del  porto:  OPERIS  PORTVS 
CAVSSA;  quindi  l'anno  46  il  porto  non  era  ancora  com- 
piuto. Dall'  altro  canto  Dione  riferisce  all'  anno  795  di 
Roma,  ossia  42  della  era  volgare  la  costruzione  del  por- 
to ,  indizio  chiaro  che  debba  intendersi  del  decreto ,  e 
del  cominciamento  della  opera,  che  appartiene  a  quell'an- 
no come  nel  47  conosciamo  che  si  proseguiva.  Anzi  da 
una  medaglia  di  Nerone  sembra  potersi  arguire  che  il 
porto  non  fosse  affatto  compiuto  e  perfetto  innanzi  l'an- 
no 54  in  che  quel  mostro  fu  assunto  al  trono.  Ora  quel- 
la medaglia,  che  è  rara  in  bronzo  grande,  é  anche  più 
rara  in  bronzo  mezzano,  e  fu  riportata  dall'Erizzo,  dal- 
l'Agostini, dal  Castiglione,  dall'Havercamp,  dal  Vaillant, 
dal  Morelli,  e  dal  Locatelli,  ed  illustrata  magistralmen- 
te dall' Eckhel;  essa  presenta  nel  dritto  la  testa  di  Ne- 
rone  colla   epigrafe:  nero  .  clavd  .  caesar  .  avg  .  ger. 

P  .  M  .  TR  .  P  .  IMP  .p.p.  ovvero  NERO  CLAVDIVS  eC.  G 

nel  rovescio  il  porto  colla  iscrizione  intomo  por,  ovve- 
ro PORT  .  osT  .  AVGVSTi,  o  PORT  AVGVSTi  S.  C.  Dall'al- 
tro canto  ninna  medaglia  di  Claudio  finora  è  comparsa 
col  rovescio  di  questo  porto ,  indizio  forte  per  credere 
che  alla  sua  morte  non  fosse  pienamente  compiuto ,  e 
che  solo  lo  fu  nel  primo  anno  del  potere  tribunizio  del 
suo  successore  Nerone.  Ne  segue  pertanto  che  i  lavori 
durarono  circa  12  anni.  I  due  tipi  sovraindicati  ci  fan- 
no conoscere  che  la  denominazione  primitiva  di  quel 
porto  fu  quella  di  portvs  ostiae  avgvsti  ,  ovvero  dì 
PORTVS  osTiENSis  AVGVSTI,  cioè  il  porto  d'Ostia,  o  Ostien- 
se dell'Augusto,  che  è  quanto  dire  dell' imperadore  re- 
gnante, senza  che  Augusto  vi  abbia  nulla  che  fare.  Ed 


614 

oltre  questo  nome  altri  ancora  ne  ebbe  tratti  dalla  sua 
vicinanza  ad  Ostia,  al  Tevere,  e  a  Roma.  Portus  Ostien- 
sis  Io  chiamano  Plinio  lib.  XVI.  e.  LXXVI.  e  Quintilia- 
no Instit.  Orai.  lib.  II.  e.  XXI  :  Portus  Ostiae  la  iscri- 
zione vaticana  di  Cajo  Pomponio  Turpiliano  riportata 
più  sotto;  Portus  Tiheris  Frontino  nel  libro  de  Coloniis: 
Portus  semplicemente  e  per  antonomasia  DionCy  l'Itine- 
rario di  Antonino ,  Filostorgio  Storia  Ecclesiastica  lib. 
XII.  §.  3.  e  Procopio  lib.  III.  e.  XV:  nel  codice  teodo- 
siano  vien  designato  co'nomi  di  Portus  Urbis,  Portus  Urbis 
Romae  e  Portus  Romae  :  finalmente  Cassiodoro  Variar. 
lib  VII.  ep.  XI.  Giornande,  ed  i  Martirologii  lo  noma- 
no Portus   Romanus  ,  comp  Procopio   altrove   Porto   de^ 

Romani.  ::;>-r,  *A  iy,i;'or!    1>h-,  'm*- 

La  città  che  ne  prese  il  nome  non  fu  fondata  da 
Claudio,  ma  si  andò  formando  pian  piano  presso  al  por- 
to; imperciocché  dapprincipio  questo  non  fu  che  un  em- 
porio dipendente  da  Ostia,  dove  necessariamente  si  adu- 
nò gente,  parte  per  1'  amministrazione,  e  parte  pel  ser- 
vizio, e  questa  riunione  unita  ai  mercanti,  ai  commessi, 
ai  servi  finì  col  divenire  una  città  distinta  affatto  da 
quella  di  Ostia.  Una  iscrizione  votiva  esistente  nel  mu- 
seo Vaticano,  riportata  da  Fea  nel  suo  Viaggio  ad  Ostia, 
e  che  qui  sotto  si  riferisce,  mostra  che  Galba,  il  quale 
costrusse  magazzini  di  grano  in  Roma,^  detti  perciò  Hor- 
rea  Galbiana,  altri  pure  ne  costrusse  per  l'olio  presso  il 
porto  di  Claudio.  Questa  lapide  importante  appartiene 
certamente  alla  epoca  di  Marco  Antonino;  siccome  è  in- 
teressante per  la  storia  di  Porto,  credo  giusto  di  qui 
riportarlai'jjirfiri.j    ■uìoi'ki  t'itroim*  i^i  -jìI  •  j><; 

-ii'^w^O  (j  ffiuéO'l:>  i';!'H)<j  li  -V/ì      ■;.'., 

-isf  '>T'>h)ìi3qfefi '(!'jI>  mll)  '■ 

l'i  .uv^  tifj  ùHuù  (Mdr>  if  o'fi-i}i,n<ì.  vJ  *  h-^jfr^-  ./iti,.. 


615 
t>  R  O  .  S  A  L  V  T  E  .  E  T 
REDITV   .   IMP   .   ANTO  , 

NINI  .  AVG  .  FAVSTINAE  -.'vcim    ^.^^ 
AVG   .   LIBERORVMQVE        nuivu.a 
.'  MI  EORVM.ARAM.SANCTAE 

ISIDI    NVMINI    SARAPIS  .    . 

SANCTO  SILVANO  LARIB  nulo 

Jlli») .  ;>VA  «;/A'C  .  POMPONIVS  :  iisr^ 

■.i.u^,r^.xn^  :rr-        '     TVRPILIANVS  i.lUJÌ 

Mt^'\  ..  ,  ./  PROG  .  AD  .  OLEVM  .  IN  .  GALBAE  I1ft?.v/i'i  Vi 
-is'\    \MiA  OSTIAE    PORTVS    VTRIVSQVE    D.  D.ii.T»\f    Vrt\v'. 

Da  Galba  a  Trajano  non  si  fa  menzione  del  porto /sé 
non  in  Plinio;  pare  però  secondo  Frontino  che  in  que- 
sto intervallo  vi  fosse  dedotta  una  colonia  di  veterani , 
ai  quali  vennero  divise  le  terre  fra  il  porto ,  e  Roma , 
primo  indizio  di  una  città  formata.  Trajano  vi  fece  mol- 
to: imperciocché  dedito  quale  egli  era  ad  imprese  gi- 
gantesche^ non  solo  risarcì  il  porto  di  Claudio,  ma  sca- 
vò un  porto  interno  più  sicuro,  di  forma  esagona ,  che 
sebbene  oggi  sia  ridotto  a  stagno ,  ancora  conserva  la 
forma;  egli  lo  circondò  inoltre  di  fabbriche  grandiose  , 
come  può  riconoscersi  dalle  rovine  ancora  esistenti.  Lo 
scoliaste  di  Giovenale  ci  ha  conservato  questa  notizia  : 
Quia  Traianm  portum  Augusti  restauravit  in  melius  et 
interim  tutiorem  sui  nominis  fecit.  Direbbesi ,  che  Plinio 
il  giovane  l'adombri  con  que'detti  nel  Panegyr.  e.  XXIX: 
Nec  vero  ille,  civilim  quam  parens  noster,  auctoritate,  con- 
siliOf  fide  reclusit  vias,  portfs  patefecit^  itinera  terris, 
LiTTORiBUS  MARE,  LiTTORA  MARI  reddidit.  Giovenale 
Satyr.  lib.  XII.  v.  79  e  seg.  descrive  questo  porto  in- 
terno così:  .  -  ...     ;  - 


616 

Sed  trunca  puppe  magister 
Interiora  petit  baianae  pervia  cymbae 
Tufi  stagna  sinus.  Gaudent  ibi  vertice  raso 
Garrula  securi  narrare  pericula  nautae. 
Anche    di  questo  porto   interno  si  ha  una  medaglia  ra- 
rissima riportata  dal  Vaillant,  di  prima  forma,  la  quale 
offre    nel    dritto  la  testa   laureata  di  Trajano  colla  epi- 
grafe: IMP  .  CAES  .  NERVAE  TRAIANO  AVG  .  GER. 
DAC  .  P  .  M  .  TR  .  P  .  COS  .  V  .  P  .  P  .  cioè:  Imperato- 
ri Caesari  Nervae  Traiano  Augusto  Germafnico  Dacico  Pon- 
tifici Maximo  Tribunicia  Potestate,  Consuli  F,  Patri  Pa- 
triae:  nel  rovescio  è  il  porto  di  forma  esagona,,  circon- 
dato da  edificj  e  contenente  navi  colla  epigrafe  PORTVM 
TRAIANI  S  .  C  .  ^  Senatus  Consulto  ).  Questa    medaglia 
per  se  chiarissima,  che  anche  gl'idioti  per  la  somiglian- 
za materiale  riconoscerebbero    allusiva  al  porto  interno 
di  Claudio,  non  ebbe  la  stessa  sorte  presso  i  numisma- 
tici che  avvezzi  a  decidere  dai  loro  gabinetti,  sdegnaro- 
no di  ricorrere  ai  topografi,  e  vollero  come  Agostini  ed 
Havercamp  a  tutto  costo  trovarvi  il  porto  di  Ancona,  o 
come  Castiglioni  ed  Eckhel  quello  di  Centocelle  (Civita^ 
vecchia)^  benché  la  loro  forma  non  si  accordi  né  punto^ 
né  poco  con  quella  che  dà  la  medaglia:  tanto  è  vero  che 
lo  spirito  sistematico  trascina  ad  errori,  e  che  l'ignora- 
re la  forma  de'  luoghi  è  lo  scoglio   massimo,  nel  quale 
imbattono  anche  i  più  insigni  archeologi:  il  solo  confron- 
to   della    pianta  del  porto    Trajano    ostiense  li  avrebbe 
convinti ,  che  la    medaglia  a  questo  si  riferisce  ,  e  non 
sarebbero  iti  a  mendicare  pretesti  per  non  volerlo  rico- 
noscere. Maggiori  rimproveri  su  tale  argomento  merita  il 
Locatelli ,  che  dichiarandosi  antiquario  e  ingegnere ,  ed 
avendo  piena  contezza  del  sito,  pretese  provare  con  ar- 
gomenti non  appoggiati  ad  autorità,  o  con  razìocinj  stra- 
volti, che  la  medaglia  si  riferisce  al  porto  di  Centocel« 


617 
le;  e  quasi  non  fosse  sazio  di  errare,  trovandosi  stret- 
to dalla  doppia  iscrizione  riportata  dai  Grutero  e  dal 
Muratori  di  Salonia  Carpirne,  e  di  Marco  Cuzio  Rustico, 
che  egli  trasforma  in  Marco  Tuzio  Rustico  ,  la  quale 
mostra  il  porto  Trajano  contiguo  all'Augusto,  va  sognan- 
do un  porto  Trajano  nella  Frigia  provincia  tutta  medi- 
terranea, e  immagina  la  forma  del  porto  di  Civitavec- 
chia cangiata,  perchè  Gregorio  IV.  lo  distrusse!  e  tutto 
ciò  sulla  sua  fede.  Io  credo  di  potere  asserire,  che  la 
medaglia  soppraccitata  non  possa  alludere  che  al  porto 
Trajano  ostiense  1.  perchè  la  pianta  è  la  stessa,  2.  per- 
chè il  passo  dello  scoliaste  di  Giovenale  è  chiaro,  3.  per 
riscrizione  di  Salonia  Carpime  e  Marco  Cuzio  Ruslico, 
4.  pel  nome  di  Trajano  conservalo  allo  stagno,  e  del  qua- 
le si  hanno  documenti  fino  dall'anno  992  nella  bolla  di 
Giovanni  XIII  presso  l'UghelIi,  5.  per  i  frammenti  del- 
la statua  colossale  di  Trajano  della  proporzione  di  24 
in  25  palmi ,  trovati  sul  porto  stesso  nell'  anno  1796  , 
la  cui  testa  è  oggi  nel  museo  Vaticano,  6.  per  la  bella 
costruzione  analoga  ad  altre  opere  dello  stesso  principe. 
Fu  notato  di  sopra ,  che  Plinio  nel  suo  panegirico  a 
Trajano,  sembra  alludere  a  questo  porto;  secondo  il  Mu- 
ratori, quel  panegirico  fu  letto  nell'anno  100.  della  era 
volgare  III.  di  Trajano  ,  quindi  può  credersi ,  che  fin 
d'allora  si  fosse  intrapreso ,  o  almeno  decretato.  Nella 
medaglia  si  legge  il  V.  e  non  il  sesto  consolato  di  Tra- 
jano, come  alcuni  scrissero;  ora  quell'augusto  fu  conso- 
le per  la  quinta  volta  insieme  con  Lucio  Appio  Massi- 
mo r  anno  103  ,  e  la  statua  trovata  presso  il  porlo  Io 
mostra  piuttosto  giovane,  quindi  può  credersi  che  l'aper- 
tura di  questo  nuovo  porto  avvenisse  nel  primo  decen- 
nio, senza  poter  defluire  l'anno  preciso.  Se  si  considera 
la  vastità  di  questo  bacino,  che  ha  una  circonferenza 
di  circa  un  miglio  e  mezzo,  la  difficoltà  del  lavoro,  U 


618 

sontuosità  delle  fabbriche,  ed  i  vantaggi  che  il  pubbli- 
co ne  ritrasse,  dovrà  questa  opera  riguardarsi  come  una 
delle  intraprese  più  illustri  di  quell'ottimo  principe,  on- 
de non  dee  recar  meraviglia  vedere  battuta  una  meda- 
glia in  memoria  di  tal  lavoro.  In  tal  circostanza  egli 
aprì  il  nuovo  canale,  del  quale  si  è  trattato  di  sopra,  e 
che  Plinio  chiama  fossa,  e  che  a  meglio  distinguerla 
appellerò  Fossa  Trajana.  Di  già  venne'  notato,  che  nel- 
l'intervallo fra  Galba  e  Trajano  fu  dedotta  a  Porto  una 
colonia  di  soldati  veterani,  ai  quali  vennero  divise  le 
terre  dintorno;  mancati  questi  in  varii  luoghi,  Trajano 
fece  una  nuova  divisione  di  terreni,  ridotti  a  paralle- 
logrammi ,  e  volle  che  questa  divisione  si  conservasse 
incisa  in  una  tavola  di  bronzo.  Sono  queste  le  prime 
memorie  ,  che  abbiamo  di  Porto  come  città.  Frontino , 
al  quale  dobbiamo  questi  particolari  interessantissimi , 
dà  ai  primi  coloni  il  titolo  di  oppidani,  castellani  noi  li 
diremmo;  il  che  indicherebbe  l'esistenza  di  un  oppidum, 
o  luogo  cinto  di  mura ,  quelle  però  che  ora  veggiamo 
sono  certamente  posteriori,  e  le  più  antiche  sembrano 
doversi  ascrivere  a  Settimio  Severo,  principe  bellicoso, 
che  fortificò  il  tratto  tra  l'arco  di  Nostra  donna  da  lui 
ridotto  a  porta,  e  la  sponda  destra  della  fossa  trajana. 
La  città  andò  ognora  crescendo  di  popolazione  a  spese 
della  vicina  Ostia,  la  cui  foce  sebbene  fosse  navigabile 
anche  nel  secolo  VI.  secondo  Procopio  non  era  però 
molto  frequentata,  perchè  pericolosa;  quindi  fin  dall'an- 
no 251  troviamo  Porto  già  sede  episcopale  illustrata  da 
s.  Ippolito  vescovo ,  che  vi  fu  martirizzato  :  Veggasi  il 
de  Magistris  negli  Aeta  Martyrum  ad  Ostia  Tiberina,  e 
Prudenzio  nel  Peristephanon  Hymn.  XI.  Questo  accresci- 
mento progressivo  di  popolazione,  e  la  importanza  del 
sito  ,  che  conteneva  1'  approviggionamento  di  Roma  , 
mossero  Costantino   ad  estendere  il  suo  recinto  verso 


619 

sottontrione  fino  a  comprendere  il  tempio  rotondo  di  Por- 
tunno,  che  è  ancora  in  parie  esistente.  Tale  ampliazio- 
ne  ebbe  il  nome  di  civitas  Constantiniana,  come  appren- 
diamo dalle  bolle  di  Benedetto  Vili,  dell'anno  1019.  e 
di  Leone  IX.  del  1049.  riportate  dall' UghelK;  e  per  la 
costruzione  si  riconosce  il  recinto  di  questa  parte  ,  co- 
me opera  del  quarto  secolo.  E  siccome  questa  città  ri- 
guardavasi  come  il  granajo  di  Roma  al  dire  di  Zosimo 
lib.  VI.  e.  VI.  e  di  Filostorgio  Istoria  Ecdesiast.  lib.  XII. 
perciò  dipendeva  immediatamente  dal  prefetto  di  Roma, 
secondo  Sidonio  lib.  I.  ep.  X.  dal  prefetto  dell'Annona, 
e  da  un  magistrato,  a  cui  la  Notizia  dell'Impero,  e  Cas- 
siodoro  Var.  lib.  VII.  ep.  IX.  dan  nome  di  Comes  por- 
tus;  noi  lo  diremmo  conte  di  Porto.  Una  legge  del  Co- 
dice Teodosiano  lib.  XV.  tit.  I.  leg.  X.  colla  data  del 
primo  anno  di  Valentiniano  e  Valente,  cioè  del  364,  ma- 
stra la  gelosia,  colla  quale  era  sorvegliata  questa  città, 
per  non  andare  incontro  a  carestie;  imperciocché  essen- 
do stati  ridotti  ad  usi  privati  i  pubblici  granai,  mancan- 
do perciò  il  sito  ai  depositi  necessarj  pel  mantenimento 
di  Roma,  quegl'imperadori  ordinarono,  che  all'uso  pri- 
miero fossero  restituiti.  Questa  slessa  importanza  però 
la  espose  a  fiere  vicende  ne'secoli  V.  e  VI,  poiché  tut- 
ti coloro,  che  assediarono  Roma,  cercarono  di  occupar 
Porto,  onde  poterla  affamare.  Infatti  Alarico  nel  primo 
assedio  di  Roma,  stretto  l'anno  408,  si  portò  contro  Por- 
to, e  dopo  qualche  giorno  di  attacco  se  ne  rese  padro- 
ne per  testimonianza  di  Zosimo:  Filostorgio  nel  narrare 
questo  fatto  dice,  che  era  Porto  il  navale  massimo  de'Ro- 
manì,  che  conteneva  tre  porti,  e  che  occupava  1'  esten- 
sione di  una  piccola  città.  Questa  presa  fu  di  tal  con- 
seguenza per  Roma,  che  non  potendo  resistere  alla  fa- 
me piegossi  ai  voleri  del  barbaro,  che  creò  imperadore 
Attalo  allora  prefetto  di  Roma.  Nuovamente  se  ne  im- 


620 

possesso  r  anno  seguente  409,  quando  poi  prese  Roma 
e  la  mise  a  soqquadro.  Fu  poco  dopo  questo  tristissi- 
mo avvenimento  che  Rutilio  Numaziano  intraprese  il 
viaggio  di  Burdigala,  oggi  Bordeaux,  descrivendo  in  te- 
tri caratteri  le  stragi  de'  Goti.  Egli  in  tal  circostanza 
fermossi  quindici  giorni  in  Porto,  essendo  ritenuto  dai 
venti  contrarj;  e  come  notossi  di  sopra,  è  il  primo  che 
chiaramente  nomini  le  due  foci  del  Tevere.  Nello  stesso 
secolo,  dopo  l'anno  425  fu  nobilitata  la  città  di  un  por- 
tico presso  il  canale  del  Tevere,  al  quale  fu  dato  il  co- 
gnome di  Placidiano ,  a  contemplazione  di  Valentiniano 
III ,  che  ebbe  il  prenome  di  Placidio.  Ciò  apprendiamo 
da  una  iscrizione  che  si  legge  sopra  un  piedestallo  rin- 
venuto nel  1822  fralle  rovine  del  portico  stesso:  questa 
iscrizione  dimostra  inoltre,  che  vi  fu  eretta  una  statua 
per  ornamento  da  Flavio  Alessandro  Cresconio,  prefetto 
dell'Annona,  che  per  le  cure  del  cardinal  Pacca  allorché 
era  vescovo  portuense  si  conserva  nell'episcopio  di  Por- 
to insieme  con  altri  monumenti  dissotterrati  nella  stessa 
occasione,  e  fra  questi  un  pezzo  di  architrave  colla  pa- 
rola frammentata  PLACIDIANAM,  allusiva  pure  a  quel 
portico.  Siccome  questa  lapide  appartiene  direttamente 
al  fabbricato  di  Porto,  giova  di  qui  riportarla,  quantun- 
que i  caratteri  siano  molto  irregolari: 
SALVIS  .  D  .  D  .  N  .  N 
THEODOSIO  ET  PLACiDIO 
VALE  nTiNi  ANo 
P  .  P  .  AA  V  V  G  G 

FL  aZEXANDER.CRESCoNIVS 
ve  PRAEF .  ANN .  Vi?B .  ROME  (sic) 

AD  .  oRNATVM  .  PORTICvS 

PLACIDIANAE  POSVIT 

cioè  Salm$  Dominis  Nostris  Theodosio  (II)  et  Placidio  Vor 

Imtiniano  (III)  PUs  AugMstis  Fl<nvius  Akxqnder  Cnsconius 


621 

Vir  Clarissimus  Praefectus  Ànnonae  Urbis  Romae  ad  Or- 
natum  Porticus  Placidianae  Posuit.  Nella  incursione  di 
Genserico  delUnno  455,  siccome  la  forza  principale  di 
quel  re  barbao  consisteva  in  navi,  è  probabile  che  Por- 
to venisse  preo;  ma  Procopio  Guerra  Vandal.  lib.  I.  e. 
V,  che  ci  ha  Isciato  una  memoria  di  quella  devastazio- 
ne non  ne  paia  punto;  come  neppure  se  ne  fa  menzio- 
ne negli  altri  corse ggiamen ti,  co'quali  quel  re  pirata  in- 
festò le  costedella  misera  Italia.  Sappiamo  però  che 
neir  anno  47  Glicerio,  che  avea  preso  la  porpora  im- 
periale ,  lemado  l'arrivo  del  suo  rivale  Giulio  Nepote 
si  ritirò  in  òrto;  ma  ben  presto  fu  costretto  senza  ef- 
fusione di  sngue  a  deporla,  contentandosi  di  essere  in 
questa  città aedesima  ordinato  vescovo  di  Salona  in  Dal- 
mazia: veggsi  Giornande  de  Reb.  Get.  e.  XLV  de  Regn. 
Success.  Canto  l'imperio  occidentale,  il  gran  re  Teodo- 
rico, che  rbrmò  l'  amministrazione  ,  volse  pure  le  sue 
provvidenz  a  Porto  sul  finire  del  secolo  V.  collo  sta- 
bilire le  aribuzioni  del  Comes:  Gassiodoro  Variar,  lib. 
VII.  ep.  r  nello  spedire  la  formola  cosi  si  esprime  : 
Delitiosa  ngis  quam  laboriosa  militia  est  in  porta  Roma- 
no ComitiS'  gerere  dignitatem.  Illic  enim  copiosus  navium 
prospectatu  adventus,  illic  veligerum  mare  peregrinos  po- 
pulos  cumdiversa  provinciarum  merce  transmittif...  His 
primum  fa^ibus  Romanae  deliciae  sentiuntur  et  undis  Ty- 
berinis,  qtsi  per  alveum  vadunt,  quae  ad  commercia  ci- 
vitatis  asndunt...  Duo  quippe  Tyberini  alvei  meatus  or- 
natissimadvitatesj  tamquxnn  duo  lumina  susceperunt.  For- 
se a  Teorico  che  tanta  cura  prese  delle  fabbriche  di 
Roma,  e  l  tutta  l'Italia,  si  dee  la  protrazione  del  brac- 
cio sinist»  del  molo,  e  la  formazione  di  un  molo  e  la 
formazio!  di  un  nuovo  fanale;  i  frammenti  di  ornato 
ivi  trova  sembrano  di  quel  tempo.  Sopraggiunta  dopo 
la  sua  urte  la  guerra  gotica,  Yitige  avendo   assediata 


622 

Koma,  e  vedendo  che  i  Romani  fraocanente   mandava- 
lio  fuori  ciò  che  volevano,  ed  introducevino  le  cose  ne- 
cessarie per  terra  e  per  notare,  stabili  all'  anno  537  di 
occupar  Porto.  Procopio,  che  fu  testimorio  oculare  del- 
le operazioni  di  quell'assedio,  nell'accennae  tale  Occupa- 
2Ìone,  Guerra  Got.  lib.  I.  e.  XXVI:  dà  ma  descrizione 
di   Porlo  e  del  corso  del  Tevere,  che  è  i' uopo  di  qui 
inserire  ,  non  solo  perchè  mostra  lo  stat/   allor    florido 
dj  questa  città  a  preferenza  di  Ostia,  maancora  perchè 
entra  in  particolari,  che  è  necessario  conccere  per  ave- 
re una  idea    giusta  del  suo    fabbricato.     Vitige  ,  cosi 
y>  egli  narra,  vedendo,  che  i  nemici  aveao  molta  sicu- 
»  rezza  di  mandar  fuori  dalla    città  ciò  be  volevano , 
»  e  d'introdurne  le  cose  necessarie  per  terr,  e  per  mare, 
»  determinossi  ad  occupare  quello  che  i  omani    chia- 
»  mano  porto:  questo  dista  dalla  città  12(stadj}  imper- 
»  ciocché  tal  misura  impedisce  che  Roma  on  sia  città 
»  marittima.   È  poi    dove  il  fiume    Tevenha  la  foce  : 
»  questo    venendo  da    Roma  ,  quando  è  pi    dappresso 
»  al  mare  quanto  quindici  stadj ,  diviso  indue  ,  fa  ivi 
»  l'isola  chiamata  sacra,  la  quale,  continuido  il  corso 
»  del  fiume,  si  dilata  in  guisa  che  colla  lu^hezza,  tro- 
»  vasi  d'accordo  la  misura  della  larghezza»,  fra  i  due 
»  canali  esiste  in  mezzo  uno  spazio  di  quiiici  stadj.  È 
»,  il  Tevere    navigabile  da  ambedue  i  cana;  il  destro 
»  ha  la  foce  nel  porto:  fuori  della  quale  i  ^mani  edi- 
»  ficarono  sulla  sponda  ab  antico    una  cittàcircondata 
»  intorno  da  un  muro  sommamente  forte,  ci  chiamano 
»  Porto,  collo  stesso  nome,  col  quale  appella»  il  porto. 
»  A  sinistra  prima  dell'altra  foce  del  Te  ver  nel  mare, 
»  siede  Ostia  ,   città  che  oltre  della  sponda  el  fiume  , 
»  anticamente  fu  degna  di  molto  conto,  ma  a  è  affat- 
»  to  sprovvista   di  mura.  Da  Porto   mena  a  oma   una 
»  strada  piana,  e  senza  impedimento  di  sorte  icuna,  la 


623 
»  quale  ì  Romani  coslrussero  dapprincipio.  Sono  sempre 
»  ancorate  nel  porto  molte  barche  espressamente,  e  non 
»  pochi  buoi  stanno  in  pronto  in  sito  vicinissimo;  quan- 
«]ido  adunque  i  mercanti  giungono  colle  navi  nel  porto, 
«togliendo  il  carico  da  queste,  e  ponendolo  sopra  le 
»  barche,  navigano  a  Roma  senza  usare  né  vele,  né  re- 
N  mi ,  perchè  non  é  possibile  con  alcun  vento  spingere 
»  ivi  i  navigli,  poiché  il  flume  torce  spesso,  e  non  va 
»  dritto  ;  non  possono  neppure  i  remi  giovare ,  poiché 
»  la  corrente  dell'  acqua  é  sempre  in  contrario  ;  attac- 
»  cando  però  funi  dalle  barche  al  collo  de'buoi  le  tra- 
»  scinano  come  carri  fino  a  Roma.  Dall'altra  parte  del 
»  fiume ,  andando  da  Ostia  a  Roma,  la  strada  è  solvo- 
»  sa,  e  trascurata,  e  non  va  vicino  alla  riva  del  Te- 
i)  vere  perchè  non  v'è  il  tiro  delle  barche.  »  Vitige 
trovò  Porto  senza  difesa,  onde  la  prese  in  un  tratto,  e 
dopo  uccise  molti  Romani ^^  che  ivi_  abitavano,  ed  occu- 
pato il  porto,  vi  lasciò  un  presidio  di  mille  uomini. 
Questa  presa^  che  mise  Roma  in  istrettezze  di  viveri, 
non  potendo  averli  se  non  con  difficoltà  da  Ostia,  e 
da  Anzio,  era  stata  inevitabile,  giacché  Belisario  doven- 
do guarnire  di  soldati  il  vasto  recinto  di  Roma  ,  non 
avea  per  mancanza  di  truppe  pb luto  ritenere  Porto  ; 
dice  Procopio  che  soli  trecento  soldati  sarebbero  basta- 
ti»;a  difenderlo  attesa  la  fortezza  del  sito.  Belisario  in- 
tanto rimase  padrone  di  Osti»,  dove  dopo  aver  «vttto 
rinforzi  mise  un  corpo  di  Isauri  in  guardia  de^  viveri 
che  avea  ricevuto;  quelli  per  maggior  sicurezza  scava- 
rono una  fossa  ■  profonda  dal  iato  di  Porto.  Procopio 
Guerra  Got.  lib.  II.  e.  VII.  descrive  quindi  lo.  stratta- 
gemma, col  quale  i  Greci  pervennero  ad  approviggionar 
Roma,  malgrado  che  i  Goti  continuassero  ad  occupar 
Porto.  Ma  la  flotta  greca  bloccava  questa  città,  e  quel- 
la penuria    stessa  che  i  Goti    colla  occupazione  di   es- 


624 

sa  aveano  arrecato  a  Roma  forzòlli  ad  allontanarsene, 
riunendosi  al  quartier  generale  per  ordine  di  Vitige 
stesso.  Così  Porto  rimasto  sgombro  fu  occupato  da  Pao- 
lo ,  capitano  di  Belisario ,  che  commandava  il  presidio 
isauro  d'Ostia.  Nuovo  blocco  ebbe  a  sofifrire  Porto  cir- 
ca r  anno  545  ;  Totila  avendo  stretto  nuovamente  di 
assedio  Roma  avea  formato  una  flotta  di  piccioli  legni 
che  per  impedire  1'  arrivo  delle  vettovaglie  incrociava 
presso  alle  foci  del  Tevere  secondo  lo  storico  sopra  lo- 
dato lib.  III.  e.  XIII.  questi  appiattaronsi  sotto  i  moli 
del  porto  esterno,  che  sembra  fosse  senza  difesa,  e  s'im- 
padronirono d'  un  considerabile  trasporto  di  viveri,  che 
il  pontefice  Vigilio  avea  spedito  dalla  Sicilia  in  soccor- 
so degli  assediati.  Dalla  narrazione  che  fa  Procopio  ri- 
levasi ,  che  malgrado  i  segnali  dati  dal  presidio  greco 
di  non  entrare  nel  porto,  i  condottieri  del  convoglio, 
spinti  dal  vento,  e  prendendo  i  segnali  in  senso  d'in- 
vito, vi  entrarono  a  vele  spiegate:  che  i  legni  furono 
tutti  predati,  senza  difesa,  l'equipaggio  fu  messo  a  mor- 
te, ed  il  vescovo  Valentino,  che  fu  salvato,  condotto  a 
Totila  e  da  lui  interrogato  di  varie  notizie,  accusato  di 
menzogna  ebbe  le  mani  tronche.  Belisario,  che  era  ito 
a  cercare  soccorsi  ad  Epidamno^  imbarcossi  per  l'Italia, 
ed  approdò  a  Porto,  che  era  ancora  in  potere  degl'impe- 
riali; ivi  attese  indarno  di  giorno  in  giorno  nuovi  ajuti 
per  andare  in  soccorso  di  Roma.  Finalmente  volle  fare 
un  tentativo  colle  forze  che  avea  seco  raccolte,  e  lascia- 
to Isaacio  al  governo  di  Porto  con  ordine  di  non  abban- 
donare quel  posto  per  qualsivoglia  ragione ,  imbarcossi 
sul  fiume.  Ita  a  vuoto  l' impresa,  sparsesi  la  voce  che 
avesse  Belisario  vinto  i  nemici ,  onde  Isaacio  dimenti- 
cato il  divieto  di  abbandonare  Porto  arditamente  con 
pochi  volle  assalire  i  Goti  ma  dopo  aver  perduto  i  suoi, 
fu  fatto  prigione  e  quindi  per  ordine  di  Totila   ucciso. 


625 
Belisario    ricevuto  V  annunzio  di  questa  sciagura  cadde 
dapprincipio   in  un   abbattimento    gravissimo ,  credendo 
preso  Porlo,  e  quanto  di  più  caro  vi  avea  lasciato.  Por- 
to però  non  era  caduto;  ma  questa  sciagura  trascinò  se- 
co il  tradimento  degli  Isauri ,  che  aprirono  a  Totiia  la 
porta  Asineria  di  Roma  l'anno  546,  ed  esposero  la  me- 
tropoli dell'universo  ai  risentimenti  di  un  re  feroce,  che 
si  era  fisso  in  capo  di  demolirla.  Partito  Totiia  da  Ro- 
ma ,  Belisario   mosse  con  una  oste  di  mille  soldati  per 
vedere  i  guasti  che  il  re    goto  vi  avea    commessi  ;  ma 
prevenuti  i  Goti  che  erano  in  Alsio  (e  non  Algido,  co- 
me fu  notato  a  suo  luogo  nell'  art.  ALGIDO  )  vennero 
ad  aspettarlo,  e  lo  forzarono  a  ritornarsene  a  Porto.  Que- 
sti però  volendo  ad  ogni  costo  tornare  ad  occupar  Ro- 
ma arditamente  vi  entrò  nel  547  con  quelle  poche  trup- 
pe che  avea  seco ,  lasciando  in  Porto  un  piccolo  presi- 
dio. Richiamato  Belisario  in  oriente  nell'anno  549^  To- 
tiia nell'anno  seguente  di  nuovo  cinse  Roma  di  assedio, 
e  la  prese  per  tradimento  degl'Isauri,  dopo  averla  espo- 
sta agli  orrori  della  carestia  colla  occupazione  di  Porto; 
questa  città  per  tre  anni  rimase  in  potere  de'  Goti,  fin- 
ché fu  occupata  per  capitolazione  dagl'imperiali  nell'an- 
no 552.  Veggasi   Procopio  lib.   IV.  e.  XXXIV.  Finita 
la  guerra  gotica  nell'  anno  552  per  la  battaglia  di  No- 
cera  presso  il  monte  Vesuvio,  e  la  morte  di  Teja,  Por- 
to per  qualche  tempo  respirò  dalle  occupazioni  militari. 
Imperciocché  é  certo ,  che  malgrado  la  sua  importanza 
rispetto  a  Roma ,  come  dei  fatti  esposti  chiaramente  si 
riconosce,  l'essere  continuamente  esposta  per  tutta  quel- 
la guerra  agli  assalti  de'  due  eserciti,    e  alle  strettezze 
marittime  ,  rovinò    intieramente  il  suo  commercio ,  che 
era  la  principale    sorgente    della  sua   felicità  e  del  suo 
accrescimento  progressivo.  Dal  quale   abbattimento    mai 
più  non  si  riebbe ,  perché   nuove   circostanze  più  disa- 

40 


626 

s  Irose  delle  precedenti  vi  si  opposero  in  guisa  che  por-. 

tarono    l'abbandono,   e   la  rovina    totale  di  questo   em» 

porlo. 

Il  ritorno  della  Italia  sotto  il  domìnio  de'sovrani  di 
Costantinopoli,  le  recò  piuttosto  danno ,  che  vantaggio  3 
imperciocché  quantunque  i  Goti  in  origine  fossero  stra- 
nieri, dopo  che  si  erano  fissati  stabilmente  in  Italia  la 
riguardavano  qual  nuova  patria,  e  a  poco  a  poco  anda- 
vano immedesimandosi  cogli  antichi  abitatori ,  così  che 
era  a  sperarsi  che  dopo  qualche  secolo  sarebbero  sparite 
tutte  le  differenze.  £ss^  aveano  stabilito  un  regno  che 
avea  in  Italia  la  sede;  e  la  penisola  colla  Sicilia,  rispet- 
tata dagli  altri  barbari  che  aveano  invaso  le  Gallie,  la 
Spagna,  e  l'Affrica,  ubbidiva  tutta  intiera  allo  stesso  prin- 
cipe. Ma  le  vittorie  dj  Belisario  e  di  Narsete  di  regno 
indipendente  ne  fecero  provincia  di  conquista,  il  cui  go- 
verno abbandonato  a  vili  eunuchi  ed  agl'intrighi  mulie- 
bri della  corte  bizantina,  disseccò  tutte  le  sorgenti  della 
prosperità  nazionale,  e  preparò  rapidamente  la  rovina  del 
nostro  bel  paese.  Dopo  la  guerra  gotica  Porto  per  due 
secoli  intieri  si  perde  di  mira  nella  storia,  perchè  in  essi 
insensibilmente  scomparve:  appena  ci  rimangono  i  nomi 
di  pochi  vescovi,  che  ne  governarono  la  chiesa,  e  che  so^ 
no  stati  raccolti  dall' Ughelli  nella  sua  Italia  Sacra;  ma 
neppure  la  cronologia  di  questi  è  completa.  E  fino  nella 
carta  peutingeriana,  si  cerca  invano  il  suo  nome,  benché 
una  pianta  informe  del  porto  vi  si  veda  effigiata,  la  quale 
fa  credere  che  era  ancora  accessibile  ai  vascelli.  Io  non 
dubito  punto,  che  la  città  ridotta  ad  un  semplice  posto 
militare  nella  guerra  gotica,  mancato  ancora  questo  sco- 
po, per  mancanza  di  popolazione,  di  sicurezza,  e  di  com- 
mercio, venisse  abbandonata  e  solo  vi  rimanesse  un  pic- 
colo presidio  in  guardia  della  foce  tiberina.  Né  dee  crer- 
dersi  che  poco  si  opponessero  al  suo  risorgimento  le  fé-» 


627 
roci  devastazioni  che  i  Longobardi  portarono  ai  contorni 
di  Roma,  ed  il  corseggiare  de'Saraceni,  che  infestarono 
tutte  le  coste  del  Mediterraneo.  Rimasta  la  città  priva 
di  abitatori  non  si  ebbe  più  cura  del  porto,  ed  io  sono 
persuaso,  che  qualche  rottura  avvenuta  nel  molo  sinistro 
che  serviva  di  riparo  contro  le  arene  del  Tevere,  abbia 
a  questo  aperto  il  campo  di  penetrarvi,  ed  in  poco  tempo 
il  fondo  rimasto  ingombro,  sia  il  porto  divenuto  per  sem- 
pre inaccessibile  ai  legni.  Questa  idea ,  che  non  è  pre- 
sentata se  non  come  una  congettura  probabile,  vien  con- 
fermata dal  silenzio  che  si  osserva  ne'documenti,  e  negli 
scritti  de'due  secoli  sopraccitati,  ne'qualì  non  si  fa  punto 
menzione  che  il  porto  fosse  frequentato,  e  soprattutto  dal- 
ia certezza,  in  cui  siamo  che  verso  la  metà  del  secolo  IX 
era  in  pieno  abbandono.  Ciò  che  si  asserisce  del  porto, 
e  della  città  attinente  non  vuole  intendersi  dell'episcopio, 
e  di  alcune  altre  chiese,  le  quali  vennero  mantenute  dal- 
la pietà  degli  antistiti  e  de'fedeli.  Imperciocché  la  torre, 
o  campanile,  che  ancora  rimane  nella  Isola  Sacra,  e  che 
dicesi  di  s.  Ippolito,  perchè  era  attinente  ad  una  basili- 
ca, dedicata  a  quel  santo  vescovo  portuense,  e  cattedrale 
di  questa  città,  mostra  pel  suo  lavoro  la  più  stretta  ana- 
logia con  quelle  che  veggiamo  in  Roma  a  Ss.  Giovanni  e 
Paolo,  a  s.  Maria  Nuova,  a  s.  Maria  in  Cosmedin,  opere 
tutte  del  secolo  Vili.  Ed  in  Anastasio  Bibliotecario  si 
legge  nella  vita  di  s.  Leone  III,  che  quel  pontefice  fece 
alcuni  doni  alla  medesima  basilica  sul  principio  del  se- 
colo IX.  Questo  e  i  seguenti  furono  secoli  più  micidiali 
dei  precedenti  per  Roma  e  pel  suo  ducato.  I  Saraceni 
annidatisi  in  Sicilia  nell'anno  828  sparsero  colle  loro  de- 
predazioni il  terrore  sopra  tutte  le  coste  d'Italia;  l'anno 
847  fatta  una  discesa  presso  Roma  nella  spiaggia  por- 
tuense scorsero  la  campagna  in  tutte  le  direzioni,  distrus- 
sero la  città  dì  s.  Rufina,  come  si  trae  dalla  bolla  di  pa- 


628 

pa  Sergio  III.  riportata  dall'Ugliclli,  depredarono  le  ba- 
siliche di  s.  Pietro  al  Vaticano,  di  s.  Paolo  sulla  via  ostien- 
se, si  sparsero  lungo  le  rive  dell'Aniene  e  per  la  provin- 
cia di  Campagna,  devastando,  uccidendo,  e  portando  in 
ischiavitù.  Giovanni  Diacono  dice  che  que'barbari:  Ro- 
mam  supervenerunt,  ecclesias  apostolorum  et  cuncta ,  quae 
extrinsecus  repererunt  lugenda  pernicie  et  horribili  captivita- 
te  diripuerunt.  Questi  disastri  continuarono  per  tutto  il 
secolo  IX.  ora  in  un  punto  ora  nell'altro,  secondo  che  quei 
barbari  erano  attratti  da  maggiori  ricchezze,  o  incoraggiti 
da  minor  resistenza.  Nell'anno  849  abbiamo  da  Anasta- 
sio Bibliotecario  nella  vita  di  Leone  IV,  scrittore  che  fu 
testimonio  de'fatti,  che  i  Saraceni  fermatisi  con  una  flotta 
a  Toxar  vicino  alla  isola  di  Sardegna  presero  di  mira  di 
fare  una  discesa  a  Porto,  ma  all'avviso  del  loro  arrivo  ac- 
corse la  flotta  combinata  de'Napoletani,  degli  Amalfitani,  e 
dei  Gaetani  in  soccorso  de'Romani,  e  fattisi  incontro  ai 
barbari  nel  littorale  ostiense  attaccarono  fiera  zuffa,  so- 
praggiunto un  vento  tempestoso,  divise  questo  i  combat- 
tenti, e  non  permise  ai  barbari  di  approdare:  i  quali  es- 
sendo stati  qua  e  là  dispersi  ruppero  nelle  isole  di  Ponza, 
e  molti  ne  furono  presi,  molti  uccisi  sul  luogo  stesso  dagli 
abitanti.  Una  parte  de'prigionieri  condotta  a  Roma  fu  per 
ordine  de'magistrati  appiccata  presso  Porto,  ed  il  resto 
messo  in  schiavitù.  A  questa  disfatta  de'  Saraceni  presso 
Ostia  allude  la  magnifica  pittura  del  Sanzio  nelle  camere 
vaticane.  Nella  stessa  vita  di  s.  Leone  IV  ci  apprende  il 
Bibliotecario  i  doni  fatti  da  quel  pontefice  alle  chiese  di 
s.  Ninfa,  e  di  s.  Ippolito,  la  prima  nella  città  stessa  di 
Porto,  l'altra  presso  di  essa  nella  Isola  Sacra,  secondo 
ciò  che  si  è  notato  poc'anzi.  Intanto  lo  stesso  pontefice 
andava  pensando  come  potesse  ripopolar  Porto  e  forti^ 
ficarlo  in  guisa  da  porla  al  sicuro  dalle  scorrerie  de'Sa-^ 
raceui.  Questo  tratto  di  storia  è  una  prova  evidente,  che 


629 
la  cillà  di  Porto  a  gaell'epoca  era  deserta.  Infatti  rifug- 
giatisi  in  quel  tempo  in  Roma  molti  Corsi  che  erano  fug- 
giti dalla  loro  isola  per  timore  di  que'barbari,  esibì  loro 
il  soggiorno  di  questa  città,  ed  accordò  ad  essi  vigne, 
terre  e  prati,  cogli  animali  da  lavoro  necessarj,  da  go- 
derne finché  fossero  rimasti  fedeli  alla  sede  apostolica 
essi  ed  i  loro  discendenti.  Questo  ripopolamento  di  Porto 
si  fece  nell'anno  852;  sembra  però  che  presto  svanisse, 
poiché  Porto  stesso  non  comparisce  dopo  questa  epoca 
mai  più  come  città  popolata;  ma  appena  di  tempo  in  tem- 
po come  posto  militare.  Forse  le  nuove  scorrerie  de'Sa- 
raceni  commesse  nell'anno  876,  e  delle  quali  fa  un  qua- 
dro molto  patetico  il  pontefice  Giovanni  Vili,  nelle  sue 
epistole  I,  VII,  XXI,  ec.  e  quelle  che  successivamente  si 
ripeterono,  fecero  ritornar  Porto  nel  primiero  squallore. 

Nel  riferire  le  premure  di  Leone  IV.  per  promove- 
re il  ripristinamento  di  Porto,  osservammo  poc'anzi  che 
quel  pontefice  concesse  ai  nuovi  coloni  vigne,  terre,  pra- 
ti, e  perfino  bestiami;  quindi  si  riconosce  che  quantun- 
que la  città  fosse  deserta,  il  territorio  era  stato  coltivato 
dai  coloni  de'casali  dintorno  in  guisa  che  ancora  vi  re- 
stavano vignati.  Anastasio,  dal  quale  si  hanno  queste  no- 
tizie mostra ,  che  i  terreni  accordati  alla  nuova  colonia 
de'Corsi,  erano  del  demanio  pontificio,  di  varj  monasteri, 
e  perfino  di  privati;  egli  dopo  aver  riportata  la  promessa 
verbale  del  papa:  vineas  vobis,  ac  terras,  prataque  conce- 
demus,  ut  ntdlam  possitis  habere  inopiam  etc.  soggiunge  : 
Loca  vero  quae  eis  data  sunt,  et  a  missis  pontificalibus  con^ 
signata,  tara  ex  proprio  iure  ecclesiastico,  quamque  venera^ 
bilium  monasteriorunif  immo  et  singulorum  hominumf  qui 
finitimi  existebantf  in  concesso  eis  pontificali  privilegio  spe- 
cialiter  adscripta  leguntur.  Imperciocché  Porto  contavasi 
frai  censi  della  Chiesa  Romana ,  come  apprendiamo  da 
Cencio  Camerario;  e  ne'  diplomi  di  Lodovico  Pio,  Otto- 


630 

ne  I.  ed  Enrico  I.  e  particolarmente  menzionato,  come 
parte  integrale  del  dominio  pontificio.  Dall'  altro  canto , 
nel  codice  farfense  si  nominano  come  possessioni  del  mo- 
nastero di  s.  Maria  di  Farfa  terre  ,  e  vigne  in  Portu 
Ostiae',  altre  ve  ne  possedevano  altri  monasteri  che  non 
è  necessario  di  enumerare;  altre  ve  ne  aveano  nobili  ro- 
mani ,  e  a  queste  diverse  possessioni  rilasciate  ai  Corsi 
allude  il  passo  di  Anastasio  riportato  di  sopra.  Nel  de- 
creto di  Leone  VII.  che  molti  credono  apocrifo,  ma  che 
certamente  è  opera  del  secolo,  al  quale  si  ascrive,  sen- 
za voler  con  questo  dichiararlo  genuino,  leggesi  anche 
il  nome  di  Porto  espresso  col  titolo  di  Terram  Portuen' 
Sem:  esso  porta  la  data  dell'anno  963:  era  dunque  spo- 
polato anche  allora,  non  avendo  il  titolo  di  civitas  o  di 
castrum,  come  era  l'uso  in  quei  tempi,^  quando  trattavasi 
di  città  popolate,  o  fortificate.  Un  altro  documento  ap- 
partenente allo  stesso  secolo  ,  sul  quale  non  cade  que- 
stione, ci  mostra,  che  nell'anno  992,  le  terre  date  da  Leo- 
ne IV.  ai  Corsi  erano  ritornate  sotto  la  dipendenza  im- 
mediata del  palazzo  pontificio;  che  il  porto  Trajano  era 
nello  stato  di  lago,  come  oggi  si  vede,  onde  già  la  com- 
municazione  col  mare  era  preclusa;  che  allora  fu  aperta 
una  fossa  dal  Tevere  a  questo  lago,  e  da  questo  nel  Te- 
vere, la  quale  in  parte  ancora  conservasi ,  e  finalmente 
che  la  città  era  presso  a  poco  nella  desolazione  di  og- 
gidì, non  facendosi  punto  menzione  di  popolo ,  ma  sol- 
tanto de'Conti,  o  Gastaldi,  che  sembra  avessero  avuto  io 
feudo  questo  sito.  Questo  documento  è  un  privilegio  di 
Giovanni  XIII.  riferito  dall'Ughelli  e  diretto  a  Gregorio 
vescovo  portuense  ,  col  quale  concede  a  lui  ed  ai  suoi 
successori:  terram  nostri  sacri  lateranensis  palatii  ad  fos- 
satum  faciendum  sicut  incipit  per  longitudinem  a  flumine 
recte  juxta  murum  portuensis  civitatis,  ante  eiusdem  portam 
qme  dicitur  maior  et  exinde  pergenle  usque  in  lacum  Tra- 


631 

ianum  et  db  ipso  Traiano  remeante  per  aliud  fossatum  us- 
que  in  supradictum  flumen.  Un  altro  prezioso  documento 
ci  mostra  lo  stato  di  Porto  sul  principio  del  secolo  se- 
guente: esso  è  un  privilegio  emanato  da  Benedetto  VIL 
circa  l'anno  1019.  in  favore  della  chiesa  portuense,  della 
quale  era  stato  vescovo,  e  riportato  pur  esso  dall'Ughelli. 
In  questo  documento  si  determinano  i  confinì  della  dio- 
cesi di  Porto,  che  comprendeva  tutta  la  regione  trasti- 
berina di  Roma  insieme  coll'isola  di  s.  Bartolommeo,  e 
della  porta  Settimiana  rimontando  il  Gìanicolo ,  per  la 
porta  s.  Pancrazio  e  la  via  Aurelia  giungeva  al  ponte 
dell'Arrone  sulla  odierna  strada  di  Civitavecchia;  di  là 
per  Palidoro  ivi  detto  Parttorium,  lasciando  Palo  a  destra 
torceva  al  mare  per  la  tenuta  di  Maccarese,  e  quindi  se- 
guendo il  littorale  comprendeva  la  foce  destra ,  l' Isola 
Sacraj  e  rimontando  il  Tevere  per  la  foce  sinistra  veniva 
a  raggiungere  il  trastevere  e  l'isola.  Quanto  a  Porto  stes- 
so, in  questa  carta  non  solo  non  si  parla  punto  di  città 
popolata,  ma  anzi  si  esclude  qualunque  popolazione,  poi- 
ché non  si  ricordano  che  pochi  uomini  abitanti  in  una 
torre,  forse  per  difesa  del  littorale  e  della  foce.  Ivi  ap- 
prendiamo che  varie  chiese  ancora  esistevano,  fralle  quali 
s.  Ippolito,  che  era  la  cattedrale  si  dice  posta  fuori  di 
Porto  neir  isola,  alla  quale  si  dà  il  nome  di  maggiore , 
e  che  oggi  diciamo  l'Isola  Sacra;  vi  si  nominano  poi  la 
chiesa  di  s.  Maria,  quella  di  s.  Lorenzo  con  un'altro  epi- 
scopio, quelle  di  s.  Pietro,  di  s.  Gregorio,  di  s.  Teodo- 
ro, e  di  s.  Vito,  tutte  dentro  la  città  stesssf,  il  Trajano, 
una  contrada  detta  Scaraio,  una  torre  Cocuzina,  un'al- 
tra in  Molon,  il  fondo  Bachato,  antiche  cisterne,  i  bagni, 
il  porto  Trajano,  che  si  distingue  dal  lago,  un  palazzo 
detto  Praegestaf  e  finalmente  la  città  costantiniana  colla 
chiesa  distrutta  de'Ss.  Pietro  e  Paolo,  ed  un  balneum  Ve- 
neris.  La  città  era  allora  ridotta  a  varj  terreni;  o  fondi 


632 

chiusi  da  mura,  che  perciò  dicevansi  clausurae:  qualche 
fabbrica  più  insigne  ancora  restava;  ma  nel  rimanente 
era  un'ammasso  di  rovine.  Leone  IX.  confermò  nelt'an- 
no  1049  questo  stesso  privilegio  con  piccole  varietà  di 
nomi ,  càe  piuttosto  dipendono  dagli  amanuensi  che  da 
altra  causa ,  il  quale  pur  si  riporta  dall'  Ughelli.  Nella 
carta  peutingeriana  sono  indicate  due  torri  alla  estremi- 
tà delle  corna  del  molo:  da  questi  due  privilegj  può  ri- 
conoscersi che  una  si  dicesse  Cocuzina,  o  Cucuzuba,  l'al- 
tra in  Molon,  o  Montone,  poiché  così  diversamente  si  leg- 
gono ne'due  privilegj  citati.  Il  fundus  Bacatus  trasse  no- 
me dal  faro  che  ancora  dovea  ravvisarsi,  poiché  nel  Du- 
eange  si  legge  che  Baccha  significa  Specula,  Pkarusj  ma 
l'essere  ridotto  il  contorno  del  faro  a  fondo,  mostra  che 
il  mare  essendosi  già  a  quella  epoca  ritirato,  specialmen- 
te lungo  il  braccio  sinistro,  il  luogo  da  questo  occupato 
era  divenuto  terreno  sodo.  La  distinzione  che  ivi  si  os- 
serva fra  il  lacus,  ed  il  portus  Traiani,  sembra  essere  la 
stessa  che  quella  che  noi  poniamo  fra  Trajano  e  Traja- 
nello,  che  col  primo  nome  intendiamo  il  vero  porto  in- 
terno esagono  di  Trajano,  e  col  secondo  il  gran  recesso 
che  forma  il  porto  Claudio,  e  che  è  ancora  palude ,  il 
quale  lo  mette  in  communicazione  col  porto  Trajano;  in 
guisa  che  a  quei  tempi  per  lago  intendevano  il  porta,  e 
per  porto  il  recesso,  come  quello  che  era  men  lontano 
dal  mare. 

Si  è  notato  di  sopra,  che  Porto  dipendeva  diretta- 
mente dal  papa  ;  dopo  i  tumulti ,  ai  quali  era  andata 
soggetta  Roma  nel  pontificato  di  Gregorio  VII.  continua- 
va a  rimanere  sotto  i  papi,  come  apprendiamo  dalla  Cro- 
naca Cassinense  presso  il  Muratori  R.  I.  S.  Tomo  IV. 
p.  477,  la  quale  parlando  di  Vittore  III,  successore  di 
Gregoria  dall'anno  1086  al  108&  dice:  Castellum  qtwque 
s.  Angeli,  Basilicam  B.  Petti,  civitatem  Hostiensem  aa 


633 
Portuensem  in  sui  juris  dictione  tembat,  indizio  che  quan- 
tunque deserta,  questa  città  era  riguardata  sempre  co- 
me un  luogo  forte,  e  forse  vi  era  qualche  presidio,  come 
in  Ostia  per  signoreggiare  il  corso  del  fiume.  Gelasio  II. 
nell'anno  1118,  appena  creato  papa,  ricevuto  l'avviso  del- 
l' arrivo  inaspettato  dell'  imperadore  Enrico  V.  vi  si  ri- 
fuggiò,  mentre  discendendo  il  Tevere  per  la  foce  destra 
fu  sorpreso  da  una  tempesta:  il  passo  di  Pandolfo  Pi- 
sano che  si  riferisce  a  questo  fatto  è  stato  riportato 
di  sopra ,  dove  notossi  essere  questa  1'  ultima  notizia 
positiva  che  ci  rimanga  dello  stato  navigabile  della  fp- 
ce  destra  del  fiume  fino  ai  tempi  di  Paolo  V.  Il  suo 
successore  Callisto  II.  trovando  affatto  derelilla  la  se- 
de vescovile  di  s.  Rufina  detta  pure  Selva  Candida  la 
unì  a  quella  di  Porto,  come  oggi  rimane:  primo  vesco- 
vo a  reggere  le  due  chiese  unite  fu  Pietro.  Gregorio 
IX.  nel  1236  emanò  una  bolla  di  conferma  di  questa 
unione,  e  ne  da  principalmente  per  ragione  la  poca  di- 
stanza ,  e  la  scarsa  popolazione  delle  due  diocesi.  Nel 
1346  era  il  castello  di  Porto  in  potere  di  Martino,  che 
perciò  dicevasi  signore  di  Porto,  nipote  del  card,  di  Cec- 
cano;  Rienzi,  come  si  legge  nella  sua  vita,  lo  fece  im^ 
piccare,  e  quindi  ottenne  questo  castello  insieme  con 
quello  di  Ostia.  Non  essendo  più  frequentata  la  foce 
destra  del  fiume  ,  non  dee  recar  meraviglia ,  che  così 
scarse  notizie  ci  restino  di  Porto  ne'  tempi  bassi;  dal 
fatto  però  riportato  di  sopra  ,  sempre  più  si  conferma 
ciò  che  abbiamo  asserito,  cioè  che  un  posto  fortificato 
vi  si  mantenne  malgrado  l'abbattimento  totale,  e  que- 
sto par  che  si  restringesse  principalmente  al  recinto 
deir  episcopio  attuale ,  perchè  meglio  ivi  si  domina  il 
canale  del  fiume.  Risorte  però  le  lettere,  la  magnificenr- 
za  delle  rovine  mollo  più  conservate  di  quello  che  og- 
gi veggiamo  vi  attrasse  i  dotti,  e  gli  artisti^  e  comia- 


634 

ciò  di  nuovo  a  frequentarsi.  Pio  II.  nell'anno  1461.  né 
andò  a  visitare  le  vestigia ,  e  secondo  Giovanni  Anto- 
nio Canapano  nella  vita  di  Pio  II.  ebbe  in  animo  di 
ripurgare  il  porto.  Fa  d'uopo  di  qui  riportare  la  descri- 
zione che  leggesi  di  questa  visita  ne'Commentarj  del- 
la vita  di  quell'immortale  pontefice,  poiché  ci  offre  il 
quadro  di  quelle  rovine,  come  vedevansi  a'suoi  giorni: 
Supra  Ostiam  miliario  secundo  Tyieri»  in  duas  partes 
scinditur,  pars  major,  et  quae  multo  superai  alter am,  ad 
sinistram  decurrit  Ostiam  versus  :  pars  minor  ad  dexte- 
ram  flectituf  et  in  occidentem  vergit  sive  natura  id  iter 
invenit,  sive  humana  vis  effodit:  insulam  haec  duo  Ty- 
beris  brachia  non  parvam  efficiunt  pascuosam ,  et  bubalis 
opprime  gratam.  Ecclesia  Portuensis  {  cioè  s.  Ippolito  ) 
in  ea  iacet  detecta:  parietes  tantum  extant,  et  turris  cam- 
panaria, sine  campanisf  non  ignohilig.  In  insula  nullum 
eminet  aliud  aedificiumj  verum  ubicumque  effoderis,  mar-' 
mora  invenias  ,  et  statuas  et  columnas  ingentis  magnitu- 
dinis:  marmora  huc  advexisse  e  ligusticis  montibu^  aliis- 
que  regionibus  mercatores  ferunt,  atque  hic  Romanis  eoe- 
posuisse  venalia ,  quorum  frusta  multa  jacent  scabra  et 
impolita ,  universa  fere  supercrescente  terra  obruta  iacent. 
Insula  plana  est  et  herbosa  ambitus  decem  millium  circi- 
ter  passuum:  tempore  pacis  armentis  piena.  In  parte  Tu~ 
sciae,  qua  minor  Tyberis  pars  Tyrrhenum  influii  pelagusy 
Claudius  imperator  portum  extruxit ,  circumdato  dextra 
sinistraque  brachio,  et  ad  introitum  profundo  jam  salo  mo- 
le obiecta,  quem  quo  facilius  fundaret  navem  ante  demer- 

sit Turris  adirne  extant  vestigia^  quae  procul  in  mari 

cernuntur ,  reliqua  funditus  periere.  Huic  propinqua  urbs 
portuensis  a  portu  nomen  sortita,  sive  Claudii  fuerit  opus 
sive  Traiani,  ruinae  tantum  visuntur.  Exstat  porta  urbis 
nudata  marmoribus,  et  pars  murorum  corrupta,  cernuntur 
H  gentiUum  templorum  vestigia,  et  christianorum  ecclesia- 


635 
fum  cadavefa:  in  medio  navale  fuit  quod  Traiani  opus 
dicunt,  et  vulgo  prò  Traiano  Troianum  vocant,  muUarum 
triremium  capaxj  nunc  stagni  formam  habet  oppletam  coe- 
no:  olim  canale  per  duo  millia  passuum  a  mari,  portu- 
gue,  naves  eduxit,  et  salsam  dulci  miscuit  aquam.  Circa 
stagnum  columnarum  ordines  nondum  omnes  cecidere,  qui- 
bus  alligari  naves  consueverunt:  prope  adsunt  fornices  ad 
servandas  merces  apti  et  ampliora  officinarum  loca  ad  struen- 
das  ,  reparandasque  naves  idonea.  Pammachius  patricius 
romanus  hoc  in  loco  xenodochium  aedificavit,  quem  divus 
Hieronymus  commendai,  cuius  rei  nullae  visuntur  reliquiae. 
Urbs  olim  destructa  fuit,  postea  in  formam  castelli  reda- 
cta,  et  id  quoque  inhabitatum  cernitur.  In  questa  descri- 
zione è  da  notarsi  particolarmente,  che  rimanevano  an- 
cora le  vestigia  della  torre  del  Faro,  e  che  queste  ve- 
devansi  lungi  dal  luogo  dove  stava  il  pontefice,  cioè  da 
Porto  attuale ,  nel  mare  ,  prova  che  non  si  era  questo 
ancora  intieramente  allontanato,  come  lo  è  oggi.  Biondo 
da  Forlì  nella  Roma  Instaurata  lib.  II.  scrittore  dello 
stesso  secolo  conferma  che  le  rovine  del  Faro  si  vede- 
vano ancora:  et  turris  illius  pharaae  partem  non  minimam, 
marmoribus  tamen  quibus  olim  crustata  fuerat  spoliatam 
extare  videmus.  Anche  il  pontefice  Sisto  IV.  volea  ripur- 
gare il  porto  come  ne  apprende  l'autore  anonimo  del- 
la sua  \ita  R.  I.  S.  T.  III.  P.  II.  p.  1064:  quindi  ai 
9  di  novembre  dell'anno  1483  passò  da  Ostia,  a  Por- 
to, come  ci  afferma  Giacomo  Volaterrano  sumpto  pran- 
dio ,  placuit  pontifici  et  patribus  vagari  usque  ad  litus 
proximioris  maris,  vói  cernuntur  adhuc  muri  vetustissimi 
Portus  et  pene  collisi ,  et  Pharus  turris ,  adeo  ut  etiam 
hodie  ejus  vocabulum  servat.  Nel  suo  pontificato ,  essen- 
do vescovo  portucnse  il  card.  Roderico  Borgia,  che  poi 
fu  papa  col  nome  di  Alessandro  VI,  fu  risarcito  il  re- 
cinlo  merlato  dell'  episcopio,  come  oltre  la  costruzione 


636 

si  dimostra  dalle  sue  armi  di  marmo  po^te  sopra  la  por-* 
ta.  Neil'  anno  1486  Porto  andò  soggetto  alle  scorrerie 
del  duca  di  Calabria  R.  I.  S.  T.  III.  P.  IL  p.  1206, 
Non  si  conosce,  se  a  questa  scorreria  si  debba  attribui- 
re il  totale  esterminio  della  torre  del  Faro,  che  sicco- 
me si  è  notato  vedevasi  ancora  circa  V  anno  1483  ;  il 
Fulvio  dice  essere  stata  guasta  e  portata  via  dalle  on- 
de: egli  però  scrive»  sul  principio  del  secolo  XVI.  quan- 
do già  le  onde  in  quella  parte  non  aveano  più  tanta 
forza  ;  onde  senza  accettare  la  eausa  che  egli  adduce  , 
riconosceremo  piuttosto  il  fatto,  che  ai  suoi  giorni  la 
torre  era  scomparsa.  Lo  stesso  dee  dirsi  del  Fauno  che 
scrisse  sulle  sue  traccie.  Nel  1556  presso  la  foce  del 
Tevere  fu  posto  un  campo  dai  Caraffa  nipoti  di  Paolo 
IV,  centra  le  truppe  del  duca  d'Alba  che  si  ersmo  ac- 
campate sulla  foce  opposta  presso  Ostia,  Ci  rimane  una 
carta  di  quel  tempo,  dalla  quale  apparisce  ch€  lo  stato 
di  Porto  e  delle  adjacenze  differiva  di  poco  dall'odier- 
no se  non  vuole  contarsi  il  prolungamento  che  da  quel 
tempo  ha  ancor  fatto  la  spiaggia  pe'depositi  delle  are- 
ne. Il  card.  Fulvio  Corneo  divenuta  vescovo  portuense 
nel  1580  ristaurò  l'episcopio  e  la  chiesa  nel  1543,  on- 
de ivi  si  leggono  i  versi    seguenti: 

Squallebant  Portus  Aedes  Vrbs  Tota  Tacebat 
Vix  Etiam  Paucis  Stabat  et  Ara  Dei. 

Caedibus  Assiduis  Dirisque  Expoxta  Rapinis 
Rura  Nec  hi  Tuto  lam  Locus  Ullus  Erat. 

Nec  Mare  Navigiis  Aptum  Nec  Tibridis  linda 
Ipse  Suas  Hwneris  Nauta  Ferebat  Opes. 

Corneus  A  Saevis  Purgavit  Littora  Momtris 
Hinc  Nova  Miraris  Surgere  Tempia  Domus.. 

Inde  Vides  Altum  Flumen  Tuta  Ostia  Nautis 
Et  Didicisse  Fretum  Subdere  Colla  lugo. 
.,   ■  MDLJXXIIL    -n-in  '■A.ùvnn  ^'^-^    : 


637 

Dopo  questa  epoca,  riapertasi  alla  navigazione  la  foce 
destra  nell'anno  1612  da  Paolo  V.  come  a  suo  luogo  è 
stato  notato,  Porto  non  è  risorto,  ma  una  piccola  popo- 
lazione si  è  formata  alla  foce  stessa  del  Tevere,  dove  per 
le  cure  di  Belisario  Cristaldi  tesoriere  generale  furono 
nel  1825  innalzate  commode  e  decenti  abitazioni:  que- 
sto borgo  dal  nome  volgare  della  foce  destra  avrà  il 
nome  di  Fiumicino. 

Premesse  le  notizie  istoriche  è  tempo  di  passare  a 
descrivere  ciò  che  ci  rimane  di  questa  città  e  de*  suoi 
porti,  onde  poter  rintracciare  la  forma  di  questi,  la  loro 
direzione  reciproca,  e  le  fabbriche  più  cospicue  che  li 
adornavano,  e  che  principalmente  costituivano  la  città. 
Trattandosi  di  porti  e  di  ediflcj  costrutti  per  loro  uso 
e  decorazione,  cojsì  che  questi  sono  accessorii  di  quel- 
li, credo  dovermi  attenere  piuttosto  al  metodo  analitico 
e  cronologico  ,  che  a  qualunque  altro ,  esaminando  pri- 
ma il  porto  di  Claudio,  come  il  primo  che  venne  for- 
mato ,  poi  quello  di  Trajano ,  e  finalmente  gli  edificj 
meno  inerenti  ai  porti,  o  posteriormente  costrutti.  Dac- 
ché le  arti  tornarono  in  pregio  e  lo  studio  delle  anti- 
chità propagossi,  il  porto  trajano ,  che  conserva  quasi 
intatta  la  forma,  fissò  lo  sguardo  degli  eruditi  e  degli 
architetti.  Si  è  veduto  nella  storia  quant'  ammirazione 
destasse  in  Pio  II.  ed  in  Sisto  IV,  pontefici  sapientissi- 
mi, fino  a  volerlo  ripristinare:  Biondo,  Volaterrano,  Ful- 
vio ,  e  Fauno  ne  parlarono  con  meraviglia  ;  ma  ninno 
avanti  il  Ligorio  ne  pubblicò  un  disegno.  Questi  piut- 
tosto che  darci  una  pianta  delle  rovine ,  come  allora 
esistevano,  cioè  assai  più  riconoscibili  di  oggidì,  volle 
dare  un  ristauro,  il  quale  fu  inciso  in  Venezia  nel  1554 
da  Giulio  de  Musis,  e  nel  1558  dato  alla  luce  dal  Tra- 
mezino ,  ripubblicato  poi  nel  1775  in  Roma  da  Carlo 
Losi.  In  tale  lavoro  quell'insigne  architetto  lasciossi  vin- 


638 

cere  dalla  sua  immaginazione,  onde  quel  ristauro  trova- 
si sovente  in  contraddizione  aperta  collo  stato  delle  ro- 
vine; essendo  però  il  primo  disegno,  dee  esaminarsi,  poi- 
ché quantunque  difettoso,  tuttavia  dà  una  idea  genera- 
le, e  forse  in  qualche  piccola  parte  è  meno  inesatto. 
Sulle  traccio  del  Ligorio  diede  alla  luce  un'altro 
ristauro  di  Porto  nel  1575  il  Du  Perrach,  che  fu  in- 
ciso in  Roma  da  Antonio  Lafrez  e  ripubblicato  dal  De 
Rossi:  questo  suo  ristauro  vedesi  espresso  nella  galle- 
ria delle  carte  geografiche  al  Vaticano.  Benché  neppur 
questo  possa  dirsi  di  una  esattezza  geometrica,  pure  dà 
una  migliore  idea  del  locale  ed  è  di  un'  uso  indispen- 
sabile pel  confronto.  Volpi  e  dopo  di  lui  Locatelli  che 
trattò  di  Porto  in  una  dissertazione  inserita  nel  tomo 
VI.  degli  atti  dell'  Accademia  di  Cortona  ,  e  che  prese 
come  si  vide  di  sopra  a  sostenere  un  assurdo ,  si  servi 
di  questa  medesima  tavola  che  riprodusse  in  una  scala 
più  piccola.  Sì  il  Ligorio  che  il  Du  Perrach,  come  pure 
tutti  gli  eruditi  che  trattarono  di  Porto,  non  hanno  nep- 
pur posto  in  dubbio  che  il  porto  Claudio,  ed  il  Traja- 
no  non  fossero  sullo  stesso  asse;  il  solo  Volpi  opinò  che 
il  canale,  o  alveo  di  communicazione  fra  i  due,  non  fos- 
se dritto,  ma  facesse  un  gomito,  indottovi  dalle  traccio 
del  dorso  che  é  dinanzi:  ma  il  Rasi  anche  prima  di  aver 
perlustrato  il  sito  credette,  che  la  bocca  fosse  rivolta  a 
maestro-tramontana,  come  lo  é  difatti,  quasi  con  preci- 
sione geografica.  Dopo  reiterate  osservazioni  locali  rico- 
nobbi col  Canina  che  la  supposizione  della  identità  del- 
l'asse ne'due  porti  era  erronea,  e  che  essendo  il  porto 
Claudio  di  costruzione  primitiva ,  ed  indipendente  dall' 
interno,  fu  con  altissimo  sapere  diretto  verso  settentrio- 
ne, vento  innocuo  e  sereno  nel  nostro  littorale;  mentre 
stando  alla  supposizione  degli  architetti  sopraccitati,  la 
bocca  sarebbe  stata  rivolta  a  lebecccio,  che  è    il  vento 


639 
più  tempestoso,  e  quello  che  agglomera  maggior  quan- 
tità di  arene.  Ora  prescindendo  dai  fatti,  ancorché  que- 
sti non  fossero  chiari  e  patenti,  come  è  possibile  imma- 
ginare, che  avendo  Claudio  una  spiaggia  egualmente  sot- 
tile e  nuda,  da  poter  dirigere  i  moli  come  voleva,  aves^ 
se  piuttosto  diretto  in  guisa  le  loro  braccia  ,  da  avere 
la  bocca  esposta  al  lebeccio,  che  in  pochi  anni  avrebbe 
riempiuto  il  porto  di  arena,  di  quello  che  a  tramontana 
vento  benefico,  che  piuttosto  la  scava?  Fin  qui  però  sa- 
rebbe contraporre  ad  una  supposizione  improbabile  una 
opinione  più  giusta;  ma  fortunatamente  a  dileguare  ogni 
dubbio,  i  moli  si  riconoscono  ancora,  come  piccole  du- 
ne prolungate,  coperte  da  erbe  e  da  boscaglie  di  arbusti 
e  lasciano  riconoscere  la  loro  curva  primitiva,  somiglian- 
do appunto  a  braccia  distese:  porrectaque  brachia  le  chia- 
mò Giovenale.  Questo  porto ,  e  tutti  quelli  che  i  padri 
nostri  fondarono ,  e  i  ponti  che  fecero ,  e  la  direzione 
che  diedero  al  corso  de'  fiumi ,  rispondono  invittamente 
alle  accuse ,  che  pur  troppo  lanciano  contro  loro  certi 
mediocri  ingegni  moderni  i  quali  si  fan  lecito  di  dichia- 
rare su  tal  proposito  con  Rapini  :  È  cosa  generalmente 
faputa,  che  l'arte  idrostatica  in  qm  tempi  era  affatto  bam- 
bina in  quanto  al  regolamento  de' fiumi  con  tutto  che  si  sa- 
pessero, 0  per  meglio  dire  si  vedessero  le  loro  tendenze  ed 
effetti  :  vedi  insolenza  !  Il  molo  destro  per  chi  guarda 
verso  settentrione  si  solleva  sopra  terreni  bassi  e  panta- 
nosi, relitti  del  mare,  e  si  discopre  iu  tutta  la  sua  esten- 
sione per  metri  800:  sul  principio  scorgonsi  ruderi  iso- 
Iati  corrispondenti  nella  tavola  di  Du  Perrach  ad  una 
gran  torre  quadrata:  altri  ruderi  di  un  edifizio  più  co- 
spicuo scopronsi  a  fior  di  terra  circa  300  metri  dopo 
dove  comincia  la  curva.  Alla  estremità  di  questo  primo 
braccio  si  apre  la  bocca  settentrionale  larga  circa  80  me- 
tri: i  moderni  ne  hanno  profittato  per  incanalarvi  un  fos- 


640 

so  che  chiamano  del  Fronzino.  Di  là  dalla  bocca  comin- 
cia l'altro  dorso,  molto  più  largo  del  precedente,  e  che 
lascia  travedere  a  fior  di  terra  i  massi  quadrati  di  tu- 
fa  dell'  antica  costruzione:  questa  specie  di  platea  lun- 
ga 180  metri,  larga  90  essendo  nell'asse  grande  del  por- 
to e  molto  più  larga  del  molo  destro  e  del  sinistro,  che 
poco  dopo  incomincia  a  tracciarsi ,  fa  credere  essere  il 
piantato  del  famoso  Faro  fatto  da  Claudio  ad  imitazio- 
ne dell'  Alessandrino,  ed  eretto  alla  estremità  del  molo 
sinistro ,  come  si  è  veduto  nella  storia  :  ad  esso  servi 
per  fondamento  la  nave  che  portò  l'  obelisco  a  Roma. 
Da  questo  punto  più  largo  e  più  elevato  si  prolunga 
verso  settentrione  un  dorso  quasi  insensibile,  che  ha  il 
nome  volgare  di  Monte  dell'Arena  che  comunica  a  que- 
sta parte  del  fondo  portuense:  esso  incurva  leggermente 
verso  levante  e  termina  in  un  piccolo  tumulo  formato 
evidentemente  di  rovine,  fralle  quali  si  osservano  fram- 
menti di  marmo,  e  pezzi  di  ornato  che  annunziano  una 
decadenza  avanzata:  più  oltre  non  rimane  traccia  di  fab- 
bricato, o  di  tumuli  artificiali.  La  lunghezza  del  dorso, 
compreso  1'  ultimo  tumulo  è  di  circa  600  metri.  Di  là 
ritornando  al  faro  e  volgendo  a  destra  per  percorrere 
r  altro  braccio  del  molo,  si  riconosce  ancor  questo  per 
lungo  tratto,  quantunque  imboschito  di  arbusti  marini, 
frai  quali  particolarmente  abbondano  il  lentisco,  il  tame- 
rice, il  ginepro,  1'  arbuto  ec.  così  fitti  che  dan  noja  al 
curioso ,  e  sovente  si  oppongono  alle  ricerche.  Questo 
braccio  di  molo  si  riconosce  per  lo  spazio  di  circa  1000 
metri  escludendo  il  tumulo  del  faro:  quindi  si  perde 
fin  presso  al  confluente  del  Fronzino  nel  Tevere  per  lo 
spazio  di  680  metri  :  par  naturale  che  continuasse  ,  e 
forse  per  ricerca  di  materiali  è  nei  tempi  moderni  scom- 
pars(?;  nel  taglio  del  fosso  Fronzino  presso  il  confluente 
nel  Tevere  si  vedono  traccie  della  costruzione  che  uni- 


va  il  pi'oseguimento  del  mòlo  con  un  lungo  ordine  di 
taberne.  Eslendonsi  queste  per  sopra  a  600  metri,  ed 
occupano  il  fondo  del  porto  Claudio:  essendo,  quasi  ad 
angolo  retto  coll'asse  del  porto  si  riconoscono  come  ope- 
ra contemporanea  a  quello;  né  la  costruzione  di  opera 
reticolata  e  laterizia  vi  si  oppone.  Delle  taberne  stes- 
se poche  traccie  rimangono,  ma  il  piantato  è  rimasto 
intiero  fino  a  quésti  ultimi  tempi ,  essendo  stato  deva- 
stato negli  anni  scorsi  per  profittare  de'materiali  ed  im- 
piegarli nella  costruzione  della  nuova  borgata ,  e  riem- 
pire le  palizzate  ,  che  servono  a  regolare  il  corso  del 
fiume.  Benché  oggi  sia  devastato ,  rimangono  testimonj 
che  fanno  riconoscere  che  il  nucleo  era  formato  da  mas- 
si grandi  rettilinei  di  tufa  di  monte  Verde  legati  da  tra- 
vertini :  poche  vestigia  restano  de'  primi  ;  de'  travertini 
però  meno  alcuni  che  sono  stati  segnati,  e  pochi  che  sono 
caduti,  gli  altri  benché  privi  di  sostegno  restano  ancora 
sul  sito  retti  dalla  bontà  del  cemento.  Quest'  ordine  di 
taberne,  o  magazzini  vedesi  indicato  dal  Du  Perrach,  ma 
con  inesattezza,  fra  il  canale  di  comunicazione  del  Te- 
vere col  porto  Trajano,  ed  il  principio  del  molo:  non 
conoscendo  egli  l'angolo  che  fa  il  porto  Claudio  col  por^ 
to  Traiano  ha  posto  queste  taberne  soverchiamente  ver- 
so l'oriente,  fissandole  dietro  le  fabbriche  dipendenti  dal 
porto  Trajano.  Dietro  questa  linea  di  taberne  verso  mez- 
zodì scorre  il  canale  portuense  ,  o  la  fossa  trajana ,  la 
quale  ha  un  corso  parallello  colle  fabbriche  trajanèe,  per- 
chè aperta  contemporaneamente  a  quelle;  ma  tosto  che 
si  avvicina  a  questo  fabbricato,  fa  un'angolo  ottuso  per 
non  urtarle:  questa  circostanza  è  una  conferma  ulterio- 
re di  ciò  che  fu  osservato  poc'anzi,  cioè  che  le  taberne 
essendo  ad  angolo  retto  coll'asse  del  porto  Claudio  a  quel- 
lo debbonsi  ascrivere  >  quindi  preesistendo  allo  scavo 
della  fossa ,  Trajano  per  evitarle  dovè  torcerla  e  darle 

41 


642 

una  inclinazione  verso  lebeccio,  la  quale  meno  tale  tìe- 
cessità  dovea  evitare  ad  ogni  costo.  Il  tratto  di  680  me- 
tri fra  la  estremità  del  molo  sinistro  e  queste  taberne 
forma  un  recesso  o  rientramento  del  porto,  che  dee  ri- 
conoscersi come  la  darsena  originale:  il  tumulo  che  ver- 
so oriente  fiancheggia  questo  recesso  fa  un  angolo  ret- 
to colle  taberne,  onde  può  supporsi,  che  sia  nella  linea 
della  crepidine,  che  secondo  Dione  girava  intorno  al  por- 
to interiore  di  Claudio  :  tutto  ciò  che  è  dietro  di  que- 
sto fa  parte  del  porto  Trajano  ,  onde  per  ora  si  lascia. 
Quando  Claudio  costruì  il  porto,  questo  recesso  era  ter- 
ra ferma,  quindi  in  esso  dee  riconoscersi  quel  tratto  di 
terra  da  lui  scavato ,  dal  quale  poi  spiccò  i  due  moli 
nel  mare,  frai  quali  fondò  V  isola  che  sostenne  il  faro. 
Le  parole  di  Dione  riferite  di  sopra  accordansi  perfet- 
tamente collo  stato  de'  luoghi  :  egli  dice  che  Claudio 
scavò  un  tratto  non  piccolo  di  terra  ferma,  e  questo  è  il 
recesso,  o  la  darsena  che  ha  circa  un  miglio  e  mezzo  di 
circonferenza:  che  lo  cinse  intorno  di  una  crepidine,  e  di 
questa  sono  visibili  le  traccio  verso  mezzoggiorno  ed 
oriente  :  che  quindi  v  introdusse  il  mare ,  conferma  che 
prima  non  vi  era  :  che  poi  gittati  aggeri  grandi  dentro 
il  m^are  stesso,  chiuse  un  vasto  seno,  e  fondò  una  isola  in 
esso  per  sostenere  una  torre  con  faro:  è  inutile  riferire  di 
nuovo  i  passi  citati  a  suo  luogo  di  Svetonio  e  di  Giove- 
nale, e  che  si  accordano  pienamente  con  questo  di  Dio- 
ne; in  questo  tratto  io  credo  che  furono  scavate  quelle 
fosse,  alle  quali  allude  la  iscrizione  di  Claudio  riportata 
di  sopra.  Or  nella  descrizione  sovraccennata  i  due  moli 
sono  chiari  e  si  riconoscono  bene  sul  luogo;  non  cosi 
rìsola,  sulla  quale  è  d'uopo  fare  una  breve  discussione. 
Nella  storia  di  Porto  è  stata  di  già  toccata  la  contradi- 
zione almeno  apparente  che  sopra  (juesta  isola  esiste  fra 
Plinio  e  Svetonio,  e  fu  conchiuso,  che  forse  la  m^ìles  di 
''       lì- 


643 
Svelonìo,  che  è  la  stessa  dell'  isola  di  Dione  e  che  noi 
diremmo  l'antemurale  del  porto,  essendo  molto  più  vi- 
cina al  molo  sinistro,  che  al  destro,  potè  indurre  Plinio 
a  riguardarla  quale  prosecuzione  di  quello.  Quindi  rica- 
vasi che  l'antemurale  fu  nella  direzione  della  incurvatu- 
ra del  molo  sinistro.  Questa  ragione  fa  inclinare  a  cre- 
dere che  il  tumulo  sia  il  piantato  del  faro.  Ma  si  osser- 
vò che  in  quel  punto  medesimo  si  distacca  l'altro  dor- 
so, e  non  havvi  traccia  di  separazione  fra  il  piantato 
del  faro  ed  il  molo.  Or  si  domanderà  giustamente  co- 
me il  faro  fu  sopra  una  isola,  o  antemurale,  ed  a  qua* 
le  uso  si  fece  il  prolungamento.  Sembra  che  questo  sta- 
to positivo  di  cose  possa  spiegarsi  in  questa  guisa.  1.  I 
ruderi  del  molo  prolungalo  sono  de'tempi  della  decaden- 
za estrema,  e  perciò  deve  riguardarsi  quello  come  una 
aggiunta  posteriore  ,  alla  quale  non  ha  punto  che  fare 
Claudio.  2.  Il  tumulo  può  bene  essere  stato  in  orìgine 
un'antemurale  fralle  due  bocche  una  delle  quali  fu  chiu- 
sa, perchè  essendo  più  stretta  dell'altra,  e  divenendo  ogni 
giorno  più  diffìcile  di  accesso  per  le  arene  che  il  lebec- 
cio  addossava  lungo  il  molo  sinistro,  il  molo  fu  congiun- 
to coU'isola,  e  questa  diventò  estremità  del  molo,  e  per 
tale  motivo  oggi  non  si  vede  alcuna  separazione  fra  il 
molo  sinistro  e  la  isola,  come  si  riconosce  quella  fra  la 
isola  ed  il  molo  destro.  Questo  rimedio  coll'andare  de- 
gli anni  divenne  inutile  ,  poiché  continuando  sempre  le 
arene  ad  addossarsi  e  girare  intorno  al  molo,  anche  la 
bocca  dì  ponente  veniva  ad  essere  minacciata ,  quindi 
fu  giudicato  opportuno  di  gettare  un'altro  molo  ed  alla 
sua  estremità  eriggere  un'altro  fanale  per  guida  de'na- 
viganti.  Considerando  il  tempo  che  deve  essere  corso 
per  rendere  necessaria  questa  opera,  e  per  eseguirla,  ri- 
flettendo allo  stile  degli  ornati  ivi  trovati  che  sono,  co- 
me notossi  della  decadenza  estrema  ,  e  sapendo  quanta 


644 

cura  prendesse  il  re  Teodorico  di  tutte  le  fabbriche  ro- 
mane, mura,  palazzo,  acquedotti,  terme  etc.  e  partico- 
larmente di  questo  porto ,  a  lui  può  attribuirsi  questo 
laToro,  siccome  è  stato  di  già  indicato  nel  saggio  stori- 
co. Ritornando  alla  crepidine ,  dopo  di  essa  si  apre  il 
varco  ad  una  forma  moderna  che  versa  le  acque  del 
lago  Trajano  nel  fosso  Fronzino;  e  quindi  prolungasi 
un'altro  dorso  che  in  Du  Perrach  é  segnato  come  un 
piccolo  molo  pur  distaccato  dalla  linea  degli  edificj:  sem- 
bra però  che  in  origine  questo  fosse  una  prosecuzione 
del  precedente,  e  che  dopo  i  cangiamenti  di  Trajano  sol- 
tanto rimanesse  separato:  essendo  parallello  alla  crepidi- 
ne che  servì  a  contenere  la  darsena  del  porto  Claudio, 
è  naturale  supporre  che  fosse  pur  esso  costrutto  dap- 
principio: la  sua  punta,  e  quella  del  molo  sembrano  po- 
tersi fissare  come  ingresso  della  darsena  che  di  là  s'in- 
ternava fino  presso  alle  taberne:  la  medaglia  di  Nerone 
fa  credere  che  dinanzi  la  bocca  della  darsena  fosse  una 
statua  giacente  e  colossale  del  Tevere.  Il  tratto  verso 
oriente,  circoscritto  in  parte  da  questo  aggere  stesso  è 
oggi  palude  :  il  nome  di  Trajanello  che  porta  e  quello 
di  Portus  Trajani ,  col  quale  è  indicato  nelle  bolle  di 
Benedetto  Vili  e  di  Leone  IX  sono  indizj  sufficienti  per 
attribuirlo  a  quell'imperadore:  pare  che  in  origine  il  lido 
andasse  direttamente  verso  il  principio  del  molo  destro. 
Riepilogando  ciò  che  è  stato  esposto  finora  si  riconosce, 
che  nella  linea  del  littorale  in  questo  sito  Claudio  sca- 
vò una  darsena  :  che  ebbe  un  circuito  di  circa  un  mi- 
glio e  mezzo  ,  che  spiccò  dal  lido  entro  il  mare  i  due 
gran  moli  che  stringevano  fra  loro  l'isola  artificiale  del 
faro  racchiudendo  un  seno  quasi  semicircolare  di  circa 
mille  metri  di  diametro  e  2000  di  circonferenza  :  che 
dapprincipio  esistevano  due  bocche,  una  minore,  l'altra 
maggiore,  chiusa  quella,  il  faro  rimase  congiunto  al  mo- 


645 
lo  sinistro:  e  finalmente  che  ne'  tempi  di  Teodorico  fu 
prolungato  il  molo  ed  alla  sua  estremità  venne  eretto  il 
nuovo  fanale.  Du  Perrach  fa  il  molo  destro  arcuato,  e 
sul  sinistro  colloca  edificj  molto  considerabili,  de'  quali 
non  rimangono  più  le  traccie:  circa  l'arcuazione  del  molo 
dritto  si  vede  pure  nella  medaglia  dì  Nerone. 

Dopo  aver  descritto  il  porto  di  Claudio  ,  passiamo 
a  quello  di  Trajano.  Si  è  osservato  a  suo  luogo  che  que- 
sto ottimo  principe  non  solo  ristaurò  in  meglio  il  porto 
di  Claudio,  ma  ne  aprì  un  nuovo  più  sicuro  e  più  in- 
terno, al  quale  fu  imposto  il  suo  nome.  Sembra  che  la 
darsena  di  Claudio  si  andasse  interrando,  e  che  questo 
fosse  il  motivo  principale  che  determinò  Trajano  alla  im- 
presa di  aprirne  un'altra:  la  palude  detta  oggi  Trajanel- 
lo,  della  quale  si  fece  menzione  di  sopra  era  in  origine 
parte  del  lido,  e  fu  scavata  ad  arte  a  guisa  di  canale: 
Dell'internarsi,  questo  tratto  diviene  sempre  più  stretto 
finché  la  sua  larghezza  non  eccede  i  90  metri.  Questo 
luogo  può  riguardarsi  come  la  bocca  del  canale,  che  da 
questo  punto  volge  direttamente  ad  oriente.  L'alveo  di 
questo  canale  si  riconosce  in  tutta  la  sua  ampiezza ,  e 
si  distingue  per  le  erbe  palustri  e  per  l'acqua  limaccio- 
sa che  lo  ricopre:  la  sua  lunghezza  al  suo  imbocco  nel 
porto  Trajano  è  di  440  metri:  la  sponda  opposta  però  è 
più  lunga  di  110.  metri.  La  larghezza  è  costantemente 
di  metri  60  fino  al  punto  dove  sì  dilata  dì  più  del  dop- 
pio verso  mezzogiorno:  imperciocché  ivi  diramavano  da 
esso  due  canali  uno  che  volgeva  a  destra  e  formava  il 
ristagno  parallelo  al  canale  principale,  l'altro  che  si  di- 
riggeva  verso  mezzogiorno ,  e  finiva  nella  fossa  trajana 
servendo  a  mantenere  la  communicazìone  fra  questa  ed 
i  porti;  questo  canale  sebbene  ristretto  si  mantiene  an- 
cora :  il  ristagno  è  ridotto  a  palude ,  ed  a  prima  vista 
si  riconosce  che  fu  l'antico  cantiere:  ivi  fu  scoperto  il 


646 

bellissimo  busto  di  Trajano^del  museo  Vaticauo.  L'  aF- 
Teo  grande  finisce  nel  porto  Trajano  ,  che  oggi  volgar- 
mente si  dice  lago  Trajano,  o  il  Trajano.  La  forma  di 
questo  vastissimo  bacino  è  un  esagono  regolare ,  il  cui 
lato  rivolto  a  lebeccio  si  apre  per  mettersi  in  commu- 
nicazione  col  porto  di  Claudio  per  mezzo  del  canale  te- 
sté descritto  :  essendo  questo  porto  tutto  interno  e  co- 
perto dal  molo  non  risentiva  alcun  nocumento  dall'essere 
aperto  verso  lebeccio,  quindi  Giovenale  cantò: 

Sed  trunca  puppe  magister 

Interiora  petit  baianae  pervia  cymbae 

Tuti  stagna  sinus. 
l  due  lati  dell'esagono  rivolti  a  settentrione  e  a  maestro,, 
e  la  metà  di  quello  verso  lebeccio  sono  men  conserva- 
ti ,  essendosi  l'acqua  considerabilmente  ritirata  dagli  an- 
tichi limiti:  non  così  gli  altri  dove  l'acqua  lambisce  an- 
cora r  antica  crepidine.  Fu  sul  lato  settentrionale  che 
nel  1794  vennero  trovati  i  frammenti  della  gran  statua 
colossale  loricata  di  marmo  greco  della  proporzione  di 
circa  25  palmi  di  altezza  ed  il  piantato  del  piedestallo 
quadrato  alto  un  palmo  e  mezzo,  largo  20,  notizie  che 
si  debbono  all'  indefesso  Fea.  La  profondità  maggiore 
che  oggi  ha  questo  porto  è  di  circa  3  metri:  la  circon- 
ferenza è  di  2220  met. ,  o  circa  un  miglio  e  mezzo. 
Dintorno  erano  disposte  colonnette  di  diversi  marmi  e 
granito  per  attaccarvi  le  navi:  Volpi  ne  riporta  qualcu- 
na con  numero ,  e  qualcuna  rovesciata  ancora  rimane  t 
egli  dice  essere  state  forse  quaranta,  avendo  letto  i  nu- 
meri XXXI  e  XXXIV.  sopra  due  :  ed  avendone  misu- 
rata una  intiera,  notò,  che  1'  altezza  sopra  terra  era  di 
9  palmi,  ed  il  diametro  di  2.  palmi  e  3-  oncie,  e  che 
erano  ficcate  in  terra  per  tre  palmi.  Filostorgio ,  nel 
parlare  della  occupazione  di  Porto  fatta  da  Alarico  di- 
ce che  tre  erano  i  porti:  facile  è  congetturare  che  i  due 


6A1 
erano  quelli  di  Claudio  e  di  Trajano  :  per  terzo  egli 
prese  certamente  il  Trajanello,  ed  il  gran  canale,  giac- 
ché non  può  per  la  ristrettezza  sua  supporsi  aver  pre- 
so per  porto  il  cantiere  ,  che  d'  altronde  è  commune  a 
tutti  i  porti. 

Dopo  di  aver  determinato  i  porti,  e  la  loro  giaci- 
tura reciproca,  è  tempo  di  volgerci  a  rintracciare  le  ro- 
vine degli  edificj.  E  qui  è  da  premettersi  che  general- 
mente gli  avanzi  che  rimangono  dell'  antica  città  sono, 
o  informi,  o  coperti  da  tumuli,  i  quali  col  loro  ondula- 
re diverso  servono  di  norma  per  indovinare  la  forma 
delle  fabbriche,  il  sito  delle  aree,  e  de'cortili,  le  strade 
ec.  j  ma  non  si  aspetti  il  curioso  di  trovare  oltre  i  porti 
rovine  imponenti  o  pittoresche  ;  certo  che  se  si  sgom- 
brassero intieramente,  l'aspetto  de'ruderi  diverrebbe  mol- 
to diverso ,  e  le  reliquie  di  Porto  non  si  troverebbero 
inferiori  alle  altre ,  né  per  estensione ,  né  per  mole  e 
forse  anche  neppure  per  bellezza  pittorica.  Per  chi  giun- 
ge da  Roma  i  primi  ruderi,  su' quali  l'occhio  si  ferma 
sono  quelli  del  recinto  costantiniano,  il  quale  si  distin- 
gue in  tutta  la  linea ,  meno  presso  la  strada  romana 
dove  è  stato  divelto  per  profittare  de'materiali.  Esso  si 
riconosce  in  un  dorso,  dove  di  distanza  in  distanza  sor- 
gono tumuli ,  e  qualche  pezzo  di  muro  diroccato  rive- 
stito di  edera  e  di  arbusti  :  il  dorso  corrisponde  alla 
cortina,  i  tumuli  alle  torri,  che  la  difendevano.  Imper- 
ciocché in  questo  recinto  vedesi  usato  lo  stesso  metodo 
di  fortificazione,  che  fu  tenuto  nelle  mura  che  fasciano 
Roma  sulla  riva  sinistra  del  Tevere,  cioè  un  muro  con- 
tinuato, dietro  il  quale  ricorre  una  galleria  arcuata  per 
commodo  delle  guardie,  difeso  ad  una  distanza  deter- 
minata da  torri  quadrate.  Nelle  mura  costantiniane  di 
Porto  rimangono  in  varj  luoghi  traccie  della  galleria  e 
delle  torri,  che  generalmente  distano  fra  loro  20  metri; 


648 

perciò  il  Du  Perrach  espresse  l' una  e  le  altre  nel  suo 
ristauro.  Ne'  punti  però  corrispondenti  agli  angoli  del 
porto  interno,  risaltano  due  torri  più  considerabili  a  gui- 
sa di  baluardi  per  maggior  difesa  del  sito.  Questo  re- 
cinto costantiniano  fascia  tutto  il  tratto  che  è  dall'  an- 
golo orientale  del  porto  Trajano  fino  alla  testa  del  molo 
del  porto  Claudio,  mettendo  dentro,  il  casino,  il  proco- 
jo,  la  casa  nuova  già  de'  Di  Pietro  ce.  Nella  storia  iu- 
dicossi,  come  questa  parte  della  città  portuense  avea  il 
nome  di  Civitas  Constantiniana  ,  essendo  cosi  chiamata 
nelle  bolle  di  Benedetto  VIIL  e  Leone  IX.  e  come  lo 
stile  della  costruzione  di  queste  mura  per  la  irregolari- 
tà de'mattoni  e  la  quantità  del  cemento  non  può  creder- 
si anteriore  al  secolo  IV.  Due  porte  visibilmente  si  ri- 
conoscono, le  sole  che  avesse  Porto:  una  verso  il  mare, 
dove  rimangono  traccie  dell'antico  pavimento  della  stra- 
da, l'altra  verso  Roma ,  dove  entrava  il  ramo  della  via 
portuense  trajanèa  :  ancora  queste  sono  bene  indicate 
dal  Du  Perrach.  Non  essendo  stata  chiusa  entro  le  mu- 
ra questa  parte  della  città,  se  non  sotto  Costantino,  non 
dobbiamo  perciò  meravigliarci,  che  vi  siano  stati  rinve- 
nuti sepolcri  in  gran  numero  ,  e  molti  già  appartenenti 
alla  decadenza  avanzata:  le  iscrizioni  raccolte  dal  cardi- 
nal Pacca  amantissimo  delle  arti  e  delle  antichità,  for- 
mano un  museo  interessante  di  monumenti  locali,  esem- 
pio degno  di  essere  imitato.  Seguendo  l'andamento  del- 
la via  portuense  che  in  questa  parte  è  poco  lontano 
dalla  moderna ,  vedesi  a  destra  presso  le  mura  entran- 
do in  Porto  r  avanzo  della  cella  rotonda  di  un  tempio 
che  per  la  costruzione  laterizia  non  può  dirsi  anteriore 
ai  tempi  settimiani  :  questa  cella  era  molto  più  conser- 
vata nel  secolo  XVI.  come  può  vedersi  nella  galleria 
delle  carte  geografiche  al  Vaticano.  Il  Ligorio  ed  il  Du 
Perrach  lo  ristaurano   giustamente  per  un  tempio  peri- 


649 
stilo,  giacché  rimangono  esteriormente  traecie  molto  vi- 
sibili della  volta  che  era  sostenuta  dalle  colonne,  e  che 
copriva  il  portico  :  il  tempio  sorgeva  sopra  gradini  che 
ricorrevano  intorno:  dagl'indizj  esistenti  si  riconosce  che 
il  peristilio  era  formato  da  16  colonne  ,  probabilmente 
di  ordine  corintio,  e  del  diametro  di  3.  piedi.  Un  pez- 
zo di  architrave  appartenente  alla  decorazione  interna 
di  questo  tempio  si  vede  a  piccola  distanza  ,  e  per  la 
rozzezza  del  lavoro  è  perfettamente  corrispondente  alla 
costruzione  materiale  ,  ed  alla  epoca  alla  quale  questo 
tempio  è  stato  di  sopra  assegnato.  Neil'  interno  appari- 
scono ancora  le  traecie  di  festoni  grossolani  ricoperti  di 
stucco  che  ricorrevano  intorno  presso  alla  imposta  della 
volta:  rimangono  pure  tre  ampie  nicchie  delle  sette  che 
l'adornavano,  essendo  il  posto  della  ottava  occupato  dal- 
la porla:  fra  le  nicchie  sporgevano  in  fuori  colonne  for- 
se sostenenti  statue:  la  volta  era  a  callotta  come  quella 
dal  Panteon.  Ligorio  e  Du  Perrach  lo  dicono  concorde- 
mente dedicato  a  Portumno:  e  il  Volpi  conferma  questa 
denominazione,  aggiungendovi  quella  della  Fortuna  Tran- 
quilla con  tre  lapidi  trovate  nelle  sue  rovine  dal  card 
di  Bellay  che  fu  vescovo  di  Porto  dal  1553  al  1555. 


650 


PORTVMNO 

SACRVM 

M.  SANGVINIVS.M.F 

PAL  .  LAVSVS 

CVRATOR  CORP 

LENVNCVLARIOR 

PORTVEN 


PORTVMNO  .  ET 
FORTVNAE.TRANQVILLAE 

SACRVM 

Q  .  CORIDIVS  .  Q  .  F  .  PAL 

CAMILLVS 

PRAEFECTVS  .  PORT 

NAV 
VOT  .  VOVIT  .  L  .  M 


PORTVMNO  BONO 

DEO  .  TRANQVIL 
SEX  ,  CLAVDIVS  SEX.  F. 

PAL.  ANTAEDIVS 

CVRATOR  VICOR 
PORT  .  ET  .  TI  .  CLAVDI 

VS  li  VIR.  D.  D 
Conoscendo  essere  Portumno  il  dio  de'  porti ,  essendo 
certi  per  la  sua  pianta  che  l'avanzo  in  questione  appar- 
tiene ad  un  tempio,  sembra  non  potersi  dubitare  dopa 
la  scoperta  delle  lapidi  surriferite,  che  fosse  sacro  a  Por- 
tumno ed  alla  Fortuna  Tranquilla ,  e  perciò  come  tale 
dee  riconoscersi.  Forse  nelle  sette  nicchie  dell'  interno 
saranno  state  oltre  la  statua  di  Portumno  ancora  quelle 
di  Leucotea,  o  Matuta  sua  madre,  della  Fortuna,  della 
Tranquillità  ec.  Nelle  bolle  sovente  citate  di  Benedetta 
VIIL  e  Leone  IX  si  fa  menzione   come    esistente  nella 


65f 

città  costantiniana,  di  una  chiesa  distrutta  dedicata  agli 
apostoli  Pietro  e  Paolo;  è  molto  probabile  che  ad  esem- 
pio di  altri  tempj  ,  ancora  questo  preesistente  al  recin- 
to di  Costantino,  venisse  o  da  lui,  o  da'suoi  successori 
cangiato  in  chiesa    dedicata  a  s.  Pietro  e  s.  Paolo.    Da 
questo  tempio  fino  al  recinto  interno  sono  stati  eseguiti 
molti  scavi  negli  anni  scorsi,  onde  trovar  materiali  per 
le  nuove  fabbriche:  oltre  molti  sepolcri  già  menzionati, 
sono  state   trovate   vestigia  di  case ,  parte  di  mediocre 
costruzione   reticolata ,  ma  la  maggior   parte   di   lavoro 
grossolano  che  indicava  il  quarto  e  quinto   secolo  della 
era  volgare.    Nelle  carte  del  Ligorio  e  del  Du  Perrach 
l'acquedotto  portuense,  del  quale  è  stato  parlato  a  suo 
luogo,  traversava  il  recinto  costantiniano  dietro  il  tem- 
pio di  Porturano,  e  di  là  dirige  vasi  alfangoio  orientale 
del  porto  Trajano.  A  quest'angolo  la  via  moderna  ritro- 
va l'antica:  ivi  a  sinistra  sono  rovine  di  camere  di  una 
costruzione   migliore  ,  e  dopo   questo  si  traversa    sopra 
un  ponticello  la  forma  di  communicazione  fra  il  Teve- 
re e  il  lago,  aperta  nell'anno  992,  come  ne  apprende  il 
privilegio  di  Giovanni  XIII.  citato  a  suo  luogo.  Quanto 
al  recinto  intemo,  nel  quale  si  entra  subito  dopo  il  ca- 
nale, esso  è  attribuito  ai  tempi  settimiani  a  cagione  del- 
la sua  costruzione,  analoga  ad  altre  opere  di  quella  epo- 
ca: racchiudeva  un  piccolo  tratto  di  fabbricato  fra  l'ar- 
co di  Nostra  Donna  e  la  fossa  trajana ,  dove  Ligorio  e 
Du  Perrach  pongono  la  rocca  portuense,  e  dove  ne'tem- 
pi  bassi  venne  costrutto  il  castello  di  Porto  ancora  esi- 
stente: questo  doppio  recinto  e  la  grossezza  straordina- 
ria delle  mura  di  questo  interiore  ,  unito    alla    località 
fra  il    mare   ed  il  fiume ,  faceva   di  Porto   una   piazza 
molto   forte  ,  come    Procopio  la  riconobbe.   Si  entra   in 
questo  recinto  intemo  per  l'arco  di  Nostra  Donna,  così 
denominato  da  una  immagine    della  Vergine  ivi  dipinta 


652 

nel  secolo  XV.  indìzio  che  la  chiesa  di  s.  Maria  ricoi*- 
data  da  Benedetto  Vili,  e  Leone  IX.  fu  in  queste  vi- 
cinanze. Sembra  che  l'arco  preesistesse  e  fosse  opera  di 
Trajano,  e  che  soltanto  venisse  ridotto  a  porta  dopo  la 
costruzione  delle  mura,  ed  allora  per  maggior  fortezza 
venisse  ingrossato.  Appena  entrati  nella  città  interna 
veggonsi  a  sinistra  imponenti  rovine  degli  antichi  horrea 
o  magazzini,  ai  quali  pure  appartengono  i  pochi  ruderi 
che  si  trovano  poco  prima  di  entrare  nel  moderno  recin- 
to di  Porto.  Nella  storia  è  stato  notato  che  il  recinto 
merlato  del  castello  di  Porto  è  in  gran  parte  opera  del 
card.  Roderico  Borgia  le  cui  arme  ancora  restano  sulla 
porta  d'ingresso:  nell'angolo  di  questo  castello,  che  è  a 
contatto  colla  strada  moderna  di  Fiumicino  rimane  qual- 
che traccia  di  antica  costruzione  delle  fabbriche  che  cir- 
condavano il  porto.  Il  moderno  castello  non  offre  altri 
oggetti  degni  di  ricordo,  se  non  che  la  chiesa,  oggi  de- 
dicata a  s.  Lucia,  ed  un  tempo  a  s.  Lorenzo,  che  se- 
condo Benedetto  Vili,  era  annessa  all'episcopio:  questa 
chiesa  fu  particolarmente  risarcita  nel  1583  dal  card. 
Corneo,  e  ne'tempi  più  vicini  a  noi.  Annesso  alla  chie- 
sa è  l'episcopio  nel  cui  atrio  vedesi  raccolto  l'interessante 
museo  de'monumenti  portuensi. 

Di  là  andando  per  un  piccolo  tratto  per  la  nuova 
strada  di  Fiumicino ,  poco  prima  di  passare  il  canale 
fra  il  porto  ed  il  fiume  ,  si  scoprì  a  sinistra  nell'  anno 
1827  un'  area  irregolare  lastricata  di  enormi  massi  di 
porta  santa  ,  affricano ,  e  cipollino ,  il  principio  di  una 
strada  ed  un  portichetto  di  colonne.  I  massi  dell'  area 
sono  stati  svelti  e  segati:  in  tal  circostanza  si  è  ricono- 
sciuto essere  stata  formata  1'  area  ne'  tempi  della  deca- 
denza molto  avanzata  con  massi  rozzi  che  aveano  nota- 
to il  peso  e  la  data  della  spedizione,  generalmente  ap- 
partenente al  secondo  secolo  della  era  volgare.  Più  olr 


653 
Ire  raggìnngonsi  le  rovine  de'  magazzini  posti  in  fondo 
del  porto  Claudio ,  ed  indicali  di  sopra.  Rimontando  il 
canale  citato  poc'anzi  si  perviene  al  cantiere,  del  quale 
é  stato  trattato  a  suo  luogo  :  ivi  possono  tracciarsi  le 
vestigia  dell'arsenale,  che  lo  circondava  e  che  distinguon- 
si  pe'turauli  considerabili  che  hanno  formato  e  per  qual- 
che lacero  avanzo  di  muro  che  qua  e  là  sbuccia  dal  suo- 
lo. Dal  cantiere  traversando  l'alveo  si  entra  in  una  area 
quadrilunga  che  sembra  essere  stata  un  foro  circondato 
intorno  da  portici  e  da  taberne.  Aderente  a  questo  ver- 
so lebeccio  è  una  fabbrica  considerabile;  forse  questo  è 
il  Palatium,  quod  vocatur  Praegesta,  che  leggesi  rammen- 
tato nella  bolla  di  Benedetto  Vili,  come  aderente  ai 
balnearia,  e  presso  alla  città  antica  di  Porto  propriamen- 
te detta,  ed  al  lago  Trajano.  In  questi  dintorni,  secon- 
do il  Volpi,  furono  sul  principio  del  secolo  passato  sco- 
perte vestigia  di  acquedotti,  e  tre  crateri,  uno  de'quali 
è  alla  fontana  di  Monte  Citorio.  Questa  fabbrica  è  con- 
tigua ai  bagni  scoperti  nell'  anno  1824  e  che  occupano 
una  gran  parte  della  lingua  fra  l'alveo  ed  il  Trajanello. 
Tali  avanzi  per  lo  stato  di  conservazione,  per  la  ricchez- 
za de'  marmi,  per  1'  istruzione  sui  costumi  antichi,  che 
se  ne  ricavava ,  doveano  dopo  i  porti  riguardarsi  come 
l'edificio  più  interessante  che  dell'antica  città  rimanesse. 
Disgraziatamente  però  la  incuria  in  che  sono  stati  lascia- 
ti li  ha  ridotti  in  uno  stato  di  perfetto  deperimento. 
Quella  fabbrica  fu  tutta  intiera  scavata,  giacché  i  muri 
la  chiudono  da  tutte  le  parti,  onde  non  ha  alcuna  com- 
municazione  colle  fabbriche  attinenti:  andò  però  sogget- 
ta a  ristauri  anticamente  ed  a  variazioni,  come  si  trae 
dalla  varietà  delle  costruzioni^  delle  quali  la  più  antica 
di  mediocre  reticolato  direbbesi  rimontare  ai  tempi  de- 
gli Antonini.  La  sua  estensione  maggiore  nella  lunghez- 
za, è  di  met.  27  ^|io  compresa  la  grossezza  de' muri: 


654 

nella  larghezza  di  metri  20  compreso  l'emiciclo  aggiun- 
to come  punto  sicuro.  Essa  è  rivolta  verso  maestro;  poi- 
ché di  là  è  il  suo  ingresso,  dove  non  era  separata  dal 
mare  che  da  una  stretta  crepidine;  verso  scirocco  la  co- 
steggiava la  via  che  andava  lungo  il  canale ,  e  della 
quale  si  osserva  ancora  qualche  vestigio.  La  porta  non 
è  magnifica ,  ma  ciò  non  dee  recare  sorpresa  a  chi  ha 
veduto  a  Pompeii  quanto  modesto  sia  1'  ingresso  della 
villa  detta  di  Arrio  Diomede.  Supposto  di  entrare  per 
essa  trovasi  a  destra  un  andito  rozzo  rinfiancato  da  ar- 
chi, dove  a  sinistra  sono  tre  fornacelle  dette  praefurniay 
e  propnigea  per  riscaldare  le  camere.  Ritornando  all'in- 
gresso, sembra  che  ivi  fosse  una  porta  interna,  che  im- 
pediva r  ingresso  nella  parte  nobile  ai  servi  addetti  al 
servizio  de*  prefurnj.  Apresi  quindi  un  lungo  corridore 
il  cui  pavimento  fu  di  musaico  bianco  e  nero,  come  si 
trae  dai  pezzi  ancora  esistenti:  questo  andito  mette  ca- 
po alla  scala  per  la  quale  salivasi,  o  ad  un  secondo  pia- 
no ,  o  piuttosto  ad  un  terrazzo  ,  dal  quale  godevasi  la 
veduta  magnifica  dei  porti,  e  delle  fabbriche  che  li  cir- 
condavano. Da  questo  corridore  una  porta  a  sinistra  in- 
troduce in  un'  ampia  schola,  dove  prima,  o  dopo  il  ba- 
gno trattenevansi  a  conversare:  questa  ha  in  fondo  un* 
apside  con  due  nicchie  per  statue  :  e  prolungasi  verso 
scirocco  fino  all'altra  apside  aggiunta;  anche  il  pavimen- 
to di  questa  schola  è  di  musaico  bianco  e  nero.  Per 
essa  entrasi  in  una  camera:  sotto  il  suo  pavimento  che 
era  di  lastre  di  marmo  ricorrono  condotti  paralleli  e  vi- 
cini uno  all'  altro ,  forse  affine  di  rendere  meno  umido 
il  suolo:  ciò  che  è  ancOr  più  singolare  in  questa  came- 
ra è  un  ordine  di  sette  cunette  poco  profonde  e  rive- 
stite di  signino,  indizio  che  hanno  servito  per  cose  li- 
quide: esse  sono  sopra  un  pogginolo  che  declina  sem- 
pre verso  la  schola,  in  guisa  che  mentre  verso  la  oppo- 


655 
sta  parete  è  allo  1  m.  400.  verso  questa  Io  é  di  1.  10. 
la  quantità  de' condotti  che  passano  sotto  il  pavimento, 
e  queste  cunette,  la  vicinanza  alla  schola,  potrebbe  far 
supporre  che  qui  si  dessero  rinfreschi  a  quelli  che  avea- 
no  presso  il  bagno.  Ripassando  all'andito,  e  traversan- 
do il  passetto  ,  vedesi  a  destra  di  esso  una  cameretta 
(cuhiculum)  forse  destinata  al  custode,  e  quindi  si  entra 
in  una  magnifica  sala  :  il  suo  pavimento  fu  rinvenuto 
intatto,  ma  l'avidità  de'cavatori,  e  la  vandalica  curiosi- 
tà di  chi  si  porta  a  visitarla,  hanno  sconvolto  le  lastre 
di  finissimi  marmi ,  de'  quali  era  composto ,  cioè  verde 
antico,  affricano,  portasanta,  bigio,  e  bianco:  rimangono 
pure  vestigia  del  rivestimento  di  marmo  de' muri,  dal- 
le quali  può  decidersi  che  lo  zoccolo  era  di  portasan- 
ta. E  veramente  reca  dolore  veder  tanta  devastazione 
in  un  secolo  in  cui  le  memorie  antiche  tengonsi  in  si 
alto  pregio.  In  origine  par  che  fosse  ancor  questa  una 
sala  di  trattenimento;  ma  ne'  tempi  della  decadenza  vi 
fu  addossato  un  bagno  rivestito  di  marmo.  Preceden- 
temente vi  erano  contigui  quello  rettilineo,  i  cui  gra- 
dini sembrano  posteriori,  e  la  piscina  rotonda,  alla  qua- 
le davano  nome  di  battisterio  :  il  bagno  rettilineo  oltre 
i  gradini  sopraccitati  ha  d'intorno  un  sedile:  il  batti- 
sterio ha  tre  gradini  per  discendervi:  l'uno  e  l'altro  era- 
no rivestiti  di  marmo  bianco,  e  servivano  per  l' acqua 
di  mare  fredda,  poiché  non  havvi  indizio  alcuno  di  pre- 
furnj  e  di  tubi  per  riscaldarla.  Passasi  quindi  per  un'an- 
dito irregolare  all'  apoditerio,  o  spogliatoio  ancora  esso 
rivestito  di  marmo,  e  dove  rimane  ancora  il  sedile  per 
comraodo  di  que'che  concorrevano  a  prendere  i  bagni: 
questo  apoditerio  communicava  colla  piscina,  colla  sala 
di  trattenimento,  e  colla  parte  destinata  ai  bagni  caldi. 
Traversalo  un  piccolo  procoeton  o  anticamera  entra  vasi 
nella  sala  destinala  a  calidario:  il  prefurnio  riscaldava 


656 

Immediatamente  il  bagno  semicircolare  e  communicava  il 
calore  a  tutta  la  sala  per  mezzo  de'tubi  di  terra  cotta 
internamente  inseriti  nella  parete  e  che  rimangono  an- 
cora. Per  essa  si  va  nella  stufa  riscaldata  dal  suo  pre- 
furnio  e  tubulata,  come  la  precedente:  un  vasto  sedile 
era  per  commodo  di  coloro  che  amavano  di  restare  a 
sudare.  Quindi  entrasi  nel  tepidario  che  conserva  i  due 
labri,  ed  ancor  questa  camera  è  tubulata  come  le  pre- 
cedenti ,  ma  il  calore  arriva  qui  molto  attenuato  dalla 
stufa,  poiché  il  prefurnio  di  questa  camera  fu  posterior- 
mente chiuso,  onde  renderne  più  mite  la  temperatura. 
Tutte  e  tre  queste  sale  presentano  una  costruzione  iden- 
tica, cioè  del  secolo  V.  ed  aveano  tutte  e  tre  il  pavi- 
mento di  lastre  di  marmo  bianco. 

Aderenti  a  questa  fabbrica  verso  levante  sono  le 
rovine  di  altre  camere  che  non  hanno  alcuna  commu- 
nicazione  diretta  con  essa,  e  vengono  intersecate  da  un 
andito  parallelo  a  quello  che  dà  ingresso  ai  bagni,  ma 
più  stretto.  Forse  era  un'altra  fabbrica  per  l'uso  me- 
desimo, ma  finora  nulla  può  asserirsi  perchè  è  ingom- 
bra. È  inoltre  probabile  che  la  esterna  irregolarità  del- 
la fabbrica  de'bagni  prodotta  dagli  emicicli  e  da  altre 
parti  aggiunte,  verso  il  gran  canale  fosse  coperta  da  un 
muro.  Rivolgendosi  dai  bagni  verso  oriente ,  e  costeg- 
giando il  porto  Trajano  dal  canto  di  maestro  e  setten- 
trione, l'occhio  riman  stupefatto  dalla  vastità  delle  ro- 
vine delle  fabbriche  che  lo  circondavano,  le  quali  per 
l'altezza  de'tumuli  che  hanno  formato  doveano  essere  co- 
lossali. Narra  il  Fea  nel  suo  Viaggio  ad  Ostia  p.  39,  che 
nello  scavo  ivi  aperto  l'anno  1794  fu  trovata  una  sta- 
tua frammentata  di  Ercole  insieme  con  molti  residui 
di  cornici  ed  altri  membri  di  architettura ,  forse  ap- 
partenenti ad  un  tempio  di  quel    dio  :  ed  un   condotto 


^&5r 

^  piombo  della  capacità  di  6^  oncié,  su!  quale  leggeva- 
si  ài  nome  di  Messalina. 
'  Nell'aprirsi  da  Trajano  il  canale  fra  Porto  ed  Ostia 
rimase  isolato  un  vasto  tratto  di  terra,  che  si  trovò  cir- 
coscritto frai  due  rami  del  fiume  ed  il  mare;  onde  di- 
venne una  vera  isola,  come  lo  è  ancora,  se  non  che  per 
grinterrimenti  del  Tevere  si  è  protratta  anche  èssa  al- 
meno di  1730  metri  ne'due  lati  lungo  il  fiume,  ed  es- 
sendo i  due  alvei  fra  loro  divergenti,  anche  essa  ha  di- 
latato molto  il  terzo  lato ,  che  è  verso  il  mare ,  e  solo 
per  l'abbandono  dell'alveo  del  Tevere  detto  il  fiume  morto 
dal  canto  di  Ostia  il  quarto  lato  si  è  alquanto  ristretto. 
Ora  sebbene  questa  isola  avesse  origine  fin  da  quando 
Trajano  scavò  la  fossa  portuense,  pure  dì  essa  non  si  ha 
memoria  diretta  prima  del  secolo  V,  allorché  fu  scritta 
la  Cosmografia  attribuita  ad  Etico,  nella  quale  ci  si  di- 
pinge deliziosissima,  tanto  verde  ed  amena  da  conservare 
in  ogni  stagione  fresca  pastura ,  e  nella  primavera  così 
coperta  di  rose  e  di  fiori  che  per  la  fragranza  onde  olez- 
zava libanus  almae  Veneris  era  detta.  Dopo  questo  scritto 
torna  a  parlarne  Procopio  Guerra  Gotica  lib.  I,  e.  XXVIj 
il  quale  pel  primo  le  dà  il  soprannome  di  Sacra j  e  mo- 
stra che  estendevasi  15  stadj  lungo  il  canale  di  Porto^ 
e  15  pur  fra  le  foci:  forse  il  cognome  di  sacra  le  venne 
dato  perchè  fu  da  Costantino  assegnata  alla  chiesa  de' 
ss.  Apostoli  Pietro  e  Paolo,  e  di  s.  Giovanni  Battista  in 
Ostia,  come  si  trae  da  Anastasio  in  Silvestro  e.  XXVIII, 
ovvero  pel  tempio  e  sepolcro  di  s.  Ippolito  vescovo  por- 
tuense, la  cui  torre  ancora  rimane;  non  già  come  sogna 
il  Volpi  perchè  gli  Ostiensi  l'avessero  consacrata  ad  A- 
pollo.  Nel  secolo  IX  mostra  Anastasio,  che  dicevasi  j4r- 
sis  :  Insulam,  qtme  dicitur  Àrsis^  quae  est  int^r  Portum  et 
Ostiam  civitates  :  .dicevasi  anche  Portuensvs  per  la  vici- 
nanza di  Porto  :  Anastasio  più  volte  citato  nella  vita  di 

42 


660 

più  non  si  vede,  ed  appena  s'erge  la  torre  a  conservarne 
la  memoria.  La  buona  qualità  de'pascoli  è  il  solo  carat- 
tere che  le  rimanga  di  tutti  quelli  indicati  nel  Cosmo- 
grafo citato  di  sopra  :  nella  primavera  i  fiori  che  parti- 
colarmente vi  abbondano  sono  quelli  dell'asfodelo,  del  ri- 
nanto,  dell'orchi,  dell'iride,  e  del  rosmarino;  la  parte  di 
essa  formata  negli  ultimi  quattro  secoli  è  coperta  di  basse 
boscaglie,  che  forniscono  legname  da  carbone.  E  qui  sia 
fine  alle  mie  osservazioni  sopra  Porto  e  le  sue  adjacenze. 

(Hwa      PORTONÀCCIO  V.  PIETRA  LATA. 

-X'ì(fi       i:  

-ojLi  i  POSTA  DI  FORANO. 

Tenimento,  che  appartiene  ai  Barberini,  posto  nell' 
Agro  Romano  circa  18  m.  distante  da  Roma  a  sinistra 
della  via  Claudia,  o  strada  di  Bracciano,  confinante  con 
le  tenute  di  Bandita,  Cornazzano,  e  Fontana  Murata,  e 
colla  strada  suddetta.  Comprende  rubbia  219  divise  nei 
quarti  di  Giunchetto^  Fontanile,  e  di  Mezzo. 

,^nt->\  .  POSTICCIOLA  v.  GREGNA. 

iiìln  uUfAi...  — 

^..oiqg'j  rPRAENESTE  v.  PALESTRINA. 

f  oii;iok{a'.>  i»  h  i.'ir— 

-^up  ^ydi  mipyPRATICA  v.  LAVINIVM. 

M  oi^  ih  ^li^ìm(:mu:^''  PRATO. 

È  il  nome  commune  a  molte  tenute  dell'Agro  Ro- 
mano, contradistinte  da  UO.  aggiunto  che  qui  si  enume- 
rano, n'^f^i'' 

-è      Prato  Fiscale.  Due  tenimenti  di  questo  nome  esi- 
stono confinanti  fra  loro  e  posti  fuori  di  porta   Salaria 


661 
cìi*ca  3  m.  distanti  dà  Koma  :  uno  appartiene  ai  Bene- 
ficiali di  s.  Maria  Maggiore,  e  comprende  rubbia  19  un 
quarto  ed  uno  scorzo  :  l'altro  fu  de'signori  della  Molara 
e  comprende  quasi  14  rubbia*  tA'  ìft 

Prato  Lamentana.  È  un  picciolo  fondo  presso 
il  ponte  di  questo  nome,  il  quale  non  giunge  a  diaQ.rwl?- 
bia  di  estensione,  ed  appartenne  ai  Palombara*  i!,  \m*\ì\ 

Prato  JjjngOì  Tenuta  posta  fuori  di  porta  s.  Lo- 
renzo circa  6  m.  distante  da  Roma  e  spettante  al  Capi- 
tolo Lateranense.  Confina  col  fiume  Aniene  e  colle  tenute 
di  Marco  Simone,  Forno  Casale,  Casalvecchio>  Monastero 
Colonnello,  s.  Basilio,  Aguzzano  e  Grottoni.  Comprende 
rubbia  285  divise  ne'quarti  di  Monte  del  Casale,  Torri- 
gata.  Casetta  e  s.  Eusebio,  e  Scorticabove.  Ad  essa,  può 
andarsi  ancora  dalla  parte  di  porta  Pia  ,  e  come  fuori 
della  porta  Nomentana  si  ricorda  in  una  Carta  dell'  Ar- 
chivio di  s.  Maria  in  Via  Lata  fin  dall'anno  1027  collo 
stesso  nome  ;  e  come  di  là  dal  ponte  Mammolo,  cioè  fuori 
di  Porta  s.  Lorenzo  in  un'altra  Carta  dello  stesso  archi-- 
vio  pertinente  all'anno  1030,  ambedue  riportate  dal  Gal- 
letti nella  opera  del  Primicero.  Questa  tenuta  fu  ven- 
duta nel  1479  dalla  Camera  Apostolica  al  Capitolo  La- 
teranense, come  si  ha  dall'  istromento  esistente  nell'  ar- 
chivio di  quella  basilica. 

Prati  di  s.  Paolo.  Fondo  in  mezzo  ai  quali  è  la 
basilica  di  s.  Paolo  fuori  delle  mura,  appartengono  alla 
basilica  medesima,  e  si  estendono  rubbia  39,  un  quarto 
ed  uno  scorzo. 

Prato  Rotondo.  Circa  3  miglia  fuori  di  porta  Sa- 
laria, pertinente  ai  Paracciani  e  confinante  colla  tenuta 
di  Torricella,  col  Quarto  di  Ponte  Salare,  e  co'Prati  Hi:^ 
scali,  si  estende  rubbia  14,  un  quarto,  ed  uno  scorzQ^jì 

Prati  di  Tor  Carbone.  Tenuta  situata  circa  .,6i 
miglia  fuori  di  porta  Portesc,  appartenente  ai  Raggi,  e 


662 

confinante  col  Tevere,  colle  pediche  di  Tor  Carbone,  e- 
colle  tenute  della  Muratella,  della  Magliana,  e  di  campo 
di  Merlo.  Comprende  rubbia  118. 

Prati  di  Tor  di  Quinto.  Due  fondi  portano  lo 
stesso  nome  della  Torre  oggi  diruta  già  posta  circa  il 
quinto  miglio  della  via  flaminia,  ed  oggi  3  m,  e  3  quarti 
fuori  di  porta  del  Popolo.  Il  primo  appartiene  ai  Bor- 
ghese, confina  col  fondo  dello  stesso  nome,  colle  vigne 
di  Roma  e  colle  tenute  della  Crescenza  e  di  Torricella: 
e  comprende  84  rubbia  e  3  quarti.  L'  altro  comprende 
37  rubbia  ed  appartiene  al  Capitolo  di  s.  Pietro  in  Va- 
ticano. Confina  colle  vigne  di  Roma,  colla  via  consolare 
detta  Flaminia  con  Tor  di  Quinto  de'  Borghese  e  colla 
Torricella. 

•  Prati  di  Tor  di  Valle.  Due  fondi  portano  que- 
sti» wóme  r  uno  va  unito  colla  tenuta  di  Valchetta,  vedi 
VALCHETTA  :  l'altro  appartiene  ai  Borghese,  ed  è  si- 
tuato fuori  di  porta  s.  Paolo  3  miglia  e  mezzo  circa  lon- 
tano da  Roma  confinando  colle  tenute  di  Torraccio,  Pe- 
dica  di  Valchetta  ,  Tor  di  Valle,  ed  Acqua  Acetosa  e 
comprende  rubbia  23  ed  un  quarto. 

~i«  li      PRESCIANO  o  CASAL  PERFETTO. 

otuiìXcnimento  spettante  alla  Basilica  Vaticana  posto  cir- 
ca 22  m.  lontano  da  Roma  presso  il  territorio  veliterno, 
a  destra  della  strada  postale  di  JVapoli,  confinante  colle 
tenute  della  Casetta,  e  di  Campomorto,  e  co'territorii  di 
Civita  Lavinia  e  Velletri.  Comprende  rubbia  400  e  3 
quarti  divise  ne'quarti  denominati  Perfetto  e  Lucarelli, 
Gavone  e  Pantanello ,  Cioccati,  e  Colle  della  Torre»  e 
Grottone. 


66S 
Pochi  fondi  dell'Agro  Roitiano  possono  vantare  so- 
pra undici  secoli  di  antichità  di  nome  e  di  essere  rima- 
sti stabilmente  sotto  lo  stesso  padrone,  come  questo,  il 
quale  era  parte  della  Massa  Caesariana  nel  patrimonio 
delI'Appia,  e  fino  dall'anno  715  fu  da  Gregorio  li  asse- 
gnato con  molti  altri  a  mantenimento  de'lumi,  che  arde- 
vano presso  il  corpo  del  santo  apostolo,  siccome  si  legge 
nella  lapide  originale  esistente  nel  portico  di  s.  Pietro. 
Da  quel  documento  apparisce  che  la  Massa  Cesariana  si 
componeva  de'fondi  Floranum,  Priscianum,  et  Grassianum, 
Pascuranum,  Varinianum  e  Caesarianum,  ì  quali  contene- 
vano oliveti,  ed  appunto  quelli  oliveti  furono  a  mante- 
nimento de'lumi  destinati  insieme  con  molti  altri  che  ivi 
vengono  enumerati,   ^f-.'^        ./f.-.f^A 

PRIMA  PORTA  e  FRASSINETO  v.  RVBRAE. 

u  >  i.  PRIMA  VALLE. 

Tenuta  del  Capitolo  Vaticano  posta  fuori  di  porta 
Cavalleggieri  per  la  via  Cornelia  ossia  strada  di  Buccèa, 
circa  2  m:  lontano  da  Roma,  la  quale  comprende  rab- 
bia 170  confinante  colla  tenuta  di  Torre  Vecchia ,  colla 
strada  suddetta  di  Buccèa  e  con  quella  del  Pigneto. 

l> 

;    *       'PRIORATO  v.  CECCHIGNOLA, 
PROCOJO  NUOVO  e  CASAL  DELLE  GROTTB^^^ 

,  ji  ,!,'■».     ',„\    ì  A-MUt    ,    iii'-lri;    si    Wipt 

Tenimento  dell'  Agro  Romano  posto  fuori  di  porta 
dei  Popolo  circa  12  m.  e  mezzo  lontano  da  Roma  sulla 
via  tiberina  che  volgarmente  appellano  teverina  ,  perti- 
nente al  principe  Altieri  e  confinante  colle  tenute  di  Pro- 
cojo  Vecchio,  di  Malborghetto,  e  Frassineto ,  col  fiume 


664 

Tevere  e  col  territorio  di  Riano.  Comproinre  quasi  ruB- 
bia  478,  dirvise  ne'quarli  de'monli  e  de'piani  di  Frassir- 
neto,  della  Torre,  del  Gasale,,  e  di  Valle  Cupa.  Il  nono» 
di  Casal  delle  Grotte  lo  ha  da  ampie  latomie  scavate  nel 

l'A-ii^ 'ni;  Auwl  PROCOJO  VECCHIO,  -l.,::  .„.  <Ai:ii^ 
fi::i:'!l  l.',  *n({(j-;;)!  ,  i:  > 

Tenuta  fuori  di  porta  del  Popolo  cOnfinanie  colla 
precedente,  col  Tevere,  e  col  territorio  di  Biano.  Cop- 
tiene  rubbja  2Q0  ed  appartiene  ai  Ruspoli.  ,  ìm  r/  o- 


;?. 


ivi  'ni  t  i'iJir  iJloM    ''■'■  ,.,.''/li  oìi;')mi(i 


®ualìtu0  Capigto^r  ''''''' 


'ì  Ofirriiu-iV 


Due  tenute  dell'Agro  Romano  confinanti  fra  loro  e 
poste  fuori  di  porta  s.  Paolo  sulla  strada  di  Ardea  cir- 
ca 19  m.  lontano  da  Roma  portano  questo  nome.  La  pri- 
ma ^  già  de'  Giraud  ,  confina  con  quelle  di  Castagnola, 
Riolorto,  Muratella,  Vittorie,  Sughereto,  Capannone,  Sol- 
fàrata-,  Maggione,Maggionetta  e  Pratica;  essa  comprende 
rubbia  436.  L'altra  de'Carpegna  confina  colla  preceden- 
te, e  con  quelle  di  Sughereto^  Cerqueto,  Pescarella,  Pian 
de'Frassi  e  Muratella:  e  comprende  175  rubbia. 

Io  non  so,  se  m  origine  queste  tenute  una  sola  ne 
formassero;  certo  è  però  che  ambedue  trassero  nome  da 
una  chiesa  dadìcata  a  s.  Proculo,  della  quale  rimane  an- 
cora la  tribuna,  opera  del  secolo  Vili,  a  destra  della 
strada  nel  primo  di  questi  due  fondi.  £  ivi  dappresso 
chiare  vestigia  rimangono  di  un  bosco  che  uu  tempo  co- 
prì queste  terre,  e  che  insieme  colla  chiesa  sovraindica- 
ta  appartenne  almeno  per  quattro  secoli  al  monastero  di 
s.  Paolo;,  imperciocché  nel  privilegio  emanato  da  Grego^ 


665 
rio  VII.  TanAo  1074  e  riportato  dal  Margarini  nel  Bol- 
lano Cassinese  tomo  IL  p.  109.  si  nomina  totum  gual- 
dutìiy  qui  vocalur  Lapigio  in  integrum  cum  ecclesia  s.  Pro- 
culi ;  così  Innocenzo  III.  nella  conferma  di  questo  pri- 
vilegio data  r  anno  1203.  ripete  la  eeclesiam  s.  Proculi 
cum  guttldo  Lapigio.  Nel  1330  questa  selva  era  stata  di- 
strutta ,  poiché  in  una  Carta  esistente  nell'  archivio  di 
s*  Maria  in  Via  Lata  non  si  nomina  più  il  gualdus,  ma 
il  tenimentum  Casalis  s.  Proculi ,  e  vi  si  aggiunge  quod 
est  monasterii  s.  Pauli.  Quindi  fino  a  quella  epoca  con- 
tinuava ad  appartenere  a  quel  monastero.  Nel  secolo  XV 
venne  alienato. 

L'altra  tenuta  di  s.  Procula  ha  pure  il  cognome  di 
Vittorie,  e  ricorda  la  Massa  Vicioriolae  menzionata  da 
Gregorio  IL  circa  l'anuo  715  nella  bolla  che  leggesi  in- 
cisa in  marmo  nel  portico  di  s.  Pietro^  massa  che  com- 
prendeva i  fondi  Rumelliano  ed  Ottaviano,  e  che  conte- 
neva oliveti,  i  quali  per  intiero  furono  destinati  all'uso 
dc'lumi  che  ardevano  sul  sepolcro  de'ss.  apostoli  Pietro 
e  Paolo  :  essa  faceva  parte  del  patrimonio    dell'  Appia  : 

IDEST  IN  PATRIMONIO  APPIAE  MASS  VICTORIOLAS  OLIBETV  IN 
FVND  RVMELLIANO  IN  INTEGRO  OLIBETV  IN  FVND  OCTABIANO 

IN  INTEGRO.  Tal  denominazione  di  Victoriolae  trasse  pro- 
babilmente origine  da  qualche  monumento  rappresentau- 
te  Vittorie» 

PVPINIA-AGER  PVPINIENSIS. 

Pupinia  fu  il  nome  di  una  borgata,  di  una  tribù 
rustica,  e  di  un  campo  dell'antico  Agro  Romano,  e  che 
trovasi  ancora  detto  Ager  Pupiniensis.  Pesto  nelle  voci 
Papiria  e  Pupinia  dice  che  questa  tribù  avea  la  sua  stan- 
za nelle  vicinanze  di  Tusculo,  e  cosi  a  contatto  era  colla 
Papiria,  che  alle  volte  i  coloni  delle  due  tribù  vennero. 


666 

alle  mani  fra  loro  per  quesL  ,rii  di  confini.  Livio  poi  lib. 
XXVI.  e.  IX.  narrando  la  spedizione  di  Annibale  con- 
tra  Roma,  dice,  che  quel  capitano  accostatosi  a  Tuscu- 
lo  ,  e  non  essendo  stato  introdotto  nella  città ,  scese  a 
destra  verso  Gabii ,  e  di  là  spinto  1'  esercito  a  Pupini» 
attendossi  8  miglia  lontano  da  Roma:  inde  in  Pupiniam 
exercitu  demisso  Vili.  m.  passuum  a  Roma  posuit  castra. 
Se  pertanto  le  terre  di  questa  tribù  stavano  circa  8.  m. 
distanti  da  Roma,  di  qua  da  Gabii,  l'agro  pupinio  cor- 
risponde oggi  colle  tenute  di  Torre  Nuova,  Tor  Verga- 
ta, Carcariola  ec.  nelle  quali  coincide  la  posizione  e  la 
distanza  sovraindicata.  A  questo  si  aggiunge  la  natura 
del  suolo,  che  è  un  terreno  sterile,  ingrato,  malsano,  e 
coperto  di  musco,  come  Varrone  De  Re  Rustica  lib.  I. 
e.  Vili.  Columella  lib.  I.  e.  IV.  Valerio  Massimo  lib.  IV. 
e.  IV.  e  e.  Vili,  descrivono  il  pupinio;  quindi  Cicerone 
nella  orazione  contra  Rullo  istituisce  il  paragone  fra  la 
sterilità  de'campi  vaticano  e  pupinio  colla  ubertà  di  quel- 
li della  Campania.  nj >  h  :n"'r:- 
Quest'Agro  non  solo  vide  attendarsi  le  schiere  car- 
taginesi condotte  da  Annibale ,  ma  ancora  antecedente- 
mente avea  veduto  Decio  porre  il  campo  contra  gli  Um- 
"  bri ,  allorché  si  mossero  a  danno  di  Roma  1'  anno  445. 
secondo  Livio  lib.  IX.  e.  XLI.  Ivi  pure  ebbe  il  suo  mo- 
desto fondo  di  7  jugeri ,  cioè  201,600  piedi  quadrati , 
Attilio  Regolo  terrore  di  Cartagine,  ivi  pur  l'  ebbe  Fa- 
bio Massimo ,  siccome  fan  fede  Valerio  Massimo  e  Co- 
lumella ne'passi  citati. 

PYRGI  V.  S.  SEVERA. 

QUADRARO. 

Tenuta  pertinente  ai  Torlonia  posta  fuori  di  porta 


667 
Maggiore  circa  2.  m.  e  confinante  colle  vigne  di  Roma, 
e  colle  tenute  dì  Tor  s.  Giovanni,  s.  Croce,  Casetta  de- 
gli Angeli,  Tor  Spaccata,  Quadrato,  Carcariola,  Torre- 
nuova,  Quarlicciuolo,  e  Casetta  o  Casa  Calda.  Compren- 
de rubbia  401.  divise  ne'Quarti  del  Casale  e  Porta  Fur- 
ba, Cecafume,  e  Tor  Spaccata.  Antecedentemente  fu  de' 
Sciarra  Barberini.  L'  anno  1828  nel  demolire  un  muro 
moderno  si  trovarono  molti  pezzi  di  antiche  terre  cotte 
ornate  di  bellissimi  bassorilievi  rappresentanti  le  forze 
di  Ercole  :  tre  di  esse  racconciate  veggonsi  nel  museo 
detto  etrusco  al  Vaticano.  Forse  in  que'dintorni  avrà  esi- 
stito qualche  tempio  di  Ercole. 

OVADRATO. 

Tenuta  di  rubbia  245  e  mezzo  circa  ,  posta  fuori 
di  porta  s.  Giovanni,  circa  6  m.  distante  da  Roma  presso 
al  bivio  delle  strade  di  Frascati  e  Grottaferrata ,  confi- 
nante colle  tenute  di  Gregna,  Carcariola  Quadraro,  Tor- 
re Nuova  e  Grottaferrata.  In  essa  è  una  torre  de'tcmpi 
bassi,  che  per  la  sua  posizione  fra  Roma  e  Frascati  di- 
cesi Tor  di  Mezza  Via:  ed  un'antica  conserva  di  acqua 
presso  la  via  di  Frascati,  lavoro  del  tempo  degli  Anto- 
nini. È  divisa  ne'  quarti  di  Tor  di  Mezza  Via ,  Santi 
Quattro,  Grotticciole,  e  della  Osteria. 

QUARANTAQUATTRO  v.  TORRETTA. 

QUARTO  e   QUARTACCIO. 

Nome  comune  a  varii  fondi  dell'Agro  Romano:  essi 
fra  loro  distinguonsi  per  qualche  altro  aggiunto. 

QuARTAccio  s.  Brigida.  Sulla  via  di  Bracciano, 
che  è  l'antica  Claudia,  circa  15  m.   distante  da  Roma  e 


666 

alle  mani  fra  loro  per  questi , ai  di  confinì.  Livio  poi  lib. 
XXVI.  e.  IX.  narrando  la  spedizione  di  Annibale  cen- 
tra Roma,  dice,  che  quel  capitano  accostatosi  a  Tuscu- 
lo  ,  e  non  essendo  stato  introdotto  nella  città ,  scese  a 
destra  verso  Gabii ,  e  di  là  spinto  1'  esercito  a  Pupini» 
attendossi  8  miglia  lontano  da  Roma:  inde  in  Pupiniam 
exercitu  demisso  Vili.  m.  passuum  a  Roma  posuit  castra. 
Se  pertanto  le  terre  di  questa  tribìi  stavano  circa  8.  m. 
distanti  da  Roma,  di  qua  da  Gabii,  l'agro  pupinio  cor- 
risponde oggi  colle  tenute  di  Torre  Nuova,  Tor  Verga- 
ta, Carcariola  ec.  nelle  quali  coincide  la  posizione  e  la 
distanza  sovraindicata.  A  questo  si  aggiunge  la  natura 
del  suolo,  che  è  un  terreno  sterile,  ingrato,  malsano,  e 
coperto  di  musco,  come  Varrone  De  Re  Rustica  lib.  I. 
e.  Vili.  Columella  lib.  I.  e.  IV.  Valerio  Massimo  lib.  IV. 
e.  IV.  e  e.  VIII.  descrivono  il  pupinio;  quindi  Cicerone 
nella  orazione  contra  Rullo  istituisce  il  paragone  fra  la 
sterilità  de'campi  vaticano  e  pupinio  colla  ubertà  di  quel- 
li della  Campania.  r' .  [;.,.:"'>'.■ 
Quest'Agro  non  solo  vide  attendarsi  le  schiere  car- 
taginesi condotte  da  Annibale  ,  ma  ancora  antecedente- 
mente avea  veduto  Decio  porre  il  campo  contra  gli  Um- 
bri ,  allorché  si  mossero  a  danno  di  Roma  1'  anno  445. 
secondo  Livio  lib.  IX.  e.  XLI.  Ivi  pure  ebbe  il  suo  mo- 
desto fondo  di  7  jugeri ,  cioè  201,600  piedi  quadrati , 
Attilio  Regolo  terrore  di  Cartagine,  ivi  pur  l'  ebbe  Fa- 
bio Massimo ,  siccome  fan  fede  Valerio  Massimo  e  Co- 
lumella ne'passi  citati. 

PYRGI  V.  S.  SEVERA. 

QUADRARO. 

.'i.Hf  Tenuta  pertinente  ai  Torlonia  posta  fuori  di  porta 


667 
Maggiore  circa  2.  m.  e  confinante  colle  vigne  di  Roma, 
e  colle  tenute  di  Tor  s.  Giovanni,  s.  Croce,  Casetta  de- 
gli Angeli,  Tor  Spaccata,  Quadrato,  Carcariola,  Torre- 
nuova,  Quarticciuolo,  e  Casetta  o  Casa  Calda.  Compren- 
de rubbia  401.  divise  ne'Quarti  del  Casale  e  Porta  Fur- 
ba, Cecafume,  e  Tor  Spaccata.  Antecedentemente  fu  de' 
Sciarra  Barberini.  L'  anno  1828  nel  demolire  un  muro 
moderno  si  trovarono  molti  pezzi  di  antiche  terre  cotte 
ornate  di  bellissimi  bassorilievi  rappresentanti  le  forze 
di  Ercole  :  tre  di  esse  racconciate  veggonsi  nel  museo 
detto  etrusco  al  Vaticano.  Forse  in  que'dintorni  avrà  esi- 
stito qualche  tempio  di  Ercole. 

QVADRATO. 

Tenuta  di  rubbia  245  e  mezzo  circa  ,  posta  fuori 
di  porta  s.  Giovanni,  circa  6  m.  distante  da  Roma  presso 
al  bivio  delle  strade  di  Frascati  e  Grottaferrata ,  confi- 
nante colle  tenute  di  Gregna,  Carcariola  Quadraro,  Tor- 
re Nuova  e  Grottaferrata.  In  essa  è  una  torre  de'tempi 
bassi,  che  per  la  sua  posizione  fra  Roma  e  Frascati  di- 
cesi Tor  di  Mezza  Via:  ed  un'antica  conserva  di  acqua 
presso  la  via  di  Frascati,  lavoro  del  tempo  degli  Anto- 
nini. È  divisa  ne'  quarti  di  Tor  di  Mezza  Via ,  Santi 
Quattro,  Grotticciole,  e  della  Osteria. 

QUARANTAQUATTRO  v.  TORRETTA. 

QUARTO  e   QUARTACCIO. 

■>  v;  ,•'.•;  il-  .  f 

Nome  comune  a  varii  fondi  dell'Agro  Romano:  essi 
fra  loro  distinguonsi  per  qualche  altro  aggiunto. 

QuARTjccio  s.  Brigida.  Sulla  via  di  Bracciano, 
che  è  l'antica  Claudia,  circa  15  m.   distante  da  Roma  e 


668 

confinante  colla  strada  suddetta,  coi  territorii  dell^An- 
guillara  e  di  Galera  e  colla  tenuta  di  Gasacela.  Si  esten- 
de per  rubbia  210. 

Qu  ART  ACCIO  DI  PoNTE  G  ALERÀ.  Sulla  via  di  Fiu- 
micino circa  10  m.  distante  da  Roma ,  spettaìite  già  ai 
Lepri  e  confinante  colle  tenute  di  Capo  di  Ferro  e  Cana- 
po Salino,  e  col  Tevere;  si  estende  per  circa  70  rubbia 
e  tre  quarti. 

QuARTicciOLO.  Fuori  di  porta  Maggiore,  pertinen- 
te al  Capitolo  di  s.  Maria  Maggiore,  di  circa  243  rub- 
bia ,  6.  m.  circa  lontano  da  Roma.  Esso  confina  colle 
vigne  di  Roma  e  colle  tenute  di  Casetta ,  Tor  tre  Te- 
ste, Tor  Sapienza,  Quadraro,  Acqua  Rollicante  e  Torre 
Nuova,  e  si  divide  ne'quarti  di  Casa  Calda,  Tre  Teste, 
e  Vigne. 

Quarto  del  Casale  v.  Castel  Fusano. 

Quarto  di  s.  Sabba  v.  Celsano. 

Quarto  di  Ponte  Salario  v.  Valle  Melaina.^ 

QVERQVETVLA— CORCOTVLA. 

€urculum-€orcurulum. 

;  ..         ■ 

CORCOLE—CORCOLLO. 

Plinio  nel  libro  III.  e.  V.  §.  9.  fra  i  popoli  estinti 
del  Lazio  nomina  i  Querquctulani ,  nome  che  Dionisio 
lib.  V.  e.  LXI.  nel  catalogo  de'popoli  che  presero  le  armi 
a  sostegno  de'  Tarquinii  esprime  colla  parola  KopxoTsu- 
Xovwv.  Quindi  Querquetula,  o  Corcotula  fu  la  loro  cit- 
tà ,  la  quale  trasse  nome  dalle  quercie  che  ne  copriva- 
no i  dintorni.  Incerto  è  affatto  il  sito  di  tal  luogo,  e  so- 
lo per  analogia  di  suono,  e  per  certe  particolarità  locali 


669 
può  congetturarsi  Corrispondere  al  casale  un  di  castello 
di  Corcole  o  CorcoUo,  poiché  diversamente  si  scrive. 

Ho  detto  che  la  congettura  si  fonda  suU*  analogia 
di  suono,  e  sopra  certe  particolarità  locali;  della  prima 
ognun  può  decidere;  quanto  alle  particolarità  locali,  nel 
visitare  Corcollo  osservai  che  il  casale  già  castello  è  so- 
pra un  colle  di  tufa  tagliato  a  picco,  opera  certamente 
dc'tempi  più  antichi,  e  che  sul  ciglio  di  queste  rupi  ta- 
gliate fu  nel  secolo  XV.  dai  Colonna  allora  signori  del 
luogo  costrutto  il  recinto  del  castello  nel  quale ,  come 
uclle  altre  costruzioni  moderne  si  veggono  impiegati  mas- 
si grandi  quadrilateri  di  fabbriche  antiche.  Solo  dal  Iato 
di  occidente  si  può  salire  a  questo  casale.  Una  iscrizio- 
ne del  1743  dichiara  che  Cornelia,  Costanza,  e  Giulio 
Cesare  Barberini  ristaurarono  il  casale  a  proprie  spese 
per  commodo  de'sudditi. 

Questo  casale  ,  o  castello  era  risorto  sulle  rovine 
della  città  antichissima  fino  dal  secolo  XI.  imperciocché 
il  Petrini  riporta  un  documento  n.  7,  dal  quale  rileva- 
si, che  era  allora  feudatario  di  esso  un  Giovanni  roma- 
no, che  si  qualifica  come  abitante  nel  castello,  qui  vo- 
catur  Corcurulo  ;  questo  stesso  fondo  nell'  anno  1074  si 
ricorda  nel  privilegio  di  Gregorio  VII  col  nome  di  ca- 
stellum,  come  pertinente  al  monastero  di  s.  Paolo:  e  di 
nuovo  nel  1203,  e  nel  1236  frai  beni  di  quel  monaste- 
ro, nelle  bolle  d'Innocenzo  III.  e  di  Gregorio  IX  ripor- 
tate come  quella  di  Gregorio  VII.  dal  Margarini  nel  Bol- 
lario  Cassinense.  Nel  secolo  XV.  venne  in  potere  de' 
Colonna  signori  di  Palestrina,  i  quali  lo  ritennero  fino 
al  1630,  in  che  lo  vendettero  insieme  con  Palestrina  e 
con  altri  fondi  ai  Barberini ,  i  quali  ne  sono  i  padroni 
attuali. 

Questa  tenuta  è  sulla  strada  di  Poli,  circa  16.  m. 
distante  da  Roma,  fuori  di  porta  Maggiore:  confina  con 


670 

quelle  di  s.  Vittorino,  Castiglione,  e  Lunghezza:  col  fiu- 
me Aniene:  e  co'territorj  di  Tivoli,  Zagarolo,  e  Gallica- 
no. Comprende  rubbia  390.  divise  nel  quarto  di  Colle 
Tasso ,  Colle  Fiorito  ,  e  Colle  s.  Angelo  :  in  quello  di 
Acqua  Puzza:  ed  in  quello  di  Colle  Pero. 


Fine  del  Secondo  Volume. 


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671 


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DEGLI  ARTICOLI  CONTENUTI 
IN  QUESTO  VOLUME 


E, 


impulum,    Ampiglione Pag.  5 

E  return  v.  Grotta  Marozza 
S.  Eusebio  V.  Marco  Simone 
Fabia  v.  Rocca  di  Papa  ' 

Falcognani 13 

Falcrii,  Falisca,   S.   Maria  di  Falleri  Civita  Ca- 
stellana   15 

Fanum  Vacunae  v.  Rocca  Giovane 

Fara 32 

Felice  Acqua,  Alexandrina 33 

Ferenlinac,  Aqua,  Lucus,  v.  Marino 

Ferrata,  Ad  Laminas 36 

Ferronea - 38 

Fescennium  v.  Falerii 

Fiano ivi 

Ficana  Dragoncello 40 

Ficulea 43 

Fidena,  Fidenae,  Castel   Giubilèo  .     .     .     .     .     .  ,,51 

Filacciano .     .  6l 

Finocchio 62 

Fiora 63 

FioraneUo r     •     •     •     •    ■     i«i 

riorano ivi 

Fiscali '  .  ' '.     .     i   *^^^^^ 

Fiumicino  \.  Porto 


€72 

Focignano 67 

Fontana  Murata ivi 

Fontana  di  Papa 68 

Fonte  di  Papa  v.  Massa 
Fonte  di  Papa  v.  Monte  Gentile 

Fontignano ivi 

FormeUo 69 

Forno 71 

Fossola  V.  Decimo 
Frascati  v.  Tusculatn 
Fregena  v.  Maccarese 

Gabii,  Pantano f  Castiglione 71 

Gabinus  Lacus,   Lago  di  Pantano,  Lago  di  Casti- 
glione           89 

Galeria  Galera 92 

Gallicano  v.  Pedum 
ad  Gallinas  v.  Rubrae. 

Gattacieca •     .     > 101 

Gelardi ivi 

Genazzano ivi 

Gennaro  m 104 

s.  Gennaro,  v.  Sublanuvio 

Gemano .,    -,     107 

Gerano 113 

Gericomio 115 

Ginnetti  v.   Torrecchiola  ^ 

Giostra  v.  Tellene  , 

s.  Giovanni ...    MX 

5.  Giovanni  in   Campo  v.  Falcognani 

s.    Giovanni  in  Camporazio ivi 

Giulia  Acqua 120 

Giustiniana  v.  Bor ghetto 
Gogna  v.  s.  Appetito 

Gregna ,^   .,    .^    J[2§ 

*.  Gregorio 128 


673 

Grotta  Ferrata 132 

Grotta  di  Gregna  v.  Cosai  Abbruciato 

Grotta  ilfarozza-Eretum 143 

Grotta  Perfetta .  .  .  ^ .       149 

Grotta  Scrofana  v.  s.  Palomba 

Grottone  v.  Ponte  Fratto 

Grottoni  \.  Vannina  ,    ^ 

Grottoni 150 

Guadagnolo .     .     .       151 

tenne 153 

Incastro .  .;'.:>;  i\iv.t55 

Infermeria  e  Risarò ivi 

Insugherata • 156 

Inviolata,  Inviolatella 157 

Inviolatella .     .         ivi 

Isola  Farnese  v.  Veli 
Isola  Sacra  v.  Porto 

Labicum,  Lavicum  La  Colonna 157 

Lamentano  v.  Nomentum 
ad  Laminas  v.  Ferrata 

Lanayium,  Civita  Lavinia 166 

Laarens,  Laurentum  Tor  Paterno,  Capocotta  187 

Laurìum  v.  Lorium 

Lavinium  Pratica 206 

Leprignano 244 

Licenza  Digentia v    V    .       245 

Longula  v.  Buonriposo 

s.  Lorenzo  fuori  le  mura '  ;  '   ♦     .     .       246 

s.  Lorenzo 268 

Lorium  Sottaccia,  Castel  di  Guido 269 

Luchino  V.  Monte  Arsiccio 
Lucretilis  v.  Villa  di  Orazio 
Lacas  Fauni  v.  Solforata 
Lucus  Indigetis  v.  Numicus 

43 


674 

Lugnano  y .  Bóiai            ,n'  -  •<; 

Lunghezza,  Lunghezzina  .'..ì'ì.    %     .     .     ,     .     .  275 

Maccarese  Fregena     .     ...     .< .  278 

Madalena .     .     .     .'    .v;  283 

Maggione  Maggionetta      .     .     .     .  i  .    ..     .  :  .  •  •:  ivi 

Magliana .   i.  v  .  284 

Maglianella .;'.,.  286 

Magri .     .     .     .     .  287 

Magugliano  e  Magliano .  ivi 

Malafede 288 

Malagrotta ivi 

Malborghetto  \.  Borghettaccio        .     .     ,-  yrìltl   ,*i  .;'■.;') 

Malpasso .   . .  289 

Malmcino ...,.,.  290 

Mandela  v.  Bardella  .      V 

Mandria  e  Mandriola • .     .    ^.  291 

Marano ivi 

Marcellina 292 

Marcia  Acqua '.     ;(7. .,.,    .  294 

Marciliana vj    ■• '^  .     »'    .  301 

Marco  Simone .     .     .    u,  304 

s.  Maria  di  Celsano  v.  Celsano  ;    ^ 

s.  Maria  del  Monte,  Monte  s.  Angelo    .     .  .%.J  ./  .  310 

s.  Marinella  Vnnìcmn *    v,..     .  313 

Marino  Castrimoenium 314 

Mario  V.  Monte  Mario 

Marmorella 1...  .  320 

Marrana  y.  Crabra  i.     ..    ,     r 

Martignano .  321 

Massa  e  Fonte  di  Papa     .  j /v'  ^    s.:'j  ♦  s  .j'  ,..,•.<  .  322 

Massa  Gallesina iV  v.»  .:    .  \'.   /.  323 

Maschietto  v.  Pisana  e  Brava  o^i  nO  5>  v^V  s   .  '    i;,  ;5  u.» 

Massima,  Acquasorgente  .     .     .     iv>\5;\\oi\  ./  ìt.iì'.,?)  u^SA 

Massimilla    ......   ^.■'iìtiuY.    ••  yif'>i;jbfi.l  -■j»i?rf 


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335 

«.  Matteo 

Mazzalupetto  v.  iUfonfe  Arsiccio 

Mazzalupo 

MeduIIia . 

Mentana  v.  Nolnentum 

Mentorella 

Merluzza 

Mezzaselva 

Mimali 

Molava  Roboraria 

Monastero  Colonnello m 

Monitola       

Montagnano 33g 

Montarsiccio^  Inchina,  Mazzalupetto 337 

Monte  Casale r-;  ,,4,  ,;}    .       338 

Monte   Compatri iyi 

Monte  Crescenzio  v.  Crescenzio  ,f, 

Monte  della  C riccia  y.  Gregna  >     .    w  wr^n^. 

Monte  Due  Torri  v.  Due  Torri  ..,  .,,u.-iviAt 

Monte  Fiore 339 

Monte  Flavio 340 

Monte  del  Forno ■      3Ai 

Monte  Fortino  y.  Arteuai  ,  ..    zr 

Monte   Gentile ,  qn 

Monte  Giove  y.  Corioli  ;'   ,  :,      / 

Monte  del  Grano 344 

Monte  della  Guardia   .......     ....     .     .       346 

Monte  di  Leva.     .     .     .^.^.  ,  ,     .     .,.,;^,i  U   .(..i^;;    ..  iyi 

Monte  Libretti ,  >        ^ '\  2àS 

Monte  Mario 349 

Monte  Mario  e  Monte  Mariolo    .     .     .  ,.»>  .*\ ,  .1-.       351 

Monte  Massimo .     .       352 

Monte  Migliore j ,  i    -.     .     .       353 

Monte  Musino  v.  Arae  Mutiae  .  nwiirjiv  r- 


676 

Monte  Oliviero 354 

Monte  delle  Picche ivi 

Monte  Porcaro 355 

Monte  Porzio ivi 

Monteroni 358 

Monte  Rosi ivi 

Monte   Rotondo ,     .     .     .     .  359 

Monte  del  Sorbo  e  Pilo  Botto      .     .     .     .     .     v  -    -364 
Monte  Spaccato  v.  Afflianus                      ... 
Monte   Verde  v.  Marcellina                                • 

Monticelli^  Cornicalum .  366 

Montorio  Romano 373 

Moranella 374 

Morena 376 

Moricone  JìegiWum ^    é^    ìì37R 

Morlupo '.     ;     .'  'SSS 

Morolo 38S 

Morra  m.  v.  Gennaro  m. 

Morrone  v.  Decimo  •  ■  V.' 

Mostacciano      -     ■     , 386 

Mugilla ...  387 

Muratella - -.u'^  l^)*  ^'is^'àS 

Nazzano w  K  '--..■'<  .^'■'^'^■^  '^^■■^' 

Nemus,  Nemi .     .  390 

'Nepij  Nepele  Nepe 398 

Nerola ■,k<^v)  ■  ; ^  ^403 

Nettuno .  >^ù>  i 'i'  .  404 

Nonientum  Mentana,,  Lamentana  .     .     .     ."    -^^   ;  409 

Numicus,  Rio  Torto .^^'  .'  *  .  416 

Olevano 421 

Olevano-Torricella      .     .     .-'^>y^i:^v:.  •^.■.•ì^,.  ^  6^:^':\~ '^y:4SAi 

Olgiata '^ìì'.  ...vvu' .  ivi 

5.  Oreste  v.  Soractes  ...  i^u',' 

Orvinium  t.  Moncone           jì»jM  :>!:ìA    /  (.r.  ^f 


677 

Ospedaletto A.ur'.I  i.       425 

Ostia i^   .       426 

Pagliari   Casale .       474 

Palazzola  v.  Albalonga 

Palazzo  Margano ,     .     .     .         ivi 

Palestrtna  j  Praenesle 475 

Paliano ^VW '■;'*   .*^%    '.       5l5 

Polidoro •..-..     .       518 

Pallavicina •  .     '.'    i  '  .     .       522 

Palmarola 'i-  '.'V.       523 

Paloj  Alsium ivi 

Palocco ....    i.'    V       529 

s.  Palomba  ....     .''."'..  ".    -.  '  "     .     .* '^     ivi 

Palombara 530 

Palombaro ..-.•.•  .^H-       534 

s.   Pancrazio     .     .     .     ...     ...     vVisjuv.vi'     536 

Passerano  v.  Scapila  •     •   •^•^<\5 

Pavone .  •  .     .  v-^v.ìT^^M«(w'     549 

Pedica •  .     .     .  •  .fc^'pVl.Vii      ivi 

Pedum,  Gallicano *.s.-vsì\ì><?.    55t 

Perna  e  Pernuzza  v.  Decimo  o')t,i,\\in'^. 

Pescarella '^.'^  .•'.•'''.       557 

Peschiavatore .    ''.»^^.- '^J^'.»^' ^  558 

Petrische .     .     . .     .  •  .    'V'^>"    i^^i 

Pelronella pìu  \?iii^yKf)i 

Pian    de'  Prassi •^pJ-Ofa'>  «5^^ 

Pietra  Aurea  v.  s.  Agata  ■  ^^ui\\^n  (e^'i 

Pietra    Lata ..-..•  jc*"  .nV,  rMvìJVì 

Pietra  Per  tusa ."'ì^^'V-^   ^  -'^-SéO 

Pigneto -V-ì  .''*ì^''\  •'.  '5i'»^n'<*'^^Sfe 

Pilo  Rotto  v.  Monte  del  Sorbo  •   «i'J>'u;\   s\>  »v..«*\ 

Pimpinara  v.  Sacriporlus  ^jt'-viiì)   .'  ìAt.o  v'^n'-^ 

Pino -.A«0>^^'p'^.  '  .'»•  .       563 

Pinzarone a!.»>HÌ/»5j    .v    ...   ^$4 


678 

Pisana  e  Maschietto    .          , ,   .  554 

Ptsciamosto ivi 

Pisciano 554 

Pisciarello  v.  Capo  di  Ferro 

Poli j^i   .  566 

Politorium .,,.,,  .4     .     .  57^ 

Polline  V.  Stracciacappe  '   ■« 

s.  Polo 572 

Polusca  V.   Casal  della  Mandria 

Ponte  Cipollaro 573 

Fratto ..,,,],  ivi 

Galera 574 

Lamentana  v.  Ponte  Nomentano  /..>..•> 

Lttcano nvu,^nu>5i?$ 

Lupo -  .,v,,<\rrw>$77 

0;      Mammolo .  578 

Molle .(«',•     •     •  580 

Nomentano .     .  588 

di  Nona 590 

Salario •   '.ì.  i  •  593 

Scutonico  .     .     .     .     .  ,,  .^  f     .  ,^«     ,.^(;i\   ;  ^^6 

Sodo  V.  Veii                                                  ,  ,  <x 

Ponton  degli  Elei 597 

Ponzano ,     ^     .     .     .     .  ivi 

Porcareccina 598 

Porcareccio       .     .     .     ....     .     •-/.uvi'-»  599 

Porcigliano 1,    vi.»  ..•■•.>.•;;.•  ,.-.,,*^i 

Porta  Nevola 602 

Porto  e  Fiumicino     .     .     .     .     •     •     •     •     •     •  ^^* 

Portonaccio  v.  Pietra  Lata 

Posta  di  Forano   .     .     .dA  rod*  Vy^  •>■.* /«h   r-  r  ^  •  ^^^ 

Posticciola  V.   Gregna  <uJ';jqÌT}c^   .• 

Praenesle  v.  Palestrina  .  . 

Pratica  v.  Lavinium  m\.j<u-'  ' 


679 

Prato 660 

Fiscale ivi 

Lamentarla 661 

Lungo ivi 

Prati  di  s.  Paolo ivi 

Prato  Rotondo ivi 

Prati  di  Tor  Carbone ivi 

di  Tor  di  Quinto 662 

di  Tor  di  Valle ivi 

Presciano  e  Casal  Prefetto 662 

Prima  Porta  e  Frassineto  v.  Rubrae 

Prima    Valle •   .     .     .  663 

Priorato  v.  Cecchignola 

Procojo  Nuovo  e  Casal  delle  Grotte      ....  ivi 

Procojo    Vecchio 664 

s.  Procula ivi 

Pupinia,  Agcr  Pupiniensis 665 

Pyrgi,  v.  s.  Severa 

Quadraro 666 

Quadrato 667 

Quarantaquattro  v.   Torretta 

Quarto  o  Quar taccio 667 

di  s.  Brigida     .     .     . ivi 

di  ponte  Galera 668 

Quarticciolo ivi 

Quarto  del  Casale  v.  Castel  Fusano 
di  s.  Sabba  v.  Celsano 
di  Ponte  Salario  v.    Valle  Melaina 

Querquetula  Corcotula,  Corcollo 668 


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