Skip to main content

Full text of "Antologia. Giornale di Scienze, Lettere e Arti"

See other formats


2 È 


è Mr 
Pe it 


® NA Ties n è 
i DI si 


mei 
*. *@ 
* cr 
. 
‘a 
PI - 
A 
I 


& 
DI 
è 
dl 
A 
4 
N 
9 
e 
è 
Y i. 
lea A 


si ” bia a n 

î Ve ce, +. -- 

AT, 
®. 


E 14 NES 


ANTOLOGIA 


APRILE, MAGGIO, GIUGNO, 


\ 


1022. 


TOMO SESTO 


FIRENZE 


AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO 
DI G. P. VIEUSSEUX 


N | 


. TIPOGRAFIA 
DI LUIGI PEZZATI 


MDCCCXXII. .° 


ANTOLOGIA 


Da XVI. Aprile viziati 


\—_—& 


GEOGRAFIA, VIAGGI rc. 


Fiaggioin Armenia: ed’ in Persia del Cavaliere 
Jaubert. — Parigi 1821. 


| (Continuazione v. ‘tom: r. pag: 397 ) 


iz: d’Ardebil prese il nostro viaggiatore la via di 
Khalkhal, meno breve ma più aggradevole per la freschez- 
za dell’aria, e la bellezza delle vedute lungo il .ditorale 
‘montuoso del Caspio, la cui vicinanza gli annunciava quella 
di Téhéran.e il fine della sua | faticosa peregrinazione. La 
città di. Khalkhal è costruita fra le xupi,;.ma una bella 
sorgente d’acqua viva sparge la fertilità nelle valli all’ in- 
torno. À poca distanza veggonsi gli avanzi ben conservati 
di una strada, senza dubbio antica , la qual conduceva pro- 
babilmente d’ Egbatana al paese de’ Mardi, popoli intorno 
a cui gli eruditi moderni non sono per anco d’ accordo fra 
loro. Da Khalkhal, lasciata il 24 maggio, venne il sig. Jau- 
bert in due, giorni a Zenghian nel paese di Khamséh , il 
quale forma parte dell’ Irac persico. Ivi si congiungono le 
strade che da Tauride e da Ardebil conducono a Téhéran; 
ivi si allarga la valle formata dall’ antico Tauro , e dalla 
‘catena che cinge le rive del Caspio; ivi l’aria perde la sua 
elasticità ,, la terra diviene sterile, e l’acqua de’ fonti salsa 
ed amara. In;altri due giorni il nostro inviato si trovò a 
‘Sultaniéh s ove incontransi ruine che sorprendono più per 
la loro immensa estensione ; che per l’antichità. ,, Senza de- 


4 


stare classiche rimembranze, egli dice, come quelle di Tebe: 
o Dendérah, offrono materia a molte riflessioni. Perchè 
questa città poc’ anzi sì florida e sì popolata fu quasi iu- 
teramente distrutta, senza che altra ereditasse le sue spoglie? 
Perchè l'erba copre il suolo de’ suoi. palagi, le corti delle 
sue moschee , il recinto de’ suoi bazari? Gli abitanti di que- 
ste rovine me lo hanno spiegato. Tutti i loro mali proven- 
gono dall’incuria del governo, e sono il tristo frutto delle 
discordie civili. ,, o 

Abher, ove si giugne in seguito dopo dieci leghe e 
mezzo di via, è una specie di giardino. ,, I suoi abita- 
tori, dice il sig. Jaubert, non conoscono dell’ agricoltura 
altro che le dolcezze. Mai non sono forzati di strappare la 
loro sussistenza dal seno d’ una terra ingrata, nè esposti ai 
rigori dell’ inverno , o al soffio ardente di venti pestilen» 
ziali. Felici se potessero egualmente essere al sicuro dalle 
vessazioni , che fanno loro provare troppo spesso i tiranni 
subalterni! ,, Aveano per governatore un buon vecchio , ‘a 
cui il feroce antecessore del presente monarca avea fatti 
bruciar gli occhi con ‘una lamina d’ oro infuocata. Vittima 
dell’ ingiustizia ei ne sentiva altissimo orrore , e si faceva 
amar dal suo popolo come un padre. 

AI di là della valle ridente di Abher il paese torna 
sterile, inabitabile, pieno di rettili velenosi. Pur vi sorge nel 
mezzo Cazbin, città considerabile , e culta di celebri per- 
sonaggi. Ivi il cav. Jaubert scese al palazzo. di Baba -Kan 
precettore o piuttosto soprintendente a’ piaceri di Mehemed- 
Aly Myrza, che governava in nome del re suo padre gran 
parte dell’ Ire persico. Era giorno di festa per la nascita 
simultanea di tre principi del sangue reale. Quindi pompe 
d’abiti e d’apparati, musiche , danze, imbandigioni, pro- 
fumi , delizie d’ogni specie, mille volte descritte, mille volte 
ancor descrivibili, e che sotto la penna del nostro autore non 
mancano di certa novità. Cantò alla fine del banchetto un 
giovine poeta Battriano di gentil volto , di sguardo passio- 
nato e soave, il cui sudore, la cui violenta convulsione dopo 


5 

la fatica degli improvvisi ci ricordò il nostro giovane Me- 
tastasio. Il sig. Jaubert, dicendoci in proposito del suo abito 
bianco d'ambasciatore, ch'egli era mandato ad offerir pace 
al Pacha di Bagdad ‘allora in guerra col Chah di Persia, e 
notando esser costume antichissitno degli Orientali 1’ affidar 
missioni diplomatiche ai poeti, trova qualche cosa di somi- 
gliante nel nostro medio evo; e nomina Petrarca. 

Del resto per Baba-Kan ogni giorno indistintamente era 
giorno di conviti, di profusioni e di voluttà. Perchè un tal 
uomo fosse dato dallo Chah qual governatore al. suo primo- 
genito va spiegato in poche parole. Questo primogenito,nato 
d’una schiava tartara, avea proprio qualche cosa di tartarico 
nelle vene. Per esempio una volta ancor bimbo ,' siccome nar- 
ra il'sig. Langlés nelle notizie cronologiche della Persia disse 
nettamente ‘al suo nonno Aga-Mchemed buona memoria, da 
cui riceveva pure molte carezze, che se fosse re lo farebbe 
strangolare. Il vecchio non prese punto la cosa in ischerzo 5 
e se non era, sua moglie, madre del re attuale, quel bell’ u- 
morino di suo nipote avrebbe saputo subito per propria espe- 
rienza di che dolcezza sia un capestro al collo. Lo scappò , 
così volendo i destini , per metterlo poi ad altri e far di 
peggio , dacchè si raccontano di lui ‘cose crudelissime. Il 
padre suo, affin di temperarne la ferocia e allontanarlo 
dagli affari, lo mandò a vivere con quel gran .(gaudente 
di Baba-Kan, il quale pareva fatto. apposta per. conver- 
tire l'altrui fiele in ginlebbo. Ma il principotto lo. pian- 
tava lì co’ suoi. cuochi, i suoi musici, le sue bajadere , 
ecandava spesso. con una truppa di cavalieri ad aggirarsi 
per le selve chè circondano Cazbin e inseguirvi i daini, 
anzi ì lupi e le-tigri. Era gelosissimo d’Abbas-Mirza suo 
fratello, cui vedea forse più amato dal genitore, e per mo- 
strarsi più valoroso di lui faceva terribili rodomontate. Quel- 
l’ Abbas-Mirza or pretende qualche scrittore che sia un uomo 

‘da nulla , e il suo fratel maggiore un modello di prodezza , 
di saggezza e perfino di amabilità. Dicesi che anni:sono Feth- 
Aly-Chalì , radunato ud consiglio di ministri e altri grandi 


6 

dell’ impero, fece riconoscere il secondogenito come suo im) 
mediato successore ; e che Mehemed-Aly-Myrza, messa riso: 
lutamente la mano sul brando quésto, gridò; ha aperto aî 
mostri antenati da via del trono; questo la riàprirà a me. Chi, 
in tal proposito, sia vago di più copiose notizie può vedere 
una lettera ch’ è nel Constuituzionel dei 42 dicembre dell’ an 
no appena scorso, e sembra scritta per zelo di verità da uh 
uomo, che anch'egli ha conosciuto i dué principi. personal. 
mrente: Noi dobbiamo viaggiare in fretta col sig» Jaubert', 
che lasciò Cazbin il 2:luglio dopo due giorni di dimora; e 
dopo tre altri fece il suo ingresso a Téhéran con gran caldo, 
gran folla all’ intorno e gran cerimoniale che: renne pe 
al lettore. i 
‘» Secondo l’evichetta lei non poteva avere idliandi! dalita; 
senza aver precedentemente. visitati i ministri. Mirza-Chéfy.;; 
il capo di questi, sopranominato il ministro impareggiabile, 
vecchio pieni di talento: ‘ed: anche di sincerità ; per ‘quanto: 
possano éssere sinceri i Persiani ; gli tenne ww giorno ;simib 
discorso; Noi siamo ben lungi, senza dubbio ; dall’ incivili» 
mento degli Europei. Mentr? essi allargano ogùi giorno, i li- 
miti dell’ umano sapere 5 i Persiani, sia chela Provvidenza 
abbia fissato per sempre: ‘il hermine de’ loro ‘progressi. nelle 
scienze ‘e nell’arti, sia che in ogni tempo: là dolcezza del 
clima abbia ispirato coll’amor del ri poso quellò delle voluttà) 
i Persiani:sono ancor oggi quelli che ‘erano i lororavi al témò 
po d'Alessandro. Essi rion:possono inorgoglirsi d’ alcuixa utile 
invenzione ; ele moderne:scoperte loro trasmesse furono comei 
piante trasportate in un paese, ‘ove non possono fruttificareo 
I Russi, che; pocanzi spregiàvamo per la profonda ignoranza; 
in cui erario: immersi ; ci sond divenuti superidrio a molti wi, 
guardi. Ma, se noi non abbiamo la loro energia e ile lord eo 
gnizioni,; che sono essi al mostro confronto; ove: si ‘guardino 
i doni naturali dello spitito| éd. anche Vindustria? Voi avete! 
letto, non ne dubito ; gli seritii di Ferdonssy; di Saady e di, 
Hafez. I versi di questi celebri poeti, di questi; womini: pieni 
d’ entusiasmo e d’ amore pel vero bello, nom sono forse ag: 


7 


gradevoli , come il profumo della rosa? Non sono disposti 
con armonia eguale a quella che regola i movimenti degli 
astri? Che se parliamo dell’ industria, può vedersi nulla di 
più perfetto, che le lame taglienti e leggiere, gli smalti, le 
stoffe brillanti, i tessuti, i tappeti che escono dalle mani dei 
nostri operai? Avete osservato con quale intelligenza son col- 
tivati i nostri giardini, con qual arte sono scavati que’ canali 
profondi , che conducono lungi l’ acque destinate a fecondare 
un suolo ingrato, e nitroso? Voi avete potuto vedere come, 
per mezzo di chiuse, e di declivi insensibili si facciano giun- 
ger l’acque sino.a campi che si vogliono coltivare. Deboli e 
superstiziosi i Persiani non sono; per quel che dicesi, altro 
che vecchi fancilli. Questo rimprovero può, a certi riguardi, 
esser fondato; ma i Cadjari che oggi governano Vlric non 
discendono. già da’ Persi de’ secoli antichi, anzi non sono nep- 
pur figli de’ Persiani de’ tempi de’ Goti. Progenie d’uomini 
del'settentrione; ancor serbano in gran parte la loro indole 
aspra e bellicosa. I lussi estendono il lor potere dalle rive 
del Niémen e del Danubio sino a quelle dell’ Arasse, e dalle 
steppe della Crimea fino alle. montagne della Georgia. Essi 
non si avanzano piu verso di noi con subitanee irruzioni , ma 
a passi lenti e sicuri. Le loro invasioni progressive ne indica- 
no abbastanza ciò che a noi si convenga di fare. Invano op- 
porremmo una diga al torrente. Se i limiti del nostro impero 
sonovristretti dalla parte del settentrione, dilatiamoli all’ o- 
riente fino al di là del Candahar. Noi siamo relativamente 
agli Indiani ciò che i Tartari furono riguardo a noi. Il setten- 
trione ha .gravitato sulla Persia ; la Persia graviti sull’ India. 
Passionati e valorosi, avidi di novità e di conquiste , perchè 
ì Persiani non brilleranno essi più su quest’ emisfero ?. Se 
talvolta: si ‘considerano come i padroni dell’ India non sono da 
schernire , poichè spesso hanno portato in quella doviziosa 
contrada le loro armi vittoriose. Che dico? ‘essi vi hanno por- 
tato il loro idioma; ela gloria del loro riome vi si è lungo 
tempo mantenuta, anche dopo che hanno cessato. di regnarvi. ,, 
‘© « Alquanto più laconico , per quello che sembra ; fu il 


8 / 

gran Re asiatico nella prima udienza che diede all’ inviato. 
»» Principe più grande che il cielo, Re dei Re, ombra del-. 
l’ Altissimo sopra la terra, il più umile dei tuoi schiavi ( gri- 
dò il ciambellano introduttore , che si era scalzato per l’ au- 
gusta ceremonia) conduco a’ piedi del tuo trono risplendente 
di gloria e rifugio de’ popoli un francese, inviato verso di te, 
per recarti un saluto, e presentarti una lettera, la qual con- 
tiene parole, che sono come tante perle tratte dal fondo del 
mare dell’ amicizia. ,, Sua Maestà rispose: ,g Sia il ben ve- 
nuto. ,, L'udienza durò un’ ora, dice Janbert, che per inu- 
sitato privilegio teneva i suoi stivali in gamba, e sedeva alla 
persiana in faccia al Monarca; ma questi non fece verosimil- 
mente che interrogare, sebben gli paresse una bellissima cosa 
il potersi trattenere con un europeo senza bisogno d’ inter- 
prete. Feth-Aly:Chah avrà avuto allora una quarantina d’ an- 
ni: il suo esterno corrispondeva ‘all’ interno perfettamente, 
vale a dire esprimeva qualche cosa di affabile e d’iracondo , 
di generoso e di severo , chein un Principe orientale già 
vuol dire dispotico; e sgraziatamente questo dispotismo gli 
era necessario per frenare i despoti subalterni, cui 1’ abuso 
della forza che hanno è quasi necessario supplemento di quel-. 
la che loro manca. Sembra nondimeno ch’ egli fosse assai 
tenero della loro conservazione, se vietò Ja caccia che si dava 
co’ falconi all’ aquile, ai nibbi, e ad altri uccellacci , per 
questo singolar. motivo che non voleva che dall’ esempio dei 
feiconi il debole apprendesse ad atientare ai giorni del po- 
tente. 

Molte particolarità intorno alla storia, alle qualità, ai 
costumi dello Chah, non che alla magnificenza, agli usi, ai 
piaceri della sua corte ritroverà il lettore nell’opera; di cui 
ora più largamente ora più ristrettamente diamo conto, secondo 
che la materia ci sembra più o meno curiosa pel momento in 
cui scriviamo. Potessimo almeno qui trattenerci seco ne’ giar- 
dini del reale palagio, che si direbbero quasi delizie imagi- 
nate dalla beata fantasia d’ un’ Ariosto , non relazioni date 
dall’ esattezza .d’ un viaggiatore! Ma le poche parole, che ci 


9 
è lecito di spendere in questo estratto, sono richieste da cose 
d’altra importanza, 

L’ autore dalla capitale della Persia porta lo sguardo 
sulla Persia intera, e comincia dall’ esaminarne il clima , la 
natura del suolo, e i mezzi di fecondarlo. La catena del Tau- 
ro, che dal nord-ovest si prolunga verso il sud-est dividendo 
questo suolo per mezzo, fa che l'una parte, cicè la più 
orientale sia bagnata dalle pioggie e fertile, l’altra cioè la 
più meridionale dominata da venti e aridissima. A tale aridi- 
tà, però, suppliscono in parte l’ acque de’ fiumi che corrono 
quasi tutte e con grand’impeto verso il Caspio, ma che sono 
tra via condotte con molta industria , per mezzo di canali 
sotterranei, ad irrigare campi e giardini. Siffatte irrigazioni, 
per altro , che fanno crescere le biade, la verzura, le frutta, 
le fresche ombre, producono ad un tempo esalazioni insalu- 
bri, e rettili velenosi , onde gli abitanti di parecchi luoghi 
sono in generale malaticci, e passano parte della loro vita a 
cangiar dimora. Che se agli inconvenienti del suolo e del cli- 
ma si aggiungono le usurpazioni e i disordini quasi continui, 
che ridussero a sei o sette milioni d’ anime la popolazione di 
un paese così vasto come la Persia, si comprende facilmente 
perchè questa popolazione abbia dovuto disperdersi nelle di- 
verse provincie, secondo la maggiore o minor sicurezza che 
sperava trovarvi. Quindi è venuta la divisione de’ Persiani in 
due classi, luna delle quali , cioè quella de’ nomadi, abita 
le montagne e percorre i deserti, l’altra conosciuta sotto il 
nome di Tedjik vive ne’ campi o nelle città. 

3 A non considerare, dice il.sig. Jaubert, i nomadi 
Persiani che per riguardo alle loro abitudini e ai loro co- 
stumi, quasi si confonderebbero colle. orde dei Turkomanni 
ele tribù degli Avabi,.vaganti per le montagne, le rive dei 
fiumi, 0 le sabbie dell’ Asia minore, e della Mesopotamia . 
Le une e le altre sono egualmente avvezze alla vita errante, 
egualmente inclinate. al ladroneggio , e capaci di passioni 
violente, Ma le prime sommesse al principe, qualunque sia, 
che regna sopra la Persia contraggono anche in mezzo ai 


10 


deserti qualche cosa della dolce pulitezza degli abitanti delle 
cità, mentre ]’ altre, non sopportando alcun giogo, si repu- 
tano da onore il vivere indomite e ferovi. i 
Dalle tende dei nomadi escono gli nomini più belli e 
robusti, di cui la Persîa possa valersi in guerra. Gli abi- 
tanti delle città, indoleuti ed effeminati, non prendono l’armi 
che in caso di estremo periglio. Quellis dei deserti. son sem- 
pre pronti a combattere i loro nemici. Raccolti in inverno 
nelle:loro tribù rispettive escono in primavera. per: recarsi 
a’ luoghi, che i firmani del monarca: loro destinano. 
Gli agricoltori. formano in Persia una classe media fra 
i nomadi e i cittadini. Schiavi di un governo:, che: quasi 
sempre li tiranneggia, obbediscono e sofirono, finchè il male 
non è portato all’estremo. Che se i depositarj della pubblica 
antorità gli opprimono in modo non: sopportabile , fuggono 
i loro campi, abbandonano il tetto paterno /,;e rientran nel- 
la classe dei nomadi. Per poco però che la: speranza di un 
avvenire più felice venga a risplendere «ai loro ‘occhi vi- 
prendono le loro dsdie e l'intelligenza unita all’industria 
procura: loro assai spesso! gli agile quasi .direbbesi: 1’ opu= 
lenza. 
Volendo riferirsi alla testimonianza. degli prese puba 
popolazione e il reddito dell’ impero persiano cova 
considerarsi di gran lunga stiperiori a quello che la matura 
del suolo e del governo fomportino.  Raccogliendo però e 
confrontando con. giusto criterio informazioni diverse y il 
nostro viaggiatore! crede di poter ‘asserire’ iche fra i Tedjiki 
o abitanti sedentari delle: dieci. provineie:; di cui I impero 
sì compone, fra; i nomadi, gli Armeni, i Guebri, i Giudei 
e le tribù non ben eonosciute che ‘vi s'incontrano, si avrà 
un numero di 6,562,000 anime ; e che ‘lo Chah, fra il pro= 
dotto de’ dominj. della. corona , i tributi de’ governatori 
delle provincie e de’ capi dell’ orde erranti; i diritti ‘di do- 
gana e altri, i regali; e il resto degli ‘straordinarj’ avrà 
l’annua entrata di 2,400,000 tomani, ossia 58,000,000° fran- 
chi. Secondo altri calcoli più recenti, per altro; la somma 


PI 


sî potrebbe fav salire ad ottanta milioni di franchi , metà 
de’ quali è spesa dallo Chah nel ‘mantenere la sua casa e l’e- 
sercito , e' gratificare i più benemeriti del suo potere ; l’altra 
metà idiota in verghe d’oro, o convertita in gemme o altro 
di gran valore e facile trasporto. ‘), Queste ricchezze, è vero, 
dice il nostro autore , potrebbero essere impiegate. d° una 
maniera più utile pel paese e pel principe stesso; ma è noto 
che negli stati dispotici l'interesse pubblico non è contato 
per nulla; e ché le parole economia politica , saggezza di 
amministrazione, ordine, previdenza sono ivi per così dire 
sconosciute é impossibili a tradursi letteralmente. ,, Le spese 
di percezione , le quali secondo le parole del sig. Jaubert 
sembrano a carico de’ contribuenti , raddoppiano quasi il 
tributo. A queste sé ne aggiungono altre pei pubblici sta- 
bilimenti, come i'eollegi, le moschee , Te fortificazioni , i 
ponti, gli acquidotti, mantenuti per la più parte dalle pro- 
vincie e però malissimo mantenuti per 1 avidità de? gover- 
natori è degli ‘altri’ officiali dell impero, chie di ‘tutto ap- 
profittano orde | arricchire. Lo Chah non trascira “diligenze 
onde prevenire ‘moltiì mali o rimediarvi, si rénde accessibile 
dl'pùbblico ; ‘onde giunga sino a lui la verità; é ‘iondime- 
rid domina Brificfhie uno spirito di venalità e di corruzione, 
che toglie ‘ogni ‘corifidenza pel Erto e fa temere del- 
l'avvenire. 

© Uno dei primi pensieri del monarca persiano ‘è è quello 
del suo esercito. ei si compone 1.° delle guardie del 
rè'e de’ principi; 2.° delle truppe fornite dalle tifbù noma- 
di; 3.° delle lento provinciali ,° lie not - prestano alcun 
servigio resolaté e‘permanente 4° de’ diversi corpi d’ in- 
fanteria, di ‘cavalleria e d’ artiglieria vestiti ed esercitati 
all’ europea ; cid che nel 1810 formava in tiitto, secondo i i 
computi del sig Malcolm, 254,000 uomini. Di venti mila 
che allor formavano le vere truppe regolari ; quelle cioè 
della quarta classe, novemila erano particolarmente attaccati 
alla persona del Sovrano ;. il resto, sotto gli ordini del prin- 
cipe Abbas-Mirza , formava dieci battaglioni d’ infanteria., 


12 


uno squadrone di cavalleria; e un numero d’ artiglieri bas 
stante per venti cannoni. Dopo quell’ epoca sembra che il 
principe Mehemed-Aly Myrza oggi governatore di Kirman- 
.chab (e generale nella nuova spedizione nel Kurdistan)(1) ab- 
bia seguito l’esempio di suo fratello, governator di Tauride, 
e sia giunto a disciplinare all’ enropea alcuni, battaglioni ; 
innovazione di cui i Persiani van debitori prima alla Francia, 
poi all’ Inghilterra, ma a cui la lor religione è i loro co- 
stumi oppongono continui ostacoli . Quindi si dice che lo 
zelo di Abbas-Mirza siasi raffreddato, che i suoi battaglioni 
siansi diminuiti, e che nella campagna del 1818. un corpo 
delle sue truppe siasi, a numero eguale, lasciato vincere dalle 
bande indisciplinate dei Turkomanni, e de’ Bokhari. 

Non vi hanno in Persia nè caserme , nè ospizii .mili- 


tari, nè magazzini per l’ approvigionamento dell’ esercito. 


Ogni fantaccino o cavaliere è obbligato, collo stipendio che 


riceve dal sovrano, a formrsi di quanto gli abbisogna. Que-. 
sto stipendio varia, secondo il genere di servigio, dai sei, 


o sette tomani, cioè dai 120 ai 140 franchi per ogni sol-. 
dato; e dai venti ai trenta tomani, cioè dai. 4oo ai 6oo 


franchi per ogni officiale in ciascuna campagna. Il governo. 


somministra alle truppe un po’ di grano, e le provede a sue 
spese di nuovi cavalli se i primi vengono a mancare, Quanto 
ai capi delle tribù, si paga loro un onorario meno propor- 
zionato al lor grado, che al numero degli uomini da loro 
condotti . 

Lo Chah fa la rassegna delle sue truppe, almeno una 
volta ogn’ anno, seduto; sopra un trono portatile quasi così 
grande e magnifico come quello della sua reggia. Ciascun 
de’ soldati , chiamato a nome, passa rapidamente dinanzi a; 


lui, ed ove non vi siano ragioni di ‘escluderlo., gli si sborsa. 


il danaro che dicemmo essergli dovuto. Con:tal metodo è 
raro che ne siano registrati e passati 500 in un giaro: 


(1) Recentissime notizie lo fanno morto di febbre nella sua precipitosa 
ritirata dalle frontieve del Turco. 


13 

Più che nomini d'arme i Persiani son naturalmente uo- 
mini di commercio, e a questo gl’invita, principalmente , 
la loro felice posizione fra I India e l' Europa. Tre grandi 
ostacoli però si oppongono alla fortuna de’ loro mercadanti: 
il negoziare che fa nel lor paese ciascun privato, anzi» i 
grandi dell’ impero e perfino il Monarca; 1’ abborrimento 
pel mare, onde preferiscono il passaggio de’ più pericolosi 
deserti alla più breve navigazione; e il nessun uso delle 
lettere di cambiv, che sembrano ispirar loro diffilenza. Non- 
dimeno il loro genio industrioso, il trovarsi fra le due più 
ricche parti del mondo, la facilità del trasporto delle loro 
merci , l’ esca del guadagno , tutto serve a farli uscire da 
quell’ indolenza , ‘che sembra indigena dell’ Asia. Essi por- 
tano l'oro dall’ Europa al Candahar, a Kachemyr, a Kaboul. 
e a Delhy , e ne ritornano con ricche stoffe, con droghe , 
con pietre preziose , fra l’ altre, con diamanti, che sono 
poscia puliti in Olanda, e indi rivenduti nell’ Oriente. 

Il nostro autore enumera con molta diligenza tutte le 
importazioni ed esportazioni della Persia, valendosi a que- 
st uopo di recentissimi ragguagli , onde chiunque desidera 
in tali materie cognizioni precise , ricorrendo al sno libro 
si troverà molto sodisfatto. In questa ristrettezza di spazio, 
che concede un giornale, noi crediamo far cosa di più co- 
mune gradimento prescegliendo alcune principali osservazioni 
ch’ egli fa sui costumi degli Orientali , massime ove para- 
gona i Persiani coi Turchi. 

,; Noi intendiamo per orientali , egli dice, i Turchi , 
gli Arabi e i Persiani, che sono, come è noto, riuniti sotto 
la stessa legge religiosa, e governati secondo i medesimi 
principii. Sebbene essi abitino contrade il cui clima è dif- 
ferentissimo, e parlino lingue affatto distinte, i loro costu- 
mi sì rassomigliano per modo che ne è ecs di conside- 
rarli presso a poco sotto il medesimo aspetto. ,, Egli osserva 
primieramente come i costumi degli Orientali odierni appena 
variano da quelli degli antichi , poichè il legislatore dei musul- 
mani, lungi dal pensare a caugiarli, si appoggiò anzi sovr'essi 


ri 

come, su primo fondamento. Accenna in questo, proposito 
alcune pratiche della religione, ch’ erano pur ‘le. stesse ai 
tempi di Daniele e di Erodoto, i quali ne fanno menzione. 
Si distende sul rispetto delle mogli pei mariti, de’ figli pei 
genitori , e narra molte ‘belle particolarità intorno agli spou- 
sali. Discorre! del patronato de’ grandi, il quale? non è che 
una grande ‘soperchieria., e del proselitismo dei dottori , i 
quali sa Dio come conciliano il loro orgoglio teologico 
‘coll’ umiltà da loro encomiata, e riguardo alla quale il sig. 
Jaubert cita. questa comparazione ingegnosa. d’ un poeta 
persiano: ,, L'uomo che ai pregi dell’ intelletto: aggiunge il 
merito della modestia, rassomiglia ‘ad un albero sopracarico 
di frutti, che ‘incurva il capo verso la terra. ,, Enumera 
diversi pregiudizi, de’ quali non ci befferemò già noi, che 
in mezzo a tanta luce della nostra filosofia avremmo di che 
far ridere il più semplice abitante del paese della ragione, 
se questo paese esistesse sotto la luna; e ci vergogneremo 
piuttosto che non si possa dire della nostra amicizia e della 
nostra ‘ospitalità ciò che il viaggiatore ci dice :di quella de- 
gli Orientali. Il resto del loro elogio ‘è una specie di me- 
daglia in onore col rovescio in biasimo , nella quale si trova 
molto spirito e può anche esservi molta verità. Secondo il 
nostro autore se essi non sono puntigliosi e duellatori, sono 
spergiuri e vendicativi, il che sembra alquanto ‘peggio ; se 
mai ne’ loro :mali non ricorrono al suicidio, non è già tutta 
rassegnazione al divino volere, ma in buona parte è indo- 
lenza ; se non:sono giuocatori, non è già saggezza e mo- 
derazione di desiderio, ma paura di esporsi alle vessazioni 
del governo , facendo credere di godere i favori: della for- 
tuna. | 

Dei Turchi in particolare ei dice che sono fanatici più 
che religiosi; ospitali e magnifici per ostentazione, gravi e 
serj per abitudine; che può ad essi rimproverarsi d’ essere 
vani, ambiziosi, avidi di ricchezze, sebben non abbiano 
spirito mercantile. La buona fede , egli aggiunge, di cui 
loro si dà lode, nasce dalla loro persuasione. d’ essere su- 


15 
periori al resto degli uomini, come la loro liberalità è un 
effetto del loro orgoglio. Li ‘crede però, oltre all’ essér. pa 
‘zienti, anche valorosi, e quindi capaci di grandi cose e di 
magnanime' azioni. 

1 Persiani, ‘secondo Je sue parole, sono di pronto inge-. 
gno, attissimi ‘alle scienze e alle arti, socievoli fra loro , 
cortesi verso gli stranieri, inclinati più. di altro popolo qua- 
lunque alle feste ed al'lusso, avveduti e difficili ad inganna- 
re. La loro minutezza melle pratiche di religione ; la loro 
pulitezza verso quelli che chiamano infedeli è di gran lunga 
superiore a quella dei ‘Turchi. Anzi mentre questi considerano 
come un’empietà il lasciare appena per poco discutere ciò che 
loro è ordinato di credere, quelli amano farne soggetto di 
conversazione e di controversia coutinua. Così al dogma della 
fatalità o della predestinazione , ‘i secondi prestano una fede 
meno cieca dei primi, i quali sono da essa ridotti all’ apatia 
e all’inerzia. ,, Di che, scrive il sig. Jaubert, io ho avuto 
singolarissima prova in quell’ incendio che nel 1806 ridusse 
in cenere gran parte del sobborgo di Galata; che fa pacte di 
Costantinopoli. To era salito sopra la torre, che i Genovesi 
altra volta edificarono in mezzo al ‘borgo medesimo , e alla 
sommità della quale è un caffè. Le fiamme spandevano la più 
viva luce sulla città e sul porto, sicchè parea di vedere un 
mar di fuoco. To mi posi fra due Turchi, i quali ragionavano 
intorno all'incendio , di cui nulla poteva arrestare i progres- 
si. Ad un tratto uno dei due interlocutori si accorge che le 
fiamme si sono apprese al suo quartiere; e, senza deporre la 
tazza che aveva in mano, manda un servitore a verificar la 
cosa. Questi ritorna tosto, e annunzia al padrone che la sua 
casa è tutta in fuoco. ,, Ciò era scritto, risponde tranquilla- 
mente il Turco ; io non saprei che farvi: Dio è generoso ! ,, 
I Persiani , all’incontro, non credendo impossibile il distor- 
nare i colpi della sorte, si danno a quest’ uopo un continuo 
‘movimento. Sebbene la divinazione e la magia siano severa- 
mente dannate dal Corano, pure si tengono fra essi in gran- 
dissimo onore. Il Re, i principi, le persone ragguardevoli 


16 ; 
hauno sempre degli astrologi presso di loro, persuadendosi 
che la volontà del cielo si manifesti spesso per segni visi- 
bili e certi. 

ss Quanto all’ amor proprio nazionale , prosegue il no- 
stro autore, esso è egualmente vivo in petto al Turco e al 
Persiano. Un Turco esalterà la grandezza, la possanza , la 
magnificenza ottomana; dirà che la giustizia divina si è ma- 
nifestata, assegnando ai musulmani la più bella parte della 
terra. Il Persiano vanterà la bellezza, la fertilità de” giardini 
di Chiraz, i frutti deliziosi di Yezd e i monumenti d°Is- 
pahan, città ch'egli appella con enfasi metà dell'universo. 

3» I Turchi , sebbene imperiosi e gelosi della propria 
autorità, sembrano disposti a rimanere per sempre in una 
specie di dipendenza e per così dire sotto la tutela. degli 
stranieri, Soffrono che questi usurpinsi non solo 1’ ammini- 
strazione del pubblico danaro, ma la più parte delle. di- 
gnità e delle cariche. Infatti gran numero di Pacha noù sono 
già Turchi di origine: sono mamelucchi venduti ad. Anapa 
o in altro porto del Mar Nero, schiavi che seppero conci- 
liarsi l'affetto de’ padroni, e valersene di scala alla fortuna. 
I Persiani all’incontro si occupano cou molta intelligenza 
degli affari del proprio paese ; ed oggi è raro che un estero 
ottenga fra loro qualche impiego d’importanza. Il visirato, 
il comando delle truppe, il governo delle provincie, l’am- 
ministrazione della giustizia e delle finanze non sono fra 
essi affidate che agli indigeni. 

,, Vi hanno però in Persia degli esseri privilegiati , 
che, sebbene stranieri per nascita, acquistano molto potere 
sulle cose pubbliche; e sono le giovani donne venute dalla 
Georgia , dalla Circassia e dalla Mingrelia. Più belle che 
le Persiane ispirano un amore più vivo, e sono tanto più 
ricercate , quanto più si spera d'aver de’ figli che lor ras. 
somiglino. Così quelle fanciulle cristiane, vittime della bar- 
barie d’ avidi speculatori, strappate alle braccia delle loro 
madri desolate, trasferite dalle rive dell’ Eusino a quelle del 
Caspio, ed indi dell’ Arasse, oppresse di fatica , e avvolte 


17 
fra grosse vesti che appena le difendono dalle ingiurie del- 
Varia, giunte che siano in Persia vi trovano in luogo delle 
montagne sterili della lor patria, giardini fertili e deliziosi , 
e invece de’ loro compatrioti feroci, un popolo affabile, 
pulito, voluttuoso. E non è raro che, conciliatasi la. bene» 
volenza de’ nuovi padroni , acquistino sovr essi grandissimo 
potere; e in que’ luoghi, , che le videro dapprima in catene, 
ricevano omaggi da quegli stessi che le vendettero come vili 
schiave . LLIGRLIE 

,; Felicità e riposo; scrive più oltre il sig. Jaubert se- 
guitando il suo parallelo } sono sinonimi pei Turchi e pei 


Persiani. Nel loro’ concetto il piacere non è che l’ assenza 


del dolore. Pigri edissipatori eglino! si occupan poco de- 
gli interessi della propria famiglia ed ancor meno degli 


altrui. L’agricoltore non semina che quanto grano gli basti 


pei bisogni dell’anno, e il cittadino non costruisce che un 
abitazione Comi pria. Non vedendo nel possesso che il go- 
dimento , nessuno cerca nella fatica altro che un avvantaggio 
personale e immediato. Non avvi fra loco chi si applichi 
all’ acquisto di cognizioni puramente speculative. Vivere o 
non viverè è cosa per essi quasi indifferente, e la morte è 
per loro meno terribile di quello che per altri 1° infamia. 
Poichè a loro occhi il gastigo è senza vergogna, non te- 
mono che la violenza e la durata del dolore: quindi i loro 
supplizii sono sempre atroci. Il principe non vede ne’ suoi 
sudditi che tanti schiavi , e nelle loro proprietà che altrettante 
spoglie, di cui, può impadronirsi. Indi quell’ apatia univer- 
sale 5 che annienta in certo modo tutte le facoltà dell’ anima. 

1, Persuasi che la giustizia non abbia altra regola che la 


volontà del principe , i Persiani curvano la testa sotto il gio- 


80; nè concepiscono appena che sia permesso di ‘sottrarvi- 
si. Combattono per obbedienza o ‘per -cangiar padrone; ma 
mon per la libertà, parola che non ha equivalente. nella loro 
lingua. Lusingano senza pudore l’ uom' potente che gli op- 
prime, a norma di quella massima odiosa, divenuta pro- 


verbiale tra loro:.,, Bacia la mano che non puoi troncare. ,, 
IT. VI. Aprile 2 


18 


Ai loro occhi il dritto è nulla; la forza è tutto. Il succes: - 
so giustificando per essi l'impresa, non sono punto scrupo* 
+ losi intorno alla scelta dei mezzi, La perfidia, il tradimento, lo 
spergiuro non è un delitto ai loro occhi, purchè si giunga al- 
l’ intento. Gli ho uditi sovente gloriarsi , come d’eroica azione, 
del vile assassinio d’un generale nemico (il principe Tzizianow 
russo, pugnalato sotto Je mura di Bakou poco innanzi al 
mio arrivo, malgrado il suo carattere di pubblico negozia- 
tore ). Questa morale spaventosa fu in ogni tempo quella 
degl abitanti della Persia. Alessandro, scrivendo a Dario dopo 
la battaglia d’Isso, gli rimprovera l’ assassinio di Filippo , 
di cui si era vantato in alcune lettere dirette ai Greci per 
sollevarli. Ed oggi i principi che reggono quella vasta parte 
dell’ Asia non arrossiscono, dicesi, di confidare ad uno dei 
principali personaggi della lor corte la guardia de’ veleni ,, 

Il sig. Jaubert parla , in seguito, delle difficoltà dei 
viaggi nelle contrade orientali ; e si compiace nel descriverci 
una carovana, in seguito a cui fa camminare de’ poveri mis- 
sionari cristiani, che parlando con facilità le lingue dell’ o- 
riente penetrano le contrade più barbare, e recando conso- 
lazioni agli infelici, rimedi agli infermi, consigli disinteressati 
ai deboli e ai potenti si conciliano tutti i cuori , e sono 
scelti qualche volta dai Persiani e dai Turchi siccome ar- 
bitri nelle loro contese. Vicino a lasciare Téheran ei ne rag- 
guaglia finalmente di ciò che riguarda questa città diventata 
nel 1764 la capitale dell'impero persiano invece d’ Ispahan, 
e delle feste brillanti e quasi tutte notturne , che ivi furono 
date dai ministri, poco prima che lo Chah partisse pel campo 
di Saltaniech. La città è posta in basso alle falde dell’ El- 
bour, dieci leghe lontano dal picco di Démavend; e venti- 
cinque o trenta dal Mar Caspio. È mediocremente fortificata, 
senza notabili edifizj nè pubblici nè privati, poco salubre 
per l’aria, niente amena pe’ dintorni. Contava allora non più 
di trentamila abitanti, i quali avranno forse ricevuto in 
seguito qualche aumento, poichè il luogo della residenza 
d'un monarca si popola facilmente, ancor ch’egli non sì pren- 


19 
da gran cura di migliorarlo. Le feste de’ ministri consiste- 
vano in musiche, in colazioni, in illuminazioni, in fuochi 
d’artifizio, pe’ qualì i Persiani sono famosi. Esse terminaro» 
no quando gli astrologi ebbero fissato il giorno della parten- 
za del monarca, onde cominciò a moversi mezza la città 
in gran carovane, e poi’, venuto il 24 giugno, il monarca 
stesso con cinque de’ suoi figli e i principali della sua corte. 
Le particolarità dî questa partenza saranno lette sicuramente 
con molto piacere. Se non che si tremerà alcun poco pel 
nostro povero viaggiatore, che sorpreso dalla febbre dovè 
fermarsi per via e sottoporsi alla cura del medico dello 
Chah, l’Ipocrate della Persia. Ciò ch'egli si facesse della 
formidabile ricetta di quest Ipocrate nol so; ma pare che 
trovasse più ragionevole quella del vecchio medico dell’ Ha- 
rem, che gli ordinò una buona dose d’ orazioni al santo 
Profeta Aly , il visir, il favorito, il luogotenente di Dio, con 
mistura d’amuleti e d’ altri ingredienti di simil valore. Que. 
sto vecchio aveva cent’ anni, e poichè la sua testa era minac- 
‘ciata se il sig. Jaubert non guariva, non potendo far bene da 
dottore si sforzava sog di far da infermiere. E le sue 
‘sollecitudini giugneyano al segno. che ogni mattina, allo 
spuntar del giorno, andava a svegliare l’ infermo ‘unicamente 
per domandargli come stava. Se, esaminandolo, i sintomi 
gli parevano buoni, la sua faccia rasserenavasi ; non sem- 
brandogli tali, impallidiva. Forse un caso funesto avvenuto 
. di que’ giorni accresceva i suoi timori. 

Il sig. Romieux, di cui già si parlò, sfuggito prodigio- 
samente agli Arabi che lo inseguivano pel deserto di Orfa , 
era alfin giunto a Téhéran, ove fa accolto dallo Chah così 
onorevolmente come daubicchi Se non che poco dopo morì 
egli quasi d'improvviso; un suo confidente, arrivavdo a Ba- 
gdad, provò l’istessa sorte; e un caro amico e. difensore 
della sua vita cadde ammalato , uè dovette la propria salvez- 

za che alla forza del proprio temperamento. Il vecchio me- 
dico, a cui queste cose non erano ignote, poteva sospettare 


20 
che qualche mano nemica avesse preparata in segreto un’ al- 
tra morte, che sarebbe stata. a lui fatale. 

Fortunatamente il sig. Jaubert si riebbe, e la notizia 
della pace di Presburgo concorse, com’ egli sì esprime, colle 
cure dell’ arte sanatrice ad ‘accelerare la sua convalescenza. 
Egli si rimise in viaggio alla. volta di Sultaniéh ove, giunse 
il 5 luglio, non senza tornar forse col sospiro a Téheran, 
ove s’ inalzava, malgrado i pregiudizj  musulmanici, un 
monumento di dolore e di ammirazione al guerriero diplo, 
matico , il quale già coperto di nobili ferite meritava di fi- 
nire i suoi giorni tra i valorosi sul campo dell’ onore. 


( sarà continuato ) M. 
y 


Lettres écrites d’ Italie etc. Lettere scritte d’ Italia, 
nel 1812 e 13 dal sig. Lullin di Chateauvieux al 
sig. Pictet, seconda edizione accresciuta . Ginevra 
1820, un volume in 8.° | 


ueste lettere dall’ Italia, conviene premetterlo, non 
sono una satira dell’ Italia. E' vero ch’ esse non tratta- 
no quasi d’ altro che della nostra agricoltura, 0, come 
l’autore sì esprime, dell’ istoria rustica del nostro pae- 
se; ma questa si lega tanto alla civile, che in mani di- 
verse da quelle del sig. Chateauvieux potea perdere facil- 
mente la sua innocenza . Egli, contro le solite preven- 
zioni degli stranieri, trova in noi un popolo nuovo , ri- 
volto seriamente alle cose utili, ricco di mezzi per mi- 
gliorare la propria condizione, e avviato, non per vio- 
lento impulso, ma per la forza del tempo, e l’ effetto dei 
lumi che il penetrarono grado a grado, verso quel per- 
fezionamento sociale, a cui tendono i popoli più incivi- 
liti. L'agricoltura, sebbene da antichissima epoca sì 


21 


fiorente fra noi che poco lasciava a desiderare, anch’ es- 
sa gli si mostra avvivata dallo spirito del secolo, e di- 
venuta più che mai strumento di nazionale prosperità . 
Dicianove lettere, oltre la proemiale, egli impiega a de- 
scriverla dal piè dell’ Alpi a quelle degli Apennini, 
dal confine della Provenza all'estremità della Calabria, 
non obliando le regioni montuose e quelle che pare si 
allarghino sotto un cielo nemico lungo le rive del Me- 
diterraneo. La differenza dei climi, dei prodotti e dei 
costumi campestri gli suggerisce la natural distinzione 
di tre specie di cultura, quella d’avvicendamento, qual 
si costuma nella vasta pianura di Lombardia separata 
in due parti pressochè eguali dal corso del Po; quella 
ch’ ei chiama cananea, la qual riveste il dorso delle-col- 
line e il pendio meridionale degli Appennini; infine 
quella delle maremme, che si prolungano da Pisa a 
Terracina, cultura da lui appellata patriarcale. Suo stu- 
dio più accurato è il dipingerci , com ei dice, la fisio-. 
nomia locale, ossia gli aspetti varii e mirabili di que- 
sta nostra Italia, non pel solo piacer di dipingere, ma 
altresi per mostrar ciò che possa l’umana industria , 
che qui più che altrove abbelli V’ opera della natura. 

Tale studio però, che rende le sue Lode sì amene ed 
eloquenti , che potriano considerarsi come un’opera di 
letteratura, nulla pregiudica 1’ accuratezza e la sagacia 
delle osservazioni agronomiche , le quali ne fanno un’ 
opera importante per la scienza della coltivazione e del- 
la pubblica economia. A quest’ ultima appartengono 
specialmente le quattro lettere di conclusione scritte 
dopo la fine del viaggio nel nostro caro paese e piene 
di benevolenza e di suggerimenti che meritano la nostra 
gratitudine. Noi non potremo dare che un piccol saggio 
e delle une e delle altre ; ima questo basterà per file 


22 
ricercare da chi per anco nou le conosca; e di Giò vo- 
gliamo accontentarci. Vi sono de’ libri, i; cui è possi- 
bile ed utile un breve transunto, Di quello del signor 
Chateauvieux, quando pur fosse possibile, non sarebbe 
giovevole , poichè gli toglierebbe quanto ha di miglio- 
re per noi, il calore dell’imaginazione e del sentimento. 
Costretti a scegliere, è naturalissimo che ci vol- 
giamo di preferenza alla bella Toscana, e, fra le varie sue 
divisioni, alla ridente valle dell'Arno, di cui Firenze oc- 
cupa il centro. Di questa valle il sig. Chateauvieux non 
ci descrive che la parte chiamata inferiore , la quale si 
prolunga dalla città nostra verso occidente insino al ware. 
« M’ avviai, egli dice, per la strada di Pistoja e Lucca 
alla voltadi Pisa, costeggiando lungo le falde degli Appen 
nini, la riva destra del fiume, Selvette di olivi coprivano 
quelle falde, nascondendo agli sguardi i piccioli poderi,. 
che ivi sono diffusi in numero ia Gatta; e la loro palli- 
da verdura avea un non so che di più soave parago- 
nata a quella de’ vigorosi castagni, che slanciandosi dal 
pendio superiore de’ monti davano magnificenza al loro 
anfiteatro. Da ambidue le parti della strada, ch’ io per- 
correva, scorgeansi campestri abitazioni, non più distan- 
ti di cento passi l’ una dall’altra, fabbricate di mattoni, 
e di tal gusto e proporzione di forme, che invano sotto 
il cielo elvetico si cercherebbe nulla di somigliante. Non 
ale, non divisione di piani si veggono in tali abitazioni, 
che spesso non hanno che una porta e due finestre la- 
terali. Un muro con un terrazzo di pochi piè di larghez- 
za suol separarla dal cammino; e sul muro posano d’ or- 
dinario vasi di forma antica con entro fiori, aloè , ed 
aranci. Anzi le case istesse sono in estate affatto coperte 
di pampani; sicchè tu dubiti se le chiami vere case 
destinate alla dimora invernale, 0 non piuttosto padi- 


23 
glioni di verdura per dolce riposo nella bella stagione. 
Dinanzi ad esse tu vedi gruppi di villanelle vestite di 
bianco lino, e d’un corsetto di seta , con cappellino di 
paglia adorno di fiori, e graziosamente inclinato sovra 
un orecchio, intese tutte a que’ fini intrecci, onde si fan- 
no i cappelli di paglia fiorentina così pregiati. Un tal 
lavoro, a cui mano d’ uomo non prende parte (a), è il 
vero tesoro della valle d’ Arno, poichè gliene proviene 
‘ogo’ anno non meno di tre milioni. Ciascuna fanciulla 
compera per alcuni soldi la paglia di cui ha uopo, pone 
ogn’ arte nel bene intrecciarla, e il guadagno che ne ot- 
tiene, forma alla lunga la sua dote. Può intanto il pa- 
dre di famiglia richiedere alle donne di sua casa certo 
ajuto nelle rustiche fatiche ; ed esse pagano alcune po- 
vere femmine di montagna, che vengono al piano a 
lavorare in lor vece. Queste femmine appena costa no 
loro otto o dieci soldi, mentre il guadagno degli intrecci, 
ch’ io diceva, è di trenta e anche di quaranta. Ma ove 
pur non fosse tanto, sempre le villanelle di val d’ Arno 
preferir dovrebbero una gentile ad un'aspra occupazione, 
e schivar d’ indurire quelle dita, a cui è necessaria pei 
loro lavori morbidezza e agilità. Sono queste le villa- 
nelle, di cui i viaggiatori celebrano di concerto le grazie 
e la leggiadria; di cui Alfieri andava ad istudiare la lin- 
gua, e di cui potrebbe dirsi che veramente son nate per 
abbellire le arti e servir loro di modello. Pastorelle d’Ar- 
cadia, anzichè contadine, mostrano nel volto la sanità e 
la felice spensieratezza propria di queste, ma sono affatto 


(2) Al sig. Chateauvieux non è dunque occorso d’ incontrare 
alcuno de’ tanti giovanotti, che impiegano in quest’ arte fem- 
minea la lor rubustezza; cosa ridicola a vedersi o piuttosto com- 
passionevole, come si esprimeva con noi un valent’ uomo to- 
scano a cui leggevamo le sovracitate parole . ° 


24 

immuni dai loro stenti e dalle loro faliche. Fui assicurato 
che il raccolto di due jugeri (b) basta a fornire tutta la 
paglia, che l’opera. de’ cappelli può richiedere in un 
anno. E' la paglia d’un frumento senza barba, semi- 
nato spesso spesso, cresciuto sottile sottile per la steri- 
lezza del suolo senza concime in colline calcaree’, e 
tagliato prima della sua maturità . 

« Le abitazioni sì vicine le une alle altre indi- 
cano abbastanza che i poderi, a cui servono, sono molto 
limitati, e grandissimo è in tutta la valle il numero dei 
possessori. Infatti que’ poderi, che talvolta non oltrepas- 
sano l'estensione di tre jugeri , è raro che si allarghino 
più che dieci. Hanno essì la casetta rustica nel mezzo, 
e sone divisi in bei scompartimenti da piccioli canali, 
e da file di alberi, cioè da gelsi, o più ordinariamente da 
pioppi, al cui tronco s’ avviticchia la vite, e le cui foglie 
servono d’ alimento agli animali. Siffatti. scomparti- 
menti, disposti in lunghi quadrati, sono spaziosi abba- 
stanza per poterli coltivare con un aratro senza ruote, a 
cui si aggiunge un pajo di buoi, il quale serve successi- 


(3) Sopra uno spazio di forse 5o miglia quadrate, ciascuno 
de’ possessori (e sono in gran numero) dona picciola porzione 
di terreno al frumento, da cui si hanno le paglie pe’cappelli : 
questo basta *a far comprendere come l’ autore, coi suoi due 
jugeri, vada lungi dal vero. Del resto nè la quantita del ter- 
reno, nè quella delle paglie, nè la rendita annua del lavoro 
dei cappelli fu mai esattamente valutata. I trenta milioni di 
lire, a cui il sig. Tartini Salvatici fa salire quest’ ultima in un 
suo rapporto all’ accademia de’ Georgofili, di cui fu reso conto 
alla pag. 554 del presente volume, sono stati da perite persone 
considerati uno sbaglio di calcolo , o forse un’ accidentale ec- 
cesso di cifre. L’ editore dell’ Antologia tosto che avrà, nell’ar- 
gomento di cui s1 tratta, que’ precisi ragguagli che stà ricer- 

cando, li comunicherà al pubblico, bramoso probabilmente di 
conoscerli. 


» 


25 
vamentea dieci o dodici poderi. Questi buoi di razza un- 
gherese, venuti dallo stato romano e dalle maremme, sono 
assai ben mantenuti e coperti di bianche tele adorne di 
ricami o di frangie con mappe rosse e pompose. Quasi 
in ciascun podere poi si nutre un cavallo non meno fi- 
no che elegante, il quale si attacca ad un carretto di 
due ruote ben lavorato e dipinto, che serve, fra molti 
usi, a coudurre le figlie del fattore o al ballo o alla 
chiesa. Però ne’ dì festivi le strade son tutte piene di 
carretti della qualità ch’ io diceva, i quali volano per 
ogni verso, e sono pieni di giovinette e fanciulle ornate 
di nastri e di fiori, di che nulla è a vedersi più dilette- 
vole. 

33 I poderi di val d’ Arno non abbondano di pascoli, 
che bastino a nutrir vacche ; e però i coltivatori peusa- 
rono di non allevar che giovenche. Le comprano essi 
dell’età di tre mesi, le tengono infino ai diciotto, e poi le 
vendono al mercato, onde sostituirne altre più tenere, 
che sempre trovano alle fiere ove i mercanti le condu- 
cono dalle maremme . .....In questa valle, ove non 
trovasi alcun prato naturale , le foglie degli alberi, gli 


avanzi de’ legumi, un po’ di trifoglio selvatico sono l’u- 


nico cibo degli animali. Tutto è necessariamente ser- 
bato per l’uomo in una contrada, ov'egli fu accumulato 
oltre misura da un incivilimento antichissimo..,, 

E qui, dato conto di ciò che val d’ Arno produce, 
e meravigliando come l’ erbe e le biade vi crescano bel- 
lissime, senz’ altro ajuto che una lieve concimazione. 
ogni quinquennio, dice doversi ciò attribuire alla profon- 
dità e freschezza di questo suolo d’ alluvioni, alla cul- 
tura diligentissima, al felice avvicendamento dei generi 
seminati, e infine alla gran vicinanza delle abitazioni , 
che fornisce quell’ ingrasso chimico, mon facile a defi- 


26 

pirsi, poichè sfugge a’ sensi, ma pur dimostrato ne’ suoi 
effetti da una lunga esperienza. Indi accennato il ri- 
parto de’ prodotti , fra i possessori in gran numero, e i 
coltivatori in grandissimo, confessa il suo stupore al ri- 
flettere quali somme e quali fatiche furon necessarie 
per dividere la valle in tanti poderi, fabbricarvi tante 
case rustiche, fornir loro quanto era uopo alla coltiva- 
zione. Ma lo stupore, egli aggiunge, si accresce a dismi- 
sura, pensando a ciò, che fin dai tempi remoti si dovette 
per comune accordo praticare, onde salvare la valle 
medesima dall’ acque devastatrici. : 

« Posta fra due catene di monti, l'una delle quali 
elevatissima, era la valle d’ Arno in preda al torrenti, 
che vi si precipitavano dall’alto in gran numero, cari- 
chi di pietre e d’ altre rapine. Conveniva frenare il 
loro furore, impedire il guasto delle loro acque, e pro- 
fittar nondimeno della loro irrigazione, e del molto 
limo che strascinavano con loro. A ciò si pervenne, 
stringendone il corso tra forti mura, e avviandoli per 
diritto sentiero, sicchè non rovesciassero violenti verun 
angolo, e deponesser le loro pietre nel letto istesso che 
percorrevano. Di distanza in distanza si aprirono loro 
frattanto, ad un livello medio, più uscite laterali, onde 
sì temperasse il loro impeto, e andasse a profitto de’ luo- 
ghi all’ intorno il limo di cui erano pieni. Altri canali 
divisi in una moltitudine di canaletti, dirittissimi tutti 
e fabbricati di mattoni, furono destinati a diffonderne 
l’acque, sicchè non havyi quadrato di terreno, che non 
ne sia cinto per ogni parte. Tutta la valle, a chi la miri 
da un certo punto, apparisce, ove ci sia lecito di così 
esprimerci, avvolta quasi in una rete di picciole correnti 
che portano per tutto la freschezza e la fecondità . Ponti 
e ponticelli in gran numero furon poi necessarj onde 


27 
unire insieme tante isolette formate dall’acque, e man- 
tener tra esse le necessarie communicazioni. La qual 
cosa e le altre, che accennai, quale immensa spesa abbia- 
no richiesto , sebben ciascuno lo immagini , non è age- 
vole a spiegarsi. 

« Ma che-dir poi di tanti borghi e città , posti in 
sulle rive dell’ Arno, e splendenti di tal belli , che 
altrove non bra propria se non delle grandi me- 
tropoli? I loro tempii, le loro fontane, i loro passeggi, 
loro edifizj d’ogni specie sono modelli di Mana e 
di maestà. Nè credo che oggi bastassero i capitali di 
tutta la Toscana a fabbricar le sole chiese, sì ricche di 
marmi, di porfidi e d’ altri insigni ornamenti, che s'al- 
zano dalle sue terre. 

Di questa grandezza di architettura ei ci dà un 
saggio parlandoci di Pistoja, al di là della quale, secon- 
do il dir suo, la campagna apparisce vie più fertile e 
ridente, giacchè le alluvioni vi hanno fatto depositi più 
profondi, e la valle allargandosi gode di un clima più 
dolce e d’ un più aperto orizzonte. 

Presso di Pescia , egli aggiunge, graziosa città sul 
declivo di una valletta ricoperta di olivi, sorge fra que- 
sti « un’ amena abitazione, a cui non si giugne che per 
angusto sentiero, il cui ingresso era impedito da piante 
di fichi, da pampani e da bellissimi aloè, » Ivi soggior- 
nava il suo amico Sismondi, inteso a scrivere gli ultimi 
volumi delle Ztaliane repubbliche. « Dall’ ombre tran- . 
quille della sua dimora ei percorreva coll’ occhio un 
ampio orizzonte , già teatro d’incredibili avvenimenti; 
vedea sorgere in lontananza, verso i monti di Volterra, 
le ruine di quella città e di que’ castelli, di cui racconta 
l’istoria, e che sembravano presentarglisi quai vecchi 
testimoni delle tradizioni dei tempi. » ; 


28 

All’ uscir della valle d’ Arno, la più deliziosa con- 
trada che si trovi per avventura in sulla terra, il sig. 
Chateauvieux non può ritenersi dall’ osservare co- 
me l’artificiosa coltura che tutta la ricoperse di regolari 
piantagioni, fra cui le viti appendono le loro pampinose 
ghirlande, spogliò per altro la natura di quella varietà, e 
di quell’ armonia , che è tutta propria di una spontanea 
vegetazione . « Ivi, egli dice, le tinte sono vive insieme 
o monotone; le forme tutte simili le une alle altre; il 
paese è quale si presenterebbe nella camera oscura; nè 
mai il Pussino lo avrebbe preso a soggetto d’ alcuno 
de’ suoi quadri. i : 

Del qual giudizio, troppo naturale in un abitante 
dell’ Elvezia, non sappiamo come saranno contentii più 
delicati Toscani. Essi forse non vi troveranno maggior 
verità che in quel passo, ove narrando, dupo il ritorno 
a Firenze da Roma, d’ esser venuto una seconda volta 
alla famosa tribuna della nostra galleria, dice che gli 
uomini stimavano la Venere italica più bella della me- 
dicea e le donne preferivano questa, credendone forse 
meno pericoloso il confronto con sè medesime . Noi non 
saremo tanto scortesi da volergli rimproverare un com- 
plimento ingegnoso al sommo artefice, per cui soltanto, 
siccome cantava un gentile poeta, il secol nostro è d’oro. 


La valle d’Arno è, al dire del sig. Chateauvieux, il. 


soggiorno più perfezionato dalla civilizzazione , quello 
in cui l’uomo abbia saputo rivolger meglio in proprio 
uso le forze della natura. Ma tal perfezionamento , ei 
riflette, appena può riguardarsi come opera successiva, 
tanto è anteriore ai tempi in cui viviamo. Non appar- 
tiene ai Romani, poichè la sua impronta è tutta moder- 
na ecristiana; non al regno pacifico dei Medici, dacché 
i suoi monumenti attestano un’epoca anteriore. Il gusto 


è STES] nane 


‘29 
greco , che in essi domina, ci richiama col pensiero a 
quella del rinascimento delle lettere in Italia, e forse dei 
più insigni sforzi dell’ umana industria; all’epoca tem- 
pestosa delle Repubbliche, della Toscana, la più terri- 
bile insieme e la più magnifica agli occhi della poste 
rità. 

Chi volesse dai contra pposti ricavate più viva im- 
magine del talento descrittivo dell’ autore, potrebbe 
seguirlo perle maremme da Livorno a Terracina, su quel 
teatro, com’ egli siesprime, dell’antico mondo e della sua 
gloria passata, ove tutto è pieno di rimembranze , ove 
il viaggiatore più non trova che avanzi , ove la natura 
esausta da tanti sforzi più non pensa a rivestirsì di nuo- 
ve produzioni, ove le campagne sono deserte , le acque 
infette , le foreste senz’ alberi, tranne alcune quercie, 
che sfidarono i secoli. Noi ci limiteremo ad alcune ri- 
flessioni intorno alle cause di tanto guasto, che provano 
un talento più importante, quello dell’ osservazione . 

Gli abitanti delle maremme , per ciò che dice il 
. sig. Chateauvieux, riferiscono il Lebieglo del loro 
paese a quell’ epoca del sedicesimo secolo, in cui la pe- 
ste distrusse gran parte della sua popolazione. Questa 
ridotta a picciol numero più non ebbe forza di resistere 
al cattivo influsso dell’ aria, che sempre più prevalendo 
tolse alfine ogni speranza di vincerlo. Indarno mandò 
Leopoldo coloni nelle maremme, prestando loro quanti 
soccorsi parevano opportuni ad un prospero stabilimen- 
to : la febbre, che gli uccideva, fe’ quasi pentire delle 
umanissime sue cure l’ ottimo principe. Il tempo di ri- 
popolare quegli spazi deserti era già passato da un pez- 
zo. Quando i compratori di terre cominciarono a man- 
care, ond’esse caddero in vilissimo prezzo, bisognava 
impedire che venissero alle mani de’ grandi signori, per 


30 
cui fu spenta affatto l’ industria produttiva, sempre più 
scomparve la popolazione, e la pessima aria non venne 
più combattuta. Allora fu forza abbandonare alle sue 
spontanee produzioni un suolo di sterile argilla ; tutto 
contristato da fetide sorgenti di zolfo, e dargli per abi- 
tatori de'nomadi che nella stagion salubre, cioè nell’ in- 
verno , vi conducessero al pascolo i loro armenti. Che 
se qualche cosa può consolarci della imprevidenza che 
concorse colla natura a discacciarne l’ uomo, certo si è 
l’arte con cui questi tentò nuovamente d’ impadronir- 
sene, malgrado la stessa natura, e fece che si nutrissero 
per lui quattrocento mila montoni, trenta mila cavalli, 
e gran numero di vacche e di capre quasi in mezzo al 
regno della morte. 

Si crede generalmente , egli dice, che la cattiva 
aria, onde vediamo spopolate le campagne d’Italia lungo 
le rive del Mediterraneo, provenga dall’ acque stagnanti 
che sono per tutto altrove la causa di simile alterazione 
nell’ atmosfera. Quello, per altro, che potrebbe asserirsi 
delle Paludi Pontine è ben diverso da quel che accade 
nelle maremme, le quali sono poste in regione elevata, 
non hanno gore che le infettino, e pare che dovrebbero 
essere di continuo purgate dai liberi venti. Il flagello che 
le diserta è purlo stesso che percuote con tanta violenza 
l’ alta cima di Radicofani, e le foreste del monte Sorat- 
te. È forza , adunque, persuadersi che la cagion vera, 
per cui l’aria si fa ivi micidiale, trovisi nella natura 
del suolo tutto formato d’ antiche eruzioni vulcaniche, 


ed elaborato da accidenti a noi sconosciuti. Forse l'i: 


drogene sulfureo, che si sviluppa alla superficie del suolo 
medesimo, in grazia degli elementi che lo compongono, 
non ha, per manifestarsi, bisogno d’ altr” acqua che di 
quella delle rugiade e delle pioggie; e allora i suoi tristi 


31 
effetti sarebbero senza rimedio. Che se facesse mera- 
viglia questa oscurità intorno alla ragion chimica di un 
fenomeno già tanto esaminato , sì consideri che i fatti 
smentiscono ad ogni istante le ipotesi, e che sì tratta di 
una forza misteriosa, la qual si spande come un fluido 
invisibile, nè dà alcun segno del suo avvicinarsi . « Il 
cielo rimane egualmente sereno e tranquillo; il suolo 
egualmente verde e fr esco ; tutto sembra ispirarvi la 
sicurezza e il contento. Quale sorpresa mista ad invo- 
lontario orrore pensando che l’ aria dilettosa che respi- 
rate è per voi la più funesta! (c) 

Somigliante se non più doloroso sentimento prova, 
secondo il nostro autore, chi percorre la via lungo 
quella parte delle Paludi Pontine ove è dato corsò 
alle acque, e tutta la natura all’intorno è vestita di 
pompa così ridente . ,, Sovra am bidue le rive di quel 
canale, che oggi si appella naviglio grande , ammirasi 
egli dice, una forza di vegetazione, la qual sembra 
accrescersi come nell’ india, pel deperimento della 
natura umana. Tutto nondimeno ivi promette all'uomo 
il piacere, la calma, il sostegno della vita. Un suolo 
ben livellato, che gli si estende dinanzi, non op- 
pone a suoi passi verun osta colo. Nel cielo risplende 
un sole sempre puro, i cui raggi vengono a perdersi 
fra belle masse di verde fogliame. L'erba folta e rigo- 
gliosa lussureggia per ogni parte; e fiori innumerevoli 
spiegano in bella armonia i loro vaghi colori all’om- 
bra ospitale degli olmi. Enormi piante di fichi pie- 
gano i lor rami flessibili sulla corrente dell’ acqua , 


(c) Poichè le cause di questa malignità dell’ aria sono assai 
controverse, parrebbe fatica degna d’ alcuni de’ nostri fisici va- 
lorosi l’ esaminarle più profondamente che ancora non siasi fatto; 
e l’ Antologia accoglierebbe volentieri le sue osservazioni. 


32 


ed offrono ai nuotatori le zuccherine lor frutta. Tra 
questi. fichi tu vedi crescere gli orientali aloé, i cui 
steli sorgono come faci sovra sacri doppieri. Salici 
e quercie ed altri alberi formano quasi siepe ai fiori. 
e alle frutta, onde preservarli dal soffio della tempesta; 
e le viti attorcendosi ai loro tronchi, e slanciandosi 
dall’ uno all’altro in sulle opposte sponde, come quelle 
piante sarmentose che in America si chiamano liane, 
coprono di pampinosi archi il canale, e coi pendenti 
lor grappoli chiamano gli augelli che ne fanno loro 
pasto. Ma invano tutto questo lusso della natura: esso 
non abbellisce che il deserto, non è ammirato che 
dal silenzio. Un luogo di tanta ricchezza vegetale non 
è visitato che da' animali selvaggi. Branchi di cignali 
ivi scavano la terra onde lacerare le radici delle piante; 
orridi bufali errano ivi pei prati e si sdraiano all’om- 
bra dei boschi; lo sparviero lascia le rupi, sua ordi- 
naria dimora, per. venire ad aggirarsi nella calma per- 
fetta di quella solitudine, ch’ ei riguarda come suo 
dominio. In alcune stagioni dell’anno grandi stormi 
d’uccelli di passaggio vengono!a riposarvisi ; e i giorni 
di questo riposo, sembrano iper loro quasi giorni di 
festa. Tal volta di lontano in lontano vedesi. com- 
parire un uomo; ma come in luogo di periglio ei non 
sì mostra che in aspetto ostile. Ora è un pastore ‘che 
caccia con la sua lancia un bufalo irritato; ora è un 
ladrone della montagna , che armato di archibugio e 
appiattato fra I’ erba e i fiori o fra le macchie de’ fichi 
aspetta al varco il viaggiatore. Che se l’ infelice. stra» 
niero sfugge alla sua rabbia, chi sa che quell'aria si 
micidiale e sì dolce non abbia già portato un veleno 
secreto nelle sue vene? Come esprimere la singolare 
impressione che in me faceva il perpetuo contrasto fra la 


133 


‘matura vegetale e animata in quella regione forse unica. 
«sulla terra! Io ne era lusingato insieme e spaventato. 
Pareami., in certo modo , di avere innanzi una grande 
imagine della vita, che un pericolo non conosciuto munac- 
cia di continuo, mentre la nostra fantasia ci riveste splen- 
didamente ogni cosa all’intorno perchè nol veggiamo. 
«Avvi in quest’ ultima riflessione an non so che di 
‘melanconico e di vero, che fa sentire a chi ha senso per, 
| queste cose l’ indole dello scrittore e presagire il colorito 
‘dominanante delle sue lettere. Infatti se egli vi de- 
‘ scrive, appena sceso dall’Alpi, una famosa cultura nelle 
«più belle ‘valli del Piemonte, guardando al montuoso 
anfiteatro che le circonda, quasi si lagna della natura che 
‘sembrava promettere loro insormontabile antemurale, e 
‘le lasciò, come tutto il resto del globo, senza difesa contro 
Paudacia dell’ uomo. S' egli vi parla, strada facendo , 
-della Mandra di Civasso e della sua. campestre econo- 
mia; si compiace nel dipingervi i venti aratri, che proce- 
“dono di fronte e ad uguali spazi in linea retta sul me- 
‘desimo campo, e alla voce di un conduttore si velgono 
‘tutti insieme e rifanno gravemente, e nell’ istesso : or- 
dine: la loro via; che ha ze 220. so che di silenzieso e 
di solenne. S' egli costeggia nella notte a cavallo fra 
: Genova e Sestri il tranquillo Mediterraneo, e pensa alle 
‘belle contrade, che lo aspettano, di subito una rimem- 
‘branza di.varii anni passati gli richiama 1’ amico con 
cui già fece lo stesso viaggio, e trovò poscia la morte in 
Tontarie regioni. Se al ‘di là delle colline. d' Empoli 
“Vedeéi in lontananza una lunga piantagione di cipressi’, 
tosto ihdovina che una casa o un castello deserto si 
«trova.fra loro; e saluta con uu sospiro quegli alberi, e si 
contrista su quell’abbandono. Se. procedendo fra ste- 


rili vallate, ove intorno alle rare capanne non ap- 
T. VI. Aprile 3 


34 
parisse arbusto, non erba che consoli lo sguardo, 
vede per caso, un campicello di grano turco o di sorgoy 
quel campicello , di che alcuni abitatori infelici so- 
pravvissero in que’ miseri luoghi alle rovine del loro 
paese. Volterra soprattutto, quella capitale, come 
ei dice, del medio evo, separatasi nella sua solitudine 
dalle contrade che rinunciarono ai costumi de’loro anti- 
chi e al rispetto del passato, Volterra cava dal suo cuore 
le più lugubri lamentazioni. ,, Essa più non offre allo 
sguardo che conventi distrutti, giardini abbandonati , 
antiche muraglie e palagi senza tetto .... Le traccie 
della distruzione, che consuma lenta lenta tutte l’opere 
del creato, in nessun luogo stringono il cuore di mag- 
gior tristezza, come in quella desolata città. I suoi 
pallidi abitanti errano come ombre fra gli avanzi di 
una maestosa grandezza . Scoraggiti dall’aspetto di tante 
ruine, non pensano neppure a salvar la propria abita- 
zione dalla sorte che la minaccia. Essi l’ abbandonano . 
agli elementi, e aspettano con rassegnazione il flagello 
periodico, con cui la natura viene a decimarli ogni 
anno. (d) Tale, ei prosegue, è la sorte destinata ad 
Una delle più antiche città della terra ,, la costruzione 
delle cui mura è visibilmente anteriore ai tempi della 
fondazione di Roma ....Dall’alto delle sue torri la 
vista sì stende lontano sovra sterili campague, la nu- 
dità delle quali non è rivestita che da alcuni cipressi 


(d) L’ autore si è lasciato qui trasportare dalla sua, malin- 
conica imaginazione. Volterra non è un cumulo di ruine de- 
stinate al soggiorno dell’ombre, com’egli dice. La sua posizione, 
al disopra della zona atmosferica sì micidiale nelle Maremme , 
ci assicura della sua salubrità; 1’ industria che vi si esercita, 
prova che vi rimane qualche pensiero e qualche godimento della 


vita. 


/ 35 

e da poche quercie, il cui verde cupo spicca dal suolo 
giallognolo , e sembra destinato a celebrare i funerali 
di quella contrada. Dal fondo delle valli s'inalza il 
fumo perpetuo delle solfutare, che or si aggira turbi- 
noso ; come i flutti nella tempesta , or sale in colonna 
verso il cielo come il vapore d’un sacrificio. Tutto è 
inaspettato e singolare in quella contrada, che sembra 
aver consumati i giorni della sua vita e tornar passo a 
passo verso quello stato di solitudine, con cui debbono 
«finire i destini di questa terra. ,, À Liu: il sig. Cha- 
teauvieux non vede .che una scena di distruzione più 
grande ,che l’umano linguaggio, più triste che la tri- 
: stezza dell’ uomo, più solenne che tutte le sue cerimo- 
zie. Le ruine, egli dice, sono ciò che avvi di più 
nobile nella natura; esse presentano sui loro fianchi 
«decrepiti quel passato che più non si ripete. Ma le anti- 
che furono già troppe volte descritte; ei si ferma in 
quello, onde iltempo va ogni giorno più desolando 
1’ antica regina delle città . Forse l’ epoca non è lontana 
egli.dice (era l’ estate del 1813 quando ciò scriveva ) 
che perduto ogni splendore ella non serberà di tanta glo- 
tiayche un nome, cui i secoli non potranno cancellare .. 
Come fra le mura di Volterra (e) più non si vedrà in 
Roma che un'immensa moltitudine di monumenti, di 
palagi, di ruine di tutte le età. Sotto.i suoi portici vegete- 
ranno allora de’ pastori, de’caprai, de’ poveri vignaiuoli. 
Più non si cercherà in essa la grotta di Evandro, poi- 
ch’ egli sembrerà rivivere, per essere.di nuovo il re di 
un popolo rurale. Così terminerà l’ istoria di Roma, la 
quale avrà sopravissuto lungamente alle sue rivali . Ma 
come. Atene.e Persepoli subirà. alfine la sorte. di tutto 
ciò ch’ è.inalzato dalla mano dell’uomo, sarà distrutta. 


(e) Il paragone inon è sembrato esattissimo. 


36 g i 
Egli però non si abbandona tanto alla melanconia 
delle rimembranze, o ai vaticinj ispiratigli dalle ruine , 
che si scordi del suo principale argomento, e non provi 
con importanti considerazioni di ogni genere la sua sa-. 
gacia, e l’estensione del suo pensiero. ,, Ho attraversate 
le Alpi, egli dice in un luogo della prima sua lettera, ma 
non ho più provata la commozione, che vent’ anni fa 
mi destarono in cuore. Le strade maestose , che pur 
diavzi furono aperte ne” loro precipizj , hanno distrutte 
le barriere che la natura sembrava aver date all’ Italia. 
Questi immensi lavori sono senza dubbiò una delle più 
nobili prove del nostro incivilimento; ma appianando le 
rupi hanno abbassate le Alpi, e tolto a Meillerie il suo 
dolce prestigio. Il nome di quelle montagne più non ispi- 
ra sgomento, ei popoli più non sono per esse distinti fra 
loro. Facili communicazioni, avvicinandoli, cancellano 
il lor carattere originale , danno loro bisogni, costumi, 
abitudini somiglianti. L’istinto di nazionalità, per così 
dire, si perde fra tante usanze comuni, e presto sì 
percorrerà l’ Europa , credendo di viaggiare sempre fra 
un medesimo popolo . . . . . Ma cancellandosi su tutto il 
continente le fisionomie nazionali ; si estingueranno ad 
un tempo anche le rivalità dei popoli e quell’intimo 
sentimento , onde ciascuno di essi distingue se mede- 
simo , e che gli è proprio come la sua respirazione? ,, 
Queste parole ed altre che seguono erano coraggiose e 
filantropiche in‘'un tempo, che si leggevano ‘affissi , 
com egli si esprime, sulle rive del Tevere i decreti del 
consiglio di stato di Parigi; che della parte più italiana 
dell’Italia si era fatto un dipartimento francese; e che 
nel'‘sogno ‘di una monarchia o universale o occidentale 
si voleva una fusione di popoli, che la natura non per- 
mette. Le migliori istituzioni diun popolo non sono 


37 
forse applicabili ad un altro che non vi sia ancor pre- 
parato; e forse è necessario qualche cosa d’ antico per 

‘dar solida base al nuovo che si reputa migliore. Questa 
riflessione ci è suggerita da quello che l’autore dice al 
metter piede nel regno di Napoli, ov'egli trova un non 
so che di gotico e di feudale; e traversando campa- 
gne e città si accorge che non parteciparono a quell età 
gloriosa, nella quale si videro fiorire insieme in {talia 
l’amore delle bell’ arti e il genio della libertà, genio 
che solo nobilita il carattere ‘delle nazioni, lspgapdo 
loro ammirazione e rispetto per tutto ciò che porta l’im- 
pronta della grandezza. Lodando il sig. Chateauvieux 
quell’ ordine di cose, che nelle vaste pianure lombarde 
moltiplica all’ occhio i segni della pubblica opulenza , 
non può ritenersi dall’ osservare che esso ispira ai pos- 
sessori una sicurezza , la quale mancando altri interessi, 
tende ad. assopire la facoltà morali; e ai coltivatori 
troppa non curanza della cosa pubblica , a cui il posses- 
so mai non li lega. Confessando che una maggiore atti- 
vità e migliori principj economici avrebbero potuto da- 
re alle romane campagne altra floridezza che in loro non 
si vede, sostiene che i coltivatori di queste campagne 
non sono per altro rimasti inerti in mezzo all’ universal 
sollecitudine, che da parecchi anni si manifesta in. Eu- 
ropa, pel perfezionamento dell’arti rurali. Di che fanno 
prova, secondo lui , la bella valle di Foligno e general- 
mente tutti que’ luoghi i quali son fuori del tristo im- 

. pero di una micidiale atmosfera ,a cui non sembra che 
sforzo d’ uomini possa contrastare. E qui entra in lunga 
edotta discussione sulle cause antiche di questo. cor- 

rompimento dell’ aria, e gli sembra di trovarle negli 
estinti vulcani, che in tempo anteriore a’ nostri tempi 
istorici occuparono quella regione , la qual si estende 


\ 


38 

da Siena ai confini della Calabria. Gli studiosi dell eru- 
dizione vi troveranno, leggendole, ugual pascolo che 
quelli della scienza della natura; e, poichè la conseguen- 
za che ne risulta è pur trista, godranno almeno di vede- 
re assoluto un governo italiano dell’ accusa non meno 
ingiusta che grave d’aver per sua incuria abbandonata 
alla desolazione gran parte delle terre a lei soggette. 

Il sig. Chateuvieux non manca giammai, ove gli 
si offra occasione, di rettificare o giudizi non precisi, o 
errori di fatto. Non è vero, egli dice per esempio , ciò 
che asserisce Arturo Young che la gran quantità delle 
derrate, di cui abbondano i mercati del Piemonte del- 
la Lombardia, si debba esclusivamente ai grandi poderi; 
mentre è piuttosto un beneficio dei piccioli, che molti- 
plicano l'industria ed obbligano all’economia. Nè tra- 
scura i confronti che possono eccitare un’ utile emula- 
zione, come dove dice che i coltivatori piemontesi, 
malgrado i tanti armenti delle loro campagne, sono an- 
cora troppo inferiori ai Milanesi nell’ arte di trar profitto 
dal latte; e dove all’ incontro confessa di aver trovato 
alla Mandria, non lungi da Torino, così bella cultura 
dei pomi di terra, che ad Hofwil non è più perfetta. 
Questa lode ei vorrebbe pure che altri poderi italiani 
la meritassero. E tanta è secondo lui l’importanza di 
que’ pomi, che trovandoli negli Apennini al di là della 
Magra, e sapendo che alcuni gendarmi francesi ve li 
aveano introdotti, ed erano poi stati imitati da’ paesani, 
che nell’ antecedente anno di carestia trovarono in essi 
l’unico scampo contro la fame, non può contenersi 
dall’ ammirare la via tenuta dalla Provvidenza, per 
sovvenire ad un misero paese con quel solo frutto, che 
sembra non temere ingiuria d’aria 0 povertà di suolo. 
E già, lasciando il buon curato del Bosco, la cui acco- 


ar 


39 
glienza semplice e ospitalissima ci parve descritta con 
penna degna di Goldsmith , non avea creduto di poter- 
gli mostrar meglio la sua riconoscenza, che spiegando- 
gli i vantaggi di quel frutto prezioso, di cui appena gli 
era giunto alle orecchie il nome. 

Troppo lunghi saremmo certamente se volessimo 
andar notando le nuove culture e i niiglioramenti 
delle già usate, ch’ egli propone; e le ragioni ch’ ei 
reca dei tentativi non ben riusciti; e i consigli ch’ ei 
porge perchè ottengano il fine desiderato. Tutto questo 
altronde , anzi quanto nel suo libro appartiene stret- 
tamente alla scienza agronomica è materia per alcu- 
no: de’ suoi dotti colleghi Georgofili (f) alla cui so- 
cietà ei tanto si compiacque di vedersi ascritto. Il 
sig. Chateauvieux commenda in essì quello zelo che fu 
sì utile alla Toscana; e com’ è proprio di chi ama sin- 
ceramente il pubblico bene, e ammira di buon cuore chi 
lo promove, ricorda volentieri i nomi di que’ facoltosi 
che nelle parti d’Italia da lui percorse diedero più no- 
bili esempi, e somministrarono più grandi mezzi al- 
l’industria rurale, che nel nostro paese è di tutte la 
più importante. Ci duole che almen nel ritorno, av vian- 
dosi verso il lago di Lugano e le frontiere della Svizzera, 
ei non abbia visitato la deliziosa Brianza e i luoghi 
posti all’ intorno del picciol lago di Varese, in riva al 
quale avrebbe trovato 1’ ottimo Conte Dandolo fra suoi 
bachi da seta e i suoi merini , glorioso di potersi appli- 
care alla lettera il pascedbatque suas ipse senator oves , 


(f) Oltre i dotti di professione, bramerebbe l’ editore 
dell’ Antologia, che anche i proprietari istruiti gli comunicas- 
sero quelle annotazioni che loro accadesse di fare in tal pro- 
posito; daccliè le teorie degli uni perfezionano colla. pratica 
degli altri; e questa per mezzo di quelle. 


Ù4 


40 SA 
che Ovidio cantava dei primi tempi:di Roma. Il degno 
uomo da due anni è ‘mancato , per immatura morte ,, 
all’ agricoltura lombarda ; e la menzione pietosa che 
oggi ne facciamo in Toscana speriamo che non sia nien- 
te più disapprovata di quella che l’autore, scrivendo 
da Napoli, fa del giovine poeta Esmenard perito in un 
precipizio tra Fondi e Capua presso. il villaggio d’.Itri. 
E i vivi e gli estinti e ì nazionali e gli stranieri, che coi 
loro beneficj o le loro liberali fatiche si acquistarono, 
titolo alla nostra stima e alla nostra riconoscenza, è. pur 
bene che abbiano le nostre lodi'o le nostre lanfipdi ogni 
volta che il cuor ce le detta. Che abbiamo ‘noi di. me- 
glio al mondo per ricompensare i talenti o la virtù? 
Però fra i molti ringraziamenti dovuti al sig. Chateau- 
viéux è pur quello di avere interpretato l’animo degli 
italiani verso que'francesi illustri, come Prony; Degeran- 
do e altri, che nell’ epoca del dominio della lor nazione 
conquistatrice qualche cosa operarono per mezzo dell’au- 
torità governativa, o persuasero coll’ autorità della loro 
saggezza in pro de’ campi fra cui siamo nati. Quest? as- 
sumere parte de’ nostri obblighi è un immedesimarsi 
veramente con noi. Se non che troppi argomenti ancor 
| più diretti ci diede egli di certa concittadinanza d'’ af- 
feito , onde sicuri de’ suoi sentimenti per l’Italia non 
vorremo dolerci di qualche proposizione troppo assolu- 
‘ ta, come questa per.esempio che l’arti e la poesia hanno , 
ci nel medesimo tempo d’essere-un oggetto di culto 
per noi, e che la vecchia mostra terra sembra stanca di , 
produrre poemi e monumenti, come un suolo esausto ri- 
cusa di produrre nuovi fiori e nuove frutta. Concediamo 
che un grand’ uomo oggi possegga solo non tutta, ma. 
la principal gloria dell’ arti; e speriamo che il genio di 
queste non abbia ad. abbandonare un soggiorno cui da. 


4I 

venti secoli predilige, quando lo spirito di Canova 
‘ avrà lasciata la nostra compaghia per quella di Fidia e 
di Michelangelo. 
Questo pensiero intorno all’ arti d'iabrille ci 
conduce ad aggiugnere poche parole intorno allo scri- 
vere del nostro autore, che appunto dall’ imaginazione 
riceve il maggiore suo pregio. Alcuni saggi ne ha avuti: 
il lettore nelle cose riportate quasi lea tante. Dire- 
mo ora che nell’opera sua, quantunque fa scusi il ge- 
nere epistolare , si potrebbe desiderar più concisione , e 
‘qualche volta più industria nel legare le idee fra loro ; 
industria di cui ordinariamente gli stranieri anche ce- . 
‘lebri non danno grande esempio. Le descrizioni sono 
certamente la parte più brillante delle lettere del sig. 
Chateauvieux ; e al pregio di una somma vivacità e di 
, un profondo sentimento, che spesso le anima, aggiungo- 
no sempre l’ opportunità e la maturalezza. Ne piace di 
| ricordare fra molte altre quelle de’ più insigni luoghi di 
| Roma e del suo agro, quelle di Montalbano, del Vesu- 
vio, de’ contorni di Napoli verso il mare. Chi amasse i 
. colori di una fantasia quasi orientale può trovarli nel 
j quadro di quella parte delle maremme al di là da Pisa, 
ove ancor sì aggira una razza di animali asiatici ivi 
. condotta sin dal tempo delle crociate. « Mi trovai , co- 
. mincia il viaggiatore, sopra una vasta piaggia, la qual 
non avea per orizzonte che una foresta, un mar senza 
limiti e pianure senza termine. Era un deserto, era 
l’ Arabia; poichè al nostro avvicinarsi alcuni camelli 
sdrajati nell’ arena si levarono, ed altri intesi langui- 
damente a ruminare lungo il lido , volsero verso di roi 
le loro mobili teste, e gli stupidi loro sguardi. » Noi 
sceglieremo alcuni tratti relativi al Cami. Santo Pisano. 
« Il giorno era abbastanza chiaro, dice il nostro Auto- 


42 
re, perch’ io ( dopo il ritorno dalle maremme a Pisa:), 
potessi visitare i sepolcri*de’ Crociati. Non si entra nel 
lor recinto che per una sola porta, la quale chiudendosi. 
separa lo straniero dai secoli moderni. I quattro lati del 
campo formano un lungo quadrato , intorno al quale si» 
aggira una loggia sostenuta da interminabil serie di; 
colonne, e tra le colonne cresce una folta erba sopra la: 
terra che i Crociati apportarono di Palestina per servir 
di tomba alle loro ossa. Alcuni cavalli pasceano, quel- 
l’ erba, quasi lasciati ivi dai cavalieri ad aspettare il 
lor ritorno. Il pavimento della loggia, le cui mura/fu- 
ron dipinte a fresco dai maestri onde apprese Raffaello, 
è formato dalle pietre sepolcrali di que’ prodi , che-la 
terra di Gerusalemme non potè contenere. Il Cav. De-. 
non imaginò ultimamente di riunire sotto le volte 
della loggia medesima i monumenti di tutte le genera- 
zioni religiose, che si succedettero in sulla terra. Questa 
funebre istoria dell’uman genere comincia dalle tombe 
dell’ antica Etruria. Ai quali monumenti semi- egizi. 
vengono appresso quei de’ Romani, a principio infor 
mi; poi, col crescere della loro civiltà, somiglianti pel 
gusto a quelli de’ Greci. Indi l’arte ritorna addietro, e 
con gli altri indizi de’ tempi gotici appajono sulle arche. 
mortuarie le processioni de’ monaci, finchè Michelan- 
giolo.con felice ma bizzarra mescolanza vien di nuovo 
a decorar le tombe cristiane cogli ornamenti. della Gre- 
cia (g). Così traversando il mesto recinto , veggonsi i co- 
stumi e le opinioni de’ secoli scolpite sulla pietra ;. veg- 
gonsi, per così esprimermi, nascere ,3ngrandirsi, e finir 
le nazioni. Questa vista della lor passata esistenza ne 


(g) Parlandosi del Campo Santo pisano s' intende la scuola, 
non propriamente lo scalpello di Michelangelo. 


43 
fa pensare che la nostra continua già da lungo tempo , 
e che la squilla fumerea potrebbe fra non molto farsi 
sentire anche alle patrie nostre cariche di tanta età. » 
| Alla qual poesia elegiaca e lugubre, ispirata dal luogo 
ad un anima per sè melanconica opponiamone altra 
tutta entusiastica all’ aspetto della mostra bella Italia 
contemplata dal suo punto centrale più elevato » . 
All’istante ch'io toccai la più alta cima dell’ Apennino 
(fra Parma e Pontremoli) un orizzonte senza limiti mi 
si aprì dinanzi. Mai così grande spettacolo non avea col- 
piti i miei sguardi; tutta l’Italia era distesa a’ miei pie- 
di. In un cielo puro e lontano la lunga catena dell’Alpi 
spiccava distintissima dalle frontiere della Francia ai 
- confini dell’ Illirio. Chiudeva essa, quasi quadro lucci- 
cante di argento, un’ immensa pianura bagnata da tanti 
fiumi. AI meriggio io vedea la terra discendere come 
per gradi nell’orizzonte vaporoso del mattino, dalla som- 
mità ov io mi posava sino alle rive del mare. Distingue- 
va il golfo e i castelli della Spezia, e seguiva coll’occhio 
quella linea bellissima lungo la quale l’ Adriatico. si 
curva quasi per rispetto dinanzi alla spiaggia toscana, 
e va in seguito ad abbellire le rive di Napoli. Io mi 
trovai per così dire in faccia a tutta l’istoria di una 
terra antica, dalla discesa d’ Enea sulla sponda del Te- 
bro sino alle giornate di Marengo e di Montenotte. Quan- 
ti avvenimenti si ritracciavano alla mia memoria; 
quali i impressioni destava in me sì magnifica scena, ove 
l'Italia intera, come in un panorama, era tutt’ intorno 
disegnata ‘a’ miei sguardi! » Come quest’ entusiasmo 
siasi in lui sostenuto e spesso accresciuto nel resto del 
viaggio può il lettore averlo compreso da var] passi che 
abbiamo citati. Dopo un anno e mezzo di soggiorno fra 
noi, trovandosi alfine oltre il lago luganese sulle soglie 


44 
della diletta sua patria non potè a meno, egli scrive ;. 
di volgere ancora un’ occhiata verso 1° Italia , e con un. 
serramento di cuore inesprimibile dire un eterno addio 
a questa bella contrada, che mai non fu lasciata senza, 
dolore, e mai non fu visitata senza nuovo piacere. 


(sarà continuato ) M. 


LETTERATURA 


Esame diplomatico-storico della Lettera di Areo re di 
Laconia ad Onia I. sommo Sacerdote degli Ebrei, 
del Conte D. Tnorano Marvrzi: Napoli 1821. in 8.° 


IÎ libro è diviso in due parti. Argomento della prima parte 
è la lettera di Areo re di Sparta ad Onia. Vi si considera 
il modo, in che è è questa espressa nelle Antichità giudaiche 
di Flavio Giuseppe, nei Settanta, e nella Volgata: e conci- 
liate le piccole differenze dei due testi biblici , le quali par- 
vero al Calmet implicar contradizione , si et a provare 
che lo scrittore della storia dei Maccabei riportò la lettera 
in compendio, che Flavio Giuseppe la recò tal quale la 
spedì Areo ad Onia, e che Onia fu il secondo di questo 
nome. 

Nella seconda parte si esaminano i diversi pensamenti 
dei dotti sulla consanguinità degli Ebrei e degli Spartani, 
Ja quale è subietto della lettera, e si stabilisce che i figli e 
discendenti di Abramo e di Cetura pervennero fino in Laco- 
nia: opinione, che si afforza con prove istoriche, geografiche, 
etimologiche, e con altre che si traggono dalla Mitologia, 
- dalla Politica e da altri fonti. 

In questo libro è certamente molto ingegno e molta 
dottrina ; di che è da farsi plauso al degnissimo Autore (1). 


(1) Uguale ingegno ed ugual dottrina mostrò egli già nel suo 
Discorso Storico critico sopra il Colosso di bronzo esistente nella 
città di Barletta, stampato in Napoli nel 1816. nel qual Di- 
scorso piglia a provare che quel Colosso non rappresenta Eraclio ; 


{ 


45 


Egli però vorrà permettermi, che lasciata stare la seconda 
parte, obietti alcun che su’ divisamenti, ch’ ei manifesta nella 
prima, aecertandogli, che da me ciò non si fa per brama 
di contradire, ma sì per istudio di quella verità, alla quale 
egli purè ha unicamente inteso. E se egli medesimo, od altri 
mi convinea di errore, io sarò pronto a confessarlo e a dargli 
ragione in questo stesso Giornale. . 1 
Vuole adunque il sig. Marulli , che la lettera d’ Areo 
riferita\al capitolo 12. del primo libro dei Maccabei, sia un 
transunto di quella che leggesi al capitolo 4. del libro 12. 
delle Antichità di Flavio Giuseppe. ,, Osservo , egli dice, 
‘che la copia del libro dei Maccabei non viene riportata 
qual Atto principale, ma per sola incidenza. Nell'anno in- 
fatti 144. prima di Cristo, Gionata sommo Pontefice allora 
regnante, cerca coi Spartani rinnovar l'alleanza, e loro 
scrivendo , è plenipotenziarj Numenio mandando, ed Anti- 
patro , ad oggetto di viepiù convalidar la credenziale . . . 
‘copia della lettera d’ Areo c’ inserisce. Or qui rifletter si 
vuole, che il cancelliere, o segretario di Stato, ‘che fosse, 
di Gionata , il transunto ne fece , non già copia estratta , 
siccome ‘noi ora diciamo, vi uni; sicchè vedesi questo tra- 
scritto in calce della lettera di Gionata . ... . Di più ne- 
cessario de verbo ad verbum quivi copiarla non era per 
contestare ai Spartani, ch’ essi altra volta avean degli Ebrei 
P alleanza richiesta, poichè suppose, e ragionevolmente, il 
Sinedrio, il cancelliere, il Pontefice, che avendone essi te- . 
nuto registro, facilmente nel loro Archivio riscontrata 1°’ a- 
vriano. Ma se anche un altro naturale supposto far noi 
vogliamo , perchè non dovremo, e non potremo: crederne 
a dirittura l’estensore dei libri Maccabéi di questa sincope 
Autore? Nulla parmi ci vieta di ‘crederlo. Anzi bisognerà 


come si è creduto, ma sì Teodosio il grande. Noi ci astenghiamo 
dal dar ragguaglio di questo libro, e dalle osservazioni che far 
potremmo sopr'esso, dovendo essere, perchè da più anni pub- 
blicato, notissimo agli eruditi. 


46 
pure averlo per vero allorchè i versetti 24. 35. 26. e am. 
del II. capitolo del libro: Il. de’ Maccabei. pur si leggano, 
Itomque ab Jasone Cyrenaeo quinque libris comprehensa 
tentavimus nos uno volumine breviare. Considerantes enim 
multitudinem librorum, et difficultatem volent:bus aggrer 
di narrationes historiarum propter multitudinem rerum, 
curavimus volentibus quidem legere, ut esset animi oble- 
ctatio: studiosis vero , ut facilius possint memoriae com 
mendare: omnibus autem legentibus utilitas conferatur. 
Ft nobis quidem ipsis, qui hoc opus breviaudi causa su- 
scepimus , non facilem laborem ,\imo vero negotium ple» 
num vigiliarum et sudoris assumpsimus. Onde da tutto ciò 
ragionevol ne nasce , che tinto qualche picciola differenza 
d'idee, quanto qualche omissione , che in questa copia sì 
trova, in nulla può la copia di Giuseppe inficiare ,, + 
Or pare a me, che dal vedersi recato uno scritto per 
incidenza non consegua, che debbasi credere recato in com- 
pendio, piuttosto che per intero. Potè farsi l'uno e l'altro; 
come far si poteva ancorchè trattato si fosse di uno scritto 
della principale importanza, il quale nulla avrebbe perduto 
della sua forza, quando si fosse con bel criterio abbreviato. 
Similmente non può riputarsi superflua l’ esatta. copia 
‘della lettera d’ Areo, perchè questa dovea serbarsi nell’Ars 
chivio di Sparta. In tal supposizione sarebbe da dirsi inu- 
tile anche il compendio di essa, sembrando bastare all’ nopo 
il solo rammemorarla. D'altronde se alcuno, stando fermo 
nell’avviso, che in molte cose quello oggi si faccia, che nei 
passati tempi si fece, voglia rispetto a ciò trar prova dal- 
l’età nostra, conchiuderà, non si disdire, anzi parer conveniente 
che Gionata affin di rammentare agli Spartani la fratellanza 
di loro con glî Ebrei, mandasse esatta copia della Lettera 
d’Areo, nella quale questa fratellanza si asseverava, senza 
pensar punto se. essa lettera. si. custodisse , 0 no , nell’ Ar- 
chivio degli Spartani. 

Ma suppongasi pure per un momento, che Gionata la 
mandasse in compendio ; io dico che ciò nulla per noi ri- 


®, 


i 47 
deva. Lo scrittore della storia dei Maccabei recata la lettera 
che inviò Gionata agli Spartani per rinnovar seco loro la 
fratellanza, nella qual lettera citasi quella d’ Areo ad Onia, 
«e dicesi che vi si aggiugne, riporta essa lettera d’ Areo non 
‘con altro scopo che quello di volerne istruire il suo lettore. 
Adunque, se anche creder si volesse, com’io diceva, che 
per ‘Gionata si mandasse in ristretto agli Spartani la lettera 
.d’Areo, non sarebbe per questo da argomentare, che lo sto- 
‘rico pure l’ avesse recata ‘in siffatto modo. Ma certamente 
«nè Gionata la inviò compendiata agli Spartani ; nè com- 
pendiata la lasciò scritta Jo storico. Lo mostra chiaramente 
il Sacro Testo, ove nell’ un luogo e nell’ altro si adopera 
la parola @vriypa@o», che vale copia: e copia non può dir- 
sì di uno scritto il ristretto di esso. Nel che meco è d’ ac- 
cordo .il sig. Marulli, il quale, perchè Flavio Giuseppe fa 
‘uso della stessa parola, tiene per fermo ch'egli solo ci ab- 
bia conservata così come fu scritta la lettera del re Spartano. 

Ma adoperandosi e da Flavio Giuseppe, e dallo Serit- 
‘tore dei libri dai Maccabei la voce medesima; e d’uopo es- 
sendo ‘tenere che un di loro l’adoperi con menzogna, non 
vorrà questo dirsi del secondo; ma sì piuttosto del primo . 
Nè ‘in ciò calunniasi Flavio Giuseppe ; nè questo dir si 
potrebbe il primo esempio di sua trascuratezza , che più 
volentieri chiamerei mala fede. Sia egli stato appellato il 
Tito Livio dei Greci, gli si sia pur data lode d'uomo stu- 
‘dioso di verità ; anzi abbia egli medesimo asserito di non 
aver tratto che dalle Sacre Lettere, ciò che narra delle anti- 
chità (di sua nazione, e , se talora ha cangiato le forme del 
dire, ‘di non aver però nulla aggiunto del suo e nulla tolto; 
nondimeno , raffrontata la sua storia colla Divina Scrittura, 
si scorge che egli non ha attenuta la promessa. Si quis, 


Josephi antiquitates cum sacris litteris non indiligenter | 


conferat, magna passim et hinc inde vix ferenda libertate , 
vel negligentia usum deprehendet ; nam non modo omittit 
complura, et adiungit vel secus interpretatur deteritque 
narrando . ... sed et aliter non pauca commemorat. ut 


‘5. 


48 

adversa fronte ‘cum Moyse ac prophetis in narratione rés 
‘rum quarundum eoncurrat, Così il Fabricio (2). De ipso 
quique Josepho non est praetereundum, quod ex sacris He- 
braeorum litteris origines suas translaturum se est pollicitus, 
neque subtrahendo quicquam , neque addendo , id eum 
pari fide non praestitisse. Così l’Usserio (3). Sunt alia loca, 
in quibus (Josephus) summam exhibet historiae, sed addi- 
tamentis quibusdam exornatam et amplificatam, alia, ubi 
plane diversam habet narrationem ; alia, in quibus omit- 
tt res in hebraicis traditas, aut integras addit historias, 
aut ita enuntiat , ut de rebus ipsis dubitare videatur. Così 
Francesco Oberthur:(4) che è grande apologista di Giuseppe. 
Jam de eramine Istoriae Josephi a nobis instituto mo- 
nemus, id co factum consilio, ut demonstrarem, Josephum 
in Antiquitatibus Judaicis graece conscribendis non solum 
codicem S. Hebraeum, sed et'‘alios gentis suae scriptores, 
insuperque suum saepe ipsius ingenium arbitriumque , nec 
non eloquentiae et magnificentiae studium sequutum esse, 
et sic factum ut multa praeter, quaedam etiam contra li- 
bros sacros commemoraverit ; qut interpretatus sit. Così 
Pietro Brinch (5), che ha esaminato e la cronologia di Giu- 
seppe, e le sue narrazioni nell’Antichità guidaiche col con- 
fronto della Sacra Scrittura: e. me’ bei comenti del Calmet 
a questo libro divino non raramente sì notano le difformità 
tra esso e: Giuseppe. : 

Dopo tutto ciò egli è da credere che Giuseppe usasse 
dello stesso arbitrio rispetto alla lettera d’ Areo, cangiando 
alcune parole di essa, ed altre aggingnendone. Ma d’uopo,è 
riportar qui ‘essa lettera secondo la lezione della Sacra Serit- 
tura e secondo quella dello storico degli Ebrei; perchè do- 


(2) Biblioth. gr. tom. 5. p. 17. ed. Harles. 

(3) Epistol. ad Ludov. Capellum p. 42. 

(4) L. cit. Biblioth. Fabriciî p. 15. 

(5) In edit. Josephi ab Haverc. Tom. 2. p. 290. secuudae 
numerat. LT i ‘ 


S 19 
vendovi io nel seguito appoggiare parte dei miei ragiona- 
menti, abbia il lettore più agevol modo di far giudizio di 
essi. 

Ovi&pys (6) (dicesi nella prima) Rari Zrapria- 
tiv Ovie ispés puey4Aw yaipesv. EvpéSy év ypaPprrepire 
riv Zrapriaron na) lovdaiwv, 0: Biolv dderPol, naù 
67, Eioiv En yévovs ABpadu. Kal viv 4P dv Eyvwpev 
Taila, naAvs Tomoele yp&PovTes npuiv mepì Ts &ipyvys 
dov. Kek guérs dé eli ypoPopev i uiv, Tà nIjvy ipuù», 
za) Uraptis Upusv quiv eolie, naù Tx yuev dptv est. 
evTerabusda oÙv Srws &tayystdwaw duiv nalà TavTa. 

Areo re degli Sparziati a Onia gran sacerdote in- 
via salute. Si è ritrovato in una scrittura rispetto agli 
Sparziati e ai Giudei, che sono fratelli e che sono della 
schiatta d° Abramo. E ora da che queste cose abbiamo 
conosciuto, farete bene a scrivere a noi intorno alla vo- 
stra pace. E noi ni facciamo questo rescritto: î mostri 
greggi e i vostri averi sono nostri, e le cose nostre sono 
mostre. Ordiniamo adunque, che vi rendano di ciò con- 
sapevolt. 

Ecco ora la lettera secondo il testo di Giuseppe. 

BesiAede Aanedasmoviwv Apesos Ovta yaipesv. Ev- 
tuybvres ypa@®f tivi, eUpopev dis ÉÈ Évds sisv yévous Lov- 
Oesoi na) Aanedasubvioi, xa) En Tie Tpds Afpadu dies. 
TyjTos. dincuov oùv e9Tiv dÎcAPods dude Ivlas diartute- 
o3a: Tpds hude, Tepì ov dv BodAyode. roooper dè xaù 
juéisTò avo, xa) T4TE duélepa Toe vopuduuev, nai Tà 
aùlav nosvà Tpds Upite ttopev. AnpoléAys è DépuvTà 


(6) Ha sospettato a ragione il Fròlich (ad numism. Regum 
veter. Accessio nova pag. 1.) che questo nome siasi per vizio 
di scrittura formato da Ovig Aphs; in vece d’ Apeds. Alv. 7. 
del medesimo cap. 12 scrivesi Tap Aapetov, visibilmente per 


Tap Apesov. Nelia Volgata leggesi Arius, formato da Apst06, 
com’ è in Giuseppe. 


T. VI. Aprile 4 


50 
ypiupala diareures Ts èrioloA ae. TÈ yeypaputva ot 
Telpeyuva, i cPpayis toliv &sTde ÎpdrovTos recanti 
vos. 10" “0000 
Il re degli Spartani Ario a Onia salute. Imbattutici 
in certo scritto, abbiam trovato che i Giudei e gli Sparta- 
ni sono della medesima stirpe, e parenti di Abramo. Con- 


viene adunque, che voi, i quali siete fratelli nostri, ci man- 


diate avviso intorno a quello che da noi potete wolere. 


Faremo ancor noi il medesimo, e le cose vostre le ripute- 
rem nostre proprie, e le nostre le avrem comuni con voi. 

i É | . «>» e. \ 
Demotele che porta la lettera, reca gli ordini relativi a 


x 


ciò che essa contiene. Lo scritto è compreso in un qua- 
drato, il sigillo è un aquila che ha ghermito un serpente, 
Dal .confronto pertanto dei due allegati testi di questa 
lettera è facile accorgersi ( obliata eziandio la riverenza 
dovuta al primo) che ove le stesse cose si contengono, esso 
primo deesi al secondo preferire, siccome più semplice, e più 
contaciente alla brevità epistolare, massime a quella degli 
Spartani (7), e che ciò che aggiunto si vede nel testo di 


Flavio Giuseppe (8) è tale, che se sia ben ponderato, non può 


essere ricevuto per vero. Facile è il comprendere, dice il 
sig. Marulli, che Za forma dello scritto e 1’ emblema) del 
sigillo entro la lettera indicandosi, altro in mira non si 
ebbe da Areo, che o di dare una tessera in questo modo 
a Demotele, affine di vicpiù accreditar sua persona appo 

(7) V. Platarch. in Lycurgo. 

(8) Tà yeypamutva tori rerp&ywva . Scriptura est 
quadrata. Così traduce |’ Hudson ; e il sig. Marulli lo ha se- 
guito. Se veramente quelle parole debbono esser voltate in que- 
sto modo, e non hanno il senso che io ho dato ad esse, ed al- 
tri innanzi a me, non solo non possono esser d’ Areo; ma nem- 
mero di Giuseppe. Quando infatti si dà per contrassegno il 
carattere quadrato, è da credere che si voglia distinguere dal 
corsivo ; il quale molto tempo dopo s’incomincia a vedere, co- 


me sanno ancor quelli, che conoscono solo i primi rudimenti. 


della greca paleografia. 


- 


i 51 
Onia se interrogato intorno al secreto della lettera stessa 
lo avesse ; oppure; ed è ben più probabile, di dare una 
maggior sieurezza al suo foglio. Nè l° una nè l' altra di 
‘ queste opinioni, può, a mio credere , con fiducia accettarsi; 
quantunque sia da confessare, che ammesse per vere le pa- 
role, con_che si chiude la lettera d’Areo; siano le sole, che, 
per ronderne ragione, addurre si possano. Il perchè mostra. 
ta l’ insussistenza di esse opinioni , verrà pure a mostrarsi 
che Arco non potè quelle parole scrivere, e che perciò Flavio 
Giaseppe non recò fedelmente nelle sue Antichità la lettera 
di lui. - 

La indicaziàne del sigillo e x altre. particolarità di 
‘quella lettera non poteano da altro movere che dalla dif- 
fidenza, che di Demotele si avesse. Or questa diffidenza non 
solamente non accredita un ambasciatore alla persona, cui 
un re lo mandi, ma sì eziandio reca disonore a questo me- 
désimo, perchè fa peusare che nei suoi stati non abbia egli al- 
cuno, cui consegnar possa una lettera per altrui senza timore 
ch° ei non ‘rompa il sigillo, e a risaper venga ciò che è in 
essa contenuto. Il perchè non v' ha, per quanto sappia io, e 
_ il sig. Marulli ancora, esempio di simil modo d’ adoperare 
în tutta l’ antichità. 

Ma a ciò non pongasi mente. In ogni tempo, allorchè 
si è altrui voluto scrivere in segreto, si sono usati siffatti 
modi, cile a questo intendimento riuscissero efficacissimi. O 
han preceduto convenzioni sulla maniera di comunicarsi scam- 
bievolmente le cose arcane; 0, quando ciò non poteasi, sì è 
avuto ricorso a finissime astuzie. Sono tra le prime la scitala 
degli Spartani, le cifre e il diverso valore dato alle lettere 
dell’ alfabeto; ed è tra le seconde l’ ingegnoso ritrovamento 
d' Istieo. 7s, dice Aulo Gellio (9) Mistiacus, quum in Per- 
sis apud Darium esset, Aristagorac cuipiam res quasdam 
occultas nunciare furtivo scripto-volebat ..... Servo suo 
diu oculos aegros habenti capillum ex capite omni, tam- 
quam medendi gratia deradit, caputque eius leve in lit- 

(9) N. A. lib. 17 c. 9g. 


52 
terarum formas compungit. His litteris quae voluerat. 
perscripsit: hominem postea, quoad capillus adolesceret, 
domo continuit . Ubi id factum est, ire ad Aristagoram 
iubet, ct quum ad eum, inquit, veneris, mandasse me di- 
cito, ut caput tuum, sicut_ nuper égomet feci, deradat . 
Servus ut imperatum crat, ad Aristagoram venit, man- 
datumque domini affert; atque ille id non esse frustra 
ratus, quod erat mandatum fecit. Ita litterae perlatae 
sunt. Al qual racconto piace avvertire che se per avventura 
potè Istieo non voler consegnare in lettera quel suo segreto 
al servo, unicamente per non avere fidanza in lui, le persone 
di stato però, e rivestite di pubblica autorità usarono arcano 
modo di scrivere, perchè le lettere loro non fossero inter- 
cette (10) e non ‘perchè temessero della fede del nunzio . 

Ma ne temesse pure Areo. Avrebb? cgli saputo con tal 
mezzo porre in sicuro il suo segreto? No certamente. Come 
la descrizione del sigillo, la quale fa parte della lettera, veder 
non si potea da Demotele, che rimosso quello, così non va. 
leva essa punto a trattener lui dal romperlo. Se ciò fatto 
avesse Demotele, non gli rimaneva che presentar aperta la 
lettera ad Onia, e pregarlo a voler nascondere ad Areo la sua 
infedeltà, o portarsi, senza recarla, in straniero paese, e dimo- 
rar ivi lontano dalla sua patria e in odio ad'essa. Qual che di 
queste due cose sì supponga esser potuta intervenire, De- 
motele avrebbe sempre risaputo l’arcano della lettera a lui 
affilata; e nel secondo caso, che pur dovea temersi, si ag- 

| giugneva inconveniente maggiore. E dovrem credere che 
Areo e quei che intorno a lui stavano, sì stolti fossero da 
non saper ciò prevedere ? 


(10) Zacedemonii autem veteres quum dissimulare et oc- 
cultare litteras pubblice ad imperatores suos missas volebant , 
ne, si ab hostibus exeeptae forent, consilia sua noscerentur, epi- 
stolas id genus factas mittebant. Sono parole di Aulo Gellio 
nel libro'e capitolo sopra citati, da lui premesse alla deseri- 
zione che fa della scitala. 


53 
Se nonchè dee veramente credersi arcana la lettera 
d’ Areo? A me non par tale, e sono altresì d’ avviso, che 
a nessuno dei miei lettori potrà parere. Si, rammenti 
‘che non vi si parla di cosa a lui solo attinente; ma che vi st 
fa nota agli Ebrei la fratellanza, che gli Spartani han'ritro- 
vato avere con esso loro, e sì dichiarano comuni gl’ iute- 
ressi e le sostanze dei due popoli. Il perchè tutta Sparta 
esser dovea di ciò consapevole, sì in-vigore della forma del 
suo governo; e sì perchè potevano gli Ebrei aver tosto l uo- 
po di prevalersi del generoso invito del re spartano, e chiede- 
re a lui ciò, che ed egli, e l’altro re, e gli Efori, e il Senato, 
e il Popolo avrebbero dovuto, in vietù della esibizione; con- 
cedere. Ma che la lettera, anche secondo il testo di Fla- 
vio Giuseppe, nou contenesse cosa segreta, è da essa me- 
desi ma fatto appien manifesto; dicendovisi che quel De- 
motele che ne è portatore, reca pure gli ordini (11); che sono 
quelle istruzioni, che a bocca o in aperto scritto si davano, 
oggi pur si danno, all’ ambasciatore, affinchè egli tratti 
particolarmente e dentro certi confini quello che nel di- 
spaccio generalmente si esprime. Adunque, stando anche a Giu- 
seppe, non vuol credersi. che la lettera d’ Areo così sì det- 
tasse, come questo storico 1’ adduce. 

Potrebbe per avventura pensarsi coll’ Havercampo, che 
essa dovesse credersi terminata colle parole diaméute: rs 
&TietoA&6, e che quello, che seguita, non già vi si legges-. 
se, ma sia piuttosto una descrizione dei particolari. che.vi 
si videro da quello che la trascrisse. Certo con questa opi- 
nione salverebbesi il criterio. dello scritto; ma non varreb- 
be essa a porre in sicuro dalle obiezioni la fede di Giuseppe. 
Infatti dacchè in ciò, che la lettera contiene innanzi ai detti 
particolari, egli non è conforme al sacro Testo, in cui si 
afferma d’ inserir ne la copia, può conchiudersi senza timore 
d° esser ripresi da chicchessia, che quegli che capace fu 


(11) Aiaréurey Tàs èristoAÈàs, cioè Evrodde. | 
V. Henr. Steph. Thes. tom. 3 pag. 1005, 


54 
d’ alterare una cosa, potè «un altra. scriverne di sola fan 
tasia. Nè vale il dire, che quei che serisse la storia de’ Ma. 
cabei, fu compendiatore; perchè se ciò fa credere, essersi 
ristrette le::marrazioni; non fa del pari arguire che si siano 
abbreviati i documenti. Anzi si vieta pure di sospettarlo 
quando si assicura di darne la copia . 

Ma dicasi omai d'Ouia e d’ Areo. Vuole Ensebio, che. 
Areo indirizzasse la sua lettera a quell’ Onia, che terzo fu 
di questo nome. Lo stesso, secondo il parere di dotti uomiai, 
avea detto Flavio Giuseppe. Parve però al sig. Maralli, che 
questo istorico la credesse inviata al secondo : e ciò prese 
egli a provare, e tenne egli pure la stessa sentenza. Ma, a no- 
stro avviso, egli cadde in doppio errore. Rispetto al primo, 
io non farò che addurre le parole di Giuseppe, le quali di 
per se bastano a provar ciò. che affermo, senza che siami 
mestieri di ‘riportare in compendio il ragionamento del sig. 
Marulli , e scoprirne lo sbaglio. Dice adunque Giuseppe alla 
fine dell’undecimo libro delle Antichità, che morto Ales- 
sandro si diviser l'impero i successori di lui, e che morto 
pure verso quel tempo il Pontefice Jaddo, il suo figliuolo Onia 
era a lui succeduto nel pontificato. 

TeTsAculinsi de nal' Entsvov Tov naupdv naò è dpyse- 
peds laddzs, nad Tav ‘apysspuobyny Ovias ò mà: aùTiv 
7 2pstAf@er. Questi è Onia primo. 

Rammenta lo Storico ‘al càp. 4. del libro 12. delle me- 
desime Antichità la morte di Giuseppe padre d’Ircano, e dice 
seguitando: morì ancora Onia (e questi è il secondo ) zi0 
di esso Ircano lasciando il sacerdozio al figliuolo Simone. 
Morto poi questo , fu suo successore nella dignità il fi- 
gliuolo Onia (e questi è il terzo): al quale il re degli 
Spartani Ario mandò ambascerla e lettere: 

Arédave xaù 6 Fetos aUloù Ovius, Tav apysepwadvyy 
Eiuwvi 16 masd) nalaremewv. TeAeuljoarTos dè nai Tod- 
Tov. 6 dids &uTiu deddorgas Tic Teuijis adloù Ovias yivelea, 
pds dv dè Aamedasmoviwy agideds Apesos mpespetav Te 
Ereume noù ETioloAdE. 


55 


Dalla Cronologia poi si avran prove certissime, che la 
lettera mandata non fu ad Onia terzo, comé si avvisò Giu- 
seppe e la schiera di quelli che senza esame il seguirono, 
nè al secondo, come crede il sig. Marulli, e alcun altro avea 
estimato innanzi a lui, ma sì al primo, il quale, come so- 
pra vedemmo, fu figlio di Jaddo. Scrisse Pausania (12), che 
regnando Areo figliuolo d’ Acrotato, Antigono figliuol di De- 
metrio volse l’armi contr’ Atene. Ciò accadde in sul finire 
dell’ Olimpiade 127. (13). Esso Areo fu creato re dopo la 
— morte del suo nonnò Cleomene, che cessò di vivere essendo 
Arconte d’ Atene Demetrio Falereo , e consoli di Roma 
Quinto Fabio la seconda volta, e Caio Marcio (14): lo che 
avvenne l’anno quarto dell’ Olimpiade 117.ma Or nell Olim- 
‘ piade 120.ma Simone successe nel pontificato ad ©nia I. suo 
padre (15), dal quale Onia ricevuto fu in Gerosolima. Ales- 
sandro , che morì com’ è noto nel primo anno della Olimpiade 
decimaquarta. Adunque da ciò che fin qui è detto si fa ma- 
nifesto, che avendo Areo mandata lettera ad un Onia sommo 
Sacerdote, non potè mandarla che al primo; e ciò han tenuto 
il sommo critico Giuseppe Scaligero, il Lenglet, il Fré- 
lich (16) e l’ Eckhel (17); ed io seguo questi celebri uomini 
non per la loro autorità, ma perchè veggo star per loro la 
ragione . 


G. B. Zannoni 


(12) Lib. 3. cap. 6. p. 219. 

(13) Salian. in Enchiridio chronol. ad an. m. 3785. 

(14) V. Diodor. Sicul. lib: 20. p. 767. Il medesimo Diodoro 
dice che Areo tenne il regno 44. anni. 

(15) Eusèb. in Chron- 

(16) Ad numis. regum veter. Access. nova, p. 1. seqq. Que- 
sto dotto uomo tratta lungamente e con piena persuasione d’ altrui 
quello che io ho qui discorso con somma brevità. 

(17) Doctrina num. vel. tom. 2, pag. 281. 


56 
LETTERATURA 


Giuria Severa del Sig. Sismonpi Parigi 1822. o- 
mi 3. in 12. 1 


L’autore ha voluto dipingere in questo romanzo 
lo stato delle Gallie all’ epoca dell’ invasione di Clo- 
doveo. Il quadro, ch’ ei ne presenta nel primo volume . 
della sua Storia de’? Francesi, non potea compren- 
derne che i tratti più insigni, quelli che sono , per così 
esprimerci, piu rischiarati dalla pubblica luce. Quasi tutte 
le particolarità , che si riferiscono alla condizione pri- 
vata, alle abitudini domestiche , alle opinioni popo- 
lari doveano esserne escluse , o giacere appena indicate 
nell’ ombra . Esse, per altro, sono preziose all’ occhio 
del filosofo , servono a spiegare molti grandi avveni- 
menti, accrescono materia per lo studio dell’ uomo e 
della società . Il sig. Sismondi, uno de’ benemeriti 
scrittori, i quali si propongono costantemente l’ illu- 
strazione del vero e i progressi della ragione, ha sen- 
tito il bisogno di raccoglierle e di colorirle sovra. una 
tela speciale ; e poichè nessun fatto realmente accaduto 
gliene porgeva occasione , pensò ad un quadro ideale, 
in cuì la libertà del disegno e delle tinte giovò non 
poco alla compitezza e all’ effetto. Così nelle sue mani 
il romanzo è un ottimo supplemento all’ istoria ; e que- 
st’ esempio non sarà forse inutile per gl’ Italiani, il cui 
genio parve finor. ripugnante ai romanzi puramente 
amorosi; ma potrebbe facilmente rivolgersi a quelli di. 
un genere meno vano . Come Sismondi abbia tracciato 
il suo, lo diremo, per sodisfazione di chi ancora non 
Y ebbe sott’ occhi, colle più brevi parole, che l’ esat- 
tezza ci permetterà . 


97 

L’anno di Roma 1245, dell’ era cristiana 492, il 
senatore Felice Florenzio, di ritorno da un viaggio a 
Costantinopoli, era venuto a prender possesso del ca- 
stello di Noviliaco fra la Loira e lo Cher, anzi di tutta 
la provincia d’ Interamne, donata alla sua famiglia 
dall’ ottimo imperador Maggiorano , zio di. sua madre 
Silvia Numanzia . Questa illustre matrona, secondando 
‘insieme le intenzioni del donatore e 1° impulso del 
proprio animo; erasi sforzata di ricondurre la popola- 
zione e l’ industria sovra una terra poc’ anzi devastata 
dai Vandali; e ne avea formato una specie di giardino 
fra vasti deserti, che tutto all’ intorno mostravano i 
segni del barbarico furore. Suo. figlio, educato nelle 
capitali delle Gallie romane, de’re Visigoti e de’ Borgo- 
gnoni; e stato ultimamente alle corti dell’imperatore 
Anastasio in Oriente e del gran Teodorico in Italia, 
avea, sebben giovane di soli venti sei anni, concepito 
disegni ancor più benefici, e si apparecchiava a far 
fronte alle calamità, ond’ era oppresso tutto l'occidente 
d’ Europa . 

Un giorno; portando egli lo sguardo al di là della 
Loira, di cui Noviliaco teneva la sinistra sponda, si 
accorse di un movimento inusitato. Erano gli abitanti 
del paese di Chartres, che fuggivano dai Franchi get- 
tatisi improvvisamente sopra di loro col ferro e. col 
fuoco. Sentivansi i nemici alle spalle; il fiume non 
offeriva mezzi di tragitto; mancava loro virtà per di- 
fendersi; lo sterminio pareva imminente. Felice appena 
fu a tempo di accorrere in loro soccorso , e trasportarli 
su.poche barche in luogo di sicurezza . 

Fra que’ fuggiaschi sì distingueva una giovane don- 
na, di egual coraggio che autorità, la figlia del senatore 


58 
Giulio Severo, conte di Chartres, che dal nome paterno 
anch'essa chiamavasi Giulia Severa. Non avea ancor 
toccato il vigesimo anno; e nondimeno pareva awvezza 
a dominare la sventura. Dal portamento della sua per- 
sona, dal suono soave della sua voce, dalle maniere 
dignitose e leggiadre Felice già si era formata un’ ima- 
gine della sua bellezza. Pure qual meraviglia non provò, 
allor ch’ ella approdata a Noviliaco, e trattasi il velo, 
per abbracciare Silvia Numanzia venutale ‘incontro ; 
scoperse un volto, im cui tulte le grazie si riunivano 
all’ espressione de’ più nobili affetti! Ei non sapea sa-. 
ziarsi di contemplarla: pur'gli fu d’ uopo sospendere un 
sì nuovo piacere, per assegnar ricovero ai miseri fuggi- 
tivi. Di ritorno al castello, ove la madre sua avea’ dato 
alla chiara donzella convenevole alloggiamento, Felice 
sì accérse che i pregi dello spirito uguagliavano se non 
superavano in Giulia quelli della persona . Ella narrò 
come suo padre trovavasi a Soissons presso di Clodoveo, 
il piu ardito insieme e il piu accorto dei re franchi, 
onde, non potendo salvar la patria da un’ invasione, 
sottrarla almeno agli orrori della conquista. Disse che 
il primo pensiero di lui fu d’ aggiugnere Chartres e 
l’altre città romane delle Gallie alla confederazione 
delle Armoriche , le quali da ottant’ anni, colle pro» 
prie milizie , si difendevano contro i barbari; ma che 
la debolezza fu rigettata dalla forza come inutile anzi 
pericolosa compagna. Aggiunse, pregata, quanto ella 
aveva sofferto per la subitanea irruzione, di cui tutti i 
Carnuti erano vittime; e destando la pietà nel cuor di 
Felice compì l’opera cominciata dall’ ammirazione. Il 
giovane , richiamando in seguito le sue parole, meditava 
come. avrebbe potuto secondare i presenti disegni di 


39 
Giulio Severo; e mentre non credeva occuparsi che del 
pubblico interesse, tendeva ad obbligarsi il padre, onde 
averne in premio la mano della figliuola . 

Parve a lui (avendo in ciò Silvia per consigliera ) 
di doversi unire co’ governatori delle vicine città , mas< 
sime d’Orleans e di Tours, perchè Clodoveo si piegasse 
più facilmente a concedere, qual condizione della spon- 
tanea obbedienza , la sicurezza de’ cittadini e delle loro 
proprietà, e quasi in pegno di ciò la restituzione de’ pri- 
gionieri e del bottino di Chartres. Siffatta unione avreb- 

| be pur dato, secondo il suo giudizio, un appoggio a Giu» 
lio Severo, che dopo l' ultimo avvenimento sembrava 
ridotto alla condizione di privato. Quindi Felice temeva 
che il re barbaro, dispregiandolo, fosse portato ad ol- 
traggiarlo ed anche a sacrificarlo ai Franchi, pei quali la 
presenza del senatore nel campo era un continuo rim- 
provero della violata loro fede . 

Partì dunque, all’àlba seguente, per Orleans, ove 
scese al palazzo del conte Numeriano , che era tutto in 
faccenda per la celebrazione del proprio onomastico . 

° Nolle parlargli immediatamente del motivo della sua 
venuta ;.ma il buon conte non pensava che a combatti- 
menti di bestie feroci ,;a commedie, a supplizi, che do- 
veano rallegrar gli occhi del suo caro popolo festeggiante 
e, quel.che è meglio pagante; e si doleva degli scrupoli 
de’ vescovi, che più non permettevano uno spettacolo 
di gladiatori. L'incendio di Chartres, di cui udiva le 

| prime notizie da Felice, parve per vero dire che tur- 
basse alcun poco la sua gioja; ma il valent’uomo si ras- 
sicurò all’ istante, riflettendo che Orleans era città for- 
tissima, contro cui (sebbene i pochi soldati ne fossero 
tutti fuggiti al primo. romere delle sciagure de’ vicini ) 
i Franchi nulla ardirebbero. Lasciò adunque Felice per 


(610) 


andarsene al circo; e il giovane, altro non isperando, 
scrisse a Giulio Severo onde avvisarlo dello stato della 
figlia, e della propria risoluzione di venire a Soissons, 
come prima gli avesse ottenuto da Clodoveo un salvo 
condotto; e ripartì per Noviliaco . 

I suoi pensieri , cammiu facendo , furono tuttì per 
Giulia, a cui gli solari di non poter annunziare nulla 
di aggradevole . Egli già poneva nel rendersele accetto 
la suprema contentezza del suo cuore. Non era, per altro, 
ancora ben risoluto , se dovesse bramarla in isposa ; e 
mentre quasi arrossiva di queste cure d’ amore fra 
tanti pericoli della sua patria, proponevasi di studiare 
attentamente il carattere di quella , che gliele ispirava. 
Così, di pensiero in pensiero , avendo fatto sei leghe, si 
trovò sul tramontar del sole presso il delubro di Pane, 
ove la mattina avea cangiato cavalcature. Le altre sei 
leghe, che rimaneangli, erano per l’ora avanzata molto 
pericolose; egli non avea più seco il suo Diucle, vecchio 
e affezionatissimo soldato ; a cui fidò la lettera per Giu- 
lio Severo; lo schiavo, che dovea condurlo, sì era lascia- 
to prendere dall’ubriachezza. Che farsi adunque, a chi 
rivolgersi? Abitava fra le rovine del tempio una vecchia 
donna (a cui l’autore dà come proprio il generico 
mome di Lamia ) ‘occulta sacerdotossa, come poi si 
scoperse, dell’ antica divinità di quel tempio, tuttor 
frequentato da non pochi adoratori. Felice, introdottosi 
a lei, per chiederle una guida , intese con grande stù- 
pore che fra essi, anzi a capo di loro ; era il padre di 
Giulia, sebbene seguisse apparentemente il nuovo culto ‘ 
dell'impero. Un dubbio gli nacque tosto, se l’ amabile 
figlia non fosse educata all’istessa simulazione; ma 
Lamia o nulla ne sapeva o nulla volea rivelarne. Iu- 
tanto: la notte s’ avvicinava; ‘mon v' era speranza che 


bi 

comparisse alcuno per servire di scorta ; conveniva non 
lasciar estinguere l’ ultimo crepuscolo . Felice alunque 
sì rimise in via, pieno di un nuovo turbamento pel 
timore di trovar Giulia pagana. Esso contribuì colle 
tenebre sopravvenute a fargli smarrire il sentiero, onde 
errò lungamente, finchè giunse ad un fiume, al di tà 
del quale vide un gran fuoco, e uomini distesi all’intorno 
coi loro cani. Chiamò, fè che l’ebbro suo schiavo agita sse 
la fiaccola, cui teneva in mano, ed ecco uno de’piu vigili 
accorrere , ajutarlo a passar l’ acqua a guado , avvisarlo 
piacevolmente che si trovava in proprio terreno fra i 
pastori di Silvia sua madre. Felice ravvisò il figliuolo 
della nutrice di Giulia, il quale aveva riconosciuto lui 
alla voce. Quindi cominciarono le interrrogazioni del- 
l’ uno intorno alla giovane padrona dell’ aliro; e come 
quegli era avido d'intendere, il secondo si mostrava 
lietissimo di favellare . Se non che Felice avrebbe vo- 
luto ritrarne qualche schiarimento nel dubbio che lo con- 
tristava; ma, per industria che usasse, mai non vi riuscì. 
A mezza notte finalmente giunse a Noviliaco , ove 
Silvia lo strinse fra le sue braccia in segno di gioja, e 
Giulia lasciò vedere al suo vivo rossore come avesse 
partecipato alla ansietà della ‘matrona. Felice riferi 
l’ accoglienza di Numeriano, e disse di avere spedito 
Diocle al campo di Clodoveo , ov’ egli medesimo si ap- 
parecchiava di recarsi. Però, mentre Silvia rabbrividiva 
all’ idea che suo figlio andrebbe così a porsi nelle mani 
de’ barbari; Giulia trovava in quest’ atto generoso un 
nuovo motivo di riconoscenza. L'innamorato giovane 
‘ se ne tenne beato; ma il sospetto postogli in cuore da 
Lamia venne d’ improvviso a conturbarlo . Avrebbe 
| potuto chiarirsi all'istante, marrando il suo incontro 
colla sacerdotessa di Pane; e non ebbe il coraggio di 


62 

farlo. Se doveva scoprire che Giulia fosse pagana, abbor- 
riva che fa madre ne fosse testimonio. Termiuò dunque 
il suo racconto coll’arrivo al campo de’pastori, e, prima 
di dare alle membra affaticate il necessario riposo, deter- 
minò di andare al più presto a Tours, per vedere se 
riuscisse meglio presso il vescovo Volusiano di quelto 
che avesse fatto presso il conte d’ Orleans. i 

Ma il vescovo, come s' intese all'indomani dal cap- 
pellano di casa suo aderente, erasi recato ad Angouleme 
onde provedere con altri prelati alla sorte della provin- 
cia d'Aquitania, nè sarebbe tornato alla sua sede che fra 
quattro giorni. Questi passò Felice presso di Giulia ; e 
una piu dolce intimità, facendo meglio conoscere ad am- 
bidue i pregi reciproci, ‘accrebbe a dismisura Ja loro 
inclinazione. Allo spuntare del quinto partì il giovane 
per Tours, pieno delle più care rimembranze, e muri 
rando al piu lusinghiero avvenire. Giunto alla Città, 
ch'era meta del suo viaggio, la trovò tutta in divote 
supplicazioni, ordinate dal metropolita all’ udir }' inva- 
sione del paese di Chartres. Quindi il prelato non lo 
accolse che al ritorno d'una solenne processione, ch'egli 
medesimo guidava. Ascoltatolo con autorevole coli 
te, rispose ch’ ei pure. avea pensato ad entrare in nego-. 
ziazioni con Clodoveo; ma che le sue speranze erano 
piuttosto negli ajuti del cielo che in quelli della politica 
mondana; ch’ egli non credeva impossibile la conver. 
sione del re franco alla fede cattolica, ‘conversione che 
darebbe pace a tutte le Gallie, e al re la signoria di 
quelle , anzi dell’ Occidente ; che a Giulio Severo con- 
veniva non pensare e abbandonarlo al giusto castigo 
della sua empietà . Indi, fattegli alcune interrogazioni 
sopra Giulia, per cui Felice non potè occultare la più 
viva passione , aggiunse che il padre trattava di darla 


63 
p sposa a Clodoveo, così per ambizione , come per man- 
tenere sull’ animo di lui un potere che riuscirebbe fatale 
alla chiesa , il che era pur d’ uopo impedire . Conchiuse 
col mettere il giovane a parte della sua corrispondenza 
‘coi capi delle diverse città di tutto il centro delle Gal- 
lie, spiegandogli la loro politica ch’ egli conosceva me. 
glio d’ ogni altro, e proponendogli d’ andare al campo 
di Clodoveo negoziatore comune . Felice adunque prese 
commiato da lui, dicendo che aspetterebbe a Noviliaco i 
mandati di que’ governatori , e partirebbe per Soissons 
appena avesse il salvocondotto desiderato. 

Le agitazioni penose, che il colloquio con Volusiano 
gli avea posto in cuore, non poteano essere calmate che 
da un colloquio intimo , ingenuo colla figlia di Severo. 
Di ritorno al proprio castello ei si affrettò di ottenerlo . 
Questo colloquio condusse i dae amanti ad una tenera 
dichiarazione; sgombrò i dubbj dell’ uno intorno alla 
religione dell’ altra; parve spianare, (tanto un amore 
partecipato dona confidenza e coraggio ) tutte le diflì- 
coltà . 

Fra poco giunse Diocle col salvocondotto di Clo- 
doveò , e con lettere di Giulio Severo , che ringrazian- 
do elegantemente gli ospiti di Noviliano, chiamava la 
figlia presso di sè. Quasi nel tempo stesso vennero an- 
che i mandati di cui sì fè cenno, quantunque non tutti 
dell’ istesso valore: piu ampi quelli delle città fra la 

Senna e la Loira; meno quelli delle altre al mezzogiorno 

-di questo fiume, che doveano alcuni riguardi ad Ala- 

rico secondo re dei Visigoti , il quale ne aveva accettata 
la protezione . 

Felice allora (nulla sembrando affretine lasua aman- 

te, e non essendo ancora parlato di chi la condurrébbe) 

partì con ricco e numeroso accompagnamento, per aderire 


64 

a chi insinuava essere necessaria questa pompa fra barba» 
ri, sebbene realmente fosse piu propria ad eccitare la loro 
cupidità che il lor rispetto . Passo per Chartres, da cui 
i Franchi già si erano ritirati, non lasciandovi però che 
rovina e desolazione; incontrò a Parigi perla prima volta 
questi barbari, la cui figura e le cui abitudini formavano 
il piu disaggradevole contrapposto a quelle de’cittadini ; 
e dopo tre giorni si trovò finalmente a Soissons, che in 
sei anni di servitù si era alquanto piu accostumata a 
nuovi dominatori. Clodoveo abitava il palazzo del conte 
Siagrio da lui sconfitto: un altro de’principali molto vi- 
cino era assegnato a Giulio Severo. Questi accolse Felice 
colle pulite maniere d’.un vecchio cortigiano, lesse le 
lettere di cui gli era apportatore, parlò di Numeriano, 
di Volusiano, delle cominciate trattative colla piu gran . 
finezza , e con una specie d' ingenuità , che potea sem- 
brare confidenza. Se non che Felice, dopo tanti discorsi 
pieni per lui di non so quale prestigio , si accorse di 
non aver udito nulla che già non sapesse ; e se qualche 
cosa mancava alla sua sorpresa , sì aggiunse una con- 
ferenza col vescovo Remigio, da cui doveva credere Giu- 
lio Severo affatto alieno, e con cui gli parve intrin- 
secissimo . i ì 

Clodoveo giovane dell'istessa sua età, a cui fu pre- 
sentato di lì a qualche giorno in gran cerimonia, mostra - 
va quel misto di franchezza che vien dalla forza, e di scal- 
trezza che è richiesta da una nuova e difficile posizione .. 
Il suo corteggio era come il suo palazzo, un composto 
cioè di eleganza e di barbarie: prelati, patrizi latini e 
-guerrieri franchi, i quali coll’ aspetto e colle parole 
formavano tra loro il piu curioso contrasto . Certa idea , 
di questo corteggio (o noi ci inganniamo ) può averla 
suggerita al sig. Sismondi un altro assai recente nella 


i 1 65 
memoria degli uomini , sicchè quanto egli serive del 
primo si crederebbe in gran parte. una allegoria del 
secotido. Ma poichè le scene del nostro bel mondo si 
vanno pur ripetendo , con poche modificazioni , d'età 
in età; non pensatamente forse, ma inevitabilmente gli 
scrittori che oggi ne dipingono le antiche ci rappresen- 
tano in esse le moderne. Sul fine dell’ udienza il re 
domandò a Severo, se l’ ambasciatore de’ Galli , Cioè 
Felice , avesse condotto Giulia, che si aspettava; e mal- 
grado le rimostranze del vescovo Remigio, a cui pre- 
eva, per gli interessi della chiesa, unirlo ad altra spo- 
sa, comandò che la venuta della figlia del senatore 
fosse di nuovo sollecitata . 

| All’ uscire dalla presenza del re, F. elice, fatto ardito 
dall’imminente pericolo, chiese a Severo quali fossero le 
sue vere intenzioni riguardo a Giulia; e l’avveduto corti- 
giano, più non potendo occultargliele, rispose in maniera 
che l’ ardente giovane le trovasse così ragionevoli da non 
saper teplicare. Clodoveo, che persuadeva ai prelati catto- 
lici d’essere sul punto d’abbracciare la lor religione, onde 
assicurarsi 1 loro soccorsi quando fosse giunto il momento 
di assalire il re de’ Visigoti, voleva ad un tempo sostenere 
le speranze dei pagani delle Gallie, il cui partito gli era 
tuttor necessario ; nè poteva far meglio, a tal uopo, che 
onorarne il rappresentante, cioè Giulio Severo; ed anche 
s'era uvpo imparentarsi con lui. Si aggiunse a dar- nuovo 
| credito al senatore una deputazione delle città dell’ Ar- 
| morica, venuta a proporre alleanza co'Frànchi. Severo, 
| che avea coi capi di quelle città. strettissime relazioni * 
divenne l’anima dei consigli di Clodoveo, a cui tale allean- 
za sembrava aprire d'improvviso nuove vie d'ingrandi- 
mento. Quelli pertanto, a cui una possibile parentela, fra 
il barbaro e il pagano dava gran timore, vedendola ora 

T. VI. Aprile 5 


66 

ancor più probabile, ne furono quasi furenti. Da essi Feli- 
ce ebbe avviso che Giulia , per ordine paterno , sarebbe 
giunta fra pochi dì a Soissons. Il giovane corse a inter- 
rogarne il senatore, il quale si scusò di aver operato 
segretamente, volendo, com'ei diceva, risparmiargli un 
dolore inutile , dacchè la resistenza alla volontà del re 
era impossibile ; e ripartì per No viliaco oppresso il cuore 
da ambascia profonda , ma insieme risoluto di ardire 
qualunque cosa , per sottrarre Giulia alla sorte che la 
minacciava . 

. Già dalle ultime lettere del giovane essa l’ avea quasi 
presentita : la loro tristezza le faceva indovinar troppo 
quello che non vi era scritto. Silvia Nuimanzia , sebben 
mai non avesse parlato alla nobile donzella del desiderio 
che nutriva di vedere a lei unito suo figlio, compiacevasi 
nell’assenza di lui a farle percorrere i contorni di No- 
viliaco , i campi di cui sperava vederla un giorno padro- 
na. Fra questi era il campo detto dei federati, composto 
in origine da cinquanta barbari mezzo inciviliti negli 
eserciti romani, ed ora , poichè molti più non viveano, 
dalle loro famiglie . Ivi Silvia e Giulia riposarono una 
potte nel castello, che ancor si nomava di Rutiliano 
suo antico possessore , trucidato per domestico tradi- 
mento da una banda di Vandali. Correvano strane voci 
sulle sue notturne apparizioni; € la paura de’superstiziosi 
settentrionali, benchè in tutto il resto intrepidissimi , 
era tanta, che non sì trovava fra loro chi volesse far 
guardia alle due ospiti. L’imaginazione di Giulia, mal- 
grado la sua ragione , fu colpita dagli ascoltati racconti; 
e i sogni indi avuti vi corrisposero. Ma ai sogni si me- 
scolò qualche cosa di reale, di cui la fanciulla mai non 
potè sgombrare il terrore, e che ì successivi avvenimenti 


spiegarono pol. 


i 67 
Traversando'le solitudini della Sologue in riva allo 
Cher per tornare a Noviliaco, le:due nobili donne inco- 
trarono de’ mendicanti in carovana, che, dopo aver rice- 
vuti.' loro soccorsi, trattennero allungo lo schiavo che con- 
dudeva'i bagagli, per sapere la‘condizione delle soccorritri- 
ci, lo scopo del loro viaggio, 1 loro disegni pel futuro. Un 
dotto gramatico x il‘qual'era' con esse, le avvertì che difli- 
dassero di que’vagabondi, esploratori prezzolati, com’ ei 
dîceva di certa gente, che dopo aver fatto voto di rinun- 
ciare ‘al mondo si arrogava di tenere il mondo in tutela. 
Di ritornò a Noviliaco trovarono altre lettere di Severo , 
che sollecitava la partenza della figlia; e di Felice che, 
sebbene in prociuto di venire; temeva di non poter dire. 
all'amante un ultimo addio. Come Giulia ne rimanesse 
commossa ciascuno lo comprende. Silvia, mentre sì aspet- 
tava da Chartres una matrona che doveva accompagnare 
la donzella a Soissons, non ricusò di'far seco una visita, 
da molto tempo proposta; alle rovine d'Esoduno,e scrisse 
a'Felice, che ivi la raggiugnesse. Quando i due amanti 
sì rividero più non seppero persuadersi che questa fosse 
la volta estrema. Dopo alcuni vani progetti, ne’ quali 
la passione fu combattuta dalla virtù, deliberarono di 
giradagnare almen tempo; dacchè questo è per sè meie- 
simo rimedio a molti mali. Così fra timori e speranze , 
fra dolci e dolorosi pensieri percorsero insieme gli avanzi 
dei potere e della perseveranza degli antichi Garnuti . 
Alfine, declinando il giorno ed essendo uopo rim- 
barcatsi, presero la via sotterranea della cittadella, 
che sapevano avere un’ uscita in''riva alla Loira. Sil- 
via ‘accompagnata dal gramatico Eudosso (stato mae- 
stro di Felice e qui interprete delle antichità ) andava 
lérita' innanzi; e i due amanti la seguivano ‘a lunga 
distanza: Quando a un tratto la' matrona, volgers: 


68 
dosi per affrettarli , vide con sorpresa mista a spavento 
interrotta la via da un masso impenetrabile, come po- 
trebbe avvenire per subito tremuoto. Grida per farsi 
intendere , sforzi per penetrare da qualche lato la caver- 
na, tutto fu vano: anche dalla parte del fiume essa era 
chiusa. Il dì seguente giugne il conte Giulio Severo: egli e 
Silvia quasi non si parlano che con sguardi di dolore. 
Molta gente, fatta venire in gran fretta, s’ accinge sotto 
i loro occhi ad un tremendissimo assalto con picconi e 
martelli; ma qualche scheggia staccata in molte ore dai 
duri macigni ispira piuttosto lo scoraggimento che la 
speranza. Sopraggiunge alfine uno schiavo il quale avvisa 
che l’uscita dal sotterraneo al fiume trovasi di nuovo 
aperta : e che diverse tracce di piedi , e il solco di una 
barca nella riva indicano quel che può essere avvenuto . 
Diocle (il vecchio soldato di cui già si parlò ) entra con 
alcuni legionari nel nascondiglio infido, già consecrato 
ai misteri sanguinosi dei Druidi; scopre gli ordigni per 
cui si fanno volgere, come sopra un perno, i due gran 
sassi alle estremità; penetra ogni parte più segreta; si 
assicura non trovarvisi alcuno. Sembra ormai fuor di 
dubbio che i due giovani siano stati rapiti; avvenimento 
in quei tempi assai frequente. Ma a chi attribuirlo ? a 
qualche banda di barbari o di bagaudi , che così appel- 
lavavsi i paesani insorti e rifugiati ne boschi? Lamia, 
a cui primieramente il senatore ebbe ricorso, diede qual- 
che indizio del vero; una lettera di Volusiano a Silvia ; 
alcune parole di Martino , ecclesiastico da lungo tempo 
nudrito in casa della matrona, lo rinforzarono. Il colpo, 
pur troppo , era affatto druidico : veniva da uomini, a 
cui gli intrighi della politica aveano fatto dimenticare 
le massime del vangelo. Le. sofferenze dei due captivi 
in carceri separate furono quali potevano aspettarsi dalla 


69 
qualità de’ tempi e de’ persecutori : la loro fermezza e il 
loro coraggio quali convenivano ai loro animi elevati. 
Severo, a cui fu chiaro abbastanza che tutto facevasi per 
impedire le nozze di sua figlia con Clodoveo, ricorse al 
giovine re, ma troppo tardi. Questi non credeva di avere 
più bisogno di lui; si sentiva più disposto ad: opprimerlo, 
che ad assisterlo ; era ormai deciso di accettare dal ve- 
scovo Remigio la mano di Clotilde ‘nipote 'del re dei 
Borgognoni. Il franco Teuderico > antrustione o capo di 
volontarj, offerse al conte le sue forze; ma queste furono 
rese nulle dai prestigi , con‘cui Volusiano seppe amma- 
liarle. Felice, nondimeno, ricupera la sua libertà. Men- 
tre va in cerca di Giulia , la cui sorte ‘è tuttora avvolta 
d’ impenetrabile mistero, cade sulle rive dell’'Indre j 
venendo da Poitiers, in un’imboscata di bagaudìi. Gom- 
batte coraggiosamente; ma alfin soccombe co’ suoi, fra 
quali un povero monaco, stato cieco strumento dell’ ati 
tentato commesso contro di lui, e destinato a spirare 
nelle sue braccia. Il capo di que’bagaudi, preso qualche 
dì innanzi , era prigione ‘a Burges. Sua moglie, che fra 
essi incerto modo lo rappresentava, pensò di salvarlo 
facendo un cambio di Felice con lui. L’ illustre giovane 
manda .l’affezionato Diocle, perchè | proponga la cosa 
in suo nome. Intanto i bagaudi, perpetuamente: inse- 
guiti, continuano a viaggiare per luoghi solitarj e selvag- 
gi. La notte delle idi del dicembre giungono-al castello 
‘deserto di Rutiliano. Ivi è stata condotta ; quella notte 
‘medesima, anche Giulia, che più non poteva tenersi oc- 
culta nel primo luogo della sua captività. I due amanti 
si riconoscono alla: voce , parlano insième sehza vedersi. 
I dì appresso arriva Diocle col capitano bagaudo; e a 
poca distanza Silvia ansiosissima di stringersi al seno il 
figlio, e Severo che più ormai non aspetta consolazione. 


70 
Crederanno essi agli occhi, propri,?, Ecco Felice, ecco 
Giulia,, che appoggiati 4° uno all’altro, niovono. loro. 
incontro dalle porte dell’antico castello . La ,gioja di sì. 
bel giorno (a cui successe tosto quella delle. nozze cele- 
brate il posdomani a Noviliaco) fu coronata. dalla grati- 
tudline. de’. miseri bagaudi ; accolti da Felice ne’ suoi 
dominj, e.vestituti al libero culto della terra ,.e al sen: 
timento!della virtù, Wai nin 

Questo piano; come ognun; vede ; è prese SR), ma 
tale ad un.tempo che dà luogo a scene variatissime, a 
descrizioni di luoghi, a pitture di caratteri edi costumi; 
ad incidenti d’ ogni! specie. L'autore , che sull’ esempio 
di Walter-Scott ha posto ad ogni capitolo un'epigrafe 
toltà dagli scrittori ‘contemporanei agli avvenimenti che 
finge; onde avvertirci che sono. uno specchio della realtà 
avrebbe voluto; com’ ei. sì esprime ,. poter mostrare: al 
tre somiglianze con quell’ammirabile scozzese. Questa 
modestia è degna»tella saviezza e giavità .del,suo inge- 
gno; e tanto più.ci-piace, perchè, dopo,aver descritto la 
corte di Glodoveo ; it campo de’ federati ;.le rovine di 
Esoduno, la chiesa di S. Martino di Tours, non era, punto 
dui necessaria. Del resto:se nel romanzo del sig. Sismondi 
può desiderarsi qualche,grado. maggiore d’imaginazione 
e principalmente di passione;(.dacchè non dissimuliamo 
che Giulia e Felice.sono più ragionevoli che. passionati), 
visi trovava compenso tanta dottrina ;'verità, filosofia, 
da.rimànerne veramente contenti . 1 lettori comincino. 
essi medesimi ed esserne giùdici da qualche saggio che 
riferiremo. rid pine te Gta 

Il padre di F elice si ilandi avea raccomandato 
a Silvia di condurre presto il figliuoloin qualche. gran- 
de citta, onde compiervi. la sua educazione. ,, Perchè 
l’uomo si formi beney;le disse ,,è necessario che. viva 


VE, 
co suoi eguali , e Felice da Orleans a Tours non trove- 
rebbe che subalterni o schiavi artifiziosi. Chi a Novi- 
liaco oserebbe guardarlo in faccia , sostenere un’ opi-- 
nione differente dalla sua, resistergli o fargli provare 
qualche dubbio sovra i pregi di cui si credesse adorno ? 
Qual bisogno per lui dell’ arte di persuadere, ove gli 
basta una parola; perchè ciascuno ubbidisca ? Qual 
bisogno d’ aver ragione ove nessuno si arrischierebbe a 
fargli sentire che ha torto? Non ignoro quali siano i 
vizi e la corruzione delle città ; ma qual confronto;colla 
corruzione, che è nudrita dalla schiavitù! So ch'egli 
troverà nelle capitali e intriganti e parasiti e lusinghieri, 
e donne senza pudore. Ma forse gli mancheranno intri- 
ganti, adulatori, donne intese a sedurlo. quando non 
sia circondato che di schiavi? Cì sarà anzi uno solo fra 
questi , il quale non stia spiando in lui il primo segno 
d’inclinazione non buona per cangiarla in passione , la 
prima debolezza per farne un vizio? Non siamo noi, 
nel seno delle nostre famiglie , assediati da seduttori. e 
corruttori quanto i principi effeminatî dell’ Asia ?. Un ‘ 
giovane. siguore , cresciuto alla virtù in. mezzo a suoi 
schiavi, non sarebbe un fenomeno così strano come il 
figlio di un despota, che serbasse il cuor puro.e l’anima 
compassionevole? Guai a noi, guai a nostri tempi, iù 
cui gli uomini liberi, sono scomparsi dalla superficie 
della terra! in cui al padrone di Noviliaco è d’uopo fare © 
oltre a dieci leghe di eammino prima che incontri; un 

eguale! Ecco le cause:che rovesciano il romano impero, 
e non la discordia fra Glicerio e Nepote, o .l’ arrogante 
ambizione del patrizio Oreste. ,, 
I lettori si ricordano.di quel Numeriano conte 
d’ Orleans, a cui Felice primamente si volse , per ap=- 
«poggiare le trattative di Severo. Daremo il principio 


72 

del suo dialogo col giovane senatore , onde si rileverà la 
finezza di chi seppe concepirlo , e l’ arte da lui adope- 
rata per farci ben conoscere i personaggi posti in iscena;;,. 
Un affare? voi dite , ripigliò Numeriano. Ah! vedete 
bene che in un giorno come questo non può parlarsi di 
affari. Vi dirò poi (e dacchè la vostra nascita vi chia- 
merà un giorno a prender parte al governo, il mio 
esempio potrà esservi utile ) vi dirò ch’ io mi ‘sono fatta 
la regola di non parlar mai di affari, se nou i primi due 
giorni di ciascuna settimana . Credete all’ esperienza di 
un vecchio uomo di stato, d’ un uomo che l’imperatore 
Flavio Glicerio destinò , di sua propria scelta, al go- 
verno d’ Orleans ; e che, oso dirlo, si è in esso cond otto 
per diciannove anni con qualche gloria: mai non ho 
trovati affari , che non si potessero differire. — Parmi 
però che il saccheggio di Chartres . . .. — Che dite voi 
del saccheggio di Chartres ? ec. » 

Accennammo che gli abitanti di Soissons già si 
erano accomodati ai nuovi dominatori, quando Felice 
arrivò nella loro città. Udiamolo dalle parole stesse 
del sig. Sismondi, delle quali l'epoca in cui siamo 
vissuti ci dà sufficiente mezzo di apprezzare la giu- 
stezza e la verità. ,, Soissons già da sei anni obbediva ai 
Franchi; e i suoi abitanti aveano avuto piu tempo che 
quelli di Parigi d’avvezzarsi al proprio destino. D’ al- 
tronde ciò che chiamasi buon governo era ivi, meglio 
che altrove, mantenuto dall’ esercito vittorioso ; i ricor- 
si, in caso d’oppressione, vi erano accolti piu facilmente, 
e seguiti quasi sempre da pronta giustizia. La presenza 
del re, de’ suoi grandi. officiali, di tutti quelli, che si 
erano arricchiti. colle spoglie delle pro vincie, o che 
volevano assicurarsi di buon’ ora il favore, del nuovo 
potente , animava il commercio. I mercanti si teneano 


73 
contenti, le vie si vedeano piene di lettighe; di cavalli, 
di servidori ; e sebbene potessero osservarsi in più pala- 
gi le traccie d’ un saccheggio recente; nuovi abitatori 
erano subentrati a quelli che avea mietuti la guerra , € 
nuovo lusso era succeduto a quello delle famiglie rui- 
nate ed espulse dalle loro dimore . . . . I veri possessori 
erano stati trucidati o messi in fuga , e nessuno curava 
di sapere la loro sorte. Chi, per altro, avea recentissima- 
mente veduto i Franchi saccheggiare il suo palazzo, 
accettava senza ‘scrupolo dai Franchi medesimi altro 
palazzo'ed altri mobili non meno splendidi, di cui que’ 
vincitori disponevano in nome del preteso diritto della 
‘guerra . 3, 

Trasportiamoci per un momento nel consiglio del 
loro capo famoso, e ne vedremo sviluppata la politica 
mirabilmente. « Clodoveo sembrava incoraggire le spe- 
ranze de’ suoi sudditi romani, ascoltava con piacere le 
espressioni rispettose di que’ grandi personaggi, gustava 
le loro adulazioni , e sentiva quanto la loro obbedienza 
servile si accorderebbe meglio col suo orgoglio , che non 
l’ altera indipendenza de’ Franchi. Le profezie del. ve- 
scovo Remigio gli sembravano in certo modo lo sviluppo 
de’ suoi progetti; le parole ch’ei volgea di risposta al 
prelato esprimevano la deferenza e il rispetto ; e, sia che 
cedesse alla convinzione o ‘ai ‘calcoli della ‘politica , era 
‘facile avvedersi ch’ egli inclinava per la religione no- 
vella: Clodoveo parlava latino con facilità : non così i 
Franchi ammessi al suo consiglio. Quindi prendeano 
poca parte alle dispute in esso agitate, sebbene ‘alcuni 
le interrompessero talvolta con parole di sarcasmo, a 
cui gli altri del loro idioma rispondevano con fragorosi 
scoppi di risa. Alfine il franco Teuderico alzò la voce. — 
Non comprendo bene , egli disse, questi sacerdoti dei 


74 


vinti, che vengono, in nome del loro Dio,.ad offerirci 
una vittoria, cui non seppero ottenere per sè stessi; nè 
questi ‘governatori di città. aperte e di provincie senza 
difesa, che pretendono dettarci condizioni ,, mentre la 
loro spada mai non si è tinta.di sangue. Se vogliono un 
console o un patrizio, me facciano.scelta,.fra i loro uo- 
mini di toga; prendano però chi non sia solito fuggire, 
se possono trovarlo. Quanto a moi ci siamo fattgvun re 
non: per la pace ma per la guerra; lo abbiamo eletto 
perchè dividesse fra noi i beni di costoro ; essendo giu- 
sto che il retaggio de’ vili passi ai valorosi. E tu Clodo- - 
‘veo rammenta , che il dover tuo è di condurci in -bat- 
taglia, non di dar sicurezza a chi ci odia. Se preferisci ‘ 
la pace alla guerra , su via ritirati: noi non mancheremo- 
di capi; che la razza dei re capelluti non è estinta. 
Pensa che la franca scure ha spesso fatto rotolar nella 
polvere la testa di colui, che viene a patti col nemico. 
- Questo discorso fu accolto con grida giojose da tuttii 
Franchi presenti all’ assemblea , i quali trassero ad un 
tempo le loro spade , le percossero in aria le une,contro - 
le altte ; batterono comesse i loro scudi, e fecero! per- 
più minuti risuonar la sala d’un gran frastuono.di guer- 
ra. I senatori e gli ecclesiastici si éramo ristretti negli 
angoli, per tema che que’ gagliardi passassero con subi- 
to impeto dalle minaccie alla strage degl’ imbelli che. 
aveano per così dire , sotto la mano. Quandoil tumulto 
cominciò a calmarsi, Glodoyeo prese la parola;)e come 
non voleva essere inteso che da’ suoi Franchi, in lingua 
teutonica si espresse così: :Voi non mi, avete per ;aneo 
veduto , nobili Franchi, ritrarmi dal combattimento 0 
mostrarmi stanco di guerreggiare. Mai i0 non. ho rat- , 
tenute le vostre mani dal bottino ; mai’ non; ho voluto. 
in esso maggior porzione che ciascuno di voi. A. me ba- 


79 
stia di bagnarmi gloriosamente nel sangue de’ nostri ne- 
mici , e d’ apprestare ai corvi Jauto banchetto , mentre 
i nostri padri ci.riguardano,.e godono.al di sopra di noi 
nel delizioso Walhalla. Io altro non vi domando per 
me; e viabbandono tutte le ricchezze di questi schiavi. 
Ma Hermansul istesso non dispregia la prudeuza; ed io 
credo che i nostri nemici s1 debbano combattere l uno 
dopo l’ altro, non .gia tutti insieme. Appena un anno è 
trascorso ;;dacché voi avete domii Tongrii. Siete voi ben, 
sicuri che i loro alleati della Turingia non verranno .a 
fare la loro vendetta? Gli Alemanni ci mirano con _ge- 
losia'; è. Borgognoni.e i Visigoti si sono stabiliti. nelle 
Gallie prima di noi. Profittiamo della ricchezza de’ Ro- 
mani per elevarci sul resto de’ nostri nemici ; più tardi 
i‘Romani medesimi già non potranno sfuggirci. Nobili 
Franchi Jasciate a me le cure della politica; a voi darò 
abbastanza occasioni di combattimenti; e in essi potre- 
te conoscere se. la vista, del sangue, che sgorga, faccia’ 
esultare il mio cuore al pari del vostro. » 

Ghe se bramasi vedere come il sig. Sismondi tratta 

d’ amore , quella passione delicata e potente, che è l’ani-. 
ma de’ romanzi, ma che da tanti romanzieri è così 
snaturata ; .osserviamolo in uno di que’ cari, momenti, 
dn eui essa ancor non osa manifestarsi; brama insieme 
epaventa di essere intesa. Felice, di ritorno: d’ Orleans 
icon intenzione di ripartire al più presto per Soissons, 
dfa intendere abbastanza a Giulia , che ha pur dianzi sal- 
vata, d'essere, pronto ad esporsi nuovamente a qualsiasi 
evento per; suo padre e, per lei. «Mio padre, le dice. 
essa, non è senza credito presso i re barbaro. In questo 
punto egli ha bisogno del vostro ajuto; ma yoi trovere- 
te, spero, che la sua conoscenza degli uomini , che il 
suo zelo specialmente.e la sua gratitudine vi saranno 


76 

utili nella vostra nuova carriera. Mio padre, senza dub- 
bio, ama a quest’ ora chi salvò i giorni di sua figlia. — 
Quest espressione della propria riconoscenza, prosegue. 
l autore, era affatto semplice. Ma in certe disposizioni 
dell’ anima, le parole presentano ‘l'uno dopo l’altro. 
tutti i significati che possono avere ; esse colpiscono co» 
me rivelazioni inattese di ciò ‘che ‘si desidera. Uno 
sguardo di Felice parve cercare nel cuore istesso di Giu» 
lia, sequanto aveva operato per lei bastava perch’ egli ne 
fosse amato. Questo sguardo era sì tenero, sì passionato, 
che il volto di Giulia si coprì di rossore, come s’ella aves- 
se detto assai più di cio che voleva. — L'amicizia di 
Giulio Severo , ei rispose , ove'io sia'così fortunato di 
ottenerla , potrà decidere infatti della felicità di tutta 
la mia vita. — Giulia, cercando a vicenda in queste 
parole più che non sembravano esprimere, arrossì di 
nuovo vivissimamente. » 

Aggiugniamo da ultimo uno di que’ tratti, che 
fanno particolarmente sentire come il sig. Sismondi 
riesca nella pittura de’ tempi , scopo e pregio singolare 
del suo romanzo. Felice nel tornare da Poitiers, si fermò 
al villaggio d’ Iseurre, cercando alloggio ad ‘un paesano, 
l’aspetto della cui abitazione sembrava promettere cer- 
ta ‘agiatezza. Tra molti discorsi l’ ospite suo venne‘a 
narrare d’ una pia vergine poc’ anzi rapita dai bagaudi, 
che prima ne saccheggiarono l’ umile ricetto. « ‘Voi 
avete dunque, disse Felice, dei bagaudi erranti in 
queste campagne? «+ Ne siamo circondati, rispose il 
contadino. Ogni giorno qualche famiglia di antichi e 
industriosi coltivatori abbandéna la sua casa; i suoi 
campi , 1 suoi lavori; si ritira ne boschi e si dà alle ra- 
pine. — Come mai, ripigliò Felice, uomini che hanno 
goduto della protezione delle'leggi, delle dolcezze della 


77 
vita civile, possono tornare volontariamente, allo stato 
selvaggio, rinunciare al loro tetto ,. ai loro averi, al lor 
riposo, per vivere in guerra col genere umano? — Se- 
natore voi certo non conoscete la condizione de’ paesani 
delle Gallie , se ci parlate di leggi che ci proteggono. 
Quali sono le doteezze che ci vengono assicurate , il ri- 
poso di cui possiamo godere, le proprietà cui possiamo 
dir nostre? — Questa casa, dove mi accogliete , vi met- 
te pure al coperto dalle ingiurie del tempo. — Questa 
casa mi espone a più vessazioni, che una capanna di 
paglia 0 di frondi. Com’ essa è la, più appariscente del 
villaggio; i conti, gli officiali del fisco, i prelati, i mi- 
litari vengono ad alloggiarvi di preferenza. Essa è mia 
soltanto quando non abbisogna ad alcun uomo più po- 
tente di me: Quante volte non ne fui io mandato fuori 
colla mia moglie e i miei figli, senza che sapessi ove 
potrei ritrovare un asilo , mentre la terra era tutta co- 
perta di nevi! — Voi avete almeno del bestiame nella 
vostra stalla , delle biade nel vostro granajo, del “vino 
‘nel vostro celliere. — Non aggiugnerete , credo, del 
danaro nel .vostro forziere. Pure è il danaro quello che 
mi vien domandato incessantemente e dal fisco e dal 
conte di Tours. Le raccolte , di cui voi mi parlate , i0 
le ho per venderle non per goderle; e se nessuno ie 
vuole , peggio per me: bisogna che ad ogni modo io le 
cangi Hilun Le mie bestie nemmen esse. possono 
dirsi mie. Ogni giorno io debbo impiegarle a coudurte 
le mie biade ne’ pubblici granaj, a trasportare quanto 
piace al governo, a sodisfare ad ogni specie di servigi 
che mi sono imposti. E se i miei buoi 0.1 miei cavalli 
muojono per la fatica, io o i miei figli siamo copdan- 
nati a ricevere dei colpi di staffile, pa l’ arbitrio 
di un brutale intendente. E’ già lungo tempo che da 


7 di 

società ci fa la guerra: qual meraviglia che noi a wikv 
ceuda siamo ridotti a far guerra alla società? — La» 
vostra persona almeno è in sicuro , mentre i bagaudî: 
ricacciati nelle foreste, inseguiti di luogo in luogo, ven- 
gono trucidati come le belve feroci, nè sono ricondotti. 
nelle città , che per finire sovra un patibolo. — La mia 
persona in sicuro? Chi dunque mi difende’contro i sol-; 
dati, contro i barbari , contro gli assassini? Non havyi 

pel contadino delle Gallie un solo momento di:conten»: 
tezza o di tranquillità. Quindi vedete ciò‘che la ‘nostra 
classe è divenuta , come i nostri' villaggi sonu» deserti. 

Il mio bisavolo diceva a mio padre d’ aver qui vedutor 
cinquecento focolari ; e il padre mio si doleva', come: 
d’ una sciagura de’ tempi, che ne rimanessero! apperia 
cento: oggi non ne contiamo che venti. Ah! chi' avesse’ 
detto al mio buon genitore , che uno de’ suoi figli: sa- 

rebbe divenuto bagaudo, e l’altro fieramente tentato! a 
divenirlo? — Che? voi avete un fratello fra i bagau- 

di? — Sventurato! Egli non era fatto per la loro com- 

pagnia ; ma l’ eccesso de’ mali ha stancata la sua pa- 

zienza. La sua casa era la terza a manca , se uscite di 

qui: ben fabbricata, più comoda , più capace di questa: 

ora è deserta, e i campi all’ intorno abbandonati. Gli 
officiali del fisco presero le sue raccolte, condussero via' 
il suo bestiame, vendettero quanto pussede va di qualche 

valore, senza riguardo alle perdite già' fatte per carichi) 
straordinarj , e alla lunga malattia d’ uno de’ suoi figli; 

che poi morì affatto ignudo. Procero Nutniano (2 fra 
tello del contadino) gli ebbe appena chiusi gli occhi; e; 
colla rabbia nel cuore si gettò ve’ boschi insieme alla» 
moglie e al resto della famiglia. Il fisco, per averlo ro- 
vinato, non si fece più ricco; ed havvi intanto nel vil 
laggio d’ Iseurre un’ onest” uomo di meno. » 


he 79 

Questo dialogo, oltre l’ altre cose riferite , proverà 
a chi legge, che l'autore, a forza di studj profondi 
( quali glieli imponeva il dovere di storico ) si è vera- 
mente reso contemporaneo degli uomini che nel roman- 
zo vuol dipingerci, o, com’ egli si esprime, è vissuto. 
nella loro epoca; vanto non comune ad altri scrittori di 
simili opere. Quindi egli può assicurare ché i costumi 
. e i pensamenti , da lui posti in iscena , son quelli che. 
un antiquario di buona fede e di sicura dottrina. deve 
riconoscere particolari all’ epoca istessa. Altri colloqui 
troverà il lettore ne’ tre volumi, .e. incidenti da noi 
neppure accennati , e caratteri che forse ancora non vi- 
de nell’ aspetto in cui il sig. Sismondi li rappresenta. 
Qualunque sorpresa dovessero cagionargli, non vorrà 
dimenticarsi della savia protesta dell’ autore , ch’ egli 
cioè non ebbe in mira di mostrare sotto sfavorevoli 
colori un ordine della società piuttosto che un altro, 
di preconizzare o di screditare alcunsistema di politica 
o di religione. « Ho voluto, egli dice, dipingere lo stato 
antico della società qual era veramente, o piuttosto quale 
noi oggi possiamo ravvisarlo co suoi vizii e colle sue 
virtù. Non chieggo che si deduca dal mio quadro veruna 
conseguenza ; ma che si osservi senza prevenzione. » 


‘ i M. 


30 
FILOLOGIA 


Lettera seconda di pomeNICO VALERIANI sul vero. 
metodo di leggere ed intendere l’ ebraico. — 
( Vedi tom. V. pag. 197»). 


Eccomi a continuare le mie osservazioni sulle. 
Opere Bibliche del signor Francesco Riccardi fù Car- 
lo di Oneglia, come vi promisi tempo fà nella mia, 
prima lettera. Il medesimo nel discorso preliminare 
alla Z'ersione latina, e parafrasi Italiana dell’ Ec- 
clesiaste, stampata in Genova presso M. Bonado, senza 
data di anno, si esprime così: 

Stimo saperi di più nulla replicare , dopo 
quanto ho già detto e fatto per dimostrare che. il 
Metodo da me proposto per ben leggere, e bene 
intendere l’ antica lingua Ebrea , è il solo vero, e 
proprio della medesima , poichè dopo di aver data 
tutta la pubblicità che ha dipeso da me, a questo 
Metodo, ed alle mie Bibliche Fersioni, un solo fra 
i diversi oppositori, un solo non vi è stato, il quale 
‘abbia asserito, che'in queste io mi sia servito di 
altri significati fuori di quelli ammessi in tutti i 
buoni Vocabolarii, e quando mai ciò avvenisse, iv 
potrei tosto disingannarlo , trattandosi di cosa di 
fatto. 

Voi vedete, pregiatissimo amico , che questo pare 
il discorso di un uomo, che sia ben sicuro del fatto suo; 
e tale crederà forse con tutta buona fede di essere , il 
dottissimo Autore dell'Opera che abbiamo tra mano; 
ma sio non m' inganno la sana Logica non lo assiste 
così bene ne’ suoi raziocinii, come lo assistono nelle sue 
filologiche indagini , l’ erudizione, e l’ intendere. molto 


ra, 8I $ 
addentro nella-lingua Ebraica , ed in varie altre. Im- 
perocchè , qual maraviglia , che fra i diversi oppositori 
al suo metodo, un solo non ve ne sia stato , il quale 
abbia asserito, che egli nelle sue Versioni Bibliche, 
siasi servito di altri significati, fuori di quelli ammessi 
in tutti i buoni Vocabolarii, quando la cosa sia, come 
esso fermamente asserisce , così di fatto ? Qual’ è quel- 
l’uomo sì privo del bene dell’ intelletto, che voglia an- 
dare contro la realtà dei fatt? Ed egli di quali altri 
significati ) voleva , 0 poteva mai servirsi, fuori di quelli 
ammessi e conosciuti, supposto che abbia imparate le 
lingue, non già per dini ispirazione, come gli Apo- 
“stoli, ma bensì per istudio di Grammatiche, e Dizio- 
marii, come tutti gli uomini le imparano ? Chi, gli ha 
insegnato a conoscere il valore delle parole, se uon le 
Grammatiche , ed i Vocabolarii ? E così essendo, qual 
miracolo che traducendole poi da una lingua in un altra, 
abbia dato loro quei significati medesimi che, in que- 
sti, ed in quelle si trovano? Mi pare che non vi sia 
niente di più naturale; ma questo prova giusto appunto 
il contrario di ciò ch'egli pretende provare, col suo 
raziocinio a rovescio; mentre asserisce una cosa colle 
| parole, e ne prova una al contrario col fatto. Poichè, 
il dire che il metodo da lui proposto per ben leggere, 
e ben intendere V’ Ebraico , è il solo vero, e proprio 
di questa lingna, perchè nelle sue Versioni Bibliche sì 
‘è servito dei soli significati, che si trovano ammessi da 
tutti i buoni Vocabolarii , è precisamente un ragionare 
a ritroso , giacchè si viene a conchiudere , che questo 
-metodo è per lo meno inutile. Ed è lo stesso che dire 
.« Il metodo da me proposto per ben leggere, e bene in- 
tendere l’ Ebraico è il solo vero, e proprio di questa 
lingua, perchè traducendo io alcuni .libri della Sacra 
\ T.VI. Aprile © 6 


82 i 

Scrittura, non ho dato ai vocaboli della medesima altri. 
significati, fuori di quelli ammessi in tutti i buoni Vo- 
cabolarii, che furono composti da uomini che leggeva- 

no, ed intendevano l' Ebraico col Metodo dei Masoreti ;: 
che è DETESTABILE, e FALSO. Se questo è un sano di- 
scorso; anche il Metodo di leggere, ed intendere l’Ebraico 
proposto dal signor Francesco Riccardi fu Carlo di 
Oneglia , è giusto , è vero; ma se questo ragionamento 
non corre , e si trova in collisione col buon senso, co- 
me credo , il suddetto metodo, e per lo meno incon- 
cludente, e ridicolo, come già dissi, e PRC nella 
prima di queste lettere. 

Sarà dunque sempre vero , e fuori d’ogni contra- 
sto, che trattandosi di una iibeon, ‘che non parliamo, 
nulla influisce per bene intenderla , se si legga ad un 
modo piuttosto che ad un altro. E per la maniera poi 
di legger l’Ebraica, avranno sempre ragione da vendere 
gli Ebrei , pretendendo di leggerla meglio degli altri, 
perchè essi l’ hanno sempre letta, e pronunziata ogni 
giorno , di padre in figlio , dalla promulgazione della 
Legge sul Sinai, fino a quit giorno in cui vi scrivo. 
Ma ora gli Ebréi leggono, e pronunziano col Metodo 
dei Masoreti; dunque un tal Metodo è quello che ci può © 
insegnare a leggere , e pronunziare l’ Ebraico meno er- 
roneamente d’ ogni altro; 

Quando però asserisco” che per l’ intelligenza di 
‘- una lingua, non importa. nulla in qual modo ella, si 
legga, e sì pronunzii, purchè si conosca il significato 
de’ suoi vocaboli , intendo asserirlo colla debita riserva, 
che ove si trovino due , o più parole di significato di- 
verso, che si leggerebbero , e si pronunzierebbero nella 
stessa guisa, come avviene in tutte quelle lingue orien- 
tali, che sogliono scriversi colle sole consonanti, si 


83 
debba star sempre attaccati alle regole già fissate, colle 
quali si è convenuto di afliggervi i vali; o tali altri punti 
vocali ; secondo i differenti significati, per non generar 
confusione , e controsenso ; come dovrebbe ognora; e 
necessariamente accadere , lesgendo lEbraico alla ma- 
niera del nostro degnissimo signor Riccardi. Per esenî- 
più, lé parole "n dòd, che vuokdire ; zio da parte 
di padre, amico, diletto, amante, 4 dùd, che 
Sigtifica } vaso di bronzo , caldaja, bieiho, canesero 4 
sporta; € ‘IVI david; che equivale ad dmiaibte , ed 
è il ione ‘? proprio del re Salmista, nel sistema 
del Filologo di Oneglia, non si possono pronunziare 
che died: E così, lo zio da parte di padre, Vamico, 
la caldaja , V’ anast il vaso di bronzo, la sporta, il 
canestro ; il bacino, ca il santò re Dave, diventano 
. la stessa cosa, o si vesbditudiino talmente insieme da 
non potersì più distinguere l’ uno dall’ altro: Voi con- 
verrete dunque meco, che questo nuovo ‘Metodo di 
leggere l° Ebraico , invece di produrre quella chiarez- 
za, che vanta il suo Autore, nell’intelligenza della 
Sera Scrittura, vi porta anzi dell’ afibolbata; e della 
palpabile paci. 

Ma voglio a questo proposito trascrivervi una os-. 
servazione da me fatta altrove, e ad altro oggetto, in 
una Dissertazione , che probabilmente pubblicherò un 
gicino ,, sui gravissimi abbagli presi dagli Storici 
Greci, e da altri Scrittori, per aver letto male, 
inteso peggio pa pessimamente tradotto ; molti passi, 
e quasi tutti i nomi propri, che si trovano nei Sa: 
cri Libri ; per mostrarvi che non è stato il primo 
Vv Orientalistà di Oneglia a confondere il re Davide 
con' un Bacino , e con un vaso di bronzo, avendo 
letto”la lingua Ebraica, contro 1 uso ricevuto da quel- 


34 
la nazione, e da tutti i dotti, perchè fecero la stessa 
«cosa in remotissimi tempi gl Interpetri Egiziani, tra- 
sportando nella loro Storia alcuni tratti di quella del 
opolo eletto. Ed ecco come : 

Nella Storia di Egitto, si trovano ; fra le colte 

cose stravaganti Bbdici: re; che regnano nel tempo 
stesso ; Ed Er odoto li colloca subito dopo il re Sethor, 
contemporaneo di Sennacherib re degli Assirii, mentre. 
Diodoro di Sicilia li mette dopo Sabacon, 0. Sabacos, 
che è Salomone. La. disposizione di Diodoro è più giu- 
sta, benchè quella di Erodoto. non sia senza ragione. 
Imperocchè gli Egiziani non avendo nulla da estrarre 
dalla Sacra Scrittara in quell’intervallo di tempo, con- 
fusero lo Scisma delle dodici Tribù dopo la morte di 
Salomone , colla dispersione delle Tribù medesime , 
fatta dai re di Assiria. E si trova pure una laguna 
di più di due secoli nella Storia di Egitto , perchè 
l’Istoria Santa non ha loro fornjia nulla in quel 
tempo. 
Dopo la morte. di Salomone , ed anche mentr' ei 
viveva; Geroboamo che usurpò dieci delle dodici Tribù 
del regno d’ Isdraele , fu alleato del re d’ Egitto , e sì 
rifugiò ancora presso di lui. Sesach poi re d'Egitto, 
venne in Giudea al tempo di Roboamo, figlio e succes- 
sore di Salomone , e lo rese tributario. Ora gli Egiziani 
non hanno mancato di estrarre dai sacri libri questi 
fatti, che li riguardano , ma li hanuo sfigurati al solito 
loro. Vediamo prima di tutto i loro dodici pretesi re, 
che regnano tutti ad un tempo. 

Dodici dei principali signori di Egitto, secon- 
do Erodoto , e Diodoro , sii collegati insieme, 
divisero il regno in dodici parti, e con venoRi di 
governare , con eguale autorità ciascuno. fuostora te- 


85 


mevano un Oracolo, ‘che aveva predetto , che quello 
fra loro , il quale facesse delle libazioni con una coppa, 
o bacino di bronzo , sarebbe il padrone di tutto l’Egit- 
to. Si sà che Salomone essendo divenuto infedele a 
Dio; fu minacciato della divisione del suo regno, che 
era allora composto -di dodici Tribù, che fanno iù 
quel punto di Storia, |’ Egitto diviso in dodici parti, 
e governato da dodici re. 

- Un Profeta avendo incontrato Geroboamo, divise 
sotto i suoi occhi il proprio mantello in dodici parti , e 
gli disse di prenderne dieci ; per dimostrargli che esso 
avrebbe dieci delle dodici Tribù. Questo Profeta di- 
venta il gran Sacerdote degli ‘Egiziani , che distribuiva 
dodici coppe, ai dodici re, per fare delle libazioni 
in comune. i Ù 

Doveva però restare una parte alla casa di Davide; 
E siccome yy. david , letto senza punti vocali di- 
cerdidiser |" questo vocabolo, come abbiamo: os- 
servato , significa anche vaso di bronzo, gl’ Interpetri 
Egiziani ne hanno fatta la coppa di branzo , che era 
temuta dai dodici re » come temeva Geroboamo , che 
le Tribù, ch’ egli aveva separate ritornassero alla casa 
di Davide. E siccome Davide si trova menzionato assai 
spesso in questo luogo della Sacra Scittura , così il 
bronzo ritorna in campo molte volte in quel punto 
della Storia d’ Egitto , e sotto differenti forme. ; | 
; Da questa digressione, che non è del tutto inop- 
portuna , nè estranea ‘al ‘Soggetto di cui si tratta, voi 
ben vedete; mio cortese amico, qual sorta di errori 
siensi altre. volte commessi per leggere l’ Ebraico senza 
puuti vocali, e quale , e quanta confusione siasi per- 
| Ciò prodotta nella Storia. E se i limiti di una breve 


86 

lettera, non me lo vietassero , io potrei mostrarvi di. 
quest’imbrogli a diecine, Quindi vi riuscirà agevol cosa 
il giudicare se il metodo, proposto dai Masoreti sia de- 
testabile veramente, perchè impedisca d'intendere ret- 
tamente i Divini Oracoli , ed in qual .conto si debba 
tener quello nuovamente prodotto alla luce dal chia- 
rissimo siguor Francesco Azccardi fù Carlo di One- 
glia . i 

Io dissi ruovamente prodotto alla luce, perchè la 
strana opinione che fra i ventidue segni ond’è composto 
alfabeto ebraico, si contengano sei vocali, e che pre- 
cisamente |’ N alef, sia un’ a, Piahe une, la 1 0az, va 
u, la * jod, uni, la gutturale Mm AAèd, un’ e lunga, 0 
un’H etha greco, e la nasale }} nigain un 0, non è parto 
della mente del nostro Filologo , mentre fu già in altri 
tempi messa in campo da altri, e la sostenne con molta 
erudizione, il celebre Stefano Morino, dottissimo pasto- 
re, e professore di lingue orientali in Amsterdam, vel 
suo libro de lingua primaeva ejusque , appendicibus i 
Onde egli non vi ha fatto altro che la bella aggiunta di 
leggere ogni consonante, come seguita da un’ e. E me- 
na tanto rumore per sì piccola cosa, specialmente dopo 
le pazzie di Masclef, alle quali non era molto difticile 
il fare la variazione che vi ha fatta? Se questo erudito 
orientalista non ha migliori materiali, per passar da é2- 
ventore,-può essere sicuro. che rimarrà sempre. fta i 
ritrovatori delle cose, già note. 

E giacchè siamo in disputa, seco lui, domandia- 
mogli ancora, come, farà a distinguere col: suo metodo di 
leggere l ebraico , la parola )3x achaf s incureò da 
non echef, mano, se. egli “" non può leggere che 

‘ achef? come farà a non confondere insieme le vo- 


87 

ci tor omen, verità, ton amèn , così sia AN amar, 
‘ arteficeinsigne ‘ TOR amàn, “” educa- 

‘ re, ed to» omèn,nutriente; "se pronunzierà sempre 
amen? © Come farà a conoscere Pg alaf, imparò, 
da 9% illef, insegnò, è-da mr "'elef, mille, se 
leggerà sempre alef? “° come farà a distin- 

guere DIV scium, aglio, da DV! sum, porre, senon pro- 


nunzia che sum? Come farà a distinguere la voce I 
boker, mattina dalla caldaica mp2 bikker, cercò, e 


dalle altre voci ebraiche ez; ‘‘bakàr, cercare, visi- 
tare, DI bakar bue, e "api boker, pastore, bi- 
folco, ‘per non parlare di 7 mille altri esempi, 
“che si potrebbero addurre, se egli leggerà sempre beker? 
Voi forse mi direte che poco rileva per lui il con- 
fondere la mano coll’ incurvarsi, la verità col così 
‘sia, col nutriente, coll’ artefi ce insigne, e coll’ educa- 

; re, V imparò coll’ insegnò, e col mille, il porre coll’ a- 


È SA glio, il bifolco, col cercare, e simili, ed 10 ne converrò 


con voi; ma vi assicuro , pregiatissimo amico , che la 
cosa non sarebbe tanto filtrante per esso, quando le- 
, vandosi dal suo letto, trovasse confusa la mattizza col due. 


| Tolga però il Cielo.che io pretenda con questo scherzo de- 


| trarre il minimo che al merito distinto del sig. Riccardi, 
che io stimo e venero altamente, per le non comuni sùe 
cognizioni in fatto di lingue dotte, e di antichità. 

Uno dei fonti degli errori commessi nell’ interpe- 
trazione di molti passi dei sacri libri, è stata la rassomi- 
glianza che hanno fra loro alcune parole che vi s' incon. 
contrano’ di tratto in tratto. Nel cantico di Debora per 
esempio , che si trova nel libro dei Giudici, al capitolo 
quinto, versetto ottavo, sì leggono queste parole INI! 
D°w3n D'1IN ivhhàr eloim hhadascim , le” 


* Te: 


) “quali sono così tradotte nella Volga- 


88 
tà ; “Vova bella elegit dominus; nuove guerre scelse il 
Signore , che siti versione greca sì leggono tradotte 
nei seguenti termini YpéTsoav Feods xasvovs herethisan 
theus kienus, cioè , hanno scielto nuovi Dei. ‘Questa 
notabilissima differenza d’ interpetrazione , proviene 
senza dubbio dalla rassomiglianza che v'è. in ebraico, 
fra la parola DI lahhàm, combattere, ed. anche' 


combattente b ‘guerra, € combattimento, scriven= 
dola col segot. Dm>y lalhen, eV altra DI178, 
oloim, Dio, ed °". anche Dei, secondo (fai SPIE 


il senso che la determina . 

Nellostesso versetto s'incontra un altro sbaglio: che fa 
ridere più del primo, ed è nelV’interpetrazione delle pa- 
role seguenti, derivato anch’ esso dalla somiglianza di 
due voci scritte senza punti vocali. L' ebraico dice così 

ope DI) tx az lahhèm scengharim, che la Vol. 
È gata traduce, et portas hostium ipse 
subvertit, esso rovesciò le porte dei nemici; Santi Pa- 
guini, tunc bellum fuit i in portis, allora la guerra fu 
alle porte; e la versione greca ws &pTov xpilivov, os 
arton kritinon , cioè come pane d’orzo: Ora 1’ aver 
tradotto la pailola AE on5 lahhem, che così punteggiata 
vuol dire anche. ©” guerra, ora per pane, ora per 
rovesciare, ed ora nel suo vero significato, per guerra, 
è derivato dalla mancanza dei punti vocali, mentre 
Dm Zelhhem,vuol dire veramente pare, cibo,e DM 

lahhàm, ha fra gli altri significare an-- 7 

che quello di rovesciare. E la voce D'I dW scengha- 
rim , è tradotta, una volta per ° porta; ed 
una volta Ni orzo, perchè rassomiglia. moltissimo al- 
l’altra 0'ypw serghorim, plurale di milo sem 
ghorà, Kr ‘che significa orzo. * È Quin- 
di si convalidano sempre più le ragioni per rigettare. 


89 
l insussistente metodo Riccardiano , seppure è lecito 
così chiamarlo, giacchè con esso !a rassomiglianza nelle 
parole ebraiche si accrescerebbe a dismisura, come ab- 
biamo già dimostrato . PI 
Del resto poi, il giudizioso sig. 77 Vrancesco PAIS 
fu Carlo di ‘Oneglia , il quale pretende che gli Ebrei - 
perdessero la loro lingua nella schiavità di Babilonia, 
che durò soli settant'anni; e mentre già esisteva la 
legge scritta nei libri, non ha faito riflessione che essi 
non le perderono tampoco in Egitto , ove dimorarono 
per più di due secoli, e quando non avevano libri scritti. 
In fatti dice il'Rabino Elia citato dali’ eruditissimo 
poliglotto Atanasio Kircher nel terzo libro della sua 
Turris babelica, ed altrove , che tre cose non cangia- 
rono gl’ Israeliti in Egitto, cioè, i loro nomi, le loro 
vestimenta , e la loro lingua. E doveva considerare 
ancora, che era*loro ben più facile il dimenticarla, 
‘quand’ era meno radicata nella nazione , perchè priva 
di libri, in un paese, ove se ne parlava una differentis- 
sima come appunto in Egitto, e per la necessità in cui 
si trovavano d’ intendere , e d’ essere intesi da quelli, 
sotto‘il cui giogo vivevano; che nella Caldea, ove si par- 
lava un dialetto della loro, tanto a quella rassomiglian- 
te, che non abbisognavano che di poca attenzione per 
intendere ed essère intesi dai loro oppressori; ed in un 
tempo in cui possedevano i libri della legge scritta: Ac- 
cadeva agli Ebrei a Babilonia come accade appunto a 
chi vò da Parigi a Marsiglia, o da Firenze a Napoli. 
però si può accordare tutto al più al nostro critico, che 
gli Ebrei dovettero allora introdurre dei vocaboli , £ 
più ancora delle frasi straniere nel loro parlare, come 
avvenne agli Italiani riguardo ai Francesi, negli anni 
in cui si trovarono mescolati con essi. Ma la pronunzia 


90 
quand’ anche gli Ebrei-al Babilonia avessero parlato in-. 
lieramente caldeo, non l'avrebbero punto alterata, e 
molto meno perduta, perchè era, ed è la stessa nelle due 
lingue, tranne alcune piccolissime diversità. E che egli. 
no avessero alterata la purità della propria lingua mer- 
cè l'introduzione di voci , e frasi forestiere, ( intendo 
sempre della lingua parlata ; e non della scritta, ) si 
legge in Neemia stesso cap. 13 versetto 24, ove così si 

| esprime, dopo aver detto nell’ antecedente , che si uni- 
vano a mogli straniere milgs 9270 *80 07939) 


ppi op. fig mmm 2235 paD DIRT 


uvnehèmhhatzi medabbèr asdodith, veènam machirim 
ledabber judith, uchilscion nghàm vanghàm; cioè: et 
filii eorum ex media parte loquebantur Asotice, et ne- 
sciebant loqui Tudaice, et loquebantur juxta linguam 
populi; et populi , secondo la volgata. Il qual versetto 
avrebbe potuto servire in qualche maniera per il nostro 
valente avversario , se avesse saputo scelierlo, invece 
dell’ottavo del capo ottavo , da lui citato, e da noi ri- 
portato altrove. 
Mala chiachierata è lunga abbastanza, e però fini. . 
sco, riserbandomi a parlarexnella terza lettera di molte 
| altre cose, che qui tralascio per non tediar soverchia- 
mente voi, e chi vorrà leggere queste gravi quisquiglie 
orientali, State sano , Bit 
Domenico VALERIANI. 


gl 
SCIENZE FISICHE e MECCANICHE 


AERONAUTILÌA CIOÈ NAVIGAZIONE PER ARIA (*) 


Sino dal 1814 io era persuaso essere affatto chime- 
rica ‘la difficoltà di dare la direzione alle Macchine Ae- 
restatiche. Principiai ad occuparmi della risoluzione 
di questo problema, la quale nel principio fu da me 
riguardata come di lieve momento; ma più m'’ in- 
ternava nel subietto , e più di stiate difficoltoso . 
Allora fui piènamente convinto essere ben differenti 
gli enunciati dei problemi dalle lor soluzioni . Le difti- 
coltà crescevano senza interruzione; ma la mia assiduità, 
invece di diminuire , cresceva in ragione delle difficol- 
tà medesime che appresentavansi. 
«Per giungere al mio intento credetti di dover pr en- 
dere i modelli dalla Natura; ma m’ingannai. Abituato 
a vedere gli uccelli, ed i pesci, non sapeva fare lunga 
astrazione da questi due generi disemoventi. Sottoposti 
ad un’ analisi fisico-matematica non mi offerirono che 
facoltà praticabili in piccolo. Allora diressi le mie mire 
alle macchine artificiali. Le navi, e le macchine Aero- 
statiche mi offerirono, tali lineni ineseguibili in picco- 
lo come in grande. Così dandomi gli uni poco, le altre 
nulla, mi fecero faticar mesi nei calcoli senza alcùn 
frfato. Persuaso alla fine che non sempre la Natura ; 
o le Arti sono sufficienti a somministrare modelli idonei 
per la, composizione di corpi meccanico-chimici, mi 
spedii da questa imitazione tropp’ ovvia, ma non senza 
qualche scrupolo rimasomi in mente. | 


(*) Questo Articolo è stato trasmesso con una Lettera del- 
1’ Autor sottoscritto all’ egregio sig. Pietro Ferroni Matematico 


Regio . 


92 
Cercava un corpo, il quale so vgetto aghi impulsi 
di quel fluido medesimo, che gli doge essere di soste- 
gno, perchè Vera immerso, reagisse per mezzo di po- 
tenze sue proprie contro di quegli impulsi com opporre 
la resistenza del fluido alla di lui azione viva. 
Non mi restava per trovar ciò che la sintesi. Le 
| potenze erano in mia facoltà ,, ma doveva acconciamen- 


te applicarle. Procedetti dunque sinteticamente per rin-' 
tracciare la costruzione di novi inodelli . Presi subito 


di mira i Polimorfi , ed i Monomorfi. Uno di questi 
ultimi mi parve idoneo in riguardo alle potenze , delle 


quali voleva disporre. Allora credettì di essere nella. 


strada, che conduceva dirittamente alla soluzion ‘del 
problema. Proseguii non ostante nelle intraprese ricer- 
che: ma dopo tto fastidiosissimi calcoli resultò un defi. 
cit dal lato delle potenze. Dunque il Monomorfo ( poichè 
quelle potenze erano in quanto a me invariabili ) fu 


sottoposto ad alcune modificazioni e sezioni. Ebbi final-' 


mente per conseguenza un Polimorfo adattato alle mie 
potenze; il deficit allora disparve; ed altro non volli. 
i Così passati sette anni in circa di noja giunsi ad 


abbattere sino dai cardini suoi -la fin qui pagiitii di 


‘ ficoltà , che tanto ostinatamente occultava il sin 


della Lol del problema. 


Raccolsi dunque gli ultimi resultamenti ottenuti ,. 


e pensai di farne proposta j ma non sapeva a chi indi- 


rizzarla. Le nostre Accademie non eran solite d’ occu- 


= 


parsi di tali oggetti : altronde pressò gli estranei non. 
erami noto che se ne facesse. domanda: Non ignorava 


però che circa a cento Memorie, risguardauti alla solu 
zione di questo problema , "APRIRE già esibite all’ Acca- 


- 


demia di Lione, e che quiuna. lo, aveva sciolto. Aveva. 


parimente notizia che da alcuni tenevasi una tal solu- © 


AMEN. 
zione tra le cose impossibili. Francklin aveva detto che 
questo Pallon volante s’ assomigliava a un fanciullo, il 
quale poteva morire in fasce. , o addivenire un gigaule. 
Questo gigante era uri non so che da dar ombra ; laon- 
de opinai meco stesso che si ‘sarebbe tentato di furlo 
morire in culla. L’esito infatti sinora confermava i 
miei dubbj. 

Confinato in un angolo del Globo terraqueo, e sde- 

. gnato, per dir così, contra le circostanze de’ tempi, mi 
volsi ad occupazioni meno penose , e lasciai alla discre: 
zione de’ tarli il frutto di cotanti sudori. 

Correva già più d’ un anno che i miei calcoli 
eransi ricoperti di polvere, e ch’ io quasi più non vol- 
geva il pensiere a sì fatto argomento. Una sera, nou 
mai per propria curiosità , ma iu linea di semplice pas- 
satempo, diedi un’ occhiata alla Gazzetta di Firenze 
num. 96, segnatamente al 2.° Articolo delle ariesd, 
ove lessi: « L'Accademia (o Società) Reale di Londra 

< ha proposto un premio di 20,000 lire sterline pes la 
Ta li della direzione orizzontale nel corso delle 
« Macchine aerostatiche ec. ». Quelle poche purole 
«ra in me il medesimo effetto di una searica 
elettrica. Mi risorse il coraggio, e s'aggiunse una fondata 
- speranza di modo tale che mi determinai sull’ istante 
di produrre ancor io con altri concorrenti il resultamen- 
to ottenuto delle mie occupazioni. La scoperta era già da 
me fatta , cosicchè ‘altro non mi restava che ordinare i 
miei scritti, e perfezionare alcune delle macchine co- 
struite. Immediatamenteeseguito ciò n indirizzai al Ma- 
tematico Regio sig. Pietro Ferroni, cui aveva già pale- 
sato nei carnovali del 1817, e 1819 l'oggetto delle mie 
nuove ricerche; e dietro al di lui savio consiglio inviai 
| una /Vota/a S. E. il Ministro d' Inghilterra presso l’I. e 


" 


ns 


94 | 
R. Corte Toscana. Quella Mota, oltre all’espressavi 
proposta , conteneva una succitita idea 0 enumerazione 
concisa delle principali proprietà del mio Aereo-navi- 
glio, o se voglia dirsi meglio Aerodromo. Sebbene ivi 
fossero tutte in compendio enunciate le proprietà della 
Macchina, nolladimeno non furon esse descritte nella 
loro pienezza ; e colpa ne fu specialmente l’eccessivà 
ristrettezza di tempo. Questo è appunto utio dei più. 
forti motivi, che m’induce adesso a renderle pubbliche 
in'miglior forma d'allora, giudicando così di supplire à 
ciò che avessi passato sotto silenzio, e chie non avessì 
esposto nel modo più acconcio all’ altrui intendimento. 


PROPRIETA' SOSTANZIALI DELL’ AERODROMO (1) 


I. Starà in terra (2): piano orizzontale, od inclinato 
fino a 20.°: superficie mista, e mediocremente comoda. Que- 
sta proprietà avrà luogo sì in tempo di calma, che soffiando 
venti di 1.°, 2.°, e 3.° grado (3) sotto qualunque direzio- 
ne (4). i 

II. Salterà în aria (5): calma, e vento di 1.°, 2.°, e 3.° 
spirante in qualunque direzione. 

II. Accelererà, ritarderà , arrestera la salita , a piacere 
degli Aeronauti, in calma, e vento di 1.°, 2.°, e 3.° gradò 
sotto qualunque direzione. | 

IV. Si volgerà a destra, e a sinistra lentamente, o ce- 
leremente , in calma, e vento di 1.°, 2.°, e 3.° spirante con 
qualunque direzione. a 5 

V. Correrà orizzontalmeute, ed indipendentemente dai 
venti (6). Tal proprietà avrà luogo in tutti i casi, purchè 
non soffi un vento anteriore, o semi-anteriore di 3.° grado (7). 

VI. Accelererà, ritarderà , arresterà il corso orizzontale 


. . . . . . v v 
.a piacimento degli. Aeronauti, in calma, e vento di 1., e 2. 


con qualunque direzione, 
VII. Conserverà la direzione del corso. Ciò avrà sempre 


da” 


IS 


la 


o | 9° 
luogo purchè non soffi un vento anteriore, 0 semi-anteriore 
di 3.° grado. 

VIII. Descriverà curve coll’asse loro verticale ossia per- 
pendicolare all’ orizzonte, ed anco inclinato sino a 45.° ri- 
spetto alla verticale. Calma, e vento di 1.° e..° sotto qua- 
lunque direzione. 

IX. Descriverà curve cen asse orizzontale, id haeord ine 
clinato sino a 45. al piano dell’ orizzonte. Calma, e vento 
di 1.°, e 2. grado spirante in qualunque direzione. 

X. Starà immobile in aria a qualunque altezza , cui 
possa giungere la forza elevatrice dell’ Aerodromo. Questa 
proprietà non avrà il suo pieno effetto se non chè nella cal- 
ma. Coi venti di 1.°, e 2.° grado avrassi sempre un moto 
progressivo , 0 retrogressivo ; e non mai una stazione ferma 
assoluta. Col vento di 3.° grado in qualunque direzione si 
avrà un movimento orizzontale sfofzato; e non mai stazione, 
nemmen relativa. 

XI. Scenderà a terra in linea retta verticale, obliqua, 
od altresì in linea curva. Proprietà sì fatta avrà luogo in 
quanto alle linee toria tanto in tempo di calma , quanto di 


‘ venti di 1.°, e 2. ° grado: tispetto alla scesa sì in calma, che 


con venti di 1.°, 2.°, e 3.° grado sotto qualunque direzione. 

XII. Accelererà, ritarderà , arresterà la loi a piacere 
| degli Aeronauti in calma, e vento di 1.9, 2.°, e 3,0 grado e 
qualunque direzione. 

XIII. Scenderà sulla superficie dell’ acque, cioè su fiu- 
mi, laghi, e mari. Ivi starà ferma, senza pericolo alcuno, 
a volontà degli Aeronauti (8). Non avrà però luogo tal pro- 
prietà se le acque saranno molto agitate, e se soffi un vento 
di 3.° grado in qualunque direzione. : 

XIV. Dopo di questa 3.° specie di stazione potrà. risa- 
lire in aria quando piacerà agli Aeronauti, Avvertasi che tale 
ascensione però si farà quasi sempre con movimento molto 
veloce. Calma, e venti di 1.°, 2.°, e 3.° grado spiranti in 
direzione qualunque. 


gb 

XV. Gli Aeronauti avranno nell’ bona gli oggetti. 
più necessarj alla vita, ed un locale che avrà dei comodi 
minori di quelli di una Nave,: maggiori di quelli di una Car- 
rozza (9). Ù 
XVI. Saranno essi-guarentiti del caldo (10), frego ; 
vento (11), umido, pioggia, fulmini, ec. 

XVII. Verranno avvertiti di tutte le variazioni, che il 
principio, l'aumento, la cessazione, ed il cangiamento del 
vento farà subire all’ Aerodromo ; e tale avvertimento averà 
luogo sì di notte, come di giorno (12). 

XVII. Saranno anche i Conduttori avvertiti se-le cause 
o potenze elevatrice e motrice agitano o per eccesso : 0 per 
difetto; e questa avvertenza avrà luogo tanto di notte, quanto, 
di giorno, mentre ancora tutti dormissero. 

XIX. In tempo di viaggio si conoscerà mediante una mac- 
china particolare non solamente lo spazio, che abbia percorso 
l’Aerodromo, ma la di lui velocità parimenti ( ved. Vota 9). 

XX. Oltracciò si conoscerà la direzione del corso del- 
1’ Aerodromo sì di notte, come di giorno, e soffiando qua- 
lunque vento con Lode direzione (ivi). 

XXI, Si conoscerà la direzione, e la forza del vento (ivi). 

XXII. A colpo d'occhio conoscerassi la grandezza della 
forza elevatrice o equilibrante , e il decadimento od aumen- 
to di detta forza (ivi). | 

XXIII. Per mezzo di nn meccanismo speciale s’ avrà no- 
tizia del peso intero dell’ Aerodromo, purchè riposi su qual- 
che superficie valevole a sostenerlo (ivi). 

XXIV. L’Aerodromo avrà de’ compensi ‘in caso di rot- 
ture, che fossero tali da farlo calare (non piombare o preci- 
pitare ) a basso. Sì fatti compensi avranno il loro effetto se 
calerà in fiumi, laghi, mari (vedasi la Nota 8.); ma poco o 
niuno effetto avranno se fosse costretto a scendere in balze ,. 
foreste foltissime ,' scogliere, ec 

XXV. La sua forza elevatrice costante sarà nel suo to- 
tale kiliogrammi 4800 all’ incirca (13). 


97 

XXVI. Cinque o sei Aeronauti colle loro provvisioni, 
utensili, ec. ec. potranno continuamente viaggiarvi per più di 
un mese senza mai scendere in terra (.4). 

XXVII. La velocità orizzontale dell’ _Aerodromo varierà 
secgndo i venti posteriori, semi-posteriori, laterali, semi-an- 
teriori, e anteriori. Sarà zero, e sotto lo zero cioè negativa 
col vento semi-anteriore, ed anteriore di 3.0 grado. Sarà in 
ragione inversa d'una funzione della velocità de venti ante- 
riori; e semi anteriori di 1.0, e 2.° grado. Sarà in ragione 
d'una funzione della velocità de’ venti posteriori, e semi- 
posteriori di 1.°, 2.°, e 3.° grado non facendo uso de’ motori 
proprj; e coll’uso di questi sarà quasi doppia della velocità 
de’ venti suddetti. In calma poi non sarà minore di quella 
degli uccelli (15). 

XXVIII. La spesa per costruirlo ammonterà ( tutto 
compreso ) intorno a frauchi 100000. 

.. Queste sono le principali proprietà dell’ Aerodromo. 
Credo che non basti la sola teoria per disvilupparle e deci- 
frarle tutte nel lor vero aspetto. La sola pratica può deter- 
minare con esattezza fin dove si estenda una data proprietà 
o particolarità della Macchina. Ciò è indispensabile in una 
Macchina complicatissima, messa in azione, e sottoposta ad 
agenti, le forze dei quali sono indeterminabili, non per la 
loro grandezza, ma per le innumerevoli posizioni diverse, di 
cui sono capaci i corpi non semplici messi in attività da cause 
sommamente variabili. 

Non mi tratterrò nell’enumerare i veri vantaggi, e danni, 
che può risentirne la società civile da sì fatta navigazione per 
l'atmosfera. À questa enumerazione, oltre all'essere assai pro- 
lissa, richiederebbesi che fosse premessa la giusta, e precisa 
definizione dell’ utile , e del dannoso ; dal quale esame m' av- 
viso di poter qui dispensarmi. 

Riporterò succintamente in altro luogo quei casi, nei qua- 
li difatto potrebbe esser dannoso o utile un Aerodromo. Non 
havvi cosa creata nel Mondo, riguardandola in generale, nè 


assolutamente buona, nè assolutamente catta di sua uatura; 
1. VI. Aprile r 


93 

imperocchè queste due qualità contrarie non son nelle cose , 
ma nell’applicazione a cui da noi vengono destinate. 

Siccome . però da molti si vuole che nascano dall’ 4e- 
vodromo certi vantaggi, pe i quali non è egli fatto, non posso 
fare a meno di non rilevare l’insussistenza di tale opinione. 

Credon costoro che l’ Astronomia, per esempio, me- 
diante l’uso degli Aerodromi farebbe grandi progressi. Ma 
nulla a mio parere si avanzerebbe ; conciossiachè l’ errore con- 
siste nel credere che si vedrebbero, per mezzo di essi, ap- 
parentemente ingranditi i corpi celesti. Per lo contrario cosa 
mai sono 8, oppur 10 chiliometri d’elevazione? Credono forse 
che questa sia bastevole ad ingrandire o amplificare ai no- 
stri occhi il diametro delle stelle? Ma la distanza grandis- 
sima, che ci divide da quelle, ell’ è tale che malgrado de’ te- 
lescopj migliori non ci offrono mai un aumento sensibile di 
superficie. Sirio, Antares, Aldebaran, ec., per esempio , che, 
dopo del Sole sembrano le stelle fisse a noi più vicine, non 
hanno 1/ di parallasse. Sela parallasse annua di queste fosse di 
1’, la loro distanza sarebbe 4727000000 volte maggiore del se- 
midiametro della Terra; ma la parallasse delle stelle, anche più 
vicine alla terra, non arriva nemmeno a un minuto secondo; 
dunque la loro distanza deve esser maggiore . Imperocchè 
più piccolo che sia l'angolo parallattico, più lontani sono 
gli astri, siccome è a tutti noto . Qual differenza dunque 
tra 8 chiliometri, e centinaja , e migliaja di bilioni di 
miriametri ? 

É vero che un osservatore elevatosi d’un miriametro 
di altezza sopra la Terra dee vedere i corpi celesti più da 
vicino che veduti dalla superficie terrestre. È anche indubi- 
tato che un osservatore alle falde del Chimboraco , o del 
Pico di Teneriffa , il quale voglia vedere più da vicino un 
ggetto, che sia sulla sommità di queste montagne, conse- 
guirébbe il suo intento anche montando sopra un semplice 
foglio di carta disteso in terra. Attendasi al paragone. Or 


qual vantaggio da questa sua elevazione maggiore rica- 
verebbe ? 


i 99 
Gli Aerodromi tuttavolta saranno utili all’ Astronomia 
casochè l’ orizzonte sia circoscritto da nubi, vapori, e mouti 
che impediscan la vista: allora potrassi vedere-il levare o il 
tramontare di un astro , il passaggio di un satellite, la fase 
d’un’ ecclissi, ec. ec. In queste e simili circostanze l’ _4ero- 
dromo sormontando gli ostacoli porterà l’osservatore a ve- 
dere gli astri nascosi, e vederli in cielo sgombrato ed aperto. ' 
| Concludasi dunque una volta per sempre che i veri 
vantaggi, i quali possano somministrarsi da un Aerodromo' 
alla Scienza astronomica , non consisterebbero nel vedere 
più da vicino, ma nel comodo di sormontar quegli osta- 
coli, che son di frequente o sulla superficie terrestre , o 
poco al di sopra. 
Siccome in Europa, e fuori di questa parecchi vi sono, 
che non credon possibile questa Navigazione aerea, m’ im- 
magino di udire spesso risuonarmi all’ orecchio quel che già 
scrisse in dispregio il Lirico Venosino- 


»» Quid dignum tanto feret hic promissor hiatu? 
s» Parturient montes, nascetur ridiculus mus. 


È però certo che produrrebbe maggior maraviglia se un 
topo partorisse qui una montagna!!! 


“Nora (1) 


Escludo la denominazione di Macchine Aerostatiche , perchè 
né l'equilibrio, nè la stazione, ec. sono le proprietà caratteristi- 
che dell’ Aerodromo com’ io ’l chiamerei. Questa nuova deno- 
nunazione è appoggiata alle osservazioni seguenti . 

Volare, nuotare, camminare son verbi nati dall’ uso delle 
potenze meccaniche , che hanno l’ uccello, il pesce , il bipede , 
quadrupede, ec. per trasferirsi da un luogo all’ altro . 

Difatto il volo è la traslazione spontanea del volatile ese- 
guita in una parallela intermedia agli assi delle curve, che 
si descrivono a norma delle di lui potenze meccaniche. 

Il nuoto è la traslazione spontanea del nuotatore apodo, che 
si fa per la diagonale delle di lui potenze meccaniche. 


100 


Il cammino è parimente la traslazione spontanea del bipedes 
© quadrupede diretta nella parallela int@rinodia alle tangenti delle 
curve, descritte in virtù delle respettive di loro potenze nce- 
caniche. i 

Ma traslazione è moto ; ed il moto è sempr’ nno. Prende 
dunque denominazioni differenti secondo che diftvriscon tra Lire 
i mezzi più idonei, che hanno i semoveouti e gli automi per 
conseguirlo, Idoneo, perchè l'uomo, il cavalio, ce. pussono au- 
che nuotare: questa però non è che una ficviti di supplenciio, 
perchè la loro conforinazione è adattata alli corsi, a! cammino, ce, 
piuttostochè al nuoto. Molti fra i nuotatori apodi saltano, et 
a!cuni volano; ma queste non sono che facoltà secondarie;  es- 
si fatti son per nuotare. Pare che i soli uccelli abbiano delie 
f:coltà primarie destinate a più usi. Infatti tutti cnmminisio, 
e quasi tutti volano in conseguenza della loro sirultura mece:- 
nica, che li'rende atti a queste due difteventi specie di tragla- 
zione. Altri poi camminano, volano, e nimiano , cone ie oche, 
i germani, ec.; ma questa lerza speeie di natural traslazione nasce 
dal partecipar essi delle facoltà dei podocopi; e difiiti le toro 
zampe hanno le particolarità di quelle de bipedi «ed iasien: del 
remo, Altri finalmente, come lo struzzo, il casoar, ec, camminano, 
e corrono solamente; e le ali dello struzzo non sono chi spoti 
per la corsa. Senza entrare nei particolari de? mozzi. che hinio 
le differenti specie di semoventi per trasferirsi, 0 muoversi iacal- 
mente, si può asserire essere impossibile rinvenir ficvità tali ino» 
trici, che appartengano esclusivamente ad una sola sorte di muvi 
mento . ° 

Il moto del volatile assomigliasi a quello del rettile ; quello 
della lumaca è consimile a quello del fluido el:ttrico ee.; è ciò 
non a riguardo del tempo in cui viene eseguito ec., ma della sua 
essenza speciale. Esso non può differire che nel più, 0 nel ime- 
no. Dunque le diverse denominazioni, che assu:ne, cincernono 
a’ soli inezzi diversi, che hanno gli esseri per eonsegnirio. 

Ma il mio Aerodromo corre ( direhbesi }-per l'asintoto delte 
curve , se queste dalle potenze venissero disviluppate. Puli dan 
que nè vola, nè cammina, né nuota: e si è già detto di sopra 
come si effettuano queste specie di moti. Dunque Un nuoro vo- 
cabolo dovrebbe esprimere il resultamento dell’ azioni: delie. di 
lui potenze. Ma se i vocaboli duvessero rigorosamente variare 
‘ome appunto varian le cose, si eomporrebbe ua Dizivnario quasi 


10I 


infinito, e uso delle Lingue verrebbe ad essere impraticabile . 
Queste non hanno che quei vocaboli suggeriti dalle circostanze, 
\e molto più dall’ urgente bisogno: sicché tutte sono mancanti 
di voci, a causa che non da queste nascon le cose ed i loro ac- 
cidenti, ma viceversa da questi e da quelle prendono origin le 
voci, Ma io non poteva creare nuovi vocaboli per esprimere nuove 
cose, nè altronde ho necessità de’ medesimi. Le metafore sono 
i supplementi delle voci proprie, e tutti i Linguaggi debbono di ne- 
cessità possederle. Osservo, per esempio, che il correre mi dà l’idea 
composta di velocità e direzione. Velocità, perché correre equivale 
al maximum del camminare; direzione, perchè il corso diretta- 
mente deriva dall’uso delle facoltà proprie de’ semoventi. Que- 
sta metafora si adopera con buon successo all’ effetto d’ espri- 
‘mere il cammino di quei tali corpi, che hanno velocità, e dire- 
zione in lor preordinata. Quindi il corso di una nave, de’ pianeti, 
de’ projetti nella Balistica, ec. 

E vero che dov’ è moto, ivi è altresì direzione: sia che cam- 
mini nn semovente, sia che rotoli un grave per un piano inclinato , 
avrassi in amendue direzione. Nel primo sarà lo scopo della sua 
propria mossa ; nel secondo sarà il prodotto della figura, e gra- 
vità del corpo, che rotola, dell’ inclinazione del piano, de’ corpi 
ritardavti, o acceleranti, che incontra, ec. Dunque velocità senza 
moto, corse senza velocità, moto senza direzione sono altrettanti 
assurdi o impossibili. É vero ancor questo: ma io parlo di 
quella tal direzione, che resulta dal solo uso di quei tali mezzi, 
che impiega un essere per ottenerla, e non di quella, che è il 
resultamento dell’azione di corpi estranj sopra un corpo ch’ è 
in moto. ll mio Aerodromo può, indipeudentemente da agenti 
estranj, dirigersi da un dato luogo ad un altro col solo uso di 
mezzi, che sono suoi proprj; il eorso poi, che egli fa, sempre gode 
d'una velocità particolare e caratteristica, che, in circostanze pari; 
è sempre maggiore di quella di tutti gli altri semoventi ed automi. 

Dunque riunendo insieme queste due proprietà nel_verbo 
correre, ed aggiungendovi il termine esprimente il mezzo, nel 
quale s’eseguisce quel corso, avremo Corriere aereo, cioè nell'aria, 
e non già composto d’aria. Il Greco linguaggio ci darà. una sola 
parola, vale a dire Aerodromo, che viene da dp, £p'os, ò cioè der, 
e dpousùs ovvero dpoufos Cursor, Qui currit, ec. Se poi 
alcuno credesse meglio chiamarlo nuotatore nell’aria come sembra 
ìn apparenza, può al dpopatog sostituire vyxTns, xoAuBuTye, 


° 


102 , 
vev:ip, ec; natator: ma, torno a ripeterlo, non nuota l_4e- 
rodromo . Ma nemmen corre , mi si può d' altra parte 
rispondere. Per ora son di parere che nessuno mi verrà avanti 
con sì fatte risposte . 

Le ragioni, che mi banno condotto a risolvermi d’adottare 
la denominazion di Aerodromo , sui sembrano convincenti, e 
quanto a me persuasive: ma finchè |’ Accademia Reale non sarà 
dn grado di mettere in pratica questo mio modo di direzione, 
mancherà un dato necessario di comparazione tra le facoltà 
dell’ Aerodromo, e quelle di altri sistemi meccanici di Semoventi 
e d’Automi. In questo particolare non mi posso estendere pre- 

‘ sentemente di più:-laonde per ora son io solo il giudice di me 
medesimo . 

Del rimanente, se questa /ofa non fosse mia, dubiterei 
esaminandola parte a parte che nelle addotte ragioni, seRbbn con- 
vincenti, traspirasse un carattere alquanto equivoco , che lasciasse 
luogo a dubbiezze. 

NOTA (2). 

In questa stazione potrassi, volendo, far fronte anche ad 
un vento di terzo grado purchè non fosse al suo maximum. Così 
l’Aerodromo, ad ovta della di lui forza, starebbe contiguo al 
suolo, e non ne verrebbe rimosso. Ma il mezzo più prudente e 
sicuro sarà sempre quello d’inalzarsi per aria ; poichè, se il 
vento cangiasse direzione improvvisamente, si correrebbe pericolo 
di qualche rottura. Nei superiori strati aerei si troverà o calma, 
o correnti di minore velocità; e se ciò non riuscisse , il che è 
ben difficile (vedasi la Vota 7.), l'espediente migliore sarà quello 
di non usare opposizione ostinata, ma di ISSni traspor- 
tare a capriccio della corrente. Così questa incontrando una 
debole resistenza nell’ Aerodromo , che la precede o asseconda, 
non produrrà se non che effetti deboli sulla di lui superficie. 
Ma quando si volesse opporre ostinatamente forea a forza, seb- 
ben l'efficacia de’motori dell’ Aerodromo sia considerevole, pure 
una corrente, giunta al maximum del terzo grado, sarebbe sem- 
pre tuttavia vittoriosa. In questo caso non sarebbe già vero. 
che inter duos disceptantes tertius gaudet, perchè queste op- 
poste forze sarebbero anzi tutte a carico dell’ Aerodromo, in 
cui se succedesse qualche scompaginamento, o scissura notabile, 
gli Aeronauti avrebbero forse tempo di prepararsi ad un salto, 
che in tutti i possibili avvenimenti sarebbe sempre maggiore 


103 
e più pericoloso di quelli, che fanno i nostri ballerini grotteschi. 

Del resto se l’ Aerodromo non può in tutti i casi opporsi 
ad un vento di terzo grado, questo non dee imputarsi a difetto se 
si consideri che nè gli uccelli, nè i pesci fanno fronte alle cor- 
renti de’ respettivi fluidi, in cui sono immersi, quand'esse ab- 
Biano non già una massima, ma una velocità riguardevole. 

Benchè i venti, che regnano in Europa; partecipino ancor 
essi di un certo tal quale incivilimento, come il paese in cui 
scorrono., pure ho veduto da questi piegare nella cima di un 
campanile una Croce di ferro grossa piu di 2. pollici ; atterrare 
muraglie; svellere per molta estensione grossi castagni, e segna 
tamente pel tratto incirca di un miglio; troncare abeti, il cui 
fusto aveva un diametro maggiore di un braccio Fiorentino e 
due terzi, etc. 

Che accaderebbe danque se ad uno di quelli. incolti Simoons 
Africani venisse il capriccio di dare una corsa in Europa colla stessa 
mala grazia, con cui traversa i deserti vastissimi della Meéca, di Sa- 
kara, di Mandinga, del Tombuth, ec.? Che mai sarebbe se ad uno 
di quei solitarj, che uscendo della lor grotta metton sossopra i 
Mari dell’Indie, l'Oceano del Sud, ec. gli venisse voglia di ve- 
nirci a fare una visita? i 

E se nell’ interno delle nostre case appena siamo sicuri dai 
venti Europei, perchè pretendere che un’ Aerodromo, il quale 
in poc’ore può uscir dell’ Europa, ed entrar ne’ Domin} di 
quella razza di zeffiretti, sia capace a far fronte alla loro violenza? 

Non sono nè la stabilità nè la forza le proprietà caratteri- 
stiche dell’ Aerodromo, ima la velocità e la facoltà loro di po- 
tersi dirigere ovunque. Non.è perciò mia intenzione quella di 
suggerire i mezzi per la fabbrica di una gran;Piramide Egizia- 
na, o di una Macchina fulminante; ecs Lascio che altri si occupi 
di "niderahé consimili . 

NOTA (3) 

Ho definita la velocità de’ venti in tre classi o gradi n 
chiarezza maggiore. 

Nel I. si comprende quella da 0,00 fino a a 0:49 metri per 1." 
Nel IL quella da 0,49. fino a 3,921. per 1. 

Nel III. quella da 3,92 fino a 31,36. per 1”. 

Molti hanno calcolata questa. velocità, ma i resultati diffe- 

riscono tanto fra loro che non è possibile prenderne norma': 
Martin considera la minima di 1 miglio per ora, ed Eu» 


104 

ler la crede di 6. Anche Mariotte, e Derham ‘sono tra ‘lara 
discordi . Il primo dà alla massima 32 piedi Francesi per 1" 
V altro la stabilisce di 66 piedi Inglesi per 1”. Ora il pad 
Francese: piede Inglese :: 144,000: 135, 115. Sicchè ne viene 
ciò non ostante una differenza quasi del doppio. Questa nascerà 
probi bilmente dall’ aver Mariotte considerato per velocissimo un 
vento , il quale non era che soltanto veloce . 

In quanto a me son di parere esser difficile impresa calco- 
lare questa. velocità, non già in riguardo al suo maximum, ma 
ai suoi primi elementi del moto. In quanto al maximum evvi 
un termine salendo, a cui presto si giunge. Si può, per esem- 
pio , asserire che le correnti Atmosferiche non percorrono mai 
roometri per 1”, benchè sotio sembianze di uragano, temporale, 
bufera, ec. Dunque i limiti della salita sono molto ristretti : 
ma non è così della scesa. Quando ci si dice che questa mi- 
nima velocità è di 1 ovvero 6 miglia per ora, pare che non si possa 
scender di più. Ma conservando lo spazio, ed aumentando il 
tempo; conservando il tempo ,.e diminuendo lo spazio, ovvero 
diminuendo lo spazio mentre si aumenta il tempo, avremo i 
chiliometro per anno; 1 chiliométro per secolo, ec., 1 me- 
tro per secolo, 1 metro per ora, 0,901. pervora, ec., 1 metro 
per secolo 0,0001 per 1 miriade di secoli, ec. ec. Posto ciò 
ognun vede che questa velocità può decrescere all’ infinito; ma 
non. giungeremo mai a quel minimo o infinitesimo; che è il 
primo elemento del moto , perchè questo ha i suoi eccessi ‘di 
lentezza, come l'estensione ha i suoi di piccolezza. Dunque 
manchiamo di un primo termine. infinitesimo per fondarvi il 
calcolo, vale a dire manchiamo del termine; che succede imme- 
diatamente alla quiete perfetta . 

Del resto si può conoscere la velocità di un vento dato 
da quella de’ corpi leggieri, ch’ ei seco porta: L'ombra. di una 
nuvola in balia del vento avrà presso a poco uguale velocità 
del vento medesimo. Ma se si, volesse spingere il calcolo. tant’ 
oltre da avere l’ esatto rapporto, che passa tra la velocità 
dell'ombra, e quella della nube che la produce, converrebbe 
intraprendere un’ operazione. alquanto coinplicata, e per ben 
riuscirvi son necessarie le seguenti nozioni. , 

“ i. L'aria, e le nubi sonicorpi; fluidi , e quindi cedevoli ad ogni 
minimo impulso. Dietro ad,un urto veloce di. una colonna At- 
.mosferica la nube.cede, si comprime , e cangia forma avanti di 


1) 


105 


ricevere l’intera impressione. La stessa cedevolezza è per parte 
dell’aria, con poca differenza. La nube poscia seguita a correre 
ne’ primi istanti con velocità minore in riguardo all'impulso ricevuto, 
e maggiore in virtù dei deboli impulsi, che ne succedono. Dietro 
queste alternative prende una velocità quasi media proporzionale 
tra quella dei forti, e dei deboli impulsi (a) . Sicchè la velocità del 
vento deve considerarsi come intermittente, e quella della nube 
quasi continua. Dunque una corrente di aria non comunicherà mai 
alle nubi, che in essa sono immerse, una velocità eguale alla sua. 

Per annullare questa anomalia sarebbe necesserio che l’ aria 
e la nube fossero corpi perfettamente solidi , ed elastici, il che 
è impossibile , 

II. L’altezza, e la figura di una nube sono variabili in 
ragione non assegnabile . La velocità di un’ombra sarà ( astraen- 
do, dal resto) in ragione inversa della distanza , che passa tra il 
Sole, e la nube che la produce . 

Questa seconda anomalia sparirebbe se 1’ altezza di una 
nube fosse costante, che è una circostanza difficilissima ad av- 
venire . 

III. Le refrazioni entreranno ancora nel calcolo. Queste sono 
nulle allo zenit , ma crescono in ragione che il Sole si avvicina 
all’ orizzonte. E noto che un raggio di luce, il quale da un 
fluido men denso passa in un altro che lo è più, oppure che 
da questo passa in uno di minor densità , cangia di direzione . 
Nel primo caso porzione del raggio si abbassa , e nel secondo si 
alza. Il punto di divergenza o deviazion dalla retta è dove in- 
comincia una sensibile differenza di densità . 

Perchè svanisse questa terza anomalia sarebbe necessario 0 
che non vi fosse Atmosfera, oppure che la di lei densità e com- 
binazione chimica fosse ugual fino al Polo. Questo nello stato 
attuale è impossibile . 

IV. Il rapporto di velocità della nube, e dell’ ombra sarà 
in ragione de’ raggi vettori , che hanno il centro del moto nel 
Sole. Sia questo nello zenit dell'osservatore, e la distanza della 
nube dalla Terra sia = 10;j000 metri. Avremo, velocità dell’om- 
bra : velocità della api che la produce :: 15118135, 15118134. 


Varierà sane di pi sa a differenza quasi insensibile. Quee 


(a) Sì suppone che la durata, e 1’ intensità dei forti e deboli impulsi si 
conguaglino dentro d’ un tempo dato. 


106 


sta nasce direttamemente dalla distanza , frapposta tra la nube 
e Ja superficie terrestre , in cui corre la di lei ombra. 

Per distruggere questa quarta anomalia sarebbe duopo che 
l’ altezza della nube sopra la superficie terrestre fosse = o, op- 
pure all'altezza della superficie ove corre l'ombra; lo che è im- 
possibile. Dunque la velocità dell’ ombra sarà sempre maggiore 
a quella della nube che la produce (b). 

V. Nella nostra latitudine non avremo mai il Sole nel no- 
stro zenit; dunque le ombre delle nubi produrranno effetti dif- 
ferenti secondo la direzione di queste, e secondo la figura , ed 
inclinazione delle superficie dove corrono l° ombre . 

Sia il Sole nel meridiano del luogo dell’ osservazione , ed 
una nube a qualsivoglia altezza , ma costante , corra dal Sud al 
Nord. Suppongasi che la superficie terrestre, ove dee scorrere 
l’ombra, sia orizzontale , e priva di prominenze, e d’incavi . 
In questa ipotesi l'ombra avrà una velocità di continuo crescente 
in ragione che cresce il raggio vettore, il quale passa per il Sole, 
Ja nube, e l'ombra. Se la nube correrà dal Nord al Sud, la velo- 
cità dell'ombra andrà continuamente decrescendo come decresce 
il raggio suddetto. In generale questa velocità aumenterà , o 
diminuirà in ragione inversa del seno dell’ angolo , che fa la 
superficie, ove corre l’ ombra, con questa e la nube; più o 
o meno alcune correzioni procedenti dalla refrazione , perchè il 
Sole è nel meridiano della nostra latitudine . 

Per render nulla questa quinta anomalia sarebbe necessario 
che la nube inscrivesse una curva concentrica ad un concavo sfe- 
rico, nel di cui fuoco fosse il Sole; oppure, ciò che è l’ istesso , si 
richiederebbe che la superficie terrestre fosse i inversa , e sferica, 
ed avesse per raggio quello dell’orbita, ch’ ora ir intorno 
al Sole (supposto che l’ orbita fosse un circolo invece di un 
ellisse). Il che per ora è alquanto difficile ec. (c) 

Queste sono le principali cagioni, che produrranno delle 
auomalie uel rapporto di velocità tra un' ombra , e la nube che 


(b) Si è supposto il Sole nello zenit dell'osservatore per togliere le ane- 
malie, che avverrebbero dalle refrazioni ec. 

(c) Questa quinta specic'di anomalie nulla ha che far colle piedi Di- 
pende dalla latitudine presa non rispetto all’ equatore, ma all’ecclittica. Sotto 
questa son nulle tali anomalie quando il Sole è nel meridiano, avuto però sempre 
riguardo alla inclinazione delle superficie im cui corron le ombre ec. 


107 


la produce . Tutto va bene, sed non erat his locus, odo dirini. 
È ciò quasi vero, rispondo ; ma dirò con quel Poeta, che iu- 
vece di comporre un epitalamio compose un epicedio: ho sba- 
gliato, il tema, il subietto . 

ì NOTA (4) 

Tante sono le direzioni quanti raggi da una superficie sfe- 
rica possono condursi al centro . L° asse poi di questa periferia 
si suppone quasi sempre perpendicolare all’orizzonte o verticale, 
giacchè avverranno ben rare qnelle correnti, che faranno cou lui 
angoli considerevoli 

Supporrò per maggior chiarezza che queste correnti possano 
urtar l' Aerodromo in otto direzioni principali facienti tra !oro 
angoli di 45°, cioe 1. anteriore; 2. semi-anteriori-laterali; 2. semi- 
posteriori ; ed 1. posteriore . 

La prima corre nella linea di direzione dell’ Aerodromo , 
ma fa un cammino opposto al. suo. 

Le seconde cadono tra la linea suddetta, e la sua normale, 
cioè fanno tra loro angoli di go.” 

Le terze segnano questa normale, ovvero cadono perpen- 
dicolari alla prima. Non fanno angolo tra di loro . 

Le quarte cadono normali alle seconde. Fanno dunque ancor 
esse infra loro angoli di go.° ossia retti. 

La quinta corre nella linea di direzione, ma in senso op- 
posto alla prima, ovvero è perpendicolare alle terze . 

Tutte le altre sono intermedie a queste testè contemplate. 

NOTA (5) 

Senza l’ esatta cognizione de’diversi pezzi, che compongono 
V Aerodromo , è impossibile calcolare ‘il suo peso : ma quando 
questo ci fosse anche noto, ci rimarrebbe da calcolarne il volu- 
me, onde sapere a quale altezza dell’Atmosfera può giungere. 
Vedremo altrove ‘un calcolo, se non esatto ; almeno approssi- 
mativo in teorica, per determinar questa ‘altezza, che sarà 
sempre in ragione inversa del peso dell’ Aerodromo a confronto 
di un ugual volume di Aria .... Ma per ora.non posso più 
dirne . 

NOTA (6) 

Il progredimento dell’ Aerodromo sarà e con vento ante- 
riore, e semi-anteriòre di terzo grado, e meno di O ossia negativo 
all’ indietro col maximum del terzo grado, cioè retrocederà ad 
onta dell’ uso delle sue forze impellenti . 


108 


Malgrado di lunghe meditazioni non mi è ancora riuscito 
trovare un metodo efficace per far fronte ad un vento, la di 
cui velocità giunga al suo maximum . Ho abbandonato poscia 
questa intrapresa come inutile , e pressochè affatto impossibile. 
Rifletteva infatti tra me stesso che molte Macchine più forti assai 
della mia sì per la lor costruzione, che per l’ energia delle fa- 
coltà motrici (come gli uccelli, ed i pesci), avevano l’istesso 
difetto , e che altronde le lor proprietà erano al di sotto di quelle 
dell’ Aerodromo . 

Prima dell’ applicazione dell’ atmosgeno e vapore alle navi, 
queste potevano riguardarsi come aborti meccanici. Quelle. a 
vele, mancanti di un motore proprio, e di buona costruzione, 
erano inabili a progredire senza il concorso delle correnti. Senza 
il concorso diceva, perchè se la corrente atmosferica era opposta 
all’ acqua, la nave era forzata ad obbedire a quella, che aveva 
una maggiore efficacia sulla sua superficie. L’altre a remi usati 
dagli antichi avevano motori proprj; ed il numero di questi era 
alle volte disorbitante, se creder si deve a tutto ciò che n’ è 
stato scritto. Ma non per questo potevano rimontare e vincere 
le correnti aquee contrarie, se la velocità di queste era uguale 
almeno a quella de' remi. Ciò per due cause principali avve- 
niva; per la poca efficacia de’ motori, e per la difettosa costru- 
zion della nave ; difetto che conservano anche oggigiorno, come 
per loro retaggio (d). 

Ma l’ applicazione dell’ atmosgeno le ha, per così dire; 
sottratte dal dominio delle correnti sì aquee, come atmosferiche. 
Di fatto una nave a vapore od atmosgeno priva di alberi , antenne 
ed altri impacci inconcludenti, può correre contra le correnti 
atmosferiche benchè rapidissime ; il che non può far 1’ Aero- 
dromo. Può anche con buon esito rimontare le correnti aquee, 
purchè la velocità di queste non sia massima. Ma questo buon esito 
dipende da molte cause , che troppo lungo riuscirebbe volerle 
qui addurre. Noterò solamente, che se la corrente aquea per- 
corre una linea uguale alla periferia delle ruote dell’atmzosgeno 
nel tempo medesimo che esse compiono una rivoluzione, l’effi- 
cacia dell’ 26mosgeno sarà nulla. Ed 4 fortiori sarà nulla se 
le ruote compiscano una rivoluzione nel tempo stesso che la cor- 
rente trascorre uno spazio maggiore della loro periferia. Allora 


(d) Ciò sarà da me dimostrato a tempo opportuna. 


109 
la Nave sarà costretta a seguir la corrente, finchè la sua velo- 
cità addivenga minore di quella delle ruote predette ec. 

Non si crede di poter ora istituire un parallelo tra la Nave a 
vapore., e l’ Aerodromo , perocchè la lor differenza è grande di 
troppo ; ma non è la mira di esser breve, che mi vieta adesso di 
rilevarla. La vedremo a suo luogo. 

NOTA (n) 

Suppongasi che una corrente orizzontale abbia per profon- 
dità quella‘ medesima dell'atmosfera. Dessa percorrerà una curva” 
sopra una superficie parallela presso a poco alla superficie dello 
sferoide terrestre. Il di lei raggio vettore sarà uguale al semi- 
diametro terrestre più la profondità dell’ atmosfera. Quel raggio 


12950400 


sarà — + 80000 metrì , oppure 645,5 miriametri. Le 


velocità dagli strati estremi di sì fatta corrente saranno fra lo- 
ro :: 71: 72 incirca. Infatti gli archi dei due strati saranno de- 
terminati dalla 72.ma parte superiore del raggio vettore ; e le 
velocità, con cui saranno descritti questi due archi, saranno in 
ragione dei raggi vettori. Questa differenza di velocità sarà mag- 
giore e minore secondo che maggiore o minore sarà la distanza 
tra uno strato , e l’altro. Ma sia piccola quanto si vuole questa 
distanza , non ne verrà per ciò che lo strato superiore abbia u- 
guale o minore velocità dell’ inferiore. Asserire l’ opposto è un 
assurdo . 

Se quei due strati ci si rendesser visibili, e passassero per 
lo zetiit con velocità proporzionale al raggio vettore, si vedrebbe 
che l’ inferiore ha maggiore velocità del superiore; oppure, se 
lue correnti visibili ad altezze differenti passassero per lo zenit 
dell’ osservatore, e la loro distanza verticale da lui fosse :: 1: 4, 
e la superiore avesse una velocità doppia dell’ inferiore , senbre- 
rebbe che questa all’ incontro avesse una velocità doppia della 
superiore. E se la linea, che descrivono, fosse nella corda del 
segmento della zona atmosferica, che passa per lo zenit dell’ os- 
servatore, sarebbe lo stesso. Lo stesso pure sarebbe se fosse nelle 
corde della trajettoria del raggio ottico. Ma questa non sarebbe 
cosa di fatto, né illusione ottica (poichè siaino nello zenit), ma 
pura illusione geometrica. L’ eccentricità de’ due raggi ottico e 
vettore produce questa iliusione. E difatti, se queste due cor- 
renti fossero osservate dal centra della 'Terra , essa sparirebbe 
affatto , e le loro velocità ci comparirebbero perfettamente uguali. 


TIO 

Perchè l'apparente velocità di questi due strati fosse ugnale 
sarebbe duopo ch’essi trascorressero in tempi uguali archi propor- . 
zionali al raggio ottico, non al vettore. Ma se la loro velocità 
non sarà in questo rapporto, non potranno ambedue trattenersi 
che un sol momento nel raggio visuale, che passa per lo zenit 
dell’ osservatore. Dunque quelo il raggio vettore delle correnti 
sarà maggiore del raggio ottico, gli strati una ci offriranno 
minore velocità di quellî degli snfenori t 

Ciò che precede è Sfident di sua natura , nè ha bisogno 
di ulteriori dimostrazioni. Ma ora vedremo quel che resulti dalle 
osservazioni meteorologiche. 

Il vapore aqueo, reso dal calorico specificamente men grave 
dell’ aria atmosferica , si eleva in alto fim dove trovi equilibrio. 
Queste soluzioni o combinazioni chimiche non tutte sono por- 
tate al medesimo grado , nè tutte si effettuano nel tempo me- 
desimo. Quindi è che il vapore suddetto si dispone. in altezze 
diverse. Ma la densità dell’aria cresce e decresce in ragione della 
pressione. Dunque quel vapore si equilibrerà ad un'altezza, che 
sarà in ragione diretta del grado di soluzione, a cui è portato; 
e nell’inversa della densità dell’ aria, ec. 

Ora, se quella parte di aria, in cui si trova, sarà disposta 
al moto, il vapore (come corpo passivo e galleggiante ) secon- 
derà la di lei velocità, e direzione (salvo:alcune piccole quantità, 
che si lasciano indietro ). ( Vedasi Vota 3-) 

Ma cause perfettamente simili non produrranno effetti per- 
fettamente simili se non che agendo ugalmente in quei corpi, 
che sono fra loro perfettamente simili, ec. Ora la densità: del- 
l’aria cresce, e decresce (secondo Mariotte) in ragione della 
pressione. Dunque nelli strati più elevati sarà meno densa che 
in quelli più bassi. Dunque, qualunque siasi la causa che la di- 
spone al moto, non agirà ugualmente in tutta la sua altezza, e 
quindi non produrrà effetti uguali in tutta la di lei mossa (e). 
Infatti vediamo che il vapore, quando è visibile ed a diverse 
altezze, ha velocità differenti. 

Finchè osserviamo che la maggiore velocità è nelle nubi 
degli strati inferiori, ciò potrà essere il più delle volte effetto 
dell’ illusion sopraddetta ; ma quando vediamo che le inferiori 


(e) Si è supposto che la causa, che la determina in cerrente , sia una , 
ed agisca in tutta l'altezza dell'atmosfera. 


\ 


Til 


sono inerti, e che le superiori corrono , cosa si deve concludere ? 
che la velocità dei diversi strati di aria è in ragione inversa - 
della densità? Ma la ragione della densità dell’ aria non sta mai 
in proporzione coll’arco del raggio ottico. Dunque? Dunque la 
causa non agisce in tutta l'altezza dell’atmosfera , ec. 

Dal fin qui esposto si può concludere, che il vapore è a 
differenti strati, e ad altezze differenti tra uno strato, e l’altro, 
e che si muove a traverso dell’aria. 

Ma i vapori, ossiano le nubi, sono puri corpi galleggianti, 
capaci di dilatazione ec., ma non di traslazione spontanea. Dun- 
que il moto, che hanno, non è prodotto da loro, ma dal fluido, 
nel quale nuotano. 

Aggiungasi che la velocità delle nubi è parziale, e diffe- 
risce inassegnabilmente da uno strato all’ altro. Dunque anche 
il moto del fluido, in cui nuotano , sarà parziale, ec. 

Questa breve digressione in accenno può somministrar 
qualche lume, onde provare a taluni non esser vero, che quando 
regna un vento, sia in moto l’Atmosfera in tutta la sua altezza, 
e che gli Acrodromi non possano, senza uscir della verticale , 
trovare, se non la calma, correnti almeno di mediocre velocità, 
cui possan far fronte. 

Del rimanente il determinare le sezioni sì orizzontali, che 
verticali delle correnti atmosferiche ; la causa che le produce , 
ec. hoc opus, hic labor est. 

Spetterà agli Aerodromi somministrare mezzi opportuni a 
fine d’ instituire le osservazioni nel seno medesimo delle corren- 
ti, onde rischiarare questa oscura parte di Fisica. 

NOTA (8) 

Il riposo o stazione sull’ acque sarà di breve o lunga du- 
rata , a volontà degli Aeronauti. S' avrà riguardo però ai casi 
seguenti, in cui dessa non potrebbe aver luogo. 

Se 1° Aerodromo dovesse star fermo sulle acque di un fiume, 
sarà d’uopo che questo abbia un alveo alquanto largo, e poco 
declive. Ora se le acque portassero tronchi d’alberi, massi, ec. 
di volume ancora mediocre , la stazione non potrà avere mai 
luogo. Un altro grande ostacolo a questa stizione sarà un vento 
di 2.°, e 3.° grado. " 

Un lago offerirà maggiori comodi alla stazione. Ma se le di 
Mi acque saranno agitatissime, e soffieranno venti di 3.° grado, 


DEI 
V Aerodromo dovrà prender aria per non andare incontro a qual- 
che scissura , 

I mari, quando le loro acque non siano notabilmente agi- 
tate, porgeranno una superficie comodissima per la stazione. 
Ma dovranno sempre sfuggirsi i venti di 3.* grado, le tempeste sì 
aquee che atmosferiche , ec. come cause primarie che si oppon-. 
gono a questa stazione. Una mediocre marèa , ed un vento anche 
di 2.° grado non impediranno stazione. Nel primo caso sì |’ 4e- 
rodromo, come gli Aeronauti non saranno nè bagnati , nè agitati 
dalle ondate marine ec. Nel secondo, non volendo far forza al 
vento, potrà l’ Aerodromo farsi strascinare sulla superficie del- 
Y icque , senza d’alcun pericolo. L’ Aerodromo a dispetto del 
vento di 2.° grado soprindicato starà contiguo alle acque, nè 
potrà esserne distaccato. i 

Rari saranno quei casi, in cui, stando in mare, gli Aero- 
nauti porranno a rischio la vita. Se seguissero rotture 0 scom- 
paginamenti tali da non dar speranza di rimontare in aria, essi 
non incorreranno in nessun pericolo, bene inteso però che il 
mare non sia tempestoso. Ma essendo, allora il Dixipleo dell’ Ae- 
rodromo porgerà agli Aeronauti un mezzo sicuro per giungere 
a terra. Egli è insommergibile , purchè in due non dividasi. 


NOTA (9) 


Cioè dormentorio , gabinetto , e laboratorio. In questi sa- 
ranno i più necessarj utensili, che possano occorrere in un viag- 
gio aereo, cioè bussola , termometro , barometro , igrometro , 
cronometro, elettrometro , telescopio, ec. 

Vi saranno inoltre alcune Macchine, dal buon uso delle 
quali dipenderà il felice esito di un viaggio. 

Ecco le principali. 

Anemometro. Misura la forza del vento, ed è un elemento 
del Poriametro. 

Anemoscopio. Mostra la direzione del vento. Elemento del- 
l Anemoscopio e dell’ Eutibolia. N 

Eutibolia. Mostra la direzione dell’Aerodromo, del vento ec. 
Questa avrà il difetto medesimo, che hanao le Bussole nauti- 
che, cioè la declinazione dell’ Ago magnetico. 

Poriametro. Questa Macchina misura la velocità orizzontale 
dell’Aerodromo, e lo spazio che egli abbia percorso in un tempo 


113 


dato, la velocità del vento, ec. Ella è d’un meccanismo assai 
delicato, ma non ne posso qui dare la descrizione. 

Il Sistema meccanico dell’ Atmzosgero , dal quale dipende 
la facoltà di traslazione ec. | 

Meteorizometro. Misura la qualità di forza elevatrice del- 
l’ Aerodromo . 

Ipsometro. É ua compagno del Barometro, ma affatto di- 
verso nella struttura. 

I Barometri degli Elaterit. Misurano il peso dell’4erodromo. 

Le Sistoli e Diastoli del Megaxo. L’uffizio di questo lo 
vedremo a luogo e tempo opportuno ec. 

NOTA (10) 

La superficie terrestre avrà bassa o alta temperatura se- 
condo che i raggi solari vi cadranno obliqui, o normali ec., ed 
i gradi di questo calore saranno più o meno intensi secondo che 
faranno tra loro angolo minore o maggiore i raggi incidenti e 
riflessi. Dunque più piccoli saranno questi angoli, e più intenso 
sarà il calore ; e viceversa . Sicché la vera zona torrida sarà sotto 
l’ecclittica , perchè sotto essa via via tra i due tropici i raggi 
solari si riflettono sugl’ incidenti , ovvero , ciò ch’ è lo stesso, 
perchè l’ ombra di uno gnomone verticale via via s'annalla nel 
meridiano sotto l’ ecclittica ec: cose ormai note, onde solo basta 
accennarle . « 

Supponiamo adesso che u n’ Aerodromo sì fermi in terra o) 
in mare sotto l’ ecclittica o nei circoli paralleli all’equatore, di 
qua e di là sinò ai due tropici. In questi casi egli proverà gli 
effetti del calore, che è proprio di quei tali luoghi ove avrà 
la stazione, ed anche con poca differenza dal primo al secondo 
caso, perchè l’acqua è una sostanza\diafana ec. Ma se si eleverà 
in aria, l’intensità del calore anderà decrescendo secondochè si 
allontanerà dalla Terra. 

Ora una gran parte del calore vien prodotta dai raggi riflessi, 
ed ì corpi ne son conduttori in ragione della lor densità: Ma 
l’ Aria atmosferica dopo i Gas Idrogene, Idrogene protocarburato, 
arsenicato , fosforato, ec., azoto ; ossido di carbonio, ammonia- 
cale, ec., vapore di acqua, di acido idrocianico ete. è uno de’fluidi 
elastici i meno densi che si conosca : di più ,, questa sua densità 
(eresce, e decresce socondo la pressione (parchè non succedano 
cambiamenti di temperatura, o combinazione chimica ec.). Dun- 
que dessa sarà poco idonea a trasmettere il calore , ed un corpo 


I. WL dprile 8 i 


114 


che in quella sia immerso ad una qualche altezza da terra sarà 
quasi privo dell’efficacia de'raggi riflessi. Sicchè se si inalzerà un 
Aeronauta in aria anche sotto l’ecclittica sentirà diminuirsi l’effetto 
del calore in ragione che si allontana da terra; e se ascenderà a 
4ooometri in circa di altezza , proverà un freddo intenso per di- 
fetto di conduttori, e di corpi capaci a riflettere. Sappiamo in 
fatti che all’ equatore, ed al 3.° grado di latitudine la neve, ed 
il gielo sono perpetui nelle montagne, la di cui elevazione si esten= 
de a circa 4000. metri , La sommità dunque delle montagne ha una 
temperatura specificamente più bassa di quella delle sottoposte 
valli per le ragioni suddette ; e 1’ essere la loro cima più vicina 
al Sole delia superficie delle valli adiacenti non fa sì che abbia 
una più alta temperatura , benchè sia sotto l’ ecclittica (f) . 

Supponendo che un’Aeronauta parte da un punto il più caldo 
della Terra, come ho supposto, si potrà provare sempre a for- 
tiori, che partendo da 70.° 0 75.* ec. il freddo sarebbe più in- 
tenso, benchè l’aria sotto questa latitudine sia più densa che 
sotto l’ecclittica. Verso i poli i raggi solari incidenti fanno coi 
riflessi degli angoli assai grandi, e cresceranno quanto più cì 
allontanassimo dall’ ecclittica. E se nei circoli polari i gieli 
sono anche a livello del mare, che sarà dentro l’ aria? 

Eccettuati dunque i tre casi di stazione nella zona torrida 
in terra, in mare, ed in aria a piccola altezza , negli altri ben 
di rado gli Aeronauti saranno esposti ad un caldo imcofiripile È 
Di più, ogni qualvolta viaggiassero, anche a poca altezza, sopra 
la detta zona, saranno continuamente esposti alle correnti atmo» 
sferiche, che lor portando sempre aria nuova, influiranno non 
poco nel temperare il calore eccedente ( Vedi Nota 11). 

Il caldo finalmente non darà agli Aeronauti gran fastidio, 
ma lo stesso non si può dire del freddo , Questo sarà quasi sem- 
pre l’ indivisibile loro compagno 

NOTA (11) 

Ad eccezione delle stagioni accompagnate da calma, in tutti 
gli altri casi sarà 1’ Aerodromo esposto sempre alle correnti 
atmosferiche, benchè in calma perfetta . 


()) Vedansi le Relazioni sul Monte Bianco dì M. Bourrit, e di De-Luc 
verilicate da Schuckborongh, e di Schereckhorn, di Pfiffer ambidue nella Sviz- 
sera; dell’ Etna in Sicilia di M, Saussure; del Pico di Teneriffa nelle Canarie, 
di Larissa in Egitto; delle Montagne della Lana in Africa; del Tanro, e del 
Caucago in Asia; la Tavoletta fisica delle Andes «di Humboldt, c la Relazione 
delle altre Moutigne di America di Lacondamine, ec. 


115 


La sola eccezione a questo enunciato potrebbe essere la, 
corsa, per esempio, verso l’est soffiando l’ovest: così se s'aumen- 
terà, per mezzo de’ motori proprj, dell’ Aerodromo la di lui 
velocità da renderla uguale a quella del vento, allora l’ effetto 
di questo sarebbe nullo nell’ Aremometro, e nel Poriametro. 
Ma per conseguir ciò sarebbe duopo che le velocità del vento , 
e dell’ Aerodromo fossero sempre uguali tra loro ; il che è dif- 
ficilissimo ad accadere . 

Del resto tanto è che un corpo muoyasi dentro d’un fluido 
in quiete , quanto che questo urti il corpo parimente in quiete. 
Nel primo caso il corpo risente Ja resistenza del fluido , che 
fende; nel secondo prova l’irapulso del fluido, dal quale è urtato: 
e se le due velocità saranno fra loro uguali, il corpo proverà 
un'ugual resistenza sì nel primo caso, che nel secondo . 

NOTA (12) 

Il sistema attivo dell’Aerodromo è espresso da tante mostre 
a uso d'orologio quanti i differenti sistemi meccanici, che sono in 
azione. Queste mostre concorrono quasi tutte in un solo punto, 
sicchè si può vedere a colpo di occhio le variazioni tutte, che 
soffre la corsa dell’ Aerodromo. Suppongasi che egli siasi posto all’al- 
tezza, alla direzione, e alla corsa determinata. Se cause interne 
o esterne altereranno ciò che eseguisce , ne verrà alterato anche 
il sistema attivo meccanico. H carattere distintivo di questa alte- 
razione è espresso dall’ Eutibolia. Questa con un richiamo adat= 
tato farà udire agli Aeronauti che l’ antecedente sistema ha su- 
bito de’ cangiamenti. Allora se gli Aeronanti osserveranno la mo- 
stra dell’ Euzibolia, vedranno se la variazione è stata prodotta 
dal principio, dall'aumento ; dal decremento, o dalla cessazio- 
ne del vento ec. 

Così anche una sola persona può senza alcuna fatica maneg- 
giare a suo talento tutto questo sistema, e governar l’ Aero- 
dromo come gli piace. Quindi è che può farlo inal zare, abbas- 
sare , correre orizzontalmente , in obliquo, voltare a destra, o a 
sinistra, descrivere curve con assi verticali, inclinati od oriz- 
zontali, lottar contra i venti, scender ne’fiumi, ne’laghi, ne'mari, ed 
in terra, e dipoi risalire, sormontare città, montagne, nubi, fermarsi 
in aria, ec. Tutto bensì colle condizioni, te quali richiedonsi 
perchè abbiano luogo queste proprietà divisate . Ma quando 
dico che un solo. Aeronauta può governar l’ Aerodromo a suo 
talento , ciò è detto a riguardo della mano d’ opera che vi ce- 


116 


corre, uon della darata. Se egli, per esempio, volesse dall’Eu- 
ropa passare in America, e non incontrasse per aria correnti nè op- 
poste, nè favorevoli, non potrebbe giungervi prima di ore 187, 
cioè in giorni 7 3/4 incirca; perchè quel Continente è lontano da 
noi intorno a 60 gradi. Ciò posto, ognun vede che sarebbe d if- 
ficile che quell’ Aeronauta resistesse senza prender sonno a tu tto 
quel lungo cammino. E se egli si addormentasse, chi presi ede- 
rebbe al governo dell’ Aerodromo? la sorte. Ma darsi affatto in 
braccio alla sorte in simili circostanze è un procedere da men- 
tecatti, o per dir meglio, da disperati. Nel solo caso che si 
avesse una prova matematica, che il cammino non venisse ad es- . 
sere alterato finchè non si fosse giunti ad un luogo determi- 
nato, si potrebbe prender riposo: ma il determinare con pre- 
cisione di quante variazioni sia capace l’Atmosfera dentro d’un 
tempo dato, è cosa a parer mio del tutto impossibile. 

Senzachè dee sapersi, che l’ Aerodromo differisce dai Pal- 
loni volanti quanto una ben costrutta nave da una semplice ta- 
vola galleggiante. 

‘ NOTA (13) chi 

La forza elevatrice, o equilibratrice resulta dal determinare 
l’esatto rapporto, che passa tra la gravità specifica del gas idro- 
gene, e dell’aria atmosferica. 

La difficoltà di determinare con precisione questo rapporto 
ha dato ai Chimici analisti dei resultamenti approssimantisi, ma 
non uguali infra loro. I 

Ecco alcuni di questi. 


Gas idr. Aria atmos: più semplicemente 
Chaptal :: 72: 720 I: 10 
Kirvan :: 84: 1000 I: I9 
Cavendisch tb: 12, © 1 15 
Baroni :1 63,936 : 795,000 ::1 - 12,43 
Dandolo *: 0,09479 : 1,23227 ::1: 13,04 
Libes :: 6,04 : 100,00 ::1 : 12,43 
Biot dragmitt 0,0951 : 12,991 ::1 : 13,66 
vedi Thenard © ’ 2 CHEN 299F ie 
Fischer ©. ::0,03539 : 046005 ::1 :°12,99 
Moratelli se 18 
Accum 1: 11 almeno ec. 


Queste differenze verranno probabilmente dai differenti me- 
todi usati, dalle diverse altezze del Barometro, temperature; ec. 


117 
Ma però non son'tali da escludere la diligenza negli osservatori 
prenominati . 
NOTA (14) 

La spesa per viaggiare nell’ Aerodromo sarà in ragione 
inversa della bontà ottenuta degli involucri. Se questi fosser 
perfetti, la spesa per il viaggio non riguarderebbe direttamente 
che il commestibile, e l’antracite. Sicchè essa sarebbe, riguar- 
do al almiaihie” nella costante ragione di 1, e riguardo 
all’antracite in ragione inversa del numero degli Aeronauti, 
considerandola sempre repartita egualmente l’ una e l’altra in 
ciascuno individuo. 

._ Si avverta però che il numero degli Aeronauti non può 
eccedere il 20. 
NOTA (15) > 


Sia un vento posteriore, che ( successivamente dirigendosi 
a tatti i raggi di un semicircolo) passi all’ anteriore. ( V. Nota 4 ). 

Più si avvicina all’ anteriore, sog cresce l’angolo, che esso 
fa colla linea di direzione. 

Sia x una quantità variabile espressa da quest’ spesa che 
cresca come cresce Ì’ angolo istesso. 

V La velocità del Vento, 

v Quella dell’ Aerodromo. 

M La velocità, che resulterebbe dalle poterize ec. Avremo 


dar uguale alla velocità 
senza potenze v= Mal VEUee. 


Vento posteriore folle potenze v=V+M maggiore della velo= 
” cità del vento. 


minore della veloci= 
senza potenze v=V— 


Vento semi-post x tà del vento. 
P°9" (colle potenze v=Vt(M soll ruaggione: 


Vento laterale ( veM—7 quasi come in calma, 


. Vento semi-ant.( va=zM— (v -4)n ragione inversa 
deila velocità del 


vento, perchè M 
è una quantità li- 
mitata ec. 

Vento anteriore ( \ v=zMoY ec. idem. 


118 

E se V > M, avrassì vevapre sa di O, ossia negativo per il 
progredimento dell’ Aerodromo, cioè retrocedere Questo si dee 
però intendere de’ soli due ultimi casi di vento anteriore e semi- 
anteriore. Per la calma sarà sempre v—-M. 

Ciò, che precedé, suppone sempre che un corpo immerso, 
o galleggiante sopra un fluido in moto, abbia la medesima ve- 
locità del fluido vettore; il che in realtà non succede. (Vedasi 
la Nota 3). D. ScARAMUCCI 


FILOLOGIA 
Sezuita il Dialogo sopra alcune correzioni ed aggiunte 
della Proposta ec. ec. del cav. V. Monti. (Ved. Ant. vol. 


4. p. 488.) 
M. ed L. 


M. Credete voi che il Lapidario equivaglia al Gioielliere , 
come dice il Vocabolario? 

L. Al presente tempo no ; ima al tempo del Boccaccio, 
cioè nel 300, sì. 

M. Ma se il RA salì nel 300 agli onori di Gioiel- 
liere, V età nostra lo ha ritornato al mestiere di Scar- 
pellino; e tuttavia per fargli più onore gli ha affidata 
la scienza e lo stile delle iscrizioni. Ma il vocabolarista 
è tenuto a sapere non tanto il valore antico quanto il 
moderno delle parole (7- Prop. v. 111. P. 1. fac. 17.) 

I. E che altro ci dice il Vocabolario se non che nel 300 
Lapide significava gemma, o pietra preziosa, e che 
Lapidario colui che era si chiama Giosielliere ? Impe- 
rotchè non ci registra altri esempi che quelli ricavati 
da M. Giovanni, dalle Novelle antiche, e dal Dati. 
Ma nel pebiiasel del tempo, perfezionandosi viepiù 
l’arte del gioiellare si chiamò gioielliere, e non più 
Lapidario , colui che lega le gioie, cioè fa gioielli , 
ne conosce le qualità, ne ragiona, o ne fa mercanzia. 
Per altro il nome antico di Zapidario non si perdè 
mell’ arte, e sussiste ancora. 


MM. 


L. 


M. 


Ig 
Certamente e’ sussiste nelle cave di Fiesole, o per le 
strade di fresco lastricate di Firenze, e si chiama Scar- 
pellino . 
No; vi ho detto, che sussiste nell’ arte del gioielliere, 
e non nel mestiero dello scarpellino. Per verità giorni 
sono nol sapeva io neppure, io che son Fiorentino; 
ma trovandomi a caso in una bottega di gioielliere sul 
nostro Ponte Vecchio, mi venne udito il padrone dire 
ad un giovane: ,, Porta queste pietre al LaPIDARIO. Oh! 
subito diss' io; che intendete voi pel lapidario! Guù! 
mi rispos egli, colui che taglia le pietre, perchè le 
si possan legare. E lo chiamate sempre così ? sog* 
giunsi io. Ed egli a me. Si chiama ancora il preTRA4JO; 
ma questo è nome più basso e comune: r4PiDARIO è 
più nobile e antico. Da ciò si vede che coll’ andar 
del tempo nell’arte del gioiellare si è distinto il legatore 
delle gioie da colui che Ze taglia e le pulisce. Questi 
sì è chiamato con più proprietà gioze/liere , questi ha 
ritenuto il nome di /apidario , che ben è differente 
dallo scarpellino di Fiesole. 
Pretendete voi dunque , che si debbano accettare per 
tutta Italia i vostri nomi municipali? 
Se non tutti, quelli almeno che godono la cittadinanza 
in altre parti d’Italia. Or voi non potete ignorare che 
anche a Roma appellasi /apidario colui che taglia e 
pulisce le pietre preziose, ed anche i Francesi tal nome 
gli danno, come si vede da quell’ Apologo del La Fon- 
taine intitolato Ze cog et la perle, il quale incomincia: 


Un jour un coq détourna 
Une perle, qu'il porta 
Au beau prémier lapidaire ec. ec* 


Va bene: ma il vocabolarista....... 

Il vocabolarista compilatore di quell’ Articolo ha torto, 
perchè non ha badato all’ so signore ed arbitro delle 
lingue, ma nè voi pure avete ragione, che lo rimpra- 


N 


120 


verate d’aver confuso il gioielliere con lo scarpellino; 
Si muti dunque, se vi piace, la vostra ossermwazione 
in quest'altra. Lapidario per Gioielliere è moneta che 
più non corre. croseriere è colui che lega le pietre 
preziose , zapip4rio è colui che le taglia, i lustra ec. 
Manca eziandio nel Vocab. il significato di lapida- 
rio come aggiunto allo stile delle iscrizioni incise 
nella pietra o Zapida. Esaminiamo ora brevemente la 
vostra critica osservazione alla voce 1Lavacro. ( Prop. 


«vol. 11. P. 1. fac. 23.) 


Credete voi, che l’ aggiunto di Sucri non debba esten- 
dersi ai lavacri di Pallade, d’Igièa ec ec. senza che si 
faccia alcun torto al S. Battesimo? (Ivi) 
In ciò avete ragione; benchè può rispondersi che il 
vocabolarista lascia sì fatte estensioni o applicazioni 
d’aggiunti all’i ingegno de' poeti. La mia osservazione 
cade sulla vostra opinione, quivi prodotta , ch’ ei do- 
vea dichiarar questa voce con quella di Zagno più 
presto che con quella di lavamento ; perchè voi sog- 
giungete, /avamento non è propriamente il lavacro, 
ma l’azione che si fa nel lavacro. (ivi) 
E così difatto la penso. 
Ma così non la penso io, nè la peprerk chiunque esa- 
mini la cosa. v 
E primamente quando il Vocabolario dichiara lava- 
ero per luogo dove si lava, dà la propria ed esatta spiega- 
zione della voce, e quella di agro non solo era inutile, 
ma eziandio alquanto impropria; perchè il vero sino- 
nimo di /awacro è lavatoio ; ec. La differenza derqueste 
due voci consiste nella maggior nobiltà della prima: 
e fra Zavacro e bagno non solo è questa differenza , 
ma quella ancora dell’uso, a cui questi due luoghi sono 
destinati. Infatti il Cavalca in senso figurato disse acu- 
tamente: ,, (Von voglion sottomettersi al giudizio, e 
al lavacro della Confessione; e se avesse detto a? 
bagno della Confessione avrebbe quasi fatto ridere. 


M. 


L. 


M. 


121 


Ma qui credete voi che Zavacro significhi lavamento 
che è la seconda dichiarazione della Crusca ? 
E perchè nò? La Confessione non è ella l’azione per 
cui si lavano le macchie del peccato? E l’azione per 
cui si lava non si chiama /avamento? Se il Cavalca 
per lavaci'o avesse inteso il luogo dove si lava, avrebbe 
detto al lavacro del confessionario e non al lavacro 
della Confessione. Inoltre quando i nostri antichi, negli 
esempi allegati dalla Crusca, usarono prendere il -S. 
lavacro per battezzarsi, non intesero già prendere il 
bagno, nè prendere il luogo materiale dove si lava la 
colpa originale, ma il lavamento di questa colpa me- 
desima. Finalmente /avamento, o lavazione fu usato 
anco da’ Latini in vece di /avacro , come si vede dai 
due passi, uno di Cicerone e l’altro di Fedro. Quando 
il primo disse nelle Fam. (cap. 5. lib. 9g.) Et ante 
te certiorem faciam ut lavatio parata sit, e il secondo 
lavatio argentea ( fav. 65. v. 22.) certamente nell’ un 
luogo e nell’ altro Zavatio significa il luogo ; 0 vaso 
dove si lava. 
Ma credete voi che l'Articolo della Crusca alla voce 
lavacro sia ben compilato? 
Nol credo: perchè parmi che con questa voce si possa 
indicare non solo il luogo dove si lava, ma special- 
mente la materia o liquore con cui si lava, ed anche 
l’ azione di lavare. Al primo significato apporrei l’ e- 
sempio dell’ Ariosto (Fur. 38. St. 33.) 
Carlo dal salutifero lavacro 

* Con ceremonie debite levolla 
benchè sì in questo come nei seguenti esempi per /a- 
wacro possa intendersi il liquore o fluido nel quale 
si lava (a), 


- 


(2) Veramente le finali latine in cruz? significano per l’or- 


dinario il. luogo dell’azione significata dal verbo, come AMBU- 
LACRUM il luogo dove si passeggia; SEPULCRUM il luogo dove 


122 


1.° Ed in sì dolce e nobile lavacro 
Mentre il polmone mio tutto s’abbevera ec. 
Red. Dit. 
dov’? è chiaro che il dolce, e nobile lavacro è il buon 
vino. 
2.° Ond’ egli cade, e fa del sangue sacro 
Sull’armi feminili ampio lavacro 
Ger. lib. c. 11. St. 44. 
E per esempi del terzo significato di lavamento ape 
porrei, oltre il già riportato del Cavalca, gli altri due 
del Boccaccio , allegati parimente dalla Crusca 
1.° Tutta l’altra gente ec. ec... presero da Ilario il 


Santo lavaero. (nel Filoc.) 


2.° Similemente ancor come nell’acque 
Giordane prese quel Santo lavacro 
Dalle man di costui che più gli piacque. 
(nell Amat.) 
Dopo ciò non posso non dirvi che non giungo a com. 
prendere la vostra aggiunta alla fac. 45. sotto la voce 
LINFATO . 


AI. Non manca egli forse nel Vocabolario il verbo Zineare , 


L. 


che pur si trava usato dal Rucellai ( 4p. 217.) 
DROP o 5 ecen liéera 
Tiran certi angoletti uguali a filo, 
Lineando sei facce. 
Fin qui va bene. Questa voce è sfuggita dal Compila- 
tore, e quante altre? Ma seguitate , se vi piace. 


M. Lineare adunque , voce latina, valendo tirare a filo 


lat. ad lineam dirigere , Vl adiettivo Zineato verrà tira- 
to a filo, senso ben diverso da sparso e coperto di 
linee, a cui la Crusca ristringe indebitamente il valor 
di questo aggiunto. 


si seppellisce ; LAVACRUM il luogo dove si lava ee. ec. ma ta- 
lora significano ancora la materia con la quale si eseguisce |’ a- 
zione; come INVOLUCRUM la materia che ne involge un’ altra; 
SIMULACRUM la pietra che rappresenta un uomo , un Dio ec. ec. 


123 


L. Parmi se non isbaglio , che qui specialmente vi si possa 
applicare il quandoque bonus del Venosino. Se lineare è 
come dite voce latina, ella per la ragione dell’ etimo- 
logìe avrà il significato latino, che è dirar linee, du- 
cere lincam , oppure come aggiunge , Ambrogio da Ca- 
lepio, lineis rem aliquam figurare et formare; ma 
questa seconda spiegazione è più propria del verbo de- 
lineare, perchè con Ja proposizione de si fa intendere 
che le linee si tirano da varii punti, acciocchè la su- 
perficie da essi terminata rappresenti una certa forma, 
o figura ; lo che noi diciamo disegnare ricavando la 
voce da segno con la proposizione di equivalente al de 
latino. Quindi si vede che il lineando sei facce del 
Rucellai significa che le Api con la cera tirando a filo 
© per diritto, cioè descrivendo regolarmente certi an- 
goletti uguali, disegnano, o formano con le linee che 
chiudono questi angoli, sei faccie. Se, come voi dite & 
lineare volesse dire zirare a filo , allora il Rucellai di- 
rebbe che le Api girano a filo certi angoletti rrranvo 
a FILO sei fatce, e in questa guisa io non intendo; ma 
intendo bene dicendo pisecnanDo sei faccie , cioè, for- 

mando con quelle linee rezze , che formano gli angoli 
uguali, sei faccie ec. ec. U. L. 


Arre Nasapi. Inno alla greca dall’ Inglese di M. Akensìide 
M. D. recato in verso italiano da 'T. I. Matthias Zrn- 
glese Napoli Stamp. Marotta 1821. 


GI’ Inni di Callimaco offrono l'esempio il più singolare 

di quell’ affetto verso la Mitologia che si scuopre in questo 
poemetto sacro alle Najadi . « Essi, dice l’ Akenside, mi sono 
stati sempre graditi per una certa arcana e misteriosa so- 
lennità che in leggendoli si sente nell’ anima. Questo è il 
motivo pel quale ho voluto esercitarmi in tal maniera di 
scrivere quasi abbandonata nella poesia de’ nostri tempì ec.» 
Ognun vede di per sè stesso che il ch. autore con 


124 
queste parole vuole indicare le poesie dell’ illustre Byron 
e d’altri romantici poeti Inglesi, Tedeschi, e d' alcuni 
Italiani, i quali calpestando aundacemente le regole dell’ ar- 
te lasciateci da solenni maestri greci, e latini, si abbando- 
nano ad una fantasia licenziosa, e vanno errando fra le nu- 
vole, e nel voto. Quanto è più saggio il divisare con lui, 
che per la sola genealogia e per le avventure particolari 
dell’ etniche deità poco interesse sentendosi, dai moderni sia 
buon consiglio lo ‘sciegliere. qualche parte corrispondente 
nella: storia della natura , e di fare uso delle antiche 
deità conforme a quello che ne fecero i Greci , idoleg- 
giando le cause, o i principj naturali, e dimostrando 
quindi la concordia, e quinci la reciproca opposizione delle 
fisiche e morali potenze, nel che consiste la natura di quelle 
finzioni, e perciò il vero scopo e l’ impiego il più dignitoso 
della poesia. 
Secondo questi principj il dotto Akenside tessendo un 

Inno alle Najadi tesse 1’ elogio dell’acqua, che come cantò 
il Lirico Tebano è l’ ottimo fra gli elementi, e come piacque 
di filosofare a Talete il primo e più semplice de’ materiali 
composti. E come tale infatti egli incomincia a considerarla, 
dopo una bella invocazione al Tamigi, sotto la figura di 
Teti (il mare) che dopo la vittoria di Giove si divise il 
mondo con Ope (il cielo) e con Vesta (la terra). Quindi 
dal letto ondoso 

Di Teti sorse quell’ amena stirpe 

Di canne e d’ umid’ erba inghirlandata 

Che in ogni clima da mill’ urne e mille 

AI gran padre Ocean ampio tributo 

Manda vogliosa, e o Najadi è da quelle 

L'rorisitinibatat: ko Aa 
e quindi deduce l’ origine dei fonti, e de’ fiumi, e dei ba- 
gni minerali. Passa quindi il Poeta a descrivere con classi- 
co pennello gli effetti che l’acqua produce nell’ aria, poichè 
i Venti, alata prole dell'Aurora e del Titane Astréo, chie- 
dono soccorso dall’ acque, e quando la forza 


125 


Dell’ astro Iperioneo al fier meriggio 
Fiacca il vigor del lor pennuto ‘orgoglio, 
E illanguidir le fa, da voi da voi 
Chiaman sommessi il refrigerio . . : . 

Largo campo gli offrono quindi le Greche, e Latine dei- 
tà per simboleggiare la necessìtà delle Najadi a procurarsi 
le biade i pascoli ec. Cerere, Bacco, Flora, Pale, Pomona, 
e tutto il coro de' Numi alla lor volta chiedono soccorso, e 
non possono andar disgiunti da queste Ninfe. 

De’ più salubri pascoli reina 

‘ Pale compagna vostra ovunque errate 
Veste di vivo verde il bel sentiero; 
Mentre vicina con più larga mano 
Mille suoi scelti odor, mille colori 
Sparge Flora ridente, e di Pomona 
A lato assisa, e per pianure -culte 

O in qualche valle eletta (ove sovente 
Col Tamigi Seren volgete i passi) 
Le sue ricchezze dall’ ammonio corno 
Spande Amaltea, e 1’ isole odorate 

O d'Atlanto, o di Nisa par non curi i 

Nè minor maraviglia e diletto desteranno nell’ animo 
dell’ accorto leggitore le felici mitologiche allusioni relative 
all’ origine del commercio, e l’allegoria di Mercurio che 
ne spiega il principio e i progressi, onde Minerva insegnò 
all’ industrioso Inglese ad emulare ai Fenicj, e lo fornì dei 
mezzi di stabilire, mantenere, ed accrescere la sua forza 
marittima ; 

L’ alta dell’ armi ed invincibil Dorma (Minerva) 
Vi scelse, o Ninfe, sue ministre in guerra 
Stender dell’ Ocean sonante impero 

E più n'è dilatata sua fidanza, 

Quando da.invitta spiaggia Tamigina, 

O lungo i vaghi e verdeggianti lidi 

Di Vecta (Wight) i suoi più formidabil legni 
Guida per l’ aspra di Cantabria sponda 


126 


Di Galpe ondosa a fulminare in seno, 

D’ Iberi o Celti sarpari le insane 

Minaccie a rintuzzar ec. 

Se il leggitore non penetra da per sè stesso nel senso 

di questi ultimi versi, a noi certamente non dà l’ animo di, 
entrarvi; massimamente perchè, quando gli aggiunti sem- 
brano inconvenienti, ed improprj si può redarguire di follia 
o il poeta, o il chiosatore. Bello per altro ed opportuno è il 
seguente episodio della battaglia di Salamina, quando 

D' Atene in sull’ ardente ultrice prora 

Stette Minerva, e in formidabil tnono 

Tra folgori, tra lampi alzò sua voce 

Disdegnosa, indovina, e di terrore i 

L° empie schiere ingombrando altera scosse 

L’ egida fiammeggiante . ...-. 

Bh e ee Vira e iL REL 

Dal carro aurato al monte in cima assiso 

Serse la vide, e in ciel conobbe il segno: 

Dal suo petto pauroso e palpitante 

Fuggì la speme ingannatrice, e il guardo 

Dimesso ei volse, e vergognoso il ciglio. 

Non cei piace riportare i versi che ne seguono perchè 

cì sembrano involvere una certa contradizione di senso , 
derivante per avventura dalla diversa maniera d’ immagina- 
re delle diverse nazioni, e passiamo piuttosto a dire, che 
merita di esser letto e gustato quanto l’ autor ne dice sul- 
l'influenza delle acque verso la salute del corpo e della 
mente. La diva Igia le somministra nelle limpide fonti dei 
boschi, o nelle umide oscure grotte. 

U’ de’ metalli in sull’ arcata volta 

Di tremolanti ‘lucide fiammelle 

Stan scintillando purpurante vena 

Ove per l’ aspra e rigida miniera 

A goccia a goccia insinuar si mira 

Medicinale umore. Il buon Peone 

De metallici semi liquefatti 


129 
Onde 1’ impregna il sotterraneo chiostro 
Larghe fumanti tazze ne riceve 
Da vostre mani, e all'egro pallidetto 
Le porge, ei beve allegro, desioso, 
E nova vita e forza e lena sente 
E lascia la tristezza in abbandono . 

Finalmente dopo aver cantato le lodi e il potere delle 
Muse e degli studj, e dopo una felice imitazione del comin- 
ciamento della prima Ode Pitia di Pindaro, l’ inglese poeta 
n’ insegna che la vera aspirazione è diversa dall’ entusiasmo 
sregolato de’ licenziosi poeti, e che solamente da temperan- 
za si deriva. 

Noi ci siamo estesi anche un poco più del bisogno nel 
dare minutamente contezza dell’ annunziato poemetto, per- 
chè ci è sembrato un eccellente esemplare di classi- 
ca poesia, e perchè ci conforta moltissimo l’ apprendere 
che in quelle regioni medesime, dove si fa pompa di di- 
sprezzare e di conculcare le regole e le norme dettate dal 
buon giudizio, e dalla sapienza degli antichi, sorgono egre- 
gi scrittori ortodossi, che ne difendono con l’ opera loro 
l’ eccellenza e la santità. i 

Quanto poi alla traduzione italiana fatta, e pubblicata 
dall’ inglese Matthias non havvi credo letterato italiano che 
ignori con quanto zelo e fervore abbia egli promosso in 
Inghilterra lo studio de’ nostri lirici del secolo XVI comin- 
ciando dal Chiabrera fino al Filicaja, con quanta maestria 
abbia egli composto terse ed immaginose eanzoni italiane 
dietro il loro modello, onde a ragione la Crusca Fiorenti- 
na si gloria di averlo scritto fra i suoi membri corrispon- 
denti dopo il defunto celebre Ginguenè. Ma quando ancora 
tutto ciò s' ignorasse, bastano a parer nostro i pezzi ripor- 
tati per giudicare del suo gusto squisito, e della non ordi» 
naria perizia della nostra lingua, per cui merita di sedere 
fra primi scrittori non solo dell’ inglese, ma eziandio del 
Parnaso italiano. E mentre gli tributiamo quest’ omaggio 
di sincera lode, non si creda che siano da noi sfuggiti al- 


128 
cuni piccoli nei che nascono non da cattivo gusto, o da ne- 
gligenza, ma dal non aver appresa la lingua :da nutrice to- 
scana. Perciò nei riportati versi “qua scritto in corsivo 


alcune poche voci. U. L. 
BELLE ARTI. Musica. 
Osservazioni sopra la musica di Giovacchino Rossini. 


Paulisper nitidos offuscant nubila Soles 

Non si conta epoca nella quale i grandi ingegni, 
forniti di raro merito, trovato non abbiano oppositori e 
critici. E ciò appunto è accaduto al sig. Giovacchino 
Rossini, perchè è uomo di rare prerogative in special 
modo distinto, e vagamente adornato dalla natura sem- 
pre maestra del vero. Molti hanno impreso ad esàmi- 
nare le opere musicali di quest’ TOBeGtO , e molti ve 
n’ ha fra questi ancora, che hanno ciò fatto con favore- 
vole successo. Le più recenti osservazioni, però che 
siansi a me fatte d’ innanzi su questo particolare; sono 
le « Opinioni intorno la musica di Giovacchino Rossini 
di Pesaro » insente in questo giornale nel fascicolo X; 
alle quali opinioni mi sembra poterne opporre. altre e 
‘diverse, non avendo trovato quelle scevre affatto di pre- 
venzione. Nè è adesso mio intendimento il'dar di fron- 
te a massime per dottrina, e verità rispettabili, ma solo 
di emendare, e correggere alcune cose, che ignote sem- 
brano all’ autore di quell’ articolo come uomo, al quale 
sebbene dottissimo, pure perchè poco versato nella lira 
di Polinnia , e di Euterpe, male si addice il dar sopra 
di essa severo giudizio. Nè per esattamente giudicar del 
Pesarese basta solo quell’estranea conseguenza; che trar 
si può dal confronto delle due arti sorelle , ‘alle. quali 


x 


È 129 
ha dovuto necessariamente aver ricorso l'autore per 
mancanza forse delle dirette nozioni, che nel labirinto 
musicale lo andavano involontariamente involgendo; 
ma fa di mestieri aver altresì la profonda cognizione 
della musica, non che delle difficili regole del com- 
porre. 

Ed oltre a ciò quale scopo avrebb’ egli per avven- 
tura il sopracitato discorso? Forse lo scopo di una 
censura promossa da spirito di parte? Non voglio so- 
spettar ciò nell’ urbanissimo autore, e mi piace suppor- 
re che le sue fatiche a più alto fine mirassero. Forse 
dunque per esser utile con una sana critica? .. . Esami- 
niamolo. 

La critica, l’unico e vero. mezzo per rettamente 
giudicar delle cose, se al solo fine di esser utile essa 
‘venga diretta, dee noverare i difetti non solo di ciò che 
le vien sottoposto, ma tutto quanto eziandio in esso si 
ritrova e di pregio, e di bellezza. Dall’ esatto confronto 
delle une colle altre qualità , nasce quindi nell’ animo 
del lettore il giusto , e retto giudizio, scevro affatto di 
quella parzialità, e prevenzione, che tutto toglie a que- 
sta bell’ arte. Or dunque quali sono gli encomj, o dire- 
mo solo, quali le cose degne di lode, che l’autor nostro 
benignamente concede al Pesarese? Eccole: gran do- 
vizia di prerogative armoniche. E. nel vero, per quanto 
largo, e benevolo egli abbia voluto essere, non lo rende 
certo di gran lunga superiore ad uno studente, o ap- 
prendista, al quale la natura stata sia doviziosa di buon 
orecchio armonico, e di facil disposizione ad imparar le 
regole del contrapunto; o se vogliamo dir. più, di un 
certo ingegno per ben combinarle . Ma io, secondo ì la- 


mi che somministra quest’ arte, per verità credo aver 
NE, VI. Aprile 9 


130 

forti ragioni da poter concedergli qualche merito più 
rilevante . 1 

Tutti coloro, i quali criticano il Rossini, non sanno 
a mio parere, oppur lor giova non accorgersi, scriver 
lui se non in uno stile affatto nuovo, almeno in uno 
tutto suo, e non comune ad alcun altro maestro). E qui 
per parlare esattamente fa di mestieri porre una distin- 
zione fra la musica antica, che a me sembra potersi 
confinare in Mayer, e ta musica moderna , che faccio 
‘incominciare dal maestro Generali; perchè questi il 
primo diede una scossa allo stile , a’ concetti , ed alla 
maniera di esporceli rivestiti del vivace suo stile con 
nuova, e più dilettevol forma. Imperocchè io non vo- 
glio cadere nell’ opposto difetto di attribuire al Rossini 
anche quel merito che non ha, concedendo cioè a lui 
solo il nobile vanto di rigenerator della musica. Bensì 
è stato egli che ha promosso, illustrato , e perfezionato 
quel genere, che il Generali in prima inventò . Siccome 
tutto in questo mondo è ordine, e relazione , (e felice 
chi sapesse tutte rintracciarne le anella ) dimodochè la 
noja ex. gr. che nasce dall’ uniformità, ed il disgusto 
che nasce dalla noja trova i suoi semi nella cosa, che 
a lui precede 5 così dunque è forza, che in questo pure 
con eguale e mirabil ordine proceda, e che gl’ ingegni, 
quantunque insigni e straordinarj escano dalle mani 
della natura, trovino nei loro predecessori qualche trac- 
ela, o seme, afline di pervenire così a quell’ alto grado 
di perfezione che li qualifica, o per felici illustratori, © 
per compiuti e finiti inventori. Ma rado anzi addivie- 
ne, che un nuovo genere non sorga di molti, e molti 
perfezionamenti bisognoso . La circoscrizione, e limita- 
zione della nostra mente non ci permette che di cam- 


131 


minar per grado; e radi sono gli spiriti veramente crea- 
tori. E quì valgami accenar di volo il confronto di due 
soggetti, la di cui brevità di stile tanto li ravvicina. 

Non fu forse Sallustio il primo che inventò quello 
stile, il quale venne di poi perfezionato ed illustrato da 
Tacito? E ciò sia detto per riguardo allo stile della mu- 
sica del Pesarese.. 

La natura, è vero, non si dimentica di quando in 
quando di esaltare questo vile terrestre soggiorno , e 
perciò fa sorger quaggiù alcune anime privilegiate, e 
sublimi, atte a formare 1’ ammirazione degli altri, e la 
gloria delle città che in sè le racchiudono. Che se deb- 
basi appunto giudicar il Rossini dal confronto, come a 
suo svantaggio pretende l’ A. io questo, anzi che a 
suo danno, a viva sua gloria il rittaggo, Come falso del 
tutto ritrovo, che ron. possa nascere nè wn poeta si 
grande, nè un sì gran pittore, che faccia subito di- 
menticare un’ Omero, e un Raffaello. Nissuno limitò 
mai la natura distributrice a suo talento del genio, e 
dello sviluppo; e malagevole non che inutile riescirebbe 
all’ autor nostro l’ erigersene in rigido circoscrittore. E 
di fatto non ne abbiamo noi esempi nelle istorie ? In 
Francia nel secolo posteriore a Racine, e Corneille, chi 
non vide chiaramente il trionfo, che quello sopra questi 
superiormente ottenne? Non fu forse lo specchio de’tra- 
gici, il teatro, che ascoltò di quest’ultimo riprodursi 
sole quattro o cinque principali tragedie, nel tempò 
che di continuo tutte di Racine risuonar lo facevano di 
ripetuti applausi? (a) Metastasio in Italia non ha egli 
fatto dimenticare del tutto Apostolo Zeno inventore del 
genere drammatico ? 


(2) Storia del Teatro Francese. 


132 

Che se dall’ una parte le arti, e Je scienze tutte 
sono suscettive di raflinamento e perfezione , vi sono 
altrésì certi confini, oltrepassati i quali, anzi che alla 
perfezione, al decadimento tosto le conducono. E qui, 
‘senon erro, la natura, alla quale tutto dee assomigliar- 
si, e che a tutto servir dee di norma e di guida, ne è il 
limite rigoroso . Vogliamo però dire che il nostro Ros- 
sini abbia oltrepassati questi confini, e che sia da chia- 
marsi, come altri il vogliono, l’Achillini dell’ armonia ? 
No certo. E se vi è forse qualche antico maestro, che 
abbia arrischiato questo, non sarà che qualche rigorista 
precettore, o servil pedante delle regole del contrapun- 
to, il quale anzi che sviluppare 1} genio, smorzerà ed 
incepperà il gusto de’ suoi allievi. 

E qui anzi voglio render quell’ omaggio, che si 
deve alla verità, e quanivaque non si ritrovi nella mu- 
sica del Rossini tutta quella semplicità, e naturalezza, 
che desidereremmo, quale appunto si scorge nell’ opere 
degli antichi scrittori; contuttociò per non esserne egli 
aff«tto sprovvisto , e ritrovandola anzi in var} de’ suoi 
componimenti, siamo autorizzati a dubitare che possa 
aver luogo quest’ umiliante paragone , o almeno che 
spetterà alla posterità, e non a noi il comprendere il 
Rossini con quella turba degli scrittori del seicento, che 
verun pregio non hanno, che alla riconoscenza de'posteri 
li raccomandi. Molte cose dunque degne di lode ed ec- 
cellenti ha il Rossini, come per lo contrario niuna cosa 
forse nell’ Achilhni ritrovasi degna di dovuto encomio. 

E però mi giovi nel cuor tuo , lettor benevolo, il 
ricordare ,, che v° hanno tempi; ‘ne’ quali sorgono di 
tratto in tratto uomini grandie per dottrina e pen inge- 
eno, che a un sì alto grado di perfezione giungono, e di- 
rem quasi a un raffinamento tant’ oltre spinto, che es- 


133 
: -sendo l’ ultimo stadio del buono ne lambisce i confini, 
e sembra perciò avvicinarsi al difetto. Questo fa si che 
essi perniciosi sieno per gli altri, non difettosi per sè 
medesimi, appunto perchè coloro, i quali tentano imi- 
tarli debolmente poggiando a’ modelli non affatto privi 
di macchie, sorpassano la linea, e involontariamente ri 
boccano nel difetto. Il Rossini per me rade la circon- 
ferenza senza entrare nel circolo. E nel vero non è egli 
stato così del Correggio, del Parmigianino, e del divino 
Michelangelo , i successori dei quali volendo imitarli, 
caduti sono nell’ errore, e nel cattivo gusto? OQude 
niente mi rende stupore a veder qualche insigne mae- 
stro proscriverlo dalla sua scuola , poichè giammai av- 
verrà che il Rossini si rechi in mano a’ giovani per la 
parte dell’insegnamento; ma dopo avere altresì già for- 
mato il gusto sui classici, per maggiormente sviluppare 
l'ingegno, e lasciar così libero corso a’ voli. della loro 
fantasia. Vi sono vari poeti moderni degni di tutta la 
nostra ammirazione , e per l’ originalità, ed arditezza 
de’ loro pensieri, i quali non sarebbero giammai posti 
davanti gli occhi da un dotto e perito precettore come 
modelli di stile, ma dopo aver bensì formato il loro spi- 
rito sopra que’ divini esemplari, i quali sorsero fra le 
tenebre delle passate età, maestri delle perdute vie del 
vero in ogni parte delle umane cognizioni. La ragione 
ne è per sè stessa evidente. ll Rossini, genio soprana- 
turale, e fecondo attingendo in que’ fonti scevri affatto 
da ogni labe erronea, e rivestendo que’ bei pensieri del- 
l’ ardito, e vivace suo gusto, niente è da far meraviglia 
se abbia condotto la musica a quel grado eccelso, che 
presentemente si vede, e s’ascolta. Ma quegli stolti, che 
pretenderanno imitarlo, privi di quel genio vivo, e fe- 
condatore non attingendo a que’ primari fonti di subli- 


1354 
me purezza, da cui bebbe avidamente il Rossini, inutili 
renderanno i loro miseri sforzi, nè fia che giammai 
pervengano a piacere . 

Inutilmente si taccia poi il Pesarese nostro come 
mancante affatto d'espressione; mentre noi amanti del-. 
la pura verità possiamo dire, che se vi ha in lui qual- 
che squarcio, in cuì la musica non si addica totalmente 
alla parola, ve n° ha bensì di quelli, in cui servesi all’e- 
spressione di essa, e tanti che veruno n’ ebbe mai in sì 
gran copia. E prova ne sia l’aria del Coriolano, nella 
quale 1’ anima sua sensibile tutti gli affetti suoi trasfuse 
in quella dolce armonia . Ne si voglia appunto citar la 
Gazza ladra come modello di poca espressione , mentre 
divò che quest’ opera non è una delle migliori del Pe- 
sarese, ed inviterò invece l’ autore a dare una semplice 
occhiata al Fancredì, al Barbier di Siviglia, all’ Armi- 
da, all’ Elisabetta, alla Donna del lago, e quando queste 
pur non esistessero, al solo Mosè, di cui la posterità gli 
saprà eternamente buon grado. 

Se mi diranno poi, che una troppo rumorosa or- 
chestra, e un troppo forte istrumentare non lascia go- 
dere la voce del cantante, risponderò ciò esser vero; 
ma esser egli altresì obligato a farlo per mancanza di 
que’ sublimi cantori, che esistevano una volta. Il suc- 
cesso di un’ opera allora molto si appoggiava a quei 
grandi uomini, che non essendo presentemente; fa me- 
stieri aver ricorso all’orchestra, onde maggiormente in- 
contrare. 

Hanno detto che si ripete, e il confesso: ma che 
per questo ? Cessa egli Orazio di esser un gran scrittore 
per aver questo stesso difetto ? Niun mai fu tanto pla- 
giario a sè stesso quanto Ovidio ; non vivrà egli perciò 
immortale alla posterità ? 


135 

Leviamoci , e la ragione filosofica delle cose non 
mai disgiunta dalla verità ci conduca a scernere l’ oro 
puro dal piombo , e conoscer così ciò che ha sommaini- 
strato di buono il Rossini al teatro italiano, dopo di aver- 
ne noverato i difetti. Arrischiamo nel proferire il no- 
stro qualunque siasi debole giudizio, ma sempre però 
sincero Sapia quest ingegno, e seguiamo ; per quanto è 
a noi qui concesso, le traccie del vero . 

La musica del Rossini, siccome manca di tutta 
quella naturalezza e semplicità degli antichi (6), e qual- 
che volta di esatta espressione alla parola , così è dovi. 
ziosa di vivacità, d’ arditezza somma, e di grandissimo 
effetto. Nell'istessa maniera che egli si occupa , forse 
un poco troppo, dell’ istrumentale, ha fatto così vedere, 
che non devesi affatto trascurar questa parte, ed ha in 
tal guisa tolto quella stucchevole monotonia, che ritrovasi 
nell’ antico metter d’ istrumenti, in cui la cantilena 
de' primi violini va quasi sempre confusa con la parte 
del canto. E mentre egli si discosta forse con: armo- 
nica licenza dalle regole del contrapunto, ha dato nel 
tempo istesso uno scatto al gusto, onde non incatenarlo 


(5) Non ho però voluto dir con questo, che il Rossini sia 
totalmente privo di naturalezza e semplicità; questo sarebbe 
falso. E necessario fare un’ interessante distinzione fra 1’ armo- 
nia, e la melodia . Si separi il cantabile del Rossini dall’ accom- 
pagnamento dell’ orchestra, e vedasi se niuno ha mai sentito 
così al vivo la naturalezza del canto} se niuno ha mai rintrac- 
ciato con sì geniale commozione le vie del cuore. Se ne vuole 
anche una grande e non fallace riprova? Tutte le vie di quelle 
città, ove si è ascoltata la musica del Rossini, risuonano delle 
sue opere, ed il giovine caffettiere ugualmente che il facchino 
ripetono di continuo, e avidamente si strappana l’ un l’altro di 
bocca i suoi motivi. 


136 
troppo servilmente a’ precetti, quasi sempre distruttivi 
degli slanci del genio. 

Non passerò però sotto silenzio a tutta sua lode il 
grande effetto, e mirabile; che come profondo conosci- 
tor degli istrumenti ritoglie dall’orchestra, caratteristica 
tutta sua propria; onde egli tanto si contradistingue, che 
i0 credo certamente non sostener confronto. E di fatti 
devono forse andare in dimenticanza quell’ imusitate ed 
alte imagini, quel soave delirio, ed ebrietà di passione 
infiammata, che sentesi nella sua musica? quai pezzi 
ivi non ascoltansi pieni di foco e d’ innalzamento; che 
avendo elettrizzato gli uditori, banno eccitato il loro 
entusiasmo per questo grand’uomo? Non è questo un 
giusto tributo, che offriamo al sublime suo genio ? 

Il Rossini ha dunque delle grandi eccellenti e su- 
blimi qualità, che lo distinguono per un genio straordi- 
nario, come ha ugualmente delle macchie, e de’ difetti 
che io caratterizzano per uom mortale. Ma chi potreb- 
be mai per avventura contarsi in questa terra privo di 
difetti, scevro d’ errori, e d’ imperfezioni? Niuno al cer- 
to..Si dà il perfezionamento delle arti, non l’uomo 
perfetto; egualmente che. esiste l’ universalità delle 
scienze, non l uomo universale . 

Non ti spiaccia , lettor imparziale , in aggiunta a 
quanto ho espresso, che io mi faccia ora a parlare di 
ciò, che è stato detto su questo proposito nel giornale 
dell’ effemeridi letterarie di Roma, al fascicolo decimo 
sesto, in cui l’ autore dando un saggio dello stato. pre-> 
sente della musica in Napoli, irritato, come egli stesso 
confessa, dal non esser piaciuta la musica del celebre 
maestro Hayden, scagliasi sulla moderna maniera di 
scrivere, dicendo che /e private accademie, i teatri, e 


137 
i perfino è nostri augusti templi ci offrono continui ar- 
gomenti della sua corruzione (c). E nel vero quanto mi 


(c) Passa indi a far osservare alcuni passi, non so se di 
Rossiuvi, o di altri moderni maestri, che egli pretende contrari 
alle regole, come le quinte per modo retto, la settima minore, 
e le note d’ accordo riguardate come appoggiature. Non sotto- 
porrò io a minuto esame i medesimi, rintracciandone così il vero 
fondamento, perchè oltre portarmi a cimentare di troppo la sof- 
ferenza del lettore, di lunga indagine mi sarebbe. Solo dirò che 
la settima minore che sale, quantunque proibita per la crudezza 
del cantabile che in sè stessa contiene, se essa venga raggirata, 
e posta in maniera , che un buono e grato canto ne riesca, 
oppur se debba servire all’espressione della parola, anzi che bia- 
simo, lode si deve a colui, che ha saputo render piacevole ed 
armonioso quello, che sembrava per. natura sua disarmonico . 
(Vedi A. e C.) 

Anche la squisita purezza dell’ orecchio degli antichi ap- 
pena ammetteva il tritono, ed avrebbe certo rigettato come cru- 
do questo passo (vedi B.); pur non ostante adesso, quando que- 
sto serve all'espressione (1), e purchè sia ben combinato, può 
egli trovarsi cattivo che si adoperi? Chi sarebbe colui che po- 
tesse giustamente censurarlo ? 

E vero che Rossini, e altri moderni usano le quinte 
progressive per modo retto; ma allorchè queste servano all’e- 
spressione della parola, o che per altre qualunque siansi ragioni 
acconciamente esse vengano distribuite, si tollerano oggidì (2). Alla 
fine del terzetto dell’ Otello succedonsi cinque quinte; (esempio 
che può nell’ istesso tempo servire tanto per le quinte, che per 
le settime che ascendono) (Vedi C.); ma specialmente in fine di 
un pezzo di cotanta forza, e dove la parola esige tanta espressio- 
ne, puo egli rimproverarsi senza ingiustizia all’ autore di essersi 
dipartito pri poco dalle regole ? Chi non vede, che egli avreb- 
be potuto toglier le medesiine con la più gran facilità; o se 
neppur avesse voluto darsi questa pena, chi non vede, che a- 
vrebbe potuto correggerlo, coll’apporci una sola chiavetta di te- 
nore (Vedi D.), dando diversa disposizione ad alcune altre pic- 


(1) Leggasi su di questo il Tartini 
(2) Si legga su questo Eximenos. 


138 
sembra aver egli con giustezza ed equità parlato della 
musica da Chiesa, altrettanto nell’altra mi farei lecito 
osservare, che la musica, la quale va strettamente , e 
servilmente soggetta a’ precetti ed alle regole, poco la- 
sciando alli slanci ideali dell immaginazione, o non 
piace, o generalmente sente del faticato e dell’ affettazio- 
ne, e manca per conseguenza di quella naturalezza , e 
fluidità tanto necessaria nella musica. E per riguardo 
al contrapunto giovi il sapere, che la più gran parte delle 
regole del medesimo sono proibitive;vietano, cioè, di fare 
ciò, che è stato creduto possa produrre uncattivo effetto. 
Ora seavvenga mai che alcuno sorga, il quale ottenga il 
comune suffragio di tutti gli orecchi armonici, che tra- 
sporti l'animo dell’ascoltante nel più vivo entusiasmo, con 
trasgredire ancora a queste stesse regole, chi non vede chia- 
ramente, che questi non è altrimenti tenuto a stretta- 
mente osservarle; appunto per aver egli ottenuto lo 
stesso immediato scopo, per il quale sono state da’ cri- 
tici una volta formate? e se questo generico discorso 
può con ogni ragione appropriarsi a tutti i mediocri 


cole cose? Ma si consulti la parola, e si veda che egli ha volato 
così servire all’ espressione. Vorremmo forse cader nella bassezza 
di supporre, che egli non seppia scansar le quinte, cosa tanto 
puerile, e che poco, o quasi niente per meglio dire costa per- 
sino agli infimi principianti del contrapunto? 

Niente mi farò a dire delle note, che egli chiama d’accordo; 
mentre esse non sono che semplici appoggiature forzate o pro- 
lungate, come altri le chiamano, alle quali sta appoggiato tutto 
il bello del motivo. Dimodochè se queste tolgansi a fine di cor- 
reggere il passo, seco lcro vien tutto del pari e il gioco e il 
frizzo del coneetto, (Vedi E.) Non posso ancora rivenire dallo stu- 
pore, nel vedere osservar pedantescamente a delle sì piccole cose; 
mentre da queste un insieme sì grato, e sì dilettevole di con- 
tinuo s’ ascolta . n 


139 

principianti del contrapunto, che direm noi di quelli, i 
quali per il loro sublime ingegno oltre le communi vie 
tracciate dagli altri, con felice ardimento da questi 
eminentemente s’ inalzano? che direm noi di quelli, i 
quali, anzi che esser limitati entro i confini delle rego- 
le, superiori si rendono alle medesime nella stessa tra- 
sgressione? Ma io non m° avvedo che passo passo m'i. 
noltro in una questione, la quale non è adesso mio in- 
tendimento protrarre a più lungo e minuto esame, e 
che solo riserberò a suo tempo, allorquando l’ imperio 
della causa il richieda . 

Ah si riconosca una volta, che i gran luminari 
soggetti non vanno alle fredde regole limitatrici del 
gusto. E qui valgami, lettor benevolo , il rammen- 
tare ciò che dice il Pignotti nella sua istoria della To- 
scana, saggio secondo, in cui dice: / critici osservando 
que’ poemi (d), hanno scritto le regole, ed hanno det- 
to agli altri poeti: eccovi le traccie sopra di cui do- 
vete camminare ; i limiti che non vi è dato d’ oltre- 
passare. Ma Dante, V Ariosto, e Milton non erano 
fatti per chiudersi in limiti, e seguir delle traccie 
servili. Nati per esser creatori harino battuto nuove 
strade, e sono giunti a farsi ammirare da’ posteri. 
Hanno ottenuto il fine; dunque i mezzi erano ottimi . 
Sono stati creati dalla natura legislatori del gusto ; 
piuttostochè soggettati alle meschine leggi de’ critici, 
leggi che non hanno mai prodotto alcun capo d’opera. 
Quante più sono le strade, che conducono al gran fine 
di dilettare e istruire gli. uomini ,, tanto maggiore si 
mostra la fecondità della natura. : 

Si cessi dunque una volta dall’ inutilmente rim- 


(d) Parlando d’ Omero e di Virgilio. 


140 i 
proverare al Rossini i suoi piccoli difetti, allora quando 
eminenti bellezze in lui continuameute risplendono. I 
gran geni possono prendersi grandi libertà ; e si può dir 
con Orazio: Ubi multa nitent, paucis non offendar 
maculis . 

H. FRANCESCRINI 


LETTERATURA. POESIA. 


Saggio di versione dell’ Iliade. 


(Continuazione, Vedi T. V- pag. 240.) 


L’ Iliade d’ Omero , quale è a noi pervenuta a tra- 
verso lo spazio di oltre vent’ otto secoli, non solo abbon- 
da per avventura di versi dai più veggenti ricomosciuti 
spurj, e inseriti dagli antichi rapsodi, ma vi s' incontra- 
no ancora non di rado voci di dubbio senso, ed equivo- 
che locuzioni. Ma nessun luogo forse del poema conta 
tanti passi suscettibili di varia interpetrazione, e tor- 
mento eterno de’ critici, come quello di cui offro 
qui sotto la poetica versione. Mi giovi pertanio av- 
vertire i lettori, che quantunque questo lavoro abbia 
io condotto con Eustazio e con l' Heine alla mano, pure 
talvolta ho adottata come poeta quella spiegazione che 
avrei rifiutata come critico. In tal modo adoperò. 
ancora il Pope traducendo la Iliade, come egli stesso 
ne lo annunzia nell’ egregio discorso che pose in fronte 
all’ opera sua; ed io; che in quanto al metodo da tenersi 
in una versione in rima, mi son proposto andar dietro 
alle tracce di lui , godo valermi di un tanto esempio . 
E chi potrebbe esser rimproverato a ragione, prenden- 
do a sua guida la più bella versione di antico autore 


141 
che mai sia uscita in alcuna lingua? (1) Del rimanente 
poco dee importare a chi legge la preferenza data piut- 
tosto ad uno che ad altro significato in un lavoro, dal 
quale egli ricerca diletto più che istruzione .. Imperoc- 
chè ad appagare coloro, che vogliono conoscere le nude 
torme del testo, sono pronte le versioni letterali in pro- 
sa latina, e nell’ italiana ancora; nè iu una traduzione 
pure dettata in isciolti, ove questa si serbi fedele al ge- 
nio della lingua nostra e del verso (2), potranno essi 
confidare di veder riportati tutti 1 tratti dell’ originale, 
a malgrado della latitudine tanto maggiore che quel 
metro accorda a chi trova comodo il valersene. Non 
gli stessi pennelli, non gli stessi colori avea fra mano; 
come poteva egli copiare esattamente il quadro? La 
differenza adunque fra una versione in rima ed altra 
libera da tal giogo, in riguardo all’ approssimarsi al mo- 
dello comune, non può essere che dal meno al più; e 
all’ amatore de’ bei versi non giungerà discaro per av- 


(1) Odasi come ne parla nel Quarterly review un moderno 
eritico inglese all’ occasione di lodare la bella versione in rima 
della Gerusalemme, dal suo compatriotto Hunt pubblicata nello 
scorso anno. y, And vve scarcely knovv vvhere to look for more 
general and sustain’d smoothness and spirit during so long 
and arduous career, unless it be to the — What shall vve 
call it? — The superuman effort vvhich produced that master 
piece of rhyme, Pope’s version of IHiad. Vedi ancora la let- 
tera sopra Pope del celebre Lord Byron. Tutta la nebbia ro- 
mantica che si alza di presente nel settentrione non vale ad 
offuscare quel sole del Britannico Parnaso. 

(2) La più fedele versione che io mi conosca della IHiade 
è quella del Voss in esametri tedeschi. Ebbene: un profondo 
conoscitore di quella lingua per nazione e per istudio mi as- 
sicura molte voci, e la frase tutta aborrire dal genio dell’ i- 
dioma dei Klopstock, dei Goethe, e dei PVieland; esser quello 
in una parola un Tedesco-Greco . 


142 
ventura, che questo meno nella fedeltà venga compen- 
sato dal maggiore effetto poetico. Dovrebbe pertanto il 
traduttore scioltista attendere con ogni cura a profit- 
tarsi di quel solo vantaggio, che egli ha sopra il rima- 
tore. Altrimenti che altro mai potrebbe determinare lo 
studioso a legger la Iliade tradotta nel metro dell’ Ita- 
lia liberata, piuttosto che voltata in quello della divina 
Gerusalemme? Ciò non ostante vediamo alcun recente 
traduttore della prima specie vantarsi di ristringere in 
più brevi confini la frase del testo, (3) lo che mi sem- 
bra violazione di fedeltà ugualmente forte che lo allar- 
garla di troppo, e forse maggiore, inquantochè il primo 
modo più del secondo si allontana dal fare di colui 
a quo ceu fonte perenni 
Vatum pieriis ora rigantur aquis. 

E facendo ancora astrazione dal dovere di chi tra- 
duce, diremo da quel proponimento esser violate le re- 
gole fondamentali dell’ epico stile, dove la brevità non 
istà bene ad ogni ora, ma solamente si contiene là do- 
ve appunto l’ ha posta quel grande « Che sovra gli al- 
tri com’ aquila vola, » ne’ luoghi cioè i più sublimi, e 
ne’ più bassi; in quelli per colpire gli animi fortemente, 
in questi per farli passare di volo sopra dei particolari 
di poco momento. Ma non istando pur bene a me il 
dissertare in un semplice avviso, chiuderò questo con 
altro diretto a coloro, che per questa mia fatica hanno 
mostrato favore e compatimento . 

Nell’ anno 1824, al più tardi, darò alla luce gli 
ultimi sei canti; e nel volume contenente i sei, di cui 
presento qui sotto il secondo saggio ai lettori, includerò 
ristampate alcune pagine del primo, facendo ragione 
alle critiche, talvolta giuste , del mio Aristarco , e de. 


(3) Vedi Antologia vol. 3. Pag. 4a 


143 
terminato dall’amor di far meglio che mi anima co- 
stantemente. 

ARGOMENTO 
Avendo Achille per la morte e lo spogliamento 
dell’ amico Patroclo perdute le armi che egli impre- 
state gli aveva quando lo manilò a combattere, Teti si 
porta da Vulcano per ottenerne da lui delle nuove di 
fabbrica celeste come erano le prime. Vulcano riceve 
la Dea con grande onore. Teti gli espone l’ oggetto 
della sua venuta , ed egli si presta sollecitamente a 
compiacerla, e lavora le armi. IL poeta si diffonde mol- 
to nella descrizione dello scudo, e delle figure scolpite 
in quello , 0 semplicemente incise: imperocchè sopra 
questo punto è controversia fra i dotti, 
Così Giunon. Ma di Nereo la prole 
Giungea frattanto alla superna sfera 
Nella reggia del Dio cui Lenno cole, 
Stellata, eterna, fra l’ eterne altera. 
Alzò Vulcan 1’ adamantina mole, 
E non che l'architetto il fabro ei n° era. 
Colà ‘trovollo ne’ fabrili studi, 
Che 8° avvolgea fra i mantici e l' incudi, 
Tutto affanno e sudor lo vide Teti 
Ben venti travagliar tripodi insieme, 
Ond’ egli ornar volea 1’ alte pareti 
Del bel palagio che le età non teme; 
Di rote d’ or ciascuno e di segreti 
Ordigni instrutto nelle gambe estreme, 
Ond’ ei per sè potesse (oh meraviglia!) 
Vemire e andar fra l’ immortal famiglia. 
A tal punto dell’ opra era l’ egregio, 
Artefice. Non anco in ferrei nodi 
I bei manichi avvinse, aspri di fregio. 
Questi or poliva, e martellava i chiodi. 
Mentre in lavor di tanta cura e pregio 
Immerso è fuor de’ consueti modi 
Colà nella fumosa ampia fucina. 
La Dea non vede al limitar vicina. 


144 


Ma scorta l’ ebbe ‘e ad incontrarla scese, 


Biancovestita ninfa, Caritea, 

Che in forme vaga, in indole cortese, 
L’ inclito mastro disposata avea. 

O salve, disse, e per la man la prese, 
Tetide cara e venerata Dea: 

Perchè ne’ tetti mostri oggi le piante 
Candide poni? Nol solevi innante . 


Orsù t’ inoltra a’ penetrali e siedi, 


Ch’io t’ apparecchi l’ ospital convito. 
Così detto adagiolle il fianco e i piedi 

In ricco seggio e di sgabel fornito, 

Che per chiodi argentati infra gli arredi 
Splendea sudati dal divin marito . 

Poi s’ affaccia allo speco, e lui sì chiama 
Vulcan, qua vieni, gentil Dea ti brama. 


Teti, ha d’ uopo di te. Volse giuliva 


La bruna faccia; e replicò Vulcano : 
Inver solenne e venerabil Diva 

Sta ne’ miei tetti, e non ricorre invano: 
Che quando madre di consiglio priva 

Dal sommo Olimpo traboccommi al piano, 
Oade celar ine zoppo agl’ Immortali, 

M’ accolse in grembo e mi salvò dai mali. 


Di Teti e in un d’ Eurinome nel seno, 


Figlia del Dio che tutto abbraccia il mondo, 
Molle caduta fei, nè con lor meno 

D' anni nove abitai nel salso fondo, 

E in cavo speco, là sicuro appieno, 

D’ obbligo tanto mi scemava il pondo 

Molte a lor fabbricando opre gentili, 
Fermagli, armille, e fibule e monili. 


Dell’ immenso ocean sopra e d’ intorno 


Le correnti sonavano, nè aléuno 

Fra i viventi sapea del mio soggiorno; 

(Non mortali, non Dei, non pur Nettuno ,) 
Tranne Eurinome e Teti, ond’ ebbi al giorno 
De’ guai soccorso e del furor di Giuno. 

Ben mi giova membrar quel debit” ora 

Che i tetti nostri la seconda onora. , 


145 

E coglier ‘godo l’opportuno istante 

Di darle a i merti guiderdon conforme. 

Tu la mensa ospital le poni avante, 

Mentr’ io mantici assesto e ferri e forme. 

Disse, e levò il divin fabro gigante 

Dal sedil dell’ incude il fianco enorme. 

Rosso è del fuoco che vicin sfavilla, 

L’un piè mal fermo, e l’ altro erra e vacilla, 
Dalle fornaci i mantici diparte, 

E co’ chiodi e i martelli ogni instrumento 

Ch’ egli a ministro fabbricò dell’ arte 

Rinchiude in arca di polito argento- 

E con umida spugna a parte a parte 

Le gote poi faliginose e il mento 

Si terge, e le due man ruvide, e pieno 

Di nodi il collo, e d’ irto pelo il seno. 
Indi il manto ripiglia e il grave usato 

Scettro, e alle soglie vien della fucina 

Zoppicando da questo e da quel lato, 

E faticosamente oltre cammina; 

A due leggiadre giovani appoggiato, 

Che d’ oro son (sì l’ oro il Nume affina) 

Pur mente hanno e favella, e furo in tutte 

Femminee scuole da’ Superni istrutte. 
Portento suo che seco ‘ognor veniva, 

E fabbricata da Vulcan famiglia! 

Sostentato da quelle al seggio arriva 

Che in ostro adagia di Nereo la figlia, 

E dice: o cara e venerabil Diva 

Tetide, e intanto per la man la piglia: 

Perchè ne’tetti nostri oggi dall’ ima 

Onda venisti? Nol solevi in prima. 
Parla: che brami? Appagherò tue voglie, 

Se nè impotenza nè destin mel vieti. 

Cui lacrimando di Peleo la moglie: 

Vulcan, ne’ mali chi rassembra a Teti? 

A. qual altra immortal più gravi doglie 

Conturbaron d’ Olimpo i giorni lieti? 

Me doppiamente il fato e la tiranna 

Onnipotenza del Saturnio affanna! 

T. VI. Aprile 103) 


146 
Qual poi che me fra le marine tutte 
Sola agliamplessi d’ un mortal sommise, 
E il mio fior, mal difeso in vane lutte, 
Corre a Peleo l’ Eacide permise, 
A cui l’intere posse ebbe distrutte 
Omai vecchiezza e alla magion |’ assise, 
Ecco nuovo dolor de’ Numi il padre 
M'inwia! Piansi consorte, or piango madre. 
Produr mi diede ed educare un figlio, 
Unico fra gli eroi per mia sventura; 
Quale a cresciuta in bel giardin somiglio 
Pianta che l’ aquilon frange immatura. 
Mandato a Troja nell’ Acheo naviglio 
‘ (Stolta!) da me del suo morir sicura, 
Ne’ tetti accorre di Peleo non deggio 
Tornato Achille mio. Ma intendi il peggio. 
Tristo vivere arroge al viver corto. 
Per poco vede, e fin che vede il sole 
Geme, e nulla poss’ io per suo conforto, 
Madre impotente d’ infelice prole . 
L' altero Agamennon (yedi se a ‘torto 
Di tanta ingiuria o se a ragion si duole) 
Daile braccia di lui la donna svelse 
Che il popol Greco a guiderdon gli scelse. 
Di ciò dolendo si rodea di rabbia, 
E negava agli Achei scendere in campo. 
Da’ Teucri intanto -alla marina sabbia 
Stretti gli Argivi non avean più scampo. 
È invan care d’ amici e scorte labbia 
Mercè chiedeanli, e contro l’ oste un lampo 
Dell’ arme invitte sue che i mali estremi 
Da lor fugasse, e offriano immensi i premi. 
Quei si rimase come scoglio a’ flutti : 
Ma del proprio vestì bellico arnese 
Patroclo poscia, e i Mirmidoni tutti 
Gli diè compagni alla tenzon ch’ ei chiese . 
1’ intero giorno con alterni lutti 
ò Duraro a porta Scea l’aspre contese, 
E devastato di quel dì la sera 
Vedea forse Ilion se un Dio non era. 


147 
Di Latona il figliuol che a morte mise 
Quel di Menezio, e l’ uccisor di tanto 
Stuolo fra i primi combattenti uccise. 
D' Apollo it colpo fu, d’ Ettore il vanto . 
Onde a te vengo, e in. supplicheyvol guise 
Bagno i ginocchi di materno pianto, 
Perchè il figlio meschin, da i brevi giorni, 
D’ arme novelle tu mi vesta ed orni: 
E scudo ed elmo, e hei schinier gli appresti; 
E dell’ usbergo la pesante salma. 
Però che tutte le guerriere vesti 
Patroclo li perdè perdendo l’ alma. 
Confida, o Teti, il fabro de’ Celesti 
Rispose, e poni queste cure in calma. 
Così potessi ricambiar tuo zelo 
Ghe mi nascose a i tanti occhi del cielo; 
E il figlio tuo, quando il suo fato arrivi, 
Celar di Morte all’ avide pupille, 
Gom” arme avrà degpnissime ‘de’ Divi 
E maraviglia de’ mortali Achille, 
Tacque e lasciata il Dio Tetide quiyi 
Tornò a destar le artefici faville, 
E tutti a quelle i mantici voltati, 
Li pose all’ opra, e comandonne è fiati. 
Ben venti enormi mantiei in un tratto 
Spiravan tutti ad avvivar le ardenti 
Fornaci; e da ciascun. spirito adatto 
All’ uopo usciva, e governati venti; 
Sempre docili al fabro o tardo è ratto 
Nell’ opra fosse, e presti seco e lenti. 
Ferro e stagno egli prende, e argento, e il biondo 
Re de’ metalli che sì pregia il mondo. 
E a viva fiamma tutto doma e isquaglia, 
E sovra il ceppo, già radice  alpestra, 
Impon la vasta incude, e di tanaglia 
‘Arma la manca e di martel la destra. 
Primamente lo scudo ampio travaglia, 
E tutto l’ orna con virtù maestra. Ù 
Triplica il fulgid’ orlo, e di bell’ opre 
La quinta falda esterior ne copre. 


148 


Qui la terra scolpì, qui l'onda e il cielo, 


E l’aureo sole, e l’ argentata luna; 
Ed in limpida notte e senza velo 
Quante mai stelle il firmamento aduna, 


| Pleiadi ed Iadi, e d’ Orione il telo, 


E | Orsa che non ha tomba nè cuna, 
Ma Plaustro detta ancor schiva con tarda 
Rota l oceano, ed Orion riguarda. 


E qui duo di parlanti uomini pose 


Città fiorenti, e nozze in una'e cene. 
Accompagnate ai talami le spose. 

Con faci vedi, ed invocato Imene; 
Giovani danzator far vorticose 

Carole, e moderarle arpe ed avene; 

E la pompa ammirar femmine in piedi 
Sovr' ogni soglia, e vagheggiar gli arredi . 


Ma d’ altra parte la civile arena 


Densa turba ingombrava, e in mezzo dui 
Piatian d’ an uomo ucciso, e della pena 
In or dovuta da chi spense altrui. 
Afferina l’un che data ammenda ha piena, 
L’ altro che nulla ricevè da lui. : 
Que” parla e questi a’ cittadini, e in luce 
Le prove pone, e i testimoni adduce. 


Il popolar favor freme diviso, 


Chi l’ accusa sostien chi la difesa; 
Quetan gli araldi il mormorio con viso 
Severo e voce ben da lunge intesa . 


\ Cerchio di ‘vecchi venerandi assiso 


Su liscie pietre tutto ascolta e pesa. 
Degli araldi la man gli scettri loro 
Serbava, e alterni li chiedean costoro. . 


Ed un sorto a parlare, e attento orecchio 


Darli intorno la gente, e in mezzo posti 
Star duo talenti d’ or vedi pel vecchio 
Che più a giustizia in giudicar s’ accosti. 
Ma nell’ altra (città miri apparecchio 
Guerriero e in guerra eserciti composti. 
Duo la cingon d’ assedio: ardono i tersi 
Bronzi dell’arme per li raggi ‘avversi. 


i 149 
Collegati son quelli e in un discordi; 
Che l’ un desira devastar la terra, 
E l’altro offre a lei pace ov’ ella accordi 
Metà di quanto in suo confin riserra. 
Ma lor haldanza i cittadin fa sordi, 
Che apprestan cheti insidiosa guerra . 
Lc donne loro e i vecchi e l’ immatura 
Etade ascesi difendean le mura. 
Moveano i forti alla sorpresa intanto: 
Marte le schiere e Pallade reggea. 
D’or fè l’ alta persona e d’ oro il manto 
“Vulcano ad ambi, e Dio verace e Dea: 
Sì lor distinse, e inferior diè tanto 
Statura a i prodi che vicin ponea. 
Giunger ecco li vedi ove lor piacque 
Locar l’ insidie, d’ un bel fiume all’ acque. 
Però che il gregge abbeverar son usi 
Là del nemico esercito i pastori. 
S’ arrestan quivi ad aspettarli, e chiusi 
Siedon nell’ armi tra i selvosi orrori; 
E doppia sentinella, onde s’ accusi 
Armento o greggia, e tutto il pian s’ esplori, 
In vicinanza ascondono; nè molto 
Stanno che al laccio l’ inimico han colto. 
Ecco un gregge , un armento; e di custodi 
Coppia tranquilla con la torma vanne 
Senza sospetto, pastorali modi 
Traendo fuor dall’ ineguali canne. 
Sorge lo stuol che apparecchiò le frodi, 
E ogni scampo alle stalle, alle capanne, 
Per la mandra chiudendo e per le guide 
. La mandra invola e i mandriani uccide. 
Ma di là dove in assemblea s’ accoglie 
Il campo assalitor strepito intende 
Appo le torme: il parlamento ei scioglie, 
All’arme vola, sulle bighe ascende. 
Rapida l’ oste al fiume arriva, e coglie 
. Nel furto i ladri, gran tenzon s’ accende. 
Scambian mortali delle lance i colpi; 
Quelli nè questi di viltade incolpi . 


;) 


150 
Discordia in mezzo l’'atra face impugna ; 
Seco è il pazzo Tumulto , è il Fato féllo, 
Che il manto ha sanguinoso e duo nell’ ugna 
Si tien, questo ferito, intatto quello; 
E un altro, ucciso nella trista pugna, 
Pe’ piè trascina fra 1’ ostil drappello . 
Arde nel bronzo la battaglia, e privi 
Di vita i morti e vivi affermi i vivi. 
Presso un maggese effigiò Vulcano, 
Due volte rotto e acconcio all’ opre estreme. 
Fendean duri bifolchi il molle piano 
La terza omai, fidato a’ solchi il seme. 
Giunti del campo su! confin lontano, 
Rintegrava a ciascun le forze sceme 
Un capace bicchier di dolce mosto, 
Che l’ uom porgeva a’ bei lavor preposto . 
E que’ contenti rivolgean l’ aratro 
L’ altro termin bramando, e dietro a loro 
(Meraviglia dell’arte) il suolo er’ atro, 
Ed arato parea quantunque d’ oro. 
Prossima scena del fubril teatro 
Fè biondo campo e cereal tesoro. 
Mietea rustica turba; in pugno avieno 
Altri le falci, ed altri i fosci in seno. 
Quinci la messe con bell’ ordin cade 
Sotto l’adunco acciar de’ mietitori, 
E stringon quindi le recise biade 
In manipoli eguali i legatori. 
Tre 'egatori assistono ove rade 
Il pian la falce e incalzano i lavori, 
E più d’un fante ajuta alle fatiche, 
E curvo ammanna pei covon le spiche. 
Appoggiato allo scettro il sire in mezzo 
Si sta con taciturma, ma serena 
Sembianza; e turba di sergenti, al rezzo 
D’ampio cerro dperosa, un bue gli svena, 
Pingue, gentil, non anco al giogo avvezzo, 
Per gli Dei, pel signor vittima .e cena. 
Farine intanto candide rimestano 
Le donne ai fuoco, e a’ mietitor le apprestano. 


151 


‘Quivi ancora, adoprando ogni metallo, 


Una vigna scolpì di color cento . 
Piantati ad egualissimo intervallo 
Reggean le viti d’ or pali d’ argento, 
Nereggian l’ uve, e fossa agreste, e vallo 
Villereccio ricinge il tenimento, 

Fossa d’acciar, siepe di stagno; e luce 
Di fuori un calle che alla vigna adduce. 


Rustica gioventù di sesso mista 


Porta il frutto gentil che Bacco dona 

In bei canestri, e giovin citarista 

In mezzo a lor soavemente suona: 

Mentre in voce sottil canta la trista 
Canzon di Lino, e il sacro coro intuona. 
E que’ batton col piede, e in bassi accenti, 
Carolando, aceompagnano i concenti. 

oltre il Dio lo stagno e lor figura 

In pingue armento. Dalle stalle immonde 

I giovenchi mugghiando alla pastora 
Venian d'un fiame sull’ erbose sponde. 
Gorgoglia il fiume rapido, e la pura 

Onda d’ argento fra le canne asconde. 
Quattro pastori d’ or guidan le tormes 

E nove cani ne calpestan l’ orme. ì 


Duo leoni han colà fra i primi buoi 


Ghermito un toro, orribilmente ei mugge. 
Da quattro artigli lacerato i suoi 
Schermi fa tutti il misero e non fugge. 
Quinci 1 un quindi l’ altro i duri cuoi 
Sopra il fianco li fende e il sangue sugge 
E le viscere ingoia. Ecco vicini 
Latrando farsi i vigili mastini. 


Verun la coppia spaventosa affronta 


Però co’ morsi, e il grido invan gl’ incalza 
De’ guardiani ognor: tremano, e in pronta 
Fuga ogni mossa de’leon li sbalza. 
Appresso il Nume nello scudo impronta 
Ameni paschi in frequentata balza, 

E ovili ed abituri; ed una greggia 

Di pecorelle sul pendio biancheggia. 


152 


Qui pure il fabro tra i famosi illustre 
Dotte danze: scolpì, simili a. quelle 
Che in Gnosso effigiò Dedalo industre 
Ad Arianna dalle trecce belle . 
Giovani lieti dell’ età trilustre, 
E vaghe innamorate verginelle, | 
Tenendosi per man lievi carole 
Ivan tessendo, accompagnate o sole. 
dic sottil di molle lino intesta 
A i tondi fianchi, ai rilevati petti 
Stringon le donne, e gli nomini han per vesti 
Vaghi e com’olio lucidi farsetti . 
Portan ghirlande le donzelle in testa, 
E corti brandi al fianco i giovinetti. 
A cintura d’ argento i brandi d’ oro 
Appesi stanno, e scuotonsi con loro. 
Talor sì ratte le maestre piante 
Volgono che non va con maggior fretta 
Del vasajo là rota inteso. innante 
Ch' ei sen vaglia a provar s’ ella è perfetta . 
E talor vedi un ordine danzante, 
Ed un che, posa e sua vicenda aspetta; 
E fra l’allegro stuol duo saltatori 
Far capovolte, e cominciar ne’ cori. 
Incoronava la celeste mano 
Di spettatrici turbe il lieto ludo, 
E riempia eol gran fiume Oceano 
All’ orlo il tratto di figure ignudo. 
La ciutura d’ argento alfin Vulcano 
1 cavo. appese del dipinto scudo. 
oi l' usbergo informò, fulgido tanto 
Che le fiamme parean tenebre accanto . 
Un elmo poi di cresta d’ or coperse 
Vario, vago, robusto, atto alla fronte; 
E del piè nelle lievi arme converse 
Docile stagno; e tutte allor fur pronte. 
Ne fè quasi un trofeo, che a Teti offerse. 
Quella, de’ Numi abbandonato il monte, 
Fendea l’ etra, col vol dello smeriglio, 
Portando l’ arme da Vulcano al figlio. 
LORENZO MANCINI. 


SCIENZE MORALI E POLITICHE 


Sulla grandezza e la decadenza dell’ Impero Turco, 
memoria del sig. Marre-Bruw. (Annali dei viag- 


gi tomo XI.) (@) 


Son già centocinquant’ anni, che i Turchi ponevano l’as- 
sedio a Vienna, minacciavano 1’ indipendenza dell’ Italia, 
umiliavano i despoti della Russia, proteggevano la Polonia, 
e si dividevano con Luigi XIV. il tristo vanto d’ eccitare 
l'odio ed il timore dell’ Europa gelosa. Oggi tutto è can- 
giato. Non parlo quì coi giornalisti visionarj, i quali scae- 
ciano i Turchi dall’ Europa con una facilità meravigliosa , 
ma coi veri uomini di stato, i quali ammettono come pro- 
. babile una divisione dell’ impero turco, o almeno una me- 
diazione di Principi Cristiani, per la quale, secondo le opinioni 
più moderate; si giungerà a distaccarne qualche provincia , 
come la Valachia, la Moldavia, la Servia, il Peloponneso, 
l’ isola di Creta, l’ arcipelago, l'Egitto. Archie noi propone- 
vamo recentemente nei nostri annali di creare un nuovo im- 
pero Cristiano in oriente colla Turchia d’ Europa dal Danu- 
bio fino al mediterraneo, e coll’ Asia minore. È dunque 
dimostrato, che noi non parliamo per l'interesse della nazio- 
ne turca, e che siamo ben lungi dal crederla invincibile. 
Ma d’ altronde pensiamo che molti s’ imbevono d’ idee false 


(a) I nostri lettori conoscono il carattere, il grado di cul- 
tura sociale, e lo stato politico delle diverse nazioni, che risie- 
dono ne:la Turchia europea (Antologia num. 9. pag. 451. e 
seg. e num. 14. pag. 318. e seg.) L’ analisi dell’opera del sig. 
Paris, inserita nel num. 14. (pag. 262 e seg.) dimostra le cau- 
se della decadenza dell’ impero turco. La memoria del sig. 
Maltebrun, di cui diamo qui la traduzione, è un utile supple- 
mento a quell’ opera. Le sue osservazioni, sebbene in qualche 
punto differiscano dalle idee ricevute, ci sembrano d’ un grande 
interesse per l’ istoria della nazione turca, sulla quale sono at- 
tualmente rivolti gli sguardi di tatta l’ Europa. 


154 
sulla forza e la debolezza dell’ impero turco, sulle cause 
della sua antica prosperità, e della sua decadenza attuale, in 
qualche senso vera, in qualche altro imaginaria. 

1.° La nazione turca è degenerata relativamente ai 
costumi? 

I Turchi, si dice comunemente, snervati da un clima 
dolce, e dagli agj, che procura un paese fertile, non conser- 
vano dell’ antico car:ttere nazionale altro che l’ insolenza , 
la crudeltà, e il disprezzo del genere umano. Tiranni am» 
\molliti si preparano a portar le catene, che imposero un 
giorno all’ altre nazioni. E quì si aggiungono, per abbellire 
la teoria, mille graziosi racconti sull’ indolenza, .l’ avarizia, 
le ingiustizie atroci dei Turchi, sulla poligamia, e i suoi ef- 
fetti corruttivi d’ogni morale; tutto infine si cita, finanche 
l’uso dell’oppio, per dimostrare, che i costumi ormai de- 
pravati dei Turchi devono cagionare in breve la rovina del- 
l'impero Prima di tutto osserveremo, che il voler determi- 
nare le relazioni, le quali esistono tra i costumi e la durata 
d’un impero, è un intrapresa assai delicata. I Romani, tanto 
avviliti al tempo di Tiberio, e di Nerone non caddero subito; 
ma lentamente e per gradi, e fra le alternative della conva- 
lescenza, e del ritorno allo stato d’infermità. E poi bisogna 
distinguere i Turchi dell’ alte classi dalla ciurma, che abita 
nei campi e nei villaggi. I costumi dei Turchi non son can- 
giati: gli troviamo negli autori del quindicesimo secolo colle 
virtù edi vizj, che conservano ancora ; sanguinarj se sono ir- 
ritati, indolenti se si lasciano in pace; avari, ma incorruttibili 
quando trattano cogli stranieri; accumulano tesori macchiati 
di sangue e di lacrime, ma gli sacrificano volentieri alla re- 
ligione e alla patria ; bruciano villaggi, e fondano ospizj; son 
fedeli ai giuramenti , ma disprezzano i principj del nostro 
diritto pubblico; son pieni d’onore, ma non sentono la com- 
passione; son sempre affezionati al trono, ma si ribellano ai 
sultani ; son materiali nei piaceri, ma ne usano con modera- 
zione, e passano senza lagnarsi dai godimenti alle privazioni 
ed alle austerità; son buoni padri di famiglia, e mariti adorati 


A i 155 

e rispettati ad onta della poligamia, di cui fanno pompa , 
mà non tutti, e non sempre; son capaci di amicizie eroiche, 
e di vendette atroci; portano il coraggio ora fino alla temeri- 
tà cavalleresca, ora fino all'indifferenza più stoica (b); ora si 
lasciano massacrare colla pipa in bocca, ora si precipitano tra 
le file nemiche, e provocano soli un esercito intiero; passano 
con una calma inesprimibile dal palazzo all’ esilio, dal trono 
al supplizio, togliendosi di propria mano la vita, e toglien- 
dola a tutti i circostanti con ugnal sangue freddo, poichè si 
credono nel medesimo tempo umili schiavi, e ministri tremen- 
di d’un destino inesorabile. Tali sono oggi i Turchi, e tali 
appariscono nell’antiche istorie. Che trovate voi di dispregevo- 
le in cotesto carattere? Sei Turchi conquistarono la più bella 
metà dell’ impero romano, lo devono appunto a questa biz- 
zarra riunione di virtù e di vizj. I Turchi non son cangiati, 
ma tutto è cangiato nei paesi vicini; e costoro non hanno 
thai voluto nè porre riparo ai disordini, nè trar partito dai 
cangiamenti, perchè mancano di flessibilità, e d'imaginazione, 
perchè non vogliono piegarsi alle circostanze, e non sanno 
inventare i mezzi per resistervi; infine perchè amano in 
certa guisa di perire per amore delle abitudini e delle isti: 
tuzioni nazionali, piuttostochè imparar qualche cosa da un 
nemico, che odiano e disprezzano. 

Esiste senza dubbio fra i Turchi una classe tanto de- 
generata, quanto è profondamente corrotta, voglio dire la 
corte del sultano , di cui le corti dei vicerè sono come tante 


(5) Un Olandese, che non amava i Turchi; ma gli conc- 
sceva per lunga esperienza, mi raccontò a Smirne due. atti 
di gran sangue freddo. Un battello ben carico viaggiava verso 
Costantinopoli. Sopravvenne una tempesta: Bisognava dimr- 
nuire il peso ,, Gettate via prima di tutto la mia roba ,, disse 
un turco, e eontinuò a fumar la sua pipa. — Prese fuoco il ma- 
gazzino d’ un negoziante turco presso la riva del mare a Smirne. Il 
padrone se ne stava assiso a venti braccia di distanza sopra una 
trave. I Franchi ed i Greci correvano per tentar d’ estinguere 
l’incendio, ed ei continuò a famar tranquillamente la sua pipa. 

Nota del thaduttore. 


156 


colonie, e nel medesimo tempo tanti vivaj. A tutti i vizj 
inseparabili da un dispotismo avido, feroce, sanguinario, ad 
ogni specie di corruzione morale e civile, i cortigiani uni- 
scono ancora il difetto essenziale d’ un cuore ammollito , 
d’un carattere imbastardito, e incapace d’ affrontare i perigli 
della guerra. La caccia, esercizio favorito degli antichi 
sultani, è abbandonata al popolo, e molti fra i grandi ed i 
capi del governo amerebbero di rinunziàr del pari a un vivo 
destriero per la voluttuosa portantina dell’ Indie. 

Si potrebbe forse sotprendere Costantinopoli con un 
colpo di mano; si potrebbero disperdere gli elementi del 
governo, con obbligare il sultano atterrito ad una conces- 
sione pouco meno che illimitata- Ma la nazione turca non 
sarebbe nè vinta nè abbattuta da un simile disastro. Gl'in- 
trepidi Bosni, i selvaggi Yuruki, i quali difendono la Ma- 
cedonia, l’ Albanese guerriero per professione, le orde innu- 
merabili dell’ Asia, tutti si accenderebbero di nuovo ardore, 
tutti si difenderebbero contro il conquistatore straniero. Non 
si sa dunque, che i giannizzeri sono attualmente una specie 
di guardie nazionali, e che sono proprietarj delle case, dei 
campi, e delle terre, sulle quali sono incaricati di vegliare 
coll’ armi ? 

L'esistenza continua di un germe di corruzione, il quale 
si annida nella sede del governo, può cagionare sicuramente 
ma lentamente la distruzione, e lo scioglimento dell’ impe- 
ro, provocando le ribellioni parziali . 

° Jl dispotismo turco. 

Le massime, che si hanno in generale sul dispotismo dei 
sultani, non sono perfettamente giuste, sopratutto quando si 
vuole applicarle alla questione speciale della decadenza del-” 
l impero. Ma non riconoscete anche voi, odo dirmi, che l’o- 
blìo dei sacri principj sulla libertà civile è un difetto essen- 
ziale dell'impero turco? Lo riconosco anch’ io ,, nè ritratto 
perciò la mia asserzione 53 anzi vi aggiungo. una nuova idea. 
I Turchi ormai usciti dal sentiero della civiltà politica, 
imaginata tanto liberalmente dal profeta, avevano bisogno di 


| | stat 
an governo dispotico. Non dimentichiamo mai, che i Turchi 
giunsero all’ apice della grandezza, precisamente quando ob- 
bedivano a’ sovrani assoluti, dotati d’ un carattere veramen- 
te dispotico, mentre al contrario declinarono a misura che 
l’autorità centrale, a forza, di allentare il freno, finì con sot- 
tomettersi ai capricci del popolo e dell’ armate. Maometto 2.° 
Solimano 1.°ed Amurath, i veri fondatori’ dell’impero erano 
despoti investiti di tutta l’ autorità divina, che l’ islamismo ac- 
corda ai kalifi: potevano senza esagerazione darsi il titolo 
d'ombra di Dio ( fil-a/Zah). Eppure quei monarchi assoluti 
facevano regnar la giustizia fra tutti i sudditi, i quali non si 
opponevano al lor volere onnipotente, o con ribellarsi 0 con 
tradirli. Tutto tremava alla sola vista del sultano, il quale si 
mostrava àlla testa dell'esercito invincibile dei veri credenti;ma i 
popoli non tremavano in tempo di pace in faccia ad un vicerè, 
adun governatore, ad un capo di villaggio, il quale viola le leg- 
gi, e gli ordini del sovrano per appropriarsi i beni e le ren- 
dite degli abitanti, col mezzo di tasse illegali, e d’ estorsioni 
violente. Il sultano nella sua qualità di fhun-Aiar, o di ma- 
cellaro degli uomini, aveva il diritto di far tagliare ogni 
giorno quattordici teste, senza renderne conto a chicchessia; 
ma questo suo diritto non minacciava altro che i grandi , ed 
i vicerè non n’ erano ancora stati investiti per jabuso, o. per 
connivenza . I governatori delle città , che si fanno attual- 
mente la guerra, gli uni contro gli altri, e i masnadieri 
che la fanno a tutti, erano allora repressi da una vigilanza 
severa; le persone e le proprietà erano rispettate Le forze 
militari dell’ impero non erano niente più grandi che ai 
nostri giorni, ma dipendevano: più direttamente da una au- 
torità centrale. Oggi ogni vicerè mantiene in proprio no- 
me ed a proprie spese un gran cotpo d’ armata, che or- 
dinariamente è bene equipaggiato, ed agguerrito da conti- 
nue battaglie. I Turchi non vedono altro in questo sistema, 
che un alleviamento per il tesoro imperiale; non vi scorgono 
niente, che compromettà la sicurezza del trono, perchè 
infine questi vicerè sì formidabili non hanno mai fondata 


158 


una sovranità indipendente ed ereditaria, e non hanno mai 
ricusato di combattere sotto le bandiere del profeta contro 
i nemici dell’ impero. Ma le armate dei vicerè,. ognuna 
delle quali porta il nome, e segue la sorte del suo capo, 
qualche volta anche appartiene ad una provincia 0 ad un 
popolo intiera, non offrono più, sopratutto per una guerra 
difensiva, l’ unità tanto necessaria nelle. grandi intraprese. 

Il maggior bene del dispotismo è la facoltà di tener 
seerete le risoluzioni del governo. Quando sedeva sul trono 
un grand’ uomo, tutto il consiglio si trovava concentrato 
nella sola sua testa; quando mancava un sultano, intelli- 
gente, ed abile, vera qualche volta un primo ministro. (gran 
visir) dotato di talenti superiori come Kuprogli; il. quale 
non era in obbligo come il suo padrone, che gli aveva 
conferita una autorità senza limiti, a rivelare i suoi pro- 
getti al consiglio. Sei ministri formavano ordinariamente 
tutto il consiglio. Oggi dopo i cangiamenti introdotti nel. 
I amministrazione di Selim, assistono al consiglio da trenta 
impiegati civili e militari. I dottori della legge (ulema) 
cercano di farvi sentire la propria voce, ed i giannizzeri 
vi mandano ‘una deputazione. Questo cangiamento, lungi 
dal produrre il più piccolo tra i vantaggi inerenti ai go- 
verni liberi, fa sparire anche quelli, che son proprj dei 
governi assoluti . I segreti non sono piu inviolabili. I dra. 
gomanni greci, avvezzi a tradire i proprj padroni, hanno 
tante buone fortune da guadagnare, scuoprendo le intenzio- 
ni del consiglio, quanti. sono gli individui, che vi assistono. 
I vicerè ribelli o intriganti hanno più raggiri da far valere, 
e nel medesimo tempo più protettori da pagare. 

Nè il male termina quì; accanto al consiglio dei mini- 
stri si è stabilita una autorità ‘invisibile, più tenace più attiva 
del consiglio. La chiamano a Costantinopoli il partito del 
serraglio ; è divisa in più fazioni, che si riuniscono sovente 
contro il ministero. I favoriti del sultano, gli agenti della 
sultana madre, i confidenti d’una favorita, gli eunuchi bian- 
chi e neri, tutti si occupano di politica come in altri tempi 


159 
alle corti di Roma e di Bizanzio. Questo partito, che si ripro- 
duce sotto milleaspetti, ristringe l' autorità del primo ministro 
ad un’ ombra di ciò che era anticamente, sostiene sotto mano 
un Pasvan-Oglù, un Alì-Tepeleny, e si permette anche 
d’ intavolar hegoziati segreti coi gabinetti stranieri. 

Qual diplomatico europeo ardirà di darci una mentita , 
se affermiamo, che gli stati d’ Europa trattando colla Porta 
temono sempre, più che altro, la poca stabilità delle sue pro- 
messe, conseguenza inevitabile del contrasto, che regna tra i 
partiti ? Costantinopoli è una specie di repubblica anarchica. 

Un impero, che oramai è fuori di stato di ricevere isti- 
tuzioni nazionali, non può esser salvato altro che da un mo- 
narca assoluto guerriero coraggioso, ed amministratore abile, 
da un Pietro 1.° o da un Federigo 2.° Di tutto ciò che si può 
dire sull’impero turco non troviamo verità più incontra- 
stabile . 

Il carattere del sultano regnante non si è ancora ma- 
nifestato in $ntti i rapporti; quando non riprenda la pie- 
nezza dell’ autorità assoluta, i disordini dell’ impero conti- 
nueranno a crescere; e siccome non ba un erede in età di 
succedergli, i disordini potrebbero cangiarsi in perigli. 

3.° Finanze dell’ Impero. 

‘ Ciò che sappiamo di più certo sulle finanze della Porta 
si è, che neppure il governo può averne notizia esatta. Il 
tributo generale delle provincie ( rzrì) è la sola tassa, di 
cui si tenga a Costantinopoli un registro permanente e re- 
golare. È diviso in tre rami: 1.° la decima sulle terre, 
che si esige nella medesima quantità negli anni di buona e 
di cattiva raccolta; 2.° il testatico , ( karadch ), che de- 
terminato una volta per una data provincia, non si dimi- 
nuisce mai fino all’ ultimo estremo, ancorchè diminuisea la 
popolazione; 3.° infine le dogane, la rendita reale delle 
quali varia collo stato del commercio, ma ordinariamente 
Vien data in appalto ai governatori per una somma fissa. 

Tutti gli altri rami di rendita sono incerti, e nel me- 
desimo tempo immensi. Prima di tutto le somministrazioni 

/ 


160 

‘in natura sono d’ un-valore incalcolabile ,, poichè anche ne. 
gli anni di pace, nei quali la Porta sta al quantitativo deter- 
minato dall uso , il divettore generale delle somministrazioni 
può disputare sulla qualità degli articoli, sul prezzo per il 
quale si degna di. riceverli , sul tempo e sui mezzi di som. 
ministrarli. É facile il conoscere qual carriera può darsi qui 
l’uomò arbitrario guaudo si si.consìdera che la Porta si fa dare per 
via di requisizione grani , butirro , bestiami , lana, formaggio , 
legnami t,; costruzione e da fuoco, fra, rame, catrame, 

mastice, sole, smeriglio, terra gialla, infine tutte le pro- 
duzioni, che si trovano nell’impero, e che si possono impie- 
gare in qualunque maniera per i bisogni dello stato. ID 
impossibile di determinare il valore di tante cose, che. son 
depositate giornalmente negli arsenali, e nei magazzini del 
sultano, sovente con sì poco ordine, che non ne sà il prezzo 
neppure chi Je riceve, I monopoli , che la Porta istituisce 
a suo piacere, vanno a ferire principalmente il grano ve la 
moneta. Ora si obbligano i fornaj a prendere una cattiva 
farina pregna d’ acqua , per farne necessariamente un cat- 
tivo pane; ora ricevono ordine di vendere dieci oncie per 
dodici. L’ alterazione della moneta ,, che qualche volta è 
opera dei monetarj ebrei ed armeni , più sovente è una 
misura finanziera del governo, una vera contribuzione in- 
diretta. | 

Non parlo delle eredità confiscate , il valore delle sf 
in un anno solo è talvolta immenso. Bekir eunnco favorito di 
Maometto IV. lasciò dopo sei anni di prosperità un patrimo- 
nio di trentasei millioni di piastre turche, le quali valevano 
allora fra due e tre franchi, Se la ‘Porta avesse avuta la 
pazienza di aspettar la morte d’ Aly, poteva ereditarne da 
dugento millioni. 

Sesi aggiunge ora, che la Porta governa da ventiquattro 
millioni di sudditi, i quali abitano in una terra naturalmente 
tanto fertile , che il popolo più barbaro del mondo non 
basterebbe a renderla infeconda ; che molte provincie sono 
ben coltivate, e che la Turchia guadagna anvualmente sul- 


x 
) 


i 161 
d'Europa nel commercio, che tutta la rendita di quel vasto 
e bel territorio vien riguardata in ultima analisi come pro- 
prietà del sultano ; se si riflette alle poche spese d'ammi- 
nistrazione, alla quasi nullità degli stipendj civili e militari, 
all'esistenza d’un tesoro speciale , il quale paga le spese 
della corte , si conoscerà che le rendite dell’ impero turco 
sarebbero inesauribili , quando una autorità centrale asso- 
luta v'introducesse un metodo di esazione più regolare , e 
invigilasse più severamente sugli esattàri. 

4.° Forze militari. 
La situazione dell’ impero turco come potenza militare 
è cangiata ; oggi si tiene intieramente sulla difensiva ; ha 
rinunziato ad ogni specie di conquiste almeno in Europa ; 
dacchè ricuperò il Peloponneso e Belgrado sopra i Veneziani 
e gli Austriaci, pare che i suoi confini coll’ impero d’ Au- 
stria siano determinati in una maniera presso a poco con- 
forme agl’ interessi respettivi dei due stati. Ma sulla fron- 
tiera superiore il sistema pacifico della Porta nonle ha impedito 
di vedersi spogliata di due provincie importanti, la Crimea 
e la Bukovina ; ed una simile invasione dovette provarle 
che non si agiva seco coerentemente ai principj della reci- 
procità. Due guerre contro la Russia gli fecero perdere dopo 
Oczakof, e la Bessarabia. Non volle profittare delle occasioni 
favorevoli per prendere l’ offensiva ; poteva nel 1800 con 


x 


qualche dimostrazione energica ottenere il dominio, o almeno 
la protezione della Dalmazia e dell’ isole Joniche ; poteva 
nel 1812 con un poco di perseveranza obbligar la Russia a 
renderle Oezakof, o almeno a rinunziare alla Bessarabia. Il 
suo sistema di difensiva le ha fatti trascurare due momenti 
preziosi . 

L' invasione del bannato di Temesvar nel 1789 dimostra, - 
per quanto pare, che i Turchi possono tuttora prendere 
l'offensiva contro l’ Austria (b). Ma ammettiamo, seguendo 


(b) Vale a dire che potevano prenderla nel 1789, ma oggi l’Au- 
‘stria ha 300,000 uomini da opporre alle invasioni dei Turchi. 
Nota del traduttore 
Aprile T. VI 11 


162 


l’ opinione comune , che Ja Turchia deva restare sulla die 
fensiva, ed esaminiamo quali sono i suoi mezzi per resistere 
all'aggressione d’un conquistatore. 

La natura ha fatto molto ‘per il sovrano di Costanti- 
nopoli. Due grandi mari guarniscono le coste della. metà 
dell'impero; congiunti per mezzo di canali angusti e facili 
a difendersi, rendono agevole il trasporto delle armate, 
dei viveri, e delle munizioni, mentre impediscono d' avvi- 
cinarsi ad ogni nazipne, che non ha una marina importante. 
Per parte di terra, al Dannbio che è tanto pericoloso a var- 
carsi, e sopratutto tauto pericoloso a lasciarsi indietro, suc- 
cede la gran catena dell’ Hemus, la quale è piena di gole 
quasi inaccessibili. I lavori degl ingegneri europei, che sono. 
al servizio della Porta, i hanno resa anche più forte. Tra la 
catena dell’ Hemus ed il canale di Costantinopoli, altre gran- 
diose fortificazioni difendono la capitale. Tutte le provincie 
sono ingombre di monti, di foreste, di mille ostacoli na- 
turali , che impediscono di distendervi una grande armata 
conquistatrice. Il calore del clima, 1’ aria insalubre di molte 
terre inculte, e la facilità, con cui un governo dispotico di- 
strugge i mezzi di sussistenza , accrescerebbero anche di più 
Ja difficoltà d’ un attacco per la parte della Moldavia e della 
Bulgaria. Vi sono ventitrè giornate di cammino da Ismabil a 
Costantinopoli ; ma nell’ ultima guerra i Russi impiegarono 
quattro anni per fare queste ventitrè giornate, e non giunsero 
neppure a mezza strada Lo sbarco di una armata nel golfo 
di Bargas, per fare il giro dell’ Hemus, o nel Bosforo è reso 
quasi impossibile dei forti, che vi hanno costruiti recente- 
mente gl’ ingegneri francesi. 

Dalla parte dell’ Asia una spedizione, che partisse dalle 
rive del Fasis, nell’ ipotesi che si potesse riunirvi una gran- 
de armata, dovrebbe marciare cont'nuamente per monti e 
per valli, percorrendo un paese privo di strade, ed in parte 
anche di cultura. Una gran potenza marittima , che attaccasse 
I’ impero per la via del mediterraneo , riescirebbe assai me- 
glio. Dacchè ji Greci si sono ribellati, la flotta turca deve 


165 
mancare di marinari. É difficile che il sultano‘ possa ora 
equipaggiare dieci bastimenti di linea ; la situazione naturale 
dell’ impero ne esigerebbe almeno quaranta. Stà qui vera- 
mente il lato debole della Turchia. Impadronirsi dell’ arci- 
pelago, sbarcare un’ armata nella penisola dei Dardanelli, 
stabilirsi sulle due rive del canale, bloccar Costantinopoli , 
inquietare i Turchi a forza di diversivi, profittare d’un mo- 
mento favorevole per eseguire un colpo di mano sulla capi- 
tale, tutto ciò è eseguibile per una potenza marittima europea 
del mediterraneo anche di second’ ordine , purchè l’ altre po- 
tenze acconsentano a vit neutrali. Ma questa intrapresa 
sarebbe estremamente pericolosa per una potenza marittima 
troppo lontana dal mediterraneo, I forti di Rodi, di Candia, 
della Morea, dei Dardanelli difesi dalla perseveranza turca 
arresterebbero una armata navale, la quale non potesse rice- 
vere prontamente un rinforzo. 

Non esamineremo la maggiore o minor facilità , con cir 
le potenze limitrofe della Turchia, potrebbero impadronirsi 
di una provincia particolare, come la Valachia, 1’ Egitto, 
l’ Irak. Ve n'è qualcuna che potrebbe opporre anche sola 
una resistenza vigorosa agli eserciti Cristiani. I Bosni nazione 
guerriera sarebbero in stato di occupare per lungo tempo un 
armata di 100,000 Tedeschi, fors’ anche di respingerla. 

Ci resta ad esaminare la costituzione militare dell’ impe- 
ro. Fondato sul sistema feudile ,, incompatibile coll’ arte 
della guerra moderna , nullo per l'offensiva, il sistema mili- 
tare dei Turchi presenterebbe tuttora a un generale valente, 
a Yusuf, a Pasvan-oglù immensi espedienti per la difensiva. 
Quando gli Ottomanni sencciarono gl’imperatori Greci dal- 
l’ Asia minore e dall'Europa, e ne occuparono ìl territorio, 
incominciarono da stabilirvi una specie di regime feudale 
come quello, che i Franchi ed i Normandi portarono nelle 
Gallie e nella Sicilia. Arbitri , nella tor maniera di pensare, 
delle fortune della libertà e della vita dei popoli vinti, î 
sultani disposero come vollero dopo la vittoria delle terre 
riunite all’impero; ne concessero ufa parte in vicinanza e 


164 
nel recinto delle città in perpetuo, e senz’ obbligo di pagar 
canoni, agli ufiziali ed ai soldati, dei quali vollero ricom- 
pensare lo zela e il coraggio; ne destinarono ‘altre in mag- 
gior quantità al culto religioso; ne riserbarono ‘altre. per 
appannaggio dei grandi impiegati nell’ amministrazione civile 
e giudiciaria; fondarono col resto tanti feudi per concederli 
a vita, come ricompense, e come incoraggimenti ai militari. 
I sultani turchi agirono dunque come Clodoveo, Guglielmo 
il conquistatore, Ruggiero ,. e Tancredi. Ma ‘la diversità di 
religione, e la lunga durata delle guerre di conquista resero 
qui più disgraziata la condizione dei popoli vinti. In prio- 
cipio spogliarono quasi tutti i Greci ; massacrarono molti 
uomini opulenti, e ne confiscarono.i beni; divisero le terre 
in-tante piccole parti, distribuendone molte al vincitore, e 
lasciando 1’ altre agli antichi proprietarj; accordarono a tutti 
la facoltà di trasmetterle ai proprj eredi, di venderle, di 
cambiarle ; ma le aggravarono di un canone annpo, vale a 
dire d’ un quinto della rendita per gl’intedeli, e solamente 
d'un seitimo per i musulmani. Cessato il primo spavento, 
molte famiglie greche presero la risoluzione di abbracciare 
l'islamismo, e conservarono così i proprj beni in. pieno 
dominio. 1 Turchi dell'isola di Candia sono in gran. parte 
discendenti dei Greci dell'impero Bizantino, 0 piuttosto un 
‘miscuglio d' Arabi, e d’antichi Greci. In altre provincie le 
‘nazioni intere si sottomessero ai Turchi, e conservarono il 
governo. nazionale con qualche cangiamento più 0 meno 
vantaggioso. Nella Valachia e nella Servia non si conoscono 
feudi; i popoli che vi abitano furono disarmati , e posti 
sotto la vigilanza dei cannoni e dei forti turchi; solamente 
da venti anni i Serviani hanno acquistato il diritto di portar 
armi , e di vegliare da sè. al buon ordine interno. I Bosni 
accettando il korano conservarono tutti i beni, e divennero 
vassalli del sultano. Gli Albanesi sono in gran parte d’ugual 
‘condizione. Le forze militari di questi due popoli sono au- 
siliarie come le truppe Ungheresi relativamente .all’ impero 
d'Austria. I musulmani 0 'Furchi, 0 Bosni, o Albanesi , 


165 

che. possiedono un feudo, sono onorati del titolo di co- 
mandante; (agd) devono prestare il servizio militare in per- 
sona, e condur seco alla guerra uno o più uomini 4 piedi 
o a cavallo, armati. ed equipaggiati secondo le rendite: del 
feudo. Si contano nella Turchia Europea 914 feudi di pri» 
ma classe, e 8356 di seconda. Ve ne sono presso a poco 
altrettanti: nelle provincie Asiatiche , ove i Turchi son con- 
fusi:con altri popoli, soprattutto coi 'Turcomaoni. I feuda- 
tarj armano al bisogno 60,000 soldati più robusti, più 
coraggiosi, più agguerriti che 1’ infanteria e la cavalleria 
delle città; perchè vivendo alla campagna si trovano sovente 
nel caso di battersi coi masnadieri, o coi lupi, o coi cani-: 
lupi. La milizia feudale è stata per lungo la forza princi- 
pale dell'impero turco; i primi sultani soprattutto riconob- 
‘bero da questa le vittorie meravigliose ed i progressi rapidi, 
che fecero in poco tempo in Asia, in Europa, ed anche in 
Africa. Alla morte d'un feudatario il sultano doveva  rice- 
vere una annata di rendita del feudo , e cederlo al figlio 
d’un'agà, o d’un cavaliere, o di qualunque altro militare, 
sopratutto a chi si era distinto con qualche azione luminosa 
in una» battaglia , a chi era entrato il primo nelle trincere 
nemiche, a chi aveva ucciso un gran numero d’ infedeli, 
o contribuito :a metterli in fuga. Ma questa istituzione fon- 
damentale è degenerata per una conseguenza naturale della 
corruzione del. governo, e della corte. Dacchè i sultani 
preferiscono alla vita del campo ila tranquillità d’ un serra- 
glio, ed i piaceri della vita domestica, dacchè una infame 
avidità ha posti all’incanto gli onori, i titoli, e gl’impie* 
ghi destinati una volta al valore ed al merito, i feudi son 
divenuti il retaggio dei ricchi, e dei raggiratori. Il coraggio 
,del guerriero .è eccitato unicamente dalla speranza di sac» 
cheggiare, di far prigionieri, di conseguire poche piastre, 
che il generale fa distribuire talvolta dopo la battaglia ‘a 
chi. gli. porta qualche testa nemica ; miserabile ricompensa , 
la quale non può agire altro che sugli animi volgari. Quindi 
l’estrema indifferenza, che mostra oggi la milizia» fendilo 


166 

per il servizio dello stato, Molti agà si dispensano già da 
gran tempo con diversi pretesti dal servizio militare; e tro- 
vano sempre i vicerè ed i governatori disposti a ricevere 
un regalo, e a concedere in cambio l’ esenzione. richiesta. 
Sovente mandano qualche volontario, e se vanno in persona 
a riunirsi al reggimento non mancano di addur qualche 
scusa per abbandovarlo prima che termini la campagna, e 
per tornarsene a casa. Non ostante l’ agà ottiene anche ai 
nostri giorni assai facilmente la facoltà di trasmettere, prima 
di morire, il feudo di cui gode a uno dei proprj figli, 0 
anche a più d'uno, e spende meno di ciò che spenderebbe 
ricomprandolo all’ incanto ; ma se trascura questa precau- 
zione, il figlio dopo la morte n'è irrevocabilmente spo- 
gliato, a meno che non offra più di tutti i concorrenti 
all’ incanto, o offra altrettanto. Vi sono d' altronde grandi 
differenze in proposito tra provincia e provincia. Un eunuco 
del serreglio nou oserebbe di disporre d’un feudo a danno 
del figlio del feudatario, e in favore di un protetto, tra i 
fieri e valenti Arnauti, tra i Bosni, tra i bravi e rozzi 
Turcomanni, I viaggiatori non si curano di osservare questi 
fatti importanti; un’ autore giudizioso ( Fourende )'ci assi- 
cura che nelle provincie Asiatiche interne tutti i feudi mi- 
litari sono ereditarj per legge e per consuetudine. Pare che 
lo siano ugualmente in Bosnia. 

Le milizie feudali-offrono una forza difensiva incalcolabi- 
le, perchè sono la forza d'una nazione, o diremo piuttosto 
d’ una classe numerosa, la quale combatte per le sue proprie 
terre, e per l'abitazione, in cui nacque. Eccone la prova. 
Tl feudatario è padrone della rendita del feudo; ma il col- 
tivatore è libero ed indipendente, quando paga il canone 
convenuto. Può coltivare ciò che crede utile, senza che, si 
abbia diritto d’inquietarlo. È vero però, che il feudatario 
abusa sovente del credito, delle ricchezze, e sopratutto del- 
autorità di polizia, che esercita sul villaggio. Quindi esige 
al bisogno col bastone o.colla frusta un lavoro gratuito dai 
coltivatori per le terre che ha in proprio; e ve lo autorizza 


nt 


169 
tina consuetudine, che ha forza di legge. Di più gli obbli- 
ga a vendergli tutte le derrate, fuori che il vino, al prezzo 
che gli piace; anticipa per i coltivatori il testatico, ma ne 
esige un frutto esorbitante; in una parola tormenta in mille 
guise gli Armeni, gli Ebrei, i Greci del villaggio; ma è 
più moderato riguardo ai musulmani , perchè sarebbe in- 
fallibilmente spogliato del feudo, ed anche più severamente 
punito, se tutti i musulmani del villaggio, protetti o soste: 
nuti da qualche suo nemico autorevole, si sollevassero concor- 
demente, e dimandassero giustizia. E d'altronde non tutti 
i feudatar] profittano dell’ autorità arbitraria, che viene ac- 
cordata dalla consuetudine; ve n’ ha molti , che sono pa- 
droni severi, ma giusti ed imparziali, che proteggono il 
vi'laggio contro l'avidità dei governatori, e contro i masna- 
dieri. I feudatarj Turcomanni son veri patriarchi; fanno 
marciare al bisogno tribù intere di pastori e di coltivatori. 
Ogni conquistatore straniero dovrebbe dunque sostenere una 
guerra terribile contro la milizia feudale dell’ impero turco; 
più d’un villaggio si cangerebbe in un campo, ed anche i 
musulmani rinnoverebbero l’istoria delle Termopili. 

Vi sono in tutto l'impero due specie di truppe rego- 
lari, la cavalleria (spa/is) l’infaateria (giannizzeri). Que- 
sti due corpi una volta sì formidabili, sono realmente de- 
generati; crediamo di darne una idea esatta, dicendo che 
tengono un posto di mezzo tra le guardie nazionali, e la 
giandarmeria; ma lor forza difensiva non è forse da di- 
spregiarsi. Gli spahis abitano quasi tutti nelle campagne ; 
son quasi tutti ammogliati, hanno un domicilio fisso, eser- 
citano varie professioni, ed alcuni si consacrano alla cultura 
della terra; ricevono una paga giornaliera, e corrono all’ ar- 
mi al primo cenno. Più antichi dei giannizzeri soho anclie 
meglio pagati; quindi godono di certi agj. Combattono in 
compagnia delle milizie feudali , e dovrebbero succedere nei 
feudi, se si rispettassero i regolamenti degli antichi sulta- 
ni, e se si consultasse un poco più l’ interesse nazionale. 
Sotto i primi sultani gli spabis erano la parte più attiva 


163 

degli eserciti. Quasi sempre in armi, abituati agli esercizj 
militari, induriti alle fatiche, eccitati dall’.iriteresse ; dalla 
gloria, dal fanatismo religioso, dall’ esempio del sultano, 
dovettero trionfare senza gran difficoltà della tattica dei Gre- 
ci Bizantini, tattica Ja quale non era più sostenuta dal co- 
raggio; e dalla forza fisica. Gli spahis non sono altro ‘in 
oggi in confronto degli Europei, che una cavalleria lèggie> 
ra,. utile solamente nelle scaramucce, e. negli attacchi’ si- 
mulati; ma pare che .in patria inquieterebbero molto ùna 
armata d’ invasione. 

Lo stabilimento dei giannizzeri fu una grande idea 
politica, e militare. Incominciarono sotto il regno d’ Amu- 
rat I a scegliere un quinto di tatti i prigionieri, per for- 
marne. un corpo d’ infanteria sotto il nome di milizia nuova 
(yenicheri). I bisogni della guerra fecero nascere ’un’ altra 
legge, la quale aggiungeva a quel corpo un decimo di figli 
di Cristiani, lo che si praticò fino al regno d’Amurat IV, Al 
tempo di Solimano I. contavano di già 150 compagnie di 
giannizzeri a Costantinopoli, ‘ognuna di 360 a 500 uomiti. 
Così .la nuova conquista alimentava l'antica; e il fiore della 
gioventù involata ai popoli vinti rinforzava e ringiovaniva il 
popolo vincitore. L'educazione puramente militare di quei. 
giovani guerrieri. gl’ inebriava col fanatismo. della gloria. 
Il campo era la loro patria, e un sultano guerriero era: il 
loro Dio. 

Non si aid son attualmente tra i giannizzeri altro che 
i musulmani. Sono in gran parte ammogliati, hanno un 
domicilio , esercitano un mestiere, servono volontariamerite, 
e si contentano, di piccola paga. Molti ricchi nelle città sì 
procurano un, posto tra i giannizzeri, solamente per’ otte-: 
nere più efficacemente protezione, o per godere di tutti i 
privilegj concessi a. quel corpo. Sono la parte più turbo- 
leata della nazione; ma. in caso d’ invasione dell’ impero» 
combatterebbero per la patria. Vi sono altri corpi di gian- 
nizzeri, che ricevono viveri, e paga completa; son divisi: 
in compagnie, fanno un servizio regolare, e marciano quans 


116» JN 
do 1° ordina il sultano. I giannizzeri, che stanno in guar- 
nigione nei forti, sanno difendere molto bene un posto o un 
campo trincerato. Il fiore di tutte le compagnie, in numero 
di 60,000 uomini, forma la guardia imperiale, ed è répar- 
tito tra Costantinopoli, Andrinopoli, e Prusa. Non mancano 
nè di coraggio nè di disciplina, ma non vogliono assogget- 
tarsi ‘alla tattica europea, e strangolarono Solimano' II. il 
quale voleva obbligarveli. 

La Porta ha' conosciuta l’importanza di tener qualche 
reggimento d’ infanteria di linea ; tentarono di crearne uno 
sotto il nome di nuova regola ; (izamy djedid) la vecchia 
guardia vi si oppose in massa, citando i pretesi suoi pri- 
vilegi. Il sultano regnante ha potuto stabilire dei reggi- 
menti, ai quali si è dato il nome di stranieri, e i quali 
fanno l’esercizio all’ uso d’ Europa. V'è pure un corpo di 
infanteria d’oltre 30,000 uomini, sotto il titolo di canno- 
nieri. Son truppe regolari, e pagate ; a Costantinopoli ‘e. 
nei -contorni han profittato delle lezioni ricevute dagli ar- 
tiglieri francesi. 

Fra gli altri corpi di truppe a piedi e a cavallo, che 
si reclutano in tempo di guerra, o che tengono i vicerè al 
proprio servizio, :giova il rammentare la cavalleria grave: 
( selictar) meno numerosa degli spahis, e i volontarj a ca- 
vallo (delibachis) che stanno al servizio dei vicerè. I volon- 
tar) son bravi, audaci, coraggiosi, sempre pronti a eseguir gli. 
ordini del padrone nelle spedizioni di guerra, e nelle estor- 
sioni, che vuole esercitare sopra gli abitanti pacifici. Lo se- 
guono in guerra, fanno il servizio di truppe leggiere, com- 
battono senz Fra senza disciplina, arrestano e riconducono 
alla battaglia ì fuggitivi, si precipitano nelle file nemiche 
con un’ ardire che sorprende , e talvolta spargono la «confu- 
sione anche fra i soldati europei. Ma quando un-vicerè cade 
in disgrazia,. 0 quando gli congeda per qualche motivo, i 
volontari trovandosi senza paga e senza mezzi di vivere, di- 
vengono masnadieri, si spargono per le campagne, nei vil- 
laggi, perfino nelle città, rubano senza distinzione ,. esigono 


170 
denari da tutti, arrestano e spogliano i viaggiatori e Te ca- 
ravane, finchè quite altro vicerè, o un corpo rispettabile 
di truppe regolari non gli mette in fuga, o non gli di- 
sperde (c). 

Tutta questa mole di corpi eterogenei desterebbe senza 
dubbio le risa d’un caporale prussiano 0 russo. E come non 
ridere dello stolido giannizzero, il quale pone tutto il suo 
onore in non lasciarsi togliere dal nemico la marmitta del 
reggimento ? Questa marmitta sacra è affilata alla custodia 
del maggior cuciniere, il quale si rannicchia in un vestito 
di ceremonia tanto grave, che ha bisogno di due uomini 
per tenersi in piedi. Lo segue il capitan cuciniere con un 
enorme cucchiaro. Tutto ciò forma uno spettacolo bizzarro ; 
1na è forse necessario che îl segnale di riunione d'un reggimento 
sia piuttosto” una cosa che un’ altra? I Romani portavano 
avanti all'aquila un fascio di fieno, o una lupa per insegna; 
gli Unni un drago 0 un serpente di carta; noi portiamo 
una bandiera di tela o di seta. L’ essenziale sta nell’ andar 
sempre avanti. La marmitta ricorda ai giannizzeri un uso 
veramente militare. La compagnia mangia tutta insieme nel 
tegame; la parte di chi è assente appartiene a chi vi è. Il 
sultano non sdegna di venire a prendere la .sua zuppa, e si 
presenta ogni mese per ricever la paga. Non si ‘creda già 
che tutto ciò sia una pratica di ceremonia; l’ uguaglianza 


(c) Le forze militari dell’ impero turco ascendono secondo i 
computi del viaggiatore Griffith, e d’altri a 506,000 uomini. L’iu= 
fanteria regolare è composta 1.° di 196 compagnie «i giannizzeri, 
che fanno 113,490 uomini, 2.° di 15,000 cannonieri, e, secondo 
Thornton 30,000; 3.° di 2000 bombardieri; 4.° di 12,000 guar- 
die del serraglio; 5.° di 15,000 uomini di reggimenti stranieri ; 
in tutto 157,400 uomini. L’ infanteria VERO) risulta 1° di 
3000 Egiziani, 2.° di 6000 Valachi e Moldavi; 3.° di 150,000 
giamnizzeri in guarnigione; 4.° di 3000 Tartari; in tutto 162,000. 
La cavalleria è composta di 10,000 uomini spalis, 132,000 di 
milizie feudali, 10,000 volontarj; in tutto 152,000, ai quali con- 
viene aggiungere 36,000 uomini del treno. 


171 
militàre «ed anche civile esiste cealmente fra i Turchi;. con 
una buona sciabola, e una buona dose di coraggio si può 
ascendere dal grado di semplice soldato fino alla dignità di 
vicerè e di ministro. L’uguaglianza tanto pericolosa nelle 
repubbliche, e nelle monarchie costituzionali è un principio 
vitale negli stati. militari e dispotici. Dove non si conosce 
altro merito, che quello di saper combattere, bisogna che 
affrontando la morte si, possa giungere a tutto , fuori che 
al trono. L’ impero turco è superiore in.proposito a tutti 
gli altri stati militari e dispotici dei nostri tempi. Un sul- 
tano intelligente, quanto basta, per valutare la propria si- 
tuazione, potrebbe anch’ oggi in pochi anni rendere l’ armate 
turche formidabili; le armate! dico male; non v' è armata 
nel nostro senso; non v' è altro che una nazione armata. — 
Non ostante esiste un mezzo infallibile d’indebolire, anche 
di distruggere le forze militari dell'impero ottomanno, vale 
a dire lasciandolo in pace per venti anni. I Turchi perde- 
rebbero allora l’ abitudine di maneggiar l’armi, e la pratica 
degli esercizj guerrieri, 

4. Religione dei Turchi. 

Il fanatismo d’una religione nemica del sapere, e la 
quale non conosce i grandi principj della morale, si cita come 
uno dei tanti ostacoli, che impediscono ai Turchi di pro- 
gredire a passi uguali con noi nella via della cultura so-. 
ciale.. Ma. la religione del korano impedì forse un giorno, 
che le corti dei califi di Bagdad e di Cordova divenissero 
il nido delle scienze e delle arti, e il centro del sapere. per 
l'Europa allora barbara? La religione musulmana non ha 
stabilita veruna massima, che degradi la natura umana. E 
poi i Turchi hanno poste le leggi religiose nella dipendenza 
delle leggi politiche, hanno mostrata in mille incontri una 
grande indifferenza per la propagazione , e per l’ impero 
assoluto dell’ islamismo, infine hanno lasciate sussistere tra 
i popoli vinti le religioni nazionali, ed hanno accordato ai 
Greci delle due comunioni il diritto d’esercitare liberamente il 
proprio culto. Nè la tolleranza dei Turchi in proposito di re- 


172 

ligione potrebbe ascriversi ad impotenza. Se valsero ad ecs: 

citare nei Bosni nazione fiera e valente nell’armi 1 entusiasma. . 
della nuova religione , perchè non avrebbero potuto risve». 
ghiarlo ugualmente negli abitanti della Servia, della Valachia, 
della Moldavia, della Grecia ? Queste provincie convertite. 
all’islamismo potevano formare, come la Bosnia, tante bar- 

riere inviolabili dell’ impero Ma i Turchi avevano stipulata 

una capitolazione coi popoli vinti riguardo al culto, e la: 
mantennero religiosamente. La Grecia è piena di Chiese, di 

monmasteri, di cappelle; e ciò che più sorprende, nella ca- 

pitale dell'impero una scorta di giannizzeri proteggeva pri- 

ma degli ultimi avvenimenti le processioni dei Greci. 

È vero che alla più piccola accusa di ribellione, i Tur. 
chi fanno cadere tutto il peso della vendetta sul clero Cri- 
stiano, che riguardano come la magistratura dei popoli vinti.. 
È vero ugualmente , che la tolleranza religiosa non fu l’opera 
della nazione, ma della politica dei sultani, i quali usarono. 
di condescendenza, per accelerar le conquiste, e per accre=; . | 
scere il numero dei tributarj). Ma anche questa politica pro» 
va che il fanatismo religioso dei Turchi è un sogno. 

Il vero difetto del governo ottomanno relativamente alla 
religione è quello di non aver mai conosciuto lo spirito del. 
korano, nè i principj di libertà civile, che si trovano .rae-. , 
chiusi nella dottrina del profeta. Maometto, che nacque e fu 
educato sotto il governo patriarcale delle tribù arabe ,.nom 
poteva conoscere le costituzioni politiche della Grecia, inci» 
vilita ; ma il suo genio sublime sentiva i pregj della libertà 
civile, e solamente s’ ingannò nel cercarla iu un governo teo- 
cratico , in cui necessariamente doveva dominare la sola legge. 
esposta nel korano, codice universale di religione di morale 
é di politica. Assicurare 'a tutti i credenti l’egual godimento 
de’ diritti naturali ; attribuire agl’interpetri della legge una 
influenza fondata unicamente sulla cognizione, che ne acqui. 
stavano studiandola ; dare così ai più saggi ai più virtuosi 
una preponderanza negli affari pubblici; trarre da questa 
classe scelta in ogui tribù un consiglio d’uomini venerabili ; 


‘173 

‘davanti al quale dovesse umiliarsi l'orgoglio dei guerrieri; 
far discutere da quel consiglio gl’interessi di tutta la nazione, 
attribuirgli la facoltà di promulgare gli editti, e di render 
giustizia in pubblico ; tali sono le semplici ma sublimi isti- 
tuzioni, che il profeta non introdusse ma conservò tra i suoi 
fratelli. Ma dandosi poi per profeta di Dio, si riserbò una 
autorità illimitata in ogni senso, e l'autorità, che doveva 
mantenere l’unità dell’ impero dei veri credenti , passò , senza 
che il fondatore l’ordinasse ; di califo in califo, e prese tutti 
i caratteri , che gl’ impresse 1 ambizione e la politica, 

Gli Arabi, i quali dopo la rovina del vero kalifato non 
‘conoscono più altra autorità, che quella dei capi di tribù, e 
degl’ interpetri della legge , son più liberi, e più avversi al 
governo dispotico, che tutti gli altri popoli della terra. I 
Turchi al contrario, riuniti in corpo di nazione molto prima 
che venissero a stabilirsi nell'impero dei kalifi, noù adottaro- 
no tra i principj politici del profeta altro che quelli, i quali 
‘potevano combinarsi col sistema di feudalità militare, in cui 
vivevano nel pianoro dell’ Asia centrale. E a dir vero, come 
mai una gran nazione conquistatrice avrebbe potuto gover- 
narsi colle leggi d’ una tribù d’ Arabi? Non è dunque mera- 
viglia, se le assemblee popolari, e i consigli pubblici non si 
‘tennero mai con tanta libertà di discussione fra i Turchi, 
‘ come fra gli Arabi. Nel solo sistema municipale dei Turchi 
l’ aristocrazia e la democrazia è qualche volta molto autore- 
vole negli affari pubblici. Ma non v'è altro mezzo per eser- 
citare la ‘libertà nazionale , che la ribellione. Gl’ interpetri 
‘della legge (oulema) a Cocramidiopoli non hanno mai spie- 
‘gati i talenti, nè meritata la stima, nè esercitate le attribu- 
zioni, che si convengono, secondo le spirito del korano,; al 
corpo dei teolozi, dei giureconsulti, e degli uomini di stato. 
- Gl'interpetri della legge si sono abbandonati alle meditazioni 
astratte, dirò anche puerili: quindi hannò perduto ogni mezzo 
‘di ricuperare un ascendente qualunque sulla ‘casta militare 
della nazione. I guerrieri, che dovevano dipendere dall’ au» 
torità politico-religiosa s° impadronirono del primato, I ta- 


174 

lenti, il sapere, la devozione non contarono più niente fuori 
che nel korano. La sciabola divenne l’unico mezzo di fat 
fortuna. Così gli uomini abili mancarono in breve. Si dovet- 
tero impiegare i Greci e gli Ebrei nei negoziati più impor- 
tanti; e questi mercenàrj venderono sovente l'interesse dello 
stato. I militari , che son saliti in alto, non prendono nessu- 
na cura per la buona educazione de’ figli, perchè non si co- 
noscono nell'impero nè diritti, nè privilegj ereditar). Ed ecco 
il vero motivo, per cui non esiste fra i Turchi una classe 
distinta per talenti, e per sapere. L’uguaglianza riconosciuta 
dal korano divenne nel sistema di feudalità militare dei Tur- 
chi la pietra fondamentale del dispotismo. I sultani conqui- 
stando l'Egitto e Bagdad presero il titolo di Kalifi, e riguar- 
darono il potere assoluto, di eni si trovavano investiti, come 
reso sacro dalla religionè, e uguaglianza assoluta come 
dogma religioso. Ma mentre nel senso del korano l’ ugua- 
glianza consisteva nel godimento comune dei diritti civili; fra 
i Turchi incominciò a consistere nell’ obbedienza di tatti alle 
leggi del kalifo. Gli Arabi ed i Mauri sono uguali in faccia 
‘a Dio, ed alla legge; i Turchi in faccia al sultano, ed al 
carnefice . 

Stabilito così il governo dispotico ne venne per natural 
conseguenza , che il capo della religione ( muftì) presidente 
degli interpetri della legge, fu investito nella capitale d’ una 
autorità , illimitata, ma d’ altronde debole, perchè non 
è sostenuta da una forza fisica corrispondente, o dall’ in- 
teresse d’un corpo intero. Il muftì ha qualche volta desti- 
tuito un sultano, ma solamente quando lo volevano anche 
i giannizzeri. Un sultano può liberarsi da un muftì disob- 
bediente, facendolo pestare in un mortajo; ma non ha tanti 
morta} da far pestare il corpo intero degli interpetri della 
legge , quando questi son sostenuti dalla forza ed animati 
dall’ amor della patria. 

Si domanda se i Turchi sarebbero oggi ‘capaci di darsi 
una costituzione politica , fondata sui princip} del korano. H 
vero spirito dell’islamismo non può subire una rigenerazione, 


175 
finchè i Turchi saranno una nazione ricca sedentaria e domi- 
natrice, vale a dire finche esisterà l'impero turco. Le eause, 
che alterarono fra i Turchi i princip) politico-religiosi del 
korano impediranno sempre di ristabilirli nella prima purità, 
con tutta la forza irresistibile d’ una antica abitudine nazi@ 
nale . 

Questo difetto fondamentale dell’ impero turco è antico 
quanto l’esistenza dell'impero ; sarebbe quindi temerità il 
predire il tempo, in cui giungerà a produrre una rivoluzione 
interna tanto forte da terminare colla rovina del trono, 
colla diswuzione del corpo politico, e colla divisione dei 
Turchi in tante piccole tribù, le quali forse riceverebbero più 
facilmente i lumi della cultura sociale all'uso degli Arabi, che 
tutta la nazione qual è attualmente. 

Tutti gl’imperi portano nel proprio seno il germe della 
‘morte s.quelli che si lusingano d’assistere ai funerali dell’im- 
pero turco discenderanno ugualmente più presto, o più tardi 
nel sepolcro, in cui discesero gl’imperi di Roma., e di Car- © 
tagine. ; 
5.° La diplomazia turca. 

I Turchi sono naturalmente diffidenti, e ostinati, per- 
chè si valsero sempre per dragomanni, o per secretarj in- 
terpetri dei Greci, che son maestri di cabale e di raggiri, 
poco serupolosi sui giuramenti e insensibili in materia di 
buona fede, e di giustizia. Ed ecco donde traggono origine 
i principj diplomatici, che guidano il consiglio ne’ suoi 
negoziati. I ministri conoscono bene la gelosia, che regna 
tra i principi Cristiani, gelosia, la quale, come riflette sa- 
viamente Montesquieu, impedirà sempre che si riuniscano 
contro la Porta. Non ostante, la corruzione i tradimenti 
continui de’ dragomanni, la difficoltà di frenare il fanatismo 
. del popolo turbano sovente gli andamenti politici del con- 
siglio. Ma il più gran nemico dello stato è il governo oc- 
culto ,jo. il partito degli eunuchi, e delle favorite. A dispetto 
di tante cause, che porterebbero a far male, il sistema di 
politica, che tiene il consiglio relativamente ai principi stra- 


176 

mieri, è fondato sulle regole della saggezza e e della giustizia, 
“ sebbene sia troppo timido. Il consiglio fa professione d'una 
“ neutralità assoluta, d’una indifferenza completa per gli af- 
fari della Cristianità, e dimanda uguali sentimenti per parte 
dei principi Cristiani relativamente agli affari del mondo 
musulmano. In conseguenza di questi principj si è contentato 
di protestare contro la divisione della Polonia, e di tacere 
- sulla sorte degli stati Veneziani. Si è detto che l’ ignoranza 
della geografia nuoce alle idee politiche del consiglio, e si 
è preteso che quando i principi amici avvertirono la Porta 
del progetto della Russia di mandare una flotta nel mediter- 
raneo per lo stretto di Gibilterra , i Turchi risposero che 
lo stretto non esiste. È una novelletta, inventata goffamente 
da un Europeo poco erudito. Leggete la geografia turca, e 
vi troverete lo stretto di Gibilterra descritto: a, meraviglia . 
I bastimenti turchi d’ Algeri e d'Alessandria lo passano, e lo 
ripassano. Probabilmente i turchi allusero al sund, quando 
riguardarono come impossibile. un passaggio della flotta 

russa per lo stretto . 

6.° Caduta dell’ impero per opera dei vicerè. 

Si crede generalmente, che l’ impero turco possa tra 


pochi anni dividersi tra i vicerè ribelli. Converremo che i 


Pasvan-Oglù, gli Alì, i Dyezar, i Mehemet Aly si son di- 
chiarati in certa guisa indipendenti, e che han preso il tuo- 
mo di sovrani; ma i popoli rispettano in tutti quei furbi 
autorità del sultano, la maestà dell’ impero’ coll’ ombra 
del quale si cuoprono, anche allorquando combattono con- 
tro gli eserciti, che spedisce la Porta per esterminarli, ed 
anche quando fanno tagliar la testa al carnefice, il quale 
viene ad assassinarli. Neppure Aly, sebbene libero dal gio- 
go delle idee religiose, ha mai ardito di parlare ai suoi sol- 
dati musulmani di voler fondare un regno separato; è una 
spiritosa invenzione , che dava ad intendere solamente ai 


Greci ed agli Italiani. Il vicerè d’ Egitto ha fatta recente. 


mente dare una mentita solenne ad un giornale italiano , 
nel quale si mostrava di riguardarlo come un sovrano in- 


e e 9 CO E ST 


177 
dipendente. La Porta è costretta da motivi militari e geo- 
grafici a conservare intieri i due grandi governi dell’ Irak , 
e dell’ Egitto. Sono due colossi, che difendono le frontiere 
dell'impero; dividendoli, gli abbandonerebbe alle invasioni 
degli stranieri, Ma perchè quando ne parlavano ultimamente 
nel consiglio, non venne in testa a nessuno di dividere l’au- 
torità invece del territorio, e di mettere ‘al fianco di quei 
due vìcerè formidabili un intendente civile, o un consiglio 
provinciale? Del resto tutti.que’ fieri satrapi si vedono ab- 
bandonare dai soldati, dagli amici, finanche dai figli, quan- 
do la Porta, gli priva della dignità di vicerè, la quale infi- 
ne ‘dura. solamente un anno. Il potere d’ Alì derivava dalla 
sua qualità di gran feudatario , e quello di Pasvan-:Oglu 
dal suo titolo di eletto del popolo . Ma i re a vita finisco- 
no. L'idea d’ una dinastia ereditaria nazionale non si è mai 
destata in Turchia ; il popolo turco si è affezionato solamer- 
te al sangue dei discendenti d’ Otmanno . Sicuramente l’estin 
zione della famiglia regnante cagionerebbe grandi disordiui . 
Allora. un vicerè valente ed amato potrebbe, come i generali 
romani, farsi proclamare imperatore dal suo esercito; ma po- 
trebbe darsi altresì, che una simile intrapresa incontrasse i 
più vivi ostacoli, e dasse origine ad una guerra civile. E poi 
non potrebbe anche accadere , che sortisse dalle file di quei 
soldati, che fan fortuna, un Aureliano, un Diocleziano, un 
uomo in fine che ringiovanisse per. qualche anno l’impero ca- 
dente? Non potrebbe in fine accadere che un altra dinastia, co- 
me. Romanof in Russia, dasse principio ad un'era nuova? Nel- 
l’Asia minore i Kara-osman-oglu, governatori ereditarj della 
Turcomania, amministrano gli antichi regni di Pergamo edi 
Sardi con più giustizia ed umanità che Attalo e Creso. Altri 
feudatarj si citano come modelli d’ un impero paterno. La 
famiglia degli ultimi principi di Crimea, la quale ha un di- 
ritto incontrastabile a regnare, è la delizia degli abitanti del 
paese solitario, in cui risiede, alle falde dell’ Hemus. Perchè 
non potrebbe una tenda di popoli nomadi, o un castello igno» 


to dare alla Turchia un ‘eroe come Otmanno, o come Soli. 
T. VI. Aprile | 12 


178 
mano? In verità non vediamo perchè una guerra tra i vicerè 
ed il ministero deva necessariamente, dopo l'estinzione della 
famiglia d' Otmanno, cagionare la rovina totale dell'impero . 
V° è qualch” altra cosa in Turchia, oltre i vicerè, i ministri, 
ed i sultani; vi sono più di venti nazioni. E queste nazioni 
non saranno dunque mai arbitre del proprio destino? 

° IL’ impero si dividerà mai per nazioni? 

L’impero turco è un aggregato casuale di più nazioni 
poste sotto un giogo comune, le quali peraltro, sebbene av- 
vezze a vivere insieme da molti secoli, si temono si odiano 
si detestano reciprocamente. E chi non conosce questo tratto 
caratteristico dell’ impero turco? Chi non ha sentito parlare 
dei Copti attivi ed obbedienti, degli Arabi fieri. indomabili 
e vagabondi, dei Drusi, dei Maroniti, e di tanti altri popoli 
‘montanari del Libano, dei fieri Kurdi , dei solitari e feroci 
Yezidi, dei rustici Turcomanni, degli astuti Greci, degli Al- 
banesi astuti e guerrieri, dei semplici e bravi Yuruki, dei 
Valachi, dei Bosni, dei Serviani, tre popoli slavi per origine, 
ma diversi come i Cristiani dai musulmani? e non gli nove- 
riamo qui tutti. 

Ogni nazione conserva il proprio spirito, i proprj usi, 
e sopratutto i proprj interessi. Se il popolo dominatore 
perdendo per lungo tempo il centro d’ unità, che gli pre- 
senta il suo goveruo, benchè cattivo, cadesse in una anar- 
‘chia perfetta, e in una vera nullità politica, è certo che le 
venti nazioni soggette si. solleverebbero concordemente per 
ricuperare la propria esistenza, ciascuna secondo il grado 
relativo della sua civiltà. Che bello spettacolo per l’ osser- 
vatore della natura umana! Perchè infine i grandi imperi 
sono tanti sepolcri, nei quali vanno a chiudersi i sentimenti più 
nobili, le idee più originali, i costumi più poetici delle na- 
zioni. Ma non ci lusinghiamo, che le rivoluzioni nazionali 
producano facilmente e presto la caduta dell’ impero turco, 
finchè i Turchi, anche degenerati, conserveranno per centro 
d’ unità il consiglio di Costantinopoli. Costoro sentono co- 
me i Romani l’ istinto di dominare, istinto materiale, ma 


E, 

‘solido e sicuro. Dividere per regnare è una massima, che 
sanno mettere in pratica anche i Principi più ignoranti. Se 
si eccettua la nazione dominatrice, tto in Turchia è di- 
scordia, diffidenza, odio, gelosia. Gli Arabi derubano i Co- 
fti in Egitto, i Greci spogliano i Valachi , gli Ebrei in- 
gannano i Greci, gli Armeni vorrebbero arricchirsi sulle 
spoglie degli uni e degli altri. Quando gli abitanti del Pe- 
loponneso si ribellano, la Porta manda a reprimerli una 
masnada d’ Albanesi; quando gli Arnauti ricusano obbe- 
dienza , gli abitanti del Peloponneso marciano per pu- 
nirli coll’ armate turche. Sovente i Kurdi, devastando il 
governo dell’ Irak, sono applauditi dal ‘sultano ; i ministri 
non impediscono ai Bosni ed ai Serviani di massacrarsi per 
una greggia, purchè gli uni e gli altri paghino puntual- 
mente il testatico. La religione è un’ altra sorgente d’ odj 
e di dispute tra i popoli tributarj. L’ Albanese musulmano 
o greco, perseguita il suo fratello Cattolico ; i preti greci 
gridano contro i missionarj latini: il dottore dell’ islamismo 
manda all’ inferno Greci e Cattolici; il Druso vi manda 
tutti, mostrando di, professare tutte le religioni. La guecra 
di tutti contro tutti è la sicurezza del despota ; sicurezza 
terribile, ma vera. 

La divisione dell’ impero turco per nazioni è dunque 
un avvenimento possibile, diremo anche probabile; ma è 
riposta in un incerto avvenire. 

Terminiamo qui l’ esame della questione, che si agita 
oggi per tutto sulla possibile caduta dell’ impero turco. 
Riguardiamo sempre come eseguibile la crociata, che pro- 
ponevamo nell’anno decorso. Ma l’Inghilterra non la vuole. 
Per conseguenza gli uomini ragionevoli non ne parlano più. 

Concludiamo. L’ impero turco a dispetto delle sue isti- 
tuzioni depravate, del suo governo corrotto, a dispetto di 
‘mille germi di distruzione, che porta in seno, può esistere 
per lungo tempo, e conservare un'esistenza da imporhe. 


n ‘ G. RR, 


180 
RAGGUAGLI SCIENTIFICI, LETTERARI, BIBLIOGRAFICI 
E CORRISPONDENZA . 


ProcerTo per la formazione in Firenze d’ una stabile Com- 
pagnia comica (*). Firenze 1.° Marzo 1822. 


La formazione in Firenze d’ una stabile Compagnia comica 
è il voto di tutti coloro, i quali si persuadono che i vizj dei 
nostri Teatri dipendono principalmente dalla condizione vaga= 
bonda dei recitanti, e dalla mancanza d’ una direzione accurata, 
e vigilante sugli spettacoli. 

E per Mined a ciò è necessario che sieno assicurati agli 
attori dei mezzi certi di sussistenza, i quali li pongano in grado 
d’ attendere al perfezionamento dell’ Arte loro, e che essi di- 
pendano da persone disinteressate , e animate solo dal desiderio 
di condurre l’ Arte comica in Italia a uno stato sempre progres- 
sivo di perfezionamento . 

Penetrati i sottoscritti da questi principj essi propongono 
la formazione d’ una società, la quale appoggiata alla protezio- 
ne dell’Imp. e R. Governo si assuma la direzione d’un Teatro 


(*) Quando, nel nostro proemio all’ Antologia di ques’ anno, manifesta= 
vamo il desiderio d’ una compagnia nazionale permanente per la recita delle 
commedie e delle tragedie, eravamo ben lungi dallo sperare, che potesse fra 
poco tempo venir sodisfatto. Quindi il ProceTTo d’una Società per la forma- 
zione e direzione di tal compagnia, che fu pur dianzi pubblicato , e che ci 
affrettiamo d’ inserire nel nostro giornale, ci cagiona egual sorpresa che gioja: 
Era degno de” suoi illustri autori il pensare così elevatamente intorno agli 
effetti di un buon teatro , e così sensatamente intorno ai mezzi di ottenerlo. 
L’ esempio de’ primi soscrittori, non ne dubitiamo, avrà seguacì in gran 
numero fra i Toscani illuminati, a cui si appartiene di promuovere quanto 
può essere di decoro alla patria. Dovranno pur applaudir a questo progetto gli 
Italiani tutti, pei quali non è indifferente lo stabilimento d’una compagnia, che 
può divenir madre di altre, giovevoli a tutta l’Italia. Fu già pensiero dell’ Al- 
fieri, che le compagnie comiche e tragiche nun avessero a comporsi che di attori 
nativi di quel paese, a cui si attribuisce universalmente la miglior lingua e la 
migliore pronunzia. Tanto più questi attori acquisteranno pregio , allorchè 
siano formati al gusto, alla deceuza, all’onore della lor professione, che di- 
verrà più rispe tabile a misura che diverrà più utile. 

Il nostre Gabinetto scientifico e letterario sarà sempre aperto alle soscri- 
zioni, e ci faremo uu dovere di far conoscere nei susseguenti fascicoli, ; nomi 
delle bénemerite persone , che avranno contribuito colle loro firme ad acce- 
lerare l'esecuzione di questo progetto. 


131 
eomico e tragico da stabilirsi in Firenze, e ne assicuri il man- 
tenimento . { 

I sottoscritti sono persuasi che dopo un certo corso di tem- 
po la superiorità, che un Teatro così costituito si sarà acquistata 
su tutti li altri, abbia a ricompensare dei sacrifizi che si saranno 
fatti per la prima sua formazione, e abbia a dare a chiunque 
wi attenda dei mezzi sempre crescenti di sostenerlo con lustro. 


Condizioni della Società. 


1°° La società dovrà intitolarsi ,, Società per la formazione, 

e la papi d’ una stabile Compagnia comica in Firenze ,,. 
© Essa sarà composta di Soc] azionisti. Le Azioni saranno 

di lire dugehto annue ciascuna . Esse saranno obbligatorie per 
dieci anni. Ogni Socio potrà prendere più Azioni. 

3.° Ad ogni Azione anderà unito un diritto d’ ingresso gratis 
a tutte le rappresentazioni, le quali si daranno a nome della 
| Società. Chi prenderà più d’ un’ Azione potrà trasmettere per 
le rimanenti lo stesso diritto ad un’ altra persona, la quale pe- 
rò nominata una volta, non potranno essi sostituirvene un altra; 
fuori che .in caso di morte, o di cambiamento di domicilio le- 
gale della medesima . 

4.° L’ Amministrazione di tutti li affari della Società dipen- 
derà da una Deputazione nominata dal corpo intero dei Socj, 
la quale sarà rinnovata parzialmente ogni anno, e rimetterà 
all’ approvazione della Società in una adunanza generale , ed an- 
nuale della medesima il bilancio dell’anno decorso; e quello di 
previsione per l’anno avvenire. 

5.° La Società ‘prenderà in affitto un Teatro in Firenze, 
dando la preferenza a quello del Cocomero, e con condizioni 
analoghe a quelle, che sogliono farsi dagli Accademici proprie- 
tar) agli Impresari ordinarj. L’affitto dovrà avere durata eguale 
a quella della Società. Gli Accademici proprietarj, i quali vo- 
lessero entrare a far parte della Società, divenuti Azionisti , 
acquisteranno oltre al loro proprio diritto d’ ingresso lo stesso 
diritto trasmissibile ad un’ altra persona nel modo prescritto 
all’ articolo 3.° 

6.° Con questi mezzi aggiunti alle solite entrate dei Palchi 
e dei passi appartenenti ad ogni. Teatro , la Società si propone 
d’ ottenere i resultati seguenti. 

1.° Formerà in Ditanae una Compagnia fissa composta di 
soggetti già accreditati sopra i migliori Teatri d'Italia, e di 


182 


giovani Toscani, i quali promettano bene di loro hell’ arte della 
declamazione . Questa Compagnia dovrà essere bastantemente 
numerosa per avere degli Attori appropriati ai differenti carat- 
teri sì di Tragedia, che di Commedia. 
° La Compagnia avrà un direttore o capo-comico, il quale 
dipenderà da una Commissione nominata espressamente dalla;So- 
cietà per la vigilanza sugli Spettacoli, e per provvedere : alla 
convenienza del vestiario , e al decoro del palco scenico. 
3. Vi sarà un’altra Commissione per la scelta delle Com- 
medie, e per le traduzioni da farsi di quelle opere le più repu- 


tate dei Teatri stranieri, le quali possano essere ' adattabili ‘al 


nostro, e per la formazione del Repertorio. 

4.° La Società farà pubblicare a sua cura’ la Collezione 
dell’ Opere teatrali, le quali formeranno il suo repertorio, ac- 
erescendolo ogni anno di quelle produzioni, le quali dovranno 
in ggrii restare . 


7.° La Compagnia potrà traspbribasi in qualche’ stagioni | 


dell’anno a recitare sopra dualdhe altro dei principali Teatri 
della Toscana, secondo che ciò sarà giudicato conveniente dalla 
Società . P 

8. ‘Gli avanzi che resulteranno dall Impresa saranno ero- 
gati nel modo che segue. 


1:° Ad avvantaggiare le condizioni della Compagnia, eil 


decoro delle rappresentazioni, e a diffondere i vantaggi di questa 
istituzione a miglioramento del Teatro Italiano. 

DDA prstari la ‘prestazione annua dei Socj, 0 a procac- 
ciare alla Società dei fondi fruttiferi. 
.  ‘Quellische volessero entrare a far parte della Società ap- 
porranno: la loro firma sotto al presente progetto, determinando 
il numero delle Azioni, che essi intenderanno di prendere. Ma 
la Società non s’ intenderà unita, finchè non si sia conosciuto di 
aver mezzi bastanti ad ottener lo ‘scopo prefisso. Allora adu> 
nandosi li Azionisti formeranno il regolamento , e ottenutane la 
sanzione dall’ Imp. e R. Governo daranno: un principio legale 
alla Società, e prenderanno tutte le misure necessarie all' ese- 
cuzione del piano. 

Altoviti Cav. Gugliclmo — Capponi March. Gino — Corsi- 
ni Principe D. Tommaso — Guicciardihi Conte Francesco + 
Martellini March. Leonardo — Ridolfi March. Cosimo — Ri- 
nuccini March. Pier Francesco — Tempi March. Luigi — Tor- 
rigiani March. Pietro. 


183 
i. r. R. ACCADEMIA: DEI GRORGOFILI 
Seduta ordinaria dei 10 Marzo 1822. 


Jì sig. Dott. Gherardi prese a difendere la così detta odierna 
dottrina medica italiana dai torti imputatile in altra memoria 
letta avanti Y accademia stessa nella precedente adunanza. 

E siccome in detta memoria si poneva primieramente in 
dubbio lazione medicinale gdelle piante dette virose, il sig. 
Dot. Gherardi rilevò come una contradizione |’ accordarvisi nel' 
tempo stesso un’ azione topica alla cicuta, e Vl’ esaltarvisi la qua- 
lità venefica di tutte quelle piante, qualità che annunzia un’ 
azione energica sull’ animale ‘economia, e che puo divenir sa- 
lutare ogni qual volta sia d’indole contraria a quella del morbo 
che si combatte. Addusse un numeroso elenco di medici insi- 
gni, anche dei due secoli decorsi, che hanno concordemente 
riguardato tali piante come doni preziosi della provvidenza , perchè 
sole atte a debellare quei disperati morbi, contro i quali è 
inefficace ogni altro rimedio. Rammentò l’ uso che presso gli 
stessi Greci e Romani si fece dell’ elleboro, dell’ euforbio, della 
mandragora, e dei purgativi violenti, e fece osservare che allo 
stesso acido prussico, di cui non vi è forse veleno più potente 
sull’ economia animale, si debbono guarigioni maravigliose. 

E quanto alle dosi di tali o simili rimedi, mostrò essere 
stati assai più arditi dei moderni varii medici più antichi cele- 
bratissimi, e sommamente felici nella lor pratica. Siccome poi 
non vi è quasi cosa che per abuso non possa divenir dannosa 
o venefica , osservò poter sembrare artificiosa una tale accusa 
diretta, simgolarmente contro un dato genere di rimedi. 

Quanto al salasso, contro cui declamavasi vivamente nella 
citata memoria ; il sig. Dot. Gherardi, dopo aver ricordato come 
esso fu sempre un rimedio prezioso nelle mani dei sommi me- 
dici d’ogni età, fece osservare che non fu mai posta tanta cura 
quanta dai seguaci della dottrina medica italiana in cercare un 
succedaneo al salasso nell’ uso dei: controstimolanti. Pure mostrò 
esagerata ed. irragionevole V apprensione di funeste conseguenze 
dipendenti dal salasso in genere ed anche, discretissimo., facendo 
osservare che!produconòd sulla massa del» sangue ran. effetto poco 

dissimile la, diminuzione, del cibo, un più violento esercizio, o le 
accresciute secrezioni. Rammentò le perdite non solo innocue 
ma salutari e necessarie che ne fanno le donne periodicamente 


184 
quelle che esse soffrono nei. parti, l’emorrogie. frequenti nei 
bambini, il così comune flusso emorroidale, e la necessità rico- 
nosciuta dai medici di tutte le scuole di cavar talora sangue 
agli emottoici dopo gravi perdite fatte di quello stesso umore, 
del quale è noto quanto sia facile e pronta la riproduziorie. 
Provò che nulla di sensato è stato detto contro quella dot-, 
trina; che la supposta infiammazione astenica , e_ la debolezza 
iudiretta son veri controsensi; e concluse che l’ odierna dottrina, 
medica italiana, concorde nei/suoi metodi curativi a quelli dei 
pratici più insigni e più fortunati di tutti i tempi, è la. vera. 
medicina d’ osservazione messa nella più bella luce dalla. filo 
sofia . fi i 
In seguito fu letta un’ appendice del sig. Dot. Vanni. alla 
sua precedente memoria già coronata dall’ Accademia, e relativa 
ai mezzi di render più facile e più sicura la contrattazione dei, 
bestiami . 
Finalmente il sig. Sabatino Guarducci socio corrispondente 
Jesse ana sua memoria contenente varie pratiche istruzioni in- 


torno al miglior metodo di preparare ed amministrare i letami. 
\ 


G. G. 


Viaggio di Carrtraur. Sua corrispondenza col sig. Jomarb 
dell'Istituto, (Vedi Antol. vol. 4. pag: 178) 


Assur in Nubia 1% maggio 1821 

Vi partecipo la scoperta che ho fatta di una antica città situata: 
oltre Shendy, d’ un vasto tempio, e d’ un gran numero di piramidi. 
Terminate le mie, operazioni a Berber pregai il figlio. del’ go-. 
vernatore a lasciurmi partir da Shendy prima dell’ armata; me 
l’ accordò, e mi diede vina lettera per il governatore della pro- 
vincia, Presi il nome di Murad, c passai per musulmano. Viag- 
giavamo sopra tanti dromadarj sulla destra del fiume. Giunti 
‘ail’ Atbara, che è l'ultimo fiume tributario del Nilo, civàrre=. 
stammo per determinare la sua situazione. Nel quarto giorno: 
dopo la parteriza. da Berber ci videmo con gran sorpresa davanti 
un gran numero di piramidi Giunsi sul posto il 25 aprile y. 
determinai esattamente le dimensioni, la base, 1° altezza, e Y'in-. 
clinazione di ciascheduna . Ne contai venti, che hanno da quin= 
dici a venti metri di base, e son alte da ventidue a venti- 
cinque ; altre quindici hanno da sette a nove metri di base, 


x 


iii ZA È 


è 


= sa 


185 


e son alte da undici a dodici; altre cinque hanno da cinque a 
sei metri di base. Se ne distinguono altre quaranta, che son 
più piccole e tutte rovinate; ogni piramide aveva un tempietto 
composto d’ una unica sala; un solo era diviso in tre) Fra i 
templi che ho vedati, due sono a volta; posso dargli per lavori 
egiziani, e gli credo più antichi dei monumenti d’ Egitto. V'è 
scolpita sulle volte una fila di serpenti, che serve di cornice ai 
geroglifici. Le piramidi delle quali parlo, non erano tutte ter-. 
minate. Vi sono in quasi tutte tanti piccoli scalini di dieci a dodici 
centimetri, per i quali si può salire fino alla cima . Son costruite 
di pietra di creta, son alte trenta a quaranta centimetri e lunghe: 
sessanta, son congiunte insieme come in Egitto, e posano tutte 
sopra tanti monticelli di creta . 

Scrivo al vicerè perchè mi permetta d’ aprirne una. Son 
sicuro di trovarvi un sotterraneo scavato nella rupe sotto il cen- 
tro della piramide. Vi si deve penetrare per la via d’un canale, 
che è tagliato ugualmente nella rupe, ed inclinato all’orizzonte. 
Ho trovato sopra una piramide qualche parola greca. Vi resta- 
no poehi avanzi del tempio, che era apparentemente lungo ot- 
tantacinque metri, ma esistono sempre le sfingi, che ne ornavano 
l’ ingresso. Il muro di creta, che fa parte del recinto esteriore. 
del tempio è lungo 138 metri. Le piramidi son quasi tutte nel 
deserto a una lega e mezzo dal fiume; gli avanzi del tempio e 
della città sono a mezza lega soltanto. Bruce poneva quì sulla 
carta una città famosa; passò due leghe all’ oriente delle pira- 
midi, e non le vide; poro oltre v' è la grand’ isola di Kurgos,; 
ove d’ Anville collocava Meroe; non vi trovo vestigio d’ antichità. 
Nella provincia di CheEea al monte Barkal e a Noury, v° è un 
villaggio, un monte ed un'isola, che portano il nome di Meroe, 
ma sono ben lungi dalla latitudine assegnata dagli antichi. 

Proseguiamo il viaggio fino a Sennaar: mi propongo di ri- 
salire il fiume bianco, ma dopo avere esaminato Sennaar, e la 
provincia di Fazuelo, ove‘deve portarsi l'esercito. Assur, donde 
vi scrivo, è un semplice gruppo di case. Il mio compagno di 
viaggio è un amico fedele; godiamo perfetta salute a dispetto 
d’un caldo eccessivo. Da yn mese in qua il termometro cen- 
tigrado è a 48, e ordinaria mente a 45 gradi. Si avvicina ia sta- 
gione delle pioggie. L’ armata, per quanto pare, la passerà a 
Sennaar. Ksiirdaio dopo d’ un mese di bel abbi 2A e dopo del 
clima d' Europa. 


186 


Sennaar_11. luglio 1821. 
Ricevo la vostra del ro. dicembre; vi resi conto da Assur 
il 15 maggio della scoperta di ottanta piramidi; ne ho misurate 


quarantacinque. Vi si vedono le traccie d'una città, gli avanzi. 


d’un gran tempio , e di due altri più piccoli con sei sfingi di 
creta. Le scoperte, che ho fatte ulteriormente, mi confermano 
nella mia opinione, che è questo il posto dell’ antica Meroe, e 


che la penisola racchiusa tra il Nilo di Bruce, e l Atbara è ve-. 


ramente l’ isola Meroe degli antichi. Mi fu permesso di restare 
per quattordici giorni alle piramidi, e di copiarvi molti disegni 
di geroglifici. Arrivammo in un giorno a Shendy; trovai | ar- 
mata sulla riva sinistra del fiume. Prima di Vetbete-vaga s’ in. 
contrano altre quindici piramidi; non vi sono nè templi nè. or-. 
namenti come nell’ altre, e sono piuttosto piccole. Dopo nove 
giorni di viaggio arrivammo da Shendy alla foce del fiume 
bianco. Niuno, europeo la vide prima di noi, benchè Bruce 
vi si avvicinasse. La sua foce è assai stretta; non eccede quat- 
tro a cinquecento passi; ma mezza lega sopra si allarga sensi- 
bilmente. Lo credo il ramo principale, per conseguenza il vero 
Nilo. Son risoluto più che mai a tentare di riconoscerlo tutto; 


è la scoperta più interessante che resti. a farsi. Giungerò io’ 


fino alla sua sorgente? Son tuttora ben lungi dal lasingarmene. 
La provincia d’ el-Aize sul fiume bianco termina alla latitudi- 
ne di Sennaar; vi abitano pochi e poveri pescatori musulmani, 


ma più oltre v'è un popolo d’idolatri, che passano per antro-. 


pofagi; e si valgono di freccie avvelenate. Ho presa la latitu- 
dine e la longitndine della foce del fiume bianco. Spero che le 
nostre osservazioni, per l’ esattezza delle quali ci diamo ogni 
premura, verranno accolte con piacere: 

In tre giorni il figlio del vicerè ha fatto passare l’armata 
sul fiume bianco, per. inoltrarsi nella penisola di Sennaar. Sic- 
come vogliamo veder tuttò sulle due rive del Nilo di Bruce, 
Letorzec continua a seguir l’armata, ed io mi sono imbarcato 
per potermi arrestare sulla destra del fiume. A una giornata 


oltre la foce del fiume bianco ho trovato sotto il nome di Saba 


un gran tratto di rovine e frantumi di mattoni cotti, lo che 
indica naturalmente un’ antica. città. Per il nome vw è molta 
analogia con Saba. Tra i frantumi ho trovata una sfinge di 
creta di stile egiziano. Ho esaminato la foce del Rahad, e del 
Dender, due tributarj del fiume bianco. Bruce. s’ ingannò pen 


ì 187 
sindo che il Dender porti le sue acque nel Rahad; l’uno e l’al- 
tro discendono, nel Nilo. Tutta la penisola tra il Dender, e il 
Nilo di Bruce porta il nome di Gaba. Credo di aver trovato il vero 
ibis degli antichi; ve ne son molti nell’isola di Meroe; ne ho 
raccolto un buon numero per le penne, e gli scheletri. 

Non deve recar sorpresa se si chiamano Meroe le antichità 
del monte Barkal; vi fondarono probabilmente una colonia dopo 
la rovina della capitale. Due inglesi, e Frediani, che le videro 
prima di me, crederono senza dubbio d’aver trovato l'isola di 
Meroe, ma s’ingannavano; la sua scoperta appartiene a me solo; 
vi giunsi quattordici giorni prima dell’ armata. 

Non vi parlai finora’ delle rovine di Chiese abbandonate dai 
Cofti: quella della vecchia città di Dongola è meglio conservata 
di tutte. La bella e ricca isola d’ Argo racchiude gli avanzi di 
tre altre Chiese, ornate di colonne di granito d’ ordine jonico, 
con croci greche nei capitelli. S’ incontrano altre rovine di tem- 
pli Cristiani sopra più di trenta scogli, i quali formano l' isole 
della cateratta di vadi-Halfa. Ve ne sono anche nella provincia 
di Chaguy, nel Berber, e nel Shendy. 

Si contano finora quattro cateratte sul Nilo; la prima ad 
Assuan, la seconda a vadi-Halfa, la quale termina cinquanta 
miglia più oltre nella provincia di Socot; ma per più di venti- 
cinque miglia il Nilo è bello e navigabile. La terza , che è la più 
piccola, si trova a Hanneke, all’ ingresso del regno di Dongola; la 
quarta, che è la. più grande, nella provincia di Chaguy. Que- 
st’ ultima è lunga quarantacinque leghe, e per tre quarti è tutta 
di rupi. Ninna merita il nome di cascata; son piuttosto correnti, 
le quali si trovano chiuse per ogni parte da grosse rupi di gra- 
nito nero, di roccie anfiboliche e feldispatiche nere e verdastre. 
Il figlio del vicerè ha fatto passare centoventi barche grandi 

fino alla quarta cateratta, ove son restate per mancanza d’acque; 
otto barchette più piccole e tre battelli piani hanno varcata anche 
quella, e sono giante per il Nilo fino a Sennaar. Oggi che il 
Nilo è molto cresciuto aspettiamo anche le barche grandi. Alla 
fine della quarta cateratta nella provincia di Babatate, quando 
il fiume è basso, v’ è \una cofrente, che cade da tre metri di 
altezza, ed occupa i tre quarti del letto del Nilo. Le due cor- 
renti più forti sono a ..dgebel-Mali; e a Ras-el-kelb ; l’ ultima 
è nella svoltata che fa il Nilo dal nord al nord-est. Rendiame 
giustizia alla carta di d’Anville, che era la più esatta. 


r88 

Ho veduto qui per la prima volta, dacchè son partito di 
Europa, un monte coperto di foreste e di verdura; è alto da quat- 
trocento piedi; l'occhio attristato dall’orrido aspetto dei monti 
d’ Egitto si riposa qui con piacere sopra un tappeto di verdura; 
le pioggie, il cielo nuvoloso , il tuono, tutto vi ricorda l'Europa. 
Qual contrapposto coi monti aridi e nudi dell’ Egitto e della 
Nubia; e dei deserti vicini, ove l’ occhio cerca inutilmente î 
vestigj della vegetazione ! 

Entriamo nella stagione delle pia oa le quali durano, Ùa 
quanto si dice, tre mesi. Abbiamo già provati molti temporali 
violenti; i fulmini si sentono spesso. Passeremo la stagione 3 
dove non v'è nulla d’ antichità ; e non spero ‘di trovarne più 
oltre. I limiti delle pioggie son fissati troppo addentro. Devono 
portarsi al 18 grado 4o”. nella provincia di Babatate, non al 16 
gr. come ha fatto Bruce. 

Il figlio del vicerè con tremila uomini ha sparso il terrore 
per tutto il paese, anche nel regno di Sennaar, che si è reso sen- 
za far resistenza; non vi è stato altro che qualche scaramuc- 
cia in due o tre villaggi, nei quali non avevano peranche ve- 
duti i soldati. 

Ciò che narrano alcuni giornali sui suoni, che rende la sta- 
tua di Memnone è una graziosa novelletta di qualche viaggiatore, 
seppure la statua non. ha incominciato a dar suoni dopo la no- 
stra partenza dall’ Egitto. ,, 

Nota del sig. Jomard. La situazione di Meroe prima del 
viaggio di Cailliaud restava tuttora ignota. Solamente si aveva 
qualche idea confusa sulla situazione dell’isola in cui si trova- 
va, per l’analogia del nome dell’ Atbara con quello dell’ Asta- 
boras , il quale secondo i Greci cingeva l’ isola 0 piuttosto la 
penisola di Merce. Quanto alla capitale, la collocavano in dieci 
punti diversi. Anche modernamente alcuni viaggiatori Inglesi ed 
Italiani sedotti dalla somiglianza dei nomi ponevano Meroe a 
cento leghe di. distanza dal suo vero posto. Pure importava 
molto che si scuoprisse il luogo preciso , in cui fioriva un gior- 
no quella città famosa , sede d’un grand’ impero, quella seconda 
Tebe ignota ai moderni. La scoperta è fatta, e la dobbiamo al 
giovine Cailliaud , il quale giunse il 25 di aprile alle rovine di 
Assur, rovine interessanti per il numero delle piramidi, per le 
volte ornate di geroglifici, e per altri monumenti, i quali ap- 
partengono probabilmente all’antica cultura degli Egiziani. Son 


189 
situate sulla riva destra del Nilo verso il 16 grado 53’. Sebbene 
non abbiano nome, io le riguardo senza esitare come.gli avanzi 
dell’ antica Meroe. La lettera degli 11 luglio prova; che n’ è 
ormai convinto anche Cailliaud , mentre fino allora poneva Meroe 
a Merave alle falde del monte Barkal sopra Dongola. 

È anche più interessante la scoperta del bahr-el-abiad, o 
del finme hianco, ramo principale del Nilo, il quale secondo le 
cognizioni degli antichi, e le relazioni di Lenoir, di Roule, e 
di Brovne viene dall’ occidente dell’ Africa , e non dall’ oriente, 
come lo pensava Bruce. Finora nulla:smentisce quest’ opinione 
sull’origine del Nilo; ma per provarla bisogna che Cailliaud 
abbandoni l’armata egiziana, e che s' inoltri in regioni non mai 
vedute dagli Europei. Il paese, che deve percorrere ci è inte. 
ramente ignoto; per conseguenza, il suo viaggio non solo ci pro- 
curerà nuovi lumi sulla direzione di quel gran fiume, ed i 
suoi tributarj, sulla costituzione fisica, e le. produzioni delle 
contrade , per le quali si aggira, ma ci farà anche conoscere i 
nomi , gli usi, e i costumi dei popoli, che abitano sulle sue ri- 
ve; e col soccorso di questi lumi si avrà consecutivamente qual- 
che dato più positivo sul Niger, e sugli altri fiumi, i quali 
corrono per l’ Africa interna in vicinanza delle sorgenti del Nilo. 
Del resto questa; via mi parve sempre, come ad altri viaggia» 
giatori., la più diretta per giungere ad esaminare l’ Africa in» 
terna; sarebbe anche la più sicura, se i viaggiatori sì unissero 
alle caravane , le quali da tempo immemorabile partono di là 
per l’ Egitto. 

| Le riguardevoli rovine di Seba, che ha trovate 1l. nostro 
intrepido viaggiatore a un giorno oltre la foce del bahr-el-azrek ; 
o del fiume azzurro nel Nilo bianco, appartengono probabilmente» 
alla città di Saba, che gli antichi ponevano in Etiopia. Ma son 
di parere che non si deva confondere con Saba, donde una re- 
gina andò a veder Salomone in Gerusalemme , la quale era sulla 
costa, e vi sì trova tuttora sotto l’antico nome. Diremo l’istesso, 
della penisola di Gaba situata tra il fiume azzurro ed il Dender,; 
la quale somiglia per il nome, ma puramente per caso, ad una 
terra della Sibia Reca poi sorpresa , che le sculture, f quali 
s'incontrano tra le rovine di Saba alla gran distanza di 350 
leghe dall’ Egitto siano di stile egiziano. 

La scoperta dell’ ibis è dovuta a Savigny, il quale lo trovò 


190 
vivo in Egitto, e lo paragonò coll’ibis imbalsamato delle ‘cata- 
combe , e coll’ibis scolpito sui monmnenti. 

Pare secondo la lettera di Calliaud che i' templi» dei Cri- 
stiani furono un giorno molti, e frequentati in tutta la Nubia da 
Siene fino a Shendy, vale a dire sopra una linea di 300 leghe 
sul Nilo. Oggi quasi tutte le Chiese Cristiane sono abbandonate. 

La geografia delle cateratte del Nilo cangia interamente , in 
conseguenza delle osservazioni del nostro viaggiatore. I geografi 
collocavano grandi cascate d’acque sopra Siene, a. cinquanta, 
ed a cento leghe ; ma fino a Dongola, ed anche fino a Sennaar 

“non se ne incontra neppur una. Dove cercheremo dunque le 
cateratte impetuose, delle quali parlano gli autori antichi ? Bi- 
sognerà credere, che il tempo ‘ha distrutte le rupi, dalle quali 
erano prodotte? oppure che ‘le relazioni degli antichi. sono 
favolose ? 

Cailliand non spera di ‘trovar più rovine oltre Sennaar; an- 
che Burkhardt, vedendo un tempio a Soleb, l’ultimo luogo a 
cui giunse nel primo viaggio, disse che non. w' era. più . oltre 
nessun tempio egiziano; e quanto s'ingannava ! 

L’ osservazione di Cailliaud sul confine delle pioggie è più 
positiva. Bruce lo poneva a 16 gradi o a 60 leghe più addentro. 
Cailliaud trova che si estende fino oltre il paese di Berber, 
verso il 18. gr. 40” GeiR.P. 


Viaggio di Valdeck nell’ Africa interna (a). 
Il sig. Valdeck viaggiatore tedesco, che è giunto recente- 


(a) Quest’ articolo è tratto letteralmente dalla Rivista enciclopedica (nu- 
mero di gennajo 1822). Non osiamo' per ora d’aggiunger altro. Il viaggio 
ci sembra anche più che straordinario. Un tedesco, avvezzo a. vivere sotto 
il cielo freddo del settentrione, che viaggia a piedi, o sopra; un cammello 
per il paese più caldo della terra, che percorre una linea d°’ oltre cinque- 
mila miglia (ve ne corrono quattromila’ dalla foce del Nilo al capo di Buona 
Speranza in linea retta ) e che resiste sotto il cielo infuocato della zona 
torrida ai disagj, alle privazioni, all’ inflàenza d’un clima micidiale; è una 


specie di prodigio, e proviamo ‘quasi’ ripugnanza a crederlo. Sicuramente i . 


mostri lettori saranno impazienti, come noi, di conoscere la relazione di questo 
viaggio, il quale, per quanto si dice, verrà pubblicato in breve. Intan- 
to noi daremo in uno de’ prossimi numeri un ragguaglio delle notre cogni- 
zioni attuali sull’ Africa interna, rendendo conto dell’ opera che ha pub- 
blicata recentemente in proposito il chiar. sig. Valckenaer, per ‘confrontarle 
a 5uo ‘tempo, con quelle molto più copiose, che avra raccolte il sig. Valdeck, 


491 
mente in Inghilterra ha attraversato tutta l’ Africa dall’ Egitto 
fino al capo "di Buona Speranza. Trovò alle falde dei monti della 
luna una colonna con una iscrizione, in cui si dice, che fa eretta 
da un console romano al tempo dell’imperator Vespasiano. Sulla 
cima d’ un monte di quella catena, la quale termina con un 
pianoro largo quasi quattrocento miglia, scuoprì un tempio-della 
più alta antichità, il quale è assai ben conservato; e gli abitanti 
del paese vi celebrano le loro ceremonie religiose., Dopo aver 
percorso tutto il pianoro, viaggiò per un paese assai declive per 
quaranta giorni. Giunto nella pianura trovò lo scheletro d’un 
uomo, un telescopio col nome d’ Harris, e un cronometro, co- 
struito da Marchand, che erano tuttora attaccati alle spalle dello 
scheletro. Due altri scheletri si vedevano in terra a qualche 
distanza. Accompagnavano il nostro viaggiatore quattro altri, Eu- 
ropei; uno solo dei quali resistè alle fatiche di quel viaggio 
straordinario. Ne pubblicherà fra poco la relazione, 

G. R. P. 


Opere di Rarmonpo MontEcucCcOLI corrette, accresciute ed il- 
lustrate da Giuseppe GRASSI. V. 2. Torino dalla stamperia 
di Giuseppe Favali 1821: 


I memorabili fatti, e gli scritti immortali d’ un chiarissimo 
Italiano, nel quale convennero in eccellente grado il valore e la 
scienza, i pregi della penna e della spada, giacevano quasi nel- 
l’ oblivione specialmente nella edizione di Colonia , piena di 
scorrezioni, e d’ errori d’ ogni sorte ,, A riparare questa ingiu- 
ria, dice l’ illustre e benemerito editore, ed a rimettere in onore 
il nome di uno de’ più illustri scrittori militàri moderni, prese 
il sig. Foscolo nell’ anno 1807 ad emendarne il testo sulla fede 
d'un manoscritto, il quale quantunque fosse d’ ottima nota era 
pur esso mutilato o in molti luoghi scorretto: quindi è che la 
splendida edizione di Milano, procurata da quell’ egregio let- 
terato, benchè di molti pregi intrinseci ed estrinseci fornita, e 
di nuovi frammenti e di note e di belle illustrazioni corredata, 
non supplisce tuttavia a gran pezza alle lacune che pur troppo 
s' incontravano nell’ edizioni anteriori ; oltrechè |’ acre ingegno 
dell’ editore piegava a stento al paziente e lungo lavoro ch’ e- 
sigevano le note apposte dal MONTECUCCOLI al testo dell’ opera 
sua, nelle quali tutta raccolse la dottrina militare degli antichi, 


< 


192 
e che il valoroso commentatore, assuefatto a. maggiori ui tra+ 
sandò. , 

Quello adunque alues dall’ acre ingegno del secolo non potè 
ottenere l’ Italia letterata , è stato compiutamente da essa otte- 
nuto pel suavissimo ingegno del Grassi, il quate con lunga ed 
ostinata fatica, con iscrupofosa diligenza, e con retto giudizio 
ha restituito nei meritati onori la meinoria e le opere di quel 
gran Capitano; ond’egli stesso può francamente asserire d’ aver 
dato con esse un esempio di dottrina e di stile militare agli 
Italiani, e d° aver vendicato all’ Italia quella gloria, che 
l’ invidia tenta pur di contenderle. Ma queste con altre osser- 
vazioni tipografiche sono contenute in una lettera scritta all’il- 
lustre editore dal saggio Nestore della nostra letteratura Conte 
Napione, che crediamo pregio dell’ opera riportare, per munire 
di maggiore autorità la nostra testimonianza; proponendoci per 
altro di fare seguentemente qualche parola sull’ opera stessa; 
sullo splendido elogio tessuto al Montecuccoli- dal celebre C. A. 
Paradisi, e sulle memorie intorno all’ Ungheria, che il Grassi ha 
dimostrato appartenere a quel nun men ‘profondo politico, chè 


prode guerriero P U. L. 


Quello che da tanto tempo da me si desiderava, lo vedo ora, con mia 
singolare soddisfazione .da lei felicemente. compito. Mercè delle sue ineessanti 
sollecitadini , e lunghe ingegnose e dotte fatiche potrà finalmente 1’ Italia 
vantarsi di avere una cormpita, corretta, e nitida eziandio e maneggevole edi- 
zione delle opere del più gran maestro di guerra che forse sia sorto giammai, 
il Principe Raimondo Montecuccoli. To non sapea darmi pace, che di così 
solenne scrittore altra edizione non si avesse fuorchè quella meschina, agra- 
maticata (a) lacera e scortéttissima di Colonia del 1704. quando molti anni 
er son passati me ne accertai, interrogando in diverse città d’ Italia i più 
valenti Bibliotecarj, e segnatamente in Modena stessa il celebre Abate Ti- 
raboschi; e di questa mia meraviglia ne ho dato un cenno nell’anno 1803 nella 
Notizia de’ principalì scrittori dell’ arte militare italiani stampata ne’ volamî 
dell’ Accademia nostra (pag. 472). Nè: supplir. potea. al bisogno la magnifica 


(2) Il pisano Professore sig. Rosini sostiene, parmi, in una sua let- 
tera, che’ quando V. Alfieri scrisse che il quattrocento sGRAMMATICAVA; 
intendesse dire che ‘seguiva le regole ‘della grammatica. ZI. questo luogo 
it C. Napione per sgrammaticare intende fuori delle regole. grammaticali, 
Noi siamo d’ avviso, senza entrare in questione nè colla Crusca, nè con 
Carlo Fioretti, che uso questa voce, nè col dotto Professore, che sgram- 
maticare, possa forse prendersi per ‘occuparsi e far pompa delle regole della 
grammatica, ma che una stampa o scrittura sgrammaticata significhi, come 
lo intende l illustre seritiore di questa lettera» 


ail 


193 
e colossale edizione eseguitasi in appresso. nell’ anno 1808 in Milano. per 
ragione della, grave spesa, dello scavso numero delle copie che. se ne stam- 
parovo, e, della forma stessa voluminosa, (b) che non può seguire nel campo 
un militare e neppure, oserei dire, pagli oz) della villeggiatura un uome 
di stato, che reputi necessario il non essere del tutto ignaro delle cose di 
guerra, che tanta relazione pur hanuvo con. quelle tutte di governo; motive 
per cui il mio sempre desideratissimo amico. il fu Cav. Clemente Damiano 
di Priocca, ‘meidlitava di farne fare una edizione in Toscana, qualora si avess 
sero potuti avere:gli. originali da Vienna. L’ edizione di Milano, oltre a’ 
sopraccennati. svaptaggi, ha poi il massimo di non essere stata diretta con 
quella. critica oculata da lei adoperata, e con quel paziente confronto di tanti 
libri da lei consultati per ridurre ogni cosa alla sua vera e genuina lezione. 
Che dirò poi delle inedite sue illustrazioni appartenenti all’ arte militare, 
alla critica, alla bibliografia ? Che dirò dell’ aggiunta: dello scritto intorno 
all’ Ungheria; da lei PRIVIAFA convincentemente per pura opera di Mon- 
tecuccoli? soritto ,dal quale si prova ad evidenza, che quel grand’ uomo 
pon era altrimenti invidioso, ( come, ne venne, accusato ) della gloria del 
celebratissimo. suo competitore il Maresciallo di Turenna, valendosi della 
autorità ‘di lui per consigliare .e scusare l’ operazione di far un deserto di 
una (parte dell’ Ungheria; se mon che il Turenna consigliò ed eseguì. tal 
cosa iu paese colto, e che fronteggiava contrade di popoli iuciviliti ; laddove 


‘il Moptecuccoli il consigliò soltanto contro il Turco, e nel caso solo che 


s'incorra nell'’uno di questi due mali inevitabili, cioè o lasciar il paese 
all' accrescimento delle forze nemiche, o disertarlo (tom..II. pag. 256.) 
operazione, com’ ella dice, terribile ma salutare, ad uno stato posto in disperati 
frangenti, e necessaria quanto il taglio, di, un membro a, salvar il resto del 
corpo, (tonz. II. pag. 274-:5). Che non fossero vani i timori di questo det 
pari savio politico, che sommo, uomo di guerra, ben lo diedero a divedere 
gli avvenimenti’ seguiti due annì soli, secondo che ella osserva (pag. 280) 
dopo la morte del Montecnecoli, che il Turco innondò 1’ Ungheria, e piantò 
lo stendardo di Maometto sotto le mura di' Vienna, liberata poscia dai va- 
lorosi ‘Polacchi, guidati dall’’invitto loro Re Giovanni Sobieschi, 

Ma dalle considerazioni politiche e militari faceado ritorno alla parte critica; 
quante non sono le lacune supplite da lei, non più con traduzione di traduzioni, 
ma bensì colle parole stesse originali dell’ autore?’ nella qual parte mi com- 
piaccio assai di essere stato io il primo a pubblicare sì fatti originali sup- 
plementi uniti alla ‘dissertazion unia stampata nell'anno 1810 ne’ volumi 
dell’ Acc4demia mostra, e ricavati dal manoscritto delle memorie da mé 
posseduto, e di cui ella si è pure prevalso. @ra sarebbe soltanto da de- 


(5) Si noti questa utilissima Qvvertenza del C. Napione. Ell’ è una 
mera vanità, e una stranissima follia il rendersi per una parte beneme- 
rito, d’ un arte 0 scienza col peablicere un libro divenuto rarissimo, ed 
utile a molti, e farne a un tempo un’ edizione di poche copie magnifica, 
voluminosa s e dispendiosissima. Con savio consiglio il sig. Grassi ha 
fatto delle opere del Montecuccoli una edizione nitida -e corretta sì, ma 
modesta in modo che ogni official militare possa provvedersela, e istrairsi; 


T. VI Aprile 13 


104 
siderarsi che si potessero: rinvenire ‘e pubblicare a parte, que’ ventotto disegni 
per ischiarire le materie, che andavavo uuiti alle memorie originali, che 
trovo accennati nella prefazione alla traduzione latina stampata nel. 17165 
alle ‘quali figure e disegni, nello ‘stesso. manoscritto da me posseduto trovo 
farsi più di una volta richiamo + Altra particolarità già da me avvertita, 
ricorre»do il mio manoscritto (Dissertazione stampata nel 1810 pag. 606 
in nota) si è, ‘che l' essersi segnato nella. edizione di Colonia; 1° anno 1670 . 
come anno in cui fu combattuta la. memorabile battaglia di S.. Gottardo, 
mentre? di fatto segnì nel 1664. trasse in errore il Paradisi, ed il Tiraboschi 
ora nel manoscritto da me posseduto segnansi soltanto i giorni 30 di luglio 
ed vil 1°%dì agosto, e non l’anno, non necessario da aggiungersi, poichè in 
quel capo si descrivono appunto gli avvenimenti seguiti ‘nell’ anno 1664. 
Forse sarebbe stato opportuno rilevare questo sbaglio del Paradisi, ripetuto 
nella ristampa’ dell’ elogio (tom. I. pag. 46). | 

Non ad altro oggetto si accennano da me queste micrologie, a dir 
così tipografiche, se non se affinchè ella’ ravvisar possa con quanta attenzione 
e con quanto amore ‘io! abbia, nelle poche ore, che mi rimangono libere, 
percorsa l'edizione delle opere ‘del Mbntecuccoli. da. lei procurata ; e mentre 
del suo bello e diligente lavoro seco lei mi ‘congratulo ‘di cuore, la prego 
di' esser persuasa di que’ sentimenti di''alta’ stima e di predistinta divozione; 
con cui mi pregio di protestarmi . 

$ Garrani Naprong D1 Cocconato 


Biblioteca Germanica Vol. 1, Padova 1822. 


a 

Il pensiero' di questo g giornale è sicuramente eccellentissimo, 
Noi pure ne avevamo a uno simile e se la nostra si- 
tuazione fosse stata più vicina alla dotta Alemagna, lo avrem- 
mo forse mandato ad effetto. Quanto ci sarebbe caro di sup- 
plire. possibilmente nella, nostra Antologia ad un altr’ opera pe 
riodica, la quale ancora. ci. manca, intorno alle scienze; alla let-: 
teratara ‘e alle ‘arti’ coltivate in Inghilterra! Trovando chi ‘vo- 
lesse a questo scopo’ coadjuvare, noi certo non ci faremmo” 
riucrescere sforzi o diligenze. Ma l’ esempio dei compilatori' 
della Biblioteca. Germanica dovrebbe fare eccitare, altri che 
avessero mezzi opportuni, alla compilazione di. una. biblioteca 
Britannica . Se taluno credesse che delle cose degli Inglesi fos- 
simo generalmente meglio istruiti che di quelle dei Tedeschi, 
s° ingannerebbe Per fonoi però convscere l'odierno stato intel- 
lettuale della gran Bretagna, bisognerebbe forse darsi alcuna 
maggior cura he non si ilafitfosta. nel proèmio, onde componsi 
il primo volume della Biblioteca Germanica, di cui si ragiona. 
La critica de’ giornali è cosa contrarissima al nostro istituto . 
Ma trattandosi. di un prospetto generale della scienza e della 


Ò 


195 
cultura: di un popolo, noi non ci crediamo più obbligati alle 
istesse norme, ‘che ci siamo prescritte riguardo ai giornali. Que- 
sto prospetto è ai mostri occhi. un opera storica, distinta affatto 
dalla periodica, a ‘cui: deve servir:d’ introduzione, Però dandogli 
tutte le lodi ‘che merita per fe cose importanti ehe racchiude 
in. gran numero, vogliamo anche dire ciò che ne è sembrato 
mancargli. 
>. Primieramente noteremo \una certa difformità fra la parte 
che riguarda la letteratura e le arti, e quelle che trattano d’al- 
tri studj fra gli Alemanni. Nell’ una si risale fino alle prime 
origini; nelle altre si prende la cultura già adulta, e si comin- 
cia da nomi famosi negli studi! diversi. Anche le proporzioni 
fra parte ‘e parte non sono sempre conservate . Perocchè mentre, 
per esempio, nell’ articolo consacrato ali’ astronomia si fa un 
lungo discorso intorno alle comete, in quello dedicato: alla sto- 
ria e alla geografia appena s' impiegano tante parole che occu- 
pino una pagina: mentre si tesse un diligente catalogo delle 
opere, anzi delle memorie accademiche. dell’ erudito Savigny , 
non si danno che poche linee al romanticismo, che nato in Ger- 
mania, è soggetto per tutto altrove di ragionamenti, e ne richede 
forse altrettante che la dottrina di Kant. Chi crederebbe che il 
mezzo articoletto sulla geografia fosse tanto povero, che non vi 
si leggessero neppure i nomi di Pallas, di Hornemann, di Seetzen, 
di Buch , di Burckardt, del Principe di Neuwied, 0 almeno di 
quell’ Humboldt, che, se la cognizione è un possesso, può chia- 
marsi il più gran dominante della terra, di cui gli è nota»ogni 
particol arità ? Ma se, d’ alcune parti del sapere germanico è dètto 
assni meno che poco, d’ altre non è detto nulla affatto. Così 
della statistica, quasi fosse studio ignoto all’ Alemagna; così del 
diritto pubblico, il quale si appella costituzionale, e pel fonda- 
‘ mento istorico datogli dagli A!emanni ad esclusione del fonda- 
me nto filosofico datogli. fra altri popoli, oggi è inateria di molte 
dispute e di molti confronti. 

Ma il quadro dello stato intellettuale di una nazione qua- 
lunque. non può mai disgiungersi da quello dell’ educazione , 
dell’ istrazion pubblica, delle istituzioni scientifiche e letterarie 
di tutto ciò ‘che abbia relazione più o meno stretta coi progressi 
della scienza, e la distribuzione generale dei lumi. Quindi ci a- 
spettavamo che in proposito di educazione, si cominciasse dalla 
fisica, la quale dirige ‘alla. morale, e dopo avercela. dipinia 


/ 


196 
nell’ interho delle famiglie germaniche; si passasse ‘a quegli sta> 
bilimenti che vi sì riferiscono, come le scuole di ginnastica. Gi 
aspettavamo pure un prospetto dell’ istruzione clementare nelle 
diverse parti dell’ Alemagna, un cenno sui libri che vi sì ado- 
perano ; sui metodi respettivi che vi sono usati. Indi era nàtu- 
rale il passaggio all'istruzione letteraria e scientifica, dai suoi 
cominciamenti al suo compimento nelle grandi università come 
quelle di Gottinga, di Jena, di Hall, di Tubingen, di Vienna 
e le altre. E qui dopo aver ragionato delle opere. più stimate 
che vi servono di testo, degli uomini più insigni che le ‘ono- 
rano, dell’ affluenza degli studiosi che le rendè fiorenti; parea 
che potesse dirsi una parola della piena libertà, che in parecchie 
di esse ha goduto fin qui 0 ancor gode l insegriamento de’ pro- 
fessori , onde viene quella franca emulazione fra loro; e quel- 
la schietta pronunciazione del pensjero } che torna a sì gran 
profitto della ragiòbne; e un altra aggiungercene intorno alle 
Accademie e alle accademiche libertà , indicandone i brillanti 
effetti fra la studiosa gioventù. Alfine , lasciando i luoghi ove 
questa si raccoglie per istruirsi ed entrando in quelli, ove gli. 
uomini già formati si uniscono per coltivare insieme le lettere o 
le scienze, doveva necdssariatnente parlarsi delle loro società, 
dello spirito che Je anima dell’ utile che finorà re ha tratto 
la nazione. Ausiliari di queste grandi istituzioni possono chia- 
marsi le società ed i gabinetti letterarj, ( così numerosi in Ger- 
mania ) gli stabilimenti tipografici, i giornali e scritti perio- 
dici ec.; onde non dubitavatno di vederne fatto un cenno in 
qualche parte del proemio, non obliando la fiera libraria di 
Lipsia, che tanto contribuisce a render note in tutta l’Alemagna 
le produzioni dell’ ingegno, che escono in luce nelle diverse sue 
parti, ad animare gli autori colla speranza di una pronta ripu- 
tazione, a diffondere il gusto della lettura. Gli effetti di tutte 
queste cose andavano poi esaminati e hella massa generale della 
nazione e negli stati particolari, che derivano da esse maggiori 
mezzi di cultura. Quindi veniva naturalmente il confronto fra 
lAllemagna settentrionale e la meridionale ; confronto già fatto 
con tanto acume da madama de Stael (neppur nominata nel proe- 
mio, mon sappiamo perchè ), e una rapida occhiata’ alle cause 
rimote della differenza fra ambidue, cioè la lega delle città an- 
seatiche , la riforma , e la scuola di Federico II., le quali po- 
terano esaminarsi con tutta imparzialità. Qualunque sia la ra- 


P99 
gione di tante omissioni; forse non tutte imputabili agli autori 
del proemio, ci duole che un libro così hene ideato non otten- 
ga in grazia di esse, che imperfettamente lo scopo propostosi 
dai medesimi autori. Ciò che noi abbiamo notato servirà alme- 
nò a chi volesse presentarci lo stato attuale del sapere britan- 

mico, perchè usi quanta industria è necessaria, onde non lasciarci 
al bujo di molte cose importanti, intorno a cui ha troppe ra- 
gioni di voler essere sodisfatta la nostra curiosità . 


Lettera del Professor Gazzeri ad un suo amico padre difamiglia, 
‘sopra il sistema d'istruzione seguito nell’ Istituto fiorentino . 

Sebbene il poco che io potei dirvi verbalmente l’altro gior- 
no mi sembrasse aver dissipato le vostre dubbiezze, ed avervi 
rassicurato circa al sistema di studi che si seguita nell'Istituto 
fiorentino, a cui avete affidata l’istrazione del figlio vostro , pure 
bramando io che la vostra opinione intorno a ciò, e le deter- 
minazioni relative, provengano piuttosto dal convincimento e dalla 
persuasione vostra che da deferenza amichevole per il tnio sen- 
timento, soffrite che con quel maggiore agio e ponderazione, di 
cui è capace la serittùra al confronto della parola fuggevole, vi 
esponga i fondamenti ai quali io m° appoggiava. 

Ed a qualche fondameuto io doveva in fatti appoggiarmi in 
cosa di tanto momento di quanto è per un padre affezionato ai 
suoi figli la loro educazione ed istruzione. Però potete hen cre- 
dere che prima di risolvermi a porre in quest’ Istituto due dei 
riiei figli, e prima di consigliare un mio fratello a porvi il suo, 
io volessi conoscerne i metodi; ed avendoveli posti di fatto, do- 
vete pensare che mi sembrassero commendevoli. Che se in giu- 
dicarne io poteva ingannarmi, buone ra gioni facevano che io mi 
l'usingassi di appormi al vero. 

Sebbene non vi abbia colto allori, ho battuto anch'io nei 
miei verdi anni la carriera degli studi, e confrontando ai metodi 
che allora seguivansi quelli che da alcuni anni si vanno a poco a 
poco introducendo nelle migliori fra le scuole d’ antica istituzione, 
e si sono tutto ad un tratto abbracciati nell'Istituto fiorentino, 
mon posso non rilevare la superiorità di questi, e consolarmene 
colla generazione che si avanza. 

Nè per avere in ciò precorsi altri stabilimenti d’ istruzione, 
sì dee, a parer mio, maggior lode ai fondatori di quest’istitato, 
di quello che avrebbero eglino meritato biasimo facendo altra- 


198 
mente. E ciò vi provi che io non ho qui tolto ad encomiarli y 
ma a provarvi che essi han fatto ciò che dovevano, e che altni 
non potean fare egualmente. 

Chi debba restaurare una casa antica ; senza privare dell’ uso 
di essa i di lei abitatori, si trova in condizione assai diversa da 
quella di chi prenda ad edificarne una nuova. sita 

Siccome io vi diceva qui sopra, nelle migliori fra ‘le nostre 
scuole i metodi d’ istruzione, notabilmente diversi da quelli d’ ana 
volta, vanno a poco a poco riformandosi, ed avvicinandosi , alme- 


no nello spirito, a quelli che furono adottati ad: un tratto nella; 


creazione dell'Istituto. Così le voci vaghe e senza senso che si 
spargono artificiosamente a discredito di questi, non emanano 
dai buoni istitutori, ma da oscura sorgente, meno degua 2d’in- 
dagine che di disprezzo. Sanno quelli che. altre colte. nazinni ci 
hanno precorso d’assai in fatto di buoni metodi per l’ istrazione; 
e non ignorano che ovunque giunse notizia di quelli che si pra- 
ticano nell’ Istituto fiorentino, e da quanti lo visitarono bramosi 
di conoscerli e capaci di feno fù resa loro luminosa. ed 
anche pubblica testimonianza di giusta lode. 

Per tacere di molti fra i nostri scienziati e letterati più di- 
stinti, e ristringendomi alli stranieri, che non potranno sospet- 


tarsi di parzialità, basti citare, fra gli altri, i nomi dei Sigg. 


Prof. Pictet, Dot. Marcet, General Macawlney, Prof. Goedick, 
Avvocato Matteucci di Lucca, i quali fra gli oggetti delle loro, 
dotte escursioni cercando con particolar premura di conoscere i 
metodi d'insegnamento praticati presso le più colte nazioni, do- 
po avere nell'Istituto fiorentino assistito a pubblici esperimenti 
ed a private lezioni, interrogati gli alunni ed i professori, e pre- 
sa ogni più minuta informazione intorno ai metodi che ivi si pra- 
ticano, ne hanno concordemente attestato il pregio, e l'utilità ;. e 
dei quali il penultimo, cioè il Sig. Goedick professore di lettere 
latine a Pietroburgo, ebbe a dire di non aver trovato in Italia 
alcuno stabilimento, che nel seguire i buoni metodi d'istruzione 
fosse più avanti di questo. Bensì avendo egli dichiarato che 
poteva ancora aggiungervisi un nuovo perfezionamento riconosciu- 
to utilissimo in Germania ed in Russia, e di cui dette contezza 
ai professori dell’ Istituto , essi non solo pazienti ma bramosi 
d’utili suggeri: nenti e consigli, accolsero questo con gradimen- 
to e riconoscenza, proponendosi di adottarlo a profitto dei loro 
alunni. 

E in modo non men lusinghiero ne fù parlato dal Sig. Cav: 


Mc) 
Inghirami nella Collezione d’opuscoli scientifici e letterarii , dalla 
Revue enciclopedique, celebre giornale francese, e fino dalla B7- 
blioteca italiana, così spesso severa nei suoi giudizi. i 
+ Ma poichè ordinariamente la lode genera invidia, non dee re- 
carvi maraviglia che un'istituzione encomiata dagl’iinparziali e 
dai conostitori; sia diffamata da altri. 

E nemmen dovrebbe sorprendervi o sgomentarvi ‘se, come 
potrebbe avvenire, alcun fautore ‘d’altro sistema, preso stadfa 
tamente ad interrogare il figlio vostro, lo proclamasse male istrui- 
to, ed affatto fuori del bd sentiero . 

Tacendo prudentemente d’ogni altra ragione, ieglio che a 
schiarimento di questo fenomeno vi appaghiate di quella sola che 
nasce dalla differenza dei metodi. Si và da Firenze a Roma 
per Arezzo e Perugia, come vi si và per Siena, Viterbo; ec. Pre- 
scindendo dalla questione ,, qual delle due vie sia Ja migliore e 
la più breve ,, può esservi alcuno che, conoscendo perfettamente 
la ‘prima, ignori affatto la seconda, come può esservi chi, esper- 
tisssimo: di questa, non conosca punto la prima. Se quegli do- 
mandando a questo in qual locanda egli voglia fermarsi in Arez- 
zo, se voglia riposar la notte in Perugia ec. si accorga che ei 
neppur conosce queste Città, ‘potrà asserire e forse anche credere 
che quei non saprebbe senza altra. scorta condursi‘a Roma. 
Ma voi ben vedete’ che l’altro potrebbe formar d’esso un egual 
giudizio, e tenere un simil linguaggio. 

Cosi egli è certo per me che lo stesso vostro figlio potreb- 
be agevolmente confondere discepoli d’ altre scuole, e forse an- 
che sgomentar quelli stessi che colle loro studiate interroga- 
zioni avessero preso ad’ umiliarlo; interrogandoli a vicenda sulle 
niolte cose delle quali egli è istruito, e di cui altri sono digiuni. 

Ed acciò mel crediate, io voglio ingenuamente confessarvi 

che, nell’ intervenire agli esperimenti bimestrali dell'istituto, non 
solo son rimasto, maravigliato della prontezza e padronanza con 
cui fanciulli di dieci anni rendevano per la più minuta analisi 
esatto conto della struttura del discorso nella propria lor lingua, 
‘ed altri di poco maggiori in questa e nella latina, ma non ho 
potuto non sentire in me stesso che, esposto ad ugual cimento, io 
‘non vi avrei di gran lunga sodisfatto con franchezza eguale, per- 
chè non abituatovi nella prima istruzione. 

E vedendo quindi giovanetti di quindici o sedici anni spie- 
gar francamente i clafsicì latini e gustarne le bellezze, se io non 
sapeva negare a me stesso la giustizia d’avere in età simile fatto 


200 


altrettanto , io rimaneva in qualche modo mortificato udendoli 
dopo ciò mostrarsi ornati di molte altre cognizioni, delle quali 
io era affatto nudo nell’ età loro, e l’amenità delle quali, com- 
pensando l’ aridità dello studio delle lingue, alimenta in essi e 
mantien vivo l’ amore all’ applicazione. " 

Così mentre dalle comuni antiche scuole, produttrici talvol. 
ta di qualche buon latinista o grecista , i più ne uscivano con 
una tintura di latino, ignorando bruttamente la stessa loro lin- 
gua, e priyiaffatto d’ ogni altra utile cognizione; ogni alunno del- 
l’ istituto fiorentino che, dotato di mediocre talento e discreta+ 
mente studioso, vi compia l’intero corso di studi, dovrà riportarne 
una sufficiente e ragionata cognizione della propria lingua, della 
latina, della francese, e s’egli vuol della greca; e, sebbene ele, 
mentarmente, e come comperta quell’ età e l’ associazione. di più 
studi, quasi nulla ignorare di, ciò che è necessario o bello a sa- 
persi in una civile e colta educazione. 

Per lo studio delle produzioni e dei fenomeni della natura 
richiamati di buon’ ora quei giovanetti, a contemplarne le mara- 
viglie, ed a ravvisare in esse la mano dell’ artefice divino, nascono 
nel loro cuor tenero sensi spontanei e generosi di riconoscenza 
«e d’ amore; che per, l’istruzione morale e religiosa si procura di 
dirigere e perfezionare. i 

Ma, benchè molto tacendo , io ne ho pur detto anche trop 
po per il mio scopo. Confortatevi adunque, ed osate ancora di 
meco lusingarvi che, nella risposta trionfante che ai detrattori 
-di quest’ istituto preparano alcuni di quegli alunni che vi com- 
pieranno la loro istruzione elementare, sia riserbata al nostro 
cuore paterno qualche parte: di consolazione. 

sono , Il Vostro Amico , 


G. G. 


‘Correzione da farsi alla pag. 103 . 


E detto verso 22. e seg. E se nell'in- | Deve dire : E se appena nell’ interno 
terno delle nostre case appena siamo | delle nostre case siamo sieuri dalla vio- 
sicuri dai venti curopei, perchè preten-, | Jenza dei venti europei, perchè preten- 
dere che un AEREODROMO, il quale in } deve che un aeropRomo debba avere i 
poche ore può usciv dall'Europa ed en- | mezzi efficaci per opporsi al furore dei 
trare ner dominj di quella razza di sef- venti, in confronto ai quali sonozeffiret- 
firetti sia capace di far fronte alla lor | ti i nostri turbini? Non è questo un pre- 


violenza? vd tendere l’ impossibile? 


[ec] 
(9) A î 
9 ra 
È È 
3 
BEL poll: lin, 
7 mat. |28. 6,6 
;1| mezzog.[28. 6,6 
tI sera 28. 6, I 
- mat. |28. 6,1 
2| mezzog.|28. 59 
ti sera |28.. 5,1 
: 7 mat. |28. 5,1 
3, mezzog. |28. 5,0 
Mil. i sera |28. 4,7 
7 mat. |28. 4,6 


OSSERVAZIONI 
METEOROLOGICHE 


‘FATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO 


DELLESCUOLE PIE DIFIRENZE 


Alto sopra il livello del mare piedi 205. 


4 mezzog.|28:. 44 


ri sera |28. 4,7 


” mat. | 


28... 4,7 


.5| mezzog.|28. 4,5 


11 sera |28. 9,0 


7 mat. 


) 7| mezzog. 


11 SCI I sera 


: “cerca 


28. . 4 
.|28.. 4,7 
28. 28. 47. 
28. 34 
DR. 27 
SI SR AMET 


MARZO 1822. 
‘Tefimometro Top X sai 
R Sala È 
mai ti ‘1a Si s a 
2] di B_|3 | UE.8 Stato del cielo 
© ® © e] o 
i 5 S ® = 
c ° pi ! î 
8,2 bi 66|. Tr. Serenissimo. Vento 
9,4| 10,21 56 Tr. Gr.|Sereno. Vento 
89] 5 7,61 € 60| ol JSc. Lev |Ser. belliss. Ventic. 
7,1 QUOl' NE 721 |Scir. |Sereniss. Venticello 
8,2 8,7] 60 Scir. |Sereno. Calma | , 
8,9 7,61 76 Scir. |Sereno. Venticello. 
pr 2,2 77 Ost-Sc.|Ser. nettiss. Calma 
8,4 8,9) 68 Tr. Sereno. Vento 
89 73} 74) IScir. Belliss. sereno. Calma 
7,1 2,7 pg \Scir. |Ser. belliss. Calma 
8;4 8,4| 74 Scir. |Ser: con cal. Calma 
8,9 8,0) 84 Scir. |Ser.. Belliss. Calma 
8,4 5,3] 92 Ostro |Nebbia. Calma 
9,3] 10,2 80 Tr. Ser. con nuv. Ventic. 
ol 93, 76 86 Sc. Lev Sereniss. Calma 
Toe (O) 4,0] 90 . |Scir. |Sereno. Venticello 
9,1] 10,0) 79 Po.M. |Ser. con cal. Ventic. 
98 7,:| 90) ‘|Scir. |Ser. ragnato. Calma 
8,4 76,2 94 Lev. |Misto. Calma 
10,0} 12,0) 77 Os.Lib: Nuvoloso. Vento 
\9ò 981 98 090) eh lla.) 


=AeTONO: Vento forte- 


‘Stato del cielo 


01}awo1eg! 
01391038] 
047 
-Qwo1An]T | 
od 
0oIs0wt2UY 


7 mat. |2y. 8,11 98|0,08{Sc.Lev|Piovoso. 
8| mezzog. |27. i 11,7 Do o,or|Po. Lib|Sole palido. Calma 
li sera |27. __86 6 __94|° 0,25|Scir. |Nuv. rotti Venticello 


rl __ 


7mat. |27. 11 NITRATI 97 Scir. |Nuvoloso. Calma 
g| mezzog. |27. 11,3] 85 Ponen: | Nuvoloso. Calma 
11 sera |28. Scir. 'Nuvolo. Calma 


| 7 mat. |28. ; Scir. |Ser. Calig. Calma 
10° mezzog. |23. 10,7 Tr. Ser. ragnato Ventic... 
ui) II sera 28. . 12,0). 11,6] 88 Libec. | Nebbioso. Venticello 


——_—r 


da 7 mat. |28. 11,3] 10,7 gb Scir.  |Nuvoli rotti. Veotic. 
11) mezzog. |28. 11,8] -12,7| 86 Lib. |Nuvolo. neb. Ventic. 
| ir sera |28.. 11,6] 11,1] go - |Os.Lib|Nebbioso. Calma 


7 mat. |28. 0,8 ,8) 93 Scir. |Ser. con nuv. Calma 
12| mezzog.!28.-_1,1 82 Po- Lib|Ser. con cal. Calma 
pi sera 28. 3/0 i °r. Sereno. Calma 


er mat. 28. 4,6 ni Os.Sc. |Sereno. Venticello 

13’ mezzog. 28. “Il o) Ostro |Sereno. Calma 
ri sera 28. ‘1 . |Scir. |Sereno. Venticello 

7 mat. |28. , Ost.Sc.!Ser. Venticello 

14| mezzog. |28. Po. M.{Ser. Venticello 
Scir. |Sereno. Venticello 

Ost.Sc.! Sereno. Vento 

f{15], mezzog. 28. Maest. | Ser. ragnato. Calma 

11 sera !28. Scir. .|Sereno.- Venticello 


7mat. |28. 4,6 7) Scir. |Sereno. Venticello 
116| mezzog.|28. 4,8 ( Lev. |Sereno. Calma 
_ti sera |28. 5,6 i Sc.Lev|Sereno. Venticello 


Sla: 028 » = 


| Qt a (36-07 77 Scir. |Sereno. Ventic/Ilo 
‘17| mezzog.|28. 5,9 | i Po. Lib|Ser. ragnato. Ventie. 
ri sera |28. 5,9 ; 3 Sc.Lev | Sereno. Venticello 


7 mat. |28. ir. agnato, Venticello 
i 18] mezzog.|28. | a . M. [Intorbidato Ventic. 
cri sera |28. ) > ir. |Misto. Ventic. 
7 mat. 128. | ng ir.  |Offuscato. Calma 
mezzog. |28. É Libec. |Sereno. Vento 
.' |Sér. con neb. Calma 


| g | Termom ]=sl xl E 
“ (us = 
| Ora S 5 n 3 SS ES Stato del Cielo 
ES È IVO Bho a 
Il Gi 5 o o ? Ù) 
Q | 
7 mat. |28. 4,6 12,4 89| 71 Os. Sc. Ragnato. Calina 
i 20] mezzog. |28. 3,8 13,3] 14,7 62 Po.Lib Sereno. Calma 
ri sera |28. 3,7 102]: :-13;3 _67 Scir.L. Sereno. Calma 
7 mat 28. 4,0. 12;7 9,3) 77 — |Scir. {Ser. rac gnato. Ventic.. 
21| mezzog. |28. 4,1 13,5| 14,2] 68 De Sereno Calma 
i 11 sera |28. 3,8 14,7} 13,3] 77 Scir. |Sereno. Calma 
_| 6mat. |28. 3,8 12,4 8,0| 85 Scir. Sereno. Venticello 
22| mezzog. |28. 3,1 13,6) 13,3] 84 Lib. / [Nuvolo. Vento 
|_| ri sera ‘28. 1,6 12,4| 13,8] 97| 0.04 Deal: Misto. Vento 
14) pat. 39: DA 12,7) 1lod| 89 —— |Lev Sereno. Calma 
iP mezzog. '28... 3,6 13,6| 13,3) \61 Tr. Gr. Sereno. Vento 
DIG sera 28. 3,5 13,3] 12,4] 60 Gr. Tr. Sereno. Calma 
7 mat. pe: 3,5 11,3 7,6) (72 Scir. |Sereno. Venticello 
24| mezzog. 128. 2,9 12,7} 12,71 64 Po.Lib|Sereno. Calma 
rr sera |28. 2,2 133); 116/62 Sc.Lib.|Sereno. Calma 
n mat. |28. 2;3 1h;j2 8,71 82 Gr. Nuvolo. Calma 
25) mezzog. /28. 2,0 12,4| 12,4| 83 Tr. Nuv. nebb. Calma 
11 sera |28. 1,0 12,4}  12,4| 87 G. Lib.|Nebbioso. Ventic. 
7 mat. 28. 1,5 I1,Il 12,7}7 95| 0,01 Scir. ;Sereno. Calma 
26| mezzog 128. 1,8 tosol Edy) da Po.Lib Nuvoloso. Calma 
| xr sera 28. 3,0 | 13,9] 12;4| 77 Scir. |Sereno Calma 
| | 7 mat. |28. 3,9 12,31 8,9! 92 Scir. |Sereno. Calma 
27| mezzog. |28. 4,0 13,4| 13,8; 81 Tr. ‘|Sereno. Calma 
IT sera 128. # 44001. ‘1471. 13,3) .77 Libec. Sereno. Calma 
«| 7mat. |28. 4,8 13,1 9,8|_ 85) » |Scir; |Sereno. Venticello 
28| mezzog. |28. 4,6 14,0 14,7) 74 Po. M.|Sereno. Venticello 
iii 11 sera |28. 4,3 T9,.h. 1400 674 !Sc.Levl Sereno, Calma 
| | 7mat. 28. 46 13,1 9,31 83 Sc.Lev |Sereno. Calma 
129 mezzog. (28. 4,1 14,2 14,4 7 Po.Lib!Ser. ragnato Ventic. 
| | 1rsera 128. 4,0 I5,It __13;3 “LIIVZA] Po.Lib'Ser. con neb. Calma, 
| 7 mat. |28. 4,i 13,6 87] 93] 93 Tr fr [Pecorelle. Ventic. 
|5o| mezzog. |28. 3,1 14,2] 14,2] 80 .|Pon. |Ser. con calig. Calma |i 
I | 11 sera |28.- 0,0 15,1 12,9 _87 ‘\Po.Lib|Nuvolo. Venticello fi 
È 7 mat: |27. 8,2 12.4 164 92 ‘0,96. Libec. | Nuv. densiss. Vento È 
|31|] mezzog. |27. 7,0 1,2] 13,6] 77 Po, LiblNuv. Vento forte 
| ‘tt sera dl MEA hci 0 97. 0; 0,03 Gr. Le.Nuvolo. Vento ‘ 


A 


SR AIR 2 SARTI CI 


è 


iz 
ANSE dan 


ee T908 
Aero È ag 


di @ dina pedi a a 

Gila deo Suesitolti, "UGO Tati 

5 (ni CRE Zomta tit i ati 
ga vid Mat > flat ds 

Vos ri ORE TRAI ; 0. 

DE pro sg "CORI 

DU DI vi 

cdi na 

pd ia urta tes Tor 

ig. VR Bia: li 


iii ARS Ei » 
pinne nd Pepi debe delgi Gitto 
Sic (5A AG MITE vi dii A : ct d* 
PI AIILISNI fi 3a È later Slet SL 
v A p 
WRIIONO "o alle Ax 
POS SPARI fon 
HASH ho 9001 Sua SR È 


PAN p 
c'e cai VEN sob 4 


: È) n, Bio ta DA h% 
SER, MM > agenti o 


DE... 


È 


ANTOLOGIA 


N? XVII. Maggio 1822. 


SCIENZE MORALI E POLITICHE. 


Storia della Guerra dell’ Independenza degli. Stati 
Uniti d'America, scritta da CarLo Borra. Parigi , 
per D. Colas, 1309. 

History of the War of the Indipendence of the United 
States of America, vvritte by CuarLes Borta, 
translated from the italian by GEORGE ALEXAN- 
per Oris. Philadelphia, 1820. 


L 0908 con ogni ingegno a procacciare a’ nostri lettori 
sempre più abbondanti materiali concernenti i lavori 
degli stranieri, non siam lenti a por loro davanti il-se- 
, guente articolo , tratto da una recente opera periodica 
americana. che s1 pubblica a Boston (North American 
Revievo), e della quale ricevemmo testè alcuni quader- 
ni. Al che ci muove inoltre così l’importanza dell’ a- 
nalisi, che si aggira intorno a un componimento. ita- 
liano  meritamente celebratissimo , come la considera- 
zione dell’ essersi esercitata appunto là dove potean esi- 
stere i mezzi più acconci a procacciarne un giudizio 
sicuro, qualora l' argomento fosse caduto sotto la penna 
‘di un uomo imparziale, qual ne sembra il chiarissimo 
autore di quella scrittura. Imperciocchè molto si è 
detto fra noi sulla grand’ opera del sig. Botta: e non 
‘poco, e a ragione, se n’ è commendata la sana filosofia , 
la nobil franchezza e l’ acume: ma nessuno si accinse 
finora a entrar dentro la parte che si riferisce alla rigo- 

T. VI. Maggio v% 


à 


\ 


202 
rosa verità de’ caratteri e de’ fatti: colpa forse o della 
mancanza de’ documenti idonei, o di una certa ritrosia 
ad affrontar la fatica. E in una materia, come la pre- 
sente, sulla quale può tuttavia prodursi la viva testi- 
monianza d’ alcuni fra gli attori, è da credere che lo 
scrutinio, sciolto dalla non di rado superstiziosa autori- 
tà delle opinioni, e dalle incertezze per lo più generate 
dalle tenebre d’ età lontane , riesca a mostrare nel vero 
suo lume quell’ insigne rivolgimento del nuo vo mondo, 
i cui floridi effetti compensarono in parte l'umanità 
degli eccidj e delle rapine , onde fu deturpato il carat- 
tere e la fama de’ primi discopritori e dominanti. 

L’ istoria è, secondo gli antichi, una delle Muse, il 
cui uficio, come quello dell’ altre, è di ammaestrar di- 
lettando. Nè può meritar nome d’ istoria la sola enu- 
merazione (comunque minuta ed esatta) d’ avvenimenti 
importanti ; nè d’ istorico l’ analista , il cronologista , 0 
l’antiquario. Chi aspira a simigliante appellazione , 
dee nou sol porre in essere imprese veramente grandi e 
particolari, spiegare il caratteree l'impulso di quelli che 
le operarono, e farne conoscer l’effetto; ma ordinare al- 
tresì e congiungere i fatti (i quali non sono che i mate- 
riali dell’ istoria) per modo, che si rischiarino a vicenda; 
e vestirli di uno stile semplice e dignitoso: talchè ne 
resulti un opera compiuta ed uniforme. È non pure ha 
l’ obbligo di non arrischiare alcuna falsità, e di esporre 
intrepidamente il vero: ma dee non meno afferrar col- 
Y occhio e descriver colla penua del poeta i tratti gene- 
rali e minuti, più atti a far colpo , e caratterizzare o 
identificare le circostanze del suo racconto o gli attori 
che in esso figurano; e, richiamandoli, per dir così, al- 


203 

} esistenza, presentarli con anima e moto dinanzi a noi. 

Avvegnachè al tutto imparziale verso chiunque, esser 
non dee però indifferente alle morali qualità delle azio- 
ni, o al loro effetto sulla felicità degli uomini; nè riferire 
col monotono tuono dell’apatia il trionfo della giustizia 

e quel della colpa; il disinteresse di un caldo amor pa- 

trio, e l’inestinguibil sete dell’ ambizione; ma ritrarre 

i sentimenti con così franco animo (benchè non in egual 
foggia) come il poeta o l’ oratore; e porne davanti ani- 

mati modelli di carattere, e non superficiali ammae- 

menti per la condotta. 

Tale , 0 a un dipresso , era il tipo dell’ eccellenza 
istorica, raccomandata dai critici antichi, e che gli an- 
tichi scrittori studiaronsi di ottenere. Ma in questo ra- 
mo di letteratura (sebbene ad alcuno piaccia per avven- 
tura di ristringersi a questo solo), i moderni si son fatta 
una più alta idea di perfezione. Oltre a tutti gli ufici degli 
antichi , ( almeno per quel che concerne la teoria), un 
altro incarico è imposto agli storici d’oggidì. A satisfare 
i critici dell’ età nostra, non basta già che un istorico 
‘sì attenga strettamente e senza paura al vero, e con- 
servi l’ unità del subietto e la continuità del racconto; 
e descriva fedelmente e con anima i luoghi e i progressi 
degli avvenimenti , e spieghi i motivi e i caratteri dei 
proprj eroi, e mostri e prediliga quel puro e vivo gusto 
che è regolato dalle massime di una sana morale. A 
tutte le quali prerogative. mancherebbe ancora quella 
che in un istorico si estima a’ dì nostri la più importan- 
te. Nè basta ch’ ei sia dotato de’ più bei requisiti del 
poeta e dell’ oratore, se non accoppia a’ medesimi anche 
que’ cel filosofo e dell’ economista politico. Suo vero 
uficio è quello d’ indicare i disegni, le abitudini, le idee, 
non che le opinioni della massa del popolo; i suoi passi 


204 

nella civiltà e nel bada lo stato dell’ educazione, della 
‘morale e de’ costumi, egualmentechè delle leggi, delle 
finanze e del commercio; i miglioramenti nell’ arti, 
nelle scienze e nelle lettere ; il progresso dell’ opinion 
pubblica intorno a materie politiche; e il suo predomi- 
nio sulla forma e amministrazion del governo e sulla 
vita domestica. Oltre di che aver dee sempre in mira 
d’informarci più presto degli stati e delle comunità, che 
di qualche individuo singolare ed illustre. Alla qual 
pratica sono esclusivamente consacrati i n inter- 
med) di Hume. 

Molto è certo da raccogliere su così fatto ar- 
gomento dagl’ istorici antichi. La eccellenza delle 
lor narrazioni ci pone in grado di farci un’ idea baste- 
‘volmente esatta dallo stato di società in que’ tempi. 
‘Ma lo scopo lor principale non è quel di spiegarlo, come 
si pratica da molti storici dell’ età nostra. Per altra 
parte alcuni tra questi si abbandonano troppo esclusi- 
“vamente a un simile oggetto: e non già perchè eccedano 
mai nel procurarci conoscenza della materia ; ma per- 
chè troppo scarseggiano rispetto a quella de’ fatti, onde 
una tal conoscenza è dedotta . Dimodochè per la sma- 
nia di generaleggiare, guastano il disegrto lor proprio: e 
per volere abbracciar molto, riescono indefiniti. Però 
‘sono venute in luce, sotto il titolo d’istorie, certe opere, 
le quali, lungi dal comprendere una qualche ben con- 
nessa istoria d’ alcuna sorta , mon son tutto al più che 
pensamenti de’ loro autori intorno al legger l'’ istoria; e 
speculazioni sovra il carattere di una mazione partico- 
lare, rischiarate da accidentali circostanze di fatto: men- 
trechè un semplice racconto avrebbe con più chiarezza 
edileito procurata quella cognizione a cui riguardavano. 

per una parte gli antichi attribuivano un’ impor- 
tanza soverchia alle grandi imprese de’ loro personaggi 


205 
più insigni, noi pecchiamo con egual frequenza per l’al- 
tra, nel conferirne troppo poca alla preponderanza di 
avvenimenti particolari su lo stato della comunità Da 
all’ effetto di un individuo su l'età sua . E v° ha chi af- 
fermò pur anco, esser ogni tratto di tempo ugualmente 
meritevole de’ lavori del filosofo istorico : dappoichè la 
morale, fisica e intellettual condizione della massa del 
popolo (appetto a cui le mosse degli eserciti, i maneggi 
de’ gabinetti, e gli artifiz) de’ cortigiani, non son da te- 
nere in verun conto ) si può investigar così a fondo 3, e 
così compiutamente. spiegare in circostanze pacifiche , 
come in mezzo ai tumulti ed alle guerre. Ma una simil 
sentenza è tutta strana. I cambiamenti di gran rilievo, 
e que’ sovrattutto che nascono per gli sforzi degli uomi- 
ni, sono spesse l’ origine e più spesso ancora il resultato 
di un forte impulso mentale, e quindi agiscono con 
maggior forza sopra i caratteri degl’ individui e delle 
nazioni, e più gli sviluppano, che le consuete loro tran- 
quille e domestiche abitudini. È vero in fatti, che 
quantunque certe gravi emergenze sieno la comune in- 
dicazione di un qualche periodo, come subietto d’ isto- 
ria, elle non son tuttavia la prova certa, e meno ancor 
la misura della sua importanza: e comparativamente 
1’ interesse delle azioni umane agli occhi dell’ istorico 
dipende manco dalla difficoltà della loro esecuzione 0 
dallo stupore ed applauso clie subitamente risvegliano, 
o dalla quantità delle persone in esse impegnate, che 
dai loro ultimi effetti. La nominal gabella di un soldo 
per libbra imposta sul tè, non fu in sè stessa una prov- 
visione del parlamento britannico di gran conto: e po- 
nendo a parte le conseguenze, non meriterebbe atten- 
zione: Ma qualora si consideri insieme, ella è, negli 
annali; un fatto di più grave momento che molte gior- 


206 

nate campali, eccidio di migliaja di combattenti; o che 
una lunga serie di raggiri politici, rovina di troni. 

Contuttociò i periodi di gran commovimento civile, 
allorchè un intero popolo, prorompendo a un'azione vi- 
gorosa ed istantanea, viene a sovvertire le antiche di- 
scipline politiche, e scuote dal fondo le istesse fonda- 
menta della società, sono un oggetto di particolar inte- 
resse: e le circostanze che immediatamente precedono 
e appianano la via a rivolgimenti sì fatti, non che le 
secrete cagioni che in Sivoa li partoriscono, e le con- 
seguenze fio ne derivano, meritan sempre la nostra at- 
ianzione, e sommamente poi quand’ elle tra noi si svi- 
luppano. Vero è che l’istoria di tempi più prossimi , 
come quella, che presenta usi e costumi, a noi più fa- 
muliari, ed esclude gli ornamenti, cui lice conferire (al- 
meno senza pericolo) ad altri di un’ età più remota, non 
reca altrettanto eccitamento o piacere alla curiosità gio- 
vanile: ma ella è più divertente e profittevole per coloro, 
i quali, in leggendo , riferiscono i fatti alla condizione 
lor propria , e ihel adi allettati dalle realtà della 
vita, si studiano di applicare la lor conoscenza a qualche 
oggelto pratico. 1 

E non è men vero, esser cosa malagevole per uno 
scrittore il riuscir imparziale, massimamente nel riferir 
circostanze , per le quali si esercita un immediato e 
forte predomini» sopra lui stesso e quelli che lo circon- 
dano. Ma d' altra parte è da ricordare, trovarsi egli più 
verisimilmente esposto ad essere ingannato, e poter più 
di leggieri ingannar gli altri, rispetto ad occorrenze di 
data lontana. Tuttochè naturalmente si diffidi per ngi 
del giudizio di coloro , che danno in luce ragguagli di 
fatti recenti; sì riposa però con più fiducia su quel che 
narrano di fatti notorj e di grave momento .. L’'istonia 


i 


207 
dell’ ultimo secolo, la qual comprende una ricerca del- 
la prima origine e del tacito progresso di quelle opinio- 
ni, che hanno all’ ultimo agitate cotante genti d’ Euro- 
pa (e il cui effetto è lungi dall’ essere al termine), sarà 
lunga e grave materia di curiosità e di studio. Nulladi- 
meno vautar non può la nostra favella alcun lavoro 
istorico, relativo a qualche parte di quell’ età , il qual 
sia per conservarsi come un bel saggio letterario. E se 
intorno a cotesto argomento l° America non produsse 
nulla, l Inghilterra non produsse di più . L’ una e l’al- 
tra cumularono materiali in copia per opere di tal fatta: 
e la libertà della stampa somministrò ad ambedue l’oc- 
casione (che per verità non rimase negletta) di render 
noti innumerabili documenti autentici e non autentici. 
La qual circostanza genera maraviglia tanto più grande, 
in quantochè nessuno scrittore nel britannico idioma si 
cimentò ancora con qualche buon esito a convertire 
simiglianti materiali in un durabil monumento di no- 
minanza letteraria. Non havvi, a nostro giudicio, in tut- 
to il giro di quell’ età un solo avvenimento, il quale 
somministri all’ istorico un subietto più istruttivo e 
piacevole , ei cui effetti appariscan più vasti e perma- 
nenti, che la contesa fra la Gran >Brettagna e le sue 
colonie d’ America. i 

Laonde avvisiamo essere stato il sig. Botta molto 
felice, se più presto non si dee dir molto avveduto, nel- 
la scelta della materia. Il rivolgimento d’ America è 
un oggetto che induce una sempre crescente curiosità 
nelle contrade straniere, ugualmente che nella nostra, 
non solo perchè la rapidità inaudita, ond’ella crebbe in 
popolazione ed ‘opnlenza , richiamerà! in ogni tempo 
la mente degli uomini-di stato su i fatti de’ suoi primi 
annali; ma eziandio perchè precorse tutti quelli, che 


208 


in sal finire dell’ ultimo secolo, e al cominciar dell’ at- 
tuale, hanno scosse le istesse basi di reggimento in tut- 
ta l'Europa ed America. Nè intendiam già di por que- 
sto ad agguaglio cogli altri che lo seguitarono : peroc- 
chè discordò da’ medesimi così nell’ origine e nel con- 
ducimento, come nell’esito. Ma non piccola parte ebbe 
esso al loro disvilupparsi : attesochè, mentre il carattere 
e i motivi degl’ individui che quello effettuarono , era- 
no, come son tuttavia, poco familiari agli estranei, il 
suo resultato fu insigne. E a coloro che non vedean più 
in là, parve otferire un esempio da potersi di leggieri. 
imitare. Esso deriva un allettamento di più da’ suoi 
effetti su le idee politiche e le opinioni degli uomini: 
porge un sostegno alle massime teoretiche, sulle quali 
si fondano le repubbliche: inspira la fiducia dell’ espe- 
rienza a quei che mantengouo, esser praticabile e van- 
taggioso, non che speculativamente giusto, pe’ cittadini 
d’ uno stato, comunque ampio e popoloso, lo esercitare 
un diretto sindacato sui proprj moderatori; e dà un ga- 
gliardo impulso alla brama dell’ individual sicurezza, e 
a quell’ impazienza, ingenerata da un poter arbitrario , 
la quale si mostrò lungamente ovunque si parlava il 
linguaggio inglese; e si è in ultimo comunicata alle più 
umili e ignoranti classi del continente d’ Europa. Il 
quale spirito d' impazienza, debole, mal diretto, e poco 
illuminato, come ora vi apparisce, non è però men de- 
stinato ( se non c’ ingannano i segni de’ tempi ) a tra- 
mutar quivi essenzialmente l’ intiera struttura della 
società. oa 
Ma l'interesse istorico della nostra rivoluzione non 
depende solo dalla gravità delle sue conseguenze diret- 
te, e dalla grandezza de’ mutamenti politici e morali, 
che per lo manco accelerò. Essa impegnerà sempre 


209 
l’ animo come un pieno sviluppamento del carat- 
tere, de’ motivi e de’ mezzi di un popolo intiero . 
Imperocchè non fu già, come la più parte delle guerre, 
una gara tra gabinetti od eserciti, ovvero una semplice 
prova d’ arte militare o diplomatica: ma sibbene il con- 
giunto sforzo di tutto un popolo, come dell’ individuo, 
per la rivendicazione de’ proprj diritti. Non fu essa un 
particolare scoppio di animi esacerbati, una passeg- 
giera follia; una di quelle rivoluzioni insomma, ove 
gli uomini consumano spesso tutto il vigore in impeti 
diretti all’ acquisto di una libertà, ch’ e’ non sanno nè 
apprezzar nè difendere; ond’è che poi retrocedono allo 
stato primiero: ma bensì una considerata e ferma .re- 
sistenza all’oppressura, con accomodare i mezzi all’ in- 
tento, e insisister per questo fra i più gravi sacrifici della 
vita e del cuore. È vero, non eccitar essa l’ attenzione 
con ragguagli di schiere numerose o battaglie di gran 
sangue: ma non siam, com’ altri, d’avviso ch’ella man- 
chi d’ allettamento . Perciocchè le passioni della contesa 
agivano direttamente e con intensità sull’ animo d’ogni 
individuo: e la guerra s° introdusse a turbar sovente 
gl’ istessi riposi domestici, e ruppe i più forti e soavi 
legami. Le quali circostanze, mentre pongono in lume 
vivissimo la tempra e ’l carattere del popolo, fanno la 
più gagliarda impressione sul cuore. Oltre di che le di- 
pinture (vere o immaginate che sieno), le quali mostran 
gli sforzi e i patimenti dell’ uomo, riescon sempre più 
patetiche e interessanti d’ ogni altra . 

Si è detto, che l’istoria di quell’ insigne avveni- 
mento dell’ America ( almeno innanzi il Congresso ) 
manca necessariamente di unità: perciocchè la circo- 
stanza del non riferirsi a un popolo solo, ma sì a tre- 
dici stati fra loro diversi, cospira a distrar l’attenzione. 


210 

Ma noi ci avvisiamo, non derivare all’ unità del subiet- 
to alcuna mancanza da cotesta varietà d’agenti: dap- 
poichè tutti furon conversi al medesimo scopo. E lo 
stabilimento di un sì solenne consenso fra tredici dis- 
giunte e (in certi rispetti ) gelose colonie, e la sua du- 
rata al di là del particolar pericolo, che gli diede occa- 
sione, presentano in sè un fenomeno di non lieve mo- 
mento: e degnissimi del nostro studio sono i mezzi da 
cui fu condotto . X 

Un'altra attrattiva ritrae somigliante istoria dal 
semplice fatto, che un tal rivolgimento venne effettua- 
to e al tutto compiuto entro i confini della vita di un 
uomo. Dimodochè que’ medesimi che lo intrapresero, 
pateron anco ridurlo al termine e partecipare de’ suoi 
avvantaggi. Però il nostro impegno rispetto a molti 
personaggi, cospicui al cominciar della lotta, lungi dal 
venir meno, s innesta da per tutto a quello che proviam 
per l'evento. Inoltre, la libertà del dibattimento e della 
stampa non pur concitò e fece sviluppar maggiormente 
gli affetti di coloro che si trovarono implicati nella que- 
rela: ma provvide altresì mezzi d'informazione più ac- 
conci di quelli che si sarebbono ottenuti in circostanza 
diversa. Al che sì aggiunga, potere il sig. Botta preten- 
dere all’autorità d’istorico quasi contemporaneo : men- 
trechè , come: forestiero , è scevro dal pericolo e fin dal 
sospetto di favor di parte, a’ quali si trova per lo più 
esposto chi scrive intorno a fatti, di cui fu testimone. 

Sembra ch'egli abbia conosciuto appieno i vantag- 
gi annessi al proprio subietto , e sovrattutto i più idonei 
a render grato il suo lavoro: stantechè resulta palese- 
mente , aver esso presi a modello gl’ istorici dell’ anti. 
chità: e adoperandosi ad ammaestrare i lettori con gli 
esempi, essere stato sollecito di offerire un vivo e ben 


È 
{ 
i 
i 
i 


2I1I 


connesso ragguaglio di fatti, più presto che un quadro 
della condizion morale , intellettuale e politica del po- 
polo. Per sì fatto modo , avvegnachè accompagni di al- 
cune considerazioni generali i costumi e lo scopo dei 
coloni, si astien tuttavolta da qualunque particolarità 
statistica, e poco si estende intorno alle colonie , al 
traffico e alle restrizioni imposte a quest’ ultimo. Le 
quali restrizioni furono il principal germe di sconten- 
tezza prima del rivolgimento , come la nostra liberanza 
dalle medesime fu quello della prosperità successiva. Il 
sig. Botta possiede in grado eminente quel requisito, 
che Rapin estima il più essenziale di un istorico ; cioè 
l’arte di narrare: per la quale noi intendiamo ( e così 
per avventura il dotto critico), non già l’ arte di esporre 
un fatto particolare; ma bensì di ridur tutta l’ opera a 
un racconto pieno e continuato, le cui varie parti sie- 
no congiunte da transizioni piacevoli e naturali, e 
scambievolmente ben proporzionate , e ciascuna al suo 
luogo . 

Fu chi osservò , essere in quest’ opera i ragguagli 
delle pugne, seguite nell’Indie occidentali e in Europa, 
inutili al rivolgimento americano, e nuocere all’ unità 
della narrazione. Il che non consente al nostro giudizio. 
Arser sì fatte guerre tra i confederati e i nemici degli 
Stati Uniti: e ciascuna ebbe parte ad intrattenere, o 
accelerare il termine delle ostilità, e il riconoscimento 
della nostra independenza. Descritte inoltre , com? elle 
sono , con bella parsimonia e con accuratezza e spirito 
grande , pare a noi, non comunicar piccola attrat- 
tiva all’ istoria. I sanguinosi e vani assalti di smisurati 
eserciti e navigli , raccolti ed armati con enorme dispen- 
dio da nazioni rivali, e coll’ unica mira di suggettarsi a 
vicenda all’umiliazione della disfatta, formano un vivo 


212 

contrasto cogli sforzi de’ coloni, i quali, privi di ric- 
chezze, d’armi, di tutto insomma, salvochè di una 
povera esistenza, entrarono in guerra per cagioni le più 
onorevoli, e condussero in ultimo resultati d’importan- 
za sì grande, che le loro piccole zuffe, inconcludenti, 
com’ elle parvero allora in confronto delle battaglie dei 
monarchi europei, prenderan negli annali un aspetto di 
lunga mano più nobile e grave. 

Giusti sono, in complesso, gli abozzi, che fa il 
nostro autore, de’ caratteri de’ personaggi. Se non che 
appariscon mancanti di quelle avvedute particolarità , 
che danno risalto alle sue dipinture nell’ ordinamento 
de luoghi dell’azione e de’ fatti: in molte delle quali è 
veramente felice. La descrizione di Boston procura una 
così distinta idea della città e dintorni, come farebbe 
una carta geografica. Il quadro, ch’ egli offre , della si- 
tuazione e dell’ assedio di Gibilterra, è di una vivezza 
e perfezione che incanta. Dà esso gran prova di lettera- 
ria prudenza e buon gusto , nel proporzionar la lunghez- 
za e le particolarità di varie parti del suo lavoro al peso 
delle materie ch’elle riguardano. Laonde percorre con 
celerità quegli eventi , che sebbene levasser già molto 
romore, non ferman però l’ animo nostro coll’ impor- 
tanza degli effetti, nè somministrano occasione di ri. 
creare i lettori con belli e poetici tratti. 

La schiettezza e imparzialità aggiungono molto pre- 
gio a questa bell’ opera: contuttochè, ponendo mente 
alla situazione dell’ autore, il possedere un tal merito 
sia per lui men laudabile di quel che saria stato vergo- 
gnoso l’ esserne privo. Più ancor commendevole, e non 
amanco importante, è la sua diligenza nel procacciarsi 
lume dai migliori documenti, ai quali poteva attingere, 
e l'esattezza , che, in generale, ne resulta. Con che non 


213 

iptendiam già di far supporre, non essere il sig. Botta 
«caduto mai in errore nello stabilire i fatti. Nel dar conto 
della battaglia di Breed's hill, egli induce, a mo’ d’e- 
sempio,a credere, che gli Americani sì fermasser quivi 
due notti : perciocchè asserisce , che quelli, dopo aver 
occupato con fermo coraggio le alture, continuarono a 
lavorar tutto il giorno; e in sul far della notte eran già 
molto avanzati in una trincera , la qual si stendea giù 
verso il fiume Mystic: che gl’ Inglesi determinarono al- 
lora di assalirli; in forza di che, ai 17 di giugno, Voste 
britannica si pose in cammino tra le dodici e un'ora. Il 
.sig. Botta fa pur anco parola della riconoscente li- 
beralità dello stato , nello estendere ogni dimostranza 
di cortesia e protezione ai figli del generale Mongo- 
mery. se non che, per mala sorte , questi non ebbe mai 
figli. I quali errori di fatto son di poco momento. E noi 
-portiam opinione, che anche di tal sorta ve n’ abbia in 
cotest’ opera meno assai di quello che indur poteva a 
credere così la minutezza , onde son quivi particolareg- 
giate non di rado le circostanze , come la difficoltà di 
ottenere nel confinente d’ Europa ragguagli esatti intor- 
no alla nostra istoria. Ma, comechè STE sarebbe an- 
dato a grado del lettore americano il trovarli corretti 
nelle note del traduttore. 

Avvisa il sig. Botta di poter deviare dalla pura 
verità nel produrre le pubbliche arringhe. La qual pra- 
tica, sebben fiancheggiata dall’ esempio di scrittori an- 
i non è tuttavolta conforme ai costumi della critica 
IRE Può, per verità, esser permesso ad uno stori- 
co lo inserire nel suo lavoro alcun discorso attualmente 
pronunziato, o un compendio di esso, esposto con parole 
sue proprie, purchè faccia sapere al lettore qual de’ due 


214 
ebbe in animo di dare: ma non gli è lecito di attribuire 
a verun personaggio argomenti non suoi. 
Ecco intorno a ciò uno squarcio dell’ autore: 


Si debbe ancora avvertire, che le orazioni da lui poste in 
bocca agli oratori sono state veramente dai medesimi fatte in 
quelle stesse occasioni, di cui si tratta nell’opera. Solo l’ autore 
quello, che fu detto da parecchi, che nella medesima sentenza 
favellarono, ha fatto dire ad un solo; ed alcuna volta, sebben 
di rado, usando la facoltà già concessa ad altri storici, aggiun- 
se (del suo alcune poche cose, le quali gli oratori medesimi a- 
vrebbero verisimilmente dette. Ciò accadde specialmente nelle 
duè orazioni, l’una posta in bocca di Riccardo Enrico Lee, 
l’altra di Giovanni Dickinson, dei quali il primo orò in favore 
della dichiarazione dell’ indipendenza degli Stati Uniti, il secon- 
do mantenne la contraria sentenza. 

Finalmente non debbe essere, a chi leggerà, nascosto, che 
siccome i vari luoghi, e specialmente nelle orazioni, si trovano 
non di rado predizioni, che col tempo riusciron vere, così queste 
furono effettivamente dette da quei personaggi stessi che sono. 
nell'opera indicati. Ed in questa cosa ebbe l’autore tento scru» 
polo, che, acciocchè esse predizioni non paressero come quelle 
de’ poeti, le quali vengono dopo il fatto, volle a parola a parola 
dai testi, che sono per lo più scritti in inglese, nella italiana 
favella trasportarle (p. Ix.) (*). 

Ora noi siamo d’avviso, che qualunque volta il 
sig. Botta dichiara di ripeter le parole di un altro, con- 
trae l’ obbligo di tradurle, se non letteralmente, al- 
manco di buona fede, conservando per quanto può i 
pensieri e l’ ordine del testo. Il che non solamente 
non fece: ma , nelle libertà , ch’ ei si prese, largheg- 
giò altresì bene spesso assai più che il trascritto squarcio 
ne condurrebbe a supporre. Molti discorsi, da esso in- 


trodotti, sono di vero trasportati in italiano con fedeltà 


(*) L’ edizione, di cui ci siam valsi, è quella di Milano , per Niccolò 
Bettoni, Mpcccxx, Nota del trad. 


p 
\ 215 


sufficiente, o almeno con alterazioni di mon gravissima 
importanza. Ma certi v n’ ha, non poco diversi dagli 
originali, come, a cagion d’ esempio , quello, con che 
il capitano Harvey risponde.a Wilkes. E mere finzioni 
reputiam noi i ragionamenti di Lee e di Dickinson: e 
il primo anche una finzione malavveduta: perciocchè 
non propria dell’ individuo , a cui si pone in bocca ; e 
più che a rischiarar lo stile dell’oratore, acconcia a da- 
re un’idea non vera de’ sentimenti della persona. 

Le considerazioni morali o politiche del nostro 
autore sono generalmente ingegnose ed opportune: tut- 
tochè lascin talvolta trasparire una sottigliezza eccessiva 
e un troppo raflinato acume di pensamenti . Con since- 
rità e precision grande son delineati in quest’ opera gli 
avvolgimenti e le mire delle varie corti d’ Europa , e i 
motivi della Francia e della Spagna per ajutare gli Ame- 
ricani a portare innanzi la guerra; e tentar insieme di 
prevenire lo stabilimento della vagheggiata indipenden- 
za, e tenerne lontani i vantaggi avvenire. Ma in alcuni 
riflessi, concernenti il disegno e la condotta de’ coloni 
avanti la dichiarazione dell’indipendenza, dà esso a 
divedere un sì scarso conoscimento delle loro maniere 
ed opinioni, che , per, quanto esser possa in lui natu- 
rale e perdonabile , disdice oltremodo al suo lavoro 
comechè in altri rispetti nobilissimo. Ha quivi il sig. 
Botta sembianza di consentire nelle pretensioni di al- 
cuni scrittori ministeriali d’allora; cioè, che i nostri 
antenati professar dovessero non poca g gratitudine al go- 
verno britannico, perchè da esso trattati con manco 
severità che i Loi delle altre genti d’ Europa. É certo 
non essere stati gl’ Inglesi, guicutotci della Gran Bretta- 
gna o delle colonie, così esposti alle fantasie di una 
potestà arbitraria, come i sudditi de’ principi continen- 

/ 


/ 


216 


tali. Una tal circostanza non fu per altro l’effetto di 
qualche singolar deferenza o benignità ne’ regolatori, 
sì che avesser questi alcun titolo alla riconoscenza del 
popolo: ma nacque dal carattere del popolo istesso , 
che, insofferente dell’oppressura, intendeva, non essere 
i suoi diritti una largizione del monarca ; ma bensì 
l'autorità del monarca un dono conceduto da lui . 

Mentovando l’ assoluzione del capitano Preston e 
de’ suoi soldati, sottoposti a processo in Boston nel 1970, 
così l’autore si esprime: 

Caso in vero notabile, che in mezzo a tanta sommoziane, 
ed allor quando erano i sangui sì grandemente riscaldati, si sia 
di questo fatto quel giudizio dato , che meno era di grado alla 
moltitudine. Tanto erano perfetti gli ordini giudiziali in quelle 


contrade , e di tanto amaron meglio i giudici obbedire alla leg- 
ge, che servire ai desiderj altrui. (pag. 17%.) 


Per verità non saria da stupire che 1’ assoluzione 
di cotal gente fosse entrata nel desiderio de’ medesimi 
giudici, come quelli , la cui nomina veniva da gover- 
natori, eletti dal principe. Ma il fatto è, ch’ ella fu pro- 
ferita da un gizrì; vale a dire da dodici persone, tratte 
fuori a sorte nell’ istessa provincia, dove seguì l’ ecci- 
dio, come appunto sì chiama. La qual circostanza ono- 
ra di lunga mano più il popolo, di quel che faccia la 
narrazione del sig. Botta , distesa com’ è. ‘ 

E nella presente opera troviamo altresì certe frasi 
ripetute; come, a cagion d'esempio, — se accadeva que- 
sta o quella circostanza, — se la provvisione, concer- 
‘nente il bollo della carta, si eseguiva senz’ indugio, — 
se il ministero non confidava troppo ne’ dissidj de’ co- 
loni, — se agli Americani mancava la cooperazione 
dell’ Europa, — se Burgoyne si univa ad Howe, — se 
Howe ficeva impeto contra l’esercito del Congresso, — 
se il proditorio disegno d’ Arnold aveva effetto, — o se 


| 217 
l'ammiraglio Rodney rimaneva in America, il riusci- 
mento della contesa era diverso: come se l’indipenden- 
denza de’coloni fosse provenuta da una serie di accidenti 
avventurosi , più presto che dal loro animo deliberato e 
dalla perseveranza. Simili frasi condizionali (qualun- 
que sia l’effetto drammatico , il qual derivi all’ opera 
dal rappresentar gli Americani in pericolo continuo ) 
sono al tutto senz’ appoggio. Ciascuno di cotesti eventi, 
e molt’altri ancora, avrebbero forse contribuito al pro- 
lungamento della guerra, e rendute più gravi le fatiche 
e le privazioni del popolo: ma il solo totale esterminio 
della sua forza fisica, avrebbe, nell’ ordinario corso 
della natura , potuto ridurlo in suggezione. La sua resi - 
stenza esser dovea coronata dall’esito, se non altro, 
per chè era risoluto di non cedere. 

Ai quali abbagli non è nostro intendimento di dar 
troppo peso. Ma uno ve n° ha il qual s’ insinua in quasi 
tutto il primo volume: e pare a noi di tanto momento 
per quel che concerne il carattere de’ nostri antenati , 
che ne fa d’ uopo domandar l’indulgenza de’ lettori , se 
diamo opera a disaminarlo alquanto partitamente. Sì 
fatto abbaglio consiste in una falsa, tuttochè innocente, 
rappresentazione de’ sentimenti , nutriti da’ coloni ver- 
so la Gran-Brettagna innanzi la guerra dell’ indepen- 
denza . 

Nel cominciamento dell’opera troviamo, fra l’al- 
tre , le osservazioni seguenti: 

Quell’amore verso il sovrano, e l’ antica patria loro, il quale 
avevano i fuorusciti potuto conservare nella nuova, andò di mano 
mano scemando negli animi dei coloni in quella ragione , in cui 
una generazione succedendo ad un’ altra dal primiero stipite loro 
si allentanavano; e quando ebbe principio la rivoluzione, della 
quale ci apparecchiamo a scriver la storia, gli abitanti delle co- 


lonie inglesi erano per la più parte la terza, la quarta, ed an- 


T. VI. Maggio 15 


218 


che la quinta generazione da’ que’ primi coloni, che avevano. 
l'Inghilterra lasciato, e si erano nelle muove regioni dell’ Ame- 
rica fermati. Ad una tal distanza i sangui più non sì affrontano, 
o trovano poca corrispondenza ; e la ricordanza ‘degli antenati 
meglio viveva nella memoria che nei cuori dei discendenti. — 
I più dei coloni non avevano altro udito ricordare dell’ Inghil- 
terra, se non se, questa essere un regno lontano, dal quale 
furono empiamente e crudelmente ributtati gli antenati loro, 
e via cacciati, perchè andassero a cercare ventura nei deserti 
e nelle foreste dell’ orrida America, sola abitata da uomini sel- 
vaggi e feri, o' da velenosi ed orribili serpenti. | 
La lontananza del governo ne scema la forza , ossia perchè 
gli uomini, non essendo presente lo splendore e la magnificen- 
za del trono, obbediscono alla sola forza di quello , ed a ciò 
non sono invitati dal rispetto e dall’ illusione ; ossia perchè gli 
agenti suoi in lontane contrade posti, nelle esecuzioni delle leggi 
mettono ordinariamente più del loro arbitrio, e perciò e’ danno 
ai popoli governati maggiore speranza di potere per diverse vie 
scappar dalla tela. Che si dovrà dunque credere della forza del 
governo inglese in America, se si considera che tra l’una e l’altra 
contrada giace un mare tremila miglia largo, e che doveano i 
mesi intieri trascorrere tra un ordine dato e la esecuzione sua? 
Aggiungesi, che fuori dei casi di guerra, di eserciti stanziali, 
che pure ad ogni modo costringono i popoli all’ obbedienza , 
erano pochi in Inghilterra , e pochissimi in America ; essendo 
anzi cosa alla legge contraria il mantenervegli. Da ciò ne deve 
risultare per necessità , che sircome gli stromenti di costringere 
da parte det governo erano deboli, così dovea nascere e cre- 
scere ognora più negli animi americani, colla speranza, anche 
il desiderio di levarsi dal collo il giogo della superiorità in- 


Glese,( pa 'at..1a, 3 


E, rispetto alla disposizion d’animo de’ coloni nel 
1765, aggiunge: 

Forsechè coloro, i quali più amavano la libertà, o l’ am- 
bizione, formarono anche nella più segreta parte dell’animo il 
pensiero di levarsi dal collo il giogo della superiorità inglese , 
quando la prima occasione per ciò si appresentasse, — Si aggiun- 
ga a questo, che nella passata guerra un buon numero di coloni 
allontanatisi dalle pacifiche arti, e pigliando la spada in luoga 


219 
della marra , aveano imparato l’uso della milizia, avvezzato i 
corpi loro alle fatiche militari , indurati gli animi, e fattigli 
forti contro i pericoli della guerra ; e lasciando da un.de’ lati 
ogni abitudine da agricoltori o da mercanti, aveano vestito quelle 
che a’ soldati si appartengono. E siccome la coscienza delle pro- 
prie forze le moltiplica a molti doppj, e chi più gagliardo si 
si crede, meno abile diventa a sopportare ogni specie di sogge- 
zione, così è da credere che la perizia nuovamente acquistata 
negli usi della guerra, ed universalmente sparsi per ogni dove 
gli Americani, diventassero eziandio al giogo inglese più impa- 
zienti. — L’universalità però, contenta agli antichi termini della 
congiunzione dell’ Inghilterra, purchè questa rinunziasse alle ten- 
tate ed alle disegnate usurpazioni , abborriva la totale separazione 
dalla medesima, e se i più erano più audaci diventati a difen- 
dere i diritti e privilegj loro, non detestavano però meno in- 
tensamente il pensiero di gettare via del tutto ogni specie di 
dependenza verso del legittimo Sovrano. La qual cosa tanto più 
prontamente condannavano, quanto che avrebbe in tale tentativo 
non solo fatto bisogno di affrontare per sè stessi tutte le forze 
dell’ Inghilterra, le quali per tante vittorie erano formidabili 
diventate a tutto il mondo ; ma ancora ricorrere agli ajuti di una 
nazione per lingua, per costumi, per abiti, per maniere tanto 
da sè stessi diversa, colla quale, seguendo le bandiere della 
comune patria, avevano sì lunga e sì ardente nimicizia eserci- 
tato. ( p. 35, 36.). 
E riferendoci un’altra volta all’anno 1768, tro- 
viamo il passo seguente: 

La potestà legislativa del parlamento britannico sull’ Ame- 
rica era, non che recata in dubbio , negata , ed ora abbracciando 
le massime di coloro, i quali all’ atto della’ marca nelle due 
Camere contraddetto avevano, affermarono, esser vana la distin- 
zione tra la tassazione ‘terna ed interna; che nè luna, nè 
I’ altra stavano in facoltà del parlamento; che questo non aveva 
niuna autorità di far leggi, che obbligare gli potessero; e bre- 
vemente tant’ oltre procedettero, che mantennero che il non 
aver rappresentanti in parlamento, da ogni qualunque sogge- 
zione al medesimo gli esentasse. I diritti, che pretendevano i 
coloni godere, furono con molta chiarezza e con una certa ele- 
ganza di stile esposti in un libretto, che avea il titolo, Leste x e 


220 


di un coltivatore in Pensilvania agli abitanti delle colonie in- 
glesi. L’ autore era Giovanni Dickinson, e furon ricevute con 
allegro animo da tutti (p. 156.). 

Parlando del congresso Americano nel 1774, ra- 
giona in questo modo: 

I coloni riguardavano sopra di esso, come sopra un con- 
vento d’ uomini, i quali dovessero ad ogni modo liberar la pa- 
tria dai pericoli; che le sovrastavano; molti credeudo, che coll’ 
indastria e prudenza loro, e coll’ autorità, che avevano presso 
i popoli grandissima, avessero ad ottenere dal governo sollievo 
a quei mali, che gli opprimevano, e l’ antico ordine di cose 
ristorare. Al:uni altri si erano dati a credere, che avrebbero 
la nazione Americana a quella independenza condotta, ch’ era il 
primo e sommo desiderio loro, e sto per dire quell’ agonia , 
dalla quale erano essi notte e dì travagliati e punti (p. 209.). 

E successivamente riportandosi al congresso me- 
desimo : 

E siccome quando si vuole la guerra, si suol sempre di- 
moslrar più vivo il desiderio della pace , così scrissero una let- 
tera al generale Gage, pregandolo cessare i preparamenti ostili, 
i quali un popolo pacifico provocavano a nimichevoli procedi- 
menti ; il che avrebbe impedito che gli sforzi del Congresso 
ristorar potessero la bnona intelligenza colla comune patria, ed 
avrebbe in mezzo di loro indotte tutte le calamità della civil 
guerra (p. 216, 217.). 

E più al suo aggiornarsi: 

Nissuno non negherà, che quest’ assemblea abbia saputo 
bene usare l’ opportunità delle cose e dei tempi , ed abbia in ciò 
mostrato molta avvedatezza. Ella non solo seppe acconciamente 
secondare quelle opinioni, che alloraynell’ America regnavano ; 
ma queste accrebbe e dilatò in marayigliosa guisa, confortan- 
do gli ardenti, aizzando i deboli, conciliando gli avversi. Essa 
fece molte protestazioni di fede e lealtà verso il re, le quali 
non potevano non ottenere il fine che si proponeva , quello cioè 
di servire di coperta e di escusazione agli ulteriori disegni, quan- 
do quelle non fossero esaudite. Ella molto opportunamente seppe 
lusingare l'orgoglio della britannica nazione , sperando in questo 
modo di renderla favorevole. Seppe ancora molto bene formar 
quelle opinioni in fatto di governo, che si erano in quel secolo 


22I 


molto rinforzate, le quali nate prima nella Gran-Brettagna ave- 
vano appoco appoco trapelato, e diffuse si erano anche fra le 
altre nazioni, e massimamente in Francia, dove erano con or- 
natissime parole , e non senza una singolar facondia state in- 
trodotte e mantenute dai più celebrati scrittori di quei tempi. 
Perciò in ogni luogo ed in ogni parte erano gli Americani e 
specialmente i membri del Congresso , considerati, come i libe- 
rali campioni, come i generosi difensori di queste gra litissime 
dottrine. In quanto al fine dove tendessero, non poteva cader 
dubbio alcuno; imperciocchè, se da taluno potevasi escusare ed 
anche lodare quella deliberazione loro di voler difendere anche 
coll’armi quei diritti, ch’ essi credevano di possedere, certa- 
mente il voler trarre per mezzo di astute scritture nella confe- 
derazione loro altri sudditi della corona d’ Inghilterra, come 
per cagion d’ esempio i Canadesi, i quali i medesimi diritti, o 
non avevano, o non pretendevano, era una cosa , che difficil- 
mente si sarebbe potuta conciliare con quella fede, che vantano. 
Ma nelle cose di stato si fa spesso dell’ utile onesto, e per ve- 
rità nessun avvenimento poteva più utile estimarsi ai coloni di 
quello che si fossero i Canadesi alla causa loro accostati ( p. 
232, 233.). 


Intorno alla nomina di un condottiero principale, 
il sig. Botta favella di Putnam e Ward come segue : 


Questi si erano troppo vivi dimostrati in favore dell’ inde- 
pendenza , la quale si voleva bene, ma però in tempo oppor- 
tuno. procurare. 


E di Washington: 


— \Credevasi generalmente, non rimanesse all’independenza, ma 
che desiderasse un onorevole accordo coll’ Inghilterra. Que- 
‘sta sua opinione molto quadrava colla intenzione dei Capi Ame- 

ricani, i quali volevano bene procedere verso l’ independenza, 
ma ancora non volevano discoprirsi. Speravano bene di poter 
col maneggio delle cose far di modo, che un dì l’independenza 
diventasse una necessità, e che Washington stesso quando pro 
ceduto fosse molt’ oltre neila carriera , si sarebbe facilmente 
lasciato indurre, o dall’ onor del grado, o dalla necessità delle 
eircostanze, o dalle lusinghe della gloria, a continuare nell’ in- 
trapresa via, quando anche allo scopo di ottenere |’ annallazione 


222 


delle leggi fosse sostituito quello della totale independenza 
(p. 330). 

Rispetto all’ indirizzo fatto dal congresso agl’ Ir- 
landesi nel 1779 , fa le considerazioni che qui trascri- 
viamo : 


Nè sapeva, che anche gl’ Irlandesi erano per molte ragioni 
scontenti del governo inglese e quantunque si fossero ultima- 
mente fatte loro concessioni, tuttavia rimaneva ancora molto 
disgusto negli animi loro. Questa mala contentezza intendeva 
di usare il congresso, e d’ invelenir quelle piaghe, che già an- 
davano serpendo nei cuori irlandesi (p. 356) . 


Dopo aver dato un ragguaglio concernente il ri- 
fiuto dell’ atto di iaia , proposto da Lord North, 
lo scrittore aggiunge : 


Queste furono le risoluzioni del congresso rispetto alla 
provvisione d’ accordo del lord North; le quali fece pubblicare 
e mandare in ogni luogo. Nessuno mon vi potrà osservare lo 
stile acerbo e le nuove pretensioni degli Americani; che. evi» 
dentemente dimostrano quanto fossero lontani dalla concordia 
(pag, 368). 

Ea pag. 373. i 

», I popoli si lasciano troppo spesso condurre o da vani 
timori, o da vane speranze. Ed a quel tempo l’ universale dei 
coloni andavasi tuttavia lusingando'di poter ritornare, quando 
che fosse, con onorati termini all’ antica unione colla: Gran 
Brettagna. Si vedeva in vero a qual, fine mirasse il congresso. 
Logli essa era una cosa molto manifesta, che nel mentre che 
le due pir'i protestavano di volersi appuntar l'una e 1’ altra, 
facevano ogni sforzo per disgiungersi e vieppiù discostarsi. Da 
questo si Vode ancora, che quando nel parlamento si propone- 
vano dagli avversarj dei ministri concessioni d’ appuntamento , 
; molto a ragione li redarguivano i ministri, dicendo, ch’ esse con- 
cessioni e condizioni non solo sarebbero inutili state, ma‘ezian- 
dio dannose, perciocchè avrebbero dato animo ai coloni a ti- 
rarsi su maggiormente colle dimande. E se i ministri stessi 
poi proposero e vinsero una provvisione di accordo , ciò fu per 
colorire e per dividere e ton per accordare. Avevan adunque 
i ministri la ragione, quando volevano ad ogni modo continuare 


tn e 


223 
Ja guerra; ebbero bensì il torto a non averla esercitata coll’ar- 
mi sufficienti . 
E dopo aver indicata la partenza dei governatori 

reali da varie provincie, continua così: 

> Intal modo, siccome raccontato abbiamo, cessò l’ autorità 
reale nelle diverse colonie, la quale fu succeduta appoco appoco 
da quella del popolo per mezzo dei congressi, o conventi straor- 
dinarj in ciascuna di esse. Ma ciò non bastava a quelli, i quali 
dirigevano i consigli americani. Conciossiachè siccome il fine 
loro era l’ independenza; e che questo stato di cose, appunto 
perch’ egli era straordinario; e perciò di sua propria natura 
temporale , lasciava tuttora la via aperta , per la quale si po- 
teva venire ad un accomodamento coll’ Inghilterra , conservate 
l’unione e la dependenza, così desiderarono si creassero in 
ciascuna provincia ordini tali, che avessero la sembianza di una 
costituzioLe permanente, acciocchè s° inducesse nei popoli, che 
gli Americéni erano di per sè stessi abili al reggimento loro, 
e ad essere governati alle proprie leggi. Nel che fare i capi 
popolari non era, che non incontrassero qualche difficoltà, mal- 
grado l’ ardore che si manifestava in ‘ogni parte nel seguitare i 
consigli loro . I più lodavan bene la resistenza, ma detestavano 
tuttavia 1’ indepetdenza, o almeno al disegno di questa si sgo- 
mentavano. Per la qual cosa coloro, che avevano la somma 
delle, cose in mano, temendo che; se si discoprissero fuori di 
tempo avrebbero del tutto guasta l’opera loro, si determinarono 
a procedere in questa bisogna con molta cautela, e la mandarono 
ad effetto accennando, ch’ ella fosse volta a tutt’ altro fine, che 
a quello; che intendevano ‘(p. 405). 

E intorno alla spedizione di Quebec parla finalmen- 
‘te come segue: 
i ,: Questo non era; più un volere star sulle difese; portando 
‘le armi in una sua provincia, la quale in nessun modo gli aveva 
chiamati. Quest’ era non solamente incitar con parole i sudditi 
quieti e non offesi alla resistenza contro 1’ autorità legittima 
del proprio sovrano, e trargli per forza a parte della sedizione. 
Si doveva temere ,iche un sì audace disegno non discoprisse 
troppo le intenzioni del congressc. generale, e che perciò quelli 
fra i coloni, i quali di buona fed: combattevano per ottener 
dal governo la rivocazione delle novissime leggi, e desideravano, 


224 
detestando la totale separazione dalla Gran Brettagna, di ritot- 
nare all’ antica obbedienza, si ritornassero , ed i compagni ab- 
bandonassero (p. 420). 


Mal ci condonerebbono i nostri lettori la cura di 
entrare in un elaborato scrutinio, a fine di condurre una 
prova, non aver la guerra del 1756 renduta militare 
alcuna ragguardevol parte de’coloni, 0, sul finire di quel- 
la, non esser mai venuto in capo ad alcun di loro , che, 
in caso di controversia col parlamento , chieder potesse 
ajuto ai Francesi; popolo allora da essi abborrito e di- 
sprezzato così fortemente come dai più pregiudicati e 
gelosi lor confratelli della Gran-Brettagna. E poco ci 
vuole a dimostrare, che se le Farmer's letters (Lettere 
di un fittajuolo), stese da Dickinson, spiegarono con esat- 
tezza le pretendenze de'coloni, allora non aspiravan essi 
per verun modo a liberarsi dalla soprintendenza. del 
parlamento. Perciocchè mentre coteste lettere negano 
affatto a quell’ assemblea la facoltà d’ imporre sulle co- 
lonie alcuna tassa o gabella concerneate la rendita ; 
non pongono tuttavoita in dubbio il suo dritto di dar 
la legge in qualunque altra materia; e replicatamente , 
e in maniera positiva riconoscono in essa la potestà di 
proibire o ristringere qualsivoglia ramo di traffico o la- 
vorio; o rigorosamente rafforzare quell’oppressivo siste- 
ma, che sì chiama coloniale . 

I passi citati di sopra, sono, per altri rispetti, in 
contraddizione tra loro. Ma tutt’ insieme lascian ve- 
der ne’ coloni la brama di levarsi dal collo il giogo bri- 
tannico lungo tratto avanti il rivolgimento: e, nel con- 
gresso, la pratica d’incalzare in secreto il popolo all’armi, 
sotto colore di voler la pace; e trarre a forza Washing- 
ton a sostener disposiziori', da esso non prevedute , nè 
approvate. I quali ragionamenti sono al tutto erronei . 


225 

Non vi ebbe mai popolo più leale de’ coloni alla metà 
del secolo decim'ottavo. E tanto era lungi dal nuocere 
alla reverenza verso il trono la distanza, in cui questo si 
trovava da lui, che anzi ella parve conferirgli una mag- 
gior maestà. Mostrava esso una tal veneranza ed amore 
pel uome d’ Inghilterra , che familiarmente applicava 
alla medesima l’ affettuosa appellazione di casa propria 
(home). Talmentechè se un nativo d’ America, i cui ante- 
nati avesser dimorato quivi per varie generazioni, espri- 
meva il desiderio di andare a casa, intendeva che fosse 
per recarsi alla madre patria, come appunto godea di 
chiamarla. E que’ pochi, i quali combatterono sotto le 
insegne britanniche nel Canadà, in vece di esser più 
insofferenti della lor dependenza dalla Gran-Brettagna, 
aveano acquistato una specie di personale interesse alla 
sua gloria, e riguardavan gli antichi loro commilitoni con- 
quell’ affetto, che proviam sempre per coloro, i quali 
hanno diviso con noi i sentimenti più cari, e ne furon 
compagni nella fatica, ne’ patimenti, e nella felice for- 
tuna. Il congresso rappresentò con ingenuità Y animo 
del popolo. E Washington , ch’ era dapprincipio. così 
avverso all’independenza come la massa de’ suoi con- 
cittadini, si gittò nella parte contraria . 

Simili errori hanno per avventura origine dal de- 
siderio, ch’ebbe il sig. Botta, di fur mostra di un’ im- 
parzialità assoluta. Il qual desiderio può averlo indotto 
a ritener per vero, anche a rischio di una certa contrad- 
dizione , quel che asseriron gl’ Inglesi e gli Americani, 
rispetto alle vedute degli ultimi. La fazione ministe- 
xiale fn molto industre a diffonder l'opinione, che i co- 
Joni non sarebbono rimasi satisfatti neppur quando si 
fosse consentito ad ogni richiesta dei medesimi , il cui 

solo scopo era l’independenza. Con che mirava essa 


226 

a scemare la popolarità della caùsa dei coloni in Inghil- 
terra; indebolire il contrasto in parlamento, e unir la 
nazione a sostegno de’ suoi tentativi. Se non che le voci 
sparse da un simil partito, furon concordemente e con 
forza smentite dagli Americani . Il Dottor Franklin, il 
quale non mancò al certo nè dei mezzi più acconci a 
studiare il carattere d’ ogni classe d’ individui nelle co- 
lonie , nè di sagacità per iscandagliarne il desiderio e 
l’ intento, ci narra, come nell’ agosto del 1774, lord 
Chatam lo chiamò ad osservare l’idea, generalmente 
sparsa in Inghilterra, che l'America fosse rivolta a pro- 
cacciarsi per sè medesima una condizione independente: 
ed aggiunge: 

Lo assicurai, che avendo io più di una volta viaggiato quasi 
da un’ estremità del continente all’altra , e conversato con più 
e più brigate, mangiando e beendo seco loro liberamente, non 
mi era mai accaduto d’udir da veruno, o ubbriaco, o in sé, 
la minima espressione, che annunziasse il desiderio, comunque 
lontano, di separamento , o un solo cenno che questo riuscir 
potesse vantaggioso all’ America. 

Ad appoggio della quale autorità, noi ci riportiamo 
agl indirizzi del congresso nel 1774; € 1779, ove si tro- 
vano le più vive protestazioni, che gli Americani, lungi 
dall’ aspirare all’ independenza, pretendean solo di esser 
restaurati nel godimento degli antichi diritti. 

Nè sulla sincerità del congresso alcuna giusta sospi- 
cione risvegliano gl’indirizzi fatti agli abitatori d’Inghil- 
terra, d’ Irlanda e del Canadà : perciocchè , impegnato 
a contrariare il ministero, era indotto da una politica 
tutta naturale a guadagnare al proprio partito quanti 
più potea; conseguire una maggioranza in parlamento ; 
por la nazione in contrasto co’ ministri ; e per sì fatta 
maniera costringerli a desistere dai passi intrapresi, o a 
renunziare le cariche. 


pre, 227 

Rispetto all’ atto di conciliazione, proposto da lord 
North, esser doveva in vero il congresso ben cieco, per 
lasciarsi prendere a un artifizio così grossolano . Preten- 
devano i coloni di essere immuni da tutte le tasse, con- 
cernenti la rendita , eccettochè da quelle, che fossero 
statuite dai loro consessi patrii . E lord North progettò 
in fatti, che appartenesse al ministero il determinar la 
somma da pagarsi da ciascuna colonia, e alla respettiva 
assemblea il decretar le leggi opportune a procacciare 
il danaro; quasichè la gabella consistesse, non nell’im- 
© porla, ma nel proporzionarla. Come dunque il rigetta- 
mento di simil proposta può egli equivalere a un riget- 
tamento della conciliazione ? Era questo un offerire di 
eeder la forma per la sustanza ; ovvero un pronunziar 
la condanna, e lasciare alla scelta de’rei la maniera 
dell’ eseguimento. L'invasione del Canadà non fu che 
un effetto de’ passi ostili, scopertamente incominciati 
già dai Britanni. Ed è una sottigliezza, inventata dopo 
i semplici tempi de” nostri padri, il dar nome di 0/7er- 
siva ad ogni assalto contra il nemico dichiarato, e far 
consistere la difensiva nello schivare i colpi, senza ten- 
tar mai di ricambiarli. Secondo la quale interpetrazio- 
ne, il solo modo legittimo di difender sè medesimo sa- 
rebbe quello di non muoversi e farsi battere; ovvero 
fuggire. 
Sì può per avventura mettere in campo, essere, 
per alquanti anni, avanti l’independenza , il contegno 
de’ coloni stato sì fatto, che tendea di necessità a con- 
durre una separazione dalla Gran-Brettàgna; e aver 
perciò avuto un tal fine ; o almanco , non poter eglino 
esser sì ciechi, da ‘non discernere , che quello sarebbe 
stato di certò il suo riuscimento. Ma noi dobbiam porre 
avanti , esser ben pochi coloro che'veggon chiaro là 


228. 

dove ha parte il proprio interesse, e non tocchi il più 
delle volte noi stessi dagl’immediati e naturali effetti 
della nostra condotta , massime quando son tali, che 
ne distraggono dal porvi l’animo. E può darsi altresì, 
che non essi ciechi allora, ma fossimo noi prosuntuosi 
adesso. Gli spiriti speculativi son troppo inchinevoli a 
dar per cagione ad ogni accidente un qualche disegno ; 
a trar giudicio degl’ impulsi altrui, non dalle azioni , 
ma dalle remote lor conseguenze ; a imaginare, discer- 
ner essi una stretta e inevitabil connessione fra qualun- 
que gran mutamento e le circostanze che lo precedono; 
e darsi a credere, che se ne fossero stati testimoni , 
ne avrebbero preveduto il successo. Per verità non è 
cosa malagevole il far pronostici dopo l’evento. Ma noi 
ameremmo di udire que’ sì perspicaci filosofi, che di- 
scuoprono con tanta chiarezza una tal connessione, in- 
dicare con più franco animo e con esattezza , cosa 
intenda» eglino d’ ordinario per immediati e naturali 
effetti del presente. Che che pensar si voglia della ten- 
denza de’ coloni dal 1763 al 1775, a venir col proprio 
contegno a capo di una separazione dalla Gran-Bretta- 
gus, sì può senza dubitanza asserire, non essere stato 
questo il loro proponimento. E si sarebbe qualificato 
poco men che di pazzo colui, che , in cotesto periodo, 
avesse affermato sul serio , esser eglino per consentire a 
spogliarsi del nome britannico. Non diversa per certo 
appariva la tendenza del ministero o del parlamento 
nella sua condotta. E contuttociò vi fu egli alcuno , che 
attribuisse loro simiglianti disegni ? 

Sì fatto abbaglio intorno alla disposizion d'animo 
de’ coloni d’ allora, sembra, in certa maniera , essersi 
ultimamente introdotto anche tra noi. Quando ne si 
dice di cercar ne’ primi annali della mostra patria , le 


229 
radici della sua independenza, v’ ha chi aspetta di veder 
nascerne il desiderio tra i coloni più antichi, e andar 
via via crescendo in ogni generazion successiva . Ma 
cercheranno in vano : comechè volger sì possa lo sguar- 
do addietro fino allo stabilimento della patria, e di là 
sino alla riforma, per indagar Vorigine e progresso del- 
le massime, le quali renderono i coloni sì fattamente 
gelosi de’ proprj diritti (e sovrattutto di quello di tas- 
sarsi da sè), che quando la materia si ridusse in ultimo 
‘a un’ alternativa, non dubitarono di antepor simili di- 
ritti all’ istessa fedeltà di sudditi, per quanto fosse lor 
cara. E presa ch’ elli ebbero cotesta determinazione, la 
mantenner fermi per mezzo a pericoli , travagli e pri- 
vazioni pressochè senz’ esempio. Un simil errore esser 
può forse derivato altresì dall'idea, che, in vista dei 

 gloriosi e benefici effetti del nostro rivolgimento, torni 
ad onore de’ nostri antenati il presumere, aver eglino 
accelerato quegli effetti medesimi, e rivolto sin da 
principio lo spirito all’indipendenza americana , come 
la convenevol maniera di svilupparli. Ma nessuno, che 
intimamente ne conosca il contegno e i motivi, sup- 
porrà mai, poter venire al giusto lor plauso il minimo 
aumento dallo ascrivere a’ medesimi il dono del profe- 
tare. Se avesser eglino penetrato nell’ avvenire questa 
rapida e maravigliosa prosperità , la splendidezza e du- 
rata della lor nominanza , gli avvantaggi , congiunti al 
rivolgimento così per essi medesimi come pe’ figli e 
per la patria ; non sarebbe stato al certo molto in lor 
singolare il merito dell’ abbracciata alternativa. Gettato 
una volta il dado, è cosa molto naturale, ch'e’ cercas- 
sero di alleggerire le proprie strettezze con portar ie 
speranze a un punto, che aver poteva allora sembianza 
di sogno. Ma non fu certamente chi delirasse cotanto 


230 

da credere, che que’ tra essi, i quali fossero andati più 
innanzi negli anni , 0 i loro figli , avuto avrebbono da- 
vanti a sè uno spettacolo , come quello , che or si con- 
templa da più d’uno de’ principali. Vider essi diretta- 
mente intorno a sè malagevolezze ed angustie: e quella 
istessa independenza , che dovevano traversare per ot- 
tener sicurtà, era nell’ animo loro tutt’ altro che il 
minor de’ pericoli, ch’ era forza di vincere. Nulla di 
meno, alla durezza di un tal passo succedè la compia- 
cenza d’averlo tentato, perchè fatti persuasi dal tempo, 
esser quello il solo mezzo di conservare la libertà, a cui 
posponevano l’ istessa lor sudditanza. Non vi è dubbio, 
essere stata diversa negl’individui l’ opinione intorno. 
al tempo, nel quale avrebbono renunziato all’ obbe- 
dienza ; e la pluralità degli animi nel congresso pronta 
a venire ai fatti alcuni mesi avanti che ogni colonia 
spiegasse il proprio consentimento: — non già perchè 
quello sentisse manco la pena del sacrificio, ma perchè 
ne discopriva maggiormente il bisogno, e si era. con- 
vinto più presto, non rimaner lita pi ital n che 
l’ independenza o il suggettamento. 

Dar non sapremmo agli atti del congresso nel 1774, 
un senso, compatibile coll’ opinione, che i suoi membri 
nutrissero o credesser ne’ proprj costituenti il disegno 
di staccar le colonie dalla Gran Breltagna, senza im- 
primer sul proprio carattere una macchia, che nessun 
trionfo avrebbe potuto cancellare. Imperciocchè ripeton 
essi le più solenni assicuranze, non intendere ad altro, 
che ad esser ricondotti alla condizione in cui si trova- 
vano innanzi l’anno 15763. Un tal linguaggio era esso 
sincero , o puramente rivolto, come imagina il sig. Bot- 
ta, a colorar vedute differentissime, e traendo in ingan- 
no il ministero inglese , tendere un laccio agl’ istessi 


ada 

coloni? In tal caso, i loro indirizzi non sarebbono stati 
già, come li chiamò Chatam nella camera alta ,esem- 
plari di modéranza e decoro, degni di Tucidide , e non 
inferiori alle più belle. produzioni de’ primi, stati, del 
mondo; ma i meschini artifizj della paura e dell’a stuzia. 
Talmentechè , a vece di salire in un onesto orgoglio al- 
l’udirli mentovare, chiuder dovremmo la bocca ,, e 
nasconder la faccia. 

Anche l’ asserzione dell’ aver Washington avuto 
per l’indipendenza più forti obbiezioni che, in generale, 
i suoi concittadini, riposa tuttaquanta sull’ autorità 
inglese. Nell’ anno 1777, si pensò di dar favore alla 
causa del parlamento col diffonder la voce, esser le 
particolari tendenze del condottiero americano in con- 
trasto col proprio dovere. Al qual oggetto furono scritte 
e divulgate in Inghilterra certe lettere sotto il suo no- 
me, nelle quali palesava la. massima, disapprovazione 
della condotta del congresso nel dichiarare l’indepen- 
denza ; la sua nessuna speranza per un riuscimento fe- 
lice ; e l’impazienza di deporre il comando. L’ impres- 
sione , prodotta da coteste lettere fra i mal informati 
Britanni, sembra non essersi dileguata insiem colla fede 
nella loro autenticità. Molti almeno ebber l’aria di cre- 
dere , che quelle fosser lo specchio de’ veri suoi senti- 
menti, anche lungo tempo dopo aver dovuto convenire, 
non esser elleno genuine. 

Nell’ opera che abbiamo sott’ occhio ,, cerca pale- 
semente il sig. Botta di far riviver lo stile degli antichi 
classici italiani. Il qual tentativo, benchè approvato da 
alcuni, come quello che può condurre al restauramen- 
to della purità nell’ idioma, non è tuttavolta lodato da 
altri, per aprir esso la via a molte espressioni, che, per 


232 
quanto fossero un tempo e semplici e naturali ; prendoni 
oggi colore di vieto e di affettato. 

Certo , che così nello stile come ne’ costumi, ogni 
apparenza di studio è un difetto: ma pertiene agl’ Ita - 
liani il decidere sino a qual grado un tal difetto noccia 
al lavoro del sig. Botta. Uno straniero , che derivi la 
conoscenza dell’italiana favella da’ libri , è d’ ordinario 


così familiare co’ primi scrittori come con gli odierni. 


Ond’ è che l’urto di certe maniere o rancide 0 disusate, 
è minore in lui che in uno , nativo d’Italia. Non fa per 
altro mestieri di gran perizia in cotesta lingua , per es- 
ser accorto dell’ armonia, copia e varietà dello stile del 
nostro autore; 0 autorizzato a condannare il troppo fre- 
quente uso di massime trite e popolaresche: Le quali 
massime esser possono energiche, perciocchè appunto 
le sole espressioni energiche sono per avventura idonee 
a diventar proverbiali: ma svelano una cert’ aria di 
volgarismo , che in un’ opera come questa , non è com- 
pensata a bastanza dall’ energia ,,. 


Stimiamo cosa superflua pe’ lettori italiani il ri- 
portar qui le osservazioni, che l’ avveduto autore di 
quest’ articolo procede a fare sulla versione inglese , 
non che i lunghi squarci dell’opera del sig. Botta , coi 
quali lo chiude, e pone così in bella comparsa alcuna 
tra le più animate dipinture, di che abbonda quel ma- 
gistero , viva gloria de’ tempi moderni. 

Per quanto è lecito inferire da’ passi, che di quel- 
la versione trascrisse l’autore di sì fatta scrittura, non 
sembra per verità, ch’ella sia da noverare tra le più ac- 


233 


curate e felici. E ne digota anche pel sig. Botta, che la 
più parte de’ luoghi, ne’ quali il sig. “Otis sì è mag- 
#giormente scostato dall’ italiano , sia quella appunto 
dove l’ autore fu men parco di frasi o disusate o strane. 
La qual circostanza contribuisce non poco ad alleggerire 
i falli del traduttore: stantechè più voci e maniere 
s'incontrano nella presente istoria , le quali sarebbono 
malagevoli a spiegarsi dagl’istessi Italiani non fami- 
liari colle loro scritture più antiche. 
È Il ricondur la favella a’:suoi principj, è; come 
avvisa appunto l’ illustre autore, una pratica tutta 
patria ed eccellente, massime quando la sua purezza e 
integrità si trovano a repentaglio o per le licenze sover-. 
chie, o per qualche gran circostanza estrinseca. Ma° 
noi portiam opinione, esser tutt’ altro che un ringiova- 
nire l’idioma lo incastrarvi dentro certe. voci o non 
adoperate che da’ nostri antichissimi, quando il suo 
carattere non era per anche stabilito appieno da un ma- 
turo uso ; o messe da un lato dopo che col volger degli 
anni andaron perdute le maniere o proverbiali o di pri- 
ma convenzione, che sole potean renderle opportune 
e intelligibili senza fatica. Oltre di che, se oggetto pri- 
mario di chi non iscrive esclusivamente per una sola 
classe di leggitori esser dee quello di conciliarsi l’ani- 
mo di tutti, perchè non osservar le leggi più acconce 
ad ottenere un tal fine ? E perchè mai vestire alla fog- 
gia degli antichi quelle idee, che solo poteano conce- 
pirsi tra le grandi circostanze del secolo decim?’ ottavo? 
Può egli non esser vero, che la favella, strumento 
dell’ intelletto , prenda colore dai pensamenti? 


M. Leoni. 


T. VI. Maggio 16 


334 i; | 
GEOGRAFIA. VIAGGI 


Viaggio in Armenia ed in Persia del cavaliere Jauberty 
Parigi 1821. 


Lo 


( Conclusione v. T. VI. pag. 377.) 


La pianura di Sultaniéh, ov’ era posto l’accampamento, 
fino a cui giungemmo ultimamente col nostro viaggiatore, 
forma un’ ovale d’otto o nove leghe fra levante e Ì occaso , 
ed è circondata di sterili colline , onde scorrono molti ru- 
scelli ad irrigare pascoli bets e opportunissimi alla. 
cavalleria dello Chah. Avea questi, frammezzo a mille e mille 
tende, che l’attorniavano in vasto cerchio,, un magnifico pa- 
diglione, e presso al padiglione un harem, per ciò che as- 
sicuravasi, ancor più magnifico. Nel primo, composto di 
ire recînti., si ammirava specialmente il più interno desti- 
nato alle udienze e al cerimoniosissimo selam, che potrebbe 
chiamarsi l'epopea del cortigianismo orientale, e di cui il 
sig. Jaubert ci dà un breve ragguaglio. Dell’ harem, impe- 
netrabile a tutti gli sguardi, nessuno sapeva i segreti: pur 
‘non mancò un grave personaggio che ne favellasse con molta . 
minutezza all’inviato, vogliosissimo di credergli come d° a- 
scoltarlo. Ma le parole del personaggio vanno lette quali 
son riferite nel libro dell’ inviato medesimo ; tanto hanno 
in sè di che lusingare ogni imaginativa. Certo al sig. Jaubert 
sarebbe stata più dolce ricreazione in quella sua noja di- 
plomatica l’ accertarsi co’ propri occhi della loro verità, che 
non il ricever visite da grandi Persiani, sedere ai loro con- 
viti o assistere alla caccia del loro monarca. Di questa ci 
fa egli una narrazione abbastanza circostanziata, cui non 
trascriveremo per non peccare d’ inutile lunghezza , e. non 
compendieremo per non toglierle ogni amenità. Se non che 
fra tante forme di dispotismo, e di servitù, onde siamo 
funestati in simili letture, che mai si può trovare di ame- 
no ? La descrizione stessa dell’ harem , quel supposto sog- 


235 


giorno del piacere, ci empiè d’ involentària tristezza ; poichè 
quanto più cara è la beltà, tanto ci è maggiormente odioso 
ciò che l’avvilisce o le impone altri vincoli che quelli di 
un libero affetto.. Le più leggiadre fanciulle ‘dell’ oriente 
rinchiuse in splendido carcere per servire ai solitari dilettî 
di un tiranno voluttuoso, bastano per accusare la barbarie 
asiatica, e darci idea degli oltraggi che ne soffre la natura. 
Il sig. Jaubert dovea pur sentirli ad ogni istante nel fondo 
del cuore, malgrado le dolcezze da cui ne era distratto , e 
le distinzioni con cui era blandito. Quaranta giorni aveva 
già egli passati nel campo di Sultaniéh, trattando con quella 
maggiore speditezza che gli fu lecita fra tante fastidiose 
inutilità, le cose per cui era venuto. Stanco alfine di rima- 
nere, che più'non ne aveva motivo, pregò istantemente che 
gli fosse permesso di ritornare in Europa, verso la quale 
il dover suo lo obbligava di affrettarsi e gli fu coneeduto. 
Agli undici di giugno adunque ei ricevette , in segno estre- 
mo della sovrana munificenza, il kalaat, o abito d'onore, 
che in Persia è un equipaggio compito di cavaliere, mentre 
in Turchia non è che una semplice pelliccia ; e fra parecchi 
altri doni alcune leggende adulatorie chiamate istorie d’im- 
peratori persiani, le quali or si veggono a Parigi nella bi- 
blioteca del Re. La mattina seguente due visiri vennero a 
prenderlo e lo condussero all’ ultima udienza dello Chah , 
che gradì, come già potevamo aspettarci, i suoi rispettosi 
complimenti, gli disse parole piene di bontà per lui, e di 
amicizia per la Francia, promise d’accoglier bene i sudditi 
di questa, che anderebbero in Persia per esercitarvi la me- 
dicina o il commercio o anche per propria istruzione, in- 
somma mostrò disposizioni, dalle quali poteva forse trarsi 
qualche frutto pei progressi dell’umano incivilimento . Se 
questo per altro inon va da sè, chi dei grandi ordinatori 
del mondo prende piacere ad ajutarlo? Come l’udienza durò 
un paio d' ore sotto i dardi del mezzo.giorno, poichè so- 
lamente sua maestà avea il parasole, il povero diplomatico 
ne partì abbacinato, e fatti pochi passi, se nol sostenevano, 


236 

cadea svenuto. Ciò fu cagione che fra i compagni datigli 
sino al confine del territorio persiano fosse anche Mirza- 
Chéfy, il medico dell’harem, di cui già si parlò. i 

La mattina dunque dei 14 il nostro viaggiatore lasciò 
Sultaniéh , e alla sera fu a Zenghian, ove passò la giornata 
del 15 e quella del 16. Pare che in questa piccola città 
non vi fosse d’ osservabile che il palazzo del ketkoda ove 
fu alloggiato, ed ov'erano sale con buone pitture e ara- 
beschi, griglie con vetri colorati di vario disegno alle fine- 
stre, giardini regolari, poco ombreggiatt, sebbene molto 
irrigati. All’ alba del 17 si rimise in via, e quel dì fece 
colazione sotto la tenda di certi nomadi delle tribù dei 
Chah-Seven, i quali somigliano in tutto ai Kurdî fuori che 
nel ladroneggio, da cui sono alieni. Passò poi la notte nei 
giardini del villaggio di Arman-khanéh , dormendo a cielo 
scoperto, il qual costume tenne in tutto il viaggio , eccetto 
a Tauride : la notte seguente si ricoverò ad Ak kend, che 
tradurrebbesi villaggio bianco. Di qui il suolo comincia ad 
alzarsi, a farsi più verde, più abbondante di acque e di 
abitazioni, ma se cessa la sterilità dura il salvaticume. Il 
19 traversò le montagne chiamate Caplan-Kouh, le quali 
separano l'Iric persico dall’ Aderbaidjan; e sceso pel fiume 
Kizil Quzen, non senza qualche pericolo, venne a riposare 
a Mianéh piccola città in larga pianura abbondante di riso, 
e bagnata da un fiumicello, che ha uno stretto ponte di 
ventitrè archi (opera visibilmente antica) il da mette ad 
una specie di via romana. Quando il dì 24 fu vicino a 
Tauride incontrò un officiale d’ Abbas Mirza, che gli fece 
vedere alcune opere sull’arte della guerra in francese ed 
in russo, cui egli volea far tradurre in persiano. Il dì se- 
guente poi ebbe un’ udienza da Ahmed-Kan , governatore 
dell Aderbaidjan, ‘il qual era attendato fuori della città , 
e avea cominciate alcune riforme nelle sue truppe , colla‘ 
speranza di veder un giorno tutto l’ esercito-persiano adottar 
gli esercizi e il modo di ‘guerreggiare degli Europei. Nel 
viaggio del 28 e del 29 sempre gli fu in prospetto il lago 


237 

d’ Ormiah , vasto presso a poco siceome quello di Van, 
col quale fu confuso dai geografi per lungo tempo, sebben 
ne sia distante almeno venti leghe. Esso è circondato, mas- 
sime a mezzo giorno e a ponente, da montagne altissime, 
e sebbene sorgano sulle sue rive le città d’ Ormiah, di 
.Selmas e di Maragha, non serve in alcun modo alla navi: 
gazione. Le sue isolette sono incolte; ma il suolo all’ in- 
torno è ricco di pascoli, di biade, di riso , di lino e di 
tabacco d’eccellente qualità. Verso il 31 il sic. Jaubert 
giunse a Khoi ove si trattenne tre giorni, affine di prender 
riposo, € prepararsi ad un nuovo viaggio attraverso la Tur- 
chia d'Asia. Ivi prese congedo dalla più parte dei Persiani - 
che lo avevano accompagnato, e fra gli altri da Mirza- 
Chefy, che malgrado la contratta amicizia era un po” stanco 
di dover rispondere della sua vita. »» Vanne gli disse que- 
sti, sii felice, le benedizioni di Aly ti accompagnino. Tu 
mi hai fatto soffrire il martirio per quasi due mesi, ed oggi 
solo comincio a respirare. Non voglio da te alcun dono È 
ma solo uno scritto, il quale attesti, che hai passata la 
frontiera in buona salute. ;; Al dispiacere di separarsi da 
persone, a cui si era affezionato, si aggiugneva pel nostro 
Viaggiatore quello di rientrare fra contrade, per cui sentiva 
la massima ripugnanza. ,, Per quanta sia Ja lealtà, la schiet- 
tezza e l’ospitalità dei Turchi , ‘un viaggiatore europeo, egli 
dice, preferirà sempre la politezza, l’affabilità, la tolle- 
ranza religiosa dei Persiani. Per le qualità morali i primi 
sono certamente un popolo più stimabile; ma gli altri val- 
gono assai più per quello che riguarda le dolcezze della 
mila: 4; 

Proseguendo il cammino entrò il 4 agosto nella stretta 
e sinuosa valle di’ Cotourah , il cui fondo solcato da un 
torrente era disagevolissimo. Alla sera volendo adempire una 
promessa fatta nell’ antecedente passaggio, * fu ospite di 
Moussa Bey, il quale avea pur dianzi riportato gran bottino 
da una spedizione contro î Kurdi , e si sentiva più che mai 
disposto a scherzare sopra i Persiani, Il raihmandar del sig. 


258 
Jaubert gli ricambiava le sue beffe con altrettante sulla gra- 
vità e la rozzezza dei Turchi. 

« A Khoch:Ab, ove fu il giorno 6 per pochi momenti, 
andò il nostro viaggiatore a visitare una chiesa armena, 
famosa per divoti pellegrinaggi, ed ebbe ad ammirarvi la 
‘cristiana pietà del Bey musulmano, che manteneva una lam- 


pana sempre accesa dinanzi ad una immagine della Madonna. ‘ 


Quel giorno medesimo si fermò anche qualche ora sotto le 
tende di alcuni Kurdi, e andò poi a riposare la notte sulle 
terrazze delle case d’ Erdjek villaggio posto in riva d’ un 
lago d’acqua salsa di due o tre leghe di circonferenza. 
Tutto il paese all’ intorno era infestato dalle bande indo- 
mite de’ Chakaki. H 7 giunse a Van di buonissima ora, e 
si accampò co’ suoi ne’ giardini dell’ intendente del Dervich 
Pacha. Questi ‘all’indomani gli si mostrò cortesissimo, sia 
perchè ambisse come Kurdo il vanto dell’ ospitalità , sia 
perchè non avendo ancor ricevuto da Costantinopoli il suo 
. firmano d’ investitura , desiderasse a quest’ uopo i buoni 
offici del sig. Jaubert presso l’ambasciator francese. Il no- 
stro viaggiatore percorse con lui il dì g le isole del lago 
e visitò i monasteri all’ intorno , e tutti i monumenti cri- 
stiani. ,, Ammirai; egli dice, la bella veduta, di cui gode 
il convento delle sette Chiese , posto sovra un’ eminenza , 
onde si discopre il Jago, la città e i giardini di Van. Il 
nome di sette Chiese non va preso alla lettera, poichè ve- 
ramente non trattasi che di sette cappelle; che formano una 
chiesa sola e non vasta. Vidi in essa molte dorature e molti 
quadri non dispregevoli , ove si pensi che sono dipinti da 
pennello armeno. Il superiore, vecchio di bianca barba, il 
qual non avea nella sua comunità che quattro o cinque re- 
ligiosi fra Armeni e Georgiani, mi diede un buon pranzo, 
frutto delle limosine dei devoti, ove si mangiò e si bevve 
tanto largamente da farini comprendere, che fra que’ santi 
uomini non era mai discorso di sobrietà. ,, 

Partì il 10 con molti segni dell'amicizia del Dervich. 
A misura che inoltravasi, gl’incomodi della via si facevano 


239 
sentire più vivi ai Persiani della sua scorta: essi non can- 
tavano più gazelle (le lor canzoni d’ amore ) sospiravano 
il loro tunbeki ( eccellentè tabacco ), si sentivan languire 
privi dei loro sorbetti. Tutto quel giorno costeggiò Jaubert 
il lago di Van, poi agli undici cangiò.di regione, volgen- 
dosi verso l’occaso. Nella notte del 13 passata ad Aganés 
paesuccio situato presso l'antica Arsissa, i Kurdi tentarono 
di rubargli le bagaglie; ma alcuni colpi d' archibugio ba- 
starono ad allontanarli. Più grave affanno che da loto ebbe 
da una lettera del Pacha di Bayazid, a cui aveva raccoman- 
dato il venerabile Mahmoud-Aga, e che glie ne scriveva la 
morte ricevuta in un combattimento contro i Persiani. Il 
:14 fu sull’imbrunire a Tacheoun, ove trovò il vecchio cheikh 
musulmano, che gli aveva servito di guida nel primo pas- 
saggio e gli diede ora amorevole ospizio. Ripassò nel dì 
seguente il braccio meridionale dell’ Eufrate, e poi nell’al- 
tro il Touzla, presso alla cui riva è una salina che gli da 
il nome. Sulle sue acque, invece di barche si usano otri 
pieni attaccati in buon numero gli uni agli altri e coperti 
di paglia e di canne: costume che richiama i ‘primordi 
dell’ arte di navigare. Il 17 varcò 1’ Ak-Dagh o la montagna 
| bianca, e verso il tramontar del sole guadò 1’ Arasse. Nel 
14 toccò le cime' più alte della catena del Tek. Dagh, ond’ 
ebbe dall’ una parte in prospetto tutto il paese che si esten- 
de-fino a Van, e dall’ altra fino le lontanissime pianure del 
Diarbekir. ,, Mai non ho avuto, egli dice , nè sull’ Alpi , 
nè sugli Appeunini nè sui Pirenei, nè sull’Emo, nè in altre 
contrade montuose da me: percorse spettacolo più «grande 
di quello che presentavano queste masse immense, che sor- 
gevano tutt’ all'intorno di noi al settentrione, all’ oriente e 
all’ occaso , e le cui minori sommità erano tutte coperte di 
neve. Fra esse il Tigri, l’ Eufrate, 1’ Arasse hanno le loro 
sorgenti. ,, 

Come fu disceso nella pianura di Erze-Roum, i Persiani 
ch erano rimasti seco dopo il distacco de’ primi, anch’ essi 
il lasciarono per far ritorno nel proprio paese. Egli senten- 


x 


240 : 
dosi rifinito di forze bramò prendere la via del mare per 
giungere a Costantinopoli, e scrisse a chi si conveniva af- 
fine di ottenerne la facoltà. Si rimise frattanto in cammino 
il giorno 20 con una scorta di cavalieri turchi , proceden- 


do lentissimamente sì per dar tempo al suo messo di tor- 


nare colla risposta, e sì perchè i Turchi, allor che vanno 
per comando governativo, si prendono tutto l’agio possibile 
onde mettere frattanto a contribuzione i villaggi, che attra» 
versano. Il 21 scontrò un suo compatriota, mandatogli in- 
contro da un amico , il quale era consigliere dell’ amba. 
sciator francese presso la Porta. ,, Non posso esprimere, 
egli dice, il piacere che provai stringendo fra le braccia 
quel giovane , il qual mi recava novelle della mia famiglia 
e dello stato delle cose in Europa. Egli mi fu altresì appor- 
tatore di danaro , di cui io aveva gran bisogno ; poichè i 
doni ragguardevoli, ch’ io fui obbligato a fare non solo ai 
cavalieri della mia scorta e al governatore di Erze-Roum, 
ma anche a molt’ altre persone così in Persia che in Turchia, 
aveano pressochè esaurita la mia borsa. ,, A questo giovane 
che andava in Persia, diede lettera per lo Chah, a cui è le: 
cito scrivere direttamente , come a lui è lecito rispondere 
senza che i visiri ci mettano mano. Dormì il 22 a Tichiftlik, 
‘posto in ridente pianura sulle rive d’ un fiumicello che 
d’Anville chiama Sorman-Soui, ma il cui vero nome è Sa- 
man Souy. Osservando che le sue acque correvano al mar 
nero, sentì gr: «issima contentezza, come di segno sicuro, 
che il termine «‘el suo viaggio attraverso le barbare regioni 
dell’ Asia minore non era lontano. Questa contentezza fu 
accresciuta dalla risposta che giunse di Youssuf-Pacha , il 
quale gli concedeva di passare da Trebisonda , ed ivi im- 
barcarsi per Costantinopoli, promettendogli a quest’ uopo 
ogni assistenza. Il 23, ritrovandosi il sig. Jaubert a Gumuch- 
Khinéh, che tradurrebbesi la casa d’argento, visitò le mi- 
niere di questo metallo, poste a piccola distanza del borgo, 
e forse le stesse di cui è fatto cenno nel secondo dell’ Iliade, 
nominandosi certo paese all’ estremità del Ponto Eusino. Esse 


rr ro pe 


- 2hI 
“davano un tempo 30,000 piaspre îl mese; ora non rendono 
forse il quarto di questa somma, per l’ imperizia special- 
mente di. chi le lavora. Passò il tino viaggiatore nel gior- 
no 25 la catena de’ monti, che cingono il mar nero dalla parte 
di mezzogiorno; e ammirò al discenderne , verso Trebisonda 
le valli ridenti e sparse di abitazioni, che gli richiamava- 
no quelle della Svizzera, e della Savoja, mentre verso 
Erze-Roum tutto il paese è sterile e pietroso. A Platana, 
eh’ è il vero porto di Trebisonda , ove giunse il dì seguente, 
trovò un naviglio, che il console francese avea noleggiato 
per lui; e il 2 settembre cominciò sovr’ esso la sua navi- 
gazione cen un vento di nord-est, che se fosse stato più forte 
l’ avrebbe in sette o otto giorni portato a Costantinopoli. 
Sorto poi in sua vece un vento occidentale , tempestosiss'mo, 
fu forza metter piede a terra sulla costa di Vona , ed ivi 
ricoverarsi fra le rupi, finchè il mare si rimettesse in calma. 
Questa, dopo una settimana di aspettazione , parve ottenuta; 
ma-come il naviglio giunse all’ altezza d’ Funiéh , nuova 
procella più violenta della prima lo assalì, e poco mancò 
nol facesse naufragare. Dal suo pericolo nondimeno venne 
la sua salvezza, poichè spinto verso settentrione si trovò al- 
fine protetto dalle montagne che cingono il golfo, e potè 
esser messo all’ ancora nella rada di Coumdjughaz a poca di- 
stanza dell’imboccatura del Kizil-Ermak, e quindici . leghe 
all’ incirca al settentrione di Themiscire, “he credesi essere 
stata la dimora delle Amazoni, e che ora forma parte del 
Djanik 
> Già da lungo tempo, dice il sig. Jaubert, l'opinione 
dei dotti intorno all’esistenza di quelle eroine non è più in- 
certa. Un esercito di Sauromati , attraversato il Caucaso e'la 
. Colchide, e penetrata 1° Asia minore, si sarà fermato sulle 
rive del Termodonte. Ivi un’ imagine della loro patria, e 
l’ostacolo di larghissimi finmi, come l’ Halys, il Partenio, il 
Sangario (ostacolo che intimorì anche i Greci di Senofonte) 
avrà indotto que” nomadj a vivere nella pianura di Themi- 
seyre del prodotto de loro greggi, e del bottino che potean 


242 

fare ne' luoghi circonvicini. In Scizia le loro donne gli ac- 
compagnavano alla guerra e alla caccia; montavano a caval- ‘| 
lo, tiravano d’arco; qui verosimilmente guardavan la riva . 
Alcuni marinaj greci le avran vedute, le avranno combattu- 
te, saranno stati vinti da loro, e ne avranno conchiuso che 
tutto il paese era abitato da quelle ucciditrici d’ uomini, de- 
terminate a non ammettere alcuno in loro compagnia. Di qui 
tutte le altre favole ìmaginate intorno alle Amazoni: i loro 
combattimenti , prima per vendicare la morte degli sposi , 
indi per propria difesa, poi alfine per sottomettere i popoli 
vicini ; la spedizione da loro tentata contro Atene; la venuta 
della lor regina Talestri al campo di Alessandro, e secondo 
altri le cento ambasciatrici a lui spedite. L’ autorità de’ poeti, 
ed anche de’ filosofi e degli storici più celebri fra gli antichi 
oggi non è più di verun peso onde far credere simili cose. 
E già ognuno dee ricordarsi di quel motto di Lisimaco , 

quando Onesicrate gli lesse .l’ istoria di Talestri, con cui 
| aveva abbellito il suo libro della spedizione d’ Alessandro. 
Ove dunque era io allora? gli disse sorridendo ]’ accorto 
compagno dell’ Eroe . 

La descrizione dei contorni della rada di Coumdjughaz 
ci è sembrata, come parecchie altre, veramente graziosa : 
forse contribuisce a dar loro pregio lo squallore di tante 
scene uniformi, che non possono ricevere dalla penna verun 
abbellimento. Da quella rada il sig. Jaubert , stanco di un na- 
vigar lento, che diveniva ogni giorno più malagevole, pro- 
pose di andare, almen sino a Sinope per terra. Le ostilità 
fra i Turchi e gli abitanti del Pjanik a Bafra gliel’ impe- 
dirono. Alfine cangiato naviglio, vi approdò il 30 settembre. 
Come ciò avvenisse , le precedenti incertezze, il passar dalla 
rada a Bafra, il ritorno da Bafra alla rada, ed altre par- 
ticolarità ci parvero esposte di un modo sì dilettevole, che 
poche parti ha più belle tutta la narrazione del viaggiatore. 

Sinope , secondo le sue parole, è situata sulla parte 
più stretta d’una penisola di tre leghe di circuito, che un 
istmo sabbioso separa dal continente, ed ha, come Alessan- 


n 243 
‘ dria .d’Egitto due porti, l’ uno de’ quali sempre ingombro 
d’arene non è frequentato che da barche peschereccie, men- 
tre l’altro può offerire un asilo comodo e sicuro ai navigli 
che vengono di levante. Racchiude nel suo seno forse do- 
dici mila abitanti, un terzo de’ quali si compone di Turchi, 
e il resto di Greci che occupano un sobborgo in riva al ma- 
re, ove si trovano le case de’ consoli di Russia e di Francia 
sole potenze che in quella città abbiano un agente. I Greci 
vivono del commercio e della pesca, i Turchi si occupano 

dell'agricoltura e della costruzion delle navi da guerra. 

3 Varie tradizioni favolose, prosegue il sig. Jaubert, 
attribuiscono la fondazion di Sinope ad Autolico, uno dei 
compagni d’ Ercole ; ma par certo che questa città fu se 
non edificata almeno ingrandita dai Milesj, venuti F stabi 
lirvisi nel settimo secolo. innanzi Gesù Cristo, piacendo loro 
la sua posizione tra il Bosforo di ‘Tracia ed il Fasi, e la fa- 

‘ cilità del commercio, che indi potea farsi coi Daci, gli 
abitanti della Chersoneso Taurica, e î Sarmati del Bosforo 
Cimmerio. Diverse colonie, fra le quali Trabisonda tiene il 
primo luogo, uscirono da Sinope, che poi divenne celebre 
per altri riguardi. Essa diede asilo generoso ai dieci mila 
Greci, che dovettero in parte la loro salute ai militari talenti 
di quel Senofonte, al cui talento istorico debbono intera- 
mente la loro fama; essa vide nascere nelle sue mura Dio- 
gene il cinico, filosofo singolare e bizzarro, ma dotato di 
un’ anima energica e d’uno spitito profondo , e che meglio 
di tutti seppe valutare e far conoscere il nulla delle umane 
grandezze; in essa finalmente ebbe la culla il più implacabil 
nemico de Romani , Mitrid:te, e secondo alcuni vi ebbe pure 
la tomba per ordine di Pompeo. Farnace, figlio di Mitridate 
s' impadronì di Sinope durante la guerra civile ; ma ripresa 
dai Romani quarantacinque anni prima di G. C. ricevette da 
Cesare nuovi coloni, e grande aumento di potere. Fu quin- 

- di soggetta agli imperatori, poi a de’ priacipi indipendenti 
sino alla caduta di Davide Comneno, e alfine venne alle mani 

‘ dî Maometto II., quando questo feroce conquistatore seguiva 

LI 


244 

in Asia il corso delle proprie fortune contro i Persiani. Da 
quell’ epoca non fece che decadere dalla sua antica opulenza.,, 

Essa è posta in clima felice, sebben sia l’ultimo luogo 
ove cresca l’ olivo verso occidente, come già notò Senofonte. 
I giardini che la circondano dalla parte meridionale offrono 
anche oggi, come al tempo di Strabone, l’aspetto più ri- 
dente. Siccome la costa del mare da Sinope al promontorio 
di Kerémpéh è tutta itta di scogli , il sig. Jaubert decise 
di recarsi per terra fino ad Ineboli, distante poco più d’una 
trentina di leghe. Il viaggio del primo giorno, cioè del 14 
ottobre, fu tutto per boschi e valli piacevoli fino al.grazioso 
villaggio greco, a cui si dà nome di Stephanos. All’indo- 
mani dirupi, torrenti, intricate boscaglie. Il terzo dì poi 
nessuse traccia di sentiero, ma continuo pericolo d’ esser 
precipttato giù dagli scogli, finchè apparve il capo Kinoli, 
situato di contro al Caradja-Bouroun della Crimea. 

ss La scena cangia del tutto , dice il sig. Jaubert, allor- 
chè si discende nella fertile valle, cui bagna il fiume d’I- 
neboli. Tutto in questa valle annunzia ]’ industria deglî 
abitanti e la tranquillità di cui godono. Alti minaretti si 
slanciano in aria fra i numerosi pioppi che ombreggiano i 
giardini; molti greggi pascolano ne’ prati.. Alcune fabbriche 
son poste sull’acque che bagnan le mura e formano il 
porto d’Ineboli; diversi cantieri infine, ove si lavora senza 
posa, fabbricando navi e foderandole di rame, provano che 
il popolo di quella città è laborioso , e per conseguenza più 
felice che nella maggior parte dell’ altre provincie dell'Asia. ,, 

Il giorno 15 egli si rimbarcò, e passato la mattina 
seguente il capo Kerempéh così temuto, si fermò all’ an- 
core la sera del 18 nel porto di Kidro} cui alte montagne 
coronate di foreste circondano quasi d'ogni parte, ed indi 
si diressero ad Amastrah. Questa città siede al pari della 
capitale antica del regno di Ponto, in forma di anfiteatro 
fra due porti, mezzo colmi d’ arene, e appena ‘capaci dì 
contenere una ventina di navigli. Veduta dal mare sebben. 
sorgano tuttayia dal suo terreno alcuni fusti di colonne gre- 


1) 


245 
che e alcuni avanzi d'un tempio di Nettuno, non presenta 
che le sembianze d’un misero villaggio. 

Per quanto, dice il sig. Jaubert, si può far giudizio dal 
numero e dalla specie delle sue medaglie, fra le quali se 
“ne contano assai poche della sua fondatrice, (Amastri nipote 
di Dario) sembra ch’essa fosse città assai principale fra 
quelle delle colonie ‘dell’ Eusino . È noto ch’ essa godeva 
di un governo moderato e d’una felice indipendenza‘ Posta 
fra la Grecia e la Persia, fondata sotto la protezione d’uno 
de’ più possenti monarchi dell’Asia, cresciuta per le agitazioni 
che desolarono Eraclea dopo la morte d’Alessandro, dovea negli 
antichi tempi mandare gran luce. Ci fu ben dispiacevole il 
passarvi dinanzi, senza potervici fermare. Avevamo gran de- 
siderio di visitarne le rovine greche e romane, di cercarvi 
i vestigi dell’ antico borgo di Sesame, e di veder la cit- 
tadella di costruzione genovese, ove per una usanza ripro- 
vata egualmente dall’ umanità e dalla sana politica tanti 
| impiegati e negozianti francesi furon tenuti captivi durante 
la guerra d’ Egitto... Ma se qualche cosa poteva compen- 
sareene fu senza dubbio l’ incomparabile bellezza del pae- 
saggio, che si offerì ai nostri sguardi la sera del 23, quan- 
‘do gettammo l’ ancora nel porto formato dall’ imboccatura 
del fiume di Bartin. Sceso dalle montagne, che cingono 
dalla parte di nord-est il ricco paese d’ Angora, ed ingros- 
sato da infinito numero di ruscelli, il cui nome ancor s’ i- 
gnora, scorre esso in fondo ad una valle verdeggiante, e ri- 
flette come in uno specchio le scene agresti che lo circon- 
dano. La limpidezza delle sue acque, l’ amabil solitudine, 
l inalterabile freschezza delle sue rive li ottenne dai Greci 
il nome di Parthenio, o di Virginale, che merita ancor oggi 
pei medesimi pregi. Se non che tutti i doni che la natura 
ha prodigati alla valle di Bartin; un clima delizioso, un 
suolo fecondo, un porto sicuro, un fiume il cui letto è sì 
profondo , che sostiene i più bei legni mercantili, i quali 
veleggiano sovr’ esso. molto dentro terra, sono affatto ne- 
gletti, Qual delizioso ritiro non sarebb’ esso per un uomp 


{5 
I 


246 
amico insieme della ione e delle lettere o dell’ arti! 
Il poeta vi si sentirebbe ispirare dalle rimembranze d’ Ome- 
ro, d’ Alessandro, d’ Annibale, di Mitridate e di tuti gli 
uomini illustri, i quali o ebbero il nascimento, o vissero un 
tempo nell' Asia minore. L’ antiquario vedrebbe ivi le trac- 
ce d’ un gran numero di monumenti famosi; il naturalista 
vi troverebbe animali, piante, fossili. degni delle sue osser- 
vazioni; il pittore vi scoprirebbe i brillanti effetti e le fe- 
lici gradazioni di luce che ammira nei quadri del Lorenese; 
il saggio infine vi godrebbe quella pace soave quella tran- 
quillià profonda, che gli ‘sembra ed è infatti il AO e 
il più desiderabile dei beni. » 

Perduta appena di vista questa valle amenissima, nella | 
quale si fermò per ben tre giorni,il nostro viaggiatore fu 
sorpreso da fiera tempesta. Trentasei ore ebbé a lottare 
contro il furore de’ flutti, da cui fu cento volte minacciato 
di naufragio contro gli scogli, che circondano il capo Kili-' 
moli. Aifine giunto a Philio, risolvè di andare ad Eraclea 
per terra, ed ivi giunto in otto ore di cammino, vi trovò 
una delle fregate turche lasciate a Platana, il cui capitano 
aspettava il suo arrivo per far vela verso Costantinopoli. 

ce La città d’ Eraclea , egli scrive, colonia antica di 
Megara, che i Turchi appellano Erekli o Elegri, è fabbri- 
cata sul pendio d’ una collina, che guarda fra mezzo giorno 
, e ponente. La sua rada e il suo porto sono però, in estate , 
abbastanza sicuri a cagione delle eminenze che li circon- 
dano. La sua popolazione è di cinquemila anime all’ in- 
circa, e si compone principalmente di Turchi, i quali sem- 
brano aver ereditato la pessima fama degli antichi abitanti 
della costa, che si estende all’ occaso da Eraclea sino al 
Bosforo. Come l’ ingresso dello stretto è nella notte diffi- 
cilissimo, nè può riconoscersi che coll’ajuto de’due fari elevati 
sulle due opposte rive dell’ Europa e dell’ Asia, quei bar- 
bari accendono dei fuochi, onde ingannare i naviganti e far 
rompere i loro vascelli. Dicesi che sì odioso costume non 
sia per anche intieramente abolito. » 


/ 


247 

Loda in seguito il sig. de Hauteroche, che seppe, al- 
meno per pochi mesi far. rispettare il nome francese 
nella inospitale Eraclea, ove nessun console europeo potè 
mai essere ammesso ; e riporta una lunga sua . nota 
sulla posizione della città, la sua dimensione, il suo porto, 
i suoi contorni, per cui è corretto d’ Anville, e spiegato 
Strabone, e aggiunta bella dovizia di cognizioni alla scien- 
za dei geografi. 

Rimbarcossi il 30 ottobre, ed entrato verso la sera del 
dì seguente nel Bosforo scese poi a Tarapia, grazioso vil- 
laggio sulla costa d’ Europa a quattro leghe da Costanti- 
nopoli. Ivi stette per alcuni mesi a riposarsi nella bella vil. 
letta dell’ ambasciator francese il general Sebastiani, alter- 
nando spesso il soggiorno della campagna con quello della 
capitale vicina. Alfine ben ristabilito in salute, prese la via 
del Danubio, e visitata parte dell’ Alemagna e della Po- 
lonia, onde recarsi al quartier generale del suo. monarca, 
si trovò a Danzica il 21 EIARDOS e di là fece ritorno alla 
patria e ai suoi cari. 

Della notizia che segue sul Ghilan e sul Mazenderan, 
provincie contigue e finora poco conosciute, della Persia, 
noi altro non diremo, se non chè serve di eccellente com- 
mento a quella parte del viaggio, ove di esse è fatto un 
breve cenno. Superficie, clima, prodotti, porti, comunica- 
zioni, luoghi importanti, nulla è obliato dalla diligenza del 
sig. colonello Drezel, alle cui osservazioni il cavalier Jaubert 
aggiugne talvolta le proprie. La bellissima carta del sig. 
Lapie è accompagnata d’ alcune note preziose, le quali din 
no ragione delle differenze che s’ incontrano fra essa e 
quella di d’ Anville, presentano tali differenze in una tavola 
comparativa, indicano ciò che sarebbe a farsi onde perfe- 
zionare la' geografia dell’ Asia minore, dell’ Armenia e della 
Persia, si afforzano cogli estratti de’ migliori e più recenti 
itinerar. Questa parte così breve, e che porta titolo così 
modesto, è veramente la più dotta del libro, e chiunque la 
esamini vedrà essere il frutto d’ immensi studj. Ultimo e 


248 i 
non infimo pregio del libro medesimo, il quale comprende 
30 fogli in 8.°, è un indice ben fatto delle materie, che 
nell’ opere moderne si lascia così spesso desiderare. Alcune 
stampe litografiche rappresentanti luoghi, persone, è costu- 
mi orientali, fra le altre un ritratto del principe Abbas- 
Mirza, e una veduta di Bayazid, e della catena di monti 
che separa la Turchia dalla Persia, traducono all’ occhio 
ciò che la penna precisa e brillante dell’ autore del viaggio 
aveva assai bene delineato all’ imaginazione- M. 


Voyage critique è l’ Etna ec. Viaggio critico all’ Etna 
nel 1819 del sig, di GorrsiLLon. Tomo 2.° Parigi 1820: 


\ 


(V. Antologia tomo IV. pag./229) 

Dopo aver visitato con gran pericolo il vulcano Siculo 
con l'immaginazione ancora ingombra di quel gran colosso, 
solo, e senza compagnia di verun viaggiatore, imbarcossi, 
il sig. di Gourbillon a Catania per la patria di Teocrito, 
di Archimede, e di Mosco. I marinai siciliani, sono, per 
quanto ‘ei dice, la sola classe di persone di quel paese, in 
cui egli ha trovato disinteresse, franchezza, e benevolenza. 
Vestiti di uda camicia priva di colletto e di maniche di una 
specie di larghi sottocalzoni, che non giungono neppure al 
ginocchio, senza calze, senza scarpe, non hanno bisogno , se 
non di un istante per mettersi in stato di pretta natura, 
quando la necessità di gettarsi in mare lo richiede. Raden- 
do la spiaggia, il mostro viaggiatore oltrepassò l’ imbocca- 
tura del Simeto, la vecchia torre detta l’ Aguglia, il ponip 
dell’ antica Megara, e giunse a Siracusa. 

La quantità prodigiosa di antichità, di cui abbonda la 
città, dove regnarono un tempo i due Dionisi, induce il 
sig. di Gourbillon a compiangere la situazione de’ viaggia- 
tori costretti a lasciarsi condurre dai Ciceroni, persone nè 
bastantemente istruite, nè troppo ignoranti, nè assolutamen- 


- 


249 

te necessarie, nè affatto inutili; imperciocchè costoro senza 
lasciar loro un momento di riposo, li fanno passare dalla 
profondità di una tomba alla sommità di una torre, e da 
un luogo in un altro stancandoli ed annoiandoli con pochis- 
simo frutto. 

Per mettere un ordine nel narrare ciò che ha veduto, 
incomincia il nostro autore dal descrivere la situazione di 
Siracusa, e delle quattro città, nelle quali a’ suoi tempi più 
floridi era essa divisa, cioè Acradina, Tica, Napoli, e l’ i- 
sola detta Ortigia. La città moderna non consiste che in 
quest’ ultima. e non ha di circuito se non una lega, dentro 
cui ritrovansi dodici conventi di frati, nove di monache, 
due o tre seminarj, da sessanta o settanta chiese, oltre le 
cappelle, gli oratorj, e le confraternite di varie specie; e 
compreso tuttociò, il nostro autore assicura, che tutta la po- 
polazione ascende appena a quattro o cinque mila anime. 
Varie rvine ed avanzi delle antiche fabbriche di Ortigia 
sono i frammenti di un tempio di Diana, di un altro di 
Minerva, dei bagni, degli aquedotti, e dei pozzi. Il no- 
stro viaggiatore avendo visitato accuratamente tutte queste 
antichità, ce ne descrive lo stato attuale con la sua solita 
franchezza e vivacità, ed ecco ciò ch’ egli dice riguardo ai 
bagni. 

‘—» Il primo di essi fu scoperto nel 1805, e 1806 in una casa 
particolare posta nel vico donavia, piccola strada nel quartiere 
di S. Giovanni Battista. Mentre nettavasi una vecchia cisterna, 
furono trovati cinquantadue gradini di muro: questi mettono 
in una sala piccola ,, e quadrata; nel mezzo della quale sono 
quattro pilastri che ne sostengono la volta, e nel centro di que- 
sta è un anello di ferro probabilmente destinato a tener sospesa 
una lampada, 1 uso del quale non può esser qui tenuto per 
raffinamento di lusso inutile. Dirimpetto alla porta interna sta 
un banco tagliato nella grossezza del muro. Qui la dotta mia 
guida con gravità mi fece osservare, che quel banco era un 
sedile, e di più che gli antichi vi sedevano sopra, sia prima, sia 
dopo del bagno! Un poco più in lì, mi arrestò di nuovo, per- 
ché ammirassi un’ altra meraviglia dello stesso genere: dall’uno dei 


T. VI. Maggio 17 


250 

lati della sala, di cui si tratta, è una porta, o almeno l'apertura 
di una porta, e siccome è indubitatamente meravigliosa cosa, 
che una porta antica avesse la sua soglia, e i suoi gangheri, 
mancando gli uni e l’altra, mi fece osservare dove erano stati! 
Io gli fui obbligato dell’ osservazione, perchè essa m°’ impedì di 
rompermi il cotto sulla soglia della porta antica ! Questa fa ca- 
po ad una specie di stretto canale, fiancheggiato da due forti 
muraglie, ch'egli mi diede per un bellissimo corridojo; io mi 
introdassi carpone in un altra camera, detta la sala dei bagni 
d'acqua dolce. Nel mezzo di questa vidi infatti una specie di 
fossa quadrilanga, nella quale sarei forse disceso, se per mia 
sorte, non fossi stato prevenuto dalla mia guida, che in fatto 
di monumenti antichi, le scale erano peggiori ancor delle soglie . 
Finalmente per ultima meraviglia mi fu mostrato un foro, che 
mi assicurarono essere stato un pozzo, ‘e che io credo si aprisse 
ad uno degli angoli della sala dei bagni di acqua dolce. Questo 
foro 0 pozzo era oscuro, ed asciutto quanto il bagno medesimo; 
il che non impedì al sig. abate Capodieci di scuuprir quivi l’an- 
tico ricettacolo delle acque sudicie e infette lasciate dalle ma- 
trone di Ortigia dopo d’ essersi bagnate. ,, 

Il sig. Abate Giuseppe Maria Capodieci citato dal no- 
stro viaggiatore è infatti l’ autore dell’ opera intitolata : 
Antichi monumenti di Siracusa illustrati ec. Il sig. de 
Gourbillon descrive co’ soliti colori 1’ abitazione di questo 
Nestore degli antiquarj Siculi, la stanza in cui si dedica alle 
sue dotte disquisizioni, le iscrizioni, e gli epitaffi di cui ne 
son rivestite le pareti, gli scaffali intarlati e polverosi carichi 
di antichità sparse ancora su i tavolini , e sul pavimento ; nul- 
iadimeno rende un debito omaggio al talento , alle fatiche in- 
defesse, al merito di quell’uomo singolare, il quale negli ul- 
timi dì del suo vivere aspetta ancora la ricompensa dovuta 
ai suoi patriottici sforzi - 

Gli antichi pozzi di Ortigia, la fonte di Aretusa, la bi- 
blioteca, il piccolo porto , il museo danno occasione ad al- 
trettanti articoli nell’ opera del sig. de Gourbillon. La statua di 
Venere creduta quella descritta da Ateneo ed altri antichi autori 
coll’aggiunto di Cal/lipiga, che in esso museo si conserva, trasse 
a sè la di lui attenzione per la bellezza delle sue forme, e per la 


251 
rozzezza del panneggio. Questo bel monumento dell’ antica 
scultura fu ritrovato il dì 7 gennaio 1804 in uno scavo, ed 
in mezzo a rottami di colonne e di capitelli, che facevano 
fede dell’ esistenza del tempio dedicato alla medesima Dea. 
È però mancante della testa e del braccio sinistro: il de- 
stro è rotto in due pezzi e mal restaurato. Osservasi an- 
cora con soddisfazione nello stesso museo la statua di Escu- 
lapio, ed il busto di Timoleone, nello zoccolo del quale, 
quando fa scoperto nel 1530, leggevasi l’antica iscrizione 
repubblicana fatta radere poi nel 168 dal governatore di 
Siracusa. Asserisce il nostro autore, che vi si legge attual- 
mente un’ ordine del giorno relutivo ai colpi di cannone, 
che tirar si debbono dai forti della città nel dì festivo di 
S. Jacopo Apostolo . 

Passando agli antichi monumenti d’ Acradina descrive il 
sig. de Gourbillon le latomie, che in essa e nelle altre parti 
della vecchia Siracusa ritrovansi. 

Rapi, dic’ egli, di smisurata altezza, perpendicolarmente ta- 
gliate; pilastri enormi, i quali sostengono volte non meno grandi; 
ponti, ed archi sospesi in alto; aquedotti, sotterranei, canali, 
pozzi, grotte, caverne profonde, in cui la luce non ha mai pe- 
netrato, e l’aria stessa s’ insinua con pena; masse di pietre in- 
formi , le une rovesciate sulle altre, come tante reliquie del 
caos primitivo, muraglie. consumate dal tempo, e dalle acque 
piovane; tali sono i primi tratti delle latomie di Siracusa ; tale 
è l'imponente spettaccolo, ch’ esse presentano: spettacolo il 
quale accresciuto ancora dalla magia dei tempi, dei nomi, delle 
rimembranze, e della loro esistenza di due mila anni vi colpisce 
al tempo stesso di spavento, di sorpresa, e di orrore. ,, 

La folla degli scrittori attribuisce questi grandi scavi 
al celebre Dionisio, e comunemente si crede, che servissero 
di carcere ai prigionieri fatti da quell’ accorto tiranno e 
dai Siracusani; ma è cosa veramente difficile a concepirsi, 
come nel breve spazio di 38 anni, quanti durò il regno di 
quell’ usurpatore, potessero farsi lavori di un estensione sì 
smisurata, che sarebbe bastata per porre in ceppi noù solo 
l’avmate di Atene e di Cartagine, ma tutta ancora la po- 


p TÀ 
292 


polazione di Siracusa, poichè le latomie si estendono quanto 
“la stessa antica città. i 

Simil ragionamento fa il nostro autore intorno alle ca- 
tacombe, che occupano tutto l'antico posto di Acradina, 
Tico, e Napoli; quella detta la grande, in Acradina, è un 
laberinto- inestricabile di strade, ed anditi, ora diritti, or 
tortuosi, dai lati dei quali veggonsi nicchie larghe e profon- 
de ripiene di sepolcri tagliati com’esse nel vivo sasso, tutti 
della forma medesima, e senza distinzione di ornamenti . 
Alcuni altri viaggiatori trovando una rassomiglianza tra que- 
ste catacombe e quelle di Roma e di Napoli, e calcolando sul 
silenzio degli antichi scrittori intorno ad esse, hanno creduto 
che la loro costruzione si dovesse riferire a’ tempi del Cristia- 
nesimo; ma il nostro autore distruggendo 1’ argomento della 
lor somiglianza , rigetta a ragione quello della mancanza di 
testi, che ne ragionino, e ne tira una conseguenza del tutto 
opposta . Non sono infatti, come quelle di Roma e di Napoli, 
formate queste catacombe nel sasso massiccio, strette, basse, 
con i sepoleri fatti nel muro a guisa di fori; ma sono, co- 
me egli dice, tagliate a giorno, con archi regolari sotto cia- 
scheduna nicchia, di un altezza e larghezza tale, che una 
carrozza vi potrebbe passeggiare, se vi si potesse introdurre, 
ed i sepolcri sona, come si è detto, rinchiusi in nicchie 
particolari, ognuna delle quali ne contiene un numero più 
o meno grande. Oltre a ciò il trovarsi qua e là figure 
simboliche d’Iside e della Vergine, di Dei penati e di Cri- 
sto, patere, vasi lacrimatorj, lampade di ogni sorte, cose 
appartenenti alle cerimonie funeree dei Pagani e dei primi 
Cristiani, sembra dover condurre a concludere, che queste 
catacombe furono, Dio sa quando, costrutte per servir di 
cimiterio universale commune a tutti gli abitanti di qua- 
lunque religione essi fossero. 

Fra le latomie del quartiere detto Napoli è celebre la 
così detta grotta parlante o sia Vl orecchio di Dionisia, 
Consiste quest’ antichità in un sasso enorme, che $’ innalza 
circolarmente, nel mezzo del quale si apre una grotta, la 


253 
cui pareti sono di due linee curve, una concava e l’ altra 
convessa. La forma straordinaria, l’ eco che vi si sente, la 
lunghezza e 1’ oscurità dell’ apertura, le hanno fatto dare i 
nomi che porta, nella supposizione, che essa sia la famosa 
carcere del re Dionisio, di cui fa parola Cicerone nelle Ver: 
rine. Le misure che dietro la scorta del Capodieci ne dà 
il nostro viaggiatore sono le seguenti . 

Circonferenza esterna palmi siciliani 536 (1) 


Altezza dell’ apertura 80 
Larghezza della medesima alla base 25 
Larghezza del mezzo della grotta 66 
Larghezza del fondo 20 
Lunghezza totale 224 


Una certa nicchia, che trovasi nella grossezza esterna 
della grotta, in qualche distanza dalla di lei apertura, ha fatto 
credere a più viaggiatori ed antiquarj, che quivi fosse il tim- 
pano dell’ artificiale orecchio, e che questo avesse communi- 
cazione con una camera, in cui si nascondesse Dionisio per 
udire tutti i discorsi, che i detenuti facevano nella sottoposta 
caverna , e scuoprire i secreti delle sue vittime. Il nostro 
viaggiatore dubitando a ragione di questa volgare supposi- 
zione, volle salire su questa nicchia, ed accertarsi della di lei 
probabijità. Udiamone il racconto da lui medesimo . 

Questa camera, o piuttosto nicchia, è scavata nel sasso stesso 
Aelrca 60 0 70 pisa sopra la base della grotta, e vicinissima alla 

i lei apertura. Il mezzo, che viene adoperato per salirvi, è ri= 
dicolo e poco sicuro. Un uomo incaricato di ciò, dopo di essersi 
arrampicato sulla montagna, e giunto alla sommità della grotta, 
lascia cader fino .a terra i due capi di una corda trattenuta da 
un certo palo situato sul margine della rnontagna; ad un capo 
di questa corda si attacca un bastone di forza e larghezza ba- 
stante a sostenere il peso di un uomo. Il curioso deve assidersi 
sopra questo mobile seggio, colle due gambe a penzolone da una 
parte e dall’ altra della corda, la quale lo solleva come una 
secchia. Frattanto mentre un altr’ uomo a piè della roccia si 


(1) Il palmo siciliano secondo il nostro autore corrisponde a pollici 9, 
linee 4 de) piede Parigino. 


254 
appende alla porzione della corda, la quale serve di leva a quella 
che vi innalza, un terzo con l’aiuto di ‘ue cordicine appiccate 
alle estremità del bastone dirige, e trattiene il meglio che può 
quel seggio mobile e vacillante; precauzione, senza cui il cu- 
rinSO tito in pericolo di rompersi le gambe o il cupo nel 
muro, sopra il quale si arrampica. 

3» Io lo confesso francamente: nel momento, in cui tentai 
l'impresa, mi erano completamente ighoti questi dettagli; m’im- 
maginava così alla buona, che non si trattasse quivi, se non di 
girare per di dietro all’ enorme sasso, e poscia arrampicarsi 
sopra una scoscesa montagna. Or per chi di recente era uscito 
dall’ Etna, non era in ciò nulla di spaventevole; ma la cosa non 
tardò a prendere un diverso carattere. Appena ebbi manifestato 
il mio desiderio, la mia guida allontanasi; e ritorna poscia con 
ire contadini, uno dei me porta un enorme canape; serne va 
quindi solo non so dove. Gli altri due s’ avvicinano al piè della 
montagna, e quivi si mettono. a guardare in alto, come se at- 
tendessero, che qualche cosa fosse loro gettata . Io intanto mac- 
chinalmente mi posi a misurare lo sjazio, che separavami dalla 
sommità, e non so perchè, questo spazio non mi piacque punto. 
Ma tosto che vidi ricomparire il contadino sult’alto della mon- 
tagna, e scendere verso noi 1 due capi del canape in questione, 
indovinai la sorte che mi si preparava; e misurando di nuovo 
la lunghezza della via, avrei dati ambedue i miei orecchi per 
non vedere quello, di Dionisio! Nulladimeno non era più tem- 
po di retrocedere; feci, come dicesi, contro fortuna coraggio ; 
e dopo esserini raccomandato a tutti i Santi del paradiso, infor 
cai tremando il bastone, e diedi il segno della partenza. 

» Lascio che il lettore giudichi, qual figura io facessi / La 
posizi ne era così falsa, l’ attitudine tanto ridicola, che se aves- 
si potuto rimirar me medesimo, l'allegria avrebbe di certo su- 
perato il timore, e sarei morto in aria ridendo . Non la lunghezza 
del viaggio, nè la natura stessa del cammino me lo impediva, 
quanto l'ignoranza tot.le, in eui mi trovava, ed in cui ancora 
mi trovo, della maniera più o meno solida, con la quale era 
sostenuto di sopra il mio carro aereo . Finalmente, ad eccezio- 
ne di qualche lieve scorticatara, arrivai sano e salvo al mio 
scopo; & ;iunsi al maledetto orecchio, e m’introdussi nel timpano 
più dio che potei. Collocatomi nella mia niechia . . . secondo 
il convenuto, i due contadini e la mia guida, i quali più feliei 


255 
dli me potevano far uso delle lor gambe, si portavano nei di» 
versi punti della grotta, per ascoltarvi le mie domande, e per 
farmene : non vi fu mai scena piu comica, nè di peggior dia- 
logo : quando io parlava loro di Dionisio, essi mi parlavano del 
Capodieci; quando dicea lor di tacere, gridavano tutti insieme. 

Ecco, ciò non ostante, il risultato delle osservazioni da me 
allora fatte. Quando quegli uomini erano pochi passi di là dal- 
1’ ingresso della grotta, e quasi sotto di me, non c’intendevamo 
se non con molta pena ; quando essi erano nel mezzo, non sola= 
mente bisognava che alzassimo la voce, ma che mettessimo an- 
cora un intervallo ben lungo fra l’ una e l’altra parola pronun- 
ziata ; nel fondo della grotta la difficoltà d’ intendersi cresceva 
ancor più; finalmente sia sull’ ingresso, sia nel mezzo, sia nel 
fondo della grotta, tosto che essi parlavano tutti insieme, o non 
adopravano le necessarie pause; allora non si udiva, che un sordo 
morinorio , che suoni confusi e non intelligibili. i 

Da queste osservazioni conclude il nostro autore, non 
sembrargli possibile, essere questa grotta la latomia di cui 
1’ orator romano favella, nè la forma di orecchio,. che se 
le attribuisce , esser altro se non un capriccio di qualche 
antiquario. Narra iufatti Vincenzio Mirabella (2), che il 
pittore Michel Angelo da Caravaggio viaggiando in Sicilia, 
ed osservando la struttura di essa grotta, credè di ricono- 
scere in essa la forma medesima senz’ altra guida, che dei 
proprj occhi, e della sua immaginazione; d’ onde nacque poi 
la tradizion popolare. 

Rigettando quindi la sudetta opinione volgare, ed esclu- 
dendo l’ identità della grotta parlante: con la latomia di 
Cicerone, congettura ìl sig. de Gourbillon, che quell’ im- 
mensa caverna sia stata formata da qualche natural fenome- 
no simile a tanti altri, di cui la Sicilia e le due Calabrie 
hanno forniti esempj all’ istoria; e che l’ arte si sia poscia 
servita della natura, per trarne la pubblica utilità di pro- 
curarsi un passo più commodo e breve, onde unire la par- 
te del quartiere o città di Napoli situata a piè della mon- 
tagna con l’ altra della città medesima posta sopra di essa, 


{2) Dichiarazione della pianta delle antiche Siracuse. 


256 
Dopo un esame così accurato del preteso orecchio di 
Dionisio, si meraviglia il nostro autore, che gli antiquarj 
tutti e i viaggiatori non abbiamo fatta veruna, o piccola men- 
zione di un altra caverna detta de’ furai poco da quella 
distante. In questa grotta 


L’occhio, dic’ egli, abbraccia una caverna, la cui apertura 
è di cento o centocinquanta passi; l’ altezza, e la profondità è 
proporzionata alla larghezza e la vista si perde, per così dire, ’ 
sotto quella volta unica e maestosa, la quale cuoprendola, gra» 
vita leggermente sull’insieme dell’ edifizio. Indarno qui ricer- 
cherebbonsi quelle forme curvilinee, quella volta triangolare, cui 
un sistema più ingegnoso che giusto pretenderebbe. attribuire 
alla prudenza di un architetto: qui un pilastro solo sostiene la 
volta immadnaa; la quale non è.che la rupe, sopra cui s’ innal- 
zavano e s’ innalzano ancora il teatro, il coliseo, e le tombe del- 
lantica città. L'effetto generale è ancora accresciuto dalla 
fabbrica di corde, la quale vi è stabilita, e dà il nome alla 
caverna. Questa fabbrica è così ben situata, che oltre |’ utile 
assai raro di un luogo ben coperto tuttochè di estensione im- 
mensa, la canapa, che ivi si lavora, può essere lavata in una 
limpida sorgente di acqua, la quale scorre nel fondo della grotta 
per un canale praticato nel sasso. 

Gli avanzi dell’ antico teatro di Napoli somministrano 
al sig. di Gourbillon altre riflessioni sulla poca esattezza 
de’ viaggiatori, e sopra i sogni degli antiquar); ammira la 
bella situazione di esso, ed osserva con stupore, che mo- 
dernamente nel di lui centro sieno stati eretti due mulini. 
Ma più di questo teatro, e del luogo dove era l’ anfiteatro 
nel quartiere medesimo , l’occupano le vie sepolcrali, fra 
le quali fu scoperto da Cicerone il sepolero d’ Archimede 
obbliato già dagl’ ingrati concittadini appena cento trenta- 
nove anni dopo la sua morte. Queste vie simili a quelle 
di Pompeia, ma più strette e più brevi, sono tagliate nel 
sasso, e possono ancora per molti secoli sfidar le ingiurie 
del tempo e degli uomini. 

Sulla sommità di Napoli medesima era Epipoli, colli- 
na, che domina tutta la città di Siracusa, ed è composta di 


259 

tre piccole sommità, sulle quali furono già i tre castelli di 
Labdato, Erapilo ed Eurialo, oggi trasformati in un bor- 
go detto Belvedere. Ma Epipoli non formava una parte 
della città distinta da Napoli, come alcuno ha erroneamente 
creduto, male interpetrando un passo di Plutarco, e di Dio- 
doro. Esisteva ancora un secolo fa la porta di Labdalo, per 
cui dicevasi che fosse entrato Marcello nella città. Mostra- 
no a’ viaggiatori il luogo di quella porta, e tre altri pic- 
coli buchi, che suppongono fossero altre tre porte di esso 
castello. Sul numero delle porte neppur gli antichi scrittori 
sono d’ accordo; chi ne attribuisce a Labdalo cinque, chi 
sei: il nostro autore conclude questa questione col dire, 
che per quante mai ne avesse prima, ora certamente è il 
più meschino di tutti i castelli. 

Le vicinanze di Siracusa sono una delle opere più rare 
della natura: quella parte del territorio chiamata dagli an- 
tichi campo Siracusano, è un soggiorno favorito dal cielo; 
il fiumicello Anapi scorre in mezzo ad esso tranquillamente, 
e riceve un altro ruscello. noto presso i classici col nome 
della ninfa Crane; ruscello, le cui acque crescono e decre- 
scono seguendo le fasi medesime della luna. Sulle loro 
sponde, come su quelle del Nilo, cresce il papiro, pianta, 
dice il nostro autore, 

A cui dobbiamo il nome, i fatti, gli scritti degli uomini grandi, 
Ja vimembranza delle grandi azioni, l’esempio delle virtù e de’ vizj, 
lè arti, le scienze, le lettere; pianta senza il soccorso della quale 
Ja poesia e l’istoria non esisterebbero punto; e noi forse nep- 
pure sapremmo leggere. 

Eppure nè il papiro medesimo fu conosciuto dai mo- 
dernì Siciliani prima che un naturalista inglese, il Giderfleet, 
viaggiando nell’ isola, ve lo scuoprisse nel 1764, nè l’espe- 
rienza fatta dal cavaliere Saverio Landolina di Siracusa per 
ottenere una specie di carta ha avuta alcuna conseguenza - 
Finalmente trovansi nel campo medesimo due colonne sen- 
za capitello; misero avanzo del tempio di Giove Olimpico. 

. O sponde dell’Anapi, grida il sig. Gourbillon partendo da 


258 è 

Siracusa per Agrigento, rive incantate della Ciane, luoghi ignoti 
ma felici, guardatevi dall’invidiare una fama funesta, e rallegrate- 
vi dell’obblio in cui immerse giacete. Egli è vero che più non ave- 
te la vostra pompa, lo splendore, la magnificenza; le vostre torri, 
i templi, i palazzi sono distrutti: ma i feroci Cartaginesi, i guer- 
rieri non men fieri di Atene e di Roma non vi calpestano più 
col loro piede superbo ; l' aquila altiera sopra voi più non si 
libra; le lagrime di un popolo schiavo non ingrassano il vostro 
deserto suolo; gli adulatori de’ tiranni non vengono a versarvi 
il superfluo delle loro rapine. Umili adesso quanto già foste 
superbe, dimenticate ora, più che un giorno famose, non avete 
più nè lusso, nè ricchezze, nè per conseguenza encomiatori ; 
neppur più conoscete il nome dell’ oro. L’ uomo ha da voi ri- 
preso tutto ciò che l’uomo vi aveva dato; ma la natura nulla 
vi ha tolto, e quel che da lei tenete, val più di quello ch’ ei 
vi ha levato. 


Il nostro viaggiatore fu costretto a fare il viaggio da 
Siracusa ad Agrigento sopra il dorso dei muli, non essen- 
dovi nell’isola altre strade per i carri, che circa dieci leghe 
intorno alla capitale. Si pagano da tempo immemorabile 
tasse stabilite per costruirle, ma non sono ancora costrut- 
te: ed alla loro mancanza debbe attribuirsi il difetto del- 
I industria, del commercio; della coltivazione, cause pri- 
marie della miseria dei contadini. Poche osservazioni con 
siderabili potè fare sulle antichità, che si trovano in quel 
cammino: visitò le strade sotterranee dell’ antica Eubea, 0g- 
gi Licodia, il lago Pergusio, celebre per esservi seguito il 
ratto di Proserpina, e situato due leghe lungi da Enna det- 
îta presentemente Castrogiovanni, Argiria patria di Diodoro, 
Calatanisetta , e vari altri luoghi: passò per Gela, oggidì 
Alicata, per la pretesa torre di Falaride, e giunse ad Agri» 
gento . 

Quest’ antichissima città fabbricata dagli abitanti di 
Gela, divenuta una delle primarie città Greco-Sicule, ce> 
lebre per il commercio, per il lusso e le ricchezze, per la 
tirannia del crudele Falaride, è oggi una città’ irregolare; 
e meschina situata sopra un monte scosceso, che domina in 


259 

una valle anticamente tutta abitata, ora ripiena di rovine; 
è la città di Girgenti. Sta essa distante un miglio dal ma- 
re, e vi si trova una cattedrale, in cui si veggono tre sar- 
cotagi antichi, uno de’ quali ornato di bassi rilievi di qual- 
che merito . Se a ciò si aggiunga una collezione di medaglie, 
e due belle patere, che son nella biblioteca, si avranno tutte le 
cose più notabili della moderna città. Male ruine dell’ antica 
sono senza dubbio assai più interessanti; e le colonne rimaste 
‘în piedi dei tempj di Giunone Lucina e di Ercole attestano la 
magnificenza di quegli edifizj. Il tempio della Concordia esiste 
quasi ancor tutto intiero, isolato, circondato da 34 colonne di or- 
dine detto dal sig. de Gourbillon dorico etrusco, o greco si- 
culo, con due facciate ugualmente ornate, una delle quali 
all’ oriente, 1’ altra all’ occidente. La sua figura è un qua- 
drilungo perfetto, e tutta la fabbrica posa sopra sei gradini, 
i quali unitamente alla situazione ne accrescono la ‘bellezza. 

Il quarto tempio, cioè quello di Giove olimpico , de- 
scritto da Cicerone e da Diodoro, caduto intieramente in 
rovina nell’ anno 1401, non sarebbe oggidì che un ammasso 
di macerie, se il marchese Hans non avesse concepito nel 
1801 il nobile progetto di scavare tutta la di lui area, e 
riparare all’ incuranza de’ passati sopraintendenti alle anti- 
chità Siciliane. L’ esecuzione fu affidata a D. Giuseppe Lo- 
presti dotto avvocato di Girgenti e profondo antiquario, il 
quale riuscì a poter dissotterrare tutta la pianta dell’ edi- 
fizio in modo, che il curioso indagatore può concepire una 
chiara idea della distribuzione interna ed esterna di esso. 
Compiange il sig. de Gourbillon quest'uomo rispettabile, il 
quale dopo aver dissipata in questo lavoro una parte dei 
suoi averi, languiva carico d' anni e di famiglia, in situa- 
zione deplorabile, quasi privo di tutto, col solo compenso 
della pubblica stima. 

La tomba che porta il nome di Zerone, perchè cre- 
duta di quel tiranno, è 1” ultimo monumento Agrigentino 
visitato da sig. de Gourbillon, ma intorno ad esso l’ opi- 


260. 
nione del nostro autore si diparte da quella del volgo, ed 
egli ragiona in tal guisa: 

lo ho buoni occhi, e gli adopero; dopo aver osservati tutti 
i monumenti antichi anteriori all’ ultima invasione dei Romani, 
vale a dire alla presa di Siracusa, non ne ho veduto pur uno, 
il quale sia nell'insieme, sia in veruna delle sue parti, mi pre- 
senti in effetto il genere di costruzione, come quello , che 
or mi sta su gli occhi (la tomba di Terone); tutti quei monu- 
menti sono di quella specie d’ ordine, detto comunemente do- 
rico, e che io ho distinto col nome di dorico etrusco, o greco 
siculo ; al contrario il monumento di cui si tratta mi presenta 
l’ ordine jonico, onde io mi credo autorizzato a concludere, che 
esso è di una data posteriore a tutti gli altri da me veduti, e 
per conseguenza non ha potuto esser la tomba nè del vecchio 
tiranno d’ Agrigento, nè dei cavalli, di cui parla Diodoro. 

Da Agrigento passò il nostro viaggiatore a veder le 
rovine di Selinunte, onde poi restituirsi a Palermo passan- 
do per il promontorio Lilibeo. Su quella via poco lungi 
da Girgenti, s° imbattè in una antica città sotterranea, di 
cui non aveva trovata veruna memoria in qualsisia autore, 
che delle cose di Sicilia favelli. Non sapendo perciò che 
pensarne, inclina a credere, essere una di quelle città asse- 
gnate tanto dagli antichi, che da’ moderni storici per dimora 
e per asilo dei primi abitanti dell’ isola, detti Sicani, e con 
favoloso nome Ciclopi, e Lestrigoni. Quindi dopo aver in- 
contrati alcuni luoghi di minore importanza, arrivò a Sciacca 
città situata a piè del monte Cronzo, oggi detto di Calo- 
gero da un Santo del medesimo nome che già qui visse, 
ed or v' è sepolto. Questa città non è priva di monumenti 
pubblici, nè di case particolari, che non spiacerebbero in una 
gran città: vi sono alcune fabbriche di vasi di terra cotta, 
e di altro, le quali provano, che qualche industria esiste 
ancora fra quegli abitanti. Vantasi di esser la patria dello 
storico Fazzello, del famoso re Agatocle, e tutti riconoscono 
in essa il luogo delle terme Selinuntine. Sono infatti quivi 
nella montagna quattro sorgenti di acque sulfuree, ‘una delle 


261 


quali è caldissima, due altre meno calde ma pur tiepide, una 
quarta è di natura petrificante, e ad essa si attribuisce la 
cava di pietre, che le è vicina. Un altro fenomeno presentasi 
in una caverna alla sommità del monte, cioe si ode un rumore 
violento attribuito da alcuno a venti sotterranei, da altri a 
torrenti impetuosi, i quali gettansi in quell’ abisso. Final- 
mente presso la piccola Chiesa dedicata al già detto Santo, 
sono tre altre grotte, in una delle quali è un bagno naturale 
a vapore famoso nell’ antichità. Diodoro dice chiaramente, 
che Dedalo lo costruì in quest’antro, d’onde usciva un vapore 
sì caldo, che faceva sudare a poco a poco coloro, i quali vi 
si fermavano, e li guariva da alcune malattie. 

Le rovine di Selinunte giacciono sparse sulla costa Sici- 
liana che guarda I Africa, nel centro del distretto della Mari- 
nella, presso la torre detta dei Palici. Consistono in avanzi 
di tre tempj, delle mura della città, e di alcuni altri edifizj 
privati, consistenti in fusti di colonne e basamenti, ed in altri 
ruderi di minor importanza. Poco soddisfatto di sì deboli 
residui di antichità, continuò il sig. de Gourbillon il suo viag- 
gio, e giunse ad Entella detta oggi Castelvetrano , patria di 
Francesco Maggio compositore di musica vissuto nel secolo 
XVII. 

La memoria di quel maestro induce il nostro autore a 
riflettere, quanto la musica attuale d’ Italia sia allontanata 

dalla antica semplicità, e si lamenta di vedere applaudite su 
| i teatri delle stesse capitali c le composizioni mostruose (co- 
me égli dice) del sig. Giovacchino Rossini» ed obbliati i ca- 
pi d’ opera degli antichi professori. Sebbene nei conservatorj 
di Napoli si proibiscano ‘agli alunni le opere del medesimo 
‘compositore, 


Non è men certo, continua, che il giovane artista, uscito 
appena da quella scuola una volta sì celebre per distinti talenti, 
ridotto a lavorare per vivere, è costretto contro sua voglia, e 
quasi a dispetto delle regole dell’arte di piegarsi al cattivo 
gusto del secolo, di sacrificare la natura alla bizzaria, la grazia 


alla ridicola affettazione, !’ espressione al fracasso, è costretto a 


262 


convertire l’ orchestra in un parco d’ artigheria , il teatro im 
un campo di battaglia, ed a soffocare rossinicamente la voce dei 
cantanti sotto i raddoppiati colpi dei tamburi, dei tromboni, 
dei pifferi, e delle campanég . Da queste osservazioni risulta, che 
il gusto della buona musica è quasi perduto nell’ Italia stessa, 
e particolarmente in Napoli, città, la quale ne fu per tanto 
tempo la culla; e che l’arte traviata nel suo cammino, allonta- 
nandosi sompre più dal suo scopo, priva oggimai dei grandi 
principj, che la sostennero, non tarderà molto a cadere in 
quel medesimo obblio, che già cuopre il nome e i capi d’opera 
dei grandi maestri. (3) 

Una giornata lungi da Castelvetrano sulla costa meri- 
dionale è situata Mazzara, città, che dà il nome ad una 
delle valli o provincie della Sicilia, della qual provincia fu 
fatta capitale dagli Arabi, quando se ne impadronirono nel. 
l’anno $26. Di là da Mazzara è il promontorio Zilibeo, detto 
presentemente Boco da una cappella dedicata ad un santo del 
medesimo nome. È quivi un sol monumento antico, vale 
a dire il pozzo della Sibilla Cumana, le di cui acque cre- 
devano gli antichi che communicassero a chi le beveva la 
virtù di conoscere l’ avvenire, « Per disgrazia dei principi 
e dei p»poli, dice il nostro autore, queste acque preziose 
sono intieramente inaridite . » 

A piedi del Lilibeo è la città di Marsalla in territorio 
fertile particolarmente di vini, i quali passano per i migliori 
della Sicilia. La preparazione de’ medesimi vien fatta per 
conto della casa, e della ragione Wood House d'Inghilterra, 
la quale così fa insieme la sua fortuna e quella degli abi- 
tanti. Quanti altri rami d’ industria simili a questo sono 
ignorati o trascurati in Sicilia, da cui gli speculatori nazio- 


(3) Il merito degli attuali compositorì di musica incomincia ad essere un 
nuovo soggetto di controversia, e var] giornali già principiano a.discatere sulle lo- 
ro buone qualità e 1 loro difetti, Il pubblico generalmente applandisce alle opere 
del sig. Rossini, la maggior parte dei vecchi maestri , e dei puristi musicali 
le biasimavo . Noi ci guarderemo bene dal decidere teoricamente del gusto; 
ci sembra però assai difficite, che mentre gli amatori, e i coltivatori della 
musica si moltiplicano per tutta l’ Italia, possa credersi così vicina la deca- 
denza di un arte cotanto estesa. 


263 


nali potrebbero ritrarre un egual profitto! La fertilità del 
terreno supera tutti i calcoli e !e esperienze già note; eppu 
re il paese è in gran parte deserto e abbandonato, 

Viaggiando da Marsalla a Trapani, si hanno in vista 
le isole Egusa o Favognana, di Marittimo, e di Levanzo. 
Trapani, anticamente Dyapanum, è attualmente una delle 
città più belle dell’ isola. La sua situazione favorevole al 
commercio, e l’ industria degli abitanti, la mantiene flo- 
rida ed in una attività che manca a quasi tutte le altre città 
Siciliane. Un miglio all’ incirca distante da Trapani s’innalza 
il monte Erice così noto ai poeti e agli istorici, il quale 
supera in altezza eccetto l’ Etna, tutti gli altri monti di 
Sicilia. Il tempio famoso di Venere, e la città che vi era 
fabbricata non esistono più, nè se ne trovano pur le vesti- 
gie. Il barone di Riedesel nel suo viaggio in Sicilia ha sup- 
posto, che 1’ idea d’ edificare quivi il santuario alla dea 
della bellezza fosse venuta dalla beltà delle donne, che in 
quei dì l’ abitarono; ma il nostro autore fà su tale propo- 
sizione le riflessioni seguenti; 

Iddio mi guardi dal sospettare, che qualche esagerazione 
siavi nelle osservazioni, sulle quali appoggia il nostro autore il 
suo sistema! il suo libro è già vecchio, e le cose dopo di esso 
ponno esser cangiate . Neppure vorrei espormi ad offendere l’a- 
mor proprio di tutte le delle, le quali senza dubbio esistono 
nella città di cui si tratta; nè dubito, che non vi sia più d'una 
la di cui bellezza potrebbe far fortuna; voglio credere, che sieno 
tutte Zianche come una tedesca o una inglese, e ch’ esse uni- 
scano ad una bellissima carnagione, degli occhi grandi, e pieni 
di fuoco, un profilo alla greca. Ma quando io 1’ avrò creduto, 
come potrò farlo credere agli altri, se gli occhi miei non si sono 
incontrati con alcuna di queste persone così bianche, di que- 
ste carnagioni così belle, in una parola in verun profilo alla 
Greca? Io sarò stato sfortunato al certo, poichè è ben provato, 
che il sig. Barone li ha vedati! 

Da Trapani il signore di Gourbillon passò a Castella- 
mare, dove udì una curiosa predica, e poi si condusse a 


(9 


264 
Palermo. Quindi imbarcossi per Napoli, dove gli sembrò 
che ricominciasse l' Europa. 

Quest'opera leggesi con soddisfazione per la franchezza 
e la vivacità, con cui è scritta. Può il nostro viaggiatore essere 
annoverato tra quegli oltramontani, che non si lasciano tras: 
portare dalle prevenzioni del proprio paese, nè vincere dai 
pregiudizi di quello che percorrono, che non esaltano la 
propria nazione, nè deprimono le altre, che cercano la ve- 
rità a dispetto delle altrui esagerate assertive, che criticano 
con esattezza senza troppo dar peso alle loro opinioni, e che 
possono essere utili senza tralasciare di piacere. F. G. 


L’ Eerrro sotto MenEMED-ALI, 0 brevi riflessi sull’am- 
ministrazione civile e militare di quel vicerè pub- 
blicati da F.J.Joryr sul manoscritto di P. Tre- 
venaT-Duvent console francese in Alessandria, un 
vol. in 8.° di 230 pag. Parigi 1822 presso Picrer. 


nuovo ine di , che regna a I e il 
Il ordine di cose, cl g ttualmente in 
itto; è un suggetto importante di riflessioni i filo- 
Egitto; ggelto importante di rifl per i fil 
sofi, i politici, ed i negozianti di tutti i paesi civili, 
L'Inghilterra e la Francia, che sono interessate, 1’ una 
per superiorità di marina, e per le sue relazioni coll’ In- 
ie, l’altra per situazione geografica ad osservare atten- 
die, l’ altra p L geografica ad osservare atten 
tamente i progressi del sistema regolare d’ amministra - 
zione, che si è introdotto in quel paese, riguarderanno 
orse i grandi cangiamenti, che vi sono accaduti ’0c- 
forse i grandi cangiamenti, che v ccaduti, coll 
chio d’ una politica gelosa, o puramente mercantile, 
L'Inghilterra ha da temere una rivoluzione, per.cui si 
venga a riconcentrare in Alessandria il commercio del- 
Europa coll’ Indie; e renderla un’altra volta 1° em- 
porio dei tesori dell’ Oriente. La Francia ha perduto 
male a proposito di vista, che la strada del capo di 


265 
buona speranza non è quasi più niente per il suo com- 
miercio, mentre l’ incivilimento, e l’ indipendenza asso- 
luta dell’ Egitto dal trono di Costantinopoli produrreb- 
be i più vantaggiosi risultamenti per tutte le nazioni, 
che abitano sulla costa del mediterraneo; e la Francia 
potrebbe esser la prima a profittarne. 

Quanto a noi, che non siamo nè Inglesi nè Fran- 
cesi; noi che, sebbene discendiamo da un popolo grande, 
il quale dominava un gzorno anche in Egitto, non ab- 

* biamo in politica nessuna mira ambiziosa, noi che 
d'altronde ci troviamo posti dalla natura nella più 
utile situazione per fare il commercio coll’ Africa, e per 
tenerci in relazioni continue con quel paese, non saremo 
accusati di prevenzione nè di mala fede, se manifestia- 
mo altamente il desiderio, che | Egitto divenga uno 
stato indipendente , forte, e civile, e che offra così di 

muovo un vasto campo all’attività ed all’ industria degli 
Italiani. 1 nostri interessi non son divisi da quelli di 
tutti gli altri popoli navigatori e commercianti del me- 
diterraneo; noi non siamo animati da altro sentimento, 
che dall’ amore della specie umana, e della civiltà. Una 
‘volta facevamo voti per veder riuscire l’ impresa più 
filantropica, che potesse mai tentarsi in quelle contrade 
per mezzo dell’ armi; oggi ne facciamo, perchè Mehe- 
med alì amministratore dell’ Egitto conservi per lungo 
tempo, e trasferisca ad un figlio degno di lui l’autorità, 
che esercita sì degnamente. 
“Con questa maniera di pensare, noi ci diamo ogni 
| premura, per raccogliere tutte le notizie, che i viaggia- 
‘tori dei nostri giorni ci procurano sullo stato attuale 
«dell’ Egitto, e particolarmente sul governo benefico, che 
:lo ha liberato dall’ anarchia, e dal dispotismo dei ma- 
melucchi. Ma i viaggiatori ci parlano quasi sempre d’an- 
IT. VI. Maggio ig 


266 


tichità, di templi, di sepolcri, di mummie, di piramidi; 
e noi vorremmo piuttosto conoscere gli uomini, i quali 
vivono nella bella valle del Nilo, e vorremmo sapere 
ciò che se ne può sperare per l’ Egitto e per noi, per 
la generazione presente, e per l’ avvenire. Provammo 
dunque piacere nel ricevere avviso, che stava per pub- 
‘blicarsi l’opera di cui siamo per vene conto; l’atten- 
devamo colla piu viva impazienza . Ma debba con- 
fessare, che siamo restati delusi nella nostra espettativa. 
Tutto ciò che vi cercavamo avidamente vi è taciuto 0 
appena accennato: mentre vi abondano le minuzie inutili, 
che non credevamo di dovervi trovare. Questo libro po- 
teva riuscire superiormente filosofico; poteva essere una 
appendice preziosa all’ opere dì Raynal, e di Peuchet; 
non ve n’ è neppur l'ombra . 

Fortunatamente per la gloria di Mehemed alì, noi 
sappiamo per l’ asserzioni concordi di iutti i viaggiatori, 
ch'egli è realmente un grand’uomo nella sua sfera; che 
i Cristiani ji quali vivono sotto le sue leggi, gli hanno 
molte obbligazioni; che l'Europa culta deve a lui la per- 
missione di far viaggiare liberamente per tutto l’ Egitto 
gli uomini istruiti d’ ogni nazione e d’ ogni religione, 
con una sicurezza ignota finora negli stati musulmani. 

Ma se non sapessimo tutto cio per altra via, non 
potrebbe sicuramente persuadercene il libro , che abbia- 
mo fra mirano; poichè è talmente ripieno dalla prima 
all’ ultima pagina di tratti d’ adulazione per Mehe- 
med alì e si vede tanto chiaramente che il console 
francese ha voluto far la corte al principe , negli stati 
‘del quale risiede, o a qualcuno de’ suoi favoriti, che è 
‘impossibile, quando non si conoscano d'altronde gli ùo- | 
mini, e le cose di non diffidare in gran parte dei suoi 
racconti. 


267 

La letterà dedicatoria al vicerè è uno scritto real- 
mente curioso; si potrebbe chiamare un compendio di 
storia egiziana. L'autore ha avuta l’ abilità di fargli pas- 
sare in rivista in quattro sole pagine Sesostri, Cambise, 
Alessandro, i Tolomei, Augusto, Tiberio, Adriano i ca- 
lifi, i sultani, ed i mamelucchi; ed in ultima analisi 
di dirgli, che è superiore a tutti i passati dominatori dell’ 
Egitto, e di predirgli, come può imaginarsi, il piu lumi- 
noso avvenire. 

Per quanto grandi siano 1 talenti politici di Mehe- 
med alì, dubitiamo, che le sue cognizioni in fatto di 
storia non si estendano molto al di là del governo dei 
mamelucchi , e crediamo che non avrà inteso il senso 
di quel discorso, con cui l’autore gli richiama a memo- 
ria la morte di suo figlio . « Principe il nome di Germa. 
nico eccita la vostra tenerezza paterna, e risveglia la me- 
moria d’ un antico affanno. Il principe Tussum rapito 
da una morte prematura (1) all’ Egitto, che lo piange 
ancora, ebbe la sorte dello sposo d’ Agrippina j come 
lui pare che il destino abbia voluto solamente mostrarlo 
alla terra » . Piu oltre l'autore, ad imitazione di Byron 
dà all’ Egitto il nome di /iobe delle nazioni. In fine 
termina la dedica , colla protesta: « Il linguaggio sempli- 
ce della verità sarà sempre il distintivo del mio discorso, 
allorchè dovrò parlare di miglioramenti, o indicare le 
riforme, che attende l’ Egitto dalla vostra giustizia, e 
‘dalla vostra bontà, per veder cessare i mali che prova. 
La verità quasi sempre lontana dal palazzo dei re, la ve- 
rità che si nasconde quasi sempre anche ai grandi; 1 qua- 
li stanno al fianco dei re, o gli rappresentano, deve, o 
Principe, palesarsi a voi, quando il vostro potere e la 


(1) Tussum figlio di Mehemed alì morì nel 1816 in età di venti anni al 
sampo di Damanhur; dava grandi speranze. 


268 i 


felicità dei popoli affidati alle vostre cure lo esige: Come 
europeo io parlo secondo lo spirito delle léggi, e delle. 
istituzioni del mio paese; come francese, scrivo con liber- 
tà, ma con saviezza. » 

Quest’ ultima parte della dedica, e soprattutto la. 
protesta dell’ autore ci aveva alquanto riconciliati col 
libro; attribuivamo tutto ciò che vi è d’ ampolloso e d’i- 
perbolico nella dedica alla necessità, in cui siera forse 
troyato , di farla scrivere in arabo o in turco, e di adot+ 
tare per conseguenza qualche frase un poco orientale, 
per lusingare l'amor proprio del principe; e speravamo 
di trovarlo fedele all’ impegno ‘contratto; di tenere il 
liuguag ‘gio semplice della verità nel suo discorso. Ma. 
giova il ripeterlo, il libro è pieno di tratti di adulazione, 
ì quali mal si convengono ad ogni classe di scrittori , 
molto piu all’ agente’ di una delle prime nazioni dell’Eu- 
ropa, il quale, sia detto di passaggio; avrebbe ‘dovutordif. 
ferire la pubblicazione del libro fino al tempo im cui 
lascierà il suo posto. Come console residente, i suoi 
consigli confidenziali sarebbero stati piu utili all’ am- 
ministratore dell'Egitto; come scrittore lontano dal tea- 
‘tro delle grazie, e dei favori avrebbe inspirata ‘maggior 
fiducia nel pubblico. dj \ 

Pure bisogna esser giusti; tra le adulazioni,e le frasi 


esagerate v è in quel lità Guibiotie idea nuova, e qual- 
che buona riflessione sullo stato attuale dell’ Egitto . Ne 


‘trarremo tutto ciò, che a nostro credere può interessare 
i lettori; aspettando che qualcuno fra gl’ Italiani, i qua- 
li viaggiano in quel paese, ci faccia conoscere ciò che 
può interessare più particolarmente l’Italia nelle sue 
‘relazioni commerciali coll’ Egitto . 


269 

r': “Mehemed. alì ha oggi quasi, cinquant’ anni } mon ne aveva 
trenta; quando si mostrò per la ‘prima volta in Egitto ; venne. 
cogl Inglesi a difenderlo contro. l’ aggressione dei. Francesi 
nel 1798, lo difese dopo con, ugual coraggio contro gl’ In- 
glesi; represse. gli Arabi bedovini, che infestavano il paese, 
ed allontanò i mamelucchi, che pretendevano di ricuperare 
l’autorità suprema. Il governo dell’ Egitto fu dunque la ri- 
compensa de’ suoi, talenti militari, e del suo valore; non 
l’ottenne nè per i capricci d'una sultana, nè per i raggiri 
del serraglio. Un ingegno superiore, uno spirito osservatore 
e scevro di pregiudizi, un colpo d’ occhio giusto e fino per 
valutare gli uomini, e per giudicare degli avvenimenti, un 
anima intrepida benchè sensibile, un coraggio riflessivo, ma 
‘capace di grandi azioni, tali sono le qualità che distinguono 
-Mehemed ali, e che lo porranno-forse un giorno tra i grandi 
uomini dell’ impero Ottomanno. 

Lavori pubblici. Le fortificazioni del Cairo e d’ Ales- 
sandria devono grandi aumenti ad Alì Alessandria ha, oggi 
un. secondo ordine di mura ; la cinge inoltre un ampio fosso. 
È difesa da bastioni e da forti in tutti i punti accessibili 
‘tanto per mare che per terra.  Fortificavano modernamente 
all’europea anche il castello di Abukir, e la costa donde si 
iva alle cisterne di Marabuth, le quali sole paepisdorto di 
‘acqua i bastimenti stazionati nel porto d’ Alessandria. — Le 
pianure che dividono Rosetta da Alessandria son quasi in- 
«teramente a. livello col mare, e non offrivano alle sue inva- 
sioni altr? ostacolo, che una. costa di sabbie, fra) le quali si 
‘aprivano senza difficoltà un passaggio per inondare le terre 
-dell’ interno. Quando il Nilo crescendo ingrandiva anche i 
«laghi; l’acque dei laghi e del. mare si gettavano a gara 
«sulla pianura, e la cangiavano in una palude pestifera. Me- 
ibemed alì fece inalzare sulla costa un argine largo due metri 
«sopra ‘una linea di tre leghe, per difender la. terra dalle 
invasioni del mare; e attualmente il sole ed i canali artifi- 
ciali inaridiscono a poco a poco le terre inondate. -— Al 


‘270 

tempo dei Tolomei un gran canale riceveva l’ acque del Nilo 
presso Ramaniez , e portindole ad Alessandria offriva così 
una comunicazione sicura tra Alessandria e il resto dell E- 
gitto, senza che si dovesse passare per la bocca di Rosetta, 
che è tanto pericolosa per la navigazione. I Francesi pen- 
savano a ristabilirlo ; calcolarono che vi volevano tre ‘anni 
ed/un millione di lire. Alì lo ha riaperto , impiegandovi 
da centomila lavoranti. Per ora si aggira in mezzo ad un 
deserto arido e tra le sabbie; discende per. due rami nel 
Nilo quasi dirimpetto alla città di Foua ; presso Alessandria 
termina in una specie di golfo, che serve di porto alle 
barche . 

Progressi dell’ agricoltura. Il territorio d’ Alessandria 
ricusava ogni cultura per la sua aridità, e per i sali, ond’è 
preguo. Negli scavi eseguiti per la costruzione del gran ca- 
nale, si ottenne una gran quantità di terra propria alla 
vegetazione, che i coltivatori distribuirono nei giardini. Fra 
poco raccoglieranno nei contorni d’ Alessandria i legumi e 
gli ortaggi, che compravano a caro prezzo dal Delta e dal- 
ll arcipelago . — L'agricoltura progredisce in tutto } Egitto, 
sebbene i coltivatori ricusino ostinatamente d’ impiegare i 
nostri istrumenti da lavoro. Coltivano oggi in grande l'ulivo 
ed il gelso nel Fejum, provincia deliziosa , ricca d'ogni sorta 
di frutti e di fiori. Le sue rose procurano per mezzo della 
distillazione una essenza preziosa, che si consuma in tatto 
l'Egitto, in Levante, in Europa e fin nel serraglio. I) vicerè 
ha pure stabilita a sue spese una gran piantazione d’indaco, 
ed ha introdotta nel paese la cultura dell’ ananasso e del 
manglo, che riesce a meraviglia nel territorio di Kené. — 
Gli Arabi erranti del deserto vicino acconsentono a poco a 
poco a lasciare la professione perigliosa di masnadieri per 
coltivar la terra, dacchè Alì ha accordato alla nazione la 
facoltà di prendere in affitto le terre più vicine al deserto. 
In tutto l'Egitto i capì di villaggio sono incaricati sotto Je 
pene più severe d’invigilare al mantenimento dei canali, 


27 ì 
che servono all’ irrigazione delle terre, di farne aprire dei 
nuovi, d’ingrandir quelli, che sou già aperti (2). 

Lo stato delle produzioni , che passano in commercio 
dà una idea dell’abondanza delle raccolte (3). 

Le terre coltivate in tutto ]’ Egitto oltrepassano di poco 
le due mila leghe; eppure producono in granaglie, riso, ie- 
gumi, ed altre derrate di che nutrire tuiti gli abitanti, di 
che, provvederne Costantinopoli , e di che mandarne anche 
all'estero. Eppure è certo, che l’agricoltura non sta in Egitto 
in proporzione colla fertilità naturale della terra, e che i suoi 
progressi son ritardati non solo dal religioso rispetto dei 
coltivatori per gl’ istrumenii aratorj' nazionali, ma più an- 
cora dagli ostacoli, che vi frappone il governo, volendo 
determinare la quantità delle terre, e la qualità dei grani 
da seminarsi, il tempo e il prezzo di vendita delle raccolte. 
Così l'agricoltura non giungerà mai al suo più alto grado 
di prosperità, finchè non si lascieranno i coltivatori in libertà 
di scegliere le terre e le derrate da coltivarsi , finchè le 
terre non si coltiveranno per l’utile di chi lavora, finchè 
il coltivatore non diverrà proprietario delle raccolte come 

4 

(2) Sotto il governo dei mamelucchi contavano ottanta canàli artificiali 
sulle terre del Nilo; erano in gran parte lunghi dieci venti e trenta leghe; 
ma sei solamente erano provvisti d’ acqua per tutto l’anno; gli altri s'inaridivano. 
quando il fiume rientrava nel suo letto. Oggi almeno cinquanta conservano l’ ac- 
que per tutio il tempo necessario all’ irrigazione. 

(3) L’ Egitto vende annualmente all’ estero tre millioni di staja di grano 
un millione e ottocentomila-staja di fave, un millione e novecentomila staja di gr? v- 
turco, lenti, lvpini, ceci, e seme di lino, un millione e quattrocente mila staja di 
riso, ottautamila cantari di cotone, trentamila di lino, quindicimila di canapa, 
dodicimila d’ olio di lino, quindicimila di zafferano, duemila d’indaco, sessanta 
mila di soda, un millione di cantari di natrone, cinquantamila di sal di nitro, 
cinquantamila di lana, trentacinquemila di zucchero, cinquemila di sale ammo- 
miaco, e quarantamila pelli greggie, Nota dell’ autore. 

Per prendere una idea della raccolta totale in granaglie, bisogna aggiun- 
gere otto millioni di staja di granaglie, che ‘vanno a Costantinopoli a titolo 
di tributo, venti millioni di staja per lo méno, che consumano gli abitanti 
dell’ Egitto, ed i pellegrini della gran caravana, che va ogni anno alla Mecca, 
e diciotto a venti carichi di granaglie, che vanno annualmente a Dgeida 
per il consumo del basso Hedsjas, o della terra santa. 

Nota del redattore . 


272 
è proprietario dei campi, e finchè la sola concorrenza fion 
determinerà i prezzi delle derrate. i 

I paesi paludosi , le terre vicine ai grandi laghi / tutto 
il Delta o il basso Egitto sono esclusivamente consacrati alla 
cultura del riso ; il frumento , l'altre granaglie, ed i legumi 
sono sparsi in tutto l'Egitto: rendono più nelle provincie 
basse, che nell’ alte; ma i grani delle terre vicine alla Te- 
baide sono più in pregio ugualmente che il cotone ed .il 
zucchero. La cultura dell’ indaco è riserbata per certe terre 
pìù ricche come il Fejum. Sebbene la natura spieghi per 
tutto la sua magnificenza, edi suoi tesori, pure nell’ altò 
Egitto, sulle due rive del Nilo, e quasi sulle frontiere dei 
due deserti la terra è più fertile, e più generosa in raccolte. 
Ivi i campi son pieni di cocomeri, pasteche, cetrioli, e di 
mille specie di frutti deliziosi, che confortano lo stanco 
viaggiatore; ivi i giardini si rivestono di tutto il lusso della 
vegetazione senza il soccorso dell’ arte per la dolce influen- 
za d'una eterna primavera ; ivi nelle foreste sempre verdi 
i datteri, i sicomori, i cedri , i meligrani ; i tamarindi, 
gli aranci fan vaga mostra di fiori e di frutti, e riempiono 
l’aria di soavi profumi; ivi il banano, la vite, e l’acacia 
si confondono, e s intralciano insieme. Reca meraviglia che 
le terre meglio coltivate, e più fertili siano poste nel fondo 
delle valli, che conducono al mar rosso, ed all’ oasi di Si- 
vah. I contorni di Meravi, di Araba e di Siuth tengono 
il primato per Y abondanza delle raccolte. i 

Industria, fi.bbriche. L° ifdustria degli Egiziani nell’ 
arti, e nelle manifatture è sempre nello stato in cui si trovava 
tre secoli prima. L’indolenza naturale di quel popolo non 
permette di sperare , che progrediscano. Mehemed alì ha 
preso il partito d’invitar gli artisti ed i manifattori europei 
a stabilirsi in Egitto, di accoglierli generosamente , d’inco- 
raggirli con premj, di porli alla testa dei grandi stabilimenti 
d’ industria. Così l'Egitto ha oggi parecchie fucine, nelle 
quali lavorano in acciajo, e fondono armi d’ ogni calibro ; tina 
quantità di telaj, nei quali tessono stoffe di seta, articolo 


273 
prezioso , perchè i musulmani ne fanno grand’ uso, e. una 
quantità anche più grande di telaj per le tele di cotone e 
di lino (4); inoltre fabbricano sapone, raffinano zucchero , 
distillano ogni sorta di liquori (5). 

. Comumercio. Anche il commercio resterebbe stazionario, se 
Mehemed alì non cercasse d’ estenderlo colle proprie specula- 
zioni. Venti bastimenti di trecento a mille tonnellate, che gli 
appartengono , viaggiano per suo conto e diffondono in tutti 
i porti dell’ Europa non solo gli articoli dell’ Egitto, ma 
anche quelli che vi vengono dall’Indie dall’ Arabia, dall’A- 
bissinia, dall’ Africa interna, dalla Siria. E siccome la sua 
flotta è ben lungi dal bastare a tutte l’intraprese, che può 
esegnire, ne affida una gran quantità ai negozianti del paese; 
e non è raro che una casa, la quale non gode di verun 
credito, ne ottenga per due o tre milliom in derrate, alla 
sola condizione di pagargliene il prezzo dopo la vendita. Si 
crede che gli dovessero negli ultimi anni per questo titolo 
da venti millioni di live. Le ultime spedizioni di grani riu- 
scirono male, perchè alla fame successe all’ improvviso una 
grande abondanza; bisognò vendere a perdita. Ma Mehemed 
alì acconsenti. a condonare agli speculatori una parte del 
capitale, e gli determinò con nuovi soccorsi a continuare 
de spedizioni. 
Il commercio di Mehemed ali non si limita alle esporta- 
zioni. I suoi bastimenti si provvedono nei porti d’ Earopa di 


(4) Le tele di lino e di cotone impiegavano modernamente un gran 
vumero d’ Arabi e d’ Egiziani. Giovani, vecchi, e fanciulli dei due sessi vi 
trovavano. di che occuparsi, e di che provvedere alla propria. sussistenza . 
Mehemed alì ha creduto di render piu attiva la manifattura, comprando tutti 
i telaj, incaricandosi di pagare i tessitori, di somministare le materie prime 
e di vendere tutte le tele per proprio couto: l'industria non vi ha guadaguato 
niente, ed è probabile che Mehemed alì perderà piu presto o piu tardi il 
(capitale , che ha impiegato, e dal quale non ritrae di gran lunga il guadagno, 
che procurerebbero altre speculazioni. 

' (5) Fabbricano inoltre stoffe di lana a Medina, scialli di Jana a Girgeh, e‘a 
RKeoneh; e pin in grande a Medina, che ne vende ottomila al mese; fabbricano al 
Cairo stoffe di seta, selle, Boiizelai da cavalli, e sproni alla turca, stoje in colori, 
polvere da munizione, e preparano marrocchini rossi e gialli: a Damietta oltre 
le tele fabbricano bei fazzoletti che ricmano in seta, Nota del reduttore, 


- 


274 

pani, stoffe di seta, e d’articoli di lusso d’ ogni genere, 
che rivende poi nel paese ad esclusione dei negozianti men 
ricchi, i quali non sono nel caso di sostenere la concorrenza. 

L'Egitto fa un commercio esteso colla Siria, 1° Asia 
minore, Costantinopoli, la Barberia, 1 Europa, 1’Indie, 
l'Arabia e l' Africa interna. Le colline di Latakiè gli pro- 
curano il tabacco per la via di Damietta , che manda in 
eambio alla Siria marittima riso e caffè ; e la Siria marit» 
tima cambia l’uno e l’altro col cotone e coll’ olio della Siria 
inteina. L’importazione del tabacco ascende annualmente a 
sei millioni di libbre. Beiruth spedisce al Cairo per la via 
di Damietta la seta ed il cotone de’ Drusi, e de’ Maroniti; 
ne trae in cambio grani, riso, e caffè. Il sapone di Ramlè 
e d’Hebron va in Egitto per mezzo del porto di Jafa. He- 
bron manda in Egitto i vetrami necessarj per il suo consu. 
mo, e per Costantinopoli. Jafa trae da Damietta il riso per 
Gerusalemme, e manda in Furopa per la via d' Alessandria 
reliquie, brevi, e corone. Il cotone e i datteri della Nubia 
bassa discendono da Deir al Cairo per il Nilo; l'Egitto paga 
in sale, tabacco, tele, e saggina. Siene invia al Cairo i dat- 
teri, e la sena del deserto, e ne trae tabacco, e caffè ; la sena 
passa in Europa. Gli Arabi della tribù d’ Ababdeh portano 
per mezzo di muli fino al Nilo il carbone d’ acacia , che 
fanno ‘nel deserto, e vi comprano saggina, tele, e sego. 
Anche gli abitanti della Nubia profittano delle inondazioni 
del Nilo per caricar sui foderi il carbone d’acacia, che trag- 
gono dalle valli del paese, e prendono in cambio dal Cairo 
saggina, e sale. Le tre tribù arabe di Tor vendono in Egitto 
cammelli , capre, e gomme. Gli Arabi nomadi del monte 
Sinai vi portano di tempo in tempo mandorle, gomme, e 
carbone ; vi vanno in caravane di cinquecento uomini con 
sel o settecento cammelli. L'Egitto riceve le più belle schiave 
dalle terre dell’ Astapus e dell’ Astaboras nell’ Abissinia. Il 
vino che viene da Samo, da Scio, e da Malta è pagato in 
grani, caffè, e tabacco. Il natrone per il commercio coll’Eu- 
ropa vien raccolto nei due laghi di Nedebè, e Sedè , i quali 


; np PI IR 
son vicini al monte Nitria. Le stoviglie di Kennè, e soprat- 
tutto i vasi da rinfrescar l’acqua si vendono in tutto l’Egit- 
to, nella Siria, nell’ Asia minore, e nell’ arcipelago Il riso 
del territorio di Rosetta va a Costantinopoli; quello di Man- 
surah in Europa. Infine il pesce salato dei grandi laghi di 
Menzaleh e di Burlos, l'essenza di rose del Fejum, il zaf- 
ferano bastardo di Gizeh, l'oppio d’ Abutig e di Siuth, le 
stoviglie d' Achmin, le stoje ed i tappeti alimentano del 
pari il commercio coll’interno, e coll’ estero (6). 

La gran caravana dei pellegrini, che vanno ogni anno 
alla Mecca, e le caravane di negozianti, che vanno a Suez, 
ed ‘a Kosseir sul mar rosso, portano in Egitto gli articoli 
dell’ Arabia e dell’ Indie (7). Le caravane di Sebua , Sennaar, 
Dongola, e Fur vi portano gli articoli dell’ Abissinia, della 
Nubia, dell’ Africa interna. L’ Abissinia vi manda schiavi, 
legno d’ ebano, avorio, e molta polvere d’oro (8). Le ca- 


(6) Oltre gli articoli noverati dall'autore, l’ Egitto esporta cotone, lino 
filato, tele, lana, gomme, cassia, triaca, storace, nitro, sale ammowiaco, in- 
censo, caffè, oppio, datteri, tamarindi, belzuino, aloe, indaco, zucchero greggio 
ed in pani, cannella, cassia, coriandro, noci moscade, noci vomiche, car- 
damomo, pepe, garofani, muschio, zenzero, spigo-nardo , rabarbaro, salsapa- 
riglia, denti d’ elefante, pelli di bove, di vacca, e di bufalo, marrocchini, e 
sagrini, penne di struzzo e d’ aghirone, alume di roccia , nva di pesce salate, 
tutti articoli che raccolgono nel paese, o che vi vengono dall’ Indie, dall’ A- 
rabia, dall’ Africa intera, dall’ Abissinia. Il commercio d’ Alessandria ascende 
a più di trenta millioni di lire, e di Damietta a più di sessanta millioni. 
Il porto di Damietta riceve più di ottocento bastimenti turchi e barbareschi, 
il porto d’ Alessandria da trecento a quattrocento turchi, e più dì cento europei. 
Rosetta manda a Costantinopoli cinquecento mila staja di riso; Meravi vende 
un millione e dugento mila staja di grano del. suo .territorio. Il Cairo ri- 
ceve dall’ Africa interna dodici mila schiavi, che ‘vanno in gran parte a 
Costantinopoli, e nell’ Asia minore, e costano dodici millioni di lire; dall’ Arabia 
per la via di Suez trentamila fardi di caffè, ‘che costano quindici millioni 
di lire, e dall’ Indie per più di venticirque millioni di lire in tele, stoffe, 
scialli di Cascemire, spezierie, droghe, pietre preziose e perle. 

Nota del redattore. 
(7) Il commercio dell’ Egitto coll’ Indie è più esteso che non si crederebbe. 
Le dogane dei porti del mar rosso, rendevano; non è molto tempo, di che 
pagare tutte le spese dello stato. Ed anche sotto 1 amministrazione ‘dispotica 
dei mamelucchi, la provvisione del vicerè, che ascendeva a tre millioni di 
lire, si prendeva sulle rendite delle dogane del mar rosso. 

($) Quando la zecca del Cairo coniava le monete per l’ Egitto, v' im 


296 

ravane di Tombuctù vengono frequentemente nel Sennaar», 
e nel Fur (9). La vendita delle merci, che portano le ca- 
ravane în Egitto, da qualunque paese vengano è libera , 
interamente libera, checchè ne dicano i calunniatori ;.il vi- 
cerè non influisce mai sui prezzi, e non è il primo a sce- 
gliere, se non che per il caffè e per l’avorio, due articoli 
che paga secondo il prezzo fissato dai venditori. 

Il porto vecchio d’ Alessandria, che prima del governo 
di Mehemed Alì era riserbato ai soli bastimenti dei mu- 
sulmani, è oggi aperto a tutte le nazioni della terra. Così 
‘Alessandria può divenire un’ altra volta il centro del com- 
mercio tra l’occidente el’ oriente. Sotto gl'imperatori ro- 
mani al tempo di Plinio l’ Egitto faceva un commercio 
immenso coll’ Indie, sebbene non vi guadagnasse cinquecento 
millioni, come si è detto. Mehemed Ali è da qualche tempo 
in grandi relazioni, soprattutto ‘con Bombay, per la via di 
Suez. Si pretende che vi abbia mandato in cinque anni per 
ventidue millioni di numerario. Potrebbe anche darsi, che 
volesse fondare un grande stabilimento commerciale in un 
porto del mar rosso. L’ Europa intera favorirebbe sicura- 
mente la sua risoluzione, qualèra si detecminasse a riaprire 
la comunicazione fra il Nilo ed il mar rosso, ricostruendo 
o il canale che conduceva dal Cairo a Suez, o quello che 
dal ramo Pelusiaco del Nilo andava ad Arsinoe, o il porto 
di Suez, oppure inalzando un argine sulla costa per con- 
giungere con Suez la bella rada, che n'è distante una lega, 
o infine aprendo un nuovo canale da Kenneh a Kosseir, 


piegavano almeno cinque millioni di lire. di polvere d’oro, che veniva 
‘dall’ Abissiria. per mezzo delle caravane. Oggi ne mandano gran parte in 
Costantinopoli. 

(g) Restano in. viaggio cento giorni solamente per arrivare nel Fur. Le 
caravane che vanno a Kosseir sul: mar rosso, partono da Kenneh sulla riva 
destra del Nilo, ove si provvedono di viveri e di cammelli, ed ove pren- 
dono una scorta per attraversare il deserto. Giungono a Kosseir il quarto 
giorno dopo un viaggio di quaraptadue ore. Volney parla d’ una caravana 
di seimila uomini, che partì dal Cairo. con tremila cammelli il 27 higlio 
2783, e giunse a Suez in ventinove ore. ì 


tI: 
per il che converrebbe fortificare le quattro fonti ,, che sì 
trovano per istrada, e collocarvi quattro comodi, alberghi 
per il riposo dei viaggiatori. Ma l'Inghilterra acconsentirà 
poi che le nazioni del continente dividano seco i tesori del- 
1’ Indie? (10) 

Mehemed alì non ama le belle arti, nè le scienze; ma 
accoglie cortesemente i dotti e gli artisti di tutta 1° Euro- 
pa civile. I viaggiatori trovano nei suoi stati protezione , 
riguardi, soccorsi (11). L' Egitto non ricusa più l’ ospita- 


(10) No certamente. Gl’ Inglesi tengono una guarnigione, ed una co- 
lonia nell’ isola di Socotra, che è la chiave del mar rosso. Dispongono di 
la del commercio dell’ Arabia, e della costa orientale dell’ Africa; e sì teu- 
gono in relazione anche coll’ Abissinia. Provvedono la costa di Masuab, per 
la costa d° Hahbesch e per l'interno, di panni, armi, munizioni, tele del- 
l Indie, e ne traggono pelli, avorio, muschio, bestiami, butirro, e polvere 
d'oro. Da Socotra proteggono il commercio dell’ Egitto coll’ Indie, e po- 
trebbero impedirlo, quandò l' Egitto ricusasse di continuare le sue spedizioni 
sotto la protezione inglese. E chi ai nostri giorni potrebbe mai scagciare 
gl’ Inglesi da Socotra? Nota del redattore . 

(11) Mentre era sotto il torchio il presente articolo, ci pervenne l’ul- 
timo numero della biblioteca italiana, nel quale trovammu uno squarcio di 
lettera scritta da Giuseppe Zuccoli ufficiale italiano, che segue il figlio del 
viceré d’ Egitto nella sua spedizione per la Nigrizia. Questa lettera é un 
nuovo argomento della protezione, che accorda Mehemed alì ai nostrì viag- 
giatori di qualunque -uazione.. 

Sentiamo con vivo piacere che anche un Italiano si è accinto ad in- 
ternarsi in quella misteriosa regione per ésplorarla e descriverla, e facciamo 
voti sinceri, perchè non accresca il numero ormai troppo grande delle vit- 
time immolate dall’ Europa culta all’ avidità di conoscere la prima abita- 
zione della razza negra. E proviamo la più verace sodisfazione in leggere 
che il nostro ‘viaggiatore è in buona intelligenza col francese Cailliaud , il 
quale viaggia per il medesimo: oggetto in quelle contrade; lo che deve con- 
siderarsi per una specie di prodigio, quando si conoscono le dispute scan- 
dalose, che hanno avuto luogo recentemiente in Egitto fra altri viaggiatori. 
Ciò che dice il nostro Zuccoli sulla foce del Rahab e del Dender, sulla 
situazione dell’ isola di Meroe, e sulla temmpenaggra dell’ aria nelle regioni 
equatoriali è 
ci dispenseremo dal trascriver quì la sua lettera. 

Solamente , animati come noi siamo dal desiderio di veder rinascere 
nell’ Italia il gusto delle scienze geografiche ,, preghiamo il sig. Direttore 
della biblioteca italiana di pubblicare tutti i ragguagli interessanti che rice- 


perfettamente conforme a ciò che ne ha detto Cailliaudj; così 


verà in avvenire dal nostro viaggiatore, nella persuasione che gliene saranno 
grati tutti gli amatori dei buoni studj. Nota del redattore 


278 
lità allo straniero , che viene a visitarvi le opere d’am 
gran popolo estinto. I monumenti egiziani sono attualmente 
accessibili a tutti ; è permesso a tutti non solo d’ ammi- 


rargli, ma perfino d’appropriarseli. 
Protezione dei Franchi. La condotta, che tiene Me- 


hemed alì relativamente all’ arti ed al commercio è una pro- 
va non equivoca della protezione, che accorda ai Franchi. 
Tutte le feste popolari, nelle quali i Franchi potevano cor- 
rere qualche rischio sono abolite. I mamelucchi, i quali non 
conoscevano riguardi per i Cristiani, facevano portare in 
trionfo ogni anno nella processione delle caravane i cimieri 
colla visiera, gli usberghi gli scudi, e tutta 1’ antica armatu- 
ra dei crociati, per irritare il popolo contro i Franchi, 
per immolar qualche vittima a un odio sanguinario. Mehe- 
med alì ha tentato anche d’ introdurre nel porto d’ Alessan- 
dria la quarantina; ma doveva contrastare coi negozianti 
musulmani, i quali non vogliono ostacoli in fatto di navi- 
gazione, e più anche coi dottori della legge, i quali 
posero in campo il korano, e mostrarono che le precauzio- 
ni prese per sottrarsi alla morte sono una ingiuria al volere 
di Dio. | 

La protezione, che accorda Mehemed alì ai Franchi è 
eguale per tutte le nazioni, e per tutti i culti; non v° è pur 
Y ombra di parzialità o di distinzione nei riguardi, coi qua- 
li le tratta. Si può citarne una prova recente. I Franchi pa- 
gavano il tre per cento sul prezzo delle merci, che introdu- 
cevano nello stato, i‘musulmani il dieci. I Russi ottennéro 
direttamente dalla Porta di pagar solamente l’uno e mezzo, 
e vollero far valere il privilegio anche in Egitto. Il vicerè 
prese il partito di estenderlo a tutte le nazioni europee, ed 
anche agli abitanti del paese, dimodochè tutti i navigatori 
pagano oggi solamente uno e mezzo. 

Polizia. Gli stati ottomanni non conoscono le nostre isti- 
tuzioni relative alla polizia. I viaggiatori entrano in Turchia, vi 
restano finchè vogliono, passano da una provincia all'altra 
quando lo vogliono , senza che gli agenti del governo gli 


s79 

arrestino, per sapere donde vengono, per qual motivo viag- 
giano, e dove vanno. Questo sistema pare a prima vista, 
plausibile ; ma la niuna vigilanza dell’ amministrazione com- 
promette sovente la sicurezza dei privati, e la tranquillità 
pubblica. Il governo dell'Egitto è una eccezione in proposito. 
Le strade anche poco frequentate son sicure. Si manda senza 
rischio un grosso sacco di monete da una città all’ altra, an- 
che a gran distanza. Nelle città più popolate, l’uomo è ri- 
spettato al pari delle sue proprietà . I magazzini pubblici , 
ove si depositano le merci più preziose, non sono d’ ordi- 
nario chiusi a chiave. Nei basari, o nelle strade dei nego- 
zianti, ove si trovano tra una quantità prodigiosa d' articoli 
di gran prezzo, wolti articoli facili a trafugarsi, i custodi 
non stanno sempre in guardia, ed aprono le porte indi- 
stintamente a chiunque si presenta per vederli. I magazzini 
dei Franchi, sebbene siano posti in luoghi isolati, anche 
nelle grandi città noù stanno sempre chiusi; e sebbene si 
manchi di precauzioni e di vigilanza non accade mai il più 
piccolo furto. Tanta morale pubblica fa l’ elogio del gover- 
no; e dei sudditi. 

La libertà individuale è portata anche più oltre in E- 
gitto,. che il rispetto per le proprietà. Gli Europei vi sono 
assolutamente liberi; possono parlare e scrivere, senza che 
l’ autorità si prenda la briga di volerli conoscere; in niun 
paese d’ Europa si mostra tanta indifferenza in proposito. 

Per andare a vedere i monumenti antichi dell’ Egitto 
vi voleva in altri tempi una scorta numerosa ; le spese enor- 
mi, che rendeva necessarie un viaggio, distoglievano molti 
dall’intraprenderlo. Bisognava pagare fin cinquecento uomini 
per giungere senza rischio fino alle piramidi, a tre leghe 
‘ dal Cairo. Anche per viaggiar sul Nilo era inevitabile una 
scorta di soldati. Oggi tutte le precauzioni son superflue. 

Forza armata. L’ armata del governo in Egitto non ol- 
trepassa quarantacinque-mila uomini , divisi in infanteria , 
cavalleria , ed artiglieria. L’ infanteria è composta d’Alba- 
nesi, e di Barbareschi ; la cavalleria di mamelucchi , e d'A- 


280 

rabi del deserto. Le tribir del-deserto potrebbero al bisogno 
metter in armi trentamila son a cavallo. Quindici mila - 
uomipi risiedono in guarnigiohe ad Assuan, a Siuth, ad 
Alessandria , diecimila al Cairo ; gli altri son distribuiti in 
corpî di cinquecento a ‘Benisuef , a Minieh, a Monfalut, a 
Dgirgeh, a Kenneh, a Esné, a Rosetta, a Damietta , ed 
altrove. Un corpo di quindici mila combatte presentemente 
nell’ Africa interna. 

La marina militare è composta.di ventidue bastimenti, 
La navigazione del Nilo è protetta da un numero di. scia 
luppe cannoniere , ognuna delle quali ha trenta uomini di 
equipaggio. 

Rendite dello stato. Le rendite di Mehemed alì come 
vicerè ascendono a venticinque millioni di piastre di Spar 


x 


gna; derivano dalle dogune , dalla tassa fondiaria (12), 
dalle successioni devolute al fisco, dai pedaggi, dai battelli 
pescarecei , dai ‘beni dello stato, dai tributi delle. provin- 
cie conquistate, dalle retribuzioni delle caravane. Paga due 
millioni e quattrocento mila lire al sultano a titolo di vas- 
sallaggio (+13), manda due millioni e quattrocentomila lire 
al tesoro della Mecca, otto millioni di staja di grano , riso 
e fave a Costantinopoli, provvede di viveri la caravana 
della Mecca, tiene una corte splendida, e invìa sovente dei 
donativi al Sultano, alla Sultana favorita:, ai ministri. del 
consiglio , e agli uomini di credito del serraglio. Nel 1820 
aggiunse ai soliti doni per il Sultano una. quantità d’ ele- 
fanti, di cavalli arabi, e di scialli superbi del Cascemire, 


(12) La tassa fondiaria è repartita oggi in Egitto suì principj della piu 
severa giustizia. Mehemed alì conobbe per tempo la necessità d’un ca- 
tasto per procedere regolarmente al reparto della tassa fondiaria. Gl’ inge- 
gueri francesi vesnero al, suo invito in Egitto, vi misurarono la superficie 
delle terre produttive, e oltre il valore approssimativo delle terre determi- 
nirono anche le cultore, che si convengono ad ogni specie di suolo. 

(13) Secondo il trattato stipulato ‘tra il’ sultano Selim, e i ventiquattro 
governatori dell’ Egitto ne! 1519, l' Egitto doveva pagare al tesoro del Sul- 
tano (un millione seicento ottantamila liré, e mandarne altrettante al tesoro 
della Mecca , per il mavtenimento di Medina , e del tempio di Dio. I sultani 
successori. portarono i due tributi a due millioni e quattrocento mila lire. 


281 
e per il figlio del Sultano una sella guarnita d’ oro, perle , 
e diamanti, che costava più millioni . 

. Feste.Lariunioneela partenza della caravana, che va alla 
Mecca ogni anno è uno spettacolo magico. La capitale non 
basta più per ricevere tutti gli stranieri, che vi richiama 
la festa; si pongono allora in mostra tutte le rarità , che 
riceve il Cairo dall’ Europa, e dall’ Indie. Un popolo innu- 
merabile vi trova per dieci giorni di che sodisfare al biso- 
gno ed al gusto. Il numerario, che viene dall’irxfterno del. 
l’Egitto , e dalle contrade più lontane, vi circola allora in 
gran profusione, e dà vita ad ogni ramo d’ ind\stria , co- 
sicchè il Cairo diviene una bella fiera. Poco Jungi dalla 
capitale l'agitazione è anche più viva; tutto si muove. Il 
campo dei pellegrini offre alla vista lo spettacolo di okto 
o diecimila tende aggruppate in una vasta pianura ; un corpo 
di seimila soldati vi mantiene l’ ordine j ogni giorno più di 
centomila curiosi vanno a ricevervi o ad esercitarvi l’ ospi- 
talità. Più lungi il Nilo è coperto d’ una moltitudine di 
barche d’ogni dimensione d’ ogni figura, che producono un 
colpo d’ occhio indescrivibile. AI findio del giorno succe- 
de una notte serena e tranquilla ; ; tutte le tende e le barche 
sono illuminate. I lumi che si riflettono e si agitano a mi- 
gliaja nell’ acque sembrano da lungi un mare di fuoco, che 
risveglia da prima l’ammirazione, indi il piacere. Tre ore 
bastano per cangiare l’ agitazione dell’ ultimo giorno in un 
tristo silenzio. Appena apparisce il cammello sacro, che 
porta il magnifico velo destinato per la santa casa, danno 
il segnale della partenza; le tende son piegate, il campo 
si leva, suonano le trombe, l’armata sfila, la caravana. è 
. già nel deserto; e lo spettatore incantato non vede altro che 

| wa pianura solitaria e ingombra di sabbie. 

Popolazione. Gioseffo 1’ istorico narra che l’Egitta 
conservava tuttora dopo la distruzione di Tebe otto millioni 
d’ abitanti compresa Alessandria. Diodoro ed Erodoto afler- 
mano che al tempo d’ Amasis gli attribuivano ventimila città; 


sotto il primo Tolomeo estesero il computo fino a trentamò- 
Ti 74. Maggio Weta 19 


E 
oa 


282 

la, e sotto Tolomeo filadelfo a trentatremilatrenta , con sette” 
millioni d’ abitanti. Bisognerebbe dunque supporre che in 
settantasei anni sotto i due primi Tolomei vi costruirono 
tremilatrenta città nuove, e che allora ogni lega quadra di 
terra conteneva da dodici a quindici città !!! Riponendo. 
tutte le belle visioni degli storici antichi tra le favole in- 
ventate per divertire i curiosi, ci terremo al censimento 
degli Arabi, i quali non vi contarono che 2696 città, e a 
quello, che accompagna la vita di Saladino, secondo il qua- 
le si trovano ridotte a 2496 fra città e borghi, vale a dire 
‘957 nell’alto Egitto, e 1439 nel Delta (14). 

Conclusione. I viaggiatori, i dotti, e gli artisti, che 
vanno in Egitto per esaminare i suoi monumenti, vantano” 
la bontà di Mehemed alì, i soccorsi, che ne ottengono, 
la protezione, con cui gli onora. I consoli di tutte le na- 
zioni commercianti d’ Europa lodano i suoi talenti politici, 
le sue maniere affabili, le sue disposizioni amichevoli per 
tutti i sovrani dell’ Europa, l'accoglienza sempre gentile , 
che ne ricevono anche nell’udienze solenni, nelle quali l’e- 
tichetta or'entale dovrebbe escludere ogni dimostrazione di 
benevolenza; i negozianti europei parlano della moderazione 
delle tasse imposte al commercio, e delle grandi facilità 
che trovano nei porti dell’ Egiito per cambiarvi gli articoli 
dell’ Europa con quelli dell’ Africa e dell’ Indie; i manifattori 
lo ricolmano di lodi, perchè trovano nei suoi stati tutti i 
mezzi d’ esercitar con profitto la propria industria ; i po 
poli soggetti benedicono la sua amministraziove , anche i 
musulmani , perchè professa la religione del profeta, per- 
chè ne osserva le leggi, e ne pratica la morale ; i Greci 
rifugiati lo benttiedna perchè trovano in Egitto un asilo 
contro l'oppressione ed il fanatismo religioso; infine gli 
abitanti d’ogni classe, d’ogni nazione, d’ogni culto si chia- 


(14) La popolazione attuale dell’ Egitto non eccede i tre milioni d'a- 
bitanti, comprendepdovi anche cinquantamila schiavi negri, e cento cinquan- 
ta mila Arabi, che risiedono nel deserto, 

Nota del redattore . 


283 
mano contenti, perchè possono coltivar la terra, guada- 
gnarsi la sussistenza esercitando l’ arti utili, e consacran- 
dosi al commercio, senza temere le aggressioni della forza. 
armata, o le violenze dell’ amministratore civile, Gli Arabi, 
che un giorno erano il flagello dell’ Egitto, oggi son utili 
al paese, perchè coltivano la terra, o'la difendono coll’ ar- 
mi. Gli stabilimenti di beneficenza prosperano ogni giorno 
più, perchè ricevono continuamente nuovi soccorsi dal capo 
del governo; l'ospitalità è esercitata come al tempo dei Pa- 
triarchi. Ma il coltivatore si veste di cenci, e abita in una 
capanna di terra, mentre suda per nutrire il suo padrone ; 
il coltivatore è nella miseria, perchè non può disporre di 
ciò che raccoglie, perchè l’ agricoltura prima nutrice della 
specie umana, ed il commercio primo alimento dell’ indu- 
stria non godono di una libertà illimitata, come la godono 
altrove. Eppure è dimostrato che la libertà dell’ agricoltura 
e del commercio basterebbe per arricchir |’ Egitto , e per 
portarlo ‘al più alto grado di prosperità. Si chiamino nei 
suoi porti tutti i popoli della terra; si mandino i suoi ba- 
stimenti per tutti i mari; si aprano nuovi canali per ren- 
der più fertili le sue terre; si alzino argini per reprimere 
le inondazioni troppo copiose del Nilo, e si costruiscano 
grandi laghi artificiali per supplire alle inondazioni insuff. 
cienti; sopratutto si lasci al coltivatore il diritto di colti- 
var ciò, che crede più utile, di vendere le sue derrate come 
più gli piace; si stabilisca come un principio saero la li» 
bertà dell agricoltura e del commercio, si proteggano e si 
perfezionino l’ arti ed i mestieri, onde estendere l’ industria 
e moltiplicar coll’ industria la ricchezza nazionale; non si 
cessi d’accogliere. gli uomini utili, che vi accorrono dal* 
l’ Europa; ed il principe, che governa l'Egitto riceverà 
la ricompensa de’ suoi benefizi nella gratitudine dei popoli 
soggetti, e nella stima delle nazioni straniere - 


GR P: 


284 
AGRICOLTURA 


Memoria sopra una specie d’ insetti che devastano alcuni oli- 
veti del comune di Buti e sul mezzo di allontanarli. 
Del Dott. PieTRO BALBIANI. 


Il sig. Bernard in una sua memoria sulla coltivazione 
degli olivi, coronata nel 1782 dall’ accademia di Marsiglia ha 
minutamente trattatò degli insetti d’ ogni specie che attacca- 
no quelle piante. Nulla è sfuggito a quell’ attento osservatore 
che riuniva le cognizioni teoretiche ad una estesa e illumi- 
nata pratica; ed ha fatto conoscere da abile naturalista la più 
precisa istoria d'ogni specie d'insetto nocivo agli olivi e al loro 
prezioso frutto. Le larve dello scarafaggio e del rinoceronte, che 
si annidano nel ceppo dell’ olivo per subirvi le loro metamorfosi 
in crisalidi e per mostrarsi poi in forma di perfetti insetti: gli sca- 
rabei, ch» stabiliscono la loro dimora svi più teneri rami, e si 
nutrono dell’ alburno, di quella sostanza, cioè, che si separa fra 
la scorza e la parte legnosa: i kermes e i galle-insetti, sven- 
turatamente noti per la loro prodigiosa fecondità, che soggior- 
nano sui rami, e ne fanno stravasare il succhio nutritivo : gli 
pstlli, che vivono sotto le ascelle delle tenere foglie e intorno 
ai peduncoli dei fiori, e che dopo la loro ultima trasformazione 
prendono posto stabilmente al di sotto delle foglie: i vermi o 
bruchi minatori, che nascono da uova depositate sul royescio 
delle foglie, che: distruggono le nuove messe e i bottoni, pri- 
vandoli del succhio, e che s’ insinuano nell’ oliva e nel nocciolo, 
apportando il più terribile guasto, il che avviene principalmente 
verso la metà d’ agosto, e che si riproducono numerosissimi : le 
mosche finalmente che pungono l’oliva e depositano nella piccola 
ferita un uovo, dal quale esce fuori una larva, che si nutre della 
tenera polpa di quel frutto, si trasforma accosto al nocciolo, e 
divien quindi insetto perfetto, sono egualmente descritti da quel- 
l'esperto osservatore. La causa quindi del danno , il suo principio, 
e le ulteriori conseguenze, sono ben note; ma il rimedio ap- 
plicabile a tanto male non ancor si conosce; e conviene quell’il- 
lustre autore con Isnard, la Brousse ed altri celebri agronomi, 
che non vi ha un mezzo per allontanare dagli oliveti, e distrug- 
gere gl’ insetti e specialmente quelle specie di bruchi che s° in- 
sinuano nell’oliva e nella mandorla del nocciolo, vivono di quelle 


i 1 285 

Bostafize, è vi subiscono le loro trasformazioni. Nascono essi 
‘dalle uova lì depositate mercè una puntura, e sviluppate dal 
calore , e quindi per il guasto da essi cagionato, o cade l’oliva 
offesa nel peduncolo, o si altera la sua sostanza ancorchè resti 
sulla pienta, contenendo in forma di polvere scura gli escrementi 
di quei bruchi, che danno un cattivo sapore alla. sostariza pol+ 
posa avanzata al nutrimento loro. Si osserva talora l’ oliva of- 
fesa cresciuta più delle sane, e bernoccoluta, attesa l’ineguale 
vegetazione per l’ alterato organismo, ma nou dà che poco e cat- 
tivo olio. E’ nell’agosto e nel settembre l’ epoca dei maggiori 
guasti cagionati specialmente da queste due specie d’ insetti, ad 
una delle quali appartengono quei bruchi che apportano tanti 
danni in alcuni oliveti di Buti, i possessori dei quali ci hanno 
richiesto un rimedio per allontanare o distruggere quegli ospiti 
infesti. Durante l’ inverno questi si difendono dal rigore della 
stagione nei loro ritiri, ove vivono tranquilli e sicuri non meno 
dal freddo che dagli animali loro nemici. ; 

Non è già che non si conoscano i mezzi per allontanare e 
distruggere quei bruchi, se si trattasse di liberarne soltanto 
poche piante; ma quelli fino ad ora suggeriti non possono ap- 
plicarsi in grande a estesi oliveti; poichè , sebbene potessero 
praticarsi ove non mancano braccia, la spesa soverchia e non 
proporzionata al danno n° escluderebbe 1’ applicazione . 

: Nondimeno, istruiti dal caso e dall’ induzione , noi pensiamo 
che si possa impiegare un mezzo di facile esecuzione, e di tenue 
spesa per allontanare dai grandi oliveti questi insetti distruttori, 
e lo proponghiamo con fiducia, animati da sperimenti analoghi. 

E' provato a evidenza che gli odori forti e nauseosi sono 
ingrati agli insetti delle piante, e specialmente a quella specie 
Pa mosche e di scarabei che depositano i loro uovi nella tenera 
scorza e nelle olive, dai quali a suo tempo nascono poi i ver- 
mi che distruggono ile speranze dei coltivatori. Perciò il ca- 
trame, l' lib di sasso, di lino, di terebinto, altre resine e so- 
stanze d’odore forte e nauseoso compongono la. base dei varj 
rimedj e segreti vantati per allontanare dalle piante o distrag- 
gere gl’ insetti che vivono a danno delle medesime. Ma come 
applicar e questo mezzo a interi e vasti oliveti? se ne comprende 
la difficoltà per la spesa che esigerebbe 1’ applicazione di tal 
rimedio e non proporzionata allo sperato vantaggio, e ben si 
potrebbe dire con Montagne, che il gioco non varrebbe la can- 


286 ” 

dela. Dissipato poi in breve, per 1’ esposizione all’ aria libera 
alle piogge e ai venti l’ odore nemico agli insetti, tornerch- 
bero essi nuovamente a infestare le piante per breve tempo 
abbandonate. V’ abbisogna quindi un mezzo di tenue spesa in 
confronto del vantaggio permanente , e da estendersi a molto. 
spazio di luogo . » 

Pochi ami sono, quei bruchi che i contadini E vol... 
galmente inalone, infestarono in una amena collina alcune 
prode di viti, ove esistevano dei frassini e degli olivi, e si 
estesero particolarmente intorno a un orto. In un angolo della 
siepe del medesimo fra il levante e il mezzogiorno vegetavano. 
alcune folte piante di ruta e d’ assenzio; ed era mirabile cosa 
il vedere ad ambo i lati in qualche distanza da quell’ angolo le, 
viti, due olivi, e i frutici in vicinanza lasciati liberi e ‘intatti 
da quei bruchi, che d’ altronde avevano spogliato di fronde 
tutte le altre piante lontane da quel punto rispettato, e lasciati 
nudi i rami in modo, che sembravano quelle piaute prive affatto, 
di vegetazione e di vita. Non comprendemmo allora la cagione 
di quel fenomeno ; e pensammo che gl’ insetti distruttori, avendo 
incominciate le loro incursioni dal lato opposto., si dirigerebbero. 
poi su quell’angolo rimasto tuttora intatto, e che le piante ivi 
esistenti diverrebbero anch’ esse ben presto vittima di quegli 
avidi vicini. Ma il nostro peusamento non si realizzò, e quelle 
piante rimasero illese. L’anno dopo si rinovò l’istesso fenomeno, 
e pensando al”noto effetto degli odori forti e naùseosi, sospet-, 
iammo che quello della ruta e dell’ assenzio vegetanti in quel- 
l'angolo, ingrato a quelli insetti, li tenesse lontani per quanto, 
da peneteniiio esalazione di quell’ erbe si diffondeva, onde le mo- 
sche no: deporitavano in quella vicinanza li loro uovi. L’ espe-, 
rienza ci assicurò in progresso che il:nostro dubbio era ben 
f. ndat», poichè s. opicciando una buona quantità di ruta, d’as- 
senzio e di tanaceto, che pur credemmo ingrato anch'esso agli 
insetti, sul tronco e sopra alquanti rami di var} peschi, che le 
mosche invasero per succhiarne l' umore stravasato, e legando 
i residui di quell’ erbe a dei rami più alti, vedemmo quelle 
mosche volteggiare in distanza dalle piante così medicate, e starsi 
più lontane da quell’ atmosfera, sulla quale il vento dirigeva 
maggior quantità di effluv] odorosi; e quindi sparire interamente; 
replicata nei due giorni consecutivi l’ operazione, benchè non 
cessassero quelle piante di stravasare morbosamente il lor suc- 
chio. 


28m 
T1 mezzo perciò che noi proponghiamo è quello di seminare 
è coltivare la ruta, l’ assenzio, e il tanaceto per entro gli oli- 
veti. Preparando opportunamente il terreno coi lavori ‘necessari 
e convenienti alla località, si farà la sementa di queste piante 
fra gli olivi, procurando che non vegetino intorno al piede dei 
medesimi in troppa vicinanza. Al tempo della loro. maggiore 
vegetazione, nella primavera cioè , e specialmente verso la. metà 
di giugno si taglieranno dei manipoli di quest’ erbe, e si stropic- 
ceranno con esse alcuni dci grossi rami di ciascun olivo, legando, 
poi a qualche piu alto ramo i residui di quell’ erbe, che per 
esser così lacerate tramandano un odore penetrantissiino. Si ri- 
peterà questa facile e pronta operazione ogni cinque o sei giorni 
fino alla metà del luglio successivo, e si potrà sospenderla o 
continuarla , e replicarla piu o meno frequentemente , secondo 
che più o meno si vedranno scomparire e allontanarsi gl’ insetti; 
procurando di eseguirla in giorni non ventosi, e quando non 
vi sia minaccia di vicina pioggia. 

L’ odore che esala continuamente da quelle piante, spe- 
cialmente nelle quiete giornate(1)e quello acutissimo proveniente 
dallo stropicciamento e dai residui legati a qualche ramo} pro- 
durrà l’effetto di allontanare gl’insetti, e gli oliveti non ne saranno 
danneggiati . 

La cultura di quest’ erbe fra gli olivi non apporta alcun 

‘ danno a queste piante preziose; e il terreno degli oliveti di Buti 
essendo in generale mobile, e grasso, la ruta, l’ assenzio e il 
tanaceto vi potranno facilmente vegetare. In quegli oliveti, la terra 
dei quali è meno grassa e meno sciolta, converrà lavorarla op- 
portunamente e con buon letame ad oggetto che quell’ erbe 
possano ben vegetarvi. Esse non in le vangatnre e le 
za ppature degli oliveti, poichè non sarà necessario che sieno mol- 
to folte; e siccome vi ha ragione di credere che tenendo per 
due o tre anni al più quelle piante negli oliveti, questo spazio. 
di tempo possa esser bastante per il totale allontanamento degli 
insetti nocivi, preparato così il terreno per la sementa delle 
medesime, zappate e sarchiate a suo tempo per la loro più pronta 


, 


(1) Pare che le piante aromatiche abbiano bisugno per spargere il loro 
aroma d'essere agitate anzi che no, venendosi così a lacerare quelle piccolis- 
sime vescichette che racchiudono l’ aroma. Non vi è quasi foglia odorosa che 


tramandi odore senza essere stropicciata o agitata. 


288 7 

vegetazione e più vigorosa, gli olivi non resteranno perciò de 
fraudati dei consueti lavori. Siccome poi l’ ‘oggetto il più im- 
portante è quello di aver quasi in riserva la maggior quantità 
possibile di quell’ erbe, e che sieno talmente distribuite, che 
facile e pronto ne sie il trasporto per l’ operazione dello 
stropicciamento degli olivi, così la coltivazione delle medesime 
si adatterà alla località e all’ ordine vario degli oliveti, tramez- 
zandola regolarmente fra i filari delle piante; e se gli oliveti 
sono irregolari e a bosco, contornandoli con quell’ erbe a guisa 
di siepe, e seminandole a gruppi fra gl’interstizj delle piante. 

Calcolando l’ utilità che può derivare dalla pratica di que- 
sto metodo, non dovrebbe-punto dissuadere dall’ adottarlo la fa- 
tica e la spesa , essendo ben piccola la spesa ch' esso richiede,, 
nè la fatica è grave e continuata. Altronde non dobbiamo noi 
ricordarci sempre che l’industria, la pazienza, e gl’ incomodi 
sono la divisa degli accorti e buoni coltivatori? I mali grandi 
esigono comunemente dei grandi rimedi, e la loro applicazione 
non è mai cosa indifferente né scevra d’ inquietezze e d’ inco- 
modi. E' poi l’ istesso interesse pecuniario che invita a distrug- 
gere quelli esseri mocivi in qualunque modo possibile, colla do- 
vuta proporzione fra il danno e il vantaggio; non potendo più 
oggi giorno far capitale della portentosa proprietà di quella gio- 
vinetta, che secondo l’ asserzione d’ un giornale una volta celebre, 
(2) distruggeva tutti i bruchi dei giardini soltanto col lanciar so- 
pra loro alcuni sguardi più atti certamente a incantar gli aman- 
ti che i bruchi abi giardini . / 


Osservazioni sul SeMINATORE del sig. di Fellenberg . 


È qualche tempo che in una delle ordinarie adunanze 
di questa nostra Accademia (1) vi fu mostrato, o signo- 
ri, il tanto celebre seminatore del signore di Fellenberg, 
che S. E. il Principe Aldobrandini, meditando di servirsene 
nella sua tenuta di Migliarino, avea fatto venire dalla fab. 


(@) Giornale di Yverdun. Novembre 1735. 
(1) Queste osservazioni furono dall antore comunicate all’ Accademia dei 
Grorgolili il 14 aprile 1822. 


289 
brica d'Hoffwyll. Voi ammiraste fin d'allora l'ingegnosa, e 
solida costruzione d’un meccanismo, che mentre serve a 
| moltiplici oggetti, compie con molta semplicità e somma pre 
cisione la volontà dell’agricoltore, che lo adopera. L’ uso 
di questa macchina mi venne graziosamente accordato dal- 
PE.S. che mi permise di ritenerla per tutto quel tempo, 
che mi fosse sembrato opportuno per giungere a stabilir- 
ne un giudizio! sicuro sulla convenienza del di lui uso 
fra noi. L’ essermi però questa stata consegnata troppo 
tardi per eseguire delle semente primaticcie , o d’ inverno, 
ed i molti ripari che vi abbisognavano, mi posero nella 
necessità di differirne 1’ impiego fino alle semente marzuole 
e serotini. Giunta che sarà la raccolta, mi farò un dovere 
di comunicarne il prodotto a quest'Accademia ,  contentando» 
mi adesso d’ informarla soltanto di ciò che mi venne faito 
d’ osservare nel servirmi del seminatore, avvertendo ‘fin d’o- 
ra che non giudico doversi tener per certi i resultati d’ e- 
sperimenti di questo genere fatti una sola volta in una. sta- 
gione, nella quale, come pur troppo è avvenuto in quest'anno, 
la germinazione è si facilmente danneggiata dalle stravagan- 
ze meteorologiche . 
=. Il seminatore può eseguire la sementa senza ricoprirla, 
e può egli stesso aprire il terreno, ove dee esser deposta, 
e quindi ricuoprirla non solo; ma anche concimarla, se ciò 
piacesse. Con questa macchina si possono far cadere sul 
suolo non solo i semi più fini, come quei della Cuscuta 
ma ancora i più-grossi come le fave, il gran-turco, e sem- 
pre colla massima regolarità, e precisione. Può ella ese- 
guire ancora semente miste, o in linee separate, o come 
suol dirsi, a quarto di semi di due, tre, o più specie di 
piante e di grossezza e di forma infinitamente diversa . In un 
terreno mobile, ma non arenoso, precedentemente arato, e_ 
quindi erpieato la macchina può asser fatta agire nei casi 
più complicati dalla forza di tre uomini, senza che questi 
sopportino una soverchia fatica. La forza dunque d’ un 
cavallo è ben sufficiente per applicarvisi utilmente, nè al 


Siihi potrebbe supplirsi con un bove, per la diffi coltà di 
adattare quest animale a lavorare a stanghe, e per la trop- 
pa lentezza del suo moto. Non tutti i cavalli però possono 
attaccarsi al seminatore: conviene abituarveli, poichè se un 


moto alquanto celere nell’ animale è vantaggioso, poichè 


dà luogo a produrre in un tempo dato maggior lavora, 


conviene d’ altronde che questo moto sia uniforme. diver-. 


samente la macchina non ricuopre bene i semi che affida 
al suolo, va soggetta a delle scosse che facilmente la dan- 
neggerebbero, e malamente li mantiene in quella direzione 
rettilinea che tanto è utile e bello di conservare. 

I nostri cavalli non proporzionano i loro sforzi alla 
difficoltà che hanno da vincere, e che in questo caso è qua- 


si continuameute variabile. Tosto che incontrano un mag-: 


giore ostacolo, se son generosi spendon per vincerlo una forza 
ben superiore a quella che sarebbe bastante, e la macchina 
salta e non striscia, eil essi ben presto rimangono stanchi; 
se son vili si arrestano, ed obbligati con la sferza a ripren» 
dere il moto, è raro che esattamente conservino la direzione, 
che avean preso in principio. Il rumore singolare che fa 
la macchina allorchè è messa in movimento sconcerta molti 
cavalli non mansueti abbastanza , e rende necessaria l’ opera 
d’ un uomo»ben destro in tal lavoro, mentre quella di un 
ragazzo che tenesse pel morso l’ animale, dovrebbe essere 
bastante. Dal fin qui detto nulla sta contro i pregj della 
macchina, ma tutto dimostra che occorrono delle «cure 
secondarie per ottenerne un felice successo. Dalla terra più 
sciolta e sabbiosa fino alla più tenace e compatta, può esser 
tutta seminata col detto strumento. Quella sola che conte- 
nesse molti sassi o ghiaja d’ una certa grossezza non potreb- 
be trattarsi con lui. Il seminatore è fatto per essere ado- 
prato in superficie piane, o appena inclinate, ma con un 
poco di destrezza può benissimo lavorare in poggio, purchè 
non affatto scosceso. I grandi appezzamenti di suolo non 


intralciati da piante, o non suddivisi da fossi, sono le loca-. 


lità, ove egli riesce più vantaggioso : non per questo però 


n 
| 


291 
dovrà egli considerarsi come inservibile o inutile ne’ campi: 
comuni, eccettuati gli stretti ripiani di qualche coltivazione 
di collina sostenuti da muri o da argini, i quali farebbero 
ostacolo al passaggio della macchina dall’ uno in un altro 
ripiano. E chiaro che il seminatore risparmia molto seme, 
molte braccia e molto tempo; elementi tutti preziosi ; ma 
è chiaro ancora che egli non eseguisce bene il suo lavoro, 
che camminando per linee rette, e semina tanto peggio, 
quanto più s° impegna in eurve; perlochè non benissimo 
restano con lui seminate le testate de’nostri campi. Dai 
piccoli esperimenti che ho potuto fare fin qui, mi credo au- 
torizzato di asserire che col seminatore sì possono sparger 


sul suolo circa trenta sacca di grano per giornata con due 


cavalli, che alternativamente vi si attaccassero ; @ se quello 
spazio di terreno, ove s'impiegherebbero a seminarlo trenta 
sacca di grano, dovesse ridursi a prato di trifoglio , crederei: 
che si potesse riuscirvi comodamente in tre giornate d’ un 
tiomo, che conducesse a braccia la macchina che in tal caso 
non ha grave attrito da sopportare, perchè non dee ricuo- 
prire il seme altrimenti che collo strascinare ove si voglia 
un piccolo rastrello di steli di scopa detto erpice a spaz- 
zola. È 

©. Facendo adesso astrazione dei vantaggi che sembrano 
esser promessi da questa macchina, e de’ lievi difetti che 
vi si scorgono per istabilire il valore degli uni e degli 
altri, quando dopo la raccolta potremo stimare il prezzo 
e il frutto del suo lavoro, mi pare che sì possa fino ad ora 
trattenerci con sodisfazione intorno a delle considerazioni 
accessorie. ; 

Pare impossibile, ma pure è così: laratro, strumento 
riconosciuto per prezioso da tutti i popoli è generalmente 
parlando , il più imperfetto che essi abbiano ‘fra gli 
utensili rurali: l’ attenzione operante degli agronomi illu- 
minati si è ben tardi rivolta a migliorarlo, e non è ancora 
giunta a condurlo al grado di perfezione che sarebbe a desi- 
derarsi. Pure qualche provincia ha adottati i nuovi aratri; 


299 
e sebbene vi se ne mostri patente l'utilità, non ostante sten- 
tano i vicini a seguirne l’ esempio. 

Questa verità si dimostra dal fatto anche in Italia. In 
questo paese gli aratri non sono già di tante forme, quanti 
sono gli stati in cui è diviso, che non son pochi; ma varia» 
no provincia per provincia, sebbene in nulla  differisca la 
natura del snolo e l'indole dell’ agricoltura. A convincersene 
basta confrontare la forma primitiva dell’ aratro toscano e 
del bolognese; ed a persuadersi de’ vantaggi , che tengon 
dietro alla miglior costruzione di lui basta gettare un oc- 
chiata su quelli delle pianure piemontesi, e su quei dell’agro 
romano. L’ aratro toscano non è buono sicuramente , e non 
importa cercare a quest’ asserzione l'appoggio dell’ esperien- 
za, che bene quello vi basta della teoria. La brevità della 
stegola, la rigidità dell'insieme, la mancanza d'un co/tro 
adattato a fare strada al vomere sono le cause principali 
della di lui imperfezione. Il seminatore esige un terreno per» 
fettamente arato , per ben riescire nel suo lavoro; dunque 
per ben calcolare i vantaggi di questa. macchina bisogne- 
rebbe congiungervi quelli che dal miglioramento dell’ aratro 
reso da lei necessario sarebbero per sopravvenire. Ma non 
basta che il terreno sia bene arato; conviene che sia dopo 
bene spianato, e purgato dalle cattive erbe, dalle quali tanto 
sono infestati anche quelli tra i nostri campi , che si tengo» 
no per puliti. Ciò forzerebbe a rinunziare alla dannosa abi- 
tudine di sostituire lo spianuccio a un bon erpice, che se di 
nome si conosce in Toscana, certo non vi si conosce mate- 
rialmente, tanto son lontani dalla buona forma quelli, che 
si designano dai caloni per tali. L’ estirpatore verrebbe in 
scena naturalmente, e questo prezioso strumento renderebbe 
de’ servigj inattesi ne’ nostri campi. La struttura e la dispo- 
sîzione de fendenti e del rastrello del seminatore, fanno sì 
che questo istrumento diserba e pulisce i campi come un 
estirpatore. Ma questo servizio non dee esigersi da lui, e 
perchè la macchina soffre uno sforzo troppo grande, e per- 
chè il fastello d’ erba che ‘si frappone fra le dette parti gua- 


< 


293 


sta la netta disposizione del suolo, ed arruffa la sementa ; 


dee dunque un estirpatore passare il primo sullo spazio 
stesso di suolo, che dee poi esser percorso dal seminatore; 
ed io ho notata quì questa circostanza solo perchè mi serve 
d’ appoggio all’asserzione, che i nostri campi sono contro 
1’ opinione comune estremamense infestati da cattive erbe. 
Io mi servii ultimamente del seminatore in un campo, ove 
l’anno scorso erano state coltivate delle piante da sarchiarsi, 
mezzo che si risguarda per il più efficace contro la propa- 
gazione delle cattive piante. Questo campo fu due volte 
arato e spianato, e sempre nettato a mano, ma il semina- 
tore ebbe pena a lavorarvi, tant’ era la mal’ erba che s' in- 
tricava fra i di lui fendenti! Adoprato poi nei terreni comuni 
ove érasi raccolto grano nell’anno avanti, bisognava fermarlo 
al più ogni cento braccia, per liberarlo dall’erba che ne av- 
viluppava i fendenti, e che avrebbe danneggiata la regola- 
rità della sementa. Questi fatti ci provano che tutte le di- 
ligenze dei nostri contadini son ben poco efficaci a procurare 
la nettezza del suolo, tanto raccomandata dai Georgofili, e 
si scrupolosamente ottenuta a Hofwyl ed altrove. Bisogna 
confessare che fra noi la cultura dei vegetabili è meglio 
intesa ; e più accurata che non lo è quella del suolo, mentre 
è per lei che si dissipa la maggior parte della forza _ delle 
numerose nostre braccia, ed è su di lei che l’ affaticato la- 
voratore sparge la maggior copia del suo sudore. E fino a 
quando permetteremo noi che l’ uomo esinanisca con sì po- 
co profitto sulla pesantissima vanga solo per non migliorare 
I aratro , lo che si farebbe senza peggiorare la sorte dei 


| bovi ? 


Il seminatore è fatto per seminare a guasto, e come 
suol dirsi a minuto, e non già a porche o manegge divise 
da solchi, come si costuma fra noi. Un piccolo aumento 
nel diametro delle rote, e l'avvertenza di proporzionare la 


larghezza delle porche a quella del seminatore, o vice- 


versa, ci metterebbe facilmente nel caso di servirsi di quel- 


294 x 

1° istrumento senz’alterare il nostro. sistema di fendere .i 
campi, di farvi i colmi e praticarvi gli acquai, o fossetti di 
scolo, le quali ultime due cose non dovrebbero  variarsi 
neppure anteponendo al nostro il sistema di seminare a mi- 
nuto. Ed ecco in scena una questione del più alto interesse, 
e che io non credo che sia stata mai studiata abbastanza. 
Il costume di solcare i campi, è egli veramente utile, avuto 
riguardo alla superficie che condanniamo ad essere infrut= 
tifera perchè perduta nel solco, e che forma almeno la 
quarta parte del suolo destinato alle semente? 

L’addurre in difesa della pratica di seminare a minuto 
l'esempio d'altri paesi, che felicemente seguono un tal si- 
stema, sebbene sieno come noi soggetti ai danni dell’ umido 
ed abbiano un terreno molto analogo al nostro e assai meno 
fossato e fognato, a nulla giova; poichè si risponde che se 
vi si usasse di seminare a porche, si otterrebbero almeno 
uguali raccolte con meno seme. Non è dunque per questa 
via che, si può portare un qualche lume sulla questione , 
ma solo per il cimento dell’ esperienza e dell’ osservazione 
imparziale. Che si tenti dunque una pratica, che se riu- 
scisse felice aumenterebbe assai la produzione del nostro 
terreno, e non ci sgomentino i vantaggi che i contadini 
asseriscono di trovare nel seminare continuamente in quello 
spazio , ove l’anno avanti non eranvi piante in vegetazione ! 
Basta osservare come si fa questa operazione, e formarsi 
un’ idea di ciò che accade del terreno allorchè dopo la rac- 
colta si rompe, per non potervi acquistare alcuna fiducia. 
Persuadiamoci che in nessun luogo la scienza ‘agronomica 
ha tolto affatto all’ agricoltura il rozzo aspetto d'un arte 
meccanica., ma che fra di noi se con ciascuna zolla è più 
che altrove al contatto la mano e l'industria dell’uomo, 
ne sono però rimaste più distanti le teorie della mec- 
canica e d’ ogn’ altra scienza, che strettamente dovrebbe 
influire sul miglioramento della cultura del suolo. 

Cosmo Riporr1 


N di 295 
SCIENZE NATURALI 


Altre esperienze donde si traggono nuovi argomenti per spie- 
\gare i fenomeni elettro-magnetici più tosto con due fluidi 
elettrici ed altrettanti fluidi magnetici che con un solo 
fluido elettrico. Comunicate dal Professore L. BAccELLI al 
Marchese Cosimo RIDOLFI 


Le rendo grazie e della buona accoglienza che ha fatto al 
mio Opuscolo sui fenomeni elettro-magnetici (4), e dell’ inte 
ressanti sue produzioni sul medesimo soggetto (8), che si è com- 
piaciuta di mandarmi. Ella ed io per diversa strada siamo per- 
venuti a concludere lo stesso intorno alla cagione immediata di 
questi si»golari fenomeni; e se non siamo d’ accordo in ciò che 
spetta ua maniera onde l’ elettricità si propaga pel filo metal- 
lico il quale congiunge due corpi diversamente elettrizzati, con- 
veniamo in questo, di dovere preferire all'opinione frankliniana 
la symmeriana. Ella ha recato in mezzo fatti e ragionamenti, 
che mettono in ragionevole dubbio l’ opinions proposta dal sig. 
Atapere; ed io esperienze, le quali non avendo potuto interpre- 
tare nè per attrazione , nè per ripulsione iu distanza, non ho 
esitato di dichiarare effetti d’ impulsione. A. queste posso, ora 
aggiungerne altre, le quali ho fatto a fine di verificare più con- 
seguenze, che da’ principj dà me impiegati si traggono, e che 
confesso di non sapere spiegare con quei del Fisico Meine i 
Le ne trascrivo alcune, sicuro che saranno cortesemente accolte 
da Lei, che con tanto zelo e vantaggio della scienza coltiva que- 
st’ importante argomento . 

Comincio da una, che già ho recato nell’opuscolo, la quale 
serve di preparazione a molte altre . 

Posto a galleggiare sull’acqua un leggier ago calamitato, al 
suo polo boreale ( quello rivolto al Nord ) si presenti di lungi 
a mezzo pollice circa al di sopra della superficie dell’acqua, il 
filo congiantivo dell'elemento voltiano col polo zinco all’Oriente. 
Tenuto ii filo perpendicolare all'asse dell’ago, si muova nel suo 


(1) I fenomeni elettro- magnetici a due leggi ridotti con la loro cagione tolta 
dall’ opinione symmeriana, Moroni 1821 
(b). Pensieri. Riflessioni, Lettera sui fenomeni elettro-Magnetici del Marchese 


C. Ridolfi. Antologia. 


296 

piano orizzontale versa»i! detto polo: portato ad una certa di- 
stanza da questo, succede che l’ago accorre diritto al filo, e pir- 
venuto col suo mezzo magnetico sotto il medesimo, dopo alcuni 
libramenti, prende situazione stabile. Lo stesso accade, se nel 
medesimo modo si presenta e s’acccosta il filo al polo australe, 
l’ago del pari accorre al filo, e stabilmente si ferma, allorchè 
il suo mezzo è dirimpetto al medesimo. La figura. 1.° mostra 
questo fenomeno osservato dalla persona , la, quale stando dal 
lato orientale dell’ago, sia affacciata al piano del meridiano ma- 
gnetico, e però collocata dalla parte del filo congiuntivo, ove 
seconlo l'opinione symmeriana entra l’elettrico resinoso, Il cer- 
chietto f è !a sezione verticale del filo congiuntivo a b l’ago a' b' 
e a” b' le due sue posizioni nell’ equilibrio stabile. Se col pen- 
siero s' immagina che la persona giri intorno al filo sinchè ne 
veda il lato che s’affaccia all’ago, il moto del polo boreale è, 
per rispetto a lei, da destra a sinistra, e quello dell’ australe 
da sinistra a destra. Ho scelto tra le altre questa posizione, la 
quale se è um pò incomoda per l'osservatore, agevola di molto 
l'operazione dello sperimentare sagli aghi calamitati. Del resto 
in tutte l’esperienze, che qui apporto, intendo sempre essere l’os- 
servatore dalla parte del filo congiuativo; per la quale entra 
l’elettrico resinoso, e volto in modo da vederne il lato che all’ago 
s’ affaccia . 

Nell’opinione del sig. Ampere questo f:nomeno sì spiega.così. 
Tal’è nella recata esperienza la posizione dell’ago e quella del filo 
congiuntivo, che tanto le correnti sulla superficie superiore del- 
l’ago, quanto quella che scorre per la lunghezza del filo sono paral- 
lele, ed hanno la stessa direzione dall’Ovest all’ Est. Or poiché, 
secondo ei pensa, correnti parallele e cospiranti s’ attraggono, 
così per l’azione vicendevole di queste l’ago, agevolissimo a muo- 
versi, si reca al filo, e sotto di esso stabilmente col suo mezzo 
sì ferma, stante che in tale situazione le correnti, che quinci e 
quindi investono le due braccia dell’ ago, attirano egualmente 
la corrente del filo, e sono da questa adforiotimentalatiifato; Nel 
l’ opinione da me proposta, gira la.corrente vitrea in sottilissimo 
strato quasi perpendicolarmente intorno al filo congiuntivo da 
destra a sinistra, e non le fa ostacolo, che il magnetico boreale: .. 
gira pariniente da sinistra a destra la corrente resinosa,.e 1’ è 
Ri d’inciampo il maggetiao, australe: gli impeti loro sono tanto . 
meno possenti, quanto più si allontanano cal filo, e solo s ’eguraglia- 


RA 
; : NA 


vi 


297 
mo ad eguali distanze dal medesimo. Or:quando il ‘filo si pre- 
senta più d’appresso ad un polo che all’ altro; per eseiripio al’ 
boreale; l’eccesso dell’impeto della corrente vitrea su quello' della 
resinosa strascina il magnetico boreale a sinistra, e l'ago, a cui il 
magnetico è attaccato, nel seguire. quanto può il movimento di 
lui, si trasporta al filo, sinchè le sue estremità si trovino egual- 
mente distanti dal medesimo. Allora eguagliandosi gli impulsi 
| sùî due magnetici, l’ago prende la situazione di equilibrio stabile; 

e porterebbe il suo mezzo a contatto: del filo, conforme alla legge 
da me stabilita; se la sua gravezza non lo impedisse . ‘Facil’ è 
dunque secondo i principi dell’una e dell’altra RA rendere 
ragione di questo movimento dell’ ago. 

Or quando per spiegare un certo ordine di fenomeni si pre- 
sentano diverse opinioni ch’hanno a base fatti ed osservazioni , 
a volere convenevolmente giudicare qual di esse sia da preferir= 
si, il mezzo più sicuro è di mettere in chiaro le conseguenze, 
che da ciascuna si possono trarre, e poscia di sottoporre queste 
al cimento dell’ esperienza. Certo niuno esita dopo ciò di riguar- 
dare e tenere se non per vera, almeno per la ‘più conforme al 
vero quella, le cui conseguenze reggono a tal prova. E' con tal 
mezzo, che io qui prendo a disbibinare le due opinioni, che me- 
glio dell’ altre sinora proposte v'adiBio" à fenomeni elettro-mà- 
gnetici . 

Un ago calamitato fallegigiarito sull’acqua deve, secondo it 
sig. Ampere, accostarsi al filo congiuntivo, il quale se gli pre-' 
senta perpendicolarmente, quantunque volte le ‘correnti sulla su- 
perficie dell’ ago volta al filo e la corrente del filo stesso sono 
parallele e medesimamente dirette; ‘e ‘discostarsene, ogni qual 
volta sono contrarie: e deve Pago fermarsi davanti al filo in si- 
tuazione di equilibrio stabile, allorchè le attrazioni tra le dette 
correnti dell’ ago e quella del filo s° eguagliano dall’ una parte 
e dall’altra. Secondo me, qualunque sia la posizione illato e la 
porzione dell’ago, cui il filo sì presenta, il suo polo boreale deve 
essere trasportato da destra a sinistra, e l’australe-da -sinistra a 
destra; e !’ago galleggiante sull'acqua deve prendere stabile si- 
tuazione, tostochè i suo? due centri d’ azione sono egualmente 
distanti dal filo, il boreale a sinistra, australe a destra, e l’uno 
e l'altro in una linea retta perpendicolare al filo. Ecco concliu- 

| sioni legittime. L’ esperienze, che ho fatto per iscernere fra esse 
le vere, sono le seguenti. 


IT. VI. Maggio 20 


298 

Piegata la terza parte as dell'ago ( fig. 2.) ad angolo retto» 
colla rimanente sd si faccia quella passare attraverso un pez- 
zetto di paglia p. q. con tal’artifizio la parte s6 dell’ ago resta 
a fior d’acqua; e si dirige nel meridiano magnetico. Or se al polo 
boreale di questo ago si presenta, come si presentò a quello del- 
lago diritto, il filo congiuntivo f, l’ ago similmente accorre ad 
esso: e. per quanto si può coll'occhio stimare, si ferma nella po- 
sizione 4’ d', ove le sue estremità sono egualmente distanti dal 
filo, cosicchè sotto di esso non corrisponde già il mezzo della 
porzione orizzontale s' 8’, come sembrerebbe dovervi corrispon- 
dere. secondo i princip) del sig. Ampere ma un punto della parte 
intermedia s' #. i sy 

Se l’ ago è piegato per mezzo (fig. 3). la sua metà borea- 
le c 5 passa tutta alla sinistra, ma poco tempo dopo si fa un 
pò indietro, e prende la posizione c' 5', nella quale più della 
terza parte e'5' rimane alla sinistra. Questo ritorno indietro del-. 
l’ago io l’ attribuisco a smovimento di magnetico australe pro- 
dotto dall’elettrico resinoso, e da questo spinto verso il mezzo: 
e che non sia effetto d’attrazione facilmente si deduce da que- 
st’ altre esperienze . 

Quando dell'ago è piegata tal porzione, che quella la quale 
rimane galleggiante sull'acqua non è maggiore della terza parte 
di esso (fig. 4.): l’ago si porta alla sinistra 4' 5' senza punto 
tornare indietro, anzi si fa più alla sinistra, avvicinandoli il filo 
congiuntivo, Lo stesso succede se la parte immersa nell’acqua 
è piegata, come si vede nella figura 5.ta In quest'esperienza, co- 
me nelle due che seguono, l'ago si ferma prima che l'estremità 
australe sia tanto lontana dal filo, quanto la boreale: ma di ciò 
sì rinviene la ragione nella resistenza dell’ acqua, e nella debo- 
lezza della forza elettromotrice, non avendo io adoperato a fare 
quest’ esperienza chè un elemento alla Wollaston, di cui la pia- 
stra di zinco era di 16, pollici quadrati. 

Anche l’ago (fig. 6. ) galleggiante verticalmente nell’acqua 
col polo boreale all’in su passa; scorrendo nel piano perpendi- 
colare al filo, dalla posizione destra a b, ove secondo l’idea del 
sig. Ampere le correnti sulla superficie dell’ ago volta al filo sono 
contrarie alla corrente che lungo di questo scorre, alla posizione 
sinistra a’ b’, ove le dette correnti sono medesimamente dirette. 

Nè diversamente si muove l’ago ( fig. 7.ta ), di cui una por- 
zione, non maggiore della terza parte della sua lunghezza, è pie» 


299, 
gata a rovescio, @ fa colla rimanente angolo acuto, onde possa 
stare diretta bl meridiano magnetico. Nell’opinione del sig. Ani» 
pere dovrebbe quest'ago in principio dell’esperienza anzi che ac 
costarsi, allontanarsi dal filo, per essere le correnti sulla sua 
superficie volta al filo contrarie a quella di esso filo. 

Ripetendo ognuna di quest’ esperienze sulla parte australe 
dell’ ago, non si ravvisa, a parità di circostanze, altra differenza, 
ehe nella direzione: l’ago si muove da sinistra a destra. 

Oltre alle accennate sono in queste esperienze da conside 
rarsi altre particolarità, le quali, nel concetto che due siano i 
fluidi i quali rendono magnetico l’ago, e nell’ altro che l’azione 
del filo proceda da due eguali contrarie correnti elettriche, a- 
gevolmente s° interpretano, purchè nell’ applicarlo a’ riportati 
fenomeni niuno si trascuri degli ostacoli, che si Gppongobo al 
libero movimento degli aghi. Queste particolarità sono 1.° A 
cose per quanto è prosibili eguali, 1 ago diritto orizzontale co- 
mincia a muoversi a distanza maggiore dal filo ( presa dalla sua 
estremità più vicina al medesimo), e con maggior velocità si 
muove , che l’ago diritto verticale: questo a distanza e con 
velocità un po’ più grandi, che gli aghi piegati ad un angolo 
retto ( fig. 4. ) e l’altro ad angolo acuto ( fig. 7. ) comin- 
ciano a muoversi a distanze pressochè eguali, ma l’ estremità 
del primo si ferma un po’ più lungi dal filo, che l’ estremità 
del secondo. 2% Un ago qualunque prende a muoversi a distanze 
maggiori o minori ; secondo che se gli presenta il filo più © 
ineno elevato dalla superficie dell’acqua : ciò però entro un certò 
limite, ch’ è determinato dalla forza elettro-motrice. A questa 
particolarità soddisfa bene Y idea, che le forze le quali traspor= 


tano l’ago circolino intorno al filo. 3.* Il moto di ogni ago è il 


più veloce, quando sotto il filo passa una sua estremità: il che 
è conforme all’idea, che nell’ estremità dell'ago siano i due 
magnetici più densi, che nell’ altre sue parti. 4.° Se il filo con- 
giuntivo si presenta all’estremità dell’ ago verticale ( fig. 6.) 
perpendicolarmente alla lunghezza della peglià p. q. che lo so= 
stiene galleggiante, la paglia , mentre Pago si muove, si mai» 
in perpendicolare al filo. Ma se questo sia obliquo a quella, 

1° igo nel passare all’ altro lato del filo, fa piegare la paglia, e 
ne rovescia la posizione. Mostra lo stesso fenomeno l' ago pie- 
gato ad angolo acuto ( fig. 7. ): esso sì rovescia se il filo 
congiuntivo gli si presenta un po’ obliquamente. Altra prova chè 


300 
i due magnetici sono più concentrati nell’ estremità dell’ ago, 
che in altri de’ suoi punti. 

Che la posizione dell’ago nella situazione di equilibrio sta- 
bile sia, secondo che la mia opiniune esige ; effetto dell’ azione 
ch’ esercita il filo, non già sulla parte intermedia di lui. Ma 
sulle sue braccia, e perticolarmente sull’ estremità, oltre alle 
recate lo provano quest’ altre esperienze. 

Presentato nel modo sopradetto a ciascuno degli aghi 
gallegianti mercè della paglia ( fig. 8. 9g. 10. 1r.$ 12. 94 ) 
il filo congiuntivo, ognan di essi accorre a lui, e sotto vi si 
ferma, allorchè le sue estremità sono egualmente distanti dal 
medesimo, la boreale a sinistra, australe a destra, ed ambe- 
due nella stessa retta: perpendicolare al filo. i 

Impiantati nell’ estremità d'un cilindretto di paglia p. q- 
( fig. 14. ) i poli di nome diverso di due aghi calamitati in 
modo che, ponendo la paglia a galleggiare sull’ acqua: gli aghi 
restino sommersi in essa: quest’ ago che dirò di paglia, offre 
gli stessi fenomeni, che l'ago diritto orizzontale (2). Presenta- 
to, come a questo, ad uno de’ suoi poli il filo congiuntivo 
perpendicolarmente alla lunghezza della paglia , questa diretta- 
mente zecorre al filo, e si ferma, allorchè solto il medesimo 
corrisponde il suo mezzo: se si muove il filo, si muove la pa- 
glia, ‘se si ferma quello, si ferma questa. Standogli sempre 
s tto col suo mezzo. Tutto ciò però nel caso, che la paglia non 
ecceda una certa lunghezza, che ha proporzione alla forza elet- 
tromotrice. Se questa è valevole a portare l'ago verticale (Fig.a 6.2) 
alla sinistra 0 alla destra d’un pollice, per esempio, l'ago di 
paglia ; s' è lango meno di due pollici, si muove come ho detto 
ma s'è più lungo, giunto uno de’ suoi poli alla distanza d’ un 


(1) Io feci egli è qualche tempo consimili sperimenti, ma la differenza dei 
mezzi impiegati mi condusse a resultati diversi. To diffidal della bontà di quelli, 
e considerai questî come inesatti. Ora mì accorgo che erano per lo contrario par- 
lanti, ma sì complicati che non seppi ravvisarne i principj Jo aveva costruito 
un ago d’argento perfettamente bilicato su d’un pernio le di cui estremità termi- 
navano in una branca di pinzetta. In queste branche io poneva degli aghi calami- 
tati fatti con similissimi pezzetti di molla da orologio. Si manteneva l’ equilibrio 
col mezzo di anelli cursori, e l'insieme dell’apparecchio poteva atteggiarsi in mil- 
le modi onde sperimentarvi d’ intorno l’ azione del filo congiuntivo. Ora ognuno 
intenderà chiaramente qual serie complicata di fenomeni dovese nascere dal porve 
insieme a cimento tante forze; di ciascuna delle quali é ancora sì poco cognita la 
gpaluray Ridolfi, 


3o1 


pollice, anzi meno a cagione della sua massa e della resistenza 
dell’acqua, cessa di muoversi. cosicchè v'è nel mezzo della 
paglia uno spazio, a punti del quale affacciato il ‘filo, l’ ago 
rimane immobile. Questo fenomeno non si osserva sperimen- 
tando su d’un ago d’ acciajo, stante che in questo i magnetici 
non sono, come in quello , raccolti nelle sole estremità, ma da 
queste , ove densissimi sono ; decrescono andando verso il mezzo, 
in cui mancano del tutto, o sono, come suol dirsi , neutraliz- 
zati. Del resto gli aghi, i cui poli formano l’ago di paglia, pos- 
sono essere piegati nelle loro estremità superiori all’ indentro 
{ Fig. 15. ); e le loro porzioni sommerso nell’ acqua possono 
essere nello stesso o in diversi piani parallele, divergenti, con- 
vergenti , attaccate o no per le loro estremità: esso non resta 
per questo dal moversi conferme ho detto. Di più sia galleg- 
giante, sia sospeso pel suo centro di gravità ad un lungo sottil 
filo di seta, egli declina, s'accosta al filo, se ne discosta. A 
dir breve manifesta tutti i fenomeni , che nelle stesse circo- 
stanze manifestano i leggieri aghi d’acciajo , su de’ quali ho preso 
particolarmente a studiare i fenomeni elattro-magnetici . Come 
> questi fatti si possano spiegare nell’ apinione d’un solo fluido, 
io non so dire. i 

‘Assicura il sig. Ampere, che la porzione del filo congiun- 
tivo piegata in spira ‘opera in tutte le circostanze su d’un ago 
calamitato nel modo stesso che nn corpo magnetico. Fo ho espe- 
rienze, che mi trattengon dall’ ammettere quest’ identità d’a- 
zione. Delle molte descriverò quest’ una, che per le altre di 
troppo dovrei moltiplicare le figure. Si avvolga il filo congiun- 
tivo intorno ad un sottil parallelepipedo di legno in modo che 
gli anelli di uno de’ lati della spira quadrata che risulta ; siano 
perpendicolari all’ asse della medesima, e poco tra loro distanti. 
Voltato questo lato alla superficie dell’ acqua, s’ accosti all’ago 
calamitato verticalmente galleggiante quel capo della spira, il 
quale respingerebbe il polo dell’ago , se questo -si' presentasse 
al medesimo nella direzione del suo asse: ad una certa distan- 
za, l’ago accorre sotto la spira, e camminando a ‘linea retta 
per la lunghezza di essa, passa al di là dell’altro capo. Questo 
movimento , ehe certo l’ ago non prende, sostituendo alla spira 
un corpe calamitato, è del tutto conforme a’ principj che io ho 
adottati. Ogni apietta della spira opera successivamente sull’ago, 
come opera il primo; e l’azione del primo è , come ho mostrate 


309 
{Fig.ra 6.a ), di trasportare l'ago da destra a sinisistra , 0 da 
sinistra a destra, secondo che il polo di lui!più vicino al filo è 
i boreale o 1° australe (2). 

Più esperienze io ho fatte, dalle quali evidentemente ap- 
parisce , che nel prendere l’ago presso del. filo posizione di 
aquilibro stabile , il suo polo boreale gira da destra a sinistra ; 
e per contrario l’ australe. Valgano per tutte queste due. 

Pongasi l’ osservatore dal lato orientale dell’ ago galleg+ 
giante,a b (Fig.ra 6.a ), e tenendo con una mano l’ èlemento 
voltiano, e con !’ altra il filo congiuntivo, tuffi parte di questo 
nell'acqua col polo resinoso all’ insù ; indi lo presenti in distan- 
za di 3 in 4 linee ora ad un punto, ora ad un altro dell’ ago 
e ad ogni fermata immerga l’ elemento nel truogolo. Se ilo pre= 
senta e tiene giustamente dirimpetto al. mezzo magnetico. c 
l ago fugge parallelamente a se, e tanto. piu veloce, quanto 
più il filo se gli fa d’ appresso. Ciò benissimo si spiega nell’ una 
e nell’ altra opinione. Ma, se lo presenta ad un punto: più vici- 
no al polo boreale, che all’ausrtale, allora lago passa dalla 
‘ sua naturale posizione ab in a'b', poi in a''b', e da questa si 
reca al filo congiuntivo , di cui il cerchietto f rappresenta la 
sezione orizzontale, presso del quale, dopo alcune oscillazioni, 
stabilmente si ferma in «'‘0'". Le curve di tratto. dolcissimo 
ecs c'e, c'e’. mostrano la via percorsa del mezzo c dell’ ago; 
e la curva; schiacciata 65/2//5! quella, che nel tempo stessa 
percorre da destra a sinistra il polo b. In simil modo, ma da 
sinistra, a destra gira i! polo australe , se più vicino a questo, 
ehe al boreale si ‘pres:nta il filo congiuntivo. E qui pure si os- 
serva; che il moto dell’ ago è il più veloce; quando. davanti 
al filo passa uno de’ suoi. poli. 

Piegato in un piano verticale il filo congiuntivo ad Mt 
retto ni suo, polo, resinoso/ all’ in sù ( Fig.ra 17.2 ), al. polo bo- 
reale dell’ ago galleggiante verticalmente nell’ acqua si presenti 
il braccio orizzontale del filo sì che l’ ago sia alla destra dell’ - 
osservatore. Se la distanza tra il braccio verticale del filo el’ ago 
non è maggiore di tre linee, l'ago gira intorno a questo Pot 
cio, cioè passa dalla parte ab all’ apposta 4'8'; descrivendo la 
curva un PRRPIERE A bm.b':(Fig.ra 18.2 ). NL se P gir 


- (2) Crello chè i fisici sapràanio buòn grado al sig. Baccelli di quest rimportanti 
te esperienza. Ridolfi. 


303 
dell'ago, cui -s'affaccia il filo, è l’ australe, e questo alla si- 
nistra dell’ osservatore , l’ ago si porta in giro alla ‘destra. Di 
questo movimento in giro dell’ ago intorno al filo, sul quale 
ho fondata la mia opinione s iò confesso di non saperne rinve= 
mire nell’ Amperiana i princip). 

Ma se tal‘moto proviene ; come tutte l’ esperienze insinua- 
no a fat credere, dall’ essere i magnetici dell’ ago trasportati 
nella direzione delle respettive correnti elettriche , le quali cir- 
colano intorno al filo , ne segne necessariamente , che allorquan- 
do l’ago è immobile, è mobile il filo, i fluidi di quello, siccome 
aderenti alla sua materia, debbano' essere d’ ostacolo al moto e 
passaggio de?’ fluidi di questo; e però nell’ urto delle correnti 
elettriche contro i magnetici che loro sono d’ihciampo , deve 
il filo mobile non solamente disporsi perpendicolarmente presso 
il mezzo della retta la quale unisce i due poli magnetici che 
gli si presentano con tal moto e direzione, che il polo boreale 
riesca alla sinistra, e l’ australe alla destra ; ma deve altresì 
alla presenza d’ uno de’ poli girare intorno al suo asse. Questa 
ded uzione , di cui ho fatto cenno nell’ opuscolo , m’ è riuscito 
ora di confermare in tutta la sua estensione : ed a ciò mi ha 
servito assai bene l'anello galleggiante del sig. della Riva, pie- 
gato a doppia squadra anzi che in forma circolare. Valendomi 
di uno, di cui i lati verticali erano, lunghi an pollice, e l’oriz- 
zontale due, e le piastrine di rame e di zinco tre quarti circa di 
pollice quadrato, ed il corpo galleggiante un vetro d’ orologio, 
sono pervenuto ad osservare 1.* che presentati al di sopra del 
lato orizzontale dell’anello i poli di una ‘potente calamita a ferro 
di cavallo, o i poli contrarj di due vigorose barre magnetiche co- 
munque inclinate, l’anello si muove e gira sino a che il suo piano, 
e perciò il detto lato; sia perpendi colarmente dirimpetto al mezzo 
della retta, la quale unisce i due poli magnetici, e così cn 
che il boreale di questi sia a sinîstra,“e 1’ australe a destra: 2.° 
che avvicinato all’ esterno d’uno de’lati verticali dell’anello il po- 
lo di una barra magnetica; il piano dell’anello ‘si muove rotando 
intorno a quel lato sin che non sia rivolto al polo. Dopo di che' 
l'anello accavalcia la barra; se quest'è orizzontale e lungo la 
medesima scorre verso il mezzo di essa. Del primo moto le par- 
ticolarità sono: se il polo boreale è a sinistra, o l’australe a de- 
stra dell’ osservatore; il lato dell’ anello più vicino alìa calamita 
rota intorno a se stesso, descrivendo dalla stessa parte della cala- 


ELIA 

mita un piccol cerchio; ma.se il polo boreale è a destra o Vaustra= 
le a sinistra,,il lato dell'anello passa, rotavdo intorno a se, alla 
faccia opposta della calamita. Nell’ano e nell’altro caso la rota- 
zione è contraria alle direzioni delle correnti vitrea e resinosa) 
alle quali io attribnisco l’azione del filo. Per quest/esperienze sì 
conferma anche quel che io.già da altre ho concluso, cioè che nei 
fenomeni elettro-magnetici l’ago calamitato è corpo trasportato» 

Tra gli altri ritrovati, di cui il sig. Ampere ha arrichita la 
scoperta del sig. Oersted, bello è quelio del dirigersi che fa per 
l’azione della Terra una porzione mobile del filo congiuntivo per- 
pendicolarmente al meridiano magnetico. Egli dall’avere osservato; 
che questa porzione mobile prende la medesima direzione sotto- 
ponendole un altro filo congiuntivo, pel quale secondo la sua opinio- 
ne la corrente elettrica scorre dall’Est all’Ovest, ne ha concluso: che 
Vazione magnetica della terra possa derivare da correnti elettri- 
che, che circolino intorno alla sua superficie nella direzione del 
movimento diurno del sole., Ma se io ho ragionevoli motivi di met- 
tere in dubbio le correnti intorno a’corpi calamitati, mi sarà per- 
messo di dubitare altresì di quelle, alle quali si vuole attribuire 
la cagione del magnetismo terrestre; e di riguardare questo feno- 
meno come un argomento di più a favore dell’opinione, in'cuiì è 
la maggior parte de’fisici, che il magnetismo della terra risulti 
anch'esso da due fluidi. Or quest’opinione esige, che abbandonato 
a se stesso il filocongiuntivo in qualsivoglia luogo della superficie 
terrestre, debba egli, disporsi rispetto a poli magnetici della terra; 
come una sua porzione mobile si.dispone rispetto a'î poli di una: 
calamita, cioè dirigersi perpendicolarmente al meridiano megne- 
tico col suo polo resinoso all'Occidente, onde il polo jaastrale dellà 
terra, corrispondente al boreale dell’ago calamitato; riesca alla :si-: 
nistra dell’ osservatore; e così appunto egli si dirige conforme-ha 
osservato il sig. Ampere: alubnsa 

Collo stesso anello galleggiante sono riuscito a.vedere senza» 
equivoco le attrazioni e.le ripulsioni tra due porzioni del filo cont. 
giuntivo, una fissay;ed una mobile, altra bell’ osservazione. del 
sig. Ampere : e..ciò coll’avvicinare parallelamente ad. uno de’lati 
verticali dell’ anello il filo congiuntivo dell’elemento alla Wolla- 
ston coi poli dello stesso nome; prima corrispondenti, poi contra- 
rj. Questo nuovo fatto, che,il, suo scuopritore ha preso a base e' 
fondamento della sna opinione, deducendone che due ‘correnti 
ele ttriche parallele s’attraggono se sono cospiranti, e respingonsi 


305, 
se contrarie; è nella mîa un fatto secondario e speciale, di cui 
l’espressione è questa: duefili congiuntivi s’avvicinano, quando gli 
anelli spirali degli elettrici dello stesso home s’aggirano intorno 
ad essi per lo stesso verso; e s’allontanano quando s’aggirano in 
senso opposto. E così infatti, come già ho detto, a me pare debba 
succedere. Imporciocchè a cagione della prossimità, in che voglio- 
no essere posti i fili, onde tali fenomeni si manifestino, l’ atmosfe- 
ra elettrica dell'uno estendendosi più che per metà.entro l'atmo- 
Sfera elettrica dell’ altro, nel primo caso gli anelli spirali delle 
correnti delto stesso nome, le quali volgono per lo stesso verso, 
sono dì già incanalati per lo stesso cammino; e però debbono col- 
lo strascinarsi l’uno l’ altro finire d’incanalarvisi del tutto: il che 
importa che i due fili s’° avvicinino;. nel secondo caso, scorrono i 
detti anelli spirali, quelli d’un filo per un verso, e quelli dell’altro 
per lo contrario; e però nell’incontro urtandosi e premendosi, 
debbono retrocedere e con essi i fili, intorno a’quali s avvolgono. 
In ciò è pure riposta la ragione del girare che fa con moto acce- 
leratola posizione mobile del filo congiuntivo intorno ad una retta 
perpendicolare tanto alla sua direzione, che a quella della porzione 
fissa, sin che sia divenuta a questa parallela, e così diretta, che i 
poli dello stesso nome di entrambe si corrispondano. La qual cosa 
io peno assai a comprendere coll’idea di semplici forze attratti- 
ve e ripulsive . i 

In fine quant’agevole mi è ballioginione de’ due fluidi elet- 
trici e di.due fluidi magnetici, altrettanto malagevole mi riesce in 
quella d’un solo fluido elettrico l’intendere 1.° perchè fatto passa- 
\ re un filo di ottone attraverso un cilindretto di vetro, ed avvolto 
intorno a questo cilindretto un filo d’acciajo, sempre succeda che, 
scaricando col detto filo d’ ottone una. boccia di Leyden divenga 
boreale l'estremità del filo d’acciajo, ch'è volta alla sinistra del- 
- l'osservatore, ed australe quella volta alla. destra, siano o no que- 
ate due estremità nella stessa linea retta, 2.* perchè se l’estremità 
di un filo d’acciajo piegato in spira attorno al cilindretto di vetro 
per metà a sinistra e per metà a destra, siano ambedue rivol- 
‘te alla sinistra, o ambedue alla destra . dell’. osservatore, di- 
vengano nel primo caso tutti e due boreali, nel secondo tutt’ è 
due australi ,.3.° perchè introdotta nella spira del filo congiuntivo 
una,spira comunque piegata d’accajo, ovvero un cilindretto di ve- 
tro o. di carta pieno di limatura di ferro, sì la s pira d’ acciajo che 
la limatura si.calamitino in modo che quella delle loro estremità 


Zob 


la quale è rivolta al polo resinoso si manifesti boreale 0 australe 


secondo che gli anelli spirali del filo congiuntivo piegano a siui- 
stra o a destra. Queste cose, dico, io non duro fatica a intendere, 
attribuendo l’azione del filo elettrizzato a due eguali contrarie 
correnti. Poichè io le ritengo valevoli a rapire e strascinare i 
magnetici di già disuniti con tanto impeto da movere i pesanti 
aghi, cui sono questi aderenti, così mi do ben anche a credere; 
che atte siano a levarli dallo stato di debole combinazione in che 
naturalmente isono in ciascuna molecola de’corpi suscettibili di 
calamitarsi, donde poi nel modo ideato dal Coulomb risulti in 
essi la virtù magnetica. Se questo è, ne segue che, riuscendo mer- 
cè di fili metallici elettrizzati, rettilinei o spirali a calamitare; la 
polarità non debba avere relazione, che alle direzioni delle cor- 
renti elettriche, vale a dire debba sempre manifestarsi boreale 
quella estremità del corpo , la quale trovasi nel ‘cammino della 
corrente vitrea ed australe 1’ altra. Or questo è appunto ciò che 
l’ esperienza precisamente dimostra . i 

Son queste, ornatissimo Signore, alcune delle nuove espe- 
rienze che io ho fatto, dalle quali apparisce, che quegli stessi fatti, 
ì quali servonoa viepiù assicurare e compiere la spiegazione da 
me data a fenomeni elettro-magnetici, non favoriscono quella? 
che ne ha recato il sig. Ampcre. Molti dubbj , com’ ella può ben 


immaginare, hanno esse in me destato sul valore. delle conclu- 


sioni, che quest'illustre Fisico ha tratto da’ suoi pregievoli ritro- 
vati, non che sulla possibilità che si eccitino e si mantengano tan- 
to sulla terra, che nel ferro e nell’ acciajo correnti elettriche si 
regolari e costanti, che da esse possano derivarsi tuttii ben noti 
fenomeni del magnetismo. Ma io che intorno a questo argomen- 
to mi sono proposto di narrare soltanto ciò, che dall’esperienza 
ho appreso, m’astengo dall’attenuare con parole il merito dell’opi- 
nione Amperiana, anche per questo che potrei far dire al suo ‘au- 


tore cose, ch’egli per avventara non ha detto; e a questo risico’ 


io certo m'’esporrei, non conoscendo il suo lavoro, che per i sunt 
i quali si leggono nella Biblioteca Universale di Ginevra sino al- 
l'agosto dell’anno scorso terminerò piuttosto questa lettera, rac- 
cogliendo in ‘breve le mie, qualunque siansi idee . 

Se nelle naturali scienze le conclusioni legittimamente de- 
dotte da replicate e tutte concordi esperienze sono da tenersi per 
leggi o verità dimostrate, poche se ne trovano di tosì ben stà- 
bilite, quanto quelle che io ho tratte dall’ esperienze recate n'el- 


307 

opuscolo; alle quali aggiungono maggior grado di certezza i 
nuovi fatti che qui ho apportato. Sosia dti indipendente- 
mente da qaalsivoglia ipotesi, trovate e determinate le leggi 
pe’ fenomeni elettro-magnetici. Due e non più son esse. Una 
comprende tutti i movimenti degli aghi calamitati ed è questa: 
» Qualunque sia la qualità, la lunghezza, la posizione; la por- 
zione, e la faccia del filo congiuntivo il quale s' avvicina isolato 
o no ad un ago calamitato, i movimenti che in questo si osser- 
vano sono diretti a portare il suo braccio horeale alla sinistra 
dell’ osservatore e pressochè perpendicolare. al filo, ed il suo 
mezzo magnetico a contatto col medesimo. Questa posizione è 
di equilibrio stabile: ,, 

L’ altra spettante alla maniera, onde l’ elettricità desta la 
virti® magnetica è questa: 
5 Posto il mezzo di uno o di quanti si vogliono aghi d’ acciajo 
in qualanque distanza fra loro, vicini e comunque di traverso 
ad un filo metallico, e fatta passare pel filo una piena di elet- 
tricità, gli aghi si calamitano: e l’ estremità loro la quale è ri- 
volta alla sinistra dell’ osservatore, presenta il polo boreale. 
Che se l'ago sia posto entro la spira di un filo metallico; an- 
che la sola scintillazione (1) un po’ continuata dell’ ordinario con- 
duttore della macchina elettrica, basta ‘a calamitarlo : e l’estre- 
mita sua opposta al conduttore o rivolta al polo zinco dell’e- 
lementoo al. polo rame della ‘pila, diviene polo boreale o au- 
strale secondo che gli anelli della spira piegano a sinistra o a 
destra. ,, i 

Se delle diverse opinioni che alle diverse menti s’ affacciano 
per rendere ragione di un conosciuto ordine di cose, quella si 
dee all’altre anteporre che a tatte le loro più minute circo» 
stanze e particolarità soddisfa: a spiegare i fenomeni elettro- 
magnetici, o io mal veggo, o altra sinora non ci ha di più ‘ade- 
quata e completa di quella , che io vi ho. applicata. Io non la 
ho supposta; me l’ha suggerita la congettura dell’ illustre scuo 
pritore de’ medesimi fenomeni, il sig. Oersted; me 1’ ha mani- 
festata nella sua estensione il, movimento dell’ago calamitato 
galleggiante; me 1’ ha confermata la ‘serie di tutte l’ esperienze 
fatte dagli altri e da me. 


(1) Nuove esperienze, delle qualì renderò conto în a mi hanno con- 
fermata la magnetizzazione degli aghi per mezzo della tacita corrente elettrica 
della macchiva ordicaria. C. Ridolfi. 


308 


Dacchè nè per attrazione , nè per ripulsione in distanza 
io potuto render ragione del giro, che fa l’ ago galleggiante 
intorno al filo congiuntivo, onde . ‘prender presso di esso situa- 
zione di equilibrio stabile; e riuscito mi è di spiegare per im- 
pulsione questo ed ogni altro suo movimento, ne ho concluso 
che il moto dell’ ago procede da spinta di materie, che. sono 
in esso e nel filo congiuntivo. Dacchè questo fenomeno e tutti 
gli altri, che allo scuoprimento Oerstediano si riferiscono non 
manifestano, che gli aghi calamitati o suscettibili di calamitarsi 
e solo allorchè loro si avvicinano fili conduttori dell’ elettricità 
congiungenti corpi inegualmente elettrizzati, ;ne ho inferito che 
le dette materie sono quelle, le quali danno a’ corpi la virtà 
magnetica e la elettrica. Dacchè l’ ago sempre gira intorno al 
filo congiuntivo da destra a sinistra, o da sinistra a destra; al- 
lorchè il polo del medesimo il più vicino al filo è il boreale © 
l’ australe, ho detto, che intanto l’ago si muove, in quanto la 
sua materia magnetica è trasportata : ché la trasporta la mate- 
ria elettrica del filo: che questa gira intorno al filo in due 
contrarie direzioni, cieè una porzione a sinistra, e una porzione 
a destra, che la prima agisce soltanto sulla materia magnetica 
del braccio boreale , e 1’ altra soltanto su quella del braccio 
australe, senza di che l’ ago non si muoverebbe, come si:muo- 
ve. Infatti se l'una e |’ altra delle materie elettriche agissero 
su quella delle due braccia dell’ ago dovrebbero agire con forze 
impellenti eguali o ineguali: nel primo caso, venendo ogni pun- 
to spinto da forze eguali e contrarie, l’ ago non si muoverebbe: 
nel secondo non avrebbe presso del filo posizione stabile, ma si 
.moverebbe a seconda della forza prevalente. In quest’ illazione 
rinchiudesi palesemente quest’ altra. Che sieno fra loro diverse 
e distinte sì le due forze elettriche impellenti, che le due ma- 
terie magnetiche spinte: ma perciocchè se fossero fra loro iden- 
tiche, e queste fra loro le stesse, o diverse, l’ una e l’altra delle 
prime agirebbe su di ambidue le seconde, o su di una soltanto: 
e se identiche fossero le materie magnetiche, e diverse fra loro 
l’ elettriche per quella qualità, per cui una di queste agisce su 
d’ una di: quelle, per la stessa agirebbe sull’ altra, e nell’ un 
caso e nell’ altro avverrebbe una delle dette due cose, cioè o 
l’ ago non si muoverebbe, o non avrebbe presso del filo posi- 
zione d’ equilibrio stabile. Così passando da una conseguenza 
all’ altra, sono come si scorge pervenuto all’ opinione di quelli, 


- 


e pen» | 


Cena A 


rst 


309 
i quali a due distinti fluidi attribuiscono 1’ operare de’ corpi 
magnetici, e a due altri il mostrarsi elettrici i corpi. Pongono 
essi che i magnetici, sieno fissi, e sì distribuiti per le braccia 
degli aghi calamitati, che densissimi ne” così detti centri d’ a- 
zione, decrescano rapidamente sino a mancare verso il mezzo. 
E quest’ idea è del tutto conforme a’ fenomeni elettro-magne- 
tici. Da’ Symmeriani non si era dato sinora, che idea poco sod- 
disfacente della maniera, onde i due elettrici si propagano per 
i fill conduttori congiungenti corpi diversamente elettrizzati ; 
giacchè il dire, come essi fanno, che successivamente si com- 
binino e decompongansi, non che oscuro ad intendere, è privo 
di fondamento . (2) Ma se nella fisica un fatto val più che 
mille ragionamenti, il moto dell’ ago intorno al filo eongiuntivo 
in un piano perpendicolare o quasi perpendicolare al medesimo 
ne fa vedere, che i due elettrici circolano spiralmente in due 
eguali e contrarj sottilissimi strati, nulla o pochissimo inclinati 
all’ asse del filo, formando intorno ad esso una doppia elica ci- 
lindrica, in ogni sua parte simile a sè stessa, e tanto più im- 
petuosa, quanto maggiore è degli elettrici la piena e la  veio- 
cità; io mi sono ingegnato con parole ed esempi di dare ad in- 
tendere come e perchè comincino e proseguano sì fattamente 
a circolare intorno al filo congiuntivo: ma quando ‘anche non 
fossi riuscito di mettere queste cose in evidenza, non si potrà 
per questo solo rinunziare all’ idea di 4ttortigliamento delle 
due correnti elettriche , il qual’ è manifestamente indicato da 
costanti e certi movimenti degli aghi calamitati. Assunto ed 
ammesso come un fatto dovuto all’ esperienza, che lo stesso 
elettrico cominci e continui sempre a scorrere pel filo congiun- 
tivo per lo stesso verso è denominata, non senza fondamento ; 
vitrea la corrente elettrica, la quale va da destra a sinistra, e 
resinosa l’ altra; ritenuta la denominazione di direttrice ma- 
gnetica, che suol darsi alla risultante delle forze, con cui la 
terra chiama costantemente l’ ago calamitato al meridiano ma- 
gnetico ; chiamata direttrice elettrica la risultante dell’ azioni 
simultanee delle due correnti vitrea e resinosa, la quale obbliga 
l’ ago a prendere presso del filo la posizione di equilibrio sta- 


(2) Mi parve, e tuttora mi sembra; che i fenomeni di calore e di Luce 
che nell’ incontro di due fluidi elettrici si mànifestano, prestino qualeke ton- 
damento all'opinione dei Symmeriani C. Ridolfi 


310 

bile; e chiamato piano del filo, quel piano. parallelo all’ asse 
dell’ ago, il quale passa per l’asse del filo: nulla più mi è re- 
stato da desiderare per rendere ragione di tutti per singoli 
gli effetti che, conforme alle due leggi sperimentali, produce 
sugli aghi calamitati e non calamitati |’ azione elettrica de’ fili 
metallici, mentre congiungono corpi inegualmente elettrizzati, 
siccome confido di avere a bastanza dichiarato nel più volte 
citato opuscolo . P- BACCELLI. 


Sopra l’alpe apuana ed i marmi di Carrara; cenni di 
 Emanvrre Rererri. — Firenze 821. (*) 


Sebbene non vi sia forse alcun punto del globo che 
agli scrutatori diligenti delle cose naturali non offra soggetto 
d'osservazione e di studio, e sebbene ai dì nostri sia, al 
confronto d’ altri tempi, grande il numero degli studiosi e 
degli osservatori, pure a dirigere questo studio e quest’ os- 
servazione piuttosto verso un’ oggetto che verso un’ altro, 
influiscono il più delle volte circostanze particolari, e direi 
quasi bizzarre. / 

Così è ovvio il vedere uomini che 1’ amore dell’ osser- 
vazione spinge fuori del lor paese, lasciando che a vicenda 
osservatori stranieri , visitato questo con un'attenzione di 
cui essi non lo crederono degno, li avvertano di ciò che 
essi non videro o non curarono. Ù 

Il qual procedere se appare alcun poco strano , trova 
però scusa o almeno spiegazione nell’ amore della nuovità 
ingenito all’ uomo , per cui gli sembra curioso. ed interes» 
sante ciò che egli veda la prima volta, ed in una specie 
d’ indifferenza con cui egli riguarda quelle cose che vedute 
da lui abitualmente e fino dalla prima infanzia, gli sem- 
brano ovvie e comuni. 

A circostanze nè molto diverse nè affatto simili a qué- 
ste noi dobbiam forse l’operetta pregevole qui sopra in- 
dicata . 


(*) Ua vol. 8.° si trova vendibile presso l’autore, ed al Gabinetto sciena 
tifico letterario ,, presso G. Majolì. 


ETTI 


Il suo stimabile autore nato in Carrara; ma partitone 
nella sua adolescenza , essendovi recentemente tornato in età 
matura, adorno d’utili cognizioni, ed avvezzo a meditare 
sui fenomeni naturali e sulle cause loro, trovò in sè stesso 
e nelle circostanze éstrinseche quanto poteva invogliarlo d’ in- 
traprendere un diligente esame di tutto ciò che si riferisce 
a quelle località, e quanto era necessario per riuscirvi. 
Mentre, per la lunga assenza, gli oggetti che colpivano 
il suo sguardo producevano in qualche modo sopra di lui 
l'impressione della novità, l’amore del luogo mnatìo , che 
negli animi gentili non mai si estingue, dovè rendere in 
lui più vivo il desiderio di rilevarne i pregi d’ ogni ma- 
niera, nel che le naturali e le amichevoli relazioni poterono 
soccorrerlo in qualche parte. 

Di fatti premuroso d’ aggiungere alle osservazioni pro- 
prie tutte le notizie che potessero ricavarsi dalle memorie 
conservate in archivi pubblici o privati, dalle tradizioni 
trasmesse fra gli abitanti, o dai pensamenti di quelli fra 
essi che possono trovarsi nel caso di sorprendere Ja natura 
nel fatto d’alcune sue particolari produzioni, le sue inda- 
gini e le sue richieste poterono essere secondate come per 
avventura quelle d’un’ estero non lo sarebbero. 

Alle quali condizioni e premure unendo una non co- 
mune varia erudizione , ha egli potuto illustrare diversi 
oscuri o dubbii soggetti, specialmente di storia naturale o 
civile, spargendo copiosamente di curiose ed importanti no- 
tizie ogni parte del suo lavoro. 

È questo diviso in quattro sezioni, che l’ autore intitola 
Geologia, T. opografia, Mineralogia chimica, e Storia. 

Nella prima riconoscendo egli il monte sacro quasi un 
centro da cui si diramano tutte le montagne marmoree di 
Carrara, seguita queste nel respettivo loro andamento, de- 
scrivendone prima la struttura o forma esterna, con segna- 
lare le prominenze che vi si fanno distinguere, le valli che 
le separano, i fiumi o torrenti che percorrono queste valli, 
l’azione delle acque talvolta violenta e corrosiva sui lati dvi 


312 i , 

monti, da qual punto e di quali piante le falde di questi 
comincino a rivestirsi. E quanto all’ interna struttura, fa 
conoscere con chiarezza e precisione i materiali dei quali 
quei monti si compongono, e che sono per il monte sacro 
e per un certo tratto delle sue diramazioni il calcare pri» 
mitivo, il quale di màno in mano fa passaggio in altre for- 
mazioni , varie in varie parti, e che il nostro autore descrive 
esattamente, non omettendo d’indicare quelle altre più scar- 
se produzioni naturali, che, disseminate raramente e vaga: 
mente nelle grandi masse calcari, o altre , egli considera 
come accidentali ed eterogenee. 

La sezione seconda intitolata Yopografia, e che focral 
una specie d' itinerario metodico alle principali cave dei 
marmi , contiene una minuta e diligente descrizione di tutto, 
il paese compreso fra Lavenza e Carrara, la qual descrizio- 
ne, quantunque abbia per oggetto piinsigiivai i monti mar- 
morei e le cave in essi aperte, illustra non meno ogni altra 
porzione di quel tratto di paese , facendone . conoscere i 
materiali costituenti , 1° ordine e disposizione relativa, l'e» 
sterna struttura, la cultura di quella parte di terreno che 
n'è capace, gli usi e le arti delle popolazioni che ivi abi. 
tano. i 

Quanto poi alle cave, sebbene molte di numero, sona 
tutte accuratamente descritte coll’indicazione delle diverse 
qualità di marmi ‘che si ricavano dall’ una o dall’ altra di 
esse, e che sono respettivamente lo statuario bianco, l’'or- 
dinario, il perlato, il venato, il bardiglio ec. o due, o più 
insieme di tali varieta. 

Intorno ad una delle quali cave denominata dello Zam- 
pone il nostro autore ebbe occasione di fare alcune curiose 
osservazioni, applicabili egualmente alle alire cave, e rela- 
tive alla disposizione secondo»la quale s'incontrano in esse 
uno dopo l’altro, a partir dall’esterua superficie, strati di 
materiali diversi, che sono i seguenti, disposti secondo 
l'ordine che appresso. Primieramente uno strato esterno e 
superficiale di' calcare di grana grossolana, di color grigio 


313 


ceruleo , rigato di striscie bianco-rossastre, ed in parte scom- 
posto dall'influenza degli agenti esterni. Sotto di esso. un 
bardiglio comune poco pregevole, perchè anch’ esso in parte 
alterato. Quindi uno strato eterogeneo, o filone sterile di 
colore ocraceo risultante da un miscuglio di calce carbo- 
nata, d’'allumina, e di ferro in varii stati. In fine sotto di 
| questo si trova il vero calcare saccaroide bianco, o marmo 
statuario, di cui i cavatori sanno assai prossimamente anti- 
vedere la perfezione e l'estensione, giudicandone dalla qua- 
lità e stato del filone sterile, e partendo da certe loro idee, 
che, sebbene apparentemente strane e assai distanti da quel- 
le generalmente ricevute, pure Y autore crede degne di qual- 
che attenzione, mosso dalla concordanza, presso. a poco, 
costante della qualità del marino col gladio anticipatone 
dai cavatori, come anche da un fatto singolare, e che sen. 
bva autentico , deponendone, fra gli altri, una persona ri- 
spettabile ed intelligente. Sul qual soggetto tornerò oppor- 
tunamente fra, poco . 

Fra le varie qualità di marmi, che quelle cave pre- 
sentano merita particolare attenzione quella della cava de- 
no minata di Betogli, in grazia di proprietà singolari, che 
il nostro autore rileva diligentemente . 

| Questo marmo, candidissimo e della più bella appa- 
renza allorchè è tagliato dalla. roccia, prova per la sua 
esposizione all’ aria nel tratto d’ sigagi mesi una notabile 
alterazione , che l’ autore ha riconosciuto consistere nella 
perdita d'una parte della sua acqua di. cristallizzazione e 
del suo acido carbonico, per cui la coesione delle sue parti 
è indebolita, diminuito il suo peso specisico. La sua super- 
ficie. perde per una specie d’ efflorescenza l’ aspetto primi. 
tivo, e diviene incapace di prendere o di conservare. forme 
delicate e finite. 

Bensì i lavoranti carraresi, che chiamano questo mar- 
mo concotto, o salone, sono giunti a, correggerne in qual- 
che modo i difetti, mediante | applicazione . d’ alenne so- 


stanze agglutinaoti, e specialmente del sugo dell’ aglio e 
T. VI. Maggio 21 


314 
dell’ euforbio, del sangue di drago, della gomma-gutta, della 
pece greca, della chiara d'uovo, ec. che accrescono la coe- 
sione delle sue parti, specialmente esterne, derivando a 
queste dal difetto stesso l’ attitudine ad assorbirle . 

Della quale ultima proprietà hanno saputo profittare 
per insinuare unitamente a tali rimedi varie materie  co- 
loranti nella sostanza di quel marmo, destinandolo special- 
mente a formarne varie specie di frutti con maestrevole 
imitazione dei veri e naturali, 

Fra le molte osservazioni geologiche sparse in quest’o- 
pera è particolarmente i interessante quella d’ una specie di 
diga natnrale al sud- ovest del monte sacro. per cui la valle 
inferiore carrarese è separata dalle valli dei marmi, sicchè 
al di là tutto è calcare primitivo, al di quà calcare caver- 
noso, marnoso, ec. 

Carrara essendo il termine del descritto itinerario alle 
cave, si trova sul fine di questa sezione tutto ciò che di 
fatti, di notizie, e di osservazioni si riferisca a questa pre- 
gevole città, ed all’ antica Luni, cui ella successe, e di cui 
il uostro autore ragiona con molta erudizione, determinan- 
done la posizione più esattamente che non si era fatto da 
varii altri scrittori. All’ occasione di Carrara, ed anche più 
sopra nell’ itinerario alle cave, è parlato dei lavori dei 
marmi, dell’ utile applicazione dell’ acque correnti ad al- 
cuni di tali lavori, e d° altre cose attenenti a quell’arte. 

Nella terza sezione, intitolata Mineralogia chimica, 
si prende a parlare d’alcuni fenomeni particolari, cioè delle 
vene, macchie metalliche, e piriti, e del cristallo di monte, 
che s° incontrano inclusi nelle masse marmoree. 

Riguardo ai quali accidenti, il nostro autore comincia 
da rilevare un fatto, cioè che questi non si trovano, come 
alcuni hanno scritto, .promiscuamente ed indistintamente 
sparsi in tutte le specie dei marmi di Carrara, ma che le 
vene e macchie s’ incontrano soltanto nei marmi statuarii 
bianchi, le piriti in alcune particolari roccie di marmo 
statuario, e piu frequentemente nei bardigli, e che in fine 


Si 


315 
i cristalli di monte non si trovano che nei marmi ordinarii; 
cosicchè le macchie metalliche ed.i cristalli di roccia si es- 
elutono in qualche modo reciprocamente, 

Quanto alle macchie, vene, e piriti, indicatane la na- 
tura, le forme, la distribuzione, passa a ragionare intorno 
all’ origine loro, della quale gli sembra plausibile una spie- 
gazione, che, desunta da alcune ‘idee ereditarie in quei ca- 
vatori, è da lui corroborata con osservazioni, congetture, 
e ragionamenti ingegnosi . 

Per essa è supposto che le parti eterogenee primiti- 
vamente diffuse nèll’ intera massa marmorea, chiamate dal- 
la reciproca loro attrazione-a ravvicinarsi ed umirsi, e coa- 
diuvate in ciò da quella «che similmente esercitano fra loro 
le particelle del carbonato calcare, per cui tendendo esse 
pure a riunirsi, tendono però ad escludere di mezzo a loro 
l’eterogenee, queste, dalle parti centrali delle diverse mas- 
se dei, marmi, per un lento e progressivo movimento, che 
si crede sussister sempre, si dirigano verso le parti esterne. 

Il qual movimento allorchè si effettui con una certa 


libertà, si crede che il marmo si ripurghi, come dicono 


quei cavatori, portandosi tutte le parti eterogenee all’ es- 
terno, ed andando a deporsi nei filoni 0° madrimacchie; 
mentre nel caso opposto le particelle eterogenee sospese 0 
arrestate nel lor movimento formino gli adunamenti diversi 
costituenti le vene, le macchie ec. 

Per quello che concerne al cristallo di rocca, il nostro 
autore osserva primieramente che i cristalli dì un certo vo- 
lume, limpidi, e di belle forme son contenuti in alcune ‘ca- 


vità o geodi chiuse da ogni parte, talvolta isolati tal’ altra 


aggruppati ma sempre aderenti al marmo ed impiantati in 
esso; mentre altri minuti cristalli, spesso opachi e di forma 
irregolare e confusa, si trovano inclusi nella pasta marmo- 
rea. 

Non di rado in prossimità dei cristalli di monte si tro- 
vano alcune masse più o%meno voluminose di spato calcare 
indicate dai cavatori col nome di /uciche ed anche con 


316 
quello di. spie, perchè indizio per essi della vicinanza dei 
cristalli di rocca. 9 

Un fenomeno che l’ autore stesso annunzia come stra- 
ordinario, e che da lui verificato dà per certissimo è quello 
del trovarsi spesso in dette cavità in quantità più o meno 
grande un liquido limpidissimo e leggermente sapido, di cui 
egli pure ha gustato. Ma ciò che dee sembrare molto più 
straordinario , sebbene asserito con certezza quasi eguale 
dall’ autore, appoggiato non solo alla tradizione costante 
ed al deposto personale dei cavatori, ma anche a quello di 
qualche persona rispettabile, annunziatasi come testimone di 
fatto, sì è che alcuna volta in simili o maggiori cavità sì 
trova al momento in cui vengono aperte una materia che 
concreta e limpida nel tempo stesso, si annunzia all’ occhio 
come un bel cristallo di rocca, ma delude chi a prenderla 
vi stenda la mano, cedendo alla pressione di questa e mo- 
strandosi molle e plastica bensì per pochi istanti, giacchè al 
contatto dell’ aria acquista ben presto consistenza e durezza 
perdendo nel tempo stesso la trasparenza, e divenendo opa- 
ca e simile ad un calcedonio o ad una bella porcellana . 

Passando a ragionare della forma primitiva del cristallo 
di rocca, dopo aver riportato le principali teorie ed opinio- 
ni dei Geologi espone con ingegno e dottrina le sue proprie 
congetture . 

Frutto poi di laboriose e diligenti indagini, guidate da 
sano e fino criterio, sono le molte nè ovvie notizie dall’ au- 
tore raccolte ed esposte nella quarta sezione istorica intorno 
all’ antica Luni, a Carrara, ed a Massa, Una mappa rappre- 
senta il territorio della seconda, specialmente ad illustrazio- 
ne della parte geologica e dell’ itinerario alle cave, delle 
quali vi è anche una tavola sinottica. 

Io non credo poter meglio terminare questo breve e- 
stratto che ripetendo quanto un giornale scientifico e lettera- 
rio giustamente celebre ha concluso intorno a quest’ ope- 
retta, cioè che allorquando sia terminata la strada postale 
da Genova a Livorno i molti viaggiatori che per essa pas- 


317 
seranno în Italia) traversando l'interessante paese di M ssa 


Carrara non potranno, per conoscerlo, scegliere una miglior 
guida di questa. G. Gazzeri 


FILOLOGIA 


Lettera di Giro. Barista Niccozini all’ Autore del 
Dialogo intorno alle tragedie d'Eschilo tradotte 
da Ferice BeLLOTTI : inserito nel Fascicolo 


LXxiv. e Lxxv. della Biblioteca Italiana. 


GENTILISSIMO SIGNORE 


Prendendo a difendere la mia versione dei Sefte a 
Tebed'Eschilo dalle censure contenute nel suo Dialogo, 
comincierò dal notare che io ben sapea, senza che V. S. 
si desse il pensiero di rammentarmelo, che fra me, e 
quei due sommi ch’ ella nomina v° era un’ abisso di 
mezzo. Ma io, Gentil Signore, non osai nemmen come 
traduttore venire a competenza coll’ Alfieri, e col Cesa- 
rotti, giacchè non recai dal greco in versi italiani uè i 
Persiani, nè il Prometeo, ma bensi i Sette a Tebe; e 
fui da tutta idea d'orgoglio così lontano che pubblican> 
do questa mia traduzione la chiamai tentativo. Non 
ostante le sono grato di questo vero , tanto evidente, 
quanto inopportuno: così un buon Cristiano benchè non 
possa fra l’ ebbrezze del carnevale aver dimenticata la 
sua mortal condizione, pur volentieri accetta sulla fron- 
te umiliata la cenere che vi sparge il sacerdote, e ode 
pieno di riverenza, e di terrore rammentarsi ch’ egli è 
polvere. Ma provvegga V. S. che alcun maligno non . 
dica che mirando ella, malgrado le lodi (1) delle quali 


(1) Pochi potranno credere a queste lodi quando Timete nel 
parlare delle traduzioni d’alcune delle tragedie d’Escliiloe si- 


318 i i 
m'’ è cortese, adepriméni il mio Zavorietto volle prima 
schiacciarmi sotto il peso di due gran nomi onde fosse 
così più facile al Gigante milanese mettersi sotto le cal- 
cagna il Pimmeo fiorentino. Ma di ciò non più ; esami- 
niamo se il suo Timete sia tanto dotto, quanto il suo 
Filargiro (2) è veritiero, e se nell’ interpetrare il greco 
originale io sia caduto in quegli errori dei quali mi dà 
biasimo: parleremo dopo dei peccati di stile perchè 
men gravi, e si vedrà quanto nello squarcio d’ Eschilo 


stenti innanzi alla completa versione del Bellotti scrive ,, posso 
accertarvi che poco più, o poco meno le sono cose da non solleti- 
care gran fatto chi ha sapore di buona poesia ;, E quella del 
Bellotti! Pazienza , dei gusti non si disputa. , tw 

(2) Filargiro cioè amico dell’ argento è il nome che dall’ au- 
tore del Dialogo vien dato al libraio. Io non intendo farmi l’ apo- 
logista dei librai: ma essi avrebbero bene di che richiamarsi, e di 
che rispondere intorno a tal denominazione a molti, letterati 
(parlo di coloro che non sono galantuomini ). Ecco \quello che 
a un dipressu potrebbero dire: La sete dell'oro ci è comune : 
noi guadagniamo talvolta sulle fatiche del vostro ingegno = 
ma voi sempre vendete al potente e l’ingegno, e la coscienza. 
Dalle date dei vostri libri s° indovinano le vostre opinioni , 
nè l'Egitto ebbe mai Divinità così ridicola sul cui altare per 
isperanza di premio voi non veniste a bruciare il vostro incenso. 
Fuutori della licenza, 0 della tirannide perchè l’una, o l’altra 
vi paghi, or fate odioso il'vero esagerandolo , or divenite fau- 
tori di quella luce debole, e maligna che, se fa traviar la ra- 
gione è pur tanto cara all’infinito numero degl’ imbecilli che il 
sole offende, e così utile ai tanti farfanti che bramano di non 
esser veduti. Per voi vengono in onore certi miseri studj che 
a coloro che si vuol ritenere in perpetua infanzia si permettono , 
come balocchi ai fanciulli. La sventura che suol placare gli ani- 
mi generosi vi rende crudeli: innalzate sempre la bandiera della 
vostra-riputazione sull’ altrui ruine, andate dietro alla forza co- 
me V iena al leone, cioè per divorarne gli avanzi: nè mai ar- 
rossite di gettar la pietra della maledizione sopra la testa de’ 
miseri caduti. 


319 
riportato nel suo Dialogo abbia serbata fedeltà al testo 
il sig. Bellotti. Qui si rimarranno le mie considera- 
zioni perche non voglio che la difesa si cangi in assalto. 

Prima di tutto reputo necessario di riprodurre nella 
mia lettera quei ‘due brani delle traduzioni dei Sezze 
a Tebe, sui quali a V. S. è piaciuto d’istituire il pa- 
ragone . 


BELLOTTI 


Eteocle. Oh furente, oh dai Numi abbominata 
Nostra d’ Edipo miseranda schiatta ! 
Ah compiuti del padre i voti or sono: 
Ma nè sclamar, nè lamentar conviene 
Sicchè da ciò nel popolo non sorga 
Più grave lutto. A Polinice io dico: 
Vedrem fra poco il figurato emblema 
Che gli varrà: se la dorata scritta 
Ridondante d’insania in sullo scudo 
Ricondurrallo in Tebe. Avvenit forse 
Ciò potrìa, se la figlia alma di Giove 
La vergine Giustizia a lui reggesse 
L’opre, e i consigli: ma dei guardi suoi 

Giustizia mai non lo degnò, nè quando 
È Uscìa dal buio del materno grembo, 
.——. Nè infante ancor, nè a pubertà venuto, 

Nè poi che il mento ombrò di peli: ed ora 
Non crederò che a devastar coll’ arme 
La patria terra al suo fianco ne venga. 
Falsamente del tutto ella nomata 
Sarìa Giustizia, ove compagna fosse 
D’uom tutto audacia. In ciò fidato io stesso 
Gli starò contro: e chi a ragion più il debbe? 
To nemico a nemico , io duce a duce 
Io fratello a fratello: a me qui tosto 
A me schinieri, asta, lorica e scudo. 


Vi 


(SS 
N 
(e) 


NiccoLini 

Eteocle. Orror dei Numi 
Piena dell’ira d'uno Dio, di pianto 
E d’ogni pianto degna, e mia pur troppo 
D Edipo stirpe! Ecco i paterni voti 
Compiersi io veggo! Ah non si gema, e sorga 
Lutto maggior. Con Polinice io parlo 
Che così ben si noma: a che ti giova 
Vedrem fra breve la fastosa insegna 
E se l’aurate lettre, onde lo scudo 
Adorni, te ricondurranno in Tebe, 
Te cui superba febbre arde le vene. 
Forse avverria se tu figlia di Giove 
O vergine Giustizia, il core, il braccio 
A lui guidassi: ma la Dea, nè quando 
Le tenebre ei fuggì del sen materno, 
O fu nutrito infante, o del novello 
Fiore gli ornava gioventù le gote, 
O folto onor gli s’ adunò sul mento , 
Giammai la Diva 1’ onorò d’un guardo. 
Or che la patria offende a lui dappresso 
Io crederò Giustizia: ahi mal sarebbe 
Così nomata , ove porgesse alta 
A chi tutt osa. Io per sua colpa audace 
Alla battaglia io volo: io stargli a fronte 
(Chi meglio il può ? ) solo azzuffarmi io deggio, 
Re contro Re, contro german germano 
Col nemico io nemico. Olà mi reca 
Asta, coturni , usbergo e scudo. 


Non istarò a disputare se il coturno convenga uni- 
camente ai cacciatori, ed agli attori di tragedie, quan- 
tunque potessi all’ autorità del greco Mustoxidi opporre 
quella dell’Italiano Visconti, che osserva esser generica 
la voce greca xobopvoo, e farmi forte del Forcellini il 
quale dice: cothurnorum usus fuit apud Graecos 


] 


321 

etiam extra venationem et Tragoedias. E passando dai 
coturni, alle gambiere dette in greco xyyjdss aggiun- 
gerei non esser vero che si adoprassero soltanto negli 
eserciz], e nelle fatiche della guerra, e si rivestissero 
sempremai di lamine metalliche. Fa del contrario so- 
lenne testimonianza Omero quando nell’ ultimo libro 
dell’ Odissea narra che Ulisse trovo il buon Laerte tutio 
inteso a far nette le piante del ben compartito verziere 


putowvla de solo ysbuva 
Parlov, asinediov eps de yvnpaoi PBossas 
ii parlas dedero ypamtus @Aesivoy 
e vestit' era 
D’una tunica, sozza, rattoppata 
Trista, e intorno alle gambe di vacchetta 
Ricuciti stivali avea allacciati 
Graffiatura schivando ec. (Salvini) 


Ma che giova perder tempo in queste bazzecole 
quando nonostante l’avvertenze del sig. cav. Mustoxidi 
il celebre Monti lasciò stare la voce coturrati nella terza 
edizione della Iliade per lui tradotta? E sì che nell’av- 
viso che la precede egli fa manifesta la sua gratitudine 
all’ esimio Corcirese che d’ utili schiarimenti gli fu li- 
 berale. 

Pongasi mente a più grave accusa che mi dà Ti- 
‘mete per le frasi contenute nei seguenti versi 

nè quando 
Le tenebre ei fuggì del sen materno 
O fu nutrito infante, o del novello 
Fiore gli ornava pprentà le gote, 
O folto onor gli s’ adunò sul mento 


“Vi par’ egli ( esclama l’onorando critico ) che simili 
espressioni, la gioventù che adorna del fior novello le 
gote, e l’onore (della barba) che si aduna sul mento, 


322 i 
tutte leggiadre, e vezzeggiative, si convengano in 
bocca ad Eteocle per caratterizzare il fratel suo? 

E Filargiro dopo avere obiettato che simili scon- 
venevolezze potrebbero essere ancora nel testo, riman 
convinto che il torto è mio; dopo la traduzione che del 
testo medesimo gli viene improvvisata da Timete. Qui 
sta il nodo della quistione , e fa di mestieri il riportare 
le parole dell’originale. 


AAA oule vv Quyovra uelpoFey cuolov - 
Our sv TpoPascwy s7 eDuBycaryTa tw 
OuT sy yevesa cuAA0yii Tpixwpuaros 


Le piaccia in primo luogo di considerare che quan- 
do Eschilo per indicare il nascimento di Polinice pone 
sulla bocca d’ Eteocle questa frase PuyorTa ueroptev 
cuoloy fuggente le tenebre materne (3) adopra se io non 
erro una leggiadra espressione, e fa per certo parlare il 
suo eroe in una maniera differente dalla nota, e volgare. 


EQuprayla rw. 


Il buon Timete dovrebbe pur sapere ch’ 64 è la 
radice di questo verbo ; e quali significati sono in essa 
racchiusi. I latini presso i quali pubesco equivale al 
greco E@yBew scrissero estendendo il primitivo signi- 
ficato pubescunt dulces malae pubescentia ora, e quan- 
do trasportarono nel loro idioma la voce greca «Puos 
ephebus intesero significare con essa un giovinetto di 
prima barba. | 

Nè la voce fiore per lanugine è così vezzeggiativa 
come s' avvisa Timete , seppur egli per vezzeggiativa. 
non intendesse poetica. Fu notato, e a ragione da un 


(3) Il sig. Bellotti ne attenua lo splendore poetico traducen- 
do uscire in vece di fuggire. 


: 328 

sommo scrittore (4) che quando la nostra lingua vuol 
serbar dignità, e’ convien ch’essa cammini sull’ orme 
della sua madre ch’ è la favella de’ latini. 

Or Virgilio pone il termine /los sulla bocca del suo 
eroe allorchè di se medesimo ei favella : 

Tupc mihi prima genas vestibat flore juventa (5) 

Nè il pio Enea era la Cesca del Boccaccio. 

Inoltre se Timete avesse meglio inteso il terzo 
verso d’ Eschilo riportato di sopra, e di ciò lo scuso 
non essendo Eschilo, ( me ne richiamo a tutti i greci- 
sti ) autore da tradursi su due piedi , egli avrebbe com- 
preso le ragioni che mi mossero a interpetrare il secondo 
verso in quel modo ch’ egli condanna. 

 cuddoyy Tpixwpalos veve 

Non vale il tempo del mettere la lanugine della 
barba, ma bensì 2’adunarsi del folto pelo del mento (6). 
TpXwpe non suona lanugine ch’ Eschilo parlando di 
Partenopeo non molti versi innanzi significò colla voce 
‘8406 ma bensì vale quello che in latino dicesi capil- 
 lamentum , capillorum complexus. Lo che riferendosi 
“alla barba del mento è folto pelo. 


(4) Il cav. Monti. 
(5) Il Tasso che favellando di Lahilla volle render vezzeg- 
| giativa questa frase ne accrebbe (per servirmi d’ un termine della 
pittura ) il colorito 
A cui non anco la stagion novella 
Il bel mento spargea dei primi fiori. 
‘. Ger. lib c. 9. st. 8y. 
“ (6) I peli al mento ben diversi dalla lanugine non vengono 
‘che in età matura. Il Tasso parlando della supposta testa di Ri- 
maldo scrisse : 
La qual gli parve rimirando intento 
» D’ uom giovinetto ; e senza peli al mento. 
Ger. lib. c8. st. 54. 


324 


Poteva io dunque tradurre più litteralmente che 

così ? 

O folto onor gli s° adunò sul mento, 

seppure non mi si voglia accusare d’aver detto onore 
del mento invece di pelo , o barba, accusa che per a- 
more della buoua poesia io mi prenderò ben volentieri. 
Finalmente mi sembra che il mio critico fornito di 
tanto accorgimento, e di così pellegrina erudizione sa- 
per dovesse, che accostandosi Eschilo non di rado nel 
suo stile alla poimpa epica, e alla lirica veemenza, n'ad- 
diviene di necessità che parli talvolta nei suoi drammi 
più il Poeta, che il personaggio . 

Or questo difetto proprio dell’ infanzia dell’ arte 
si manifesta particolarmente nella tragedia dei Sezze @ 
Tebe, quantunque iu essa i cori di meravigliose bellez- 
ze risplendano , sia piena di strepito guerriero,, d’ im- 
magini efficaci a rappresentare i pericoli che sovrastano 
a città espuguata, sembri in somma che il poeta la scri- 
vesse sullo scudo, e in quello che un esercito move 
all'assalto. {o tentai, per quanto valeva il mio ingegno, 
di serbare nella mia versione quel fuoco che my investi, 
e mi accese alla lettura dell’ originale, e posi ogni cura 
perchè i miei versi ritraessero in parte, quel concita- 
mento, quell’impeto guerriero che in Eschilo veramente 
si sente : ma è piaciuto a Timete d’ esaminare la mia 
tenue fatica nei minuti particolari, e seguitando grida. 
Impropriamente il Niccolini disse ancora: Solo azzuf- 
farmi deggio Re contro Re. Eteocle chiamando Poli- 
nicere avrebbe stolidamente confessato il proprio torto 
il quale consisteva appunto nel ricusar di riconoscerlo 
alla volta sua per re, e di rassegnarli lo scettro teba- 
no devolutogli secondo la convenzione tra essi giurata. 

Difatti, nel testo la parola re io non la trovo; e ri- 


325 
porta inuna nota il testo medesimo nel quale si legge 
Apyovli 1° aoxov 

Mio Dio! è egli possibile che il valente grecista 
non trovi la parola re in ApyWv quando questo! vocabo-. 
lo deriva da Apy principato, da Apxw che vale ottene- 
re principato, quaudo la voce monarchia farebbe accorto. 
del suo primitivo significato, tale che pur non sapesse 
un’ acca di greco . Potea dire che qui Apywv non vale 
re: e tocca a me di provare che dandogli questo signifi- 
cato non tradussi al certo così impropriamente, o stoli- 
damente com’ egli si pensa. Sappia egli in prima che 
Polinice era stato re di Tebe innanzi Eteocle, e ricono- 
sciuto per tale dal suo fratello: e a saper ciò bastava 
soltanto ch’ ei leggesse l’ argomento della tragedia. 

O 75vIIorurtsys rpwlos wv expatyosu ev Ypovw evi Tys 
Paridsias. 
Polinice adunque il primo regnò per un anno 

E Sofocle, per non parlare di Stazio così lontano 
dall’ età d’ Eschilo; Sofocle che al padre della greca 
tragedia rapì ancor giovine la palma, non fa dire da 
Edipo a Polinice? 

. +. + + + allor che in Tebe 
Scettro, e seggio regal tu possedevi 
Che or tuo fratel possiede. 

Crede ella mò, caro sig. Timete, che S. M. Eteo- 
clea nell’ accesso del furore che la spinge al fratrici- 
| dio misurasse così le parole che si astenesse di dare il 
titolo di Re al suo fratello che oznuvo sapea aver pri- 
ma di lui comandato in Tebe? Ella che così ben conosce 
le convenienze non pensa punto alla circostanza nella 
quale si trova Eteocle, e vuole ella inoltre supporre in 
un Re dei tempi eroici le idee raffinate della Diplomazia 
dei nostri tempi . 


x 


326 

Non s’ accorge V. S. ch’ Eteocle per tutto il Dramr 
ma, come riflette lo Schutz, non richiama giammai in 
dubbio le ragioni ch’ Eteocle aveva sul trono, ma cerca 
soltanto, di farlo odioso come uomo (e questa era gra- 
vissima colpa nell’ opinione degli antichi ) come uomo 
che. viene ad espugnare la patria città con esercito stra- 
niero . 

Se dopo quello che ho detto avessi bisogno di giu- 
stificarmi ancora con un esempio potrei citare quello di 
La Porte du Theil che Schutz,solenne interpetre di Eschi- 
lo, pone nella perizia del Greco accanto a un Villoison 
(7). Or questo valoroso ellenista che nella sua traduzione 
in prosa francese d' Eschilo si propone d° essere esatto, 
che molta fatica, e molti anni spese nel consultare i ma- 
noscritti, e nello studiare i differenti sensi dei quali . il 
testo d’ Eschilo poteva esser capace traduce Roi contre 
Roi. Laonde (conchiuderò un poco piu pu Rei del- 
l interlocutore del suo dialogo ) laonde non è dubbio 
che gli errori d’ intelligenza nel Testo che questi mi 
rimprovera non sussistono . 

Passo alle mende di stile, quantunque sia un vero 
perdimento di tempo il trattenersi su queste cose che 
il suo Timete chiama minuzie, e che io riguardando 
alla benigna intenzione che le detta, chiamerei più vo- 
lentieri stiracchiature . 

Timete trova mancanza d’ esattezza, e quindi an- 
fibologia in queste parole 

L ah non si gema, e sorga 
Lutto maggior. 
A me pare che il senso ne sia facile e spontaneo: ed 


74 


(7) Vedi la dedica dell’ Eschilo dello Schutz, e la prefazio- 
ne che va innanzì alla versione francese di La Porte du Theil.. 


Kia 
7 

è non si gema, e non sorga gemendo lutto maggiore . 
Certo se io abbondassi di tempo, e di pazienza potrei 
forse trovare qualche espressione consimile nei più lo- 
dati scrittori. Ma nel giudicare di queste cose ciascuno 
ha la sua misura: ed io per esempio non le celerò che 
per quel poco di sentimento ch'io m’ abbia nella poe- 
sia; non trovo che il Bellotti traducendo. 

. Sicchè da ‘ciò nel popolo non sorga 

sollevato siasi all’ altezza del coturno, e a quella del- 
l’ originale; ma bensì disceso all’ umiltà della prosa . 
Nonostante e’ potrebbe pur darsi che il sicchè da ciò 
fosse un modo poetico, e spirasse da quel verso tragica 
dignità . 

Non garbeggia a Timete il ripetere, o per dir meglio 
il mutare ch’ io faccio la Diva in Dea nel medesimo 
periodo senza che si muti il soggetto della proposizione; 

* *. *.* Ma la Dea nè quando 

Le tenebre ei fuggì del sen materno 

O fu nutrito infante ec. ec. 

Giammai la Diva l’ onorò d’ un guardo 

Veramente fra la voce Diva e Dea non trovo dif- 

ferenza , vi sono quattro versi di mezzo , e se del ripe- 
tere mi si dà colpa, Eschilo ripete anch' egli la parola 
Axy . 

Pure approfitterò, quafidochè sia, del sottile avver- 
timento del mio critico, e dove avvenga che a qualche 
librajo, che non sia davvero Filargiro, cada nella fanta- 
sia di ristampare il mio lavorietto io correggerò così : 

Giammai la Dea non l’ onorò 'd’un guardo 
Che dirò io, e non dirò io dei seguenti versi che danno 
tanta noia a Timete? vr 
Or che la patria offende a lui dappresso 
Io crederò giusfîzia : 
Questo buon’uomo così nemico dei librai dovreb- 


328 
I 


be pur sapere ch’ essi non sono gran fatto solleciti 
delia reputazione dei poveri autori! E se lo sa come ha 
egli il core di rimproverarmi uno sbaglio che si acco- 
moda mettendo un interrogativo, dove sono due punti? 
Che peccato ch’ egli abbia invidiato questa bella osser- 
vazione a Psittaco (3) autore di un trattato del punto 
e virgola! 

Dio mi guardi dal dire che Psittaco, e Timete so- 
no un personaggio solo . Ma parlando da senno le dirò, 
gentil signore, che nel criticare, come in ogni altra cosa, 
il primo dovere è quello di esser giusto. Or la) giustizia 
volea che siccome Timete raffrontò, o dice di aver raf- 
frontata col testo la mia versione, altrettanto facesse 
sopra quella del Bellotti. Mi spiace di dovere adempire 
al suo difetto, e debbo veramente compiangermi della 
dura necessità nella quale egli mi pone. Ma chi oserà 
chiamarmi scortese, se combattendo non esco dal cam- 
po scelto innanzi dal mio avversario ? 

Dimando a Timete se @souwves divinitus furens 
sia lo stesso che furente. 

(9) O furente, o dai Numi abbominata 

Bellotti. 

E roAvdexpu molto lacrimevole le sembra piena- 
mente espresso nel mziserardo ? 

Chi sente la forza tragica di questi versi d’Eschilo 

O bsouaves Te xa) Oswy meya c7uyos 
O ravdanpurov amov OidìTa yev0s 
nei seguenti del Bellotti ? 
O furente, o dai Numi abbominata 


(8) Un pedante ch’è il terzo interlocutore dello spiritoso dia- 
logo . 


(9) Lascio che un Psittaco noti che la voce furente nou è 
nel vocabolario della Crusca . 


329 
Nostra d’ Edipo miseranda schiatta ! 
nessuno al certo. 

E raypoAuw cioè tutto osante lo reputa V. S. ben 
reso dicendo tutto audacia. Quanto a me io credo che 
sì possa esser tutto audacia, senza sar tutto; e siccome 
la voce audacia, audace sta per ardire, e ardito, non vi 
è necessariamente legata l’idea del biasmo come nel- 
l’ osar tutto. E V. S. si ricorderà che 11 Tasso parlando 
di Tancredi scrisse, 


il petto audace 
Non fè natura di timor capace 


E intese lodarlo lo che per certo non volle fare 
Eteocle del suo fratello 


Oud° ev ralpwas psv xdovos sanugia 
Osa vev aulw vuv rapastalev medas 


Ne della patria terra nell’ espugnazione io penso ch’ 
essa (la giustizia ) a lui ora stia presso. (trad. literale) 
ed ora 
Non crederò che a devastar coll’ armi 
La patria terra al suo fianco ne venga. 

E qui pure potrebbe incolparsi di poca esattezza 
il Bellotti, che si prefigge d'essere scrupolosamente fe- 
dele al suo originale. 

Ma io voglio concederle ( e il pubblico mi troverà 
in ciò più generoso di V. S. ) che queste, e altrettali 
sieno minuzie. Ma il suo Timete che nel mio lavorietto 
ha sindacato pur gli stivali, come mai non s’ è avvisto 
che il Bellotti ha saltato a piè pari in quel brano d’ 
Eschilo, ch'egli scelse per confrontare le due traduzio» 
ni, un mezzo verso dell’ originale? 

Erwvupw de napla HoAuvesnsi Asyw 
L’ erwvupw de xepTe (ben così nominato) nel Bellotti 
non vi è. 
È se questa allusione al nome di Polinice le sem- 
T. YI. Maggio 22 


330 
brasse poco conveniente alla dignità della Tragedia, no- 
terò che non potea al certo toglierla di. mezzo l’ egregio 
traduttore, il quale reputando che i grandi amino com- 
parire colla propria faccia, dice non aver posta alcun’ar- 
te nell’ attenuare, e coprire i difetti del suo autore. 

Si ponga dunque il signor Timete la mano sul 
petto, e interrogando la sua coscienza le domandi se 
meco ei fu giusto ? 

Io potrei muover qui lunga querela sulla poca buo- 
na fede, colla quale si loda, o si biasima dai moderni 
Aristarchi: ma in tanta iniquità di tempi potrei io sde- 
gnarmi per queste inezie, e sparger la mia bile, ancorchè 
fosse splendida, sopra ingiustizie municipali, e meschi- 
ne, tali in somma da vendicarsene con un sorriso ? 

Nonostante io le debbo molte grazie, gentil signo- 
re, perchè il pubblico avrebbe forse dimenticata la mia 
traduzione, (10) se colle sue spiritose critiche ella non si 
fosse degnata di rammentargliela. Io sento, e a buon 
dritto, umilmente di me: ma vorrei che un critico più 
amico del vero, che del Bellotti, mi adducesse ragioni 
migliori di quelle del suo Timete, onde io potessi cedere 
più volentieri il campo a questo insigne scrittore alta- 
mente benemerito della nostra letteratura per le sue 
versioni dal greco. (11) 


(10) Può leggersene uno squarcio in un giornale che si pub- 
blicava nel 1814 dal Ch. sig. Michele Leoni. 

(11) Non credo per questo, come il buon Timete ch° egli 
abbia tradotto Sofocle con tanta efficacia di locuzione, e con tale 
splendore di verseggiatura che Sofocle stesso non avrebbe forse 
potuto andar più in là se egli avesse scritto nella nostra lingua. 
Se ciò fosse vero, addio Alfieri, addio Monti: l’ Italia ha final- 
mente sicure norme per lo stile tragico. Pessimum genus ini- 
micorum laudantes: la modestia del sig. Bellotti dee sdegnarsi di 
questa lode, che per essere suverchia divien simile ad ingiuria . 


331 


Ma siccome nessuno può esser giudice in causa pro- 
pria aspetterò che di ciò dian sentenza (ove pure piaccia 
ad essi volgere la lor mente al mio tenue lavoro) quei 
pochi generosi, che nell’esaminare il merito dell’ opere 
letterarie non badan punto se l’autore sia di Milano, o 
di Firenze, ma in siffatto esame recano ; per servirmi 
delle frasi d’ un gran poeta, orecchio pacalo, mente ar- 
guta, cor gentile, e veracemente italiano . 


G. B. NiccoLini. 


SCIENZE MORALI E POLITICHE. 


Pri 


SOCIETA” SCIENTIFICHE E LETTERARIE 


Degli Onori Parentali renduti alla memoria di Tox- 
QuaATO Tasso dall’ Accademia Pistoiese di let- 
teratura ed arti nel dì 25 d’ aprile del 1822. 


R. Z. al suo carissimo amico G., P. Vieusseux. 
Firenze a 2 maggio 


Quando in una Città d’ Alemagna fiorentissima di 
studi e di gentilezza un sentimento d’ amore per fe let- 
tere e per la gloria nazionale inspirava (non è gran tem- 
po) il pensiero di rinnovare quell’ antica ‘consuetudine 
di celebrar con lodi anniversarie la memoria degli Uo- 
mini illustri della patria ne’ giorni ricordevoli per la 
loro nascita 0 la loro morte , a me parve, o carissimo, 
di veder proposto un imitabile esempio di un bello e 
civile istituto. Del quale io non so veramente qual al- 
tro esser vi potesse più eflicace a mantenere l’amor del- 
la virtù in un Popolo, i cui annali son pieni di grandi 


332 
esempli e immortali, o a ridestarla sopita, valendosene 
a imprimere nelle tenere menti della gioventù, che sor- 
ge alle migliori speranze della patria, un profondo sen- 
timento di riverenza e di ammirazione pe’ i grandi 
uomini che formarono il vanto, e un fortissimo deside- 
rio d’imitarli. E ben ci godette l’ animo all’ udir poi 
rinnuovato quest’esempio tra noi negli Onori Parentali 
che spirante il quinto secolo dal dì della morte dell’ A- 
lighieri furon renduti alla di lui memoria in Roma il 
quattordicesimo giorno di settembre del caduto anno. 
Di che,.a nome di quanti abitatori di questa Italia vi- 
vono non immemori dell'antica sua gloria, rendiamo 
grazie a que’ valorosi ch’ ebbero sì laudevol pensiero . 
Nè l’ esempio poteva andarne perduto ; e voi ne aveste 
ultimamente una prova, mio caro Vieusseux, nel tro- 
varvi presente, come voi foste la sera del 25 dello scorso 
mese , a quella grata e commuovente ricordanza della 
morte di Torquato Tasso, che con prose e poesie, e con 
appropriata musica , e con bellissimo apparato fu cele- 
brata nelle sale dell’ Accademia pistoiese di letteratura 
e belle arti da alcuni di quegli accademici per modo di 
onori parentali alla memoria dell’ epico italiano. Il cui 
busto esprimente i sinceri lineamenti del suo volto al- 
zavast nella principal sala sopra una tronca colonna, 
dalla quale pendevano l’ eroica tromba, le canne pasto- 
rali e la cetra intreceiate di lauri (1): e parea tralucere 
da quel volto, mesto ancora e severo, un sorriso e com- 
piacenza pel pietoso ufficio che venivagli compartito, e 
pel quale la più eletta parte della città, nobili e virtuo- 
se donne, i più colti abitanti, la studiosa gioventù , era 


(1) Il busto fu eseguito sul ritratto del Tasso, cavato dalla sua 
maschera che si conserva in Roma, dal giovane artista signor 
Giovanni Merlini dell’ Accademia fiorentina delle Belle Arti. 


333 
în quelle sale convenuta. E vi ricorderete, o carissimo, 
che in una delle stanze che precedevano la sala ove sta- 
va la viva imagine del Tasso circondata dai segni im- 
mortali della sua gloria, pietoso e lamentabile oggetto 
offerivasi, la disegnata faccia del moribondo Torquato 
(2) qual’ ella mostrossi nel render egli l’ ultimo sospiro 
quaggiù sulla terra, e chiuder gli occhi alla luce; e ri- 
ricordava gl’ infortunj non meritati di quel grand’ uo- 
mo, e gli affanni che a immatura e dolorosa fine il con- 
dussero; e accennava pure in un leggero e fugace lampo 
di placido riso la calma di un'anima già sull’ ali per 
ritornare al suo Creatore , e la speranza de’ beati ed 
eterni riposi. Per l'aspetto di cui una soave mestizia 
inondava già tutti i cuori; quando alzatosi e rivolto ai 
circostanti appiè del busto di Torquato, mosse le prime 
parole Pietro Odaldi. La cui orazione fu con profondo 
silenzio , nè senza lacrime , ascoltata: e il concetto di 
essa parmi degnissimo di considerazione amiche in ciò 
che non elogio, ma memoria di Torquato Tasso volle 
intitolarla l’autore. D’ onde, se non erro, appar chiaro 
il di lui animo e divisamento: chè dopo due secoli di 
universale ammirazione per le opere di quel raro inge- 
gno, stolto pensiero sarebbe quello d’ imprendere a far- 
ne l’ elogio, quando il rammentarne il nome basta per 
ogni lode. Però l’ oratore non fece pompa d’inutili en- 
com}; ma con belle parole fece della vita di quel Gran- 
de una breve rimemorazione qual si conveniva alla cir- 
costanza; sì che narrandone i casi, e mostrando di 
quanta ingratitudine fossero state, lui vivendo, ricom- 
pensate le immortali sue fatiche, nascesse pietà negli 


(2) Il ritratto del Tasso fa opera e dono fatto all’ Accademia 


pistoiese dall’ ornatissimo giovinetto sig. Enrico Lenzoni di Fi- 
renze . 


334 
ascoltanti, e dolore di tanta indegnità di fortuna. Al 
quale scopo intese pure, in un breve ed arguto discorso 
pronunciato dipoi, Niccolò Puccini , descrivendo gl’ in- 
tortuni di Torquato, e quella tempra d'animo sensibile; 
candido, gentilissimo che troppo rendevalo esposto ‘a 
ricevere in sè profondamente i colpi di sventura e a 
turbarsi per ogni più lieve cagione , non che per le in- 
giurie e pe’ i torti gravissimi e non meritati cul sog- 
giacque, e che avrebbero facilmente oppresso ogni più 
forte animo e più costante. Donde prese argomento lo 
scrittore di notare alcune cose opportunamente su itri- 
sti effetti della più gentile delle passioni che alla gen- 
tilissima anima di Torquato si apprese, e del suo amor 
combattuto; e forse mal corrisposto; e toccò nuovi par- 
ticolari delle cose dedotte già da Pietro Odaldi nella*sua 
orazione; ila tristezza di que’ tempi; la ingratitudine di 
Alfonso «li Ferrara; le cortigiane alterigie, e le ingiuste 
persecuzioni di che tanto ebbe a soffrire Torquato; e voi 
ben’ udiste, o carissimo, come da ambedue gli accade- 
‘mici quelle ingiurie e quelle mali arti fossero con parole, 
oltre adogni credere efficacissime, dannate ad eterna in- 
famia; E già di esse tarda ma severa giustizia, ha fatto l’im- 
parziale posterità; e non vi è Italiano che non si senta 
stringere il cuore rimemorandole; e pure ogni avanzo 
che del valore di quell’ uomo immortale ci resta, è te- 
nuto carissimo, e venerato. E i Toscani si gloriano che 
alcuni di quegli avanzi in un piccol codice di mano del 
Tasso si serbino in Firenze nella Biblioteca del Princi- 
pe, che con regale munificenza acquistolli; e stanno pur 
quivi accanto ai manoseritti di Galileo: mirabile incon- 
tro di casi che quei pregievoli e rari monumenti del 
valor poetico del Tasso debban trovarsi in quella città 
stessa d’ onde partirono un tempo le più vive censure 


335 


cella Gerusalemme, e allato ai resti della opera di quel 
primo vanto della ristorata Filosofia, che giovanetto 
ancora, in alcune libere osservazioni dirette confidente- 
mente ad un’ amico, e non destinate ad esser poste in 
luce, si fece contradittore alla maggior opera di Torqua- 
to nel primo di lei comparire . Nè basse mire in lui 
d’ adombrar la fama dell’ epico italiano debbono da ciò 
argomentarsi ; nè vile ossequio e adular di corte è da 
eredere che muovessero ad aspre censure della Gerusa- 
lemme il cav. Lionardo Salviati e gli Accademici fio- 
rentini: bensì immoderato , non però dannabile, zelo 
dell’ antica purità della lingua, e una certa difficoltà di 
accomodare il loro gusto a quel.genere d’ eloquenza 
ne’ bei modi ardita, in che prevale il. sublime cantor 
della Gerusalemme. Tutto questo è venuto ricordan- 
doci in una gentil sua prosa il cav. Alessandro Sozzi- 
fanti . 

E queste prose sono state framezzate da poesie va- 
rie di genere e di metro, che da alcuni di que’ lodati Ac- 
cademici sono state pronunziate. Tra i quali sì udirono, 
ed io men compiacqui, una giovinetta di nobilissima 
nazione, Giulia de’ Rossi, e Girolamo di lei fratello; di- 
re alcune loro poesie a lode di Torquato, pur tacendo 
essi, come modestissimi, d’ esser discesi dall'antica stir- 
pe de’ Rossi ‘che s’incinse in Torquato. Al che però 
alluse in un sonetto diretto alla gentil donzella Ercole 
Gigli. E del yanto d’Italia che sola ha prodotto in'un 
secolo medesimo due massimi poeti epici, disse breve- 
mente in versi Luigi Fuocosi. Ma più lungo tema prese 
a toccare in un Ode saffica Filippo Cuccoli; perchè dei 
versi pastorali e degli eroici del Tasso, e della tragedia 
da lui trattata, e del poema filosofico del mondo creato 
e dei bellissimi versi lirici, con bell’ ordine discorse; 


336 i 

| e opportune cose aggiunse delle mal ricompensate fati: 
che e delle sventure di lui; e ricordò l'antico fato, da cui 
pare che pochissimi dii potuto sottrarsi, di colero 
che l'ingegno elevò al di sopra degli altri uomini, ecui 
soggiacque Torquato, espresso in quella sentenza ;, si 
grande ed infelice. 

Con diverso assunto scrisse le sue ottave sul Tasso, 
Ambrogio Piovacari: dove ei lo considerò come, l’Epico 
immortale che l’ Italia offre al paragone dei più famo- 
si d'ogni antica e moderna età: e ne colse bella occa- 
sione di rintuzzar le male voci e l’ orgoglio degli, stra- 
nieri avversi o invidiosi alla nostra gloria: poi sì rivolse 
vergognoso all’ Italia, lamentando che un tanto suo fi- 
glio non abbia ancora in lei l’onore di un monumento. 
D’ onde, riprendendosi quasi, mosse parole di conforto 


e di speranza che una così ingiuriosa oblivione sarebbe. 


stata ben presto riparata; e all’invocato spirito del Tas- 
so offerse. frattanto migliore e più durevole tributo di 
onore di qualsisia monumento, la perenne e affettuosa 
gratitudine di quante anime gentili han formato sinora 
e formeranno in avvenire il decoro di questa Italia clie, 
ei tanto illustrò. con gl’immortali suoi componimenti . 
Aî quali egregi.sensi alcun leggiadro e nobil pen- 
siero aggiuuse Niccolò Lami in una sua canzone; e 
mostrò come i versi della Gerusalemme non solo. sien; 
la delizia di quanti han sentimento di pratica; sublimi-. 
tà e armonia, ma come scendano soavi ne’più rozzi petti 
come facili nella memoria e nell’imaginazione sfimpri- 
mano; e come siasi in essi in certo modo trasfusa la soa- 
Vissima anima di quell'uomo immortale, cui;la fortuna 
en diè, come \ad altri grandi poeti, di, poter gustare; 
vivendo, della dolce sodisfazione di udir suonare per le 
bocche di tutti i suoi versi ; e dalle bellissime opere, e 


339 
dal candore dell’animo suo gentilissimo non trasse fuor- 
chè amarissimi frutti, l’ invidia e la sconoscenza de’ con- 
temporanei . 

Ne. da queste lo difese l’ aver dato all’ Italia in 
quella sua Epopea il maggior monumento della gloria 
nazionale. Dal qual poema Pietro Contrucci ritrasse in 
versi i più bei soggetti dipingendoli come schierati iu 
una visione davanti a’ suoi occhi. E appresso a lui disse 
per ultimo Domenico Stefani , e di poetiche immagini 
‘adornò quella sentenza oraziana, 

Virtus recludens immeritis mori 

Coelum negata tantat iter via ; 
e i tristi fati vinti dagli eccellenti ingegni, e leimmor- 
tali opere di Torquato, e i vanti dell’ italica poesia, ce- 
lebrò in versi saffici pieni dello spirito e della lingua 
dei classici . 

Le quali letterarie composizioni da breve ma ap- 
propriata musica furono per due volte interrotte : essen- 
dosi cantate a mezzo, e al termine delle medesime , 
quelle ottave della Gerusalemme » la morte di Clo- 
rinda » e il lamento di Tancredi alla di lei tomba » 
che pose peritissimamente in musica il soave ingegno del- 
lo Zingarelli. E nel profondo e mestissimo silenzio con 
che furono, ascoltate dalla foltissima udienza, e nelle spre- 
mute lagrime, bensi parve il fremito ch’esse avean destato 
ne’ cuori. Nel che, assai parte della notte fu trapassata, 
senza però verun sentore di stanchezza o di sazietà ; 
con desiderio anzi di veder prolungata di più la dilet- 
tevole radunanza. Dove pareva che ciascuno ringra- 

| ziasse in cuor suo quei virtuosi accademici del buon 
pensiero ; e pareva che a nome di tutti dicesse loro 
», Voi avete cominciato , o Pietro Odaldi, avete prose- 
guito voi, ottimi suoi colleghi; con parole da rimanere 


338 

profondamente impresse nel nostro cuore, un’ affettuo- 
sa e troppo dovuta rimemorazione delle virtù di Tor- 
quato, in questo giorno che compie il dugentoventisette- 
simo anno da poi che egli cambiò col riposo degl’ im- 
mortali la breve é travagliata sua vita. Nè di quanti vi 
abbiamo ascoltato niuno è forse rimasto senza dare una 
lagrima alla memoria dell’uomo grande e infelice. E il 
pietoso ufficio sarà, lo crediamo, lodato dai buoni: sarà 
grato ed accetto a quell’anima che in miglior secolo or 
gode; sarà di conforto e di eccitamento a virtù per que- 
sta eletta e ben disposta gioventù in cui la patria ripo- 
ne le sue speranze. Noi speriamo e confidiamo per l’ o- 
nor d’Italia , per l'amor delle lettere, che il vostro 
esempio sarà imitato e seguito: che voi ne avrete gloria 
tale che vi animerà a proseguire nel vostro lodevole in- 
stituto. Noi ci aspettiamo anche di più dal vostro ani- 
mo: mentre voi tornerete a celebrare con simili dimo- 
strazioni la memoria degli uomini più insigni di ‘che 
l’Italia sonori, voi non saprete certo conceder tanto’ 
al diletto fugace d’ un giorno che voi perdiate di vista’ 
un più sublime e più nobile scopo, quello di rivolgere. 
i vostri esercizj ad una reale e permanente utilità . La 
quale voi conseguirete , se non alle sole lodi' e a un’ 
amorosa rimemorazione della vita di quei grandi uomi- 
ni starete contenti; ma se studierete a farne conoscere 
la via da essi tenuta per' giungere all’ altezza ove con 
ammirazione li riguardiamo, e quello che ‘a dispetto di 
fortuna essi seppero adoperare per le lettere, pel pro- 
gresso delle umane cognizioni, e per la gloria della 
patria . 


339 
Ragionamenti intorno ad Orazio Flacco, ed iscrizioni lutine 
del Padre D. Lorenzo Ciceri Ch. regolare della Con- 
gregazione di S. Paolo. — Milano, Manini e Rivolta 
1821. in 8. 


Quantunque non pochi. dotti uomini d’ Italia , e di fuori, 
abbiano e molto e con molta Jode scritto intorno ad Orazio ; 
nondimeno inutili da riputar non sono questi Ragionamenti del 
Padre Ciceri (2), sì perchè racchiudono in poche carte quello, 
che premetter giovi alla lettura di quel sublime poeta, e sì 
perchè dettati sono con buon discernimento, e vanno adorni di 
alcuna nuova osservazione. Concerne il primo la vita d’Orazio; 
e composto è delle notizie j.che di essa somministrano gli aurei 
scritti di lui. Con molta saviezza scrive qui il Ciceri rispetto 
alla città, in che quegli sortì i natali. ,, Venosa, ei dice , fu !a 
patria sua, posta entro i confini della Puglia; ma vicina tutt’ in- 
sieme ai campi della Lucania, ond’ egli stesso è in forse, se 
pugliese o lucano chiamar si debba, perchè il coltivator veno- 
sino coltiva del pari l’uno e l’altro confine: Zucanus an Ap- 
pulus, anceps: Nam venusinus arat finem sub wtrumque colo- 
nus (Sat. 1. lib. 2.): sentenza che trar dovea subito d’impaccio 
parecchi comentatori, ai quali parve, contradirsi Orazio nel- 
l’ode 4. del terzo, ove narra un poetico portento, che da par- 
goletto gli avvenne. Stanco, dic’ egli, dal giuoco, ed oppresso 
dal sonno, mi addormentai sul Vulture pugliese, fuori del confine 
della Puglia mia patria: mi ricopriron le favolose colombe 
d’ alloro e di mirto, e intatto rimasi con altrui meraviglia dalle 
vipere e dagli orsi: Vulture in Appulo altricis extra limen 
Apuliae (Od. 4. u.): e dir volle: la parte del Vulture, su cui 
mi giacea addormentato, non toccava alla Puglia, ove io. pa- 
equi, ma sibbene alla Lucania... . Ridevole adunque si è fatto 
taluno , sponendo: m’ addormentai fuori del limitare di Apulia, 
la balia mia. E fa stupore, che fino allo stesso Bentlei non di- 
spiaccia sì strana sposizione, arrogandosi il diritto di sostituirvi: 
Nutricis extra limina sedulae ,,. 

Applaudire però non possiamo del pari all’ argomento, con 
che il Ciceri mostrar vuole, che Orazio fu quasi astinente del 


(1) Si sono pubblicati dal ch. sig. Can. Rudoni, cui il Ciceri gli lasciò 
in dono per atto di sua ultima volentà. 


340. 
vino. Leggendo egli nella satira quinta del libro primo, che il 
pocta fermatosi, nel suo viaggio da Roma a Brindisi, in Aricia, 
non volle quivi prender cibo , perchè pessima vi trovò l’acqua, 
scrive : ragione per cui astemio più presto esser doveva , che 
smodato bevone , quale lo crede il volgo de’ mal esperti leggi- 
tori d’ Orazio , perchè talvolta e il Massico e il Falerno con 
somme lodi porta al cielo, ed una gioiosa ebbrezza commenda. 
Ma egli astennesi allora dal vivo, non perchè volentieri ne stesse 
privo, ma o perchè gli occhi avea infermi ( V. ver. 30. della 
med. sat.), siccome giudicano i comentatori, o piuttosto perché 
buoni vini ivi allora non fossero. Diciam questo appoggiando 
il sospetto nostro all’ epistola 15. del libro 1. nella quale Orazio 
domandando Numonio Vala, se miglior dimora far egli potesse 
in Velia, o in Salerno, perocchè dovea ai bagni dell’ una o del- 
l’altra città recarsi pel suo male degli occhi, lo interroga se 
quei popoli co/lectos . . . bibant imbres, puteosne perennes Dul- 
cis aquae, e soggiugne: nam vina nihil moror illius orae . 
Se poi dalle lodi, che Orazio dà al vino, argomenteremo , 
ch’ egli volentieri il bevesse; nel modo stesso ragioneremo, in 
che ragionò egli rispetto ad Omero, quando nell’ epistola 19. 
del lib. 1. scrisse di lui: Zaudibus arguitur vini vinosus Ho- 
merus. E se questa ragione, che per l’Algarotti ebbe forza , 
apprezzar non si voglia, si ascolti, per una averne incontrasta- 
bile, Orazio stesso, che nella citata epistola a Vala scrive dopo 
le riportate parole senz’ altre, frammetterne : 

Rure meo possum quidvis perferre patique , 

Ad mare cum veni , generosum et Lene requiro , 

Quod euras abigat , quod eum spe divite manet 

In venas animumque meum , quod verba ministret , 

Quod me Lucanae iuvenem commendet amicae. 

Nel secondo Ragionamento considerato è Orazio come: poe- 
ta lirico; e mercè d’un franco e rapidissimo prospetto di molte 
delle sue Odi, i var] toni, per così dire , si mostrano di queste 
sue inimitabili poesie. Per simit modo filevansi nel terzo Ragio- 
namento le principali bellezze delle Satire, stabilendovisi chi ed 
esse, e 1” Epistole debbono estimarsi una cosa medesima. Ma/- 
Lt che Flacco, dice il Ciceri, abbia i libri delle Satire da 
quelli delle Epistole distinti, portiam ferma opinione, che sì 
le Satire che le oraziane Epistole sieno veri sermoni, cioè cri- 
tici e sapienti discorsi in un stile umile e dimesso. 


341 

Il quarto Ragionamento si aggira tutto sull’ Arte poctica . 
Si esamina l’ orditura di essa; e sebben non si trovi; quale 
già da alcuni fu riputata, d'ordine affatto priva; non si giu» 
dica però regolare, come quella è «di Aristotele. Al libro del 
‘greco ‘autore contiene, «dice il Ciceri .,, sun vero trattato di poe- 

a : quello a crincontro :del Venosino non ;è che una collezione 
di savissimi «aemmaestramenti intorno alle poetiche bellezze . . .. 
Questa epistola è più presto run codice :perfettissimo di -buon 
‘gusto intorno alle arti belle , «che un ‘semplice trattato intorno 
alla poetica facoltà ... . Richiamiamo al pensiero d’ altrui, che 
questa è una lettera ‘scritta dal Venosino .a’ Pisoni abbastanza 
instrutti nella poetica facoltà: che essi attendevano da Orazio 
leggi, osservazioni, sentenze intorno alla ‘compiuta ‘perfezione 
di un grande lavoro o epico 0/drammatico : che non dovea quindi 
prendergli a mano, e passo passo guidarli' su per 1’ erta di 
Pindo.... Stabilite quindi Flacco le precipue leggi del bello, 
siccome esattamente fece , non .gli rimaneva che accozzare con 
libertà epistolare e poetica ‘precetti intorno al buon gusto, sen- 
tenze concise, sugose, e ‘quasi per impeto slanciate ,,. Per la 
qual cosa ripreso è dal Ciceri ed ‘a ragione, 1’ ardimento del 
Petrini, il quale, come è noto, ‘tutta sceompose e'ricongegnò di 
sua fantasia questa epistola maravigliosa. 

A questo quarto Ragionamerito aggîughesi un inno ad Orazio; 
pepepimento non spregevole ‘dello stesso Ciceri, il quale pose. 
pure appiè dei Ragionamenti, che ‘precedono, la poética versione 
d’ alcun carme LF lîrico ‘di Venosa. 

A ciò, diche fin qui abbiamo parlato, succede nel libretto la 
Raccolta di varie ‘iscrizioni latine, accennata nel frontespizio; 
nelle quali iscrizioni è merito di ‘eleganza, di chiarezza e di 
semplicità, insieme con quella mon facil arte di dire nelle mede- 
sime occasioni o nelle somiglianti, le ‘cose stesse con differenti 
modi e con giro diverso, senza ‘trasgredir le regole, che sono 
a questi piccoli ma difficilissimi componimenti prescritte . Sono in 
somma queste iscrizioni del buono stile, «e quali debbono farsì 
dopo i sapientissimi precetti, che il Morcelli, scorto dalle an- 
tiche lapidi, ne ha dettati , e ‘dopo gli splendidi esempi di lui, 
del Lanzi, e del ch. Schiassi. Conforme è al nostro il giudizio 
che ne dà il sig. Labus, letterato peritissimo‘di tal materia, sicco- 
me delle altre ‘dell’ antiquaria, nelle ‘sue Brevi notizie intorno 
la vita e le opere del Ciceri, che premesse sono ai rammentati 


342 
scritti di questo. Le quali notizie vogliono leggersi per due ragioni. 
Viene la prima dall’uomo, che ad esse è subietto , il quale ebbe 
e dolce indole, e santi costumi, e saper non comune. Viene 
Y altra dallo scrittore, il'quale con bell’ ordine , con bastevole 
brevità, e con savie considerazioni le espone, sollecito in ispe- 
cial modo di riferire ad altrui vantaggio e le massime, che il 
Ciceri adottò, e i metodi, di che egli si valse, per formare il 
cuore e la mente dei suoi discepoli nel lungo spazio degli ami 
trentanove, in che ebbe cattedra di Poetica nelle pubbliche scuo- 
le Arcimbolde di Milano. E siccome abbiamo. sopra toccato 
‘alcun che del merito del sig. Labus rispetto alla lapidaria; così 
crediamo, non dover noi dispiacere ai nostri lettori, se contrav- 
venendo per una volta alla costumanza nostra, riportiam cinque 
delle inedite iscrizioni di lui, le quali sono le seguenti : 
I- 
Bagulini finibus Brixianorum. 
IOSEPHO . BREBBIAE 
V.. C. COMITI 
EX . SPLENDIDISSIMO . ORDINE 
MEDIOLANIENSIVM 
A CONSILIS . NEGOTIOR . PVBLICOR . 
LEGATO . PROVINCIAE 
QVO . AVCTORE *. VIA . BRIXIANA 
INVIA. PRAECEPS 
EXCISIS . MONTIBVS . MOLLITO . CLIVO 
SVBSTRVCTIS . MARGINIBVS 
AD . MILLIARIVM . III . A. CAPITE 
LAXATA . MVNITAQ . EST 
PROCERES . BAGVLINENSES 
PRAESENTIA . ET . LIBERALITATE . EIVS 
AD . TANTI.. OPERIS . MOLITIONEM 
EXCITATI.. ADIVTIQVE 
PLAVDENTE.. POPVLO . DEDICAVERE 
AN. M. DCCC. xxI. 


II 
Mantuae 
HONORABILI . MEMORIAE i 
TERDINANDI . IVI, . COM . FIL . GVIDI 
QVI . ET . DE . BAGNO 


343 
MARCHION . PATRICIA . NOPILITATE 
AB . ADMISSIONIB.. FRANCISCI . CAESC. AVG. 
VIRI . ANTIQVAE . VIRTVTIS 
QVI . GENERIS . GLORIAM 
COGNATIONIBVS . SPLENDIDISSIMIS . AVCTAM 
MODESTIA . COMITATE * RELIGIONE 
SPECTATA . IN . ADVERSIS . MANSVETVDINE 
CVMVLAVIT 
VIXIT-. ANN . LXXHI . M. VI . D. XXVI 
MAGNO . BONORVM.. MOERORE 
DEC . IDIB . QVINCTIL . AN. M . DCCC . XXI. 
THERESIA. . CORSINIA,. VXOR . Il . MARITO 
KAROLVS . GVIDI . QVI.. ET . DE . BAGNO 
CVM . BIANCA . LVZAGA . CONIVGE 
ANTONIO . ET . LEOPOLDO . FRATRIB. 
PARENTI : OPTIMO . POSVERE . 


IH 
Mediolani © 
AVGVSTO .. NIC .:. FIL. BATAILLE 
BOMO . LVTECIA:. PARISIORVM 
EQ . ORDINIS . MERITI . EQ. CORONAE . FERREAE 
HONESTAEQ . LEGIONIS 
E . PRIMORIBVS:. GALLIARVM 
-STRATEGO , . CLARISSIMO 
QVEM : OMNIBVS . MILITARIB . EXPEDITIONIBVS 
ARMIS . FIDE ..CONSILIO * STRENVE . BEI.LIGERANTEM 
EVGENIVS . DVX. LEVCHTEMB . PRINCEPS . AECHSTADII 
COMITEM . SIBI . ET . DECVRIALEM . CVBICVL . ADSCIVIT 
MAXIMILIANVS . IOSEPHVS . REX . BAVARIAE 
INTER . ADMISSIONALES . ADLEGIT 
BONI . OMNES . HONORIBVS . ET . MVNERIBYS 
NITIDE . FVNCTVM . TESTATI . SVNT 
VIXIT.. ANN . XXXXII . M . VII. D. XXVII 
AMATOR * IVSTITIAE . CVLTOR . RELIGIONIS 
OBIIT . PEREGRE . XVI . KAL . IVN - AN. M. DCCC. XXI. 
CAMILLA . DELFRATE . CONIVGI . OPTIMO 
ALEXANDER . BATAILLE . FRATRI . CARISSIMO 
CVM . LACRIMIS . FECERVNT 
BENEMERENTI. 


344 
Iv 
Vicentiae 
QVIETI . ET . MEMORIAE 
MATTHAEI . EIERON . FIL . STACHI 
IVRISCONSVLTI 
IX . VIRI . STLITIB . IVDICAND. 
OMNIBVS . MVNERIBVS . E © RE . PVBLICA 
GNAVITER ‘'FVNCTI 
QVI. NATVS.. ANN. XLII. D . «XXI 
PIVS . COMIS . INTEGER . PROBATVS . OMNIBYS 
DEC . XVI . K. FEBR . AN. M. DCCG + XX. 
MATER . FRATER . ET . FILIVS 
i MOERENTISSIMI . FECERVNT 
LOCO . QVEM . SIBI . TESTAMENTO . DESIGNARAT. 


v 
Mediolani 
CAMILLAE 
- BENIGNI . BOSSI . MARCH . FILIAE 
| —MATRONAE . OPTIMI . EXEMPLI 
COMITATE . INGENIO . RELIGIONE 
MAXIMA . IN. EGENOS . BENEFICENTIA 
PRESTANTI 
OVAE . RELICTIS . IN. LVCOTV 
IOAN . IACOBO . AVGYSTA.. HERSILIA . ET . SOPHIA 
FILS . DVLCISSIMIS .. OBSEQVENTISSIMES 
OBIIT . PLACIDO . EXITV . VI . NON . IANVAR . AN .(M . DCCC . XXI, 
AETATIS . SVAE . XXXI. 
IOAN . IACOBVS . MEDICES . QVI . ET . MARIGNANYS 
"LVGENS . FECIT .. CONIVGI . INCOMPARARILA 
PLVRA . DE . SE . MERITAE 
'OVAM . TITVLO . SCRIBI . POSSIT, 


| G.B. Zannoni. 


345 
LETTERATURA. POESIA. 


IL CAnmo. Poema del Prof. BacnoLI. 


(Conclusione v. tom. V. pag. 533.) 


Le traversie dei Fenici antedette sono opera uma- 
na,e mero effetto di naturali cause; le proseguenti 
muovono in molta parte da nemici fierissimi soprauma - 
ni. Iquali la ragione poetica richiedeva doversi nel 
poema introdurre affine di compire la sua macchina, 
ed istringere viemaggiormente il nodo della sua azione. 
Perciocchè e contrappongonsi alle altre divimtà favori- 
trici ed amiche all’ oppugnazione di Tebe, e quasi ac- 
crescon la tema che per tanti e sì fieri ostacoli le belle 
speranze d’ Europa, le quali si attengono a sì fatta im- 
presa, non siano per riuscire abortive. Ciò appunto è il 
perverso intendimento del cieco Errore Dio principale, 


e monarca deli’Antiparnaso, (1) 
Gran mostro orrendo, immane, ha due lucerne 


(1) Luogo tutto formato nell’ idea del poeta. Esso profon- 
dasi nelle viscere della terra, ed è coperchiato dal monte Parz 
naso. La descrizione che ne è fatta consiste nel contrapponi- 
mento delle cose, dell’ ordine, delle qualità di lui colle cose, 
coli’ ordine, colle qualità del Parnaso. In questo tutto è luce, 
bellezza, proporzione, pompa, armonia, in quello tutto è barlu- 
me o tenebre, bruttezza, sordidezza, ‘miseria, disunione e strava- 
ganza di parti. L’ Ignoranza, le falze Opinioni, la Vanità, la 
Meraviglia, i Giudizj vani, il Deliro, il Paradosso, l’ Hlusione, 
l’ Inganno sono i primati d’un popolo, che vi abita, di scontraf- 
fatte forme, di chimere, di sfingi, di draghi, di mostri d’ogni 
pèggior maniera. Attraversa |’ ingrata regione, tenendo le veci 
del fonte Ascreo, un rio limaccioso disteso in muffato margine, 
a cui s’ attinge in luogo dell’ estro l’ oblio, la fiacchezza; il son- 
no, i languori. 


T. VI. Maggio 23 


346 

Sbarrate in fronte, eppur di vista è scemo; 

S’ attenua, ingrossa, e può da sue caverne 

Ingigantirsi infino al ciel supremo . 

Non sembianza costante in lui si scerne, | 

Tiene ambo i sessi, e l’ uno e l’ altro estremo, 

Rifugge il mezzo, ha dei contrar) l’uso, 

Atterrisce, paventa, illude, è illuso. 

Come vele di nave a somma antenna 

Due grandissime orecchie spiega e tende: 

E continovamente le tentenna, 

Sicchè fa vento per quell’ ombre orrende; 

Ritto come destrier quando s’ impenna 

Talor le volge a ciò. che male intende; 

Ogni ramor che viene il face accorto 

Di qualche dubbio irragionevol torto . 

Veste di scaglia viperina, e soda 

Il busto infin sotto l’ ascelle lorde, 

E finisce come angue in lunga coda, 

Sotto femore man mostro discorde. 

Con lei se stesso in cento doppj annoda, 

E sì n’ avanza che la cima ei morde; 

Gon lei si slancia a petto ritto, e striscia; 

Altre gambe non ha l’ orrenda biscia. 
Il nefario mostro è tutto in angustie e timori per man- 
tenersi il dominio antico delle contrade d’ Europa . 
Onde intima assemblea generale del suo regno, e vi 
espone il comune periglio con aringa superba e stolta, e 
quanto mai far si può convenevole alla sua natura . 
Punto di rabbia contro le Muse ed Apollo è d’ avviso 
che si corra all’ armi, che il Parnaso s’ assalti, si sgom- 
bri dell’importuna gente che vi ha stabilita la sede. E la 
proposta era con alacrità assentita dalla turba adulatrice 
al suo principe. Se non che il più tristo di quella genia 
Nefelione (2) riduce gli animi a miglior consiglio, e 


(2). . +. + + Un che tutte in un medesmo aspetto 
Le forme impronta, illuditor fallace, 


347 


vien dimostrando che non a Febo e alle nove sorelle, ma 


‘a Cadmo, ad Anfione, ai Fenici si debbe più veramente 


Nefelion, Seudv dai saggi è detto, 
E ben coi nomi | opra si conface; 
Proteo onniforme, Dedalo architetto 
Di vanità che par persona e piace . 


Costni tutte a sedurre ha |’ armi adatte, 


Per 


Lenocini, malìe, filtri, prestigi, 

Falso veder, dimensioni astratte, 

E colorate di vapori stigj. ‘ 

‘Pitture in aria senza corpo fatte, 

E di moto e di suon vani vestigi, 

Che più che in se medesmi, in chi ode e mira, 
E nella mente esiston che delira. 

lui crede veder ciò che non vede 

Ciascun che in pieno di sogna e vaneggia - 
Chi di valor, chi di beltà, si crede 

Adorno, e il suo difetto in se vagheggia ; 
Altri ostenta gli onor che non possiede. 

O del volgo i favori, o della reggia, 

Altri i titoli ambisce, altri si finge 

Lunghe speranze, e vuoto il pugno stringe . 


Questi i detti e i pensier fra le ritorte 


Contorce e sforza, quei con ambe gote 
Fiato alla piva più sonoro e forte 
Dar vuole, e gonfia le parole vuote. 
Chi guasta il buono stit per ogni sorte 
Di vizio o nei concetti, o nelle note, 
Ed empie il cuor di passeggiera fama ; 
E novità le stravaganze ,chiama . 


E chi dedur dai cranj i sentimenti 


Intimi vuol, chi da fisonomie, 
Alchimie, trascendenze, aberramenti 
Dalla ragion, romantiche follie, 

E quanto va lontan dalla, sorgente 
Pura del bello per fallaci vie, 

Tutto tien da Nefelio, ei n’ è maestro, 
Ei spirator dei. petti, ci nume ed estro. 


348 

rivolgere la mira delle loro contese. Null’ altro richie- 
dersi dall’ uopo presente se non se il pugnare a favor 
d’ Ogige e del popol suo , e Tebe sottrarre al furore del- 
le peregrine spade. Piaciuto il consiglio son fermati due 
moi di dargli effetto, concittare i Centauri, i Fauni, i 
Silvani, i Satiri, 1 Lapiti, e quante sono semibelve native 
di Pelio, d’ Emo, delle valli Peneje a collegarsi in oste 
formidabile contra i temuti fondatori della civiltà, affi- 
ne di combatterli, distruggerlì col numero, colla possa 
maggiore del corpo, colla più ‘fina destrezza nell’ armi: 
concitare contro i medesimi eziaundio le Najadi, le Na- 
pee, le Driadi, e quante son ninfe dei fonti, dei boschi, 
dei prati, a guerra diversa di femminili ingauni, di di- 
letti, di vezzi; affine d’ affascinare i guerrieri, istervarli 
nella voluttà , e distorhi altrove dalla magnanima loro 
impresa. Gran prodigio se dessa potrà recarsi a buon 
fine attraversata da cotanta congiura . 

Lunghezza soverchia sarebbe il discorrere i parti- 
colari di questa guerra di piaceri, d’ insidie, d’ illusioni, 
di fascini, di malie, con la quale quel fabbro di menzo- 
gne e di delirj seppe soddisfare il suo intento. Guerra per 
cui rimase scemo il campo Fenicio di molti suoi prodi 
in varie maniere attratti, e invescati nella casa della 
Lascivia (3). Onde si accresce, e si fregia il poema di 


(3) + LT. recesso. ameno 
Ove torce il Cefiso, e forma un seno. 
Frondeggianti colline, e valli ombrose, 
Luoghi opportuni agli amorosi agguati; 
Chiuso recinto ov’ han lor sedi ascose 
Dee di boschi, e di fonti, e.Dee di prati, 
Driadi, Napee, e Najadi vezzose, 
E vaghe aurette, e favoncelli alati. 
Corona una selvetta il vago ostello, 
Che in mezzo è pien di florida verdura, 


349 
belli e curiosi episodj, (4) di ricche descrizioni, di varia- 
te pitture, che invogliano e tengono i leggitori. 


Onde di sè spettacolo più bello 
Fan le Ninfe per l’ aria alquanto oscura . ‘ 
Divide il prato il limpido ruscello, 
Ch'ogni vago color passando fura. 
Ivi d’ amore ogni animal si strugge, 
Il pesce al pesce nel tranquillo umore; 
Farfalla dietro a farfal!etta fugge 
Di stelo in stelo, e dov’ è ritto un fiore, 
Ivi si posa ape volante e sugge 
Come mel dolce il tossico d’ amore, 
Ad ogni passo un fascino seguace, 
Ad-ogni sguardo è presto un scherzo, un giuoco ; 
Più chi v’ entra per se non è capace 
D’abbandonar quel dilettoso loco; 
Timida è la ragione, il senso audace; 
Ardono i cori, come l’ esca al fuoco. 
Le Lusinghe a chi vien invito e segno 
Fan colla mano, a chi sen va ritegno. 
(4) Non è da tacere l’ avventura seguente di Sisifo. Costui 
il più superbo e il più scelerato dei figli d’ Eolo, allontanossi 
dal campo Fenicio preso di sdegno perciocchè, a seconda degli 
ordinamenti di Gadmo, non.s’ approvava il suo avviso d’ assal- 
tar 'Febe. Caduto nelle reti di Nefelione ebbe esposta alle la- 
scive voglie non già alcuna Ninfa di selve e di fonti come in-, 
tervenne ai compagni suoi, ma bensi la finta. immagine della 
divina Calliope. Lo scelerato non concepì temenza della maestà 
e del pudore che vide risiedere nell’ augusto sembiante, non 
ismarrissi alla resistenza, al simulato sdegno oppostogli artata- 
mente dal simulacro, nè tampoco all’ avviso che era dessa la 
fi gliuola del gran Tonante. Non s’ arrestò se prima non ebbe 
piéni i sacrileghi voti. Pianse la vera Calliope sull’ attroce ingiu- 
ria, si fece velo colla mano al virgineo viso, e ne portò amari 
lamenti al trono di Giove. Chi crederebbe che l’ empio nell’ as- 
s alto di Tebe osasse vilipendere la Dea con impuri rmiotteggi, e 
stendere a ferirla il temerario brando? Per lo quale eccesso e per 
altri cadde l’ iniquo incenerito da un fulmine. 


350 
Ne richiama a ritorre la tromba di Marte un secondo 
e più fiero assalto che muove Ogige al campo Fenicio. H 
precedono pallidi, scarmigliati,con gli occhi fissi sul suolo, 
senz’ elmo, e senza armi, curvati sotto le pesanti catene 
gli incauti duci cui riuscì a sì mal fine la notturna in- 
vasione di Tebe; dai lati il circondano eretti sopra lun- 
ghe picche i teschi degli uccisi in quella notte ferale ; 
gli è dietro un numeroso esercito, che sbocca dalla cit- 
tà nella guisa di fragoroso torrente. Or poichè s' avanzò 
il superbo agitando colla mano |’ asta di Cadmo, 
.. + * + parve al mover suo s' aprisse 
Il ciel, tremasse sotto i piè la terra; 
E in ogni parte s’ attaccò la guerra. 
Siccoine allor che quasi il giorno è spento 
Da nubi, che |’ estivo ardor raccoglie, 
Se il folgor scoppia, e il turbin violento 
Leva la polve,, e ruota rami e foglie, 
Iu densa pioggia, che succede al vento, 
Il ciel tutto oscurissimo si scioglie; 
Fremono i tuoni in aria, ardono i lampi, 
Scroscia l’acqua a torrenti e inonda i campi : 
Così mosso ch’ ei fa, muoversi seco 
P Si vide il campo tutto, il suol si chiuse, 
Incominciò di braccia un moto, un eco 
Di colpî, un suon di voci in un confuse. 
Capitano degli assaliti è adesso Gilice l’altro fratello 
di Cadmo , e ne sostiene le parti con valore, con 
senno , con arte, se non con fortuna. Tra i guerrieri d’O- 
—gige sono i più famosi Efialte, ed Oto (5) e Filaco che 
combatte colla sua Climene al fianco; tra quei di Cilice 


È 


Lz_— 


(5) St? conoscean da lungi al corpo vasto 
All’ alzar dei gran colpi, al ricadere, 
Al campo là terribilmente guasto, 
Al refluir delle scomposte schiere. 


351t 


Tantalo, Pandareo , e la regina delle Amazzoni Colo- 
fonia (6) In favor di questa prende parte al cimento 
la stessa Calliope ascesa sovra bianca nube 


Fulgida in armi di Minerva in guisa. 


Indicibile è il furore con cui si combatte; è vario lun- 


ga pezza l’ 


evento. 


(6) Figlia del fiume Caistro, alunna, e protetta di Caliiope. 


Questa dea 
fece nutrire . 


la salvò bambina dall’ ammega sii nel mare, e la 


«+0. + + + + matural costume 


Dai primi anni mostrò rigido e fiero. 


Godea mirar del bronzo il torvo lume, 
Ascoltar della tromba il suon guerriero , 
Bamboleggiar coll’ armi, e di gran piume 
Ornarsi il, capo a foggia di cimiero, 

Ne lattante mai volle in piena stalla 
Mamme succhiar che d’ armental cavalla. 


Ma nell’ età che al corso i piè gagliardi, 


Che s’ avvalora all’ arco il braccio arciere 

Sfi dava i venti, e i venti eran più tardi 
Delle sue piante rapide e leggiere. 

E combattea con tigri, e linci, e pardi, 
Senza nojar le timidette fiere, 

E si vestia della ferina pelle, 

Sdegnando ogni altro ornato, o fregio imbelle. 


Sciolta del giogo maritale e schiva 


Col 


Crebbe con sensi generosi e crudi. 
Alfin colà sulla paterna riva 

Stuol di femmine aggiunse ai fieri ludi, 
Succinte, e di vieili: armi munite 
Vergin fiere a sfidar gli uomini ardite. 
sen reciso della poppa destra 

Esperte a tutti i marziali arnesi 

Si formar sotto lei duce e maestra 
Capaci a debellar genti e paesi. 


352 
. Là si libra fra i moti un fato eguale, 

Ed ai vantaggi è pari anco il periglio ; 

Quà la virtude al numero prevale, 

E sulle forze innalzasi il consiglio ; 

Dove è stretta la turba , e dove assale, 
‘ Dove ordin si sostien, dov’ è scompiglio ; 
Chi persiste pugnando; e chi s’arrende, 

hi troppo arrischia, e con suo danno offende. 


Incessante fragor d’ aste, di spade, 
E di percosse orribile tumulto, 
Di chi muor, di chi langue, e di chi cade 


Irrequieto gemito, e singulto, 
Bolle a colmo il furor, corron le strade 
Un largo sangue, ond'è il terren sepulto. 


Finchè entra in battaglia il ferino esercito innumesd 
rabile concitato da Nefelione ; diluvio d’armi e d’armati 
provvisto di potere maggiore dell’ umano. Ed appari- 
sce ad un tempo per l’aria il tenebroso sciame de’ mo- 
stri sbucati fuori dell’ Antiparnaso , che impoverisce 
la luce del sole, ed aggiugne le illusioni, le paure, gli 
inganni alla carnificina, e alle stragi. Che faranno i 
Sidonj miseri ? Tentino pure eroiche prove di fortezza 
e di coraggio. Come resistere ad una vasta e sempre ri- 
nascente ruina di sassi, di saette, di trònchi d’ alberi , 
e sostenere insieme la vista di spaventevoli ceffi, il 
frastuono di grida bestiali e feroci, l’assalto perfino dei 
morsi, e dell’ unghie? Conviene alla fine che aprano 
il petto alla stanchezza, e alla tema. Fuggono inseguiti 
ed uccisi, ripassano tumultuando 1’ Asopo; non regge 
il ponte alla calca, e al soverchio peso; si annegano. 
Non è più guerra, ma dispersione. Che pro che Cilice 
combatta da eroe contro Ogige? Esso è fatto prigione ; 
è legato ad un palo, gli son gittate dinanzi le flaccide 
e smorte teste già erette sopra le picche; insiem con 


353 
Fenice, e Creteo.,, e Salmoneo ha da subire supplizio 
infame . 


E’ questo il punto estremo già fisso ai trionfi teba- 
ni; suonata è l’ ora in cui retrocedano. Dicea Ogige di 
Cadmo alla presenza del suo infelice fratello, e degli 
altri due condannati alla morte: 
Fugga il ladron nei luoghi più divisi 23 
Dal mondo, entri nel fuoco, e sotto l’onde, 
Lo giugnerò , gli vo’ quest’ asta invitta 
Restituir nell’ empio cor confitta. 
Dicea ; quand’ ecco un fremito improvviso, 
Un calpestio veloce, un guerrier giunto; 
E stupefare Ogige, esser diviso, 
Penetrato il suo stuol, sè sopraggiunto, 
Sentirsi un lume balenar sul viso, 
Torsi l’asta di man, non fu che un punto ; 
Pareva a un tratto dileguarsi intorno 
L’ombroso velo, e duplicarsi il giorno. 
Seguiva un moto, un giunger di cavalli, 
Un gridar Cadmo Cadmo ad alta voce, 
E Cadmo Cadmo replicar le valli, 
E il monte, e tutta l’echeggiante foce. 
Non sì riflesso in limpidi cristalli 
Rifulge il sol, quando più avvampa, e coce, 
Come dall’ armi che il guerrier vestia 
Meravigliosa e chiara luce uscia. 
Ei diè tre voci), ed alto dal destriero 
Erse il sidereo scudo, e la ripresa 
Asta brandì sì che pel campo intero 
Si sparse il grido della voce intesa. 
Sembra al bel volto, alla persona altera 
A pollo e Marte uniti in un aspetto; 
, Alzata in sulla testa ha la visiera , 
E grida e chiaro suona ogni suo detto. 
Egli guida una schiera eletta di armati a cavallo; 
spettacolo nuovo e non più visto in Grecia a quei tena- 


pi rimoti, Già la raccolse in Ascra Anfione ed istruilla 


354 
nelle arti della pace e della milizia. Essa è stirpe di 
quel buon popolo antico astretto nelle discordie di "Tebe 
di ritirarsi al Cefiso insiem col profeta. Essa è apporta- 
trice di grande e di subito mutamento. Ricompòsto è in 
poco d’ora il disordinato esercito, sicchè può già tener 
fronte. L’ impeto dell’ oste-ferina a gradi a gradi sì fa 
più lento. Quà i nemici sono trasviati; in altro luogo 
dispersi. E’ ristaurato il ponte, e fatto libero il varco 
d’ Asopo. Il cielo per opra di Urania è purgato dall’om- 
bre e dai mostri di Nefelione. Che più? Se non soprav- 
veniva la notte, la vittoria di Cadmo era compiuta ed 
intera nel punto stesso del suo ritorno. Or mentre è 
dessa serbata alla seguente aurora odasi di qual patetico 
caso fu testimone l’ interposta notte. Pemandro e Ta- 
nagra, la guerriera figlia del fiume Asopo, due sposi 
fedeli, e compagni indivisi tra i venuti in soccorso 
d’ Ogige, dopo avere tutto il dì pugnato da valorosi al 
fianco l’uno dell’ altro , sulla sera , pel tumulto la mi- 
schia il discorrimento dei combattenti si trovan disgiun - 
ti e dispersi. Tanagra è rimasa di quà dal fiume ; di là 
è rimaso Pemandro. Quanto si cercano! quanto si chia- 
mano! in quanti pericoli per molte spazio di notte inu- 
tilmente si aggirano! Affine di cercarsi con meno di 
rischio si vestono dell’ armatura d’ un guerriero Feni- 
cio che ognuno di essi ha vinto ed ucciso. Così traves- 
titi s'incontrano senza conoscersi, e come vuole la 
frode delle indossate spoglie, attaccano feroce duello. 
Ambedue son forti, e del pugnare espertissimi . 
Stupore ha l’ uom, che sì il nemico vale, 
Stupor la donna,, ch’ è costui sì forte ; 
E vienle in mente che potrebbe uom tale. 


Neila mischia notturna il suo consorte 
Averle ucciso, e tale idea |’ assale 


ali 


Sì che le par di vendicar sua morte 

Togliendo a lui la vita: anco al guerriero 

Forse in mente venia simil pensiero. 
Questo sospetto li fa più animosi, e li spinge a combat- 
tere con più di ferocia. Finchè So spuntare del primo 
albore ; o più forte la femminea destra, o protetta dalla 
fortuna e dai fati, che | eroina serbavano a vita lun- 
ghissima di due secoli, e ad essere la fondatrice di città 
illustri e per cultura famose , aveva riversato Peman- 
dro trafitto a morte sopra le arene d’ Asopo. 


Getta il miser cadente e moribondo 

Un gran sospiro, e un non inteso accento 

Frammisto uscìa dal labbro tremebondo 

Di dolore e di flebile lamento. 

Passa della feroce al cor profondo 

Un non so che di noja, e di tormento 

A tale udir, parle da quelle labbia 

Uscito un suon che nominata l’ abbia. 

Parle che nelle orecchie ognor le gema 

Quel sospir, quella voce, e che sen doglia , 

E di saper chi sia, desir la prema, 

Chi morto ha sotto la simile spoglia. 

Gli vuol l’ elmo discior, la man le trema, 

Pruova, nè sà perchè, paura e voglia ; 

Scoprela alfine , e dalla faccia trista 

Rifugge il cor, ma già l’ occhio l’ha vista. 
L’ infelice , poichè l’ orrore ed il raccapriccio nou era- 
no bastati ad ucciderla, si dava la morte colle proprie 
mani. Ma surge Asopo dall’ ondoso letto a salvarla , a 
recarle con paterno affetto quel conforto che può mag- 
giore di carezze, di SPIGN, di belle speranze, di 
gloriosi destini. 

Lascierò eziandiò di riportare 1’ ordine e le par- 

ticolari vicende del fiero sperperamento dei difensori 
di Tebe avvenuto nella seguente battaglia. Alla quale 


son preparati gli eserciti d’ ambe le parti con appo- 


356 
sitissima aringa dei loro duci. In questa battaglia la som- 
iva delle cose è riposta. O Tebe aprirà le porte ai con- 
quistatori, o l’ Europa non sarà abitata da popoli culti 
e civili. Le gesta di Cadmo, di Fenice, di Colofonia, 
di Salmoneo, di Creteo fanno stupore. Dei centauri e 
degli altri selvaggi è fatto imnaudito macello. Filaco ed 
Orcomene cadono come morti al suolo sugli ‘occhi di 
Climene . Sventurata sorella e sposa, e sempre de- 
stinata a tremare e a piangére pe’ suoi più cari. Se 
ella resta in vita dopo la funesta scena è solo per sep- 
pellire quelle esangui salme. Empie di soave malinconia 
il seguitarla nell’ opera sua pietosa ; lacerano il cuore 
i suoi gemiti , le sue querele; l’ episodio apparisce spi- 
rato dalla musa di Virgilio e di Stazio; e muove a 
lacrime di piacere il suo lieto fine. Ciò è quando Filaco 
ed Orcomene riavutisi dallo svenimento hanno dato 
segni di vita; quando l’amorosa donna fra molti stenti 
e molte vicende ha potuto finalmente tradurli in Tebe. 
Or, mentre si sparge in campo tra i ludi di Marte 
il sudor dei guerrieri , chi produce altrove la. vitto- 
ria dei prestigi, delle malie, delle frodi malvagie 
di Seudo? Anfione da Urania guidato , ed accom- 
pagnato da Tasio il più dabbene di tutti i Fenici, il 
vero e fedele amico di Cadmo; Anfione non con altre 
armi che col suono della possente cetra. Ei si reca all’ 
incantato ostello della Lascivia, ove in grembo alle ninfe 
e ai carnali piaceri, dimentichi del dovere e dell'onore, 
si giacciono ben quaranta prodi del campo di Tiro. Più 
tardo il soccorso era vano; perciocchè in quel punto 
stesso pendeva a loro sopra la gola un traditore coltello. 
Ma giunto il; vate 


Destò le corde all’armonia gioconda ; 
"Ai bei modi ammutì lo stuol loquace; 


i 357 

Riman l’auretta, e più non move fronda, 

Ama la ripa il fiumicello, e lento 

Rattiene i vanni ad ascoltarlo il vento. 
Dal dolce suon della celeste lira 

Una pietà soavemente emana, 

Che doglia ai petti, e pentimento ispira, 

Quasi parli, e riprenda in voce ùmana. 

Par che dica quel suon; gemi, sospira, 

Piangi i deliri della mente insana: 

Par che il bosco ne pianga, e gemebonda 

L’eco piangendo anch’ ella a lui risponda . 
I destati guerrieri a poco a poco 

Volgon le teste al citarista, e gli occhi 

Tenacemente dal giocondo loco 

Sentonsi atrar, senza che man li tocchi. 

Malinconia si desta, e scema il fuoco 

Dei lascivi piacer fugaci e sciocchi; 

Guardan le Ninfe, e più non pajon belle, 

Tanta vaghezza avean, non son più quelle. 
Surti che son, la cetra un carme intuona, 

Che di guerra ogni moto a esprimer basta. 

L’ orror, le trombe, i ferri di Bellona 

Campo che campo investe, urta, e contrasta; 

E Tasio ritto, mentre il vate suona, 

Alza lo scudo, e battevi coll’ asta, 

Altamente sclamando: a guerra a guerra 

O valorosi figli della terra . 


Scintillanti negli occhi, palpitanti in ogni fibra delle 
loro membra gittano quelli ingannati le molli ghirlande 


e corrono a rivestirsi delle faticose armi. 
Vedi le ninfe sbigottite alzarsi, 
E senza saper dove, errar d’ intorno, 
Con pendenti monili, e capei sparsi 
Empir di grida il misero soggiorno; 
E nascondersi alcune, altre incontrarsi 
Coi guerrieri che armati fean ritorno, 
E disperarsi che pietà si nieghi 
Alle lor grida, alle querele, ai preghi. 
Accorre Nefelione al riparo con molte arti. Incendj, 


358 
tuoni, grandine, pioggia, fiumi e mari interposti al pas- 
so, rabbiosi mostri in atto di avventarsi con ispalancate 
gole, apparenze di naufraghe ninfe imploravti aita , di 
ninfe amorose nudate i candidi petti offerenti amore, 
tutto fu vano, tutto fu vinto. E surto per aria come un 
fischiare di turbinoso vento era il segno che gli empi mo- 
stvi via sì fuggivano da Urania cacciati. Dopo di che il 
Cefiso, le sue rive, i suoi prati , i suoi alberi si rividero 
nella condizione primiera, disfatte furono le sedi della 
lascivia, le ninfe ricoverate nelle stanze loro naturali, 
da Anfione restituiti al campo i quaranta sedotti guer- 
rieri. 

Nè ancora hanno termine le fatiche e i disastri che 
attraversano la presura di Tebe; speravasi quasi dopo 
che era successo sì male della doppia congiura di Nefe- 
lione. Ma non perdesi d’ animo il mostro , nè desiste 
dal concitare sempre più formidabili le traversie . Nuo- 
vo concilio che si tiene sopra le nuvole gli aguzza la 
meute alla macchinazione di nuove frodi. Abitava en- 
tro spelonca vastissima del Citerone uno smisurato , di 


cuni raccontasi 


Che senza l’ opra fu di genitrice 

Generato da tre padri immortali ; 

immane di statura e di cervice, 

Non eran membra a quelle membra uguali. 
Fama è che egli ebbe a sua richiesta in dote 

Da Nettun le trisulche armi paterne, 

Ond' ei del mare i fondamenti scote, 

E fa tremar le rupi, e le caverne, 

E sconvolgere i flutti, e seorrer puote | 

L’ onde d’ Euripo sette volte alterne, | 

Nè col flusso maggior toccangli il tergo, | 

E star nell’ alto Egeo come in suo albergo. | 
Da Mercurio talor |’ ale e la verga 

Ond' ei risvegli e assonni gli elementi, : 


359 
E le folgor di Giove, ond’ egli s’ erga, 
Senza dar crolio al furiar de’ venti, 
E col capo fra i nuvoli s° immerga, 
E che indi i tuoni e le saette avventi. 


Orione è questi. A cui Seudo appresentasi presa la sem- 
bianza d’ Ogige, e contro Cadmo gli attizza l’ ire espo- 
neudo i perigli estremi della Beozia , che lui pure mi- 
bacciano, e par che non li veda o li curi. Onde tutto 
conturbato il figlinolo dei tre Numi manda dal Citerone 
la sua orribil voce 


Al mare, al ciel secondo, al quinto giro. 

Udì Nettun dalle profonde foci, 

Giove e Mercurio dall’ Olimpo udiro . 

Chiede in pieno poter grandi e veloci 

I doni che al natal gli compartiro, 

Giurati già per la palude oscura, 

Che inviolabil stringe un Dio che giura . 
Ed ecco, appena ei ne fufatto donno, 

Che parve il ciel brillar, ma senza moto, 

Parea dormire in quel maligno sonno, 

Che il turbine precede e il terremoto, 

Quando i presaghi augei volar non.ponno, 

Obliquo in aria è dei pennuti il nuoto, 

Che pria che scoppi ha di fuor calma, e serra 

Convulsa il mondo, ed intestina guerra . 
Ma poco tempo in questo stato dura, 

Che si scatenan procellosi venti, 

Che si fa l’ aria procellosa oscura, 

E succedonsi tuoni e lampi ardenti . 

Striscia un turbin le terre, e svelle e fura 

Trabacche e militari alleggiamenti : 

Piombano, come strali, ai Tir) in faccia 

L’ acque, che in globi il ciel memboso agghiaccia. 
Esso il grande Orione, oh! meraviglia ! 

Cresce in immenso, e par che in alto voli; 

Monti le membra son, boschi le ciglia, 

Foresta il crin, gli occhi due torvi soli, 

Si libra, e steso l’ orizzonte piglia 


360 
Dall'orto a sera, apre le braccia ai poli; 
Si rizza, e il capo all’ alte nubi in seno 
Ficca tra gli astri, il piè calca il terreno. 
Ha barba e chioma, che distesa ai cieli 
Fa ombrella, e men dell’Appenin sui dossi 
Son, che i capelli del gran capo e i peli 
Gli abeti o i pini d’ Erimanto grossi, 
D' acqua inzuppati, rigidi di geli 
Fanno un diluvio ad ogni moto scossi : 
Tante nubi alimento alla gran pioggia 
Quante n’ ha il cielo, in sul gran dorso alloggia. 
In un pugno, coi fulgori stridenti, 
Tien la verga Cillenia, a cui ministra 
Di tumulto obbediscon gli elementi; 
ll. gran tridente arma la man sinistra; 
Fa coi fiati agitar turbini e venti. 
Ei s' immedesma, in atra notte involto, 
Coi nembi e vede lui chi i nembi vede. 
: Stranio orrendo gran mostro! ha forma e volto 
E il concepir di chi lo mira eccede . 
Ecco dal Citerone al mar rivolto 
Fa an passo, e sta già sull’ Eubea col piede. 
Geme la tremefatta isola al pondo, 
Si risente l’ Euripo infin dal fondo. 
Colla trisulca cuspide percosse 
Tre volte i lidi, e il grand’ Egeo rivolse, 
Il mar ch’ era di sotto in su levosse, 
Il mar ch’ era di sopra in giù si volse; 
E tutto in onde turbolenti, e grosse 
Dall’ ime sedi si rifuse e sciolse : 
Orribil notte in pelago s’ accvampa, 
Di sopra il ciel mormora e tuona e avvampa. 
Sono due le calamità che si derivanò dall’ ira tremen- 
da, e dalla smisurata possa d’ Orione. Aspetta Cadmo 
impazientemente una sua flotta di sette navi , la quale 
gli reca e fresche milizie, ed armi , ed artefici di mili- 
tari vormenti, e merci e vesti, e lo scettro, la corona, la 
porpora, e tutte le insegne reali. Colta questa flotta men- 


361 
tre solca l’ Egeo da tal rabbia di mare qual non fu vista 
mai la maggiore, con naufragio orribile vien flispersa. 
É mercè grande se tutta non l’ inghiottonoi flutti , se i 
condottieri suoi giungono a ricomporla in parte , ed a 
farle toccare le desiate spiagge Beote. Oltre ciò nella 
furia maggiore della procella, che batte e imperver- 
sa soltanto contro i Fenici, l'oste d’Ogige inanimi» 
ta da Seudo si spinge in campo ad asprissima e di- 
suguale battaglia. Nella quale se non soccombono i 
valorosi assaliti è virtù rara dei loro petti, è merito 
dell’ Eroe che li guida, è visibile protezione degli Dei 
che hanno a cuore la civiltà d’ Europa, è nuova prova 
del potere ineffabile della celeste Armonia. Stantechè 
assiso il gran citarista Anfione in iscoperta altura da 
cui vedesi il cielo per. ogni parte, avendo Urania al 
suo fianco, mentre, freme la feroce guerra degli ele- 
menti; con volto più di nume che di mortale, pars 
il torrente magico delle divine corde . 


Scotonsi ai dolci modi 1 nembi prismi, 
Che al dotto citarista eran vicini, 
Questi ai secondi, ai terzi quelli, agli imi 
Tramandan gli altri i tocchi aurei divini é 
Qual uom farente di ferina rabbia, 
E pien di voglie impetuose e crude, 
Se giovinetta sposa che fitta abbia 
Nel cor, gli stende l’amorose ignude 
Candide braccia e le soavi labbia, 
E nel pudico e molle sen sel chiude, 
Il fier, cui serpe un dolce ardor per l’ossa, 
Tutta a lei piega l’anima commossa; 
Così gli alati indomiti elementi 
Mansuefanno all’ efficace suono. 
Quasi vedresti i nembi ir reverenti 
Gon ali basse ad implorar perdono, 
Umiliarsi i rigogliosi venti, 
Il turbine syanir, chetarsi il tuono , 
T. VI Maggio i Jade 24 


362 
Spunta un candido ciel, luce si spande 
Rapida in giro, che si fa più grande. . 
La rivestita di siderei lampi 
Serenità che senza nube vola, 
Sempre più lungi per gli aerei campi 


L’ ombre discaccia, ov’ ella esser vuol sola. 
Sparge dal crin, che sciolto par che avvampiî, 


Dolce color di rosa e di viola, 

E dove volge la purpurea: fronte, 

Tutto al suo riso ride l’orizzonte . - 
Colle tenebre sue fugge la notte 

Dinanzi al chiaro rinascente lume. 

Fuggon dei mostri le malvagie frotte; 

Pargando l’ aer del maligno nume; 

Van ruinosi infra le nubi rotte 

Con fremito e fetor d’ atro bitume. 

La melodia che molce la natura 

E per essi battaglia, orror, paura . 


Ed il figliuolo dei tre Numi , oh meraviglia! è trasfor- 
mato in costellazione per voler di Giove; eleva al cielo 
la sua mole vastissima; vi ferma il posto fra il Tauro e 
i Gemelli in sembianza di armato guerriero ; libero la- 
sciando il dominio dell’ etra al ridente carro (7) di A- 


pollo. Il quale 


(7) Eccone intiera la dipintura . Non è d’ uopo di nominare 


onde è preso il pennello, e sono attinti in parte i colori. 
Sta di gemme massiccie alta la mole, 
Intesta in oro con sottil lavori, 
Agil così, che par che spirti accoglia 
Impetuosi, e pur, non tratta, ir voglia. 

Delle ruote.il fulgor ritrar non puossi, 

In ciel sereno imaginande stelle, 
O il corso lor fingendo dardi mossi, 
O folgor sprigionati da procelle. 
Specchio è l’ alto sedil, che ripercossi 
I raggi in mille parti e le facelle, 
Forma un incendiò, che in sè stesso gira, 


363 


Ritto sul cocchio di gran gemme adorno, 
. Formosissimo Auriga intonso e biondo, 

Dalle cui tempie aureo scintilla il giorno, 

Coi fiammigeri freni avvolge il mondo . 


Es’ agita qual turbine che spira. 
Volve il lungo timon per ogni parte, 
E nel calar e nel salir molleggia, 
Sì che l’auriga con mirabil arte 
Torcer lo può come onda in rio serpeggia. 
Non può ritrarsi opra divina in carte, 
Che pensiero mortal non la pareggia. 
Quel della Euna argenteo e cristallino 
Invisibil si perde a lui vicino . 
Colorata di gemme aurea scultura 
Nelle ricurve sponde in chiaro rende 
Mirabilmente ogn’atto, ogni figura, 
E più gli affetti e il clima ivi s'intende » sel 
Qui spiran laure in grembo alla verdura, 
Là raggio estivo i campi aridi fende, 
Appia ogni arboscel di pomi abbonda, 
E quindi il gel gli inaridisce e sfronda. 
Fra le ridenti erbette i passi muove 
Una amorosa giovane gentile, 
Ninfa e reina del bel loco, dove 
Spiran le tepidette aure d’ aprile. 
Tre bei garzon di fresche fronde, e nuove 
Cireondati la fronte giovanile 
Son suoi servi, e custodi, e in lieti cori 
Van con le grazie, e i pargoletti amori. 
Nell’altra parte una donzella adusta 
Dal solar raggio il crin di spica cinge, 
E falce adunca colla man robusta 
Ruota e l’arida messe in fasci stringe. 
I suoi tre servi colla spada onusta 
Vengono e vanno ove il lavor gli spinge. 
Di sudor molli polverosi ignudi, 
E tutti intenti ai villerecci studi, ‘ 
Giovine rubicondo altrove intreecia 


364 


Ninfa di sempre giovinetta etade, 
Coronata di rosa e di viola 
D’ alcun spazio il precede, e per le strade 
Celesti innanzi a lui rapida vola, 
_—rt1caac‘co©<@ii 0 prergra 
D'edere e bacche e pampani la chioma, 
E coi suoi salta in danza boschereccia, 
Gia saturati alla nettarea soma. 
A Borea spande la canuta treccia 
Vecchio robusto cui l’età non doma : 
Co'suoi garzon, dov'è più crudo il cielo 
Fra i venti freme, e tra le piogge e il gelo. 
I focosi destrier non tengon loco, 
Scoton le teste imperiose, e sfuma 
Dal'e narici l’anima di fuoco. 
Il fren biancheggia di nettarea spuma. 
Scherza sui colli di vivace croco 
Colorata la giuba, e l’aere alluma . 
Quattro di par grandezza in terso e bianco 
Pelo han d’auro stellato il petto e il fianco. 
Vestite di color bianco e vermiglio 
Ne tengon cura dodici donzelle 
Si veloci di piè , che non può ciglio, 
Benchè attento, seguir l’ orme di quelle . 
L’ una ali’altra suecede, e dan di piglio 
A vicenda al lavor l’ accorte ancellie : 
Dodici altre van dietro in veste bruna 
Compagne e serve alla notturna Luna. 
«Ma in diversa stagion parte di queste, 
Ovver di quelle, accrescon l’ altro stuolo, 
E cambiando signor, cambiando veste, 
Mipistre van per l’ alta via del polo. 
Queste già Dee nella magion celeste, 
Tra noi son |’ Ore che han sì presto il volo; 
Le fuggitive irreparabili ore 
Al mondo frale che rinasce e muore. 
Padre e rettor della solar famiglia 
Un vecchio alato alla gran mole è sopra, 
Che tutto spia con penetranti ciglia, 


365 


Seminando dal erin molli ragiade, 
E fior vermigli dalla bianca stola; 
E colla man di rose al dì nascente 
Apre l’ uscio dorato in Oriente , 
Nel poema della Cultura mancar non dovevano 
gli esempj della Religione , gli spettacoli della pietà , 
della riverenza, del timore verso gli Dei. E due ve ne 
hanno. Jl divino Anfione sta per discendere dalla mon- 
tagna, donde ha sedato allora allora i procellosi elemen- 
ti; alle falde gli fanno corona le armate coorti; ognuno 
ammira in silenzio ed estasi la bella calma della natura. 
l’ alto trionfo dell’Armonia. Due temerarj (8) osano di 
sollevare la fronte contro il vincitore dei nembi, lo in- 
giuriano con bestemmie ed onte, gli minacciano con 
diluvio di sassi e di dardi la sacra vita. Invano però 
danno sfogo al sacrilego ardire; chè le saette e le pietre, 
quasi d’ intelletto dotate violar non sappiano colui che 
si fa obbedire dalle tempeste, per sè stesse si disviano, 
o cadono, senza danno recargli, a’ suoi piedi. Generosi 
si spingono più cavalieri colle lancie abbassate a far la 


E spartisce e misura e muove ogni opra. 
Chi vuol celarsi a lui mal si consiglia; 
Vero e falso non è ch’ei non iscopra; 
Gl’ intimi sensi a lungo andar comprende; 
Tutto sa, tutto:vede, e tutto intende. 

Par che non senta di sue membra il pondo, 
Così dibatte i vanni suoi leggeri, 
E tal volò dal cominciar del mondo. 
Vede sorger città, crescere imperi, 
È gir li vede nell’ oblio profondo; 
Egli di ciò non ha cure o pensieri. 
Il suo corso fatal nulla molesta : 
Tutto per lui finisce, ed egli resta. 

(8) Efialte ed Oto nipoti non degeneri dei Titani. 


366 
vendetta del brutale oltraggio. Non dà tempo Giove. 
Trema il suolo muggendo con intestina romba , erutta 
il monte dalla fr ws cima globi di fumo e di fiam- 
mme, si spalanca la‘terra in orrenda gola lanciando in 
alto cumuli d’ acceso bitume che in giù ripiovono; ri- 


chiudesi finalmente assorbendo i sacrileghi. 
Sacro terror |’ alto portento ispira 
Nei petti, e piega ogni drappel la fronte 
Al temprator, della nici lira. 
Quando ei scende dal monte, gli è composto dai soldati 


un trionfale scanno con gli scudi congiunti , ed è por- 
tato in solenne pompa alle militari tende. Ove fattosi 
in mezzo di tutte le schiere il gran Vate conciona ; ed 
il tema deduce dal recente esempio della severa giustizia 
divina. A suo grado son mosse le menti e gli animi 
delle attonite squadre colla salutevole dipintura del 
supplizj , e delle pene destinate ai cattivi nell’ Erebo ; 
indi richiamate alla dolce speranza col prospetto del ri- 
poso, dei diletti, della total beatitudine serbata ai buo- 
ni nella valle d’ Eliso. Colà aver deggiono la mercede 
eterna tutti i guerrieri, i quali versarono il sangue e la 
vita per la conquista di Tebe, per la gran causa della 
civiltà d Europa. Ma entrar non possono al possedi- 
mento della sospirata requie, se prima non è data ai loro 
cadaveri la sepoltura. Errano frattanto le illustri anime 
intorno alla riva di Stige senza poterlo varcare; aspet- 
tano l'estremo uffizio pietoso da quei compagni, da 
quelli amici cuì hanno partorito la vittoria col sangue, 
e gli straz] delle loro membra. Che più si tarda? che 
non si compie il giustissimo debito? Gli esordj della 
cultura muover denno dalla pietà. Chi non avrebbe 
commosso l’ispirata voce di quell’ uomo celeste? Ferve 
senza indugio l’ esercito nella pietosa opera; e canta il 
poema l’altro spettacolo religioso dei funerali. 


367 
D’acqua e di sangue in un continuo stagno 
Giacciono i campi alla rinfusa immersi; 
Altri indossa il nemico, altri il compagno; 
Quanti aspetti di morte atri diversi ! 
Odesi fioco alcun richiamo o lagno 
Di chi ferito ancor può riaversi. 
Altri le selve alta magion di fere, 
Fan risuonar di forti colpi e spessi; 
Caggion gli aerei pini, e l’ elci nere 
D’ ombra vetusta e i pallidi cipressi. 
Altri vanno a portar le piante intere, 
Altri i rami a gran fasci, e i tronchi fessi. 
L’are ìîntanto Anfion d’ atra gramaglia 
. Ricopre e cinge di funeree bende. 
I trofei dei miglior morti in battaglia 
Avvi chi ai tronchi dei cipressi appende; 
Chi-in una pira ammassa gli inimici, 
Chi gemendo alza il.rogo ai cari amici. 
Stan coronati di funerei fiori, 
Di pallida ginestra, e di mortella, 
Negri le terga i destinati tori 
Alle tristi are, e le immolande agnelle. 
Già dalle pire i fumidi vapori 
S’ alzano agglomerandosi alle stelle. 
Svenasi, e il sacro umor dell’ ostie intatte 
Posto è all’ arida fiamma, e il puro latte. 
Fan tre giri i pedoni intorno ai roghi, 
Tre giri i cavalier, turba commossa, 
Come se in pianto di pietà si sfoghi, 
Ove dei lor parenti ardonsi 1’ ossa. 
Quando in tepor spento ogni cumul tace, 
Dansi a coprir di sovrapposta terra 
Le ceneri racchlte, altri in capace 
Fossa in più luoghi, in urne altri le serra. 
L’ estremo vale intuona il vate, e pace 
Ciascun prega alle assolte ombre sotterra, 
Poi tre volte alle schiere intorno ei giva 
Col ramo in man della felice oliva 
E con aspersa acqua lustral le terge 
D' ogni contratta infezion funcbre . 


L, 


368: — ‘ 
L’ esequie de’ morti, gli onori e le cure tributate alla 
loro memoria son terminate da corse di cavalli, da lot- 
te e giosue di più maniere, da giuochi solenni 
Dei certami preludio, onde dipoi 
Pisa e Sparta fiorir, Micene ed Argo. 

Suona la tromba , che chiama i Fenicj all’ assalto di 
Tebe. Presti sono tutti i militari ordigni che denno at- 
terrare le porte, sormoutare le muraglie. S° avanza l’e- 
sercito numeroso armato d’archi, di scudi, di lancie, di 
fionde, di dardi. Appoggiansi mille e mille le scale alle 
minacciate mura . Sette sono le porte di Tebe; ad ognu- 
na di esse è assegnato un duce con una schiera . Imma- 
gini ognuno le chiare gesta di tanti Eroi, le varie vi- 
cende di quel conflitto, il maggiore di tutta la guerra . 
In mezzo al quale trascorre a cavallo Anfione tutto ze- 
lante di paterna sollecitudine, scongiurando i guerrieri 
che prendano sì, ma non prefanino le sacre mura (9). 
Calliope stessa è ferita da Sisifo (10). Piagato Ogige 
dalla stessa mano è costretto a ritirarsi dal combatti- 
mento . 


(9) Non sia, dicea, fatta profana offesa 
Con ferrea punta alle divine mura. 
Potete sì, salva la terra e illesa, 
Delle porte atterrar la rover dura; 
Sen opre umana, ah non sia sasso o pietra. 
Tocca, ch’ è figlia della sacra cetra. 

2 0) Vedi la nota quarta 

Di lieve riga il sacro piè fu rosso, 

L’aria cosparsa di purpuree stille . 
Perchè non caggian queste all’ empio addosse 
L’ aura sulle sue caste ali rapille. 
Inorridì, natura, il ciel commosso 
Parve infiammarsi d’irate scintille. 


s»* 


369. 
Al suo partir, come allentar di corde 
D’ un istromento, ov’ è rotto il sostegno, 
Le difese cadean. 


Cadmo allora, a cui Urania scosse dagli occhi la nebbia 


mortale 
. + + «+ + Simile a un Dio la pugna e Tebe 
A un punto e dentro e fuor scorgea qual fosse . 
Vedea la dubbia irresoluta plebe, 
Uomini e donne di terror commosse 
Fuggir coi figli in braccio, e senza _sehermi 
Le vergini ir confuse, e i vecchi infermi. 
Fuggir dai muri i timidi, e gittarsi 
Ov’ è men d’uopo i difensori arditi, 
FErrare i condottier discordi e sparsi 
; Giacere a mucchi i morti ed i feriti. 
Ei vide ancora 
. + + + In ordin di battaglia accinte 
Star nell’ alto le figlie alme di Giove 
Leggiadre e forti, e gli abiti succinte 
Guerriere . 
Vedea di gran vittoria alte vestigia, 
Mostruose falangi in aria rotte, 
Disperse schiere, orribil gente stigia 
A sè nemica, e figlia della notte,, 
Le Dee vittrici fulminando a tergo 
La ricacciavan nell’ orrendo albergo. 


Cadono al cozzar dei mentoni le porte. Anfione asceso 
sopra le mura v’inalza la vincitrice lira; l'aura riverente la 
inchina, la percuote co’ suoi raggi il sole, la saluta il grido 
festevole universale dell’ esercito . Il quale entra nella 
città per ogni porta per ogni via come fa un fiume al- 
lorchè rompe i ripari che trova opposti al suo corso. Fug- 
gono gli avanzi dei difensori seguiti da molta parte del 
popolo; s’ aprono una via colle armi; si ritirano sul Cite- 
rone. "ia 

Nella espugnazione di Tebe ha conseguito Cadmo 
l’ uno dei premi a. lui proposti dai Fati in iscopo della 


370 dA 

guerra, e della vittoria; questo è il regno. Il poema però 
non dovrà toccare del suo termine, se l’Eroe non avrà ot- 
tenuto eziandio il secondo; questo sarà la sposa . Ci soy- 
viene che non può il bel nodo accoppiarsi finchè Cadmo 
non è degno d’ Ermione, finchè Ermione non è degna di 
Cadmo.Quanto è all’Eroe,abbastanza di sudori ha egli ver- 
sato,echiari sono i suoi fatti come la luce del sole. Ermione 
poi che educata dalle Dee medesime delle virtù , e del 
sapere, che ha respirato le felici aure di Pindo, omai 
non ha tra le donne nè la simile, nè la seconda . Ella è 
dotata d’ogni dottrina; ha l’ animo elevato alle idee del 
vero e del bello; alti sono i di lei pensieri, regali i costumi. 
Tiene dal conversare colle Muse e colle Grazie lo stesso 
abito gentile d'ogni lor moto, d’ogni lor gesto. E ciò in 
compagnia di mille virginali vaghezze, e ornamenti , 
d’un tenero petto ed aperto ai dolci sentimenti della com- 
passione, del casto amore. Essa raddolcirà l’animo alte- 
ro del conquistatore, farà obliare i mali delle sanguinose 
contese, e sedendogli al fianco sul trono spargerà tra lui, 
e i felici popoli le auree delizie della pace. Essa è ascrit- 
ta al sacro coro di Pindo, coronata, e dichiarata dalle Mu- 
se semidea, ed immortale. Or non è ella degnissima degli 
alti suoi fati? Pure un bisogno essenziale del poema 
allontana d’ alquanto questo ssioglimento finale dell’ a- 
zione. Esso è di dipingere la privilegiata coppia nell’ e- 
sercizio delle eccelse virtù che la fregiano , di farne 
vedere i felici effetti, di delineare dei quadri di quella 
nascente cultura, per la quale sono stati incontrati tanti 
pericali, tante traversie superate; finalmente per insi> 
nuarla e farla amare suo malgrado ad Ogige e al feroce 
popolo che lo ha accompagnato tra i dirupi del Citerone. 

Ivi traeva miserabil vita quella fuoruscita gente 
senza vesti, senza casa, senza alimento se non che scar- 


371 
so, e selvaggio. Sopravvenne per necessario effetto di sif- 
fatti stenti un orribil peste. 

Gli oechi ardean come fiamma in grave ed arso 
Capo, e come fornace anelo il petto; 
Di sozze lividure il corpo sparso, 
E d’ulceri e di nera tabe è infetto. 
Sudan sangue le fauci, e se n’ allaga 
Il tamido polmone, e il cor s’ impiaga. 
Vedi languir per terra egri ‘giacenti 
Duri guerrier, gente robusta e forte; 
Scampati al Tirio ferro, e quelli esenti 
Dal morbo andar dubbiosi di lor sorte, 
Con visi dalla fame e dagli stenti 
Macrì, e stampati del terror di morte. 
Chi muove il piede per abbellire quel mesto soggiorno, 


per fare spuntare fra tante tenebre alcun raggio del 
conforto e della speranza? E l'alta vergine figlia d'O- 
gise; la quale ha abbandonata alfine la compagnia delle 
Muse avendo presso loro compiuto il suo tirocinio, e sì 
slancia agli amplessi dello stupefatto padre giacente al 
suolo languido, sconsolato, ferito. Che riconosce sì la sua 
figlia alla voce e al sembiante, ma non già ai pensieri, 
ed alla favella tutta diversa da quella di prima, tutta 
nudrita di subietti ignoti, di virtà , e d’ arti in Parnaso 
apprese . Egli il primo è sanato per mano d’ Ermione 
d’ ogni sua ferita. Indi hanno da lei salute tutti quanti 
invocano le sue pronte e amorose cure. Cede alla mira-. 
bile scienza e fortuna di lei lo stesso contagioso morbo. 
Essa tutto dispone, a tutto provvede; innalza altari, in- 
segna , preghiere e culto dei Numi; è l’angiolo conso- 
Aatore di quella selvaggia plebe , a cui trasmuta in pochi 
giorni la mente, gli affetti, i rozzi e feroci costumi. 
Cadmo frattanto padrone di Tebe ha fatto im- 
mantinente cessare ogni minimo moto di guerra; pace 
respira, e null’ altro che pace. Siede con Anfione iu 


372 
consiglio, ove assiste invisibile Urania, ove son dettate 
le leggi, fermati i magistrati, gli ufficj , gli ordini dei 
cittadini. Templi, reggia, licei, tribunali, ed altrettali 
edifizj rimasi interrotti alla partenza d’ Anfione veggon- 
si rapidamente crescere sotto la mano dei mille e mille 
faticosi artefici venuti da Tiro. In mezzo però alle serie 
cure del regno , lo tragge Amore alla seconda ricerca 
d’ Ermione. Alla quale, come il consiglia Urania, appre- 
sentasi cinto di pastorali spoglie, ed a tutti fuorchè a lei 
sconosciuto trapassa liete ore al suo fianco, al fianco d’O- 
gige. Non è egli Cadmo; è Daliso, che ricchissimo di pin- 
gui maudre di giovenche e d’ agnelli vien d’ oltremare, 
e ferma, colla pace d’Ogige, la sua stanza in quella mon- 
tagna. Che fa serenare gli smunti visi dell’ affamata 
turba alla vista del grasso alimento che le offre in dono. 
Che la stanza della miseria e dei morbi trasmuta in a- 
meni e coltivati luoghi , tutti felici e pieni di salute e 
di pace , industri per villerecci studi, e per opere che 
promettono i cari doni di Pomona e di Cerere, lieti di 
piaceri innocenti, di canti, di suoni di silvestri avene. 
Egli è divenuto l’amico d’ Ogige, di Filaco, di Glimene, 
d’ Orcomene ; il benefattore d’ un intero popolo, che lo 
adora e lo mostra a dito. Soli non l’ amano i cinque pre- 
tendenti d’ Ermione, cui fa gli occhi veggenti la gelosia, 
e che leggono scolpito Daliso nel cuore della bella. Or 
si avvisarono gli audaci di potere una notte rapirla pro- 
tetti dalle tenebre, e dal silenzio. Ma la salva dalle tese 


insidie il suo vigilante pastore, e 
Tosto ei vide attentar 1’ albergo fido, 
La voce alzò, che parve orrenda tuba, 
Parve lion, che per sospetto il grido 
Alza dall’ antro ove notturno ei cuba; 
Lascian le fere spaventate il nido 
AI suon tremendo, alla concussa giuba 


373 

Che di biondo color luce fra 1’ ombra: 

Dall’ alta selva ogni anima disgombra . 
Indi avviene che intende Ogige gli amori spirati a Dali- 
so dalla sua figlia, e non muovesi ad ira; indi che Daliso- 
sfida i Proci tutti a solenne singolare certame,il quale ven- 
dichi la donzella del ricevuto oltraggio . Non è da dire 
come il valoroso ad uno ad uno li superasse, e di ver- 
gogna li colmasse e di confusione sotto gli occhi mede- 
simi della vergine , che terge i sudori e la polvere dal 
fronte del suo campione, e lo fregia d’ un serto di fiori, 
a lui più caro ed accetto della regale corona . 

Ogige s° alza, e tra le braccia il piglia, 

E tanto in cor s’intenerisce e gode, 

Che versa un largo pianto dalle ciglia, 

«E caro il chiama e generoso è prode. 

Ed, o! (soggiunge) o tu, se della figlia 

Allor nella battaglia eri custode 

Quando de’ suoi la turba vil smarrilla 

E fuor del padiglion Cadmo inseguilla. 

O tu di questa vita che si stanca 

Appoco appoco sotto il fascio antico, 

E già il tergo s’incurva, e il crin s’ imbianca, 

Potresti esser conforto, o caro amico, 

Tu con mia figlia unito! altro non manca 

Che vedermi punito un sol nemico! 


Cotesto nemico è Cadmo; il quale è presente, e spirato 
dai Numi, e per sè generoso, oh meraviglia! gli promette 
e giura che avrà nelle mani il suo fiero nemico alla vuo- 
“va aurora. Che fia quando atterrà la promessa? Chi 
non trema del periglioso scuoprimento? Come potrà in 
un momento cangiarsi tauto feroce petto, e tanto gover- 
nato dall’ odio e dall'ira? Così perviene il nodo dell’a- 
zione al suo maggior grado, a cui tosto conseguita lo 
scioglimento. Arad è allorquando il finto Daliso atter- 
rasì ai piedi d’ Ogige, e gli dice che egli è Cadmo. 


Sei tu! ... Son io che iu boschercecci panni 


374 

Amor ravvolse; io son, ‘cui diè. consiglio 
Amor d’ ordir questi innocenti inganni, 
Che di nemico tuo mi fe’ tno figlio. 
Solo e inerme fe’ amor ch’a te mi fidi; 
Ecco il fianco, ecco il sen, ferisci, uccidi. 

Disse, ed alzò la faccia; e°in quell’ istante 
(Volente Urania) il vel, che tutti in fallo 
Tenuti avea, dal noto suo sembiante 
Si dilegua come alito in cristallo. 

Trà speme e tema Ermione ha il cor commosso, 
Tanto che appena la sostiene il piede. 
Ma Ogige! Ogige è fieramente scosso 
Dall' odio e dall’ amor che si suceede; 
Ed or le fiamme, onde il sembiante ha rosso; 
AI pallor di pietà lo sdegno cede, 
All’ ira or la pietà; guarda quel viso, 
E riconosce in Cadmo il suo Daliso. 

Vorrebbe all’ inimico aprir le vene, 
All’ amico vorria cingere il petto. 
In questo Ermione anch’ essa ecco che viene, 
E s' inginocchia accanto al giovinetto : 

Il padre, che come arco allorchè scocca, 
Teso fra sdegno e amor stava in bilancia, 
Tratto dal nuovo pondo in quel trabocca; 
Di man gli cade la sospesa lancia; _ 
In Cadmo s’ abbandona, e colla bocca 
Tutto tremante gli baciò la guancia; 
Quindi ambedue tra le sue braccia accoglie, 
E in un nembo di lacrime si scioglie. 

Canta dopo cio il poema le solenni pompe con cui 


Tebe festeggiò il lieto successo di tanti casi, di tanti 
portenti, l’adempimento di tante promesse, di tanti de- 
stini, il termine delle mirabili opere della celeste Ar- 
monia. E le ultime note dell’ epica tromba consecrate 
sono al trionfo mirabile della cetra d’Anfione . La quale 
da alati Genj , e da pargoletti amori discesi a torla dalle 
mani del santo vecchio è recata in cielo dinanzi ai Nu- 

7° Ivi splende novello e luminoso astro tra il Cigno 


375 
ed il Dragone. E rammenta a chi la saluta e l’aminira 
‘’ che dessa fu la maestra prima degli uomini, la formatri- 
ce delle leggi, dei costumi, del consorzio civile europeo . 
L. BorrinI. 


RAGGUAGLI SCENTIFICI, LETTERARI, 
BIBLIOGRAFICI E CORRISPONDENZA 


T. E R. ACCADEMIA DEI GEORGOFILI 
seduta ordinaria del di 14. aprile 1822 


Il sig. Dot. Chiarenti, rilevata la sostanzial differenza che 
passa fra il sistema secondo il quale si eseguisce la potatura, 
specialmente delle viti e degli ulivi nell’agro fiorentino , e quel- 

. lo che si segue nell’agro pisano, e preso a rintracciarne le ca- 
gioni, ne indicò una plausibile nelle non diverse condizioni locali. 
A malgrado delle quali trovò non andare esente da difetto né 
l’uno nè l’altro sistema, essendo il taglio troppo parco nel pi- 
sano, troppo sfrenato nel fiorentino. Però commendò come giu- 
dizioso ed utile -un terzo sistema medio introdotto dal rinomato 
agente Baccetti nella fattoria di Coiano del sig. March. Garzoni 
Venturi, di cui assgrì aver riconosciuto l’utilità per le proprie e- 
sperienze , le quali,. variate a suo senno, lo avean condotto a 
qualche ulteriore e più vantaggiosa modificazione, di cui dette 
ragguaglio . 

Il sig. Avvoc. Rivani, richiamata l attenzione dell’ Acca- 
demia verso l’importanza somma degl’ ingrassi per ottebere i 
migliori resultamenti in agricoltura, presentò varie osservazioni 
sul miglior metodo di prepararli e d’ amministrarli al terreno. 

Il sig. March. Ridolfi espose alcune osservazioni intorno al- 
l’uso del seminatore del sig. di Fellemberg altrettanto celebrato 
quanto poco conosciuto fra noi, dirette a rilevare non solo i 
pregi intrinseci di questo strumento, ma ancora i molti van- 
taggi indiretti che potrebbero derivare dalla sua introduzione 

__nei nostri fondi. Le quali considerazioni gli sommipistrarono 
occasione di rilevare quanta sia l’ imperfezione dei nostri aratri 
e dei nostri erpici, di quanto danno riesca alla nostra agricol- 
tura il non fare uso d’'alcuna specie d’ estirpatore per le cat- 


376 

tive erbe. Finalmente richiamò l’attenzione dell'Accademia intorno 
ad una questione importantissima, sebben poco studiata qual, è 
quella: se i solchi che si praticano nei nostri campi siano più 
utili con risparmiare alla sementa qualche danno per parte: del- 
l’ umidità, di quello che riescano dannosi facendo perdere una 
grande estensione di superficie produttiva . i 

Finalmente il sig. Dot. Tartini in una sua memoria presen- 
tò un ragguaglio chiaro insieme e preciso d'una parte dell’ope- 
ra interessante del sig. Sinclair sulla Scozia. Limitandosi egli 
a parlare dello stato territoriale di quel paese, e dei suoi abitanti, 
dimostrò come il primo si prestasse all'industria, e come ve la spie- 
gassero con lor profitto i secondi, dei quali rilevò la particolar pre- 
mura nell’educazione della gioventù, primarie sorgente della pro- 
sperità e nel tempo stesso della moralità di quel paese interes- 
sante . G+ GAZZERI 


# 


Alcuni cenni su i bagni di MoxrACarini in Val di Nievole 


Fra le molte acque termali, e minerali che scaturiscono nel 
suolo toscano a vantaggio dell’umana salute, son degne di par- 
ticolar menzione quelle dei Bagni di Montecatini in Val di 
Nieyole. Le belle guarigioni vistose ottenute costantemente con 
l'uso di esse fino da tempibassai remoti ne attestano la mirabile 
efficacia confermata dalle osservazioni raccolte dai pratici scrit- 
tori di medicina. Le magnifiche fabbriche di cui fu abbellito 
questo luogo salutare dalla munificenza sovrana dell’ ottimo 
Principe, e padre della Toscana Pietro Leopoldo ne fissano 
sempre più l’importanza e l’utilità, la quale viene oggi com- 
pletamente accresciuta dalle benefiche cure di S. A. I. e R. il 
nostro amatissimo Regnante, il quale dietro le filantropiche 
tracce paterne i mezzi somministra per aumentarne le comodità 
per ogni classe di persone, e perchè viepiù s’ estenda il van- 
taggio di quest’ acque medesime per la cura dei mali. Affidata 
l’ amministrazione di questi bagni ad una scelta Deputazione di 
rispettabili, probe, oneste, e disinteressate persone della Val di 
Nievole restano perfettamente secondate le sagge mire del pro- 
vido governo, e l’esser diretto | uso di essi dal ben conosciuto 
Prof. sig. Giacomo Barzellotti non ne forma certamente l’ ulti- 
mo pregio. ù 

Giò non ostante erediamo assai opportuno per maggior sod- 


377 
disfazione dei concorrenti ,' e per informare.;i meno istruiti il 
render conto del numero, e qualità delle sorgenti termali, e mi- 
nerali che vi si ritrovano; degli usi medici di ciascuna di esse 
contro le diverse malattie, non meno che l’ accennare la posi- 
‘zione, e i vantaggi della località . 

Giace l amena e fertilissima. Val di Nievole nella parte oc- 
eidentale della Toscana, e i bagni suddetti che sono in essa 
compresi rimangono circa 28 miglia lungi da Firenze. Per mezzo 
di eccellenti strade si trovano in prossimità di altre ragguarde- 
voli città, poichè in poche ore si. può andare a Pisa che è lon- 
tana parimente 28 miglia, ed a Livorno che è distante circa 40, 
e son vicinissimi alle città di Pescia, Lucca, Pistoia ec. circo- 
stanze che facilitano il tragitto dei bagnanti, favoriscono il 
commercio di tutta la Val di Nievole, e somministrano estesa- 
mente i mezzi, e i comodi tutti della vita. Le campagne molto 
ubertose, e benissimo coltivate presentano con profusione i loro 
s' prodotti, e della maggiore squisitezza, ed offrono leggiadra vista 
all’oechio dello spettatore per la varietà dei colli e delle pia- 
nure regolarmente distribuite, e rivestite della più ricca vege- 
tazione. A piè dei nominati colli che formano quasi un semicerchio 
e segnatamente di quello di Montecatini così detto dalla som- 
mità' che s’ assomiglia a un. catino distanti dalla lor base un 
miglio sono edificati i bagni alle varie sorgenti d’acque termali, 
e minerali quasi nelfuoco direbbesi della detta curva, la quale 
forma un indietro veramente pittoresco . i 

" Mercè gli scoli dati alle acque paludose, e stagnanti sotto 
il felicissimo governo di Leopoldo, e l’ agricoltura in detti luo- 
ghi incoraggita; frutto parimente delle di lui provide mire il 
clima si è reso oggidì tanto salubre, quanto era prima nocivo. 
Ottime e decenti “fitaziioni per i baguanti, profusione di mezzi, 
e di comodità per qualunque classe di persone, ville sparse al- 
l’ intorno a piccola distanza offrono la più estesa facilità ai con- 
eorrenti per profittare di quest’ acque. Son circondati:i bagni da 
fabbriche sontuose, e di magnifica architettura; queste son quat- 
tro, ed in egual numero' l'una differente dall’ altra sono le. sor- 
genti minerali di cui si fà ‘uso per le bagnature . La prima 
fabbrica è quella delle Terme Leopoldine così chiamate n me- 
inoria del prelodato Principe di questo nome, che le fece eri- 
gere con grandissima elargizione . Qui si trova riunita tutta la 
decenza, e comodità per bagni, docce, ed ogni altrà occorrenza 


T. VI. Maggio 25 


378 

per qualsivoglia ceto di persone. Le acque sono termali, saline. 
La loro temperatura non oltrepassa 26 gradi di Reaumur . La 
gravità specifica di dette acque paragonata con l’acqua stillata 
è di 89 1/2. Esalano in abbondanza dal gran cratere dei gas la 
cui natura è stata investigata, e determinata con gran premura 
dal mentovato direttore dei bagni con l’ intervento d’ altri due 
celebri Chimici, come resulterà dall’ opera che su tal oggetto 
egli và preparando. Vi si contengono inoltre dei sali carbonati, 
muriati, e solfati in varie proporzioni superiormente all’ acque 
di mare cui s’assomigliano, e a tutte l’acque saline conosciute; 
vi si trova unito anche un poco di muriato di ferro. 

Si sperimentano efficacissime per immersione, e per doccia 
nei mali cutanei, nei dolori articolari, nelle malattie glandulari, 
e ingorghi dei grandi visceri, nelle paralisi, e debolezze. Se tut- 
ti quelli che vi concorrono non ne riportano la total guarigione, 
tutti più o meno vi acquistano dei vantaggi . 

La seconda fabbrica in magnificenza è quella dell’ acqua 
minerale del bagno regio. Quivi non possono eseguirsi i ba- 
gni come sopra per essersi abbassato il terreno, ma dal crate- 
re scaturiscono le acque che si raccolgono per scendere in al- 
cuni hagnetti costruiti provvisoriamente, fintantochè verrà inal- 
zata una fabbrica più comoda già ideata. La temperatura di 
quest’ acqua è di 21 grado della scala di Reaumur, ed a ragione 
comparativamente al bagno Termale dicesi questo bagno Regio 
ghiaccio. La gravità specifica è di 52 e mezzo sopra l’acqua 
stillata ; contiene dei gas analoghi alla Termale, dei sali carbo- 
nati, muriati, solfati, e poco ferro carbonato, ma in minori dosi 
del bagno Termale. E° vantaggiosa assai per le doglie,.per le 
paralisi, per i flussi muliebri, e per più altre affezioni . 

La terza fabbrica sontuosa è quella, che racchiude l’acqua 
del Tettuccio rinomatissima per uso interno, eccellente rimedio 
purgativo blandissimo, dotato di particolare attività mei flussi 
intestinali, e nelle stesse dissenterie, sotto il qual rapporto vien 
celebrata grandemente dal sommo Redi: molto .efficace nelle 
affezioni scrofulose, e adattatissima ‘a distruggere le malattie 
erpetiche, reumatiche, e artritiche mnitamente ai bagni termali. 
E’ tanta la celebrità di quest’ acqua che concorrono migliaia di 
persone a beverne alla sorgente, e se ne spedisce moltissima per 
la Toscana, ed all’ estero. La sua temperatura è a 22.gradi di 
Reaumur, la gravità specifica è di 34 1/5 sopra l’ acqua stil- 


379 
lata. Ha delle sostanzè gasose libere che si perdono alla tem- 
peraturta ordinaria. Ne ha altre che non si svolgono che per 


l'ebùllizione, prezioso vantaggio che rende quest’ acque suscet- 


tibilid’esser trasportate per ogni luogo, senza che perdano di più 
di quelle che si bevono alle cannelle comunicanti col cratere, I 
detti gas ‘sorio stati determinati con accuratezza nella nova ana- 
lisi di tutte queste acque già annunziata, Vi si trovano pure 
dei «sali carbonati, muriati, solfati, ma niente di ferro. Questi 
sàli sono in minor quantità che nell’ acqua del bagno regio. 

La quarta fabbrica magnifica erétta dai Monaci Benedettini 
recentemente è quella a citi appartengono l’ acque del rinfre- 
sco, ‘altrimenti del Bagîio Mediceo. Queste sono della limpidez- 
ra, e trasparenza del cristallo . La loro temperatura nel cratere 
è di gradi dx 16 di Reaamar. La gravità spocilica è 24 g 
Sopra ‘l’acqua istillita. Vi si trovano parimente dei gas liberi 
che ssi ‘svolgono incessantemente, e si disperdono; come pure dei 
sali carbonati , ‘muriati, ‘e solfati senza ferro, mà in dose assai 
minore che nell'acqua del Tettuccio , e in conseguenza al di 
sotto "di tatte l'altre acque «descritte. Tali sostanze tanto gasose, 
che ‘saline ‘sono state egualmente determinate. Queste acque 
sono molto ‘leggere, ‘e apetitive, giovano soprattutto per l’ affe- 
zioni dei reni, e della vessica. Espellono calcoli , e renelle, mi- 
tigano le costrizioni dell’ uretra. Moderano |’ ardore dell’ orina, 
e sono efficaci per gli scoli mucosi dell’ ùretra medesima. Sono 
finalmente ‘vantaggiosissime per immersione per le donne .iste- 
riche e convulsionarie. Non perdono quest’ acque trasportate 
ovunque della loro virtù, motivo per cui son molto accreditate 
per gli usi ‘medici in tutta la Toscana. Altre due sorgenti di 
esse sono state scoperte, ed esaminate come apparirà nell’ opera 
mentovata. In questa che sta preparando, e perfezionando il 
prefato prof. dell’ Imp. e R. Università di Pisa , € Medico di- 
rettore dei descritti bagni verranno esposte diffusamente non 
salo le proprietà fisico-chimiche, e le varie sostanze che entrano 
nella composizione di quest’ acque ‘recentemente investigate, ma 
ancora le proprietà mediche comprovate dalla storia delle gua- 
rigioni. Possiamo argomentare preventivamente il merito di 
questo lavoro promesso dalle molte produzioni mediche di 
dettò - atitore , le quali si sono succedate rapidamente , e che 
I’ hiniib fitto ‘estesainente conoscere per l’ Italia non meno. che 
în altre parti della culta Europa. X 


380 

È stata pubblicata recentemente a Parigi per i torchi di 
Crevot dai sig. Dottori L. Martinet,' e Parent-Duchatellet un? 
opera medica interessantissima intitolata : Ricerche sull infiam- 
mazione dell’ Aracnoidea cerebrale e spinale, o storia teorica 

e pratica sull’ Aracnite. 

Sebbene non manchi la medicina di nozioni sù questa spe- 
cie di malattia convien confessare ciò non ostante, che non si 
conosce sicuramente finquì un’opera dove con tanta precisione, 
ordine, accuratezza, e criterio siano riunite e confrontate ‘le 
osservazioni teorico-pratiche onde fissare la vera diagnosi, e la 
cura quando sì possa, d'una tale affezione pericolosa . 

Una serie di 140 istorie trascelte fra un più gran numero 
d’ altre perfettamente simili con l’ annessa descrizione Patologica 
dell’ Autossie nei molti casi terminati in sinistro offre un qua- 
dro il più espressivo onde riconoscere l’indole ‘la sede, i caratteri 
specifici di queste morbose alterazioni. I segni Patognomonici 
accortamente indicati, e certe linee dirò così di demarcazione 
esattamente tracciate per distinguere questo male dalle comuni 
e e per non trascurare per un disgraziato inganno quan- 
do v'è tempo, il'metodo curativo dell’ Aracnite comprovano 
l’acuta finezza del discernimento di questi diligentissimi. ed 
egregi osservatori. Và a posseder la scienza medica in questa 
loro ben ponderata produzione un nuovo codice di sana, ed im- 
portante dottrina, e l’ intiera umanità gliene sarà debitrice. La 
ristrettezza d’ un semplice annunzio non ha permesso che di 
‘dare qualche cenno di ciò che avrebbe . meritato d’ esser svi- 
lupp:to più estesamente in un estratto. Non resta che congra- 
tularsi con gli esitmj, autori, e con la Francia stessa la quale 
và a ristorarsi per essi in gran parte della perdita deplorabile 
degli Hallè, e dei Corvisart. MAGHERI 


1 not IR MV RA Trono 


Elogio di MATTEO BABBIN, detto al Liceo filarmonico di 
Bologna da PieTtRO Wuestenti ec. Bologna, per le stampe 
del Nobili. 

Mentre molto si disputa dell'odierno gusto musicale in Ita- 
lia, che i buoni ingegni richiamar vorrebbero a’ più netti prin- 
cipi sulle norme de’grandi maestri, comparisce opportuno l’elogio 
del Babbini cantore applauditissimo, il cui esempio è una delle 
più valide autorità in favore de’ principi che dicemmo. Da que- 


381 


sto elogio sì conosce per quali vie; e con quali studi giungesse 
dl Babbini a quell’ eccellenza che il mondo gli attribuì, quali 
«fossero le sne domestiche virtù, quale uso ei far sapesse di 
quelle dovizie che a lui prodizava l’amor del piacere, e come 
non obliando gli ‘altroi bisogni si facesse di queste largo e be- 
nefico dispensatore. IH perchè gli onori che da’ grandi vennero 
a lui compartiti per la sua bravura nel canto, erano ben meri- 
tati dalla soavità de' suoi costumi, dalle belle qualità dell’ animo 
suo. Così non è mostrato il Babbini come modello soltanto di 
eccellente cantore, ma come esempio di uomo. eccellente: ai 
quali meriti giova sperare che con ogni studio intendano ad a- 
spirare tutti coloro che seguono l’arti teatrali. 

Dagli studi delle bed lettere, cui fu indirizzato il Bab- 
bini illa sua prima gioventù, per passar quindi a quelli più 
gravi delle scienze, e all’ esercizio della medicina operatoria, 
egli trasse ottimo partito per l’ arte del canto, alla quale senti- 
vasi già di buon ora inclinato e disposto. Gli fa dapprima con- 
cesso rai padre per liberal passatempo studiar la musica, la 
quale divenne poi sua principale occupazione. Alla scuola del 
famoso tenore toscano Arcangelo Cartoni apprese le buone re- 
gole del canto e della declamazione. Mostrossi quindi su’ prin- 
cipali teatri d’ Europa e vi fu applaudito ed onorato; ‘nè gli 
onori e i plausi che' vi ricevette lo resero vanaglorioso . Dopo 
avere spesi trent’ anni decorosamente nel nobile esercizio del- 
l’arte sua ritirossi in Bologna sua patria, per ivi compire in 
pace gli ultimi anni della sua vita, i quali avrebbe potuti vi- 
vere agiatamente se grandissima parte delle dovizie raccolte non 
“avesse perdute per sinistri eventi commerciali. Pure rimastogli 
quanto vivere mediocremente , spese i suoi giorni nello studio 
di ottimi libri da lui raccolti, nell’istrazione di alcuni disce- 
poli, nella conversazione di alcuni suoi intimi amici. 

L’autore proponendo il Babbini a modello degli alunni del 
Liceo filarmonico bolognese, mostra loro come la letteraria edu- 
cazione di lui fosse il fondamento dell’ eccellenza alla. quale 
pervenne nell’arte sua. ,, Con la face dell’ istoria , egli dice, 
venne cercando le costumanze de’ popoli e le vicende degli eroi; 
colla scorta de’ poeti apprese nelle grandi sorgenti del de//o 
ideale a rettamente sentire dell’ armonia deilo otite , ad effi- 
cacemente rappresentare le varietà degli affetti, la violenza delle 
passioni ,, mostrando così la necessità di unire ai precetti che 


382 

formar debbono un perfetto professore .di canto, quelli ancora 
che formano un attore intelligente e capace. E,mentre. loda; co» 
loro che professando l’ arte teatrale, si,trovan forniti, di tali dot+ 
trine da meritarsi che abili ed accreditati scrittori non isdegnino 
sottoporre al loro giudicio le proprie. produzioni teatrali, de- 
plora la condizione de’ nostri giorni, ne’ quali, è raro trovare 
un così detto ,, virtaoso di musica capace di giudicare della 
retta misura dei piedi d’ un verso, non solo, ma d°’ esporsi a 
leggere un dramma con qualche, correntezza e garbo d’ intelli- 
genza. Quale è, ei prosegue, che abbia anco una semplice, e 
confusa idea de’ tempi e delle massime de’ grandi eroi,, che, non 
sieno i tempi ne’ quali vive, e le massime de’ garzoni di quelle 
botteghe di caffè ove ì nostri cantanti si, tengono quotidiana- 
mente oziosi? Non ho io udito un virtuoso. rimanere. maravi- 
gliato, perchè gli fu impedito d’ usare come egli voleva, di ven= 
tiquattro soldati armati di fucile onde lo scortassero alle scene. 
nella sua sortita d’ Edipo? ,, Al che aggiunger possiamo, che 
un celebre cantante rappresentando la. parte di Coriolano,, a 
dispetto dell’ impresario , del direttore e di; tutti i suoi colleghi 
volle fare la sua sortita a cavallo dalla porta di Roma, mentre 
la madre e la sposa lo doverono ricevere, genuflesse nell’uscire 
da quella città, pregandolo appunto che non vi entrasse colle 
armi alla mano. ,, Or quali passioni , quali movimenti vogliamo 
noi aspettarci da siffatta gente ? E perchè faremo. poscia. querele 
se gli spettacoli musicali sono addivenuti stucchevoli; e quali 
parvero al tragico astigiano ? ,; 

Dall’ ignoranza adunque degli attori e dalla loro negletta 
educazione ripetere devesi in gran parte se non del tutto la.de-. 
cadenza dei drammi per musica, i quali mercè le ridicole, e; 
vane convenienze teatrali sono divenuti mancanti di caratteri ; 
e di situazioni singolari che un dramma dall’ altro distinguono. 
», L’arroganza degli attori (scrive quindi amaramente.l’ autore 
dell’ elogio ) ha onninamente trionfato della viltà:de’maestri\di 
cappella e dell’ imbecillità de’ poeti. Il piano per. qualunque. 
dramma è sempre a un dipresso il medesimo ; e accade, non di 
rado che eguali pur siano le situazioni e i pensieri. La. diffe» 
renza rimane adunque che si parli di Maometto o di Trajano,;; 
di Alzira o di Comala; di Clitennestra o di Elisabetta: dirò. 
meglio: che gli attori siano vestiti in abito greco o romano; 
inglese o caledonio; turco o messicano ,,. 


383 

Ci sembra pregevolissimo quest’ elogio non tanto per i con- 
sigli di condotta morale che raccomanda ai giovani e alle don- 
zelle che si destinano al teatro, quanto ancora per le molte e 
giudiziose considerazioni appartenenti all’ arte del canto , alla 
musica e alla drammatica moderna. Egli è bene da desiderare 
che il sig. Brighenti abbia ozio ed agio per compire il suo S'ag- 
gio sugli spettacoli, ove si riserba a parlare più distesamente, 
di ciò che può ricondurre i teatri d’ Italia a quella utilità e a 
quel diletto per cui furono da prima istituiti. A questo segno 
sono pure rivolte le mire di quei gentiluomini di Firenze; i qu rli 
proponendo una nuova Società comica permanente tendono a 
riformare in gran parte il teatro comico in Italia. Al quale scopo 
sicuramente perverranno volendo, e potentemente volendo ; e 
a’ nostri voti per l’esito felice di sì bel proponimento si uni- 
scono quelli di tutti i buoni italiani, 

Fra i vari aneddotti della vita del Babbini, lasciando da 
parte quelli concernenti agli onori, ricevuti da illustri perso- 
naggi, e alle sue fortune teatrali non possiamo trascurare il 
seguente, il quale ci rammenta un nome caro a tutta |’ Europa, 
e specialmente a noi. Intendiamo parlare del celebre Giovanni 
Ansani, che ha eletto per suo soggiorno Firenze ove condurre tran- 
quillo gli ultimi giorni della sua vita. Noi lo riferiremo colle stesse 
parole dell’ autore. ,, Sarebbe inutile (egli dice ) che io riferissi 
i molti distinti personaggi i quali incontrai nella casa di Matteo 
Babbini venutivi per riverirlo. Ma di uno non posso tacere, cioè 
di Giovanni Ansani suo vecchio emulo ed amico, il quale tran- 
sitando nel 1816 da Bologna, volle passare una intera giornata 
con il Babbini. Il loro incontrarsi, dopo forse venti anni di lon- 
tananza ; il restar muti lun fra le braccia dell’ altro fu tene- 
rissimo spettacolo a vedersi. Io ne restai veramente commosso. 
Quale effusione svisceratissima di affetti! quante onorate remi- 
niscenze! E allorchè vollero dare insieme un ultimo addio all’ 
arte loro, e com’ essi dicevano, un ultimo addio «/? antica. 
diva del loro culto, rimasi al tutto fuori di me per lo rapi- 
mento , al quale mi trasportarono quei soavissimi loro canti. E 
Ansani che mi osservava dappresso, stringendomi una mano mi 
disse: amico, non ci ascoltare troppo attentamente: noi siamo 
ombre di quello che fummo: bisognava piuttosto sentirci quando 
stavano muti ad ascoltare le nostre voci tremila spettatori : 
sola circostanza, che giustifichi una persona del suo esporsi a 


384 i 
cantare al teatro. Ma io lietamente risposi: che mi era già tro- 
vato ad essere del numero di quei tremila spettatori da lui 
ricordati ,,. D. 

5 % 
— rcEn-4 © Car 

Les fastes Universels etc. I fasti universali, o quadri storici, 
eronologici e geografici del sig. Buret de Longchamps — Parigi 
1822 in foglio stralargo . 


Opera veramente ae/antica, la quale costa all'autore tren- 
t’anni di fatica. Essa contiene, per ordine di tempi; dai più re 
moti fino ai nostri: 1.° l’origine, i progressi, la decadenza di 
tutti i popoli, le loro emigrazioni, le loro colonie , la succes- 
sione de’ loro principi; 2° un prospetto delle loro epoche fa- 
mose, e de’ loro politici avvenimenti; 3.° l’ istoria generale delle 
religioni e delle differenti lor sette; 4.° l'istoria della filosofia e 
della legislazione; 5.° le scoperte e i progressi nelle scienze 
e nelle arti; 6.° una notizia biografica degli uomini celebri 
d’ogni nazione: il tutto in colonne distinte e parallele colle date 
marginali, che presentano in una stessa linea ciò che appartiene 
ad un medesimo tempo. Precedono tre grandi quadri sinottici, i 
quali servono di prologo o di sommario all’opera; e seguono due 
tavole alfabetiche (l’una dei nomi delle persone, l’altra di quelli 
delle cose ) disposte in maniera da formare congiuntamente una 
nuova arte di verificar le date . 

»» Il piano ch’ io ho seguito ( dice modestamente 1’ autore 
nella sna bella introduzione) e ch'io considero come la parte più 
importante della mia opera, non è nuovo del tutto. Il cancellier 
Bacone, ingegno sì meraviglioso pel secolo in cui visse, fu il pri- 
mo a concepirlo; e dopo lui, Bolyogbrocke ne diede traccia a’suoi 
contemporanei. Finalmente d’Aguessau, la cui opinione è in que- 
sta materia, come in tante altre, autorevolissima, lo raccomandò 
al proprio figlio molto vivamente . Nessuno di sì grandi scritto- 
ri pensò ad approfondirlo; ma io debbo loro somma riconoscenza, 
per avermene suggerita l’idea, fatta comprendere la maestà, 
Vl’ estensione, le difficoltà; ond’io giugnessi ad impadronirmene, 
ad assoggettarlo a regole fisse e immutabili, per cui sono venuti 
senza sforzo a prendervi, se così posso esprimermi , il posto loro 
conveniente i particolari avvenimenti, che formano l’istoria ge- 
nerale del mondo. ;; a) 


385 


Una delle cose notabili di quest’opera è il tenervisi conto 
dì tutte le cronologie; di quella de’ Bramini, registrata ne’loro li? 
bri, di cui la società inglese del Bengale ha pubblicato gli estrat- 
ti; di quella dei Cinesi, bastantemente conosciuta; ec. ec. Il sop- 
primerne alcane, per l’insussistenza delle loro prove, come aveano 
fatto i cronologisti antecedevti, pareva all'autore un defraudare 
Vistoria; il cercare di conciliarle con altre, un cercar di alterarle. 
Disputeranno, com’ei si esprime, per queste cronologie gli eruditi, 
ai quali ne darà bel campo l’arrivo in Parigi del famoso planis- 
ferio di Tentira; ne ragioneranno i geologi se loro piace: egli non 
dovea che riportarle. 

Ciò che riguarda le religioni, la filosofia, le scoporte nell’arti 
e nelle scienze è sembrato agli intelligenti il meglio dell’ opera, 
così per la vasta dottrina, come per la finezza delle osservazioni. 
Di qui segnatamente essi trassero questa lode: che il sig. Buret 
vince di lunga mano quanti lo hanno preceduto nella medesima 
carriera. L'istesso At/ante di Lesage, infatti, meno preciso dei 
fasti universali in quello che concerne l’istoria politica, e civile 
appena può loro paragonarsi nel rimanente. Eppure se è piace- 
vole non che importante e a chi già fece grandi stud} istorici, e 
a chi va facendoli, l’aver sott'occhio concatenati, quant'è possi 
bile, tutti gli avvenimenti successivi e conte mpor nei sì del mon- 
do antico e sì del moderno; lo è ancor più il seguire l'andamento 
or progressivo or retrogrado dello spitito umano, e l’osservare co- 
me le credenze, le opinioni, le cognizioni son nate le une dalle 
altre, e le une per mezzo delle altre si sono o confermate o di- 
strutte. Sì pretto poi è il legame tra i fatti e le idee degli uomi- 
ni, che nessuna epoca si può conoseer bene ove non si abbiano 
presenti e i fatti e le idee che ad essa appartengono, ond’è che il 
Buret col suo perpetuo parallelo ha fatto opera sommamente fi- 
losofica, ed utilissima quanto appena sappiamo spiegare. 

‘La difficoltà di restringere in un solo volume un’ immensa 
materia non gli permise, tolo) di additare le fonti ond’egli dedusse 
alcune opinioni degli antichi, o non più udite o singolari; il che 
potrebbe talvolta scemare negli studiosi quella fede, che merita- 
no la sua esattezza e il suo squisito giudizio. Così è avvenuto ri- 
guardo alla dottrina segreta, ch'egli attribuisce ai saggi de’ tempi 
d’Omero e de’posteriori intorno al destino, cui adoravano, dice 
come un essere eterno, immateriale, superiore agli Dei dell’Olim- 
po, anzi unico Dio; daechè gli altri non erano ai loro occhi se 


386 
non imagini simboliche di questo, inventate a sodisfazion de'vol- 
gari. Ne’punti più oscuri, per altro, e più disputati. della storia, 
de’primi:secoli. egli nota le autorità, a cui appoggia le sue conget-. 
ture. Se.nel-progresso, delle. età, accumulandosi i fatti e le opera-. 
zioni d'ogni,specig,.egli.ha.creduto.impossibile di far capire nelle 
colonne. giàso pracariche de’suvi grandi;quadri anche le citazioni, e. 
ha temuto che. vi. recherebbero. confusione, possiamo dolercene.;.. 
ma,non. fargliene» rimprovero. Per giustificarlo basta gettar l’oc- 
chio sui quadri medesimi; la;cui impressione, avuto riguardo. alla, 
larghezza, delle pagine, alla moltitudine e varietà delle. cose, in. 
esse distnibuite, alle cifre innumerevoli , alla, quantità prodi- 
giosa di minutissimi caratteri; ebbe uopo: dun’ intelligenza e 
d’ un’abilità più che ordinaria. Quindi i fasti universali, splendi-. 
do monumento.dell’odierna letteratura, il sono pare dello. stato 
odierno della tipografia: I lettori, che. si trovano in Firenze o, fos= 
sero per visitare questa. città, li, potranno esaminare a loro agio 
nella, biblioteca.consultativa, che il Direttore dell’ Antologia,valle, 
aggiungere.al.suo Gabinetto scientifico e letterario . M.. 


«—————@“‘ ECG nn 


Guida, di Pistoia per gli amanti delle belle arti con :no- 
tizie degli Architetti, Scultori, e Pittori pistoiesi, del Cav. RRAN- 
cEsco, TOLOMEI. Pistoia 1822. in 8. 


Da che. le arti sono cresciute in onore, e parte esse fanno, 
della. educazione di presso che tutte le civili persone, cresciuto: 
è pure il numero dei viaggiatori che a noi si recano, affine 
d’ ammirare le. bellissime opere dei vetusti artisti e dei, moderni), 
le quali paiono stare in Italia come in loro reggia, sotto. un 
cielo mitissimo.e quasi al. pari benigno che quello, delli antica; 
gloriosissima» Grecia. Sì per tale cagione e sì. per quella, delipam 
trio. decoro .si. sono a questi. dì ristampate vecchie. Guide, con 
accrescimenti e, correzioni, e non; poche per; la, prima, volta» ves. 
duto abbiam. uscire alla. pubblica luce. E?tra.le seconde.la Gui». 
da di. Pistoia, della quale intendiamo voler ora brevissimamente,.- 
parlare . 

Un suecinto. prospetto storico. della città ne: forma. la, pre» 
fazione; e piglia la Guida incominciamento, dal. Duomo ; chiésa: 
e di per sè, e. per le belle opere d’arte, che visi custodiscomo; 
ragguardevolissima. In questa parte, siccome in tutte: le: altre 


387 


del libretto prende il sig. Cav. Tolomei per iscorta. quei, cher 
hanno; scritto innanzi a lui, siano le loro opere stampate, 0 
ancor si rimangano inedite. Rileva gli altrui errori, ne di» 
scute le diverse opinioni e: spogliato; mostrasi sempre di, quel- 
la pregiudicata. carità. patria,,, di: cui spesso infetti, sono i li», 
bri di. questo genere e di somiglianti. Alle cose, di maggiore, 
importanza appone egli un, asterisco; affinchè. quegli, il quale 0, 
debba, per angustia di tempo,,, o voglia.per' suo, divissmento ri. 
strignere i, limiti de'la erudita curiosità, buon, frutto abbia dalla 
sua, rapida corsa.. Somigliante asterisco nel Catalogo degli artisti 
pistoiesi, che è posto alla fine del libro distingue quelli, dei quali 
non. si;citano opere.nella Guida. In questo catalogo, ch’ è copioso,, 
ed elaborato,,, quelle notizie di ciaschedun artista. si danno, le 
quali di lui più importa, avere. Vi rifalge l’Architetto, Ventura 

. Vitoni,, del. quale. così, bene scrisse ,, non. ha guari di tempo, il 
ch. sig. Dottor Petrini, le cui, Osservazioni intorno all’atrio, 
e alla chiesa dell’ Umiltà,. d’ architettura. d? esso. Vitoni,. dal, 
sig. Tolomei, si, riportano. Al quale sig. Tolomei dessi. dar 
lode per:aver.con non. poca. fatica dettato un libro, che assai desi». 
deravasi; e. prendiamo speranza, che quei tra/suoi concittadini, che, 
della storia e.del pregio dei. patrii monumenti si conoscono, sup-. 
pliranne, alla, commendazione, nostra in ciò, di. che esser deb» 
bono essi. soli, competenti giudici. riputati, . Z. 


INDUSTRIA, NAZIONALE ; CAPPELLI DI, PAGLIA. Lettera del SG: 
EMANUELLE FENZI AL SIG. BERDINANDO TARTINI SALVATICI. 
( Vedi Antologia. Tom. V. p. 363. e p. 24. del presente). 


Firenze li 2. maggio 1822. 
I°; 


Ho. ricevuto la: vostra gentilissima lettera dei 26. aprile, 
colla quale: son da voi richiamato a sostenere quanto vi dissi 
in passato; esser io d’opinione che 1’ ammontare del denaro che 
entra in Toscana per effetto della manifattura dei cappelli di 
paglia ascenda all’incirca a 30.milioni di. lire. Debbo confes- 
sare che questa mia opinione che ho comune con molti miei 
rispettabili amici non è però quella di tutte le persone perite 


388 


in tal materia; niuna però delle molte da me ora consultate fa 
giungere i suoi calcoli al di sotto di dodici o quattordici mi= 
lioni . 

Come non vi è un modo plausibile nel nostro Paese di con- 
statare il vero ammontare dell’estrazione, a guisa di molti altri 
nei quali le merci che non pagano gabella sono assoggettate ad 
un dazio impercettibile , in Francia chiamato droit de balance, 
non ad altro fine, che per far conoscere al Governo col mezzo 
delle dogane l'ammontare delle merci che entrano o escono ; 
così sì rende malagevole di sciogliere il problema in un modo 
sicuro , ed ognuno può rimanere impunemente nella sua opinio- 
ne. Non è però così riguardo all’ Autore della nota inserita nel 
T. V. dell’Antologia pag. 363 il quale ha volato far discendere que- 
sto prodotto, il massimo della nostra industria a soli tre milioni 
di lire (4) Ad esso facilmente e vittoriosamente si risponde che 
soltanto le due fabbriche di Signa G. B. Carbonai figlio mag- 
giore e Pasquale Benini ec. spediscono in un anno per l’impor- 
tare all’incirca di tre milioni di lire: che altre venti fabbri- 
che esistono, delle quali ciascuna lavora per 400 a 900 mila, lire 
all’anno, oltre un nuvolo di altri piccoli fabbricanti che spedi- 
scono a Livorno e altrove, o vendono a minuto ai viaggiatori 
dei cappelli del prezzo il più elevato. Se pertanto io non posso 
assicurarvi d'aver dato nel segno con i miei trenta milioni, posso 
starvi mallevadore che chi li ha ridotti a tre ha commesso un 
error di calcolo più grosso del mio, e potrà di ciò persuadersi 
facilmente consultando cinque o sei dei principali fabbricanti di 
| Signa e Prato, S. Piero a Ponti, e Brozzi. Non ripugno perciò 
di comparire, se lo volete, a viso scope rto colla presente dichia- 
razione, e mi glorierò se non altro di mostrarmi qual sono 
con sincera stima e cordiale attaccamento. . VICINA 

Vostro affezionatissimo amice 
E. FENZI 


(a) Nota L’autore della citata nota suppone che i trenta milioni siene 
il risultato di un falso calcolo, o un accidentale eccesso di cifre. Se una 
sola di queste cifre supposte in eccesso si sopprima, i trenta milioni resta» 
ma tre. 


389 
GEOLOGIA. MINERALOGIA. Avviso agli amatori di queste scienze . 

Il sig. Prof. Chierici, ritornato nel seno della sua patria , dai 
lunghi e faticosi viaggi intrapresi nelle ‘parti. settentrionali del- 
l’ Europa, ha eletto per sua permanente dimora la Toscana, ove, 
per eseguire i suoi piani scentifici, lo hanno richiamato le ricchez- ‘ 
ze naturali di questa provincia, e la di lei centrale situazione geo- 
grafica . 

Alunno per varj anni di due dei più celebri indagatori del- 
le scienze mineralogiche il sig. Werner di Freiberga e il sig. 
Hauy di Parigi, aveva formato il progetto che ora vuole mandare 
ad esecuzione, di stabilire in Firenze un deposito di minerali e di 
rocce tratte dal suolo Toscano, il quale egli si propone di esami 
nare in tutte le sue diramazioni dai confini del Genovesato, fino a 
quelli della Romagna. Egli intende di ordinare in serie si orichto- 
gnostiche che geognostiche in pezzi di varie grandezze, questi 
prodotti naturali classati secondo i più recenti sistemi adottati , 
accompagnati da un catalogo ragionato dei minerali respettivi che 
li compongono — Egli offrirà questi in cambio di minerali di 
estranea provenienza, o vendibili per contanti, al prezzo che egli 
stabilirà e che farà conoscere per mezzo di una circolare.’ 

Quindi, un tal deposito col tempo conterrà non solo oggetti 
di mineralogia Toscana; ma quegli ancora di altri paesi, da ven- 
dersi e cambiarsi coll’istessa regola . 

. Noi crediamo dovere rendere giusto tributo di lode al sig. Prof. 
Chierici, per avere concepito il progetto di sì utile stabilimento, e 
ci rallegriamo di vederlo porre in esecuzione nel nostro paese, ove 
in mezzo a tante ricchezze naturali mancava un deposito di que- 
sto genere, e che deve promovere ed agevolare lo studio delle 
scienze mineralogiche. Speriamo di poter in breve annunziare al 
pubblico che questo stabilimento è in attività, e ci faremo un 
vero piacere di partecipargli tutto ciò che su tal particolare cre- 
deremo poterlo interessare. — | D. 


390 
Lo SPETTATORE ITALIANO preceduto da un saggio criti» 
co sopra i filusofi morali, e i dipintori de’ costumi e de’ ca» 
ratteri: del Conte Grovanni FenrI DI S. COSTANTE. Vol 4. in 
8.° Milano; dalla Società tipografica dei Classici italiani 1822, 


Ecco un’opera di un genére nuovo per l’Italia ,‘e della 
quale non possiamo di presente fare altro che annunziare il 
titolo, riserbandoci a darne conto quando sarà pubblicata. Pu 
re se dal manifesto che ne‘è a stampa si volesse ‘la ‘noi far 
prognostico del merito di lei, noi ‘saremmo ‘d’avviso chie Woves- 
se ‘essere dal pubblico con grato ‘animo accolta, confidando che 
‘sia per rispondere a quanto promette l’annanzio che ‘ne daino 
‘gli editori ‘Secondo il quale l’autore (seguendo un disegno'più 
‘vasto ‘e -più utile che ii lo'svettatore ‘inglese , il quale è piut- 
‘tosto razionale che europeo ) si studia di ritrarre l’ uomo di 
‘ogni tempo e ‘d’ ogni paese , dipingerlo così ne’ diversi caratteri; 
come’nelte cliverse situazioni , e-mostrare i doveri di ciascheduna 
età, di ciascheduno stato , facendo'un quadro della vita wnada 
e compilando un'trattato ‘di morale ‘universale . E per quanto 
‘occorra dll’ autore di maneggiare $ràvi argomenti, pure la di: 
versità dei subietti e il modo con che possono ‘esser trattati può 
indurre ‘in una scrittura ‘quella ‘varietà che dilettando , rende 
più facili ad insinuarsi i più severi‘marali insegnamenti . Ci reca 
poi sommo conforto la proméssa'the'èi vien fatta, che 1’ autore 
in questa sua ‘opera intende a'réstituîre ‘al nostro idioma le sue 
native fattezze, l'eleganza civè,la' nobiltà; l'armonia e la pieghe- 
‘volezza che gli sono ‘proprie; e'tatito più facendolo in'un genere 
di opere che'fin ‘qui'ha “avuti *pochi'scrittàri ‘in Ttàlia . L’ autore 
è gia vantaggiosamerite tonoscitito per altri suoi lavori letterari, 
tra i quali ‘hanno'avàto *singolar‘plauso : Londres et les Anglais 
vol. ‘4. in 8. 1801. e l’are de'tridttuire vol: 2. in 8. della quale 

furono fatte due edizioni nel 1808, ‘e nel ‘iSrr. 


— — TIRI FIERI ro 


Descrizione delle medaglie greche del museo del signor 
Carlo Fontana di Trieste, per omENICO sESTINI. Firenze presso 
GUGLIELMO PIATTI in 4. di pag. 138. con 6 grandi tavole, in rame. 

Il signor Sestini sempre instancabile nei suoi studi numis- 
matici, ha pubblicato ritornando da un viaggio questa nuova 
opera, la quale non cede per l’ utilità e la novità delle notizie 


i 


\ 


gt 
relative all’ istoria ed alle antichità, che vi si trovano sparse, 
.e per la chiarezza con cui è scritta, all’altre sue opere ormai 
eonosciute .ed apprezzate da tutti gli eruditi . ERP. 


(LIE 


Explicatio literarum in Romanorum monimentis occurren- 
tium— Florentiae 1822, typis Joser41 MOLINI ad signum Dantis 
1. vol. 18. di pag. 94. 

Questo piceolo ma aureo libretto è tratto, come dice l’ e- 
ditore, dal ‘lessico ‘latino e inglese d’ Ainsvvorth. 

Il sig. Molini sempre intento a pubblicare coi suoi torchi 
tutto ciò che è utile, non ha voluto dimenticare i viaggiatori, 
che percorrono i.paesi della nostra Europa, nei quali i Roma- 
ni lasciarono un giorno qualche memoria importante per mezzo 
di pubblici monumenti . La spiegazione delle abbreviature che 
s’ incontrano*in questi monumenti è lo scopo di questo libretto. 
Lodiamo. sinceramente il signor Molini per questo e per tutti 
gli.altyi davori,. che dà continuamente «alla luce , per un pregio 
che è+comune.a tutti, quello della più ;scrapolosa correzione 
tipografica, ‘unita «alla ‘bellezza dei caratteri.e alla mitidezza del. 
la carta. | i (G. R. P. 

e i Pi ET 5»: {[[f(fDNi — 
AERONAUTILIA Correzioni importanti da fansi alla memo- 
ria del siGNOR 'D. SCARAMUCCI . 

Nel pubblicare il ragionamento ‘él sig. D. Scaramucei 
sull’ Aeronautilia (Antolog. pag. 91. del presente volume) ho no- 
tato in piè di pagina che quell’ articolo era stato rimesso dal 
l’ autore con lettera all’ egregio signor Pietro Ferroni matemati- 
co regio. L’ autore si è lagnato con lettera diretta a me, che 
sono incorsi nella stampa del suo manoscritto vari errori tipo- 
grafici ; e che vi sono state fatte ‘alcune mutazioni, delle quali 
non si trova contento. Il signor Ferroni si è preso la pena di 
rivedere le prime e le seconde prove. Gli stampatori non hanno 
cangiato una sillaba alle correzioni che erano notate nelle stam- 

‘ pe. Gli errori tipografici erano inevitabili, perchè la memoria era 
scritta in caratteri troppo minuti, e sovente inintelligibili. Gli 


ho fatti correggere nella tavola che segue. 
L’ EDITORE 


392 


ERRORI 

pag.92 v. 22 resultante 

p- 93 v' 25 perfezionare alcune delle mac- 
chine costruite 

p- 9/ 18, salterà in aria 

p' 100v.29 e 27 movimento 

ivi v. 28 assomigliasi 

29 è consimile 


p. 101 v. 6 io non poteva 
p- 103 nota v_ ho definita 
p. 104 v. 2021 1 metro per secolo 1 metro 


per ora 

p. 105 v.30 fino al polo 

p. 107 V.7 possono condursi al centro . 
L'asse poi ec. 

p- 108 v. 14 15 era opposta all’acqua 

p. 1109 32 in tutta la di lei mossa 

p- 113 v. 5 misura la qualità 

p: 113 v.28 con poca differenza 

p. 114 v. 33 ad eccezione delle stagioni 


p. 116 v. 34 
p. 107 nota 6 
: v.1 sarà e 

v.2 ‘emenodi O 
p' 103 v 27. la facoltà Loro 


12,991 


CORREZIONI 


reluttante 

perfezionare alcune macchine 
salirà in aria ì: 
moto 

è simile 

è simile 

io non pretende 

ho distinta 

1 metro per ora 


fino al sole 

possono condursi al centro. Ma 
trattandosi di correnti u- 
tmosferiche supporremo 
che  ubbiano direzioni 
quanti raggi possono con- 
dursi della periferia al 
centro. L’ asse poi ec. 

era opposta a quella aquea 

în tutta la di lei massa 

misura la quantità 

con non poca differenza 

ad eccezione delle stazi ont 


1 3299 1 


sarà o (zero) 
e meno di o (zero) 
e la facoltà 


OSSERVAZIONI 
METEOROLOGICHE 


FATTE NELL' OSSERVATORIO XIMENIANO 


; 
i 
i 
L, 
Y 


DELLESCUOLE PIE DIFIRENZE 


Alto sopra il livello del mare picdi 205. 


APRILE 1822. 


IS) Termometro & | nei > 
7 3 SITI aaa 
Ora 3 5. n 5 [Fs 88 Stato del cielo 
i 2 3 Soi Et 
3 21] (obcl SM Mit 
|poll' lin. > po 

7 mat. |27. 7,6 |: 10,2 7,9) 82|0,01|Tr Nuvoli gonfi. Vento 

mezzog.|27. 8,1 9,8 9,3] 76 Tr. Gr,|Nuv. Vento forte 

{1 sera |27. 9,6 9,3 6,2! 77] |Gr. Tr. Ser. con nuv. Calma 


| 11 sera |27 
f 7 mat. 

3 mezzog. 
i 11 sera 


7 mat. Mim mat. (28. 08 | 6,61 3,1 


7 mat. |27. 
mezzog. |27. 

» 10,2 8,4 57| 77 

27. 
27. 
28. 


pui Ii sera |27. 


9,9 7,9 8,8) 67 Sc.Lev Nuvolo. Vento 
Ost.Li. Sereno. Calma 


_—___r_______[|—_— ——— | 


Tr. Gr. Misto. Vento 
Tr. Gr. Nuvoloso. Vento 
Gr. Tr. Sereniss. Calma 


11,7 m3I 4,9) 85 
11,6 7,9 7,7 68 
0,5 ni 11 sera |28. 0,9 | 7,91 6,2) € 6,2| 67 
0,8 6,6 3,11 79 
11,7 7,9 9,3] 66 
11,5 9,3 7:9| 77 


|Scir. |Pecorelle. Ventic. 
Po. Lib'Ser. ragnato. Ventic.| 
Sc.Lev.Sereniss. Venticello 


| 7mat. |a7. 
15| mezzog. |2y. 
«| 11 sera |27. 


Po. Lib Misto. Calma 
Po.Lib Ser. con nuv. Ventic. 
Ost.Li.' Sereno. Calma 


11,7 7,9 7,i) 92 


11,4 9,5  ri,ri| 80 


959 8,9] 5,8 Sc.Lev Pecorelle. Ventic. 
11,9 8,4 5,7 


7 ‘mat. 27. 11,5 10,6 8,6| 92 Po.Lib|Pecorelle. Calma 
mezzog. |27. 11,2 rr,ij (12,6) 83 Gr. |Nuv. nebb. Calma 
11,sera |27. 11,1 11,95) 10,6| 87 Scir. , |Nebbioso. Ventic. 
7 mat. |27. 11,0 10,6 n, dl 97 Scir. |Pecorelle. Calma 


| mezzog.|27. 
Ti. sera 127. 


10,2 SA 


10,7 TI,i 119 87 Po.Lib Nuv. minacce Calma 


5,7 | Sereno. Calma 


77|0,13|Os.Li. 


È S| FE 
i Q ° bi Di "O led ng, 0 ) 
Î 3 veg È ni A 3 È a 5 E Ntapp del cielo 
ps: 9 5 9 | è ? | 3 
Ì | 7 mat. 27. 10,0 10,6 84| 97 Ostro ‘Nuv. densi Calma 
| 8| mezzog. (27. 96 10,6 rI,I| $3| 0,43|Tr:Gr. Nuvoloso. Vento 
11 sera, |27. 9,7 9,7 7,9) $7|0 0,98 Sc.Lev Sereno Calma 
ì| 7 mat. 27. 10,1 8,8 6,6, 92 Se. Lev|Nuy, Venticello 
i| g| mezzog. 127. 10,2 9,1 6,4| 94| 0,11|Tr. Gr.|Piovoso. Calma 
| 11 sera lor. 4,0 84 7,5! 96|0,25|Lev. |Misto. Ventic. 
i 7 mat. (|27. 11,0 8,9 7;1| 92 Gr. Tr.|Nuvolo. Aria chiara 
10 mezzog.|27. 10,9 8,2 9,3] 90 0,01|Greco |Piovoso. Ventic. 
Ii sera |27. 11,9 7,9 7,9 95 0,34 Lev. |Piovoso. Ventic. 
Bi | 7 mat. |27. 114 8,4 8,8] 95|0,16 Gr. Tr. Nuv. Ventic. 
{11} mezzog.|27. 11,4 11,I 13,7} 84 Tr. Gr.|Nuv. Vento 
3 1: rrsera |28.: 0,8 10,6 11,9] 87 Tr. Nuv. Vento 
di 7 mat. ‘265. 1,0/|-% il,if TI,t| (91 \Lev. {Ser. ragnato Venlie. 
$ 12| mezzog. 28. 1,3 12,5] 16,4] 78 Lev. |Misto- Vento 
d ri sera 28. 2,5 __157 19,2 08}: Os. Li. Sereno. Calma 
ii {7mat. 28. 24 12,9 11,1] 93 (Os.Lib Ser. con neb. Calma | 
i 13) mezzog. 28. 2,3 13,8) -.15)3| #9 Po.Lib Ragnato Vento 
A ri sera 28. . 2,6 15,1 | . 15,1] 73 Greco Sereno. Calma 
il 7 mat. |28. 2,3 14,2| 12,4) 87 Scir. |Ser. con calig. Calma || 
14 mezzog. 28. 2,2 16,4] 18,21 66 ART. Sereno. Venticello 
3ì | 1rsera_ 28. 2,4 15,9] 15,1] 69 Gr. Tr.\Sereno. Venticello 
10 n 7 mat. 28. 24 14,2| 11,5) 77 Scir. |Ser- con cal. Calma 
{15 mezzog. 28. 2,0 16,4] 18,2| 59 Tr. Gr.|Sereno-. Venticello 
d | 11 sera 283. 1,9 15,5] 15,59) 60 Lev.  |Sereno. Calma 
; 7 mat. |28. 1,5 13,7) 106) 72 Scir. L.|Ser. ragnato. Calma. |{ 
i 16] mezzog.|28. 0,9 15,5) 16,8| 56 Tr. Gr.|Sereno. Venticello 
ri.sera |28. 0,5 15,5) 15,1] 61 Lev. |Sereno. Venticello |{f 
7 mat. |28. 0,0 14,2| 102] 77 Gr. Tr.|Ragnato 
317, mezzog. |27. 11,6 15,3 17,7) 61 Tr. Gr.|Caligine. Ventic. 
l | 11 sera |27. 11,6 15j9|. 13,7]. 74 |Scir. L. (be. Calig. Calma 
il n mat. 27. 11,2 13,9] » 10,2] (72 Scir. |Ser. con neb. Calma 
f 19) mezzog.|27. 1I;I 13,9] 15,5] 68 Sc. Lev: Nuv. Calma 
è 11 sera |27. 10,9 14,2! 12,4 87 Sc.Lev Sereno. Calma 
{| mati” il 11,1 13, 5| 9,3} 94 Lev. |Sereno. Calma 
{ 19) mezzog. 11,0 14,2) 14,2) 75 Tt. Ser. con nuv. Calma | 
i; | rsera, si 10,3 va 13,3 _77 Tr. Gr.|Sereno Calma 


| Il ES Termom. a E A 
n Con] 
|È Ora 3 2A A 3 Sold E 
it pa 5 DÌ © © o 9 
WE. tag 5 3 ch E a 
Il Ò j © o ° ì i 
| 
ij | 7mat. |27. 10,7 13,7] 11,9) 80 Tr.Gr. 
f|{20| mezzog. |27. 10,9 14,5] 16,6) 74 
| Il sera 27. 99 14,2 r3;3] | 87 
il 7 mat. |27. 9,0 13,5] 11,9 
| 1| mezzogi [27. 8,7 13,9] 14,6] (86 (Gr. 
Î i rrsera |27. 8,7 14,2] . 13;7| 87 
il 7 mat. |27. 9,2 13, 13,5] 89 Lev. 
in 22| mezzog. |27. 9,3 19,1} 16,4] 77 |Scir.L. 
I II sera |27. 9,6 14,2|  15;9| 97| 0;03/Scir. 
Il 7 mat. ‘27. 10,0 15,3 13,31 95 Scir; 
{{23] mezzog. ‘27. 10,6 15,7] (19;9|. 07 "Ur 
| Ii sera 27. 11,5 15,9] 14,6) 87 Os.Lib 
Ill 7 mat. |28. 0,6 15,1 12,4| $9 Lev. 
\24! mezzog. |28. 1,0 15,9| 16,4] 85 Po: Lib' 
|| 11 sera |28. 0,9 16,4| 15,9) 87 Tr. Gr. 
11 RINO 7 mat. '28. 1,4 TA,die (Ia, ‘9a Scir. 
125 mezzog. 128. 1,2 14,6} 15,9] 70 Os.Lib 
Il | 11 sera |28. 0,6 16,8] 16,8] 67 Ostro 
| HW |7mat. |28. 0,9 16,4| 14,6) 93| 0,03'Ost:Sc. 
|{26| mezzog. 28. 1,0 16,8] 16,85) S4 Ponen. 
Il ri sera (28. t,i 16,8) 15,9) _87 Sc.Lev 
il 7 mat. 128. 1,4 16,4| 14,6) 97 0,15 Ostro 
j|27| mezzog. 128. 1,7 16,2 15,7} 95 0,09 Ostro 
Il ri sera |28. 2,0 15,5] 14,6) 87 Tr. Gr. 
Îl {|7mat. |28. 24 14,8| 14,2} 88] 0,05|Tr. 
|28 mezzog. |28. 2,5 15,9 16,6| 81 Tr. Gr. 
| |__| rrsera. 38: 1,0 TO] Va, t) 77 Er. Gr, 
| | 7 mat. |28. 2,4 15,1] 14,6| 77 
|29 mezzog. |28. 2,0 16,4} 17,3] 71 ds 
i | rr sera (28. 99 15;9} 009,3 SO. Tr. 
i | 7 mat: |28. 0,6 | 15,5) 14,6 73 
#90) mezzog. |28. 0,1 16,6). 17,7| 63 
ri sera |27. 11,5 12,8) 15,1] 67 


Stato del Cielo 


Ragnato. Vento 


Tr. Gr.i Nebbioso. Vento. 
Gr. Tr. Nuvoloso. Vento 


91| 0,04 Tr. Gr.|Nuvolo. Vento 


Nuvolo; Vento 


!Tr. Gr. Nuvolo Vento 


|Ragnato. Calma 
VISI] Calma !* 
Nuvolo. Calma 
Nebbioso. Venticello 
Misto. Calma 


Sereno. Calma 


Ragnato. Calma 
Nebbioso. Venticello 


I Sereno. Calma 
| 


Nebbioso. Calma 
Vario. Vento 

Nebbia. Calma 
Nuvoloso. Calma | 
Nuvoloso. Venticello 
Nebbioso, Calma 


Piovoso. Calma 
Piovoso. Calma 


Nebbia. Calma 


Nuvolo. Venticello 
Ser. con nuv. Ventic.!{ 
Sereno. Vento 


Tr. Gr.|Sereno. Venticello 


Sereno. Vento 
Sereno. Vento 


o tr Tr, Gr.|Sereno. Venticello 
Tr. Gr.|Nuvolo. Calma 
Greco |Nebbia. Vento 


° FENOMENI” 
DI 
VARIO GENERE 


20 


! 
2 Neve al Prato-magno; Vallombrosa, Falterona e montagne di Pistoi 
3 Neve fino alle più prossime colline, e nevischiò anche in città. 
8 È piovuto a ore 9 e mezzo antemeridiane. 
9 e 10 È piovuto tutto il giorno. 
23 Densissima caligine nella pianura di Prato. 
27 Crine de’ monti ingombro di nebbie. 


ti 


‘ AIA 14 ORTA fi 295. 


77 


f 
A VA ua fo è 7A o VA lA 74 


È Ge E 4 
le 
Î f 14) o' 
Figr 2° | Fi Eroe 0) Buprszii di 


d Ud 


a 7A d 7 (Cd d ( 
7 e ey EEE 
<< / 


Fig! 9.8 Figr102 Figt lì d 


RESTINO) ni Ti 
Fig 2 19 Fig ra {7.2 


Haresalo 


# yu i) 
 ——_—__—_——__————— + 
(ci > 

S \ x 

x 

x n i \. 
N SÒ \ \ 
N L \ \ 
Ss FESS \ Ù 
x Eee \ Ù 

(4 SSIGARZAI 


ANTOLOGIA 


N. XVIII. Giugno 1822, 


LETTERATURA 


THE PLEASURES 0F HOPE: Z Piaceri della Speranza: Poema 
di rommaso camPseLL. Londra, per Longman e 


C. 1820. 


È questo un poemetto venuto in luce da non gran- 
dissimo tempo in Inghilterra. E al suo autore fu conce- 
duto. di raccoglier vivente quell’ universale suffragio 
che pochi sogliono ottenere in un breve giro di anni per 
opere anche vaste e cospicue, e di rendersi chiaro con 
| ciò in un paese che tanto abbonda d’ ingegni eminenti. 

Ma comechè, senz’ altra disamina, un simil suc- 
cesso parer possa a prima giunta straordinario : è nondi- 
meno da por mente, esser tale presso che sempre la 
riuscita di que’ lavori, dove il merito letterario e una 
morale non offuscata nè da superstizione, nè da fanatis- 
mo, si accoppiano alla santità del fine, e a massime di 
-un’ indole talmente efficace, da far forza all’ animo 
di que’ medesimi, all'interesse e ai pregiudizi de’ quali 
per avventura sl opponga . 

Si può affermare con verità, essere stati i poeti 
inglesi fra i primi in Europa, che, allargando il campo 
dell’ arte, abbiano saputo in isvariate e bellissime guise 
maritare il sentimento all’imaginativa , e ammaestra- 


394 
menti profondi a quelle discipline, che parver dappri- 
ma soltanto acconce al diletto o tutt'al più a qualche 
lezione passeggiera e superficiale. E il sig. Campbell , i 
cui sottili e magnanimi pensamenti (se si dee giudicare 
dalla tempra della sua poesia) vanno. congiunti a una 
rara esquisitezza di cuore, è uno de’ pochi , i quali ab- 
biano coltivato simiglianti maniere, senza partecipare 
alle stravaganze Sa più parte degli odierni poeti bri- 
tannici, non esclusi quegl’ istessi di maggior grido. 
L’ ardenza e fin anche le irregolarità di uno spirito 
mosso da zelo generoso, trovan di rado chi le condanni: 
perciocchè ordinariamente spontanee , e non condotte 
da verun singolare artifizio. Laddove gli sforzi di una 
fantasia violentata alla novità soltanto da particolari 
vedute dello scrittore , se appena son tollerati allorchè 
trascorrono puramente allo strano, riescono poi ribut- 
tanti ove alla stranezza si aggiunga la fallacia o l’ im- 
moralità del concetto . 

Questi Piaceri della Speranza non sono che un’ e- 
letta serie di quadri, delineati dalla più schietta e illu- 
minata filosofia, e colorati da un sentimento ove dolce 
ove ardentissimo , e risplendente di belle verità anche 
quando prorompe tutto dall’ entusiasmo. Trattandosi di 
una regione si ampia e sì varia, sarebbe troppo lo asse- 
rire “essersi dal sig. Campbell toccata ogni situazion 
della vita: il che non può forse aver avuto in pensiero 
egli stesso, Ma è certo , ch’ egli ha confidate a’ suoi versi 
le più atte a far colpo sull’ uman cuore, e insieme le più 
nobili e affettuose. Eminentemente patrio nelle massi- 
me, e appassionato amico dell’uomo ne’ voti , ei non 
ristringe il suo ragionamento a sè solo, o ad un sistema 
particolare: ma lo estende a ogni essere pensante. 
E avvegnachè, per una parte, coloro, agli occhi dei 


I TT) pn 


395 
quali ha sembianza di sogno e bene spesso di proponi- 
mento non sano, tutto quanto non consuona colle idee 
lor proprie o colla general condizione del presente, 
siebo per qualificarlo di delirante in que’ voli, ne quali 
ei cerca di raddolcire con imaginate perfezioni future 
la poco grata sensazione dell'oggi: non mancherà tutta- 
via per l’altra chi derivi alcun refrigerio da que’ vaneg- 
giamenti medesimi (ove pure sien tali), se non altro, 
al riflettere, che può ad alcuno esser lecito il mani fe- 
starli. Perciocchè, mentre, per lo destino della natura 
umana, la speranza è forse il men fortunato movimento 
dell'animo, è però quello altresi, che inspira e sostiene 
la più parte degli altri: e prendendo qualità dalle varie 
tendenze e massime degl’ individui, li guida ad azioni o 
generose 0 ree. Madre della speranza è l'idea del futuro. 
È se l’affetto contrario: sopravviene talvolta a rattem- 
prarne l’impeto , è raro per altro che riesca a toglierlo 
affatto. Oltre di che, può darsi bensi alcuno, sa di 
nulla paventi: ma qual è mai quegli che iridati 
non isperi? Senza il dono della speranza, l’anima del- 

/Y uomo sarebbè vota d’ ogni vigore e d’ogni scintilla . È 
dessa l’immancabil compagna dell iafelice: e tanto più 
cara ed intensa quanto più alla virtù è congiunta. Ella non 
abbandona neppure il delinquente precipitato nella mi- 
seria: ma è però di gran lunga più durabile e soave, al- 
Jorchè, fondata sull’integrità della coscienza e non curante 
di oggetti terreni, si pasce diunavvenir più remoto, dove 
non è più nè la iaia, nè l’uomo che assegna la condi- 
zion della vita. Laonde, per questo lato , può dirsi a un 
tempo l’impulso, il nutrimento e la prima ricompensa 
dell’istessa virtù. Sciagurati e insiem disumani coloro 
che si studiano d’ estinguere nel cuor de’ mortali cotesto 
sommo e forse unico alimento della. vita! E tanto più 


‘396 

disumani, e sciagurati in quanto che essi nol potranno 
giammai ! Chi può spegnere la speranza, e chi impedire 
che si riduca ad effetto , singolarmente ov” ella nasca dal 
bisogno e si fondi su l’ esperienza del vero? È dessa un 
sentimento occulto e velocissimo , il qual s’ accende al- 
le prospettive , che si crea spesso da sè, e.mai non po- 
sa , finchè non ottenga la meta . E se talora la malizia 
di pochi è così ben calcolata, da prevaler per un tratto 
agli onesti voti de’ più , la speranza prende dall’ istessa 
sventura un carattere più generoso , e si estende a va- 
gheggiar la felicità ne’ futuri. Ma può ella allor rimanere 
dal rallegrarsi da lungi anche della confusione di chi la 
represse? Quell’ istesso giro del tempo , che conduce le 
grandi scoperte nella natura fisica, non trascura neppur 
quelle dell’intelletto, benchè forse più lente e manco 
sensibili: ed ogni disciplina esser dee conformata alle 
savie vedute dell’ universale. Può mai esser vero , che 
la speranza del meglio, la quale si estende a tutte le 
circostanze della vita , debba escludersi unicamente per 
quel che concerne la forma delle società umane? 

Ma senz’ andar più in là nelle speculazioni , ecco 
uno squarcio del poema di cui si tratta . Quanto a noi, 
ci limitiamo alla speranza di far con ciò cosa gradita ai 
nostri lettori. 


In sera estiva , allor che i luceicanti 
Poggi con fulgid’ arco il ciel misura, 
Onde avvien mai, che la pupilla intenta 
A quel monte si volge, che la cima, 
Rischiarata dal sole, col sublime 
Aere confonde? E ond’ è, che quella rupe, 
Di color vario, più soave appare 
Del pian che al sovrastante occhio sorride ? 
Ah! la distanza sola una tal vista 
D' incanto sparge, e di un azzurro manto 


397 
Quell*alpe copre. Nell’immenso calle 
Della vita così, con prolungato 
Piacer lo sguardo dell’ umana mente 
Nelle promesse dilettanze è fiso : 
Così da lunge ogni scoverta scena 
Più che tutto il passato è a lei gioconda ; 
Ed ogni forma, chesa crear dall’ atra 
Oblivion la fantasia già valse, 
Divinamente bella ivi riluce. 
_A penetrar dell’ avvenir nell’ombre, | 
Qual mai possente spirto alla rapita 
Pupilla e scorta? Di superna forza 
Scienza armata, compartirne un pegno 
Potria d’ anticipata ora di gioja? 
No : sol:per mezzo alle tenèbre il fato 
Ella scorge dell’ uom. Più d’ una spanna 
Suo nebbioso orizzonte non si stende : 
O se alcuna allo sguardo imagin offre , 
Altro non è che semplice natura, 
Con troppo austera verità dipinta. 
Da te, Speranza, l’alma luce parte, 
Che a noi la più remota estasi scopre. 
Nella mortal magica via tu sola 
Il piacer crei, che ogni sopito affetto 
Desta e ravviva. Da tua man riscosse, 
Le passion sorelle intente io scerno 
Su sbalzare a un tao cenno, e ratte l’ali 
Colà drizzar, dove tua voce addita : 
O del diletto pel sentiero, o lungo 
La via che al lampo della gloria splende . 
Quando il primiero stato, in basso vòlto , 
Pianser natura e l’uom, e dai maligni 
Astri sovra la terra ogni sembianza 
Piombò di morte e ogni sventura , e il braccio 
Si snudò l’ omicida , e al fereo carro 
Aggiogò Marte gl’ infocati draghi, 
E di quaggiù Misericordia e Pace 
I In bando poste , d’ invisibil vento 
Sovra le penne rivolaro al cielo, 
Ogni altra deità solingo e afflitto 


Il reo mortal lasciò. Speranza sola 

(Lo attesta il detto dell’ Aonie suore), 
Incantatricee dea, tra noi rimase. 

Del Carmelo così mentre dal giogo 
Pronto a spiccarsi per gli eterei campi 
L’ardente carro era d’ Elia, qual dono 
Sacro al mortal,sgiù quel profeta } manto 
Cader lasciò pria di levarsi a volof. 

In tuo vago giardin, dolce Speranza, 

Per ogni uman lavor crescon ghirlande , 
E sorger vede ogni disastro incanti . 

Dell’ estiva ombra tua, quando natura 
Langue, lo stanco pellegrin va in traccia, 
Da’ tuoi conforti vinto. E mentre attorno 
Ronzando la silvestre ape s’ aggira, 

Quai non recan di pace eterei sogni 

-I tuoi virginei spirti! e quai su l'ala 
Non ischerzano allor di molle auretta 
Invisibili forme , onde ogni mesto 

Pensier e dalla rugosa fronte ! 

Angiol di vita! Ai più selvaggi liti 

Dell’ocean tu col tuo vol penetri , 

E del suol ne’ più squallidi ritiri . 

Mira il prode nocchier, che id mezzo è campi 
D'ignoto fondo, agli aquiloni in preda  - 
La nave lascia, mentre infuria il verno! 
Or lungi scorre su le atlantic’ onde , 

Ove d’ Andes gli enormi alpestri gioghi , 
Sotto la stella occidental, fra orrende 
Meteore avvolti, via dai venti tratte, 

+ Sovra metà della terrestre mole 

Guatan dall’ alto di nemboso trono : 

Or dove appena un riso apre l’ estate , 

Di Behring su le récce; o della tetra 
Groenlandia alle fredde. isole vola. 

A lui, vegghiante della notte a mezzo, 
Algente Borea spira, e da deserti, 

Di nevi eterne fra l’ orror sepolti, 
Precipita furente, e d’ Onolaska 

Dai liti, fra il mugghiar di vorticose 


. 399 
Onde, il lungo gli reca urlo de lupi. 
Infra i perigli al giorno emerse, € al rombo 
De' turbini cresciute , orridi mali 
Tue maschie forme consumando vanno . 
Scogli, acque e venti allo sdrucito abete 
Contrastano la via. Tuo spirto è mesto: 
Lungi l’ albergo tuo. Ma qui Speranza 
AI raggio rinnovar può della luna 
Le sue vigilie, e con industre canto 
L’orror-temprar di solitario mare. 
Lievi sue vision, come la fiamma, 
Onde risplende lo stellato polo; 
| Recan del buon piloto alla pensosa 

Alma ristoro. E già il nativo colle, 
Di più beato ciel sotto l’ influsso, 
Alla mente gli corre, e la romita 
Grotta che a miglior canto un dì rispose, 
E la picciola barca, e il vitreo lago, 
E ’l tugurio, € di florida ginestra 
Sparsa la valle. A tergo i tempestosi 
Venti già lascia, e su le care piagge, 
Donde partìo dolente, orme già stampa . 
Nel volto di un amico, ad ogni passo, 
Avviensi, e alfin tra i desiati am plessi 
Vola d’ Elena sua. Sovra le guance 
Fi terge a lei dell’allegrezza il pianto, 
E fra palpiti al seno gli esultanti 
Figli si stringe: mentre il fido cane, 
Lungamente negletto , e dalla nota 
Mano blandito alfin, lui con umano 
Sguardo saluta, e ovunque erri, dagli occhi 
Del rèduce signore intento pende, 
E ne festeggia col latrar l’ arrivo. 

Quando il periglio più da presso incalza, 
Da te, benigna Dea, del prode amica , 
L’ impavido guerrier sua forza aspetta; 
Omaggio a te fra gli agitati flutti 
Offre tremante il cor. E allor che a fronte 
Duplice ostile esercito su campi 
Venne di strage sparsi, il passo arresta, 


4oo 
E dilata in tremendi ordini l’ ale. 
Poi quando sovra un suol, già sacro a morte; 
Tutto è silenzio, ag! impeti il guerriero, 
Affaticato dalla via, si appresta: 
E, allo squillar delle improvvise trombe, 
L’imperterrita fronte alto solleva : 
Ed in suo cor, con inquieto sguardo , 
Già d’ una palma, ancor non còlta, esulta, 
E già l’orecchie il rombo de’ tamburi, 
Tua strepitosa musica, gl’ introna . 

Tanto è il poter di tua pietosa destra, 
Che alla terra natal réduce il forte 
Byron guidò (1). Sotto feroci climi, 
Ove del Chili 1’ orride bafere 
Imperversan sul mar, sotto il flagello 
Di ria fortuna e ’l1 rovinìo de’ venti, 
Infra gli scogli ricovrato ei giacque. 
Al biancheggiar d’ ogni alba, infranto e mesto 
Sorgeva, e ancor de’ poveri abituri 
In cerca gìa di solitaria gente, 
Onde la stirpe indomita, sì come 
Il turbo appar, che ne devasta i campi, | 
E chiusa di natura ad ogni affetto, 
Conoscimento ha sol della sua forma. 
Pur da te scorto, o Dea, sua via quel prode 
Navigator seguì. Pallido in volto, 
Ma divampante in cor: da tenebrosa 
Melanconia, non da terror, compreso, 
Dense foreste trapassò, la smorta 
Luna e ’l settentrionale astro da lungi 
Salutando col guardo . Ei delle jene 
Del deserto al clamor l’ orecchio porse, 
O di Sirene si arrestò sul lido: 
Sinchè guidato di tua man su eccelse 
Rupi, in mondo novel più dolee clima 
Trovò: un rifugio ed un albergo: ‘pace 

.. «E riposo: un Britanno ed un amico. 

O indivisibil del mortal compagna 


(1) Allude ai travagli, sofferti da Byron, 1’ Ammiraglio. | 


foi 


Speranza! Oh quanto il tuo poter, che fiamma 
E’ d’ogni affetto, in gioventù si sente! 
Coll’ ingegno, che a te scorta si aggiunge, 
Già su quella remota altera cima 
Posar ti veggo, e scoter l’ aurea verga. 
Sì, del Ciel figlia (ciò i tuoi detti alati 
Spargendo vanno), a te de’ campi in cerca 
Gir della fama (immensi campi!) è dato. 
Ministro dell’ onnifica Natura, 
Splende Neutono in lontananza, il vasto 
Mondo misura, e numera ogni stella. 
Alto levar vuoi tu ad arcani riti 
La mente, e con attonita pupilla 
L’ urna affissar? Da magic’ arte scorto, 
ll rapido vedrai vol della luce, 
- - E insiem del suono il circolante moto. 
Con Franklin afferrar tu l’ infocata 
Ala potrai del fulmine: o novella 
Aggiunger corda alla celeste lira (2). 
Su alati insetti e variopinti fiori’ 
Fiso è Linnéo, degli anguillari all'ombra. 
Da’ frondosi ricetti ei con sonoro 
Corno fuor chiama le silvestri torme, 
E sul piano le annovera. Del Nume 
Alla voce così lungo le ombrose 
Piagge dell’ Eden già corsero a schiere 
Gli erranti bruti, ed i lor nomi udiro. 
Lungi dal mondo, in separato clima, 
Di Sapienza i più sublimi figli 
‘Trapassan lenti. Alle superne sedi” 
Placido, come del grand’ etra i campi, 
Là Socrate il presago occhio solleva , 
Lo ammira Plato, e i luminosi detti 
Dell’ intrepido mastro a immacolata 
Pagina affida. ,, Della terra al breve 
Diurno spazio ridur può natura i 


(2) Le sette corde della cetra d’ Apollo erano la rappresentazione sim- 
bolica de’ sette pianeti. Si può dire che Hersclell, con discoprir l’ oira- 
ve, abbia aggiunto una corda allo strumento, 


or 
Dell’ nom l’ alina immortal; foco d’ Iddio? ,, 
Di Sapienza ai passi la, rapita 
Pupilla volgi, o del ciel prole. Lungi 
Non son le sante Ascree sorelle.«Ascolta! 
Dalle lucide torri, onde la cima 
S’ indora della Delfica montagna , 
Da rivi che per entro a eterna luce 
Limpidi errando vanno, in vaga schiera, 
Di un misto suon di corni, arpe e conchiglie, 
Tutte le Aonie Dive empiono il loco. 
Alle Apollinee note le profonde 
Volte del ciel fann’ eco: e giuso, in grave 
Metro, di Pitia 1’ organo risponde. 
O diletta del ciel! Raggiante serto, 
Della luna al chiaror, sul tuo bel capo 
Cader benigna lascerà la Musa: 
Ti porrà in infinita estasi il core, 
E infiammerà di furor santo l’ alma. 
Sotto sua forte guida errar te vegso, 
Ed a. notturni capaer spirti 
Ne’ campi favellar: chiedere al reo 
Donde il piè volse: il suo terrestre nome 
A ognuno dimandar, di sangue intriso: 
E le narrate istorie a tesser pronta 
In vive rime, disvelar tremende 
Opre infernali all’ atterrito mondo. 
Quando su molli rosee nubi assisa, 
Vener dall’ urna d’ òr la vespertina 
Rugiada versa, ed il mortal, consunto 
Da..un tenero desio, que’ cari istanti 
A consacrar porta ad amor, e a lieti 
Solitarj diporti, ella, più dolce 
Fatta e gioconda, fia che un canto inspiri 
Soave come rugiadosa stila: 
Mentre il sorriso di un mésjadeo volto 
In cor tai pene infonderà, più grate 
Del medesmo piacer: calde, o Speranza, 
Come i sospiri tuoi, le Lesbie note 
Proromperan dal labbro, e i vinti orecchi 
Della Bellezza renderan benigni. 


403 

O, se a te par d’ Orfeo l'inno più sacro, 

Di teneri farai dogliosi suoni 

L’ aere attorno echeggiar? Pianto d’ affanno 

Chiamerai tu sovra i raggianti fumi? 

(Chè ad anima; che sente, è del sorriso 

Più dolce ancor della bellezza il pianto) 

Alla natura, dalle angosce vinta, 

Darai conforto ? Insegnerai tu all’ alme 

Appassionate del dolor la gioja? 

Sì alla tua lingua angeliche parole 

Date saranno e forza, onde quaggiuso 

L'alte ragioni sostener del cielo. 

Già que’ marmorei cor, superbi, crudi, 

Cui niun disastro, fuor che il proprio, affisse, 

Aprirsi, qual d’ Orèb la rupe, al tocco 

Della mano profetica , discerno. 

Già con altr’ alma a una seconda vita 

L’ ancora informe creatura riede, 

Che, a noi simìl, di grave fango nacque: 

E ottien da tua gran possa un altro core, 

Le cui tenere fibre armoniose, 

Certe e concordi al par de’ circolanti ) 

Eteréi globi, oscillano al disegno 

Invariabil di natura : e l’uomo, 

Dell’ uom fratello, ne divien |’ amico . 
‘Come la luminosa ignea colonna, 

Del cielo al cenno apparsa, allor che, lungo 

Il deserto, Israel fuggia |’ Egitto, 

Rischiarando la’ via per ermi hoschi ‘ 

( Pianeta, che non mai vedea l’ occaso) È 

Splendea notturna, nel divin tuo corso, 

O Ingegno celestial, così Speranza 

Si fa tua stella, e tua sempre è sua luce . 
Benigna Possa! Quando acerbe cure 

Turban d’Imen la santa gioja, e chiusi 

Di povertà nella deserta casa 

Due generosi amanti, e non dal mondo 

Conjugi deplorati, a fama ignoti, 

Nel cor simili, nel desir, nè mali, 

Passano i dì, là il tuo sorriso schiudi, 


404 


Mira! Vegghiante addolorata madre 


O Speranza profetica, e un affanno 
Sgombra , che l’ alme, di virtù devote, 
Mai punger non dovria. Mentre uno scarso 
Cibo tra’ figli, d'ogni amico privi , 
L’affettuuso genitor divide , 

E perchè più non ha, sospira e geme , 
Digli, che un dì sua maschia stirpe i torti 
Vendicherà del padre, e di un ricetto 
Provvederà le sue giornate estreme . 
Benchè a lui d’Ibla non distilli il miele, 
O ne’ poggi s’imporpori la vite, 

Digli, che quando, dopo placidi anni, 
Fosco a lui si farà degli occhi il lume , 
E bianco il pelo, una miglior capanna 
Gli comporrà con faticose mani 

La robusta progenie, e di più vaghi 
Fiori ornerà suo picciol campo, e dolce 
Invocherà dal ciel rorida stilla, 
D’ubertà madre alle paterne glebe : 

E sin che a lui di volontario core , 
Festa degli arini suoi, l’amor sorrida , 
Lunghi nel suo tugurio i geniali 

Diletti renderà l’ aurea salute. 


Sovra quel letticciuol tacita pende, 

Ove tranquillo un bambinel riposa . 

Con pensose pupille al dolce sonno 

Dell’ innocente ella sorride, e un canto 

Di gioja melanconica discioglie: 

»» Dormi, o del padre imago, o mio bel patto. 
Tu lunghi non avrai giorni di pene, 

Niun de’ singulti che il paterno core 

Spezzano e il mio. Bello di membra e d’alma, 
Al tuo gagliardo genitor simile, 

Un dì sarai: ma, oh, più di lui felice ! 

Tua fama, il merto, il filiale amore , 
Compenseran colle sofferte angosce 

Suo mesto petto, e con sorrisi molti 

La solitudin mia. L’ indegno sprezzo. 
Vinceranno del mondo i tuoi be’ pregi . 


405 


Oh! dimmi tu: Quand’ io, tolta ai viventi 

E a te, sotto a quel salice un eterno 

Riposo avrò, verrai di un dolce pianto 

Ad irrorar la sepolcral mia pietra? 

Blandirai tu con memore sospiro 

L’ errante sul tuo capo ombra materna ? 

O di duol qualche stilla in su la sera 

Piover farai sulla mia gelid’ urna? 

E sconsolato, e colla fronte, china 

Su la tua mano, all’ ultimo mio vale 

Il pensier porterai? Qualche profondo 

Gemito al sordo mormorar del vento 

Mescendo, membrerai tu dell’ estinta 

Povera madre tua l’ amor, le pene? ,, 
Pria che quel fanciullin col primo sguardo 

Affissar possa e interpretar l’ altrui, 

Ella così fra sè tenera parla . 

Ma come ad allettar col caro nome 

Di madre lei, che gli diè vita, apprese 

Coll’ angelico labbro, e una pietosa, 

Lacrima sparger puote, o aprir d’ amore 

Un candido sorriso, o da sua scola 

Con seguace susurro intento pende , 

O balbettando va con giunte palme 

Le preci della sera, e taciturno 

La dolente canzone assiso ascolta, 

Che all’ orecchio gli sona, oh come allora 

Da improvviso stupor Speranza invasa, 

Con amorose luci ogni sincera 

Lacrima osserva, ogni sospiro! Oh come 

Lieta, di un’ innocente anima in vista, 

Sì conforme al suo cor, la madre esulta! 
Dov’ è l’ egro mortal, che aspre fatiche 

A soffrir nato e solitarie cure, 

Sia delle dolci vision digiuno, 

Che noverar fan nella mente i giorni 

Di fortuna miglior? Vedi! Natura 

E vita e libertà, lo sconsolato 

Occhio avvivan di lui, che in tenebroso 

Carcer si giace: e già un perduto amico, 


O un ricovrato figliuolin, da presso 
Al suo fiammante focolar sorride, 
O alla mensa d’attorno, ed una calda 
Stilla versa di giubbilo, e virtude 
Trionfa in lui de’ ricordati affanni. 
Non lo biasmar di quella pace, o fredda 
Ragion superba, nè le oscure forme 
Annichilar di un’ increata gioja,  _ tre 
Che il pigro flutto della vita incalza, | 
E amico sonno tra la notte )adduce. 

Odi! Col canto innamorata donna 
I venti sgrida, perchè tardi il legno 
Del lontano amator mandino a proda . 
Mesta di mezzo al verno ella sul lido 
La cruda onda attendea, che a lei l ignuda 
Salma recar dovea dell’ infelice. / 
E già scopria sue scolorate forme, 
E le man fredde ne stringea con gridi, 
Ed affissava le smarrite luci. 
Vedova sventurata! Invan di pianto 
La riva ella bagnò, finchè lo stanco 
Cerebro infra i tormenti ogni vestigio 
Di memoria perdè. Suo spasmo allora 
A mitigar Misericordia intenta, 
Imaginaria pace a lei concesse, 
Che attinger altri non potria dal vero. 
Allegra già sua fantasia le fibre 
Le riscalda del ‘cor: e tu, Speranza, | 
Anco i più fieri, tenebrosi sogni, 
Senza disegno alcun, grati a lei rendi. 
Spesso, quando la luna a mezzo il corso 
Giunse , e il marino solitario augello 
Più rauco stride, accamulati rami, 
A salutar la sospirata nave, 
Ch’ ella più mai non rivedrà, sul ciglio 
‘Di un’ erta rupe accende, e sempre aspetta. 
Indagiar tanto adunque (ella in cor grida: 
E a gran fatica il labbro frena) un caldo 
Amator può dell’ ocean su l’ onde ? 

Mira quel miserel, che, sempre errante, 


407 
Fausto dal mondo mai sguardo non ebbe, 
Che le altrui pene, benchè mezzo infinto , 
Sovente placa. Vagabondo i colpi 
D'’ aspro destin ‘soffrì: ma come il passo 
Ritratto egli ebbe dall’ error; favilla 
Non trovò di pietade in petto uinano. 
D’ amici privo, con dimesso volto 
Al barbaro opulento in van si appressa , 
Che disdegnoso lo sogguarda , e passa. 
In perpetuo bisogno a viver tratto, 
Dagli uomini spregiato, e senza asilo, 
Se avvien che del villaggio ei lungo il calle 
Di spinalbo olezzante, erri solingo; 
O dove attorno a umil capanna un campo 
Lussureggia di florido legume, 
O un praticello in bel pendìo si stende, 
Alla rustica porta il debil capo 
Appoggia : e in queste brame il cor solleva: 
30h! se lieto foss’ io d’ eguale albergo, 
E salute porgesse al corpo infermo 
Agreste rezzo, mentre l’ aura spira, 
E un ricovero allor che il. nembo rugge, 
Dispensar non vorrei povero dono 
Agl’ infelici, al par di me dolenti,,. 
Temprar può i guai di derelitto core 
Quel desio generoso: ed oltre assai 
Porta del meschinel Speranza i voti. 
Quando, o Speranza, del destin gli oltraggi 
E le sventure de’ mortali io piango, 
Di un beato avvenir gl’ immensi campi 
Mostran lieti al mio spirto i tuoi presagi. 
To di natura, che giammai non posa, 
Contemplo allor le rapidissim’ opre, 
Ed il futaro nel passato intendo. 
Vieni, deh vieni, o splendido Progresso, 
In sul carro del Tempo, e il vasto mondo 
Reggi da clima a clima. Ogni deserto, 
Squallido lito cercheranno |’ arti, 
Ancelle tue, trascorreranno ogni onda, 
Ed apriran sovra ogni spiaggia i solchi. 


408 
i Dell’ Eri su le ripe; ove la tigre 

Famelica sì aggira, e orrendo intuona 
Carme di guerra il formidabil Indo, 

E umane Furie ad eseguir converse 
Notturne opre, di tiepide cervella 
‘ Stillante impugnan micidial coltello, 

Là errando andran su pascoli di timo 

Armenti var], e al nascer dell’ estiva 

Alba i pastori intrecceran carole. 

Stupefatto le splendide magioni 

Contemplerà dell’uom ogni vagante 

Genio del piano, e de’ selvosì monti 

Lungo le cime romperà con alto 

Suon la campana del villaggio attorno 

Il silenzio de’ campi. Entro le cupe 
Foreste della Libia, insanguinate 

Da infami riti, onde si oscura il sole, 

Le scellerate man dell’omicida 

Frenerà Veritade, e in fuga il crudo 

Obi ne andrà. Già il vel si squarcia: e dove 
Dell’ aspra Scizia per le fredde balze 
Errando vanno barbare masnade, 
Misericordia e Verità, congiunte 

A Libertade, troveran ricetto. 

Dai liti di Guinea sino alle orrende 

Miniere di Siberia, ovunque geme 

L’ avvilita natura, e sangue gronda 
(Immensa. tenebria! ), la viva luce 
Penetrerà del vero, e il duro metro 
Amnienterà di disperata vita . 

Ascolta! I ferrei ponderosi ceppi 

Lo schiavo gitta, e già le forme prende, 
Che a lui concesse Iddio. Fero gli avvampa 
E vivo il foco del valor negli occhi, 

E più sovrana qualitade assume 

D’ uomo allor che più libero diventa . 

MICHELE LEONI. 


4og 
‘ IL Capmo . Poema ni P. BAGNOLI 


Dell’ uso della Mitologia ne' poemi moderni 


Ma volentieri ci diamo a credere che il genio dell’uo- 
‘mo riceva un irresistibile impulso verso uno scopo de- 
terminato, secondo la diversa natura dell’aria o della 
terra nativa; pure nell’ esaminare lo stato e i progressi: 
delle scienze e delle lettere ne’ vari paesi inciviliti della 
Europa ci è forza il riconoscere che alcuni di questi 
hanno mantenuta sugli altri,una costante superiorità în 
qualche ramo di quelle, e fanno apparir vera l’idea e- 
sposta dall’autore del Cadmo che ogni musa abbia im- 
preso a favorire in particolar modo una delle culte na- 
zioni Europee. È 
Senza pertanto esaminare i diritti che potesse avere 
alcuna di queste e più d’ogni altra l’Italia al patrocinio 
dì più d'una musa, certo si è che Calliope ha stabilito 
in questo paese il suo regno, e se alcuno senza neppure 
penetrare col guardo al di là delle tenebre del medio 
evo per ricercare le opere de’ Latini, si faccia a conside- 
rare il numero de’ poemi che in ogni secolo dopo il ri- 
sorgimento delle lettere , e in ogni parte d’Italia sono 
stati composti, dovrà pur dire col N. A. 
Quel dolce ciel, chi lo respira tiene 
Ardor d’ epico canto entro le vene. 
(canto IX OTT: 16) \ 
E in questo secolo ancora ha l’Italia intuonato il 
suo Carmen seculare alla Divinità de’ suoi canti, ed ha 
presentata alla medesima non dispregevole offerta con- 
sacrando sulla sua ara le cetre del Bagnoli, del Ricci, e 


dell’ Arici; pure se dobbiamo liberamente svelare l’ ani- 
T. VI. Giugno , 27 


410 
mo nostro, non sappiamo quanto sia per accrescersi con 
le opere di quelli la gloria della letteratura Italiana, e 
dubitiamo se in luogo di queste novelle Epopee, non 
averebbe la musa udito piuttosto ripetersi qualche canto 
del Tasso e dell’ Ariosto, come tar solevasi di quelli di 
Omero alle solenni PIRCARS di Minerva. 

Già lungo tempo prima della pubblicazione del Ca-: 
dmo ne ragionava perl’Italia la fama; vari squarci sparsi’ 
fra i letterati avevano fatto giudicare che quel poema 
doveva abbondare di bellezze, e l’impaziente aspettati-. 
va del pubblico di vederlo apparire alla luce, era stata 
delusa più volte, e più si era accresciuta da una tale de- 
lusione. Finalmente comparve il Cadmo, ma per quanto, 
possiam giudicare, ne sembra che non appieno corri. 
spondesse. alle concepite speranze; e considerando come 
ciò avvenisse, abbiamo creduto ritrovarne varie cagioni, 
delle quali si vogliono da noi ripetere le più principali 
dalla scelta dell’argomento, dalla disposizione del piano; 
e dallo stile di questo poema, alle quali cause che si 
fanno per se medesime manifeste alla generalità dei let- 
tori, aggiungeremo che per ciò che riguarda i letterati, 
deve togliere non poco pregio all’ opera l'imitazione in 
vari luoghi troppo servile e poco giudiziosa di altri poe- 
ti, e principalmente dell’ Epico mantovano. 

Non però intendiamo in questo luogo di ragionare 
di ciascuno di questi difetti, perchè i nostri limiti non 
lo comportano, ma mentre siamo pronti ove l’ occasione 
il richieda di mostrare all’Autore e al pubblico che non 
li abbiamo accennati senza giustà cagione, vogliamo in 
questo luogo discorrere solamente del primo, come di 
quello che ci porgerà occasione nel nostro discorso di 
far parola di alcuni ponti, che non poco interessano la 
moderna poesia . 


411 

. Se riprendiano la scelta dell’ argomento è nostro 
desiderio che s’intenda che non lo condanniamo per se 
medesimo, ma perchè ci sembra poco adattato alle. for- 
me dell’ Epopea . Se il soggetto principale fosse stato 
lo stabilimento della cultura in Europa, grande sareb- 
be stato e magnifico, come quello che in se abbracciando 
un quadro dell’ origine e dei progressi :dello scibile uma- 
no, e diremo pure della storia dell’ uomo dallo stato di 


natura al più alto grado di civiltà, doveva come il Ba- 


guioli l’ osserva interessare tutta la culta Europa; ma 
questi quadri non formano propriamente l’ argomento 
del Cadmo, che è costituito dalla presa di Tebe ; essi 
non: vi sono introdotti che \episodicamente, e mentre 
avrebbero potuto porgere ampia materia a nobilissimo 
poema didascalico; perdono molto del loro lustro, non 
servendo che all’ adornamento d’ un poema eroico. 
Sarebbe facile il far sentire quanto sia per se stessa 
da riprendersi l’ unione di due generi di poema del tutto 
distinti, e qnante cattive conseguenze ne siano derivate 
in questo del Bagnoli ; ma non vogliamo far di questo 
esame il soggetto del nostro discorso, perchè più cadreb- 
be in acconcio il farlo, qualora dell’ érdine del poema 
ci occorresse di favellare. Intendiamo qui di riprendere 
il Bagnoli per avere scelto un soggetto antico,in cui gli 
convenne necessariamente far uso per macchina del 
maraviglioso mitologico (1) e per non avere poi saputo 


(1) Diciamo necessariamente perchè crediamo la macchina 
esser: quasi indispensabile in un poema epico, perchè come lo 
hanno osservato sommi maestri e fra gli altri il Zanotti, il poeta- 
non solamente rappresenta le azioni degli uomini, come frutto del 
loro proprio consiglio come fanno gl’istorici, ma sibbene come mossi 
da quell’ influenza che gli Esseri superiori esercitano negli av- 
venimenti del. mondo. Nè a coloro che abbracciano contraria 


124 
servirsi di questa macchina come si conveniva alla di- 
guità del poema; e più condanniamo l’ argomento come 
tratto da un’ epoca troppo remota e ingombrà di favo- 
le. Esso ci trasporta in un mondo che non ravvisiamo 
per quello che adesso abitiamo, ci presentà degli esseri 
che non possiam darci a credere fossero nostri maggiori, 
e ci pone come un viaggiatore fra le rovine dell’ egizia 
Tebe, in mezzo a degli oggetti giganteschi, che ci em- 
piono di meraviglia, ma non molto c’interessano, e 
colpiscono il nostro spirito senza muover gli affetti del- 
l’animo nostro. Forse simili idee si affacciarono alla 
mente del N A. e volle per ciò giustificare la scelta 
d’ un argomento sì antico; dicendo che « per continua 
serie sì congiunge alle cose nostre e che l’antichità d’ o- 
rigine non lo distacca da noi più di quello del Paradiso 
perduto. » Ma noi siamo di contraria sentenza ; impe- 
rocche quantunque l’ argomento del poema di Milton 
appartenga a un’ epoca molto più remota di quella in 
cui visse Cadmo, è per altro molto più strettamente a 
noi congiunto . Non troviamo in quello una natura sel- 
vaggia, ma bensì un terrestre paradiso, non uomini fe- 
roci o mostruosi, ma due esseri ne’ quali ammiriamo il 
capo d’ opera della Creazione, e da’ quali ci è grato il 
pensare, esser noi pure discesi; non agiscono in quello 
assurde divinità che alla ragione ripugnano, ma vi agi- 
sce un Dio che opera tuttora fra noi; e se gli Angeli 
delle tenebre che vi riscontriamo sono esseri in parte 
creati o almeno esagerati dalla imaginazione poetica , 
non pertanto cessano di far sì che ci sentiamo assaliti 
da un certo fremito religioso nel vederli introdotti in 


sentenza, può recar molto appoggio l'esempio di Lucano, per- 
chè |’ argomento della Farsalia era troppo vicino ai tempi del 
poeta, da lasciargli libero campo a far uso del maraviglioso. 


413 
azione. A queste considerazioni si aggiunge che l’ ani- 
mo nostro nutrito già dall’ infanzia nella dottrina delle 
sacre storie, sente con maggior forza il vincolo che le 
congiunge a noi; e dall’ abitudine di contemplarle ci 
vengono a sembrar più vicine trovandone chiara e non 
interrotta la serie ; mentre nelle antichità profane ‘in- 
contrandosi ad ‘ogni passo tenebre'e assurdità, l’ oscuri- 
tà de’ tempi: guida alla incertezza deile epoche, e siamo 

indotti a rappresentarci il mondo favoloso, come tanto 
da noi remoto per lunghezza di tempo, quanto lo è per 
diversità di natura . 

Temiamo che in questi tempi ove il sistema ro- 
mantico occupa tanto i critici, possa taluno accusar noi 
pure di romanticismo per questi nostri pensamenti , e 
ciò principalmente temiamo per parte di coloro, i quali 
stabiliscono una differenza essenziale fra .il genere clas- 
sico 0 il romantico, in ciò che il primo commenda l’uso 
del meraviglioso mitologico, ed il secondo quello del me- 
raviglioso fondato sui dommi della nostra Fede, misti 
alle idee superstiziose di secoli non molto lontani dal 
nostro. Quantunque questa distinzione sia da noi stima- 
ta erronea, come quella che si appoggia sopra una mal 
intesa imitazione degli antichi, pure siccome l’ autorità 
del Bagnoli potrebbe indirettamente tendere a convali- 
darla, ci crediamo in dovere di dire alcune parole sopra 
un soggetto, che è intimamente congiunto a quello del 
nostro discorso. 

Noi non siamo per modo alcuno amanti dello stile 
romantico, e gli scritti de’ due fratelli Shlegel (che: pure 
ammiriamo per l’erudizione somma; e per le idee nuove 
e luminose che vi si trovano sparse) noù ci hanno mai 
fatto nascere desiderio; che la letteratura italiana si ar- 
ricchisse di altre opere che: di quelle create dal genio dei 


414 È 
nostri scrittori, rinvigorito da quello degli aurei Aneitoi 
dell'antichità; ma nondimeno rispettiamo 1’ opere degli 
ingegni, straordinarj qualunque neosia il nomee la for- 
ma; nè possiamo persuadercìi. che.il.sistema romantico 
possa interessare la sola plebaglia ; cheisola presta fede 
alle superstizioni ch. esso propone come mezzi idi mac- 
chine; e non troviamo hei grandi artisti moderni esem> 
pi tali da abbattere la nostra opinione) o da prestare up*. 
poggio a coloro; ché sono di:contraria sentenza... 

Già molto prima:che la divisione d’ ogni letteratu= 
ra in classica e romantica fosse introdotta da’ moderiti 
critici tedeschis,;molti dotti avevanò condannato |’ uso 
delle forme mitologiche nella nostra;:poesia;; e il Tasso 


| 


nei suoi, discorsi dell’ arte poetica aveva chiaramente 


mostrato quanto male si, adattassero a; poema imoder- 
n0,. E non sono al certo dovute a queste le bellezze del 
poema di Milton, e quelle ancor più sublimi del Messia 


ge si di : 3 ’ 
di Klopstok, enon è desso che eccita:ammirazione ed en- 


tusiasmo ne’. canti dé’ moderni bardi dell’ Inghilterra. 
Che se questi sono romantici, e così pur sono, chi dirà 

che i Gen} che: li crearono), scrivessero: per V angolo 
. oscuro della plebaglia? e chi dirà che per questo ango» 
lo oscuro scrivessero;e Alighieri, e.l’Ariosto, e il Tasso 
che purnon fecero uso per macchina di esseri mitologi» 
ci? Nè s'incontrano le divinità de’ gentili mella Eainihi 
de, e la Lusiade deve adiessi i suoi difetti e non i suoi 
: pregi; sono quasi dimenticati i poemi del biitniia e 
‘del Petrarca; e il Sanazaro per aver introdotte nel suo 
poema:antiche divinità, e il Trissino per averne troppo 
imitata la matura ne vengono con buona pace del Gra- 


vina (d’.alironde critico sagacissimo) biasimati. a ragio= 


. ne. Entranoiqueste, forse!(per tacen di molti altr Ai 
nella cantica Basvilliana;.0{nei poemi del Ricci, e del 


\ 


RE 


415 

l’ Arici ? . . Questa sarà forse una enumerazione molto 
imperfetta de’ grandi artisti moderni; e invero ci resta 
da nominare il Bagnoli, ma ci facciamo lecito di dubi- 
. tare se l’ esempio di lui sia per aver tanta forza da in- 
| Goraggiare altri poeti a seguirlo. Certo sì è che se uno 
 de’.grandi oggetti della poesia, è quello d’ interessare e 
di muovere gli affetti , saranno questi massimamente 
eccitati da quelli oggetti che più si.conformano ai no- 
stri princip), ai nostri costumi, e diremo pure ai nostri 
pregiudizj medesimi. . 

Che se taluno chiedesse perchè tanto c’ interessano 
i poemi d’ Omero e di Virgilio , i quali pure ci traspor- 
tano in un mondo diverso dal nostro , e fanno uso del 
meraviglioso mitologico, risponderemo che oltre che gli 
argomenti dell’ Iliade e dell’ Eneide sono meno antichi 
e meno favolosi, oltre che il maraviglioso vi è usato con 
maggior proprietà che nel Cadmo, quello che tende a 
interessarci in que’ poemi è che tutto vi sì trova uni- 
forme; tutto vi ha V impronta dell'antichità non esclu- 
sala lingua; cosichè l'illusione della mevte che dalla 
maestria del poeta vien trasportata ne’ secoli antichi, 
non è mai interrotta, e molto meno distrutta ; il che 
non avviene al Cadmo ove siamo ad ogni momento 
rammentati dal poeta ch’ egli non è altro che un dipin- 
tore moderno di cose antiche, e che siamo da lui chia- 
mati soltanto ad essere spettatori de’ suoi quadri, e non 
a prender parte alle azioni che vi si rappresentano. 

E di qui potrà ognuno facilmente comprendere 
che se ci mostriamo poco favorevoli all’ uso della mi- 
tologia ne poemi moderni, non è già che vogliamo per 
questo chiudere assolutamente al'genio il vasto campo 
dell’ antichità . Anzi se taluno che si senta acceso d’ e- 
pico ‘ardore; non:abbia però forza bastante da sollevarsi 


416 
colle ali della religione a quella sublimità che richie 
desi per trattare un argomento, in cui faccia d’ uopo 
introdurre degli esseri velati in parte dai misteri della 
Fede, scelga pure antichi argomenti; ma li tratti an- 
cora come si conviene appunto alla loro antichità , ed 
a conseguire questo scopo essenziale ripetiamo non do- 
ver essere l'argomento tanto da noi disgiunto da pre» 
sentare degli esseri, che facilmente non occorrono al no- 
stro spirito. Se il poeta vuol trasportarci ne’ tempi an- 
| tichi , sia egli primo a recarvisi, dimentichi i proprj 
costumi, e quelli della nazione cui appartiene; s’investa 
delle idee de’ gentil, sottometta gli uomini alle loro Di- 
vinità; stenda un velo sull’ aspetto della moderna na- 
tura, e solo abbia innanzi l'antica; ma non si attenti mai 
a descrivere ciò di che non può formarsi egli stesso idee 
chiare, nè speri che la sua descrizione sia per aver mag- 
gior forza sopra lo spirito degli ascoltatori, di quella che 
non ne abbia avuto sul suo la propria imaginazione; per- 
ciò avremmo voluto che il Bagnoli non avesse introdotti 
a combattere fra gli uomini Centauri e Silvani, o se pure 
voleva in questo mostrarsi meno filosofo di Lucrezio, il. 
quale aveva detto 
. « neque Centauri fuerunt, neque tempore in ullo 
Esse queat duplici natura ec. Ù 
doveva almeno conservar loro quelle qualità che soglio- 
no comunemente ad essi accoppiarsi; bisognava non 
mai perdere di vista che eran la progenie di quel 
Tovoy ùrEpPiaAor; 
4 dipiilorani Pievodp 
pos yspaoPopov, 87° Ev Feiv voor. 
Ma il Bagnoli all’ incoutro forma un episodio delle loro, 
amorose tenerezze, come se fossero ninfe e pastori, il, 
che ripugna al costume. «Jmperocchè ci riesce difficile il., 


417 
supporre in quei mostri tanta intensità di dolci affetti, 
quale s'incontra in animi gentili. 

E in quanto agli Dei, chi negherà doversi dal poeta 
di cose antiche dare a quelli la natura stessa che loro 
attribuivasi dai pagani, e assegnare ai medesimi non 
‘ poca parte negli avvenimenti degli uomini, e questa in 
proporzione appunto della grandezza di quelli? E chi 
mai riconoscendo questa verità, non sarà. al tempo stesso 
costretto di confessare che contro di essa ha peccato il 
Bagnoli ? 

Trasportiamoci nella Beozia ; qui si vede Tebe as- 
sediata: ivi è il campo. di Cadmo; non lontano è l' Olim- 
po sede degli Dei. Dall’ esito della guerra dipende il 
‘trionfo della\civilià sopra la barbarie, o di questa su 
quella. Ora quali Divinità prendono parte a contesa si 
grande? Qual Dio combatte per i Tebani, e quali per 
Cadmo? Giove che si è poco fa imparentato con questi 
dovrebbe essergli favorevole; ma cosa è mai il Giove del 
Bagnoli? È un essere inattivo che non ha neppurein mano 
le folgori, mentre Orione ne fà uso liberamente per afflig- 
gere gli amici di Cadmo. E chi crederà mai che il Giove 
fulminatore d’ Omero non osasse ai tempi di Cadmo 
saettare egli un Sisifo, ma mandasse la folgore per mezzo 
d'un aquila a Calliope perchè questa poi la lanciasse? 
Nettuno lascia turbare il suo regno; ma che potrebbe egli 
fare se non ha nemmeno il tridente, trovandosi questo 
pure fra le mani d’ Orione ? e quale ammiratore degli 
antichi non sentirà sdegno nel vedere così disarmati i 
due numi più possenti da quel selvaggio mostro? Ben 
più di lui valeva quella Dea che aveva suscitati i venti 
contro le navi di Enea; eppure tacquero questi e si ri- 
compose il mare al comparire di Nettuno, e non potè 
Giunone opporsi a un tanto Dio; ma questi lascia qui 


418 

ad Anfione la cura di rasserenare le tempeste. Febo 
non ha altro ufizio che di mostrarsi in cielo sul suo bel 
cocchio; Marte pare che non fosse a quei tempi Dio 
della guerra; e a Minerva e a Venere non si allude, se 
ben ci ricorda, che per fare delle similitudini poetiche. 
Si dirà che le Muse fanno l’ufizio di divinità superiori, 
e vediamo in fatti Calliope stendere uno scudo celeste 
sopra di Cadmo; Urania animare Anfione a calmare le 
procelle, ed Erato annullare le arti di Nefelio; la Musa 
dell’ Epopea è ancora ferita da Sisifo come Marte e Ve- 
nere lo furono poi da Diomede, ma ottiene da Giove 
più pronta riparazione del sacrilegio che non l’ottennero 
quelle due Divinità. E tutto il coro delle Muse sì mostra 

in una visione a Cadmo, pugnando per esso e mettendo 
in fugai mostri che difendevano Tebe. Ma ben altri 
‘ Numi erano quelli che presero parte alla guerra di Troja, 
e ben altra visione fu quella che ebbe Enea, quando si 
ravvolgeva tra le fiamme che la consumavano. Qui' poi 
le Muse fanno di tutto, e le vergini d’Elicona sono an- 
che pronube alle nozze di Cadmo e d’ Ermione; alle 
quali compariscono tutte le Divinità del cielo come le 
fingono i moderni coreografi 

tutti in vari posti 
Sopra le rosee nuvole ciascuno, 
Siccome in pompa trionfal disposti. 
(cant. xx. 153) 

Pure il Bagnoli sembra ‘attribuirsi a lode di avere così 
disposta la sua macchina (2) e di avere meglio' d’ ogni 


(2) », Sono le Muse; dice il. N. A., figlie di. Giove, ond’esso 
pure entra nella macchina fino alla .prima causa, non ignorata, 
dai Pagani sotto nome di Fato o di miglior Natura, ec. ,, Con- 
POR I ingenuamente che que parole ci sono sem pre riusci- 
fe RRRTOAITATE 7 stori i sui 


ABConit RIT | 419 
saltro poeta saputo porre in azione quelli esseri allego- 
rici che compongono il suo Antiparnasso . Ma senza di- 
.scutere dei meriti del N. A. daremo invece del nostro il 
. parere d’ano de’ più dotti critici moderni (3) il quale 
così si esprime : 
«Quanto ai personaggi allegorici come la Fama, la 
Discordia I’ Amore e simili, può ‘affermarsi con sicurez- 
.zaxche formano la peggior macchina di tutte quante. 
Nelle descrizioni si possono qualche volta permettere, e 
servono di abbellimento, ma non sidee permetter mai 
‘che abbiano veruna parte all’azione del poema - Impe- 
rocchè essendo meri nomi d’ idee astratte , a cui niuna 
immaginazione può attribuire un’ esistenza personale , 
“se mescolati si veggono. fra gli umani attori, ne nasce 
un’ intollerabile confusione di ombre e realità , e tutta 
la consistenza dell’azione è affatto distrutta. « 
E un'altro dubbio proporremo al poeta : Se tutto 
. lo scioglimento del nodo del poema stà nell’ arbitrio di 
| Divinità secondarie, non dovrà inferirsi che l’ impresa 
di Cadmo non era da tanto che si meritasse l’ attenzione 
degli Dei dell’Olimpo? Non possiamo diversamente sen- 
tire, e stimiamo ‘esser questo non lieve difetto nella 
composizione del poema. io. 

‘w Ma:giacchè abbiamo ‘parlato degli esseri soprana- 
turali del Cielo e della ‘Terra; non. possiamo impedirci 
dall’ osservare qual imperfetto compendio dell? Inferno 
di Virgilio ci offra il Bagnoli . E vogliamo soltanto con- 
siderare questa imitazione sotto'un punto di vista filo- 

. sofico e non letterario. E’ stato osservato quanto appa- 
risca «la: differenza delle idee religiose e filosofiche dei 


(3) Blair, Lezioni ‘trad. dal Soave 


420 
tempi d’ Omero e di quelli di Virgilio , dalla diversa 
pittura che ci offrono del soggiorno delle anime dopo la. 
morte , ed ha riscosso lode l’ autore del Telemaco: per 
avercene presentato un nuovo quadro meglio disposto e 
abbellito secondo i dettami di una più pura morale , e 
di una più sublime Filosofia; ma questa lode non si è 
meritata il Bagnoli nella sua descrizione. Ne ci si oppon-. 
ga che Anfione avendo vissuto prima d’ Omero non po- 
teva avere delle nozioni più esatte intorno all’ Inferno 
di quello che ne avessero Omero e Virgilio; imperocchè. 
se il Bagnoli voleva adattarsi alle idee di quei tempi, 
doveva imitare il primo e non il secondo, ma egli non 
volle farlo, perchè ciò si sarebbe male accordato col ri- 
manente della Filosofia sparsa nel suo poema. E v° è pu- 
re un’altra considerazione di non lieve momento, cioè 
che Anfione era un cantore divino am maestrato da Ura- 
nia , onde > poteva da questa aver apprese molte, più cose 
che non seppero mai Omero e Virgilio. In quanto a noi 
non avendo ritrovato fino al canto XVII alcun cenno 
del Tartaro o degli Elisi, e pieni l'animo delle bellezze 
della sede delle Muse, e degli orrori dell’Antiparnasso, cì 
era caduto in mente che il Bagnoli intendesse di far della 
prima il soggiorno degli eletti, e del.secondo quello dei 
dannati ; e forse che non sarebbe stato questo un:cattivo 
pensamento . Ed invero leggendo Virgilio ci è più volte - 
occorso: all’animo non essere stata felice idea quella di 
far passare le anime dei buoni per quell’ingresso mede- 
simo per il quale passavano i malvagi, fra le tenebre. e 
il fumo, frammezzo a mostri e ad altre disgustose perso 
nificazioni, e tragittando;sopra una barca ‘medesima; e 
più ci Sesghfià piaciuto che per veruna parte della via 
dolorosa non si accompagnassero con gl’iniqui i giusti; 


har 
ma che già dalla tomba divergesse la via del premio da 
quella delle pene. E questo scopo avrebbe potuto facil- 
mente conseguirsi în questo poema . (4) 

Molto ancora ci resterebbe da dire su questo sogget- 
to; ma poichè stimiamo aver bastantemente mostrato 
che il Bagnoli non ha fatto della macchina quell’ uso che 
all’ argomento si conveniva , gia si è per noi sodisfatto 
al nostro proponimento, e il voler prolungare con cita- 
zioni quesio discorso sarebbe opera altrettanto odiosa 
per se medesima, quanto tediosa ai lettori, e repugnante 
all’ animo nostro; imperocchè potrebbe sembrare esser 
noi mossi da spirito ostile, mentre per l'opposto sti- 
miamo moltissimo 1 autore del Cadmo, ed ammiriamo 
il suo genio, e gli porgiamo Je dovute lodi per le molte 
bellezze che ha sparse nel suo poema. 

Ma se l’analisi di queste ha somministrati non po- 
chi articoli a questo giornale, non potrà certamente do- 


(4) Avevamo almeno osservato con piacere nel Canto XVII. 
che il Bagnoli non era caduto nell’ errore di giudizio in che cad- 
de Vigilio il quale fa che Flegia predichi ai morti 

Discite justitiam moniti, et non temnere Divos 
sentenza che meglio si dirige da Anfione ai viventi: 
apprendete 
Giustizia o genti e a non sprezzar gli Dei 
(XVII. 12) 
Ma ci era uscito di mente che Flegia viveva ancora, e nel can- 
to seguente udiamo ch’ egli venne fulminato e precipitato nel 
Tartaro 
Onde or tra l’ ombre del profondo Averno 
Alto con voce dolorosa e grama, 
Ad esser giusti e a non vi prender scherno 
D’ un Dio da me imparate indarno esclama 
V’ è stato chi ba difeso Virgilio con dire che non era l’ Infer- 
no, ma una celebrazione di misteri ch’ egli descriveva. Potrà 
il Bagnoli valersi di simile scusa ? 


422 
lersi il Bagnoli di trovarnè uno ancora di onesta critica; 
nè disgradevole al pubblico speriamo che riesca 1’ opera 
nostra, perchè se si consideri che il Cadmo è il primo 
gran poema epico che dopo il risorgimento delle lettere 
tratti d'un argomento puramente mitologico, ben me- 
ritava che da noi si togliesse occasione di discorrere so- 
pra un genere di poema in certo modo nuovo per la 
letteratura italiana . * OTO 


SCIENZE MORALI e POLITICHE. 


Discorso del sig. MArre-Bruy alla Società DI 
GEOGRAFIA IN PARIGI sui mezzi di promuovere 
con metodo gli studj geografici. 


A nessuno dei nostri lettori è ignota ')’ esistenza , 
quantunque recentissima , della Società di Geografia in 
Parigi (1). Suo scopo è l’incoraggimento e la direzione 
di quegli studj, che si riferiscono alla scienza, da cui 
ella s'intitola. Gli uomini più dotti di tutta la Francia 
in tal:genere di st&dj vi sono ascritti; quelli del restò 
d’ Europa anzi del mondo saranno fra poco suoi corri- 
spondenti. La riunione dei loro lumi in un centro co- 
mune promette un’ immensa luce ; e gli effetti di questa 
non possono essere che benefici per tutte le parti dell’ u- 
mano sapere. La fisica , l’astronomia, la morale, la 
letteratura, le arti hanno, ciascuna, relazioni più o 
meno strette colla scienza geografica; e quindi un inte- 
resse ne’ suoi avanzamenti. Ma, fra tutte le sollecitudini 
atte a promoverli, la più importante è forse quella di 
additare con precisione alla scienza medesima il punto- 


(*) Vedi Ant. vol. IV. p.:368, e vol. V. p. 369. 


i 423 
in cui di mano in mano si trova;, lo spazio che le resta 
a percorrere, la via che deve tenere, gli ajuti di cui 
può in essa giovarsi. Intorno a quest’ argomento si aggi- 
ra il discorso, che il sig, Malte-Brun lesse nella seduta 
del 15 febbrajo alla Società di Geografia, della quale è 
segretario generale , e inserì poscia nel fascicolo 26 dei 
Nuovi Annali de’ Viaggi, della Geografia, e dell’ I- 
storia. Esso ci è sembrato , nella sua brevità, di tanto 
pregio, che gli associati all’ Antologia dovessero saperci 
grado della nostra premura di presentarlo alle loro 
considerazioni. 


SIGNORI 


» Lo spirito che anima le società scentifiche, onde 
riuscir giovevole , ha uopo d' esser diretto da un’ altro. 
spirito non meno prezioso; e questo è il buon metodo . 
Se tali società, qualunque sia la loro particolare deno- 
minazione, si trovano spesso magnifiche in promesse, 
e povere in effetti; non ad altro si ascriva che all’oblio 
del principio da noi accennato. Perciocchè or esse mal 
definiscono l'oggetto che si propongono, comprenden- 
dovi troppe cose od escludendone altre, che ne sono 
inseparabili; ora dopo averlo ben definito, non curano 
la necessaria regolarità ne’ mezzi di conseguirlo ,, non 
sanno guardare con occhio largo abbastanza gli attuali 
bisogni della scienza, che vogliono coltivare o incorag- 
giare ; e quindi tracciarsi un piano di studj corrispon- 
dente. Qual meraviglia adunque che non seguano se non 
impulsi momentanei , spesso imprudenti o vani o dan: 
hosi; e non abbiano altra miglior guida che le ispirazioni 
individuali, da cui può venire qualche picciolo bene , 
ma non mai un bene grande e compito? ». 

« Se qualche cosa nvi dobbiamo temere è quest’ul- 


424 
tima; e poichè l’evitarla è importantissimo, non vi 
dispiaccia udire la seguente proposta, che sottometto al 
vostro giudizio: , 

3 La delegazione centrale della Società farà di- 
stendere e pubblicare un’ Zstruzione generale sulle 
mancanze che ancor presenta la geografia, e i mezzi 
di empirle; distinguendo accuratamente quelle per cui 
possono bastare viaggi poco dispendiosi, e quelle , per 
cui non è uopo che di fatiche sedentarie; e aggiugnendo 
una Serie di domande così generali che particolari in- 
torno alle diverse parti della geografia, perchè ser- 
vano di norma a chi volesse offerire scritti inediti, o 
indicare soggetti di premio. 

,» Redattrice dell’ istruzione sarà una delegazione 
| speciale di cinque membri. 

,» Tutti gli altri, che compongono la società, sa- 
ranno pregati di trasmettere a questa delegazione le 
note che credessero opportune ; e qualunque o massima 
o domanda venga ammessa , porterà il nome del: suo 
autore. 

, La proposta sarà discussa e , piacendo, ne sarà 
ordinata l'esecuzione in quella seduta generale della 
central delegazione, che seguirà immediatamente l’as- 
semblea generale del mese di marzo (2) ,,. 

,» Ora debbo supplicarvi d’attenzione indulgentis- 
sima per tutto quello che verrò dicendo a spiegazione 
della proposta medesima, che parmi toccar sì da vicino 
gli interessi e quasi la vita della nostra società . 

; Noi abbiamo uno scopo determinato , quello di 
accrescere il tesoro delle più sicure notizie intorno al 
globo che abitiamo e ai popoli, che se ne dividono il 


°(*) 4. Aprile. - 


425 
possesso; e di accelerare il giorno, in cui l’uman gene- 
re possa dir veramente di conoscere la sua dimora , e 
di conoscere sè stesso. 

33 Due mezzi debbono condurci a sì nobile fine ; 

il coraggio de’ viaggiatori da noi eccitati , sostenuti, di- 
retti; e la dottrina degli scrittori, di cui siamo per co- 
ronare le memorie , e rie K opere e le relazioni 
. inedite. 
», Nulla di meglio, però, onde trarre da questi 
mezzi la maggior possibile utilità , che il tracciare una 
generale istruzione sui bisogni attuali della scienza geo- 
grafica . | 

», 1 viaggi ne’ paesi sconosciuti sono il principale 
oggetto de’ nostri voti, de’ nostri sforzi; delle nostre 
speranze. Noi non dubitiamo di vederle adempite. La 
delegazione ci presenti un progetto ben ragionato, un 
viaggiatore capace di eseguirlo ; e non ci mancheranno 
soccorsi possenti anche a costo di sacrifici generosi. Gli 
uomini istruiti d’ ogni elasse avranno a gloria il som- 
ministrarli : all’ amore delle scoperte sorriderà l’ istesso 
amor proprio, bramando ciascuno di dare il suo nome 
ad una montagna, ad una baja, ad un punto qualunque 
del nostro globo. 

» Mataleentusiasmo si dileguerà facilmente, ove 
non sia diretto da vedute scientifiche, da prudenza, da 
metodo; ove, fra molte imprese possibili, noi non abbia- 
mo l’accorgimento di scegliere le più proporzionate alle 
nostre facoltà , le più sicure pei progressi della geogra- 
fia; le meno soggette à rischi così spesso funesti per le 
| nascenti società. Qualche esempio farà chiaro il nostro 
peusiero . 

3, Gli occhi del mondo sono intesi alla grande spe- 


dizione polare del capitano Parry. Qualunque possa es- 
T. VI. Giugno 28 


426 i 

serne la riuscita , egli avrà meritato certamente |’ am- 
mirazione e la riconoscenza de’ geografi. Ma il nostro 
secolo ingrato potrebbe egli obliare il viaggio meno 
clamoroso ma non meno utile dell’intrepido Mackenzie? 
Quasi solo , in una fragile barca, questo cacciatore tra- 
versa due volte l’ immensa estensione dell’ America 
settentrionale, approda alle rive del grande Oceano, 
giugne a quelle di un mare presso il polo, si assicura 
che per trovare un passaggio fra settentrione e ponente 
è uopo rivolgersi a latitudini più elevate che il sessage- 
simo nono parallelo. Quanto i suoi mezzi erano piccioli 
in paragone delle sue scoperte! Non possiamo noi avve- 
nirci in qualche ardito cacciator canadese , il quale si 
slanci al di là del fiume di Mackenzie, e vada a rapire 
alcuni di quegli allori, ch’ egli cerca di mietere in mez- 
zo a ghiacci eterni? 

»» Se voi preferite imprese di riuscimento quasi 
certissimo , guardate all’ ampia terra di Labrador, po- 
sta sotto le stesse latitudini della Gran- Brettagna , e in- 
ternamente quasi affatto deserta. Costerebbe forse molto 
l’inviare un viaggiatore europeo a Terra Nuova, d’onde 
passerebbe facilmente a Nain, ove sono stabiliti i fra- 
telli Moravi, sulla costa di Labrador ? solo ch'egli, par- 
îendosi da questo punto, camminasse verso l’ occaso 
ogni passo gli varrebbe una scoperta. Direi altrettanto 
riguardo alla nuova California, il percorrere la quale 
sarebbe di picciolo pericolo e di grandissima istruzione, 
se, nell’ odierno suo stato, non credessi più giovevole 
che si eccitassero a qualche buon tentativo i missionarj 
spagnuoli, padroni di tutta la costa marittima. 

,» Quante opportunità le navigazioni commerciali 
non forniscono al viaggiatore privato, ma abile e co- 
raggioso, per fare scoperte importantissime? I governi 


427 
cercano con grande spesa di aprire una communicazione 
colle contrade irrigate dal Niger, e colla misteriosa città 
di Tombuctù, la quale cangia nome in ogni relazione, 
ma che , grazie alle ricerche d’ uno de’ nostri colleghi , 
più non cangerà posizione sopra le carte. Certamente 
per un semplice privato la probabilità di penetrare in 
quelle regioni, di cui la barbarie vieta l’accesso, è de- 
bolissima. Ma ow egli s' imbarchi a Nantes ovyero a 
‘Bordeaux su alcuno de’ navigli, che frequentano il Rio 
Formoso 0 ‘il, Galabar; ove, per un anno, ardisca 
soggiornare nel Benin; ove esamini il Delta, vero o 
supposto, che la costa presenta; ove rimonti, un centi- 
nujo di leghe soltanto ,,i fiumi che vengono a mettervi 
foce; egli avrà pur reso un servigio rilevantissimo alla 
geografia , 0.dissipando una grande illusione ; o compien- 
do una grande scoperta. Somiglievole speranza si offre 
agli armatori illuminati e intraprendenti dell’ isola di 
Bourbon. Le coste orientali dell’ Africa sono, per così 
dire , alle loro porte. Essi contano fra i loro schiavi 
migliaja d’abitanti delle rive del lago Marawi. Sarebbe 
dunque impossibile il trovare. nella colonia un nuovo 
Mungo Park il quale, partendosi da Quiloa, numerasse 
coi giorni di cammino le sue discoperte, dacchè tutta 
‘la costa:è appena conosciuta ? La topografia sola dell’ i- 
sole di Zanzibar e di Pemba sarebbe già un. presente 
-atreabaga agli amici della scienza geografica. 

t Noi non escludiamo nazione alcuna dagli inco- 
Biotoni che si propone di dare la nostra società. 
Un:abitante di Batavia, il qual facesse un giro nell’ in- 
‘terno dell’isola di Biliiigo , uve, dicesi, (ie piramidi 
roviuose: attestano l’esistenza d'antichi imperi, avrebbe 
da noi ‘tutte le dimostrazioni d’interessamento sincero; 


428 
come le avrebbe l’abitante d’Astrakan o d'Orenbourg, 
la cui lodevole curiosità profittasse di qualche occasio- 
ne, per visitare le contrade poste all’oriente del Caspio, 
e decidere il problema tuttora oscuro dell’ imboccatura 
dell’ Oxus. » 
| 33 Non diciamo, adunque, che sarà difficile per la no- 
stra società l’ effettuare con iscarsi mezzi una spedizione 
lontana. Molti viaggi, anzi in gran numero, possono 
farsi con piccolo dispendio, e vantaggio scientifico assai 
ragguardevole. Poi avvi una potenza superiore a quella 
de’governi e delle grandi ricchezze, l'energia dell’uomo; 
ed essa ne ajuterà, ove possiamo farci intendere. Ma 
qual mezzo più efficace d’eccitare,‘di spingere, diguida- 
re i viaggiatori, che l’ istruzione generale, di cui vi ho. 
suggerita l’idea? Indichiamo loro il cammino a capo del 
quate è è una meta gloriosa; distinguiamolo da quello, ove 
non incontrerebbero che pericoli senza frutto; e la glo- 
ria delle loro fatiche e del loro coraggio si rifletterà sui 
consigli della nostra prudenza . 

> "Or vengo alsecondo mezzo di conseguire l'intento 
che la nostra società si propone. Dobbiamo, dissi, coro- 
nare memorie, pubblicar relazioni ed opere inedite. Ora, 
per riguardo aciò specialmente, l’istruzione generale da 
me indicata mi sembra opera giovevolissima anzi indi- 
spensabile. Affine pero che tutti se ne convincano è 
uopo ch'io entri in alcuni particolari sulla natura e l’og- 
getto di que’ lavori sedentarj, che soli meritano la no- 
stra considerazione .« 

« Cominciamo dallo stabilire un principio generale; 
ed è questò: La società geografica non deve, se il mio 
avviso non erra, dar premio e approvazione che a lavo- 
ri’, i quali accrescano la somma delle cognizioni sicure 


429 
intorno al globo che abitiamo, producendo o 1’ osserva- 
zione personale di fatti nuovi; o l'esame e la verificazione 
delle osserazioni anteriori . ,, i 

»» Un tal principio, che riguarda la sostanza delle co- 
se nori esclude veruna forma, anzi veruna specie di lavo- 
ri geografici, nessun metodo in essi usato, nessuna via 
tenuta nel pubblicarli. Rigetta soltanto il falso e l’inuti- 
le;. mentre assicura gli. incoraggimenti della società a 
tutto ciò che ne è degno per la sua importanza. ,, 

« Quindi, allorchè avrò ragionato alcun poco degli 
scritti diversi che possono chiamarsi importanti, mostre- 
rò pure come un'istruzione generale sui presenti biso- 
gni della geografia servirebbe mirabilmente a discre- 
ditare e far cessare una folla d’altri scritti vanissimi, di 
cui siamo piuttosto ingombri che doviziosi . » 

I viaggiatori hanno tracciati gran solchi di luce 
sulla superficie del globo; ma fra questi solchi rimango- 
no grandi spazi coperti ancora di tenebre più o meno 
dense . Alcuni di tali spazi non saranno mai conosciuti 
se non per mezzo di spedizioni rischiose; ma altri pos- 
sono oggi essere descritti dagli abitanti medesimi, assai 
più esattamente e più facilmente, che non da viaggiato- 
ri inviati di lontano, i quali non vi facciano che breve 
«dimora. Le prove di quanto io accenno si presentano in 
copia a chiunque nun sia nuovo nella materia, di cui si 
ragiona; cionondimeno piacerà ch'io mi spieghi con _al- 
cuni esempj. Cominciamo dalle Americhe spagriuole. 
Un membro illustre della nostra società ne ha visitata la 
più gran parte con tanta diligenza, che non sapremmo pa- 
ragonarla se non alla sua dottrina profonda e al raro suo 
ingegno. Ora, non ci fa sapere egli stesso che le città di 
Messico e di Caraca racchiudono in seno uomini assai 
istruiti e capacissimi di descriverci il loro nativo paese? 


450 i 

Dopo il suo; viaggio una grande rivoluzione politica ha. 
ivi rottii vincoli del pensiero e gli ostacoli! che soffriva 

la stampa; di che tutte le scienze sentirono. vivo confor- 
to. Suppongasi adunque che noi desideriamo di cono- 
scere il Chili, paese che debb'essere sì fecondo di mera» 

viglie; paese che da mezzo secolo nessun osservatore 

europeo ancora percorse, paese da cui la. Francia trar 

potrebbe la vigogna non meno preziosa della capra. del 

Tibeto, e la quinquina delle montagne addomesticabi- 

lissima nelle nostre contrade meridionali. Vorremo noi 

inviarvi, a tutta spesa , un viaggiatore, perchè vi faccia 

alcune operazioni di necessità imperfette, mentre. per 

avventura un dotto indigeno possede i materiali a ma- 

no a mano raccolti d’una descrizione affatto nuova, 

compita, autentica; descrizione che, per essere pubbli- 
cata, non aspetta che un lieve incoraggimento , 0 anche 
soltanto un invito onorevole? « 

« Imavigatori, che discoprono coste ed isole novel- 
le, hanno ancor meno dei viaggiatori terrestri l’ agio 
necessario per descrivere d’ una maniera veramente 
scientifica lo stato de’ popoli, che veggono accorrere mo- 
mentaneamente alle rive ov’essi approdano. Mi appello 
ad un dotto navigatore , il qual sede fra noi, ed ha de- 
scritto con tanto ingegno è vivezza un viaggio attraver- 
so i grandi arcipelaghi della Polinesia australe. I Cook, 
i Forster, i d’Entrecasteaux hanno essi potuto esamina- 
re i fatti, che osservarono passando ? . .. E nondimeno 
di quale importanza sono questi fatti per 1’ istoria delle 
razze umane! Un idioma, che ha molta affinità con 
quelli dell'India; una mitologia , che richiama il nome 
di Orosmane; istituzioni feudali, che sembrano derivate ‘ 
dall'Asia centrale; e tutto ciò in mezzo al grande Oceano! 
Ecco un soggetto ben degno delle meditazioni d’un viag- 


431 

giatore filosofo, ecco un quadro, che bisogna affrettarsi di 
considerare al lume della-critica, poichè i suoi colori sì 
vanno di giorno in giorno cancellando pei rapidi pro- 
gressi del cristianesimo e della sua fedele compagna, la 
civilizazione europea. Ma bisognano anni per compiere 
in terre lontane le osservazioni abbozzate da tanti viag- 
giatori passeggieri. Or bene: ci mancano forse, mezzi di 
eccitare, d’incoraggire a simile fatica, e di ricompensare 
al di là d’ogni loro desiderio i pij missionari domiciliati, 
rispettati, amati in Otahiti, in Eimeo, in tante altre iso- 
le; e a cui certamente l’ajuto di una buona istruzione 
basterebbe per sodisfare a maraviglia le nostre inten- 
zioni? ,, 

« Altre cose importanti far ohh la società di 
Geografia senza il soccorso d’un viaggiatore . Un sempli- 
ce fratello moravo , chiamato Oldendorp intraprese or 
saranno cinquant'anni, di andar ad interrogare i negri. 
di due o tre colonie dell’Indie occidentali sul nome e la 
situazione della lor patria, non che delle contrade ch’es- 
si aveano traversate; quando strappati dal loro suolo 
nativo furono condotti a que’ bazari infami, che ancora 
attrista no la costa della Guinea . Il buono Oldendorp 
“non avea, per sua guida , le notizie che noi abbiamo di 
presente sull’interno dell’Africa ; e nondimeno dobbia- 
mo a lui la prima conoscenza di più di venti nazioni e 
delle terre da loro abitate . Chi non sente ciò che oggi 
risulterebbe da un interrogatorio simile al suo, fatto “da 
coloni illuminati, ed esaminato poscia da dotti geografi? 

« Intanto mi pare necessarissimo di fornire al pub- 
blico, agli studiosi, a quanti prendono diletto nelle ricer- 
che geografiche, un’indicazione metodica delle descrizio- 
ni, delle memorie, delle notizie, che sono più desiderate 
e con più viva istanza richieste. Siffatta indicazione 


432 
forse non basterebbe a promovere l’utili fatiche d'uomi< 
ni, i quali mancano soltanto d'uno stimolo per valersi 
delle occasioni, che loro abbondano, di estendere le no- 
stre cognizioni? « 

a A gato più diglicile riuscirà il determinare le 
nostre idee riguardo alle memorie scientifiche o di pura. 
discussione. 1] nostro regolamento dice che noi dobbia- 
mo coronar quelle, che in ciascuno degli annui concorsi 
avranno meritato un tale onore. Ma l’opinione della no- 
stra società sembra poco favorevole ad un genere di scrit- 
ti, il qual sente l’ozio accademico. A che fine, dicesi, accu- 
mulardi nuovo congetture sopra congetture, sistemi sopra 
sistemi? Lasciamo pure che gli accademici si combatta- 
no a colpi di dissertazioni; ma qual frutto dalle loro 
dotte battaglie? Noi abbiamo qualche cosa di meglio da 
fare che seminar il dubbio, per raccogliere confutazioni. 
Le scoperte, i tatti nuovi, ecco ciò che importa al mon-. 
do, e può dar gloria a noi. « 

« Questa maniera di pensare in fondo è giustissi- - 
ma. Convien, per altro , assoggettarla all’ analisi della 
filosofia, onde separarne le ingiuste prevenzioni , che 
forse vi son mescolate. « 


Perchè le scienze hanno esse, per così lunga sta- 
gione, derivato da tanti. scritti individuali o collettivi 


minore vantaggio, che la loro mole non sembrava pro- 
mettere? Non per altro, se non perchè agli sforzi egli 
scienziati mancò una direzione ragionata e uniforme. Qui 
si vedeano grandi ingegni, procedendo ciascuno per la 
propria via, lasciar fra loro immense lacune ; qui inge- 
gni comuni arrestarsi immobili in quel punto ove il lo- 
ro capo di scuola gli avea lasciati. Nessuna idea dell’an-, 
damento progressivo, illimitato, infinito dell'umano 
spirito; nessuna idea dell’associamento degli spiriti pen- 


433 
santi, che sostituisce alla forza individuale tutto il poter 
della specie. L’ unione, l’ opposizione ; tutto era a caso. 
Oggi qual felice cangiamento , riguardo almeno alle 
scienze matematiche e fisiche! Seguono esse un impulso 
comune, si avanzano in ordine, diremmo quasi in linea 
come un esercito, al conquisto della verità. Non così 
propriamente le scienze storiche e morali , che pare si 
avvolgano ancora un poco nell’ombre antiche e nella 
confusione. Troppo spesso la critica va tuttavia incerta, 
fra i veri e i falsi metodi; l’amor delle ipotesi sdegna lo 
‘studio dei fatti; lo spirito di setta, di partito, di nazio- 
ne respinge l’ operatore, il pensatore indipendente; una 
vana erudizione soffoca le importanti ricerche; un’indo- 
lenza orgogliosa trascura le comunicazioni più necessa- 

rie e la cognizione dell’opere pubblicate in altri luoghi 
e in altre lingue; insomma il sapere si mostra vacillante 
o anche retrogrado . « 

« Posta sui confini delle scienze matematiche e del- 
le dottrine istoriche, la geografia deve naturalmente 
parteci pare ai vantaggi dell’une, e ai disavvantaggi del- 

-l’altre. Tocca alla società nostra il darle un movimento 
più unifor me, più rapido, più decisivo, in una parola 
più analogo a quello delle scienze esatte e naturali. Non. 
si tratta, adunque, per noi di proscrivere le memorie; ma 
di farle servire ai bisogni reali della scienza, a cui si ri- 
feriscono . « ; i 

« Debbo io provare parte a parte una verità così 
evidente? Debbo io mostrare con esempj quante memo- 
rie, composte secondo 1 veri principj, possono ‘meritare 
il nostro favorevole accoglimento ? Figuriamoci un viag- 
giatore poco istruito il quale ritorni dalla Groenlandia, e 
venga a dirvi ch’ivi il freddo è acutissimo; e a rincontro 
uno scienziato, che analizzando e combinando le opera- 


454 

zioni di tutti i viaggiatori abbia decisa la gran questione 
dell’influenza de’climi sugli esseri organici, sui vegetabi- 
li, sugli animali , sulle umane società. Per qual dei due, 
o signori, vi sentireste maggiormente inclinati? Vi si 
presenti di qui uno degli irviterczio nenti e non maf più 
finiti naufragi al Capo Bianco , di là un dotto quadro 
dei deserti , ove siano ben diutiizte le sahare simili ai 
bacini de’ mari disseccati, non che le savane verdeg- 
gianti, ma prive di grandi alberi , ove tutti i fenomeni 
di così vaste porzioni del nostro globo sieno facilmente 
spiegati , recandoli ad alcune leggi universali della na- 
tura. Quale delle due opere stimerete voi degna d’essere 

pubblicata in vostro nome? « è 
»» E° inutile, per altro, Ati piriato di cosa già risolu- 
ta dal nostro regolamento. Questa legge fondamentale 
dice che noi pulsblialienet carte aobpratichi ma ‘che 
sarebbe una carta senza una dotta analisi de’ materiali 
che la compongono? Essa dice pure che pubblichere mo 
relazioni inedite; ma se ci si apportassero i giornali del 
viaggio di porto reale; che esistono per avventui'a in qual- 
che monastero d’ Evora, potremmo noi darli alle stam- 
pe senza il soccorso dell’ erudizione storica e paleogra- 
al) 
» Uno de’doveri della delegazione il ripeto, è quel= 
lo di animare tutte le fatiche giovevoli ai progressi del- 
la geografia, e per conseguenza di pensare ai mezzi di 
ottenere che tali siano le memorie presentate ai nostri 

concorsi, e a noi trasmesse di qualunque maniera. ,, 
so Un’ Istruzione Generale sui bisogni della scien- 
za geografica; una serie di domande, scelte con profon- 
da cognizione della scienza medesima, non sono forse ì 
mezzi più naturali, più efficaci di sodisfare in questa 

parte al nostro piva uri % aa liage: 


435 


a Ladino dunque, nel corso dì quest’ an- 
no a prepararli; e ne vedremo bentosto gli ottimi effetti. 
La delegazione, mentre si formerà così una specie di 
gran repertorio, da cui estrarre soggetti bellissimi di 
concorso, darà a se medesima facilità di concatenarli me- 
todicamente, sicchè in capo ad alcuni anni formino un 
corpo ordinato di indagini e di dottrine; della qual cosa 
nessuna accademia diede ancora esempio. Lo scrittore che 
vorrà presentarci opere da pubblicare; avrà per guida nel 
la scelta degli argomenti non il personale suo gusto, forse 
alquanto parziale, ma la schietta esposizione di ciò che 
ancor manca alla scienza geografica. Lo studioso, il com- 
merciante intenderanno da questa esposizione medesi- 

. ma ove debbano volgere le lor ricerche . Quelli, che sen- 
za coltivare propriamente la geografia, si compiacciono 
di promoverne gli avanzamenti, ritroveranno, speriamo, 
nel nostro piano metodico nuova ragione di onorarci del- 
la loro fiducia. Tutti gli amici dell’ istruzione raddop- 
pieranno la loro benevolenza per una società, i cui lumi 
evidenti sembrano assicurare gli effetti che si sperano 
dal suo ardore. Il mondo incivilito finalmente farà plau- 
so ad intenzioni così elevate, a vedute così universali 
come quelle che manifestano ì nostri atti e i nostri an- 
nunci. Noi intanto dal fondo della nostra sala di rivnio- 
ne dirigeremo l’ impulso dato agli studi geografici di 
questa età, e fors anche delle future; poich' essì conti- 
mnueranno a procedere nelle vie da noi DANILA essen- 
do quelle della ragione e della natura . 

La società di Geografia, com'era Pa aspettarsi, ba 
formalmente aderito alla proposta del suo autorevole segre- 
tario, serbando anuove deliberazioni lo stabilire lamanie< 
ra di /recarla ad effetto. Pubblicata che sia 1’ istruzione 
generale e la serie dè quesiti, di cui il sig. Malte-Brun 


436 

prova così bene la necessità, non è da dubitarsi che in 
Italia, come altrove, se ne riceva stimolo e norma per 
onorevoli fatiche. L’epoca de’nostri viaggiatori è passata 
di lunga mano; ed uno solo, benchè celebre, «il quale 
va oggi perlustrando l'Egitto , appena fa eccezione alla 
sentenza. Ma è pur giunta |’ epoca degli studiosi di 
cose utili; e facilmente si troveranno fra noi quelli, che 
confrontando relazioni, analizzando fatti, dalla quiete 
del lor domicilio spargano luce sui paesi più remoti , e 
contribuiscano a perfezionare la descrizione scientifica 
del nostro globo. Se non che il vero compimento di que- : 
sta descrizione può forse dipendere dagli sforzi d’una so-. 
cietà di geografia universale, coadiuvata dai più colti in- 
dividuislelle varie nazioni, senza che vi si adoperino so- 
cietà particolari, le quali se non esistono dovrebbero a 
quest’uopo crearsi ? La società parigina, per quanto dot- 
tissima, nel tempo stesso che otterrà magnifiche scoperte . 
nelle parti del mondo, o nulla 0 pochissimo con osciute, 
non potrà indovinare tutte le mancanze nella geografia 
delle più note; ed ove pure ai suoi problemi intorno a que. 
ste nulla rimanga da aggiungere, non sempre gli indivi- > 
dui avranno mezzo di rispondervi. Nell’assemblea. me- 
desima, in cui il sig. Malte-Brun pronunciò il savio. 
discorso da noi riportato, un altro de@ membri della so- 
cietà geografica parlò di futura corrispon denza con tutte 
le società scentifiche dentro e fuori della Francia. Tale 

corrispondenza sarà utilissima; non però tanto come .il 
potrebbe divenire, se in ciascuna delle società sì formas= » 
se una sezione per la geografia del paese o della provincia 

in cui risiede. Quanto all’ Italia, ci piacerebbe per vero ‘. 
dire , grandissimamente che si formasse nel suo centro 
una società di geografia nazionale; a cui si rifer issero le - 
particolari società di tutti gli stati , in cui la penisola è 


4397 
ripartita Essa potrebbe suggerire alla società parigina, 
«e proporre in sua vece i quesiti più impor tanti per l’in- 
tera conoscenza di questa nostra terra antichissima ; ed 
ajutare in molte guise la diligenza de’nostri osservatori. 
Ma una compita opera sulla geografia dell’ Italia, o in 
forma di trattato o in forma di dizionario, sarebbe la più 
bella risposta, che far potesse per sua parte al memo- 
| rabile invito d’una società, che vanta per presidente La 
Place, per segretario Malte-Brun , e fra i suoi membri, 
Humboldt, Denon, Barbié Dubocage, Lapie, Walckenaer 
‘ed altri molti, ciascun de'quali è a’nostri occhj una 
specie di rappresentante della scienza, che professa . 
Quell’opera, intanto, dovrebbe essere preparata da trat- 
tati o dizionar], proprj a ciascuno degli stati Italiani, 
onde poi la società centrale scieglierebbe gli articoli di 
più generale importanza, facendo loro quelle correzio- 
ni ed aggiunte, che più stimasse a proposito. La Tosca- 
na, che per la prima in Italia ha dato. prova, con una 
Geografia universale non compendiosa, dell’ amore con 
cui principiano a coltivarsi nel suo seno gli studjgeogra- 
fici (2), perchè non potrebbe dare il primo esempio d’ua 
trattato o dizionario particolare , di quell’ estensione ed 
‘esattezza, che sarebbe necessaria allo scopo che diceva- 
mo? Evvi fraisuoì cittadini chi bramerebbe l’istituzio- 


(2) La Geografia moderna universale di G. R. Pagnozzi : che 
fu annunciata nel tomo. Il pag. 319 del nostro giornale, e di cui si 
diede poscia ragguaglio ‘nel tomo V alla pag. 167. Se I’ autore di 
questa Geografia, dopo la pubblicazione del primo volume, ha so- 
speso quella deglialtri nove promessi e gid pronti per la stàmpa, si 
ascrivaalla difficoltà di far generalmente conoscere le nuove impre- 
se alquanto dispendiose, Calle ottengano i necessari incoraggimenti, 
Ma dobbiamo alfine speratli dallo nel de’ buoni italiani per l’ 0- 
nore della propria in faccia alle altre nazioni. 


438 

ne d'una società delle scienze naturali, che a somiglianza 
dell’elvetica omai così celebre, la quale varia ogn’ anno 
di sede (3) , si radunasse ora nella capitale , ora nelle 
maremme, ora nelle nostre alpi , ora nell’isola:d’ Elba, 
per raccogliervi un saggio di tutti i tesori che la natura 
vi ha prodigati, e che si mostrerebbero uniti in ispeciale 
museo per esaminarvi i fenomeni più singolari, le pro- 
prietà del suolo, le varietà de’prodotti, quanto insomma 
potrebbe ampliare il campo delle scienze e le fonti in- 
sieme della publica ricchezza . Nulla di più opportuno 
che simile società per la compilazione di una dotta ope- 
ra geografica sulla Toscana, i pregi distintivi della qua- 
le mal si argomenterebbero'dal piccolo spazio che occu- 
pa; dacchè in essa non sono sparse ma accumulate da 
antico tempo le meraviglie. Meglio di tutto, se una so- 
cietà benemerita già esistente, permettendoglielo i pro- 
pri statuti, volesse alternativamente , se non in) corpo 
almeno per mezzo di una copiosa deputazione , tenere 
seduta in Firenze,in Livorno, in Pisa, in Siena, in Pisto- 
ja; in Arezzo, in Volterra , in Porto Ferrajo, in Piombi- 
no; e stringendo vie più le relazioni e 1’ amicizia fra 
tutti i dotti uomini del Granducato, e promovendo po- 
tentemente gli studj.naturali, gia da lei sì ben coltivati 
aggiugnere agli altri suoi meriti l’opera geografica da 
noi proposta , e concorrere nelle grandi vedute della 
società parigina, la quale sarà probabilmente uno degli 
splendori del secolo in cui viviamo . 
‘ posti M. 
@) Vedi Antologia Vol. 1. pag. 58. 


439 
ARCHEOLOGIA. BIOGRAFIA. 


Elogio d’ Ennro Quirino Visconti scritto dall’ As. G. B. 
Zannoni, ft. Antiquario nella Galleria di Firenze. 


Ennio Quirino Visconti nacque in Roma il dì 31 di 
ottobre dell’anno 1751. Affermar si potrebbe di quest’ uo- 
mo, che la natura, l’ educazione, e l'età, in che egli visse, 
amichevolmente cospirasser di renderlo letterato sommo, ed 
antiquario d’ altissima nominanza. Imperciocchè egli ebbe 
da natura vigore rarissimo d’ingegno; l'educazione procac- 
ciò all’ ingegno germogliar pronto e copioso; e l’età sua 
in cui molti scavi si fecero, e non pochi, massimamente 
tra’ grandi, le lor cure rivolte tenevano alle venerande re- 
liquie dell’ arti antiche (1) , gli aperse vastissimo il campo, 
perch’ ei vi facesse prove maravigliose dei suoi non comu- 
nali talenti. Ma è da risalire al principio. 

Gio. Batista Visconti, che gli fu genitore, condusse 
moglie specialmente pel desiderio di mostrare altrui nella 
prole del miglior sesso, che da lei sperava, quanta forza si 
abbia sull’ uomo l’ educazione (2). Arrise il Cielo benigno 
ai puri e santi voti di questo raro uomo; e divenutone egli 
lieto, intese sollecitamente a compiere il savissimo suo pro- 
ponimento. 

Non rade volte interviene, che gli ottimi padri di fami- 
glia destinino alcuno dei proprj figliuoli, e più spesso il mag- 
giore, a quella medesima professione, cui essi dann’ opera . 
Mentre in questo figliuolo veggono il sostegno dei loro an- 
ni, che già s'inoltrano, han pure in lui medesimo un obietto 
continuo di dolcissima compiacenza. Paghi, che loro diasi 
lode per quello, che hanno innanzi operato, l’ applauso del. 
presente tempo , e dell'avvenire sia pur tutto del figlio; 
e se per avventura conoscano; sè da questo esser vinti, 
il confessano spontaneamente, e.oltre al dovere eziandio; e 
poi ne scuoprono l'interno giubbilo con tenerissime lacrime: 


4ho 

tanto affetto ha la provida natura infuso, a temperamento 
delle gravi sollecitudini, nel cuore di quelli, che chiamar 
si sentono col dolce nome di padre. Non è adunque da ma- 
ravigliare, che. Gio. Batista Visconti, il quale era antiqua- 
rio, il figliuol suo agli studj deli’ antiquaria indirizzasse. 
Recar dee piuttosto stupore il metodo da lui adoperato, 
il quale assai fu diverso da quello, che comunalmente usa- 
vasi allora, e che per lungo tempo usossi di poi; nè è del 
tutto anche ai dì nostri dimenticato . 

La letteraria educazione esser debbe, a mio credere, solle- 
cita, e governata dalla ragione e dall’amorevolezza. La facoltà 
che ha l’intelletto nostro di comprendere e di ragionare, in- 
comincia a dispiegar le sue naturali forze per mezzo delle 
impressioni, che su lui fanno gli obietti esterni, e poi si affi- 
na mercè degli abiti; i quali si acquistano per uso di ope- 
razioni, e per frequenza di queste più si avvalorano. 

La disposizione ad abituarsi a che che sia, non è in 
ogni età la medesima. La giovanile età, perchè nuova nel 
principio ad ogni abito, più facilmente che le altre età, 
quello acquista e gagliardemente ritiene, cui fu prima dalla 
educazione disposta (3): e il detto, che la pianta agevolmente 
si piega solo allor quando ella è tenera e verde, è appunto 
nella bocca d’ognuno, che di tal materia favelli , perchè 
risultamento egli è dell’ esperienza, che mai non inganna - 

Andrebbe certameute errato quegli, il quale estimasse 
non essere la prima età suscettiva d’ alcuno insegnamento. 
Appena il tenero fanciullino scioglie la lingua in accenti 
articolati, e balbettante due o poche più parole egli ac- 
cozza, dimostra aver avuta una percezione e ne appallesa 
‘un giudizio: il qual giudizio ei non avrebbe mai fatto, se 
prima fatto non avesse comparazione d’ idee. So ancor io 
che queste idee quasi han “confine col nulla; ma so altresì, 
che i ragionamenti ad esse proporzionati, i quali a tempo 
si facciano dall’ammaestratore, e le picciole notizie, che a 
‘mano a mano da lui si comunichino col fanciullo, sovvenir 


441 
possono e dar vigore ‘al novizio intelletto (4). Basta nell’e- 
rudire i fanciulli abbassarsi alla loro capacità, e il buon 
esito ‘è certo. 

Siccome però le idee si acquistano. per via dei sensi, 
così pare che ciò, ch’ è asensi sottoposto, andar debba avanti 
nella letteraria educazione allo specolare dell’ intelletto. 
Ma qualunque sia il metodo, che si estimi dover esser ad 
ogni altro preferito, certa cosa è, che dee sempre passarsi 
dal più facile a quel più difficile; che immediatamente con- 
seguita: lo che vuol: dire, ch'egli è necessario adoprare 
ogui studio in guardarsi dal proceder con salto. Così nulla 
vi sarà di astruso, che il fanciullo non intenda; come quasi 
non vi ha cima d° altissimo monte, alla quale passo passo 
non si pervenga. Se gli ammaestratori dei giovani, allorchè 
nel progresso dell’ erudirgli veggono questi mostrar difficoltà 
a ‘comprendere. alcuna cosa, esaminare volessero .a. mente 
tranquilla, se ciò avvenga perchè sia manganza, o fievolezza 
d' intelligenza nei «discepoli, o perchè eglino gli: abbiano per 
salto eruditi, mi avviso; che sovente rimarrebber convinti 
di dover essi medesimi tornare indietro. Le conseguenze 
poi, che derivano da cosiffatta istruzione, assai perniciose sono 
e fatali. Il giovane allora e poco, e questo poco malamente 
apprende, si disvoglia, si avvilisce ogui dì più, sè al tutto 
riputando ‘incapace a qualsivoglia delle umane discipline. 

Nasce di qui, che assai di/coloro, che da fanciulli mo- 
strarono ingegno e talento, saviamente. ragionando su 
quello che: adatto fosse alla loro capacità, e pronti e sagaci 
furono nel rispondere a ciò, di che venissero per avventura 
înterrogati, fatti poi adulti appaiono poco meno che stolidi 
ed imbecilli (5); e se prenda loro vanità di voler altrui com- 
pavir sapienti e vivaci) ridicoli si. rendono eziandio ai vol- 
gari nomini ‘ed ineruditi; i quali presso che sempre discorro- 
no e ragionano dirittamente di tutto quello, ch’ essi trattano, 
è loro insegnò l’esperienza: tanto è vero, che l’ umana 
mente più prospera negletta, ‘che mal governata; come gli 

T. VI. Giugno 29 


. 


ira | 
alberi di spontanea selva più belli, e più rigogliosi sono , 
che quei di un suolo, che mal si coltivi . 

Un altro e specialissimo vantaggio dalla istruzione re- 
golare deriva; e quello è, che il giovinetto passa quasi senza 
‘accorgersene dal più facile al più difficile; e poco meno 
ch’ ei non creda unico frutto di suo intelletto, quello, ch'è 
sì di esso, ma è in più gran parte del buon metodo, col 
quale si prese a dirozzarlo. E questa opinione avvalora 
assaissimo le forze della mente, e dà nutrimento al naturale 
amore di sè, che regolato. dagli efficaci stimoli d’ onore, 
eccita, senza che si risveglino i disordinati movimenti d’ un 
orgoglio soverchiatore d’altrui, ad ardir cose grandi e diffi- 
cili; e fa queste recare a buon esito. All’ ottimo e ben or- 
dinato metodo, con che Socrate interrogò il giovane, di cui 
fan ricordanza Platone e Tullio, intorno ad un quesito geo- 
metrico risguardante la misura del quadrato, credo che ascri- 
ver debbasi il felice risultamento ch’ ei n° ebbe (6), e che 
egli perciò mal si apponesse quando stimò conseguirne, che 
siano nell’ umana mente innate idee mercè della ricordanza 
d'una vita anteriore. 

In virtù di quello, che per me si è detto fin qui, per. 
messo esser. non può nemmeno di domandare, se opportuno 
sia l’ erudire per via dì sommo rigore, e di percosse. Cosa 
certamente non v' ha più che questa nocevole ai progressi 


dell’ umano intelletto. Ed in vero è grandissima. follia il. 


credere, che, ove noi caduti in errore non sapremmo arren- 
derci di buon grado se non a tale, the con dolci modi ci 
riprendesse, dovessero poi i fanciulli, che pur son atti 
a conoscere l'essenza del bene e del male, camminar con 
profitto in quelle vie, in che l’ ammaestratore gli spinga a 
furor di grida e di battiture. E quelle e queste o avvili- 
scono i fanciulli, facendogli timidi soverchiamente, o gli ren- 
dono di mal talento ed iracondi, perchè ben conoscono, non 
procedere da desiderio che: s’ abbia di lor correzione, ma 
piuttosto da sfogo di fierissima rabbia. 


443 

Nè intendo io qui di dare altrui i precetti della lette- 
raria educazione. Atto io a ciò non sarei; né, se vi fossi, 
questo il tempo sarebbe di farsene insegnatore. Quel poco 
che ne ho scritto, suggerito a me lo ha la considerazione 
del metodo, con che Gio. Batista Visconti -diè i primi ru- 
dimenti del sapere al suo pargoletto Ennio Quirino: e nel 
dettar io l’ elogio di questo ho stimato dover ad essi tener 
dietro, perchè ove prosperi successi avuti si sono, d’ vopo 
è ridirne, a comun vantaggio, i mezzi, onde ne fu dato il 
conseguirli. Nè io già credo, che lo stesso metodo formar 
possa sempre letterati tali, che uguaglino in fama Ennio 
Quirino Visconti. So io bene, che di essi non è prodigo il 
cielo; ma so altresì, che i buoni metodi sono a tutti gio- 
vevoli, se essi non sinnò stupidi: e gli stupidi sono, al dire 
di un grande scrittore latino (7), rari come rari sono i mo- 
stri in tutti i regni della natura. - 

Il nostro Ennio Quirino pertanto, cui il providissimo 
padre avea, a mio giudicio, imposto questi due nomi il- 
lustri in argomento d’ aver fino dal nascere concepita ottima 
speranza di lui, pervenuto era appena al diciottesimo mese, 
e già balbettava l’alfabeto. Giunto al secondo anno ravvi- 
sava dai soli lineamenti dei volto, non sapendo ancor leg- 
gere, i romani Imperatori, da Cesare fino a Gallieno ; e 
non compiuto il terzo, non solo conoscea le sembianze de- 
gli Augusti tutti, sì latini, e sì greci, sì francesi, ‘e sì 
tedeschi, fino ai suoi tempi; ma riferiva eziandio qualche 
azione di loro, che l’ indole ne dichiarasse e la natura ; e 
spiegava storie del vecchio Testamento e del nuovo, espresse 
in istampa: e di tre anni e otto mesi interpretava di que- 
ste stampe fino al numero di trecento e sette, nelle quali 
compresi erano i fatti più importanti delle due sacre Al- 
leanze ; leggeva speditamente italiano, latino, e greco; aveva 
contezza di alcune medaglie di sommi Pontefici , e dei ri- 
tratti di alcuni Arcadi e Capitani illustri; e rispondeva alle 
dimande della cristiana dottvina derivate dal catechismo del 
celebratissimo Fleury. Era appunto in questa età quando 


444 

nel Luglio dell’anno 1755. fece esperimento del sno straor- 
dinario sapere alla presenza di non poche illustri persone, 
tra le quali erano i rinomati monsignor Giovanni Bottari, 
Tommaso Le Seur, e Agostino Giorgi. E di questo espe- 
rimento, e di ciò, che ho innanzi riferito , si fa certa fede 
nelle Novelle letterarie del Lami all’ anno ed al mese or 
mentovati, ove si aggiungono le seguenti importanti parole: 
È indicibile il merito del padre, il quale nelle sue istru- 
‘ zioni s ingegna sempre di far conoscere al bambino, che 
quanto egli gl’insegna, glielo insegna in premio di qual- 
che sua azione, e giuoco ancor puerile (8): di modo che 
il bambino curioso di godere il frutto delle sue piccole 
zioni rimostrategli dal padre in aria di grandiose, sente 
volenticri ; e siccome ha perfettissima rattenitivà , rade 
valte si scorda di ciò, che ha una volta sentito. 

Bene; a mio giudicio, e saviamente adoperò il padre 
d’ Ennio Quirino allorchè , insegnatogli 1’ alfabeto , paste 
lui non fece tosto all’ esercizio del leggere; chè tropp’ ar- 
dua cosa riuscito ciò sarebbe a così tenero intelletto ; ma 
attender volle prima ad arricchirgli la mente d'’ istoriche 
notizie, le quali, com’ è detto, non solo gli si davano per 
racconto; ma eziandio gli si mostravano espresse in istampe 
ed in medaglie: affidandosi così alla memoria di lui non 
solamente per la via dell’udito, ma sì ancora per quella 
della vista; cosicchè mediante l'esercizio di due sentimenti 
più se ne rendeva sicura la ricordanza. 

Do io pur lode a quel buon padre per aver così sol- 
lecitamente ammaestrato' il figlioletto suo nella materiale 
lettura del latino e del greco. I fanciulli, che preso hanno 
affetto allo studio, ogni di più vogliosi si fanno d’imparar 
cose nuove ; e massimamente quelle agognan d’ intendere , 
le quali cadono sotto i lor occhi. A quella avvedutezza di 
Gio. Batista Visconti eredo, che ascriver si debba in gran 
parte la cagione, dell’ essere stato Ennio Quirino uno degli 
Bilenisti più celebri, che l’Italia avesse al suo tempo. 

Di questa perizia del greco linguaggio dette egli la 


| 
} 
A 
: 


445 
prima e singolarissima prova nel suo decimo terzo anno, 
pubblicando in esso un poetico volgarizzamento dell’ Ecuba 
d’ Euripide, da sè dettato senza che il soccorresse comento 
alcuno, od altra versione: e così tolse alla Francia il vanto 
di poter sola citare esempio di somigliante maraviglia nel 
suo Bouthillier, che giovine anch’ esso di tredici anni diè 
una greca edizione delle poesie d’ Anacreonte , di greci scolii 
arricchita . 

Nè alle sole lettere diè opera nei verdi anni Ennio 
Quirino; ma alle scienze attese eziandio. Nell’ esperimento, 
ch’ ei fece contando il decimo anno, si espose a rispondere 
non tanto alle domande di storia sacra e romana, di numi- 
smatica, di cronologia e geografia , quanto a’ quesiti di 
geometria; e in quello, che d’ anni dodici sostenne. nella 
biblioteca: angelica, sciolse problemi difficilissimi di trigo- 
nometria , d'analisi, e del calcolo differenziale (g). Egli è 
per me certo, che se il Visconti avesse poi coltivato le 
scienze matematiche, si sarebbe in esse pure renduto illu- 
stre . 7 

Stromento dell’anima è il corpo; e l’anima in quello 
che al corpo è sottoposta, non può agire se non a norma 
della disposizione, e della forza di esso. La disposizione e 
la forza del corpo varia è negli uomini sì per cagioni, che 
sono a molti comuni, e sì per particolari. Sia il clima e-, 
sempio delle prime , sia l'educazione esempio delle seconde. 

Dal vario stato dei corpi ha origine la diversità dei 
talenti, ossia la differenziata disposizione della facoltà d’in- 
ssadere e di quella d’immaginare, che fonti sono di tutto 
l’umano sapere: e dalla dissimil forza dei corpi, sia rispet* 
to al tutto, sia rispetto alle parti, prodotta è la maggiore 
o la minor forza dei talenti. ! 

I talenti di minor forza seguono nel loro ordine l'an: 
damento di quei, che son di maggiore; onde far si possono 
su tutti generali considerazioni. Uomini primieramente si 
trovano, che mercè del perfetto o quasi perfetto equilibrio 


IN 


16 
d’ un altissimo intendimento,, e d’una vivissima immaginazio- © 
ne, sono d'ingeguo sì ricchi, che a qualunque si appiglino 
delle umane discipline, sembra, che per essa sola sian fatti, 
Sono però questi rarissimi, e di ciascuno di loro quello 
può dirsi, che di Alcibiade scrisse Cornelio: Zrn hoc natura 
quid efficere possit videtur experta. Se essi pervengono a 
maggior celebrità in quel ramo , che più coltivano ; pure 
sol che negli altri per poco si esercitino, fanno palese, 
che conseguir vi. potrebbero ugual rinomanza. Così tenue 
fonte, che limpido da scabra ‘rupe zampilli, la chiarezza 
ne attesa delle acque, che gli danno alimento. 

Nascono altri unicamente adatti a tal arte, o a tale 
scienza; e divenir possono essi grandi in questa od in quel- 
la, quando le circostanze, che accompagnano la lor tenera 
età, permettano , che l'inclinazione si palesi, e palesatasi. , 
esser possa secondata e soccorsa. Se ciò manchi , essi ri- 
mangonsi come terreno di per sè fertile per granaglia, cui 
mano industre d’ agricoltore mai non abbia il seme affi- 
dato. i 
Ad altri in fine natura non fu sì prodiga, come ai 
primi, nè sì avara come ai secondi, dando loro determi» 
nato numero di talenti. Se il dono prevalga della immagi- 
nazione, ecco tale che divenir può grande artista , e gran 
poeta. Se quello prevalga dell'intelletto, ecco quegli , che 
coltivar può con successo le scienze e le lettere. L’ educa- 
zione e le particolari circostanze, in che il fanciullo si trovi, 
determinar possono nell’un caso e nell'altro la sua scelta, 
S' intende così perchè i fanciulli inelinar si veggan talvolta 
alle discipline professate dai lor genitori, e perchè le, me- 
desime arti e i medesimi studj sì mantengan non raramente 
per qualche tempo in. onore nella stessa famiglia. Nati è 
figliuoli colla capacità ad essere in differenti discipline am- 
maestrati, essi, merce del naturale istinto, che gagliarda- 
mente ne spinge ad imitare altrui, sì affezionano volentieri; 
a quella, nella quale si esercita il padre: e la - domestica 


447 


istituzione, che la storia d'ogni tempo ci presenta feconda 
d’ ottimi, e presso che straordinarj successi, gli conduce so- 
vente ad altissimo grado di perfezione. 

Mercè di questa domestica istituzione il grand’ uomo, 
di che io parlo, il quale nel\rammentato esperimento com- 
parve attissimo ai severi studj della filosofia , applicò inten- 
samente a quelli delle letture; e meritò ottimamente dell’ 
antiquaria. So che coloro, i quali stoltamente confondono l’ an- 
tiquaria con l’arte ridevole d’ indovinare, estimeranno, aver 
fatto il Visconti, coll’ appigliarvisi, sprecamento de’ suoi rari 
talenti. Che stati siano, principalmente nelle passate età , 
antiquarj, che più presto che tali, chiamar si potevano in- 
dovini, il concederò volentieri; ma dirò insieme , che di 
questo sono essi da accagionare, e non l’arte. Essa, comecchè 
si appoggi in gran parte alla probabilità , ha però non di 
rado fondamento fermissimo sulla certezza. Le medaglie , 
che le figure congiungono con le iscrizioni, danno lume non 
dubbio per dichiarare le medesime figure in quei monu- 
menti, e sono i più, i quali mancano d'iscrizione. Non si 
attentano poi oggigiorno gli antiquarj a spiegar tutto un fatto 
che sia in questi monumenti rappresentato, se per guida prima 
non piglino gli antichi scrittori, e insieme non paragonino i 
monumenti dello stesso argomento. Per questo paragone , ciò 
che di. per sè stesso è oscuro, o assai dubbio, chiaro si fa 
e manifesto: quasi lo stesso avvenendo che nei problemi di 
matematica, nei quali mercè del valore delle quantità. co- 
gnite, quello delle incognite si ritrova. Ha in somma l’ anti- 
quaria, come le altre discipline, la sua filosofia, e le sue 
regole di critica ; ond’ ella è omai al possedimento di accer- 
tate verità, le quali ogni dì più s° aumentano per le cure 
e i sagacissimi investigamenti dei dotti. E di questo dar si 
dee lode massimamente alla città nostra, in cui ebbe ina: 
tali e visse il senatore Filippo Buonarroti; il quale quasi 
fu ritrovatore dell’ ottimo metodo, e d' esso fu sempre os- 
servator diligentissimo. Non andrebbe, a mio credere, lon- 
‘tano dal vero quegli che affermasse, aver egli aperta la strada 


418 

al celebratissimo Winckelmann, al quale dovata è la, sloria 
di aver sapientementè recato a sistema l’antichità fignvata 
e di averla stretta in fratellevol: concordia coll’ arti amenis- 
sime del disegno. Dicasi pure, che, se il Winckelmanmn non 
era, il Visconti non era. Anch' io il dico; ma però non. vor 
glio che menomati od indeboliti per me s’intendano i meriti 
del romano antiquario. Anco se. il Colombo non era, il 
Vespucci non era; eil Newton pur non era , se il Galileo non 
era: e quel grande non avea, rossore di ‘confessarlo egli 
medesimo. Di nessuna, o al più di scarsa lode quegli ripu- 
tar si dee degno, il quale non altro sa vivendo, che cam- 
minare per quella via, che altri già aperse, come i Pitta- 
gorici e gli Aristotelici eran usi di fare. Ma ben se ne dee 
conceder molta a quello, il quale, posto il piede,in un sen. 
tiero da altrui segnato, sa colle sue forze più oltre procedere. 
Così appunto fece il Visconti: e molte ed importanti furono 
le sue scoperte. Assiduo egli nella lettura dei vetusti scrit. 
tori greci e latini, e deì libri riguardanti le antichità, cono- 
scitore di tutti i monumenti della sua Roma e delle altre 
cittadi , e con raro esempio congiugnendo con memoria pro- 
digiosa intelletto perspicacissimo ; quello che nel fatto dell’ 
antiquaria può sapersi, tutto, o almen presso che tutto, era 
e sempre e dirittamente all’animo suo presentissimo. Perciò, 
considerato appena un antico monumento, tutti egli aveva in 
pronto i sussidj) per dichiararlo ; per interpretarne i somi- 
glianti, o male da altri esposti, o lasciati come inesplicabili 
in abbandono ; per corregger sovente quel Winckelmann, 
che gli fu colle sapientissime opere duce e. maestro ; e. per 
accrescere il numero: delle verità, e delle regole della sua 
disciplina . 

Nè solo mostrò mente sì felice nell’ antichità figurata, 
ma nella scritta eziandio. Interpretazioni nnove ed ingegno» 
sissime di non pochi passi delle due dotte lingue, correzioni 
evidenti di ‘essi, e di marmi scritti, e bei supplimenti di_ 
questi. ove. il. tempo ‘ne logorò. presso che totalmente le 
slettere., lasciando solo qua e là incerte vestigie, sono uno 


fr i 449 
degli ornamenti più pregevoli delle opere sue rinomatissime. 
Rifulge qui in ispecial modo la grandissima sua perizia nel- 
la lingua dei Greci, e qui ne chiarisce egli col fatto, che 
la scienza grammaticale non è la scienza dei pedanti, come 
alcuni osano, per far, cred io, velo alla propria ignoranza, 
d’ affermare; ma quella dei veri dotti ; i quali e possono 
giustificare le cure sollecite, che sn di essa spendono, coll’ e- 
sempio di molti grandi uomini dell’ antichità, in ispecie di 
Tullio, cui niuno vorrà dar taccia ingiuriosa di pedantismo, 
e col rammentare a quei, che sè dicono filosofi e loro con 
aspri ed illiberali motteggi prendono a vilipendere, che le 
idee si dichiarano per mezzo delle parole; sicchè quelle ag- 
giustatamente non possono intendersi, se prima non sia il 
senso di queste a ragione compreso. 

Se io però lodo il Visconti pel suo sapere nell’ Anti- 
chità scritta, non intendo già, per rispetto alle lapidi latine 
di preporlo al celebre Monsignor Gaetano Marini, che da- 
vasi vanto, e ne, aveva ragione , di aver copiato più iscri- 
zioni, che non ne' avesse altri lette ; e che coll’ opera sua 
dei Fratelli Arvali superò quanti dinanzi a lui sopra antichi 
marmi aveano scritto, e tolse per avventura ai posteri la 
speranza di poter in ciò, non che vincerlo, ma nemmeno 
uguagliarlo. Così se aggiungo ora, che il Visconti in ispie- 
gare talvolta le Medaglie, e i monumenti egiziani e gli 
etruschi, conseguì lode, dir non voglio, che ei togliesse la 
palma, nelle prime all’ eruditissimo Eckhel e al peritissimo 
Sestini, nei secondi al dottissimo Zoega, e nei terzi al sa- 
gacissimo Lanzi. Egli fu primo nell’ antichità figurata ; e 
seppe negli altri rami della sua disciplina quanto era neces- 
sario per iscriverne all’ uopo con buon criterio, ed oppor- 
tuna erudizione. Per somigliante maniera Apelle, che fu il 
primo pittore delle arti antiche, cedeva ad  Anfione nella 
idisposizione e nel concerto, ad Asclepiadoro nelle misure, 
a Protogene nella diligenza (10); e Raffaello, che primeggiò 
su’ pittori tutti delle arti risorte, egual nou fu al Buonarroti 


4ie i 
nel disegno dei muscoli, a Tiziano nel colorito, al Coreg- 
gio nella scienza delle ombre. 

Neppure vuol credersi, che il Visconti sempre nelle sue 
opinioni il vero aggiugnesse. Sparse anch” egli nei suoi li- 
bri tali congetture , le quali non sa il dotto e critico lettore. 
assentire. Non può egli però a meno, allorchè in queste si 
avvenga, di non sentir sè compreso da somma venerazione 
pel grande antiquario, che le avventura ; tanto sono esse in- 
gegriose, e da tanta dottrina originate . Egli è particolar. 
vanto degli uomini di chiaro e perspicace intelletto, il salire, 

eziandio per vacillanti ipotesi, in fama ed in rinomanza. 

Nemmeno è mio intendimento di volere altrui persua. 
dere; che vada il Visconti libero da manifesti errori: quasi, 
pretendessi di segregarlo dall’ uman genere, cui natural de- 
bolezza induce a fallare. Sbaglia sì anch’ esso ; ma fre- 
quenti meno che in molti altri, sono in lui questi sbagli; e 
sono essi ricomprati con soprabbondanza da tanti meriti in- 
contrastabili delle molte opere sue, delle quali, intendo ora,. 
toccatene innanzi le generali qualità, alcuna cosa dire in 
particolare . 

Il museo Pio-Clementino. le Iscrizioni Triopee, i Monumenti 
Gabinj, i Monumenti scelti Borghesiani, e l’Iconografia greca 
e latina, sono al certoilibri che hanno pe al Visconti 
lode maggiore. Il perchè egli è di mestieri, che più sopr'essi, 
che sugli altri io mi trattenga; senza però rendermi trasgres- 
sore di quella brevità, cui “deliibtai volermi attenere. 

Clemente XIV. e Pio VI fondarono nella metropoli del 
mondo quel rinomato museo, che dai loro nomi chiamato 
è Pio Clementiuo; e il secondo dei due rammemorati som- 

mi Pontefici, cui si debbe la principal gloria di questa 
peace impresa , affidò nel 1778. l’ incarico d'illustrarlo 
al padre d’ Ennio Quirino . Era quegli allora già fatto de 
bole del corpo, e vicino a compiere lg, carriera mortale ; on-. 
de non con altro quasi che col solo nome poteva all’ opera 
contrìbuire. E col. suo nome infatti pubblicato ne fu il pri 


451 


mo volume; ma la esposizione di questo , siecome dei sei, 
che seguitano, opera è del fisliuolo Nei primi tre tomi sono 
contenute le statue: il quarto ed il quinto comprende i 
bassirilievi: sono i busti nel sesto: il settimo è miscellaneo. 
Le statue e i bassirilievi si partiscono in ordivi; ciò sono 
le Deità, gli Eroi, la storia antica, la romana, la lettera- 
ria, la naturale, Je arti e i costumi. Non solo dar non pos 
so al mio lettore particolarizzato ragguaglio di ciascuna il- 
lustrazione; ma nemmeno permesso mi è di far a lui conte 
le osservazioni di maggiore importanza; perocchè sono esse 
in grandissimo numero, in ispecie nei bassirilievi: parte la 
più dotta e la meno incerta dell’ antichità figurata. Altro 
adunque a me non resta, perchè gliene dia saggio, che al- 
cuna trasceglierne: lo che farò non già premessone esame, ma 
sì alla ventura. Nella tavola IV. del primo volume si vede 
Giunone intesa ad allattare un fanciullo. Questo fanciullo, 
che di per sè chiaro non mostra, se debba Ercole riputarsi, 
© Marte, o Vulcano, è riconosciuto con ingegno del pari 
che con verità pel nume della guerra, colla scorta di una 
medaglia in gran bronzo, pertinente alla romana imperatrice 
Giu!ia Mammea (11). 

Descrive Plinio 1’ Apollo Saurotrono, o ucciditore di 
lucertole, opera di Prassitele ; e il Visconti scorto da Win. 
ckelmann riconosce una copia di questa statua in quella che 
ei pubblica alla tavola XIII. del rammentato volume primo. 
Non già però egli qui si ferma; perchè ciò, che ad altri 
espositori d’ antichità basterebbe, a lui non basta. Avver- 
tendo egli sagacemente , che Marziale , nel far ricordanza 
del medesimo simulacro di quel celebragissimo scultore, tra- 
‘ lasciato il nome d’ Apollo, lo chiama il .Saurotteno , ne 
istruisce del costume, ch’ ebber gli antichi di appellar le 
statue loro più insigni o da qualche singolar circostanza, 0 
dall’ azione, in che erano espresse, piuttosto che dal nome di 
quel Dio dd Eroe, ch’ era in esse ritratto. Remmenta ad 
vesempio di quello, che oflerma. il Diadumeno è l Alesse- 
tere di Policleto, la Catcgusa di Prassitele, e 1’ Apossio- 


452 

meno di Lisippo: statte, delle quali Plinio favella; e con- 
gettura, o piuttosto dimostra, che l’ Apossiomeno, ossia 
quegli, che con lo strigile si rade o netta, una statna fosse 
rappresentante Tideo. Al qual divisamento gli è scorta una 
gemma pertinente al museo Stoschiano con ]’ iscrizione. 
etrusca: 7YT'E, Tydeus, nella quale appunto questo Eroe 
si vede nettantesi collo strigile. 

Nella esposizione della; tavola VII. del volume secondo 
dà prova insigne del suo felicissimo ingegno. È in essa 
rappresentato Ercole, che abbatte Gerione. Osservando il. 
Visconti, che Euripide, il qual rammenta due volte questa 
fatica del figliuolo d’ Alemena, or chiama Gerione il pa- 
store d’ Erizia, or lo appella Tifone, dà peso al parere 
dello Scoliaste d’ Esiodo, che nella vittoria fd’' Ercole su 
Gerione vede l’ imperturbabile animo dell’Eroe in un tubi 
ne, in che egli si avvenne. Lo Scoliaste ciò ritrova nella 
etimologia di Gerione; e Tifone, dice il Visconti, può-la 
stessa cosa significare, essendo definito da Esichio un vento 
grande : TuPèy, 6 péyas dvejnos. 

I nomi d’ Adone, di Bacco vecchio, o barbato, e di 
Arianna abbandonata in Nasso, i quali dati si veggono alle 
tavole XXXI. XLI- e XLIV. del citato volume secondo, sono 
scoperte importantissime del Visconti; mentre falsamente il 
primo estimavasi Narciso; il secondo, Sardanapolo; e la ter: . 
za, 0 Cleopatra, o una Ninfa presso un fonte dormente .. 
Così la statua incisa alla tavola XXI. del terzo volume, ha: 
pel Visconti il certo nome di Ministro Mitriaco; chè innan- 
zi, una ad essa somigliante, quello ebbe erroneamente edi Pas 
ride. ‘ i ; 

D’ importantissima prefazione va adorno il tomo quarto; 
il quale, come sopra fu detto, è il primo dei Bassirilievi .i 
Tra le nuove osservazioni, che ivi si fanno, quella è da ri-: 
putarsi assai, nella quale evidentemente si dimostra, che il 
greco vocabolo rù7os, poscia fatto latino, fu nell’una lin- 
gua e nell’ altra, per siguificar. cosifatti monumenti; ado- 
perato . METE | adladivizhe 


| 453 
La principal figura del bassorilievo, che alla tavola XI. 
di questo tomo medesimo si vede, è Vulcano. Esposto se-° 
» condo verità questo monumento , procede il Visconti alla 
spiegazione di un vaso fittile dipinto, recato. dal celebre 
Mazzocchi alla pag. 137 del suo bellissimo libro sulle Ta- 
vole Eracleesi: del qual vaso quest’ uomo dottissimo disperò 
in parte la interpetrazione.. Ma il Visconti vi discuopre 
Vulcano, allorchè, legata Giunone su d’una sedia con lacci 
invisibili, è da gli altri Numi costretto a discioglierla . Na- 
‘sce l’ oscurità della pittura, dice con somma, saviezza ed 
ingegno il grande antiquario, dall'aver Vulcano un’ epigrafe, 
che non già il nome di lui contiene, ma sì un attributo. Essa 
è AA\AAAOE, Daedalus, voce che non esprime un nome 
proprio, ma un epiteto, che si appropriò poscia al famoso 
artefice, che così fu appellato, Tanto più, segue a dire il 
Visconti, convenia tal nome a Vulcano, che inventò quelle 
arti, nelle quali Dedalo sè :rendette famoso. Quindi ad av- 
valorare la sua nuova opinione, avverte opportunamente , 
che Cerere dagli antichi fu detta talora Aferove, kdoy 
Proserpina, Zw'7:p4 Diana e Minerva, “AvaxTes i Castori, 
Phocbus Apollo, Gradivus Marte. 
Il dotto del pari che acuto Padre Corsini in ispiegare 
il celebre bassorilievo del riposo di Ercole trovò nella iscri - 
zione di esso la ricordanza della morte, che quell’Eroe dette 
al maestro suo, il quale dicono alcuni, essere stato Lino, ed 
altri, Eumolpo, e lesse per congettura PovévrayTos ove 
sono le lettere, per danno ricevuto dal tempo, dubbie ed in- 
certe. Aveva 1’ Allacci ivi medesimo letto NH®OPH, e 
questa lezione erasi dal Marini approvata . Il Visconti esa- 
mina co’ propri occhi l’ originale ; e scopertivi certi vestigj 
della mozza voce NHPOPHZEANTOE , senza tema d'errore 
legge day opyravTos , fidato a Pausania, il quale racconta, 
che il più nobile dei tripodi consecrati in Tebe ad Apollo, 
era quello, che dedicò Anfitrione quando Ercole fu Dafneforo. 
Per dire poi alcuna cosa del sesto volume qui sul fine del 
breve ragguaglio di questa grand’ opera, della quale poscia 


454 

tornerà discorso, citerò quel luogo della prefazion e, nel quale 
e nuove e belle osservazioni si fanno sulla vo ce 11p070 4%, 
e rammenterò la illustrazione della tav. XVII e della se- 
guente, nella quale è provato, che nel celebre e ripetuto 
gruppo, che prima credeasi rappresentare o Alessandro in 
isveniinmento sorretto da un suo soldato, o un greco Eroe 
sostenente il corpo dell’ estinto Aiace, debbe ora con certez- 
za vedersi Menelao , che sottrae dalla mischia il combattuto 
cadavere del diletto amico d’ Achille. 

Le greche poetiche Iscrizioni Triopee, delle quali ora 
intendo di parlare , scavate furono nel principio del secolo 
decimosettimo; e tal noine ebbero dall’ avere un di appar 
tenuto al Triopio d’ Erode attico, situato in una possessione 
che questo dovizioso retore avea al terzo miglio della via, 
la quale Appia chiamavasi, e chiamasi ancora. Argomento 
dell’ una di essse è la dedicazione di un campo  sepolerale 
nel Triopio alle Dee attiche Minerva e Nemesi : aggirasi 
l’altra sulla consecrazione del simulacro di Regilla, donna 
d’Erode, collocato nel tempio Triopeo di Cerere e di Fan- 
stina. Fattasene tosto compera dai Borghesi, e da loro collo- 
cate nella villa Pinciana, presero i dotti a dichiararle, mas- 
sime il gran Salmasio; il qualele illustrò con comento di sì 
lungha dettatura, che potè forse ad alcuni, in ispecie a coloro, 
cui muove a venerazione scialacquo di passi greci e latini, ap- 
parir tale, che un nuovo non potesse con profitto tentarsene 
in avvenire . 055 questo il Visconti , e manifesto altrui fece 
ch' ei non osò troppo . Alcune notizie importantissime ri- 
guardo ad Erode attico, che non ebbe il Salmasio, ripiglia- 
no nelle brevi osservazioni del romano antiquario il loro 
luogo . Egli è d’ avviso, che Erode il nome ponesse al suo 
Triopio, non da Triope tessalo, come estimava il Salmasio, 
ma sì dall’ Argivo , che fu padre a Pelasgo : opinione, che 
alcuni dotti Oltramontani (12), giudicarono essere più pre- 
sto ingegnosa che vera, e cui quella di esso Salmasio pre- 
ferirono. Io non so allontanarmi dal loro divisamento ; ma 
altre cose spettanti alla storia, che primo vide, e rettamente 


55 
vide, il Visconti, le molte lezioni ch’ egli raddirizzò, i nuovi 
sensi ch'egli fuor trasse, siccome riscossero i plausi di quelli, 
così me di grandissima ammirazione riempiono. Prova, che 
il nome di Marcello, che è nel secondo caso e posto in testa 
alla seconda iscrizione, accenna Marcello Sidete; € che que- 
sti è l autore della ornatissima poesia. Argomenta di poi, . 
fatto paragone dello stile, che la. prima iscrizione è pur 
opera di esso Marcello; conviace, che fratel di Regilla fu Ap- 
pio Andfo Bradua, console nell’ anno di Cristo 160, e non 
*M. Atilio Bradua, ch’ ebbe i fasci nell’ anno 185. come vo- 
leva il Salmasio, e che quella, che onorata è nella seconda 


iscrizione col titolo fastoso di novella Cerere, dee riputarsi 


Faustina minore. 

Diè al Visconti l’incarico di queste illustrazioni il Prin- 
cipe D. Marcantonio Borghesi, che pur quelle gli affidò dei 
Monumenti Gabinj. Avea quel signor magnanimo con la pro- 
posta di nobilissime condizioni incoraggiato lo scozzese Ga- 
vino Hamilton, pittor rinomato e ricercatore indefesso delle 
antichità, ad intraprendere gli scavi ch’ ei riputava potersi 
con felice riuscimento eseguire in quell’ ampio territorio dei 
Borghesi, che chiamato è dal uome del vicin lago, Pantan 
de' Grifi, ed abbraccia verso il confine aquilonare la _mag- 
gior parte del suolo, in cni Gabj sorgeva. Nè Hamilton s°in- 
gannò, nè il generoso Mecenate gli diè animo invano. Nella 
primavera dell’anno 1792 uscirono al giorno da questi scavi 
tanti bei monumenti scolpiti e scritti, che lustro arrecarono 
alle arti belle, e d’ incremento furouo all’ erudizione e al- 
l’ antiquaria . 

Le immagini di Marco Agrippa, di Tiberio , di Get 
manico, di Claudio, di Nerone; d’ Adriano , di Marco 
Aurelio, di Lucilla, di Settimo Severo, di Geta, di Plau- 
tilla, e di Gordiano pio, ritrovate in Gabj, mostrano, essere 
stato questo municipio per tre secoli fiorente. Cio presso a 
poco confermano le lapidi di certa età ivi medesimo disotter- 
rate, le quali incominciando sotto il reggimento di Tiberio, 
e incendio nel secolo secondo, pervengono fino ai Consoli 


456 
dell’anno 220. Noto è d'altra parte, per le testimonianze 
d’ Orazio, di Properzio e di Dionisio d’ Alicarnasso, che 
imperando Augusto, Gabj la quale fn innanzi popolatissima, 
divenuta era poco men che deserta. Laonde egli è necessario 
argomentare, che poco dopo risorgesse frequente in abitato- 
ri, e d’edifizi novellamente abbellita . 

Si raccoglie da Orazio, e da Giovenale, che assai -ri- 
nomate furono le acque Gabine . Queste acque ‘si perchè 
erano in vicinanza di Roma, sì perchè i bagni della cam= 
pania perduta aveano la loro celebrità per la, morte di 
Marcello, ivi avvenuta, furono per avventura di quel risor- 
gimento la ragion principale. Egli è poi da credere, che 
il maggiore incremento di Gabj origine avesse da Adriano. 
Il nome di Curia Elia, che nella iscrizione di Domizia Au- 
gusta dato è alla sala, in che il senato Gabino si raccoglie- 
va, è indizio, che non erra. i i 

Tutto questo ho io tratto dalle Notizie preliminari ,/ 
che formano la prima parte del bel libro, di cui ragiono. La 
seconda riguarda le sculture, e la terza si aggira sulle iscri- 
zioni. Tra le spiegazioni delle sculture egli è massìmamente 
da farsi plauso a quella del cerchio marmoreo, nel quale 
scolpiti sono i busti dei dodici Dei maggiori e i segni del- 
lo Zodiaco, perocchè con iscelta dottrina e con rara sagacità: 
gli uni e gli altri sì dichiarano , sì rispetto ad essi separa- 
tamente, e si riguardo alla loro scamb'evole relazione. Per 
lo stesso motivo io prepongo agli altri comenti delle iscrizioni 
gabine quello, con che s° illustra 1 importantissima lapida 
pertinente a Domizia Augusta, cui fa padre Corbulone. 

La scoperta dell’effigie di questo celebre Generale dee- 
sì all’ingegno del Visconti, che nell’ illustrazione del mu- 
seo ‘Pio-Clementino ne avventurò le prime congetture ; le 
quali afforzò poi tanto nei Monumenti scelti Borghesiani, dei 
quali mi affretto a parlare , che le potè rendere eziandio 
a ogni più ritroso uomo credibilissime . 

Sono i Monumenti scelti Borghesiani postuma opera 
del nostro antiquario pubblicata in due volumi nel/decorso 


' 


| 457 
anno 1821. e la edizione è rispetto alle tavole, ugualmente 
che ai caratteri, splendidissima. Scrisse ancor questa il Vi- 
sconti richiestone dal lodato Principe Marcantonio Borghe- 
sì (13), che giusto estimatore dei monumenti da sè pos- 
seduti, illustrati gli volea in quel modo, che degno fosse 
di sì pregiato tesoro. N° ebbe egli l'intento ; se dir piuttosto 
non deesi , che ne vedesse superata I’ espettazione ; tanto 
sagace appare in quest opera la mente dell’ illustratore , sì 
importanti sono le sue scoperte , sì giusto il criterio , sì 
ingegnose le congetture , sì copiosa nella sua scelta 1° eru- 
dizione, e sì laudevoli le investigazioni in tutto quello, che 
all'arte si aspetta. Abbia or saggio di ciò, che affermo, il 
mio lettore, nelle poche cose, che da quest’ opera tratte, 
con lui comunico. i 

Scoperta per ogni parte provata quella è, a mio cre- 
dere, della tavola quinta del tomo primo, nella quale è ef- 
figiato un giovane nudo ed imberbe , in sembianze guerriere 
ed insieme avvenenti, che minaccioso volge a destra il capo 
coperto della celata, solleva la sinistra , quasi imbracciato 
abbia lo scudo, e la destra stende come se 1° asta - bran- 
disse. Egli non è Marte: perocchè quando Marte seol- 
pito fu senza barba, se fattezze ebbe gentili , quel vezzo 
però non ebbe, nè quell’amabil fierezza, che nel volto di 
questa statua può ognuno vedere. I capelli di essa sono’ 
distesi ed in ciocche divisi; laddove in Marte crespi si mo- 
strano e ricciuti. In quelle particolarità, siccome nella ro- 
busta ampiezza del collo, e nel poco risalto del mento,’ 
dobbiam riconoscere Achille, guidati da Omero e da altri 
antichi, che insegnano essere stato siffatto il ‘greco Eroe. 
Vengono in opportuno sussidio le non poche teste ammi- 
rate negli odierni musei, che repliche dir si possono in 
questo della statua borghesiana; massime quelle, che negli 
ornamenti del cimiero sofferto hanno dal tempo ingiuria 
minore. Questi ornamenti sono i medesimi che quei, che 
l’ elmo decoravano della Minerva di Fidia; cioè la sfinge nel 


mezzo ,.e i grifi nei lati; siccome Pausania ha lasciato scritto. 
T. VI. Giugno 30 


458 

Or la celata, che in prima portò Achille, dono fu di Mi- 
nerva. Testimonia Omero, che le armi, le quali egli vestì 
innanzi che Patroclo ne fosse spogliato, quelle erano, di che 
gli Dei fecero dono a Peleo nel dì delle sue nozze ; e in un 
bassorilievo della villa Albani, Minerva presenta ad esso 
Peleo una celata. Znerendo forse, dice il Visconti, a que- 
sta circostanza mitologica lo scultore, ha dato ad Achille 
l’ elmo stesso, che avea Minerva nel suo più celebre si- 
mulacro. Altro argomento ad afforzare la sua sentenza trasse 
il sagace antiquario dai due lupi scolpiti nella corona del- 
l'elmo, che il capo ricuopre della statua, ch'egli illustra; 
notando che i Mirmidoni, seguaci d’ Achille, comparati 
sono da Omero a lupi assetati, che vanno a torme; e che 
Achille stesso detto è da Licofrone il fulvo lupo. Quello 
però, in che egli massimamente si fonda, e ben n’ha ra- 
gione, è un anello, che cinge sopra il malleolo la destra 
gamba del simulacro ; il quale anello avere adoperato a di- 
fesa gli antichi guerrieri, fa egli il primo con prove cer- 
tissime manifesto. Dal che deduce, che veggasi in istatua 
rappresentante Achille per dovere argomentare, che in quella 
parte poteva egli solamente ferirsi. E se gli scrittori non 
determinano per quale delle due gambe stretto fosse Achille 
da Tetide, allorchè ella il tuffò bambino nelle acque di Stige 
affine di renderlo nelle immerse parti del corpo invulne- 
rabile, viene in soccorso un bassorilievo capitolino , nel 
quale ciò fa Tetide tenendo appunto il figliuolo suo pel 
destro piede. 

| Si credeano Pilade e Oreste da alcuni antiquarj, tra’ 
quali pure fu il Winckelmann, e da altri si riputavano Ca- 
store e Polluce, i due giovani collocati su d’una sola base, 
che riportati sono alla tavola nona del medesimo primo volu- 
me. Scuopre il Visconti nel tronco, che serve lor di sostegno, 
certi vestigj della scure e del caduceo, e ben ne argomenta , 
dover essi rappresentare Vulcano e Mercurio. E per liberar 
da dubbiezza ognuno, cui strana cosa paresse e la giovanile 
età del Dio del fuoco, e lo star lui col figliuolo di Maia, 


iii << 


PICRRE 


459 
fammemora, che vedesi Vulcano in giovanili sembianze nel 
celebre puteale del Capitolino, e ch'è Mercurio il nume delle 
scienze e delle lettere, com’ è Vulcano l’inventor delle arti ; 
onde Platone gli pose insieme nel suò Protagora, siccome 
Dei, ai quali non solo il perfezionamento , ma la conser- 
vazione eziandio si debba dell’ iman genere. E per ravvi» 
cinare la relazione, riflette ingegnosamente il Visconti, che 
se Vulcano è il nume e l’ allegoria del fnocò ; Mercurio 
insegnò agli uomini l’arte, con che questi il fuoco traesser 
‘dai legni, ove pietre non fossero. 

Subietto di lunga e bella dichiarazione è il cod ‘detto 
Gladiator combattente, sublimissima statua , dalla quale ha 
l’opera fausto incominciamento. Se il Visconti col volgar 
nome la intitola, mostra però ad un tempo con dotte prove 
e convincentissime, che esso non le può appartenere. Con- 
sidera egli dall’una parte, che figure a questa somiglianti; 
nude e con armi in mano, mai non rappresentano gladia» 
tori, ma sibbene Eroi; e d’altra riflette, che le poche e 
certe statue di gladiatori, che sono fino a noi pervenute, 
punto al simulacro borghesiano non si rassomigliano: e ab- 
bondantissimo è negli esempi, che adduce a provare la sua 
doppia asserzione. Ne chiarisce egli di poi, che l’attitudine 
della statua è di tale, che pugni pedestre con chi seco da 
cavallo combatta ; e saviamente perciò congettura, che alle 
prese egli fosse con nna delle Amazzoni: valorose donzelle, 
a pugna equestre accostumate. Tra quei, che a contesa 
venner con loro, assai si celebrano Ercole e Teseo; ma i 
lineamenti, che alle immagini di questi Eroi per gli antichi 
si attribuirono, a quelli della statua borghesiana non si 
conformano. Può il pensiero rivolgersi a Telamone figliuolo 
d’Eaco, rinomato’ al pari di loro in battagliare colle prodi 
femmine del Termodonte. Vel rivolge di fatto il Visconti, 
e acutamente si avvisa, potersi sospettare, che Cimone, il 
quale da Telamon discendeva, e la memoria ravvivava dei 
prischi Eroi d’ Atene , e le ossa di Teseo riconduceva in 
patria, trascurar non dovesse le glorie della sua illustre 


"DIRE 
prosapia. Al quale divisamento non opporsi nè lo stile della 
scultura, nè la forma delle lettere , colle quali scritto ve- 
desi. il nome dell’ artefice, che fu Agasia Efesino, è dal 
Visconti con buone ragioni mostrato. 

Se i moderni , che la storia scrissero delle arti anti- 
che, non conobbero che un solo Policle. tra gli scultori ; 
il romano antiquario (14) ad evidenza prova , che due ne 
furono di questo nome. Gli sono scorta Pausania e Plinio, 
il cui testo, perchè due Policli chiaramente novera, fu dal- 
l’ Harduino, per brama di correggerlo, mutilato. 

Degna, che qui se ne faccia menzione, parmi essere la 
congettura, che fa il Visconti illustrando con ampia dot- 
trina.e con riflessioni nuove la favola d’ Atteone, espressa 
da bassorilievo pertinente a Sarcofago, nella seconda e terza 
tavola del tomo secondo. Disposta è la favola in quattro 
compartimenti, l’ultimo dei quali presenta Autonoe accorsa 
a ricercare il cadavere del lacerato figliuolo , in compagnia 
della vecchia nutrice di lui. Callimaco e Nonno rammemo- 
rando nei loro versi questa lagrimevole scena, adoperano la 
frase "Corta Aéys, ossa legere. A ciò ponendo mente il 
Visconti, e a lui insegnando Polluce che Eschilo fece At- 
teone argomento di una sua tragedia, si avvisa egli inge- 
gnosamente, questa tragedia esser quella, che il titolo ebbe 
degli Ossilegi, e citata è da Ateneo. E questa congettura 
assai reputar si debbe probabile, perchè tra le tragedie 
d’Eschilo, diligentemente dal Fabricio annoverate , niuna ve 
n’ ha, la quale più acconciamente, che gli Ossi/egi, possa ai 
miserandi casi d’ Atteone essere riferita. 

Di quest'opera, non dirò più oltre, perchè quella ce- 
lebratissima sull’ Iconografia greca e latina vuole ora a sè 
le mie parole rivolte. L’Iconografia. greca divisa è in otto 
ordini , ciò sono i Poeti; i Legislatori , e i Sapienti ; gli 
uomini di stato e di guerra ; i Filosofi distribuiti per le loro 
sette ; gl’ Istorici ; gli Oratori ed i Ietori; i Medici e i Fisici; 
e le femmine. celebri. L’Iconografia latina , rimasa con gran 
danno dell’ antiquaria, per la morte immatura dell’ autore, 


461 
ìmperfetta, a cinque capitoli si estende. Contiene il ‘primo 
quei ritratti, che i più degli antiquarj reputano, essere af- 
fatto ideali, ma che derivar debbono, almeno per la mag- 
gior parte, da antichi originali. Appartengono questi al 
primo periodo della Storia romana, cioè a quel tempo, in 
che Roma ebbe i Re. Sono nel secondo capitolo gli uomini 
di stato e di guerra, fioriti nei diversi tempi della Repub- 
blica; e han luogo nel terzo quelli, che salirono in fama 
sotto il governo degl’ imperatori. Comprende il quacto gli 
scrittori , che dopo Terenzio sino ad Apuleio illustrarono 
la latina letteratura; e il quinto, quei personaggi, che lu- 
stro ebbero principalmente dalla vanità; i quali ottenendo 
onori e monumenti pubblici nei Municipj riuscirono a tra- 
mandare ai posteri il loro nome. 

L’ antichità dei ritratti; i luoghi, nei quali uso era di 
porgli; le materie, di che si formavano; le raccolte di essi 
-sì antiche, e sì moderne ; l’ esame critico di queste ; i libri, 
che giovarono all'uopo, sono i punti, onde la prima parte 
è composta della bellissima prefazione. Si aggira la seconda 
parte sulla difficoltà di recar l’opera ad effetto; e la terza 
ne informa del metodo, del quale è fatt’ uso nel compilarla. 
La difficoltà era in vero grandissima. Facea mestieri aver 
contezza di tutto quello , che rispetto a tema cotanto esteso, 
era di mezzo alle ingiurie del tempo e dell’ ignoranza fino 
all’ età nostra pervenuto: ma recava a cìò medesimo impe- 
dimento non lieve l’ essere ancora ignoto un numero ben 
grande di autentici ritratti di Regi e personaggi illustri del- 
l’ antichità, perchè inedite si giaceano le medaglie e gli 
altri monumenti , in che sono essi effigiati. D'uopo era talvolta 
ricorrere a poco conosciuto libro, affine di ritrovare alcun 
ritratto importante, che nelle raccolte iconografiche sareb- 
besi invano ricercato, Ponderar si dovevano eziandio le va- 
rie, e sovente opposte opinioni degli antiquarj su d’ un me- 
desimo monumento, e su’ diversi ritratti, che allo stesso 
personaggio si attribuiscono, i quali nelle differenti opere 
dell’arte poi non si rassomigliano; e adoperar-convenia 


462, 

sommo criterio, affine di separare i ritratti sinceri daî falsi, 
che in troppo copioso numero somministrano medaglie e 
gemme, le quali sono opere di moderna mano, e si ripu- 
tavano di antico lavoro. -Ma il Visconti, allorehè narra tali 
difficoltà, è come il prode condottiero d’ eserciti, che rac- 
conti i pericoli delle sostenute pugoe quando ritorna in par 
tria cinto le onorate tempie del Jauro trionfale. 

Il metodo: poi, che egli prescelse, dovea necessaria» 
mente condurlo a felici risultamenti. Presi in iscorta, fin-. 
chè n° era conceduto, gli autori antichi e gli antichi monu»., 
menti, attinse egli da questi fonti di ricchissima vena, ad 
illustrazione di ciascun ritratto , molte ed importantissime 
particolarità, desiderate in tutti quelli, che scrissero avanti 
di lui. Questi medesimi scrittori ov’ abbiano errato, sia 
rispetto alle notizie biografiche dei personaggi, de quali egli 
parla, sia riguardo alla spiegazione dei monumenti , che loro 
appartengono, sono da lui con molta sagacità sempre emen- 
dati. Quando le geste di quegli uomini, dei quali illustra 
l’ effigie, sono scritte in molti libri, poco su di esse trattie- 
ne il suo lettore: si diffonde più su’ fatti di quelli, che 
pàiono esser fuggiti alle ricerche degli scrittori, che lo han 
preceduto (15). Generalmente ha cura di rilevare l'indole. 
di ciascheduno, perchè i lineamenti del volto disgiunti non 


vadano. dalle qualità della mente e del cuore ;: prestando i, 


primi soventi volte sicurissimì indizj delle seconde. $ì il 
iesto , e sì le annotazioni, alle quali si riserbano le di- 
scussioni più prolisse , abbondano d’ingegnose avvertenze 
e di scoperte importantissime. Se è omai da confessare, che 
nell’ antica età state sono due Saffo, a ciò ne astringono i va- 
lidissimi argomenti, che addotti furono dal Visconti. Prova 
egli con autorità sì positive e sì negative, che l’ amore di 
Faone, e il salto di Leucade, appartengono ad una Saffo, la 
quale più moderna è della poetessa; e che Ovidio fu. il pri- 
mo a confonderle (16). 

I ritratti, che il Visconti attribuisce ad Arato, a Cri- 
sippo, e a Talete, non hanno iscrizione. Sono però sì robusti. 


463 


gli argomenti, eoi quali egli dimostra l’opinion sua, che forza 
è dargli ragione. Una rara medaglia di Pompeiopoli, città 
della Cicilia, e la medesima che Soli, presenta nelle due 
faccie le teste di due uomini illustri. Opportuna per dichia- 
rarle è un’ autorità di Galeno, il quale afferma, che Soli sa- 
rebbe oscura città, se la gloria non la illustrasse d’ Arato 
e di Crisippo. Questi dunque effigiati essser debbono nella 
mentovata medaglia. Ma qual di loro sara Arato, e quale 
Crisippo? Una di queste teste riguarda il Cielo: essa è quella 
d’ Arato. Ne convince Sidonio Apollinare, scrizendo che ai 
suoi tempi eziandio tal movimento si dava ai ritratti di lui: 
con che certamente ai suoi poemi astronomici si volle al- 
ludere. | 

Il ritratto, che prova il Visconti appartenere a Talete 
è in doppio erma, insiem con Biante, il quale ha iscrizio- 
ne, che il manifesta. Egli è certo, che l’ effigie, la quale 
con quella di Biante congiunta si vede, esser debbe d’un altro 
| Sapiente.Iritratti di tutti i Sapienti sono noti, se quelli si eccet- 
tuino di Cleobulo e di Talete. Tra Cleobulo, e Biante altra rela- 
zione non v° è, salvo che quella d’appartenere amendue al. 
l’ ordine dei Sapienti. L° han più stretta Biante e 'Talete. Essi 
erano amici; e due città abitavano tra lor vicine, quali erano 
Mileto e Priene. Poichè egli è noto, aver avuto riguardo 
gli antichi a tali relazioni in iscolpire i doppj ermi; così 
| eredibil si rende, se non certo, che Talete, piuttosto che 
Cleobulo, siasi a Biante accoppiato. 

Si vuole da Dione Cassio, che Agrippa consigliasse Ot- 
tavio dopo la famosa battaglia navale d’Azio, che assicurò la 
fortuna di lui, e in mano gli mise il governo del mondo, 
a rinunziare all’ impero. Riflette il Visconti, che è cio con- 
tràrio ai modi, che quel gran politico tenne sempre con 
Augusto; e congettura ingegnosamente, che la narrazione 
di Dione avesse origine dai romori ad arte sparsi, e da’ 
controversi racconti, che i cortigiani d'Ottavio andar faceano 
attorno sulla disposizion ch'egli avesse di dimettere il supremo 
potere ; ovvero dalle declamazioni dei giovani retori, che 


464 


dovettero certo in questo importante tema esercitarsi; come 
Giovenale , che per esercizio di scuola, compose, siccome 
egli medesimo testimonia, un discorso, nel quale consiglia- 
va Silla a deporre il comando. 

Le opere, delle quali ho finora con assai brevità parlato, 
sono quelle, che massimamente sollevato hanno .d altissima 
fama il Visconti. Essendo pertanto tutte di gran merito, 
e le più di non piccola mole, è-a ragion da stupire, che 
quegli, che queste compose, dettar potesse insieme tanti 
altri scritti, che ammirare ugualmente si fanno per belle 
scoperte, e per dovizia d’ opportuna dottrina. Tra questi 
sono da rammentarsi i Monumenti scritti del Museo d’Ten- 
kins; le Osservazioni sopra un antico cam'neo rappresen- 
tante Giove Egioco ; quelle su due Musaici antichi isto- 
riati (17); la Spiegazione di un bassorilievo in onore 
di Alessandro il grande; quella dei monumenti degli 
Scipioni; le due Notizie delle statue, busti, e bassirilievi 
del museo di Parigi; la Descrizione dci wasi dipinti 
custoditi nel medesimo, e tanti altri lavori, parte pubbli- 
cati separatamente, e parte in Raccolte e in Giornali, i quali 
tutti sono diligentemente noverati negli Annali enciclopedici 
del Millin (18), e nel Giornale arcadico di Roma (19); nel 
quale, a maggior ammirazione di quest’ uomo, che nato 
parve per vincere presso che tutti i dotti dell’ età sua, si 
registrano gli argomenti delle prose, ch’ ei lesse all’Acca- 
demia dell’ Iscrizioni e Belle Lettere, e a quella delle Belle 
Arti, alle quali insieme con nuovo esempio fu, ascritto, e si 
fa il novero delle illustrazioni da lui composte per la Col- 
lezione intitolata Musco francese, e dei molti articoli ch’ egli 
inserì nel Dizionario di belle arti dell’ Accademia reale di 
Parigi x 

In esso Giornale arcadico fatta non è menzione del Mu- 


seo Worsleyano, che al Visconti attribuiscono e il Millin, 
e l’ eruditissimo sig. Kohler. Anche il Visconti medesimo 


par voglia dire, esser egli l’autore di questo libro pregiato e 
: rarissimo, allorchè ei cita come sue le osservazioni ad un 


i 465 
frammento di bassorilievo ateniese allo stesso museo ap- 
partenente (20). Lord Worsley per lo contrario afferma nel- 
la prefazione, sè avere scritto il libro, e dal Visconti essere 
stato solamente soccorso. Fatto sta, che chiunque que- 
st’ opera legga, e letto abbia innanzi quelle, che certamente 
sono del Visconti, v’'incontrerà a luogo a luogo spiegazioni 
siflatte, che non potrà che a questo sagacissimo antiquario 
attribuire. È da porre in tal numero quella del bassorilievo 
rappresentante Giove e Minerva, nel quale, da un picciolo 
vaso in fuori, altro simbolo non vedesi aver la Dea. Prova 

° xd evidenza l’ illustratore , esser questo vasetto 1° Aritena, 
olla quale infondeasi l’ olio , ritrovamento di Minerva , e 
trciò essere simbolo proprio di lei. Questo conferma egli 
1 confronto d’ altri figurati monumenti e coll’ autorità d’ A- 
ttofane , il quale nei Cavalieri chiama appunto Minerva la 


I dell’ Aritena. 


A 


Essendo pertanto tale uomo il Visconti, non è mara- 
Vita se a lui ricorreano, come ad oracolo, e i dotti, e i 
racglitori delle antichità, di presso che tutta 1’ Europa (21). 

€ure è maraviglia, ch’ egli cortesemente , ed eziandio con 
sovbbondanza, desse loro notizie, e i suoi pareri trasmet- 
tessRoli è questo il costume dei grandi uomini, i quali 
nel ie altrui partecipe dei loro lumi , mai per sè temer 
non son d’inopia; sì perchè di essi sono straricchi, e sì 
perchloro rimane un tesoro incomunicabile, dir voglio la 
perspisia della mente , e dell'ingegno; mercè della quale 
le noti. eziandio, di che agli altri dotti furon essi cor- 
tesi, prlono spesso negli egregj lor libri bellissimo aspetto 
di novit Senza che avea il Visconti di questa sua cortesia 
principalcagione in sè stesso. Sì ne’ suoi studj, e sì nell’ e- 
sercizio ‘ suo maraviglioso intelletto, ad altro non parve 
intendere che alla verità. Laonde o la scoprisse egli di 
per sè solco altri la ritrovasse unicamente col proprio stu- 
dio ed ingco, o dalle sue dottrine soccorso, n’era lieto 
ugualment@ressochè tutti i suoì libri ciò testimoniano; in 
ispecie il vone settimo del Museo Pio-Clementino, in cui 


466 
molte correzioni si leggono ai primi tre tomi di quell’opera 
veramente singolare. In questo volume egli ritratta alcune 
opinioni, le quali e i più recenti suoi stud}, e i monumenti 
ritrovati di poi a lui mostrarono, esser false. E questo egli 
fa con sommo candore, e non con quell’arte, che adope- 
rata si vede eziandio da alcuni dei grandi uomini, quando 
dall’ evidenza costretti sono a cangiar loro primieri divisa- 
menti: debolezza, da cui non andò sempre libero Scipione 
Maffei , uno dei campioni dell’italiana letteratura ; il quale. 
se nel corso delle sue Osservazioni letterarie va a mano a 
mano producendo migliori dottrine su gli Etruschi, e gli altri 
antichi popoli d'Italia, il fa però spesso senza renderne ac- 
corto il suo lettore; quasi somiglievole a Turno, che mentre 
si ritira dalla pugna, paragonato è da Virgilio (22) ad ur 
fier leone dai cacciatori assalito , il quale 
Asper, acerba tuens , retro redit ; et neque terga 

Ira dare aut virtus patitur. 

Con uguale schiettezza e generosità confessa il Viscot 
gli errori , che altri in lui riprenda . Aveva egli nel to 
primo del Museo Pio-Ciementino fatto congettura , chia 
testa alata e barbata, che nei denari apparisce della fri- 
glia Tizia, esprimesse il Sonno. Nelle citate correziontel 
volume settimo così ‘scrive rispetto ad essa: // cere 
Eckhel ha trovata questa congettura poco verisimil Ha 
ragione. Non vi è nulla che forzi ad abbandoné la 
spiegazione più naturale , che si rappresenti in lella 
testa una immagine di Mercurio barbato e Sphen®g00, 
a barba cunciforme. In simil modo adopera col dissimo 
Zoega , e con altri uomini di nominanza ; anzi ce quelli 
ancora, che gli angusti confini della mediocrità gianai non 
travalicarono. Ben mi so, che a questi pure far dee plauso, 
quando dimostrino, che altri è caduto in erroreMa non 
ignoro insieme, che quegli, il quale abbia a sè, j Somma 
dottrina e grande ingegno,  procacciato autorità può a8€- 
volmente far tener per deboli gli argomenti dloro , ed 
eziandio con un motto’ scherzevole annichilar{ Né mai 


467 
a.ciò dire attentato mi sarei, se veduto non l’ avessi alcuna 
volta intervenire. Ma il tenore egli è questo del letterato 
orgoglioso, che sdegna confessare, sè esser debole come gli 
altri uomini sono; e non di quello, che alla ricerca della 
verità tien l'animo unicamente rivolto. Sol per essa, e non. 
pel vergognoso prurito di contraddire, corregge il Visconti 
nelle sue opere gli errori altrui; e în quello, di che può 
questionarsi, si sforza di produr nuove congetture, che alla 
probabilità più si avvicinino. Il perchè, 0 opini egli, per 
esempio , diversamente dal Marini e dal Lanzi , premette 
sempre, o quasi sempre, alla sua critica parole cortesi ed uma- 
nissime, le quali fanno altrui testimonianza , ch'ei gli teneva, 
siccome degni erano , in altissimo conto, e gli avea per pri- 
mi in quei rami dell’ antiquaria, che per loro si professavano. 
Pratico io delle opere di questo bellissimo triunvirato, onde 
va Italia superba, e, perchè stretto col Lanzi in caro nodo di 
dolcissima amicizia , testimone oculato delle scambievoli loro 
lettere j ben ho potuto conoscere quanto essi vicendevol- 
mente si pregiassero, e come volentieri } uno all’ altro de- 
ferisse, lo stesso riputando il vincere che l’ esser vinto, per- 
chè ciascuno ugualmente devoto era a verità. Lo che detto sia a 
perpetua confusione e vergogna di quei letterati d’Italia, che 
rinnovellato hanno nell’ età nostra gli esempi abominevoli 
dei Marulli, dei Filelfi e dei Valla; con danno gravissimo. 
.d’ assai chiari ingegni, che o dall'opera ritratti si sono; o 
posto v? han mano con isgomento , dal timor presi dell’ aspra: - 
censura. Ma un, velo si getti su questi scandali vituperosi, 
e ritornisi piuttosto per breve tempo al Visconti . Insorta: 
disputa in Londra intorno al valore dei celebri marmi reca- 
tivi di Grecia da Lord Elgin, i quali si voleano per decoro 
maggiore della città, e di tutta la britannica Nazione, a spese: 
del pubblico erario comperare, fermato fu, che il Visconti da 
Parigi com’ arbitro si chiamasse. Recatosi egli tosto in Lon- 
dra , e dato il prezzo agl’ insigni monumenti, questo sbor- 
sato fu al Lord, cadute, per l'autorità di tanto: giudice, le 
altre opinioni, Nè fu a ciò solo contento il Visconti; ma i 


458 
marmi medesimi descrisse ed illustrò in un libro, che tosta 
si tradusse in più lingue; il quale sebbene in alcuna pacte 
siasi, e per avventura con ragione, censurato; pur danno al- 
cuno non apporta alla fama del preclaro autore, anzi d’assai 
l’accresce, perchè lustro da esso deriva e vantaggio alla sto- 
ria delle arti antiche, alla critica classica, e all’ antiquaria. 

Questo bel libro fu V estrema opera del Visconti. Aveva 
egli in cuore di far nuova edizione del Museo Pio Clementi- 
no, ricomponendone quasi che tutte le illustrazione, e da 
esse togliendo quello, che a lui pareva essere di soperchio ador- 
namento. Usano così fare gl’ingegnosi uomini, i quali, perchè 
procedendo nella loro onorata carriera , e forza e fidanza 
sentono entro a sè crescere, a queste di buon grado sacrifi- 
cano pressochè ogni sorta d’ estraneo abbellimento . Così 
Tullio, che ha dir severo nelle Orazioni contra Marcantonio, 
adoperato l’avea fioritissimo nelle arringhe in favore diQuin- 
zio, e di Sesto Roscio.. Si giubbilò dai dotti all’ annunzio 
di queste nuove cure del Visconti su d’un opera, che al pri» 
mo comparire quasi attoniti gli avea renduti; ma il Signore 
degli umani destini aveva in cielo scritto altramente. Appena 
ebbe il Visconti posto in assetto per la stampa le prime die- 
ci tavole del primo volume , :soprappreso dal penosissimo 
morbo dei calcoli, d’esso morì il settimo giorno del febbraio 
dell’ anno 1818. lasciando di sè tal memoria, che sarà in 
onore finchè si pregino gli studj delle umane lettere e della 
ragionata erudizione. 

Qui compiuto è l’elogie del Visconti, ch’ ho volut? io 
ricavare unicamente dai suoi studj, e dalle sue opere, tacendo 
dei fatti della sua vita privata, e di quei della pubblica. Ho 
‘trascurato i primi , perchè dicendo, ch’ egli fu marito affet- 
tuoso , padre ottimo di famiglia , e coltivator d’amicizia, 
una lode gli avrei dato, che è a molti altri uomini comune: 
e parlato non ho dei secondi, perchè non-poteva io farlo sen- 
za rammentare, all’ Italia, che or gode di beatissima pace, le 
sue passato sciagure. Io non ricordo volentieri che le sue 
glorie : e sua gloria è il Visconti, a confessione eziandio della. 


469 
Francia, lodatrice assai parca del nome italiano , Za quale 
compresa era da egual maraviglia o gli antichi Capo- 
lavori mirasse, o il dotto illustratore di quelli; e dicea_ per 
bocca di un suo letterato : ragguardevolissimo,, che Ennio 
Quirino Visconti ‘era la più grande delle conquiste , che 
essa aveva fatte in Italia (23). 


DE 


ANNOTAZIONI 


(1) Per aver prova di ciò, che affermo , leggansi principalmente e la 
Prefazione del Visconti al primo tomo del museo Pio-Clementino , e le No- 
tizie preliminari del bel libro su’ Monumenti Gabini della villa Pinciana , da 
esso medesimo scritto. Il perchè esser non posso d’ accordo col Ch. sig. 
Kohler, il quale parlando, e per avventura con troppa acerbità, di esso Vi- 
sconti, afferma , che ai tempi di questo. celebre antiquario Zo zelo per gli 
antichi monumenti avea già incominciato a diminuire. V. il Giornale 
Biblioteca italiana al novembre. del 1821. p 265. E,se non m’.ingaona 
la carità della patria, nemmen reputo, esser vero quello, che ivi medesimo 
asserisce l’ erudito oltramontano, cioè che Ze vere conoscenze rispetto agli 

_ antichi monumenti e / estimazione giusta di essi, son cose che vanno 
quasi intieramente perdute in Italia. La conoscenza di non pochi degli 
artisti e degli antiquarj, che or vivono a sommo decoro della Penisola, la 
lettura dei, libri, che quivi si stampano su materie d’ antichità , e il non 
parer io a me stesso sì dì queste imperito, da non distinguere se 1 primi 
bene o male si avvisino nei lor pensamenti e giudizj , e se nei secondi 
verità si contengano od errori, sono le cagioni, onde dissenta dal sig. Koh- 
ler; da’ cui divisamenti se mi allontanerò pure alcun’ altra volta nel pre- 
sente tenuissimo scritto, non voglio che si estimi, aver io in animo di de- 
rogar puoto ai molti meriti di questo dottissimo antiquario, che mi reputo 
a vanto di conoscere eziandio di persona; ma protesto, aver solo in animo di usa- 
re d’ urbana libertà rispetto alle opinioni, ch’ egli ha pure fiberamente prodotto. 

(2) V. Novelle letter. di Fir. an. 1755 col. 666. 

(3) Natura tenacissimi sumus eorum, quae rudibus anni s percipimus y 
ut sapor, quo nova imbuas, durat; nec lanarum colores, quibus sim- 

 plex ille candor mutatus est, elui possunt. Quint. ]}. Or. lib. 1. c. 1. 

(4) Quidam litteris instituendos qui minores septem annis essent, 
non putaveriit . + . . Melius autem, qui nullum tempus vacare cura 
volunt, ut Chrysippus: num is quanvis nutricibus triennium dederit , tamen 
ab illis quoque iam informandam quam optimis institutis mentem infantium 
iudicat . Cur autem non pertineat ad litteras aetas, quae ad mores iam 


470 
pertinet ? Neque ignoro, toto illo; de quo loquor , tempore vie tantum 
effici , quantum conferre unus postea possit annus . . . . Certe quanali- 
bet parum sit quod contulerit aetas prior; maiora tamen aliqua Giscet 
puer eo ipso anno, quo minora didicisset. Id. ibid. ) 

(5) In pueris elucet spes plurimorum: quae cum emoritur aetate, ma» 
nifestum est, non naturam defecisse , sed curam. Id. ibid. 

(6) A sì fatte interrogazioni (dice Cicerone nelle sue Tusculane lib. 
I. c. 7 sul princ. Trad: del sig. Gonte Napione) il fanciullo fanciulles» 
camente risponde . Sì facili con tutto ciò sono le interrogazioni , che 
rispondendo ordinatamente giunge a iisolvere il quesito allo stesso modo, 
come se già saputo avesse la geometria . 

(7) Quintil. I. O. lib. 1. c. 1. Hedetes vero et indociles non magis 
secundum naturam hominis eduntur, quam prodigiosa corpora, et mon- 
stris insignia : sed hè pauci admodum . 

(8) Za primis cavere oportebit,ne studia qui amare nondum potest, oderit, 
et amavitudinem semel praeceptam , etiam ultra rudes annos veformidet. Lu- 
sus hic sit; et rogetur,et laudetur, et nonnunquam scisse se gaudeat. Id. ibid. 

(90) 7. Annales encycloped. rédigées par Millin. Mars 1818. pt 164 

(10) V. Lanzi Stor. pitt. tom. 2. pag. 73. Plim. Stor. nat. sxxv. 10, 

(11) Asserisce il sig. Kohler (v. Giornale Bidliot. Ytal. ottobre 1821; 
pag. 171.) che quando il Visconti cominciò a scrivere l’ Iconografia greca, 
non si era ancor molto occupato delle monete dell'antichità; e aggiugne 
esser ciò noto ai suoi ( del Visconti ) amici di Firenze, di Roma e di Pa- 
rigi . So venero altamente e questi e il Sig. Kéhler; ma non voglio che tal 
venerazione incateni punto la libertà del mio pensare, cui non pretendo però 
che essi conformino il proprio. Pertanto nel lungo studio da me fatto sulle 
illustrazioni del museo Pio-Clementino ho trovato, che spesso il Visconti 
trae dalle medaglie muovi, ingegnosi e plausibilissimi argomenti per ispie- 
gare i suoi marmi. Perchè di ciò persuaso sia anche il mio lettore, non 
chiederò a lui, che legga tutti interi i sette tomi di quest’ opera insigne; ma 
solo if pregherò a voler dare un’ occhiata alla prefazione del 6.°, alle tavole 
che si aggiungono per utilissimo corredo alla fine di ciascheduno di essì 
tomi, e a percorreroe le brevissime dichiarazioni, da che sono accom- 
pagnate. Moltissimo, ed ottim’ uso delle medaglie fa pure il Visconti nei 
monumenti Gabini j“e negli scelti Borghesiani, opera recentemente edita a 
gran vantaggio dell’ antichità figurata., e composta innanzi all’ Iconografia . 
Della quale seguendo a parlare nel Iuogo citato il sig. Kohler, dice: Che 
ivi sien corsi molti sbagli, lo esperimenteremo Ben presto pei lavori 
in parte già scritti da alcuni conoscitori di monete dell’ Îtalia , della 
Francia , e del Mezzoggiorno delta Germania. Con essi verrd resa a 
molte dell’ effigie dal Visconti presentate, la loro propria denominazione, 
e si toglierà loro il posto e il titolo che occupavano nell’ Iconografia. 
Che in quest’ opera siano veramente corsi sbagli intorno alle medaglie, non è 
da negarsi. Per esempio, il celebre sig. Domenico Sestivi, R. Antiquario in 
Firenze, nel tomo primo della sua continuazione delle Lettere e disser- 
razioni numismatiche Let. VII. mostra ad evidenza che il Visconti s' ingau- 
uò in leggendo una medaglia, allorchè egli vi vide Manno Re d'’ Edessa 


471 


iquand’ essa in verità è di Caracalla, e pertinente alla colonia Carra della 
Mesopotamia. Ciò però nondimeno dice ivi medesimo esso sig. Sestini, 
che nell’ Iconografia del Visconti l’ Antiquario troverà scelta erudizione 
relativa a tanti uomini illustri . ... dedotta dai marmi, e MEDAGLIE 
ANTICHE con ragionamenti dotti , giusta e giudiziosa critica. E per- 
chè non si creda, che, essendo, quando ciò scriveva il sig. Sestini, ancor 
vivo il Visconti, egli lo scrivesse più per certa urbanità che per altro, è 
da leggersi la prefazione da lui premessa alla ristampa della sua importan- 
tissima opera: Classes generales, fatta in Firenze l’ an. 1821. Ib questa 
prefazione dopo aver detto, che il suo libro è il compendio del Sistema 
Eckheliano , agumentato e corretto mercè ‘delle proprie opere, delle descrizioni 
di musei, rendute di pubblica ragione dopo la morte dell’ Eckhel , scrive : 
Quibus accedit praeclarum opus E. Q. Visconti (quatuor ab hine ar- 
nis e vivis erepti Paristis), cui titulus: Iconographie Grecque et Romai= 
ne .... Ex quibus omnibus rei numariae thesauris perfectius reddere 
utiliusque \idipsum systema potuimus , uti nobis videtur ec. Un’ opera 
pertanto così lodata dal principe degli odierni numismatici, cui l’ adulazione 
è sconosciuto vocabolo, potrà credersi, tanto abboudar d' errori rispetto 
all’ uso delle medaglie, che più presto che d’un uomo in esse abbastanza 
esperto , a riputare s’ abbia lavoro di tale, che quasi sia principiante ; come 
sembra , volere insinuare il ch. sig. Koller ? Torna qui in acconcio il ripe- 
tere quello, ehe sopra diceva, cioè che il Visconti, se uon vinse e nemme- 
no uguagliò nella scienza delle medaglie, quelli che tutti si dedicarono ad 
essa, tanta però n’ ebbe, quanta gli fu mestieri per trarne sussidio nelle sue 
antiquarie illustrazioni. Errò egli talvolta: e che per questo ? Errò il Winckel- 
mann, errò il Zoega, errò il Lanzi, eriò il Marini; ma nondimeno restano 
essi sempre grandi, ognuno in lor genere; e quei, che*gli correggono, nè os- 
eurar ne possuno con ciò le jalorie, nè aspirar con questo medesimo a fama 
maggiore. 

(12) V. doct. Iacobs ad Anal. Brunck. vol. II. p. 300. 

(13) Veggasi l’ avviso ai lettori, premesso all’ opera dai Ch. Cav. Gio. 
Gherardo de' Rossi e Stefano Piale; i quali ne informano, che quel prin- 
cipe per non ispaventare il Visconti coll’ immensità del lavoro, gl’ im- 
pose di scrivere i suoi commentarj a seconda che i disegni e le inci- 
sioni si andavano avanzando ; e che, abbandonatasi per le passate lut- 
tuose vicende d' Italia l' impresa, e perdutesi alcune delle illustrazioni del 
Visconti, quella si è oggi per loro riassunta, e supplito sì è a queste, in 
parte coll’ adottare le spiegazioni del Lamberti , le quali sono tra quelle, 
con che questo letterato brevemente illustrò in due volumi in 8.° i Monu-: 
menti della villa Pinciana, e in parte dandone di proprie. 

(14) Tom. 1. tav. 26. 

(15) Il sig. Kohler afferma all’ opposto , che il Visconti nella Icona- 
grafia assai di sovente è breve dove una maggior copia di cose si avrebbe 


da lui desiderata. Altro qui dir non posso, se non che tra questo dotto 


oltramontano e me sia giudice il lettore. Non voglio però rimanermi 
dall’ avvertive, che non par molto provata l° asserzion sua dall’ esempio, che 
egli adduce per confermarla. Egli c' indica, sono parole del sig. Kéhler, 


472 


qual sia l' antica immagine, ch' egli prende per quella d' Euripide, ma” 


non fa verun cenno di quel busto tanto osservabile che per lo innanzi 
fu da molti attribuito a questo poeta, e come tale sta inciso nelle edi- 
zioni di Euripide, di Musgrave, e di Beck. Che questo busto pieno di 
espressione rappresenti un uomo assai rimarchevole , lo comprovano le 
molte antiche repetizioni di esso , le quali trovansi nelle collezioni di 
Firenze, di Roma , e di Napoli. Che questo busto non sia d’ Euripide 
provato è dall’ erma del R. Museo di Napoli, che porta il nome del Tra- 
gico, ed ha lineamenti differeutissimi. Il Visconti riporta quest’ erma, e dice 
che senz’ esso non avremmo mai potuto riconoscere il poeta nelle molte 
opere d’ antica scultura, che il rappresentano. Or che ‘altro mai far debbe 
quegli, che posto si è in cuore di dare autentici ritratti di antichi perso- 
naggi? Quando ne pubblica di tali, sarà egli obbligato a far congettura su 
quelli, cui davasi innanzi falso nome, e che, o per muove scoperte, o mercè 
di più accurate ricerche, ad accrescer passano la serie degl’ incogoiti? A 
quello, che ciò da lui volesse, risponder potrebbe col servo Terenziano: Da- 
vus sum, non Oedipus. La savissima considerazione poi, che un busto, di che 
veggonsi molle copie, appartenga a personaggio ragguardevole, serv” ella punto 
per poter quello determinare ? Sono due o tre gli uomini siffatti nell’ an- 
tichità, dei quali non abbiasi certa effigie? Essi sono moltissimi; e se al- 
cuna particolarità dei loro volti d'altronde non sappiasi , se lume alcuno 
non somministri il luogo, in cuì' tali, ritratti scavati sì sono, se manchi in 
somma ogni mezzo di congetturare, non altro avventurar su d’ essi potremo, 
che meri sogni. Adunque se tacque il Visconti sulla effigie, che credeasi 
d’ Euripide, per rispetto alla quale luogo non vide a congettura, non è da 
impmtarglisi a difetto. Veggasi rispetto a ciò quel ch’ egli ba detto nell’ Iconogr. 
tom. 1. pag. 22v, e si ammiri allorchè egli acutamente conosce quello, che lui 
in ciò conduca ad importanti scoperte. E questo in lui non è raro. Si rammenti, 
per averne esempio, il ritratto di Corbulone, del quale sopra ho parlato , e 
si considerino quelli, che cito, seguendo a dar ragguaglio della Jconografia. 

(16) Questa opinione del Visconti ha destato ira nel sig. Kohler. Se ne 


vale egli per provare che, suoi pensamenti sono spessissimo arditi senza 


esser nuovi, e senza avere una certa base. 4 ciò, egli dice, appartiene 
P idea, già da alcuni esternata nell' antichità, di due donne che si chia- 
mavan Saffo, delle quali abbiasi potuto faure una sola persona, idea che 
il penetrante Bayle , come ‘nulla provante ed assurda , avea rigettata, 
Voleva il Visconti fur rivivere tal ques tione? Avrebbe dovuto condurre 
le sue prove con egual dottrina che spirito, come recentemente fece un 
letterato tedesco nella sua apologia di Saffo; ovvero se ciò a lui non 
riusciva , tenere la sua opinione per se. Non dirò nulla delle ultime pa- 
role del sig. Kohler, le quali persona di gentili costumi non si attenterebbe 
mai di adoprare nemmeno per rispetto ad uomo, che con suoi libri fatto 
si fosse a tutti ridevole; e non parlerò pure dello spirito, che esso sig. Kohler 
desidera nell’ articolo che Saffo riguarda; estimando io che in questo, sic- 
come negli altri, si debba solo cercare possesso ed atta disposizione della 
materia, e forza di argomenti: le quali cose quivi, siccome, altrove non man- 
cano Io addarrei volentieri le prove, alle quali appoggia il Visconti l' opi- 


È ro o ad 


ST 


sel 


RITIRI 


as 


speri 


Ls 3 


4 


| 473 
mion sua, se ciò non fosse per condurmi a troppa lunghezza. Prego il mio 
lettore a volerle nella grand’ opera del ‘romano antiquario esaminare, ed ho 
fidanza che ei sia per rimanerne appieno convinto. Sono molte; e tutte 
parute ini sono assai forti: lo che io noto, perchè ogurn, che se ne stesse al+ 
le recate parole del sig. Kohler, dovrebbe credere, che il Visconti avven- 
turasse la sua sentenza di sola fantasia, o la esponesse senza addurre i motivi; 
che lo mossero ad abbracciarla . Vorrà poi permettermi esso sig. Kohler, 
ch'io per rispetto a Saffo tenga l’ opinione del Visconti, finchè egli non di- 
mostri con buone ragioni , esser falsa ; lo che è perpetuo dovere di tutti 
quelli, che si oppongono ai pensamenti d’ altrui. 

Del resto il sig. Kohler mostrasi avverso all’ Iconografia più che ad ogni 
altra opera del Visconti. Se si considera bene, egli scrive, Ze ricerche mi- 
nute sulla vita, le opere e i sistemi dégli. antichi ‘filosofi e poeti nor 
appartengono punto all' Iconografia se non sono che de’ riempitivi. Que- 
sta parte è la più debole dell’ opera. Qui il Visconti ‘si smarrisce in 
un campo , che gli era intieramente sconosciuto , come lo provn il 
risultamento +... Di tutti gli scritti del Visconti, l’ Iconografia è ap- 
punto la sola opera, che dovrebbe essere trasportata in tedesco e lavora- 
ta ulla tedesca. Nessuno è per negare, clie un’opera eseguita dai dotti di 
Germania , fosse per riuscire utilissima , ed ottener plauso da tutte le culte 
nazionî. Ma si potrà egli poi d'altra parte affermare, che il Visconti scri- 
vendo degl’ illustri personaggi dell’ antichità sì smartisce in un campo, che 
gli era interamente sconosciuto ? Un uomo di tanto ingegno , così assiduo 
mella lettura degli scrittori greci e latini, potè ignorare , o mal conoscere 
ciò che la lor vita riguarda, e le loro opere, e le lor sette? L’'Iconografia 
si difende di per sè, di per se purgasi da quest’ arditissima accusa. Ad 
ogni antico , ‘di cui si dà l’effigie, si appone in compendio sì, ma con 
pìieno possesso, tutto quello che più importa sapere di lui. I libri della ve- 
tusta età e della moderna, che diffusamente parlano del medesimo , e dai qua- 
li tratto si è giudiziosamente il breve ragguaglio , citati ‘sono nelle annotazioni, 
cui nulla, o assai poco, aggiunger si potrebbe rispetto ad altri fonti , che 
ne somministassero notizie pregevoli e nuove. Ciò è a mio giudizio baste- 
vole a un Trattato d’ Iconografia . A questo però solo non è contento il 
Visconti. Lega egli la storia dei personaggi con quella dei tempi; € ris- 
petto alla vita , alle opere, ed all’ età di loro ne istruisce di cose , alle 
quali posto non avean mente quelli, che scrissero avanti di lui, e d’altre, 
che essi mal seppero, più fondatamente ragiona, e con criterio migliore. Dica- 
si pure col sig Kohler, che questi non sono che riempitivi; ma dicasi in- 
sieme che sono riempitivi di dottrina abbondanti e d* ingegno , sommamen- 
te giovevoli all’ antiquaria e all’ erudizione, e tali, che così spesso non si 
trovano negli scrittori dell’ età nostra . 

(19) Il cammeo di Giove Egioco , e i due Musaici hanno incontrato la 
ripreosione del. sig. Kohler . Intorno al primo egli scrive, che il Visconti si 
passa intieramente delle cose principali che risguardano questo monumen= 
to ; e molto di ciò che concerne la figura (il busto )e ve la distingue, 
non è condotto a fine, come converrebbesi . Pare a me che quello che 
concerne il busto di Giove inciso in questo cammeo, furmi una delle eose 


T. VI. Giugno 31 


474 


principali di esso, anzi ne sia la principale. Ora io non so comprendere ee- 
me dir si possa, che una cosa tralasciasi, e insieme, che non si conduce a fi- 
ne come converrebbesi . Ma ciò lasciando stare, darò qui un brevissimoyrag- 
guaglio dell’ operetta del Visconti, affinchè il mio lettore giudichi da questo 
se sia da aversi per giusta la censura del sig. Kohler. Estimando il Visconti, 
essere superfluo il parlare del merito di questo antico pregevolissimo lavoro 
potendo il leggitore assai più apprendere da un solo sguardo. gittata 
sulla finissima ed accuratissima stampa (del sig. cav. Morghen) ov’ è des. 
lineato , che non da molti periodi d' esposizione e d’ elogio , si propo» 
ne per iscopo alcune riflessioni, parte su ciò che all’ ispezione dell' immagine 
può da una erudita curiosità ricercarsi, parte sull’ uso, parte sulla materia 
di questo esimio e particolar monumento. Parla primieramente della corona 
di quercia, che cinge la chioma del Nume, e dell’ Egida , che all’ omero 
sinistro se gli ravvolge. Ripete la prima dalle religioni pelasgbe , le quali 
consecrarono a (ziove il querceto dodoneo, come suo tempio; e svolge quello 
che riguarda la seconda, con copiose dottrine derivate digli antichi serittori 
e dagli antichi monumenti, conchiudendo con la seguente acuta e plausibilis+ 
sima osservazione : E’ den degno notarsi , egli scrive , come presso Ome= 
ro non si mentovi mai la quercia per arbor sacra di Giove senza ag» 
giungere al Nume l’ epiteto d’ Egidarmato s non. per altra cagione , io 
credo, se non per quella, che sì l'una, che l' altra, han relazione a Gio- 
ve come al Dio del tuono e del fulmine» la prima penale sembra resi» 
stere alle tempeste del Cielo ; la seconda, perché n° è simbolo e:gero» 
glifico. Se dunque la corona di quercia è precisamente propria di Giove 
. Egioco , avvedutamente l' artefice ne ha fregiato le chiome di questa 
immagine , che tien l’ Egida raggruppata sull’ omero manco quasi suo 
scudo. E perchè l’ aria del volto è placida e lieta, congettura saviamente 
il Visconti, che quelle insegne sian soltanto simbolo di potenza, non mi- 
naccia di guerra e di distruzione . . . . Sicchè potrebbe dirsi ch'è un Giove 
vincitore , che mentre la letizia del trionfo si spiega sulla sua fronte , 
non ha egli ancora deposto l’armi della battagiia . Quindi. dal veder 
sollevato il guardo, e mosso il capo verso la destra, arguisce, che questo, Cam. 
meo sia imitazione d'un’ opera! d’ arte, dove la figura si mostrasse in- 
tera, ed in qualche determinata ‘espressione ed atieggiamento . E a chi 
tal congettura spiacesse per riputar cosa indegna del eccellente litoglifo il ré- 
trarre nel cammeo una figura, che non avess egli da per se stesso inventata, 
risponde adducendo buon numero di esempi, dai quali si fa palese, che i 
più insigni incisori dell’ anzichità non isdegnarono far copie dell’ opere al- 
trui, Con. ciò chiude il Visconti la prima parte della sua illustrazione. 
Propostosi, com’ è \detto., di parlar nella seconda dell’ uso ,a che potè es- 
er destinato questo ricco gioiello, rammenta, recandone esempi, che gli 
utensili per le sacre cerimonie del culto pubblico , e gli anatemi o do- 
narj, che solean riporsi ne’ templi, sovente di scolpite e intagliate gemme 
veniano adorni ; che costume era invalso di dedicare ne’ templi le inte- 
re collezioni d'intagli e cammei, appellate Dattilioteche ; e che alcuna 
delle superbe corone , che circondavan talvolta il capo de’ sacerdoti’, sì 
mostra negli antichi monumenti fregiata di simili cammei circolari. Il 


475 

erchè egli fa congettura, che in alcuno dei famosi templi asiatici ye forse 
nell’ Efesino (nella qual, città è tornato in .luce il presente cammeo ) 
sia stato questo ammirato una volta, o fra’ donarj del tempio , o nelle 
suppellettili sacerdotali. Trattando poi brevemente nella ‘terza parte della 
qualità della pietra, g giusta le teorie degli antichi, ripone questa tra Ze Sardoniche 
Arabiche, scorto 1a, una passo di Plinio; ch'è evidentissimo. Seguono le annota» 
zioni, nelle quali sono, confermate le cose, che si discorron nel testo, ed altre 
e muove ‘osservazioni si fanuo, che tutte a me paiono degne dell’ alta fama, 
che si e il Visconti coll’ immortali sue opere procacciata . 

Giunto il sig. Kohler a parlare delle. Osservazioni su’ due musaici 
antichi istoriati scrive: La sola ispezione del rame, che rappresenta le 
tavole musaiche, deve ad un occhio per poco esercitato inspirare qual- 
che diffidenza . Ma definitivo è il giudizio del celebre Marini da lui 
comunicato per lettera al degnissimo cavaliere Morelli in Venezia, co- 
me questo ultimo uomo, la di cui fede si solleva al di sopra di 
qualunque dubbio , mi assicurò . Il Marini dichiara che i due oggetti 
d’ arte, di cui st ragiona in questi scritti , sono due misere frodi mo- 
derne .: Scrivevasi il vero dal Marini, e bene ad esso si appoggia il 
sig. Kohler. Ignora però questi ciò, che per avventura. seppe il Marini, e 
che libera il Visconti'dalla taccia; che par voglia darglisi, di non aver 
avuto occhio, che abbastanza esercitato fosse, ne) saper distinguere i monu- 
menti veri dai falsi. Studiava io guidato dal celebre Ab. Lanzi le anuti- 
chità, quando m’ imbattei nelle Osservazioni su’ due musarci. Recatomi nel- 
la sera .di quel di medesimo, in che ne aveva io fatta lettura, a questo 
egregio vecchio , favoreggiator grande della’ studiosa gioventù; ed. entratone 
con esso in ragionamento, sì per sodisfare alla esortazione che fatta mi avea 
innanzi di parlar seco lui dei libri d’antichità, che per me a mano a ma- 
no si percorressero, e sì per brama «li sottoporre al discernimento di que- 
sto sagace uomo i pensamenti miei ; e data molta lode’ all’ingegno del 
Visconti, dissi, parermi lui in questa illustrazione veramente il grande Apollo; 
‘. da che più presto che illustratore d’ antico monumento, colui reputar po- 

terasi, che la mano dell’ artista avesse diretta. Guardomni il buon vecchio 
con riso di compiacimento ; e mentre voleva egli alcuna ‘parola dirmi, un 
cultissimo e spiritoso Cavaliere:$ non ha guari morto, che per molto .tem- 
po aveva in Roma,in familiarità col Visconti, e ‘col Cav. Azara vivutoz 
e che sedeami presso, disse ;a ime rivolto: E così fu di fatto. I musaici 
sono opera di moderno artista,e il Visconti dette a lui l’ argomento e 
le norme. Adunque io ripresi, quello fece il Visconti, che Leon Ba- 
tista Alberti e Carlo Sigonio Secer o, quando essi spacciarono per antiche, 
opere da loro composte. Ciò però nondimeno, dissi seguitando, quelle os- 
sevvazioni del Visconti paionmi da doversi tenere in pregio. per le nuo- 
ve ed ingegnose cose che vi scrivono , I due dotti uomini in questo a me 
consentirono ; ed io chiamato ora dalla censura del sig. Kobler a legger 
muovamente l’ opuscolo , non. ho saputo che confermarmi nella primiera o- 
pivione. 

(18) An 1818, tom. 2. p. 142. seg. 

| (19) Ann. 1819. t. 2 p. 22. seg. 


476 

(20) Monum. scelti Borghes. tona. 2. p. 61. nota iv. 

(21) Il sig. Kohler riporta due certificati del Visconti relativi a due 
gemme , da lui inviati in ‘lettera ai possessori delle medesime. Una di 
queste gemme ha per argomento Berenice moglie di Tolomeo Evergete; e 
secondo esso sig. K6hler, è opera di moderno artista, mal giudicata antica 
dal Visconti. L’ altra ha effigiato Traiano ; e , al pensare dell’ erudito -cen- 
sore, sì ingannò il Visconti nel parere, che ne dette rispetto all’ arte. Di 
poi così scrive il sig. Kohler : Questi certificati (del Visconti) come venia- 
no troppo spesso, e facevano supporre una troppo grande credulità dalla 
parte dell’ autore , svegliarono qualche sospetto fra gl’ intelligenti di più 
paesi, come, per esempio in Polonia, e finirono col perdere tutta la loro auto- 
rità... Il Visconti nient' altro udendo che basse eterne adulazioni , che 
lodi e maraviglie profusegli a viva voce e per iscritto, malgrado tutta la 
sua esterna modestia e discrezione, divenne così ardito e certo» del fatto 
suo, ch’ egli ne' suoi pareri e nelle sue illustrazioni non osservava più ne 
misura nè regola . Che il Visconti 5° ingannasse - nel giudizio delle due 
pietre rammentate , il coucederò; e più volentieri il concederò, perchè lo 
dice il sig. Kohler, che so per esperimento esser di queste antichità pe- 
ritissimo . Ma che gli sbagli del Visconti uguaglino quasi in numero i suoi 
certificati, questo è ciò, di che niuno potrà mai persuadermi. Appena si 
oserebbe asserirlo di quello , che dal limitare unicamente salutato avesse que- 
sti difficili stadi. Che il Visconti talvolta avventurasse opinioni più inge 
gnosè che vere, e detto l’ ho di sopra, e or non temo dirlo di nuovo. 
Ma chi fra gli antiquarj non fa congetture ? Non è riprensibile il. conget- 
turare ove non' sia certezza, o non vi si vegga. Le congetture su d’ anti- 
co monumento destan sovente in altrui la brama di far sopr’ esso un nuove 
studio , mercè del quale non è raro, che pervengasi alla ‘verità. Affermai 

ure, che talvolta sbaglia il Visconti, e volentieri ora il ripeto, Ma chi non 
‘sbaglia, in ispecie nelle materie antiquarie ? Il sig. Kohler, per esempio , 
reputa: lavoro moderno la ricca Avgenteria posseduta dal sig Barone di 
Schellershein, che estimò essere antica il Visconti illustrandola dottamente in 
rina lettera, pubblicata in’ Roma nell’ anno 1793. e n° ebbe ragione. Per 
provar che è antica veramente, non dirò che ‘io non ho mai saputo dabitar- 
ne, perchè sono a me consapevole, che nulla debbe valere il mio giudizio: ma 
rammenterò,. che nemmeno dubitonne 1’ abate Lanzi. E per contrapporre 
sentenza d’ Oltramontano a parere d' Oltramontano, riferitò quel che rispetto a 
questa Argenteria scrive il tanto dotto, quanto gentile sig. Consiglier Bottiger 
nella Introduzione alla dissertazione del sig. Kohler (Bib. Ital: n. 70. pag 103). 
Noi sappiamo, egli dice, dal sig. Husch, V illustre Archeologo di Berli- 
no , il cui nome è certameute conosciuto in Italia , che la scatola di 
argento contenente alcune cose spettanti alla toeletta di una dama, ro- 
mana } la quale ‘si vede nella collezione del Baron di Schellershein ‘a 
Firenze y è veramente antica, ma di una antichità, che si approssima al 
medio evo y nella decadenza del gusto, verso il quinto o sesto secolo 
dell'era volgare Il Visconti 1° aveva giudicata del 4°. o del 5°. Del resto 
il citato sig. Bottiger nel mezzo alle giuste lodi, che tributa al Ch. Kohler 
nella mentovata sua Introduzione, parla con maggior riguardo, che non fa 


n e 


LAP 


de SRL E MPA E VITO n an” 


-® 


477 
rpuestì, del Visconti. La censura del sig. Kéhler, nor troverà egli dice, 
per avventura l’ approvazione di quelli, che sanuo apprezzare giustumenz 
te è meriti generalmente riconosciuti del grande Archeologo .. Un giu 
dizio severo non nuoce che ad una riputazione usurpata. Ennio Visconti 
era al di sopra di tutte le invettive. Senza voler derogare ar meriti 
generalmente riconosciuti da tutta l’ Europa di questo raro scrutatore x 
conoscitore dell’ antichità , nessuno»però può negare, che, particolarmente 
negli ultimi anni della sua vita, quando tutto il Nord ed il Mezzogiorno 
e perfino ... Albione accorrevano davanti il suo tripode; nella folla 
degli affari , e nella confidenza che per le domande reiterate , che gli 
venian fatte , acquistata aveva in se medesimo, egli fece partire dalla 
sua bocca diversi oracoli, che uno scetticismo salutare ed indispensabile 
ai progressi delle scienze umane oserà QuaLcHE voLTA rivocare in dubbio ..... 
Il Visconti era di facile comunicativa , e si può dir prodigo delle sue 
conoscenze . Tutto il mondo gli sottometteva i suoi dubbi, gli faceva 
delle domande , ed egli rispondeva a tutti .... Ma più egli era pre- 
muroso di servir tutti, piu egli cra scggeito ad ingannarsi, non avendo 
il tempo di maturare il suo giudizio .... E’ CONOSCIUTA L’ IMPORTUNITA” 
DE’ VIAGGIATORI DEL NORD, E LA MOSTRA POMPOSA ) CH’ ESSI FANNO QUALCHE VOL= 
TA DELLE LORO PIETRE INCISE RACCOLTE IM FRETTA , E SENZA IL MENOMO GUSTO. 
Questa condiscendenza del romano antiquario, a lode di esso giustarvente 
l'ascrisse li sig. Quatremere de Quincy , uno dei primi ouori della francese 
letteratura, allorchè raccomandando con bellissimo. elogio alla posterità gl’ in- 
signi meriti di lui, il paragonò all’ opulento Cimone, che agli orti suoi mai 
non pose il guardiano, perchè ognuno, cui fosse a grado, potesse i frutti coglierne 
liberamente » 

(22) Aen lib: 9 v.: 794. 

(23) L. Biondi nell’elegante Elogio, ch'egli del Visconti scrisse, e stampò 
nel tomo 2. del Giornale arcadico, giovandosi degli elogi composti da altri 
dotti in onore di quel grand’ uomo ; dei quali elogi esso sig: Biondi pre- 
melte il novero. 


Se e 
BELLE ARTI 


Monumenti dell’ Architettura antica: Lettere al Conte GIuseP- 
PE FRANCHI di Pont. Pisa, presso Niccolò Capurro 1820. 
tomi 3, in 8,° 


Estratto del Tomo 1. 


. Non si direbbe che il Conte Napione fosse troppo convinto. 
da quel detto di Plinio de ‘pictore, scultore, et fictore nisi 
artifex judicare non potest, allorquando nel principio della sua 
prefazione a quest'opera annuncia, che le sue lettere nè da an- 


478 

tiquarii, ne tanto meno da architetti di professione è suo in- 
tendimento si leggano, non ostante il titolo che portano in fronte. 
Vupl egli, siano lette da dilettanti degni di tal nome; dal che 
sembra poter dedursi, che malgrado l’ estensione delle sue co- 
gnizioni, non abbia egli troppa dimestichezza colle seste, e colla 
matita. Passa egli immediatamente in rivista. con severità di 
critica molti luoghi, ove il sig. Schneider nel suo commento 
sopra Vitruvio attacca l’ antico classico latino, sentenziandolo 
quasi di vecchio imbecille , e riputandolo negletto da Augusto 
poichè non vedesi che abbialo adoperato negli edifici innalzati 
in quell’ epoca. Fa osservare una specie di contradizione nel 
dottissimo Commentatore, laddove produce tanta copia di varian- 
ti lezioni; mentre e come mai ritenersi Vitruvio per uomo da 
poco, quando poi s’ abbia a tener conto di tante varianti come 
fossero gemme peregrine,, o modi sicuri per giungere alla chia- 
ra intelligenza de'luoghi oscuri di que’ suoi libri ? 

Questo lungo ingresso nella prefazione non direbbesi annun- 
ciare un piano dell’opera, che veramente non può dirsi che 
l’ autore se n’ abbia alcuno proposto : A ciò seguono varie 
riflessioni intorno al più antico commentator di Vitruvio, fra 
Giocondo , e concludesi al fine che Vitruvio, piuttosto che ar- 
chitetto di professione , fosse un dilettante ,  fiancheggiando 
quest’ opinione coll’ esposizione del Conte Verri nelle sue notti 
romane, ove nella VI fa entrare in dialogo Tullio con Vitruvio. 
Rispettando le opinioni di questi letterati a noi sembra di po-. 
ter sostenere, che nessun edificio esistente antico o moderno 
può attestare altrettanta profondîtà magistrale nelle dottrine 
architettoniche, quanto li X libri di Vitruvio: e crediamo che 
i dialoghi del Conte Verri possano citarsi come un buon testo 
di lingua moderna, e come eccellenti romanzi storici, ma non 
come codici di critica in queste materie. Da questi preliminari sa- 
rebbe forse taluno portato a dubitare, che l’egregio Conte Napione 
quasi dimentico della modestia che lo distingue, volesse comparar- 
si a Vitruvio, che dilettante in quest’ arte al pari di lui dettò un 
ampio trattato di Architettura , siccome ora egli vien quasi det- 
tando un corso di storia e di critica in quest’ arte coi tre vo- 
lumi-enunciati. 

Passa quindi a far cenno di molti suoi amici defunti, e 
viventi in Roma come dilettanti e. versatissimi nondimeno del- 
le cose architettoniche ; e loda grandemente e meritamente 


479 

l’ ingenuo e coraggioso sig. Quatremere di Quincy per la sua 
mobilissima e franca opposizione al traslocare dall’ Italia i mo- 
numenti d’arte, mentre in quei tempi difficili quell’ ardimento 
poteva costargli presso. men che la vita. E dopo aver trascorso 
sopra molte opere pubblicate in Italia e fuori, dall’ epoca iu cui 
avevà egli già dettate queste sue lettere ;' conchiude che non 
ha creduto di far conto degli scritti altrui, per non avere da 
rifare del suo; e, Mon pad nare dal canto dell’ esattezza 
(che però è il tutto in tali materie) guanto avrebbe perduto in 
ciò che riguarda la naturalezza, e l’ ingenuità ec. Cosicchè è 
duopo concludere che l’autore preferì di non valersi di quanto 
venne pubblicato pel:corso quasi d’una generazione , comun- 
que aver potesse stretto legame coll’ opera sua, non ritoccata 0 
rifusa, acciò non perdesse la sua originaria freschezza . 

Comincia con una lettera sull’ utilità degli studi dell’ anti- 
quaria e in ispecie de’ monumenti d’ architettura , che serve 
come di preambulo alle altre, e descrive al suo amico la sod» 
disfazione che ha, leggendo la Roma antica del Guattani, la qua- 
le gli rinverda la memoria intorno le cose vedute, terminando 
col trattare di romanzesche follie lo sfrenato amore de’ monu- 
menti antichi, che trae i visionarii ne’ sotterranei , ove ron sca/- 
da il sole, ov’ entra l’ insalubre umidità , quasi che non fossero 
à noi venute reali e non effimere notizie dalle Città dissepolte, 
dalle Terme recondite , dai sotterranei. sepolcreti, ove il sole 
non scalda, ed ove a rischio di qualche reuma 1’ occhio avve 
duto dell’Architetto, senza ricorrere alle visioni romanzesche ci 
ha trasmesso le piu avverate notizie, e ha fatto strada a tante 
importanti scoperte. Che se il caldo del sole avesse dovuto es- 
sere scorta nelle tante recenti scoperte de’ viaggiatori, sarebbe 
ancora inviolato l’ accesso difficile a tante Egiziane piramidi, né 
avremmo contezza dell’ interna distribuzione di tante grandiose 
stanze ed accessi sepolcrali ricchi di pitture’, d’ ornati, di monu 
menti, che ci attestano» presso i popoli più antichi dell’ India. 
e dell’ Egitto non solo lo stato delle loro primitive arti, ma i 
loro costumi, la loro storia, la loro religione, e l'immenso rise 
petto con cui onoravano la memoria de’ trapassati . 

Parla in seguito della magnificenza che dispiegasi princi- 
palmente nelle opere di srobitetnaa 4 e trovandola degna dei. 
signori e dei grandi (poichè gli altri che non son tali non pos- 
«sono averla) percorre alcuni periodi storici, ed esamina alcune 


480° 
grandi opere; studiando di escludere Nerone, come principe pes- 
simo; dall’ aver fatte opere magnifiche, c attribuendoli crudeltà 
persino nell’ architettura . Dalla qual .taccia a parer nostro sal- 
vano questo Imperatore gli Scrittori, che narrano degli archi 
eretti per le vittorie de’ suoi capitani, dell'immenso e ricchis- 
simo edificio della casa aurea descritta dagli storici con tanto» 
fasto, del superbo colosso di bronzo alto cento cubiti, e dell’amo- 
re passionato che nudriva pel bello, recando ne’suoi viaggi una 
pregiatissima statua di bronzo non per altro che per la sua ec. 
cellenza. Le quali cose tutte non potrà dirsi che in quel se- 
colo fossero unicamente grandi per mole , o ricche per la ma- 
teria; ma dovevano essere egualmente di vera e regia maguifi- 
cenza fornite. 
Di qui prese forse motivo l’autore per cercare una giusti» 
. ficazione al carattere di Cosimo I. Gran Duca di Toscana, vo- 
lendo caricare sui ministri l’ odiosità che tutta è sua, poichè 
secondo. lo stabilito sistema non ‘avrebbe conciliato con atti 
indegni tante opere insigni edificate nel suo tempo - La storia 
parla chiaramente da se sola! senza bisogno dei nostri commen- 
ti, e siccome meritamente esalta le virtù vere di Cosimo padre 
della patria, di Lorenzo il magnifico ne' vecchi tempi, sicco- 
me in questi ultimi tempi benedirà le virtù somme e il pater 
no reggimento dell’ attuale Gran Duca, per cui la Toscana può 
dirsi felicissima, così non nasconderà mai le turpitudini pubbli- 
che e private di quel principe, che disonorò la sua fama e 
quand’ anche non vogliasi ammettere per vera la morte violenta 
del ‘figlio, e il dolore che uccise la moglie e chi potrà salvarlo 
dell’avere di propria mano nel suo privato gabinetto pugnalato 
ed ucciso to Sforza Almeni suo confidente intimo, per aver ri- 
velato a D. Francesco il progetto, che aveva suo Padre di spo- 
sare Eleonora degli Albizzi; fanciulla da lui amoreggiata lungo 
tempo, e dalla quale ebbe un figlio? E chi potrà sedile 
d’ aver consegnato al rogo Francesco Carnesecchi suo intimo 
confidente? E chi potrà eseludere dalla storia le lettere non 
ha guari scoperte di un Vescovo della Marca a questo Principe, 
nelle quali gli rende conto di alcune commissioni da lui stesso, 
ricevute, per aiutarlo a disfarsi di certi suoi nemici, invitandoli 
a mensa, e amministrando loro il veleno. 
Ciò non tolse che le arti non elevassero magnifici monumen- 
ti: siccome in Ispagna l'epoca di Filippo II..non può dirsi oscura 


481 
per ie arti; anzi quel secolo è in questa parte pei Spagnuoli glorio- 
so. Noi non vorremmo qui notare ( se la circostanza nol richiamas- 
se al pensiero ) come il Conte Napione in una sua memoria scritta 
al N. 124 degli atti dell’Accademia di Torino, sotto il titolo di ap- 
pendice all'esame critico del primo viaggio di Amerigo Vespucci al 
continente del nuovo mondo, coglie una opportunità per fare in 
quattro pagine l’apologia del Tiberio delle Spagne, non troppo ac- 
cordandosi veramente col carattere, che ce ne presentarono tutti 
gli storici più accreditati, nè colla pittura orribile e sublime, che di 
quel Re ci presentò sulla scena il celebre concittadino del Conte 
Napione con quella sua tragedia magistrale , che può ritenersi per 
una delle tante che collocano quello scrittore nella prima linea dei 
Classici Italiani, e indubitatamente il primo genio di cui vada su- 
perbo il Piemonte . 

Ciò sia qui osservato per dinotare come talvolta sia nocivo 
all’ intento stesso degli scrittori il far certe apologie; quando le 
storie sono parlanti, e le opinioni giustamente stabilite; poichè 
le contrarie opinioni non servono allora, che a dare maggior rilie- 
vo a'fatti irrefragabili, massimamente quando abbiamo imparziali 
scrittori contemporanei. In conclusione le arti, per consolarsi del- 
l’assistenza di Principi magnanimi, non abbisognano sempre di ve- 
der associare la loro virtù morale allo splendore, poichè l’orgo- 
glio e l'ambizione servono allo scopo delle arti quanto la vera 
gloria e la devozione; e l’ architetto innalza tanto il tempio alle 
Divinità, che il delubro, e l’ arco di trionfo, e il monumento 
equestre all’oppressore e al tiranno. Basta girare lo sguardo, e 
aprire le pagine della storia. 

Estendesi brevemente l’autore sulla corta durata del periodo, 
in cui l’arte è eecellente, il che dimostrano tutte le arti presso 
‘«d’ogni nazione ov’ ebbero un culto particolare. 

| Verte la terza lettera sugli ostacoli, che oppongonsi al fiorire 
dell’ architettura, ed espone le opinioni di Gibbon, di Winkel- 
man, di Baldassar Castiglione sulla maggior durata del periodo 
della buona architettura, che non delle altre arti. 

Per la prima parte l’autore ascrive questi ostacoli alla man- 
canza di occasioni per segnalarsi, essendo queste rarissime, e non 
potendo l’architetto allora isfogare il suo ingegno che in carta, 
mentre scultori e pittori anche in creta ed in carta possono ope- 
rar grandemente. E ricusando di giudicare il valore degli archi- 
tetti dai disegni, si estende a voler provare che delli, e bene or- 


\ 


482 

nati compariranno questi nelle stampe, ancorchè esattissime Pi 
quantunque di gusto corrotto, ed affastellati di ornamenti ; e 
per l'opposto digiuni, disadorni, e secchi i veramente pregievoli 
per semplicità elegante. La qual asserzione potrebbe incontrare 
non lievi opposizioni, che dall’e stensore dell’ estratto si omettono, 
e facilmente s’ affacciano al critico. Sembra poter concludersi sol- 
tauto, che [o studio dell’architettura affidato alla sola matita, e 
al compasso è privo dell’essenziale, cioè della pratica, coll’eser- 
cizio della quale l’artista, incontrando ad ogni passo una folla di 
difficoltà da sormontare; si rende poi più avveduto è profondo, 
e corrobora coi resultati della statica, e dell'esperienza i prodotti 
dell’ immaginazione, e del calcolo astratto; mentre nulla il rat- 
tiene sui fogli, che con eccessiva libertà a suo talento ricuopre 
talora di troppo bizzarre, e ineseguibili invenzioni . 

Prodotte in seguito le'opinioni dei sopradetti autori intorno 
la luoghezza maggiore del periodo della buona architettura, non 
si accorda egli con loro, ascrivendone la causa al ritornare che 
sempre si è fatto, anche in ogni variazione di periodi, al tipo ec- 
cellente della Greca architettura, che moltiplicando la sua influen- 
za ha potuto rendere più durevole il perfetto esercizio di que- 
st’ arte. Nella qual differenza di opinioni sembra,che si potrebbe 
più fondatamente anche osservare, che architettura essendo stu- 
dio positivamente affidato a misure, e proporzioni, ed emanando 
in gran parte il suo bello da dimensioni studiate e stabilite, e 
da simmetria, possono bensì variare con facilità le accessorie parti 
ornamentali, ( nel che poi essenzialmente varia il buon gusto) ma 
le masse grandiose, ma la magnificenza resta invariata, e di qui 
può derivare 1° opinione , che il suo buon periodo abbia più 
funga durata. 

Dalle Zoggie de’ Lanzi in Firenze alla Chiesa della salute in 
Venezia, per non vagare in tempi da noi lontani, corrono alcuni 
secoli, poichè le une sorsero al riliprire, le altre al decadere del- 
l'architettura. Nessuno si opporrà che il periodo del migliore stile 
non fosse nel tempo di Palladio: ed invero fu breve e quello pare 
debba dirsi di preferenza il periodo del buon gusto in quest'arte, 
piuttosto che quello della magnificenza. Ma l'architettura delle 
due sovracitate opere in due estremi tempi; nelle quali gli orna- 
menti accessori soltanto mancano di squisitezza e di purità, è però 
sempre grandiosa, e non indegna persino della Romana magnificen- 
za, e non priva del bello. Noi veggiamo però che nelle altre arti 


483, 
d’imitazione e di disegno questo periodo è indubitatamente più 
corto, poichè il loro bello dipende da una linea, e soltanto che 
un contorno sia più forzato 0 più secco; vengono confinate ai tem- 
pi dell'infanzia o della corruzione e private di merito essenziale; 
imentre poi si osserva che il grandioso e il magnifico delle fabbri- 
che è inerente alia più intrinseca prerogativa del bello armonico 
di proporzione, che loro assicura senza alcun dubbio una più lun- 
ga durata di suffragi. E quel tipo della Greca eccellenza, di cui 
l’autore si fa scudo al suo opinare, si proposero i Romani e gli 
altri popoli, egualmente per le statue che per gli edifici, cosiche 
se con questo soltanto sostener si potesse quell’ opinione, non sa- 
rebbe più lungo il periodo della buona architettura di quello della 
scultura, giacchè quando il torso di Belvedere non deitò più i 
canoni del bello agli scultori, avevano cessato di dettarlo egual- 
mente il Panteon e il teatro di Marcello agli architetti . 

Internandosi più nella materia l’autore consàcra la lettera 
quarta all’ esame di alcuni monumenti dell’antica Roma, e specìal- 
mente discute su diverse opinioni intorno la cloaca massima, e sul 
parere più particolarmente del sig. Ferguson, il qual dubita po- 
tersi attribuire quest’edifizio a molto più antica epoca che alla 
fondazione di Roma, avanzo credendolo più antico di altra città 
preesistente a quella fondata da Romolo. Confutando questa opi- 
mione avvalora l’autore le sue opposizioni coll’opera del P. Gra- 
nara: dell’ antichità ed origine di Roma (dissertazione AFATARARA in 
Venezia nel 1734. ) i 

Cerca quindi quali fossero gli avanzi di Roma più celebri 
sotto i Re, e quelli di Roma repubblica. Esamina alcuni monu- 
menti più insigni, e ne tira per conseguenza, che mal possono 
sorgere opere di splendida magnificenza sotto governo repub- 
blicano: e che bisogna poter disporre pacatamente dei tesori du- 
rante lungo spazio di tempo, escludendo che possano sorgere edi- 
fici grandiosi per volontà di chi agitato dalle furiose passioni, e 
dall’ ambizione non sieda in placido e tranquillo reggimento. 

Seguendosi però i passi delle arti a second» dell’andamento 
delle varie età, e dei governi or pacifici, ed ora tumultuosi, sic- 
come convien fare, qualora si voglia veramente conoscere il loro 
progresso, o la loro decadenza, si dubiterà alquanto di queste 
regole generali, che l’autore vorrebbe qui stabilire, e si riconoscerà 
come sotto i governi degli ambiziosi e dei tiranni, egualmente che 
sotto quello dei dominatori più pacifici, e sotto, il regime delle 


484 
repubbliche siano stati eretti magnifici monumenti de’ quali non 
solo la Grecia e Roma, ma la nostra stessa Italia può dirsi ambi- 
ziosa. Torniamo a ripetere che l’orgoglio, la violenza, l’onore, la 
religione, i vizii e le virtù hanno egualmente tutti bisogno delle 
arti per mandare a’ posteri la memoria delle loro azioni; e Firenze 
stessa citata dall'autore come insigne per le opere, che i Medici 
vi fecero costruire, non fu men grande prima di quel tempo, quan- 
do già città libera pel governo dei molti segnò 1l famoso decreto 
per la sua cattedrale, mentre Pisa, Siena, ed Arezzo, e tant’altre 
città nel medio evo protessero le arti, e onorarono gli artisti per 
gara, e'per ambizione. Tacerem di Venezia, che tutta presenta 
l’ aspetto della magnificenza più insigne, dovuta unicamente al 
governo dei molti. dh 
Sentasi il decreto citato della Repubblica Fiorentina . 
»» Atteso che la somma prudenza d’un popolo d’origine gran- 
» de sia di procedere negli affari suoi in modo che dalle operazioni 
» esteriori si riconosca non meno il savio che il magnanimo suo 
» operare: si ordina ad Arnolfo capo maestro del nostro comune, 
») chè faccia il modello o disegno della rinnovazione di S. Repa- 
3» rata con quella più alta e sontuosa magnificenza, che inventar 
», non si possa nè maggiore, nè più bella dall’industria e potere 
»» degli uomini, secondo che da’ più savi di questa città è stato 
3) detto e consigliato in pubblica e privata radunanza, non doversi 
», intraprender le cose del Comune, se il concetto non è di farle 
», corrispondenti ad un cuore che vien fatto grandissimo, perchè 
3) composto dell'animo di più cittadini uniti insieme in un sole 
» Volere. ,, siii 
Questo scrivevasi a Firenze, e i Veneziani avevano già se- 
gnato questo distico nella loro Basilica 
Istoriis, auro, forma, specie tabularum 
Hoc templum Marci fore dic decus Ecclesiarum- 
Un atto di volontà rapido, e violento dettato dall’ambizione, 
non certo da un impulso di devozione, vide in pochi momenti a 
nostri giorni eretta la gran facciata della Cattedrale di Milano, 
che in molti secoli per impotenza di mezzi non venne mandata 
ad esecuzione . 
Percorronsi nella quinta lettera i monumenti di Roma dal 
secolo d’Augusto sino a tutto quello degli Antonini, e fermandosi 


alcun poco sopra î principali , ne enuncia il vario merito colla 


scorta ‘degli storici dell’arte, e dei periti in arehitettara, sempre 


435 


però con incertezza di giudizi intorno le vere parziali cause del 
vario risorgere o decadere di questi studi. 

Questa è una lunga lettera dedotta dagli avvenimenti, che si 
legano colla storia deli’architettura, del pari che l’altra, ove l’au- 
tore procede ad esaminare gli edifici, e lo stato dell’ arte sotto 
Comodo sino a Costantino: di modo che particolarmente in que» 
ste lettere restringe il corso dell’arte in Roma dal tempo della 
sua fondazione sino alla sua decadenza, terminando col marcare 
le giuste differenze dell’ architettura Gotica abusivamente così 
chiamata, la quale per essere esercitata al tempo delle irruzioni 
dei barbari del Danubio coll’ uso di materiali prima d’allora altri- 
menti impiegati non dovrebbesi chiamare se non Romana corrot- 
ta. Discutesi in fine di questa lettera un passo di Cassiodoro 
riportato in tal proposito da parecchi autori, e ciò vien fatto con 
molta critica . 

Da queste ultime lettere ritorna l’autore a ciò che si travi 
de, che doveva essere suo assunto nella terza lettera, e più deci- 
samente si oppone alle teorie di Gibbon e di Winkeilman sul 
bello architettonico; pronunciando diverse definizioni, ed opinan- 
do, che il periodo del bello stile in architettura sia (anzi ) più 
breve, che nelle altre arti d’ imitazione. Singolare a noi parve il 
riconfermarsi da questo scrittore che nel secolo ultimamente de- 
corso la pittura, e la scultura fossero così lungi dal cadere nelle 
assurdità in cui cade l’architettara. Ci parve a dir vero che il Van- 
vitelli, il Guerenghi, Otone Calderari, Antonio Selva, Cosimo Mo- 
relli, Giocondo Albertolli attestassero in Italia e fuori, come si 
potesse con belle utili e grandiose proporzioni architettare ed 
ornare , quantunque. a loro precedenti e contemporanei fossero 
molti architetti ed ornatisti di pessimo stile, i quali però nelle 
loro stravaganze e bizzarrie di gusto stravolto conservarono spes- 
so il fondo principale del bello architettonico, che fu, e sarà sem- 
pre quello delle. proporzioni, e della magnificenza, ingombrata 
bensì talvolta, ma non distrutta da cattivi ornamenti, siccome 
abbiamo altrove accennato. Che al contrario osservando le opere 
de’pennelli chiamati manieristi, e le sculture che si producevano 
prima che Canova redentore dell’arte scolpisse in Roma, si vedrà 
facilmente l'immensa distanza, da cui queste erano partite, e da 
qual punto fa, duopo richiamarle: la qual cosa, se col sussidio di 
poche linee potesse mettersi sott'occhio per la pittura, come fu 
fatto per le statue in due tavole comparative al fine del terzo vo- 


486 


lume della Storia della scultura, si conoscerebbe palesemente 
ad un tratto quanto abbiamo enunciato anche da’ meno esperti. 

Qual fondamentale bellezza infatti rimane a una figura, qua- 
lora i suoi movimenti sono contorti e affettati, le sue forme non 
somigliano nè al naturale, nè all’ antico, la sua espressione è tra- 
dita, e le sue drapperìe sono a guisa di scogli o di cartoni bagnati 
mal assettate sul corpo? Non rimane altro merito che la materia, 
e il meccanismo dello scarpello. Che al contrario servendoci ap- 
punto d’un luogo di Luciano riportato dall’autore: che paragona 
un edificio con ben adatti ornamenti ad una vaga donzella ab- 
bigliata modestamente, in modo che i suoi abbigliamenti lascino 
comparire, anzi facciano risaltare lesue naturali bellezze, ne 
avviene, che sebben fosse ‘poi difformata pel gusto dell’ ornato 
cattivo, rimarrà però sempre del fondo reale della bellezza nati- 
va nelle proporzioni, e nelle sottoposte simmetrìe naturali della 
stessa, perenni, invariabili, per quanto sia goffo ogni abbigliamento. 
Infatto colle pettinature, i corsetti, i guardinfanti del secolo scor- 
so le donne per quanto fossero sfigurate esteriormente, se la na- 
tura loro fu prodiga de’suoi tesori, non erano per questo men belle; 
e poteva sempre dirsi una fanciulla bellissima difformata da suoi 
goffi ornamenti, siccome un magnifico tempio guastato e diffor- 
mato dalla superfluità, e dal cattivo gusto de’ suoi ornati. Se 
all'uno ed all’altra rimane bellezza, e magnificenza come prero- 
gative inerenti alla loro essenza, non potrà dirsi essere di minor 
« urata il bello architettonico che il piitorico o quello dello 
scarpello, mentre abbiam dimostrato nulla rimanervi di buono colla 
corruzione del gusto in queste due arti. 

Asserisce l’autore che non si è finora potuto, e non si potrà 
mai ridurre a regola certa le proporzioni, che appagano e dilet- 
tano l’occhio, come si è fatto delle voci che risuonano armonica- 
mente all'orecchio, dal che deriva una difficoltà immensa nello 
stabilire il bello di proporzione. Ma ben esaminando nel fondo di 
quelle verità, che emergono dalle stesse invariate leggi della na- 
tura, fa da parecchi autori dimostrato, e anche recentemente dal 
chiar. Ab. Venturi, come siavi una invariabile eterna legge di cor- 
rispondenza ‘tra gli accordi musicali, e i raggi colorati del prisma, 
dalle quali corrispondenze appunto emana quel contentamento 
dell’ occhio, che suol chiamarsi accordo ed armonia dei colori . 

Diviso col prisma il raggio di luce nei sette colori a’ quali 
altrettanti toni nella scuola di musici, trovansi i colori armonici 


487 
distanti tra loro all’incirea un intervallo di quinta. La divisione 
naturale del prisma ognun sa essere così distribuita: violetto, in- 
daco, azzurro; verde, giallo, rancio, rosso. Fissando uno di questi 
raggi isolato, risponde nel bujo il suo colore armonico con inva- 
riabile costanza, vale a dire fissando il violetto risponde il 
giallo verde, fissando l’indaco risponde il rancio, e al verde azzur- 
ro risponde il rosso, al giallo verde il violetto, al rancio l’indaco, 
al rosso il verde azzurro. Il che prova evidentemente una legge 
armonica di proporzione, e spiega le affinità e le ripulsioni de’co 
lori. 

Emerse parimente in fatto di proporzioni una gran verità 
invariabile dall’osservarsi, come moltiplitando le dimensioni tra 
loro di un edificio, colle proporzionalità aritmetiche e geometri- 
che, si conducono i risultati all’ assurdo, mentre dalle proporzio- 
nalità armoniche ne deriva una aggradevolissima e costantissima 
simmetrìa. E per meglio provarlo: 

Se si determina la larghezza d’una sala a 30 piedi, la langhez- 
za a'60, col mezzo armorico di proporzione l'altezza sarà 40; col 
geometrico sarebbe poco più di 42, coll’aritmetico 45, e per con- 
seguenza sempre men bella che coll’ armonico. Ma per conoscere 
che questo non conduce mai all’ assurdo, prendasi la larghezza 
d’una galleria o portico p. e. di 10 piedi, e la lunghezza 40, il 
suo mezzo armonico per l'altezza sarà 16. Portisi ora la lunghezza 
a 1000, lasciando la stessa larghezza, il mezzo armonico per l’al- 


tezza sarà 19e 82_ che accostasi al doppio della larghezza senza mai 
101 


arrivarvi; sicchè se la lunghezza fosse infinita, l’ altezza sarebbe 
appunto il doppio della larghezza. Si esamini al contrario quali 
proporzioni risulterebbero coi mezzo geometrico e coll’aritmetico. 
Larghezza 10, lunghezza 4o, altezza geometrica 20, arit- 
metica 25. Larghezza 10. lunghezza 1000. altezza geometrica 100, 
aritmetica 505 ; il che prova a quali assurde proporzioni di al- 
tezza condurrebbero tutti i mezzi fuor dell’ armonico, e dimostra 
l’invariabilità di alcune leggi costitutrici del bello nelle dimen» 
sioni architettoniche. E' bensì vero, che non formasi da questa 
proporzione tutto il hello architettonico , ma però ad essa è ine- 
rente un fondo di bellezza reale di dimensioni, che in architettura 
è forse la prerogativa più essenziale, ed escludesi il pericolo del- 
l'assurdità, che incontrasi cogli altri due modi sovra esposti. Le 
quali nostre osservazioni potranno applicarsi a quanto in seguito 


438 

produce il chiarissimo autore nel terzo volume, allorchè tocca 
di nuovo questo argomento; parlando nella VII lettera de’monu- 
menti Egiziani. Chi oserà dunque negare che vi siano regole, 
proporzioni, accordi armonici in tante altre cose, che producono 
in noi con costanza la sensazione del bello? Il mancare del mo- 
dulo per misurarle, non prova che non esistano, e come lo studio 
e l’arte seppe trovarle nella musica, nei colori, nelle dimensioni , 
vi saranno probabilmente in cento altri oggetti vaagito, Giniagita 
che un più fino accorgimento non le disveli. 

Non sarà neppure da noi escluso il corpo umano dall’ aver 
indicate in tal quale maniera alcune proporzioni per la buona 
armonia degli edifici, come vorrebbe escluderlo l’autore; poichè 
ciò deve intendersi con quella sagacità, che lo espresse Vitruvio, 

. non essendovi da far meraviglia, che fossero gli scultori che le de- 
terminarono sulla figura umana, se di tutte le arti d’imitazione 
fu questa la prima a spingersi all’ eccellenza accompagnando l’in- 
divisibile sua compagna, l’ architettura . 

Gli architetti di maggior grido in Italia fiorirono, secondo 
il, nostro autore, per un epoca più corta d'un secolo nel cingue- 
cento sino alla morte di Palladio: e non trova egli nel XVI se- 
colo un uomo di sì grandioso fare, e sì terribile come Dante, o 
sì gentile ed elegante come Petrarca. Ma se nel cinquecento egli 
voleva le opere terribili, egli cercava ciò che al carattere dell’età 
disconveniva, e poteva molto più facilmente riconoscere tutto ciò 
nelle età precedenti, sia coll’ammirazione dovuta ‘alle fabbriche 
del Brunelleschi, del Bramante, del Bonarroti, dei Lombardi, per 
non cercarlo più addietro in quelle di Arnolfo, di Orcagna, di 
Filippo Calendario, e di tant’altri fondatori di Basil'che, d’archi, 
di ponti, di torri, di residenze dei comuni presso le antiche 
repubbliche Italiane: Che quando poi fosse stato vago del gen- 
tile Petrarchesco, riconoscere lo avrebbe pose discendendo dalle 
ardue colline di Superga per salire i più fausti colli, ove Palladio 
costrusse quelle tanto graziose fabbriche pel suo amico Daniel 
Barbaro patriarca d' o alla villa di Maser nel Friuli; fab- 
briche che mentre sorgevano per opera di tanto maestro, lo scul- 
tore Vittoria ornava di stucchi elegantissimi, e il Cagliari abbelliva 
col suo sfarzoso edelegante pennello: e dal Friuli passando ai colli 
Berici, vedrebbe mantenersi sempre bella e variata la continua- 
zione di questo stile, e di questa eleganza. Conoscerebbe facil- 
mente il nostro autore, come la gentilezza non si [perdette , anzi 


489 

si rese, maggiore in Italia, a misura che cessò d’esser grande, e 
, divenne. sempre più serva e divisa : e questa gentilezza che parve 
anche snervare il costume, s’impresse in ogni opera ed apparvo 
negli edifici graziosi, che vediamo dovunque succedere alle meno 
adorne; ma. più forti castella del 300. si 
Una lettera di Girolamo Preti famoso per le sue poesie nel 
XVII. secolo serve di materiale principalmente per l’ ottava let- 
tera sul paragone delle magnificenze di Roma antica e di Roma 
moderna; e presentando il quadro degli edifici sublimi, di cui ci 
rimangono le memorie o gli avanzi, risulta a piena evidenza di- 
mostrata la somma preminenza degli antichi ai moderni fabbricati, 
cominciando dalla cloaca massima, e venendo al Panteon, al co- 
losseo., al palazzo, de’ Cesari , alla casa aurea , alle terme, agli 
archi, alle colonne trionfali ec. ma dopo l’esposizione di quest’an- 
tica magnificenza, cui non viene contrapposto che il solo tempio 
di S. Pietro, (ridondante però di difetti, e sopracarico d’ ornamen- 
ti ) sembra l’ autore voler sostenere contraria opinione coll’ ap- 
poggio del filosofo Aristotelico Tesauro, che in materia di gusto, 
e di architettura non ayrenmno mai creduto poter citarsi, il quale 
tende medianti alcune bistorte morali considerazioni a capovol - 
gere il retto senso d'ogni cosa, negando bellezza alla cloaca mas- 
sima:col dire, l’utilità stessa di quest’ edificio venendo dalla viltà 
dell'opera in certa maniera offuscata: chiamando gli archi trion- 
fali monumenti inutili e di superbia , le colonne Trajana ed 
Antonina memorie scolpite indclebilmente, onde i barbari pren- 
desser. mativo di vendicare le proprie ingiurie : le terme acque 
fatali alla virtù, e al costume; e l’ anfiteatro uno squallido ma- 
cello . 

Venendosi poi dal Tesauro a lodare la magnificenza de’tem- 
pli, il nostro autore rimarca, come ( prescindendo dall’ empietà 
del culto ) fossero più augusti di S. Pietro, e per ciò nulla curando 
le, altre cose, e riportandosi al più sublime oggetto della magni- 
ficenza, sembra propendere in favore della moderna Roma, ac- 
creditando i motivi della sua preferenza alla santità del fine, e 
posponendo, ogni altra magnificenza come avente un fine meno 
augusto della moderna fabbrica consacrata al vero Dio. Così pro- 
cede questa lettera, e annunciasi nella nona più positivamente 
il paragone tra le opere degli antichi architetti in Roma e quelle 
de' moderni, e incominciasi dal comparare S. Pietro col colosseo, 
sebbene fra Taro non offrano molti punti comparabili; e non è da me- 


DVI. Giugno 39, 


f90 

ravigliarsi che il pio autore dia la peggio a questo monumento del 
genio sanguinario e crudele degli antichi Romani . Sarebbesì in 
questo lungo bramata la comparazione precisa delle antiche colle 
moderne opere, onde riconoscere se quanto produsse la moderna 
Roma equivalga in merito d’arte al Panteon, al teatro di Mar- 
cello, al portico di Ottavia, al tempio di Antonino e Faustina, 
alla ricchezza di quello di Giove Statore, al foro di Nerva, agli 
archi trionfali ec. ma la lettera finisce eludendo ciò che parve 
promettere nella sua enunciativa, toccando unicamente ciò in cui 
lo stesso Gibbon pienamente convénné, che le' entrate ecclesia- 
stiche furono decentemente impiegate dai Papi nella pompa reli- 
giosa del culto catt: vlico . 

Nobilissimo è lo scopo dell’ ultima lettera di questo primo 
volume, rilevandosi quanto gli studi sugli antichi monumenti con- 
tribuissero a ingentilire l'Europa, e quanto si debba perciò a Pe- 
trarca, e a Cola di Rienzo. Dà conto in tal circostanza di un discorso 
sulla nobiltà di Gio. Botero giureconsu!to Piemontese, encomiato 
giustamente dagli esteri cui fornì preziosi materiali, quanto in- 
gratamente preterito da’ nazionali. Ma i colori, con cui dipinge il 
reggimento del nominato Tribuno di Roma, sono quanto veritieri, 
altrettanto seducenti, né si direbbero impastati sulla tavolozza 
che servì al medesimo autore per pennelleggiare 1° apologia di 
Filippo II. 

Passa in rivista i primi scrittori d’antichità, e biasima giu- 
stamente che sia rimasta inedita una collezione d' iscrizioni del 
Berardengo scrittor Piemontese del XV secolo. Riporta però in 
mezzo a tante lodi per gli studiosi e i restauratori de’monumenti 
le invettive di Poggio Bracciolini sì calde, e sì vere, che rimane 
dubbioso il lettore se più incuria vi fosse nel veder giacenti e 
neglette le Romane rovine, ovvero più ainore per vendicarle dalla 
loro oscurità . 

Termina col dire che il Brunelleschi'operò, e non istruì, ri- 
conoscendo come precettisti L. B. Alberti, e Fra Giocondo: su dî 
che molti facilmente opineranno che in fatto d’opere d’ arte gli 
esempi istruiscono e prevalgono ad ogni precetto; dopo di che 
tocca di volo il merito di alcuni aliri che fiorirono dopo . 


LEoPOLPO CICOGNARA 
( Sarà continuato ) 


491, 


SCIENZE MORALI E POLITICHE. FILOSOFIA 


Del Cinismo ossia della Filosofia dei Cinici; discorso 


del mARcH. DI MONTRONE cor l'aggiunta della Sa- 
tira decima di Giovenale, de i terza rima. 


Napoli, 1820. 


Se taluno si arrestasse alla sola intitolazione di 


questo discorso, e saltato, come dal comune de' supecfi- 
ciali leggitori suol farsi, il preambolo, ne incominciasse 
la lettura, certamente non troverebbe molta conformi- 
tà di esso nè col suo titolo, nè fra le sue parti; ma se 
nel preambolo considera queste gravi parole « ove ta- 


[(4 
((d 
« 
« 
« 
«« 
« 
((d 
« 
« 
« 
« 
« 
“ 
“« 


luno non lascisi perturbare dal titolo, troverà in esso 
( discorso ) il sodo della primitiva filosofia sotto va- 
rii nomi, o aspetti ne’ varii tempi conosciuta, ma sem- 
pre la medesima: che i nomi possono bensì cangiare; 
la vera sapienza non mai. In guisa che se alla mia 
scrittura vogliasi torre il nome di Cinismo, potrassi 
di leggeri sostituire l’altro di primordiale sapienza; 
di duetta: io dico, che in questi tempi nelle menti di-. 
vine di pochi vige, e solamente in età beatissime nel 
core della moltitudine ; di quella sapienza per la qua- 
le reggeansi i costumi degli Sparziati non che di Ro- 
ma, prima che fosse dalle civili procelle agitata; di 
quella per cui Socrate Focione Filopemene beveano 
più tranquilli la cicuta, che non l’infermo salutevole 
medicina« Se poi dopo questa importante dichiarazio- 


ne del chiarissimo autore si considerino il luogo, e gli av- 
venimenti del tempo in cui fu scritto, e pubblicato que» 
sto discorso, allora si avranno altrettante faci j che in 
mezzo ad una certa oscurità ne furanno chiaramente 
distinguere la di lui retta e lodevole intenzione . 


492 

(E di. fatti incomincia egli dallo sta bilire la massi- 
ma, che il maggior nerbo della Cinica Filosofia racchiu- 
desi in quella sentenza del discepolo il più austero di 
Socrate « Una comunanza d’ uomini che fosser con- 
cordi d'ogni muro essere più gagliarda « (a) Or 
questa massima inculcata da’ primi sapienti della Grecia 
diresse per qualche tempo gli animi del popolo, e for- 
tissimo allora nelle sue opere mostrossi; ma quando 
entrò nella moltitudine la smania di filosofare, allora 
dalla pratica si passò alla disputa, i cittadini divennero 
curiosi e. leggeri; e mentre Platone dietro le tracce del 
suo gran maestro ottimamente ragionava intorno alla 
matura della virtù, per dimostrare la pratica consenta- 
nea all’ umana felicità, altri speciosi ragionamenti gli 
furono 0 pposti da uomini già declinati dai primitivi 
costumi, e le false opinioni, sostenute dai loro sofismi, 
finirono di rompere i deboli legami, che tuttavia univa- 
no i popoli, e gli stati della Grecia, finché ruinarono , 
gradatamente in schiavitù. 

Noi. non seguiremo il chiarissimo autore; nè quando 
«discorre le primitive nazioni condotte a civile unità dai 


i(2) Quando i primi sapienti per mezzo della musica , e del. 
le arti cominciarono a legare con più stretti nodi uomini quasi 
selvaggi ed inculti , questa naturalmente esser dovea la massima 
fondamentale; e la moltitudine dovea sentirne il prezzo: ma quando 

nelle arti medesime ebbero cominciato a renderli più civili, cioè 
più corrotti e soggetti alle private passioni, e più solleciti dei par- 
ticolari, che dei pubblici interessi, allora l’allegata massima di pra- 
tica divenne speculativa, ed anche soggetta ad inutili disputazioni. 
Un popolo nuovo ripone la sua felicità e sicurezza nell’ unione 
delle volontà, e delle forze particolari, che la fanno valere, ed 
opera. gagliardamente. Un popolo vecchio la ripone nella conti- 
nuazione delle contratte abitudini, e si perde in belle sì ed or- 
nate declamazioni, ma vane ed inutili, e sen: pre nocive all’univer- 
sale. 


là 
\ 


3 493 
primi sapienti con pochi, ma saldi principi dispensati, 
e per così dire sminuzzati ad una moltitudine docile, e 
mou declinante ancora a servitù, nè quando mette nel 
numero dei Ginici e quel Calebo, che gravi e forti paro- 
le diresse a Giosuè, è quanti degli Ebrei si tennero 
nell'osservanza della legge dettata da Mosè, e particolar- 
mente i loro profeti, dhe la santità de’costumi, e la par- 
simonia del vitto e del vestire coll’ esempio, e colla vo- 
ce predicavano, e i Gimnosofisti Indiani, e 1 Druidi 
Celti, e perfino non pochi de’ primi Cristiani, essendo 
noto, dic’ egli, avere Timoteo vescovo d' Alessandria 
ordinato vescovo Massimo, filosofo Cinico; conciosia- 
chè delle antiche sette niuna più affacciasi con le 
dottrine cattoliche, che quella de’Cinici: il cui dom- 
ma principale era vivere secondo virtù; alla quale per 
pitt breve cammino essi giungevano; perchè delle cose 
superflue ricidendo, frugalissimi nel vitto, e nel colto 
semplicissimi, al solo necessario stavan contenti. 

Una sola questione noi ci proporremo, perchè me- 
glio si comprenda la mente dell’autore, il quale parlava 
a dotti Accademici, mentre noi parliamo anche ai men 
dotti in siffatte materie. Perchè mai si è egli determi- 
nato a chiamar Cirica la primitiva sapienza, che unì, 
e mantenne per molto tempo liberi, e felici i popoli? 
Eppure con questa denominazione fu distinta una sola 
setta fra le mille, e questa setta non godeva fino da’tem- 
pi nei quali fiorì nella Grecia, e nei successivi, e molto 
più nei nostri d’una grande riputazione, anzi dai più è 
stata ed è disprezzata vilipesa ed anche abominata. 

A risolvere una siffatta questione gioverà ram- 
mentare ai nostri lettori, che nel fatto della politica, 
della fisica ec. potevano sì discordare fra loro le parti- 
colari sette degli antichi sapienti , ma non già nelle po- 


494 

che sì, ma immutabili ed eterne massime morali , che 
sole possono tenere uomini liberi stretti in società. Le 
quali si ristringono alle seguenti: venerare gl’ lddii; non 
far cosa dannosa -nè a se nè ad altri; esercitar la fortezza; 
dispregiare la morte-nel comun pericolo etc. Or, come di 
sopra abbiamo pure osservato, quando un popolo è unito 
sì, ma nei primi gradi della civiltà, e sobriamente vive 
col frutto del suo travaglio, facilmente s'inculcano nella 
sua mente queste massime , ed ei le intende, nè ha onde 
farsi o muovere difficoltà o tenzonare , ma opera risoluto 
e gagliardo a norma di esse , e mantiensi nel felice suo 
stato. Egli accade però sovente, che per varie cause, 
le quali qui non rileva l’enumerare, la civiltà pas- 
sa certi limiti (nulla stando fermo nelle cose umane ) e 
il popolo infemminisce, e per abuso di filosofia dalle 
buone leggi disciogliesi. Allora è che le private passioni 
suggeriscono al più forte per vigore d’ animo e di corpo 
speciosi ragionamenti , e il popolo che tacendo udiva, 
ed operava, rompe l’antico rispettoso silenzio, non ascol- 
ta, e disputa. Mentre Atene, dice Fedro, fioriva per 
savie leggi, molti di quei Cittadini divenuti inso- 
lenti, e protervi messero în confusione la città , e 
pa loro licenza fu sciolto l’ antico Lift delle Leg- 

, e quindi avvenne che Pisistrato s° insignorì della 
ci e gli ridusse in servitù. Di qui vedesi 
chiaramente, che avanti Pisistrato gli Ateniesi tace- 
vano, udivano, ed operavano secondo le leggi, ma 
verso quell’ epoca la civiltà, pel naturale corso delle 
cose, e per la svegliatezza di quei mobili ingegui era 
cresciuta di tanto, che una buona parte di essi divenne 
ipquieta audace, e ciarliera ; onde questa prevalendo 
turbò l'ordine pubblico, e non più le leggi, ma la vo- 
lontà di un solo uomo comandava . Vero è'che in tanta 


= 


495 
NS ci (ARP % v s . 
sciagura pubblica l’ antica virti operatrice si scosse e 
s'inanimì talmente, che l'ordine antico fu ristabilito, 
ma la civiltà non per questo andò meno crescendo, civè 
le scienze, le arti, e fra queste l’ eloquenza giunsero ad 
altissimo grado di perfezione, e mentre Platone e Aristo- 
tele, Fidia e Prassitele, Euripide e Aristofane, Eschine e 
Demostene etc. prolucevano opere maravigliose, e im- 
mortali, Atene fu costretta a.cedere all’ultino fiato del 
Cinismo Spartano, e quindi a quello dei Micedoni. Or 
mentre questo già sì potente e floridissimo popolo anda. 
va continuamente rovinando in basso luogo, sorsero due 


‘ celebri sette di Filosofi, la Stoica cioè, e la Cinica. Della 


prima fu capo Zenone Cizièo il quaie, conosciuto vano 
ogni sforzo per tornare i Cittadini. all’antica frugalità e 
temperanza, divisò di volgere a privato uso la sapienza: 


della seconda fu capo Antistere discepolo di Platone, 


il quale credè di poterla rivolgere ad uso pubblico, e 
concepì la sublime sì, ma troppo mal fondata speranza 
di ricondurre un popolo concionatore alla primitiva 
sapienza, cioè all’ antica consuetudine di tacere, udire, 
ed operare: perchè la sapienza è vana ed. ingtile: per 
non dir perniciosa, se dall’intelletto non possa subito e 
non si sente nel core. Sembra pertanto che da ciò possa 
rettamente concludersi, essere stata con saggio, ed av- 
veduto consiglio dal M. di Montrone compresa sotto il 
nome di Cinismo| antica dottrina di quei saggi che rego- 
larono, e istituirono le prime nazioni ancor Sellero 
ele unirono nei primi gradi di civil colleganza: i vincoli 
poi di questa unione erano massime e precetti insiuuati 
sì dalla voce dei saggi, ma corroborati sempre dall’esem- 
pio e talora dalla forza. E che tale sia stata l’intenzion 
sua può rilevarsi dalle seguenti gravissime parole. » E 
« veramente questa Cinica Filosofia risoluta, e operatri- 


« 
« 


496 


ce poteva soccorrere Atene quando non più gli uomini 
di Maratona, e di Platea, e Salamina, ma erano ozio- 
sissimi concionatori , e favoleggiatori, i quali non con 
le armi nel campo, ma nelle piazze pugnavano colle 
parole; e dileggiavano la scienza; e il sofismo acca- 
rezza vano : uiladdo loro della filosofia vagheggiar 
soltanto la corteccia anzi che introdurla nell’amimo 
farne succo, e nutrimento potentissimo. E bene 
eran quelli che seuza avvedersene distraevano in 
parti contrarie la forza dello stato , e apparecchia- 
vansi a ricevere in lor casa ogni stranierà inso- 
lenza. Il che ben previde quel filosofo di Scizia 
( Anacarsi ) molto tempo innanzi venuto in Grecia 
cercandovi la sapienza: perchè fu oltremodo mara- 
vigliato non trovarla in Atene: ma invece di. quel- 
la trovò lunghe, e discordanti parole, e tumulti. On- 
de lasciata quella città dopo alquanto vagare avven- 
nesi in un piccol borgo che dicevano Chene, ov era 
un uomo da bene chiamato Misone, il quale non ad 
altro attendeva che rettamente governare la sua fami- 
glia, il podere industriosamente coltivare, tenere in 
fede la moglie, i figliuoli educare ingenuamente. Delle 
quali cose siupendo Anacarsi, parvegli in verità quivi 
aver trovato della sapienza non le voci, ma le opere. 
Eppure quello che in breve angolo della Grecia qua- 
si porteuto offriva il caso al filosofo , questi avea 
nella vastissima sua patria da per tutto lasciato : ove 
agli uomini concedeva natura ciò che la lunga dottrina 
de’ sapienti, e gli ammaestramenti de’ Filosofi non 
valsero dare ai Greci: La cui civiltà colla naturale 
barbarie degli Sciti veniva meno al paragone . Tanto 
in questi.( fu detto) più l'ignoranza de’ vizj profitta- 
va, che in quelli la cognizione della virtù, coltivan» 


f 


497 
e idosì da’ primi cogl’ingegni non colle leggi la giusti- 
«zia; la quale perciò. piacque alla natura che avesse 
«in Scizia più che altrove diuturno; € immacolato 
« seggio. » pò 
Nè manca l’ eruditissimo autore di mostrare sotto 
il velo delle antichissime favole nascosta la primordiale 
sapienza, che gli uomini istruiva con belle parabole, e 
con esempi, e con simboli, e spiega quindi quello del- 
l Ercole Gallico, del quale parla Luciano, sotto la for- 
ma d’ un uomo vecchio ma robusto, traente a se mol- 
titudine d' uomini per le orecchie d’ una catenella a 
guisa di monile avvinti; di cui l’ultimo anello alla sua 
lingua perforata raggiungevas i: Spiega la fuvola di 
Penteo salito su d'un albero per farsi spettatore degli 
occulti sagrifizj di Dionisio, e di quel bestiale e s0z40 
Tifone, che toltosi Giove sulle spalle i nervi principa- 
li troncogli delle mani, e de piedi, e di Mercurio, che 
rubò al gigante que’ nervi e a Giove rendetteli. È ve- 
nendo a tempi a noi più vicini accenna rapidamente i 
brevi accidenti di Cinica fortezza che' si scorsero 'nel- 
Y abiezione sofferta con animo non domo in Corinto 
dall’immanissimo Dionisio; nella liberissima, e generosa 
morte d’Ottone vinto, e di molti de’suoi soldati, e nella 
fiera risposta di quel poltrone: di Vitellio condotto a 
morte: e questi esemplì, soggiunge, ristorano alquanto 
l’ animo affannato dagli innumerevoli fatti di perfidie 
e libidini che afflissero quasi perpetuamente la razza 
umana; e perderono il più virtitoso impero della ter- 
ra; le cui forze, insinv agli estremi dell’orbe distese, 
venivano troncati nel suo capo Roma. Tutto questo ben 
procede; ma quando ei conclude « Tuttavia non diffi- 
darono i savi în ogni altro più piccolo stato ( che il 
‘ Romano ) come che discorde, e corrotto, potervi per 


4098 

la concordia întrodurre salutevoli costumanze ; noi 
siamo d’ opinione ch’ei limiti questa sua. fidanza \gli 
antichi esempj ch'ei riporta de’/Crotoneati richiamati da 
Pitagora all’antica frugalità, a quello dei Tebani affran- 
catisi dal giogo Spartano, perchè armati sotto un'insegna, 
e condotti dalla risolutezza di Pelopida, e dalla mente 
divina d’ Epaminonda ec. perocchè questi. popoli erano 
vissuti, non avea guari, nelle buone istituzioni, che cre- 
scendo la civilta, andavano perdendo del loro vigore e 
di più erano circondati da popoli di quasi egual potenza: 
in tal caso un grand’uomo, ed altre circostanze possono 
benissimo risvegliare il sacro fuoco rion ancora spento del 
tutto; ma quando si tratta di popoli, i quali siano incal- 
liti da molti secoli nella schiavità , e per conseguenza 
ne’viz} ad essa inerenti, e circondati, anzi dipendenti da 
popoli maggiori simili di loro nello stato politico, allorà 
la fidanza ne sembra chimerica;, «quella terra è un vasto 
deserto di fredda cenere; e se un piccol foco artificial. 
mente si sveglia, o si consuma ben presto per mancan- 
za d’alimento, o il soffio impetuoso de’venti affatto lo 
spegne. Sia dunque per noi il Ciris120, 0 la primordiale 
sapienza soggetto d’accademico intertenimento, se vuol- 
si, ma noti germe di vanissimi e funesti deliri, o di 
troppo ingannevoli speranze. 

Quello fra Cinici che più segnalossi nello zelo di 
richiamare la filosofia dalle speculative declamazioni 
dell’Accademia, e del Peripato, e delle altre famose 
scuole della Grecia alla pratica del popolo, e al tenore 
del viver civile, fu Diogene che gli stolti deridevano fin 
d’allora, e deridono anche adesso coloro che rassom glia- 
no agli Alcidiadi, e ai Creonti di que’tempi, o che non. 
sono entrati molto addentro nelle massime, e nello spi- 
rito di quell’ nomo maraviglioso. Il nostro autore non 


499 

si trattiene a dimostrare quanto vane e ridicole fossero 
alcune accuse mosse contro di lui dall’odio e dall’ invi- 
dia, e solo si contenta d’acccennare che per li scritti 
del grande Epitteto le sue parole suonavano come di 
pubblico maestro e istitutore dell'uman genere, e di me- 
dico e quasi novello Esculapio. 

Noi abbiamo a bella posta legati col nostro discor- 
so espositivo varii pezzi di questo accademico ragiona- 
| mento, perchè quindi ciascun di per se stesso potesse 
stimare la scrupolosa purezza dello stile, e la casta scel- 
ta delle locuzioni del M. di Montrone; del quale per 
altre produzioni è conosciuta nell'Italia letterata la va- 
lentia nel maneggio della lingua. Nè manca egli pure 
degli opportuni e brevi slanci di bella eloque nza, quali 
convengonsi in siffatti ragionamenti. Ed ‘infatti dopo 
d’aver riferita la spiritosa risposta di Diogene a quel- 
ì’ Ateniese che il rimbrottava perch’ ei non, si recasse 
fra’ Lacedemoni, ma si ostinasse a stare in Atene ( per- 
chè, rispose il filosofo, i medici che all’ altrui sanità 
danno cura non si aggirano fra sani )e dopo d'aver 
contrapposto la severità, e parsimonia Spar tana al lusso 
Ateniese nelle mense, e al perpetuo disputare de’ loro 
Retori, e sofisti; di queste cose, éi prosegue non abbiso- 
gnavano que’ durissimi Lacedemoni, che le corpora 
alla foggia de' leoni non degl'imbelli animali nutriva- 
no, facendo loro saporosi il travaglio i culi. ie cla 
in mezzo alle convivali delizie ( degli Ateniesi ) sonò 
vincitrice la tibia di Lacedemone, intuonando ad Ate- 
ne il canto di servitù. E tremò Grecia tutta all’ aspet- 
to di que’taciturni servi della legge al vincere o al 
morir glorioso ugualmente apparecchi ati. Contro a' 
quali nulla valsero le grida de’ Retori o la forza de- 
gl’ ingegni esercitati alla palestra de’ sofisti, nè gli 


schiamazzi tumultuanti del foro la dove minuzzavasi 
al volgo la loquace sapienza: chè negli estremi peri-. 
coli si i: diffi non corn:le parole gli stati ma colle 
armi. Così Sparta i un pari strette giunta che Atene, 
o priva de’ suoi giovani in Asia gnerreggianti con 
Agesilao, potè solo col petto degli anziani rimasi alla 
custodia della città, chiudere l’entrata all’ esercito 
vittorioso de’ Tebani. Mu nelle due mentavate repub- 
bliche, perchè diverse le cagioni, diversi sortirono gli 
effetti. Imperò in Atene, frutto di quella minuzzata 
sapienza fu la perpetuale discordia de’ cittadini, e Val- 
ternare continuo dalla licenza alla tirannide, e lo in- 
fortunio de’ buoni,e pe carTIVI IL PRIMEGGIARE. Quin- 
di la morte in carcere di o; la cacciata di 
Temistocle ec. e ec. i 

AI discorso del M. di Montrone si collega la ver- 

sione in terza rima della Satira X. di Giovenale intito- 
fata 1Z°oti. Tutti conoscono, e pochi leggono.le versioni 
delle satire di questo celebre, e fortissimo Scrittore fat- 
ta del Silvestri, edal Gesuita Giordani per intero, e dal 
Cesarotti in buona parte. I due primi hanno poco o nul- 
la dli nervo, e quantunque abbastanza fedeli sono trop- 
po lontani dalla vivezza, e dal fuoco dell'originale . Il 
terzo poi lussureggia al suo solito capricciosamente, ed 
altera, o muta il testo, e nausea il leggitore che vuol com- 
prendere i sensi, e contemplare le imagini del tonante 
poeta d’Aquinoe non quelle dell’audace traduttore.Quar- 
to rectius hic, qui nil molttur inepte. A noi pare che 
l’ arduo carico di vestire Italianamente il più caldo e 
vigoroso cinico Latino convengasi meglioche ad ogni: al- 
tro al M. di Montrone, cui la rima non inceppa nel ripro- 
durre il disegno il senso e il ‘colorito del suo originale. 
Adavvalorareil nostro giudizio metteremo suttogli occhi 


5or 


de' nostri leggitori quel.corto.brano della satira, nella 
quale Cioe ne distoglie fra molti ppi con quel- 


lo dal formar voti di longevità. 
Nel testo sì legge 

Incolumi Teak Priamus venisset ad aras 
Assaraci maguis solemnibus, Hectore funus 
Portante, ac reliquis fratrum cervicibus, inter 
Iliadum lacrymas, ut primos edere planctus. 
Cassandra inciperet, scissàque Polixéna palla, 
Si foret extinctas diverso tempore, quo non 
Coeperat audaces Paris aedificare carinas. 
Longa dies igitur quid coptulit ? Omnia vidit 
Eversa, et foi Asiam ferroque cadentem 
Tum miles tremulus posità tulit arma tiarà, 
Etruit ante aram summi Tovis, ut vetulus bos 
Qui domini cu'tris tenue, et miserabile collum 
Proebet ab ingrato iam fastiditus aratro, 
Exitus ille utcumque hominis, sed torva carino 
Latravit rictu, quae post hune vixerat, uxor: ec. 


Traduzione del M. di Montrone 


Priamo felice! Se all’ ombre venìa 
Degli avi anzi che fosse Ilio in faville. 
rà noli 2 Bndtle i funerali avria 
| Ettor sopra degli omeri portato 
Dei cinquanta fratelli in compagnia; 
L’ avrieno le Troiane lacrimato 
Intuonando Cassandra il primo strido; 
E Polissena il manto avrìa stracciato. 
Ma doveasi morir prima che al grido 
Della greca beltà le navi audaci 
Paride apparecchiasse al Frigio lido. 
Dunque a che viver tanto? arme rapaci 
Vide ogn’ intorno e preda la cittade 
D’Asia reina alle fiamme voraci. 
Posto il serto giù allor cerca di spade 
Guerrier tremulo, e appiè della grand’ ara 


502 
Cade sì come vecchio. bue cade. 

Che a vil tenuto perché languid’ ara 
Porgere al ferro il collo egro non schiva, 
E sazia del padron la voglia avara. 

Quì pur finì . Ma Ecuba captiva 

Forsennata latrò sì come cane, 

Di tanti suoi distrutti unica viva etc. 

Una critica inquieta, e sottile troverà forse qui, 
ed altrove qualche licenza in un esatto confronto della 
copia cell’originale; ma una critica discreta ed anche 
la men generosa, quando rifletterà esser sì fatta licenza 
quella stessa, che Orazio appella sumpta pudenter, e 
vedrà la molta luce di bella lingua , e di vigorosa locu- 
zione che splende in tutta la massa , non potrà non am- 
mirare l’industre, e colto ingegno di questo letterato 
Napoletano, e non desiderare ch’ei faccia di pubblico 
diritto la versione Italiana di tutte le Satire del suo 
paesano d’Aquino, o ch'egli almeno non la ritenga ripo- 
sta nel suo scrittojo al di là del nono anno; quando pur 
volesse seguire scrupolosamente il precetto di quell’ al- 


tro suo compatriotto di Venosa . 4 


n 


URBANO LAMPREDI. 


Pe 


i nd rd natia 


A, 
È 


i Mi E e 


5 i \ 503 
SCIENZE MORALI E: POLITICHE 
 * 


LEGISLAZIONE 


ALL’ EDITORE DELL’ ANTOLOGIA 
Pregiatissimo amico 


Avendo letto nel N°. 13. del Giornale, che con si 
lodevole zelo, e con tanto successo dirigete, un articolo 
sulla pubblicità dei giudizi criminali, mi sovvenne di 
‘avere, forse dieci anni sono allorchè 10 faceva le mie pra- 
tiche legali in questa città, scritta una lettera sullo stes- 
so soggetto all’ ottimo comune amico Dott. G. B., che 
avea con molto ingegno sostenuta in società una opinio- 
ne contraria. alla mia. V’ invio questo lavoro giovanile, 
* che non ebbe allora altro scopo che quello di dar forma 
alle idee che la controversia avea in me risvegliate: fa- 
tene con intiera libertà quell’ uso che più può piacervi, 
e gradite i sentimenti di sincera stima, con i quali ho il 


piacere di confermarmi. 
Vostro affezionatissimo amieo 
AVV. T. T. 
Firenze 4. maggio 1822. 


Lettera sulla pubblicità dei giudizi criminali. 
AL DOTTOR G. B. 


AMICO CARISSIMO 
Ripensando io al soggetto della controversia con opposi- 
zione così decisa d’ opinione disputata giorni sono tra noi, 
se più utile, cioè, o dannosa sia la pubblicità dei giudizi cri- 
minali, mi è sembrato che un argomento relativo ad un punto 
così importante di economia giudiciaria meritasse un esa- 


504 
me più maturd.)led ina più fredda ponderazione di quello 
che sia compatibile con una improvvisa verbal discussione - 
Sò che vari scrittori si sono di questo interessante sog- 


getto occupati, esponendo alcuni il bene, ed il male dei due 
sistem) . AIDOIO i i 

Non è mia intenzione - di prendere per ora in esame le 
loro diverse opinioni, avendo per costume, tanto nei soggetti 
di pura invenzione, quanto nella discussivne di astratte que- 
stioni, di dar forma alle mie idee, e di fissare prima un con- 
cetto tutto mio proprio, per rettificarilo, se dopo la lettura 
di ciò che sullo stesso tema è stato scritto, mi comparisce . 
erreneo, inesatto, o difettoso, e ben contento, se conforme 
all’altrui pensamento il ritrovo, di potere ad esso dar peso, ed 
autorità con l’opinione di accreditati scrittori . 

H vostro più forte obietto, forse il solo che possa con 
qualche plauso ‘elevarsi contro il sistema della pubblicità dei 
giudizi criminali , si fonda sull’ inconveniente d’ esporre agli 
occhi del popolo i mezzi impiegati dalli accusati per com- 
mettere un delitto,, con. aprire. così ai. mali intenzionati 
una scuola ave seguendo passo a passo il reo nella catena 
delli atti eseguiti per ginugere al suo fine, possono acqui- 
stare l’idea di nuovi piani, o perfezionare coll’esemp'o altrui 
i loro propri. 

Couvenni se bene vi rammentate che questo obietto ‘era 
certamente di qualche peso; ma fattavi più matura rifles- 
sione, mì è sembrato esserne l’ imponenza assai più appa- 
reute che reale . rei 

In tre classi possono distinguersi quelli che interven- 
gono alla pubblica discussione delle cause criminali . 

I duoni — e per essi uno spettacolo quale è questo tristo 
ed imponente risvegliando , come ognun di noi può aver 
provato ,, un sentimento misto d' orrore , e di commiserazione 
è ben lungi dal poter divenire pericoloso nel senso di cui 
parliamo. ci i 

I malvagie con questo nome voglio indicare sola - 
mente qnelli esseri disgraziati che hanno sortito dalla natura 


505 


ina inclinazione decisa al male,e insieme le qualità necessa: 
ric per effettuarlo (a). Fortunatamente per il genere umano 
questi geni malefici sono rari, come lo sono appunto quelli 
che dalla natura prediletti sembrano nati per la felicità dei 
loro simili, e che tanto onorano 1’ umana specie. Per gli 
uomini di questa seconda classe, come per quelli della prima 
è indifferente l’intervenire alle pubbliche trattative delle cause 
criminali, perchè la natura ha dato loro la capacità di for- 
mare senza bisogno di mrestro i piani più estesi, e di scegliere 
i mezzi più ingegnosi, e più sicuri per eseguirli, come avea 
formato un Masaccio pittore, un Pascal geometra, un Ovi- 
dio poeta, un Morosi meccanico . I tristi avnali delle. Corti 
di Giustizia di tutte le nazioni , e di tutti i tempi , offrono 
pur troppo una quantità di questi esempi, nei quali non si sà 
se più sia da ammirare il genio, la costanza, ed il coraggio, o 
più sien da compiangere le perdite che cagionarono alla società 
rivolgendo a suo danno ciò che potea servire tanto utilmente 
ai suoi progressi, ed al suo bene. Ma ripeto, fortunatamente 
‘per il genere umano, questa specie è ristrettissima, e gli in- 
dividui che la compongono avendo generalmente cominciato 
di buon ora a porsi in guerra aperta con la società; non è 
verosimile che vogliano mostrarsi in pieno giorno tra i con- 
correnti ad un pubblico giudizio ,.nella residenza stessa, e 
sotto gli occhi di quelli agenti, dello sguardo penetrante dei 
quali hanno tanto da temere . 

Vengono in terzo luogo i deboli, ed î mali intenzio- 
nati — Sembra a primo aspetto che la pubblica discussione 
d’ una causa criminale possa a questi offrire esempi perico- 
Josissimi, I primi facilmente signoreggiati dalle passioni , e 
dalle circostanze, eccitati dall’impulso generale d’ ogni uomo 
di farsi centro della sfera che lo circonda . ed allettati dalle 
poteati attrattive di una presente utilita, sembrano, se in 
specie si considerino gli individui di quella classe cui 1° edù- 
cazione non ha tracciato un sistema invariabile di condotta 
‘foudato sopra i rigorosi principi del giusto, e del retto , sem- 


brano , dissi , poter essere facilmente srascinati a' a uso 
7 O dt Giugno 33 


506 

dei mezzi inapiegati dal reo, e sviluppati nel processo, in- 
vitati dalla lusinga di un miglior successo , e dalla speranza 
‘ dell’impunità, fautrice, e consigliera di tutti i delitti. I se- 
condi già disposti al male, come coloro che ‘a nuocere op- 
portuni aspettano , e mezzi; e luogo, e tempo, possono 
ritrovarvi non di rado la rettificazione’ dei loro piani , il 
modo di nascondere le tracce del commesso delitto ) onde 
sfuggire alle ricerche della giustizia, e 1’ arte di render va- 
ne le fatte scoperte per mezzo di una ben concertata, ed 
ostinata difesa. 

Ma vediamo se questo pericolo derivi esclusivamente 
da quel sistema; se non si trovi in esso un rimedìo contro 
il male che si teme ne possa derivare; e se posti nella bi- 
lancia gl’inconvenienti del contrario metodo, questi non sieno 
di gran lunga superiori. 

Se potesse esistere una società alla quale l'idea di de- 
litto fosse ignota, o se anco potesse in quella in cui viviamo 
ciò che .s' opera di malvagio rimanere occulto , converrei 
forse della utilità di tener segrete le procedure, ed i giu- 
dizi criminali, perchè utile allora diverrebbe l allontanar da 
ogni mente, per quanto si potesse, l’ idea perfino della pos- 
sibilità d’ un azione delittuosa, e diverrebbe stretto dovere 
dei Magistrati vigilanti alla conservazione dell’ ordine, ed 
alla buona direzione della società , il mantener nel popolo 
cotesta felice ignoranza, cotesta invidiabile sicurezza, ascon- 
dendo con somma cura tutto ciò che disingannar potesse in 
qualunque modo quelli ottimi cittadini , 

Ma siccome una tal società non è esistita che nella ri- 
dente fantasia dei poeti; siccome egli è impossibile di as- 
condere le tracce dei commessi delitti; siccome la natural 
curiosità spinge il popolo a farne, anche senza alcun diretto 
interesse, le più minute indagini, e che il timore lo pone 
nella necessità d’informarsene, onde provvedere per quantò 
può alla propria sicurezza, -la cognizione dei delitti, delle 
circostanze che gli accompagnarono, e dei mezzi impiegati 
per commetterli non potendo in niun modo impedirsi, la 


Cal 


50, 
debbo dei giudizi non serve che a dar forse qualche idea 
più precisa dei fatti, il che è assolutamente indifferente, o 
di piccola entità, poichè 1’ impressione che ai deboli, ed ai 
mali intenzionati può essere più pericolosa era ormai da essi 
stata ricevuta . 

In fatti ciò che nel racconto d’ una azione delittuosa 
“sopra uomini della ìndicata qualità può far maggior impres- 
sione è certamente il lucro conseguito dal reo, la sodisfazione 
«dei suoi des'deri, l’ appagamento della vendetta, e non ul- 
timo il vanto di coraggio, d' ingegno, e di bravura che ac- 
compagnava la difficoltà, ed il rischio dell’ impresa - 

L’ immaginazione che ingrandisce sempre, ed abbella gli 
oggetti distanti, e mal noti, può dipingere alla mente del 
debole, e del male intenzionato con colori seducenti questi 
vantaggi, e siccome egli è forza, per chi ha qualche espe- 
rienza delle cose umane il riconoscere che gli uomini sono 
generalmente più al male che al bene inclinati, e che a 
frenare l’impeto delle ‘passioni, ed il desiderio di godere di 
vantaggi maggiori anche a danno altrui, la voce della ra- 
gione che consiglia senza costringere è vana, ed inefficace per 
la maggior parte di loro, egli è chiaro che 1’ unico mezzo 
che resta alla pubblica autorità per prevenire i delitti, egli 
è quello di persuadere della impossibilità di conseguire per 
mezzo di un misfatto il godimento di quel piacere, il tran- 
quillo possesso di quel bene, la di cui brama spinge d’ or- 
dinario a commetterlo . 

Ora non vi ha certamente mezzo più atto ad infon, 
dere una tal persuasione quanto la pubblica, immediata, e 
rigorosa applicazione della pena, che è l’ oggetto intorno al 
quale tutta -s’ aggira la procedura dei giudizi criminali: ed 
ecco che l’ unico rimedio che può trovarsi al male che si teme 
possa derivare dalla pubblicità dei giudizi, e che dimostram» . 
mo non potersi con la loro segretezza impedire, deriva ap- 
punto, da questa medesima pubblicità, 

Quell’ uomo debole, che può essere dalle lusinghe d’ un 
apparente vantaggio trasportato al delitto , deve essere in 


508 


egual modo pieghevole ad una contraria impressione, a quel» 
la specialmente fortissima del timore. 

Ora qual sarà in un pubblico giudizio l’ oggetto che 
maggiormente lo scuoterà? Il piano formato, ed eseguito dal 
reo, ed il suo godimento d? ordinario non lungo, o la 
sua presente situazione? Lo squallore consegnenza della 
sofferta prigionia, la confusione, il terrore, e le angoscie 
della dubbiezza dell’ evento impressi sul volto dell aecusato; 
il suo isolamento ; l’ idea dell’ infamia ; l'orrore, e la soli- 
tudine di una prigione ; il peso di una catena ; i faticosi 
lavori tra gli stenti, e la privazione di ogni sollievo ; le 
agonie di una morte ignominosa, agiranno, ne son certo; più 
potentemente sull’ animo d'un uomo debole per allontanarlo 
dal delitto, di quello che potessero far per indurvelo tutte 
le attrattive dei possibili godimenti . 

Nè meno utile all’ oggetto medesimo può essere una 
tal lezione per il male intenzionato. Il vedere il prevenuto 
tradito spesso da chi l'ha spinto al delitto, isolato, e privo 
d’ aiuti, in faccia alla legge che lo persegue senza riguardo 
allo stato, o alla condizione; aggravato daì suoi stessi fautori, 
e dai complici; abbandonato dai conoscenti, e dalli, amici, 
astretti dall’ imponenza di un pubblico esame, dalla santi- 
tà di un giuramento, e dal timore di una pena a dir la 
verità; tradito da circostanze impensate, imprevidibili, da in- 


x 


dizi remotissimi , tutto dee convincerlo, che in un ben re- 
golato Governo, e sotto' una Polizia vigilante , l’ autor di 
un delitto non isfugge lungamente al dovuto gastigo . 

Ora siccome non può esservi uomo per spensierato che 
sia, che ponendo in bilancia il breve godimento, che può 
procurare un delitto, e la lunghezza, e gravità della pena 
che inevitabilmente lo segue, non trovi questa a quello im- 
mensamente superiore; la certezza che si rileva da una 
pubblica discussione della inevitabilità della pena stessa, è forse 
l’unico mezzo che può ai mali intenzionati servir di efficace 
repressione. | 

Forse mi risponderete erser l applicazione della pena 


509 
cosa ben diversa dalla formazioue del processo, e dal giu- 
dizio, e che al pubblico esempio può bastare che le ese- 
cuzioni sieno pubbliche, senza che lo sieno le ngi gli 
esami, e le discussioni . | 

Perchè la pubblica applicazione della pena potesse real- 
mente esser utile, bisognerebbe che. seguisse quasi immedia- 
tamente il commesso delitto , il che è impossibile special= 
mente nei misfatti più gravi, ed atroci, che sogliono eseguirsi 
con maggior circospezione ; e non sarebbe poi senza pericolo 
perchè egli è al tempo, bene spesso, che si deve la riunione 
delli indizi che più servono allo scoprimento della verità, 
di cui nelle cose morali non si può acquistare, che di rado, 
una certezza tanto piena da tranquillizzare intieramente l’ ani- 
mo del Giudice. Dovendo dunque srascorrere in quasi tutti 
ì casi un certo non breve intervallo tra il commesso delitto, 
e la pabblica punizione, l’ impressione del prose è quasi 
scancellata, e l’ aspetto del supplizio risveglia più la com- 
miserazione verso il paziente, che l’ indignazione verso il 
malfattore . 

Mi è accaduto non di rado di sentir compiangere lo 
scellerato che perdeva la testa sul palco da quelle persone 
medesime che inorridivano, e s'indignavano ‘pochi giorni avanti 
al pubblico dibattimento, e che sapevano quanto giusta , e 
quanto meritata fosse la pena che si imponeva al delinquente- 
Ed era ciò naturalissimo perchè il presente ci commove più 
del passato, e mentre i patimenti di chi fù vittima d’ un 
delitto si ritracciano indeboliti dal tempo all’immaginazione, 
i tormenti di chi soffre sotto i nostri occhi ci affliggono, ci 
commuovono, ed irritano quasi irresistibilmente, e malgrado 
noi la nostra sensibilità. 

Cosa avverrebbe dunque se i giudizi criminali fossero 
segreti ? Quando accadesse una esecuzione, non tutti sapreb- 
bero che il giustiziato avea commesso un tal misfatto; po- 
chissimi sarebbero informati con precisione delle ciscostanze 
più, o meno gravi che l’ accompagnarono ; nissuno forse 
sarebbe certo dalla necessità, e della giustizia di quella pena 


510 

dovendosene riportare intieramente al detto, ed al giudizio 
altrui; molti troverebbero la legge troppo severa; ed i più 
compiangerebbero 1’ infelice caduto sotto la spada crudele 
della giustizia. E l’ opinione che dalla pubblica autorità si 
commettano atrocità a sangue freddo, e con giuridiche for- 
me è tanto contraria all’ opinione della propria sicurezza 
che ogni goreruo deve studiarsi di mantener nei cittadini, 
quanto è pericoloso l’ abituare il popolo alli spettacoli san- 
guinosi dei qupplizi, atti solo a disporlo alla ferocia. Talchè 
dovendo scegliere tra la pubblicità dei giudizi, e quella delle 
esecuzionì, non esiterei ad ammetter la prima, ed a riget» 
tare la seconda. 4 

Sò bene che alcune pene consistono tutte in sostanza 
nella pubblicità, come sarebbe l’° esposizione, e tendono al 
doppio salutare oggetto di corregger con la vergogna il col- 
pevole, e d’ allontanar con l’ esempio, ed il timore dell’ in- 
famia altri dal delinquere, nè di queste intendo parlare. 
Parlo delli ultimi supplizi, delle peue corporali, del bollo, 
del taglio della mano ec. che divengono a lungo andare un 
gioco, ed uno spettacolo che indura il cuore al volgo già 
abbastanza feroce, e 1° avvezza alla crudeltà. (b) 

Sò pure che l’ esempio derivante dalla pubblicità 
dei giudizi, e dell’ esecuzioni può essere in certe specie di 
delitti inefficace. Quelli nascenti da fanatismo , da  gelo- 
sia, da vendetta, e tutti gli altri che derivano dall’ impeto 
d’una passione, e dall'ira, poca, o nessuna repressione pos- 
son riceverne. 

Tl fanatico che crede di fare opera meritoria, ed accetta 
a Dio commettendo un delitto se non può essere ritenuto, nè 
dal timore dell’infamia, nè da quello della pena, tanto meno 
potrà esserlo dall’ apparato del giudizio, e della (esecuzione, 
poichè stimando bella, e gloriosa l'impresa cui si dispone, 
niun pensiero può rimuoverlo, niun timore può arrestarlo, ed 
i tormenti, e la morte stessa saranno da lui .incontratà con 
serena fronte, e con la costanza dei martiri. Essendo al 
giovinetto Shepherd, che si era incaricato dell’ assassinio di 


11 


Giorgio I., stato ‘offerto per compassione della sua tenera 
età il perdono, lo ricusò ostinatamente, dicendo esser me- 
‘ glio obbedire a. Dio che agli uomini, e che il primo uso 
‘ch’ ei farebbe della libertà che gli venisse resa, quello sa- 
rebbe state di immergere il suo ferro nel seno del Principe. 
Mezzeray racconta che a Melun un padre uccise il figlio per 
causa di religione senza averne alcun pentimento. Barto» 
lommeo Diaz essendo a Roma fu informato che suo fratello 
abbracciava a Francfort le opinioni di Lutero: parte con 
l’ intenzione di ucciderlo, e lo assassina senz’ altro pensiero 
che quello di servir la religione da esso professata. Strada 
racconta che Salcede, che ferì con un colpo di pistola Gu- 
lielmo principe d’ Orange fondatore della libertà, e della 
grandezza delli Olandesi, non osò intraprendere una. tale 
azione che dopo essersi confessato, e comunicato — Vi fu- 
rono non ha gran tempo in Prussia alcuni fanatici i quali 
essendosi dati, a! credere che quanto maggiore ‘è il penti» 
nieuto dei propri peccati, tanto è più sublime la gloria che ne 
vien compartita nel cielo, a fine di procurarsi una veemen- 
tissima contrizione, si davano a commettere ogni sorta di 
scelleraggine: Federigo IL, da filosofo qual era, fece chiu- 
dere costoro nello spedale dei matti. 

Il geloso, che infierisce sulla persona che ama, potrà 
egli esser trattenuto dal timore di una pena, o di ciò che 
la precede, o l’accompagna, quando si lacera da se medesimo 
il cuore nel sodisfare la sua furia? quindi quasi sempre è 
un tal delitto accompaguato dal suicidio. Non ha molto che 
in Milano una persona distinta per il suo rango, e le sue 
cognizioni avendo amata una donna legata ad altrui, ed aven* 
dola resa per la terza volta incinta, venuto in sospetto che 
altri gli avesse involato il di lei cuore, spiato il momento 
in cui Mabppneva che il suo fortunato rivale potesse esser 
con lei, 5° introdusse in sua casa, e la privò di vita, nè trp- 
vando alcuno nelle sue stanze, rivolse le armi contro se stesso, 
e s' uccise. Aperto il suo testamento vi si lesse espressa l’in 


512 i 


tenzione che aveva avuta di distruggere in un sol punto la 
madre , il figlio, il rivale, e se medesimo. 

Il desiderio: ‘di ‘vendetta allorchè è giunto a quel grado 
di violenza da rendere, se non è sodisfatto , insopportab:le 
l’ esistenza, è una di quelle cause di delinquere cui nulla 
repressione può essere utile. L’ uccisione dell’odiato oggetto 
diviene un mezzo necessario alla conservazione della propria 
esistenza, come lo sarebbe quella dell’ assalitore nel caso di 
una, violenta. aggressione, ed in quella come in questa cir- 
costanza l’ omicida non fa che affidare al caso la vita. ehe 
era sicuro di perdere —. Parrà strano a taluno che în cuore 
umano possa la ferocia giungere a sì alto segno, ma non 
ne mancano nell’ istoria gli esempi. Benvenuto Cellini rac- 
conta che essendogli stato in una zuffa ueciso da un capo- 
rale di sgherri il fratello Giovan Francesco, che avea sulla 
Corte voluto: fer vendetta dell’ uccisione d’ un sno amico 
3» Conoscendo io ( sono parole di Benvenuto ) che quella 
passione di vederlo tanto spesso mi toglieva il sonno, ed il 
‘cibo, e mi conduceva pel mal cammino’, non mi curando 
di far così bassa impresa, e non molto lodevole, una sera 
mi disposi a volere uscire di tanto travaglio ,,. Il modo di 
escirne si fù l’ assalire all'improvviso il detto sgherro , e 
feritolo gravemente nella spalla , fuggendo questi per sal- 
varsi, ficcargli un pugnale nell’ osso del collo con tanta furia 
che non fu possibile per quanta forza si facesse di ritrar- 
nelo —. Zita di Benvenuto Cellini pag. 69. edizione di 
Galia ; 

L’ amore la più dolce, la più delicata, Ja più nobile 
delle passioni, quante vito non ha armato la mano del 
suicida? ed allorchè ella giunge a consumare , a struggere 
la vita, a renderla odiosa, insopportabile, a superar quel 
fremito , quel ribrezzo: che la natura per la conservazione. 
della specie oppone alla distruzione del proprio essere ; qual 
considerazione potrebbe frenarla quando spingesse l'uéiha al 
delitto? 


513 


Anche la parte men pura di questo fuoco è stata ca- 
pace di far disprezzare una morte sicura. Nell'ultima pe- 
ste di Marsilia ‘alcuni soldati non ebbero timore di sfogare 
il loro impeto disordinato bevendo nel calice del piacere la 
morte. 

L'ira detta con mha giustezza ,, breve follia ,, inva- 
dendo ad un tratto tutte le facoltà dello spirito, e privan- 
do l’uomo quasi intieramente della ragione, e;della riflessione 
è anche una di quelle cause di delinquere cui in gran parte 
può essere inefficace ogni mezzo di repressione. Ciò non 
ostante siccome l’ irritazione che produce è generalmente 
momentanea , e se non vi si unisce pravità d’ animo , re- 
pressa che sia in principio, non suol produr conseguenza 
l'esempio dell’ altrai rimorso, e della altrui pena può es- 
sere salutare ad allontanar dalle occasioni gl’ iracondi. 

E se nìnn freno ai delitti nascenti delle cause sopra 
accennate può derivare dalla pubblicità dei giudizi, non è 
da stupire, quando ciò che la società ha di più repressivo, 
cioè la sanzione d’ una pena calcolata , secondo la gravità 
del delitto, sulla sensibilità fisica, e morale dell’uomo è inca- 
pace di produrre alcun effetto. } 

Nel secolo in cui viviamo tali delitti non son però sì 
frequenti. Pochi son oggi coloro nel cui animo fremano le 
grandi passioni, capaci è vero di produr talvolta terribili, 
‘e funestissimi effetti; ma atte anche a' guidare i migliori 
ad altissime imprese. I delitti che puniti, ed impuniti inon- 
dano aggi le civilizzate città dell’ Europa son figli per lo 
più della bassezza, della viltà, della corruzione, dell’astu- 
zia, opere sono in somma non leonine, ma di volpe , e talî 
che svelano una generazione d’ uomini ,astuti, ingannatori, 
e scellerati, ma bassamente, ed è appunto per costoro, nei 
quali tutto è fondato sul freddo calcolo della probabilità del 
successo , e dell’ acquisto , che la maggior pubblicità dei 
giudizi, e delle punizioni può esser, secondo quel che espo- 
Remmo, un mezzo fortemente repressivo. 

Ma sebbene l’ esempio sia uno delli utili oggetti cui 


514 è, 
mira la pubblicità dei giudizi criminali, mon è però nè il 
solo, nè a parer mio il principale. Il sacro interesse della 
Giustizia; la necessità di sparger nel pubblico la persuasione 
della imparziale applicazione delle leggi; la legittima difesa 
degli accusati, In reclamano altamente. | 

L'uomo è pur troppo soggetto all’ influenza del pote- 
re, delle aderenze, del favore; alli stimoli della cupidigia ; 
alle attrattive del piacere. Il giudice è uomo, e perciò so- 
toposto ad ognuno di questi impulsi, e a tutte le umane 
passioni. La prevenzione , l’antipatia, il capriccio , una 
maggiore irritabilità, una indisposizione, una cattiva dige- 
stione influiscono potentemente sulle azioni di ciascuu gior- 
no, come ognuno, per poco che abbia studiato sè stesso, 
può aver facilmente conosciuto. 

Ponete un uomo soggetto a tutte le debolezze della 
sua specie, a, tutte le alterazioni di un fisico per lo più 
non perfetto, a tutte quelle di un morale, tante volte non 
meno imperfetto del fisico, concittadino, parente, amico , 
aderente; un criminalista pratico con l’asprezza di carat- 
tere contratta nell’esercizio d’ una professione trista, e nojo- 
sa ; ponetelo ogni giorno alle prese con un prevenuto , 
racchiuso fra quattro mura, senza testimoni , e riflettete 
freddamente se l’ innocente che comparisce innanzi di lui. 
nell’ aspetto di reo, possa, nello sconcerto dì tutte le sue fa- 
coltà, nel timore di non poter far valere le proprie discol- 
pe, essere intieramente tranquillo. 

7 Che è I nomo abbandonato ìntieramente a se stesso ? 
Di rado se egli può impunemente esser tiranno, e crudele 
ei non lo è (c). 

Se i giudizi -criminali fossero stati sempre pubblici, la 
tortura sarebbe ella stata mai un mezzo di prova? (d). 
Si sarebbero elleno stabilite certe massime infernali, che sî 
leggono nei Criminalisti, e che furono per disonore dell’ u- 
manità messe in pratica nei Tribunali in tempi da noi non 
molto lontani? (e) 

Ma prescindendo anco dalla volontà d’ incrudelire e di 


5:5 


nuocere al suo simile, che suppone troppa perversità , quali 
conseguenze in un affare di tanta importanza non possono 
derivare dalla negligenza , da cattive abitudini , dalla pre- 
venzione, dal favore a deviare l'esatta, e rigorosa ammi- 
nistrazione della Giustizia? ‘ult 
Nè il solo interesse astratto della giustizia, che si offende 
tanto se per le cause sopra espresse un innocente è con 
dannato, o un colpevole è assoluto, dee aversi in conside- 
razione. i 
La pubblica, e la privata sicurezza è la base fonda- 
mentale della felicità di un popolo. Tutto ciò che può 
stabilire nei cittadini la persuasione di questa sicurezza è 
della più grande importanza. Tutte le istituzioni sociali, o hanno 
per iscapo, 0 presuppongono questo cardine della società, 
la sicurezza delle persone, e dei beni. Tutte le leggi penali 
tendono in sostanza a questo fine. Ma se interessa i citta- 
dini che il malfattore che mette in pericolo la\loro sicu- 
rezza privata sia punito, ed il suo gastigo serva d’esempio, e 
di repressione ai maleintenzionati, interessa loro no meno che 
sieno accertati della loro sicurezza, dirò così, pubblica in 
faccia alla legge, ed ai magistrati. È necessario clie possano 
persuadersi , che la spada della giustizia now si ruota cie-. 
camente; che le forme dei giudizj sono stabilite a tutela, 
non ad insidia; e che essendo par un lato dirette a conse- 
. guire la inevitabil punizione del vero reo, lo son dèill’altro. 
ad assicurare all’innocente caduto in sospetto per apparenze, 
e per indizj tante volte fallaci, la più libera, la più illi- 
mitata, la più efficace discolpa. 

“ Allorchè i giudizi criminali son pubblici il popolo 
s' accerta nel tempo stesso che vi è chi veglia alla sua si- 
‘curtà reprimendo col gastigo i malvagi, e che la legge 
ferma, ed impassibile, senza distinzione di condizione, e di 
grado, ha stabilito per tutti 1° istesso modo di accertar la 
colpa, ed offre a tutti nel medesimo tempo l’ istesso' sicuro 
- mezzo di evitarne la sanzione, quello cioè di dimostrare la 
propria innocenza. Importa dunque sommamente al traa- 


5.6 
quillo, e contento vivere dei cittadini, che le cause crimi- 
nali sieno pubblicamente trattate. \ 

Ma l'interesse più diretto a questa. pubblicità lo ha 
l'’accusato. In un giudizio segreto egli è tutto in potere d’un 
altro uomo, tutto da esso può temere; nè questo è poco ,, 
ma non è tutto: quand’ anche egli sorta dal giudizio con la 
dichiaraziene d’innocenza, che in faccia alla legge intiera- 
«mente lo purghi, la macchia della sua riputazione non è 
però mai del tutto nell’ opinion pubblica lavata. Ei rientra 
nella società, ma non mai qual ne partiva : il dubbio, ed il 
sospetto ve lo circondano sempre perchè o nessuno , o ben 
pochi possono essere nel caso di sapere al giusto quali furo- 
no i suoi addebiti, e le sue discolpe; e dove è dubbio l’uma- 
na natura inclina a credere più il male che il bene —. In un 
giudizio pubblico al contrario nulla ha egli da temere nè 
dall insidie dei suoi nemici, nè dalla corruzione dei suoi ac- 
cusatori, e dei testimoni; nulla dal carattere , o dalle pre- 
venzioni dei suoi giudici. Il pubblico spettatore di ogni atto, 
ascoltatore di ogni deposto, e di ogui discolpa , è il più si- 
curo mallevadore della imparzialità, e della rettitudine di 
tutto ciò che vi si tratta, e dell’ operato delli individui che 
vi figurano. f 

Quante volte un testimone che nel segreto esame aveva 
occultata, o alterata la verità, in faccia ad un pubblico il. 
Isquendosi, e contradicendosi è stato costretto anco suo mal 
grado a smentire, o a rettificare il già detto; a confessare 
muda, ed intera la verità , o a lasciarla almeno travedere 
nell’incertezza, e nella contradizione dei suoi deposti, nella . 
confusione dell’aspetto, nel contegno , nei moti. 

Può accader non di rado che fra la turba delli. spet- 
tatori ve ne sia qualcuno, che possa offrire utilì schiarimenti, 
ed opportune notizie allo scuoprimento della verità , che 
sarebbero perdute in un giudizio segreto con danno gravis- 
sitno, e forse irreparabile dell’ accusato. 

Ma quand’ anche nessun’ altro vantaggio derivasse dalla 
pubblicità dei giudizi all’incolpato, che quello di presen- 


ri 


517 

tarsi a render conto delle proprie azioni , con la positiva 
certezza che nessuna violenza , nessun’ arbitrio. può essere 
usato contro di lui; che ogni atto, ogni deposto , ogni in- 
colpazione , ogni prova , deve esser discussa alla presenza 
d’un pubblico; che nessuna restrizione può esser imposta 
alla libertà delle sue discolpe ; che egli ha per giudice delle 
proprie azioni, in ogni evento, quelli stessi cittadini in faccia 
a’ quali arrossirà se reo di comparire, ancorchè assoluto, e 
di cui se innocente, ancorchè condannato reclamerà la stima; 
quel pubblico che invocherà dalla carcere, dall’ esilio, dal 
palco a gindicare i suoi giudici, che citerà in testimonio 
della validità delle proprie discolpe, e della evidente dimo. 
strazione della propria innocenza: Quando nessun altro van- 
taggio che ‘questo derivasse dalla pubblicità dei giudizi cri- 
minali; essa sarebbe abbastanza giustificata. 

‘Ecco amico pregiatissimo quali sono i motivi dell’ opi- 
nione da me sostenuta. Parmi se stranamente non m’ingan- 
no che il loro. maggiore sviluppo, la più ordinata , ve più 
chiàra'esposizione, e molto più poi l’ esempio delle più colte 
mazioni ‘d’ Europa, che quel sistema adottarono, debbano far 
sul vostro spirito quell’impressione che la\scarsità dei miei 
lumi, e l’acutezza del vostro ingegno impegnato a sostenere 
l'opinione contraria, non mì permettevano di operare in una 
discussione verbale in società, per incidenza, avvenuta. 

Non ostante, se qualche nuovo riflessione, se qualche 
gi da me non combattuto, se qualche valida replica vi 

i presentasse alla mente , la comunicazione , che libera- 
mente, spero, vorrete farmene sarà da me considerata come 
una novella prova di quella bontà, e di quella amorevolezza 
che in tante occasioni mi dimostraste. 


va Vostro affezionatissimo Amico 


"Re a 


58 
ANNOTAZIONI \ 


(3) Uuo delli amici miei di cui pregio sommamente le doti del. cuore 
riprovò questa mia opinione. Ei sostenne che gli uomini non sortono dalla 
natura inclinazioni così violente al male, e che l'educazione, e le circostanze 
suno quelle unicamente. che formano i grandi scellerati. Non vi è, diceva 
egli, forse nno solo dei mostri di cui ha più da arrossire }Y umana specie, 
del quale con una diversa educazione, in un vario giro di circostanze, non 
si fosse potuto formare un uomo sensibile, un ottimo cittadino. Rendendo 
giustizia alla bontà del sno cnore, e convenendo in gran parte della ve» 
rità della seconda parte di questa proposizione io contradiceva alla prima, 
e ti serviva dell’ una per combatter 1’ altra. Niun dubbio io replicava che 
le circostanze, e soprattuto l’ educazione non possano sviluppare i semi delle 
buone, e delle ree qualità dell’ animo; niun dubbio che si possa col suo 
mezzo giungere a reprimerne, ed a modificarne in gran parte le inclina- 
zioni perverse; ma la possibilità di questa repressione non esige ella ap- 
purto per necessario antecedente una disposizione naturale che l' educazione 
ha io mira di combattere, o di modificare? Se ogni uomo porta na- 
scendo una fisonomia, un abito particolare di corpo , perchè non si am- 
meterà la stessa varietà nelle «disposizioni della parte incorporea; dell’ animo? 
E s'egli è forza ammettere sopra fatti incontrastabili, e di cmi può forse 
ciasenno di noi aver notato qualche esempio, che un animo nubile, generoso, 
compassionevole , magranimo , tale si è conservato ad onta anche di un 
pessimo esempio, d’ una cattiva educazione, e di circostanze contiarissime, 
perchè non si dovrà egli ammettere lo stesso per le opposte qualità? Serva 
a ciò di conferma la differenza di carattere che si osserva nella giovi ntù 
rinnita nei luoghi d’educazione. Le stesse discipline, la stessa maniera di 
vivere, gli stessi metodi si usano, l’ istesse persone gli d'rigonb, e nono-- 
stante nature vi compariscono affatto opposte, ed il carattere docile , sen= 
sibile, modesto, generoso, ingenuo, tenero, laborioso, piacevole si forma 
in quello stesso luogo ove per le cure delli stessi cultori si sviluppa l’ in- 
docile, l’ ingrato, 1° impudeote, 1’ interessato, il cupo, il simulato, 1’ insen- 
sibile, l’ozioso., come nasce sullo stesso terreno, e sotto il cielo medesimo. 
il cardo; accanto alla rosa. Non ci sarebbe difficile se }a brevità di una 
nota potesse comportarlo il riunire molti istorici esempi d’ individui che 
sortivono mascendo disposizioni talmente ‘decise verso il bene., © verso il 
male da non ammetter nessuno, o picolissimo cambiamento, e di altri molti 
che dovettero combattere continuamente; e; con penosissimi sforzi per giun= 
gere a reprimere una forte inclinazione. Or se tautò poteva in essi la 
indole naturale anche di continuo .repressa , si potrà egli dubitare ragio- 
nevolmente che mancando questa repressione, l’uomo abbandonato alle sue 
prave inclinazioni non possa sempre più svilupparle ; e divenire insigne 
nella sceleraggine ? i 

(b) La facilità con la quale l’ umana natura s° abitua anche agli or- 
rori è tanta, che i barbari combattimenti con le fiere , e le pugne san 
guinose dei gladiatori, furono come oguuno sà lo spettacolo. favorito dei 
Romani. A quelle orride scene accorsero anche le delicate vergini, e le 


519 


matroue ; applaudirono anch’ esse agli atroci duellanti, e decretarono talora 
con la voce, e coi moti la morte d’ uno dei combattenti; dal che deri» 
varono poi in gran parte gli orrori inauditi, la sfrenata libidine, e V im- 
mane crudeltà dei regni di Tiberio, di Caligola, di Nerone, e di Caracalla, 
secondo che osservarono già molti scrittori, e che col divino linguaggio 
delle Muse, e con sublime fuoco d’ umanità espresse il Parini nella bel- 
lissima sua ode a Silvia. 
Iv Fraucia novo ha molto il supplizio della Rota era divertimento 
. gradito anche alle sensibili dame parigine, e le finestre della piazza delle 
esecuzioni si cempravano in certi giorni a caro prezzo. Questo barbaro 
costume infiammava di generosa bile il petto al satirico Gilbert, e lo sfor- 
zava ad esclamare contro le donne galanti del suo tempo con amara ironia 
Que dirai-je d' iris? Chacun la prone, et l’aime: 
C° est un coenr, mais un coeur. . . c'est humanité mé me. 
Si d’np pied etourdi quelque jeune eventé 
Frappe en conrant son chien qui jappe epouventé, 
La voilà qui-se meurt de tendresse, et d’alarmes: 
Un papillon souffrant lui fait verser des larmes, 
- Jl est vrai mais aussi qu’ a la mort condamné 
Lally soit en spetacle à 1’ echafaud trainé, 
Elle irà la premiere a cette horvible féte 
Acheter le plaisiv de voir tomber sa téte. 
Le dixhuitieme siecle. Satire. 
of 
(c) Se a taluno potessero queste mie riflessioni sembrare esagerate de- 
clamazioni, ascolti come si esprime su tal proposito: il celebre Conte (Pietro 
Verri in un opuscolo sulla tortura stampato nella raccolta delli Economisti 
Italiani tom. 17 pag. 269. « Tale è la natura deli’ nomo che superato il 
ribrezzo dei mali altrni, e soffocato il benefico germe della compassione 
‘ infiercisce, è giubila. della propria superiorità nello spettacolo dell’ infelicità 
altrni; di che ne serve d’ esempio anche il furore dei Romani per i gla' 
diatori », Il Farinaccio (Yheor. et Prax. Crimin. tom. 2 Quaest. 38 num. 
56) parlando dei suoìi tempi, asserisce che i giudici per il, diletto che pro- 
* vavano nel tormentare i rei inventavano nuove specie di tormenti: eccone 
‘ le parole «Zudices qui pr: opier delectationem quam habent terquendi reos 
inveniunt novas tormentorum species n. E più sotto num. 5g dando al 
giudice ricordo di moderarsi, e di astenersi dal tormentare il reo colle 
proprie mani, cita chi vide un Pretore prender per gli orecchi, ed i capelli 
l’accusato, e fortemente farlo cozzare contrò una colonna dicendogli « ribaldo 
confessa ». Così egli stesso » Adstineat etiam judex se ab eo quod aliqui 
judices facere solent, videlicet a torquendo reos cnm propriis manibus. . «è 
Refert Paris de Puteo se vidisse quemdam potestatem, qui capiebat reum per 
capillos, vel per aures, dando caput ipsius fortiter ad colomnam, dicende 
confitearis, et dicas veritatem ribalde » Il celebre Bartolo Comment. ad. dig. 
nov. lb. 48. leg. di se stesso raccovta con freddissima indifferenza come 
« gli accadde di uccidere un giovine robusto con la tortura, e soggiunge che 
non si dehba mai imputare al giudice un simile accidente ivi «loc inci- 


' 


520 
dit mihi, quia dum viderem Juvenem robustun; tersi pr: ct statim fere 
mortuus est ». 

(d) Chi fosse vago dî veder trattato quest’ orrido soggetto senza vane 
declamazioni, ed in modo da fare onore mon meno all umanità, che all’ in- 
gegno dell’ autore, legga l'opuscolo sopra citato del Conte Pietro Verri in 
titolato Osservazioni sulla Tortura , e singolarmente  sulli effetti che 


. produsse all’ occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la 


pestilenza che devasts Milano nel 1630. Questo scrittore filantropo in 
quella operetta dimostra con la semplice istoria dei fatti, e la trascrizione 
dei deposti, e degli esami esistenti nel processo compilato contro igretesi 
fabbricatori, e Hapeninioti delli. unguenti pestiferi, cui fu attribuita la detta 
pestilanza del 1630, che per ‘mezzo dei >soli tormenti fatti soffrire alli in- 
felici Gian Giacomo Mora, e Guglielmo Piazza, principali accusati, ed a 
molti altrì disgraziatamente involti iv questo processo , si, ottenne la con- 
vinzione , e la confessione d’un delitto che non ha mai potuto esistere, 
che non avea nessuna causa proporzionata, e nessun fondamento che nella 
superstizione, nell’ ignoranza dell’ universale, e nella barbarie dei processanti, 
e dei giudici. Non si possono leggere gli esami da esso soto in' piccola 
parte. riportati, e non. fremer d’ orrore agli spasimi, ed ai lamenti de’ miseri 
cruciati, e, non arilere d’ indignazione alla fredda atroce. cradeltà ‘de* giu- 
dicì che illaqueando con sottigliezze quei disgraziati, che von capivano i 
raggiri criminali, pretendevano di farsene dare la soluzione fra le angoscie 
dei tormenti, dai quali quelli infelici si sarebbero sottratti con mille accuse 
contro se medesimi, se gli si fosser presentate alla mente. I modi che si 
Aduperavano per scnoprir la verità in quei tempi arano i seguenti ce Sì ado- 
pera attualmente per tortura » dice il citato Verri, che scriveva sul finire 
del passato secolo» la: Jussazione dell’ asso dell’omero; si. adopera talvolta 
il foco ai piedi, cradeli operazionioni per se stesse, ma nessuna legge li- 
mita la crudeltà a questi due modi. I dottori che sono i maestri di que- 
sli spasimi, i dottori che sì consultano per regola, e per norma de' giu- 
dizi criwinali, non prescrivono certamente molta moderazione. Il Bossi 
milanese che .tratta della pratica criminale di Milano al titolo de Zortura 
“tib. 1. dice « Non chiamerei tortura ‘ogni dolore del corpo; la tortura. 
‘deve esser più' grave che se si tagliassero ambe le mani, e soffiir la tor- 
tura egli è patire le estreme angosce dello spasimo .... E basta osservare 
i preparativi, c i modi di cormentare per conoscerla: niente è mite anzi 
tutto è crudelissimo, e perciò spesse volte si dà la torturaccol fuoco , e 


"quel che' dice 1° uomo tormentato col fuoco si reputa la verità istessa » . 


Veggasi con qual crudeltà lo Zeiglar Tema 47 de torturis $. 12 descrive 


‘questa inumtanissima pratica: « Oltre lo stiramento con candele accese si 


suole arrostire a fuoco ‘lento il reo in certe parti del corpo, evvero alla 


‘estremità’ delle dita; si ‘conficcano sotto l’ugna de’ pezzetti di legno resinoso, 


‘itidi si .appicca il fuoco a questi pezzetti; ovvero si pongono a cavallo so- 
pra un toro, o asino di bronzo vacuo, entro cui si gettano carboni ardenti, 
e coll’ infuocarsi del metallo acerbamente, e con incredibili dolori si cru- 
‘ciano ». Questi strazi erano. diretti dal giudice, che ne era tranquillo spet 
tatore, e che gli interrompeva, e gli facea riprendere a sua voglia pel 


i 521 
eerso di più ore, mentre che il Cancelliere registrava in barbaro latino, 
le esclamazioni, le proteste, le ‘preghiere, i gemiti, e le confessioni del 
prevenuto. Ecco l’ uomo nell’ assoluto potere deli’ altro uomo, 

(e) Verri luog. cit. pag. 270 «@ ivi » Il Bossi tit. de Confessis per 
torturam IN. 11 asserisce che se un reo confessa invitato dal giudice con 
promessa che dichiarandosi reo non gli accaderà male, la confessione è va- 
lida, e la promessa del giudice non tiene. Il Tabor de torturis et indiciiz 
delictor $. 30 dice che anche a una donna che .allatti si può benissimo 
dar la tortura, purchè non accada diminuzione d’ alimenti al bambino. 
Per dar poi la tortura a un testimone bastava che fosse d’estrazione vile Farinac, 
Quaest. 79 a. 33. Il Claro Sententiar. Ub. 5 $. fin. Quaest. 64 n. 12. asseri= 
sce che quando vi sieno alcuni indizj contro un uomo, si può metterlo alla 
tortura ;\e in materia di tortura, e d' indiz) non potendosi prescrivere una 
norma certa tutto si rimette all’ arbitrio del giudice, La sola fama bastava 
perchè se il giudice lo voleva fosse un uomo posto alla tortura; Gaud. de 
Malefic. in tit. de quaest. 3g Aug ad Angel. de Malef. in verbo fama 
pubblica num. 41 Caravita de ritu magnae curiae N. 8 ec. Brun. de In= 
diciis: fol. 4x1 num 32. Basti un solo orrore per tutti; e questo viene riferito 
dalli annotatori del Claro Li. 5 $. Fin Quaest. 64 N. 80 ove si dice che un 
giudice può indurre una donna Blandis verbis a confessare, e si cita il Pa- 
ris che nel trattato de Sindacatu stabilisce che un giudice avendo in carce- 
re uva donna sospetta di un delitto può farla venire nella sua stanza secreta» 
mente, ivi baciarla, accarezzarla, fingeré di Amarla , prometterle la libertà a 
fine d’ indurla ad accusarsi del delitto, é racconta che con tal mezzo un certo 
Reggente indusse una giovine ad aggravasi d’ un omicidio per euj fu deca- 


pitata. 
——P —' 45 R 0 dl_—PP— 


BELLE ARTL 
SULLA PITTURA DEGLI ANTICHI 
DISCORSO VI.(I) 


Dei colori degli antichi perduti, e delle nuove ragioni 
di colori che ne presero il luogo nella pratica di 
dipingere dei bassi tempi e delle prime età dell’ar- 
te risorta. . 


Al Professore Giuseppe BRANCHI 


Raffaello Borghini intelligentissimo delle belle ar- 
ti, enon men dotto che valente scrittore, nelle memorie 


“ta V: vol. V. pag: 518. 
*T VI. Giugno _ 34 


Ba 
ch’ei produsse della pittura italiana(2) quando già la 
gloria di questa volgendo il secolo XVÎ. era salita al suo 
colmo, non lasciò di ricordare le varie maniere dei co- 
lori e delle pratiche di dipingere conosciute ed usate a . 
quel tempo. Alle di cui parole ponendo io mente, ben 
mi parvero, ottimo mio collega ed amico, degne di con- 
siderazione non tanto pe'i documenti ch’elle ne porgono 
dei modi d’operare tenuti dai grandi maestri di quella ] 
età, quanto pel confronto che elle ci mettono in grado di 
fare tra gli antichi metodi ed i moderni. Nè già ci mara- 
viglieremo che nelle vicende le quali avean tratto le arti 
a sì basso stato, come quello a cui si ridussero nella età 
di mezzo, si fosse perduta contezza di molti e de’ più 
pregiati colori deglì antichi. Ma ben ci mnoveremo ad 
ammirazione del ‘piecdi numero di quelli a cuì si stette 
la comun pratica di dipingere nel secolo di Leonardo 
e di Raffaello; e dimanderemo come il comportasse tanta 
perfezione dell’arte, e perchè tra i colori usati a quel 
secolo pochissimi se ne contino che non fossero cono- 
sciuti e adoprati sino dai primi tempi della risorta pit- 
tura. Di che, leggendo nel Borghini, e riandando le 
memorie di quei più antichi tempi, non par che riman- 
ga da dubitare; e parimegie ce ne certificano 1 saggi e 
gli esperimenti, pe quali si è tentato ultimamente di 
riconoscere nelle reliquie pittoriche giunte sino a noi 
dall’epoca più lontana delle arti rinascenti sino alla più 
florida eta delle arti risorte, le nature de’ colori e i mo- 
di di trattarli che vi sono stati adoperati. Dei quali es- , 
perimenti ella, mio pregiatissimo amico, ha dato non 
so.se. il primo, ma certamente un’ ottimo esempio nelle 
analisi. per lei istituite, alcun tempo fa, dei colori tolti 


rar 


(2) Il riposo = Libro If. 


1 323 
dai residui di vecchie pitture a tempera dei secoli x1up 
e xiv. E altri ha pur fatto l’istesso su' i colori di: vari 
a freschi, sì di quella come delle precedenti età. Di che 
io mi sono opportunamente giovato nelle ricerche da 
me intraprese col bile intendimento: dove ho 
procurato non tanto di seguire gli altrui vestigi, quanto 
(come il poteva il meglio) di avanzarli. Nè sò veramen- 
te se troppa fidanza mi abbia fatto illusione; e s' io ab- 
bia con più animo forse che mezzi, PRA il mio 
scopo: ben sò, che nell’ aero ea quelle ricerche 
io mi lamentai della fortuna che molti non ignobili a- 
vanzi delle arti del medio evo, e delle prime età della 
risorta pittura, pur da poco in qua ci avesse rapiti. Per- 
chè da essi avremmo certamente tratto qualche lume 
di più, che ora invano desideriamo, del pratico magi- 
stero dell’ arte in quei tempi: ed era buono clie dei 
colori e dei metodi con i quali erano state condotte 
quelle opere fosse rimasta almeno qualclie memoria 
negli scritti . 

E ciò poteva con sicurezza sperarsi nella presente 
età dai mezzi di che la Chimica in tanta sua luce è in 
istato di sovvenir l’arte per giungere a quella conoscenza. 
Che è pur vero che dei colori e degli artifizi di usarli 
adoperati nella pittura nei tempi che di poco precedet? 
tero la restaurazione delle arti, o la seguiron d’appressòy 
si ha memor:a pei documenti altrove ricordati delle 
prime età della risorta pittura (3). Ma a quelle età per 
poco non mancava ogni lume di scienza: sì che i rag- 
guagli ch’ elleno ce ne trasmisero bene spesso ne lascia- 
no incerti su tali particolarità che più di tutte impor- 
terebbe conoscere onde avere intera contezza di quei; 


———& 


(3) Ved. il discorso I. 


524 
colori e di quelli artifizi. Che val, per esempio, che nel 
trattato del Cennini, ragionandosi (cap. Lx) della natu- 
ra dell’azzurro della Magna, si noti che egli è ur color 
naturale il quale sta intorno e band la vena del- 
® argento, che nasce molto in nella Magna; chè 
si vuol triare poco poco e leggermente con acqua, 
perchè è forte sdegnoso della pietra; che è buono in 
muro in secco, ed in tavola; che soffre tempere di 
rossume d’ uovo e di colla? Ciò non era assai per argo- 
mentarne con sufficiente certezza la natura di quel colo- 
re, in tanto chè i periti dell’ arte, ragionandone, sono 
andati in contrarie opinioni. Nè il pubbio potea rimuo- 
versi se non che coll’ esame chimico di tali lavori del- 
l’ antica pittura, in cui, per le memorie che ce ne riman- 
gono, si trovasse essere stata adoprata quella ragione di 
azzurro: adunque si sono rintracciati gli avanzi di quei. 
lavori, si sono esaminati; e dai saggi instituiti su 1 me- 
desimi si è riconosciuto nell’ azzurro adoperatovi un 
carbonato nativo di rame . (4) ni 
Nè peraltra via forse che per questa saremmo venuti 
in chiaro delle nature di certi altri colori, e delle qualità 
e dell’uso di certi ingredienti, che secondo le memorie 
di quegli antichi tempi sappiamo aver dato materia a 
certe maniere di dipingere. Stantechè dove manchi ai 
ragguagli, ch’ esse ci porgono delle sostanze coloranti 
artificiali o native allora in uso, un’ accurata indicazio- 
ne dei caratteri propri ed essenziali delle une o dei pro- 
cessi conosciuti per la preparazione delle altre , qual 
mezzo esser vi può per riconoscerne la natura fuorchè 


(4) Ved. il discorso III. e la Lettera del profes. Branchi nel 
l’ appendice all’ opera intitolata: Motizie inedite della sagrestia 
pistoiese de’ belli arredi, e del Campo santo pisano, del profes. 
Ciampi, Pisa 1811. 


525 

Y analisi dei dipinti ne’ quali furono adoperate quelle 
sostanze? Con questo metodo ho proceduto, sempre che 
mi è stato dato di farlo , nell’ esame degli antichi docu- 
menti che ci ricordano le nature de’colori adoperati nel- 
la pittura nei due secoli che precedettero e nei due che 
conseguitarono l’ età della restaurazione delle arti im 
Italia. 

E già, leggendo in quei documenti, noi prendere- 
mo ammirazione che certi colori di che sì fa quivi ragio- 
ne fossero usati nella pittura: l’orpimento, per esempio, 
e il risalgallo tra i minerali artificiati o nativi ( proto- 
solfuro e persolfuro d’arsenico); il verderame o verde 
eterno, tra i minerali fattizi (acetato ipocarbonato di 
rame); il giallo di zafferano e la resina rossa del ptero- 
carpus draco, tra i colori ricavati dai vegetabili. Perchè 
basta aver qualche lume di pratica pittorica per sapere 
che questi colori, nom che sieno trattabili in fresco, dove 
la causticità della calce gli guasterebbe di subito e di- 
sfarebbegli (5), han per nimichel’umidità , l’aria stessa 
e la luce, sì che niuna tempera è valevole a preservarli 
| da una più o men lenta, ma inevitabile alterazione; sep- 
pure non si adoperassero in lavori da cui non si preten- 
. desse una lunga durata, oche fosser difesi quanto si può 
da ogni esterna impressione. Ma di questi e d’altri siffatti 
colori se ne valevano gli artefici della inferior pittura; 
che usavagli nell’ornare i campi e i dintorni dei dittici 


(5) Giò si comprende facilmente dei dug so/furi d’ arsenico, 
e dell’ acetato ipocarbonato di rame , ai primi de’ quali vien 
rapito lo zolfo, al secondo l'acido acetico e carbonico dall’ affi- 
nità prepollente della calce sì tosto che si trovano con essa in 
contatto. Quanto agli altri due rammentati colori, vedesi facil- 
mente com’ essi debbano alterarsi operando su di essi la calce 
come una sostanza alcalica. 


O) trittici, «e delle piccole ancone dipinte; nelle mi- 


niature che pur vennero in tanto pregio dal secolo Xbalo 


XIV (6); nel dipignere i i palvesi e le targhe da ‘guerra 
o da giostra, ii varj attrezzi da cavalcare ; le selle e 
bardature dei cavalli, che pur esse operosamente efligia- 
vansi; la quale usanza durava ancora al'cadere del secolo 
XV. siccome ne fa fede il Vasari (7). Però don si vedrà 
fatto uso giammai di quei colori dagli artefici “della 
maggior, pittura: mè in quanti dipinti in tavola o in 
muro di quelle antiche 0 di più moderne età sono stati 
cimentati coll’ analisi chimica , se n'è trovato vestigio: 
nè io debbo ragionar di sessi più che non si convenga 
allo scopo di queste ricerche . 


Nelle quali essendomi proposto di porre in lume di 


che maviere di colori si valessero gli artefici nelle gran- 
di opere di pittura ch’essi condussero sì in tavola come 
sulle pareti, dai più antichi tempi di cui cì restino mo- 
numenti dopo la decadenza delle arti, fino al loro risor- 
gimento, io verrò notando ciò che dai saggi fatti di quegli 
antichi lavori e dai documenti che li ciguagAo riscon- 


(6) I gialli d’ arsenico e di zafferano non eran forse adope- 
rati fuorchè nelle più tolga e men care di quelle miniature. 
Troppo più splendidi e più freschi che non comporterebbe la 
natura di quei, colori si trovano.i gialli delle bellissi;ge minia- 
ture-conservateci in alcuni evangeliii, libri corali, e altri codici in 
pergamena di quei tempi: nè m’indurrei facilm-nte a credere che 
nelle miniature condotte con più amore sì usassiro quei tristi colo- 

ri. E sissa chewi.erano adoperati il gi; allorino, il cinabro, la lacca, 
A altramare , ‘carissimi e splendidissimi tra i colori. Le antichis- 
sime ‘miniature dei codici del V. e VI. secolo son colorite col 
cinabro; forse nativo, ma certo bellissimo ; che allora dicevasi 
minio; onde fu poi CEPRANO tra noi miniatura quella ma- 
niera di dipingere . 
(7) Vita di francesco Francia orafo e pittor bolognese . 


VT 9 ST a 


i dan: 
trasi a tal proposito. Dr quei colori, secondo una assai 
conveniente distinzione che ci ha conservata il Cennino 
nel suo trattato della pittura già ricordato, erano di tre 
diverse ragioni: zatw'ali, i quali non altrimenti ado- 
peravansi che nello shto medesimo ‘in cui si traevano 
dalla ‘cava o miniera ;0 quali ce li porgeva la natura: 
‘artificiati, che per nezzo di alcune facili preparazio- 

«ni riducevansi allo stzo in che li richiedeva il loro uso: 
fattizj , o artificiati per alchimia, i quali con arte 
più ricercata componcansi da certi ingredienti 0 pre- 
parazioni. E tra i priu io ritrovo due de’ colori rossi 
usati anche dagli &ntiai pittori greci e romani; la siro 
pia cioè, e l’amatita «amatista, con antica denomina- 
zione mautenutasi sin a que’ tempi: colori minerali 
ambedue; ottimi a laware in fresco: il primo dequali 

(corrispondente alla r2rica sinopide ) è , come gia no- 
tammo, una terra nat'almente colorita in rosso dal- 
l’iperossido di ferro : ‘altro è il lapis o pietra sangui- 
gua (hoematites, o amhystin) formata dall’ iperossido 
stesso cementato da unzsnissima argilla. ; 

E questi due colorle’quali è da vedere la descrizio- 
ne che ue porge accurasima nel citato libro il Cen- 
nini (8), rispondono piloro tuono all'estremo color 
> TyTÈ*Yrr——_—_——_—rr— 

(8) Cap: XXXVII. XI, Il colore, la lucentezza ‘0 levi» 
gatezza della superficie, e l’èrna tessitura fibrosa dell’ PRETI 
o ematite sono assai ben ditate dal Cennini tra i caratteri di 
quel minerale. Questo colodic’ egli) è naturale, ed è pietra 
fortissima e soda ..... Ea tanto. soda e perfetta che se ne 

a pietre e dentelli da bre oro in tavole. La pietra pure 
è di color pagonazzo, e deo ha un tiglio come ‘cinabro. 

C'est au fer oxidé rou qu’ on rapporte. les hematites, 
mine qu’ on troùve en masstont la surface est mamellonnée 
et dent l’ intérieur est forme fibres allant toujours en diver 
geant du centre vers la circorenca. — Così Tenard nel suo 
‘Uratt. di chim., tom. II 


528 1 
rosso dello spettro prismatico , vegendo alcun poco al 
violetto; l’amatita però più dell’iltro: foschi ambedue, 
se non che più pieno ed intenso ì primo, più slavato e 
leggero il secondo. 
Di due altri colori rossi tra minerali si fà ragione 
pei citati documenti; il mizio eil cinabro; artificiati 


però l’ uno e l’altro; nè par chei quei tempi si cono- 


scessero i \corrispondenti colori nativi. E si avevano 
per inetti ambedue a trattarsi 4 fesco, si che se ne fa- 
ceva uso solamente nella pittura ‘tempera. E col nome 
di minio denotavasi non già il rizizza (0 solfuro di 
mercurio nativo ) degli antichi, ensì ila cerzssa usta 
(© tritossido di piombo) con qudo di \cinabro all’ in- 
contro denotavasi il cinnabar minerale dei Greci, 
o il mini secondarium dei Vani, che è quanto dire 
il solfaro di mercurio artificiale 
Il tuono di colore del minie del cinabro artefatto 
_ risponde a quella parte dello sptro prismatico che è 
formata dai raggi rossi di medirefrangibilità; se non 
che il tuono del cinabro è più «erto e vivace di quello 
del minio: di un rosso men pie quest’ ultimo e più vi- 
cino al limite dell’ aranciato. I 
Ai quattro rossi minerali gilivisati sono da aggiun- 
gere i due rossi di lacca, d’orne organica ambedue; 
artificiato l’uno, l’altro nativoli che si fa ragione nei 
citati docamenti. Ma il primo questi, che compune- 
vasi della materia colorante de grana del kermes pre- 
cipitata per mezzo dell’ allumij, non veniva che da un 
processo imperfetto. Quindi 0 era di poco uso, e di 
men pregio. Non era ancor cosciuta a quel tempo (nè 
prima del secolo XVI vi si penne ) l’arte di fermare 
solidamente sull’ allzmiza lori vegetabili o animali, 
naturalmente solubili nell ata , sì che per le lavature 


529 
non se ne dileguassero. La cognizione di questo metodo 
o processo, di cui facemmo parola nel precedente discor- 
so, ci ha procurato le lacche artificiali;il numero delle 
quali è presso a poco tanto grande quanti sono i diver- 
si colori che possono ottenersi dalle sostanze vegetabili ed 
animali (9). E quell’antica lacca di chermisi, o al- 
meno il modo d’ ottenerla dalla soluzione della cimatura 
dei panni tinti di quel colore, è presso a poco abbando- 
nata . Ma il rosso di lacca di cui scrive il Cennini ( cap. 
XLIV) « togli lacca la quale si lavora di gomma, ed 
è asciutta, magra, granellosa che quasi par terra, e 
tiene color sanguineo . ... buona a adoperarsi in ta- 
vola, ed anche in muro con tempera , . .. ma l’aria è 
sua nemica » , era vivacissimo colore; e tuttavia ne 
riman qualche traccia negli antichi dipinti. E par ch’ei 
fosse una cosa stessa colla gomma, o gommo-resina che 
dall’insetto coccus lacca deponesi su varie specie di 
piante indigene dell’Indie orientali ; la quale il commer- 
cio dei Veneziani avrà fatta conoscere sino di quel 
tempo. Che se, come soggiunge il Cennini, questo colo- 
re avea bisogno d'esser triato o macinato con acqua 
chiara sul porfido, ciò parmi che si comprenda facilmen- 
te considerata la poca di lei solubilità nell'acqua; forse 
ch’ ella conteneva come la lacca di resina-lacca , che 
oggi ci vien pur dalle Indie tutta formata, una certa 
quantità di materie terrose unite alla parte colorante(10). 


(9) Vedi il Neri nell’ Arte vetraria lib. VII. 

(10) Ze lac-lake, preparation que l’ on fait aux Indes, et 
qui est proprement une laque faite avec la resine laque, con- 
tient, outre la matière colorante, environ un troisiéme de son 


poids de resine, un sixième d' alumine, et d’ autres matières 
terreuses. Thénard Tr. de Ch. tom. ALI. 


530 

Minor numero aveasi di colori gialli, se facciasi ec- 
cezione dalle tre preparazioni arse nicali, l’orpimento, il 
realgar o risalgallo, e l’arzica . Ma ottimo usò aveasi 
tra questi dall’ocria e dal giallorino, minerali ambedue; 
nativo il primo; artificiato il secondo . E due ragioni di 
serie si distinguevano, la chiara e la scura; comunali 
colovi, ma saldissimi: tanto che, dice il Cennini, mai nor 
trovai miglior colore di questi ... specialmente a 
Lavorare in fresco(cap. XLV ). Il tuono proprio de'qua- 
li, secondo che ci è mostrato dalle antiche pitture in 
cui vennero adoperati, risponde a quella parte del- 
lo spettro prismatico che è formata dai raggi gialli di 
media refrangibilità sino al confine degli aranciati . 
E la loromatura è quella di un’'idrato di silice e di os- 
sido di ferro, quanto all’ocra ‘chiara; di un protocar- 
bonato di ferro e d’idrato dello stesso metallo impastati 
d'argilla e talora di carbonato di calce quanto all’ ocra. 
scura . 

Quindi è manifesto che l’ocra dei moderni è tut- 
taltra cosa che l’ochra degli antichi. La quale sembra 


più propriamente rispondere a quel colore che denolossi - 


col nome di giallorino nelle età della piuttura risorta . 
Perchè, come lui, esso aveva per base il dextossido di 
piombo; e preparavasi anche artificialmente trattando 
al fuococerte specie di minerali che traevansi dalle vene 
metalliche prossime alle cave d’ argento; dove pur se ne 
incontrava talora del nativo. Nel qual processo, forse 
senza avvedersene, venne a comporsi quella sostanza che 
ha dipoi avuto in commerico il nome di giallo di- Napoli; 


ed è questa una chimica combinazione del deztossido 


di piombo con quello d’ arntimonio . Del genere stesso, e 
verisimilmente d’ origine vulcanica , è quella sostanza 


. 551 
che si è incontrata talora tutta formata nei dintorni del 
Vesuvio, ed altrove (11). llche nontoglie però che non 
sia stato ben collocato dal Cennini tra i colori artifici@® 
ti questo giallorino, ch’ ei con molto acconcie parole de- 
scrive ( cap. ALVI ) conchiudendo in ultimo assai sen- 
satamente sulla di lui natura » e sì mi do ad'intendere 
ch'egli sia propia pietra nata in luogo di grandi ar- 
sure di montagne , però ti, dico che sia colore artificia- 
to ma non d'alchimia. 

Del resto era forse questo uno de’ più vaghi tra i 
colori che si conoscevano e si adoperavano allora nella 
pittura. E dura inalterato fino ai nostri giorni, al pari 
che i gialli e i rossi di ferro, nei dipinti che di quella 
età ci rimangono. Ma esso è di un più vivace giallo delle 
ocre: il suo tuovo è quello della parte dello Spettro pri- 
smatico formata dai più refrangibili dei raggi gialli. 

- — Venendo ora ai colori compresi nella scala dei ver- 
di dal verde carico sino al confine dell’azzurro, di due 
sole specie di questi e non più , sì ha contenta dai 
documenti di quella età , e dai lavori che ne son giunti 
fino a noi; e sono, il blendard ra, eil verde azzurro; 
questo artificiato , l’altro nativo. Il primo era comunal 
colore; buono a dipingere in fresco così come a tempera; 
in muro ed in tavola ; usitatissimo ; non dissimile 
forse, quanto alla propria sua natura, dalle terre verdi 
conosciute al presente col nome di terre di Verona, 
‘ di Sassonia , e di Kernausea, le quali posson consi- 
derarsi come argille più o meno impure, naturalmente 
colorite in verde dell’ipocarbonato di rame. Il secon- 
do, cioè il verde azzurro, era una preparazione artifi- 


AL 1 ml IRA) Sv SÒ LR 
(11) Regioni Art. Jaune de Naples. Pomet Hist. gen 
des drogues. “ 


532 


ciale pur di carbonato di rame, in cui adoperavasi 
azzurro di monte o carbonato di rame nativo. Ma esso 
mon usavasi fuorchè in secco , e solamente con forti 
tempere: argomento di poca stabilità in quel colore. 
Nè pare infatti che abbia potuto reggere nei dipinti, 
sino ai nostri giorni; come di certo ha durato il verde 
terra, del quale si son colorite quattro o cinque secoli 
indietro intere istorie in una foggia di chiaroscuro al- 
lora usitatissima, e si veggono fresche ancora e vivaci. 
La qual diversa stabilità de due colori mostrò di co- 
noscere il Cennini, notando del primo ch’ ei diveniva 
più perfetto nel macinarlo ( « guanto più il tri, tanto 
è niigliore—cap. LI); e delsecondo, ch’ei non reggeva 
altroppolungo macinare (« per amor dell’azzurro, trialo 
poco con man leggera, però che setro ppo il macini ver- 
rebbe in colore stinto e cenericcio » — cap. LI). 
Appresso a questi, vengono in ordine di colore per 
ultimigli azzurri oturchini. Dei quali eran conosciute ed 
usate tre specie; 2’ azzurro della Magna; l’ oltramari- 
no;e V indaco. E già della natura del primo, cioè del- 
Yazzurro della Magna, abbiam di scorso tanto che ba- 
sta: nè può rimaner dubbio veruno ch’ ei non rispondesse 
all’ azzurro nativo formato dal carbonato di rame. Il 
qual colore era in vero utilissimo; ma non in fresco: ado- 
| peravasi in tempera sopra fondi coloriti da prima a buon 
fresco colla sinopia o con l’ocra. Così si tingevano quei 
panneggiamenti di un’azzurro pieno € profondo di che 
ammiriamo ancora dopo forse quattro o cinque secoli la 
freschezza: ione ho vedati e riscontrati coll’ analisi chi-. | 
mica alcuni del secolo XII. (12) Il tuono di questo colo- 


(12) Vedi la mia lettera all’ornatissimo Cav. Tolomei nelle, 
sue Memorie dell’ antica imagine della Vergine delle porrine. 
Pistoia 1817. 


5933 


ve è quello dei raggi tutabai di media refrangibilità dello 
spettro prismatico . 

Ma il color che primeggia nelle antiche pitture che 
tuttavia ci rimangono delle prime età dell’ arte risorta, 
è l’ azzurro oltramarino . Con quel nome si indicò, e 
tuttavia si denota, la tinta azzurra ricavata dal Zapi- 
stazzuli o dalla lazulite, pietra di uno splendido e vi- 
vace colore azzurro, la quale veniva recata come rara 
cosa dalle regioni d’ oltramare. I di lei caratteri chimi- 
ci sono di convertirsi in uno smalto grigio o biancoal fuo- 
co della cannella ferruminatoria; di scolorirsi per |’ a- 
zione degli acidi potenti, e di formare una densa gelati- 
na con essi (13). La di lei naturale com posizione è quella 
«di un’ impasto di piccoli grani o particelle zeolitiche, 
vale a dire semivetrificate ( come se avessero sofferto un 
legger grado di fusione), e di un numero anche mag- 
giore di particelle terrose assorbenti. E nelle prime ri- 
siede propriamente il bellissimo colore oltramare, sic- 
| chè per gliusi della pittura occorre separarle dalle parti 
terrose. À ciò si perviene mediante un processo inge- 
gnoso che con poca diversità dall’ odierno metodo pra- 
ticavasi innanzi al XIV secolo. E:consisteva in pestar 
prima e macinar sottilmente, tanto che si riducesse in 
tenue polvere , la pietra ; nell’ impastar poi questa pol- 
vere con la metà del suo peso di ragia o resina di pino, 
di mastice, e un quarto di cera vergine fuse insieme al 
fuoco. Le quali sostanze impigliando le parti terrose, nel 


(13) Gli elementi di questo minerale per le più esatte ana- 
lisi chimiche sono, 0,34 di silice, 0, 33 di allumine; 0, 03 di zolfo 
o 22 di soda, 0, 08 di perdita. È opinione di Vauquelin che una 
piccola porzione di ossido di ferro, che pure sfugge all’ analisi 
chimica, contengasi in questa pietra, e contribuisca essenzial- 
mente al di lei colore. 


534 
rimenar che facevasi dipoi il pa stello, sì che la polvere 
del lapislazuli vi s' incorporasse, venivano a disvilup- 
parsene le parti zeolitiche o colorate. E queste n’erano 
infine tratte fuori colle ripetute affusioni di acqua cal- 
da o lessiva, che se le traeva seco, e sì raccoglievansi. E 
l’ azzurro di prima tratta, quello cioè che veniva dietro 
alle prime lavature , era il più pregiato: sì come pie- 
no e forte di colore, e.vaghissimo per un leggero occhio 
porporino che in quel profondo azzurro traluceva, ac- 
costandosi il di lui tuono a queilo dei raggi turchini di 
estrema refvangibilità dello spettro prismatico. Di un 
color meno intenso, non però di piccol pregio, ‘era 
I azzurro che ottenevasi dalle successive lavature, per 
cuì spogliavasi a mano a mano il pestello delle sue 
parti coloranti. Così ottenevasi quel colore di cui si val- 
sero tanto i pittori dal secolo XIII al XV. E vera- 
mente il profusero ; Specialmente in quei lavori in 
cui pare ch'essi ponessero più amore, nè ebber torto in 
ciò; staentechè dopo più secoli la bellezza de’drappi az- 
zurri ch’ ei tinsero con quest’ oltramare così in tavola, 
come nei muri, risplende ancora maravigliosa. E par che 
essi fossero venuti in una certa gara 0 ambizione di far-' 
ne pompa: perchè scrivendone il Cennini, dopo averlo 
posto al: di sopra di tutti gli altri colori, e aver detto che 
non se ne può dir bene, nè usarne tanto che sia di più 
( cap. Lx ) soggiunge ,; e perla sua eccellenza te ne 
vò parlar largo, e dimostrarti appieno come si fa. Ed 
attendici bene, però che ne porterai grande onore ed 
utile. E di quel colore, conl’ oro insieme il quale fio- 
risce tutti î lavori di nostra arte, vuoi in muro, vuoi 
in tavola, ogni cosa risplende. . 

Vero è però, che il lapislazuli onde ricavasi quel 
colore era men raro in altri tempi che ai nostri, sebbe- 


535 


ne noi ne abbiimo dalla China ancora e dalla Siberia, 
. laddove gli antichi non n’ebbero forse che dalla Persia. 
. Sicchè sarebbe utile di sperimentare se l’ arte giunger 
‘| potesse a comporre una sostanza di tanto pregio come il 
colore che da quel rarissimo minerale si trae. E un’ os- 
servazione di Tassaert riferita negli Annali di Chimica 
( tom Lxxxix ) sembra che apra una via per tentarlo . 
Ella ci offre il caso singolarissimo della accidental |for- 
mazione di una sostanza simile all’ azzurro oltramarino” 
nei materiali d’ un forno che avea servito alla fabbri- 
cazione della soda. Questa osservazione non s1 vorrebbe 
perder di vista: il fatto ch’ ella ci pone davanti merita 
hene attenzione dagli artisti, e qualche nuova ed accu-. 
rata ricerca dai chimici (14) . 

Chiuderemo coll’ indaco il novero de’ colori che 
furono adoperati verso i primi tempi della rinascente o 
della restaurata pittura. L’indaco si trova ricordato nelle 
note di colori già citate, e in altre memorie manoscritte 
del secolo xu e dei seguenti fino al xv. Lo rammenta 
più volte nel suo trattato di pittura il Cennini ( cap x1x, 
LXI; LXxv). E adoperavasi per colorire in fresco: ciò che 
non era concesso di fare coll’ azzurro della Magna ‘nè 
coll’ oltramarino, insofferenti della calce. Sicchè vale- 


—__- -emsacv4)) 


(14) On a observé dans le sel d’ un four à soude construit 
en grès la formation d’ une substance bleue, qui paraît avoir 
beaucoup d’analogie avec l’outremer. Elle est composée, d’aprés 
M. Vauquelin, d’ alumine, de silice, de soude, de sulfate. de 
chaux, d’ oxide de fer et de soufre ; elle a, d’ ailleurs, comme 
cette belle couleur, la proprieté de résister à l’ action du feu,, 
de ne point éprouver d’ alteration par une solution bouillante 
de potasse, et d’ étre, au contraire, détruite sur le champ par 
Jés acides forts, avec dégagement d’ bydrogène sulfuré. Thenard 
"Tr. de Chim. i i 


556 
vansene i pittori per contraffare quest’ ultimo color vi- 
vacissimo, allorchè non potevano adoperarlo (15).  az- 
zurro di cobalto che non teme della calce umida v fresca, 
non era allor conosciuto. 

Ma conoscevasi fino dai più remoti tempi, e si ado- 
perava nella pittura tal sorta di azzurro, in cui par che 
si riconoscano tutti i caratteri della fecula colorata che 
oggi trarremmo dall’anil o dalle varie specie d’indigofe- 
ra conosciute (16). Alcuna delle quali noi sappiam pure 
essere originaria o nativa delle Indie orientali; sicchè 
non è da prendere ammirazione che di là ci venisse in 
antico quella sostanza medesima, che poi si è ottenuta 
forse con men di spesa e in più copia dalle piante del 
genere stesso native o domiciliate in America. E sino da 
quegli antichi tempi ella ebbe nome dal luogo onde pro- 
veniva, il qual nome poi con lieve tramutamento ean- 
giossi in irdigo 0 indaco nella nascente favella italiana 
del secolo x. o x1. Nè io disputerò d’ onde avessero ori- 
gine in quella o nelle seguenti età le denominazioni di 
maccabee, baccadeo e macalico che aggiunte come epi- 
teti all’ indaco s° incontrano negli antichi codici mano- 
scritti del trattato di pittura del Cennino; e se quelle 
voci sien proprie della italiana favella, ovvero per- 
tengano a quei tristi copiatori che non so qual gover- 
no abbian fatto dei documenti originali. dell’ antico sa- 
pere, che son passati per le loro mani. Qual’è quegli che 

saprebbe andar dietro senza noia a siffatte questioni di 
parole ? Quello però che noi possiam riguardare come 
certo si è, che l’ ir24aco ricordato in quelle antiche me- 


(15) Cenn. cap. LXXV, A voter contraffare un azzurro 
oltremarino lavorandolo a fsesco . 


(16) Ved. il Discorso IV. 


537, 
morie non differiva da quello che oggi si trae da molte 
specie d’ indigofera: esso adoperossi misto al bianco di 
calce nei freschi, al bianco di piombo nelle tempere, nel 
Becolo xrv. e nel xv; se ne sono riconosciuti i caratteri 
nel turchino dei paneggiamenti. conservatissimo , di al- 
cuni avanzi degli antichi a freschi di Alesso e Buonac- 
corso pittori Fobia nel 1345, a dipingere la Cappella 
di S. Jacopo di Pistoia. E prego che non sia grave al- 
I’ ornatissimo Cav. Tambroni s' io non consento al- 
l’ opinion sua là dove egli presume che l’ indaco bac- 
cadeo di che ragiona il Cennini (17) così si chiamasse 
perchè formato di quelle perle o bacche di vetro az- 
zurro che si operavano in Venezia. Alla quale opi- 
nione, quando pur non ostasse il fatto quì sopra alle- 
gato ( che a parer mio toglie ogni dubbio sulla natura 
dell’ indaco rimemorato in quei documenti, ) ostereb- 
be sempre il considerare che qualsisia maniera di vetri 
o di paste vetrose colorate, e per poco anche gli smal- 
ti opachi più carichi di colore, se sieno macinati o 
tritati sottilmente, si risolvono in una polvere. bian- 
castra o leggerissimamente tinta, che mal si discer- 
« nerebbe da quella di qualsisia vetro trasparente e non 
colorato. 

Non ho fatto parola, tra i colori divisati fin qui, 
dei bianchi e dei neri Che a parlar propriamente nò 
il nero né il bianco sono, colori; ma il nero gli estin- 
gue, il bianco gli fa chiari; sì ch’ essi servono nella 
pittura a rappresentare gli effetti del lume e dell’ om- 
bra, nè senza di essi avrebbesi rilievo nei dipinti . 
Il Cennini fa ragione nel suo libro di più maniere 
di neri; il nero minerale o di cava ( terra argillosa 


(17) Vedi la nota al cap. XIX. di quel trattato. 
-T VI. Giugno 35 


5538 
colorita dal protossido di ferro );il nero di sermen- 
ti di. vite abbruciati; quello di gusci di pesche o di 
mandorle arsi pur’essi; quello del fumo ge nerato nel- 


lYarder che fa in una lucerna l’ olio di seme di linot . 


Tra i quali neri ottimo ci dichiara il più sottile e 
più magro; vale a dir quello in cui la materia car- 
bonacea è più divisa e meglio purgata dalle particelle 
solubili nell’ acqua e dalle oleose. E il modo di pre- 
parar quello che dal fumo si ottiene, è ottima mente 
descritto nel citato libro; nè, come di cosa ovvia di 
per sè, più oltre ragioneremo . 

Ma non è ovvia al certo la: preparazione di quel 
bianco di calce di cui scrive il Cennini ( cap. Lvni ) 
e che col nome di dianco sangiovanni è ricordato 
in tutti i documenti. di pittura che ci rimangono dei 
primi tempi dell’ arte tisorta. Due diverse ragioni di 
bianco, e non più, si conoscevano e si adoperavano 
a quella età, l’ uno artificiato per alchimia, ed era il 
bianco di piombo o la biacca ( carbonato di piombo ) 
altro il bianco naturale di calce che con facile ar- 
tifizio componevasi mediante la spontanea rigenera- 
zione del carbonato calcareo dalla calce viva; ed eva 
il bianco sangiovanni. E questo, senza tempera alcu- 
na, veniva adoperato in fresco: l’ altro, inetto a que- 
sto genere di dipingere (18), veniva adoperato in ta- 
vola, e con ogni maniera di ‘tempere. Non ragionerò 
del bianco ‘di piombo, di cui quegli antichi  docu- 


(18) Guardati quanto puoi dall’ adoperarla (la biacca ) 
în muro, che per ispazio di tempo vien nera. Cenn, cap. LIX. 
Ciò facilmente s’ intende, perdendo la biacca Vl acido carbonico, 
«uno-de’ suoi principi costituenti, a contatto della calce che avi- 


damente glie lo rapisce. 


d39 

menti niuna cosa ci dicono che non sappiamo. Ben 
gioverà ricordare ( e lo farò colle proprie parole del 
Cennini ) il modo con cui preparavasi quel bianco 
di calce, la cui bellezza e vivacità non ha ceduto alle 
ingiurie del tempo, sì come può vedersi dagli avanzi 
che ancor ci rimangono dei dipinti di quattro o sei 
secoli indietro. Il qual metodo così ci ha descritto il 
Cennini ( cap. Lviu ) Togli la calcina sfiorata ben 
bianca, mettila spolverata in uno mastello per. lo 
spazio di otto dì, rimutando ogni dì acqua chiara, 
e mescolando ben la calcina e l acqua acciò che 
ne butti fuvri ogni grassezza. Poi ne fà panetti pic- 
coli: mettili al sole su per li tetti, e lasciali: quan- 
to più antichi son questi panetti, tanto più è mi- 
glior bianco. Se il vuoi far presto e buono, quando 
i panetti son secchi triali in su la tua pietra con 
acqua, e poi ne fà panetti e riseccali: e fà così due 
volte, e vedrai come sarà perfetto bianco. 

Or di questa maniera di formare un’ ottimo bian- 
co ed inalterabile pe’ chiari della pittura, da poter ado- 
perare senza tempera niuna @ don fresco ( che è 
cosa di tanta importanza per l’ arte ), i0 non trovo chi 
nè abbia ragionato dal Cennino in pui, nè so che se 
ne abbia contezza nella odierna pratica di dipingere. 
Che di vero, si fa uso pur’ oggi d’ una medesima na- 
tura di bianco, sia ch’ ella si tolga dalla pietra di cal- 
ce ordinaria, o dal travertino cotti; ma i modi di 
prepararla non sono per niun conto paragonabili a quel- 
l’autica maniera. La quale mi par tanto più degna 
di considerazione, in quanto ch’ella mirabilmente con- 
sente a ciò che la chimica ne suggerirebbe per ave 
re un’ ottimo bianco dalla calce. Perchè ( se bensi 
consideri ) l’ oggetto di siffatta preparazione essendo 


540 

di ripristinare in carbonato calcareo, insolubile, cri- 
stallizzato in minime parti leggerissimamente aderenti 
fra loro, il fior di calce trattato con essa, niuno vi 
sarà che non convenga ottenersi, quanto più sperar si 
può, quell’ oggetto col metodo descritto dal Cennino. 
Nel qual piacerà a chiunque abbia pur lieve intelli- 
genza di chimica, di ritrovare unite le condizioni tut- 
te da cui quegli effetti dipendono :. messe a profitto 
opportunamente l’azione dell’ acqua e dell’ aria, la 
divisione meccanica delle parti: nè lascerà di ricordar- 
si ( pensando agli effetti di quella lunga esposizione 
dei pastelli di calce all’ aria scoperta ) delle esperien- 
ze di Saussure sulla precipitazione dell’ acido carbo- 
nico dall’ aria atmosferica nelle mattutine e nelle ve- 
spertine rugiade. | 

E questi erano i colori che sino dai primi tempi 
della restaurazione delle arti si adoperavano nella pit- 
tura. Dalla unione dei quali avevansi bellissime mi- 
schianze: così colla più eletta sizopia e col bianco 
sangiovanni frammisti o macinati insieme compone- 
vasi un vivace color rosso che adoperato in fresco emu- 
lava lo splendor del cinabro ( Cenn. cap. xxxix ) 
così coll’ azzurro della Magna e col giallorimo com- 
ponevasi un’ ottimo color verde ( cap. Liv). È a questi 
colori si stette la pratica di dipingere dal miglior se- 
colo dell’ arte, benchè si fossero allora ritrovate di 
più la terra d° ombra tra i colori naturali; lo smal- 
to azzurro e alcune lacche ( come quella di giallo 
santo ) tra gli artificiati . Nè in ciò è da far conto 
dell’ autorità del Vasari ; il quale venendo in discor- 
so del libro del Cennini ( 19 ), conchiude in que- 


(19) Vita d’ Agnolo di Taddeo Gaddi. 


541 
ste parole ,, on lascerò di dire ch’ ei non fa men- 
zione. ( e forse non doveano essere inuso ) di alcuni 
colori di cave, come terre rosse scure, il cinabrese, 
e certi verdi di vetro. Si sono similmente ritrovate 
dipoi la terra d’ ombra che è di cava, il giallo santo, 
gu smalti in fresco ed in olio, e alcuni gialli in 
vetro. Dove è da notare, che questi gialli e verdi di. 
vetro non han che fare propriamente colla pittura, 
ma sì con quel genere di musaici trasparenti di che 
si formavano le .invetriate colorite e istoriate dei tem- 
pli, e che la terra rossa scura (che è la sirzopia ) e il 
cinabrese son ricordati e descritti dal Cennini in due 
distinti capitoli. Sicchè non pare che ‘il Vasari mai 
vi leggesse, e la sua. sentenza riman vera solamente 
in quanto al ritrovamento ed all’ uso della terra d’ om- 
bra, dello smaltino, e di alcune lacche. E 1’ uso di 
queste particolarmente divenne comune verso i prin» 
cipi del secolo xvi; nè fu certo un vantaggio per l’ ar- 
te che n’ebbe dei vaghi anzi che dei durevoli colori, 
così non ne avesse abusato nel condurre i maravigliosi 
suoi freschi del Vaticano il maggior lume della risor- 
ta pittura (20 ) 

Sarebbe oggi difficile di fare il novero dei colori 
che.da quel tempo iu poi han preso luogo nella corren- 
te pratica di dipingere : per tre o quattro specie di neri 
che si usavano innanzi al xvi secolo , ne abbiamo di- 
ciassette ; e senza porre in conto le lacche, noi abbiamo 


(20) Alcuni dipinti de’ grandi maestri moderni hanno sof 
ferto, per ciò che si sono dileguati alcuni de’ colori artificiali 
adoperativi. Le lacche nei dipinti delle stanze vaticane han 
perduto la loro antica lucidezza. In varie pitture di Paole 
Veronese gli azzurri formati con esse si sono notabilmente of= 


fuscati. Davy Epp. and obs. Phil. trans. for 1815. 


54% 

del solo regnò minerale molti più tra colori artificiati e 
nativi che gli antichî non ne conobbero e ne ritrassero 
da tutte le sostanze della natura. Con tutto ciò alcuni 
dei colori che'essi adoperarono ed ebberò in pregio, sono 
( come vedemmo ) abbandonati o perduti: e tuttavia è 
mirabile come da tanta semplicità di colori i grandi 
niaestri, pér cui l’arte venne al sommo della sua eccel- 
lenza dal declinare del secolo xv ai principi dei xvt, 
còonseguissero tanto effetto. 

Ma noi, lodando quell’antica semplicità, non vor- 
remo già megare che pe’ nuovi ritrovamenti non siensi 
avvautaggiate grandemente le condizioni dell’ arte . Nè 
piccolo ; a dire il vero, è l'obbligo che abbiamo iu 
questa parte alla chimica : la quale col darci conoscenza 
intera; o la maggior éhe poteasi sperare, dei.colori usati 
nelle:opere dell’ antica pittura, esplorandone le reliquie 
che ne avanzano; ci hà mostrato quali di quei colori per 
volger di tempo vadan soggetti a cangiare, e quali steno 
inalterabili. E 1 esperienza di tanti secoli sarebbe stata 
inutile per noi, quando non si fossero riconosciute in 
quelle‘ reliquie le nature de colori onde gli antichi si 
valsero. 

E la medesima esperienza ha confermato quel prin- 
cipio teoretito datoci dalla chimica , cioè, che i colori 
più permanenti e men soggetti a cangiare convien cer- 
carli tra le combinazioni metalliche insolubili nell’ ac- 
qua, 0 saturate d’ un’ acido, o condotte all’ estremo loro 
grado d’ ossidazione . Così le ocre rosse e le gialle, 1° e- 
matite , la sitiopia , le terre bruciate, e altrettali com- 
posizioni colorite dagl’iperossidi o dai carbonati di ferro, 
posson considerarsi (e l’esperienza di sedici o diciasset- 
te secoli. pur ce lo dimostra) come le più durevoli. E noi 
avremmo anche miglior partito, per la durata dei colori, 


548 
dagli ossidi metallici combinati colla silice e trasformati 
al fuoco iu una fritta o pasta semivetrosa; se non che 
le più di queste combinazioni, vivacissime di colore 
e opportunissime agli usi della pittura in smalto e dei 
musaici, mancano generalmente di corpo macinate che 
sieno, onde adoperarle agli usi della comune pittura. Nè 
forse conoscesi altra combinazione di questo genere 
adattata per ciò, fuori dell’azzurro di smaltino, o dell’os- 
sido semivetroso di cobalto. 

Sarebbe utile di sperimentare se potesse ottenersi 
lo stesso del bellissimo color di porpora che'ne dà l’os- 
sido d’oro, fondendolo colla silice in ‘una fritta o pasta 
semivetrosa, che riuscisse abbastanza carica di colore per 
adoperarsi macinata agli ordinari usi della pittura. Un 
processo di questo genere è stato tentato ultimamenta 
dal Conte Le Maistre di diotries che lo ha descrit» 
to in una lettera al Dott. Crichton citata nel giornale 
inglese Royal institution, N. XVI January 1820; -in 
questo metodo pare che l’ idroclorato di allumina e di 
barite , il solfato di magnesia e l’ ipocarbonato di soda 
‘che vi si adoprano somministrino il fendente dell’ ossi- 
do d’ oro nel precipitato che ne risutta . 

Già ci ha dato la chimica alcune combinazioni 
metalliche che posson riuscire utilissime alla’ pittura 
per la vaghezza e stabilità de’ loro colori. Il cromato di 
piombo è certamente un giallo più bello di quanti n° eb» 
ber gli antichi : egli resiste alla veemente azione del 
fuoco ; l’aria, l’acqua, la luce, gli acidi più forti, non 
par che abbian potere su di esso; sì che tutto ci porta 
a crederlo inalterabile . Il dewtoarsenito di rame (il 
verde di Scheele ) è probabilmente più durevole di 
qualunque dei verdi antichi, e non cede certamente ad 
alcuno di essi per lo splendore e per la bellezza. 


544 

L’ipofosfato di cobalto (azzurro di Thenard) può 
verosimilmente tenere il secondo posto dopo il bellissi- 
simo oltremare, e competer forse con i più pregiati co- 
lori azzurri degli antichi. 

Non s’invidii pertanto agli antichi la semplicità 
de’ colori onde fecero uso a dipingere; sì bene la scelta. 
Nè all'incontro si creda ricchezza Ja copia in che siam 
venuti di questi colori , de’ quali è tanto cresciuto il nu- 
mero; nè se ne vantino troppo i moderni. Non si ebbe 
mai presso i romani edi greci tanta varietà di colori che 
allorquando volgea l’arte alla sua decadenza: ne è te- 

stimone Plinio (21), che in quello sfoggio di colori dì 
che vennero in ambizione‘ pittori def tempo suo, ve- 
deva gli estremi sforzi dell’arte moribonda o languente. 
(22). Bene è vero che non è da prendere a rigore quello 
ch’ ei dice dei più grandi maestri della greca pittura , 
cioè che essi non avessero alla mano se non che quattro 
colori: guatuor solis coloribus immortalia illa opera 
fecere: ex albis melino ; ex silaceis attico; ex rubris 
| sinopide pontica, ex nigris atramento, Apelles,Echion, 
Melanthius, Nicomachus , clarissimi pictores. Al- 
tri ha già saviamente avvertito a questo proposito (23) 
esser ciò falso per rispetto ad Apelle e a Nicomaco; ed 
‘essere stato forse indotto Plinio in errore dal ricordarsi 
male di un passo di Cicerone, in cui questi dice vera- 
mente che l’antica scuola greca nou fece uso fuorchè di 
quattro colori; ma aggiunge dipoi, che nella migliore 


(21) Hist. nat. lib. XXXV. cap. 32. 

(22) Auctoritas artis extincta est — ib — Hactenus dictum 
sit de dignitate artis morientis. l. c. 

(23) Webb. Dialoghi sulla ‘pittura; il di cui sentimento è 
riportato dal Cav. Davy nelle già allegate osservazioni su i 
colori degli antichi. Pil trans. for 1815. 


545 
età delle arti, non ai soli lineamenti, e alle forme mu ad 
‘ogni parte della pittura si condusse l’eccellenza deile 
opere de’ graudi maestri . (24) 

Plinio medesimo descrisse con entusiasmo la Z'e- 
nere Anadiomene, 0 sorgente dall’ acque, di Apelle: 
quivi la veduta della marina esser doveva azzurra 0 
cerulea . 

Mai grandi pittori greci ( conchiude egregiamente 
il cav. Davy) non diversi in ciò dai più chiari maestri 
della restaurata pittura, facevano poco uso delle tinte 
soverchiamente floride e accese nei soggetti delle loro 
istorie, e cercavano effetto più dal contrasto o dall’ ac- 
cordo, che dalla vivacità dei colori . 

Pietro PETRINI. 


LETTERATURA 


Ar sie. SALFI A PARIGI. 


Pisa 18 Giugno del 1822. 


STIMATISSIMO SIGNORE 


Voi chie in codesta gran capitale della cultura eu- 
ropea sì ben sostenete l’incarico di far noto nella Reoze 
encyclopedique ein altri fogli letterarii quel tanto che 
iptorpo alle lettere, alle arti e alle scienze si va pubbli- 
cando nelle diverse contrade d’Italia, quando v’ imbat- 


. 
—————___— 


pr ORLIER (able E 
. 


(24) Similis in pictura ratio est: in qua Zeusirta, et Polix 
 gnotum, ct Timantem, et eorum qui non sunt usi plus quam 
quatuor coloribus, formas et lincamenta laudamus: at in actio- 
ne, Nicomacho, Protogene, Apelle, jam perjecta sunt omnia . 
Brutus, sive de claris oratoribus. 


546 
terete nel N. III del nuovo giornale de’ letterati, che 
si compone in Pisa esi stampa dal Nistri, o saltatene due 
faccie e mezzo se mai foste da natura disposto al pianto 
d’ Eraclito, o leggetelo attentamente se mai foste più 
presto inclinato al riso di Democrito. Ma sopratutto 
guardatevi bene dal darne contezza agli oltramontavi; 
al che certo facilmente v'indurrete , perchè comparite 
d’aver molto a cuore l'onore italiano. Ed acciocchè al 
riso, come suole accadere, non succeda lo sdegno, quasi 
sempre cattivo consigliero; sappiate non esser già quell’ar- 
ticoletto (fac. 153) mostruoso parto di alcuno de’dottissi- 
mì scrittori.o compilatori conosciuti di quel giornale, ma 
d’un giovanetto studente in quella celebre università, che 
sa quasi tutte a mente le lettere virgiliane del Bettinelli. 
Come costui, con l’aiuto d'altri pochi amici, sia perve- 
nuto ad eludere la vigilanza del direttore e del tipogra- 
fo, lungo sarebbe e noioso il narrarvelo. Vi basti il 
sapere che essendo io venuto da Firenze a Pisa per go- 


dere della cosi detta Zzemizzara, con la quale i pisani, 


festeggiano il loro antico vescovo S. Ranieri, mi è riu- 
scito di abboccarmi con quel tristarello che non manca 
nè d’ ingegno, nè di spirito, nè di brio : e poichè in tale 
abboccamento credo d’aver convertito quest’ anima a 
Dante e al buon senso; così, spero, non vi sarà discaro 
udire presso a poco il tenore del nostro colloquio , e 
così ancora non passerete dalla dolce convulsione del 
riso al penoso sentimento d'una giustissima indigna- 
zione. 
Dialogo fra L. ed $. 

$S. Voi dunque trovate tutto biasimevole quell’ artico- 
letto del giornale pisano, in cui si rende conto dell’o- 

i razione Petrettini? 
I. Non tutto, mio caro sig. S. Anzi vi assicuro che ce- 


& 


la i 


549 
minciate dal dire una grande e solenne verità, che 
smentisce una ridicola e maligna opinione oltra- 
montana . 


. E qual è di grazia questa opinione ? 


i 


. 


Che i moderni zelanti ammiratori di Dante formine 
una setta. 

Voi sbagliate, signor L. Io sostengo anzi, che reello 
zelar, che si.fa oggidì con sì caldo impegno in gran 
parte d' Italia V-onor di Dante, mi sembra trArE- 
DERE un certo spirito di parte, UN QUALCHE COSA 
DI SETTARIO* i 
Benissimo: e con queste parole appunto vi opponete 
all’ anzideita opinione. Perchè fravedere in lingua 
italiana significa ingarnarsi nel vedere, come anche 
travidire significa ingannarsi nel udire. Voi dun- 
que dite, che vi pare d’ingannarvi nel vedere un 
qualche cosa di settario nello zelo che si ha per l’o- 
nore di Dante per quasi tutta l’ Italia. 

Perdonate , voi avete franteso . Io dissi #ravedere per 
quasi vedere . 

Che vuol dire quel vostro voi avete franteso ? 
Vuol dire che avete inteso male, 0 al contrario di 
quel che ho detto. Consultate la Crusca e lo vedrete. 
E così quando voi dite che avete traveduto una set- 
ta, volete dire che avete veduto male e al contrario 
di quel che è, vedendo un qualche cosa di settario 
nello zelo che si fa oggidì in Italia per l’ onore di 
Dante. Consultate ancor voi la Crusca e quando da- 
te alle vostre voci un senso diverso a quello che 
loro hanno dato i nostri padri , avvisateci perchè noi 
ce ne staremo a quello, finchè un concilio di filologi 
italiani non ne stabilisca un altro. 


548 n 

$- Oh travedere in senso di quasi vedere in oggi l’.usa- 
no molti. 

L. E fra’ molti, voi. Va benissimo. Ma dopo una tal di- 
chiarazione son costretto a dirvi francamente, che 
quella vostra chiaccherata è un complesso di propo- 
sizioni fuori del senso comune degli uomini. Non vi 
turbate. Pur troppo l’ è così. 

$. Io non mi turbo: anzi piacemi d’ essere illuminato, 

. nè. vi.credo tale da non provare una proposizione che 
offende non poco il mio amor proprio - 

L. Poichè mostrate tanta docilità, io mì tratterrò, con 
voi alcun poco ad esaminare quel yostro articolo. 

$.: Son contentissimo . 

L. Venite-dunque qui. e discorriamolo insieme. Voi 
avete scritto in primo luogo che nello zelar che si 
fa OGGIDI IN GRAN PARTE. D'ITALIA l’onor di 
Dante vi par di vedere un.certo spirito di parte , 
un qualche cosa di SETTARIO(a). Or ditemi un poco, 
qual, piccola parte d° Italia escludete ? i 

S. Non saprei: ma non credo che per tutta Italia sia 
nelle teste il medesimo entusiasmo . 

Z. E questo lo deducete dalla vostra. Ma cominciando, 
dalle città italiche di primo ordine fino a quelle di 
quarto,. tutti i letterati promovono lo studio , e ze- 
lano l’ onor di Dante. Escluderete dunque i villaggi, 
le eampagne, e le spalle meridionali delle Alpi, 
dove a. pena da qualcuno se ne sa il nome. Comun- 
que sia; voi avete.detto che zV GRAN.PARTE D'ITA- 


(a) Molte altre mende rispetto alla purità della lingua si 
patrebbero notare, ma basti la. già notata per tutte; essendo 
che ci premano nel caso presente più le cose che le parole. 


549 
LIA V Alighieri è in somma venerazione. Non è 
vero / 


$$. L’ ho detto. 


L. 


Ebbene, se io vi tenessi questo discorso. n grar 
parte della Francia si osserva la religione cattolica 
(dico in gran parte, perchè nell’ alta e bassa Lingua- 
doca e altrove sono Protestanti, Calvinisti, Ugo- 
notti ec.) e concludessi : dunque la religione catto- 
lica in Francia è una setta. Ragionerei io bene ? 
Nò; la religione cattolica si chiama la dominante, e 
le altre sono sette. | 

Dunque « pari se in gran parte d’ Italia s1 onora e 
si studia Dante con grande entusiasmo , coloro che 
l’onorano e lo studiano , contenuti in questa gran 
parte, non formano setta, ma la formano bensì co- 
loro che se ne scandalizzano, e sembrano vaghi di 
spegnere quel sacro fuoco che a loro dispetto accese 
in ogni tempo gli animi degl’ italiani. 

In ogni tempo? Oh qui poi sbagliate. Sentite il mio 
Bettinelli, Ne primi tempi Dante salì a molta fa- 
ma per le cattedre istituite ad illustrare più la sua 
sapienza che la sua poesia, ma giunta alfine, dopo 
quei campi a grande stento sboscati , la fecondità 
degl’ ingegni poetici e del buon gusto, ecco ad wr 
tratto cader Dante in dimenticanza presso que’ 
grandi scrittori e veri poeti, il Bembo, il Casa, 
il Costanzo, l’ Ariosto, e il Tasso, e gli altri che 
meritarono al loro secolo il titolo d’ aureo per ec- 
cellenza . 

Vedete primamente il bel giudizio del vostro rapido 
dissertatore! Egli confonde l’ Ariosto, e il Tasso 
col Bembo, il Casa, il Costanzo, e V altra turba dei 
più freddi cinquecentisti, che se pure hanno qual- 


S. 


550 
che merito, il trassero dall’imitazione del Petrarca, 
che da questo vostro capo-setta non fu meglio trat- 
tato di Dante. J due primi, come può conoscersi 
dalle loro testimonianze e molto più dalle loro ope- 
re, si segnalarono nello studio di sì gran maestro, 
e perciò sorpassarono gli altri di gran lunga; e fu- 
rono essi stessi che fecero con la magnificenza de’ 
loro ornati edifizi dimenticare la ricca miniera, dalla 
quale avevano tolto i metalli, i marmi, e le gemme 
più preziose; ma da questa dimenticanza sapete voi 
ciò che avvenne? Vel dica unoltrainvatano, 1 dotto 
Giuguené nella sua lingua. Pendant un ou deux 
siécles sa gloire parut s'obscurcir dans sa patrie : 
on cessa de le tant admirer, de Vl ètudier, méine de 
le lire. Aussi LA LANGUE S' AFFAIBLIT, LA POESIE PER- 
DIT SA FORCE ET SA GRANDEUR. Pensate, giovanetto 
inesperto, queste parole,e vergoynatevi voi toscano, 
voi alunno di questo celebre Ateneo di aver com- 
promesso in un articolo sì poco ponderato onore 
de’ vostri professori, e perciò quello dell’ intera fa- 
miglia toscana, di cui debbono pur esser riputati il 
fiore, e quasi direi, il senato conservatore della sua 
gloria letteraria . 
Ma\voi vi scaldate male a proposito. Io mi sono 
protestato fino dal bel principio, che 7207 appartie- 
ne a chi può, come me, gloriarsi d'aver comune la 
patria con quell’ immortale toscano, il trovar ri- 
prensibile un sì giusto e nobile entusiasmo . 
E questa dichiarazione non è ella, per non dir altro 
al tutto puerile? Se non vi appartiene il trovar. ri- 
prensibile l'entusiasmo generale per la divina com- 
media, perchè dunque ésugerandolo vi siete sforzato 
di farlo comparir riprensibile ? E se un sì (fatto 


551 


entusiasmo è, come dite, r.obile e giusto, come può 
egli esser riprensibile ? 

Io non dirò più in grazia vostra che lo trovo riprensi- _ 
bile, perchè mi paia di travederci una serra; ma per- 
chè anche a cosa nobile e giusta puossi applicare il 
ne quid nimis degli stoici. Infatti si presta oggidì 
alla divinacommedia un culto più che religioso, 
spinto per avventura alla più effrenata supersti- 
zione. 

E lo straniero e i letterati delle altre famiglie ita- 
liche debbono udire dalla bocca d’un toscano una 
> sì falsa e ampollosa esagerazione? Leggete, leggete, 
e giudicate se parlino con la più effrenata supersti- 
zione i dotti editori della Minerva Padovana nella 
loro prefazione a una nuova ristampa della Divina 
Commedia. » Ravvivato essendosi per buona ven- 
tura in questi ultimi tempi l’amore allo studio de” 
grandi e più purgati scrittori del nostro bellissimo 
idioma, e datasi per ciò appunto l'italiana gioventù 
a leggere con molta applicazione le immortali Can- 
tiche dell’ Alighieri, che sono il monumento più 
splendido della nostra gloria letteraria, e LA PIÙ’ 
RICCA SORGENTE D' OGNI BELLEZZA DI LINGUA, E DI 
POESIA, abbiamo creduto che molto vantaggio al- 
l’ avanzamento delle buone lettere si sarebbe per 
noi recato ec. ec. ». Ecco il vero e semplice aspetto 
della cosa , e non quel vostro falso , ridicolo , e cari- 
cato, che accusa apertamente l’autore inesperto. 
Grazie del complimento. Ma voi non ignorate, ed 
io lho detto, perchè l’ ho udito dal mio Professore, _ 
che il Tasso ammirator sommo , e veneratore esso 
pure di quel poema scrisse a Luca Scalabrino, ch’ 


55 
egli avea Dante e l’Ariosto nel numero di coloro cre 
SI LASCIANO CADERE LE BRACHE. 

L. Osservate quanto poco d’ arte mostrate nello scrive- 
re, benchè, essendo voi ancor giovane, siate anzi- 
chè nò compatibile. È” pareva che rammentando 
voi a’ leggitori, il Tasso essere stato sommo ammi- 
ratore e veneratore del poema di Dante, voleste 
preparare gli animi loro a sentir qualche bell’ enco- 
mio fra’ molti, co’ quali quel grande ingegno ha 
prestato un vero culto a Dante:(b), e che il vostro 
Professore vi avrà pure accenmati ; ma voi al contra- 
rio riportate una frase bassa dispregiativa che il Tasso 
in una lettera confidenziale aveva già applicata a 
sè stesso, volendo radicare certi difetti di stile; e di 


(b) Si sa che nella Chisiana esiste un Dante con molte 
annotazioni del Tasso, come a Parigi un’ altra copia anno- 
tata dall’ Alfieri. Non solo questi due sommi, ma tutti i grandi 
nostri poeti hanno sentito la necessità di meditare intorno alla 
divina commedia. E quando | Alfieri sopra un estratto de’ più 
be’ versi di questo iminortal poema scrisse quelle. mernorabili 
parole: se avessi coraggio di rifare. questa fatica TUTTO 
ricopicrei senza lasciarne un, jota, convinto per esperienza che 
più s° impara negli ERRORI di questo che nelle bellezze degli 
altri: ‘si dirà egli ch'ei fosse spinto dalla più effrenata super- 
stizione? In tal caso noi‘ riputeremo; che questa superstizione 
non è tutta quanta, moderna. E chi v' ha fra i moderni che 
non ami.di delirare in sì fatta superstizione col fiero asligiano ? 
Il Tasso poi nell’ a//egaza lettera (dove si legue quella brutta 
perifrasi che, come bah osservato, cgli applica prina a sé 
stesso, poscia al Dante, e all’ Ariosto), quando però nel tempo 
stesso ei vuol provare il’suo assunto; si, attiene all’ autorità di 
Dante, sostenendo che sbagliavano quei critici i quali volevano 
che nel\canto d’ Ugolino avesse detto 420 orribil tàrre, e trova 
più conforme alla cadenza musicale poetica come banlé disse 
ull orribile torre, 


553 
desinenza musicale in certe voci, in cui cadeva 
spesso involoutariamente: solo più sotto egli osserva 
con la stessa fi‘ase che in questi ed altri difetti an- 
cora erano caduti Dante, e l’Ariosto. Da ciò si può 
sospettare, che quell’ammirator sommo e venera- 
tore sia da voi stato detto ironicamente , cioè che il 
Tasso non ammirasse effettivamente, e non vene- 
rasse Daute quanto si crede e si dice. La quale in- 
tenzione , io non posso nè imaginar pure, aver voi 
avuta; altrimenti ogni colloquio fra noi sarebbe fi- 
nito. Attribuisco dunque alla poca esperienza vostra 
nell’ arte dello scrivere quella inopportuna e invi- 
diosa parentesi. Inoltre se il Tasso ammirava som- 
mamente e venerava Dante, e se può dirsi lo stesso 
dell’ Ariosto e degli altri poeti minori , con qual 
fronte potete voi asserire che il culto , o quella che 
voi chiamate stranamente esaltazione di spiriti a 
favore del poeta Fiorentino, è tutta quanta moderna? 
Ah! povero giovane! Sia pur vero che Dante, il 
Tasso , e l’ Ariosto si lascino cadere le brache mo- 
strando certe negligenze ‘o come il Tasso diceva 
sprezzature! Noi ce le lasciamo cadere fino al gi- 
nocchio , e mostriamo le nostre vergogne, e c’ espo- 
niamo alla derisione della culta Italia. 

Voi dunque convenite che nella Divina Commedia 
non è tutt’oro fino e purissimo, e perciò non tutto 
da imilarsi. 

Sì: come non è nell’ Tliade , nell’ Enéide, e in tutte 
le produzioni più sublimi dell’uomo. Ma queste 
osservazioni si fanno da un professore di belle let- 
tere nelle private, o pubbliche lezioni a’ giovani 
principianti. Il farle in un giornale letterario fatto 


per gli uomini dell’ arte è una bassa e meschina 
T. VI. Giugno 36 


554 . 
pedanteria che mostra o mal’ animo, o ignoranza, 
o povertà , o goffaggine nel compilatore.» Inoltre 
quando ancora un giovane audace voglia quale am- 
biziosa cornacchia vestirsi delle penne di pavone, 
cioè, parlare ex cathedra da professore , come fate 
voi, quando dite con enfasi fanciullesca : diremo 
soltanto che quando si grida a’ nostri. giovani 
nocturna versate manu versate diurna , accerzarn- 
do loro la Cantica del grande Alighieri, ec. ec. 
sappiate che queste osservazioni si fanno da un sag- 
gio professore con somma modestia e rispetto verso 
un sì solenne maestro , gloria immortale della To- 
scana e d’Italia tutta. Un saggio ed avveduto 


‘ professore premette che molte cose 70m imitabili 


sono del tempo e de’ diversi costumi, onde se non 
tutte difendibili, alcune certo scusabili: e, non ri- 
‘corre alla turpe comparazione degli escrementi del 
gran Lama, nè per opposta ragione al trito e vol- 
gare quandoque bonus d' Orazio ( perchè per la Dea 
Minerva, gli è un bel dormire con Omero), ma fa 
come coloro che amano veramente l’arte, come per 
esempio l’ egregio Camillo Ugone da Brescia (c). 


(c) Della lett. It. nella seconda metà del secolo XVIII vol. 
11 Brescia per Bettoni a fac. 94. Me poichè siamo rientrati 4 
ragionare di queste ribadite censure del Bettinelli, è qui luogo 
d’ accennare le diss. acead. sopra Dante, scritte dall’ autore 
nell’ età di 82 anni. Già da mezzo secolo egli bestemmiava 
il nome sacro di Dante, e in questa lunga diss. da lui letta 
nell'Accademia di Mantova, volle tessere un apologia di quanto 
aveva affermato nelle virgiliane , e morire così nell impeni- 
tenza finale. Trattò l’ argomento più di propostto , e ricercò 
tutti î difetti del poeta, e niuno ne dimenticò. Concediamo 
all'autore tutte queste colpe esser veramente nella divina com- 
media; ma chi con egual candore tutti î pregi in essa conte- 


555 
Leggetelo , giovanetto inesperto : per la terza volta 
egli accenneravvi eziandio le cause, che mossero il 
Bettinelli a dire tanti spropositi e bestemmie intor- 
no alla divina Commedia (d). 


nuti volesse noverare, e non pure la copia, ma la grandezza 
delle bellezze notare, qual volume non verrebbe a comporre ? 
e quale rimarrebbe allora la conclusione, che l’uomo disap- 
passionato dovrebbe trarne? questa, se non andiamo errati : 
che altri può esser sommo senza» essere incolpabile , e che se 
Dante con tutte le infinite e gravissime colpe, che gli furono 
rinfacciate da’ critici, puré traversò maestosamente i sécoti x 
seguito da plausi e ‘dall’ entusiasnio de’ maggiori ingegni d’o- 
gni età, se il suo poema è letto tuttavia come allorchè fu pub- 
blicato, se la sua fama è così fresca nel 1821 come nel 1320, 
i suoi difetti più ch' altro, sono prova manifestissima, lui es- 
sere un genio singolare; perocchè è privilegio del genio il far- 
selt perdonare ; e il genio solo possiede tali compensi da far 
dimenticare tutte le sue colpe. 

(d) Per guanto un'critico si studii di prescindere dalla 
tempra del proprio animo nel giudicare di quelle opere lette- 
rarie nelle quali la tempra dell’ animo dello scrittore è op- 
postissima, è assai difficile che vi riesca. Ognuno si crede che 
la sua manicra di vedere e di sentire sia la migliore, e que- 
sta felice illusione non è forse l’ultimo dono della Provvidenza, 
affinchè gli uomini i quali di rado sono contenti degli altri, 
sieno almeno contenti di sè. Ora l’ indole di Dante è fiera, 
sdegnosa, e iraconda. Il Bettinelli per natura e per compressa 
educazione religiosa, si spaventa di tanto nudo vigor d’ animo. 
Come gesuita gli dispiaceva Dante acerrimo ghibellino; come 
erudito alquanto superficiale, .la dottrina che s’ asconde sotto 
il velame delli versi strani era soverchia per lui , eil latte 
succulento e nutritivo della divina commedia non poteva esser 
digerito da uno stomaco di sì debole costituzione. (Iv. fac. 93) 

Queste cause assegnate dall’ Ugoni saranno, per avventura 
tutte vere, ma parmi che debbano cedere alla, principale , la 
quale a parer nostro, consiste in questo, che taluni dotati di 
buon ingegno, per quanto professino per abito d’ educazione e 
per istituto loro l’ umiltà cristiana , e siano abbastanza forti 


556 

$. Veramente confesso che quelle sue lettere Zirgi- 
liane mi hanno stravolto la testa . 

ZL. Ed io credeva che ve l'avesse stravolta un’ altra 
cagione: ma se è questa (COME MI GIOVA CREDERE ) 
leggete Za difesa di Dante di Gaspero Gozzi, leg- 
gete la lettera dell'autore delle Virgiliane di P. Pa- 
ladinozzo di Montegrilli ( Giuseppe Torelli ) gen- 
tiluomo veronese ec. ec. Se piace a Dio la raggiusterete 
alla sua convenevole forma. 

S. Vi prometto di farlo. Ma ditemi, giacchè siamo in 
questo discorso, che ne dite delle due cause da me 
addotte per ispiegare il grande ardore col quale ai 

‘ nostri tempi si legge, si studia, e si procura di spie- 
gare e commentare sempre più la divina Commedia? 

L. La prima che adducete è mera causa secondaria, 
che non avete saputo sviluppare: la seconda poi è 
una di quelle tante vostre cose , che sul principio 
vi ho indicate come fuor della retta ragione , e del 
buon senso. 

S. Io vi prego di chiarirmi intorno all’ una e all’altra 
di queste vostre censure. 

L. Poichè, per quanto parmi, conoscete il vostro er- 


contro le tentazioni del demonio meridiano, non resistano poi 
con tanta fortezza a quelle del demonio letterario, che desta in 
essi il desiderio, e la brama ambiziosa, 
Di farsi singolar dall’ altra gente. 

Non sarebbe, cred’ io, nè facile nè breve impresa |’ enumerare 
tutti gli Erostrati, che attaccarono il fuoco, e 1° attaccano al 
tempio delle buone lettere , della sana filosofia , o della giudi- 
ziosa e moderata politica. Si fanno, è vero, delle /ombardate 
per ispegner questo fuoco, ma una qualche parte dell’ edifizio 
resta sempre distrutta, e nascon rari gli architetti capaci di 
rialzarla. 


Nota dell’ ant. della lett. 


557 
rore d’aver, come già v ho detto poc'anzi, compro- 
messo in un articolo poco ponderato l’ onore degli 
egregii scrittori e compilatori del Giornale Pisano ; 
e poichè bramate di meglio istruirvi, io sodisfarò 
a questa lodevole brama quanto è in «me ; ch'è ben 
poco : non però ‘adesso che l'ora è tarda, e mi pre- 
mono altre faccende. Ci rivedremo in altro tempo, 

, e siccome vi credo convertito a Dante e al buon 
senso, vi tratterò non più con severità ed asprezza, 
ma con quei modi attraenti e dolci che debbonsi 
usare con la gioventù docile ,'e temperata al ben 
fare ; anzi pubblicherò questa vostra conversione. 

To tengo la data parola pubblicando e indirizzan- 

do a voi, sig. Salfi gentilissimo , la storia di quell’ arti- 
colo malaugurato , la sincera conversione dell’ autore, 
e il modo con cui l’ ho qui ottenutà senza molta diffi- 
coltà , perchè il giovane è d’ indole ardita sì, ma buonà. 
Nel mese venturo vi manderò il colloquio che terrò do- 
mani collo stesso giovane studente intorno ‘alle. vere 
cagioni del grande ardore, col quale gl’italiani studia- 
no da più d’un mezzo secolo in qua nella Divina Com- 
media del gran Padre Alighieri. SRP 

Intanto state sano, e gradite le rinnovate proteste 
di stima e d’ amicizia con le quali mi soscrivo. 

V. affezionatiss 
U. JamrnEDI 


SA. 

b58 

RAGGUAGLI SCIENTIFICI; ‘LETTERARI, BILILIOGRAFICI 
| E CORRISPONDENZA 


quislen lab RI 
Chimica Frammenti di lettera! di GioAcctno TADDEI al 


Cavaliere Cosimo! RIPOLFI. 
«Parigi. 10 Dicembre 1821° 
Di alcune Samibibazioni del selenio, Il Selenio non recusa di 
combinarsi al cloro per ridursi in cloruro . In una data quantità 
del predetto combustibile contenuta nel fondo di un tubo di vetro 
si fa attraversare il gas'cloro; Il selenio allora divien ‘liquido per 
quindi riprendere lo stato di solidità'a misura che si avvicina alla 
siuturazione. Questo cloruro è dicolor bianco: mediante l’azione del 
calorico si swblima in vapori gialli alla maniera, dell’acido selenico 
e si condensa i in piccoli citati bianchi. Fa sentire una specie di 
effervescenza se si scioglie in acqua, la quale è ‘tosto decomposta; 
per modo che i principj costituenti di essa si portano l’uno sul 
selenio; ‘l’altro sul ‘cloroj'e-danno luogo ‘così alla formazione dei 
due acidi selenico e idroclorico 

_\ Berzehius che, ha preso in esame questo cloruro, ha osser. 
vato che il selenio nel saturarsi di cloro aumentava di peso pel 
rapporto di 1, a72, 79. donde rilevasi che i componenti di questo 
cloruro sarebbero rappresentati in' peso da 1, 79. di cloro, e da 
1,00 di seleniò. Lo stesso chimico ha determinato la quantità 
del cloro per mezzo del nitrato d’argento, e tale ne lia ottenuto 
il resultato che è portato a considerare il cloruro iu quistione 
come composto di due proporzioni definite 0 atomi, di c'oro, e 
un’atomo di selenio ( deutocloruro di selenio. ) 

Il seleniò si unisce anche chimicamente collo zincò, coll piom- 
bo, collo stagno, col rame, coll’antiimonio; col mercurio, ‘col plati- 
no, e i dae proporzioni diverse coll’argento, formando con questi 
metalli dei veni seleniuri i quali si trovano descritti anche negli 
annali di Chimica © Fisica. Queste combinazioni metalliche LI 
selenio sono quasi sen pre accompagnate da sviluppo di calore, 
e si operano ordinariamente mettendo il selenio in contatto del 
metallo, od in qualche cas;? decomponendo i sali metallici col 


gas idirofiebo-aelvntato 3 


Acqua ossigenata 0 perossido d’iajvogene. Londra 4. Marzo 1822. 


Le prime notizie che abbiamo r.icevuto sull’ acqua ossige-. 


559 
aata di Mons. Thenard ci pervennero per mezzo del Giornale 
ci chimica e fisica di Pavia, ma esse non erano hastantemente 
dettagliate per poter ripetere con felice successo l’esperienze del 
Crimico Parigino, ne potevano esserlo ad un tenpo in cui l’autore 
nor avea pubblicato il suo lavoro che in parte: e nessuna con- 
tézia ne era stata data nella traduzione Italiana della seconda 
edizione del trattato di chimica di Mons. Thenard dato alla luce in 
Fireze con i torchi di Guglielmo Piatti. Oggi questa brillante 
scopìrta si trova descritta estesamente nelia terza impressione 
dell’opera dell’autore, e riportata anche da Thomson nella sesta 
edizime del suo sistema di Chimica pubblicato in Londra nel 1821. 
Ma queste opere sono ambedue troppo recenti per poter aver dif- 
fuso ml nostro paese le notizie concernenti la scoperta di cui 
qui si ratta. Imprendo dunque ad esporre con qualche dettaglio 
la preprazione e le proprietà dell’acqua ossigenata che io ho 
veduto jreparare da Mons. Barruel preparatore alla Facoltà delle 
Scienze li Parigi, e dimostrare publicamente dall'autore nel suo 
corso di :himica alla Facoltà anzidetta . 

A fire di ben riuscire nella preparazione dell’acqua ossige- 
nata bisoma condursi colla più grande esattezza, imperocchéè la 
presenza é una piccola quantità di materia estranea preveniente 
o dagli strimenti o dalle impurità delle sostanze impiegate è 
capace di srigionare più o meno d'ossigeno. Fra gli elementi 
necessarj ala composizione di quest’acqua ossigenata il deutos- 
sido di bari è quello che esige più d’attenzione .} Per ottener 
quest'ossido ‘sente da tutte le impurità si aggiunge un’eccesso 
di acqua di hrite alla soluzione acquosa del nitrato di questa 
stessa base: sifiltra illiquido e sì fa cristallizzare in vasi di por= 
cellana o di plaino, e si decompone il sale cristallizzato in istorta 
di porcellana bn bianca e pura, per allontanare ogni pericolo 
d’imbrattare l’osido di barie con l’ossido di manganese che si 
avrebbe impiegado vasi di vetro. 

Il protossiddi bario così ottenuto si converte in deutossido 
facendo attraversee per esso una corrente di gas ossigeno, la 
quale deve esseren eccesso e continuata anche per qualche 
tempo dopo che lssido se ne è saturato. L’ossigeno che s'im- 
piega in questa operazione deve esser ben secco e assolutamente 
privo. d’acido carboco; e per il iniglior esito della operazione 
Vossido di bario do\ebbe esser contenuto in cilindri di platino 
circondati da qualchgarbone accesa, invece che iu tubi di vetro 


560 


dai quali provengono le macchie onde l'ossido è sovente accom- 
pognato allorchè si faccia uso di questi. Il deutossido di bario 
si conserva in vasi di vetro a tappo smerigliato . 

Sì prende una quantità d’acido idroclorico fumante e puro 
capace di saturare presso a poco quindici grammi di barite ore 
dinaria; si diluisce con circa due decilitri d’acqua, e si yjcirconda 
di diaccio il vaso in cui questo liquido è contenuto. Allora vi 
s infonde a poco per volta circa dodici grammi di deutossido di 
bario previamente umettato e ridotto in finissima pasta su di un 
mortajo di cristallo o di agata. La dissoluzione si fa senza efer- 
vescenza e assai sollecitamente: allorchè questa è comple vi 
si lascia cadere a goccia a goccia l’acido solforico concentnto e 
puro fino a che tutta la barite ne sia saturata, momenti che 
non è difficile a cogliersi, arrestandosi al punto in cui il 9lfato 
di barite che si forma si riunisce e precipita in grossi fiochi. Si 
separa il precipitato per mezzo della filtrazione, si law! se si 
vuole la materia rimasta sul filtro, e su i liquidi riuniti ;’infon- 
de di bel nuovo un’altra dose di deutossido di bario fio a_sa- 
turare l’acido idroclorico messo in libertà: quindi si deompone 
l’idroclorato di barite coll’acido solforico come si è fato per la 
prima volta , e si ripetono successivamente le stesse @erazioni 
per più volte onde averne l’acqua impregnata di moltcossigeno. 


Per togliere l’acido idroclorico che rimane nel liquido topo l’ul- 


tima addizione di acido solforico s'impiega il solfato I’ argento 
ridotto in fina, pasta, col quale formasi un cloruro d'sgento che 


si separa per mezzo del!a filtrazione, e non resta alora che li- 


berare l’acqua ossigenata dall’acido solforico proveniere dal solfa- 
to d’argento decomposto e che rimpiazza l’acido idoclorico. A 
ciò si perviene per mezzo deila barite affatto pur; seccata nel 
vuoto coll’aiuto dell’ acido solforico, e ridotta inolvere finis- 


sima . i 
E° della più grand'importanza che il solfatcd’argento non 
contenga ossido libero, e per giudicare se tutto:’acido idroclo- 
rico rimasto nell’ acqua ossigenata sia saturato 0 se il solfato 
d'argento sia stato impiegato in eccesso, si doyanno fare suc- 
cessivamente i saggi con gli opportuni reattivi) piccoli tubi di 
vetro. Por assicurarsi che l’acqua ossigenata s' spogliata affatto 
di allumina e di silice, non che delle più piole porzioni di 
ossido «di ferro e di manganese, ( e questo è ciche più importa ) 
vi si versa a piccole gocce dell’acqua di bate dopo l’ultima 


56r 
addizione di deutossido di bario: e' se preci pitato si forma, biso- 
gna procedere alla filtrazione colla più g orande sollecitudine e de- 
strezza, onde opporsi per quanto è possibile allo sviluppo del- 
l’ ossigeno . 

Colla quantità d’acido idroclorico sopraindicata si può avere 
un'a cqua ossigenata che contenga da 25, a 30 volte il suo volume 
d'ossigeno, impiegando circa cento grammi di deatossido di bario: 
ma la quantità dell’ ossigeno può anche portarsi fino al punto 
di eguagliare cento e più volte il volume dell’acqua in cui con- 
tiensi, e ciò ‘col caricare il liquido di una maggior quantità di 

acido idroclorico , aggiungendovene nelle operazioni successive 
a fine d’impiegare una maggior quantità di deutossido di bario; 
e avendo cura di non inpiegarne che la quantità necessaria a 
saturare le sole due terze parti in circa di acido. Egli è per 
altro vero che quando l’acqua è soprassaturata di ossigeno al di 
la di cinquanta volte il suo volume ne abbandona facilmente in 
poche ore la quantità che sorpassa questa misura . 
L’acqua ossigenata in tal guisa ottenata si condensa pel vuo- 
to col mezzo dell’acido solforico concentrato , ove nello spazio di 
due o tre giorni può esser portata a tal conc entrazi one da con- 
tenere circa duecento volte il proprio volume di ossigeno. H 
miglior mezzo per conservarla più che sia possibile consiste nel 
te nerla immersa nel diaccio, dentro tubi di vetro ben chiusi. Al- 
lorchè l’acqua ossigenata ha una densità di 1. 450 si mantiene 
limpida come l’acqua ordinaria e senza odore com’essa. Applicata 
sulla lingua vi produce una sensazione che secondo Thomson 
molto si rassomiglia a quella del Tartaro emetico: ispessisee la 
saliva, e lascia sul punto di contatto una inacchia bianca non 
solamente nella cavità della b occa, ma anche su i comuni inte- 
gumenti, i qu ali distrugge od offende grandemente se per più 
volte venga a pplicata alla stessa parte. Moltissimi sono i corpi 
capaci di decomporre l’acqua ossigenata scacciandone ossigeno» 
Gli ossidi metallici agiscono su questo liquido con molta ener- 
Sie dotto l’azione di alcuni di essi si svolge solamente l’ossigeno 
che è combinato artificialmente coll’ acqua, mentre sotto l’azione 
di alcuni altri si svolge anche quello ehe è proprio dell’ ossido. 
Se si lascia cadere qualche goccia di acqua ossigenata sull’ossido 
d’argento la decomposizione del’ liquido è accompagnata da vera 
esplosione e da sviluppo di calorico. Pari meute i metalli più diffi 
cili ad ossidarsi come il palladio, l’osmio, il platino, l’oro, e l’ar- 


562 


gento, allorchè sono ridotti in fina polvere, hanno la proprietà 
di decomporre l’acqua ossigenata, ma loro tal proprietà divien 
nulla dopo l’ addizione di un poco di acido solforico. Quelli però. 
fra i metalli che hanno una gran tendenza a divenire ‘acidi co- 
me il molibdeno, l’arsenico ec. si acidificano a spese dell’ossigeno 
dell’acqua ossigenata, e spesso il fenomeno è accompagnato da 
svolgimento di luce. L'albumina; l’urèa, la gelatina ed altri pro- 
dotti degli animali, non meno che i loro umori non hanno alcuna 
azione sensibile sull’acqua ossigenata, mentre questo stesso li- 
quido è decomposto dal tessuto polmonare, dalla sostanza paren- 
chimatosa degli altri visceri, dalla fibrina ec. 

Mons. Thenard ha decomposto l’acqua ossigenata della dene 
sità di sopra espressa, separandone l'ossigeno ora col mezzo del 
calore ed ora con un’ossido metallico; e si è in ambi i casi assicurato 
che a tal punto di concentrazione essa è composta di 398. di ossi- 
geno e 466. di acqua. E siccome la quantità dell’ossigeno artifi- 
cialmente combinatovi si avvicina assai a quella che forma parte 
costituente dell’acqua medesima, così egli riguarda l’acqua ossige- 
nata come un deutossido o sivvero come un perossido d’ idroge- 
no, giacchè gli è stato impossibile di portare il liquido ad una 
densità maggiore di 1, 452. Al di là di questo termine l’acqua 
ossigenata si evapora anzichè conc entrarsi. maggiormente. 

Riguardando l’acqua semplice come un protossido d° idro- 
geno, e composta per conseguenza di un volume d'ossigeno e due 
volumi d'idrogeno, o di un’ atomo del primo e di un’atomo del 
secondo, il perossido d’idrogeno ( acqua ossigenata ) sarà compo- 
sto di pari volumi, o sia di due atomi d’ossigeno e di un’atomo 
d' idrogene . i 

Altri deutossidi ( capaci di cedere all'acqua la metà del loro 

fossigeno e di ridursi in protossidi al momento che si combinano 
con un acido ) potrebbero essere impiegati nella fabbricazione 
dell’acqua ossigenata: ma il dentossido di bario è sempre da pre- 
ferirsi in riguardo delle sue proprietà . 

Su d’ un nuovo ossido d’argento Londra 16. Marzo 1822. 

Nessuno avea esaminato fin qui la pellicola metallica ‘che 
formasi ‘abbandonande all'aria libera la soluzione ammoniacale 
d’ossido d’argento. Mister Faraday preparatore al Laboratorio 
ofthe royal institution di Londra ha fatto alcune ricerche su ques 
sta stessa pellicola argentina e si è assicurato che essa contiene 
i due terzi solamente dell’ossizeno contenuto nell’ossido ordina- 


563 


Si sarebbe potuto sospettare che questa combinazione d’ os- 
sigeno e d'argento, che Mister Faraday riguarda come un nuovo 
ossido, fosse un miscuglio di argento iiétallico e d'ossido ordina- 
rio, ima Thomson è dia sue sac esso ad ammettere esistenza di 
questo nuovo ossido elo riguarda come composto di 4, 8554 d’os- 
sigeno su roo. parti d’argento ,, (argento atom. 1. 0 sivvero at. 3 

(ossigeno at. 0. ALA, 


si 


9 


s Mi sovvengo a questo proposito di aver più volte osservato 
che facendo std eo; nelle soluzioni mercuriali la carne muscolare 
il glutine di peo ed altre materie azotate, un sottile velo 
di sostanza metallica sovente formavasi sulla superficie del liqui- 
do o sulle materie stesse contenute nelle soluzione del sale iner- 
curiale. Credo che Voi pure avrete osservato questo fenomeno , 0 
almeno se la mia memoria non m’inganna, mi sembra di avervi 
parlato di tal mia osservazione. Sirrenderebbe adunque necessa 
rio di sottoporre ad un’ accurato esame la pellicola mercuriale 
‘ ottenuta col mezzo indicato, onde assicurarsi se sia costiluita da 
mercurio completamente ridotto, o sivvero se contenga il metallo 
combinato coll’ossigeno in proporzioni diverse da quelle che si 
conoscono fin qui ec. 


Bruxelles 9. Aprile 1822. 

Sul cloturo d’ ossido di calcio e sua utile applicazione 

Si è tirato un'utile partito dalla proprietà che il cloro ha 
di combinarsi non solo ai corpi semplici, ma anche ai corpi com- 
posti e soprattutto agli ossidi metallici. Mister Thomson è riu- 
scito nel combinare il cloro coll’ossido di bario, di strontio, di so- 
dio ec. ma il piùimportante fra i clorari delle terre alcaline si è 
quello di ossido di calcio, di cui oggi in Inghilterra sì fa grau- 
dissimo uso per l’imbianchimento invece del cloro gazoso e del- 
l’acqua satura di questo principio. Fu Mister Macintosh di Gla- 
scow il primo che concepì la felice idea di applicare questo 
composto all’imbianchimento. Il cloruro di ossido di caleio attivo 
al pari del cloro nel distraggere i colori vegetabili e per con- 
seguenza atto com’esso a cancellare le macchie da diversi tessuti 
di lino canape ‘cotone ec. ha sul cloro il bel vantaggio di esser 


più maneggiabile, di poter essere preparato qualche tempo avanti 
di farne ‘uso, ed esser nesso in commercio e trasportato facìlmen- 


564 

te in barili od altri vasi di legno a distanze più o meno consi» 
derabili. i 

Questo cloruro;di ossido di calcio si prepara facendo pas- 
sare una corrente di gas cloro attraverso /2 calce spenta, la 
quale deve esser iantenuta costantemente ad una bassa tempe- 
ratura, onde evitare il soverchio sviluppo di calorico cui l’ossido 
di calcio anderebbe soggetto durante l'operazione, e la sua com- 
binazione col cloro. Il composto che ne resulta è arido al tatto 
e molto si assomiglia al cloro quanto al sapore e all’ odore. Il 
cloruro di ossido di calcio così preparato non si discioglie mai 
completamente nell’acqua, sì perchè vi ha sempre una porzione 
di calce non combinata, sì perchè la metà di quest'alcali abban-' 
dona il cloro col quale trovavasi unito tostochè è messo in con- 
tatto coll’acqua, e da ciò proviene la proprietà che ha d'imbian- 
chire i tessuti. 

Il processo è semplicissimo. Dopo aver disciolto il cloruro 
di ossido di calcio nell'acqua, se ne decanta i! liquido chiaro, vi 
sì immergono le tele o i fili destinati all’imbianchimento e vi si. 
lasciano per alcune ore. Gl’imbiancatori che si provvedono di 
cloruro di ossido di calcio nel commercio ne determinano la forza 
per inozzo della dissoluzione d’indaco fatta con una quantità co- 
gnita di acido solforico: ma questo processo non dà un resultato 
rigoroso, attesochè la proprietà scolorante o d’ imbiancare del 
cloruro di ossido di calcio si aunienta in ragione dell’acqua che 
vi si aggiunge. Mister Henry spiega plausibilinente questo feno - 
meno ammettendo che, mediante l’azione dell’acido solforico, una 
porzione di cloro prende lo stato aeriforme se il saggio è fatto 
su di una soluzione di ossido di calcio troppo concentrata . 

Se si espone il cloruro di calce anzidetto ad una tempera-, 
tura poco al di sopra di 3n0. centigr. vi ha sviluppo copioso di 
gas ossigeno, e la porzione di ossido che è ridotta in calcio man- 
tiene la sua combinazione col cloro; donde proviene che tutto 
il composto passa allora allo stato di un mescuglio di cloruro di. 
calcio, e di ossido di questo metallo (calce. ) Una simile decompo- 
sizione ha luogo parimente ma a poco a poco e in un tempo più o 
men lungo, allorchè si abbandona a se medesima la soluzione ac- 
quosa di cloruro di ossido, di calcio: per il che conviene di non 
preparare il liquido per Vimbianchimento se non vicino. all’ epoca, 
di doverlo impiegare, onde «aveso della maggior forza possibile. 

‘ Dopo aver considerato il cloruro di ossido di calcio sotto il 


565 
rapporto delle sue utili proprietà, ne dirò qualche cosa rispetto 
alla .sua composizione chimica, riferendo in poche parole l’ esame 
che Thomson ne ha fatto. Il cloruro d’ossido di calcio comunque 
bene sia stato preparato non va mai esente da una porzione di 
cloruro di calcio ( muriato di calce ) la quale aumenta in ragione 
del tempo che è passato dalla preparazione di questo composto. 
Ritiene sempre dell’acqua che lo costituisce idrato: ma la pro- 
porzione di questo liquido è varia, e qualche volta si è trovato 
che ‘fornìiava quasi il terzo del peso di tutta la massa. La quan- 
tità reale di cloruro di ossido di calcio contenuto in 100. p. della 
polvere dello stesso nome tirata dal commercio èdi 30. a 40. e si 
riguarda come un sotto-cloruro conformemente a quello che ne 
aveva detto anche Dalton, il quale fu il primo a dimostrare che 
il cloro era combinato all’ossido di calcio nel rapporto di un’ato- 
m> del primo a due atomi del secondo. Mons. Grouvelle che ha 
analizzato il sotto-cloruro d’ossido di calcio ha trovato esser com- 


posto di idrato d’ ossido di calcio 21, 166 = 67, 918. 


Cloro 10, 000 = 32, 082. 
31, 166 = 100, 000. 

Il precitato Chimico ha portato più oltre le sue ricerche 
sul cloro ed è giunto a stabilire che questo corpo può combi- 
marsi cogli ossidi della maggior parte dei metalli irreduttibili e 
che i cloruri propriamente detti hanno una particolar tendenza 
ad anirsi con gli ossidi metallici o col gas am moniaco-secco. Ri- 
guardando questi composti come altrettanti sali gli designa sotto 
il nome di ossido-cloruri, e ammonio-cloruri. Tali sono per es. 
l’ossido-cloraro di mercurio ( precipitato rosso disciolto nel su- 
blimato corrossivo ) l’ossido-cloruro d’ antimonio preparato col 
burro d’antimonio, l’ammonio-cloruro di mercurio, ( precipitato 
bianco ) l’ammonio-cloruro di fosforo ec. 


I. € R. ACCADEMIA DEI GEORGOFILI 
Seduta ordinaria dei 12 Maggio 1822. 


L’ accademico Dot. Giusti lesse una sua memoria desti- 
mata a servir d’ introduzione alla Teoria della Legislazione re- 


565 


lutiva alle professioni liberali, prom ettendo di trattare una 
tal materia in altre consecutive memorie . In questa si espo- 
nevano alcuni principii fondamentali , che |’ autore si pregiava 
di potere. attingere dall’ esimia opera che ad istruzione delle 
Li. AA. Imp. i Grandachi Niccola. e Michele di Russia pub- 
Liicò nell’anno 1815 in Pietroburgo il Consigl. Enrico Storch, 
opera eccellente pel fondo delle cose , e pel metodo con cui 
vi somo trattate , e che è intitolata ,, Cours d’economie politi-. 
que , ou exposition des principes qui determinent la prospe- 
rite des nations . ;, 

In quest’ opera , dopo la teorìa della ricchezza nazionale, 
che occupa i primi 4 volumi, è sviluppata nel 5 la teoria 
della. civilizzazione , la quale, è una. vera innovazione nella 
scienza’ dell’ economia. politica . 

L’ Accademico Giusti manifestò l’ intenzione di partir dal 
punto ov’ è restato il Gonsigl. Storch, onde applicare i prin-. 
cipit della scienza economica a quella della legislazione in ciò 
che concerne le professioni liberali, e per esaminare sotto 
questo punto di vista la legislazione dei vari popoli , mostran- 
done i pregi e i difetti, e proponendo i cangiamenti opportuni 
sopra ciascun’ articolo . 

L'Accademico Dot. Vanni dopo aver meritato, per una sua 
memoria relativa alla contrattazione dei bestiami il premio di 
zecchini 12 offerto dal Sig. March. Cosimo Ridolfi , anzichè 
perciperlo , volle farlo servire a promuovere un’ altra impor- 
tante indagine , destinandolo a chi avesse meglio risoluta la 
questione 3, Se, attese le particolari circostanze della Tosca- 
na, possa esser più utile ai progréssi dell’ agricoltura il sistema 
di dire .i beni rustici ad affitto, piuttostochè quello di darli 
a colonia ,,- 

Due memorie, erano state presentate al concorso , ed una 
Deputazione speciale era stata incaricata di giudicarne . 

Il Sig. March. Gino Capponi, uno dei componenti questa 
Deputazione e relatore di essa, lesse un ragionato Rapporto 
cootenente il giudizio della Deputazione , i fondamenti ai quali 
ella si era appoggiata, ed alcune importanti osservazioni rela- 
tive . 

Una delle due memorie, distinta dall’ epigrafe » Prae- 
d'ium si domini praesentia cariturum est censeo locandum ,; 
sccordava la prelazione agli affitu , rilevando in special nodo 


567 
i vantaggi derivati all’agricoltura toscana dal sistema dei li- 
velli promosso e favorito dal Granduca Leopoldo. 

L’ amore dei buovi principii a ciò relativi, sviluppati nella 
memoria e sempre professati dall’ Accademia, indussero la De- 
putazione ad aggiudicare il premio all’ autore di quella, come 
dotta , lerici concepita , e filosoficamente distesa . 

Bensì rilevò ella che non vi erano bastantemente distinte 
le circostanze e le condizioni dei livelli da quelle di nuovi si- 
stemi e patti da farsi fra il padrone ed il contadino , ferma 
stante l’ attual divisione della terra in poderi. Valutò anche 
la circostanza, poco Saia presso di noi di contadini capitali- 
sti, altronde necessaria nel sistema degli affitti o livelli, e di- 
stinse debitamente quelle parti del nostro territorio ove il pro- 
dotto degli alberi sorpassa quello dei cereali, da quelle ove 
accade r opposto . 

Per queste e simili avvertenze mentre la Deputazione , per 
organo del suo relatore, faceva -plauso all’ invocata moltipli- 
cazioue dci livelli , volle impedire che il favore per questa 
maniera di contratti facesse presumere approvati dall’ Acca- 
demia alcuni altri modi che con qualche analogia presentas- 
sero sostanziali differenze . 

La stessa Deputazione avea giudicato doversi fare onorevol 
menzione dell’ altra memoria portante l’ epigrafe ,, Se il tri- 
dente di Nettuno è lo scettro del mondo, l' aratro : n° è la 
ricchezza ,, e doversi apprezzare e conservare come atta a ri- 
schiarare alcuni fatti importanti . 

Aperte le schede sigillate, fu trovato appartenere la prima 
memoria al Sig. Avv. Aldobrando Paolini, la seconda al Sig. 
Baldassarre Sabatino Guarducci . 

In fine il Sig. Avvocato Sergardi lesse alcune sue osser- 
vazioni relative al soggetto stesso discusso nelle dne memorie 
e nel giudizio della Deputazione ; concludendo contro gli af- 
fitti ed a favore delle colonia . 

G. GAZZERI. 


Lezioni elementari di Archeologia , esposte nella pontifizia 
università di Perugia, di G. R. VermiGLIOrI vol. 1. Perugia 
presso Baduel 1822. prezzo fr. 4. 28. 

Tosto che ci perverrà il compimento di quest’opera, 
frutto degli studi e delle indagini d’ un uomo che si è consea 


568 
crato pertinacemente a coltivar una scienza, la quale in Itala 
più specialmente che altrove non devesi affatto ignorare , for- 
merà il soggetto di un nostro articolo, ove ci impegneremo 
di darne esattamente conto . Frattanto crediamo dover racco= 

der ; pig i ; 
mandare quest opera , distinto pregio . della quale. ci sembra 
essere-la chiarezza, ai giovani che senton gusto per gli. studj 
dell’ antiquaria , e ‘agli uomini di qualunque: età che vogliono 
porsi in istato di leggere con profitto. i classisi greci e latini. 


Annali Musulmani ; di R. RampoLp1: Milano presso Ru- 
seoni. 1822. 

Quando |’ autore adempia la promessa. che egli ha fatto 
col suo manifesto, del che noi non sapremmo dubitare , deve 


quest’ opera essere favorevolmente accolta dal pubblico , ed in. 


special modo in un tempo nel quale tutti li sguardi sono ri- 
volti verso. l’ impero ottomano . Tutti, noi crediamo , awran, 
desiderio di conoscere. gli. annali di quei feroci figli di Mao- 
metto, per far guerra ai quali. fu. già un tempo inutilmente 


versato tanto sangue cristiano , allorquando occupavano ‘soltanto , 


asiatiche provincie , laddove oggi se ne verserebbe forse al- 
trettanto per mavtenerli in possesso di quella parte della no- 
stra Europa; che invasero dando l’ultiino crollo all’ impero 
romano . 

L’opera sarà in 11 volumi, ciascun dei quali comprenderà 
uno dei periodi principali della storia musulmana : incomin- 
cierà colla vita del legislatore degli Arabi, e terminerà colla 
distruzion dell’ impero romano , e colla conquista di Costanti. 
nopoli. Un -12. volume conterrà |’ indice delle cose notabili . 
Confidiamo che l’autore ‘ed il pubblico gradiranno che sia reso 
conto di quest’ opera importante nel medesimo giornale, cosa 
che faremo , tosto che ce ne pervenga il primo volume . 


Manoscritto ritrovato ultimamente in una Biblioteca 
d’ Italia col seguente titolo + Lettera del P. Maestro Martini 
ul Signor Nicola Jommelli ,, Bologna a Marzo 1768 
sy Mio caro Jommelli ;, 
Mi fece molta pena la tua lettera data di Napoli: Tu ti 
lagni del torto fatto jalla tua musica nel teatro di S. Carle di 


, 


7 69 

Napoli dopo tante tlettinotiianza di onori ricevuti in tatta l'Ea- 
fopa (a) ma soffri che io ti dica che' ti lagni a torto : Devi 
‘ficordarti dell’ ‘ùiltima mia leziòbne, all srchè prima di ‘partire 
per Vienna mi chiedesti un ricordo che servir potesse di guida 
fidlia tua carcieta musicale. To ti dissi aliora che ‘’un'inaestro 
deve riporre il felice risultato ‘del suo travaglio sal movimento 
degli affetti; ti dissi. che siccome gli uomini varisno di tems 
peramento a seconda del clima, della forma di governo ‘è della 
- Pabblica educazinne, tu dovevi conoscere l’ indole della ‘hazioue 
pritna di scrivere , e “quindi uniforinilre la' cantilena } e I’ ac» 
- €0mpagnamento al gusto nazionale del ‘paese ; ti‘ dissi: final- 
mente che le antiche regole non debbono incatenare il ‘genio 
- cun un rigore assoluto , poichè talvolta bisoghà' lasciar libero 
“il corso allo slancio dell’ accesa immaginoziòne . H> letto la tua 
musica, nòn vi ho trovato alcun néo , ma una tinta’ l'orte senza. 
Chiaroscuro mi dette qualche momento di noj» . To ‘sono’ vece 
chio; e veggo cambiata la fisonomia; del secolo che va a‘finire 
per’ cui lo stilé antico ‘non farà più fortana ; e saggin sarà 
colui che saprà uniformarsi al genio del tempo. Dl Irettà ri- 
cordati del famoso avviso dell’ Apostolo. -S. Paolo; il'quale ci 
avverte di essere noi debitori dei dotti, e degl’ ignoranti, 
poichè -non possiamo lusingarci di vivere in una società di 
dottori, perciò . bisogna procurare. di piacere ai primi senza 
dissustare i secondi. Nell’anno scorso vollero eseguire una mia 
. messa nella famosa chiesa di S. Antonio in Padova: [o mi op- 
posî ;' ma fu'd’uopo cedere alle amorose premure de’ miei al- 
lievi: Caro Jominelli ti assicuro che bisognò che io stesso sal- 
tassi ‘un ‘pezzo’ del Kirze, e daè pezzi del Gloria: per togliermi 
alla noja . Nulla ti dico della sofferenza’ degli uditori che avendo 
riguardo alla mia età, ‘e ‘alle onorite ‘memorie della ‘mia gio- 
vinizza , fecero pliuso a quel modo che un morto sottoposto 
all’azione Galvanica alza talvolta la mano.Io non fui mai nè dotto, 
nè poeta, ma mi piacque sempre quel proverbio Utile dulci : 
Fà tu lo stesso , e sarai contento: Una sinfonia. maestosa e 
magistrale ; ana introduzione basita sulle regole rigorose del 
contro punto 5 una ‘cantilena senza molto strepito di accompa= 
gnamento', ecco l’ applauso dei dotti, delle matrone ‘antiche; 


} 


ita nftor asi 


(4) Si allude ad una musica di Jommelli che dopo due rappresentanze fn tole 
ta per non avec avuto incontro alcuno» 


T. VI. Giugno 37 


570 
dei dilettanti..... ma i poveri ‘ignoranti vogliono strepito, altri- 
menti viene il sonno: tu allora scatena: qualche corno , un 
timpano ,juna..gran. cassa, eccoli svegliati,,, eccoli; rapiti dalla 
strepitosa armonia, che invita alla. guerra, genio dominante nel 
secolo che, corre , e forse prenderà :naggior forza: in quello.che 
va a succedere.: Ma i dottori grideranno @/ maestro al maestro 
nell’ atto che gl’ ignoranti ripetono viva il maestro, fuora il 
maestro: Anacarsi. tacciava.i disarmonici allorchè si erigevano 
in giudici; dei musici, ma intanto i musici facevano di tutto 
per procararsi il favore del pubblico ., Finalmente. poi la, cosa 
finisce senza sangue, perchè li dotti non, potranno negare, che 
tu sai scrivere all’antica:quando vuoi farlo, e i semidotti ti 
daranno il titolo di Magnus Apollo; ma quel che poi importa 
più divtutte queste. ciarle, sarai ben pagato, e festeggiato. Caro 
Jonmelli, prendi questa strada che ti mostra: il, tuo vecchio 
maestro,,,, e lascia pure che .parlino e che scrivino in versi+, 0, 
in prosa questi dottoroni, che vanno scavando hi termini del 
seicento per dire, poi im sostanza quello che tutti sanno, e che 
fu. detto fin dal tempo {in cui fu imaginata la. hottega adi ma- 
stro! Vulcano, Il ciel ti;salvi ;, Aglio, 
‘Il tuo Maestro Martini. 


La Meccanica della materia ; Sotto questo .titolo si, com 
prende. un' opera di, un, fisico italiano, il Sig. Cav. Nobili ,,la, 
quale riunisce «diversi trattati dati in luce a diverse epoche, 
cioè, 

L’ introduzione in un’ volume, in 8.° con 7 tavole in TATAE 3 


nel 1819. \ 
Il Lap gi d' Ottica, un.vol..8.° con 7 tavole, nb 1821. , 
e i trattati , del (lione :.).un vol. 8.°.con 8 tavole in rame 


«dell’ Elettricità.) mel 1822, Modena presso Gem. 
del Magnetisma ).Vincenzi ec. 

Noi abbiamo)attualmente, .sott’ occhio quest’ opera ‘che di 
presente,ci contentiamo:, annunziare e della quale renderemo, 
conto in breve, per quanto, l’ivaportanza del tema esiga som- 
ma ponderazione . Noi crediamo frattanto, che la novità, delle. 
idee del Cav. Nobili, qualunque sia 1’ aspetto sotto del quale 
potranno essere considerate , debba ece ponte la curiosità dei 
coltivatori della fisica géneràle ; di quali è ‘ noto che anco i pen-. 


Ly. 
sieri dei grandi maestri hanno in fatto di questa seienza avuto 
un periodo ed una vita, e che alcuno di essi, come tutte le 
cose umane sono nati , cresciuti e obliati ec. 


Coe le———__@[ 


Elogio storico di Pierro RusiNI, parmigiano, scritto da 
Ancero Pezzavi, bibliotecario ducale. Parma, per G. Pagani. 
no, 1822. : 5 

Il miglior tributo, che uno schietto ed erudito ingegno 
render possa a un suo concittadino, di cui la patria si glorifi- 
chi, è quello di onorarne la memoria col confidare alle proprie 
sritture le sue virtù pubbliche, onde si procacciò nominanza, e 
porre in vista le private, il cui maggior pre io sia principalmente 
RATA nell’ sca conosciute dda. i tiro 

Qual fosse il sapere di Pietro Rubini nella nobile, ma sem- 
pre tenebrosa e malagevol arte della salute : quanto il suo criterio 
e il riuscimento delle sue operazioni, è cosa notissima a qualun- 
que coltivatore delle mediche discipline. 

Quali fossero le principali circostanze della sua vita: qual 
animo avesse: quali opinioni, e qual corredo di patrie e dome- 
stiche prerogative; se ne potrà instruire il lettore nell’ elogio 
che annunziamo. 

E chi si compiaee di candidi e generosi concetti, e di uno 
stile, dedotto dalle vere sembianze de’ nostri antichi, troverà in 
esso larga materia di plauso anche pel sig. Pezzana, biografo 
avveduto ed accuratissimo. M: LEONI. 


Opera anatomica che si pubblica in Parigi 

Il celebre sig. conte De Lasteyrie, uno dei più zelanti pro- 
motori della litografia in Francia, come di tante altre utili e belle 
istituzioni, dopo aver fatta una felice applicazione di quest’ arte 
alla istoria naturale degli animali i ntraprese, fino dal settembre 
dell’ anno scorso l’ edizione d’ un opera anatomica in francese, 
eol titolo di Anatomia dell’ uomo , ossia descrizione e figure 
litografiche di tutte le parti del corpo umano, da distribuirsi 
in fascicoli mensuali, ciascuno composto di sei tavole e di tre 
fogli di testo, al prezzo di g. franchi per fascicolo. Dirigono 
la parte scentifica di quest’ opera, ed è loro la compilazione, i 


bra 

signori, Beclary: e. Cloquet dotti anatomici francesi; ed è affidata . 
l’esecazione, dei disegni agli abili artisti i. signori, Haincelin aînè. 
e Feillet; dai quali ragion vuole (essendosi essi specialmente 
consecrati allo studio dell’ anato:nia) che il pubblico aspetti da 
loro disegni deila più gran verità e precisione per la forma ed 
esattezza dei contorni; accadendo bene..spesso che, nel rappre- 
sentare oggetti sì delicati e che vogliono essere determinati 
rigorosamente, la verità sparisca nell’ esecuzione anco sogto la 
mano. del più abile artista, quando non sia guidata dall’ esatta 
cognizione dell’ oggetto che vuolsi rap Disieniarà, i sig. prof. 
T:ddei, che nel suo soggiorno a Parigi potè aver sott’ occhio 
una gran parte delle tavole che a ppartengono all’ osteologia, ne 
assicura non aver. mai veduta tarita esattezza e tanta verità in 
quante altre tavole sono. finqui comparse alla luce. 

L opera sarà compresa in 12) fogli di testo e in 240 ta- 
vole, le quali for:neranno quaranta fsaticoli Essa sarà divisa in 
sette sezioni. La prima della Osteologia 0 delle ossa e dei liga- 
menti: la seconda della JMiologia 0 dei pa e dei loro annessi; 
la terza degli orguni dei sensi; la quarta della Merrologia 0 dei 
nervi; l» quinta dell’ Angiologia 0 dei vasi; la sesta della Splani- 
neologia,o dei visceri; la. settima deila Embriologia o del feto 
e delle sue dipendenze . 

Per quanto sieno a stampa parscchie opere anatomiche 
corredate di tavole esegnite quando con più, quando con meno 
perfezione, alcune sono trattati monografici di un tale o tale 
altro ramo, della scienza. altre sono trattati completi , ma che 
lasciono molto da desid:rar» per la parte dell’ esecuzione delle 
figure ; ed oltre a ciò son» divenute rarissime e di gran prezzo. 
Supplirà danque la presente opera a ciò ehe manca; dando 
un completo trattat» di anato mi i! qui'e al merito di una e- 
satta e concisa descrizione unirà qu Illo d’una esatta rappre- 
sentanza. 

Non possiamo, dunque che fir plauso alle cure dell’ editore 
sig. De Lasteyrie, e_far voti perchè il sun esempio ecciti quei 
benemeriti che bon presso-di noi promossa tanto felicemente 
l’arte litografica a non ivpiegarla per i soli oggetti di helle arti, 
ma ado»perarla «ziandio per agevolare e vromovere gli stui delle 
diverse maniere di scentifiche discipline . D. 


573 

SOCIETA? GEOGRAFICA DI Parici. Prima adunanza generale 
annua dell’anno 1822: il 22.marzo . 

La sedata è aperta sotto la presidenza del marchese la Place pari 
di Francia. Isig. Barbiè du Bocage figli» rende conto delle opera»; 
zioni della commissione centrale, di sfbatabilimibnto fino a oggi. Il 
sig. conte Pastoret legge il programma seguente, che indica i sog- 
getti di premio che la società mette in concorso . 

I° soggetto di premio. Dterminare la direzione delle catene 
di montagne dell'Europa, le lor» ramificazioni, le loro altezze suc- 
cessive in tutta la loro estensione . 

La società dinanda che venga formata una serie di quadri 
nella quale si riportino le misure dell’ elevazioni sopra il livello 
del mare, nel maggior numero possibile. Tutte queste misure 
dovranno essere corredate coll’ indicazione precisa del punto di 
osservazione, e della dipendenza di ogni catena e diogni pendio — 
sarà necessario far conoscere il nome dell’ osservatore e il metodo 
che avrà seguito, La società preferirà quel lavoro, nel quale esten- 
dendosi sino alla riva dei mari, si darà la posizion sPosroige di 
on maggior numero di punti, coll’ ainto dei quali si potrà tracciar 
con precisione delle linee di livello non meno che le linee di sepa- 
razione dell’ acque, ed i limiti dei differenti bacini. 

Ma la società non dissinuland»> le difficoltà che presenta lo 
scioglimento completo d’ un tal problema dichiara, che darà il 
premio alla memoria più ricca di fatti positivi e d’ osservazioni 
nuove. Il premio sarà di 1200. franchi; sarà conferito nella pri- 
ma adunanza generale dell’anno 1823: Le memorie dovranno 
essere rimesse all’ ufizio della commissione centrale prima del 1. 
febbrajo 1823. 

” 4 

2° soggetto di premio. Ricercare l’ origine dei diversi popoli 
sparsi nell’ isole del grand’oceano situate al S. E. del continente 
d’ Asia; esaminando le differenze e le somig'ianze che esistono fra 
loro e cogli altri popoli relativamente alla figura, alla costituzione 

- fisica, ai costurvi, agli usi, alle istituzioni civili ereliviose, alle tradi- 
zioni, ai monumenti, confrontanilo gli elementi delle lingue rela- 
tivamente all’ analogia delle parole, e alle forme grammatieali, e 
prendendo in considerazione i mezzi di comunicazione secondo le 


974 
posizioni geografiche, î venti dominanti, le correnti e lo stato della 
navigazione. 

Il premio sarà di 1200 franchi; sarà conferito nella prima 
adunanza generale annaa dell’anno 1824. Le memorie dovranno 


essere rimesse ali’ ufizio della. commissione centrale avanti il 3 
febbrajo 1824, 


3. soggetto di premio. Il sig. barone Beniamino Delessert 
membro della società si è compiaciuto di far dono della somma 
necessaria per un terzo premio di cui ecco il soggetto . 

Itiuerario statistico e commerciale di Parigi ad Havre. La so= 
cietà desidera notizie positive, e vedute d’ utile generale sulle re- 
lazioni e le comunicazioni fra queste due città . Il premio sarà di 
600 franchi, e sarà conferito nella prima adunanza generale an- 
nua del 1823: le memorie dovranno essere rimesse all’ ufizio della 
eommissione centrale avanti il i febbrajo 1823 . 


Condizioni generali. Ogni memoria che si manda al con- 
corso deve essere scritta in caratteri leggibili, e senza nome d’ an 
tore; Deve inoltre essere accompagnata da una sentenza, ripetuta 
sopra un biglietto sigillato, il quale contenga il nome dell’ autore 

e il luogo in cui risiede. Le memorie coronate resteranno negli i 
fe pl della società; sarà perinessojagli autori di farne trarre copia;- 
tuttii membri della società possono concorrere fuori che quelli 
della commissione centrale. 


Nuova società letteraria in Londra 

Si è stabitita a Londra son circa due anni sotto gli auspici del 
Re d'inghilterra una società letteraria, la quale differisce per la 
sua istituzione da tutte quelle che si trovano in Londra, e sono 
quasi tutte libere, e sussistono solamente per le offerte volontarie 
dei letterati, che ne fan parte.. Questa .si propone d’ incoraggire i 
letterati col mezzo di stipendi e di pre mi. A quest’ effetto il.re le 
accorderà ogni anno un sussidio generoso . Secondo il manifesto, la 
politica e;lo spirito di partito sono ogget ti stranieri a questa asso- 
ciazione : staremo a vedere se gli uomini di merito, i quali avran= 
no la disgrazia di dispiacere ai ministri, sara nno ammessi a parte- 
cipare i i favori della società, e se l’adulazione non sarà un titolo 


per conseguirli . Ogui soscrittore deve pagare almeno due ghinee , 


979 
Fra i primi, che hanno soscritto sì notano tre principi della fami- 
glia reale, vale a dire i duchi di York, di Clarencè e di Cambridge, 
i vescovi di Darham, di S. David, Chester, Carlisle, Glocester, 
Salisbury, Lincoln, il presidente di giustizia Abbont , i baroni 
Sohusone, Tiernéy, Angland , Congreve, ed' altri. Deve nominarsi 
iu breve un comitato permanente per amministe are le rendite del- 
la società; si procederà dopo alla nomina di dieci associati, i quali 
devono ricevere una pensione dal Re . Il nume ‘ro ‘dei letterati na 
zionali e stranieri, che potranno ricevere una ‘gra tificàzione per 
parte della società non è limitato. Verrano» distribuiti annual- 
mente dei premi per l’ opere che ne saranno giudicate degne - La 
scelta degli argomenti è libera. La distribuzione dei premi inco- 
mincerà nel 1822. 
Fin qui ho parlato da istorico, dimando ai lettori compiacenti 
di parlare:per. pochi minuti da moralista. Una società destinata a 
ricompensare i buoni libri, ed a incoraggire i poveri letterati, sta- 
rebbe molto bene anche in It alia ; dirò di più : vi starebbe meglio 
che in Inghilterra ovei letterati sono incoraggiti dal favore di tutte 
le classi, perchè tutte le classi, leggono,, e ambiscono di sapere. Ir 
Italia la ruota non gira ..tanto, regolatamente . I..letterati non sono 
in gran credito ; i lettori son pochi, ed i mecenati pochissimi . Una 
cattiva opera, una pessima traduzione , una ristampa d’ autore 
classico frutta una bellaricompensa ‘all’autore della dedica , ben- 
chè la dedica non vaglia niente; il libro vale poco o molto, ma 
l’autore è morto, o è uno straniero ; per conseg uenza nori guada- 
gna un centesimo sull’ opera . La ricompensa è dunque tutta per 
l’autore della dedica , o per l’ editore, che 1’ ha pagata pochi soldi. 
Ora dimando : l’amor proprio, che paga generosamente una dedi- 
ca, non potrebbe determinarsi a cangiare lo scopo della sua gene- 
‘ rosità, e ad impiegarla per incoraggire i letterati, e le lettere ? Si 
potrebbe dimostrare che riunend, tutte le som me,che si spendono 
in pagar dediche in tutta l’ Italia nel corso di un anno, bastano per 
ricompensare cento opere nuove veramente pregicvoli . Ma biso- 
gne rebbe che i mecenati, invece di contentarsi di due o tre pagine 
di:cortesie , o d’ adulazioni, si determinassero a far sapere all’ Ita- 
lia, che appartengono ad una società ‘bene fica, come quella di 


Londra . S. 


56 

Sila di casi clinici-chirurgici di G. B. Bettini ALOSCR= | 
no : in Padova, dalla tipografia; della Minerva 1522. 1 

Col sgpraddescritto titolo, vedrà la pubblica, luce una raccol- 
ta divisa in fasciooli di storie chirurgiche ragionate e corredate di | 
annotazi,ni analoghe ,;, le quali abbracciano il novero principale. 
delle operazioni e cure. fatte dal sunnominato Dott. Bellini, chi- i 
rurgo primario dello spedale civile di Rovigo, e chirurgo muggiore 
condytto della; predetta regia città.. I fascicoli saranno sei, di tre 
in quattro fogli l'uno. Se ne pubblicheranno per. lo meno due Ì 
l’anno cioè uno in settembre e uno in aprile, 


ERRORI i CORREZIONI 
Pag. 335 v. 24 Br ovi god inf | 
di quell’ antica stirpe de’ Rossi che \\di quell’ antica stirpe»di Porzie 
ip Torquato s' Incinse. de’ Rossi che it Torquato,s' incinse 
pag. 336; vw, 26 ai “A : Lodo: 
pratica sublimità Arabi, poetica sublimità .. . 


‘ Di ‘alcuni ertori occorsi nel fascicolo’ presente dalla Pegi. 521 ‘alla Peg: : 
nisi se ne datà la ‘correzione nel futuro fascicolò. : | 


» Fine del'tomo VI.» Vasca 


r‘ { 


INDICE 
DELLE MATERIE 


CONTENUTE NEL SESTO VOLUME 
Ple 


SCIENZE MORALI E POLITICHE 


Viaggio in Armenia e in Persia di Jaubert. Continuaz. (M.)pag. 
Lettere scritte d’ Italia nel 1812 e 13 dal. sig. Lullin di 
Chateauvieux al sig. Pictet. (M.) art. I. 
Giulia Severa, del sig Sismondi. (M.) | 
Sulla grandezza e la decadenza dell’ impero turco, memoria 
di Maltebrun.. Traduzione. (G. R. P.) 33 
Viaggio di Caillaud in Nubia. Sua corrispondenza eol sig. Jo- 
mard dell’Istituto. 
Viaggio di Valdeck nell’ Africa interna. » 
Opere di Raimondo Montecuccoli corrette ,, accresciute ed il- 
lustrate da Giuseppe Grassi. % 
Biblioteca germanic :a nuovo giornale pubblicato in Padova.,, 
Lettera del professor Gazzeri ad un sùo amico padre di fa- 
miglia sopra il sistema d'istruzione seguito nell’ istituto 
fiorentino. 3 À; 
Della storia della guerra dell’ indipendenza degli stati. uniti 
d’ America, scritta da Carlo Botta (estratto dal North 
american review) (M. Leoni). PA 
Viaggio critico all’ Etna, nel 1819 del sig. Gourbillon. Cor- 
elusione. (F. G.) i di 
LL’ Egitto sotto Mehemed-Alì, o brevi riflessi sull’ ammini- 
strazione, civile e militare di quel viceré; di Thedenat 
Duvent. (G. R. P.) i » 
Degli onori parentali renduti alla memoria di Torquato Tasso 
dall’ Accademia pistoiese di lettere ed arti nel dì »5 
aprile del 1822. (R, Z.) 


3). 


2 


2) 


3 


20 
56 


153 


e 


184 
190 


192 
194 


TO7 


201 


248 
264 


331 


2 
{ fasti universali o quadri storici, ‘cronologici e geografici di 


Buret di Longchamps.  ® < "3 
Industria nazionale. Lettere del sig. Em. Fenzi su’ cappelli 
di paglia. . sy 
Lo spettatore italiano, del conte Ferri di S. Costante. sa 


Discorso del sig. Maltebrun alla società di Geografia di Pa- 
rigi, sui mezzi di poi con metodo gli studi geo- 


grafici (M.) #20 
Del Cinisino ossia della Glosofia dei Cinici ; discorso del March. 
di Montrone con l’aggiunta della satira decima di Gio- 
venale volto in. terza rima. (Lampredi) 7, 491 
Lettera sulla pubblicità dei giudizi criminali (Avv. T. T.),, 503 
Annali musulmani, di R. Rampoldi di Milano. ’, 568 
Società geografica di Parigi: prima adunanza generale. ,, 573 
Nuova società letteraria in Londra. » DIS 
SCIENZE NATURALI. 
Altre esperienze donde si traggono nuovi argomenti per spie- 
gare i feriomeni elettro-magnetici piuttosto con due flui— 
di elettrici ed altrettanti ftaidi magnetici, che con un , 
solo fluido elettrico, (Prof. Baccelli). » 29i 
Sopra l’ Alpe apuana ed i marmi di Carrara, cenni di Em. 
Repetti (Gazzeri). ,» 310 
Alcuni cenni sui bagni di Monte Catini in val di Nievole. ,, 376 
Stabilimento geologico e mineralogico del sig. Chierici, in Firen. 386 
Trammenti di lettere del Prof. Giovacchino Taddei al Cav. 
Cosimo Ridolfi. i e) 
La meccanica della materia, del Cav. Nobili. 3» 970 
SCIENZE FISICO-MECCANICHE n 
Aeromautilia, cioè navigazione per aria (D. Scaramucci). |“), gt 
"e.9g1 > 
AGRICOLTURA 
Memoria sopra ‘una specie d’insetti che devastano alcuni 
oliveti del comune di Buti. (D. Ba/biani) » 284 
Vsservazioni sul seminatore del sig. del Fellenherg. a 288 


384 


387 
390 


( I. € R. ACCADEMIA DE’ GEORGOFILI. 


Seduta ordinaria del ro marzo 1822. . i TATA 
del 14 aprile. ” 
del 12 maggio, 72 


SCIENZE MEDICHE 


Elogio storico di Pietra Rubini, scritto da Angelo Pezzana. 
Opera anatomica che si pubblica in Parigi, Pi 
ARCHEOLOGIA 1a 
ce 


Esame diplomatico storico della lettera di. Areo re di Laco- 
nia ad Ovia II. sommo sacerdote degli Ebrei, del Conte 
Marulli. (Zannoni) i 


3 29 
Descrizione delle medaglie greche del museo del sig. Carlo 


Fontana di Trieste, per Domenico, Sestini. 5a 
Explicatio literarum in romanorum monumentis occurentium. 
Elogio d’Ennio Quirino Visconti, scritto dall’ ab. G.B. Zannoni. 
Lezioni elementari di Archeologia, esposte nella pontificia 

università di Perugia da G. B. Vermiglioli, bo 


LETTERATURA, FILOLOGIA 


Lettera seconda sul vero metodo di leggere ed intendere 


l’ ebraico, di Domenico Valeriani. Si 
Seguito di un dialogo sopre alcune correzioni ed aggiunte 
della Proposta ec. del Cav. Monti (Lampredi). + 


Lettera ‘all’ autore del dialogo intorno alla tragedia d’ Eschilo 
tradotta da Felice Bellotti, inserito nella Bihlioteca ita- 


liana, di (G. B. Niccolini). LI 
Ragionamenti intorno ad Orazio Flacco, ed iscrizioni latine 
del P. D. Lorenzo Ciceri: (Zannoni) » 


Lettera al sig. Salfi in Parigi di Urbano Lampredi, » 


183 
375 
565 


Sri 
571 


44 


390 


391 


439 
567 


80 


r18 


Dil: ALnIÉf 


Osservazioni sulla musica di Giovacchino Rossini(Franceschini). 12$ 
Progetto per la formazione in Firenze d’una stabile compa- 


gnia comica. 3 180 
Elogio di Matteo Babbini, detto al liceo filarmonico di Bolo- 
gna da G. Brigheoti (D.). ,» 386 


Guida di Pistoia per gli amanti delle belle arti, con notizie 
degli architetti, scultori.e pittori pistoiesi del Cav.Tolomei. 386 
Monumenti dell’ architettura antica, lettera del Conte Napione 
al Co. Giu. Franchi di Pont. art. I. del (Conte Cicognara). 47y 
Sulla pittura degli antichi, discorso VI del (prof. Petrini). ,, 521 
Manoscritto ritrovato ultimamente: lettera del P. Maestro 


Martini al sig. Nicolò Jommelli. i »» 368 

POESIA 

Saggio di versione dell’ Iliade. (Mancini) s 140 

Il Cadmo. Poema del prof. Bagnoli. Conclusione. (L. Borrini) 345 
e 4 


I piaceri della speranza, poema di Campbell. (Leoni) » 39 


OSSERVAZIONI 
METEOROLOGICHE 


FATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO 
DELLESCUOLEPIE DIFIRENZE 
Alto sopra il livello del mare piedi 205. 
MAGGIO 


1822. 


- Termometro | » = > 
© i ae 
i ° = |a sei d 
S| Ora =] 5 n Boa pE.B Stato del cielo 
È 2 S QU due 
va [e] 
(E) =) 5 i (O) 8 
Ò c ° : Ì 


‘poll lin. 


7 mat. (27. 11,5 13,9] 12,6) 73 Gr. Burrascoso. V. forte 
I| mezzog. 127. 11,6 13,7) 1537; 73 Tr. Nuv. Vento 
(I sera 27. 10,4 15,1) 135; 16 Gr.Lev Nebbioso. Vento. 
7 mat. |27. 10,0 12,8] 11,7) 77 Tr. Gr, Nuvolose. Venticello 
2| mezzog. |27. 10,2 12,8} r1,90 78 Tr. Nuvolo. Vento 
_|_11 sera {27. 10,9 12,8] 10,6) 72 Tr. Gr.| Nebbioso. Ventic. 
| 7 mat. |27: 11] 12,6] ri,i| 82 Ost-Sc-'Ser. con nuv. Calma 
3| mezzog.|28. 0,1 13,5) 14,4| 71 "Tr. M. Sereno. Calma 
i rt sera |28. 0,4 19,1] 146] 77 Po. Lib Sereno Calma 
Scir.  |Sereno. Calma 


Tr. M.|Ser. con calig. Calma 
Scir. ‘|Sereno. Calma 


Ostro |Ragnato. Calma 
Maest. | Calig. Calma 
Scir. |Sereno. Calma 


4| mezzog.|28. 0,5. 
15,9) 13,1 i Sc.Lev|Nuvoletti. Calma 


ri sera |28. 0,0 


+ 


7 mat. |28. 0,9 
5] mezzog. |28. 0,7 
ri sera |28. 0,4 


7 mat. |28. 0,9 
6| mezzog. |27. 11,6 
II sera |27. 11,3 


Gr. Tr.|Ser- con Cal. Calma 
Scir. |Sereno. Calma 


gmat.. 28. ‘0,3 17,0|  14,8| 83 Scir. Ragnato. Calma 
7| mezzog.|28. 0,0 18,2] 19,5 75) Maest. ISer. con nuv. Calma 


rr serà era |27. 11,3 18,6] 15,5] 97. 0,32, Lib. |Nuvolo. Calma 


7 mat. |28. i 13,9 11,3] 85 


_____—_—_—_—____< —- 


n mat. 
mezzog. 


1I sera 


7 mat. 


mezzog. 


ri sera 


7 mat. 
MEzzog. 
| ri sera 


7 mat. 


È 12) mezzog. He 


II sera 


mMezzog.. 
Il Seri: 


o1jowroavg È 


T0,3 


1038 


9,0 


Co 


Fi ij 
di 
È 
o 
1-91 


| 


OUI9ZU] 


19,6] 1 


9,2 


. 10,0 


8,5 


mu 08,5 


8,2 
Met 


91 


10,0 


i . 10,5 


7 mat. 


mezzog. | 
II sera | 


” mat. 


i mMezzog. | 
| 1I sera .! 


| 7 mat. 


‘16 mezzog. 


1I sera | 


7 mat. 


MEzzoge | 


i A sera 


V/ mati | 
mezzog. | 
II sera 


. IO) 
Zi (0}59) 


8,5 
8,8 


+ 10,0 | 


T,7 
16.1. 


cid 
cosourduY 

un PI 

(mul 

LA 

S 

Su 

[ee] 

edi 

o 

-_ 

e. 

o 


| 


{Sc.Lev Nuvoletti. Calma 


Maest. | Ser. con nuv. Calma 
Lib. Sereno. Calma 


Sc. Lev Pecorelle. Calma 
Maest. | Nuvoloso. Calma 
Po.Lib| Nebbioso. Calma 


Sc.Lev Nuvoli gonfi. Calma 
Ponen. : Sereno. Nuv. Calma 


1,9 1-07 0,22 Po.Lil Lib Nuvoloso. Calma 


STA tp 
tri Sini AE 
i |i|Fi 
SULA 
> A ° D 
14,6| 93 
16,2| 83 
__164 87 
ue I ego 

106 7 75 

16, 87 
1937]: 80 
16,4 77: 
1558 96 
18,2| 90 


14,2| 87|0,13' 


14,6] 94 

17371 27 
__142|_87! 0,35. 
12,2 88, ‘0,06 
12,6| 90) 0,23. 
12,4 971 0,01, 
1137| 91 
14;8| 73 

146. $7 

1/2} 69 

16,6 3 
16,5) 77; 

153) FRA 

19,2; 74 

16,3, 2 IM, 

13,9] 92 

18,61 ro 
(1733) _97f 
TOLo lima 

18,6) 66 

14,6 TAP TC 


15,I ‘ai69.|;- dl 
17,91 66 
Bj 5,9. DIAL ; 


TE Nuvolo. Calma 
Ponen.|Nuv, con piog. Vento | 


Maest. | Nuv. con lampi. Cal. È 
iPo.Lib Ser.connuv.all’or. Cal il 
| Po. Lib Ser. con nuv. Calma |M 
Lib. |Nuv. con piog. Vento Wil 
Ostro |Nuv. Ventic. 

Ponen. Nuv. con piog. Vento 
Ostro |Nuv. Venticello 


Se.Lev Sereno. Calma 
Lib. |Sereno. nuv. Ventic. 
Gr. Le |Nuv. Calma 


Tr. Ser. con nuv. Ventic. |# 


il Tr. Gr.!Ser. con nuv. V. forte | 
Gr. Le. [Nuv. Calma 


VTr. Intorbidato. . Calma 
Maest. Nebbioso. Calma 
Tr.Gr. Nebbia. Calma 


E IR) Ragnato. ito. Calma 


Lev. |Ser. con nuv. Calma ;$Y 


Po: Lib |Sereno. Calma. 


Tr. \Sereniss. Vetitioello 
Tr. Sereno. Venticello 
Tr. Gr.|Sereno. Venticello 
Tr. Ser. beliss. Vento. 
Tr. Ser. con nuv. Tento 


Ltd CH Serena: Venko 


Stato del Cielo 


017901018] 
01} 

-QUIOIAN]T 
od 

-00SOWUIUY 


[wo] 
D 
Cd 
° 
3 
® 
(sui 
ri 
° 


“fmimat. [28 (2,1 16,2 sk ri Tr. Sereno. Venticello 


20) mezzog. |28. 2,0 17,9). digi (04 Tr.Gr.|Ser. nettiss. Ventic. 
| rt sera [28. (1,1 |, 18,6) 14,6 67| -. |ostro |Nebbia. Calma 
ig go mat. 28. 1,6, pro, 15,5] 87 Scir. |Nuvoletti. Calma | 
‘21| mezzog. |28. 1,6 18,4] 18,8] 69 Tr. Gr.!Nebbioso. Venticello 
| ! 11 sera |28. 2,3 18,6] 14,6] 69 Tr. Gr. Sereno. Calma 
| | 7mat. (28. 2,6 INDI] |Scir;  |Sereno. Calma 
f{22| mezzog. |28. 2,3. | ( 193) 19,51 65 Lev... Ser.con nuv. Calma 
ri sera |28.. 14 19,0) 14,6, 71 | Sc.Lev Sereno. Calma 
uo mat. 28. 1,7 | 182). 15,3) 79 Scir., |Sereno. Calma 
{123] mezzog. 128. 153 19,0 19,0] 72 Po.Lib “ereno. Calma 
ri sera 28. 0,2 19:59] 16,8] 67 Ostro |Nebbioso. Calma 
| 7,mat. . 28. 0,1 18] 16,4) 79 OsScir| Nebbioso. Calma 
1124 mezzog. |28. 0,3 18,5] 19,0} 74| . |Ostro {Nuvoloso. Vento 
È ri sera |28. 1,0 19,0] 17,7) 77 Ostro |Sereno Calma 
i 7 mat. (24. 1h 17,5] 14,81 82 Scir. |Nuvolo. Calma 
4 sa mezzog. |28. 1,2 18,6 19,0) 73 Po.Lib|Nuvolo. Calma 
! rt sera {28. 1,6 17,31 15,9] 97 Lev. |Nuvolo. Calma 
| miimat. (28... 1,5 I 17,0) 14,6) 97 {Os.Lib | Nuvoloso. Calma 
{26| mezzog. Fica 1,6 17,01 18,2] 79 Lev. |Nuvoli rotti. Calma 
II sera vasi K;3 17,7. 15,9 97 Po.Lib| Sereno. calma 
7 mat. |28. 2,0 17,9; 14,8 97 Lib. |Nebbioso. Calma 
$|27| mezzog. a: 1,3 15,4. 19,0) 77 Ur. Ser. con nuv. Vento 
11 sera [28. 2,0! 18,6- 18,2 77 1Os.Lib| Sereno. Calma 
| mimat. .|28..2,9 | 184 17,5) (85 Tr. Gr.{Sereno. Calma 
{28| mezzog. |28. 3,0 19,7| 20,6| 71 Tr. Gr.|Ser. con nuv. Ventic. 
i 11 sera |28. 3,0 19,3 19,5| 77 Gr. Le.| Sereno Ventic. 
‘7 mat. si 3,6 19,7] - 18,4 76 "Tr. \Sereniss. Calma © 
::29| mezzog. |28. 3,5 20,8] 22,2] 67) Tr. Ser. con nuv. Calma 
i | rr sera |28. 3,4 21,7] 21,3) 67  |Gr.Le. Ser. neb. calma 
| minati San8, 3.4 19,9) 16,5] 671 Scir. |Ser. neh, Calma 
#|30| mezzog. 128. 3,4 21,0 Si 79 Tr. Nuvoloso. Calma 
| 11 sera {28. 4,0 BI sdlo 117,3). 82 ITr.M. |Serono. Calma 
E | 7mat. (28. 3,8 t7,7| 16,4) 87 Sci. Le.| Sereno. ty 
iS] mezzog. |28. 3,5 | 20,4]. 22,21 74 Po.L. {Caliginoso. Ventic. {fl 
j_L_ti sera [38. 3,5 | 21,3] 17,31 82 |Tr.M ÎSereno. Calma | 


. 
3 


RITMI 


FENOMENI | 
VARIO GENERE E 


1: Tra l’una e le tre pomeridiane son venute fortissime scosse d’ ac 
qua. IL dEi 
24 È venuta una fortissima scossa tra le 5 e le 6 pomeridiane. 


7 


25 Tra le 6 e le 7 pomeridiane è caduta gran pioggia; accompagnata dal 
lampi e tuoni. 


i