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STORICO-TOPOGRAEICO-ANTIQUARIA
DELLA
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ST0RlC0-T0P0GR4FlC0-ANTieMRIA
DELLA
CARTA DE' DINTORNI DI ROMA
DI A. INIBBY
già' pubbuco professore di archeologia
nelj.a romana università*
EC. EC.
TOMO II.
EDIZIONE SECONDA
ROMA
TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI
1848
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STORICO-TOPOGRAFICO-ANTIQUARIA 5,1
DELLA. ' " - i it'oh ,
CARTA DE'DINTORNI DI ROMA
EMPVLVM, AMPIGLIONE.
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^Ipollomum»
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Livio lib. VII. e. XVIII. dice che l'anno 400 di Roma
35 dopo essere stata ricuperata la città sopra i Galli
fu preso ai Tiburtini Empulum con un combattimento,
che non meritava di essere rammentato, sia che ambedue
i consoli ivi facessero la guerra contro i Tiburtini, sia
che il solo Marco Valerio Publicola guidasse contra loro
le sue legioni. £ questa è la -sola memoria, che ci ri-
manga di questa terra dipendente da Tibur, il cui nome
potè derivare dal pelasgico PVLE IIuXvj Por^a dalla cir-
costanza locale siccome più sotto vedrassi.
Una volta preso, e probabilmente distrutto dai Ro-t
mani, questo castello fornì ne' tempi susseguenti luogo
per costruire ville magnifiche , siccome più sotto mo-
strerò, le quali unite insieme , nel secolo VI della era
volgare costituirono una massa che fu detta di Apollo-
nio dal nome del proprietario originale, dal quale passò
in retaggio a s. Silvia madre di s. Gregorio. Questi ,
6
come SI trae dalla bolla dbta Fanno 594 a fasore de'mo-
naci SHtblacensi la concesse , come parte della- sua ere-
dità col consenso della madre a quel monastero. Dopo
l'atto di tal donazione queste terre più non si ricordano
fino all'anno 958, allorché papa Giovanni XII , confer-
mando i beni del monastero sublacense con bolla diretta
all'abbate Leone riportata dal Muratori nelle Ant. Med.
Aevi T. V. p. 461 nomina Massam Apollonia origine del
nome odierno Ampiglione,, che ha la contrada, e tutti i
fondi che allora la componevano, cioè la chiesa di s. Mar-
tino, fundum Paternum, quod appellatur Pentima, f. Bru-
vanoj f. s. Pamphili, f. Danieli, f. Merulana, f. Paccanoy
f. Tospoliano eum ecclesia s. Mariae et s, Lucentii^ f. s. Ci-
rici, f. Cispa, f. Romani cum ecclesia s. Angeli et' s. Fe-
licis. Ed assegna per confini di essa il fiume Tiburtina
(l'Aniene), Papi, l'Arco fulgurato, e pel monte de'cipressi
scendendo ed andando nel monte Bulturella fino alla
chiesa di s. Mari» y e per essa scendendo direttamente
a Pisciano. Così che nel 958 questa massa di fondi com-
prendeva tutto il tratto che è circoscritto dall'Amene,
dagli acquedotti della valle degli Arci , dal monte di
s. Maria Nuova, dal monte Mentorella, Pisciano, il Ser-
rone e l'Aniene, chiudendo dentro le terre oggi deno-
minate Castel Madama , Cerreto , Siciliano, Sambuci e
Saracinesco. Sul declinare dello stesso secolo queste
terre furono occupate da Crescenzio nomentano , come
può vedersi all'art. CASTEL MADAMA, col quale eb-
bero sorte comune.
Dal Chronicon Sublacense riportato nel tomo IV. delle
Antiq. Meda Aevi del Muratori , p. 1047 ricavasi, che
avendo i monaci ricuperata questa, come altre terre dai
discendenti di Crescenzio , circa V anno 1090 1' abbate
Giovanni assegnò suh anathematis vinculo, castellum, quod
s, Gregorius dedit Apollonium , totum prò vestimentis et
■-'A;
.-7
vdlceatnentis fratrum^ e questa è la prima memoria della
esistenza del castello , il quale dee credersi eretto nel
secolo XI. Nella bolla di Pasquale II a favore del mo-
nastero di Subiaco data l'anno 1115, venne confermato
il possesso del Castrum Apolloni a quel monastero, sic-
come si legge nel Chronicon pag. 1059. Ma poco dopo
essendo abbate di Subiaco Pietro , e papa Callisto II ,
circa l'anno 1124 insorsero da tutte le parti guerre con-
tro il monastero, e specialmente dal canto de'Tiburtini,
i quali come più potenti s'impadronirono della metà dei
castello di s. Angelo, oggi Castel Madama, ehe apparte-
neva ai monaci. E cominciarono tosto ad assalire.il Ca-
strum ApoUonensem , essendo papa Onorio II , il quale
prestò il suo consenso , perchè i Tiburtini unitisi con
Gregorio signore di Anticoli lo attaccassero con maggior
forza, e se ne impadronissero nella stagione della messe.
Allora furono fatti prigioni tutti gli abitanti, e poco dopo
vennero distrutte le mura del castello. Veggasi il Chron.
sovraindicato pag. 1051. Salito però al soglio pontificio
papa Innocenzo II, ricuperò Ampiglione e Buberano, os-
sia Barberano , ed insistendo i monaci per la ricupera
di questo castello, quantunque distrutto, il papa l'anno
1143 nella ultima sua malattia , ordinò che fosse loro
restituito, Chr. p. 1052. Sotto Eugenio III nel 1150 ,
Simone abbate lo diede in pegno ai Romani^ siccome si
narra nel Chr. p. 1053. Circa il declinare del secolo se-
guente venne in potere degli Orsini , che riedificarono
le mura, e ripopolarono la terra; ma insorta guerra fra
questi , ed i Tiburtini , Castell'Apollonio, fu per la se-
conda volta distrutto l'anno 1300, come si crede, e gli
abitanti superstiti si ritirarono fralle rovine del vicino
castello s. Angelo, oggi Madama, il quale l'anno 1308
fu da Riccardo e Poncello Orsini riedificato, siccome fu
notato a suo luogo. /!<;(»•»,"
'''Uscendo da Tivoli per la porla Arcense, o s. Gio-
vanni, passata la valle Arcense, e gli acquedotti antichi,
seguendo la strada , che oggi dicono di Siciliano e di
Ampiglione, 3 miglia e mezzo lontano da Tivoli, veg-
gonsi sopra un colle a sinistra gli avanzi di una conserva
antica quadrilunga , la quale internamente ha 58 piedi
di lunghezza e 42 di larghezza, ed è divisa da tré or- '
dini di pilastri: la lunghezza è parallela alla strada, cioè-
da sud-est a nord-ovest: e verso levante sono gl'indizii
di una piccola fontana , la quale era fornita di questa
conserva , ed ambedue appartenevano ad xm casino di
antica villa. Questa conserva è costrutta di scaglie. In.
questo luogo sulla strada sono colli tufacei dirupati: sui
monte a destra veggonsi grotte: e sul colle erto a sini-
stra sono gli avanzi di una fortezza de'tempi bassi, che
nella carta di Revillas viene indicata col nome di Pog-
gio, della quale si fa menzione in questa guisa nel Chron.
Sublacense. « Dopo che nell'anno 1125 fu distrutto il
» castello di Apollonio , ed incendiato Barbarano dai
» Tiburtini, questi venuti a transazione coli' abbate di
i) Subiaco, domandarono per mezzo di Milone loro ret-
■» tore , che fosse permesso ai Geranesi della porzione
i) di s. Lorenzo di trasportarsi con tutti i loro effetti
» ad abitare il Poggio di Casa Populi,, e questo fu dal-
» r abbate permesso di mala voglia. Quindi i Tiburti-
» ni vi ediflcarono una torre alta e solida^^ e munirono
» il villaggio con fossa e terrapieno , e vi posero un
» presidio di fanti ed arcieri a danno della abbazia. »
Poco però durò questo castello, che essendo stato pre-
so nel 1140 da Innocenzo II insieme colle altre terre
citfconvicine rimase smantellato e deserto.
Dopo le vestigia di questo castello, traversati due
rigagnoli, vedesi a destra, rasente la strada un pilastri-
no costrutto con molta cura, di opera saracinesca, il qua-
9
!c dal luogo stesso si conosce essere stato sempre isola-
to, e non aver mai servito ad altro che di seguale. In-
fatti quasi incontro a questo a sinistra si riconoscono
^raccie di una via antica, che saliva in direzione di Ca-
stel Madama, rimanendovi ancora molti poligoni smossi
di lava basaltica dell'antico pavimento. Seguendo l'anda-
mento di questo diverticolo antico, salendo sul colle a
sinistra della strada di Siciliano, dopo avere osservato,
che ivi la rupe è tagliala a picco, cominciansi ad incon-
trare gli avanzi di una villa antica , consistenti in un
muro di sostruzione di opera reticolata con legamenti
di mattoni e parallelepipedi di tufa, una parte del qua-
le è rovesciato. Questo muro serve a sostenere un ter-
razzo, sopra il quale un altro ne sorge, che contiene i
ruderi di una chiesa. Questo terrazzo soperiore, dal can-
to che è parallelo alla strada di Siciliano , è decorato
di nicchie: quattordici ne rimangono ancora, che occu-
pano lo spazio di circa 100 piedi: e dinanzi a queste è
un eurìpo largo 3 piedi e mezzo. Quindi è chiaro che
da questo lato la sostruzione era ornata di altrettante
fontane, quante sono le nicchie, che empievano Teuripo»
sottoposto in un modo analogo a quello che vediamo a
villa Pamfili. La costruzione del secondo terrazzo , io
parte è di opera incerta , in parte di opera reticolata ,
indizio che debba riguardarsi come opera degli ultimi
tempi della republica. È sopra questo secondo ripiana
la chiesa diruta ricordata di sopra, consacrata alla Ver-
gine, che il volgo appella s. Maria delle Cave per le vi-
cine cave di pozzolana : essa fu de' Benedettini e vien
nominata nella bolla di Giovanni XII , dell' anno 958 ,
dalla quale apparisce, che il fondo a que' tempi forma-
va parte della Massa Apolonii, e che chiamavasi Tospo-
liano: e che la chiesa era dedicata a s. Maria ed a s.
Lucenzio. Il muro settentrionale di questa chiesa è di
10
opera reticolata, onde dee credersi che essa fu edifica-
ta in una sala della parte culminante della yilla. Pres-
so di questa vidi sparsi per terra rocchi di colonne di
granito rosso e di travertino , ed un capitello di mar-
mo greco di ordine ionico.
Scendendo di nuovo da questi avanzi alla strada di
Siciliano, trovasi tosto la osteria che chiamano di Am-
piglione e di Siciliano, situata a sinistra della via, cir-
ca 4 miglia distante da Tivoli, ed un quarto dal diver-
ticolo sovraindicato. Accanto a questo abituro, a sinistra
della porta è un'ara sepolcrale con rosoni ne' lati, e colla
iscrizione quasi cancellata, che dice così, in caratteri di
bella forma:
P. VPPVRIVS PHILEBOS -u, ^„xv.
P. VPPVRIVS HELLIX.);./) .,;,!. nmi Ibivfa,
Sotto la iscrizione sono altri rosoni. Appena passata la
osteria a sinistra è una specie di nicchìone, che serve
ad indicare la sorgente che dà 1' acqua al fontanile a
destra della via. Poco dopo vedesi a destra una picco-
la conserva di opera reticolala, rivestita nell'interno di
signino, e vicino a questa è un'altro rudere incognito,
r nn» Afi piccola distanza però , cioè circa un ottavo di
miglio dopo la osteria, l'occhio si arresta a sinistra so-
pra un pezzo di muro pelasgico costrutto di poliedri di
tufa, i quali sono lavorati in tutte le faccie. I massi più
grandi hanno le dimensioni di 4 piedi nella lunghezza
e di uno in altezza: sono disposti in guisa da formare
un' arenazione continuata a sacco , riempiuta di massi
della stessa specie. E di tal costruzione questo pezzo
è il solo, che io conosca fatto di tufa, giacché ordina-
riamente le mura di massi poliedri sono di calcarla.
Dove questo muro è meno smantellato conserva circa 8
piedi di altezza , e si estende per 500 piedi lungo la
strada, sempre però men alto: e dagli avanzi di opera
u
incerta, che ivi rimangono è chiaro che fu ristauraloy
sia per uso di villa, sia per altro ne'tempi sillani. Ora
questo recinto è un avanzo di Erapulum, città colloca-
ta sopra due fimbrie dalla cresta di Castel Madama, che
avanzandosi verso le opposte pendici restringono nota-
bilmente la valle di Siciliano in modo da formare qui-
vi una gola , della quale Empulum fu la porta , o la
chiave , circostanza che die origine al s.uo nome , come
fu notato di sopra. Di queste fimbrie , la prima dopo la
osteria presenta le vestigia di tre recinti diversi, ed i
poliedri impiegati in questi sono maggiori di quelli che
veggonsi negli altri. La posizione di questa città è bene
immaginata per difendere il recesso della valle empula-
na. Nel terzo recinto della prima sezione della città
veggonsi avanzi di un muro di opera reticolata, costrut-
to sopra un muro di opera incerta: ivi pur sono le ve-
stigia di un terrazzo quadrilatero, che forse appartenne
ad una villa romana sorta posteriormente sopra le ro-
vine di Empulum. Questo terzo recinto io credo che
costituisse l'antica cittadella. Lungo il lato meridionale
di questo terrazzo vedesi un acquedotto inserito nel col-
le, il quale diretto prima da mezzogiorno a settentrio-
ne volge tosto da levante a ponente. La parete interna
di questo acquedotto è di opera reticolata , quasi in-
certa, la esterna è di opera incerta piuttosto grossa. L'al-
tra fimbria avea due recinti soli. ''"'
-^)n'>'Poco dopo aver passato il diverticolo di Castel Ma-
dama vedesi sulla falda del colle susseguente l'avanzo
di un colombaio ridotto oggi ad abituro rurale , entro
una vigna a sinistra. Aderenti ad esso sono gl'indizii di
un altro colombaio , ed ivi dappresso immediatamente
più in alto avanzi di sostruzioni a piccioli parallelepi-
pedi con contrafforti , e questi sono i primi avanzi di
una villa sontuosa romana, edificata dopo l' abbandono
{2
di Empulum, la quale die orìgine "ad Ampiglione, ossìa
al castrum Apollonìs, o Apollonii dc'tempi bassi. Le ro-
vine di questa villa appartengono all'ultimo periodo del-
la repubblica : essi sono di opera incerta bellissima , e
fanno riconoscere ancora la esistenza di due terrazzi.
Fra il primo ed il secondo terrazzo sono muri di opera
mista, ruderi di opera detta saracinesca con legamenti
di opera laterizia , e rivestimento di astraco y e dietro
di questi lavori una conserva quadrilunga di opera in-
certa grossolana con legamenti laterizii. A sinistra sono
gli avanzi della chiesa di s. Martino, la cui tribuna ver-
so occidente attesta la sua origine antica : i muri di que-
sta chiesa sono costrutti con quadrelli di opera retico-
lata, tolti da fabbriche antiche, mattoni, pietre ec, , co-
me tutte le opere de' tempi bassi. Essa viene ricordata
nella bolla di Giovanni XII , dell* anno 958 riferita di
sopra. Sull'ultimo ripiano di questo colle sono le vesti-
gia del castrum Apollonii ; nella costruzione del muro
di questo castrum veggonsi nel lato settentrionale im-
piegati massi tetraedri di pietra , tolti da qualche fab-
brica antica esistente in ([uesti contorni. Quanto poi alla
villa antica , la parte culminante di essa lascia travve-
dere nel lato meridionale muri del tempo della deca-
denza, forse aggiunti dall'Apollonio, che die nome alla
contrada, mentre nel rimanente è di opera reticolata e
mista. Verso la valle la fronte , era parallela alla via
sottogiacente, e presentava un ordine di occhi, o fene-
stre rotonde, che davano lume ad un corridore , e ad
un ordine di camere addossate al monte, quattro delle
quali sono ancora visibili. Queste camere non essendo
ornate , né presentando alcuna traccia di esserlo state
giammai, sembra che servissero per horrea, magazzini-
tj
•Il o»|i;)|fij^p tìi-fQjì't jìsh .,, fiifuxn flìlA oloyjje l;>i> OKfb.
'1* p4^ EREtVM y: GROTTA MAROZZAhì i« > lei
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-in<MA »ÌP<'J'AHIA«^ flocco D/ Pj4Pi.f »h ftbfiil^ rJ
i-ufìl) ipirn/l^ii> cU'iU":, — ^ : . ...i;hI:j o ,ohùì
i)?.f.ì'3ii 'jtdoh'y oqqoiì fiilaifiir.') ini/ ili fimon li B[no.>h
Mih4 ib o»<)i.'' FALCOGNANI rìioU i.ll»b
.J3T ,7 ,0-ojjI ou;jf(xlC0nUlUUttli '• '^> toixiiJ I.b ùlJb
ijHii r.l» 3«i;.ii r>il ioq o^.tificì ib loT ll> oijnup il .aVIMJ
- Due grandi tenute dell'agro romano, poste una Sj
r altra 10 miglia lungi da Roma e confinanti fra loro
sulla strada, che volgarmente dicesi della Madonna del
Divino Amore, e che dopo quella chiesa, assume il no-
me di queste tenute alle quali conduce. i^^uu
La prima di esse, cioè la più vicina a Roma v sì
compone delle tenute di Falcognani vecchi , e s. Gio-
vanni in Campo di rubbia 476 di estensione, e di Fal-
cognani nuovi di rubbia 1097. Appartiene ai Riccardi,
e si divide : Falcognani vecchi , ne' quarti detti Lungo ,
de'Preti, di Porzia Cenci, di Prisca, e Giostra, coprati
del Casale , della Macchiarella e de' Preti : Falcognani
nuovi poi è diviso ne'quarti di Tor di Sasso, s. Serena,
porta Medaglia, Rocca Priora, D. Olimpia, e s. Giovan-
ni in Campo. Fra le suddivisioni, o quarti qui ricorda-
ti, merita particolar menzione quello detto de'Preti, per-
chè appartenne un tempo alla chiesa di s. Alessio sul-
l'Aventino, e perciò nella bolla di Onorio III, data l'an-
no 1217 a favore di quella chiesa, e di quel monastè-
ro, fra i fondi si ricordano, la Turrim cum vineis, ortis,
canapinis, silvis in Falconiano, documento interessante ,
che dimostra essersi la contrada cosi nomata fin dal prin-
i4
cipio del secolo XIII, nome , che ricorda qualcuno de'
Falconi celebri nel II secolo dell'era volgare, che eb-
bero in questa parte le loro possidenze. E quanto alla
torre che nella bolla onoriana si ricorda^ questa si ve-
de ancora circa 9 miglia e mezzo lungi da Roma fra
la strada della Castelluccia e quella di Casale Abbru-
ciato, e chiamasi Tor de'Preti. Quello di Porzia Cenci
ricorda il nome di una famiglia troppo celebre ne'fasti
della storia romana nel secolo XVII. Quello di Prisca
e Giostra contiene le vestigia di Tellene , antichissima
città del Lazio, della quale parlerò a suo luogo, v. TEL-
LENE. Il quarto di Tor di Sasso poi ha nome da una
altra torre de' tempi bassi 8 miglia e mezzo lungi da
fioma a destra della strada del Divino Amore. Falco-
gnani vecchi confina con Falcognani nuovi , Falcognani
Cenci, Fiorano, e col territorio di Marino: Falcognani
nuovi poi con Falcognani vecchi, Falcognani Cenci, Pe-
dica Cavalloni, Castel di Leva, s. Anastasia, Castelluc-
cia, Casal Giudio, Mandria, Schizzanello, Radicelli, mon-
te Migliore, Paglian Casale e Tor Maggiore,, ,:; iaiii y
L' altro tenimento di questo nome è quello perti-r
nente ai Cenci, e confinante colle tenute di Paglian Ca-
sale, Madalene, s. Palomba, Falcognani Riccardi e ter-
ritorio di Marino , si estende per 398 rubbia e com-
prende i quarti detti della Mola, della Capanna, di Cas-
sale Abbruciato, del Fico, e di Tor di Nona, ed i quar-
ticcioli delle Vigne e di Spregamore, co'prati della Mac-
chiarella , e del Cerqueto. Fra questi quello di Casale
Abbruciato contiene vestigia ragguardevoli descritte di
sopra nell'articolo CASAL BRUCIATO: quello di Tor
di Nona ricorda il IX miglio dell'antica via ardeatina,
oggi abbandonata, ed una torre diruta de' tempi bassi:
e quello di Spregamore con vocabolo più basso veniva
designato nel 1315 col nome di Pauli Berardi Pisciafo-
re, siccome si trae dal documento n. LYIII, riferito dal
Nerini, nel quale viene notato come confinante col fon-
do di s. Eufemia^ oggi s. Fumia.
«>> FALERI, FALERII, FALISCA, FALISCI, !
AEQVVM FALISCVM - S. MARIA DI FALLEMy
CIVITA CASTELLANA.
7 .ili] <y,mM'\]'^(vyuU.'i'3hh)Ui f(rjt\\)^>ì % o)\%iì^ \\ on
-IJ1Ì9 ni; . . ,-.,,.,, ...,:.,,, ...,,, , oj|ii;oi;g
odrmfl m\ hSìr. :'> (HflSittUcinft^ *"''" t»'''>^'^^ ' ''d-)>'
! ir notne di questa città antichissima ideila Etruria
Cicisminia in Festo, e nella Carla Peutingeriana viene
scritto Faleri; mentre in altri autori antichi più gene-
ralmente si enuncia Falerii', ed io son di parere , che
la prima forma di esso sia corretta, contro ciò che al-
cuni pretendono, e che dal suo nome gli abitanti fu-
rono denominati Falerii: e da questi a poco a poco s'in-
sinuò l'altra più commune, che confuse i due nomi in
uno, col quale vennero designati la città, e gli abitan-
ti. Ed a me sembra, che il nome originale fosse Pha-
Usi , o Falesi , derivato da Halesus compagno , o figlio
naturale di Agamennone , il quale , dopo la morte di
quel re , abbandonata Argo , si ritirò in questa terra ,
già de'Siculi, ed allora abitata dai Pelasgi suoi conna-
zionali: e dall'averle communicato il nome, e probabil-
mente dall' averla anche colonizzata, ebbe 1' onore del-
la fama di averla fondata. Veggansi Ovidio Fast. lib. lY
v. 73. Solino e. VII , e Servio in Aeneid. lib. VII. Da
;PhaÌesi nome della città , Falisci furono detti gli abi-
tanti, nome che si conservò nel popolo di tutto questo
4istretto , che ebbe l' epiteto di Aequi conservatoci da
Virgilio lib. VII. ^ff,blt^im /n<)ì'ìiìi>.iiK ìiji 9T^gfiiq>oi t >m
16
i' Hi Fescenìnnas acies aequosque Faliscos, '• tn>.)i : /i^j
e da Silio lib. Vili.
Hos iuxta nepcsina cohors aequique Falisci.
Quindi alcuni scrittori posteriori confusero il nome del-
la gente con quello della terra, che chiamarono Falisco,
Àequum Faliscum, Falisci} infatti Diodoro lib. XIV, in-
dicando la presa di Falerii, dice, che i Romani diero-
no il guasto a Falisco, città de'Falisci; Strabene lib. V.
facendo due ' città diverse di Falerii , e Falisco , sog-
giunge , che alcuni riputarono non tirreni , ossia etru-
schi, i Falerii, ma Falisci , gente a se; altri poi anche
Falisci, città, che avea una lingua propria, e che altri
chiamavano Àequum Faliscum , posta sulla via flaminia
fra Ocriculum e Roma. D'onde nacque l'errore di fa-
re due città diverse di Falerii e Falisci, nel quale, ol-
tre Strabone, caddero Solino e Stefano, seguiti da molti
moderni, contra l'autorità di Dionisio, Livio, Plutarco,
oc. dai quali evidentemenic apparisce che Falerii era il
liomc della città, Falisci quello del popolo, nella stes-
ila guisa , che Roma era il nome della città , Quirites
quello de'cittadini, Ardea quello della metropoli, Rutu-
lì quello della gente, che costituiva la popolazione dei
suo territorio. ="'*^ 8ii«okH nb oJRrJiob f\y.'^\)'\ o /r A
Premessa questa distinzione necessaria, meglio s'in-
tendono i fasti di questa città. Dionisio lib. I. e. XXI
apertamente dichiara, che Falerio e Fescennio abitate
fino a'suoi giorni dai Romani, aveano conservato alcu-
ne scintille della stirpe pelasgica , mentre antecedente-
mente alla occupazione pelasgica erano de'Siculi; che in
èsse erano rimaste molte delle antiche costumanze, che
i Greci un dì ebbero , e ritennero per lungo tempo ;
come r ornato delle armi guerresche , e gli scudi e le
aste argoliche; e quando, o per cominciar la guerra, o
per respingere gli assalitori, mandavano l'esercito fuor
17
dtì'confini, lo facevano precedere da alcune persone sa-
cre, inermi, feciali; e la forma dc'templi, e le celle de'
numi, le espiazioni , ed i sacrificii , e molte altre cose
di tal natura. Ma il più splendido monumento poi di
tutti , dell' avere in Argo un giorno abitato quelli chok
discacciarono i Siculi, era il tempio di Giunone edifica-
to in Falerio come in Argo, nel quale simile era il mo-
do dei sacrificj, e donne sacre servivano il delubro, e
la così detta Ganefora, donzella casta di matrimonio, che
cominciava il sagrificio, ed i cori delle vergini, che can-
tavano ad onor della dea canzoni sacre. Or questo pas-
so prova, che la originale fondazione di Falerii si at-
tribuiva ai Siculi: che questi furono discacciati dai Pe-
lasgi: e che le traccie de'costumi argivi rimaste fino ai
tempi di Dionisio, cioè fino ad Augusto appoggiavano la
tradizione ricordata di sopra, che Halesus argivo l'aves-
se colonizzata poco dopo la morte di Agamennone; cioè
circa 12 secoli avanti la era volgare. E circa il costu-
me indicato da Dionisio di mandare innanzi i Fcciali
prima di uscire in campo, Servio commentando il verso
virgiliano riferito di sopra, dice che Aequi, cioè giusti,
furono chiamati i Falisci, perchè il popolo romano man-
dò ad essi i decemviri, i quali da loro appresero il ius
fecictle, ed alcune altre leggi, che furono, come supple-
menti aggiunte alle dodici tavole, che aveano avuto dagli
Ateniesi.
Dopo la fondazione di Falerii ; per molti secoli
tace la storia sulle gesta de' Falisci , i quali si trova-
vano in possesso di un territorio fertile, confinante verso
settentrione col Tevere, e verso occidente coi Veienti,
e coi Gapenati. La prima volta, che compariscono in sce-
na è l'anno di Roma 320, allorché avendo i Fidenatì,
coloni romani, disertato a Larte Tolumnìo re de'Veien-
ti, uccisero i quattro ambasciadori spediti loro dal se-
2
48
nato a domandar conto della diserzione. Accesasi per-
tanto una guerra atroce frai Fidenati , i Veienti , e i
Romani, i Falisci vennero in ajuto de'Veienti, e prese-
ro campo con loro dinanzi a Fidene. Nella battaglia che
seguinne schieraronsi nell'ala sinistra, mentre i Veienti
tennero l'ala destra, ed i Fidenati il centro; ma per la
morte di Tolumnio, ucciso colle proprie mani da Aulo
Cornelio Cosso, tribuno de' soldati, quella battaglia di-
venne per V esercito collegato una sconfitta micidiale.
Quindi l'anno seguente 321 di Roma, sendo console M,
Cornelio Maluginense , e L. Papirio Crasso , i Romani
spinsero il loro esercito nel territorio de'Veienti, e de*
Falisci, e ne riportarono una gran preda. Livio lib. IIII.
e. XVII. e seg. Tale fu però il terrore , che dopo la
battaglia di Fidene li sopraffece, che non osarono ven-
dicare queste depredazioni nel 322, allorché i Fidenati
ed i Veienti profittando di una fiera pestilenza, che af-
fliggeva Roma , posero il campo non lungi dalla porta
Collina: dice Livio su tal proposito e. XXI, che i Fa-
lisci perpelli ad instaurandum bellum ncque clade Roma-
norunif neque sociorum precibus potuere. Ed infatti rima-
sero quieti fino al 355 , allorché assediando , o piutto-
sto bloccando i Romani Veii, essi improvvisamente pre-
sero le armi insieme co'Capenati in soccorso di quella
città, prevedendo, che, perduta quella, si sarebbero ben
presto veduti esposti all'assalto de'Romani, non essendo
dimenticato il fatto di Fidene. Dopo varie scaramuccio
insignificanti, finalmente nel 358 osarono , uniti ai Ca-
penati ed ai Veienti , di dare un' assalto al campo ro-
mano; ma furono respinti con grave perdita. Due anni
dopo, il celebre Camillo sorprese i Falisci, ed i Capo-
ttati nelle campagne di Nepi, li mise in rotta, e s' im-
padronì del campo, dove trovò un bottino immenso, che
consegnò per la massima parte al questore, ed il rima-
19
ncntc distribuì ai soldati. Livio lib. V, e. Vili. XIII.
e XIX.
Caduta Veii, Camillo condusse l'esercito contro i
Falisci l'anno 363; questi prima si rimasero chiusi en-
tro la città; ma non potendo più sopportare le stragi e
le depredazioni , che si commettevano da' Romani nel-
le loro campagne, uscirono fuori delle mura, ed accara-
paronsi sopra un luogo dirupato, e di accesso difficile,
un miglio circa fuori della città. Pervenne però Camil-
lo ad occupare un posto che dominava il campo fali-
sco, onde questi presi da timor panico si sbandarono,
cercando di raggiungere le mura, e così Falerii da Ca-
-wrillo venne assediata. Traendo però in lungo l'assedio
avvenne l'aneddotto troppo noto del maestro traditore,
che fu causa della resa della città, alla quale venne im-
posto soltanto un tributo corrispondente al soldo di
quell'anno, e conchiusa la pace, l'esercito vincitore ritorr
nò a Roma: Livio lib. V. e. XXVL e seg. In questo trat-
to della storia e da notarsi, circa i nomi di Falerii, e
Falisci, de' quali come si disse di sopra, uno indicava
la città e l'altro il popolo, che Livio, mentre fa sem-
pre uso del secondo in tutti i fatti fin qui esposti, al-
lorché parla del tradimento progettato dal maestro, do-
po aver detto essere costume de' Falisci servirsi della
stessa persona e per ammaestrare, e per accompagnare
i ragazzi, soggiunge, che quello scellerato presentatosi
a Camillo gli disse: Falerios se in manus Romanis tra-
didisse, cioè che col consegnare loro i fanciulli gli avea
consegnato la città. Così i Falisci rimasero in pace co'
Romani, fino all'anno 401, in che si misero insieme co*
Tarquiniesi alla testa della lega etrusca contra Roma,
e si portarono alle Saline presso la foce del Tevere. I
Romani elessero allora dittatore Caip Marcio Rutilo;
<|uestì rimontando il corso del fiume , coli' ajuto delle
20
barche, purgò a destra e a sinistra , dove fu di biso-
gno, l'agro romano da' saccheggiatori nemici, e s'impa-
dronì ancora del campo , dove fece 8000 prigioni. La
guerra però non fu terminata che cinque anni dopo ,
allorché stretti i Falisci da Quinzio, ed i Tarquiniesi da
Sulpicio, per non potere più sopportare i guasti dati ai
loro territorii dai soldati romani domandarono ed ot-
tennero una tregua di 40 anni. Livio lib. VIL e. XVIL
e XXIL Essi mantennero fedelmente i patti per molto
tempo, e Livio lib. X. e. XIV. narra, che neiranno 457,
dubitando i Romani della fede degli Etrusei, da Sutri,
Nepi , e Falerii andarono legati a Roma , i quali assi-
curarono il senato, che le adunanze de'popoU della Etru-
ria altro scopo non aveano che di chiedere la pace. La
tregua durò fino all'anno 461 cioè 16 anni più del tem-
po convenuto: allora essendosi gli Etruschi messi in mo-
vimento centra i Romani, impegnati nella guerra san-
nitica, i Falisci si unirono alla lega, e commisero osti-
lità , onde i Romani dopo avere invano domandato per
mezzo de'feciali una soddisfazione conveniente, intima-
rono loro la guerra. Questa fu condotta dal console Car-
vilio, il quale sforzò ben presto i Falisci a domandare
la pace; ma non venne loro accordata, se non una tre-
gua annua col peso di pagare cento mila nummi di bron-
zo grave, e lo stipendio di quell'anno ai soldati. Livio
lib. X. e. XLY. XLVL
-^ Difficile sarebbe conoscere la causa, perchè i Fali-
sci , dopo essere rimasti quieti nella mossa fatta dagli
Etruschi l'anno 470, si rivoltassero l'anno 512, in che
i Romani vincitori de' Cartaginesi diedero termine alla
prima guerra punica, conchiudendo il trattato di pace,
che fece di una parte della Sicilia una provincia ro-
mana. Leggesi nella epitome di Livio lib. XIX questa
rivolta, e come entro 6 giorni furono ridotti a dovere^
21
Faìisci quum rebellassent sexto die perdomili in deditionem
venerunt. Non altrimenti Polibio lib, I. e. LXV. narra,
che dopo il trattato conchiuso coi Cartaginesi, i Roma-
ni ebbero una guerra contro i Falisci, la quale termi-
narono vantaggiosamente, divenendo in pochi giorni pa-
droni della città. Orosio poi lib. IV. e. XII. nota, che
i Falisci vi perdettero 15,000 uomini che furono ucci-
si , ed Eutropio lib. II. e. XVI. aggiunge che furono
multati della metà delle terre. Secondo questo scritto-
re ed i fasti trionfali capitolini i consoli che condusse-
ro quella guerra furono Q. Lutazio Cercone, ed A. Man-
lio Torquato Attico per la se(;onda volta , ed ambedue
trionfarono: Lutazio il dì primo di marzo, e Manlio il
di 4 dello stesso mese. Orosio però pone questa guer-
ra 3 anni dopo nel consolato di Tiberio Sempronio Grac-
co, e Publio Valerio Paltone; ma è chiaro che 1' auto-
rità de' Fasti dee meritare maggior fede. Valerio Mas-
simo lib. V. e. 3. §. 1. narra, che volendo il popolo ro-
mano trattare con rigore i Falisci, Papirio segretario del
console, e che per ordine del console stesso avea scrit-
to l'atto della resa, disarmò lo sdegno del popolo, no-
tando, che i Falisci eransi resi non al potere , ma alla
fede de' Romani ; non potestati , sed fidei se Romanorum
commisisse. Zonara Ann. lib. II. ci ha conservato con
maggiori particolarità i fatti di quella guerra, dicendo
che nella prima zuffa la fanteria del console Torquato
fu messa in rotta, e che questo disastro fu compensato
dal vantaggio che riportò colla cavalleria. Che poscia in
una seconda battaglia li sconfisse, e tolse loro tutte le
armi, i cavalli, le suppellettili , gli schiavi , e la metà
delle terre: e che in seguito la città stessa posta sopra
un monte forte venne spianata e riedificata in luogo di
facile accesso érspa S^wxcdo/xvjSvj suegjcSos. Questo passo
è molto importante per la topografia di questa città, e
22
coloro che hanno voluto riconoscere in Fallari odierna
la Falerii originale de' Siculi , non sarebbero caduti in
tale equivoco, se lo avessero avuto presente.
Trasportata così Falerii da un luogo forte ad un
luogo piano , i Falisci più non si mossero. Tito Livio
lib. XXII. e. I. ricorda questa città , narrando il pro-
dìgio che ivi apparve l'anno 537 in che sembrò vedere
aprirsi il cielo, ed uscirne una gran luce. In quel pas-
so non viene designata come colonia , bensì lo è nel
trattato de Coloniis , che si attribuisce a Frontino , dal
quale apparisce che vi fu dedotta una colonia dai triam-
viri col nome di Colonia Junonia Falisci.
Facilmente si conosce perchè avesse il cognome di
lunonia, riflettendo al culto, che i Falisci più partico-
larmente prestavano a Giunone , ed al tempio celebre
di quella dea eretto in Falerii dai coloni argivi , del
quale parla Dionisio nel passo riportato di sopra. Quin-
di Ovidio Fast. lib. VI. v. 49. chiama i Falisci luno-
nìcolae , e nella elegia XIII. del lib. III. Amorwn de-
scrive la festa che a'suoi giorni continuava a celebrarsi
ad onor della dea nel recinto della primitiva Falerii ,
dove secondo il costume romano , dopo lo smantella-
mento della città, lasciarono sussistere il tempio, situa-
to , come afferma il poeta , sopra un colle di accesso
difficile:
' Dijjicilis clivis huc via praebet iter.
E descrive i giuochi celebri , che in tal circostanza sì
davano, e il bue indigeno, che dovea sagrificarsi, e un
bosco sacro, nel quale era il tempio, e l'ara antica fat-
ta senza arte:
Ara per antiquas facta sine arte manus.
è la pompa che a suon di tibia andava al tempio, pas-
sando per strade velate: e le giovenche, i vitelli, i por-
ci, e gli arieti che doveano scannarsi ad onor della dea;
23
alla quale però era invisa la sola capra , per la tradi-
zione mistica, che avesse scoperto dove nella selva Giu-
none si era nascosta, onde una se ne lasciava, che con
dardi era inseguita da' garzoni , e colui che la feriva
Tavea in dono. Quindi aggiunge, come spandevansi dai
giovani e dalle donzelle vesti per le strade, per le qua-
li il simuiacro della dea dovca passare, e come le ver-
gini canefore coi crini ornali di oro e di gemme e co'
calzari dorati, involte in una ampia palla, velate secon-
do r avito costume greco, con vesti bianche portava»©
sul capo i panieri , che contenenano gli oggetti sacri^
arcani. 11 popolo al passare delia pompa osservava un
religioso silenzio; questa seguiva le vergini 8acerdote;s-
;sc. E conchiude il poeta: . i>H'siin'if>'^ì^u
, Argiva est pompae facies: Agamemnone caeso iQ§S']
Et scelus et palrias fugit Halesus opes. "'rSì
lamque pererratis profugus terragne, fretoque, ^^i.^
Moenia felici condidit alta manu. << fP j^^yj MHrfya li
lUe suos docuit Junonia sacra Faliscos. \W ò\ìyh
Siiit mihi sint populo semper amica suo. .<<,,.,,
Durante l'impero romano una sola lapide io cono-
sco , dalla quale apparisce che Falerii continuava -, ad
essere nello stato di colonia: essa è riportata dal Massa
nella opera che intitolò De Rebus Faliscorum: e da lui
la trasse il Grutero pag. CCLXXXVIII. e. 1; quantun-
que sia frammentata si conosce appartenere alla classe
delle onorarie, ed eretta ad un imperadore del princi-
pio del secolo III. dall' ORDO ET POPVLVS COLO-
NlAE FALISCORVM per cura di Tito Hyrio Settimio
Agizo personaggio pretorio, e curatore della republica.
I fasti de' martiri ricordano nello stesso secolo terzo il
martirio sofferto in Falerii da Graciliano e Felicissima
vergine, il di 12 agosto. Veggansi i martirologii di A-
done colle note del Giorgi , ed il Romano con quelle
24
del Baronio. I loro corpi sono oggi venerati in Civita
Castellana , dove furono trasportati; città che vedremo
essere sorta sulle rovine di Falerii primitiva.
La colotiia romana continuò ad esistere almeno fino
al secolo XI. della era volgare. In fatti l'Ughelli, ed il
suo commentatore Coleti Italia Sacra T. X. ricordano i
nomi de' vescovi della chiesa Falerina, Faleritana, e Fa-
leritanense dall'anno 595 fino al 1033, incirca, cioè: Gio-
vanni, che fu presente ai concilii romani del 595 e del
601: Garoso in quello del 649: Giovanni, che sottoscris-
se gli atti del concilio romano del 679 e la epistola si-
nodica di Agatone nel 680: Tribunizio, che interven-
ne al concilio romano nel 721: Giovanni che segnò gli
atti di quello del 743: Adriano nominato in quello del-
l'826: e Giovanni in quello dell' 861, ragunato contro
l'arcivescovo di Ravenna. Al conciliabolo dell'anno 963
assistè un vescovo Falarensis, del quale non si conosce
il nome. Nel 978 si ricorda in un privilegio di Bene-
detto VII. Giovanni vescovo Faleritano : nel concilio
romano dell'anno 1015 Crescenzio: e nel 1033, da una
bolla di Benedetto IX papa apparisce la unione delle
sedi vescovili di Falerii e Civita Castellana , cioè lo
spopolamento della città o colonia romana, ed il ripo-
polamento della primitiva Falerii; imperciocché in essa
trovasi sottoscritto VBenedictus s. Faleritanae et Castella-
nae Episcopus. L'ultima memoria, che ho rinvenuto del-
l'essere ancora abitata questa città appartiene al 1 lu-
glio 1064 ed è in un documento del Registro Farfen-
se n. 994 , nel quale è sottoscritto un Teuzo di Cre-
scenzio giudice di Fallari.
E circa a Civita Castellana , nel registro di papa
Gregorio II. pertinente al primo periodo del secolo. Vili,
ed inserito da Cencio Camerario nel libro dei Censi, edito
dal Muratori nelle Ani. Med. Aevi T. V. col 827. si
25
nomina il Monastero di s. Silverio nel monte Soratte,
al quale fu dato in enfiteusi da quel papa un fondo
denominato Canciano ex corpore Massae Castellianae pa-
trimonii Tusciae. A quella epoca pertanto i fondi di que-
sta contrada, pertinenti alla Chiesa Romana, formavano
una massa denominata Castellana , o Castelliana per le
molte castella, che conteneva. A misura però, che la Fa-
lerii romana si andava spopolando, raccoglievasi gente
sulle rovine della Falerii primitiva come luogo più
inaccessibile e per conseguenza più sicuro in que'tem-
pi di scorrerie continue; e questa a poco a poco nel
secolo IX. e X. formò una città, che dalla massa so-
vraindicata fu detta Civitas Castellana , nome che an-
cora ritiene. Infatti fin dall' anno 997 si nomina negli
atti de'ss. Abondio ed Abondanzio un Crescenziano ve-
scovo Civitatis Castellanae, che trasportò i corpi di que'
martiri in Civita, dove oggi si venerano: e poco dopo
nel 1015 un Pietro, che sottoscrisse il decreto di papa
Benedetto IX a favore di Guglielmo abbate Fruttua-
riense, dopo il quale le sedi di Civita, e Falerii fu-
rono sotto Benedetto vescovo unite insieme , come fu
indicato di sopra. Sul principio del secolo seguente
Pandolfo Pisano, nella vita di Pasquale II. presso i Ktr.
Ital. Script. T. III. P. I. p. 355, narra, come quel papa
attaccò colle sue genti Civita Castellana, designata come
locum natura satis munitum, e la prese. Era allora Ci-
vita capo di un contado (Comitatus) , che insieme colla
città e con altre terre fu oppignorato 1' anno 1158 da
papa Adriano IV. a Pietro prefetto di Roma , ai suoi
figli Giovanni ed Ottaviano ed ai suoi coadiutori ec. per
la somma di 1000 marche di argento, eccettuando però
quello , che un tal Malavolta avea ricevuto in Civita
dalla Chiesa Romana. Questo pegno fu fatto per com-
pensare le spese incontrate dal prefetto a favore della
26
Chiesa , e si stabilì di redimerlo a cinquanta marche
l'anno, cioè in 20 anni. Il Muratori nelle Antichità del
Medio Evo Tomo IV, e. 31 riferisce 1' istromento ori-
ginale di questa oppignorazione. Secondo que' patti il
pegno dovea essere intieramente redento 1' anno 1178;
ma non lo era stato neppure nel 1195 ; imperciocché
da tre altri istroraenti, appartenenti a quell' anno, che
si leggono nella raccolta muratoriana sopraindicata tomo
I. p. 143. tomo II , pag. 809 e seg. si trae , che la
porzione di Pietro de Atteia o Attegio, nominato fra-
gli oppignora tarj, fu svincolata, e riceduta alla Chiesa
allora retta da papa Celestino III. dalle due sorelle
Costanza e Sibilla di lui discendenti, e da Giacinto di
Pietro Diovisalvi marito di Sibilla , e da' suoi fratelli
Nicola ed Ottaviano, il dì 1 febbraio di quell'anno: e
che ai 7 e 25 dello stesso mese gli eredi delle ragio-
ni dotali e nuziali di Porpora moglie di Pietro prefet-
to , p sorella di Cencio di Romano di papa cedettero
al papa le loro porzioni per 133 marche e mezza di
argento. Nella bolla di Onorio III. dall'anno 1217 in-
serita nel Bollarlo Vaticano T. I. p. 100. e seg. si ri-
corda il territorio castellano, nel quale si pone Morolo,
si unisce insieme col falaritano , dove si parla di Fla-
janellum.
Il passo di Zonara Annoi, lib. IL riferito di sopra
apertamente dichiara, che dopo la ultima resa di Fa-
lerii la città primitiva posta sopra un monte forte ven-
ne spianata, e che in sua vece un'altra ne fu edificata
in un sito di facile accesso. D' uopo è pertanto rico-
noscere due citta di Falerii diverse, una di fondazione
argiva demolita dai Romani circa l'anno di Roma 512,
l'altra di costruzione romana rimasta in piedi fino al
secolo XI. della era volgare. La caratteristica lascia-
taci dal greco annalista della prima città è di essere
27
«opra un monte dirupato : quella della seconda di es-
sere in piano. Ora tutti concordemente riconoscono uno
4Ìe due Falerii a Fallari , non solo per la somiglianza
idei nome, ma perché rimane ancora in gran parte l'an-
tico recinto (con le porte e le torri , e ragguardevoli
avanzi del teatro e di altre fabbriche antiche. Natu-
ralmente però si affaccia la questione a quale delle due
città di Falerii queste vestigia debbonsi attribuire : e
coloro, che non hanno badato, so non alla somiglianza
del nome, ed alla esistenza delle rovine, vi avvisaro-
no la primitiva. Ma questi avanzi sono affatto in una
pianura : le mura presentano il metodo romano di for-
tificazione, consistente in aver torri quadrilatero equi-
distanti, e la costruzione di massi quadrilateri di di-
mensione non istraordinaria di pietra vulcanica locale:
l'arenazione delle porte è di stile analogo ad altre ope-
re romane arcuate del V. e VI. secolo di Roma, co-
me pure lo sono le sculture e le modinature: e final-
mente il teatro e le altre fabbriche che racchiudonsi
da questo recinto, sono opere pure e prette romane;
quindi d' uopo è conchiudere, che gli avanzi di Fal-
leri sono da attribuirsi alla Falerii romana e non ai-
l'argiva. Dall'altro canto Civita Castellana, posta in un
sito forte per natura , come viene descritto il Falerii
primitivo di Plutarco in Camillo e di Zonara , occupa
certamente il sito di una città antica , poiché visibili
in varii luoghi sono gli avanzi delle mura antiche co-
strutte di massi quadrilateri lunghi 4 piedi , alti 2 ,
cioè più considerabili di quelli delle mura di Fallari,
come pure visibili sono molte grotte sepolcrali di ma-
niera etrusca di là dal Ponte del Terreno , nella via
antica che menava verso la Falerii posteriore. Né si
sono trovati avanzi romani in Civita, come si veggono
a Fallari. Ora dunque, se Civita è in sito forte ed oc-
28
cupa il luogo di una città antica non ripopolata dai
Romani , altro non può essere in questa parte che la
Falerii primitiva. La falsa opinione di coloro che vi
volevano ne' tempi passati riconoscere il sito di Veii
non merita oggi più confutazione , e su tal proposito
leggasi ciò che nell'art. VEII ho dichiarato. E quanto
a coloro, che vi credettero situato Fescennium , altra
città argiva secondo Dionisio, e Strabone, a'tempi dei
quali era ancora abitata, questa con maggior probabi-
lità viene collocata a Gallese ; che se devesi ricono-
scere a Civita Castellana, oltre ciò che si è notato, do-
vrebbe riconoscersi pur qualche avanzo romano, sendo
che a' tempi di Augusto e di Tiberio era ancora po-
polata.
Civita Castellana è distante da Roma per la stra-
da postale odierna, detta del Furio, poco meno di mi-
glia 38. È una città fortificata, che ha 2300 abitanti,
ed è sede vescovile, e di governo del distretto di Vi-
terbo , nella delegazione di questo nome , e provincia
del Patrimonio. Il colle dirupato, sul quale giace è iso-
lato da tutte le parti, meno verso mezzodì, ossia ver-
so Nepi e Monterosi , dove si unisce ad una spianata
per mezzo di una specie di istmo : scorrono a pie del-
la rupe i rivi detti Rio Ricano e Rio Maggiore, che
ivi confluiscono insieme e formano il fiume Treia che
non molto dopo cade nel Tevere. Forte così per natu-
ra è situata in guisa da poter signoreggiare il nodo
delle strade di Nepi, di Acquaviva, di Ponte Felice ,
di Amelia , e di Viterbo. Non isfuggì tale importanza
di sito a papa Alessandro VI, il quale commise ad An-
tonio da Sangallo, fratello del celebre Giuliano, di far-
vi la fortezza , che oggi ivi si vede , e che serve di
prigione di stato. Oltre questa fortezza e le vestigia
delle mura antiche ricordate di sopra, Civita non pre-
29
senta altro edifizio degno di osservazione, che la chie-
sa episcopale , opera del secolo XIII. ed il bel ponte
fatto edificare dal cardinal Imperiali nel 1712.
Andando da Roma a Civita Castellana, dopo il pon-
te di Nepi, che è circa 31 miglio lungi da Roma, la
strada postale di Nepi a Civita sale ad un ripiano; pas-
sa poco dopo sopra un ponte un rivo influente del
fosso Pozzolo, al quale nella carta di Litta si dà il no-
me di Falisco: sale quindi ad un'altro ripiano: scende
ad un'altro ponte circa il segno migliare 32, e poi per
quasi due miglia va in piano attraverso un bel bosco
di querele. Poco prima del miglio 34 si passa il Ri-
cano, che poi per quasi quattro miglia costeggia a de-
stra la strada incassato in ripe profonde, ed imboschi-
te. La strada di là fino a Civita va sempre sopra un
dorso, e fino dal miglio 35 si vede da lungi Civita:
il Ricano dopo il miglio 36 si accosta di molto alla
via, e le rupi che coronano il suo corso offrono una
bella veduta pittoresca: dall'altro canto a sinistra la vi-
sta si spazia verso i gioghi del monte Cimino. Circa
il miglio 37 e mezzo si passa un ponte ed un quarto
dopo se ne tragitta un'altro, dove a sinistra si ha la
veduta imponente della fortezza , e questo annunzia
l'ingresso in Civita.
Da Civita a Falleri la strada odierna per un mez-
zo miglio circa è quella postale del Furio. Uscendo dal-
la città veggonsi sulla ripa opposta del rio Maggiore
belle rupi, nelle quali sono sepolcri degli antichi Fa-
lisci : a sinistra si vede un ponte : a destra ravvisansi
traccie delle mura di pietre quadrate dell'antichissima
Falerii sulla sponda destra del rivo. Il Soratte colle
sue moltiplici punte acuminate di calcarla maestosa-
mente si sviluppa verso oriente e di là da esso a mag-
gior distanza spiegansi dinanzi gli occhi i gioghi ne-
30
vosi della Sabina, frai quali vcdesi spuntare il sole. Poco
dopo aver lasciato sulla stessa mano il convento de'cap-
puccinj si volta a sinistra per andare a Falleri. La stra-
da per buone 3 miglia e moderna, malagevole, traccia-
ta a traverso una boscaglia. Verso il quarto miglio, dove
cominciano a travvedersi le mura della Falerii romana
s'incontrano le vestigia della strada antica, demolita in
parte l'anno 1830.
La pianta della città si avvicina alla forma trian-
golare, col vertice troncato verso settentrione, dove è
la porta detta di Giove e coU'angolo orientale retto pu-
re troncato. Venendo da Civita si ha primieramente di
prospetto il lato meridionale, dove un sepolcro romano
indica l'andamento della via antica, ed una porta è ivi
dappresso: un'altra n'è nell'angolo orientale, oggi ostrut-
ta; una se ne osserva in mezzo al lato orientale, che è
quella per la quale oggi si penetra nella città, e presso
a questa all'ingresso è un tratto di pavimento dell'an-
tica via, ed a sinistra sono ruderi di altri sepolcri ro-
mani, uno de'quali è piramidale: la quarta porta è quel-
la del vertice , detta di Giove. Per tutto il tratto so-
vraindicato le mura presenlansi con imponenza, a segno
che presso la porta di Giove hfivenne un pezzo di cir-
ca 43 palmi di altezza : conservano pure le torri qua-
drilatere , che le difendevano: esse sono in gran parte
in piano perfetto e ricordano l'epiteto gi>E<po^og dato da
Zonara alla posizione della Falerii romana. Il lato oc-
cidentale , che è dirupato, lungo il quale scorre il rio
Miccino, che scende dai monti di Caprarola, Carbogna-
no e Fabbrica per riunirsi circa 2 miglia sotto Falerii
al rio Maggiore , questo lato , dissi , non conserva che
pochi avanzi delle mura, ma sibbene evidenti traccio di
tre porte, una non lungi da quella di Giove testé no-
minala rimanendo il solco della via, che si dirige verso
31
r abbadia abbandonala di s. Maria , V altra intermedia
non lungi dal teatro , e la ultima , o la settima ha il
nome di porta del Bove ed è presso T'angolo meridio-
nale. Sette pertanto furono le porte di Falerii, delle qua-
li quella di Giove , e quella del Bove hanno nome la
prima dalla testa di Giove, l'altra da quella di un toro
scolpite nella chiave dellarco.
L'interno della città offre gli avanzi di una pisci-
na, e quelli di un teatro scavato negli anni 1829 o 1830,
opera veramente romana, e del tempo di Augusto, dove
molti frammenti di statue si scoprirono, ed una bella
di Livia , fra queste , sotto le forme della Concordia ,
insieme a due statue frammentate di Caio e Lucio ce-
sari. Altri ruderi informi si veggono fra la piscina ed
il teatro: e due tumuli , che incontransi fra la piscina
e s. Maria coprono gli avanzi di qualche tempio. Quan-
to a s. Maria, essa, e l'annessa abbadia ora pienamente
abbandonata , ed in rovina , furono edificate con fran-
tumi antichi nel secolo XIL La chiesa è a tre navi
divise da colonne: sulla porta a sinistra vedesi incas-
sato un capitello antico ornato di trofei e di schiavi :
ivi pure si legge la epigrafe seguente del secolo XIIL
#"'■■ ■■•■'
-H LAVBENTI -f- HOC OPVS
VS.CVMIACO Q INTAVALL
BO FILIO SVO. FIERI FECI! #
FECIT.HOC OPVS ^
Forse in questi dintorni fu un tempio antico, che for-
nì i materiali alla chiesa. Presso di questa è la porta
di Giove più volte ricordata, che è la più conservata,
essa è rivolta a nord-est e conserva le traccie della sa-
racinesca, colla quale chiudevasi.
32
FANVM VACVNAE v. ROCCA GIOVANE
FARA.
Terra della Sabina circa 35 miglia distante da Ro-
ma situata sulla punta settentrionale del monte Buzio,
residenza di Governo nella Comarca , la quale conta
1152 abitanti. 11 suo nome longobardico chiaramente
dimostra essere sorta durante il loro dominio. Imper-
ciocché Paolo Diacono lib. IL e. IX ci ha lasciata la
memoria, che farà chiamavano i Longobardi una fami-
glia, dicendo che Gisolfo nipote di Alboino, creato dal
zio duca del Friuli, dichiarò non volere assumere que-
sto commando prima che non gli fosse stato permesso
di scerre quelle fare , hoc est generationes , vel lineas ,
de'Longobardi, che avesse voluto. E questo passo di Pao-
lo viene illustrato dalla Cronaca Cassinense lib. I. e.
XXXIV. XXXV. lib. IL e. XXXI nella quale leggonsi
ricordate la Fara Maionis , la Fara Biana , la Fara de
Laento, e la Fara Ripa Ursa: forse anche questa ebbe
un cognome che coH'andare del tempo si è perduto.
Or dunque da una di tali Fare de'Longobardi, che
in questo luogo si stabilì nel secolo VII. ebbe nome la
terra, che ivi successivamente si formò, e che dopo es-
sere stata posseduta da varie famiglie fu nel 1052 do-
nata al monastero di Farfa ivi adiacente. Di tal dona-
zione si legge un ricordo del Registro Farfense n. 858
riportato più volte dal Galletti nel suo Gabio, dal qua-
le apparisce, che Martino prete, col consenso di Rinie-
ri di Crescenzio suo avvocato , per rimedio dell' anima
propria e di Giovanni soprannomato Tinto , di Botone
di lui fìglìuolo, e di Gerguisa moglie di Tinto, e d'Itta
vedova di Botone , concede al monastero di Farfa il
castello della Fara, cum muris terris ce. e se ne deter-
33
minano i confini. Sembra però che questa donazione fosse
contrastata da Rustico altro figlio di Crescenzio e fratello
di Rinieri; imperciocché troviamo nel Reg. Farf. n. 1086
un'altro documento riportato dal Fatteschi nell'appendice
p. 339 dal quale apprendiamo che nel 1084 Rustico re-
stituì col consenso di Gemma sua moglie il castello della
Fara ai monaci, permutandolo con altri beni, che Ten-
gono ivi indicati. Questa restituzione ebbe il suo adem-
pimento intiero l'anno 1104 siccome si ricava da un'al-
tro documento dei Reg. Farf. n. 1168 riportato dal lo-
dato Fatteschi p. 344. Contemporaneamente però i mo-
naci lo diedero in enfiteusi a Rerardo figlio di Rustico
stesso, e ad Agnese sua moglie. Veggasi il Galletti nella
opera sovrallodata di Gabio, che ne riporta i documenti
estratti dall'Archivio Farfense. In un documento ripor-
tato dallo Sperandio nella sua Sabina Sagra e Profana
p. 324. leggesi il nome di un conte Corrado della Fara
cavaliere dell' ordine di Calatrava. Io non so se costui
fosse conte della Fara stessa, come Nerola ed altre terre
della Sabina aveano i loro : in tal caso sembra , che a
quella epoca i monaci eransi spogliati del suo dominio.
Comunque sia è certo, che dopo, tornò di nuovo al pos-
sesso di quella terra il monastero , e poscia passò in
pieno dominio della camera apostolica.
'ììf
FELICE - ALEXANDRINA.
È una delle acque che forniscono Roma, della quale
in parte fu trattato nell'articolo ALESSANDRINA To-
mo L p. 119, dove notossi che venne condotta da Ales-
sandro Severo per uso delle terme da lui edificate , e
che fu ricondotta da Sisto V. l'anno 1585, cioè nel pri-
mo anno del ^uo papato. vitiq jih , ... ni - i
»:;^,, La opera èssendo vastissima, per quanto grandi fos-
3
34
sero le idee di quel papa, no rende più sicuri, che era
stata cominciata sotto Gregorio XIII suo predecessore;
infatti è noto che sotto quel papa una compagnia d'in-
traprendenti, fatti gli esami e le indagini necessarie pron
pose di condurla a spese proprie in Roma fino alle Ter-
me Diocleziano per poi venderla. Tal progetto fu ap«
provato da Gregorio XIII; ma essendo morto quel papa,
Sisto V. salito al soglio die compimento al lavoro, ma
a proprie spese, segnandone il decreto, allorché prese
possesso della Basilica Laterancnse. Architetto ne fu
Matteo da Castello adoperato in varii lavori da Grego-
rio XIII. e particolarmente a rifare il ponte allora de-
nominato di s. Maria, ed ora Ponte Rotto. Quell' archi-
tetto non fu molto felice nelle opere da lui intraprese,
e come il ponte crollò non molti anni dopo, così la li-
vellazione dell'acqua, che dovea chiamarsi gregoriana, e
che poscia fu appellata Felice, perchè Sisto V. chiama-
vasi Felice Peretti prima di esser papa , ancor essa
mancò.
Imperciocché egli allacciò soltanto le vene, che na-
scono nella tenuta di Pantano, e che formavano l'acque-
dotto alessandrino, unitamente ad alcune altre scaturi-
gini, che sorgono un poco più oltre di valle Marchet-
ta, nella contrada denominala Pantanello. Volendo però
a minorazione di spese profittare presso Roma degli
antichi acquedotti della Marcia, e della Claudia ne ven-
ne un difetto nel livellamento, che impedì all'acqua di
scorrere , e tornò indietro. Matteo temendo il risenti-
mento di Sisto, che gli avea fornito uomini e danari,
quanti ne avea domandato , fuggi nel regno di Napoli.
Il papa die allora la cura di tale opera a Giovanni Fon-
tana, e questi, col ricercare altre sorgenti abbondanti
più in alto, che potessero dare la spinta a quelle di
già allacciate, rie trovò tante, che ài dire del Baglioui
35.
accrebbe di più di due terzi il voJuine. doli-acquaie cosi
ottenne lo scopo. ;• h • .' i '-^: »
(}f Le sorgenti più lontane raccolte da Giovanni Fon-
tana sbucciano sotto la Terra della Colonna a destra
biella strada di Zagarolo, circa 15 miglia fuori di por-
ta Maggiore. Queste unisconsi a quelle di Pantanello^
allacciate da Matteo da Castello, e dopo 2 miglia e mez-
zo entrano nel bottino maggiore di Valle Marchetta ,
mentre per la strada il rivo riscuote il tributo di altre
scaturigini, delle quali quel suolo di lava basaltica ab-
bonda. Un miglio dopo nel luogo denominato la Ca-
ditora si unisce questo tronco a quello delle oncie tre-
cento venti raccolte da Urbano Vili, nella gran rifolta
detta di Pantano. Quindi per la contrada denominata
il Finocchio, per Torre Vergata, traversata la strada di
Frascati si dirigge verso la Festicciola di Marino dopo
15 miglia di rivo sotterraneo. Di là sempre sopraterra
giunge a Roma passando per Roma Vecchia , àom co-
mincia la opera arcuata, Tor Fiscale, Porta Furba, Por-
ta Maggiore e Porta s. Lorenzo. Presso porta Maggio-
re l'acquedotto è addossato alle mura della città e cosi
continua fino a porta s. Lorenzo, dove entra in Roma,
e per la villa già Peretti, poi Negroni, ed oggi Massi-
mi arriva al gran castello dietro la fontana detta di
Termini e del Mosè dopo 22 miglia di corso. ■'' ■> Iv
Presso porta Maggiore una parte di quesl' acqua
vien derivata verso il Celio, lungo l'antico acquedotto
neroniano fino a s. Giovanni Laterano , e di là da s.
Giovanni fino alla villa un di Mattei, ed il giardino, e
convento de'ss. Giovanni e Paolo. ; n'i'iui" a
La spesa di questa opera fu significante: il C!as9ÌO:
dice, che il primo lavoro, quello cioè eseguito da Mat-
teo da Castello, costò 100,000 scudi compresi 25,000
dati in compenso ai Colonna pe'. tagli e tasti fatti per
36
le vene da condursi , lavoro eseguilo da 2000 operai ;
e che i lavori, sotto la direzione del Fontana, per te-
stimonianza di Francesco Fontana , occuparono 4000
operai. In totalità la spesa ascese a scudi 300,000.
Secondo le osservazioni fatte dal Vici l'anno 1809,
e riferite da Rondelet nell' aggiunta alla sua traduzio-
ne di Frontino , quest' acquedotto forniva allora in 24
ore 1,843,200 palmi cubici di acqua, cioè 727,344 on-
eie, ossia 2978 quinarie antiche.
FERENTINAE, AQVA, LVCVS v. MARINO.
FERRATÀ-AD LAMINA», AD LAMNAS
^' 3lqua Sttxaia. '^ttm òt Iettata.
È un bel ruscello ricco di acque limpide e peren-
ni, del quale si fa menzione la prima volta in una car-
ta dell'anno 775 della era volgare. Da quel documenta
apparisce che fu donato in quell'anno al monastero su-
blacense^ insieme con altri fondi da Cesario console, e
duca. Successivamente se ne fa menzione nel placito
dell' anno 983 , riferito dal Muratori nelle Ant. Medii
Aevi T. I. p. 380, e nella bolla di Gregorio V. dell'an-
no 996 riportata dallo stesso scrittore p. 943. L'Olste-
nio saviamente opina, che il nome di Ferrata, dato al
rivo, tragga origine da quella sorgente di acqua mine-
rale ferruginosa, che scaturisce presso la via consolare
a sinistra poco prima di giungere al ponte e si mesce
col ruscello maggiore poco dopo. Le sorgenti del rivo
probabilmente hanno la origine primitiva dai laghi di
Percili, ma non compariscono, se non fra Colle Satur-
no 0 Monte Peschioso di là dal villaggio di Scarpa: esso
18
va ad influire nell' Anione sotto alla via Valeria fra le
osterie dette della Spiaggia e della Ferrata , dopo un
corso di circa 5 miglia. Traversa la via publica circa
33 miglia lontano da Roma dove è un ponticello mo-
derno. Sembra , che ne' tempi antichi fosse in questo
luogo un arco monumentale, di che fassi menzione nel-
le bolle di Gregorio IV dell'anno 833, e di Niccolò I.
dell'anno 864, riportate nel tomo I. del Bollarlo Roma-
no p. 172. e 198; nel placito del 983 , nella bolla di
Gregorio V. del 996, ed in quella di Pasquale II. del-
l' anno 1115 conservateci dal Muratori nella preziosa
raccolta delle Antichità del Medio Evo. ->ì*^;.;'»m^*. '*"
Il ponte sovraindicato è nel nodo, in che riuhiscbn^
si il sentiero, che mena al villaggio di Scarpa, la stra-
da che conduce a Riofreddo, e la via valerla: e per-
ciò fu designato , come confine de' beni del monastero
da questa parte ne' documenti sovrallegati.
Nella carta itineraria detta teodosiana e peutinge-
riana 5 miglia distante da Varia verso Subiaco è no-
tata la stazione di Ad Lamnas ossia ad Lamina» , la
quale traeva nome da una massa, o aggregato di fon-
di che Costantino donò al Battisterio lateranense , sic^
come ricavasi da Anastasio bibliotecario nella vita di
Silvestro I: in alcuni testi di quel biografo per errore
del trascrittore leggesi in luogo di Lamnas, o Laminas,
Laninas, come nell'Anonimo ravennate Lauinas; e quel-
la massa ricordata dal Bibliotecario si dice parte del
territorio carseolano. Ma è certo che Varia corrisponde
a Vicovaro , dunque le 5 miglia coincidono colla Fer-
rata, ed ivi si dee riconoscere la stazione ad Laminas:
è certa altresì la posizione di Carseoli esistendone i ru-
deri nel piano del Cavaliere, e perciò la Massa veniva
costituita dai territori! di Scarpa , Roviano , Arsoli , e
Riofreddo. La massa che dava nome alla stazione, sem-
38
bjra- averlo tratto ossa stessa da qualche città preceden-
temoole esìstente e distrutta : e questa io ho scoperta
nell'anno 1825 sulla falda del monte che sovrasta alla
ì(ia. fràlle Frattocce e Ferrata , dove vcggonsi ancora
Aracele dell'antico recinto costrutto in parte di poligo-
ni, in parte di massi quadrilateri, e tutti di calcaria ed
un angolo ancora facilmente si ritrova. Questa città, che
«ra Cèrtamente degli Equi, fu uno de' 44 oppidi presi
e. disfatti dai Romani l'anno 451 di Roma, siccome nar-
ra Livio lib. IX. cap. XLV , nel soggiogamento defini-
U*ò di quella nazione indomita, ed il suo territorio ven-
ne aggregato a quello della colonia romana di Carseo-
IL fondata poco dopo in luogo opportuno a ritenere le
le«r^ «JOnqifiSftatCé., ,^; .... .
-T»q a : f.ìiAi)r nìr f\ " ..oM»'itV»iH •; rr»rn:JOi 'i/? ; !;i«
mvifcunojn lob iauò. FERRONEA. V ,|. u: ..»: >
_.,v f;;ÌJ.iHn.,tcniqle^to di circa rubbia 37, pertinente agli
^Ijlicri,. chiuso .entro i terrilorii di s. Angelo in Capoc-
jcia e di Monticelli ,, e posto nella giunzione delle due
strade , che da Roma per la porta s. Lorenzo condu-
jcono a Monticelli y circa 14 miglia distante da Roma,
ih Jiliv r.llitfl ùhn'ìu\\ii\ii'u{ (lUr.ì'^nnl. lU i>«iiì)h '•nurì
flvmj 'i'Hi FESCENNIVM v. FALERIL
^atò'uujA <> .:-'.■: un. ^..l iv ! ■;'
-loi/p ') ; 'AvuVviwi 'jiiUHìi Fi ANO. .
loh o]ir,(| jj-jili i,^ oiir.'>DlmI(liJ[ Ir.b iiU,\ri<yn-{ iV-.-r.\n k'
Hbnoqy.iTKJt i:i'ifi7 • ^j ♦ >•
-r,H Bilu. oaobÌM,i. .4APn"»^%.,... . .. .
:sir)uiwv',.ì itfi vnoivf;'^ <^! 0'i'>'v,Ofw>')lT of*h i'- \n '*'r .'.Uv
-ir% Terra della Comarcà, net distretto di Roma e go^
Verno di Castel Nuovo di Porto con 591 abitanti y di-
latante da Roma circa 24 miglia, per la via tiberina, pro-
;i^i'ietà con titolo dì ducato degli Ottoboni. Ne' secoli
scorsi volle derivarsi il nome di questa terra dalla pa-
rola latina Fanum e si volle alludere al Fanum Fero-
niae, celebre santuario, coramune ai Capenati, agli altri
Etruscij ed ai Sabini, e di questa opinione fu il Clu-
verio, il quale aggiunge in prova della sua congettura
di essersi trovate in Fiano stesso alcune lapidi; ma va-
glia il vero questa sua asserzione fu smentita dall' in-
defesso Galletti ,\ che nella dissertazione sopra Capena
p. 34 notò la insussistenza di tale ritrovamento, ed inol-
tre, che il nome de'bassi tempi di questo fondo, essen-
do quello di Flaianum , troppo chiaramente dimostra
trarre origine da Flavianum , e dalla gente Flavia che
lo possedette, e che, malgrado la vicinanza, non ha né
punto, né poco che fare co' Flaviniaque arva di Virgi-
lio, o la Flavina del suo imitatore Silio Italico.'.r; oìùo
Quello, che non può porsi in dubbio è che un do-
cumento dell'anno 1074, quale si è la bolla di Grego-
rio VII. a favore de'monaci di s. Paolo, dimostra, che
a quella epoca , era un castrum di pertinenza di quel
monastero. A questo Io tolse poco dopo Teobaldo di Cen-
cio di Stefano; ma dopo la sua morte i suoi figliuoli Cen-
cio e Stefano lo restituirono al monastero l'anno 1099,
come risulta dall'atto originale di tale restituzione, edito
dal Galletti nella opera testé nominata sopra Capena p.
59. Il monastero contemporaneamente lo die in enfiteu-
si ai medesimi figli di Teobaldo , come si trae da liin
altro documento riportato dallo stesso scrittore p. 62.
Sembra, che costoro non adempiessero i patti della en-
fiteusi , poiché nel 1139 i monaci portarono i loro re-
clami al concilio lateranense , onde ricuperarlo insieme
con altre terre tolte al monastero. Fu in seguito con-
fermato al monastero stesso da papa Innocenzo III. l'an-
no 1203, come si trae, dalla sua bolla edita dal Mar-
garini T. I. Da altri documenti riferiti dal Galletti ap-^
40
parìsce , che nel secolo XIV. questa tèrra venne per
metà in potere degli Orsini, e che T altra metà col fa-
vore di Giovanni Sanguigno cognato di Paolo Orsino
circa Tanno 1405 fu venduta allo stesso Paolo per soli
1100 fiorini. Gli Orsini col titolo di contea l'hanno ri-
tenuta fino all'anno 1600, quando il conte Alessandro
k vendette a Caterina de' Nobili madre del cardinale
Francesco Sforza per 77 mila scudi ; questi venutone
al possesso ottenne da papa Paolo V. che fosse eretto
in ducato l'anno 1607. e ne die il titolo a Sforza suo
figlio, che Io godette fino alla morte; il fondo però fu
nel 1621 venduto dallo stesso cardinal Francesco per
220 mila scudi ad Orazio Ludovisi fratello di Grego-
rio XV. I Ludovisi lo hanno ritenuto col titolo di du-
cato nel secolo XVII. finché per vendita lo' cedettero
agli Ottohoni. Veggasi il Ratti Della Famiglia Sforza ,
T. I. p. aia
u) , i nCA^A-DRAGONCELLO.
FestònèHa voce Pmi/w dice; Puilià saxa esse ad
portum, qui sit secundum Tiberini, ait Fabius Pictor: quem
locum putat Labeo dici, ubi fuerit Ficana, via ostiensi ad
lapidem XI. Erano pertanto chiamate col nome di Pui-
lià saxa certe rupi sul Tevere , presso una specie di
porto, che ivi il fiume formava, sulla via ostiense, un-
dici miglia fuori della porta antica Trigemina , donde
usciva quella via, ed ivi secondo Labeone era stata Fi-
cana. Ora il corso del fiume, la distanza di 11. miglia
da Roma, e la circostanza di rupi dominanti il Tevere,
in un punto solo coincidono, cioè, presso al casale del-
la tenuta di Dragoncello, e per conseguenza ivi e non
a Trafusa, o a Trafusina, come altri supposero, fu con
molta * probabilità Ficana , città di cui non si conosce ,
se non il iiome, la posizione, e l'eccidio fattone da An-
41
eo Marcio, ricordato da Dionisio lib. III. e. XXXVIII.
e Livio lib. I. e. XIII. l'anno di Roma 118. E quanto
al primo di questi scrittori è solo per equivoco de* co-
pisti, che si trova cangiato il nome de'Ficanesi, e di Fi-
cana con quello de'Fidenati, e di Fidene, che era in una
parte opposta.
La città probabilmente fu fondata dagli Aborigeni,
che scelsero la ultima lacinia del dorso oggi conosciuto
in questa parte col nome di monti di s. Paolo , e che
colle opposte lacinie di Pisciarelli, e Ponte Galera chiu-
de il varco in guisa, che d'uopo è riconoscere in que-
sto punto la primitiva foce del Tevere, nella stessa gui-
sa, che ne* tempi imperiali la determinavano le città di
Ostia e di Porto. Questo punto non potè trascurarsi da-
gli Aborigeni, o dai Latini, come quello opposto dagli
Etrusci, affine di poter signoreggiare la foce del fiume,
che irrigava le loro terre, onde, come gli Aborigeni, o
i Latini fondarono Ficana , anche gli Etrusci doverono
fondare una qualche altra terra sulla sponda opposta
presso Ponte Galera. Anco Marcio, che prese questa cit-
tà ai Latini, come pure tutta la opposta sponda ai Ve-
ienti-Etrusci, in una epoca, in che non avea più quél-
la primitiva importanza, perchè il Tevere sboccava nel
mare cinque miglia più oltre , trasportò gli abitanti di
Ficana a Roma e popolò con essi e cogli altri popoli la-
lini vinti il colle Aventino, e lasciata deserta la città ne
assegnò le terre alla colonia romana, che fondò a sosti-
tuzione di Ficana sulla foce del Tevere, come allora tro-
vavasi protratta, e chiamolla Ostia. ■' l^■.ì■'^
-; Inutile è dire, che avanzi di questa città desolala
fin da 2472 anni fa, non rimangono, ma quello che non
potevano i secoli abolire, la natura de'luoghi fa ben ri-
conoscere a chi ha l'occhio pratico in tali ricerche, che
'ììì'ìh i- (;,i>; '-1(1 j'Li'. Ì\->o'><^ i' 0 fHW: huhlm '•«:»il«0 >
42
il sitò di Dragoncello ù quello di una città de'lcmpi pri-
mitivi di questa parte d'Italia.
All'articolo DRAGONE notai essere stato questo il
nome commune di tutto il tratto dell'Agro Romano, fra
il Tevere , a partire del confluente in esso del rivo di
Malafede, ed il territorio di Ostia, durante i secoli XI,
XII j e XIII, nome che derivò da un qualche Draco, che
ne fu il proprietario, e che perciò lo fé chiamare Fun-
dus Draconis, come si chiamò Mons Draconis, quello che
oggi appelliamo Monte di s. Paolo j, perchè proprietà de*
monaci di s. Paolo fino dal secolo XI. Ora questo si
suddivise in Dragone, e Dragoncello , come avvenne di
altri fondi dell' Agro Romano suddivisi in Tragliata e
Tragliatella , Solfarata e Solfaratella , Mandria e Man-
driola ec. Dragoncello stesso si suddivise in due, allor-
ché una parte ne venne alienata dal Monastero di s.
Paolo, e questi due tenimenti nel secolo XVI. erano de-
signati co' nomi de' proprietari rispettivi, Dragoncello s.
Paolo, e Dragoncello Naro. ììmIìì; Mi^ìiy;^;^ • air 'j'itìLnnì
Dragoncello s. Paolo confina contenimenti di Mala-
fede, di Dragoncello Naro, e col Tevere: ha 369 rub-
bia di estensione divise nelle riserve denominate il Pra-
to, Piani di Monte Cunio, Valle Porcina, Fontaniletto, e
quarto di Monte Cunio.
Dragoncello Naro sul finire del secolo XVII. appar-
teneva ancora alla famiglia di questo nome, siccome si
trae dalla Carta di Ameti data in luce l'anno 1693. Po-
co dopo fu acquistata dalla famiglia Spada, poiché nella
Carta del Cingolani del 1704 a quella famiglia si asse-
gna. In seguito nel secolo passato fu acquistato dai Ma-
rescotti, e da questi venduto l'anno 1816 ai De Ange-
lis. Confina questa tenuta col Tevere e col teniraento
di Dragone, territorio di Ostia, e Dragoncello s. Paolo
Contiene rubbia 209 , e 2 scorzi divise ne' quarti delle
43
Piscine, del Casale, e di Montedoro. Nel Diario ^ anonir
mo riportato dal Muratori Rer. Ital. Script. T. XXVI.
p. 1030 si legge come ai 14 giugno 1412 nella ritirata
dei conte di Carrara e di Sforza, che iniiilavano: icon
re Ladislao si portarono questi verso Ostia, e si alten?-
darono con padiglioni e trabacche in loco qui dicitur Dra^
goncelli, e vi rimasero per 2 giorni, tantO; è vero,, che
vantaggiosa è la situazione di questo casale,. Q-»thc io
credo meno malsana di tutto il circondario, e capjAe&Mda
potejTvi odifìcare imai borgat^. >~\.^.,u, >•■: .ì.iìi--.ì é.iJaoj
-oh ,f\A/.Z .q» .11/ .di! crM')/ h« ox'jM-ii ollon on<rH»3
-jiqtì ili 'r<ftmj l*in omjniFIGYLEA :yf^fi^ mitìfM eb.p'r
\'in fììiiHì^'i! lì- \'i -nfi^r .) (!; :ri)j'!,,>i(;i ,tH\X fmnp'IIob al
;^v. Dionisio Atìòariiàsieo ì&f<h e. XVI. idicey 'éinrl^
Aborigeni fabbricarono le città degli vAntemnali, de'Tel-
lenesi, e de'Ficolesi, dopo averne discacciato i Sicuiiute
di quella de' Ficolesi aggiunge , che stava presso i coisi
detti monti Gorniculani, e che queste città erano > anco^
ra abitate a' suoi giorni , cioè ai tempi dii Augusto.; ! Di
Ficulea' poscia più non si fa menzione fino al regno di
Tarquinio Prisco , il quale nella guerra conlra i Prisoi
Latini , descritta da Livio lib. I. e. XXXVIII , la prese
•dopo Corniculum, insieme con Cameria, Crustumeriim},
Ameriola , Medullia , e Nomentum. Lo storico 4atÌB0. (i
differenza delle altre città testò nominate, che Cràho co-
ionie latine, dà l'epiteto Ai Vetus a Ficulea, che» non Io
era: Ficulea Vetus. Quindi Marziale Kb. VL cpJ ■ ^^■ISQVIL
appellandola Ficeliae in luogo di Ficulea yì aggiùnge an-
cora l'epiteto veteres. Dionisio stesso nota lib. V. e. .XL,
che allorquando fu ammessa alla cittadinanza di! Boina
la gente Claudia l'anno 252, le Vienne assegnalo • il; ter-
reno fra Fidene, e Piculia, ossia Ficulea, cioè , o quella
parte dell'agro tolto ai Fidenati di là dall'Amene, che
confinava con quello di Ficulea , ovvero quello i<;hc era
44
parte dell'agro ficulonse stesso, conquistato da Tarqui-
nio Prisco. Varrone de Lingua Latina \ìh. V. p. 56. nel-
lo spiegare la voce Poplifugia, nome, che si dava al gior-
no in che il popolo era fuggito dopo la sconfitta dell'Al-
lia, soggiunge, che dopo la partenza dei Galli i popoli
intorno a Roma si erano mossi a suo danno e fra quel-
li sub urie nomina i Ficuleates, ed i Fidenates.
t Dopo questo fatto i Ficolesi non figurano più nella
storia , ed è probabile , che mai più non si movessero
contra Roma. Si ricorda però il loro territorio da Ci-
cerone nelle lettere ad Attico lib. XII. ep. XXXIV, do-
ve da Astura scrive l'oratore romano nel mese di apri-
le dell'anno 708, intendere di essere il di seguente nel
sùburbano di Sica , e poscia nel Ficulense : Cras igitur
in Sicae suburbano : inde quemadmodum suades , puto me
in Ficulensi [ore; ove dovea avere un congresso con At-
tico stesso. Alcuno potrebbe credere, che essendo pros-
simi i territori di Ficulea , e Nomento , anzi fra loro a
contatto, in questo passo si alluda al predio rustico, che
Attico avea secondo Cornelio Nepote in queste contrade ,
e che egli appella nomcntano: Nullos habuit hortos, nul-
lam suburbanam, aut maritimam sumptuosam villani, nc-
que in Italia, praeter ardeatinum et nomentanum, rusticum
praedium. nf:ir oj .r.rìna'nu)/. o ^ ì:ìì\i;ìì'.iC ,;.!:ir,:a/.
Dalla raccolta degli autori intitolata de Limitihùs si
trae che il territorio ficolense , che ivi Faciliensis ager
si appella fu ripartito e riservato secondo la legge, col-
la quale fu diviso e riservato quello di Curi de'Sabini.
Ora secondo quella raccolta medesima, il territorio di
Curi fu venduto dai questori , e con certi termini rac-
chiuso per 50 iugeri. Poscia per Gommando di Giulio
Cesare fu diviso per centurie, e per limiti: furono ap-
posti termini di travertino, ed anche pietre rosse furo-
no segnate. In varii luoghi, poi i muri, le macerie, i se-
48^
pólcri, i monumenti, il eorso de'riri, o de* fiumi, alberi
fissi o stranieri , e pozzi servivano di confine , ed altri
segnali che ne'libri degli autori leggevansi. In caso poi,
che non si trovassero tali segnali, la direzione de' filoni
degli alberi di olivo dovea servire di norma , e così , sài
riconoscevano i confini fralle possessioni diverse. Da que-
sti particolari sembra potersi dedurre, essere andato sog-
getto il territorio di Ficulea ancora ad essere venduto
nella guerra sillana , forse perchè i Sabini , e le altre
città fra loro e Roma seguirono la fazione di Mario. E
che poscia andò soggetto ad una nuova divisione dopo
la guerra fra Cesare e Pompeo. Da Dionisio ricordata
in principio apparisce , che questa città era abitata an-
cora ai tempi di Augusto. Seguitò pure ad esserlo poi
e forse risorse come altre prische città del Lazio nel
corso del primo secolo della era volgare , poiché oltre
Plinio che la pone fralle città ancora esistenti, ed oltre
il passo di Marziale rammentato di sopra, che appartie-
ne alla epoca di Domiziano, é celebre la iscrizione rin-
venuta nel secolo scorso nel tenimento della Cesarina ,
presso il quale or ora vedrassi essere stata questa cit-
tà , e non già a Genzano come inesattamente notò lo
Chauby nella Decouverte de la Maison de Campagne d'Ho-
race T. IH. p. 258. n. 6. •• "i'* > u«
Questa iscrizione è ad onore di Marcò Aurelio An-
tonino, r ottimo imperadore, erettagli l'anno XVI. della
sua potestà tribunizia, ossia l'anno 162 della era volga-
re, come principe indulgentissimo dai PVERl e PVEL-
LAE ALIMENTARI FICOLENSIVM II Marini, che la
riporta fralle iscrizioni albane (fralle quali ancora ritro-
vasi) alla p. 42. nota, che Winckelmann, che pur la ri-
porta, dice T. II. della Storia dell' Arte p. 394, che fu
scoperta nel luogo stesso, dove era stata collocata a prin-
eipio , e si querela , che questo non vuol dir nulla , e
46
che si dovrà tuttavia andar cercando il preciso sito del-
la^antioa Ficolca, o Ficulea. Nelle aggiunte e correzio-
nipoi fidandosi .troppo ftU'asserzione erronea di Chauby,.
che confuse la Cesarina fondo de'Cesarini, con Genzaao
feudo loro, dice, che posto questo, e posto ciò che asse-
ri il Winckelinann, non incontrerem più i Ficolesi lungo
la/via nòmentana. Ma appunto Ficulea fu lungo la via
nomeutana. E con questo monumento importante fu dis-
sotterrato uu; fregio scolpito a bassorilievo, sul quale
erano rappresentate tali donzelle alimentarie, e che oggi
s,i',v^de.anch<j esso aella ;VÌUa Albani, monumento che
fu con profonda dottrina illustrato da Zoega nella o-
pera de' Bassorilievi tav. XXXII , e XXXIII. Quindi
deducesi, che circa la metà del secondo secolo della
era volgare, Eiculea era cosi popolosa, e salubre, che
vi era un collegio di donzelle , il quale fu , secondo
Capitolino, nella vita del divo Marco e. XXVI. ivi sta-
bilito ad onore di Faustina sua moglie defunta: novas
puellas Faustinianas instituit in honorem tixoris mortuae :
ad imitazione di quello che il padre suo adottivo An-
tonino Pio avea eretto in memoria della Faustina se-
niore», sua moglie, e che intitolò PYELLAE FAVSTI-
NIANAE , come si trae dallo stesso Capitolino nella
sua vita e. Vili, e dalle medaglie edite dallo Span-
heim e descritte da Eckhel. E Marco Aurelio non re-
strinse solo la sua istituzione alle donzelle, come avea
fatto il divo Pio, ma ancora ai garzoni PVERI ET PVEL-
LAE ALIMENTARI FICOLENSIVM.
Nelle note al Cluverio p. 660 1. 35 fu osserva-
to dairOlstenio, che papa Innocenzio I. nella lettera VII.
nomina come una sola la parrocchia nomentana, o fe-
Uciense, cioè ficolense; è questo un argomento per cre-
dere che sul principio del secolo V. queste due ve-
tuste; città erano molto decadute, in modo che non for-
47
mavano che una sola cura; é altresì una prova della lo-
ro vicendevole prossimità. Questo è l'ultimo documento,
che di Ficulea finora sia noto. « r,/'>j{ji>no'> -ul^nyq i =
■fi Frallc forme diverse con che s' incontra enunciato
ih nome di questa città, la più corretta è quella di Fi-
culea, o Ficolea, nome , che dovrebbe avere la radice
coramune con vicvs , e che in linguaggio volgare tra-
durrebbesi ViearcUo , Viculus : la leggerezza de' gram-
matici derivoUo da Ficus, e quindi i copisti lo travol-
sero in Ficnlnea: e da questo errore derivò l'altro, che
trasmutando il nome in Figulea , ne volle derivare la
origine dalle figuline, o fabbriche di terra cotta ivi sta-
bilite. Quindi l'autore degli atti di s. Lorenzo, che co-
me è noto, se non apocrifi , sono molto interpolati , ne
fece una città di Figlinae e la trasportò dàlia via no-
mcntana nella salaria. Ma basti su questo particolare :
egli è difficile dopo trenta secoli rintracciare la etimo-
logia del nome di una città , e trattenersi a lungo so-
pra tali ricerch»!; non reca utilità corrispondente. Molto
più a proposito è l'indagare il sito, dove un tempo que-
sta sorse, onde meglio conoscere i fatti istorici, che la
ricordano. ' yuti «-^ «libb fuinv* l'MA ib ir.iilr/'»^'» «i -jì
Da quanto fu esposto di sopra è chiaro che Fico-
lea, o Ficulea fu a settentrione di Roma, nel suo su-
burbano, e che il territorio fu a contatto con quello di
Fidene, Noroento , e Corniculum , dicendoci riguardo a
quest' ultima città Dionisio , che Ficulea era verso , o
presso , o rivolta ( npog ) ai monti corniculani. Inoltre
Livio la mostra sulla via, o presso la via nomentana fra
Roma e Nomento, allorché lib. lU. e, LIL narrando la
seconda ritirata de' Romani sul Monte Sacro dice : Via
nomentana, cui tunc ficulensi nomen fuit , profecti , castra
in Monte Sacro locavere. Era pertanto una via medesi-
ma la nomentana de'tempi posteriori quella, che nc'tem-
48
pi più antichi dicevasi fìculeiise, e come ebbe nome di
nonicntana, perchè per essa si andava a Nomentum, co-
sì perché conduceva a Ficulea ebbe il nome di ficulen-
se. Unendo pertanto insieme le circostanze locali fin qui
esposte, dell'esser Ficulea fra Fidene, Crustumerii, Cor-
niculum, e Roma, e presso la via nomentana, io credo
di averne potuto determinare il sito in quel colle della
tenuta di Gasanuova, che per tre lati è difeso dai ri-
vi, che vanno a formare il fosso di Casal de'Pazzi 1 mi-
glio più oltre del casale della Cesarina, e 9 miglia lun-
gi da Roma, il quale prolungandosi per circa un miglio
trovasi a contatto della via nomentana verso il X mi-
glio da Roma presso il casale di Casanuova. Questo mon-
te volgarmente chiamasi Monte della Creta e dà nome
ad un quarto di quella tenuta, della quale fu parlato a
suo luogo.
A conferma del sito di questa città in tali dintorni
si aggiunge la iscrizione seguente trovata nel fondo (con
quello confinante) della Cesarina l'anno 1825. È questa
incisa in un masso di travertino scorniciato alto 4 piedi
largo 1 e mezzo e grosso 4 piedi ragguagliati, la qua-
le in caratteri di bella forma della era augustana dice:
•ijf i ìì:-. l-'ff ,':-■'. . ■
() , <>-.!'w f.'io l'oin :" ' ■ ^;ì ,:. h'^ ('
i;iì iìiwila'jiiiori j.i; i' (>•-••.! v, .n,- •:\-\\y. f.'i
y\ (>l)}icru;{i JLl .o .'il .''"'
w\ : O'iib <>-ru;r, •''.'''
-i.'ih'Kn r.!'"/ f ' n f ini i'"^'i
4J
:,5..-..,-.^ ., M CONSIVS M L
i UfvÀ^r^ CERINTHVS m
,J tiìhr. ACCENSVS VELATVS
u^i\>niù ■■■.<' IMMVNFS CVM SIM • yrii^
é «J .iu;lw h «:X VOLVNTATE MEA ' '; tV--:..
'.Jrio-)ob'a'j.! fv. ET IMPENSA . MEA
-ir, jil 'iff:) <nr, CLIVOM STRAVI u>,k a>
;/. ri) olr LAPIDE AB . IMO SVSVM >U
,)7;nor. LONGVM PEDES €CCXL >:>
LaTvM . CVM MARGINIBYS^n oat#
PEDES Vini FIT QVOD
STRAVI MILIA PEDVM . U
M M M LX J^Ai«»
ItERVM . EVNDEM
clIvom ab imo levavi
ET CLIVOM MEDIVM
f REGI ET DEPRESSI
.;vj r,ii;>l-. lili ÌMPENSA MEA REGIONE nn
ihìv Ohi V FIGVLENSI PAGO VLMANO >^
ET TRANSVLMANO f^
PELEGIANO VSQVE
AD MARTIS ET VLTRA
Da questa lapide importante apparisce clie Marco Con-
sio Cerinto liberto di Marco, accenso velato, essendo im-
mune , di sua propria volontà , ed a sua spesa lastricò
con pietre una salita, o clivo per 340 piedi di estensio-
ne dal basso all'alto, e largo insieme co'margini 9 pie-
di , ossia piedi quadrati 3060 : e questo clivo fece più
agiato alzando le radici di esso e tagliando e deprimen-
do la parte media, la quale opera fece nella contrada ^
o territorio ficulense nel pago Ulmano e TransulmanO
Pelegiano fino e al di là di una statua , o di un tem-
4
pio di Marte. Chiaro è pertanto da questa lapide in che
parte fosse Ficulea. li) quello scavo che durò parecchi
mesi si osservarono gli avanzi de'fabbricati e delle yì1=-
ie, che costituivano i due pagi nominati nella lapide, i
quali forse traevano nome dal rivo della Cesarina che si
sarà detto Ulmano per l'abbondanza degli olmi. La la.r
pide fu scoperta fra gli avanzi 4i camere ben decorate
di marmi, e siccome è rozza dietro, è chiaro che fu af-
fissa di fianco al clivo lastricato e fatto piji agiato da M,
Conscio. Frai marchi di mattoni delle fabbriche scoperte
uno ne copiai colla epigrafe seguente:
HIB ET SISIN COS EX PR SAL VLP. VI.
PIANI
F"-
cioè : Hibero et Sisinnio consulibus ex praedtis Salviant9
llìpii Ulpiani.
Il consolato d'Ibero e Sisinnio, che ne'fasti erronea^
mente dicesi Sisenna, appartiene all'anno 133 della era
volgare, durante il regno di Adriano. Ivi dappresso vidi
pure scavate le lapidi seguenti:
LOCVS TJ/ 1:ì èjniLDIS. MANIBVS
SEPVLCHRI C. POPPAEO
-it^ESGINlS AVG. ti:!'>q<:^ ^•-^- GEMELLO ^>? ^'<^
-i AB GODICILLIS's " VIX.ANN.LXXXX » « »^
i>- IN F P CCL MENSIl.IILDIB.il «
-0 IN A P CXXXV POPPAEVS PRIMIGENIVS >
-9^1 ^ -^'. ■^'^^^- PAT.SVO BEN M,FEC >-
wi 'Vifiì 07Ìi'> oìi^'.yp 0 : OOIU^ ì',mhzi'i\! uvmì{ «i^^o . li)
e molti tubi di piombo col nome di Publio Fabio Aba^
scanto: P. FABIVS ABASCANTVS FEC.
I topografi di Roma e delle sue vicinanze de'tempi
passati supponendo Ficulea a Monte Gentile non ìs* vOf
51
sgannarono, che di circa un miglio; ma certamente gra-
vissimo errore fu quello di supporre avanzi di teatro
quelli di una conserva a sinistra della via: e questo er-
rore die maggior peso alla congettura. V. MONTE GEU-
TIIE. ■. • = ";, ■: ':'
'•"I •;■ "'trTinfi bs
FIDENA-FJl)ENAE-(;45r^I GlUBaEO^^n^'^'n
Poche antiche città, delle quali, o non riinaiigoào
siffatto vestigia , ovvero scarsissime rovine appariscono ,
■hanno avuto la sorte di potere -essere ben riconosciute,
.quanto al sito, come Fidene. La sua distanza di 40 sta-
dii, o sia 5 miglia da Roma, fuori deMa porta Collina,
si ha da Diomsio lib. II. III. e X, il quale pure dichia-
ra, che stava di là dall'Amene relativamente a Roma,
immediatamente sul Tevere, che le scorreva sotto rapi-
do, « vorticoso: sulla via salaria concordemente si pone
dagli antichi scrittori , come prima stazione da Roma
Tiene indicata nella carta peutìngeriana , e come città
alta e munita si descrive da Livio lib. IV, e. XXII. Po-
aiendo pertanto insieme tutti questi particolari , il sito
-di Fidene si riconosce sopra i colli dirupati a destra
della via salaria, circa 5 miglia fuori della porta odier-
na, passato il casale di Villa Spada, e sopra il colle iso-
Iato di Castel Giubilèo, in guisa che la via salaria la tra-
yersava. ^ fi oupvibDiioi ìaifiiii]'
Il suo nome si enuncia da Virgilio lib. VI. y. 773
in singolare, allorché nella predizione ad Enea dice:
Hi libi Nomentum et Gabios, urbemqtie Fidenam
Hi Collatinas impomnt montibtis arces. o
Ed in singolare pure si pone da Tacito Ann. lib. IV. e.
LXII. più generalmente però si enuncia in plurale, Ft-
denae: incerta n'è la etimologia; ma la iniziale F fa giu-
stamente dubitare che la forma primitiva del nome fos-
52
se viD^ENA, o VET-ENA. Dì Origine etrusca la fa Livio
lib. I. q. XV, seppure quella frase posta fra parentesi,
nam Fidenates quoque Etrusci fuerunt, non è un'aggiun-
ta posteriore j la u^nione costante però, che mantennero
co* Veienti fino alla ultima loro rovina, mi fa inclinare
ad ammetter quella dichiarazione, come autentica, ed a
riconoscere in Fidene un avamposto, o castello degli E-»
trusci-Vejenti, il quale poscia colonizzato da Latino SiU
vio re di Alba fu riguardato dalla pluralità degli scrit-
tori antichi, come colonia albana, siccome oltre Virgilio
nel passo testé ricordato lo riguardano Dionisio ed altri.
Anzi Dionisio aggiunge , che i condottieri albani delle
colonie di Fidene, Nomento, e Crustumerio furono tre
fratelli;, e che il maggiore di essi fu quello che condus^
se la colonia di Fidene. : ^ A jini, -i ìb f.iv.ì-. ';!.!) ,m
La sua situazione sul Tevere , e la fertilità delle
terre adiacenti ne fecero tosto una città cospicua , che
lo storico testé nominato dichiara grande e popolata ^ fi-
no dsii tempi di Romulo. Questo re guerriero, dopo a-
ver soggiogate le città di Antcmne e Crustumerii, limi-
trofe di Fidene, dopo avere stretta lega con Tazio, ri-
masto per la morte del re sabino arbitro delle forze di
Roma vqlle assalire Fidene. E ne tolse il pretesto, ser
condo Dionisio lib. IL dall' avere alcuni Fidenati arre-
stato e spogliato navigli carichi di prQvisioni, che i Cru-
stumini mandavano a Roma, e secondo Livio lib. L e.
XV. da scorrerie fatte sul territorio romano. Rapido fu
il corso di quella prima guerra: il re di Roma li vinT-
se al primo scontro e l'inseguì colla spada alle reni fin
dentro alle mura, in modo che rimase signore della cit-
tà, nella quale pose un presidio romano. Questa prima
sventura costò a Fidene la morte di pochi, e la perdio
ta di una parte del territorio , che da Romulo fu riu-r
uito a quello di Roma. Rimase Fidene tranquilla duran;"
te tutto il regno di Numa ; ma sotto Tulio Ostilio nel
movimento de'Veicnli si rivoltò ancora questa città, spe-
rando nel tradimento di Mezio Suffezio dittatore degli
Albani. L'esito infelice di quel tradimento portò la scon-
fitta de' collegati e nella primavera seguente la resa di
Fidene , a cui il re di Roma altre condizioni , secondo
Dionisio lib. Ili, non impose, se non quella di ritorna-
re colonia romana, dopo aver messo a morte gli autori
della rivolta. Inquieti sempre i Fidenati sotto questa
specie di giogo j tentarono di scuoterlo dopo la morte
di Tulio; Anco Marzio, secóndo Dionisio, assediò là cit-
tà e ne divenne padrone , scavando un cunicolo dentro
le rupi di tufa, sulle quali era fondata. Egli la die in
preda al saccheggio, fece battere colle verghe ed ucci-
dere gli autori di questa nuova ribellione , e mise Mn
forte presidio nella città. Dopo la morte di questo re
si rivoltarono di nuovo, ma ben presto deposero le ar-
mi, dando con questa sommessione esempio ai Cameri-
ni, come narra lo storico greco sovraindicato. Non tar-
darono però, per tradimento di alcuni faziosi, di ribel-
larsi di nuovo , allorché nella mossa de' Veienti contro
Tarquinio Prisco la città fu occupata dagli Etrusci , i
quali ne fecero una specie di piazza d'armi. Vinti que-
sti sull'Amene, le forze romane vennero dirette contra
Fidene. La città fu presa d'assalto: gli autori del tra-
dimento furono puniti, altri col bando, altri colla mor-
te: i loro beni messi a confisca, e divisi frai soldati del
nuovo presidio romano messo a custodia della città. Dioni-
sio lib. III.
Fino alla espulsione de're, Fidene si mantenne fe-
dele a Roma, ma dopo quell'avvenimento, 1 Fidenati se-
dotti da Sesto Tarquinio , presero le armi insieme con
tutti i Sabini a favore della famiglia reale, e fecero di
Fidene il centro di quella guerra. I Sabini collegati fu^
54
rono vinti dai consoli Publio Valerio e Tito Lucrezio ,
e Fidene fu poco dopo presa da quella parte appunto'
che per essere credula più forte era meno guardata. I
Romani seguendo la politica stabilita non distrussero
questa città, malgrado le ribellioni così ripetute ma si
limitarono a multare gli abitanti ne'beni e negli schiavi,
a rimproverare loro la ingratitudine inveterata, ed a fa-
re tagliare la testa agli ottimati. Quindi messo un nuo-
vo presidio nella città, divisero ai soldati le terre con-
jGscate. Alcuni degli abitanti, iti in esilio portarono le
loro querele alla dieta de'Lalini nel luco di Ferentinar
questi mantennero intelligenza co' loro concittadini , e
pervennero a far penetrare nascostamente soldati nella
città, i quali uniti ai partigiani loro occuparono la roc-
ca, uccisero o cacciarono i cittadini beni affetti ai Ro-
mani, e così di nuovo Fidene fu in guerra con Roma^
e si vide accerchiata dall' esercito romano.- 1 Fidenati
ricorsero alla lega latina per essere aiutati e ne ebbero
gente e vettovaglie, onde rincoraggiti uscirono dalle mura
ed assalirono i Romani. Ma dopo un combattimento osti-
nato furono costretti a ritirarsi , e di nuovo si videro^
stretti di assedio: al quale non potendo più resistere, do-
mandarono neir anno seguente di capitolare ^ e si arre-
sero a discrezione al console Tito Largio. Questi udita
la decisione del senato si contentò di far mettere a mor-
te i pochi istigatori della rivolta,, e multò la città della
Baetà delle terre , che furono distribuite ai soldati ivi
lasciati in permanenza. Yeggansi Dionisio lib. V. e Li-
vio lib. II, il quale però si contenta d'indicare l'assedio
senza farne conoscere l'esito.
Questa vicenda fece rimanere i Fidenati in pace per
fiù di un mezzo secolo, finché l'anno 315 di Roma ad
insinuazione di Larte Tolumnio re de'Veienti disertar©-
ila dai Romani^ strinsero lega cogli Etrusci, e contro il
55
diritto delle genti ucceiscro quattro ambasciadori, che i
Romani loro inviarono a domandar conto del partito di
recente abbracciato. La guerra fu dichiarata immantinen-
te, e sebbene 1' esercito collegato passasse arditamente
l'Aniene fu messo in rotta dal console Lucio Sergio, che
perciò ebbe 1' onore di essere cognominato il Fidenate.
Questa vittoria però non era stata riportata dai Roma-
ni senza gravi perdite , laonde non potendo discacciarli
dal loro territorio elessero a dittatore Mamerco Emilio.
Questi li respinse di là dall'Aniene, e pose il campo là
dove questo flume mesce le sue acque nel Tevere. I
Fidenati uniti ai Veicnti , ed ai Falisci si attendarono
sotto le mura di Fidene. Si venne ad una battaglia de-
cisiva, nella quale i Fidenati si schierarono nel eentro,
i Veienti tennero l'ala destra, ed i Falisci l'ala sinistra.
Ma per la morte di Tolumnio l'esercito collegato fu mes-
so in piena rotta. L' anno susseguente che fu il 317 i
Fidenati e i Veienti uscirono con nuove forze in cam-
pagna e passando 1' Anìene posero il campo dinanzi la
porta Collina di Roma. All'apparire delle legioni roma-
ne tolsero il campo, e si ritirarono verso Nomento, do-
ve inseguiti sempre dai Romani si venne di nuovo a
battaglia: i collegati furono sconfitti, e sbandati, ed ì
Romani si portarono immediatamente ad assalire Fide-
ne: non potendola prendere d' assalto 1' assediarono , e
dopo qualche tempo penetrarono per mezzo di un cu-»
nicolo della rocca. Presa la città vi fu mandata una nuo-
va colonia romana per mantenerla sotto la divozione di
Roma. La storia di questa guerra si legge in Livio lib.
IV. e. XVIL e seg. !» ^f^*v o:u?«'l .UXJ .-i .Vi ..lii .iUvk
Rreve tempo però i Fidenati rimasero quieti; Tan-
no 327 avendo i Romani sofferto una sconfitta presso
Veli, i Fidenati amici ed alleati perpetui de'Veienti si
rivoltarono, e massacrarono ferocemente tutti i' coloni ro-
56
mani. I due popoli collegati scelsero Fidenc per centro
della guerra, ed i Romani elessero di nuovo a dittatore
Mamerco Emilio. Questi condusse l'esercito 1 miglio e
mezzo lontano da Fidene, ed attaccò i collegati con tal
furore che furono ben presto messi in rotta; e malgra-
do lo stratagemma de'Fidenati di fare uscire un corpo
armato di faci, noii solo mantenne il vantaggio riporta-
to, ma avendo distaccato alcune truppe, queste girando
dietro i colli presero i collegati alle spalle, e tale spa-
vento incussero loro , che i Veienti si misero in piena
fuga, cercando di raggiungere il Tevere; ed i Fidenati
si rivolsero verso la città, dove entrarono misti ai Ro-
mani , e seguiti ben presto dal grosso dell' esercito del
dittatore, che si era di già impadronito del campo. Giun-
to alla porta si diresse alla rocca, e la strage dentro la
città non fu inferiore a quella sofferta fuori; fmalmente
stanchi i Fidenati deposero le armi implorando la vita.
Gessata 1» strage, la città fu data in preda al saccheg-
gio e distrutta: i cittadini superstiti furono venduti co-
me schiavi all'incanto, e così finì la primitiva Fidene,
Quantunqite per questa sciagura la città rimanesse
deserta,, la opportunità del sito vi mantenne sempre un
picciol numero di abitanti , servendo come di stazione
sulla via salaria: e Strabone lib. V. la enumera a' suoi
giorni fra quelle città antiche de'contorni di Roma, che
erano ridotte allo stato di ville, proprietà de'privati.
-<■■ Ma circa Io stesso tempo cominciò appunto a ripo-
polarsi,^ come avvenne di Veii, di Gabii , di Labico ec.
Ed infatti , setto Tiberio , per testimonianza di Tacito
Ann. lib. IV. e. LXII. l'anno 780 di Roma, essendo con-
soli M. Licinio Crasso^ e L. Calpurnio Pisone vi fu data
una festa che riuscì fatale a coloro, che v'intervennero.
Un certo Attilio di schiatta libertina vi volle dare giuo-
chi gladiatorii venali, ed a tale uopo costrusse un antì-
^:
59
teatro dì legno, che per inancansia di mezzi essendo sta"
to costrutto con poca solidità nei più bello deWo spetta-
colo crollò tutto intiero, colla morte, o mutilazione di
cinquanta mila persone di ogni età, sesso^ e condizione:
Quinquaginta haminum millia eo casu debilitata vel obtrita
sunt, dice Tacito, il quale va Ietto , tanto grafica è la
descrizione, che fa di questa sciagura, come pure- de'
provvedimenti presi per evitarne altre, ed alleggerire per
quanto fosse possibile il danno di quella. Svetonio in Ti-^
berio cap. XI. fa ascendere i soli morti a 20,000. A
quella epoca pertanto sembra che cominciasse ad essere
di nuovo una specie di città, la quale per una iscrizio-
ne riportata dal Muratori nel suo Tesoro p. CCCXVI.
n. 4. e pertinente all'anno 105 della era volgare si ri-
conosce che avea il suo senato; e del senato come pure
del dittatore si fa menzione in un'altra lapide rinvenuta
l'anno 1767 presso le sue rovine, e riportata dall'Ama-
duzzi negli Anecdota T. I. p. 462, la quale appartiene
all'impero di Gallieno, circa l'anno 267.
Come città viene ricordata da Anastasio nella vita
di Silvestro I. a'tempi di Costantino, dicendo, che quel-
l'imperadore donò alla chiesa di s. Agnese tutte le terre
circa civitatem Fidenas. Anzi ne'primi secoli del cristia^
nesimo fu di tale importanza, che ebbe sede vescovile,
e dall'Ughelli Italia Sacra T. X. si rammentano un Ge-
ronzio, che assistè al concilio romano dell'anno 502 ed
un Giustino che si ricorda in quello dell'anno 680. E cir-
ca lo stesso tempo cioè nel secolo VII. si legge il suo
nome nella Carta peutingcriana, e nell'Anonimo ravenna-
te, come di città ancora esistente. Dopo quella epoca pe-
rò più non si fa menzione di essa, onde io credo che
venisse abbandonala e deserta per le scorrerie de'Lon-
gobardi, che afflissero e devastarono intieramente i con-
-it.fJl^O'ì f.nrr(ii«.'i niijiniri tuni .j. ij'imkj m ■miì.'i/ r.hi;. u
58-
torni di Roma nel secolo seguente, e particolarmente du-
rante i regni di Astolfo e Desiderio.
Sul sito di questa città nel secolo XIII. era sorto
tìn castdlo detto il Monte s. Angelo, il quale apparte^
tìeva al monastero di s. Ciriaco, siccome si trae da ear-
te esistenti neirÀrchivio di s. Maria in Via Lata e tra-
scritte dal Galletti nel Mss. Vaticano 8050. p. 69. ed 86.
Dalla ultima di queste si trae che ai t di decembre 1297
le monache di s. Ciriaco dierono in enfiteusi a France-
sco figlio di Romano Cenci, ed a Giacomo del fu Ange-
lo Cenci Castrum stu Castellarium, quod vocatur mons s.
Angeli insieme con tutto il suo lenimento e la Torre r
e si designa questo ad portam, seu pontem Solarium, e se
ne assegnano come confini il casale Radiciolae, oggi Rc-
dicicoli, il casale Sepiem Salma, oggi Sette Bagni, e la
terra Vili ecosa, oggi Villa Spada, così che non cade dub-
bio che tal castello corrisponda, almeno quanto al leni-
mento, all'odierno Castel Giubileo.
È fama comunemente invalsa da due secoli a que-
sta parte, che questa denominazione derivasse alla terra
dall'essere stata acquistata pel capitolo di s. Pietro, ai
quale oggi appartiene, da Bonifacio Vili, col danaro rac-
colto nel Giubileo dell'anno 1300, e questa fama fu av-
valorata dal Volpi, e seguita come naturale congettura
da tutti coloro che susseguenlemente parlarono dell'Agro
Romano, e particolarmente dal Nicolai, che tanta cura
prese di questa materia. Nel mio Viaggio Antiquario ne*
contorni di Roma seguii questa medesima tradizione ;
nuove ricerche fatte posteriormente dal Nicolai e pub-
blicate nel tomo V. degli Alti dell' Accademia Romana
di Archeologia p. 261. hanno fatto emergere un docu-
mento importante esistente nell' Archivio della Basilica
Vaticana, dal quale risulta, che nel secolo XIV. questa
tenuta venne in potere di una famiglia romana cogno-
minata Giubileo , donde il castello , o monte s. Angelo
fu detto Castel Giubileo, e che nell'anno 1391 Pietruc-
cio Puccio Giubileo del rione Pigna vendè questo castel-
lo a Lello Maddaleno insieme col tenimenlo, di dominio
diretto sempre del Monastero di s. Ciriaco, e ne deter-
mina come confini il casale dc'Marroni, Sette Bagni, il
casale de'Paparoni, la tenuta di Tuccio Puccio PanaIfa^
di Radiciola, la tenuta del casale di f. Silvestro in Ca-
pite, quella di Natolio Cesario di Radiciola, ed il fiume
Tevere. Dopo che nel secolo seguente Eugenio IV. e
Niccolò V. soppressero il monastero di s. Ciriaco, ed as-
segnarono i beni, che possedeva alla chiesa di s. Maria
in Via Lata, il capitolo di questa cedette i diritti, che
avea sopra Castel Giubileo a s. Stefano sul monte Celt»
volgarmente detto s. Stefano Rotondo ufficiato allora dai
frati di s. Paolo primo eremita della regola di s. Ago-
stino; Niccolò V. nel confermare a que' frati tale ces-
sione inibì loro di alienare Castel Giubilèo e gli altri
beni sotto pena di devoluzione alla Basilica Vaticana.
Veggasi il Bollano Vaticano tomo IL p. 146. Archivio
Segreto Capitolino Cred. III. Tom. V. p. 270. Quattro
anni dopo però que'frati con istromento de'16 decera-
bre 1458 vendettero per 3000 ducali di oro alla Basili-
ca Vaticana, che oggi ancora lo possiede, il Castel Giu-
bilèo col lenimento annesso: in quell'atto che può con-
sultarsi nell'Archivio del Capitolo Vaticano TransumpL
lit. C. f. 177. e neir Archivio Segreto Capitolino Tom.
51. p. 270 il Castello si designa come diroccato e ri-
dotto allo sta{o di Casale.
In questo periodo della storia di Castel Giubilèo
occorre il fatto ricordato nel Dìarum Romanum ripor-
tato dal Muratori ne' Rerum Italie. Script. T. XXIV.
p. 978. che ai 4 di maggio 1406 i Romani condotti d»
Paolo Orsini dal monastero di s. Anastasio andarono .id
60
accamparsi a Castel Giubilèo , e V indomane assalirono
quel castello e Io bombardarono in guisa che una gran
parte delle mura venne abbattuta; la notte seguente il
castello fu abbandonato dalle bande mercenarie, che l'oc-
cupavano, e vi rimasero solo i massari colle loro fami-
glie. Il dì seguente che fu il 6, venne occupato dai Ra-
mani, che fecero trasportare in Roma tutto ciò, che ivi
trovarono, e fralle altre cose Paolo Orsino, secondo il
costume di que'tempi, tolse come trofeo le campane del
castello, che portò nel palazzo papale, ed una di queste
fu data alla chiesa di s. Maria di Araceli, la qilale po-
co dopo per negligenza de'frati fu rotta. I Romani tor-
narono gli 8 di quel mese, e Paolo il di 10, e fecero
un'ingresso trionfale. Narra Giovanni Antonio Campano
nella vita di Pio II. inserita nella parte II. del tomo HI.
àe'Rerum Italie. Script, p. 989 che quel dotto e magna-
nimo papa imbarcatosi a Ponte Molle sul Tevere per an-
dare ad assumere il comando ad Ancona della gran spe-
dizione contra i Turchi, arrestossi la prima notte a Ca-
stel Giubileo, mostrando di aver molto sofferto in quel
primo brevissimo tratto di navigazione, ed accagionan-
done la difficoltà, che presentava il fiume; mentre di fat-
to lo stato cadente della sua salute, come poco dopo si
vide, era la vera causa di quel suo spossamento, che fu
tale da non poter nemmeno scendere a terra, passando
la notte nella barca. Nella guerra poi fra Sisto IV. ed
il re di Napoli, l'anno 1482, per testimonianza del Nan-
tiporto nel suo Diario inserito nella raccolta sovranno-
tata , Castel Giubileo fu preso, saccheggiato, e poi ab-
bandonato da 200 fanti della fazione reale, che scesero
fin là da Palombara. Era in quel tempo affittato alla
eontessa Riario moglie di Girolamo nipote di Sisto IV,
il quale essendo odiato da Romani, accadde che morto
il papa il castello fu messo a sacco dal popolo ai 12 di
agosto 1481.
61
La tenuta di Castel Giubileo confina con quello de-
nominate oggi Villa Spada, o la Serpentara, Sette Bagni,
Malpasso , e col Tevere : contiene 139 rubbia di terra.
Essa per la massima parte occupa il sito della città pri-^
mitiva di Fidene , di cui può bene tracciarsi tutta la
estensione determinata da rupi o da pendici molto ele-
vate: il suo giro è di circa 3 miglia; la pianta può rU
dursi ad un quadrato quasi perfetto, il cui angolo occi*-
dentale è formato da Castel Giubileo, l'antica rocca: il
settentrionale e meridionale sono tagliati dalla via sala»-
ria: e l'orientale scende ad un rivo che viene da Sette
Bagni, Né monumenti, né edificii rimangono: presso l'an-
golo meridionale sul dirupo a destra della strada mo-
derna sono vestigia di opera reticolata, che appartengono
al municipio imperiale: ivi però è un cunicolo per con-
dotto, tagliato nel tufa, opera forse de' tempi più anti-
chi , come certamente lo sono alcuni sepolcri di cui si
veggono le traccie ivi dappresso, tagliati anche essi nel
tufa, e di forma conica, affatto simili a quelli de'dintor-
ni di Veli, indizio molto forte della verità del detto di
Livio , nam Fidenates quoque Etrusci fuerunt. Nel rima-
nente la terra rigurgita di frantumi di terra cotta e di
pietra, indizii dell'essere stata un dì coperta di fabbri-
che. Vilruvio parla delle pietre fidenali fra quelle, che
si tagliavano intorno a Roma; esse sono un tufa litoide
lionato simile aiTatto a quello del Campidoglio: le cay^
antiche si vedono ancora sulla pendice del monte fra il
casale della Serpentara, ed il colle di Villa Spada, p j^&Cj
Tono oggi in parte di grottp. ..;m) li
olì: f^;-;i ^'ìLT (iini:'ì\i) '»JffO"-jH'.-< oJcaiisjrjoh hiì ijjnb-joji t
-fiii/jr, ;-'ì OìvAiuqk FILACCIANO: ,.y\) \\, o-iJ.'i^'n Vm
piccola Terra, proprietà un tempo dc'Muti, posta in
una situazione amena fra le ultime pendici del Soratte
è(l il Tevere netla Comarca di Roma , dipendente dal
■Governo di Castel Nuovo , e che contiene 230 abitanti,
A questa J'crra si va per la via tiberina, la quale dira'
ina a destra della flaminia a Prinxa Porta, e da Roma si
contano circa miglia 30. Il suo nome vuol dedursi dà
©egli Effetti nel trattato de' Borghi di Roma p. 48 da
Fiscon, Faliscanum, Faliseianum, cioè da'Falisci, nei cui
territorio si trova. A me sembra però per argomento di
analogia , che come le terre di quo* dintorni che hanno
un nome eolla stessa desinenza derivano dalla famiglia
che le possedette, come Ponzano dalla Pontia, Nazzano
dalla Nautia, Fiano, o piuttosto Flaiano dalla Flavia, Le-
priniano dalla Leprinia, anche il nome di Filacciano, co-
me la sua origine, d<}bba dedursi da un qualche Fiacco,
che avendo un fondo in questa parte fu perciò detto que^
sto fundus Flaccianus, donde per corruzione Filacciano,
^^ome da Flavianus si fece Flaianus, e poscia Fiano,
iiloup n FINOCCHIO. ■ i8» '-' <.'.'ii'5
sii UÌÌjU ì'iU iiìÌTM r-i.fu 'ii.wi -ilU.- '/ li) 'i'
i^ 0 «j!o;) m> Scissa Suam0.
-iìdtir.ì ih s*5i>qo') il} njj b|!^! ' m' :>;iti:i ,nii ;
È Una osteria posta sulla via labicana, circa 10. mi-
glia distante da Roma, nella crociata, che mette in com-
municazione la via detta della Colonna, che è sulle trac-
eie della labicana con quelle di Frascati, e di Palestrina:
«ssa è nel lenimento di Pantano, spettante ai Borghese,
il quale in questa parte corrisponde alla Massa Silanis
ricordata nel documento pertinente all'anno 720 inserito
nel registro di Cencio Camerario e riportato da Mura-
tori nel tomo quinto delle Antiquitates Medii Aevi p. 834.
Questa massa era composta dei fondi denominati a quel-
63
la epoca Casa Cantari, Vivarium, Laurentum, Serrulae
e Sisinianum, nomi oggi affatto dimenticati; allora quo»
sta Massa era di possidenza della Chiesa Romana^
.-ifìfì'ò i- FIORA '^^'.m^.
È un rivo influente nel Tevere il quale ha le sor^^
(genti principali sotto i monti corniculani e raccoglie tutr
te le acque che scesadono da Palombara, s. Angelo, Ca»
«tei Chiodato, e Cretoni, e si diriggono verso occidente,
sboccando nel Tevere presso la osteria del Grillo, a si»-
nistra della via salaria, circa 18 miglia lungi da Roma,
Alcuni lo credettero ne'tempi scorsi il famoso fiume Al-
ila, ma la distanza assegnata da Livio a quel fiume, e
fa provenienza da' monti crustumini, fanno per ogni rl-^
guardo riconoscere come priva di fondamento, anzi con-^
jlraria alla verità quella opinione.
il) itti! FIORANELLO ' ^^-^
T«nimento de'sig. Muti che contiene rubbià 67.' un
quartuccio, e 3 scorzi, posto fuori della porta s. Seba^
«tiano 7 miglia lungi da Roma, a destra dell'Appia, il
q[uale confina con quelli di Torricola, Cornacchiola, FiO"
rano, e Selce. - .. . m^
FIORANO
JFloranum.
Tenuta delFAgro Romano fuori della porta s. Se-
bastiano 8 miglia lungi da Roma, che contiene rabbia
51.8, 2 quartucci, e 3 scorzi. Confina con quelle di Sel^
.' (
itnm'i
iffiUi. jì;i'ì
--ri:
> ì .^IV\iV-
v.VV^c^
> 1 ; ; : : : ! i ; , ■
.;,. ib
Um'i
64
ee, Fioranello, Tomcola, Cornacchiola , Castel di Leva,
Pedica di Castel di Leva, Pedica Cavalloni, Falcognani,
Territorio di Marino e Palombara. Appartiene all'Annun-
ziata: viene costituita dai fondi denominati Fiorano, Fio-
ranello, e Cornacchiola: è divisa ne'quarti detti la Cor-
nacchiola, la Giostra, il Quartaccio, ed il Quarto Lungo.
La prima memoria che ho incontrato di questo la-
tifondo è in una carta dell'archivio di s. Gregorio per-
tinente all'anno 961 della era volgare, e riportata dagli
Annalisti Camaldolesi T. L p. 64. nella quale parlan-
dosi del Casale detto le Sei Colonne donato da Baldui-
no conte a Benedetto abbate del monastero de'ss. Pietro
e Martino sotto l' Aventino nella contrada denominata
Horrea, cioè i Granai, si pone come uno de'confini Fio-
rano, 0 piuttosto Fiorano, di diritto allora del monaste-
ro Cella Nuova, cioè s. Sabba. Non molto dopo, in un
altro documento della stessa raccolta, e spettante all'an-
no 1024, che è un istroraento di enfiteusi del Casale di
Massa Camellaria , si nomina come uno de' confini di
questo il fundus Floranus di diritto del monastero di s.
Paolo fuori delle mura; nell'intervallo pertanto fra il 961
ed il 1024 da s. Sabba era passato in proprietà di s.
Paolo. Quindi Gregorio VIL nella bolla del 1074 , con
che conferma ed enumera i beni pertinenti a s. Paolo,
nomina fra questi la Massa Floriana. Così Innocenzo IIL
Tanno 1203 con altra bolla di conferma, torna a nomi-
nare frai beni di s. Paolo , anche Floranum cura suis
pertinentiis. I monaci di s. Paolo rimasero in possesso
di questo fondo fino all'anno 1264, quando avendolo pre-
cedentemente dato in pegno per 2500 lire a Pier Gio-
vanni Pizzuti, a Jacopo de Capite, ed altri di casa Vez-
zosi, non potendo restituir loro questa somma ne' termi-
ni convenuti, ottennero da papa Urbano IV. di poterlo
vendere per 4000 lire ai monaci di s. Balbina, e que-
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sta vendita fu ratificata e confermata nel 1268 da papa
Cllemente IV. siccome si ha dalla sua bolla inserita nel
primo volume del Bullarium Vaticanum p. 148. In ès-
sa così si descrive questo fondo: Casale quod vocatur Flo-
ranum cum Castello, Turrì, Palatio, Domibus, Casis, Ae-
dificiis , Casilinis y Cassavo etc. Cum loco seu Casali quod
dicìtur CastelUon : et cum omnibus terris etc. A quella
epoca pertanto v'era un castello, una torre, un palazzo,
case etc. ed un recinto di mura intorno alla rocca che
chiamavano cassaro. Di queste fortificazioni del secolo
XIII. si veggono ancora gli avanzi sull'alto del ripiano,
ad occidente de' casali moderni. Dal breve dell'antipapa
Clemente VII. diretto 1' anno 1378 a Giordano Orsini ,
signore di Marino, e riportato dal Ratti nella storia di
Genzano n. V. ricavasi che a quella epoca questo casa-
le era di dominio diretto de'monaci di s. Paolo. E pro-
babilmente a loro rimase fino all' anno lf>27 allorché
venne alienato con altri beni per pagare la contribuzio-
ne imposta dagl' imperiali a Clemente VII. Quindi fu
acquistato dall' Archiconfraternita dell'Annunziata e dal
monastero della Purificazione, ai quali appartiene.
Il nome di Fiorano derivando da Floranus è pro-
va che un tempo questo fondo fu patrimonio di un Flo-
rus, nome ben noto fragli antichi, come pure ne' secoli
IX. e X. si ricordano 1' anno 821 un Floro legato di
papa Stefano IV. alla corte di Lodovico Pio, ed un Flo-
ro prete 1' anno 934 menzionati dal Galletti nel Primi-
cero p. 63. 73. e 194. Forse uno di questi fu il pos-
sessore prossimo di questo fondo , od altri più antico.
Certo è però che il ripiano , dove sono i casali nuovi
di Fiorano era stato occupato da una villa romana fino
da'tempi della repubblica; e n'è prova la sostruzione di
opera incerta del VI secolo di Roma, che ivi ancora si
vede, nella quale rimane uno speco di condotto. Sul fon-
5
66
tamle poi che è appiè della valle è la iscrizione seguen-
te con un bassorilievo di forma circolare rappresentante
l'Annunziata:
AQVAM FLORANI DIV INTERCEPTAM
ET ABERRANTEM PVRGATO FONTE RESTITVTO DVGTV
i NOVIS ADIECTIS VENIS AD PRISTINVM LACVM
REDVCENDAM CVRARVNT HORATIVS ALBANVS
CLEMENTIS XI GERMANVS FRATER
lOHANNES GAMBA ì
BENEDICTVS DE ASTE \ PRIORES
FRANCISCVS MARIA PETRONIVS )
PROSPER BOCCAPADVLIVS )
I depvtati
IVLIANVS CAPRANICA )
LAZZARVS LEONETTVS SEGRETARIVS
ARCHICONFRATERNITATIS SMAE ANNVNTIATAE
•w ;.. : ; i- ANNO SAL. MDCCIV
,.{ ■:nùrV FISCALI
\ih '
Tenuta di rubbia 37. ed un quartuccio già perti-
nente ai s. Croce e posta presso l'Aniene sulla riva de-
stra del fiume a destra della via salaria. Confina con
quelle di prato Fiscale, prato Rotondo, Valle Melaina e
quarto di ponte Salaro.
FIUMICINO V. PORTO.
■i
FOCIGNANO.
fmimmmC f^^
rmtm
Tenuta dell'Agro Romano pertinente ai Cesarina, ad
«oriente di Ardea, donde è distante 2. va. circa e 25 da
Aoma. ConGna colie tenute di Campo del Fico y Buon
Riposo, Gogna, Valle Lata, Salzana, s- Lorenzo, Tufel-
la, ed Ardea. È divisa in tre quarti suddivìsi, il primo
ne' quarticcioli detti Valle Serpentara , Valle Carmiera ,
Monti delle Capanne nuove , Valle Solfaratella , Monte
dell'Ara Nuova, e Pantanella; il secondo in quelli di Tre
Monti, e Valle Gogna: il terzo poi in quelli della Vitel-
lara e Monte del Castellacelo. Comprende rubbia 522 ed
uno scorzo.
Il suo nome deriva da qualche Fusinius o Fuiìnìns
che ne' tempi antichi vi ebbe un fondo , che perciò fu
detto Fusinianus; ed infatti Fusinianum si chiama in una
carta dell'archivio di s. Alessio pertinente al 1224 e ri-
portata dal IVcrini nella storia di questa chiesa p. 422.
Nel secolo XIIL vi fu edificato un castello , che si ri-
corda in un altro documento riferito dallo storico sovra-
indicato, come confine del lenimento di Verposa o Buon
Riposo l'anno 1360: ab uno latere est tenimentum castri
Fmingiani: prova che a quel tempo quelle terre non
erano cosi inabitabili per la insalubrità come oggi si
credono.
-i-. oi '■•!.• FONTANA MURATA. -nnoh ^.luf
Tenuta pertinente ai S. Croce , e confinante con
quelle di Ponton degli Elei, Posta di Forano, Casaccia,
Quarto di s. Brigida e col territorio dell' Anguillara. Essa
68
è traversata dalla via claudia o strada di Bracciano cir-
ca 19. miglia lungi da Roma. Comprende 318. rubbia
divise ne'quarti di Gannucceto, Cioccariglia, Quarticciolo,
e Fontanile. ; . • >
Uf.r.' V FONTANA DI PAPA.
r,\> '■•^' •» ts'* .■ *■ , >•*".■ .
'■■■■■ È una osteria moderna nella strada di Porto d'An-
zio e Nettuno, 18 miglia distante da Roma. Il suo no-
me deriva dalla fontana ivi costrutta da papa Innocen-
zio XII. per commodo de'viandanti sul finire del secolo
XVII. allorché costrusse il nuovo porto di Anzio.
-i FONTE DI PAPA v. MASSA
FONTANA DI PAPA v. MONTE GENTILE
vi óh-i-q 'Uh , t,i: FONTIGNANO
unti m vi'.i!' >, [>• /(iU'if. ■• i"".. ■ .^■•i'ir\nrwi-'' r\ ,'<•
-il '» f'i'Vl 'ì; 'J;iV'>\^ , ,
±y.i M , ; ! jrrontimanum
- n 1».
Q. Maria stn irontignano.
' ■'•"Il nome di questo tenimento dell'Agro Romano, co-
Ine è enunciato in una carta dell'anno 1068 ricorda quel-
lo del celebre curatore delle acque di Roma, Frontino,
poiché in quel documento Frontinianum si trova appel-
lato. Questo fondo apparteneva l'anno 1068 in parte ad
una donna , Maria Fusconi de Lìuzo , la quale lo ven-
dette insieme colle selve ed altre pertinenze ad Arnol-
fo arciprete di s. Maria in Trastevere, secondo un do-
cumento esistente nell' archivio di quella basilica, e ri-
|)ortato dal Moretti nella storia di quella chiesa, e più
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correttamente dal Galletti in un codice vaticano h. 8025.
£d in quella Carla appunto ha il nome di Frontinianum.
Da quella ejioca Ano a'dì nostri è rimasto sempre a quel-
la basilica, alla quale lo confermò papa Benedetto XII;
l'anno 1339 come si trae da un altro documento dello
stesso archivio trascritto dal Galletti nel codice notato
di sopra. Questo indefesso raccoglitore trascrisse pure
un'altra Carta dell'anno 1427 dalla quale apparisce, che
in quell'anno fu affittato dal Capitolo di quella chiesa a
Lorenzo Angelelli Mellini de Mellinis del rione Regola
questo casale allora detto s. Maria, o Frontignano, e se
ne determinano per confini il maschio de'figli di Giaco-
mello Cenci, il casale di Antonio de'Quatracii, il casale
di Nardello de Bondiis, il casale di s. Angelo in Pesca-
ria , la tenuta delli Maligni , ed il casale di s> Cecilia.
Di questi confini il maschio de'figli di Giacomello Cen-
ci è la odierna tenuta del Maschietto , la tenuta delli
Maligni è Castel Malnome di ss. Sanctorum, e s. Ceci-
lia conserva intatto il suo nome: gli altri fondi oggi di-
consi Pantanella, Brava, Pisana, Casal della Morte, Pe-
dica s. Rocco j Massimilla, e Castel di Guido. La tenu-
ta è circa 8 miglia fuori di porta s. Pancrazio : com-.
prende 405 rubbia e 3 quartucci: e si divide ne'quarti,
detti di MezzO) del Casale, Valle Galera, Galera, e Pi-
sana, li,
FORMELLO. ., »,.:.£
iTormellum,
(.1
Terra della Comarca di Roma dipendente dal Go-
verno di Campagnano, che contiene circa 500 abitanti,
posta a destra della via cassia circa 16 miglia lungi da
7&
Roma. La strada diretta per andarvi dalla capitale ài"
verge dalla Cassia circa al 12 miglio a destra, alla oste-
ria detta del Fosso: essa è in gran parte tracciata sul-
l'andamento di un antico diverticolo, che saliva al mon^
te Musino , e di là andava a Scrofano , diverticolo che
ancora esiste. La sua origine è incerta; ma probabilmen-
te formossi dopo l'abbandono della terra di Capracoro
esistente intorno alla diruta chiesa di s. Cornelio , che
il volgo appella s. Cornelia; il suo nome deriva dai cu-
nicoli che furono aperti in tutto il tratto fra questa ter-
ra e Veii, onde condurre acque potabili a quella colo-
nia romana dalle viscere di monte Musino. Il Nardini
nell'aureo suo libro dell'Antico Veio, egli che tanto be-
ne conosceva qliestc contrade, afferma che maraviglioso"
è lo spazio' fra Formello e l'Isola ossia Veii, quasi tut-
to pensile per li tanti cunicoli che ha sotto , ne' quali
hanno transito molti rivi , e da questi anche egli deri-
va il nome della Terra. Egli pure osservò che tre tron-
chi di antiche vie dirigevansi verso Formello, uno che
distaccavasi dalla Cassia presso la così delta Sepoltura,
di Nerone dalla stazione ad Sextum , per s. Cornelio ,
l'altro, che spiccavasi dalla Flaminia presso il monte del-
ta Guardia all'antica stazione ad Vicesimum, ed il terzo
dal bosco di Baccano, oggi distrutto. Siccome fu gran-
de la santità del monte Musino , al quale tutti questi
tronchi diri ggonsi passando per Formello, perciò non dee
recar meraviglia la loro moltiplicità.
Formello divenuto castrum appartenne ai monaci di
s. Paolo: ed infatti l'anno 1203 si trova enumerato nel-
la bolla di Innocenzo III. pubblicata dal Margarini in-
sieme cogli altri beni a quel monastero confermati, do-
ve è da notarsi che antecedentemente nella bolla di Gre-
gorio VII. del 1074. non si trova punto ricordato For-
mello. Circostanza mi sembra molto da ponderarsi per
lì
sospettare che la fontìazione di questo castello di molto
non fòsse anteriore a quella epoca. Come castellum pur
si ricorda nella bolla di Onorio III. deiranno 1217, nel-
la quale vengono enumerati i beni de*pp. del Riscatto,
riportata nel tomo I. del Bollario Valicano. Sotto il
pontificato di Niccolò III. 0 poco dopo passò in potere
degli Orsini, i quali insieme con Cesano, Campagnano ,
e Magliano Pecorareccio lo vendettero ai Chigi 1' anno
1661. per 345000 scudi, e questa famiglia ancor lo pos-
siede. La Terra non offre altra cosa degna da rammen-
tarsi che una statua paludata. Presso di essa è la de-
lizia de'signori del luogo che ha nome di Yersaglia. ■ >
FORNO. iiìv>mtiù:ni
Stazione sulla via tiburtina al biforcàmento delle
strade di Tivoli e di Monticelli; 7 miglia lungi da Ro-
ma. Annessa a questa è una tenuta dello stesso nome
di 150 rubbia di estensione , confinante con quelle di
s. Eusebio , Marco Simone, Prato Lungo, e Casal Vec-'
chio, divisa ne' quarti dell'Ortaccio, del Casale, e della
Strada, già pertinente al Capitolo di s. Maria Maggiore.
FOSSOLA V. DECIMO. '.^
FRASCATI \. TVSCVLVM." ''^
FREGENA v. MACCARESE.
■ii){» .0i7
V.?
GABII.
Jpantanusi ^jo, ©urna ^astìUoma*^
'ia
: ">
n
-<\ ./i 1 PANTANO, CASTIGLIONE. b
■* , JUi v'i.: ;'.'j< '. '.■-■ 'j'iA: .-'iU)
Dionisio Alicamasseo lib. IV. c^ LHL determina fa
n
posizione di questa antica città latina in questi terminr^
eram una città della stirpe latina , colonia degli Albani ^
distante da Roma 100 stadii, posta sulla via che conduce
a Premeste , Gabii appellavanla. Lo stesso dichiara Stra-
bene nel lib. V. e. III. ponendola circa 100; stadii di-
stante da Roma, a mezza strada tra Roma e Prenester
ora 100 stadii sono eguali a 12. miglia e mezzo roma-
ne; e perciò l'itinerario detto di Antonino, non contan-
do nrad le frazioni le assegna XII. m. di distanza da
Homa^ e fra Roma e Preneste la pone Appiano nel li-
bro V. delle Guerre CiviU. Laonde ncm è difficile rintrac-
ciarne la situazione, esistendo ancora Roma, Preneste e
le traccie della via prenestina. Quindi concordemente sì
riconoscono come vestigia di questa città quelle che tro-
vansi circa 12. miglia fuori di porta Maggiore ne^teni-
menti denominati di Castigtìone e di Pantano^ Inoltre se
rimaner poteva ne'tempi passati ombra di dubbio, que-
sta venne dileguata pienamente dalle ricche scoperte che
•vi fece nel 1792. il principe Marcantonio Rorghese che
fornirono monumenti di ogni genere, che oggi formano-
uno degli ornamenti principali del museo di Parigi^.
Nulla può dirsi della etimologia del nome di que-*
sta città; non così della sua origine albana, poiché Dio-
nisio nel passo riferito di sopra, Virgilio Aen^id. VI. v.-
773. e Vittore nel capo XVII. della Origo Gentis Ro-
manae lo affermano positivamente, e secondo questo ul-
timo scrittore fu dedotta da Alba la colonia di Gabii da
Latino Silvio, quello stesso re, che secondo Livio lib. I.
e. II!. dedusse parecchie colonie. Divenne questa colo-
nia poiiolosà e grande quanto qualunque altra, siccome
riferisce lo stesso Dionisio , il quale nel lib. I. mostra
che era una specie di università per tutto il popolo la-
tino, dove di soppiatto furono da Numitore mandati ad
educare, ed apprendere la lingua greca ed il maneggio
73
delle drmi i suoi nipoti Romulo e Remo; fatto che vie-
ne confermato da Vittore nella opera sovraindicata. La
sua dipendenza da Alba, a quella epoca, sembra come
quella delle altre colonie dedotte da essa , essere stata
più di formalità , che di fatto, poiché Numitore volen-
do salvare i nipoti non li avrebbe mandati in una città
dipendente direttamente dagli ordini di Amulio^ che bra-
mava di metterli a morte.
Dopo la fondazione di Roma dee credersi, che Ro-
mulo per gratitudine, Numa pel suo carattere tutto pa-
cifico, e d'altronde Alba sempre restava, tenessero buo-
na armonia co'Gabini. La rovina di Albalonga, metropoli
di tutto il Lazio pose indirettamente Gabii in quella
dipendenza da Roma, che avea da Alba, e forse i lega-
mi erano anche più larghi; né Anco Marcio, nò il pri-
mo Tarquinio , né Servio ebbero brighe col popolo di
Gabii; ma il secondo de' Tarquinii, ultimo re di Roma,
che amava di conquistare tutto il Lazio , e le contrade
limitrofe, volle impossessarsi di questa città, che allora
reggevasi a modo republicano-aristocratico e prevedendo
di non potere pervenire al suo intento colla forza , vi
pervenne coli' astuzia servendosi per condurre la trama
di Sesto suo figlio, siccome può leggersi nel passo alle-
gato di Dionisio ed in Livio lib. L e. LIIL dal quale
rilevasi al e. LX. che dopo la caduta del governo mo-
narchico in Roma , Sesto , che voleva , come nel regno
suo ritirarsi a Gabii, fu ucciso da quelli che vollero ven-
dicare le ingiurie passate, le sue estorsioni, e le sue stra-
gi. E qui debbo osservare, che questo racconto di Li-
vio, che è tanto naturale, è in aperta opposizione con
quello di Dionisio, il quale nel lib. V. nomina i Gabini
fra gli altri popoli, che presero le armi a favore de'Tar-
quinii espulsi da Roma, e dice, che Sesto fu ucciso nel-
la battaglia del Regillo. Qualunque di queste due tra-
74
dizioni voglia seguirsi, egli è certo, che dopo quella bàt-*
taglia, i Gabini rimasero sempre attaccati ai Romani, e
la via di che si fa menzione ne'tempi più antichi è ap^
punto la via gabina, che si ricorda da Livio nel lib. IL
e» XL dove nari'a i fatti della guerra di Porsenna. Co^
ttie amici ed alleati de' Romani, i Gabini videro deva-
stare le loro campagne dagli Equi l'anno 292 di Roma,
come afferma Livio nel libro IIL e. VIIL e dai Prene-
stini r anno 375, secondo lo stesso scrittore lib. VL e*
XXVIL Nella famosa lega latina dell'anno 415 che finì
col porre il Lazio sotto la dipendenza di Roma^ mentre
si nominano altri communi, che vi parteciparono, Gabii
non vi pi'ese parte e rimase fedele agli impegni contrat--
ti con Roma.
L'anno 543. Annibale venendo contro Roma per la
via latina, itagli a vuoto la spedizione di Tusculo, scese
da Tusculo a Gabii: infra Tusculum dexirorsus Gahios de-*
scendit , dice Livio lib. XXVL e. IX. e forse non solo
attendossi intorno alia città, ma entrò in essa^ poiché il
passo di Livio sovraindicato è molto vago. Frai predigli,
che questo stesso storico nota, come avvenuti nel 578,
indica pure il tempio di Apollo di Gabii, che fu fulmi-
nato insieme con parecchi edificii privati. L' autore del
trattato de Coloniis attribuito a Frontino mostra, che le
fortificazioni di Gabii furono rialzate da Siila, ed i cam-
pi divisi fra'soldati; è questo un forte indizio che la cit-
tà seguisse, come Preneste il partito di Mario, e come
quella andasse soggetta a fiere sciagure. Quella legge
sillana, ricordata nel trattato sovraindicato , fu emanata
l'anno di Roma 673, ed è una delle tante fatte da quel
dittatore che possono vedersi raccolte nell' Ordo Histo-
riae luris Civilis del Martini §. XLIV. La prossimità a
Roma e le guerre civili, che accompagnarono il discio-
glimento della repubblica ridussero Io stato di questa
75
città ad Un grado tale di abbattimento, che Cicerone nel-
la orazione prò Piando e. IX. la nomina con Labico, e
Boville, come quella città, donde appena potevano per la
scarsezza del popolo mandar deputati alle Ferie Latine
onde partecipare della distribuzione della carnea ed in
quel passo l'oratore romano l'appella municipio. Lucano
parlando dei mali prodotti dalla guerra civile cesariana
lib. VIL V. 391. esclama:
tunc orane latinum
Pabula nomen erit: Gabios, Veiosque, Coramque
Pulvere vix tectae poterunt monstrare ruinae.
Dionisio pochi anni dopo quella guerra fatale descrive
nel libro IV. questa città come abitata soltanto in quelle
parti, che toccavano la via prenestina, che attraversava-
la e dove erano albergati e che poteva aversi una idea
della sua primitiva grandezza e dello splendore , osser-
vando le rovine moltiplici delle case, ed il recinto delle
mura, il quale era ancora in piedi in gran parte: quin-
di Orazio nella epistola XI. del libro I. la descrive co-
me un villaggio:
Scts Lebedos quid sit ? Gabiis desertior atqUe
Fidenis vicus.
Cosi Properzio lib. IV. eleg. I. dice che Gabii era una
città annichilata:
Etf qui nunc NULLI maxima turba Gabi.
L*anno 712 di Roma, attesa la situazione intermedia di
questa città fra Roma e Preneste, venne scelta per tener-
vi un abboccamento da Ottaviano, e da Lucio Antonio,
che si era trincerato in Preneste; questo non solo non
ebbe luogo , ma fini per la diffidenza reciproca in una
rottura aperta, siccome narra Appiano nel libro quinto
delle Guerre Civili.
La lunga pace che godè l'Italia dopo il ristabilimen-
to finale dell'ordine pubblico sotto di Augusto, fece ri-
76
fiorire molte città cadute in squallore , fralle quali fu
Gabii) per cui una ragione più forte si aggiunse, quella
cioè dc'bagni freddi, co'quali Antonio Musa ristabilì la
vacillante salute di Augusto, e frai quali celebri parti-
colarmente erano le acque di Chiusi e di Gabiij dicen-
do Orazio nella epistola XV.
tnihi Baim
Musa supervàcuas Antonius et tamen illis
Me facit invisum, gelida quum perluor unda
Per medium friguB. Sane murteta relinquif
Dictaque cessantem nervis elidere morbum,
Sìdphura contemni^ vicus gemit; invidm aegris
Qui caput et renes supponere fontihus audent
Clusinisj Gabiosque petunt, et frigida rura.
E questa fama de' bagni gabini continuava a teinpi di
Domiziano ancora a segno , che Giovenale nella satira
VII. V. 3. dice de 'poeti che erano poco applauditi, che
tentavano: - r>
Balneolum Gabiis, Romae conducere furnum.
I monumenti scoperti nel 1792, come quelli anteceden-
temente venuti alla luce, sono tutti posteriori allo sta-
bilimento dell'impero, come il frammento de'Fasti pub-
blicato da Fabretti ed allora affisso nelle pareti della
chiesa diruta di s. Primitivo, riprodotto poi dal Mari-
ni nella opera degli Arvali p. 24. b. il quale contiene i
consoli ordinarli e suffetti dall'anno 2 all'anno 6 della
era volgare: quella di Lucio Antistio Vetere, pontefice,
pretore , decemviro pe' giudizii , e questore di Tiberio
Cesare Augusto^ oggi nel museo Vaticano; il frammento
edito dal Fabretti sovrallodato Inscr. 743. il quale ap-
partiene a Claudio : varie lapidi della epoca di Tito e
Domiziano , che si veggono in villa Borghese , scoperte
fino dal 1792. e da me illustrate ne' Monumenti Scelti
di quella villa p. 35. 44- 45. Molto però contribuì allo
77
splendore dì Gabii Adriano, il quale costruì l'acquedot-
to dì che rimangono ancora le vestigia, ed eresse la Cu-
ria Elia ricordata dalla celebre epigrafe di Domizia fi-
glia di Corbulone. Dopo quella epoca frequenti memorie
di Gabii si hanno ne'tempi di Antonino, e di Commodo
nelle iscrizioni; ed i ritratti di Severo e Geta son prova
del lustro del municipio nel primo periodo del secolo III.
della era volgare.
Cominciò poscia a decadere a segno, che un passo
di Anastasio nella vita di Silvestro I. indurrebbe a cre-
dere che a' tempi di Costantino , cioè sul principio del
secolo IV. fosse di già ridotta ad uno stato di Massa, o
tenuta, che quel biografo appella Massa Gaba territorio
Gabinensi, donata da Costantino al Battisterio Lateranen-
se. Ma qui si affacciano gravissime difficoltà; poiché esi-
stè pure, almeno ne' bassi tempi, una terra di Gabi in
Sabina, siccome ha provato il Galletti con una disserta-
zione erudita , scritta a tale uopo ed appoggiata a do-
cumenti che non ammettono eccezione ; nelle carte de'
tempi bassi si scambia sovente il nome Sabinensis, o Sa-
vinensis in Gabinensis, o Gavinensis e vice versa, e per-
ciò riman dubbio se Anastasio in quel passo abbia in-
teso di GÀbi in Sabina , o di Gabii nel Lazio. Quanto
a me io non posso credere , che sul principio del IV.
secolo Gabii latina fosse affatto deserta: poiché mi sem-
bra che la frequenza della via prenestina dovea porvi
ostacolo. Inoltre pare , che non possa escludersi affatto
la esistenza di un vescovo di Gabii, come di altre città
intorno a Roma ; ma fra questi vescovi stessi , raccolti
dairUghelli, dal Sarti, e dal Nicolai, ve ne sono certa-
mente, che per l'equivoco sovraindicato di Sabinensis, e
Gabinensis, appartengono alla Sabina e non a Gabii. La
serie dell'Ughelli ricorda Asterio vescovo nell'anno 465,
Andrea nel 487, Mercurio nel 501 e 504, Martino noi
78
649 , Martìniano o Marciano nel 721 , Niccta nel 743 ,
Gregorio, o Giorgio neli' 826, Pietro neli'853 ed 861 e
finalmente Leone neir876. ed 879. II Sarti de Episcopis
Euguhinìs p. 40 vi aggiunge un Pietro che viveva l'an-
no 1060. Ed il Nicolai nelle Dissertazioni inserite negli
Atti deW Accademia Romana di Archeologia T. V. p. 49.
ne ha scavato un'altro di nome Teodoro da un'istromen-
to che si conserva nell' Archivio Sublacense , del quale
si ha copia nel codice vaticano 8054 fol. 27. Da ciò però
che sono per mostrare più sotto, mi sembra chiaro, che,
ammettendo come probabile, e quasi dimostrata la esi-
stenza della sede vescovile di Gabii, la serie de'vescovi
gabini non possa prolungarsi più oltre del secolo Vili.
onde quelli che dopo quella epoca si ascrivono a Gabii,
più probabilmente debbonsi assegnare alla Sabina; e che
come io credo che la esistenza della città si protraesse
ben più oltre della era costantiniana, così fosse cessata
dopo la metà del secolo ottavo.
La traslazione dell'impero, l'assenza degl'imperado-
ri di occidente da Roma , le invasioni de' barbari , che
finalmente estinsero l'impero occidentale l'anno 476, se
furono fatali alla metropoli, maggiormente lo furono al-
le sue vicinanze. Più ancora queste ebbero a soffrire nel
secolo susseguente per la guerra accanita che pose fine
al regno de'Goti l'anno 553. e per le scorrerie de'Lon-
gobardi in quello che allora appellavasi Ducato Roma-
no. Quindi r anno 741 Gabii era ridotta allo stato di
fondo, il quale insieme con altre terre attinenti, fu da
Zaccaria dato in locazione ad un Cristoforo nobile roma-
no , siccome si trae dal registro di Cencio Camerario
riportato da Muratori nelle Antiq. Medii Aevi Tom. V.
p. 837 , documento , che mostra essere Gabii divenuto
fin da quella epoca di dominio diretto della chiesa ro-
mana. Gli sconvolgimenti successivi de' secoli IX. e X.
79
cangiarono , non si sa come, da affìttuarìi in proprieta-
rii i nobili romani, investiti da Zaccaria del possesso di
Gabii, poiché nel 1030 Giovanni di Giorgio e Buona
mostransi come proprietarii del luogo, allorché fondaro-
no il monastero de'ss. Primitivo e Nicolao, come risulta
dalla carta autentica di tal fondazione esistente nell'ar-
chivio di s. Prassede e diretta a Lioto monaco , ripor-
tata dal Galletti nel Primicero Append. p. 268, carta nel-
la quale enunciasi Gabii come affatto deserto , ma che
ancora riteneva il nome: in locum qm vocatur Gabis, pro-
peque lacu qui vocatur Burrano : e quella donazione fu
accompagnata da una metà di molino ad acqua , mosso
dal fiume Osa, o dall' emissario del lago , e dal diritto
di tenere uno schifo, o barchetta, sandalum nello stesso
lago. Sembra, che questo monastero non prosperasse, o
forse mai non potesse formarsi in quel sito, poiché da
un altro documento conservato pur nell' archivio di s.
Prassede si ricava, che nell'anno 1060 Giovanni arcica-
nonico di s. Giovanni a porta Latina concedette in enfi-
teusi, col consenso de' suoi preti a Luca abbate di Grot-
taferrata , la chiesa di s. Primitivo con tutti gli arredi
sacri e terre attinenti. Vedasi il Galletti p. 283. Nel 1148
però, insorta lite fra i preti di s. Giovanni a porta La-
tina, la chiesa di s. Prassede, ed i monaci di Grotta Fer-
rata, fu deciso che due terzi della chiesa di s. Primiti-
vo colle loro attinenze appartenessero alle chiese di s.
Giovanni a porta Latina , e di s. Prassede; ma nel do-
cumento , che riporta il Galletti di questo giudicato p.
304, non si fa più menzione di Gabii, nome che sembra
essersi insensibilmente dimenticato nel secolo X. i >.
Nell'anno 1153 Nicolao abbate di Grottaferrata, in
presenza di Anastasio papa IV. die in affitto perpetuo,
e concesse ad Ubaldo cardinale del titolo di s. Prasse-
de a favore di quella chiesa la terza parte di s. Primi-
80
liv© con tutte le sue pertinenze , onde mentre insensi-
bilracnte estingucvasi il dominio de' monaci di Grottafer-
rata ampliavasi quello della chiesa di s. Prassede sopra
Gabii, ed il suo territorio: allora per la prima volta in
luogo di s. Primitivo leggesi s. Primo, nome del santo
titolare della chiesa. Veggasi Galletti p. 310. Erano per-
tanto i monaci di, s. Prassede e per dominio e per lo-
cazione perpetua signori di due parti del tenimento di
s. Primitivo, o Primo fin da quell'anno, l'altra parte spet-
tando a s. Giovanni a porta Latina; ma nell'anno 1186
Gerardo rettore di quella chiesa, col consenso di Biagio
jwete della medesima , e di Giovanni priore della basi-
lica del Salvatore al Laterano, die in affitto, pure per-
petuo, quella parte restante, a Gualtiero priore e rettore
della chiesa di s. Prassede ed a Domenico prete e cano-
nico della medesima. Galletti p. 325. Allora la chiesa di
s. Prassede era retta dai canonici regolari di s. Maria
de Rheno, che la tennero dal 911 fino al 1191; tolta loro
quella direzione da Celestino III nel 1191 fu affidata al
cardinale Siffredo Gaetani da Pisa, il quale la die in
cura l'anno 1198 ai monaci detti di Vallombrosa, che an-
cora la ritengono : e colla chiesa que'monaci ebbero an-
cora i beni, che le spettavano, e quindi anche il teni-
mento di s. Primo. L'anno 1259 Pietro Capocci cardinale
diacono di s. Giorgio in Velabro legò a s. Prassede cento
libre per la Torre di Castiglione, e 5000 libre di ren-
dita per compra di terre da non doversi mai alienare ,
perchè ogni anno l'abbate ed i monaci di s. Prassede ce-
lebrassero un anniversario solenne a suffragio dell'anima
sua. Di questo legato rimane memoria perenne in una
lapide contemporanea esistente nel chiostro di s. Pras-
sede : e da essa apprendiamo la epoca in che fu eretta
la torre di Castiglione ancora esistente, sulle rovine del-
l'acropoli gabina, e l'ingrandimento delle jK)ssessioni del
81
monastero m quo' (tintomi , che costituiscono la tenuta
odierna di Castiglione, E intorno a quella torre formossi
un villaggio di questo stesso nome, che Castrum Castel-
lionis si disse , ricordato da Bonifacio Vili nella bolla
del 1301, fatta a favore de'monaci vallombrosani, il qua-
le, come pertinente alla chiesa di s. Prassede, castrum
s. Praxedis ancora si disse, come dalla bolla medesima
cippariscc, «sistent<; Tìell'archivio vaticano e pubblicata dal
chiarissimo Fea nella memoria in litolata Discussione ec.
sulla città di Gabio e suo lago, Tanno 1824. E siccome ,
dopo la fondazione della chiesa di s. Primitivo, il teni-
mcnto a quella spettante avea fatto dimenticare insensi-
bilmente il nome di Gabii, così quella del Castrum Ca~
stellionis fece andare in obblio quello di s. Primitivo ,
onde assunse il nome , che ancora ritiene di' tenuta di
Castiglione. ■; 4
Si fa menzione di questo Castro in una bolla di Gio^
vanni XXII del 1322 dalla quale apparisce che era stato
occupato dal prefetto di Roma in grave praeiudicium se-
dis apostolica^ : e nella vita del celebre Cola di Rienzo
lib. IV. e. XX, dove si narra come nell' anno 1353 il
tribuno mosse la oste contra i Colonnesi di Palestrina, e
partendo da Tivoli accampossi a Castiglione di s. Pras-
sede, e di là il giorno seguente si mosse contro Palestri-
na. Un documento riportato dal Pelrini nelle Memorie
Prenestine p. 436, mostra che nel 1401 Bonifiacio IX
ordinò la demolizione di una parte della torre di Casti-
glione , che è forse quella che manca , come pure in
quella circostanza venne smantellato il castello, e ridotto
Castiglione allo stato di casale. Il lenimento di Castiglio-
ne rimase in proprietà de'monaci di s. Prassede fino al-
l'anno 1327, allorché venne compreso nella vendita dei
fondi ecclesiastici per pagare i 400 mila scudi d'oro, pro-
messi da Clemente VII alle orde di Carlo V onde es-
6
82
sere liberato dall'assedio. In tal frangente Castiglione fu>
venduto a Luigi Gaddi per 7500 scudi, come apparisce
da una nota esistente nella biblioteca chigiana, Mss. G,
III. 58. fatta estrarre per ordine di Alessandro VII da^
gli archivii camerali : ed in quella nota viene indicato,
non più come castrum^ ma come casale. Dai Gaddi il ca-^
sale di Castiglioi^e colla tenuta annessa venne in potere
degli Odescalchi, e da questi passò agli Azzolini di Fer-^
mo, che l'hanno posseduto fino al 1822, in che fu ven--
duto ai Mencacci , che di recente lo hanno venduto ai
Borghese.
A Gabii si va da Roma, tanto per l'antica via ga^^
bina, detta pur prenestina, e modernamente di Tor Tro
Teste e dell'Osa, quanto per la labicana oggi di Torre
Nuova e della Colonna. La gabina è la più diretta e la
più breve, ma di poco varia la distanza, essendo la dif-
ferenza di circa 1 miglio : andandovi per la labicana si
lascia questa alla osteria del Finocchio, e volgendo a si->
nistra, entrasi in una strada rurale , che é parte dell' an-^
tico diverticolo, che legava le vie collatina, gabina, la-
bicaqa e tusculana : un miglio dopo, si passa dinanzi una
torre semidiruta del secolo XII che ha il nome di s. An-.
tonio ed 1 altro miglio dopo raggiungesj la via gabina
circa al X miglio da Roma, di sotto ed a lato della oste-^
ria detta dell'Osa , perchè situata sulla sponda sinistra
di quel fiume : questo ivi traversasi sopra il ponte, che
ricorda quello delle ss. Degna e Merita indicato nella
bolla di Gregorio VII riferita dal Margarini e pertinente
all'anno 1074, così denominato per qualche chiesa, o cap=>
pella ivi dappresso esistente e consacrata ai meriti di
quelle due sante martiri.
Al Ponte dell'Osa la via gabina o prenestina torce
a destra: a sinistra poi si distacca la strada moderna di
Poli che raggiunge il tramite antico di communicaziono
83
fralla via collatina e la tihurtitia , andando a sboccare
presso il ponte Lucano. La via gabina pertanto volgen-
do a destra conserva traccio molto patenti dell'antico la-
stricato di poligoni di lava , ed é incassata nel masso
della pietra dagli antichi designata col nome di lapis ga-
binus. Nel percorrere lo spazio fralla osteria della Osa
e le rovine di Gabii, è singolare fenomeno il rimbombo
assai forte , che si ode sotterra : ora Plinio Hist. Nat.
lib. IL e. XCIV. §. XGVI. nota, che quaedam vero ter-
rone ad gressus tremunt, sicut in gabinensi agro non pro-
emi urbe Roma iugera ferme ducenta equitantium cursuu
indizio della esistenza di vuoti profondi che in questa
parte il suolo eminentemente vulcanico racchiude. La
strada passa dinanzi la osteria di Pantano, e quindi tra-
versa r emissario del lago : dopo passa dinanzi un tu-
mulo sepolcrale che lascia a destra, e finalmente entra
in Gabii.
Dall'aspetto del suolo si riconosce, che la città anr?
tica copriva tutta la striscia che domina da una parte
il lago, e dall'altra il tenimento di Pantano: che era di
forma molto allungata, in modo che, mentre presenta il
circuito di circa 3 miglia, difficilmente avea nella mag-
giore ampiezza un mezzo miglio di diametro. E parmi
che i limiti della lunghezza si possano determinare dal
tumulo sovraindicato , che rimaneva fuori, fino ai din-
torni della torre di Castiglione. E siccome questa torre
é appunto nel sito più culminante di tutta la contrada^
perciò io credo, che ivi fosse la cittadella antica, e che
ivi la colonia primitiva di Latino Silvio ponesse i suoi
alloggiamenti. Di là successivamente si andò allungando
sul ciglio del lago , assumendo così una forma ed una
posizione strettamente analoga a quella della metropoli
Albalunga, cioè lunga e sul ciglio dì un lago. tmlìt
! 11 primo avanzo dell' antica città , e che è visibile
84
in tutta questa pianura del Lazio è quello del tempio
di Giunone Gabina , così bene accennato da Virgilio in
queVersi del libro VII. della Eneide:
' ' quique arva gahinae
lunoniSf gelidumque Aniencm, et roscida rivis
Hernica saxa colunt, quos dives Anagnia pascti.
Il tempio, come i più antichi del Lazio era rivolto ver-
so sud-ovest: la cella è sufficientemente conservata, me-
no il tetto, che manca, ed il lato meridionale che è il
più diroccato. Questo tempio come quello di Diana Ari-
cina , col quale ha una grande analogia per la forma e
per la costruzione, avea colonne nella fronte e ne'fian-
chi, ma non nella parte posteriore, dove il muro della
cella dilatandosi a destra e sinistra chiudeva il portico
laterale. I muri della cella sono di massi bene squadra-
ti, e perfettamente commessi, di pietra locale, o gabina,
grossi ciascuno circa 2 piedi, larghi altrettanto, lunghi
circa A: questi massi sono disposti, ora in lungo, ora in
largo, ma non regolarmente, o per conseguenza credo,
che la costruzione possa ascriversi circa al secolo V. di
Roma. L'interno della cella ha 45 piedi di lunghezza e
27 e mezzo di larghezza: in fondo rimangono le vesti-
gia del sacrario, il quale veniva chiuso da cancelli fissi,
di che veggonsi sul suolo le impronte: e questa cancel-
lata era interrotta in tre luoghi ad egual distanza, do-
Te sembra che fossero specie di porte cancellate , che
siccome apparisce dal battente e dalle traccio de'cancelli
fissi aprivansi indentro. Il sacrario ha 6 piedi di profon-
dità. Il pavimento della cella è di musaico bianco com-
posto di tasselli grossi ciascuno circa una mezza oncia:
è però da osservarsi che nel sacrario tal pavimento non
si ravvisa, se non nel recesso sopra cui era la statua di
Giunone Gabina , ed è questo un indizio patente , che
quel recesso dovea servire a contenere oggetti sacri e
85
preziosi, come in altri templi della antichità. La soglia
del sacrario ha circa 2 oncie di altezza. Le parti della
cella più conservate, a partire dal pavimento interno di
musaico sono circa 25 piedi alte, ma non conservano in
alcun luogo l'altezza primitiva. Il vano della porta è di
8 piedi di larghezza. La parte postica della cella è or-
nata esternamente da una specie di basamento, o podio
con modinature, alto 5 piedi e 4 digiti, tutto compreso.
Le ale, che partono dal muro posteriore della cella han-
no da ciascuna parte 5 piedi e tre quarti di larghezza
e servono a determinare la larghezza de' peristilii late-
rali del tempio. Delle colonne che circondavano per tre
lati la cella, non rimangono che pochi frantumi sul luo-
go , dai quali si conosce , che erano di pietra gabina -,
scanalate, con listelli larghi 1. oncia e mezza, e per con-
seguenza di ordine ionico, e non dorico ( come erronea-
mente asserì l'illustratore de'monumenti gabini borghe-
siani ) e che erano rivestiti di stucco. Dagli avanzi esi-
stenti del tempio , pure apparisce , che innalzavasi in
mezzo ad un area, la quale di fianco avea 54 piedi di
larghezza , e di fronte soltanto 8 , poiché ivi addossato
ai gradini del tempio era il teatro, di che si veggono
ancora le traccie informi , come nel .recinto di fianco
appariscono chiare vestigia delle camere, che servivano
ai sacerdoti , le quali sono ancor più visibili lungo il
lato orientale. ìì;!|«;i ->ìj'j /ì'ìsjIUi
Del foro scoperto Tanno 1792. non rimangono più
Testigia, e solo può dirsi, dalla pianta pubblicata dall'
illustratore de' monumenti gabino-borghesiani , che era
quadrilatero, e che verso la estremità meridionale veni-
va attraversato dalla via prenestina : secondo quell'illu-
stratore era circondato da un portico sostenuto da co-
lonne di ordine dorico , meno verso la via prenestina ,
dove aprì vasi: e quel portico entrava nella categoria de-
86
gli areostìlì: e dietro quel portico erano camere ed edi-
ficii; e come quelle poterono servire di taberne, o bot-
teghe , fra gli edificii si credette alla epoca della sco-
perta di avere riconosciuto la curia, e l'auguslèo, o tem-
pio sacro agl'imperadori. Nel centro dell'area del foro fu
la statua di Tito Flavio Eliano protettore del municipio,
«iccome apparve dal piedestallo scoperto colla iscrizione
onoraria al suo posto.
Dal tempio di Giunone Gabina, seguendo per un
tratto l'andamento della via prenestina verso oriente,
veggonsi nel tenimento di Pantano gli avanzi dell'acque-
dotto che Adriano costrusse, onde la città potesse ave-
re acque perenni e pure: della quale opera di Adriano
è un documento la iscrizione frammentata riferita dall'
autore, che spiegò i monumenti gabini, p. 14. e la co-
struzione di reticolato e laterizio, sebbene sdrucita, fa
riconoscere que'ruderi, come contemporanei di quelli del-
la villa Adriana.
Ritornando alcun poco indietro, e prendendo il sen-
tiero, che guida a Castiglione, veggonsi a destra ne'cam-
pi, ruderi, che anche da lontano, mostrano appartenere ad
una chiesa de'tempi bassi: questi appartengono alla chie-
sa de'ss. Niccolò^ e Primitivo, o s. Primo: sono privi af-
fatto di tetto: e presso l' ingresso si riconosce ancora il
campanile diroccato ; la tribuna conserva traccie delle
pitture, che rappresentavano varii santi, frai quali anco-
ra ravvisasi s. Niccolò, uno de'protettori; la costruzione
de'muri è del secolo XI e si compone di ogni sorta di
frantumi, consolidati di tratto in tratto, ma irregolarmen-
te con pezzi di opera laterizia.
Dalia chiesa rovinata di s. Primitivo , andando a
Castiglione, il sentiero siegue una specie d'istmo, che a
destra ha una serie continuata di latomie a strato aperto,
•le quali fornirono le pietre, prima per Gabii , e poscia
87
aiicoi'à per Roma: a sinistra poi, segue l'andamento del
cratere dirupato del lago. Castiglione conserva ancora le
vestigia del recinto de'tempi bassi, e la torre diroccata
insieme con quello fino dal 1401. Notai di sopra , che
questo castello sorse nel secolo XIII. quando le terre
appartenevano ai monaci di S. Prassede, e che vi con-
tribuì il cardinale Capoccio : le mura di questo castro
evidentemente vennero costrutte co'massi delle antiche,
ed in parte furono anche fondate sopra le antiche stes-
se , delle quali fortunatamente rimane un angolo verso
nord-ovest di circa 5 o 6 strati di pietre quadrilatere ,
che essendo di costruzione analoga a quella delle so-
struzioni del Tabulano, d'uopo è conchiudere , che ap-
partengano alla epoca di Siila, che secondo Frontino al-
legato di sopra, rialzò le fortificazioni di Gabii. Il cra-
tere del lago, essendo da questa parte tagliato a picco,
indica evidentemente il giro delle mura, che cingevano
l'acropoli gabina. Da Castiglione per la strada di Poli, si
raggiunge il ponte dell'Osa, e la via gabina : in questa
parte a destra continuano per un certo tratto le latomie
indicate di sopra. 1; >•: 'm tu/ r.i . tdfih
La pietra gabina , tanto impiegata nelle fabbriche
di Roma, e di che specialmente sono costrutte le sostru-
zioni e le parti interne del Tabularlo, è una specie di
peperino di color bigio bruno, che esposto all'aria as-
sume un tuono piìi pallido del peperino ordinario, o sia
della pietra albana; essa resiste al fuoco, ed è un com-
posto di ceneri vulcaniche miste a frantumi piccioli di
lava nera, bruna, e rossastra, con frammenti di anfige-
ni e pirosseni, squammette di mica, e pezzi di calcarla
appennina.
Dal registro di Cencio Camerario più volte ricor-
dato apparisce, che Gabii, ed il suo territorio più vici-
no nel primo periodo del secolo Vili, costituiva la Mas-
sa Galli, o Massa Gallorum, composta de' fondi denomi-
nati allora Digitorum, Gabii, Mctionum, Barhulianum^ o
Sentianum, Lucretianum, detto pure Musta, Lampadiorum,
o Formellus, Flavianum, ovvero Casa Monachorum, Me-
dianum , Formicis ( forse Fornices per l' arenazione deir
acquedotto ) Aurefilis, e Marcianum. La contrada in eh»
erano appellavasi Bursano, che io credo per errore del
trascrittore così scritto in luogo di Burrano , che con-
servò il lago per varii secoli prima che venisse in po-
tere de'monaci di S. Prasscde, siccome vedrassi nell'ar-
ticolo seguente. E tutti questi fondi diconsi posti terri-
torio gabiìiate ew vorpore patrimonii lahicani. Oggi la città
di Gabii, e le sue più immediate attinenze costituiscono
i lenimenti di Castiglione e di Pantano , ambedue pro-
prietà de'Borghese. Castiglione, che come ho notato di
sopra appartenne in ultimo luogo ai Mencacci compreui-
de 270. rubbia di terra, divise ne'quarti denominati di
s. Primo , della Osteria: , degli AlbuccL , e di Gorsanoi
Quanto al tenimento di Pantano, si £a menzione di un
Pantano de Azo in questa contrada fino dall'anno 1030;
della era volgare nella carta dcU'arcliivia di S. Prasse-
de ricordata di sopra; ma quello era più verso il Te ve-
rone, come dalla stessa carta apparisce, onde io credo>
che quello sia Pantan di Guazzo indicato nella carta di
Ameti e posto nella tenuta di Corcolle, presso il confi-
ne di Lunghezzina al confluente del fosso di S. Cesario
nell'Amene, pantano oggi disseccato.
Ma certamente, di questo tenimento,, che anche oggi
ha il nome di Pantano fa menzione nel 1353 1' autore
della vita di Cola di Rienzo e lo designa come una selva
posta fra Tivoli e Palestrina presso Castiglione, dove i Cor
lonnesi nascosero la preda fatta , che trasportarono poi
chetamente a Palestrina, centro allora della loro potenza.
E questo tenimento fu venduto dai Colonnesi al cardi-
89
naie Scipione Borghese nel primo periodo del secolo XVII.
Vastissima è questa tenuta , che entra ne' territorii di
Monte Porzio , e di Monte Compatri, in modo che dal
Cingolani si calcola a rubbia 1525 e 2 scorzi ; ma la
parte inclusa entro i limiti deirAgro Romano dal Nicolai
si restringe ad 840 rubbia , 1 scorzo e 2 qu. Essa di-
videsi nella parte compresa nell'Agro Romano in quarto
dell'Incastro, Pedica di Rocca Cenci, quarto della Casetta
di Campotosto, Pedica di Tor Carbone, Pedica di Ponte
Nono, quarto di Torre lacova, quarti di Finocchio, Pi-
scare, Valle s. Elmo, Tor Forame, Padiglione, Padiglion-
cino, la Pedichetta, Pescara, Pedica delle Grotte, S. An-
tonio, la Pelosetta, e Pedica delle Cappelle ; nomi che
non hanno alcuna relazione né cogli antichi, né con quelkì
ricordati di sopra, pertinenti al secolo VIII. xjir«ui oi»
, , = flttjo'jnlfi'.
ivMr>l«« i-K» GABINVS LACVS ìM
•ifi ')«'!»* ^Jtl9 f>h ^ ^ »)^;n?i> il-
.„,,,,„,^,;„i Cacu0 6urranu0 . ,,, ,,«^,>,..
Cag0M0.|pra05eòe:i;':::1^"^
LAGO DI PANTANO, LAGO DI CASTIGLIONE
Questo articolo è per la parte storica legato così
strettamente con quello antecedente , che per evitare il
tedio di ripetere ciò che fu detto su tal proposito mi re-
stringo a quelle osservazioni soltanto che sono partico-
lari al Iago , ed alle varie denominazioni che ebbe. È
questo lago, come quelli di Albano, Nemi , ec. un cra-
tere di vulcano spento, che avea in origine un buon mi-
glio di circonferenza , ma che si e successivamente ri-
stretto a segno, che essendo sul punto di divenire una
vera palude, il principe Francesco Borghese lo fa dissec-
care per mezzo di una forma che farà scaricare le acque
90
nel fiume Osa, onde così liberare da ogni esalazione pe-
stilenziale i dintorni, e rendere alla coltivazione un ter-
?'eno ubertoso. Egli è certamente degno di rimarco^ che
mentre più e più volte ne'classici s'incontra menzione di
Gabiì, di questo lago, che immediatameute era sotto la
città, non si trovi alcuna memoria ne'tempi antichi^ e solo
per la prima volta ricordisi nel secolo V della era vol-
gare ; imperciocché negli alti di S. Primitivo esistenti
nella Biblioteca Vaticana, riferiti dal Bosio Roma Subterr.
lib. III. e. XXXVI, e ricordati dal Boldetti Osservai, so-'
pra i Cimiteri di ss. Martiri pag. 568 , atti scritti circa
quella epoca, leggcsi che quel santo fu condotto nella via
prencstina presso la città di Gabii^ che ivi fu decollato,
e che il suo corpo venne sommerso in lacum Gabiis^ don-
de Esuperanzio lo estrasse , dandogli sepoltura in una
catacomba ai 26 di aprile.
Ma se grande è il silenzio degli scrittori anteriori
su questo lago, frequenti sono le memorie che se ne in-
contrano nelle carte de'tempi bassi. E primieramente nel
registro di Cencio Camerario si legge, che circa Tanna
741 era divenuto proprietà della Chiesa Romana insieme
col fondo denominato Gabii, et fundum Gabiis, cum lacu,
e che circa quella epoca papa Zaccaria lo die in affitto
ad un nobile romano di nome Cristoforo, siccome fu ve-
duto nell'articolo precedente. Nel 1030 erano padroni di
esso Giovanni di Giorgio e Buona, nobili romani anche
essi, forse discendenti di quel Cristoforo ricordato poc*^
anzi, quando venne fondato il monastero de'ss. Primitivo
e Nicola in locum qui vocatur Gabiis, propeque lacu qui
vocatur Burrano. È qui è da notarsi che fin dal 741 la
contrada in che trovasi questo lago nel registro di Cen-
cio appellasi Bursano, o piuttosto Burrano forse da qual-
che predio di Afranio Burro prefetto del pretorio sotto
Nerone, o di Lucio Antistio Burro, console nell'anno 181,
91
attempi di Commodo. Giovanni testò ricordalo fece do-
nazione del lago al monastero di s. Primitivo da lui fon-
dato, il quale essendo venuto meno pochi anni dopo, ac-
cadde, che la chiesa di s. Primitivo, come pure il lago,
ed i pascoli di Pantano, venuti in proprietà della chiesa
di s Giovanni a porta Latina, furono ai 13 di febbraio
dell'anno 1060 dati in enfiteusi perpetua a Luca abbate
di Grottaferrata , siccome ricavasi da carte esistenti nel-
l'archivio di s. Prassede, pubblicate dal Galletti nel Pri-
micero. L'anno 1074 Gregorio VII concedette la metà di
questo lago, sempre detto Burrano ai monaci di s. Paolo
fuori delle mura, siccome si trae dalla sua costituzione
inserita nella lioUario Cassinense , e questa concessione
fu successivamente confermata da Innocenzo III nel 1203,
Onorio III nel 1218, e Gregorio IX nel 1236. Deiraltra
metà un terzo era di s. Giovauni a porta Latina ed i\
resto era in potere de'monacì di Grottaferrata , i quali
ai 29 di agosto dell' anno 1153 cedettero i Foro diritti
alla chiesa di s. Prassede, come fece ai 20 di marzo
1186 Gerardo rettore di s. Giovanni a porta Latina, per
la parte spettante a quella chiesa, riservandosi un cano-
ne, siccome risulta dalle carte dell' archivio di s. Pras-
sede pubblicate dal Galletti nella opera sovrallodata e
ricordate nell'articolo antecedente. Ed essendo fin dal
1198 passata quella chiesa in potere de*monaci vallom-
brosani, questi , fabbricato il castello di Castiglione nel
secolo susseguente circa l'anno 1259, acquistarono il ri-
manente del lago, onde Bonifacio VIII, nella bolla data
l'anno 1301 in favore di que'monaci nomina il Castrum
Castellionis, quod dicitur castrum s. Praxedis cum foto ìacu
qui dicitur de Burrano. Sicché fino a quella epoca il lago^
riteneva il nome di Burrano; ma la edificazione del ca-
stello, ed il dominio dc'monaci fecero insensibilmente di-
menticare quel nome, e dopo quel tempo trovasi il lago
92
più coinmunemente denominato di Castiglione , e di
s. Prassede. Con questo ultimo nome vien designato ap-
punto nell'atto con che Leone Strozzi lo cedette nel 1578
per 3000 ducati al card. Marc'Antonio Colonna. Imper-
ciocché il lago rimase in pieno dominio de' monaci di
s. Prassede fino all'anno 1541, in che questi lo diedero
in enfiteusi perpetua a Pietro, Roberto, e Lorenzo Stroz-
zi. Dopo pochi anni da che era divenuto proprietà de'
Colonna, il duca Francesco erede del cardinale Marc'An-
tonio ricordato di sopra lo vendette al cardinale Scipione
Borghese l'anno 1614 il quale lo redense dal canone
che pagavasi a s. Prassede, mediante 270 scudi] : ed è
la casa Borghese che continua a possederlo insieme co'
fondi adiacenti di Pantano e di Castiglione.
GALERIA — GALERA.
Una delle tribù rustiche romane fu la Galeria, ri-
cordata da Livio lib. XXVII e. VI , da Plinio e nelle
iscrizioni sovente, come può vedersi in Panvinio Civitas
Romana, in Grutero p. CD VI. n. 9. CDXVIII. n. 7.
CDXXXI. n. 1. ec. La sua etimologia è incerta : alcuni
trar la vorrebbero dal fiume Galeso , che essendo nell'
agro tarentino , sebbene sia stato celebrato da Virgilio
Georg, lib. IV. v. 126 per la feracità delle terre , che
bagna, da Orazio lib. IL od. X, e da Marziale lib. XII.
epigr. LXIV, per la morbidezza e la candidezza delle
lane delle pecore, che pascolavano sulle sue rive e ne
beveano l'acqua, nulladimeno è troppo distante da Roma
per aver dato nome ad una delle tribù rustiche di Ser-
vio Tullio. A me sembra più probabile e più naturale,
che il rivo Galera, che traversa una gran parte dell'agro
vciente conquistato da Anco Marzio quarto re di Roma,
e che nasce sotto Cesano, ed influisce nel Tevere presso
93
alla stazione, perciò denominata ponte Galera 9 miglia
e mezzo circa fuori di porta Portese, desse nome alla
tribù, come quello che era il più considerabile frai rivi
eha bagnavano le terre di qnel distretto. Né si creda
già che il nome di quel fiume sia recente, e che derivi,
come qualche moderno scrittore balordamente asserì,
delle galere, che rimontavano il Tevere fino al suo con-
fluente, ai tempi di Sisto Y; imperciocché se ne ha me-
moria fin dall'anno 1019 nel privilegio di papa Benedet-
to Vili a favore del vescovo portuense , riportato dall'
Ughelli Italia Sacra T. I. in quello di Giovanni XIX a
favore del vescovo di Selva Candida dell'anno 1026, di
Benedetto IX del 1033; e nella conferma del privilegio
del vescovo di Porto del 1049, fatta da Leone IX, do-
cumenti che si leggono nel sovrallodato Ughelli , nella
bolla dello stesso papa data l'anno 1053, edita nel Bul-
lar, Vat. T. I. ec. sempre appunto come confine di varii
fondi della contrada, tanto nella parte superiore, quanto
nella inferiore del suo corso. : lU'ni-^J t'uih i.iriy»
Ora , come ne' tempi più antichi il rivo die nome
alla tribù, così circa l'anno 780 della era volgare lo die-
de! ad una Domus-cuUa, o colonia, che per testimonianza
di Anastasio Bibliotecario papa Adriano I. fondò sulla
via aurelia (dee leggersi Cornelia) circa 10 miglia lungi
da Boraa presso s. Rufina , e ad un' altra dello stesso
nome che quel papa fondò sulla via portuense, circa 12
miglia lontano da Roma, in maniera che due Domus ctd-
tae di questo nome vi furono , dette ciascuna Galeria ,
una sulla via Cornelia, e l'altra sulla portuense. Ho no-
tato doversi leggere in luogo di Aurelia, Cornelia, quanto
alla prima, perchè s. Rufina sta sulla Cornelia, oggi
strada di Boccèa, e non sull'Aurelia, oggi strada di Ci-
vita-Vecchia : che è quanto dire , che il trascrittore di
Anastasio mise un nome per l'altro. Qui poi aggiungerò.
94
che la Galeria sulla via portuensc corrisponde presso la
odierna stazione di ponte Galera sulla strada moderna
di Fiumicino, la quale, se oggi si trova soltanto 9 mi'
glia e mezzo fuori della porta Portesc, anticamente era
circa al duodecimo miglio a destra della via portuense.
La differenza della distanza nasce dalla direzione diversa
delle strade, poiché la strada moderna è più incommoda
dell'antica, ma più breve, giacché scavalca 5 colline ,
mentre l'antica andando lungo il Tevere seguiva il lembo
di queste medesime colline, e perciò, sebbene più com-
moda, era considcrabilmente più lunga, 't xit^tóV lìhd^i
Di queste due Domus cultae , la Galeria della via
portuense era nell'anno 1019 una curtis contenente una
chiesa di s. Maria, varii fabbricati, un ponte, che è l'o-
dierno, detto ponte Galera, sebbene più volte rifabbri-
cato, ed un villaggio, vicus, ed in tale stato fu confer-
mata da papa Benedetto YIII al vescovo portuense Be-
nedetto de Pontio, con una bolla, ricordata di sopra e ri-
ferita dairUghelli T. I. Andò però sempre decadendo ,
poiché nel privilegio di Leone IX a favore di Giovanni
vescovo portuense si ricorda col nome di curtisyinaL senza
menzionare più il villaggio. Veggasi l'Ughelli L n. E do-
po non trovandosene altra memoria ne' privilegii poste-
riori é d'uopo dire che rimanesse affatto deserta. Molto
diverso fu il fato dell'altra Galeria, la quale andò suc-
cesivamente crescendo, ma dal sito suo primitivo venne
traslocata sopra di un colle dirupato ed isolato un miglio
a sinistra della via Claudia, oggia strada di Bracciano,
15 miglia distante da Roma sulla sponda sinistra del
fiume Arrone che le scorre sotto. Questa era di già un
castello, castellum molto considerabile, e feudo imperiale
col Comes suo particolare l'anno 1033 , siccome si trae
dalla bolla di Benedetto IX a favore de' vescovi di s. Ru-
fina, o Selva Candida riferita dall' Ughelli , nella quale
96
6Ì ricorda una chiesa di s. Nicola, che è quella dell'ar-
ciprctura, che si dice in quel documento dedicata e con-»
sarcata dal vescovo Pietro, al quale la bolla è diretta ,
ed una pieve di s. Gregorio. E perchè siamo certi che
di questa Galeria si tratta, nella bolla poco posteriore a
questa, di papa Leone IX riportata nel Bullarium Vatir'
canum T. I. e pertinente al 1053 , si nomina il fiume
Arrone, come esistente in territorio Galeriae, territorio di
che si fa poscia successivamente menzione nelle bolle di
Adriano IV del 1158, di Urbano III del 1186, e d'In-
nocenzo III del 1205. j. m.ruvH^ ,KunMi
Si ù notato poc'anzi che Galeria aveà' fino dal sé^
colo XI i suoi conti imperiali : infatti il Marini Papiri
Diplomatici n. XLV mostra, come nel 1027 era conte di
Galeria Giovanni Tocco, il quale fu presente al sinodo
tenuto in Roma da papa Giovanni XIX per giudicare
alcune vertenze, che esistevano fra il clero delle chiese
di s. Niccolò e di s. Andrea; ed in quel documento si
mostra che in quel luogo vi era una popolazione nota-
bile, A costui, o immediatamente, o poco dopo successe
jin Gerardo, il quale avendo favorito la elezione di papa
Benedetto X, l'anno 1058 insieme col conte di Tuscolo
Gregorio di Alberico, e con altri potenti romani, si vi-
de esposto nell'anno seguente al risentimento del papa
Niccolò H , eletto in vece di Benedetto ; imperciocché
quel papa per testimonianza del card, di Aragona, nella
sua vita inserita dal Muratori no' Rerum Italicarum Script.
T. III. P. I. p. 301 si rivolse ai Normanni che si erano
impadroniti del regno di Napoli ; i quali raccolta una
oste poderosa, traversando la Campagna, invasero e de-
vastarono i territorii di Palestrina, Tusculo , e Nomen-
tana, come terre ostili al papa, e passato il Tevere die-
rono il guasto a Galeria ed a tutti gli altri castelli del
conte Gerardo, fino a Sutri. Ecco le parole di quel hio^
96
grafo, che descrivono questa scorreria: Normanni vero
ad ipsius common itionem, collecto exercitu subsequuti sunt
eius vestigia et transcuntes Campaniam, , Praenestinorum
oc Tusculanorum et Num^ntanorum terras hostiliter inva-
dentes, eis tamquam contumacibus et domino suo rebellan-
tibus damna gravissima inttderunt. Deinde fluvium Tibe-
ris cum immensa militia et fortitudine armatorum, peditum
€t sagittariorum copiosa multitudine transeunte» , Galeram
tt universa comitis Gerhardi castella usque ad Sutrium de-
vastarunt. Soggiunge, come, dopo molli mali di questa
natura, pervenne a domare la caparbietà de' magnati di
Roma ed a liberar la città dalla loro tirannia e rimet-
tere cosi la Chiesa in potere de'suoi stati. Pertanto è da
credersi che allora Calerla, per qualche tempo restasse
direttamente in potere de' papi in guisa che Gregorio
VII. la concesse insieme co'coloni ai monaci di s. Paolo
l'anno 1074, siccome si trae dalla bolla de'privilegii da-
ta da lui a favore di quel monastero, riportata nel se-
condo volume del Bullarimn Cassinense del Margarini ,
nella quale però in luogo di Galeriam, come è nell'ori-
gipale, si legge Gallasiam.
\)\wj<l conti di Galera però non abbandanarono così fa-
cilmente le loro pretensioni , ed il Galletti nella disser-
tazione sopra Capena riporta su tal proposito un docu-
mento molto importante, il quale spetta all'anno 1139.
Da questo apparisce , che il Castrum Galeriae era stato
occupato dal conte di Galeria, che io credo Benedetto,
di cui fa menzione una carta dell'archivio di s. Maria
Nuova, dell'anno 1154, il quale, come un detentore in-
giusto fu denunziato nel concilio lateranense tenuto in
quello stesso anno 1139. da Azzone abbate di s. Paolo.
Malgrado questo passo i conti tennero saldo, ed i mo-
naci sembrano avere , o abbandonato i loro reclami , o
fatto qualche accommodamento , poiché Innocenzo III
97
■confermando lutti i beni al monastero di s. Paolo con
una bolla del 1205 riportata dal Margarini nel tomo pri-
mo , di questo fondo non fa menzione. Due documenti
esistenti nell'archivio di s. Maria Nuova Tom. I. ed In-
vent. fol. 32. sono una prova ulteriore, che questo ca-
stello durante il secolo XII. continuasse ad essere pos-
seduto dai conti che ne traevano il nome. Possedeva quel-
la chiesa una massa detta Carda , la stessa che dava
nome alla stazione ad Careias menzionata da Frontino,
<3 dagl'itinerarii antichi, come esistente circa 15. miglia
lungi da Roma sulla via Claudia. Ora questa massa ven-
ne occupata sul principio del XIL secolo dai conti di
Galcria , riguardandola probabilmente come dipendenza
di questo castello : i canonici però ricorsero a papa Cal-
listo II , che la fé loro restituire nel 1119 , malgrado
che i monaci di s. Sabba pretendessero, che apparteneva
a loro. Conoscendo però i conti di Galera la importanza
di questa massa cercarono ad ogni modo di averla , on-
de nel 1154 la ottennero dai canonici suddetti in enfi-
teusi, e r atto fu fatto a nome di Guido figlio del de-
funto conte Benedetto, di cui si è parlato di sopra, dai
suoi curatori. I confini assegnati a quella massa sono il
corso dell' Arrone, la via Claudia, il corso della Galeria,
ed i territorii di Cesano, e di Anguillara. Quindi si ri-
conosce che tutta intiera giaceva a destra della Claudia
fra le miglia 12 e 14 , o per meglio dire fra il casale
Nuovo e la Osteria Nuova, Cesano ed Anguillara.
Questa enfiteusi fu confermata ai conti di Galera
nel 1226, ultimo periodo della loro dominazione in que-
sta parte. Imperciocché poco dopo troviamo in possesso
di Galera gli Orsini, che ne riconoscevano l'utile domi-
nio dal monastero di s. Sabba, che ne avea il diretto;
quindi io credo , che estinguendosi la famiglia , o per
donazione, o per altro titolo, il monastero di s. Sabba
7
98
di già proprietario di altre terre ne'dintorni ne ottenes-
se il dominio. Dal Galletti nella dissertazione sovraindi-
cata di Capena apprendiamo che fin dall'anno 1256 n'era
signore Matteo Rosso Orsini, senatore di Roma, sempre
però dipendente pel dominio diretto da s. Sabba. Nel
1267 il suo figliuolo Napoleone donò a Giovanni cardi-
nale diacono di s. Nicola in Carcere, suo fratello la quar-
ta parte del castello e della rocca di Galera , come si
trae da un documento esistente nell' archivio della Ra-
silica Vaticana Caps. 61. fol. 225. Rertoldo e Raimon-
do Orsini ebbero da s. Sabba la investitura delle tre
parti del castello di Galera 1' anno 1276, siccome si ha
da un documento esistente nell'archivio di quella Casa,
investitura che si trova rinnovata nel 1337 a favore di
Giovanni, Napoleone e Giordano Orsini, siccome ricava-
si dal cod. vat. 7997. Ronifacio IX. nel 1393 restrinse
il canone di questa investitura a tre libre di cera: veg-
gasi la pergamena n. 565 nell'archivio Orsini ed i mss.
vat. 7926, e 7997. Continuò sotto gli Orsini durante il
secolo XV; e nel 1485 a dì 20 di luglio fu saccheggia-
ta dai Colonnesi , siccome leggesi in un diario contem-
poraneo inserito dal Muratori Rerum Italie. Script. T.
III. P. II. p. 1195. Frattanto è da notarsi che a quel-
la epoca era un castello considerabile, poiché nell'avvi-
cinarsi del Fortebraccio a Roma , Galera fu tassata di
mandare 20 uomini armati a Rracciano. Così .nel 1536
ai 18 di aprile die alloggio all'imperadore Carlo V. re-
duce da Roma. Allorché Pio IV. nel 1570 eresse in du-
cato Rracciano vi comprese anche Galera. Veggasi la me-
moria di A. Coppi negli atti dell'Acc. di Archeologia, T.
VII. il quale ha raccolto uno stato della sua popolazio-
ne, che nel 1636 giungeva a 300 abitanti, nel 1660 a
170, nel 1667 a 130, nel 1700 a 150, e nel 1809 do-
po essere andata sempre cadendo rimase affatto deserta.
99
Gli Orsini essendo grarati da debiti ali enarono Galera
l'anno 1670 con facoltà di papa Clemente X. e da quel
tempo non fu più soggetta a feudo. \ ; ■>
La via per andare a Galera diverge a sinistra della
Claudia circa le miglia 15 e mezzo ; subito dopo aver
passato sopra un ponte il fosso denominato Rosciolo, in-
fluente dell' Arrone , nel quale cade prima di giungere
a Galera. La strada scende fra colli dirupati vestiti di
alberi e di vigorosa vegetazione ad un ponte circa un
miglio dopo il diverticolo: nel giungere a questo ponte
sono a destra le rovine di una casa, a sinistra quelle
della chiesa di s. Maria degli angeli che era in rovina
fin dal principio del secolo passato, come si ha dal Piaz-
za. Il sito del ponte è pittoresco e romantico: il fiume
Arrone, che passa sotto di esso e lambisce il lato occi-
dentale della rupe, sulla quale sorge il castello, forma
in questo luogo una picciola caduta che col suo romo-
rìo ravviva alquanto lo stato solingo del luogo. " %
Appena passato il ponte, la strada volgendo a sini-
stra sale pian piano ad una porta, sulla quale sono an-
cora le arme di casa orsina : dopo questa prima porta
seguitando a salire, volge a destra, dove trovasi una se-
conda porta, e finalmente una terza dà ingresso alla ter-
ra, la quale non è accessibile, e con molta diflìcoltà, se
non da questo lato che è quello rivolto a settentrione.
Sorge la terra sopra un colle di tufa vulcanico ta-
gliato a picco da tutte le parti, e di forma rettangolare
coi lati rivolti ai quattro punti cardinali : le mura che
la cingevano presentano due epoche diverse: la parte più
antica , che è quella più prossima al suolo è di massi
squadrati di tufa locale ma di picciola mole, e ricor-
dano la costruzione del secolo XI: sopra questa costru-
zione se ne alza un'altra tutta irregolare e propria del
secolo XV: e queste mura ricorrono sul ciglio della ra-
100
pe. Le case sono generalmente di opera saracinesca del
secolo XIII, e sembrano essere state rifatte dopo che gli
Orsini divennero signori della terra: esse però sono tutte
abbandonate e in rovina, abitate da rettili, e coperte di
erba e di arbusti: alcune hanno fenestre gotiche, altre
sembrano essere state ristaurate sul principio di questo
secolo, e fra pochi anni la intiera terra presenterà l'aspetto
di un ammasso di rovine. La piazza è presso 1' angolo
occidentale: ivi è la chiesa arcipresbiteriale dedicata a
s. Nicola, la quale conserva alcune parti, la cui costru-
zione essendo opera del secolo V , dimostra che fin da
quel tempo vi era una popolazione in questo luogo: ed
infatti esso è tale che sembra impossibile che sia stato
trascurato dagli antichi, e forse fu uno degli oppidi de*
Vejenti: alcune grandi pietre quadrate impiegate ne'muri
di una delle case della ultima strada verso occidente av-
valorano questa congettura. Ai lati della porta moderna
della chiesa sovraindicata sono due are sepolcrali di
marmo tolte forse alla vicina via Claudia: quella a sini-
stra manca d'iscrizione come quella che è stata cancel-
lata e conserva il loculo per le ceneri: sopra quella a
destra si legge la epigrafe seguente.
CERCENIAE
TRYPHERAE
MAIRI OPTIMAE
T FL CERGENIANVS
i caratteri sono di buona forma, ed il nome di Tito Fla-
vio Cerceniano mostra che fu di poco posteriore al re-
gno de'FIavii, essendo quello un figlio di qualche liberto
di Vespasiano, di Tito, o di Domiziano.
-101
GALLICANO v. PEDVM.
AD GALLINAS v. PRIMA PORTA.
GATTACIECA.
È il nome di una osteria fra Mentana e Grotta Ma-
rozza, a destra della via nomentana antica, circa 16. ni.
lontano da Roma, all'ingresso di un diverticolo che con-
duce a Monte Rotondo.
GELARDL
Così volgarmente si appellano certe rupi di tufa ta-
gliate a picco , che s' incontrano circa 18 m. fuori di
porta del Popolo sulla sponda sinistra della via detta
dagli antichi tiberina, ed oggi strada di Fiano: esse un
tempo fornirono materiali da fabbricare. Ivi dappresso
sono ruderi di sepolcri antichi. Il nome forse derivò, o
da qualche individuo di nome Gerardo , o da qualche
famiglia Gerardi , che vi ebbe possidenze. Queste rupi
sono le ultime falde del monte Tufello, fralle quali apresi
la convalle detta Valle Lunga.
GENAZZANO:
(&tnna}amrn- ©inajanum.
f
Terra nel distretto di Tivoli nella diocesi prene-
stina, che contiene 2396 abitanti, posta un miglio a si-
nistra della strada, che da Palestrina conduce a Paliano
sette miglia distante da Palestrina e 30 da Roma; feudo
u^iempo di quel ramo dc'Goloonesi, che distinguevasi
appunto col nome di signori di Gena zzano , che era la
stesso di quello detto de' ss. Apostoli , perchè avca le
case contigue a quella chiesa in Roma.
Il nome indica , che la terra sorse ne' tempi bassi
sulle rovine di una villa della gente Genucia, onde da
fundus Genucianus, o praedium Genucianum se ne fece per
alterazione di pronuncia nella bocca del volgo Genucior-
num, Genutianum, GennazanuiUf Ginazanum} che noi m
idioma volgare abbiamo fatto Genazzano. Ed a quella fa-
miglia appartengono i ruderi della villa romana ancora»
ivi esistenti, che dal Cecconi e dal Petrini si sono vo-
luti attribuire alla villa degli Antonini, applicando a que-
sti il passo di Capitolino nella vita del divo Marco c^
XXI: Sub ipsìs profectionis diebus in secessit praenestino^
agens filium nomine Verum caesa/rem exsecto suo aure tu-
bere septennem amisit. Costoro però non considerarona y
che ivi si tratta della villa imperatoria prenestina, della
quale veggonsi vaste rovine a s. Maria della Vili». Era
la gente Genucia plebea^ ed in essa si distinse partico-
larmente Lucio Genucio tribuno della plebe autore de'
plebisciti famosi dell'anno 415 di Roma ricordati da Li-
vio lìb. VII. e. XLII. centra gli usurai, ne foenerare li-
ceret, centra gli ambiziosi, ne quis eumdem mugistratunv
intra decem annos caperei; neu duos magistratus uno anno
gereret, ed in favore della plebe, perchè fosse permesso
creare ambedue i consoli di quell'ordine; utique liceret
consules ambos plebeios creari.
La prima volta che apparisce, come castello ne'tempi
bassi è in una denazione scritta l'anno 1022 da Benedette
Scriniario di Palestrina, inserita nel Registro Sublacense,
nella quale un Giovanni di Pier Domenico, e Franca sua
moglie vengono designati come abitanti in castello qui ap-
pellatur Gennazano. E siccome in que' tempi questo ca-
stello era parte del feudo di Palestrina istituito da papa
103
Giovanni XIII a favore di Stefania, «enatrice Tanno 970
della era volgare, perciò possiamo essere certi, che ne
seguisse tutte le vicende. Quindi fino dall' anno 1033 ,
essendosi sposata in seconde nozze Emilia sorella di Gio-
vanni, e nipote di Stefania, ed erede del feudo di Pale-
strina con un De Columna^ ed avendone avuto prole ma-
schile, Genazzano, come Palestrina divenne retaggio de*
Colonnesi^ che ancora lo ritengono. Nello Spicilegium Hi-
storiae Ravennatis inserito dal Muratori ne^ Rerum Itali-
carum Scriptores T. I. p. 579 leggesi come agli 11 di
novembre del 1290 Stefano da Genazzano, de Ginazano,
della casa Colonna, venne preso e spogliato dai Raven-
nati. L' anno 1356 Pier Giordano Colonna donò ai pp.
agostiniani la chiesa parrocchiale fin d'allora dedicata alla
vergine sotto il titolo di Madonna del Buon Consiglio.
Nel 1378 i cardinali, che favorivano papa Urbano VI si
ritirarono in Genazzano, come può leggersi in Rainaldi.
Il Petrini crede, che in Genazzano nascesse Martino V
ossia Oddone Colonna, allegando la vita d'Innocenzo VII
riportata dal Muratori ne' Rerutn Italicarum Scriptores T. III.
P. II: il Cecconi segue piuttosto l'altra tradizione, che lo
dice nato a s. Vito: quello però che non può mettersi
in dubbio è che quel papa, a cui tanto debbe Roma e
la Chiesa, ne amava appassionatamente il soggiorno, ed
ivi trovavasi a villeggiare l'anno 1426 allorché ricevè
l'ambasciatore del conte di Armagnac, che venne ad ab-
biurarvi a nome del suo signore lo scisma, siccome leg-
gesi nella sua vita scritta dal Cirocchi e dal Platina.
Morto papa Martino l'anno 1433, fu trucidato barbara-
mente in Genazzano Stefano Colonna signore di Pale-
strina. L' anno seguente Niccolò Fortebraccio occupò la
terra, sovvertì Lorenzo Colonna; che dominava in Pale-
strina, e costrinse papa Eugenio IV a fuggire da Roma,
fatto, che portò nel 1437 la rovina di Palestrina. Nel
104
1461 fu visitato Genazzano da papa Pio li nel ritornoi
da Subiaco a Tivoli, siccome riferisce il Gobellino.
Narrano il Coriolano ed il Canncsio , storici co»-
temporanei, come nell'anno 1467 rinnovandosi la chiesa
della Madonna del Buon Consiglio uffiziata dagli Ago-
stiniani, li 25 di aprile scoprissi sopra un muro, che do-
vea essere demolito, la immagine della Madonna che va
sotto questo titolo , e che per la venerazione , che ri-
scuote, le grazie fatte, ed i donativi ricevuti è uno dei
santuarii più celebri e più frequentati di questa parte
d'Italia. Nella guerra fra Sisto IV, e Prospero Colonna
questa terra ebbe molto a soffrire, ma finalmente l'anno
1485 i Colonnesi la ricuperaronov e là diedero in mano
al papa, come si ha dai Diarii dell'Infessura e del Nan-
tiporti dati dal Muratori nella parte II del tomo III de'
Rerum ItiiUcarum Scriptores. Nel 1557 vi pose campo il
duca di Alba , e poco dopo segui la pace di Cave coi
Caraffeschi.
Oltre le rovine sovraìndicate della villa romana, que~
sta terra principalmente merita di essere visitata per la
cappella sovraindicata della Madonna del Buon Consiglio^
cappella ricchissima per arredi, sacri e per doni.
M. GENNARO^
È questo il contrafforte più alto ,. e più vicino a
Roma del dorso che gli antichi chiamarono monte Lu-
cretile, e che fu celebrato da Orazio; esso fu da alcu-
ni confuso co' monti Ceraunii ricordati da Dionisio nel
lib. I. ma que' monti, che si distinguevano per le loro
punte acuminate percosse sovente dai fulmini, erano solo
80 stadii, o 10 miglia distanti da Rieti nelle vicinanze
di Vesbola, cioè fra i fiumi Velino e Turano, onde cor-
rispondevano alle montagne, che oggi chiamano di Nu-
103
ria non lungi da Capradosso, presso cui dee rintracciar-
si il sito di Vcsbola. II nome di Gennaro lo ebbe, non
come il volgo pretende dal freddo, che vi si prova , poi-
ché più fredde e nevose sono altre cime a settentrione
di esso; ma per altre cause. Una chiesa di s. Gennaro
esisteva alle sue falde verso Marcellina fin dal secolo
X della era volgare , e di essa fa menzione una carta
spettante all'anno 956, esistente nella biblioteca Barbe-
rini, dalla quale apparisce, che Giovanni vescovo di Ti-
voli concedeva un fondo Caniniano cum ecclesia s. lanua-
rii. Forse da questa chiesa ebbe nome il monte, ovve-
ro da un lanuariusy a lanuaria, che vi ebbero possiden-
ze dappresso; ed infatti tre lapidi si conoscono, una di
Settimio Sabino lanuario, Taltra di Scanzia lanuaria, e
la terza di Rosela lanuaria, che furono scoperte alle sue
falde, e che l'autore del Viaggio a Tivoli., edito l'anno
1828 riporta.
Dopo la cresta del monte Vulturella , oggi Mento-
rella, sopra Guadagnolo, questa è la punta più alta dei
monti che immediatamente coronano la pianura dove
Roma si asside; quindi fu scelta da Boscovich e da Le
Maire per le loro osservazioni astronomiche e trigono-
metriche, tendenti a determinare la misura del grado del
meridiano di Roma. Servi pure a sir William Geli per
la triangolazione della mappa, che è il soggetto di que-
st'analisi. Boscovich determinò la distanza fra la punta
di monte Gennaro, e la croce della cupola di s. Pietro
a 22 miglia e 935 passi : e 1' altezza perpendicolare ad
837 passi = 654 tese e mezza = 4185 piedi inglesi,
che sono quasi geometricamente identici ai piedi romani.
L' autore sovraindicato del viaggio di Tivoli sulla fede
del quadro geografico storico dello Stato Pontificio di
Luigi Antonio Senes di Trestour estolle l'altezza di que-
sta punta dal livello del mare a 4430 piedi romani. Le
106
osservazioni poi publicale l' anno 1824 dagli astronomi
della specola del Collegio Romano, Conti e Ricchebach
stabiliscono la sommità di questo monte, che essi desi-
gnano col nome di punto più elevato di Monte Gennaro a
3955 piedi parigini ed 8 pollici == 4285 piedi inglesi
e 3 pollici.
Da tre lati si può ascendere a questa punta serven-
dosi di cavalli) altri èenlieri vi sono per coloro che vanno
a piedi: i lati per scendervi sono: quello verso Palom-
bara, strada che se è la più breve è ancora la piìi ri-
pida: quello di s. Polo che almeno fino alla Terra di
questo nome offre l'accesso più commodo: e quello dal
canto di Licenza. Le cime principali di questo monte
sono: il pizzo che è quella che domina immediatamente
la falda rivolta a Roma, e che si presenta sempre come
una punta acuminata: la Morra nocciuolo particolare che
sovrasta immediatamente alla terra di s. Polo, e che da
Roma ha l'apparenza di un ginocchio: ed il monte della
Guardia che è una specie di dorso verso settentrione
che si dilunga nella direzione da occidente ad oriente ,
e serve come di barra alle due cime sovraindicate da
quella parte. Di queste tre punte, tutte altissime, il Ro-
seo vich prescelse la prima per le sue osservazioni, per-
chè il monte della Guardia, quantunque abbia un oriz-
zonte vastissimo verso occidente , e verso settentrione ,
ha la veduta di Roma velata appunto da questa cima,
denominata il pizzo; e la Morra, sebbene abbia la veduta
completa di Roma e di tutta la pianura romana senza
alcun impaccio, è così difficile a salirsi, che le osserva-
zioni sarebbero state soverchiamente protratte. Il Pizzo
non presenta ne l'inconveniente del monte della Guardia,
né le difficoltà della Morra , e gode d' altronde i van-
taggi di ambedue. Quindi fu scelto dal Boscovich come
da Geli per le loro osservazioni.
107
Solinga ed amena è la sommità di questo monte im-
ponente e vestito di boschi di alberi secolari, meno nel
vasto ripiano denominato il pratone, ove i bestiami ne'
mesi estivi trovano fresco e pastura. E quanto al Pizzo
è degno di osservazione il gran cumulo di pietre rozze
che ivi si vede ammassato, il quale ricorda que'mucchi
di sassi consacrati a Mercurio e di cui fanno menzione
gli antichi scrittori, e soprattutto Esichio. La veduta che
da quella cima si gode è non solo vastissima ma così
bene composta, che diresti di essere in mezzo ad un im-
menso teatro, la cui cavea viene formata dai monti etru-
schi, sabini, e latini, ed il di cui centro, o la scena viene
determinata dalla zona argentea del mare tirreno : ivi ,
rammentando l'epoca primitiva della storia di Roma, d'uo-
po è riconoscere il fatto, che le genti, che in quel punto
si riunirono, da queste contrade discesero, fatto ricono-
sciuto dagli antichi scrittori, ed invano da una smodata
critica travolto , e negato : è di là che si commenta la
primitiva divisione del popolo romano in Luceres (etru-
schi) Titienses { Sabini ) e Ramnenses (Latini) , nomi co*
quali si designarono le genti condotte da Lucumone, da
Tazio, e da Romulo. Volgendosi indietro, questa veduta
viene temperata dalle orride selve, che vestono i monti
sabini , e sotto apronsi spaventevoli precipizii verso i
monti corniculani , che da quella sommità appariscono
come leggiere colline, e picciole ondulazioni di terreno.
S, GENNARO v. SVBLANVVIO
GENZANO.
Città del distretto e comarca di Roma, sede di go-
verno, situata sulla strada postale di Napoli, dove que-
sta raggiunge l'antica via appia, circa 18 miglia lontano
108
da Roma, la quale secondb la statistica di Leone XII
contiene 3994 abitanti. Secondo le tavole pubblicate da-
gli astronomi Conti e Ricchebach l'anno 1824 è situata
al grado di latitudine 41, 42\ 2r\ ed al grado di lon-
gitudine 30, 20\ 44 ^ 7.
Il Ratti, che compilò la storia di questa città l'anno
1797, corredandola di documenti autentici , mostra che
la origine sua non rimonta più indietro del secolo XIII
cioè circa l'anno 1255, nel quale essendo enumerate e
confermate da papa Alessandro IV le possidenze del mo-
nastero di s. Anastasio alle Tre Fontane presso Roma,
in due bolle, nella prima di queste in data de' 12 gen-
naio si nomina il Fundura Genzani, e nell' altra de' 18
febbraio si ricorda questo stesso fondo col nome di Ca-
struniy Terra murata, castello, insieme con Gavignano e
Fusano. Queste bolle leggonsi, la prima presso l'Ughelli
Italia Sacra Tomo I e la seconda estratta dall' archivio
vaticano, presso il Ratti p. 102. Una bolla di papa Lu-
cio III data il di 2 aprile 1183 pure ai monaci di s.
Anastasio, in conferma de'beni del loro monastero, e ri-
portata dal Ratti , fa conoscere, come circa la metà di
quel secolo , cioè il duodecimo , essendo insorta una
lite fra il monastero e la chiesa di s. Maria in Aquiro,
super possessione cujusdam Costae mentis qui dicitur Gen-
zano ec. fu questa decisa a favore de'monaci; e tal do-
cumento è il primo, che dia questo nome, che, se de-
riva dall'antico, potrà trarsi da un fundus Gentianus , o
Gentiani , nome del possessore originale , non mai da
Cynthia Diana, dea venerata particolarmente in queste con-
trade , parte del territorio aricino , come credettero gli
scrittori del secolo XV, i quali, poscia furono seguiti da
tutti i topografi superiori. In quella bolla si fa pure
menzione delle cave di pietra, cioè di peperino esistenti
in eadem costa ipsius montisy e di una torre edificata so-
pra quello stesse monte, che era stata demolita.
109
Questa torre era stata edificata dai Gandolfi signo-
ri del castello di questo nome, siccome ricavasi dal pat-
to di rinuncia , che Pietro e Nicola figli di Angelo , e
Rustico figlio di Cencio Gandolfi fecero a papa Onorio
III. l'anno 1218 di tutte le loro pretensioni per la de-
molizione di quella torre , avvenuta durante le dissen-
siotii civili fra Alessandro III. ed il popolo romano, me-
diante un compenso in danaro. Veggasi il documento di
questa rinuncia riportato dal Ratti p. 99. Il medesimo
storico con ogni probabilità asserisce che i Gandolfi in
que' tempi di sconvolgimento abusando del loro potere
aveano occupato il fondo di Genzano appartenente ai
monaci di s. Anastasio, e vi aveano fabbricato quella tor-
re, e che ad essi per quel giudizio fu restituita. Rima-
sero i monaci possessori pacifici di questo loro feudo
fino all'anno 1378, o per dir meglio, non si conosce al-
cun documento in contrario fino a quella epoca. Ma in
quell'anno l'antipapa Clemente VII. volendo rimunerare
Giordano Orsini signore di Marino dell'appoggio che gli
avea prestato, con bolla data in Fondi IV. Non. Decem-
br. fra gli altri castelli gli concedette ancora quelli di
Nemi e di Genzano: item castra Nemi et Genciani Alba-
nensis Dioeceseos. Veggasi questa bolla estratta dall' ar-
chivio vaticano , presso il Ratti p. 104 e seg. Questa
concessione fu a titolo di enfiteusi a terza generazione,
e nella bolla sovraindicata si ricorda il dominio diret-
to di s. Anastasio. Poco però durò il dominio di Gior-
dano, ma poco tempo pure rimasero i monaci possesso-
ri pacifici di questa Terra, poiché circa l'anno 1393 Ni-
cola Colonna, figlio di Stefano della linea di Palestrina
la invase, e la ritenne fino al 1399 in che avendo tra-
mato una congiura contro papa Bonifacio IX. questa sco-
pertasi, egli dovè fuggirsene, lasciando a Buccio Savel-
li suo compagno questa terra medesima. Questi abusò
110
talmente del suo potere, che i Genzanesi ricorsero a Pie-
tro Passcrello, capitano di Marino per la Chiesa Romana;
e riconoscendo sempre il dominio diretto de'monaci di s.
Anastasio, ottennero da papa Bonifacio di essere eman-
cipati dalla signoria di Buzio, e posti sotto la immedia-
ta dipendenza e protezione della Sede Apostolica con
ana bolla contenente i capitoli da loro richiesti ed a lo-
ro accordati ai 15 di novembre di quello stesso anno
1399. Allora la terra di Genzano fu distaccata dalla ca-
stellanìa di Lariano , ed unita a quella di Marino. Fino
air anno 1410 rimasero le cose su questo piede, quan-
do salito sul soglio papale Giovanni XXIII. tornò Gen-
zano sotto il dominio di Nicola Colonna, il quale ne fu
investito per un triennio , mediante il censo di un fio-
rino d' oro r anno, da pagarsi il di di Natale, o quello
della sua ottava. Spirato quel triennio Genzano fu oc-
cupato da Antonello Savelli che lo ritenne fino al 1417.
Martino V. lo fece restituire ai monaci, e questi nel 1423
lo affittarono a Giordano Colonna, che fu dichiarato go-
vernatore di Genzano e di Nemi. Finalmente nel 1425
V abbate ed i monaci di s. Anastasio , con facoltà del
papa vendettero ai Colonna definitivamente questa Ter-
ra insieme con quella di Nemi, e col casale di Monta-
gnano, per la somma di 15,000 fiorini a ragione di bai.
47. r uno, con istromento stipolato il dì 28 ottobre. Il
protonotario Giovanni Colonna nel 1479 vendette questa
Terra insieme con quella di Nemi al card. Guglielmo
di Estouteville per 13, 300 ducati , il quale donolle ai
suoi figli naturali Girolamo ed Agostino l' anno 1481.
Narra l'Infessura come nell'anno 1485 i Colonnesi s'im-
padronirono di Genzano sopra i Tuttavilla, ossia gli E-
stouteville nella guerra che ebbero con quelli, come al-
leati degli Orsini. Innocenzo Vili, nell'atto di concordia,
che eome mediatore volle fare fra quelle famiglie riva-
IH
li si fece consegnare le terre di Nemi, di Genzaiio , «
Frascati dai Colonnesi; e dopo la conclusione della pace
si trova che nel 1486 Genzano venne di nuovo in po-
tere dei Colonna, ai quali fu tolto da papa Alessandro VI,
che nella divisione de'beni di Lucrezia Borgia sua figlia,
fra Roderico e Giovanni da lei nati assegnò al primo
Genzano, che lo ritenne fino all'anno 1503 in che quel
papa morì. Appena morto Alessandro VI i Colonnesi rien-
trarono in possesso de'beni che erano stati loro tolti, e
ritennero Genzano fino al 1563. In quell' anno Marcan-
tonio Colonna vendette a Fabrizio Massimi Genzano per
15,200 scudi, e questi l'anno seguente lo rivendette a
Giuliano Cesarini per la stessa somma, unendovi la te-
nuta delle due Torri , alcune case da lui comprate , e
tutti i miglioramenti fatti al feudo. Dai Cesarini per
eredità passò agli Sforza che lo ritengono. Queste fasi
diverse possono leggersi tutte presso il Ratti nell'opera
summenzionata che inserisce gli autentici documenti, sui
quali si appoggiano.
Fu notato di sopra , che nel secolo XIII Genzano
fu il nome della costa del monte, sulla quale poscia fu
edificata la Terra di questo nome: super possessione cuius-
dam Costae Montis , qui dicitur Genzano : questo passo
dimostra da per se stesso la giacitura di questa città ,
la quale dal ciglio meridionale del cratere dal lago ne-
morense discende per la falda fino alla via appia antica.
E dapprincipio i monaci di s. Anastasio, che come si vide
fondarono il castello, occuparono la parte superiore del
monte, dove è il palazzo baronale de'Gesarini, ed il Duo-
mo vecchio , la qual suol designarsi col nome di Gen-
zano vecchio, conservando ancora in parte il recinto tur-
rito e merlato di quella epoca, posteriormente dai baroni
a varie riprese ristaurato. Ma dopo il secolo XVII a poco
a poco l' abitato si diresse verso 1' andamento della via
112
appia. Era però fino al declinare del secolo passalo una
pìcciola Terra, quando il disseccamento delle Paludi Pon-
tine, e l'apertura della nuova strada postale di Napoli
non solo portò molti nuovi abitanti lungo il corso di
questa, ma ancora vi fece discendere la parte principa-
le degli antichi; onde oggi Genzano vecchio è cadente,
ed in luogo di quello si è formata un' amena, e polita
città a destra e a sinistra della nuova strada, alla qua-
le magnifici viali di olmi conducono per chi va da Ro-
ma o dall'Ariccia, mercé le cure del duca Giuliano Ce-
sarini circa la metà del secolo XVII. Questi viali hanno
il nome di Olmata, ed al punto della loro unione , che
piazza della Olmata si dice, mezzo miglio circa distan-
te da Genzano formano come il vertice di un triangolo,
dove il viale a sinistra conduce al convento de'pp. cap-
puccini , quello di mezzo al palazzo Cesarini , e quello
a destra a Genzano. Magnifica, pittoresca, ed amena è
la veduta che dal palazzo Cesarini, e dalla piazza, che
lo precede si gode sì del lago nemorense e del cratere
imboschito che lo circonda, che della immensa pianura
del regno de' Rutili che verso mezzogiorno si distende
fino al mare Tirreno. Il palazzo poi fu edificato verso
l'anno 1643 da Giuliano Cesarini, quello stesso che pian-
tò r Olmata : e che edificò il Duomo Vecchio sul sito
dell' antica chiesa parrocchiale, sotto il titolo di s. Ma-
ria della Cima: e rifabbricò la chiesa e convento de'cap-
puccini eretta in origine l'anno 1579. Il nuovo Duomo
cominciato sul finire del secolo passato con architettura
del Camporesi è dedicato alla Triade Santissima, e tor-
reggia lungo la strada postale sulla piazza maggiore. Un
buon quadro è suU' altare maggiore rappresentante la
Trinità e le anime che dal purgatorio passano alla vita
celeste.
Celebre è la festa annuale che si celebra in questa
113
fcittà il dì dell'ottava del Corpus Domini^ alla quale cou-
.-corre un popolo immenso dalla capitale^, e dai paesi cir-
rconvicini. Consiste questa nella processione, che fassi ad
.ora di yespero col Sagraniento , passando per le strade
rprincipali, le quali vfiggonsi tutte -coperte di tappeti di
iìori, co' quali rappresentansi arabeschi, ornati, targhe,
scudi, arme, figure ,ec. che hanno un effetto vivissimo,
£ che ammirabili divengono per la rapidità con che so-
no eseguiti; e perciò chiamasi questa festa la Infiorata
di Genzano.
Il territorio di questa città è feracissimo special-
mente di uve, colle quali si fa un vino eccellente, che
potrebbe rivaleggiare co'migliori di Spagna, se si usas-
sero i modi opportuni.
La strada postale , che traversa Genzano non è la
via appia, la cui direzione ritrovasi dietro il Duomo Nuo-
vo , e quindi , tagliando un fondo privato , interseca la
postale alla es.tremità di Genzano servendo di norma per
riconoscerla un sepolcro antico. Appena intersecata la
strada moderna, la via appia si dirige a sinistra ed è oggi
ridotta allo stato di strada rurale.
.vn , GERANO.
(3xxamm.
Terra del distretto di Subiaco di 1046 abitanti, si-
tuata sopra un colle isolato ed ameno, a pie del quale
sono le fonti del Giuvenzano, rivo che in questa parte
determina il limite fra i Latini e gli Ernici, come l'A-
niene dove questo va ad influire è il confine fra questi
e gli Equi. È distante 31 miglia da Roma, 12 da Ti-
voli, e 6 da Subiaco. La strada più diretta per andar-
8
114
vi da Roma è quella di Tivoli: uscendo da questa città
si prende la strada degli Arci, e vi si perviene passan-
do per Tuccianello.
Ne'tempi bassi fece parte dapprincipio della Massa
luvenzana che da papa Zaccaria fu donata alF ahbadi£|
di Subiaco verso la metà del secolo Vili, od a quella
confermata da Gregorio IV, nell'anno 833, p da Nipco-t
lo I neir anno 864. siccome si raccoglie da un placito
del 983 inserito dal Muratori nel tomo I. delle Antichi-!
tà del Medio Evo p. 379; e da Giovanni XII. pur con-
fermata nel 958 con up'altra bolla, e da Ottone I. con
diploma Tanno 967, dociimenti che furono riportati da|
Muratori nel tomo V della stessa Opera p. 461. e seg,
Di Gerano propriamente però la prima memoria, che
ho incontrato spetta all' anno 978 , ed è nella bolla di
Benedetto VII. riportata dal Marini rìé'Papiri Diploma-
tici p. 229. Ivi frai fondi dipendenti dal vescovo di Ti?
voli si nomina Trellanus idest Giranus eum fundis suisy
allora però non era ancora un castello, o villaggio. Non
così l'anno 1030 , quando , secondo il Chronicon Suòla-
cense era non solo un villaggio, ma così popolato, che
1 suoi abitanti andarono a fondare il Podium CasapopuLi
onde secondare i Tiburtini, malgrado il volere dell'ab-
bate sublacense, che perciò fece edificare una torre so-
pra Gerano. Non molti anni dopo , cioè circa il 1061 ,
essendo papa Alessandro II si trova di già in potere di
Landone, signore di Civitella, sul quale venne nel 1075
ripreso dall'abbate Giovanni, secondo il Chronicon sovra-
indicato. Nel 1100 venne furtivamente occupato da un
tale Bertraimo, il quale per commando di papa Pasqua-
le II, dovè restituirlo; quindi fra gli altri beni del mo--
nastero si conferma ancor questo Castrum nella bolla data
dallo stesso papa Pasquale l'anno 1115 ed inserita nella
Cronaca sovraindicata. '*'''' '*'■ '
115
':,-.//{ £j iii^hd ••: GERICOMIO. • o^-wO IdU .1 ofi;;.i
Casale abbandonato distante da Tivoli 4 miglia a
■destra della strada, che da quella città conduce a s. Gre-
gorio, posto sopra un colle, che domina il sito dell'an-
tica Aesula , e che sfalda dal dorso intermedio fra la
catena del Mentorella, e quel{« dell'AiSliano. Esso giace
In un luogo selvoso , aperto soltanto verso mezzodì ed
occidente, e che veramente offre un ritiro a chi vuol se-
pararsi dal mondo, onde a ragione il card. Prospero Pu-
blicola Santacroce, che acquistò il fondo dal conte Gior-
dano Orsini, e che nell'anno 1579 ne fece il suo ripo-
so, riducendola a villa sontuosa, scrisse sopra una lastra
Ai marmo già sulla porta principale, ed oggi sconvolta,
& ridotta ad una specie di tavola rurale :
HIC TIBI lAM LICEAT
CVRIS PROGVL VRBE
SOLVTO /
DVCERE SOLLICITAE
IVCVNDA OBLIVIA
. '■■^-. , • VITAE -^ >!'], ■i\)
'. liJ'Xj'JOij f:il t:"i ó'^l.viT IH i-H'u nj- ;!;>
Egli fu che costrusse il casino, oggi casale, e die a que-
sto ritiro il nome di Tiopo-noiiztov, cioè ospizio della vec-
chiaia per l'oggetto a che destinollo, e che dai moder-
ni si volle derivare da re/joxsfxstov quasi ospìzio de'sa-
cerdoti, ospizio sacro, e se ne volle immaginar l'allusio-
ne ad un convento di monaci greci che qui mai non e-
sistette, e peggio ancora ad un collegio di sacerdoti an-
tichi qui stabilito, o ad una loro villa. :<) .i . ,i j<.ì ip
Di questa villa il cardinale fece battere una meda-
glia col suo busto nel dritto, e col prospetto della vil-
la nel rovescio, grossolanamente riportata dal Cassio nel
116
tomo I. del Corso delle Acque, la quale lascia travvedew
re che il casino era posto in fronte ad un recinto tur-
rito con portici interni , e che avea dinanzi una yasta
peschiera, un giardino diviso in varii riquadri, con fon-»
tana in mezzo, e con parco, o vivaio per animali ed uc-
celli rari. Magnifica delizia era questa in un luogo così
solitario; ma morto il cardinale, la villa fu abbandona-
ta, quindi venduta ai Conti, duchi di Poli, e da questi
ai Barberini , e dai Barberini alla casa Pio di Savoja,
Oggi è ridotta a vignato. A destra dell'ingresso al ca-
sino, 0 casale, è la lapide infranta che io origine stava
sul portone , e determinava il nome e la epoca di chi
costrusse la villa: e questa lapide, come l'altra antecq-.
dentemente riportata, serve di mensa rurale;
PROSPER PV
SANCTACRVCIVS . j^.r;u . ,
GEROCOMIO. f. VI . . .
ANNOSALVTIS , , . , ,
AETATISSVA , . . ,
Or questo cardinale Prospero Santacroce , che io
questa villa si ritirò fu insignito della porpora da papa
Pio IV. dopo la nunziatura di Francia a Carlo IX. e
dapprincipio ebbe il titolo di s. Girolamo de'Schiavonij
dopo successivamente quelli di s. Maria degli Angeli ,
di s. Adriano, di s. Clemente, e finalmente essendo ve^
scovo di Albano morì in Roma l' anno 1588 io età di
76 anni, siccome si ha dalla sua lapide sepolcrale esi-
stente in s. Maria Maggiore e riportata dal Ciacconio :
quindi, siccome la medaglia sovraindicata porta la data
del 1579, la penultima linea ANNO SALVTIS dee sup-
plirsi col millesimo MDLXXIX. e la ultima linea AE-
117
tATIS SVA può supplirsi AETATIS SVAE
LXVII.
Sulla porta della casa della vigna a destra è tina
statuìna muliebre, priva di testa, lavoro de'tempi della
decadenza, assisa sopra un trono retto da leoni, onde
iion cade alcun dubbio, che rappresenti Cibele, la qua-
le, sebbene sia certo, che era in fondo la stessa divi-
nità, che la Bona Dea de'Romani, è però temerità l'as-
serire, che fosse predsamente sotto le stesse forme rap-
presentata j siccome si legge in alcuni scritti modemL
Molto meno poi e vero che sia questo pìccolo simula-
cro conosciuto col nome di Buona Dea di Gericoiflio. In
questa vigna medesima l'anno 1824 io vidi un pilastro
di acquedotto, costrutto di opera reticolata^ indizio di
una villa antica in queste vicinanze. ' • • "^"^ ffiBotaj
GINNETTIi. fORRBCCHIOlA^^ ^ '^'^^
ì*J"'p 5 GIOSTRA V. TELLENÈ * ^^« ^^ *>^^'^*«
' ; h%mi
S. GIOVANNI. -^"^^^^
È utì picciolo lago di acqua minerale acidula posto
Cirta 16 miglia distante da Roma, e 2 a settentrione di
quello delle Acque Albule descritto a suo luogo, fra la
tiburtina primitiva e la strada attuale di Monticelli. •"
I j^. GIOVANNI IN CAMPO t. PALCÙGNAìn.'^^^
i S. GIOVANNI IN CAMPORAZIO. '-^^^;
tenitoèiitò delfkèro Bomano ^ irtAbia M2 ìjttjfc
tacci 2, scorzi 3, oggi appartenente ai Barberini e situa-
to dentro i territorii di Poli e di Gallicano. È diviso
118
ne'quarti detti del Casale, del Tragiione, e della Mura-»-
la. Da Roma è distante circa 21 miglio per la strada di
Gallicano che è la più breve.
,,ij.,|, L'anno 970 Giovanni XIII. infeudò a Stefania se-
natrice la città di Palestrina: in quell'atto che è ripor--
tato dal Petrini p. 394 frai confini del territorio di queP
la città viene indicato a sexto latere valUs de Caporatie.
Pochi anni dopo questo nome ritrovasi di nuovo nella'
bolla di papa Benedetto VII. data l'anno 978 ed indi-
cata dall' Ughelli nel tomo primo, e dal Marini riportata
né'Papiri Diplomatici p. 235. Ivi fralle terre dipendenti
dal vescovo tiburtino nello spirituale si nomina il Fun^
dusy seu Massa Caporacie cum mons, uhi est in cacumine
ecclesia s. Angeli qui dicitur Faianu. Le rovine di questa
chiesa, che nel secolo XI. die nome ad un castello, si
veggono ancora sulla cima del monte che a questa te-
nuta di Camporazio sovrasta, e suol designarsi col nome-
di s. Maria del Monte. Fino a quella epoca non si fa
motto di un castello nella tenuta in questione, il quale^
però non tarda a comparire nelle carte dfi quello stesso
secolo. Imperciocché l'anno 998 un tal Stefano donò per
testamento al monastero de'ss. Andrea e Gregorio in cli-
vo Scauri di Roma la metà di due castelli posti nel ter-
ritorio tiburtino e prenestino cioè di PoU, e di s. Gio-
vanni fra loro vicini. Veggasi l'atto della esecuzione da-
ta a ! quel testamento e riportato nel tomo IV. degli An-
nali de'Gamaldolesi p. 606. e seg. Non so se anteceden-
temente l'altra metà di quel castello appartenesse a quel
medesimo monastero; certo è però che nel 1051 tutto
intiero appartenevagli , poiché negli stessi Annali poco
dopo s'inserisce un altro documento, dal quale apparisce
che. in queir anno l'abbate Benedetto die in enfiteusi a
t|erza generazione casteUum integrum, quod vocatur s. Io-
hannesj insieme con quello intiero di Poli , al quale si
119
«lice Ticino, e coii tutte le loro pertinenze. Non molto
dopo fu assegnato da papa Gregorio VII. 1' anno 1074
al monastero di s. Paolo fuori delle mura, leggendosi
registrato fra gli altri fondi nella bolla da lui emanata
a favore di quel monastero e riportata dal Margarini
ètdl. Cassin. T. II. In quella bolla si nota la rocca di
S; Giovanni, qui vocatur Carriporacii con tutte le sue per-
iinenzCi II nome di s. Giovanni Io ebbe questo castella
da una chiesa a quel santo dedicata, come quello di Cam-
po Orazio la contrada per un qualche fondò che vi pos-
sedette là gente Orazià^ sènza ricorrere al cantore vè-
nosino , il quale è noto per lui medesimo , che altro
fondo o villa non ebbe che quella della YaUé Ustica
{uresso Licenza^
il, Dal tempo di Gregorio VII. fino al secolo XIIL non
iio incontrato altre memorie dirette di questo castello;
che è molto probabile che seguisse le vicende della vi-
cina Terra di Poli. Ma dopo che i Colonnesi signori di
Palestrina estesero la loro potenza in queste contrade,
occuparono ancora questa terra, la quale particolarmen-
te si ricorda nell'atto di divisione conchiuso frai varii
tnembri di quella famiglia l'anno 1252, e riportato dal
Petrini p. 411. Quell'atto mise in potere di Pietro Co-
lonna Castra GaUicani, s. lohannis, et s. Caesarei. Que-
sto medesimo Pietro seguendo la via ecclesiastica fu cap-
pellano di papa Niccolò IV. ed alla sua morte lasciò l'an-
no 1290 per testamento alle monache di s. Silvestro in
Capite di Roma per intiero il castello di s. Giovanni in
Campo Orati, il quale vien designato come posto nella
diocesi tiburtina, e con esso la rocca, il territorio, le
tenute e tutti gli altri diritti dello stesso castello. Que-
sto documento importante che esiste in originale in per-
gamena nell'archivio delle monache di s. Silvestro in Ca-
pite, si riporta in intiero dal Petrini p. 415. Ora sapen-
120
do, che le monache di quel monaistcro doveàUo Fa Ibrt>«
fondazione alla beata Margarita parente di Pietro, si co-
noscerà, come questi lasciasse a favor loro questo eoa:
altri fondi. Rimase Camporazio proprietà di quel mona-
stero fino all'anno 1633 in che fu venduto ai Barberini'
il di 26 di aprile per gU atti del Fontia.
-., ;; .■>■'■ .> :, r;/.-^*-. /: ;rf rA:
£ un£t delle acque condottate a Roma ne^tempi an-
tichi, la quale ebbe nome da Augusto, che dopo la mor-
te di Cesare come suo erede avea adottato i nomi di
Caio Giulio Cesare Ottaviano. Frontino narra, che Mar-
co Agrippa, essendo edile, nel secondo consolato di Au-
gusto, che ebbe per collega Lucio Volcazio, Tanno di
Roma 719 raccolse le vene di' un'acqua 2 miglia a de-
stra del XII. miglio della via latina, la unì insieme al
rivo della Tepula allacciata fino dall'anno 627,. e le die
il nome di Giulia, dividendone però la distribuzione ia
modo, che rimase il nome pur della Tepula.
Questo acquedotto avea 15 miglia e 426 passi di
giro , in modo che per 7 m. veniva sopra terra , cioè
528 passi sopra sostruzioni, e 6 m. 472 passi sopra ar-
chi fino a Roma. Per lungo tempo i fontanieri per fro-
de vi mescolarono la Crabra , che A grippa avea esclu-
so , e che nasceva al di sopra della Giulia ; per opera
poi di Frontino tolte le erogazioni fraudolente della Giu-
lia, fu esclusa affatto la Crabra e lasciata tutta in uso
de'Tusculani per ordine delTimperador Nerva. In ordi-
ne di altezza, secondo lo stesso scrittore questa era la
terza , cioè veniva dopo V Aniene Nuova e la Claudia.
Era insieme colle due acque predette, e colla Tepula,
Marcia , ed Aniene Vecchia circa il settimo miglio di-
stante da Roma raccolta nella sua propria piscina lima-
f21
#ia', onde depurarsi, e dove si misurava di nutovtì. Ivi
essa suddividevasi in Tepula e Giulia, e sopra gli archi
della Marcia diriggevasi verso Roma , in guisa che gli
archi medesimi entro tre spechi diversi portavano que-
ste tre acque, cioè la Giulia sopra , la f epula in mez-
zo , e la Marcia sotto, siccome st osserva pressa il ca-
sale di Roma Vecchia ai IV. miglio delta via latina, ed
a sinistra nelF uscire da porta Maggiore.'»*! " *^- ^**^^*
Quest' acqua cosi, insieme colfó altre diie soprain-
dicate, giunta a livello del Viminale entrava entro ter-
ra e fino alla porta Viminale continuava sotterranea, do-
ve emergeva di nuovo. Ma prima di toccare il Vimina-
le, nella contrada detta ad Spem Veterem^ la quale- coin-
cide ne'dintorni della basilica di s. Croce in Genisalem-^
me e di porta Maggiore, essa in parte si spargeva en-
tro i castelli del monte Celio. Ed in que'dintorni mede-
simi , dietro gli Orti Pallanziani ricevea 162 quinarie
dalla Claudia le quali unite alle 1206 che Frontino
trovò alla piscina della via latina , costituivano 1368
quinarie, che da questo acquedotto si fornivano a Roma.
Ora per avere una idea comparativa colle acque
attuali di Roma sappiasi che la Felice ne dà 307 , la
Vergine 1109, e la Paola 1569. Lo stesso Frontino no-
ta, che di quest'acqua distribuivansi, prima che egli ri-
vendicasse 557 quinarie che si dissipavano, 85 quinarie
a nome dell' imperadore fuori di Roma, e 121 ai priva-
ti; e che dentro Roma nelle regioni II. III. V. VI. Vili.
X. XII. in 17 castelli, cioè 18 quinarie a nome dell'im-
peradore , e 196 ai privali : 383 agli usi publici , cioè
67 a tre castra^ o alloggiamenti militari, 182 a 10 ope-
re pubbliche: 67 a tre luoghi per spettacoli: e 65 a 28
laghi, o fontane versanti.
Finora strettamente si espose ciò che Frontino ha
notato su questo acquedotto, ed appoggiandomi a que-
122
sto scrittore ardisco assetire , che sebbene qaest' acqitat^
sia fra quelle per Roma smarrite, nulladimeno se ne pos-
sono rintracciare le sorgenti ed il corso. La prima sta-
zione della yia latina indicata dagl'Itinerarii fu ad Decir
mum, così detta perchè situata al X miglio: ora la de-
cima colonna milliaria di questa via, col nome di Mas-
senzio che l'avea risiaifrata fu scoperta sul finire del se-
colo XVII. presso Ciampini dove vedesi diramare un di-
verticolo di coramunicazione, a destra coU'Appia, ed a
sinistra la via tusculana aperta da Messala Corvino. Il
miglio X. essendo così stabilito di fatto, ne segue che
il XII coincide presso a poco dove , dalla via latina
che ivi oggi ha il nome di strada della Molara, distac-
casi a destra la strada di Grotta ferrata. Seguendo que-'
to diverticolo che è tracciato suU' antico , e rimontando'
la valle di Grotta Ferrata stessa, si giunge sotto le fai- '
de di Rocca di Papa, dove molte scaturigini, o vene di
un'acqua limpidissima vanno a perdersi nel rivo della Cra-*
bra: la distanza coincMÌe con quella determinata da Fron--
tino per le sorgenti della Giulia, come pure la circostan-^
za del passare al disopra di queste sorgenti l'acqua Cra-
bra; praeter caput Juliae transfluit aqua quae vocatur Cra-
óra: havvi inoltre la coincidenza della direzione di un
antico diverticolo a quella volta dalla latina, che serve
a spiegare le due miglia di distanza dal duodecimo di
quella via, che non dee intendersi in linea retta come
fece Chaupy che credette riconoscere il caput Juliae nel
capo d'acqua di Marino, ma di deviazione dalla conso-
lare. Determinate così le sorgenti di quest'acqua, ed al-
lacciate ivi pel loro rivo si diressero lungo la sponda si-
nistra del corso della Marrana, e di là quest'acqua ten-'
dendo insensibilmente sempre verso la via latina, perve-
niva a raggiungerìla circa il VII. miglio dove dopo la
piscina limarla peir gli archi della Marcia passando dalla
m
destra della latina, alla sinistra di essa, pel tenimento
di Roma Vecchia, e quindi per le vigne di Roma, nell'
andamento della strada, che è intermedia fra quelle eh*
oggi escono dalla porta s. Giovanni e da porta Maggio-
re, giungeva alla contrada detta ad Sferri Veterem, do-
ve oggi si trava collocata questa porta. Di là in origi-
ne l'acquedotto si diriggeva alla porta Viminale antica,
il cui sito si riconosce entro la villa Negroni, siccome si
trae da Frontino; ma dopo Frontino , sul principio del
terzo secolo della era volgare, da Settimio Severo si fe-
ce una deviazione di questo dagli archi della Marcia^
presso la porta tiburtina odierna, detta di s. Lorenzo,
diriggendolo sopra nuovi altissimi archi di opera lateri-
zia ad una magnifica fontana, che i moderni chiamano
Trofei di Mario pe'due trofei trasportati da Sisto V. in
Campidoglio, che ne ornavano i lati, e ne' quali si vol-
lero riconoscere quelli dell'arpinate rivale di Siila, che
questi distrusse, e Cesare rialzò. Ma quelli erano tri-
plici poiché erano stati innalzati a Mario per le vittorie
sopra i Cimbri, i Teutoni, e Giugurta, e questi non fu-
rono mai più di due, non essendovi posto pel terzo :
quelli, rifatti da Cesare, erana di uno stile assai diverso
da quelli attualmente ammirati sul Campidoglio. Ivi dun-
que, sulla sommità delle Esquilie, dirimpetto all'antica
porta esquilina , che stava presso a poco dove oggi è
l'arco di Gallieno quell'acquedotto, dopo la epoca di Se-
• fero faceva un magnifico prospetto con questa fontana
situata nel biforcamento delle vie consolari prenestina,
e labicana, cadendo l'acqua per cinque bocche, tre di
fronte e due ne'fianchi, entro un bacino che la versava
in un recipiente inferiore. ,.z. x.l. i.-^. >^r »;u{4)
. , . r , , ^ ...... ... rSi'i Oi'.: >}-fi.'.i .ili
i,: ', Ir oii\iU')ò o-= ;>; o' i»..u;>!n ,i»)^'KÌ il» iiooiVob
mi .' ij^J^liìì it * ■<!> : I; >•: i.\ <•■> il) oil^n
124
GIULIANELLÓ — GIULIANO '*'*' * "^^'^
Fu questo il nome di un lago posto 4 miglia at(
oriente di Velletri a sinistra della strada di Cora, che
ne lambisce il cratere, nome che ehbe dàlia vicina Ter-
ra di Giuliano, posta un miglio più oltre, a destra delFa
stessa strada come più sotto vedrassi. Questo lago di ori-
gine vulcanica avea circa un terzo di miglio di diame-
tro maggiore ed un quinto di diametro minore, poiché
era di forma ellittica: esso é stato* di recente disseccato'
dai Borghese signori di Giuliano.
La Terra poi che poi dà nome al lago posta' sicieoi-
hre? si è indicato di sopra circa 5 m. distante da Velie-
tri, e quasi altrettanto' da Cora, è' situata sopra wrt |»ic-
ciolo colle e contiene 304 abitanti che dipendono dal Go-
verno e dalla Legaziowe di Velletri. Il suo nonie derivò
probabilmente da un Fundus Juliarms^ poiché non sussi-
ste ciò che asserì il Piazza, che Io traesse d'a s. Giu-
liano suo protettore, il quale piuttosto fu assunto come
protettore della Terra per la somiglianza del nome.
Esisteva questo castello sul principio del secolo XI J.
giacche in un codice dell'archivio vaticano veduto dallo
scrittore testé nominato si legge che essendo vescova
veliterno Leone^ circa l'anno 1101 fu in questo castello
trasportato il corpo di s. Marco papa, e vi riposò fino
alla metà dello stesso secolo, quando durante il papato
di Eugenio III. i Romani iti contro questo castellò la
incendiarono e trasportarono il corpo di questo santo in
Roma nella chiesa a s. Marco evangelista dedicata. Do-
po quella devastazione risorse , e sembra che sul prin-
cipio del secolo susseguente XIII fosse da Innocenz'o
III. infeudato alla sua famiglia , che era , come é noto
de'Conti di Segni, ritenendo però sempre il dominio di-
retto di esso la sede apostolica. Infatti essendosene im-
125
|)osscssato dopo la metà di quel secolo medesimo Gìof'
dano monaco di Fossa Nuova, papa Urbano IV. con bre-
ve dato in Orvieto 1' anno IL del suo papato il dì 18
jdecembre ingiunse all' usurpatore ed ai suoi fratelli di
restituirlo dicendo che era castrum spectans ad Romanam
Ecclesianif e chje veniva ritenuto in ipsius ecciesiae prae"
iudicium. Veggasi il Casimiro Memorie Ljtoriche ec. p. 156.
<BSeg. >\%V ■ / \;f
Ritornò in potare de* Conti , e nei 1301 Bonifacio
Vili, ne investì i figli e gli eredi di Adinolfo Conti, si-
gnore di Valmontone , mediante il censo annuo di 20
solài provisini. Quiudi si trova avere appartenuto per
metà ai Conti e per metà ai Colonna : e dal Notaio di
Nantiporto presso il Muratori Rer. Jtal. Script. T. III. p.
JJ. si trae .che nel 1482 Jacopo Conti lo saccheggiò e
distrusse sopra i Colonna, che l'aveano occupato intiera-
mente. Cessate le fazioni, e toruato tutto intiero in po-
tere della famiglia Conti, fu dato in dote a Costanza ma-
glie del duca Salviati, e così pervenne al card. Antonio
Maria, che molta cura ne prese sul declinare del seco-
lo XVI. ed adornoUo di fabbriche, I Salviati lo hanno
posseduto fino a questo secolo, e da loro per successio=-
ne venne ai Borghese che ne sono i siguori odierni.
L'aria insalubre di questa contrada ha mietuto la
popolazione di questa Terra , che va ogni dì più de--
cadendo, e fa prevedere che col tempo? come Galera,
v^rrà abbandonata. Il villaggio che in parte conserva fab-
briche di costruzione saracinesca, che rammentane il se-
colo XIII. é generalmente ben fabbricato, e soprattutto
la chiesa merita particolare menzione. Questa è ampia,
e dalla iscrizione apparisce che fu eretta dal duca Ja-
copo Salviati ad onore de' ss. Giovanni Battista e Gio-
vanni Evangelista l'anno 1650 dopo aver demolito la vec-
chia: e che il suo figlio Francesco Maria ne ampliò
126
i'apside Tanno 1690. Il palazzo è oggi ridotto a granaio,
e sulla sua porta è il nome del cardinale Anton Maria
Salviati. Ivi nel 1823 osservai alcuni quadri non ispre^-
gevoli, residuo di quelli che un di l'adornarono. ■'■'■
GJUSTINIANA v. BORGUETTO
GOGfiA y. 5. APPETITO V
.K,i!siO ^r-r^^^. \l FREGNA
Tenimento delTAgro Romano composto delle Tenu^
te dette Posticciola, Casale, e Monte della Criccia, che
comprende circa rubbia 102 divise ne'quarti denominane
ti Gasale , Pedica della Criecia e Grottoni. Questo fon^
do si estende a destra e sinistra della via latina da oc-
cidente ad oriente a partire dalla vecchia strada di Ma-
rino fino alla moderna strada , fra il miglio VI. e IX,
della via latina. * o . ; ,: r ;r : :::>n • I > ')il-
Il suo nome moderno deriva da quello che i To-^
scani appellano un fascio, o mucchio di biade secche
formato da molti covoni uniti insieme, quasi alludendo
alla riunione di varie tenute che lo formano. Nel seco^
Io X. , e precisamente l'anno 955, sappiamo per una bol-
la di Agapito II. data a favore del monastero di s. Sil-
vestro in Capite ed esistente in quell' archivio , copiata
dal Galletti ed inserita nel codice vaticano 8043 , che
questi fondi generalmente appartenevano a quel mona-
stero, designandosi uno col nome generico di cesina al
VI. miglio, nel quale si riconosce, almeno in parte quel-
lo di Posticciola ; 1* altro col nome di Ponte di Nono ,
perchè adiacente al ponte presso il nono miglio della via
latina, i cui confini si determinano, da un lato la forma
dèlia Claudia, ed il ponte suddetto, dall'altro la stessa
127
forma Claudia, che avea il nome di Àòeberatorium cioè
Abbeveratoio, dal terzo la corte de Moreni, e dal quarto
\\ limite che ricorreva presso Cripta Ardenda : e questo
coincide colla tenuta di Monte della Criccia: finalmente
il terzo dicevasi Dompnicaria, e corrisponde colla tenuta
di Casale : ed i confini di questo nel quale viene indir
cata una chiesa deserta, e la contiguità con quello an-
tecèdente di Ponte de Nono, sono il rivo Papatj, che è
la Marrana, che si dirige a porta s. Giovanni, la via la-
tina, la forma maggiore che sono gli archi della Clau-
dia, ed il fondo di Sette Bassi. ' ' M"''- ^'^'
II quarto de'Grottoni nella tenuta di Monte della
Criccia trae nome da vastissime rovine, che ivi rimango-
no, indicate confusamente negli scritti di Kircher, VoIt
pi , Eschinardi ec. ed in genere da tutti coloro che han-
no illustrato i contorni di Roma. Circa il IX. m, dell*
antica via latina, a sinistra è un gruppo dirupato, irrcr
golare di lava basaltina; e sopra questo per mezzo di
sostruzioni solide fu formato un piano eguale , capace da
contenere un fabbricato regolare : queste sostruzioni sono
costrutte di scaglie della stessa lava, tanto nel masso, quan-?
to nel rivestimento: e secondo l'altezza del greppo sono
ad uno, o a due ripiani: ed in qualche luogo dove non
faceva di bisogno non appariscono affatto. Sopra questa
spianata sorge un fabbricato vasto, composto di molte ca-
mere, che per la forma, pianta, e mancanza di luce mo-
strano aver servito di pianterreno, o basamento di una
villa antica, il quale nella parte che guarda Roma pre-
senta una linea di riquadri curvilinei , a guisa di archet-
ti chiusi, in parte costrutti di opera laterizia, in parte
di scaglie di selce, come il rimanente della fabbrica, for-
mando una specie di decorazione esterna: sopra ciascu-
no di questi riquadri è un ampio foro rotondo, che seb-
J)ene per le degradazioni apportate dal tempo, e dagli
128
uomini, esternamente si presenta come aperto posteriore-
mente a forza, nell'interno si vede essere stato aperto
in costruzione, onde dar lume ad un corridore, che ri-
corre in tutta la linea ed è rivestito di uno stucco gros-
solano, prova che non servì per usi nohili. Parallelo a
questo corridore, o crittoportico, verso mezzodì havvene
un altro illuminato da abbaini che si aprono sopra la
imposta 4ella volta. Intorno a questa gran rovina rigur-
gita la terra di frantumi di ogni specie, avanzi di que^
sta fabbrica stessa, che sebbene demolita mostra ancora
da lungi la sua imponenza, avendo circa 3000 piedi di
circuito. liBL pianta corrisponde ad un parallelogramma,
la cui lunghezza è nella direzione da occidente ad orien-
te: questo quadrilungo poi, nella direzione della via la-
tina prolungasi verso mezzodì con un'ala, quasi per rac-
chiudere uno spazio destinato a giardino , il quale era
scoperto soltanto verso mezzodì e verso oriente. In que-
sto prolungamento, o ala ravvisansi fra altre camere due
ambienti xon essedra curvilinea in fondo. Forse fu que-
sta una villa dell'agro lucullano, che da Frontino si co-
nosce da questa parte essersi esteso almeno fino al X.
miglio della via latina; aè la costruzione di opera incer-
ta in gran parte, disconviene a quella epoca. ^ a f . •
11 casale di Gregna è circa 7 miglia ed un terzo fuo-
ri dell' antica porta Capena , circa 6 e mezzo fuori di
porta s. Giovanni ed è fondato sopra un'antica conser-
V/a. Esso non dee confondersi con quello di Grotta di
Gregna, detto pure Casale Abbruciato, del quale parlossi
altrove.
..,,;^ \ S. GREGORIO, |, . !^,, . :j
Terra del distretto di Tivoli nella Gomarca di Ro--
ma , 8 miglia distante da Tivoli verso oriente , situata
129
■sul ripiano di una fimbria deHa cre«ta occidentale di
Mentorella. Questo ripiano vedesi tagliato ad arte intor-
no da tutte le parti , meno verso oriente , dove trovasi
congiunto con una specie d'istmo alla falda di un mon-
te del gruppo di Casape. Tal lavoro mostra ad eviden-
za che ne' tempi antichi questo punto non fu trascurato,
e che forse come Empulum « Saxula fu uno degli op-
pidi eretto dai Tiburtini a difesa delle loro terre da que-
sta parte verso i Prenestinì. Niuna memoria n'è fino a
noi pervenuta, e solo tal congettura deriva dal fatto.
Gessato lo stato di ostilità di queste contrade co*
Romani, alt'oppido successe probabilmente una villa, poi-
ché il suolo non è ingrato, ed amenissima è la situazio-
ne, a segno che ne'mesi estivi è una delizia il dimorar-
vi. Ma declinato l'impero, queste contrade andarono sog-
gette alla devastazione ed all'abbandono, e spacialmen-
te dopo le scorrerie de' Longobardi guidati da Astolfo
che misero a ferro e fuoco njel secolo Vili tutti i con-
torni di Roma e particolarmente il paese fra Tivoli e
Palestrina come nella storia di queste due città ho
notato.
Il Cassio crede , che questa Terra si formasse di
nuovo nel secolo XII dagli abitanti di Castel Faustinia-*
no, che ivi si ritirarono, ed io non so disconvenirne. In-
fatti comincia a comparire dopo quella epoca, e col no-
me di Castrum s. Gregorii leggesi un documento dell'
anno 1250 riferito nel tomo IV. degli Annali dei Camal-
dolesi, dove vien designato, come confinante col territo-
rio di un altro castello denominato Morella. Poco dopo
venne in potere degli Orsini , che lo ritennero fino al
declinare del secolo susseguente, in che si trova in pos-
sesso de'Colonnesi. Questi lo ebbero fino alla morte di
Martino V avvenuta l'anno 1431. Nelle vertenze insor-
te fra Eugenio IV. suo successore, ed i Colonncsi signo~
9
130
ri di Palestrina , questa Terra fu occupata dalle genti
di quel papa, che l'anno 1439 la concedette a Rinaldo
Orsini, onde rimunerarlo del suo attaccamento. Così s,
Gregorio tornato in potere di quella famiglia andò sog-^
getto a tutte le vicendp che derivarono dalla potente ini-
micizia fra gli Orsini ed i Colonnesi. Sul declinare del
secolo XVI. Gio: Giordano Orsini vendè questa Terra al
card. Prospero s. Groce, del quale si parlò nell'art, GE->
RICOMIO, Dopo la morte di quel porporato, Tarquinio
Santacroce vendè l'anno 1599 s. Gregorio per 130,000
scudi ai Conti, i quali l'anno 1637 lo vendettero insie-r
me con Casape a Taddeo Barberini. Ma non corsero mol-t
ti anni, che dai Barberini passò alla casa Pio di Savo-r
ja, che ancor la possiede. Imperciocché nel 1655 il card,
Carlo Pio acquistò dai Barberini questa Terra e Casa-»
pe, come avea comprato Gericomio dai Conti, aprì una
strada magnifica, ombreggiata da olmi, e da quercie pel
tratto di 4 miglia, fra Gericomio e Casape, ornò di giar-»
dini il subborgo della Terra, e chiamò ad accrescerne la
popolazione 90 famiglie, accordando premii, e franchigie.
Il Cassio raccolse dalle visite episcopali , che nel 1574
vi erano 1800 abitanti, i quali nel 1744 si erano ristret^
ti a 1400: oggi , secondo le ultime tavole di censimen-!
to, redatte l'anno 1828 per ordine di Leone XII, la po-
polazione di questa Terra è ridotta a soli 750 individui?
diminuzione fortissima è questa, in men di un secolo;
cioè dal 1744 al 1828 , la quale deesi a mio credere
particolarmente attribuire alla lunga assenza de' signori,
alle devastazioni del 1799, ed a varie malattie epidemi-
che, che han mietuto la vita a molti abitanti di essa ne'
primi quattro lustri di questo secolo.
Da Tivoli andando a s. Gregorio si siegue la stra-
da di Carciano e di Gericomio, la quale fino a Gerico-
piio, è stata descritta a suo luogo all'art. AEFLIANVS»
131
« GERKOMIO. Circa un quarto di miglio dopo Geri-
xomiO) vcdesi a destra un fontanile che yiene fornito di
acqua da una sorgente vicina che sgorga a sinistra del-
la strada, e qnindi si emtra nella bella alberata pianta-
ta dal cau-d. Carlo Pio, che araenissiraa .« ombrosa ren-
.de questa strada , aperta con grandissima arte e grave
.-dispendio jieUe falde di vl% monte «aleareo, e che a de-
stra oQre una vasta e magnifica veduta della campagna
.romana, soprattutto dopo la seconda svolta: sotto si ve-
Ae il colle Faustiniano, e si ravvisa, sebbene in distan-
za il ponte s. Antonio del quale i» fece menzione nel-
l'articolo AESVLA. Entrasi poscia nella olmata ricorda-
ta di sopra. Due miglia e mezzo circa dopo Gericomio
^lasciasi a destra una cappella diruta; ed un mezzo mi-
glio dopo si domina immediatamente la torretta che ser-
ve di segnale deirantico Castello Faustiniano. Non mol-
io dopo si vede dirimpetto in distanza la chiesa di s.
•Salvatore ombreggiata da belli cipressi, e quindi si pas-
«a dinanzi un'altra cappella in rovina. Verso 3 miglia
« mezzo dopo Gericomio, 7 e mezza da Tivoli si mo-
stra la Terra di s. Gregorio sopra le rupi, che le ser-
vono di mura, e quindi passata una terza cappella a si-
nistca., ed un fontanile, si discende al rivo, che trae
nome dalla Terra sovraindicata, perchè la bagna verso
occidente scendendo dalle pendici del Mentorella.
Passato questo rivo sopra un ponte moderno, vici-
410 ad un ponte vecchio rovinato , si arriva sotto alla
Terra, che da questo canto ha un solo accesso. Nell'in-'
terno presenta l'apparenza di un'antico vico, ma non vi
fio ravvisato alcuna traccia di colonne, od altro avan-
zo di antichità: le case presentano generalmente la co-
struzione de'secoli XI. XII. XIII. e XIV. le strade in-
teme sono tagliate nella rupe: nella chiesa nulla vi ha
che sia degno di particolare osservazione. La porta prin-
132
cipale è verso oriente, dove questa falda isi léga al grup-
po de'monti di Casape, detto la Rocchetta, con una spe-
cie d'istmo, come fu notato di sopra: una lapide ivi si
legge posta dal commune ad onore di Gisberto V. Pio
di Savoja , r anno 1758 perche concesse il ius haeredi'
tatis agli abitanti del commune mediante la corrisposta
annua di scudi otto.
,/ o :U GROTTA FERRATA. ,> « i? .
■■'," '■""",""■ (ìrepta levtatCL ' " :';.'•.:
f)Uti<- ■■.,.- :-^ ' ■
.'f Borgo della Gomarca di Roma, distante dalla capi-
tale circa 12 miglia e mezzo, a destra della via latina,
e circa 3 a sud di Frascati presso la celebre ed antica
Badia di monaci basiliani , il solo monastero di quest*
ordine negli Stati Romani, che s. Maria di Grottaferra-
t^;' si appella. La sua popolazione ascende a 614 abitanti
appodiati al Governo di Frascati. Gli astronomi Conti e
Ricchebach ne hanno determinato l'anno 1824 la latitu-
dine a 41°. 47'. 6". 8 e la longitudine a 30°. 19'. 24". 8.
La sommità de] campanile della chiesa abhaziale secon-
do i medesimi è 1127 piedi e 3 pollici sopra il livello
del maicp.
..; ; 11^ ^ome di questa Badia, communicato alla Terra
si fa derivare d% una grotta ivi esistente e chiusa con
ferrata, dove vedevasi dipinta sul muro la immagine del-
la Vergine, che oggi si venera nella chiesa. Questa tra-
dizione, alla ijuale si appoggia la origine del monastero,
non presenta alcuna cosa d'improbabile, e d' altronde è
una chiara spiegHzione di un nome , che ne' documenti
s'incontra fino dalla metà del secolo XI; imperciocché,
il Galletti riporta nel Primicerio p, 283 un'istromento
133
estratto dall'archivio di s. Prassede e pertinente all' an*
DO 1060, dal quale apparisce, che Giovanni arci-canonico
della canonica di s. Giovanni a porta Latina , col con-
senso de'suoi colleghi concedette in enfiteusi a Luca ab-
bate del monastero di s. Maria quae ponitur in locum quod
nuncupatur Criptaferrata la chiesa di s. Primitivo di Ga-
bii ec. Quel Luca abbate ivi rammentato fu il settimo,
che resse questo monastero, siccome ricavasi da un mo-
numento marmoreo esistente ancora nella chiesa di Grotr
taferrata e che qui sotto io riporto. '*>
Narrasi nelle storie di questo monastero, come sul
finire del secolo X, essendo le coste della Italia meridio-
nale continuamente esposte alle stragi de' Saraceni, che
erano padroni della Sicilia, i monaci, che vi si trovava-
no furono costretti a ritirarsi nell'interno, e verso la par-
te più settentrionale del tratto oggi noto col nome di Re-
gno di Napoli. S. Nilo , egumeno , cioè capo di uno di
questi monasteri si ritirò dapprima verso Gaeta , dove
incontrossi con Ottone III imperadore, il quale invitollo
a venirsene co'suoi monaci a Roma. Quel santo abbate
venuto alla capitale del mondo cristiano, dopo la morte
di quell'imperadore accaduta l'anno 1002 ritirossi in que*>
sta parte del territorio tusculano, ed ottenne permesso,
e terre da Tolomeo conte di Tusculo, signore della con-
trada, onde poter eriggere un nuovo monastero pi'esso la
grotta sovraiudicata: suoi compagni più insigni furono i
monaci Paolo, Cirillo, e s. Rartolommeo, i quali imme-
diatamente l'uno dopo l'altro gli successero nel governo
di questo nuovo monastero, che ben presto per la pietà
de'conti tusculani, e di altri signori ricchi e potenti fu
di molti beni dotato, in guisa che questa Badia contos-
si fino al secolo XV. fralle più insigni dei contorni di
Roma, pareggiando quelle di Subiaco, di Farfa, di s. Pao-
lo, e di s. Anastasio. Sul declinare però del secolo XYa,
•'V,-
134
fa da Sisto IV data in commenda ad un cardinale , c(£
il primo abbate commendatario fu il cardinal Giuliano^
della Rovere, suo nipote, poscia papa Giulio II.
Durante il governo degli abbati basiliani abbiamo*
nella cronaca di Riccardo da s. Germano riportata daF
Muratori Rer. Ital. Script. T. Vili, come Federico IL
Tenuto contra Roma mise il campo a Grottaferrata V
anno 1241 e die il guasto ai contorni della città, onde'
forzarla alla resa- Nel giugno poi dell'anno seguente 1242,
dovendo abbandonare l'assedio , portò> via da Grottafer-
rata due simulacri di bronzo^ che fino allora erano stati
ivi ad ornamento' di una fontana, cioè di una statua di
uomo^ ed una vacca^ la «piale, aquam p9r sua foramina
artificiose fundebat, e li fé come bottino trasportare a Lu-
cerà, dove erano acquartierati i saraceni che avea as-
soldato. Questi due simulacri mi fan sospettare che po-
tessero essere de'capo lavori dell'arte antica, sia traspor-
tati dai conti tusculani da Roma, sia rinvenuti nelle
ville antiche del territorio tusculano r e soprattutto la
vacca poteva ben essere una di quelle celebri di Mi-
rone , che si vedevano a' tempi di Properzio dinanzi al
tempio di Apollo Palatino , o quella che Procopio vide
ancora esistente nel Foro Roario nella prima metà deF
sesto secolo della era volgare. Sul decfinare del secolo^
XIV alloggiò in Grottaferrata nel suo viaggio ad Ana-
gni papa Gregorio XI, e vi dimorò due giorni allettato»
dall' amenità del sito , descritta dal Massonio scrittore
contemporaneo riportato dal Muratori Rer. Ital. ScripL
"Tl'ÌIL P. IL in questi termini:
i/i ■ .n-
Situs hic est in montibus supra mare in lucis densosis :
Conventus iste est Coenobitarum graecorum fundatus in
honorem Mariae Virginis.
Jjdcus est valde amoenus. Distat ah urbe decem milliaribus
eircumdatus lympkit.
185
toomus est bene fundata supra firmam petram^ licet in locis
aquosis:
tn ea mansit serena sanctitas praesularis gemmata diaetti
propter amoenitatemé
Durante poi il pontificato di Sisto IV narra il Nàn*-
tiporto nel Diario riportato dal Muratori 1. n. che ai 5.
di giugno 1482 vi allogiò il duca di Calabria con 3000
fanti e 20 squadre di cavalli. Questo stesso scrittore, e
rinfessura raccontano, che nella notte de'9 a 10 di giu-
gno 1484 fu sorpresa la Terra e l'abbadia dai Colon-
nesi a danno degli Orsini, e non furono discacciati co-
storo, se non dopo aver recato molti guasti. E sotto Si-
sto IV medesimo per attestato dell'anonimo autore della
8ua vita presso il Muratori nella raccolta sovrallodata ,
dopo questi guasti fu ristaurato il castello , e ridotto
nello stato attuale per opera del card. Giuliano suo ni-
pote, che poi fu papa col nome di Giulio IL
Da Roma si va direttamente a Grottaferrata , se-
guendo la strada di Frascati fino a Tor di mezza via ,
situata circa 6 m. fuori di porta s. Giovanni: ivi è il
bivio: la strada a sinistra conduce a Frascati , quella a
destra raggiunge circa 2 m. dopo la via latina al Ca-
salotto di Gregna, e per Morena, Ciampini e Borghetto
sale a Grottaferrata.
Da Frascati poi si va a Grottaferrata seguendo la
strada, che conduce a Marino, e poco prima del ponte
de'SquarciarelIi, cioè 2 m. dopo Frascati si volge a de-
stra ; nello scendere verso questa Terra , passasi vicino
ad un fontanile, che si lascia a sinistra, sul quale una
iscrizione ricorda, che Alessandro Farnese cardinale co-
strutto quel vaso, raccolse l'acqua Tepula per l'uso pu-
blic© l'anno 1567. Errore certamente è quello di chia-
mar Tepula questa acqua, che non è che la Crabra me-
136
scolata colla Giulia: la Tepula, secondo Frontino sorger»
due miglia più sotto verso Roma. Un' altra strada più
commoda , più brève , e più amena conduce a questa
Terra da Frascati , quando può traversarsi la villa già
Peretti, poscia Odescalchi , ed ora di Propaganda Fide ^
e che suol designarsi co'nomi di villa Montalto, e villa
Bracciano , dalla patria de' Peretti , e dalla Terra un di
feudo degli Odescalchi. Questa strada, dopo aver traver-
sato quella villa, entra nel bosco delizioso di Grottafer-
rata , e dopo un ponticello , tagliata la via latina , che
viene da Morena, entra ne' viali magnifici di olmi e pla-
tani secolari, che conducono alla Badia.
All' avvicinarsi ad essa, il ponte, il fossOy le mura
merlate , le torri , e la porta tatt' altro annunciano che
l'abitazione tranquilla di pochi cenobiti, che passano la
vita in salmeggiare in lingua greca, ed orare; ma. con-
viene ricordarsi che Giulio li. ossia il card. Giuliano
della Rovere nipote di papa Sisto IV. che siccome in-
dicossì fu abbate commendatario di questo monastero ,
seguendo 1* uso di que' tempi ne fece una fortezza. Le
arme, ed il nome suo ripetutamente si veggono frammi-
schiati agli ornati dell'architettura,, e la rovere domina
perfino ne' capitelli delle colonne del palazzo abbaziale,
nel quale oltre la bella architettura , altro oggi non si
ammira, se non alcuni frammenti di scultura antica, ri-
trovati in queste vicinanze , e che si dicono appartene-
re alla villa di Cicerone: fra questi meritano particola-
re menzione due bellissimi bassorilievi, e soprattutto quel-
lo rappresentante una figura assisa con una pantera sot-
to, opera certamente di esimio scalpello greco. Ho det-
to che questi frammenti si attribuiscono alla villa di Ci-
cerone; poiché è noto, come fin dal secolo XVI. si vol-
le collocare in questa parte quella villa famosa tuscula-
na dell' oratore romano; e nel secolo passato il monaca
137
basiliano Sciommari con una erudita dissertazione cer-
cò di provarlo; ma a questa con ragioni più convincen-
ti rispose il gesuita padre Gio. Luca Zuzzcri, mostran-
do, che quella villa era nella' parte più alta de'eoUi tu-
sculani, e non nella falda bassa, cioè sopra la Rufìnellai,
e non a Grottaferrata. La opinione di questo gesuita si
trova appoggiata dall' autorità di Cicerone stesso , e da
scoperte di monumenti, onde io non esito punto a por-
mi dal canto suo , e nell' articolo TVSCVLVM tratterò
questa questione più di proposito. Qui mi giova però di
notare ) che certamente il sito di Grottaferrata non po-
tè essere trascurato dagli antichi per collocarvi una vil-
la: che questo si trova confermato dai ruderi esistenti,
e dai frammenti scoperti; che, se i passi di Cicerone e
dello scoliaste di Orazio si oppongono a ravvisarvi quel-
la di Cicerone, questi certamente non possono esclude-
re di riconoscervi una delle tante ville tusculane , che
vestivano queste falde sul declinare della republica , e
nel primo secolo dell'impero, siccome chiaramente si leg-
ge in Strabone ed in Frontino ; e nel 1127. ancora sì
conservava il nome di fundum Ponpegii, cioè Pompei ad
ima terra posseduta presso Grottaferrata dai monaci di
s. Alessio di Roma. Veggasi il Nerini p. 234
Dentro il recinto sovraindicato del card. Giuliano
della Rovere, oltre poche case ed il palazzo dell'abbate
commendatario, altro non v'ha di particolare che il mo-
nastero, e la chiesa. Il monastero non presenta oggetto
degno di speciale menzione: la biblioteca è povera e male
ordinata. Non cosi la chiesa, la quale io credo doversi
dividere in tre parti: vestibolo, chiesa propriamente detta,
e cappella de' ss. Nilo e Bartolommeo. E quanto al ve-
stibolo, la sua porta esterna è ornata con stipiti antichi
tolti da qualche fabbrica del III secolo della era volga-
re: e r architrave venne folrmato coli' orlo superiore di
13»
un sarcofago antico, che si direbbe lavoro de'terapi set-'
timiani: nella chiave di questo architrave medesimo è in-
castrato un toroy scultura de'tempi bassi. A sinistra dell»
porta, è la protorae di Faustina Terenrj di Nettuno, la
quale come dalla lunga iscrizione ivi apposta apparisce^
essendo venuta a visitar questa chiesa, dopo aver fattoi
le sue divozioni in Albano , nello scendere da cavallo
rimase improvvisamente estinta dinanzi a questo vesti-
bolo nella età di 35 anni. Questa memoria fu posta dal
padre e dallo zio suo l'anno 1619.
Da questo vestibolo, che è di una data più antic-at
del rimanente della chiesa, e che forse è la parte unica
che rimanga della chiesa primitiva, si entra nella chiesa
propriamente detta, la quale fu riedificata, e messa nello*
stato presente nell'anno 1754 dal card. Guadagni, abbate
commendatario. La porta conserva gli stipiti e 1' archi-
trave della chiesa orignale eretta nel secolo XI. Gli sti-
piti sono ornati di pampani e grappoli, simbolo comune
ne'primi tempi del cristianesimo, onde denotare la Chie-
sa, come si legge nella tribuna di s. Clemente in Renna;
ECCLESIAM CHRISTI VITI SIMILABIMVS I&TI , ec,
e suir architrave in una sola linea in lettere greche ài
quel secolo, cioè lunate, come si legge:
OIKOr MEAAONTEG EICBENEIN nTAHN : EEQ-
TEN OIC0E THC ME0HC TÙIS OPONTIAON : IN
ErMENQC ETPOITE TON KPITHN ECS: cioè: Voi
che siete per entrare nella porta della casa , portate fuori
l'ebbrietà de'pensieri onde benigno troviate il giudice dentrot
quanto bello e religioso è il concetto di questa epigrafe,
altrettanto rozza è la forma de'caratteri, inattesa la or-
tografia e basso lo stile. Sulla stessa porta espresso i»
musaico si vede Gesù Cristo , che ha a sinistra la Ma-
donna , a destra s. Basilio in abito monacale: fralla fi-
gura della Madonna, e quella del Redentwe è espresso
139f
firn monaco di minore sCatura, che secondo il costume di
^e'tempi indica quello che ordinò, o fece il lavoro, il
quale è in ogni parte coevo alla formazione della porta.
Entrando in chiesa, sull'arco dell'aitar maggiore, ia mu-
saico dello stesso tempo di quello antecedentemente de-
scritto, veggonsi rappresentati i dodici apostoli, che as-
sistono, sei per parte al trono di Dio. Nella navata a de-
stra , di chi entra , giacché in tre navi questa chiesa è
divisa, è la seguente iscrizione greca affissa nel muro
presso la porta che introduce nella cappella di s. Nilo:
essa è in caratteri barbari, con sigle, e gira intorna ad
una specie di ornato di musaico di smalto e pietruzze,
nella massima parte perduto. Era dapprima situata net
fondo del Pesehio, ed il volgo la chiamava la pietra di
Salomone, donde i monaci la fecero trasportare dove oggi
si vede. Questa iscrizione è importante, poiché dà i nomi
de^primi 12 egumeni , o abbati , e non 13 come in al-
cuni scrittori si legge i quali presero per nome proprio
quello di HFOYMENOC ossia egumeno, cioè abbate, ag-
giunto a quello di Paolo che fu il secondo dopo s. Nilo che
ressero questo monastero, cominciando da s. Nilo, che fu
il primo: e ricorda il nome dell'abbate Nicolao Uster,
che fu il decimo fra questi , il quale costrusse l' aula
della chiesa: le due linee superiori dicono così: 1. lin.
EKOIMH0H- O AIIOG NHAOG- ETOC /3<f.ir- HAT-
AOC. B. HrOTMENOC KTPIAAOG. F. A O AIIOC
BAP0O
2. lin. AOMEOC. E. AEONTIOC <r APCENIOG Z
AOTKAC. H 0EOAQGIOC. 0 IQNAC- I NIKOAAOG-
lA NIAOG IB 0EOAQPITOG : cioè : Riposò s. Nilo
Vanno 6513. Paolo IL egumeno: Cirillo HI. IV. s. Bar-
tohmmeo , V. Leonzio , VI. Arsenio , VII. Luca , VITI.
TeodosiOy IX. Giona, X. Nicolao, XI. Nilo, XII. Teodo-
rito. Sotto a sinistra , in latino è scritto CONSTRVIT
140
HANC AVLAM NICOLAVS VSTER DECIMVS ABKAS.
A destra: nAPEAABON THN HrOTMENIAN ETQ
NIKOAAOC TOnAIAIN- THC KPTnTO$EPAC KAI
TOT POT^PATTOT ETOG jSXM INAI I + Ricevei
l'abbazia (l'egumenia) io Nicolao Topaidin di Grottafer^
rata e di Rufratio l'anno 6640, indizione X. L'anno 6513.
ivi indicato corrisponde alla data dell'anno 1005. della
era volgare in che s. Nilo morì, giacché i Greci conta-
vano allora secondo il calcolo della creazione del mon-
do: l'anno 6640. per conseguenza corrispondeva al 1132,
al quale questo monumento appartiene.
Un altro monumento importante de' bassi tempi è
nella navata sinistra, cioè una pietra sepolcrale, che con-
tiene per arma gentilizia un'aquila di musaico, stemma
de'conti tusculani, la quale si erede per aver servito di
sepolcro a papa Benedetto IX, che era appunto di quel-
la famiglia, e che è celebre nella storia dall'anno 1033.
fino al 1048. Sopra questo monumento scrisse una dis-
sertazione il Piacentini. Oltre questi monumenti, altro la
chiesa di particolar rimembranza degno non contiene, che
la immagine molto venerata della Vergine titolare della
chiesa medesima, posta sull'altar maggiore.
La cappella dedicata ai ss. Nilo e Bartolommeo ,
abbati di questo monastero è ornata di pitture a fresco,
che giustamente riguardansi come capolavori del Dome-
nichino , il quale fu particolarmente raccomandato per
questa opera dal suo maestro Annibale Caracci al card.
Farnese. Era allora quel valente artefice in età di soli
anni 29. e fece questo prodigio dell' arte moderna: in-
fatti sul soffitto si legge la data dell' anno 1610, ed è
noto che Zampieri nacque nel 1581. Siccome per la in-
curia, e per la umidità questi dipinti aveano molto sof-
ferto il card. Consalvi, abbate commendatario, commise
al pittore Camuccini di farli ripulire, e ristaurare sotto
141
la sua direzione, e questo venne eseguito l'anno 1819:
allora vi fu posta una iscrizione, ed un ritratto dell'ar-
tista in marmo. Sotto di questo è un antico vaso bat-
tesimale del secolo XI, o XII. intorno al quale è scol-
pita la pesca , allusiva alla conversione delle genti. Il
quadro dell'altare di questa cappella, dipinto ad olio dal
Caracci, rappresenta i ss. titolari Nilo e Bartolommco ,
che pregano la Vergine. Meno questo, tutti gli altri di-
pinti, che sono a fresco, rappresentanti i fatti di s. Ni-
lo, e le immagini di varii santi e sante, sono del Do-
meaÌchÌQO.>'i;»'->;;p il» ««(j-f-in-..,.--.! £tìU;li ;-;l./V BÌ'mi:i\)simi
E cominciando dall'altare stesso, sulla parete a si-
nistra è il miracolo dell'indemoniato, liberato per le pre-
ghiere di s. Nilo coU'olio della lampada accesa dinanzi
la immagine della Madonna. Il fanciullo invasato mena
bava dalla bocca, imbrividisce, tende e contorce i mu-
scoli, come agitato da convulsioni violente, travolge gli
occhi, e drizza i capelli in modo da eccitare ai riguar-
danti compassione e terrore: ammirabile è la compostez-
za e r affetto del santo , che prega fervorosamente e
sembra col suo raccoglimento e col suo fervore esig-
gere quasi la grazia; mentre dall'altro cauto s. Bar-
tolommeo imperturbabile nel suo officio intinge le di-
ta nella lampada, onde liberare l'ossesso: il padre e
là madre deirinfelice ragazzo ondeggiano sbalorditi fra
il timore e la speranza. Sopra nella lanetta è rappre-
sentata con figure più picciole la morte di s. Nilo ,
pianto da'suoi monaci, che gli fan corona intorno al-
la bara. Dirimpetto alla pittura dell'indemoniato è ef-
figiata la Vergine, che assisa in mezzo alla gloria de-
gli angeli porge un pomo di oro ai due santi monaci,
i quali ginocchioni distendono le mani per riceverlo.
Fuori dell' altare sulla parete sinistra è il gran quadro
rappresentante l' incontro di Ottone III con s. Nilo ,
142
allorché questi si era rifuggiato presso Gaeta. L* im-
peradore rivestito di manto azzurro con fiori d'oro,
sceso da cavallo estende riverente le braccia al santo ,
il quale «nche egli volge umilmente le braccia all' Au-
gusto , spirando nel volto santità ed affetto : egli è se-
guito dagli altri monaci colla croce, ed il turibolo: Tira-
peradore è accompagnato iia una schiera di soldati a pie-
di e a cayallo, da valletti ed altri ministri, e fralle te-
ste più visibili, Domenichino ritrasse se stesso, ed i suoi
compagni di studio Oujdo, e Guercino: è veramente me-
ravigliosa la verità della espressione di que'che dm suo-
no alle trombe, ed a^ altri stromenti militari, ne* qua-
li si legge dipinta sul volto la inflessione della cadenza,
Dincontro a questo dipinto è un' altro miracolo de' due
santi; mentre s. Nilo stassi intento a guardare il dise-
gno e la pianta della nuova fabbrica di Grottaferrata ,
si rompono i canapi, che reggevano una colonna che s'in-
nalzava, e sul punto in che questa cadendo avrebbe in-
franto molti operai, s. Bartolommeo colla mano la reg-
ge , volgendosi a s. Nilo , quasi in atto di domandargli
soccorso; incredibile è il numero degli aceessorii e de-
gU episodii, co'quali il pittore arricchì ed animò questa
composizione, e bellissime sono le architetture, e le pro-
spettive. Gli ultimi due dipinti veggonsi sulle pareti a
destra e sinistra del vaso battesimale: e a sinistra di chi
guarda il vaso, cioè dal Iato del quadro testé descritto
è effigiato s. Nilo, che ottiene colle sue orazioni che si
dilegui un terribile temporale che minacciava la distru-
zione delle messi sul punto di essere riposte ne'granai.
E dirimpetto a questo lo stesso santo ginocchioni, in se
raccolto pregando vien benedetto da Gesù Cristo che di-
stacca dalla croce la destra. Ne'sesti dell'arco dell'alta-
re è espressa l' Annunziazione della Vergine.
143
GROTTA DI GREGNA
V. CASALE ABBRUCIATO-
GROTTA MAROZZA-EmTYU
©rjjpta Jtlaroja,
. i,»
Tre buone miglia più oltre di Lamentana I* antica
Kementum, ed altrettante da Monte Rotondo, che é quan*
to dire circa 17 m. e mezzo fuori di porta Pia , o di
porta Salaria, dove si uniscono le due vie, che da que^
fite escono, in una sola, la quale si dirige a Monte Li^
bretti , Mons Brtifiorum , si vede sorgere a sinistra un
colle isolato, difeso intorno da un ciglio, e piano sulla
sommità, it quale ha poco meno di un miglio di circon-^
ferenza, ed a prima vista si presenta come il luogo di
on antico oppidum, o terra fortificata. É questo il col-'
le detto di Grotta Marozza , nome commune a questa
contrada e che deriva da una grotta scavata nel tufa.
Nelle carte de'tempi bassi sovente s*incontra il nome di
Marozia, o Maroza che é un vezzeggiativo, di quello di
Maria, e che per la prima volta si rese celebre sul prin-
cipio del secolo X per la figlia di Teodora, la quale spo^
sala ad Alberico conte tusculano portò dalla madre in
dote il potere e le arti di signoreggiare, onde fu arbi-
tra per varii anni di Roma e del suo distretto. E se que-^
sta sola avesse portato un tal nome , io non esiterei
neppure un momento per dichiarare, che lo avesse com-'
municato alla contrada in questione, ma ho notato, che
altre donne e non poche ebbero questo stesso nome ne*
secoli bassi, e soprattutto neH'XI particolarmente in Sa-
bina; onde eonvieu confessare, che l'azzardare qualun*
que congettura su tal proposito sarebbe un ardire.
144
Quello però che con sicurezza posso asserire circa
Grotta Marozza è che tal denominazione conta più di
sei secoli almeno , imperciocché nella bolla di papa In-
nocenzo III data l'anno 1203 a favore de' monaci di s.
Paolo e riportata dal Margarini nel BuUarium Cassinen-
se T. I fra gli altri beni di quel monastero si nota il
Castrum Numentanae e la Cryptam Marozam, terre, che
furono confermate a quel monastero da Onorio III nel
1218 , e da Gregorio IX nel 1236. Queste non molti
anni dopo, per testimonianza di Gentile Delfino del Dia-
rio riportato dal Muratori Rerum Ital. Script. T. Ili P.
II. p. 843 vennero in potere degli Orsini, che le riten-
nero fino al secolo XVII. Nel Diario sovrannotato in luo-
go di Grotta Marozza per errore del trascrittore, o del
tipografo leggesi Grotta Manezza. iu .<-.. '.u; Jin *
Non senza grave motivo ho indicato con molta pre-
cisione, la distanza di Grotta Marozza da me stesso ve-
rificata, imperciocché stabilita questa, ne segue diretta-
mente di poter determinare il sito di Eretum , prima
città, o borgo de'Sabini da questa parte, immediatamen-
te confinante con la colonia latina di Nomentum. Stra-
bone lib. V. e. III. §. 11. dice che nella pianura, per
la quale scorre 1' Aniene, scorrevano pure le così dette
acque Albule, fredde e da molte sorgenti, salubri per
que'che le beveano, o vi si bagnavano, per varie malat-
tie; simili erano pure le Labane non lungi da queste, le
quali erano nell'agro nomentano, e presso Ereto: passo
che mostra la prossimità di questo luogo al territorio
di Nomento, e la esistenza di acque minerali sulfuree,
che ivi pure oggi esistono , e che portano il nome di
bagni di Grotta Marozza. Questo medesimo scrittore por-
co prima §. 1. avea notato, che nella via salaria cade-
va la via nomentana presso Ereto , borgata della Sabi-
na , la quale stava al di sopra del Tevere : e la giun-»
145
zione delle due strade si vede prima di Grotta Marez-
za: giacché il corso della via salaria antica, dopo il pon-
te di Malpasso all'VIII. miglio non era quello della sa-
laria odierna fralle colline ed il Tevere, ma entrando a
destra ne'campi, traversando le tenute della Inviolatella,
della Marcigliana , e di Massa , entrando nel territorio
di Monte Rotondo , lasciava a sinistra questa Terra , e
dopo aver ricevuto la Nomentana prima di Grotta Ma-
rozza, passando sotto Monte Libretti, che lasciava a de-
stra, entrava nella Salaria attuale circa al miglio 28 da
Roma, cioè alla osteria, che trovasi prima della scesa
di ponte Mercato. E questa strada antica si traccia tut-
ta ancora, e se ne conosce la causa, riflettendo, che il
corso antico del fiume accostandosi alla riva sinistra , nel
tratto fra i colli di Monte Rotondo, e quelli della Mar-
ciliana fino al ponte di Malpasso non lasciava luogo ad
una via consolare. Questo pertanto è un nuovo documen-
to per fissare a Grotta Marezza il sito di Erctum: che,
se la espressione di Strabene ùntp tou Tr^SjSSCjg x£Jjtjt,£v>jy,
che descrive la borgata al di sopra del Tevere faccia al-
cun'ombra, si rifletta che il colle di Grotta Marezza, an-
che secondo il cor^o attuale del fiume non è 3 miglia
distante da esso, ed anticamente era molto più vicino,
ed a coloro, che scendono pel Tevere da Correse sem-
bra che quasi sia immediatamente sul fiume stesso : e
nella, stessa guisa che si dice oggi star Piano sul Teve-
re, mentre in linea retta è più di A miglia distante, po-
tè jdir Strabene di Ereium ossia Grotta Marezza, che star
ri
va sul Tevere. r
^,1-^ij^èr' veduto che Strabene ai tempi suoi lo indica
come borgata : xwfxvj : vice le chiama Valerio Massimo
lib. II. e. IV. §. 5. che pure ne mostra la vicinanza al
Tevere: noktg, e città, ripetutamente la dice Dionisio lib.
Ul^'^y.^ed XJ: oppidum Servio negli scolj a Virgilio Uh£
10
146
VII. denominazioni che comparate con altri luoghi no^
minati dagli antichi scrittori, e colla mediocre estensio-
ne di Eretum potevano egualmente convenirgli, D'altron-'
de Strabone slesso dichiara più sopra, che Trebula, E-^
reto , ed altre Terre di tal fatta , frai borghi piuttosto
che città dovrebbero enumerarsi. Finora sj è veduto, cor^
me per la vicinanza delle acque minerali sulfuree , per
la prossimità del territorio nomentano a quello di Ere»
io, per la giunzione della via salaria colla nomentana ,
per la vicinanza al Tevere , e per la mediocrità della
estensione della Terra non cade dubbio onde riconosce^
re Ereto a Grotta Marozza. A tutti questi argomenti si
aggiunge l'altro e positivo della distanza da Roma. Dio-»
nisio lib. XI. e. III. mostra come i Sabini l' anno 307
di Roma dopo aver dato il guasto alle terre limitrofe^
de'Romani si accamparono in E reto, città che stava 140
stadii distante da Roma, vicino al Tevere: ora il nume^
ro non è espresso in cifra; ma scritto distesamente con
letterte e 140 stadii equivalgono a miglia 17 e mezzo,
che è precisamente la distanza di Grotta Marozza. VU
tinerario di Antonino conferma la esattezza di questo
numero, poiché non notando mai le frazioni, con nume-r
rb tondo pone Ereto come prima stazione sulla via sa--
laria al XVIII miglio da Roma: altrettanto si ricava dal-
la Carta peutingeriana, che nota per primo luogo Fide-r
ne, dove mancando il numero facilmente si supplisce, es-»
sendo stabilita la posizione di quella città al quinto mi-^
glio da Roma, e poi Ereto che segna XIII, distante da
Fidene, ossia XVIII. da Roma. Ora per tutte le ragio-
ni sovraìndicate può asserirsi che pochi luoghi antichi
presentano tanta certezza di posizione quanto Ereto, seb»
bene spariti siano tutti gli avanzi. Questi medesimi ar-
gomenti in gran parte , ma soprattutto la distanza da
Boma escludono affatto la situazione di Eretum a Mon-
147
te Rotondo, come ciercò di stabilire il CluTorio, seguita ^
poscia troppo ciecamente da altri scrittori posteriori, sen-
do che Monte Rotondo non è dopo la giunzione delle
due strade; ma prima, non é nella direzione della via
salaria antica, ma di fianco; che se è a contatto col téé^
ritorio nomentano, e sopra un monte presso il T^YerèJ
la sua distanza da Roma appena giunge a 15 miglia e
non a IStf^ob n ,, rj f.Tt'jw. -i ^
Ereto fu città di antichissima data , gl«icchè se né
ascriveva la fondazione ai Pelasgi, i quali, secondo So-
lino e. Vm. così la chiamarono perché sacra particolare
mente ad H/9«, o Giunone: e questa etimologia si cotta'
ferma da Servio nel luogo notato, aggiungendo, che quel-
la dea ivi si venerava: oppidum est dictum uno tvjj Hoag
idest a lunone quae illic colitur. Tale antichità si confei<i
ma da Virgilio, ^en««V/. lib. VII. v. 711 che fratte Ter-»
re sabine che presero le armi nella guerra contro di
£nea nomina la Ereti manus omni&. E come sabina que-
sta città costantemente viene indicata da Dionisio, StriF
bone, e Valerio Massimo, ne'passi testé ricordati, e dà
Stefano, che nolcg Ix^ivav la dice. Oltre la parte pre-
sa nella guerra contro di Enea non ci rimangono altri
fatti particolari di questa Terra. Livio libro I. e. XXX.
parlando della guerra fra Tulio Ostilio, e i Sabini, di-
ce, che si diede una battaglia atroce frai due popoli ad
Sylvam Malitiosam, nella quale i Sabini furono vinti. Dio-
nisio lib. III. e. XXXII. narrando i fatti di quella guer-
ra con maggiori particolari dice, che antecedentemente
si die una battaglia non lungi da Ereto, ossia nel ter-
ritorio di quella città 107 stadii , cioè circa 13 miglia
« mezzo distante da Roma ; e questo numero come si
Tede , non può essere in opposizione diretta con quello
che determina la distanza propria di Ereto stesso a 140
stadii, quindi senza ricorrere a correggerlo, senza nep-
m
pure assicurare! che sia esatto,', giacche il codice ratica-t
no dà 160 in luogo di 170, giova soltanto riflettere che
mostra la distanza da Roma del liiogo dove fu datala
battaglia e non della Terra nel cui territorio si diede.'
Dallo stesso storico poi lib. III. cap. LIX, conosciamo
che l'anno 166 di Roma presso Ereto ritiraronsi gli E-
trusci nella speranza di essere soccorsi dai Sabini du-
rante la guerra centra Tarqainio Prisco, e dopd la rot-
ta riportata presso Fidene; ma la rapidità del re di Ro-
ma prevenne ogni tentativo su tal proposito, e gli Etru-
sci furono compiutamente disfatti. Ed in quella batta-
glia Servio Tullio ancor giovanetto die prove di gran
valore, come narra lo stesso Dionisio lib. IV. e. III. Al-;
tra battaglia ivi dappresso die Tarquinio il Superbo ai
Sabini, descritta dallo- storico sovrallodato lib IVv e. LI,
ed altra poco dopo la espulsióne de' re 1* anno 253 di
Roma ne diedero ai Sabini stessi i consoli Postumio Tu-,
berto e Menenio Agrippa. Ed ivi pure si pugnò frai Ro-i
mani ed i Sabini 1' anno 299. Livio lib. III. e. XXYI,
^ seg. In Ereto si accamparono i Sabini contro i Roma-
ni durante il reggimento decemvirale l'anno 307. guer-
ra descritta da Livio lib. III. e, XXXVIJL e seg. Que-
sti successivi Campi e battaglie in que'din torni dimostra-
IH) la importanza della posizione di ^reto, e la località
propria al muovimento degli eserciti, fatto che si rico-
nosce a priiria vista gittando l'occhio sulla mappa, e ri-
cordandosi, che il Tevere radeva allora le falde del Col-
le di Monte Rotondo, ossia phft. si, stringeva più verso
Ereto. r'-<) no:', ■:'■
xì ss. "Livio lib. XXVI. e. XI. ha conservato la memoria
che Celio narrando la spedizione di Annibale centra Ro-
ma le diede un' altra direzione mostrando, come il ca-
pitano cartaginese dalla Campania si volse verso il San-
zio, di là ne'Peligni, quindi ne'Marruccini, e poscia per
_ m
Araitefno, Fornii, Ctitilia, e tteate sen Vetìhe ad Ef^fÒ}
donde portandosi Terso Roma deviò a saccheggiare i! lu-
co di Feronia sotto il Soratte, ritornando poscia per la
strada, che Livio avea di sopra descritta, nella Campa-
nia, cioè facendo fare ad Annibale tale marcia in modo
inverso. Comunque però voglia prendersi è certo che sia
nell'andare verso Roma, sia nel tornare Ereto fu da quel
gran capitano riguardata come una posizione militare da
porvi il campo. Nello stesso libro cap. XXIII. Livio me-
desimo narra, come l'anno 543 fra altri prodigii notoà-'
si quello di esser piovute pietre in Èreto : et Ereti la-
pidibus fluisse. Presso Ercto , secondo Valerio Massimo
lib. IL e. IV. ebbe una villa quel Valesio , o Valerio -,
al quale i Romani dovettero la istituzione , de'giuocbi se^
coìSLTÌ, 'àmxi &ìhu o^m^A «Jtoq n'ihb iwu'tilm ts'fi
Stando alla Carta peutingeriana d* uoj^d é credere
che almeno Ano al secolo VII della era volgare, qilesta
città restasse in piedi, o qualche ombra almeno di esi-
stenza e di stazione conservasse. Le fiere scorrerie pc-^
rò , alle quali questa parte de' contorni di Roma andò
soggetta in quello stesso secolo e nel susseguente la fe-
cero abbandonare affatto, e soprattutto poscia contribuì
a non farla mai più risorgere la nuova direzione data
alla via salaria lungo il Tevere dal ponte di Malpasso
fino a Correse. ■ • •. i i i' iliH
GROTTA PERFETT1ì:'>^-^
i^orfi JJraefectt,
Tenimcnto suburbano fuori della porta s. Paolo per-
tinente ai CoUigola , che contiene rubbia 135 e confina
:150
colle vigne di Roma, e colte teirafe di Tor Marancia, s.
^iefsio, Tre Fontane e Pedica di Tre Fontane.
,f Una carta dell' archivio di s. Gregorio e riportata
dagli annalisti camaldolesi T. IL pertinente all'aniK) 1073
mostra che a quella epoca la contrada occupata da que-
sto tenimento avea il nome di Ilortis Praefectis, che per
errore dell' amanuense è scambiato in Perrectis, e que-
sta denominazione successivamente si rinviene l'anno 1192
nella bolla di Celestino III. e l'anno 1217 in quella di
Onorio III. riportate nel Bullarium Vaticanum T. I. nel-
lei' cairte inserite dal Nerini nella Storia di s. Alessio e
pertinenti all'anno 1266, 1277, 1279, e 1284. Il Conte-
lori nel suo trattato de Praefectis Urbis, pag. 82. parlane
do di Pietro prefetto di Roma nelfanno 1198 dice che
avea orti fuori della porta s. Paolo nella contrada de-^
nominata il monte , e da questo vuol far derivare il no-
me di Horti Praefecti, origine del moderno di Grotta Per^
fetta. La insussistenza però di questa congettura si ri-
conosce facilmente dalla carta sovraindicata del 1073 ,
anteriore di 125 anni alla prefettura di quel Pietro. Noa
si esclude però con questo , che in origine tale deno-
minazione fosse data a questa contrada per avervi avu-
^ft-i suoi orti un qualche prefetto di Roma. X ima v
itèéSiiìl ' ; :'
GROTTA SCROFÀNA v. 5. PALOMBA.
GROTTONE v. PONTE FRATTO.
GROTTONIy. VANNINA.
ti .-. r, ir- '■■ ■• ,■ ' * •■ ff
GROTTONL
j^„u- ,Tenimento dell'Agro Romano che trae nome da grot-
te e cave dì pozzolana e di tufi ivi aperte, situato cìr-
151
ca 6 miglia distante da Roma sulla via ostiense, ed ap-
partenente ai beneficiati innocenziani della basilica di s.
Pietro. Comprende 84 rubbia di terreno e confina col
Tevere, e colle tenute di s. Ciriaco, Decimo, Torraccio,
Mostacciano, e Tor di Valle. ji^ ^i m%>ì Ju-.ì^x»
' «■■» -5oJÌJ,,aìe?lBp
GUàDAGNOLO. f é oeoh
"'*^ ®uaÌramaÌum-®uabagrtÌDlum. "^^
-fUiwp ^ óM'.ì j imi o ^fùià^tsj'ìom
■jhii Villaggio della Comarca di Roma nella diocesi e
distretto di Tivoli^ appodiata a Poli, e che contiene 220
abitanti. Esso è situato sopra una delle cime del mon-
te Vulturella o Mentorella, più alta di quella di mo»-
te Gennaro, e per conseguenza è la punta più elevata
dì quelle che dominano immediatamente la campagna di
Roma. Cosi aspra è la cima, così incommodo il salir-
vi, e miserabile il prodotto delle terre, che certamente
non potè offrir attrattiva agli uomini che nelle circo-
stanze più disastrose^ come un' asilo sicuro, onde io cre-
do che il villaggio siasi formato nel vortice delle de-
vastazioni, che coprirono di stragi e di rovine, non so-
lo la campagna romana , ma le montagne circonvicine ,
e certamente non prima del secolo X. Non è distante
che 30 miglia circa da Roma , e da tre parti diverse
vi si può salire, cioè da s. Gregorio, che è la strada
più diretta, più breve, ma di una difficoltà tale da im-
porre anche ai più animosi: da Poli, che è la più lun-
ga, e la più agiata: e da Siciliano, o Pisciano.
I suoi fasti van sempre uniti con quelli della sot-
toposta Terra di Poli, e coloro che hanno dominato in
questa hanno pure signoreggiato in Guadagnolo. L'an-
no 1137 per la prima volta s'incontra il suo nome nell«
152
querela mossa dai monaci de'ss. Andrea e Gregorio sili
monte Celio ad Innocenzo II. contro Oddone, come de-
tentore violento delle Terre di Poli, Faustiniano, e Gua-
dagnolo ; era costui de'conli tusculani , che avendo oc-
cupata Poli fu designato col nome di Ottone di Poli, e
questo titolo fu ritenuto ancora dai suoi successori. Cu-
rioso è leggere l'atto di quel litigio che fu inserito da-
gli annalisti camaldolesi nel tomo IV. p. 615 , e come
dopo molte tergiversazioni e dilazioni fu costretto a con-
segnar Faustiniano, il quale poco dopo sembra avere, o
rioccupato, o riottenuto. Adriano IV che cercò per quan-
to era possibile in que' tempi di disordine , di rivendi-
care o per forza, o per conciliazione le terre invase dai
potenti, ottenne l'anno 1157, che Oddone donasse a s.
Pietro ed alla Chiesa Romana tutto il suo stato , com-
posto delle terre di Poli , Faustiniano , Anticoli , Rocca
de'Nibli, Monte Manno, Guadagnolo, Sarracenisco, Roc-
ca de' Muri , e Castel Nuovo : ma Oddone contempora-
neamente si fece dare la investitura di questi stessi feu-
di a se ed ai suoi successori. Veggasi l'atto originale ri-
portato dal Muratori nel tomo I. delle Antichità del Me-
dio Evo p. 675.
-OH V. Guadagnolo pertanto rimase feudo di questo ramo
de'Conti tusculani fino al principio del secolo seguente^
in che passò nelle mani de' Conti di Segni. Impercioc-
ché morto Oddone e succeduto a lui Gregorio suo fi-
glio, si trovarono molto disestate le cose della famiglia:
a Gregorio successe il figlio di nome pure Oddone , il
quale volendo riparare questi mali trattò di collocare in
matrimonio la sua figlia Costanza nella casa di Riccardo
conte di Sora fratello di papa Innocenzio III. Ma poscia
pentito si rivoltò, eccitò tumulti in Roma, ne'quali per-
dette tutte le sue terre , che da quel papa stipite de'
Conti di Segni furono date in deposito al suo fratello :
15^
q[aesti nell'atto di riceverlo, ranno 1208 prestò fedeltà
alla Chiesa: prò Polo, et alia terra, quae olim fuit Oddo-
nis de Polo , che come la più vicina probabilmente fu
Guadagnolo. Veggasi il Muratori Tomo V. Antiq. Med.
Aevi Diss. LXIX. Venuto però Oddone a concordia die
la sua figlia in moglie a Giovanni secondogenito di Ric-
cardo , e così Poli , e Guadagnolo dalla linea de' Conti
tusculani passarono in quella dei Conti di Segni, un ra-
mo de'quali che è stato l'ultimo superstite l'ha ritenuto
fino alla estinzione della famiglia avvenuta a' giorni no-
stri. Dopo quella epoca Poli e Guadagnolo venne per com-
pra in potere de' Torlonia, duchi di Bracciano , ed è il
titolo del primogenito della famiglia. Veggasi inoltre *«&
RaLtii Storia della. Famiglia Sforza T. II. "^
iéiéfemiiàHO» ^t*{HÌl)' lENNE. dduiBhiqeiM
-ùo 111 9t«?)*HWÌiRi)80 . . - < . .i^ .. =w.AjO iiiir^ap^^ B aii'j
nomtmó'^ii i>hmdù& ^^%Ì(>ifM*É%^ '^^^*^ ^^^ *^* oiiMfirj
''*' '<JasteIIò posto sopra lin bólle dipendente dal monte
Pallascoso, sulla via destra dell'Aniene, circa 55 miglia
distante da Roma e 8 da Subiaco verso oriente, con 953
abitanti. La strada per andarvi ha un sentiere tracciato
sulla falda del monte di s. Scolastica poco prima di giun-
gere a quel monastero , il quale ha sulla riva opposta
dell'Aniene il monte Carpineto alto e tetro per le bosca-
glie che lo ricoprono, e va sempre in pendio fin che non
raggiunge la sponda del fiume ; da quel punto diviene
amenissima, avendo sempre a fianco il corso del fresco
e limpido Aniene ed essendo ombreggiata da folti bòs-
chi. Un mezzo miglio dopo aver raggiunto la riva, in-
contrasi un ponte di legno per commodo de'contadini e
'de -pastori, e quindi la strada traversa una rupe formata
154
di depositi fluviali e di stalattiti, indizio del lÌTello alto
che ne'tempi passati ivi ebbero le acque ritenute dei la-
ghi della villa neroniana sublacense : un miglio dopo il
ponte si apre a sinistra un recesso di monti, e 2 miglia
più oltre un rivo limpido ed abbondante di acque attra-
versa la via per iscaricarsi nell'Aniene, che corre indo-
mito per questa valle, e forma picciolo cadute fralle qua-
li bellissima è quella presso la mola di lenne vicino a!
confluente di questo rivo , che die nome di monti dell*
Acquaviva a quelli dirimpetto.
lenne che si vede torreggiare sul colle é distante*
da questo punto quasi una ora di arduo cammino. Il suo'
nome è di origine incognita, e ne'tempi bassi costante-
mente trovasi scritto Genna. Come dipendenza dal mo-
nastero sublacense viene enumerato questo villaggio sul-
la lapide sublacense del 1(©2. Quindi dee eonchiudersi
che a quella epoca di già esisteva. Posteriormente fu oc-'
cupato da altri, onde l'anno 1090, secondo il Chronico»
Sublacense, l'abbate Giovanni portossi ad espugnarlo co»
molte macchine, e presolo vi costrusse una torre. E quel-
r abate lo die verso il 1100 in beneficio al vescovo di
Alatri , e da un familiare di questo vescovo fu ceduto
ai Trebani. L'abbate tornò ad assediarlo, ma non poten-
do riuscire ad espugnarlo invocò 1' autorità di Pasqua-
le II, che non potè ottenere il rilascio, giacche i Tre-
bani allegavano che era il castello di loro diritto e noa
di s. Benedetto. Bimessa questa questione dinanzi Man-
fredi vescovo di Tivoli, di consenso commune, quegli de-
cise a favore de'monaci, e perciò nella bolla di confer-
ma di papa Pasquale II si nomina Genna fragli altri be-
ni del monastero. I Trebani però non abbandonarono ì&
loro pretensioni, e colto il momento delle turbolenze av-
venute nel pontificato di Eugenio III. verso, la metà de^
lo stesso secolo 1' occuparono di nuovo ; ma ne furono»
155
tosto discacciati dall'abbate Simone, e da quel tempo il
monastero ne rimase in possesso. Tutte queste notizie ,
si traggono dal Cbronicon, dal quale pure ricavasi che
nel 1355. vi si ritirò come in luogo sicuro 1' abbate
Ademario. i JH*i<*ii^><^Ai
■■■ . : ,>-(*3 ^'.^ -'.'r ;.-,,, •■•■': . - ■ , ,'.■•';
È il fiume più considerabile che sbocchi nel mare
dopo il Tevere, andando da Roma fino all' Astura, im-
perciocché è formato in origine dallo scolo del lago ne-
morensC) e raccoglie tutte le acque, che scendono dalle
pendici meridionali di Albano, Ariccia, e Gcnzano, e che
si raccolgono insieme sotto Ardea. Da alcuni fu preso
pel Numico; ma quel fiume era fra Lavinio ed Ardea ,
al limite de'due territorii, e questo immediatamente pas-
sa sotto Ardea stessa. Il suo nome suol derivarsi dall'
incastro della rifolta della mola di Fonte di Papa ; ma
oltre che questo è lontano dal tronco suo principale che
è sotto Ardea, tal circostanza è commune a molti altri
rivi che bagnano l'Agro Romano, i quali nondimeno non
vengono designati con quel nome. Io sono di opinione,
che derivi da un fatto più antico; imperciocché questo
fiume scorre sotto le pendici dall' antica Terra di Ca-
strum Invi, la quale era situata non lungi dalla sua fo-
ce, cioè fra Ardea ed il. mare: veggasi l'articolo CA-
STRVM INVI ; onde si disse il fiume dell' Invi-castro ,
6; poscia dellJIftGasteos. . > ^ «ir • a .^ j, ^ .
ib iìr.ysi^ i-i ì,. "'l'in t'SiitfT.^i r)lv ii'ìOfBÌn ìld
. 8ùi^ hii J.ÌÌ INFERMERIA e RISARÒ:., b ZfaaoKi
'• Tenuta dell'Agro Romano^ die appartiene al mona-
stero de' ss. Domenico e Sisto , posta fuori di porta s.
Paolo, circa 8 m. lontano da Roma, e confinante col Te-
156
yere e colle tenute di Spinacelo, s. Ciriaco, Traifusìfi é'
Malafede. Essa comprende circa 84 rabbia , ed occupa
in parte l'antico SOLONIVM. _,^
INSUGHERATA. (MmuibA
Tenintcnto dell'Agro Rònraho, clie spetta AH^òspe-^
dale di s. Spirito, e comprende circa 165 rubbia. Con-
fina con quelli di s. Agata, Marmo, Acqua traversa, Monte
Arsiccio, e Sepoltura di Nerone. Esso è situato circa 5
miglia fuori di porta del Popolo fra le vie trionfale e
cassia. • ''^ •■''''■'
Il suo nome deriva dai sugheri, che particolarmen-
te Io vestono, circostanza che non è nuova, poiché fin
dal principio del secolo IV, della era volgare, trovasi ia
Anastasio Bibliotecario nella vita di papa Silvestro^ I ,
ricordato col nome di fundus Surorum, che io credo do-
versi leggere Suberum, e si nota come situato sulla via
Claudia, che è nel principio identica colla cassia, e nel
territorio veientano, e che da Costantino fu donato alla
basilica da lui eretta in Ostia ad onore de' santi Pietro,
Paolo, e Giovanni Battista. In seguito questo- fondo pas-
sò in potere del monastero di s. Lorenzo detto in pala-
tini , presso la basilica vaticana , e col nome di Casale
Sttèereta si nomina nella bolla di Leone IV data Fanno
854 a favore della basilica vaticana , ed in quella di
Leone IX dell' anno 1053 , ambedue inserite nel prim»
volume del Bollarlo Vaticano. Elstinto quel monastero è
probabile che fosse riunito ai beni della basilica vatica-
na; e quindi forse fin da' tempi d' Innocenzo III , asse-
gnato all'ospedale di s. Spirito in Sassia. cjììj .ojVì,*!
157
r>ii* ,f>mÌJNVIOLATA ed INVIOLATE LLà.^:ì i'im&iti\ì
'Vii ùh'-< : ^, ■■
> Tèniité deir Agro Romano, oggi riunite in un sol
€orpo, che trassero nome dalla chiesa di s. Maria in Via
Lata che un giorno le possedeva, e che oggi apparten-
gono ai Borghese. Esse sono situate presso la via cas-
sia, circa 5 miglia fuori della porta del Popolo : divise
in tre quarti detti da Capo, della Torre, e della Casetta,
comprendono 220 rubbia. Confinano con quelle di Ospc-
daletto, Yalchetta, Cresceoz^^, Muratella, Sejpoitu^ca ^i-JIe»
jrone, ed Acquatraversa. vib^ hofi >f<A;nKjo {i^^idiìhipiiji^
^0l isii*aii:>3 sìì-'h fj. ,àìh'M iél!'4.xtttOiinhl9b nòo obn»!
^sl mr »ì r,ào,Ì MVIOLÀTELLA: • ' iùq
Ómo^ ', <'(n' ii !^ \'..'" <«'
èo*» È un' altra tenuta che ritiene il nome della chiesa
4i s. Maria in Via Lata che la possiede, la quale con-
tiene £irca 82 rubbia. Essa è posta nell' Agro Romano,
sulla via salaria, circa 7 miglia lontano da Roma, e con^-
fina col Tevere, e colle tenute di Radicicoli, Malpasso,
Ciampiglia, Settebagni, e Marciliana. È divisa ne'quarti
4/&tU (klla fiQsoiina, .di^'Prataroni, ^ del Laghetto. . :^
4t ni. (ìhnìncXSOLA FARNESE v. VEaqot nvr-». me
-u.. ^ 150X4 54Cfi4 y. PORTO.
^b rm^Tymìì 'ì òhàmm filt^tu^] ; Mì'vifl, hA taili^fSfsJa fr.f
-ostiùfc »M^Ì^ LABIGVM-LAVIGVM. i^ d o mmùìnA
jym /j * ' . '• " «n ffc '}ì
'ih\'. LA COLONNA. ^ .< ^òk \h
i:Tif-'j!> B «ofl ? ^riHilisk R f* t?s1yi*l ha ;>£iois6k i^kb «1
Molte terre sorte ne'tempi bassi frallé vie prenesli-
na e labicana dalle 15 alle 26 miglia di distanza da Ro-
ma, sonosi disputate ne' secoli scorsi l' onore di essere
succedute all'antico Labico, e tutte hanno avuto forti dì-
158
fensori; commune era nel secolo XVI la opinione , che
fosse a Valmontone : Cluvcrio e Kircher nel secolo se-
guente lo situarono a Zagarolo: Olstenio, Fabretti e con
loro i moderni io credono corrispondere alla terra della
Colonna: ed il Ficoroni scrisse appositamente una opera
per persuadere che fosse sul Colle de' Quadri presso Lu-
gnano sua patria, insinuando cosi che questa fosse sor-
ta sulle rovine di Labico. Se però ad un malinteso a-
more di patria si fosse sostituito un più maturo esame-
de'luoghi, ed un rispetto maggiore all'autorità de'classi^
ci antichi , la opinione non sarebbe andata tanto oscil-
lando con detrimento della verità, e della scienza. Im-
perciocché leggesi in Strabone nel lib, V, che la via la-
bicana , partendo dalla porta Esquilina di Roma , come
la prenestina, dopo aver percorso più di 120 stadj, cioè
più di 15 miglia romane, accostandosi all'antico Labico,
allora di già distrutto, posto sopra una eminenza, lascian-
do questo , e Tuscolo a destra , finiva alla stazione ad
Pietas, dove fondevasi nella Latina. Da questo passo si
ìtrae chiaramente , che la distanza di Labico da Roma
per la via labicana , che era la più retta , era di poco
più di 15 miglia, che la via non l'attraversava, che La-
bico stava sopra un colle, che stava non lontano da Tu-
scolo a destra della via labicana , fra questa medesima
via e Tuscolo stesso, finalmente che trovavasi prima del-
la stazione Ad Pietas , la quale secondo l' Itinerario di
Antonino e la Carta peutingeriana, era 25 miglia distan-
te da Roma. Quindi escludesi Valmontone, perchè è più
di 26 miglia distante da Roma , e per conseguenza di
là dalla stazione ad Pietas, e a sinistra, e non a destra
della vera labicana : per la medesima ragione della di-
stanza soverchia escludesi il colle de'Quadri, che in luo-
go di 15 è 22 miglia distante: escludesi Zagarolo, che
oltre l'essere 21 miglia distante da Roma è precisamen»
159
te a sinistra e non a destra della Labicana , e non ha
alcuna relazione con Tuscolo. Rimane ora la Colonna:
in questa tjerra si riuniscono insieme tutte le circostan-
ze sovraindicate, enumerate da Strabene: essa è 15 mi-
glia e mezzo circa distante dalla porta esquilina ; anti-
ca: 6 un poco fuori della strada consolare: sta sopra un
«alle, che è dominato da Tuscolo a destra: 6 fralla via
^labicana e Tuscolo: e Analmente trovasi prima della sta-
zione ad Pietas, la quale per la distanza da Roma con-
cordemente oggi si pone nel luogo denominata U Ma-'
cerie , nome derivato dalle macerie , ossia dalle rovine
frantumate della stazione medesima. *^'t**^'**M *^ /^Ai*^^
E quel colle, sul quale è oggi la ' ttìrta "é atóéitìfssi-^
mo, ed è l'ultimo contrafforte de'raonti tusculani verso
settentrione , sotto il quale spalancansi vaste campagne
fertili , e sinuose , che ricordano l' ager laòicanus degU
antichi ; quindi non poteva isfuggire ai primi coloni di
^questa parte d' Italia. Il nome variamente si scrive ne-
gli antichi scrittori colla R, e colla V, leggendosi egual-
mente Labieum , e Lavicum, Lahicani e Lavicani per la
strietta analogia di suono che passa fra quelle due let-
tere e Ja iscrizione mortuaria di Partenio, rinvenuta ne'
dintorni della Colonna, sul declinare del secolo XVIII,
riferita dal Fabbretti nella sua opera degli Acquedotti
Diss. Ili n. XXXI ed oggi esistente nella vigna di Ge-
sù e Maria 1 m. distante dalla Colonna lo dice arca-
wo, cioè tesoriere reI. pvblicae lavicanorvm qvinta-
NENSIVM.
L'onore della fondazione di Labico sembrerebbe do-
versi dare ai Tusculani , così vicini , e così potenti : «è'
questa congettura potrebbe avvalorarsi col noto verso di
Virgilio lib. VII V. 796 quasi che esistesse prima della
fondazione di Albalonga. -■*^^^ ^'^
• Et Sacranae acies et picti seuta Lc^Mif^''- -^f*^ ^^-'^
160
Ma Tusculo stesso alla epoca della A'enuia di Enea
non esisteva, poiché fu fondato da Telegono figlio di U-
li^se e di Circe , quindi tale supposizione cade da per
se, stessa. Dall'altro canto Dionisio la fa posteriore alla
guerra di Enea , dicendola colonia degli Albani nel libro
Vili , e perciò io credo , che come tante altre venisse,
fondata da Latino Silvio, e che Virgilio solo per prole-
psi la nomini colle altre città che presero le armi con-
tro di Enea, onde indicare gli abitanti di quella contra-
da dove poi sorse Labico. Durante il governo de' re di
Roma non si ricorda mai questa città nella storia; ma-,
dopo la loro espulsione Dionisio nel lib. V, enumera i
Labicani frai popoli che presero le armi a favore de'
jArquinii; e ciò non poteva non accadere per la influen-
zila e la possanza della vicina Tusculo, di cui era dit-
tatore il genero del re profugo. Avvenuta la battaglia
(lescritta cosi graficamente da Livio , fatta la pace frai
Bomani e i Latini collegati, i Labicani la mantennero
con tanta vigorìa che fecero una forte resistènza agli
assalti di Coriolano, allorché quell'lcsule andò centra le
città suddite, od alleate della sua patria: presa , dopo
molta fatica, fu saccheggiata, e gli abitanti vennero po-
siti in schiavitù secondo Dionisio nel libro Vili, Livio^
però lib. IL e. XXXIX non fa che indicarne |la pre-
sa l'anno . 265 di Roma, senza entrare in altri particorl
lari. Riavutisi da quella sciagura i Labicani videro de-
vastare le loro campagne dagli Equi, commandati da
Gracco: Livio lib. III. e. XXVI. Nel 339 però si col-
legàrono essi stessi cogli Equi, si posero a devastare
l'agro tusculano e misero campo sull'Algido. Il dittato-
re Q. Servilio Prisco vinti in battaglia i due popoli col-
legati si volse centra Labico stesso, circondò la città,
la prese di assalto, e la die in preda al saccheggio; af-_
Jfìne poi di tenerla in dovere per l'avvenire vi fu de-
161
4olta una colonia dì 1500 cittadini frai quali tennero
divisi 3000 iugeri dell' agro labicano, dandone due per
ciascun colono, indizio della vastità del territorio: veg-
gasi Livio lib. IV. e. XLV. e seg. Tre anni dopo però
i nuovi coloni furono soggetti alle devastazioni de'Bola-
ni, il cui territorio dicesi da Livio confinante col labi-
cano: Excursiones inde in confinem agrum labicanum fa-
ctae erantf novisque colonis bellum illatum. L'anno 375 por-
tarono lamenti in senato insieme co' Tusculani e co' Ga-
bini contra i Prenestinij ma i loro ricorsi non furono
riconosciuti, come fondati, al dire dello stesso storico lib.
VL cap. XXL Nella scorreria di Annibale contra Roma
l'anno 543 dopo la fondazione e 211 avanti la era vol-
gare, soggiacque l'agro labicano a nuove desolazioni, di-
cendo Livio, che quel feroce cartaginese, per la via la-
tina, per frusinatem, ferentinatemque, et anagninum agrum
in lavicanum venit. Lib. XXVL e. IX.
Sul declinare della repubblica, forse a cagione del-
la guerra sillana, Labico era venuto in tale decadimen-
to , che Cicerone nella orazione prò Piando e. IX. no-
mina questa città insieme con Boville e Gabii, come u-
na di quelle, così esinanite, da trovare appena qualcuno
che potesse rappresentarle nelle ferie latine: e non mol-
ti anni dopo Strabene nel passo riferito di sopra la di-
ce affatto diruta e deserta. A quella epoca nel suo ter-
ritorio era una villa imperiale, nella quale Cesare avea
fatto il suo testamento, secondo Svetonio e. LXXXIII,
sei mesi innanzi la sua morte, e questa villa contribuì
a farla risorgere, come^pure la stazione prossima sulla
via labicana, che per testimonianza dell'Itinerario di An-
tonino, e della Carta si disse ad Quintanas, probabilmen-
te perchè era al XV. mìglio da Roma. Quindi io credo,
che poco dopo Strabone , questa città cominciasse a ri-
fiorire, e come municipio trovasi indicata nella lapide no- ,
11
162
tata di sopra col tìtolo di RESPVBLICA LAVICANORVM
QVINTANENSIVM e per maggior commodo in luogo di
stare fuori della strada sul colle, avrà occupato la fal-
da di esso che domina iramediatamante la via consolare
presso la odierna stazione detta la Osteria della Colon^
na, la quale è succeduta all'antica detta ad Quintanas.
La frequenza della via mantenne prospera questa
nuova città anche per una parte de' secoli bassi , a tal
segno, che era sede vescovile, rimanendoci ancora i no^
mi di nove di essi, dall'anno 649 fino a circa il 1100}
e sono Luminoso , che sottoscrisse al Concilio Romano
nel 649, Pietro, che sottoscriisse in quello del 761, Lu-
nisso che vivea nel 964, Benedetto del 998, Domenico
del 1026, Pietro IL del 1059, Minuto del 1089, Bobo-
ne del 1095 , e finalmente Bonone che fioriva ai tempi
di Pasquale II ne'primi anni del secolo XI I. Dopo quel
tempo non se ne incontrano altri, onde credo che quel-
la sede cessasse verso quella epoca. Veggasi su tal pro-
posito il tomo X. della Italia Sacra dell' Ughelli p. 119,
Intanto però, che andava spopolandosi il Labicum Quin-
tanense , ripopolavasi sul colle il Labicum primitivo , e
siccome per qualche colonna superstite, il colle avea no-
me di Columna, perciò anche la terra lo ricevè. E qui
debbo notare, che non dee confondersi, come qualcuno
ha preteso, questa località con quella che leggesi ricor-
data da Livio lib. III. e. XXIII, col nome di ad Colu-
inen, giacché essendo quella per testimonianza dello stes-'
so storico in Algido, stava per conseguenza sulla via la-
tina , dove questa esce dalle gole dell' Algido circa 20
miglia distante da Roma per la via latina, ed almeno 7
più oltre della Osteria della Colonna.
La prima memoria, che abbia trovato di questa ter-
ra sotto tale denominazione appartiene all'anno 1053, in
ch« una contessa Emilia, signora di Palestrina, passò in
163
seconde nozze con un personaggio de Columna , che è
il più antico rampollo noto della celebre casa Colonna,
che essendo originaria di questa terra ne assunse il no-
me. L'anno 1074 papa Gregorio VII. concedette la metà
di questo castello, giacché castellum lo chiama, colle chie-
se di s. Salvatore, di s. Maria in Oliveto, e di s. Lo-
renzo, detta Marmorio al monastero di s. Paolo: vegga-
si la bolla di tale investitura inserita dal Margarini nel
Bullarium Cassinense Tomo II. Poco dopo però , fu in-
vasa da famiglie potenti, e faziose, onde il papa Pasqua-
le II. nel 1101 uscito ad oste ricuperolla insieme con
Cave , e con Zagarolo , siccome si legge nella sua vita
scritta da Pandolfo Pisano presso il Muratori Rerum I~
talk. Script. T. III. P. I. pag. 355. Anacleto II. nella
bolla, con che confermò i beni del monastero di s. Pao-
lo Tanno 1143, nomina di nuovo la metà della Colonna,
e le chiese, come Gregorio VII; non cosi Innocenzo III.
in quella dell'anno 1203, nella quale ricorda soltanto le
chiese di s. Lorenzo Marmorio, e di s. Maria in Olive-
to, indizio, che a quella epoca la Terra era stata, o a-
lienata, o incorporata nel dominio pontificio; e questa se-
conda opinione mi sembra piìi probabile , poiché nella sto-
ria di Riccobaldo, inserita dal Muratori ne'iJer. Itul. Scri-
pt. T. IX. leggesi alla p. 144. che circa questi tempi
Nepi, e la Colonna furono assediate e prese. Come Cc^
strutn, senza notare in mano di chi fosse, ricordasi nel-
la bolla del 1217 , data da Onorio III , ed inserita nel
primo tomo del Bollarlo Vaticano. Un documento però
pubblicato dal Petrini nelle Memorie Prenestine p. 411 ,
ed esistente nell'archivio della Casa Colonna è una pro-
va positiva, che nel 1252 i Colonnesi ne erano in pos-
sesso pacifico, e che in quell'anno ai 7 di febbraio, nel-
la divisione de 'beni di Oddone e Giordano CoIoana, si-
• fI0Ìo3 . IsliOi)- t.U'i^> ìm." JU-i-^h*-» hi »«A:>'Jt^ >i>yw i»?hbu^
164
gnori di Palestrina, fatta sotto l'arbitrio di Gioraniii Co-
lonna , frate domenicano , Pietro figlio di Oddone ebbe
Gallicano, s. Cesario, e Camporazio; ed Oddone figlio di
Giordano ottenne Palestrina, Capranica, Zagarolo, e la
Colonna oltre varie altre possidenze. Nel determinare i
confini del Castrum Columnae s'indicano i territori di Za-
garolo, s. Cesario, Rocca Priora, Monte de Compatris,
Monte Porcio, Prati Porae, Passarano, e Castiglione, che
sembra essersi fin da quella epoca cominciato a popola-
re. Torna a ricordarsi, come proprietà de'Colonna in un*
altra carta del 1292 riportata dallo stesso Petrini alla
pag. 418. ./j:>i» 'J-c'ì^-'l ■ iuiiii;!-.!. '■■?' 5
Nella guerra! fi'a Bonifacio Vili; ^é ì Colonnesi fit-
nel 1297 presa dai pontificii, dopo Palestrina, e nell'an-
no seguente diroccata, siccome può leggersi in Tolomeo
Lucense presso Muratori nella raccolta de' Rerum Italie.
Script. Tom. XI. p. 1219, e nel reclamo avanzato dai
Colonnesi dopo la morte di papa Bonifacio tratto dall'
archivio di Castel s. Angelo dal Petrini pag. 429. Ma
come tornò poco dopo a risorgere Palestrina, fu ristau-
rata ancora questa terra , che vien ricordata nella vita
di Cola di Rienzi pubblicata dal Muratori Ant. Med. Ae-
vi Tomo IH. Pi 535, nella quale si afferma, che il tri-
buno l'anno 1353 vi pose un presidio di fanti e di ar-
cieri, allorché andò contra i Colonnesi di Palestrina. Nul-
l'altro sappiamo di questa Terra dopo quella epoca, fino
air anno 1448, in che venendo i Colonnesi alla divisio-'
ne de' feudi , questo rimase a Lorenzo Colonna , la cui
linea si estinse con tutta quella di Zagarolo in Marzio
Colonna nel secolo XVII. Poscia venne in potere de'Ro-
spigliosi, insieme con Zagarolo e con Gallicano.
Di antico non ho potuto rinvenire alla Colonna al-
tro che qualche frantume fuor di luogo. La strada per
andarvi devia presso la Osteria così detta della Colon-
165
na dalla Labicana, od é 1 miglio lunga, e piuttosto sco«
scesa- Vi si può andare ancora da Frascati , passando
da Monte Porzio , sotto Monte Compatri , e questa gi-
rando intorno alle lacinie de'monti tusculani è più lun-<-
ga per chi vi va da Roma, contandosi da Frascati alla
Colonna buone 5 miglia. Questa terra è in uno slato di
spopolamento contandovisi appena 223 abitanti: dipende
dal Governo di Frascati, come pure per lo spirituale dal
vescovo tusculano.
Due miglia sotto la Colonna é un piccolo lago en-i
tro un cratere di lava, di poca profondità, e di acque
quasi palustri , che certamente influisce di natura sua
alla insalubrità dell'aria ne'dintorni, accresciuta poi dal-
l'uso di macerarvi la canapa, che dovrebbe assolutamen-
te interdirsi. È quasi aderente alla Tia labicana a sinii»
stra, circa 13 miglia e mezzo lontano da Roma; la sua
circonferenza è appena di un terzo di miglio, calcolan-
do le irregolarità delle ripe : ed ho molto dubbio che
le acque siano nutrite da sorgenti perenni. Nulladime-
no questa pozzanghera per lungo tempo è stata credu-
ta il famoso lago Ragillo , dove i Romani vinsero per
sempre i Tarquinii, e consolidarono la forma republica-
na. Prima che io avessi occasione di perlustrare con tail4
to scrupolo l'agro romano, era caduto nello stesso erro-
re, poiché di fatto altri laghi oggi non esistono da que-
sta parte , dove è certo per la testimonianza di Livio ,
che la battaglia avvenne, se non il lago Gabino, e que-
sto detto della Colonna; ora siccome sul Gabino non po-
trebbe formarsi alcuna supposizione ragionevole, non re-
stava che questo al quale si potesse applicare il nome
di Lago Regillo; mi stava però sempre fitta in mente u-
na difficoltà di sommo peso, che Livio, parlando di que-
sta pugna nel libro IL e. XIX. apertamente dice , ch«
i due eserciti si accozzarono ad lacum Regillum in mgro
166
tusculano: ora tirar fin qui l'agro tusculano' con Labico
frammezzo era alquanto difficile; nulladimeno non cono-
scendo la esistenza di altri laghi da questa parie, d'uo-
po era accordare l'autorità di Livio col fatto, ed anda-
re mendicando ragioni , o quasi ragioni per spiegare ,
come quel ricettacola di acque potesse stare entro i li-
miti dell'agro tusculano col labicano cosi imminente. L'an-
no 1822 stando a villeggiare in Frascati, ed avendo di
già cominciato a far ricerche per la Carta, volli ripe-
tutamente perlustrare il tratto fra la strada, che con-
duce da Frascati a Monte Porzio, e la via labicaiva, e
con grandissima mia sorpresa e piacere rinvenni il cra-
tere di un lago che fu disseccato soltanto nel secolo
XVIL dai Borghese proprietarii del fondo, che perciò
suol designarsi col nome di Pantano Secco, che eerta-
mente fu tanto considerabile per estensione quanto il
lago Gabino, e che è nell'agro tusculano, e di cui l'e-
missario artificiale può ancora percorrersi da chi non
abbia ribrezzo de'rettili, e soprattutto delle vipere che
vi annidano allettate dalla frescura. Ivi pertanto dee ri-
conoscersi il Regillo, ed i dintorni mostrano bene, come
quella battaglia avvenne siccome noterò a suo luogo, v.
REGILLO^ fi ji'iii'i^q '^ eiioi- i-j .ij !•-,/*. jì jU- ì,ì ;/i ..:.;.
-o'i.-> M^.uiK r""' .U-h,.. . w. ......... ..-. .:'? nf. -.M'^.' o!
-?)«p ih oa'lAMENTÀNA v. NOMENTVM.- ;
^ oItìJ ib exfifìv'notrrirKOl ol_iii(| o'o* b Hfoh , • ì;.] a)?.
-ynp 0 ,<)iTuhifl) LAltfINAS v. FERRATA. ' «l y.i:^
■ùq non ó; '■'; ' '"*'"> <>^'
«il no.i MNVVIVM - CIVITA LAVINIA, ariaì »d<i it
rtrtfóa li 3TxìJi1qq<i ouv^hk] i*. aipijp ìb oi.-v-. u!) f,/;;i..
-;, Teira! della Comarca di Roma, dipendente dal Gd*
"vetno di Genzano, donde è distante circa 2 miglia e mez-
ui^ a dèstra- della strada postale di Napoli un mezzo
167
miglio, e 20 miglia distante da Roma, la quale appar-
tiene con titolo di marchesato ai Gesarini , e contiene
830 abitanti. Gli astronomi Conti e Ricchebach ne han-
no determinato l' anno 1824 la longitudine a 30°. 21'.
15". 5. e la latitudine a 41°. 40\ 25'. 0- Essa corona
r ultimo scaglione , o contrafforte della lacinia sud-est ,
che discende dal ciglio, o cratere del lago nemorense,
ed occupa una parte dolPantica città latina di Lanuvium
la quale per analogia di pronunzia in varie lapidi an-
tiche de'tempi imperiali si trova indicata col nome di
Lanivium , come ne' Fasti Trionfali capitolini si legge
LAVINEIS in luogo di LANVVINEIS all' anno 415 di
Roma. Quindi ne'tempi della decadenza fu detta Civi-
tas Lanivina e nel medio evo Civitas Lavina, Civitas La-
binia, e per corruzione Civita Nevina, Civita Innivina,
come ne'tempi moderni Civita Lavinia, nome, col qua-
le oggi si conosce, e cagione dell'equivoco preso da mol-
ti che la confusero colla città di Lavinio , fondata da
Enea in un luogo ben diverso da questo corrisponden-
te con la moderna borgata di Pratica.
La posizione di Lanuvio da Strabonc nel libro V.
si determina, come di là dall' Aricia, a destra dell' Ap-
pia; da Appiano poi nel secondo libro delle Guerre Ci'
viliy come 150 stadi, ossia circa 19 miglia lontano da
Roma. Di sopra ho notato che attualmente si contano
20 miglia da Roma a Civita Lavinia per la strada po-
stale di Napoli; ma d'uopo è ricordarsi, che il XX mi-
glio attuale, che s' incontra poco dopo Genzano corri-
sponde al XVIII antico della via appia , per la quale
8Ì andava a Lanuvio, e che ivi si distacca a destra un
diverticolo antico, pel quale dopo un miglio si pervie-
ne alle falde del colle, che domina Civita Lavinia, sul
quale fu l'antico tempio di Giunone situato nell'acropo-
li lanuvina ; quindi come , da un canto si riconosce in,
/
168
esattezza di Appiano' , dall' altro d'uopo è riconoscere'
anche per questa circostanza la situazione di Lanuvio
in questo luogo. D' altronde le rovine raoltiplici , ed i
monumenti esistenti non lasciano luogo ad alcun dubbio.
La etimologia è ignota , ma è da osservarsi , che
la iniziale LA è commune a varie altre terre latine
eome Lavicum o Labicum, Lavinium ec. onde sembra es-
sere la radice del nome , come la seconda parte V ag-
giunto; e questo in Lanuvium avendo una grande ana-
logia con novum, potrebbe guidare a conoscere il signi-
ficato originale della parola. a f»/«o;i f uui.vìujU
Lasciando però da banda queste ricerche y pierché
involte in profonda oscurità , veniamo alle notizie sto-
riche di questa città. Appiano nel luogo- ricordato di
sopra apertamente dichiara averla fondala Diomede tra-
sportato su questi lidi dai flutti, dopo la distruzione di
Troia : ed il culto di Giunone , che ivi osservavasi , e
varii usi, erano pe' Romani una dimostrazione positiva
di questo fatto: or mollo più debbono esserlo a noi che
tanto pili lontani siamo da que' tempi; nò parmi esiste-
re ragione di alcun peso per riguardare come favoloso
l'arrivo di Diomede in queste contrade, quando era un
fatto riconosciuto da tutta 1' antichità, che egli avesse
girato attorno alla penisola italica. Ammesso pertanto, che
Lanuvio fosse fondato da Diomede, secondo le tavole di
Petit Radei questo fatto può stabilirsi circa l'anno 1230
avanti la era volgare, o secondo le tavole communi cir-
ca l'anno 1282.
Per la prima volta dopo la fondazione della Ter-
ra ì Lanuvini compariscono nella storia, circa 700 anni
dopo. In questo lungo intervallo parmi di poter conget-
turare, che attesa la posizione sua nell'ultimo limite del
territorio latino e volsco, Lanuvio restasse indipendente,
« come Ardea formasse un distretto particolare, il qua-.
169
le seppe conservare la sua importanza col mantenere da
questa parte la bilancia frai due popoli limitrofi. I La-
tini specialmente, considerando, che poteva loro servire
di punta entro l'agro volsco, da paralizzare la impor-
tanza di Corioli, e di Velitrae accarezzarono talmente i
Lanuvinì, che questi finalmente entrarono nella lega lo-
ro, allorché la potenza romana andava estendendo le sue
conquiste. E come federati Ialini presero le armi per
rimettere i Tarquinii sul trono , ed insieme cogli altri
furono rotti nella battaglia del Lago Regillo. Conchiu-
sa dopo quell'avvenimento la pace co' Romani, manten-
nero la loro indipendenza, poiché l'anno 298 di Roma,
cioè 41 dopo quella pugna, narra Livio lib. IIL e. XXIX.
che M. Volscio Fictor, condannato come falso testimo-
nio, scelse per luogo del suo esilio Lanuvio. Era però
nel tempo stesso in pace co'Romani, e questo stato con-
tinuava r anno 326 di Roma in guisa , che T. Quinzio
console, secondo lo storico sovrallodato, lib. IV. e. XXYII,
vi pose il campo nella guerra contro i Volsci. La vici-
nanza di questi nemici permanenti di Roma, e le loro
insinuazioni finirono collo scuotere la fedeltà de' Lanit-
vini, i quali l'anno 375 finalmente presero le armi in-
sieme co' Volsci contro i Romani. Livio lib. VI. e. XXI,
che parla di questa mossa dichiara, che anche i Lanu-
vini, quae fidelissima urbs fuerat, subitamente insorsero,
sttbito exorti. L'esito infelice che ebbe pe' Volsci, quella
guerra avrà portato i Lanuvini a venire ad un accom-
modamento co'Romani, nel quale si rimasero fino all'an-
no 417, in che come parte della lega latina si uniro-
no co' loro confederati , onde scuotere se era possibile
la supremazia, che i Romani esercitavano sopra i La-
tini. E in quella guerra furono gli ultimi a deporre
le armi insieme cogli Ariani, co'Velitemi, e cogli An-
zitii, cioè l'anno 419, dopo aver sofferto una rotta de-
170
cisira sul fiume Astura, siccome narra Livio nel libro VII.
Nella pace, che seguì quella guerra, i Romani, secondo
lo storico sovrallodato lib. Vili. e. XVI. trattarono men
duramente i Lanuvini , accordarono loro la cittadinanza
romana, resero loro le feste nazionali ed i riti sacri, a
condizione, che il tempio, ed il luco di Giunone Sospita
fosse commune ai due popoli : Lanuvinis civitas data,
sacraque sua redatta cum eo ut aedes , lucusque Sospitae
Junonis communis Lanuvinis municipibus cum populo ro-
mano esset. Così Lanuvio pacificamente colle proprie sue
leggi municipali si resse, e solo dipendente fu da Roma
nel partecipare ai pesi pubblici, come partecipe era de-
gli onori della metropoli. L* anno 543 , nella mossa di
Annibale contro Roma , Fulvio Fiacco mandò messi a
Lanuvio, come agli altri municipii che erano lungo la
via appia, perchè pronte avessero le vettovaglie nelle città^
e quelle, che trovavansi ne* campi, fuori di strada, le por-
tassero sulla via, onde provvedere al suo passaggio: che
raccogliessero i presidii nelle città, e ciascuna prendesse
a se le redini del governo. Appiano nel libro primo delle
Guerre Civili ci ha conservato la memoria, che Mario, sa-
pendo, esser Lanuvio una delle città, che servivano di gra-
naio per l'approvvigionamento di Roma, se ne impadronì
per sorpresa, come fece pure dell'Aricia, di Anzio, e di
altre città. Questa occupazione la fé soggiacere a gravi
disastri, onde caduta in debolezza grande fu da Cesare
colonizzata siccome afferma l'autore del trattato de Colo-
niis attribuito a Frontino, dal quale apparisce che era
cinta di mura. Poco prima di questa deduzione di colo-
nia, Cicerone la qualifica nel fine della orazione a favor
di Murena come municipio onestissimo: e come munici-
pio si raggeva allora ancora colle proprie sue leggi e creava
il suo magistrato supremo annuale col nome di dittatore,
officio diche era rivestito Milone, come apprendiamo dalla
171
orazione delta dallo stesso oratore a favore di quel per-
sonaggio. Nel tempio lanuvino conservavansi tesori , i
quali secondo Appiano nel lib. V. delle Guerre Civili fu-
rono da Ottaviano tolti , onde servirsene nella guerra
contro Lucio Antonio. E nella divisione che fece delle
terre , per testimonianza di Fortino sovraindicato , una
parte dell'agro lanuvino fu da lui assegnata ai veterani ,
ed un'altra alle vergini vestali, divisione, che poscia fu
abrogata da Adriano, il quale restituì ai coloni le terre.
Svcfonio nella vita di Augusto e. LXXII. dice che quel-
l'imperadore frequentava particolarmente per suo diporto
fralle città prossime a Roma, Lanuvio, Preneste, Tibur ce.
È stato di già notato da altri , che sebbene in origine
ben diverso fosse lo stato di municipio da quello di co-
lonia, sebbene durante la repubblica per le \icis$iludini
de' tempi dallo stato di municìpio si passasse a quello di
colonia, dopo lo stabilimento dell'impero questi due no-
mi si trovano sovente scambiati negli scrittori, quasi fos-
sero fra loro indifferenti, e sinonimi: e questo avvenne
appunto ai Lanuvini, che mentre da quanto si espose era
almeno fin da' tempi di Giulio Cesare divenuta colonia,
sotto Tiberio da Tacito Annoi, lib. III. e. XLVIII. si
dice municipio, e da Frontino, o chiunque pur sia l'au-
tore del libro de Coloniis^ si dice sotto Adriano, di nuovo
colonia.
''*'' Lanuvio per la sua situazione e pel tempio di Giu-
none si era sempre sostenuta; crebbe però in splendore
dopo che Antonino Pio, che vi avea avuto i natali l'an-
no 86 della era volgare, secondo Capitolino e. I. adot-
tato da Adriano pervenne all' impero. Quell' ottimo au-
gusto, il suo figlio adottivo Marco Aurelio, e l'indegno
successore di questo, Commodo, nato anche egli presso
questa città, secondo Lampridio e. I, ne amarono parti-
colarmente il soggiorno, e vi ebbero una villa magnifica,
172
la quale nel secolo passalo die alla luce yarii monumenlì
insigni, come il busto di Elio Cesare , quello di Annio
Vero, quello di Commodo giovanetto, la statua conosciuta
col nome: di Zenone, il gruppo di Amore e Psiche, ee.
che si ammirano nel Museo Capitolino. E Commodo per
tostimonianza di Lampridio nominato di sopra ebbe il
nome di Ercole Romano, quod feras Lanuvii in amphi-
thecUro occidisset : erat enim haec illi consuetudo, ut domi
bestias inter/iceret. Egli forse vi coslrusse l'anfiteatro, ed
il teatro , giacché vedremo più sotto che le rovine di
esso scoperte 1' anno 1832 alla epoca di Commodo ap-
partengono. Due iscrizioni riporta il Volpi nel tomo V.
dal suo Latium p. 23. 25. dalle quali apparisce, che ai
tempi di Alessandro Severo fu due volte curatore della
repubblica de' Lanuvini Caio Cesonio Macro Rufiniano
e che Ottacilla moglie di Filippo fece qualche beneficio
a questa città: ed è da osservarsi in queste la ortogra-
fia Lanivium aver di già preso piede. La caduta del pa-
ganesimo portò un colpo fiero a Lanuvio, poiché, chiuso
il tempio di Giunone , che era uno de' santuari princi-
pali del Lazio, dìsper -il i sacerdoti, cessate le feste, cessò
ancora il concorso, e por conseguenza la sorgente prin-
cipale delle ricchezze. A questa prima causa immanti-
nente tenne dietro l'altra delle scorrerie de' barbari, che
devastarono le terre, che si trovavano a destra e sinistra
della via appia; e quindi quelle de' Greci, e de' Goti nel
secolo VI; de' Saraceni ne' secoli IX. e X; e de' tiranni
che scesero da tutte lo {«irti ne' secoli susseguenti, che
facendosi vicendevolmente fra loro la guerra devastavano
le possessioni usurpate. Lanuvio sembra , che in qual-
cuna di queste scorrerie rimanesse deserta affatto, almeno
fino al secolo XIII, poiché non solo non se ne incontra
mai la memoria negU scrittori del tempo , e ne' docu-
menti, ma neppure ho trovato sul luogo alcun avanzo ,
173
che possa assegnarsi all' intervallo che passò fra il se-
colo V. ed il secolo XIII. e questa circostanza partico-
larmente mi fa supporre che di poco posteriore al prin-
cipio di quel secolo di devastazione, io voglio dire del V.
fosse l'abbandono di questa città.
Nel fabbricato della Terra, messo da canto l'anti-
450, ed il moderno io ravviso due sole epoche, la opera
saracinesca del secolo XIII , che è la più commune , e
quella informe del secolo XV. Quindi io credo che nel
secolo XIII. tornasse a risorgere, e che gli abitanti si
annidassero sulle rovine delle auliche fabbriche, che co-
ronavano il colle meridionale della città antica. Il Ratti
nella Storia di Genzano p. 47. 48. ec. mostra, che nel
secolo XIII. era del monastero di s. Lorenzo fuor delle
mura, e siccome Onorio III Savelli molto fece per quel
mionastero , e ristaurò ed abbellì la basilica tale quale
oggi si vede , quindi io credo , che a lui si debba il
ripopolamento di Lanuvio, come pure il nome attuale,
e questa opinione viene avvalorata dalle pretensioni, che
ebbero su questa terra i Savelli nel secolo XIV. i quali
sotto la condotta di Cristoforo la occuparono l'anno 1378.
Veggasi il Casimiro p. 193. Un atto riportato dal Ne-
rini nella storia di s. Alessio p. 526 appartenente all'an-
no 1358 è la memoria positiva più antica, che io abbia
trovato di questa terra sotto il nome odierno, poiché
in esso si ricorda un Cencio Palgiciae de Civitate Lahi-
niae : e nel 1360 in un altro documento riferito dallo
stesso Nerini si ricorda il tenimentum Civitatis Labinie
come uno de'confini del Castrum Verpose, oggi Buonri-
poso. Sul finire di quel secola Bonifacio IX conservan-
do sempre il diritto del monastero di s. Lorenzo fuor
delle mura, la die a Cecco Durabile in vicariato ad be-
neplacitum. Giovanni XXIII con bolla data l'anno 1410
a favore di Giovanni e ^"iccolò Colonna., investì questi:
174
due nobili romani del possesso del Castrum Civitatis La-
vinte, ricordando sempre il dominio diretto di s. Loren-
zo fuor delle mura. Veggasi il Ratti Storia di Gemano
p. 124: e questa è la prima volta, che i Colonna com-
pariscono nel dominio di questa Terra, la quale secon-
do la bolla sovraindicata allora apparteneva a titolo di
commenda ai card. Giordano Orsini, ed Oddone Colon-
na, che poi fu papa Martino V. I Colonna la ritennero
pacilicamente fino all' anno 1436 , quando per testimo-
nianza dell' Infessura nel Diario riportato dal Muratori
Rer. Italie. Script. T. HI. P. LI. p. 1127 fu presa dal Vi-
telleschi. Sul finire di quel secolo ebbe questa Terra mol-
to a soffrire nella guerra di Sisto IV. descritta dal Nan-
tiporto, e da un Anonimo, scrittori contemporanei inse-
riti dal Muratori nella raccolta sovraindicata T. III. P. IL
p. 1075 , 1094 , 1100 , ec. Da questi scrittori ricavasi,
che nel 1482 fu assediata, e presa dal duca di Calabria
al primo di agosto, e che tre giorni dopo fu presa an-
che la rocca. Partito il duca di Calabria fu occupata dal
papa e data agli Orsini l'anno 148;ì. I Colonnesi si pre-
sentarono poco dopo sotto la terra, l'assalirono e la pre-
sero con grave strage de' loro avversarii. Essi la riten-
nero fino ai 19 febbraio dell'anno seguente 1486, allor-
ché con gran strage, dopo molta fatica venne espugnata
dalle genti del papa, alle quali si rese a discrezione. Da
quella epoca in poi communi furono le vicende di Ci-
vita Lavinia , Genzano , ed Ardea. Rimasta la Terra ai
Colonna, fu questa venduta da Marcantonio a Giuliano
Cesarini l' anno 1564 , e nel 1586 eretta in marchesa-
to; ed i Gesarini, come notossi in principio, ancora la
ritengono. ^-wc... .■•,
Da Genzano, poco dopò aver passato il segno mi-
liario XXI , che appartenendo alla vecchia strada di
Pio VI. corrisponde al XIX e mezzo della strada attua-
175
lo, un ditcrticolo a destra conduce a Civita Lavinia, os-
sia l'antico Lanuvium. Questo diverticolo eccede di po-
co un mezzo miglio; la via sebbene sia tortuosa è però
certamente sulle traccie di una strada antica, che anda-
va da Lanuvio a sboccare nell'Appia presso la stazione
di Sub Lanuvio, oggi s. Gennaro: dopo circa 200 passi
vedesi a destra un masso di muro costrutto di scaglie
di selce, fatto per reggere le terre sovrapposte, ed ivi
la strada comincia leggermente a salire: diviene poco do-
po la salita alquanto più sensibile , e dopo una breve
spianata comincia a discendere presso ad una chiesuola,
accanto alla quale è il casino già de'Bonelli, ed ora dei
Dionigi. Dinanzi a questo è un cortile ornato di fram-
menti di sculture antiche, e di lavori moderni: frai fram-
menti antichi sono degni di osservazione un pezzo di
statua ben panneggiata a destra della porta d'ingresso:
ed i bassorilievi a sinistra , rappresentanti Genii sopra
delfini, altri che si battono, Bacco sdrajato, ec. Lo stato
del casino mostra in generale un certo abbandono ; di
fronte una lapide ricorda, come l'anno 1723 Carlo Bo-
nelli co' suoi nipoti vi riceverono Jacopo III e Maria Cle-
mentina sua moglie. Nel portico del casino è una sta-
tua togata, posta sopra un piedestallo non suo, che ha
la epigrafe seguente la quale rammenta il nome di Caioj
Domazio Rufo pretore: ^liio.rli .^'i
-i^i.» li oqod • ,9J'4Kq iVì?5rrp ni sh'him uì sluiolv , f*oon
it^ai9^''>h iii'm nGkk DOMATIVS . C .FvRÌ/ ui ogaoi ,orf
Questo casino è tutto fondato sopra sostruzioni antiche
di muri costrutti di scaglie di selce. Sotto di esso dal
cauto rivolto ad oriente uell'oliveto furono fatti scavi
l'anno 1826 e si rinvennero armi di ferro di ogni genere,
-«»¥» il^ i?.nog>i37 ««¥tiq iii>;>iq in <>ì>41K'i>»?» ,i}bfi*t ùhh
176
laiicie, spade, veruti, molti uteasiK e la lapide seguen-
te di marmo lesbio :
-«h«f^ ,1 A .CASTRICIVS.MYRIO
TALENTI . F . TR . MIL.PRAEF.EQ
i , ET . CLASSIS . MAG . COLLEG
',i!>^fiM i LVPERCOR . ET . CAPITOLINOR
In i)y , ET . MERCVRIAL . ET . FA.. A.... />,l'j. iì,
oh o-io ; NOBa. AVENTIN . XXVI . VIR a,fir»? b!
■ ^r'nù r.n« uph MONI . PER . PLVRES . '
.dow^-oid:). i;u!; Ur. . . . SORTITIONIBVS .
hh ino 1u> ^illftijoa -*!- DIS . REDEMPTIS .
Qttesla lapide é particolarmente importante per i molti
oflScii che ebbe quest'Auto Castricio, il cui padre Ta-
lento gli die il cognome di MYRIO: ora è noto che se
un Talentum valeva 1000, Myria equivaleva a 10,000;
quindi sembra che questa famiglia si compiacesse de'co-
gnomi derivanti dalle ricchezze. E questi fu tribuno mi-
litare, generale di cavalleria, ammiraglio , in Roma mae-
stro, cioè capo del collegio de'Lupcrci, de'CapitoIini, de*
Mercuriali palatini ed aventinensi, e XXVI viro: la ul-
tima linea sembra doversi supplire PRAEDIS REDEM-
PTIS, e dimostra, perchè ottenesse questo monumento.
Essa probabilmente era nel vicino tempio e luco di Giu-
none , donde fu rotolata in questa parte. Dopo il casi-
no, lungo la via, sulla stessa mano è una casa de'tempi
bassi, che presenta un portichetto in parte murato, pel
quale servironsi di rocchi di colonne antiche scanalate
di ordine dorico, di pietra locale vulcanica, simile a quel- '
la, che chiamano sperone, i quali appartennero ad un por- »
tico, che or ora verrà indicato. ^
Dirimpetto al casino Dionigi, sulla sponda opposta >
della strada, entrando in predii privati veggonsi gli avan-
177
li delle sostruzionì, che a scaglioni reggevano il ripia-
no sulla cima del quale sorgeva il tempio di Giunone
Lanuvina. Il primo, ed il secondo muro , che fiancheg-
giano il colle, sono di opera incerta, ed il primo va a
legarsi verso mezzodì con un fabbricato antico dello stes-
so lavoro, ridotto a montano e pertinente ai Dionigi. Que-
sto edificio è addossato alla falda, e nell'interno, quan-
tunque sia orribilmente deformato, rimjmgono traccie di
uno stucco solidissimo dipinto a compartimenti a fondo
rosso; forse questa fabbrica è parte delle abitazioni de*
sacerdoti , ovvero servi di sacrario , o di archivio. Nel
punto in che la sostruzione si lega con questo edificio
sono gl'indizii di una porta, la quale introduceva nel ri-
piano fra le due sostruzioni. Dinanzi questa fabbrica poi,
verso mezzodì, veggonsi le traccie di un condotto e di
una conserva de'tempi della decadenza, e presso questi
un muro di opera incerta. Seguendo l'andamento di que-
sta prima sostruzione 1' anno 1826 fu scoperto un nic-
chione , o sedile rettilineo colla iscrizione seguente in-
cisa sui peperino: GVRIA CLODIA FIRMA in caratteri
di forma non bellissima. Sembra, che in questa parte in
luogo di una sostruzione si aprisse un colonnato di or-
dine dorico, al quale appartengono i rocchi indicati di
sopra: due delle basi esistono sul luogo, ed hanno cir-
ca 4 piedi antichi di diametro maggiore. Sopra la nic-
chia, o sedile testé indicato, il secondo muro di sostru-
zione forma un angolo ottuso. Il terzo scaglione che è
il più erto di tutti, e che regge il ripiano proprio del
tempio , ha verso mezzodi un pezzo di muro di opera
incerta, verso oriente poi la falda è retta da nicchioni
di opera reticolata, e contrafforti; e sopra questo ripia-
no una leggera elevazione determina il sito del tempio,
che come tutti gli altri templi principali del Lazio anti-
co avea la fronte rivolta verso sud-ovest. Dinanzi ad cs-
12
178
so è una conserva a tre aule , rette da cinque pilastri
ciascuna^ la quale servì per le abluzioni e per gli altri
usi sacri. E circa a questo tempio, la fondazione si ascri-
ve a Diomede fondatore di Lanuvio: gli avanzi però, che
oggi se ne veggono, e che principalmente riduconsi a so-
struzioni, in parte sono dal settimo secolo di Roma, in
parte del primo secolo della era volgare: alla prima epo-
ca appartengonoi muri di opera incerta, alla seconda
quelli di opera reticolata. Livio nel passo notato di so-
pra ricorda il tempio, ed il luco di Giunone Sospita, ed
Eliano Storia degli Ammali lib. X. e. XVI. così ne ra-
giona: In Lanuvio pertanto si venera un bosco sacro gran-
de e folto, ài quale è vicino il tempio di Giunone Argo-
lide: nel bosco è una caverna grande, profonda, tana di
un dragone: le vergini sacre in giorni stabiliti entrano nel
luco, portando nelle mani una focaccia, e cogli occhi ben-
dati da striscie di cuoio. Uno spirito divino le guida di-
rettamente alla tana del dragone : esse a passo lento si
avanzano e tranquillamente, e senza inciampo, come se te-
nessero gli occhi aperti. Che se sono vergini il dragone
accoglie i nudrimenti casti, convenevoli ad un animale ami-
co della dea; se poi noi sono, avendo egli conosciuto pri-
ma la loro contaminazione, resta senza mangiare, e le for-
miche trasportano fuori del luco ridotta in briccioli, così
minuti quanto si possono da loro portare, la focaccia di
quella che ha perduto la verginità, purgando il suolo. Si
osserva dai naturalisti del paese questo fatto, e le vergini
entrate vengono sottoposte ad esame, e quella che ha mac-
chiato la sua verginità è punita secondo le leggi. Questo
rito è descritto ancora da Properzio lib. IV. el. Vili.
Continuò ad osservarsi fino ai tempi di Teodosio, e s.
Prospero nel libro de Promiss, et Praed. Dei P. III. prom.
XXXVIII. così ne narra la fine: Presso la città di Ro-
ma fu una spelonca, nella quale un dragone di grandez-
179
xa meravigliosa, formato meccanicamente, portando in boc-
ca una spada, cogli occhi scintillanti per le gemme, spa-
ventevole, e terribile appariva. A questo vergini ornate di
fiori, consagrate, ogni anno, in tal maniera si davano in
sagri fido, che non consapevoli della cosa, portando doni,
toccando un gradino della scala da cui con tutta quelV
arte del diavolo pendeva il meccanismo, il colpo della spa-
da si scaricava, onde si spargesse il sangue innocente. E
questo fu in tal modo distrutto da un monaco ben cono-
sciuto pel suo merito da Stilicone: tastando col bastone in
mano ci4iscun gradino, come toccando quello si accorse del-
la frode diabolica, lo saltò, e scendendo tagliò in pezzi il
dragone, mostrando non essere ivi numi , che si fan colle
mani. E questo passo io credo, che vada inteso in njio^
do, che non tutte quelle vergini, che scendevano, rima;;
ncssero vittima di quell' orribile macchina , ma soltanto
quelle che si trovavano colpevoli , e questo ^ ciò chq
£liano appella esser punite secondo le leggio e perciò
Properzio disse: . r t v.m» i ujuuì uu un
Si fuerint castae redeunt in colla parenfuni^iUniiS.
Clamantque agricolae fertilis annus erit..\ jvAì
Indizio, che tal cercmonia compievasi nella primavera^
>€ che scopo di essa era l'ottenere fertile l'anno. La im-
magine della dea viene descritta da Cicerone nel primo
libro de Natura Deorum e. XXIX , cuìn pelle caprina ,
•cum basta, cum scutulo, cum calceolis repandis: e si vede
così rappresentata nelle medaglie, specialmente della gen-
te Procilia , che traeva la origine da Lanuvio , e nella
bella statua della sala rotonda del Museo Vaticano. An-
nesso al tempio era un cenacolo: vedasi Varrone de Lin-
gua Latina lib. IV. E Plinio lib. XXXV. e. VI. ricor-
da fralle pitture, antiche più di Roma, un'Atalanta ed
una Elena, che vedevansi a Lanuvio, rappresentate nu-
de , di bellissima forma , che non aveano sofferto nella
180
ruina del tempio, e che Caligola avrebbe voluto torre,
se l'intonaco lo avesse permesso. Il dire Plinio, che que-^
ste non aveano sofferto nella rovina del tempio può gui-^
darci a conoscere, perchè si trovino tanti avanzi di rau^
ri del secolo VII. di Roma fralle attuali rovine, vale a
dire, che questi furono fatti precisamente dopo la rovi-
na, della quale parla Plinio, vale a dire circa la epoca
villana, quando il tempio venne riedificato. Cicerone pure
ci ha conservato la memoria, che i consoli andavano a
sagrificare in questo tempio, come pure andavano a quel-
lo di Ercole a Tivoli, della Fortuna a Preneste, di Dia-
na Nemorense ec. Veggasi la orazione Pro Murena sul
fine. Circa al luco poi, questo si estese sulla pendice oc-
cidentale , dove forse qualche ricerca potrebbe portare
alla scoperta del famoso antro del dragone.
Ritornando sulla via , dopo il casino Dionigi , e la
casa con portichetto de' tempi bassi, scendendo sempre
si giunge dinanzi la Terra, ed a destra attira l'attenzio-
ne un lungo e bizzarro fontanile , che si attribuisce al
Bernini. Qui debbo notare che io credo, che la città an-
tica comprendesse non solo il colle di Giunone, che ne
era l' acropoli , ma ancora tutta la falda orientale del
monte fino dal principio della discesa della strada roma-r
na , ed ancora una gran parte delle vigne ed oliveti a
sinistra; altrimenti, ristretto entro i limiti della Terra o^-
dierna, Lanuvio non poteva anticamente presentare quel-
la importanza e quella potenza di far fronte ai Romani
ad una epoca così avanzata.
La Terra attuale è cinta di mura rifatte dai Colon-
na nel secolo XV, ed in più luoghi si mostra ancora il
loro stemma. La sua pianta è quasi un quadrato dife-
so negli angoli da quattro torri circolari , delle quali
quella che difende 1' angolo orientale è più grande ed
ha una torricella sovrapposta: essa dall'anonimo, che de-
181
scrisse là guerra di Sisto IV. citato di sopra vien desi-
gnata col nome di Rocca, allorché narra la occupazione
fatta di Civita Lavinia dal duca di Calabria l'anno 1482.
Entrando per la porta romana è a destra il piedistallo
colla iscrizione seguente , la quale è così malmenata
che d'uopo è riportarsi alla copia pubblicata dal Volpi:
C. MEVIO . C . F . DONATO
LANVINO . CONSVLI
PROCONSVLI .SICILI
. PROVINCIAE . P . R
. HONORI SI . . .
. PROVINCIAE
. SVIL ATI VM
. . . . V M R R O
. AELI . C . AVG.
A sinistra è un sarcofago ornato di maschere e bo-
€ranj , anche esso riportato dal Volpi , e che serve di
fontana: esso presenta il lavoro del secolo III. Poco do-
po incontrasi a sinistra un vicolo, e quindi, quasi dirim-
petto a questo entro una osteria è un pezzo di muro
di massi quadrilateri , il quale ha una direzione paral-
lela alle mura odierne. A sinistra si apre tosto la piaz-
za , dalla quale si gode verso oriente una veduta ma-
gnifica delle colline velitérne e della catena de' monti
lepini da Rocca Massima e Cora , fino a Terracina : la
vasta pianura veliterna e pontina si spalanca tutta in-
tiera sotto gli occhi fino al mare, presso cui vedesi tor-
reggiare il promontorio Circeo , e più lungi il gruppo
delle isole Ponzie sembra nuotare in mezzo alle onde.
Su questa piazza, nel lato, che è dirimpetto alla chiesa
colleggiata, havvi il piedestallo colla iscrizione seguente,
182
la quale è riportata, ma con inesattezza dal Volpi: essa
fu da me trascritta con diligenza, e dice:-
T . AVRELIO
AVG . LIB
APHRODISIO
PROC . AVG
. A RATIONIBVS
S.P.Q.L
DEDIG Q VArInIO Q F
MAEG . LAEVIANO AED
È questa ad onore di un liberto di Antonino Pio,
il quale fu gran ragioniere di quell' imperadore , e fu
eretta dal senato e popolo lanuvino, e dedicata, essen-
do edile Quinto Varinio Mecio Leviano, figlio di Quin-
to. Accanto a questa è un'altra fontana, a cui serve di
yasca un gran sarcofago del terzo secolo della era vol-
gare, in mezzo al quale è rappresentata la porta semia-
perta dell'Orco con quattro figure ne'due lati, due cioè
muliebri, e due virili, poste sotto edicole rette da co-
lonne scanalate a spira: e queste quattro figure alludo-
no probabilmente a quattro persone sepolte in questa
urna, delle quali questa è certo capace. La chiesa attua-
le non presenta oggetto degno di particolare rilievo: es-
sa fu edificata 1' anno 1675 da Filippo Ccsarini ultima
stipite di questa casa, la quale si estinse in Livia di lui
nipote. Uscendo dalla piazza e proseguendo la via versa
la porta della campagna, addossato al fianco della chie-
sa è 1' altro piedistallo di statua onoraria , spezzato in
due, la cui iscrizione è riportata più intiera dal Grute-
ro p. CCCXXX. n. 3 e dal Volpi, ma meno esattamen-
te di quello che qui si fa; essa dice così, notando in
lettere minuscole le parti mancanti.
183
M . AVREL . AVG . LIB
AGILIO SEPTENTRIO
NI PANTOMINO.SVI
TEMPORIS PRIMO . SACERDO
TI . SYNHODI . APOLLINIS PA
RASITO . ALVMNO faustinae
aug. PROducto. AB . IMP . M
AYREL . COMMODO ANTONI
NO . PIO . FELICE AVGVSTO
ORNAMENTIS . DECVRIONAT
DECRETO . ORDINIS . EXORNATO
ET . ALLECTO . INTER . IVVENES
S . P . Q . LANIVINVS
Di fianco nell'esemplare del Grutero si pone
' ... IDVS COMMODAS
. . . ELIANO GOS
■ ^'i* : - ■■ .( f
È noto che Conimodo volle che col suo nome si chia-
masse il mese di Agosto secondo Lampridio nella sua
vita , e questo monumento n'è una prova : come pure
che Eliano fu console durante il suo regno l'anno 184,
e 187 della era volgare, onde ad uno di questi due anni
ed io credo piuttosto al secondo, questo piedistallo ap-
partiene. In questa iscrizione apparisce, che Marco Au-
relio Agilio Settentrione fu liberto di Commodo ', che
primieramente gli si fa l'elogio, come primo pantomimo
del tempo suo , e siccome il monumento gli fu eretto
in Lanuvio è prova , che in questa città mostrò la sua
bravura : in secondo luogo che fu sacerdote del sinodo
di Apollo : e finalmente che il nome di Commodo fu raso
e restituito con lettere di forma ineguale ne' tempi di
Settimio Severo, che rialzò le memorie di quel pessioio
\
184
imperadore , del quale cliiamavasi fratello. Il Ficoroni
nella opera sulle Maschere Sceniche e. XXI: riporta un'al-
tro piedestallo eretto ad onore di questo stesso M. Au-
relio Agilio Settentrione in Preneste coi titoli di PAN-
TOMIMO SVI TEMPORIS PRIMO, HIERQNICAE SOLO
IN VRBE CORONATO DIAPANTON LIB. IMP. DD.
NN. SEVERI ET ANTONINI AVGG. PARASITO APOL-
LINIS. ARCHIERI SYNOD, IIII. VIR: ec. E da questa^
monumento apparisce, che era di patria prenestino.
Nel resto l'interno di questa Terra pFCsenta da ogni
parte lo squallore, la rovina, la sporcizia, e l'aspetto di
un castello de' tempi bassi , con viottoli , piuttosto che
strade, tortuosi, ed irregolari, ingombri di polli e di altri
animali domestici.
Uscendo per la porta occidentale si ravvisa a sini-
stra un piccolo tratto delle mura antiche costrutte di
massi parallelepipedi di pietra vulcanica come quelle di
Ardea, e costeggiando per poco le mura si giunge alla
torre angolare di costruzione del secolo XV. alla quale
è attaccato un anello moderno di ferro, che dai terraz-
zani si mostra ai creduli come quello, al quale Enea
sbarcando attaccò la nave , come se Lanuvio e Lavinio
fossero una stessa cosa, il mare a quella epoca giungesse
fin su questa altura, e l'anello si potesse essere conser-
vato sino a noi, supponendo antichi esso e la torre, che
d'altronde sono moderni. A questa torre comincia il lato
meridionale del recinto, il quale , è certamente fondato
sull'antico, siccome si dimostra da un bel tratto di muro
di parallelepipedi di tufa come quello testé accennato.
Ivi è inserito un mascherone con vasca sotto , che un
tempo servì di fontana. Ritornando per un momento alla
porta occidentale, e seguendo l'andamento delle mura,
poco prima della torre angolare settentrionale veggonsi,
a traverso la costruzione del secolo XV. che li fascia ,
185
gli a'vanzi di uq bel basamento di qualche tempio , di
stile del tempo più antico, con una gola sodissima. Ivi,
dappresso a quell'angolo medesimo, Tanno 1832 furono
scoperti due cunei del teatro lanuvino con una gran
quantità di frammenti di architettura appartenenti alla
scena, e che mostravano per lo stile la era commodiana,
monumento, che se si sgombrasse, sarebbe importantis-
simo , e produrrebbe certamente molti ritrovamenti di
statue, e di altre sculture. Da ciò , che si scoprì si ri-
conobbe che la cavea era addossata in parte al tufa stesso
del monte, in parte ad un ordine di archi; e che era
rivolta ad occidente , in guisa che gli spettatori gode-
vano la veduta della spiaggia latina. Dai frammenti della
costruzione parmi poter dedurre, che Commodo, che era
nato a Lanuvio , e che frequentava la sua villa avita ,
amante come era degli spettacoli lo ergesse, ed in esso
il pantomimo celebre , M. Aurelio Agilio Settentrione ,
del quale si é riferita di sopra la iscrizione onoraria avrà
mostrato il suo talento.
Lasciando il teatro di Civita Lavinia e tornando sul
ripiano presso il lato meridionale del recinto, vedesi da
questo stesso distaccarsi un muro di massi quadrilateri
di peperino, disposti a strati alternati , come quelli del
Tabularlo capitolino di Roma: parallello a questo invito
di muro è un altro pezzo della stessa costruzione che si
trova nello scendere per la via antica a ponte Loreto, quasi
dirimpetto alla torre angolare di Civita Lavinia. Di maniera
che parmi potere asserire, che l'juno e l'altro apparten-
gano ad una fabbrica cospicua eretta circa i tempi di
Siila, la quale comprendeva tutto il ripiano che è dinanzi
al lato meridionale della Terra odierna.
E dirimpetto alla torre angolare meridionale comin-
cia una via antica, che per ponte Loreto in linea retta
si dirige verso il mare a Nettuno traversando il tenimento
186
vastissimo di Campo Morto. E questa via teneva Cice-
rone neli' andare e tornare da Astura , siccome mostra
egli stesso nelle lettere ad Attico , lib. XII. Ego hinc ,
ut scripsi antea, postridie idus Lanusium, deinde postridie
tu Tuscuìano : ed altrove : Asturam veniam Vili. Kal. lur-
ìias, vitandi enim caloris caussa Lanuvii tres horas acquie-
veram. Questa strada è fiancheggiata a destra da ima
sostruzione , la quale in alcuni luoghi conserva ancora
massi di pietra albana ossia peperino , che hanno alle
volte fino ad 8 piedi di lunghezza, e 3 e mezzo di al-
tezza : e sopra questi massi rimangono avanzi di un muro
di opera reticolata. Il pavimento antico è ben conser-
vato, e dove la sostruzione sovraindicata finisce , slar-
gasi per ricevere un'altra strada, che pure discende da
Civita Lavinia, e forse antica ancor essa. La via antica
scendendo il monte va leggermente torcendo, e di tratta
in tratto mostra i poligoni dell'antico pavimento al loro
posto. Un mezzo miglio dopo Civita Lavinia si trova la
chiesa rurale della madonna delle Grazie, la quale non
presenta oggetto, che meriti di essere ricordato; è però
da notarsi che fin là il pavimento antico è più conser-
vato. Dopo si trova a destra una strada che si dirige
verso la mola di Fontana di Papa e verso Genzauo : e
circa 1 miglio distante da Civita si ha un'altro pezzo di
strada antica. Quindi un viottolo viene ad intersecare la
strada : a sinistra scende al fontanile di Stragonella , a
destra raggiunge la strada di Campo Morto, e di Conca.
Un miglio e mezzo dopo Civita terminano le vigne : a
sinistra è la contrada di Fontana Torta. Entrando nei
campi a destra 2 miglia circa dopo Civita sono gli avanzi
di una .villa romana della era augustana , costrutta di
opera reticolata, non regolare, che presenta la pianta di
un quadrilungo^ di circa 2000 piedi di circonferenza. Ivi
si vede un muro di sostruzione con contrafforti nel lato
187
settentrionale, e presso questo un pozzo circolare, e più
oltre sul ciglio verso 1' angolo boreale un nicchione , o
essedra : nel ripiano poi sono due muri paralleli nella
direzione da nord a sud , quadrilunghi presso il lato
orientale. Ritornando sulla via un mezzo miglio dopo si
giunge a Ponte Loreto, nome che derivò da un Laure-
tuniy o bosco di lauri , che ivi un tempo esistè : presso
questo ponte a sinistra è un rudere, forse di sepolcro.
Ponte Loreto è 2 miglia e mezzo distante da Civita La-
vinia : ha circa 40 piedi di grossezza : è alto 17 : è co-
strutto di massi enormi di peperino alcuni de' quali hanno
fino ad 8 piedi di lunghezza e 2 di altezza ; ed ha 15
piedi di larghezza; perenne ma povero di acque 6 il rivo
che vi scorre sotto, col quale il ponte per seguire l'asse
della strada, non trovasi ad angolo retto, ma a sbieco: esso
conserva parte del pavimento, e de' parapetti.
Da questo ponte fino alla Torre di Campo Morto
sono 5 miglia e mezzo ; la strada è in linea retta , e
piana; meno qualche traccia dell' antico pavimento però
non offre grandi oggetti degni di memoria : al IV. mi-
glio da Civita è a sinistra un avanzo incognito di opera
incerta : da lungi veggonsi successivamente i casali di
Cacalasino , Prisciano , e Lazzaria : e destra da questo
punto fino alla torre di Campo Morto si costeggia la
macchia di Casal della Mandria. Circa Campo Morto veg-
gasi ciò che notai a suo luogo.
LAVRENS-LAVRENTVM.
TOR PATERNO— CAPOCOTTA. -Mf il
Laurens e Laurentura i Latini, Aaupsvrcv e Acòpvjrov
i Greci chiamarono quel distretto marittimo del Lazio ,
che si estende dalla foce ostiense, a sinistra del Tevere
188
fino al confine del territorio anziatc, e donde trasse rio*
me r antichissima città di Laurentum. La etimologia di
questo nome concordemente derivasi dagli scrittori an-
tichi dai lauri che particolarmente vi abbondavano , e
che continuavano ancora a vestir questa spiaggia sul
finire del secondo secolo della era volgare per testimo^-
nianza di Erodiano lib. I. e. XII. Questo storico nar-
rando la fiera pestilenza che afflisse Roma circa l'anno 189
della era cristiana, dice che Gommodo per consiglio di
alcuni medici , e forse di Galeno che allora fioriva in
Roma , andò a ritirarsi in Laurento villa freschissima ,
adombrata di grandissimi alberi di lauro , donde essa
traeva nome, la quale sembrava essere un luogo salubre
ed opporsi al corrompimento dell' aria pel buon odore
che tramandavano i lauri o per la ombra piacevole che
gli alberi davano. L'autore della Origo Gentis Romanae^
parlando dell'arrivo di Enea in Italia dice, che approdò
ad eam Italiae oram , quae ah arbusto eiusdem generis
LAURENS appellata est. Oggi però su questa spiaggia i
lauri sono presso che affatto spariti , e mentre il suolo
è coperto da immense boscaglie di ogni specie di alberi
e di arbusti , rari sono gli allori , i» guisa che se non
fosse certo, che il laurus de' Latini corrisponde al nostro
lauro, da questa circostanza nascerebbe il dubbio della
identità di tal pianta. Documenti moltiplici e superiori
ad ogni eccezione mostrano , che 1' Agro Laurente si
estese, come indicai dapprincipio, fra la foce del Tevere
ed il territorio anziate, in guisa che comprese ancora il
ristretto regno , o cantone de' Rutuli ; quindi Virgilio
lib. VII. chiamò Turno, laurente :
quo pulchrior alter
Non fuit, excepto laurentis corpore Turni.
e Stazio Sylv. lib. I. §. III. appella laurentia iugera il regno
de' Rutuli : S ' >?••
189
^ . . cedant laurentia Turni iugera
Questa contrada veduta da un luogo elevato si pre-
senta da lungi come una vasta pianura coperta lungo
il mare da selve, e più indentro nuda di alberi , meno
picciole eccezioni di ristrette boscaglie^ simili a macchie,
effetto che die origine al vocabolo macchia , col quale
il volgo appella ogni sorta di foreste, e perfino i boschi
di lusso nello ville de 'grandi. Ma quando poi si va sui
luoghi quest'apparente pianura eguale si cangia in una
successione continuata di colline ora leggiermente sfal-
date, ed ora erte e scoscese, più communemente nude,
019 non di rado ancora vestite nelle pendici da arbusti,
e solcale ai piedi in varie direzioni da rivi e torrenti
che hanno formato valli variate per estensione , ed alle
volte amene e ridenti. Questo sistema di colline deesi
principalmente alle acque che vollero aprirsi uno scolo,
o nella gran valle del Tevere , o verso il mare : verso
la spiaggia però esso va a terminare in una barra di du-
ne, che quanto più si appressa alla foce tiberina, più si
pioltiplicano , formando linee parallele di tumuli di sab-
bia , che i naturali appellano il tumoleto. Queste dune
furono prodotte dal ritrarsi successivo che fece il mare
forzato dalle terre, che il Tevere specialmente nelle sue
piene trascina, e che l'impeto delle onde riversa sul li-
do. Ed è pur bello vedere come queste arene che pro-
lungano la spiaggia laurente, dapprincipio sterilissime si
vanno a poco a poco vestendo di piante , e come que-
sta novella vegetazione varia a misura che il mare più
si allontana, osservazione che non isfuggì al celebre Lan-
cisi, il quale nelle sue animad versioni fisiologiche sulla
via laurentina di Plinio notava un secolo fa , come le
prime a sbucciare sono V eruca maritima ed il gramen
spicatum, e come a queste succedono l'eryngium, il cri-
thmumf il parthenium, il polium, il tithymakis ec. Più en-
190
tro terra poi crescono il iuniperus, V arbutus, V erica, o
myrica, la sabina baccifera, Voleaster, il myrthus, il rosma-
rimum , arbusti frammischiati alla stoechas citrina , alla
medica marina, alla medica echinata, aìVannonis lutea, al-
la cistus foemina, aìVasphodelus, alla lychnidia, alla vicia,
alla soldanella, aWheliantheum , al periclymenus ec. E fi-
nalmente dove la sabbia col volger de' secoli , e per la
decomposizione de' vegetabili è divenuta terreno sodo ,
sul suolo coperto di erbe pratensi crescono alberi gi-
ganteschi, il pino, l'elee, la quercia, il sughero, il fras-
sino, l'orno, l'olmo ec. piante che Virgilio ancora ricor-
da, come esistenti nella selva laurente, lib. XI. v. 133
e seg.
Bis senos pepigere dies, et pace sequestra,
Per sylvas Teucri mixtique impune Latini,
Erravere iugis: ferro sonai icta bipenni
Fraxinus: evertunt actas ad sidera pinus, ; <t
Rohora, nec cuneis et olentem scindere cedruin,
Nec plaustris cessant vcctare gementibus ornos.
E siccome questa vegetazione successiva è un effet-
to prodotto dalla natura del terreno e dalla circostanza
del ritiro del mare, perciò possiamo esser certi che l' a-
spetto di questa spiaggia ai tempi di Enea era lo stes-
so di quello di oggi; se non che allora presso la foce
del Tevere era. di circa 3 miglia più indentro quello che
oggi veggiamo accadere 3 miglia più in fuori; non cosi
presso Lavinio ed Ardea dove il mare è presso a poco
rimasto nello stesso limite.
Laurentum però non fu soltanto il nome della con-
trada entro i confini sovraindicati, lo fu ancora di una
città antichissima, che ivi trovavasi, e che per un tem-
po fu la metropoli degli Aborigeni, e de'Latini, la quale
191
è ricordata dagli scrittori greci e latini, e che die nome
ad una via , che laurenlina si disse , della quale come
delle altre strade consolari che uscivano da Roma fa-
rò un articolo particolare a suo luogo : reggasi 1' arti-
colo VIE.
Dopo avere esposto , che Laurcntum fu un nome
dato , non solo ad una contrada marittima del Lazio e
delle regioni adiacenti, sulla riva sinistra del Tevere ma
ancora di una città , che fu la sede del regno latino ,
parmi dovere istituire ricerche sul sito di questa città
medesima, tanto più opportune, perchè tendono a rischia-
rare la storia della origine di Roma. Polibio, è lo scrit-
tore più antico, che ricorda il commune de'Laurenti, al-
lorché riferisce il trattato di amicizia e di commercio,
conchiuso frai Romani ed i Cartaginesi subito dopo la
espulsione de' Tarquinii. In quel documento insigne ed
antichissimo della diplomazia, i Romani, volendo mostra-
re la loro supremazia sopra tutta la spiaggia latina e li-
mitrofa, compresero tutti i popoli marittimi fra Roma
e Terracina. Imperciocché figurano in esso gli Anziatì ,
i Circeiati , ed i Terracinesi, che abitavano immediata-
mente sul mare, e gli Ardeati ed i Laurentini, che era-
no a piccola distanza del lido, cioè di 3 e 4 miglia. A
questo documento coerente è il passo di Strabone che
nel lib. V. descrivendo la parte marittima del Lazio no-
mina in primo luogo Ostia ed Anzio, e quindi le città
intermedie entro terra a picciola distanza, Lavinio, Lau-'
rento, ed Ardea. E che Laurento, città del Lazio marit-
timo non fosse bagnata immediatamente dal mare, come
neppure stesse a pochi passi da quello, é chiaro pel poe-
ma immortale di Virgilio, nel quale si ricorda la situa-
zione di Laurento, e se ne descrivono le adiacenze con
caratteri vivi: e mai non si parla di vicinanza immedia-
ta col mare. Laonde, se Laurento fosse stata bagnata dal
192
mare, o ad una distanza di pochi passi, quel poeta, che
\ivea mentre Laurento non era ancora scomparsa , non
avrebbe trascurata una circostanza che poteva fornirgli
episodii ed immagini luminose.
Queste considerazioni escludendo, che Laurento stas-
se immediatamente sul mare, non escludono affatto, che
fosse in quella parte del Lazio marittimo, che si esten-
de fra Ostia, e Lavinio (oggi Pratica) , essendo su que-
sto punto concordi le testimonianze degli scrittori anti-
chi , come Dionisio , Livio , Strabone , Pomponio Mela ,
Plinio, e specialmente quella della Carta Peutingeriana,
che è un documento geografico. Circa il sito di Lauren-
to Virgilio lo mostra collocato sopra una eminenza che
avea sotto una pianura, e dietro questa, una palude va-
sta, e più oltre in distanza il mare.
Atque hinc vasta palus, hinc ardua moenia cingunt.
Si notino gli epiteti di vasta data alla palude, e di ar^
dua dato alle mura. Altrove il poeta mostra, che Lau-
rento era eminentemente distante dal mare , e che fra
questa città e la foce del Tevere il suolo era vestito da
selve estese in modo, che gli fornirono la idea dell'epi-
sodio decantato dello smarrimento di Niso ed Eurialo.
La distanza da Roma a Laurento viene determinata
dall' Itinerario di Antonino a 16 miglia. E la giustezza
di questo numero si conferma col passo di Plinio il gio-
vane, il quale dice, che la sua villa laurentina era 17
miglia distante da Roma fra Ostia , e Laurento , sulla
spiaggia del mare: che vi si poteva andare per ambe-
due quelle vie, cioè per la ostiense e la laurentina: che
dalla ostiense deviavasi a sinistra all' undecimo miglio ,
e dalla laurentina a destra al decimo quarto : le due
vie sono ben note , conservano le traccie del pavimen-
to antico, ed alcuni ponti, in modo che la direzione non
può smarrirsi in una distanza cosi limitata : e la lau-
193
reatina parlìcblarnìenlè "consèrva àncora '{^'esso i! casa-
le di Decimo al posto suo la colonna millìaria antica'
col num. XI. come fu notato all'articolo DECIMO T. 1;
p_ 551. ''"'' >^' '•*"■ »■* ''^**j '* «-ii'i»i^i>
Con questi dati positivi , e quasi óSo' dtfe géOttie-
trici , seguendo sempre le traccio della via laurentina ,
che nella macchia dopo il casale di Decimo sono molto"
visibili, credo di avere riconosciuto il sito di questa me-
tropoli primitiva del Lazio ne'dintorni del casale di Ca-'
pocotta , che dà nome ad un lenimento vastissimo de'*
Borghese, fertile, ameno , e fra quelle boscaglie riden-^
le, circa 16 miglia distante dalla porta antica di Roma'
per la via laurentina, 2 dal mare , sito ricco di acque,
che oggi sono inalveate, ma che ne' tempi primitivi ri-
stagnando davano origine alla vasta palus di Virgilio. È
il casale in un sito eminente relativamente ai campi sot-
toposti verso occidente: il suolo rigurgita di cementi stri-
tolati dall'azione dell'aratro e del tempo, ed in un pun-
to così solingo questa è una prova di fatto della popo-
lazione che un tempo Io coprì.
Autori gravissimi ne' tempi passati credettero che.
Laureato fosse a Tor Paterno, opinione, che ha tale ap-'
parenza di verità, che io medesimo ne rimasi convinto,
prima di conoscere bene i luoghi, quantunque debba con-
fessare , che mi faceva sempre nella mente un ostacolo
forte quel silenzio perpetuo di Virgilio , che mai noa
parla di vicinanza immediata del mare, quella pianura,
che presso Tor Paterno si riduce ad uno spazio troppo
ristretto; e soprattutto gli avanzi superstiti in quel luo-
go , certamente vestigia di una villa , piuttosto che d?
una città; ma privo di altre cognizioni locali mi sotto-
metteva alla opinione di coloro , che in queste ricerche
mi aveano preceduto. Dopo che per la formazione della
Carta ho percorso quelle selve in tutte le direzioni, cioè
13
194
da Ostia al mare, e per la spiaggia a Tor Paterno e den-
tro e fuori la selva: da Ostia a Castel Fusano e per la
selva a Tor Paterno, e Porcigliano; da Malafede a Por-
cigliano, e per la selva ad Ostia: da Porcigliano a De-
cimo: da Decimo a Tor Paterno: da Tor Paterno per la
Palombara a Tor s. Michele; da Decimo per Tor Pater-
no a Capo Cotta: da Decimo per Trigoria, e per Castel
Romano a Santola, e da Capo Cotta per Petronella a Pra-
tica: dopo tutti questi giri incommodi, e pericolosi , di
che le difficoltà si possono calcolare solo da chi cono-
sce i luoghi, non limitandomi ai sentieri battuti, ma en-
tro la selva a traverso gli spini, le paludi, e le sabbie,
sono rimasto persuaso, che niun altro luogo di tutta quel-
la contrada presenta meglio il sito di Laurento, che Ca-
pocotta, secondo la distanza assegnata dagli antichi scrit-
tori, e la località descritta da Virgilio, Trattandosi del
sito della città più antica del Lazio, ed una delle più
antiche d'Italia, parrai che queste ricerche non possano
venire tacciate come superflue. Quanto poi a coloro, che
privi della cognizione de'luoghi e men scrupolosi nello
allegare le autorità degli scrittori classici, e molto me-
no ancora in torcerle a seconda delle idee, che aveano
adottato; o che abbagliati dalla somiglianza del nome cre-
derono che a Laurento corrisponda la odierna Tor s. Lo-
renzo, questi non meritano oggi una confutazione di pro-
posito, poiché agli argomenti di fatto, e di autorità fi-
nora allegati, si aggiunge quello, che in luogo di stare
fra Ostia e Lavinio, Tor s. Lorenzo sta fra Lavinio ed
Anzio , ed invece di essere entro i limiti del territorio
Latino è nel confine di quello de'Rutuli co'Volsci.
Nella Carta Peutingeriana il numero XVL indican-
te la distanza di Laurentum da Roma è posto in guisa,
che a prima vista direbbesi messo ad indicazione della
lontananza fra Ostia e Laurento, distanza che sarebbe
195
eccessiva; ma chiaro è l'abbaglio dopo tutto quello, che'
si espose finora, donde risulta, che se Laurento fu 16-
miglia distante da Roma, e fra Ostia, e Lavinio , non
potè essere 16 miglia distante da Ostia. Questa negli-,
genza è una di quelle che s'incontrano nella Carta Peu-»
tingeriana, e che non sono poche, specialmente in qu^,
sta parte; imperciocché ivi poco dopo emerge un'altre»,
errore di cifra. Dopo Laurento si vede notato il nume-,
ro «i , come indicante la distanza fra Laurento e Larf
TÌnio; ma posto per gli argomenti allegati di sopra chel
Laurento fu a Capocotla: ed essendo provato, e concor-j
demente ammesso che Lavinium corrisponde a Pratica^,
fra Capocotta e Pratica non vi sono , che tre miglia ,i
seguendo l'andamento della via antica; dunque dee diivi
si, che colui, il quale copiò Tesemplare della carta ori*>
ginale confuse il num. HI con ni- ''
Dopo Decimo la via laurentina , che come notai
di sopra è sempre visibile quanto alla direzione, pe'pow'
ligoni , ora smossi dalle radici degli alberi secolari di'
quella selva, ora al posto, ora continuati, ora interrot-'i
ili per circa un miglio si costeggia la macchia di Por*'-
cigliano. A destra una strada conduce direttamente al*
casale di Porcigliano, che è circa A miglia distante d«
quello di Decimo per questa strada. La natura areno-
sa, ineguale del suolo, la piena trascuratezza della stra-*'
da vengono mitigate dalla veduta magnifica, che si apre
a sinistra, la quale è coronata in fondo della catena del
monte Lepino , che per la distanza mostrasi a guisa di
una striscia di nubi frastagliate. Volgendosi alquanto in-
dietro un'altro spettacolo si presenta, ed è quello della'
falda meridionale del monte Laziale, sulla quale vég-'.
gonsi disseminate le città e le borgate, che la vestono:»
il candore de'fabbricati, le cime delle cupole, e de'cam-
panili miste alla verdura delie terre coltivate, ed al bfu-
1%
no delle selve fanno un contrasto che incanta, sotto un
ciclo così puro come questo d'Italia. ' e
Passato questo primo miglio dopo il casale dì De-
cimo, insensibilmente si entra nella selva laurentina, la
quale poi si mostra in tutta la sua imponenza , e per
quattro miglia circa si percorre : ora questa si stringe
densa, tetrissima, ora dilatasi, e qualche volta pure si
apre in campi , che sono popolati di armenti numerosi
di buoi, e di cavalli. Carattere che questa parte del suo^
lo latino avea ancora all' apice della grandezza romana
per la descrizione che ne ha lasciato Plinio il giovano
alla epoca di Trajano , colla differenza grandissima che
passa fra lo spopolamento, e la frequenza, fralla trascu-^
ratezza e la industria, fra selve purgate, e macchie in-
colte, impraticabili, armenti custoditi, e bestiami abban^-
donati in loro balia,
fi;! Quest'abbandono è più sensibile ancora per rincom-
modo a chi percorre la strada; imperciocché la via an«
tica bellissima , in un terreno arenoso come è questo j
lastricata con gran dispendio, da poligoni di lava, fu la-
sciata così derelitta, che quasi direbbesi essere stati pian-
tati alberi a bella posta, dove questa per qualche inter^
vallo poteva offrirne il luogo , onde venisse meno ogni
memoria di essa. Quindi è che manca ogni direzione; ed
ora si passa sopra l'antico lastricato, ora gli alberi che
vi hanno radicato impediscono ogni passaggio a segno
che le pietre sono mosse e divelle. Immaginiamo per un
momento, che si avesse avuta cura di mantenere il pa-^
vimento aptioo , quanto amena sarebbe questa via , om«
breggiata da alberi maestosi, sotto un cielo, che tanto
soffre dai dardi del sole, ed in un suolo così arenoso,
come' questo? ÌJ^oJ(ììi^i*.i(i ni .0 tì\h in y)«uuij*j<!i'.ib i^npji
: Due miglia dopo Decimo entrasi nel lenimento, detto' \
la Santola, pertinente al Collegio Alberoni di Piacenza,
197
te che si traversa per un trailo assai lungo. Circa il mi-
glio XIV. dalla porla antica di Roma si perviene ài puntp
più aiUo del ripiano formato da questa striscia di dune, re-
litti antichissimi del mare, ma non così remoti, da dover
risalire alla storia de' primi tempi del nòstro globo. Di
là si ha una veduta magnifica della marina, che dopo la
noia sofferta nella traversa della macchia riesce tanto
più; aggradevole, come quella cke annunzia prossimo il
tarmine degP incommodi fino allora incontrati. Ivi up
sentiero a destra guida a Tor Paterno, dove communi^
mente, si pone Laurento, siccome fu notato di sopra,; e
di c^ie parlerò più sotto. A sinistra le traccie delle ruote
de* carri, che hanno antecedentemente solcato la sabbia
guidano dopo circa altre due miglia, cioè al XVI. dalla
pofta antica al casale di Capocotta , dove fu Laurento,
siccome venne indicato in principio di questo articolo ,
del quale.^lt^gi a\^a^qi Qoa.^iiDaoe.cjlke.il sito, d(j>ve.UB
di sorse» ;. .. ? 'f-,; ,mi. [• r:.'-' '■''•- ' ,n,.,\:'-.': . '- ■'■•
vvq La origine di Laurento si confonde nella storia del
Lazio primitivo , del quale fu la metropoli più antica.
Dopo che gli Aborigeni uniti a Pelasgi discesero dagli
Appennini e discacciarono i Siculi dalla pianura , che
per lungo tempo aveano occupato, Pico loro condottiero ,
che si dice figlio, cioè discendente di Saturno , fondò non
lungi dal mare Laurento, circa 80 anni avanti la presa di
Troja, cioè quasi 13 secoli avanti la era volgare. Dopo un
regno di 37 anni lasciò il governo a Fauno suo figliuolo ,
il quale tolta in moglie Manca n' ebbe Latino che gli suc-
cesse nel regno : giacché monarchica era la forma del go-
;yerno di quelli abitanti primitivi del Lazio, e succedevansi
i re da padre in figlio. Latino dopo un regno tranquillo di
,roplti .anni si riposava: ;,,....., A r,)w.i;r,.i
..,.,[,;,) Rex arva Latinus et utbe$)\-^r\ \;l. «^ffiùpo-) tiifi
ifn .-/awi senior longa placidas in pace regebat : (.(lomU . -1
198
allorché compaire su questa spfciggki la flotta «Te' '!PrfgB
profughi condotti da Enea. E questa approdò presso la
foce del Tevere : e rimontando il fiume i Trojani pOr
sero campo sulla sponda sinistra di esso un mezzo mi-
glio lungi dal mare, dove poscia Anco Marzio fondò la
colonia romana di Ostia. Esplorato il terreno, ed infor-
matosi chi vi abitasse, chi fosse ih re, En(>a non ottenne
dapprincipio uè ospitalità , né sussidii. Fòrza fu quindi
venire a violenze^ ed i Frigi si diedero a scorrere e de-
predare il paese , onde ottenere viveri , e di necessità
gì' indigeni difendendo le loro proprietà Si azzuffarono
co' profughi, e ne venno una guerra aperta , alla ijuale
presero parte principalmente da un canto i Frigi daK
l'altro i Laurentini ed i Rutuli , loro limitrofi. l>àl con-
fronto degli scrittori antichi che ci rimangono, e parti-
colarmente da Dionisio , Livio^ Aurelio Vittore ,. e Vir-
gilio , i quali attinsero a sorgenti più antiche , sembr»
potersi conchiudere che Enea dopo q^ualche scaramucci»
parziale venne a trattare con Latino, che gli assegna per
dimora il colle oggi detto di Pratica, e gli accordò' ii*
moglie Lavinia sua figlia, ed crede per mancanza di prole
maschile de' suoi diritti. Cosa ne seguisse si narra* cfove
si dà il saggio storico di Lavinio, dove si nota ,' cottle-
morto Latino, Laurent© cedette a Lavinio il suo grado di
metropoli del Lazio, e come poscia morto Enea, trenta anni
dopo la fondazione di Lavinio, Albalonga divenne là ''cA-
pitale de' Latini. La comune origine e la vicinanza contri-
buì a mantenere stretta la fede e l'amicizia fra Laurento
e Lavinio, ed i successi dell' una furono communi all' al-
tra: ed a vendetta dell'affronto de' Laurentini, i Laviniati
ùcdsero Tazio.
Distrutta Albalonga Laurento come le àflti*© ' città
più cospicue del Lazio divenne un communc indipenden-
te, almeno di nome. Ivi si ritirarono due de' Tarquinii,
199
l^ublìo cioè e Marco, e di là vennero in Roma a svelar
la cx)ngiura tramata da Mamilio e dal tiranno espulso ,
siccome riferisce Dionisio nel lib. V. e* LIV. 1' anno di
Roma 256. Ed i Romani nel trattato famoso deir an^
no 247 conchiuso co' Cartaginesi compresero ancora come
si vide di sopra il comune de' Laurentini, nel quale inte-
sero comprendere ancora quello de' Lavignati. Laurento
pochi anni dopo insorse insieme cogli altri popoli latini
in favore de' Tarquinii contro Roma, e Dionisio enume-
rando tutti i comuni, che presero parte in quella guerra
sociale, nomina separatamente i Laurentini , i Lanuvini'j
ed i Laviniati. Finita quella guerra colla pugna presso il
lago Regillo i Laurentini furono compresi nel trattato
generale di concordia e di alleanza, nel quale i Romani^
che erano i vincitori mostrarono una moderazione de-
gna di alto encomio. Laurento dopo quella epoca non fi-
gurò più fralle città rivali di Roma e non entrò neppure
nella lega dell'anno 417, quando tutti i Latini presero
le armi contro di essa. Infatti Tito Livio dichiara, che
dopo la sconfitta dell' esercito collegato presso il Vesu-
vio , e presso il fiume Astura , i Romani misero fuori
di causa , come sul dirsi , i Laurenti , perchè non si
erano rivoltati , e rinnovarono con loro il patto sociale
(foedus), e ne ordinarono la rinnovazione ogni anno dopo
il decimo di delle ferie latine : Extra poenam fuere La^
tinorum Laurentes .... quia non desciverant : cum Law-
rentibus renovari foedus iussum, renovaturque ex eo quotannis
post diem decimum latinarum.
La prossimità di Lavinio , la vicinanza di Ostia a
poco a poco ne diradarono la popolazione talmente, che
nell'anno 565 di Roma, i Laurentini furono dimenticati
nella distribuzione della carne, che si faceva nelle ferie
latine , dicendo Livio , che a questa omissione vennero
attribuiti i prodigii, che in quell'anno avvennero, e che
200
fallo le espiazioni doTute si. celebrarono di nuovo le fe-
rie Ialine , considerando , come irregolari , quelle ante-
cedenlemcnle celebrate ; Ea ( prodigia ) procurata , lati-
nacque instauratae quod Lawrentibus earnis quae dari de-
bet data noti fuerat. Sopragginnsera nel secolo seguente
i tempi luttuosissimi e le stradi della guerra sillana ,
e Laurcnto andò soggetta insieme colle altre città ma-
rittime del Lazio ar guasto» delle orde sanniticbe condotte
da Telesino a soccorso di Maria» E da quella epoca Lau-
rento sempre più decadde , onde Augusto: vi dedusse
una colonia, che in una lapide gruteriana CCCCLXXXIV
n. 3. trovata circa il XIV. miglio sulla via flaminia e
communicala da Lipsio a Grulero, porta il nome di Colonia^
Augusta Laurmtum.
-'jh .'Ujoi.vdiobofH trio Kìu-.auiVrMiu Ì'v.wm-'ij i ( :i; •■j* /'(■
-a iKM 1.-ÌS T . VENNCmiO . T . F . STELL n!f<; \i, y.u.
o»i.{<(mór. AEBVTIANO.PATRONO.Er ,j ni <n.r,
oT)Mì^{ idi MVmCIPI . COL.AVG.LAVR f- u tlhi.
'ìd. .«indi: EQ.R.EQ.P.IVD.EX.V.DEC .. bu*; u
-Uiri^r lì ( SELECTO . CVR . R . F. ALB . ,1 <«,. ?
houi ovj?. POMPEIANORVM . L . L >i.. » , . .,
ì^ non ^i{ PONTIF.EIVSDE. SACERD , fc..iMi'» l:
nlriKM olii MVMA.Q.F.CELERINA.VXOR iwJr mn;. ,
oqnU oflflfi iu^ MARITO . RARISSIMO . ni -► A^.«V >u^^
-\n Ma non potè sostenersi, e di colonia divenne villag-
gio , e come vicus la indica Plinio il giovane nella sua
lettera XVII. del libro II. diretta a Gallo, il quale sembra
essere il medesimo , cbe una iscrizione gruteriana pagi-
na CCCXGVIII. n. 7. appella VICVS AVGVSTVS. Quella
lapide esisteva nel palazzo Cesi, fu data a Grutero da
F.ultio . Orsini e. dice ^^ , , . ., . ; -;, .;....
oi'UUL'tf oiu)i'''.rMii(i s.ta'jiip n •d'i , oi/i.I. oiuhr.:!!» , '{uii.'
•ih n .oion»'»<YS oiiaii;'ll->iij.! n\ 'hJ > .ii^ibo'Kf f siiti in. Ir
201
JK». C^mEU^m .W . PAL . VALERI ANI , EPAGATI;4Nl,.?^^C!
DECVRIOM . SPLENDIDISSIMAE . COJUOMAE . O^i^ V»}^yjj .|.<j
FLAMINI . PRAETQRI ;. H . SAGRA . VOLCANI ^4 1,^ >n«\s-\
ENQVE . SODALI . ARV v.l»mjm)Mt^
©ECVRIONI , I^VRENTIVM ^ VICI . AVG . Élt*, ., .^ ,; ,. J^sfg:\
FATRONO . CORPORIS . LENVNCVJ^RIORVM ,)„^. ,^«««5^44^^
4.ìft>«p t^lUi 0*VXILIARIORVM . OSTIENSI VBH,r')fe ohmtm^
<!lti{-»;/jf : VIX; • ANNOS , XLI . ME . I - ^ - ' -op
, ||f^fiqiiNi^iy> ,^fl)[ ,, f,}r PALAT . YALERUNVS . D)£CyR|pp
• FìhalmeriteTrajaiio ani- insieme i due oommum dì
Laurento e Lavinio in questa uhima città che chiamò
Lauro-Lavinio , siccome noto nel saggio istorilo di La-
vinio. Dopo quella epoca Laurcftto" distintamente da La-
vinio ricordasi nell'Itinerario di Antonino e nella Carta
Peutingeriana , e probabilmente il vico, sebbene per le
scorrerie de' barbari, nel Vv e VL secolo divenisse an-
cora più debole , qualche popolazione però vi si sarà
mantenuta che ne avrà conservato il nome, onde meri-
tasse di venire indicata in un libro postale, quale è l'Iti-
nerario di Antonino , ed in una carta itineraria come è
la peutingeriana. Circa l'anno 750 papa Zaccaria volle
rianimarla formandone una DomuscuUa , alla quale ag-
gregò tutta la massa Fonteiana cioè il tenimento di Campo
Ascolano, e parte di quello di Campo Selva, fino al Va-
janico descritti di soprat, siccome apprendiamo da Ana-
stasio Bibliotecario nella vita di quel papa^ e probabil-
mente a quella epoca appartiene quella fabbrica , che
sembra essere stata una chiesa della grandezza di quella
di Pratica, e che oggi fa parte del casale di Capocotta:
Hic domumcultam Laurentum naviter ordinavit adiiciens et
massam FonUianam, qìiae cognominatur Paunana. E quc-
202
sto fatto si conferma da Cencio Camerario nel registro
inserito dal Muratori nel tomo V. Antiq. Ital. Med. Aevi,
nel quale però per inesattezza de' copisti leggesi Lau-^
return in luogo di Laurentum, e Fontismanam invece di
Fontetanam : Zacharias pontìfex consti-^
tuit . ... et domum cultam Lauretum , et massam Fon,"
tismanam , quae dicitur Paonaria. Né secoli IXv e X. le
scorrerie de* Saraceni finirono di devastare tutta questa
contrada e di allontanarne ogni popolazione , riducendo
questa bella parte d'Italia in quello stato di desolazione^
dal quale mai più dopo non è potuta risorgere.
Nel determinare la situazione di Laurento a Capo-
cotta notai, che ivi non rimangono vestigia antiche ap-
parenti; ma di là non è distante più di 2. miglia verso
occidente Tor Paterno, dove suol più communemeiite col-
locarsi Laurento. Prendendo una guida , e traversando
il vicino bosco^ che in parte spetta al tenimento di Por-
cigliano, al quale pure appartiene la torre suddetta, si
giunge dopo circa 1. miglio, seguendo strettamente la
direzione di ponente in un campo aperto , in fóndo at
quale è la torre verso mezzodì. Ivi tracciasi l'andamen-
to di un diverticolo antico, lungo il quale veggonsi avan-
zi di una opera arcuata , che nella carta di Cingolani ,
ed in altre suol notarsi col nome di acquedotto lauren-
tino: dalla direzione, sembra che prendesse l'acqua nel
lenimento detto la Santola, e probabilmente dal rigagno-
lo che va ad influire nel fosso di Piastra. Queste vesti-
gia di arcuazione vanno a terminare in una sostruzione
giacché il terreno avvicinandosi al mare va insensibil-
mente salendo, e questa sostruzione finisce in una con-
serva, 0 piscina dove l'acquedotto metteva capo: che ha
circa 100 piedi di lunghezza e 15 di larghezza. Aderen-
te alla sostruzionc dell' acquedotto verso oriente è una
specie di ricettacolo di deviazione, o altra conserva, qua-
dlrUunga che ha 15 piedi di larghezza e 30 di Tutìghes^-'
za: l'acquedotto e la piscina sono costrutti di opera la^-
terizia di mattoni sottili, con calce piuttosto abbondan-
te, costruzione analoga per ogni riguardo ad altre opere
antiche contemporanee di Commodo, e di Severo , cioè
(deirultimo periodo dal secondo secolo, e del primo deJ
terzo della era volgare: ambedue le conserve o'rifcètla-
éofi erano internamente rivestite di signin(y o asIrabW'r
là prima dì queste conserve non ha rinfianchr: T àltfk
ossia quella in che terminava I' acquedotto' ha- dstema'-
menfe verso settentrione cinque pilastri, ed 'ihtei'h'aTnferi-'
(è sette per parte. Plinio ir giovane deScirfverido la stia
TÌlìa lauren ina nella lettera XVII. del librò II. nota e'hfe
mancava di acqua saliente, cioè condotta, Bsa che avea
p©2zi o piuttosto fonti, poiché non erano profondi , ma
a fior di terra, e loda la natura mirabile di quel Fido»
che dovunque muoveasi la terra scaturiva acqua pura to
sincera, e quantunque vicinissima al mare sènza ombra
di salsedine : haec utilitas , haec amoenitas defìcitur aqua
salienti; sed puteos ac potius fontes liabet ', sunt enimin
summo. Et omnino litoris illius mira natura , quocàmque
ioco moveris hmnum , obvius et paratus humor occurrit ,
isque sincerus ac ne leviter quidem tanta maris vicinitate
salsus. La costruzione di questo acquedotto è evidente-
mente posteriore alla epoca di Plinio^ la direzione di
esso tende alla odierna Torre Paterno, dove sono rovi-
ne di una villa, forse quella imperiale, dove Commodo
andò a ritirarsi nella peste di Koma : ora siccome os-
servo nelle rovine di quella villa due costruzioni diver-
se, una appartenente ai tempi neroniani, l'altra a quelli
degli Antonini, e questa è analoga a quella dell'acquiì-
dotto, credo che non sia improbabile riferire a Commo-
do l'opera di questo acquedotto, onde fornire la villa' di
acqua corrente. Quanto poi alla Verità di «6 ch« Plinio
204
asserisce sulla natura di questa spiaggia, i pozzi di Tor
Paterno, Tor s. Michele, e quello presso Tor Bovacr
ciana nelle rovine di Ostia ne s<)i»o una evidente dimo-
strazione.. ;,,. <A-i:-,y'^n if;v') Ti'! .;;;(,!<;;:;; •^f:^' -, m-: (,,;;•> ,')!
Il easatc che ha- dome di Tor Paterno,- poiché la
;torre propriamente detta fu smantellata dagl'Inglesi nel
18,09i è, uno de'posti militari che guardano la spiaggia
del mare, mediterraneo. Esso è costrutto sopra i ruderi
della villa testé nominata, una di quelle che nel primo
e secondo secolo della era volgare coprivano la spiaggia,
servendo di diporto nella stagione invernale, e di pri-
mavera. JBsaminaudo queste vestigia a parte, a parte, rir
conobbi, che l' edificio più centrale, che si direbbe una
.gran sala, è il solo che offra utfa costruzione originale
del secolo primo della era volgare^ di opera laterizia ana-
loga a quella neroniana del Palatino: il resto si compof
ne di diversi ambienti di costruzione del tempo degli
Antonini, travisati da mutilamenti e fabbriche posterio-
ri, moderne. Dopo la conserva in che metteva capo f'acque-
dotto, presentasi primieramente un recinto che fu pro-
babilmente un' area , o giardint:^ di forma rettangolare ,
che nel lato che guarda settentrione offre vestigia di ope-
ra mista , il solo esempio che oggi si abbia in tutta la
fabbrica, e che direbbesi appartenere al secolo IV. del-
la era volgare: quest'area verso mezzodì sembra, che ve-
nisse interrotta da un ripiano particolare, che ne occu-
pava due sesti, rimanendo ancora ne'muri laterali trac-
cio della separazione. In fondo a questa area verso orien-
t» è il salone di costruzione primitiva, cioè di mattoni
triangolari grossi circa due oncie , arrotati , legati con
poca calce e perfettamente ordinati. Verso occidente è
un'altra sala a forma di triclinio, rivolta al mare, ed at-
tinente a questa a destra una camera, che per le costru-
zioni moderne ha cangiato forma, la quale però chiude-
va da questa parte la fabbrica. A mezzodì del snionb,
verso oriente , dove oggi è la caserma , distaccasi unàì^
specie di torre rinfiancata verso oriente e mezzodì da
contrafforti, ed appoggiata verso occidènte ad un muro,
che è il prolungamento di quello dell'area, e che verso
il mare si vede troncato. Fra questo muro ed il tricli-
nio ricordato di sopra 6 la chiesuola dedicata a s. Fi-
lippo, dinanzi alla quale un capitello ionico de 'buoni tem-
pi ricorda la decorazione primitiva della fabbrica: altri
se Àé veggono a Porcigliano trasportati di qua. Questa
chiesuola è in fondo, ossia verso settentrione, appoggia^-
ta al salone, ed occupa un'antico recesso, o camera, fian--
cheggiata a sinistra, e a destra da altri due recessi, o
camerette per parte : verso occidente queste camerettijf
sono separate dal gran triclinio da una sala oggi ridotta'-
a stalla. *
"'^?'lQue^i sono gli avanzi, che veggonsi a Tor Patera-*
fio, e che sono tutti insieme uniti, e legati fra loro, on-'
de per la disposizione mostrano appartenere ad un sol
fabbricato costrutto in origine nel primo secolo, ingran-
dito nel declinare del secondo, ed allora fornito di acqua
corrente, ristaurato verso settentrione nel quarto. Il com-'
plesso di questi ruderi ed il riparto delle camere facil-"
mente dimostra che fu una villa, la quale ha qualche
analogia ccn quella di Plinio il giovane, ma non è la me-'
desima. Investigando lutti i dintorni non ho potuto rih*-'
venire alcuna analogia di topografia, fra quella che Vir-
gilio» assegna a Laurento, e questa di Tor Paterno; mani-
ca la difficoltà dell'accesso, la palude vasta, la distanza
dal mare; poiché è evidente che, se oggi Tor Paterno è
circa I di miglio distante dalla spiaggia lambita dalle on-
de, 15 secoli fa que'ruderi erano a contatto immediato:
colie ac^e, e che l'allontanamento di queste è seguita.
20(5
per le cause altrove esposte, comoiuai a tutta la spiag-.
già presso le foci del Tevere. (,^3,,, ,,,,0], . ai«'>iio mi-^^
»>Ì» lli'JW'lMl .. ■•\'Hiì. )\t '/ff^tY'
.,l,i,, ii {,., LAVINIVM-Piìir/C^. ,, i, ,,„,, .:
..., , Fra Ostia, ed Anzio, da Strabone, Pomponio Mela
e Plinio , seguiti nel secolo Vili, dall' anonimo di Ra-
venna, pougonsi prima Laurento, poi Lavinio, quindi il.
luco di Giove Indigete, il fiume Numico, Ardea, ed in
ultimo luogo Afrodisio, L'Itinerario di Antonino , come
si legge nel testo di Aldo situa Lavinio XVI. miglia lun-
gi da Roma, e la Carla Peutingeriana al XVII. Dioni-
sio poi mostra nel libro I. come questa città fu edifica-
ta da Enea nel luogo dove si riposò la celebre troja ,
che egli sagrificò insieme co'suoi trenta porcelli, e pre-
cisamente sopra un colle distante 24 stadii dal mare, os-
sia 3 miglia romane. Strabone nota, che era vicino ad
Ardea: e precisamente può stabilirsi dalla Carta Peutin-
geriana che fosse 3 miglia distante da Laurento, poiché
essendo quella città, come si vide poc'anzi nell'articolo
LAVRENTVM a Capocotta, ne siegue che III. e non VI.
era il numero originale che per imperizia de'copisti fu
tramutato , raddoppiando così la distanza. Tutte queste
circostanze di luogo e di misura coincidono nel colle ,
sul quale è la borgata di Pratica, ne'tempi bassi detto
Patrica , feudo de' Borghesi , e per conseguenza ivi fu
l'antico Lavinium. Infatti quel colle isolato ha un buon
miglio di circonferenza, è circa 17 m. distante da Ro-
ma per la strada moderna, 3 dal mare, e non più di 5
da Ardea. Ed a maggiore conferma, oltre varie vestigia,
e molti frammenti, vi si veggono ancora parecchie iscri-
zioni, che escludono qualunque dubbiezza , e mostrano
267
tulla la insussistenza delle opinioni di coloro che ne'tem-
pi passati la vollero credere a Civita Lavinia, a Pctro-
nella, ed a Monte di Leva. .i 'ttuon lo»
La strada, che oggi da Roma conduce a Lavinium,
o Pratica esce dalla porta s. Paolo, e fino al ponticello
dopo quella basilica è la stessa che la laurentina primi-
tiva, e la laurentina ed ostiense posteriore. Essa fin pres-
so Pratica ò la stessa di quella di Ardea, passando per
le Tre Fontane, Ponte Buttero, Acqua Acetosa, Schizza-
nello. Monte Migliore e Solfarata, luoghi, che si notano
ciascuno all'articolo rispettivo. ifiriin.l
Poco meno di un miglio dopo la Solfarata si ha utt
bivio: la strada a sinistra continua ad essere l' ardeati-
na che prima della Solfatara si raggiunge, quella a de-
stra conduce a Pratica, cioè a Lavinio. Seguendo questa
si costeggia per qualche tratto a destra il tenimento di
Monte di Leva, dove alcuni posero ne' tempi scorsi La-
vinio , credendo il nome moderno una corruzione dell'
antico; ma la carta più volte indicata del 1330 dell'ar-
chivio di s. Maria in Via Lata mostra bene la etimolo-
gia del nome Leva che non é s« non un' abbreviatura
di OUbanum, poiché in quella leggesi frai confini di Pe-
tronella ricordato il tenimentum montis Olibani. A sini-
stra seguita il tenimento della Solfarata. Circa il mi-
glio XVIL la strada traversa il latifondo di Petronella-
Rovere da non confondersi con quello di Petronella-Na-
ro, dove alcuni degli antiquarii posero Lavinio , ed al-
tri, frai quali 1' Olslenio , il luco , e fano di Anna Pe-
renna nel sito precisamente della cappella^ o cona di s.
Petronilla; ma e gli uni e gli altri sV ingannarono, poi-
ché si è di già dapprincipio veduto, che Lavinium fa a
Patrica o Pratica, ed essendo secondo Ovidio e Silio Ita-
lico il fano di Anna Perenna sul fiume Numico, fu moU
to distante da PetroncUa-Naro, siccome fra poco vedre-
208
rao. La Petronctla-Hovcre poi che qui si traversa è quel-
la ricordata nella carta del 1330 più volte accennata j
col nome di Peronile, ed alla quale assegnansi per con-
fini appunto i tenimenti di Patrica , di monte Olibano ,
di un casale detto la Masone, oggi Magione, e della Sol-
farata, che sono quelli che circoscrivono anche oggi tal
tenimento. Entrasi quindi nella selva laviniate, che av-
vicinandosi a Pratica prende l\aspetto di mi viale fian-
cheggiato da quertie, sugheri, elei, olmi, ed allori, i
quali in questo sito ricordano la etimologia dell' agro
laurentc. Nelle carte di Ameti e di Cingolani sono in-
dicate lungo il viale a sinistra vestigia dell' acquedotto
di Lavinio, oggi però quasi intieramente diroccato. Cir-
ca al miglio XVIII. si volge a destra per entrare in Pra-
tica, e l'accesso n'è ameno, considerando lo stato di ab-
bandono in che si trova tutta la contrada per mancan-
za di popolazione : le vigne che appariscono dietro la
spalliera di alberi annunziano una coltivazione più accu-
rata ed una riunione di uomini vicina: Plinio nel libro
XIV. e. HI. nomina una uva particolare ai Sabini , ed
ai Laurentini, che chiama vinaciola: Vinaciolam soli no-
minaverunt Sabim et Laurenti, cioè Laurentini, come cor-
regge Cluverio, o Laurentes , come io credo più proba-
bile. Varii frammenti di colonnette di marmo impiegate
in usi communi fanno testimonianza che il luogo fu an-
ticamente abitato.
Entrasi in Pratica per una porta moderna aperta
sotto il palazzo baronale; avanti però d'indicare la sua
topografia credo conveniente premettere un breve saggio
storico di Lavinio, e come sorse , scomparve , e ricom-
parve di nuovo sotto nuove forme e nome nuovo.
Tutti gli antichi scrittori che ci rimangono, latini,
e greci si accordano a riguardare la fondazione di La-
vinio, come opera di Enea; niuno però con maggior lu-
209
me di storia e con particolari più estesi ne parla di Dio-
nisio il quale io credo di seguire non solo per queste
ragioni, ma ancora, perchè i più accurati scrittori lati-
ni non difTeriscono da lui ne' fatti , ma sembrano quasi
averlo compendiato: egli avvalora d'altronde il suo rac-
conto e coll'autorità, e co' monumenti che ancora esiste-
vano, e che mostra di aver esaminalo co' proprii suoi
ecclù. E incomincia con saviezza dal dichiarare, che tut-
ti i Romani ammettevano la venuta di Enea e dei Tro-
jani in Italia , e che questa veniva confermata dai riti
che osservavano ne'sagrificii e nelle feste, dagli oracoli
sibillini , dalle risposte delfiche , e da molti altri fatti
che niuno potrebbe avere in dispregio come inventati per
convenienza. Or questa dichiarazione era necessaria a
premettersi, poiché senza ammettere la venuta di Enea,
inutile sarebbe stato inoltrarsi in una storia che l' am-
mette per base : che se lo era per Dionisio lo è anco-
ra per noi, i quali viviamo in tempi che alcuni per trop-
po volere usare di critica ne fanno un abuso, formando
sistemi sopra supposizioni fantastiche , che vorrebbero
torci ancora quel poco di gloria che ci rimane per le
memorie degli avi nostri; ma io tomo a protestare, che
amo meglio ingannarmi cogli antichi in cose di loro per-
tinenza di quello che divenire indovino co' moderni che
tanto più lontani sono da que' tempi in che potevano
aversi lumi di fatto sopra tante cose che oggi sembrano
questione. Enea dopo una lunga navigazione, della quale
Dionisio ricorda le leggende moltiplici che correvano ,
giunto nella spiaggia laurente, conobbe essere questo il
luogo destinato a termine de' suoi travagli. Frai segni,
che notò , vi fu pur quello di una troja gravida che
isfuggi ai suoi, ed inseguita andò a riposarsi sopra un
colle 24 sladii, o 3 miglia distante dal mare ; ivi una
voce uscita dal luco vicino ingiunse al trojano di arro-
14
aio
starsi, e fondare una cillà, nella quale tanti anni sareb-
bero rimasti i suoi, quanti fossero stati i porcelli che
sarebbero venuti alla luce, ed allora sarebbero partiti a
fondare un' altra città felice e grande. La dimane la troja
4iè alla luce 30 porcelli , i quali da Enea vennero in-
sieme colla naiadre immolati agli dii patrii noczpcooti
0£e?5 , cioè agli dii penati di Troja. 11 luogo in che
avve«ne questo sagrificio si vedeva ai tempi di Dionisio ,
eà era una specie di capanna , nella quale i Laviniati
non permettevano ad alcuno straniero di entrare, stiman-
dola sacra. E Varrone nel lib. 11. de Re Rustica e. IV.
dopo Aver riferito il parto straordinario di questa bestia,
dice, che si vedeva ancora il simulacro e quello de' figli
jeffigiato in bronzo in Lavinio, e che il corpo della ma-
dre posto sotto sale conservavasi dai sacerdoti : Hujus
suis ac porcorum etiam nunc vestigia apparent Lavimi quod
£t siimUacra eonum aÀenea etiam nunc in publico posita ,
et corpus matris ah sacerdotibus quod in salsura fuerit de-
monstratur. Dopo questo fatto Enea fece muovere il campo
ai Trojani ed ordinò loro, che occupassero il colle, sulla
-cui sommità incominciò a costruire i templi degli dii :
e con grande impegno si pose ad edilicare la città » e
mancando di certi attrezzi e di materiali fece far« scor-
rerie intorno nel paese, onde procacciarsi ferramenti, le-
ignami, ed attrezzi di agricoltura.
. Una occupazione di stranieri incogniti così imjM^v-
^isa^ accompagnata da depredazioni, durissima riuscì agli
indigeni, che corsero con lagnanze esaggerate al campo
di Latino che era allora in guerra co' Rutuli, tribù con-
.finajDte verso sud-est. Latino sospese la guerra , e mo-
vendo il campo contra i Trojani , attendossi sul far della
sera firesso la nuova città di Enea coll'animo di assalirlo
allo spuntare jdel giorao. La ragione porta a credere ,
-che si prea4.€Ssero frattanto informazioni da ambedue le
21il
parti) e che gli animi si disponessero a trattative , che
poi nei di seguente finirono in un trattato positivo , a
condizioni eque per ambedue le parti. Ma lo spirito dei
tempi volle dare a questo un'apparenza straordinaria, e
Dionisio riferisce , che nella notte apparve a Latino il
Genio del luogo ( Fauno ) il quale gì' ingiunse di dare
asilo agli stranieri, poiché grandi vantaggi ne sarebbero
derivati agli Aborigeni : e nello stesso tempo apparvero
ad Enea gli Dii Patrii ( i Penati ), i quali lo esortarono
a muovere Latino ad accordar loro la sede che volc-^
yano, 0 ad averli piuttosto come alleati , che come ne-
jnipi: all' uno ed all'altro poi venne proibito ' di comini-
ciar la ptigna. All'apparire del giorno si presentarono
araldi ne' due campi invitando reciprocamente un capi*-
tano l'altro a parlamento^ ed Enea e Latino convennero
in questi patti : che gli Aborigeni avrebbero accordato
ai Troiani il terreno , che domandavano, cioè 40 stadii
partendo dal colle , che non convien prendere come a
prima vista si crederebbe intomo , poiché verso occi-
dente avrebbe assorbito Laurento, verso mezzodì man-
cava di fatto , ma 40 stadii in giro intorno al colle ;,
e non di raggio : che i Troiani avrebbero in questa ie
nelle successive guerre prestato pieno soccorso agli Abo-
rigeni: che i due popoli colla mente e colla opera si sa-
rebbero data la mano per il vantaggio commune. I Tfo-
jani uniti agli Aborigeni si portarono ad attaccare i Rii-
tuli che rimasero pienamente sconfitti , e quindi torna-
rono a fabbricare la città che aveano lasciata imperfetta,
alla quale Enea pose nome Lavinio, onde onorare Lavi-
nia figlia del re Latino , che ebbe in isposa. E sulla
origine del nome Lavinio indicata , per testimonianza di
Dionisio medesimo, tutti i Romani andavano di accordo ;
non così i Greci avvezzi a foggiar favole, frai quali se-
condo lo stesso storico alcuni pretendevano, che deri-
212
vasse da una Launa, o Lavinia figlia di Anio re di Delo
indovina e sapiente insigne, che Enea domandò ed ot-
tenne dal padre perchè l'accompagnasse nella sua pere-
grinazione, e che caduta ammalata morì in questo luo-
go, mentre i Trojani attendevano alla edificazione della
città, e fu sepolta dove morì , ed ebbe per monumento
la città stessa che ne portò il nome. Ma la critica sana
vuole che in cose italiche si segua non solo la tradizio-
ne più ricevuta dagli storici nazionali , ma ancora appog-
giata a monumenti e ceremonie religiose, e non impro-
babile per modo alcuno : onde io non credo di essere
tacciato di parzialità, se seguo piuttosto tutti gli storici
italici antichi, ed i greci più insigni, che qualche mito-
grafo.
o»'tn. Nella edificazione di Lavinio avvenne, secondo Dio-
nisio , un prodigio , che appiccatosi il fuoco spontanea-
mente nella selva vicina, un lupo portando in bocca un
pezzo di legno secco ve lo gittò sopra per animarlo, ed
un'aquila accorsa col battere delle ale accresceva la fiam-
ma; quando una volpe macchinando il contrario, inzup-
pata la coda nel rivo prossimo, cercava di estinguere il
fuoco: ed ora superavano quelli, ora questa, ma infine
la vinsero il lupo e l'aquila, e la volpe non potendo fa-
re altro fu costretta ad allontanarsi. Enea che era sta-
to spettatore di questa lotta ne trasse buon augurio per
la nuova colonia; e Dionisio soggiunge che in memoria
di questo avvenimento vedevansi a'suoi giorni nel foro
di Lavinio i simulacri di bronzo degli animali sovrain-
dicati che da lungo tempo si conservavano. Non è im-
possibile che la leggenda del preteso prodigio fosse in-
ventata ne'tempi posteriori per dare una spiegazione ar-
cana di que'simulacri, che erano le insigne de 'Lavina ti,
adottate poscia ancor da' Romani , che discendevano da
loro. flvk «litttJ? «^^^5^ <;1 • ot etto
213
La epoca della fondazione di Lavinio si discute con
molta dottrina da Dionisio, il quale la determina al se-
condo anno dopo la presa di Troja: ora Ilio secondo Io
stesso storico fu preso 17 giorni innanzi al solstizio di
estate, corrispondente al dì 8 di Targelione spirante, me-
se degli Ateniesi , che è quanto dire secondo il nostro
computo il dì 3, o 4. di giugno 1200 anni avanti la era
volgare : quindi Lavinio fu fondata verso la medesima
epoca nell'anno 1198, cioè 445 anni prima di Roma. Nel
primo anno dopo la fondazione di Lavinio non si ricor-
da alcun fatto degno di memoria; ma nell'anno seguen-
te che fu il IV. dopo la distruzione d'Ilio, Lavinio di-
venne la capitale del Lazio. I Rutuli insorsero di nuo-
vo contro Latino , guidati da Turno cugino di Amata
moglie di Latino, che avuto ad onta il matrimonio con-
chiuso fra Lavinia ed Enea da Latino, al quale egli aspi-
rava, abbandonò la corte di Laurento e ritirossi presso
la tribìi allora irrequieta de'Rutuli. Essendo i due eser-
citi venuti alle mani, la battaglia fu grandemente acca-
nita, poiché da una parte cadde Latino, e dall'altra Tur-
no: la vittoria però rimase agli Aborigeni ed ai Troja-
bì. Enea per i dritti di Lavinia successe a Latino e tra-
sportò la sede del governo a Lavinio; ma per unire viep-
più i due popoli , ed accattivarsi meglio 1' affetto degli
Aborigeni li fuse insieme sotto il nome di Latini, onde
onorare la memoria dell' es tinto re nazionale. Egli so-
pravvisse due anni alla morte del suocero; imperciocché
nel IV. anno dopo la fondazione di Lavinio , i Rutuli
prese di nuovo le armi, assistiti da una mano di Tirre-
ni guidati da Mezenzio re de'Ceriti vennero ad una fie-
ra battaglia coi Latini nelle vicinanze di Lavinio , sui
fiume Numico, nella quale Enea disparve: onde altri lo
credettero assunto al cielo, altri e con maggior sicurez-
za perito nel fiume, sul quale si diede la pugna. E per-
214
eiò i Latini costrussero e dedicarono un Eroo in suo
onore colla iscrizione : PATRIS DEI INDIGETIS QVI
FLVVII NVMICII AMNEM TEMPERAI: e questo eroo
veduto da Dionisio consisteva in un tumulo artificiale ,
non molto grande, con fila di belli alberi intorno. Altri
però attribuivano questo eroo ad Anchise, che secondo
una pàrticolar tradizione era morto in Lavinio un anno
prima di Enea; ma la prima leggenda era più univer-
salmente ricevuta. Morì pertanto Enea l'anno 1194 avan-
ti l'era volgare.
~n;iV,:0L lui successe il figlio Eurileonte soprannomato Asca-
nio, ed lulo, il quale ebbe a continuare la guerra con-
tra Mezenzio. Dionisio, e l'autore dell'opuscolo intitola-
to Origo Gentis Romanae, attribuito ad Aurelio Vittore,
che è una compilazione degli storici più antichi del La-
zio e specialmente delle Origini di Catone, narrano, che
avendo Ascanio stabilito di non dar posa a Mezenzio ,
il figlio di costui Lauso pervenne ad impadronirsi del
colle presso la rocca di Lavinio: onde essendo stretta la
città da tutte le parti i Latini inviarono ambasciatori a
Mezenzio domandandogli^ a quali condizioni li avrebbe
ammessi alla resa, e siccome quel re fra altri gravosis-
simi patti vi aggiunse quello , che tutto il vino che si
faceva nelle terre latine gli venisse per alcuni anni con-
segnato, per consiglio e per autorità di Ascanio dichia-
rarono di volere morire piuttosto per la libertà , che sot-
tomettersi così vilmente alla schiavitù; e primieramente
consagrarono a Giove il vino di ogni vendemmia, e po-
scia fatta una generale sortita misero in rotta gli asse-
dianti, uccisero Lauso, e forzarono Mezenzio alla fuga,
onde dopo si vide costretto ad implorare la pace dai
Latini. E da ciò ebbero origine le feste Vinalia, secon-
dò Pesto: /ovM dies festus, (dice egli nella voce Rustica
■^malia) quia Latini bellum gerentes adversus Mezentiumj
215
omnis vini Ubationem et deo dedicaverunt. Verrio Fiacco
però nel suo calendario dice , avere Mezenzio imposto
questa coudizione ai Katuli per prezzo dol s-tio soccor-
so ; imperciocché così si legge in data de' 23 di aprile
nella tavola marmorea frammentata esistente nel palaz-
zo Stoppani , e da me supplita : VIN f lovis . is . dies .
dicitur . sed . festum . est . veneri» .... iovis . autem . fe-
»tum . est . quod . eo . consecratvi» . est . iom . vinum .
ex . exuviis . quae . daKEUTYR . ab . rvtvlis . qvia . me-
ZENTIVS . REX . ETRV5C0rVM . PACISCEBATVR . SI . SVBSI-
DIO . VENISSIT . OMNIVM . ANNORVM . VINI . FRVGTVM ^
Ed a questo segmento serve di chiosa il passo di Pli^
nio lib. XIV. e. XIV. che allega Varrone : IH. Varrò
auctor est Mezentium Etruriae regem auxilium Rutilis con-
tra Latinos ttdisse vini mercede quod tum in latino agro
fuisset : cioè che Mezenzio conchiuse coi Rutuli il trat-
tato di soccorrerli nella guerra contro i Latini col patto
che gli si desse tutto il vino che allora trovavasi nel-
l'agro latino , il quale perciò fu dai Latini consagrato
a Giove, onde rendere nulla tal condizione. Ovidio nel
quarto de' Fasti v. 879 cantando questo stesso fatto lo
dice avvenuto sotto di Enea non sotto di Ascanio. Sono
queste leggiere varianti di un fatto riconosciuto , cioè
che Mezenzio prese le armi contro i Latini a favore
de' Rututi , e che fralle condizioni del trattato vi fu
quella della cessione di tutto il vino che ritraevasi dalle
terre latine. Lavinia dopo la morte di Enea , temendo
di avere a soffrire duri trattamenti dal figliastro, quan-
tunque si trovasse incinta, ritirossi presso un guardia-
no di porci, che Dionisio dice semplicemente di nazione
tirreno , cioè etrusco , ma che Vittore appella Tyrrhus ,
Tirro , il quale era stato molto famigliare a Latino : e
presso di lui die alla luce il figlio postumo che colui
appellò Silvio dalla circostanza della sua nascita , entro
216
una selya avvenuta. Ora il popolo, veduta sparire Lavi-
nia , cominciò a sospettare di Ascanio , e dai sospetti
passò alle mormorazioni, e da queste ad aperti clamori e
quasi a sedizione, quando il Tirreno espose ai Latini la ve-
rità del fatto, e presentò loro il neonato.
Lavinia pertanto tornò ad abitare col figliastro , e
vi rimase fino al XXX. anno dopo la fondazione di La-
vinio , cioè fino al 1168 avanti 1' era volgare e 415 pri-
ma della fondazione di Roma. In quest' intervallo fralla^
pace di Mezenzio e l'anno 1168 sembra che Lavinio go-
desse una pace perfetta : in qucU' anno però , sia che
Ascanio volesse dare compimento alle predizioni, sia che
volesse in certa guisa liberarsi dalla influenza che avea
la matrigna sul popolo, sia che credesse più opportuno
di trasferire la sede del governo in un punto più im-
portante , è certo che andò a fondare una nuova città
alle falde del monte albano, fra questo ed il lago e le
impose il nome di Alba-longa , come quella che dilun-
gavasi di molto nel dorso che cinge il lago albano verso
oriente a pie della punta culminante del monte : e la-
sciato Lavinio alla madrigna ed al fratello Silvio , tra-
sportò nella nuova metropoli tutti que' Latini che Io
vollero seguire : e vi volle pur trasferire le cose sacre,
e soprattutto i Penati riposti da Enea in Lavinio , edi-
ficando a tale uopo un tempio con adito : ma questi
aveano scelto per loro sede Lavinio , e benché traspor-
tati ritornarono nella primitiva loro dimora, onde Asca-
nio , per non opporsi alla volontà degli dei si vide co-
stretto, non solo a lasciarli in Lavinio, ma a mandar-
vi ancora seicento persone colle loro famiglie che ne
avessero cura : tale è il racconto di Dionisio, e con lui
nella sostanza concordano Livio e Vittore. Morta Lavi-
nia cessò per Lavinio qualunque apparenza d' indipen-
denza e divenne un cantone del regno albano , onde la
21T
sua storia con quella di Alba confondesi. Se non che una
certa importanza avea per gli dei penati che conteneva,
onde era una specie di metropoli religiosa de' Latini co-
me Alba n' era la capitale politica : e questa importanza
continuò ad ottenere anche sotto i Romani. Dopo la morte
di Numitore, estintasi la dinastia de' re di Alba, Romula
come suo discendente ne reclamò i diritti , e eoa lui
Tazio associato nel regno. Erano sei anni che questo re-
gnava con Bomulo, quando alcuni suoi amici fecero una
scorreria ne' campi laurentini , e portarono via con loro
roba e bestiami , ed a quelli che vollero opporsi rispo-
sero con ferite e con morti. Vennero messi in Roma da
parte de' Laviniati a reclamare contro questo saccheg-
gio, e Romulo fu di sentimento di consegnare i rei agli
ambasciatori; ma Tazio vi si oppose, allegando , che se
non era mai giusto di dare in mano alcuno ai suoi ne-
mici, molto meno lo era di dare cittadini in potere di
forestieri. E i messi sen tornarono pieni d'ira verso La-
vinio; ma alcuni de' Sabini li seguirono , e coltili nella
notte , li attaccarono mentre dormivano , li spogliarono
di ciò che portavano, e quelli che sorpresero ancora a
letto uccisero : alcuni che prevedevano questo tradimento
pervennero ad entrare in Lavinio. Destò questo fatto
atroce lo sdegno , non solo de' Laviniati , ma ancora di
molte altre città, e vennero ambasciatori a Roma a do-
mandare riparazione solenne , altrimenti aveano ordine
di dichiarare la guerra. Romulo, che sempre avea mo-
strato inclinazione perchè i rei venissero puniti li con-
segnò ai legati malgrado le opposizioni di Tazio : que-
sti divampando d' ira e credendo di essere vilipeso dal
collega , e volendo d' altronde salvare un suo parente ,
che era frai rei, messosi alla testa de' suoi soldati, tol-
se di viva forza le persone consegnale. Non passò mol-
to tempo , però che portatosi insieme con Romulo in
218
Lavinio pel sagrificio prescritto degli dei penati , egli
venne ucciso coi coltelli , e cogli spiedi di che facevasi
uso ne' sacrificii , sull'ara stessa , dagli amici e dai con-
giunti degli ambasciatori trucidati. Ed è questo il solo
fatto rimarchevole della storia laviniate durante il go-
verno de' re. E però da notarsi che in questo intervallo
avvenne sotto Tulio Ostilio la distruzione di Alba, onde
Lavinio , come gli altri cantoni dipendenti da quella ,
riacquistò la indipendenza.
Espulsi i Tarquinii da Roma, e creati consoli Bru-
to e Collatino, quest'ultimo dopo avere abdicato l'auto-
rità consolare andò a flssare la sua sede in Lavinio con
tutti i suoi, e con tutte le cose sue l'anno 247 di Ro-
ma, dove terminò i suoi giorni, secondo Dionisio lib. V.
e. XIL e Livio lib. IL e. IL È molto probabile che per
i suoi consigli i Laviniati si lasciassero trascinare nella
celebre lega latina , che prese le armi per ristabilire i
re; ma soggiacquero alla rotta del lago Regillo ed alle
conseguenze che ne derivarono. E merita osservazione ,
che Dionisio, parlando delia emigrazione di Collatino a
Lavinio dà a questa città il titolo di metropoli de'Lati-
ni: T//,v jy-vjTpTTsXjv xcu Aa:r«vwv yevovg. La rimembran-
za di Enea, i Penati communi, mantennero dopo quella
guerra per lungo tempo la pace e la buona armonìa fra
Lavinio e Roma , anzi nella scorreria di Coriolano , se-
condo Dionisio nel lib. Vili, i Laviniati furono i soli,
che osarono resistere a quell'avventuriere, ma doverono
arrendersi. Non mantennero però questo attaccamento nel-
la ultima lega latina dell'anno 415. di Roma; impercioc-
ché essi si unirono agli altri, e spedirono il loro contin-
gente all'esercito collegato, sotto il pretore Milonio; ma
questo non avea appena lasciato le mura patrie che in-
contrò i messi colla notizia della disfatta completa de-
gli eserciti collegati sannite e latino, presso le falde del
219
Vesuvio , onde costretto a tornare indietro , il pretore
disse, che per un poco di strada dovea pagarsi una gra-
ve mercede: prò paullula via magnam mercedem esse sol-
vendam. Livio lib. Vili. e. XL Non si conosce che fa-
cessero altro in quella guerra, e nelle disposizioni the
il senato prese sopra ciascun popolo della lega, dopo la
battaglia al fiume Astura l'anno 417, i Laviniati non so-
no particolarmente nominati, onde, o furono affatto per-
donati , ovvero furono compresi nella categoria di noi*
potere avere connubio, commercio, e consiglio cogli al-
tri popoli ìaiinì: Ceteris Lattnts populis connubia, commer-
ciaque, et concilia inter se ademerunt: che fu la più mite.
Strabone nel lib. V, nominando i luoghi del Lazio
marittimo dice , che i Sanniti devastarono i luoghi , e
che a'suoi giorni rimanevano soltanto le vestigia di quel-
le che un tempo erano città , vestigia, soggiunge, glo-
riose per la venuta di Enea , e per i riti sacri fin da
quei tempi tramandati. Ma è gran questione sulla epo-
ca di questa devastazione sannitica, poiché non si ricor-
da dagli antichi scrittori che trattano di quella guerra
sannitica del V secolo di Roma , che i Sanniti scorres-
sero queste contrade: onde io credo che Strabone volle
indicare i guasti della guerra sillana che furono in que-
ste parti atrocissimi, ed in tal caso convicn credere che
Laurento, Lavinio , Ardea ec. la tenessero per Siila , e
perciò si portasse una qualche mano di Ponzio Telesi-
no che commandava i Sanniti venuti in favore di Ma-
rio, a depredare e manomettere queste contrade. Certo
è però che Lavinio, come le altre città sovraindicate era
venuto ai tempi di Tiberio, sotto il quale Strabone scri-
veva in una gran debolezza, onde di questa come di al-
tre città men distanti da Roma ebbe ad esclamare Lu~
cano nel I. della Farsaglia: ^'
220
Gobio», Veio$que, Coramque
Albanosque lares, laurentinosque penates
■ Rus vacuum quod non habitet nisi nocte coacta
JnvituSf quaestusque Numam iussisse senator. /.iiV!. -,
\ Non aetas haec carpsit edaXy monumentaque rerum
Patria: destituii crimep, civile: videmus
Tot vacuas urbes. ^ * Il < vs ! i . , » ^
Il penultimo verso mi sembra una dichiarazione della
devastazione sannitica di Strabonc , come accaduta du-
rante la guerra civile siilana : I laurentini penati , sono
quelli che in Lavinio continuavano ad onorarsi per ri-
to , e per le prescrizioni di Nuraa : essi debbono aver
mantenuto una certa popolazione, sebbene scarsa in que-
sta città, per la stessa ragione, che frequentavasi Ardea a
cagione del tempio di Venere fondato da Enea nel ter-
ritorio laviniate, ma che secondo Straboap da lungo tempo
era sotto la direzione degli Ardeati. ^^ . - • -
La vicinanza però della metropoli, l'aria non salu-
bre nella state , oltre la devastazione sannitica , aveano
contribuito altamente all' abbandono di tutte queste città
marittime, che di tempo in tempo andavansi sostenendo
con colonie di veterani , come per Lavinio fece Vespa-
siano. Ma allo spirare del primo secolo della era vol-
gare, ad onta di tutte le premure degl'imperadori, Lau-
rent© e Lavinio erano caduti in tale desolazione , che
fu di bisogno unire in un solo i due communi, e con-
siderare l'ultimo, cioè Lavinio , come rappresentante di
ambedue , che perciò Lauro-Lavinium dopo quel tempo
si appella dagli scrittori e nelle lapidi, come Laurentes-
Laviniates gli abilanti. Difficile è determinare la epoca
precisa della riunione de' due communi: può per argo-
mento negativo asserirsi che non accadesse prima di Tra-
jano, come per argomento positivo è certo che avvenne
221
prima della epoca di Adriano , imperciocché il Fabretti
Inscr. e. X. p. 682. riporta un brano di lapide eretta ad
onore di Trajano e trovato a Pratica, che dice : )m» oJW'»^
-.Mt uS i.'i jl; I >; J^tjJT;r> ■■■>■■'■ 0lS
ijo- M. IMP . CAES . divi U «i
-dtij il fuii' NERVAE.F.ner , ,t*J;;o*r
>s.ìl;,i{M| «f/II VAE . TR Alano ; « *{>si>jJy«ìl ^> <4^»^w
f, ou'j.v'wi; AVG.GEBAM . dac: ^-rs'ua '■■ 'iùy
Mi iìivwvx . , PONTIF . Max. *■ '^'^y- ; . - ■^■^'
-mml^&vi TRIBVN . POt . vi. «;?;* ^^ otóif^Sil
-in-i dt 9ff5 IMP . Ili . COS . iilTiì J 0 <>'';;>g«f i ii> iiitìliif
tel> LAVRENTES . LAviaoSHS' r.
ol DEC Dee .n .'*!
, ilf.iiiijrtyJl' >Jfl?riii''>;pVBLIce *>ì»ìb»|> óa«.lMi'ji<i'^^iiì*aj^
lofj f.ioh obii;>3«"i '«i>,up xjÌ ,ot*i cniuoiiiA ilv -olKLilmr/) é
it qtialé appartiene àfl* anni) 102 dèìla era totgare V jri
che Trajano fu per la III. volta acclamato imperatore ,
come neir anno seguente 103 lo fu per la quarta ; ed
in questo già il popolo di Lavinio si appella Laurentes,
Laviniates. L'autore de' due trattati intitolati de Coloniis,
che si crede communemente un Frontino , e che non è
certamente quello degli acquedotti, è il primo degli scrit-
tori a designare questa città col nome di Lauro-Lavi-
nium : e fra gì' imperatori , che posero mano nel suo
territorio nomina olire Vespasiano e Traiano , anche
Adriano. Quello scrittore pertanto , secondo il Poleni ,
direbbesi contemporaneo di Adriano : né nomina mai al-
cuno degli Antonini mentre ricorda le leggi republicane
e imperiali sul riparto pubblico delle terre fino ed in-
clusivamente ad Adriano. Quindi io credo che Trajano
nel riordinare l'impero malmenato dall'ultimo de'Flavii,
portò le sue cure sopra questa città ancora considerata
come la culla di Roma, e nel dedurvi una nuova colo-
nia, unì in uno ì due communi di Laurento e Lavinio.
222
E questo piuttosto che semplicemente Lavinio si disse
Eauro-Lavinio, perchè laurente era il territorio, e Lau-
reato era stata prima di Lavinio la metropoli del La-
zio : ed essendo trasferita l'amministrazione communale
in Lavinio si volle rendere men dura a que' di Lau-
rento quest' assenza coli' associare il loro nome e pre-
metterlo a quello di Lavinio dove risiedeva. Che poi La-
vinio e non Laurento fosse la residenza del governo è
chiaro , perchè i monumenti sono Stati tutti trovati in
Lavinio e non in Laurento. La mia opinione che i com-
muni di Laurento e Lavinio fossero uniti insieme da Tra-
jano si conferma ancora per la iscrizione riportata dal
Muratori p. MGXV. n. 6. eretta dai Volsiniesi a Sesto
Aurelio Terenziano quatuorviro de' Laurenti Laviniati ,
e candidato di Antonino Pio, la quale essendo ricca per
titoli, e cariche civili e militari ottenute da quel perso-
naggio, voglio qui riportare per intiero , servendo d' al-
tronde alla illustrazione storica di Lavinio :
«Vrvo^r SEX . AVRELIO . TERENTIANO . V . G. yvV i.\
à non ini VIR . LAVR .LAVINATIVM lilT. VIRÌ^ ''^
-m-- i COLON . PVTEOL . PATRONO . NOLAN.'^'^'"
^ PRAEF . FABR . TRIB . LEG . VÌTTaVG . TRIB .''
"'f LEG . XI . CL . P . F . CANDIDATO . ANTON
'^'] AVG . PII . TRIB . LATICLAVIO . FLAM . DIVI f
',j jNERVAE . TRAIAN ."x . VIR . STILITIB . IVDIQ ^^j^
* '*!, , CVRAT . GRAVISC ANORVM . ET . INTE
. t RAIVJNATIVM.NARTIVM,
-HI' l>3 ,OiV ■ :.'":-!r-r ')
c:™HTo,i,tìOPTIMO PATRONO ,.,
,: „,u4,,Y0IvSINIENSES
A Sesto Aurelio Terenziano personaggio chiarissimo, qua-
tuorviro de* LaurerUi Lavinati , quatuorviro della Colonia
223
Puteolana , protettore della Nolana, prefetto de' fàbri , tri-
buno della legione VII. augusta^ tribuno della legione XI
Claudia Pia Felice, Candidato di Antonino Augusto Pio ,
tribuno laticlavio, flamine del divo Nerva Traiano^ decem-
viro per giudicare le liti, curatore de' Graviscani, e degl'In-
teramnati Naarti, all' ottima protettore , i Volsiniesi. Con-
temporanea quasi a questa , e precisemente spettante
all' anno 140 , cioè al II. di Antonino Pio è quella ri-
portata dal Volpi Lib. X. e. IV. che è una dedicazione
a Giove Ottimo Massimo di D. Aurelio Frontone Paollino
flamine laurentinale lavinate Inculare, e protettore della
Colonia di Lauro-Lavinio. Di pochi anni posteriore è l'al-
tra che leggesi sopra nn piedistallo esistente ancora in
Pratica nel primo ripiauo della scala del palazzo Borghese:
DIVO . ANTONINO . AVO ,>
SENAT VS . POPVLVSQVE . LAVKENS ^
'^^ . , QVOD . PRIVILEGIA . EORVM . NON , ,
i-ruymn MODO . CVSTODlERiT . SED . ETIAM ìvì /a
:hu ih AMPLIAVERIT.CVRATORE ti"
-ì: > M . ANNIO . SABINO . LIBONE . G . V . ìob > •
CVBANTIBVS.TI.IVLIO.NEPOTIANO u>"v*i
iHirji ET.P.AEMILIO.EGNATIANO.PRAET r,!. n
, Hiii.HK n . Q Q '. L A V R E N T I V M "'sup
. ..„,..; . . ,>..a>.. :'r, i!,.;
Questo piedestallo , che avrà sostenuta una statua , di
Antonino Pio, a lui innalzata dopo la morte, a nome del
Senato e Popolo Laurente, per avere non solo custodi-
to, ma ancora ampliato i loro privilegi!, fu eretto essen-
do curatore Marco Annio Sabino Libone, chiarissimo per-
sonaggio, e coir assistenza di Tiberio Giulio Nepoziano,
e Publio Emilio Egnaziano pretori per la seconda vol-
ta , quinquennali , de' Laurenti. Cluverio la riferì nella
pagina 888. della sua Italia Antica con qualche inesat-
224
tezza: io V ho trascritta sul luogo : egli la dice trovata
in Trastevere, ed io non saprei indicare come sbalzasse
a Lavinio: è certo però che è un monumento locale, e
che indica avere, il primo degli Antonini, fatto a favo^
re de'Laurenti propriamente detti, qualche decreto, ten-
dente a mitigare , o spiegare in loro favore quello che
li riuniva ai Laviniati. Il Marco Annio Sabino Libone ,
che in questa iscrizione si nomina é probabilmente lo
stesso che fu console sotto Adriano insieme con Aspre-
nate V anno 128 della era volgare e perciò ha il titolo
di clarissimo viro. Un'altra iscrizione riferita dal Fabret-
<i Inscr. p. 686, e dal Muratori p. MLIII. n. 2. perti-
nente all'anno 213 della era volgare, ed eretta ad ono-
re di Caracalla dai Laurenti Lavinati indica qualche be-
neficio singolare da quell'imperadore compartito, poiché
fra altri titoli onorifici gli si danno quelli di avere per
benevolenza ed indulgenza sorpassato tutti i principi suoi
predecessori; omnfvm principvm r. . . . benivolentia . m-
DVLGENTiA EXVPERANTissiMO. Moltc altre lapidi ancora
esistenti , o riportate dai raccoglitori sono state da me
vedute, copiate, e raccolte, ma nessuna di queste è an-
teriore agli Antonini: esse mostrano Lauro-Lavinio esse-
re stato un municipio e colonia insieme che avea i suoi
quatuorviri, i pretori, i cavalieri, i pontefici, il flamine,
gli auguri, i patroni, o protettori, i difensori, e i cura-
tori, in sostanza tutti i magistrati e sacerdoti che avea-
no le città più cospicue dell' impero, indizio di popola-
zione e prosperità. Così Sesto Aurelio Terenziano nella
lapide muratoriana riportata di sopra era quatuorviro
de'Laurenti Lavinati, Tito Cornasidio Vesennio Clemen-
te in una iscrizione vaticana ha il titolo di eqvo pvbl.
LAVR. LAviN, C. Nascunio Marcello Seniore figlio di Caio
in un' altra lapide vaticana inserita pure nella raccolta
di Muratori viene qualificato perpetvo praetori et pon-
225
TIFICI LAVRENTiVM LAviNATiVM , D. Aurelio Frontone
Paollino si qualifica flamine laurentinalc layinate , Tito
Gornasidio Sabino figlio di Tito, e della tribù Fabia, pa-
dre dell'altro Gornasidio sovramnienzionato, si dice nel-
la stessa lapide augure lavr. lavin. Valerio Frumen-
zio in un' altra epigrafe vaticana che si riporterà più
sotto viene designato per Patrono o protettore e difen-
sore dello stesso popolo , Marco Ànnio Sabino Libone
nel monumento testé riportato ad onore di Antonino e
Giunio Prisciliano Massimo in quello che si riferirà ad
onore 4Ìi Galerio figurano come curatori de'Laurenti La-
viaiati. Al principio del secolo IV. appartiene il piede-
stallo innalzato a Galerio Valerio Massimiano Gesare da
Giunio Prisciliano Massimo personaggio chiarissimo , e
curatore de'Laurenti Laviniati. Questo piedestallo si ve-
de a sinistra, entrando nel foro della odierna Lavinio:
le lettere sono d' intaglio irregolare , quale si conviene
alla epoca , e nella quarta linea havvi BAEATISSIMO
invece di BEATISSIMO.
D.N. GALERIO. VAL.
MAXIMIANO
FORTISSIMO . AC.
BAEATISSIMO.GAES.
PRINCIPI. IVVENTVTIS
IVN . PRISCILIANVS . MAXIM VS
V G.GVR.LAVR.LAV
DIG.N.M.EIVS.
Questo piedestallo servì antecedentemente ad altro
uso, o per altro personaggio, poiché di fianco rovescia-
ta si legge la dedicazione originale così:
.' 15
226
S03 • omiiAòv • xa • omxvK
Haai • ivM • aaa
cioè dedicata il primo di Febbraio essendo Massimo ed Aqui-
lino consoli , V anno 286 della era volgare. Allora però
Galerio era ancora privato, e siccome in quella riferita
di sopra, che è la principale, si leggono dati a lui i ti-
toli di cesare e di principe della gioventù , perciò non
può essere anteriore all'anno 292 in che fu da Diocle-
ziano associato all' impero, né posteriore al 30 di aprile
dell'anno 305, poiché il 1. di maggio dello stesso anno
per la rinunzia iì Diocleziano diventò Augusto. Di que-
sto medesimo cesare sono due altri piedestalli, onde mi
sembra, che, o qualche singolare beneficenza compartisse
a Lavinio, della quale si è perduta ogni memoria , ov-
vero che questi monumenti venissero eretti in occasione,
che egli sarà ito a compiere il sagrificio annuale agli
Dei Penati di Roma. Quanto poi a Giunio Prisciliano
Massimo che innalzò questi monumenti, egli ebbe il pre-
nome di Marco, ed ha il titolo di V. C. vir clarissimusy
essendo che era stato console nell' anno 286, e prefetto
di Roma nello stesso anno e nel seguente, siccome può
vedersi nel Corsini Series Praef. Urb. p. 157, che sospettò
potesse essere morto nel 287 , solo per non conoscere
questa lapide^ che certamente è posteriore a queiranno.
A questo M. Giunio Prisciliano Massimo gì' imperadori
Diocleziano e Massimiano diressero la legge contro i pla-
giami, il dì 8. decembre 287. che si ha nel codice lib. IX.
tit. XX. leg. 7. Un' altra iscrizione simile a questa ad
onore di Costanzo Cloro collega di Galerio nella dignità
di Cesare vien riportata dal Ligorio , come attesta il
Volpi T. VI. p. 101. Sul finire del secolo IV. il cele-
bre Simmaco scrivendo a Celsino Tiziano , che fu suo
collega nel consolato 1' anno 391 , della era volgare gli
227
annunzia che Ceciliano personaggio onesto raccomanda-
vasi da se stesso per 1' officio assunto di difensore dei
Laurenti Lavinati : Caecilianum virum honestum, Lauren-
tium Lavinatium defensorem susceptum commendat ojjicium,
ed aggiunge Ama ergo hominem placititm mihi et religio-
sae civitatis commodis obsequentem^ Questa lettera che è
puramente commendatizia, nella edizione di Jureto è la
65 del primo libro, in altre è la 71 e mostra come Sim-
maco riguardava con benevolenza Lauro-Lavinio da lui
considerata come città religiosa. E ben noto lo zelo di
queir illustre romano del secolo IV in sostenere la ca-
dente religione pagana , quindi non dee recare meravi-
glia, che tanto impegno ponesse a raccomandare chi per
la parte sua avea assunto l'incarico di proteggere la città
che conservava i Penati di Roma. Ricavasi inoltre che
a quella epoca questa città conservavasi, e che avea di
già introdotto l'uso di avere un protettore pubblico col
nome di difensore, perchè difendeva la vita , le sostan-
ze, e gli interessi, tanto de' magistrati municipali quanto
de' cittadini contro la insolenza de' malvagi, siccome si
ha nel codice teodosiano lib. I tit. IX leg. I II e III ,
leggi appunto che sono contemporanee di Simmaco, es-
sendo state promulgate da Valentiniano II. Teodosio, ed
Arcadio, negli anni della era volgare 386. 392. Macro-
bio contemporaneo ed amico di Simmaoo, Saturn. lib. III.
e. IV. mostra che durava ancora in quel tempo il costu-
me, che i consoli, i pretori, o i dittatori municipali la-
tini, neir entrare in magistratura andassero a Lavinio a
sagrificare agli Dei Penati ed a Vesta : adeo ut et con-
sulesy praetores seu dictatores quum adeunt magistratum La-
vimi rem divinam faciant Penatibus pariter , et Vestat.
Circa questi tempi medesimi, predecessore, o successore
di Ceciliano, fu difensore de' Laurenti-Laviniati un Va-
lerio Frumenzio , del quale conservasi una iscrizione
228
onoraria nel museo vaticano, affìssa come le altre indi-
cate di sopra nel corridore delle lapidi. È una specie
di piedestallo, informe per le proporzioni e per le mo-
dinature che sono grossolanissime , e con lettere che si
direbbero tracciate da uno che appena sappia scrivere ,
senza dir nulla della sostituzione della B per la V, de-
gli errori di ortografia ec. ec. che mostrano la decadenza
totale delle letterq e delle arti : essa dice :
VALERIO FRVME
NTIO . V . P.PATRO
NOETDEFESORI
ABITATORI CIBITATIS
QVIPOSMVLTVM
TEMPORIS AE D I T I 0
N E M . DEBOTIONIS
RENOBABIT ET I T E
RABIT P R O ME RI
, ; tis benevolETIE
SVE ORDO C I B E S
QVE LAVRENTVM
-■.X . L. L.
cioè: a Valerio Frumenxio, uomo preclaro, protettore e di-
fensore, abitatore della città, che dopo un lungo andare di
tempo rinnovò e raddoppiò dimostrazione di devozione, pei
meriti della benevolenza sua, l'ordine decurionale ed i cit-
tadini de'Laurenti Laviniati dedicarono.
Questi sono gli ultimi documenti positivi che ho
potuto trovare della esistenza, popolazione e quasi direi
splendore di Lauro-Lavinio , i quali come ho mostrato
appartengono alla fine del secolo IV della era volgare.
Imperciocché, se dopo ancora il nome di Lavinio s'incon-
tra nella carta peutingeriana, che io non credo di moN
S29
to anteriore al secolo Vili, e nell'Anonimo ravennate che
appartiene presso a poco allo stesso tempo, queste testi-
monianze altro non provano, se non che una rimembran-
za e non mai la esistenza di questa città, mancando in-
tieramente i fatti. E riflettiamo per poco , che fin dal
principio del secondo secolo della era volgare Laurento,
Lavinio, come tutta quella costa cransi molto spopolate,
così che circa i tempi di Trajano dovettero unirsi in-
sieme i due communi: che la popolazione di Lavinio so-
stenevasi principalmente per le cerimonie sacre degli dei
penati, che ivi aveano fissata la loro sede: che queste,
come gli altri riti antichi vennero affatto soppresse, e,
sotto pene gravissime, interdette precisamente l'anno 391
in che furono consoli Simmaco e Taziano: quindi rapi-
damente Lauro-Lavinio cadde in squallore. Le successi-
ve scorrerie di Alarico nel 409 , di Genserico nel 455
le guerre civili, e i tumulti che accompagnarono la ca-
duta dell' impero occidentale, che finì in Augustolo l'an-
no 476, le devastazioni , che per 18 anni travagliarono
i contorni di Roma nella lotta ferale con che i Goti ed
i Greci si disputarono il dominio dt-questa parte d'Ita-
lia a puro suo danno, compierono l'opera di distruzione,
così che Lavinio che nel 391 era ancora città ragguar-
devole nel 553 era presso a poco ridotta come oggi la
veggiamo. E per una circostanza fatale mai più fino ad
oggi potè questa riaversi, per le ragioni medesime com-
muni a tutto il rimanente della parte marittima del La-
zio , cioè della insalubrità dell' aria e delle scorrerie ,
prima de' Saraceni, poscia de' Barbareschi. V- wi ; ' * \
Ora veniamo alla terra moderna di Patrica o Pra-
tica , che è sorta dalle rovine dell' antico Lavinio. Fu
notato di sopra, che Enea dopo la morte venne onorato
col nome di Patris Dei IndtgetiSf ed a lui fu consacrato
per Eroe un tumulo piantato intorno di alberi , che fu
\
230
denominato luco del Padre Dio Indigete : e questo eroo,
e questo luco erano prossimi a Lavinio : ed il tumulo
da alcuni vuol riconoscersi in quello che ancora si vede
sotto la città antica, verso occidente, sulla sponda destra
del rivo di Petronellaj più sotto però vedrassi, che que-
sto era realmente sul Numico, cioè fra Lavinio ed Ar-
dea^' sulla sponda destra di quel fiume presso lo stagno.
Questo die nome al latifondo attinente che si sarà detto
fundus praedium, ed anche possessio Patris, dal quale de-
rivò il nome della moderna Lavinio che civitas Patrica
ne' tempi bassi venne appellata. Infatti nella vita di Sil-
vestro I, dice il Bibliotecario, che Costantino assegnò alla
basilica . sessorìana di s. Croce in Gerusalemme la pos-
sessione di Patras sotto la città de' Laurenti : sub civi-
tàte Laurentum possessionem Patras , che forse dovrà leg-
gersi Patris. Anastasio vivea nel secolo IX e le vite dei
p3pi, che vanno sotto il suo nome, o sono sue , o sono
estràlte da autori più antichi : comunque voglia credersi
di questa di s. Silvestro, che probabilmente va fra quelle
scritte da s. Damaso , da questo passo chiaramente ap-
parisce , che nel IV secolo , come nel IX il fondo atti-
nente a Laurò-Lavinio ebbe il nome di Patre. Nella bolla
di Gregorio VII dell'anno 1074 con che conferma i beni
alla basilica e monastero di s. Paolo, inserita dal Mar-
garini nel secondo tomo del Bollarlo Cassinense, leggesi,
che conferma la città di Patrica con tutte le appendici,
e colla chièsa di s. Lorenzo siccome era stata conceduta
al monastero di s. Paolo dal beato Marino papa ; civi-
tatem vero Patricam cum omnibus appendiciis et cum tota
ecclesia s. Laurentii sicuti beatus Marinus papa concessit
monasterio tuo. Questo papa Marino morì nell'anno 884,
quindi dopo la metà del secolo IX già il nome del fon-
do Patre erasi communicato a Lavinio , che essendosi
popolato, di nuovo, forse nel secolo VIII, si disse civi-
231
tas Patrica. E si è veduto di sopra , che anche nella
carta peutingeriana e nell'Anonimo ravennate, ambedue
documenti non posteriori all' anno 750 , Lavinio è indi-
cato col nome suo antico, ne incontrasi vestigio dell'al-
tro prima di papa Marino cioè dell'anno 884, quindi in
questo intervallo dee porsi la fondazione della terra sorta
sopra Lavinio. Una carta esistente nell'archivio di s. Pao-
lo , pubblicata dal Galletti nella sua dissertazione sopra
Capena p. 65 e seg. mostra, come nell'anno 1139 Azone
abbate del monastero si querelò nel concilio lateranense
tenuto avanti Innocenzo II, de' Baronzini che ritenevano
una porzione nel castello di Patrica , pertinente al mo-
nastero : quamdam partem in castro nostro quod vocetur
Patrica : indizio che allora Patrica era murata, e riguar-
data come Castrum. Un' altra bolla dell' anno 1203, colla
quale si confermano i beni a s. Paolo , ed inserita dal
Margarini nel tomo I nomina Patricam cum ecclesiis et
pertinentiis. Nella carta menzionata più volte dell' archi+
vio di s. Maria in via Lata, pertinente al 1330 frai con-
fini del castro o casale di Peronile, oggi Petronilla, in-
dicasi il tenimentum castri Patricae. Gli sconvolgimenti ,
ai quali andò soggetta Roma per una buona parte di
quel secolo a cagione dell'assenza de'papi riverberarono
ancora sui dintorni , e perciò nel principio del secolo
seguente, e precisamente nell'anno 1403, la metà di que-
sto castro trovasi non più in potere del monastero, ma
di un tal Gocio di Nardo di Godo de Granellis della
Regola, il quale ne vendette ^je ^^ nobil uomo Jaco vel-
lo figlio del quondam Branca di Gianni Giudice , pure
del rione Regola per 537 fiorini: questo ricavasi da un
istromento dell'archivio di s. Angelo in Pescaria, ed in
esso ancora designasi Pratica, come castro: cuiusdam cor
stri quod vocatur PATRICHA. Nell'archivio de' signori
Capranica esiste un'istromento dell'anno 1432, nel qua-
23*2
le annoverandosi i confinì del lenimento di Ardea , in-
dicasi il tenimentum casalis, quod vocatur Patrica illustris
Bartholomaèi de Capranica et aliorum eius consortium :
dove è da notarsi che Patrica in quella epoca apparte-
neva principalmente ai Capranica, e ad altri possidenti,
fra' quali saranno stati i Branca, e che non era più ri-
guardato come Castrum, ma come Casale; forse in quel
tempo questi erano sinonimi nella lingua notarile , poi-
ché in un'altra carta del 1499, che si legge nel codice
vaticano ottoboniano 2550, e che è un atto di concor-
dia fra Gabriele Cesarini ed Antonio Frangipani circa
un terreno del tenimento di Pratica, questa terra viene
indicata col nome di Castrum : in tenimento castri Pra-
ticai E questo è il primo esempio , che finora ho rin-
venuto della ortografia attuale del nome di Pratica, nei
tempi antecedenti sempre detta Patrica con maggior con-
venienza etimologica. Il Piazza nella Gerarchia Cardina-
lizia p. 324 dice , che questa terra fu dei Massimi , e
da questi passò ai Borghesi ; quindi conviene supporre
che nel secolo XYI venisse in potere dei Massimi, sen-
do che fin dal principio del secolo seguente XVII diven-
ne proprietà de'Borghesi, che pur or la ritengono dopo
averla quasi riedificata di pianta. La popolazione di que-
sta terra non e stabile componendosi principalmente di
contadini e pastori che non sono nativi del luogo: dal-
le indagini che ho fatto , nna dozzina di famiglie può
dirsi permanente. È parte della diocesi e del governo
di Ajbano.
Lavinio, a cui è succeduta Pratica è al grado 41.
30'. 46". 2 di latitudine ed al grado 30.8'. 15". 1. di
longitudine , secondo le osservazioni fatte 1' anno 1824
degli astronomi del collegio romano Conti e Bicchebach.
Essa copriva due fimbrie del ripiano, che si prolunga di
sotto a Castel Savello per la Solfarata fino al mare, ed
233
il quale verso occidente si frastaglia in varie lacinie ,
che vanno bruscamente a finire in una valle profonda ,
imboschita, solcata da un ruscello di acqua perenne, cho
ha le scaturigini presso la cona di Petronilla, e ricevu-
ti i rigagnoli anche essi perenni, che scolano dalle con-
valli di Pratica , segue sempre col corso la direzione d«
settentrione a mezzodì servendo di limite ai latifondi
di Campo Ascolano, e Campo Selva, ed entra nel mare
dopo una forte svolta da oriente ad occidente, circa 8.
m. lungi dalle sue più lontane sorgenti.
Il fondo del suolo è un'arenaria grigiastra coperta
di terra vegetale , eh' è un composto di sabbia lasciata
dal mare, rottami di fabbriche, materie vegetali disciol-
te, e frantumi vulcanici trasportati dalle acque. Il colle
di Pratica spicca quasi isolato fra due altre frastaglia-
ture del ripiano commune, con due eminenze, una più
elevata dell' altra: e sopra la più alta si distende verso
oriente il villaggio coprendone una buona metà: il rima-
nente della superficie del colle è nudo di fabbriche ed
è ridotto ad un pascolo cinto da siepe. È di forma
oblonga e somiglia tutto insieme compreso ad una ellis-
si, nella direzione da oriente ad occidente, che volge la
sua estremità occidentale verso il meriggio. Girando at-
torno alla base si percorre uno spazio di circa 5000 pie-
di, nel ripiano superiore se ne contano 4000, indizio che
molto ripido è il declive, specialmente verso la valle prin-
cipale che è la più bassa. Gli astronomi ricordati di so-
pra hanno riconosciuto che la cima della torre del pa-
lazzo Borghesiano , è 407 piedi e 5. pollici parigini so-
pra il livello del mare, cioè circa 440 piedi romani, os-
sia soli 90 piedi minore della sommità della croce della
cupola di s. Pietro. Ora l'altezza del palazzo compresa
la torre è di circa 100 piedi: la distanza da Pratica al
mare è di tre miglia circa in linea retta: dalla base del
234
eoll« verso occidente al lircllo del mare difficilmente so-
no altri 150 piedi; quindi benché più vicino al mare, il
colle sul quale sorse Lavinio è molto più alto del Pin-
cio alla piazza del Popolo. Ho indicato, che la differen-
za fra il circuito del ciglio superiore e quello della fal-
da più bassa non essendo, che di 1000 piedi di pendio
dovea essere ripido: infatti verso nord e nord-est è qua-
si a picco, verso occidente e mezzodì è appena accessi-
bile : e solo verso oriente offre un' adito strettissimo ai
carri, dove con una coda a guisa d' istmo, che si direb-
be artificiale, riattaccasi al ripiano generale dipendente
dalla Solfarata: ed è per questo istmo che si entra co'
carri in Pratica tanto venendo immediatamente da Ro-
ma per la via ardeatina, quanto seguendo la via lauren-
tina, passando per Decimo e Gapocotta, che, come si vi-
de^ era la primitiva.
Dell'antico recinto rimangono traccie non solo nell'
andamento del ciglio, o nel taglio artificiale della rupe
verso nord-est; ma in questo medesimo punto sono al-
cuni massi parallepipedi di pietra locale, che sembrano
al posto, ed altri verso nord-ovest se ne incontrano ro-
vesciati. Ora essendo il sito di natura sua forte , cinto
da mura di questa specie, si riconosce come potè difen-
dersi contro Lauso a' tempi di Enea, e come potè resi-
stere alla scorreria di Coriolano, siccome fu notato nel-
la storia. I frantumi di terra cotta informe , di tegole ,
di vasi coperti di vernice negra, e di manifattura simi-
le a que'che diconsi etruschi, che muovendo per poco la
terra nella parte non abitata di Lavinio appariscono ad
ogni tratto, non solo dimostrano essere stato questo luo-
go coperto di fabbriche, ed abitato da uomini, ma ri-
salire la sua popolazione a tempi antichissimi : siccome
i frammenti di marmi bianchi e colorati, i graniti, i por-
fidi ec. che pure via via s'incontrano sono testimonii di
235
fatto che questa città fiorì ancora sotto gllmperadori, e
fu nobilmente adornata. Indarno però si cercano soprat-
terra avanzi di cdiGcìi , poiché sono tutti spariti : solo
sulla piazza odierna, osservando attentamente il suolo,
si ravvisa ancora la pianta di una vastissima cisterna, o
conserva di acqua antica costrutta con mattoni di forma
triangolare e rivestita di astraco, o signino, nella quale
forse metteva capo l'acquedotto del quale feci menzione
di sopra. Così nell' angolo sud-ovest fuori dell' abitato,
odierno, pare che esistesse un edificio, e forse un tem-
pio, riconoscendosi un ripiano tagliato nel .masso natu-
rale. A sinistra di chi entra in Lavinio per la porta orien-
tale è sulla piazza il piedestallo colla iscrizione a Ga^
lerio , nella quale , come di già notai dee osservarsi la
ortografia della parola BAEATISSIMO in luogo di BEA-
TISSIMO: ivi dappresso è un pezzo di statua togata che
mostra essere stata bene eseguita, ma lavorata con fred-
dezza , e perciò mi sembra del tempo degli Antonini.
Dopo la iscrizione di Galerio è un altro piedestallo fis-
so in terra ma capovolto colla epigrafe
-»f » i-^f 1 a u R E N T V M
VALCOMMAGENTS
P. VITAENIVS M A R T I A L I S
AELIVS BENEDICI V S
- AEMILIVS EVTYCIANVS ui-'ii.,,
iì > A V R . F 0 R T V N I V S
if, ili* CAESIVS DVLCITIVS VV PP
^h ^ a PATRONO DIGNISSIMO GVRR
Questo fu riportato dal Volpi p. 118 con molti errori;
ma vi lesse di più in principio:
236
LYPO C. V. CONSTL n. o»] i
ARI SACRAE VRBIS i .r i,:
REGIONIS limi CVR
il qual Lupo uomo consolare , credo , che sia il Giulio
Lupo che ebbe l' onore de' fasci insieme con Massimo
l'anno 232 della era volgare.
; Havvi un'altro piedestallo con iscrizione pur di Ga-
leno, ma con disposizione diversa nelle linee dell'ante-
cedente, nel resto eguale, e presso questo un'altro fram-
mento di statua togata simile all'altra. Quindi vidi un'al-
tro piedestallo rovesciato sotto sopra , e presso questo
un'altro piedestallo a Galerio, rotto, ma che riconoscesi
simile ai due precedenti , se non che apparisce essersi
scolpita la epigrafe di Galerio dopo aver cancellata una
iscrizione precedentemente esistente , esempio non raro
specialmente noi IV. e V. secolo , e che vieppiù dimo-
stra ciò che fu osservato di sopra circa l'altro piedestal-
lo di Galerio colla dedica rovesciata di sei anni anterio-
re al suo innalzamento alla dignità di Cesare.
Questi monumeii'.i trovansi sul lato della piazza che
è sotto il palazzo : in quello verso il mare è un capi-
tello corintio informe, e nella via che è l'ultima a sini-
stra delle cinque che partono dalla piazza osservai due
rocchi di colonne, uno di breccia, l'altro di marmo ca-
ristio: un altro capitello corintio de'tempi della decaden-
za è ne'dintorni della piazza, come pure una base attica
ben modinata, alcuni frammenti di colonne di pietra al-
bana scanalata ec. ec. indizii degli edificii che in varii
tempi nobilitarono Lavinio. Havvi poi un piedestallo che
nelle proporzioni e modinature somiglia a quelli di Ga-
lerio, sul quale è la epigrafe sospetta:
337
SILVIVS AENEAS
AENEAE ET LAVI
NIAE FILIVS
quasi che avesse sostenuto la statua di quel re, stipite
delia dinastia di Alba , onde tutti i suoi successori as-
sunsero il prenome di Silvio. La chiesa non offre per
l'arte alcun oggetto degno di osservazione: girando at-
torno ad essa di fuori si riconosce, che la tribuna ori-
ginale opera del secolo VI, ristaurata poi nel secolo XIII.
è nella direzione dell' oriente vernale secondo 1' antico
costume , e per conseguenza io credo che fosse eretta
dopo l'efimera pacificazione di questa parte d' Italia ot-
tenuta per le vittorie di Belisario e Narsete, e che fos-
se ristaurata verso i tempi d'Innocenzio III. che confermò
il possesso di Pratica ai monaci di s. Paolo; questa chie-
sa era molto più ristretta dell' attuale , e perciò se fu
sola, come è oggi, potrebbe arguirsi che la popolazione
di Lavinio nel secolo VI. era ridotta a molto piccola
cosa. Il palazzo è opera de* Borghesi e non offre altra
cosa degna di essere ricordata che il magnifico panora-
ma della torre, che lo sormonta, dalla quale può dise-
gnarsi la pianta della città e delle colline che la circon-
dano, le adiacenti vastissime campagne, il mare, Castel
Romano, Decimo, Ostia, Roma co' suoi palagi e le sue
cupole smisurate, il dorso gianicolense, che a poco a po-
co sale e si confonde coi monti della Etruria suburbi-
caria , sormontati dal Cimino : e a questi succedono i
gioghi nevosi della Sabina , che si frammischiano alle
punte de' contrafforti dell' Appennino abitati dalle tribù
latine : e più dappresso , coperti dal gruppo del monte
Albano, di là dal quale il monte Lepino, sede principa-
le de'Volsci, distende le sue braccia, terminando la ve-
238
data nel mar« colle rupi di Anxur, e la vetta isolata di
Circeii.
Il circondario di Lavinio comprendeva luoghi clas-
sici che furono soggetto d'investigazioni erudite da cir-
ca tre secoli. E primieramente debbono visitarsi le adia-
cenze verso occidente , dove alcuni pongono il tumulo
di Enea, il luco del Padre Dio Indigete, ed il fano di
Anna Perenna ingannati dalla supposizione che il rivo
di Petronella sia il Numico. Uscendo pertanto dalla por-
ta orientale e prendendo la via a destra, che è la lau-
rentina, costeggiando il villaggio verso mezzodì, si os-
serva che la convalle fra Pratica ed il colle meridionale
si presenta nell' attaccatura come un teatro , onde non
sarebbe improbabile credere che ivi fosse stato di fatto
il teatro di Lavinio. Il colle sovraindicato ha le falde ve-
stite di alberi, ed il ripiano coltivato a vigne ed a gra-
no. Lungo la via incontrasi di tempo in tempo qualche
poligono di lava basaltica, ora smosso, ora conflccato al
suo luogo, che sono una prova dell'andamento della via
antica proveniente da Roma : e sotto il villaggio havvi
qualche pietra quadrilatera , avanzo dell' antico recinto.
Seguendo questa via, dopo circa un terzo di miglio, a
sinistra è una sorgente , la quale , come oggi fornisce
l'acqua ad un fontanile rustico, in origine, che sarà sta-
ta anche più abbondante, la forni ai Laviniati; lo scolo
di questa fonte traversa la via e va a cadere nel fosso
di Pratica. Non molto dopo si perviene sotto la falda
occidentale del colle di Lavinio che ivi si presenta in
tutta la sua imponenza ; dove il ruscello del fontanile
mescesi con quello detto della valletta ed ambedue van-
no ad influire nel rivo di Petronella. Alcuni ne' tempi
passati hanno creduto, che questo fosse il Numico, opi-
nione che oggi non può più tenersi, imperciocché essen-
do stabilito che Lavinio è a Pratica, il Numico dee rin-
239
tracciarsi fra Lavinio, ed Ardea, doY« concordemente si
pone dagli antichi scrittori latini, e greci, cioè ad orien-
te e non ad occidente di Lavinio. Al confluente di que-
sti rivi lasciasi a sinistra la via laurentina, che per Ca-
po-cotta, e Decimo si dirigge a Roma; e traversando un
cancello rustico ed il rivo entrasi nel lenimento di Pe-
tronella Naro, al quale in questo luogo il ruscello è di
confme verso quello di Pratica. Ora in questo punto, sul-
la sponda destra del ruscello, si presenta un tumulo iso-
lato da tutte le parti, ed imboschito, che ricorda quel-
lo del Patris Dei indigetis; imperciocché è immediatamen-
te sotto Lavinio, è di mediocre estensione, e lascia rav-
visare in qualche parte la mano degli uomini , e se si
eccettuano le fila regolari di belli alberi, ai quali è suc-
ceduta una boscaglia informe , ninno meglio di questo
tumulo corrisponderebbe alla descrizione lasciataci da
Dionisio, riferita di sopra; ed essendo accaduta una forte
battaglia non lungi da Lavinio, e molti periti da ambe le
partii gli eserciti , sopraggiunta la notte si disciolsero , ed
il corpo di Enea non essendosi piti in alcuna parte vedu-
to , altri supposero che fosse stato trasportato fra gli dei ,
altri che fosse perito nel fiume lungo il quale si era data
la battaglia , e a lui i Latini edificarono un eroo ornato
con questa iscrizione : DEL PADRE DIO TERRESTRE
CHE DEL FIVME NVMICO IL CORSO GOVERNA . . .
Ed è un tumulo non grande , ed intorno vi sono piantati
alberi in fila degni di essere veduti. Ma la grave diflìcol-
tà, insormontabile, a riconoscerlo per quello testé accen-
nato é che il rivo, non è il Numico, e Livio lib. I. e.
IL nel Numico pone l'eroo di Enea: situs est, quemcum-
que eum dici ius fasque est super Numicium flumen , Jo-
vem Indigetem appellant ; e con Livio in sostanza si ac-
cordano Ovidio, Vittore, e gli altri antichi scrittori, e
Dionisio stesso pcfc'anzi allegato. "•
240
D(^o aver visitato questo tamulo , continuando a
rimontare il rivo di Petronclla verso settentrione, incon-
transi di tempo in tempo rigagnoli che scendono dalle
falde vicine ad ingrossare il tronco principale , e dopo
circa due miglia di cammino si giunge sotto il ripiano
di Petronella nel così detto Prato del Gasale. Di già
notai a suo luogo , che alcuni posero Lavinio a Petro-
nella Naro, ed altri vi collocarono il Fanum Ànnae Pe-
rennae , frai quali figura principalmente V Olstenio ', ma
che ambedue le opinioni sono erronee , poiché Lavinio
era a Pratica, e quel fanum fu sul Nuraico. Impercioc-
ché Ovidio nel terzo de'Fasti v. 647 e seg. chiaramen-
te si esprime di costei così:
; Corniger hanc cupidis rapuisse Numicius undis
Creditur et stagnis occoluisse suis.
Sidonis interea magno clamore per agros
Quaeritur: adparent signa notaeque pedum.
Ventum erat ad ripas: inerant vestigia ripis;
Sustinuit tacita^ consci US amnis aquas.
Ipsa loqui risa est: Placidi sum nympha Numici:
Àmne perenne latens, Anna Perenna vocor.
E Silio nel lib. Vili. v. 28 e seg. fa chiamare Anna
dagli stagni laurenti del Numico, limitrofi al bosco del
Padre Indigete:
Namqtie hac adcitam stagnis laurentibus Annam
Adfatur voce et blandis hortatibus implet.
Tum Diva (Anna) Indigetis castis contermina lucis.
Haud, inquit, tua ius nobis praecepta murari.
E dopo aver narrata la origine degli onori che si rea-
241
devano a questa semidea, ed una apparizione di Didone
sua sorella v, 179. e seg. soggiunge
Haud procul hinc parvo descendens fonte Numicus
Labitur et leni per valles volvitur amne.
Httc rapies, germana, viam tutosque receptus:
Te sacra excipient hilares in flamine Nymphae,
Àeternumque Italis numen eelebrabere in oris
Anna novis somno eoccutitur perterrita visis,
Prosiluit stratis, humilique egressa fenestra
Per patulos currit plantis pernicibus agros;
Donec arenoso, sic fama, Numicius illam
Suscepit gremio, vitreisque abscondidit antris.
E poco dopo Io stesso poeta mostra la prossimità del
Fano di Anna Perenna al territorio de' Rutuli , e al
mare:
Quum nuUam Aeneadae thalamis sidonida nacti,
Et Rutulum magno errantes clamore per agrum
Vicini ad ripas fluvii manifesta sequuntur
Signa pedum: dumque inter se mirantur, ab alto
Amnis aquas cursumque rapit: tum sedibus imis
Inter caeruleas visa est redire sorores.
Sidonis et placido Teucros adfarier ore.
Ex ilio primis anni celebrata diebus
Per totam Ausoniam venerando numine eulta est.
Chiunque per poco conosca i luoghi, dee conveni-
re , che in niun modo il Fano di Anna Perenna potrà
collocarsi presso il casale di Petronella , a meno di di-
ehiarare gli antichi scrittori tutti insieme falsi e bugiar^
16
242
di. Il nome di PetroncUa suol derivarsi da s. Petronil-
la, quasi che questo fondo fosse in alcun modo consa-
crato a quella santa : la carta però di s. Maria in Via
Lata , ricordata di sopra , spettante al 1330 lo appella
Peronila : e da Peronila si sarà prima detto Petronila ,
poi Petronella, e per analogia di nome s. Petronella. Il
casale fu da me visitato nel 1823 : è situato sopra un
colle dirupato di tufa di forma quasi circolare, che so-
lo verso nord-ovest ha un'accesso meno difficile e pres-
so questo un antico antro , sacro al Genio del luogo e
alle ninfe. Sembra che circa il secolo XIII. fosse cinto
di mura, poiché si veggono ancora vestigia della forti-
ficazione, che lo avrà fatto un Castrum. Amenissima è
la situazione di questo colle, dinanzi al quale dispiega-
si verso mezzodì la linea argentea del mare coronata da
boschi e di tratto in tratto interrotta dalle torri di guar-
dia : quindi non v'ha bisogno di situarvi il Fanum di
Anna Perenna per riconoscere che anticamente non fu
trascurato , e ne fanno testimonianza rocchi di colonne
di granito impiegati ad usi moderni, e frantumi che qua
e là si rinvengono i quali io credo , che appartengono
a qualche villa. Nella carta del p. Innocenzo Mattei in-
titolata Nova et exacto, Chorographia Latti, riportata da
Kircher nel suo Lazio 1' anno 1671 presso M. di Leva
è indicato un laghetto colla iscrizione Lago di Turno,
da cui parte un ruscello che va ad influire nel rivo dal-
la Solf arata: in quella di Ameti del 1693 si ritrova que-
sto lago fra monte di Leva, Castel romano, e Petronel-
la; ma il rivo che ne esce ha il nome di Rio di Torno
e va verso il mare: in quella del Cingolani del 1704. spa-
riscono lago e rivo, e solo fra Petronella e Monte di
Leva, nel tenimento di Petronella è notato un piccolis-
simo stagno senza nome e senza emissario. Maire e Bo-
scovich non lo mettono affatto, Cassini non mette il la-
243
go, ma segna il rio di Torno nella mappa generale del-
lo Stato Ecclesiastico 1' anno 1805. Nicolai , Michel , e
Sikler, e tutti gli altri che più recentemente hanno se-
guito Ameti l'hanno riprodotto, e ne hanno fatto uno sta-
gnum, o Lacus luturnae, e vi hanno applicato i versi di
Virgilio Aeneid. 1. XII. v. 134. e seg. e di Ovidio Fast.
lib. II. V. 585. e seg. Con questa prevenzione percorsi
tutte quelle campagne per ritrovarlo , ma indarno , ne
interrogai i contadini, e mi assicurarono, che non esiste-
va , e solo il più vecchio mi disse , che sul ripiano di
un colle che sorge dirimpetto al Casale di Petronella do-
ve oggi é l'ara , vi era , una piscina , cioè una piccola
conca di acqua dove vanno a tuffarsi le bestie, la qua-
le era stata disseccata: dunque il preteso lago di Giutur-
na è una bella invenzione. D' altronde Servio commen-
tando il passo della Eneide ricordato di sopra, e preci-
samente i versi 139 e 40
Diva deurriy stagnis, quae flununibusque sonoris
Praesidet. , y 3 ^ :
dice che Giuturna era una fonte saluberrima in Italia
presso il fiume Numico, alla quale era stato imposto tal
nome perchè giovava, a iuvando: che di là portavano a
Roma l'acqua, che serviva ne'sagrificii: e ad essa sole-
vasi in caso di penuria di acque sagrilicare : a Giutur-
na era stato eretto da Lutazio Catulo un tempio in Ro-
ma nel Campo Marzio : ed in onor suo celebravansi le
feste giuturnali da coloro che esercitavano mestieri di
acqua. Or se questa era una fonte non fu un lago , e
se era iuxta Numicum fluotum non potè essere ne'dintor-
ni di Petronella e Monte di Leva, ma sibbene in quel-;
li di s. Procula e Maggione distanti buone 6 miglia dal
casale di Petronella.
Verso oriente il tempio di Venere, Aphrodisium ed
244
il Numico sono stati descritti negli articoli rispettiri.
V. APHRODISIVM, CAMPO SELVA, NVMICVS,
LEPRIGNANO.
Cepronianum.
Terra della Gomarca di Roma nel Governo di Ca-
stel Nuovo di Porto, che contiene 838 abitanti. Essa è
distante circa 21 miglia da Roma andando per la vìa ti-
berina, volgarmente detta la strada di Piano, dalla qua-
le si diverge a sinistra verso le 16 m. e mezzo: ed un
miglio dopo il diverticolo sotto il monte Tufello si tro-
ya un bivio : la strada a sinistra conduce a Morlupo ,
quella a destra a Leprignano.
Il suo nome nella bolla di Gregorio VII dell'anno
1074 riportata dal Margarini nel Bullarium Cassinense
T. II si scrivea allora Lepronianum e questa è la prima
volta che s'incontra: forse derivò da Apronianum fondo
della gente Apronia. A quella epoca era di già un castrum
ed apparteneva al monastero di s. Paolo, al quale ha poi
sempre appartenu o. Da due documenti riportati dal Gal-
letti nella sua dissertazione sopra Capena rilevasi , che
sul finire dello stesso spcolo XI era stato occupato in-
sieme con Piano e Vaccareccia , altre terre del mona-
stero medesimo, da un tale Tebaldo: i suoi figli Cencio
e Stefano lo resero al monastero, ed ottennero la enfi-
teusi , la quale poi rimasta estinta , il castello tornò in
pieno potere de' monaci , che lo hanno ritenuto fino al
secok) presente.
245
u: LICENZA.
DIGENTIA.
È un rivo ricordato da Orazio nella epistola XVIII
del primo libro in que'versii
Me qttoties reficit gelidus Digentia rivus,
Quem Mandela bibit rugosus [rigore pagm
Quid sentire putas? ec.
come quello, che bagnava la sua villa sabina, nella qua"
le avea la sorgente: Epist. XVI lib. I.
Fons etiam rivo dare nomen idoneus, ut nec
Frigidior Thracarn, nec purior ambiat Hebrus
Infirmo capiti fluit aptus et utilis alvo,
e che gravi danni come tutti i torrenti di montagna ar-
recava al prato in occasione di pioggia: Epist. XIV lib. I.
Addit opus pigro rivus, si decidit imber.
Multa mole docendus aprico parcere prato.
E questo rivo conserva tutti i caratteri sovraindicati, e
solo basterebbe a determinare il sito della villa orazia-
na, che è certo per altri argomenti siccome vedrassi nel-
r articolo VILLA DI ORAZIO. Il suo nome poi ha di
poco variato dicendosi oggi Licenza. Nasce questo rivo
principalmente dal monte Pennecchio da varie sorgenti,
una delle quali nella villa di Orazio è nota pel nome di
Fons Bandusiae datole dal poeta nella ode XIII. del li-
bro IIL Questo rivo argentino scorre serpeggiando per
la valle Ustica e serve di limite in quella parte ai Sa-
bini ed agli Equi : e dopo circa 12 miglia di corso va
a mescere le fredde sue acque nell' Aniene presso al
convento di s. Cosimato circa 29 miglia lontano da Ro-
ma. Questo rivo da nome ad una Terra che fin dal se-
246
colo XIII fu feudo degli Orsini; oggi appartiene ai Bor-
ghese. Essa è nella comarca di Roma nel Governo di
Arsoli e contiene 812 abitanti. Posta sopra un monte ,
che a prima vista sembra più scosceso di quello che è
di fatto, è abitata da gente, che pel carattere, disinte-
resse, e semplicità, per la giovialità, e l'amore ospitale,
ricorda quelli antichi Sabini, da'quali discende.
La strada per andarvi è a sinistra della Valeria pres-
so il convento di s. Gosimato, e segue, rimontandolo, il
corso del rivo Digenlia per buone quattro miglia, finché
presso alla mola traversa quel rivo, ossia il tronco prin-
cipale di esso , ed ascende alla Terra. E questa strada
nella primavera avanzata e nella estate è deliziosa; or-
rida però è nell'inverno, e ne'giorni piovosi presso che
impraticabile. I monti che coronano la valle Ustica, che
questa strada percorre sono coperti da selve annose , e
le falde piìi basse non rendono frutto equivalente alla
industria penosa degli abitanti che le coltivauo.
LONGVLA. V. BUONRIPOSO.
S. LORENZO FUORI LE MURA.
Celebre ed antica suburbana basilica dì Róma po^
sta a destra della via tiburtina un mezzo miglio fuori
della porta, detta anche essa tiburtina in origine, e po-
scia più nota pel nome di s. Lorenzo, col quale più com-
munemente si appella, appunto perchè per essa si esce
a questa basilica. Da Anastasio Bibliotecario nella vita
di Silvestro I apprendiamo, che fondatore ne fu Costan-
tino, il quale la edificò nella via tiburtina, nell'agro yc-
rano, sopra una cava di pozzolana, ossia arena da fab-
bricare, e che la prolungò fino al sepolcro di s. Loren-
zo martire, dove fece scale per iscendere e risalire: gra~
dum ascensionis et descensionis: ed ivi costrusse un' apsi-
247
da che adornò con porficìi: tri quo loco cohstruxit absidam
et exornavit marmoribus porphyreticis. Quell' impcradore
l'arricchì di ornamenti preziosi, e la dotò di fondi, frai
quali meritano di essere particolarmente ricordati la pos-
sessio Cyriacctis religione femìnae, posta nello stesso sito
dove fu eretta la basilica, e che era stata confiscata du-
rante la persecuzione: il fundus Veranus che dava nome
alla contrada: la possessio Aqua Turia: quella detta Au-
gusti nel territorio sabino : e quella detta Sulfuratarum
ossia delle acque Albule. Questi particolari, i ristauri,
gli abbellimenti e le successive riedificazioni, delle qua-
li Anastasio ed altri ci han conservato la memoria sem-
brano dovere escludere ogni dubbio ragionevole circa la
fondazione primitiva di questa basilica , malgrado che
oggi non rimangano più avanzi, e quasi direi traccie di
quella fabbrica primitiva.
Sisto III: il quale fu creato papa l'anno 432 secon-
do il biografo testé ricordato fece la Confessione, ornan-
dola di colonne di porfido, ed arricchì la chiesa con mol-
ti ornamenti di argento: ora essendo la Confessione una
parte integrale delle chiese antiche, d'uopo è supporre
che , o la primitiva fosse molto più semplice di questa
edificata da Sisto III, ovvero che nella scorreria di Ala-
rico la chiesa fosse andata soggetta a qualche devasta-
zione; onde fosse necessario rinnovare questa parte. Nel-
r anno 455 i Vandali condotti da Genserico entrati in
questa basilica depredarono gli ornamenti e gli utensili
sacri di maggior valore, onde il papa s. Ilario li rinno-
vò , come in altre^basiliche avea fatto il suo predeces-
sore s. Leone I. Veggasi Anastasio nelle vite di questi
due papi. E quel pontefice, cioè s. Ilario, fondò presso
questa chiesa varii monasteri, costrusse un bagno, ed un
pretorio, o palazzo. Circa la fine di quel medesimo se-
colo Anastasio II, secondo il Bibliotecario, fece la Con-
248
fessione di argento , di 100 libre di peso , e alla sua
morte \enne nell'arenario annesso a questa basilica se-
polto presso il corpo di Sisto III. Simmaco successore
di Anastasio II vi edificò un ospizio pe'poveri; pauperi-
bus habitcLCìda dice Anastasio.
Poco dopo sopraggiunta la guerra gotica, nella qua-
le i dintorni di Roma ebbero a soffrire orribili guasti,
è molto probabile, che la chiesa di s. Lorenzo, situata
fuor delle mura , molto avesse a soffrire : e questa mi
sembra la ragione principale , perchè papa Pelagio II
eletto l'anno 578 si trovasse nella necessità di rinnovar-
la , conservando la direzione primitiva , che secondo il
rito guardava 1' oriente , cioè precisamente opposta alla
odierna. Hic fecit, dice Anastasio nella sua vita, supra
corpus beati Laurentii martyris Basilicam e fundamento
constructam, et tabulis argenteis exornavit sepulcrum ejus.
Si noti la espressione basilicam e fundamento indicante
una riedificazione di pianta. Ed in prova di questa edi-
ficazione nell'arco grande della basilica allor rinnovata^
ed oggi parte del presbiterio, fra le altre figure di mu-
saico f che a suo luogo descriverò è ancora la immagi-
ne di questo papa col nome scritto. A questa riedifica-
zione riferivasi la iscrizione seguente riportata dal Gru-
tero p. MCLXXII già esistente nell' arco sovraindicato^
secondo il Severano Memorie Sacre p. 651.
lìr 'i
249
DEMOVIT DOMINVS TENEBRAS VT LVCE CREATA
HIS QVONDAM IJITEBRIS SIC MODO FVLGOR INEST.
ANGVSTOS ADITVS VENERABILE CORPVS HABEBAT
HVC VBI NVNC POPVLVW LARGIOR AVLA CAPIT.
ERVTA PLANICIES PATVIT SVB MONTE RECISA
ESTQVE REMOTA GRAVI MOLE RVINA MINAX.
PRAESVLE PYLAGIO MARTYR LAVRENTIVS OLIM
TEMPLA SIBI STATVIT TAM PRETIOSA DARI.
MIRA FIDES CLAVDIVS HOSTILES INFERET IRAS
PONTIFICEM MERITIS NEC CELEBRASSE SVVM.
TV MODO SANCTORVM CVI CRESCERE CONSTAT HONORES
FAC SVB PACE COLI TECTA DICATA TIBI.
MARTYRIVM FLAMMIS OLIM LEVITA SVBISTI
IVRE TVIS TEMPLIS LVX VENERANDA REDIT.
Questa iscrizione , che dal settimo verso apparisce
essere posteriore, ma di poco a Pelagio II, ricorda i la-
vori da lui fatti per la nuova basilica , e fra questi il
taglio del monte sovrastante. Benché così importante scom-
parve nei ristauri fatti alla chiesa nel secolo XVII. con
danno gravissimo della storia e dell' archeologia sacra.
Grutero nel riportarla premette per equivoco i due ver-
si dell' arco detto di Placidia in s. Paolo fuori delle
mura.
Nella riedificazione di papa Pelagio narra s. Gre-
gorio Magno Epistol. lib. III. n. XXX. 1' aneddotto se-
guente; Sanctae memoriae decessor meus ad corpus s. Lau-
rentii quaedam meliorare desiderans, dum nescitur ubi ve-
nerabile corpus eius esset collocatum, et efjbditur exquiren-
do, subito sepulcrum eius ignoranter, apertum est: et ii, qui
praesentes, erant, atque laborabant, monachi et mansionarii,
qui corpus eiusdem martyris viderunt, quod quidem minime
tangere praesumpserunt , omnes intra decem dies defuncti
tunt; ita ut nullus superesse potuisset qui sanctum et tu-
250
stum corpus illius viderai. Secondo questa testimonianza
fin dall' anno 578 v' erano già monaci addetti a questa
basilica, i quali furono certamente dell'ordine di s. Be-
nedetto , che poi per lungo tempo , cioè fino al secolo
XV. la ritennero: e questa testimonianza medesima con-
ferma ciò, che dice Anastasio nella vita dollaro, indica-
to di sopra, che egli fondò varii monasteri presso que-
sta basilica. .. , .
Que' tempi però erano infelicissimi : ai guasti della
guerra gotica succedettero le stragi fatte da' Longobar-
di, che desolarono spietatamente tutte le terre intorno
a Roma , come lo stesso pontefice s. Gregorio attesta :
quindi la opera di Pelagio rimase trascurata ; e papa
Gregorio 11. dovè risarcire il tetto, che avea sofferto in
guisa da minacciare una ruina imminente, e ricondusse
dopo molto tempo 1' acqua alla chiesa col ristaurare i
tubi di piombo. Veggasi Anastasio nella vita di questo
papa. Ma ancor queste cure andarono ben presto a vuo-
to per le micidiali scorrerie di Astolfo re de'Longobar-
di , che mise a soqquadro specialmente le contrade fra
Roma, Tivoli, e Prencstc negli anni 752 e seguenti. Que-
sta basilica fu allora in tale stato miserando ridotta, che
rimase affatto priva di tetto ed ingombra di rovine.
Adriano I , che cercò di rimediare quanto meglio
potè ai terribili effetti di queste vicende lagrimevoli ri-
volse ancora gli occhi a questa basilica, e circa I' anno
775 , volendo accrescere decoro alla santità del luogo ,
ridusse la basilica di Pelagio li. a presbiterio , e voltò
la direzione della chiesa, aggiungendo l'aula grande co-
me oggi si vede colla porta verso occidente, mentre la
precedente era rivolta ad oriento. E quest' aggiunta es-
sendo molto maggiore della basilica primitiva fu da A-
uastasio Bibliotecario nella vita di quel papa designata
col nome di Basilica Major. Egli così parla di questi
251
lavori nam et tectum eiusdem beati Laurentii martyris ha-
silicae , quod iam distectum erat et trabes eius confractae
noviter fecit . . . Hic idem almi ficus pater eatndem basilicam
s. Laurentii martyris, ubi sanctum corpus eius requiescit,
annexam basilicae maiori , quae dudum idem praesul con-
struxerat , nitro, citroque a novo restauravìt. La povertà
de'tempi non gli permise di abbassare la falda del col-
le, come avea fatto precedentemente Pelagio II, sicco-
me fu notato di sopra : e perciò prolungando sopra que-
sta la chiesa, ne venne, che la nave trovavasi superiore
al piano della basilica di Pelagio, che egli voleva ridur-
re a presbiterio, mentre il rito csiggeva l'opposto. Quin-
di il suolo della basilica di Pelagio fu alzato a segno
che le colonne rimasero sotterrale per quasi due terzi.
Questo medesimo motivo fece rialzare il tetto di quella
parte, e così tutte le proporzioni architettoniche rimase-'
ro alterate. Tale interramento artificiale è visibile, e di-
mostra apertamente che la parte, che oggi serve di aula
alla basilica è una giunta posteriore alla costruzione
di quella, che è ridotta a presbiterio, che d' altronde
si mostra come edificata in una epoca meno cattiva per
le arti. ''■ Ih oùtCn''i.,o') ir: e- ol'J; i'ìÌììjoo) r;\)>
i Oltre questo ristauro, e questo grande accrescimen-
to , Adriano I. arricchì questa basilica di paramenti e
vasi sacri, come nel secolo seguente fecero Leone III,
Leone IV, e Benedetto III, E malgrado lo stato di bar-
barie e di anarchia, in che la Ilalia, e particolarmente
Roma erano cadute, pure la venerazione de' fedeli per
questa basilica, e per le reliquie che conteneva la so-
stenne a fronte della sua situazione estramuranca, che
più la esponeva alle devastazioni ed all'abbandono. Cir-
ca l'anno 952 papa Agapito II. volendo provvedere al-
la conservazione e decoro di questo tempio lo pose sot-
to la cura de'monaci cluuiacensi che per lungo tempo
252
la possederono. Veggasi il Panvinio L e. e. Vi. I papi al-
lora sovente vi andavano ad uffìziare , e da Guiberto
arcidiacono nella vita di Leone IX. lib. IL e. IIL ripor-
tata dal Muratori ne Rerum Italie. Script. T. III. P. L
p. 295 si narra che quel papa vi celebrò la pasqua e.
vi guarì una donna energumena. Neiranno 1148 stan-
do ancora sotto la cura di que'monaci, l'abate Ugone
rifabbricò la Confessione quasi come ancora rimane, ed
il suo nome insieme con quello degli artisti Pietro,
Angelo, e Sassone figli di Paolo si legge nell'architra-
ve interno.
Nel secolo seguente circa l'anno 1216 papa Ono-
rio IIL la ristaurò siccome si afferma da Martino Ful-
dense nella cronaca riportata dall* Eccardo T. L page
1706 da Ermanno Corner presso lo stesso T, IL pag.
845, da Amalrico Augerio, ivi pag. 1759, e da Fran-
cesco Pipino presso il Muratori Ber. Italie. Script. 1\
IX. p. 664. Alcuni attribuiscono a questo papa l'ag-
giunta fatta come si vede da Adriano I; ma oltre che
gli scrittori suoi contemporanei, o di poco posteriori te-
sté nominati non fasuio punto menzione di un lavoro
così considerabile e si contentano di dire che quel pa-
pa renovavit rinnovò, cioè, ristaurò la basilica di s. Lo-
renzo, secondo il frasario di quel tempo, il passo po-
sitivo di Anastasio riportato di sopra, e lo stile esclu-
dono una opinione siffatta. Ad Onorio IIL però cer-
tamente si dee attribuire il portico ancora esistente ,
poiché oltre lo stile vi si vede espressa in musaico
la sua immagine, e vi si legge il suo nome: opere del
suo tempo sono pure le pitture semi cancellate che
nel portico stesso si vedono , le porte e gli amboni.
Dopo aver ristaurata la basilica, quel papa vi celebrò
r anno 1217 la coronazione di Pietro di Courtenay ,
conte di Auxerre, nipote di Luigi il Grosso in impera-
253
dorè latino di Costantinopoli, secondo Amalrico Augerio
ed Ermanno Corner ricordati di sopra, Martino Fulden-
se però dice che morto Balduino 1' anno 1217, Onorio
nell'anno secondo del suo pontificato costituì senza le for-
malità della elezione Pietro conte di Auxerre in impe-
radore costantinopolitano, e lo coronò nel Laterano. Nic-
colò V. vi fece nuovi ristauri l'anno 1451, siccome nar-
ra il Mannetti nella sua vita presso il Muratori Rerum
Jtalicarum Script. T. III. p. II col. 931.
Sisto IV. eresse questa Abbadia in commenda, e la
die in cura ai canonici regolari di s. Salvatore, oggi riu-
niti ai lateranensi. Poco dopo il card. Oliviero Caraffa,
abbate commendatario rifece il soffitto , e perciò sulla
facciata della basilica veggonsi le sue armi unitamente
a quelle del papa allora regnante, e del re di Napoli,
onde mostrare la sua origine napoletana. Nel secolo se-
guente il card. Alessandro Farnese vi costrusse alcune
cappelle. Sul principio del secolo XVII. il soffitto costrut-
to dal card. Caraffa , minacciando rovina fu rifatto dal
card. Francesco Buoncompagni, siccome afferma il Seve-
rano. Finalmente i canonici regolari di s. Salvatore do-
po avere nell'anno 1619 messo le navi minori nello sta-
to in che oggi si veggono , cempierono nell' anno 1647
il rista uro generale della basilica e con una iscrizione,
che ancora si legge perpetuarono la memoria del loro
operato, ^
Dopo aver percorsa brevemente la storia di questo
antico monumento cristiano, credo opportuno di descri-
verlo. Dinanzi la chiesa è una piazza, inferiore oggi per
livello alla strada consolare^ la quale fu aperta nell'atrio
di Adriano I. In mezzo è una colonna di granito rosso,
la quale sostiene lo stemma di Clemente XI. sormonta-
to da una croce: le stesse insegne veggonsi ripetute nei
due angoli di questa piazza. Questi stemmi ricordano ,
254
che essendo papa Clemente XI. ed abbate commendata-
rio il card. Pietro Ottoboni, l'abbate ed i canonici re-
golari nell'anno 1704 aprirono quest'area ai voti de'viag-
giatori eriggendo la colonna sovraindicata, e distruggen-
do i muri, che la ingombravano, e di tali fatti si man-
tiene la memoria nella iscrizione ivi apposta. E circa i
muri allora distrutti è da notarsi, che il Panvinio scri-
veva ai suoi giorni, essere stata tutta questa basilica un
tempo circondata da muri, a modo di un castello, e ve-
dersene ancora a' giorni suoi una gran parte a contatto
della via tiburlina.
Appressandosi al portico , opera come fu di sopra
indicato di papa Onorio III dell'anno 1216, questo ve-
desi retto da sei colonne tolte da edifizii anteriori, alle
quali furono sovrapposti capitelli di ordine ionico: Di
queste le quattro centrali , che sono di marmo bianco
sono scanalate a spira : le due estreme sono di marmo
bigio e liscie. E a dimostrare quanta cura in que' tem-
pi si avesse della proporzione basti uno sguardo alle basi
delle due colonne di mezzo, che hanno il diametro mi-
nore di quello de' fusti che sostengono. Nel fregio, che
è ornato di musaico veggonsi espressi due agnelli che
vicendevolmente si guardano , tutti e due entro un di-
sco : è sotto questi a sinistra la protome del Salvatore
fra quelle di due sante martiri , che il Ciampini Vet.
Mon. T. II, e. XIII, crede rappresentare s. Cirilla e s.
Trifonia, sepolte nel cemeterio di s. Ciriaca, sul quale
fu eretta la basilica: a destra poi è la immagine del san-
to levita, titolare della basilica accompagnata del nome:
s. LAUR. scritte in lettere gotiche, e dietro questo è ef-
figiato papa Onorio III mitrato pure accompagnato dal
nome honoris pp hi: e finalmente appresso in atto umi-
le, l'abbate di questo monastero, o l'artista del musaico.
La «ornice presenta, come altri monumenti conterapora-
255
nei, uno stile barbaro unitamente ad una esecuzione pe-
nosa. Sotto il portico le traccio delle pitture che l'or-
navano, poiché ormai appena queste rimangono, fanno
compiangere Io strazio che ne fece ne'tempi andati la
incuria degli uomini in conservarle , e la barbarie di
quelli, che osarono di ristaurarle: così andò perduto un
monumento che era di somma importanza per la sto-
ria della pittura italiana sul principio del secolo XIII ,
e per la storia de'fatti di quella epoca stessa. Imper-
ciocché i soggetti si riferiscono in parte alla vita ed
ai miracoli de'ss. Stefano e Lorenzo, i cui corpi riposa-
no in questa basilica, in parte poi ai fasti di Onorio III
stesso , frai quali ancora può riconoscersi quello della
communione amministrata da quel papa a Pietro di Cour-
tenay conte di Auxerre, che siccome notossi fu corona-
to in questa basilica stessa da Onorio. Sulla porta mi-
nore a destra è una parte del nome del pittore, che fu
un Filippo e sembra aver lavorato queste pitture insie-
me col padre:
. . . PPLS FILIVS FJVS FECE
Tre porte introducono nella basilica: ai lati di quel-
la di mezzo, che fu pubblicata dal Giampini Vet. Mon.
T. I p. 29 veggonsi i due leoni , come in altre chiese
de'tempi bassi: quello a destra tiene fralle branche una
lìgura umana, e quello a sinistra un istrice; essi furo-
no dati dal Giampini; ma pone a destra quello che sta
a sinistra ed a sinistra quello che sta a destra. Sulla
porta poi è scolpita in mezzo un' aquila che tiene fra
gli artigli un serpe. Lo stile di queste sculture è iden-
tico a quello della cornice descritta di sopra e forse del-
lo stesso artista.
Entrando in chiesa, notai di sopra, che viene com-
posta di due basiliche diverse per livello e per direzio-
ne, cioè di quella di papa Pelagio II eretta circa l'anno
256
578, e di quella aggiunta da Adriano I dopo l'anno 772.
E queste due costruzioni diverse ben si ravvisano ester-
namente dal lato di mezzodì, dove si osserva che la fab-
brica di Adriano I, è di frantumi di mattoni con molta
calce, e quella di Pelagio II, è di opera mista; ed in
questa vedesi essere stato rialzato il tetto, dopo che A-
drìano I la fece servire di battisterio. Ora l'aula che
prima si presenta entrando dal portico è appunto la ba-
silica di Adriano ì che Anastasio designa col nome di
maior a distinzione di quella di papa Pelagio che è mol-
to minore. E divisa in tre navi da due file di colonne,
undici per parte, con capitelli ionici. La irregolarità che
regna nelle basi, nelle colonne, e ne' capitelli dimostra
che furono prese da edificii più antichi: questa irrego-
larità è così sensibile nel diametro, che da 2 piedi e 8
digiti romani sale fino a 3 piedi e 6 digiti. Irregolari
sono ancora gli intercolunnii variando quasi di 3 piedi.
Generalmente i fusti sono di granito, non sofierendo ec-
cezione che la V VI e VII a destra e a sinistra che
sono di marmo caristio, o cipollino. Tutte le basi han-
no un plinto meno quella della prima colonna a destra.
Il capitello della ottava colonna a destra presenta un
ornato , che ha dato molto a parlare agli scrittori , di
antichità e belle arti: nell'occhio della voluta sinistra è
una rana, ed intorno alla rosetta è voltata una lucerto-
la. Plinio lib. XXXVI, e. IV dice che Sauro e Batraco
architetti de' templi di Giove e di Giunone, poscia rac-
chiusi entro il portico di Ottavia posero come emblemi
de' loro nomi una lucertola, ed una rana in spiris cólu-
mnarumy cioè ne' tori delle basi, tale essendo il signifi-
cato della parola spira in latino, adottata dal greco Imipoc:
Winckelmann nelle Osservazioni sull' Architett. degli Ant.
e. I §. 46 inclinò a riconoscere in questo capitello l'ap-
plicazione del passo di Plinio , e sul suo esempio altri
257
dissero in modo più positivo lo stesso. Ma vaglia il ve-
ro , oltre il significato della parola spira usata da Yi-
truvio lib. Ili e. Ili pel toro della base, a segno che
io communicò a tutta la base stessa, secondo Pesto, lo
stile basso troppo si oppone alla epoca in che fiorirono
que'due architetti ricordati da Plinio.
Il pavimento di questa parte della basilica , è a
compartimenti di varia forma ;• e di effetto molto vago
di quella opera tassellata di marmi di vario colore e
particolarmente di porfido e serpentino, detti dagli an-
tichi, marmor porphyreticum, et lacaedemonium, inventato
secondo Lampridio in Alexandro Severo e. XXV, da Ales-
sandro Severo, e perciò detto opus alexandrinum. Sicco-
me veggonsi in esso impiegati marmi , che precedente-
mente servirono per iscrizioni cristiane nel cemeterio
annesso, perciò può riconoscersi come fatto per questa
chiesa, e non già trasportato da edifizj più antichi: ora
essendo stabilito, che Adriano l fu autore di quest'au-
la, e che il pavimento fu fatto per essa, d'uopo è con-
chiudere che esso sia opera del secolo Vili , quando
questa parte della basilica venne costrutta. Nel compar-
timento centrale di quest'aula veggonsi espressi in mu-
saico due cavalieri armati di lancie con banderuole e
di scudi triangolari, che hanno per insegne ripetutamen-
te due leoni separati da una barra traversa ; Panvinio
p. 228 e dopo lui Baglioni Le nove chiese di Roma p.
150 ed altri supposero da ciò , che il pavimento tutto
intiero fosse fatto circa la metà del secolo XIII a spe-
se di questi due nobili romani. Ma, se il lavoro di que-
sto compartimento ed i costumi in che ivi si veggono
rappresentati sono di quel tempo, come da altri monu-
menti di data certa può rilevarsi , non può asserirsi Io
stesso del resto del pavimento^ che sembra di un'epoca
molto anteriore; onde credo che debba conchiudersi, che
17
258
si i cavalieri, che gli ornamenti che gli accompagnano,
per la parte antica che ne rimane, fossero sostituiti ad
una lastra di porfido, o serpentino, che precedentemen-
te yì esisteva, giacché dalla ispezione locale è manifesto,
che questo musaico fu incassato nel pavimento , e non
legato con esso. Due figure simili a queste per costu-
me e per lavoro vedevansi sul pavimento della nave
grande della basilica di s. Maria Maggiore verso la por-
ta centrale, che dalle iscrizioni appostevi mostravano rap-
presentare Scoto e Giovanni Paparoni, e che sono ripor-
tato da Ciampini Vet. Mon. T. I. p. XXXI; perii i i mu-
saici, dopo essere stati ristaurati più volte, questi due
cavalieri nello stesso luogo furono grafiti sopra una ta-
vola di marmo, che ne conserva la memoria, e benché
moderna da una idea dello stile dell'originale. Panvinio
seguito dal De Angelis, credette anche egli che i Papa-
roni fossero autori della opera tassellata del pavimento
di quella basilica, che è certamente più antico; ma di-
cendo che essi vissero durante il pontificato di papa
Eugenio III, che tanto spese in ristaurare ed abbellire
la basilica di s. Maria Maggiore, quest'asserzione da nor-
ma a riconoscere la epoca de'cavalieri espressi nel mu-
saico del pavimento di s. Lorenzo. Il compartimento di
questo musaico fu dato in luce dal Ciampini, come al-
lora trovavasi, cioè anteriormente ai ristauri moderni,
che hanno alterato la forma degli elmi e qualche altra
parte del costume; e perciò quella stampa per quanto
sia informe, dee preferirsi a qualunque altra, che voles-
se darsi alla luce, quantunque meglio eseguita.
ofroiA mano destra presso la porta è un sarcofago di
gran dimensione posto entro una specie di edicola, se-
condo il costume del secolo XIII, sostenuta da due co-
lonne. Questo monumento fr pubblicato più volte , e
specialmente da Pietro Sante Bartoli: è da tre lati ador-
^1^
no <li sculture a bassorilievo, lavoro della era degli An-
tonini: quelle di fronte sono finite, quelle de'lati soltan-
to abbozzate, indizio che il sarcofago fu destinato ori-
ginalmente ad essere contenuto entro una nicchia. Il sog-
getto rappresentato nella fascia dell' arca allude ai riti
nuziali: quello del coperchio alla vita ed alla morte: dal-
l'ampiezza di questo sarcofago, e dal soggetto eflSgiato
parmi potersi conchiudere che fosse destinato in origi-
ne a servire di ultima dimora a due conjugi. Essendo
questa arca appoggiata addosso al muro occidentale del-
la basilica, il lato meridionale presenta tre figure; quel-
la a sinistra virile, succinta porta un paniere di frutta:
quella di mezzo muliebre, co'crini annodati indietro, co-
me veggonsi effigiate le immagini di Faustina giuniore
e Crispina tiene un festone : e la terza è un popa , o
vittimarlo espresso nell'atto di menare la troia, simbolo
della fecondità , al sagrifizio. Sulla faccia di mezzo è
espresso il soggetto principale, cioè il rito nuziale, sog-
getto che può dividersi in tre sezioni; nella prima a sF-
nistra ravvisansi tre figure nelle quali riconosconsi la
Terra o Rea personificata sotto la forma di una donna
coronata di torri, con cornucopia: l'Imene: e la Pronu-
ba; nel segmento centrale è un tempio in fondo, ed avan-
ti ad esso una donzella velata, con un paniere di frut-
ta dinanzi, e presso questa un garzone che mena un'a-
riete, simbolo della generazione, animale che in tale cir-
costanza sagrificavasi: due persone rappresentanti i con-
jugi sono in mezzo; barbato e velato è l'uomo: la don-
na tiene nelle mani una tortora , simbolo della fedeltà
conjugale; nel terzo segmento è espresso l'atto in che i
conjugi stringonsi la destra sul capo di un Camillo che
tiene la face e figura il Genio dell'Imene : dietro l'uomo
sono altre figure togate: e due donne dietro la sposa^
indicanti i parenti di ambedue. Il lato settentrionale pre-
260
senta tre donzelle che portano gli arredi della sposa ,
cioè la cassetta degli odori , la pyxis o custodia degli
unguenti, ed un gran specchio rotondo. Ho notato, che
sul coperchio il soggetto rappresentato allude alla vita
ed alla morte ; come antefissc angolari veggonsi sculte
due maschere barbate: presso quella a sinistra è il sole
in atto di sorgere, presso l'altra la luna in atto di tra-
montare; e dinanzi a lei la notte stende il suo velo: so-
no questi gli emblemi del nascere e del morire; coeren-
ti a questi simboli sono in mezzo la immagine di Plu-
tone , accompagnata dal Cerbero , fra quelle di Venere
e Proserpina , di Castore e Polluce. Questo sarcofago
avendo riveduto la luce nel secolo XIII, servì di tom-
ba a Guglielmo Fiescbi nipote d'Innocenzio IV, il qua-
le, essendo cardinale diacono di s. Eustachio, morì l'an-
no 1256. Sul listello leggesi la iscrizione seguente di-
sposta in due linee: è da notarsi la ortografia di DOM-
MINI e PAPE: (1) HIG REQUIESCIT CORPUS . DOM,
MINI GUILIELMI SANCII EUSTATHII DIACONI GAR-
DINALIS NEPOTIS QUONDAM FELIGIS RECORDA-
TIONIS DNI INNOCENTII
(2) PAPE QUARTI EX PROGENIE COMITUM LA-
UANI ORTI CUIVS ANIMA REQUIESGAT IN PACE
L'angolo entro cui è il sarcofago contiene pitture del
secolo XIII contemporanee al pontificato d'Innocenzo IV:
a sinistra è rappresentata la Vergine : di fronte sono i
santi Ippolito, Lorenzo, papa Innocenzio IV. il Salvato-
re, s. Stefano, e s. Eustatio, od Eustachio, figure accom-
pagnate dai nomi così scritti ; S, IPOLITVS . S. LAU-
RENTIU INNOGENTIU PAPA IIII Ih'C XPC dns S.
STEFANU S. EUSTATH. Una lunga iscrizione poi in
versi leonini contiene 1' elogio del defunto cardinale in
;sette linee così: ^ a ,r;,sj- v jyr a. i!i!i^')ii i.i
261
(1) SISTE GRADU . CLAMA . QUI PERLEGIS HOC
EPIGRAMA . GUILIELMU PLORA . QUE SUBTRA-
XIT BREUIS HORA (2) NOBIS PER FUNUS . DE CAR-
DINIBUS FUIT UNUS . PRUDENS . VERIDICUS -v
CONSTANS . ET FIRMUS AMICUS. (3) VERE CA-
THOLICUS . JUSTUS . PIUS . ADQUE PUDICUS .
CANDIDIOR CIGNO . PATRULS QUARTO FUIT
INNO. (4) CENTIUS ILLIUS . MORES IMITANS NEC
ALIUS . ROME . NEAPOLI . QUOS IMPROBA MORS
PHARISEAT. (5) REGIA SANCTA POLI . lUNGITE
OSQUE BEAT . LAVANIE . DE PROGENIE COMI-
TUM FUIT ISTE. (6) REX VENIE . DE SIN REQUIE .
SEDEM SIRI XPE . ANNI SUNT DATI . DNI SUPER
ASTRA REGENTIS. (7) QUINQUAGINTA DATI . ET
SEX CUM MILLE DUCENTIS i. nìr i; , id
Sulla mano manca dove oggi è collocato il Fonte
fu ne' tempi passati un altro gran sarcofago , ora posto
dietro la tribuna , e che il Panvinio crede aver conte-
nute le ossa di papa Damaso IL Anche ivi le pareti so-
no coperte di pitture dello stesso secolo XIII. Andando
quindi verso la confessione un gradino s* incontra che
determina il limite dell'antico Chorus, che era separato
con un recinto dall' aula , siccome osservasi in s. Cle-
mente. Aderenti a questo recinto oggi tolto sono gli am-
boni: quello a destra è nell'interlocunnio fralla ottava e
la nona colonna, quello a sinistra è appoggiato alla no-
na. Questi amboni essendo in tutte le parti di lavoro
analogo ai chiostri di s. Paolo, e di s. Giovanni, d'uopo
è crederli opera di Onorio III, epoca che corrisponde a
quella de'due chiostri sovraindicati, e tanto più proba-
bile in s. Lorenzo, conoscendosi i grandi ris tauri che
quel papa fece a questa basilica. ; Ir):.';:
-i': Qui insorge una questione, vedendo che questi due:
amboni stanno in luogo contrapposto , ciojè che a cornU'
262
epistolae trovasi collocato quello che dovrebbe stare a
cornu evangelii', forse ciò dee ascriversi alla ignoranza
de'tempi, che guardando solo ad imitar la forma che di
tali amboni vedeva in altre chiese non badò a collocar-
li nel luogo proprio, quando già la liturgia era stata in
occidente variata. Sotto l' ambone a destra erano stati
posti ad ornamento i marmi appartenuti ad un bel fre-
gio, sul quale erano stati rappresentati utensili sacri, e
marittimi, forse parte un dì di qualche tempio di Net-
tuno. Questi ammiransi oggi nella camera de'Filosofi nel
Museo Capitolino , dove vennero trasportati per ordine
di papa Benedetto XIV. Lo stile è de'tempi adrianèi, e
non sarebbe improbabile che venissero dalle rovine della
villa tiburtina di Adriano. 10 (^ì M'^
Fu indicato di sopra che le navi minori vennero
ridotte nello stato odierno l'anno 1619. In quella a de-
stra sono tre altari: sul primo fu espressa la sepoltura
de'ss. martiri Ippolito e Giustino, secondo il Baglioni da
Sottino bolognese: sul secondo s. Ciriaca che fa sotter-
rare i martiri, è di Emilio Savonanzio , che nell' altare
seguente espresse il battesimo amministrato da s. Loren-
zo a molti catecumeni. Pitture sono queste, come tutte
le altre di questa basilica di mediocre importanza per
r arte.
Nel primo altare della nave sinistra Giovanni Se-
rodine di Ascona espresse s. Lorenzo che distribuisco
elemosine ai poveri; nel secondo il Sottino dipinse una
Sacra Famiglia: e finalmente nel terzo la decollazione di
s. Giovanni fu fatta dal citato Serodine. Veggasi Baglio-
ni, Vite de Pittori p. 199. Nove Chiese p. 151. Si scende
quindi ad una cappella sotterranea arricchita di molte
indulgenze, per la quale si ha un adito al cemeterio di
Ciriaca: i due depositi che vi si veggono furono archi-
tettati da Pietro da Cortona , uno di essi appartiene a
263
Bernardo Guglielmi, al quale fu eretto dal cav. France-
sco Barberini: il suo ritratto è opera di Francesco Que-
snoy detto il Fiammingo. Ai pilastri che servono di te-
stata all'odierno presbiterio sono appoggiati due altri
monumenti sepolcrali: quello a sinistra siccome ricavasi
dalla lunga iscrizione ivi scolpita, fu posto da Livia Ca-
pranica al suo consorte Michele Bonelli pronipote del
pontefice s. Pio V, dal canto di una sorella, morto ca-
pitano generale di s. Chiesa, il quale molta lode ripor-
tò nella battaglia di Naupatto, o Lepanto, onde ottenne
il commando della milizia della flotta pontificia, e quel-
lo delle galere di Emmanuelle duca di Savoja; egli mo-
rì ai 25 di marzo dell'anno 1604. Il monumento a de-
stra ornato di trofei turchi appartiene a Giuseppe Ron-
dinini Romano erettogli dalla figlia Felice Zacchia Ron-
dinini^ il quale dopo aver fatto le sue prime campagne
nella guerra dalmatica contro i Turchi in servizio de'Ve-
neziani ebbe dal Senato Veneto il commando delle ope-
re esterne di Gandia in difesa delle quali perì in un
assalto dato dai Turchi ai 13 di settembre 1649. In
fondo al coro stabilito da Adriano I si discende alla con-
fessione nella quale conservansi i corpi de' ss. Stefano,
Lorenzo, e Giustino collocativi da Pelagio IL
Quindi per otto gradini divisi in due rampe ai
lati della Confessione si ascende al presbiterio, che se-
condo ciò che si è mostrato di sopra occupa tutta l'au-
la della basilica di Pelagio II che perciò Tenne rial-
zata rimanendo le colonne interrate per due terzi : la
prima delle colonne a mano sinistra di chi sale fu sca-
vata ai tempi di Clemente XI sul principio del se-
colo passato, siccome narra Ficoroni nelle Vestigia di
Roma Antica lib. I. e. XVII. p. 118, ed allora fu ri-
conosciuto che il piano antico della chiesa corrisponde-
va a quello del cemeterio di Ciriaca : le altre colonne
261
sono state scavate in questi ultimi anni, e si è in que-*
sta circostanza osservato che il pavimento primitivo era
stato tolto nel rialzamento del piano , e forse è quello-
stesso che veggiamo riportato nel presbiterio attuale;, mol-
to analogo pel lavoro a quello dell'aula grande di Adria-
no I. Il peristilio di questa parte della basilica è for-
mato da un portico a due piani, di dodici colonne cia-
scuno, cioè due di fronte e cinque per parte ne'lati, ed
è con s. Agnese fuori delle mura un altro esempio per-
manente della forma delle basiliche profane: la volta o
soffitto che separava il portico inferiore dal superiore
fu troncata quando questa basilica di Pelagio II fu ri-
dotta a presbiterio dell'altra maggiore da Adriano I. Le
colonne dell'ordine inferiore sono di marmo frigio o pa-
vonazzetto: di queste, dieci hanno capitelli corintj e due
che sono le prime per chi vi sale dall'altra basilica han-
no capitelli ornati di trofei e di Vittorie; sì gli uni che
gli altri possono credersi per lo stile opera del tempo
degli Antonini. Esse sostengono un intavolamento com-
posto di pezzi di stile ed ornato diverso , indizio che
vennero tolti da altri edificj per impiegarli in questa chie-
sa alla rinfusa. Le colonne del portico superiore sono
di pavonazzetto e di marmo bianco, meno le due di fron-
te che non sono di serpentino come volgarmente si di-
ce, ma di quel porfido che gli scalpellini chiamano por-
fido verde. Stando in questa parte rialzata e guardando
verso la porta vedesi sull'arcone una parte del musaica
fatto da Pelagio II, autore di questa parte della basili-
ca , prova ulteriore che questa un tempo fu la basilica
stessa, essendo costume di ornare di tali musaici e pit-
ture la parte rivolta al popolo, come si osserva in s. Pao-
lo ed in altre chiese antiche, e come la ragione esigge-
va. Rimane ancora una parte della iscrizione sull'archi-
volto . . . TMA . . . MLEVITA STBISTI ~ IVRE TVIS
265
TEMPLIS LVX ben ... e sulla faccia sì sono conser-
vate tutte le figure coi loro nomi originali: in mezzo è
il Salvatore che siede sopra una sfera in atto di bene-
dire colla croce nella mano sinistra : a destra di esso ,
cioè a sinistra di chi guarda sono un santo pure con
croce, forse s. Pietro, mancante di nome, s. Lorenzo che
colla sinistra tiene la croce ed un libro aperto che mo-
stra il testo DISPERSI! DEDIT PAVPERIBVS e colla
destra la sua basilica : egli si riconosce alla iscrizione :
SCS LAVRENTIVS che è sul suo capo: dietro a lui e
di statura minore è il papa Pelagio II col suo nome
PELAGIVS EPISC. A sinistra del Salvatore sono s. Pao-
lo ravvolto nel pallio colla epigrafe PAVLVS: s. Stefa-
fano col suo nome SCS STEPHANVS che tiene il vo-
lume aperto col testo ADESIT ANIMA MEA ; e final-
mente S. Ippolito che tiene una specie di coppa, il suo
nome ivi è scritto SCS YPOLIT. Sotto questo santo nel
sesto dell' arco è rappresentata come in molti altri mo-
numenti cristiani una porta torrita colla epigrafe -f- BE-
THLEEM. Sotto Pelagio dovea essere una rappresenta-
zione simile col nome di HIERVSALEM, ma oggi è pe-
rita. Ciampini pubblicò il primo questo musaico Vet. Mon.
T. II. Tab. XXVIII, che è stato poi ripetuto da Guthen-
son e Knapp recentemente nella interessante raccolta de'
monumenti cristiani che ora stanno pubblicando. Questo
musaico è un monumento prezioso sì per la storia del-
le arti che per quella di questa insigne basilica. Il san-
tuario o altare principale é ornato di quattro belle co-
lonne di porfido rosso che sostengono una piccola cupola:
le quattro colonne sono forse quelle medesime che sic-
come fu osservato di sopra vennero poste alla confessio-
ne dal pontefice s. Sisto III; ma come oggi si trovano,
insieme col loro architrave, furono poste nell'anno 1148
da Ugone Abbate , e gli artefici furono un tal Giovan-
266
ni insieme con Pietro, Angelo, e Sasso figli tutti di Pao-
lo, scalpellini; questa notizia ci venne conservata dalle
iscrizioni esistenti sull'architrave nella parte interna; im-
perciocché ivi nel lato che guarda la tribuna odierna leg-
giamo in una linea:
+ ANN D. M. G. XL. Vili. EGO HUGO HUMILIS
ABBS. HOC OPUS FIERI FECI
e da quella che guarda la porta pure in una linea:
+ lOilS . PETRUS . ANGELUS . ET SASSO FILII PAULI
MARMOR . HUrOPERIS MAGISTRI FUER
La piccola cupola che queste colonne sostengono è mo-
derna. Il soffitto di questa parte della basilica fu fatto
rifare dal cardinal Buoncompagno.
Intorno al presbiterio veggonsi appoggiati alle co-
lonne sepolte sedili di marmo alle cui testate sono due
mezzi leoni di marmo : in fondo è la sedia episcopale
alla quale si ascende per parecchi gradini: sì questa che
i sedili, ed i mezzi leoni sono opera di Onorio III, es-
sendo analoghi per lo stile alle altre cose di quel pon-
tefice,, e particolarmente i leoni sono affatto simili a quelli
che abbiamo descritto innanzi la porta principale. A de-
stra di chi guarda la sedia é una lastra di marmo fo-
rata sulla quale la tradizione vuole che il corpo di s.
Lorenzo fosse posato. Uscendo dal presbiterio nel corri-
dore che gli gira attorno , a sinistra di chi entra per
la porta principale trovasi un accesso moderno alle ca-
tacombe di Ciriaca j dove, oltre il corpo di s. Lorenzo
ivi deposto dai ss. Giustino prete ed Ippolito , furono
ancora sepolti lo stesso s. Ippolito co'suoi compagni mar-
tiri, ed i santi Romano, Concordia, Ciriaca, Trifonia, e
267
Cirilla. E dall'esservi stato sepolto s. Ippolito una par-
te di questo cemeterio ebbe il nome di questo santo, e
r altra quello di s. Ciriaca. Una descrizione grafica di
quella parte detta di s. Ippolito fa Prudenzio nel Peri-
stephanon Hymn. XI v. 153 e seg. Il Boldetti nella sua
opera àeCemeterj de'ss. Martiri lib. II. e. XXVIII, no-
tò che quello di Ciriaca è vastissimo, a tre ordini di
vie, ed ha oltre questo della chiesa altri accessi nel-
la vigna adjacente. Tre ordini pure di vie secondo Io
stesso scrittore ha quello di s. Ippolito, il quale par-
ticolarmente diramasi sulla mano sinistra della via pu-
blica sotto la vigna de'Golonnesi.
Presso questa basilica esistevano secondo Anasta-
sio tre chiese, quella di s. Agapito eretta da Felice III,
quella di s. Stefano dedicata da Simplicio , ristaurata
da Adriano I, ed arricchita da Leone IV, e finalmen-
te quella di s. Maria arricchita pure dallo stesso pon-
tefice Leone IV. Non rimangono più avanzi di queste
chiese, e forse erano di già in rovina ai tempi di 0-
norio III, il quale avrà fatto uso de'materiali di que-
ste onde ristaurare ed abbellire la chiesa principale.
Fin dall'anno 1812 il governo che allora reggeva
Roma avea scelto il campo a sud-ovest di questa basi-
lica per uno de'cemeterj pubblici di Roma, ed in par-
te era stato di già ridotto a tale uso: rimasta la ope-
ra interrotta fino all'anno 1834 fu di nuovo intrapre-
sa, e per decreto sovrano l'anno 1836 ha cominciato a
servire all'uso destinato.
A questa basilica, come a quella di s. Pietro, e
di s. Paolo conduceva anticamente un portico, il quale
cominciava alla porta s. Lorenzo, e seguendo la dire-
zione della strada a destra dirimpetto a quella porta
medesima conduceva direttamente alla facciata primiti-
va della basilica. E di questo portico fa menzione A-
268
aastasio, come quello che fu ricostrutto da Adriano ly
e da Benedetto III nel secolo IX e dopo quella epoca
non se ne trova più memoria, in guisa che oggi non
si conoscerebbe la sua esistenza se Anastasio non l' a-
vesse ricordato.
5. LORENZO
lenimento dell' Agro Romano di circa 705 rubbia
di terra, il quale confina colla spiaggia del mare, col
territorio di s. Appetito, Gogna, Focignano, e Solfarata.
Esso è distante circa 27 miglia da Roma, e vi si va
direttamente per la strada di Ardea , dalla qual terra
è lontano circa 4 miglia.
Il casale ed il procoio di questa tenuta meritano
di essere particolarmente notati, e soprattutto il pro-
coio, il quale può dare agli stranieri una idea più giu-
sta de' costumi pastorizii della campagna di Roma, so-
vente cosi travisati dagli scioli che trascinano nelle lora
false opinioni gli stranieri, che non volendo le van pro-
pagando. Alcuni avanzi di opera mista che si osserva-
no sotto il casale attestano la esistenza di qualche fab-
brica in questo punto , lungo la via severiana e pro-
babilmente di una stazione costrutta nel secolo IV. Po-
co più oltre si traversa un rivo, e quindi a destra si
vede il granaio del tenimento fondato ancora esso so-
pra ruderi di opera mista , ed in parte di opera sara-
cinesca. Di là da esso è la chiesa ad onore di s. Lo-
renzo che dà nome al tenimento ed a tutta la contra-
da, e fu causa ne' tempi passati del gravissimo errore
prodotto dalla somiglianza del nome, che fece credere
in questo punto il sito di Laurento, il quale era alme-
no undici miglia più verso Roma , a Capocotta sicco-
me fu notato nell'articolo LAVRENTVM. Questa chic-
S69
sa che è moderna ricorda quella che l'anno 1074 era
in questo luogo ed apparteneva ai monaci di s. Paolo
per metà, siccome ricavasi dalla bolla di Gregorio VII.
riferità dal Margarini: et iuxta mare medietatem ecclesiae
s. Laurentii positam in territorio ardeatino. Di là da que-
sta chiesa è una imponente torre littorale dello stesso
nome costrutta dopo la metà del secolo XVI. sui dise-
gni del Buonarroti per testimonianza dell'Eschinardi. .'^i
Il tenimento di s. Lorenzo nel secolo XVII. appar-
teneva in parte ai Caffarelli, in parte ai Bartoli: nel se-
colo XVIII. divenne proprietà dei Di Pietro , ed oggi
appartiene ai Pallavicini di Genova che in questi ulti-
mi anni l'hanno acquistato dai Di Pietro, i m < ?.;> = ;.
h.lOm\M—BOTTACCJÀ e CASTEL DI GUIDO: .h
y^!^\,'„,-f èastrum he ©ùiìro ,"m
"1. T"" qlaetram ©utòonterr' "'"'''"
-igT i;l i>.oo i•.o7f^ri^.T<TTf^. •.r^-*?'>r"T*r?ft RJèocp .c.-.n-):-?
OÌ^-- ■ '■ ''-'■■■^■■:- ••'■■■ ■ ■■ • • • .' •-
-"^ Lorium, o Laurium, giacché in ambedue i modi tal
nome si trova scritto, fu una stazione sulla via aurelia,
concordemente posta, secondo Sesto Aurelio Vittore epit.
e. XX, l'Itinerario di Antonino, e la Carta Peutingeria-
na, al XII. miglio da Roma, ed è un fatto, che 11 XII.
miglio dalla porta gianicolense antica , che fu presso a
poco dove è la porta s. Pancrazio odierna si contano
circa 12 miglia al ponticello fra i casali di Bottaccia e
Castel di Guido. Ivi gli antepati di Antonino Pio ebbe-
ro una villa nella quale per testimonianza di Capitoli-
no e. I. e e. XII. quell'ottimo augusto fu educato e mo-
rì. Egli vi edificò un palazzo, e la frequentò come fe-
ee Marco Aurelio durante la sua vita, siccome appren-
270
diamo dalla corrispondenza di Frontone con lui: tib. I.
ep. I. e III. Lib. IL ep. XVIII. lib. III. ep. XX. lib.
V. ep. VII. E in quelle lettere particolarmente si nota
come Lorio era luogo di diporto, o come oggi direbbe-
si di villeggiatura per la famiglia imperiale, e come la
via aurelia, allora, come pure adesso era pel continuo
salire e scendere sdrucciolevole : Feci dice Frontone nel-
la epistola III. del I. libro , compendium 4tinens Lorium
usque, compendium viae lubricae, compendium clivorum ar-
duorum. La villa imperiale attrasse in quel luogo una
popolazione, che per la circostanza locale vi si manten-
ne, malgrado che dopo la morte di Antonino Pio non
sembra che fosse la villa più frequentata, a segno, che
secondo Capitolino ai suoi giorni, cioè circa il principio
del IV. secolo della era volgare, vedevansi le rovine del
palazzo: ttbi postea palatium extruxit cuius hodieque reli-
quiae manent. Onde io credo, che dopo la morte di Com-
modo, quando, secondo Lampridio nella sua vita e. XX.
esisteva ancora un procuratore, ossia amministratore lau-
riense, questa villa rimase abbandonata. Non così la Ter-
ra, che ivi si era formata, poiché, malgrado il guasto
dato a questa parte dei dintorni di Roma da Alarico cir-
ca Tanno 409 per testimonianza di Rutilio Itiner. lib. I.
un vescovo vi si manteneva nel V. secolo sotto Felice
III. nominandosi Pietro vescovo di Lorio che sottoscris-
se al concilio romano tenuto l'anno 487. Ma dopo quel-
la epoca non se ne fa più menzione, e forse rimase de-
serta nella guerra gotica del secolo seguente.
L'anno 1824 la principessa Doria Pamphili, signora
della tenuta della Sottaccia apri uno scavo lungo la via
aurelia , e nella valle che V attraversa : lungo la strada
trovò sepolcri^ e fra questi fu notato, che molti sepol-
cri cristiani orano stati fatti sopra le rovine di sepolcri
pagani , prova che continuò Lorio ad essere abitato nel
271
IV. e V. secolo. Le rovine nella yalle furono rinvenute
così detrite che gli scavi non diedero alcun risultato :
esse sembrarono appartenere nella parte superiore, ossia
a destra della strada, a varii casini lungo la valle, de-
moliti però quasi fino al piantato: uno era quasi aderen-
te alla sponda della strada prima del ponticello : due
erano uno incontro all'altro sulle due sponde del fosso,
un terzo di miglio più sopra; un altro casino si scopri
sotto una falda di monte dirimpetto al confluente di un
fosso che sbocca nella sponda destra del principale. La
fabbrica però sontuosa era sul ripiano di un colle che
si vede dominare in fondo alla valle alla distanza di un
miglio dal ponticello, e che sembra essere stata il prae-
torium. Altri scavi furono fatti nella valle medesima a
sinistra della strada, ed in questa parte le fabbriche era-
no così dislocate, che io credo che ivi fosse il Lorium
villaggio; tanto più che fra que'ruderi molti ve ne era-
no del IIL IV. e V. secolo della era volgare quando
già la villa degli Antonini era abbandonata ; mentre i
ruderi a destra della strada presentavano tutti la costru-
zione di laterizio e reticolato del carattere proprio del
tempo degli Antonini, meno nel Praetoriumy dove osser-
vai avanzi del primo secolo dell' impero inviluppati fra
quelli degli Antonini: e che appartenevano al predio ori-
ginale della famiglia di Antonino Pio, nel quale fu edu-
cato, e che servì come di nucleo alla sua villa imperia-
le. Queste fabbriche riconoscevansi come spogliate da
lungo tempo, e se si eccettuino frammenti insignifican-
ti di lastre di marmi fini che aveano servito ai pavimen-
ti ed ai rivestimenti de'muri non si rinvenne altro. Frai
ruderi di Lorio stesso si trovarono musaici grossolani ,
che fecero ricordare la scoperta fatta ai tempi di Pio
VI. ne' dintorni appunto della tenuta di Castel di Guido
entro ì limiti di quella detta Porcareccio-Paola, del bel
272
musaico della sala delle Muse del Vaticano, che rappre-
senta attori tragici e comici nel loro costume teatrale.
Il sito di Lorio è oggi compreso in due tenute: la
prima ha nome Bottaccia per essere il casale di essa co-
strutto presso una botte, o ricettacolo di acqua, che ser-
ve ad un fontanile, e che forse è l'antica conserva, che
serviva alla stazione. Il casale è sulla sponda sinistra
della strada poco più oltre il X miglio attuale quasi XII.
antico: la tenuta comprende 333 rubbia divise ne'quar-
ti detti della Bottacciola , o Casale , della Torre , delle
Streghe, e di Cecanibbio: confina con quelle di Selce,
Paola , e Castel di Guido. Essa fu già del card. Ales-
sandro Peretti , detto il card. Montalto e quindi venne
in potere de'Doria-Pamfili, ai quali ancora appartiene.
L'altra dicesi Castel di Guido, ed il casale a sini-
stra della via aurelia trovasi 11 miglia e mezzo lungi
da Roma. Essa appartiene all'ospedale di s. Spirito, con-
fina colle tenute di Maccarese, Castel mal nome, Fonti-
gnano, Massimilla, Massa Gallesina, Selce, Bottaccia, Buc-
cea , Paola , e col fiume Arrone. Comprendeva rubbia
3069, delle quali 560 furono date in enfiteusi al prin-
cipe Rospigliosi l'anno 1820; e questi nel 1831 redense
il canone, in guisa che oggi sono ridotte a 2509, divi-
se ne'quarti di Cecanibbio, di Torricella, Valle del Ba-
gnatore, Cioccati vecchi, Cioccati nuovi. Valle Mancina,
Olmo del Poltrone , Selce , Grotte , Chiesa , Polledrara ,
Olivella, Monte dclli Bovi, Casale bruciato, Colonnaccia,
la Vigna, e Monte bruciato.
La denominazione di questo fondo non è recente ,
e dai documenti esistenti è certo che di già così noma-
vasi nel secolo XI. né credo possa dichiararsi affatto im-
probabile una mia congettura , che avendo Guido mar-
chese di Toscana e marito della celebre Marozza occu-
pata la signoria di Roma l' anno 928, fondasse in questo
273
luogo un castello, che perciò ritenne il nome di Castrum
o Castellum de Guido, Guidonis, e Widoms, donde deri-
va il nome moderno. La prima volta , che io l'abbia in-
contrato è nell'atto di appodiazione di un tal Roberto a
Balneo Mucino dell'anno 1073, riportato negli Annali dei
Camaldolesi T. II. App. p. 251 dal quale apparisce, che
quel Roberto donò in perpetuo al monastero di s. Gre-
gorio di Roma, col consenso di Adohara sua moglie ca-
strum, quod cognominatur de Guido, posto fuori di por-
ta s. Pancrazio, e contemporaneamente se ne fece dare
la investitura a titolo di enfiteuta col canone di 3 sol-
di e dieci some di legna. Vale a dire , che secondo il
costume di que'tempi, per godere della immunità eccle-
siastica finse di donare al monastero il fondo, e median-
te la tenue corrisposta sovraindicata ne conservò l'utile
dominio. I nomi normanni di Roberto d di Adohara mi
fanno inclinare a credere, che fossero di que'Normanni
che nel 1059 furono chiamati da Niccolò II. contra i
conti di Tusculo e di Galeria , alcuni de' quali saranno
restati nel paese. Il nipote di questo Roberto, che avea
\o stesso nome , e che avea avuto per padre Rainuccio
cedette questa enfiteusi al monastero suddetto, l'anno
1124 come si ricava dall'atto riportato negli Annali so-
vraindicati Tomo III. p. 309. Tre anni dopo due altri
documenti della stessa raccolta p. 319, 320 ne insegna-
no, che nello stesso giorno fu Castel di Guido locato, e
rifiutato dai tutori e curatori di Giovanni e Stefano figli
di Stefano, e Leone ed Alberto figli di Giovanni di Ste-
fano. Sembra che poscia Giovanni figlio di Stefano Io
riaccettasse, poiché si trova, che l'anno 1177 fu rinno-
vata a favore di Gaita sorella di Giovanni di Stefano
defunto la locazione, che questi avea di Castel di Gui-
do, e insieme con Gaita a Stefano suo figliuolo ed a
Giovanni suo nipote, figlio di Benedetto. Ann. Camald.
18
274
T. IV. App. p. 85. Nel 1193 fu data di questo fondo
la investitura a Normanno, a Giovanni suo nipote, ed a
Stefano ed Alberto figli di Stefano pur Normanno, fi-
no a terza generazione. Forse questo Stefano Norman-
no è lo stesso che quello Stefano figlio di Gaita ricor-
dato di sopra. Questo atto si legge nella raccolta so-
vraindicata p. 185. È chiaro da questi documenti che
sul finire del secolo XII. erano enfiteuti di questo ca-
stello i Normanni , famiglia celebre , che trasse il co-
gnome dalla nazione, donde derivava, e che fu potente
ne'secoli XIII. e XIV. in queste contrade. Le bolle di
papa Innocenzo IV. e di Bonifacio Vili, dell'anno 1249
e 1299 confermarono il diretto dominio di questo fon-
do ai monaci di s. Gregorio, siccome può vedersi nel
tomo V degli Annali p. 342. I Normanni però ne pos-
sedevano l'utile dominio, e nel codice vaticano 814. B.
si ha la vendita che 1' anno 1377 fece Stefano Nor-
manno del diritto di caccia in questa ed in altre te-
nute circonvicine. Poscia dai monaci fu trasferita la
enfiteusi a terza generazione a Giovanni di Stefano de-
gli Alberteschi che era della stessa famiglia de'Norman-
ni, ma forse di un ramo diverso da quello di Stefano
sovrallodato; questi però morì senza prole maschile, on-
de, con atto che si conserva nell'archivio capitolino T.
LXIV. n. XI. ne furono investiti l' anno 1426 i conti
dell' Anguillara come discendenti per via di donne: in
quell'atto il castello viene indicato come diroccato. Nel
1448 il monastero rivendicò il possesso integro e pie-
no di esso come si ha negli Annali T. VII. p. 325 ,
e lo ritenne fino all'anno 1573. Dopo quella epoca fu
acquistato all' ospedale di s. Spirito, al quale come si
disse appartiene.
Il Casale è posto in amena e meno insalubre situa-
zione di altri luoghi dintorno; ma, ne esso, né la chic-
275
sa presentano oggetto degno di particolare menzione; e
del castello de' tempi bassi diroccato fin dal 1426 non
appariscono neppure le rovine. Vedasi inoltre MALA-
GROTTA. ;ì:>
LUCHINA T. MONTE ARSICCIO. vjq
,-m1 ■;,;: . '.hi I)
LVCRETILIS V. VILLA DI ORAZIO. I
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LVGVS FAVNl v. SOLFARATA. «al
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LUGNANO V. BOLA.:; ];.
LUNGHEZZA— LUNGHEZZINA. ;■. u
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Castellum Congejjae, €astrum j:';^:|
Congitìac, Casale Congueja.
È un tenimento esteso dell'Agro Romano pertinen-
te ai Strozzi e posto sulla riva sinistra dell'Aniene, ad
oriente di Roma. Esso confina col fiume Aniene , e co'
tenimenti denominati Cerronc, Benzene, Pantano, Casti-
glione, e CorcoUe, il quale unito insieme comprende 980
rubbia di terreno. La parte di questo tenimento cono-
sciuta col nome di Lunghezza racchiude le rovine di Col-
latia, città latina, di che fu parlato a suo luogo: v. COL-
LATIA.
Il tenimento è suddiviso ne'quarti denominati della
Osteria dell'Osa, del Perazzato, del Castellacelo, di Scan-
sasaccbi, di Lunghezzina, di Valle s. Giuliano^ di Colle
276
Saponaio , dell'Olmo , Spalletta de' Selci, e comprende
inoltre una vigna presso il casale. Lunghezza è distan-
te da Roma circa 10 miglia , Lunghezzina 12. Ambe^
due questi casali , stanno sopra colli dirupati di tufa
sulla sponda sinistra dell' Aniene : si perviene a questi
per una strada informe, tortuosa moderna, che fu aperta,
o piuttosto seguita ne' tempi bassi a traverso de' campi,
la quale dirama dalla via collatina antica presso a Sa-
lona, cioè 7. miglia e mezzo fuori di porta Maggiore.
Lunghezza, che è il casale principale, è al confluente
dell' Osa nell' Aniene , cioè due miglia al di sotto di
Collazia: esso, come tutti i Castra de' tempi bassi sorge
sopra il ripiano di un colle imponente ; ed analoga alla
situazione di questo casale di lunghezza è quella di
Lunghezzina, casale molto posteriore al precedente. Il
nome di Lunghezza deriva dalla forma oblonga del ripia-
no, su cui è situato il casale, il quale è la estremità set-
tentrionale di una lunga lacinia che può riguardarsi, come
l'ultima fimbria del dorso di Tusculo.
Non si ha memoria di questo casale antecedente-
mente all' anno 1074, quando papa Gregorio VIL con-
fermando con una costituzione i beni al monastero di
s. Paolo, ed aggiungendone altri, dice di concedere al
monastero il castellum quod vocatur LONGEZZAE, con
tutte le sue pertinenze: di nuovo venne compreso nella
conferma de' beni data allo stesso monastero da Inno-
cenzo III. r anno 1203 , ed in essa vien designato col
nome di CASTRUM LONGITIAE. Questi due docu-
menti leggonsi in Margarini Bullarium Cassinense T. I,
e II , e da essi apprendiamo che il castello di già esi-
steva nel 1074 , e che da quella epoca fino al 1203 ,
continuando ad essere fortificato , e nello stato di ca-
stellum e di Castrum apparteneva ai monaci di s. Paolo.
Nel 1217 Onorio III. emanò una costituzione in favore
277
della chiesa di s. Tommaso in Formis sul monte Celio,
la quale leggesi nel primo tomo del Bollano Vaticano
p. 100. In essa fra altri beni ricordansi tres uncias Ca-
salis , quod dicitur Longueza con tutte le pertinenze di
questa frazione. Quantunque i documenti de' tempi bassi
non siano sempre strettamente precisi nelle denomina-
zioni , e sovente confondano le voci che non sono af-
fatto le stesse, ma che hanno un'analogia di significato,
pure non accade ciò sempre in modo da poter credere
positivamente che lo stato di Lunghezza, come castelliim
nel 1074, come castrum nel 1203, e come casale nel 1217,
fosse lo stesso , e che questi tre nomi diversi debbano
considerarsi come puri sinonimi. Infatti le discordie ci-
vili che agitarono Roma ed il suo contado nel ponti-
ficato d' Innocenzo III. discordie, che furono fierissime,
durante le quali Giovanni di Pier Leone Ranieri invase
una parte del territorio tusculano , possono avere arre-
cato danni gravi al tenimento ed al castello diLunghezza in
modo da ridurlo allo stato di puro casale, al nostro modo
d'intendere; veggasi la storia di que* tempi assai più lut-
tuosi de' nostri, redatta dall'autore della vita d'Innocen-
zo III. e riportata dal Baluzio.
-•:, Peggiore fu lo stato di questa parte d' Italia nei
tempi susseguenti. Negli ultimi anni del secolo XIII si
ritirarono a Lunghezza i cardinali Giacomo e Pietro
Colonna e di là appellarono al futuro concilio, siccome
si trae dall' atto , che si legge nel cod. vaticano 8259
p. 397 e seg. A quella epoca n'era padrone o enfiteuta
un tal Pietro de Comite o Conti fratello probabilmente
di Stefano de Comite, contro il quale i monaci di san
Paolo portarono lagnanze a papa Giovanni XXII , per
avere costui usurpata wna parte del tenimento di Lun-
ghezza a danno del monastero; onde il papa scrisse nel
1326 una lettera da Avignone a Niccolò de Comite ,
278
forse suo figlio , insistendo per la restituzione, ed una
altra pure ne scrisse a proposito ad Angelo vescovo di
Viterbo suo vicario, siccome ricavasi dal Bollano Cassi-
nense, Da un istromento esistente nell' archivio dell'Ospe-
dale di Sancta Sanctorum si trae che li 30 di decem-
bre 1411. la famiglia de Tartaris che altri beni posse-
deva in questi dintorni cede ai monaci di s. Paolo la metà
del Castrum Lunghes, e quelli così tornarono nel pieno
possesso del tenimento, che poscia sarà stato alienato^
come altri beni delle corporazioni religiose, onde appia-
nare il vuoto de' 400,000 scudi, che nel 1527, si dove-
rono pagare alle orde di Borbone.
MACC ARESE — FUEGEl^AE,
Tenuta dell' Agro Romano sulla sponda destra della
foce minore del Tevere , ma non a contatto con essa ,
e presso la foce dell'Arrone , distante circa 14 miglia
da Roma e posta fuori delle porte Portese, s. Pancra-
zio , e Cavalleggieri. A questa tenuta conduce diretta-
mente una strada antica, che diverge a sinistra dalla
Aurelia, dopo Malagrotta, 8 miglia lungi da Roma. Essa
contiene 2260 rubbia divise ne' lenimenti di Villa s. Gior-
gio, Cortecchia e Vaccaresc, e ne' quarti de* Tre Denari ,
Monte dell'Ara, le Capanne, e Tre Cannelle; appartiene ai
Rospigliosi. Confina colle tenute di Castel di Guido, Poli-
doro, Torrinpietra, ed il Mare.
Velleio lib. I. e. XIV. scrìve , che 20 anni dopo
il principio della prima guerra punica, cioè 1' anno 508
di Roma fu dedotta una colonia a Fregenae, nome che
in alcuni testi fu scambiato in quello di Fregellae. Dissi
anni 20 poiché ne' testi la somma ascenderebbe a XXV,
leggendosi così : At initio primi belli punici Firmum et
Castrum colonis occupata , et post annum Aesernia , post-
279
que XXIt annos Aesulum et Aìsium : Fregenaeque anno
post biennium, ; proximoque anno Torquato Semprotiioque
coss. Bruììdisium : ora è certo che la guerra punica co-
minciò l'anno 489 di Roma : è certo altresì che Tor-
quato e Sempronio furono consoli nell'anno 509j dun-
que nel consolato di questi posteriore di un anno a quella
deduzione di colonia , coincideva 1' anno XXI. dopo il
principio della prima guerra punica, e per conseguenza
un errore è trascorso nella cifra XXII della colonia di
Aesulum ed Alsium , che dee correggersi in XVII per
lo scambio solito del numero X in V e del V in X.
Sendo pertanto stabilito che la colonia di Fregenae fu
d edotta l'anno di Roma 508 , questo fatto vien confer-
mato dalla epitome di Livio lib. XIX nella quale si leg-
ge, coloniae deductae sunt Fregenae: et in agro Salentino
Brundusium. Livio stesso, come colonia marittima la ri-
corda r anno 563 di Roma quando pretese esenzione
dalla leva marittima ne' preparativi contro di Antioco e
Filippo, pretensione non attesa dal senato , il quale se-
condo quello storico lib. XXXVI. cap. Ili ordinò , che
Ostia, Fregenae, Castro novo, Pyrgi, Anzio , Terracina,
Minturnae e Sinuessa^ tutte piazze marittime della co-
sta del mediterraneo da s. Severa (Pyrgi) fino a Mon-
dragone (Sinuessa) somministrassero il loro contingente.
Strabone pure la nomina lib. V. e. II. pag. 9. come luogo
marittimo fra Pyrgi ed Ostia descrivendo la costa della
Etruria: e, dice egli, da Pyrgi ad Ostia sono 260 stadii
(32 m. e mezzo): nel tratto intermedio sono Alsio e Fre-
gena. Plinio lib. III. e V. §. Vili nella enumerazione
de' popoli, e de' luoghi della Etruria ricorda anche Fre-
genae dopo Alsinm fra questa ed il Tevere; ora essendo
Alsium a Palo , d' uopo è conchiudere che Fregenae fu
una colonia marittima fra Palo e Fiumicino. Inoltre fu in
un luogo paludoso dicendo Silio lib. Vili. v. 575.
280
et ob$essae campo squaUnte Fregenae
Nel tratto sovraindicato , la posizione della villa di s.
Giorgio presso la torre di Maccarese, e che commune-
mente si chiama il casale di Maccarese, presso lo stagno,
il mare, e sulla sponda destra dell' Arrone, è la sola, che
essendo quasi ad egual distanza fra Palo ed il Tevere
offra i caratteri sovraindicati per riconoscervi il sito di
Fregenae. Ma una prova più positiva se ne ha nell'Iti-
nerario di Antonino, nel quale si pone Fregenae Villi.
miglia distante dalla città di Porto, e IX da Alsium, e
per conseguenza non rimane alcun dubbio ragionevole per
non ravvisare a Maccarese il sito di quest'antica colonia
romana. Ed è l'Itinerario di Antonino la ultima memo-
ria, che io ne conosca: esso però serve a supplire una
laguna della Carta Peutingeriana nella quale vedesi dopo
Porto il numero Villi senza nome di stazione, e quin-
di Alsium senza numero; perciò al Villi debbe aggiun-
gersi Fregenae o Fregenis secondo l'uso della Carta, ad
Alsium, IX.
Dopo la fondazione di Porto, Fregenae andò sem-
pre decadendo; ed io credo , che fino dal secolo V ri-
manesse deserta , né le circostanze , che sopraggiunsero
erano tali da farla ripopolare, anzi nel secolo VI era di
già parte, come allora dicevano, di una massa chiamata
Claudiana, e Decimo, perchè cominciava al decimo mì-
glio della via aurelia e si estendeva fino al mare, com-
prendendo tutte le terre. I nomi de'fondi, che costitui-
vano quella massa si leggono in un atto riportato dagli
annalisti camaldolesi, T. I. p. 297 dell'appendice, attri-
buito al secolo VII. cioè all'anno 603 della era volgare,
il quale sebbene non sia leggittirao, come notano quel-
li raccoglitori, ma interpolato, nulladimeno come essi stes-
si dimostrano, è di tale antichità, che almeno fin dall'
anno 1115, come genuino riguardavasi, a segno di esser
281
prodotto in giudizio contro la communità de' pescatori
dello stagno, avanti papa Pasquale IL Fra que' fondi si
legge quello di Arteule, che direbbesi aver dato origine
a quello di Cortecchia, e quello di Nymphule origine di
s. Ninfa. Fra tanti nomi però non apparisce affatto trac-
cia di quello di Fregenae, indizio, che era affatto dimen-
ticato, come neppure di s. Giorgio, o Vaccarese, nomi
che ancora non erano sorti. 'joj iu.. ;/>?
Il documento testé ricordato mostra coifee questa
massa, nella quale era compreso il sito di Fregenae, fu
da s. Silvia donata tutta intiera l'anno 603 al monaste-
ro di s. Andrea in clivo Scauri : questo continuava a
possederla nel secolo XI, quando, come notossi all'arti-
colo Lorio , una parte di quella massa , oggi nota col
nome di Castel di Guido fu occupata da particolari, e
quindi data nel secolo XII. in enfiteusi ai Normanni, fa-
miglia, che si trova nel secolo XIV. in possesso ancora
di un castello ne' dintorni dell'odierno Maccarese, detto
Villa s. Georgii, quando la quarta parte di esso, colla
porzione di tenuta adiacente fu venduta l'anno 1308 da
Mobilia moglie di Stefano Normanni, a Giovanni Norman-
ni figlio emancipato dello stesso Stefano. Estintosi il ra-
mo de'Normanni degli Alberteschi l'anno i42G sembra,
che il tenimento della Villa s. Giorgio , il cui castello
era già diroccato, come si trae da un documento esisten-
te nel cod. vaticano n. 7961, divenisse proprietà di di-
versi poiché nel 1469 almeno in parte spettava ad Ales-
sandro degli Alessandrini, il quale ne vendette una metà
ai Mattei per 1200 scudi, e questa famiglia successiva-
mente ne venne all'intiero possesso in guisa che l'anno
1513 la parte di Maccarese conosciuta col nome di Vil-
la s. Giorgio era d'intiera proprietà loro.
La parte che appellavasi Baccarese, ed oggi Vacca-
rese, onde derivò il nome moderno, anche essa proprie-
282
tà dc'Normanni nel 1377, come si ricava da un istro-
mento esistente nell'archivio di s. Angelo in Pescaria,
e nel cod. vaticano 8014, passò come Castel di Guido,
dopo la estinzione di quella famiglia ai signopt-dell'An-
guillara l'anno 1426, i quali continuarono a riten&rlo
fino all'anno 1527^ in che Gio. Battista dcirAnguilléra
la vendette ai Mattci pel prezzo di 14 mila ducati di
earlini, come si trae da documenti esistenti nell'archivio
Maltei: ed allora essendo ambedue le tenute di questa
famiglia , si perde il nome di s. Giorgio in questa più
vasta di Vaccarese, dove 1' anno 1569 Paolo Mattei co-
strusse attorno al casino quattro piccioli bastioni, sicco-
me si ha dalla iscrizione esistente nella cortina rivolta
a mezzogiorno.
Anche Cortecchia era dai Normanni passata ai con-
ti dell' Anguillara, i quali nel 1457 ne vendettero la
metà ai Massimi : e questi ne rivendettero nel 1506
una terza parte ai Giustiniani: il resto era dei Del Bu-
falo, i quali successivamente a pezzi a pezzi, come fe-
cero gli altri condomini la vendettero durante il secolo
XVI. ai Mattei, che i:i(ine l'anno 1603 la ebbero tutta
e la unirono ai due fondi sovraindicati di s. Giorgio, e
Baccarese. Dopo quella riunione tutto il lenimento ebbe
il nome di Maccarese, sotto il quale l'anno 1083 Ales-
sandro Mattei lo vendette 270000 scudi a Stefano Palla-
vicini. Per eredità è passata da questi ai Bospigliosi che
tuttora la posseggono, e che nel 1820, e nel 1832 l'han-
no accresciuta di 560 rubbia acquistate prima in enfiteusi,
e poscia in diretto dominio dall' ospedale di s. Spirito
per 43,680 scudi.
Questa tenuta è destinata al pascolo delle vacche
e delle bufale, ed è ubertosissima : in parte è coperta
da selve : il principe attuale ne ha di molto migliorato lo
stato.
283
Del vecchio castello di s. Giorgio , come pure di
quello di Cortecchia non rimangono avanzi , come nep-
pur di Fregenae. A questa tenuta va unito lo stagno ,
del quale si fece menzione all'articolo CAMPO SALINO
T. I.
MADALENA
E il nome di un picciolo lenimento dell' Agro Ro-
mano , di circa 22 rubbia , confinante col territorio di
Marino , e colla tenuta di Falcognani Riccardi. Essa è
fuori di porta s. Sebastiano circa 12 m. lontano da Ro~
ma. Il suo nome deriva come io credo da quello della
famiglia de' Maddaleni , i quali nel secolo XIV, e XV. si
distinsero in Roma. i' '-^^^^
MAGGIONE, e MAGGIONETTÀ . i oi
JHasone. -'■\^:"-^
Tenuta dell' Agro Romano pertinente ai Riccardi ,
situata a destra della via ardeatina 19 m. lungi da Ro-
ma : comprende 154 rubbia divise ne' quarti denomi-
nati del Casale, del Sughereto^ e Terzo Quarto : e con-
fina colle tenute di Pratica, s. Procula, Solfarata e Petro-
nella. Questo fondo col nome di Masone è ricordato in un
istromento esistente nell'archivio di s. Maria in Via Lata,
appartenente all'anno 1330, nel quale apparisce essere sta-
to allora proprietà di s. Maria Aventina. <••*'
Nelle vicinanze di questo casale è una sorgente che
si scarica nel fiume Numico, la quale è la famosa fons
luturnae, di cui si è trattato di sopra nell' articolo LA-
VIMVM. Sembra, che ivi formasse un piccolo stagno ,
284
il quale viene indicato da Ovidio nel lib. II. de' Fasti
V. 603. e seg.
Quae simul ac tetigit luturnae stagna sororis ,
V ,/ / Effuge ait ripas : dieta re fertquelovis. ; k;
MAGLIANA
, , . . / itlaltana.
Cinque miglia fuori di porta Portese, suU' andamen-
to dell' antica via portuense, presso il Tevere è un le-
nimento, che spetta al monastero di s. Cecilia, il quale
ha circa 190 rubbia di estensione divise in due quarti
detti delle Quaranta rubbia ed il Quartaccio, ed in pa-
recchie altre frazioni, e confinante colle tenute di Mon-
te delle Piche, Casette, Muratella, Prati di Tor Carbo-
ne, e Tor Carbone. Esso dicesi la Magliana, nome che
ricorda l'antica gente Manila, che ivi ebbe un fondo det-
to Fundus Manlianus, Praedium Manlianum, e semplice-
mente Manlianum. La prima volta, che io ne abbia in-
contrato il nome è nella bolla di Benedetto Vili, data
a favore del vescovo portuense l'anno 1019, nella qua-
le quel papa conferma fra gli altri beni a quella se-
de vescovile un Malianum presso un altro fondo del-
lo stesso nome del monastero di s. Pancrazio: e questo
medesimo si ripete nella bolla del 1049 data da Leo-
ne IX, ed ambedue riportate dall' Ughelli nella Italia
Sacra Tomo I. Si ricorda di nuovo, ma col nome di Malia-
na, come quello della contrada, nella quale era una chiesa
di s. Giovanni detta perciò de Maliana in una carta dell'ar-
chivio di s. Cecilia dell'anno 1184, che si legge trascrit-
ta nel codice vaticano 8025. Quella chiesa allora comin-
ciò ad aver possidenze in que' dintorni, e successivamente
285
ottenne tanto la parte spettante a s. Pancrazio, quanto
quella del vescovo di Porto.
Il sito sul Tevere è ameno e gode di una veduta
molto vasta: ed essendo attorniato da colline in parte
imboschite , perciò è molto atto alla caccia. Quindi sul
declinare del secolo XIV. papa Sisto IV. vi fondò un
palagio magnifico, presso il quale, narra il Volaterrano
nel Diario edito dal Muratori Ber. Ital. Scr. T. XXXIII.
p. 103 che il card. Girolamo Riario diede l'anno 1480
una caccia sontuosa ad Ernesto duca di Sassonia , cioè
quegli che fu soprannominato il Religioso , e che mori
l'anno 1486. Questo palazzo fu poscia accresciuto ed or-
nato da Innocenzo VIII. il quale secondo l' Anonimo
del Muratori htr. Ital. Script. T. III. p. II. pag. 1190
lo diede al card. Parmense ; e da Giulio II , servendo
loro di villeggiatura nella primavera. Ma sopra ogni al-
tro ne amò il soggiorno Leone X. che vi tenne conci-
storo e vi contrasse la malattia, che in poco tempo por-
toli© al sepolcro con danno gravissimo delle lettere e
delle arti. Ne dopo la sua morte fu abbandonato afiatto,
poiché il nome e le armi di Pio IV. che si veggono in
varie parti, e soprattutto sulla fontana magnifica da lui
ristaurata sono prova delle villeggiature che quel papa
vi fece durante l'inverno. Anche Sisto V. frequentò que-
sto palazzo, ed è questo l'ultimo frai papi, che vi abbia
dimorato,
Ma dopo il secolo XVI. fu abbandonato ai bifol-
chi , i quali in due secoli lo hanno talmente rovinato,
che può fornire una idea , come in pochi secoli , tante
antiche fabbriche cadessero in rovina; imperciocché, se
questo palazzo non è ancora caduto si debbe all' uso ,
che se ne fa di granaio , e di dormitorio. Rimangono
traccie delle pitture, che lo adornavano, e la cappella ,
o chiesa di s. Giovanni ne conserva qualcuna , sebbene
286
mutilata, che dimostra essere slata dipinta dalla scuola
di Perugino. Queste circostanze, e le memorie storiche
indicate di sopra debbono incitare a visitarlo, e la stra-
da non ò né lunga, né incommoda, né fastidiosa, aven-
do sempre una bella veduta a sinistra e traversando
terre coltivate. Un miglio e mezzo circa dopo la porta
Portese nel luogo denominato Pozzo Pantaleo è un bi-
vio : la strada a destra è quella di Fiumicino, quella a
sinistra conduce alla Magliana, passando per s. Passera,
Pian due Torri, e Monte della Pica : questa strada che
è nell'andamento, come notossi , della via portuense , a
Pian due Torri conserva ancora i massi degli antichi
sepolcri che la fiancheggiavano , ed a s. Passera le so-
struzioni che la reggevano verso il fiume, e che la di-
fendevano verso i colli dalla caduta delle terre. Esse so-
no di opera reticolata, e furono probabilmente costrutte
dairimperador Claudio, autore della via.
, ... r MÀGLIANELLA.
È una tenuta pertinente al Capitolo di s. Angelo
in Pescaria, posta fuori di porta s. Pancrazio e Caval-
leggieri, sulla sponda destra della via aurelia, circa 5
m. distante da Roma, la quale ha nome dal rivo Ma-
gliano che ne forma il confine verso settentrione. Es-
sa comprende circa 116 rubbia di terra divise ne'quar-
ti detti della Torre, da una torre de' tempi bassi, che
la distingue e che vedesi dalla strada, dell'Ara, da Ca-
po, e Sotto strada. Confina colle tenute di Selce, Mas-
sa Gallesina , colla strada di Civitavecchia ossia la via
aurelia, e rimontando il rivo Magliano colle tenute di
Acquì^ft-edda e Porcareccio.
287
MAGRI
Tenuta di circa 156 rubbia posta nell'Agro Roma-
no fuori di porta s. Sebastiano , circa 6 m. lungi da
Roma a destra della strada delta del Divino Amore.
Confina con quelle di Cecchignola, s. Anastasio, Castel
di Leva, Fiorano, e Cornacchiola: appartenne ai Lepri,
e poscia ai Valenti: ed è divisa ne'quarti detti del Fon-
tanile^ della Calandrella, e delle Grotte.
MAGUGLIANO, e MAGLIANO.
È un rivo perenne, che traversa la via tiburtina
al quinto miglio, non molto prima di cader nell' Ame-
ne. Le sue scaturigini più lontane sono sotto le pen-
dici di s. Angelo in Capoccia , quindi ha un corso di
sopra a 12 miglia traversando i lenimenti di Pilo Rot-
to, Tor Mastorta, Caputo, Monte del Sorbo, Marco Si-
mone, Casal vecchio, Forno Casale, e Pratolungo, entro
i limiti di questo passa sotto la via tiburtina e conflui-
sce quindi nell'Aniene.
La più antica memoria di tal rivo è in una Car-
ta dell'archivio di s. Maria in via Lata dell'anno 1030
riportata dal Galletti nel Primicero p. 273, nella quale
come confine di un fondo della contrada di Pratu lon-
gUf di là da ponte Mammolo si pone il rivo qui vocatur
de Maguzzano. Ma questa medesima Carta riportata dal
Galletti nel codice vaticano 8048 dà in luogo di Maguz-
zano, Magugliano, nome che è più corretto, e che con-
serva ancora, e che si ritrova in un'altra Carta dello stes-
so archivio riportata dal Galletti nella opera del Primi-
cero p. 302 in data dell'anno 1141. La etimologia è in-
certa : ma il moderno nome di Magliano è certamente
un' abbreviazione di quello più antico. Il suo corso si
288
distingue da lungi a traverso i campi dagli alberi di
pioppo che lo seguono.
( MALAFEDE.
Tenuta dell'Agro Romano al X. miglio della via
ostiense la quale ha nome dall' essere situata presso la
selva ostiense in un luogo un tempo male sicuro^ e che
lo communica ad una osteria, che è presso la strada dove
è una chiesuola rurale sacra alla Vergine del Carmine.
Confìna col Tevere, e colle tenute della Infermeria, Tra-
fusa Mandosi , Trafusina , Dragoncello e Fusano , e col
territorio di Ostia. Comprende 390 rubbia.
MALAGROTTÀ.
itlolarupta.
Osteria a sin. della via aurelia, o strada di Civita-
vecchia , 8 miglia lungi da Roma , posta nel tenimento
di Castel di Guido, poco prima del diverticolo di Mac-
carese. Essa è nella valle del rivo di Galera, che si tra-
versa sopra un ponte: ivi dappresso è un casale, un gra-
naio, la chiesa, ed un fontanile fornito di acqua da una
sogente condottata, i cui bottini veggonsi a destra del-
la strada.
Il nome di Mala grotta suol derivarsi da una grot-
ta che vedesi sul colle a sinistra; a me sembra però che
sia un travolgimento del nome Mola Rupta , che alme-
no fin dal secolo X. questo fondo portava: dico fin dal
secolo X, poiché non voglio fare uso della Carta di do-
nazione di s. Silvia per le ragioni che furono indicate
nell'articolo MACCARESE.
269
Or diltìqué negli annali de'Camaldolesi, nc'quali si
riporta quell'atto di donazione, si trova pure riportata
una Carta genuina pertinente all'anno 995 , ( leggasi il
tomo I. p. p. 126 ) nella quale si ricorda la cessione e per-
muta fatta da Costanza nobilissima donna di una metà
di un suo casale denominato Casa Nob«la , posto circa
l'ottavo miglio fuori della porta s. Pietro nella contrada
denominata Mola Rupia, contrada che corrisponde ap-
punto con quella di Malagrotta. E questa contrada si
ricorda ancora in altre Carte degli stessi annali , come
in una dell' anno 1014, nella quale si pone fuori di porta
s. Pancrazio nella via aurelia , e si nomina come casale :
in un' altra del 1067 nella quale si nomina come affine
il rivo Galeria: e nel secolo XIII. col nome di castrum
Molarupta colle chiese di s. Maria e di s. Apollinare
si designa nelle bolle di papa Innocenzo IV. nel 12^9
e di papa Bonifacio VIII. nel 1299, colle quali furono
confermati i beni di s. Gregorio : come pure in due
atti pertinenti all'anno 1280 e 1296, documenti che sono
tutti inseriti nell' appendice del tomo V. degli Annali
suddetti. Quindi il nome di Molarupta rimaneva sul
principio del secolo XIV. E quanto a questa denomi-
nazione così antica, che rimonta, come si vide, almeno
al secolo X. facile è derivarne la etimologia da una
mola ivi sul fiume Galeria esistente , la quale rottasi ,
oe derivò al fondo ed alla contrada il nome di Mola-
rupia, /o:; '.k:>-,'.'j .ì-ì;;;\^:, -:;,;• i:: h.
J i irj:>(,t
, MàLBORGHETTO V. BORGHETTACCIOiìmvyi
MALPASSO.
Tenuta dell' Agro Bomano che si estende a destra
-della via salaria 7 m. circa lungi da Roma, la quale trae
19
290
nome dalla diflìcollà che presentava ivi il ponte sotto cui
passa l'Allia, che fosso di Malpasso perciò si appella, e che
poco dopo entra nel Tevere. E dell'Allia si è trattato a suo
luogo nell'art. ALUA, come pure del ponte oggi rinnovato
e reso più agiato.
• Il teniraento comprende circa 64. rubbia e mezzo
e .confina colla strada consolare di Rieti tracciata sulla
via salaria, e colle tenute di Castel Giubilèo, Sette Bagni
ed Inviolatelln. £9»> appartiene alle monacM 4» «^ Silvestro
in Capite, iti r»,f9l*'. •if5i«»h nlt^rv ?inlif. ni fiìi*».-^»!; shnr ii«
È probabile che questo fondo corrisponda a quello
detto Pelaiolum ricordato nella bolla di conferma dei
beni di s. Silvestro in Capite esistente nell' archivio di
quel monastero, ed illustrata dal Marini ne' Papiri Di-
plomatici p. 46 , imperciocché in quella bolla , che fu
data da Agapito II. 1' anno 955 si designa quel fondo,
come di là dal ponte Salario, vicino al Tevere e ad uq
fondo denominato Sex Columnarum , e ad un monte
MoUarium, i'jUiy>:ji,i. ,0^,^,* t» v,i-ii.«. onuài»:. Iìììjìù.ui ìw^
. -,,.. , ,.{> .Y or; ■' ' - "'■' ■ne'ihlì iìÌTMui iWiSi
IwÈiomnm fiJqr . MALVICJNO. ì\ ihumi) .iBobku .
Aiiun.tìh fiì^oun r, olnci/p d /yiX oJoaoéi lob ciqòaìjij
Tenuta dèli* Agro Romano pósta fralle vie Claudia
e Cornelia, oggi note col nome di strada di Buccea, cir-
ca 19 miglia lontano da Roma, alla quale si va per una
via traversa, che dirama a sinistra della Claudia al XVI.
m. e dicesi la strada di Cornazzano, perchè conduce a
quel casale. Essa comprende 127 rubbia, e confina colle
tenute di Tragliata, Testa di Lepre, Buccea, Gentrone,
e Cornazzano. —
i.iì'tiìh li sl'ii'jisa i« oda onBmoft oi^A 'ibfe Uuml
•i/i''! 'ji;vi?jp rJ ,F.iiwH ih T^n«l boiìj .«i T jjnsin* bì? nilob
291
mr ùimihi) i;J.MANDELLA v, BÀRDEllAiihmhiU .lu Ut
.fiìiy>ii . ..1} .'ì?tVyìr,\dnA
ohnpl ^^iì^\ MÀNDRIA e MÀNDRIOLA. a
!( t)4i(yi '>4:> t^ìi'jhn ìì.m] tiAir-i' >:-.if:ì(. «su hi- '^Hiiv-ìUrty^ti
-i Tenimehta' dell'Ago Romano sitaatò fuori-di jjort*
4»; Paolo, traversato dalla strada luoderoa di Ardea dal
VII. al IX. miglio circa , e pertinente ai monastero di
s. Paolo fuori delle mura, almeno fin dall' anno 1203 ,
jioichè nella bolla d' Innocenzo III. data in quell' anno
e riportata dal Margarini nel BuUarium Cassinense T. I.
frai beni confermati a quel monastero si nomina Man-
dram colla chiesa e colle altre sue pertinenze : ed ai
monaci si debbe la costruzione nel secolo XII. della
torre detta del Sasso, che semidiruta sì vede a sinistra
presso la strada, nello scendere verso il ponte di Schiza-
nello, discesa che suol designarsi col nome di Scesa o
Salita della Mandrìola, secondo, che si va da Roma o si ris-
torna da Ardea. . osii^a&Wii? iOJ
Le tenute riunite cotoprendono 174 rubbia, e confi-
nano con quelle di Selcia, Pinzarone, Trigona, Monte Mi-
gliore, Schizzanello , Casal Giulio , e Vallerano. Esse non
debbono confondersi con quella denominata Casal della
Mandria descritta a suo luogo , nella quale fu la piccola
«città di Pollusca più volte ricordata nella .vita di Goriolano*
Yeggasi CASAL DELLA MANDRIA, h non auoip fiiJawp
MARANO.
.tè
.01 ^
iJlaranuiUv Moxùxtm.
Castello di circa 923 abitanti nel distretto di Su-
biaco posto sopra un colle che domina la riva sinistra
dell'Amene, quasi dirimpetto a Gervara ed Augusta, circa
292
40 m. distante da Ronia, al quale' si va per la odierna via
sublacense, traversando l'Aniene sopra un ponte.
Il suo nome potrebbe derivarsi da qualche fondo
appartenuto ad un Mario senza pretendere, che fosse il
famoso rivale di Siila, in modo che da fundus marianus
per corruzione di nome si fece Maranum. Egli è certo
òhe fino dall' anno 864 si nomina, come castellum nella
bolla di Niccolò I. Dall'altro canto nell'anno 958 gli si
dà il nome di forido nella bolla di conferma dc'beni del
monastero sublacense, data da Giovanni XII, come pu-
re in quella di Benedetto VII. del 978: la prima legge-
si in Muratori Ant. Medii Aevi T. V. p. 461. 1' altra è
riportata da Marini Papiri Diplomatici p. 229. Nell'anno
1052 era un castrum che apparteneva al monastero su-
blacense, poiché vien ricordato nella lapide di s. Scola-
stica colle altre possidenze del monastero; circa 1' anno
1065 , questo castello era stato invaso da un Ranieri ,
come si trae dalla cronaca sublacense , il quale venne
espulso dall' abbate Giovanni. Viene ricordato di nuovo
nella bolla di Pasquale II. dell' anno 1115 inserita in
quella cronaca, come parte delle possidenze del mona^
stèro. Circa l'anno 1150 fu dato da Eugenio III. a Rai-
mone abbate sublacense da lui dimesso. Nel 1360 l'ab-
bate Corrado lo die in feudo al suo fratello , e dopo
quella epoca non si hanno memorie degne di rimembran-
za, appartenendo sempre al monastero.
MARCELLIN4
È una contrada fra Palombara e s. Polo, 4 m. di-
stante da ambedue queste terre, che occupa la falda più
bassa de'monti Peschiavatore, Morra, e Gennaro, e che
è designata da una stazione dello stesso nome , il qua-
le data almeno dal secolo XIII. della era volgare, e for-
293
se deriva da quello di qualche prèdio spettante ad uu*
Marcellina; nome, che spesso s'incontra nelle lapidi. Esir,
sa è sopra la strada da Palorabara a Tivoli, chV; è Ift piùr
diretta. ;>a diinoloo ib ìiJL-:*r>T ^oiJiìiioar 'untine ìb c\ht
Andando (Igt ' Pélombara a 'quésta stazione, primìc-'
ramente dee notarsi^ che dopo 2 miglia si trovano gli
indi zìi chiari di un diverticolo antico, sul quale è trac-
ciata la strada attuale, che legava la via tiburtina colla
salaria passando per Palombara e Stazzano , comincian-
do al ponte detto dell' Acquoria, e terminando sotto Mon-
te Libretti. A destra tre m. dopo Palombara sopra un
colle sono gli avanzi di un castello diroccato , il quale
nelle carte viene indicato col nome di Monte Verde: a
sinistra sotto il monte Gennaro, sul principio dell'arduo
e tortuoso sentiero detto la Scarpellata, sono le vestigia
di una città antica, di forma triangolare colla base ri-
volta verso la via ed il vertice sulla sommità. Un gran
pezzo del muro inferiore rimane ancora: esso è costruir:
to di massi irregolari di gran dimensione, de' quali al-
meno quattro strati rimangono. Sembra, che sul vertice
fosse la cittadella con un tempio. L'estensione di queste
mura è di circa un m. di circonferenza, onde sembpa„
che la città fosse di qualche rimarco , e forse fu una
delle città sabine, situata come Eretum, quale avampo-
sto verso i Latini, che occupavano i monti corniculani.
Senza osare di sostenerla, io credo, che non sia impro-
babile la opinione, che ivi fosse Regillum patria de'Glaur,
dii, che secondo Livio e Dionisio trasmigrarono a JRoma
poco dopo la espulsione de're, e che tanta influenza ;eb-,
bero durante la republica, e nel primp periodo dell'ùii^
pero. ■ ,; -'.''ii^^
Il sito di Marcellina è cosi amenQ d.^/ritnle la .^ar>
gione estiva, che non potè sfuggire a quelU( ip^giu^j^
del primo periodo dell' impero, che popoIju-Qiio 4i,,jvtl}p
294
sontuose i contorni di Romav particolarmente da questa
parte, e di ciò fanno testimonianza i bei frammenti, che
ivi vidi dispersi l'anno 1825, frai quali notai un capi-
tello di ordine corintio, rocchi di colonne scanalate del-
lo stesso ordine, pezzi di pavimenti di musaico, alcu-
ni de' quali molto iGini, e colorati. Un miglio e mezzo
più oltre a destra sono le rovine di un'altra terra an-
tichissima con vestigia di mura a poligoni nel luogo de-
nominato Scocciasanto, e Ciano, nelle quali alcuni vo-
gliono riconoscere quelle di Genina, non calcolando la
picciolezza della Terra, e la distanza soverchia da Ro-
ma per crederla attaccata nella prima guerra di Romu-
lo. Presso di questa sopra un colle è un castro de'tem-
pi bassi detti Torrita , e poco dopo nella contrada de-
nominata Scalzacane sono le sostruzioni ed il pianterre-
no di una villa romana, consistenti in parecchi anditi^
dietro i quali ricorre un corridore molto stretto: queste
sono di opera reticolata con legamenti or laterizii , ora
di parallelepipedi di tufa. Tornando all'antica Terra di
Ciano, io credo, che possa essere stato uno degli oppi-
di de!Tiburtini, verso i Sabini, come in altra direzione^
erano Empulum e Saxula verso gli Ernici. "ff?
-ó^c7/>5^1^V>"''''' MARCIA. .
■^*' Una delle acque condottate a Roma e riguardata
dagli antichi come la più pura e salubre fra tutte quelle,
che erano state portate a Roma. E sopra questo acque-
dotto, apprendiamo da Frontino che l'anno 608 di Roma,
cioè 146 avantt la era volgare , essendo consoli Servio»
Sulpicio Galba , e Lucio Aurelio Cotta , trovandosi gli
acquedotti dell'acqua Appia , e dell' Aniene molto dan-
neggiati dal tempo ed in parte abusivamente intercettati
dai privati, il senato commise a Marcio allora pretore
295
nelle cause frai cittadini ed i forasticri di ristaurare tali
acquedotti, e rivendicare le acque usurpale: e siccome
l'accrescimento della città sembrava richiedere una mag-
gior quantità di acque, fu a lui ancora ordinato dal se-
nato di cercare di condurre tutte le altre acque che
avesse potuto per mezzo di condotti più ampli nella cit-
tà. E questi per mezzo di rivi, e di opere sopra terra
portò queir acqua, che da lui ebbe il nome di Marcia.
Fenestella, secondo il lodato Frontino, avea conservato
la memoria , che per questi lavori il senato decretò la
somma di 8,400,000 sesterzj, ossia 210,000 scudi; ma
siccome questa non bastava per compiere l'opera, gli fu
prorogata la carica per un altro anno. In quel frattem-
po però , mentre i Decemviri sacris faciundis , per altre
cagioni doverono consultare i libri sibillini, dicesi, che
trovassero non doversi l'acqua Marcia, ma l'Aniene por-
tare sul Campidoglio; e facendosi pel collegio de*decem-
viri la proposizione di quest'affare in senato da Lepi-
do, essendo consoli Appio Claudio e Q. CeciliOy 1' anno
609, e di nuovo 3 anni dopo riproducendosi da L. Len-
tulo, superò sempre il favore del pretore Quinto Mar-
cio Re, e cosi l'acqua Marcia fa condotta sul Campi-
doglio.
Quest'acqua, secondo lo scrittore sovrallodato si al-
lacciava al miglio 36 della via Valeria, volgendo a de-
stra, per chi partiva da Roma, e seguendo per 3 mi-
glia un diverticolo: per la via sublacense poi al 36 m.
a sinistra dentro 100 passi vedovasi traversare sopra
sostruzioni ed archi, di color argentino, tendente al ver-
de. Avea il condotto dalle sorgenti , fino alla città 60
m. e 710 i passi di corso, cioè 54 m. 247 | sotter-
ra, e 7463 sopra terra: de 'quali, più lungi da Roma in
molti luoghi per le valli del Popolo Romano sopra ar-
chi 463 passi, e più vicino sopra sostruzione 728 passi
296
e quindi fino al termine sopra archi 6472 passi: parti^-
colari preziosi sono questi lasciatici da Frontino, che mo-
strano quale opera gigantesca fu la intrapresa di Marcio,
dalla quale si potrebbe dubitare, se gli avanzi incontra-
stabili che ne rimangono non ne facessero fede da loro
stessi.
? E circa la origine di quest'acqua assegnata da Fron-
tino, essa è di tale esattezza, che essendo nota la dire-
zione della via valerla e della via sublacense, seguendo
la distanza ricordata, si trova ancorar nella valle di Ar-
soli tale da potersi riallacciare di nuovo , e ricondurre
in Roma; ed una chiesa rurale a destra della strada dì
Arsoli, oggi abbandonata ha il nome di s. Maria dell'a-
cqua Marcia da tempo immemorabile. E da quel punto
in poi l'acquedotto interrottamente si traccia fino a Roma.
Ho notato questo, perchè Plinio Hist. Nat. lib. XXXI,
e. Ili, §. XXIV, facendo l' encomio di (piest' acqua che
riguardavasi, come dissi, essere la più limpida, fresca e
salubre di quelle, che venivano in Roma, le vuol dare
una origine molto più remota, e vuole attribuire il suo
acquedotto al re Anco Marcio: ecco le sue parole: Cla-
rissima aquarum omnium in toto orbe, frigoris, salubrita-
tisque palma praeconio urbis ^ Marcia est, inter reliqua Deum
munere urbi tributa. Vocabatur haec quondam Aufeia, fons
autem ipse Pitonia. Oritur in ultimis montibus Pelignorumz
transit Marsos et Fucinum lacum, Romum non dubie pe-
tens. Mox in sp^tus m^rsa in tiburtina se aperit novem mil~
libus pass, fornicibus structis perducta. Primus eam in ur-
bem ducere auspicatus est Ancus Marcius unus e regibus
p&stea Q. Marcius Rex in praetura. Rursusque restituit M^
Agrippa. Io non voglio per un momento escludere la pos-
sibilità, che del Lago Fucino per filtrazione derivino le
sorgenti della Marcia, ma è molto difficile il provarlo:
quanto poi a farla nascere ne'monti estremi de'Peligniy
297
ed a farle traversare il Fucino, per poi uscirne pura, e
sbucciare nella valle di Arsoli, sono questi, prodigi che
sorpassano ogni credenza , meno quella di Alberto Cas-
sio, che li ammise come una cosa, quasi direi dimostra-
ta. Inesattezza certa è nelle 9 m. di archi che Plinio
assegna a questo acquedotto, il quale non ne avea cer-
tamente più di quasi 7 , quante Frontino che più di pro-
posilo lo avea esaminato gliene assegna. Che poi Anco
Marcio pel primo la condottasse, è un puro sogno, poi-
ché, secondo Frontino, Roma non ebbe dalla sua fonda-
zione fino all'anno 441 altr' acqua per bere, che quella
che aut ex Tiberio aut ex puteis^ aut ex fontibus haurie-
bant. D'altronde il territorio romano da quel re fu lascia-
to dopo le sue conquiste entro un raggio così ristretto,
che Tibur a 20 miglia, Gabii a poco più di 12, Tuscu-
lum, Aricia, ed Ardea erano città affatto indipendenti, e
serravano il territorio romano sulla riva sinistra del Te-
vere, per non dir nulla di Veìi, e Csere sulla destra;
ed i Sabini, gli Equi, i Marsi i Peligni, non so se avreb-
bero permesso in quella epoca cosi remota una opera di
questa natura nel loro paese. iA
Egli è però vero il fatto, che poco più sotto Plinio
asserisce , che Agrippa lo ristaurò , fatto che è confer-
mato da Frontino, e dalla iscrizione del monumento di
quest' acqua medesima alla porta s. Lorenzo, il quale ha,
ó vero, il nome di Augusto, come quello, che essendo
il capo del governo avea l'onore di tutte le opere ; ma
è vero altresì che il suo ministro Agrippa fu quello che
di tale opera fu incaricato, e che con impegno eseguilla.
Questo ristaurò degli acquedotti da Frontino si stabilisce
l'anno 719 di Roma, essendo Augusto console per la se-
conda volta, ed avendo per collega Lucio Volcazio ; le
sue parole sono chiare : eodem annóy cioè 719, Agrippa
ductus Appiae , Anionu, Marciae, pene dilapsos, restituii 4
298
La iscrizione sovraiudicata però ha la data della pote-
stà tribunizia XIX , e ricorda il XII consolato di Au-
gusto , e la XIIII acclamazione imperatoria : Augusto
entrò nella potestà tribunizia XIX l'anno 746 di Roma,
ed in queir anno pure fu console insieme con Lucio
Cornelio Sulla, per la duodecima volta ; la XIV accla-
mazione imperatoria poi a lui fu fatta l'anno 745, e la
XV Tanno 759, periodo entro il quale fu eretto il mo-
numento a porta s. Lorenzo : sopra questi dati può sta-
bilirsi che esso fu edificato certamente fra il dì 27 giu-
gno 749 ed il dì 26 giugno 750 di Roma, circa 7 anni
dopo la morte di Agrippa. Tutto questo prova che la
iscrizione di quel monumento attribuisce ad onone di
Augusto quello che Agrippa riguardo agli acquedotti avea
fatto 30 anni prima, e che certamente quell'arco non fu
eretto prima dell' anno 749. Nella riparazione dell'acque-
dotto della Marcia da Agrippa non fu aggiunta alcun
rivo a supplimento dell' acqua medesima , e questo fu
fatto da Augusto medesimo, secondo Frontino , il quale
tutte le volte, che per la siccità fosse d'uopo, unì alla
Marcia un'acqua di eguale bontà, che condusse per mezzo»
di un'acquedotto sotterraneo vicino al rivo della Marcia, e
chiamollo col nome di Augusta. Nasceva questa di là dalt*
sorgente della Marcia e per 800 passi di condotto raggiun-
geva il rivo di questa. Questo medesimo rivo di supplimen-
to, dopo l'apertura dell'acquedotto Claudio, l'anno 803 ser-
vì secondo il bisogno per la Claudia e per la Marcia. Forse
questa opera di Augusto fu contemporanea del monumento
di porta s. Lorenzo. «'"> in!
3" In quel monumento medesimo si ricorda un altra
ristauro fatto all'acquedotto dell' acqua Marcia da Tito
in questi termini ; RIVOM. AQVAE. MARCIAE VETV-
STATE. DILAPSVM REFECIT. ET. AQVAM. QVAE.
IN«*¥SV. ESSE. DESIERAT. REDVXIT ; e di tali
guasti e ristauro Frontino non fa menìrione. La memo-
ria di Tito porta la IX potestà tribunicia, la XV accla-
mazione imperatoria , il VII consolato assunto e V Vili
designato, dati, che si riuniscono tutti nell'anno 832 di,
Boma, 79 della era volgare. Sotto Trajano Frontino mi-
surò la quantità di quest'acqua alla sorgente e la trovò
di 4690 quinarie : di queste erogavansi a nome delFina-
peratore , fuori della città 169 : ai privati 568^^: entro
Roma poi 1098 quinarie distribuivansi in 10 delle quat-
tordici regioni, cioè in tutte meno la II , la XI , XII ,
e XIII per mezzo di 51 castelli : vale a dire 116 a nome
dell' imperadore, 543 ai privati, 439 agli usi pubblici,
divise cosi : a quattro alloggiamenti 41 : a 15 edificj
pubblici 41 : a 12 luoghi di spettacolo e di divertimento
pubblico 104 : ed a 113 fontane versanti [lacus) 253.
Trajano però secondo lo stesso Frontino fornì di que-
st' acqua ancora i monti Celio ed Aventino cioè le re-
gioni He XIII che ne mancavano, e la riservò soltanto
all'uso di bere, togliendola da ogni altro uso, e soprattutto
dai vili.
L' acquedotto fu di nuovo purgato e ristaurato da
Garacalla, come si legge nella iscrizione apposta al mo-
numento di porta s. Lorenzo e riportata di sopra nel-
l'art. ANTONINIANA : da questa apprendiamo, che vi
aggiunse una nuova fonte antoniniana, che diramata pres-
so Roma, onde servire alle sue terme j è quell' acqua
Antoniniana che si ricorda dai regionarii. Ecco la espres-
sione con che si rammenta quel ristauro: AQVAM . MAR-
CIAM . VARIIS . KASIBVS. IMPEDITAM . PVRGATO .
FONTE . EXCISIS . ET . PERFORATIS . MONTIBVS .
RESTITVTA .FORMA .ADQVISITO. ETIAM . FONTE .
NOVO . ANTONINIANO . IN . SACRAM . VRBEM .
SVAM . PERDVCENDAM . CVRAVIT. >lls*lr .^ : wvw.
- Diocleziano nel costruire le sue tentìe prcfsso le
300
quali faceva capo il tronco principale dell' acqua Mar-
cia se ne servì per uso di quelle, come può riconoscersi
dalle rovine della conserva ancora esistenti presso 1' an-
golo orientale di quelle terme medesime. É molto pro-
babile, che egli facesse lavori, e ristauri all' acquedotto,
onde r adulazione fece dare a quest' acqua il nome di
lovia da lui adottato, nome, che si conservò almeno fi-
no al secolo Vili alquanto alterato in lobia , e lopia , e
che communicò pure all' Aiitoniniana. Imperciocché in
Anastasio Bibliotecario nella vita di Adriano I. circa
r anno 780 della era volgare si legge , che formam quae
lobia vocatur , che per 20 anni era rimasta caduta, ven-
ne da lui riformata, cioè ristaurata , dai fondamenti. E
circa lo stesso tempo 1' anonimo di Mabillon dà il no-
mo di Forma lopia all' acquedotto antoniniano presso
la porta s. Sebastiano , detta pure porta Appia. Dopo
quella epoca non ho trovato memorie ulteriori di que-
sto acquedotto , il quale credo che rimanesse interrotto
fin dal secolo IX. sia per le scorrerie de' Saraceni nel
distretto di Tivoli, sia per qualche rovina accidentale avve-
nuta al Ponte sul quale sotto s. Cosimato passava l'Aniene,
0 a qualche parte della opera arcuata. fmvy^ ^r.WmmtJ
L' anno 1823 tracciai questo acquedotto lungo la
falda del monte Ripoli , e del monte Affliano : 1' anno
1825 lo tracciai dalle sorgenti fino al monte Ripoli , e
dal colle Faustiniano , fino a Cavamonte : 1' anno 1826
poi da Cavamonte fino alla via latina , e per la via la-
tina fino a Roma. Quindi credo potersene determinare
il corso , avendo i punti fissi .* 1 delle sorgenti sotto s.
Maria dell' acqua Marcia nella valle di Arsoli : 2. dello
speco della osteria della Ferrata : 3. dello stesso sotto s.
Cosimato e negli avanzi del ponte, dove traversava l'A-
niene : 4. delle sostruzioni a sinistra della strada da
Vicovaro a Castel Madama : 5. dell'arcuazione al ponte
^ 301
dègti Arci : 6. dello speco e conserva nell* olivete di
Carciano : 7. del ponte detto della Mola al colle Fau-
stiniano, e quindi di quello detto Lupo , dopo il quale
eosteggiava V acquedotto della Claudia in guisa che si
riuniva alle piscine communi ai sei acquedotti, dell'Aniene
Vecchia, Marcia, Tepula, Giulia, Claudia, ed Aniene nuo-
ra, che si trovavano secondo lo stesso Frontino entro
il VII. miglio sulla via latina : e finalmente de' ruderi
dell'arenazione dell'acquedotto stesso presso la via latina
vicino il casale di Roma Vecchia, a Tor del Fiscale, nel
tratto fra porta Furba, e porta Maggiore, ed a Porta Mag-
giore, e porta s. Lorenzo. «»
Oggi r acqua Marcia si perde noli' Aniene à dè-
stra della via sublacense circa 35 m. lungi da Roma. Il
suo livello relativamente alle altre, che venivano a' tempi
di Frontino teneva il quinto posto essendo superiore a
quello delle acque Alsietina, Appia, Vergine , ed Anie-
ne vecchia : ed inferiore a quello della Tepula , Giulia
Claudia , ed Aniene nuova. Dopo la piscina della via
latina sovraindicata veniva sempre sopra archi, che por-
tavano pure la Tepula e la Giulia, entro spechi sovrap-
posti uno all'altro. Il suo termine in Roma era alla porta
Viminale entro la villa Negroni, dove si divideva per le
varie contrade della città. . -
^iiliiS ai .'jmHm-m :^i MARCHIANA - ■' o«ft<33£iA
Tenimento dell' Agro Romano posseduto oggi dai
Carpegna posto fuori di porta Salaria circa 8 m. lungi
da Roma a destra della via salaria odierna , il quale
comprende circa 940 rubbia di terra divisi ne* quarti
denominati del Casale, del Cannetaccio, di Forno Nuo-
vo , di Tor Madonna , di Campo grande di sopra e di
sotto , del Gallinaro , di Capaccio , e della Torretta : e
302
ne' prati detti della Vignacela, degli Aquiloni, deH'Ara,
della Lungarina, del Fontanile, dell' Orlacelo, dell' Olmo
bello e Prato Scudella , delle Pantanclle delli Cioccati,
e del Rimessone. Confina col Tevere , col territorio di
Lamentana , e colle tenute di Massa , Fonte di Papa ,
s. Colomba, Inviolatella, Ciampiglia, Casal delle Donne,
e Capitignano. ^.vé.^viVt \\\ obnoot»» oiicyb/oi) iv. •>;: ^ ,r,f
Il suo nome sembra derivare da un fundus Mar-
ceUianus, o praedium MarcelUanum , perchè appartenente
ai Marcelli, i quali essendo un ramo dei Claudii ci ram-
mentano le terre date ai Claudii dal ; Senato e Popolo
Romano fra Fidene e Ficulea, secondo Dionisio , tratto
che in parte è compreso dentro questa tenuta. Tal no-
me si ricorda nella bolla di Stefano IV. pertinente al-
l'anno 817, con che quel papa confermò i beni del mo-
nastero di Farfa , dove si legge Fundum Marcilianum :
e di nuovo in una carta dell' anno 1003 , nella quale
si legge come un tal Relizone figlio di Palombo rice-
v«tte in enfiteusi da Ugone abbate di Farfa alias rei
ubi dicitur Marcilianum insieme con altri beni. Docu-
menti sono questi che il Galletti estrasse dall' archivio
tli Farfa e publicò nella sua opera del Primìcero p. 174
e 232; ed essendo il primo di questi del principio del
secolo IX darebbe forza alla mia opinione , che possa
derivare tal nome dai Marcelli } ma quel Marcilianum
secondo i confini, che ivi si additano, sebbene in Sabi-
na, era molto lontano da questo lenimento, poiché era
presso Gavignano , ed il rivo Galantino , ivi chiamato
rivus Calentinus. Forse però di questo fondo si tratta
in un documento ricordato dal Casimiro nel Storia di
Araceli e pertinente ai 30 di Settembre dell' anno 985,
dal quale apparisce , che Pietro abate di s. Maria de
Gapitolio avvertì Martino abbate di s; Cosimato in Mica
Aurea di dare ad affitto il casale de' Marcelli. Man-
303
cano però , pef quante ricerche io abbia fatto , notizie
ne' tempi bassi sopra questa terra. Dalle rovine esistenti
a MarcigUana vecchia apparisce, che fosse uno di quei
tanti castra dell'Agro Romano, wifimrui*. ài ouioii lu;»
Il casale di Marcialiana è in nna-sitiiazioite ntb^
nissima, posto sopra un colle alto, coperto di alberi, do-
minante la via salaria moderna e tutta la valle del Te-
vere alla quale sulla riva opposta fanno corona i monti
di Prima Porta già Rubrae. Ivi in lettere de' buoni tem-
pi lessi la seguente iscrizione sopra un cippo scornicia-
to, alto 3 p. e mezzo largo. 2,
d»\i,' . ili -Mi
D . M
CAELIAE
hn^ÀP
r\
GAI . FIL
U^
. . SECVNDILLAE
Ivi pure notai un pezzo di architrave curvilineo, un
fregio dorico , che nelle metope presentava alternativa-
mente armi e rosoni: una bocca di pozzo di travertino,
frantumi di colonne di marmo ec. indizii chiari di una
fabbrica anticamente esistente nel medesimo sito. ,5)0.1
Nella tenuta si fecero scavi lungo l'andamento del-
la via salaria antica, presso la Rufalotta l'anno 1825 e
1826 e si trovarono avanzi di bagni del tempo degli An-
tonini: una lapide greca di Atticilla figlia di una madre
dello stesso nome e di un padre re: un' altra latina di
Elia Cecilia Filippa madre di Serio Augurino : una ur-
netta che contenne le ceneri di Nevia Spendusa morta
di anni 30: un peso col consolato di Tiberio Claudio Au-
gusto, e Lucio Vitellio per la terza volta, pertinente al-
l' anno 47 della era volgare: molti frammenti di basso-
rilievi ed ornati di terra cotta, quattro piedi di bronzo
di sostegni di un letto, eh* furono rinvenuti riposti en-
304
tro una vcttina , portanti le immagini delia Vittoria, e
le zampe di leone, ed un gran rhyton di marmo, orna-
to di pampini ed edera insieme intrecciati. Varii marchi
col nome di Aproniano e Petino consoli dell' anno 123
della era volgare, ne'tempi di Adriano, sembrano dover
determinare che i ruderi frai quali si fecero queste sco-
perte non erano anteriori a quella epoca. Altri scavi fat-
ti nel 1833 fecero scoprire un gran pavimento di mu-
saico bianco e nero rappresentante Tritoni e Nereidi, an-
che esso parte di una fabbrica destinata a bagni.
MARCO SIMONE
Oolagoi-fiolagai-fiolagari
éasttmi 0. inonesti.
Tenuta dell'Agro Romano posta fralle vie tiburtina
e noraentana, circa 9 m. lungi da Roma, pertinente ora
ai Borghese, la quale si compone di quattro distinte te-
nute, cioè di s. Eusebio, Marco Simone, Caputo, e Pe-
dica Croce. Comprende rubbia 633 e mezzo divise ne'
quarti di Capalto, P edica delle Ginestre, Fonte Massa-
rola, s. Eusebio, Pisciarello, Marco Simone vecchio, e
Pediche della Fornace, dell' Acquaviva, e del Casale. Con-
finano Marco Simone e Caputo con Forno Casale, Torre
Rossa, Castell'Arcione, Monte del Sorbo e Pilorotto, Ca-
sanova , Casal vecchio , col territorio e colla strada di
Mentana. S. Eusebio e Pedica Croce poi col Teverpne,
Torre Rossa, Prato lungo e Forno Casale. ^ -t
Ne' secoli bassi questa tenuta fu nota col nome di-
castrum , o castellum s. Honesti , e la contrada si disse
Volagai, Bolagai, Bolagari, denominazione certamente an-
305
teriore al secolo Xli. come sono per mostrare, ma d'in-
certa etimologia. L'archivio di s. Maria in Via Lata è
quello che fornisce lumi sopra questa contrada; veggan-
si i cod. vat. n. 8049,50. Il nome posteriore sorse nel
secolo XVL 'f-
Nel registro di Cencio Camerario inserito dal Mu-
ratori nel tomo V. delle Antiquitates Medii Aevi si leg-
ge, come Gregorio giuniore papa, cioè Gregorio IL die
in enfiteusi ad Anna religiosa , ed a due altre persone
i fondi denominati Argenti, Verclanum, Lugeranum, Col-
li vercorum, e Toleranum per due soldi di oro, ed i fon-
di Tuci, Trasis, Sananum, e Possessianum per 50 soldi
bizantini d'oro, e che questi fondi erano parte del cor-
po della Massa Sabincnse, e stavano sulla via tiburtina,
circa il X miglio, più, o meno, formando parte del pa-
trimonio tiburtino. Tali particolari coincidono bene in
parte colla tenuta di Marco Simone, in parte coi fondi
adiacenti, e forse da quella epoca deriva il dominio che
sopra alcuni di essi ebbero prima il monastero delle mo-
nache di s. Ciriaco, e poscia il capitolo di s. Maria in
Via Lata. L'anno 1116 si ricorda il nome di Volagai in
una Carta esistente nell'archivio del monastero sovrain-
dicato, nome che poscia più communemente Bolagai, e
Bolagay, ed alle volte anche Bolagari s'incontra in mol-
te altre Carte di quello stesso archivio fino all'anno 1351,
cioè negli anni 1168, 1179, 1191, 1201, 1204, 1209,
1226, 1230, 1234, 1259, 1262, 1264, e 1351.
Ora in quelle carte si fa menzione l'anno 1179, e
l'anno 1261 della Fontana Massaroli, e Massarole, sor-
gente, che esiste ancora entro la tenuta di Marco Simo-
ne e dà nome al quarto di Fonte Massarola; come pure
in quella del 1262 di una terra di Capo ad Alto, e Ca-
palto è il nome odierno di un altro quarto della stessa
tenuta; per conseguenza non può rimaner dubbio sulla
20
306
ìdentilà delia contrada di Bolagai, o Yolagai col (ratto
occupato da questo lenimento e da qualche parte di quel-
li attinenti. La sorgente Massarola formava un laghet-
to, il quale d'uopo è riconoscere per quello indicato col
nome di Massalori, o Massaia uri nella bolla di Callisto
II dell'anno 1124, presso il quale era una chiesa di s.
Onesto, donde trasse nome un castello, che poscia yì fu
costrutto. Questo castello , che castrum s. Homsti viene
chiamato nelle carte de' tempi bassi passò per enfiteusi
in mano de' Capocci , e Giovanni Capocci nel 1287 no
vendette la metà a Gentile di s. Martino a'Monti: Cod.
Vat. n. 8048. Nel 1310 Giovanni cugino del preceden-
te vendette pel prezzo di 1500 fiorini d'oro la sua por-
zione. Nel 1343 apparisce da un atto esistente nell'ar-
chivio di s. Angolo in Pescarla e nel cod. vat. 7934, cho
la metà di esso era stata data dalle monache in enfiteu-
si ai figli ed eredi di Annibale di Cave ed a Stefania
sua consorte, e l'altra metà fu allora data pure in en-
fiteusi a Celso di Processo Capoccio de' Capoccini. Gli
eredi di Annibale di Cave venderono nel 1364 la loro
porzione agli Orsini , mentre 1' altra metà fu nel 1379
confermata in enfiteusi ai Capocci: Cod. Vat. 7972. Per
successivi acquisti dell'anno 1422 e 1425, come si trac
da Atti esistenti nell'archivio Orsino, lutto intiero que-
sto castello di s. Onesto, ed una quarta parte delle te-
nute di Capo d' alto e Capo di vecchio divennero pro-
prietà degli Orsini. Nel 1452 ne aveano di già alienata
una metà, mentre l'altra metà del diroccato castello era
tuttora in loro dominio: Cod, Val. 2553. Ma poco dopo,
nel 1457 era passata tutta intiera questa tenuta ai mo-
llaci di s. Paolo, che la vendettero allora per 6500 fio-
rini a Siitione de' Tebaldi dottore in medicina , vendita
confermata da Callisto III. Gli alti si leggono nel cod.
\at, n. 8029 e nell' Archivio Capitol. Cred. XIV. toro.
307
LI. Non è improbabile cbe da questo Simone avesse ori-
gine il nome attuale della tenuta, vale a dire, che chia-
mandosi egli secondo l'uso di que'tempi come Magister
Artiurriy Maestro Simone, il volgo ne fece la tenuta di
Mastro Simone: e siccome in que' dintorni fece acquisti
r anno 1327 un Marco Simone si confuse il nome di
questo vicino con quello del fondo in questione, e que-
sto nome poscia non si è più mutato. Successivamente
passò in potere de'Gesi, duchi di Acquasparta, ed i lo-
ro stemmi, le loro memorie, ed il nome del celebre du-
ca Federico Cesi rimangono ancora nel casale, il quale
fu da me visitato l'anno 1830. Rimase questa famiglia
in possesso di questo fondo fino all' anno 1678 , in che
lo vendette ai Borghese, che ne sono i signori attuali.
Neil' esaminare questa tenuta in varie parti 1' anno
1830 vidi giacente per terra presso il fontanile nel quar-
to denominato il Pisciarello un piedestallo di marmo con
iscrizione mutila in parte e generalmente corrosa , spe-
cialmente nelle prime sei linee, la quale in caratteri o-
blonghi, che aveano il tipo del primo periodo del secolo
HI. dice così:
308
SEr . Calpurnio Domitio • ' '- • -
DEXTRO G M V
cos . ORD XV VIR SAc . Fac
leg . PROV ASIAE cur . r . p. •^- .* v?
MINTVRNENSIVM
ITEM CALENORVM CVR . V . AEM
. pr . aliMENTORVM PRAET TVTEL
pontifici CANDIDATO -i m
tRIVM VIRO MONETALI
cALPVRNIA . RVFRIA
AEMTLIA . DOMITIA
SEVERA C F . FILIA -
PATRI . PIISSIMO
SECVNDVM VOLVNTATE EIVS
Questa medesima lapide fu poi publicata insieme colle
altre due seguenti ivi posteriormente trovate, nel bullet-
tino di Corrispondenza Archeologica dell' anno 1833 p.
64 con note de'ch. archeologi O. Kellermann e R. Ror-
ghesi; e meno qualche variante insignificante quella co-
pia è concorde con questa ad eccezione delle lettere C
M, iniziali di Clarae memoriae, cioè viro che si leggono
dopo il cognome DEXTRO, e che nel buUettino ripor-
tansi CRI quasi iniziali di un secondo cognome CRISPO,
o CRISPINO, o come piace al Rorghesi CRISPINIANO,
o CRITONIANO ; della quinta riga , che io lessi MIN-
TVRNENSIVM ed essi MINTVRN . HISPEllatiVM; e
della ottava, nella quale chiara mi apparve la sillaba CI
ultima della parola Pontifici, ed essi credettero leggervi
QVAE STORI. Ma è fuor di dubbio che importantissima
è questa lapide, come quella, che determina bene il pre-
nome del console Destro che fu SER , cioè Servio , e
non Caio, come ne' Fasti communemente riportasi. Giu-
stamente poi il Rorghesi in quella dottissima illustrazio-
309
ne notò indubitati essere i nomi suppliti di Calpurnio
Domizio, appoggiandosi ad un marmo barberiniano, ri-
portato dal Fabbretti , nel quale leggonsi i nomi stessi
delle femmine qui ricordate, alle quali CALPVRN . DO-
MITIVS . DEXTER . COS . XV . VIR . SAC . FAC . pose
un monumento, ed ivi il nome di Severa sua figlia vie-
ne accompagnato dalle sigle G . F cioè darà [emina. Or
dunque da questa lapide apprendiamo, che Servio Cal-
purnio Domizio Destro (figlio probabilmente di Caio Do-
mizio Destro, che fu console per la seconda volta l'an-
no 196), uomo di chiara memoria fu console ordinario
(l'anno 225) quindicemviro per le cose sacre, legato del-
la provincia dell'Asia, curatore della republica de'Min-
turnesi, de' .... ed anche de'Caleni, curatore della via
Emilia, prefetto degli alimenti, pretore della tutela, pon-
tefice candidato, e triumviro monetale; e che a lui que-
sto monumento forse troppo semplice fu eretto da Cal-
purnia Rufria Emilia Domizia Severa chiara femmina
sua figlia. Probabilmente in questo luogo era una terra
del defunto, dove secondo il costume commune fu a lui
eretto il monumento.
Le altre due lapidi dicono, la prima:
SEX . PEDIO
SEX . F . ARN
HIRRVTO
PRAET
^ SEX . PEDIVS
HIRRVTVS
LVCILIVS . POLLIO
FIL . PRAET
cioè a Sesto Pedio figlio di Sesto, della tribù Arniense,
Hirruto , pretore , Sesto Pedio Hirruto Lucilio PoUionc
310
suo figlio pretore pose. La seconda è ad onore del fi-
glio di questo ed è frammentata:
SEX . PEDIO . SEX . F
ARN . HIRRVTO
LVCILIO . POLLION
COS . PRAEF . AER . MILITAR
II Q AVG IVRIDIC PICEN ET
VAL. . . . PR. . . .
A Sesto Pedio figlio di Sesto dell'Arniense Hirruto Lu-
cilio Pollione console , prefetto dell' erario militare per
la seconda volta, questore, augure, iuridico del Piceno
e della Valeria .... pr ... . Sulla interpretazione
della quinta linea il Rorghese emette molti dubbj: l'an-
no preciso del suo consolato è incerto : il titolo di iu-
ridico del Piceno e della Valeria lo mostra certamente
non anteriore a M. Aurelio^ che istituì tale officio. Que-
ste due lapidi conducono a credere , che anche i Pedii
avessero in queste parti un fondo.
S. MARIA DI CELSANO v. CELSANO
5. MARIA DEL MONTE
€astellum Q. ^Ingeli
MONTE S. ANGELO.
È un castello diruto de'tempi bassi posto sopra la
punta di un monte da che trae nome, fra Casape, e Po-
li formando con queste due terre un triangolo equilate-
ro, di circa 3 miglia per ogni lato. Vi si va da Tivoli
311
e da Poli. Anilaudoyi dalla parte di Tivoli la strada più
coraraoda è quella di Cardano passando por Gericomio,
s. Gregorio e Casape, terre descritte negli articoli rispet-
tivi e da questa parte è distante da Tivoli circa 12 mi-
glia. L'altra pure da Tivoli è quella, che passando per
la valle degli Arci, scavalca il dorso del monte Allliano
presso s. Maria Nuova, e di là scende a s. Gregorio e
risale a Casape; questa senza essere più breve è molto
più scoscesa , essendo nel tratto del monte Alfliano un
sentiero faticoso di montagna. Lo stesso può dirsi del-
la strada che vi conduce da Poli) sia che si devii a si-
nistra della strada romana presso la villa Catena , sia
che vi si vada da Poli direttamente.
I Andandovi da Casape si siegue la direzione di un
sentiero, che uscendo dal villaggio torce a destra; i ru-
deri del castello veggonsi torreggiare da lungi sulla ci-
ma del monte: e primieramente si sale un dorso, e quin-
di scendesi ad una piccola conserva antica) si risale di
nuovo, onde valicare un secondo dorso, e quindi si scen-
de : sulla punta del terzo sono le rovine del villaggio.
Le prime ad incontrarsi sono quelle di una chiesa già
dedicata a s. Maria, e perciò dicesi questa punta s. Ma-
ria del monte : annesso a questa è un convento ancor
esso cadente; la costruzione di questo, come pur quel-
la della chiesa è del secolo XVII: e sono fuor del vil-
laggio, quantunque siano entro un recinto difeso da tor-
ri. La chiesa è divisa in due navi, e l'aitar nàaggiore é
come separato dal resto, ed é coperto da una cuppola*
II convento poi è a due piani, de'quali il superiore, com-
ponesi di un corridore con celle. Il villaggio abbandona-
to e diruto , che trovasi dopo il convento ha la pianta
di un parallelepipedo , come gli altri castelli de' tempi
bassi, e sì il recinto, che le case sembrano edificate nel
secolo XII , o XIII ; la fortezza occupava il lato orieur
312
tale, e verso l'angolo occidentale era la chiesa dedicata
a s. Michele arcangelo, ricordata fin dall'anno 978 nel-
la bolla di Benedetto A'^II. edita dal Marini ne' Papiri
Diplomatici come situata entro la Massa di Camporazio
sulla cima del monte, sotto la denominazione di chiesa
di s. Angelo, onde GASTELLVM S. ANGELI si disse il
castello, nome che communicò ne'tempi passati al mon-
te stesso, che nelle carte de' secoli decorsi viene appel-
lato Monte s. Angelo : ecco , come viene in quel docu-
mento indicata: Fundus seu Massa Caporacie cimi mons,
ubi est in cacumine ecclesia s. Angeli, qui dicitur Fadanu.
Questo segmento ci dà nello stesso tempo il nomo, che
allora portava il monte, cioè Paiano, forse corrotto da
Fabiano. La facciata di questa chiesa è pure rivolta ad
occidente ; nell' interno rimangono vestigia delle pitture
che l'adornavano, lavoro del secolo XIIL
Da s. Maria del Monte volendo andare a Poli , si
scende versa oriente ad un riganolo, e quindi alla Ma-
donna soprannomata del Pisciarello per un antro, da cui
trapela acqua, che ivi ristagna. Costeggiando una valle
dominata a sinistra da un colle , e quindi da rupi che
prenderebbonsi facilmente per mura formate da enormi
poligoni, si sale finalmente alla Terra di Poli^
Siccome non molto lungi da questo Castel s. An-
gelo è l'altro, che ne'tempi bassi portò lo stesso nome^
che oggi appellavasi Castel Madama, e che è nello stes-
so distretto di Tivoli, come questo, perciò è stato so-
vente dagli scrittori de'tempi andati confuso uno coU'al-
tro. L'unica memoria però che ci sia rinìasta di questo
è nell'archivio sublacense dalla quale apparisce, che l'an-
no 1053 Emilia abitante e contessa di Palestrina, vedo-
va di Donadio, e figlia di Giovanni e di Hitta, pronipo-
te del celebre Crescenzio prefetto di Roma fra altri fon-
di donò ancora la metà di questo castello ai monaci su-
313
blacensi. L'abbandono di esso non è certamente anterio-
re alla guerra del 1557. detta de' Caraffeschi , come
quello della chiesa e convento debbesi alle vicende del
1799. Ja>*.i=
i i S. MARINELLA -V\mCYM.
Ultima tenuta dell'Agro Romano verso il territorio
di Civitavecchia, pertinente all' ospedale di s. Spirito e
confinante col territorio suddetto , e colla spiaggia del
mare. Essa comprende circa 313 rubbia divise ne'quar-
ti denominati Punton del Castrato , Pian della Vacche ,
e s. Maria Morgana e Campo Rosso. La ristrettezza del
rame non ha permesso che potesse includersi nella Map-
pa, poiché è 6 m. più oltre di s. Severa.
Nell'appressarsi a questo casale dal canto di Roma
d'uopo è riconoscere che la sua situazione sopra un pic-
ciolo promontorio , che domina tutta la spiaggia è così
ridente ed amena, che certamente non potè rimanere nei
tempi antichi trascurata, come quella che d'altronde tror
vavasi a contatto colla via aurelia , e gli avanzi di un
ponte antico di essa sul rivo detto Gastrica attirano an-
cora per la mole de' massi che ne compongono l'arco 1'
ammirazione de'viaggiatori. Sotto il promontorio il mare
forma una picciola baia , che sebbene di poco fondo è
molto utile almeno ai battelli in una spiaggia cosi pri-
va di ricovero come questa. Neil' Itinerario marittimo ,
come in quello della via aurelia, che va sotto il nome
d'Itinerario di Antonino, dopo Pyrgi corrispondente a s.
Severa si ha Castronovo, otto miglia distante, verso Cen-
tumcellae, o Civitavecchia: e le rovine di Castronovo,
ricordato da altri scrittori antichi furono riconosciute
per le scoperte fatte , due miglia più oltre di s. Mari-
nella presso la torre della Cbiaruccia. Nella Carta Peu-^
314
lingeriana poi fra Pyrgi e Castronovo si pone la stazio-
ne ad Punicum VI. ra. distante da Pyrgi ; quindi mi
sembra con molta probabilità riconoscere in s. Marinel-
la il sito di quella stazione , poiché coincide la distan-
za di Pyrgi, e la località vi si accorda. E tale denomi-
nazione avrà tratto origine, come pure oggi accade ne'
nomi delle stazioni postali , o dalla circostanza di un
qualche albero di melogranato, o da qualche insegna, che
questo albero medesimo portasse. Non cosi corretto poi
nella Carta Peutingeriana é il numero della stazione se-
guente di Gastronovo, la quale stando di fatto due mi-
glia di là da s. Marinella fa correggere necessariamen-
te il numero Villi in II quello delle miglia, che dopo
Punicum accompagna Castronovo.
MARINO - CASTRIMOENI VM.
Plinio Irb. III. e. V. §. IX. nomina fralle colonie
nel Lazio esistenti a' suoi giorni i Gastrimonienses , co-
Ionia che direbbesi derivata dai Moenienses, o Munien-
ses primitivi, che poco dopo enumera frai 53 popoli del
Lazio, che perirono senza lasciar vestigia: interiere sine
vestigiis. L'autore del trattato de Coloniis attribuito a Fron-
tino mostra che era un oppidum , che per la legge di
Siila fu munito, il cui territorio prima era stato tenuto
per occupazione , e poscia fu da Nerone assegnato ai
tribuni, ed ai soldati: Castrimonium oppidum lego sullana
est munitum: iter popolo non debetur: ager eius ex occupa-
tione tenehatur : postea Nero Caesar tribunis et militibus
eum assignavit: non può pertanto porsi' in dubbio la esi-
stenza di un luogo di questo nome, il quale d'altronde
è ricordato ancora in molte lapidi, che ne determinano
la ortografia vera in Castri-moeniam, come in Castri-moe-
nienses, quella del popolo. E dal passo sovraindicato ap-
315
parisce, che fu munito per la legge sillana, siccome dal-
le iscrizioni riportate dal Grutero pag. CCCXCVII. n. 3
e dal Fabretti p. 688 risulta, che avea il suo principe,
i suoi patroni, e decurioni come altre colonie e munìci-
pj, e che fioriva ancora sotto Antonino Pio.
Queste lapidi furono rinvenute tutte presso Marino,
e per conseguenza ivi quella colonia dee collocarsi, tan-
to più che il sito di Marino pel suo isolamento si an-
nunzia per quello di una città antica. Si esclude pertan-
to la opinione del Volpi, che supponeva Castromoenium
essere il campo di pretoriani stabilito nel sito dell'odier-
no Albano. Quando però dopo Antonino si estinguesse
questa colonia è incerto , come incerta pure ò la epoca
in che per la prima volta il nome di Marino si desse
al luogo della città odierna; vero e che Anastasio nel-
la vita di Silvestro I. parlando della chiesa o basìlica di
s. Giovanni Battista edificata da Costantino in Albano ,
frai doni, che le assegnò, vi fu quello di una possessio
Marinas, che rendeva 50 soldi; ma quel nome non è si-
curo, poiché in altri testi diversamente si legge, Mari-
tanas, Marianam, e Mariana. Da molte carte de' tempi
bassi riportate dagli annalisti camaldolesi, e da altre esi-
stenti negli archivii privati, sembra potersi stabilire, che
ne'secoli X ed XI. tutta la falda settentrionale del mon-
te fra le vie appia e latina si dicesse Moreni, e questo
nome io credo aver data origine a quello che ebbe la
Terra, che poscia formossi sul sito dell'antico Castrimoe-
nium, il quale dapprima Moreni, poi Mareno ed in fine
Marino, e Marini si disse.
E questa terra per quanto io conosco non si formò
prima del secolo XIII. e forse fu tutta opera degli Or-
sini , che in quel secolo cominciarono ad emergere. La
prima memoria, che ne ho incontrato è nel supplemento
alla storia di Federico II. di Niccolò de lamsilla ripor-
316
tata dal Muratori Rerum Ital. Script. T. Vili. col. 613.
Ivi si narra come l'anno 1265 vi si ritirò Rainaldo Or-
sini, e vi si difese eontra Enrico senatore di Roma. Era
dunque a quella epoca di già un castello , ed apparte-
neva agli Orsini, che lo ritennero fino al secolo XV. Fer-
reto Vicentino scrittore contemporaneo riportato dal me-
desimo Muratori T. IX. e. 1002 narra, che nel 1302 ivi
stava Sciarra Colonna, allorché Filippo il Bello aprì con
lui trattative eontra papa Bonifacio Vili. Durante il reg-*
gimento di Cola di Rienzi questa Terra degli Orsini at-
trasse a se l'occhio di quel tribuno, e nel 1347 Giorda-
no Orsini da lui bandito da Roma ivi andò a ritirarsi,
e raccolta molta gente uscì irt campagna : e dopo aver
messo a ferro e a fuoco i dintorni di Roma di nuova
si ritirò in quella Terra di suo dominio. Sembra , che
questo Giordano grandi servigi recasse all'antipapa Cle-
mente VII. poiché questi diresse ai 2 di dicembre 1378
un breve in suo favore, come signore di Marino, in-
vestendolo del dominio di Nemi, Genoano ed altre ter-
re. In quell'anno medesimo Marino era stato assalito dai
Romani , i quali conchiusero con Giordano un accordo.
Veggansi per questi fatti relativi a Giordano il Chron.
Estense presso il Muratori Op. cit. T. XV. p. 443. il
Ratti nella Storia di Genzano n. V. de'documenti, e l'In-
fessura presso il Muratori Op. cit. T. III. P. II. col.
1115.
Nel secolo seguente durante il pontificato di Marti-
no V. Marino divenne proprietà de'Colonna, ed ivi quel
papa trovavasi l'anno 1424, quando secondo l'Infessura
sovrallodato , venne a morte Giordano Colonna suo fra-
tello. E nota la guerra , che dopo la morte di Martino
V. insorse frai Colonnesi, e papa Eugenio IV. suo suc-
cessore. Questi ai 18 dicembre 1431 fulminò una bolla
contro Prospero Colonna cardinale, e frai motivi si alle-r
317
ga quello che in luogo di fare restituire alla Chiesa i
castelli , e le fortezze occupate dalle genti di Antonio
Colonna , al contrario le avea animate co' suoi scritti a
non renderle, ed avea disposto a danno di Roma il ca-
stello di Marino a lui lasciato in testamento da papa
Martino. Voggasi la vita anonima di Eugenio IV. ripor-
tata dal Baluzi nella Miscellanea p. 331. Pertanto l'anno
1436 fu Marino assalito, preso, e disfatto dall'arcivesco-
vo di Pisa Giuliano Ricci legato di Eugenio, siccome si
ha nel Diario riportato dal Muratori T. XXIV. p. 1114.
Ritornò dopo in potere de'Colonna, che lo riedificarono
e visi fortificarono nella guerra insorta sotto Sisto lY,
G nel 1482 i Marinesi fecero una scorreria fin dentro
Roma ai 30 di maggio, portando via un tal Pietro Sa-
vo Macellaio, come narra il Nantiporto presso il Mura-
tori T. III. P. II. p. 1071. Nello stesso anno ai 5 di
giugno entrovvi il duca di Calabria e vi alloggiò ; ma
pochi mesi dopo ai 24 di agosto questa Terra fu forza-
ta ad arrendersi alle genti del papa. Veggasi il Nanti-
porto sovrallodato. Nell'accordo poco dopo seguito l'an-
no 1483 fu restituito ai Colonnesi; ma l'anno seguente
ai 26 di giugno fu preso ad istigazione di Luca Anto-
nio da s. Gemini , dal contestabile delle truppe papali
Andrea da Norcia, meno la rocca che continuò a difen-
dersi; veggansi il Nantiporto e l'Infessura presso il Mu-
ratori. Tornò dopo in potere de'Colonna, i quali tuttora
Io ritengono. 1 • ■>• r >
Marino è una città di 4442 abitanti , circa 12 m.
distante da Roma, alla quale si va per una strada, che
diverge a sinistra da quella consolare di Napoli circa 10
m. fuori della porta s, Giovanni, e dopo aver traversa-
to i campi per 2 m. comincia a salire la falda dipenden-
te dalla cresta di Alba longa, sopra il cui ripiano è si-
tuata questa città che gode aria purissima, ed un'ampia
318
veduta della campagna romana. La sua longitudine fu
nell'anno 1824 determinata dagli astronomi Conti e Ric-
chcbach a gradi 30, 18', 59', 2: e la latitudine a 41",
46', 10% 2, e la sua altezza dal livello del mare , mi-
surata alla sommità della facciata del duomo è di 1210
piedi e 3 poli. La città è ben fabbricata; la strada del
Corso, che la traversa nella lunghezza, la piazza, ed il
Duomo sono degni di particolare menzione. La vecchia
Terra degli Orsini e de'Colonnesi conserva gli avanzi del
suo recinto, e qualche torre rotonda del secolo XV, sul-
la quale ancora sono gli stemmi de'Colonnesi che le in-
nalzarono. Nel Duomo, che è dedicato all'apostolo s. Bar-
naba , il quadro dell' altare maggiore rappresentante il
santo titolare è di scuola guercinesca, distinguendosi spe-
cialmente per la forza del colorito e del chiaroscuro :
sull'altare della crociata poi a mano sinistra di chi en-
tra è un quadro del Guercino stesso rappresentante s.
Bartolommeo} pittura di gran merito originale, e di gran
pastosità specialmente nella figura del santo , ma molto
ritoccata e guasta dai ristauri moderni. Un altro quadro
pregevolissimo è nella chiesa della Trinità a sinistra del-
la strada del Corso, il quale rappresenta la Triade san-
tissima: il Padre Eterno tiene sulle sue ginocchia il Fi-
glio immolato e nel petto lo Spirito fiammeggiante: que-
sto è opera di Guido Reni: bello è il disegno, ma la com-
posizione è fredda, e la espressione ed il carattere del-
le figure è troppo triviale e basso per la subblimità del
soggetto.
Marino ha molto perduto dopo che papa Pio VI ,
disseccando le paludi pontine , riaprì la via appia per
andare a Napoli; imperciocché antecedentemente per que-
sta città passava la strada postale diriggendosi a Velie-
tri, e di là a Terracina girando intorno alle pendici de'
monti lepini.
319
A pie di Marino verso oriente fra questa città ed
Albalonga s'inforca una convalle solinga, ombreggiata da
un bosco, che chiamano il Parco di Colonna, luogo ce-
lebre nella storia latina, come quello, che era destinato
a tenere le assemblee nazionali durante la indipendenza
del Lazio negli affari più importanti della confederazio-
ne , e del quale col nome di Ferentinum , Lucus Feren-
tinae, Caput Aquae Ferentinae fanno menzione Dionisio e
Livio. Il primo di questi Scrittori lib. IIL e. XX, mo-
stra , come avendo Tulio Ostilio dopo la distruzione di
Alba messo fuori la pretensione di essere succeduto an-
cora nella primazia, che questa esercitava sulle altre ter-
re latine , queste convocarono la dieta nazionale ev $s-
^éVTtvw, in Ferentino, decretarono di non sottomettersi,
ed elessero per duci colla facoltà della pace e della guer-
ra Anco Publicio Corano, e Spurio Vecilio Laviniate. Di
nuovo ivi si radunarono , secondo lo stesso storico lib.
IIL e. LI, a' tempi di Tarquinio Prisco, onde porre ar-
gine alle conquiste di qael re. Quello stesso storico lib.
IV. e. XLV, narra a lungo la dieta ivi tenuta a' tempi
di Tarquinio il Superbo, ed i fatti, che l'accompagnaro-
no, seguiti dalla morte ivi data a Turno Erdonio depu-
tato aricino, per i maneggi infami del re di Roma. Do-
po la espulsione de're vi tennero generale adunanza i La-
tini l'anno 254 di Roma, nella quale si decise di muo-
ver guerra ai Romani , onde rimettere i Tarquinii sul
trono : Dionisio 1. V. e. L : e di nuovo due anni dopo
nell'assedio di Fidene: ivi e. LII, e finalmente l'anno 258,
poco prima della battaglia al lago Regillo : Dionisio e.
LXI. Livio ricordando gli stessi fatti , cioè la morte di
Turno Erdonio lib. I. e. L. e seg. e la lega latina per
ristabilire i Tarquinii lib. IL e. XXXVIII chiama il luo-
go dell'adunanza Lucus Ferentinae, e Caput Aquae Feren-
tinae quello del supplizio di Turno , e di nuovo Caput
%■:
320
Fermtinum quello dell'adunanza. Egli stesso poi rammen-
ta , come r anno 402 di Roma , cioè poco prima della
ultima lega latina vi tennero la ultima dieta.
'■■ Da tutti questi passi insieme uniti apparisce, che
tali diete si tennero successivamente dalla distruzione
di Alba fino alla ultima lega latina, cioè durante tutto
il tempo della indipendenza de' Latini da Roma: che si
tenevano in un bosco sacro ad una dea indigena, det-
ta Ferentina, la quale probabilmente è identica colla Fe-
ronia de' Sabini, degli Etrusci, e de' Volsci, che questo
luco o bosco sacro conteneva una sorgente, caput aquae,
nel quale fu gittato ed annegato, {orate superne iniecta
saxisque congestis) il misero Turno Erdonio vittima del-
le trame di Tarquinio: d'altronde è noto, che questo era
sotto il monte Albano. Queste circostanze riunisconsi nel
bosco sovraindicato, sotto Marino, che è un luogo de'più
interessanti, e de' più pittoreschi de' contorni di Roma,
dove nel parco Colonna circa I miglio entro la conval-
Ic si vede ancora il Caput Aquae, che non presentan-
do una profondità sufficiente per annegare forzò a git-
tare sopra Turno un graticcio e sassi per farlo morire.
MARIO MONTE v. MONTE MARIO, r
MARMORELLA
Tenimento dell' Agro Romano distante da Roma
circa 15 miglia, e situato a sinistra della via labicana,
oggi strada della Colonna. Confina co'territorii di Mon-
te Compatri, e della Colonna, e comprende rubbia 107
e mezzo. Appartiene ai Pallavicini, e perciò suole anche
chiamarsi la Pallavicina. Si divide ne'quarti di Valle Pi-
gnola, Valle Canestra, e le Pantanelle : e quest'ultimo
viene così denominato dall' impantanare, che ivi facevano
32il
le acque prima di essere allacciate nell'acquedotto Feli-
ce. Il casale è situato in un ripiano ameno, dal quale
ai gode una veduta vastissima. Nell'anno 1833 percor-
si questo fondo nel perlustrare il tratto fra la via pre-
nestina a Cavamonte e la labicana alla Colonna, e npa
vi rinvenni oggetto degno di particolare menzione., jji'),;
' Mrj bfi (iìoiyyyìt) imÀu-xu) ilnoo'oh f:ì!->';ni c-soqo «Hoii
OS omAsiA'lkMARRANÀ v. CRABRA. .li .ìi.?
-lir.roiO n 'Oii-hivyf MARTJGNANO. <i ib r.:'OiS'jv fixnfiJà
Tjq ftiunovriq ifjl b Aìib&io fi! inn^nnoVl onsìsJS è in
nn-hBb rn ,< ; .. ^^ -/iJ ,^?i:Tnqr:iin>. 191»
Tenuta dell' Agro Romano che è situata a destra
della via Claudia , o strada di Bracciano , ed a sinistra
della cassia, alla quale si trova più vicina, presso Bac-
cano , 20 m. circa lontano da Roma , la quale ha dato
nome al lago adiacente detto dagli antichi Alsietinus, del
quale parlossi nell'articolo proprio: ALSBETINVS LACVS.
Appartiene al Collegio Crivelli. Confina col lago sovrain-
dicato , e con quello di Stracciacappa , col territorio di
Campagnano, e colla tenuta di Polline. E comprende cir-
ca 108 rubbia di terra divise in tre parti.
Il nome naturalmente deriva da quello del suo pos-
sessore originale Martino, e la prima volta apparisce l'an-
no 910, quando Sergio III con una bolla riportata dall'
Ughelli T. I. p. 91. lo concesse al vescovo di Selva Can-
dida, che era allora un Ildebrando. A quella epoca, in-
sieme co'fondi Furctdae, e Tondilianum costituiva la Mas-
sa Caesarea. A quella chiesa fu confermato da Giovan-
ni XIX nel 1026 e da Benedetto IX nel 1033, siccome
si trae dalle bolle riportate dallo scrittore sovraindicato.
Divenne poscia in parte proprietà della famiglia de'Nor-
21
322
mannì, in parte de Curtabraca, e circa il principio del
secolo XIII. era sorto ivi un castrum dello stesso no-
me, anche esso diviso fralle due famiglie sovraindicate.
Il Galletti nella dissertazione sopra Gabio p. 142 mostra
con documenti autentici, come nel 1258 i Curtabraca pos-
sedevano una parte di quel castello : e dall' altro canto
nella opera inedita de' conti tusculani esistente nel cod.
"vat. n. 8043 riporta un Atto esistente nell'Archivio se-
greto capitolino T. LXIII. dal quale ricavasi, come Co-
stanza vedova di Pandolfo Normanni vendette a Giovan-
ni e Stefano Normanni la eredità a lei pervenuta per
la morte de' figli della porzione, che aveano in Cere, Ca-
stel Campanile, Civitella, e Martignano, che ivi designa
col nome di castrum Martingiant. Nel secolo XV, comin-
ciossi ad abbandonare il castello , che oggi è ridotto a
semplice casale. ■■■"
■ J-iCf l'i'"' f: '/'■'; ♦■' '^l?-?J'> /'■*.i*'; •fi!'-
t;b rAi "■ MASSA e FONTE DI PAPA. ' ^'' •
Sul nome Massa commune a questa e ad altre te-
nute e luoghi, non solo dell' Agro Romano, ma ancora
di altre parti d'Italia, veggasi il discorso preliminare,
dove fu notato , che per masse intendevansi le rendite
di fondi insieme riuniti, e che questa definizione si die-
de dal Borghini nello scritto sui vescovati fiorentini, al-
lorché disse, che: navea ancora la chiesa di $. Pietro di
Roma assai buone e ricche pezze , e come le chiamavano
masse. Questo nome rimase ad una tenuta di circa 518
rabbia fuori della porta salaria intersecata dalla strada
moderna di Rieti e posta sul limite dell'Agro Romano
verso settentrione, circa 13 m. lontano da Roma, con-
finante col Tevere, co' territorii di Monte Rotondo e Men-
tana, e colle tenute di Marcigliana e s. Colomba. Essa
appartiene ai Ruspoli. Si divide ne' quarti detti Mezzo
323
de' Monti, Capo de' Piani, Pantanelio, Osteria, Barca, s.
Filippo, e Pie de' Piani. Un rigagnolo, che io solca, da
alcuni fu creduto l'AUia, perchè influisce nel Tevere cir-
ca 11 miglia fuori della porta salaria, distanza che coin-
cide presso a poco con quella indicata da Livio , come
punto dello scontro fra l'esercito romano, ed i Galli; ma
oltre che questo fosso, piuttosto che fiume, è quasi in-
significante, e l'Allia era un flumen, che scendeva entro
un letto profondo, j9raeaZ/o defluens alveo dai monti cru-
stumini, Crustuminis montibus, il che poco si accorda coi
rigagnolo di Fonte di Papa, il sito manca ad un nume"
ro cosi considerabile di gente come fu quello che com-
battè in quella giornata, e d'altronde non può facilmen-
te accommodarsi la descrizione di Livio collo stato fisi-
co de'luoghi. Veggasi ciò che fu notato all'articolo ALLIA.
MASSA QALLESINA.
v.jcjM ir. ùivùì-nìH']?, 'làovìU .nìnnm<m9h.i<fm *>ìui : .
È una tenuta fuori delle porte s. Pancrazio e Ca-
valleggieri a sinistra della via aurelia , la quale appar-
tiene a s. Rocco ed al principe Massimi, e va unita col-
l'altro fondo detto Pedica Maglianella. Comprende rub-
bia 147, e confina colle tenute di Pedica Maglianella s.
Ambrogio, Fontignano, Casal della Morte, Massimilla, Ca-
stel di Guido, Selce, e Maglianella. È divisa ne' quarti
di Pedica Maglianella, Casale, Ara, e Monte rotondo. Il
nome suo attuale è di origine incerta; ma forse una par-
te di essa, se non tutta, fu compresa ne'fondi denomi-
nati nel secolo Vili Gratiniano, Rosario, Canneolo, e Ca-
sale Milliarolo, esistenti secondo Cencio Camerario pres-
so la via aurelia 5 m. distante da Roma, circostanza che
col sito della tenuta di Massa Gallesina si accorda.
324
MASCHIETTO v. PISANA e BRAVA
>,\} ,(;'>'"■' • —
li» 3 MASSIMA ossia ACQUASORGENTE.
••nxo z» '.• . ;;
:' Tenàta' dell' Agro Romano posta circa 5 m. fuori
di porta s. Paolo sulla strada moderna di Ardea, la qua-
le trasse nome dal monastero di s. Ambrogio della Mas^:
sima, a cui appartiene, e che comprende circa 54 rub-^
bia, confinanti colle tenute dplla Cecchignola, Tor Pagnotta,
Tre Fontane, Gasa Ferratella, ed Acquacetosa. Essa avea
il nome di Maxima fin dall'anno 1349, siccome appari-,
sce da una Carta riportata dal Nerini. Quanto a quello
di Acquasorgente , deriva questo da ijna sorgente iri
esìstente, • Mo'j cr/i! ih ruiuiM-j (v;(: ni ifc-i/.uc^jnin.;: ;;; ■
.ivàviJii <>UK)i.»'r 'il .ìihfìi^t'ui) '.'■■
MASSIMILLA,
Kf-V ■ '''y'ìV.
Tenuta cosi denominata, perchè appartiene ai Mas^
simi alle Colonne, e posta 6 m. circa fuori di porta Ca-
valleggicri a sinistra della strada di Civitavecchia, ossia
della via aurelia, la quale comprende rubbia 87 e con-r
fina colle tenute di Pedica Maglianella, Fontignano, Ca-;
stel di Guido, e colla strada consolare. ^
ihu^'i .V.'
i!ifiu{) 'on '•iuih : 5. MATTEO. ^^:'1^Ì .obiih -i.
' Fondo posto sull'ultimo limite dell'Agro Romano,
confinante col territorio di Frascati e pertinente ai Ga'«
votti, il quale comprende 52 rubbia e mezzo.
;-,'iq Olili «;;;;ì li. . o:uìì..J u:ì..^v.., . J,.i^ ...:. ^ ,!.
:t--i /;SHtókO0*Ì:» ,fì/nO;ì. sù r;;!: "ii -iti V {\V"j .
sArio:)Ofi li' it'.U.'ìin^^ i"- ' 't ih ■ii.i'ìvì'! (.l'i'
325
MAZZAUJPETTO v. MOI^TE ARSICCIO,
MAZZALUPO. >
Tenuta che comprende rubbia 74 j posta fuori di
porta Angelica 5 m. circa lontano da Roma e pertinen-
te al Capitolo vaticano. Essa confina con quelle di Lu-
china, Porcareccio, e s. Nicola-
MEDVLLIA.
Dopo il ratto delle Sabine, Romulo diresse le sue
genti contro quelle città circonvicine, che le prime pre-
sero le armi per vendicare l'affronto ricevuto, come An-
temne, Cenina, e Crustumerio, e vi dedusse colonie ro-
mane. Medullia^ che ogni ragion porta a credere, che
fosse nella stessa direzione, cioè verso il confine sabino,
già colonia fondata da Latino Silvio terzo re di Alba ,
apri volontariamente le porte, ricevette anche essa una
colonia romana , e tale fu la fiducia ispirata dal re di
Roma, che Ostilio uomo nobile^ e per ricchezze poten-
te, trasmigrò in Roma e sposò Ersilia, quella stessa, che
insinuò alle Sabine di farsi mediatrici frai Romani ed i
Sabini loro parenti. Venuta la guerra sabina contra Ro-
ma, Ostilio cadde nella pugna data a pie del Palatino,
ed ottenne l'onore di un sepolcro nel luogo più cospicuo
del Foro con una colonna che ricordava il suo valore.
Questi lasciò morendo un figlio, che poi fu padre di Tul-
io Ostilio terzo re di Roma.
Tali notizie si debbono a Dionisio lib. II. e. XXXVI.
lib. III. e. I. e servono a farci conoscere l' antichità, i
primi fasti, e la situazione approssimativa di questa cit-
tà, che alcuni hanno voluto trasportare nelle campagne
del Lazio marittimo. Nel regno di Numa Medullia non
326
ebbe occasione di muoversi ; ma in quello appunto dì
Tulio Ostilio , che ne era oriundo , dopo la distruzione
di Alba riguardata dai Latini come loro metropoli, que-
sta città voleva entrar nella lega latina stretta per non
riconoscere il dominio di Roma. Tulio però si rivolse a
bloccarla e pervenne a persuadere gli abitanti a non far
novità. Dionisio lib. III. e. XXXIV. Ma la guerra scop-
piò più forte sotto il successore, Anco Marzio, il quale
dopo la presa di Tellene, Ficana, e Politorio, e la di-
struzione totale, di questa ultima città incalzò i Latini
fin sotto MeduUia, li mise in piena rotta per testimonian-
za di Livio Ub. I. cap. XXXIII, e posto 1' assedio alla
città, che tre anni innanzi era stata occupata dai Lati-
ni nel quarto anno se ne impadronì per assalto. Dioni-
sio lib. III. cap. XXXVIII. Riaccesasi la guerra sotto
Tarquinio Prisco frai Romani e i Sabini, questi tiraro-
no al loro partito tutte le città latine a settentrione di
Roma, fi-alle quali anche Medullia, che fu insieme- col-
le altre presa dal re di Roma. Livio lib. I, e. XXXVIII.
Dopo quella epoca Medullia rimase fedele ai Ro-
mani fino all'anno 262, in che avendo i Sabini mossa la
guerra a Roma, i Medullini defezionarono e si collega-
rono coi Sabini. Dionisio lib. VI. e. XXXIV. Non si co-
nosce bene come andasse a terminar quella guerra,, poi-
ché circa quel tempo avvenne la famosa ritirata sul Mon-
te Sacro; sembra però che terminasse amichevohnente ^
né poscia più si ricorda Medullia. Ma sibbene apparisce
che come di là derivava la gente Ostilia , così pure di
là venne l'altra non meno illustre famiglia Furia, il cui
stipite Sesto Furio Medullino Fuso ebbe l'onore de' fa-
sci l'anno 266, cioè soli 4 anni dopo la ritirata al Mon-
te Sacro, E questo stipite poscia si suddivise ne' rami
de'Pacili, de'Camilli, de'Phili, de'Crassipedi, de'Purpu-
reoni, e de'Brocchi,
327
Questi fatti mostrano, che Medullia era in quella
parte del Lazio superiore, che è limitrofa co'Sabini. In-
fatti nella spedizione di Romulo descritta geograficamen-
te da Dionisio, si pone prima Antemne sulla riva sinistra
dell' Aniene al confluente di questo fiume col Tevere ,
poscia Genina fra Roma e Nomento, quindi Crustumerio
fra Genina e Nomento, ed in ultimo luogo Medullia. Go-
sì Livio nell'enumerare le città prese dal primo de'Tar-
quinii nomina Comiculum, Ficulea, Cameria, Grustume-
rìum, Ameriola, Medullia e Nomentum. E Plinio Hist.
Nat, lib. in. e. V. §. IX , la pone con questo ordine
fra le città antiche del Lazio, che erano ai suoi giorni
scomparse: Grustumerium, Ameriola, Medullia, e Gorni-
culum. Le rovine pertanto di Medullia debbonsi rintrac-
ciare nelle vicinanze di Nomento e de'monti Gornicula-
ni: debbono inoltre presentare l'apparenza di una città,
che secondo Livio era tuta munitionibus, e questi carat-
teri si trovano bene in s. Angelo in Gapoccia, dove fuo-
ri dell'abitato attuale, presso la chiesa e convento di s.
Liberata, 5 miglia distante dall'antica Nomentum, e tre
da Gomiculum, sono considerabili avanzi di un recinto
a poliedri irregolari , che evidentemente si riconoscono
per quelli di una città delle più antiche d' Italia , alla
quale il villaggio attuale serviva di cittadella, e perciò
ivi nella carta sotto il nome moderno vedesi notato l'an-
tico. Sir William Geli riconoscendo questi avanzi anche
egli per quelli di un' antica città del Lazio li attribuì
piuttosto a Gomiculum, e portò Medullia fra Palombara
e s. Polo troppo lungi da Nomento e Grustumerii. Veg-
gasi la sua opera The Topography of Rome and its vtci-
nity negli articoli s. Angelo e Medullia. Girca la Terra
di s. Angelo in Gapoccia sorta presso le rovine di Me-
dullia veggasi al suo luogo 1' art. 5. ANGELO.
328
MENTANA v. NOMENTVM.
3IENT0RELLÀ
fiultuilla, fiulturella. Oulturelia,
■■^ .\ :,.k:ì-l* i.iì
È la punta più alta del dorso detto di Guadagno-
Io a nord -est di Roma, distante circa 25 miglia, alla
quale si sale per le \ie indicate ncH' articola GUADA-
GiVOX(X Uo' antica tradizione riferita dal Cassio nelle
Memorie di s<. Silvia p. 34, accreditata presso que'mon^
tanari , porta , che ivi sulla rupe apparve il cervo a s.
Eustachio, e che nella grotta a pie di essa ritirossi nel
primo periodo del secolo VI. della era volgare s. Bene^
detto, prima di andare a fondare l'ordine monastico, che
porta il suo nome a Subiaco. Ciò che però è fuori di
ogni questione è che una chiesa di s. Maria- ivi era sta-^
ta di già eretta l'anno 594, allorché s. Gregorio I. do-
nò all'abate sublacense tutto intiero questo monte, che
era proprietà della sua famiglia , e che egli chiama in
quella donazione con termine gotico Wultuilla, nome cho
successivamente andò volgendosi in Bulturellay e Vultu-
rella, come si trae da Carte del secolo X. e donde poi
è derivato con njiova alternazione il moderno di Men-
torcila. Che però il primo sia l'originale fra tutti que-
sti si dimostra dalla iscrizione in tavola di legno già
esìstente nella chiesa di s. Maria, e fin dal secolo scor-
so trasportata in Poli nel palazzo ducale, la quale mo-
strava che la chiesa era stata dedicata ai 24 di ottobre,
e che il luogo chiama vasi Wultvilla.
Nel secolo X l'anno 958, sembra ch« i monaci su-
blacensi l'avessero alienato, poiché nella bolla di papa
Giovanni XII. riportata dal Muratori Ant. Medii Aevi p»
329
461, colla quale si confermano i beni di quel monaste-
ro, questo monte non viene indicato, che come confa-
ne. Infatti poco dopo nel 984 apparisce, come proprie-
tà di una Rosa nobile dama romana, la quale fra mola-
ti fondi che donò al monastero di s. Gregorio di Ro-
ma nomina pure il monte per intiero-, qui dkitur Yul-
turellaf in quo est ecclesia, s. Marine, e questo con tut-
te le sue indipendenze yiene determinato, come pósto
circa il miglio 24 lontano da Roma nel territorio ti-
burtino entro i confini del casale Biscian», oggi Piscia-
no, del casale Ilice poi Rocca de'Ilice, oggi distrutto,
di un fondo pertinente ai sublacensi, del fondo Prct-
talcy del fondo SarianQ, e della chiesa di s. Angelo in
Paiano. Un castello detto castrum Morellae , forse fon-
dato dai signori di Poli, in questi dintorni fu lascia-
to per testamento nel secolo XIII. ai monaci soprad-
detti, e questi ebbero perciò a sostenere una lite cir-
ca Tanno 1250. Negli Annali de'Camaldolesi si riporta-
no la donazione di Rosa T. IV. append. IL p. 603, e
l'esame de' testimonii per la questione insorta: T. IV.
app. I. p. 596. La chiesa di s. Maria, che per la sua
architettura gotica è uno de'monumcnti più importanti,
che ci rimangano , e che si direbbe riedificata circa il
secolo X. insieme col monastero annesso, cadde in abban-
dono, secondo il Cassio dopo l'anno 1390, ed era in pie-
na rovina nel 1660, allorché per le premure del celebre
Kircher fu ristaurata dall'Imperadore Leopoldo I, e po-
scia nel secolo passato ebbe doni della imperatrice Ma-
ria Teresa.
Circa cinque miglia distanti da Mentorella sono gli
avanzi di una villa romana y che dicesi la villa di »► Eu-
stachio, ed ivi fu nel secolo VII edificata una chiesa ad
onore di s. Silvia insieme con un ospizio pe' monaci; ma
330
circa l'anno 1386 appiccatovisi il fuoco rimasero Tuna
e l'altro consunti.
La punta di Mcntorclla è la più alta di tutte quel-
le dalla catena degli Appennini che immediatamente do-
mina la campagna romana^ quindi di là si gode una ve-
duta vastissima^ non solo di tutta la pianura, ma ancora
di tutti i monti che la circondano, come pure verso orien-
te di tutte le cime, che coronano la valle dell' Anicne.
II clima è freschissimo nella estate, e 1' aria fina e sa-
Jobre ; ma incommoda oltremmodo è la sua situazione.
■ nìHnt'-ìii '■ '-■'
,v, ^ MERLUZZA.
E il nome di un casale già osterìa sulla via cassia
a sinistra, circa 16 m. fuori di porta del Popolo nel di-
verticolo a Cesano. Questo diverticolo, la difficoltà, che
naturalmente presenta la strada per la lunga salita , il
bosco un tempo esistente , noto col nome di bosco di
Baccano, aveano reso infame questo punto della strada
postale pe'latrocinj: e fresche memorie rimangono degli
orrori commessi in que'dintorni dalle bande degli assas-
sini. Ma dopo che è stato abbattuto il bosco, e stabili-
to un posto militare , non presenta questo luogo alcun
pericolo. La situazione sua alta domina tutti i contorni.
Il nome deriva da una insegna, che un dì ebbe questa
osteria di una picciola merla.
:.U : ^^.>,.,uu :. MEZZA SELVA.
Stazione moderna della via latina 22 miglia fuori
della porta s. Giovanni odierna, nella strada, che dalla
gola dell'Algido tende a Valmontone; essa è così deno-
minata, perchè posta un tempo in mezzo alla selva già
algidensc, e ne' tempi bassi detta algiarc.
m
MIMOLl f:
Tenuta dell' Agro Romano situato fuori di porta
Gavalleggicrì circa 6 miglia distante da Roma a destra
della via Cornelia, oggi strada di Buccèa, confinante col-
le tenute di Porcareccia, Marmo, e Torrevecchia, la qua-
le comprende 164 rubbia. 'i»-«<v.
-:: Il nome suo attuale deriva da quello di casale Chi-
minuli, o Ciminuli, che portava fino dal secolo XI, il
quale fu donato da Pietro vescovo di Selva Candida al
monastero de'santi Bonifacio ed Alessio circa l'anno 1043,
come apprendiamo da una Carta riportata dal Nerini ;
e quel nome ri tene vasi ancora da questo fondo nel pri-
mo periodo del secolo XIII; imperciocché nella bolla di
Onorio III riportata dal Nerini medesimo , ed apparte-
nente all'anno 1217, frai varii beni dallo stesso Onorio,
confermati al monastero sovfaindicato , nominasi ancora
la torre colle case, vigne, orti, ec. in loco qui vocatur
Ciminuli, Contemporaneamente però già cominciavasi ad
introdurre il nome attuale, cioè di Memoli in luogo di
Mimoli, con che si ricorda, come in parte spettante già
al Capitolo vaticano nella bolla d'Innocenzo III, dell'an-
no 1214 riportata nel primo tomo del Bollano di quel-
la basilica, e questo nome fece dimenticare a poco a po-
co il primo.
MOLARA-ViOmViXmx.
itlolaria. ^
Castello diruto del secolo XIII, situato nella valle,
che separa il dorso tusculano dal gruppo de' monti al-
bani, quasi dirimpetto alla cittadella di Tusculo, al XV-
332
mìglio della via latina , coFrisponde a circa 14 miglia
fuori della Porta s. Giovanni. II suo nome derivò da
una cava di pietre molari , che si vede ancora sotto il
castello a nord -ovest: esso viene communicato ad una
moderna osteria , che poco più oltre si vede a sinistra
della via medesima: ed alla strada che in questa parte
corrisponde all'antica via latina. Questo castello formos-
si dopo l'abbandono della stazione di Roboraria, la qua-
le fu cosi detta dal bosco di querele, roboray presso cui
trova vasi, che nell'Itinerario di Antonino viene indicata
come al miglio XVI, della via latina. Esso è sopra un
colle isolato di lava basaltica a destra della via, e con-
serva ancora le vestigia del recinto fortificato, con tor-
ri rotonde e quadrate di costruzione saracinesca del se-
colo XIII formata con piccioli parallelepipedi di tufa e
di lava. Nella parte più alta era la rocca , e verso oc-
cidente la chiesa y della quale rimangono ancora gli
avanzi.
Ho detto che la sua origine devesi all' abbandono
di Roboraria: il sito poi è di tale importanza nello stret-
to della valle già detta albana, che probabilmente non
fu trascurato dai conti tusculani durante la loro poten-
zaj imperciocché nel Chron. Subì. an. 1090 narrasi, co-
me Agapito conte tusculano ebbe due figlie: ed una ne
die in moglie ad Oddone Frangipani , alla quale lasciò
. castra Mareni , Turricellae , montis Albani et Nemoris et
suam partem castri Montis Compatri, V altra poi ad An-
nibale Annibaldi , a cui lasciò i castra Arcis Periuriae ,
Montis Porculi et Molariae etc. Veggasi il Nerini nella
Storia di s. Alessio p. 528. Ma quel documento non va
esente da dubbii gravissimi d'interpolazione, per que'ca-
stra Mareni, ec: sebbene non si ponga affatto in questio-
ne il dominio degli Annibaldi sopra questo castello, i
quali perciò ebbero il nome di Signori della Molara.
333
Quello che è eerto, è che le rovine superstiti presenta-
no in tutte le parti la costruzione del secolo XIII , o
che non prima di quella epoca se ne hanno documenti
sicuri. Infatti la. prima memoria, che ne ho trovato ap-
partiene all'anno 1254, quando Riccardo degli|Annibal-
di cardinale diacono di s. Angelo n' era in possesso, e
vi accolse papa Innocenzio , lY. con molta magnificenza,
come si ha da Bernardo Guidone nella vita di quel pa-
pa presso il Muratori R. I. S. T, III. P. I. p. 592. Quel
cardinale l'avea comprato, sebbene non si sappia da chi:
ed una prova di tale acquisto si ha nella Storia di Ma^
liispina riportata dal Muratori R. I. S. Tomo VIII. alla
quale p. 798 si legge, che il card. Riccardo degli An-
uibaldi condusse Carlo di Angiò usque ad castrum Mo-
lariae , quod idem cardinalis proprio impenso peculio prò
sua hasreditate quaesierat. E quel cardinale fu che costrus-
se le fabbriche, e le mura, che oggi ivi veggonsi diroc-
cate ; e fino al secolo XV * rimase in potere della sua
famiglia. L'anno 1265. accompagnò egli stesso a proprio
spese fin là Carlo di Angiò nella spedizione che questi
intrapese contro Manfredi. Veggasi Niccolò de larasilla
presso il Muratori Op. cit. T. Vili. p. 597, Narra To-
lomeo da Lucca Hist. Eccl. presso i R, L S, T. XI. p.
1155 di essere stato testimonio oculare della guarigio-
ne istantanea operata ivi da 3. Tommaso di Aquino in^-
fermo di febbre terzana , sul suo compagno Raimondo
malato di febbre continua, mentre dimoravano presso il
card. Riccardo sovraindicato. Nel 1328 agli 11. di giu-
gno essendo stato questo castello occupato dalle genti
del re Roberto, dovette arrrendersi, dopo qualche gior-
no di assedio per mancanza di viveri ai Romani ed al-
le truppe di Lodovico il Bavaro. Giovanni Villani Storie
lib. X. e. LXXVI. Dal Chron. Estense riportato dal Mu-
ratori ne'R. I. S. T. XV. e. 444 apprendiamo, che nel-t
334
la battaglia contro Rienzi fu ferito ed ucciso Niccolò
degli Annibaldi signore della Molara nell'anno 1351. Sul
principio del secolo seguente 1' anno 1405 si legge nel
Diario Romano anonimo riportato dal Muratori ne' ^e-
rum Italie. Script. T. XXIV. p. 975 come il dì 15 di
aprile, che fu il mercoledì santo, cominciò ad uscire in
campagna l'esercito del Popolo Romano contra 1 figli di
Tebaldo della Molara, e si accamparono presso quel ca-
stello: dierono il guasto a molte terre intorno a questo
ed a quella di Rocca di Papa , e vi rimasero undici
dì. Innocenzo VII, che allora reggeva la chiesa vi spe-
di come ambasciadore il priore di s. Maria Aventina ,
onde fosse mediatore frai Romani , ed i signori della
Molara \ ma questi si condusse in modo che ritornato
in Roma gli fu tagliata la testa , e sepolto in s. Pie-
tro. Dal Diario dell' Infessura poi si trae , che la pace
venne conchiusa precisamente il giorno di s. Marco: Mu-
ratori R. I. S. T. III. P. II. p. 1116. Queste sono le
memorie che ho potuto ricavare della Molara, castello,
che nel corso dello stesso secolo XV fu abbandonato,
e che a poco a poco è andato in rovina.
La valle sovraindicata, nella quale questo castello
fu edificato è certamente quella stessa che Livio desi-
gna nel capo VII. del libro III. col nome di Albana
vallis, della quale fu parlato nel tomo I. pag. 80 nel-
l'articolo ALBANA VALLIS.
* 'Il tenimento annesso alla Molara appartiene fino dal
secolo XVII. ai Borghese, e comprende circa 345. rub-
bia : esso confina co' territori! di Monte Porzio , Monte
Compatri, Rocca di Papa, e Frascati.
Ui ìt:.} luiium.
^- ^ MONASTERO COLONNELLO.
Tenuta dell' Agro Romano , di circa 146 rubbia e
335
mezzo, posta circa 6 miglia lungi da Roma presso la
via nomentana, e pertinente al Capitolo di s. Pietro. Con-
fina con quelle di s. Basilio, Casal vecchio. Prato Lungo,
e Scorticabove. i^uiil » ** ,y,.u\..l. ■. i . -■ ■ *' -
Questa tenuta; die in origine àpparteiieVa' al C^jiii^
tolo sovraindicato, fu nel 1526 venduta al card. Puc-
ci insieme con quella di Pietra Aurea : allora era di-
visa in due fondi, chiamati il Casale de' Monasteri, e
Colonnella , come si ricava da un documento della Bi-
blioteca Chigiana G. III. 58. Poco dopo il Pucci ven-
dette queste tenute a Niccolò de Jacovazzi per 3750
scudi. Da questi passò ai Savelli signori dell'Ariccia, i
quali nel 1607 vendettero di nuovo al Capitolo Vati-
cano il Casale dei Monasteri e della Colonnella per 17,700
ducati di oro, siccome si ricava dal Bollano Vaticano
Tom. Ili, p. 58 e seg. Append. ^. 37# ■ :: - — r
MONITOLA.
Nel Chronicon Sublaccnse inserito dal Muratori
nelle Antiquitates JHedii Aevi T, IV. alla pag. 1060 leg-
gesi frai beni confermati da Pasquale II. sul principio
del secolo XII al monastero sublacense nominato il Mori-
tem qui vocatur Monicula , o piuttosto Monitula. Questo
colle ha ancora l'antico nome, e si trova circa 2 miglia
e; mezzo distante da Tivoli presso il bivio delle strade
di Ceciliano e Castel Madama, a sinistra di questa ul-
tima, fra essa e l'Aniene. Il sito, atto ad essere un ca-
stello fu fortificato dagli antichi Tiburti, i quali vi co-
strussero mura a poligoni, che ancora si ravvisano, e
fu uno de'loro oppidi ricordati da Livio nel capo XIX
del lib. VII. come pure Empulum, e Saxula posti in
questa medesima direzione. Credere però che questa
sia la città, il cui popolo da Plinio lib. III. e. V. vie-
336
ne indicato col nome di Munienses , non mi sembra
probabile, poiché i Munienses, ed i Castromoenienses
par die fossero uno stesso popolo , e Castromoenium ,
come si vide, fa a Marino, ben lungi da Tivoli. Me-
no improbabile sembra, che i Venetulani nominati da
Plinio medesimo frai communi latini estinti a'suoi gior-
ni avessero stanza in questo luogo , e che invece di
Monitola il nome originale di questa città fosse Ve-
netula. Come altri castelli del Lazio primitivo fu, ne*
tempi della potenza romana , occupato il suo sito da
una villa, ed a questa appartenne la conserva di acqua,
ehe ivi ancora si vede. V'ha chi pretende, che ne'tem-
pi bassi vi fosse un castello feudale -, ma questo non
si ricorda , né in carte particolari , e d' altronde non
ne rimangono vestigia. Non è però improbabile, che
quando gli Orsini erano signori di Castel s. Angelo,
oggi detto Castel Madama vi sì fortificassero.
MONTÀGNANO.
€ttsole bf ittontmnt- "*""'
^M. il :,nnvu.a jiiontangianum.
j^f-j Tenuta pertinente ai Teodoli, confinante con quel-
le di Torricella, Valle Caia, Tor di Bruno, Campoleo-
ne e col territorio dell' Ariccia^ posta circa 18 m. fuo-
ri di porta s. Giovanni a destra della strada detta di
Porto d'Anzio e Nettuno. , : ,;;a. ; i^
La prima memoria di questo fondo si ha nella
bolla data da Lucio IIL l'anno 1183 a favore del mo-
nastero di s. Anastasio alle Tre Fontane , riportata dal
Ratti nella Storia di Genzano pag. 93, ed esistente nel-
miì
337
l'Archivio Vaticano, nella quale frai fondi rìcOnosciuti
come di pertinenza di quel monastero si nomina il Ca-
sale di Monteiani con tutte le sue pertinenze. Ma nell'an-
rio 1378 1' antipapa Clemente VH , volendo 'rimunerale
Giordano Orsini , che era stato di lui fautore nel por-
tarlo al trono pontificio, gli concedette a terza genera-
zione molte terre e castella , e fra queste infeudazioni
si ha ancora quella del Casale quod Montangiano vulga-
niter nuncupatur, notando che apparteneva al monastero
di s, Anastasio: Tatto di tale concessione si ha nell'Ar-
chivio Vaticano , e vien riportato dal Ratti nella opera
sovraindicata p. 104. Ritornato poscia in pieno dominio
de'moaaci di s. Anastasio, da questi fu venduto l'anno
1427 insieme con Genzano , e con Ne mi ad Antonio,
Prospero, ed Odoardo Colonna per 15,000 fiorini da bai:
47 r uno, come si ha dal breve di papa Martino e da
altri documenti esistenti nell' Archivio Sforza e pubbli-
cati dal Ratti p. 134, e seg. Nel secolo XVI fu dai Co-
lonna alienato, e venne poscia in potere de' Teodoli, che
iéi ritengono,? s^d ucìu cuùì, ] .oU.a ,oU<;^: uil.^, ai--i^ij
MONTARSICCIO—LUCHINA—MÀZZALUPETTO. '*
Sono tre tenuiie dell'Agro Romano distinte fra loro
e segregate , ma contigue , e siccome tutte e tre sono
pertinenti alla famiglia Pallavicini, perciò in un solo ar-
ticolo vanno comprese. Montarsiccio confina colle tenute
della Sepoltura di Nerone, e d'Inzuccherata, e colla stra-
da di Monte Mario} Luchina con quelle di Castelluccia,
Mazzalupo, Marmo, Palmarola, e Sepoltura di Nerone;
e Mazzalupetto con quelle di Palmarola, Porcareccia, e
s. Nicola. Tutte e tre unite insieme si estendono a rub-
bia 184 circa: e sono cinque miglia distanti da Roma,
fuori di Porta Angelica, per la strada di Monte Mario.
22
/
338
Qualunque sia la origine del nome di Monte arsiccio ,
questo fondo non dee confondersi colla Terra de Mon-
te Arsitia, o Arsitio, ricordata nelle bolle, di Giovanni
XIX data l'anno 1026. e di Benedetto IX. data l'aona
1033, e riportate dall' Ughelli tomo I. yUiAttvt'ò
ìiv)>^r,hivì\m ùw-jiMONTE CASALE. .,tio) oiloin ')t:;t>'v
"■';!;."""" €o0trum itlontis (Ìasali0, "''"'''■r
ipoqo :'•!?';■! iì!<:#"f{;^ '^?';'-mv^H -fi';:? '-^ yr-T^^'j-V '>•-;??=;
oinJffTerra, oggi distrutta dell'abbazia di Subiaco, po-
sta sopra un colle, che ritiene lo stesso nome, fra Roc-
ca s. Stefano e Gerano. Il Chronicon Sublacense mostra,
che Pietro abbate acquistolla pel monastero , dando ia
cambio la Rocca de Incam^erata verso l'anno 1030, e che
nel 1115, Pasquale IL ne confermò il possesso al mo-
nastero medesimo. Poscia venne distrutta, e come diru-
ta si ricorda 1' anno 1167 dalla cronaca sovrallodata e
perciò nelle bolle, date, 1* anno 1189 da Clemente III.
e 1217 da Onorio III. viene indicala soltanto col nome
di |fon«,Cas^|wj, non più come un Castrum. _ _
ino\ ni uUnì MONTE COMPATRL .,) ..,. ono>
-ir, .Terra, che appartiene ai Borghese, posta entro i
limiti della Comarca di Roma , dipendente dal governo
e dalla diocesi di Frascati la quale contiene 1893 abi-
tanti. È 17 miglia distante dalla metropoli: e secondo
le osservazioni degli astronomi Conti e Ricchebach la
sua latitudine è 41°, 48', 32'', 6, la longitudine 30°, 23',
39", 8: l'altezza sul livello del mare piedi 2200, 3: ser-
vendo di segnale la torre de^ palazzo Borghese, come
punto culminante. i^nU 'vX i^q >>il^^nA .»''io^l il* )v;.;ì
339
Questa terra io credo, che si formasse dopo la ro*
vina di Tusculo fatta dai Romani Tanno 1191, giacché
non ho potuto trovare, né memorie, né indizii di fab-
briche anteriori a quella epoca. Vero è , che se ne fa
menzione fin dall' anno 1090 nel Chronicon Sublacense ;
ma siccome trovasi insieme con altre terre di origine
certamente posteriore alla rovina di Tusculo, apparisce
evidente la interpolazione. Veggasi l'art. MOLARA^ > '4
La strada da Monte Porzio a Monte Compatri, seb-
bene sìa io gran parte montuosa, é amena, passando a
traverso un bellissimo castagneto : essa è lunga circa 2
miglia- Nel salire alla Terra volge a sinistra. Questa non
offre oggetto degno di particolare menzione: è collocata
sulla punta di una lacinia che dirama dal dorso tuscu--'
iano verso nord-est la chiesa è dedicata all' Assunzione!
^ella Vergih&Juoai iyw yi^usa »';iivi> ^**i **> Mhlsik hi oì^
.J,, '■■:'•'' <s'-iì: -'ili'- /i<!f;uv;': 'JU -il'.., A •>'«JflOm>a
-ni- MONTE CRESCENZIO y, CRESCENZIO, i^\hh
'Vi ìm OJKl'Jg OiilOé^ ifii) f) ,4k.fi()! iJH-jtiaa iint)7'9|> r^«QJ4!«q
'\ì[:immmt)ELLACmCCIA\yì mBGNA:^ obx«i
ohc-jlà ':■!•:: ''' — '': •:■>.'■ ' . " .'; IW^rA
-ohpAmONTE DUE TORRI v. DUE TORRI., ihim^
sììhmd pHoé fcj'i'jfù. — :•; a luiiànc iihòìiq 'ab 0«
iÀìtih 3mì]ifvvioi nìì^ONTE FIORE. , iisa'iinoffl 'oup sh
yi ..,^rr ?:if-r;f'. ?>v ohK;'Io=: <-■ ■;•- r\hh àfcficvj^ni
È un monte ad oriente di Rocca Priora diciotto
miglia distante da Roma a sinistra della via latina, che
colle sue falde stringe da quella parte la valle albana,
come dall'altra parte fa il monte Algido, formando co-
sì la gola , che i moderni corrottamente chiamano la ca-
va dell'Aglio in luogo di cava, o gola dell'Algido. Esso
è l'ultimo mamellone del dorso tusculano, ed ha nome
dal ginestreto, che in gran parte lo copre, e che co'suoi
fiori di color d'oro ne rende l'aspetto piacevole ne'mesi
340 ^
di primavera. A pie di esso presso la Cava sono le sor-
genti deir acqua algidense o algenziana, delia quale 'fu
parlato a suo luogo. ..v;^
0 ba òr Oih :^ 3 otj7 .r.ooTjfl' cfl'yM^i i. i'Tuhyfnp anjlif'
Itm'iiv^k^Z iw-^^txojff ONTE' FLAVIO, ''-.h nW onoisn-jm
"•>; i>È la Teira più recentemente fondata di tutte quel-
le comprese entro i limiti della mappa, poiché fu edifi-
cata circa la metà del secolo XVII. dal cardinale Fla-
vio Orsini che le diede il suo nome ; non molto dopo
la sua fondazione passò ai Barberini, che la posseggono
ancora. Essa è parte della Comarca di Roma , dipende
dal governo di Palombara, e contiene circa 554 abitan-
ti , i quali nello spirituale appartengono alla diocesi di
Sabina. Sanissima e ridente n'è la situazione, stando so-
pra la falda di una delle creste del monte Pennecchio,
e mentre è sopra un ripiano altissimo degli appenninì
dalla cresta sovraindicata viene difesa dalle bufere tem-
pestose de'venti settentrionali, e dal soffio gelato ed u-
mido dei grecali. Gli abitanti come tutti quelli de' vil-
laggi della Sabina che non sono a contatto colle strade
grandi, conservano il carattere semplice, morale, laborio-
so de' prischi Sabini : il lusso e la miseria sono banditi
da que' montanari , e contrastano colla corruzione della
metropoli, dalla quale distano soltanto 28 miglia per la
strada, o piuttosto sentiere, che vi conduce da Monco-
ne, che è la più diretta per chi vi va da Roma. Le case
sono ben fabbricate, riflettendo alla località: ed il villag-
gio è tenuto con maggior pulizia che tante altre Terre
anche più considerabili. Forse questo si deve alla epo-
ca recente della sua fondazione. In questa Terra morì
r anno 1819 il card. Lorenzo Litta vescovo di Sabina ,
personaggio distintissimo per nascita, per dignità, e per
meriti , il quale accoppiava ad una dottrina profonda ,
341
una affabilità e modestia singolare: egli fu rapito da moi^
te immatura in adempire religiosamente le sue core &^
vangeliche, visitando la diocesi affidatagli. >"j vm-ìU
. > f) nm : o: MONTE DEL FORNO. r «1 i . y -Mh
■eiì\t ùif 6 f^o ■''' -*':?-!'
ih Piccola tenuta del Capitolo Lateranense posta sulla
strada di Bracciano , già via Claudia a sinistra ,11 m.
distante da Roma, e confinante colla strada suddetta e
colle tenute di s. Nicola ed Acqua Sona. Comprende
circa 84 rabbia e mezzo. ;oj|
■li-I.} .ii;-.^;, ■
VAI min MONTE FORTINO v. ARTENA. iifl
ih rofiiìr^a sii MONTE GENTILE. Ai i«b >>«
Due monti di questo nome sono compresi nella map-
pa: il primo è quella punta coronata di pochi alberi, la
quale si vede da tutta la pianura latina , come quella ,
che si erge sul dorso che separa il cratere del lago al-
bano da quello del lago nemorense , fra V Aricia ed il
monte Laziale, oggi Cavi, dove alcuni ruderi di opera
reticolata ricordano la villa albana di Domiziano , che
fin là si estendeva, secondo Marziale
L'altro è un colle a destra della via nomentana 11
miglia distante da Roma , fuori di Porta Pia , il quale
fu ne' tempi bassi un castello fondato dagli Orsini nel
secolo XUL e sovente ricordato nelle loro carte esisten-
ti nell'archivio della famiglia. Questo dà nome ad una
tenuta dell' Agro Romano detta pure Fontana di Papa
di rabbia 54 di estensione, la quale appartiene al mo-
nastcro di a. Caterina di Città Ducale. >■ '
.'>; Ne' tempi passati molti degli antiquarii collocarono
a Monte Gentile l'antica città di Ficulea, il cui sito og-
342
gi è determinato non lungi da Torre Lupara, come fiF
notato nell'articolo FICVLEA, e spacciarono per avanzi;
di un teatro quelli a sinistra della strada, che sono evi-
dentemente di una conserva di acqua, spettante a qual-
che villa romana , che occupò questo sito : essa è co-
strutta di ciottoli, e frantumi di calcaria, ed è un qua-
drilungo, che ha 45 piedi romani di lunghezza e 40 di
larghezza: nell'interno è divisa in tre aule, che commu-
nicano fra loro per mezzo di quattro archi. Il casale 6
sul colle proprio di monte Gentile e non presenta og-
getto degno di essere ricordato. in i'6 fó»uu
Ho indicato di sopra, che il castello di monte Gen-
tile fu fondato dagli Orsini: la tenuta però era in par-
te loro, in parte poi della famiglia Capocci , e si cono-
sce dal De Angelis nella Descrizione della Basilica di
s. Maria Maggiore p. 128 , che nel 1309 Giovanni Ca-
poccio detto Mezzopane donò a quella chiesa 20 rubhia
annue del frumento, che si sarebbe raccolto nella tenuta
di Monte Gentile. Da un documento esistente nella Bi-
blioteca Vaticana cod. 7972 apprendiamo, che nel 1374
Buccio di Giordano di Poncello Orsini promise per dote
di Giovanna sua sorella , moglie di Giovanni Capoccia
de' Capoccini la metà di questo castello congiunta pra
indiviso coll'altra metà pertinente ai Capoccia. Così Mon-
te Gentile divenne intieramente proprietà de' Capoccia.
Poco dopo passò in parte agli Stefancschi , e nel codice
ottoboniano esistente nella Biblioteca Vaticana sotto il
num. 2551 si legge, come nel 1403 Paolo degli Stefa-
ncschi donò la metà di questo castello a Cola di Mare-
no; al quale tre anni dopo fu venduta l' altra metà d»
Paola vedova di Giovanni de Capoccini, come si nota m
una Carta dell'Archivio Orsini^ n. 4. Un'altro documen-
to esistente nello stesso archivio n. 1001. ne apprende,
come nel 1408 Giacomo Orsini conte di Tagliacozzo co-
343
slitnì un procuratore per comprare una quarta ed una
terza parte del castello di Monte Gentile pel monastero
di s. Agnese. Nel 1435 Giovanni Antonio Orsini conte
di Tagliacozzo e Rainaldo suo fratello furono da Euge-
nio IV investiti del vicariato di questo castello , come
pur di quello detto Castello Arcione , i quali si dicono
nei breve emanato a tal proposito, ed esistente nell'ai*'
chivio Orsini, di proprietà della Chiesa Romana. In quel
documento si parla degli abitanti di questi castelli, che
dovevano essere governati e custoditi dagli Orsini so-
vraindicati. Ritornò così Monte Gentile in mano agli Ot>-'
sinij e nel 1454 Napoleone , Roberto , e Latino fralcHi'
Orsini lo comperarono da Giovanni Antonio Orsini tonte
di Tagliacozzo, come si trae da un documento esistente
nella Biblioteca Vaticana n. 7997. Questo è l'ultimo dò-'
cumento, che si ha del castello, degli abitanti, e degli
Orsini, come signori della Terra : dopo comparisce ab-
bandonata, ed a poco a poco ridotta nello statò attua[lè!.'
Sul finire del secolo XVIII era de' marchesi Abbati,; è*
da questi passò al monastero sovraindicato di s. ^alèrf-*-'
na. Naira il Nantiporto, che nel 1486 Roberto Sànsevef-
rino gonfaloniere delle armi pontificie in «na scorreria
giunse da ponte Lucano a Monte Gentile e vi prese mol-
to legname. Questo stesso notaio racconta, contie ai 4 di
gennaio di quell'anno le genti del papa Oiisére campo d
s. Agnese, ed il dì seguente a Mónte 'Grèntìll6;*e' che Ifi-M
nalmente alli 11 dello stesso mese , dòpò'àfetini- giòrtìi'
di scaramuccia presero ja Mentana. VeggaSi' il Murs(t<o-
ri Rerum lialic. Scripél T. III- Pr II: p;'1099. ' '> tOif'
iti iJu jKÙvHi wliii4|iD>i4, fiTiTiia 'jhaoiJlc (J .oiliinh-xn ol
/iKiln.) ai 9iuhr.vjq«!Ì 'Il'mp fi oih JIIZJ^ .a oibfl6e«')lA
o'j^lcKjQ?, im bomì\nd yil')fi otbìl<»rm au ahom bI oqob
>v. !jì>uu»4\. ^»\VW^,.,$^ì^ ì«»w\^^J)VjìV3'v) :caiofl ni oHii«2ÌÌqair>
■:ii[} in oih'jniuflom li «riO .Vuawv «iumVvi»,f\c^i«ft wwtoUin^
344
c.i.yl«RfloiB s^QjVt^) ^tì>!^iS- JiQÌ6J.0yi) ùìtui «sv>t
olfWK) inii'/tO ojrfoirf/. irf^?r?T^tO t'IM ['.»>![ .?)*^flgA .'é ih
^opt:A tìh om' MONTE DEL GRANO., «sso^bìI^bT ìb
•MiHr\ ,■;*■■- .-■■.'■■'' (.!;(
. , JÈ. u» tumulo vastissimo ,, coperto di terra , ed i||».
di coltivato a grano,, phe ha circa 200 p. di diamretro-
d,ia base, il quale è tutto costrutto, e fu un antico se->
polcro , che suol chiamarsi di Alessandro Severo senza,
alcuna ombra di probabilità.. Era sopra uà diverticolo ,.
che legava la yiajlatina alla via labica«a,. e che partiva
dalla latina: verso il II; m. per raggiungere 1' altra al
III: oggi è circa alili m. fuori di porta s~ Giovanni a
sinistra della , via di Frascati,, poca, dopa aver passata
l'arco dell'acquedotto Felice, communemenle dietto Por-'-
ta Furba. , , snai
. In questo monumento sepolcrale sul fioiire' àelysé^
colOv.XVI non conoscendosi ancora la porta >, perchè era
sepolta.,, fu penetrato dalla sommità del tumula,; come
narra il Vacca testimonio oculare, e dopo aver forata
la volta si trovò intatta la camera sepolcrale , contenen-
^>ii|.s magnifico sarcofago di marmo ornato di bassorilie-
vi, e conosciuto col nome di Urna di Alessandro Seve-
ro, oggi esistente nel pianterreno del museo Capitolino.
Ma la origine del nome dato alla urna e communicato
poscia a tutto il monumento , fu una . soìnigUanza ,. che
ne' primi momenti s,i credette di ravvisare nelle figure
coricate sopra il coperchio con quelle di Alessandro Se-
vero, e Manimea, somiglianza esclusa dal confronto del-
le medaglie. D' altronde narrra Lampridio nella vita di
Alessandro e. LXIII., che a quell' imperadore fu eretta
dopo la morte un cenotafio nelle Galiie ed un sepolcro
amplissimo in Roma: Cenotaphium in GcUlia, Romae se-
ptilcrum ampUssimum meruit. Ora il monumento in que->
345
stione , cioè il tumula entro il quale' ir isarcofago ven-
ne scoperto è di costruzione bene anteriore ad Alessan-
dro, poiché rimane ancora intatta una gran parte del-
la cortina interna, la quale è lavorata, come quella del
Mausoleo di Adriano e di altre opere di quella epoca:
ed i bassorilievi della urna, rappresentanti i fatti prin-
cipali della vita di Achille, cioè la sua partenza da Sci-
ro, la contesa eoa Agamennone, il ritorno alla guerr'a
per vendicar la morte di Patroclo, e la restituzione del
corpo di Ettore a Priamo , sono certamente lavori del
tempo più bello degli Antonini ; non così il coperchio
che si ravvisa fatto posteriormente e forse sotto Ales-
sandro Severo stesso. Entro il sarcofago fu rinvenuto
il bel vaso di vetro colorato ornato anche esso di bas-
sorilievi rappresentanti il connubio di Giove sotto le for-
me di dragone con Prosperina , donde derivò il Bacco
più antico, ossia Zagreo, messo a brani poi dai Titani.
Questo vaso fu per lungo tempo ornamento del palaz-
zo B^erini , ma sul finire del secolo passato fu ven-
duto al duca di Portland e trasportato in Inghilterra ,
dove è conosciuto col nome di vaso di Portland, sebbe-
ne per munificenza di quel signore oggi si ammiri nel
museo britannico di Londra.
Esternamente questo gran monumento non presen-
ta alcuna traccia di costruzione, mentre è tutto costrut-
to, quindi io credo, che anticamen te presentasse l'aspet-
to che oggi offre, quello cioè di un tumulo ad imitazio-
ne de'sepolcri de'tempi eroici, e forse come il Mausoleo
di Augusto anche questo fu esternamente piantato dì
pioppi, o di cipressi, e coronato nel vertice dalla statua
del defonto, che originalmente vi era racchiuso^ in luo-
go del quale poscia furono collocati nell' urna i due
soggetti che si veggono effigiati sul coperchio, jlfi^fi^
-Ì9qqj> r>Y')J ih ainoK. lin ogojtt ni itr.«i«Bq iqrnyjNjìfl
346
.:; (C3*. MONTE DELLA GUARDIA. ^^ f«wi''^'
Atih 'il-i.'.j ncT- ( ADVIGESIMVM. "f-i 3^f'JÌ<>q <olI>
i')b all'tii 'ii 'j j'ivijj» IV' fiMivA'.ì'i fifiiJiOD si
Per la via flaminia, Oggi strada di Castel imbVóvM
m, XIX attuale, XX antico si vede dominare a destra
un colle con ruderi antichi, al quale si dà il nome'
di Monte della Guardia, forse per qualche guardia ivi
posta a protezione de' viandanti: presso di esso a de-
stra dirama la via antica, che oggi conduce a Morlu-
po, ma che anticamente si diriggeva a Capena. La lo-^
calità, questa circostanza, e la distanza di 20 miglia
dalla porta antica di Roma non lasciano luogo a du-
bitare per riconoscere in questo luogo la stazione aé
Vicesimum ricordata nella Carta Peutingeriana e nell'Iti-
nerario Gerosolimitano , come posta al XX. miglio da
Roma, ossia XI m. dopo quella di Ad Rubras. La circo-
stanza poi di vederla ricordata nell'Itinerario Gerosoli-
mitano sovraindicato mostra, che almeno fino al seco-
lo XI non avea perduto il nome antico.''- ' •
,:!;'" ,f;:-r >ini')aoiìO') 5 ovoÌj
MONTE DJ LEVA, 'yAWimm ijq oii
iì^A ih ;v)iflrtntrid m>viti
' ' ' dlasttìxm Mmlis èìtbdrir ';'*,„ ,
, ; ì') ^obOTi^^ot ibniup ,ol
Vasto lenimento dell' Agro Romano' pertinente ai
Gavotti circa 13 m. distante da Roma fralle strade di
Decimo e di Ardea , colla quale confina , come pure
polle tenute di Castel Romano, Monte Migliore, Solfa-
rata, Petronella, e Capocotta. Comprende i quarti det-
ti da Capo, Lucernari, Fontaniletto, e Valle Lupara e
Casale e si estende per rubbia 640. ' h '»f!6 iM'itiji'-
Ne'tempi passati in luogo di Monte di Leva appel-
347"
lavasi questo fondo Monte di Levano, perchè ne' tempi
bassi avea il nome di Mom Olibani: ed il castello, che
\i era stato edificato Castrum Montis Olibani viene ap-
pellato' in una Carta deirarchivio di s. Maria in Via
Lata, nella quale si determinano i confini delle tenute
adiacenti di Solfarata e Petronella: veggasi il manoscrit-^
lo vaticano n. 8050 : carta che rimonta dtea V anno
1330. Ora Olibanum fu nome ne' tempi bassi commtt-
ne a molti fondi , e derivò da Olibanum voce barbata
significante incenso, ed adottata ancora nella lingua ita-
liana, e forse fu dato a tali fondi perchè originalmen-
te furono assegnati alle chiese per la spesa degl'incen-
si. Chiara essendo la etimologia di questo fondo, fu nul-
ladimeno tanto trascurata dai topografi de' tempi scor-
si, che per la vicinanza di suono fra Levand, e Lavi-
nìo, vi collocarono il sito di questa città che oggi é
<;erta essere stato a PraUca. v. LAVINIVM. •''^
.3 ih oni.^u ho i-jobuo: iJ'oui o , fgoix'nq ioiiBiu iilo«i
-msqm MOI^TE LIBRE TTK^^U'^I nìfM
■ V. ( '-■■ . ; :. *-; ' ti: li* ò-ihmi ,yiob
...Ili -yAAì]) Vi o^ì}-' .•■A-
'"'■ Terra della Comarca, nel distretto m Tivoli, ^e nel
governo di Palombara , distante da Roma circa m. 24
p^Vla via salaria propria, ossia per la strada che vi
conduce direttamente da Mentana per Grotta Marezza,
strada, alla quale circa 3 miglia dopo si riunisce quel-
la moderna di Rieti. Contiene 672 abitanti , ed ap»-
partiené ai Sciarra Colonna, come parte del patrimonio
Rarberini entrato ia quella famiglia. La situazione dì
questo castello è bella e le sue vicinanze sono pittore-
sche. La chiesa principale è consagrata a s. Nicola $
348
Bari: essa fu dedicata ai 16 di aprile 1535 e ristaura-
ta nel 1773 come da iscrizioni ivi esistenti raccogliesi,
fj;; Poche terre hanno dato luogo circa alla loro ori-
gine, e nome a tante congetture moderne, come questa,
nella quale il Cluverio volle riconoscere il mons Lucre-
iilis di Orazio, ed il mons Lucretius di Anastasio nella
vita di Silvestro I. Altri ne derivarono la etimologia dai
Brettoni ingannati dal nome di Mons Brictonum, campus
Brictonum e Brictonorum , col quale ne' bassi tempi si
trova indicato , altri come 1' Olstenio lo confusero col
mons Àliperti ricordato in un atto del 1048 del codice
farfense. Le scoperte però fatte in questo secolo pres-
so monte Calvo hanno rischiarato ancor questo dubbio;
imperciocché l'anno 1825, nelle rovine di una villa ro-
mana magnifica del tempo degli Antonini, furono trova-
te molte sculture, frallc quali le statue delle Muse, il
Sileno, ed altre che si ammirano nella villa Borghese,
molti marmi preziosi , e molti condotti col nome di C.
BRVTTI PRAESENTIS, suocero di Commodo impera-
dore, padre di Bruzia Crispina augusta, personaggio ri-
vestito di molti onori e di dignità somme durante Tim-
pero di Antonino Pio, di Marco Aurelio, e di Commo-
do, sotto il quale morì.
Egli pertanto fu il signore delle terre di questa
contrada, nella quale sorse poi il castello, di che si trat-
ta; quindi il campo, ed il monte, furono denominati Cam-
pus e Mons Brutta, e poscia Campus e Mons Bryttii, giac-
ché ne'tempi bassi quel nome trovasi scritto Bryttius in
luogo di Bruttius, e così venne Mons Bricti, Monte Lo
Britti, Monte Lo Bretti, e finalmente Monte Libretti. La
via salaria ancora in questa parte fu detta via Bricta ,
e così , come confine è indicata in un documento del
codice florigcro farfense spettante all'anno 1036 e ripor-
tato dal Galletti nel Gabio p. 12. E del castello, castel-
349
lum quod vocatur Bricti si trova menzione in un conlràti*
to dell'anno 1018 citato dal Galletti p. 44. Era pertan^
to fin dal secolo X sorto questo castello, che or col no-
me di oppidunij ora con quello di castrum si ricorda in
più Carte del secolo XI, e XII, quando di già era sot-^
to di un conte. L'anno 1272 n'era signore Pietro Senio^-
rile figlio di Oddone, e questi in quell'anno lo vendet-
te ai 30 di ottobre a Giovanni Margani, siccome ricà^
vasi dall' istromento originale esistente nell' archivio di
s. Spirito in Sassia e ricordato dal Galletti Primicero p.
332. Passò nel secolo XIV in potwe degli Orsini, i qua-
li' circa duecento anni dopo lo vendettero ai Santacró*i
ee: Da questi passò ai Barberini, nel secolo XVII e dai
Barberini sul principio del secolo presente, per eredità
agli SciaiTa;3Ì'irtH ;i«a»d iqm3Ì5'oa:fifo«oq ìy I \s^ìi^ ih l»J
•fiìÌT JsU^fl iBJt^^B«Aj||l9iV9li^>iltólllO&'>9^- a'Hjq ivi t«\«i»A
:zm^.. ®auì>ii-i«oitB jHaiitc:;:;
*i^ ''Ha'-il^ ttoitìe di monte Mario la parte culminante
del dorso gianicolense la quale domina immediatamen^!
te Roma, e che è coronata dalla villa Mellini, oggi Fal-
conieri , donde si gode una veduta magnifica , vastissi-
ma, di Roma, di tutta la pianura, che la circonda, ^i
de' monti, che la coronano. Gli astronomi Conti e R»c»*'>
chebaèh ne determinarono l'altezza al piano del casinò'
della villa sovraindicata a piedi 408 e 4 pollici , sopra
il livello del marei>?«^*»^>« ih lipìi#f jìl i* Vé^Ji* jiJl'jn ' éai«i>
Il suo nome è moderno, ma non tanto quanto sii
crede , poiché fino dall' anno 1409 si trova nel Diario
inserito dal Muratori nella sua raccolta de Rerum Itali-
carum Scriptores Tomo XXIV. col. 1006. Sul principio
350
del secolo XII dicevasi mons Gaudii e mons Malus, co-
me si trae da Pandolfo Pisano nella vita di Pasquale
II. riportata dal Muratori 1. n. T. III. P. I. p. 361. Mon-
te Malo pure lo chiama il card, di Aragona nella vita
di Alessandro III. 1' anno 1167. Muratori ivi p. 458 ;
come monte Gaudio si dice da Ottone di Frisinga nel-
la storia di Federico Barbarossa, e da Ottone da s. Bia-
gio, ambedue editi dal Muratori nella raccolta sovrain-
dicatà T. VI. col. 724 e 1149. oSnontuiid hnh .
La sua posizione lo fece sempre nn punto *impocr
tante a tutti quelli, che vollero dominar Roma ne'tem-
pi antichi, ma molto più ne' tempi bassi, dopo il pro^
lungamento della città nel Vaticano, e ne'tempi moder-»
ni: ivi ne'tempi antichi attendossi Lepido dopo la mor-
te di Siila, ivi poscia ne' tempi bassi Enrico IV. impe-
radore secondo Pandolfo Pisano mandò signiferos cum
bandis: ivi pure secondo il card, di Aragona nella vita
di Alessandro III. l'imperadore Federico andò ad accam-
parsi ai 19 di luglio l'anno 1167, dopo la rotta ripor-
tata dai Romani ne' prati di Monte Porzio; ivi ancora
secondo Ottone di Frisinga era accampato, quando av-
viossi verso Roma ed entrò nella città Leonina per la
porta Aurea colle sue genti. Una iscrizione riportata
dal Grutero , e dai topografi di Roma , e specialmente
dal Nardini T. III. pag. 372. ricorda il clivo di Cinna
fra il secondo, ed il terzo miglio a sinistra, come una
delle salite di questo monte cioè particolarmente quel-
la che vi conduce dalla porta angelica , poiché ivi fu
rinvenuta. Ora è noto che 1' anno 666 di Roma Cinna
entrò nella città, e la riempi di strage: è probabile che
prima di entrarvi si accampasse su questo monte, don-
de scendendo verso Roma da questa parte fu causa che
tale discesa col nome di Clious Cinnae venisse desi-
gnata, hfjlij'^ .(^!
351
,„, MONTE MARIO e MONTE MAR10lO*,,uy\^m
Cosi chiamansi due tenute dell' Agro Romano, di-
stanti da Roma circa 14 miglia e poste fralle vie Clau-
dia e Cornelia, confinanti con quelle di s. Nicola, Cen-
trone, Casal di Galera, Buccèa e Bucceola. Appartengo-
no ora al Collegio germanico, e contengono 344 rubbia
di terra^.rioinr.Lì atm^4'^i€^ìvì^^omiì& ?i*wii4»»; Isì^'?* i? <
Anastasio Bibliotecario nella yita di'ZacdEiria narra
come quel papa verso la metà del secolo Vili formò in
questi dintorni utìa domuscuUa che assegnò agli usi del-
la Chiesa Romana; e quella domuscuUa sembra che fos-
se costituita da varii fondi indicati nella bolla di Leo-
ne IX dell' anno 1053 , colla quale confermansi i beni
del monastero di s. Stefano Maggiore situato presso la
basilica vaticana, assegnati al Capitolo di s. Pietro, bol-
la che si riporta nel Bollario della Basilica Vaticana to-
mo I. p. 39: e quelli fondi designati co'nomi di Came-
lianum, Olibula, Agellum, Pinum Cameranum, Lauretum
ec. s'indicano posti fra il territorium de Buccege (Buccea),
il Casale Celisanum (Celsano) il rivo Galeria, e l'Arro-
ae, confini che precisamente circoscrivono questi du,e
tenimenti, ed alcune altre adiacenze. E questi fondi fu?:
rono poscia dati in enfiteusi al monastero di s. Saba^^J
ed in tale stato vengono indicati nelle bolle di Adria-^,
no IV dell'anno 1158, e di Urbano III del 1186 come
possessiones terrarum, quas a canonica vestra monasterium
s. Saòae tenet in territorio Galeriae. Il monastero di s.
Sabba fu dato in commenda nel secolo XV. e questa
fu dà Paolo IV concessa l'anno 1556 all'ospedale di s..
Spirito: veggasi il Saulnier de cap. ord, s. Spiritus etc.
p. 51. Gregorio XIII. però nel 1574 diede al collegiq,
germanico tutti i beni di quella commenda, e questui
collegio fin da quella epoca possiede queste due tenu-
te insierae unite.
-il> „(>.':ij(ir; ;;ij.'A '?!♦»!♦ 'fsifflyf' MOT) i^afìumid': ikolì :
-«Kb 1)1 ; •»lir. il MONTE MÀSSIMO. , f^moìlié hiifiU
Nel celebre manoscritto di Cencio Camerario esì-'
stente nella Biblioteca Vaticana riportasi una locazione
perpetua, o come noi diciamo enfiteusi della città pre-
nestina, e delle sue pertinenze, fatta Tanno 970 da pa-*
pa Giovanni XIII a Stefania senatrice ; e come confinì
di quel territorio vengono indicati il Rìvùs latus, la via
lavicana, il MONTICELLVS DE MAXIMO, iì pons de
Cicala, VÀqtia Alta, la valle di Camporazio, ed il Mons
de Folianii. Parecchi di questi limiti conservano l'anti-
co nome , come il ponte Cicala , Camporazio ec ', e fra
questi anche il MONTICELLVS DE MAXIMO che Mon-
te Alassimo oggi si dice, njrii ,!1ijìHm?|4 ,Mntti!U ,Bi|jm.il
'' Questo monte facilmente si riconosce fra ponte Ci^
c»!a, che è al XIV: miglio della vìa prenestina fuori
di porta Maggiore, e la stazione di s. Cesario che é al
XVIII sulla via labicana quasi ad e guai distanza da am-"
bedue, ossia 2 miglia di là dal primo punto, e due di
qua dal secondo sulla riva sinistra del fosso di ponte
Cicala, servendo di separazione fra quello, ed il fosso
di Ponte del Fico^ ìj j^jioìiì}'.» a rww^ ,jì%\V\IsS'<^ì f.òjvovi«e<:.-i>.>^^
Incerta è la étiitiòrógia' di IMfàsSihiO, clìiB ha quésto
colle, potendosi derivare egualmente da qualche Massi-
mo, <;hte ne sarà stato proprietario ne' tempi antichi, o
dall' essere in que' dintorni il più alto tumulo. Oggi è
incluso nel territorio di Zagarolo; nel secolo Vili, però
faceva parte della Massa Alliana , siccome ricavasi dal
registro di Cencio Camerario inserito dal Muratori nel
353
iomo V delle Antiquitates Medii Aevi^ massa, che seb-
bene fosse sulla via prenestina , era inclusa in .quella
epoca jiel Patrimonium Tihurtinum, come chiaramente
sì trae dal documento indicato, nel quale si legge,
che Gregorio II. circa 1' anno 720 die in enfiteusi a
Marnalo Fundum Funianum via praenestina milliario plus
minus XV. cioè non lungi dal monte Massimo, ex cor-
pore Mdssae Alienae patrimonio tiburtino. Essa veniva
/ormata dalle terre , che trovansi a sinistra ed a de-
stra della via prenestina, fra il milUarc XV. e XVII.
,e che ne' tempi più antichi costituivano principalmente
il patripiQjiio della tribù Scaptia. kìv>1) hhì.ìJ'Ì
1.»; ì;ì.j:; ;.i; h ' -Oj;'t nrisoll fib
»r.(j 0 osì! noJ MO^TE MIGLIORE o riniiiiRlì
-t)f)b .'.?iwij}*f)n fM>(YÌ!) eÌ'I'Ìui ìi\Y u'j-\h '.I > »o>,mn
Vasta tenuta dell' Agro Romano di rubbia 657 ;,
posta fuori della porta s. Paolo sulla strada attuale di
Ardea, circa 12 miglia lontano da Roma, la quale per
conseguenza comprende i fondi , che nella bolla di s.
Gregorio I. esistente in marmo nella sagrestia de' ss.
Giovanni e Paolo sul monte Celio , vengono designati
col nome di Fimdus Lausianus, e Fundm Fausiantis. Nei
tempi passati era divisa in due tenute , che si distingue-
vano col nome di Monte Migliore piccolo, e Monte Mi-
gliore grande : il primo più verso il ponte di Schizza-
nello, r altro più verso la Solfarata. Questa tenuta og-
gi uiuta insieme, e considerata come un corpo solo con-
fina con quelle denominate, Mandriola, Castel Romano,
Monte di Leva, Solfarata, Solfaratella, Radicelii, Schiz-
zanello, e Pedica della Osteria. È divisa ne'quarti del-
la Selvotta, del Gore, di Monte di Leva, Schizzanello,
e Pedica della Osteria.
Non ho potuto trovare, né la epoca, né la etimolor
già del nome , che oggi questo fondo porta , né come
23
354
dalia chiesa de' ss. Giovanni e Paolo, alla quale sui fi-
nire del secolo YI. apparteneva passasse in altre mani.
:Sul declinare del secolo XYII. era de' Girard , i quali:
i'hanno posseduto fino al principio del secolo attuale ,
in che venne venduto al principe di Piombino, che n'.è
TaU^de possessore.
MONT^ MUmO V. AJIAE MVTIAE,
MONTP OLIVIERO,
Tenuta dell'Agro Romano situata circa 8 m, lungi
da Roma fuori di porta del Popolo a sinistra della via
flaminia, e pertinente al Capitolo de' ss, Lorenzo e Da;?
maso. Comprende circa 405 rubbia divise ne'quarti detr
^ del Casale, deXucemarj, dellì Montarozzi, e delle setr
taptà rubbia. Confina con le tenute di Pietra Pert|isa|
S«)«22a Mazza^ s. Cornelia, e Yaccarecc^a.
MONTJS DELLE PICHEr ■> < 'o ;
Una delie ultime lacinie del dorso di Monte Yerde,
la quale va a terminare sul Tevere, circa 4 miglia fuo=-
ri dj porta Portese, ed è causa, che la via portuense an-»
tica sia costretta a fare la unica salita, che abbia da Bo?
ma fino al mare, salita che torse anticamente non face>
va, ma che è stata cagionata da qualche sfaldamento avr
venuto ne'tempi bassi, e dalle irregolarità successivamenr-
te occorse nella direzione dell'alveo del Tevere, che in
questa parte anticamente radeva più la ripa sinistra. Que-t
sto monte communica il suo nome ad un piccolo teni*
piento di circa 12 rubbia e mezzo pertinente a famiglie
j)rivate.
355
MONTE PORCARO. i»
.!'
Mom parconu0.
Castello antico diruto, tre miglia circa di là da Su-
^iaco verso oriente, posto fra Subiaco^ Jenne , e Valle
pietra. Esso fu per la prima volta fortificato l'anno 1090
■dall'abbate Giovanni , secondo il Chronicon StMacense ,
mentre stava assediando Jenne : allora vi fu eretta una
torre, un palazzo, una chiesa di s. Maria, ed un <;a«^rum
^on grave dispendio. Verso la metà del secolo seguente
fu occupato dai Trebani, e poco dopo ripreso dai monaci
sublacensi, «ssia da Simone abbate. Poscia andò decar
Jendo, e fino dal secolo XV rimase abbandonato, e suc-
cessivamente al ridusse nello stato attuale di rovina. Alla
«poca in -che venne edificato poteva sostenersi, come punte
di difesa e di guardia per parte de' monaci sublacensi,
sebbene con grave disagio e dispendio. Gessati que'mo-
livi dovè di necessità venir meno per l'asprezza del sit©
<e la deficienza delle acque.
.Ml^l. .
mu Ri\ Vi MONTE PORZIO
.k\ìì\ ih ib't ' . > q ; :•
•• terra della Comarea dì Rotaa pOàta IH miglia fuori
^ porta s. Giovanni nel distretto di Roma, nel governo
« diocesi di Frascati , la quale contiene 1180 abitanti.
Essa è situata sopra un colle amenìssimo scoperto verso
«ettentrione ed oriente , dove gode una bella ed ampia
veduta della campagna di Roma, e della catena degli
Appennini, che la coronano. Gli astronomi Conti e Rie»
856
chebacfa ne hanno determinato la latUudInc a 41" 48' 55"
5 e la longitudine a 30° 22' 15" 0: l'altezza poi sul Ut
vello del mare calcolata dalla sommità della tribuna della
chiesa è di piedi parig. 1460, 4.'
Nell'andare a questa Terra da Frascati, donde è dir
stante' . circa 3 miglia, la strada costeggia per un buon
trìktto la. YÌlIa Borghese e la villa Mondragone , quindi
passa a traverso!. vigne chiuse da siepi verdi, e fiorite:
i poligoni di selce, che ivi s'incontrano fan prova di es-
sere questo uri diverticolo antico, che manteneva le com-
municazioni f ralle Vie tusculana e labicana , diramando
dalla prima presso la odierna città di Frascati , e rag-
giungendo l'altra sotto la Colonna. Queste traccie , che
si osservano fra Frascati, e Monte Porzio sono ancor più
-visibili e chiare fra Monte Porzio e la Colonna, dove ol-
tre i poligPOi sHneontrano ancora sepolcri. Circa la metà
di questa strada nel sito denominato le Cappelletto veg-
gonsi sostruzioni magni|iche a nicchioni, che danno orir
gine ^1 nome volgare della contrada, le quali apparten-
nero ^d ypa vijla sontupsa di quelle tante, che coprivano
i colli tusculani : queste sostruzioni Sono di opera reti-
colata con legamenti di opera laterizia : gli archi delle
nicchie sono costrutti di mattoni, ed i pilastri fra una
nicchia e l'altra sono fasciati di parallelepipedi di tufa,
caratteri, che fan riconoscere queste costruzioni per opera
degli ultimi tempi della repubblica, o de'primi dell'im-
pero. Esse proseguono sull'alto del monte, dove sono in-
terrate, ma ivi non sono più a nicchioni, ma a nicchie
strette, ossia ad angoli rientranti e salienti, ed a due oi*-
dini. Incerto è il nome di questa villa , la qu^le però
non fu certamente né di Lucullo, né di Cicerone; forse
potè essere di Catone il giovane, di quello cioè, che si
yccise in Utica, e la vicinanza di Monte Porzio dà qualr
che peso a questa congettura, che trovasi dall'altro canx
io di accordo colla epoca, che presenta la costruzione.
35?
; li nome di (jaesto villaggio è almeno da'tempibasr"
ài, il villaggio stesso però e moderno. Nella bolla di Gre^
gorio VII a favore del monastero di s. Paolo fuori delle
mura, data l'anno 1074, e riportataì dal Margarini Bull.
Cassin. T. II, fralle altre pessidenze di quel monastero
vien nominato aitcòra il Montem Porculi : così nella Cro-
naca del Monastero Cassinense riportata dal Muratóri R.
I. S. T. IV. p. 248 si ricorda una chiesa di s. Antonio
in Monte Porculo territorio tusculano. E nella Crònaca di
Sicardo riportata dallo stesso, T. VII. pag; 599, parlando
della disfatta, che i Romani riportarono l'anno 1167 dai
Tttsculani utiiti ai Tedeschi, dice che 1' incontrò seguì
apud Montem Portium. Quindi è chiaro che il luogo già
cbiamavasi Mons Porculi, ò Poroulus nel secolo XI e che
allora spettava ai monaci cassinensi di s. Paolo, che que-
sto era una corruzione di Mons Porcii, a Porcius, nome
che non si era ancora dimenticato nel secolo XII; laondis
nott è affatto knprobabile , che lo avesse fino da' tempi
anticlù per la villa,' che ivi ebbero i Porzii, ossia i Ca-
toni. Ma la Terra non sorse , se non nel pontificato di
Gregorio XIII, e perciò sulla porla veggonsi i draghi ,
stemma di quel papa : e la chiesa principale in memoria
del suo nome e dedicata a san Gregorio^ Magno , come
pure a S; Antonio antico protettore del luogo , secondo
a Chron. Cassinense citato di sopra. E questa chiesa è
l'oggetto , che la Terra contiene , degno di particolare
memoria. Essa fu riedificata dalle fondamenta circa l'an-
fao 1666 dal principe Giovanni Rattista Rorghese signore
della Terra, ed un secolo dopo fu ampliata ed ornata
dal principe Marco Antonio, padre del principe Rorghese
attuak, e consagrata di nuovo il iprioK) di giugno 1766
dal card. Enrico Stuart detto il duca di York.' Nell'ai^
tare della crociata, a sinistra di chi cnt^ra, eoiisérvaisi il
358
corpo di s. Laconilta trovato nelle catacombe^ di Ciriaca
Tanno 1783 colla iscrizione originale che dice:
LACONILLAE QVAE viXIT AN. XXX.
BENEMERENTI IN PACE.
Pocd" prima' di salire a Monte Porzio diverge a de-
sCra della strada descritta- di sopra un viottolo^ che per
i Camaldoll raggiunge una delle grandi strade, che con-
ducevano a Tasculo , entrando per la porta orientale ,
presso cui rimane ancora la colonna migliaria col num.
XY, che detennina la distanza da Roma a Tuscuk) per
quella strada,
MONTERONI
■ ■■ . ^ ;» ■<> -^
È una stazione postale sulla strada di Civitavecchia^^
22 miglia circa distante da Roma, la quale ha nome d»
parecchi tumuli, o monterozzi di terra, che ivi si veg-
gono, probabilmente sepolcri degli antichi Alsiensi. <
MOmE ROSI — ROSSVLVM.
Terra della Comarca di Roma nel Governo di Cam-
pagnano, distante circa 25 m. da Roma;, sulla gran stra-
da postale^ presso al bi£orcamento delle due vie, cioè di
Viterbo, e di Civita Castellana, e per conseguenza posta
in un punto molto importante. Nulla nel rimanente ivi si
scorge, che meriti particolare menzione, né di antico, né
di moderno , quantunque non sembri probabile essere'
stato il sito ne'tempi antichi trascurato. Molli credono ^
che ivi sorgesse un luogo di nome Rossulum^ donde de-
rivasse il Mons Rossultis ricordato nella bolla d'Innocen-
zo III dell'anno 1203 come pertinente al monastero di
s. Paolo: reggasi il Margarini Bull. Cass. T. I. Né ia
359
so trovare i obbiezione^ qttanttmqtfe neoclassici antichi non
Tenga affatto ricordato. L'Ortelio cita in favore di Rps-
snlum Antonino, cioè Tltinerario, che va sotto }\ suo no*
me, ma in Antonino non ho potuto trovarlo. Certo è pe-
rò, che Mon» ÈosstUu» è T origine della Terra odierna,
e che di già esisteva nel secolo XiJI pel documento inr'
dicato d'Innocenzo IH. E perchè non si prenda equivo-
co , in quello stesso documento a Montem Rossidum si
unisce ancora il lago esistente a pie della Terra, efae
Iago di Monte Rosi oggi si dice, ed ha appena un mezzo
miglio di circonferenza^ e che in quella bolla vien desi-
gnato col nome di Lacum qui vocatuf lanulay nome che
pure si legge in quella di Gregorio VII dell'anno 1074.
Quel Iago ebbe il nome di lanula dal fondoy nel quale
era ccmipreso, che fundu» lanula viene appellato in un*
altra bolla di papa Innocenzo III esistente neirArchivio
di s. Paolo, e riportata dal Galletti nel Primieero p. 333.
E questo fondo medesimo Villa lanula si dice nella bolla
di Onorio III riportata nel Eullarium Vaticanum T. I*
p. 103, dove apparisce, che era in parte allora proprietà
della chiesa di s. Tommaso in Formis sul monte Celio.
Altre memorie su questa Terra non ho potuto rinveni-
re; dai documenti citati risulta^ che nel secolo XI non
era ancora una terra, e che almeno 6no al secolo XIII
fu de'monaci di Sv Paolo, quindi per gli sconvolgimenti
de'secoli susseguenti tornò sotto il dominio immediato
della s. Sede.
MONTE ROTONDO.
Terra sopra una collina amenissima, posta a destra
della strada di Rieti, comunemente detta via Salaria,
ma che ivi non é la stessa, poiché quella via antica di-
verge dalla moderna prima del casale di Marcijiana. Essa
contiene 1853 abilanti, appartiene al principe di Pioni''
3t;o
bino, ed é circa 15 m. distante da Roma, e così pros-
sima air antico Nomenlum oggi Mentana , che ne dista
appena un miglio e mezzo.
Molte volte ho visitato questa Terra, come quella,
che per la sua situazione poteva occupare il luogo di
qualche città antica, e soprattutto perchè la volgare opi-
nione, anche in questi ultimi tempi riprodotta, vi colloca
Eretum; ma altrove ho mostrato le difficoltà insormon-
tabili, che si oppongono a questa congettura , la quale
d'altronde non ha neppure una tradizione, che l'appoggi:
vcggasi l'art. GROTTA MAROZZ A. lo stesso sarei stato
inclinato a riconoscervi Crustumerii ; ma poscia ho do-
vuto convincermi, che è troppo lontana, e che per altre
ragioni quell'antica città de' Prischi Latini non potè es-
sere ivi situata: veggasi l'art. CRVSTVMERII. Inoltre
é un fatto positivo , che in Monte Rotonda non rimane
vestigio di fabbriche anteriore al- secolo XIII ; ma solo
qualche frantume di marmo, e qualche iscrizione sepol-
crale fuor di luogo, trasportata dalle vicinanze. Quindi
d'uopo è riconoscere questa Terra, come sorta ne' tempi
bassi , forse dalle rovine di qualche villa romana , alla
quale appartennero i frantumi e le iscrizioni sovraindicate.
Siede questa terra sopra un colle di mediocre al-
tezza, ma non come afferma l'autore della opera intito-
lata Monumenti Sabini a livello del Quirinale , essendo
molto più alto. La memoria più antica, che ne he tro-
vato appartiene all'anno 1074, Quando Gregorio VH nella
bolla a favore del monastero di s. Paolo fuori delle mu-
ra, la nomina fralle possessioni di quel luogo pio insie-
me con Lamentana, chiamandola Castrum Rottmdim e vi*
unisce una chiesa di s. Reparata ed una selva dello stess»
nome. Una iscrizione che si conserva nella sagrestia della
collegiata, che enumera le reliquie ivi collocate appar-
tiene all'anno 1152. Nel secolo seguente venne in potere
361
degli Orsini , ed una Carta riportata dai Galletti nella
opera del Primicero pag. 350^ esistente nell' archivio di
san Paolo ne fa menzione col nome, che oggi conserva
di Mons Rotundus. Gli Orsini la ritennero fino al pon-
tificato di Urbano Vili nel secolo XVII. Durante il loro
dominio questa terrà ebbe molte peripezie nel secolo XV;
imperciocché l'anno 1432 fu presa da Niccolò Fortebracci
coH'ajuto de'Colonnesi^ secondo che narra Nero di Gino
Capponi presso i Rerum Italie. Script. T XVIII. p. 1179;
nel 1485 fu dagli Orsini stessi incendiata il dì 6 di à&-
cembre, come narra il Nantiporto : ivi Tom. III. P. II,
^g. 1097 : e poco dòpo occupata dai soldati del papa,
secondo l'Anonimo, che descrive quella guerra, e che si
legge nella stessa raccolta p. 1201 , dal quale pure ap-
prendiamo, che r anno seguente 1486 ai 2 di luglio fu
presa dal duca di Calabria. Dagli Orsini circa l' anno
1640 passò per vendita ai Barberini , e da questi nel
secolo passato alla famiglia del Grillo, la quale nel 1825
la vendette al principe di Piombino. ,; h^-'tihti i
Allorché venne in potere de 'Barberini furono edifir
cate le mura attuali e le porte, che attualmente vi danr
no accesso, cioè la Romana, detta pur di s. Rocco , la
Canonica, e quella di Palazzo. Fuori della porta Romana
fu edificato il borgo, le cui case distinguonsi per la co-
struzione recente da quelle della Terra , le quali gene-
ralmente sono di opera saracinesca del secolo XIII. Quat-
tro sono le chiese; la collegiata dedicata a s. Maria Mad-
dalena contiene un quadro di Carlo Maratta rappresen-
tante i ss. Filippo e Giacomo protettori della Terra: un
Salvatore di Ciro Ferri: ed un Purgatòrio di scuola del
Zampieri; la chiesa parrocchiale di s. Ilario dove il mar-
tirio di s. Stefano si reputa opera del Mantegna. Presso
questa chiesa é un' ara sepolcrale con loculo sopra per
contenere le ceneri della estinta Cocceia Giusta, alla quale
362
questo raonuttrenta fu eretto dai genitori Kicolao e- Pan-
nichide ? sembra che questa ara fosse collocata in mezzo
ad UQ bivio, poiché ha la medesima iscrizione da tre
lati) e disposta nello stesso modo, con caratteri dì beli»
forma : e vi si osserva la particolarità di un punto nella
ultima parola PI.ISSIMAE,. il quale è tutte e tre le voltai
ripetuto. Questa iscrizione mal riportata dallo Sperandia
nella sua Sabina Sacra e Profana p. 421 si riporta purer
scorretta dall' autore dei Monumenti Sabini : essa dice^
così :
DIS MANIB in
COCCEIAE > : V
IVSTAE
NICOLAVS EST
PANNYCHIS
PARENTES FILIAK
PI . ISSIMAE
ti palazzo baronale è magnifico ; esso fu ediffcatciP
dagli Orsini , ed il loro stemma si vede in più parti ,
eome pure quello de' Barberini loro successori , i quali
viemmaggiormente lo abbellirono : in esso sono pitture
non ispregevoli, ed una torre altissima che scopre un im-
menso orizzonte, e servìf per la triangolazione della mappa^
Uscendo dalla Terra nella vigna Cristaldi si legge
ta lapide seguente :
D . M
IVLIAE FORTVNATAE M. IVLIVS
MARTIALIS FILIAE DVLCISSIMAE
QVAE VIX. ANN. VII. MENS. III.
FECIT
Questa iscrizione si riporta anche essa dallo Spc"
363
randìo, e male r egli dice, che stava allora avanti la oste-
ria Mei sulla strada consolare, donde poi fu trasportata
recentemente, dove og^i si vede, quindi ha torto l'autore
àe' Monumenti Sabini di trarne argomento per dichiarare
essere stato il terreno Cristaldi la villa del poeta Mar-
ciale. Imperciocché é certo, che quel poeta avea un pre-
dio nel territorio nomentano, che sovente ricorda ne'suoi
epigrammiy^ è possibile, che egli sia il Marco Giulio Mar-
ciale di questa iscrÌ2Ìone> ma è vero altresì che la iscri-
zione non si sa, dove originalmente fosse : che se real-
mente fòsse stata rinvenuta- ne'dintorni dei luogo ove si
trova, sarebbe una induzione di più per credere che iF
sito di Monte Rotondo era parte del territorio nomen-
tano, come io credo y e perciò non era compreso né in
qaello di Ereto, né in quello di Crustumerii. L' autore
de'Monumentì Sabini narra, che nel luogo detto il Casal
di s. Matteo vennero disotterrati busti e statue fram-
mentate, minori del vero j egli riporta inoltre la iscri-
zione seguente, che si legge sopra un cinerario, la quale
dice cosi?
D. M.
POMPONIAE APHRODISIAE
TI. CLAVDIVS ATIMETVS CONIVGI
BENEMERENTI
Sopra questa iscrizione merita osservazione il nome
di Pomponia, discendente di un qualche liberto del ce-
lebre Tito Pomponio Attico , imperciocché è un nuovo-
indizio, che il sito di Monte Rotondo fosse parte del
territorio nomentano, sapendosi da Cornelio Nipote nella
vita di quell'illustre romano, che Pomponio non ebbe in
Italia altri fondi praeter ardeatinum et nomentanum , tu-'
9ticum praedium.
364
MONTE DEL SORBO e PILO ROTTO ' ^
flalagai - JpUu0 Huptus ' ^ ' |
illonte òt éen)0.
Tenuta dell'Agro Romano fuori di porta s. Lorenzo
circa 10 ni. lontano da Roma, pertinente fino dal seco-
lo X alla chiesa di s. Maria in Via Lata, che comprende
rubbia 311 e mezzo divise ne'quarti del Campanile, del
Torraccio, del Pilo rotto, e del Casale. Confina colle te-
nute di Tol* Mastorta, Castel Arcione, Marco Simone, e
Tor de'Sordi, e co'territorii di s. Angelo e Monticelli.
Nel registro di Cencio Camerario riportato dal Mu-
ratori nelle Antiq. Medii Aevi T. V. si trova notato come
Gregorio li affittò ad Anna religiosa e a due altre per-
sone circa l'anno 720 i fondi denominati Argenti, Ver-
clanum, Lugeranum, CoHivercorum, Toleranum, per due
soldi d'oro l'anno : e quelli detti Tuci, Trasis, SenanUm,
e Possessianum, per 50 soldi bizantini di oro, tutti del
corpo della massa sabinese, ai quali si andava per la via
tiburtinà, e che erano distanti 10 m. da Roma. La di-
ifezione e la distanza da Roma di questi fondi coinci-
dono colla tenuta in questione, e perciò , se non tutti ,
almeno parte di essi possono credersi compresi entro i
suoi confini. Il Martinelli nella opera intitolata Primio
Trofeo della Croce p. 57. riporta tradotta in italiano una
relazione esistente nella Biblioteca Palatina in latino nel
cod. n. 5516, dalla quale apparisce, che Maroza, insie-
me con Stefania, e Teodora sorelle del celebre Alberico
console romano donò alla chiesa e monastero di s. Ciria-
co, oggi s. Maria in Via Lata i fondi denominati Selva
Maggiore, Bolaga, e Reatina con molti altri luoghi, cir-
365
ca l'anno 950. fondi, che il Martinelli riconosce in quel-
li di Torricella di s. Giovanni, Monte del Sorbo, e PjIq
Rotto : ed il Martinelli in questa parte è giudice com?
petente, avendo avuto il campo di svolgere tutto Tgrchi-
vio di s. jftfaria in Via Lata, ed essendo egli stesso un
diligente raccoglitore di notizie. Mi sembra pertanto po-
tersi conchiudere, che queste terre nel secolo Vili, era-
no della Chiesa Romana , che Gregorio II. le affittò , o
come allora si usava le die in enfiteusi , che passarono
in seguito in potere della potente famiglia di Alberico,
console romano , la cui sorella Maroza donolla a s. Ci-
riaco^ chiesa con monastero unita poscia a quella di s.
Maria in Via Lata, dalla quale queste terre furono sem-
pre fino ai giorni nostri possedute. Dai documenti esir
stenti nell'archivio di s. Maria, che copiati dell'indefesr
so Galletti si possono consultare nella Riblioteca Vatica-
na cod. n.° 8048-50 si rileva, che nel 1134 Maria ab-
badessa di s. Ciriaco fece edificare una torre a difesa
della terra di Monte del Sorbo, e questa rimane ancora
presso la strada di Monticelli e dà nome al Quarto det-
to del Torraccio: che nel tenimento propriamente detto
di Pilo Rotto era un villaggio , il quale , insieme con
altre terre adiacenti pertinenti al monastero fu nello stes-
so secolo occupato circa l'anno 1124 dai signori di Mon-
talbano, Terra oggi deserta presso Monticelli; che il no-
me di Monte del Sorbo , Monte de Sorvo comparisce la
prima volta nel 1186 : che quello di Pilm Ruptus che
si legge per la prima volta in una bolla di Callisto IL
dell'anno 1124, ricordasi di nuovo in una Carta dell'an-
no 1202: che in Monte del Sorbo esisteva un villaggio
nel 1236, ed un palazzo che fu devastato dai Tiburti-
ni circa la metà di quello stesso secolo, onde per risar-
cirlo, Artemia abbadessa di s. Ciriaco concesse a dì 15
Ottobre 1254 a Giorgio di Egidio Cardelli per anpi 29
3 66
«ina easa nel rione di Campo Marzio; e finalmente, che
nel 1321 il villaggio, o castello di Monte del Sorbo non
4}ontaya più di 10 abitanti.
Avendo percorso queste terre nella formazione del-
la mappa ho rilevato , che anticamente sorgevano ville
in questi luoghi, e particolarmente una verso Pilo RoU-
to , dove neir anno 1822 furono scoperti pavimenti dì
musaico bianco e nero, rappresentanti Tritoni e Nereidi^
avanzi di antiche camere di bagno.
MONT^ SPACCATO v. AEFLIANV&
r ^>MONTE VERDI? v. MARCELUNA.
■■'■?'t- ita ■' —
-aitili;. MONTICELLI-COmiCYlWM,
Terrà situata nella Comarca 16 hu a nord-«st 41
Soma, sopra la punta più orientale delle tre principali
(de'monti corniculani, dipendente dal governo di Tivoli,
€ parte di quella diocesi, pertinente ai Borghese, e che
contiene 1353 abitanti. Ad essa si va da Roma per due
vie; per la tiburtina, uscendo da porta s. Lorenzo, e di-
vertendo a sinistra al settimo miglio presso la osteria
à.eì Forno: e questa strada è una via antica, che i mo-
derni più communemente chiamano via corniculana; e
per la via nomentana, divergendo a destra circa al se-
sto mìglio alla tenuta di s. Basilio, e che suol chiamar-
si la strada delle Moiette. Ambedue queste strade sono
mal conservate , incommode , e non presentano oggetto
degno di particolare rimarco. Più amena è quella che
vi conduce da Tivoli, lunga circa 6 miglia, la quale per
la porta del Colle e pel ponte dell' Acquoria segue la di'»
rezione della Valeria primitiva, ed a mano destra 1. m,
dopo il ponte sovraindicato a non molta distanza presene
36T
la le rovine di Vitriano, ed altre pel tratto di circa 8
m. quindi valicati due ponticelli comincia a salir le pen»
.dici del monte, sul quale è la Terra, e clie in gran par*-
t,e è piantato di olivi. 1 loi: -Hoa iv ii^ritó<?«a' iiviojti
La chiesa principale é dedicata a s. Giovanni E van-r
gelista fi fu riedificata l'anno 1710; dinanzi a questa è
la piazza. Le case generalmente presentano la costruzio^
^e saracinesca del secolo XIII e XIV. Nella strada per
la quale si sale alla rocca incontransi pochi frammenti
.antichi, cioè una colonnetta ed un capitello, una testa
di marmo incastrata sopra una porta ec. ,, indizii di fab»
briche ed ornamenti de'tempi imperiali. Nella rocca stes-»-
sa, che è di costruzione del secolo XIII. rimane anco»
fSL sulla sommità un tempietto laterizio ornato di pila»
stri corintj, analogo per lo stile e per la eostruzione ad
altre edicole del primo secolo dell'impero esistenti pres»
so Roma, com« quelle, che si veggono sulla via latina,
ed il tempio preteso del Dio Redicolo nella valle di
€affar4ella, tempio eretto forse da qualche ricco romano
€he occupò questo colle. Altri avanzi non esistono né
nella Tejrra, né nel suo circondario, almeno alla distan-*
7a di un miglio. Presso Monticelli è un convento di fra-
ti minori con chiesa consacrata a s. Michele Arcangelo,
anche esso sopra una punta, della quale parla il Casi^
miro nelle Memorie de' Conventi della Provincia Homana^
ricordaijdo , che nel fondare una parte del convento si
rinvennero molti ossami , che io credo appartenere ad
individui de* tempi di mezzo e forse stranieri , per le
jjrmi ed ajtri attributi, che li accompagnavano.
-' Or venendo alla storia di questa Terra, è noto che
più generalmente ivi suol collocarsi Corniculum, ricorda-
to da Dionisio, Livio, Plinio, Floro, e Stefano. E quan-
to alla posizione di quella città de'prischi Latini, come
li appella Livio, debbo fare osservare che Dionisio Uh,
368
|. e. XVI. pone i monti Corniculi fra Ficulca e Tibur,
e perciò non cade quistionc , che con tal nome gli an-
tichi riconobbero le tre punte acuminate del gruppo de'
monti calcarii a nord-nord-est di Roma, sulle quali sor-
^ono le Terre di s. Angelo in Capoccia , e Monticelli ,
ed un dì quella di Poggio Cesi intermedia delle due
testé ricordate. Corniculum pertanto, che dava, o tracr
va nome da questi monti, di necessità dee cercarsi so?
pra una di queste punte. Ora Dionisio lib. III. e. XLIX
e seg. narrando la spedizione famosa intrapresa da Tar-
quinip Prisco , contra i Latini mostra , come quel re
primieramente si mosse contra gli Apiolani, e dopo a?
yer presa, incendiata, e smantellata la loro città, si rir
Tolse contra i Crustumerini ed i Nonientani, che si ar--
resero a discrezione, e furono con umanità trattati^ por
scia andò contra Collazia, .città la cni situazione è nor
ta, siccome fu mostrato a suo luogo, v. COLLAZIA,
posta cioè, sulla riya destra dell'Osa, fra questo fiu-
me e rAJiiene,; 10 m. ; circa lungi da Roma al Castel-r
laccio dell'Osa; prese ancor questa e la die in ispecie
di feudo ad Arupte Tarquinio suo nipote, che diven-r
ne così lo stipite della famiglia de' Collatini; e quindi
inarciò immediatamente contro di Corniculum, e dopo
aver dato ìi guasto alle terre appressò 1' esercito alla
città, clje presentò per la sua fortezza una valida di-»
fesa,. Ma dopo molti assalti, il re di Roma la espugnò
colla forza, ed in; tale espugnazione perì il fiore de'cit-
tadini: i,l resto colle donne e co'fanciulli fu venduto, e
la città dopo essere stata saccheggiata venne data alle
fiamme. Stando pertanto a questa narrazione, e cono-
scendo la situazione di Collazia , d' uopo è riconoscere
Corniculum sulla punta di Monticelli; imperciocché il
re di Roma, passato 1' Aniene presso Lunghezzina tror-
ypssi immediatamente nelle terre de' Corniculaai. D' al-
369
Ironde la forma della punta di Monticelli è quella, che
presenta la etimologia più diretta del nome Corniculum^
dividendosi appunto come in due corna, quella cioè, su
cui è posta la Terra, e quella, sulla quale è il conven-
to de' frati minori. La storia di -Gorniculum e scarsisisi-
ma, poiché oltre questo fatale avvenimento testé ricor-
dato, cioè della presa e distrazione di «ssa fatta da Tar-
quinio Prisco , altro non se ne legge ; imperciocché Li-
vio lib. L e. XXXVIIL solo la ricorda fralle città pre-
se da Tarquinio , e la nomina per la prima : ed egli e
Dionisio poscia riportano la tradizione , che in quella
presa, fatta prigione la moglie del principe di Cornicu-
lum morto nella pugna , fu portata in Roma incinta e
venuta nella reggia di Tarquinio ivi partorì Servio Tul-
lio, poscia sesto re di Roma. Plinio poi Hist. Nat. lib.
IIL e. V. nomina Gorniculum fra quelle città primitive
del Lazio, che erano perite senza lasciar vestigia.
È naturale credere , che una posizione cosi eleva-
ta, amena, e salubre non venisse trascurata dai Roma-
ni nel tempo del loro lusso, e dalla loro magnificenza,
e che circa i tempi augustani sul sito della distrutta
Gorniculum fosse edificata una villa, come Strabone af-
ferma essere ordinariamente accaduto di altre città an-
tiche ne'dintorni di Roma, distrutte, e come se ne han-
no molteplici esempj di fatto; e a questa villa appar-
tengono i frammenti, che ancor si veggono nella Terra,
notati di sopra , ed il tempietto che è sulla rocca. E
perito poscia il gran colosso del romano potere , come
pure in altri luoghi avvenne, di villa privata tornò ad
essere una Terra abitata, metamorfosi, che tanto più di
buon ora si fece, che il sito offriva una non commune
fortezza; ed il suo nome che attualmente porta si tro-
va fin dal secolo XL allorché la Terra si era di già
formata ed apparteneva al monastero di s. Paolo fuori
24
870
delle mura, al quale fu sul principio del secolo mede-
simo usurpata da alcuni potenti abitatori del luogo, che
circa l'anno 1001 vi racchiusero nella rocca Pietro ab-
bate di Subiaco , e ve lo fecero morire , siccome si ha
dalla cronaca sublaccnse presso il Muratori R. I. S. Tom,
XXIV. p. 931. Nel secolo seguente , narra il card, di
Aragona nella vita di Eugenio III presso lo scrittore so-
vrdllòdato T. JU. :P» I. p. 4^39, che quel papa uscì di
Roma', nel silenzio della notte e ricoverossi ad arcem
Montis Celia per sottrarsi dal senato romano, e non ve-
dersi costretto a confermarlo: dove è da notarsi il mo-
do con eh© Tiene enunciato il nome di questa Terra,
quasi derivasse da un Celio che vi avea avuta la villa
ne'tempi antichi. Non mollo dopo, cioè l'anno 1159, da
un atto riportato dal Muratori R. I. S. T. II. p, 678 ,
apparisce, che quésta Terra, come Tusculo, Palombara,
e Tivoli avea il suo conte, che Comes Monticellensis di-
cevasl. Nel 1241. fu occupata contra il papa ed i Ro-
mani dal cardinale Giovanni Colonna, insieme con Pre-
Qeste e Ponte Lucano , per testimonianza di Riccardo
da «. Germano, Chron. presso il Muratori R, I. S, T,
VII. p. 1047. Ritornò però ben presto in potere de'Ro^
mani, poiché, secondo Niccolò di lamsilla nella storia
riportata dal citato Muratori R. I. S. T. VIII. p. 612,
Enrico senatore di Roma vi fece chiudere Napoleone e
Matteo Orsini , ed in quello storico si dice di questa
Terra : yworf est castrum foriissimum prope Tibur ; anzi
sembra, che circa quel tempo la rocca fosse ridotta nel»
lo stato attuale. Circa l'anno 1307 sembra che ne fosse
conte un Gottifredo , la cui moglie Aldruda si ricorda
nel necrologio di s. Ciriaco in Via Lata, stampato dal
Martinelli nel Primo Trofeo della Croce p. 148.
Ho notato di sopra , che questa Terra era in ori-
gine del monastero di s. Paolo fuori delle mura^ ma il
37t
fatto è che essi per circa tre secoli non ne ebbero che
il solo titolo. Ricuperata però con altre terre sotto Eu-
genio IV dal card. Vitelleschi venne restituita ai mona-
ci che col beneplacito di quel papa la vendettero noi
1436 insieme con monte Albano , terra contigua , oggi
deserta, per 10,000 fiorini a Gio. Antonio Orsini, con-
te di Tagliacozzo. Alla sua morte avvenuta l'anno 1455
insorse guerra fra Everso dell'Anguillara, e Napoleone,
ambedue Orsini , per la successione di questo castello ,
guerra funestissima per la campagna di Roma , che si
sedò alcun poco per le premure di Pio II, ma che per
la malafede di Everso si riaccese di nuovo nel 1458 ,
quando questi si rese padrone della Terra e la ritenne
fino alla sua morte avvenuta l'anno 1464. I suoi figliuo-
li usando ogni sorta di violenze contra i pacifici abitan-
ti delle campagne , e contra i viandanti attiraronsi Ì9
sdegno di Paolo li, che colla forza delle armi nel 1465
tolse loro in pochi giorni tredici castella , fralle quali
fuvvi ancora Monticelli che si arrese ai 22 di giugno..
Veggasi il Casimiro p. 172 e seg. Così tornò Monticel-
li sotto il dominio diretto della Sede Apostolica > ed in.
tale occasione il di primo di settembre di quell'anno il
papa emanò un breve, che si riporta dallo scrittore so-
vrallodato , nel quale non solo confermò agli abitanti
tutti i privilegj, che aveano fino a quel giorno goduto,
ma per qualche tempo diminuì ancora le gabelle. Sisto
VI. nel 1472 impegnò Monticelli per 6000 fiorini ài
celebre cardinal Guglielmo d'Estouteville, e dopo la mor-
te di questo a Pietro di Vicenza pef 3000 ducati. Il
suo successore Innocenzo VIII. nel 1484 lo donò insie-
me con Frascatello, e s. Angelo a Giovanni Balva car-
dinale, la cui arma si vede sfcolpità soprai una porta del-
la rocca. Morto il Balva, Alessartdi»© VI. die Monticelli
al card. Giovagli Battista Orsini: aììòt» hi tìtirtòvàtSL là
372
chiesa> che è dentro la rocca, dove si veggono ancora
pitture di quel tempo, e fra queste il ritratto di Jaco-
po Alzina Barcellonese, castellano e governatore di Mon^
(icelli, rappresentato ginoccbiohe, di cui ricordasi il no-
me in un epitaffio esistente nella chiesa di s. Giovanni,
che < ha la data de'16 aprilo 1497. Al card. Orsino do-,
pò là morte, successe nel dominio di questa Terra Nic-
colò della Rovere nipote di Giulio II. à cui dal zio fu
confermata in perpetuo tale infendazione. La famiglia
della Rovere lo ritenne fino all'anno 1550, allorché Giu'
lio figlio idi Niccolò sovrammenzionato lo vendette a Fe-
derica Cesi cardinale per 5000 scudi pagabili una vol-
ta soli», e 400 scudi annui durante la vita di Giulio. I
Cesi hanno ritentito il dominio di questa Terra fino ai
3 .4* [Hiarzo 1673 .in che la vendettero ai Borghese che
UO souQ i signori odierni.
:::[ Queste ultime notizie furono raccolte dall'erudito
1^ Casimjrpi menzionato più volte , il quale illustrando
il convento del suo ordine edificato presso questa ter-
ra nota, che la; punta sulla quale questo convento è col-
locato è quella che aic'tepttpi bassi appellavasi Mons Al-
banus , del quale, si ha la prima mepioria nel 1124 in
luna, bolla di Callisto II ; allora vi era un castello del
quale era signojfe un tal Gregorio, che insieme con Gio-
yaijni di -Oddone signore probabilmente di Monticelli in-
festava, le terre del monastero di s. Ciriaco, e singolar-
mente lai; villa di Pilo Rupto. Verso la metà dello stes^
so secolo dice, che n'era signore un tal Giovanni., pres--
so il quale ritirossi Giovanni de Struma antipapa; ma
ivi il Casimiroi ipi sembra avere preso un equivoco con-
fondendo questo castello con Albano. Egli è certo però
che. come Monticelli anche Monte Albano era de' mona-
pi; di s. Paolo, lai quali lo confermarono con bolle In-
nocenzo IH nel 1203, Onorio III. nel 1218 e Gregorio
à73
IX nel 1236. Ma nel 1241 per testfmènianza di Riccar-
do da s. Germano nella cronaca riportata dal Muratori
R. I. S. Tomo VII. col. 1047 fu preso ed incendiato
da Federico II imperadore, e quindi rimase per sempre
deserto* La compagnia del Gonfalone edificò in questo
luogo nel secolo XVI. una chiesa di s. Maria, nella qua-
le pose i pp. conventuali per officiarla: questi T abban-
donarono nel 1636. A questa communità religiosa suo*
cedette sul finire del secolo XVII. medesimo quella de*
pp. minori che sul principio del secolo passato edifica-
rono il convento e la chiesa di s. Michele come oggi
si vede, -i' iifi aì 'ì'»^ ^/feriiKKi i>;> «uiia-j t-iììa ihU oIJsv
. _,irr illaòhno'ì -i .^H ; I . , ? :U tw.}' 'A oììùìi Ó5
/ n, fjv^ìm . MONTORIO ROMANOfif^r^^'f ^ ^^
. uìoi
Villaggio della Comarca nel distretto di Tivoli e
nella diocesi di Sabina , posto sotto il governo di Pa-
lorabara circa 28 m. lontano da Roma verso settentrio-
ne , ed il quale comprende circa 600 abitanti. A diffe-
renza di un altro castello dello stesso nome, che è pu-
re in Sabina, ma che è più discosto da Roma, questo
come più vicino sruol chiamarsi Montorio Romano. Seb-
bene sia posto sopra una delle vette più alte del mon-
te Lucretile, ed ardua sia la salita, che vi conduce on-
de è poco frequentato , nulladimeno é ben fabbricato ,
e come altre Terre sabine distinguesi per una ospitali-
tà cordiale. Dapprincipio fu un tenimento, e poscia un
castrum, che dovè la sua origine agli Orsini, e che più
volte è ricordato nelle Carte de 'secoli XIV. e XV. che
si conservano nell'archivio di quella famiglia in Roma.
Essi lo ritennero fino al secolo XVlI. e poscia Io ven-
derono ai Barberini. • . i' >.'^ .i-j
-*;;' La>étrada da •Ròina a questa Terr» è 1» Noraenta-
na fino al suo congiungimento colla salai^f antica: a Grot-^
374
ta Marozza, quasi 18 m. fuori di porta Pia: ìri distac-
casi a destra un'antico diverticolo, che conduce diretta-
mente a Castel Chiodato, Cretone, e Stazzano: di là que-
sto diverticolo antico conduce a Palombara , e quindi
per Marcellina va ad entrare nell' antica Valeria poco
prima del ponte dell' Acquoria. Ma per andare a Mou-
torio , dopo Stazzano dee seguirsi la strada a sinistra ,
che va a Moncone , e da Moricone per tre m. seguen-
do il ciglio sinistro della profonda convalle del ramo
orientale del rivo Corrose , si aggiunge a Montorio. Da
Montorio poi per un sentiero alpestre si scende nella
valle dell'altro ramo del Correse, per la quale, passan-
do sotto le Terre di Scandriglia e Ponticelli raggiunge-
sì la via salaria t o strada di Rieti alla osteria di Ne-
rola.
-fi'i il, orna/O^ :■ MORANELLA.
-'»Ìl!a jlt'J?, Of/l'J/ :.ii!!>,», il
Tre fondi possiede il monastero di s. Maria Nuo-
i»a di Roma fuori delle porte s. Giovanni e s. Sebastia-
no , neir Agro Romano 5 in 6 miglia circa lontano da
Roma, denominati Moranella, Statuario e Selce, i quali
costituiscono insieme una tenuta di rubbia 53 e mezza.
Questi fondi però sono fra loro separati e distinguon-
&\ eoi nome medesimo in tre quarti: il quarto di Mora-
nella (M)nfina colle tenute di Tor di Mezza Via, Postic-
eiola, e Casal Rotondo: quello di Statuario colle tenu-
to di Roma Vecchia, Capo di Bove, e Pedica di Cleria:
e l^nalmeiitQ quello di Selce colle tenute di Casal Ro-
tondo, Tofrìcola, Fioranello, Fiorano, Barbuta, e Palom-
baro, (.eggesi neir Infessura , ed in altri scrittori con-
temporanei, come neir anno 1485 nel mese di marzo i
monaci fecero uno scavo presso il loro casale di Statua-
rio ^uUa via appia 5, o 6 miglia lontano da Roma, •
J75
distruggendo un sepolcro che era ivi sulla yia, neli'ul-'
timo luogo del fondamento trovarono una cassa mar-
morea impiombata, ed jin quella rinvennero intatto a se-
gno che avea conservato il color naturale, un corpo di
donzella , il quale fu giudicato essere quello di Tullia
figlia di Cicerone, che certamente era stato sepolto al-
trove. Comunque sia , questo corpo fu trasportato in
Campidoglio, e per l'azione dell'aria cangiò colore, e di-
venne negro ; laonde papa Innocenzo Vili , che allora
regnava lo fece trasportare di notte fuori di porta Pin-
ciana , ed ivi lo fé seppellire in una fossa fatta entro
un vicolo presso la porta; il sarcofago rimase allora nel
portico de'Conservatori: e forse é quello che ora si ve-
de a destra nel cortile dei Museo Capitolino colla epi-
grafe male tracciata: {yivruil .i.i(^.]A i oiijniij oicùmui
I , ;- ' 'no) M/itt.'i ii A.-'iìi'ft -ìm
■f iU:r' M M uanìiji'il fìj Ut; o)r,vii«
.:iìf->l, \- AVREL .jjuq if) huui unh .ai
EXTRICATE j, ; il» K/nyl>on« r,h
cioè Manibus o Memoriae Aureliae ExtriccUae. La rotzet"
za della epigrafe accresciuta dal tartaro che la copriva
la fece inintelligibile alla epoca della scoperta, onde cad-
dero neir error madornale di attribuire il sarcofago ed
ii corpo alla figlia di Cicerone, che fu sepolta altrove,,
e che di quasi tre secoli fu anteriore ai soggetto depo-
sto in questo sarcofago : essa dalle maschere tragiche
scolpite sotto il ritratto sembra essere stata una attrice
tragica. i;ni;iii ; nf/ioP ih oJ'ioq ?)Uk i;li;>i;p y ,o)iu35Ì5
<,iiuiii ftujTt/M ii» puum li uth ^r.tì^'i(p ìfitn iì ^Aìntìti
!ii ';ii> tl«;«ifi» hm ^tAiiiu t>h'u\P.Ì uilad ììhu ixiir. i;nr ,■«
. ah "■ voijoy! ÌUi cjjuvf/if i?i3f)5T.» f>')b 'iUi mìioi pfiirn^
■i'oo i)jib .^iiiijJtMjfeii 6l»au
Au'll.Hi ,niy tilUr^, iv^ MORENA. . '-i '-«^ uhuv^yinJ^il
-iiuu ivy.i.r» fUiu «)(»«)'»« /«ni u!u',>M}|;Iwi<»"ì bd oìjJmjI iìtnU
"0«j ii oìJiUiii OTjnnv /itrtrom 'ì»hu:juu t, nota
i4(i;r! ih ii\">tìi MT«-'"ì <''':'''^!ir!r "'! ''1- ;• • •' . ;'U';^''> '■
■\' Da molte Carte de' tempi bassi, che furono ripor-
tate in appendice dagli annalisti camaldolesi , e che ri-
montano in parte fino al secolo X , cioè agli anni 961 ,
992, ec. si ricava evidentemente, che tutta la contrada
fra le vie appia, e latina, fuori delle porte s. Sebastia-
no e s. Giovanni dal miglio VII al IX, chiamavasi Mo-
reni, e che in questa trattOf si comprendeva un casale j
ed una curtù di questo nome r e frai fondi confinanti si
nominano quello di Sex Colnmnae, di Fiorano, e di Pa-
lombaro lungo l'Appia. Incerta n'è la etimologia; ma co^
me vedesi, il nome conta circa 9 secali; esso si è con-
servato ad un tenimento di moderati confini situato 8
m. circa fuori di porta s. Giovanni a destra della stra-
da moderna di Grotta Ferrata , che coincide colla via
latina antica. Comprende quasi 130 rubbia di terreno
divise ne'quarti denominati la Torre, quarta di Mezzo,
e quarto da Piedi. Confina col territorio di Marino , e
colle- tenute di Gregna, Grattaferrata e s. Andrea^
Si è pur troppo spacciata per la somiglianza di suo-
no, che il nome di Morena traesse origine da una villa
di Murena , celebre cliente di Cicerone , ma oltre che
troppo vasto sarebbe stato un tal fondo, se come si vi-
de comprendeva una superficie di circa 12 miglia di
circuito, e questa alle porte di Roma; ninna memoria
affatto è mai apparsa, che il nome di Murena ricordas-
se, ma anzi una bella lapide murata nel casale che ra-
gionevolmente dee credersi trovata sul luogo , e che è
un'ara sepolcrale, dice così:
377
-!iii.iiji.<ì ìt.if &iftteiij| AELIAE 4"'*i«iJ 9 ^ku-u^hìJ .1
RHODILLAE ^ iv^w^J yi
ANTALCIDIS
quest'ara è alta circa 5 piedi romani larga 31, 11 fatto
e che il casale attuale realmente è edificato sopra una
fabbrica antica costrutta di bel reticolato del tempo di
Adriano, che forse è una conserva, od un crittoportico,
che presenta sopra a 90 'piedi di estensione, e presso a
questa fabbrica sono altri frammenti antichi di marmo,
indizio, che qui fu anticamente una villa almeno ne' tem-
pi di Adriano, ma senza che perciò risulti che Murena
avesse antecedentemente anche egli una villa in questo
luogo, onde il nome moderno debba derivarsi da lui.
Io non oso affermare, che l'attuale casale di More-
na sia quella stessa porzione del vasto lenimento di que-
sto nome, la quale da Costanza nobilissima donna fu ai
26 di aprile dell' anno 992 donata al monastero di s.
Gregorio sul monte Celio, siccome ricavasi dall' atto ri-
portato dagli Annalisti Camaldolesi ; come neppure che
esso comprenda quell'altra porzione, che fu soggetto di
una permuta fra lo stesso monastero, ed Adelaide figlia
di Jannetto l'anno 1073, come si trae da un altro do-
cumento riportato negli annali medesimi. Certo è però
che que'monaci possederono una parte del tenimento al-
lora chiamato Moreni, e che quella tenuta che oggi por-
ta un tal nome viene indicata fin dall'anno 1229 in un
documento riportato nel codice vaticano 7937 , che ri-
corda pure un Castellarlo, una Camminata ivi esistente,
un pantanello formato dall' acqua della Marrana; e che
questa tenuta fu in quell'anno venduta da Biagio, Pie-
tro, ed Andrea Antaldi figli di Andrea Rubei pel prez-
zo di 950 lire provisine. Poscia Morena fu acquistata
dai Cenci , e nel secolo XVII dai Giraud che 1' hanuo
ritenuta fino al principio del secolo attuale. Dopo per
poco tempo apparteoue a Marianua di Savoja duchessa
0"
378
di Chablais, e finalmente venne acquistata dal banchie-
re Lavaggi.
ilfO/i/COiVJ?— REGILLVM
Terra della Gomarca nel distretto di Tivoli , sotto^
posta al governo di Palombara, e nello spirituale al ve-
scovo di Sabina. Essa è distante da Roma circa 25 m.
e la strada diretta per andarvi è la Nomentana fino a
Grotta Marozza , cioè fino quasi al 18. m: ivi si volge
a destra e per Castel Chiodato, Cretoni , e Stazzano si
giunge a questa Terra: strada tracciata fino a Stazzano
sopra una strada antica di communicazione fra la Sala-
ria» e la Valeria, ossia fra Eretum, oggi Grotta Maroz-
za e Tihur. Gli abitanti secondo la ultima statistica
sono 613.
La Terra è ben situata sopra una pendice di cal-
carla a pie delle punte della catena di monte Genna-
ro, e sembrerebbe antica per la sua posizione, ma non
ho trovato in essa alcun vestigio ; bensì un miglio più
verso oriente sopra un' altra pendice rimangono avanzi
di mura di un'antica città nel luogo denominato / Pedi-
cati, le quali più communemente si attribuiscono ad Or-
vinium, città degli Aborigeni, o a Cameria città de'Pri-
schi Latini: ma che io riconosco per quelle di Regillum
città sabina , di cui più sotto terrò discorso. Moncone
per la prima volta sul finire del secolo XI. si legge col
nome di Mons Moreco nel Chr. Farfense presso il Mura-
tori R. L S. Tom. IL P. IL p. 622. Il castello perù
sembra essersi formato nel secolo XIII dopo che i Sa-
velli signori di Palombara occuparono tutta questa par-
te del distretto di Roma : e se ne fa menzione in un
atto dell'anno 1272 esistente nell'archivio di s. Spirito
in Sassia e ricordato dal Galletti Primaro p. 332 : es-
379
si vi edificarono il palazzo baronale , che come quello
di Palombara stesso conserva ancora gli stemmi, prova
del loro dominio: nel secolo XVII passò dai Savelli,
come le terre vicine di Palombara e Stazzano ai Bor-
ghese , i quali ancora la ritengono. Nei rimanente Mo-
ncone non presenta oggetti degni di particolar rimarco.
Ho detto poc'anzi, che le rovine esistenti ai Pedi-
cati appartengono piuttosto , che ad Orvinium e Carne-
ria, all'antico Regillum. E quanto ad Orvinium che più
generalmente si colloca in questo sito è da notarsi, che
Dionisio d' Alicarnasso , il solo fragli scrittori antichi
che la ricorda così ne parla, lib. 1. e. XIY
» Delle città , nelle quali primieramente gli Aborigeni
» abitarono, poche erano rimaste in piedi a'tempi miei
» ma la maggior parte di esse dalle guerre e da altri
» mali micidiali afflitte , sono rimaste deserte. ERANO
M NEL TERRITORIO REATINO non lungi dagli ap-
» pennini , come Terenzio Varrone scrive nella opera
» sulle Antichità^ e distanti dalla città di Roma per lo
» meno un giorno di viaggio: delle quali io enumererò
» le più illustri secondo che quello storico le descrive».
Quindi nota come Palatium e Trebula erano distanti da
Rieti l'una 25 stadj presso la via Quinzia, l'altra circa
60 sopra un tumulo di giusta grandezza : e come Ve-
sbola n'era distante quanto Trebula, cioè 60 stadii, vi-
cino ai monti Ceraunii: e Suna 40 da Vesbola, e Mefi-
la 30 da Suna : e soggiunge : » quaranta stadj poi di-
» stante da Mefila era Orvinium, città illustre e gran-
» de quanto alcun' altra di quella contrada: della quale
ì> visibili sono le fondamenta delle mura , ed alcuni se-
» polcri antichi magnifici : e recinti di cemeterii , che
» si dilungano come alti tumuli : e dove è ancora una
» cella di tempio antico di Minerva eretta sopra la som-
j|,:mità della cittadella. » Dionisio pertanto ^tabllLsce co-
380
me punti fissi : che tutte quelle città che ivi nomina ,
fralle quali anche Orvinium, erano nel territorio reatino:
che le meno distanti da Roma erano lontane un giorno
almeno di cammino: che Orvinium per Mefila, Suna, e
Vesbola era distante da Rieti ossia Reate 170 stadj ,
pari a miglia romane 21 e due ottavi: e finalmente, che
Orvinium era una delle città più nobili , e conservava
vestigia ragguardevoli delle mura, de' sepolcri , e del
tempio di Minerva. Rieti è distante circa 49 m. da Ro-
ma, che è quanto dire una forte giornata di viaggio; e
Moncone , o piuttosto i Pedicati sono 26 m. distanti ,
da Rieti, e poco meno, che altrettanto da Roma, stan-
do fuori della strada diretta di Rieti, quindi non sono
per alcun modo con la situazione de' Pedicati di accor-
do le circostanze assegnate da Dionisio per Orvinium ,
poiché non è territorio reatino quello di Moricone, ma
molto distante da esso , non è un giorno di distanza
lontano da Roma, ma appena una mezza giornata: non
è 21 m. ed un quarto distante da Rieti ma 26: non pre-
sentano le rovine de' Pedicati l'apparenza di grandezza
che Dionisio descrive in Orvinium. Il fatto é che oggi
è ben stabilito dagli avanzi esistenti, che le quattro cit-
tà degli Aborigeni nominate di sopra, Vesbola, Suna,
Mefila , ed Orvinium erano nella valle del fiume oggi
denominato Salto, nel distretto chiamato il Cicolano en-
tro i confini del regno di Napoli. Le montagne di Nu-
ria sono i Ceraunii di Dionisio , e senza entrare per
ora nella discussione di Vesbola, Suna, e Mefila pos-
siamo esser lieti di ritrovare le rovine di Orvinium pre-
cisamente tali, quali le descrive lo storico di Alicarnas-
so , in Civitella di Nesce e nel suo distretto , e sulla
sponda sinistra del Salto. Imperciocché il Martelli na-
tivo di que'luoghi, e che li ha particolarmente illustra-
ti con varii scritti , e particolarmente con quello ititi-
381
tolato Le Antichità de* Sicoli, narra, che ivi » si vede
» ancora al presente, un vastissimo recinto di fabbri-
y> ca ciclopica con la sua area in mezzo di figura qua-
» driiatera, lungo palmi architettonici romani 398 , e
» sei oncie alla parte di mezzogiorno , palmi 250 a
» ponente congiungendosi questi due lati ad angolo
* retto, palmi 260 al Iato di tramontana, e 415 al la-
». tjO di Levante. I sepolcri nelle roccie de'monti, eret-
)) ti sui scogli di pietra viva, che tuttora risaltano a-
» gli occhi de'passeggieri nelle logore incisioni: la mul-
ti' tiplicità di essi lungo le vie pubbliche , che guida-
)» no a Teschio Rocchiano, Valle Varia, Poggio di Val-
i) le, ed al ponte del monumento, così chiamato per
» un vetustissimo mausoleo, le cui basi ciclopiche an-
ìt cor durano ec, l'accertano per una potente metro-
fi poli de' vetusti secoli. » In queir area quadrilatera
io credo di ravvisare quella del tempio di Minerva nel-
l'acropoli di Orvinium, come ne'sepolcri quelli nomina-
ti dall'Alicarnassèo, quali caratteristiche di quella città
degli Aborigeni ancora superstiti a'suoi giorni. Il Mar-
telli attribuì quelle vestigia a Mefila, ed in questo mi
sembra avere errato, poiché oltre che le rovine hannp
un' analogia strettissima con quelle notate da Dionisio ,
la distanza da Rieti ancora vi si accorda , che è di
circa 22 miglia risalendo per la riva destra il corso
del Salto, analoga a quella che egli assegna fra Rea-
te ed Orvinium.
Ciò sia detto per mostrare non potersi riconosce-
re Orvinium presso Moricone ; quanto alla opinione ,
che inclina a riconoscere Cameria alli Pedicati , a suo
luogo nell'art. CAMERIA si vide, dove fu quella crt-
tà, cioè circa 8 m. distante da Moricone verso orien-
te fra Tibur , e Varia , e perciò neppur Cameria può
ivi ravvisarsi. Non così può dirsi di Regiilum città sa-
382
bina ricordata da Dionisio lìb.'V/c.> XI,. Livio lib. II.
e. XVI., e Svetonio in Tiberio e. I. scrittori, che con-
cordemente dichiarano, che fu una città de'Sabini, dal-
la quale Atta Clauso , dai Romani detto Appio Clau-
dio!^ "stipite della gente Claudia , trasmigrò in Roma ,
pòco dopo la espulsione dei re, cioè l'anno 252 di Ro-
ma, insieme con una gra^ turba di parenti, amici, e
clienti, calcolati a circa 5000 atti alle armi, rinforzo
utilissimo a Roma in que' primordii della libertà, on-
de per dimostrare la gratitudine a quel condottiero i
Romani concedettero ai Claudii tutte le terre fra Fi-
dferid « Ficulea, e di loro formarono una nuova tribù
riastica, che perciò Tribus Claudia fu detta. Ora quel-
la citfà di Regillum era fra le sabine una delle più
vicine a Roma: e siccome tre sole da questa parte se
ne ricordano dagli antichi scrittori, cioè la notata Re-
gillum, Eretum, e Cures: e di queste il sito di Ere-
tura è determinato a Grotta Marozza, e quello di Ctt-
res presso Arci; ne siegue, che non esistendo altre ro-
vine di una città entro i confini sabini da questa par-
te, se non quelle presso Moricone alli Pedicati, d'uopo
è ravvisare in esse gli avanzi dell'antico Regillum. Di
questa città dopo il fatto di Appio Claudio non si fa
ulteriore menzione, e da essa ebbe origine il cogno-
me di Regillensis , che assunse il ramo principale di
questa famiglia ricordato ne' fasti , ed insensibilmente
abbandonato, dopo che ne assunse altri, da altre cir-
costanze introdotti.jii » azwììU'in \ìì] oìiyù •:!;. «.j
j .....;..>ji^ ,/jsup ^ oiio.iìiolf òic'jiq mmavnU -n
oue s t^fi-'i^'»*" ^''^ GÌi3inB3 9i£»óeoiio'Hi n Kitìluffi 'xh
Ah clbnp lii 9fof> \')bÌT u AUIHMA:) Jte'ihjf r>^oiJÌ
~n'»no oe-i'i/ aflOoiioM fib 9)fi!J?ib .ni 8 15 >TÌ'> 'wh ,ji)
óuq ùvjmtò nuqqyn òhi^)(\ ;> , f.hsY j « ifuiiT r.Yl '>t
■-■t>\ iìù'i mirlli^jflH ih h-iih óoq i:0:> n-o»! .vizzbivi i :
S83
,,^, }.,.; MORLUPO. i
dastrum iHorilnpa Moxlnpo. ^ ,,^^
' ì
Terra, che conta 1007 abitanti, posta nella Comar-
ca e distretto di Roma , dipendente dal Governo di
Castel Nuovo di Porto, circa 21 m. distante da Roma
a destra della via flaminia per una strada che diver-
ge da questa a Monte della Guardia , che è V antica
stazione ad Vicesimum, e che per un tratto è l'antica
via , che portava a Capena. Essa é situata sopra una
delle ultime pendici del monte Musino, come la vicina
Terra di Castel Nuovo , e forse un tempo era uno
degli oppidi, che formavano la lega dei Capenates Foe-
derati, della quale si fa menzione nelle lapidi antiche,
imperciocché il modo particolare con che sono cavate
le rupi , che ne precedono l' ingresso , ridotte oggi a
grotte per usi communi, insinua facilmente che furo»
no un tempo sepolcri, e per conseguenza, che ivi esi-
stè una popolazione fin da'tempi remoti. Qualche fram-
mento poi di architettura sparso per la Terra dimo-
stra, che neppure ne'tempi imperiali fu trascurata que-
sta situazione, come noi fu ne'tempi bassi, poiché nel
secolo XI era ivi di già un castrum , che nella bol-
la di Gregorio VII dell' anno 1074 data a favore del
monastero di s. Paolo, a cui apparteneva vien designa-
lo col nome di Castrum Mori lupo , come con quello
di Castrum Morlupo lo è in quella d' Innocenzo III
data r anno 1203 a favore dello stesso monastero, ed
inserita come l'altra nel Bollarlo Cassinense del Mar-
garini. Nel secolo XIII , questa terra ancora , come
altre poste sulla riva destra del Tevere vicino a Ro-
m
ma divenne proprietà degli Orsini, e nel secolo XVIT
passò in quella de'Borghesc.
Incerta -è la origine del nome, poiché non posso-
no adottarsi le opinioni raccolte , o immaginate sopra
tale argomento dal Degli Effetti, e dall'Eschinardi, co-
me quelle che ad efimerc congetture e speciose si ap-
poggiano , le quali io non giudico di riferire perchè
crederei abusare della pazienza del lettore. Giovi sem-
pre di ricordare la massima, che nelle ricerche anti-
quarie y quando non si può dare una opinione proba-
bile , è meglio di confessare non conoscersi la cosa.
E questo è il caso circa la etimologia di Morlupo.
. V i Una bella iscrizione scorniciata di travertino pro-
veniente dalle cave antiche del monte Soratte ricorda-
te. da Vitruvio, la quale leggesi a destra, nell'ingresso
^ella Terra dinanzi il muro di una casa , mostra co-
Bie varii liberti della gente Popillia ebbero sepoltura
«elle sue vicinanze, indizio che quella famiglia roma-
na possedette terre in quelle contrade. I caratteri so-
no di bella forma^ e per argomento di analogia direb-
boQsi appartenere, al primo secolo dell'impero* < :<; ,v
-9ifp fihC . POPILLIO . ^ . L . EROTI»'^^ ff^^^
foa Arf'Moq ,r<^y-E\ . TESTAMENTO ^u.^Giina ti\?.
Aod f i?G . POPILLIVS . C . L . CINNAMV^ ^^^ "^^
hb oiov, POPILLIAE . C . L . TERTIAE '^- i^* -'^
-fin?»i?f>liC";JPOPILLIO . C : 3 . L . TERTIO^ *'^»«^'"
olljMJp nfto amo* , «M]nìraijLu-.< :ii i'^fi) ii> huoiì lo.) o!
in osfi'ioonnl 'h B!i'j«;p ni 6 o\ oqnhol/[ minl^fiD ib
ho ,on5l2pnom o?.?.<}t?5 ofbb sioyr.l n Wkl cu;tk '1 B)f.l>
-icM ''ih n'fnonh?R3 oi-ir.lIoH ha .Mtl,r.'l e.'no;j c'.hazr.ì
sfRoo , sionr, etisI «Je'iL'p , MI/ oloo;>?, hK .fOÌif.j;
--fi « oniùv 819V9T lob r>'i)'f.ùb Brh nV.m qì?.0(\ «ìt»!»
HOROIO. Vi (>>'>iMv\
O/I
illorolum»
Itlaurormn. ^aatrum Mém^'
: Tenimcnto oggi posseduto dai Borghese, che ÌT9M
ii(Mne da un castello diruto de'tempi bassi situato pres-
ta via flaminia a sinistra, 23 miglia e mezzo fuori di
porta dei Popolo , cioè circa 24 e mezzo fuori della^
porta antica di Roma sotto il Campidoglio, onde com-*
prese la stazione della Villa Rostrata , la prima suU*
via flaminia ricordata dall'Itinerario di Antonino a tale
distanza da Roma. Questa stazione non si ha neiritine'<>
rario Gerosolimitano, e non si nota neppure nella Carta'
Peutingeriana. Indizio per credere , che almeno nel se-
colo VII, al quale quella Carta appartiene fosse di già
deserta. .'>-:^iiì//^url ;& ujic fiàns^iì' oì
E incerta la etimologia del nome Rostrata , poiché
quelle allegate dagli scrittori, che parlarono di queste
contrade nel secolo XVII sembrano troppo ricercate. E
fra queste è pur quella che vuol derivarsi dalla Domus
Rostrata di Pompeo: quasi che avendo quel capitano in
Roma presso il tempio della Tellure nel Carine , una
casa ornata di rostri, Domus Rostrata, per testimonian-
za di Capitolino, nella vita de' Giordani capo III, avesse
pure una Villa Rostrata poco meno di 25 miglia lonta-
tano da Roma.
;;> ^. Lo stato di villa, e di s^tazionc indica da per se
stesso la opportunità del sito: e forse non sarebbe im-
probabile supporre, che almeno nella decadenza dell'im-
pero vi fosse acquartierata qualche tarma di cavalieri
mauri, che militavano negli eserciti romani, donde de-
25
d86
rivasse il nome (li Mauroro che fin dall'anno 996 ebbe
la contrada, siccome si trae dal diploma di Ottone III
a favore del monastero di s. Alessio sul monte Aventi-
no riferito dal Nerini , nel quale ricordasi una cella s.
Stephani in Mauroro. Poscia sulle rovine della stazione
formossi un castrum^ che nella bolla di Onorio III, con
che confermò i beni a quel monastero 1' anno 1217, al
quale apparteneva, si nomina Castrum Morori ed a quel-
la epoca medesima per alternazione di pronuncia s' in-
trodusse il nome odierno di Morolo, poiché in un'altra
holla dello stesso papa Onorio III, data a favore de'fra-
ti della Redenzione degli Schiavi , che oggi appelliamo
del Riscatto e riferita nel Bullarium Vaticanum T. I. p.
100 cosi vien designato questo castello, come pure in un
atto dell'anno 1252 inserito dal Nerini nell'Appendice,
nel quale si rinnova la memoria della chiesa di s. Ste-
fano. Dai monaci di s. Alessio questo fondo passò ai
Savelli^ signori di Rignano, e questi circa 1' anno 1503
lo venderono ai Borghese.
MORRA M. V. GENNARO M.
illJO
iiii ov\ MORRONE V. DECIMO. i> ^ ^
?,'uj : .. MOSTACCIANO. -? != '^^■-■r; iuk ■'
>« Tenuta dell'Agro Romano pertinente al Capitolo di
8. Nicola in Carcere posta fuori di porta s. Paolo circa
5 m. distante da Roma a destra della via laurentina an-
tica, oggi strada di Decimo, la quale confina con le te-
nute di Decimo, Acquacetosa, Torraccio, e Grottone. Com-
387
prende circa 105 rabbia divise in quattro quarti. Il suo
nome come pure la pertinenza del Capitolo sovraindica-
lo rimontano al secolo X della ora volgare ; impercioc-
ché Sergio III. l'anno 905 enumera in una bolla ripor-
tata dal Marini ne Papiri Diplomatici p. 30 i beni della
colleggiata di s. Nicola in Carcere, e fra questi nomina
appunto il fondo di Mostacanum , che è il presente , il
quale non ha mai più cangiato, né nome, né padroan
pel corso di 932 anni. f»,i. -.fi .nr;'!! i u. >Min.
'■• '. ■■'■!-- o!V)h '- ; !ì o~:/r'| tUfK.v^&j
./ (1140UMVGILLA — MOriAAA MOEFIA AA. oihHmh
Una delle famiglie della gente Papiria , o Papisia
ebbe il cognome di Mugillana: e questo cognome per la
prima volta apparisce ne* Fasti l'anno 310 di Roma, al-
lorché narra Livio lib. IV. e. VII. che Tito Quinzio
Barbato interré creò consoli Lucio Papirio Mugillano
e Lucio Sempronio Atratino : Dionisio lo chiama lib.
XI. cap. LXII. Agvìitog Ilocnipiog Mc^rXXovs?. Questi
comparisce console per la seconda volta l'anno 327: Li-
vio lib. IV. e. XXX. e tribuno de' soldati l'anno 332:
lo stesso lib. IV. e. XLII. Il suo figlio Marco collo
stesso cognome fu tribuno de'soldati quattro anni dopo
Livio lib. IV. e. XLV: e di nuovo nel 338, Livio ivi
e. XLVII. e console nel 343: lo stesso e. LIL Un lo-
ro discendente fu il console Lucio Papirio Mugillano
ricordato da Livio lib. Vili. e. XXIII, che ottenne i
fasci nell'anno 428. e questi é l'ultimo che si ricorda.
Questa famiglia tolse il cognome da una città del
Lazio antico, come i Tarquinii Collatini da Collazia,
i Sulpicii Camerini da Cameria, ec. la quale si chia-
mò Mugilla, ed é ricordata da Dionisio lib. VIIL e.
XXXVI. Questi narrando la scorreria di Coriolano di-
ce, che quell'esule, dopo la presa di Pollusca, s'im-
388
padroni delle città degli Albieti, e de' Moegillani baf-'
tendone le mura: Al^tvjrag /xsv cw y.at MoiyiXoctvcvg ex
Z£[)(^o[xaxtag ai psi nomi alquanto corrotti dai copisti
dovendo leggersi Ax^moczag e Moyiklocuovg: e, che do-
po la espugnazione di Mugilla, attendossi circa 4 m.
lungi da Roma sulla via latina. Era pertanto Mugilla
Una delle città del Lazio più vicine a Roma, e forse,
come rovine di essa dcbbonsi riconoscere quelle sul
limite del territorio di Marino verso la tenuta di Fal-
cognani presso il così detto ponte delle Streghe , di-
rimpetto à quelle di Apiolae descritte a suo luogo v.
APIOLAE. Mugilla dopo la impresa di Coriolano sva-
nisce affatto dalle pagine della storia.
-ir, .imoìi tèi dì MURÀTELLA. «({j^ti fcjiov Bmk*(
' f" MTre tenute diverse nell'Agro Romano sono designa-
le, con questo nome, come quelle, che forse un tempo
furono circondate di muro. La prima è fuori di porta
del Popolo a sinistra della via flaminia, ossia strada di
prima Porta , la quale si lascia verso il quarto miglio.
Essa appartenne al monastero di s. Apollonia e si esten-
de per rabbia 35 e un quarto. Confina con quelle del-
la Inviolata, e della Crescenza.
La seconda è fuori di porta Portese ed è attraver-
sata dalla strada di Fiumicino circa 7. m. lungi da Ro-
ma. Appartenne ai Lepri: si estende per quasi 204 rab-
bia di terra, e confina colle tenute di s. Cecilia, Caset*-
ta Mattei, Pantanella, Campo di Merli, Magliana, Prati
di Tbr Carbone, e Capo di Ferro e Pisciarello. iXt,A
-'.ìjS > La terza già de' Borgia di Velletri è circa 18 m.
fuoiì di pòrta s. Paolo sulla via di Ardea a sinistra.
Confina colle tenute di s. Procula, Pian de'Frassi, Ca-
389
stagnola, e Fossa: e si divide ne'quarti detti della stra-
da di Ardea» del Casale, e di Pian de'Frassi.
' ^ - à oKc.'-;? . uivu »;rn 51
.;[h; ' NAZZAISO.■■,\^^;^ u . 'n'n'io
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> ,?rfn'!*'i'^^ì^<Kf!';l IV ■vììììvuI) yfHon il -
;:Mp lab , r.n«iC[ ib o-iuB? o^aoni
Terra situata fra colli ameni , e boscosi sulla riva
destra del Tevere a picciola distanza del fiume. Essa è
posta entro i limiti della Comarca nel distretto di Ro-
ma e sotto il governo di Castelnuovo di Porto , e con-r
tiene 532 abitanti. La strada per andarvi da Roma di-
cesi volgarmente della Teverina, e si distacca a destra
della via flaminia al settimo miglio da Roma a Prima
Porta: essa è tracciata nell'andamento dell'antica via ti-
berina. Da Roma a Nazzano si contano 28 m.
Questa Terra apparteneva ai monaci di s. Paolo
fin dai secolo XI. ed allora era di già un villaggio, poi-
ché un Giovanni di Nazzano si ricorda in due atti ri-
portati dal Galletti : il primo ( Primicero p. 281 appar-
tenente all' anno 1059, 1' altro al 1062 ( Gobio p. 45 ):
e come pertinenza de'monaci di s. Paolo si ricorda col
nome di Castellum Nazani nella bolla data da Gregorio
VII. l'anno 1074. Veggasi il Bullarium Cassinense. Cir-
ca l'anno 1280 si trova nominata di nuovo fralle altre
possidenze di s. Paolo in una bolla riportata dallo stes-
so Galletti Primicero p. 348, come un castrum. Finalmen-
te r anno 1471 fu riunito al suo territorio la metà di
quello di Meana, Terra diruta posta nelle sue vicinanze.
Veggasi il Galletti Capena p. 196^1^^ M t,jo ,i)aoir.qq«^
' <)!>'>itn •Hiun '» u)nììi/iì\ol o^to(f no bu ois'xn ni <»■'
390
È una Terra circa 20 m. distante da Roma v^rso
oriente , posta a sinistra della via appia e della strada
di Napoli, nella Comarca e distretto di Roma, dipenden-
te dal Governo di Genzano> che contiene 846 abitanti.
11 nome direttamente deriva dal famoso Nemus, o
bosco sacro di Diana , del quale così parla Strabono L
V. e. III. §. 12. « Ed il tempio di Diana che chiama-
)) no Nemus è nella parte sinistra della via , che esce
» dall'Aricia per coloro che salgono al tempio dell'Ari-
»: cina. Dicono che questo sia una derivazione della Tao-
» ricav imperciocché è circa il tempio in vigore un co-
» stume barbarico e scitico; poiché é stabilito come sa-
» cerdote quello, che di propria mano ha ucciso colui
» che antecedentemente lo era, cioè un fuggiasco; egli
» pertanto va sempre armato di spada > guardingo per
» le insidie, e pronto a difendersi. Il tempio è nel bo-
» «co: e^ dinanzi a questo é un lago profondo. Dintorno
» lo corona un ciglio continuato di monti, molto alto,
» il quale in sito concavo e profondo contiene il temr
» pio e Tacqua. E le sorgenti possono vedersi, che em-
» piòno il lago, fralle quali é ancor quella, che chiama-
» si Egeria , che trae nome da una divinità. Lo scolo
i) però d^l lago ivi non si vede, ma di fuori e lontano
» mostrasi dove sgorga all'aperto. » Questo passo è chia-
ro baStànteinenté per determinare il sito del tempio: la
dea a cui era consagrato : la origine del culto : il rito
barbaro , che a'suoi giorni continuava sulla scelta del
sacerdote: il lago che avea dinanzi: le fonti perenni ed
apparenti, che lo formavano, e T emissario visibile solo
nella esterna pendice del cratere.
E quanto al tempio, questo era nel cratere del la-
go in mezzo ad un bosco foltissimo: e come questo bo-
391
SCO designavasi col nome di Nemus> la yicìna Alicia p(H
sta anche essa in mezzo a que' boschi ebbe T epiteto di
fietnoralis da Ovidio. Il bosco ebbe pure il nome di E-
geria , Virgilio lib. VII. y. 763 e seg. come la fonte ,
da una ninfa locale, fonte che si vede ancora abbondan-
te, perenne, e limpida, sgorgare sotto il villaggio odier-
no , il quale annicchiato sopra il ripiano di una rupe
altissima tagliata a picco è succeduto al tempio , oggi
sparito affatto. Strabene , come si vide non indica chi
fondò il tempio, ma solo, che la tradizione lo riguarda-
va come derivato da quello della Tauride: Servio però
commentando il VI. della Eneide dice , che Oreste do-
po la uccisione di Toante fuggì colla sorella Ifigenia
dalla regione Taurica , e collocò non lungi dall' Ariccia
il simulacro di Diana tolto di là. Pausania lib. II. g.
XXVII. dice che Ippolito ritornato in vita rìtirossi in
Italia presso gli Aricini, dove regnò, e dedicò un recin-
to sacro a Diana, e ricorda il costume indicato da Stra-
bene circa il sacerdote, del quale tornerò a parlare più
sotto. Sia pertanto che vogliasi credere fondato da Ore-
ste, sia che lo fosse da Ippolito, é certo che antichissi-
ma n'era la origine: ed il costume barbaro per la scelr
ta del sacerdote n' è una prova ulteriore, come quello»
che risentivasi della fierezza de' costumi primitivi degli
abitanti quasi selvatici. L'architettura di questo tempio
è stata descritta da Vitruvio per la particolarità di pre-
sentare colonne a destra e sinistra ai fianchi del pronao:
item argutius Nemoriy Dianae^ columnis adiectis dextra oc
sinistra ad humeros pronai, lib. iV. e. Vili oi^iììrRtr A ih
H rito descritto da Strabone sulla scelta del sacer-
dote della dea, continuava ancora ai tempi di Pausania
sotto Marco Antonino, e Gommodo: ed egli aggiunge a
quanto dice Strabone particolari, che dimostrano, esser»
servi fuggitivi, che venivano condannati al dueUo, che
392
decideva del sacerdozio. Un bel bassorilievo di stile ar-
caico alto 2 piedi, largo 3 e mezzo fu rinvenuto pres'
so la mola di Genzano in Vallericcia 1' anno 1791 dal
prelato Despuig, poscia cardinale, che lo mandò a Pal-
ma nella isola di Majorca, sua patria, per te^timoniaur-
za di Lucidi Storia dell' Ariccia p- 97, il quale fu pre-
sente alla scoperta e questo monumenta fu dai prelato
dato ad incidere per la rarità del soggetto ed il meri-
to di arte a Pietro Fontana all'epoca del suo ritrova-
mento , e poscia riprodotto da Geli nella sua Topogra-
phy of Rome and its vicinity. Rappresenta questo basso-
rilievo r esito del combattimenti frai due competitori:
il sacerdote in possesso , ferito a morte dal suo rivale
giace per terra reggendosi colla destra le intestina, che
gli escono fuori dalla ferita: il vincitore rivale , vestito
di clamide, tiene la spada in nKino: quattro antistiti, o
sacerdotesse sono presenti alla scena, due stanno in at-
to di supplichevoli, alzando le mani al cielo: delle al-
tre due, una pone la destra sull'omero del vincitore in
atto di calmarlo , o di accarezzarlo. Da Svetonio d^lla
vita di Caligola e. XXXV. apprendiamo, che questo sa-
cerdote avea il nome di Rex Nemoremis, come rappre-
sentante il re Toante. Tal rito cessò nel quarto secolo
definitivamente l'anno 391 della era volgare, allorché fu-
rono inibiti affatto i riti della religione pagana, e chiu-
si i templi, per la legge di Valenliniano II. e Teodosio.
Cessato il culto di Diana, il bosco sacro costituì la
Massa Nemus, la quale nel secolo IX. per testimonianza
di Anastasio Bibliotecaria apparteneva alla basilica di s.
Giovanni Battista di Albano e per tradizione dicevasi
a quella assegnata fin dai tempi di Costantino , quando
cioè ancora esisteva il culto della dea. Rendeva a quel"
la epeca solidos ducentos et octoginta; ma non era anco-
ra un castrurìiy o una Terra abitata. Né puà dirsi con
393
sicurezza che Io fosse neppure anticamenfe, come suol
credersi per un passo di Appiano. Questo storico nel
lib. V. delle Guerre Civili racconta, che nella guerra fra
Ottaviano e Lucio Antonio, il giovane Cesare raccoglieva
danaro da templi promettendo di renderlo con usura , in
Roma dal Campidoglio, e da Anzio, Lanuvio, Nemore, e
Tiòur, nelle quali città anche oggi sona specialmente tesori
abbondanti di ricchezze sacre. Osservando attentamente il
senso di questo passo è chiaro, che ivi intcndesi parla-
re de'tesori espilati da Ottaviano, che si conservano ne*
templi, in Roma del Campidoglio, in Anzio della Fortu-
na, in Lanuvio di Giunone, in Nemore di Diana, ed in
Tibur di Ercole: or siccome nella massima parte i tem-
pli denominati erano in città ad eccezione di quello di
Nemore , Appiano ne ha fatto un carattere generale.
D'altronde il rito poco accordavasi con una riunione ài
uomini.
-fi- Ma torniamo alla storia di questa Terra : essa ri-
mase una Massa, cioè una proprietà costituita di mol-
ti fondi insieme uniti, fino dal secolo IX. Ma la posi-
zione fortissima e segregata dell'antico tempio non po-
teva rimaner trascurata in epoche come quelle de'tem-
pi di mezzo, e perciò fin dal secolo X fu occupata dati
conti tusculani , i quali vi formarono un Castrum , o
Terra fortificata, che nell'anno 1090 per testimonianza
della Cronaca Sublacense fu da Agapito conte tuscula-
no assegnata in dote alla figlia data in matrimonio ad
Oddone Frangipane, e così i Frangipani divennero si-
gnori di Nemi. Circa la metà del secolo seguente, cioè
l'anno 1153, fu da papa Anastasio IV. conceduta ai mo-
naci di s. Anastasio ad Aquas Salvias, e questa dona-
zione venne confermata l'anno 1183 da Lucio III, co-
me si ha da una bolla riportata dal Ratti in Appen-
dice alla Storia di Genzano n. I. L'antipapa dementa
394
VII. nel 1378, volendo ricompensare i servìgi prestati-
gli da Giordano Orsini, signore di Marino gli concedet-
te questo castello insieme con altri formando una enfi-
teusi fino a terza generazione, siccome si trae dal bre-
Te riportato dal Ratti citato di sopra, al N. V. Questa
medesimo scrittore riporta al n. XI. un atto del 142S
fatto nel monastero di s. Anastasio dal quale ricavasi
che Tebaldo degli Annibaldi avea invaso il castrum Ne-
mi colla sua fortezza, e dopo la sua morte i suoi fi-
gli Riccardo e Giovanni lo aveano continuato a ritene-
re, finché Giovanni lo restituì all'abbate di s. Anastasio:
e tale restituzione si fece ai 5 dicembre nell'anno 1412y
come si legge nel Diario Romano riportata dal Murato-
ri R. I. S. Tomo XXIV. p. 1033. Ritornato pertanta
in pieno dominio de'monaci di s. Anastasio questo ca-
stello nel 1412 , secondo il documento ricordata di so-
pra, ncir anno 1423, 1' abbate lo die per un triennio
in affitto a Giordano Colonna per 50 fiorini. Finalmen-
te nel 1428 i monaci col beneplacito apostolico la ven-
derono insieme con Gcnzano e col casale di Montagna-
no ai Colonna per 15,000 fiorini del valore di 47 ba-
iocchi l'uno, siccome si ha dagli atti originali riportati
dal Ratti n. XIII. e XIV.
Nel 1479 fu venduto insieme con Genzano al card,
d' Estouteville , e dopo tornò ai colonna. Nella famosa
divisione de' feudi fatta da Alessandro VI. l'anno 1501
fra i figli di Lucrezia Borgia , ed inserita dal Ratti n»
XIV, Nemi fu assegnato a Roderico. Morto Alessandra
tornò in potere de'Colonna, che nel 1559 lo venderono
a Silverio de Silveriis Piccolomini. Quindi venne in po-
tere di Francesco Cenci, il quale nel 1572 lo vendette
a Muzio Frangipani. Questa famiglia, che come si vide
Io avea posseduto nel secolo XI. lo ha dopo l'anno 1573
ritentilo fino all' anno 1781 , in che lo vendè al nipote
\ 593
di papa Pio VI. Luigi Braschi; il suo figlio Pio Braschi
Io ha nel 1835 venduto al duca Giulio Cesare Rospiglio-
si che n'è il signore attuale.
»,J La situazione di questa Terra è pittoresca: e ma-
gnìfica è la veduta che ivi si gode del cratere e del la-
go sottoposto , che assomiglia ad uno specchio vastissi-
mo. Nel resto, meno la rimembranza del tempio di Dia-
na, nulla presenta degno di particolare osservazione. Il
palazzo baronale ha tutto l'aspetto di un antico castel-
lo feudale, ed è opera in gran parte de'Colonna, un tena-
po signori della Terra, come pure la torre rotonda, che
Io corona. Salendo sulla falda del monte , che domina
immediatamente la Terra, apresi un panorama molto e-
steso del Lazio marittimo e delle terre adiacenti de'Bu-
tuli, e de'Volsci. Dal promontorio Circeo l'occhio spazia-
si sopra tutto il littorale del mar tirreno fino al di là
delle foci tiberine: Astura, Anzio, Ardea, Lavinio, Lau-
rentò. Ostia e Porto sollevansi , come altrettanti pùnti
più, ó meno sensibili secondo la distanza e la grandez-
za loro. ì'j.-iy :
Il Iago più cemmunemente detto dagli antichi ne-
morense^ è come quello di Albano il prodotto di un vul-
cano estinto, di che fan prova le materie che lo circon-
dano, in parte lava durissima basaltina, in parte ceneri
ammassate dall' acqua ed indurite dal fuoco , in parte
ceneri e. scorie disciolte. Il perimetro è di circa 5 mi-
glia: il livello è supcriore a quello di Albano. Celebre
è la pretesa nave , da altri detta di Tiberio , da altri
di Trajano, esistente sott'acqua, della quale parlano il
Biondo , Leon Battista Alberti , e più particolarmente
Francesco Marchi celebre architetto ed ingegnere mili-
tare del secolo XVI. il quale vi calò. Nuove ricerche
su tal proposito si fecero a'giorni nostri, alle quali, es-
sendo stalo presente ed avendo esaminato attentamente
396
quanto venne estratto, od udito da coloro, che vi era-
no calati ciò che .iveano veduto, parmi poter ricavarsi,
che la prelesa nave altro non sia che la ìntelaratura
de' fondamenti di un fabbricato : che i travi di questa
Ìntelaratura , sono di larice , e di abete : che i chiodi ,
che li univano insieme sono di metallo , e di varie di-
mensioni: che il pavimento, o almeno lo strato inferio-
re [di esso era formato di grandissimi tegoloni posti so-
pra una specie di graticole di ferro sopra le quali hav-
vi il marchio CAISAR in lettere di forma assai antica:
e queste graticole, come pure i tegoloni, alcune travi,
ed i chiodi , possono vedersi nella Biblioteca Vaticana.
Il marchio CAISAR sovrannotato sembra spiegar V uso
di questa fabbrica. Imperciocché narra Svetonio nella
vita di Cesare e. XLVI. che quel dittatore Villam in iVo-
morensi a fundamentis inchoatam, magnoque sumptu aòso-
lutam, quia non tota ad animum et responderat, totam di-
ruisse quamquam tenuem adhuc et obaeratum : cominciò
pertanto Cesare una villa magnifica , suntuosa nel Ner
morcnse, e la disUussc dopo averla quasi finita, perchè
non corrispondeva intieramente alle sue idee, e questa
villa era stata fatta con gran spesa : magnoque sumptu :
ora il marchio CAISAR è appunto quello di Cesare, per-
chè è solo, isolato, non accompagnato dal prenome TI.
cioè Tiberius, o dal cognome TRAIANVS: quindi io cre-
do, che la pretesa barca altro non sia, che il fondamen-
to di questa villa medesima fatto dentro il lago , onde
dar luogo al fabbricato superiore: e questo essendo sta-
to distrutto da Cesare stesso, il fondamento sott' acqua
rimase, come pure sott'acqua si trovano avanzi sconvol-
ti della fabbrica demolita. II punto scelto per questa
villa era opportuno, essendo collocata dirimpetto al tem^-
pio della dea, in riva al lago. o;i«o<]oiq hi l\>-
JinuìA Nemi si va da Genoano per due strade: la pri-
397
ma è a sinistra di chi guarda il palazzo ducale , cioè
dal canto dc'Cappuccini. Essa discende al lago, e lo co-
steggia più, o meno dappresso, a sale a Nerai dal can-
to della Mola e del Montano. Questa strada nella prima
parte è antica: conserva per qualche tratto il pavimen-
to che ha 8 piedi di larghezza e le crepidini: ed è fian-
cheggiata da muri di opera reticolata. L'altra, parte dal-
la piazza vecchia di Genzano, e salendo al ciglio del cra-
tere lo segue fino al villaggio di Nemi. Questa e la più
communemente seguita , perchè è la più commoda , ed
è anche essa un diverticolo antico, che distaccavasi dal-
l'Appia a sinistra, dove oggi è il nuovo duomo di Gen-
zano.
Andando per la strada, che scende al lago dai Cap-
puccini può vedersi il bel capo d' acqua della fonte di
Egeria , che dopo aver fatto girare la mola sbocca nel
lago. Questa è quella descritta da Strabone, e celebra-
ta da Ovidio Metam. lib. XV. v. 485 e seg. il quale
cantò la tradizione , che Egeria , essendo una ninfa fu
sposata da Numa, e dopo la morte di quel re ritiratasi
inconsolabile nel bosco aricino fu da Diaj^a cangiata in
una fonte: .i<iinl6i»»q^ ^mnìjtrA n am'jhoKu /^Ld : 8uf4
f;rv omoJiiA ih ciyWDJirbifl iRj.) ^iRoilibti' lUivi'X il) «>rH*q^
i^eh póstqUaià sèrUér rkgnwmqùe àèvumque peregtt Tf.S
Extinctum latiaeque nurus, populusquc, patresque ii
Deflevere Numam: nam coniux urbe relieta jjfu'jafioa ftnti«f
Vallis aricinae densis latet abdita sylvis: fJ jììÌ'j^^*^ pt»
Sacraque Oresteae gemitu, quaestuque Dianac ■ - - ' tb
Impedii. Ah quoties nymphae nemorisque lacusque i^
Ne faceret monuere et consolantia verba ìiUjtq a-iqoi aii:^,
Dixere ......' ' ' ♦#,
Non tanien Egeriae luctus aliena levare ,>•?
Datntta valent: montique iacens radicibus imis "A i ÌM -ol
Liquitur in lacrymas: dome pietate dolentis yt'not >*& ot(«''
398
Mota soror Phoebi gelidum de corpore fontem um e •» uxd
Fecifj et aeternas artus tentavit in undas. - ^ ■• ■' '■
iV^P/— NEPETE, NEPE. M i.ll h oi
' Città vescovile della delegazione di Viterbo dipen-
dente dal governo di Civita Castellana, circa 30 miglia
distante da Roma sulla strada postale del Furio, la qua-
le contiene 1507 abitanti. Essa è situata sopra il gran
ripiano, che si apre fra la catena del Tapino, il Teve-
re, e la catena del Cimino, in un punto dove questo
è solcato dal rio Pozzolo , che discende da Sutri , e
dal Falisco che in esso influisce : ripiano ondulato , in
parte coperto da belli boschi di querele,
ih ^Le mura che la circondano appartengono a tre epo-
che diverse: le antiche di cui si vede un tratto presso
la porta Romana sono di massi quadrilunghi di tufa lo-
cale, disposti regolarmente a strati alternati, come nelle
mura di Falerii ed in altre opere romane della repub-
blica: quelle de' tempi bassi, fra le quali contasi ancora
la rocca che porta le arme di Callisto III. morto nel
1458 : e le moderne a bastioni , specialmente verso la
porta di Civita edificata con architettura di Antonio da
Sangallo verso la metà del secolo XVI. da Paolo III. La
città è ben fabbricata; la parte di essa presso porta Ro-
mana conserva ancora le traccie dell'incendio a che an-
dò soggetta nel 1799. La chiesa è un bel monumento
de'tempi bassi: essa ed il palazzo municipale sono sulla
piazza , sulla quale pur veggonsi statue antiche togate
poste sopra piedistalli. Uscendo dalla porta di Civita si
vede il magnifico acquedotto a due ordini di archi tra-
versare il rio Falisco, edificato anche esso da papa Pao-
lo III: le rupi tagliate di tufa che ivi fiancheggiano il
letto del torrrente sono di un effetto pittoresco sorpren-
399
dente frammischiandosi il color rosso del tufa al verde
delle erbe e degli arbusti che lo ricoprono.
Nepi era sulla via amcrina antica , come ricarasi
dalla Carta Peutingcriana che così la indica, cioè: BAC-
CANAS, Baccano; NEPE, Nepi IX m. più oltre: FALE-
RIOS, Fallari V. m: CASTELLVM AMERINVM, Bas-
sano XII: AMERIAM, Amelia IX: TVDER, Todi XVI:
BETTONIAM, Bettona XIV: PERVSIAM, Perugia X.
Le traccio di questa strada antica rimangono ancora ,
quantunque oggi a Nepi si vada per una strada affatto
moderna. La via amerina distaccava a destra dalla
cassia alla osteria di Settevene , ed ivi si vede ancora
un arco del ponte antico, sul quale varcava il fosso Tri-
glia: di là direttamente andava a Nepi passando per
Monte Gelato : e dopo Nepi andava verso Fallari ossia
l'antica Falerii, tratto che in parte ancor si conserva e \
che fu visitato dall' Olstenio: e da Falerii per Corchia-
no si dirigeva ad Orte , dove passava il Tevere , e per
Orte ad Amelia che le dava il nome. A Corchiano un
altro ramo di essa diriggevasi verso Castellum Ameri-
num, oggi Bassano ed è quello particolarmente indicato
nella Carta Peutingcriana, e sotto di esso passava il Te-
vere, donde per la Terra di Giove perveniva ad Ameria.
La prima volta che si trova menzione di questa
città nella storia è in Livio lib. VI. e. IX. e seg. allor-
ché r anno 371 di Roma ì Nepesini spedirono insieme
con quei di Sutri legati a domandar soccorso contro gli
Etrusci ai Romani. Quindi a quella epoca si mostrano
e gli uni e gli altri alleati di Roma, fatto che non dee
recar meraviglia riflettendo, che dopo le recenti impre-
se contra Veii e contra Falerii, queste città per la loro
picciolezza e per la vicinanza al confine romano facil-
mente si misero sotto la protezione della potenza allor
dominante. Quella guerra fu condotta da Camillo, ehe do-
400
mandò per collega Valerio : nel primo incontro disfece
gli Etrusci presso Satri, ed occupò quella città, che re-
stituì agli alleati: quindi si diresse contra Nepi, che si
era arresa ai nemici per tradimento di una parte de'cit-
tadini. Ivi presentavasi una impresa più difficile , non
solo perchè era in potere pieno de' nemici , ma ancora
perché una parte de'cittadini era d'accordo con essi. Fu-
rono pertanto spediti messi ai principali personaggi del-
la città, perchè si separassero dagli Etrusci, e che di-
mostrassero quella fedeltà che imploravano dai Roma-
ni; ma essi risposero di non poter più far nulla, sen-
do che gli Etrusci occupavano le mura e guardavano
le porte. Camillo dapprincipio procurò d'incuter terrore
agli abitanti col dare il guasto alle terre; ma dopo ve-
dendo che più saldi stavano nella fede data per la re-
sa, che in quella dell' alleanza co' Romani, colmò con
fasci di sarmenti le fosse e data la scalata alle mura
s'impadronì di primo assalto della città. Allora ordinò
ai Nepesini di deporre le armi, ed ai suoi di salvare
gl'inermi: gli Etrusci armati od inermi furono egual-
mente trucidati : agli autori della resa fu troncata la
testa colla scure: ed alla moltitudine innocua furono
restituite le cose , e consegnata la Terra , lasciandovi
però un presidio romano. L'anno 375 narra lo stesso
Livio lib. YL e. XXL che il senato creò triumviri
per dedurre una colonia a Nepi: questa secondò Vel-
leio Patercolo lib. L cap. XIV. vi fu dedotta 1' anno
384, cioè 17 anni dopo la presa di Roma fatta da'Gal-
li , ed a quella epoca io credo che furono costrutte
le mura che ancora si veggono, presso la porta roma-
na delle quali fu parlato di sopra, poiché la loro co-
struzione si accorda perfettamente con quella data, es-
sendo analoga, come indicossi a quella delle mura del-
la nuova Falerii, edificate non molto tempo dopo. Ne-
401
pi dopo quella epoca si mantenne fedele ai Romani, in
guisa che nell'anno 457, dice Livio lib. X. e. XIV. che
ab Sutrio, et NEPETE et Faleriis vennero legati in Ro-
ma per avvertire il senato che si tenevan congressi dai
popoli della Etruria per domandare la pace.
L' anno 545 Nepi fu una delle dodici colonie che
dichiararono ai consoli di non aver mezzi da fornire trup-
pe e danari, onde continuare la guerra punica. Livio lib.
XXVIL e. IX; quindi cinque anni dopo, secondo lo stes-
so storico lib. XXIX e. XV. andò soggetta al decreto
coramune colle altre di fornire il doppio del maggior
numero di truppe che avea dato durante tutta quella
guerra, e 120 cavalieri, o tre fanti per ogni cavaliere
che non avesse potuto fornire, e queste truppe fossero
scelte, e servissero a completare gli eserciti fuori d'Ita-
lia: in caso di rifiuto si ritenessero in Romani magistra-
ti e gli ambasciadori della colonia, senza poter ottenere
udienza dal senato prima che non avessero adempito a
tali ingiunzioni : finalmente che si esigessero ogni anno
mille assi di stipendio per ciascun uomo: ed il censimen-
to si facesse secondo quella formola stessa, dai censori
adottata pel popolo romano. Silio Italico lib. Vili. v. 489
pone la Nepesina cohors e gli Aequi Fedisci fra i contin-
genti dell'esercito romano che furono presenti alla bat-
taglia di Canne.
. ,. Ho notato di sopra che questa come Sutri era una
città piccola: e Sutri probabilmente fu sempre soggetta
a Veii fino alla presa di quella città, come Nepi a Fa-
lerii; e perciò dopo la presa di Veii e la dedizione di
Falerii rimaste distaccate da quella metropoli formaro-
no due piccioli stati', che si doverono assoggettare alla
forza predominante di Roma sotto lo specioso titolo di
alleate , e poco dopo sotto quello di colonie. Esse non
cangiarono mai ne' tempi antichi questo stato di medio^
26
4è2
crit<^, e Strabene ai tempi dì Tiberio nel libro V. e. II,
§. 9 nomina Nepi che scrive Nsttìtoc fralle piccole città
della Etruria mediterranea suburbicaria ( noh.yVY} ) : dor
pò di lui la ricordano Plinio lib. III. e. V. §. 8. e To-
lomeo, ma senza aggiungere alcun particolare. E qui deb-^
bo avvertire quanto alla ortografia del nome, che Livio
Io scrive Nepete, Patercolo iVepe, Plinio Nepetj Strabene
Nsmra, e Tolomeo NsTrsTa. '"wnrJnoD «b^ra .nmBh » •. j
La origine della sede vescovile di Nepi risale , se^
tondo rUghelli, fino alla epoca di s. Pietro; meno però
la successione de'vescovi non si hanno memorie partico-
lari di Nepi fino al principio del secolo VII. della era
volgare, quando s. Gregorio ne'dialoghi lib, I. e, VII la
Hcorda. Sembra però che a quella epoca fosse in auge.
E quindi andò sempre crescendo a segno di divenire
pentro di un ducato possente, che grande influenza eser-
citò sopra Roma medesima nel secolo Vili. Infatti nar-
ra Anastasio nella vita di Stefano IV creato papa l'anno
768, che negli ultimi momenti della vita di Paolo I suo
predecessore immediato , Totone dux nepesinae civitatis ,
che da qualche tempo abitava in Roma co' suoi fratelli
Costantino, Passivo, e Pasquale raccolse una gran quan-
tità di gente dal suo ducato, e da altre città della Tor
scana, ed una caterva di contadini, i quali entrarono in
Roma per la porta s. Pancrazio, e ragunatisi nella casa
di Totone crearono papa Costantino suo fratello, che era
affatto secolare, é prese il nome di Costantino II. Que-
sta turba d'insorgenti lo fece consacrare di viva forza,
"e lo mantenne sul soglio per un anno ed uh mese. A^
nastasio descrive con vivi caratteri quello scisma, che
finì colla morte di Totóné medesimo, e colla formale de-
posizione di Costantino per opera di que' di Rieti, e di
'Furconio, e di altri Longobardi del ducato spolctano, e
■poirassensò dèi re Desiderio. Ciò mostra la importanza
403
di Nepi in quel tempo , che sembra essersi come una
meteora innalzata, e con rapidità essere tornata allo sta-
to primitivo. È però da notarsi che questa città dopo il
duca Totone _|sovrammenzionato non ebbe altri signori,
e mai non fu la Terra feudale, ma immediatamente di-
pendente dalla sede apostolica. Essa andò soggetta alla
fiera devastazione de' Normanni nel secolo XI. chiamati
in soccorso della Chiesa da Niccolò II. contro il conte
di Galera e da Alessandro II. l'anno 1063. Verso la, me-
tà del secolo XIII. fu assediata e presa dalle genti di
Federico II. come narra il Riccobaldi nella sua storia
presso il Muratori R. I. S. T. IX. p. 144. E recente-
mente nel 1799 fu durante il governo republicano di
Roma presa, saccheggiata, ed in parte incendiata, comò
oltre le memorie contemporanee fan tesdmonianza le «a-
se ancora rovinate, che si veggono presso la porta Ro-
Ab' 'f»3uhi<o;i NEROLA. ,3^ij,''j,fxnÌ l^'etniifl
-AMJ ;?. iC o;\f>il i.ù oJiìsl'i-..- ohiìanttA -/myT nlariii-p b 9!-
il) iJìi). i ijjLJ<!n -OilòhJdcl ih
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Ani b*,hi\!j xjo &(} ili 'tf!;,; ^mixiiìoiu.q i,]]'^h s))uì iixibni ^ .30
Terra sabina nella Comarca dì Roma a destra det-
la strada di Rieti, distante dalla metropoli circa 30 mi-
glia posta nel distretto di Tivoli e sotto il governo di
Palombara, la quale contiene 526 abitanti. Essa è sopra
un colle molto elevato e boscoso, e nulla conserva che
sia degno di particolare osservazione , sebbene sia di
antica origine, poiché il suo nome deriva dalla voce sa-
bina Nero che secondo Svetonio nella vita di Tiberio
e. I. significava fortis ac strenuus: onde, come Neriene,
dea degl'Itali primitivi corrispondeva aìì^. Virtm de'Ro-
{Oilo*! (i non Cf^l,^ 'jìhb d t'.)bn)?; rtìhb oJJoqSfi'l rilniìlids-
404
mani, cioè alla forza coraggiosa, così Nerula equivale-
va a piccola fortezza.
Meno il nome niun'altra memoria antica ci rima-
ne di questa Terra. Ne'tempi bassi si ricorda nella Cro-
naca di Farfa fin dall'anno 1051, veggasi il Muratori
R. I. S. T. II. P. IL p. 592. Nel secolo XIV. come
altre Terre delle vicinanze fu occupata dagli Orsini e
die il nome [di conti di Nerola ad un loro ramo. Nel
secolo XVII. questi la vendettero ai Barberini che ne
sono i signori attuali,
;■■'''■■■"•;. ; ' NETTUNO.
''"''"'Terra della Comarca di Roma sul mare, distante
dalla metropoli circa 38 m. e da Porto d'Anzo, l'an-
tica Antium, poco più di uno.
Fino al Porto d'Anzio la strada da Roma è quasi
la stessa , e credo doversi preferire a quella che poco
prima di Anzio diverge a sinistra e conduce direttamen-
te a questa Terra. Andando pertanto da Anzio a Nettu-
no tutta la spiaggia vedesi coperta da rovine imponenti
di fabbriche , residui di astraco , pavimenti di musaico
ec. , indizii tutti della popolazione che avea occupata tut-
ta questa costa.
A destra presentasi la fortezza di Nettuno fondata
da Alessandro VI, e successivamente ristaurata da Urba-
no VIII. e da Alessandro VII. come si riconosce dagli
stemmi esistenti di questi due papi. Oggi ò in uno sta-
to di decadenza e di squallore, e d'altronde ad altro non
può servire, che a guardia della costa contra i pirati ed
a preservazione della sanità. Dopo avere oltrepassata que-
sta fortezza entrasi in quello che chiamano borgo , e
quindi nella Terra di Nettuno, che racchiude circa 1000
abitanti: l'aspetto delle strade, e delle case non è bello,
405
mentre la situazione sarebbe amenissima: somiglia ad un
forte senza averne le difese opportune ; pochi marmi
frammentati antichi, rocchi di colonne, e capitelli, sono
le sole memorie dell'antichità, che ivi si veggano: avan-
zi forse del tempio di Nettuno , o trasportati dalle ro-
vine della vicina Anzio: la chiesa principale dedicata ai
due ss. Giovanni, il Battista e l'Evangelista è l'edificio
più ragguardevole; il così detto palazzo Doria e la ca-
sa soprannomata della Camera non offrono alcuna cosa
degna di rimarco.
Il costume delle donne di questa terra, specialmen-
te pe* corsaletti, che sovrappongono, e per la ricchezza
delle stoffe e degli ornamenti tessuti in oro ed in ar-
gento, discostasi affatto dalle circonvicine contrade e non
fa improbabile la opinione , che la popolazione annida-
tasi in questo sito, dopo la rovina di Anzio, provenga
dall' oriente. Poiché circa la origine di questa terra , è
fama presso i moderni, che sia dai Saraceni, non dico-
no se prigionieri, o vincitori, o pirati ivi raccoltisi nei
tempi bassi: ora è possibile che nelle scorrerie de'seco-
li IX. e X. fatte da que' pirati, spopolatasi Anzio e la
costa attinente, una qualche masnada di essi si riduces-
se in questo sito , e che da questa traesse principio la
Terra odierna: è però altresì vero, che il costume degli
uomini non ha nulla di orientale, ed è identico a quel-
lo di tutta la contrada, come sempre lo fu: quindi l'ar-
gomento tratto dal costume zoppica almeno per questa
parte, ed al più potrebbe asserirsi, che i primitivi abi-
tanti di questa Terra derivino dalle isole del golfo di
Napoli, cioè Procida, Ischia, ec. , che nell'abbandono to-
tale della costa anziate, attirati dalla pesca di questo li-
do , profittarono di questo punto per formarvi un rico-
vero, giacché il costume delle donne di Nettuno non si
406
allontana essenzialmente da quello de' luoghi sovraiu"
dicati.
Communcmente poi si crede dagli eruditi, come fu
notato di sopra che dove oggi è Nettuno fosse in orì-
gine r arsenale degli Anziati Volsci, che Livio e Dioni-
sio appellano Caeno; ma questa opinione non si accorda
col fatto, poiché il luogo non è atto in moda alcuno ad
un porto: e d'altronde avendo gli Anziati la rada Matu-
rale, coperta dal promontorio sarebbe veramente strano,
che avessero voluto creare un arsenale in un luogo sen-
za ricovero : Y equivoco naturalmente nacque dalP aver
preso le rovine della villa imperiale di Anzio per quel-
le di Anzio volsca , che sebbene vicina non era posta
immediatamente sopra il mare , dove questo offriva un
ricovero, onde gli Anziati furono portati a fare un' ar-
senale distaccato dalla città, coperto dal promontorio, e
questo è il Caeno di che fanno menzione gli scrittori
sovraindicati. Quanto poi alla opinione, che Nettuno ab-
bia tratto origine da un tempio sacro al Dio del mare
è più probabile per ogni riguardo, sì per la località co-
me pure pel nome; per la qual cosa io credo, che es-
sendo rimasta la città di Anzio deserta per le scorrerie
e pel timore dei Saraceni nel secolo XI , e X , cessato
quel timore una qualche colonia delle isole napolitane
attirata dalla pesca ubertosa di questo littorale sceglies-
se per ricovero le rovine del tempio^ e del suo recinto
sacro, ritenendo il nome di esso che si communicò alla
Terra,
La memoria più antica di questo castello , che io
abbia trovata spetta all'anno 1163, e leggesi in una car-
ta riportata dal Nerini p. 403. nella quale si fa parola
della misura di grano ad esso particolare, che avea per-
ciò il nome di moggio di Nettuno : modius Neptuni , il
quale serviva di norma agli abitanti di tutta questa riviera.
407
Sembra , che circa quel tempo appartenesse ai monaci
di Grottaferrata, ma non ne ho veduto alcun documen-
to positivo, sebbene si asserisca dal Fea, Voto ec. pag.
10; all'incontro trovandosi posteriormente sempre com-
presa nel dominio de'signori di Astiira, prima i Frangi-
pani e poscia i Colonna, ed essendo Astura fino dal se-
colo X proprietà de'monaci di s. Alessio sull'Aventino,
che erano possidenti di molte altre terre in questa par-
te , propendo a credere , che anche Nettuno sia stata
proprietà di quel monastero, che poscia è certo che fu
di un ramo della famiglia Frangipani, e nel secolo XV
pervenne ai Colonna: questi rimasero signori di Nettuno
colle stesse vicende di tutta questa costa notate nella
storia di Anzio fino all' anno 1594 in che Marcantonio
giuniore lo vendette a Clemente Vili, ed alla Camera
Apostolica , la quale nel 1831 lo ha rivenduto per la
somma di 400, 000 scudi col vastissimo suo territorio
ai Borghese. Neil' anno 1498. Nettuno fu confiscato da
Alessandro VI. ai Colonna e con la bolla del 1. ottobre
1501 assegnato a Roderico Borgia, bolla che si conser-
va nell'archivio Sforza, e che nella parte, che concerne
la divisione de' beni fatti dal papa fra Roderico e Gio-
vanni Borgia suoi nipoti figli di Lucrezia fu data in
luce dal Ratti Storia di Genzano Doc. XIV. È fu nel
1498 appunto che da lui , onde tener meglio a dovere
la contrada venne edificata la rocca. Ma poco dopo la
casa Colonna riebbe il dominio delle sue terre. Due uo-
mini insigni ha dato Nettuno Andrea Sacchi, pittore di
gran fama nato nel 1600 e Paolo Segneri , fiore della
eloquenza italiana nato Tanno 1624.
Da Nettuno ad Astura sono circa 7 miglia seguen-
do la spiaggia: il viaggio per terra offre rovine interes-
santi, per mare è più dilettevole, quando il vento non
sia contrario; ma naturalmente è meno istruttivo. Meglio
408
è seguire una via e tornare per l' altra , onde godere i
vantaggi di araendue. Ora andando per terra seguesi
per tutto il tratto la spiaggia, e nell' uscir da Nettuno
si traversa il rivo che i dotti communemcnte suppongo-
no essere il Loracina nominato soltanto da Livio Irb. XLIII.
e. IV. dove narra il giudizio del pretore C. Lucrezio
avvenuto circa 1' anno di Roma 584: in quello affare i
tribuni del popolo accusarono quel magistrato dì estor-
sioni, ed esso facevasi credere assente per afiPari pubbli-
ci, mentre si conobbe al contrario che se ne stava nel-
la sua villa anziate, conducendo T acqua del fiume Lo-
racina ad Anzio : sed iam adeo vicina etiam inexplorata
erant, ut is eo tempore in agro suo antiati esset, aq%tam-
que ex manubiis Antium ex flumine Loraeinae ducerei: e
questo passo mi sembra quasi decidere , che realmente
il rivo odierno di Nettuno sia il Loracina, sì per la vi-
cinanza ad Anzio, come per la bontà delle acque. Dopo
questo rivo passasi quello meno considerevole della val-
le di s. Rocco, diramazione di questo, e quindi tre mi-
glia discosto dalla terra di Nettuno il più grande di tut-
ti quelli fra Nettuno ed Astura.
Ritornando a Nettuno e riprendendo la strada di-
retta di Roma può andarsi ad osservare un magnifico
monumento antico sepolcrale , che volgarmente chiama-
no la torre del monumento, o il Torraccio. Questo è 3
miglia circa a settentrione di Nettuno , lasciando dopo
il primo miglio la strada romana a sinistra, e seguendo
l'andamento di una via antica di communicazione, della
quale incontransi di tratto in tratto vestigia, e che pro^
babilmente era quella che andava a raggiungere l'appia
presso Tres Tabernae , dove ancora si vede la dirama-
zione. II monumento appartiene agli ultimi tempi della
republica ed è costrutto di un reticolato, analogo a quel-
lo di Astura, con legamenti di tegole alternate come fa
409
notato in Anzio alla villa Corsini. Esso presenta tre cor-
pi diversi uno sovrapposto all' altro: il basamento è un
gran dado quadrato di 20 piedi per ogni lato, sul qua-
le sopra un zoccolo innalzasi una mole rotonda, e sopra
questa una specie di tempietto, pure rotondo, esterna-
mente decorato di mezze colonne : esso terminava in
una callotta , o cupola sferica : tutto era intonacato di
stucco in modo da indicare, come se fosse costrutto di
pietre: nel lato occidentale poi, dove passava la via, ri-
mane ancora la incassatura della iscrizione, che avca 3
piedi antichi di lunghezza e 2 di altezza. É affatto in-
cognita la persona, alla quale fu eretto; che se per la
costruzione della mole può dirsi contemporanea di Ci-
cerone, non oserei mai dire essere della sua figlia Tul-
liola, da lui tanto amata, mancandone affatto le prove,
anzi dalla serie delle lettere ad Attico del libro XII.
e del libro XIII. potrebbe desumersi il contrario.
NOMENTVM.
Cbìtas Kotmntana - €a0trum
numcntanoc.
MENTANA— LAMENTANA.
Lamentana o Mentana è una Terra della Comarca
di Roma nel distretto di Tivoli e governo di Palomba-
ra la quale contiene 472 abitanti, ed è situata sulla an-
tica via nomentana circa 14 m. e mezzo lontano da
Roma.
Essa è succeduta all'antica città di Nomentum, co-
sì sovente ricordata negli antichi scrittori, dai quali ap-
410
parisce, che fu una colonia albana, ossia de'prischi La-
fini fondata nel territorio sabino conquistato da Latina
Silvio terzo re di Albalonga. Imperciocché Virgilio nel-
la famosa predizione fatta da Anchise ad Enea , Aen^
lib. VL V. 773, parlando delle città, che i suoi discen--
denti avrebbero fondato dice:
Hi tibi NomentUm, Gabios, urbemque Ftdenam. tic;
L' autore della Origo Gentis Romanae poi al e. XXIL
nota, che fu Latino Silvio che dedusse le colonie alba-
ne: fralle quali ricorda Nomentum: e Dionisio lib. IL e.
LUI. parlando di Fidefie scrive : w ed era una colonia
» degli Albani fondata nello stesso tempo che Nomento
)) e Crustumeria, essendone condottieri tre fratelli, dei
» quali il primo fu quegli che edificò Fidene ». Quin-
di Fidene , Nomento e Crustumeria furono fondate da
tre fratelli nello stesso tempo, cioè sotto Latino Silvio.
Nella guerra di Tarquinio Prisco contra le colonie al-'
bane del distretto denominato de'prischi Latini, si trovò
involta anche Nomento, la quale si arrese supplichevo-
le, e perciò fu con somma clemenza trattata: Livio lib.
L e. XXXYIII. Dionisio lib. III. e. L: poiché sembra,
che il re di Roma si contentasse di far riconoscere lo-
ro la supremazia della metropoli, ritenendo essi la for-
ma del governo stabilito.
Espulsi i re pel misfatto di Sesto Tarquinio i La-
tini pe'maneggi degli esuli sostenuti da Mamilio genero
di Tarquinio si dichiararono sciolti da ogni legame con
Roma, e strinsero la famosa lega per ripristinare il go-
verno monarchico : frai popoli che si ricordano da Dio-
nisio lib. V. e. XLI. come partecipi di quella lega si
nominano ancora i Nomentani. Ma come è noto, le spe-
ranze de' Tarquinii, ed i tentativi della lega furono ab-<
battuti dal valore romano nella battaglia del lago Re-
gillo. Ivi stabilitasi dopo quella giornata la concordia
411
frai popoli belligeranti, i Nomenlani rimasero slretlanien-
te attaccati dopo quella epoca ai Romani fino all'ultimo
general movimento del Lazio sul principio del quinto
secolo di Roma , descritto da Livio nella prima parte
del libro VIIL Questo storico stesso al capo XIV. di
quel libro narrando le diverse categorie , in che i Ro-
mani posero i popoli vinti, dice, che i Nomentani furo-
no messi in quella de' Lanuvini , come gli Aricini ed ì
Pedani, cioè i Romani li affiinrisero alla cittadinanza, e
dall'altro canto tollero essere ammessi ai loro sacrificii^
come se fossero stati un medesimo popolo. Quindi No-
mento fin dall'anno 417 di Roma fu un municipio, che
ebbe i diritti della cittadinanza romana. La vicinanza
alla metropoli influì certamente all' insensibile suo spo-
polamento successivo, ed alla oscurità in che venne, poi-
ché di Nomento non si hanno altre memorie che quel-
la della esistenza durante la republica e sotto gl'impe-
radori. Veggansi Ovidio Fast. lib. IV. Strabone Kb. V.
Seneca Ep. CIV. Columella lib. III. e. III. Plinio lib.
III. e. XII. e lib. XIV. e. IV. e Marziale Epigram. lib.
I. ep. LXXXV. lib. VI. ep. XLIII. lib. X. ep. XLIV.
lib. VII. ep. LVII. Ed Ovidio, Seneca, e Marziale eb-
bero fondi nelle sue vicinanze, che erano celebri parti-
colarmente per la bontà de' vini. Questa circostanza, co-
me pur quella dell'essere questa città attraversala dalla
via nomentana , ed il riflusso continuo del popolo che
dalla capitale spandevasi nelle Terre dintorno fece du-
rante l'impero risalire Nomento a segno che sembra che
essa crescesse a misura che la metropoli decadeva. In-
fatti questa città era fin dal finire del secolo III. sede
vescovile , essendo negli atti di s. Reslituto nominato
Stefano come vescovo nomentano: e dopo di lui una se-
rie quasi continuata di vescovi nomenlani si ha nell'U-
ghelli Italia Sacra T. X. dal secolo V. fino al X. cioè
412
Orso nell'anno 415, Scrrusdei nel 465, Cipriano nel 487,
Sereno nel 495, Romano nel 501, Felice nel 551, Re-
dento nel 553, Grazioso nei 593, quando alla sede no-
mentana il papa s. Gregorio unì quella di s. Antimo
di Cures, divenuta per le scorrerie de'Longobardi qua-
si deserta: reggasi la epistola XX del libro III. del Re-
gistro d> quel pontefice: Costanzo nel 600, Generoso nel
601, Sapienzio nel 649, Paolo nel 679, Benedetto nel
743, Villano, o come meglio il suo nome leggesi nella
Cronaca Cassinense Vulgario nel 753 , Cosma nel 826 ,
e Giovanni nel 964. Circa quella epoca sembra che que-
sta sede si estinguesse, siccome vedremo, che verso la
fine di quel secolo questa Terra andò rapidamente de-
cadendo.
Poche memorie di Nomento abbiamo ne* tempi bas-
si, allorché al suo nome primitivo insensibilmente si so-
stituì quello prima di Civitas Nomentana, poscia quello
di Castrum Nomentanae, donde deriva il nome moderno
di Mentana, o Lamentana. Merita però particolare men-
zione il fatto ricordato dagli Annali Bertiniani presso
il Muratori R. I. S. Tomo II. P. I. p. 504, da Anasta-
sio nella vita di Leone III, e da altri scrittori, cioè che
Carlo Magno l'anno 800 venendo a prendere la corona
imperiale in Roma tenne la via di Sabina , onde il pa-
pa Leone III andò ad incontrarlo col senato romano, col
clero , e con tutte le corporazioni di Roma fino a No-
mento, dove pranzò insieme col futuro impera dorè, e
col quale entrò in Roma. In Nomento pure nel secolo
seguente ebbe i natali il famoso Crescenzio Nomentano,
che per qualche tempo regolò i destini di Roma col no-
me di console e duca, che fortificatosi nella Mole Adria-
na volle far fronte ad Ottone III. dal quale nel 996
fu fatto morire. Sembra che dopo quella epoca Nomen-
to per la malignità de'tempi andasse talmente cadendo,
che si cstinse la sede episcopale, ed essa stessa ridotta
allo stato di castello, castrum passò in potere de'mona-
ci di s. Paolo , ai quali fu confermata con bolle da
Innocenzo III. nel 1203, da Onorio III. nel 1217, e da
Gregorio IX. nel 1236. Veggasi il Bollario Cassinense
T. I. Leggesi nel Diario di Gentile Delfini presso il Mu-
ratori R. I. S. T. III. P. II. p. 843. che sotto Inno-
cenzo III divenne feudo de' Capoccia: questo dee in-
tendersi però colla clausola di dipendenza dal monaste-
ro suddetto , come apparisce dalle bolle sovraindicate.
Corto fu il dominio di questa famiglia sopra Lamenta^
na, poiché nel declinare dello stesso secolo Niccolò III.
die Lamentana ad Orso Orsini suo nipote, nò si fa più
menzione dopo quella epoca del diritto de' monaci di
s. Paolo. Gli Orsini ritennero il dominio di questa Ter-
ra durante i tre secoli seguenti. L'anno 1484 per testi-
monianza del Nantiporto ai 20 di gennaio andò sogget-
ta ad un fortissimo terremoto : veggasi il suo Diario
presso Muratori R. I. S. T. III. P. II. p. 1083: e due
anni dopo pur nel gennaio venne spianata per ordine
di papa Innocenzo Vili, come troppo partigiana degli
Orsini: Infessura presso lo stesso p. 1202. L'anno 1594
questa Terra fu venduta per scudi 250000 con tutte
le sue dipendenze da Fabio e Virginio Orsini a Mi-
chele Peretti principe di Venafro; e non molti anni
dopo passò in potere dei Borghese , che ne sono i si-
gnori attuali.
La Terra è posta sopra il ripiano di un colle che
la domina dal canto di oriente, ma che non vi ha al-
cuna communicazione diretta, e dove probabilmante era
stata edificata la città primitiva. La direzione però del-
la via nomentana, che seguì questo ripiano fece a poco
a poco edificare case ed alberghi lungo questa via me-
desima, 0 queste fecero insensibilmente abbandonare la
414
situazione più incommoda del colle, portandosi gli abi-
tanti in questa pianura , occupando inoltre la fimbria ,
che si dilunga ^erso occidente, dove gli Orsini edifica-
rono il loro castello , fimbria che non presenta se non
tre accessi uno dal canto di Roma, o di mezzodì, l'al-
tro dal canto di settentrione, ambedue per la via no-
mentana, ed il terzo intermedio dal canto di occidente
per un diverticolo antico della salaria, che distaccavasi
dopo Tor s. Giovanni dal tronco principale. La Terra
può distinguersi in Lamentana vecchia , e Lamentana
nuova: la prima copre la fimbria sovraindicata , e pre-
senta nelle case generalmente la costruzione del secolo
XIII: essa comprende il palazzo baronale, che si rico-
nosce appartenere a tre epoche diverse, cioè l' originale
del secolo XIII. opera probabilmente degli Orsini: mol-
te parti del secolo XV. e XVI, ingrandimenti del pri-
mitivo. Da tutto ciò apparisce quanto esaggerato sia l'In-
fessura riferito di sopra dove dice , che Lamentana fu
spianata da Innocenzo Vili, nel 1486. Questa parte di
Lamentana si riduce al palazzo sovraindicato, e ad una
linea di case che lo circonda separate da esso da una
strada. Attinente al palazzo è la chiesa, e dinanzi am-
bedue una piazza. Per tutta la Terra veggonsi sparsi
frammenti di marmo, di colonne, di bassorilievi residui
dell' antica Nomento e de' sepolcri che erano lungo la
via nomentana. Tali frammenti antichi particolarmente
abbondano sulla piazza, dove specialmente attrae l'atten-
zione un alto rilievo di grandezza naturale, del tempo
degli Antonini , al quale danno il nome di s. Giorgio :
presso r arco poi della porta gotica dell' antico castello
vicino alla casa Santucci è una statua togata provenien-
te forse dal Foro dell'antico municipio. Lamentana nuo-
va poi consiste in un'ampia e lunga strada retta che è
neir andamento dell' antica via, fiancheggiata a destra e
415
a sinistra da case edificate per la maggior parte nel se-
jcolo passato : lungo questa via sotto il campanile della
chiesa sopra cinque massi di marmo lessi le iscrizioni
seguenti forse appartenenti a qualche sepolcro : tre ap^
partengono alla gente Erennia , e due alla Bruzia : le
prime dicono: ■■■■■■•■ -
HERENNIVS L. F. l HERKNNIA L. F.
HOR , GALLVS MERVLA MAlOR
HEREJtNIA L. F,
MERVLA MINOR
le altre due poi: iggo uiìj olf.irn 6 oìsbJ
ìjii!} fìì :^'i otj;:e. i"'i'i '■■).. . - .b->A L»
^'nhiì.ìf. Ji-u:. HOR !(J;jL'r-<>ptn 'n-)'! <;(«,■- ,orii"< oue bb
.(Vii b« (AhuO db/io fO'tlhnìfib ihìc^iìHtàq ou> i» od-ì a
:0'',>r Sì gli Erennii, che i Bruzii erano della tribù Orai
zia , alla quale probabilmente era ascritto il municipio
nomentano ed è degno di osservazione vedere che i
primi amavano torre i cognomi dai volatili, ^aZ/ws, me-r
rula: i Bruzii poi sembra, che fossero originarii di qué'
ste contrade, e della loro villa presso Monte Libretti fu
parlato a suo luogo. Dall' altra parte della strada sono
in bassorilievo le protome di tre individui della gente
Appuleia come apparisce dalla epigrafe seguente a loro
sottoposta;
f'Off^i'.ìi ojjdii ix-ìHiù o?ji li 9Yob «10 on&i oai li shm»
J,.APPVLEIVS.L.L.L.APPVLEIVSL.F.APPVLEIA.L.L,
ASCLEPIADES , TR. MIL. SOPHANVBA
DE SVO FEGIT '
; is<(ri »5\\i.)ia!j ì4Vfc't?va"» <5i.B<:^n ^ ioti mitVjiaf .
Ancor questo monumento fu sepolcrale: il cognome
di Sophanuba che ebbe quell'Asclepiade tribuno de' sol'
dati che fece il monumento è affricano, e ricorda quel-
lo della celebre Sofonisbaj come d' altronde è notò cho
416
un ramo degli Appuleii erasi stabilito almeno fin dal se-
condo secolo della era volgare a Madaura città dell'Af-
frica, al quale appartenne il celebre scrittore e filosofo
platonico che fra le altre opere ci ha lasciato quella del-
le Trasformazioni volgarmente nota col nome àeìVÀsino
d'oro.
NVMICVS -i?/0 TORTO
Questo rivo così celebre nella storia primitiva del
Lazio è quello che oggi dicesi Rio Torto fra Lavinio
ed Ardea, come più sotto dimostrerò, perchè fra tutti
i rivi di questa contrada si distingue per la tortuosità
del suo corso, carattere conosciuto anche dagli antichi,
e che è suo particolar distintivo , onde Ovidio nel lib.
XIV. delle Metamorfosi v. 598. e seg. così lo descrisse:
Litus adit laurenSf ubi tectus arundine serpit
In (reta flumineis vicina Numicius undis.
Questo fiume, quando è presso alla foce forma uno
stagno assai vasto , se si considera il volume ordinario
delle sue acque, ed è quello indicato dallo stesso poe-
ta nel terzo de'Fasti v. 647. e seg. , dove Anna Peren-
na disparve:
Corniger itane cupidis rapuisse Numicius undis
Creditur et stagnis occoluisse suis.
onde il suo fano era dove il rivo entra nello stagno ,
così proseguendo Ovidio:
Sidonis interca magno clamore per agros
Quaeritur adparent signa notaeque pedum.
Ventum erat ad ripas, inerant vestigia ripisj
Sustinuit tacitas conscius amnis aquas.
Ipsa loqui visa est, placidi sum nympha Numici: *'
l^i,^ Amne perenne latens, Anna Perenna vocor. <:i.
. H ) E perciò Silio nel lib. Vili. y. 28. e seg. fa chia-
Hi
mare da Giunone Anna dagli stagni laurcnti del Numi-
co, presso il luco del Padre Dio Indigete:
Namqm hoc adcitam stagnis laurentibus Annam ' oiiz
Adfatur voce et blandis hortatibus implet: o^' :^«j
..; i ' .' ;f" i'' \ Ji^». oiolyn.T
Tum diva Indigetis castts contermina lucis ' joir
Haud, inquit, tua ins nobis praecepta morari. O*)?!
E più sotto quando le apparisce in sogno Didonc: i'f?
ffaud procul hinc parvo descendens fonte Numicm o#!i
Labitur, et leni per valles volvitur amne. oio^
Huc rapies, germana, viam, tuosque receptus ih us*
Te sacra excipient hilares in flumine Nymphae^ ìì oh
Aeternumque itaiis numen eelebrabere in oris. 1
Sic fata in tenuem phoenissa evanuit auram. b
Anna novis somno excutitur perterrita visis, tmì
Itque timor totos gelido sudore per artus. l;
Tunc ut erat tenui corpus celamine tecta, A
Prosiluit stratis, humilique egressa fenestra.
Per patulos currit plantis pernicibus agros; .\
Donec arenoso, sic fama, Numicius illam
Suscepit gremio vitreisque abscondidit antris.
Nel tratto pertanto di Campo lemini furono questi
luoghi, e santuarii decantati del prisco Lazio, il luco di
Giove o Padre Indigete, il fano di Anna Perenna, ed il
tempio nazionale di Venere, cioè TAfrodisio: il luco fu
presso la foce del Numico nello stagno , il fano ed il
tempio presso lo stagno medesimo del Numico. Ho dap-
principio asserito essere il Numico l' odierno Rio Torto,
e che Io avrei più sotto dimostrato; ora eccone le pro-
ve: Plinio dove parla de'luoghi marittimi del Lazio Hist.
Nat. lib. IIL e. V. dopo l' oppidum Laurentum pone il
Incus lovis Indigetis-, Vamnis Numicus, Ardea, e più sotto
Aphrodisium. Secondo questo passo pertanto il Numico
era fra il luco di Giove Indigete ed Ardea: ora in que-.
27
418
sto spaziojdue solijrivi solcano la spiaggia , V uno che
scorre immediatamente sotto Ardea detto Rio dell'Inca-
stro : r altro denominato Rio Torto pel suo particolare
serpeggiamento, come si disse, quasi a mezza strada fra
Lavinio ed Ardea; e siccome né in Dionisio, né in Li-
vio, né in Virgilio, né in Ovidio, né in alcun altro an-
tico scrittore , che parla del Numico , e della battaglia
che mise fine alla vita di Enea, si dice mai, che quel
rivo bagnasse le mura di Ardea , circostanza , che non
poteva isfuggire; siccome il Numico era per testimonian-
za di Ovidio particolarmente serpeggiante; siccome pres-
so il mare secondo Vittore, Virgilio, Ovidio, e Silio Ita-
lico impaludava in uno stagno di una estensione consi-
derabile, e nel suo corso determinava il limite frai La-
tini ed i Rutuli, perciò conviene riconoscerlo precisamen-
te nell'odierno Rio Torto, fiume di acque limpide, col-
le rive vestite di oleastri, orni, olmi, e pioppi frammi-
schiati a canne, che continuamente serpeggia, e termi-
na presso il mare in uno stagno molto vasto nella sta-
gione piovosa, ma che nella estate si ristringe di molto.
Questo ha le più lontane origini in Valle Caja , traver-
sa questo tenimento e quello di Cerqueto, serve di li-
mite fra questo e quelli di Cerquetello e Sugareto, ba-
gna quello di s. Procula, nel quale riceve un altro ri-
vo , e la sorgente di Gìuturna , e quindi passando tra
questo di s. Procula e quelli di Pratica e Castagnola
del Bufalo, e fra questo e Castagnola Cesarini e Cam-,
pò Selva , dove forma lo stagno più volte menzionato ,
sbocca nel maro dopo un corso di circa 18 m. mentre
in linea retta ne avrebbe appena 11. Considerando la
brevità del corso di questo rivo e la scarsa quantità di
arque che porla ordinariamente, alcuno potrebbe mera-
vigliarsi, come gli antichi fossero venuti nella persua-
sione, che Knea vi si fossp annegalo. Aurelio Vittore
*19
però, o chiunque sìa l'autore del . trasunto di storia lati-
na intitolalo Origo Gentis Romanae, compilato corno più
Yolte si disse da storie e tradizioni antichissime , oggi
perdute, mostra,, dbie la battaglia fra ^nea e Mezenzio
si combattè presso lo stagno del fiume Numico: circ^
Numici fluminis stagnum: che sopraggiunse un temporale
spaventevole accompagnato da tuoni e da lampi, di que'
tali temporali, che non sono rari in questa parte d'Ita-
lia nella primavera e nella estate, che Enea non avve-
dendosi della vicinanza del fiume vi cadde, e che rischia-
ratosi il cielo, non fu più trovalo , che però , e questo
certamente è ,una giunta, fu da Ascanio e da alcuni al-
tri veduto comparire sulla ripa con quelle medesime ar-
mi e vestito come era uscito in campo. Quantunque
questo passo sia lan poco lungo, io credo di doverlo ri-
ferire , perchè sempre più si allontani dai padri, nostri
la taccia di soverchia credulità , che i raocierni troppo
sovente lor danno; Tum Aeneam . .♦....'»,.. castra
Mub Lavinio collocas$e::{p,'Jù* ♦ii<;l{ÌM,inA •! fiA'r l«wV • • •
copias in aciem produxisse^ circa Numici fluminis stagnum:
ubi quum acerrime dimicaretur subitis turbinibus infuscato
aere,, repente e coelo tantum imbrium effusum, tonitrtbus
etiam consecutis, flammarumque fulgoribus, ut omnium non
oculi modo perstringerentur , verum etiam mentes quoque con-
fusae esscnt: quumque universos utriusque partis dirimendi
praelia cupiditas inesset, nihilominus in iìla tempestati» su-
bitae, confusione interceptum Aeneam nusquum deinde ^om-
paruisée. Traditur autem non proviso quod propinquus flu'
mini esset, ripa depulsus, forte in fluvium decidisse, atqt^
ita praelium diremtum: de in post apertis, fugatisque nuhfr
bus, quum serena facies effulsisset creditum est vivum eun^
coelo adsumtum. Idemque tamen post ab Ascanio et qm-
busdam aliis visu^ affirmatur super Numici ripam eo habi-
tu armisque quibu^ in proeliufn processerat. Qum res im-
420
immortalitatis eius famam conflrmamt. Itaque UH eo loco
templum consecratum appellarique placutt Patrem Indigetem.
Ed Ovidio nel XIV. delle Metamorfosi v. 581 e seg. ve-
stendo questa tradizione storica di ornati poetici fa im-
plorare a Venere da Giove la deificazione di Enea e ne
fa ministro il Numico, così dicendo v. 596 e seg;
Perque leves auras iunctis invecta columbis
Litus adit laurens, ubi tectus arundine serpit {"'"' »^ ■
In freta jlumineis vicina Numicius undis. J '^''^" "''
Hunc ìvhet Àenecie qziaecumque obnoxia mortì^*-' *<^f">«y*
' Abluere et tacito deferte sub aequora cursuA'^^'' '' »f<>ffi"
Corniger exequitur Veneris mandata: suisque aniniìliy >
' Quidquid in Aenea fuerat mortale repurgat. ojubtx hi
Et respergit aquis. Pars optima restitit illi. ^>^«Jf">''^ o ini
Lustratum genetrix divino corpus odore 0'«fe«<| oJgoirj»
' Unxit et ambrosia cum dulci nectare mixta f'^v^'l v'^'^ÌT''
■ Contigit OS, fecitque deum: quem turba Quiritum f>i'>'^^ j^f
■ Nuncupat Indigetem; temploque arisque recepit. ■ '•♦nT^<»-:
• ." • Versi che 1' Anguillara elegantemente tradusse in
quattro ottave, ma non fedelmente, poiché piuttusto che
traduzione quel suo lavoro dovrebbe dirsi parafrasi. Or
dunque, per ritornare all'assunto della probabilità, che
questo rivo possa mai ingojare alcuno, poiché nel suo
stato ordinario merita giustamente 1' epiteto di placido f
che gli dà Ovidio nel III. de'Fasti ho preso informazio-
ni locali da tutti i contadini ? ed in anni diversi , e mi
hanno costantemente assicurato, che questo rivo si gon-
fia in modo in occasione di temporali, e cosi rapidamen-
te, che non passa quasi anno, che non si abbia da com-
piangere qualche vittima , che disprezzando la sua pìc'
ciolezza ordinaria arrischia di passarlo a cavallo. E chia-
ri sono i segni sulle ripe dell' altezza a che giungono
le acque e della loro violenza vedendosi torti gli arbu-'
siti che si trovano lungo il suo corso, "'«y 9»!^ww'n »i
42^
-n<! ili rl(»V! i :. *! .:■'■.•..;:' -lu:; (,•;', '>;ri (A.f.thìlO
:.; ©libanum. (JDlip^Wim. (HHebonuntt'''*'
.n;- ■ • •■■■■ ■-■ ■■:•■■- >-,:•■. ;.'-■' ' ■'-^^■
■ ' Terra del distretto di Tivoli , che coata 2624 abi;*
tanti, e che nello spirituale dipende dal vescovo prene-;
stino. Essa , come altre terre , e come altri fondi che
portarono lo stesso nome, fu cosi detta, perchè la rea-*,
dita era assegnata al consumo degl'incensi, che serviva!»
no alle chiese, dalle quali queste terre .dipendevano; e
nell'agro romano stesso abbiamo un monte di Leva, che
era Mons Olibani, un castello di Leva , che era uà
Castrum Olibani, de'quali si trattò a suo luogo. Impera
ciocché oUbanum nella bassa latinità significa incenso, e
questa voce fu pure adottata nella lingua italiana. -j.
Questo castello è in parte situato sopra un coUCi^
che dirama dal monte del Cotso ultima lacinia orientale
della punta di Colle Celeste: in parte poi sì dilunga per
la falda di questo colle medesimo. Da Subiaco è distante
4 ore di cammino andandovi per Affile e Rojate, un po-
co meno andandovi da Civitella: da Palestrina altrettaii4^
to traversando le Terre di Cavi, e Genazzano: per con-
seguenza é circa 36 m. lontano da Roma, andandovi di-
rettamente. I dintorni di questa Terra sono freschi, ame-
nissimi, coperti di alberi secolari, e variati da rupi ma-
giche, e perciò sono la delizia de'pittori di paese , che
ivi raccolgonsi nella stagione estiva a fare i loro studii.
oìf Nella lapide esistente nel chiostro di s. Scolastica
in Subiaco, che appartiene all' anno 1052, e contiene
la nota delle possidenze del monastero medesimo, man^
ca il nome di Ole vano; né si dica che rimane cela^ft
in quello de'fondi Opinianum e Trelanum ivi rammenta
ti, poiché la bolla di Giovanni XII dell'anno ^8 ed il
422' ^
diploma di Ottone I. dèlranno 967 nominano il fundum
Olcbano, che era pur questo, ma che allora non era an-
cora una Terra popolata. Questi documenti possono leg-
gersi in Muratori Antiq. Medii Aevi Tomo Y. p. 463
465. Ma dopo quella epoca, vale a dire nel secolo XII.
formossi il castello; imperciocché nella bolla di Pasqua-
le II. dell'anno 1115 riportata nel Chronicon Sublaceme
presso lo stesiso Muratori si nomina Olivanum cum omni*
bus fundis , et casalibus eorum. Dalle lettere di Alessan-
dro III ricavasi, che nell'anno 1169 Giovanni, Leone, e
Pietro Frangipane ritenevano questa Terra in custodia,
cioè l'aveano occupata con armatile che la perniutaror
no col castrum Tyberiae; oggi Tivera presso Velletri: que-»
sta notizia importante ci fornisce il Nerini con un do-
cumento inserito nella Storia di s. Alessio p. 220. Il posW
sesso di questa Terra venne confermato in seguito ai
monastero sublacensc dalla bolla emanata da papa Cle-
mente III. nell'anno 1168 e da quella di Onorio III del
1217. Dopo quella epoca passò nelle mani de'Colonaesi,;
ed un Oddone de Columna signore di 0\e\ diuo, dominus
OZeòant è ricordato in una bolla di papa Innocenzio lY.
dell'anno 1243, là quale viene riferita dalI'Ughelli Ita--
Ita Sacra T. L p. 210. I Colonnesi ritennero il posses-;
so di questa Terra fino al secolo XVII. quando la ven-
derono ai Bòr^ese, che la rit^isagono col titolo di niar^
chesatp. f^l* II.'Ù'ìb/ o .Ìib(o39« iiodlfì ih iiioqo5 Jfflièplii
9ii'> Andando da Subiaco ad Olevano, fino a Rojate ìar
strada è commune ad ambedue queste Terre , e perci6^
ne parlo all'articolo ROJATE y onde per non ripetere
troppo le cose può consultarsi quell'articolo da chi brà'^
nla conoiscere i particolari. Da Rojate poi piuttosto che
striadà direbbesi per alcun tratto un sentiero irregolare^
che' scende da balia in balza per un buon miglio fino
W'wille Ricattra, dove è una cappella. ' Ivi bi volge «
423
destra, e sì sale il collo di una fìmbria intermedia fra
Rojate, ed Olevano, che ha il nome di colle del Corso.
In questo tratto traversa un castagneto, che oggi è in
parte tagliato con danno grave della pittura de'paesi.
Verso il secondo miglio da Rojate si perviene ad un
bivio, dove fa d'uopo seguire il senti ere a destra; men-
tre traversasi il dorso del colle sovraindicato il casta-
gneto dilatasi, e sul punto di uscirne presentasi da lun-
gi la Terra di Olevano. Quindi costeggiando la falda
occidentale del colle del Corso si discende alla Terra;
le prime case di essa presentansi poco più di una ora
dopo avere lasciato Rojate. Lasciasi a destra una chie-
sa rurale destinata a cemeterio communale, e quindi
si perviene alla piazza maggiore : in questo tratto il
castello presenta una magnifica veduta pittorica, essen-
do posto sopra una rupe di calcarla appennina, la cui
bianchezza mista al colore giallognolo , contrasta col
grigio bruno delle mura e delle case che la corona-
no. Questa rocca per la sua costruzione, che è del se-
colo XIII. credo che debba ascriversi ai Colonnesi si-
gnori allora della Terra.
i j Sulla piazza maggiore è una^ fontana di acqua pu-
rissima : una iscrizione oggi mutila , ma da me veduta
intiera 1' anno 1825 ricordava, come essendo stata con-
dotta l'acqua sotto Pio VI. ed essendosi per le vicende
de' tempi perduta fu nell'anno 1820 ristaurato l'acque-
dotto a tutte sue spese da Benedetto Greco nativo della
Terra per solo amore della patria, esempio raro ne'gior-
ni nostri e che pure dovrebbe essere imitato. La chie-
sa parrocchiale di questa Terra è ampia, e ben man-
tenuta: ha dieci altari ed è dedicata a s. Margherita:
la chiesa più antica , oggi demolita era stata dedicata
a s. Pietro: questa ha un capitolo di quattro canonici.
Narra il Piazza , Gerarchia Cardinalizia, p. 243 ,
424
che ad oriente di Olevano sono avanzi di una villa an-
tica, detta Villa Magna, dai quali scavavansi marmi no-
bilissimi di varii colori , e colonne , e condotti : e che
in un' altra contrada , che ritiene il nome di Pretorio,
perchè forse appartenne agli imperadori si trovarono mu-
saici, pietre preziose, tronchi di statue, medarglie, catc-'
ne di oro ec : ed aggiunge che nel 1660 si scopri una
grande urna di marmo con tre corpi, intagliata di figu-
re a mezzo rilievo, lunga 7 piedi larga 3 e mezzo, ed
alta quasi 4. la quale conservavasi n^l cortile del palaz-
zo dei Colonnesi in Genazzano.
-St'Ui'J hiili fcl; .: Jf.i-A tXi-.tiii Ot|.t(f»
ihinui^ r/ 'OLEVÀJfO^TORRI€ELLÀ:<yh sbiui m
lì oJJfjt iì • <--;nì-;;'--, f ^">Ì"'«<7 \f>
-na? È una tenuta dell' Agro Romano posta circa 8 m.>
fuori di porta Salaria confinante con quelle di Boccon-
cino, Capitiniano e Cesarina, e col territorio nomentano.
Appartiene ai Borghese e comprende rubbia 107 e un
quarto. 'Jih «yaoixuiiaoa bus rI si'^q ììì-joi iAìCìuìj .oh
Questa ' tenuta un ' tempo fu 'delta ancor Torricella'
già proprietà de'Capoccia-Gapoccini, i quali nel 1370 la
vendettero a Perna moglie di Pietro Bobone de'Bovesci
pel prezzo di 1500 fiorini di oro , come si trae da un
atto esistente nel cod. vaticano n. 7972. Verso la metà
del secolo XVII era degli Astalli , che nell' anno 1666
k vendettero a Marcantonio Borghese. Alcuni scavi fat-
ti nel 1826 entro i limiti di questa tenuta dierono alla
luce alcune sculture antiche e varie lapidi sepolcrali del-
la gente Vallia , due urne pur sepolcrali de' tempi cri-
stiani, ed una iscrizione, che ricorda un Fanum Bonat
Deac. .^i.>ì.^ .:. i> i.;./. ,wL. Ti^.t- -... :;.:-ii.'ji
,;)Ì:i04ifi"> OTJhiiip i!.' oU))!.'5n.> no juJ kMìwms \<nìfvi9L .;•- r.
4 '^itXTenimento oggi spettante ai Chigi , pósto futfri di
425
porla del Popolo circa 10 migKa lungi da Roma fralle
vie Cassia e Claudia , confinante con quelli della Isola
Farnese e di Celsano , colla strada di Bracciano e col
territorio dell' Anguillara. Comprende quasi 472 rubbia
divise ne' quarti denominati delle Cerquettej d^JIa To5i
retta, di Cesano, e del casale. ■■u. < •» <{
ih ; In origine fu in gran parte del territorio di Cesa-^
no , ed in parte della Isola ', ma nell' anno 1566 Paolo
Giordano Orsini duca di Bracciano separò queste terre
da que' territorii e le vendette ad Alessandro Olgiatì ,
come da un atto esistente nell'Archivio Orsini apparisce:
allora fu che questo tenimento venne denominato 1' Q\-
giata, nome che ancora ritiene, quantunque gli Otgiati
più non lo posseggano, mentre fin dal secolo XVII. pas-
sò ai Franceschi, e posteriormente con altri fondi vicini
è divenuto proprietà de'Chigk. . i. / .ì. ,ihih.i7 vu^i ; i
i>iu\uh iK-i S. ORESTE v. SORACTES., -WK} a r>iUO:-
-aufliivi. — i/'.iy'i oìiùit 0 ^l
ORVINIVM V. MORICONE. Àìti(H(obiì ot
— : m^oia si/ ivi
H(j o)BJljir OSPEDALETTO. mi(n fnniiq ^1 »
ii'i • V
Due tenute di questo nome esistono nell'Agro Ro^
mano ed ambedue sono fuori di porta del Popolo, e di
moderata estensione , circa 6 miglia lontano da Roma ,
a destra della via cassia.
La prima già proprietà del Collegio Romano, e poi
de' Marziale, comprende 48 rubbia di terra, confinanti
colle tenute della Crescenza e della Sepoltura di Nerone.
L' altra della prelatura Giustiniani , comprende 65
rubbia e mezzo , e confina colle tenute di Tor Verga-
ta, Buonricovero , Inviolata, Valchetta , e Sepoltura di
Nerone. Ì« oìIcz-au yn'jJfsjMjniQu imi^ ^mu^sj ji-ihiin^r^'i
i<* > Celebre città antica, ridotta a squallido borgo, pres-'
s« la foce orientale del Tevere , distante da Roma 15
m. e quasi tre dal littorale odierno del mar tirreno. II
borgo attuale é circa un mezzo miglio più vicino a Roma
delle rovine della città antica, quindi sembra straordi-
naria, e inconcepibile la questione mossa dagli antiqua-
rii de' tempi scorsi sulla distanza precisa di Ostia da
Roma, trattandosi di punti cosi determinati, come que-
sti: Roma è un punto, sul quale non può cader dubbio,
e la porta antica, che conduceva ad Ostia, cioè la Tri-
gemina , è pur essa concordemente riconosciuta presso
l'arco odierno, detto della Salara a Marmorata: Ostia è
un punto fisso pur esso, poiché le rovine dell'antica cita-
ta sono visibili, circa un mezzo miglio più oltre del bor-
go attuale , come si disse : la via antica fra Roma ed
Ostia è pur essa determinata dallo stato fisico del suo-
lo, e dalle vestigia ancora superstiti dell'antico pavimen-
to e de'ponti: quindi altro non rimane che misurare per
la via stessa la distanza fralla porta Trigemina di Roma
e le prime rovine dèllst città antica; ed il risultato por-
ta a 16 miglia romane antiche la distanza fra Roma ed
Ostia antica , come infatti la indicano Plinio Hist. Nat.
lib. III. e. VI. l'Itinerario di Antonino pag. 301. Eutro-
pio Brev. Hist. Rom. lib. I. cap. V. Marziano Capella
Art. Lib. lib. VI. Cassiodoro Chron. e Cedreno Comp.
delle Storie T. I. Eusebio seppure non è un errore de*
copisti pose 13 in luogo di 16, e questo computo fu se-
guito dai cronografi s. Girolamo, Freculfo, e l'anonimo
Altisiodorense, ingannati certamente da quel numero me-
desimo. Volpi che a torlo usurpò la fama d'illustratore
delle Antichità del Lazio , ma che dovrebbe piuttosto
riguardarsi come un compilatore inesatto di memorie
427
concernenti il Lazio, riman perplesso a quale partilo ap-
pigliarsi sulla distanza di Ostia, e cerca di trovare una
via per accordare le 16 miglia degli uni colle 13 mi-
glia degli altri , terminando con dire le 16 miglia do-
versi contare dalla porta di Roma al mare in guisa, che
mentre fra Roma ed Ostia correvano 13 miglia calco-
lando la distanza dalla porta Trigemina alle prime fab-
briche di Ostia , 16 ne correvano fra Roma ed il ma-
re, ossia fra Roma , e la ultima linea delle fabbriche
ostiensi sul mare. Ma oltre che non si usò mai questo
metodo per calcolar le distanze , aggiungerò che fra le
prime fabbriche di Ostia e l'antico littorale non tre mi-
glia, ma difficilmente se ne conta uno. Ma lasciamo da
banda tali questioni oziose , e riconoscasi di fatto esr
sère stata Ostia 16 miglia distante dalla porta Trige-
mina di Roma.
Della via ostiense in particolare tratterò ali* artico-
lo delle vie; quanto alla strada, per la quale oggi si va
da Roma ad Ostia, essa esce dalla porta s. Paolo, pas-
sa dietro la tribuna della basilica di questo apostolo ,
traversa i prati ubertosi, che hanno pure il nome di s.
Paolo , e quindi , stretta a sinistra dai monti , a destra
dal fiume più o meno dappresso, per Tor di Valle, s.
Ciriaco , Malafede , salendo a tre riprese il dorso delle
dune di Decimo , placidamente poi ed insensibilmente
scendendo a traverso il bosco ostiense perviene all'argi-
ne moderno costrutto entro le paludi , che col nome
di stagno ostiense coprono Ostia dal canto di settentrio-
ne, e che ricordano le antiche saline, stabilite per la
prima volta dal re Anco Marcio, e che in parte anco-
ra oggi sono in esercizio. i • • -.' ^
Gli antichi scrittori si accordano à ficòhó9Òe¥é' cò-
me fondatore di Ostia il re Anco Marcio testé ricor-
dato, il quale dopo aver disfatto le città latine di Po-
428
litorio, Tellene, Ficana, e MeduIIia, e forzalo i Vejenti
a cedergli la Selva Mesia ampliò così i limiti del domi-
nio romano fino al mare sulle due rive del fiume. Livia
lib. I. e. XIII : Dionisio dice che quel re edificò la nuova
città in un angolo che formava il fiume col mare lib. III.
e. XLIX. onde Floro lib. I. e. IV. si espresse che Anco?
edificò Ostia in ipso maris fluminisque gonfinio, cioè
nello stesso luogo, dove, secondo Virgilio, Dionisio, Livio,
e Servio, Enea prese terra nel Lazio, e che fortificato dal
pio trojano ebbe il nome di Troia nova. Dall'essere que-
sta città secondo Livio in ore Tiheris fu detta Ostia, quasi
porta della navigazione del Tevere secondo Dionisio. Que-
sta etimologia derivandosi dalla località, da scrittori di
prim'ordine, come Livio e Dionisio, e che si conferma co*
nomi dati ad altre città poste alla imboccatura de'fiumì^
sembra doversi preferire ad altre più ricercate che si af-
facciano da »C4rittori meno crUjciy, e da ignoranti gramma-
tici, p''';'^ '■!;•';') r;^ Y'sf? .^''ù'ttv «'fFr ol'f»'-J'!- ^ 0^
^u\n n suo nome più communemente si scrisse senza aspi-
razione, ma non mancano esempli desunti da lapidi e da
scrittori de'tempi posteriori che vi appongono un H, ed
HOSTIA, HOSTIENSES in luogo di OSTIA, OSTIEN-
SES si trova scritto. Dalla sua fondazione fino alla epoca
della seconda guerra punica non ho trovato memorie di
questa città; ma durante quella guerra nell'anno di Ro-
ma 538, appunto all'epoca della battaglia di Canne, leg-
giamo in Livio lib. XXII. e. XXXI che vi era stazionata
una flotta romana: literis consulis propraetorisque lectis,
M. Claudium, qui classi ad Ostiam stanti praee»set, Ganu-
sium ad exercitum mittendum etc. Nel capo seguente poi
si soggiunge : placatis satis ut rebantur deis, M. Claudius
Marcellus ah Ostia mille et guingentos milites quos in clas-
sem scriptos habebat, Romam ut urbi praesidio essent mittit
etc. Cinque anni dopo (543 di Roma) salpò da Ostia eoa
A29
30 quinqueremì per la Spagna il primo Scipione Affri-
cano , secondo che narra Io stesso scrittore lib. XXVI.
e. XIV la qual spedizione può giustamente considerarsi
come il principio della salvezza e dell'ingrandimento del
potere di Roma. Nell'anno 547, lib. XXVII. e. XXXI.
ci narra che Ostia ed Anzio, fra le città marittime presso
Roma, che domandarono esenzione dal fornir truppe, fu-
rono le sole ad ottenerla : Ea die hi populi ad senatum
verter unt; Ostiensis , Alsiensis , Àntias , Anxuras, Mintur-
nensis, Sinuessanus, et a supero mari Senensis. Cum voca-
tiones suas quisque poptdus recitaret, nullis quum in Italia
hostis esset praeter Antiatem, Ostiensemque vocatio observata
est, etc. Quindi può dedursi , che Ostia fosse un posto
così importante e da esiggere tale custodia, che malgrado
il bisogno urgente di completare le legioni, fu una delle
due sole colonie marittime che vennero eccettuate da tal
servizio. Nello stesso luogo si aggiunge, che i giovani di
queste due città doverono giurare di non pernottare in
più di quaranta fuori della loro colonia, finché il nemico
rimaneva in Italia : et earum coloniarum iuniores iureiu-
rando adacti supra quadraginta non pernoctaturos se extra
moena coloniae suae donec hostis in Italia esset. Questa con-
dizione può fornire qualche lume sulla popolazione di
Ostia ed Anzio durante la seconda guerra punica, la qua-
le perciò non sembra essere stata molto numerosa. Nella
guerra civile fra Mario e Siila, Mario prese Ostia, e la
mise a sacco, secondo che riferisce Appiano nel primo
libro delle guerre civili : Mocpiog $£ xa£ Oaxta sìXc xar
^ty)p'na^c etc. E Mario prese Ostia e la saccheggiò. Questo
tratto di Mario indica che Ostia era del partito sillano:
Infatti dopo la vittoria di Sacriporto lo stesso Appiano
riferisce, che Siila nello spedire truppe per occupar Ro-
ma, ingiunse loro che se venissero respinte si raccoglies-
sero in Ostia é£ de ancyipovaQetsv zm Oazta X<"P''^- ^^^
430
che negli ultimi tempi della repubblica vi era stanziata
una flotta romana, siccome si rileva da Cicerone, Pro lege
Maniliay allorché narra che per sorpresa fu dai pirati ci-
licii predata e distrutta : Namquid ego ostiense incornino-
dum atque illam lahem atque ignominiam reipublicae quae-
rar, quum prope inspectantibus vobis classis ea cui comul
populi romani praepositus esset a praedonibus capta atque
oppresia est. Questa sorpresa che punse l'orgoglio de'Ro-
mani nel momento della loro maggiore possanza, die im-
pulso alla spedizione di Pompeo contro i pirati, e alla
debellazione piena della Cilicia. In questo luogo però è
d'uopo riflettere, che il porto ostiense, o la rada in che
stavano ancorate le navi, non era fortificato, onde i cor-
sari poterono corre il momento d'impadronirsene, ed in-
cendiarle.
Non molto dopo tale avvenimento, Dionisio libro III.
e. XLIV. fa questo quadro del porto ostiense , seppure
con tal nome vogliamo appellarlo, allorché narra la fon-
dazione di Ostia fatta da Anco : imperciocché il fiutne Te-
vere scendendo dai monti appennini e scorrendo lungo Roma
stessa^ sboccando in lidi privi diporti e continuati, che fa
il mare Tirreno, poca utilità, e questa di niun riguardo ,
arrecava a Roma; conciossiachè niun castello avesse alla fo^
ce, che servir potesse a ricevere e a rendere ai mercatanti
ne le navi che v imboccavano dal mare, ne quelle che pel fiu-
me vi discendevano. Imperciocché il fiume può navigarsi da
barche fluviali assai grandi fin dalle sorgenti , e dall'altro
canto può fino a Roma rimontarsi da grandissime navi ma-
rine da trasporto. Quindi decise di costruire un arsenale
alla sua foce servendosi per porto della bocca stessa del fiur
me; giacché dove questo entra nel mare, molto si dilata ed
ha seni ampli simili a quelli che hanno i migliori porti ma-
rittimi. Ognuno però sarà giustamente sorpreso che non si
vedrà accadere a questo ciò che a molti grandi fiumi avvie'
431
M, che la foce chiusa rimanga da una barra di sabbia, o
che, errando fra stagni e paludi, la corrente si consumi,
prima di toccare il mare; ina al contrario sempre alle navi
é accessibile^ e con una sola foce naturale sbocca, taglian-
do i cavalloni delle onde marine, e malgrado che ivi spiri
con gran forza il vento che soffia da ponente, le navi a re-
mi per quanto grandi siano e quelle da trasporto della por-
tata perfino di tremila, entrano nella foce e vanno fino a
Roma, condotte o a remi, o colle funi. Quanto ai vascelli
pili grandi si tengono all'ancora in alto mare, dove dalle
barche fluviali vengono alleggeriti. Malgrado però tutte le
proteste dello storico, contro l'interramento del fiume, e
i belli colori con che dipinge la foce , si ricava da lui
medesimo , che era la bocca riempiuta in guisa da ob-
bligare le navi più grandi à tenersi in alto, mare. Più
chiaramente si esprime Strabone nel capo III del lib. V.
Le città sul mare sono : Ostia città priva di porto per l'in-
terramento che vi fa il Tevere ingrossato da molti fiumi, per-
ciò U navi tengonsi con rischio ancorate in alto mare: l'utile
però la vince, sendo che la copia delle barche sussidiarie che
licevano i carichi e li trasportano fa pronta la loro par-
tenza prima che tocchino il fiume, cosi che alleggerite di una
parte entrano nella foce e vengono fino a Roma tirate per
190 stadi. Questo incommodo , che tanto sensibile alle
volte si rese a Roma da apportarvi la carestia, qon po-
tendo le navi cariche di viveri approdarvi, avea mosso
Cesare a pensar seriamente alla costruzione di porti sul
littorale ostiense, secondo che riferisce Plutarco nella sua
vita e. LVIII, ma questo come tanti altri progetti del dit-
tatore rimase troncato dalla sua morte. Claudio però ,
forzato anche egli dalla trista esperienza della carestia,
lo mise in esecuzione, secondo che vedrassi trattando
delle rovine di Porto. Quantunque la fondazione di un
emporio così vicino ad Ostia, e l'abbandono dcll'ancorag-
432
gio presso di questa, scemasse il suo commercio , pure
Ostia non decadde sì rapidamente dal suo splendore, tanto
per la vicinanza al nuoYO stabilimento marittimo, che per
le cure che ne mostrarcelo sempre gl'imperadori, fino alla
malaugurata traslazione della sede dell'imperio. Né poco
contribuì al fiorire di Ostia il tempio di Castore e Pol-
luce, detto JEdes Castorum da Ammiano lib. XIX. e. X.
dove ogni anno nel mese di maggio concorreva il popolo
romano in folla a celebrare le feste Majumae secondo
Etico nella Cosmogr. e Snida in Matou/xag, e dove pure
in caso di penuria di viveri, cagionata da venti contra-
rli, portavansi a sagrificare gl'imperadori (Tacito Annoi.
lib. XV. e. XXYI. ) ed il prefetto di Roma ( Ammiano
1. e. ). Inoltre il suo soggiorno amenissimo vi attirava
continuamente gente, specialmente per prendervi i bagni
di mare, secondo che si ricava da Minucio Felice, che
citerassi a suo luogo. E Claudio stesso che costrusse il
ricino Porto e che partì da Ostia per la spedizione bri-
tannica, secondo Vittore de Caes. e. IV. volontieri vi di-
morava, e vi stabilì una coorte di vigili per estinguere
ed evitare gl'incendj : veggasi Svetonio in Claudio cap.
XXV. indizio di molta popolazione. Anzi trovavasi ap-
punto in Ostia sia per sagrifizj, come vuol Tacito , sia
per provvedere all'annona, secondo che narra Dione, sia
per occupazioni men serie, come pretende Vittore, allor-
ché Messalina, profittando della sua lunga assenza, si die-
de in preda alle maggiori dissolutezze , il che indusse
Narciso a rovinarla, tragedia a lungo e con vivi colori
descritta da Tacito.
^ '' v'Che sotto Nerone fosse città popolosa e ricca, Ta-
cito stesso lo mostra knnal. lib. XV. e. XXXIX. nar-
rando, che dopo il fatale incendio di Roma quell'insen-
sato tiranno mandò a cercare in Ostia , e ne' municipii
vicini gli utensili necessari per riparare i danni incalco-
433
labili , che quella catastrofe avca recato ai cittadini , e
per evitare così V odio incorso : suòvectaque utensilia ab
Ostia et propinquis municipiis. Intanto la religione del Naz-
zareno predicata in Roma dai suoi discepoli ben presto
si propagò pure in Ostia, che fralle città suburbane più
vicine, la prima fu ad avere un vescovo , circostanza ,
che principalmente influì nell'uso da epoca immemorabile
stabilito, che il vescovo ostiense, come primo frai subur-
bicarj, consacri il nuovo pontefice romano, uso del quale
parla l'insigne padre della Chiesa S. Agostino come già
fisso ai suoi giorni Brev. Carthag. Coli. lib. III. e. XVI.
Maroni Comment. de Eccl. et Episc. Ostiens. et Velit. Il
primo vescovo certo di Ostia, che finora si conosca , è
S. Quiriaco, o Ciriaco citato nel martirologio romano, il
quale secondo il Maroni fiorì sul principio del terzo se-
colo. Una iscrizione ora mutila, ma che Grutero vide in-
tiera, la quale esiste nel chiostro di s. Paolo, ci mostra
che la colonia di Ostia venne da Adriano CONSERVA-
TA ET AVCTA OMNI INDVLGENTIA ET LIRERALI-
TATE EIVS. Il suo successore Antonino Pio vi costrusse
un lavacro il quale viene enumerato fralle fabbriche eret-
te da quell'ottimo augusto da Capitolino nella sua vita
cap. VIII. ciò mostra che non solo Ostia veniva protetta
e abbellita dagl'imperadori, ma ancora, che malgrado la
vicinanza di Porto la popolazione non era punto scema-
ta. E che infatti fosse città frequentata, salubre, e ame-
nissima sotto i primi successori di Anfonino, ce ne of-
frono prova Aulo Gelilo Noct. Att. lib. XVIII. e. I. e Mi-
nucio Felice Octav. e. II. il quale secondo il De Hoven
Epist. ad Meermann Longosalissae 1773. fiorì prima di Set-
timio Severo, contro la volgare opinione che lo fa con-
temporaneo di Alessandro. I moltiplici monumenti tro-
vati in Ostia contemporanei dell'impero di Settimio, quelli
a questo imperadore allusivi , e la via Uttorale da lui
28
434
costrutta, che ebbe il nome di Severiana, la quale co-
minciando ad Ostia raggiungeva l'Appia presso a Terra-
cina, ci rendono certi che non solo Ostia fioriva sul prin-
cipio del secolo III. ma ancora che Settimio Severo molto
la favori : veggonsi ancora in Ostia, trasportati dalle ro-
vine, piedestalli, che sostennero statue di lui, di sua mo-
glie, e della Vittoria, con iscrizioni che verranno ripor-
tate a suo luogo.
Gl'imperadori susseguenti non si arrestarono dal be-
neficarla ed ornarla di fabbriche sontuose , indizio che
la decadenza generale dell'imperio non si era ancor fatta
sentire in Ostia. Di Aureliano ci narra Vopisco e. XLV.
che cominciò ad eriggervi un foro sul mare : questo ne
dovea portare il nome, ed ivi fu poi stabilito il pretorio
pubblico : Forum nominis sui in Hostiensi a mare fundare
coepit in quo postea praetorium publicum constitutum est. Ta-
cito suo successore gareggiò con lui in adomarla, donan-
dole cento colonne di marmo numidico, o giallo antico
di 23 piedi di altezza: columnas centum numidicas pedum
vicenum ternum Hostiensihus donavit , secondo lo storico
sovraindicato nella vita di Tacito al capo X. Due iscri-
zioni simili fra loro esistono ancora nella casa rurale di
Castel Fusano, una intiera, l'altra frammentata, riportate
già dal Fabretti, dal Volpi, dal Maffei, dal Marini, e dal
Fea, nelle quali si tratta di un ponte di pietra ricostrutto
per uso degli Ostiensi e de'Laurenti da due imperadori,
i cui nomi veggonsi cancellati per odio del successore ;
il titolo però che vi si legge di Persici Maximiy lo stile
delle lapidi, la forma delle lettere, la ortografia e qual-
che traccia del nome Carino che pure trapela malgrado
le cancellature, le fanno con sicurezza riferire a Caro,
e Carino Augusti, benché Volpi per errore le attribui-
sca a Caracalla ed Alessandro Severo, che mai non re-
gnarono insieme, Marini a Diocleziano e Massimiamo che
435
ebbero il titolo di Persici Maximi nel!' anno 289 ossia
nella tribunicia potestà V. non nella prima; ed altri ad
altri. Costantino vi eresse una basilica ad onore degli
apostoli Pietro e Paolo, e di s. Giovanni Battista, e no-
bilmente dotoUa di sacri utensili e di possessioni^ fra le
quali si nomina l'Isola Sacra fra Ostia e Porto, che A-
nastasio appella Arsis nome corrotto dai copisti che ci
ricorda la selva Arsia menzionata da Livio. Veggasi Ana-
stasio nella vita di Silvestro I. Quindi può giustamente
conchiudersi che Ostia era florida ancora e protetta da-
gli augusti, anche in concorrenza di Porto^ fino alla tra-
slazione dell'impero. Ma dopo non troviamo più indizio
della cura degl'imperadori in adornarla, né in sostenerla,
€ da quanto or ora dimostrerò sembra , che un gravis-
simo colpo soffrisse per quella fatale traslazione. < ^
Nel secolo IV si rileva da Ammiano, che continua-
vasi a sagrificare ai Castori, onde ottenere la tranquil-
lità del mare, siccome nel 359 fece il prefetto di Roma
Tertullo: Ammiano l. e. Sul principio del secolo V. ai
tempi di Onorio, Rutilio descrivendo il suo viaggio ne
indica già la decadenza in que' versi Itin. lib. I. v. 179:
Tum demum ad naves gradior qua fronte bicorni ^.j;-:
Dividuus Tiberis dexteriora secat.
Laevus inaccessis fluvius vitatur harenis
Hospitis Aeneae gloria sola manet.
E certamente la presa di Roma e la invasione gotica in
Italia molto nuocer dovettero ad Ostia, quantunque nel
tempo stesso secondo la Cosmografia attribuita ad Etico,
il prefetto di Roma, o il console continuassero a cele-
brarvi i sacrificii ad onore de' Castori nelle feste JUaiu-
mae concorrendovi il popolo romano : Hic^ cioè il Tevere,
iterum circa sextum PMlippi quod praedium missale appel-
436
latur geminatur et in duobus ex uno effectus insulam fa-
cit inter Portum urbis et Ostiam civitatem : ubi populus ro-
manus cum urbis praefecto vel consule Castorum celebran-
dorum caussa egreditur sohmnitate iucunda. Le leggi im-
peratorie che spensero ogni scintilla dell'antico colto abo-
lirono ancor questa festa , e questo potè pure in certa
guisa influire al totale decadimento di Ostia. E benché
Cassiodoro Var. lib. VII. ep. IX. parlando di Ostia e di
Porto dica : duo quippe tiberini alvei meatus, ornatissimas
civitates tamquam duo lumina susceperunt, può credersi che
riguardo ad Ostia si riferisca piuttosto all' antico suo
splendore, che a quello de'giorni suoi. Imperciocché un
quadro molto triste ne fa Procopio Guerra Gotica lib. I.
e. XXXVI, circa l'anno 540 dal quale può riconoscersi
quanto fosse di già abbattuta : a sinistra dinanzi V altra
foce del Tevere nel mare è Ostia, città che oltre la riva del
fiume, fu cospicua un giorno, ma oggi priva affatto di mu-
ra .. , andando da Ostia a Roma la via è coperta di selve,
e nel resto trascurata, e neppur passa vicino al Tevere, non
essendovi il tiro delle barche. Da questa autorità due cose
rileviamo, che Ostia era decaduta già da molto tempo,
e che era poco frequentata, così che l'aspetto della via
corrispondeva presso a poco all'attuale. Quindi può sta-
bilirsi che il gran crollo e quasi abbandono di Ostia suc-
cedette nel V secolo. È pure da rilevarsi che Procopio
nello stesso luogo dice la foce ostiense ancor navigabi-
le : è il Tevere navigabile da aìnbe le parti. E che molto
di buon ora cessasse di essere città popolosa può trarsi
dalle rovine ancora esistenti della città antica, fralle quali
non ho ritrovato fabbriche posteriori al secolo III. e la
chiesa stessa di s. Ercolano che è fuori del recinto della
città antica non è per la sua costruzione posteriore al
secolo V. Ora se Ostia era già sì decaduta nel secolo VI
non dee recar meraviglia, se ne'secoli seguenti VII e Vili,
437
secoli di ferro per questa parte d'Italia , cadesse in un
quasi totale abbandono e squallore, ed infatti un docu-
mento si ha in Anastasio che nell' anno 827 era diruta
affatto.
Le incursioni de'Saraceni finirono di spopolarla, on-
de Gregorio IV per salvare i pochi abitanti, che vi erano
restati da tali piraterie costrusse un nuovo borgo più
dentro terra, cioè presso il sito di Ostia attuale, e a que-
sto die il suo nome chiamandola Gregoriopoli : veggasi
Anastasio nella vita di Gregorio IV. De quibus quoque
insólitis atque cavendis periculis misericordissimus praesul ma"
gnum habens timorem ne populus a Deo sibi et beato Petra
commissus apostolo qui in portuensi vel ostiensi civitatibus a
Saracenis nefandissimis tribulationis oc depraedationis senti-
rent iacturam intimo trahens ex corde mspiria coepit prthk •
denter inquirere quomodo civitatem ostiensem adiuvaret oc
liberare potuisset. In ejus statim omnipotens Deus hoc dedit
corde consilium^ ut civitatem ibidem qua populum salvare vel'
let a fundamentis noviter construere debuisset : quoNlAM
EA qUAE PRIORI TEMPORE AEDIFICATA FUERAT LON-
GO qUASSATA SENIO NUNC VIDERETUR ESSE DIRUTA.
Fecit autem iuxta quod ei fuerat divinitus inspiralum : in
praedicta enim civitate ostiensi civitatem aliam a solo valde
fortissimam muris quoque altioribus, portis simul ac seris
et catarrhactis eam undique permunivit .... cui etiam no^
viter civitati constructae hoc nomen in sempiternum statuii
permanendum, scilicet ut ab omnibus, site Romanis , sive
aliis nationibu^ a proprio quod ei erat nomine idest Grego-
riopolis vocaretur. Ad alcuno potrebbe imporre quel passo
di questo squarcio di Anastasio : in praedicta enim civi-
tate ostiensi civitatem aliam a solo permunivit :
quasi Gregoriopoli sorgesse sulle rovine di Ostia antica;
ma siccome Ostia moderna non è più di un mezzo mi-
glio distante dall'antica , ed è in parte fabbricata sopra
438
edificj de'sobborghi di Ostia, non dèe recar sorpresa cHe
uno scrittore de'bassi tempi abbia detto Gregoriopoli eret-
ta in Ostia : è poi un fatto , che mentre alcuni abituri
di Ostia attuale mostrano per la loro costruzione il se-
colo IX. e che la chiesa di s. Aurea occupa il silo di
quella che era pur cattedrale nel secolo XII dedicata
alla stessa santa, niun frammenta del secolo IX si trova
fralle rovine di Ostia antica. Questa borgata eretta da
Gregorio lY per poca tempo conservò il suo nome, anzi
poco dopo sotto Leone IV si trova dallo stesso Anasta-
sio detta Ostia, allorché i Napoletani batterono nelle sue
vicinanze alla foce del Tevere una squadra di Saraceni^
soggetto reso immortale dalla mano di Raffaello che mi-
rabilmente la dipinse nella ultima delle quattro stanze che
portano il suo nome nel Vaticano. Nuove fortificazioni
fece ad Ostia moderna, secondo il più volte citato Ana-
stasio, il pontefice Nicolò I, che salì al soglio pontificio
r anno 858. Da Riccobaldo Ferrarese presso i R. I. S-
Tom. IX. p. 310 apprendiamo che nell' anno 917 Àbel-
cayto saraceno venuto alla foce del Tevere presso Ostia»
ed. ito verso Roma la pose in istretto assedio.
^V 4 -Dopo troviamo sempre menzionata Ostia, come luogo
dove approdavano coloro che per mare venivano a Ro-
ma, o ne partivano, quindi sembra che le cure del pon-
tefice Leone IV per ripopolare Porto riuscirono infrut-
tuose, onde quella città rimase poco dopo abbandonata,
e mancata la popolazione , interratosi il porto e resasi
men praticabile la foce destra , le navi furono forzate
a rimontare il Tevere per la foce sinistra. Questo , a
mio credere, fu il motivo che più di ogni altro contri-
buì a mantenere qualche popolazione in Ostia , mal-
grado la infelicità de'tempi. Circa 1' anno 1086 Vittore
III nel venire a Roma passò il Tevere presso Ostia: iu-
xta civitatem Hostiensem Tyherim cum omnibus transiens^
439
quum gravi infirmitate detineretur extra porticum s. Petri
tentoria fixity come narrasi nella cronaca cassinense presso
il Muratori R. I. S. T. IV. p. 477: più sotto dalla stessa
Cronaca Cassinense si nomina Ostia come in potere dello
stesso papa, del quale avca riconosciuta l'autorità, segno
che era un luogo di qualche importanza. In una carta
pubhlicata dal Muratori Ant. Med. Aev. T. I. p. 675, e
riprodotta dal Maroni Op. cit. App. n. II. si vede che
il popolo ostiense ai 26 di maggio dell'anno 1159 pro-
mise di dare a titolo di tributo ogni anno in Roma a
Marmorata , o a Ripa Romaea , che è la odierna Ripa
Grande, due carri {platratas o piuttosto plaustratas ) di
legna al papa, una nel dì di Natale, l'altra in quello di
Pasqua, sotto pena di pagare cento lire provesine. In tal
circostanza i deputati del commune di Ostia furono Ca-
pascià procuratore. Romano Boccapassa, Nicola, Azzo,
Amato Sassone, Giovanni Bezone, ed Adelmaro Peregri-
no- Si aggiunge che sottoscritto l'atto il di 31 di maggio
venne letto avanti la chiesa di s. Aurea , allora , come
pure oggi , cattedrale di Ostia , alla presenza dell' arci-
prete e de'chierici ostiensi al popolo convocato, onde ot-
tenere personalmente il consenso da ciascun individuo :
il nome di quelli che lo prestarono vi si legge in nu-
mero di 14 , ma non sono tutti, poiché si termina con
un etc. Questo documento ci fornisce una idea dello stato
della popolazione di Ostia circa la metà del secolo XII.
Il Maroni nella opera citata prova con buone ragioni es-
sere stato verso quella stessa epoca unito il vescovato
di Ostia a quello di Velletri dal pontefice Eugenio III
appunto per la poca popolazione di Ostia : egli mostra
che Guidone morto nel 1150 fu l'ultimo vescovo avanti
la unione e che il primo a reggere le due chiese unite
fu Ugone il quale morì nel 1158. Il pontefice Alessan-
dro III asceso alla cattedra di s. Pietro nell'anno stesso
440
dell'atto surriferito, entrò venendo da Messina nella foce
del Tevere l'anno seguente 1160 il dì di santa Cecilia
( 22 novembre ) et Ostiam vói ea nocte ductore Domino
cum fratribus suis quievit, sanus et incolumis pervenit, scrive
il card, di Aragona nella sua vita presso i Rerum Ita-
licarum Scriptores T. III. P. I. p. 457. Sul finire dello
stesso secolo una bolla di Celestino III d^la ai 30 di
marzo 1191 e riferita nel Bollano Vaticano< T. I. p. 75
nomina varj fondi urbani e suburbani di Ostia , il che
può fornirci una idea dello stato di questa città : tres
dom€s quas intra civitatem Hostiensem hahetis intrante por-
tam ipsius civitatis manu dextra iunctas muro eiusdem civi-
tatis, terras et vineolas in eodem territorio positas non longe
a stagno et bucina. Quatuor casalinos et duas crypias cum
curte ante se et ortis post se cum introitibus et exitibus eo-
rum extra portam eiusdem civitatis non longe ab eadem Ho-
stiensi civitate sita in loco, qui vocatur Calcaria. Sul prin-
cipio del secolo seguente il vescovo di Ostia Ugolino ,
poi papa Gregorio IX fortificò la città dopo averla tolta
dalle mani di alcuni invasori: civitatem Ostiam turribus
munivit et muris sumptibus et laboribus magnis de manibus
occupantiurn potenter erepta, scrive Bernardo Guidone pres-
so i Rer. Ital. Script. T. III. P. I. pag. 575. Che Ostia
continuasse ad esser popolata almeno mediocremente
verso la metà dello stesso secolo n'è prova un passo della
storia ecclesiastica di Tolomeo da Lucca lib. XXII. cap.
XVII presso il Muratori Rer. Italie. Script. T. X. p. 1150,
nel. quale si narra di Alessandro IV eletto papa nell'an-
no 1254, che essendo vescovo di Ostia e Velletri andava
or nell'una, or nell'altra città a predicarvi la parola di
Dio, o a farvela annunziare alla sua presenza: et inter-
dum ibat Ostiam et Veletrum ibique praedicabat verbum Dei
vel coram se praedicare faciebat. Mentre così raggevasi
Ostia dopo la riedificazione di Gregorio IV, malgrado
441
lo stato lagrimevole in che era caduta Roma ed il La-
zio, ai 5. di Agosto 1327. i Genovesi alleati dal re Ro-
berto di Napoli fatta una discesa sul littorale ostiense
presero e saccheggiarono la città, e la ritennero mal-
grado il tentativo fatto dai Romani per discacciameli, i
quali accorsi senza alcun ordine e a furia di popolo fu-
rono da loro messi in piena rotta. Costretti questi a
fuggirsene a Roma, i Genovesi prevedendo di non po-
tervisi mantenere, misero fuoco alla terra, e sen ritor-
narono alle navi. A questa sciagura tenne dietro l'al-
tra dell'anno seguente che ai 13. di maggio fu di nuovo
presa dai nemici di Roma essendosene impadronite le
galee del re Roberto stesso , ed invano i Romani uniti
ad 800. cavalli del Bavaro tentarono ritorta , siccome
leggesi in Giovanni Villani Storie lib. X. e. XX. e LXXII.
Questi disastri però non spopolarono affatto la città, poi-
ché si rileva da una bolla di Benedetto XII. data ai
19 luglio 1335. e riportata dal Maroni nell'Appendice
n. III. che vi era ancora una considerabile popolazio-
ne, ingiungendo il pontefice, che oltre l'arciprete, i die-
ci canonici annessi alla cattedrale di Ostia dovessero
personalmente risiedervi ed officiarvi, ovvero sostituire
persone idonee in altrettanti vicarj. La lunga assenza
de'papi da Roma, se fu gravemente risentita dalla me-
tropoli , molto più dovea esserlo da questa terra , la
quale solo per la capitale e pel debolissimo commercio
fra questa e il mare si sosteneva. Infatti al ritorno
della .«ede pontificia in Roma, l' autore dell' Itinerario
di Gregorio XI, pontefice che secondo una vita ripor-
tata dal Baluzio ed inserita dal Muratori nella raccol-
ta dei Rerum Italicarum Scriptores T. III. P. II. p. 660
e seg. approdò al porto di Ostia ai 14. di gennaio 1377. ,
descrive questa città come fortificata , venerabile , ma
di nessuna esistenza:
442
Ostiam ingressi fuimus
Murale praesidium mirabile est:
Civita» venerabilis nullius existentiae:
Ibi caenavimus
Come piazza forte era ancora importante e perei*
Ladislao re di Napoli scn rese padrone nell'aprile del-
l'anno 1480. secondo l' Infessura R. I. S. Tom. III. P.
II. p. 705r DeW anno 1408^. in tempo di papa Gregaria
(XIL) venne lo re Ladislao da Napoli nel mese d'apri-
le a di 18. e mise cainpo ad Ostia per mure et per ter-
ra et ebbela per battaglia et stavaci per castellano messer
Paolo di Battista di Govio. Un altro Diaria pur rife-
rito dal Muratori nella stessa raccolta Tom. XXIV.
pag. 900. riportando questo stesso fatto narra che Ostia
fu presa il dì 18. e che ai 20. il re mossosi verso Ro-
ma pose campo a s. Paolo. Ma nella Cronaca di Rolo*-
gna presso il lodato scrittore T. XVIII. p. 894. si di-
ce che Ostia fu presa il 23. Le genti che in quella
occasione seguirono il re leggonsi enumerate in un ma-
noscritto vaticano riportato dal Muratori T. III. P. IL
p. 845. 14. ... re Lanzilao con ben da 12000. caval-
li et molti fanti da piedi cioè 10000. fanti , et etiam con
armata per mare de 60. fuste venne a campo a Velletri
doi dì et pigliao Ostia per forza. Nell'anno 1410. questa
città si tenne fedele al papa Alessandro V , siccome si
narra da Sozomeno Pistoiese Specimen Hist. presso i R.
I. S. Tomo XVI. p. 1197., ma ai 26. di Giugno 1413.
fu ripresa da Ladislao, secondo il Diario riportato nel-
la raccolta sovraindicata T. XXIV. p. 1036. Dopo que-
ste vicende sotto Martino V. ne vennero ristaurate le
fortificazioni siccome si riconosce dallo stemma di que-
sto papa oggi esistente sulla torre ma non al suo po-
sto primitivo. Continuò però durante tutto quel secolo
a servire di luogo di sbarco per quelli che dal mare
443
tenivano a Roma , siccome si legge nella vita di Pio
II. scritta da Giovanni Antonio Campano presso i Re-
rum Ital. Script. T. III. P. II. p. 981. di Carlotta regina
di Cipro: Carlottam quoque reginam Cypri regno deturbatatn
a fratre atque ad socerum allobrogem navigantem , descen"
dere ad Ostiam , oc Romae excipi datis equts, quibus iter
reliquum terra conficeret viatico eiiam prosequutus etc. Pio
II. pure , secondo che narra lo stesso Campano poca
dopo nelle sue escursioni archeologiche pertossi anche
ad Ostia dove corse un grave pericolo da una improv-
visa inondazione: Viam quoque Appiam, et aquaeductum et
Ostiam et Traiani portum diversis secessibus inspexit ....
Ostiae vero in discrimine fuit gravissima exorta procella
compuhus metu inundationis nocte media cubiculo excedere.
Nel 1472. vi s'imbarcò il card. Roderico Borgia per la
legazione ispanica ai 24 di maggio dopo esservisi tratte-
nuto parecchi giorni a causa de'tempi contrariit veggasi
il Volaterrano Diario dì Sisto IV. presso i Rer. JtaL
Scrip. T. XXIII. p. 88, Verso quella stessa epoca il
celebre card, d' Estouteville vescovo ostiense ristaurà
la città, e forse sotto di lui fu dato principio alla co-
struzione della torre attuale, la quale fu innalzata e for-
tificata dal card, della Rovere poi papa Giulio II. sic-
come or ora vedremo: sopra di questa le armi di Si-
sto IV. sembrano le originali: Idem quoque Hostiam jam
pridem eversam magna impensa restituita ducto circumqua-
que muro, vicisque directis ac domibus aedificatis ad decor-
rem loci et utilitatem incolentium: veggasi la Raccolta più
volte citata T. III. P. II. p. 1064. È ^da notarsi in
questo passo, che Ostia prima di quel cardinale era da
qualche tempo rimasta abbattuta, jam pridem eversam.
Le sue armi gentilizie veggonsi affisse intorno al recin-
to, il quale è di una costruzione analoga a quel seco-
lo, siccome pur sono molte case della odierna Ostia.
AH
Egli fece ancora fare a Baccio Pinlclli il modello del-
la nuova chiesa di s. Aurea, siccome narra il Vasari
nelle Vite de Pittori T. III. p. 350. ediz. senese^ il qua-
le fu eseguito sotto il suo successore, il card. Giulia-
no della Rovere. Sotto questo vescovo nel 1482. due
volte Ostia fu visitata dalle galee del re di Napoli ,
le prime furono in numero di sette, ed erano capita-
nate da Villamarina, le altre erano dodici, ed aveano
con loro quattro fuste. Ambe le volte però furono for-
zate ad allontanarsi, sendo la rocca presidiata da fan-
ti commandati da un tal Majannino da Firenze che tras-
se contro la squadra un passavolante. Veggasi la parte
seconda del tomo III. de' Rer. Ital. Script, pag. 1072 ,
e 1075. Morì il d'Estouteville nell'anno seguente dopo,
un lunghissimo cardinalato, e gli successe nella sede o-
stiense il card. Giuliano della Rovere citato di sopra,
nepote del papa regnante , ed il quale poi dovea illu-
strare il romano pontificato. Egli riconoscendo la impor-
tanza del sito si diede a fortificare validamente Ostia ^
servendosi della opera di uno de'più rinomati architetti
militari del suo tempo, cioè Giuliano da Sangallo, man-
dandolo a cercare a Firenze e ritenendolo in Ostia per
ben due anni, siccome narra il Vasari. Sue opere per-,
tanto sono la torre attuale e le fortificazioni che la co-
ronano, siccome viene attestato dallo stile del monumen-
to , della moltiplicità delle sue armi , e dalle iscrizioni
che vi si leggono. Imperciocché sull'architrave della por-
ta esterna della rocca fra due ramuscelli di quercia, al-
bero emblematico della famiglia, leggesi:
IVL . SAÓnENSIS . EPISCOPVS
CARD . OSTIENSIS . FVNDAVIT
e questa epigrafe trovasi pur ripetuta sulla pwla inter-
U5
na. Battute pur furono in memoria di tal costruzióne
medaglie , delle quali non rimangono che esemplari di
bronzo, sebbene non si possa assicurare che non ne ve-
nissero coniate in metalli più nobili. Una di esse offre
nel rovescio la rocca ostiense colla leggenda: ivl . card .
^EPOs . IN . osTio . tiberino: l'altra conscrvavasi nel mu-
seo Borgia , ed è riportata dal Maroni : essa nel dritto
ha la protome del cardinal Giuliano colla iscrizione; ivl .
EPisc . osTiEN . nel rovescio la rocca, presso a poco co-
me ancora rimane colla leggenda, compimento della pre-
cedente , CARD : s : p : AD vinc. Sembra che il cardinal
Giuliano invitasse lo zio pontefice Sisto IV. a vedere i
suoi lavori, poiché leggiamo, che nello stesso anno 1483,
Sisto IV. imbarcossi in Roma a Ripa Grande allora det-
ta Ripa Romèa sopra un legno bene adorno e correda-
lo, detto il Bucentoro: veggansi i Rer. Ital. Script. Torn-
ili. P. II. p. 1083: e T. XXIII. p. 191. Questa rocca
servì di ricovero nel 1492 allo stesso cardinale Giulia-
no nel pontificato di Alessandro VI: R. I. S. T. III. P.
II. p. 1245. e seg. egli dopo esscrvisi sostenuto fino
al 1494, ed averla fornita per tre anni di viveri e mu-
nizioni, imbarcossi. Dopo la sua partenza Alessandro VI.
il dì 26. di aprile la mandò ad assalire: e nello stesso
anno si arrese ai Francesi, che non vi si poterono reg-
gere lungamente , poiché vennero discacciati dal cardi-
nal Giuliano. Siccome si è finora veduto, questo perso-
naggio contribuì molto al ristauro, ed all'abbellimento
di Ostia, e divenuto papa non abbandonò punto la ope-
ra incominciata , quindi le sue armi e come cardinale ,
e come papa sono sparse per la torre, e pel recinto: ed
opera sua è la chiesa di S. Aurea ordinata dall' Estou-
teville, come lo sono la rocca, e la torre di difesa sul
Tevere detta di Bovacciano. Innocenzo Vili, successore
di Sisto IV. Leone X. successore di Giulio sembrano
446
aver fatto qualche ristauro alla rocca vedendosi ivi le
loro armi. Ma dovè molto sofferire nella invasione bar-
barica del 1527, poiché nell'ingresso della torre a sini-
stra della porta esterna leggesi una iscrizione, nella qua-
le dicesi che a spese di Paolo III. Stefano Cansaco a-
merino rifece la rocca quasi diruta ai 27. di giugno
1537:
ÀRCEM.HANC
PROPE.DIRVTA
I MPENSA . PA VLI
III . PONT . MAX . ST
EPHANVS.CANS
ACHVS.AMERIN
VS . RESTIT . V . KL
IVL . M . D . XXXVII
Non vuol starsi alla stretta significazione delle parole
di questa epigrafe , poiché la torre in tutta la sua co-
struzione si mostra sempre del secolo XV. e le armi dei
pontefici anteriori a Paolo III. vieppiù lo confermano;
ma é ben vero che guasti gravi ricevè nella invasione
del 1527. per aver bisogno di essere ristaurata da Pao-
lo III, il quale era vescovo ostiense mentre accadde quel-
la barbarica incursione , ed avea già fatti ristauri alla
torre, poiché le sue armi come cardinale ancora vi ri-
mangono. Le cure che i sommi pontefici , ed i vescovi
ostiensi prendevano per la rocca dimostrano quanto con-
to si facesse di Ostia nel secolo XV. e possono pur for-
nire la idea che non fosse allora una città abbando-
nata. Né Paolo III. é 1' ultimo esempio che possiamo
citare di tale sollecitudine per questa città; impercioc-
ché le armi di Pio IV. e quelle soprattutto del card.
Alfonso Gesualdo, che si veggono sulla porta della Ter-
447
ra e sopra quella della chiesa cattedrale, mostrano che
almeno fino all'anno 1603, nel quale morì questo vesco-
vo ostiense, secondo il Maroni continuavasi a sostenere
questa città. Ma come si è veduto che Tantica avea ri-
cevuto il primo colpo dall' apertura del porto di Clau-
dio , cosi la moderna Ostia pel riaprimento della fo-
ce destra del Tevere fatto da Paolo V. nell'anno 1612.
cadde in abbandono, e appena si sostenne un picciol
numero di abitatori per la continuazione delle saline ,
per la pesca, per la coltivazione dei terreni, e la guar-
dia de' bestiami. Uno stato della popolazione di Ostia
nel 1765. ci viene fornito dalla relazione manoscritta
della visita episcopale fatta sotto il card. Guidobono
€avalchini , dalla quale ricavasi che allora questa città
contava ancora 49 famiglie e 156 anime, che vi resta-
vano ancora durante la state. Ma l'abbandono delle sa-
line avvenuto sul finire del secolo scorso, 1' essere sta-
ta contemporaneamente ridotta Ostia in asilo di fuoru-
sciti , finirono di deprimerla , ed oggi nella state non
contiene 50 individui, che sono i soli, i quali possono
dirsi permanenti, ed ancor questi in gran parte si com-
pongono degl operai delle saline novellamente riaperte.
Delle rovine di Ostia antica Lipsio De Magnit. Rom.
lib. III. che le vide nel secolo XVI. ci ha lasciato il
quadro seguente ; vidimus ipsi apud Ostiam et Ardeam
rudera et per sylvas illas ac vepreta quot columnae aut
earum fragmenta, cryptae, porticus et disjecta aedium mem-
bra. Questi indizii e la celebrità del luogo diedero im-
pulso sul declinare dello scorso secolo a varii amatori
di antichità di aprirvi escavazioni , che pei loro felici
risultamenti animarono il pontefice Pio VII. ne' primi
anni del secolo attuale a caldamente proseguirle. Come
parte anche esse della storia ostiense credo opportu-
no di riferìre in questo luogo le scoperte di antichi
448
monumenti , de' quali mentre é certo che furono rinve-
nuti in Ostia , ignorasi però il luogo preciso del loro
ritrovamento. In questa notizia farò uso principalmente
dell' opuscolo più volte citato del Fea. Quanto poi ai
monumenti rinvenuti in luoghi determinati ne farò men-
zione allorché parlerò de' ruderi fra' quali furono sco-
perti. Riferisce pertanto quello scrittore che prima del-
l'anno 1803. gli scavi non furono eseguiti con ordine,
ma che fin dal 1783 erano stati intrapresi. I primi fu-
rono quelli del sig. di Norogna, ministro di Portogallo
presso la s. Sede : egli trovò parecchi busti , fra' quali
uno creduto di Alessandro , un gruppo di tre figurette
in piedi, colonne di granito alte circa 18. palmi, pavi-
menti di musaico, de'quali uno rappresentante Marte e
Rea Silvia passò in casa Altieri, ed il più bello, insie-
me col gruppo sovraccennato fu mandato a Lisbona; inol-
tre vennero scoperti da 30 antichi dolii di terra cotta
in una cella vinaria, capaci di circa 21 barili e mezzo
romani , i quali in parte furono acquistati dal principe
Chigi che li pose ad ornamento del piazzone di Castel
Fusano dove ancora si veggono, in parte trasportati in
Roma servirono allo stesso uso in villa Borghese, villa
Negroni ec. Nello stesso anno un altro scavo fu aperto
dall' incisore Volpato , che continuò ancora negli anni
susseguenti; in esso emersero dalla terra alcune statuet-
te di bronzo di buona maniera, molte monete, e mol-
te bandelle pure di bronzo a cerniera a tre ordini, le
quali aveano un mezzo palmo di altezza con le lettere
AN. Nel 1788. nel sito denominato la capanna de' Bassi
dal pittore Gavino Hamilton fu trovata una Venere se-
minuda di buona maniera, un Antinoo colossale, ed un
tripode. Altri scavi intraprese nel 1796 Roberto Fagan
il quale vi trovò due o tre statue, una delle quali rap-
presentante un Apollo passò in Inghilterra presso il sig.
449
Thornhill, e varii pezzi di condotto di piombo: nel 1797,
e 1798 egli proseguì gli scavi presso Tor Bovacciana e
vi rinvenne oggetti insigni, i quali verranno enunciati,
dove si descriverà il luogo dello scavo medesimo. Ne-
gli stessi dintorni presso il Tevere furono fatte ricerche
nel 1800 e queste riuscirono molto felici, secondo ciò
che a suo luogo sarà indicato. Nel 1801 fu scoperta la
statua di un preteso console , un torsetto e frammenti
di condotti di piombo colla epigrafe:
jCNASENNIVSMVSAEVSFACIT :,ij yj
JttAVACLEM ,„ r,[(i(iij
cioè Cairn Nasennius Musaeus facit forse per fecit: Mar-
ci Aurelii Clementis. Fu nel 1803. che cominciarono le
grandi escavazioni per ordine del pontefice Pio VII. E
queste durarono fino all'anno 1806: esse hanno fatto ri-
tornare alla luce insigni monumenti , oggi raccolti nel
museo Vaticano, ed hanno fornito nuovi lumi sulla to-
pografia dell' antica città. Sarebbe a desiderarsi , che
fossero continuate, non solo per riacquistare oggetti in-
volati alle arti dalla barbarie e dalla miseria de' tempi,
ma ancora per avere una idea più circostanziata delle
fabbriche di questa illustre colonia.
Fin dapprincipio si è indicato che la odierna Ostia
é circa un mezzo miglio più verso Roma dell' antica :
essa si compone di una fortezza costrutta ai tempi di
Sisto IV. dal suo nipote il card. Giuliano della Rovere
vescovo di Ostia, e poi papa Giulio II, di poche case
rustiche generalmente del secolo XV, e della chiesa cat-
tedrale dedicata a s. Aura riedificata nello stesso seco-
lo dallo stesso card, della Rovere. È cinta di un debo-
le muro merlato difeso da qualche torre, opera in gran
parte del card. d'Estou te ville secondo che si vide nella
29
storia è secondo che mostrano le amii : una parte di
questo recinto serve di parete e sostegno alle case, e
verso oriente 1' autore di esso profittò di una fabbrica
antica. La forma della terra murata può ridursi ad un
quadrato , di cui il Iato settentrionale ha la porta , il
meridionale la chiesa, e l'occidentale viene presso che
Mitieramente occupato dalla fortezza volgarmente detta
ia Torre di Ostia, mentre l'orientale è coperto da case.
La popolazione nella state, ora che le saline sono state
riaperte non giunge a 40 individui e questi generalmen-
te non indigeni^ nell'inverno viene accresciuta da cen-:
tinaja di contadini ed altra gente rustica , che non è
stazionaria. Quantunque la torre sia oggj abbandonata
ed in parte cadente, ed il fossato ricolmo, pur rifletten-
do at secolo della sua costruzione, a Giuliano da San^
gallò, che secóndo il Vasari l'architettò, ed alla resisten-
za che fece ai tempi del card, della Rovere, può giu-
stamente riguardarsi come una delle più belle , e più
celebri fortezze di quel tempo. Su di essa sono le ar-
mi di Martino V. Sisto IV. Innocenzo Vili, del card.
Giuliano della Rovere, e come cardinale, e come papa,
di Leone X. di Paolo III. e di Pio IV. altre insieme
riuniteV gltré in varie parti della torre stessa disposte ;
queste servono ad indicare la origine, la fondazione, e
i riSta^ri si di essa che delle opere attinenti. Che pe-
rò là torre attuale sia incontrastabilmente opera de'tem-
pi di Sisto IV. oltre lo stemma del papa in luogo prin-
cipale, e le iscrirzioni sulle porte, e lo stile, lo mostra^
ilo 1« medaglie già riferite nella storia , sul cui rovescio
si legge in una ivu card . nepos . in . ostio . tibe-
rino colla rappresentazione della cittadella di Ostia : e
nétràltrà riportata dal Maroni tratta dal museo Borgia,
da un lato e l'immagine del cardinale della Rovere: e
iiJaH'altro, colla epigrafe card : s : p : ad : viinc, e la cit--
i51
tadella ostiense. Queste due medaglie, non solo la epo-
ca, ma anche 1' autore della torre ci mostrano: è per-
tanto da conchiudersi che gli stemmi posteriori a que-
sta epoca ad altro non possono alludere che a ristau-
ri, secondo che nella storia fu notato. Entrandovi, ol-
tre le iscrizioni di Giuliano della Rovere e di Paolo
HI. riportate di sopra, leggonsi a sinistra i motti: ho-
SPES IN ARGE-soLviTO metvm: a destra cvstos fidei-ga-
VETO DOLis. Sopra questi ricorre una lunga iscrizione,
che cominciando a sinistra dice: sixto . mi . font ,
MAX . PATRVO . S . P . IVLIANVS SAONAS CARD . OST ,
ARGEM ET PROC . OSTIA TIB ET . VRB . OST . MVN .
Sulla porta interna si ripete l'epigrafe: ivllanvs . sAO-
KENSIS EPISG - CARDINALIS . OSTIENSIS . FVNDAVIT. Ncl
maschio Baldassarre Pe ruzzi dipinse in chiaro scuro
storie bellissime. Vasari loda specialmente una batta-
glia romana, ed un'assalto di rocca: ivi pure il Peruz-
zi rappresentò macchine antiche di guerra , ed armi :
ed i fatti da lui dipinti in una sala passano per l'o-
pera migliore che dipingesse. Cesare da Sesto Milane-
se , scolaro del Vinci ajutò il Peruzzi in tutti questi
lavori, siccome narra il Vasari. È inutile dire che per
la incurie queste opere oggi sono perdute. < .
Che poi la chiesa di s. Aurea sia opera del cardi-
nale della Rovere ne son documento le armi gentilizie
miste co'trofei delle sue vittorie, deesi però eccettua-
re la porta, sulla quale leggesi il nome del card. Ge-
sualdo menzionato di sopra , il quale trovasi ancora
sulla porta del villaggio. Incerta è 1' origine precisa
di questa chiesa \ ma che già esistesse sul finire del
secolo XVII. se ne hanno le prove in Anastasio Biblio-
tecario , il quale nella vita di Sergio I. che fu papa
dal 687. al 701. dice che quel pontefice la rinnovò, ed
ia tal circostanza le dà il nome di basilica: Eie ba&i~
452
licam sanctae Aurae in Ostiis quae similiter fuerat distecta,
vel disrupta cooperuit , suoque studio renovavit. Lo stesso
poi fece sul principio del secolo IX. Leone II L come
dallo stesso scrittore apprendiamo. La carta del 1159,
fa pure menzione di questa chiesa, ed innanzi ad es"
sa, come chiesa allora primaria, fu convocato il popo-
lo. In quale stato fosse nel secolo XV. non ci è noto;
ma forse minacciando rovina , mosse il card. Giuliano
della Rovere a riedificarla come oggi si vede con ar^
chitettura di Baccio Pintelli, per testimonianza del Va-»
sari, e perciò vi si veggono le sue arme.
Pochi monumenti eransi osservati in Ostia modera
na dei tanti, che erano stati scavati fralle rovine del->
l'antica; ma dopo che il card. Bartolommeo Pacca ven-
ne al governo di questa Chiesa raccolse nelle camere
dell'episcopio tutti i monumenti, che potè, e formò co-^
si un picciolo museo ostiense, come avea fatto a Por-
to mentre era vescovo portuense. Fra que' monumenti
meritano particolare menzione il sarcofago di Gaio Co-r
mino Successo fattogli fare dal figlio Gaio Cominio Re-r
sto Quieto; e sotto l'episcopio l'ara sepolcrale di mai^
mo bianco con vuoto sopra , nel quale contenevasi il
vaso cinerario, colla epigrafe dì Lucio Lepidio Eutico,
seviro augustale, e quinquennale in Ostia e Tusculo, co-
inè pure quinquennale perpetuo del corpo de'fabri ^9r»
vali ostiensi;
453
L. LEPIDÌO EVTHYCHO ,j{
SEVIRO AVG. IDEM ; ì, .,j
QVINQ » IN COLONIA j f |,,f,
OSTIENSI 'i.'(y<V)h
ET IN MVNICIPIO
TVSCVLANORVM
ET QVINQ PERPETVO CORPOR
FABRVM NA VALIVI»
osTiENsiVM w);,;;,
teRTVNATVS LIB . ET ALEXA . ACT , ., j;
Le rovine dell'antica città si riconoscono a tanti tu-
muli, o collinette, talvolta coperte di cespugli, di bron-
chi , e di arbusti talvolta sormontate da ruderi infor-
mi^ frai quali torreggia la cella quadrata di magnifico
tempio. Esse si estendono dalla chiesa di s< Sebastia>
no alla torre detta Bovacciana per un tratto di circa
un miglio ed un quarto di lunghezza: e dal fiume alla
così detta Torretta per poco meno di tin miglio in lar-
ghezza. Non tutte però appartengono alla città propria-
mente detta, essendosi negli anni scorsi trovato un co-
lombaio fra il teatro ed Ostia moderna, molto dappres*
so alla chiesa citata di s. Sebastiano, cioè nella dire-
zione della lunghezza > onde la lunghezza dell^ cit^à
credo che vada ristretta ad un dipresso fra il teatro e
tor Bovacciana, cioè a circa un miglio in linea retta; e
la larghezza non oltrepassò di molto lo spazio fra il
fiume e la così detta Porta Marina , cioè fu di circa
mezzo miglio, sempre in linea retta. Dalla disposizione
visibile delle rovine, risulta che la città aprivasi in una
specie di semicircolo intorno al Tevere presso al cubi-
to^ che questo fiume ivi forma^ appunto come Dionisio
la descrive, in un angolo fra questo ed il mare. Di là
da tor Bovacciana, e dai ruderi della così detta Por-
ta Marina, verso il mare non rimangono traccie di fab-
454
briche; anzi può con sicurezza riconoscersi ivi il rìmf-
te dell'antica spiaggia, che oggi per chi siegue la ripa
del Tevere si è prolungata di ben due miglia per i
depositi accumulati del fiume , che ha ivi distesa una
specie di lingua. Il fiume dopo essersi volto ad oriente^
nel giungere presso il teatro di Ostia torce strettamen-
te ad occidente, formando il cubita sopraccitato^ e fi-
no alla foce continua sempre nella stessa direzione oc-
cidentale. Dai limiti indicati della città propriamente
detta, e dalla forma semicircolare che le rovine conser-
vano, può approssimativamente calcolarsi l'estensione del'
recinto di Ostia a due miglia e mezzo circa , e questa
calcolo può darci lume sul numero dc'suoi abitanti, i
quali tolte le fabbri(;he pubbliche, le strade, le aree, le
piazze, ed i tempj ec. non sembrano avere ecceduto l
'20,000. Benché non rimangano avanzi riconosciuti del-
le mura ostiensi , sulla loro esistenza non può cader
dubbio, sì per l'uso costante de' Romani nel fondar le
coionie, che per la importante posizione di questa: inol-
tre espressa menzione sen fa negli atti de' martiri ad
Ostia Tiberina illustrati dal De Magistris , e da questi
rìstìUa che esistevano ancora nel secolo III, come, che
fossero, nel secolo VI smantellate, si trae dal passo di
Procopio riferito nella storia.
Uscendo da Ostia moderna, e prendendo a isinistra
il sentiere che costeggia le fortificazioni della torre, si
giunge ad un bivio: seguendo la strada a destra, dopo
un quarto di miglio dalla porta di Ostia si giunge alla
Fiunione di tre sentieri; qualunque di questi viottoli vo-
glia seguirsi egualmente si arriva alle rovine di Ostia;
ma per tenere un certo ordine, e non essere esposti ad
andirivieni, meglio è battere quello di mezzo, il quale
fascia a destra la chiesa oggi abbandonata di S. Sebastia-
no che fu edificata Tanno 1637. dal cardinal Ginnasi il;
^ualc vi uni uo ospizio, Oggi pure in rovinaci rude-
ri si cominciano; ad incontrar poco dopo; pia i primi
furono fuori del recinto di Ostia^ poiché fra e^i si è
trovato un colomtbaio, oggi ancora riconpscibile, benché
in gran parte ricoperto. Meno questo gli altri ruderi
che dapprincipio incontransi sono di uso incerto, tutti
però di buona costruzione , che richiama il primo pe-
riodo dèi secondo secolo. Ed è qui da premettersi dhe
le fabbriche ostiensi sono generalmente costrutte, b rdi
opera laterizia, o di opera reticolata con legamenti e
testate di laterizio; ; che la opera laterizia è generalmen-
te formata di mattoni di argilla rossa e giall^^ non mol-
to lunghi, e piuttosto, ^t^-etti ; ,i c^n^i pvii.4i[ijreti^i*tcr
sono di tufa. nt^ 0Ar,tuo-i O'hi.')! n» oJRt? f>T>?>'»
^8-. Un mezzo quarto di .miglio distant0;;?i ministra vfi-
desi culminare l'avanzo di un'antica piscjn^o conserva
dove probabilmente andava a finire l'acquedotto ostien-
se; rimane ancora, la sua sostruzione o pianterreno ^ tH
parte del piano superiore che conserva ancora , un pezzo
deWopus signinum od astraco che lo rivestiva. Quésta pi-
scina verso oriente era rinfiancala da tre contrafforti: es-
sa trovavasi quasi in linea re;tt& eofta chiesa;. dir &•■ Se-
bastiano, ri' , •,] ,'•;,.•:, i,)y)>\^v^ ■', hinÙj .•..'!;»>'!
Passato il colombaio àiénzionato' più vòlte,- frovansi
i ruderi del Teatro ostiense come può riconoscersi dal-
la direzione "semicircolare !. che ; ancora iconservano, e da
qualche rimasuglio, della- scena. Di questo teatro.' si Ha
memoria negli atti citati de'màrtiri ad Ostiay et iussitS.
Quiriacum episcopum et S^ Maximum presbyterum et Ar>-
chelaum diaconum et omne& -milites lod ^arcum^ante THEAr
T RUM capite ca«É?/; nel testo greco di-questi stessi atti
Varcum ante theatrum si esprinie. con.Tvgii xajaajsav c/Ji7rpcr
C0ev •Tcu ^soctpsu. La costruziotìG di quésta fabbrica, par-
te laterizia di mattoni gialli e rossi misti insieme, par-'
456
te Fotieolata con legamenti laterizìi^ non sembra lonfa^
na dal tempo di Adriano, il quale secondo ciò che nel-
^a storia si vide conservò- ed accrebbe la colonia di Ostia.
Esteriormente è rinfiancato da contrafforti legati insie-
me da archi , e forse era circondato da nn ambulacroi
Ora malgrado la sua forma ,. che è evidentemente di
teatro, nella icnografia delle fabbriche ostiensi di Zajv-
pàti pubblicata da Guattani ne Monumenti Antichi dell'an-
no 1805 si (fice Anfiteatro. Secondo questa stessa- pian-
ta la sceuff aTCv* 35. canne romane o- 350 palmi di
lunghezza, presa però* la mi-sura d» una estremità all'al-
tra : il semidiametro poi preso- pure da una estremità
esterna all' altra ne avea 200. Dalla sua forma sembra
essere stato un teatro romano. Queste rovine- sono qua-
si parallelb alla celta del tempio m^izionatò di sopra ,
e diriggendosi ad essa traversasi ii* solco di una via
antica della città già fiancheggiata da taberne, delle qua-
K sono evidenti gli- avanzi: questa via va retta verso il
Tevere- nelk direzione da mezzogiorno a settentrione.
Quindi avvicinandosi vieppiù ai tempio traversansi gran-
tli rovine di» fabbriche di uso incerto, le quali continua-
no fino al muro di recinto del' tempio stesso, e se la
pianta citata è corretta esse legano col muro di recin-^
to; ma oggi sono troppo riempiute di macerie e imbo-
schite per poterne essere certi.
( 11 temjfùo sorge entro un'area quadrilunga, in fon^
dò ad essa, rivolto v-erso mezzodì; quest' area da. tre
lati veniva determinata da un muro di recinto che auT-
cor può tracciarsi, il quale separava il terreno sacro dai
profani edificii ; verso mezzogiorno però terminava ad
una via^ della quale negli ultimi scavi fu scoperto, il
pavimento di poligoni di lava basaltina , e che andava
nella direzione da oriente ad occidente. La lunghezza
di questa area è di piedi 200 , la larghezza non com.*-
457
presi i portici di 90. Ne'due lati lunghi fra il muro di
recinto ed il tempio stesso ricorre uno spazio di circa
30 piedi: 70. ne corrono dall'ultimo gradino del pronao
alla via pubblica menzionata di sopra: 15 dalla parete
posteriore della cella al muro di recinto verso il fiume.
La metà dello spazio frai lati lunghi, ed il tempio era
occupata da un portico sostenuto da colonne di granito
bigio e di marmo caristio o cipollino , forse alternate ^
di 2 piedi ed uà quarto di diametro, delÌ€ quali ancO'
ra rimaagona frammenti, che non debbono confondersi
con quelli di granito pur bigio di circa 1 piede e mez-
zo di diametro, i quali negli ultimi scavi sono stati riu-
niti presso il tempio, ma non vi appartennero avendo
fatto parte di un' altra fabbrica non molto distaile in-
sieme co'frammenti di colonne di marmo bigio lumachel-
lato del medesimo diametro. Ancor» nel lato occidenta-
le si ravvisa una parte del muro di basamento, sul quale
ricorrevano le colonne^ e cbe il Zappati dà per gradini.
Così queste due ale di portici rendevano questi) tempio
molto simile per ìst pianta al Foro Palladio e tempio di
Pallade in Roma, variando solo ne 'particolari.^ e nell'es-
sere qui le colomie di un uso più ragionato che nel fo-
ro citato. EstemanMnte il muro di recinto veniva inter-
rotto da nicchie alternate curvilinee e rettilinee , delle
quali alcune furono porte di comunicazione. Il tempio
propriamente detto è di una costruzione laterizia di mat-
toni rossi, più accurata di qualunque altra delle fabbri-
che che ci rimangono di Ostia antica : essa è analoga
a quelk del Foro Trajano e della Villa Adriana. Innal-
zasi sopra ttna sostruzione elevata come generalmente
tutti i tempj, onde potere avere di fronte i gradini in--
dispcnsabili alle Aedes sacrae: questa sostruzione essen-
do un poco più ampia formava una risega corrisponden^
te al pavimento del tempio, e lasciava sotto di esso un
45a
penetrale, o sotterraneo, egualmente che tìn sotterraneo"
esisteva sotto il portico e sotto i gradini. La parte sot-
terranea corrispondente alla cella veniva illuminata da
quattro feritoie per parte ne'lati lunghi all'altezza di 12
piedi dal livello dell'area: entravasi nel sotterranea per
la parte postica del tempio ed il suo pavimento è di
opera a spiga. Il tempio era prostilo-esastilo, cioè avea^
un portico solamente di fronte, con sei colonne di fac-
cia: erano queste scanalate, di marmo lunense , e non
giallo antico, come si dice, del diametra di tre piedi e
mezzo , rimanendone ancora un frammento ne' dintorni
del tempio verso mezzodì. Oltre le sei colonne di fron-
te, tre ne avea di fianco contandovi sempre la colonna
angolare. Al portico si saliva dall'area per una scala di
19 gradini , ì quali secondo che negli ultimi scavi si
vide erano di marmo lunense, marmo, che in lastre lun»
ghe quattro piedi rivestiva pure il pavimento del por-
tico. Del medesimo marmo fu pure esteriormente rivcr
slita la cella, la quale com|>resa la grosse/za de' muriy
ma non la risega del sotterraneo è un rettangola lun-
go piedi 64, largo 54. È molto probabile che esterna-
mente essa fosse decorata di pilastri, i quali seguendo
l'intercolunnio del portico erano sette ne'lati e sei nel-
la parte postica: basamento di questi pilastri era la ri-
sega del sotterraneo. La porta era amplissima come ge-
neralmente le porte de'tempj romani: benché manchi og-
gi di stipiti ed architrave, conserva ancora la soglia, del
marmo così detto affricano , solida , e in origine di un
sol pezzo, ma oggi screpolata e si riconosce aver sof-
ferto il fuoco: essa ha 27 palmi e mezzo di lunghezza.
L'interno era rivestilo di nobilissimi marmi, come il nu-
midico, o giallo, il chio, o affricano ec. degli stessi marmi
uniti al caristio, o cipollino, frigio, o pavonazzetto, ed
al così detto portasaata era pure formato il pavimenta
459
diviso in compartimenti rettangolari contenenti rombi va-
riando i colori de' marmi diversi. Frammenti di questi
marmi ancora vi esistono, ma la soverchia premura di
chi. lo visita a raccoglierli rende ogni giorno più rare
le testimonianze di siffatta decorazione. In fondo alla
cella rimane ancora il rialto, basamento o tribunal, sul
quale erano le statue delle divinità, alle quali era con-
sagrata if tempio : a questo basamento è probabife che
si ascendesse per scaflette laterali. Da ambedue i lati so--
no nella cella tre nicchie, quella di mezzo è curvilinea,
ìe laterali sono rettilinee : esse servirono a contenere
statue: è molto probabile che sotto* di queste ricorresse
un basamento di marmo il quale reggeva pilastri, e que-
sti sostenevano un intavolamento , sul quale era impo-
stato il lacunare 7 giacché non resta indizio alcuno -^
volta: né vi erano affatto fenestreii:<o 9 ojxi;q>! bìK'jnp o*.
Si è di già notato che la costruzione di Queste cdìi
fizio sorpassa in accuratezza le altre fabbriche; ora é
d'aggiungersi che i frantumi che rimangono dell' archi-
trave e del fregio, di proporzione analoga a quella delle
colonne, ci rendon sicuri che l'ordine era corintio, e che
per lo stile, che è assai buono, il tempio può attribuir-
si alla epoca di Trajano o di Adriano: nel fregio, come
in quello di Giove Tonante in Roma, erano espressi bu-
eranj e istromenti da sacrificio; un pezzo che ancor ne
rimane conserva oltre un bucranio coronato da tenie
il principio di un aspergili©: è questo a poca distanza
dai gradi del tempio verso mezzodì. Rimane pure ben
conservato un pezzo della cornice nell'area presso l'e-
stremità del lato occidentale della cella, coperto di spi-
ni, e di arbusti, di stile analogo al resto. Quindi rac-
cogliendo tutti gì' indizj per giudicare dell' uso e della
epoca di una fabbrica, può conchiudersi, senza tema di
errare, che, dalla pianta, dallo stile,' e dalla costruzio^
460
ne di questo edificio risulta, essere un tempio entro s«-'
ero recinto, fatto> o ricostrutto da'fondamenti nel primo
periodo del secondo secolo della era volgare, o da Tra-
jano, o da Adriano) può piuttosto propendere il giudi-
zio per questo ultimo, giacché di lui abbiamo documen-
ti di aver molto fatto per Ostia, ed inoltre presso que-
ste rovine si è scoperto un brano d'iscrizione di marmo
bianco a questo stesso imperadore spettante* Due obje-
zioni ricavò il Guattanì contro la opinione y ebe questa
fabbrica sia un tempio, e perciò ne vuol fare la Curia*
La prima è per lui di gran peso, cioè che se fosse tem-
pio, rivolto sarebbe al^ Bume, cioè supponendo che il fiu-
me radesse il recinto del tempio> ma è un fatto che non
solo il fiume è almeno 500 piedi distante in linea retta
dal tempio, ma che dalia ripa dei fiume al tempio stes-
so questo spazio è occupato da edifizj urbani, onde inu-
tile sarebbe staio rivolgere il tempio al fiume , perché
la veduta in gran parte n' era da questi edifizj stessi
tolta. D'altronde avendo sul lato opposto la direzione di
una via, probabilmente preesistente, a quella come più
vicina piuttosto che al fiume vollero diriggere la fronte
della fabbrica. Vitruvio nel capo V. del IV. libro dove
parla della direzione che aver doveano i tempj ((tede»
sacrae) dice che si nulla ratio impebieuit , liberaque
fuerit potestas aedis , signum quod erit in cella coUocatum
spectet ad vespertinam coeli regionem etc^ quindi che sin
autem loci natura interpellaverit , tum convertendae sunt
earum aedium constitutiones uti quam plurima pars moe*
nium e templi» deorum conspiciatur. Item si secundum flu-^
mina aedes sacrae fient ita uti in Àegypto circa Niìum, ad
fluminis ripas videntur spectare debere. Similiter si circum
mas publicas erunt aedificia deorum, ita constituantur uti
praetereuntes possint respicere et in conspectu salutationes
faeere. Ora questo non ò seeundum flumenf ma eireum viam
461
publicamf quindi non al fiume, ma alla via doTca esser
rivolto; come, benché più vicini al Tevere, non essen-
done più di 250 piedi distanti , i tre tempj , sui quali
trovasi eretta la chiesa di s. Nicola in carcere in Roma,
al fiume volgono le spalle per rivolgere la fronte alla
via pubblica che traversava il Foro Olitorio in che si
trovavano. Dì minor peso è V altra che il tempio sia a
due piani; egli non riflette che non rari sono i tempj
romani, che abbiano un pianterreno, o sotterraneo rela-
tivamente al piano del tempio, più o meno elevato se<
eondo la località. Questa stessa opinione tenne preceden-
temente il Verani autore della pianta topografica di Ostia
più volte citata e diretta dalle cure del Fea. Quanto a
questa denominazione essendosi con positivi argomenti
provato che é un tempio potrei dispensarmi dal confu-
tarla; ma per essere la Curia di una colonia, converreb-
be provare che sta nel Foro: ora il fatto dimostra che
lateralmente la pretesa Curia è stretta dai portici del
recinto in modo che il Foro non avrebbe che 15 piedi
circa di estensione, e di fronte dove senza altri riflessi
potrebbe supporsi una piazza , questa non sarebbe che
80 piedi larga e 65 lunga, Foro invero troppo ristretto.
Finora però nulla si è detto del nume, al quale questo
delubro era stato consacrato. Che in Ostia fino da'tem-
pi della repubblica fosse una Aedes o tempio di Giove,
forse, a somiglianza della metropoli, il principale della
città, lo mostra Livio, quando narra che fu percosse dal
fulmine: una iscrizione riportata dallo Spon die motivo
al Volpi di credere che il tempio di Giove menzionato
da Livio fosse lo stesso di quello eretto a Giove Patul-
cio, e a Giunone Patulcia da Lucio Calpurnio Messali-
no, essendo consoli Cajo Cesio Longino, e Sesto Domi-
zio Calvino ; ma costoro sono di gran lunga posteriori
alla epoca, della quale parla Livio, quindi quello nomi-
462
nato dal Patavino , e quello eretto da Lucio Calpurnio
furono due tempj diversi. È però probabile che quello
di Giove , del quale parla Livio fosse a Giove Ottimo
Massimo e a Giunone Regina eretto , siccome ricavasi
da un'altra iscrizione ostiense riportata pure dallo Spon.
Un'altra lapide fa menzione di P. Annio Caro sacerdote
di Nettuno ai tempi di Vespasiano, patrono della colo-
nia ostiense , dalla quale giustamente si arguisce che
questo nume avesse culto in Ostia, il che d'altronde è
tanto più probabile che Ostia era una città marittima.
Vi si unisce pure un' altra iscrizione frammentata che
riporta il Fabretti, rinvenuta in Ostia, la quale è voti-
va a Nettuno conservatore dell' ordine equestre. Sopra
gli altri fu celebre il tempio di Castore e Polluce men-
zionato più volte nella storia, e che generalmente si col-
loca nella così detta isola sacra senza ben ponderare lo
parole della Cosmografia attribuita ad Etico, dalle qua-
li si distingue bene il tempio di Castore in Ostia, dalla
isola, amenissima allora, che le foci del Tevere forma-
no fra loro e il mare. Pertanto dalle autorità allegate
può dedursi che in Ostia esistevano quattro tempj, quel-
lo di Giove^ quello di Giove Patulcio, quello di Nettu-
no, e quello di Castore e Polluce. Le iscrizioni ligoria-
ne citate dal Volpi, le quali parlano del culto prestato
in Ostia a Venere Feconda , al Padre Tiberino , e alle
Ninfe, se non vogliono dirsi apocrife, sono molto dub-
bie: d'altronde la grandezza, magnificenza, e situazione
del tempio in questione escludono la dedica di esso ad
alcuna delle divinità allegate nelle iscrizioni suddette.
Restano pertanto i numi che aveano certamente tempio
in Ostia; quanto a Nettuno, e a Castore e Polluce gli
ebbero questi più prossimi e rivolti al mare come risul-
ta dalla natura e carattere di tali divinità , protettrici
dè'navigaati. A loro appartiene la iscrizione che Grute-
463
ro riporta pag. XCIX n. 2. come avuta da Appiano, ed
^esistente allora in Ostia, dalla quale confermasi che fos-
se il tempio de'due gemelli presso al lido:
^TORIBVS *. NOSTRIS . QVONIAM . CERTÀMINA . LAETVM
EXHIBVISSE . IVVAT . CASTOR . VENERANDEQVE . POLLVX '•
MVNERE . PRO . TANTO , f ACIEM . qERTAMINIS . HVIVS •
MAGNA . IO VIS , PROLES . VESTRA . PRO . SEDE . LOCAVI
VRBANIS . TATIVS . GAVDENS . ME . FASCIBVS . AVCTVB^ '!
NEPTYpfOQVE . PATW . LVDOS , FECISSE . SABINOS '.' !f*/ Il
Ricavasi pure da * questa iscriiiioh^ che quésto Tazio, pre^
fetto di Roma diede innanzi al tempio di Castore e Pol-
luce giuochi ad onore di Nettuno: presso la foce ed il
mare pur dovettero averlo Giove e Giunone Patulci, il
cui cognome alludeva al tenere aperta la bocca del Te-?
yere, come Patulcio cognominavasi Giano, perchè le por-
te del suo tempio in tempo di guerra restavano aperte,
secondo che riferisce Macrobio nel primo de' Saturnali.
Quindi può con molta ragione credersi essere questo il
tempio di Giove Ottimo Massimo e Giunone Regina, o
con queste divinità di primo ordine si accorda bene la
magnificenza delia opera, la quale potè a maggior lustro
della città esser rifatta da Adriano. Né vi si oppone Tor-
nato che vedesi sopra un frammento di base, il cui plin-
to è fregiato di rami intrecciati di quercia ed edera, la
qual base é di lavoro analogo al resto e potè apparte-
pere alle colonne che decoravano e reggevano il taber-
nacolo esistente nella cella entro cui erano poste le due
divinità sul già descritto basamento. Infine è da ricor-i
darsi che il sito dove sorge il tempio ostiense corrispon-
de bene alla Troja nuova di Enea secondo le testimo-
(lianze. di Dionisio, Livio, e Virgilio citate a suo luogo
464
nella storia, essendo fralle altre partìeolarità circa quat-
tro stadj distante dal littorale antico.
Dietro il tempio ma non corrispondente esattamen-
te all'asse del tempio stesso, si apre verso il fiume una
via ancora riconoscibile dal solco, scavata sul principio
di questo secolo, e fiancheggiata da fabbriche, da taber-
ne, e da portici; un bel pezzo di tali taberne e portici
si vede presso il fiume, quantunque ora dai bronchi sia
presso che reso impraticabile , ed è quello a cui si dà
il nome di scalo antico , denominazione che non soffre
obbjezione , che trova appoggio nella pianta e località
delle rovine , ma che d' altronde non ha prove dirette.
Altre rovine di uso incerto costeggiano il fiume. Dal
canto opposto il gruppo di rovine che sorge a sud-est
della facciata del tempio si appella palazzo imperiale ,
ma non se ne allegano altre prove, che la loro magni-
ficenza.
A sud-ovest del tempio furono trovati gli avanzi
di una sala mistilinea con nicchioni, e di un peristi-
lio quadrato, scoperti sul principio di questo secolo e
descritti da Guattani nel luogo indicato , dove ne dà
una pianta. Dalla sua descrizione, e dalla pianta rile-
vasi che la sala ed il peristilio erano parti di una
fabbrica stessa ricca e magnifica : l' analogia che passa
tra la forma di questi avanzi, e le rovine delle terme
degli antichi può fornirci il sospetto di crederli parte
del lavacro ostiense , il quale , secondo che fu notato
nella storia, venne al dir di Capitolino eretto dall'otti-
mo principe Antonino Pio. La sala mistilinea che è la
più meridionale era formata da quattro nicchioni curvi-
linei e due essedre rettilinee fra essi , con otto piede-
stalli posti fra i nicchioni e le essedre per statue : era
rivestita di marmi di vario colore e di alabastri ; il
pavimento poi era di marmo bianco. Dietro i due nic-
465
«hioni che giacevano più dappresso al fiume si trovaro-
no due scalette a chocciola per ascendere alla sommità
dell'edifizio onde ripararne il tetto o la terrazza che Io
copriva: i gradini di queste scalette furono trovati mol-
to consunti dall'attrito, essendo formati da tegoloni. Si
è indicato poc^anzi che questa sala era composta di quat-
tro nicchioni che chiudevano due essedre rettilinee fra
loro, cioè ne' lati orientale ed occidentale: il lato meri-
dionale frai due nicchioni avea soltanto un rientramen-
to della forma di un segmento di circolo: il settentrio-
nale poi, o quello verso il fiume serviva di communica-
zione ad un corridore ornato di pilastri con pavimento
rivestito di marmo , e da questo nella stessa direzione
della porta della sala mistilinea scendevasi per alcuni
gradini di marmo bitinco in un peristilio formato da 36.
colonne di granito bigio e di bigio lumachellato del dia-
metro di un piede e mezzo, molti pezzi delle quali estrat-
ti dalle rovine del peristilio, veggonsi oggi qua e là di-
spersi presso il tempio, onde da alcuni si confondono a
toyrto con quelle del peribolo del tempio medesimo che
aveano un diametro maggiore. Il pavimento del portico
di questo peristilio e quello dell'area circoscritta da es-
so era di lastre di marmo bianco lunghe piedi 4 1/2 e
larghe 2 1/4. D'intorno sotto il portico corrispondevano
agl'intercolunnj nel muro altrettante nicchie curvilinee :
in mezzo a'iati orientale ed occidentale ve n'erano due
più ampie a maggior magnificenza: in mezzo del lato
meridionale era la indicata communicazione col corrido-
re e colla sala mistilinea, ed in mezzo del lato setten-
trionale era la porta che corrispondeva colla via pubblici
ca , della quale si è detto che passava dinanzi al tem-
pio. Per tre gradini che ricorrevano intorno, scendeva-
si jdal peristilio nell' arca scoperta circoscritta da esso ,
la quale senza comprendervi i gradini , ave a 60. piedi
per ogni Iato.
Andando più oltre verso occidente si mostra il si-
to, in che fu ritrovata nel 1788. da Hamilton una cal-
cara formata con marmi antichi ma non ancora arsi ,
frai quali furono rinvenuti in pezzi i quattro gruppi
delle forze di Ercole oggi esistenti ne' quattro angoli
della sala degli animali nel museo Pio-Clementino. Altre
calcare furono ti'ovate dallo stesso Hamilton pure di mar-
mi antichi , altre incendiate , altre ancora intatte frallo
rovine ostiensi , e di un luogo detto Calcara presso 0^
stia attuale si fa menzione nella bolla citata di Celesti-»
no HI. del 1191 : questo sombra essere stato ne'dintor-
ni delle calcare trovate. Continuando a tenere la dire^-
zione verso occidente, s'incontra una linea di ruderi che
vanno da mezzodì a settentrione, confusamente indicati
nella carta topografica delle rovine di Ostia di Verani.
Negli scavi che vi furono fatti nel 1800. vi furono tro-
vate quattro o cinque statue, due piccoli torsi, un roc-
chio di colonna di giallo, una Diana Efesia, un monu-
mento mitriaco, un Eone in bassorilievo, e colonne di
affricano, di bigio, e di giallo: ma soprattutto meritano
di essere citate una statua eroica colla iscrizione matri
nel plinto, ed il Ganimede del nuovo braccio del Museo
Vaticano col nome 0AIAIM02 dell'artefice: questa ulti-
ma statua servì di ornamento ad una fontana, come può
trarsi dal tronco di albero, sul quale era appoggiata che
è vuoto. Queste scoperte servono a dimostrare la ma-
gnificenza delle fabbriche di questo tratto, le quali van-
no a raggiungere il Tevere senza però che i ruderi la-
scino (ravvedere a quale uso fossero destinate; né la mi-
nima apparenza havvi che qui fosse un tempio come si
vuole insinuare nella indicazione della pianta topografi-
ca di Verani ; imperciocché secondo il vecchio metodo
46T
■si diede il nome di tempio ad una piccola fabbrica ro-
tonda, della quale ancora se ne rintraccia una parte, già
decorata di colonne, col pavimento di musaico bianco e
nero con figure di varii animali, il quale riunito ad al-
tri indizj che vi si osservano fanno inclinare a creder-
la ad uso di bagno. Il volgo chiama qnesti avanzi arca
di Mercurio da qualche statua di quel nume ivi trovata
ne'tcmpi andati o dalla vicinanza di qualche area dello
stesso nome: alcune sale rettilinee di questo gruppo di
rovine conservano l'antico intonaco dipinto ad arabeschi
in fondo giallo. . uniU'.S
Mi i> A mezzogiorno di queste rovine torreggiare si veg-
gono gli avanzi di un fornice , che volgarmente dicesi
porta marina f porta del corvo, i quali trovansi sulla linea
«strema delle rovine verso l'antico littorale. Che questo
fornice sia un'antica porta è probabile dalla situazione
in che trovasi, ma non è certo: che se fu porta, è que-
sto il solo avanzo visibile del recinto ostiense, del qua-
le secondo che fu veduto di sopra si hanno memorie
almeno fino alla metà del terzo «ecolo della era volga-
re. Il nome moderno di porta marina nella supposizione
che sia una porta non le è male applicato.
Seguendo 1' orlo dell' antico littorale bene indicato
dai tumuli delle rovine, ed avviandosi verso il Tevere
a tor Bovacciana, poco prima di giungere a questa, pres-
so il fiume, in una specie di valletta formata dalle ro-
vine stesse trovansi frammenti di colonne ed un capitel-
lo corintio di stile della epoca di Settimio Severo , il
quale essendo la metà a foglie di acanto, e l'altra me-
tà a foglie di acqua, indica di aver servito ad una co-
lonna addossata. Gli avanzi di fabbriche in questi con-
torni e le grandi scoperte che vi sono state fatte dall'
anno 1797. in poi, e che saranno indicate fra poco, que-
sto capitello, i frammenti delle colonne, cil i piedestalli
468
di statue onorarie de'quali darò le iscrizioni non lascia-'
no luogo a dubbio per credere in queste vicinanze uno
degli edificii più cospicui di Ostia. I piedestalli vedevan-r
si sul luogo stesso , dove erano stati trovati ; il card,
Pacca li ha fatti trasportare in Ostja moderna , onde
non venissero lasciati in balìa de' pescatori e de'bifolchi,
e forse ancora involati per la facilità che offrono V ah-.
bandono de'luoghi, la prossimità del fiunje, e la vicinan--
za dei mare. ]S sopra tre di essi leggonsi le iscrizioni
seguenti. La prima è alla Vittoria degli Augusti , cioè
Settimio Severo e Caracalla, come può trarsi dallo stile
delle modinature» e dalle altre due iscrizioni, presso le
quali si trova, che a quella stessa epoca appartengono?
pssa dice;
VICTORIAE .H/i ..
AVGVSTOR
la, seconda è ad onore di Giulia Domn^i;
IVIIAE
AVG
MAIRI . CASTRORVM
la terza poi è per Settimio stesso:
IMP . C AES . DI VI
,,,, M , ANTONINI . PII
,^,,,; GERMANICI. SARMATICI. FILI. DIVI - u:^,
, r« , COMMODI . FRATRI -.r.i e
.,,.. PIVI . ANTONINI . PII . NEPOTI
b DIVI,HADRIANI.PRONEPOTI , ari,
Ir ^ V filVI.TRAIANI.PARTUICI.ABNEPOTl , u. V ^ !
iin sTtfn'F Piyi . NERVAE , ADNEPOTI , ->i«i5].
,, ,,^ e,, h , sePtimio
-vmii^^ SEVERO, PIO i
|. ^»v . PERTINACI , AVG . ARAR
1^ ,' ADIABENICO.P.M.TRIB,POT.im
JMF , VIII . COS . II . P . P ,,!., .5«
469
la quarta potestà tribunicia di Settimio Severo indica-
ta in questa lapide coincide parte nell'anno 196. parte
nel 197. della era volgare, onde a quella epoca appar-
tiene questa e le altre iscrizioni citate. In questa parte
furono nell'anno 1797 aperti scavi dall'inglese Roberto Fa-
gan, il quale vi trovò un busto di marmo di Lucio Ve-
ro, un altro di Tiberio, una testa di Commodo, una Pal-
ladc di proporzione poco maggiore del naturale di mar-
mo pentelico con testa riportata, occhi di avorio e pen-
nazzc finissime di lastre di ottone, una Igica, varie al-
tre statue di un merito inferiore, un rocchio di colon-
na di giallo antico , varii capitelli, basi di statue, con-
dotti di piombo , ed una bocca circolare di pozzo con
bassorilievo rappresentante la favola di Narciso, che die
motivo a cercare acqua in questo luogo, la quale trova-
tasi, si formò quel pozzfo con cupolino chiuso per com-
modo de'lavoranti, che esiste, poco prima di giungere a
tor Bovacciana. Nello stesso luogo fu pur rinvenuta la
iscrizione relativa al corpo de'Lenùncularj Pleromarj Au-
siliari Ostiensi pubblicata da Ennio Quirino Visconti
nella lettera su due monumenti, ne' quali è memoria di
Antonia Augusta^ e ripubblicata da Fea nella relazione
del viaggio ad Ostia. Nel 1798. vi fu trovato l'Antinoo
in piedi di 12 palmi oggi nel nuovo btaccio del museo
Vaticano, oltre tre ermi di Mercurio clamidati trasferiti
nello stesso museo, ed un gran priapo esistente già nel-
la raccolta del sig. Albaccini; vi furono scoperte inoltre
due teste colossali di Claudio ed Antonino Pio , varj
frammenti, e la bellissima statua della Fortuna pure esi-
stente nel nuovo braccio del museo Vaticano , insieme
con parecchi rocchi di colonne di granito, di marmo co-
si detto afifricano e di bigio. Tor Bovacciana s'erge sul-
la sponda sinistra del Tevere all'ultimo angolo di Ostia
verso il fiume, presso il sito dove questo si tragitta so-
470
pra una barca per passare nella Isola Sacra. Essa è di
stile e di costruzione identica colla torre di Ostia mo-
derna, quindi couvien crederla opera anche essa del tem-
po di Sisto IV. eretta per difesa della foce orientale.
Si vede costrutta sopra un masso di pezzi di marmi ed
altre materie, pur esso eretto sopra i ruderi del tempo
della decadenza, ma antichi: questo masso probabilmen-
te è un residuo della torre eretta da Martino V. pres-
so la imboccatura orientale del Tevere, menzionata da*
Biondo.
Presso la torre rimontando il fiume rimangono an-
cora visibili le traccie di una rada oggi quasi tutta'
riempiuta da sabbia, dove stava probabilmente ancorata
una parte della flotta romana allorché venne dai corsa-
ri cilici rapita, secondo che fu uelia storia osservato. La-
vicinanza della rada al mare, e la forma che ivi conser-
va la ripa, sono argomenti di qualche peso per credere
essere quel memorabile avvenimento in questo luogo ac-
caduto. Imperciocché é naturale che i Cilici non osasse-
ro troppo inoltrarsi nel fiume , poiché avrebbero corso-
un rischio evidente di rimaner prigioni ,. o almeno di
non potere eseguire il colpo di mano che tentavano.
Neil' anno 1824. avendo il sig. Cartoni intrapreso
uno scavo ad occidente di Ostia moderna fuori dell'an-
tica città, molti sepolcri furono trovati frai quali copiai
le iscrizioni seguenti come più interessanti:
. M .
L . VALERIVS . L . FIL . FYRMVS
SACERDOS . ISIDIS . OSTENS
ET . M . D . TRASTIB . FEO . SIBI
Questa è sopra un' ara sepolcrale, sulla quale sono gli
emblemi del culto d'Iside e della Mater Deum, al quale
Lucio Valerio Firmo era sacro. Per la ortografia merita
osservazione la parola fyrmvs invece di firmvs, ostens
471
invece di ostiens cioè ostiensù e trastib invece di TRAif-
STiB cioè transtiberini o transtiberinae. Da questo marmo
come da altri, e specialmente dalla epigrafe, che si leg-
ge sul sarcofago della morte di Alceste nel museo Chia-
ramonti conosciamo che Iside avea sacerdoti in Ostia ,
né infatti è strano che la divinità tutelare della naviga-
zione fosse in una città marittima onorata. Questo mo-
numento basterebbe inoltre a farci sospettare che altri
numi egizii (rywaoi, o consenti d'Iside ottenessero pure
onori in Ostia; e di Serapide ne abbiamo certezza in
quel passo di Minucio Felice, dove, dopo avere enco-
miato il clima amenissimo di Ostia, ed aver narrato es-
sersi avviati al mare Cecilio ed Ottavio, il primo, simu-
lacro Serapidis denotato (ut vulgus super stitiosus solet)
tnanum ori admovens osculum labiis impressit. Conoscia-
mo inoltre da questo monumento che Cibele ebbe culto
sulla opposta riva del Tevere, cioè nella Isola Sacra. Le
altre lapidi dicono; i-u- ; .! ti. .vi ìmt/k
DOMITIA . ROGAT (sic)
A . FECIT . VALERIAE . VE
VENVSTE . (sic) MATRI . DV
LCISSIME . (sic) BENE ME
RENTI
D. M C
ROMANIAE . STRATOnIc
QVAE . VIXIT . AN . XI . M . Ili
D . VI . ROMANI VS
CRESCENTILIANVS
ALVMNAE -J '• ' '-U"-.
D m
CLEVONICO AGATHO
NICO CLEVONICVS
RHILOPI . ET DEVO
NICA SOTERIS . PA
RENTES FIL DVLCIS
SIMO QVI VIX ANN
;.; ;..... M . VI '. .i
. CESTIVS . FORTVNATVS i
AEDICVLAM . SIBI CONCES
SAM . COMPARA VIT ET l
LIBERTIS . LIBERTABVSQ.
SVIS . POSTERISQVE
•' «•»»)' ' EGRVM '•
472
sopra un sarcofago striato.
TLORIAASC
,. LEPIODO
TE ET GLYGE-
RA.
MATM!
©VLGISSI
ME (sic)
sopra un. sarcofago-
.Ju^wx!. VL . STORAX f.ffvt
^ . . . VS . MACELLVM ET
. . . . DERA . TARRENSIBVS-
. . . . DEMQVE . DEDICAV
!;; :ù ti:;. ;ì iHiol"
M. e I. O D t V »
GRESCENS
QVIvVIXlT-.ANN.XXII
]H . Ili . D é XXI
LOCVS . CONCES
SVS SIBI A MINDIO
^' . i.; FAVSTa './'.^■' i
EX LOCA DVA CONCESSA
MATER FECIT FILIE (sìc) BENR
MERENTISSIME (sic) QVE (sic) VIXIT'
ANNIS X MENSIBVS . VII.
DIEBVS XVII . EX LOCA DVA CON
CESSA SIVE MATER SIVE
PATER SVPRAPONATVR
HOC VIGILIARIVM
PERTINET AT (sic); HEREDEM
L . GETTIVM AMANDVM
IS L. GETTIO HILARIA
(sic) ANO FILIO ET HEREDI
ET . LIB . LIB . POST . EOR
IN F.P.XXVI.IN.AG.P.XXXII
DIS MANIB
T. FLAVI CLD
DIANI T. FLA
VIVIS (sic) CLAV
DIA-NV* FILI
VS PATRI ET
MAGISTRO
CLARO DED
Dal greppo, sul quale sorge tor Bov-acciana si gode
47^
la veduta imponente della foce orientale del Tevere, al--
la quale , costeggiando il fiume si gitmge , dopo due
buone miglia di strada. Essa mirabilmente corrisponde
alla descrizione che ne fa Virgilio nel libro VII. della
Eneide v. 24 e seg. quantunque ai giorni di qacl poe-"
ta molto pJtì vicina fosse a lor Bovaccìana; tìia il terre-
no aggiùnto dal Tevere ha preso- il carattere di quello,
dote Virgilio suppone che Enea approdasse:'
osi
Samqm rubescebat radits ma^e, et aefheré (tb alt&
Aurora m roseis fulgebat lutea bigis:
Quum venti posuere, omnisque repente resedit '^
Flatus, et in lento luctantur marmare tonsae:
Atque hic Aenea» ingentem ex aequore lucum
Prospicit: hunc inter fluvio Tiberinus ammno, "'■'• '•■ '>*'
Vorticibus rapidis, et multa flavus arena
In mare prorumpit: variae circumque supraque
Assmtae ripis volucres et fluminis alveo
Aethera mulcebant cantu lucoque volahant^
Flectere iter sociis, terraequae advertere prora»
Imperai et laetus fluvio succedit opa€o>.
Un mezzo mìglio di là da Tor Bovaceiana verso
il mare , il terreno a sinistra trovasi fino alla spiaggia
imboschito: questo bosco lega cm quello di Castel Fu^
sano o laurentino, e così col laviniate, coli' ardeatino,
ec. Dentro questo , un miglio distante dalla foce , fra
acque stagnanti residui delle acque pluviali e delle inon*
dazioni invernali , è una torre ettagona costruita con
molto sapere per difesa della spiaggia, che porta il no-
me di Tot S. Michele , visibile da Ostia , la quale se-
condo la iscrizione sulla porta ancora esistente venne
edificata nelKanno 1569. da s. Pio V. e per conseguen-
474
za è posteriore alla morte di Michelangelo , al qual«r
coQimuQemen te si .attribuisce.
,M.i. 'ir' -.-io PÀGLIAN CASALE
''■>' '
Teniaiento di circa rubbìa 282 e mezzo posto nel-
l'Agro Romano fuori di porta s. Sebastiano circa 13 mi-
glia lontano da Roma, confinante in parte co' territori!
di Albano ed Aricia. Esso è diviso in tre corpi separa-
ti e distinti; il primo confina colle tenute di Montagna-
no, Valle Caia, e Torricella: il secondo co' Colli di s.
Paolo, e col territorio di Aricia: il terzo finalmente col
territorio di Albano, e colle tenute di Falcognani, Tor
Maggiore, e Tor Tignosa. Dividesi tutto insieme il fon-
do in tre quarti, denominati di Roncigliano, della Grot-
ta , e del Torraccio. Appartiene alla Badia di s. Paolo
di Albano.
PALAZZOLA V. ALBALONGA,
PALAZZO MARGANO.
Tenuta dell' Agro Romano pertinente alla compa-
gnia dell'Annunziata ed al monastero della Purificazione
di Roma, situata fuori di porta s. Sebastiano circa 13
miglia lontano da Roma e confinante con quelle di Tor
del Vescovo, e Grotta Scrofana, e col territorio di Al-
bano. Comprende rubbia 100 e mezzo, divise ne'quarti
detti di Mezzo, del Casale, e delle Vigne.
. Il Nerini riporta un atto dell'anno 1310, nel qua-
le come confine di una terra posta nella contrada di
Tor del Vescovo, si nomina un baltiolum Margani spet-
tante allora a Lorenzo de Candulfis , ed al monastero
di s. Paolo di Albano: fondo, che corrispondendo con
475
(fucilo teste descritto serve a far conoscere la etimolo-
gia del suo nome, che rimonta fino al secolo XIV.
PALESTRlNA—VRAEÌiESTE.
tftoitas Ipraenesfina-jpellestrind
Pnestrina-pnestre.
Città situata ad oriente di Roma alla^ latitudine di
41°, 50', 18" 7, ed alla longitudine di 30°, 32', 55'V
"I; alta dal livello del mare piedi parigini 1628, 5. Es-
sa è sede vescovile, una delle sei suburbicarie, distan-
te da Roma 24 miglia , posta nella Comarca , e partc^
del distretto di Tivoli : racchiude 4378 abitanti. È ap-
poggiata alla falda di un monte, che è uno degli ultimi
contrafforti dell'Appennino, nel quale va a terminare il
monte Glicestro.
Negli scrittori elassici leggonsi tre etimologie del
suo nome antico: Plutarco Parali, n. 41. e Servio ad Àen.
lib. VII. v. 678 lo derivano dalla voce greca npivot, (À-
ci, per l'abbondanza di tali alberi: Festo dall'essere di-
nanzi, o addossata ai monti, quia montibus praestet ,
e la stessa etimologia per testimonianza di Servio avea
dato Catone: finalmente Solino e. VII. e Stefano in Upoc-
«vetTToj da Prenesto figlio di Latino, nato di Ulisse e di
Circe. Fondatore, secondo Virgilio I. e. ne fu Ceculo fi-
glio di Vulcano, stipite della gente Cecilia; stando a tal
tradizione d'uopo è stabilire che questa città fu fonda-
ta circa i tempi , in che Enea venne in Italia , poiché
Ceculo insieme cogli altri princìpi latini prese le armi
contro quel profugo. Altrove però lib. Vili. v. 560 e
scg. lo stesso poeta fa dire ad Evandro di aver ucciso
476
nella sua gioventù il re Erìlo Praenéste suh ipsa ; tM
quel passo induce a credere che Erilo regnasse in que-
ste contrade prima di Ceculo, senza però che di neces-
sità segua che prima di Ceculo Frenesie fosse stata fon-
data , da che deriverbbe una contradizione in Virgilio|
imperciocché il monte e la selva di elei, che lo copri-'
va poteva avere di già presso gli Aborigeni e J^elasgi
il nome di Frenesie , che poi Ceculo die alla città ivi
fondata. Debbo inoltre fare osservare la moltiplice for-
ma del nome Erilo che per testimonianza del dottissimo^
Heyne si trova ne'manoscritti di Virgilio^ cioè Hferilum,
Erilum, Erylum^ Erulum, Elinum, Cerilum, Acerilum, He-
hnum, Athericum. Solino ricorda un'altra tradizione se-
guita da ZenodotOy dalla quale appariva che Preneste
era stata edificata dal nipote di Ulisse: aggiunge però,
che i libri prenestini davano per fondatore Ceculo fan-
ciullo rinvenuto presso fuochi fortuiti, apudignes fortuitos^
donde derivò la tradizione che Ceculo era figlio di Vul-
cano.
Strabone lib. V. e. III. §. II. dice chtì Tibur e Prae-
néste credevansi ambedue città greche , e che Frenesie
dapprima fu chiamata WokvQXi^^ocJoq, cioè di molte coro-
ne , nome che potrebbe derivarsi dai varii recinti di
mura che la cingevano. Latino Silvio terzo re di Alba
la ridusse sotto il suo dominio^ come si apprende dall'
l'autore dell'Ondo Gentis Romanae, e vi mandò una co-
lonia, la quale rimase fedele alla metropoli^ finché que-
sta non fu soggiogata e distrutta da Tulio Ostilio. Do-
po quella epoca si resse da se, né si ricorda più il suo
nome fino all' anno 255 di Roma , in che i Frenestini
pongonsi da Dionisio lib. V. e. LVI. frai popoli latini
che si collegarono insieme per ristabilire i Tarquinii.
Due anni dopo però, poco prima della battaglia al laga
Regillo Livio lib. II. e. XIX. narra, che Frenesie si di-
477
Sitaecò dalla lega e riaccostossi ai Romani Praencsle ab
Latinis, ad Romanos descivit. E questo loro ravvicina-
mento fu così sincero, che le loro terre andarono sog-
gette alle depredazioni degli Ernici, e dc'Volsci Tanno
291. siccome narra Livio lib. III. e. Vili. Venuta pe-
rò meno la forza romana per la invasione de'Galli, i Pre-
nestìni si lasciarono sedurre dai Volsci, e si collegarono
/con loro a danno di Roma l'anno 372. facendo scorrerie
nel territorio de'Tusculani, de'Gabini, e de'Lavicani. Dap-
principio i Romani non volevano credere a questa defe-
ziona; ma nell'anno 374, essa divenne aperta, poiché i
Prenestini spedirono truppe ausiliarie ai Volsci, le qua-
li combatterono contro i Romani sotto Velletri con tale
accanimento da superare i Veli terni stessi , secondo la
relazione, che ne fecero i tribuni militari al senato; quin-
di fu loro colle formalità più solenni dichiarata la guer-
ra. Livio dice su tal proposito lib. VI. e. XXI. XXII.
Senatus consulto, popuUque iussu bellum Praenestinis in-
dietum. Ma i Prenestini non si sbigottirono, poiché uni-
ti ai Volsci assalirono e presero Satrico , colonia roma-
na, e vilmente usarono della vittoria sopra i coloni. Ca-
millo, scelto a diriggere le legioni contro di loro, mal-
grado la sua età avanzata li ruppe presso le mura del-
la colonia stessa, da loro testé conquistata, ma non per-
venne ad ultimare la guerra. Imperciocché l'anno seguen-
te , profittando i Prenestini delle dissensioni intestine
de'Romani uscirono in campo, devastarono le terre ne-
miche, ed osarono attendarsi presso la porta Collina, e
quindi sulle ripe deU'Allia; essi credevano che quell'in-
fausto fiume dovesse esser sempre testimonio della scon-
fitta dei Romani, e frattanto misero a sacco tutte le ter-
re circonvicine. T. Quinzio Cincinnato, che fu eletto al-
lora a dittatore, in venti dì li mise in rotta, e gl'inse-
guì fino a Prcneste, espugnò otto terre fortificate dipeq-
478
denti da loro, prese Velletri sui Voìsci, e forzò Pre-
neste ad arrendersi: di là trasportò in Roma sul Cam-
pidoglio la statua di Giove Imperadore , che come tro-
feo fu collocata entro il tempio di Giove Capitolino fraU
la celle di Giove e di Minerva, con una iscrizione che
denotava le castella da lui concquistate.
Rimase ambigua la loro fede poiché nel 376 corse
fama, che si erano ribellati di nuovo, e che mettevano
in movimento gli altri popoli latini.
Mantennero i Prenestini la pace fino all'anno 416,
in che si collegarono coi Tiburtini e coi Veliterni a di--
fesa de'Pedani contra i Romani. Livio lìb. VII. e. XII.
Furono vinti sotto Pedo stesso l'anno seguente da Lu^
ciò Furio Camillo, e nelle disposizioni preso dai Roma-^
ni in quello stesso anno a riguardo de' popoli della lega
latina, che aveano preso le armi contro dì loro, fu sta-^
bilito, che i Prenestini, come i Tiburtini venissero mul^
tati di una parte delle terre. *v^tkv\ovi, ^oVW^si'^'x ^m^wv;?.
I/anno di Roma 473, Pirro avanzandosi per la via
latina verso Roma , dopo aver devastato la Campania ,
le rive del Liri, Fregelle, ed il paese degli Ernici, salì
sulla cittadella di Preneste, onde incutere timore ai Ro-
mani, e prendere una idea giusta delle vicinanze della
città: Floro lib. I. e. XVIII: Eutropio lib II. Spaventa-
to però dalla difficoltà della impresa, ricondusse le sue
genti nella Italia meridionale. Narra Zonara, che in quel-
la circostanza , i principali de' Prenestini furono , come
ostaggi, trasportati in Roma, e chiusi dentro l'erario, e
che così avverossi un oracolo , il quale diceva , essere
di mestieri, che l'erario romano fosse occupato dai Pre-
nestini. Dopo quella epoca fino all'anno 536 non si ri-
cordano più nò i Prenestini né Preneste , ad eccezione
dell'aneddoto riferito dal Valerio Massimo lib. I. e. IV,
che il senato proibì al console Lutazio, quello stesso,
479
che vìnse ì Cartaginesi alle isole Egati e pose termine
alla prima guerra punica , di consultare le sorti della
Fortuna Prenestina, giudicando doversi amministrare la
republica cogli auspicii patrii, e non cogli stranieri,
Neir anno 536 i Prenestini non giunsero in tempo
a pertecipare della battaglia di Canne : appena avcano
oltrepassato Casaline, che incontrarono i corrieri, i qua-
li apportavano quella infausta notizia, quindi tornarono
indietro per acquartierarsi in Casìlino, insieme con altri
distaccamenti di Romani e Latini, che si trovavafao di
passaggio: Livio Uh. XXII L e, XVII, che narra questo
fatto , dice che i Prenestini erano in numero di 600 ,
comniandati da Manicio. In quel terribile frangente, av-
vedutisi, che gli abitanti avrebbero aperte le porte al
vincitore furono portati dalla necessità ad ucciderli ,;e!
si fortificarono nella parte cis-voltumina della città, dò^
ve si ridusse pure la coorte perugina di 460 uomini. E
circa il numero de' Prenestini , Livio dhe nel e. XVII.
lib. XXIII. dice che erano 500, nel capo XIX dice, che
erano 570: Strabone llb. V. e. IV. narra che erano 540:
Valerio Massimo poi lib. VII. e. VI. §. 3 ne restringe
il numero a 300. Questo pugno di soldati arrestò le
conquiste, e le vittorie di Annibale, fece per varii me-
si una difesa eroica , e forzato dalla fame ottenne dal
vincitore patti onorevoli. I Prenestini ridotti a metà, mie-
tuti in parte dal ferro, in parte dalla fame, tornarono
liberi a Preneste col loro pretore Manicio, nome che io
dubito doversi leggere piuttosto M. Anicio, cioè Marco
Anicio, essendo d'altronde molto probabile, the preni^-
stina fosse quella illustre famiglia romana, che tanto fi-
gurò ne' tempi della decadenza dell'impero. Ora a Ma-
nicio, o piuttosto M. Anicio fu eretta nel foro prenestii-'
no una statua loricata, avvolta nella toga , e velata: il
senato romano volendo ricompensare il valore di que'pro-
480
di assegnò loro stipendio doppio , cinque anni di esen^
zione dal servizio militare, ed i diritti della cittadinan-
za romana; onore, che da loro fu ricusato, preferendo
piuttosto la indipendenza patria, che appartenere ad un
municipio estraneo, malgrado i privilegii ed i vantaggi
che ne avrebbero potuto ritrarre.
u Neil' anno 543. a Premeste si unirono gli eserciti
de'due consoli Marco Livio, e Caio Claudio Nerone, on-
de andare ad opporsi ad Asdrubale sul Metauro, dove
quel fratello di Annibale venne disfatto ed ucciso. Con-
chiusa la pace co' Cartaginesi, pace, che pose fine alla
seconda gaerra punica, e fu la base della potenza roma-
na, Prcneste nel 557 corse grave periglio, per la cospi-
razione tramata dagli schiavi, e ricordata da Livio nel
libro XXXII, la quale finì C0Ìla morte di 500 colpevoli.
Neil' anno 581. narra Livio lib. XLII. e. I , che Lucio
Postumio Albino console, volendo vendicarsi della fred-
dezza mostratagli dai Prenestini , mentre era privato ,
allorché andò a fare un sagrificio alla Fortuna , prima
di uscir da Roma, mandò lettere a Preneste, perchè gli
venisse incontro il magistrato, gli preparasse un pubbli-
co alloggio, e tenesse pronti i trasporti allorché partiva,
esigenza strana, imperiosa, ed alla quale secondo le leg-
gi avrebbero potuto ricusare di sottomettersi ; nuUadi-
meno modestamente vi si adattarono.
'^ti\r Nella guerra sillana Preneste andò soggetta ad un
eccidio j imperciocché , essendosi ritirato in essa il gio-
vane Mario dopo la battaglia di Sacriporto coi rimasu-
gli della sua gente. Siila affidò a Lucrezio Ofelia la cura
di circonvallare la piazza. Malgrado i tentativi di Car-
bone , e di Ponzio Telesino per liberarlo , ed il valore
da lui e dalle sue genti mostrato nelle sortite, l' asse-
dio non fu tolto: e dopo la rotta de'Mariani e de' San-
niti collegati, avvenuta presso la porta Collina, e la pro^
481
scrizione atroce che ne fu la conseguenza , non rima-
nendo allro scampo, Frenesie si arrese a discrezione;
onde Mano procurando di salvarsi per mezzo di uno
deHanli cunicoli, che foravano il monte, trovandosi stret-
to dalla necessità , si fece uccidere dal suo servo , o
secondo altri si uccise da se medesimo, o fu dai sol-
ilati sillani spento. E dopo questo fatto Siila assunse
il cognome di Felice. Veggansi Livio Epit. 1. LXXXVIII.
Vellejo lib. II. e XXVII. Strabone , Plutarco , Dione
«e. Siila avuto l'avviso <la Ofelia della resa della cit-
tà , si portò direttamente a Frenesie , dove si mise a
j)rocessare ciascun abitante circa la condotta antece-
dentemente tenuta , e molti ne punì : ma stanco della
formalità de'giudizii, fé raccogliere insieme i 12000 cit-
tadini che rimanevano, e spietatamente li mandò a mor-
te ; onde Lucano Phars. lib. ILiiy»; 193 ebbe ad escla-
mare: .-. < ,/ ;'
-o) "jf)!! > • thVt^iV- Vida Fortuna colonos «K ìV/, (ni
i; Praenestirui suos cunctos simul ense recepto ,>ft./»H
Unius populum pereuntis tempore mortis.
•i In tal circostanza si narra, che volendo accordare
la vita ad uno, che era stato suo ospite, questi ìsde-
gnando di dovere la vita allo sterminatore della patria,
postosi nella turba si fece uccidere volontariamente. Egli
distrusse la città, ed ingrandi sulle rovine di questa il
tempio della Fortuna. E ne fondò una nuova nella pia-
nura sottogiacente, che mise nel rango delle colonie, e
«he popolò di soldati veteirani , e de' rf^gf zzi pjrenestiai
scampati dallo scempio. , .ji.j, r^iiùf. iw?»» «,i h-r •i.r.ffnT
E come coionia la nominarono Cicerone e Fronti-
no ; al primo di questi scrittori si dee la notizia , che
Catilina se ne voleva rendere padrone, considerandola
come luogo di molta importanza. Nella guerra fra Ot-
tavio, e Lucio Antonio, la colonia prenestina abbracciò
31
482
il partito di quest' ultimo , che vi si ritirò insieme con
Fulvia e co'figli del suo fratello Marco. Frenesie però
non ebbe a soggiacere a nuove disgrazie per questo; che
anzi Augusto divenuto possessore pacifico dell' impero,
amò molto il soggiorno di questa città , siccome si trae
da Svetonio nella sua vita e. LXXII; e questo biogra-
fo de'Cesari narra phe quell'imperadore vi andava ordir
nanamente in lettiga e di notte e con tanta lentezza ,
che faceva la strada in due giorni: onde è da credersi,
che probabilmente la prima sera si fermasse a Gabii che
era a mezza strada. Molto |a frequentò ancors( Orazio,
il quale la nomina fra ì luoghi prediletti, insieme colla
sua villa sabina , con Tibur e con Baja : Qdar. lib. Ili,
Od. ni. e dove rilesse la Iliade, siccome afferma nella
seconda epistola del libro I. s» Lollio. Tiberio essendosi
risanato da una malattia mortale ne| territorio di que-
sta città, la portò di nuovo al grado di municipio. Gel-
lio Noct. Att. lib. XVI. e: XIII. Sotto Nerone, per te-
stimonianza di Tacito lib. XV, e. XLVI , i gladiatori
ivi stanziati cercarono di sollevarsi, naa furono repressi
dalla guarnigione, che li custodiva. Ponaiziano si porta-
va in Prer^este ogni anno neU' anniversario del suo im-
pero, onde consultare le sorti prenestii^e. Adriano vi edi-
ficò una villa di che ancora si conservano le rovine pres-
so la chiesa rurale di s. Maria denominata perciò della
'Tuia, dove Marco Aurelio secondo Capitolino nella sua
vita vi perde Vero cesare suo figlio in età di sette an-
ni. Grande affluenza di gente accorreva a Frenesie per
consultare le «orti della dea, e da questa molle ricchez-
ze ne ricavava; ma dopo che le leggi di Costanzo, e
Teodosio proibirono con pene severe questo rito, e fe-
cero chiudere il tempio, la città necessariamente de-:
'cadde. ''♦"'^ r>\\'ì7. .v.yni'.-uMuvA ì-.ì'jv
'*'■ l,a storia di Frenesie dalla fine del secolo IV fi-?
483
no all'anno 752 non presenta memorie degne èì vn ri-
lievo particolare. In quell'anno però Astolfo re de 'Lon-
gobardi si mosse contro Roma con sei mila soldati ed
occupò per capitolazione Tivoli, e Preneste, siccome ri+
cavasi da un documento originale inserito dal Petrini
nelle sue Memorie Prenestine. Frattanto la città andava
insensibilmente cangiando nome, ed al primitivo si an^
dava sostituendo il derivativo per l'uso che nella deca-
denza dell' impero prevalse ; imperciocché in luogo di
Praeneste dicevano Civitas Praenestina, come in luogo di
Lanuvium, Civitas Lanuvina: da Praenestina facilmente
per corruzione scambiossi il nome in Palestrina , del qua-
le ho trovato memorie fin dall'anno 873 della era volga?
re nel codice farfeuse. -^orirf,
Neil' anno 970 , questa città fu infeudata da papa
Giovanni XIII. a Stefania sua sorella madre di Bene-
detto conte tusculano, col canone di dieci scudi di oro,
siccome si ha dalla bolla emanata a tale proposito, nel-
la quale si determinano per confini del territorio, il Rio
Largo, la vìa labicana, il monte Massimo, il ponte Cica-
la, l'Acqua Alta, la valle di Camporazio, ed il monte
Folinario , o piuttosto Faustiniano. A Stefania successe
il figlio Benedetto, il quale ebbe per successori i due
figli suoi Giovanni e Crescenzio l'anno 1010: questi in-
corsero nello sdegno di Benedetto Vili, e Giovanni, che
s'intitolava marchese e duca, si vide costretto a ritirar-
si nella rocca di Preneste , dove fu stretto di assedio
nell'anno 1012, e non fu liberato, se non dopo che eb-
be promesso di cedere la rocca al papa, siccome si trae
dalla cronaca farfense inserita ne'Rer. Ital. Script. T, H.
P. II. col 552. La pace fu conchiusa l'anno 1055 defi-
nitivamente, ed il marchese Giovanni rimase possessore
pacifico di Preneste. Papa Damaso IL nel 1018 non
istiroaudo cosa sicura l' entrare in Roma per timore
484
degli aderenti dell' antipapa Benedetto IX. si ritirò in
Preneste, dove poco dopo morì.
i Nell'anno 1043, morto il marchese Giovanni, Emi-
lia, sua sorella, che ebbe il titolo di contessa e che gli
era succeduta nel dominio di Palestrina essendosi ma-
ritata in seconde nozze con un personaggio della fami-
glia de Columna , che è lo stipite noto della famiglia
di questo nome , trasferì in esso e nella discendenza ,
che ebbe la infeudazione di questa città, malgrado le
condizioni poste nel 970 da Giovanni XIII. allorché la
infeudò a Stefania sua sorella , cioè che non dovesse
trascendere i suoi nipoti, vale a dire che la linea ve-
niva ad estinguersi appunto in Emilia. Lo sconvolgi-
mento, che regnava in quella epoca in tutto il distretto
di Roma non permise subito di rivendicare questa usur-
pazione; sebbene nel 1059, papa Nicola II, volendo ab-
bassare la potenza de' conti tusculani e de' signori di
Lamentana, e di Galera, loro affini e collegati, chiamas-
se in suo soccorso i Normanni , che si erano annidati
nella Puglia , e questi mettessero a ferro e fuoco il ter-
ritorio de'Prenestini, de'Tusculani, de'Nomentani e del
conte di Galera, siccome attesta il card, di Aragona nel-
la vita di quel pontefice, presso il Muratori Rerum Ita-
licarum Scrtptores T. III. P. I. pag. 301. Morta nell'an-
no 1080 la contessa Emilia, ed estintasi in lei la infeu-
dazione di Giovanni XIII. a favore di Stefania , papa
.Gregorio VII. incluse 1' agro prenestino nella bolla di
scommunica contro chi tentasse di usurpare , o ledere
le terre della Chiesa Romana , bolla che è inserita dal
Platina nella sua vita.
Ma Pietro della Colonna figlio di Emilia e parente
de' conti tusculani non si sottomise tanto volentieri a
cedere la investitura ottenuta da Stefania sua bisavola,
e dopo la morte di Gregorio VII. I' anno 1101 insorse
485
contro Pasquale II. ed occupò Cave, che fu a lui ritol-
ta dal papa. Nel 1108 però unitosi Pietro con Tolomeo
conte tusculano assali e prese Preneste stessa, imprigio-
nò Berardo Marsicano spedito contro di lui , facendolo
chiudere in una cisterna: ed egli ritenne la città, circa
un anno. Dopo questo fatto tornando papa Pasquale II.
dal regno di Napoli ricuperò Preneste e nel 1117 vi de-
dicò la cattedrale ad onore dì s. Agapito martire. In
(ale circostanza furono da lui ricevuti in questa città
gli ambasciadori dell' imperadore di Oriente. Veggasl
Pandolfo Pisano nella vita di Pasquale II. presso i Re-
rum Italicarum Scriptores T. III. P. I. col 356. e 359,
e Giovanni da Segni nella vita di Berardo Marsicano
presso rUgbelli Italia Sacra T. I. col. 896. L'anno se-
guente però, dopo la morte di Pasquale II, Pietro rioc-
cupò la città di Preneste , secondato sempre dai conti
tusculani, e profittando de'torbidi di Roma, che accom-
pagnarono la elezione di papa Gelasio II.
Leggendosi nella storia di Milano e. XI. publicata
ne' Rerum Italicarum Scriptores T. V. p. 512, che l'an-
tipapa Anacleto IL elesse per vescovo prenestino un
Giovanni, d'uopo è credere, che i Colonnesi almeno ta-
citamente seguissero le parti di quell' antipapa: ma nell'
anno 1137 le abbandonarono , e papa Innocenzo IL si
fermò in Palestrina insieme coU'impcradore Lottarlo IL
Ristabilissi nel 1143 in Roma il governo popolare , e
di nuovo fu istallato il senato per opera di Arnaldo da
Brescia: una delle prime operazioni di quelli, che era-
no stati posti a governare la nuova repubblica , fu di
muovere guerra ai popoli del Lazio, onde riconoscesse-
ro il nuovo reggimento, e Preneste non andò esente da
guasti; non pare tuttavia, che fosse soggiogata. Imper-
ciocché nel 1149 ritornato in Italia papa Eugenio IH.
e cercando di sottomettere di nuovo colle armi il pò-
486
polo romano , si andò trattenendo pcF qualche tcmptf
nelle città circonvicine , che aveano conservata la loro
indipendenza e particolarmente in Preneste, di che era
signore Oddone della Colonna figlia di Pietro. I Roma-
ni continuarono interrottamente, ma sempre con accani-
mento la guerra contra le città ci-rconvicine, particolar-^
mente del Lazio , e finalmente pervennera nel 1184 af
prendere di assalto Preneste^ e la incendiarono^ Vegga-
si la cronaca di Fossa Nuova presso i Rerum Italicarum
Scriptores T. VII. Venuti poscia a concordia nel 1188^^
con papa Clemente III. dichiararono , che il popolo ro-
mano non avea dominio diretta sopra la città di I^le-
strina.
Ritornò tosto sotto i Cdonnesi, e nel 1201 a'era-
no signori Giordano ed Oddone, figli di Oddone senio-
re, ricordato poc'anzi, i quali nel 1203 accaisero papa
Innocenzo III , che disgustatasi de' Romani si portò in-
Palestrina. Nella cronaca genovese inserita i^Ua raccol-
ta sovrallodata de'jRer. Ital. Script. T. IX. e. LVI. leg-
gesi , che circa V anno 1209 i Colonnesi si ripararona
nella città prencstina, che avea fama di essere fortissi-
ma. L'anno 1241. il cardinale Giovanni Colonna, abban-
donando il partito papale si volse a sostenere quello di
Federico IL il quale spedì a di lui sostegno alcune trup-
pe: quindi il territorio prenestino andò esente dalle de-
vastazioni, alle quali quel cesare sottopose le altre ter-
re de'^contorni di Roma. Narra Rernardo Guidone nella
vita di Martino IV. inserita dal Muratori nella sua rac-
colta de Rerum Italicarum Scriptores T. IH. P. I. p. 609,
che accesasi in Roma la guerra civile nel 1280 fra gli
Orsini e gli Annibaldesi , i primi si ritirarono a Pale-
strina: gli Annibaldesi pertanto l' inseguirono fino sotto
alle mura di questa città, mettendo a sacco tutto il con-
tado e facendo strage di molti. Questo medesimo fatto,»
fecondo Albertino Miissaio nella vita di Enrico VII. in-
serita nella raccolta sovràllodata T. X. col. 455. si ascri-
ve all'anno 1281. [■ >
Frattanto una tempesta terribile sovrastava a que-
sta città: ad Oddone II. fin dal 1252 era succeduto per
atto di concordia Oddone III. figlio di Giordano di lui
fratello, ed a questo il figlio suo Giordano II. : a que-
sti nacquero cinque figli: Giacomo cardinale, Giovanni,
Oddone^ Matteo, e Landolfo. Di Giovanni, che morì pri-
ma dell'anno 1297, furono figli Pietro cardinale, Stefa-
no^ Giovanni, Giacomo, soprannomato Sciarra, Oddone
ed Agapito. Questi essendo eredi diretti del dominio di
Palestrina si appoggiarono ài loro zio Giacomo cardina-
le: ed al contrario Oddone, Matteo, e Landolfo, preten-
dendo avere parte nella successione di Giordano IL si
rivolsero a papa Bonifacio VIII. Ma volendo il papa ob-
bligare i primi ad una concordia co'loro zii, e nello stes-
so tempo mettere un presidio in Palestrina per timore
dell' aderenza, che i Colonnesi aveano con Federico di
Aragona re di Sicilia, ne seguì una rottura formale. I
Colonnesi sovraindicati, compresi i due cardinali Giaco-
mo e Pietro , si ritirarono in Palestrina e si posero in
piena insurrezione centra il papa, e questi dal canto suo
publicò contro loro in data de' 14 decembre 1297 una
bolla di crociata, accordando indulgenza plenaria a chiun-
que avesse preso le armi contra i Colonnesi , e centra
Palestrina ; e questa bolla come mdlte altre in quella
occasione pubblicate si legge nel Petrini, Memorie Pre-
nestine pag. 419 e seg. Bonifacio avea dichiarato capi-
tano contra i Colonnesi insorti Landolfo Colonna , uno
de' pretendenti ; ed avendo raccolto un esercito grande
per que'tempi, ed ottenuto ajuti da Firenze, da Orvie-
to, e da Matelica, nel 1298 occupò tosto tutte le terre
de'Colonnesi, meno Palestrina, dove sì ridussero Agapi-
to e Sciarra insieme co'cardinaU Giacomo e Pietro. Do-
po una difesa ostinata e valorosa , i quattro Colonnesi
si videro costretti alla resa , e portatisi a Rieti , dove
il papa allora dimorava si presentarono vestiti a bruna
dinanzi a lui in pieno concistoro; il papa ad insinuazio-
ne del coote Guido da Montefeltro , che ave» vestito-
t'abito francescano, non solo li perdona e gli assolvette
dalle censure , ma ancora fece Icwro sperare di m^Mite-
nerli in possessa della città. Dante che fu contempo-
raneo a questo avvenimento fa con gravi caratteri nar-
rare a Guido stesso questa fatto nell' Inferno^, canta
XXVIL V. 67. Veggasi inoltre su tal proposito quello,
che narrano Ferretto Vicentino ne'Rer. Ital. Script. T.
IX. p. 970, e Giovanni Villani nelle Storie lib. Vili,
e. XXI. e seg. Tenne Bonifacio il consiglia datogli da
Guido: lunga promessa con Vattender corto; imperciocché
ordinò a Teodorica Ranieri da Orvieto, vescovo eletto
di Pisa, allora camerlengo di santa Chiesa, che andasse
a prender possesso della città, e la facesse smantella-
re e distruggere fin dalle fondamenta, ad eccezione del-
la chiesa cattedrale. Quest' ordine venne eseguita cou
tutto il rigore, e secondo l'antico rito, l'aratro solcò le
rovine della città distrutta, e vi fu sparso sopra il sale;
e a maggior pena i beni degli abitanti vennera confi-
scati, accordando loro per grazia, che potessero ricove-
rarsi ivi dappresso nella pianura, ne' dintorni della Ma-
donna dell'Aquila. \
La borgata di tugurii , che si formò in tale occa-
sione ebbe il nome di Civitas Papalis; ma nel 1300, ap-
pena nata, per disposizione dello stesso papa venne at-
terrata, ed arsa, siccome si legge in un documento ri-
ferito dal Petrini p. 426, ad eccezione della cattedrale
e di poche case a quella adiacenti. Con altra bolla del
22 aprile 1301 Io stesso papa dichiarò, che i Colonne-r
48»
sì da lungo tempo possedevano ingiustamente questo,
feudo, essendo spirato il termine della investitura, e che
per pubblico istromento aveano riconosciuto questo fat-
to Matteo, Giovanni, e Francesco Colonna. Questa bol-
la esistente nell'archivio segreto vaticano fu pubblicata
dal Petrini alla pag. 428.
Morto però Bonifacio nel 1303, e succedutogli Be*
nedctto XI. questi ai 23 decembre assolvette i Colonnesi
da molte di quelle pene, che avea contra loro fulmina-
te il suo antecessore, restituì loro tutti i beni perduti,
e solo restrinse tale indulto col proibire loro di riedi-
ficare Palestrina. Veggansi i documenti notati dal Pe-
trini p. 153. Morì quel papa dopo aver governato la
chiesa 8 mesi e 17 giorni. Nel lunghissimo conclave
che seguì la sua morte, i Colonnesi Tanno 1304 si pre-
sentarono in Campidoglio e domandarono a Pietro Cae-
tani la riparazione de' danni sofferti per opera di Boni-
facio Vili, suo zio. Questa loro istanza si conserva nel-
l'archivio vaticano, e si riporta dal Petrini alla p, 429.
in questi termini. Relatio super facto Domtnorum Colum-
pnensium , et Dominorum Cajetanorum. Domini Colum-
ptienses petunt quae sequuntur. Prima petunt restitutionem
tittdi Cardinalatus. Item dicunt in Civitate Penestrina quae
totaliter supposita fuit exterminio et ruinae cum Palaciis
suis nobilissimis et antiquissimis , et cum Tempio magno
et solemni quod in honorem Beatae Virginis dedicatum
erat aedificatis per JuUum Caesarem Imperatorem , cuius
Civitas Penestrina fuit antiquitus et cum scalis de nobi-
lissimo mar more amplis, et largis, per quas etiam equi-
tando ascendi poterai in Palacium^ et Templum praedicta,
quae quidem scalae erant ultra centum numero. Palacium
autem Caesaris aedificatum ad modum unius C propter
primam literam nominis sui et Templum Palatio inhaerens
opere sumptuosissimo et nobilissimo aedificatum ad modum
490
S. M. Rotundae de urbe. Qude omnia per ipstim Boni-
factum et eius tyrampnidem exposita fuerint totali exter-
minio) et ruinae, et cum omnibus aliis Palaciis, et aedi-
ficiis et Domibus eiusdem Civitatis, et cum muris antiquis-'
simis opere Sarra^enico factis de lapidibus quadris et ma-'
gnis, quae sola dampna tam magna, et inextimahilia sunt,
quod multa et magna bona non sufficerent ad refectionem
ipsormn, nec aliqua ratione vel summa pecuniae^ ut fue-
runt fefici pfopter magnam antiquitatem et nobilitatém ope-
rum praedictorum. Item in Castro Montis Penestrini, quod
similiter totaliter dirui fecit, ubi erat Rocca nobilissima,
et Patacia pulcherfima , et muri antiquissimi opere Sar-*
racenico , et de lapidibus nobilibus sicut muri praed. Ci-
vitatis f et amplius erat Ecclesia nobilissima sub vocabula
Beati Petri, quae quondam Monasterium fuit, quae omnia
cum omnibus Palaciis aliis et Domibus quae erant in Co-'
stro circa ducenta numero exposita fuerunt totali extermi-
nio et ruinae.
Ho giudicato opportuno d'inserire questo ìmpoftan-'
tissimo documento , pen^hè si ha in esso uno stato de*^
monumenti dell'antica Preneste sul finire del secolo XIII.
ed una idea della terribile devastazione a che andaro-
no soggetti. Domandarono inoltre i Colonnesi la rifa-
zione de' danni per la distruzione delle altre loro terre
della Colonna, Torre de'Marmi, Zagarolo ec. Il Caetani
fu condannato a pagare ai Colonnesi 100,000 fiorini d'oroy
e questa sentenza fu inserita nello statuto di Roma; ma
non si sa che avesse mai esecuzione. I Colonnesi venne-
ro poscia da papa Clemente V. con bolla de'2 febbrajo
1306, non solo assoluti pienamente ma abilitati a riedi-
ficar Palestrina, ed il vescovo cominciò di nuovo ad ap-
pellarsi Prenestino in luogo di Episcopus Civitatis Papa-
lis, come ne apprendono varj documenti inseriti e nota-
ti dal Petrini p. 154, e 439. La città e la rocca si an-
491
darono sollevando dalle rovine per opera di Stefano Co-
lonna fin dall'anno 1307. Nel 1327 era già sufficiente-
mente fortificata in guisa da poter resistere se si fosse
presentata la occasione alle genti di Ludovico il Bava-
ro, essendovisi per testimoftianza Aeì Villani lib. X. cap..
LXIX^ ricoverato lo sfesso Stefano Colonna che affRsse
contro di lui il processo fattogli da papa Giovanni XXII.
Nel 1332 poi lo stesso Stefano die compimento al ristau-
ro ed alle fortificazioni di Palestrina e della rocca, sic-
come ricavaisi dalla iscrizione esistente sulla porta della
rocca medesima, e che riporterò più sotto, come io lai
copiai nel 1825. Vi si ritirò di nuovo nel 1346 insie-'
me con altri Colonnesi onde sottrarsi allo sdegno del
celebre Nicola di Rienzo, e vi si trattenne per tutto I an--
no seguente, finché durò il potere di quel tribuno. Ora
essendo costui di nuovo salito al tribunato nel 1350 spe-
dì Buccio de Giubilèo , e Giovanni Caffarello a Stefano
in Palestrina, perchè prestasse il suo omaggio: ma que-
sti non solo non li ricevette , mai li fece arrestare , e
mandò le sue genti a far scorrerie sul territorio roma-
no. Onde il tribuno infierito mosse Toste contro Palestri-
na e si attendò presso la chiesa di s. Maria della Vil-
la , nel laogo che poscia fu detto il Campo. Vedendo
però di non poterla prendere né per assalto né per fa-
me si ritirò con animo di tornare ad assalirla. Ed in
fatti nel 1354 incaricò di questo assedio , come capita-
no del Popolo Romano, Riccardo degli Annibaldi, signo-
re di Montecompatri, ma neppure esso pervenne ad im-
padronirsene ; e poco tempo dopo , il tribuno fu ucciso
particolarmente per le trame de' Colonnesi e delle altre
famiglie potenti. La storia di questi fatti si legge nella
vita di Cola di Rienzi inserita dal Muratori nel tomo
III. delle sue Antiquitates Italicae Medii Aevi.
Nello scisma famoso di occidente i Colonnesi si at-
492
taccarone al partito di Pietro de Luna , e vollero far
scorrerie nel territorio romano ; ma cinti dalle truppe
romane, pontificie, e napoletane, e posti sotto l'interdet-
to da Bonifacio IX. furono forzati a sottomettersi e nel
1401 fu conchiuso l'atto di concordia. Palestrina venne
assediata da Ladislao re di Napoli nel 1414, che si ri-
tirò per convenzione. Altro assedio ebbe a soffrire nel
1417, allorché vi si ritirò Niccolò Piccinino, per parte
dell'esercito roniano e napoletano collegato condotto dal
celebre Sforza , ma papa Martino V. di casa Colonna
portato al soglio pontificio dal concilio di Costanza cal-
mò tutti questi mali.
Ricominciarono i torbidi fra i Colonnesi ed il papa
dopo la morte di Martino V. avvenuta nel 1431, torbi-
di che finirono con un trattato dì concordia conchiuso
nel 1433 con papa Eugenio IV. Tornarono ben presto
i Colonnesi in discordia col papa nel 1434 , essendosi
dichiarati per Niccolò Fortebraccioj nell' anno seguente
però si venne ad un nuovo atto di concordia , che fu
egualmente di effimera durata , poiché avendo i Colon-
nesi mostrata opposizione ai voleri del papa, questi sde-
gnato contro di loro ne decretò lo esterminio e dichia-
rato capitano dell'esercito papale il cardinal Vitelleschi
patriarca di Aquileja la fece assediare nel 1436, e que-
sti dopo un assedio ostinato sen rese padrone a patti.
Dapprincipio contentossi di porre un forte presidio nel-
la piazza; ma nell' anno seguente 1437 per sospetti di
nuova ribellione , il patriarca determinò di eguagliarla
al suolo : prefisse agli abitanti sette giorni di tempo
per isloggiare , permise loro di trasportare tanto le sup-
pellettili quanto ancora i materiali delle case a loro ar-
bitrio, scelse dodici capimastri dai rioni di Roma, e il
di 20 di marzo die principio al suo smantellamento, fa-
cendola spianare col ferro e col fuoco, e questa opera-
493
2Ìone continuò per quaranta giorni continui. Gli abitan-
ti si dispersero ne'paesi circonvicini, e molti si traspor-
tarono in Roma. La cattedrale ancora fu smantellata :
le campane, le porte, e le reliquie de'santi vennero dal
Vitelleschi trasportate nella sua patria a Corneto: e co-
sì scorsi appena 139 anni dopo la prima distruzione ,
Palestrina trovossi di nuovo ridotta ad un mucchio di
rovine informi. Rimase però per quell'anno in piedi la
rocca; ma anche questa nel 1438 venne distrutta colla
opera di Niccolò da Roma del rione Colonna, e di Pao-
lo Petrone del rione di Ponte. Costui , essendo autore
di una cronaca de' tempi suoi , narra , come esso ed il
suo collega si portarono alla fortezza, vi si trattennero
un mese e la fecero spianare fino al livello della piaz-
za, lasciando il posto abbandonato e senza guardia. 11
Vitelleschi ebbe nel 1440 la pena degna delle atrocità,
che commise per suo male animo. Papa Eugenio IV.
che Io avea innalzato alla porpora, e gli avea dato l'ar-
civescovato di Firenze , venuto in gravi sospetti contro
di lui lo fece improvvisamente arrestare e condurre in
Castel s. Angelo, dove finì di vivere il dì 2 di aprile,
compiendo il triennio dello scempio da lui fatto di Pa-
lestrina.
Morto questo, cominciò ad annidarsi qualcuna del-
le famiglie profughe ne' dintorni del demolito palazzo
baronale: è probabile che questo nucleo di popolazione
si andasse successivamente aumentando, finché nel 1447
da Niccolò V. fu dato pieno permesso ai Colonnesi di
riedificare Palestrina, ma senza fortificazioni: prescrizio-
ne che sembra essere stata rimossa quasi contempora-
neamente poiché nel 1448 Stefano Colonna che si pose a
riedificare la città la munì di un muro merlato, di al-
cune torri, e vi aprì tre porte, dette di s. Cesario, del
Murozzo , e del Truglio. Petrini Mem. pag. 180. 181.
494
Dopo questa epoca Palestrina cominciò a prosperare ed
estendersi in modo da occupare tutti i ripiani dell' an-
tico tempio della Fortuna. Nel 1527 andò soggetta al-
le devastazioni delle truppe di Carlo V. e poco dopo
alla pestilenza. Nella guerra de' Caraffeschi fu occupata
y anno 1556 dagl' Imperiali venuti in soccorso di Mar-
cantonio Colonna contro papa Paolo IV. e finalmente nei
1630 da Francesco Colonna fu venduta ai 16 di genna-
io a Carlo Barberini fratello di Urbano Vili, per 775,000
scudi insieme con la tenuta di Mezza Selva e di Cor-
collo , e dopo quella epoca si ritiene da questa stessa
famiglia con titolo di principato.
La città attuale è intieramente fondala sulle rovi-
ne del magnifico tempio della Fortuna; dell' antica cosi
parla Strabone lib. V. e, III. §. II, « Alla vista di quei
« di Roma sono Tibur, Preneste, e Tusculo: Tibur è
(( quella, in che è l'Eraclèo, e la cataratta
« Preneste poi è quella dove è il tempio celebre della
« Fortuna , che dà oracoli ', ed ambedue queste città
tf sono addossate alla stessa falda di monti; sono fra
« loro distanti circa 100 stadii ( 12 miglia e mezzo ) ;
« e da Roma Preneste lo è il doppio, Tibur meno. Di-
ce cono essere ambedue di origine greca, e che Prene-
(( ste in principio si appellasse Polistefano ( di molti re-
« cinti). Ora, ambedue sono forti, ma molto più forte
« è Preneste; imperciocché ha per rocca sopra la città
<i un monte alto il quale è unito alle montagne conti-
« gue con un collo , e domina ancor questo , salendovi
« direttamente , due stadii ( 1250 piedi ). Oltre 1' esser
« forte si aggiunge che è da ogni parte forata da ca-
« nali coperti , che vanno fino alla pianura , altri per
« condurre l'acqua, altri per sortite nascoste: ed in uno
« di questi Mario assediato lasciò la vita. Per le altre
« città r essere ben munite si pone a bene; ai Prene-
495
« slini però , per le sedizioni de' Romani fu una cala-r
« mità; imperciocché rifuggiandosi ivi coloro, che tenta-
<c no cose nuove , dopo essere presi , avviene che alH
« guasti che soffre la città si aggiunga ancora lo smem-
K bramento del territorio, cadendo la pena sopra quel-
ut li che non ne hanno colpa. Scorre pel territorio di
u essa il fiume Veresi. Le suddette città stanno ad o-
a riente di Roma ». È questa descrizione così esatta ,
che non può negarsi avere il geografo visitato i luoghi
egli stesso. Il nome di Polistefano , che egli ricorda ,
piuttosto che significare materialmente di molte corone
di fiori, significa di molte cinte, o corone di mura, che
tale infatti è il caso di Preueste, nella stessa guisa che
Orfeo Argonaut. v. 895 dice che il vello di oro custo-
divasi entro un luogo circondato con sette corone di
torri e bjBn polite pietre:
-u f^povpcìroct nvpyoiai itoci z^^iarctat iJ^v^pciant d'""fi^
<"■'• 'ETtrà mpi orsipóys^or? xuxX5Vju,£V5V. v?».,,-,
Essendo pertanto la città attuale fondata sulle rovine
del tempio , la sua pianta si accosta molto al rettango-
lo, e s'innalza su varii ripiani in modo piramidale, co^
me un dì innalzavasi il tempio. 1 principali di questi
ripiani si distinguono ancora, e sono quello del giardi-
no di sotto de' Barberini , quello del giardino di sopra
e della via del Corso, quello della via del Borgo, quel-
lo di strada Nuova, e quello della Cortina.
La città moderna non presenta alcun edificio degno
di esser particolarmente ricordato, e la Cattedrale stes-
sa è una chiesa ordinaria : le case della parte inferiore
sono sufficientemente ben fabbricate; il giardino Barbe-
rini però in essa compreso è ridotto ad un orto , che
non ricorda la primitiva magnificenza, se non per le sta-
496
tue mutile e tronche qua e là abbandonate, per un bas-
sorilievo bacchico , e per varii piedestalli con antiche
iscrizioni di cui le più importanti sono quelle di Cneo
Voesio Apro pubblicata dal Petrini p. 313 , di Decimo
Vello Trofimo riportata dallo stesso p. 318, di Manilla
Lucilla id. p. 364 , e quella votiva della Pietà e della
Fortuna id p. 299. Le case della parte superiore sono
piuttosto tugurii: ed il palazzo baronale stesso che è in
questa parte, ed è fabbricato sulle rovine dell'emiciclo
nel ripiano della Cortina , sebbene sia di architettura
corretta del declinare del secolo XV è in rovina. \i,lu
Contiene però oltre il celebre musaico, di che si
farà menzione più sotto, molti frammenti antichi di scul-
tura, e varie iscrizioni, fralle quali la famosa della For-
tuna, che incomincia TV QVAE TARPEIO COLERIS
VICINA TONANTI, una alla Pace Augusta: l'altra alla
Sicurezza Augusta eretta dai decurioni e dal popolo pre-
uestino. Vaga è la chiesa baronale di s. Rosalia tutta in-
crostata di alabastro e marmi fini , nella quale si mostra
un gruppo della Pietà ricavato nel masso vivo della ru-
pe, ma non finito, che dicesi di Michelangelo, ma che
piuttosto risente lo stile di Bernini. Più squallido an-
4;ora è l'aspetto della contrada denominata lo Scacciato,
dove sembra essersi rannodata la popolazione dopo la
catastrofe sofferta per opera del feroce Vitelleschi.
IO Nelle rovine del tempio, delle mura, e di altre fab-
briche antiche primeggiano principalmente la costruzio-
ne a poligoni grandi ben politi, e della terza specie, e
quella a poligoni piccioli ; non mancano parti costrutte
di opera quadrata, e di opera laterizia, così che quat-
tro distinte epoche si ravvisano, quella di Preneste in-
dipendente da Roma nella prima , quella di Siila nella
seconda, quella delle guerre puniche nella terza, e quel-
la degl'imperadori nella ultima. Verso mezzodì alle due
497
«stremila della città sono le' porte denominate di s. Mar-
tino e del Sole : verso oriente sono la porta dello Mo*'
nache, la porta Portella e la porta de' Cappuccini: ver-
so settentrione finalmente è la porta s. Francesco , in
tutto sei oltre due porte antiche chiuse, una nel recin-
to di pietre quadrilatere presso la porta s. Martino, l'al-
tra nel recinto a poliedri presso la porta Portella e che
ha 9 palmi di larghezza. Il recinto antico originale con
minciava alla porta del Sole, dove se ne veggono i pri-
mi avanzi a polìgoni, di là dirigevasi direttamente alla
sommità della cittadella, oggi detta Monte s. Pietro, ed
in questo tratto si veggono alcune torri quadrilatere co-
strutte di opera incerta fra la porta delle Monache , e
la porta Portella. Ivi pure il muro a poliedri conserva
15 piedi di altezza, e sopra un masso in lettere di for-
ma antichissima leggesi PED XXX. Dopo aver corotia-
to la sommità del monte riscendeva di nuovo fin pres-
so la porta s. Martino dove fuj'raflbrzato circa la epoca
<li Annibale con mura di pietre quadrilatere, e dove ve-
desi una delle porte antiche chiuse , indicate di sopra ,
e di là quasi in linea retta andavano nella direzione
del giardino Barberini di sopra, e della via di s. Giro-
lamo a raggiungere la porta del Sole. Questo ambito
di circa tre miglia veniva intersecato almeno da tre al-
tre cinte al di sopra della contrada della Cortina, e per-
ciò la città potè dirsi poliste fano , o di molte corone ,
formando come quattro città diverse, oltre i varii ripia-
ni del tempio, che pateyanQ Mcbe..«s3Ì.rigua]:darsi com^
altrettante cinte, -^lìii U. '>»!•> f^^'y>?. 'fho?' •' n!-^'<«tiv o><
■; . Del tempio stesso io pubblicai una memoria, l'an-
no 1825 , allorché illustrai il ristauro fatto di esso da
un architetto russo , intitolata II Tempio della Fortuna
Prenestina ec; siccome questa memoria fu pubblicata a
spese di Alessandro I. imperadore delle Russie e si di-
32
^lingue per la splendidezza della edizione, e per la gran-
dezza delle tavole, ma è dall'altro canto difficile ad a^
versi , perchè la edizione venne esaurita , perciò credo
opportuno di riepilogarla in questa opera , onde possa
aversi una giusta idea della forma e delle parti di quel-
la fabbrica portentosa, che attrasse gli studii degli ar-r
phitetti e degli antiquarii di tutti i tempi, che ne fog-
giarono ristauri fin dal secolo XV : ed uno se ne con-
serva nella Biblioteca vaticana n. 3439 : più noti sono
quelli di Pirro Ligorio, Pietro da Cortona, e Costantino
Thon, architetto russo, e quest' ultimo è quello che io
illustrai colla memoria sovraindicata. I^a fondazione pri-
mitiva di questo tempio è ignota, ma certamente è an-
tichissima, come lo dimostrano le imponenti sue sostru-.
zioni a poliedri , ed il passo di Cicerone De Divin lib.
II. e. XLI. dove narra come Numerio Suffucio perso-
naggio onesto e nobile di Preneste, ammonito ripetuta-
mente da sogni, in ultimo luogo ancor minaccevoli, an-
dò a tagliare una selce, dalla quale spiccarono fuori in-
cise in legno di quercia le famose sorti prenestine, scrit-
te in lettere antiche. E questo luogo a' suoi tempi ve-
fievasi chiuso e religiosamente custodito pel gruppo del-
la Fortuna assisa , allattante Giove e Giunone. E nello
stesso tempo scorse miele da un olivo piantato nel luo-
go dove a'suoi dì vedevasi il tempio della Fortuna: vói
JFortunae nunc sita est aedes; del quale olivo per ingiun-
zione degli aruspici, che predissero la futura celebrità
di quelle sorti, fu fatta la cassetta, nella quale venne-
ro deposte le sorti stesse , che si ritiravano per ordine
della Fortuna : quae hodie Fortunae monitu toUuntur. E
soggiunge che la bellezza e la vetustà del Tempio, avea
fatto ritenere fin allora presso il volgo il nome di sor-
ti prenestine. Era quest'oracolo in tale celebrità sul fi-
nire della prima guerra punica, che il console Lutazio,
499
che poi la finì presso le ìsole Egati , ebbe divieto dal
senato di consultarlo, perchè con savio divisamento giu-
dicava doversi amministrar la republica con auspicii ro-
mani e patrii non con es tranci: Auspiciis enim patriis non
alienigenis rempublicam administrare oportere. Valerio Mas-
simo lib. I. e. IV. E tale fu la fama, tanta la venera-
zione, che riscuoteva il tempio della Fortuna, che Ovi-
dio Fast. VI. V. 61 e seg. designa Preueste col nome
di mura sacre della dea prenestina , e Lucano Phars. II.
y. 193 e seg. chiama i Prenestini, coloni della Fortuna:
Vidit Fortuna colonos ;,
Praenestìna suos ec.
II tempio primitivo copriva la parte inferiore della
£Ìttà compresa entro le strade odierne del Corso e del
Borgo, e la città primitiva lo circondava, e particolar-
mente innalzavasi verso la rocca; ma dopo che Siila di-
strusse la città, siccome fu notato di sopra, ampliò gran-
demente sulle rovine di essa il tempio, di sotto portan-
dolo fino alla odierna contrada degli Arconi, e di sopra
elevandolo fino alla contrada dello Scacciato dietro il
palazzo baronale , e questa grande ampliazione indusse
alcuni a credere il tempio della Fortuna, come edifica-
to primitivamente da Siila. Da quella epoca la fama di
questo tempio andò sempre crescendo , e viemmaggior-
mente salirono in credito le sorti prenestine, che essen-
do Preneste divenuta colonia romana non solo cessò ogni
gelosia per parte del senato di lasciar consultare il suo
oracolo dai magistrati, ma sovente, dopo la caduta della
repubblica, gì' imperadori stessi lo favorirono. Svetonio
in Domitiano e. XV. Lampridio in Alexandro Severo e.
IV. La legge però di Costanzo emanata l'anno 353 del-
la era volgare contro il culto antico, e soprattutto quel-
la dì Valentiniano IL e Teodosio promulgata nel 391
posero termine alla celebrità di questo antico delubro
500
del Lazio, e col farlo chiudere, e lasciarlo in abbandona
ne prepararono la rovina. Le successive scorrerie de'bar-
bari mossero gli abitanti a riparare fralle sue rovine: i
portici, ed i delubri furono ridotti ab abituri moderni,
ed a poco a poco questa mole immensa scomparve. Ri-
maneva però ancora intatta una gran parte delle ma-
gnifiohe sue sostruzioni, le antiche scale marmoree ser-
vivano ancora per le communicazioni degli abitanti , e
conservano la loro magnificenza, e vedevasi ancora tor-
reggiare sulla sommità de'ripiani il tempio rotondo della
dea, allorché nel 1298, come già si notò di sopra, per
ordine di Bonifacio Vili, furono smantellate le sostru-
zioni, distrutte le scale, atterrato il portico semicircola-
re , e demolito il tempio rotondo. E quello che per la
solidità resistette al piccone ed al fuoco di Bonifacio
fu deformato dagli abituri della popolazione e dalla suc-
cessiva distruzione del 1437 fatta per opera del Vitel-
leschi. La riedificazione ulteriore della città sugli avan-
zi del tempio apportò nuovi guasti, e prova di fatto è
lo stato in che vedesi ridotta una delle magnifiche sale
chiusa oggi nel seminario vescovile, e della quale si avrà
da ragionare j)iù sotto. ? > ii
L' altezza verticale del tempio dal piano della via
antica , che lambisce la gran conserva occidentale fino
alla sommità del tolo del tempio rotondo è di 450 pie-
di antichi, pari a palmi romani moderni 600, e di que-
st' altezza totale sono ancora in piedi i ruderi per 510
palmi, ossia piedi 382 e mezzo, cioè non mancano che
soli piedi 67 e mezzo per la totalità. Di fronte poi ha
nella base piedi 1275 di larghezza^ pari a palmi 1700:
questa larghezza si restringe a palmi 500 alla base del
corpo superiore, ed a 120 nell'area del tempio propria-
mente detto. L' edificio era rivolto a mezzodì come al-
tfi fra i templi più antichi del Lazio, e particolarmeu-j
501
te quelli ancora esistenti di Diana Aricina e di Giunca
ne Cabina, e quelli distrutti di Giunone Lanuvina e di
Giove Capitolino;
Essendo il tèmpio addossato alla falda del monte
Y6nne innalzato sopra varii ripiani a guisa di scaglioni,
o terrazzi: questi ripiani sono, come ò naturale paralle-
li fra loro « prova che tutti furono eretti per uno sco-
po medesimo ; ma la loro costruzione è diversa in tal
modo che d'uopo è riconoscere quattro epoche diverse:
imperciocché vi si trova la costruzione a poliedri , che
è quella del tempio primitivo , quella a parallelepipedi
pertinenti alla epoca della guerra annibalica , quella a
piccioli poliedri, o ciottoli, spettante ai tempi di Siila,
e quella laterizia della prima era imperiale; Ho notato
di sopra, che cinque sono i terrazzi o ripiani principa-
li: quello del giardino Barberini che io appello delie
Piscine: quello del Corso che io chiamo delle Aule: quel-
lo del Borgo che può designarsi col nome di medio: e
quello della Cortina, ossia dell' Emiciclo. Precedeva di-
nanzi la base di questa mole un'area grande circoscritta
da termini, onde dividere la parte sacra dalla cOmmu-
ne , o pubblica , a destra della contrada degli Arconi :
di questi termini , o cippi , simili a quelli del pomerio
di Roma, due ne furono scoperti nel risarcire la strada
l'anno 1824. E quest'area era circoscritta ne'lati da due
amplissime cisterne , delle quali quella verso occidente
rimane intatta; quella verso levante è sotterrata. In fon-
do all'area frai due avancorpi delle conserve, erano 29
fornici, de'quali i cinque centrali formavano una specie
di avancorpo, ed i 12 per parte andavano a riunirsi al-
le conserve : e di questi uno a sinistra , ed i dodici a
destra rimangono intieri , e per la loro costruzione si
riconoscono come una giunta fatta da Siila , onde pro-
trarre il piede del tempio verso la pianura e profittare
502
de'fornici per abitazione de'ministrr inferiori inservienti
al tempio. Le duo conserve, che fiancheggiavano 1' area
furono posteriormente aggiunte , come si riconosce per
la costruzione laterizia: esse furono edificate per racco-
gliere lo scolo delle fontane e delle piscine superiori ,
e formare un deposito di acque in servizio della cilt»
sottoposta. La conserva occidentale, che, come si disse è
intiera, per Fa vastità, per 1» belle/za della opera late-
rizia, e per la conservazione è uno degli esempj più ri-
marchevoli, che riinangano di tali opere. Il ricettacolo,
compresa la grossezza de'rauri è un corpo quadrilungo
che ha 320 piedi dì fronte e 100 ne'lati: internamente
è suddiviso in 10 aule , o corridoi , ciascuno de' quali
communica coll'altro per tre vani, ed era illuminato da
due spiragli, oggi ostrutti, meno uno esistente nei quar-
to corridore, il quale è aperto, e conserva nell' esterna
il pluteo circolare di travertino a guisa di bocca di poz-
zo, il quale mostra come fossero tutti gli altri. Questi
corridori sono rivestiti di finissimo astraco a stagno, ed
hanno ciascuno circa 80 piedi, o palmi 107 di lunghez-
za, e 24 piedi o 32 palmi di larghezza. Solo tre corri-
dori rimangono pratticabili , poiché gli altri sono pieni
di acqua pluviale^ e di quella che vi filtra da una mo-
derna fontana sovrapposta. Esternamente il lato occiden-
tale di questa conserva è ornato di sette nicchie : di
queste la quinta per chi giunge da Roma è più ampia
e rettilinea , mentre tutte le altre sono curvilinee : nel
lato meridionale se ne contano 24 , delle quali la duo-
decima è pur rettilinea, e più ampia. Quest'anomalia nel
sistema generale di tali nicchie mi porta a credere, che
queste nicchie rettilinee servissero d' incassatura per
contenere la iscrizione di chi edificò la conserva, e su
tal proposito giova di ricordare, che nella vigna Petruc-
cìui circa la metà del secolo passato fu trovato un mar-
503
ino aitò piedi 3, largo 9, colla iscrizione seguente fram-
mentata, che, se non voglia credersi quella posta in que-
sti rincassi, almeno è analoga ad essa: e questa lapide
dicea:
.... I . F * DIVI . IVLII . N . AVGVSt ....
IG . III . IMP . Vili . TRIB . POTEST . XVII . . .
la quale io credo, possa supplirsi nel modo seguente:
TI.CAES.DIVI.AVGVSTI.F.DIVI.IVLIÌ.N.AVGVSTVS
COS.II.DESIG.III . IMP . VIII . TRIB . POTEST . XVIII.
Questa lapide corrisponde all' anno 18 della era volga-
re in che Tiberio si designò console per la terza volta,
e la costruzione laterizia di questa conserva essendo
analoga a quella dei Castra Praetoria , si trova affatto
di accordò con questa epoca. Il lato orientale non ha
nicchie^ ma circa la estremità, una porticina, che mette
in una scala rivestita anche essa di astraco^ per la qua-
le discendesi al fondo della conserva. Il muro presso
questa porticina è ancor meglio costrutto del rimanente,
che pure è bellissimo, ed offre una precisione di strut-
tura, superiore ad ogni altra parte del tempio: esso è
ornato di due mezze colonne, laterizie anche esse, e di
ordine dorico.
I Per le scalèe di Siila ascendevasi dall' area fralle
due conserve al primo ripiano detto delle piscine, per-
chè aprivansi sopra di esso due vasti recipienti di acqua,
rettangolari, lunghi ciascuno 250 piedi, larghi 90, i qua-
li servivano per le sacre abluzioni. E questo ripiano
avea 1275 piedi di lunghezza e 260 di larghezza : era
lastricato di grandi poligoni di calcaria, siccome ricava-
si da due tratti considerabili , che ne rimangono , uno
sotto la casa Tommasi, l'altro sotto la casa Petrini. Del-
le piscine poi, visibile ancora, sebbene riempiuta dalle
macerie, è quella verso occidente nel giardino Barberi-
ni: di quella verso oriente si trovano vestigia nella casal
504
Fiumara : il pTuteo , che le cingeva era vestito di mu'-'
saÌQO bianco.
')'';• Dal ripiano delle piscine ascendevasi per due scale
a doppia rampa a quello delle aule : anche esso ave a
1275 piedi di fronte^ ma ne avea soli 82 e mezzo di
fianco;; e veniva pure coperto da massi poliedri di cal-
carla, de'quali una ttaccia ancora rimane, lungo la stra-
da detta il Corso, ad occidente della cattedrale. In fon-
do a questo secondo terrazzo, erge vasi sopra molti gra-
dini un edificio ben decorato e di stile purissimo , che
da Siila venne addossato alla sostruzione primitiva àeì
ripiano superiore. E questo corpo di fabbrica fu appel-
lato dagli scrittori moderni il delubro inferiore , nome
che non può dirsi improprio, ma che neppure è sicuro;
Malgrado il guasto apportato dagli uomini a questa par-
te, ancora si conserva la traccia della sua forma e de-
corazione. L'edificio si componeva di due sale oblonghe,
fralle quali aprivasi un'area: delle due sale quella ver-
sa occidente è presso che intieramente scomparsa: quel-
la verso oriente, ridotta all'uso vilissimo di cantina, cu-
cina, e dispensa del Seminario, andò soggetta a graTis-
simi guasti; nulladimeno una parte della decorazione si
è salvata, e questa serve a far riconoscere non solo lo
stato suo primitivo , ma ancora quello dell' altro : essa
compresi i muri ha 100 piedi di lunghezza , e 55 di
larghezza : e la sua fronte ancora in parte conservasi
sulla così detta piazza Tonda presso la cattedrale ; essa
era ornata di quattro mezze colonne di ordine corintio,
i cui capitelli rimangono ancora sul posto , e sono di
purissimo stile. Queste mezze colonne e gli archi era-
no costrutti di massi di tufa: i capitelli e le basi, come
pure tutti gli ornati interni sono di calcaria: il rimanen-
te è di ciottoli, o di opera incerta. Neil' interno erano
sette riquadri per parte, determinati alternativamente da
505
ftiezze colonne e pflastri, e questi riquadri probabilmen-
te servirono a contenere statue: innanzi ad essi ricorse
un magnifico podio, ornato a guisa di un fregio dorico
di triglifi con patere e rosoni fra loro , di uno stile e
di un taglio così puro , che pochi avanzi dell' antichità
possono gareggiare con questo : è molto probabile che
sopra questo podio fossero co^Uocate piccole colonne, le
quali determinavano la imposta della volta, ornata for-
se di cassettoni. In fondo aprivasi un nicchione rettili-
neo contenente tre nicchie per statue. II pavimento di
questo era di musaico figurato , ed è quello che ora
conservasi nel palazzo Barf>crini, conosciuto sotto il no-
me di musaico di Palestrrna , il quale rfa questo luogo
fu trasportato dove oggi si vede l'anno 1640 per ordi-
ne del card. Francesco Barberini colla direzione de'mi-
gliori artefici, e de'più insigni eruditi del tempo, e spe-
cialmente di Pietro da Cortona. Lungo sarebbe volerlo
qui descrivere, e d'altronde lo è stato da molti; ma non
sarà fuor di luogo di ricordare le opinioni di quelli che
ne hanno parlato, e nel tempo stesso azzardarne anche
una, che sembri meno allontanarsi dal vero. Kircher che
fu il primo che io conosca a trattarne di proposito vi
credette espresse le vicissitudini della fortuna, il card,
di Polignac il viaggio di Alessandro all'oracolo di Am-
mone, Volpi un fatto di Siila a noi incognito, Montfau-
con il corso del Nilo, Du Bos una carta geografica de'
paesi intorno a quel fiume, Winckelmann V incontro di
Elcna con Menelao in Egitto , secondo la tragedia di
Euripide, Chaupy l'imbarco de'grani dall'Egitto per Ro-
ma , Barthelemy il viaggio di Adriano ad Elefantine ,
l'avv. Luigi Cecconi gli eventi fortunati di Siila, ed in-
fine Fea l'Egitto conquistato dall'imperadore Cesare Ot-
taviano Augusto sopra Cleopatra e Marco Antonio. È
da osservarsi che non può cader dubbio sulla scena rapr-
506
presentata in questo musaico, perchè chiaramente tì si
vede effigiato l' Egitto, poiché egizj sono gli edificii, le
piante, e gli animali; non è neppure da dubitarsi delle
circostanze, giacché è cosa manifesta, che è nel momen-
to della inondazione nilotica; i costumi della gente bas-
^a e de'sacerdoti sono egizj, quelli al contrario de'prin-
cipali personaggi e de'soldati, sono macedoni; e neUHn-
sieme veggonsi tripudj, banchetti, caccio e sagrificj; dun^-
qile parmi doversi riconoscere in questo musaico espres--
si gli lisi che accompagnavano la inondazione del Nilo
durante il regno de' Tolomei. Alcuni degli animali sono
accompagnati dal loro nome scritto in greco, come il ri-
noceronte PINOKEPwC, il pofrco scimmia XOIPOI1I0H2,
le enidri ENYAPIC, i toanti 0OANTEC, lo xifi SIOIG,
la sfinge C^INElA, il crocota KPOKOTAC, l'iabu YA-
BOTC, la giraffa KAMEAonAPAAAiG , i ceiti KHI-
TIEC la leonessa AEAINA la lucertola cubitale CAYPOC
DHX ... la lince ATNS l' orso APKTOG e per errore
dell'artista APKOC, la tigre TIEPIC, l' asino-centaures-
sa H ONOKENTATPA , il coccodrillo terrestre KPO-
KOAIAOC XEPCAIOC il coccodrillo pantera KPOKO-'
AlAOnAPAAAIG.
E questo musaico sembra essere" copia di un mo-
numento più antico, poiché il lavoro, e la forma lunata
djelle lettere ne inducono a crederlo eseguito circa il
tempo de'Flavj, e la cosa sarebbe dimostrata, se come
si sostiene da Leonardo Gecconi nella storia di Palestri-
na vi era scritto PINI OPVS; imperciocché Gornelio Pi-
no pittore fu appunto impiegato da Vespasiano a dipin-
gere il tempio dell' Onore e della Virtù, siccome narra
Plinio lib. XXXV. e. X. Giò che però non va soggetto
a dubbio é che questo musaico non può confondersi
affatto coi lithostrota, o pavimenti lastricati di marmo ,
uno de'quali a scudetti o piccole lastre fu fatto da Sii-
507
la nel tempio della Fortuna, secondo Plinio lib. XXXVI.
e. XXV ; poiché non può in modo alcuno applicarsi it
parvulis crustis di quello scrittore a tasselli del musai-
co. Il resto dell' aula era lastricato di musaico bianco ,
e ne rimangono ancora le vestigia. L'altra aula come di
già venne indicato di sopra è presso che intieramente
scomparsa ; e le poche vestigia , che Ite rimangono non
si oppongono a crederla della forma di questa^ ma for-
se però nel nicchione non vi erano le nicchie piccole
per le statue. È pur probabile , che il pavimento fosse
ornato con musaici analoghi all' altra. Fra queste due
sale, l'area rettangolare esistente avea 190 piedi di fron-
te e 70 di profondità: ne' lati era circoscritta dai muri
delle due sale: di fronte poi v'era una fila di colonne,
delle quali tre , sebbene troncate sono ancora al posto
loro, e visibili, inserite nel muro della cappella del ce-
meterio , che separa questa da quella del Sagrameuto
nella cattedrale. Ed a queste colonne pure apparteneva-
no alcuni capitelli , già abbandonati ne' dintorni della
cattedrale , ed oggi riposti nel palazzo municipale. In
fondo a quest' area ricorreva un corridore ornato nella
faccia esterna di mezze colonne , fra le quali riccorre^
vano nove fenestre con riquadri fra loro ornate di mo-
dinature molto gentili; di queste fenestre due rimango-
no ancora intiere, e tre sono dimezzate, che si veggo-
no nel cortile del Seminario. Il pavimento di questa
area era di lastre quadrilatere di travertino circoscritte
da una fascia di musaico bianco. E prima che Siila edi-
ficasse questo corpo sorgeva in questa parte una spia-
nata lunga 810 piedi e larga 90, sostenuta da muri co-
strutti di massi poliedri, de'quali una parte rimane an-
cora intatta nel rimessone Lulli.
A destra e a sinistra di questa spianata aprivansi
scale a due rampe, sostenute pure da muri di poliedri.
508
e dietro a questa è il gran muro di sostruzione del ri-'
piano medio, costrutto nell» stessa maniera, ed il qua-
le nel punto denominato la Rifolta conserva 1' altezza
sua originale. Il ripiano medio corrispondeva almeno in
parte all'odierna contrada del Borgo: verso oriente era
aderente al muro di recinto della città , dove rimane
ancora la porta antica, oggi chiusa presso quella deno-
minata Portella. Dietro questo ripiano una sostruzione
pUre a poliedri reggeva il ripiano superiore dove credoy
che in origine fosse il tempio, prima che Siila lo por-
tasse ad una elevazione molto più considerabile sopra
il palazzo baronale. Di questo ripiano, oltre il muro di
sostruzione già indicato , rimane ancora in più luoghi
il pavimento di poligoni di calcarla, sì nella via publi-
ca^ che nella casa Tommasi. In mezzo alle due rampe
che da questo ripiano conducevano a quello delle esse-
drc , opera sillana come tutto il rimanente della parte
superiore, sporgeva in fuori una edicola con recesso
sotto: del quale è ancora in piedi l'àfco interno.
Il ripiano delle essedre ò sostenuto da un muro
solido di opera incerta, alle cui estremità sono due gran-
di archi più vasti ancora di quello centrale, i quali era-
no ornati di statue, e di fontane, delle quali rimane an-
cora nell'orto Petrelli lo speco, che conduceva l' acqua
a quella verso occidente. Il ripiano delle essedre , che
sostiene quello della Cortina trae nome da due essedre,
o diete semicircolari, magnifiche , che ne formavano la
decorazione , delle quali quella verso oriente è ancora
riconoscibile , e si chiama la grotta Petrelli , essendo
proprietà di questa famiglia, essa è ornata nell' interno
di quattro colonne di calcarla d' ordine corintio , e di
cassettoni quadrati nel soffitto , che conservano ancora
in cinque fori le traccie de'cassettoni di bronzo, che li
adornavano. Queste essedre furono erette probabilmea-
5d9
(e, onde potessero servire di trattenimento e di riposo
a quelli che venivano a consultare le sorti: ed è proba-
bile che il recesso in mezzo, immediatamente posto nel-
l'asse del tempio, sìa quel luogo chiuso religiosamente,
ricordato da Cicerone, dove eransi rinvenute da Nume-
rio Suffucio le sorti prenestine , e dove a' suoi giorni
vedovasi la Fortuna effigiata in atto di allattare Giove
e Giunone , siccome fu notato di sopra ; come pure è
probabile che ivi si conservassero le sorti. Infatti che
fosse un luogo più riguardato si riconosce dall'osserva-
re che era preceduto da una specie di vestibolo e chiu-
so da porta. Fra questo recesso e le essedre, fra le es-
sedre , e le estremità del tempio si riconosce una fila
di camere separate una dall'altra, che esternamente of-
frivano l'aspetto di un bel portico, arcuato, ed mterna-
mcnte furono altrettante celle di abitazione per i sacri
ministri , e gli interpreti delle sorti. SuU' estremità di
questo ripiano erano le scale , che si dirigevano alla
sommità di tutta la mole,, cioè al tempio rotondo.
Dal ripiano delle essedre passavasì a quello del
tempio propriamente detto: la sostruzione che lo regge-
va avea ancor essa una fila di celle arcuate di fronte ,
pure per abitazione de'sacerdoti. Il ripiano racchiudeva
un' area quadrilunga di 300 piedi di fronte e 150 di
fianco, area che era destinata ai sagrificj, e che veniva
fiancheggiata da un portico doppio di colonne di ordine
corintio: di fronte era aperta onde poter godere la vi-
sta imponente delle campagne latine, e solo vi ricorre-
va un pluteo, o parapetto: in fondo poi fra due portici
rettilinei che erano una continuazione di quelli di fian-
co , aprivasi in mezzo una magnifica gradinata semicir-
colare , per la quale salivasi ad un portico di colonne
pur semicircolare , oggi ridotto a palazzo baronale. E
sopra questo emiciclo entro un' area rettangolare largu
510
75 piedi, lunga 90 sorgeva a guisa di corona il tempio
rotondo, che era V Aedes Fortunae, dove secondo Cice-
rone nel luogo notato avea esistito l'olivo, dal quale
era scorso miele, e di che erasi fatta l'arca che conte-»
ne va le sorti prenestine, Una iscrizione frantumata, che
ancora si legge al suo posto nel fregio de' due recessi
arcuati sottoposti all' emiciclo mostra , che uà tempo ,
questa parte fu fatta, e le statue che conteneva furono
ristaurate dai Decurioni e dal Popolo Prenestino: DEC.
POPvlvsqve , praenesTINvs . FAcivndvm COER . ET . SI-
GNA RESTII. Del portico dell' emiciclo non rimango-
no traccie: di quelli dell'area sotto di esso una base si
vede nel pianterreno della casa del sagrestano di s. Ro-
salia, e due colonne e mezza nelle carceri publiche. Dell'
emiciclo non si conserva che la forma. E del tempio ro--
tondo non rimane più alcuna traccia essendo stato, co-r
me si vide , intieramente distrutto da papa Bonifacio
Vili, nel 1298.
Oltre gli avanzi del tempio entro il recinto antico
della città , ed immediatamente presso di esso trovansi
rovine importanti. E primieramente uscendo dalla porta
s. Francesco incontrasi a sinistra uno speco che ha un
piede e mezzo di capacità , del quale conservasi soltan-
to il masso. Di là scendendo e costeggiando il recinto
del chiostro de' pp. riformati si veggono le mura di
massi poliedri dell'antica città, ed un mezzo miglio do-
po sull'altura sono i ruderi di una conserva. Seguendo
Io stesso viottolo ve desi a destra un'altra vasta conser-
va lunga piedi 240. larga 204 , di forma quadrilatera ,
parte rivestita di ciottoli, parte di reticolato, con lega-
menti , e tutta intonacata di astraco , o opus signinum.
Evidentemente mostra essere stata divisa internamente
in varie sezioni determinate da pilastri: i muri, che la
circoscrivono conserrano nel lato interno le traccie di
511
12 pilastri ne* lati lunghi, 10 ne' Iati minori, onde può
.credersi che nove sezioni erano quelle da nord a sud
ed 11 da oriente ad occidente. Di queste, traccio visi-
bili sono i 10 pilastri attaccati al lato settentrionale 9
di quelli addossati all'orientale, e 7 di quelli addossati
all'occidentale: di quelli del meridionale non rimane trac-
/cia veruna. Questa conserva trovasi in una situazione
più alta di quella prossima ad essa verso oriente , la
quale è con maggior Regolarità costrutta di scaglie ed
intonacata di astraco , e cogli angoli interni smussati ,
con scala per iscendcrvi larga piedi 115, lunga 150 con
nove pilastri nel lato maggiore, ed otto nel minore.
Dentro la città stessa nell' orto Scavalli sotto la
chiesa di s. Antonio è una schola di opera incerta, ade-
rente alla quale verso oriente è una parete di opera
mista con tre nicchie, due rettilinee ed una curvilinea
che forse è un avanzo di cella di un tempio del secon-
do secolo della era volgare, separato affatto e fuori del
recinto del tempio grande. ...raiii ; li ^.^i-
La cittadella antica, oggi Monte s. Pietro è aWi^'lèPr
titudine di AV SO' 44" ed alla longitudine di 30" 33'
4", 5: essa è alta sul livello del mare piedi parig. 2145,
4. e non conserva di antico altro che, una parte delle
mura a poliedri , ed un piedestallo nella chiesa di s.
Pietro , che serve oggi di vaso per T acqua santa , su^
quale leggesi una iscrizione a Publio Elio Tirone figlio
di Publio, della tribù palatina, salio dell'arce albana, a
cui l'imperador Commodo nella età giovanile di soli an-
ni 14 accordò il commando de' cavalieri Brauconi ( di
^rummt presso Strasbourg ) , ed a cui avendo i decu-
rioni decretata una statua , il padre P. Elio Blando ne
assunse le spese. La chiesa stessa sebbene di vecchia
(lata, polche ne fa menzione s. Gregorio ne'Dialoghi, è
^utta moderna essendo stata riedifica ti^ nel secolo Xyil.
312
,e ristaurata nel pontificato di Clemente XII. In essa è
.un buon quadro di Pietro da Cortona rappresentante
Gesù Cristo , che dà a pascere il suo gregge a s. Pie-
tro: ed una statua dello stesso santo titolare di stile
berninesco. Come luogo fortificato la cittadella è un po-
sto assai vantaggioso, poiché domina tutte le terre din-
torno , e perciò Pirro , secondo Floro vi salì nel venir
contro Roma: a destra in fondo si vede Roma: si ricono-
scono Collazia, Gabii, Scaptia, e Querquetula: dirimpetto
si schierano Tusculo, e Monte Porzio, Monte Compatri, La^
bico o la Colonna, Corbio o Rocca Priora, la selva algi-
dense, l'arce Carventana, e Velitre; a sinistra Artena o
Monte Fortino, Valmontone, Signia o Segni, Anagni, Pa-
liano, Genazzano e Cave; di dietro poi Rocca di Cave,
Capranica , Poli , e Tivoli. E questo sito fu scelto dai
Colonnesi come centro del loro dominio ne'tempi bassi:
ancora conservasi la loro fortezza, sebbene diroccata, co-
strutta di opera saracinesca: e sulla porta è il loro stem^
ma fra le iniziali S C, cioè Stephanus Columna, il quale
riedificò la città col monte e la rocca nel 1332 sicco-
me si legge nella lapide sotto lo stemma sovraindicato
in caratteri gotici: ; >- * !.
Mhih .immi MAGNIFICUS DNS STEFAN^••.•; ,....; v .r
/ ib tóf^iJ DE COLUMNA REDIFICAVIT jì *na
CIVITATEM PENESTRE CU ,0fJaiÌ
MONTE ET ARCE . ANNO fd jI r^sp
>^jmB)lk: *).'>ifiMiÌ9b tìiiiì»: , 1332 iiinl t^Ùah .oii'du'l ii>
Nétta contrada degli Arconi, a déàtra di chi va da
Roma a Preneste é un orto detto di porto , nel quale
aderente quasi alla via è un bel castello antico di acqua
con fontana di opera laterizia del I. secolo dell'impero:
questo per analogia di costruzione e per livello si rico-
nosce essere stato fornito dalla gran conserva detta il
Mìa ■ cDt hirfiU^jAthim ì'MAi'. t^riWfm cni'jbu:!: ui'v.
513
Sotterraneo: dietro questa fontana ò il recipiente diviso
in due piani e rivestito di opera fina di aslraco: ciascun
piano si suddivide in tre camere. '
All'esterno per tre lati e semplicissimo ed altra interru-
zione non presenta che una risega dove coincide la di-
visione de' due piani interni; nel quarto lato però cioè
verso oriente era il prospetto della fontana, il quale ve-
niva ornato con tre nicchioni rettilinei, e sotto ciascun
di questi rimane lo speco, donde sgorgava l'acqua. Nel
nicchione di mezzo sono lateralmente due nicchiette per
statue, sebbene danneggiate e rotte esistono ancora en-
tro l'orto, e sono di buono stile: una rappresentava un
Fauno, e di questa non rimane che una parte del tor-
so , r altra una Ninfa seminuda. Presso questo castello
sono pezzi di corniciami bene eseguiti del tempo degli
Antonini. L' emissario poi di questo castello si ravvisa
scendendo nel piano inferiore del recipiente, poiché ester-
namente rimane sotterra. Questo castello, come tutti gli
altri ruderi da questa parte appartengono alla seconda
Preneste, ossia alla colonia sillana, la quale estendevasi
fino alla contrada delle Quadrelle 1 miglio e mezzo sot-
to le prime sostruzioni del tempio, dove furono rinve-
nuti nel 1773 per opera del card. Stoppani i frammen-
ti de'Fasti di Verrio Fiacco ricordati da Svetonio, illu-
strati con dotta opera dal Foggini, e da me per ordine
del card. Vidoni, che n'era il proprietario, dati alla \ìf-
ce ristaurati l'anno 1825.
Oltre gli avanzi del castello , entro i limiti della
seconda Preneste, 1 miglio circa distante da Palestrina
sono le grandi rovine della yilla imperiale edificata da
Adriano circa l'anno 134 della era volgare come si ri-
cava da'marchi de'mattoni che portano il terzo consola-
to di Serviano, dove stando a villeggiare Marco Aure-
lio vi perde il figlio Vero Cesare in età di sette anni.
33
514
Questi avanzi danno nome ad una chiesa rurale detta
s. Maria della Villa e si estendono per circa tre quar-
ti di miglio: sono di opera reticolata con legamenti la-
terìzii, simile affatto a quella della villa Adriana. Ri-
mangono in gran parte gli anditi del pianterreno , ma
questi non sono tutti pratticabili , in quelli però in che
può penetrarsi si riconosce, che furono destinati a conser-
ve, come si prova per gli angoli smussati, per le trac-
eie ancora esistenti della opera signina di che erano ri-
vestiti, e dei contraflTorti arcuati di opera mista che al-
l' esterno le consolidavano. Due fontane ancora possono
tracciarsi , una di forma rotonda verso nord ovest , e
l'altra col suo recipiente dietro, ad oriente della chiesa.
Frai ruderi di questa villa fu dissotterrato il bello An-
tinoo di Braschi , nuova conferma della epoca adrianèa
in che venne costrutta la villa.
Sulla strada vecchia di Palestrina e Cave un mi-
glio distante dalla porta del Sole è il ponte detto dello
Spedalato , di là dal quale entro la vigna adiacente è
un edificio di forma ottangolare, rovinato, di costruzio-
ne del IV. o V. secolo della era volgare , coli' ingresso
rivolto verso la via , e nicchie alternate rettilinee sotto
e fenestre sopra , corrispondenti a queste. Ora questa
fabbrica ha molta analogia col preteso tempio della Tos-
se a Tivoli sì per la pianta , come pure per la costru-
zione materiale, e forse come quella fu una chiesa cri-
stiana del IV. o V secolo. Più communemente lo cre-
dono il Serapèo edificato da Gaio Valerio Ermaisco se-
condo una iscrizione riportata dal Suarez nella sua Prae-
neste antiqua p. 51 : altri Io hanno supposto un tempio
del Sole : altri la Schola Faustiniana , e questa ultima
opinione è affatto contraria alla forma, ed alla struttu-
ra della fabbrica.
. Il Foro della Preneste sillana si colloca commuuc-
51;>
mente a pie della conserra occidentale del tempio del-
la Fortuna Prenestina fra la chiesa di s. Lucia, e quel-
la della Madonna dell' Aquila per molti monumenti ivi
trovati, e specialmente per le iscrizioni ad onore di Ti-
berio , di Giuliano , di Postumio , di Anicio Auchenio
Basso , per due colonnette consagrate dai pretori Caio
Magulnio Scato , e Gaio Saufenio Fiacco , e per le are
della Pace e della Sicurezza ricordate di sopra; sembra
però fare ostacolo a questa opinione il ritrovamento
de'Fasti di Verrio Fiacco fatto nella contrada delle Qua-
drelle molto di là distante , mentre Svetonio nella bio-
grafia di quel grammatico dice che ebbe una statua in
Preneste in inferiore Fori parte contra hemicyclium :in
quo fastos a se ordinatos, et marmoreo parieti incisos pu-
blicarat. Ma dall'altro canto le moltiplici scoperte ricor-
date di sopra debbono preferirsi a quella di frammenti
che poterono andar soggetti a traslocazione.
Presso Preneste furono ville sontuose degli antichi
Romani; una ve n' ebbe Plinio il giovane da lui stesso
ricordata lib. V. epist. VI. una ve ^'ebbe pure il <;ele-
bre Simmaco lib. III. epist. L lib. VII. ep. XXXV. Seb-
bene si attribuisca a quest'ultima una lunga sostruzio-
ne a colle Martino , nulladimeno è finora incerto dove
si questa come l'altra fossero collocate .. , . ,
■-^.ùm.m^U- PALIANO. ■■;
ìpalltanum. :'^*
È uno de'capiluoghi, o governi del distretto di Ti-
voli, situato ad oriente di Paicstrina, e nella sua dio-
cesi , entro il territorio degli Ernici , e che racchiude
3402. abitanti. Forte per natura fu successivamente in
516
varie epoche questa Terra rafforzata da mura, torri, e
bastioni, e da una cittadella, o castello, specialmente nel
secolo XVI; uno solo è l' accesso, pel quale vi si può en-
trare , ed ancor questo è per mezzo di un ponte le-*
vatojo.
La memoria più antica di Fallano rimonta al 'sé-*
condo periodo del secolo VI. giacché nella Cronaca Su-
blacense riportata dal Muratori si ricorda la chiesa di
s. Sebastiano acquistata da Giovanni abbate in Palliano,
la quale rifabbricata ancora conservasi a destra della
via che dalla osteria della Buffala conduce a Piglio. La
origine del nomo deriva da un fondo della gente Follia,
e da Fundus Follianus per transizione di pronuncia si
fece Fallianus, L' anno 1184. erasi certamente formato
un villaggio, poiché nella cronaca di Fossa Nova ripor-
tata dall' Ughelli Italia Sacra Tom. X. e dal Muratori
Rerum Italicarum Scriptores Tom. VII. si legge, che i
Romani il dì 19 di aprile lo presero e l' incendiarono.
Il card, di Aragona nella vita di Gregorio IX. riferisce
come quel papa nel 1232 affine di porre un termine
alle discordie intestine , che laceravano questa Terra ,
come quella di Serrone, donjinate da pochi individui, la
occupò, ordinò che fosse custodita , la cinse di fosse e
di un alto muro, e la munì di una torre altissima: ca-
ptunij dice il testo publicato dal Muratori nel tomo III.
àe Rerum Italicarum Scriptores, decrevit ad opus sedis Or
postolicae custodiri, eodem fossatis praeruptis muro sublimi
et excelsae turris praesidio comm/unito. Gli atti di questa
vendita per parte de'condomini e dell'acquisto per par-
te di papa Gregorio IX. possono leggersi nel tomo pri-
mo delle Antiquitates Medii Aevi di Muratori p. 681. e
seg; in essi si nomina la Rocca e Castro Paliani, la Roc-
ca e Castro Serronis : e i condomini sono Oddone Co-
lonna signore di Ole vano, Trasmondo de Tineto, Luca
517
da Fallano, Pietro Finto, Bartolomraeo Finto, Pietro da
Paliano, Jacopo, ed Ungaro, Pietro Vecchio, Tommaso di
Niccolò da Miro , Teobaldo di Gregorio , e Nicolò Ma-
caranno, che s'intitolano tutti signori di Palliano domini
de Paliano. A questa prima cessione e vendita accedet-
te nel 1236 Guidone di Giovanni Rolando , come rica-
vasi dall'altro documento riferito dallo scrittore sovral-
lodato p. 701. e seg. Nel 1378 erano feudatarii di Fa-;
liano i Conti di Segni Ildebrandino ed Adinolfo , e fu-
rono come tali riconosciuti da Urbano VI. ma nel 1389
vennero dallo stesso papa discacciati. Bonifacio IX. suo
successore li rintegrò dichiarandoli vicarj di quella ter-
ra per 29 anni. Giovanni XXIII. estese tal investitura,
a favore d' Ildebrandino fino alla lerza generazione. I
Conti da quella epoca ne rimasero in possesso fino al
pontificato di Martino V. Colonna, il quale mentre con-
fermò loro tutte le terre che possedevano dispose di
Paliano e Serrone a favore di Antonio, e Odoardo suoi
nepoti , dichiarandoli vicarj. Veggasi il Ratti nella Sto-
ria della Famiglia Sforza T. II. p. 222. e seg. Da quel
tempo il titolo anche oggi rimane ai Colonnesi. La vi-
cinanza di tanti possedimenti della famiglia Colonna^ che
attorniavano questa Terra dovea condurre tosto o tardi
sotto il suo intiero dominio Fallano, che dapprima non
era, se non in parte posseduta da loro. Nelle vertenze
fra Sisto IV. ed i Colonnesi, le genti del papa l'assedia-
rono: Prospero Colonna chela difese valorosamente, te-
mendo di qualche tradimento, mandò i figli de'principa-
li abitanti come ostaggi a Genazzano , accompagnando
questo fatto colla terribile minaccia di farli trucidare.
Terminata quella angustia, sopraggiunse nel 1526 1' al-
tra di Clemente VII. che irritato fortemente contro i
Colonnesi devastò la contrada. Eransi appena rimargina-
te le piaghe di questo disastro che nel 1541. Pier Lui-
518
gi Farfense la prese. Nel 1553 Marcantonio Colonna- oc-
cupolla con le truppe, che a soccorso del regno di Na-
poli portava, e con gravissimo scandalo, poiché occupol-
la contro il padre suo Ascanio. Ma nel 1556 insorte fra
Paolo IV. e Marcantonio Colonna gravissime vertenze,
il papa privò Marcantonio di tutti i suoi feudi e cre6
duca di Palliano il suo nipote Giovanni Caraffa, quella
stesso al quale poscia per ordine di Pio IV. fu molla-
ta la testa : in tal circostanza i Caraffeschi ridussero le
fortificazioni della terra come oggi ancora si veggono,.
in modo da renderla per que'tempi quasi inespugnabile.
Nella convenzione dell' anno 1557 fra papa Paolo IV..
ed il duca d' Alba venne deciso che Paliano fosse con-
segnato ad una terza persona, ovvero smantellato rima-
nesse al duca Giovanni Caraffa. La vittoria riportata da
Marcantonio II. a Lepanto fece restituire PaMano a que*
sto erede insieme con tutti gli altri beni paterni, e da
quella epoca la casa Colonna ne gode il pacifico pos-
ggjjg^j^ '.■il Vi ì.uj:j5ji*7* .jiwiv Hobfl^iei.'Iyjh ^ i^ffion
'^*'i' Ne'dintorni di Paliano fu il Fundus Cjesaria^
nÒs donato da s. Gregorio alla chiesa de' ss. Giovanni
e Paolo , e ricordato nella lapide di Costantino papa ,
esistente presso la sagrestia di quella chiesa, nella qua-
le tal fondo si pone al XXX. m. della via prenestina ,
distanza, che coincide al bìvio che a sinistra conduce
direttamente ad Olevano, radendo il colle del Corso, e
a destra mena a Paliano. ' ^^^ ^^nv<Hn:}^y^'HY>m^. u,am
• ir^i ) :!-!f| yi; iI;:ì\ i ; ; "''■Ti uihknji ih oheotfi
oIiUv«i2fif|nKw;Mi r:^^^'^^ PALIDORO. '"-ot 90103 - f^fietidr. H
.sniibfoijfJ Wiià ih «iobBr»iar ^ÌUlhi^ì ^m oU&% (^K'^q)
-le -l 0§Ci ìsù mur'vr ^ ^ ^fHG^p• str.ntf(m>
i «/iJ'.oD o$nBi{tahi>i|j(UltOnUtn.. , f)jii8tìi.'>D Ih F,iì
Vasto lenimento dell'Agro Romano traversato dalla
519
via aurelia, ossia strada di Civitavecchia, il quale com-
prende circa rubbia 685. Appartiene ali' ospedale di s.
Spirito: confina colle tenute di Torrimpietra, Ceri, Palo,
Maccarese, e Castel Campanili e colla spiaggia del ma-
re: è diviso ne'quarti denominati Valle Romana, Osteria;
Ortaccio, o Mentuccia, Grottoni, o Statua, Palo, e Cam-
posanto, gtlifi'i > i<ifiiìi> ìmh, rM
Il suo nome è una leggiera alterazione di quello
di Paritorium col quale viene designato nelle bolle di
Benedetto Vili, dell'anno 1019 e di Leone IX dell'an-
no 1049, riportate dall' Ughelli, Tomo I, come confine
del vescovato portuense, nome che sebbene abbia qual-
che somiglianza di suono , nulla ha di comune con la
città latina di Politorium come alcuno credette. Nel
1480 era un castrum che viene ricordato in un atto esi-
stente nell'archivio Capitolino Tomo LXVI. fol. 12. Nel
secolo seguente venne in potere de'Muti, ed allora era
diviso in tre casali denominati di Palidoro , s. Angelo ,
e Castel Lombardi , i quali furono insieme venduti per
scudi 80,000 alla sorella di Sisto V. Camilla Peretti sul
finire del secolo XVI. siccome si legge nel Ratti Storia
della Fam. Sforza T. IL p. 352. Dai Peretti nel secolo
seguente questa tenuta venne in potere dell'ospedale di
s. Spirito che né il proprietario attuale.
' Il casale è a destra della via poco più di 18 m.
lontano da Roma , ed è composto di un gran fabbrica-
to, di una chiesa, e di qualche casa. Il lato del casale
propriamente detto, che guarda la via, è fondato sopra
un ponte antico della via aurelia primitiva, ponte a due
archi oggi quasi interrati, sotto il quale un tempo pas-
sava il fosso di Palidoro che però almeno fin dal seco-
lo XIII. in che venne costrutto il casale attuale la pri-
ma volta, teneva già un altro corso. La fronte di questo
monumento presenta 63 piedi, e 15 ne ha di grossezza:
520
i massi sono grandi, irregolari, tendenti però alla figu-
ra di parallelepipedi, il più lungo de'quali da me misu-
rato ha quasi 9 piedi di lunghezza e 2 e un quarto di
altezza, in essi ravvisansi le morse o addentellature per
legare uno strato coll'altro, mentre dall'altro canto non
si è avuta eura per evitare il ribattimento delle com-
mettiture fra uno strato e l' altro, caratteri di un' antir
<;hità assai remota da far credere il poute anteriore an-
cora al dominio romano da questa parte ed opera etru-
sca. I massi che compongono gli archi sono cuncati , e
rotondati : alcuni hanno mediocri dimensioni , ma tutti
mirabilmente sono insieme connessi. Questo ponte era
fiancheggiato da sostruzioni , le quali vennero coperte
dai contrafforti ed altre costruzioni del moderno casale.
Nella chiesa è 1' arma di papa Pio VI : nel casale veg-
•gonsi qua e là frantumi di colonne, indizio di qualche
ff^\)hrìcsL antica in questi dintorni.
, vi- Di là dal casale è la osteria di Palidoro : al XX.
< ^* •
miglio poi nell'ultimo confine di questa tenuta,, dove a
destra distaccasi il diverticolo di Ceri veggonsi le rovi-
,pe del castello di Statua eretto nel secolo XIII. presso
^avanzi antichi di opera reticolata appartenenti probabil-
,mente ad una villa e non all' antica città marittima di
Alsium , come alcuni ingannati da queste rovine prete-
sero, e della quale si, parlerà più sotto all'articolo PALO.
Qtì^^tP; I castello fu de' monaci di s. Anastasio alle Tre
•Fontane fino all'anno 1404 in che lo vendettero per ri-
staurare il loro monastero alla Camera Apostolica , sic-
come prova c»n documenti il Ratti nella Storia di Gen-
zanoy riportando nell'Appendice al n. Vili, il beneplaci-
to di Bonifacio IX per l'alienazione di tal fondo ,^ che
- ?poi rimase incluso nel vasto lenimento di Palidoro e die
/nome ad una parte di esso; ed al num. IX. il breve
diretto a Corrado.vescovo di Malta dallo stesso papa per
521
venirne all'acquisto per la Camera Apostolica, dal qua-
le apparisce, che nel secolo precedente, era questo ca-
stello per le guerre propter guerrarum discrimina, ed
altri inconvenienti rimasto diruto, e disabitato, onde i
monaci da 30 anni poco, o nulla ne aveano ricavato, e
che era in tal decadimento da non rimanere più speran-
za di riparazione : etiam spe cessante quod Statua repor
retur. Quindi si conosce la epoca dell' abbandono e ro-
vina di questo castello coincidere con quella in che i
papi rimanevano ancora in Avignone. Quasi dirimpetto
alle torri smantellate di Statua sulla mano sinistra è un
sepolcro antico. . .,„.,! i. 1;
Io credo che la villa sovraindicatai , ed il sepolcro
appartengano a Verginio Rufo, villa che poi fu della suo-
cera di Plinio il giovane,;e della quale egli stesso par-
ia lib. VI. epist. X. E la magnanimità di Verginio si
attesta da Dione lib. LXIII. narrando , come ricusò
l'imperio offertogli dai soldati dopo la morte di Nerone,
onde ordinò che si scrivessero sul suo monumento que-
sti due versi riportati da Plinio l. e. e lib. IX. ep. XX;
HIC SITVS EST RVFVS PVLSO QVI VINDICE QVONDAM •
, V)1aOf{;' IMPERI VM ADSERVIT NON SIBI SED PATRIAE.
Della virtù di questo capitano, che due volte ricusò
r imperio, che tre volte fu console, ed ebbe da Nerva
l'onore di un funerale publico , e di essere lodato ne'
Rostri da Tacito , veggasi oltre Plinio nella prima epi-
stola del libro secondo , anche Tacito Histor. lib. I. e.
Vili. IX. LXXVII: lib. II e. XLIV. LI. LXVIII. Il suo-
lo in questa parte è formato da una specie di grès con-
chilifero, il quale fornì i materiali non solo per la vil-
la villa antica di Statua, ma ancora per tutte le fabbri-
che antiche di questo tratto Ano al mare. Infatti a si-
nistra veggonsi le antiche cave di questa pietra a stra-
to aperto, abbandonate da lungo tempo: ed altre se ne
5^2
reggono a destra poco prima di entrare nella tenuta di
Palo. Alcuni potrebbero credere che a questa pietra
alluda Vitruvio lib. II. e. VII. allorché parla delle pie-
tre di natura molle, che cavavansi ne'contorni di Roma
e nomina le Pallienses, parola che i commentatori han-
no voluto correggere in AlUenses, e che in questo caso
dovrebbe emendarsi in Alsienses; ma la distanza da Ro-
ma mi sembra apertamente opporsi a simile congettura.,
' -^' -■ ".;-"i>.'i>''» . /-^ "■-'
oìPjiimÌjHV kntfi) PALIAVICINA. f«^'i H'^ì
ni? >5* A^t^ins-»' o«fti«i Mrtfffix ijttc,' ih r.ì^Ì^*tUìn(iVr i^'fiiì '*Mii
É il nome di un casale e di un lenimento , posto
sul lembo del territorio di Zagarolo fra il fiume Osa ed
il fosso di ponte del Fico. Il casale è sopra un ripiano
di un colle, in una situazione ridente, quasi dirimpetta
alla Colonna dal canto di sud-ovest, ed a Monte Massi-
mo verso nord-est. Tediasi l'articolo MONTE MASSIMO.
II nome lo trae dalla famiglia Pallavicini che possedet-
te il fondo. La strada per andarvi parte a sinistra del-
la via labicana al XV miglio da Roma presso la oste-
ria della Colonna, e traversando le terre, raggiunge do-
po 4 miglia la via prenestina antica presso Cavamonte,
lasciando a sinistra il Monte Massimo. Notai a suo luo-
go , che questo tratto già pertinente alla tribù Scaptia
venne compreso nel secolo Vili, nella Massa Aliana. Io
percorsi questa strada , e spaziai a destra e sinistra in
modo da rimaner convinto , che non rimangono traccio
di fabbriche antiche. Il tenimento sovraindicato è nella
massima parte entro i limiti dell' antico agro labicano ,
sul confine però del gabino, del pedano, e del preoe-
523
1 PALMÀROLA, s
. le- ouri ufi^uH
Tenuta dell'Agro Romano, posta fuori di porta An-
gelica circa 5 m. lontano da Roma, pertinente al capi-
tolo di s. Pietro in Vaticano , e confinante con quelle
dette del Marmo, Mimoli, Luchina, Mazzalupo e Porca-
réccio, divisa in tre quarti. Comprende rubbia 226 ed
un quarto. Nella bolla di Leone IV. a favore del mo-
nastero di s. Martino adiacente alla basilica vaticanj^i 1
cui beni poscia furono riuniti ad essa, bolla che appar-
tiene all'anno 854 della era volgare, fra le altre possi-
denze a quel monastero assegnate si trova notato un
fundus PcUmis, come posto 5. m. lungi da Roma per la
via Claudia, o Clodia, che è la stessa della Cassia, nò^
me che a quella epoca davasi tanto alla strada di Acqua
Traversa, quanto a quella di Monte Mario, che si con-
giunge con questa alla Giustiniana. La distanza da Ro-
ma coincide , onde può credersi il nome attuale della
tenuta derivare da quello del fondo il quale col nome
ài Palmìs, o Palmi si designa ancora in altre bolle po-
Siériori riportate nel Bullarium Vaticanum T. L
ùJ'i . . . - "Si
W'^òìÓiì/'àùùiir PALO— ALSIYM ^' ^^^f^'^^'^> ^'
-#fe*)6' fflftifp Yt ^(iiuihnimffi uA'àuU^ ih o-txeq Ji ic-!ii§f»l
t'Itiherarió marittimo dèscritenao la strada da Por-
to a Centumcellae assegna 9 miglia di distanza fra Por-
to e Fregenae, 9 da Fregenae ad Alsium, 4 da Alsium
alla stazione Ad Turres , 12 da questa a Pjrgi , 8 da
Pyrgi a Castrum Novum , ed 8 finalmente da Castrum
Novum a Centumcellae. La posizione di Fregenae a Mac-
carese è determinata , come pure lo è quella da Pyrgi
$24
a s. Severa. Or partendo da Maccarese e seguendo lai
strada di Torre Perla, o della marina si hanno circa 9
miglia fino a Palo: da Palo seguendo la strada della ma-
rina verso s. Severa si trova dopo 4 miglia Torre Fla-
via, che perciò convien riconoscere per la stazione Ad
Turres. A Torre Flavia la strada in luogo di continuar
per la spiaggia andava a raggiunger la via aurclia, e quin-
di andava insieme a Pyrgi, che trovavasi 7 miglia dopo
Turres ; perciò d' uopo è ravvisare il sito di Alsium a
Palo, quello di Turres a Torre Flavia: e dall'altro can-
to il numero XII. dell'Itinerario va corretto in VII: so-
stituzione commune negli Itinerarii antichi per ignoranza
de'copistì che cangiarono il X in V, e viceversa. Nella
Carta Peutingeriana Alsium è notato sul mare come
Villi, m. distante dalla prossima stazione che è sparita,
come è sparito il numero fra questa e Porto. Dall'altro
canto sulla via aurelia fra Lorium ed Alsium è notata
la stazione di Bebiana , la quale ^i pone 6 m. distante
da Alsium, mentre manca il numero di distanza fra Lo-
rium e Bebiana, che necessariamente fu III. essendo Al-
sium per la via aurelia 9 miglia distante da Lorium ,
luogo determinato presso Castel di Guido. Se pertanto
Alsium fu sul mare, come dimostrasi dall'Itinerario ma-
rittimo, e dalla Carta , esser non poteva a Statua come
alcuni pretesero, perchè distante dal mare 3 miglia. Ed
a conferma di tal situazione affatto marittima vuole al-
legarsi il passo di Rutilio Numaziano, il quale descri-
vendo il suo viaggio per mare, dopo aver narrato di es-
sersi imbarcato a Porto soggiunge lib. I. v. 223:
Alsta praelegitur tellus^ Pyrgique recedunt: ^ l,
Nunc villae grandes, oppida parva prtus.
Dionisio lib. I. e. XX dice che Alsio fu una città
fondata dai Pelasgi, e da loro insieme cogli Aborigeni
525'
abitate. Il suo nome da Silio Italico lib. Vili. v. 476 e*
vuol dcdursi da Aleso argivo:
Nec nan argolico dilectum Utus ffaleso
Àlsium et obsessae campo squalente Fregenae.
Questa città non figura nella storia romana prima
dell' anno di Roma 506 , allorché per testimonianza di
Velleio lib. I. e. XIV. vi fu dedotta una colonia roma-
na. E come una delle colonie marittime vien ricordata
da Livio lib. XXVII e. XXVIII. fra quelle che non po-
terono ottenere l'anno 547 di essere esentate dal servi-
zio militare. Strabone lib. V. e. II. §. 8. ne fa soltan-
to menzione insieme con Fregenae, come città interme-
die fra Pyrgi ed Ostia , lungo il mare; come tale pure
la nominano Plinio Hist. Nat. lib. III. cap. V. §. 8. e
Tolomeo. Una iscrizione rinvenuta fralle sue rovine , e
pertinente all' anno della era volgare 208, mostra, che
qualche beneficio ottenesse da Antonino Caracalla , poi-
ché i decurioni della colonia gli eressero una statua. La
decadenza, che si fece sentire in tutti i luoghi de'con-
torni di Roma nel secolo III. e che sul principio del
IV fu ancor più sensibile per la traslazione fatale del-
la sede dell' impero , più particolarmente si vide nelle
terre poste lungo la spiaggia: la prima scorreria de'Go-
ti infieri specialmente lungo la via aurelia per testimo-
nianza di Rutilio Numaziano, il quale nel passo ripor-
tato di sopra nomina Alsio e Pyrgi come quelle che di
città picciole erano divenute ville grandi:
Nunc viUae grandes oppida parva prius.
^^i' Nulladimeno Alsio si sosteneva ancora nella metà
del secolo VI. sendo che Agatia lo ricorda fra i luoghi
interessanti di cui Narsete s'impadronì da questa parte.
Ed una prova ulteriore è vederla notata nella Carta
Peutingcriana. Ma poco dopo infierirono su queste con-
trade nuove sciagure: e prima i Longobardi per terra,
526
ne' secoli VII. ed Vili , poscia i Saraceni dal canto di
mare ne' due secoli susseguenti devastarono talmente
queste contrade che ancora Alsio scomparve.
Non è nota la epoca precisa , ma certamente non
fu avanti il secolo XIV. che gli Orsini ebbero questo
fondo, e Bertoldo Orsino fu il primo a possederlo, ot-
tenutolo, anteriormente all' anno 1330 dai monaci di s.
Sabba , i quali vi avevano edificato un castrum ed una
rocca , ed allora per la prima volta comparisce sotto il
nome odierno di Palo. Neil' anno 1370 fu da Niccolò
Orsino, conte palatino, trasferito il dominio di Palo ad
Anastasia di Orso, moglie di Giordano, anche esso de'fi-
gli di Orso, siccome si ha in un codice vaticano n. 7997.
Non si era però il monastero di s. Sabba spogliato af-
fatto del dominio di Palo, poiché nello stesso codice ap-
parisce che nel 1389 ne possedeva ancora una terza
parte. Nelle guerre del secolo XV. questo castello fu
diroccato, e come tale viene indicato in una carta del-
l' archivio Orsini spettante all' anno 1509 , allorché fu
venduto da Giulio Orsini a Felice Orsini per 8000 du-
cati. Nel 1521 la parte rimasta al monastero di s. Sab-
ba fu data in enfiteusi agli Orsini. Questi nel 1573
vendettero al card. Guido Ascanio Sforza la tenuta di
Palo per 25,000 scudi col patto di poterla redimere.
La redensero in fatti e nel 1662 molto lavorarono per
ristaurare ed ampliare il castello come ricavasi dai do-
cumenti esistenti nell' archivio Orsini. Ma i debiti che
gravavano sopra i beni di questa famiglia, la forzarono
ad alienare ancor questo fondo , e nel 1693 il giudice
deputato dalla congregazione de'baroni vendette Palo a
Livio Odescalchi per 120, 000 scudi. Gli Odescalchi la
vendettero ai Grillo , e questi nel 1663 ai Loffredo e
dai Loffredo ritornò nel 1780 agli Odescalchi , che an-
cora la ritengono, ^ro.f 1 !•;<:; ■K.l^hlìr Tf(»US^ i.D
527
Palo è un picciolo borgo distante da Roma circa
22 miglia, preceduto da un bel bosco, popolato da po-
chi individui, e questi avventizj, ed incluso nella dele-
gazione di Civita Vecchia. Uscendo dal bosco sovraindi-
cato , che lo precede entrasi in una pianura , ed i pri-
mi oggetti che . si presentano sono i casini di casa Ode-
scalchi. H .Vi'f3- k'ffièìm
Il castello è formato da un forte di costruzione
del secolo XV: il recinto esterno semidiruto è difeso da
torri quadrate e da un parapetto sporgente fuori del
muro , opera anche esso dello stesso tempo. Verso il
mare però il muro è bastionato, ed è opera del secolo
XVII. Nella costruzione di queste fortificazioni veggon-
si impiegati i materiali delle fabbriche antiche. Dentro
questo recinto è un palazzo ampio difeso negli angoli
da quattro torri rotonde, opera de'tempi di Pio II. Di-
nanzi al castello sul mare sono i moli del picciolo por-
to interrato edificati anche essi nel secolo XVII: e ver-
so oriente una picciola darsena : la pianta di questo
molo è una mezza ellissi tagliata nell' asse maggiore.
Di là dal porto verso ponente è una linea di case per
abitazione di marinai , e dinanzi a questa una spiaggia
arginata con muri laterizj dello stesso tempo del porto.
Da Palo seguendo la spiaggia e dirigendosi verso
levante, trovansi lungo il lido pel tratto di un buon
miglio, vestigia di fabbriche antiche che sembrano a-
vere tutte appartenuto ad una stessa villa magnifica ,
essendo tutte insieme connesse, e dove non appariscono
sopra terra costruzioni rimangono calcinacci. Queste ro-
vine sono tutte di opera reticolata, più o meno regola-
re. Nel recinto de' due casini Odescalchi lungo il mare
apparisce un'antica piscina costrutta di scaglie di selce
e tagliata. Seguendo sempre queste traccie, trovasi do-
po ì casini un ampio spoco o Cftmdo^o rivestito di opera
528
signina , e presso questo appariscono vestigia costrutte
di opus incertum appartenenti a qualche fabbrica ante-
riore chiusa dopo entro la villa. Frai frantumi de'muri
è degno di osservazione un pezzo di opera reticolata
mista a laterizio in guisa che fra un cubo e l'altro di
pietra è un mattone , metodo che non ho osservato in
alcuna fabbrica antica. A misura però che si procede
più verso oriente gli avanzi sono meno sconvolti, e s'in-
contrano frantumi di colonne di ordine dorico rivestite
di uno stucco lucido e candido fatto con polvere di
marmo e solidissimo. Incontransi poscia frammenti di
pavimenti di musaico bianco e dopo questi, dove havvi
una specie di scoglio, dentro terra domina una collina
formata colle rovine dell'edificio principale della villa; e
tosto di là da esso sulla spiaggia è un bel crittoporti-
co lungo 250 piedi illuminato da 22 fenestre, o piutto-
sto lucernai verso il mare, di forma rettilinea. Questo
crittoportico è rivestito di uno stucco finissimo e ter-
mina in un lunghissimo corridore che ivi fa angolo nel-
la direzione da sud-ovest a nord-est. Questo corridore
può praticarsi per circa 120 piedi, ma non fu mai de-
corato, e fu illuminato da abbaini circolari nella volta.
Paralello a questo corridore havvene un altro lungo so-
pra a 400 piedi. Il fabbricato finisce presso la foce del
fiume Cupino, e di là da essa fino a Torre Perla non
rimangono altre rovine. Gli avanzi testé descritti sono
generalmente analoghi per la costruzione ad altre fab-
briche dell' ultimo periodo della republica. Questa cir-
costanza , la magnificenza del fabbricato, e la certezza
dello essere stato una villa mi fanno credere che ivi
debbansi ravvisare gli avanzi della villa alsiense di
Pompeo. Narra Cicerone nella famosa arringa in favor
di Milone e. XX. che Clodio, il quale aspettava, come
suol dirsi Milone alla posta, uscì dalla sua villa albana
529
sul far della sera e deviò per andare nella villa di Pom-
peo: e soggiunge Pompejum ut videret? sciebat in Alsien-
■si esse. Da questo passo chiaramente apparisce che Pom-
peo avea una villa nel territorio di AlsiUm. Or questa
villa dopo la sua morte divenne parte de' domimi di
Cesare, e perciò ivi quel capitano voleva sbarcare redu-
ce dalla guerra di AÉfrica l'anno 707 di Roma come ne
apprende Cicerone nella lettera a Varrone che è la VI.
-del libro IX. delle Familiari. Neil' Agro Alsiense ebbe
pure una villa Marco Emilio Porcina, siccome apprendia-
mo da Valerio Massimo lib. Vili. e. I. §. 7. e Verginio
Rufo ricordata da Plinio Epistol. lib. II. ep. I. lib. VI
ep. X. lib. IX ep. XIX. Forse questa ultima fu a .Sta-
tua, siccome fu osservato all'art. PALIDORO. al^if;.
PALOCCO.
Fondo esistente nell'ultimo limite dell'agro romano
verso il territorio e lo stagno di Ostia, circa 14 m. fuo-
ri di porta s. Paolo, confinante verso occidente colla Te-
nuta di Ostia , verso mezzodì ed oriente con quella di
Fusano, e verso settentrione con quella di Malafede. Ap-
partiene alle monache de'ss. Domenico e Sisto. Il Mar-
tinelli nella Storia della Immagine , che si venera in
quella chiesa ci ha conservata la memoria, che nell'an-
no 1529 le monache suore Agata, Lucia, e Giulia In-
fessura donarono la metà di questa tenuta a quel mo-
nastero: l'altra metà venne posteriormente acquistata co*,
fondi del monastero medesimo. >v,"fiiih
S. PALOMBA .4
Vasta tenuta dell'agro romano posta fuori di por-.,
ta s. Sebastiano 15 m. lontano da Roma per la strada
34
530
di Falcognano e Paglian Casale, composta di quattro fon-r
di fra loro distinti, cioè: l
S. Palomba confinante con la tenuta di Grotta Scro-^
fana, Valle, e Tor Cancelliera. (. « ;.;
Grotta o Torre scrofana confinante colla tenuta ter
stè descritta, e con quelle di Palazzo Margano, Tor del
Vescovo, Tor Maggiore e Cerqueto. »
Capannone confinante collp tenute di Solfara ta , s.t^
Procula, e Sughereto.
E finalmente Cerquetello chiusa fralle tenute di Cerr ;
queto e Sughereto. •' " • .dì\ < .;b oi
Questi quattro fondi uniti insieme comprendono 387
rubbia e mezza , e ciascuno di essi forma un quarto
4ist^ntQ.
PAL0MBAR4
Grossa terra nella Gomarca di Roma, posta nel dir
stretto di Tivoli e residenza di governatore, distante da
Roma 22 m. per una strada che diverge a destra del-'!
la nomentana poco dopo il sesto miglio da Roma, e che
dicesi la strada delle Moiette. La sua popolazione ascen-r
de a 2263 abitanti secondo l'ultimo censimento.
Il nome di Palomhara , detto ne ■ tempi bassi PA- '■
LUMBARTA è commune a molti luoghi, e forse derivò
dall'abbondanza de'palombi. Quando poi questa terra si
formasse è incerto, e sebbene sia situata sopra un col-
le isolato , conico , che si direbbe rotolato dalle vette
del vicino monte Gennaro, e per conseguenza probabil-
mente non trascurato nelle epoche primitive della popo-
lazione italica, nulladimeno niun avanzo ho potuto trova-^
531
re nella Terra sia della epoca della indipendeuza , sia
di quella della dominazione romana ; quindi debbono
mettersi da canto le pretensioni di coloro che diedero a
questa i nomi di Antemnae, Crustumerii, Cameria, città
d' altronde, delle quali a suo luogo ho notato la situa-
zione rispettiva. >
Forzati pertanto a dimettere ogni lusinga di poter-
la illustrare con autorità de' classici antichi , d' uopo è
ricorrere a quella de'documenti de'tempi bassi, allorché
essa cominciò a figurare. Né io ho trovate memorie dì
essa anteriori al principio del secolo XII. della era vol-
gare , quando si era di già formata e veniva signoreg-^
giata da una famiglia che per tre secoli vi si mantenne,
e della quale il nome proprio s'ignora: ma che avea as-
sunto quello di signori di Palombara , sotto il quale è
nota in que' secoli di anarchia. II primo a comparire ò
un Oddone, che chiamerò Oddone I. per distinguerlo da
altri dello stesso nome , suoi discendenti , il quale nel
Chronicon Sublacense riportato dal Muratori apparisce
essere stato in guerra sul principio del secolo XII. con
i figli di Oderico signore della Rocca di Camerata: que-
sti venderono per 30 lire il loro castello a Giovanni ,
XXXII abbate di Subiaco , esiggendo che egli avesse
prestato loro ajuto contro di Oddone ; ma prima che
l'abbate venisse in possesso della Rocca fu quella Ter-
ra occupata da Landone , figlio di Gregorio signore di
Anticoli, e questi entrò in trattative con Oddone per
vendergliela. Pietro abbate che in questo frattempo era
succeduto a Giovanni volle guadagnare Oddone promet-
tendogli la metà della Rocca, se lo avesse ajutato a n*t
torla dalle mani di Landone; e questi accettò la propo-
sizione, e la Rocca fu presa, e l' abbate die inoltre 60
lire di argento al signore di Palombara in compenso
delle spese.
532
Ad Oddone successe nella signoria di Palombara Ot-
taviano, che in un decreto di Ottone conte Palatino del-
l'anno 1159 viene chiamato comes Palumbariae : veggasi
il Chr. Farfense presso Muratori R. I. S. T. II. P. II.
p. 678. Di Ottaviano nacquero Filippo ed Oddone II. i
quali nel 1180 consegnarono l'antipapa Landone, che avea
assunto il nome d' Innocenzo III , e che si era ritirato
nel loro castello. Nel 1198 a loro era succeduto Oddo-
ne III figlio di Filippo, il quale prestò in quell'anno giu-
ramento di fedeltà a papa Innocenzo III, come ricavasi
dalla vita di questo papa pubblicata dal Baluzio. Nipote
di costui sembra che fosse quel Niccolò da Palombara,
il quale nel 1279 andò podestà in Siena , officio che a
persone ragguardevoli allora si concedeva. Il suo figlio
Cecco, signore di Palombara , ebbe guerra cogli Orsini
e fece prigione Carlo fratello di Francesco Orsini, onde
Giovanni XXII s'interpose per la sua liberazione.
Fino dal secolo XIII nel testamento del cardinal
Giacomo Savelli fatto nel 1282 , e riportato dal Ratti
nella Storia della Famiglia Sforza Tomo II , e che poi
essendo papa col nome di Onorio IV confermò, appari-
sce, che molti beni possedevano i Savelli in questa Ter-
ra, la quale poi divenne loro feudo nel secolo XIV e co-
stituì la linea detta di Palombara che fu la ultima ad
estinguersi di quella famiglia siccome può vedersi nel
Ratti. Il padre Casimiro raccolse i fasti principali de'Sa-
velli signori di Palombara nella erudita sua opera delle
Memorie Istoriche delle chiese e conventi de'Frati Minori
nella provincia romana. Si rileva da questi, che tremendo
fatto avvenne nel 1455, allorché avendo Jacopo Savelli
bandito alcuni suoi vassalli da Palombara , rei di gravi
misfatti, questi entrarono nella Terra colle armi alla mano
e barbaramente tagliarono a pezzi due suoi figli inno-
centi. Poscia credendo isfuggire la pena di tali orrori of-
533
frirono la Terra a Callisto III, che lungi dairaccettarla,
spedì il card. Colonna per rimetterla nelle mani di Ja-
copo. E quel cardinale unito alle genti de' Savelli fece
ritirare gli Orsini che erano venuti ad assediarla, e pre-
stò mano forte perchè venti fra que'scellerati che erano
stati motori principali del tumulto venissero uccisi. Nel
1460 Jacopo si arrendette spontaneamente a Niccolò Pic-
cinino ; ma Tanno seguente , come partigiano degli An-
gioini fu da papa Pio II spogliato di sette castella. Morto
Jacopo Savelli, nel 1482 Palombara fu occupata dai sol-
dati di Ferdinando re di Napoli; quindi assalita dagli Or-
sini, e da alcuni de'Savelli che seguivano la parte orsi-
na, fu da Troilo che difendeva la rocca incendiata.
Cacciati così gli Orsini, per le discordie trai Savelli
stessi, vennero dal papa occupate le loro Terre , e fra
queste Palombara che fino al 1503 riconobbero il domi-
nio diretto ed indiretto della Sede Apostolica; ma poscia
furono restituite ai loro signori. Nel 1556 fu incendiata
dai soldati del duca di Alba , ai quali non avea voluto
accordare ricetto. La decadenza in che successivamente
vennero i Savelli portò la Camera Apostolica nel 1576
ad impossessarsi della metà di Polombara per guarentire
i creditori di quella famiglia : e finalmente ai 7 di Gen-
naio 1637 fu insieme col castello di Stazzano venduta
questa terra a Marcantonio Borghese per la somma di
385,000 scudi, ed i Borghesi sono ancora i signori di
Palombara.
Ho notato in principio che Palombara sorge sulla
cima di un colle isolato. Essa è distante circa 5 m. da
Monticelli : ed un miglio prima di entrar nella Terra, a
destra è il convento de'frati Minori eretto dopo la metà
del secolo XV, e detto di s. Francesco. Nella chiesa sono
quattro altari : nell* aitar maggiore è una bella tavola
rappresentante la Vergine ai cui piedi stanno s. France-
354
SCO , e s. Antonio di Padova ed una cartella in cui é
scritto : VIRGO precor valeat lvstris domvs alma sa-
BELLA. Neil' oliveto che si traversa andando da questo
convento verso la Terra havvi un olivo il cui tronco mi-
surato da me nell' anno 1823 avea 42 palmi di circon-
ferenza.
La parte bassa del castello è affatto moderna : la
parte superiore però è generalmente fabbricata nel se-
colo XIII e XIV. La rocca contiene il palazzo de'Savelli
che fu edificato nel secolo XV, ed una torre molto alta,
lavoro del secolo XIII. E questo palazzo presenta da tutte
le parti lo stemma di quella famiglia, e belle modinature
nelle porte e nelle fenestre , le quali sono costrutte di
una pietra arenaria compatta locale che apparentemente
sembra marmo, specialmente per la patina che il tempo
le ha dato.
Andando da Palombara verso settentrione é 2 mi-
glia distante la contrada detta Botavelle, dove sono molti
avanzi di reticolato, laterizio, ed incerto, appartenenti ad
una villa romana, e varie conserve di acqua, fralle quali
una nel luogo chiamato Martini è di forma circolare di
tal mole, che presenta 67 piedi e mezzo di diametro.
Questa conserva è presso l'andamento dell'antica strada,
che legava la nomentana alla Valeria, e della quale si è
fatta menzione di sopra.
Nella strada da Palombara a Tivoli per Marcellina
sono altre rovine, delle quali ho parlato all'articolo MAR-
CELLINA.
PALOMBARO
Jpalumbarium,
Tenuta dell'Agro Romano fuori di porta s. Giovanni
situata circa 8 miglia distante da Roma traversata dalla
355
strada postale di Albano, ed in parte dalla via appia an^
tica, confinante colle tenute di Tor di Mezza Via, Bar-
buta, Fiorano^ e col territorio di Marino. Comprende cir-
ca rubbia 14 e niezzo ed appartiene à s. Sebastiano.
Gli annalisti camaldolesi riportano nel tomo primo
una Carta dell'anno 954 della era volgare , nella quale
non solo si fa menzione di questo fondo col nome di Pa-
lumbario , ma ancoi'a si apprende , come fino a quella
epoca era appartenuto al monastero di s. Lorenzo fuori
delle mura , e che allora Costantino abbate di esso lo
permutò con un altro fondo posseduto dai monaci di
s. Gregorio, e detto di s. Genesio, situato fuori di porta
s. Lorenzo. E di questo fondo negli stessi annali altre
volte si fa menzione come confine di altre terre , cioè
Moreni ec. Ora da quel documento apprendiamo che por-
tava già questo nome nell'anno 954^ e che dal monastero
di s. Lorenzo passò per permuta a quello di s. Grego-
rio ; ed in esso si descrive in qilesti termini : casale una
in integro qui appellatur Palumbario ... cum fontana sua
aquae vivae cum ecclesia deserta in honore s. Mariae Dei
genitricis cum monumento suo quod est crypta rotunda ...
posito foris portam Appiam milliario ah urbe Roma, plus
minus octavo vel nono, et inter ajflnes^ ab uno latere via
carraria publica quae pergit ad AlbanUm, et ab alio latere
limite salvineum qui dividit inter subscripto fundo Palum-
bario et casale .... redeundo in via carraria publica in
primo affine. E quel monumento rotondo ancora rimane
a sinistra della via Appia quasi sul limite della tenuta
da quella parte. In questo lenimento circa l'anno 1792
dal pittore scozzese Gavino Hamilton fu scoperto il bel
discobolo che oggi si ammira nel museo Vaticano presso
a quello che è copia del famoso discobolo di Mirone.
53t;
5. PANCRAZIO.
Chiesa suburbana di Roma situata un mezzo miglia
circa fuori della porta dello stesso nome sulla riva de-
stra del Tevere, presso l'antica via Aurelia, che in que-
sta parte univasi con quella strada che usciva dalla porta
Gianicolense di Servio situata poco più indentro delta
porta s. Pancrazio odierna. Quindi per la vi» Aurelia
che è la stessa di quella che esce dalla porta Cavalleg-
gieri di oggi, e si riunisce a quella di Villa Pamfili, la
chiesa di s. Pancrazio era al secondo miglio dell'antica
via, mentre dall'altro canto era circa due terzi di miglio
fuori della porta Gianicolense di Servio.
Secondo il martirologio di Adone, s. Pancrazio fu
decollato l'anno 304 della era volgare ai 12 di maggio,
giorno in che la Chiesa cattolica ne celebra la festa^ nel-
l'età di anni 14 e regnando Diocleziano: Rem via aure-
lia milliario II natalis s. Pancratiì martyris qui quum es-
set annorum XIV sub Diocletiano martyrium capitis de-
truncatione complevit. Soggiunge lo stesso martirologio
che il suo corpo venne tolto occultamente di notte da
OttavUla donna illustre e con. aromi sepolto il quarto di
avanti gl'idi di maggio : Cuius reverendum corpus Oda-
villa illustris (emina occulte nocte sublatum aromatibus con-
ditum sepelivit IV. idus mali. Tal sepoltura avvenne nel
cemeterio denominato di s. Calepodio, prete^ che ebbe il
martirio ai tempi di Alessandro Severo e che fu gittato
nel Tevere, e poscia ripreso dai pescatori e sepolto da
Callisto prete nel suo cemeterio 3 miglia fuori di Roma
ai 10 di maggio. Quindi deducesi che il cemeterio di
Callisto e di Calepodio erano uno stesso, che stava di là
dal Tevere, e che la chiesa eretta poscia ad onore del
martire san Pancrazio sorse sul sepolcro di quel santo
martire non prima dell'anno 304 della era volgare. Que-
537
sto é degno di nota, perchè leggendosi in Anastasio nella
vita di Felice I creato papa l'anno 267 e morto nel 275
che fece una basilica nella via Aurelia, dove fu sepolto
2 m. lontano da Roma, non si confonda come alcuni fe-
cero questa chiesa con quella poscia innalzala sulla stessa
strada ad onore di s. Pancrazio.
Lo stesso biografo poi nella vita di Felice II che
morì nell'anno 366 narra come questo papa, essendo an-
cor prete fece una basilica nella via aurelia, e comprò
un campo ivi dintorno che donò alla stessa chiesa al se-
condo miglio della via aurelia, dove fu poscia sepolto ,
sendo stato decapitato insieme con molti chierici e fedeli
occultamente per ordine di Costanzo presso le mura di
Roma accanto all'acquedotto trajano. Or questa basilica
eretta da Felice II si crede questa medesima di s. Pan-
crazio né v'ha luogo a dubitarne, poiché non molto dopo
trovasi evidentemente esistente, e tale da dar nome alla
vicina porta della città, almeno fin dal principio del se-
colo VI, siccome si legge in Procopio, nella stessa gui-
sa, che quelle di s. Paolo, e di s. Pietro aveano avuto
nome dalle basiliche fuori di esse innalzate ad onore di
questi apostoli. Simmaco che fu papa fino all'anno 514
in che morì la ricostrusse e vi fece un arco di argento^
che pesava 15 libre, e secondo il costume de' tempi vi
uni un bagno : Anastasio colla sua fraseologìa ordinaria
così ne parla : Fecit quoqtie basilicam beati Pancratii mar-
tyris, ubi et fecit arcum argenteum pensantem lib. XV. Fe-
cit autem in eodem loco balneum. Su questo passo del bi-
bliotecario non dee recar meraviglia il verbo fecit per re-
fecitf giacché quello scrittore usa continuamente di espri-
mersi in questa guisa. Non molti anni dopo , cioè nel
537, sendo Roma assediata da Vitige, in uno degli as-
salti perì da questa parte uno spatharius, cioè scudiere
di Belisario, onde ebbe sepoltura nell'annesso cemeterio^
538
e la sua lapidò trasporlata poscia nel pavimento dellaf
chiesa leggevasi ancora ai tempi delI'Ugonio nel pontifi-
cato di Sisto V : oggi però più non esiste. Cessata la
guerra gotica , papa Pelagio I. 1' anno 555 di concerto
con Narsete unì in questa chiesa una processione solen-
ne , che allora chiamavano litania ,■ e di là si condusser
cantando inni e cantici sacri a s. Pietro, dove publica-
mente dichiarò di non aver fatto alcun male contra Vi-
gilio, come gl'imputavano i suoi avvei'sarii.
11 papa s* Gregorio I. sul finire dello stesso seco-
lo vi lesse la omelia XXVII. sul testo : Hoc est praece^
ptum meum ut diligatis inDìcem sicut dilexi vos, il giorno
di s. Pancrazio. Egli stesso nella epistola XVIII. del li-
bro III. diretta al monaco Mauro che ivi dichiara ab-
bate di s. Pancrazio, mostra, che la chiesa fino a quel
tempo era stata sotto la cura di preti, i quali però con-
ducevansi con molta trascuratezza a segno di far man-
care perfino la messa ne' giorni di domenica j Quoniam
vero ecclesiam s. Pancratii quae erat commissa presbyteris
freguenter neglectam fuisse cognovimUs, ita ut vmientes d(H
minico die populi missarum solemnia audituri, non inven-
to presbytero murmurantes redirent. Laonde, soggiunge,'
concedere questa chiesa ai monaci di s. Benedetto in-
sieme con tutte le rendite che godeva, e creare abbate
di questo nuovo monastero Mauro sopraindicato. Ivi egli
parla ancora del corpo di s. Pancrazio. Nella lettera poi
LXXXVI. del libro VII. dice di mandare a Costanzo
vescovo di Milano le reliquie di questo santo insieme
con quelle di s. Giovanni.
La incuria in che la chiesa era stata tenuta fino a
quel tempo, e lo stato misero, in che Roma trovavasi,
r aveano ridotta a tal grado di squallore e di rovina ,
che papa Onorio I. circa l'anno 625, ossia soli anni 21
dopo la morte di s. Gregorio, dovette riedificarla dal suo-
539
lo, come narri» Anastasio, dal quale pure si conosce, che
ornò il sepolcro del santo martire con 120 libre di ar-
gento, ed eresse un ciborio sopra l'altare , pure di ar-
gento di 187 libre di peso , e vi fece cinque archi di
argento del peso di 15 libre per ciascuno, tre candela-
bri di oro, ciascuno di una libra di peso, e molti altri
doni offerì. Questa nuova chiesa durò circa un secolo
e mezzo poiché da Anastasio medesimo si trae nella vi-
ta di Adriano I. che questo papa non solo ornò di ar-
redi questa chiesa, ma trovando la fabbrica nimia vetur
state dirutam atqm ruinis praeventam la ristaurò a nuo-
vo, insieme col monastero di s. Vittore^ forse edificato
dallo stesso Onorio I. presso la medesima chiesa. Nuo-
vi arredi vi fece e nuovi doni Leone III. per testimo-
nianza del Bibliotecario medesimo. In questa chiesa fu
nel secolo X. sepolto il famoso Crescenzio nomentano
signore di Roma , poiché fino al terminare del secolo
XVI. ivi leggevasi il seguente epitaffio, che è riportato
dallo Schradero:
VERMIS . HOMO . PVTREDO . CINIS . LAQVEARIA . QVAERIS
HIS . ARCTANDVS . ÈRIS . SED . BREVIBVS . GYARIS
QVI . TENVIT . TOTAM . FELICI . TEt^PORE . ROMAM
HIS . LATEBRIS . TEGITVR . PAVPER . ET . EXIGVVS
PVLCHER . IN . ASPECTV . DOMINVS . CRESCENTIVS . ILLE
INCLYTA . PROGENIES . QVEM . PEPERIT . SVBOLEM
TEMPORE . SVB . CVIVS . VALVIT . TIBERINAQVE . TELLVS'
IVS . AD . APOSTOLICVM . VALDE . QVIETA . STETIT
NVNC . FORTVNA . SVOS . CONVERTIT . LVSIBVS . ANNOS
ET . DEDIT . EXTREMVM . FINIS . HABERE . DIEM Auì
SORTE . SVB . HAC . QVISQVIS . VITAE . SPIRAMINA . CARPIS
DA . VEL . HVIC . GEMITVM . TE . RECOLENS . SOCIVM
L' anno 1204 ai 4 di novembre fu unto in questa
basilica da Pietro vescovo di Porto e coronato da papa
Innocenzio III. il re di Aragona Pietro II. Continuò ne'
tempi bassi a stare questa chiesa sotto la cura de'mona-
540
ci benedettini , ed essendone abbate un Ugone V anno
1244 , sesto di Innocenzio IV. fu da lui ristaurata ed
ornata di due nuovi amboni distrutti poscia. La figura
di questi amboni ci è stata conservata dal Ciampini To-
mo I. tav. XIII. fig. 3. 4. il quale riporta la epigrafe
seguente , che ne determinava la data, e che leggevasi
Bella fascia superiore del basamento : IN NOIE, BNL
ANNO DNICE. iNCARNATIONIS MGCXLIIII SE.. TO
PONTIFICATVS DNL INNOCENTII IIII INDICI, SE-
TTIMA MENSE lANVARII DIE XV DET TIBI PAN-
CRATI CELESTIS GRATIA DONI HOC OPVS ABBL
FIERI QVI FECIT HVGONI: nella fascia poi dell'am-
bone opposto era la iscrizione seguente: HIC LAVS DI-
VINA LECTOR CANITVR . QVI . LEGIT ADTENDAT
AD QVID SACRA LEGTIO TENDAT AD CVLMEN....
HIT OMNES VOCE. Nel secolo XV. fu concessa ai re-
ligiosi di s. Ambrogio ad Nemus, e sotto di essi venne
da papa Innocenzio Vili, riedificata la facciata. Leone
X ne fece un titolo di card, prete, che poscia fu con-
fermato da Sisto V.
Sul finire del secolo XVI la vide l* Ugonio , che
nella opera sulle Stazioni di Roma la descrive come
preceduta da un prato spazioso , dove fu una fontana
di acqua derivata già dall'acquedotto traiano (era que-
sto probabilmente l'atrio) e di questa fontana vedevan-
si i rottami del vaso presso il convento. Dal prato en-
travasi in un andito lungo scoperto. Sulla facciata era-
no le armi d'Innocenzo VIII, che come notossi l'avea ri-
fatta. Nell'interno riconoscevansi le traccio delle due na-
vi laterali che erano state abbandonate : il pavimento
conteneva molti frammenti di lapidi, fralle quali quella
riportata di sopra pertinente a Crescenzio, e quella del-
lo Spatario di Belisario, e varii pezzi dell'antico primi-
tivo lastricato di opera alessandrina. V'erano gli ambo-
541
hi sovraindicati. L'altare isolato e rivolto secondo il co-
stume antico ad oriente sorgeva sopra cinque gradini ,
ed era ornato di quattro colonne di porfido: dietro que-
sto era il muro divisorio pur fasciato di tavole di por-
fido con sedili dinanzi, parte dell'antico chorus: rimane-
vano pure i sedili del presbyterium ed il trono dell'an-
tistite, .fff R jBrt'ib tuìdtmn t)t;<,i.'\\!ut> v-T'-iMi aìumì'ì
L'anno però 1609 fu intieramente rinnovata questa
chiesa dal card. Ludovico Torres, ed allora si fece man-
bassa di tutte le antiche memorie. Soppressi i religiosi
di s. Ambrogio ad Nemus 1' anno 1645 , questa chiesa
per qualche tempo fu data in commenda , finché soUqj
Alessandro VII. venne concessa ai frati carmelitani scaln.
zi che ancora la ritengono. u
ojj; L'anno 1798 soffrì una nuova devastazione e rima-'l
se fino al 1815 affatto deserta , allorché fu ristaurata
e ridotta nello stato attuale, spogliata di tutti i porfidi,
e che altro non presenta d'interessante che l'antica me-
moria, e r accesso, che porge alle catacombe, o cerne-'
terio di s. Calepodio, molto celebre negli atti de'marti-
rìf e nella storia della Chiesa.
.•,„«]..',■: PANTANELLA. . .jth ìjÌìuìI ì .., ,
... . :. ;... ., t, . ;...... ....,,. ;.(.,
. - . Tenuta dell' agro romano pertinente ai Santacroce, .
e confinante con quelle di Pisana, Fontignano, s. Ceci-|
lia^ Casetta di Mattci, e Muratella. Essa è posta fuori
delle porte s. Pancrazio, e Portese circa 6 m. distante.:
da Roma: contiene 66 rubbia divise in due quarti de-.l
nominati di sopra e di sotto, h ^ sanf»ìl<i i* .1 uiì^m^^
.ui-. ........ ■ ■ T .li.c--.- ■ ■.'7
ili ;'i:,, i;ibb ^t<• '^ ■•. ^ ./iì^
~:^f h ìy^o i)}cirp ff.ltKV i^ì^^ìli'ìh
fiìiir^toh ^ofih ;o)fi' <.)«p mì^r, ,')^
-... li obif(..->v, PANTANO V. GABII, -o^ u
. ìiùhn-i's, ■<s!'k' ■ — !, ì>ìr
^^ii^ m.Vh PAOLA ACQVA y. TRAIANA.
Tenuta posta nell'agro romano circa 8 m. distanto
da Roma , situata fralle vie Cornelia ed aurelia fuori
di porta Cavalleggieri , la quale comprende 274 rubbia
divise ne' quarti della Paola vecchia , della Strada , del
Gasale^ e della Strega, Un tempo fu parte della tenuta
di Porcareccio; oggi è separata. Appartiene all'ospedale
di s. Spirito. Confina con le tenute di Porcareccio, Ca-
stel di Guido , Porcareccina, Selce, Buccèa e s. Bufina
Entro i limili di questa tenuta verso Castel di Guido
fu trovato il musaico oggi posto nella Sala delle Muse,
e rappresentante attori tragici ^ e comici , che forse fu
ornamento di qualche parte della villa di Lorio degli
Antonini: veggasi l'articolo LORIVM.
5. PAOLO FUORI LE MURA.
I limiti che mi sono preffsso in questa opera non
mi permettono di estendermi molto nella descrizione di
quest' antica basilica, la quale d' altronde fu con opera
parlicolare illustrata da Niccola Maria Nicolai. Solo fa-
rò osservare che trovasi sulla via ostiense un miglio ed
un terzo fuori della porta di questo nome: che essa fu
fondata, come da Anastasio Bibliotecario nella vita di
Silvestro I. si afferma , da Costantino : con decreto di
Valentiniano II. Teodosio, ed Arcadio, diretto a Sallu-
stio prefetto di Roma l' anno 383 della era volgare fu
riedificata sopra una pianta più vasta, quale oggi si ve-
de, meno qualche leggiero cangiamento: viene descritta
343
dal poeta cristiano Prudenzio, che fu testimonio di que-'
sta riedificazione: Onorio le die compimento, come nel-*
la iscrizione del grande arco fatta in musaico si legge-
va : THEODOSIVS CAEPIT PERFECIT HONORIVS
AVLAM : Placidia madre di Valentiniano HI. ad insir-
nuazioue di s. Leone I. fece fare il gran musaico di quef-
V arco medesimo: Simmaco papa circa l' anno 500 ornò
l'atrio di un cantaro versante l'acqua, rinnovò la tribu-
na e dietro di essa fece un bagno , dappresso un ospf-
zio: san Gregorio Magno ai 25 gennajo dell' anno 604
le assegnò molte possessioni: Adriano I. e Leone HL la
ristaurarono; Gregorio VIL mentre era ancor monaco é'
legato di papa Alessandro IL a Costantinopoli fece fare
la porta di bronzo intarsiata di argento l'anno 1070, a
spese Ai Pantaleone console: verso il 1217 sotto Onorio
III, essendo abbate di s. Paolo Giovanni Gaetano Orsiw
ni , e sagrista Arnolfo , fu ornata del musaico ancora'
esistente la tribuna: circa l' anno 1290 fu cominciato il
musaico della facciata, il quale fu poi terminato sotto'
Giovanni XXII. nel 1325. Finalmente dopo esser stata
successivamente ristaurata da Eugenio IV, Niccolò V.
Gallisto III. Sisto V. Benedetto XIII. e Pio VII. la nòt^^
té del 15 al 16 luglio 1823.' fri con gravissimo danno'
delle memorie ecclesiastiche, e delle arti da un fortui-
to e fatale incendio consumala. Le cure benevole di Leo-
ne XÌL Pio Vili, e Gregorio XVI. la pietà de'principi/
e de' privati han gareggiato con nobile e santa emulai
zione a farla risorgere , malgrado la malignità de' temi»^'
pi, e le angustie del publico erario, in modo che l'Apo-*^
stolo delle genti s. Paolo, fra pochi anni avrà un tem-^^
pio che per splendore e per gusto farà dimenticare quel-'
lo perito: le alpi italiche hanno supplito ai marmi di-
Paros, e della Frigia: i monumenti più insigni dell' an-^^
tichità hanno fornito i modelli degli ornamenti: e 'gli 'aì*4*
544
tefici più rinomati del secolo XIX con usura ripareran-
no la perdita delle mediocri pitture e sculture che un
tempo adornavano questa basilica.
Presso questo tempio si apre a sinistra la via del-
le sette chiese, la quale si va ad unire all'Appia accan-
to a s. Sebastiano , dopo circa 2 miglia. Narra il Boi-
detti che nel 1688 a piccola distanza di s. Paolo sfon- ,
datasi la terra lungo questa via , sotto il monte incon-
tro la vigna Mandosi, si sco|)ri un antico cemeterio cri-
stiano a due piani, ben conservato, del quale pubblicò
la pianta e diede la descrizione nel capo I. del I. libro;
della sua opera sui cemeterj de' santi martiri. Nel capo
poi XVIII. del secondo libro soggiunge, come nel 1720
facendosi in questo cemeterio nuove ricerche furono sco-f
perte casse e pitture entro una cappella, ed alcune iscri- .
zioni dipinte, e molte lapidi, che fedelmente riporta, dal-
le quali scoperte deduce con sana critica , che questo
ramo di catacombe sia una parte del cemeterio di Com- ,
modilla, che gli scrittori ecclesiastici situano presso la
via ostiense 2 m. lungi da Roma, nel quale furono se-,
polti i ss. Felice prete ed Adautto morti nella persecu-
zione di Diocleziano , e le ss. Degna e Merita , i cui
corpi conservansi nella chiesa di s. Marcello entro una
urna di porfido, depostivi da papa Paolo I. nel 757 ai
12 di maggio. Più oltre 1' anonimo di Mabillon indica
le cappelle, o oratorii di s. Petronilla, e de' ss. Nereo
ed Achilleo, de' ss. Marco e Marcelliano, di s. Solerò,
di s. Sisto, e di s. Cornelio, fra questo cemeterio e s.
Sebastiano Inde ad s. Felicem et Adauctum, et Emeritam:
deinde ad s. Petronillam et Nereum et Àchilleum: inde ad
s. Marcum et MarcelUanum: inde ad s. Soterum: inde ad
s. Sixtum inde ad s. Corneliam :
inde ad s. Sebastianum. E sembra che queste fossero
tutte sotterra entro catacombe, e che sotterra si faces-
545
se il sacro viaggio dai pellegrini fra s. Paolo e s. Se-
bastiano , di cemeterio in ceinetl^pp , come oggi si fa
sopra terra. ., • V '■.
Ma tornando alla via consolare, presso s. Paolo, che
come notai è 1 m. ed un terzo fuori della porta, que-
sta viene stretta a destra dalla tribuna della basilica ,
ed a sinistra da un colle alto e dirupato di tufa, taglia-
to a picco nel quale viene a terminare la lacinia di Tor
Marancio. Questo rammenta il sito prescelto da Remo
per fondarvi la sua città, che avrebbe avuto nome Re-
muria; imperciocché Dionisio Alicarnassèo afferma, che
era un colle non lungi dal Tevere distante circa 30
stadii dalla Roma quadrata di Romulo , e certamente
sulla sponda sinistra del fiume ( giacche la destra era
in potere de' Veienti ) e verso mezzodì, circostanze che
si uniscono solo in questo punto. Nel 1163 chiama vasi
di già Baniaria cioè Balneariaf come si trae da una car-
ta dell'archivio di s. Alessio, perchè ne'tempi più anti-
chi vi sarà stato un qualche bagno: ed ivi infatti coin-
cide quello, che secondo il Bibliotecario, Simmaco papa
fece circa 1' anno 500 dietro l' apside o tribuna di s.
Paolo: Et post apsidem aquam introduxit, uhi et bcdneum
a f andamento fecit. E questa forma, ossia condotto pel
bagno die nome di Formello alla contrada indicata nel-
la stessa carta in questi dintorni, come pure avanzo del-
la fabbrica di Simmaco sarà stato il muro antico ricor-
dalo in quel medesimo documento. E nell'inventario dei
beni dello stesso monastero di s. Alessio fatto l' anno
1390 si nominano vigne poste in monte della Vagnaria:
e neppure oggi questo nome è venuto meno, dicendosi
ancora questo colle monte della Bagnaia.
Uscendo da questa gola la via solca il vastissimo
prato, che prende nome dalla vicina basilica, e ricorda
la descrizione che ne fa Plinio il giovane nella epistola
35
546
XVII. del II. libro, dove mostra, che la via ora veniva
stretta da selve , ora aprivasi in larghissimi prati : nam
modo occurrentibus sylvis via coarctatur , modo latissimis
pratis diffunditur et patesctt. Imperciocché i luoghi con-
servano pienamente il carattere e l'aspetto che in quel-
la epistola vengono descritti, e ben lungi da presentar-
si in questo tratto squallidi, ed orridi, quali li descris-
se il Bonstetten per dare un colorito più romanzesco e
sentimentale al suo libro , sono amenissimi , e mancano
solo di una popolazione più numerosa. A destra disten-
donsi sulla sponda opposta del Tevere i colli gianico-
lensi che quantunque distanti offrono lo spettacolo di
una l'egetazione vigorosa , ed assistita , frutto della in-
telligenza e della industria. A sinistra il prato restriu-
gesi in una valle , che separa la lacinia di Tor Maran-
cia da quella di Grotta Perfetta^ e che sempre più strin-
gendosi va a terminare dietro il circo di Romulo, vol-
garmente detto di Caracalla nel dorso commune di capo
di Bove. Questa valle nella parte più vicina alla via
ardeatina , che è quanto dire più dappresso al dorso ,
neir anno 1163 chiamasi nella carta sovraindicata di s.
Alessio Vallis Cupula nome che le sarà stato dato per
la sua forma particolarmente cupa e incavata , che ne
faceva un ricettacolo di acque nella stagione piovosa ,
poiché cupula in buon latino significa botticella. La con-
trada adjacente allora appellavasi Horti Praefecti, sia per-
ché un tempo fossero stati posseduti da un qualche pre-
fetto di Roma, sia piuttosto, perché una parte di quel-
le terre era assegnata al mantenimento del prefetto /?ro
tempore. Di questa denominazione il monumento più an-
tico che io conosca è una carta dell'archivio de' Camal-
dolesi dell'anno 1073: veggasi l'articolo GROTTA PER-
FETTA. Ma tornando a Valle Cupula, questa nel seco-
lo XIII: cominciò a chiamarsi ancora valle di Giovanni
547
Giudice, dopo che fino dall'anno 1163 un personaggio
di questo nome ebbe terre in questa contrada, e a lui
ed ai figli suoi fu data in enfiteusi da Riccardo abba-
te di s. Alessio tutta questa valle, siccome si ha dall'istro-
mento originale riportato dal Nerini ; e questo stesso
scrittore riporta altri documenti, dai quali apparisce chà
nel 1243 di già appellavasi Valle di Giovanni Giudice <
e che negli anni 1271 e 1274 Crescenzio e Pietro ul-
timi discendenti di quel Giovanni restituirono al mona-
stero di s. Alessio le terre date dall' abbate Riccardo:;
ed allora la valle cominciò a chiamarsi la Valle del Mot
nastero. La torretta che ancora rimane , in fondo alla
valle, opera del secolo XIII. ^si ^icQrda nel documento
del 1274. citato di sopra. , 'iiiuUh ;'ì(i v
•moha'iìf.ùo ih fi^oh'ji\ asmtì^hnm e1 Tjq ajfii/ iMoh
s-MAp d r,.ibJ^55J?^^jy^,v.SCAPTIA<,UiA ìioihhiib
• • '" •-' , •^•'■•;' ■ ,, olfii>-j'*n«l..«:llKÌ ih
5. PASTORE, ih obiioì li r,;n;j,'6ìJ
S-j ) ((!!i I 'di'- :o ;.noi<!fio)?'j iMìii Bti obuo'ì f>)?jjuQ
È un fondo fertile, ed ampio nel territòrio di Galr
licano , che si dilunga sopra il ripiano di una fimbria ,
che dipende dalla falda del monte di Palestrina, e ver-
so occidente va a terminare al confluente de' fossi di
Zagarolo e di Gallicano, posto circa 19 m. lungi da Ro-
ma. Esso non occupa però tutta intiera la fimbria so-
vraindicata, poiché verso occidente termina alla strada,
che diverge dalla via prenestina antica, e conduce a Gal-
licano, presso Gavamonte. Appartenne un tempo al con-
vento de'pp. domenicani di Roma, e fu destinato come
appanaggio del generale dell'ordine, ma dopo la occupa-
zione militare di Roma dell' anno 1809 passò in altre
mani.
Dopo Cavamonte, appena passato il diverticolo, che
conduce a Gallicano , seguendo l' andamento della via
548
prenestina antica, riconoscibile pel pavimento di poligo-
ni di lava basaltica che ancora conserva, si discende ad
un ponte, sotto il quale passa il torrente di Zagarolo.
Questo' ponte è costrutto di grandi massi quadrilateri
di pietra gabina, alcuni de'quali hanno circa 8 piedi di
lunghezza, disposti a strati alternati, ora nella lunghez-
za, ora nella profondità: 11 strati si contano di queste
pietre fino alla imposta dell' arco , il quale ha 45 pie-
di di altezza , 22 di grossezza , e 30 di larghezza. La
lunghezza del ponte, comprese le testate è di 235 pie-
di (sempre intendendo de piedi romani antichi, che han-
no una insensibile differenza col piede inglese). Questo
ponte venne costrutto per lo stesso uso di quello di
Nona, cioè per ridurre più facile la communicazione
della via ; e per la somiglianza perfetta di costruzione
direbbesi fatto nello stesso tempo, cioè circa la epoca
di Siila. Duecento passi , dopo questo ponte , la strada
traversa il fondo di s. Pastore.
Questo fondo ha una estensione di 36 rubbia ed
è ben coltivato ; trae nome da una chiesa dedicata al
martire Pastore, prete romano, che die il titolo alla chie-
sa di^-s» Pudcnziana in Roma. La chiesuola di s. Pasto-
re fu rinnovata dal p. Boxadors, generale de' domenica-
ni nel secolo passato che molto spese in essa e nel ca-
sino contiguo: la pianta è a croce greca, e contiene tre
altari: quello di fronte all' ingresso dediètìito ai ss. Do-
menico e Caterina da Siena è ornato di due colonne dì
marmo frigio: quello a destra è consacrato ad onore di
s. Pio V. e s. Rosa di Lima : e quello a sinistra a s.
Pastore, prete e martire di cui conservasi il cranio.
' Attinente alla chiesa è il casino; la stanza pianter-
rena di questo , che precede la grotta è una conserva
antica; indizio forte, che un'antica villa fosse in questo
iuogOk ' La grotta nel suo genere è magnifica , essendo
549
tutta scciYata nel tufà, e a forma di un parallelepipedo,;
tagliato in mezzo da un andito ; intorno ad. essa a de-
stra e sinistra sono cento nicchie^ pure iscavate nel tu-
fa atte a contenere 100 botti di vinci 6no« n •nt^minh
Questa delizia venne visitata più volte dai papi del
secolo passato, come da Benedetto XIV e Pio VI. sic-
come testificano le iscrizioni che si leggono nel casino.
La veduta che si gode dalle fenestre di questo è vera-
mente magnifica, specialmente verso oriente e settentrio-
ne. Da s. Pastore a Palestrina, sono circa .4 nùgUa e si
segue sempre la via antica. \ft >< Vv^Hj i » ^ /moiA^Ì '
ci, HliìuPói .iìt ó fi-hi*) -i'^ .K fihoi] ih hfM
■umì •»! no-y otrsr.nlììso^l'-^FOiVJS'. vìUAì f;i:>.'5rb b ,«rimW
È il nome dì una osteria posta 21 miglia distante
da Roma sulla via cassia, o strada di Monte Rosi, de-
rivato dalla insegna che un tempo ivi era, rappresentan-
te un pavone.
Ajfi.!? - /'» j hnìniììr.mm yM.tiùfit tu 'ùnnuì
PEDICA. -h
Nome derivante da pes ed usato ne'tempi bassi per
indicare un terreno di una superficie determinata di un
certo numero di piedi , e che nell' Agro Romano si è
conservato a parecchi fondi che. qui. per ordine alfabe-
tico sono per enumerare, i ; i ; s i^l» ■é:vOv v ito ."ì-ì-ìL ìA
,- Tre di essi hanno soltanto il nome di Pedica, sen-
za altro aggiunto, cioè: uno fuori di porta Cavalleggie-
ri sulla strada di Buccèa e confinante colla strada sud-
detta e colla tenuta di acquafredda : questo appartiene
ai Massimi e comprende 11 rubbia. L'altro è parte del-
la tenuta di Aguzzano. Il terzo è fuori di porta Pia
circa 4. m. distante, confinante con le tenute di Bocco-
ne, Serpentara, Redicicoli, e Yallemelaina , si estende
550
per circa 5. rubbia ed appartiene alla cappella dì s. An-
drea in s. Maria in Via.
Le altre hanno l'aggiunta di un'altro nome, che le
distingue e sono le seguenti: moii o'^n^'ì r. 'ni: rA
''■ '■ Pedice di Acqu acetosa v. Acqu acetosa.
• f edica Cavalloni di rubbia 66 e mezza posta
fuori di porta s. Sebastiano sulla strada detta del Di-
vino Amore circa 9 m. distante da Roma , ed apparte-
nente ai Capizuccbi. Confina colle tenute di Castel di
Leva, Falcognani, e Fiorano.
Vedica Cleri a e Ricci di rubbia M circa, posta
fuori di porta s. Sebastiano , circa 6. m. distante da
Roma, a destra della via appia, confinante con le tenu-
te di Casal rotondo. Terricola, Tor Carbone, Roma Vec-
chia, e s. Maria Nuova.
- )v, Pedica Croce v. Marco Simone.
" Pedica Croce detta la Casetta degli Angeli posta
fuori di porta Maggiore 2. miglia lontano da Roma, per-
tinente ai monaci camaldolesi e confinante colle vigne
di Roma e colle tenute del Quadrato e Tor s. Giovan-
ni. Comprende rubbia 45.
Pedica Mach an ella v. Massa Gallesina.
(il! Pedica Magli anella, o di s. Ambrogio, perchè
appartenente al monastero di questo nome comprende
21 rubbia di terra, confinanti colla tenuta di Casal del-
la Morte, colla strada di Civita Vecchia, e colla pedica
Maglianella Gallesina e pedica Quarantaquattro. E circa
4 miglia e mezzo fuori di porta Cavalleggieri.
Pedica Marra nella comprende 11 rubbia di ter-
ra pertinenti al capitolo di s. Giovanni in Laterano , e
confinanti colle vigne di Roma e colla tenuta di Tor s.
Giovanni, 2 miglia circa fuori di porta Maggiore.
Pedica Pontenono posta 2 miglia fuori di por-
ta Maggiore per la via prenestina antica, confinante col-
551
le tenute di Acqua Bollicante, Portonaccio, Pietra Lata,
e Tor Sapienza. Comprende quasi 14 rubbia.
Dedica Ricci v. Pedica Cleri a.
Pedica Spi n aceto v. Spin aceto. ;- u . -,,-_.
Pedica Tre Fontane trae nome dalla vicina
cbiesa di s. Paolo alle Tre Fontane, alla quale appartie-
ne: confina colla tenuta dello stesso nome e con quella
di Grotta Perfetta e comprende quasi 23 rubbia.
Pedica di Tor Carbone sulla riva destra del
Tevere circa 2 miglia più oltre della Magliana , cioè
circa 7 miglia distante da Roma fuori di porta Porte-
se: essa appartiene ai beneficiati innocenziani del capi-
tolo vaticano, comprende rubbia 8 ed un quarto, e con-
fina con una pedica dello stesso nome, pertinente un dì
ai Lepri e che comprende 9 rubbia di terra , coi prati
pur detti di Tor Carbone e col fiume Tevere.
Pedica di Valchetta v. Valchetta.
Pedica di s. Marta picciolo fondo di rubbia 7
in un angolo circoscritto dalla tenuta di Grottaferrata e
dalla strada e territorio di Frascati , circa 11 miglia
lontano da Roma.
PEDVM — GALLICANO.
€aBtxnm ©alliram.
Terra di 889 abitanti nel distretto di Tivoli e nel-
la diocesi di Palestrina, appartenente ai Pallavicini, po-
sta sopra un colle dirupato di tufa litoide di colore lio-
nato, che ha tutta l'apparenza di avere occupato il sito
di una città antica; imperciocché il colle, su cui giace
è dirupato da tutte le parti, e simile alla pianta di un
piede si unisce , come con un istmo verso oriente alla
552
lacinia, che si prolunga da Preneste verso occidente fi^
no all'Aniene frastagliata in varie guise da numerosi sco-
gli. Aggiungansi a questo fatto le caverne sepolcrali ta-
gliate nel tufa, simili per lo stile e per la forma a quel-
le de'dihtorni di Lugnano (BOLA), e Valmontone (TO-
LERIA), i tagli artificiali delle rupi, onde aprire le vie
e le memorie storiche che ci sona rimaste di queste con-
trade, parmi di potere stabilire con sicurezza, che nel*
sito di Gallicano sorgesse PEDVM, città latina, che per-
venne ad un grado di potenza, a segno di dar nome ad
un territorio, e che viene ricordata dagli antichi scrit-
tori sempre come intermedia fra Labico, Boia, Preneste
e Tibur.
Stefano, o piuttosto il suo epitomatore, appella Us^oc
questa città, e la dice ausonica, o italica: Livio costan-
temente la chiama Pedum : ora Peda in latino equivale
a vestigium , pedata , ed in tal caso direbbesi la città
aver tratto nome dalla forma simile alla pianta del pie-
de , come Boia , o Vola da quella della mano : che se
vuol trarsene la etimologia piuttosto da Pedum , pusto-
rale, nome del bastone ricurvo de'pastori, che veggiamo
in mano de'Fauni, ancor questo può dirsi avere alluso
alla sua apparenza esterna, estremamente stretta, lunga,
e nella estremità rivolgente in tondo. Caratteri sono
questi che combinano assai bene polla forma del colle
1 Gallicano.
Dionisio lib. Vili. e. XXVI l'appella piccola città,
e forse in origine sarà stata dipendente dalla vicina
Preneste ; ma posteriormente essendosi emancipata , fu
capo luogo di una tribù , o distretto del Lazio, Tale
rango occupava di già l' anno 258 di Roma , allorché
comparisce la prima volta nella storia prendendo parte
nella famosa lega latina stretta per riporre i Tarquin}
sul trono. Dionisio lib. V. e. LXI. Divenuta amica de"
353
Bomani dopo la rotta sofferta al Iago di Regillo, que-
sta città si conservò fedele nella scorreria di Coriolano
contro le città latine alleate di Roma, onde quell'esule
condusse ancora contro di essa l'esercito de' Volaci. Veg-
gansi Dionisio, Livio e Plutarco; frai quali Dionisio lib.
Vili. e. XIX. narrando con particolari più lunghi quel-
la impresa, dice che Marcio, impadronitosi di Labico,
si volse contro i Pedani , prese di assalto la città , ed
assoggettolla alle medesime tristissime condizioni delle
altre città prese antecedentemente: e di là condusse la
oste contro Corbione. Livio lib. II. e. XXXIX dice, che
Coriolano, dopo Labico prese Pedo, e che di là condus-
se immediatamente l'esercito contra Roma. Passato quel
turbine , Pedo ritornò nella primiera sua indipendenza.
L'anno 397 i Galli reduci da Preneste vi si accamparo-
no, e vennero messi in rotta dal dittatore C. Sulpicio :
Livio lib. VII. e. XII. e seg. Susseguentemente nel prin-
cipio del secolo seguente strinse lega coi Prenestini e
coi Tiburtini contro i Romani, e sì fermamente la osser-
vò che fu una delle ultime città latine ad essere sotto-
messa. Il console Lucio Furio Camillo , a cui era stata
affidata quella guerra prese nel 417 di assalto questa
^ città e ne ebbe l' onore del trionfo , come si trae da
Livio lib. Vili. e. XII. e seg. e dai Fasti Capitolini.
Dopo tale vicenda andò sensibilmente così decaden-
do, che il territorio soltanto ne conservò il nome, e re-
gio pedana fu detta, senza che di Pedum mai più si fa-
cesse menzione. Cicerone nella lettera ad Attico lib. IX.
ep. XVIII, scritta ai 29 di marzo dell'anno 704 di Ro-
ma, rendendogli conto del suo abboccamento con Cesa-
re a Formie , tendente a rappacificarlo con Pompeo ed
evitare cosi la guerra civile, dice, che terminata la con-
ferenza. Cesare immantinente andò nella sua villa peda-
na, ed egli ad Arpino: continuo, ipse in Pedanum, ego Ar-
554
pinum. Ebbe pertanto Cesare una villa nel territorio pe-
dano, come Cicerone una ne avea nell'arpinate. Una pu-
re ne avea nella regione pedana Tibullo, siccome si ri-
cara da quel verso di Orazio lib. I. epist. IV. v. 2.
Quid nunc te dicam facere in regioue pedana ?
E lo scoliaste antico commentando le ultime due paro-
le dice, che quella regione fu fra Tibur e Frenesie , la
cui etimologia altri traevano dal monumento di un tal
Pedano che dicevasi ancora esistente , altri da Pedo ,
città fortificata, non lungi da Roma, ma che allora non
esisteva più; vel ab Italiae oppido Pedo , qtiod non longe
fuit ab urbe, sed modo non est. Che se il silenzio unani-
me degli scrittori antichi sopra questa città dopo 1' an-
no 417 di Aoma, e 1' asserzione positiva dello scoliaste
non vogliano tenersi come argomenti positivi , che Pe-
dum non esisteva più fin dagli ultimi tempi della repu-
blica, non potrà certamente negarsi fede a Plinio, che
apertamente inserisce nel catalogo delle città estinte del
Lazio ancora Pedum. Feslo ne apprende che Scaptia ,
piccola città di questi stessi dintorni , distante circa 4
miglia da Pedum, siccome vedrassi a suo luogo (v. SCA-
PTIA) era abitata dai Pedani.
Strabone notò, che molte città primitive del Lazio
a'suoi giorni erano divenute fondi, proprietà di privati,
e fra queste conviene porre anche Pedum. Il nome di
Gallicano , che porta la terra sorta sulle rovine , e che
certamente di già esisteva l'anno 992 della era volgare,
m'inducono a credere che un qualche personaggio di
questo nome possedesse ne'tempi antichi quel fondo che
fundus Gallicani si sarà detto. E di Gallicani la storia
imperiale non va scarsa, poiché parecchi consoli di que-
sto nome s'incontrano, come quello dell'anno 127. e Ro-
555
mulo Gallicano dell'anno 150, e Cneo Messio Gallicano
del 237, e Caio Rutiiìo Gallicano, di cui non si cono-
sce r anno preciso, e finalmente Oyinio Gallicano, pre-
fetto di Roma nel 316, console nel 317, e nuovamente
nel 330, il quale fu celebre ancora ne' fasti ecclesiasti-
ci, come può leggersi in Anastasio nella vita Silvestri I.
in Adone nel Martyrol. XXV. lunii, e nel Martirologio
Romano; martire che la Chiesa cattolica venera col no-
me di s. Gallicano. Ma quale di tutti questi personag-
gi abbia dato nome alla terra odierna , è affatto incer-
to, e forse nessuno di essi, potendo essere stato un Gal-
licano a noi ignoto, e grave indizio è che noi fosse Ovinio
Gallicano, poiché certamente non mancherebbero memo-
rie sacre in suo onore, e d'altronde sembra che lo sue
possidenze principalmente fossero nel littorale ostiense
e presso Suessa^, oggi Sessa, presso Magliano in Sabina,
presso Pietas sulla via latina , e presso la Insugherata
sulla Claudia.
Qualunque però sia il Gallicano, che die nome al-
la terra odierna , egli è certo che questa esisteva fin
dall'anno 992, poiché Ottone III, confermando in quel-
l'anno il castello di Poli al monastero di s. Andrea sul
clivo di Scauro nomina frai confini del territorio da un
lato la terra prenestina, dall'altro Gallicani: '\\ documento
esiste nell'archivio de'Camaldolesi e fu pubblicato nel T.
IV degli Annali p. 605. L' anno 1010 Giovanni e Cre-
scenzo Conti figli di Benedetto donarono all'abbate Gio-
vanni ed al monastero di Subiaco in espiazione dell'ani-
ma del loro padre e della loro madre Teodorada una
chiesa per edificarvi un monastero ad onore di s. Ma-
ria, posta iuxta Castrum Gallicanum, indizio del dominio
di quella famiglia sopra questa terra che era di già un
Castrum. Veggasi il Muratori Antiq. Med. Aevi T. V.
pag. 774. Nella locazione di quello stesso castello di
556
Poli, che l'abbate Benedetto di quel itionastei'o fece si
Giovanni Conte, 1' anno 1051 trovasi di nuovo il nome
di Gallicano^ come confine. Allora il castello di Gallica-
no era posseduto da un Teodoro de Rufino, il quale lo
concesse al monastero di s. Paolo fuori delle mura, ed
a questo fu confermato da Gregorio VII. nella Costitu-
zione del 1074 riportata da Margarini Bull. Cassin. T.
IL II successore però di Gregorio VII. dopo Vittore
III. ed Urbano II , cioè papa Pasquale II. nella bolla
del 1115 inserita nel Chronicon Sublacense p. 1055 ,
concedette Castellum Gallicanum cum ecclesiis fundis et
casalibus et omnibus pertinentiis suis al monastero di Su-
biaco. Frattanto i Colonnesi estesero da questa parte le
loro possidenze , e divennero anche padroni di Gallica-
no, sia per usurpazione, come pur troppo in quei tem-
pi lagrimosi avveniva, sia per acquisto, o per donazio-
ne. Un documento esistente nell'Archivio Colonna e ri-
portato dal Petrini, Memorie Prenestine n. 19. mostra che
nella divisione de'beni dell'anno 1242 Gallicano, S. Ce-
sario , e Camporazio divennero partaggio di Pietro Co-
lonna, e formò un ramo particolare, che fu detto de' si-
gnori di Gallicano. Le suddivisioni e successive incorpo-
razioni , che vennero di questo feudo possono leggersi
in Petrini , come pure varii piccioli fatti avvenuti nel
1414, 1424, ec. Nella celebre spedizione del card. Vi-
telleschi , cornetano , questa terra fu presa per penuria
di acqua, come narra il Cecconi p. 301. Passò nel 1448
a Stefano Colonna, siccome si trae da un documento in-
serito dal Petrini n. 58. Nel 1526 fu posta a sacco dal-
le genti di Clemente VII. Cecconi p. 319. Estinguendo-
si il ramo de' Colonna di Gallicano, venne questa terra
in potere de'Ludovisi, ed il papa Gregorio XV. di quel-
la famiglia la visitò nell' anno 1622. come ricavasi dal
libro parocchiale di quella chiesa. Divenne in seguito
557
proprietà de'Pallavicini, e pel matrimonio di Maria Ca-
milla Pallavicini con Giovanni Battista Rospigliosi passò
a questa famiglia; dopo la morte però di Giovanni Bat-
tista ne fu investito il suo secondogenito, nella cui li-
nea rimane ancora.
A Gallicano sì può andare per la via prenestina an-
tica, ed è distante da Roma circa 19 miglia; per la stra-
da di Poli passando per Corcolle e Passarano, la distan-
za ascende a 22 miglia , ma la strada è oltremodo più
commoda , e carrozzabile ; per la moderna strada della
Colonna, ossia l'antica via labicana, la distanza di 19 m.
è eguale che per la prenestina, ma vi sono circa 3 m.
che debbonsi traversare a piedi, o a cavallo fralla oste-
ria della Colonna e Cavamonte per sentieri, che serpeg-
giano entro la tenuta denominata la Pallavicina. Di que-
ste strade diverse , il tratto che lega quella della Co-
lonna, ossia la via labicana colla prenestina a Cavamon-
te è il più monotono. I monumenti che incontransi sul-
la via labicana, e sulla via prenestina, come pure i pon-
ti presso Gallicano vengono descritti al loro luogo , se-
condo la indicazione della Carta , essendo superfluo ri-
petere ciò che negli articoli distinti è stato indicato.
PERNA i
e PERNUZZA v.
DECIMO.
'fifì^h'tì,
—
■ )
ìiwlni'ji
'e:» - ,0r«.
PESCARELLA.
.!>
Vasta tenuta dell' agro romano, circa 20 m. lungi
da Roma, posta frallc strade di Ardea e Porto d'Anzio,
la quale comprende circa 424 rubbia. Confina co' teni-
menti di Campoleonc, Tor di Bruno, Valle Caia, Cerqueto,
s. Procula, Pian de'Frassi, e Casalazzara. Appartiene al-
la prelatura Banchieri. Ne' tempi antichi fu parte del
territorio di Corioli , e trovandosi come intermedio fra
558
quelli di Aricia ed Ardea , forse è lo stesso tenìmenlo
che die motivo alle dissensioni fra gli Aricini e gli Ar-
deati, delle quali parla Livio e che furono così indecen-
temente risolute dal popolo romano che era stalo scelto
per arbitro. Veggasi l'articolo ARDEA. j^;-< j,.„j
PESCHIAVATORE. .mi
È un gran contrafforte del monte Gennaro , che
strìnge colle ultime sue falde meridionali l'Aniene ver-
so il monte Ripoli, ed insieme con questo forma la bar-
ra che forza quel fiume a fare la famosa catarratla co-
nosciuta col nome di cascata di Tivoli. Peschio è la for-
ma volgare data al nome pesculus, e pesclus, che negli
scritti de'tempi bassi sovente s'incontra ed indica mon-
te dirupato, e distaccato quasi da un monte più allo ;
quindi sembra che il carattere di questo monte abbia
dato origine alla prima parte del suo nome , che oggi
unita e fusa si trova colla seconda di Valore forse de-
rivante da Vulture.
PE TRIS CHE.
È una tenuta dell' agro romano di r ubbia 230 si-
tuala fuori di porta Cavalleggieri circa 35 m. distante
da Roma, confinante con quella di Sasso, e co'territorii
di Manziana e della Tolfa. Appartiene all'ospedale di s.
Spirito.
PETRONELLÀ. ,:,v, -.tj,., ;,!
Due tenute di questo nome esistono nell' agro ro-
mano circa 15. m. lontano da Roma presso l'antico La-
vioium oggi Pratica: una appartiene al marchese Naro-
559
Palrizj, l'allra al conte Bonarelli della Rovere, ambedue
sono confinanti fra loro. E Petrouella-Naro che è la più
occidentale confina con le tenute di Monte di Leva, Ca-
pocotta. Campo Ascolano, Pratica, e Petronella Bonarel-
li; comprende 240 rabbia, divise ne'quarti di Montedo-
ro, Muracciola, e Macchia. E di questa tenuta si trat-
tò pure nell'articolo LAVINIVM p. 240, dove si parlò
■del Luco di Giove Indigete , e del Fano di Anna Pe-
renna da alcuni ivi mal collocati.
L'altra confina con Monte di Leva, Petronella Na-
ro, Pratica, Maggione, e Solfarata: è divisa in quattro
quarti, che non hanno un nome particolare: comprende
circa rubbia 257 e mezzo, e non conserva oggetto de-
gno di particolare menzione.
II. irsìr.t' :'
PIAN DETRASSI. ;y-r
•ì lo
Tenuta dell'agro romano pertinente ai Cesarini, la
quale si estende per rubbia 523 ed un terzo. Il suo
nome deriva dai frassini che un tempo ne coprivano il
suolo. È distante da Roma m. 22 per una strada par-
ticolare che si distacca a destra da quella moderna di
Porto di Anzio dopo la osterìa di Fontana di Papa.
Confina colle tenute di Pescarella, Muratella, Castagno-
la, Randitella e Casalazzara. £ divisa ne' quarti di Ca-
stagnola, da Capo, Rinforco, e Casalazzara. ■<
-.:.: ^:.^. :. n
k! PIETRAy. aurea S. agata. ^
PIETRA LATA.
Tre tenute di questo nome esistono fuori di porta
s. Lorenzo dal secondo fino a quasi il quarto miglio
della via tiburtina : la più vicina a Roma comprende
rubbia 37 e tre quarti e confina immediatamente colle
vigne di Roma, colla strada di Tivoli, colla pedica di
Ponte Nono, e colla prossima tenuta di Pietra Lata.
!i*'* La seconda appartenente ai Daste comprende qua-
si 49 rubbia e me/zo, e confina coli' antecedente, colla
pedica di Ponte Nono, colla tenuta di Casale Brugiato,
e con quella di Pietra Lata de'Lante.
>*t La terza è appunto quella de'Lante, confina colla
precedente , colle Vigne , colla strada di Tivoli , e col
fiume Aniene. Si estende per rubbia. 319 circa, . .
PIETRA PERTIJSA.
Vasto tenimento dell'Agro Romano, posto circa 10.
miglia distante da Roma a sinistra della via flaminia ,
oggi detta strada di Prima Porta, la quale va parallela
al confine di esso sul ciglio che domina la valle del
fosso di Scrofano, e che n'è il limite verso oriente. Ap-
partiene al Capitolo di s. Pietro in Vaticano, e confina
colle tenute di Monte Olivieri, Valchetta, e Malborghet-
to , e co' territorj di Scrofano , e di Riano. Si estende
per circa rubbia 745, divise ne' quarti della Torre, di
Pantano, del Gasale, di Vezzano, Statua, e s Marcello.;
Aurelio Vittore de Caesar. dice che Vespasiano fra
gli altri grandi lavori fece pur quello di scavare mon-
ti per la via flaminia, onde agevolarne il transito; e mo-
numento ancora esistente di questa opera è il taglio vol-
garmente denominato il Furio , sul quale si legge la
iscrizione seguente:
IMP . CAESAR . VESPASIANVS . AVGVSTVS
PONT. M AX.TRIB.POTEST . VII . IMP . XVII . COS . Villi.
CENSOR . FAGIVND . CVRAVIT,
Così Claudiano VI. Cons, Hon. v. 500 la descrive;
561
Qua mons arte patena vivo se perforat arcu,
Admittitque viam sectae per viscera rupis.
Ora Procopio Guerra Gotica lib. UH. ripetutamente
chiama quel foro ITsipa IlsjOTouaa, Petra Pertusa, facen-
do uso della denominazione latina; mentre dall'altro can-
to la Carta Peutingeriana, e l'Itinerario Gerosolimitano
chiamano con voce analoga Intercisa la stazione po-
stale ivi esistente fra Cales, oggi Cagli, e Forum Sem-
pronii, oggi Fossombrone. Quindi deduco con tal nome
dai Latini appellarsi una rupe forata, e facile è trovar-
ne la etimologia nel verbo pertundo. Tale etimologia si
applica ancora a questo tenimento ed al castello, che un
tempo ivi era, detto anche esso Petra Pertusa negli scrit-
ti de' tempi bassi, ed oggi rappresentato da una torre
diruta ancora esistente. Imperciocché circa 2 m. più
oltre della moderna stazione di Prima Porta distaccasi
a sinistra della via flaminia una strada antica, che con-
serva in parte l'antico suo pavimento di poligoni di la-
va e le sue crepidini, o margini, la quale tendeva a Veii.
E questa strada a mano a mano si vede incavarsi nel-
la rupe di tufa litoide, che domina quella valle e fini-
sce col penetrare entro la rupe medesima ivi forata,
come quella del Furio, quantunque l'opera sia eseguita
sopra una scala minore. La volta dell'arco è piana, e di
là dall'arco medesimo la strada va discendendo al fosso
di Scrofano per varcarlo, e quindi si perde, ma più ol-
tre ritrovasi nella direzione di Veii, ed un tumulo an-
cora esistente nella valle del Cremerà, circa 4 m. pri-
ma di giungere sotto l'acropoli veiente determina il pun-
to, dove questa strada scendeva in quella valle medesi^
ma a raggiungere la via, che risalendo il còrso del Cre-
merà andava a Veii. Di questo taglio artificiale riman-
gono ancora più di 145 piedi : e segue una direzione
alquanto tortuosa, onde rendere la discesa più agiata che
36
562
fosse possìbile. In quel luogo le rupi sono bellissime e
quasi a picco, vestite più o meno di arbusti. La torre
poi dove era l'antico castrum è di opera saracinesca co-
strutta a strati alternati di scaglie di selce e di marmo
formando così come tante fascie bianche e brune: e que-
sta torre sorge sopra un colle di forma triangolare che
conserva verso settentrione poche vestigia del recinto
del castrum. ^'■'' «à^-- .."'ì"^^ -'j* >;;. >: ..-^ ivi '>.-.:■.
La prima volta^'ch'é Si'rieòTfffà'^ttèstcy càStellb co!
nome di castello di Pietra Pertusa è nel secolo IX al-
lorché secondo Cencio Camerario , papa Bonifacio VL
aflittollo per 10 soldi di oro l'anno. Si ricorda di nuo-
vo nella bolla di Adriano IV, data l'anno 1158 a favo-
re della Basilica Vaticana , nella quale si nomina una
Terram de Macerano positam ad Petram Pertusiam. Si
ripete questo stesso nella bolla di Urbano III. dell' an-
no 1186; ed in quelle d'Innocenzo III. del 1205 e di
Gregorio IX del 1228, tutte riportate nel tomo primo
del Bollano Vaticano. Il castello stesso col fondo nel
secolo XIII. apparteneva per una terza parte al mona-
stero di s, Gregorio , poiché gli annalisti camaldolesi
nel tomo V. riportano nell'appendice n. CXLV. una prò-
testa fatta dal sindaco di quel monastero, Giovanni da
Cerchiara contra Pietro Scotto affittuario o enfìteuta di
tale porzione per avere alienalo contra i patti stabiliti
-tale parte a favore del Capitolo di s. Pietro. Questa
vertenza terminò 1' anno 1284, in che con beneplacito
apostolico di papa Martino IV. i monaci di s. Gregorio
riceverono a titolò di permuta per questo fondo la
terza parte del castello di s. Vito. Da una nota del-
r editore del Bollano Vaticano suddetto, Tomo II. p.
366 apparisce, che l' acquisto di tutto questo fondo a
favore del Capitolo Vaticano ai fece nell'anno 1279; on-
de io credo, che avendo il Capitolo in quell'anno acqui--
563
stato (lue terzi di Pietra Perlusà da altri proprietari! ,
il terzo che rimaneva, e che era quello di dominio di-
retto di s. Gregorio, venne comprato dall'enfiteuta Pie-
tro Scotto irregolarmente, e poscia nel 1284 per conven-
zione definitiva, onde fin da quella epoca divenne pro-
prietà della Basilica Vaticana, che ancora lo ritiene. Da
un necrologio esistente nell' archivio di quella basilica
si trae che continuò il castello ad essere abitato dopo
quella epoca, poiché ivi si leggono i nomi di varie per-
sone che essendo abitanti dei castello di Pietra Pertu-
sa lasciarono pii legati alla medesima. '^'^^ '^l^^"^ onsjiiJl
PIGNETO. . .^v LidJn-f -'>q
Tenuta suburbana dì Roma , denominata cosi dai
pini che un tempo la coprivano, confinante colle vigne
di Roma e colla tenuta di Prima Valle, la quale com-
prende 93 rubbia di terra. Essa è circa 3 miglia fuori
di Roma fra la strada che lega la via Cornelia a quella
di monte Mario , a destra per ch;i esce dalla porta Ca-
valleggieri. ■'>
{^ì>ii'm .tiì ,fifnb ''ìiii^/ì^iiiioj .'.nnìmrì -jìì: 'A
PILO ROTTO Y.ìfONTE DEL SÒRBO, -'m^
PINO.
Aj'ni.i-'-'cVì
Tenuta spettante già ai Pallavicini di Parma posta
fuori di porta del Popolo a destra della via cassia 8 m.
lontano da Roma. Comprende rubbia 162 divise ne'quar-
ti dell' Ara, delle Grotte, e della Sugara. Confina colle
tenute della Isola, s. Nicola, Giustiniana, Buon Ricove-
ro, e Vaccareccia. , u;r;i»Yo->
■lh'-\ f,!ir''.i;Mqifj '?!}o'-) i3iJ fi-5<i«>i5 i;)f<u| ^JloviT uh uiaclaib
■ >ì» nU'»h i-fii 5;!hje uìr^l-Kt (Ah.') ì!'jìO-jih yd:> 'juvì -A
564
PINZàRONE.
È parte della tenuta di Decimo: vedasi l'articolo
DECIMO,
PISANA e MASCHIETTO
Tenute insieme unite dell'Agro Romano poste fuo-
ri di porta s. Pancrazio circa 5 m. a destra della stra-
da, che si crede corrispondere all'antica yia vitellia. Con-
finano colle tenute di Fontignanoi Pantanelle, Casetta,
Torretta, e Brava, e si estendono tutte e due insieme
per rubbia 74.
b'i i PISCIAMOSTO. U.e.,,AuKii
Il nome di questa tenuta 4eriva probabilmente dal-
la ubertà del suolo in produrre le uve, quando in luo-
go di essere lasciata a sodo, o seminata soltanto a gra-
no, era piantata di viti. Essa è poco più di 2 miglia
distante da Roma sulla strada di Ardea detta pure deU
le Tre Fontane. Comprende circa 15 rubbia di terra :
appartiene ai Gabrielli, e coniìna colle tenute delle Tre
Fontane e della Valchetta.
PISCIANO,
^ p0c atmm, ,, ,r
•il,!!- ^ j-nvìh r,
TerM dfellà diocesi di t^àlé^trina ,' dipendènte dal
governo di Subiaco , che ha 1145 abitanti , 12 miglia
distante da Tivoli, posta sopra un colle dipendente dal-
le cime che diconsi Colle Celeste sulla riva destra del
GiuYenzarto^ e non molto lungi dalle stie sorgenti. Dap-
principio questo fondo fu parte della Massa luventiana
donata da papa Zaccaria al monastero sublaccnsc verso
la metà del secolo Vili, donazione che venne conferma-
ta da Gregorio IV. nell'anno 833, da Niccolò I. nell'an-
no 864. siccome si ricava dal placito riferito del Mu-
ratori Ant. Meda Aevi T. I. p. 379, e pertinente all'an-
no 983. Come molti altri castelli di questo distretto, sem-
bra che fosse fondato nel primo periodo del secolo XI.
poiché nella bolla di Giovanni XII. pertinente all' anno
958 si nomina solo come fondo , Fundum Piscano. Ma
pare altresì , che ben presto fosse occupato da privati ,
onde l'abbate Giovanni lo ricuperò circa l'anno 1090. e
Io rinconsegnò al monastero cinque anni dopo. Successi-
vamente se ne trova menzione come terra pertinente ai
Sublacensi nel 1189 nella bolla di Clemente III. e nel
1217 in quella di Onorio III. Negli sconvolgimenti del
secolo XIV. venne in potere de'Colonnesi: questi lo ri-
tennero nel secolo XV. tino all' anno 1484 , in che fu
espugnato dai soldati di Sisto IV. come si legge ne'dià-
rii di Nantiporto, e dell' Infessura. E questi lo ricupe-
rarono ben presto dopo la morte di quel papa e lo ri-
tennero fino al secolo XVII. in che passò ai Teodoli.
Questa terra non dee confondersi col Casale Biscia-
num donato da una Rosa nobilissima Foemina al mona-
stero di s. Gregorio l'anno 984, di che leggesi il docu-
mento nella II. appendice degli Annali de' Camaldolesi
T* IV. né col fondo Biscianus menzionato nella bolla
di Marino IL del 945 riferita dal Marini Papiri Diplo"
matici p. 236. giacché quel fondo era molto più dap-
presso a Tivoli:
566
PISCI ARELLO V. CAPO DI FERRO,
POLI
^astellum s. JJauli-
€a0trum JJoltB-JJolum.
Terra situata nella Comarca di Roma e nel distret-
to di Tivoli, che racchiude 1190 ahitanti, e per la stra-
da diretta è lontana da Roma circa 24 miglia. Quan-
tunque sia probabile che ne' tempi antichi ivi sorgesse
un oppido dipendente da Preneste come città più vici-
na, s'ingannarono que moderni che per una somiglianza
di nome più, o meno approssimativa credettero che ivi
sorgessero Politorium, Empulum, Polusca, e Rola; im-
perciocché Politorium fu una città latina prossima a Ro-
ma, le vestigia di Empulum rimangono ancora nella val-
le Erapulana, come si vide a suo luogo, cioè fra Tivo-
li e Ceciliano o Siciliano: v. EMPVLVM; ed il sito di
Polusca molto più lungi fu nel tenimento di Casal del-
la Mandria nella direzione di Anzio: v. CASAL DEL-
LA MANDRIA; finalmente Boia o Vola fu probabilmen-
te a Lugnano: v. BOLA. Ma il suo nome moderno ebbe
origine da quello di s. Pauli, Pauli, e poscia Polis, Po-
lum, che ebbe ne'tempi bassi.
Imperciocché in una carta riportata dagli annalisti ca-
maldolesi che è il documento più antico che io conosca
e pertinente all' anno 992 , viene indicato appunto col
nome di Castellum s. Pauli ; e quel documento è una
conferma dell'imperadore Ottone III. emanata alle none
di decerabre di quell'anno a favore del monastero di s.
Andrea in Clivo Scauri , di questo castello e dei fondi
567
che ivi andavano uniti, cioè Caporali, Toranula, Carni-
nata, Plagiano, Froziano, Monte Fruita, e Poma: i con-
lini ivi determinati sono il territorio prenestino , Galli-
cano, Faustiniano, Paviano, e Casa Coriculi, cioè Casa-
pc. Un' altro documento riportato dagli stessi annalisti,
in data de' 13 di agosto 998 ci fa conoscere la lascila
fatta da un tal Stefano della intiera metà del castello
di Paulo , che è questo medesimo , la quale io credo ,
che quello Stefano avea ritenuto durante la vita o per
violenta occupazione, o per affitto o enfiteusi, e questa
lascila si fece a favore del monastero di s. Andrea da-
gli esecutori testamentarii Leone tesoriere della Sede
Apostolica , Giovanni de Primicerio , Sergio conte del
Palazzo , Rozzone abbate di s. Paolo , Leone abbate di
s. Silvestro, e Teofìlatto abbate di s. Lorenzo, indizio
del rango di questo Stefano affatto incognito. È notabi-
le trovare fra gli esecutori testamentarii medesimi l'ab-
bate di s. Paolo, poiché da ciò è chiaro, che a quella
epoca il monastero di s. Paolo non avea alcun dominio
sopra questo castello, come sembrerebbe doversi ricava-
re dal nome.
Era pertanto Poli nel principio del secolo XI di già
soggetto intieramente al monastero di s. Andrea , ossia
di s. Gregorio. L'anno 1051 fu dato dai monaci in en-
fiteusi a Giovanni conte , con tutte le formalità legali
' che si leggono nell' Atto riportalo nei codice valicano
n. 6168, insieme col castello contìguo di s. Giovanni in
Camporazio, i confini sono i medesimi di quelli ricorda-
ti di sopra, se non che in luogo di Paviano leggesi Sa-
riano, ed in luogo di Casa Coriculi, Casa Corbuli. Dif-
ficile dopo queste carte ed altre che più sotto si ricor-
dano , è conoscere come fralle possidenze di s. Paolo
trovisi inserita anche questa terra, et castrum quod voca^
tur Polis, nella bolla di Gregorio VIL dell' anno 1074.
568
riportata dal Margarini, la quale non saprei spiegare V
se non perchè forse s. Paolo qualche pretensione sopra
di esso affacciava. Certo è però che questo è il solo do-
cumento da me rinvenuto del dominio di s. Paolo sopra
Poli. Dall'altro canto però nell'anno 1139 trovo essersi
affacciata da Pietro abbate di s. Gregorio una querela
contra Oddone di Poli al concilio tenuto da papa- Inno-
cenzo II nel Laterano, come invasore e detentore di Po-
li, Faustiniano, e Guadagnolo terre tutte del monastero-
di s. Gregorio. Di quella querela ancora gli Annalisti
Camaldolesi ci hanno riportato il documento, dal quale
apparisce che dopo molte tergiversazioni Oddone finì col
consegnare Faustiniano. Ritenne però Poli che conservò
fino al pontificate di Adriano IV. il quale circa 1' anno
1158 lo rivendicò alla Chiesa Romana alle condizioni
stesse, colle quali avea rivendicato Rocca s. Stefano sic-
come si ha dalla sua vita presso il Muratori R. I. S.
Tomo III. P. I. p. 445. Ma poco dopo comparisce ài
nuovo in potere di questa famiglia, che io ho gran dub-
bio fosse un ramo de' conti tusculani , a cominciare da
quel Giovauni conte, che l'avea avuta primieramente in
enfiteusi dal monastero l'anno 1051 come si vide di so-
pra. Oddone nipote del precedente n' era in possesso o
come proprietario, o come enGteuta l'anno 1208, allor-
ché gravato di debiti verso la sede apostolica , e non
avendo altra prole che una figlia di nome Costanza, con-
venne con papa Innocenzo III , che allora governava la
Chiesa di darla in moglie ad uno de' figli di Riccardo
conte di Sora , fratello di quel papa , purché Riccardo
estinguesse i suoi debiti. Pentitosi però del partito, non
solo annullò il trattato , ma sollevò il popolo di Roma
e mise Poli sotto il dominio del senato. Vinto però dal-
le forze del papa, vide occupar Poli da Riccardo me-
desimo, onde tornò al primitivo trattato, e cosi questa
569
terra divenne retaggio de' Conti di Segni, come chiara-
mente espone il Ratti nella storia della famiglia Sforza
T. II. p. 232. In questa guisa Poli rimase ai Conti fi-
no alla estinzione di questa famiglia nel secolo presen-
te , e da loro acquistolla Giovanni Torlonia , duca di
Bracciano, formando un ducalo di che porta il titolo il
primogenito della famiglia, e cosi succcessivamente.
Il colle sul quale sorge questa terra è di tufa li-
toide di color lionato che presenta la pianta di un trian-
golo, il cui vertice è verso la strada romana, e la base
è occupata dal palazzo de'Gonti, oggi Torlonia, grandio-
so come tutti i palazzi baronali delle Terre intorno a
Roma, il quale in gran parte fu ridotto nello stato at-
tuale nel secolo XVI. ed è adorno di pitture ad arabe-
sco della scuola di Giulio Romano. Innocenzo XIII. che
fu l'ultimo papa di questa famiglia amava il soggiorno
di Poli , ed a lui si debbe la strada che da Roma vi
conduce, la quale, sebbene precedentemente esistesse fu
però molto migliorata : egli pure rislaurò ed abbellì il
palazzo. La parte di questo , che guarda verso oriente
è la più antica superstite e si debbe probabilmente al
principio del secolo XIII , in che i Conti di Segni di-
vennero signori di Poli: essa è di opera saracinesca, ed
ivi nel muro è inserita un'aquila de'lempi bassi, che è
io stemma di questa famiglia, sotto il quale si legge in
caratteri moderni il nome di Oddone da Poli colla data
del MCXV. Le strade non sono ampie se si eccettui
quella di mezzo: le case sono per la maggior parte ope-
ra de' tempi bassi, e conservano traccie di quella inter-
capedine fra loro che ne formava altrettante isole. Sa-
lendo per la strada di mezzo verso il palazzo , poco
prima di pervenire alla piazza vedesi un frammento di
scultura: sulla piazza stessa poi adattati all'uso di fon^
570
tana sono due sarcofagi di marmo: in quello a sinistra
ornalo di baccellature a stria è la iscrizione seguente:
D . M
M . ACILIO . HILARIANO
ANTISTIA. PRIMA
MARITO
■:u : b e n e M E R E N T I
quello a destra é simile al primo ; ne' lati però ha cli-
pei con bipenni frammezzo , e di fronte presenta due
colonne negli angoli e in mezzo la porta semiaperta del-
l'Orco con quattro teste di leone negli specchi di essa*
Questi sarcofagi sono del terzo secolo e probabilmente
furono trovali nel tratto di strada antica fra s. Giovan-
ni in Camporazio e Poli. Nel rimanente questa Terra
non presenta affatto vestigia antiche, sebbene io per tre
volte r abbia visitata ed abbia fatte le ricerche oppor-
tune in tutti gli angoli ; nulladimeno per la località ,
credo, come da princi^ijo asserii, che probabilmente vi
sia stato un oppido dipendente da Preneste.
La strada da Roma a Poli e la via prenestina an-
tica fino al ponte dell' Osa: dopo sebbene antica non é
più la via prenestina : poiché questa volgendo a destra
tende a Gabii, e quindi per Cavamente a Preneste: quel-
la di Poli torcendo a sinistra dopo due miglia lascia
Gabii, o Castiglione a destra, quindi per le Gapannelle
che sono al XVI. m. Corcolle, e Porta Nevola raggiun-
ge il vasto ripiano oblongo sotto s. Vittorino e lascian-
do a sinistra al XXI. e XXII. miglio due antiche con-
serve, e la villa detta Catena, ossia già Conti, ed oggi
Torlonia giunge a Poli. Altre strade vi conducono da
Tivoli per Porta Nevola già ricordata: da Tivoli per Ge-
ricomio s. Gregorio, e Casape: da Gallicano per Ponte
571
Lupo e Villa Catena : da Prencste ossia Palestrina per
Monte s. Pietro, e le montagne. Da Tivoli è distante 12.
miglia : da Gallicano 8 : da Palestrina per le monta-
gne 8.
POLITORIVM.
Dionisio lib. III. e. XXXVII. XXXVIII. narra, che
Anco Marzio dopo avere ordinato gli affari interni di
Roma, lusingandosi di vivere in pace, ebbe a muovere
le armi contro i Latini, e primieramente si rivolse con-
tra Politorio, la quale città costrinse ad arrendersi. Non
fece allora alcun male agli abitanti ma li traslocò con
tutti i loro averi in Roma , e li divise come cittadini
fralle tribù: e più sotto, e. XLIII. mostra, che li pose
ad abitare sull'Aventino. Ma l'anno seguente, che fu il
117 di Roma i Latini mandarono coloni nella città ab-
bandonata e si posero a coltivare le terre , onde il re
di Roma mosse di nuovo le armi , e dopo aver vinti i
Latini prese la città, ne arse le case, e ne distrusse le
mura onde i Latini non potessero più stanziarvi a dan-
no de'Romani. Livio narra presso a poco lo stesso lib.
I. e. XXXIII. onde da ambedue questi storici sommi
apparisce essere stata questa la prima delle città latine
prese da Anco , ed essere stata disfatta , né dopo più
si ricorda negli scrittori antichi, se non in Plinio, che,
lib. III. e. V, la enumera fralle città latine perite sen-
za lasciar vestigia: ed in Stefano che la nomina, come
indicata da Dionisio. Ora questa città , come quelle di
Ficana e Tellene , che dopo furono prese da Anco in
quella medesima guerra era nel Lazio fra Roma ed il
mare , e siccome Ficana non era più di 11 miglia di-
stante da Roma sul Tevere a destra della via ostiense,
come mostra Festo, perciò nella stessa direzione io ere-
572
do che fosse ancor questa. Infatti presso Decimo a sini-'
stra della via laurentina circa 11. m, distante da Ro-
ma è un colle di tufa dirupato, ed isolato, che ha tut"
ta l'apparenza del sito di una delle città, o borgate più
antiche del Lazio , che dicesi la Torretta da una torre
de' tempi bassi, che vi fu edificata, dove io congettura
che fosse questa città latina conquistata due volte e di-
strutta dal quarto re di Roma. Il suo nome che risen-
te la origine pelasgica, mi fa supporre che potesse essere
stata edificata dai Pelasgo-aborigeni dopo la espulsione
de'Siculi.
POLLINE V. STRÀCCIACAPPE
S. POLO.
Casfrum 0. poli
È una Terra di circa lOOO abitanti posta- 7 m. di--
stante da Tivoli e 26 da Roma nella Comarca , dipen-
dente dal governo di Tivoli, e situata sopra un ripiano
altissimo della cima denominata la Morra di s. Polo ^
che è una delle punte del monte Gennaro, v. GENNA-
RO. La Terra moderna non offre oggetto degno di men-
zione. Essa fu fondata nel secolo XII. dai monaci di s.
Paolo, che le diedero il nome di Castrum s. Pairii, po-
scia mutato in Castrum s. Poli, e finalmente in s. Polo.
E frai beni di quel monastero si nomina nelle bolle
d'Innocenzo III. del 1203, di Onorio IH. del 1218, e
di Gregorio IX del 1236 riportate dal Margarini. Sul
finire del secolo XIV. fu dai monaci conceduta a Jaco-
po di Giovanni Orsini; e nel principio del secolo XVIL
venduta ai Borghesi^ che ancor lo ritengono.
573
POLVSCA V. CASAL DELLA MANDRIA.
PONTE CJPOLLARO
Picciolo ponte sulla strada di Albano 10 m. distan-
te da Roma costrutto sopra il rigagnolo denominato il
Fosso de'Monaci. Il suo nome deriva dalla fermata che
ivi facevano un tempo quelli, che da Marino portavano
a vendere le cipolle a Roma.
j ^ PONTE FRATTO. ? e.rJ»Kf d
Picciolo ponte sulla via ostiense, sotto il quale pas-
sano le acque Salvie , che poco dopo vanno ad influire
nel Tevere. Esso trovasi 2 miglia e mezzo lontano da
Roma fuori della porta s. Paolo. Il suo nome se non
antico , è almeno molto vecchio , derivando dal latino
Pons Fractus, cioè Ponte Rotto. Presso il ponte Fratto
fu il vico di Alessandro ricordato da Ammiano , e del
quale si farà menzione a suo luogo: ivi pure la via lau-
rentina distaccavasi a sinistra dalla ostiense, e le traccie
ancor ne rimangono sul colle a piccola distanza della
strada.' in, :ij;;uif »■■!' '^ n'"/ i-ìr-^M ■
Ponte Fratto da'pur notne al tehimènto, che chia-
masi anche Grottone per le cave della pozzolana che ivi
si trovano: esso comprende rubbia 42 e mezzo, appar-
tiene al Collegio Germanico, e confina col Tevere, colle
JteaQte denominate Valchetta, e colle vigne di Roma.
. J-'ì'ìi/l il t 'ì ■:■'■■ 1: ' ^"lii Olii
574
, PONTE GALERA. -7 j ,
Ponte sulla odierna strada di Porto, e Fiumicino 9
miglia e mezzo distante da Roma fuori di porta Portese,
che ha nome dal rivo sul quale si trova, di che si fe-
ce menzione in altri articoli , e specialmente in quello
di GALERIA : rivo che con questo nome ricordasi per
la prima volta l'anno 1019 nella bolla di Benedetto Vili
a favore del vescovo di Porto , riferita dall' Ughelli T.
I. p. 114 , e successivamente in altre carte del secolo
XI. Anzi nella bolla menzionata di sopra di Benedetto
Vili, ed in quella di Leone IX dell'anno 1049 si ricor-
da precisamente anche questo ponte , o per dir meglio
un ponte esistente su questo fiume , al quale è succe-
duto il porite attuale. E l'antichità di tal'nome esclude
la supposizione, che in molti scritti moderni s'incontra,
cioè che derivasse dalle galere , che rimontavano fin là
il corso del Tevere, o dall'avere Sisto V. fatte fabbri-
care ivi alcune galere. u: "; ' r: '>'-
Questo ponte dà nome ad una tenuta detta pure
Chiesuola per la picciola chiesa ivi esistente , la quale
appartiene ai Serlupi, confina con quelle di s. Cosimato,
Campo Salino, e Capo di Ferro, e si estende per quasi
rubbia 80. Dalle bolle ricordate di sopra del 1019 e del
1049 si trae che allora questa chiamavasi Curtis Gale-
ria, che ivi era una chiesa di s. Maria ed un villaggio,
vicuSf e che appartenevano tutte al vescovo di Porto.
PONTE LAMENTANA v. PONTE NOMENTANO.
575
PONTE LUCANO.
Ponte suir4.nìene 16 miglia dislanlc da Aoma per
la strada di Tivoli. Ne' tempi passati volle derivarsene
il nome dai luci, o boschi sacri, o dai Lucani, popolo
della Italia meridionale , solo seguendo X impulso delle
etimologie , e senza avere autorità classica , alla quale
appoggiarsi. La esistenza però della mole de'Plauzii sul-
la testata sinistra del ponte medesimo: la certezza della
origine tiburtina di quella gente, conformata da Tacito:
e la scoperta della colonna milliaria portante il num.
XIV. fatta presso le acque Albule circa la metà del se-
colo passato, co' nomi di Marco Plauzio Lucano, e Ti-
berio Claudio Nerone, edili curulì, pretori, censori, e
duumviri quinquennali a Tibur , mi portano a credere
che la diramazione della via tiburtina attuale, dalle acque
Albule verso l' Aniene a destra fosse fatta dagli edili
sovrammenzionati , ed il ponte che necessariamente do-
vea costruirsi fosse fatto da M. Plauzio Lucano stesso,
come tiburtino di origine, onde Pom Lucani, si disse od
anche Pons Lucanus, nome che tuttora conserva.
;,iì Questo ponte fu in origine composto di tre archi
di travertino , i quali hanno il nucleo costruito di sca-
glie di tufa. Di questi tre archi , intatto rimane quello
prossimo alla riva sinistra : quello di mezzo vedesi ta-
gliato ad arte e risarcito con costruzione analoga a quel-
la de' ponti Nomentano e Salario nel secolo VL della
era volgare, e quello prossimo alla riva destra tagliato
an^she esso e grossolanamente risarcito nei secolo XV.
è stato di recente^ insieme con tutto il ponte ristaurato
di nuovo. Tutti e tre gli archi poi si trovano seraise-
polti sotto le macerie, che vi ha agglomerato il fiume,
in modo che l'acqua quando è bassa è superiore di mol-
to alle imposte originali. Scorrendo il fiume in questo
576
punto in modo da formare un' angolo acuto colla via
tìburtina 1' architetto fu necessariamente portato a tor-
cere leggermente il ponte verso la via , formando cosi
un angolo ottuso verso Roma: e siccome questo avreb-
be potuto recar nocumento al ponte nelle grandi allu-
vioni, perciò ampliò l'alveo del fiume da questa parte,
formando una specie di seno rivestito di massi di tra-
vertino, il quale in parte ancora conservasi. Dei ristauri
dei due archi di questo ponte si conosce la causa, ram-
mentandosi , che Totila per testimonianza di Procopio
tagliò tutti i ponti, che erano suU' Aniene fra Tivoli e
Roma: e sul Salario fino all'anno 1798 rimasero le iscri-
zioni di Narsete, che dopo tale rovina lo ristaurò; on-
de io credo che 1' arco di mezzo del Lucano fosse da
lui tagliato e da Narsete rifatto, e con questa opinione
si accorda la costruzione; quanto poi al ristauro del se-
colo XV. che si scorgeva nel primo arco, io credo che
sia una conseguenza delle guerre civili, che afflissero in
quel secolo i dintorni di Roma, e forse Niccolò V. che
tanto operò pel risorgimento di Roma , rifece pure la
volta di quell'arco.
i'I Più volte questo ponte viene ricordato nelle storie
de* tempi di mezzo, e primieramente dal card, di Ara-
gona nella vita di Pasquale II. apprendiamo , che gli
Alemanni venuti con Enrico IV. imperadore, dopo esse-
re stati discacciati dai Romani , scorsero la Teverina ,
passarono il Tevere di là dal Soratte , e devastando la
Sabina vennero a questo ponte, e da esso poi andarono
al ponte Mammeo , oggi Mammolo , dove si conchiuse
fra il papa e l'imperadore un accordo. Veggasi la rac-
colta del Muratori R. I. S. T. IH. P. I. p. 362. Lo stes-
so scrittore nella vita di Adriano IV. inserita nella me-
desima raccolta p. 444. narra come l'anno 1155, solle-
vatosi il popolo romano contro Federico Barbarossa,
577
quésti ÌTisicmc col piàpa usci dalla cillà, e per la Tcvc-
rina , passato il Tevere incontro a Magliano percorsero
la Sabina, e nella vigilia di s. Pietro giunsero al ponte
Lucano, dove a cagione della solennità decretarono di
rimanere. Ivi il dì seguente celebrata la messa vennero
i legati de'Tiburtini a presentare le chiavi ed il domi-
nio della loro città a Federico, cercando cosi di sottrarsi
da quello della Chiesa ; Federico però non accettò tale
offerta. Lo storico soggiunge, che l'aria calda e insalu-
bre di quella pianura fece gran strage degl' imperiali.
Nella cronaca di Riccardo da s. Gennaro riportata dallo
stesso Muratori T. VIL p. 1047. leggesi , che il card.
Giovanni Colonna occupò contro il papa questo ponte
l'anno 1241. e nel Diario del Nantiporto presso il me-
desimo. Tomo in. P. II. p. 1093 si narra, che fu oc-
cupato da Paolo Orsini l'anno 1485. Queste varie occu-
pazioni fan prova della importanza strategica del sito ,
per la quale fu pure fortificato a guisa di fortezza il
contiguo sepolcro de'Plauzii ne' tempi bassi, ed in ulti-
mo luogo da papa Paolo II nel secolo XV.
PONTE LUPO. ^'
Magnifica sostruzione arcuata eretta da Claudio per
mantenere il livello del suo acquedotto , dove traversa
il rivo detto da Strabone Veresis, e da' moderni Acqua
Rossa, circa 2 m. a nord-est di Gallicano e 21 da Roma.
La via più diretta per andarvi da Roma è quella
di Gallicano. Dopo aver lasciato quella Terra si entra
dapprincipio in una strada tagliata nel tufa , e quindi./
passato un ponticello, ed una cappella, si traversano canì-
pi seminativi , e si costeggiano vigne ', siccome però di
tratto in tratto incontransi buhroni imboschiti, è fiecetir<
saria una ^ttida. mxj yjh « l«,»u|» ;m > oqìj i^inì* <} ■.
3Z
578
Il ponte cosi detto, o piuttosto l'acquedotto è for-
mato da due archi, che compresa l'altezza dello speco,
che vi passava sopra, presentano circa 75 piedi antichi
di alte/za e 400 piedi di estensione. In origine era tutto
costrutto di pietre quadrilatere , meno Io speco , e che
era di opera reticolata , dopo fu ristaurato con opera
laterizia, e gli archi grandi per maggiore solidità furo-
no chiusi , e lasciati due vani per dare passaggio alle
acque del rivo. Verso oriente la ripa destra è sostrutta
a più ripiani con muri di opera reticolata e laterizia. I
due acquedotti della Claudia, e dell'Ani enc Nuova scen-
dendo dal monte Affliano si uniscono sotto il colle Fau-
stiniano dopo il ponte delle Mole , e ponte s. Pietro e
passano insieme sopra questo ponte, dopo il quale uniti
rimangono sempre sopra gli stessi archi o sostruzioni
fino a Roma, separati in due spechi, uno all' altro so-
vrapposto, .
■>irM; ìfì 'i>ln»p ni T.'
■lin ni h'i .: PONTE MAMMOLO,(n'Anny?,oirA},::
Pom Mammatm.
Ponte della via tiburtina , sull'Amene circa 4. m.
distante da Roma, il quale presenta due costruzioni di-
verse nella massa, e varii risarcimenti posteriori. E chia-
ro dalla ispezione locale, che in origine fu costrutto con
massi quadrilateri di tufa , e che era composto di tre
archi uno maggiore in mezzo e due minori con archi-
volti di travertino : questa costruzione appartiene agli
ultimi tempi della republica: e di essa appariscono ve-
stigia nella testata verso Roma. L' arco principale però
fu ricostrutto nel secolo FV, ed è di travertino: esso pre-
senta lo stesso tipo che quello del ponte nomentano e
579
del ponlc salario, onde non cade dubbio che tale rico-
struzione appartenga a Narsete, come quella de'due pon-
ti testé ricordati , dopo la distruzione di Totila , della
quale parla Procopio: della stessa costruzione è uno de-
gli archi minori, meno l'archivolto che è stato posterior-
mente ristaurato a mattoni. Frai travertini impiegati da
Narsete uno nella faccia, che guarda verso mezzodì por-
ta le lettere ENTVL di bella forma, provenienti da qual-
che monumento antico distrutto. Rimangono traccie de'
parapetti rifatti pur da Narsete in marmo, come al pon-
te salario , e parecchi ristauri eseguiti nel secolo XY:\
probabilmente dà Niccolò V. ,. .'turalo;
Niun antico scrittore, nessun monumento antico- ri-l-
mane che ricordino questo ponte, ovvero il nome. La
prima memoria, che ne ho incontrato appartiene all'an-
no 1030 della era volgare in un ìstromento esistente
neir archivio di s. Maria in Via Lata , e riportato nel
codice vaticano 8046 , il quale riguarda un prato , che
ivi si dice posto foris ponte Mammi: col nome di Mam-
maeum che sembra il più corretto si ricorda circa l'an-
no 1100 dal card, di Aragona nella vita di Pasquale IL
riportata dal Muratori R. L S. T. IIL P. I. p. 362, al-
lorché narra 1' accordo ivi conchiuso fra quel papa ed
Enrico IV. imperadore, essendo accampato il primo coi
Romani sulla sponda sinistra del fiume, l'altro cogli Ale-
manni sulla destra. Quindi parmi poter supporre , che
Mammea madre di Alessandro Severo lo rifacesse, e per-
ciò ne portasse il nome, poscia alterato in Mammulus,
e da noi detto Mammolo. Ancor esso fu occupato da
Paolo Orsino nel 1485 , come il Lucano, v. PONTE
LUCANO. iAu:.:>. :.^y:'^ ,;i. o;:;.^^!, . ì;-: .-,-<) '::;,:>< ^ìh)
i. .!]} . ih ni c08l <!;•!!>.'!! euljt et«jq'*'ll')iil) ud
^M.'U'jc'.'riqqtn yjnyyo»' iijyJJji oJiiJr, ol^on x>Hnh
5 )i)i; ftHji . oiyvB pJJ^ i*' od^ . Bqnifilift Iti b'i mifUi' '\'
580
PONTE MOLLE. ' , ' *
PONS MOLVIVS — MVLVIVS — MILVIVS. '«
' :v>. :<iH\\ì .V'.'i. i>i'i*H^- !:<i«i'|.'
Ponte, sul quale si passa it fitfrne tevePè,' tóé'mf-'
glia fuori della porta odierna del Popolo; dove si riu-f
niscono le vie Pia a sinistra, Cassia o Claudia in mez-
zo , e Flaminia a destra. Il suo nome moderno è una
corruzione patente dell'antico Molvius;, e Mulvius, alte-
rato dai copisti latini e greci in Molbius, Mulbius, M&X-
^log , Moki^ioq , secondo le oscillazioni della pronunzia
volgare, per non dir nulla del nome lulii che viene in-
dicato nella carta peutingeriana. La memoria più antica
di esso appartiene all' anno di Roma 546 , siccome più
sotto vedremo per testimonianza di Livio. Esso è soste-'
nuto da quattro archi grandi e tre piccioli, oltre quat-
tro fornici intermedii agli archi grandi, i quali sebbene
ristaurati conservano indizii chiari di essere antichi. Gli
archi piccoli sono tutti e tre moderni , uno sulla spon-
da sinistra, e due sulla destra alle testate del ponte: i
grandi però sono antichi , sebbene in parte anche essi
siano stati ristaurati in varie epoche, poiché i primi due
verso Roma, che sono di massi quadrilateri di peperino
meno gli archivolti e le volte , che sono di travertino,
mostrano evidentemente un ristauro antico nella volta ,
forse opera di Marco Scauro censore. Identica a questi
è la costruzione della parte inferiore degli altri due, ma
nella parte superiore furono goffamente ristaurati nel
secolo XV. dopo che troncati nel 1405 dai partigiani
di papa Innocenzo VII. furono secondo il Platina risar-
citi, come oggi si veggono da papa Nicolò V.
Da quell'epoca fino all'anno 1805 in che venne ri-
dotto nello stato attuale fu cosi sovente rappresentato
in pittura ed in istampa , che si può avere una idea
581
perfetta come esso era stato antecedentemente ridotto :
oltre di che non mancano le descrizioni. Da tali docu-
menti apparisce , che di legno erano le due testate , e
che dove cominciava la parte solida sulla riva sinistra
era una statua di s. Giovanni Nepomuceno, scolpita nel
secolo XVII. la stessa che oggi è collocata sul pilastro
destro all'ingresso; che poco più oltre a destra era una
rozza edicola sacra alla Vergine, nella quale si venera-
va un' antica immagine: una iscrizione ivi esistente che
il Galletti riporta fralle Iscrizioni Romane Tom. I. Glas.
I. n. 224. e che oggi più non si vede , dichiarava che
le limosine che la pietà de'fedéli ivi lasciava erano sta-
te erogate da papa Innocenzio X. in sussidio delle po-
vere convertite penitenti, allora racchiuse nel monastero
di s. Maria Maddalena al Corso, detto perciò delle Con-
vertite. Verso la campagna la testa del ponte veniva di-
fesa da una torre di costruzione del secolo XV. la qua-
le cominciata da Niccolò V. fu terminata da Callisto III.
suo successore, del quale rimangono ancora le armi nel-
r arco di transito. E questa torre chiudendo il passo
forzava ad una svolta a destra, che oggi più non si vede.
Antecedentemente vi era un propugnacolo costrutto in
gran parte di legno ed opera de' bassi tempi , il quale
era chiamato Tripizon , siccome ricavasi da Albertino
Mussato nelle Gesta di Enrico VII. lib. IV. e dai Com-
mentarii di Leonardo Aretino, opere inserite dal Mura-
tori ne' Rerum Italicarum Script, la prima nel tomo X.
l'altra nell'XI. In questo stato trovavasi il ponte Molle
l'anno 1805, allorché essendo rimasto danneggiato dalla
inondazione straordinaria del Tevere avvenuta a dì 2
febbraio, dovendosi risarcire le parti lignee di esso, e
togliendo occasione dal ritorno di papa Pio VII. che era
ito ad incoronare in imperadore de' Francesi il primo
console della republica Napoleone Buonaparte , fu data
582
commissione all'architetto Giuseppe Valadicr di rìslaurar-
lo e di abbellirlo per quanto Io permettevano i tempi.
Egli adunque fece costruire di materiali solidi la porta
già di legno, addrizzò la testata destra, e forando la tor-
re le die la forma di un arco monumentale, come per
testimonianza di Strabonc uno ve n' esisteva ne' tempi
antichi ad onore di Augusto. Sopra quest'arco leggonsi
due belle iscrizioni latine con lettere di rilievo: la pri-
ma sulla faccia rivolta a Roma dice:
PIVS . VII . PONT . MAX.
PARTEM . PONTIS . SVBLICIAM . IMPETV . AQVARVM . VEXATAW
STRVCTORIO . LAPIDE . REFICIEND . CVRAVIT
IDEM . TYRRI . PERFOSSA . RECTA . AD . ALTERAM . RIPAJML
ITER . APERVIT . A . CIOIOCCCV
CVRANTE . ALEXANDRO . LANTE . PRAEF . AERARl-
Taltra, verso la campagna:
i ;• i -Ili.;.
K : PlVS . SEPTIMVS . PONT . MAX.
PONTEM . ET . TVRRIM . OPERIB . AMPLIATIS . RESTITVltl '
ANNO . DOMINI . CIOIDCCCV.
ili ')-'■'■■ .; ) .
'•f ' La statua di s. Giovanni Nepomuceno fu allora tra-
sportata sulla testa del parapetto destro : e demolita 1»
edicola, fu innalzata sull'altra una statua della Concezio-
ne di travertino, opera di Domenico Pigiani. Sulle altre
due venne divisato di porre le statue dagli apostoli pro-
tettori di Roma s. Pietro e s. Paolo : e questo divisa-
mento era buono , giacché le statue per la mossa , pel
soggetto, e per la circostanza locale sarebbero state un
bell'ornamento all'ingresso del ponte verso la campagna;
ma in luogo di queste nell'anno 182S vi furono colloca-
te quelle di s. Giovanni Battista in atto di battezzare
il Redentore , le quali erano state destinate in origine
583
ad essere unite insieme a formar gruppo , mentre oggi
necessariamente sono disgiunte: esse furono fatte da Fran-
cesco Mochi per l'aitar maggiore della chiesa di s. Gio-
vanni de'Fiorentini} ma furono trovate così difettose per
ogni riguardo, che non vennero mai esposte al publico
e si giacquero abbandonate e neglette per più di due
secoli ne'pianterreni del palazzo Falconieri, quando ven-
ne in mente al tesoriere Cristaldi di comperarle per 100
doppie di oro, onde collocarle così impropriamente in
questo luogo. Veggasi su queste statue il Passeri nelle
Vite de'Pittori p. 119.
Notai di sopra, che la forma originale del nome di
questo ponte è quella di Molvius, o Mulvius, e che da
questa trae origine la volgare odierna di ponte Molle.
Tal nome derivò, o dal suo fondatore finora incognito ,
o dalla prossima lacinia de' colli gianicolensi , la quale
forse sarà stata chiamata ne' tempi più antichi mons Mol-
vius, o mons Mulvius. E circa l'essere nome di famiglia
ne fan prova le lapidi riportate da Grutero , e Valerio
Massimo lib. Vili. e. I. §. 5. onde può bene uno di
questa gente aver dato tal denominazione al ponte; quan-
to poi alla congettura che lo traesse dal prossimo mon-
te, va questa di accordo coU'esempio de'ponti Palatino,
Gianicolense, e Vaticano di Roma, cosi detti, perchè si
trovavano dirimpetto ai colli dello stesso nome. Aurelio
Vittore de Viris Illustr. e. LXXII. dice, che Marco Emi-
lio Scauro censore, viam Aemiliam stravit , pontem Mul"
vium fecit. Stando strettamente a questo passo dovrebbe
ascriversi la fondazione di questo ponte all'anno 644 di
Roma , in che fu censore Scauro il vecchio , poiché di
esso e non del giovine si tratta, dicendo Ammiauo nel
lib. XXVII. e. III. nel riferire questa stessa tradizione,
che fu lo Scauro superior. Ma contro questa asserzione
di due scrittori del secolo IV. della era volgare si af-
\
584
faccia il passo di Livio lib. XXVII. e. LI. indicato di
sopra, il quale mostra ii ponte, come esistente circa un
secolo prima di Scauro, cioè l'anno 546. A concordare
però queste testimonianze così in opposizione fra loro
mi sembra opportuno, non di ricorrere alla spiegazione
che Livio indicasse il ponte come esistente un secolo
prima , per figura di prolepsi , ma bensì di credere che
in origine fosse di legno, e probabilmente cosi fu co-
strutto da Flaminio nell' aprire la via di questo nomcy
e che poscia nel 644 Scauro essendo censore lo rifaces-
se di pietra: e con quella epoca si accorda la costruzio-
ne originale che ancora resta. Ora esistendo un ponte
in questo luogo fino dall'anno 546 col nome di Molvius
non può in alcun modo derivarsene la etimologia da Ae~
milius Scaurus, come volgarmente si suppone da colobo,
che abbracciando la forma erronea di MìItìus piuttosto
che la corretta di Molvius vogliono stiracchiarla da Ae-
milius. ' --iiaf*.. ^-j.' -, : -;■• '/. ,.,w'/ "^ìA.- ->*.-
Dalla origine e dialla etimologia passando alle noti-
zie istoriche ho notato di sopra che la prima volta che
si ricorda questo ponte è appunto quella dell'anno 546t
di Roma 207 avanti la era volgare , allorché il popolo
di Roma accorse in folla fin là ad incontrare i legati
Lucio Veturio Filone, Publio Licinio Varo, e Quinto Ce-
eilio Metello apportatori del fausto annunzio della vit-
toria riportata presso il Metauro sopra Asdrubale dai
consoli C. Claudio Nerone e M. Livio Salinatore. Nel-
l'anno 675 questo ponte ed i colli gianicolensi adiacen-
ti furono occupati dal console Quinto Lutazio Catulo ^
e da Pompeo per opporsi alle mosse di Lepido, che si
era fitto in mente di rescindere gli atti di Siila, e che
fu costretto di fuggire in Etruria, e di là in Sardegna^
dove mori. Floro lib. III. e. XXIII. Su questo ponte
medesimo nell'anno 690. per ordine di Cicerone furono
585
arrestati i messi degli Allobrogi implicati nella congia-
ra di Catilina, siccome Cicerone stesso Catti. III. e. II.
e Sallustio Catti, e. XLIV. attestano. Verso fa metà del-
l'anno 708 di Roma Capitone fece in senato la proposi-
zione d'ingrandire l'abitato della città occupando il Cam-
po Marzio, e di voltare a tale uopo il corso del fiume
dal ponte Molvio lungo la pendice de* monti Vaticani ,
riducendo così all'uso del Campo Marzio il Campo Va-
ticano. Cicerone ad Attic. lib. XIII. epist. XXXIII. La
situazione amenissima di questo ponte^ la riunione di due
strade consolari , la prossimità della metropoli attiraro-
no il concorso de'Romani antichi, come de'moderni: quin-
di come oggi , così anticamente vi erano osterie ed al-
berghi. Infatti Tacito ne apprende che circa l'anno 812
di Roma, ossia 59 della era volgare, Nerone prenden-
do parte agli stravizzi che ivi facevansi corse pericolo
della vita per le insidie tramategli da Cornelio Sulla
Annoi, lib. XIII. e. XLVII. Maggior celebrità poscia ot-
tenne questo ponte per la vittoria riportata da Costan-
tino sopra Massenzio 6 miglia di là da esso sulla via
Flaminia l'anno 312 della era volgare, e che suol desi"
gnarsi col nome di vittoria del ponte Molvio. In quella
giornata memorabile, che fece cangiar faccia al mondo,
perì Massenzio, il quale volendo traversare il fiume, do-
po la rotta, vi rimase annegato: e questo fatto die ori-
gine alla favola che Massenzio tagliasse il ponte Molvio.
L'anno 367 si ricoverò presso questo ponte il prefetto
di Roma Lampadio, allorché in un tumulto popolare la
plebaglia incendiò la sua casa posta presso le tenne co-
stantiniane : Ammiano lib. XXVII. e. III. La importan-
za strategica di questo luogo venne riconosciuta da Vi-
lige, che nell'assedio di Roma dell'anno 537 lo ritenne
in suo potere : Procopio Guerra Gotica lib. I. e. XIX.
Un decennio dopo Tolila altro re de'Goti mentre distrus-
586
se tutti gli altri ponti intorno a ÌRoni.i, questo solo ser^
bò illeso: Procopio lib. III. e. XXIV. Da Anastasio nel-
la vita di Sabiniano si narra che nel trasporto funebre
di quel Papa dal Laterano al Vaticano l'anno 606 la pom-^
pa passò su questo ponte. Cosi fin là il senato romano,
e la corporazione dc'Greci stabilita in Roma, detta Scho-
la Graecorum^ andarono a complimentare Arnolfo Tanno
896 allorché venne a prendere in Roma la corona im-
periale: Annales Bertiniani presso i Rer. Ital. Script. T.
II. Par. I. p. 574. Da quella epoca fino all' anno 1312
niuna altra memoria storica su questo ponte s*incontra,
se non quella che 1' utile dominio di esso spettava fin
dall'anno 955 al monastero di s. Silvestro in Capite, co-
me ricavasi da una bolla di papa Agapito II. L'anno 1312
fu occupato e fortificato dalle genti di Roberto re di
Napoli che furono poscia messe in rotta dalle truppe di
Enrico VII ai 7 di maggio, secondo Albertino Mussato
ricordato di sopra. Nel 1405 fu presidiato dai partigia-
ni d'Innocenzo VII. ed assalito dai Romani della fazio-
ne ghibellina: Stefano Infcssura racconta nel suo Diaria
riportato dal Muratori Rerum Ital. Script. Tom. III. Par-
te II. p. 833, 1116, 1139, che in quella circostanza il
ponte fu incendiato, quindi ragionevolmente s'inferisce,
che una parte di esso era già di legno; e che fatto l'ac-
cordo frai Romani ed i papalini , fu da questi ultimi
tagliato. Ben presto venne risarcito, poiché per testimo-
nianza di uno scrittore contemporaneo inserito dal Mu-
ratori T. XXIV. p. 986, fino dall'anno 1408 era di già
in pieno uso. Nel 1433 venne per poco tempo occupa-
to da Niccolò Fori ebraccio come si riferisce dall'Infes-
sura. In questo sito del Tevere papa Pio II. imbarcos-
si ai 18 di giugno, allorché portossi in Ancona per-«)m-
mandare la crociata contro i Turchi. Nella guerra civi-
587
le accesa durante il pontificato di Sisto IV. fa nel 1485
occupato e poscia reso da Virginio e Paolo Orsini.
Affacciandosi al parapetto destro del ponte vedesi
sulla sponda del fiume fissa sul luogo la pietra, o ciop-
po terminale di travertino, alta circa 3. piedi, larga 2,
e grossa 1 ed un quarto, notata dal Fabretti sul decli-
nare del secolo XVII. Inscript. Class. VI. num. 167, e
riscoperta di nuovo il dì 20 ottobre 1819: essa fu po-
sta come r altra incontro , che oggi si conserva nella
villa Albani, e che fu riportata da Fabretti, ed illustra-
ta dal Marini Jscriz. AUane p. 21. come limite fra l'a-
gro privato, e l'agro publico. La iscrizione in caratteri
di forma antica ricorda la censura di Marco Valerio Mes-
sala figlio di Marco , nipote di Manio, e di Publio Ser-
vilio Isaurico figlio di Caio, la quale, secondo il Mari-
ni dee stabilirsi nell'anno 699 di Roma o 55 avanti la
era volgare. Essa dice così:
M . VALERIVS . M . F
M . N . MESSAL
P . SERVEILIVS . C . F .
ISAVRICVS . CES
EX . S . C . TERMIN
cioè Marcus Valerius Marci Filius Manti Nepos Messala,
PMius Sercilius Caii Filius Isauricus Censores Ex Se-
natus Consulto Terminaverunt. Il cippo vedesi incassato
entro una specie di gradinata costrutta di massi di tu-
fa, che quando le acque del Tevere sono al livello or-
dinario mostra essere stata di otto gradini. La iscrizio-
ne differisce da quella del termine di villa Albani nel-
la sola trasposizione de' nomi de' censori per la vecchia
ambizione di non sembrare uno da meno dell' altro. È
noto che prima di Cesare la cura delle ripe del Teve-
re come quella delle vie, delle acque, e di altre opere
pubbliche più ordinariamente era affidata ai censori; ma
588
dopo la morte del dittatore negli sconvolgimenti che la
seguirono, questi ordinamenti si trovarono in tale disor-
dine, che si legge in una iscrizione riportata dall'Ubal-
dino nella vita di Angelo Colozio p. 93, e dal Fabretti
Inscript. e. X. 409, affidata ad un Quinto Cornelio Le-
vino Flamine Diale. Nel nuovo ordine però che Augu-
sto diede agli affari publici, la cura dell'alveo, delle ri-
pe del Tevere e delle cloache fu data come quella del-
le strade e delle acque a personaggi indicati col nome
di GVRATORES RIPARVM ET ALVEI TIBERIS ET CLOACARVM,
officio che in molte iscrizioni antiche s'incontra in pro-
va di ciò che asserisce Svetonio in Octavìo e. XXXVII,
Di là da questo termine il masso informe di un monu-
mento sepolcrale serve di norma onde tracciare l'anda-
mento della via flaminia , la quale era molto più ade-
rente al fiume che la strada attuale che ne siegue le
traccie.
' ^ : V
TONTE NOMENTANO.
Ponte suH'Auiene che trae nome dalla via nomen-
tana sulla quale si trova 3. m. circa fuori di porta Pia ,
e che il volgo appella ponte Lamentana. In orìgine co-
me il Mammolo ed il Salario era costrutto di massi qua-
drilateri di tufa , meno gli archivolti che erano di tra-
vertino, e veniva formato di tre archi uno grande in
mezzo e due piccioli. Poscia fu distrutto come gli al-
tri ponti suH'Aniene da Totila, secondo Procopio e rie-
dificato da Narsete, come si trae dalle iscrizioni già esi-
stenti al parapetto del ponte Salario, e dall'analogia di
costruzione , ed allora fu tutto rivestito di travertini
come oggi si vede. La torre che lo copre fu costrutta
nel secolo VIIL e poscia ristaurata e fortificata con al-
tre opere nel secolo XV. da Niccolò V. di cui rimane
589
lo stemma e si legge il nome. La costruzione laterizia
appartiene al secolo Vili, quella irregolare di ciottoli ,
al XV. I parapetti erano in origine di marmo come al
ponte Salario ed al Mammolo. q iitu.Ui mm!;J j.-'k j o,
Narra l'Infessura nel Diario riportato dal Muratori
R. I. S. T. III. P. II. p. 1125, che questo ponte fu
insieme con quello detto Molle, e col Salario preso da
Niccolò Fortebraccio 1' anno 1433 ai 25 di agosto, ma
rimase in sue mani per poco tempo.
Nella guerra degli Orsini sotto Innocenzo VIII que-
sto ponte fu occupato insieme col Salario, col Molle, e
col Lucano da Paolo Orsino nel marzo dell'anno 1485,
e le sue genti lo ritennero fino ai 28 di dicembre del-
lo stesso anno, in che si dovettero rendere a discrezio-
ne. Veggasi il Nantiporti presso il Muratori 1. e. p.
1093 e 1097 e l'Infessura ivi p: 1193.
Col nome di ponte Lamenlana si conosce pure un
foudo che va unito con quelli di s. Agnese, e di Tufel-
li, posti tutti e tre fuori di porta Pia, fra loro distin-
ti , ma che tutti insieme hanno il nome di tenuta di
Ponte Lamentana. Appartengono al monastero di s. Silve-
stro in Capite e comprendono poco meno di rubbia 126.
Formano altrettanti quarti sotto la stessa denominazio-
ne : quello di ponte Lamentana è di là dall' Aniene e
confina coU'Aniene, con Casal Fiscale, e Casal de'Pazzi,
e racchiude il celebre monte Sacro , del quale parlo a
suo luogo : quello di s. Agnese è di qua dal fiume e
confina colle vigne di Roma, colla via nomentana, colla
tenuta di Sacco Pastore, e coU'Aniene: finalmente quel-
lo detto Tufelli è di là dall'Aniene ed è a contatto con
le tenute di Cocchina, Val Melaina, Casal Fiscale, Pra-
ti Fiscali, e colle Vigne Nuove. E di questi fondi il
primo trae nome dalla prossimità del ponte: il secondo
dall' essere stato un tempo posseduto dalle monache di
590
s. Agnese fuori delle mura, dalle quali nel secolo XVI.
passò a quelle di s. Silvestro : ed il terzo finalmente
dalla natura tufacea , del suolo. Ho detto che il fondo
di Ponte Lamentana propriamente detto spetta a s. Sil-
vestro in Capite: ora nella bolla di Agapito II. dell'an-
no 995, nella quale si enumerano i beni di quel mona-
stero si trova ricordato questo fondo col nome di Lam^
pari. ic v'jtsf !
il', uiir. isf :..:.ì,:i,ì;
-> ;P llì'f ouuy^ir.PONTE DI NONA, .adui^ dhr:
È un lenimento di circa 37 rubbia di terra ^ che
ha nome da un magnìfico ponte antico sulla via prene-
stina, cosi denominato ne' tempi bassi, perchè è situato
circa il miglio IX dell' antica via , il quale corrisponde
alle miglia 8 ed un quarto dalla porta Maggiore attua-
le. Appartiene al monastero di Campo Marzo. Confina
col lenimento di Benzone , e Pantano , colla via prene-
slina antica, e colla tenuta di Salone. Questo lenimento
col nome di casale ponte de Nona fu da Gregorio VII.
nell'anno 1074 dato al monastero di s. Paolo fuori del-
le mura, siccome ricavasi dalla bolla inserita nella rac-
colta del Margarini Tom. II. Ora essendo fin da quel^
la epoca divenuto proprietà de' monaci benedettini , si
può conoscere , come posteriormente venisse in potere
del monastero di Campo Marzo , occupato da monache
dello stesso ordine. Di questa contrada fa pure menzio-
ne Onorio III. nella bolla emanata l'anno 1217 e ripor-
tata jiel Bollano Vaticano Tomo I. p. 100. ricordando
591
le Possessiones extra portam Maiorem iuxta ponte.m de
JVone, et ubi dicitur Loretum, che appartenevano all' or-
dine del Riscatto. ■'
Ho notato che il ponte che die origine al nome del
fondo attinente è 8. miglia ed un quarto distante dalla
porta Maggiore ossia circa 9 dalla porta Esquilina an-
tica f sulla via prenestina , che fino a Gabii ebbe pure
il nome di via gabina. Nel far questo ponte i nostri
maggiori altro scopo non ebbero, che quello di mante-
nere per quanto più fosse possibile la via in piano, co-
me pur fecero nell'appia con quella magnifica sostruzio-
ne che eccita ancor meraviglia. La vallata in che si tro-
va, sebbene in questo punto sia molto profonda non
porta e non potè giammai portare molte acque, poiché
non raccoglie altri scoli , che quelli di poche lacinie , i
4]uali percorrono circa 3 miglia prima di giungere al
ponte ', e per poterli passare al varco della via , ogni
piccolo ponticello sarebbe stato sufficiente , ed a tale
uopo io credo che originalmente venisse costrutto l'ar-
chetto medio che poscia si trovò chiuso nella fabbrica
magnifica posteriore. È costrutto intieramente di pietra
gabina all' esterno , meno le testate che sono di pietra
rossa o tufa locale, tagliata in massi parallelipedi, i qua-
li sono disposti a strati alternati, e non di rado presen-
tano 10 e 12 piedi romani di lunghezza : il masso poi
è costrutto al solito di scaglie di pietra e calcina: i mas-
si quadrilateri sono mirabilmente commessi fra loro, ma
senza calce affatto. Sette archi lo compongono, e questi
non sono geometricamente parlando eguali uno all'altro,
né per altezza, né per larghezza: l'altezza va crescendo
a misura che gli archi slontanansi dalle ripe; della ine-
guaglianza poi della larghezza, difiìcilmente potrebbe as-
segnarsene altra causa che a una certa incuria nella
esecuzione: vero é però che questa differenza è piccola,
§92
e che se non si misura, difficilmente l'occhio la conce-
pisce, lanla è la vastità della mole e l'armonia genera-
le ! Avendo misurato io stesso questo ponte ho trovato
che per chi parte da Roma il primo arco ha 19 piedi
e mezzo antichi di vano: il II. III. e IV. ne hanno 18
e tre quarti: il V. ne ha 24 e tre quarti^ il VI, ed il
VII. 21 e tre quarti : queste misure furono prese nel
basso da pilastro a pilastro. Ciascun pilastro è rafforza-
to da contrafforti : ed ha 10 piedi di fronte , e 38 di
profondità; sopra i contrafforti la profondità diminuisce
di circa 7 piedi. L'altezza dell'arco centrale è di 48 pie-
di. Questo racchiude 1' archetto originale del ponte più
antico, il quale non è parallello affatto al ponte poste-
riore , ed ha dal suolo attuale circa 17 piedi di altez-
za, 2 ed un quarto di grossezza, e 21 e un quarto di
profondità. Questo ponte conserva il pavimento dell'an-
tica via prenestina lastricato di poligoni di lava basal-
tica , in molto buono stato , il quale ha da crepidine a
crepidine 21 piedi di larghezza ; i parapetti però , da
lungo tempo sono periti. Misurando la lunghezza intie-
ra del ponte da testata a testata 1' ho trovato di 320
piedi.
La grandezza di questa opera, la dimensione delle
pietre che la compongono, la diligenza posta nello squa-
drarle e nel disporre in modo che le commetiture de-
gli strati diversi fossero sempre disposte a sacco: il tra-
vertino impiegato con parsimonia , e solo nelle chiavi
degli archi, mi sembrano indizii sufficienti per riguar-
dare questo monumento come pertinente a quella epo-
ca, in che i Romani, giunti al vigore supremo della po-
tenza, facevano opere grandi per la utilità pubblica, ma
non per isfoggiare in lusso , usando i materiali meno
costosi, e componendo la parsimonia di questi colla so-
lidità del lavoro. Lo stile è analogo a quello del Tabu-
593
lario di Roma costrutto da Catulo conttìmporaueo di Sii-
la, edificio nel quale vedesi pure usato con gran rispar-
mio il travertino, mentre in genere vedesi posta in ope-
ra la pietra gabina tagliata a grandi massi quadrilateri.
Ora mancando di autorità positive, che dichiarino l'au-
tore di questo ponte magnifico, riconoscendo V analogia
con altre opere della era sillana, quale fu il Tabulario,
sapendosi quanto Siila accrebbe il tempio della Fortuna
prenestina al quale questa via e questo ponte conduce-
vano, non sarà temerità supporre che egli per agevola-
re la via a quel tempio facesse ancora questa opera ,
che dopo oltre 20 secoli ancora serve di tramite alla
via prenestina. E seppure non voglia supporsi fatto da
Cajo Gracco che per testimonianza di Plutarco nella sua
vita, tanta cura prese delle vie consolari l'anno 631. di
Roma. Dii^i'V» »t\'>wtI lùioo ou^n-tuTÌ ennn oaioo
■|»; .YIXX
PONTE SALARIO. A amomè
l'ijìT sb y , ».>JX')ia ji» ìt1f>qi,ifiq
Ancor questo come il Nomentano trae nome dalla
via, sulla quale si trova, cioè la Salaria, circa 3. m. di-
stante da Roma, ed è 1' ultimo di quelli che cavalcano
l'Aniene il quale poco dopo mesce le sue acque sulfu-
ree nel Tevere. Or questo ponte di tutti quelli che so-
no sull'Amene è il solo che sia ricordato negli antichi
scrittori, e ciò fino dall' anno di Roma 394. Impercioc-
ché Livio lib. VII. e. IX e seg. narra che i Galli pre-
cisamente in queir anno si accamparono al terzo miglio
salaria via tram pontem Anienis ^ ed i Romani condotti
dal dittatore Tito Quinzio di qua dal fiume: che fra le
due armate era il ponte , il quale né dagli uni né da-
gli altri era rotto per non incontrare la taccia di timi-
dezza; ed inoltre che dagli uni e dagli altri si combat-
teva per occuparlo: Pons in medio erat neutris eum rum,"
38
594
pentibus , ne timoris indicium esset. Praelia de occupando
ponte crebra erant ec; e che questo die origine alla di-
sfida del Gallo , ed alla vittoria del giovane Tito Man-
lio, il quale lo uccise, e gli tolse il torquesj che asper-
so di sangue pose intorno al suo collo , onde ebbe dai
soldati il cognome di Torquato, che poi communicò al
suo ramo della gente Manlia. Forse a quella epoca il
ponte era di legno: certo è però che sul finire della re-
publica fu costrutto di massi quadrilateri di tufa liona-
to tagliato dalle vicine rupi fidenati, cogli archivolti di
travertino, e di questo ponte primitivo, se così possia-
mo chiamarlo , rimangono ancora molte parti e special-
mente gli archi minori, poiché questo, come il Nomen-
tano ed il Mammolo era pure formato di un arco gran-
de e due piccioli. Ma anche esso fu rotto da Tolila ,
come narra Procopio nella Guerra Gotica lib. III. e.
XXIV. allorché ritirossi da Roma e rifatto da Narsete,
siccome leggevasi nelle epigrafi seguenti scolpite sui due
parapetti di mezzo , e da varii scrittori di antichità e
raccoglitori di lapidi riportate, le quali vi sono rimaste
fino all'anno 1798 in che i Napoletani, che allora occu-
pavano Roma inseguiti dai republicani , tagliando i pa-
rapetti e troncando parte del ponte le gittarono nel fiu-
me, dove ancora rimangono:
. ' Lato destro.
-''*OÌ - IMPERANTE . D . N . PIISSIMO . AC . TRIVMPflALI . SEMPER
IVSTINIA»0 . AVGVST . ANNO . XXXVUII . NARSES . VIR . GLORIOSISSIMVS . EX
.PRAEPOS . SACRI . PALAIII . EXCONS . AXQTB . PAXRICIVS . POST
. , ,^^ VICTORIAR . GOTHICAH . IPSIS . EORVM . RE6IBVS . CELERI
TATE . anRABItl . CONFIICTV . PVBLICO . STPERATIS . ATQVE
' ' PBOSTRATIS . LIBBRTATB . VRBIS . ROMAB . AC . XOTIVS . ITA
' " LIAE . RESTITVTA . PONTBM . VIAE . SALARIAR . VSQTE . AD
"i"^' AQVAM . A . NEFANDISSIMO . TOTIIA . TYBANWO . DESTRVCTVM
-If.di PVRGATO . PLVWNIS . ALVEO . IN . MELIOBEH . BTATVM
►^W.vn mUTAM . QTONDAM . FVERAT . REHOVAVIT . POSVITCVE
595
Lato sinistro ■ ^ ^'"^
QVAM . BBNK . CVRVATI . DIRBCTA . EST . SEMITA . PONTIS U| O)?.
ATQVB . INTBBBVPXVM . COHXmVATVR . ITBR j SqiJO&O tìì
CALCAKrS . RAPIDAS . SVBIBCTI . GVRGITIS . VlfDAS -,j;;ji3fj|) }{> g|
BT . LIBBT . IRATAB . CERNERE . MVRMVR . AQVAf_,,_ • „ |
ItB . IGITTR . FACILES . PBB . GAVDIA . VKSTRA . QV1RITB9L . ,
lidBzomofìì
BT . SPARSIM . RBSOMAIfS . PLAVSTS . VBIQVE . CAMAT
QVI . POTVir . RIGIDAS . GOTHORVM . SVBDERB . MEKTBS '' ^ ' . ®^""f{
HIC . DOCVIT . DVRVM . FLVBHNA . PBRRB IVQYIl *^ *
Anche sopra di questo fu nel secolo Vili, eretta
una torre di difesa , poscia ristaurata , e fortiflcata di
nuoTo nel secolo XV. da Niccolò V. e nel 1829 distrut-
ta. Di là dal ponte è il nucleo di un antico sepolcro ,
sul quale nel secolo XIII. fu eretta una torre. Quanto
poi alla torre demolita del ponte che dissi essere stata
costrutta nel secolo VIII. credo , che appartenesse alle
fortificazioni fatte su questo ponte dai Longobardi che
nell'anno 728 vennero in soccorso di Gregorio IL con-
tro le genti di Paolo patrizio ed esarco ; imperciocché
Paolo Diacono storico contemporaneo de Gestis Longo-
bard. lib. VI. e. XLIX. narra che quel patrizio mandò
da Ravenna gente per uccidere il papa , qui ponti ficem
interimerent } ma vi si opposero i Longobardi del duca-
to spoletano nel ponte salario: sed Langobardis prò de-
fensione pontificis repugnantibm spoletanis in Salario pon-
te: e da altre parti quelli della Toscana, onde la trama
di Paolo fu sventata: et ex aliis partibus Longobardi» tu-
scis resistentibus, consilium Ravennatium dissipatum est.
Nel 1378 per testimonianza dell' Infessura presso
il Muratori R. I. S. T. IH. P. IL p. 1115. ai 16 di lu-
glio i Brettoni avventurieri fecero presso a questo pon-
te una strage grandissima de' Romani. Questo stesso
scrittore più sotto p. 1125 racconta, come ai 25 di ago-
596
sto 1433 fu occupato da Niccolò Fortebraccio e ritenu-
to per poco tempo. Nel 1485 per testimonianza di que-
sto medesimo scrittore e del Nantiporto , ponte salario
fu occupato nel marzo dagli Orsini e ritenuto fino ai
18 di decembre di quell'anno medesimo.
La pianura dintorno al ponte salario ricorda fatti
memorabili della storia romana; imperciocché di là dal
ponte si diede da Tulio Ostilio la gran battaglia contra
i Fidenati e i Vejenti, nella quale fu decisa pel tradi-
mento di Mezio Sufezio la distruzione di Alba Longa :
ivi pure fu vinta quella contra i Sabini da Tarquinio
Prisco; ivi rifulse il valore di Manlio contra il Gallo,
r anno 394 di Roma, come fu notato di sopra, azione
che forzò i Galli a torre il campo e ritirarsi nelle ter-
re de' Tiburtini: ivi accampossi Annibale contra Roma:
ivi le genti sannitiche condotte da Telesino furono di-
sfatte da Crasso luogotenente di $illa, ultimo crollo del-
la fazione mariana. lu.^i .?:.?»!> u. » ; -i i~
Ponte Salario dà nome ad una tenuta che è posta
di qua dal ponte ed appartenne all'ospedale di ss. San-
ctorum, confinando colle vigne, col Tevere, coU'Aniene,
e co'prati di Acqua Acetosa. Essa racchiude il sito del-
l'antica città di Antemne, della quale fu parlato a suo
luogo.
.u^ ov, PONTE SCUTONICO.
crac
È un ponte antico costrutto di massi quadrilateri ,
eretto sopra un rigagnolo che scende dai colli di Ro-
viano, circa 35 miglia lontano da Roma sulla via Vale-
ria, un miglio dopo il bivio dove questa diverge dalla
via sublacense. L'Olstenio nelle note al Cluverio lo dis-
se Stratonico: il Fabretti ed il Revillas col volgo lo ap-
pellano Scutonico : ignota è la etimologia. Nella crona-
597
ca sublacense ricordasi un ponte* Mara, che sembra es-
sere questo medesimo , dove nell' anno 1183 fu tenuto
un giudizio dinanzi Milone vescovo tiburtino , fra Od-
done economo del monastero sublacense e Ricere da
Arsoli sul possesso, o dominio diretto della Terra di
Arsoli, nel quale la sentenza fu favorevole al monaste-
ro. Esso è lungo 22 piedi e mezzo , largo 18 ; e poco
dopo questo ponte andando verso Arsoli vedesi un mu-
ro di sostruzione costrutto di massi poligoni, lungo qua-
si 250 piedi , eretto per opporsi allo sfaldamento delle
terre de'colli sovraggiacenti che avrebbero potuto ingom-
brare la via Valeria. E questa è una delle prove molti-
plici, che si hanno, dell' essere stata in uso questa co-
struzione anche presso i Romani, Ono alla metà almeno
del quinto secolo di Roma. >i
i> PONTE SODO V. VEIL
.i,niii;ii .'' 0 fOrnonii'VioU ^o'»{Vf' .« , wioB^ ,
ijtnjmoii >l. PONTON DEGLI ELCL
Tenuta dell'Agro Romano di rubbia 116 e mezzo,
e pertinente ai Massimi per successione de' Palombara:
essa è circa 22 m. distante da Roma per una strada
che dirama da quella di Rracciano a sinistra di Crocic-
chia. Confina colle tenute di Fontana murata, Spanoro,
Terra di Lite, Tragliatella, e Riccia. Dividesi ne'quarti
del Fontanile, delle Capanne, e della Grotta. Il suo no-
me sembra derivare dagli alberi che un tempo la co-
privano, ^nijì ,f! :'>(;<■! jf A M.ìjfftitfy ■}}''. ,-ini iiiiil<'il .màfiél
wMijio 1 r>'ym ouiu , . '«i
. ::''^-flA .'e. ih th. PONZANO. PJ
« Terra della Comarca nel distretto di Castel Nuovo
di Porto , sulla riva destra del Tevere sotto il Soratte
598
33. m. distaili^ da Roma, e circa uno dal fiume sovrain-^
dicalo, la quale conlicne 665 abitanti. La sua situazio-
ne è deliziosa, e la contrada selvosa. Il nome deriv»
da un fondo della gente Ponzia, il quale fino dal seco-
lo X apparteneva ai monaci benedettini del vicino mon-
te Soratte, che fondarono il monastero di s. Andrea cir-
ca due miglia distante, detto perciò s. Andrea de Pon-.
zano, e de Pontiano nelle carte delenipi bassi. E di que-
sto monastero rimangono vestigia; la chiesa poi, sebbe-
ne cadente esiste ancora in una pianura amenissima.
-moyfli o)uK>q o-jkIi! j . ^,gJi'ivo.-'. ii{o:j')l) ?)ti;)ì
ilio.n t)yov| AW PORCÀRECCINA. ,U-y ^\, ,;[ .m-ut
-U') ;-'? -jiii» .-■-•.r i . -1.: ■' :■■ ...fif
Dji'wiTenuta dell* Agro Romano pertinente ai Borghese
posta fuori di porta Cavalleggieri a destra della via Cor-
nelia, oggi strada di Buccèa, circa 8 m. distante da Ro-
ma, e confinante colla strada predetta e colle tenute di
Mazzalupo, Paola, s. Nicola, Porcareccio, e s. Rufina.
Si estende per rubbia 383 divise ne' quarti denominati
s. Rufina, Monte Cetrolo, Mazzalupo e Lanciafave.
Questo medesimo nome ha pure un'altra tenuta ap-
partenente ai Borghese unita a parecchie altre che fu
scritta all'art. ACQVAVIVA.
Quella sovraindicata sembra in parte almeno esse-
re la medesima ricordata nella bolla emanata da Cele-
stino III. l'anno 1192^ a favore delle chiese di s. Maria
soprannomata Domina Rosa e di s. Lorenzo in Castella
Aureo, sotto il nome di Porcaritia, Caput Cabalum, Ga-
lerìam, Rofanione, Servilianum, Arcionem, Furnum Sar-
racenum ec. ; che si dice posta appunto circa I' ottavo
miglio sulla via Cornelia , fra la terra di s. Angelo in
Pescaria, i casali del monastero di s. Andrea delle An-
celle del Signore, il fondo Vivarolo, la terra dell'episco-
pio di s. Rufina, ed i fondi di Memolo e Priscello. Va-
599
le a dire che essa tu parte di quella confinante detta
Porcareccio. Sembra che Innocenzo III. nel dotare l'ospe-
"dale di s. Spirito di terre gli assegnasse ancor questo
fondo, il quale secondo il Saulnier rimase a s. Spirito
fino all'anno 1527, quando pel sacco di Borbone fu ven-
duto ai Massimi insieme con altre terre per 27,600 scu-
di siccome si trae da documenti esìstenti nell' Archivio
Chigiano, e nell'Archivio Massimi. Ritennero i Massimi
questa tenuta fino al principio del secolo XVIII. e po-
scia passò ai Borghese. -"^^'r^
Hìn'vg (iibh qIììimÌ ,iO^ ^iitl'J b9,i;'^>"'^
maih io o! PORCARECCIO. ' ' "' -" !<!
'.{il Tenuta confinante colla precedente, ma oggi è di-
visa in due dette di Porcareccio, e di Paola, ambedue
pertinenti all' ospedale di s. Spirito. E quanto a Porca-
reccio, comprende questa 894 rubbia divise ne'quarti di
Mazzalupo e s. Lucia: Fontanile e Montespaccato: Fon-
tanile Arenato e Campo Santo : e Pantan Monastero.
Confina colle tenute di Paola, Primavalle, Acquafredda,
Maglianella, Selce, e s. Rufina. Secondo il Saulnier fu
questo fondo donato all' ospedale di s. Spirito da Gio-
vanni di Balluès cardinale francese l'anno 1491. Il ca-
sale è certamente fondato presso le rovine di qualche
villa antica, poiché molti frammenti di marmo veggonsi
ivi sparsi d'intorno. Leggesi in alcuni scritti che a Por-
careccio fu scoperto sul finire del secolo passato il mu-
saico, che oggi adorna il pavimento della sala delle Mu-
se al Vaticano: esso propriamente venne alla luce nella
parte smembrata di questa tenuta , oggi nota col nome
di Paola, e precisamente nel confine di quella di Castel
di Guido, dove fu la villa di Lorio degli Antonini.
600
(,.i-.i» y;ofiia!i!0'. = PQ&CIGLJÀNO* -«•> !>.]■: o-jib n < i
oMónVasto ienimento dell'Agro Romano posto fralle vie
ostiense e laurentina il quale con titolo di baronìa ap-
partenne ai Del Nero , ed oggi al Barone Grazioli e
comprende rubbia 2102. Confina colla spiaggia del ma-
ircjè.eolle tenute di Fusano, Trafusa, Decima, Tor dfe*
Cenci, Trafusino e Capocotta.
Il casale è un picciolo castello , situato sopra un
diverticolo antico, che univa la via ostiense alla lauren-
tina, ed ebbe nome da un qualche fondo della gente
Procilia, gente di origine lanuvina, della quale ci riman-
gono frequenti medaglie battute neir ultimo periodo
della Republica, onde da fundus Procilianus i moderni
fecero; Porciliano , e Porcigliano. La forma di questo
castello si accosta alla quadrangolare : il suo recinto è
difeso da torri costrutte verso la metà del secolo XV.
Due colonnette di granito bigio dinanzi la porta attesta-
no antiche fabbriche avere occupato questo luogo. II
palazzo è in parte opera del secolo XIII. in parte del
secolo XV. e la torre altissima costrutta di scaglie de*
poligoni di selce dell'antica via spezzati è forse ancora
anteriore al XIII. secolo. Sulla piazza vidi addossato al
muro delle case un bassorilievo del tempo della deca-
denza rappresentante un Eques Singularis^ e presso di
esso capitelli di ordine jonico ben lavorati. Ivi pure è
l%<jfipidesepalcral« seguente: - ^i.. ■,„..- ....
-lìlt 'jV.'i' . -n>- i'i^'': ■ , ri !Ui\ Vi uruòi'. i^go/*ib fOvii^c
f4l9fl 9^uì fÀ\% 'ìttm'i o)a9tT;i^iiqvrH{ <;>''&9 :<3<ic:>iiiCf m> .9«
•^raoit J4>') JiJo9 hy%o , «stun'ìl aj«;'iiip ih KlBidfU'Miii ej-iiiq
l'iJfcfi^ ih ftll9i||ì il> màm-ì ha ')ìiKmii:iv>'ni\ ^i ^kiovH il
.ÌJiiflOlJiA il<;^b lOhoJ Hi felli:/ tìl là y/oh ^i\\t\ìì%\ if
601
D. M. . ii
T . TERENTivS . SECVNDVS ^ J
- i,. FECIT . SIBI , ET . TERENTIAE
-39l» ir. AMPLIATIANAE . FILIAE . SVAE i ' iq • »'
ET . VLPIAE . FAVSTINAE .CON
IVGI . CARISS . ET . TERENTIAE
! I FAVSTINAE . FILIAE . DVLCISS 1 i^*i}u<. ,
ET . LIB . LIBERTABVSQ . SVIS i i»iiJo?20ifj
POSTERISQ . EORVM ' ^
La chiesa è sotto l' invocazione della Vergine del
Soccorso, e sembra per la costruzione opera del secolo
XIV: sull'altare maggiore vidi l'immagine della Vergine
titolare rappresentata col fulmine nella destra. Molti al-
tri frammenti di marmo, rocchi di colonne, capitelli di
ordine composito del tempo de' Flavii sono sparsi pel
casale. Grandi scavi si fecero entro questo tenimento
dal principe Sigismondo Chigi negli anni 1777 e seg.
fino al 1784^ e la nota degli oggetti trovati, che furo-
no molti può leggersi nell'opera postuma di Fea intito-
lata Miscellanea Filologica, Critica, Antiquaria Tomo II.
p. 214. e seg. testé publicata, come pure nella Raccol-
ta intitolata Monumenti Antichi Inediti del Guattani, an-
no 1784. Dagli oggetti trovati pare potersi dedurre che
quella villa appartenesse alla epoca degli Antonini.
Da Roma a Porcigliano può andarsi per la via ostien-
se , deviando a sinistra alla stazione di Malafede circa
10 m. 2 distante da Roma: le vestigia dell'antico pavi-
mento di poligoni di lava basaltica, mentre la fanno ri-
conoscere per una via antica, mi fanno inclinare a rav-
visarvi il diverticolo ricordato da Plinio il giovane nel-
la epistola XVII. del lib. II. pel quale andava alla sua
villa laurentina. Or seguendo questa strada si sale la
pendice meridionale del dorso di Decimo e sul ripiano
si ha una veduta amplissima della valle sottoposta : a
mi
destra la selva ostiense lambisce quasi la via. Poco più
di un miglio dopo trovansi entro il lenimento di Por-
cigliano ruderi rivestiti di signino, avanzi forse di an-
tica piscina: a destra un sentiero conduce alla così det-
ta capanna dell' Inferno. Due miglia dopo Malafede si
gode una veduta magnitica della spiaggia, e quindi in-
contrasi la cappella rotonda di s. Croce , e dirimpetto
presentasi il castello di Porcigliano.
Un'altra strada conduce a Porcigliano dal canto di
Decimo e distaccasi a destra della via laurenlina dopo
quel casale, jijo :Mrl\ifti'iO'' r.i vx] r,**dfp"'-: ^ .ono-^nofi
Da Porcigliano una strada arenosa di 4. m. condu-
ce al mare a Tor Paterno, raggiungendo l'antica via:
questa traversa una parte della selva laurentina. '1 ni
i.-i. ' i'ib oi. ifth'w
^,:riHmit'i- :ì:mì: PORTA NEVOLÀ.ni,^ Ihauiu Mt^a:.
..; Taglio eseguito nel tufa nella strada, che da Tivo-
li per le Capannelle conduce a Poli passando fra s. Vit-
torino e Corcolle , e che perciò fu indicato nella carta.
Esso dicesi ancora 1' Arco di Olevano. Il lavoro credo
che debba ascriversi ai tempi bassi. ' r^v.ioVtìm ti^
'■{fìii > ■ -Isf^VI o/i
.n;,.Min'/. Ì^O&TO e FIUMICINO. '' '^'""M'
Gli astronomi Conti e Ricchebach determinarono
definitivamente la latitudine del segnale della Torre di
Fiumicino a 41°. 46'. 14.'' 6 e la longitudine a 29°. 53'.
4." 9. È Fiumicino il nome, che si dà alla foce destra
del Tevere, [foce siccome vedremo artificiale, alla torre,
che la difende , ed alla borgata che negli anni scorsi
ivi fu edificata per le cure di Belisario Cristaldi teso-
riere generale della Camera Apostolica, bii'ii:: 'dìIihìu
fc Questa borgata è succeduta all'antica città di Por-
to la quale trova vasi due buone miglia più entro ter-
ra, cioè circa 16 m, fuori di porta Portuenseprimitiva.
Infatti Procopio Guerra Gotica lib. I. e. XXI. calcola
la distanza di Porto dalla porta Portucnse oi>riana che
era un poco più in fuori dell'antica, a stac 126, pari
a in. romane antiche 15 e tre quarti, sempe ntenden-
do per la via portuense antica, poiché per à stiada mo-
derna che scavalca i monti invece di lanroirnc la base
sono circa 14. m. e mezzo moderne, alquanto più lun-
ghe delle antiche, fra la porta Portcse atualee le pri-
me fabbriche dell'antica città. Quindi il nimer( XVIIII
dell'Itinerario di Antonino va corretto in XVI, tale es-
sendo di fatto la distanza di questa città dah porta
antica di Roma per la via antica. D' altronde ; vide ,
che Ostia, città posta dirimpetto a Porto sull'alti spon-
da del fiume era egualmente 16 m. distante d Roma
per la via ostiense antica che era parallela aa Por-
tuense. ili '«is\i,iVj ?.viVjii\\ fc>ai33')»«"» .%wy^ .
Ho detto poc'anzi che la foce destra del Ivere è
artificiale, e questa e chiamata co) nome di Fiuicino,
o canale di Fiumicino. È nota la questione agita an-
cora in questi ultimi tempi, se il Tevere sboccasi sem-
pre nel mare con due foci, ovvero, se sboccand< origi-
nalmente con una, l'altra sia stata aperta dalla mio de-
gli uomini , onde agevolare lo scarico delle ac(]e nel
mare, ed avere al tempo stesso un alveo più rjolare
e più adatto alla navigazione, questione, che presnden-
do dall'autorità degli antichi scrittori, e da'monnenti,
potrebbe anche risolversi dalla ispezione locai» Oggi
però può dirsi decisa irrevocabilmente dopo qujto ne
scrissero l'illustre avv. Fea in due opuscoli che enne-
ro alla luce l' anno 1824 , ed il chiaris. Rasi , nsole
emerito del re di Sardegna, nella dissertazione s Por-
lo Romano, di Ostia e di Fiumicino. Tutti gliantichi
scrittori : greci che latini, anteriori al secondo secolo
della: era i'olgare, i quali parlano del Tevere, della sua
foce ., e dlla edificazione di Ostia , non solo mai non
fan mottodi più di una foce, ma se con qualche mag-
giore parLoIarità trattano della imboccatura , aperta-
mente la ^eludono. Una sola foce riconobbe Dionisio
lib. III. :. ^LIV, una ne riconobbero Cicerone de Repu-
blica lib II. i. III. e V , Livio Uh. I. e, XXXIII. lib.
XXIX. z. XV, Virgilio Aeneid. lib. VII. v. 31, Strabo-
ne lib. L e. Ili, e Messala Corvino De Prog. Augusti^
né Pomjonio Mela, né Plinio, né alcun altro scrittore
che ci iman^a parlano mai di due foci, prima di Ru-
tilio Nmaziano, che scrisse il suo viaggio burdigalen-
se poc( dopo l'anno 409 della era volgare, il quale co-
sì si epresse: Itin. lib. I. v. 179 e seg. li ,inìA> jìÌ .
Ì.J, Im demum ad naves gradior, qua fronte bicorni
_.j, Dividuus Tiberis dexteriora secat. . ..-. j
levus inaceessis fluvius vitatur arenis ,y<AVìi}\
Hospitis Aeneae gloria sola manet. lì'th (..til
E doj lui frequentemente le due foci si ricordano, co-
me d Elico nella sua Cosmografia , scritta anche essa
nel s.olo V. da Procopio Guerra Gotica lib. I. e. XXVL
nel s;olo seguente, ec. Ma chi scavò questa foce arti-
ficiali Certamente da ciò che si è notato, niuno prima
di Vpasiano , poiché Plinio , che scrisse la sua opera
veracnte classica della Storia Naturale sotto quell'im-
pera(re , non parla allatto delle due foci , siccome
poc'a'i osservai: dunque non è anteriore a lui. Fea fu
il prio a riconoscere autore di essa Trajano appoggian-
dosi! un passo di Plinio il giovane, nipote di quello
testèiominato, il quale descrivendo nella lettera a Ma-
crinoche è la XVII. dei libro Vili, la grande inonda-
zioaelel Tevere avvenuta sotto Trajano dice : Tiberis
alveur. excessit et demissioribus ripis alte super funditur.
^5
Quamquam FOSSA, quam providenlissimm imperatoìecity
EXHAUSTUS, premit valles, innatat campis, quoque ptum
solum prò solo cernitur. Quantunque in questo pas non
si determini precisamente il sito dove Trajano lesse
scavar la fossa per esaurire le acque del fiume, to-
pografia del corso del Tevere necessariamente p-a a
riconoscerla nella vasta pianura che si apre fraiionti
di s. Paolo sulla riva sinistra, e quelli di Ponte alerà
sulla destra; ora in tutto questo tratto altra fos arti-
ficiale antica non apparisce che l'alveo del canale Fiu-
micino, d' uopo è conchiudere che questo sia fossa
della quale parla Plinio. E d'altronde grandi l^ri fe-
ce queir ottimo imperadore da questa parte, crecisa-
mcnte a Porto , dove aggiunse al porto di Cldio un
porto interno di un miglio e mezzo di circonfe^za che
ancora ne conserva il nome , e lungo il qua si apre
appunto il canale di Fiumicino. L'anno scorsdcendosi
scavi fralle rovine di Porto si scoprì una grie iscri-
zione di Claudio, che riporterò più sotto, ne! quale si
nota, come quell'imperadore per la costruzio del suo
porto scavò fosse dal Tevere , e che fatte' sboccare
nel mare , liberò Roma dal pericolo della indazione :
iscrizione pregevole è questa per ogni riguio, e che
conferma quanto asserii di sopra , che solia questa
parte potevano aprirsi canali, onde liberare oma dalle
inondazioni , ma , che appunto non allude quello di
Fiumicino che è una sola fossa e non più aie dice la
iscrizione e che sembra dal silenzio di Pio seniore
non poter far parte di uno di que'tali canaii Claudio,
ma essere posteriore a quelli, e forse fattoon più av-
vedutezza da Trajano ad imitazione di que che furo-
nu scavati solo alla circostanza de'lavori deiorto, OPE-
RIS PORTV CAVSSA e non furono affatl^ìermanenti,
come poi rimase questo: servirono cioè pt quella sola
606
volta iranle il lavoro. Conchiudesi pertanto non poter-
si ricoscere nel Tevere, che una sola foce originale :
esser^uella di Fiumicino artificiale ed opera di Tra-
jano, tta ad imitazione di quelle fosse un tempo sca-
vate < Claudio ed essere stata aperta nel doppio sco-
po di Ivar Roma dalle inondazioni, e di agevolare la
naviga)ne del fiume. Inoltre gittando lo sguardo sulla
carta 1 corso del Tevere , a prima vista si riconosce
essere canale di Fiumicino un taglio artificiale aper-
to sulUponda destra del fiume dal tronco principale
delle s acque. Da Procopio citato di sopra si trae ,
che circl'anno 540 della era volgare le due foci era-
no eguqente navigabili. Io credo che quella di Fiu-
micino tmantenesse tale fino a tanto che i porti di
Claudio, ii Trajano rimasero, essendo necessaria onde
manteneite communicazioni dirette fra i porti mede-
simi ed ilime. Ma dopo che il porto Claudio colmos-
si di sabl, ed il Trajano precluso dal mare divenne
uno stagr, almeno fin dal secolo X. giacché tale lo
mostra unoolla di Giovanni XVI. data V anno 992 e
riportata d'Ughelli, ancor questa foce cominciò insen-
sibilmente l abbandonarsi , e si tornò a frequentare
quella di (ia come ne'tempi primitivi: e l'ultima me-
moria che iabbia trovato della navigazione del canale
portuense aartiene all'anno 1118, quando per testimo-
nianza di Pdolfo Pisano presso il Muratori R. I. S.
Tomo III. H. p. 385 Gelasio II. volendo lasciar Ro-
ma discese i Tevere fino alla città di Porto con due
galere, e doj avere aspettato a cagione di una tempe-
sta entrò nemare. Dopo quella epoca fino al secolo
XVII. trovo aipre ed unicamente seguita la foce ostien-
se da quelli e entravano, o uscivano dal Tevere. Pio
II. nel secolo V. descrivendo le rovine di Porto ne'suoi
commentarli istra apertamente che a'suoi giorni que-
607
sto canale non era pratticabllc , quantunque però possa
dirsi che sussisteva, poiché si vede tracciato in una car-
ia dell'anno 1557 data in luce in occasiono della guer-
ra fra Paolo IV ed il duca di Alba. Ora questa foce
artificiale nelle bolle riportate dall'Ughelli, pertinenti al-
l'anno 1026 e 1049 ed emanate da Benedetto Vili, e
Leone IX. si designa col nome di Focem Micinam la fo-
ce picciola, a differenza di quella di Ostia che è molto
più larga: e da ciò derivò il nome moderno di Fiumi-
cino del quale in Fulvio s' incontra il primo esempio.
Frattanto l'abbandono in che durante i tempi bassi era
rimasta la navigazione del Tevere portò a tale stato di
decadimento 1' altra foce , che sul declinare del secolo
XVI r ing^resso nel fiume dal canto di mare erasi reso
altamente pericoloso. Quindi nel duro frangente di per-
dere affatto la navigazione del fiume , la fossa Trajana
fu ripurgata per ordine di papa Gregorio XIII. essendo
vescovo di Porto il card. Corneo, ed architetto di que-
sto lavoro secondo il Baglioni fu Giovanni Fontana , il
quale munì questo canale di una palificata alla foce.
Questa opera ebbe corta durata , e forse causa ne fu
la straordinaria inondazione del Tevere avvenuta nel
1598. 11 canale fu ripurgato di nuovo sotto Paolo V.
per opera dello stesso Fontana 1' anno 1612, e di que-
sto lavoro una memoria si legge nella iscrizione affissa
nella dogana di Capo due Kami incontro al biforcamen-
lo del fiume, nella quale fra le altre cose si dice esse-
re pericoloso l' ingresso per la foce naturale , essersi
aperto il canale verso 1' occaso, e munito, cioè rinfian-
cato da palizzate. Il punto del biforcaraento del fiume
si distingue per un gruppo dì pioppi. Nel quinto secolo
per testimonianza di Etico il Cosmografo la ripa destra
del Tevere presso la diramazione appcilavasi Sextum Phi-
lippi e Praedium Missaìe: ivi secondo il Boldetti p. 540
608
fu un cemeteria cristiano detto di Generosa, che io vi-
di scavare 1' anno 1822 , allorché cercavansi materiali
per la nuova strada di Porto: i corpi erano posti l'uno
sopra r altro a molti strati , coperti di tegole, in tante
fosse diverse, capaci ciascuna di un solo corpo.
Dalla epoca però in che Trajano scavò questa fos-
sa il canale per gl'interrimenti successivi del Tevere si
è prolungato per 1735 metri ; e siccome vi sono punti
fissi di diversi tempi, questi interrimenti possono calco-
larsi colsi: dalla epoca di Trajano all' anno 1450 metri
150 : dal 1450 al 16G2 metri 950 : dal 1662 al 1774
metri 150: dal 1774 al 1837 metri 185. I punti fissi
sono la estremità del porto di Claudio, la torre di Nic-
colò V. del 1450: quella di Alessandro VII. del 1662;
e quella di Clemente XIV. del 1774.
. : Ora veniamo alle memorie storiche di Porto. Nel
trattato di pace conchiuso frai Latini e gli Etrusci cir-
ca 400 anni avanti la fondazione di Roma si convenne
che l'Albula, poscia chiamato Tevere servirebbe di fron-
tiera ai due popoli: Livio lib. I. e. III. Fragli Etrusci
i Vejenti erano i più vicini al fiume verso il mare, e
perciò a loro appartenne tutta la sponda destra di esso
dal confluente del Capena, oggi Gramiccia, fino al ma-
re ; in guisa che quel tratto ancora di terra che dopo
l'apertura della fossa trajana diventò isola, e che ritie-
ne il nome antico di Sacra, fu in origine parte del ter-
ritorio vejente. La guerra che essi ebbero a sostenere
con Romulo li privò delle terre sulla sponda destra del
fiume, che immediatamente dominano Roma, nelle qua-
li sette pagi o borgate sorgevano che facevano dare il
nome di Sette Pagi, o Settempagio al distretto, siccome
ricavasi da Dionisio lib. II. e. LV. e da Plutarco nella
vita di Romulo e. XXV. Quest'ultimo scrittore vuol de-
rivarne la etimologia dall'essere la settima parte dell'a-
609
grò Ycjente, ed aggiunge concordemente a ])ionisio che
i Vejcntì dovevano allontanarsi dalle saline che avcano
formato lungo il fiume, e che diedero inoltre 50 ostag-
gi. Questo trattato fu segnato V anno 38 di Roma , e
tale cessione fu consolidata per la vittoria , che Tulio
Ostilio riportò sopra gli stessi Vejenli l'anno 88 descrit-
ta da Dionisio lib. III. e. VI. e seg. e da Livio lib. L
e. XXVII. Le vittorie di Anco estesero il dominio ro-
mano sopra tutte le terre vejenti lungo il Tevere , da
Roma fino alla foce del Tevere : allora , secondo Livio
lib. I. e. XXXIII. furono tolte ai Vejenti la selva Me-
sia, e le Saline: e tutte le terre fra il Gianicolo^ l'Ar-
rone, il Tevere ed il mare. Questa grande amplia/ione
di territorio sulla riva destra del fiume , e sopra tutto
il dominio su tutto il corso del Tevere fino al mare, por-
tò il re di Roma ad edificare la città di Ostia sulla riva
sinistra del fiume presso alla foce: il gomito che il Te-
vere ivi formava servì di porto a Roma, secondo Ero-
diano lib. I. e. XI : ed esso serviva di ancoraggio alle
navi da guerra ed a quelle da carico della portata di
3000 pesi: veggansi Livio lib. XXII. e. XXXI. Cicero-
ne prò Lege Manilla e. XII. Dionisio lib. III. e. XLIV.
Quanto alle navi di maggiore portata fermavausi dinan-
zi la foce, dove accorrevano ad alleggerirle barche da
trasporto. Ma lo imboccare ne' fiumi dipende essenzial-
mente dal vento, e dalla giacitura de' banchi di sabbia
che si vanno formando ogni giorno, e che ad ogni mo-
mento a seconda delle correnti del mare e del soffio dei
venti cangiano forma e direzione, ed or si prolungano,
or si dilatano , ora si torcono , ora si affilano. Laonde
accadeva spesso che l'entrar nella foce tiberina era in-
terdetto per più e più giorni, e le navi che portavano
le vettovaglie a Roma doveano o prendere il largo o
diriggersi ad altri ponti. Or quando si rifletta al biso-
39
«10
gno che sul declinare della Republica avca la popola-
zione di Roma de'grani della Sicilia, dell'Affrica roma-
na^ e dell'Egitto, può aversi una idea del pericolo a che
trova vasi ogni giorno esposta di soggiacere a fierissime
carestie. Cesare , secondo Plutarco e. LVIII. fra tanti
disegni che macchinava, concepì pur questo di porre un
rimedio finale a questo male col purgare dalle sabbie
agglomerate i dintorni del littorale ostiense, onde poter
formare porti e stazioni capaci da poter dare asilo al-
le navi senza che venissero forzate ad entrare nel fiu-
me. Ma questo come tanti altri progetti fu troncato
dalla sua morte. Svetonio nella vita di Claudio e. XX.
espone che la formazione di un porto ostiense era sta-
ta più volte agitata e sempre abbandonata per la difli-
colt^ della impresa. Frattanto per la natura del fiume,
ed il continuo infuriare de' venti di lebeccio nella sta-
gione invernale la foce del fiume ogni giorno diveniva
meno accessibile, come può trarsi da ciò che dicono
Dionisio e Strabone, che la descrivono a' loro giorni, e
per conseguenza il pericolo delle carestie diveniva più
urgente: e di una fortissima che si fece sentire ai tem-
pi di Augusto ne ha conservato la memoria Patercolo
lib. II. e. XCV. Assai più frequenti si resero a' tempi
di Claudio, come può vedersi nel Pagi Critica in Ann.
Baronii an. XLII. il quale pose ogni studio a rimediar-
vi accordando , secondo Svetonio e. XVIII. esenzioni e
premii e rifacendo i danni a quelli che facevano giun-
gere in Roma le vettovaglie durante l' inverno.
Ma conoscendo , che il male non poteva vincersi
conquesti mezzi, fin da'primi anni del suo regno, pren-
dendo occasione da una forte penuria di grani che infie-
riva in Roma , propose in senato di fare un porto ad
Ostia, secondo Dione lib. LX. e. XI; e Quintiliano Inst.
Orai. lib. III. e. Vili, ci ha conservato la formola di
mi
quella proposizione: An Portm fieri Ostiae possit ? EgU
die libero corso ai dibattimenti, udì pure il parere de-
gli architetti che vollero sgomentarlo colla enormità del-
la spesa, e finalmente decise di aprire il porto sulla ri-
va destra del fiume circa 2 m. distante dalla sua foce.
Ma di quella gigantesca impresa non ci rimangono, che
le vestigia , e la memoria che ce ne hanno conservato
Svetonio, Dione, e Giovenale: e la sorte invidiocci per-
fino quella parte degli Annali di Tacito che ne parlava.
Svetonio così si esprime: Portum Ostiae extruxit circum-
ducto dextra sinistraque brachio, et ad introitum, profundo
iam salo, mole ohiecta, quanti, quo stabilius fundaret, navem
ante demersit^ qua magnus obeliscus ex Aegypto fuerat ad-
vectusy congestisque pilis superposuit altissimam turrim in
exemplum alexandrini phari, ut ad nocturnos ignes cursum
navigia dirìgerent. Dione aggiungendo qualche particola-
re, soggiunge, che scavando da una parte un tratto non
picciolo di terra ferma , lo cinse intorno di una crepi-
dine, e quindi vi fece entrare il mare: dall' altro canto
giltando nel mare medesimo aggeri grandi, chiuse con
questi un vasto seno , e fondò una isola ih mezzo che
sostenesse una torre con faro. Finalmente Giovenale
XII. V. 75 e seg: così io descrive;
.... ,.j,
Tandem intrai positas inclusa per aequora moles,
Tyrrhenamque pharon porrectaque brachia rursus
Quae pelago currunt medio, longeque relinquunt
Italiam. Non sic igitur mirabere portus
Quos natura dedit.
Queste tre testimonianze mostrano, che i moli del por-
to propriamente detto furono gittati in allo mare : che
una parte di esso, cioè la più interna venne scavata, e
cinta con una crepidine, o margine: che dinanzi la boc-
612
ca si fondò una isola a somiglianza del faro alessandri-
no con torre e fanale. Svetonio dice, che la nave, che
portò r obelisco vaticano servì di fondamento a questa
isola: Plinio però lib. XVI. e. LXXVI. lib. XXXVI e.
XIV. che fu testimonio oculare dell'affondamento della
nave, la dice gittata onde servisse di fondamento al molo
sinistro : discrepanza che non saprei accordare se non
supponendo che Plinio riguardasse la isola come un pro-
seguimento del corno sinistro del molo, dal quale infat-
ti non veniva separata se non da un picciolo tratto di
mare. Notai di sopra che uno deìavori di Claudio fu di
scavare una specie di Porto interno : questo non potè
essere che fra il porto grande ed il fiume, ma non im-
mediatamente a contatto con questo; forse in tal circo-
stanza si scavarono quelle fosse delle quali parla la iscri-
zione seguente, e Claudio profittò momentaneamente di
esse per ricevere in una piena una parte del fiume e
così scaricarlo nel mare. Ecco la lapide, la quale sem-
bra aver servito di monumento di tal beneficio ed esse-
re stata collocata sopra un qualche arco : le lettere
essendo incavate mostrano aver contenuto quelle di
bronzo:
TI . CLAVDIVS . DRVSI . F . CAESAR
AVG . GERM.1NICVS . PONTIF . MAX.
TRIB . POTES T. VI.COS.III . DESIGN . IIII . IMP . XII.P.P.
FOSSIS . DVCTIS . A . UBERI . OPERIS . PORTV
CAVSSA . EMISSISQVE . IN . MARE . VRBEM
INVNDATIONIS . PERICVLO . LIBERAVI!
La sesta potestà tribunizia coincide neir anno 799 di
Roma, ossia 46 della era volgare, ed in quell'anno pu-
re coincidono gli altri titoli di console designato per la
613
quarta volta, e d'imperadore per la XII. D'uopo è per-
tanto conchiudere, che circa que'tempi Roma fu minac-
ciata da una inondazione , dalla quale fu liberata per
l'apertura delle fosse verso il mare, fosse di già scava-
te per la costruzione del porto: OPERIS PORTVS
CAVSSA; quindi l'anno 46 il porto non era ancora com-
piuto. Dall' altro canto Dione riferisce all' anno 795 di
Roma, ossia 42 della era volgare la costruzione del por-
to , indizio chiaro che debba intendersi del decreto , e
del cominciamento della opera, che appartiene a quell'an-
no come nel 47 conosciamo che si proseguiva. Anzi da
una medaglia di Nerone sembra potersi arguire che il
porto non fosse affatto compiuto e perfetto innanzi l'an-
no 54 in che quel mostro fu assunto al trono. Ora quel-
la medaglia, che è rara in bronzo grande, é anche più
rara in bronzo mezzano, e fu riportata dall'Erizzo, dal-
l'Agostini, dal Castiglione, dall'Havercamp, dal Vaillant,
dal Morelli, e dal Locatelli, ed illustrata magistralmen-
te dall' Eckhel; essa presenta nel dritto la testa di Ne-
rone colla epigrafe: nero . clavd . caesar . avg . ger.
P . M . TR . P . IMP .p.p. ovvero NERO CLAVDIVS eC. G
nel rovescio il porto colla iscrizione intomo por, ovve-
ro PORT . osT . AVGVSTi, o PORT AVGVSTi S. C. Dall'al-
tro canto ninna medaglia di Claudio finora è comparsa
col rovescio di questo porto , indizio forte per credere
che alla sua morte non fosse pienamente compiuto , e
che solo lo fu nel primo anno del potere tribunizio del
suo successore Nerone. Ne segue pertanto che i lavori
durarono circa 12 anni. I due tipi sovraindicati ci fan-
no conoscere che la denominazione primitiva di quel
porto fu quella di portvs ostiae avgvsti , ovvero dì
PORTVS osTiENSis AVGVSTI, cioè il porto d'Ostia, o Ostien-
se dell'Augusto, che è quanto dire dell' imperadore re-
gnante, senza che Augusto vi abbia nulla che fare. Ed
614
oltre questo nome altri ancora ne ebbe tratti dalla sua
vicinanza ad Ostia, al Tevere, e a Roma. Portus Ostien-
sis Io chiamano Plinio lib. XVI. e. LXXVI. e Quintilia-
no Instit. Orai. lib. II. e. XXI : Portus Ostiae la iscri-
zione vaticana di Cajo Pomponio Turpiliano riportata
più sotto; Portus Tiheris Frontino nel libro de Coloniis:
Portus semplicemente e per antonomasia DionCy l'Itine-
rario di Antonino , Filostorgio Storia Ecclesiastica lib.
XII. §. 3. e Procopio lib. III. e. XV: nel codice teodo-
siano vien designato co'nomi di Portus Urbis, Portus Urbis
Romae e Portus Romae : finalmente Cassiodoro Variar.
lib VII. ep. XI. Giornande, ed i Martirologii lo noma-
no Portus Romanus , comp Procopio altrove Porto de^
Romani. ::;>-r, *A iy,i;'or! 1>h-, 'm*-
La città che ne prese il nome non fu fondata da
Claudio, ma si andò formando pian piano presso al por-
to; imperciocché dapprincipio questo non fu che un em-
porio dipendente da Ostia, dove necessariamente si adu-
nò gente, parte per 1' amministrazione, e parte pel ser-
vizio, e questa riunione unita ai mercanti, ai commessi,
ai servi finì col divenire una città distinta affatto da
quella di Ostia. Una iscrizione votiva esistente nel mu-
seo Vaticano, riportata da Fea nel suo Viaggio ad Ostia,
e che qui sotto si riferisce, mostra che Galba, il quale
costrusse magazzini di grano in Roma,^ detti perciò Hor-
rea Galbiana, altri pure ne costrusse per l'olio presso il
porto di Claudio. Questa lapide importante appartiene
certamente alla epoca di Marco Antonino; siccome è in-
teressante per la storia di Porto, credo giusto di qui
riportarlai'jjirfiri.j ■uìoi'ki t'itroim* i^i -jìI • j><;
-ii'^w^O (j ffiuéO'l:> i';!'H)<j li -V/ì ■;.'.,
-isf '>T'>h)ìi3qfefi '(!'jI> mll) '■
l'i .uv^ tifj ùHuù (Mdr> if o'fi-i}i,n<ì. vJ * h-^jfr^- ./iti,..
615
t> R O . S A L V T E . E T
REDITV . IMP . ANTO ,
NINI . AVG . FAVSTINAE -.'vcim ^.^^
AVG . LIBERORVMQVE nuivu.a
.' MI EORVM.ARAM.SANCTAE
ISIDI NVMINI SARAPIS . .
SANCTO SILVANO LARIB nulo
Jlli») . ;>VA «;/A'C . POMPONIVS : iisr^
■.i.u^,r^.xn^ :rr- ' TVRPILIANVS i.lUJÌ
Mt^'\ .. , ./ PROG . AD . OLEVM . IN . GALBAE I1ft?.v/i'i Vi
-is'\ \MiA OSTIAE PORTVS VTRIVSQVE D. D.ii.T»\f Vrt\v'.
Da Galba a Trajano non si fa menzione del porto /sé
non in Plinio; pare però secondo Frontino che in que-
sto intervallo vi fosse dedotta una colonia di veterani ,
ai quali vennero divise le terre fra il porto , e Roma ,
primo indizio di una città formata. Trajano vi fece mol-
to: imperciocché dedito quale egli era ad imprese gi-
gantesche^ non solo risarcì il porto di Claudio, ma sca-
vò un porto interno più sicuro, di forma esagona , che
sebbene oggi sia ridotto a stagno , ancora conserva la
forma; egli lo circondò inoltre di fabbriche grandiose ,
come può riconoscersi dalle rovine ancora esistenti. Lo
scoliaste di Giovenale ci ha conservato questa notizia :
Quia Traianm portum Augusti restauravit in melius et
interim tutiorem sui nominis fecit. Direbbesi , che Plinio
il giovane l'adombri con que'detti nel Panegyr. e. XXIX:
Nec vero ille, civilim quam parens noster, auctoritate, con-
siliOf fide reclusit vias, portfs patefecit^ itinera terris,
LiTTORiBUS MARE, LiTTORA MARI reddidit. Giovenale
Satyr. lib. XII. v. 79 e seg. descrive questo porto in-
terno così: . - ... ; -
616
Sed trunca puppe magister
Interiora petit baianae pervia cymbae
Tufi stagna sinus. Gaudent ibi vertice raso
Garrula securi narrare pericula nautae.
Anche di questo porto interno si ha una medaglia ra-
rissima riportata dal Vaillant, di prima forma, la quale
offre nel dritto la testa laureata di Trajano colla epi-
grafe: IMP . CAES . NERVAE TRAIANO AVG . GER.
DAC . P . M . TR . P . COS . V . P . P . cioè: Imperato-
ri Caesari Nervae Traiano Augusto Germafnico Dacico Pon-
tifici Maximo Tribunicia Potestate, Consuli F, Patri Pa-
triae: nel rovescio è il porto di forma esagona,, circon-
dato da edificj e contenente navi colla epigrafe PORTVM
TRAIANI S . C . ^ Senatus Consulto ). Questa medaglia
per se chiarissima, che anche gl'idioti per la somiglian-
za materiale riconoscerebbero allusiva al porto interno
di Claudio, non ebbe la stessa sorte presso i numisma-
tici che avvezzi a decidere dai loro gabinetti, sdegnaro-
no di ricorrere ai topografi, e vollero come Agostini ed
Havercamp a tutto costo trovarvi il porto di Ancona, o
come Castiglioni ed Eckhel quello di Centocelle (Civita^
vecchia)^ benché la loro forma non si accordi né punto^
né poco con quella che dà la medaglia: tanto è vero che
lo spirito sistematico trascina ad errori, e che l'ignora-
re la forma de' luoghi è lo scoglio massimo, nel quale
imbattono anche i più insigni archeologi: il solo confron-
to della pianta del porto Trajano ostiense li avrebbe
convinti , che la medaglia a questo si riferisce , e non
sarebbero iti a mendicare pretesti per non volerlo rico-
noscere. Maggiori rimproveri su tale argomento merita il
Locatelli , che dichiarandosi antiquario e ingegnere , ed
avendo piena contezza del sito, pretese provare con ar-
gomenti non appoggiati ad autorità, o con razìocinj stra-
volti, che la medaglia si riferisce al porto di Centocel«
617
le; e quasi non fosse sazio di errare, trovandosi stret-
to dalla doppia iscrizione riportata dai Grutero e dal
Muratori di Salonia Carpirne, e di Marco Cuzio Rustico,
che egli trasforma in Marco Tuzio Rustico , la quale
mostra il porto Trajano contiguo all'Augusto, va sognan-
do un porto Trajano nella Frigia provincia tutta medi-
terranea, e immagina la forma del porto di Civitavec-
chia cangiata, perchè Gregorio IV. lo distrusse! e tutto
ciò sulla sua fede. Io credo di potere asserire, che la
medaglia soppraccitata non possa alludere che al porto
Trajano ostiense 1. perchè la pianta è la stessa, 2. per-
chè il passo dello scoliaste di Giovenale è chiaro, 3. per
riscrizione di Salonia Carpime e Marco Cuzio Ruslico,
4. pel nome di Trajano conservalo allo stagno, e del qua-
le si hanno documenti fino dall'anno 992 nella bolla di
Giovanni XIII presso l'UghelIi, 5. per i frammenti del-
la statua colossale di Trajano della proporzione di 24
in 25 palmi , trovati sul porto stesso nell' anno 1796 ,
la cui testa è oggi nel museo Vaticano, 6. per la bella
costruzione analoga ad altre opere dello stesso principe.
Fu notato di sopra , che Plinio nel suo panegirico a
Trajano, sembra alludere a questo porto; secondo il Mu-
ratori, quel panegirico fu letto nell'anno 100. della era
volgare III. di Trajano , quindi può credersi , che fin
d'allora si fosse intrapreso , o almeno decretato. Nella
medaglia si legge il V. e non il sesto consolato di Tra-
jano, come alcuni scrissero; ora quell'augusto fu conso-
le per la quinta volta insieme con Lucio Appio Massi-
mo r anno 103 , e la statua trovata presso il porlo Io
mostra piuttosto giovane, quindi può credersi che l'aper-
tura di questo nuovo porto avvenisse nel primo decen-
nio, senza poter defluire l'anno preciso. Se si considera
la vastità di questo bacino, che ha una circonferenza
di circa un miglio e mezzo, la difficoltà del lavoro, U
618
sontuosità delle fabbriche, ed i vantaggi che il pubbli-
co ne ritrasse, dovrà questa opera riguardarsi come una
delle intraprese più illustri di quell'ottimo principe, on-
de non dee recar meraviglia vedere battuta una meda-
glia in memoria di tal lavoro. In tal circostanza egli
aprì il nuovo canale, del quale si è trattato di sopra, e
che Plinio chiama fossa, e che a meglio distinguerla
appellerò Fossa Trajana. Di già venne' notato, che nel-
l'intervallo fra Galba e Trajano fu dedotta a Porto una
colonia di soldati veterani, ai quali vennero divise le
terre dintorno; mancati questi in varii luoghi, Trajano
fece una nuova divisione di terreni, ridotti a paralle-
logrammi , e volle che questa divisione si conservasse
incisa in una tavola di bronzo. Sono queste le prime
memorie , che abbiamo di Porto come città. Frontino ,
al quale dobbiamo questi particolari interessantissimi ,
dà ai primi coloni il titolo di oppidani, castellani noi li
diremmo; il che indicherebbe l'esistenza di un oppidum,
o luogo cinto di mura , quelle però che ora veggiamo
sono certamente posteriori, e le più antiche sembrano
doversi ascrivere a Settimio Severo, principe bellicoso,
che fortificò il tratto tra l'arco di Nostra donna da lui
ridotto a porta, e la sponda destra della fossa trajana.
La città andò ognora crescendo di popolazione a spese
della vicina Ostia, la cui foce sebbene fosse navigabile
anche nel secolo VI. secondo Procopio non era però
molto frequentata, perchè pericolosa; quindi fin dall'an-
no 251 troviamo Porto già sede episcopale illustrata da
s. Ippolito vescovo , che vi fu martirizzato : Veggasi il
de Magistris negli Aeta Martyrum ad Ostia Tiberina, e
Prudenzio nel Peristephanon Hymn. XI. Questo accresci-
mento progressivo di popolazione, e la importanza del
sito , che conteneva 1' approviggionamento di Roma ,
mossero Costantino ad estendere il suo recinto verso
619
sottontrione fino a comprendere il tempio rotondo di Por-
tunno, che è ancora in parie esistente. Tale ampliazio-
ne ebbe il nome di civitas Constantiniana, come appren-
diamo dalle bolle di Benedetto Vili, dell'anno 1019. e
di Leone IX. del 1049. riportate dall' UghelK; e per la
costruzione si riconosce il recinto di questa parte , co-
me opera del quarto secolo. E siccome questa città ri-
guardavasi come il granajo di Roma al dire di Zosimo
lib. VI. e. VI. e di Filostorgio Istoria Ecdesiast. lib. XII.
perciò dipendeva immediatamente dal prefetto di Roma,
secondo Sidonio lib. I. ep. X. dal prefetto dell'Annona,
e da un magistrato, a cui la Notizia dell'Impero, e Cas-
siodoro Var. lib. VII. ep. IX. dan nome di Comes por-
tus; noi lo diremmo conte di Porto. Una legge del Co-
dice Teodosiano lib. XV. tit. I. leg. X. colla data del
primo anno di Valentiniano e Valente, cioè del 364, ma-
stra la gelosia, colla quale era sorvegliata questa città,
per non andare incontro a carestie; imperciocché essen-
do stati ridotti ad usi privati i pubblici granai, mancan-
do perciò il sito ai depositi necessarj pel mantenimento
di Roma, quegl'imperadori ordinarono, che all'uso pri-
miero fossero restituiti. Questa slessa importanza però
la espose a fiere vicende ne'secoli V. e VI, poiché tut-
ti coloro, che assediarono Roma, cercarono di occupar
Porto, onde poterla affamare. Infatti Alarico nel primo
assedio di Roma, stretto l'anno 408, si portò contro Por-
to, e dopo qualche giorno di attacco se ne rese padro-
ne per testimonianza di Zosimo: Filostorgio nel narrare
questo fatto dice, che era Porto il navale massimo de'Ro-
manì, che conteneva tre porti, e che occupava 1' esten-
sione di una piccola città. Questa presa fu di tal con-
seguenza per Roma, che non potendo resistere alla fa-
me piegossi ai voleri del barbaro, che creò imperadore
Attalo allora prefetto di Roma. Nuovamente se ne im-
620
possesso r anno seguente 409, quando poi prese Roma
e la mise a soqquadro. Fu poco dopo questo tristissi-
mo avvenimento che Rutilio Numaziano intraprese il
viaggio di Burdigala, oggi Bordeaux, descrivendo in te-
tri caratteri le stragi de' Goti. Egli in tal circostanza
fermossi quindici giorni in Porto, essendo ritenuto dai
venti contrarj; e come notossi di sopra, è il primo che
chiaramente nomini le due foci del Tevere. Nello stesso
secolo, dopo l'anno 425 fu nobilitata la città di un por-
tico presso il canale del Tevere, al quale fu dato il co-
gnome di Placidiano , a contemplazione di Valentiniano
III , che ebbe il prenome di Placidio. Ciò apprendiamo
da una iscrizione che si legge sopra un piedestallo rin-
venuto nel 1822 fralle rovine del portico stesso: questa
iscrizione dimostra inoltre, che vi fu eretta una statua
per ornamento da Flavio Alessandro Cresconio, prefetto
dell'Annona, che per le cure del cardinal Pacca allorché
era vescovo portuense si conserva nell'episcopio di Por-
to insieme con altri monumenti dissotterrati nella stessa
occasione, e fra questi un pezzo di architrave colla pa-
rola frammentata PLACIDIANAM, allusiva pure a quel
portico. Siccome questa lapide appartiene direttamente
al fabbricato di Porto, giova di qui riportarla, quantun-
que i caratteri siano molto irregolari:
SALVIS . D . D . N . N
THEODOSIO ET PLACiDIO
VALE nTiNi ANo
P . P . AA V V G G
FL aZEXANDER.CRESCoNIVS
ve PRAEF . ANN . Vi?B . ROME (sic)
AD . oRNATVM . PORTICvS
PLACIDIANAE POSVIT
cioè Salm$ Dominis Nostris Theodosio (II) et Placidio Vor
Imtiniano (III) PUs AugMstis Fl<nvius Akxqnder Cnsconius
621
Vir Clarissimus Praefectus Ànnonae Urbis Romae ad Or-
natum Porticus Placidianae Posuit. Nella incursione di
Genserico delUnno 455, siccome la forza principale di
quel re barbao consisteva in navi, è probabile che Por-
to venisse preo; ma Procopio Guerra Vandal. lib. I. e.
V, che ci ha Isciato una memoria di quella devastazio-
ne non ne paia punto; come neppure se ne fa menzio-
ne negli altri corse ggiamen ti, co'quali quel re pirata in-
festò le costedella misera Italia. Sappiamo però che
neir anno 47 Glicerio, che avea preso la porpora im-
periale , lemado l'arrivo del suo rivale Giulio Nepote
si ritirò in òrto; ma ben presto fu costretto senza ef-
fusione di sngue a deporla, contentandosi di essere in
questa città aedesima ordinato vescovo di Salona in Dal-
mazia: veggsi Giornande de Reb. Get. e. XLV de Regn.
Success. Canto l'imperio occidentale, il gran re Teodo-
rico, che rbrmò l' amministrazione , volse pure le sue
provvidenz a Porto sul finire del secolo V. collo sta-
bilire le aribuzioni del Comes: Gassiodoro Variar, lib.
VII. ep. r nello spedire la formola cosi si esprime :
Delitiosa ngis quam laboriosa militia est in porta Roma-
no ComitiS' gerere dignitatem. Illic enim copiosus navium
prospectatu adventus, illic veligerum mare peregrinos po-
pulos cumdiversa provinciarum merce transmittif... His
primum fa^ibus Romanae deliciae sentiuntur et undis Ty-
berinis, qtsi per alveum vadunt, quae ad commercia ci-
vitatis asndunt... Duo quippe Tyberini alvei meatus or-
natissimadvitatesj tamquxnn duo lumina susceperunt. For-
se a Teorico che tanta cura prese delle fabbriche di
Roma, e l tutta l'Italia, si dee la protrazione del brac-
cio sinist» del molo, e la formazione di un molo e la
formazio! di un nuovo fanale; i frammenti di ornato
ivi trova sembrano di quel tempo. Sopraggiunta dopo
la sua urte la guerra gotica, Yitige avendo assediata
622
Koma, e vedendo che i Romani fraocanente mandava-
lio fuori ciò che volevano, ed introducevino le cose ne-
cessarie per terra e per notare, stabili all' anno 537 di
occupar Porto. Procopio, che fu testimorio oculare del-
le operazioni di quell'assedio, nell'accennae tale Occupa-
2Ìone, Guerra Got. lib. I. e. XXVI: dà ma descrizione
di Porlo e del corso del Tevere, che è i' uopo di qui
inserire , non solo perchè mostra lo stat/ allor florido
dj questa città a preferenza di Ostia, maancora perchè
entra in particolari, che è necessario conccere per ave-
re una idea giusta del suo fabbricato. Vitige , cosi
y> egli narra, vedendo, che i nemici aveao molta sicu-
» rezza di mandar fuori dalla città ciò be volevano ,
» e d'introdurne le cose necessarie per terr, e per mare,
» determinossi ad occupare quello che i omani chia-
» mano porto: questo dista dalla città 12(stadj} imper-
» ciocché tal misura impedisce che Roma on sia città
» marittima. È poi dove il fiume Tevenha la foce :
» questo venendo da Roma , quando è pi dappresso
» al mare quanto quindici stadj , diviso indue , fa ivi
» l'isola chiamata sacra, la quale, continuido il corso
» del fiume, si dilata in guisa che colla lu^hezza, tro-
» vasi d'accordo la misura della larghezza», fra i due
» canali esiste in mezzo uno spazio di quiiici stadj. È
», il Tevere navigabile da ambedue i cana; il destro
» ha la foce nel porto: fuori della quale i ^mani edi-
» ficarono sulla sponda ab antico una cittàcircondata
» intorno da un muro sommamente forte, ci chiamano
» Porto, collo stesso nome, col quale appella» il porto.
» A sinistra prima dell'altra foce del Te ver nel mare,
» siede Ostia , città che oltre della sponda el fiume ,
» anticamente fu degna di molto conto, ma a è affat-
» to sprovvista di mura. Da Porto mena a oma una
» strada piana, e senza impedimento di sorte icuna, la
623
» quale ì Romani coslrussero dapprincipio. Sono sempre
» ancorate nel porto molte barche espressamente, e non
» pochi buoi stanno in pronto in sito vicinissimo; quan-
«]ido adunque i mercanti giungono colle navi nel porto,
«togliendo il carico da queste, e ponendolo sopra le
» barche, navigano a Roma senza usare né vele, né re-
N mi , perchè non é possibile con alcun vento spingere
» ivi i navigli, poiché il flume torce spesso, e non va
» dritto ; non possono neppure i remi giovare , poiché
» la corrente dell' acqua é sempre in contrario ; attac-
» cando però funi dalle barche al collo de'buoi le tra-
» scinano come carri fino a Roma. Dall'altra parte del
» fiume , andando da Ostia a Roma, la strada è solvo-
» sa, e trascurata, e non va vicino alla riva del Te-
i) vere perchè non v'è il tiro delle barche. » Vitige
trovò Porto senza difesa, onde la prese in un tratto, e
dopo uccise molti Romani ^^ che ivi_ abitavano, ed occu-
pato il porto, vi lasciò un presidio di mille uomini.
Questa presa^ che mise Roma in istrettezze di viveri,
non potendo averli se non con difficoltà da Ostia, e
da Anzio, era stata inevitabile, giacché Belisario doven-
do guarnire di soldati il vasto recinto di Roma , non
avea per mancanza di truppe pb luto ritenere Porto ;
dice Procopio che soli trecento soldati sarebbero basta-
ti»;a difenderlo attesa la fortezza del sito. Belisario in-
tanto rimase padrone di Osti», dove dopo aver «vttto
rinforzi mise un corpo di Isauri in guardia de^ viveri
che avea ricevuto; quelli per maggior sicurezza scava-
rono una fossa ■ profonda dal iato di Porto. Procopio
Guerra Got. lib. II. e. VII. descrive quindi lo. stratta-
gemma, col quale i Greci pervennero ad approviggionar
Roma, malgrado che i Goti continuassero ad occupar
Porto. Ma la flotta greca bloccava questa città, e quel-
la penuria stessa che i Goti colla occupazione di es-
624
sa aveano arrecato a Roma forzòlli ad allontanarsene,
riunendosi al quartier generale per ordine di Vitige
stesso. Così Porto rimasto sgombro fu occupato da Pao-
lo , capitano di Belisario , che commandava il presidio
isauro d'Ostia. Nuovo blocco ebbe a sofifrire Porto cir-
ca r anno 545 ; Totila avendo stretto nuovamente di
assedio Roma avea formato una flotta di piccioli legni
che per impedire 1' arrivo delle vettovaglie incrociava
presso alle foci del Tevere secondo lo storico sopra lo-
dato lib. III. e. XIII. questi appiattaronsi sotto i moli
del porto esterno, che sembra fosse senza difesa, e s'im-
padronirono d' un considerabile trasporto di viveri, che
il pontefice Vigilio avea spedito dalla Sicilia in soccor-
so degli assediati. Dalla narrazione che fa Procopio ri-
levasi , che malgrado i segnali dati dal presidio greco
di non entrare nel porto, i condottieri del convoglio,
spinti dal vento, e prendendo i segnali in senso d'in-
vito, vi entrarono a vele spiegate: che i legni furono
tutti predati, senza difesa, l'equipaggio fu messo a mor-
te, ed il vescovo Valentino, che fu salvato, condotto a
Totila e da lui interrogato di varie notizie, accusato di
menzogna ebbe le mani tronche. Belisario, che era ito
a cercare soccorsi ad Epidamno^ imbarcossi per l'Italia,
ed approdò a Porto, che era ancora in potere degl'impe-
riali; ivi attese indarno di giorno in giorno nuovi ajuti
per andare in soccorso di Roma. Finalmente volle fare
un tentativo colle forze che avea seco raccolte, e lascia-
to Isaacio al governo di Porto con ordine di non abban-
donare quel posto per qualsivoglia ragione , imbarcossi
sul fiume. Ita a vuoto l' impresa, sparsesi la voce che
avesse Belisario vinto i nemici , onde Isaacio dimenti-
cato il divieto di abbandonare Porto arditamente con
pochi volle assalire i Goti ma dopo aver perduto i suoi,
fu fatto prigione e quindi per ordine di Totila ucciso.
625
Belisario ricevuto V annunzio di questa sciagura cadde
dapprincipio in un abbattimento gravissimo , credendo
preso Porlo, e quanto di più caro vi avea lasciato. Por-
to però non era caduto; ma questa sciagura trascinò se-
co il tradimento degli Isauri , che aprirono a Totiia la
porta Asineria di Roma l'anno 546, ed esposero la me-
tropoli dell'universo ai risentimenti di un re feroce, che
si era fisso in capo di demolirla. Partito Totiia da Ro-
ma , Belisario mosse con una oste di mille soldati per
vedere i guasti che il re goto vi avea commessi ; ma
prevenuti i Goti che erano in Alsio (e non Algido, co-
me fu notato a suo luogo nell' art. ALGIDO ) vennero
ad aspettarlo, e lo forzarono a ritornarsene a Porto. Que-
sti però volendo ad ogni costo tornare ad occupar Ro-
ma arditamente vi entrò nel 547 con quelle poche trup-
pe che avea seco , lasciando in Porto un piccolo presi-
dio. Richiamato Belisario in oriente nell'anno 549^ To-
tiia nell'anno seguente di nuovo cinse Roma di assedio,
e la prese per tradimento degl'Isauri, dopo averla espo-
sta agli orrori della carestia colla occupazione di Porto;
questa città per tre anni rimase in potere de' Goti, fin-
ché fu occupata per capitolazione dagl'imperiali nell'an-
no 552. Veggasi Procopio lib. IV. e. XXXIV. Finita
la guerra gotica nell' anno 552 per la battaglia di No-
cera presso il monte Vesuvio, e la morte di Teja, Por-
to per qualche tempo respirò dalle occupazioni militari.
Imperciocché é certo , che malgrado la sua importanza
rispetto a Roma , come dei fatti esposti chiaramente si
riconosce, l'essere continuamente esposta per tutta quel-
la guerra agli assalti de' due eserciti, e alle strettezze
marittime , rovinò intieramente il suo commercio , che
era la principale sorgente della sua felicità e del suo
accrescimento progressivo. Dal quale abbattimento mai
più non si riebbe , perché nuove circostanze più disa-
40
626
s Irose delle precedenti vi si opposero in guisa che por-.
tarono l'abbandono, e la rovina totale di questo em»
porlo.
Il ritorno della Italia sotto il domìnio de'sovrani di
Costantinopoli, le recò piuttosto danno , che vantaggio 3
imperciocché quantunque i Goti in origine fossero stra-
nieri, dopo che si erano fissati stabilmente in Italia la
riguardavano qual nuova patria, e a poco a poco anda-
vano immedesimandosi cogli antichi abitatori , così che
era a sperarsi che dopo qualche secolo sarebbero sparite
tutte le differenze. £ss^ aveano stabilito un regno che
avea in Italia la sede; e la penisola colla Sicilia, rispet-
tata dagli altri barbari che aveano invaso le Gallie, la
Spagna, e l'Affrica, ubbidiva tutta intiera allo stesso prin-
cipe. Ma le vittorie dj Belisario e di Narsete di regno
indipendente ne fecero provincia di conquista, il cui go-
verno abbandonato a vili eunuchi ed agl'intrighi mulie-
bri della corte bizantina, disseccò tutte le sorgenti della
prosperità nazionale, e preparò rapidamente la rovina del
nostro bel paese. Dopo la guerra gotica Porto per due
secoli intieri si perde di mira nella storia, perchè in essi
insensibilmente scomparve: appena ci rimangono i nomi
di pochi vescovi, che ne governarono la chiesa, e che so^
no stati raccolti dall' Ughelli nella sua Italia Sacra; ma
neppure la cronologia di questi è completa. E fino nella
carta peutingeriana, si cerca invano il suo nome, benché
una pianta informe del porto vi si veda effigiata, la quale
fa credere che era ancora accessibile ai vascelli. Io non
dubito punto, che la città ridotta ad un semplice posto
militare nella guerra gotica, mancato ancora questo sco-
po, per mancanza di popolazione, di sicurezza, e di com-
mercio, venisse abbandonata e solo vi rimanesse un pic-
colo presidio in guardia della foce tiberina. Né dee crer-
dersi che poco si opponessero al suo risorgimento le fé-»
627
roci devastazioni che i Longobardi portarono ai contorni
di Roma, ed il corseggiare de'Saraceni, che infestarono
tutte le coste del Mediterraneo. Rimasta la città priva
di abitatori non si ebbe più cura del porto, ed io sono
persuaso, che qualche rottura avvenuta nel molo sinistro
che serviva di riparo contro le arene del Tevere, abbia
a questo aperto il campo di penetrarvi, ed in poco tempo
il fondo rimasto ingombro, sia il porto divenuto per sem-
pre inaccessibile ai legni. Questa idea , che non è pre-
sentata se non come una congettura probabile, vien con-
fermata dal silenzio che si osserva ne'documenti, e negli
scritti de'due secoli sopraccitati, ne'qualì non si fa punto
menzione che il porto fosse frequentato, e soprattutto dal-
ia certezza, in cui siamo che verso la metà del secolo IX
era in pieno abbandono. Ciò che si asserisce del porto,
e della città attinente non vuole intendersi dell'episcopio,
e di alcune altre chiese, le quali vennero mantenute dal-
la pietà degli antistiti e de'fedeli. Imperciocché la torre,
o campanile, che ancora rimane nella Isola Sacra, e che
dicesi di s. Ippolito, perchè era attinente ad una basili-
ca, dedicata a quel santo vescovo portuense, e cattedrale
di questa città, mostra pel suo lavoro la più stretta ana-
logia con quelle che veggiamo in Roma a Ss. Giovanni e
Paolo, a s. Maria Nuova, a s. Maria in Cosmedin, opere
tutte del secolo Vili. Ed in Anastasio Bibliotecario si
legge nella vita di s. Leone III, che quel pontefice fece
alcuni doni alla medesima basilica sul principio del se-
colo IX. Questo e i seguenti furono secoli più micidiali
dei precedenti per Roma e pel suo ducato. I Saraceni
annidatisi in Sicilia nell'anno 828 sparsero colle loro de-
predazioni il terrore sopra tutte le coste d'Italia; l'anno
847 fatta una discesa presso Roma nella spiaggia por-
tuense scorsero la campagna in tutte le direzioni, distrus-
sero la città dì s. Rufina, come si trae dalla bolla di pa-
628
pa Sergio III. riportata dall'Ugliclli, depredarono le ba-
siliche di s. Pietro al Vaticano, di s. Paolo sulla via ostien-
se, si sparsero lungo le rive dell'Aniene e per la provin-
cia di Campagna, devastando, uccidendo, e portando in
ischiavitù. Giovanni Diacono dice che que'barbari: Ro-
mam supervenerunt, ecclesias apostolorum et cuncta , quae
extrinsecus repererunt lugenda pernicie et horribili captivita-
te diripuerunt. Questi disastri continuarono per tutto il
secolo IX. ora in un punto ora nell'altro, secondo che quei
barbari erano attratti da maggiori ricchezze, o incoraggiti
da minor resistenza. Nell'anno 849 abbiamo da Anasta-
sio Bibliotecario nella vita di Leone IV, scrittore che fu
testimonio de'fatti, che i Saraceni fermatisi con una flotta
a Toxar vicino alla isola di Sardegna presero di mira di
fare una discesa a Porto, ma all'avviso del loro arrivo ac-
corse la flotta combinata de'Napoletani, degli Amalfitani, e
dei Gaetani in soccorso de'Romani, e fattisi incontro ai
barbari nel littorale ostiense attaccarono fiera zuffa, so-
praggiunto un vento tempestoso, divise questo i combat-
tenti, e non permise ai barbari di approdare: i quali es-
sendo stati qua e là dispersi ruppero nelle isole di Ponza,
e molti ne furono presi, molti uccisi sul luogo stesso dagli
abitanti. Una parte de'prigionieri condotta a Roma fu per
ordine de'magistrati appiccata presso Porto, ed il resto
messo in schiavitù. A questa disfatta de' Saraceni presso
Ostia allude la magnifica pittura del Sanzio nelle camere
vaticane. Nella stessa vita di s. Leone IV ci apprende il
Bibliotecario i doni fatti da quel pontefice alle chiese di
s. Ninfa, e di s. Ippolito, la prima nella città stessa di
Porto, l'altra presso di essa nella Isola Sacra, secondo
ciò che si è notato poc'anzi. Intanto lo stesso pontefice
andava pensando come potesse ripopolar Porto e forti^
ficarlo in guisa da porla al sicuro dalle scorrerie de'Sa-^
raceui. Questo tratto di storia è una prova evidente, che
629
la cillà di Porto a gaell'epoca era deserta. Infatti rifug-
giatisi in quel tempo in Roma molti Corsi che erano fug-
giti dalla loro isola per timore di que'barbari, esibì loro
il soggiorno di questa città, ed accordò ad essi vigne,
terre e prati, cogli animali da lavoro necessarj, da go-
derne finché fossero rimasti fedeli alla sede apostolica
essi ed i loro discendenti. Questo ripopolamento di Porto
si fece nell'anno 852; sembra però che presto svanisse,
poiché Porto stesso non comparisce dopo questa epoca
mai più come città popolata; ma appena di tempo in tem-
po come posto militare. Forse le nuove scorrerie de'Sa-
raceni commesse nell'anno 876, e delle quali fa un qua-
dro molto patetico il pontefice Giovanni Vili, nelle sue
epistole I, VII, XXI, ec. e quelle che successivamente si
ripeterono, fecero ritornar Porto nel primiero squallore.
Nel riferire le premure di Leone IV. per promove-
re il ripristinamento di Porto, osservammo poc'anzi che
quel pontefice concesse ai nuovi coloni vigne, terre, pra-
ti, e perfino bestiami; quindi si riconosce che quantun-
que la città fosse deserta, il territorio era stato coltivato
dai coloni de'casali dintorno in guisa che ancora vi re-
stavano vignati. Anastasio, dal quale si hanno queste no-
tizie mostra , che i terreni accordati alla nuova colonia
de'Corsi, erano del demanio pontificio, di varj monasteri,
e perfino di privati; egli dopo aver riportata la promessa
verbale del papa: vineas vobis, ac terras, prataque conce-
demus, ut ntdlam possitis habere inopiam etc. soggiunge :
Loca vero quae eis data sunt, et a missis pontificalibus con^
signata, tara ex proprio iure ecclesiastico, quamque venera^
bilium monasteriorunif immo et singulorum hominumf qui
finitimi existebantf in concesso eis pontificali privilegio spe-
cialiter adscripta leguntur. Imperciocché Porto contavasi
frai censi della Chiesa Romana , come apprendiamo da
Cencio Camerario; e ne' diplomi di Lodovico Pio, Otto-
630
ne I. ed Enrico I. e particolarmente menzionato, come
parte integrale del dominio pontificio. Dall' altro canto ,
nel codice farfense si nominano come possessioni del mo-
nastero di s. Maria di Farfa terre , e vigne in Portu
Ostiae', altre ve ne possedevano altri monasteri che non
è necessario di enumerare; altre ve ne aveano nobili ro-
mani , e a queste diverse possessioni rilasciate ai Corsi
allude il passo di Anastasio riportato di sopra. Nel de-
creto di Leone VII. che molti credono apocrifo, ma che
certamente è opera del secolo, al quale si ascrive, sen-
za voler con questo dichiararlo genuino, leggesi anche
il nome di Porto espresso col titolo di Terram Portuen'
Sem: esso porta la data dell'anno 963: era dunque spo-
polato anche allora, non avendo il titolo di civitas o di
castrum, come era l'uso in quei tempi,^ quando trattavasi
di città popolate, o fortificate. Un altro documento ap-
partenente allo stesso secolo , sul quale non cade que-
stione, ci mostra, che nell'anno 992, le terre date da Leo-
ne IV. ai Corsi erano ritornate sotto la dipendenza im-
mediata del palazzo pontificio; che il porto Trajano era
nello stato di lago, come oggi si vede, onde già la com-
municazione col mare era preclusa; che allora fu aperta
una fossa dal Tevere a questo lago, e da questo nel Te-
vere, la quale in parte ancora conservasi , e finalmente
che la città era presso a poco nella desolazione di og-
gidì, non facendosi punto menzione di popolo , ma sol-
tanto de'Conti, o Gastaldi, che sembra avessero avuto io
feudo questo sito. Questo documento è un privilegio di
Giovanni XIII. riferito dall'Ughelli e diretto a Gregorio
vescovo portuense , col quale concede a lui ed ai suoi
successori: terram nostri sacri lateranensis palatii ad fos-
satum faciendum sicut incipit per longitudinem a flumine
recte juxta murum portuensis civitatis, ante eiusdem portam
qme dicitur maior et exinde pergenle usque in lacum Tra-
631
ianum et db ipso Traiano remeante per aliud fossatum us-
que in supradictum flumen. Un altro prezioso documento
ci mostra lo stato di Porto sul principio del secolo se-
guente: esso è un privilegio emanato da Benedetto VIL
circa l'anno 1019. in favore della chiesa portuense, della
quale era stato vescovo, e riportato pur esso dall'Ughelli.
In questo documento si determinano i confinì della dio-
cesi di Porto, che comprendeva tutta la regione trasti-
berina di Roma insieme coll'isola di s. Bartolommeo, e
della porta Settimiana rimontando il Gìanicolo , per la
porta s. Pancrazio e la via Aurelia giungeva al ponte
dell'Arrone sulla odierna strada di Civitavecchia; di là
per Palidoro ivi detto Parttorium, lasciando Palo a destra
torceva al mare per la tenuta di Maccarese, e quindi se-
guendo il littorale comprendeva la foce destra , l' Isola
Sacraj e rimontando il Tevere per la foce sinistra veniva
a raggiungere il trastevere e l'isola. Quanto a Porto stes-
so, in questa carta non solo non si parla punto di città
popolata, ma anzi si esclude qualunque popolazione, poi-
ché non si ricordano che pochi uomini abitanti in una
torre, forse per difesa del littorale e della foce. Ivi ap-
prendiamo che varie chiese ancora esistevano, fralle quali
s. Ippolito, che era la cattedrale si dice posta fuori di
Porto neir isola, alla quale si dà il nome di maggiore ,
e che oggi diciamo l'Isola Sacra; vi si nominano poi la
chiesa di s. Maria, quella di s. Lorenzo con un'altro epi-
scopio, quelle di s. Pietro, di s. Gregorio, di s. Teodo-
ro, e di s. Vito, tutte dentro la città stesssf, il Trajano,
una contrada detta Scaraio, una torre Cocuzina, un'al-
tra in Molon, il fondo Bachato, antiche cisterne, i bagni,
il porto Trajano, che si distingue dal lago, un palazzo
detto Praegestaf e finalmente la città costantiniana colla
chiesa distrutta de'Ss. Pietro e Paolo, ed un balneum Ve-
neris. La città era allora ridotta a varj terreni; o fondi
632
chiusi da mura, che perciò dicevansi clausurae: qualche
fabbrica più insigne ancora restava; ma nel rimanente
era un'ammasso di rovine. Leone IX. confermò nelt'an-
no 1049 questo stesso privilegio con piccole varietà di
nomi , càe piuttosto dipendono dagli amanuensi che da
altra causa , il quale pur si riporta dall' Ughelli. Nella
carta peutingeriana sono indicate due torri alla estremi-
tà delle corna del molo: da questi due privilegj può ri-
conoscersi che una si dicesse Cocuzina, o Cucuzuba, l'al-
tra in Molon, o Montone, poiché così diversamente si leg-
gono ne'due privilegj citati. Il fundus Bacatus trasse no-
me dal faro che ancora dovea ravvisarsi, poiché nel Du-
eange si legge che Baccha significa Specula, Pkarusj ma
l'essere ridotto il contorno del faro a fondo, mostra che
il mare essendosi già a quella epoca ritirato, specialmen-
te lungo il braccio sinistro, il luogo da questo occupato
era divenuto terreno sodo. La distinzione che ivi si os-
serva fra il lacus, ed il portus Traiani, sembra essere la
stessa che quella che noi poniamo fra Trajano e Traja-
nello, che col primo nome intendiamo il vero porto in-
terno esagono di Trajano, e col secondo il gran recesso
che forma il porto Claudio, e che è ancora palude , il
quale lo mette in communicazione col porto Trajano; in
guisa che a quei tempi per lago intendevano il porta, e
per porto il recesso, come quello che era men lontano
dal mare.
Si è notato di sopra, che Porto dipendeva diretta-
mente dal papa ; dopo i tumulti , ai quali era andata
soggetta Roma nel pontificato di Gregorio VII. continua-
va a rimanere sotto i papi, come apprendiamo dalla Cro-
naca Cassinense presso il Muratori R. I. S. Tomo IV.
p. 477, la quale parlando di Vittore III, successore di
Gregoria dall'anno 1086 al 108& dice: Castellum qtwque
s. Angeli, Basilicam B. Petti, civitatem Hostiensem aa
633
Portuensem in sui juris dictione tembat, indizio che quan-
tunque deserta, questa città era riguardata sempre co-
me un luogo forte, e forse vi era qualche presidio, come
in Ostia per signoreggiare il corso del fiume. Gelasio II.
nell'anno 1118, appena creato papa, ricevuto l'avviso del-
l' arrivo inaspettato dell' imperadore Enrico V. vi si ri-
fuggiò, mentre discendendo il Tevere per la foce destra
fu sorpreso da una tempesta: il passo di Pandolfo Pi-
sano che si riferisce a questo fatto è stato riportato
di sopra , dove notossi essere questa 1' ultima notizia
positiva che ci rimanga dello stato navigabile della fp-
ce destra del fiume fino ai tempi di Paolo V. Il suo
successore Callisto II. trovando affatto derelilla la se-
de vescovile di s. Rufina detta pure Selva Candida la
unì a quella di Porto, come oggi rimane: primo vesco-
vo a reggere le due chiese unite fu Pietro. Gregorio
IX. nel 1236 emanò una bolla di conferma di questa
unione, e ne da principalmente per ragione la poca di-
stanza , e la scarsa popolazione delle due diocesi. Nel
1346 era il castello di Porto in potere di Martino, che
perciò dicevasi signore di Porto, nipote del card, di Cec-
cano; Rienzi, come si legge nella sua vita, lo fece im^
piccare, e quindi ottenne questo castello insieme con
quello di Ostia. Non essendo più frequentata la foce
destra del fiume , non dee recar meraviglia , che così
scarse notizie ci restino di Porto ne' tempi bassi; dal
fatto però riportato di sopra , sempre più si conferma
ciò che abbiamo asserito, cioè che un posto fortificato
vi si mantenne malgrado l'abbattimento totale, e que-
sto par che si restringesse principalmente al recinto
deir episcopio attuale , perchè meglio ivi si domina il
canale del fiume. Risorte però le lettere, la magnificenr-
za delle rovine mollo più conservate di quello che og-
gi veggiamo vi attrasse i dotti, e gli artisti^ e comia-
634
ciò di nuovo a frequentarsi. Pio II. nell'anno 1461. né
andò a visitare le vestigia , e secondo Giovanni Anto-
nio Canapano nella vita di Pio II. ebbe in animo di
ripurgare il porto. Fa d'uopo di qui riportare la descri-
zione che leggesi di questa visita ne'Commentarj del-
la vita di quell'immortale pontefice, poiché ci offre il
quadro di quelle rovine, come vedevansi a'suoi giorni:
Supra Ostiam miliario secundo Tyieri» in duas partes
scinditur, pars major, et quae multo superai alter am, ad
sinistram decurrit Ostiam versus : pars minor ad dexte-
ram flectituf et in occidentem vergit sive natura id iter
invenit, sive humana vis effodit: insulam haec duo Ty-
beris brachia non parvam efficiunt pascuosam , et bubalis
opprime gratam. Ecclesia Portuensis { cioè s. Ippolito )
in ea iacet detecta: parietes tantum extant, et turris cam-
panaria, sine campanisf non ignohilig. In insula nullum
eminet aliud aedificiumj verum ubicumque effoderis, mar-'
mora invenias , et statuas et columnas ingentis magnitu-
dinis: marmora huc advexisse e ligusticis montibu^ aliis-
que regionibus mercatores ferunt, atque hic Romanis eoe-
posuisse venalia , quorum frusta multa jacent scabra et
impolita , universa fere supercrescente terra obruta iacent.
Insula plana est et herbosa ambitus decem millium circi-
ter passuum: tempore pacis armentis piena. In parte Tu~
sciae, qua minor Tyberis pars Tyrrhenum influii pelagusy
Claudius imperator portum extruxit , circumdato dextra
sinistraque brachio, et ad introitum profundo jam salo mo-
le obiecta, quem quo facilius fundaret navem ante demer-
sit Turris adirne extant vestigia^ quae procul in mari
cernuntur , reliqua funditus periere. Huic propinqua urbs
portuensis a portu nomen sortita, sive Claudii fuerit opus
sive Traiani, ruinae tantum visuntur. Exstat porta urbis
nudata marmoribus, et pars murorum corrupta, cernuntur
H gentiUum templorum vestigia, et christianorum ecclesia-
635
fum cadavefa: in medio navale fuit quod Traiani opus
dicunt, et vulgo prò Traiano Troianum vocant, muUarum
triremium capaxj nunc stagni formam habet oppletam coe-
no: olim canale per duo millia passuum a mari, portu-
gue, naves eduxit, et salsam dulci miscuit aquam. Circa
stagnum columnarum ordines nondum omnes cecidere, qui-
bus alligari naves consueverunt: prope adsunt fornices ad
servandas merces apti et ampliora officinarum loca ad struen-
das , reparandasque naves idonea. Pammachius patricius
romanus hoc in loco xenodochium aedificavit, quem divus
Hieronymus commendai, cuius rei nullae visuntur reliquiae.
Urbs olim destructa fuit, postea in formam castelli reda-
cta, et id quoque inhabitatum cernitur. In questa descri-
zione è da notarsi particolarmente, che rimanevano an-
cora le vestigia della torre del Faro, e che queste ve-
devansi lungi dal luogo dove stava il pontefice, cioè da
Porto attuale , nel mare , prova che non si era questo
ancora intieramente allontanato, come lo è oggi. Biondo
da Forlì nella Roma Instaurata lib. II. scrittore dello
stesso secolo conferma che le rovine del Faro si vede-
vano ancora: et turris illius pharaae partem non minimam,
marmoribus tamen quibus olim crustata fuerat spoliatam
extare videmus. Anche il pontefice Sisto IV. volea ripur-
gare il porto come ne apprende l'autore anonimo del-
la sua \ita R. I. S. T. III. P. II. p. 1064: quindi ai
9 di novembre dell'anno 1483 passò da Ostia, a Por-
to, come ci afferma Giacomo Volaterrano sumpto pran-
dio , placuit pontifici et patribus vagari usque ad litus
proximioris maris, vói cernuntur adhuc muri vetustissimi
Portus et pene collisi , et Pharus turris , adeo ut etiam
hodie ejus vocabulum servat. Nel suo pontificato , essen-
do vescovo portucnse il card. Roderico Borgia, che poi
fu papa col nome di Alessandro VI, fu risarcito il re-
cinlo merlato dell' episcopio, come oltre la costruzione
636
si dimostra dalle sue armi di marmo po^te sopra la por-*
ta. Neil' anno 1486 Porto andò soggetto alle scorrerie
del duca di Calabria R. I. S. T. III. P. IL p. 1206,
Non si conosce, se a questa scorreria si debba attribui-
re il totale esterminio della torre del Faro, che sicco-
me si è notato vedevasi ancora circa V anno 1483 ; il
Fulvio dice essere stata guasta e portata via dalle on-
de: egli però scrive» sul principio del secolo XVI. quan-
do già le onde in quella parte non aveano più tanta
forza ; onde senza accettare la eausa che egli adduce ,
riconosceremo piuttosto il fatto, che ai suoi giorni la
torre era scomparsa. Lo stesso dee dirsi del Fauno che
scrisse sulle sue traccie. Nel 1556 presso la foce del
Tevere fu posto un campo dai Caraffa nipoti di Paolo
IV, centra le truppe del duca d'Alba che si ersmo ac-
campate sulla foce opposta presso Ostia, Ci rimane una
carta di quel tempo, dalla quale apparisce ch€ lo stato
di Porto e delle adjacenze differiva di poco dall'odier-
no se non vuole contarsi il prolungamento che da quel
tempo ha ancor fatto la spiaggia pe'depositi delle are-
ne. Il card. Fulvio Corneo divenuta vescovo portuense
nel 1580 ristaurò l'episcopio e la chiesa nel 1543, on-
de ivi si leggono i versi seguenti:
Squallebant Portus Aedes Vrbs Tota Tacebat
Vix Etiam Paucis Stabat et Ara Dei.
Caedibus Assiduis Dirisque Expoxta Rapinis
Rura Nec hi Tuto lam Locus Ullus Erat.
Nec Mare Navigiis Aptum Nec Tibridis linda
Ipse Suas Hwneris Nauta Ferebat Opes.
Corneus A Saevis Purgavit Littora Momtris
Hinc Nova Miraris Surgere Tempia Domus..
Inde Vides Altum Flumen Tuta Ostia Nautis
Et Didicisse Fretum Subdere Colla lugo.
., ■ MDLJXXIIL -n-in '■A.ùvnn ^'^-^ :
637
Dopo questa epoca, riapertasi alla navigazione la foce
destra nell'anno 1612 da Paolo V. come a suo luogo è
stato notato, Porto non è risorto, ma una piccola popo-
lazione si è formata alla foce stessa del Tevere, dove per
le cure di Belisario Cristaldi tesoriere generale furono
nel 1825 innalzate commode e decenti abitazioni: que-
sto borgo dal nome volgare della foce destra avrà il
nome di Fiumicino.
Premesse le notizie istoriche è tempo di passare a
descrivere ciò che ci rimane di questa città e de* suoi
porti, onde poter rintracciare la forma di questi, la loro
direzione reciproca, e le fabbriche più cospicue che li
adornavano, e che principalmente costituivano la città.
Trattandosi di porti e di ediflcj costrutti per loro uso
e decorazione, cojsì che questi sono accessorii di quel-
li, credo dovermi attenere piuttosto al metodo analitico
e cronologico , che a qualunque altro , esaminando pri-
ma il porto di Claudio, come il primo che venne for-
mato , poi quello di Trajano , e finalmente gli edificj
meno inerenti ai porti, o posteriormente costrutti. Dac-
ché le arti tornarono in pregio e lo studio delle anti-
chità propagossi, il porto trajano , che conserva quasi
intatta la forma, fissò lo sguardo degli eruditi e degli
architetti. Si è veduto nella storia quant' ammirazione
destasse in Pio II. ed in Sisto IV, pontefici sapientissi-
mi, fino a volerlo ripristinare: Biondo, Volaterrano, Ful-
vio , e Fauno ne parlarono con meraviglia ; ma ninno
avanti il Ligorio ne pubblicò un disegno. Questi piut-
tosto che darci una pianta delle rovine , come allora
esistevano, cioè assai più riconoscibili di oggidì, volle
dare un ristauro, il quale fu inciso in Venezia nel 1554
da Giulio de Musis, e nel 1558 dato alla luce dal Tra-
mezino , ripubblicato poi nel 1775 in Roma da Carlo
Losi. In tale lavoro quell'insigne architetto lasciossi vin-
638
cere dalla sua immaginazione, onde quel ristauro trova-
si sovente in contraddizione aperta collo stato delle ro-
vine; essendo però il primo disegno, dee esaminarsi, poi-
ché quantunque difettoso, tuttavia dà una idea genera-
le, e forse in qualche piccola parte è meno inesatto.
Sulle traccio del Ligorio diede alla luce un'altro
ristauro di Porto nel 1575 il Du Perrach, che fu in-
ciso in Roma da Antonio Lafrez e ripubblicato dal De
Rossi: questo suo ristauro vedesi espresso nella galle-
ria delle carte geografiche al Vaticano. Benché neppur
questo possa dirsi di una esattezza geometrica, pure dà
una migliore idea del locale ed è di un' uso indispen-
sabile pel confronto. Volpi e dopo di lui Locatelli che
trattò di Porto in una dissertazione inserita nel tomo
VI. degli atti dell' Accademia di Cortona , e che prese
come si vide di sopra a sostenere un assurdo , si servi
di questa medesima tavola che riprodusse in una scala
più piccola. Sì il Ligorio che il Du Perrach, come pure
tutti gli eruditi che trattarono di Porto, non hanno nep-
pur posto in dubbio che il porto Claudio, ed il Traja-
no non fossero sullo stesso asse; il solo Volpi opinò che
il canale, o alveo di communicazione fra i due, non fos-
se dritto, ma facesse un gomito, indottovi dalle traccio
del dorso che é dinanzi: ma il Rasi anche prima di aver
perlustrato il sito credette, che la bocca fosse rivolta a
maestro-tramontana, come lo é difatti, quasi con preci-
sione geografica. Dopo reiterate osservazioni locali rico-
nobbi col Canina che la supposizione della identità del-
l'asse ne'due porti era erronea, e che essendo il porto
Claudio di costruzione primitiva , ed indipendente dall'
interno, fu con altissimo sapere diretto verso settentrio-
ne, vento innocuo e sereno nel nostro littorale; mentre
stando alla supposizione degli architetti sopraccitati, la
bocca sarebbe stata rivolta a lebecccio, che è il vento
639
più tempestoso, e quello che agglomera maggior quan-
tità di arene. Ora prescindendo dai fatti, ancorché que-
sti non fossero chiari e patenti, come è possibile imma-
ginare, che avendo Claudio una spiaggia egualmente sot-
tile e nuda, da poter dirigere i moli come voleva, aves^
se piuttosto diretto in guisa le loro braccia , da avere
la bocca esposta al lebeccio, che in pochi anni avrebbe
riempiuto il porto di arena, di quello che a tramontana
vento benefico, che piuttosto la scava? Fin qui però sa-
rebbe contraporre ad una supposizione improbabile una
opinione più giusta; ma fortunatamente a dileguare ogni
dubbio, i moli si riconoscono ancora, come piccole du-
ne prolungate, coperte da erbe e da boscaglie di arbusti
e lasciano riconoscere la loro curva primitiva, somiglian-
do appunto a braccia distese: porrectaque brachia le chia-
mò Giovenale. Questo porto , e tutti quelli che i padri
nostri fondarono , e i ponti che fecero , e la direzione
che diedero al corso de' fiumi , rispondono invittamente
alle accuse , che pur troppo lanciano contro loro certi
mediocri ingegni moderni i quali si fan lecito di dichia-
rare su tal proposito con Rapini : È cosa generalmente
faputa, che l'arte idrostatica in qm tempi era affatto bam-
bina in quanto al regolamento de' fiumi con tutto che si sa-
pessero, 0 per meglio dire si vedessero le loro tendenze ed
effetti : vedi insolenza ! Il molo destro per chi guarda
verso settentrione si solleva sopra terreni bassi e panta-
nosi, relitti del mare, e si discopre iu tutta la sua esten-
sione per metri 800: sul principio scorgonsi ruderi iso-
Iati corrispondenti nella tavola di Du Perrach ad una
gran torre quadrata: altri ruderi di un edifizio più co-
spicuo scopronsi a fior di terra circa 300 metri dopo
dove comincia la curva. Alla estremità di questo primo
braccio si apre la bocca settentrionale larga circa 80 me-
tri: i moderni ne hanno profittato per incanalarvi un fos-
640
so che chiamano del Fronzino. Di là dalla bocca comin-
cia l'altro dorso, molto più largo del precedente, e che
lascia travedere a fior di terra i massi quadrati di tu-
fa dell' antica costruzione: questa specie di platea lun-
ga 180 metri, larga 90 essendo nell'asse grande del por-
to e molto più larga del molo destro e del sinistro, che
poco dopo incomincia a tracciarsi , fa credere essere il
piantato del famoso Faro fatto da Claudio ad imitazio-
ne dell' Alessandrino, ed eretto alla estremità del molo
sinistro , come si è veduto nella storia : ad esso servi
per fondamento la nave che portò l' obelisco a Roma.
Da questo punto più largo e più elevato si prolunga
verso settentrione un dorso quasi insensibile, che ha il
nome volgare di Monte dell'Arena che comunica a que-
sta parte del fondo portuense: esso incurva leggermente
verso levante e termina in un piccolo tumulo formato
evidentemente di rovine, fralle quali si osservano fram-
menti di marmo, e pezzi di ornato che annunziano una
decadenza avanzata: più oltre non rimane traccia di fab-
bricato, o di tumuli artificiali. La lunghezza del dorso,
compreso 1' ultimo tumulo è di circa 600 metri. Di là
ritornando al faro e volgendo a destra per percorrere
r altro braccio del molo, si riconosce ancor questo per
lungo tratto, quantunque imboschito di arbusti marini,
frai quali particolarmente abbondano il lentisco, il tame-
rice, il ginepro, 1' arbuto ec. così fitti che dan noja al
curioso , e sovente si oppongono alle ricerche. Questo
braccio di molo si riconosce per lo spazio di circa 1000
metri escludendo il tumulo del faro: quindi si perde
fin presso al confluente del Fronzino nel Tevere per lo
spazio di 680 metri : par naturale che continuasse , e
forse per ricerca di materiali è nei tempi moderni scom-
pars(?; nel taglio del fosso Fronzino presso il confluente
nel Tevere si vedono traccie della costruzione che uni-
va il pi'oseguimento del mòlo con un lungo ordine di
taberne. Eslendonsi queste per sopra a 600 metri, ed
occupano il fondo del porto Claudio: essendo, quasi ad
angolo retto coll'asse del porto si riconoscono come ope-
ra contemporanea a quello; né la costruzione di opera
reticolata e laterizia vi si oppone. Delle taberne stes-
se poche traccie rimangono, ma il piantato è rimasto
intiero fino a quésti ultimi tempi , essendo stato deva-
stato negli anni scorsi per profittare de'materiali ed im-
piegarli nella costruzione della nuova borgata , e riem-
pire le palizzate , che servono a regolare il corso del
fiume. Benché oggi sia devastato , rimangono testimonj
che fanno riconoscere che il nucleo era formato da mas-
si grandi rettilinei di tufa di monte Verde legati da tra-
vertini : poche vestigia restano de' primi ; de' travertini
però meno alcuni che sono stati segnati, e pochi che sono
caduti, gli altri benché privi di sostegno restano ancora
sul sito retti dalla bontà del cemento. Quest' ordine di
taberne, o magazzini vedesi indicato dal Du Perrach, ma
con inesattezza, fra il canale di comunicazione del Te-
vere col porto Trajano, ed il principio del molo: non
conoscendo egli l'angolo che fa il porto Claudio col por^
to Traiano ha posto queste taberne soverchiamente ver-
so l'oriente, fissandole dietro le fabbriche dipendenti dal
porto Trajano. Dietro questa linea di taberne verso mez-
zodì scorre il canale portuense , o la fossa trajana , la
quale ha un corso parallello colle fabbriche trajanèe, per-
chè aperta contemporaneamente a quelle; ma tosto che
si avvicina a questo fabbricato, fa un'angolo ottuso per
non urtarle: questa circostanza è una conferma ulterio-
re di ciò che fu osservato poc'anzi, cioè che le taberne
essendo ad angolo retto coll'asse del porto Claudio a quel-
lo debbonsi ascrivere > quindi preesistendo allo scavo
della fossa , Trajano per evitarle dovè torcerla e darle
41
642
una inclinazione verso lebeccio, la quale meno tale tìe-
cessità dovea evitare ad ogni costo. Il tratto di 680 me-
tri fra la estremità del molo sinistro e queste taberne
forma un recesso o rientramento del porto, che dee ri-
conoscersi come la darsena originale: il tumulo che ver-
so oriente fiancheggia questo recesso fa un angolo ret-
to colle taberne, onde può supporsi, che sia nella linea
della crepidine, che secondo Dione girava intorno al por-
to interiore di Claudio : tutto ciò che è dietro di que-
sto fa parte del porto Trajano , onde per ora si lascia.
Quando Claudio costruì il porto, questo recesso era ter-
ra ferma, quindi in esso dee riconoscersi quel tratto di
terra da lui scavato , dal quale poi spiccò i due moli
nel mare, frai quali fondò V isola che sostenne il faro.
Le parole di Dione riferite di sopra accordansi perfet-
tamente collo stato de' luoghi : egli dice che Claudio
scavò un tratto non piccolo di terra ferma, e questo è il
recesso, o la darsena che ha circa un miglio e mezzo di
circonferenza: che lo cinse intorno di una crepidine, e di
questa sono visibili le traccio verso mezzoggiorno ed
oriente : che quindi v introdusse il mare , conferma che
prima non vi era : che poi gittati aggeri grandi dentro
il m^are stesso, chiuse un vasto seno, e fondò una isola in
esso per sostenere una torre con faro: è inutile riferire di
nuovo i passi citati a suo luogo di Svetonio e di Giove-
nale, e che si accordano pienamente con questo di Dio-
ne; in questo tratto io credo che furono scavate quelle
fosse, alle quali allude la iscrizione di Claudio riportata
di sopra. Or nella descrizione sovraccennata i due moli
sono chiari e si riconoscono bene sul luogo; non cosi
rìsola, sulla quale è d'uopo fare una breve discussione.
Nella storia di Porto è stata di già toccata la contradi-
zione almeno apparente che sopra (juesta isola esiste fra
Plinio e Svetonio, e fu conchiuso, che forse la m^ìles di
'' lì-
643
Svelonìo, che è la stessa dell' isola di Dione e che noi
diremmo l'antemurale del porto, essendo molto più vi-
cina al molo sinistro, che al destro, potè indurre Plinio
a riguardarla quale prosecuzione di quello. Quindi rica-
vasi che l'antemurale fu nella direzione della incurvatu-
ra del molo sinistro. Questa ragione fa inclinare a cre-
dere che il tumulo sia il piantato del faro. Ma si osser-
vò che in quel punto medesimo si distacca l'altro dor-
so, e non havvi traccia di separazione fra il piantato
del faro ed il molo. Or si domanderà giustamente co-
me il faro fu sopra una isola, o antemurale, ed a qua*
le uso si fece il prolungamento. Sembra che questo sta-
to positivo di cose possa spiegarsi in questa guisa. 1. I
ruderi del molo prolungalo sono de'tempi della decaden-
za estrema, e perciò deve riguardarsi quello come una
aggiunta posteriore , alla quale non ha punto che fare
Claudio. 2. Il tumulo può bene essere stato in orìgine
un'antemurale fralle due bocche una delle quali fu chiu-
sa, perchè essendo più stretta dell'altra, e divenendo ogni
giorno più diffìcile di accesso per le arene che il lebec-
cio addossava lungo il molo sinistro, il molo fu congiun-
to coU'isola, e questa diventò estremità del molo, e per
tale motivo oggi non si vede alcuna separazione fra il
molo sinistro e la isola, come si riconosce quella fra la
isola ed il molo destro. Questo rimedio coll'andare de-
gli anni divenne inutile , poiché continuando sempre le
arene ad addossarsi e girare intorno al molo, anche la
bocca dì ponente veniva ad essere minacciata , quindi
fu giudicato opportuno di gettare un'altro molo ed alla
sua estremità eriggere un'altro fanale per guida de'na-
viganti. Considerando il tempo che deve essere corso
per rendere necessaria questa opera, e per eseguirla, ri-
flettendo allo stile degli ornati ivi trovati che sono, co-
me notossi della decadenza estrema , e sapendo quanta
644
cura prendesse il re Teodorico di tutte le fabbriche ro-
mane, mura, palazzo, acquedotti, terme etc. e partico-
larmente di questo porto , a lui può attribuirsi questo
laToro, siccome è stato di già indicato nel saggio stori-
co. Ritornando alla crepidine , dopo di essa si apre il
varco ad una forma moderna che versa le acque del
lago Trajano nel fosso Fronzino; e quindi prolungasi
un'altro dorso che in Du Perrach é segnato come un
piccolo molo pur distaccato dalla linea degli edificj: sem-
bra però che in origine questo fosse una prosecuzione
del precedente, e che dopo i cangiamenti di Trajano sol-
tanto rimanesse separato: essendo parallello alla crepidi-
ne che servì a contenere la darsena del porto Claudio,
è naturale supporre che fosse pur esso costrutto dap-
principio: la sua punta, e quella del molo sembrano po-
tersi fissare come ingresso della darsena che di là s'in-
ternava fino presso alle taberne: la medaglia di Nerone
fa credere che dinanzi la bocca della darsena fosse una
statua giacente e colossale del Tevere. Il tratto verso
oriente, circoscritto in parte da questo aggere stesso è
oggi palude : il nome di Trajanello che porta e quello
di Portus Trajani , col quale è indicato nelle bolle di
Benedetto Vili e di Leone IX sono indizj sufficienti per
attribuirlo a quell'imperadore: pare che in origine il lido
andasse direttamente verso il principio del molo destro.
Riepilogando ciò che è stato esposto finora si riconosce,
che nella linea del littorale in questo sito Claudio sca-
vò una darsena : che ebbe un circuito di circa un mi-
glio e mezzo , che spiccò dal lido entro il mare i due
gran moli che stringevano fra loro l'isola artificiale del
faro racchiudendo un seno quasi semicircolare di circa
mille metri di diametro e 2000 di circonferenza : che
dapprincipio esistevano due bocche, una minore, l'altra
maggiore, chiusa quella, il faro rimase congiunto al mo-
645
lo sinistro: e finalmente che ne' tempi di Teodorico fu
prolungato il molo ed alla sua estremità venne eretto il
nuovo fanale. Du Perrach fa il molo destro arcuato, e
sul sinistro colloca edificj molto considerabili, de' quali
non rimangono più le traccie: circa l'arcuazione del molo
dritto si vede pure nella medaglia dì Nerone.
Dopo aver descritto il porto di Claudio , passiamo
a quello di Trajano. Si è osservato a suo luogo che que-
sto ottimo principe non solo ristaurò in meglio il porto
di Claudio, ma ne aprì un nuovo più sicuro e più in-
terno, al quale fu imposto il suo nome. Sembra che la
darsena di Claudio si andasse interrando, e che questo
fosse il motivo principale che determinò Trajano alla im-
presa di aprirne un'altra: la palude detta oggi Trajanel-
lo, della quale si fece menzione di sopra era in origine
parte del lido, e fu scavata ad arte a guisa di canale:
Dell'internarsi, questo tratto diviene sempre più stretto
finché la sua larghezza non eccede i 90 metri. Questo
luogo può riguardarsi come la bocca del canale, che da
questo punto volge direttamente ad oriente. L'alveo di
questo canale si riconosce in tutta la sua ampiezza , e
si distingue per le erbe palustri e per l'acqua limaccio-
sa che lo ricopre: la sua lunghezza al suo imbocco nel
porto Trajano è di 440 metri: la sponda opposta però è
più lunga di 110. metri. La larghezza è costantemente
di metri 60 fino al punto dove sì dilata dì più del dop-
pio verso mezzogiorno: imperciocché ivi diramavano da
esso due canali uno che volgeva a destra e formava il
ristagno parallelo al canale principale, l'altro che si di-
riggeva verso mezzogiorno , e finiva nella fossa trajana
servendo a mantenere la communicazìone fra questa ed
i porti; questo canale sebbene ristretto si mantiene an-
cora : il ristagno è ridotto a palude , ed a prima vista
si riconosce che fu l'antico cantiere: ivi fu scoperto il
646
bellissimo busto di Trajano^del museo Vaticauo. L' aF-
Teo grande finisce nel porto Trajano , che oggi volgar-
mente si dice lago Trajano, o il Trajano. La forma di
questo vastissimo bacino è un esagono regolare , il cui
lato rivolto a lebeccio si apre per mettersi in commu-
nicazione col porto di Claudio per mezzo del canale te-
sté descritto : essendo questo porto tutto interno e co-
perto dal molo non risentiva alcun nocumento dall'essere
aperto verso lebeccio, quindi Giovenale cantò:
Sed trunca puppe magister
Interiora petit baianae pervia cymbae
Tuti stagna sinus.
l due lati dell'esagono rivolti a settentrione e a maestro,,
e la metà di quello verso lebeccio sono men conserva-
ti , essendosi l'acqua considerabilmente ritirata dagli an-
tichi limiti: non così gli altri dove l'acqua lambisce an-
cora r antica crepidine. Fu sul lato settentrionale che
nel 1794 vennero trovati i frammenti della gran statua
colossale loricata di marmo greco della proporzione di
circa 25 palmi di altezza ed il piantato del piedestallo
quadrato alto un palmo e mezzo, largo 20, notizie che
si debbono all' indefesso Fea. La profondità maggiore
che oggi ha questo porto è di circa 3 metri: la circon-
ferenza è di 2220 met. , o circa un miglio e mezzo.
Dintorno erano disposte colonnette di diversi marmi e
granito per attaccarvi le navi: Volpi ne riporta qualcu-
na con numero , e qualcuna rovesciata ancora rimane t
egli dice essere state forse quaranta, avendo letto i nu-
meri XXXI e XXXIV. sopra due : ed avendone misu-
rata una intiera, notò, che 1' altezza sopra terra era di
9 palmi, ed il diametro di 2. palmi e 3- oncie, e che
erano ficcate in terra per tre palmi. Filostorgio , nel
parlare della occupazione di Porto fatta da Alarico di-
ce che tre erano i porti: facile è congetturare che i due
6A1
erano quelli di Claudio e di Trajano : per terzo egli
prese certamente il Trajanello, ed il gran canale, giac-
ché non può per la ristrettezza sua supporsi aver pre-
so per porto il cantiere , che d' altronde è commune a
tutti i porti.
Dopo di aver determinato i porti, e la loro giaci-
tura reciproca, è tempo di volgerci a rintracciare le ro-
vine degli edificj. E qui è da premettersi che general-
mente gli avanzi che rimangono dell' antica città sono,
o informi, o coperti da tumuli, i quali col loro ondula-
re diverso servono di norma per indovinare la forma
delle fabbriche, il sito delle aree, e de'cortili, le strade
ec. j ma non si aspetti il curioso di trovare oltre i porti
rovine imponenti o pittoresche ; certo che se si sgom-
brassero intieramente, l'aspetto de'ruderi diverrebbe mol-
to diverso , e le reliquie di Porto non si troverebbero
inferiori alle altre , né per estensione , né per mole e
forse anche neppure per bellezza pittorica. Per chi giun-
ge da Roma i primi ruderi, su' quali l'occhio si ferma
sono quelli del recinto costantiniano, il quale si distin-
gue in tutta la linea , meno presso la strada romana
dove è stato divelto per profittare de'materiali. Esso si
riconosce in un dorso, dove di distanza in distanza sor-
gono tumuli , e qualche pezzo di muro diroccato rive-
stito di edera e di arbusti : il dorso corrisponde alla
cortina, i tumuli alle torri, che la difendevano. Imper-
ciocché in questo recinto vedesi usato lo stesso metodo
di fortificazione, che fu tenuto nelle mura che fasciano
Roma sulla riva sinistra del Tevere, cioè un muro con-
tinuato, dietro il quale ricorre una galleria arcuata per
commodo delle guardie, difeso ad una distanza deter-
minata da torri quadrate. Nelle mura costantiniane di
Porto rimangono in varj luoghi traccie della galleria e
delle torri, che generalmente distano fra loro 20 metri;
648
perciò il Du Perrach espresse l' una e le altre nel suo
ristauro. Ne' punti però corrispondenti agli angoli del
porto interno, risaltano due torri più considerabili a gui-
sa di baluardi per maggior difesa del sito. Questo re-
cinto costantiniano fascia tutto il tratto che è dall' an-
golo orientale del porto Trajano fino alla testa del molo
del porto Claudio, mettendo dentro, il casino, il proco-
jo, la casa nuova già de' Di Pietro ce. Nella storia iu-
dicossi, come questa parte della città portuense avea il
nome di Civitas Constantiniana , essendo cosi chiamata
nelle bolle di Benedetto VIIL e Leone IX. e come lo
stile della costruzione di queste mura per la irregolari-
tà de'mattoni e la quantità del cemento non può creder-
si anteriore al secolo IV. Due porte visibilmente si ri-
conoscono, le sole che avesse Porto: una verso il mare,
dove rimangono traccie dell'antico pavimento della stra-
da, l'altra verso Roma , dove entrava il ramo della via
portuense trajanèa : ancora queste sono bene indicate
dal Du Perrach. Non essendo stata chiusa entro le mu-
ra questa parte della città, se non sotto Costantino, non
dobbiamo perciò meravigliarci, che vi siano stati rinve-
nuti sepolcri in gran numero , e molti già appartenenti
alla decadenza avanzata: le iscrizioni raccolte dal cardi-
nal Pacca amantissimo delle arti e delle antichità, for-
mano un museo interessante di monumenti locali, esem-
pio degno di essere imitato. Seguendo l'andamento del-
la via portuense che in questa parte è poco lontano
dalla moderna , vedesi a destra presso le mura entran-
do in Porto r avanzo della cella rotonda di un tempio
che per la costruzione laterizia non può dirsi anteriore
ai tempi settimiani : questa cella era molto più conser-
vata nel secolo XVI. come può vedersi nella galleria
delle carte geografiche al Vaticano. Il Ligorio ed il Du
Perrach lo ristaurano giustamente per un tempio peri-
649
stilo, giacché rimangono esteriormente traecie molto vi-
sibili della volta che era sostenuta dalle colonne, e che
copriva il portico : il tempio sorgeva sopra gradini che
ricorrevano intorno: dagl'indizj esistenti si riconosce che
il peristilio era formato da 16 colonne , probabilmente
di ordine corintio, e del diametro di 3. piedi. Un pez-
zo di architrave appartenente alla decorazione interna
di questo tempio si vede a piccola distanza , e per la
rozzezza del lavoro è perfettamente corrispondente alla
costruzione materiale , ed alla epoca alla quale questo
tempio è stato di sopra assegnato. Neil' interno appari-
scono ancora le traecie di festoni grossolani ricoperti di
stucco che ricorrevano intorno presso alla imposta della
volta: rimangono pure tre ampie nicchie delle sette che
l'adornavano, essendo il posto della ottava occupato dal-
la porla: fra le nicchie sporgevano in fuori colonne for-
se sostenenti statue: la volta era a callotta come quella
dal Panteon. Ligorio e Du Perrach lo dicono concorde-
mente dedicato a Portumno: e il Volpi conferma questa
denominazione, aggiungendovi quella della Fortuna Tran-
quilla con tre lapidi trovate nelle sue rovine dal card
di Bellay che fu vescovo di Porto dal 1553 al 1555.
650
PORTVMNO
SACRVM
M. SANGVINIVS.M.F
PAL . LAVSVS
CVRATOR CORP
LENVNCVLARIOR
PORTVEN
PORTVMNO . ET
FORTVNAE.TRANQVILLAE
SACRVM
Q . CORIDIVS . Q . F . PAL
CAMILLVS
PRAEFECTVS . PORT
NAV
VOT . VOVIT . L . M
PORTVMNO BONO
DEO . TRANQVIL
SEX , CLAVDIVS SEX. F.
PAL. ANTAEDIVS
CVRATOR VICOR
PORT . ET . TI . CLAVDI
VS li VIR. D. D
Conoscendo essere Portumno il dio de' porti , essendo
certi per la sua pianta che l'avanzo in questione appar-
tiene ad un tempio, sembra non potersi dubitare dopa
la scoperta delle lapidi surriferite, che fosse sacro a Por-
tumno ed alla Fortuna Tranquilla , e perciò come tale
dee riconoscersi. Forse nelle sette nicchie dell' interno
saranno state oltre la statua di Portumno ancora quelle
di Leucotea, o Matuta sua madre, della Fortuna, della
Tranquillità ec. Nelle bolle sovente citate di Benedetta
VIIL e Leone IX si fa menzione come esistente nella
65f
città costantiniana, di una chiesa distrutta dedicata agli
apostoli Pietro e Paolo; è molto probabile che ad esem-
pio di altri tempj , ancora questo preesistente al recin-
to di Costantino, venisse o da lui, o da'suoi successori
cangiato in chiesa dedicata a s. Pietro e s. Paolo. Da
questo tempio fino al recinto interno sono stati eseguiti
molti scavi negli anni scorsi, onde trovar materiali per
le nuove fabbriche: oltre molti sepolcri già menzionati,
sono state trovate vestigia di case , parte di mediocre
costruzione reticolata , ma la maggior parte di lavoro
grossolano che indicava il quarto e quinto secolo della
era volgare. Nelle carte del Ligorio e del Du Perrach
l'acquedotto portuense, del quale è stato parlato a suo
luogo, traversava il recinto costantiniano dietro il tem-
pio di Porturano, e di là dirige vasi alfangoio orientale
del porto Trajano. A quest'angolo la via moderna ritro-
va l'antica: ivi a sinistra sono rovine di camere di una
costruzione migliore , e dopo questo si traversa sopra
un ponticello la forma di communicazione fra il Teve-
re e il lago, aperta nell'anno 992, come ne apprende il
privilegio di Giovanni XIII. citato a suo luogo. Quanto
al recinto intemo, nel quale si entra subito dopo il ca-
nale, esso è attribuito ai tempi settimiani a cagione del-
la sua costruzione, analoga ad altre opere di quella epo-
ca: racchiudeva un piccolo tratto di fabbricato fra l'ar-
co di Nostra Donna e la fossa trajana , dove Ligorio e
Du Perrach pongono la rocca portuense, e dove ne'tem-
pi bassi venne costrutto il castello di Porto ancora esi-
stente: questo doppio recinto e la grossezza straordina-
ria delle mura di questo interiore , unito alla località
fra il mare ed il fiume , faceva di Porto una piazza
molto forte , come Procopio la riconobbe. Si entra in
questo recinto intemo per l'arco di Nostra Donna, così
denominato da una immagine della Vergine ivi dipinta
652
nel secolo XV. indìzio che la chiesa di s. Maria ricoi*-
data da Benedetto Vili, e Leone IX. fu in queste vi-
cinanze. Sembra che l'arco preesistesse e fosse opera di
Trajano, e che soltanto venisse ridotto a porta dopo la
costruzione delle mura, ed allora per maggior fortezza
venisse ingrossato. Appena entrati nella città interna
veggonsi a sinistra imponenti rovine degli antichi horrea
o magazzini, ai quali pure appartengono i pochi ruderi
che si trovano poco prima di entrare nel moderno recin-
to di Porto. Nella storia è stato notato che il recinto
merlato del castello di Porto è in gran parte opera del
card. Roderico Borgia le cui arme ancora restano sulla
porta d'ingresso: nell'angolo di questo castello, che è a
contatto colla strada moderna di Fiumicino rimane qual-
che traccia di antica costruzione delle fabbriche che cir-
condavano il porto. Il moderno castello non offre altri
oggetti degni di ricordo, se non che la chiesa, oggi de-
dicata a s. Lucia, ed un tempo a s. Lorenzo, che se-
condo Benedetto Vili, era annessa all'episcopio: questa
chiesa fu particolarmente risarcita nel 1583 dal card.
Corneo, e ne'tempi più vicini a noi. Annesso alla chie-
sa è l'episcopio nel cui atrio vedesi raccolto l'interessante
museo de'monumenti portuensi.
Di là andando per un piccolo tratto per la nuova
strada di Fiumicino , poco prima di passare il canale
fra il porto ed il fiume , si scoprì a sinistra nell' anno
1827 un' area irregolare lastricata di enormi massi di
porta santa , affricano , e cipollino , il principio di una
strada ed un portichetto di colonne. I massi dell' area
sono stati svelti e segati: in tal circostanza si è ricono-
sciuto essere stata formata 1' area ne' tempi della deca-
denza molto avanzata con massi rozzi che aveano nota-
to il peso e la data della spedizione, generalmente ap-
partenente al secondo secolo della era volgare. Più olr
653
Ire raggìnngonsi le rovine de' magazzini posti in fondo
del porto Claudio , ed indicali di sopra. Rimontando il
canale citato poc'anzi si perviene al cantiere, del quale
é stato trattato a suo luogo : ivi possono tracciarsi le
vestigia dell'arsenale, che lo circondava e che distinguon-
si pe'turauli considerabili che hanno formato e per qual-
che lacero avanzo di muro che qua e là sbuccia dal suo-
lo. Dal cantiere traversando l'alveo si entra in una area
quadrilunga che sembra essere stata un foro circondato
intorno da portici e da taberne. Aderente a questo ver-
so lebeccio è una fabbrica considerabile; forse questo è
il Palatium, quod vocatur Praegesta, che leggesi rammen-
tato nella bolla di Benedetto Vili, come aderente ai
balnearia, e presso alla città antica di Porto propriamen-
te detta, ed al lago Trajano. In questi dintorni, secon-
do il Volpi, furono sul principio del secolo passato sco-
perte vestigia di acquedotti, e tre crateri, uno de'quali
è alla fontana di Monte Citorio. Questa fabbrica è con-
tigua ai bagni scoperti nell' anno 1824 e che occupano
una gran parte della lingua fra l'alveo ed il Trajanello.
Tali avanzi per lo stato di conservazione, per la ricchez-
za de' marmi, per 1' istruzione sui costumi antichi, che
se ne ricavava , doveano dopo i porti riguardarsi come
l'edificio più interessante che dell'antica città rimanesse.
Disgraziatamente però la incuria in che sono stati lascia-
ti li ha ridotti in uno stato di perfetto deperimento.
Quella fabbrica fu tutta intiera scavata, giacché i muri
la chiudono da tutte le parti, onde non ha alcuna com-
municazione colle fabbriche attinenti: andò però sogget-
ta a ristauri anticamente ed a variazioni, come si trae
dalla varietà delle costruzioni^ delle quali la più antica
di mediocre reticolato direbbesi rimontare ai tempi de-
gli Antonini. La sua estensione maggiore nella lunghez-
za, è di met. 27 ^|io compresa la grossezza de' muri:
654
nella larghezza di metri 20 compreso l'emiciclo aggiun-
to come punto sicuro. Essa è rivolta verso maestro; poi-
ché di là è il suo ingresso, dove non era separata dal
mare che da una stretta crepidine; verso scirocco la co-
steggiava la via che andava lungo il canale , e della
quale si osserva ancora qualche vestigio. La porta non
è magnifica , ma ciò non dee recare sorpresa a chi ha
veduto a Pompeii quanto modesto sia 1' ingresso della
villa detta di Arrio Diomede. Supposto di entrare per
essa trovasi a destra un andito rozzo rinfiancato da ar-
chi, dove a sinistra sono tre fornacelle dette praefurniay
e propnigea per riscaldare le camere. Ritornando all'in-
gresso, sembra che ivi fosse una porta interna, che im-
pediva r ingresso nella parte nobile ai servi addetti al
servizio de* prefurnj. Apresi quindi un lungo corridore
il cui pavimento fu di musaico bianco e nero, come si
trae dai pezzi ancora esistenti: questo andito mette ca-
po alla scala per la quale salivasi, o ad un secondo pia-
no , o piuttosto ad un terrazzo , dal quale godevasi la
veduta magnifica dei porti, e delle fabbriche che li cir-
condavano. Da questo corridore una porta a sinistra in-
troduce in un' ampia schola, dove prima, o dopo il ba-
gno trattenevansi a conversare: questa ha in fondo un*
apside con due nicchie per statue : e prolungasi verso
scirocco fino all'altra apside aggiunta; anche il pavimen-
to di questa schola è di musaico bianco e nero. Per
essa entrasi in una camera: sotto il suo pavimento che
era di lastre di marmo ricorrono condotti paralleli e vi-
cini uno all' altro , forse affine di rendere meno umido
il suolo: ciò che è ancOr più singolare in questa came-
ra è un ordine di sette cunette poco profonde e rive-
stite di signino, indizio che hanno servito per cose li-
quide: esse sono sopra un pogginolo che declina sem-
pre verso la schola, in guisa che mentre verso la oppo-
655
sta parete è allo 1 m. 400. verso questa Io é di 1. 10.
la quantità de' condotti che passano sotto il pavimento,
e queste cunette, la vicinanza alla schola, potrebbe far
supporre che qui si dessero rinfreschi a quelli che avea-
no presso il bagno. Ripassando all'andito, e traversan-
do il passetto , vedesi a destra di esso una cameretta
(cuhiculum) forse destinata al custode, e quindi si entra
in una magnifica sala : il suo pavimento fu rinvenuto
intatto, ma l'avidità de'cavatori, e la vandalica curiosi-
tà di chi si porta a visitarla, hanno sconvolto le lastre
di finissimi marmi , de' quali era composto , cioè verde
antico, affricano, portasanta, bigio, e bianco: rimangono
pure vestigia del rivestimento di marmo de' muri, dal-
le quali può decidersi che lo zoccolo era di portasan-
ta. E veramente reca dolore veder tanta devastazione
in un secolo in cui le memorie antiche tengonsi in si
alto pregio. In origine par che fosse ancor questa una
sala di trattenimento; ma ne' tempi della decadenza vi
fu addossato un bagno rivestito di marmo. Preceden-
temente vi erano contigui quello rettilineo, i cui gra-
dini sembrano posteriori, e la piscina rotonda, alla qua-
le davano nome di battisterio : il bagno rettilineo oltre
i gradini sopraccitati ha d'intorno un sedile: il batti-
sterio ha tre gradini per discendervi: l'uno e l'altro era-
no rivestiti di marmo bianco, e servivano per l' acqua
di mare fredda, poiché non havvi indizio alcuno di pre-
furnj e di tubi per riscaldarla. Passasi quindi per un'an-
dito irregolare all' apoditerio, o spogliatoio ancora esso
rivestito di marmo, e dove rimane ancora il sedile per
comraodo di que'che concorrevano a prendere i bagni:
questo apoditerio communicava colla piscina, colla sala
di trattenimento, e colla parte destinata ai bagni caldi.
Traversalo un piccolo procoeton o anticamera entra vasi
nella sala destinala a calidario: il prefurnio riscaldava
656
Immediatamente il bagno semicircolare e communicava il
calore a tutta la sala per mezzo de'tubi di terra cotta
internamente inseriti nella parete e che rimangono an-
cora. Per essa si va nella stufa riscaldata dal suo pre-
furnio e tubulata, come la precedente: un vasto sedile
era per commodo di coloro che amavano di restare a
sudare. Quindi entrasi nel tepidario che conserva i due
labri, ed ancor questa camera è tubulata come le pre-
cedenti , ma il calore arriva qui molto attenuato dalla
stufa, poiché il prefurnio di questa camera fu posterior-
mente chiuso, onde renderne più mite la temperatura.
Tutte e tre queste sale presentano una costruzione iden-
tica, cioè del secolo V. ed aveano tutte e tre il pavi-
mento di lastre di marmo bianco.
Aderenti a questa fabbrica verso levante sono le
rovine di altre camere che non hanno alcuna commu-
nicazione diretta con essa, e vengono intersecate da un
andito parallelo a quello che dà ingresso ai bagni, ma
più stretto. Forse era un'altra fabbrica per l'uso me-
desimo, ma finora nulla può asserirsi perchè è ingom-
bra. È inoltre probabile che la esterna irregolarità del-
la fabbrica de'bagni prodotta dagli emicicli e da altre
parti aggiunte, verso il gran canale fosse coperta da un
muro. Rivolgendosi dai bagni verso oriente , e costeg-
giando il porto Trajano dal canto di maestro e setten-
trione, l'occhio riman stupefatto dalla vastità delle ro-
vine delle fabbriche che lo circondavano, le quali per
l'altezza de'tumuli che hanno formato doveano essere co-
lossali. Narra il Fea nel suo Viaggio ad Ostia p. 39, che
nello scavo ivi aperto l'anno 1794 fu trovata una sta-
tua frammentata di Ercole insieme con molti residui
di cornici ed altri membri di architettura , forse ap-
partenenti ad un tempio di quel dio : ed un condotto
^&5r
^ piombo della capacità di 6^ oncié, su! quale leggeva-
si ài nome di Messalina.
' Nell'aprirsi da Trajano il canale fra Porto ed Ostia
rimase isolato un vasto tratto di terra, che si trovò cir-
coscritto frai due rami del fiume ed il mare; onde di-
venne una vera isola, come lo è ancora, se non che per
grinterrimenti del Tevere si è protratta anche èssa al-
meno di 1730 metri ne'due lati lungo il fiume, ed es-
sendo i due alvei fra loro divergenti, anche essa ha di-
latato molto il terzo lato , che è verso il mare , e solo
per l'abbandono dell'alveo del Tevere detto il fiume morto
dal canto di Ostia il quarto lato si è alquanto ristretto.
Ora sebbene questa isola avesse origine fin da quando
Trajano scavò la fossa portuense, pure dì essa non si ha
memoria diretta prima del secolo V, allorché fu scritta
la Cosmografia attribuita ad Etico, nella quale ci si di-
pinge deliziosissima, tanto verde ed amena da conservare
in ogni stagione fresca pastura , e nella primavera così
coperta di rose e di fiori che per la fragranza onde olez-
zava libanus almae Veneris era detta. Dopo questo scritto
torna a parlarne Procopio Guerra Gotica lib. I, e. XXVIj
il quale pel primo le dà il soprannome di Sacra j e mo-
stra che estendevasi 15 stadj lungo il canale di Porto^
e 15 pur fra le foci: forse il cognome di sacra le venne
dato perchè fu da Costantino assegnata alla chiesa de'
ss. Apostoli Pietro e Paolo, e di s. Giovanni Battista in
Ostia, come si trae da Anastasio in Silvestro e. XXVIII,
ovvero pel tempio e sepolcro di s. Ippolito vescovo por-
tuense, la cui torre ancora rimane; non già come sogna
il Volpi perchè gli Ostiensi l'avessero consacrata ad A-
pollo. Nel secolo IX mostra Anastasio, che dicevasi j4r-
sis : Insulam, qtme dicitur Àrsis^ quae est int^r Portum et
Ostiam civitates : .dicevasi anche Portuensvs per la vici-
nanza di Porto : Anastasio più volte citato nella vita di
42
660
più non si vede, ed appena s'erge la torre a conservarne
la memoria. La buona qualità de'pascoli è il solo carat-
tere che le rimanga di tutti quelli indicati nel Cosmo-
grafo citato di sopra : nella primavera i fiori che parti-
colarmente vi abbondano sono quelli dell'asfodelo, del ri-
nanto, dell'orchi, dell'iride, e del rosmarino; la parte di
essa formata negli ultimi quattro secoli è coperta di basse
boscaglie, che forniscono legname da carbone. E qui sia
fine alle mie osservazioni sopra Porto e le sue adjacenze.
(Hwa PORTONÀCCIO V. PIETRA LATA.
-X'ì(fi i:
-ojLi i POSTA DI FORANO.
Tenimento, che appartiene ai Barberini, posto nell'
Agro Romano circa 18 m. distante da Roma a sinistra
della via Claudia, o strada di Bracciano, confinante con
le tenute di Bandita, Cornazzano, e Fontana Murata, e
colla strada suddetta. Comprende rubbia 219 divise nei
quarti di Giunchetto^ Fontanile, e di Mezzo.
,^nt->\ . POSTICCIOLA v. GREGNA.
iiìln uUfAi... —
^..oiqg'j rPRAENESTE v. PALESTRINA.
f oii;iok{a'.> i» h i.'ir—
-^up ^ydi mipyPRATICA v. LAVINIVM.
M oi^ ih ^li^ìm(:mu:^'' PRATO.
È il nome commune a molte tenute dell'Agro Ro-
mano, contradistinte da UO. aggiunto che qui si enume-
rano, n'^f^i''
-è Prato Fiscale. Due tenimenti di questo nome esi-
stono confinanti fra loro e posti fuori di porta Salaria
661
cìi*ca 3 m. distanti dà Koma : uno appartiene ai Bene-
ficiali di s. Maria Maggiore, e comprende rubbia 19 un
quarto ed uno scorzo : l'altro fu de'signori della Molara
e comprende quasi 14 rubbia* tA' ìft
Prato Lamentana. È un picciolo fondo presso
il ponte di questo nome, il quale non giunge a diaQ.rwl?-
bia di estensione, ed appartenne ai Palombara* i!, \m*\ì\
Prato JjjngOì Tenuta posta fuori di porta s. Lo-
renzo circa 6 m. distante da Roma e spettante al Capi-
tolo Lateranense. Confina col fiume Aniene e colle tenute
di Marco Simone, Forno Casale, Casalvecchio> Monastero
Colonnello, s. Basilio, Aguzzano e Grottoni. Comprende
rubbia 285 divise ne'quarti di Monte del Casale, Torri-
gata. Casetta e s. Eusebio, e Scorticabove. Ad essa, può
andarsi ancora dalla parte di porta Pia , e come fuori
della porta Nomentana si ricorda in una Carta dell' Ar-
chivio di s. Maria in Via Lata fin dall'anno 1027 collo
stesso nome ; e come di là dal ponte Mammolo, cioè fuori
di Porta s. Lorenzo in un'altra Carta dello stesso archi--
vio pertinente all'anno 1030, ambedue riportate dal Gal-
letti nella opera del Primicero. Questa tenuta fu ven-
duta nel 1479 dalla Camera Apostolica al Capitolo La-
teranense, come si ha dall' istromento esistente nell' ar-
chivio di quella basilica.
Prati di s. Paolo. Fondo in mezzo ai quali è la
basilica di s. Paolo fuori delle mura, appartengono alla
basilica medesima, e si estendono rubbia 39, un quarto
ed uno scorzo.
Prato Rotondo. Circa 3 miglia fuori di porta Sa-
laria, pertinente ai Paracciani e confinante colla tenuta
di Torricella, col Quarto di Ponte Salare, e co'Prati Hi:^
scali, si estende rubbia 14, un quarto, ed uno scorzQ^jì
Prati di Tor Carbone. Tenuta situata circa .,6i
miglia fuori di porta Portesc, appartenente ai Raggi, e
662
confinante col Tevere, colle pediche di Tor Carbone, e-
colle tenute della Muratella, della Magliana, e di campo
di Merlo. Comprende rubbia 118.
Prati di Tor di Quinto. Due fondi portano lo
stesso nome della Torre oggi diruta già posta circa il
quinto miglio della via flaminia, ed oggi 3 m, e 3 quarti
fuori di porta del Popolo. Il primo appartiene ai Bor-
ghese, confina col fondo dello stesso nome, colle vigne
di Roma e colle tenute della Crescenza e di Torricella:
e comprende 84 rubbia e 3 quarti. L' altro comprende
37 rubbia ed appartiene al Capitolo di s. Pietro in Va-
ticano. Confina colle vigne di Roma, colla via consolare
detta Flaminia con Tor di Quinto de' Borghese e colla
Torricella.
• Prati di Tor di Valle. Due fondi portano que-
sti» wóme r uno va unito colla tenuta di Valchetta, vedi
VALCHETTA : l'altro appartiene ai Borghese, ed è si-
tuato fuori di porta s. Paolo 3 miglia e mezzo circa lon-
tano da Roma confinando colle tenute di Torraccio, Pe-
dica di Valchetta , Tor di Valle, ed Acqua Acetosa e
comprende rubbia 23 ed un quarto.
~i« li PRESCIANO o CASAL PERFETTO.
otuiìXcnimento spettante alla Basilica Vaticana posto cir-
ca 22 m. lontano da Roma presso il territorio veliterno,
a destra della strada postale di JVapoli, confinante colle
tenute della Casetta, e di Campomorto, e co'territorii di
Civita Lavinia e Velletri. Comprende rubbia 400 e 3
quarti divise ne'quarti denominati Perfetto e Lucarelli,
Gavone e Pantanello , Cioccati, e Colle della Torre» e
Grottone.
66S
Pochi fondi dell'Agro Roitiano possono vantare so-
pra undici secoli di antichità di nome e di essere rima-
sti stabilmente sotto lo stesso padrone, come questo, il
quale era parte della Massa Caesariana nel patrimonio
delI'Appia, e fino dall'anno 715 fu da Gregorio li asse-
gnato con molti altri a mantenimento de'lumi, che arde-
vano presso il corpo del santo apostolo, siccome si legge
nella lapide originale esistente nel portico di s. Pietro.
Da quel documento apparisce che la Massa Cesariana si
componeva de'fondi Floranum, Priscianum, et Grassianum,
Pascuranum, Varinianum e Caesarianum, ì quali contene-
vano oliveti, ed appunto quelli oliveti furono a mante-
nimento de'lumi destinati insieme con molti altri che ivi
vengono enumerati, ^f-.'^ ./f.-.f^A
PRIMA PORTA e FRASSINETO v. RVBRAE.
u > i. PRIMA VALLE.
Tenuta del Capitolo Vaticano posta fuori di porta
Cavalleggieri per la via Cornelia ossia strada di Buccèa,
circa 2 m: lontano da Roma, la quale comprende rab-
bia 170 confinante colla tenuta di Torre Vecchia , colla
strada suddetta di Buccèa e con quella del Pigneto.
l>
; * 'PRIORATO v. CECCHIGNOLA,
PROCOJO NUOVO e CASAL DELLE GROTTB^^^
, ji ,!,'■». ',„\ ì A-MUt , iii'-lri; si Wipt
Tenimento dell' Agro Romano posto fuori di porta
dei Popolo circa 12 m. e mezzo lontano da Roma sulla
via tiberina che volgarmente appellano teverina , perti-
nente al principe Altieri e confinante colle tenute di Pro-
cojo Vecchio, di Malborghetto, e Frassineto , col fiume
664
Tevere e col territorio di Riano. Comproinre quasi ruB-
bia 478, dirvise ne'quarli de'monli e de'piani di Frassir-
neto, della Torre, del Gasale,, e di Valle Cupa. Il nono»
di Casal delle Grotte lo ha da ampie latomie scavate nel
l'A-ii^ 'ni; Auwl PROCOJO VECCHIO, -l.,:: .„. <Ai:ii^
fi::i:'!l l.', *n({(j-;;)! , i: >
Tenuta fuori di porta del Popolo cOnfinanie colla
precedente, col Tevere, e col territorio di Biano. Cop-
tiene rubbja 2Q0 ed appartiene ai Ruspoli. , ìm r/ o-
;?.
ivi 'ni t i'iJir iJloM ''■'■ ,.,.''/li oìi;')mi(i
®ualìtu0 Capigto^r '''''''
'ì Ofirriiu-iV
Due tenute dell'Agro Romano confinanti fra loro e
poste fuori di porta s. Paolo sulla strada di Ardea cir-
ca 19 m. lontano da Roma portano questo nome. La pri-
ma ^ già de' Giraud , confina con quelle di Castagnola,
Riolorto, Muratella, Vittorie, Sughereto, Capannone, Sol-
fàrata-, Maggione,Maggionetta e Pratica; essa comprende
rubbia 436. L'altra de'Carpegna confina colla preceden-
te, e con quelle di Sughereto^ Cerqueto, Pescarella, Pian
de'Frassi e Muratella: e comprende 175 rubbia.
Io non so, se m origine queste tenute una sola ne
formassero; certo è però che ambedue trassero nome da
una chiesa dadìcata a s. Proculo, della quale rimane an-
cora la tribuna, opera del secolo Vili, a destra della
strada nel primo di questi due fondi. £ ivi dappresso
chiare vestigia rimangono di un bosco che uu tempo co-
prì queste terre, e che insieme colla chiesa sovraindica-
ta appartenne almeno per quattro secoli al monastero di
s. Paolo;, imperciocché nel privilegio emanato da Grego^
665
rio VII. TanAo 1074 e riportato dal Margarini nel Bol-
lano Cassinese tomo IL p. 109. si nomina totum gual-
dutìiy qui vocalur Lapigio in integrum cum ecclesia s. Pro-
culi ; così Innocenzo III. nella conferma di questo pri-
vilegio data r anno 1203. ripete la eeclesiam s. Proculi
cum guttldo Lapigio. Nel 1330 questa selva era stata di-
strutta , poiché in una Carta esistente nell' archivio di
s* Maria in Via Lata non si nomina più il gualdus, ma
il tenimentum Casalis s. Proculi , e vi si aggiunge quod
est monasterii s. Pauli. Quindi fino a quella epoca con-
tinuava ad appartenere a quel monastero. Nel secolo XV
venne alienato.
L'altra tenuta di s. Procula ha pure il cognome di
Vittorie, e ricorda la Massa Vicioriolae menzionata da
Gregorio IL circa l'anuo 715 nella bolla che leggesi in-
cisa in marmo nel portico di s. Pietro^ massa che com-
prendeva i fondi Rumelliano ed Ottaviano, e che conte-
neva oliveti, i quali per intiero furono destinati all'uso
dc'lumi che ardevano sul sepolcro de'ss. apostoli Pietro
e Paolo : essa faceva parte del patrimonio dell' Appia :
IDEST IN PATRIMONIO APPIAE MASS VICTORIOLAS OLIBETV IN
FVND RVMELLIANO IN INTEGRO OLIBETV IN FVND OCTABIANO
IN INTEGRO. Tal denominazione di Victoriolae trasse pro-
babilmente origine da qualche monumento rappresentau-
te Vittorie»
PVPINIA-AGER PVPINIENSIS.
Pupinia fu il nome di una borgata, di una tribù
rustica, e di un campo dell'antico Agro Romano, e che
trovasi ancora detto Ager Pupiniensis. Pesto nelle voci
Papiria e Pupinia dice che questa tribù avea la sua stan-
za nelle vicinanze di Tusculo, e cosi a contatto era colla
Papiria, che alle volte i coloni delle due tribù vennero.
666
alle mani fra loro per quesL ,rii di confini. Livio poi lib.
XXVI. e. IX. narrando la spedizione di Annibale con-
tra Roma, dice, che quel capitano accostatosi a Tuscu-
lo , e non essendo stato introdotto nella città , scese a
destra verso Gabii , e di là spinto 1' esercito a Pupini»
attendossi 8 miglia lontano da Roma: inde in Pupiniam
exercitu demisso Vili. m. passuum a Roma posuit castra.
Se pertanto le terre di questa tribù stavano circa 8. m.
distanti da Roma, di qua da Gabii, l'agro pupinio cor-
risponde oggi colle tenute di Torre Nuova, Tor Verga-
ta, Carcariola ec. nelle quali coincide la posizione e la
distanza sovraindicata. A questo si aggiunge la natura
del suolo, che è un terreno sterile, ingrato, malsano, e
coperto di musco, come Varrone De Re Rustica lib. I.
e. Vili. Columella lib. I. e. IV. Valerio Massimo lib. IV.
e. IV. e e. Vili, descrivono il pupinio; quindi Cicerone
nella orazione contra Rullo istituisce il paragone fra la
sterilità de'campi vaticano e pupinio colla ubertà di quel-
li della Campania. nj > h :n"'r:-
Quest'Agro non solo vide attendarsi le schiere car-
taginesi condotte da Annibale , ma ancora antecedente-
mente avea veduto Decio porre il campo contra gli Um-
" bri , allorché si mossero a danno di Roma 1' anno 445.
secondo Livio lib. IX. e. XLI. Ivi pure ebbe il suo mo-
desto fondo di 7 jugeri , cioè 201,600 piedi quadrati ,
Attilio Regolo terrore di Cartagine, ivi pur l' ebbe Fa-
bio Massimo , siccome fan fede Valerio Massimo e Co-
lumella ne'passi citati.
PYRGI V. S. SEVERA.
QUADRARO.
Tenuta pertinente ai Torlonia posta fuori di porta
667
Maggiore circa 2. m. e confinante colle vigne di Roma,
e colle tenute dì Tor s. Giovanni, s. Croce, Casetta de-
gli Angeli, Tor Spaccata, Quadrato, Carcariola, Torre-
nuova, Quarlicciuolo, e Casetta o Casa Calda. Compren-
de rubbia 401. divise ne'Quarti del Casale e Porta Fur-
ba, Cecafume, e Tor Spaccata. Antecedentemente fu de'
Sciarra Barberini. L' anno 1828 nel demolire un muro
moderno si trovarono molti pezzi di antiche terre cotte
ornate di bellissimi bassorilievi rappresentanti le forze
di Ercole : tre di esse racconciate veggonsi nel museo
detto etrusco al Vaticano. Forse in que'dintorni avrà esi-
stito qualche tempio di Ercole.
OVADRATO.
Tenuta di rubbia 245 e mezzo circa , posta fuori
di porta s. Giovanni, circa 6 m. distante da Roma presso
al bivio delle strade di Frascati e Grottaferrata , confi-
nante colle tenute di Gregna, Carcariola Quadraro, Tor-
re Nuova e Grottaferrata. In essa è una torre de'tcmpi
bassi, che per la sua posizione fra Roma e Frascati di-
cesi Tor di Mezza Via: ed un'antica conserva di acqua
presso la via di Frascati, lavoro del tempo degli Anto-
nini. È divisa ne' quarti di Tor di Mezza Via , Santi
Quattro, Grotticciole, e della Osteria.
QUARANTAQUATTRO v. TORRETTA.
QUARTO e QUARTACCIO.
Nome comune a varii fondi dell'Agro Romano: essi
fra loro distinguonsi per qualche altro aggiunto.
QuARTAccio s. Brigida. Sulla via di Bracciano,
che è l'antica Claudia, circa 15 m. distante da Roma e
666
alle mani fra loro per questi , ai di confinì. Livio poi lib.
XXVI. e. IX. narrando la spedizione di Annibale cen-
tra Roma, dice, che quel capitano accostatosi a Tuscu-
lo , e non essendo stato introdotto nella città , scese a
destra verso Gabii , e di là spinto 1' esercito a Pupini»
attendossi 8 miglia lontano da Roma: inde in Pupiniam
exercitu demisso Vili. m. passuum a Roma posuit castra.
Se pertanto le terre di questa tribìi stavano circa 8. m.
distanti da Roma, di qua da Gabii, l'agro pupinio cor-
risponde oggi colle tenute di Torre Nuova, Tor Verga-
ta, Carcariola ec. nelle quali coincide la posizione e la
distanza sovraindicata. A questo si aggiunge la natura
del suolo, che è un terreno sterile, ingrato, malsano, e
coperto di musco, come Varrone De Re Rustica lib. I.
e. Vili. Columella lib. I. e. IV. Valerio Massimo lib. IV.
e. IV. e e. VIII. descrivono il pupinio; quindi Cicerone
nella orazione contra Rullo istituisce il paragone fra la
sterilità de'campi vaticano e pupinio colla ubertà di quel-
li della Campania. r' . [;.,.:"'>'.■
Quest'Agro non solo vide attendarsi le schiere car-
taginesi condotte da Annibale , ma ancora antecedente-
mente avea veduto Decio porre il campo contra gli Um-
bri , allorché si mossero a danno di Roma 1' anno 445.
secondo Livio lib. IX. e. XLI. Ivi pure ebbe il suo mo-
desto fondo di 7 jugeri , cioè 201,600 piedi quadrati ,
Attilio Regolo terrore di Cartagine, ivi pur l' ebbe Fa-
bio Massimo , siccome fan fede Valerio Massimo e Co-
lumella ne'passi citati.
PYRGI V. S. SEVERA.
QUADRARO.
.'i.Hf Tenuta pertinente ai Torlonia posta fuori di porta
667
Maggiore circa 2. m. e confinante colle vigne di Roma,
e colle tenute di Tor s. Giovanni, s. Croce, Casetta de-
gli Angeli, Tor Spaccata, Quadrato, Carcariola, Torre-
nuova, Quarticciuolo, e Casetta o Casa Calda. Compren-
de rubbia 401. divise ne'Quarti del Casale e Porta Fur-
ba, Cecafume, e Tor Spaccata. Antecedentemente fu de'
Sciarra Barberini. L' anno 1828 nel demolire un muro
moderno si trovarono molti pezzi di antiche terre cotte
ornate di bellissimi bassorilievi rappresentanti le forze
di Ercole : tre di esse racconciate veggonsi nel museo
detto etrusco al Vaticano. Forse in que'dintorni avrà esi-
stito qualche tempio di Ercole.
QVADRATO.
Tenuta di rubbia 245 e mezzo circa , posta fuori
di porta s. Giovanni, circa 6 m. distante da Roma presso
al bivio delle strade di Frascati e Grottaferrata , confi-
nante colle tenute di Gregna, Carcariola Quadraro, Tor-
re Nuova e Grottaferrata. In essa è una torre de'tempi
bassi, che per la sua posizione fra Roma e Frascati di-
cesi Tor di Mezza Via: ed un'antica conserva di acqua
presso la via di Frascati, lavoro del tempo degli Anto-
nini. È divisa ne' quarti di Tor di Mezza Via , Santi
Quattro, Grotticciole, e della Osteria.
QUARANTAQUATTRO v. TORRETTA.
QUARTO e QUARTACCIO.
■> v; ,•'.•; il- . f
Nome comune a varii fondi dell'Agro Romano: essi
fra loro distinguonsi per qualche altro aggiunto.
QuARTjccio s. Brigida. Sulla via di Bracciano,
che è l'antica Claudia, circa 15 m. distante da Roma e
668
confinante colla strada suddetta, coi territorii dell^An-
guillara e di Galera e colla tenuta di Gasacela. Si esten-
de per rubbia 210.
Qu ART ACCIO DI PoNTE G ALERÀ. Sulla via di Fiu-
micino circa 10 m. distante da Roma , spettaìite già ai
Lepri e confinante colle tenute di Capo di Ferro e Cana-
po Salino, e col Tevere; si estende per circa 70 rubbia
e tre quarti.
QuARTicciOLO. Fuori di porta Maggiore, pertinen-
te al Capitolo di s. Maria Maggiore, di circa 243 rub-
bia , 6. m. circa lontano da Roma. Esso confina colle
vigne di Roma e colle tenute di Casetta , Tor tre Te-
ste, Tor Sapienza, Quadraro, Acqua Rollicante e Torre
Nuova, e si divide ne'quarti di Casa Calda, Tre Teste,
e Vigne.
Quarto del Casale v. Castel Fusano.
Quarto di s. Sabba v. Celsano.
Quarto di Ponte Salario v. Valle Melaina.^
QVERQVETVLA— CORCOTVLA.
€urculum-€orcurulum.
; .. ■
CORCOLE—CORCOLLO.
Plinio nel libro III. e. V. §. 9. fra i popoli estinti
del Lazio nomina i Querquctulani , nome che Dionisio
lib. V. e. LXI. nel catalogo de'popoli che presero le armi
a sostegno de' Tarquinii esprime colla parola KopxoTsu-
Xovwv. Quindi Querquetula, o Corcotula fu la loro cit-
tà , la quale trasse nome dalle quercie che ne copriva-
no i dintorni. Incerto è affatto il sito di tal luogo, e so-
lo per analogia di suono, e per certe particolarità locali
669
può congetturarsi Corrispondere al casale un di castello
di Corcole o CorcoUo, poiché diversamente si scrive.
Ho detto che la congettura si fonda suU* analogia
di suono, e sopra certe particolarità locali; della prima
ognun può decidere; quanto alle particolarità locali, nel
visitare Corcollo osservai che il casale già castello è so-
pra un colle di tufa tagliato a picco, opera certamente
dc'tempi più antichi, e che sul ciglio di queste rupi ta-
gliate fu nel secolo XV. dai Colonna allora signori del
luogo costrutto il recinto del castello nel quale , come
uclle altre costruzioni moderne si veggono impiegati mas-
si grandi quadrilateri di fabbriche antiche. Solo dal Iato
di occidente si può salire a questo casale. Una iscrizio-
ne del 1743 dichiara che Cornelia, Costanza, e Giulio
Cesare Barberini ristaurarono il casale a proprie spese
per commodo de'sudditi.
Questo casale , o castello era risorto sulle rovine
della città antichissima fino dal secolo XI. imperciocché
il Petrini riporta un documento n. 7, dal quale rileva-
si, che era allora feudatario di esso un Giovanni roma-
no, che si qualifica come abitante nel castello, qui vo-
catur Corcurulo ; questo stesso fondo nell' anno 1074 si
ricorda nel privilegio di Gregorio VII col nome di ca-
stellum, come pertinente al monastero di s. Paolo: e di
nuovo nel 1203, e nel 1236 frai beni di quel monaste-
ro, nelle bolle d'Innocenzo III. e di Gregorio IX ripor-
tate come quella di Gregorio VII. dal Margarini nel Bol-
lario Cassinense. Nel secolo XV. venne in potere de'
Colonna signori di Palestrina, i quali lo ritennero fino
al 1630, in che lo vendettero insieme con Palestrina e
con altri fondi ai Barberini , i quali ne sono i padroni
attuali.
Questa tenuta è sulla strada di Poli, circa 16. m.
distante da Roma, fuori di porta Maggiore: confina con
670
quelle di s. Vittorino, Castiglione, e Lunghezza: col fiu-
me Aniene: e co'territorj di Tivoli, Zagarolo, e Gallica-
no. Comprende rubbia 390. divise nel quarto di Colle
Tasso , Colle Fiorito , e Colle s. Angelo : in quello di
Acqua Puzza: ed in quello di Colle Pero.
Fine del Secondo Volume.
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671
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DEGLI ARTICOLI CONTENUTI
IN QUESTO VOLUME
E,
impulum, Ampiglione Pag. 5
E return v. Grotta Marozza
S. Eusebio V. Marco Simone
Fabia v. Rocca di Papa '
Falcognani 13
Falcrii, Falisca, S. Maria di Falleri Civita Ca-
stellana 15
Fanum Vacunae v. Rocca Giovane
Fara 32
Felice Acqua, Alexandrina 33
Ferenlinac, Aqua, Lucus, v. Marino
Ferrata, Ad Laminas 36
Ferronea - 38
Fescennium v. Falerii
Fiano ivi
Ficana Dragoncello 40
Ficulea 43
Fidena, Fidenae, Castel Giubilèo . . . . . . ,,51
Filacciano . . 6l
Finocchio 62
Fiora 63
FioraneUo r • • • • ■ i«i
riorano ivi
Fiscali ' . ' '. . i *^^^^^
Fiumicino \. Porto
€72
Focignano 67
Fontana Murata ivi
Fontana di Papa 68
Fonte di Papa v. Massa
Fonte di Papa v. Monte Gentile
Fontignano ivi
FormeUo 69
Forno 71
Fossola V. Decimo
Frascati v. Tusculatn
Fregena v. Maccarese
Gabii, Pantano f Castiglione 71
Gabinus Lacus, Lago di Pantano, Lago di Casti-
glione 89
Galeria Galera 92
Gallicano v. Pedum
ad Gallinas v. Rubrae.
Gattacieca • . > 101
Gelardi ivi
Genazzano ivi
Gennaro m 104
s. Gennaro, v. Sublanuvio
Gemano ., -, 107
Gerano 113
Gericomio 115
Ginnetti v. Torrecchiola ^
Giostra v. Tellene ,
s. Giovanni ... MX
5. Giovanni in Campo v. Falcognani
s. Giovanni in Camporazio ivi
Giulia Acqua 120
Giustiniana v. Bor ghetto
Gogna v. s. Appetito
Gregna ,^ ., .^ J[2§
*. Gregorio 128
673
Grotta Ferrata 132
Grotta di Gregna v. Cosai Abbruciato
Grotta ilfarozza-Eretum 143
Grotta Perfetta . . . ^ . 149
Grotta Scrofana v. s. Palomba
Grottone v. Ponte Fratto
Grottoni \. Vannina , ^
Grottoni 150
Guadagnolo . . . 151
tenne 153
Incastro . .;'.:>; i\iv.t55
Infermeria e Risarò ivi
Insugherata • 156
Inviolata, Inviolatella 157
Inviolatella . . ivi
Isola Farnese v. Veli
Isola Sacra v. Porto
Labicum, Lavicum La Colonna 157
Lamentano v. Nomentum
ad Laminas v. Ferrata
Lanayium, Civita Lavinia 166
Laarens, Laurentum Tor Paterno, Capocotta 187
Laurìum v. Lorium
Lavinium Pratica 206
Leprignano 244
Licenza Digentia v V . 245
Longula v. Buonriposo
s. Lorenzo fuori le mura ' ; ' ♦ . . 246
s. Lorenzo 268
Lorium Sottaccia, Castel di Guido 269
Luchino V. Monte Arsiccio
Lucretilis v. Villa di Orazio
Lacas Fauni v. Solforata
Lucus Indigetis v. Numicus
43
674
Lugnano y . Bóiai ,n' - •<;
Lunghezza, Lunghezzina .'..ì'ì. % . . , . . 275
Maccarese Fregena . ... .< . 278
Madalena . . . .' .v; 283
Maggione Maggionetta . . . . i . .. . : . • •: ivi
Magliana . i. v . 284
Maglianella .;'.,. 286
Magri . . . . . 287
Magugliano e Magliano . ivi
Malafede 288
Malagrotta ivi
Malborghetto \. Borghettaccio . . ,- yrìltl ,*i .;'■.;')
Malpasso . . . 289
Malmcino ...,.,. 290
Mandela v. Bardella . V
Mandria e Mandriola • . . ^. 291
Marano ivi
Marcellina 292
Marcia Acqua '. ;(7. .,., . 294
Marciliana vj ■• '^ . »' . 301
Marco Simone . . . u, 304
s. Maria di Celsano v. Celsano ; ^
s. Maria del Monte, Monte s. Angelo . . .%.J ./ . 310
s. Marinella Vnnìcmn * v,.. . 313
Marino Castrimoenium 314
Mario V. Monte Mario
Marmorella 1... . 320
Marrana y. Crabra i. .. , r
Martignano . 321
Massa e Fonte di Papa . j /v' ^ s.:'j ♦ s .j' ,..,•.< . 322
Massa Gallesina iV v.» .: . \'. /. 323
Maschietto v. Pisana e Brava o^i nO 5> v^V s . ' i;, ;5 u.»
Massima, Acquasorgente . . . iv>\5;\\oi\ ./ ìt.iì'.,?) u^SA
Massimilla ...... ^.■'iìtiuY. •• yif'>i;jbfi.l -■j»i?rf
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•,\ V.
335
«. Matteo
Mazzalupetto v. iUfonfe Arsiccio
Mazzalupo
MeduIIia .
Mentana v. Nolnentum
Mentorella
Merluzza
Mezzaselva
Mimali
Molava Roboraria
Monastero Colonnello m
Monitola
Montagnano 33g
Montarsiccio^ Inchina, Mazzalupetto 337
Monte Casale r-; ,,4, ,;} . 338
Monte Compatri iyi
Monte Crescenzio v. Crescenzio ,f,
Monte della C riccia y. Gregna > . w wr^n^.
Monte Due Torri v. Due Torri .., .,,u.-iviAt
Monte Fiore 339
Monte Flavio 340
Monte del Forno ■ 3Ai
Monte Fortino y. Arteuai , .. zr
Monte Gentile , qn
Monte Giove y. Corioli ;' , :, /
Monte del Grano 344
Monte della Guardia ....... .... . . 346
Monte di Leva. . . .^.^. , , . .,.,;^,i U .(..i^;; .. iyi
Monte Libretti , > ^ '\ 2àS
Monte Mario 349
Monte Mario e Monte Mariolo . . . ,.»> .*\ , .1-. 351
Monte Massimo . . 352
Monte Migliore j , i -. . . 353
Monte Musino v. Arae Mutiae . nwiirjiv r-
676
Monte Oliviero 354
Monte delle Picche ivi
Monte Porcaro 355
Monte Porzio ivi
Monteroni 358
Monte Rosi ivi
Monte Rotondo , . . . . 359
Monte del Sorbo e Pilo Botto . . . . . v - -364
Monte Spaccato v. Afflianus ...
Monte Verde v. Marcellina •
Monticelli^ Cornicalum . 366
Montorio Romano 373
Moranella 374
Morena 376
Moricone JìegiWum ^ é^ ìì37R
Morlupo '. ; .' 'SSS
Morolo 38S
Morra m. v. Gennaro m.
Morrone v. Decimo • ■ V.'
Mostacciano - ■ , 386
Mugilla ... 387
Muratella - -.u'^ l^)* ^'is^'àS
Nazzano w K '--..■'< .^'■'^'^■^ '^^■■^'
Nemus, Nemi . . 390
'Nepij Nepele Nepe 398
Nerola ■,k<^v) ■ ; ^ ^403
Nettuno . >^ù> i 'i' . 404
Nonientum Mentana,, Lamentana . . . ." -^^ ; 409
Numicus, Rio Torto .^^' .' * . 416
Olevano 421
Olevano-Torricella . . .-'^>y^i:^v:. •^.■.•ì^,. ^ 6^:^':\~ '^y:4SAi
Olgiata '^ìì'. ...vvu' . ivi
5. Oreste v. Soractes ... i^u','
Orvinium t. Moncone jì»jM :>!:ìA / (.r. ^f
677
Ospedaletto A.ur'.I i. 425
Ostia i^ . 426
Pagliari Casale . 474
Palazzola v. Albalonga
Palazzo Margano , . . . ivi
Palestrtna j Praenesle 475
Paliano ^VW '■;'* .*^% '. 5l5
Polidoro •..-.. . 518
Pallavicina • . '.' i ' . . 522
Palmarola 'i- '.'V. 523
Paloj Alsium ivi
Palocco .... i.' V 529
s. Palomba .... .''."'.. ". -. ' " . .* '^ ivi
Palombara 530
Palombaro ..-.•.• .^H- 534
s. Pancrazio . . . ... ... vVisjuv.vi' 536
Passerano v. Scapila • • •^•^<\5
Pavone . • . . v-^v.ìT^^M«(w' 549
Pedica • . . . • .fc^'pVl.Vii ivi
Pedum, Gallicano *.s.-vsì\ì><?. 55t
Perna e Pernuzza v. Decimo o')t,i,\\in'^.
Pescarella '^.'^ .•'.•'''. 557
Peschiavatore . ''.»^^.- '^J^'.»^' ^ 558
Petrische . . . . . • . 'V'^>" i^^i
Pelronella pìu \?iii^yKf)i
Pian de' Prassi •^pJ-Ofa'> «5^^
Pietra Aurea v. s. Agata ■ ^^ui\\^n (e^'i
Pietra Lata ..-..• jc*" .nV, rMvìJVì
Pietra Per tusa ."'ì^^'V-^ ^ -'^-SéO
Pigneto -V-ì .''*ì^''\ •'. '5i'»^n'<*'^^Sfe
Pilo Rotto v. Monte del Sorbo • «i'J>'u;\ s\> »v..«*\
Pimpinara v. Sacriporlus ^jt'-viiì) .' ìAt.o v'^n'-^
Pino -.A«0>^^'p'^. ' .'»• . 563
Pinzarone a!.»>HÌ/»5j .v ... ^$4
678
Pisana e Maschietto . , , . 554
Ptsciamosto ivi
Pisciano 554
Pisciarello v. Capo di Ferro
Poli j^i . 566
Politorium .,,.,, .4 . . 57^
Polline V. Stracciacappe ' ■«
s. Polo 572
Polusca V. Casal della Mandria
Ponte Cipollaro 573
Fratto ..,,,], ivi
Galera 574
Lamentana v. Ponte Nomentano /..>..•>
Lttcano nvu,^nu>5i?$
Lupo - .,v,,<\rrw>$77
0; Mammolo . 578
Molle .(«',• • • 580
Nomentano . . 588
di Nona 590
Salario • '.ì. i • 593
Scutonico . . . . . ,, .^ f . ,^« ,.^(;i\ ; ^^6
Sodo V. Veii , , <x
Ponton degli Elei 597
Ponzano , ^ . . . . ivi
Porcareccina 598
Porcareccio . . . .... . •-/.uvi'-» 599
Porcigliano 1, vi.» ..•■•.>.•;;.• ,.-.,,*^i
Porta Nevola 602
Porto e Fiumicino . . . . • • • • • • ^^*
Portonaccio v. Pietra Lata
Posta di Forano . . .dA rod* Vy^ •>■.* /«h r- r ^ • ^^^
Posticciola V. Gregna <uJ';jqÌT}c^ .•
Praenesle v. Palestrina . .
Pratica v. Lavinium m\.j<u-' '
679
Prato 660
Fiscale ivi
Lamentarla 661
Lungo ivi
Prati di s. Paolo ivi
Prato Rotondo ivi
Prati di Tor Carbone ivi
di Tor di Quinto 662
di Tor di Valle ivi
Presciano e Casal Prefetto 662
Prima Porta e Frassineto v. Rubrae
Prima Valle • . . . 663
Priorato v. Cecchignola
Procojo Nuovo e Casal delle Grotte .... ivi
Procojo Vecchio 664
s. Procula ivi
Pupinia, Agcr Pupiniensis 665
Pyrgi, v. s. Severa
Quadraro 666
Quadrato 667
Quarantaquattro v. Torretta
Quarto o Quar taccio 667
di s. Brigida . . . ivi
di ponte Galera 668
Quarticciolo ivi
Quarto del Casale v. Castel Fusano
di s. Sabba v. Celsano
di Ponte Salario v. Valle Melaina
Querquetula Corcotula, Corcollo 668
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